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Full text of "Elementi di scienza politica"

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4 


Presented  to  the  I 

LIBRARY  o/r/z^ 

UNIVERSITY  OF  TORONTO  ^ 

from 

the  estate  of 

GIORGIO  BANDINI 


ELEMENTI  DI  SCIENZà  POLITICA 


m 


GAETANO    MOSOA 

PROFHSSORE   ORDIHARIO   DI   DIRITTO   COSTITOZIONALE    NELL'  aNIVKBSITÀ   DI  TORINO 
SONATORE    DEL    RESHO 


ELEMENTI 


DI 


SCIENZV  POLITICA 


Seconda  edizione  con  una  seconda  parte  inedita. 

Dilexi  justitiam,  qttaesivi  veritatem. 


TORINO 
FRATELLI   BOCCA   EDITORI 

3  -  Via  Carlo  Alberto  -  3 

1923 


PROPRIETÀ    LKTTBBABU 


ToBiHO  —  Tipografia  Vincenzo  Bona  (12126.14U7) 
Printed  in  Italy. 


ALLA   DOLCE   E    CAEA  MEMORIA 

DI    MIA    FIGLIA    Q-"R,AZIELLA 

DEDICO   QUESTE    PAGINE 

ALLE    QUALI  HO   CONSACEATO 

LE    ORE    MIGLIORI   DELLA   MIA   VITA 


f 


PRKKAZIONE 


Il  volume  che  ora  viene  alla  luce  consta  di  due  parti:  la  prima 
è  la  seconda  edizione  degli  Elementi  di  Scienza  politica^  che  fu- 
rono pubblicati  alla  fine  del  1895;  la  seconda  è  completamente 
nuova  e  fu  pensata  e  scritta  negli  ultimi  due  o  tre  anni. 

Essendo  iìifatti  da  un  pezzo  esaurita  la  prima  edizione  del 
lavoro  sulla  Scienza  politica,  pubblicato  quasi  trenta  anni  fa, 
diventava  necessario  farne  una  nuova;  ma  intanto  erano  mu- 
tati i  teìnpi,  nuovi  avvenimenti  erano  maturati  ed  essi  mi  for- 
nivano nuovi  dati  dei  quali  dovevo  tener  conto,  anche  perchè 
modificavano  sensibilìnente  alcuni  dei  modi  di  vedere  ai  quali 
mi  ero  conformato  quando  scrivevo  la  prima  parte  del  lavoro. 
Né  devo  nascondere  al  lettore  che  a  ciò  hanno  contribuito  quelle 
variazioni  che  avvengono  nel  carattere  e  nella  mentalità  di  qua- 
lunque uomo,  finché  l'uno  e  V altra,  con  l'età  molto  avanzata, 
non  si  cristallizzano  in  una  forìna  definitiva. 

Date  queste  mie  condizioni  intellettuali  e  morali,  o  dovevo  rifare 
la  prima  parte  dell'opera  o  dovevo  scriverne  un^ altra,  che  perfet- 
tamente corrispondesse  alla  mia  odierna  maniera  di  pensare.  Ho 
scelto  quest'ultima  soluzione,  aggiungendo  alla  pì'ima  parte  del 
lavoro  solo  le  poche  note  che  sono  segnate  con  un  asterisco, 
anche  perchè  tenevo  a  mantenere  integra  l'interpretazione  che 
molti  anni  fa  avevo  dato  ad  alcuni  impoì'taìiti  pì'obleml  poli- 
tici, interpretazione  che  fatti  recentissiìni  hanno  oggi  confermato. 


Tm  PREFAZIONE 


J/a,  tanto  nella  prima  che  nella  seconda  parte  del  presente 
lavoro,  mi  sono  sforzato  di  mantenermi  fedele  al  metodo  che,  fin 
da  quando  ancora  giovanissimo  scrivevo  la  Teorica  dei  governi, 
ho  adottato  e  che  poi  ho  cercato  sempre  di  praticare  apportan- 
dovi tutti  i  miglioramenti  di  cui  ero  capace.  Da  moltissimi  anni 
sono  convinto  che  runico  sistema  possibile  col  quale  l'uomo  può 
fino  ad  un  certo  punto  dominare  le  proprie  passioni  e  miglio- 
rare le  proprie  sorti  consiste  nello  studio  della  psicologia  umana 
individuale  e  collettiva.  Fin  da  un'epoca  inolio  remota  la  sag- 
gezza ellenica  avea  giudicato  che  la  maniera  più   efficace  che 
avea   l'uomo  per   elevare  il  proprio    carattere  e  moderare  gli 
effetti  di  alcuni  suoi  istinti  consistesse  nella   conoscenza  di  se 
stesso.  È  quindi  spiegabile  se  ho  creduto  e  credo  fermamente  che 
un  simile  metodo   possa   applicarsi   con  uguali   risultati  allo 
studio  della  psicologia  collettiva.  Esso  anzi  fu  già  ad  essa  ap- 
plicato pili  di  ventidue  secoli  fa,  nell'epoca  cioè  nella   quale  il 
grande  Aristotile  scriveva  la  sua  Politica,  e  ben  altri  risultati 
potrebbe  dare  oggi  quando,  mercè  il  progresso  degli  studi  storici, 
geografici  e  statistici,  conosciamo  tanta  parte  del  passato  e  del 
presente  dell'umanità.  Aggiungerò  che  l'esempio  dell'  Economia 
politica  la  quale,  studia?ido  collo  stesso  sistema  i  fenomeni  eco- 
nomici, ha  potuto  sicuramente  mettere  in  evidenza  alcune  delle 
leggi  che  li  i-egolano,  mi  ha  oltremodo    confortato  a  persistere 
nella  via  che  da  un  pezzo  avevo  scelto. 

Naturalmente  non  mi  nascondo  le  grandi  difficoltà  che  pre- 
senta l'uso  del  metodo  che  ho  rapidamente  accennato,  fra  le 
quali  occupa  uno  dei  primi  posti  la  quaìitità  di  cognizioni 
esatte  che  esso  richiede  su  tutto  quanto  è  accaduto  ed  accade 
nelle  società  che  hanno  una  stoì-ia;  uè  io  mi  lusingo  di  averle 
tutte  superate.  Quindi  posso  soltanto  affermare  che  ho  fatto  del 
mio  meglio,  fiducioso  che,  se  la  civiltà  umana  saprà  superare 
la  procella  che  oggi  la  minaccia,  la  modesta  opera  mia  potrà 
essere  da  altri  continuata  e  perfezionata  e  che  potranno  essere 
a  poco  a  poco  colmate  tutte  le  grandi  lacune  che  essa  oggi  pre- 
senta. 

Dirò,  per  ultimo,  che  mi  sono  sforzato  di  comprimere  tutte 


INDICE  IX 

quelle  passioni  e  quei  sentimenti  che  potevano  annebbiare  la 
visione  obiettiva  dei  fatti  sui  quali  dovevo  fondare  le  mie  con- 
clusioni. Riconosco  che  la  completa  riuscita  di  questo  sforzo 
esigerebbe  che  l'uomo  non  fosse  più  tale,  ma  credo  di  aver 
fatto  tutto  ciò  che,  mercè  la  buona  fede  e  la  buoha  volontà,  si 
poteva  in  questo  senso  ottenere.  Prossimo  a  chiudere  la  mia 
carriera  scientifica,  ho  fermamente  voluto  esporre,  senza  odi, 
sema  collera,  sema  entusiasmi,  colla  serenità  che  solo  l'età 
avanzata  può  dare,  tutto  quanto  lo  studio  degli  avvenimenti  e 
del  carattere  umano  aveva  potuto  insegnarmi. 

Torino,  dicembre  del  1922. 

Gaetano  Mosca. 


PARTE    PRIMA 


^^i^f^^^^^^^^ 


Dilexi  justitiam,  quaesivi  ventatem. 


CAPITOLO  I. 
Il  metodo  nella  scienza  politica. 


I.  Origini  e  scopi  della  scienza  politica.  —  EE.  Perchè  si  è  scelta  questa  denomi- 
nazione. —  III.  Il  metodo  sperimentale  e  l'origine  delle  scienze.  —  IV.  Varie 
applicazioni  di  questo  metodo  nella  scienza  politica.  —  V.  Sistema  che  dà  la 
prevalenza  all'ambiente  fisico  nello  studio  della  scienza  politica.  —  VI.  Della 
prevalenza  dei  popoli  del  settentrione  su  quelli  del  mezzogiorno.  —  VII.  Con- 
tinua lo  stesso  argomento.  —  Vili.  I  vari  tipi  di  organizzazione  politica  e  le 
diversità  di  clima.  —  IX.  Importanza  della  diversa  configurazione  del  suolo. 
—  X.  Sistema  che  fa  dipendere  i  fenomeni  politici  dalla  diversità  delle  razze 
umane.  —  XI.  Eazze  superiori  ed  inferiori.  —  XII.  Il  genio  delle  razze.  — 
Xin.  Il  sistema  evoluzionista  e  la  lotta  per  l'esistenza.  —  XIV.  Il  progresso 
politico  ed  il  miglioramento  fisico  delle  razze  umane.  —  XV.  Riassunto  delle 
teoriche  evoluzioniste.  —  XVI.  Il  metodo  storico  fondato  sulla  identità  fonda- 
mentale delle  tendenze  ed  attitudini  politiche  delle  grandi  razze  umane.  — 
XVII.  Nuovi  materiali  di  cui  questo  metodo  dispone.  —  XVIII.  Obiezioni  che 
ad  esso  si  fanno.  —  XIX.  Condizioni  alle  quali  questo  metodo  può  essere  bene 
adoperato.  —  XX.  Continuazione  dello  stesso  argomento  e  conclusione. 

I.  —  Da  molti  secoli  si  è  affacciata  alla  mente  dei  pensatori 
l'ipotesi  che  i  fenomeni  sociali,  che  davanti  ad  essi  si  svolgevano, 
non  fossero  meri  accidenti,  né  la  manifestazione  di  una  volontà 
soprannatm^ale  ed  onnipotente,  ma.  piuttosto  l'effetto  di  tendenze 
j)si coloniche  costanti,  che  determinano  Fazione  delle  masse  umane. 
Fin  da  Aristotele  si  è  cercato  di   scoprii-e  le   leggi  e  le  modalità 

G.  MosoA.  Elementi  di  Scienza  Politica.  I 


ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


che  regolano  l'azione  di  queste  tendenze  e  lo  studio,  che  ha  avuto 
questo  obietto,  si  è  chiamato  politica. 

Nei  secoli  decimosesto  e  decimosettimo  molti  scrittori,  in  Italia 
specialmente,  si  occuparono  di  politica  (1),  Però  essi,  a  cominciare 
da  Machiavelli,  che  è  fra  tutti  il  più  famoso,  non  si  occuparono 
tanto  di  determinare  quelle  tendenze  costanti  in  tutte  le  società 
umane,  che  abbiamo  già  accennato,  quanto  d'investigare  le  arti 
per  le  quali  un  uomo  od  una  classe  di  jiersone  potevano  arrivare 
a  disporre  del  supremo  potere,  in  una  data  società,  ed  a  difendersi 
contro  gli  sforzi  di  coloro  che  li  volevano  surrogare.  Si  tratta  di 
due  cose,  che,  sebbene  abbiano  qualche  punto  di  contatto  tra  loro, 
pure  sono  sostanzialmente  diverse  (2).  Un  esempio,  che  crediamo 
molto  calzante,  dimostra  ciò  assai  meglio  di  un  lungo  ragiona- 
mento. L'Economia  politica  studia  le  leggi  o  le  tendenze  costanti, 
che  regolano  nelle  società  umane  la  produzione  e  la  distribuzione 
della  ricchezza  :  ma  questo  studio  non  equivale  in  niun  modo  al- 
l'arte di  arricchirsi  e  di  conservare  le  dovizie.  Un  valentissimo 
economista  può  infatti  essere  assolutamente  inetto  a  costituirsi 
un  patrimonio,  ed  un  banchiere,  un  industriale,  uno  speculatore, 
sebbene  possano  ricavare  qualche  lume  dalla  conoscenza  delle 
leggi  economiche,  non  hanno  bisogno  di  esserne  maestri  e  rie- 
scono del  resto  a  fare  abbastanza  bene  i  loro  affari  anche  se  com- 
pletamente le  ignorano. 

II.  —  Ai  giorni  nostri  lo  studio  iniziato  da  Aristotele  si  è  sud- 
diviso e  specializzato,  sicché  più  che  la  scienza  abbiamo  le  scienze 
politiche.  Inoltre  si  è  cercato  di  fare  la  sintesi,  di  coordinare  i 
risultati  di  queste  scienze  ed  è  nata  così  la  Sociologia.  Anche  gli 
scrittori  di  diritto  pubblico,  i  quali  interpretano  e  commentano  le 
leggi  positive,  quasi  sempre  sono  trascinati  all'indagine  delle  ten- 
denze generali  alle  quali  que'ste  leggi  sono  inspirate,  e  gli  storici, 


(Il  II  Ferrari  nel  suo  Corso  sugli  scrittori  politici  italiani  (Milano,  1862)  ne 
novera  parecchie  centinaia  quasi  tutti  appartenenti  ai  secoli  accennati. 

(2)  La  differenza  fra  la  politica  come  arte  di  governo  (Staatskunst)  e  la  po- 
litica come  scienza  di  governare  (Staatswissenscliaft)  è  stata  svolta,  a  dir  vero 
con  non  molta  precisione  e  chiarezza,  dall'HoLxzENDORFF  nei  due  primi  capitoli 
del  libro  Principes  de  la  politique.  Introduction  à  Véttide  du  droif  public  contempo- 
rain.  Tradotto  in  francese  dal  Lehr.  Hambourg,  1887. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA 


che  narrano  gli  avvenimenti  umani,  dall'esame  di  questi  hanno 
spessissimo  cercato  di  dedurre  le  leggi  che  li  regolano  e  li  deter- 
minano. Cosi  fecero  nell'antichità  Polibio  e  Tacito,  nel  secolo  de- 
cimosesto Guicciardini,  nel  secolo  presente  Macaulay  e  Taine. 
Filosofi,  teologi,  giuristi,  quanti  hanno  avuto  per  fine  diretto  od 
indh'etto  dei  loro  lavori  il  miglioramento  della  umana  società,  ed 
hanno  perciò  esaminato  le  leggi  che  ne  regolano  l'organizzazione, 
possono  essere  considerati,  almeno  da  un  lato,  come  studiosi  di 
scienze  politiche.  Sicché  forse  una  buona  metà  dello  scibile  umano, 
una  somma  immensa  di  sforzi  intellettuali,  che  l'uomo  ha  impie- 
gato alla  ricerca  del  suo  passato,  a  scrutare  il  suo  avvenire,  a  stu- 
diare la  propria  natura  morale  e  sociale,  si  può  considerare  come 
ad  esse  consacrata. 

Fra  le  scienze  politiche  o  sociali  una  branca  ha  finora  raggiunto 
una  maturità  scientifica  tale  che,  per  la  sicurezza  e  l'abbondanza 
dei  risultati  acquisiti,  si  lascia  notevolmente  indietro  tutte  le 
altre.  Intendiamo  alludere  all'Economia  politica. 

Infatti  verso  la  fine  del  secolo  decimottavo  alcuni  ingegni  potenti 
hanno  isolato  i  fenomeni  riguardanti  la  produzione  e  la  distribu- 
zione della  ricchezza  dagli  altri  fenomeni  sociali,  ed,  isolatamente 
guardandoli,  sono  riusciti  a  determinare  molte  delle  leggi  o  ten- 
denze psicologiche  costanti  alle  quali  ubbidiscono.  L'isolamento  dei 
fenomeni  economici  dagli  altri  rami  delle  scienze  sociali,  e  special- 
mente l'uso  invalso  di  considerarli  come  indipendenti  dagli  altri 
fenomeni,  che  riguardano  l'organizzazione  dei  poteri  politici,  se 
da  una  parte  spiega  i  rapidi  progressi  dell'Economia  politica,  dal- 
l'altra è  forse  la  causa  principale  per  la  quale  alcuni  postulati  di 
questa  scienza  sono  ancora  soggetti  a  discussione.  Sicché  forse, 
coordinando  le  proprie  osservazioni  con  altre  che  riguardano  altri 
lati  della  psicologia  umana,  l'Economia  politica  potrà  fare  nuovi 
e  decisivi  passi  in  avanti  (1). 


(1)  Negli  ultimi  venti  o  trent'anni  è  nata  la  tendenza  di  spiegare  con  lo 
studio  dei  fenomeni  economici  tutti  i  fatti  politici  che  avvengono  nella  storia 
dell'umanità.  In  Italia  questo  ardito  concetto  è  stato  svolto  dal  Loria  nel  libro 
La  Teoria  economica  della  Costituzione  politica  (Torino,  1886).  A  noi  pare  questo 
un  modo  di  vedere  troppo  unilaterale  ed  esclusivo.  Vi  sono  fenomeni  sociali 
e  politici,  ad  esempio  il  sorgere  ed  il  diffondersi  delle  grandi  religioni,  il  ri- 
nascere di  alcune  antiche  nazionalità,  il  costituirsi  di  alcune  grandi  monarchie 


ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


È  indiscutibile  però  che  non  si  possono  studiare  le  tendenze 
che  regolano  l'ordinamento  dei  ])oteri  politici  senza  tener  conto 
dei  risultati  che  l'Economia  politica,  questa  scienza  sorella  che  ha 
raggiunto  più  presto  la  sua  maturità,  ha  di  già  ottenuto.  Noi  lo 
studio  delle  tendenze  suddette,  che  forma  oggetto  di  questo  nostro 
lavoro,  chiamiamo  Scienza  politica.  Ed  abbiamo  scelta  questa  de- 
nominazione perchè  fu  la  prima  usata  nella  storia  dello  scibile 
umano,  perchè  ancora  non  è  caduta  in  disuso  (1),  ed  anche  perchè 
il  nome  nuovo  di  Sociologia,  che,  dopo  Augusto  Comte,  si  è  da 
molti  scrittori  adottato,  non  ha  ancora  una  significazione  ben  de- 
terminata e  precisa  e,  nell'uso  comune,  comprende  tutte  le  scienze 
sociali,  fra  le  quali  anche  le  economiche  e  quelle  che  hanno  per 
obietto  lo  studio  delle  leggi  che  determinano  la  delinquenza, 
anziché  quell'una,  che  ha  per  suo  scopo  principale  l'esame  dei 
fenomeni,  che  più  propriamente  e  specialmente  si  chiamano  po- 
litici. 

III.  —  Una  scienza  risulta  sempre  da  un  sistema  di  osserva- 
zioni fatte  sopra  un  dato  ordine  di  fenomeni  con  speciale  cura, 
con  appropriati  metodi  e  coordinate  in  modo  da  giungere  alla 
scoperta  di  verità  indiscutibili,  che  all'osservazione  volgare  e  co- 
mune sarebbero  rimaste  ignote. 

Le  scienze  matematiche  forniscono  l'esempio  più  semplice  e  più 
facile  per  porre  in  luce  come  si  forma  il  procedimento  scientifico. 
L'assioma  è  il  frutto  di  un'osservazione  accessibile  a  tutti  e  la  cui 
verità  salta  subito  agli  occhi  anche  dei  profani  ;  richiamando  e 
coordinando  diversi  assiomi  si  arriva  alla  dimostrazione  dei  più 
facili  teoremi,  e  poi,  coordinando  ancora  le  verità  ricavate  da 
questi  teoremi  con  quelli  degli  assiomi,  si  arriva  alla  dimostra- 
zione di  nuovi  teoremi  più  difficili  ancora,  e  la  cui  verità  non  si 
può  intuire  ne  provare  da  chi  in  quelle  scienze  non  sia  iniziato. 
Analogamente  si  procede  nella  fisica  e  nelle  altre  scienze  natu- 


militari,  che  non  si  possono  esclusivamente  spiegare  col  variare  della  distri- 
buzione della  ricchezza  o  con  la  lotta  fra  il  capitale  ed  i  proletari  o  fra  il 
capitale  mobile  e  l'immobile,  come  vorrebbe  il  Loria. 

(1)  E  usato,  oltre  che  dal  citato  Holtzendorff,  dal  Bluntschli,  dal  Donnat, 
dallo  Scolari,  dal  Brougham,  dallo  Sheldon-Amos,  dal  De  Parieu,  dal  Pollock 
e  da  altri  scrittori  del  secolo  decimonono  e  del  ventesimo. 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA   POLITICA 


rali,  ma  in  esse  il  metodo  comincia  a  complicarsi  con  nuovi  ele- 
menti :  s]3esso  non  basta  coordinare  parecchie  osservazioni  sem- 
plici per  ottenere  la  dimostrazione  di  una  verità,  che  chiameremo 
composta,  ossia  non  percepibile  a  prima  vista,  ma,  nella  maggior 
parte  dei  casi,  ciò  che  in  matematica  è  l'assioma  si  ottiene  per 
mezzo  di  un  esperimento  o  di  lunghe  esperienze.  Or  si  l'uno  che 
le  altre  hanno  un  valore  quando  si  fanno  con  metodi  speciali  ed 
accurati  e  da  persone  che  a  questi  metodi  sono  state  debitamente 
iniziate.  Nei  primordi  delle  singole  scienze  il  vero  procedimento 
scientifico  è  quasi  sempre  dovuto  ad  ipotesi  felici,  che  poi  sono 
state  provate  dalle  esperienze  e  dalle  osservazioni  dei  fatti,  e  che 
alla  loro  volta  hanno  spiegato  moltissime  altre  esperienze  e  mol- 
tissimi altri  fatti.  Quasi  sempre  un  lungo  periodo  d'empirismo,  dei 
sistemi  sbagliati,  che  impedivano  di  coordinare  utihnente  i  dati 
che  si  raccoglievano  sui  singoli  fenomeni,  dei  metodi  di  ossei^va- 
zione  imperfetti  od  errati  hanno  preceduto  il  periodo  veramente 
scientifico  di  una  data  disciplina.  E  cosi  che,  per  lunghi  secoli, 
l'astronomia  e  la  chimica  si  son  dibattute  negli  errori  e  nei  va- 
neggiamenti dell'astrologia  e  dell'alchimia.  Solo  dopo  che  i  cer- 
velli umani  si  sono  affaticati  per  molto  tempo  sopra  un  dato  or- 
dine di  fenomeni,  l'abbondanza  dei  dati  raccolti,  il  perfezionamento 
dei  metodi  e  degli  strumenti  materiali  dell'osservazione,  la  in- 
tuizione e  la  lunga  pazienza  di  potenti  ingegni  hanno  prodotto 
quelle  ipotesi  felici,  che  abbiamo  accennato,  ed  hanno  reso  possi- 
bile una  vera  scienza. 

Da  quanto  abbiamo  detto  si  deduce  facilmente  che  non  basta 
per  ottenere  dei  veri  risultati  scientifici  che,  sopra  un  dato  ordine 
di  fenomeni,  si  proceda  col  sistema  dell'osservazione  e  dell'espe- 
rienza. Francesco  Bacone  si  illuse,  e  forse  anche  molti  pensatori 
e  scrittori  nostri  contemporanei  si  fanno  illusioni,  sulla  capacità 
assoluta  che  il  detto  sistema  ha  nello  scoprire  la  verità  scienti- 
fica (1).  In   verità   perchè   l'osservazione   dei   fatti   e   l'esperienza 


(1)  Francesco  Bacone,  come  si  sa,  paragonava  il  metodo  esperimentale,  che 
del  reato  era  stato  usato  molto  prima  di  lui,  ad  un  compasso  che  permette, 
anche  ad  una  mano  inesperta  del  disegno,  di  tracciare  circoli  perfetti,  ossia 
di  ottenere  dei  risultati  scientifici  esatti  (Vedi  Macaulav,  Essais  poliiique.<  et 
philosophiques,  tradotti  da  Guglielmo  Guizot.  Paris.  Michel  Lévy,  1872). 


6  Br.EMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

diano  buoni  risultati  sono  necessarie  le  condizioni  che  abbiamo 
teste  accennato  ;  malamente  usate  e  quando  il  procedimento  scien- 
tifico è  errato  conducono  a  scoperte  fallaci  e  possono  anche  dare 
un  colore  di  serietà  a  vere  sciocchezze.  In  fondo  l'astrologia  e 
l'alchimia,  che  abbiamo  già  citato,  erano  fondate  sopra  vere  o 
pretese  osservazioni  di  fatti  ed  esperienze  :  ma  il  metodo  di  os- 
servazione, o  meglio  il  punto  di  vista  che  tutte  le  informava  e 
coordinava,  era  profondamente  errato.  Il  famoso  Martino  Delrio 
quando  scriveva  il  suo  libro  De  disquisitione  magicaruiìi,  credeva 
di  fondarsi  sull'osservazione  dei  fatti  determinando  le  differenze 
fra  il  maleficio  amatorio,  l'ostile  ed  il  sonnifero  e  rivelando  le 
arti  ed  i  costumi  delle  streghe  e  dei  maliardi,  ed  intendeva  ap- 
punto che  la  sua  esperienza  dovesse  giovare  a  scoprirli  ed  a  pre- 
munirsene. Credevano  di  fondarsi  pure  sull'osservazione  dei  fatti 
gli  economisti  anteriori  ad  Adamo  Smith,  che  la  ricchezza  di  una 
nazione  facevano  unicamente  consistere  nel  denaro  e  nella  pro- 
duzione della  terra  ;  e  sui  fatti  e  sulle  esperienze  quasi  universal- 
mente riconosciute  dai  suoi  contemporanei  si  basava  don  Ferrante, 
tipo  dello  scienziato  del  seicento  dipinto  cosi  efficacemente  dal 
Manzoni,  quando  con  un  ragionamento,  nelle  apparenze  e  nella 
forma  perfettamente  logico  e  positivo,  volea  provare  l'impossibi- 
lità che  esistesse  il  contagio  della  peste  bubbonica  (1). 

IV.  —  La  scienza  politica  non  crediamo  che  neanche  ora,  sia 
entrata  interamente  nel  vero  periodo  scientifico.  Sebbene  uno  stu- 
dioso possa  in  essa  vedere  molte  cose,  che  sfuggono  all'attenzione 
di  un  profano,  pure  non  ci  pare  che  possa  fornire  un  complesso  di 
verità  indiscutibili,  riconosciute  da  tutti  coloro  che  in  questa  disci- 
plina sono  iniziati,  e  molto  meno  che  abbia  già  acquistato  un  me- 
todo d'indagini  sicuro  e  da  tutti  universalmente  accettato.  Le  cause 
di  questo  fatto  son  varie,  ma  noi  per  ora  ci  asterremo  dallo  esporre 


(1)  Per  qualcuno  che  non  lo  rammentasse  o  che  non  avesse  letto  I  Promessi 
Sposi,  il  ragionamento  di  Don  Ferrante  era  il  seguente:  in  rerum  natura  non 
vi  sono  che  sostanze  ed  accidenti.  Ora  il  contagio  non  può  essere  accidente 
perchè  non  potrebbe  passare  da  un  corpo  all'altro,  e  non  può  essere  sostanza 
perchè  le  sostanze  sono  terree,  acquee,  ignee  ed  aeriformi.  Se  fosse  sostanza 
terrea  sarebbe  visibile,  se  acquea  bagnerebbe,  se  ignea  brucerebbe,  se  aerea 
volerebbe  alla  sua  sfera. 


IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA 


il  nostro  pensiero  in  proposito.  Diremo  soltanto  che  ci  pare  che 
esse  non  siano  per  nulla  attribuibili  a  deficienza  degli  ingegni,  che 
sopra  gli  argomenti  politici  hanno  meditato,  ma  piuttosto  alla  mag- 
giore complessità  dei  fenomeni  che  ad  essi  si  riferiscono,  e  sopra- 
tutto alla  quasi  impossibilità,  che  ci  è  stata  fino  a  pochi  decennii 
fa,  di  avere  larga  ed  esatta  cognizione  di  quei  fatti,  dallo  studio 
dei  quali  ]3uò  ricavarsi  la  nozione  di  quelle  leggi  o  tendenze  co- 
stanti, che  regolano  l'ordinamento  politico  delle  società  umane. 

Per  quanto  possiamo  crederli  incompleti  o  manchevoli,  è  intanto 
nostro  dovere  di  fare  un  rapido  esame  dei  vari  metodi  o  sistemi 
d'idee  coi  quali  si  è  proceduto  finora  allo  studio  della  scienza  po- 
litica. Parecchi  di  essi  non  sono  stati  e  non  sono  che  una  giusti- 
ficazione più  o  meno  filosofica,  teologica  o  razionale  di  certi  tipi 
di  organizzazione  politica,  che  hanno  avuto  per  secoli  una  parte 
importante,  e  talvolta  l'hanno  ancora,  nella  storia  dell'umanità. 
Giacché,  come  vedremo  più  avanti,  una  delle  tendenze  sociali  più 
costanti  è  appunto  questa  di  spiegare  mediante  una  teoria  razio- 
nale od  una  credenza  soprannaturale  la  forma  di  Governo  esi- 
stente. Abbiamo  avuto  perciò  una  pretesa  scienza  politica  a  servizio 
di  quelle  società  in  cui  le  credenze  soprannaturali  predominano 
ancora  negli  animi  umani,  e  nelle  quali  perciò  l'esercizio  dei  poteri 
politici  trova  la  sua  spiegazione  nella  volontà  di  Dio  o  degli  Dei, 
e  abbiamo  avuto,  e  abbiamo,  un'altra  scienza  politica  che  gli  stessi 
poteri  legittima  volendone  fare  una  libera  e  spontanea  espres- 
sione della  libera  volontà  del  popolo,  ossia  della  maggioranza 
degli  individui  che  compongono  una  data  società.  Dobbiamo  però 
a  preferenza  occuparci  di  due  fra  tutti  questi  sistemi  e  metodi  di 
osservazione  politica,  i  quali  hanno  un  carattere  più  obiettivo  ed 
universale  e  tendono  a  trovare  le  leggi  con  cui  si  spiega  l'esi- 
stenza di  tutte  le  varie  forme  di  regime  politico,  che  esistono  nel 
mondo. 

Questi  due  metodi  sono:  quello  che  fa  dipendere  la  differen- 
ziazione politica  delle  varie  società  dalla  varietà  dell'ambiente 
fisico,  e  sopratutto  del  clima  dei  paesi  in  cui  esse  abitano,  e  l'altro 
che  la  fa  dipendere  principalmente  dalle  differenze  fisiche,  ed  in 
conseguenza  psicologiche,  che  vi  sono  fra  le  diverse  razze  umane. 
L'uno  fa  prevalere  nelle  scienze  sociali  il  criterio  dellambientu 
fisico,  l'altro  quello  etnologico  o  somatico.  Tutti  e  due  hanno  una 
parte  troppo  importante  nella  storia  della  scienza,  ed  anche  nella 


ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


scienza  contemi)oranea,  ed  un  carattere  apparentemente  troppo  po- 
sitivo e  sperimentale  perchè  ci  sia  possibile  il  disj)onsarci  d'esa- 
minarne il  vero  valore  scientifico. 

V.  —  A  cominciare  da  Erodoto  ed  Ippocrate  e  venendo  fino 
al  secolo  presente,  grandissimo  ò  il  numero  degli  scrittori,  che 
hanno  parlato  dell'influenza  del  clima  sui  fenomeni  sociali  in 
genere  e  specialmente  sui  fenomeni  politici.  Molti  hanno  anche  cer- 
cato di  provarla  ed  hanno  su  di  essa  fondato  intieri  sistemi  scien- 
tifici. Fra  questi  primeggia  il  Montesquieu,  il  quale  forse  più  re- 
cisamente di  ogni  altro  ha  affermato  l'influenza  preponderante 
del  clima  sul  senso  morale  e  sull'ordinamento  politico  delle  na- 
zioni: "  Avvicinandovi  ai  paesi  del  Mezzogiorno  voi  potete  credere 
di  allontanarvi  dalla  morale  stessa  ,,  scrisse  cello  Spirito  delie 
leggio  ed  in  altro  brano  della  stessa  opera  sentenziò  che  la  libertà 
è  incompatibile  con  i  paesi  caldi  e  che  essa  non  prospera  dove 
fiorisce  l'arancio.  Altri  scrittori  ammettono  che  la  civiltà  sia  nata 
nei  paesi  caldi,  ma  sostengono  pure  che  il  suo  centro  di  gravità 
si  sia  andato  sempre  più  spostando  verso  il  nord  e  che  ivi  oggi 
sono  posti  i  paesi  politicamente  meglio  organizzati  (1). 

Cominciando  a  trattare  quest'argomento  ci  pare  quasi  superfluo 
il  rammentare  che  il  clima  di  un  paese  non  dipende  esclusiva- 
mente dalla  sua  latitudine  ma  risente  anche  l'influenza  di  altre 
circostanze,  quali  sarebbero  l'altezza  sul  livello  del  mare,  l'espo- 
sizione, i  venti  dominanti,  ecc.  Bisogna  anche  avvertire  che  non 
tutto  l'ambiente  fisico  dipende  dal  clima,  cioè  dalle  variazioni 
termometriche  ed  idrometriche;  concorrono  a  determinarlo  anche 
altre  circostanze,  ad  esempio  la  maggiore  o  minore  popolazione, 
che  una  contrada  può  avere,  e  perciò  il  grado  al  quale  vi  è  arri- 
vata la  cultura  del  suolo  ed  anche  il  genere  di  cultiu'a  più  comu- 
nemente in  uso  (2). 

E  innegabile  poi  che  l'influenza,   che  il  clima  può  esercitare  in 


(1)  MoDGEOLLE,  Statìquc  des  civilisations.  Paris,  Leroux,  1883  e  Les  problèmes 
de  V  histoire.  JParis,  Reinwald,  1886;  Bldntschli  ,  Politik  ah  Wissenschaft . 
Stuttgart,  1876. 

(2)  Gli  abitanti  di  un  paese  scarsamente  popolato,  e  perciò  pastorale  o  bo- 
schivo, vivono  in  un  ambiente  fisico  differente  di  quelli  che  stanno  in  una 
contrada  molto  popolosa  e  perciò  intensivamente  coltivata. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA 


tutta  la  vita  e  suU'ordinainento  politico  di  un  popolo,  deve  andare 
continuamente  diminuendo  col  crescere  della  civiltà.  Il  regno  ve- 
getale è  senza  dubbio  quello  più  sottomesso  alle  condizioni  atmosfe- 
riche e  telluriche,  perchè  le  piante,  tranne  che  non  siano  allevate  nelle 
stufe,  mancano  quasi  assolutamente  dei  mezzi  di  reagire  e  difen- 
dersi contro  le  influenze  esterne.  Gli  animali  lo  sono  già  di  meno, 
perchè  per  essi  la  difesa  e  la  reazione  non  è  del  tutto  impos- 
sibile. L'uomo,  anche  selvaggio,  lo  è  ancora  meno,  perchè  sempre 
superiori  a  quelli  degli  animali  sono  i  suoi  mezzi  di  difesa,  e 
meno  di  tutti  lo  è  Tuomo  d'avanzata  civiltà,  che  dispone  di  tali 
risorse  da  risentire  relativamente  ben  poco  gli  effetti  dei  cam- 
biamenti di  clima,  e  queste  risorse  tuttodì  va  aumentando  e  per- 
fezionando. 

Ciò  premesso,  ci  pare  un  concetto  ovvio  ed  accettevole  questo: 
che  le  prime  grandi  civiltà  siano  nate  nei  siti  dove  la  natura  pre- 
sentava più  facilitazioni  o  minori  resistenze  ;  sicché  generalmente 
esse  hanno  prosperato  nelle  grandi  vallate  di  clima  piuttosto  caldo  e 
bene  irrigue,  che,  con  relativa  facilità,  permettono  la  cultm-a  di 
qualche  cereale,  cultura  necessaria  al  sostentamento  di  grandi 
masse  umane  in  spazii  relativamente  piccoli  (1). 

Questa  induzione  è  confermata  dalla  storia,  che  ci  mostra  le 
prime  civiltà  essere  sorte  nelle  vallate  del  Nilo,  dell'Eufrate,  del 
Gange  e  del  fiume  Giallo,  oppure  nell'altipiano  di  Anahuac,  paesi 
che  appunto  presentano  tutte  le  condizioni  fisiche  da  noi  accennate. 
Una  volta  però  che  l'uomo  è  riuscito,  in  un  sito  eccezionalmente 
favorevole,  ad  organizzare  le  sue  forze  in  modo  da  domare  la 
natura,  può  in  seguito  vincerla  in  altri  luoghi,  nei  quali  essa  si 
mostra  più  restia.  Ai  giorni  nostri,  tranne   le   contrade   polari   e 


(1)  L'essere  la  popolazione  abbastanza  fitta  "e  condizione  quasi  indispensabile 
al  nascere  di  una  civiltà;  essa  non  è  infatti  possibile  dove  cento  uomini  vi- 
vono dispersi  in  mille  chilometri  quadrati.  Or,  perchè  molti  uomini  possano 
vivere  in  uno  spazio  relativamente  piccolo  (almeno  in  10  o  20  per  chilometni 
quadrato),  è  necessaria  la  coltivazione  dei  cereali.  Ditatti  troviamo  la  civiltà 
chinese  contemporanea  o  posteriore  alla  cultura  del  riso,  quella  egiziana  e 
mesopotamica  basata  sulla  cultura  del  frumento,  dell'orzo  e  del  miglio,  l'ame- 
ricana indigena  su  quella  del  maiz.  Forse  in  qualche  paese  tropicale  alcune 
frutta  0  radici  farinacee,  come  il  banano  e  la  manioca,  possono  sostituire  i 
cereali. 


10  ELEMENTI    DI    SCIKN/-A    PitLITlCA 

forse  qualche  regione  equatoriale  e  qualch<3  altra,  che,  per  malaria 
o  soverchia  aridità,  presenta  specialissime  condizioni  sfavorevoli, 
tutti  gli  altri  paesi  sono  o  possono  diventare  suscettibili  di  alber- 
gare popoli  civili. 

VI.  —  La  regola  per  la  quale  la  civiltà  si  espande  sempre  dal 
sud  verso  il  nord,  o  meglio  dai  paesi  caldi  ai  freddi,  ci  pare  una 
di  quelle  formolo  sempliciste,  che  hanno  la  pretesa  di  spiegare,  me- 
diante una  causa  unica,  fenomeni  molto  complessi.  Essa  non  si  fonda 
che  sopra  un  frammento  della  storia,  su  quella  di  un  solo  periodo 
della  civiltà  eui'opea,  ed  anche  questo  superficialmente  studiato.  Esa- 
minando con  metodo  analogo  una  carta  geografica,  osservando  ad 
es.  quella  della  Germania  settentrionale  o  della  Siberia,  si  potrebbe 
trarne  la  legge  che  tutti  i  fiumi  scorrono  da  sud  a  nord,  perchè  ciò 
avviene  in  quei  paesi,  che  hanno  le  alture  a  mezzogiorno  ed  il  mare 
a  tramontana.  La  regola  potrebbe  essere  invertita  se  si  osservasse 
la  Russia  meridionale,  e  nell'America  meridionale  potrebbe  tro- 
varsene una  terza  :  cioè  che  i  fiumi  scorrono  da  ovest  ad  est.  La 
verità  è  che  i  fiumi,  senza  alcun  riguardo  alla  latitudine  od  alla 
longitudine,  scorrono  sempre  dall'alto  in  basso,  dal  monte  o  dagli 
altipiani  verso  il  mare  od  i  laghi.  E  diremmo  quasi  che,  conside- 
rando come  contrade  più  basse  quelle  dove  si  trova  meno  resi- 
stenza, analoga  è  la  legge  che  regola  l'espansione  delle  varie 
civiltà.  Il  movimento  incivilitore  procede  indifferentemente  da  sud 
a  nord  e  da  nord  a  sud,  ma  va  sempre  a  preferenza  verso  quella 
direzione  nella  quale  incontra  minori  ostacoli  naturali  e  sociali; 
ed  intendo  per  questi  ultimi  l'urto  di  un'altra  civiltà  originale,  che 
si  espande  in  senso  inverso  alla  x^rima. 

Difatti  la  civiltà  chinese,  nata  nelle  provinole  centrali  dell'im- 
pero, a  nord  è  stata  fermata  dagli  sterili  e  freddi  altipiani  del- 
l'Asia centrale,  mentre  al  sud  si  è  potuta  estendere  non  solo  nelle 
Provincie  meridionali  della  China  propriamente  detta,  ma  anche 
neirindochina.  Anche  la  civiltà  indiana  trovando  al  nord  la  quasi 
insuperabile  catena  dell'lmalaia  si  è  estesa  dal  nord  al  sud,  dal- 
l'India settentrionale  nel  Deccan  e  poi  anche  a  Ceylan  ed  a 
Giava.  La  civiltà  egiziana  si  estese  a  nord  finché  trovò  nella 
Siria  settentrionale  la  potente  confederazione  dei  Khetas,  cioè 
Furto  di  un'altra  civiltà;  potè  al  contrario  espandersi  maggior- 
mente al  sud,  risalendo  il  corso  del  Nilo  da  Menfi   a   Tebe  e   da 


GAP.    I    -    IL   METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  11 

Tebe  a  Meroe  (1).  La  civiltà  persiana,  erede  di  quelle  anticliissiine 
della  Mesopotamia.  si  estese  da  oriente  ad  occidente,  direzione 
nella  quale  trovava  meno  ostacoli  naturali,  finché  non  urtò  nella 
civiltà  greca.  Alla  sua  volta  la  civiltà  greco-romana,  abbracciando 
tutto  il  bacino  del  Mediterraneo,  limitata  al  sud  da  deserti  insu- 
perabili, all'Est  dalla  civiltà  orientale,  rappresentata  dall'impero 
partico  e  poi  dal  persiano,  si  estese  a  nord  finche  non  incontrò 
le  paludi  e  le  foreste,  allora  difficilissime,  della  Grermania  setten- 
trionale e  della  Scozia. 

Anche  la  civiltà  maomettana,  limitata  al  sud  dal  mare  e  dal 
deserto,  dovette  avanzarsi  verso  il  nord-ovest.  Nel  Medio  Evo  la 
civiltà  em'opea,  stretta  al  sud  dalla  civiltà  araba,  che  le  tolse  tutta 
la  parte  meridionale  del  bacino  del  Mediterraneo,  si  allargò  verso 
il  nord,  acquistando  la  Scozia,  la  Germania  settentrionale,  la 
Scandinavia  e  la  Polonia.  Al  giorno  d'oggi  la  civiltà  europea  si 
estende  in  tutte  le  direzioni,  dovunque  vi  sono  terreni  scarsi  di 
popolazione  e  facilmente  colonizzabili  o  nazioni  di  civiltà  deca- 
duta che  asijettano  chi  le  conquisti.  Ed  aggiungiamo  che  anche 
il  centro,  il  focolare  precipuo  di  una  civiltà  si  sposta,  secondo 
che  essa  si  estende  in  un  senso  o  nell'altro,  obbedendo  alla  legge 
che  abbiamo  accennato.  I  paesi  che  stanno  alla  frontiera  di  un 
tipo  di  coltura  umana  non  sono  ordinariamente  quelli  che  in  essa 
eccellono.  Quando  la  civiltà  em-opea  abbracciava  l'intero  bacino 
del  Mediterraneo,  la  Grecia  propriamente  detta  e  Tltalia  meri- 
dionale stavano  al  centro  del  mondo  civile  ed  erano  i  paesi  più 
prosperi,  più  colti,  più  ricchi;  quando  diventarono  la  più  avanzata 
avanguardia,  che  stava  di  fronte  al  mondo  maomettano,  necessa- 
riamente decaddero  (2). 


(1)  Rammentiamo  che  ora  sembra  provato  che  le  più  antiche  dinastie  fiori- 
rono a  Tanis  ed  a  Menfi,  che  Tebe  acquistò  importanza  soltanto  dopo  l'inva- 
sione dei  Pastori,  che  l'Etiopia  fu  incivilita  dagli  Egiziani  e  che  solo  molto 
tardi  divenne  un  regno  indipendente. 

(2)  Nello  stesso  paese,  a  parità  di  condizioni,  la  parte  più  civile  e  prospera 
è  quasi  sempre  quella  che  ha  comunicazioni  più  facili  con  le  contrade  che 
formano  il  focolare  o  il  centro  irradiatore  di  quella  tale  civiltà  alla  quale  il 
paese  stesso  appartiene.  Per  esempio,  in  Sicilia  la  parte  più  prospera  e  civile 
fu  la  costa  orientale  finche  l'isola  appartenne  all'antica  civiltà  ellenica,  che 
avea  appunto  il  suo  centro  all'Oriente   della   Sicilia   (Bei.uch,    La   poj)olu:iont- 


12  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

VII.  —  Ipotesi  pure  molto  arrischiata  ci  pare  quella  che  at- 
tribuisce una  moralità  superiore  ai  popoli  del  settentrione  di 
fronte  a  (lucUi  del  mezzogiorno.  La  moralità  risulta  da  qualità  cosi 
complesse  dell'animo  e  della  mente,  ed  hanno  tanta  parte  nelle 
sue  affermazioni  positive  e  negative  le  cù^costanze  esteriori  in  cui 
si  svolge  la  vita  umana,  clie  è  già  un  giudizio  abbastanza  diffìcile 
il  determinare  se  un  singolo  individuo  sia  potenzialmente  più  mo- 
rale di  un  altro;  e  lo  stesso  giudizio  diventa  difficilissimo  quando 
lo  si  vuol  fare  rispetto  a  due  società,  a  due  masse  umane  com- 
poste di  numerosissimi  individui.  I  dati  statistici  su  questo  argo- 
mento non  possono  dir  tutto  e  spesso  non  dicono  neanche  abba- 
stanza, e  le  impressioni  personali,  quasi  sempre  tropico  subiettive  (1; 
sono  anche  più  fallaci  delle  statistiche. 

Il  vizio,  che  più  comunemente  si  attribuisce  ai  meridionali,  è  la 
lussuria,  mentre  la  ubbriachezza  è  più  generalmente  imputata  ai 
settentrionali.  Ma  si  può  invero  osservare  che  i  Negri  del  Congo 
si  ubbriacano  più  vergognosamente  dei  contadini  russi  e  degli 
operai  svedesi  e  quanto  alla  lussuria  pare  che  le  abitudini  ed  il 
tipo  di  organizzazione  sociale,  che  ogni  popolo  per  una  serie  di 
circostanze  storiche  si  è  creato,  vi  influiscano  più  del  clima.  San 
Vladimiro,  lo  czar  che  santificato  diventò  il  patrono  di  tutte  le 
Russie,  prima  di  convertirsi  al  cristianesimo  teneva  più  donne  nei 
suoi  serragli  di  quante  ne  poteva  avere  il  califfo  Harun-al-Raschid 
ed  Ivan  il  terribile  per  la  crudeltà  come  per  la  lussuria  emulò  e 
superò  Nerone,  Eliogabalo  ed  i  più  feroci  sultani  dell'oriente.  Ai 
giorni  nostri  la  prostituzione  di  Londra,  Parigi  e  Vienna  ha. forse 
superato  quella  antica  di  Babilonia  e  di  Delhi.  Nell'Europa  odierna 


della  Sicilia  antica.  "  Archivio  storico  siciliano  ,,  1887).  Durante  il  periodo 
arabo,  più  colta,  più  ricca,  più  popolata  fu  la  Sicilia  occidentale,  più  vicina 
all'Africa,  da  dove  s'irradiava  la  civiltà  maomettana  (Amaki,  Storia  dei  Musul- 
mani in  Sicilia.  Firenze,  Le  Monnier,  1854-58-68).  Al  giorno  d'oggi  la  maggiore 
popolazione  e  ricchezza  è  sulla  costa  settentrionale  dell'isola,  che  guarda  verso 
il  nord  di  Europa. 

(1)  Generalmente  fa  più  impressione  quella  data  specie  d'immoralità  alla 
quale  siamo  meno  abituati  e  perciò  facilmente  gli  uomini  di  un  altro  paese  si  giu- 
dicano peggiori  di  quelli  del  nostro.  Però  è  comune  anche  il  vezzo  di  giudicare 
più  immorale  degli  altri  quel  paese  in  cui  prima  o  meglio  si  è  avuto  occa- 
sione di  conoscere  ed  apprezzare  i  vizi  e  le  debolezze,  che  son  proprie  di  tutti 
gli  uomini. 


CAP.    I    -    IL   METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  13 

il  massimo  dei  reati  di  libidine  lo  presenta  la  Germania,  vengono 
dopo  in  ordine  decrescente,  il  Belgio,  la  Francia,  l'Austria-Unglie- 
ria  ;  l'Italia  occupa  un  ]Dosto  vicino  al  minimo,  il  quale  è  segnato 
dalla  Spagna  (1). 

Molti  fra  i  sociologi  criminalisti  generalmente  ammettono  che 
nel  Sud  prevalgono  i  reati  di  sangue,  quelli  contro  le  persone, 
mentre  attribuiscono  al  nord  un  maggior  numero  di  reati  contro 
la  proprietà  (2).  Ma  il  Tarde  ed  il  Colajanni  hanno  dimostrato  al- 
l'evidenza che  le  relazioni,  che  si  sono  volute  trovare  tra  le  varie 
forme  della  delinquenza  ed  il  clima  sono  piuttosto  da  attri- 
buirsi alle  differenze  di  condizioni  sociali,  che  talora  si  riscontrano 
tra  le  varie  regioni  di  uno  stesso  Stato  (3).  E  vero  che  negli  Stati 
Uniti  d'America,  in  Francia  e  anche  in  Italia  si  osserva  costantemente 
una  prevalenza  dei  reati  di  sangue  al  sud,  mentre  al  nord  vi  è 
un  numero  relativamente  maggiore  di  reati  contro  la  proprietà, 
ma  come  fa  rilevare  benissimo  lo  stesso  Tarde,  in  tutti  questi 
paesi  le  contrade  meridionali  sono  più  prive  di  comunicazioni, 
più  lontane  dai  grandi  centri  industriali  e  dai  focolari  della 
odierna  civiltà  delle  contrade  settentrionali;  or  è  naturale  che  la 
forma  violenta  della  criminalità  prevalga,  indipendentemente  dal 
clima,  nei  paesi  più  rozzi,  mentre  la  criminalità  astuta  diventa  più 
comune  in  quelli  più  colti.  E  tanto  è  vero  che  questa  è  la  migliore 
spiegazione  del  fenomeno,  che  i  dipartimenti  francesi  dove  la  cri- 
minalità violenta  è  più  elevata  sono,  è  vero,  nel  mezzogiorno 
della  Francia,  ma  hanno  un  clima  relativamente  freddo  perchè 
montagnosi  (4).  Ciò  si  osserva  anche  in  Italia,  dove  la  Basilicata, 
contrada  che  ha  dato  uno  dei  più  forti  contingenti  dei  reati  di 
sangue,  è  un  paese  montagnoso  di  clima  relativamente  freddo,  e 
son  coperti  di  neve  per  gran  parte  dell'anno  i  gioghi  del  Matese, 
del  Gargano  e  della  Sila  e  quelli  dove  stanno  alcuni  Comuni 
della  Sicilia  famosi  per  imprese  sanguinarie  e  brigantesche  (5). 


(1)  Colajanni,  Sociologia  criminale,  voi.  TI,  cap.  VII,  Catania,  Tropea  edi- 
tore, 1889. 

(2)  Vedi  le  opere  del  Maury,  del  Lombroso,  del  Ferri,  del  Puglia. 

(3)  Takde,  La  Criminalità  comparée,  cap.  IV. 

(4)  Sarebbero  i  dipartimenti  dei  Pirenei  orientali  dell'Ardèche  e  della  Lozère. 

(5)  Nella  già  citata  Sociologia  criminale  del  Colajanni  (voi.  11,  cap.  VII)  si 
contengono  altri  numerosissimi  e  calzanti  esempi,  che  dimostrano  la  scarsa  o 
nessuna  influenza  del  clima  nella  criminalità. 


14  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Vili.  —  Venendo  poi  alla  parte  strettamente  politica  della 
<luistione  diremo  che,  prima  di  sentenziare  che  i  meridionali  siano 
incapaci  di  libertà,  bisogna  intendersi  sul  significato  preciso  e 
scientilico  di  questa  parola.  Se  ammettiamo  che  paese  più  libero 
sia  quello  in  cui  i  diritti  dei  governati  sono  meglio  difesi  contro 
l'arbitrio  personale  e  la  voglia  di  prepotere  dei  governanti,  dob- 
biamo convenire  che  istituzioni  politiche  sotto  questo  riguardo  ri- 
tenute migliori,  sono  state  in  vigore  tanto  in  paesi  freddi  quanto 
in  altri  temperati  molto,  come,  ad  esempio,  la  Grecia  e  Roma. 
Viceversa  l'arbitrio  dei  governanti  innalzato  a  sistema  di  governo  si 
può  trovare  anche  in  paesi  freddissimi  come  la  Russia,  II  sistema 
costituzionale  non  ebbe  inizi  più  vigorosi  nella  brumosa  Inghil- 
terra che  nell'Aragona,  nella  Castiglia  ed  in  Sicilia  (1).  Am- 
messo che  presentemente  le  diverse  modalità  di  governo  rap- 
presentativo possano  essere  riguardate  come  le  forme  di  regime 
politico  meno  imperfette,  noi  le  troviamo  in  vigore  in  Europa, 
tanto  al  nord  che  al  sud,  e,  fuori  d'Europa,  funzionano  forse  tanto 
bene  nel  freddo  Canada  che  al  Capo  di  Buona  Speranza,  dove  il 
clima,  se  non  caldo  addirittura,  è  certo   temperatissimo. 

La  ragione  per  la  quale  i  meridionali  dovrebbero  essere  meno 
atti  ad  un  regime  politico  libero  ed  elevato  non  può  essere  altra 
che  questa  :  che  essi  hanno  minore  energia  fìsica  e  sopratutto  mi- 
nore energia  morale  ed  intellettuale.  E  infatti  una  opinione  molto 
comune  che  i  settentrionali  siano  destinati  con  la  loro  superiore 
energia,  che  si  esplica  nel  lavoro,  nelle  armi,  nelle  scienze,  a  con- 
quistare sempre  i  fiacchi  meridionali.  Ma  questa  opinione  è  anche 
più  superficiale  e  più  contradetta  dai  fatti  di  quelle  che  abbiamo 
precedentemente  confutato.  Invero  le  civiltà  nate  e  sviluppate  in 
climi  caldi  o  molto  temperati  ci  hanno  lasciato  monumenti,  che 
testimoniano  di  una  avanzata  cultura  e  di  una  incalcolabile 
energia  di  lavoro,  che  riesce  più  maravigliosa  quando  si  rammenta 
che  esse  non  disponevano  di  quelle  macchine,  che  ora  centuplicano 


(1)  Per  farsi  un  concetto  dell'importanza  e  dello  sviluppo  che  ebbe  l'antica 
costituzione  siciliana  si  può  consultare:  Rosario  Gregorio,  Introduzione  allo 
studio  del  diritto  pubblico  siciliano  e  Considerazioni  sulla  Storia  di  Sicilia  (Pa- 
lermo, 1794  e  1831-34).  Se  Montesquieu  avesse  esteso  i  suoi  viaggi  un  po' piìi 
a  mezzogiorno,  avrebbe  trovato  in  Sicilia  un  ordinamento  politico  nel  quale, 
anche  ai  suoi  tempi,  l'autorità  regia  era  molto  più  temperata  che  in  Francia. 


OAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  15 

le  forze  clell'uomo.  La  laboriosità  di  un  popolo  più  che  dal  clima 
pare  che  dipenda  da  abitudini  che  sono  in  gran  parte  detenninate 
dalle  sue  vicende  storiche.  In  generale  hanno  abitudini  laboriose 
i  popoli  di  antica  civiltà,  pervenuti  da  lungo  tempo  allo  stadio 
agricolo  e  che  pure  da  lungo  tempo  hanno  goduto  di  un  regime 
politico  tollerabile,  il  quale  assicura  ai  lavoratori  una  parte  almeno 
del  frutto  dei  propri  sforzi.  Al  contrario  i  popoli  barbari  e  semi- 
barbari, o  ricaduti  in  una  parziale  barbarie,  abituati  a  vivere  in 
parte  di  guerra  e  di  ladroneccio,  fuori  della  guerra  e  della  caccia 
sogliono  essere  pigri  ed  inerti.  Come  tali  infatti  Tacito  descrive 
i  Grermani  antichi,  tali  sona  adesso  le  Pelli  Rosse  deirAmerica 
settentrionale  e  oltremodo  pigri  sono  pure  i  Calmucchi,  sebbene 
i  primi  abbiano  abitato  e  gli  altri  abitino  ancora  in  paesi  molto 
freddi.  Al  contrario  laboriosissimi  sono  i  Chinesi  delle  provincie 
meridionali  e  con  gran  tenacia  sanno  lavorare  i  Fellah  egiziani. 
E  se  la  mancanza  di  grandi  industrie  nella  parte  i)iù  meridionale 
deH'Eui'opa  ha  fatto  nascere  ed  alimenta  il  pregiudizio  che  i  suoi 
abitanti  siano  poco  laboriosi,  chi  conosce  bene  quelle  popolazioni 
sa  benissimo  che  in  generale  quest'accusa  è  poco  meritata  (1). 

Se  ammettiamo  che  la  superiorità  militare  sia  una  prova  di 
maggiore  energia,  in  verità  è  difficile  stabilire  se  i  settentrionali 
abbiano  vinto  e  conquistato  i  meridionali  più  di  frequente  di 
quello  che  ne  siano  stati  alla  lor  volta  vinti  e  conquistati.  Eran 
meridionali  gli  Egiziani,  che  nei  loro  bei  momenti  percorsero 
vittoriosi  l'Asia  fino  alle  montagne  deir Armenia,  ed  abitavano  in 
un  paese  di  clima  temperatissimo  quei  guerrieri  Assiri,  dei  quali 
si  può  detestare  la  crudeltà  ma  bisogna  anche  ammirare  Tindo- 
mabile  energia  bellicosa.  Eran  meridionali  i  Greci,  che  seppero 
conquistare  tutta  l'Asia  occidentale,  e  con  le  armi,  le  colonie,  i 
commerci,  la  superiorità  del  loro  genio,  ellenizzarono  tutta  la  parte 
orientale  del  bacino  del   Mediterraneo  e  gran  parte  di  quello  del 


(1)  Citeremo  l'esempio  della  Sicilia:  quest'isola,  sopra  una  superficie  di  circa 
25,000  chilometri  quadri  ha  una  popolazione  di  più  di  tre  milioni  e  mezzo  d'abitanti, 
ossia  più  di  130  per  chilometro  quadro.  Non  ha  grandi  industrie,  né  grande 
abbondanza  di  capitali,  il  suo  suolo  è  in  gran  parte  montagnoso,  ricco  di  sole 
ma  povero  di  acque:  or,  in  queste  condizioni,  perchè  una  popolazione  possa 
vivere  con  un'agiatezza  appena  discreta  è  necessario  un  lavoro  agricolo  inde- 
fesso ed  anche  abbastanza  ben  diretto. 


16  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Mar  Nero.  Lo  erano  anche  i  Romani,  le  cui  legioni  coprirono  i 
piani  della  Dacia,  penetrarono  nelle  inaccessibili  foreste  della 
Germania  ed  inseguirono  i  Pitti  ed  i  Caledoni  fin  nei  più  remoti 
ricettacoli  delle  loro  fredde  e  selvagge  montagne.  Erano  meridio- 
nali gl'Italiani  del  Medio  Evo,  che  fecero  prodigi  d'attività  mili- 
tare, industriale,  commerciale  ;  e  meridionali  erano  gli  Spagnuoli 
del  cinquecento,  quei  famosi  conquistadores,  che  in  meno  di  mezzo 
secolo,  esploravano,  percoiTCvano  e  conquistavano  la  maggior  parte 
dell'America.  Meridionali  erano,  rispetto  agl'Inglesi,  quei  Franco- 
Normanni,  seguaci  di  Guglielmo  il  conquistatore,  che  in  pochi  anni 
sei)pero  spossessare  quasi  del  tutto  gli  abitatori  della  parte  meri- 
dionale della  Gran  Brettagna,  e  che,  colla  spada  alle  reni,  perse- 
guitarono gli  Angli  fino  all'antica  muraglia  romana;  e  meridio- 
nali in  senso  assoluto  quegli  Arabi,  che,  in  meno  di  un  secolo, 
seppero  imporre  la  loro  conquista,  e,  colla  conquista  la  lingua, 
religione  e  civiltà  loro  a  tanta  parte  di  mondo  quanta  ne  hanno 
forse  conquistata  e  colonizzata  gli  Anglo-Sassoni  in  parecchi  secoli. 

IX.  —  Le  differenze  di  organizzazione  sociale  determinate 
dalla  configurazione  del  suolo  possono  essere  considerate  come 
appendice  di  quelle  dovute  alla  varietà  dei  climi,  sebbene  siano 
forse  più  importanti. 

Non  si  i)uò  negare  infatti  che  l'essere  un  paese  più  o  meno 
piano  o  montuoso,  il  trovarsi  sulle  grandi  vie  di  comunicazione 
o  l'esserne  appartato,  sono  elementi  che  influiscono  nella  sua  storia 
molto  più  di  alcuni  gTadi  in  più  o  in  meno  nella  sua  media  ter- 
mometrica; ma  neppure  la  loro  importanza  deve  essere  esagerata 
al  punto  da  farne  una  legge  fatale.  Certe  circostanze  topografiche, 
che,  date  alcune  condizioni  storiche,  sono  favorevoli,  in  altre  con- 
dizioni diventano  sfavorevolissime  e  viceversa.  La  Grecia,  quando 
tutta  l'Europa  era  ancora  all'età  del  bronzo  e  nei  primordi  di 
quella  del  ferro,  si  trovò  in  condizione  maravigliosamente  favo- 
revole per  diventare  il  primo  paese  civile  di  questa  parte  del 
mondo;  perchè,  a  preferenza  di  qualunque  altra  contrada,  potè 
ricevere  le  infiltrazioni  della  civiltà  egiziana  e  di  quelle  asiatiche. 
Ma  nell'epoca  moderna,  fino  a  quando  si  tagliò  l'istmo  di  Suez, 
si  può  dire  che  lo  stesso  paese  sia  stato  fra  quelli  d'Europa  più 
sfavorevolmente  situati,  perchè  lontano  dal  centro  della  coltura 
europea  e  dalle  grandi  vie  del  commercio  transatlantico  ed  indiano. 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  17 

Altra  opinione  abbastanza  diffusa  in  questi  argomenti  è  quella 
che  fa  i  montanari  abitualmente  superiori  ai  pianigiani  e  destinati 
quasi  sempre  a  conquistarli.  Certo  essa  è  meno  infondata  di  quella 
che  attribuisce  una  grande  superiorità  ai  popoli  settentrionali, 
perchè,  se  è  discutibile  che  un  clima  freddo  sia  più  salutare  di 
quello  temperato  o  caldo,  sembra  accertato  che  i  paesi  elevati  sono 
quasi  sempre  più  salubri  di  quelli  bassi,  e  miglior  salute  vuol  dire 
costituzione  fìsica  più  forte  e  perciò  maggiore  energia  individuale. 
Ma  non  sempre  una  maggiore  energia  individuale  va  unita  ad 
una  più  forte  organizzazione  della  compagine  sociale,  della  quale 
in  fondo  dipende  l'essere  una  gente  dominatrice  o  dominata.  Ora 
un  saldo  organismo  politico,  che  riunisca  e  diriga  gli  sforzi  di 
grandi  masse  d'uomini,  è  più  facile  che  sorga  e  si  mantenga  nelle 
pianure  anziché  nelle  montagne.  Difatti  noi  vediamo  in  Oriente  i 
montanari  Circassi,  Curdi  ed  Albanesi  avere  individualmente  spesso 
raggiunta  una  grande  importanza,  le  loro  bande,  che  entravano  al 
servizio  degli  imperi  limitrofi,  essere  spesso  diventate  influenti  e 
temute  (1),  ma  l'Albania,  la  Circassia  ed  il  Curdistan  non  hanno 
mai,  in  tempi  storici,  formato  il  nocciolo  di  grandi  imperi  indi- 
pendenti, anzi  sono  stati  sempre  attratti  nell'orbita  dei  grandi 
organismi  politici,  che  hanno  toccato  i  loro  confini.  Anche  gli  Sviz- 
zeri hanno  avuto  grande  importanza  come  individui  e  come  corpi 
di  soldati  mercenari,  ma  la  Svizzera,  come  nazione,  non  ha  mai 
pesato  sensibilmente  nella  bilancia  politica  d'Europa. 

Nella  storia  poi,  in  generale,  si  vede  che  se  le  ardite  bande  dei 
montanari  hanno  spesso  devastato  più  che  conquistato  le  pianure, 
più  spesso  ancora  gli  eserciti  organizzati  dei  pianigiani  sono  riu- 
sciti vincitori  degli  sforzi  sconnessi  dei  montanari  e  li  hanno  sta- 
bilmente domati.  Furono  i  Romani  che  conquistarono  i  Sanniti, 
mentre  questi  poterono  solo  qualche  volta  vincere  i  Romani;  e, 
nella  Gran  Brettagna,  se  le  bande  dei  montanari  scozzesi  scorsero 
e  devastarono  qvialche  volta  il  nord  dell'Inghilterra,  gl'Inglesi 
pianigiani  vinsero  e  conquistarono  più  di  frequente  la  montuosa 
Scozia  e  finirono  col  domarne  gli  umori  riottosi  e  coll'assimilarla 


(1)  Era  Curdo  Saladino,  Albanese  Mehemet  Ali,  primo  Kedivó  d'Egitto.  Cir- 
cassi erano  i  famosi  bey  mammalucchi,  che  per  tanti  secoli  tennero  il  dominio 
dell'Egitto. 

tì.  Mosca,  Rlrinfiiti  di  Srienr:a  Politira.  2 


18  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

completamente.  Ne  del  resto  si  può  ammettere  che  i  popoli  abi- 
tanti nelle  pianure  debbano  essere  necessariamente  destituiti  o 
anche  scarsi  di  energia  :  basta  riflettere  che  gli  Olandesi,  i  Tedeschi 
settentrionali,  i  Russi  e  gli  stessi  Inglesi  sono  in  gran  parte  abi- 
tatori di  un  paese  molto  basso  per  comprendere  quanto  un'oi)i- 
nione  simile  sarebbe  poco  fondata. 

X.  —  Il  metodo  che  fa  dipendere  dalla  razza  alla  quale  un 
popolo  appartiene  oltre  che  il  grado  di  progresso  civile,  che  ge- 
nericamente ha  raggiunto,  anche  il  tipo  di  ordinamento  politico, 
che  ha  adottato,  è  molto  meno  antico  dell'altro,  che  arbitro  di 
tutto  fa  il  clima.  Ne  poteva  essere  altrimenti,  perchè  l'antropo- 
logia e  la  filologia  comparata,  sulle  quali  è  fondata  la  classifica- 
zione scientifica  delle  razze  umane,  sono  scienze  molto  recenti  : 
Broca  e  Grimm  sono  vissuti  nel  secolo  decimonono,  mentre  una 
nozione  abbastanza  approssimativa  delle  differenze  di  clima  si  è 
potuta  avere  fin  dal  tempo  di  Erodoto.  Però,  per  quanto  tardi 
venuta,  altrettanto  la  tendenza  etnologica  nelle  scienze  sociali  è 
stata  invadente  :  e  negli  ultimi  decenni  del  secolo  decimonono 
con  la  differenza  e  l'azione  delle  varie  razze  si  è  cercata  di  spiegare 
tutta  la  storia  dell'umanità  (1). 

Si  è  fatta  la  distinzione  tra  razze  superiori  ed  inferiori,  attri- 
buendo alle  prime  la  civiltà,  la  moralità,  la  capacità  di  costituirsi 
in  grandi  agglomerazioni  politiche;  riserbando  alle  altre  la  sorte 
dura,  ma  fatale,  di  sparire  davanti  le  razze  elevate  oppure  di  es- 
serne conquistate  ed  incivilite.  Alla  meno  peggio  si  ammette  che 
esse  ]30ssano  continuare  a  vivere  restando  indipendenti,  ma  senza 
poter  mai  raggiungere  quella  cultura  e  quel  perfetto  ordinamento 
sociale  e  politico,  che  sono  propri  soltanto  dei  popoli  di  stirpe  pri- 
vilegiata. 

Renan  scrisse  che  la  poesia  dell'anima,  la  fede,  la  libertà,  l'onestà, 
il  sacrifìcio  non  apparvero  nel  mondo  che  con  le  due  grandi  razze, 
che  in  certo  senso  hanno  formato  l'umanità:  cioè  la  razza  ariana 


(1)  Vedi  fra  gli  altri  Quatrefages,  Histoire  generale  des  races  hunmines.  Paris, 
1889;  GuMPLOwicz,  Der  Rassenkampf.  Insprùck,  1884;  Lapouge,  diverse  mono- 
grafie pubblicate  nella  "  Revue  d'Anthropologie  „  del  1887  e  del  1888,  oltre  ai 
lavori  dell'HELWALD,  del  De  Gobineau  [Essai  sur  Vinégalité  des  races  hunmines. 
Paris,  1884,  ed.  Didot),  ecc. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  19 

e  la  semitica  (1).  Per  De  Gobineau  il  punto  centrale  della  storia 
■è  sempre  là  dove  abita  il  gruppo  bianco  più  puro,  più  intelli- 
gente, più  forte.  Il  Lapouge  porta  la  stessa  dottrina  alle  più 
estreme  conseguenze;  secondo  quest'autore  non  solo  la  razza  ve- 
ramente morale  e  superiore  in  tutto  è  l'ariana,  ma  in  questa 
stessa  eccellono  solo  quegli  individui,  che  il  tipo  ariano  conser- 
vano pui'o  ed  incontaminato;  coloro  che  sono  alti,  biondi  e  doli- 
cocefali. Anche  fra  i  popoli  che  passano  per  indogermanici  questi 
individui  non  sarebbero  che  un'esigua  minoranza  dispersa  fra  una 
maggioranza  di  bassi,  bruni  e  brachicefali.  I  veri  ariani  perciò, 
piuttosto  numerosi  tra  gl'Inglesi  ed  i  Nord-Americani,  comincereb- 
bero a  scarseggiare  in  Germania,  dove  si  potrebbero  trovare  solo 
nelle  classi  superiori,  sarebbero  rarissimi  in  Francia,  e  nei  paesi 
dell'Europa  meridionale  diventerebbero  merce  quasi  sconosciuta  (2). 
Accanto  a  questa  scuola,  che  sostiene  la  superiorità  innata  e 
fatale  di  alcune  razze  umane,  ve  ne  è  un'altra,  che,  senza  essere 
con  essa  in  assoluto  contrasto,  più  direttamente  si  rannoda  alle 
teoriche  di  Darwin,  le  cui  applicazioni  alle  scienze  sociali  nella 
seconda  metà  del  secolo  scorso  sono  state  larghissime.  Lo  Spencer 
è  lo  scrittore  più  in  fama  di  questa  seconda  scuola,  i  cui  seguaci 
sono  numerosissimi  :  essi,  senza  sostenere  la  superiorità  inevitabile 
e  continua  di  una  razza  sulle  altre,  credono  che  ogni  progTesso 
sociale  sia  avvenuto  ed  avvenga  per  via  della  cosi  detta  evoluzione 
organica  e  superorganica.  Secondo  questa  scuola  entro  ogni  società 
avverrebbe  una  lotta  continua,  quella  per  l'esistenza  ;  per  la  quale 
gl'individui  più  forti,  migliori,  più  adatti  all'ambiente,  sopra wi- 
verebbero  ai  più  deboli  e  meno  adatti  e  prolificherebbero  a  pre- 
ferenza di  questi  ultimi,  comunicando  ai  loro   tigli   come  innate 


(1)  Vita  di  Gesù,  cap.  1.  In  altri  lavori  lo  stesso  autore  descrive  il  Semita 
in  modo  poco  lusinghiero. 

(2)  Vedi  articoli  citati  nella  "  Revue  d'Anthropologie  „.  11  Morselli,  in  un 
articolo  pubblicato  nella  "  Illustrazione  popolare  ,  del  1887  (Biondi  e  Bruni) 
fa  sua  la  tesi  del  Lapouge,  sostenendo  la  superiorità  dei  biondi  sui  bruni; 
perchè  le  nazioni  più  civili  sono  quelle  dove  prevalgono  più  i  biondi  e  nella 
stessa  nazione  è  sempre  più  civile  quella  regione  o  provincia  dove  i  biondi 
sono  più  numerosi.  Ammesso  che  il  fatto  sia  vero,  bisognerebbe  pure  provare 
che  nel  passato  i  popoli  bruni  non  siano  mai  stati  piìi  civili  e  più  forti  dei 
biondi,  giacche,  in  questo  caso,  la  presente  superiorità  delle  nazioni  e  Provincie 
dove  il  pelo  fulvo  è  più  comune  potrebbe  essere  dovuta  ad  altre  cause. 


20  ELEMENTI    DI    S(;IENZA    l'OLITICA 

quelle  (jualità  per  le  quali  essi  avevano  ripoiiato  la  vittoria  e  che 
per  loro  erano  acquisite  per  via  di  una  lenta  educazione.  Ija  stessa 
lotta  avverrebbe  tra  le  società  stesse,  per  la  quale  quelle  più  so- 
lidamente costituite,  o  composte  di  individui  più  forti,  vincereb- 
bero le  altre  meno  vantaggiosamente  dotate,  che,  cacciate  nei  siti 
meno  adatti  all'umano  sviluppo,  sarebbero  condannate  a  rimanere 
in  uno  stato  di  perenne  inferiorità. 

Non  è  difficile  trovare  una  differenza  sostanziale  fra  le  due 
dottrine  testé  ricordate,  perchè,  anche  ammettendo  la  teoria  mono- 
genistica,  cioè  che  tutte  le  razze  umane  siano  derivate  da  unico  ceppo, 
è  certo  che  i  loro  caratteri  differenziali  sono  antichissimi,  e  si  dovet- 
tero fissare  in  epoche  molto  remote,  quando  l'uomo  non  avea  oltre- 
passato lo  stadio  della  vita  selvaggia  ed  era  quindi  più  adatto  a 
sentire  l'influenza  degli  agenti  naturali  coi  quali  era  in  contatto  (1). 
Stando  perciò  alla  teoria  strettamente  etnologica,  fin  dall'inizio 
dell'epoca  storica  le  razze  elevate  avrebbero  già  avnto  quei  carat- 
teri di  superiorità,  che  conservano  ancora  quasi  inalterati;  mentre 
la  teoria  propriamente  detta  evoluzionista,  implicitamente  od  espli- 
citamente, ammette  che  la  lotta  per  l'esistenza  abbia  avuto  i  suoi 
effetti  pratici  più  recentemente  e  ad  essa  attribuisce  il  decadere 
od  il  prosperare  delle  varie  nazioni  e  civiltà  dm-ante  il  periodo 
storico. 

XI.  —  Prima  di  parlare  della  superiorità  od  inferiorità  delle 
varie  razze  umane  bisogna  determinare  il  valore  della  parola 
razza ^  alla  quale  si  attacca  un  significato  ora  molto  lato,  ora 
assai  ristretto.  Si  dice  la  razza  bianca,  la  gialla  e  la  nera,  indi- 
cando varietà  della  specie  umana  distinte  non  solo  dal  linguaggio, 
ma  anche  da  differenze  anatomiche  abbastanza  importanti  e  pal- 
pabili, e  si  dice  pure  la  razza  ariana  e  la  semitica  X3er  indicare 
due  suddivisioni  della  razza  bianca,  distinte,  è  vero,  dal  linguaggio, 
ma  la  cui  somiglianza  fisica  è  notevolissima.  Si  dice  anche  la  razza 
latina,  la  germanica,  la  slava,  denominando  sempre  con  lo  stesso 


(1)  È  accertato  che,  fin  da  un'epoca  preistorica  abbastanza  remota,  la  razza 
americana  indigena  avea  quei  caratteri  fisici  che  ancora  la  distinguono  ;  in 
bassorilievi  egiziani  molto  antichi  (di  circa  venti  secoli  prima  dell'era  volgare) 
le  figure  dei  Negri,  dei  Semiti,  degli  Egiziani  indigeni  hanno  quei  caratteri 
fisici,  che  ancora  distinguono  queste  razze. 


OAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  21 

vocabolo  tre  suddivisioni  del  ramo  ariano  della  razza  bianca;  le 
quali,  sebbene  parlino  lingue  differenti,  pure  è  dimostrato  che  filo- 
logicamente sono  legate  da  una  origine  comune  e  le  cui  differenze 
fìsiche  sono  minime^  tanto  che  può  accadere  che  un  individuo  del- 
l'una sia  giudicato  come  appartenente  ad  un'altra.  Or  la  confu- 
sione delle  parole  porta  in  questo  caso,  come  semi^re,  quella  delle 
idee  :  la  differenza  di  razza  si  fa  valere  tanto  per  sx:)iegare  certe 
diversità,  che  vi  sono  nella  civiltà  e  nell'ordinamento  politico  dei 
bianchi  e  dei  negri,  quanto  per  giustificare  quelle  tra  latini,  ger- 
mani e  slavi  ;  mentre,  nel  primo  caso,  può  veramente  il  coeffi- 
ciente etnologico  avere  molta  importanza  e,  nel  secondo,  averne 
una  minima. 

Bisogna  anche  por  mente  che,  nel  periodo  storico  ed  in  quello 
preistorico,  gl'incrociamenti  e  le  mescolanze,  specialmente  fra  po- 
poli di  razza  molto  affine,  sono  state  frequenti.  In  quest'ultimo 
caso,  siccome  le  differenze  fisiche  fra  le  razze  che  si  sono  incro- 
ciate sono  poco  importanti  e  sopratutto  non  facilmente  percepi- 
bili, nel  fare  le  classificazioni  più  che  ai  caratteri  anatomici  si  è  data 
importanza  alle  affinità  filologiche.  Ma  questo  criterio  è  tutt"altro 
che  sicuro  ed  infallibile.  Spesso  può  avvenire  ed  avviene  che  due 
popoli  strettamente  parenti  per  sangue  parlino  lingue,  che  filolo- 
gicamente hanno  lontani  rapporti,  mentre  popoli  di  razza  diversa 
possono  servirsi  di  lingue  e  di  dialetti,  le  radici  e  la  struttura  gram- 
maticale dei  quali  sono  molto  affini.  Per  quanto  la  cosa  sembri  a 
prima  vista  improbabile,  pure  vi  sono  molti  esempi  e  circostanze 
storiche  che  la  spiegano  e  la  provano  ;  generalmente  i  popoli  con- 
quistati, se  sono  meno  civili  dei  conquistatori,  ne  adottano  le  leggi, 
le  arti,  la  cultura,  la  religione  e  spesso  finiscono  con  l'adottarne 
la  lingua  (1). 


(1)  1  Greci  ed  i  Romani  seppero  maravigliosamente  espandere  la  loro  lingua 
e  la  loro  civiltà  facendole  adottare  dai  popoli  barbari.  In  Francia  il  sostrato 
della  popolazione  è  ancora  celto-kimi-ico,  mentre  il  francese  e  un  linguaggio 
essenzialmente  neo-latino.  Anche  in  Ispagna  è  probabilissimo  che  nel  nord 
della  penisola  prevalga  il  sangue  basco,  mentre  nel  sud  dev'essere  fortissima 
la  mescolanza  del  sangue  arabo-berbero.  Nella  stessa  Italia  vi  sono  certo  dif- 
ferenze etniche  sensibilissime  tra  gl'Italiani  del  nord  e  quelli  del  sud  e  delle 
isole,  sebbene  i  varii  dialetti  siano  tutti  essenzialmente  neo-latini.  Andando 
fuori  dall'influenza  della  lingua  latina  troviamo  che  i  Fellah,  discendenti  dagli 


22  EI.RMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Ciò  premesso,  ci  pare  un  fatto  assodato  che  le  razze  più  misere, 
quelle  che  is^li  antropoioghi  chiamano  più  basse,  i  Fuegiani,  gli 
Australiani,  i  Boschimani,  ecc.,  siano  fisicamente  ed  anche  intel- 
lettualmente inferiori  alle  altre.  Che  questa  inferiorità  sia  innata, 
che  sia  sempre  esistita,  o  che  si  debba  attribuire  alla  desolazione 
delle  contrade  che  quei  popoli  abitano,  alla  scarsezza  di  risorse 
che  esse  offrono  ed  all'estrema  miseria  che  ne  è  la  conseguenza, 
è  quistione  che  non  è  né  facile  né  indispensabile  per  noi  di  risol- 
vere. Del  resto  queste  razze  non  formano  che  una  frazione  picco- 
lissima dell'  umanità,  frazione  che  va  rapidamente  diminuendo 
avanti  l'espansione  della  razza  bianca,  dietro  la  quale  si  va  in 
molti  luoghi  infiltrando  anche  la  gialla.  Per  spirito  di  giustizia 
bisogna  riconoscere  che  il  prosperare  di  queste  due  razze,  in  quelle 
stesse  terre  dove  gli  aborigeni  potevano  solo  stentatamente  vivac- 
chiare, non  è  tutto  dovuto  alla  superiorità  organica,  che  esse  van- 
tano. Griacchè  i  nuovi  abitatori  portano  seco  cognizioni  e  mezzi 
materiali,  mercè  i  quali  traggono  abbondanti  sussistenze  da  quelle 
zolle,  che  spontaneamente  avrebbero  dato  quasi  nulla.  L'indigeno 
australiano  si  contentò  per  secoli  e  secoli  d'inseguire  i  kanguri,  di 
abbattere  uccelli  col  bòmerang  o,  alla  peggio,  di  mangiare  lucer- 
tole :  ma  bisogna  confessare  che  non  aveva  alcun  mezzo  di  pro- 
curarsi le  sementi  dei  grani  e  delle  altre  piante  commestibili,  ne 
i  progenitori  delle  mandrie  di  montoni,  che  sono  stati  a  disposi- 
zione dei  coloni  inglesi. 


antichi  Egiziani,  hanno  dimenticato  l'antichissima  lingua  di  Mizraim  ed  adot- 
tato l'arabo,  la  quale  lingua  si  è  inoltre  generalizzata  nell'Irak-Arabi,  nella 
Siria  e  va  sempre  più  diventando  la  lingua  parlata  dai  Berberi  dell'Africa. 
Nell'India  dialetti  provenienti  dal  sanscrito  sono  parlati  da  popolazioni  che 
nel  colore  della  pelle  e  nei  lineamenti  mostrano  fortissima  la  mescolanza,  e 
forse  anche  la  prevalenza,  del  sangue  dravidico.  Nella  Slesia,  nel  Brandeburgo. 
nella  Pomerania  e  nella  vecchia  Prussia  il  tedesco  è  parlato  da  popolazioni 
di  origine  in  parte  slava  o  letta.  Finalmente  ai  giorni  nostri  i  Celti  dell'Irlanda 
e  del  nord  della  Scozia  vanno  sempre  più  adottando  l'inglese. 

Queste  considerazioni  sono  ovvie;  pure  si  continuano  a  fare  le  classificazioni 
etnografiche,  specialmente  quelle  dei  popoli  europei,  appoggiandosi  unicamente 
sopra  i  criterii  filologici.  In  verità  in  favore  di  questo  sistema  si  può  addurre 
che  la  somiglianza  delle  lingue,  occasionando  fra  certi  popoli  un  maggiore 
scambio  d'idee  e  di  sentimenti,  contribuisce  a  dar  loro  una  somiglianza  di 
tipo  intellettuale  e  morale  molto  più  forte  di  quella  che  si  suole  attribuire 
alla  consangiiineità. 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  23 

Ben  più  difficile  è  il  sentenziare  sopra  l'inferiorità  della  razza 
americana  aborigena  e  della  razza  nera.  Esse  sono  state  da  tempo 
immemorabile  in  possesso  di  vastissime  contrade,  nelle  quali  jjo- 
tenti  civiltà  si  sarebbero  potute  sviluppare.  In  America  infatti, 
nel  Messico,  nel  Perù,  in  qualche  altro  sito  esistevano  od  avevano 
esistito  possenti  imperi,  dei  quali  però  non  possiamo  esattamente 
determinare  il  grado  di  cultura,  perchè  ebbero  il  torto  di  crollare 
davanti  l'urto  di  poche  centinaia  di  avventurieri  spagnuoli.  In 
Africa  qualche  volta  la  razza  nera  si  è  politicamente  organizzata 
in  vasti  imperi,  come  fu  per  es.,  quello  di  Uganda,  ma  nessuno 
ha  raggiunto  spontaneamente  tal  grado  di  cultura  da  potere  essere 
paragonato  agli  Stati  più  antichi  fondati  dalla  razza  bianca  o 
dalla  gialla,  agli  imperi  chinese.  babilonese  o  egizio  antico,  nel 
quale  la  razza  incivilitrice  non  era  la  nera.  Parrebbe  perciò  che 
tanto  per  gli  Americani  indigeni  quanto  per  i  Negri  una  certa 
inferiorità  si  possa  anche  a  prima  vista  stabilire. 

Ma  quando  le  cose  vanno  in  un  modo,  non  sempre  è  lecito  as- 
serire che  dovevano  necessariamente  ed  immancabilmente  andare 
in  quel  modo.  E  dubbio  che  Tuomo  sia  vissuto  durante  il  periodo 
terziario,  ma  è  un  fatto  scientificamente  provato  che  la  sua  anti- 
chità risale  al  principio  del  periodo  quaternario,  e  che  perciò  va 
calcolata  non  per  migliaia  d'anni,  ma  per  centinaia  e  forse  mi- 
gliaia di  secoli.  Ora  le  razze,  l'abbiamo  già  accennato,  dovettero 
formarsi  in  epoca  remotissima,  e,  trattandosi  di  periodi  cosi  lunghi, 
l'essere  una  razza  arrivata,  trenta,  quaranta,  anche  cinquanta  se- 
coli prima  ad  un  perfezionamento  ragguardevole  di  cultura,  non 
è  una  prova  infallibile  di  superiorità  organica.  Delle  circostanze 
esteriori,  spesso  anche  fortuite,  la  scoperta  e  l'uso  di  un  metallo, 
cosa  più  o  meno  agevole  secondo  i  vari  paesi,  l'avere  o  no  a  por- 
tata della  mano  piante  o  animali  addomesticabili,  possono  acce- 
lerare o  ritardare  lo  sviluppo  di  una  civiltà,  ovvero  mutarne  le 
vicende.  E  innegabile  che  se  gli  Americani  indigeni  avessero 
conosciuto  l'uso  del  ferro  (1),  o  se  gli  Europei  avessero  scoperto 
la  polvere  da  sparo  due  secoli  dopo,  questi  non  avrebbero  cosi 
presto  e  così  completamente  distrutto  le  organizzazioni   politiche 


(1)  L'ipotesi  non  ha  niente  d'impossibile  perchè    conoscevano  altri  metalli, 
come  l'oro  ed  il  rame. 


24  ELEMENTI    DI    SCIENZA    l'()LITICA 

di  quelli.  Né  bisogna  dimenticare  che,  quando  una  razza  ari'ivata 
ad  una  civiltà  matura  si  trova  in  contatto  con  un'altra  ancora  allo 
stato  barbaro,  se  da  una  jjarte  le  fornisce  una  quantità  di  stru- 
menti e  cognizioni  utili,  dall'altra  ne  disturba  ]jrofond amente, 
quando  non  ne  arresta  del  tutto,  lo  ,svilu])})0  spontaneo  ed  ori- 
ginale. 

I  Bianchi  infatti  non  solo  hanno  quasi  dappertutto  distrutto  od 
asservito  gli  Americani  indigeni,  ma  per  secoli  hanno  anche  ab- 
brutito ed  impoverito  la  razza  negra  coU'alcool  e  colla  tratta; 
sicché  si  deve  convenire  che  la  civiltà  europea  finora  non  solo  ha 
contrastato,  ma  quasi  ha  impedito  tutti  gli  sforzi  che  Negri  e  Pelli 
Rosse  avrebbero  potuto  spontaneamente  fare  per  progredire. 

A  diversi  rami  della  razza  americana  indigena  si  fa  il  rimpro- 
vero, che  si  estende  anche  ai  Polinesi  oltre  che  agli  Australiani  e 
ad  altre  razze  umane  delle  più  misere,  di  non  saper  sopportare  il 
contatto  coir  uomo  bianco  e  di  scomparire  rapidamente  davanti 
l'avanzarsi  di  questo.  La  verità  è  che  i  Bianchi  tolgono  alle  razze 
di  colore  i  mezzi  di  sussistenza,  prima  che  esse  possano  abituarsi 
a  far  uso  dei  nuovi  mezzi  di  sostentare  la  vita,  che  sono  dagli 
stessi  Bianchi  introdotti.  Ordinariamente  i  territori  di  caccia  delle 
tribù  selvaggie  sono  invasi  e  la  grossa  selvaggina  è  distrutta  prima 
che  gl'indigeni  abbiano  potuto  adattarsi  all'agricoltura.  Inoltre  le 
razze  civili  comunicano  alle  meno  civili  le  loro  malattie,  senza  che 
quest'ultime  possano  ordinariamente  giovarsi  dei  metodi  preven- 
tivi e  curativi,  che  il  progresso  scientifico  ed  una  lunga  esperienza 
hanno  a  quelle  insegnato.  La  tisi,  la  sifilide  ed  il  vaiuolo  fareb- 
bero probabilmente  tra  noi  la  stessa  strage,  che  fanno  presso 
alcune  tribù  selvaggie,  se  noi  queste  malattie  prevenissimo  e 
curassimo  con  i  soli  mezzi  che  sono  alla  portata  dei  selvaggi, 
che  consistono  nel  non  averne  alcuno. 

Sono  generalmente  le  Pelli  Rosse  ed  i  Negri  inferiori  ai  Bianchi 
come  individui?  Sebbene  i  più  rispondano  subito  ed  energicamente 
di  sì,  qualcuno  dice  con  eguale  prontezza  e  risoluzione  di  no  ;  a 
noi  pare  difficile  l'affermarlo  con  sicurezza,  come  il  negarlo. 

Chi  rammenta  la  storia  della  prima  colonizzazione  della  Virginia 
deve  convenire  che  la  figlia  di  Powattan,  il  Sachem  che  coman- 
dava in  quelle  contrade  all'arrivo  dei  Bianchi,  la  gentile  ed  affet- 
tuosa Pocahonta,  aveva  doti  di  mente  e  di  cuore  non  inferiori  a 
quelle  di  quasi  alcuna  fanciulla  europea  dei  suoi  tempi.  Stanley, 


GAP.    I    -    IL    METODO    KELLA    SCIENZA    POLITICA  25 

che  i  Negri  doveva  conoscer  bene,  non  sentenzia  mai  sulla  infe- 
riorità assoluta  della  razza  africana,  anzi  cita  parecchi  esempi  di 
Negri  intelligenti  e  non  privi  di  qualità  morali,  specie  tra  quelli 
che  sono  stati  educati  tra  popoli  civili  :  anche  tra  quelli  assoluta- 
mente barbari  trova  sviluppate  certe  qualità,  che  sono  state  a  pre- 
ferenza coltivate  \  ad  esempio,  dice  che  nel  Congo  anche  un  fan- 
ciullo riesce  superiore  al  più  astuto  sensale  europeo  neirabilità  di 
far  valere  la  sua  merce,  nel  saper  vender  caro  e  comprare  a  buon 
patto  (1).  Gli  Americani  indigeni,  dove  si  sono  mescolati  coi  Bianchi 
e  ne  hanno  abbracciato  la  civiltà,  non  hanno  mancato  di  dare 
qualche  uomo  notevole,  come  ad  esempio  Garcilasso  della  Yega 
e  Benito  Juarez  (2).  I  Negri  nelle  identiche  condizioni  x^ossono 
vantare  Toussaint  Louverture,  il  Morton  dotto  teologo  ed  uma- 
nista, il  Firmin  (3)  e  parecchi  altri.  Dobbiamo  però  confessare  che, 
nell'una  e  nell'altra  razza,  la  nota  delle  indi\'idualità  cospicue  è 
molto  scarsa  rispetto  alla  quantità  d'individui,  che  hanno  avuto 
e  hanno  la  ]30ssibilità  di  fruire  dei  vantaggi  che  offre  il  vivere 
civile.  Però  ha  qualche  peso  l'osservazione  che  un  dotto  vescovo 
di  razza  negra  facea  al  George  (4)  :  che  i  fanciulli  negri  nelle 
scuole  profittano  quanto  i  bianchi  e  si  mostrano  egualmente  svegli 
ed  intelligenti  fino  all'età  di  dieci  o  dodici  anni,  ma,  appena  co- 
minciano a  capire  che  essi  appartengono  ad  una  razza  conside- 
rata inferiore,  e  che  a  loro  non  è  riservata  altra  sorte  che  quella 
di  fare  i  cuochi  ed  i  facchini,  si  svogliano  dallo  studio  e  cadono 
nell'apatia.  Non  si  può  infatti  negare  che  in  gran  parte  dell'Ame- 
rica gli  uomini  di  colore  siano  generalmente  considerati  come  es- 
seri inferiori,  che  debbono  essere  necessariamente  rilegati  negli 
ultimi  strati  sociali;  or,  se  le  nostre  classi  diseredate  portassero 
nell'aspetto  l'impronta  indelebile  della  loro  inferiorità  sociale,  è 
certo  che  tra  esse  ben  pochi  sarebbero  gli  individui  i  quali  avreb- 


(1)  Vedi  Cinq-années  an  Congo.  Traduttore  Gerard  Harry.  Paris.  1885.  edi- 
tore Dreyfus. 

(2)  Porfirio  Diaz,  giìi  presidente  della  repubblica  messicana,  che  seppe  as- 
sicurare al  suo  paese  un  lungo  ed  inconsueto  periodo  di  tranquillità,  era  un 
meticcio. 

(3)  Autore  del  libro  V Egalité  des  races  hutnaines.  Paris.  1885.  —  Citato  dal 
CoLAjANNi,  Sociologia  criminale,  voi.  II,  pag.  227. 

(4)  Progress  and  povertg.  cap.  ultimo.  London.  IS^!;-!. 


26  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

bero  l'energia  di  sollevarsi  ad  ima  condiziono  sociale  molto  supe- 
riore a  (inolia  della  loro  nascita. 

Ad  ogni  modo,  se  (lualche  dubbio  è  lecito  di  elevare  sulla  atti- 
tudine dei  Negri  e  degli  Americani  indigeni  ad  una  civiltà  e  ad 
un  ordinamento  politico  superiore,  ogni  perplessità  vien  meno  ri- 
guardo non  solo  agli  Arii  ed  ai  Semiti,  ma  a  tutta  la  razza  cosi 
detta  mongolica  o  gialla  ed  anche  a  quella  razza  bruna,  che  nel- 
l'India vive  ora  mescolata  con  la  razza  ariana  e  nella  China  me- 
ridionale, neirindochina,  forse  anche  nel  Giapjjone  si  è  fusa  con 
quella  gialla  (1).  Il  complesso  di  queste  razze  forma  certamente 
più  dei  tre  (juarti  e  forse  i  quattro  quinti  dell'intera  umanità. 

I  Chinesi  hanno  saputo  fondare  una  civiltà  originalissima,  che 
maravigliosamente  è  durata  e  più  maravigliosamente  ancora  Jia 
saputo  espandersi.  Figlia  in  gran  parte  della  civiltà  chinese  è 
quella  del  Giappone  e  quella  della  Indochina,  e  pare  che  abbia 
appartenuto  alla  razza  turanica  quel  popolo  dei  Somiri  e  degli 
Akkad,  che  fondò  la  più  antica  civiltà  babilonese.  La  razza  bruna 
pare  che  fosse  autrice  dell'antichissima  civiltà  delFElam  o  Susiana, 
ed  una  civiltà  autoctona  pare  che  esistesse  nell'India  prima  del- 
l'arrivo degli  Ariani.  L'Egitto  deve  la  sua  civiltà  ad  una  razza, 
che  si  dice  sub-semitica  o  berbera,  e  Ninive,  Sidone,  Gerusalemme, 
Damasco,  forse  anche  Sardi,  appartennero  ai  Semiti.  Alla  più  re- 
cente civiltà  degli  Arabi  maomettani  ci  pare  superfluo  accennare. 

Xn.  —  Senza  ammettere  la  superiorità  o  l'inferiorità  assoluta 
di  alcuna  razza  umana,  molti  credono  che  ognuna  di  esse  abbia 
speciali  qualità  intellettuali  e  morali  in  corrispondenza  necessaria 
con  certi  tipi  di  organizzazione  sociale  e  politica,  dai  quali  il  suo 
siiii'ito,  o  meglio  ancora,  ciò  che  si  dice  il  genio  stesso  della  razza 
non  le  permettono  di  allontanarsi. 

Or  fatta  la  debita  parte  alle  esagerazioni,  che  facilmente  si  am- 
mettono su  questo  argomento,  tenuto  sempre  presente  il  gran 
fondo  umano,  che  si  ritrova  in  tutti  i  popoli  ed  in  tutti  i  tempi, 
è  innegabile  che  non  diciamo  ogni  razza,  ma  ogni  nazione,  ogni 


(1)  Non  parliamo  della  razza  polinesia,  la  quale  ha  forse  attitudini  superiori, 
ma,  essendo  scarsa  di  numero,  e  dispersa  quasi  tutta  in  piccole  isole,  non  ha 
potuto  creare  alcuna  grande  civiltà. 


CAP.    T    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  27 

regione,  ogni  città  ha  un  certo  tipo  speciale,  non  dappertutto 
ngualmente  determinato  e  preciso,  il  quale  consiste  in  un  com- 
plesso d'idee,  di  credenze,  di  opinioni,  di  sentimenti,  di  consuetu- 
dini e  di  pregiudizi,  i  quali  rappresentano  per  ogni  gruppo  dell'uma- 
nità cioè  che  i  lineamenti  del  viso  sono  per  ogni  individuo. 

Ma  questa  diversità  di  tipo  sarebbe  sicuramente  una  conse- 
guenza delle  diversità  fìsiche,  della  varietà  della  razea,  del  sangue 
diverso  che  scorre  nelle  vene  di  ogni  nazione,  se  non  trovasse  la 
sua  spiegazione  in  un  altro  fatto,  che  è  uno  dei  più  sicuri  e  co- 
stanti, che  si  possono  accertare  mercè  l'osservazione  della  natura 
umana.  Intendiamo  alludere  al  Tnimetismo^  a  quella  grande  forza 
psicologica  per  la  quale  ogni  individuo  suole  acquistare  le  idee, 
le  credenze  ed  i  sentimenti,  che  sono  più  comuni  nell'ambiente 
nel  quale  è  cresciuto.  Salvo  rare  e  quasi  mai  complete  eccezioni, 
si  pensa,  si  giudica,  si  crede,  come  pensa  giudica  e  crede  la  so- 
cietà nella  quale  viviamo  ;  delle  cose  si  osserva  quel  lato,  che  ge- 
neralmente è  più  notato  dalle  persone  che  ci  circondano,  e  si 
sviluppano  nell'individuo  a  preferenza  quelle  attitudini  morali  ed 
intellettuali,  che  sono  i^iù  pregiate  e  più  comuni  in  quell'ambiente 
umano  in  cui  egli  si  è  formato. 

Infatti  l'unità  di  tipo  morale  ed  intellettuale  si  ritrova  fortis- 
sima in  collettività  di  persone,  fra  le  quali  non  vi  è  alcuna  spe- 
ciale comunanza  di  sangue  e  di  razza.  Valga  ad  esempio  il  clero 
cattolico,  il  quale,  sparso  dappertutto,  conserva  sempre  una  sin- 
golare uniformità  nelle  sue  credenze,  nelle  sue  abitudini  intellet- 
tuali e  morali  ed  anche  nei  suoi  costumi. 

Il  fenomeno  si  osserva  più  spiccato  nei  vari  ordini  religiosi;  è 
notoria  la  maravigliosa  rassomiglianza  di  un  Gesuita  italiano,  con 
un  Gesuita  francese,  tedesco  od  inglese.  Molta  rassomiglianza  si 
trova  pure  nel  tipo  militare  comune  a  quasi  tutti  i  grandi  eserciti 
europei  ;  ed  un  tipo  intellettuale  e  morale  abbastanza  costante  può 
anche  esistere  perfino  nei  singoli  reggimenti  della  milizia,  nelle 
scuole  militari  ed  anche  nei  collegi  laici,  dovunque  insomma  si  è 
potuto  o  saputo  costituire  un  ambiente  particolare,  una  specie  di 
forma  psicologica,  la  quale  plasma  alla  sua  maniera  tutti  glin- 
dividui  che  vengono  in  essa  gettati. 

Non  indaghiamo  per  ora  come  i  grandi  ambienti  nazionali,  e 
meglio  ancora,  quelle  grandi  correnti  psicologiche,  che  abbrac- 
ciano talvolta   tutta   una   civiltà  od  i  seguaci  di  una  religione  si 


2S  ELEMENTI    DI    SCIENZA    Por.niCA 

siano  formate,  siano  vissute  e  spesso  anche  sparite  dalla  scena 
del  mondo.  L'iniziare  questo  studio  equivarrebbe  a  richiamare  la 
storia  di  tutta  la  parte  civile  dell'umanità:  questo  possiamo  con 
sicurezza  asserire  che  le  circostanze  storiche  speciali  ad  ognuno 
dei  grandi  gruppi  dell'umanità  hanno  principalmente  formato  gli 
ambienti  speciali,  ai  quali  abbiamo  accennato,  e  nuove  circostanze 
storiche  questi  ambienti  lentamente  modificano  o  anche  distruggono 
La  parte  che  la  consanguineità,  la  razza,  ha  nella  formazione  dei 
vari  aml)ionti  morali  ed  intellettuali  può  almeno  in  certi  casi  essere 
piccola  e  difficilmente  apprezzabile,  anche  quando  il  coefficiente 
etnico  sembra  a  prima  vista  preponderante.  Così  si  cita  l'esempio 
degli  Ebrei,  che,  sparsi  in  mezzo  ad  altri  popoli,  hanno  per  secoli 
e  secoli  maravigliosamente  conservato  il  loro  tipo  nazionale.  Ma 
bisogna  appunto  tener  presente  che  i  discendenti  d'Israele  sono 
sempre  vissuti  moralmente  appartati  dalle  popolazioni  in  mezzo 
alle  quali  abitavano  e  sono  perciò  sempre  stati  in  un  ambiejite 
speciale  (1). 

Infatti  la  prole  delle  famiglie  ebraiche  convertite  al  Cristiane- 
simo od  airislamismo  di  raro  conserva  lungamente,  ossia  per  molte 
generazioni,  i  caratteri  dei  suoi  antenati,  e  lo  stesso  Ebreo  non 
convertito  mantiene  meglio  il  suo  tipo  speciale  là  dove  vive  più 
appartato.  Un  Ebreo  della  Piccola  Eussia  o  di  Costantinopoli  è 
molto  più  Ebreo  di  un  suo  correligionario  nato  e  cresciuto  in 
Italia  o  in  Francia,  paesi  dove  i  Ghetti  non  sono  più  che  una 
memoria.  Anche  i  Chinesi  trasportati  in  America  apprendono 
molti  lati  della  civiltà  dei  Bianchi,  sebbene  moralmente  non  trasfor- 
mino il  loro  tipo  ;  ma  essi  in  California  ed  altrove  vivono  sempre 
tra  loro  in  un  ambiente  chinese.  Nella  Turchia  europea  ed  asia- 
tica convivono  nelle  stesse  città  Turchi,  Greci,  Armeni,  Ebrei  e 
Franchi  e  non  si  fondono,  né  le  razze  si  modificano,  perchè  esse, 
sebbene  materialmente  in  contatto,  moralmente  sono  divise  e  cia- 
scuna ha  il  suo  ambiente  speciale.  E  si  potrebbe  perfino  osservare 
che  la  maggiore  tenacia  con  cui  si  conserva  il  tipo  nazionale  in- 
glese, fra    quelli   delle    altre  nazioni  europee,  è  una  conseguenza 


(1)  Vedi  Leroy-Beaulieu  Anatole,  Les  juifs  et  V antisémitisme .  Nella  "  Revue 
des  Deux  Mondes  ,  del  1891,  92  e  93.  Secondo  quest'autore  l'Ebreo  moderno 
è  un  prodotto  dell'isolamento  in  cui  è  stato  tenuto  per  tanti  secoli  dalla  Thora, 
dal  Talmud  e  dal  Ghetto. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA   POLITICA  29 

della  poca  sociabilità  che  gli  Inglesi,  stabiliti  in  paese  straniero, 
hanno  verso  gl'indigeni,  la  quale  li  costringe  a  stare  fra  loro  in 
un  embrione  di  ambiente  britannico  (1). 

Il  cosi  detto  genio  delle  razze  non  è  quindi  qualche  cosa  di 
cosi  fatale  e  necessario  come  ad  alcuni  piace  immaginare.  Am- 
mettendo pure  che  le  varie  razze  superiori,  suscettibili  cioè  di 
creare  una  propria  ed  originale  civiltà,  siano  organicamente  di- 
verse una  dall'altra,  non  è  la  somma  delle  loro  differenze  orga- 
niche ciò  che  esclusivamente  od  anche  principalmente  ha  deter- 
minato la  diversità  del  tipo  sociale,  che  esse  hanno  adottato,  ma 
piuttosto  la  diversità  dei  contatti  sociali  e  delle  circostanze  sto- 
riche, alle  quali,  non  solo  ogni  razza,  ma  ogni  nazione  ed  ogni 
organismo  sociale  son  destinati  a  sottostare. 

Xm.  —  La  questione  della  razza  sarebbe  qui  esaurita  se  da 
tutti  si  ammettesse  che  i  cambiamenti  organici  e  psichici,  dai 
quali  una  razza  umana  può  essere  modificata  durante  un  periodo 
storico  anche  lungo,  per  esempio  di  venti  o  trenta  secoli,  sono  poco 
apprezzabili  e  quasi  trascurabili.  Ma,  lungi  dall'essere  una  simile 
credenza  generalmente  accettata,  prevale  ora  una  scuola,  che  si 
fonda  su  postulati  diversi  ;  giacché,  applicando  alle  scienze  sociali 
le  dottrine  di  Darwin  sull'evoluzione  delle  specie,  ammette  che 
ogni  gruppo  umano  possa  nel  decorso  di  pochi  secoli  raggiungere 
un  notevole  migKoramento  organico,  dal  quale  fa  provenire  il 
perfezionamento  politico  e  sociale. 

Ora,  senza  discutere  o  negare  le  dottrine  di  Darwin  sulla  tras- 
formazione nella  specie,  ed  ammettendo  anche  la  discendenza  del- 
l'uomo  da   un  ipotetico  antropopiteco,  una  cosa  ci  sembra  certa, 


(1)  Si  potrebbero  citare  moltissimi  casi  nei  quali  l'affinità  etnica  fra  due 
popoli  costituisce  un  legame  quasi  impercettibile  di  fronte  a  quelli  che  risul- 
tano dalla  somiglianza  di  religione,  o  dalla  comunanza  di  storia  e  di  civiltà. 
Gli  eruditi  hanno  scoperto  che  un  Magiaro  è  più  stretto  parente  di  un  Chinese 
0  di  un  Turco  anziché  di  un  Francese  od  un  Tedesco,  ma  ohi  potrà  asserirt- 
che  egli  moralmente  ed  intellettualmente  sia  più  vicino  ai  primi  che  ai  se- 
condi ?  Gli  Arii  maomettani  della  Persia  e  dell'Indostan  hanno  certo  più  affi- 
nità morale  cogli  Arabi  e  coi  Turchi,  anziché  coi  loro  consanguinei  europei, 
e  gli  Ebrei  stabiliti  da  lungo  tempo  nell'Europa  occidentale  si  sentono  certo 
moralmente  più  vicini  ai  popoli  tra  i  quali  abitano,  anziché  agli  Arabi  loro 
parenti,  che  hanno  abbracciato  la  civiltà  orientale. 


30  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

indiscutibile  e  percepibile  a  prima  vista:  che  la  famosa  lotta  per 
l'esistenza  e  la  selezione  natui'ale,  che  ne  è  conseguenza,  come  è 
stata  descritta  nelle  piante,  negli  animali  e  negli  uomini  selvaggi, 
non  esiste  nelle  società  umane  pervenute  anche  ad  un  mediocris- 
simo stadio  di  civiltà.  L'avercela  voluta  trovare  è  effetto  naturale 
della  fortuna  straordinaria  che  ebbe  l' ipotesi  dai'winista  nelle 
scienze  naturali,  fortuna  che  dovea  tentare  fortemente  gli  spiriti 
sistematici  ad  estenderne  l'applicazione.  Ciò  è  pure  effetto  di  un 
equivoco,  della  confusione  di  due  fatti,  che,  sostanzialmente  di- 
versi, hanno  apparentemente  qualche  punto  di  contatto,  la  quale 
confusione  è  facilmente  spiegabile  che  sia  avvenuta  nelle  menti 
fortemente  prevenute  a  favore  del  sistema  evoluzionista.  Si  è,  per 
spiegarsi  in  poche  parole,  scambiata  la  lotta  per  l'esistenza  con 
quella  per  la  preminenza^  la  quale  è  realmente  un  fatto  costante, 
che  avviene  in  tutte  le  società  umane  dalle  più  civili  a  quelle  appena 
uscite  dallo  stato  selvaggio. 

Infatti  nella  lotta  fra  le  varie  società  umane,  la  vincitrice  ordi- 
nariamente, anzi  quasi  sempre,  non  distrugge  la  vinta,  ma  la  sot- 
tomette, l'assimila,  le  impone  il  proprio  tipo  di  civiltà.  Oggidì  in 
Europa  ed  in  America  la  guerra  non  ha  altro  risultato  che 
l'egemonia  politica  della  nazione,  che  riesce  militarmente  su- 
periore, o  l'annessione  di  qualche  provincia  ;  ma  anche  antica- 
mente, quando  lottavano  la  Grrecia  con  la  Persia  e  Roma 
con  Cartagine,  si  distruggeva  qualche  volta  l'organismo  politico, 
l'esistenza  nazionale  dei  vinti,  ma  individualmente,  anche  nell'ipo- 
tesi peggiore,  questi  erano  ridotti  preferibilmente  in  servitù  anziché 
passati  a  iil  di  spada.  I  casi  come  quelli  di  Sagunto  e  di  Numanzia, 
della  presa  di  Tiro  per  opera  di  Alessandro  Magno  e  di  quella  di 
Cartagine  sono  stati  sempre  assolutamente  eccezionali.  Gli  Assiri 
nell'antico  Oriente,  i  Mongoli  nel  Medio  Evo  furono  i  popoli  che 
X)iù  frequentemente  praticarono  l'uso  orrendo  dello  sterminio  si- 
stematico dei  vinti,  eppure  anche  essi  lo  usarono  piuttosto  come 
mezzo  di  raggiungere  con  il  terrore  la  sottomissione  degli  altri 
popoli,  anziché  come  fine  ;  ed  in  verità  non  si  può  dire  che  un 
solo  popolo  sia  stato  dalle  loro  orribili  stragi  materialmente  di- 
strutto (1). 


(1)  A  proposito  di  popolazioni  interamente  distrutte  dai  vincitori  si  cita  il 
caso  dei  Tasmaniani,  degli  Australiani  e  delle  Pelli-Rosse.  Ma  in  verità  queste 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  31 

Se  poniamo  mente  poi  al  lavorìo  interiore,  che  av\'iene  nel  seno 
di  ogni  società,  vediamo  subito  che  in  esso  il  carattere  di  lotta 
per  la  preminenza  anziché  per  l'esistenza  è  anche  più  spiccato. 
La  gara  fra  gl'individui  di  ogni  nucleo  sociale  è  per  arrivare  ai 
posti  elevati,  alla  ricchezza,  al  comando,  per  conquistare  i  mezzi, 
che  danno  la  facoltà  di  dii'igere  a  proprio  piacimento  molte  atti- 
vità e  molte  volontà  umane.  I  vinti,  che  in  questa  lotta  sono  na- 
turalmente i  più,  non  vengono  già,  come  sarebbe  carattere  sostan- 
ziale dello  struggle  for  life.  né  divorati,  né  distrutti,  né  tampoco 
impediti  di  riprodursi  ;  essi  soltanto  godono  più  scarse  soddisfa- 
zioni materiali  e  sopratutto  hanno  minor  libertà  ed  indipendenza. 
Si  può  dire  anzi  che  in  generale  nelle  società  colte  le  classi  infe- 
riori, lungi  dall'essere  lentamente  eliminate  per  via  della  cosi  detta 
selezione  naturale,  sono  più  iDrolifìche  delle  superiori,  ed  é  certo 
che,  anche  in  quelle  classi,  tutti  gl'individui  finiscono  quasi  sempre 
coir  avere  un  pane  ed  una  donna;  per  quanto  il  primo  possa  essere 
più  o  meno  nero  e  stentato,  la  seconda  più  o  meno  leggiadra  e 
desiderabile. 

La  poligamia  delle  classi  superiori  è  il  solo  argomento  che  si 
potrebbe  citare  a  favore  del  principio  della  selezione  naturale  ap- 
plicato alle  società  barbare  e  civili.  Ma  anche  quest'argomento  è 
debolissimo,  perche  alla  poligamia  umana  non  corrisponde  sempre 
una  maggiore  fecondità  e  perché  sono  a  preferenza  poligame  quelle 
società  umane,  le  quali  hanno  realizzato  minori  progressi  sociali; 
sicché  la  selezione  naturale  si  sarebbe  mostrata  più  impotente  colà 
dove  aveva  maggiori  mezzi  d'azione. 

XIV.  —  Premesse  queste  osservazioni,  che  equivalgono  quasi 
ad  una  questione  pregiudiziale,  venendo  ad  altro  ordine  d'idee,  è 


tribù  selvaggie,  scarsissime  di  numero  o  sparse  sopra  territori  immensi,  sono 
perite  e  periscono  principalmente  perchè  la  cultura  e  l'invadente  civiltà  fanno 
diminuire  la  grossa  selvaggina,  che  costituiva  il  loro  principale  mezzo  di  sus- 
sistenza. In  qualche  sito,  nel  quale  le  Pelli-Rosse  hanno  potuto  adattarsi  ad 
una  grossolana  agricoltura,  si  sono  sottratte  alla  distruzione.  Nel  Messico  e 
nel  Perà,  dove  gl'indigeni  erano  numerosi  perchè  pervenuti  allo  stadio  agri- 
colo, malgrado  le  stragi  dei  conquistatori  spagnuoli,  essi  costituiscono  sempre 
la  gran  maggioranza  della  popolazione.  Anche  in  Algei-ia  la  stentata  e  san- 
guinosa conquista,  che  ne  hanno  fatto  i  Francesi,  non  ha  prodotto  la  diminu- 
zione numerica  degli  indigeni. 


32  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

facile  rilevare  che,  se  il  progresso  di  una  razza  e  di  una  nazione 
dipendesse  principalmente  dal  mif^lioramento  organico  degli 
individui  che  ne  fanno  parte,  le  vicende  del  mondo  dovrebbero 
I)resentare  una  trama  ben  differente  di  quella  che  noi  cono- 
sciamo. Il  progresso  morale,  intellettuale  e  quindi  sociale  di 
ogni  popolo  dovrebbe  essere  più  lento^  ma  più  continuo.  La 
legge  della  selezione  naturale  combinata  con  (juella  dell'eredità 
dovrebbe  ad  ogni  generazione  far  segnare  un  passo,  ma  un 
passo  solo,  in  avanti  di  (juella  che  l'ha  preceduto  ;  e  non 
dovrebbe  accadere,  ciò  che  nella  storia  spessissimo  vediamo,  che 
un  popolo  in  due  o  tre  generazioni  soltanto  dia  moltissimi  passi 
avanti  e,  qualche  volta,  moltissimi  indietro. 

Questi  casi  di  progressi  rapidi  e  di  decadenze  vertiginose  sono 
così  comuni  che  quasi  non  varrebbe  la  pena  di  citarli.  Da  Pisi- 
strato  a  Socrate  non  corrono  che  circa  centovent'anni,  ma  durante 
essi  l'arte,  il  pensiero,  la  civiltà  ellenica  compirono  tali  incom- 
mensurabili progressi  da  trasformare  un  popolo  di  civiltà  mediocre, 
per  quanto  antica,  in  quella  Grecia,  che  nella  storia  del  progresso 
umano  scrisse  le  pagine  più  siDlendide,  più  profonde,  più  incancel- 
labili. Non  citiamo  l'esempio  di  Roma  perchè,  a  dir  vero,  nel  suo 
rapido  passaggio  dalla  barbarie  alla  civiltà  ebbe  moltissima  jjarte 
l'influenza  ellenica;  ma  l'Italia  del  rinascimento  cronologicamente 
non  dista  che  un  secolo  circa  dall'Italia  di  Dante,  eppure  in  questo 
spazio  di  tempo,  l' ideale  artistico,  morale  e  scientifico  per  lavorio 
intimo  ed  originale  della  nazione  cambia  interamente,  e  l'uomo 
del  Medio  Evo  si  trasforma  e  scompare. 

Osserviamo  un  momento  la  Francia  del  1650  e  quella  del  1750. 
Nella  prima  vive  ancora  chi  può  rammentare  la  notte  di  S.  Bar- 
tolomeo; le  guerre  religiose,  la  lega  santa,  due  Re  che  consecu- 
tivamente cadono  sotto  il  coltello  dei  fanatici  sono  fatti,  che  non 
hanno  ancora  acquistato  il  mistero  dell'antichità,  dei  quali  i  testi- 
moni oculari  non  devono  essere  rari  ;  alla  presa  della  Roccella, 
ultimo  episodio  del  periodo  storico  che  abbiamo  accennato,  hanno 
potuto  assistere  tutti  coloro,  che  appena  varcarono  la  prima  gio- 
ventù ;  quasi  nessuno  osa  esprimere  i  suoi  dubbi  sull'esistenza  dei 
folletti  e  delle  streghe,  e  trentasette  anni  sono  appena  trascorsi 
dal  di  che,  come  strega,  fu  bruciata  la  moglie  del  maresciallo 
d'Ancre.  Un  secolo  dopo  Montesquieu  è  già  vecchio,  Voltaire  e 
Rousseau  sono  adulti,  l'Enciclopedia,  se  non  pubblicata,  è  già  ma- 


GAP.    I    -    IL    METODO    SELLA    SCIENZA    POLITICA  33 

tura  nel  mondo  intellettuale,  la  rivoluzione  dell' ottantanove  nelle 
idee,  nelle  credenze,  nei  costumi  si  può  dire  quasi  compiuta.  E, 
senza  andar  cercando  altri  esempi  lontani,  guardiamo  i  paesi  più 
noti  dell'Europa  presente,  Flnghilterra,  la  Germania,  l'Italia,  la 
Spagna.  Certo  la  rivoluzione  intellettuale  e  morale,  die  si  svolse 
nell'ultimo  secolo  in  queste  nazioni,  se  fosse  stata  una  conse- 
guenza di  modificazioni  organiche  degli  individui  che  le  com- 
pongono, avrebbe  richiesto  per  lo  meno  qualche  dozzina  di  gene- 
razioni (1). 

D'altra  parte  anche  gli  esempi  di  rapide  decadenze  di  nazioni 
e  di  civiltà  intere  non  sono  rari.  Si  cerca  di  spiegarle  attribuen- 
dole alle  invasioni  ed  alle  distruzioni  dei  barbari,  ma  si  dimentica 
che,  perchè  un  paese  civile  possa  diventare  preda  dei  barbari, 
deve  essere  caduto  in  uno  stato  di  grande  esaurimento  e  di  grande 
disorganizzazione,  che  sono  conseguenza  della  dissoluzione  morale 
e  politica  ;  giacché,  nel  caso  contrario,  una  maggiore  civiltà  pre- 
suppone sempre  una  popolazione  maggiore  e  cognizioni  e  mezzi 
di  offesa  e  di  difesa  più  potenti  ed  efficaci.  La  (3hina  è  stata  con- 
quistata due  volte  dai  Mongoli  o  Tartari  e  l'India  parecchie  volte 
dai  Turchi,  dai  Tartari,  dagli  Afgani,  ma  la  civiltà  chinese  ed 
indiana  al  momento  delle  invasioni  erano  già  entrate  in  periodi 
di  decadenza. 

E  questa  decadenza  spontanea  dei  popoli  civili  in  alcuni  casi  si 
può  quasi  matematicamente  accertare.  Tutti  gli  orientalisti  sanno 
che  l'antichissima  fra  tutte  le  antiche  civiltà  egiziane,  quella  che 
canalizzò  il  Nilo,  inventò  la  scrittura  geroglifica,  costruì  le  grandi 
piramidi,  si  ecclissò  spontaneamente  e  scomparve  senza  che  sinora 
se  ne  siano  potute  conoscere  le  ragioni.  Vi  furono  guerre  civili^ 
ecco  tutto  quello   che  si  sa,    e   poi  l'oscurità  e  la  barbarie,  dalle 


(1)  In  alcune  regioni  che  per  cause  particolari  erano  rimaste  indietro  dal 
movimento  generale  dell'Europa,  la  trasformazione  che  abbiamo  accennato  è 
stata  più  rapida  e  sopratutto  più  profonda.  Chi  conosce  anche  superficialmente 
la  storia  della  Scozia  e  della  Sicilia  potrà  fare  un  rapido  paragone  fra  lo  stato 
sociale  del  primo  di  questi  paesi  nel  1745  e  quello  che  aveva  raggiunto  nel  1845, 
e  fra  le  condizioni  sociali  della  Sicilia  nel  1812  e  quelle  odierne.  11  rapido 
incivilimento  dei  montanari  scozzesi  è  stato  anche  osservato  dal  Colajanni, 
nell'opera  già  citata,  e  da  altri  autori. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Sciensa  Politica.  S 


34  RLBMENTX    IJl    SCIENZA    l'UMTIOA 

quali,  dopo  più  di  quattro  secoli,  si  vede  spontaneamente  sorgere 
una  nuova  civiltà  (1). 

Babilonia,  che  per  tanti  e  tanti  secoli  era  stata  un  focolare  di 
civiltà,  non  fu  distrutta  dai  suoi  conquistatori,  nò  da  Ciro,  ne  da 
Dario,  né  da  Alessandro,  decadde  e  scomparve  dalla  scena  del 
mondo  per  lenta  consunzione,  per  disfacimento  spontaneo.  L'im- 
pero romano  d'occidente  si  dice  che  sia  stato  distrutto  dai  barbari, 
ma  chi  conosce  anche  mediocremente  la  storia  sa  che  i  barbari 
non  ammazzarono  che  un  cadavere,  sa  quanto  grande  sia  stata  la 
decadenza  nell'arte,  nella  letteratura,  nella  ricchezza,  nell'ammi- 
nistrazione, in  tutti  i  rami  insomma  della  romana  civiltà  da  Marco 
Aurelio  a  Diocleziano;  epoca  nella  quale  i  barbari  non  fecero  che 
scorrere  temporaneamente  qualche  provincia,  ma  non  si  stabi- 
lirono in  alcuna  parte  dell'impero,  né  ebbero  modo  di  farvi  danni 
duraturi  (2).  Senza  che  fosse  perturbata  da  alcuna  invasione  od 
elemento  straniero,  la  Spagna  della  seconda  metà  del  secolo  de- 
cimosettimo non  era  più  che  l'ombra  di  quel  x>9,ese,  che,  un 
secolo  prima  era  la  Spagna  di  Carlo  V  e  che  mezzo  secolo  prima, 
aveva  avuto  Cervantes,  Lopez  de  Vega  e  Quevedo  (3). 


(I)Lenoemant  scrive  (Histoire  ancienne  de  l'Orient,  voi.  Il,  cap.  II,  Paris,  1881) 
che  *  a  datare  dai  torbidi  e  dalle  guerre  civili  nelle  quali  perì  Nitocri 
(Nit-aqrit)  un'eclisse  subitanea  e  finora  inesplicabile  si  produsse  nella  civiltà 
egiziana.  Dalla  fine  della  VI  dinastia  al  cominciare  della  XI  Manetone  conta 
436  anni,  durante  i  quali  i  monumenti  sono  assolutamente  muti.  L'Egitto 
allora  sembra  di  essere  sparito  dal  numero  delle  nazioni  e  quando  la  civiltà 
riappare  sembra  che  ricominci  il  suo  corso  senza  tradizione  del  passato  „. 
L'A.  a  dir  vero  non  esclude  che  durante  questo  periodo  non  siano  avvenute 
invasioni  straniere,  ma,  oltre  che  di  esse  non  vi  è  alcuna  traccia  nei  monu- 
menti e  nelle  iscrizioni,  è  certo  ad  ogni  modo  che  dovettero  seguire  non  pre- 
cedere la  decadenza  della  prima  civiltà  egiziana. 

(2)  È  forse  un'eccezione  la  grande  invasione  dei  Goti  avvenuta  sotto  l'im- 
peratore Decio  e  che  fu  respinta  da  Claudio  II.  Ma  essa  desolò  le  provincie 
orientali  dell'impero,  paesi  dove  la  civiltà  greco-romana  dovea  durare  ancora 
per  lunghissimi  secoli. 

(3)  Di  questa  rapidissima  decadenza  della  penisola  iberica  si  dà  la'^colpa  alla 
cacciata  dei  Mori,  avvenuta  principalmente  nel  1609  sotto  Filippo  III.  Ma  la 
cacciata  dei  Mori  non  poteva  danneggiare  che  alcune  provincie,  parte  cioè  di 
Valenza  e  dell'Andalusia,  che  furono  poi  quelle  che  meno  soflrirono  nell'esau- 
rimento generale  della  Spagna.  Il  Portogallo  e  l'Italia,  che  decaddero  contem- 
poraneamente alla  Spagna  sebbene  in  modo  meno  sensibile,  non  ebbero  certo 
a  soffrire  della  cacciata  dei  Mori. 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  35 

Tutti  questi  fatti  si  spiegano  molto  male  o  meglio  non  si  spie- 
gano affatto  con  la  teoria  dell'evoluzione  organica  e  superorga- 
nica  e  della  selezione  naturale.  Stando  ad  essa  un  popolo  più 
civile  dovrebbe  essere  più  epurato  e  migliorato  dalla  lotta  per 
l'esistenza,  e  per  via  dell'eredità  avrebbe  dovuto  acquistare  sugli 
altri  un  vantaggio,  che,  nella  corsa  delle  nazioni  attraverso  i  secoli, 
non  si  capisce  perchè  poi  dovrebbe  perdere.  Al  contrario  noi  ve- 
diamo una  nazione,  un  gruppo  di  popoli,  ora  lanciarsi  con  impeto 
irresistibile  avanti,  ora  accasciarsi  e  miseramente  restare  indietro. 
Si  può  invero  notare  un  movimento  di  progi'esso,  che,  nonostante 
le  interruzioni  e  le  lacune,  spinge  l'umanità  sempre  più  avanti, 
e  la  civiltà  odierna  della  razza  ariana  è  infatti  superiore  a  tutte 
le  precedenti,  ma  bisogna  riflettere  che  ogni  nuovo  popolo,  il  quale 
ha  la  fortuna  di  diventare  civile,  ha  molto  meno  cammino  a  fare 
e  disperde  una  quantità  infinitamente  minore  di  forze,  perchè  esso 
eredita  la  esperienza  e  le  cognizioni  positive  di  tutte  le  civiltà 
che  l'hanno  preceduto. 

Certo  che  i  Germani  di  Tacito  non  sarebbero  arrivati  in  diciotto 
secoli  a  formare  centri  di  cultura  come  Londra,  Berlino,  New- 
York  se  avessero  dovuto  inventare  essi  la  scrittura  alfabetica,  i 
primi  elementi  delle  matematiche  e  tutto  quel  tesoro  immenso  di 
cognizioni,  che  appresero  mercè  il  contatto  coi  Greci  e  coi  Romani. 
Né  la  civiltà  ellenica  e  la  civiltà  romana  avrebbero  tanto  progre- 
dito senza  le  infiltrazioni  delle  antiche  civiltà  orientali,  alle  quali 
appunto  esse  dovettero  la  nozione  dell'alfabeto  e  dei  primi  rudi- 
menti delle  scienze  esatte.  Adunque  piuttosto  che  per  la  via  del- 
l'eredità organica  la  civiltà  umana  progredisce  per  quella  della 
eredità  scientifica  ;  possono  restare  stazionari,  o  anche  diventar 
barbari,  i  discendenti  di  un  popolo  civile  e  gli  studi  dei  loro 
padri  feconderanno  la  civiltà  nascente  di  orde  incolte  che  si  tro- 
veranno in  condizioni  favorevoli  per  accogliere  quei  benefici 
germi  (1). 


(1)  Rammentiamo  ad  esempio  che  gli  Anglo-Sassoni  moderni  non  discendono 
già  dai  Romani  e  dai  Greci,  non  dai  Semiti  della  Siria,  fra  i  quali  nacque 
quella  religione  che  ha  così  fortemente  fissato  la  sua  impronta  nei  popoli 
della  Gran  Bretagna  e  delle  sue  colonie,  non  dagli  Arabi  a  cui  si  debbono 
tante  delle  cognizioni  fisiche  e  matematiche,  che  gli  Inglesi  e  gli  Americani 
moderni  hanno  così  maravigliosamente  applicato  e  fecondato.  Essi  sono  eredi 


36  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

A  dir  vero  si  riconosce  anche  dagli  evoluzionisti  il  fatto  che, 
prima  della  razza  ariana  e  segnatamente  del  ramo  germanico  di 
essa,  altre  razze  sono  arrivate  alla  civiltà;  ma  si  aggiunge  che 
queste  razze  sono  decadute  o  rimaste  stazionarie  perchè  invec- 
chiate^ od,  in  altri  termini,  perchè  hanno  esaurito  tutta  quella 
somma  di  energia  intellettuale  e  morale  di  cui  potevano  disporre. 
Veramente  questa  idea  della  vecchiaia  di  alcune  razze  ci  ])are 
l'effetto  di  un'analogia  del  tutto  apparente  fra  la  vita  dell'individuo 
e  quella  della  comunità  ;  mentre,  stando  ai  fatti  che  noi  vediamo, 
siccome  i  membri  di  quest'ultima  si  riproducono  sempre  ed  ogni 
nuova  generazione  ha  tutto  il  vigore  della  gioventù,  un'intera  so- 
cietà non  può  diventare  vecchia  come  accade  all'individuo  quando 
le  sue  forze  cominciano  a  declinare  (1).  Né,  a  nostra  conoscenza, 
è  stata  mai  accertata  alcuna  differenza  organica  fra  gl'individui  di 
una  società  che  progredisce  e  quelli  di  un'altra  società  che  decade. 

Le  società  in  decadenza  invecchiano  perchè  cambia  il  tipo  del- 
l'organizzazione sociale  ;  invecchiano  allora,  o  meglio  si  sfatano 
lentamente,  le  credenze  religiose,  i  costumi,  i  x^regiudizi  e  le  tra- 
dizioni sulle  quali  le  istituzioni  politiche  e  sociali  sono  fondate  : 
ma  questi  sono  tutti  elementi  sociali  il  cui  variare  dipende  dal- 
l'intervento di  nuovi  fattori  storici  coi  quali  un  popolo  si  può  tro- 
vare in  contatto,  o  anche  da  una  lenta  e  spontanea  elaborazione 
intellettuale,  morale  e  sociale,  che  in  seno  allo  stesso  si  può  pro- 
dm-re.  Sicché  è  molto,  ma  molto  arrischiato  l'asserire  che  i  cam- 
biamenti nella  costituzione  fisica  della  razza  vi  possano  entrare 
per  qualche  cosa  (2). 

Del  resto  questa  credenza  che  tutte  le  civiltà  extra-ariane,  l'egi- 
ziana, la  babilonese,  quella   chinese  antica  e  moderna  siano  state 


non  del  sangue,  ma  delle  elaborazioni  scientifiche  e  psicologiche  dei  popoli 
summentovati.  Alle  volte  un  popolo  può  valersi,  risorgendo  a  civiltà,  del  la- 
vorìo intellettuale  e  morale  dei  suoi  antenati,  che,  dopo  essere  stati  civili, 
erano  ricaduti  nella  barbarie.  Tale  fu  il  caso  degli  Egiziani  antichi  e  degli 
Italiani  del  Rinascimento;  ma  questo  fatto,  a  volerlo  considerar  bene,  fornisce 
un  altro  argomento  contro  la  teoria  che  fa  dipendere  il  progresso  sociale  dalla 
eredità  organica. 

(1)  Quest'ultima  osservazione  l'abbiamo  tolta  dal  GEORaE,  opera  citata,  capo 
ultimo. 

(2)  È  difficile  provare  che  i  cervelli  dei  Francesi  contemporanei  di  Voltaire 
erano  diversamente  conformati  di  quelli  dei  loro  padri,  che  avevano  fatto  la 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  37 

e  siano  uniformemente  immobili  ci  pare  proprio  l'effetto  di  un 
errore  d'ottica,  proveniente  dal  fatto  clie  noi  le  vediamo  molto  da 
lontano.  E  il  caso  delle  montagne,  che,  da  lontano  sotto  il  cielo 
limpido  e  trasparente  della  Sicilia,  sembrano  belle  mm-aglie  az- 
zurre, che,  perpendicolarmente  ed  uniformemente,  chiudono  l'oriz- 
zonte e  che,  da  vicino,  poi  si  vede  che  sono  tutt'altra  cosa:  perchè 
ognuna  comprende  un  piccolo  mondo  speciale  di  salite,  di  discese, 
di  accidentalità  di  ogni  genere.  Non  possiamo  raccontare  qui,  nep- 
pure sommariamente,  le  vicende  di  Babilonia,  di  Tebe,  di  Menfi, 
ma  lo  studio  dei  monumenti  caldei  ed  egiziani  ci  ha  informato  in  modo 
omai  non  dubbio,  che  degli  alti  e  dei  bassi,  delle  decadenze  e  delle 
epoche  di  risorgimento  e  di  progTesso  ce  ne  furono  parecchie, 
tanto  sulle  rive  del  Nilo  che  su  quelle  dell'Eufrate  e  del  Tigri  (1). 
E  quanto  alla  China,  è  vero  che  la  sua  civiltà  è  durata  maravi- 
gliosamente e  senza  interruzione  parecchie  migliaia  d'anni,  ma 
non  è  a  dire  che  sia  stata  sempre  la  stessa:  quel  tanto  che  sap- 
piamo della  storia  chinese  basta  ad  assicurarci  che  l'organizzazione 
politica  e  sociale  del  Celeste  impero  ha  subito,  nel  corso  dei  secoli, 
fortissime  modificazioni  (2). 

XV.  —  Il  Letourneau  nel  suo  libro  intitolato  "Evoluzione  della 
morale  „  fa  derivare  il  progresso  delle  società  umane  da  un  pro- 
cesso organico,  per  il  quale  le  azioni  buone,  che  sarebbero  poi  le 
azioni  utili  (3),  lasciano  una  traccia  nel  cervello  e  nei  centri  ner- 


strage  di  S.  Bartolomeo  e  la  lega  santa.  Si  può  invece  agevolmente  dimostrare 
che,  in  poco  più  di  un  secolo  e  mezzo,  si  erano  profondamente  modificati  lo 
stato  economico  e  politico  e  l'ambiente  intellettuale  della  Francia. 

(1)  Vedi  Lenormant,  Maspero,  Brugsch,  ecc. 

(2)  Basti  osservare  che  la  China  ha  avuto  anch'essa  il  suo  periodo  feudale 
e  che,  almeno  fino  a  poco  tempo  fa,  era  retta  da  una  burocrazia  che  si  reclutava 
per  mezzo  di  concorsi.  Anche  la  religione  ed  il  regime  della  proprietà  vi 
hanno  subito  vicissitudini  diversissime.  Vedi  Rousset,  A  travers  la  Chine.  Parie, 
1879,  Hachette;  Mktchnikof,  La  civilisation  et  les  grandes  (lenves  historiques. 
Paris,  1889,  Hachette;  Élisée  Réclus,  Nouvelle  géographie  nniverselle,  voi.  VII. 
Paris,  1882,  Hachette. 

(3)  Utili  per  chi?  Per  l'individuo  che  le  commette  o  per  la  società?  Pur 
troppo  le  due  utilità  sono  molto  separate  e  distinte  e  ci  pare  che  ci  voglia... 
assai  poca  pratica  del  mondo  per  sostenere  che  un'azione  utile  per  la  società 
riesca  generalmente  tale  per  l'individuo  che  la  fa  e  viceversa. 


38  BLEMBNTI    VI    SCIENZA    COLITICA 

vosi  dell'individuo  che  le  fa,  traccia  che,  ripetuta  diverse  volte, 
produce  una  tendenza  verso  la  continuazione  dello  stesso  atto,  la 
qual  tendenza  si  trasmette  poi  ai  discendenti.  Si  può  domandare 
perchè  non  lasciano  la  stessa  traccia  le  azioni  cattive  od  inutili.  Ma 
ascoltiamo  l'autore  :  egli  scrive  che  "come  i  corjìi  suscettibili  di  fosfo- 
rescenza si  ricordano  della  luce,  cosi  la  cellula  nervosa  si  ricorda  dei 
suoi  atti  intimi,  ma  attenendosi  a  modi  infinitamente  più  tenaci  e 
svariati.  Ogni  atto  al  quale  ha  presieduto  la  cellula  nervosa,  vi  lascia 
una  specie  di  residuo  funzionale,  che  nell'avvenire  ne  faciliterà  la 
ripetizione  e  qualche  volta  la  provocherà.  In  effetto  questa  ripeti- 
zione diverrà  sempre  più  facile  e  finirà  anche  col  compiersi  spon- 
taneamente ed  automaticamente.  La  cellula  nervosa  avrà  allora 
acquistato  un"inclinazione,  un'abitudine,  un  istinto,  vm  bisogno  „  (1). 
E  più  avanti  :  "  Le  cellule  nervose  sono  per  eccellenza  degli  ap- 
parecchi d impregnazione  ;  qualunque  corrente  d'attività  moleco- 
lare le  traversi  vi  lascia  più  o  meno  una  traccia,  che  tende  a  ri- 
vivere. Con  una  ripetizione  sufficiente  degli  atti  queste  traccie 
s'organizzano^  si  fissano,  si  trasmettono  ereditariamente  ed  a  cia- 
scuna di  esse  corrisponde  una  tendenza,  un"inclinazione,  che  si 
manifesterà  all'occasione  e  contribuirà  a  costituire  ciò  che  si  chiama 
il  carattere.  Bisogna  tener  presente  questa  veduta  generale  se  si 
vuole  capire  l'origine  e  l'evoluzione  della  morale  „.  E  più  avanti 
ancora,  ribadendo  sempre  lo  stesso  concetto,  aggiunge  :  "  Nei  suoi 
tratti  essenziali  ciò  che  è  etico  è  utilitario  e  progressivo.  Pertanto 
una  volta  formate,  impiantate  nei  centri  nervosi,  le  inclinazioni 
morali  o  immorali  non  si  spengono  che  lentamente  come  esse  si 
sono  formate.  Spesso  anche  riappariscono  per  atavismo  ed  allora 
si  vedono  sorgere  nel  seno  di  una  società  relativamente  incivilita 
dei  tipi  morali  dell'epoca  della  pietra,  ovvero  dei  tipi  eroici  in 
mezzo  ad  una  civiltà  mercantile  „.  Ci  pare  che  questi  brani  ba- 
stino per  avere  un'idea  abbastanza  precisa  e  coscienziosa  del  con- 
cetto fondamentale  dello  scrittore.  Essi  sono  inoltre  sufficienti  per 
fornire  un  concetto  abbastanza  chiaro  degli  argomenti  di  tutta 
quella  scuola,  che  pone  le  scienze  antropologiche  a  fondamento 
della  sociologia. 


(1)  Letournead,  L'évolution  de  la  morale.  Paris,  1887.  I  brani  riportati  sono 
nella  lezione  seconda,  nella  quale  l'A.  spiega  l'origine  delle  inclinazioni 
(penchants)  morali,  e  nella  ventesima. 


IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  39 


Le  ipotesi  però,  per  quanto  belle  ed  ardite,  nella  scienza  hanno 
un  valore  solo  quando  sono  confermate  dall'esperienza,  ossia  da 
dimostrazioni  a  base  di  fatti  :  ad  ogni  modo  noi  non  vogliamo 
ora  discutere  l'autenticità  di  tutto  quel  j)rocedimento  organico, 
elle,  nel  libro  del  Letourneau,  troviamo  così  nettamente  e  cosi  si- 
curamente esposto.  Ma  i  fatti  sono  sempre  i  fatti,  essi  hanno  lo 
stesso  valore  scientifico,  sia  che  siano  tratti  dallo  studio  delle  cel- 
lule nervose,  dal  colore  dei  capelli  e  dalla  misurazione  dei  crani 
delle  varie  razze  e  dalla  osservazione  delle  società  animali,  oppure 
dallo  studio  della  storia  umana.  L'unica  classificazione  per  ordine 
d'importanza,  che  si  xjossa  ammettere  tra  essi,  è  quella  tra  fatti 
bene  accertati,  che,  ad  esempio,  non  sono  stati  trovati  ed  asseriti 
da  coloro  stessi,  che  vi  hanno  sopra  fabbricato  le  loro  teorie,  e 
fatti  dubbi,  male  accertati,  che  hanno  subito  l'influenza  dei  precon- 
cetti dell'osservatore.  Or  tutta  la  storia  ampiamente  dimostra  come 
il  progresso  delle  società  umane  non  segua  quel  corso  che  do- 
vrebbe seguire  se  le  teorie  della  scuola  antropologica  fossero 
esatte:  sicché  per  accettarle  bisogna  che  esse  subiscano  almeno 
una  modificazione.  Si  deve  cioè  ammettere  che  l'uomo  civile  o 
capace  di  civiltà^  il  quale  non  è  certo  comparso  ieri  sulla  faccia 
del  mondo,  ha  subito  nelle  sue  cellule  nervose  tante  e  cosi  varie 
impressioni  morali  da  rendergli  possibili  le  tendenze  e  le  abitu- 
dini più  disparate  :  tanto  quelle  che  conducono  una  società  verso 
il  progresso  intellettuale,  morale  e  politico,  quanto  le  altre,  che  la 
portano  alla  decadenza  ed  al  disfacimento  (1). 

XVI.  —  Ma,  cosi  ridotta,  la  teoria  antropologica  non  ha  più 
alcun    valore    pratico,  non   c'insegna  ne  ci  può  insegnare  alcuna 


(1)  Avevamo  già  scritto  queste  pagine  quando  abbiamo  letto  un  articolo  di 
Alfred  Fouillée  (La  psycholocjie  des  peuples  et  l' a nthr apologie  nella  *  Revue 
des  Deux  Mondes  „  del  25  marzo  1895).  In  esso  si  sostiene  presso  u  poco  e 
con  alcuni  argomenti  analoghi  la  tesi  che  noi  abbiamo  propugnata;  l'A.,  ad 
esempio,  scrive  che  "  Ics  facteurs  ethniques  du  caractère  national  ne  sont  ni 
les  seules,  ni  les  plus  importanta,  l'uniformité  de  l'instruction,  de  l'édueatiou, 
dee  croyances  communes  compensent,  et  au  delà,  les  diversités  des  familles 
ethniques  ,.  Anche  il  Colajanni  e  il  Metchnikof,  nelle  opere  citate,  combattono 
fortemente  e  brillantemente  coloro  che  amano  esagerare  l'importanza  della 
razza  come  fattore  sociale. 


40  efjEmenti  di  scienza  politica 

cosa,  che  già  non  sappiamo,  e  vai  meglio  di  tentar  di  raggiungere 
risultati  scientifici  per  altra  via,  per  (guanto  ardua  questa  possa 
essere.  La  verità  è  che,  come  fondandosi  sulla  varietà  dei  climi, 
nessuna  legge  generale  si  ò  potuta  trovare  intorno  all'organizza- 
zione delle  società  umane  ed  alla  varietà  dei  tipi,  che  esse  presen- 
tano, cosi  non  se  ne  è  trovata  alcuna  che  sia  basata  sulla  diversità 
delle  razze  e  che  è  impossibile  attribuire  al  loro  miglioramento 
od  alla  decadenza  organica  il  progresso  o  la  rovina  delle  nazioni. 
Chi  ha  molto  viaggiato  ordinariamente  viene  nell'opinione  che 
gli  uomini,  sotto  le  apparenti  differenze  di  costumi  e  di  abitu- 
dini, in  fondo  psicologicamente  si  somigliano  moltissimo  ;  chi  ha 
molto  letto  la  storia  acquista  una  convinzione  analoga  per  quel 
che  riguarda  le  varie  epoche  della  umana  civiltà  :  scorrendo  i  do- 
cumenti i  quali  c'informano  come  gli  uomini  di  un  altro  tempo 
sentirono,  pensarono,  vissero,  la  conclusione  alla  quale  si  arriva  è 
sempre  identica  :  che  essi  erano  molto  simili  a  noi  (1).  Questa  so- 
miglianza psicologica,  il  fatto  che  le  grandi  razze,  che  formano  i 
quattro  quinti  dell'umanità,  si  sono  mostrate  capaci  di  svariatis- 
sime  vicende  di  progresso  e  di  decadenza,  ci  induce  a  porre  avanti 
l'ipotesi,  che  è  anche  il  risultato  di  tutte  le  indagini  negative  che 
abbiamo  già  fatto,  che  come  l'uomo  o  almeno  le  grandi  razze 
umane,  hanno  la  tendenza  costante  a  costituirsi  in  società,  cosi 
devono  avere  tendenze  psicologiche  ugualmente  forti  e  costanti, 
che  le  spingono  verso  un  grado  sempre  maggiore  di  cultura  e  di 
progresso  sociale,  tendenze  che  però  agiscono  con  più  o  meno  forza, 
o  possono  essere  anche  soffocate,  a  seconda  che  trovano  più  o 
meno  favorevole  l'ambiente  fisico,  quel  complesso  di  circostanze 
che  si  chiama  il  caso  fortuito  (2)  ed  anche  a  seconda  che  sono  più 


(1)  La  somiglianza  psicologica  è  sempre  maggiore  fra  popoli,  che  hanno 
raggiunto  un  grado  di  civiltà,  se  non  uguale,  non  troppo  diverso,  anziché  fra 
quelli  che  sono  più  vicini  cronologicamente  ed  etnograficamente.  Un  Italiano 
od  un  Tedesco  moderno  è  piìi  vicino  nel  suo  modo  di  pensare  ad  un  Greco 
dell'epoca  di  Platone  e  di  Aristotile  anziché  ad  un  suo  antenato  del  Medio 
Evo.  Basta  consultare  la  letteratura  delle  diverse  epoche  per  accorgersi  che 
questa  asserzione  è  esatta. 

(5)  Per  convincersi  che  ciò  che  si  chiama  il  caso  fortuito,  cioè  una  serie  di 
circostanze  che  sfuggono  all'azione  ed  alla  previdenza  umana,  ha  un'influenza 
nella  sorte  dei  popoli,  basta  tener  presente  che  finora  non  raramente  la  sorte 
di  una  nazione  è  stata  decisa  dall'esito  di  una  battaglia  (ad  esempio,  a  Platea, 


CAP,    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  41 

o  meno  combattute  dall'ambiente  sociale,  cioè  da  altre  tendenze 
psicologiche  egualmente  generali  e  costanti  (*). 

In  fondo  è  un  processo  organico,  per  quanto  più  complicato, 
simile  a  quello  che  avviene  in  tutta  la  natura  animale  e  vegetale. 
Una  pianta  ha  la  tendenza  fortissima  ad  espandersi  e  moltipli- 
carsi, tendenza  che  può  essere  agevolata  o  combattuta  dall'am- 
biente fisico,  dalle  condizioni  cioè  di  umidità  e  di  clima,  dal  caso 
fortuito  rappresentato  dal  vento  e  dagli  uccelli,  che  ne  propagano 
o  disperdono  i  semi^  e  da  qualità  proprie,  cioè  dalla  maggiore  o 
minore  resistenza,  che  oppone  alle  malattie  che  la  colpiscono.  Si- 
mile pure  è  il  procedimento  che  avviene  in  quel  ramo  dell'atti- 
vità sociale,  che  è  stato  a  preferenza  degli  altri  studiato,  cioè  nella 
produzione  della  ricchezza  :  produzione  la  quale  ha  una  ten- 
denza indefinita  ad  aumentare ,  che  è  più  o  meno  ostacolata 
dalle  difficoltà  naturali,  fino  ad  un  certo  punto  dal  caso  fortuito 
ed  anche  dall'ignoranza,  dalla  soverchia  ingordigia  e  dai  pregiu- 
dizi umani. 

L'uomo  non  crea  uè  distrugge  alcuna  delle  forze  della  natui'a, 
però  può  studiarne  il  gioco  e  l'andamento  e  dirigerlo  a  suo  pro- 
fitto. E  cosi  che  agisce  nell'agricoltura,  nella  navigazione,  nella 
meccanica  ;  è  cosi  che  in  questi  rami  di  attività  la  scienza  mo- 
derna ha  potuto  raggiungere  risultati  quasi  miracolosi.  Il  metodo 
certo  non  può  essere  diverso  quando  si  tratta  delle  scienze  sociali; 
e  infatti  è  quello  stesso  che  ha  dato  finora  discreti  risultati  nel- 
l'Economia politica.  Senonchè  non  è  da  dissimularsi  che  nelle 
scienze  sociali  in  genere  le  difficoltà  da  superare  sono  immensa- 
mente maggiori  :  giacché  non  solo  la  più  grande  complessità  delle 


a  Zama,  a  Xeres,  a  Poitiers,  ad  Hastings),  e  nell'esito  delle  battaglie,  special- 
mente prima  che  la  guerra  fosse  combattuta  con  criteri  scientifici,  il  caso  for- 
tuito ha  avuto  gran  parte. 

(*)  Queste  pagine  furono  scritte  nel  1894,  noi  non  le  rinneghiamo;  ma 
oggi  un  più  attento  studio  ci  ha  indotto  ad  attribuire  maggiore  importanza 
al  coefficiente  etnico.  Crediamo  infatti  che,  come  dimostra  assai  bene  il  Le  Bon 
{J.es  Opinions  et  les  Croyances.  Paris,  Flammarion,  1911,  libro  VI),  il  passato 
di  un  popolo,  che  in  certo  modo  s'identifica  con  la  razza  alla  quale  appar- 
tiene, determini  in  esso  la  formazione  di  abitudini  e  di  tendenze  intellettuali 
e  sopratutto  morali,  le  quali,  appunto  perchè  si  sono  formate  attraverso  un 
lungo  corso  di  generazioni  umane,  hanno  talora  bisogno  di  molti  secoli  perchè 
siano  sostanzialmente  modificate. 


42  ELEMENTI    DI    SCIENZA    l'OLITIOA 

leggi  psicologiche,  o  tendenze  costanti  comuni  alle  masse  umane, 
rende  più  diffìcile  il  determinarne  l'azione,  ma  è  indiscutibile  che 
è  più  agevole  l'osservazione  dei  fatti  che  si  svolgono  attorno  a 
noi,  anziché  quella  dei  fatti,  che  sono  opera  nostra.  L'uomo  può 
studiare  molto  più  agevolmente  i  fenomeni  della  fisica,  della  chi- 
mica, della  botanica,  anziché  i  propri  istinti  e  le  proprie  pas- 
sioni (1).  E  bisogna  anche  confessare  che  la  necessaria  obietti- 
vità per  condurre  con  buon  risultato  questo  genere  di  osservazioni 
sarà  sempre  privilegio  di  una  ristretta  frazione  d'individui  dotati 
di  attitudini  speciali  e  di  una  particolare  educazione  intellettuale, 
e,  dato  che  questi  individui  possano  raggiungere  risultati  scienti- 
fici, è  molto  problematico  che  riescano  a  modificare  in  base  ad 
essi  l'azione  politica  delle  grandi  società  umane  (2). 

XVn.  —  Qualunque  possa  essere  nell'avvenire  l'efficacia  pra- 
tica della  scienza  politica  è  indiscutibile  che  i  progressi  di  questa 
disciplina  sono  tutti  fondati  sullo  studio  dei  fatti  sociali  e  che 
questi  fatti  non  si  possono  cavare  che  dalla  storia  delle  diverse  na- 
zioni. In  altre  i)arole  se  la  scienza  politica  deve  essere  fondata 
sullo  studio  e  l'osservazione  dei  fatti  politici  è  all'antico  metodo 
storico  che  bisogna  tornare. 

Contro  questo  metodo  si  elevano  diverse  obiezioni  più  o  meno 
gravi,  alle  quali  brevemente  risponderemo. 

Si  dice  prima  di  tutto  che  moltissimi  autori,  a  cominciare  da 
Aristotile  continuando  con  Machiavelli  e  Montesquieu  fino  ai  giorni 
nostri,  hanno  questo  metodo  usato,  e  che,  malgrado  che  molte  delle 
loro  osservazioni  parziali  siano  universalmente  riconosciute  come 


(1)  È  il  caso  di  rammentare  i  pregiudizi  diversi  che,  secondo  lo  Spencer,  si 
oppongono  al  progresso  delle  scienze  sociali.  Certo  lo  studioso  di  scienza  po- 
litica deve  riguardare  le  nazionalità,  le  religioni,  i  partiti,  le  dottrine  politiche 
obiettivamente  e  solo  come  fenomeni  dello  spirito  umano.  Ma  il  precetto  è 
più  facile  a  darsi  che  ad  essere  applicato,  e  per  la  sua  applicazione  occorrono 
nell'osservatore  un'attitudine  speciale  e  sopra  tutto  un  lunghissimo  studio  della 
storia  umana,  che  contribuisce  moltissimo  a  sviluppare  quell'obiettività  di 
vedute  alla  quale  abbiamo  accennato. 

(2)  Non  bisogna  dimenticare  quello  che  avviene  neH'Eeouomia  politica.  Il 
libero  scambio,  ad  esempio,  è  dai  cultori  spassionati  di  questa  scienza  unani- 
memente giudicato  come  vantaggioso,  ed  intanto  le  nazioni  più  civili  tornano 
al  più  feroce  protezionismo. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA 


fondate  e  come  verità  scientificamente  acquisite,  pure  un  vero  si- 
stema scientifico  ancora  non  si  è  trovato. 

Ma  del  metodo  storico  in  particolare  si  può  dire  quello  che  ab- 
biamo già  detto  del  metodo  positivo  in  genere,  che  per  dare  buoni 
risultati  deve  essere  bene  applicato.  Or  per  bene  applicarlo,  con- 
dizione indispensabile  è  il  conoscere  la  storia  largamente  ed  esat- 
tamente, e  ciò  non  era  nella  possibilità  né  di  Aristotile,  ne  di 
Machiavelli  o  di  Montesquieu,  ne  di  alcun  altro  scrittore,  che  fosse 
vissuto  solo  più  di  mezzo  secolo  addietro.  Le  grandi  sintesi  non  possono 
essere  tentate  che  dopo  che  si  ha  una  collezione  grandissima  di 
fatti  studiati  ed  accertati  con  criterio  scientifico  ;  certo  anche  nei 
secoli  scorsi  delle  nozioni  storiche  non  mancavano,  ma  esse  erano 
quasi  unicamente  ristrette  a  singoli  periodi:  fino  agli  inizi  del  secolo 
scorso  si  conosceva  forse  in  qualche  modo  la  civiltà  greco-romana  e  la 
storia  delle  nazioni  moderne  europee,  ma  sul  passato  del  resto  del 
mondo  non  si  sapevano  se  non  favole  vaghissime  ed  incerte  tra- 
dizioni. Ed  anche  nella  ristretta  parte  della  storia,  che  abbiamo 
accennato,  le  nozioni  che  si  possedevano  non  erano  perfette  ;  non 
era  ancora  sviluppato  il  senso  critico,  mancava  quella  paziente 
ricerca  dei  documenti,  quella  minuziosa  ed  accurata  inter]3retazione 
delle  inscrizioni,  che,  non  solo  ha  precisato  megHo  le  linee  gene- 
rali delle  azioni  dei  gTandi  personaggi  storici,  ma  ci  ha  rivelato 
tutti  quei  dettagli  delle  consuetudini  sociali  e  dell'organizzazione 
politica  ed  amministrativa  dei  diversi  popoli,  che  sono  interessanti 
per  lo  studio  della  scienza  politica  assai  più  delle  gesta  personali 
dei  grandi  guerrieri  e  dei  sovrani. 

La  conoscenza  esatta  della  geografia  fisica,  l'etnologia  e  la  filo- 
logia comparata,  che  illuminano  sulle  origini  ed  i  rapporti  di  con- 
sanguineità delle  nazioni,  la  preistoria,  che  ha  posto  in  evidenza 
Tantichità  del  genere  umano  e  di  alcune  civiltà,  la  interpretazione 
degli  alfabeti  geroglifico,  cuneiforme  ed  indiano  antico,  che  ci 
hanno  svelato  i  misteri  delle  civiltà  orientali  ora  estinte,  sono 
conquiste  del  secolo  decimonono.  Ugualmente  in  questo  secolo  si 
sono,  almeno  in  parte,  tolti  i  misteri,  che  avviluppavano  la  storia 
della  China,  del  Giappone  e  di  altre  nazioni  dell'estremo  oriente, 
e  si  sono  in  parte  scoperti,  in  parte  più  accuratamente  studiati  i 
ricordi  delle  antiche  civiltà  americane.  In  questo  secolo  infine  è 
invalso  l'uso  degli  studi  statistici  comparati,  che  ci  rendono  facile 
la  conoscenza  delle  condizioni  di  popoli  lontanissimi.  Indiscutibil- 


44  KLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

mente  se  lo  studioso  di  sciensse  sociali  poteva  prima  intuire,  ora 
soltanto  ci  ha  i  mezzi  per  osservare  in  grande,  gli  strumenti  ed  i 
materiali  per  provare. 

Aristotile  non  conosceva  che  imperfettissimamente  la  storia 
delle  grandi  monarchie  asiatiche;  le  sue  cognizioni  probabilmente 
si  limitavano  a  quanto  ne  avevano  scritto  Erodoto  e  Senofonte,  ed  a 
quanto  ne  aveva  potuto  sapere  dai  seguaci  di  Alessandro,  che 
poco  capivano  i  i)aesi  che  conquistavano.  Sicché  in  fondo  altro 
tipo  politico  non  avea  famigliare  che  lo  Stato  greco  del  quarto  e 
del  quinto  secolo  avanti  Cristo  e  poco  o  nulla  di  esatto  avea  po- 
tuto apprendere  sul  resto  del  mondo  :  in  queste  condizioni  la  sua 
Politica  rappresenta  uno  sforzo  intellettuale  maraviglioso  e  la  sua 
classificazione  dei  governi  in  monarchie,  aristocrazie  e  democrazie, 
che  ora  si  potrebbe  giudicare  incompleta  e  superficiale,  allora  certo 
era  quanto  di  meglio  la  mente  umana  potea  escogitare.  Machia- 
velli ebbe  per  modello  quasi  esclusivo  dello  stato  il  Comune  ita- 
liano della  fine  del  quattrocento,  colle  sue  alternative  di  tirannide 
e  di  anarchia,  nel  quale  il  potere  si  conquistava  e  si  perdeva  per 
un  giuoco  di  violenze  e  furberie,  che  facea  guadagnare  la  partita 
a  chi  sa]pea  meglio  mentire  e  dava  l'ultimo  colpo  di  pugnale  :  si 
comprende  che  questo  modello  abbia  colpito  tanto  il  suo  spirito 
da  fargli  scrivere  il  Principe.  La  conoscenza  quasi  esclusiva  che 
avea  della  storia  romana,  come  si  poteva  apprendere  ai  suoi  tempi, 
e  di  quella  delle  grandi  monarchie  moderne,  che  poco  avanti  a  lui 
eransi  formate,  spiegano  i  Discorsi  sulle  Decadi,  le  Storie  e  le  sue 
lettere.  —  Montesquieu  non  i)oteva  conoscere  la  storia  deirOriente 
molto  meglio  di  Aristotile,  né  quella  greca  e  romana  assai  più  pro- 
fondamente di  Machiavelli,  e  le  maggiori  cognizioni  che  avea  sugli 
istituti  e  la  storia  della  Francia,  dell'Inghilterra  e  della  Germania, 
a  preferenza  di  quelli  degli  altri  paesi,  danno  la  spiegazione  della 
sua  teoria  secondo  la  quale  la  libertà  politica  sarebbe  solo  possi- 
bile nei  paesi  freddi. 

XVIII.  —  Un'altra  obiezione  si  fa  al  metodo  storico,  la  quale 
se  non  più  fondata  è  certo  più  speciosa,  e  tale  che  agli  occhi  di 
alcuni  può  parere  molto  grave  e  perfino  insuperabile.  Essa  si  basa 
sulla  poca  attendibilità  dei  materiali  storici.  Si  dice  infatti  comu- 
nemente che  tutti  gli  sforzi  degli  storici  spesso  non  giungono  a 
scoprire  la  verità,  che  frequentemente  è  diffìcile  accertare  preci- 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  45 

samente  come  realmente  siano  accaduti  fatti  che  si  sono  svolti 
nel  corso  dell'anno  e  nella  nostra  città,  sicché  si  può  ritenere  come 
impossibile  di  ottenere  racconti  degni  di  fede  quando  si  tratta  di 
epoche  e  paesi  lontani.  Non  si  manca  di  rilevare  le  contradizioni  che 
esistono  tra  i  diversi  storici  e  le  smentite,  che  l'un  l'altro  si  danno, 
le  passioni  da  cui  ordinariamente  sono  animati  e  se  ne  conclude 
che  nessuna  deduzione  sicura,  nessuna  vera  scienza  si  può  trarre  da 
fatti  che  sono  sempre  molto  dubbi  e  imperfettamente  conosciuti. 

A  questi  argomenti  la  risposta  non  è  ardua.  E  prima  di  tutto 
osserviamo  di  passaggio  che  i  fatti  contemporanei  non  appuriamo 
esattamente  solo  quando  non  abbiamo  né  l'interesse  né  i  mezzi 
di  conoscere  la  verità,  oppure  quando  vi  sono  interessi  contrari, 
che  vi  si  oppongono.  Se  quest'ostacolo  non  vi  fosse,  ognuno  che 
volesse  impiegarvi  tempo  ed  un  po'  di  danaro,  potrebbe  sempre, 
in  mezzo  alle  varie  versioni,  alle  ciarle  ed  ai  si  dice,  trovare, 
per  mezzo  di  un'inchiesta  più  o  meno  lunga,  come  presso  a  poco 
un  fatto  realmente  sia  accaduto.  Or,  pei  fatti  storici,  quanto  più 
antichi  sono  tanto  più  tacciono  gì'  interessi,  che  mirano  ad  alte- 
rarne la  esatta  nozione,  e  si  deve  supporre  che  lo  storico  abbia  pa- 
zienza e  tempo  sufficienti  per  appurare  intorno  ad  essi  la  verità. 

Di  ben  altra  importanza  è  una  seconda  osservazione,  che  ora 
faremo  in  proposito.  I  fatti  storici  sui  quali  regna  e  regnerà 
sempre  la  maggiore  incertezza  sono  quelli  aneddottici  e  biografici 
che  possono  interessare  la  vanità  od  il  tornaconto  di  un  uomo, 
di  una  nazione,  di  un  partito.  E  su  questi  principalmente  che  la 
passione  dello  scrittore  può  essere  causa  anche  incosciente  di  er- 
rori ;  ma  fortunatamente,  questo  genere  di  fatti  interessano  me- 
diocremente lo  studioso  di  scienze  politiche,  al  quale  importerà 
ben  poco  se  una  battaglia  sia  stata  vinta  per  merito  di  un  tal 
capitano  o  per  colpa  di  un  altro,  o  se  un  assassinio  politico  sia 
stato  più  o  meno  giustificabile.  Al  contrario  vi  sono  altri  fatti 
che  riguardano  il  tipo  e  l'organizzazione  sociale  dei  vari  popoli  e 
delle  varie  epoche;  e  su  questi  appunto,  che  son  quelli  che  a  pre- 
ferenza c'interessano,  gli  storici,  spontaneamente  e  senza  partito 
preso,  ci  dicono  spesso  la  verità  e  più  che  gli  storici  ci  illuminano 
i  documenti  ed  i  monumenti. 

Ad  es.  probabilmente  non  sapremo  mai  quando  Omero  precisa- 
mente visse,  in  quale  città  nacque,  quali  furono  i  casi  della  sua 
vita,  ma  ciò  ha  un  certo  interesse  per  il  critico  ed  il  letterato  che 


46  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

amerebbero  conoscere  i  più  minuti  particolari  intorno  alla  per- 
sona dell'autore  dell'Iliade  e  della  Odissea,  e  ne  ha  uno  ben  me- 
diocre per  il  politico  che  studia  il  mondo  psicologico  e  sociale 
descritto  dal  gran  poeta,  mondo  che,  per  (juanto  abbellito  dalla 
fantasia  del  vate^  dovette  realmente  esistere  in  epoca  poco  ante- 
riore ad  Omero.  Nessuno  conoscerà  mai  precisamente  quali  siano 
stati  i  torti  ed  i  meriti  di  Temistocle,  come  siano  stati  pronunziati 
i  discorsi  di  Pericle,  quale  fosse  la  gamba  dalla  quale  zoppicava 
Agesilao,  la  razza  del  cane  di  Alcibiade  ed  il  colore  del  cavallo 
di  Alessandro  Magno,  ma  è  indiscutibilmente  provato  che  nel- 
l'Eliade, dal  sesto  al  quarto  secolo  avanti  Cristo,  vi  era  un  tipo 
di  organizzazione  politica^  della  quale  conosciamo  già  bene,  e 
sempre  meglio  conosceremo,  a  misura  che  si  studieranno  le  iscri- 
zioni ed  i  monumenti  che  mano  mano  si  trovano,  le  diverse  va- 
rietà, le  specialità  ed  1  particolari  della  compagine  amministrativa 
economica  e  militare. 

Nessuno  probabilmente  conoscerà  mai  nulla  di  esatto  sulla  vita 
del  Re  egiziano  Kufro  della  IV  dinastia,  malgrado  la  grande  pi- 
ramide, che  egli  si  fece  costruire  per  tomba,  nessuno  avrà  la  bio- 
grafìa di  Ramses  2°  della  XVIII  dinastia,  malgrado  che  resti  il 
poema  di  Pentaur,  che  ne  celebra  le  vittorie  vere  o  supposte  ;  ma 
nessuno  porrà  in  dubbio  che,  trenta  o  quaranta  secoli  avanti  l'èra 
volgare,  eravi  già  nella  valle  del  Nilo  una  società  numerosa^  or- 
ganizzata, civile,  e  che  lo  spirito  umano  dovette  fare  prodigiosi 
sforzi  di  pazienza  e  di  originalità  per  cavarla  dalla  barbarie.  Nes- 
suno può  porre  in.  dubbio  che  questa  società,  modificandosi  sempre 
nel  volger  dei  secoli,  ebbe  credenze  religiose^  cognizioni  scienti- 
fiche e,  talvolta,  cosi  m.aravigliosa  organizzazione  amministrativa 
e  militare,  che  si  potrebbe  quasi  paragonare  a  quella  degli  Stati 
più  civili  dell'era  odierna  (1). 

E  lecito  dubitare  che  Tiberio  e  Nerone  siano  stati  cosi  tristi 
come  Tacito  li  ha  descritti,  che  siasi  esagerata  l'imbecillità  di 
Claudio,  la  lascivia  di  Messalina,  la  passione  di  Caligola  per  il 
suo  cavallo.  Ma  non  si  può  negare  l'esistenza  dell'impero  romano 


(1)  Ad  esempio  vi  furono  epoche  in  cui  alle  cariciie  pubbliche  pare  si  arri- 
vasse per  esami  ed  all'esercito  era  preposta  una  ufficialità  educata  ed  istruita 
in  speciali  scuole  militari. 


IL    MET«DO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  47 


e  la  possibilità  negli  imperatori  di  commettere  malvagità  e  pazzie 
che.  in  altri  tempi  ed  in  altri  tipi  di  organizzazione  politica,  non 
sarebbero  state  tollerate.  Ne  si  può  mettere  in  dubbio  che,  nei  primi 
secoli  dell'era  volgare,  una  grande  civiltà  riunita  politicamente  in 
un  grande  stato  abbracciava  tutto  il  bacino  del  Mediterraneo  :  e  di 
questo  stato  conosciamo  già  abbastanza,  e  sempre  meglio  cono- 
sceremo, la  legislazione  e  la  elaborata  organizzazione  finanziaria, 
amministrativa  e  militare.  Si  può  perfino  supporre  che  Sakia-Muni 
sia  interamente  un  mito,  che  Gesù  Cristo  non  sia  stato  mai  cro- 
cifisso, anzi  che  neppure  abbia  esistito,  ma  nessuno  negherà  mai 
l'esistenza  del  Buddismo  e  del  Cristianesimo  coi  dogmi  e  precetti 
morali  che  li  costituiscono  ;  nessuno  negherà  mai  che  queste  due 
religioni,  poiché  tanto  si  son  diffuse  e  da  tanto  tempo  durano, 
devono  rispondere  a  sentimenti  ed  a  bisogni  psicologici  diffusissimi 
nelle  masse  umane. 

XIX.  —  In  conclusione  dunque,  pm-  ammettendo  che  l'aned- 
doto ed  il  particolare  biografico  abbiano  potuto  influire  sulla  storia 
delle  nazioni,  ci  pare  innegabile  che  essi  possono  dare  ben  poco 
aiuto  nello  scoprire  le  grandi  leggi  psicologiche,  che  si  manife- 
stano nella  vita  delle  nazioni  stesse.  Queste  leggi  svelano  piut- 
tosto la  loro  azione  nelle  istituzioni  amministrative  e  giuridiche, 
nelle  religioni,  in  tutte  le  abitudini  morali  e  politiche  dei  vari 
popoli,  ed  è  quindi  in  questi  ultimi  ordini  di  fatti  che  dobbiamo 
concentrare  la  nostra  attenzione. 

Ed  intorno  a  questi  fatti  crediamo  difficile  e  scarsamente  utile 
stabilire  dei  criteri  precisi  di  preferenza.  In  verità  qualunque  no- 
tizia, sia  storica  o  contemporanea,  che  riguardi  le  istituzioni  di 
un  popolo  politicamente  organizzato,  che  sia  cioè  riunito  in  masse 
piuttosto  numerose  e  che  abbia  raggiunto  un  certo  grado  di  una 
qualunque  civiltà,  può  essere  molto  interessante.  Se  una  raccoman- 
dazione si  può  fare  in  proposito  è  questa  :  che  si  sfugga  dal  rica- 
vare tutte  le  osservazioni  da  un  gruppo  di  organismi  politici,  che 
appartengono  allo  stesso  periodo  storico  o  presentino  lo  stesso,  o 
poco  dissimile,  tipo  di  civiltà  (1).  Lo  Spencer,  come  abbiamo  già 


(1)  Ad  esempio,  se  si  tien  presente  soltanto  la   storia  degh  stati  greci  del- 
l'epoca di  Pericle,  si  può  credere  che  la  storia  del    mondo    consista    soltanto 


48  ELBMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

accennato,  nei  suoi  Primi  principi  di  sociologia  ha  cercato  di  pre- 
munire gli  studiosi  di  scienze  sociali  contro  quelli  che  egli  chiama 
pregiudizi;  che  consistono  in  certe  abitudini  dello  spirito  umano, 
per  le  quali  l'osservatore  vede  i  fatti  sociali  sotto  un  punto  di 
vista  subiettivo  unilaterale  e  ristretto,  che  necessariamente  i)roduce 
dei  risultati  erronei.  Or,  per  riparare  a  quest'inconveniente,  non 
basta  avvertire  chi  può  cadervi  che  l'inconveniente  esiste,  ma  bi- 
sogna che  il  suo  spirito  sia  preparato  in  maniera  da  evitarlo.  In- 
fatti l'aver  la  nozione  del  pregiudizio  politico,  del  pregiudizio 
nazionale  e  di  quello  religioso  o  antireligioso  non  toglie  che  una 
persona,  la  quale  è  stata  educata  nella  credenza  che  una  data 
forma  di  governo  basti  a  rigenerare  l'umanità,  che  la  sua  nazione 
è  la  prima  dell'universo,  che  la  sua  religione  è  la  sola  verace  o 
che  il  progresso  umano  consista  nella  distruzione  di  tutte  le  reli- 
gioni, quando  viene  all'applicazione  pratica  delle  teoriche  spence- 
riane,  non  cada  in  uno  o  in  parecchi  dei  pregiudizi  enumerati.  La 
vera  salvaguardia  contro  questa  specie  di  errori  sta  nel  sapere 
elevare  il  proprio  criterio  al  di  sopra  delle  credenze  ed  opinioni 
che  sono  generali  nella  propria  epoca  o  in  quel  tipo  sociale  o  na- 
zionale di  cui  facciamo  parte  ;  il  che,  riportandoci  ad  un  concetto 
già  accennato,  corrisponde  all'avere  studiato  molti  fatti  sociali,  a 
conoscer  bene  e  molto  la  storia,  non  già  di  un  periodo  o  di  un 
popolo,  ma  possibilmente  dell'umanità. 

XX.  —  Ai  giorni  nostri,  od  almeno  fino  a  poco  tempo  fa,  è 
prevalsa  negli  studi  sociali  la  tendenza  a  considerare  con  speciale 
cura  gli  organismi  politici  più  semplici  e  più  primitivi,  cioè  quelli 
delle  tribù  selvaggie;  e  tutte  le  circostanze,  che  ad  esse  si  riferi- 
scono, sono  state  attentamente  notate  e  registrate  (1).  Le  relazioni 


nella  lotta  della  democrazia  coll'aristocrazia  (o  meglio  di  due  oligarchie,  l'una 
più  ristretta,  l'altra  più  larga)  e  dell'ellenismo  coi  barbari.  Se  si  pon  mente 
alla  sola  storia  dell'Europa  dal  mille  cinquecento  al  mille  seicento,  si  può 
conchiudere  che  tutto  il  movimento  dell'umanità  siasi  esplicato  nella  lotta  fra 
Cattolici  e  Protestanti  e  fra  la  civiltà  europea  e  la  maomettana. 

(1)  Alcuni  sociologi  anzi  rimontano  più  avanti  ed  analizzano  attentamente 
le  società  animali,  e  negli  alveari  delle  api,  nei  formicai,  negli  strupi  dei  qua- 
drupedi e  dei  quadrumani  rintracciano  le  prime  origini  di  quei  sentimenti 
sociali,  che  poi  si  manifestano  completamente  nei  grandi  organismi  politici 
umani. 


GAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  49 

dei  viaggiatori,  che  fra  queste  tribù  hanno  dimorato,  hanno  perciò 
acquistato  una  particolare  importanza  e  riempiono  i  moderni  libri 
di  Sociologia. 

Or  noi  non  diremo  che  questi  studi  siano  completamente  inutili, 
giacché  è  difficile  trovare  un'applicazione  qualsiasi  dello  spirito 
umano,  che  resti  completamente  infeconda;  ma  certo  non  ci  sem- 
brano i  più  adatti  a  fornire  solidi  materiali  alle  scienze  sociali  in 
genere  ed  alla  scienza  politica  in  ispecie.  E,  prima  di  tutto,  fac- 
ciamo osservare  che  le  relazioni  dei  viaggiatori  sono  ordinaria- 
mente più  subiettive,  più  incerte  e  contradittorie  dei  racconti  degli 
storici  e  sopratutto  meno  soggette  al  controllo  dei  documenti  e 
dei  monumenti.  Un  individuo,  che  si  trova  in  mezzo  a  uomini  di 
una  civiltà  molto  differente  di  quella  alla  quale  è  abituato,  gene- 
ralmente li  osserva  a  preferenza  da  certi  punti  di  vista  sj)eciali, 
e  perciò  può  facilmente  prendere  abbagli  ed  errori.  Erodoto,  che 
fu  il  più  gran  viaggiatore  dell'antichità  ed  osservatore,  come  ora 
si  è  riscontrato,  non  superficiale  e  coscienzioso,  molte  cose  riferi 
erroneamente,  appunto  perchè,  abituato  alla  civiltà  greca,  mal 
sapea  spiegarsi  certi  fenomeni  delle  civiltà  orientali  :  e  se  si  po- 
tessero controllare  le  relazioni  dei  viaggiatori  moderni  su  docu- 
menti autentici,  come  si  è  fatto  qualche  volta  con  quelle  di  Erodoto, 
non  crediamo  che  le  troveremmo  più  esatte  (1). 

In  secondo  luogo  poi,  e  ci  par  questo  argomento  decisivo,  i  fatti 
sociali  non  si  xjossono  raccogliere  che  nelle  società  umane,  e  per 
società  non  si  deve  intendere  un'agglomerazione  di  poche  famiglie, 
ma  ciò  che  comunemente  dicesi  una  nazione,  un  popolo,  uno  stato. 
Le  forze  psicologiche  sociali  non  si  possono  sviluppare  e  non  pos- 
sono avere  la  loro  applicazione  che  nei  grandi  organismi  politici, 
cioè  colà  dove  esistono  numerose  riunioni  di  uomini  moralmente 
e  politicamente   uniti.    Nel  grupi)o  primitivo,   nella  tribù  di  cin- 


(1)  Crediamo  che,  per  illuminarci  sulle  vere  condizioni  sociali  di  un  dato 
popolo,  valga  più  un  documento  autentico  come  le  leggi  di  Manìi,  i  frammenti 
delle  Dodici  Tavole  o  il  Codice  di  Rotari,  che  le  relazioni  di  parecchi  viag- 
giatori contemporanei.  Ammettiamo  però  che  la  relazione  del  viaggiatore 
potrebbe  servire  molto  utilmente  per  illustrare  e  commentare  il  documento. 
E  superfluo  ricordare  che,  trattandoci  di  tribii  selvaggie,  i  documenti  mancane 
allatto. 

(}.  Mosca,  Eminenti  <ìi  Scienza  Politica.  t 


50  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


quanta  o  cento  individui,  il  problema  politico  quasi  non  esiste  e 
quindi  non  si  può  studiare. 

Ad  esempio  è  molto  facile  spiegarsi  la  monarchia  in  una  di 
quelle  tribù  che  abbiamo  accennato,  nelle  quali  il  maschio  più 
forte  e  più  scaltro  facilmente  s'impone  ai  i^ochi  compagni;  ma 
occorrono  ben  altri  elementi  ijer  potere  darsi  ragione  dello  stabi- 
lirsi di  questa  istituzione  in  società  di  milioni  di  individui,  nelle 
quali  un  solo  non  si  può  materialmente  imporre  alla  totalità  degli 
altri  e,  per  quanto  abile  ed  energico,  troverà  facilmente  nella 
massa  centinaia  di  individui  che,  almeno  potenzialmente,  sono 
abili  ed  energici  quanto  lui.  Si  comprende  pure  facilmente  come 
poche  decine  ed  anche  poche  centinaia  d'individui,  che  vivono  in- 
sieme, restando  isolati  moralmente,  se  non  materialmente,  dal 
resto  del  mondo,  presentino  una  data  singolarità  di  tipo  morale, 
ed  abbiano  vivo  il  sentimento  della  tribù  e  della  famiglia.  Ma  il 
comprendere  ciò  ci  aiuta  ben  poco  quando  si  tratta  di  spiegarci 
perchè  una  identità  di  tipo  morale,  un  sentimento  vivissimo  na- 
zionale, esista  in  agglomerazioni  umane  di  decine  e  qualche  volta, 
come  nel  caso  della  Russia  e  della  China,  di  centinaia  di  milioni 
di  persone,  nelle  quali  gli  individui  quasi  sempre  vivono  lonta- 
nissimi gli  uni  dagli  altri,  sono  nella  loro  grandissima  mag- 
gioranza scevri  di  qualunque  reciproco  rapporto  personale,  e,  nei 
loro  vari  gruppi,  presentano  condizioni  di  vita  materiale  molto 
differente. 

Si  dice  che  lo  studio  degli  enti  politici  minuscoli  riesce  utilis- 
simo, perchè  in  essi  si  trovano  in  embrione  tutti  quegli  organi 
sociali  che  poi  si  vanno  mano  mano  svilupx)ando  nelle  società  jjìù 
vaste  e  più  progredite,  e  si  crede  che  riesca  molto  più  facile  esa- 
minarne il  meccanismo  quando  i  detti  organi  sono  rudimentali, 
anziché  quando  divengono  complicati.  Ma  il  paragone,  ormai  cosi 
frequente,  fra  l'organizzazione  delle  società  umane  e  quelle  degli 
individui  del  regno  animale,  giammai  crediamo  che  sia  stato  meno 
calzante  e  meno  opportuno  come  in  questo  caso.  Esso  si  può  ri- 
torcere facilissimamente  contro  la  tesi  a  favore  della  quale  fu 
invocato  ;  giacche  non  crediamo  che  nessun  zoologo  vorrebbe  trar 
lume  dallo  studio  degli  animali  inferiori  per  risolvere  le  quistioni 
riguardanti  l'anatomia  e  la  fisiologia  dei  vertebrati  a  sangue  caldo, 
e  non  è  certo  coll'osservazione  delle  monère  e  dei  polipi  che  si 
sono  scoperte  la  circolazione  del  sangue  ed  accertate  le  funzioni 


CAP.    I    -    IL    METODO    NELLA    SCIENZA    POLITICA  51 

del  cuore,  del  cervello  e  elei  polmoni  nell'uomo  e  negli  altri  ani- 
mali superiori. 

Ed  ora  non  manca  che  un  argomento  ancora,  ma  è  il  più  im- 
portante di  tutti,  per  provare  la  bontà  del  metodo  storico  da  noi 
preferito.  Questo  argomento  consiste  nella  buona  applicazione  del 
detto  metodo  ;  nel  dimostrare  con  l'esempio  pratico  che  esso,  usu- 
fruendo di  tutti  i  materiali  storici,  che  la  scienza  di  questo  secolo 
ha  messo  a  nostra  disposizione,  può  dare  risultati  veramente  scien- 
tifici. Ciò  tenteremo  di  fare  negli   altri  capitoli  di  questo  lavoro. 


\iy    xU    \iy    \V    \f/    sV    %'•    \<^ 


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CAPITOLO  II. 
La  classe  politica. 

I.  Predoniiniu  di  una  classe  dirigente  in  tutte  le  società.  —  II.  Importanza  politica 
di  questo  fatto.  —  HI.  Prevalenza  delle  minoranze  organizzate  sulle  maggio- 
ranze. —  IV.  Forze  politiche.  Il  valor  militare.  —  V.  La  ricchezza.  —  VI.  Le 
credenze  religiose  e  la  cultura  scientifica.  —  VII.  Influenza  dell'eredità  nella 
classe  politica.  —  VIII.  Periodi  di  stabilità  e  di  rinnovamento  della  classe  po- 
litica. 

L  —  Fra  le  tendenze  ed  i  fatti  costanti,  che  si  trovano  in 
tutti  gli  organismi  politici,  uno  ve  n'è  la  cui  evidenza  può  essere 
facilmente  a  tutti  manifesta:  in  tutte  le  società,  a  cominciare  da 
quelle  più  mediocremente  sviluppate  e  che  sono  appena  arrivate 
ai  primordi  della  civiltà,  fino  alle  più  colte  e  più  forti,  esistono 
due  classi  di  persone:  quella  dei  governanti  e  l'altra  dei  gover- 
nati. La  prima,  che  è  sempre  la  meno  numerosa,  adempie  a  tutte 
le  funzioni  politiche,  monopolizza  il  i^otere  e  gode  i  vantaggi 
che  ad  esso  sono  uniti;  mentre  la  seconda,  più  numerosa,  è  diretta 
e  regolata  dalla  prima  in  modo  più  o  meno  legale,  ovvero  più  o 
meno  arbitrario  e  violento,  e  ad  essa  fornisce,  almeno  apparente- 
mente, i  mezzi  materiali  di  sussistenza  e  quelli  che  alla  vitalità 
dell'organismo  politico  sono  necessari. 

Nella  pratica  della  vita  tutti  riconosciamo  l'esistenza  di  questa 
classe  dirigente  o  classe  politica,  come  altra  volta  ebbimo  a  de- 
finirla (1).  Sappiamo  infatti  che  nel   nostro    paese    alla  direzione 


(1)  Mosca,  Teorica  dei  Governi  e  Governo  parlamentare,  cap.  1°.  Torino,  1884, 
Loeecher. 


CAP.    II    -    LA    CLASSE   POLITICA  53 

(Iella  cosa  pubblica  vi  è  una  minoranza  di  persone  influenti,  di 
'ui  la  maggioranza  subisce,  di  buon  grado  o  malgrado,  la  dire- 
zione e  che  lo  stesso  avviene  nei  paesi  vicini,  e  non  sapremmo 
quasi  nella  realtà  immaginare  un  mondo  organizzato  diversamente, 
nel  quale  tutti  ugualmente  e  senza  alcuna  gerarchia  fossero  sot- 
toposti ad  un  solo  o  tutti  ugualmente  dirigessero  le  cose  politiche. 
Se  in  teoria  ragioniamo  altrimenti  ciò  è  in  parte  l'effetto  di  abi- 
tudini inveterate  nel  nostro  pensiero  ed  in  parte  è  dovuto  alla  so- 
verchia importanza  che  diamo  a  due  fatti  politici,  la  cui  appari- 
scenza è  d'assai  superiore  alla  realtà. 

Il  primo  di  essi  consiste  nella  facile  constatazione  che  in  ogni 
organismo  politico  vi  è  semi^re  una  persona  che  è  capo  della 
gerarchia  di  tutta  la  classe  politica  e  dirige  ciò  che  si  chiama  il 
timone  dello  Stato.  Questa  persona  non  sempre  è  quella  che  legal- 
mente avrebbe  il  supremo  potere,  alle  volte  anzi,  accanto  al  Re  od 
all'Imperatore  ereditario  vi  è  un  primo  ministro  o  un  maestro  di  pa- 
lazzo che  ha  un  potere  effettivo  maggiore  di  quello  del  Sovrano,  od, 
in  luogo  del  Presidente  elettivo,  governa  l'uomo  politico  influente, 
che  l'ha  fatto  eleggere.  Qualche  volta,  per  circostanze  speciali, 
invece  di  una  persona  sola  sono  due  o  tre  quelle  che  adempiono 
a  quest'ufficio  della  suprema  direzione. 

Il  secondo  fatto  è  anch'esso  di  facile  percezione,  perchè  qua- 
lunque sia  il  tipo  di  organizzazione  sociale,  agevolmente  si  può 
constatare  che  la  pressione  proveniente  dal  malcontento  dalla  massa 
dei  governati,  le  passioni  da  cui  essa  è  agitata  possono  esercitare 
una  certa  influenza  sull'indirizzo  dalla  classe  politica. 

Ma  Tuomo  che  è  a  capo  dello  Stato  non  potrebbe  eerto  governare 
senza  l'appoggio  di  una  classe  numerosa,  che  i  suoi  ordini  fa  ese- 
guire e  rispettare,  e  se  egli  può  far  sentire  il  peso  della  sua  pos- 
sanza ad  uno  od  a  parecchi  dei  singoli  individui,  che  a  questa  classe 
appartengono,  non  può  certo  urtarla  nel  suo  complesso  e  distrug- 
gerla. Giacché,  dato  che  ciò  fosse  possibile,  dovrebbe  subito  ricosti- 
tuirne un'altra,  senza  di  che  la  sua  azione  sarebbe  completamente 
annullata.  E  d'altra  parte,  ammesso  anche  che  il  malcontento 
delle  masse  riuscisse  a  detronizzare  la  classe  diligente,  dovrebbe 
necessariamente  trovarsi,  come  più  avanti  meglio  dimostreremo, 
nel  seno  delle  masse  stesse  un'altra  minoranza  organizzata,  clie 
all'ufficio  di  classe  dirigente  adempisse.  Altrimenti  qualunque  or- 
ganizzazione e  qualunque  compagine  sociale  sarebbe  distnitta. 


54  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

II.  —  Ciò  che  poi  costituisce  la  vera  superiorità  della  classe 
politica,  come  base  di  ricerche  scientifiche,  è  Timportanza  prepon- 
derante che  la  sua  varia  costituzione  ha  nel  determinare  il  tipo 
politico  ed  anche  il  grado  di  civiltà  dei  diversi  popoli.  Stando  in- 
fatti a  quella  maniera  di  classificare  le  forme  dei  governi,  che  è 
ancora  in  voga,  la  Turchia  e  la  Russia  erano  fino  a  qualche 
anno  fa  tutte  e  due  monarchie  assolute,  l'Inghilterra  e  l'Italia 
monarchie  costituzionali  e  la  Francia  e  gli  Stati  Uniti  andreb- 
bero poste  nella  categoria  delle  Repubbliche.  Questa  classificazione 
è  basata  sul  fatto  che,  nei  primi  due  paesi,  il  capo  dello  Stato  è 
ereditario  ed  era  nominalmente  onnipotente,  nei  secondi,  pur  es- 
sendo ereditario,  ha  facoltà  ed  attribuzioni  limitate,  negli  ultimi 
infine  è  elettivo.  Ma  la  classificazione  è  evidentemente  superficiale. 

Giacché  appare  subito  che  ben  poco  di  comune  v'è  nella  maniera 
come  sono  ed  erano  rette  politicamente  la  Russia  e  la  Turchia, 
assai  diverso  essendo  il  grado  di  civiltà  di  questi  due  paesi  e  l'ordi- 
namento delle  loro  classi  politiche:  e,  seguendo  lo  stesso  criterio, 
troviamo  il  regime  dell'Italia  monarchica  assai  più  analogo  a 
quello  della  Francia  repubblicana  che  a  quello  dell'Inghilterra 
ugualmente  monarchica,  ed  importantissime  differenze  esservi 
fra  l'ordinamento  politico  degli  Stati  Uniti  e  quello  della  Francia 
stessa,  sebbene  ambidue  i  j)aesi  siano  retti  a  repubblica. 

Come  poco  avanti  abbiamo  accennato,  lunghe  abitudini  di  pen- 
siero si  sono  opposte  e  si  oppongono  su  questo  punto  al  progresso 
scientifico.  La  classificazione  da  noi  accennata,  che  divide  i  Go- 
verni in  monarchie  assolute,  temperate  e  repubbliche  è  opera  di 
Montesquieu  che  la  sostituì  a  quella  classica,  che  già  avea  fatto 
Aristotele,  il  quale  li  divideva  in  monarchie,  aristocrazie  e  demo- 
crazie (1).  Da  Polibio  a  Montesquieu  molti  autori  aveano  perfezio- 
nato la  classificazione  aristotelica  sviluppandola  nella  teoria  dei  Go- 
verni misti.  Poi  la  corrente  democratica  moderna,  che  ebbe  il  suo 
inizio  con  Rousseau,  si  fondò  sul  concetto  che  la  maggioranza  dei 
cittadini  di  uno  Stato  possa,  anzi  debba  partecipare  alla  vita  poli- 


(1)  Si  sa  che  quella  che  Aristotele  chiamò  democrazia  non  era  che  un'  ari- 
stocrazia più  larga,  e  lo  stesso  Aristotele  avrebbe  potuto  osservare  che.  iu 
ogni  Stato  greco,  aristocratico  o  democratico  che  fosse,  vi  erano  sempre  una 
0  pochissime  persone  che  aveano  un'influenza  preponderante. 


CAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA 


tica  ;  e  la  dottrina  della  sovranità  poiDolare,  malgrado  che  la 
scienza  moderna  renda  sempre  più  manifesta  la  coesistenza  in 
ogni  organismo  politico  del  principio  democratico,  del  monarchico 
e  dell'aristocratico  (1),  s'impone  ancora  a  moltissime  menti.  Noi 
qui  non  la  confuteremo  direttamente,  giacché  a  questo  compito 
adempiamo  in  tutto  il  complesso  del  nostro  lavoro,  e  perchè  è  assai 
difiicile  in  poche  pagine  distruggere  in  una  mente  umana  tutto  un 
sistema  d'idee,  che  vi  si  è  radicato;  giacché,  come  bene  scrisse  il 
Las  Casas  nella  vita  di  Cristoforo  Colombo,  il  (ìisimparare  è 
in  molti  casi  più  difficile  àeVCimparare. 

III.  —  Fin  da  ora  però  crediamo  utile  di  rispondere  ad  una 
obiezione,  la  quale  ci  pare  che  molto  facilmente  si  possa  fare  al 
nostro  modo  di  vedere.  Se  è  agevole  il  comi^rendere  che  un  solo 
non  possa  comandare  ad  una  massa  senza  che  ci  sia  in  essa  una 
minoranza  che  lo  sostenga,  è  piuttosto  difficile  l'ammettere  come 
un  fatto  costante  e  naturale,  che  le  minoranze  comandino  alle 
maggioranze  anziché  queste  a  quelle.  Ma  è  questo  uno  dei  punti, 
come  tanti  se  ne  danno  in  tutte  le  altre  scienze,  in  cui  la  prima 
apparenza  delle  cose  è  contraria  alla  loro  realtà.  Nel  fatto  é  fatale 
la  prevalenza  di  una  minoranza  organizzata,  che  obbedisce  ad 
unico  impulso,  sulla  maggioranza  disorganizzata.  La  forza  di 
qualsiasi  minoranza  è  irresistibile  di  fronte  ad  ogni  individuo 
della  maggioranza,  il  quale  si  trova  solo  davanti  alla  totalità 
della  minoranza  organizzata;  e  nello  stesso  tempo  si  può  dire 
che  questa  è  organizzata  appunto  perché  é  minoranza.  Cento,  che 
agiscano  sempre  di  concerto  e  d'intesa  gli  uni  cogli  altri,  trion- 
feranno su  mille  presi  ad  uno  ad  uno  e  che  non  avranno  alcun 
accordo  fra  loro  ;  e  nello  stesso  tempo  sarà  ai  primi  molto  più 
facile  l'agire  di  concerto  e  l'avere  un'intesa,  i^erché  son  cento  e 
non  mille. 

Da  questo  fatto  si  ricava  facilmente  la  conseguenza  che,  quanto 
più  è  grande  una  comunità  politica,  altrettanto  minore  può  essere 
la  proporzione  della  minoranza  governante  rispetto  alla  maggio- 
ranza governata,  e  tanto  più  difficile  riesce  a  questa  l'organizzarsi 
per  reagire  contro  di  quella. 


(1)  Fra  gli  autori  che  ammettono  questa  coesistenza  basta  citare  Io  Spencer. 


56  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Però,  oltre  al  vantaggio  grandissimo  che  viene  dall'organizza- 
zione, le  minoranze  governanti  ordinariamente  sono  costituite  in 
maniera  che  gl'individui  che  le  compongono,  si  distinguono  dalla 
massa  dei  governati  por  certe  qualità,  che  danno  loro  una  certa 
superiorità  materiale  ed  intellettuale  od  anche  morale,  oppure 
sono  gli  eredi  di  coloro  che  queste  qualità  possedevano:  essi  in 
altre  parole  devono  avere  qualche  requisito,  vero  od  apparente, 
che  è  fortemente  apprezzato  e  molto  si  fa  valere  nella  società 
nella  quale  vivono. 

IV.  —  Nelle  Società  primitive,  che  sono  ancora  nel  primo 
stadio  della  loro  costituzione,  la  qualità  che  più  facilmente  apre 
l'accesso  alla  classe  politica  o  dirigente,  è  il  valor  militare.  La 
guerra,  che  nelle  società  di  avanzata  civiltà  è  uno  stato  eccezio- 
nale, può  essere  considerata  quasi  come  normale  in  quelle  che 
sono  all'inizio  del  loro  sviluppo,  ed  allora  gl'individui  che  spie- 
gano in  essa  migliori  attitudini  acquistano  facilmente  la  supre- 
mazia sugli  altri:  i  più  bravi  diventano  i  capi.  Il  fatto  è  costante, 
ma  le  modalità  che  può  assumere,  secondo  i  casi,  sono  alquanto 
diverse. 

Ordinariamente  il  dominio  di  una  classe  guerriera  sopra  una 
moltitudine  pacifica  si  suole  attribuire  alla  sovi'apposizione  delle 
razze,  alla  conquista,  che  un  popolo  bellicoso  fa  di  un  altro  rela- 
tivamente imbelle.  Qualche  volta  infatti  la  cosa  avviene  precisa- 
mente cosi:  e  ne  abbiamo  degli  esempi  nell'India  dopo  le  invasioni 
degli  Arii,  nell'impero  romano  dopo  quelle  dei  popoli  germanici 
e  nel  Messico  dopo  la  conquista  azteca;  ma  più  spesso  ancora,  in 
certe  condizioni  sociali,  vediamo  formarsi  una  classe  guerriera  e 
dominatrice  anche  là  dove  di  conquista  straniera  non  vi  è  assolu- 
tamente traccia.  Finche  un'orda  infatti  vive  esclusivamente  di 
caccia,  allora  tutti  i  suoi  individui  possono  facilmente  tramutarsi 
in  guerrieri  e  vi  saranno  dei  capi,  che  avranno  naturalmente  il 
predominio  nella  tribù,  ma  non  si  avrà  la  formazione  di  una  classe 
bellicosa,  che  sfrutti  e  tuteli  nello  stesso  tempo  un'altra  addetta 
al  lavoro  pacifico.  Ma,  a  misura  che  si  va  lasciando  lo  stadio  ve- 
natorio  e  si  entra  in  quello  agricolo  e  pastorale,  allora,  insieme 
all'aumento  enorme  della  popolazione  ed  alla  maggiore  stabilità 
dei  mezzi  d'influenza  sociale,  può  nascere  la  divisione  più  o  meno 
netta  in  due  classi:  l'ima  consacrata  esclusivamente  al  lavoro  aurri- 


CAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA  57 

colo,  l'altra  alla  guerra.  Se  ciò  avviene,  è  inevitabile  che  rultima 
acquisti  poco  a  poco  tale  preponderanza  sulla  prima  da  poterla 
impunemente  opprimere. 

La  Polonia  offre  un  esempio  caratteristico  del  cambiamento 
graduale  della  classe  guerriera  in  classe  assolutamente  domina- 
trice. In  origine  i  Polacchi  aveano  quell'ordinamento  del  comune 
rurale  che  era  prevalso  fra  tutti  i  popoli  slavi,  ne  eravi  fra  loro 
distinzione  alcuna  fra  guerrieri  ed  agricoltori,  ossia  nobili  e  con- 
tadini. Però,  dopo  che  fissaronsi  nelle  grandi  pianure  dove  scorre 
la  Vistola  ed  il  Niemen,  cominciando  a  svilupparsi  fra  essi  l'a- 
gricoltura e  nello  stesso  tempo  continuando  la  necessità  di  guerreg- 
giare contro  bellicosi  vicini,  i  capi  delle  tribù  o  icoiewodi  si  circon- 
darono di  un  certo  numero  di  individui  scelti,  i  quali  ebbero  come 
occupazione  speciale  quella  delle  armi.  Essi  erano  divisi  nelle  varie 
comunità  rurali  ed  erano  naturalmente  esentati  dai  lavori  agri- 
coli, pur  ricevendo  la  loro  porzione  dei  j)rodotti  della  terra,  alla 
quale,  come  gli  altri  comunisti,  aveano  diritto.  Nei  primi  tempi 
la  loro  posizione  non  era  molto  ricercata  e  vi  ebbero  esempi  di 
paesani,  che  rifiutavano  l'esenzione  dei  lavori  agTicoli  pur  di  non 
andare  a  combattere  ;  ma.  gradatamente,  come  quest'ordine  di  cose 
si  fece  stabile,  come  una  classe  si  abituò  al  maneggio  delle  armi 
ed  agli  ordinamenti  militari,  mentre  l'altra  vieppiù  incallivasi  nel- 
l'uso dell'aratro  e  della  vanga,  i  guerrieri  divennero  nobili  e  pa- 
droni ed  i  contadini,  da  compagni  e  fratelli,  tramutaronsi  in  villani  e 
servi.  Poco  a  poco  i  bellicosi  signori  moltiplicarono  le  loro  esigenze 
al  punto  che  la  parte,  che  essi  prendevano  come  membri  della 
comunità,  si  allargò  fino  a  comprendere  tutto  il  prodotto  della 
comunità  stessa,  meno  ciò  che  era  assolutamente  necessario  alla 
sussistenza  dei  coltivatori;  e  quando  questi  tentarono  di  fuggire, 
furono  con  la  forza  costretti  a  restar  legati  alla  terra,  assumendo 
cosi  il  loro  stato  i  caratteri  di  una  vera  e  propria  servitù  della 
gleba  (1). 


(1)  Il  Re  Casimiro  11  il  Grande  (1333)  tentò  invano  di  yiorre  un  argine  a 
questo  prepotere  dei  guerrieri  e,  quando  i  paesani  venivano  a  reclamare 
contro  i  nobili,  si  limitava  a  dom.andare  loro  se  non  avessero  bastoni  e 
pietre.  Più  tardi,  nel  1587,  la  nobiltà  imponeva  che  tutti  i  borghesi  delle 
città  fossero  costretti  a  vendere  le  loro  torre,  in  maniera  che  la  proprietà  di 
queste  non  poteva  appartenere  che  a  nobili,  contemporaneamente  faceva  pres- 


58  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POUTIOA 

Evoluzione  analoga  abbiamo  in  Russia.  Colà  i  guerrieri  che  co- 
stituivano la  droujiìia,  ossia  il  seguito  degli  antichi  kniaz  o  ])rin- 
cipi  discendenti  da  Riirick,  ottennero  anch'essi,  per  vivere,  una 
parte  del  reddito  dei  mir^  o  comuni  rurali  dei  contadini.  A  poco 
a  poco  questa  parte  crebbe  e  siccome  la  terra  abbondava  e  le 
braccia  mancavano  ed  i  contadini  ne  profittavano  per  emigrare, 
lo  czar  Boris  Godounof  alla  fine  del  decimosesto  secolo  die  il  di- 
ritto ai  nobili  di  ritenere  con  la  forza  i  contadini  nelle  loro  teiTe, 
dando  cosi  origine  alla  servitù  della  gleba.  Però  in  Russia  giammai 
la  forza  armata  fu  costituita  esclusivamente  dai  nobili  :  i  moiijiks 
o  piccoli  uomini  seguivano  alla  guerra  come  gregari  i  membri 
della  droujina  e  poi,  fin  dal  secolo  sedicesimo,  Ivano  IV  il  Terri- 
bile costituiva  mediante  gli  strelitsi  un  corpo  di  truppe  quasi  stan- 
ziali, che  durò  fino  a  quando  Pietro  il  Grande  lo  sostituì  con  i 
reggimenti  organizzati  secondo  il  tipo  europeo-occidentale,  nei  quali 
gli  antichi  membri  della  droujina,  uniti  a  stranieri,  formarono  il 
corpo  degli  ufficiali,  ed  i  moujiks  diedero  l'intero  contingente  dei 
soldati  (1). 

In  generale  poi,  in  tutti  i  popoli  entrati  recentemente  nello 
stadio  agricolo  e  relativamente  civile,  troviamo  costante  il  fatto 
che  la  classe  i3er  eccellenza  militare  corrisponde  a  quella  politica 
o  dominatrice;  in  qualche  parte  anzi  l'uso  delle  armi  resta  riser- 
vato esclusivamente  a  questa  classe,  come  è  accaduto  nell'  India 
ed  in  Polonia  ;  più  comunemente  avviene  che  anche  i  membri 
della  classe  governata  iDOSsono  essere  eventualmente  arruolati,  ma 
sempre  come  gregari  e  nei  corpi  meno  stimati.  Così  in  Grecia,  al- 
l'epoca delle  guerre  mediche,  i  cittadini  appartenenti  alle  classi 
più  ricche  ed  influenti  costituivano  i  corpi  scelti  dei  cavalieri  e 
degli  opliti,  i  meno  ricchi  combattevano  come  peltasti  o  frombo- 
lieri  e  gli  schiavi,  ossia  la  massa  dei  lavoratori,  era  quasi  comple- 


sione  sul  Re  affinchè  iniziasse  a  Roma  le  pratiche  necessarie  per  ottenere  che 
non  potessero  d'allora  in  poi  essere  ammessi  in  Polonia  negli  ordini  sacri  che 
i  soli  nobili,  volendosi  così  escludere  assolutamente  dalle  cariche  onorifiche 
e  da  ogni  importanza  sociale  i  borghesi  ed  i  contadini.  Vedi  Mickiewicz, 
Slaves,  cap.  IV,  pag.  376-80;  Histoire  lìopulaire  de  Pologne,  cap.  I  e  li.  Pari?, 
1875,  ed.  Hetzel. 

(1)  Leroy-Beaulieu  Anatole,  L'Empire  des  tzars  et  les  Rtisses,  voi.  I,  pag.  338 
e  seg.  Paris,  1881-82,  Hachette. 


GAP.    II    -    LA.    CLASSE    POLITICA  59 

tamente  esentata  dal  maneggio  delle  armi.  Ordinamento  per- 
fettamente analogo  troviamo  nella  Roma  repubblicana  fino  al- 
l'epoca delle  guerre  f)^iiiiche  ed  anche  fino  a  Caio  Mario,  tra  i 
G-alli  all'epoca  di  G-iulio  Cesare  (1),  nell'Europa  latina  e  ger- 
manica del  Medio  Evo,  nella  Russia  testé  citata  ed  in  molti  altri 
lìopoli. 

V.  —  Come  in  Russia  ed  in  Polonia,  come  nell'India  e  nel- 
r  Europa  del  Medio  Evo,  dappertutto  le  classi  guerriere  e  domi- 
natrici si  sono  accaparrata  la  quasi  esclusiva  proprietà  delle  terre, 
che  nei  paesi  non  molto  civili  sono  la  fonte  principalissima  della 
produzione  e  della  ricchezza.  A  misura  poi  che  la  civiltà  va  pro- 
gredendo, il  reddito  di  queste  terre  va  aumentando  (2),  ed  allora, 
se  altre  circostanze  vi  concordano,  può  avvenire  una  trasforma- 
zione sociale  molto  imijortante:  la  qualità  più  caratteristica  della 
classe  dominante  i^iù  che  il  valore  militare  viene  ad  essere  la  ric- 
chezza, i  governanti  sono  i  ricchi  piuttosto  che  i  forti. 

La  princij)ale  condizione  necessaria  perchè  questa  trasforma- 
zione avvenga  è  la  seguente  :  occorre  che  l'organizzazione  sociale 
si  x)erfezioni  e  si  concentri  in  maniera  che  il  presidio  della  forza 
pubblica  diventi  molto  più  efficace  di  quello  della  forza  privata. 
Bisogna,  in  altre  parole,  che  la  proprietà  ijrivata  sia  sufficiente- 
mente tutelata  dalla  forza  pratica  e  reale  delle  leggi  in  modo  da 
rendere  superflua  quella  del  proprietario  stesso.  Ciò  si  ottiene  me- 
diante una  serie  di  graduali  mutamenti  nell'ordinamento  sociale, 
sui  quali  più  avanti  ci  dovremo  piuttosto  lungamente  intrattenere, 
e  che  hanno  per  effetto  di  cambiare  quel  tipo  di  organizzazione 
politica,  che  noi  chiameremo  lo  Stato   feudale,  in  un   altro   tipo, 


(1)  Cesare  fu  rilevare  replicatamente  che  il  nerbo  degli  eserciti  gallici  era 
costituito  dai  cavalieri  reclutati  nella  nobiltà.  Gli  Edui,  ad  esempio,  non  po- 
tevano piìi  resistere  ad  Ariovisto  dopo  che  la  maggior  parte  dei  loro  cava- 
lieri era  stata  uccisa  combattendo. 

(2)  Col  crescere  della  popolazione  suole  crescere,  almeno  in  certe  epoche, 
la  rendita  ricardiana,  segnatamente  perchè  si  creano  quei  grandi  centri  di 
consumo,  che  sono  o  furono  costituiti  da  tutte  le  metropoli  e  dalle  altre 
grandi  città  antiche  e  moderne.  Or  una  popolazione  discretamente  fitta  e  la 
creazione  di  grandi  città  sono  condizioni  quasi  necessarie  di  una  civiltà 
avanzata. 


60  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

essenzialmente  diverso,  che  da  noi  sarà  denominato  Stato  bui'o- 
cratico.  Però  fin  da  ora  possiamo  dire  che  la  evoluzione,  alla  quale 
abbiamo  accennato,  ordinariamente  è  molto  facilitata  dal  progre- 
dire dei  pacifici  costumi  e  da  certe  abitudini  morali,  che  le  società 
contraggono  col  progredire  della  civiltà. 

Una  volta  avvenuta  la  detta  trasformazione  è  certo  che,  come 
il  potere  politico  ha  prodotto  la  ricchezza,  cosi  la  ricchezza  pro- 
duce il  potere.  In  una  società  già  abbastanza  matura,  nella  quale 
la  forza  individuale  è  tenuta  a  freno  da  quella  collettiva,  se  i  po- 
tenti sono  ordinariamente  i  ricchi,  dall'altra  parte  basta  essere 
ricchi  per  diventare  potenti.  Ed  in  verità  è  inevitabile  che,  quando 
è  proibita  la  lotta  a  mano  armata  restando  permessa  quella  a  colpi 
di  scudi,  i  posti  migliori  siano  conquistati  appunto  da  coloro  che 
di  scudi  sono  meglio  forniti. 

Ci  sono  invero  Stati  di  civiltà  avanzatissima,  che  sono  organiz- 
zati in  base  a  principi  morali  di  un'indole  tale,  che  sembrano 
escludere  questa  preponderanza  della  ricchezza  da  noi  enunciata. 
Ma  questo  è  uno  dei  tanti  casi  in  cui  i  principi  teorici  non  hanno 
che  una  limitata  applicazione  nella  realtà  delle  cose.  Negli  Stati 
Uniti  d'America,  ad  esempio,  tutti  i  poteri  escono  direttamente  od 
indirettamente  dalle  elezioni  popolari  ed  il  suffragio  è,  in  quasi 
tutti  gli  Stati,  universale;  e  vi  è  anche  di  più:  la  democrazia  colà 
non  è  solo  nelle  istituzioni^  ma  anche  in  certo  modo  nei  costumi, 
e  vi  è  una  certa  ripugnanza  nei  ricchi  a  darsi  ordinariamente  alla 
vita  X3ubblica  ed  una  certa  ripugnanza  nei  poveri  a  scegliere  i 
ricchi  per  le  cariche  elettive  (1).  Ciò  non  toglie  che  un  ricco  vi  sia 
sempre  molto  più  influente  di  un  povero,  perchè  può  xDagare  i  po- 
liticanti spiantati,  che  dispongono  delle  pubbliche  amministrazioni  ; 
non  toglie  che  le  elezioni  si  facciano  al  suono  dei  dollari;  che 
intieri  parlamenti  locali  e  numerose  frazioni  del  Congresso  non 
risentano  l' influenza  delle  potenti  compagnie  ferroviarie  e  dei 
grandi  baroni  della  finanza.  E  vi  è  perfino  chi  assicura  che,  in 
parecchi  Stati  dell'Unione,  chi  abbia  molto  da  spendere  possa  anche 


(1)  Vedi  Claudio  Jannet,  Le  istituzioni  politiche  negli  Stati  Uniti  d'America, 
parte  II,  cap.  X  e  seg.  ("  Biblioteca  politica  „,  Unione  tipografica  editrice, 
Torino).  L'A.  cita  moltissimi  autori  e  giornali  americani,  che  rendono  la  sua 
asserzione  irrecusabile. 


GAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA  61 

concedersi  il  lusso  di  ammazzare  un  uomo  colla  quasi  sicurezza  del- 
l'impunità (1). 

Anche  nella  China  fino  a  qualche  anno  fa,  il  Gro verno,  sebbene 
non  avesse  accolto  il  principio  dell'elezione  popolare,  era  fon- 
dato sopra  una  base  essenzialmente  egalitaria;  si  sa  che  i  gradi 
accademici  aprivano  l'accesso  alle  pubbliche  cariche  e  che  questi 
gradi  si  conferivano  per  esame  senza  apparente  riguardo  alla  na- 
scita od  alla  ricchezza  (2).  Ma  benché  la  classe  doviziosa  sia  in 
China  meno  numerosa,  meno  ricca,  meno  strapotente  che  negli  Stati 
Uniti  d'America,  non  è  men  vero  che  essa  avea  saputo  notevol- 
mente intaccare  la  leale  applicazione  di  questo  sistema.  Non  solo 
si  comprava  spesso  a  forza  di  danaro  l'indulgenza  degli  esamina- 
tori, ma  il  Groverno  stesso  talora  per  danaro  vendeva  i  diversi 
gradi  accademici  e  permetteva  che  arrivassero  agli  impieghi  ])er- 
sone  ignoranti,  che  qualche  volta  erano  venute  su  dagli  ultimi 
strati  sociali  (3). 

Prima  di  lasciare  quest'  argomento  dobbiamo  poi  rammentare 
che,  in  tutti  i  paesi  del  mondo,  altri  mezzi  d'influenza  sociale, 
quali  sarebbero  la  notorietà,  la  grande  cultura,  le  cognizioni  spe- 
ciali, i  gradi  elevati  nelle  gerarchie  ecclesiastiche,  amministrative 
e  militari,  si  acquistano  sempre  più  facilmente  dai  ricchi  anziché 
dai  poveri.  I  primi  per  arrivare  devono  sempre  percorrere  una  via 


(1)  Jannet,  opera  e  capitoli  citati  (La  corruzione  privata.  Onnipotenza  del 
danaro.  La  plutocrazia,  ecc.).  I  fatti  citati  oltre  che  attestati  da  quest'autore 
con  numerosissimi  documenti  sono  confermati  da  molti  scrittori  americani  di 
cose  politiche,  dal  Seamen  ad  es.  e  dal  George,  che  pur  sono  di  principi  dif- 
ferenti. Del  resto  coloro  che  hanno  qualche  pratica  della  letteratura  ameri- 
cana sanno  che  essi  sono  ammessi  da  romanzieri,  commediografi  e  giornalisti 
come  cosa  risaputa.  11  socialista  George  ha  più  che  all'evidenza  dimostrato 
(vedi  opera  già  citata)  come  il  suffragio  universale  non  basti  ad  impedire  la 
plutocrazia,  dove  vi  è  una  grande  disuguaglianza  di  fortune.  È  sua  l'asserzione 
che  negli  Stati  dell'Ovest  un  ricco  si  può  cavare  il  capriccio  di  ammazzare 
impunemente  un  povero.  Lo  stesso  autore  nel  "  Protection  and  free  trade  , 
(London,  1886)  accenna  continuamente  all'influenza  dei  grandi  industriali  nelle 
decisioni  del  Congresso. 

(2)  Secondo  qualche  autore  solo  i  barbieri  e  certe  categorie  di  battellieri 
sarebbero  stati  esclusi,  insieme  ai  loro  figli,  dal  diritto  di  concorrere  ai  vari 
gradi  del  mandarinato.  Rousset,  A  travers  la  Chine.  Paris,  1878,  Hachette. 

(3)  SiNiHAi.DO  DE  Mas,  Chine  ei  puixsances  chrétiennes,  pag.  332-34;  Huc.  L'Em- 
pire Chinois. 


62  ELEMENTI    DI    SI'IENZA    l'OLITICA 


notevolmente  i)iù  breve  di  quella  dei  secondi,  senza  contare  che 
il  tratto  di  strada,  che  ai  ricchi  viene  risparmiato,  è  spessissimo 
il  più  aspro  e  difficile. 

VI.  —  Nelle  società  nelle  quali  le  credenze  religiose  hanno 
molta  forza  ed  i  ministri  del  culto  formano  una  classe  speciale 
si  costituisce  quasi  sempre  un'aristocrazia  sacerdotale,  che  ottiene 
una  parte  più  o  meno  grande  della  ricchezza  e  del  potere  i)olitico. 
Abbiamo  esempi  cospicui  di  questo  fatto  in  certe  epoche  dell'an- 
tico Egitto,  nell'India  braminica  e  nell'Europa  del  Medio  Evo. 
Spesso  i  sacerdoti,  oltre  che  adempire  agli  uffici  religiosi,  hanno 
avuto  anche  cognizioni  giuridiche  e  scientifiche  e  hanno  rappre- 
sentato la  classe  intellettualmente  più  elevata.  Conscientemente  o 
inconscientemente  però,  nelle  gerarchie  sacerdotali  si  è  manife- 
stata di  frequente  la  tendenza  a  monopolizzare  le  cognizioni  ac- 
cennate e  ad  ostacolare  la  diffusione  dei  metodi  e  dei  jDi'Ocedi- 
menti,  che  rendono  possibile  e  facile  l'apprenderle.  Si  può  invero 
sospettare  che  a  questa  tendenza  sia,  almeno  in  parte,  dovuta  la 
lentissima  diffusione  che  ebbe  nell'Egitto  antico  l'alfabeto  demo- 
tico, infinitamente  più  semplice  e  facile  della  scrittura  geroglifica. 
In  Gallia  i  Druidi,  sebbene  avessero  conoscenza  dell'alfabeto  greco, 
non  permettevano  che  la  copiosa  raccolta  della  loro  letteratura  sacra 
fosse  scritta  ed  obbligavano  i  loro  allievi  a  cacciarla  con  molta 
fatica  a  memoria.  Allo  stesso  scopo  può  essere  attribuito  l'uso  te- 
nace e  frequente  delle  lingue  morte,  che  troviamo  nell'antica 
Caldea,  nell'  India  e  nell'  Europa  del  Medio  Evo.  Qualche  volta, 
infine,  come  è  appunto  accaduto  nell'India,  si  è  proibito  formal- 
mente alle  classi  inferiori  di  aver  conoscenza  dei  libri  sacri. 

Le  nozioni  speciali  e  la  vera  cultm-a  scientifica,  spoglie  di  qua- 
lunque carattere  sacro  e  religioso,  diventano  una  forza  politica  im- 
portante solo  in  uno  stadio  molto  avanzato  di  civiltà  ;  ed  è  allora 
soltanto  che  esse  possono  a  coloro  che  le  posseggono  aprire  l'adito 
della  classe  governante.  Ma,  anche  in  questo  caso,  è  da  tener  pre- 
sente che  ciò  che  ha  un  valore  politico  non  è  tanto  la  scienza  in 
se  stessa  quanto  le  applicazioni  pratiche  che  se  ne  possono  fare  a 
vantaggio  del  pubblico,  ovvero  dello  Stato.  Qualche  volta  non  si 
richiede  che  il  possesso  dei  soli  p)rocedimenti  meccanici  indispen- 
sabili per  acquistare  una  coltura  superiore,  forse  perchè  è  più  facile 
constatare  e  misurare  la  perizia,  che  in  essi  il  candidato  ha  potuto 


CAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA  63 

acquistare.  Cosi,  in  certe  epoche  deirantico  Egitto,  la  professione 
di  scriba  conduceva  alle  cariche  pubbliche  ed  al  potere,  forse  anche 
perchè  l'apprendere  la  scrittura  geroglifica  richiedeva  lunghi  e 
pazienti  studi  ;  come  pure,  nella  China  moderna,  la  conoscenza  dei 
numerosissimi  caratteri  della  scrittura  chinese  ha  formato  la  base 
della  cultura  dei  mandarini  (1).  Nell'Europa  presente  ed  in  Ame- 
rica la  classe,  che  applica  alla  guerra,  all'amministrazione  pub- 
blica, alle  oxjere  ed  alla  sanità  pubblica  i  ritrovati  della  scienza 
moderna,  occupa  una  posizione  socialmente  e  politicamente  rag- 
guardevole :  e,  negli  stessi  paesi,  come  nella  Roma  antica,  privile- 
giata assolutamente  è  la  condizione  dei  giurisperiti,  che  conoscono 
la  complicata  legislazione  comune  a  tutti  i  popoli  di  antica  ci- 
viltà, massime  se  alle  nozioni  giuridiche  accoppiano  quel  genere 
di  eloquenza,  che  più  incontra  il  gusto  dei  propri  contemporanei. 
Non  mancano  esempi  nei  quali  vediamo  che,  nella  frazione  più 
elevata  della  classe  politica,  la  lunga  pratica  nel  dirigere  l'orga- 
nizzazione militare  e  civile  della  comunità  fa  nascere  e  sviluppare 
una  vera  arte  di  governo  superiore  al  gretto  empirismo  ed  a  tutto 
ciò  che  può  suggerire  la  sola  esperienza  individuale.  E  allora  che 
si  costituiscono  quelle  aristocrazie  di  funzionari,  come  il  Senato 
romano,  il  veneto  e,  fino  ad  un  certo  punto  la  stessa  aristocrazia 
inglese,  che  formavano  l'ammirazione  dello  Stuart  Mill  e  che  certo 
hanno  dato  alcuni  dei  Governi,  che  più  si  sono  distinti  per  ma- 
tui'ità  nei  loro  disegni  e  costanza  ed  avvedutezza  nel  metterli  in 
esecuzione.  Quest'arte  non  è  certo  la  Scienza  politica,  ma  ha  pre- 
corso senza  dubbio  l'applicazione  di  alcuni  suoi  postulati  ;  però, 
se  essa  si  è  in  qualche  modo  affermata  in  certe  classi  di  persone  da 
lungo  tempo  in  possesso  delle  funzioni  politiche,  crediamo  che  la 
sua  conoscenza  non  abbia  servito  mai  come  criterio  ordinario  per 
aprirne  l'accesso  a  coloro,  che  dalla  loro  posizione  sociale  ne  re- 
stavano esclusi  (2). 


(1)  Almeno  così  era  fino  a  pochi  anni  fa,  quando  gli  esami  dei  mandarini 
versavano  soltanto  sulle  discipline  letterarie  e  storiche  alla  maniera,  ben  in- 
teso, come  queste  discipline  erano  comprese  dai  Chinesi. 

(2)  Ci  pare  del  resto  che  quest'arte  di  governo,  meno  casi  eccezionali,  sia 
una  qualità  molto  difficile  a  constatare  in  individui,  che  ancora  non  hanno 
fornito  la  prova  pratica  di  possederla. 


64  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


VII.  —  In  certi  paesi  troviamo  le  caste  ereditarie  ;  la  classe 
governante  è  perciò  definitivamente  ristretta  ad  un  dato  numero 
di  famiglie  e  la  nascita  è  l'unico  criterio,  che  determina  Fentrata 
nella  detta  classe  o  Tosclusione  da  essa.  Gli  esempi  di  queste  ari- 
stocrazie ereditarie  sono  comunissimi  e  non  vi  è  quasi  jiaese  di 
antica  civiltà,  che,  in  una  data  epoca  della  sua  storia,  non  ne  abbia 
avuto.  Una  nobiltà  ereditaria  troviamo  infatti  in  certi  periodi  nella 
China  e  nell'Egitto  antico,  nell'India,  nella  Grecia  anterioic  alle 
guerre  mediche,  in  Roma  antica,  tra  gli  Slavi,  tra  i  Latini  e  Ger- 
mani del  Medio  Evo,  nel  Messico  all'epoca  della  scoverta  del- 
l'America e  nel  Giappone  fino  a  pochi  anni  fa. 

Su  questo  proposito  dobbiamo  premettere  due  osservazioni  :  la 
prima  è  che  tutte  le  classi  politiche  hanno  la  tendenza  a  diven- 
tare di  fatto,  se  non  di  diritto,  ereditarie.  Infatti  tutte  le  forze 
politiche  hanno  quella  qualità,  che  in  fìsica  si  chiama  forza  di 
inerzia,  cioè  la  tendenza  a  restare  nel  punto  e  nello  stato  in  cui 
si  trovano.  Il  valor  militare  e  la  ricchezza  facilmente  per  tradi- 
zione morale  e  per  effetto  dell'eredità  si  mantengono  in  certe  fa- 
miglie; e  la  pratica  delle  grandi  cariche,  l'abitudine  e  quasi  l'atti- 
tudine a  trattare  gli  affari  di  importanza  si  acquistano  molto  più 
facilmente  quando  da  piccoli  si  è  avuta  con  essi  una  certa  famiglia- 
rità. Anche  quando  i  gradi  accademici,  la  coltura  scientifica,  le  atti- 
tudini speciali  provate  per  mezzo  di  esami  e  di  concorsi  aprono 
l'adito  alle  cariche  pubbliche,  non  si  distrugge  quel  vantaggio  spe- 
ciale a  favore  di  taluni,  che  i  Francesi  definiscono  il  vantaggio 
delle  posizioni  già  prese.  Ed  in  realtà,  per  quanto  esami  e  concorsi 
siano  teoricamente  aperti  a  tutti,  alla  maggioranza  manca  sempre 
l'agiatezza  necessaria  per  sopperire  alle  spese  di  una  lunga  prex)a- 
razione,  ed  a  molti  altri  fanno  difetto  le  relazioni  e  le  parentele, 
per  le  quali  un  individuo  è  messo  subito  sulla  vìa  buona  e  si 
evitano  i  tentennamenti  e  gli  sbagli  inevitabili  quando  si  entra 
in  un  ambiente  sconosciuto,  nel  quale  non  si  hanno  guide  ed  ap- 
poggi (1). 


(1)  1!  principio  democratico  della  elezione  a  suffragio  molto  largo  parrebbe 
a  prima  vista  in  contraddizione  con  questa  tendenza  alla  stabilità  della  classe 
politica,  che  abbiamo  accennato.  Ma  bisogna  osservare  che  riescono  quasi 
sempre  eletti  coloro  che  posseggono  le  forze  politiche,  che  abbiamo  gin  euu- 


CAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA  65 

La  seconda  osservazione  consiste  in  ciò  :  che,  quando  vediamo 
in  un  ijaese  stabilita  una  casta  ereditaria  che  monopolizza  il  po- 
tere politico,  si  può  esser  sicuri  che  un  simile  stato  di  diritto  fu 
preceduto  dallo  stato  di  fatto.  Prima  di  affermare  il  loro  diritto 
esclusivo  ed  ereditario  al  potere,  le  famiglie  o  le  caste  potenti  do- 
vettero tenere  ben  saldo  nelle  loro  mani  il  bastone  del  comando, 
dovettero  monopolizzare  assolutamente  tutte  le  forze  politiche  di 
quell'epoca  e  di  quel  popolo  in  cui  si  affermarono  ;  altrimenti 
una  pretesa  di  questo  genere  avrebbe  suscitato  proteste  e  lotte 
acerbissime. 

Dopo  ciò  diremo  come  le  aristocrazie  ereditarie  spesso  hanno 
vantato  una  origine  soprannaturale  o  almeno  diversa  e  superiore 
a  quella  delle  classi  governate  ;  tale  pretesa  si  spiega  con  un  fatto 
sociale  importantissimo,  del  quale  dovremo  Imigamente  parlare 
nel  seguente  capitolo,  e  che  fa  si  che  ogni  classe  governante  tende 
a  giustificare  il  suo  potere  di  fatto  appoggiandolo  ad  un  principio 
morale  d'ordine  generale.  Recentemente  però  la  stessa  i)retesa  si 
è  presentata  con  l'appoggio  di  un  corredo  scientifico.  Qualche 
scrittore,  sviluppando  ed  ampliando  le  teorie  del  Darwin,  crede  che 
le  classi  superiori  rappresentino  un  grado  più  elevato  dell'evolu- 
zione sociale  e  che  esse  quindi  siano  per  costituzione  organica 
migliori  di  quelle  inferiori;  il  Grumplowicz,  già  citato,  va  più  avanti 
e  sostiene  nettamente  il  concetto  che  la  divisione  dei  popoli  in 
classi  professionali  è  fondata,  nei  paesi  di  "moderna  civiltà,  sopra 
una  eterogeneità  etnica  (1). 

Or  sono  notissime  nella  storia  le  qualità  come  anche  i  difetti 
speciali,  le  une  e  gli  altri  molto  accentuati,  che  hanno  mostrato 
quelle  aristocrazie,  che  sono  rimaste  perfettamente  chiuse,  oppure 
che  hanno  reso  molto  difficile  l'accesso  nella  loro  classe.  L'antico 
patriziato  romano  e  la  moderna  nobiltà  inglese  e  tedesca  danno 
subito  l'idea  del  tipo  che  accenniamo.  Senonchè,  di  fronte  a  questo 
fatto  ed  alle  teorie  che  tendono  ad  esagerarne  la  portata,  si  può 


merato  e  che  spessissimo  sono  ereditarie.  Difatti  nel  Parlamento  inglese  ed 
anche  in  quelli  francese  ed  italiano  vediamo  frequentemente  sedere  i  figli,  i 
fratelli,  i  nipoti  e  i  generi  di  deputati  ed  ex-deputati. 

(1)  Op.  cit.  Questo  concetto  si  ricava  da  tutto  lo  spirito  del    lavoro,   ma   ;• 
nettamente  affermato  nel  libro  2°,  cap.  XXXIll. 


tx.  Mosca,  lUemenfì  di  Scienza  Politica. 


66  ELEMENTI    1>I    SOIENZA    POLITICA 


fare  sempre  la  stessa  obiezione  :  che  gl'individui  appartenenti  a 
questo  aristocrazie  debbono  le  loro  (jualità  speciali  non  tanto  al 
sangue,  che  loro  scorre  nelle  vene,  quanto  alla  particolarissima 
educazione  che  hanno  ricevuto,  e  che  ha  sviluppato  in  loro  certe 
tendenze  intellettuali  e  morali  a  preferenza  di  altre  (*). 

Si  dice  che  ciò  può  esser  sufficiente  a  spiegare  le  superiorità 
nelle  attitudini  puramente  intellettuali,  ma  non  le  differenze  di 
carattere  morale,  come  sarebbero  la  forza  di  volontà,  il  coraggio, 
l'orgoglio,  l'energia.  Ma  la  verità  è  che  la  posizione  sociale,  le 
tradizioni  di  famiglia,  le  abitudini  della  classe  in  cui  viviamo, 
contribuiscono  al  maggiore  o  minore  sviluppo  delle  qualità  accen- 
nate più  di  quanto  comunemente  si  crede.  Se  infatti  osserviamo 
attentamente  gl'individui  che  cambiano  di  posizione  sociale,  o  in 
meglio  o  in  peggio,  e  che  entrano  in  conseguenza  in  un  am- 
biente diverso  da  quello  al  quale  erano  abituati,  possiamo  facil- 
mente accertarci  che  le  loro  attitudini  intellettuali  si  modificano 
molto  meno  sensibilmente  di  quelle  morali,  Astrazion  facendo  della 
maggiore  larghezza  di  vedute,  che  lo  studio  e  le  cognizioni  danno 
a  chiunque  non  sia  assolutamente  uno  stupido,  ogni  individuo, 
resti  semplice  segretario  o  diventi  ministro,  arrivi  al  grado  di  ser- 
gente od  a  quello  di  generale,  sia  milionario  o  pezzente,  si  man- 
tiene immancabilmente  a  quel  livello  intellettuale,  che  la  natura 
gli  ha  dato.  Mentre,  col  cambiare  del  grado  sociale  e  della  ric- 
chezza, possiamo  benissimo  vedere  l'orgoglioso  diventare  umile  e 
la  servilità  cambiarsi  in  tracotanza  ;  un  carattere  franco  e  fiero, 
costretto  da  necessità,  imparare  a  mentire  o  quanto  meno  a  dissi- 
mulare ;  e  chi  si  è  piegato  lungamente  a  simulare  e  mentire  ri- 
farsene poi  adottando  una  sedicente  franchezza  ed  inflessibiUtà 
di  carattere.  E  pure  vero  che  chi  dall'alto  viene  abbassato  spesso 
acquista  forza  di  rassegnazione,  di  sacrifìcio  e  d'iniziativa,  come 
pure  che  chi  dal  basso  viene  innalzato  qualche  volta  guadagna 
riguardo  al  sentimento  della  giustizia  e  dell'equità.   Insomma,  si 


(*)  Sembra  anzi  accertato  che,  fra  tutti  i  coefficienti  di  superiorità  sociale, 
quello  nel  quale  l'eredità  si  aiferma  con  minore  efficacia  sia  la  superiorità  in- 
tellettuale ,  poiché  i  figli  degli  uomini  di  mente  più  elevata  spesso  hanno 
intelletto  mediocre;  ed  è  perciò  che  le  aristocrazie  ereditarie  non  si  sono  mai 
fondate  sulla  sola  superiorità  intellettuale,  ma  piuttosto  su  quella  del  carattere 
e  della  ricchezza. 


LA    CLASSE    POLITICA  67 


muti  in  bene  o  in  male,  deve  essere  eccezionalmente  temprato 
queirindividuo,  che,  cambiando  notevolmente  di  posizione  sociale, 
conserva  inalterato  il  proprio  carattere  (1). 

n  coraggio  guerresco,  l'energia  nell'attacco,  la  longanimità  nella 
resistenza  sono  qualità,  che  spesso  e  lungamente  sono  state  cre- 
dute monopolio  delle  classi  superiori.  Certo  grande  può  essere  la 
differenza  naturale  e,  diremo  cosi,  innata  che  su  queste  qualità 
può  correre  fra  un  individuo  ed  un  altro  ;  a  mantenerle  però  alte 
o  basse,  in  media,  in  una  categoria  d'uomini  numerosa,  concor- 
rono sopratutto  le  tradizioni  e  le  abitudini  dell'ambiente.  Gene- 
ralmente ci  familiarizziamo  col  pericolo,  o  meglio  ancora  con  un 
dato  pericolo,  quando  le  persone  con  cui  siamo  usi  a  vivere  ne 
parlano  con  indifferenza  e  rimangono  calme  ed  imi^erturbabili 
davanti  ad  esso.  Infatti,  sebbene  molti  ce  ne  siano  naturalmente 
timidi,  i  montanari  affrontano  impavidi  i  pericoli  degli  abissi  ed 
i  marinari  quelli  del  mare,  ed  allo  stesso  modo  le  popolazioni  e 
le  classi  abituate  alla  guerra  mantengono  in  sommo  grado  le  virtù 
militari. 

E  ciò  è  tanto  vero  che,  anche  popolazioni  e  classi  sociali  ordi- 
nariamente disusate  dalle  armi,  acquistano  rapidamente  le  dette 
virtù,  purché  gl'individui  da  esse  provenienti  vengano  incorporati 
in  certi  nuclei,  dove  il  coraggio  e  l'ardire  siano  tradizionali  ;  purché 
siano,  ci  si  passi  la  metafora,  gettati  in  crogiuoli  umani  forte- 
mente imbevuti  di  quei  sentimenti,  che  ad  essi  si  vogliono  tras- 
mettere. Con  fanciulli  principalmente  rubati  fra  gl'infiacchiti  Greci 
di  Bisanzio  Maometto  II  reclutava  i  suoi  terribili  giannizzeri  ; 
il  tanto  disprezzato  fellah  egiziano,  da  lunghi  secoli  disabituato 
dalle  armi  ed  avvezzo  a  ricevere  umile  ed  imbelle  le  bastonate 
di  tutti  gli  oppressori,  mescolato  ai  Turchi  ed  Albanesi  di  Mehemet- 
Alì  diventava  un  buon  soldato.  La  nobiltà  francese  ha  goduto 
sempre  gran  fama  per  il  suo  brillante  valore,  ma,  fino  alla  fine 
del  secolo  decimottavo,  questa  qualità  non  era  ugualmente  attri- 
buita alla  borghesia  dello  stesso  paese;  le  guerre  della  repubblica  e 


(1)  Scrisse  Mirabeau  che,  per  qualunque  uomo,  una  grande  elevazione  nella 
scala  sociale  produce  una  crisi,  che  guarisce  i  mali  che  ha  e  glie  ne  crea 
alcuni,  che  prima  non  aveva.  Vedi  Correspomlance  entre  le  comfe  de  Mirabeau 
et  le  comfe  de  La  March,  voi.  Il,  pag.  228.  Paris,  1851.  Librairie  Le  Norman! 


68  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


fieli'  impero  dimostrarono  am])iamente  che  la  natura  era  stata 
ugualmente  prodiga  di  coraggio  per  tutti  gli  abitanti  della  Francia, 
e  che  plebe  e  borghesia  i)otevano  fornire  non  .solo  buoni  soldati, 
ma  anche,  che  ciò  si  credeva  privilegio  esclusivo  dei  nobili,  eccel- 
lenti ufficiali  (1). 

Vili.  —  Infine,  stando  all'idea  di  coloro  che  sostengono  la 
forza  esclusiva  del  principio  ereditario  nella  classe  politica,  si  ver- 
rebbe ad  una  conseguenza  consimile  a  quella  che  abbiamo  accen- 
nato nella  prima  parte  del  nostro  lavoro  :  la  storia  politica  della 
umanità  dovrebbe  essere  molto  più  semplice  di  quella  che  è.  Se 
veramente  la  classe  politica  appartenesse  ad  una  razza  differente 
o  se  le  sue  qualità  dominatrici  si  trasmettessero  principalmente 
per  mezzo  della  eredità  organica,  non  si  capirebbe  il  perchè,  for- 
mata una  volta  questa  classe,  essa  debba  decadere  e  perdere  il 
potere.  E  ammesso  comunemente  che  le  qualità  proprie  di  una 
razza  sono  molto  tenaci  e,  stando  alla  teoria  dell'evoluzione,  le 
attitudini  acquisite  nei  padri  sono  innate  nei  figli  e  col  succedersi 
delle  generazioni  si  vanno  sempre  più  affinando.  Sicché  i  discen- 
denti dei  dominatori  dovrebbero  diventare  sempre  più  atti  a  do- 
minare, e  le  altre  classi  dovi'ebbero  mano  mano  vedere  allonta- 
nata la  possibilità  di  misurarsi  con  loro  e  di  sostituirli.  Or  la  più 
volgare  esperienza  basta  a  farci  sicuri  che  le  cose  non  vanno  pre- 
cisamente così. 

Noi  vediamo  che,  appena  si  spostano  le  forze  politiche,  se  si  fa 
sentire  il  bisogno  che  attitudini  diverse  di  quelle  antiche  si  affer- 
mino nella  direzione  dello  Stato  e  se  le  antiche  quindi  non  con- 
servano la  loro  importanza,  o  se  avvengono  dei  cambiamenti  nella 
loro  distribuzione,  muta  anclie  la  maniera  come  la  classe  politica 
è  formata.  Se  in  una  società  si  forma  un  nuovo  cespite  di  ric- 
chezza, se  cresce  rimportanza  pratica  del  sapere,  se  l'antica  reli- 
gione decade  od  una  nuova  ne  nasce,  se  una  nuova  corrente   di 


(1)  Del  resto  l'asserzione  del  Gumplowicz  che  la  differenziazione  delle  classi 
sociali  dipenda  massimamente  dalle  varietà  etniche  meriterebbe  almeno  di 
essere  provata;  di  contro  a  quest'asserzione  si  possono  addurre  facilmente 
molti  fatti,  e  fra  gli  altri  quello,  tanto  ovvio,  che  spessissimo  i  rami  della 
stessa  famiglia  appartengono  a  classi  sociali  molto  differenti. 


CAP.    II    -    LA    CLASSE   POLITICA  69 

idee  si  diffonde,  contemporaneamente  avvengono  forti  sposta- 
menti nella  classe  dirigente.  Si  può  dire  anzi  che  tutta  la  storia 
dell'umanità  civile  si  riassume  nella  lotta  fra  la  tendenza,  che 
hanno  gli  elementi  dominatori  a  monopolizzare  le  forze  politiche 
ed  a  trasmetterne  ereditariamente  il  possesso  ai  loro  figli,  e  la  ten- 
denza, che  pure  esiste,  verso  lo  spostamento  di  queste  forze  e  l'af- 
fermazione di  forze  nuove,  la  quale  produce  un  continuo  lavorio  di 
endosmosi  ed  esosmosi  fra  la  classe  alta  e  alcune  frazioni  di  quelle 
basse.  Decadono  poi  immancabilmente  le  classi  politiche  ogni 
qualvolta  non  possono  più  esercitare  le  qualità  per  le  quali  arriva- 
rono al  potere,  o  quando  non  possono  rendere  più  il  servizio  sociale 
che  rendevano  o  le  loro  qualità  ed  i  servizi  che  rendono  perdono 
ogni  importanza  nell'ambiente  sociale  in  cui  vivono:  cosi  decadde 
l'aristocrazia  romana  quando  non  forni  più  esclusivamente  gli  alti 
ufficiali  dell'esercito,  gli  amministratori  della  repubblica,  i  gover- 
natori delle  Provincie  ;  cosi  decadde  la  veneta  quando  i  suoi  pa- 
trizi non  comandarono  più  le  galere  e  non  passarono  più  gran 
parte  della  loro  vita  navigando,  commerciando  e  combattendo. 

Nella  natura  inorganica  troviamo  l'esempio  dell'aria,  nella  quale 
la  tendenza  all'immobilità,  prodotta  dalla  forza  d'inerzia,  è  con- 
tinuamente combattuta  dalla  tendenza  allo  spostamento,  conse- 
guenza delle  ineguaglianze  nella  distribuzione  del  calorico.  Le  due 
tendenze,  prevalendo  a  vicenda  nelle  diverse  parti  del  nostro  pia- 
neta, vi  producono  or  la  calma,  or  il  vento  e  la  tempesta.  Senza 
voler  trovare  alcuna  analogia  sostanziale  fra  questo  esempio  ed  i 
fenomeni  sociali,  e  solo  citandolo  perchè  ci  fa  comodo  come  para- 
gone formale,  osserviamo  che,  nelle  società  umane,  prevale  ora  la 
tendenza  che  produce  la  chiusura,  l'immobilità,  la  cristallizzazione, 
per  dir  cosi,  della  classe  politica,  ora  quella  che  ha  per  conse- 
guenza il  suo  più  o  meno  rapido  rinnovamento. 

Le  società  dell'Oriente,  che  noi  giudichiamo  immobili,  in  realtà 
non  lo  sono  sempre  state,  perchè  altrimenti,  come  abbiamo  già 
accennato,  non  avrebbero  potuto  fare  quei  progressi  di  cui  ci  la- 
sciarono le  irrecusabili  testimonianze.  E  molto  più  esatto  il  dire  che 
noi  le  abbiamo  conosciute  quando  erano  in  un  periodo  di  cristal- 
lizzazione delle  loro  forze  e  classi  politiche.  Lo  stesso  avviene  in 
quelle  società,  che  comunemente  si  chiamano  invecchiate,  nelle 
quali  le  credenze  religiose,  la  cultura  scientifica,  i  modi  di  pro- 
durre e  distribuire  la  ricchezza  non  hanno  subito  da  lunghi  secoli 


70  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

alcun  radicale  cambiamento,  e  che  non  sono  state  turbate  nel  loro 
ordinario  andamento  da  infiltrazioni  materiali  od  intellettuali  di 
elementi  stranieri.  In  queste  società,  le  forze  politiche  essendo 
sempre  le  stesse,  la  classe  che  le  possiede  mantiene  indisputato  il 
potere,  che  si  perpetua  per  ciò  in  certe  famiglie  e  l'inclinazione 
verso  la  immobilità  si  generalizza  anche  in  tutti  gli  strati  sociali, 

E  cosi  che  nell'India  vediamo  il  regime  delle  caste  stabilirsi 
rigorosamente  dopo  che  vi  fu  soffocato  il  Buddismo.  Cosi  vediamo 
pure  che  nell'antico  Egitto  i  Greci  trovarono  le  caste  ereditarie, 
mentre  sappiamo  che  nei  periodi  di  splendore  e  rinnovamento 
della  civiltà  egiziana  la  ereditarietà  degli  uffici  e  delle  condizioni 
sociali  non  esisteva  (1).  Ma  l'esempio  più  noto  e  forse  più  impor- 
tante di  una  società  che  tende  a  cristallizzarsi  l'abbiamo  in  quel 
periodo  della  storia  romana  che  dicesi  il  basso  impero,  nel  quale, 
dopo  alcuni  secoli  di  un'immobilità  sociale  quasi  completa,  ve- 
diamo farsi  sempre  più  netta  la  separazione  fra  due  classi  :  l'una 
di  grandi  proprietari  e  funzionari  importanti,  l'altra  di  servii  di 
coloni,  di  plebe;  e  cosa  anche  più  notevole,  stabilita  pria  dal  co- 
stume che  dalla  legge,  l'eredità  degli  uffici  e  delle  condizioni  so- 
ciali si  andò  in  quell'epoca  rapidamente  generalizzando  (2). 

Ma  può  avvenire  al  contrario,  e  avviene  qualche  volta  nella 
storia  delle  nazioni,  che  il  commercio  con  genti  estranee,  la  ne- 
cessità di  emigrare,  le  scoperte,  le  guerre,  creino  nuova  povertà  e 
ricchezza  nuova,  diffondano  cognizioni  fin  allora  sconosciute,  produ- 
cano l'infiltrazione  di  nuove  correnti  morali,  intellettuali  e  reli- 
giose. Può  accadere  che,  per  lenta  elaborazione  interna  o  per  ef- 
fetto di  queste  infiltrazioni,  o  per  ambo  le  cause,  sorga  una  scienza 
nuova,  o  tornino  in  onore  i  risultati  di  quella  antica,  che  era  stata 
obliata,  e  che  le  nuove  idee  e  le  nuove  credenze  scuotano  le  abi- 
tudini intellettuali  sulle  quali  si  fondava  l'obbedienza  delle  masse. 


(1)  Lenokmant,  Maspero,  Brugsh,  opere  citate.  Durante  il  periodo  della  cac- 
ciata degli  Hiqsos  abbiamo  il  resoconto  della  carriera  di  un  alto  ufficiale,  che 
aveva  cominciato  la  carriera  da  semplice  soldato.  Frequentissimi  erano  poi  i 
casi  in  cui  lo  stesso  individuo  serviva  successivamente  nella  milizia,  nell'am- 
ministrazione civile  e  nel  sacerdozio. 

(2)  MoMMSEN  e  Marquakdt,  Manuel  des  antiquités  romaines.  Trad.  Humbert, 
Ed.  Thorin,  Paris,  1887;  Fustel  de  Coulanges,  Nouvelles  recherches  sur  qiielques 
problètnes  d'histoire.  Paris,  1891,  Hachette. 


GAP.    II    -    LA    CLASSE    POLITICA  71 

La  classe  politica  può  anclie  essere  vinta  e  distrutta  in  tutto  od 
in  parte  da  invasioni  straniere  e,  quando  si  j)roducono  le  circostanze 
dianzi  rammentate,  può  anche  essere  sbalzata  di  seggio  da  nuovi 
strati  sociali  forti  di  nuove  forze  politiche.  E  naturale  che  ci  sia 
allora  un  periodo  di  rinnovamento,  o,  se  si  vuole  definirlo  cosi,  di 
rivoluzione,  durante  il  quale  le  energie  individuali  hanno  buon 
giuoco  ed  alcuni  fra  gl'individui  più  passionati,  più  attica,  j)iù 
scaltri  ed  arditi  possono  dal  basso  della  scala  sociale  aprirsi  la  via 
fino  ai  gradi  più  elevati. 

Questo  movimento,  una  volta  iniziato,  non  si  può  tutto  ad  un 
tratto  fermare  ;  l'esempio  di  contemporanei,  che,  partiti  dal  nulla 
sono  arrivati  a  posizioni  cospicue,  stimola  nuove  ambizioni,  nuove 
cupidigie,  nuove  energie,  ed  il  rinnovamento  molecolare  della 
classe  politica  si  mantiene  attivo  finche  un  lungo  periodo  di  sta- 
bilità sociale  non  lo  va  di  nuovo  rallentando  (1).  Allora,  mano 
mano  che  dallo  stato  febbrile  una  società  va  passando  a  quello 
di  calma,  siccome  le  tendenze  psicologiche  dell'uomo  sono  sempre 
le  stesse,  coloro  che  fanno  parte  della  classe  politica  vanno  ac- 
quistando lo  spirito  di  corpo  e  di  esclusivismo  ed  imparano  l'arte 
di  monopolizzare  a  loro  vantaggio  le  qualità  e  le  attitudini  neces- 
sarie per  arrivare  al  potere  e  per  mantenerlo  :  infine,  col  tempo, 
si  forma  la  forza  conservatrice  per  eccellenza,  quella  dell'abitudine, 
per  la  quale  molti  si  rassegnano  a  stare  in  basso^  ed  i  membri  di  certe 
famiglie  o  classi  privilegiate  acquistano  la  convinzione  che  per 
loro  è  quasi  un  diritto  assoluto  lo  stare  in  alto  ed  il  comandare. 


(1)  Non  citeremo  esempi  di  popoli,  che  si  trovano  in  periodi  di  rinnova- 
mento perchè  nel  nostro  secolo  sarebbero  superflui.  Rammentiamo  soltanto 
che,  nei  paesi  di  recente  colonizzazione,  il  fenomeno  del  rapido  rinnovarsi 
della  classe  politica  si  presenta  più  di  frequente  e  più  spiccato.  Dappoiché, 
quando  comincia  la  vita  sociale  nei  detti  paesi,  non  esiste  una  classe  dii'igente 
bella  e  formata  e,  durante  il  periodo  in  cui  si  costituisce,  è  naturale  che  il 
suo  ingresso  resti  più  accessibile.  Inoltre  il  monopolio  della  terra  e  di  altri 
mezzi  di  produzione  vi  è,  se  non  del  tutto  impossibile,  certo  più  difficile  che 
altrove.  E  perciò  che  le  colonie  greche  oft'rirono,  almeno  tino  ad  una  certa  epoca, 
un  largo  sbocco  a  tutti  i  caratteri  energici  ed  intraprendenti  dell'Eliade,  e  che 
negli  Stati-Uniti  d'America,  dove  la  colonizzazione  di  nuove  terre  ha  durato 
per  tutto  il  secolo  decinionono  e  nuove  industrie  sono  continuamente  sorte,  gli 
uomini  che  dal  nulla  arrivano  alla  notorietà  ed  alla  ricchezza  sono  ancora  fre- 
quenti, ciò  che  contribuisce  a  mantenervi  l'illusione  che  la  democrazia  sia  una 
realtà. 


72  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


Ad  un  filantropo  verrebbe  certo  la  voglia  di  indagare  se  Fuma- 
nità  sia  i)iù  felice  o  meno  tribolata  quando  si  trova  in  un  periodo 
di  calma  e  cristallizzazione  sociale,  in  cui  ognuno  deve  quasi  /"a- 
talmente  restare  in  quel  gradino  della  gerarchia  sociale  nel  qaale 
è  nato,  ovvero  quando  traversa  il  periodo  perfettamente  opposto 
di  rinnovamento  e  rivoluzione,  che  permette  a  tutti  di  aspirare  ai 
gradi  più  eccelsi  ed  a  qualcheduno  di  arrivarvi.  Una  simile  inda- 
gine sarebbe  difficile,  e  si  dovrebbe  tener  conto  nella  risposta  di 
molte  condizioni  ed  eccezioni  e  forse  essa  sarebbe  sempre  influen- 
zata dal  gusto  individuale  dell'osservatore.  Perciò  noi  ci  guarde- 
remo bene  dal  darla;  molto  più  che,  se  anche  potessimo  ottenere 
un  risultato  indiscutibile  e  sicuro,  esso  sarebbe  sempre  di  una 
scarsissima  utilità  pratica:  attesoché  ciò  che  filosofi  e  teologi 
chiamano  il  libero  arbitrio,  cioè  la  scelta  spontanea  degli  individui, 
ha  avuto  finora,  e  forse  avrà  sempre,  pochissima  o  quasi  nessuna 
influenza  nell'affrettare  la  fine  od  il  principio  di  uno  dei  periodi 
storici  accennati. 


^ — '^|.V'*^ipHilH-'-rtii'^U''  •■■■'trilli'' %'% i|^i|(1"-"'iy^'tf-"-7'ir"'""it'' '' 'rii'HW'— ^ìjr"Ui"""^|VT ■«iip'T|f~""'[l[ V^'""lil"lit'-^|I-TF'" 


CAPITOLO  m. 
Nozioni  preliminari. 


I.  La  forinola  politica.  —  II.  H  tipo  sociale.  —  HI.  Rapporti  tra  il  tipo  sociale  e 
le  religioni  universali.  —  IV.  Efficacia  di  queste  religioni.  —  V.  La  formola  po- 
litica e  le  religioni  universali.  —  VI.  Lo  Stato  feudale  e  lo  Stato  burocratico. 
—  Vn.  Differenze  fra  questi  due  tipi  di  ordinamento  politico.  —  Vni.  Cenno 
sulle  cause  della  decadenza  degli  Stati  burocratici. 

I.  —  Come  abbiamo  già  accennato  nel  precedente  capitolo, 
accade  immancabilmente,  o  almeno  è  accaduto  finora  in  tutte  le 
società  discretamente  numerose  ed  appena  arrivate  ad  un  certo 
grado  di  coltura,  che  la  classe  politica  non  giustifica  esclusiva- 
mente il  suo  potere  col  solo  possesso  di  fatto,  ma  cerca  di  dare 
ad  esso  una  base  morale  ed  anche  legale,  facendolo  scaturù'e  come 
conseguenza  necessaria  di  dottrine  e  credenze  generalmente  rico- 
nosciute ed  accettate  nella  società  che  essa  dirige.  Cosi,  ad  es., 
in  una  società  fortemente  imbevuta  dallo  spirito  cristiano,  la 
classe  politica  governa  per  volontà  del  sovrano,  il  quale,  alla  sua 
volta,  regna  perchè  è  l'unto  del  Signore.  Anche  nelle  società 
maomettane  l'autorità  politica  è  esercitata  direttamente  in  nome 
dal  califfo,  ossia  vicario  del  Profeta,  o  in  nome  di  colui  che  dal 
califfo  ha  ricevuto  una  investitura  tacita  od  espressa.  I  mandarini 
chinesi  reggevano  lo  Stato,  perchè  si  supponeva  interpretassero 
la  volontà  del  figlio  del  cielo,  che  dal  cielo  avea  ricevuto  il  man- 
dato di  governare  paternamente,  e  secondo  le  regole  della  morale 
di  Confucio,  il  popolo  delle  cento  famiglie.  La  complicata  gerarchia 
dei  funzionari  civili  e  militari  dell'impero  romano  si  fondava  sulla 
volontà  dell'imperatore,  il  (juale^   almeno  fino  a  Diocleziano,  per 


74  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


supposizione  legale,  avea  ricevuto  dal  popolo  il  mandato  di  reg- 
gere la  cosa  pubblica.  I  poteri  di  tutti  i  legislatori,  magistrati  ed 
impiegati  negli  Stati  Uniti  d'America  emanano  direttamente  od 
indirettamente  dal  suffragio  degli  elettori,  ritenuto  espressione 
della  sovrana  volontà  popolare. 

Questa  base  giuridica  e  morale,  sulla  quale  in  ogni  società  poggia 
il  potere  della  classe  politica,  è  quella  che  in  altro  lavoro  abbiamo 
chiamato  (1),  e  che  d'ora  in  poi  chiameremo  formola  politica,  e 
che  i  filosofi  del  diritto  appellano  generalmente  principio  di  so- 
vranità. —  Essa  diffìcilmente  è  identica  in  società  diverse,  e  due 
o  parecchie  formole  politiche  hanno  notevoli  punti  di  contatto, 
oppure  una  rassomiglianza  fondamentale,  solo  quando  sono  pro- 
fessate da  popoli  che  hanno  lo  stesso  tipo  di  civiltà,  o,  usando 
già  una  espressione  che  fra  poco  spiegheremo,  a^Dpartengono  allo 
stesso  tipo  sociale.  —  Le  diverse  formole  politiche,  secondo  il 
diverso  grado  di  civiltà  delle  genti  fra  le  quali  sono  in  vigore, 
possono  essere  fondate  o  su  credenze  soprannaturali  o  sopra  con- 
cetti che,  se  non  sono  positivi,  ossia  fondati  sulla  realtà  dei  fatti, 
appaiono  almeno  razionali.  —  Non  diremo  però  che,  tanto  nel 
primo  che  nell'altro  caso,  rispondano  a  verità  scientifiche;  anzi 
ci  è  d'uopo  confessare  che,  se  nessuno  ha  visto  mai  l'atto  autentico 
con  il  quale  il  Signore  ha  dato  facoltà  a  certe  persone  o  famiglie 
privilegiate  di  reggere  per  conto  suo  i  popoli,  un  osservatore  co- 
scienzioso può  anche  facilmente  constatare  che  un'elezione  popo- 
lare, per  quanto  il  suffragio  sia  largo,  non  è  ordinariamente  l'e- 
spressione della  volontà  delle  maggioranze  (2). 

Ciò  però  non  vuol  dire  che  le  varie  formole  politiche  siano  vol- 
gari ciarlatanerie  inventate  appositamente  per  scroccare  l'obbe- 
dienza delle  masse,  e  sbaglierebbe  di  molto  colui  che  in  questo 
modo  le  considerasse.  La  verità  è  dunque  che  esse  corrispondono 
ad  un  vero  bisogno  della  natura  sociale  dell'uomo;  e  questo  bi- 
sogno, così  universalmente  sentito,  di  governare  e  sentirsi  go- 
vernare non  sulla  sola  base  della  forza  materiale  ed  intellettuale. 


(1)  Teorica  dei  Governi,  cap.  I. 

(2)  Per  la  dimostrazione  di  questo  concetto  vedi  Mosca,  Teorica  dei  Governi 
e  le  Costituzioni  moderne.  Dovremo  tornare  sull'argomento  anche  durante  il 
corso  del  presente  lavoro. 


NOZIONI    PRELIMINARI  75 


ma  anche  su  quella  di  un  principio  morale,  ha  indiscutibilmente 
la  sua  pratica  e  reale  importanza. 

Ha  scritto  lo  Spencer  che  il  diritto  divino  dei  Re  fu  la  grande 
superstizione  dei  secoli  passati  e  che  il  diritto  divino  delle  assem- 
blee elette  a  suffragio  popolare  è  la  grande  superstizione  del  se- 
colo presente.  —  Il  concetto  non  si  può  dire  errato,  ma  certo  non 
contempla  ed  esaurisce  tutti  i  lati  della  questione.  Pare  a  noi  che 
sia  necessario  anche  di  vedere  se,  senza  qualcuna  di  queste  grandi 
super stisioni^  una  società  si  possa  reggere  ;  se  una  illusione  gene- 
rale non  sia  cioè  una  forza  sociale,  che  serve  potentemente  a  ce- 
mentare la  unità  e  la  organizzazione  politica  di  un  popolo  e  di 
un'intera  civiltà. 

IL  —  L'umanità  si  divide  in  gruppi  sociali,  ognuno  dei  quali 
è  distinto  dagli  altri  da  credenze,  sentimenti,  abitudini  ed  inte- 
ressij  che  ad  esso  sono  speciali.  G-Findividui,  che  di  uno  di  questi 
gruppi  fanno  parte,  sono  uniti  fra  loro  dalla  coscienza  di  una  fra- 
tellanza comune,  e  divisi  dagli  altri  gruppi  da  passioni  e  ten- 
denze più  o  meno  antagonistiche  e  repulsive.  Come  abbiamo  già 
accennato,  la  formola  politica  deve  essere  fondata  sulle  speciali 
credenze  e  sui  sentimenti  più  forti  del  gruppo  sociale  nel  quale  è 
in  vigore,  o  almeno  della  frazione  di  questo  gruppo,  che  ha  la 
preminenza  politica. 

Questo  fenomeno  dell'esistenza  dei  gruppi  sociali,  ognuno  dei 
quali  ha  caratteristiche  proprie  e  spesso  presume  una  superiorità 
assoluta  sugli  altri  (1),  è  stato  riconosciuto  ed  esaminato  da  molti 
autori,  segnatamente  da  quelli  moderni  che  trattano  del  principio 
di  nazionalità.  Recentemente  il  Grumplowicz  ha  fatto  molto  bene 
rilevare  l'importanza  che  esso  ha  nella  Scienza  politica  o  Socio- 
logia che  voglia  dirsi.  Adotteremmo  anche  il  termine  usato  a  de- 
finirlo da  questo  autore,  il  quale  lo  chiama  sinffenismo^  se  il  vo- 
cabolo, conformemente  alle  idee  fondamentali  dello  scrittore,  non 
accennasse  ad  una  preponderanza  quasi  assoluta  dell'elemento  et- 
nico, ossia  della  comunità  di  sangue  e  di  razza,  nella  formazione 
di  ciascun  gruppo  sociale  (2).  Or  noi   crediamo    che   in  parecchie 


(1)  È  la  boria  nazionale  di  cui  parla  Yioo. 

(2)  Opera  citata,  parte  2»,  cap.  XXX VII. 


76  ELEMENTI    UI    SCIENZA    POLITICA 

civiltà  primitivo,  non  tanto  la  comunità  di  sanjf^ue  (guanto  l'opi- 
nione che  essa  esisteva,  la  credenza  di  un  antenato  comune,  spesso 
nata  dopo  che  il  tipo  sociale  era  formato  (1),  abbia  potuto  con- 
tribuire a  cementarne  l'unità;  ma  crediamo  jmre  che  le  moderne 
dottrine  antropologiche  e  filologiche  abbiano  potuto  suscitare  un 
risveglio  di  antipatie  tra  gruppi  sociali  e  frazioni  dello  stesso 
gruppo,  le  quali  hanno  jier  semplice  pretesto  le  differenze  di 
razza.  In  verità  poi  nella  formazione  del  gruppo  o  tipo  sociale, 
oltre  alla  più  o  meno  sicura  affinità  della  razza,  concorrono  molti 
altri  elementi,  come  sarebbero  la  comunità  di  lingua,  di  religione, 
di  interessi,  ed  i  frequenti  rapporti  determinati  dalla  posizione 
geografica.  Anzi,  non  è  neppur  necessario  che  tutti  questi  fattori 
coesistano;  giacche  la  comunità  della  storia,  la  vita  vissuta  per 
secoli  insieme  con  vicende  identiche  o  simili,  determinando  la  so- 
miglianza delle  abitudini  morali  ed  intellettuali,  delle  passioni  e 
delle  ricordanze,  diventa  spesso  l'elemento  precipuo  per  la  creazione 
di  un  tipo  sociale  consciente  (2). 

Una  volta  questo  formato  si  ha,  come  già  avvertimmo  nella 
prima  parte  del  nostro  lavoro,  quasi  un  crogiuolo,  che  imprime 
lino  stampo  comune  a  tutti  gli  individui  che  entrano  in  esso.  Si 
chiami  suggestione,  mimetismo  o  semplicemente  educazione,  av- 
viene allora  quel  fenomeno  per  il  quale  l'uomo  sente,  crede,  ama 
ed  odia,  secondo  l'ambiente  nel  quale  vive  :  per  il  quale  si  è  Cri- 
stiani od  Ebrei,  Maomettani  o  Buddisti,  Francesi  od  Italiani, 
meno  rarissime  eccezioni,  per  la  sola  ragione  che  tali  erano  coloro 
fra  i  quali  siamo  nati  e  cresciuti  (3). 

III.  —  Nei  primordi  della  storia  ogni  popolo  civile  era  quasi 
un'oasi  in  mezzo  ad  un  deserto  di  barbarie,  le  diverse  civiltà 
aveano  perciò  fra  di  loro  o  scarsissime  comunicazioni  o  queste 
mancavano  in  modo  assoluto:  tale  fu  infatti  la  condizione  dell'an- 
tico Egitto  durante  le  prime  dinastie  e  tale  quella  della  China  fìjio 
ad  un'epoca  assai  meno  remota.  Allora  naturalmente  ogni  tipo 
sociale  avea  un'originalità  assoluta,  quasi  in  ni  un  modo  temperata 


(1)  Ciò  è  riconosciuto  dallo  stesso  Gumplowicz.  Vedi  Opera  e  capitolo  citati. 

(2)  Vedi  in  proposito  Mosca,  Fattori  della  Nazionalità.    "  Rivista  Europea  , 
del  1882. 

(3)  Vedi  il  capitolo  primo  di  questo  lavoro. 


CAP.    Ili    -    NOZIONI    PRELIMINARI  77 

da  infiltrazioni  ed  influenze  straniere  (1).  Malgrado  però  che  questo 
isolamento  dovesse  fortemente  contribuire  a  rinforzare  la  tendenza 
che  ha  ogni  tipo  sociale  a  riunirsi  in  unico  organismo  politico, 
pure  fin  d'allora  vediamo  che  essa  non  prevale  che  a  sbalzi.  Stando 
infatti  agli  esemf>i  citati,  la  China  all'epoca  di  Confucio,  si  divi- 
deva in  molti  Stati  feudali  quasi  indipendenti  l'uno  dall'altro,  e 
nell'Egitto  spesso  vediamo  i  diversi  hiq  o  re  locali  dei  singoli 
notni  acquistare  la  piena  indipendenza  e  qualche  volta  anche  il 
basso  e  l'alto  Egitto  formavano  regni  distinti.  Pi:i  tardi,  in  civiltà 
avanzatissime  e  molto  complesse  come  quella  ellenica,  vediamo 
svolgersi  a  preferenza  una  tendenza  contraria  a  quella  che  abbiamo 
accennato,  la  tendenza  cioè  che  spinge  un  tipo  sociale  a  dividersi 
in  organismi  politici  distinti  e  quasi  sempre  rivali. 

Infatti  l'egemonia,  che  diversi  stati  greci  tentarono  stabilire  su 
tutti  i  popoli  ellenici,  fu  sempre  un  concetto  molto  lontano  dalla 
vera  unità  ijolitica;  e  del  resto  gli  sforzi  di  Atene,  di  Sparta  e 
poi  della  Macedonia  per  stabilire  quest'egemonia  in  modo  dura- 
turo ed  efficace  non  ebbero  mai  un  completo  successo. 

Ciò  che  forma  il  tratto  veramente  caratteristico  di  molti  popoli 
dell'antichità  ed  in  generale  delle  civiltà  che  chiameremmo  pri- 
mitive, perchè  poco  hanno  sentito  l'influenza  di  elementi  stranieri, 
è  la  semplicità  e  l'unità  dell'intero  sistema  d'idee  e  di  credenze, 
sulle  quali  si  basava  l'esistenza  di  un  popolo  e  la  sua  organizza- 
zione politica.  Vediamo  infatti  fra  i  detti  popoli  la  formola  poli- 
tica non  solo  essere  appoggiata  sulla  religione,  ma  completamente 
immedesimarsi  colla  stessa.  Il  Dio  era  eminentemente  nazionale, 
rappresentava  il  protettore  speciale  del  territorio  e  del  popolo,  il 
fulcro  della  sua  organizzazione  politica;  il  popolo  viveva  finché 
il  suo  Dio  aveva  forze  bastanti  per  aiutarlo  ed,  alla  sua  volta,  il 
Dio  durava  finché  viveva  il  suo  popolo. 

Gli  Ebrei  sono  l'esempio  più  noto  di  un  popolo  organizzato  se- 
condo il  sistema  che  abbiamo  accennato,  ma  non  si  deve  credere 
che,  nell'epoca  in  cui  fiorirono,  i  regni  d'Israele  e  di  Giuda  costi- 
tuissero un'eccezione.  Lo  stesso  ufficio  che  Javeh  esercitava  a  Ge- 


(1)  Intendiamo  parlare  delle  influenze  morali  ed  intellettuali,  giacche  mate- 
rialmente delle  mescolanze  coi  barbari  vicini,  ne  saranno  sempre  avvenute,  si- 
non  altro  perchè  ad  essi  si  usava  dare  la  caccia  per  ridurli  schiavi. 


78  ELEMENTI    lU    SCIENZA    POLITICA 

rusalemme,  Kamos  lo  disimpe^nava  a  Moal)  (1);  Marduk  a  Babi- 
lonia, Assur  a  Ninive  ed  Ammon  a  Tebe. 

Come  il  Dio  d'Israele  comandava  a  Saul,  a  David  ed  a  Salo- 
mone di  combattere  ad  oltranza  gli  Ammoniti  ed  i  Filistei,  cosi 
Ammon  imponeva  ai  Faraoni  d'Egitto  di  percuotere  i  barbari  del- 
l' Oriente  e  dell'  Occidente  ed  Assur  incitava  allo  sterminio  degli 
stranieri  i  sovrani  di  Ninive  e  loro  concedeva  la  vittoria  (2). 

A  poco  a  poco  però  i  rapporti  fra  j^opoli  relativamente  civili  si 
fecero  più  frequenti  ;  avvenne  la  fondazione  di  grandissimi  imperi 
e  questi  non  poterono  sempre  essere  basati  sull'assimilazione  e  di- 
struzione completa  dei  popoli  vinti,  ma  dovettero  spesso  conten- 
tarsi della  semplice  loro  dipendenza.  Allora  il  vincitore  frequen- 
temente credè  atto  politico  il  riconoscere  e  l'adorare  il  Dio  dei 
vinti:  infatti  i  Re  assiri  conquistatori  di  Babilonia  spesso  resero 
omaggio  a  Marduk  e  pare  che  lo  stesso  abbia  fatto  Ciro;  Ales- 
sandro Magno  sacrificò  ad  Ammon,  ed  in  generale  a  tutte  le  divi- 
nità dei  conquistati,  ed  i  Romani  poi  le  ammisero  tutte  nel  loro 
Pantlieon.  A  questo  punto,  reso  possibile  dai  lunghi  periodi  di  pace 
e  dall'assopimento  delle  rivalità  nazionali,  che  seguono  appunto 
lo  stabilirsi  di  grandi  organismi  politici,  vediamo  apparire  nel 
mondo  un  fenomeno  relativamente  recente,  cioè  le  grandi  reli- 
ligioni  umanitarie  ed  universali;  che,  senza  distinzione  di  razza, 
di  lingua,  di  regime  politico,  aspirano  ad  estendere  l'influenza 
delle  loro  dottrine  indistintamente  su  tutta  la  terra. 

IV.  —  Il  Buddismo,  il  Cristianesimo  ed  il  Maomettismo  sono 
le  tre  grandi  religioni  umanitarie  comparse  finora  nel  mondo  (3). 


(1)  Vedi  la  famosa  stela  di  Mesa  re  di  Moab.  Si  trova  tradotta  nell'opera 
citata  del  Lenormant  ed  in  altri  scrittori  di  storia  dell'antico  Oriente. 

(2)  Il  linguaggio  che  Rab-Sache  ambasciatore  assiro  avrebbe  indirizzato  al 
popolo  radunato  sulle  mura  di  Gerusalemme  illustra  i  concetti  che  abbiamo 
accennato.  "  Rendetevi  al  mio  signore,  diceva  egli,  perchè  come  gli  altri  Dei 
sono  stati  impotenti  a  salvare  i  loro  popoli  dalla  conquista  assira  così  Javeh 
non  poti'à  salvare  voi  ,.  In  altre  parole  Javeh  era  un  Dio,  ma  era  meno  po- 
tente di  Assur,  perchè  il  popolo  di  Assur  vinceva  gli  altri.  I  Siri  di  Damasco 
una  volta  avrebbero  evitato  di  dare  battaglia  ai  Re  d'Israele  nelle  montagne, 
perchè  credevano  che  nelle  regioni  montuose  Javeh  fosse  piìi  potente  del  loro 
Dio  {Cronache  e  libro  dei  Re). 

(3)  L'Ebraismo  padre  del  Cristianesimo  e  del  Maomettismo  è  divenuto  an- 
ch'esso, mediante  un  lungo  processo  evolutivo   che   rimonta    ai    Profeti,    una 


CAP.    Ili    -    NOZIONI    PRELIMINARI 


Comprendono  tutte  e  tre  un  corpo  completo  di  dottrine  a  base 
prevalentemente  filosofica  nel  Buddismo  e  dommatica  nel  Cristia- 
nesimo e  nel  Maomettismo:  ed  ognuna  di  esse  lia  la  pretesa  di 
contenere  la  verità  assoluta  e  di  offrire  una  guida  sicura  ed  infalli- 
bile, la  cui  osservanza  procaccia  il  bene  in  questa  vita  e  nell'altra. 
L'appartenere  insieme  ad  una  di  queste  religioni  costituisce  un 
legame  grandissimo  fra  popoli  disparati  e  differentissimi  di  razza 
e  di  lingua  e  dà  ad  essi  una  maniera  speciale  e  comune  d'inten- 
dere la  morale  e  la  vita,  ed  oltre  a  ciò  costumi  ed  abitudini  poli- 
tiche e  familiari  tali  da  determinare  la  formazione  di  un  vero  tipo 
sociale,  le  cui  caratteristiche  sono  spesso  cosi  spiccate,  cosi  pro- 
fonde, da  riuscire  quasi  indelebili.  Si  può  dire  anzi  che  dalla  com- 
parsa di  queste  grandi  religioni  data  la  distinzione  precisa  tra  tipo 
sociale  e  tipo  nazionale,  che  prima  quasi  non  esisteva.  Infatti  un 
tempo  vi  era  la  civiltà  egiziana,  la  caldaica,  la  greca,  ma  non  la 
civiltà  cristiana  e  la  maomettana  ;  non  esisteva  cioè  un  complesso 
di  popoli,  distinti  di  lingua  e  di  razza  e  divisi  in  molteplici  orga- 
nismi politici,  ma  uniti  da  credenze,  sentimenti  e  coltura  comune. 

Il  Maomettismo  è  fra  tutte  le  religioni  quella  che  forse  scolpisce 
più  fortemente  la  sua  impronta  negli  individui,  che  l'hanno  ab- 
bracciato, o  meglio  che  sono  nati  in  una  società  di  cui  essa  si  è 
impadronita.  Il  Cristianesimo  ed  anche  l'Ebraismo  sono  state  e 
sono  finora  forme  adattissime  per  modellare,  secondo  certi  deter- 
minati disegni,  la  molle  creta  dello  spirito  umano.  Più  blanda  è 
l'azione  del  Buddismo,  ma  pur  sempre  molto  efficace. 

E  pui'e  da  osservare  che  queste  grandi  religioni  con  dottrine  e 
gerarchia  religiosa  fortemente  organizzate,  se  da  una  parte  servono 
maravigliosamente  all'affratellamento  ed  all'assimilazione  dei  cor- 
religionari, sono  dall'altra  parte  una  forza  coibente  di  una  effi- 
cacia grandissima  fra  popolazioni  di  credenze  diverse.  Esse  ba- 
stano a  scavare  un  abisso  quasi  incolmabile  fra  genti  vicine  per 
razza  e  per  lingua,  che  abitano  in  paesi  contigui  o  anche  nella 
stessa  contrada.  E  la  differenza  di  religione  infatti  che  ha  reso  quasi 
impossibile  la  fusione  fra  le  popolazioni  che  abitano  la  penisola 


religione  prevalentemente  umanitaria,  però  si  è  poco  diffuso.  Forse  anche, 
sebbene  in  origine  fosse  una  religione  nazionale,  avea  tendenze  umanitarie  la 
religione  di  Zoroastro. 


80  ELEMENTI    DI    SCIENZA    J'OLITICA 

balcanica  e  l'India  (1).  E  certamente  maravigliosa  l'attitudine  che 
mostrarono  i  Romani  ad  assimilare  i  popoli  sottomessi  vincendo 
notevolissime  resistenze  provenienti  dalla  differenza  di  razza,  di 
lintjua,  di  grado  di  cultura  ;  ma  forse  non  sarebbero  ugualmente 
riusciti  se  avessero  incontrato  l'ostacolo  di  religioni  ostili,  esclu- 
sive e  fortemente  organizzate.  Difatti  il  Druidismo  nelle  Gallie 
ed  in  Bretagna,  benché  avesse  una  organizzazione  assai  poco  ela- 
borata, pure  offrì  qualche  resistenza,  ed  i  Giudei  si  fecero  stermi- 
nare e  disperdere,  ma  non  furono  assimilati.  Nel  Nord  dell'Africa 
Roma  riusci  a  latinizzare  e  conquidere  alla  sua  civiltà,  almeno 
fino  ad  un  certo  punto,  i  progenitori  dei  moderni  Mori,  Arabi  e 
Kabili,  ma  non  si  trovò  di  fronte  alla  religione  mussulmana,  come 
ora  accade  ai  Francesi  ed  agii  Italiani.  Giugurta  e  Tacfarina  non 
potevano  fare  aj^pello  alle  passioni  religiose  come  Abd-el-Kader  e 
Bou-Maza.  Come  bene  scrisse  il  Karamzine  la  religione  cristiana 
impedi  che  la  Moscovia,  sotto  la  lunga  dominazione  dei  Mongoli, 
diventasse  interamente  asiatica;  e  d'altra  jjarte,  sebbene  i  Russi  siano 
alla  loro  volta  potenti  assimilatori  e  nella  grande  Russia  il  sangue 
finnico  e  mongolo  siasi  in  forti  xjroporzioni  mescolato  allo  slavo  (2), 
pure  i  nuclei  di  Tartari  maomettani  di  Kazan,  di  Astrakan  e  di 
Crimea  non  si  sono  fatti  assorbire;  essi  o  hanno  emigrato  o  sono 
rimasti  formando  una  popolazione  a  parte,  sottomessa  ma  netta- 
mente distinta  dal  resto  dei  sudditi  dello  Czar.  Anche  in  China  i 
figli  del  Celeste  Impero  hanno  i)otuto  assai  bene  assimilare  gli 
abitanti  delle  provincie  meridionali,  diversi  di  razza  e  di  lingua, 
ma  non  già  i  Roui-Tze,  discendenti  dalle  tribù  turche  da  circa 
mille  anni  residenti  nelle  iDrovincie  del  Nord-ovest  della  China 
propriamente  detta;  perchè,  malgrado  che  questi  abbiano  adottato 
la  lingua  e  le  apparenze  esteriori  dei  Chinesi  propriamente  detti, 
coi  quali  vivono  mescolati  nelle  stesse  città,  pure  sono  stati  tenuti 


(1)  In  India  si  sa  che  le  religioni  ora  prevalenti  sono  la  maomettana  e  la 
braminica;  la  quale,  benché  non  sia  una  religione  umanitaria,  è  fortemente 
organizzata  e,  colle  sue  caste  e  colle  sue  minute  prescrizioni,  che  moltiplicano 
i  casi  d'impurità  ai  menomi  contatti  con  persone  fuori  della  casta,  ha  una 
grande  efficacia  coibente  ed  ostacola  moltissimo  qualunque  lavorìo  di  assimi- 
lazione sociale. 

(2)  Vedi  Lerot-Beaulieu,  L'Empire  des  tzars  et  les  Russes. 


GAP.    Ili    -    NOZIONI    PRELIMINARI  81 

in  un  isolamento  morale  dal  Maomettismo,  che  i  loro  padri  avevano 
adottato  prima  che  passassero  la  gran  muraglia  (1). 

V.  —  Coir  apparire  delle  grandi  religioni  universali  la  storia 
dell'umanità  si  complica  di  fattori  nuovi.  Già  abbiamo  visto  che, 
anche  prima  che  esse  sorgessero,  un  tipo  sociale,  malgrado  la  sua 
tendenza  all'unità,  si  potea  dividere  in  diversi  organismi  politici. 
Con  le  dette  religioni  questo  fatto  divenne  più  generale  e  meno 
evitabile  e  potè  cominciare  quel  fenomeno,  che  in  Europa  viene 
definito  la  lotta  tra  lo  Stato  e  la  Chiesa. 

La  complicazione  nasce  principalmente  da  ciò,  che  la  tendenza 
all'unità  nel  tipo  sociale  resta,  ma  è  ostacolata  da  forze  molto 
maggiori.  Avviene  poi  che  se  da  una  parte  la  organizzazione  po- 
litica tende  sempre  a  giustificare  la  propria  esistenza  mercè  i  prin- 
cipi della  religione  prevalente,  questa,  da  parte  sua,  cerca  sempre 
d'impadronirsi  del  potere  politico  e  d'identificarsi  con  esso  per 
farne  strumento  ai  suoi  fini  ed  alla  sua  ]3ropaganda. 

E  nei  paesi  maomettani  che  religione  e  politica  stanno  più  stret- 
tamente unite.  Il  capo  di  uno  Stato  maomettano  è  stato  quasi 
sempre  il  pontefice  di  una  delle  grandi  sètte  in  cui  si  divide  l'Islam, 
oppure  dal  pontefice  ha  ricevuto  l'investitura.  A'ero  è  che  nei  se- 
coli scorsi  quest'investitura  fu  spesso  una  vana  formalità,  che  il 
Califfo,  ridotto  omai  senza  forze  temporali,  non  potea  negare  ai  po- 
tenti ;  ma  bisogna  tener  presente  che,  nel  periodo  che  corre  dalla 
decadenza  degli  Abassidi  di  Bagdad  fino  al  sorgere  del  grande 
impero  ottomano,  il  fanatismo  musulmano  era  molto  minore  di 
quello  di   oggi    (2).  Certo   è   poi  che    ogni  grande  rivoluzione  o 


(1)  Fu  sotto  la  dinastia  dei  Tang  che  queste  tribù  turche  si  stabilirono 
nelle  provincie  di  Scen-si  e  di  Kan-sou,  chiamatevi  per  combattere  le  inva- 
sioni dei  Tibetani.  Nel  1861  l'antipatia,  che  sempre  ci  era  stata  tra  i  mao- 
mettani ed  i  loro  conterranei  buddisti,  die  origine  ad  una  terribile  insurre- 
zione, nella  quale  i  primi  fecero  una  guerra  di  sterminio  ai  secondi.  Dopo 
avere  desolato  orribilmente  le  provincie  accennate  la  guerra  civile  si  restrinse 
nella  Kashgaria  al  di  là  della  gran  muraglia,  e  non  finì  che  nel  1877  coll'as- 
sassinio  del  capo  dei  maomettani  Jakoub-beg  (Rousskt,  opera  citata). 

(2)  Basta  avere  una  superficiale  conoscenza  della  storia  dei  paesi  maomet- 
tani per  esseime  convinto.  Eredi  della  civiltà  persiana  dell'epoca  dei  Sassanidi 
e  mercè  lo  studio  degli  antichi  autori  greci,  i  Musulmani,  per  parecchi  secoli 
del  Medio  Elvo,  furono   assai    piìi    spregiudicati    dei    cristiani    contemporanei 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  6 


82  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

fondazione  di  nuovo  Stato  nei  paesi  maomettani  si  accoppia  e 
giustifica  quasi  sempre  con  un  nuovo  scisma  religioso  ;  cosi  fu 
nel  Medio  Evo,  quando  sorsero  i  nuovi  imperi  degli  Almoravidi 
e  degli  Almohaidi,  e  lo  stesso  è  avvenuto  nel  secolo  decimonono 
coll'insurrezione  dei  Wahabiti  e  con  quella  capitanata  dal  Mahdi 
di  Ondurman. 

In  China  il  Buddismo  vive  sottomesso  sotto  la  protezione  dello 
Stato,  il  quale  mostra  di  riconoscerne  e  tutelarne  il  culto  per  un 
riguardo  alle  classi  basse  della  popolazione,  che  ne  sono  seguaci  (1). 
Nel  Giappone  questa  religione  è  tollerata,  ma  il  Governo  cerca  at- 
tualmente di  favorire  l'antica  religione  nazionale  di  Sinto.  In  Eu- 
ropa i  diversi  riti  del  Cristianesimo  si  trovano  in  condizioni  molto 
differenti. 

In  Russia  lo  czar  è  il  capo  della  religione  ortodossa  e  l'autorità 
della  Chiesa  si  confonde  quasi  con  quella  dello  Stato,  anzi,  agli 
occhi  di  un  vero  russo,  un  buon  suddito  dello  czar  deve  essere 
greco  ortodosso  (2).  Anche  nei  paesi  jDrotestanti  il  rito  dominante 
ha  pui'e  un  carattere  più  o  meno  ufficiale.  Il  Cattolicismo,  dalla 
caduta  dell'impero  romano,  ha  a\Tito,  ed  ha  ancora,  un'indipen- 
denza maggiore.  Nel  Medio  Evo  aspirò  ad  asservire  l'autorità  laica 
in  tutti  i  paesi  che  erano  entrati  nell'orbita  cattolica,  e  ci  fu  un 
m^omento  in  cui  il  Papa,  potè  sperare  vicina  la  realizzazione  del 
vastissimo  progetto  di  riunire  tutta  la  Cristianità,  cioè  tutto  un 
tipo  sociale,  sotto  la  sua  influenza  più  o  meno  diretta.  Ora  vive 
di  compromessi,  dando  appoggio  ai  poteri  laici  e  ricevendone,  e, 
qua  e  là,  in  lotta  aperta  con  essi. 


(Amari,  Storia  dei  Musulmani  in  Sicilia).  Quest'autore  traduce  e  riporta  una 
corrispondenza  fra  l'imperatore  Federico  II  e  parecchi  dotti  musulmani,  suoi 
contemporanei,  nella  quale  si  sente  un  forte  sapore  di  razionalismo. 

(1)  Si  sa  che  il  gran  Lama,  dal  quale  dipendono  i  Buddisti  del  Tibet,  della 
Mongolia  e  di  alcune  provincie  della  China  propriamente  detta,  seguiva  stret- 
tamente a  Lassa,  fino  a  pochi  anni  fa,  le  ispirazioni  del  residente  chinese.  I 
Bonzi  diffusi  nella  maggior  parte  della  China,  non  hanno  un'organizzazione 
centralizzata  e  rappresentano  quasi  i  Protestanti  del  Buddismo.  Il  Governo  li 
tollera  e  spende  spesso  alcune  somme  per  calmare  le  superstizioni  popolari 
mediante  feste  buddistiche.  Le  classi  colte,  come  si  sa,  seguono  in  China  il 
positivismo  agnostico  di  Confucio,  che  si  può  anche  confondere  con  un  vago 
Deismo. 

(2)  Lkkot-Beaulieu,  opera  citata  e  segnatamente  il  libro  dove  parla  delle 
religioni  della  Russia. 


CAP.    Ili    -    NOZIONI    PRELIMINARI  83 

Un  organismo  politico  la  cui  popolazione  è  seguace  di  una  delle 
religioni  universali  accennate,  o  anche  divisa  fra  diversi  riti  di 
una  di  queste  religioni,  deve  avere  una  base  propria  giuridica  e 
morale  sulla  quale  poggi  la  sua  classe  politica.  Deve  essere  perciò 
fondato  sul  sentimento  nazionale,  sulla  lunga  tradizione  dell'auto- 
nomia, sulle  rimembranze  storiche,  sulla  devozione  secolare  ad  una 
dinastia,  su  qualche  cosa  insomma  che  ad  esso  sia  speciale.  Ac- 
canto al  culto  generale,  umanitario,  deve  esistere  in  certo  modo  il 
culto,  diremmo  quasi  nazionale,  più  o  meno  bene  conciliato  e  coor- 
dinato con  quello.  I  doveri  dei  due  culti  vengono  spesso  cumula- 
tivamente osservati  dagli  stessi  individui:  ed  a  questo  proposito 
è  bene  osservare  che  non  sempre  gli  uomini  sono  perfettamente 
coerenti  nello  stabilire  i  principi  ai  quali  inspirano  la  loro  con- 
dotta. Sicché  in  pratica  si  può  essere  buoni  cattolici  e  nello  stesso 
tempo  buoni  Tedeschi,  buoni  Italiani,  buoni  Francesi  e  servire 
fedelmente  un  sovrano  protestante  od  una  Repubblica,  che  fa 
professione  ufficiale  di  anticlericalismo.  Qualche  volta,  come  av- 
viene frequentemente  in  Italia,  si  può  essere  anche  buon  pa- 
triotta  ed  ardente  socialista,  sebbene  la  democrazia  sociale,  come 
il  Cattolicismo,  sia  nella  sua  essenza  contraria  al  particolarismo 
nazionale.  Però  queste  transazioni  avvengono  quando  le  passioni 
non  sono  molto  acuite,  ed,  a  rigor  di  logica,  avevano  ragione  gl'In- 
glesi del  secolo  decimottavo,  i  quali,  considerando  che  il  Re  era 
il  capo  della  Chiesa  anglicana  e  che  al  Papa  dovea  anzi  tutto  ob- 
bedienza ogni  buon  cattolico,  credevano  che  egli  non  potesse  essere 
nello  stesso  tempo  un  buon  inglese. 

Ciò  che  è  veramente  necessario,  quando  esiste  un  antagonismo 
più  o  meno  larvato  fra  una  dottrina  od  una  religione  che  aspira 
all'universalità  ed  i  sentimenti  e  le  tradizioni,  che  sostengono  il 
particolarismo  di  uno  Stato,  è  che  questi  ultimi  siano  veramente 
forti,  che  siano  anche  collegati  con  molti  interessi  materiali  e  che 
una  frazione  cospicua  della  classe  dirigente  ne  sia  fortemente  im- 
bevuta e  li  propaghi  e  li  mantenga  nelle  masse.  Quando  questa 
frazione  della  classe  politica  è  inoltre  saldamente  organizzata  può 
tener  testa  a  tutte  le  correnti  religiose  e  dottrinarie,  che  eserci- 
tano la  loro  influenza  nella  società  che  essa  dirige.  Ma  se  i  suoi 
sentimenti  sono  fiacchi,  lo  sue  forze  morali  od  intellettuali  defi- 
cienti, la  sua  organizzazione  difettosa,  allora  quelle  prevalgono  e 
lo  Stato  finisce  col  diventare  lo  zimbello  di  qualcuna  delle  reli- 


84  ELEMENTI   DI    SCIENZA    POLITICA 


gioni  o  dottrine  universali,  ad  esempio  del   cattolicismo  o  della 
democrazia  sociale. 

VI.  —  Prima  di  procedere  innanzi  crediamo  opportuno,  per 
rendere  più  facile  l'esposizione  di  ciò  che  appresso  diremo,  di  dare 
una  breve  notizia  intorno  ai  due  tipi  secondo  i  quali  ci  pare  che 
si  possano  classificare  tutti  gli  organismi  politici.  Questi  due  tipi 
sarebbero  il  feudale  ed  il  burocratico. 

Cominciamo  subito  col  far  rilevare  che  questa  nostra  classifica- 
zione non  è  basata  su  criteri  immutabili  ed  essenziali  ;  non  cre- 
diamo perciò  che  ci  sia  alcuna  legge  psicologica,  la  quale  sia  spe- 
ciale ad  alcuno  dei  due  tipi  ed  ignota  quindi  all'altro.  Ci  pare 
anzi  che  i  due  tijDi  non  siano  che  la  manifestazione,  in  momenti 
diversi,  di  una  sola  tendenza  costante,  per  la  quale  l'organizza- 
zione politica  delle  società  umane  diventa  meno  semplice  ossia  più 
complicata,  mano  mano  che  ogni  società  aumenta  in  grandezza  e 
si  perfeziona  in  civiltà.  La  seconda  di  queste  condizioni  è  anzi 
più  indispensabile  e  di  carattere  più  generale  della  prima,  perchè, 
a  dir  vero,  anche  Stati  molto  vasti  possono  essere  organizzati  feu- 
dalmente. In  fondo  uno  Stato  burocratico  non  è  perciò  che  uno 
Stato  feudale  la  cui  organizzazione,  progredendo  e  sviluppandosi, 
si  è  complicata  ;  come  pure  uno  Stato  feudale  può  provenire  da  una 
società  già  burocratizzata,  che,  decaduta  di  civiltà  e  sx3esso  ridotta 
in  frammenti,  è  stata  costretta  a  ritornare  ad  un  ordinamento  po- 
litico più  semplice  e  più  primitivo. 

Ciò  premesso,  diremo  come  per  Stato  feudale  intendiamo  quel 
tipo  di  organizzazione  politica  nella  quale  tutte  le  funzioni  diret- 
tive di  una  società,  come  sarebbero  le  economiche,  le  giuridico- 
amministrative  e  le-militari,  sono  esercitate  cumulativamente  dagli 
stessi  individui,  e  nello  stesso  tempo  lo  Stato  si  compone  di  pic- 
coli aggregati  sociali,  ognuno  dei  quali  possiede  tutti  gli  organi 
necessari  per  bastare  a  se  stesso.  L'Europa  del  Medio  Evo  ci  offre 
l'esempio  più  conosciuto  di  questa  specie  di  ordinamento,  che  perciò 
appunto  abbiamo  chiamato  feudale,  ma,  studiando  la  storia  degli 
altri  popoli  e  leggendo  i  racconti  dei  viaggiatori  contemporanei, 
ci  possiamo  facilmente  accorgere  che  esso  è  molto  diffuso.  Infatti, 
come  il  barone  medioevale  era  proprietario  della  terra,  coman- 
dante degli  armati,  giudice  ed  amministratore  del  suo  feudo,  nel 
quale  godeva  il  mero   e   misto  imperio,    cosi    ora  il  Ras  abissino 


GAP.    Ili    -    NOZIONI    PEELIMINARI  85 


compartisce  la  giustizia,  comanda  i  guerrieri  e  preleva  i  tributi, 
ossia  toglie  al  coltivatore  tutto  quanto  non  è  strettamente  neces- 
sario al  suo  mantenimento.  In  certe  epoche  dell'antico  Egitto  VJiiq 
o  governatore  locale  curava  la  manutenzione  dei  canali,  dirigeva 
le  culture,  amministrava  la  giustizia,  esigeva  i  tributi,  comandava 
gli  armati  (1)  ;  anche  il  curaca  del  Perù,  sotto  l'impero  degli  Incas, 
era  il  capo  del  suo  villaggio  ed  a  questo  titolo  ne  amministrava 
la  proprietà  rurale  collettiva,  vi  esercitava  le  funzioni  giudiziarie 
e,  alla  richiesta  del  figlio  del  Sole,  ne  comandava  il  contingente 
armato  (2). 

Qualche  volta  anche  le  funzioni  religiose  sono  state  disimpe- 
gnate dallo  stesso  capo  che  dirigeva  le  altre  attività  sociali,  come 
appunto  avveniva  nel  Medio  Evo  europeo  quando  gli  abati  ed  i 
vescovi  erano  pure  feudatari.  E  pure  da  tener  presente  che  si  può 
avere  un  ordinamento  feudale,  anche  quando  la  terra,  fonte  quasi 
esclusiva  della  ricchezza  nelle  società  poco  avanzate,  non  è  giu- 
ridicamente proprietà  assoluta  della  classe  governante.  Poiché, 
dato  che  i  coltivatori  non  siano  legalmente  vassalli  e  schiavi  e 
che  siano  anche  nominalmente  proprietari  del  campo  che  coltivano, 
certo  è  che  il  capo  locale  ed  i  suoi  satelliti,  avendo  piena  podestà 
d'imporre  tributi  e  corvées^  lascieranno  ai  lavoratori  dei  campi 
soltanto  quello  che  è  necessario  per  la  loro  sussistenza. 

Hanno  avuto  carattere  spiccatamente  feudale  anche  piccoli  or- 
ganismi politici,  nei  quali  la  produzione  della  ricchezza  è  stata 
basata  non  sulla  cultura  della  terra,  ma  sul  commercio  e  sull'in- 
dustria ;  giacché  ci  è  stata  la  stessa  fusione  della  direzione  politica 


(1)  Ciò  accadde  sopratutto  durante  le  più  antiche  ed  anche  al  tempo  di 
alcune  fra  le  piìi  recenti  dinastie.  Bisogna  tener  presente  che  la  storia  del- 
l'antico Egitto  dura  circa  trenta  secoli,  spazio  di  tempo  durante  il  quale,  mal- 
grado la  pretesa  immobilità  orientale,  una  società  ha  comodamente  il  tempo 
di  passare  piìi  volte  dallo  stadio  feudale  al  burocratico  e  da  questo  tornare 
all'ordinamento  feudale. 

(2)  Anche  la  China  traversò  il  suo  periodo  feudale  e  nel  Giappone  questo 
ordinamento  è  durato  fino  alla  fine  del  secolo  decimosesto,  e  le  sue  traccia 
sparvero  solo  dopo  la  rivoluzione  del  1868.  È  ancora  feudale  l'organizzazione 
dell'Afganistan  e  lo  era  in  gran  parte  quella  dell'India,  quando  fu  con- 
quistata dagli  Europei.  Si  può  dire  anzi  che  ogni  grande  società  ha  dovuto 
traversare  una  o  parecchie  volte  il  periodo  feudale. 


86  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA. 


ed  economica  nello  stesse  persone.  Così  i  capi  politici  dei  Comuni 
medioovali  orano  nello  stesso  tempo  capi  delle  corporazioni  di  arti 
e  mestieri;  i  negozianti  di  Tiro  e  Sidone,  come  quelli  di  Genova  e 
di  Venezia,  di  Brema  e  di  Amburgo  dirigevano  i  banchi  e  le  fat- 
torie stabilite  nei  paesi  barbari,  comandavano  le  navi,  che  a  volta 
servivano  al  commercio  ed  a  volta  alla  guerra,  e  governavano  le 
loro  città.  Ciò  accadeva  specialmente  quando  la  città  viveva  di 
commercio  marittimo,  nell'esercizio  del  quale  chi  comandava  la 
nave  alla  funzione  commerciale  accopi)iava  molto  facilmente  la 
direzione  politica  e  militare.  Altrove,  a  Firenze  ad  esempio,  dove 
gran  parte  dei  ijroventi  si  traevano  dall'industria  e  dalle  banche, 
la  classe  dirigente  presto  perdette  le  abitudini  guerresche  e  perciò 
la  du'ezione  militare  (1).  Forse  si  deve  in  parte  a  ciò  la  vita  agitata, 
che  visse  la  oligarchia  mercantile  di  Firenze  dalla  cacciata  del  duca 
di  Atene  a  Cosimo  dei  Medici. 

VII.  —  Nello  stato  burocratico  non  devono  necessariamente 
tutte  le  funzioni  direttive  essere  accentrate  nella  burocrazia  e  da 
essa  venire  esercitate  :  possiamo  anzi  affermare  che  ciò  fino  al 
momento  presente,  forse  mai  è  avvenuto.  La  caratteristica  princi- 
pale di  questo  tipo  di  organizzazione  sociale  crediamo  che  stia  in 
questo  fatto  :  che,  laddove  esso  sussiste,  il  potere  centrale  preleva 
per  via  d'imposte  una  parte  notevole  della  ricchezza  sociale,  la 
quale  serve  prima  di  tutto  al  mantenimento  dell'organizzazione 
militare,  poi  a  sopperire  ad  una  quantità  più  o  meno  grande  di 
funzioni  civili.  Sicché  una  società  tanto  più  è  burocratica  quanto 
maggiore  è  la  quantità  di  funzionari,  che  disimpegnano  uffici 
pubblici  e  vivono  ricevendo  un  salario  dal  Groverno  centrale  o  dai 
corpi  locali. 

In  uno  Stato  burocratico  poi  la  specializzazione  delle  funzioni 
dirigenti  è  sempre  maggiore  che  negli  Stati  feudali  :  la  prima  e 
la  più  elementare  divisione  delle  attribuzioni  è  quella  che  sottrae 
all'elemento  militare  le  facoltà  amministrative  e  le  giudiziarie.  E 
anche  evidente  che  negli  Stati  burocratici  la  disciplina  in  tutti  i 


(1)  Secondo  Gino  Capponi  [Storia  della  Repubblica  di  Firenze.  Firenze,  1876 
ed.  Barbera)  le  ultime  cavallate,  ossia  spedizioni  militari  alle  quali  i  nobili  ed 
i  ricchi  mercatanti  fiorentini  presero  personalmente  parte,  rimontano  al  1325. 


CAP.    Ili    -    NOZIONI    PRELIMINARI  87 

gradi  della  gerarchia  politica  amministrativa  e  militare  è  molto 
più  assicurata.  Il  paragone  fra  un  conte  del  Medio  Evo  circon- 
dato da  armigeri  e  vassalli  da  secoli  attaccati  alla  sua  famiglia 
e  mantenuti  coi  i^rodotti  delle  terre  del  signore  ed  un  prefetto  ed 
un  generale  moderni,  ai  quali  un  colpo  di  telegrafo  j)uò  sottrarre 
di  botto  ogni  autorità  e  perfino  lo  stipendio,  basta  subito  a  dar- 
cene una  idea.  Nello  Stato  feudale  perciò  si  richiede  una  grande 
energia,  un  gran  senso  politico  in  colui  o  coloro  che  stanno  al 
sommo  vertice  della  scala  sociale  per  tenere  organizzati,  compatti, 
obbedienti  ad  un  unico  im^Dulso  i  diversi  gruppi  sociali,  che  tende- 
rebbero alla  disgregazione  ed  all'autonomia,  e  ciò  è  tanto  vero 
che,  spesso,  con  la  morte  di  un  capo  autorevole  finisce  la  forza 
di  uno  Stato.  Solo  una  grande  unità  morale,  l'appartenere  ad  un 
tipo  sociale  molto  spiccato,  può  salvare  per  lungo  tempo  l'esi- 
stenza f)olitica  di  un  popolo  feudalmente  organizzato  ;  e  certamente 
ci  è  voluto  il  Cristianesimo  per  isolare  e  salvare  l'autonomia  delle 
genti  abissine,  circondati  da  pagani  e  maomettani.  Quando  però 
questa  forza  coibente  agisce  in  modo  fiacco  e  quando  lo  Stato 
feudale  si  trova  a  contatto  con  popoli  più  saldamente  organiz- 
zati, allora  è  molto  facile  che  sia  assorbito  e  sparisca  in  una 
delle  tante  crisi  periodiche,  alle  quali  in  esso  il  potere  centrale 
è  fatalmente  soggetto  (1).  Al  contrario  le  qualità  personali  del 
capo  supremo  influiscono  relativamente  poco  sulla  durata  di  uno 
Stato  burocratico  ed  una  società  burocraticamente  organizzata 
può  conservare  la  sua  autonomia  anche  quando  ripudia  una  an- 
tica formola  politica  e  ne  adotta  una  nuova ,  ovvero  quando 
modifica,  anche  profondamente,  il  suo  tipo  sociale  (2). 

Vili.  —  L'organizzazione  burocratica  non  deve  essere  neces- 
sariamente accentratrice,  nel  senso  che  comunemente  si  suol  dare 
a  quest'espressione  ;  spesso  la  burocratizzazione  si  può  conciliare 
con  una  larga  autonomia  provinciale,  come  accade,  ad  esempio, 
nella  China  ;  dove  le  diciotto  provinole  propriamente  chinesi  hanno 


(1)  Il  pensiero  ricorre  subito  all'esempio  della  Polonia. 

(2)  Come  è  accaduto  nell'impero  romano,  che  in  Occidente  sopravvisse  un 
secolo  e  mezzo  ed  in  Oriente  più  di  undici  secoli  alla  adozione  del  Cristia- 
nesimo. Analoghe  osservazioni  si  potrebbero  fare  sulle  nazioni  moderne,  che 
dal  diritto  divino  sono  passate  al  regime  parlamentare. 


ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


una  larghissima  autonomia,  in  modo  che  dal  capoluogo  di  ognuna 
di  esse  si  provvede  a  quasi  tutti  gli  affari  locali  (1). 

Grii  Stati  di  civiltà  europea,  anche  i  più  discentrati,  sono  tutti 
più  o  meno  burocratizzati  :  come  abbiamo  già  accennato,  la  carat- 
teristica principale  di  un  organismo  burocratico  è  questa  :  che  in 
esso  le  funzioni  militari  ed  un  numero  i^iù  o  meno  grande  gli  altri 
servizi  pubblici  sono  esercitati  da  impiegati  salariati.  Che  i  salari 
siano  tutti  pagati  dal  Governo  centrale  o  che  in  parte  ricadano 
sui  corpi  locali,  che  più  o  meno  stanno  sotto  il  controllo  di  quello, 
è  un  dettaglio,  che  non  ha  la  grande  importanza  che  ad  esso  si  suole 
attribuire. 

Nella  storia  non  mancano  i  casi  di  organismi  politici  molto 
piccoli,  i  quali,  avendo  un'organizzazione  burocratica  appena  ab- 
bozzata o  non  avendone  quasi  affatto,  hanno  compito  miracoli  di 
energia  in  ogni  ramo  dell'attività  umana.  Le  città  elleniche  ed  i 
Comuni  italiani  del  Medio  Evo  sono  esempi  che  neppure  occorre  di 
citare.  Ma  quando  si  tratta  di  vasti  organismi  umani,  che  si  sten- 
dono su  tratti  grandissimi  di  territorio  e  comprendono  milioni  e 
milioni  d' individui,  pare  che  solo  l'organizzazione  burocratica 
riesca  a  riunire  sotto  unico  impulso  quegli  immensi  tesori  di  forza 
economica  e  di  energia  morale  ed  intellettuale,  coi  quali  la  classe 
dirigente  può  riuscire  a  modificare  profondamente  le  condizioni 
interne  di  una  società  (2),  ed  a  renderne  efficace  e  potente  Fazione 
al  di  là  dei  proprii  confini.  Era  infatti  burocratizzato  TEgitto  nei 
bei  tempi  della  XVII  e  X\'T[II  dinastia,  quando  la  civiltà  dei  Fa- 
raoni ebbe  una  delle  più  splendide  rinascenze  ed  i  battaglioni 
egiziani  dal  Nilo  Azzurro  estesero  le  loro  conquiste  fino  ai  x)iedi 
del  Caucaso  (3).  Era  uno  Stato  fortemente  bui'ocratico  l' impero 
romano,   saldissimo  organismo  sociale  che  seppe  estendere  la  el- 


fi) Vedi  Huc,  Réclus,  Rousset,  Opere  citate. 

(2)  Bisogna  tener  presente  che  coll'organizzazione  feudale  è  più  pesante, 
diretta  ed  arbitraria  l'autorità  che  un  membro  della  classe  dirigente  può 
esercitare  su  parecchi  od  anche  molti  individui  della  classe  sottomessa,  mentre 
colla  organizzazione  burocratica  è  più  efficace  l'azione  dell'intera  classe  politica 
sul  resto  della  società. 

(3)  È  da  notare  che  nell'Egitto  antico,  come  nella  China,  non  era  ancora 
conosciuta  la  coniazione  dei  metalli  preziosi.  I  tributi  perciò  si  prelevavano 
in  natura,  oppure  si  calcolavano  in  metalli  preziosi,  che  erano  pesati.  Ciò  era 


CAP.    IH    -    NOZIONI    PRELIMINARI  89 


viltà  della  Grecia  e  dell'Italia  e  la  lingua  dell'Italia  a  tanta  parte 
del  mondo,  compiendo  uno  dei  più  diffìcili  lavori  di  assimilazione 
sociale.  Ed  è  burocratica  la  Russia,  che,  malgrado  varie  gravissime 
debolezze  interne,  lia  ancora  una  potente  vitalità  e  spinge  sempre 
più  avanti  la  sua  espansione  nei  vastissimi  territori  dell'Asia. 

Malgrado  questi  e  parecchi  altri  esempi,  che  facilmente  si  po- 
trebbero trovare,  non  bisogna  dimenticare  un  fatto  importantis- 
simo, che  abbiamo  già  accennato  ;  cioè  che  nessuna  grande  società 
troviamo  nella  storia,  nella  quale  tutte  le  attività  umane  siano 
state  completamente  burocratizzate.  E  questo  forse  uno  dei  tanti 
indizii  della  grande  complessità  delle  leggi  sociali,  la  quale  fa  si 
che  un  tipo  di  ordinamento  politico,  che  produce  buoni  risultati 
quando  è  applicato  fìno  ad  un  certo  punto,  sistematizzato  e  ge- 
neralizzato, riesce  inattuabile  e  dannoso.  Infatti  noi  vediamo  spesso 
burocratizzata  la  giustizia,  burocratizzata  l'amministrazione,  e  quel 
gran  burocratizzatore,  che  fu  Napoleone  primo,  condusse  a  buon 
punto  anche  la  burocratizzazione  dell'insegnamento  e  della  ge- 
rarchia sacerdotale  cattolica;  vediamo  spesso  eseguiti  dalla  buro- 
crazia strade,  canali,  ferrovie,  tutti  i  lavori  pubblici,  che  agevolano 
la  produzione  della  ricchezza,  ma  questa  produzione  stessa  non 
vediamo  mai  interamente  burocratizzata.  Sembra  che  la  direzione 
di  questo  ramo  importantissimo  dell'attività  sociale  mal  si  pieghi, 
come  tanti  altri,  alla  regolarità  burocratica  e  che  per  la  classe, 
che  vi  è  dedicata,  il  tornaconto  individuale  sia  uno  si3rone  ben 
più  efficace  di  qualunque  salario  governativo. 

Ma  vi  è  di  più:  abbiamo  indizii  abbastanza  forti  che  la  buro- 
cratizzazione estesa  alla  produzione  ed  all'intera  distribuzione  della 
ricchezza  sarebbe  esiziale.  Non  vogliamo  accennare  ai  danni  eco- 
nomici del  protezionismo,  dell'ingerenza  del  Governo  nelle  banche 


un  ostacolo  non  indifferente  al  funzionamento  del  regime  burocratico  e  vi  si 
suppliva  mercè  una  complicata  e  minuziosa  contabilità. 

Importante  poi  è,  dal  lato  psicologico,  il  fatto  che,  quando  le  circostanze 
sociali  sono  identiche,  l'uomo  a  migliaia  d'anni  di  distanza  si  rivela,  anche 
nelle  piccole  cose,  sempre  lo  stesso.  Esistono  infatti  (sono  tradotte  e  riportate 
dal  Lenormant  nell'opera  citata,  e  dal  Masperoì  lettere  di  ufficiali  egiziani, 
che  descrivono  i  disagi  delle  lontane  guarnigioni  della  Siria  ed  altre  lettere 
di  funzionari,  che  si  annoiano  nelle  piccole  citi  a  di  provincia  e  sollecitano  la 
protezione  dei  superiori  e...  il  trasloco  nella  capitale. 


90  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

e  del  soverchio  svol<^imento  dato  ai  lavori  pubblici,  e  facciamo  sol- 
tanto rilevare  un  fatto  bene  accertato.  Il  regime  burocratico,  nel 
quale  chi  dirige  la  produzione  economica  ed  anche  il  singolo  lavora- 
tore sono  protetti  contro  la  confisca  arbitraria  i^er  parte  dei  forti  e 
dei  prepotenti  e  che  severamente  reprime  ogni  guerra  privata, 
offre  una  grande  sicurezza  alla  vita  umana  ed  anche  alla  proprietà: 
con  esso  mediante  una  quota  parte  fìssa,  che  il  i^roduttore  paga  a 
profitto  dell'organizzazione  sociale,  egli  ha  il  tranquillo  godimento 
del  resto  della  produzione  ;  ciò  che  permette  tale  uno  svolgimento 
della  ricchezza  pubblica  e  privata,  il  quale  è  ignoto  nei  paesi  più 
barbari  e  più  primitivamente  organizzati.  Ma  può  accadere,  ed  è 
accaduto,  che,  o  perchè  le  pretensioni  della  classe  militare  e  degli 
altri  bm'ocratici  sono  troppo  esagerate,  o  per  i  soverchi  uffici  che 
la  burocrazia  vuole  disimpegnare,  o  per  le  guerre  ed  i  debiti,  che 
ne  sono  la  conseguenza,  la  quantità  di  ricchezza,  che  la  classe  che 
adempie  alle  altre  funzioni  che  non  siano  le  economiche  assor- 
bisce e  consuma,  diventi  troppo  esagerata.  Allora  l'imposta  i)re- 
levata  sulle  classi  produttrici  della  ricchezza  può  aumentare  al 
punto  da  far  diminuire  fortemente  il  tornaconto  individuale  alla 
produzione,  ed  in  questo  caso  viene  a  scemare  immancabilmente 
la  produzione  stessa.  Colla  diminuzione  della  ricchezza  vanno  di 
pari  passo  l'emigrazione  od  una  maggiore  mortalità  nelle  classi 
povere  ed  infine  l'esaurimento  delFintero  corpo  sociale.  Sono  questi 
appunto  i  fenomeni  che  scorgiamo  al  declinare  degli  Stati  buro- 
cratici ;  li  vediamo  infatti  nell'epoca  che  segui  il  massimo  svolgi- 
mento burocratico  dell'  Egitto  antico  e  più  \àsibilmente  ancora 
durante  la  decadenza  dell'impero  romano  (1). 


(1)  Alla  fine  del  lungo  regno  di  Ramses  II,  col  quale  comincia  la  decadenza 
della  terza  civiltà  egiziana,  le  imposte  erano  divenute  intollerabili,  come  è 
attestato  da  parecchi  documenti  privati,  che  si  trovano  decifrati  nelle  opere 
del  Maspero,  del  Lenormant,  ecc.  È  noto  che  la  vera  causa  della  decadenza 
dell'impero  romano  fu  la  diminuzione  della  popolazione  e  della  ricchezza,  che 
dovette  essere  principalmente  causata  dalla  gravezza  delle  imposte  e  dalla 
ignorante  ingordigia  con  cui  si  esigevano  (Vedi  principalmente  Mommsen  e 
Marqdardt,  opera  citata  nel  volume  che  tratta  delV Organizzazione  finanziaria 
dei  Romani).  Anche  in  Francia  la  popolazione  e  la  ricchezza  diminuirono  alla 
fine  del  lungo  regno  del  gran  re  Luigi  XIV  e  si  rimisero  in  buono  stato  sotto 
il  governo  del  pacifico   cardinale   Fleury. 


CAPITOLO  IV. 
Rapporti  tra  la  classe  politica  ed  il  tipo  sociale. 


I.  Tendenza  degli  organismi  ad  estendere  il  proprio  tipo  sociale.  —  II.  Coesistenza 
di  diversi  tipi  sociali  in  unico  organismo  politico.  —  HI.  Unità  e  diflferenze  di 
tipo  sociale  tra  le  varie  classi  dello  stesso  popolo.  —  IV.  Eapporti  tra  la  di- 
versità dei  costumi  e  la  varietà  del  tipo  sociale.  —  V.  Psicologia  delle  plebi. 
—  VI.  Conseguenze  della  diversità  di  tipo  sociale  tra  la  plebe  e  la  classe  di- 
rigente. 

I.  —  Abbiamo  già  visto  nel  capitolo  precedente  come  ogni 
tipo  sociale  abbia  la  tendenza  a  riunirsi  in  un  unico  organismo 
politico  ;  diremo  ora  come  ogni  organismo  politico,  estendendosi, 
quasi  sempre  miri  e  spesso  riesca  alFallargamento  del  proprio  tipo 
sociale. 

Questa  aspirazione,  clie  troviamo  anche  neirantichità  più  re- 
mota, aveva  allora  la  sua  attuazione  mercè  procedimenti  barbari, 
grossolani  e  violenti,  ma  certo  efficaci.  Gli  Assiri,  ad  es.,  costu- 
mavano di  trapiantare  le  popolazioni  conquistate,  le  quali,  strap- 
pate a  forza  dalla  madre  jjatria,  venivano  disseminate  fra  genti 
di  spirito  e  di  nazionalità  assira  colle  quali  finivano  col  fon- 
dersi (1);  alla  loro  volta  colonie  assire  venivano  spesso  mandate 
nelle  terre  conquistate.  Gl'Incas  del  Perù  costumavano  parimenti 
di  trapiantare  in  massa  le  tribù  selvagge  che  conquistavano,  per 
poterle   più   facilmente  addomesticare  alla   civiltà   peruviana  ed 


(1)  Come  dovette  avvenire  alla  più  gran   parte    del    fiore   delle   dieci    tribù 
d'Israele  trasportate  al  di  là  dell'Eufrate. 


92  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


assimilarle  agli  altri  sudditi  del  figlio  del  sole.  Nel  Medio  Evo 
Carlomagno,  dox)o  avere  sterminato  una  buona  parte  dei  Sassoni, 
trapiantò  nel  loro  paese  delle  numerose  colonie  di  Franchi  fi). 
Alcuni  secoli  dopo  i  Cavalieri  Teutonici  estendevano  la  lingua 
germanica  e  la  religione  cristiana  dalle  rive  dell'Elba  fino  alle 
foci  della  Vistola  e  del  Niemen  con  modi  consimili:  sterminando 
cioè  una  parte  dei  naturali  e  trasportando  nei  paesi  conquistati 
numerose  colonie  tedesche  (2). 

I  Romani  applicarono  alle  volte  metodi  analoghi,  ma  non  ne 
fecero  un  uso  esclusivo.  Ad  es.,  non  li  impiegarono  mai  colle  po- 
polazioni molto  civili  dell'Oriente,  ed  anche  in  Gallia,  in  Spagna, 
in  Britannia  ed  altrove  l'impero  assimilò  i  barbari  basandosi  prin- 
cipalmente sulla  diffusione  della  lingua  e  del  diritto  latino  e  su 
quella  della  letteratura  e  della  scienza  greco-italiana,  diffondendo 
infine  i  benefìzi  di  un'amministrazione  ammirevolmente  organiz- 
zata e  di  una  civiltà  superiore  (3/. 

Generalmente  la  propaganda  religiosa  ed  una  coltui'a  più  avan- 
zata sono  i  modi  più  efficaci  per  assimilare  le  popolazioni  sotto- 
messe. Fu  infatti  con  questi  modi  che  il  Messico,  il  Perù  e  moltissimi 
altri  paesi  dell'America  meridionale  ricevettero  in  pochi  secoli 
l'impronta  della  civiltà  spagnuola  e  portoghese,  sebbene  buona 
parte,  e  qualche  volta  la  gran  maggioranza  dei  loro  abitanti,  non 
fossero  di  origine  iberica. 

II.  —  Ma  spesso  un  diverso  tipo  sociale  sopravvive,  almeno 
per  alcuni  secoli,  malgrado  che  sul  popolo  che  l'ha  adottato  pesi 
l'egemonia  o  il  dominio  di  un  popolo  conquistatore.  Nell'antico 
impero  persiano  i  Medo-persiani,  adoratori  del  fuoco,  erano  domi- 
natori ed  il  loro  sovrano  era  il  Re  dei  Re,  colui  che  comandava 
a  tutti  i  sovrani  che  facevano  parte  del  vastissimo  Stato.  Ma  le 
popolazioni  sottomesse,  rette  dai  satrapi,  ovvero  anche  dalle  an- 
tiche dinastie    dei    sovi'ani  indigeni,    conservavano  intatte  le  loro 


(1)  Specialmente  in  quella  contrada   che    prese    dopo    d'allora    il    nome    di 
Franconia. 

(2)  Si  sa  che  il  principale  inspiratore  ed  autore  di  questa    vasta   colonizza- 
zione fu  il  Gran  Maestro  Hermann  di  Salza. 

(3)  Vedi  MoMMSEN  Teodoro,  Le  provincie  dell'impero  romano  da  Cesare  a  Dio- 
cleziano. Traduzione  di  De  Ruggiero.  Roma,  1887,  ed.  Pasqualucci. 


GAP.  IV    -    BAPPORTI  TEA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  93 

credenze,  i  loro  usi,  i  loro  costami,  ne  abbandonavano  il  loro  tipo 
sociale  per  adottare  quello  dei  Medo-Persiani.  Anzi  per  alcune  di 
queste  popolazioni,  poste  in  mezzo  all'impero,  ma  tutelate  dalla 
difficoltà  dei  siti  e  dalle  abitudini  guerresche,  la  soggezione  era 
più  apparente  che  reale  (1).  In  questo  modo  la  Corte  di  Susa  potè 
reggere  per  quasi  due  secoli  un  vastissimo  impero  nel  quale,  tranne 
in  Egitto,  dalla  fine  del  regno  di  Dario  d'Istaspe  fino  all'invasione 
di  Alessandro  Magno  non  vi  furono  notevoli  ribellioni.  E  da  no- 
tare però  che  al  primo  urto  un  pò"  forte  l'impero  si  sfasciò,  perchè 
i  popoli  sottomessi  non  avevano  alcuna  vera  solidarietà  con  quello 
dominatore,  né  le  loro  forze  erano  riunite  e  cementate  da  un'or- 
ganizzazione amministrativa  e  militare  veramente  salda  (2). 

In  altri  Stati  troviamo  anche  tipi  sociali  distinti,  che  pur  vivono 
mescolati  insieme.  In  Turcliia,  per  es.,  vi  sono  nelle  città  i  quar- 
tieri dei  Turchi,  dei  G-reci,  degli  Armeni  e  degli  Ebrei,  e  nelle 
campagne  i  villaggi  degli  Osmanli  spesso  confinano  cmì  quelli 
dei  Grreci  e  dei  Bulgari.  In  India  convivono  pure  Bramini,  Mao- 
mettani, Parsi  ed  Europei  ;  anzi  l'Oriente  pare  che  abbia  questa 
speciaHtà  di  essere  quasi  un  museo,  dove  si  raccolgono  quei  fram- 
menti ed  avanzi  di  tipi  sociali  che  altrove  vengono  assorbiti  e 
scompaiono  (3).  Quando  in  uno  Stato  avviene  questa  miscela  di 
tipi  sociali  la  classe  politica  deve  essere  fornita  quasi  esclusiva- 
mente   da    quello  dominatore,    e    quando  questa  regola  non  è  os- 


(1)  Ciò  si  vede  benissimo  leggendo  la  ritirata  dei  diecimila:  basta  ricordare 
l'episodio  di  Siennesi  re  di  Cilicia,  quello  del  passaggio  attraverso  i  Carduchi, 
e  gli  altri  riguardanti  la  marcia  attraverso  i  Mosineci  e  gli  altri  popoli  del 
Ponto  Eusino. 

(2)  Il  neo  impero  persiano  dei  Sassanidi,  sebbene  assai  più  piccolo  dell'an- 
tico, pure,  essendo  quasi  tutto  abitato  da  popoli  affi'attellati  dalla  comune 
dottrina  dell'Avesta,  superò  tempeste  molto  più  forti  e  numerose  di  quelle 
che  ebbe  a  patire  l'antico  impero  persiano,  e  durò  più  di  quattro  secoli. 

(3)  Ciò  avviene  o  perchè  i  governi  dell'Oriente  hanno  minori  risorse  e  quindi 
minor  forza  di  assimilazione  di  quelli  europei,  o  perchè  in  Oriente  vi  è  più 
vero  spirito  di  tolleranza  che  fra  noi.  Rammentiamo  la  maniera  come  scom- 
parvero le  floride  e  numerose  colonie  maomettane  della  Sicilia  e  della  Spagna, 
appena  qualche  secolo  dopo  che  ebbero  perduto  il  dominio  politico.  Anche 
oggi,  nella  penisola  balcanica,  appena  un  paese  è  sottratto  al  Governo  del 
Sultano,  i  suoi  abitanti  maomettani  tendono  a  diminuire  rapidamente  e  qualche 
volta  spariscono  del  tutto. 


94  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

servata,  perchè  il  tipo  dominatore  non  è  sufficiente  i)er  numero  o 
per  energia  morale  ed  intellettuale,  allora  un  paese  si  può  consi- 
derare come  malato,    prossimo  cioè    a  gravi  rivolgimenti  politici. 

La  Turchia  infatti  trovasi  in  queste  condizioni,  perchè,  venuta 
nel  secolo  scorso  in  contatto  intimo  e  conflitto  d'interessi  colla  ci- 
viltà europea,  ha  dovuto  impiegare  un  gran  numero  di  Greci,  di 
Armeni  ed  anche  di  Franchi.  Or,  come  è  stato  bene  osservato,  se 
ciò  le  ha  fornito  le  risorse  di  una  cultura  superiore,  le  ha  tolto  in 
compenso  una  parte  della  sua  selvaggia  energia  e  non  ha  impe- 
dito sopratutto  che  il  gran  Sultano  perdesse  una  parte  conside- 
revole del  suo  territorio.  Nell'India  i  conquistatori  britannici  sono 
finora  assai  superiori  di  civiltà  ;  ma,  scarsissimi  di  numero,  si 
fanno  coadiuvare,  nell'amministrazione,  nella  giustizia  e  nell'eser- 
cito da  elementi  indigeni.  Or,  se  la  parte  a  questi  affidata  nelle 
pubbliche  funzioni  diventerà  tanto  importante  da  rendere  non  indi- 
spensabile l'opera  degli  Europei,  è  dubbio  che  il  dominio  di  questi 
possa  lungamente  durare. 

Quando  in  uno  Stato  vivono  mescolati  diversi  tipi  sociali,  ac- 
cade quasi  immancabilmente  che  anche  in  quelli  sottomessi  esista 
una  classe,  se  non  dominante,  certo  dirigente.  Avviene  qualche 
volta  che  questa  classe  è  la  prima  che  si  lascia  assorbire  dal  tipo 
dominatore.  L'aristocrazia  gallica  infatti  fece  presto  a  romaniz- 
zarsi, essa  in  X30che  generazioni  apprese  la  cultura  classica  e  giu- 
ridica dei  latini  e  brigò  il  diritto  di  cittadinanza  romana,  che  le  fu 
facilmente  concesso.  Anche  i  begs  della  Bosnia,  per  non  cascare  nel 
rango  dei  conculcati  raia  e  non  perdere  i  loro  possedimenti,  dopo 
la  battaglia  di  Kossovo  si  convertirono  all'Islamismo.  Ma,  nell'uno 
e  nell'altro  caso,  si  trattava  di  aristocrazie  che  non  avevano  molta 
cultura,  né  sopratutto  erano  eredi  delle  memorie  di  un'antica  e 
gloriosa  civiltà.  Più  spesso  infatti  le  tradizioni  della  grandezza 
passata,  la  coscienza  della  propria  superiorità,  la  ripugnanza  per 
il  diverso  tipo  sociale  la  vincono  sull'interesse  personale,  ed  allora 
le  classi  alte  del  popolo  vinto  diventano  l'elemento  più  inassimi- 
labile. Cosi  le  nobili  famiglie  fanariote  di  Costantinopoli  non  si 
sono  quasi  mai  convertite  all'islamismo  ;  i  Cofti  attuali,  che  eser- 
citano ancora  la  professione  di  scribi  e  burocratici,  pare  che  siano 
discendenti  dell'antichissima  classe  letterata,  che  formava  l'aristo- 
crazia dell'antico  Egitto  e  si  mantengono  cristiani,  mentre  la  massa 
dei  coltivatori  o  fellah  è  diventata  da  parecchi  secoli  maomettana. 


GAP.  IV    -    RAPPORTI  TRA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  95 


Pare  che  anche  dall'aristocrazia  persiana  discendano  gli  attuali 
Guebri,  che  ancora  mantengono  il  culto  del  fuoco.  In  India  le 
caste  più  elevate  hanno  date  meno  conversioni  all'islamismo. 

m.  —  Ed  ora  accenneremo  ad  un  fenomeno  sociale  meno  ap- 
parente, ma  forse  più  importante.  Il  fatto  della  coesistenza  in 
unico  organismo  politico  di  più  di  un  tipo  sociale  si  può  trovare, 
in  modo  più  o  meno  larvato,  anche  in  paesi  che  apparentemente 
presentano  una  grande  unità  sociale.  Esso  avviene  tutte  le  volte 
che  la  forinola  politica,  sulla  quale  si  basa  la  classe  dirigente  di 
una  data  società,  non  è  accessibile  alle  classi  più  basse,  oppure 
quando  l'insieme  di  credenze  e  di  principi  morali  e  filosofici,  del 
quale  detta  formola  si  compone,  non  è  ancora  abbastanza  pene- 
trato negli  strati  più  numerosi  e  meno  elevati  di  una  società.  Lo 
stesso  accade  quando  una  notevole  differenza  di  costumi,  di  cul- 
tura e  di  abitudini  vi  è  tra  la  classe  dirigente  e  quella  governata. 

Ci  spiegheremo  meglio  con  degli  esempi:  a  Roma  e  nella  Grecia 
antica  lo  schiavo  era  tenuto  interamente  fuori  dalla  città,  consi- 
derata come  corpo  politico  e  comunità  morale.  Egli  non  parteci- 
pava all'educazione  nazionale,  non  era  cointeressato  né  material- 
mente ne  moralmente  al  benessere  dello  Stato.  Il  Paria  indiano 
tenuto  fuori  da  ogni  casta,  che  non  deve  neppure  gli  Dei  avere 
comuni  coi  suoi  oppressori,  isolato  assolutamente  dal  resto  della 
popolazione,  rappresenta  pure  una  classe  d'individui,  che  sta  fuori 
moralmente  dal  tipo  sociale  entro  il  quale  vive.  Al  contrario  gli 
Ebrei  ed  altri  j)opoli  dell'antico  Oriente  consideravano  anche  il 
manovale  e  lo  schiavo,  una  volta  che  si  era  per  dir  così  naziona- 
lizzato, come  partecipe  dei  sentimenti  della  società  alla  quale 
apparteneva.  La  coltivazione  accurata  dei  sentimenti,  delle  idee 
e  delle  abitudini  delle  classi  basse,  mercè  un'opportuna  catechiz- 
zazione,  è  pure  merito  grandissimo  del  Cristianesimo  e  dell'Isla- 
mismo, i  quali  sono  in  ciò  più  o  meno  efficacemente  imitati  dalle 
moderne  nazioni  europee. 

Generalmente  sono  le  formole  iDolitiche  molto  antiche,  quell'in- 
sieme di  credenze  e  di  sentimenti,  che  hanno  la  sanzione  dei  secoli 
quelle  che  riescono  a  penetrare  anche  negli  strati  più  bassi  delle 
società  umane.  Accade  Invece  clie,  quando  un  rapido  movimento 
d'idee  agita  le  classi  più  alto  o  alcuni  centri  intellettuali  più  at- 
tivi, che  per  lo  più  si  trovano  nelle  grandi  città,  molto  facilmente 


96  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


le  classi  più  basso  e  le  contrade  più  remote  di  uno  Stato  riman- 
gono indietro  e  diversi  ti])i  sociali  accennano  a  formarsi  nella  stessa 
società. 

La  maggiore  o  minore  unione  morale  fra  tutte  le  classi  sociali 
spiega  la  forza  o  la  debolezza  che  in  certi  momenti  mostrano  al- 
cuni organismi  politici.  E  noto,  ad  esempio,  quanto  la  macchina 
governativa  della  Turchia  pecchi  di  venalità,  inettitudine  e  trascu- 
ratezza; flotta,  esercito,  finanza  tutto  è  andato  in  malora  nei  do- 
mini della  Sublime  Porta  ;  pure,  in  certe  determinate  occasioni, 
quando  la  mezzaluna  appare  in  pericolo,  il  popolo  turco  ha  dato 
talora  segni  di  tale  fiera  energia  da  impensierire  anche  gli  Stati  mi- 
litarmente i3Ìù  forti  dell'Eurojja.  Gli  è  che  il  povero  nizam  strac- 
ciato e  scalzo,  che  si  fa  intrepidamente  ammazzare  dietro  la  trincea, 
il  redìf^  che  all'appello  del  Sultano,  abbandona  il  tugurio,  sentono 
davvero  la  formola  i)olitica  che  son  chiamati  a  servire,  e  per  essa 
sono  pronti  a  dare  l'ultimo  para  e  financo  la  vita.  I  contadini 
turchi  della  Romelia  e  dell'Anatolia  credono  realmente  e  forte- 
mente nell'Islam,  nel  Profeta,  nel  Sultano,  che  ne  è  il  vicario,  e 
le  credenze,  in  nome  delle  quali  si  domandano  loro  gli  estremi 
sacrifici,  sono  le  stesse,  che  ordinariamente  riempiono  la  sua 
vita  e  formano  il  suo  mondo  morale  ed  intellettuale  (*).  Malgrado 
la  ordinaria  mediocrità  dei  propri  ufficiali  superiori  (1)  il  soldato 
russo  fu  l'avversario  più  temuto  da  Napoleone  I;  nella  famosa 
campagna  di  Russia,  la  disfatta  dell'esercito  invasore,  più  che  dal 
freddo,  forse  più  che  dalla  fame  e  dalla  diserzione,  fu  determinata 


{*)  Queste  righe  furono  scritte  nel  1895,  non  troviamo  che  si  debbano  mo- 
dificare neppure  dopo  gli  avvenimenti  del  1912  e  1913;  perchè  i  recentissimi 
disastri  della  Turchia  sono  esclusivamente  dovuti  alla  disorganizzazione  ed  inca- 
pacità della  sua  classe  dirigente,  intensificate  da  trenta  anni  di  dispotismo  hami- 
diano  e  da  quattro  anni  di  regime  giovane  turco.  Ma  i  soldati  turchi  hanno 
dimostrato  ancora  una  volta  di  saper  combattere  e  morire  per  la  loro  fede,  che 
per  essi  si  confonde  con  la  patria. 

(1)  Naturalmente  ci  erano  delle  eccezioni  fra  i  generali  più  importanti  e  fra 
questi  noteremo  Kutuzof,  Barclay  di  Tolly,  Bennigsen,  Doctorof,  Bagration, 
ma  nessuno  può  negare  che  la  istruzione  e  capacità  media  dei  generali  russi 
fosse,  al  principiare  del  secolo  scorso,  notevolmente  inferiore  a  quella  degli 
ufficiali  austriaci  o  prussiani.  Il  famoso  Souvarof  conosceva  assai  bene  la  psi- 
cologia del  soldato  russo  e  l'arte  di  condurlo  alle  imprese  più  arrischiate,  ma 
era  del  resto  un  temerario  più  che  dotto  condottiero. 


GAP.  IV    -    RAPPORTI  TRA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  97 


dall'odio  dal  quale  esso  fu  circondato  e  perseguitato  da  Vitebsk 
in  poi,  appena  cioè  entrò  nei  paesi  propriamente  russi.  Fu  quest'odio 
che  inspirò  la  sinistra  energia  di  distruggere  le  provvigioni  nel 
raggio  battuto  dall'esercito  nemico,  di  bruciare  tutte  le  città  ed  i 
villaggi,  elle  si  trovavano  nella  strada  da  Smolensko  a  Mosca, 
e  che  die'  a  Rostopckin  il  coraggio  di  far  bruciare  la  stessa  Mosca. 
Poiché  anche  per  il  moujik  russo.  Dio,  lo  czar,  la  santa  Russia 
formavano  parte  integrante  di  quelle  credenze  e  di  quei  senti- 
menti dei  quali,  fin  dalla  nascita,  era  stato  imbevuto  e  che  per 
tradizione  domestica  aveva  imparato  a  venerare. 

E  la  stessa  unità  morale  ci  dà  il  segreto  di  altre  resistenze  for- 
tunate e  quasi  miracolose,  e,  là  dove  manca,  spiega  il  segreto  di 
certe  debolezze  vergognose.  Fu  forte  la  Vandea,  perchè  nobili,  cu- 
rati e  contadini  avevano  le  stesse  credenze,  gli  stessi  affetti,  le 
stesse  passioni  ;  fu  fortissima  la  Spagna  nel  1808  perchè  il  grande 
di  Spagna  e  l'ultimo  mandriano  ugualmente  sentivano  l'odio  contro 
i  Francesi  invasori,  tenuti  in  conto  di  miscredenti,  la  fedeltà  verso 
il  loro  sovrano,  l'orgoglio  di  essere  una  nazione  fiera  ed  indipen- 
dente. E  questa  unanimità  di  sentimenti,  malgrado  la  mediocrità 
dei  duci,  e  quella  ancora  più  spiccata  degli  eserciti  regolari,  spiega 
i  miracoli  delle  difese  di  Saragozza  e  di  Tarragona  e  la  vittoria 
finale  che  coronò  la  campagna  per  la  gueiTa  d'indipendenza  (1). 

Al  contrario  debolissima  si  mostrò  la  stessa  Spagna  all'epoca 
dell'invasione  legittimista  francese  del  1822,  perchè  allora  solo  una 
parte  delle  classi  superiori  comprendevano  ed  apprezzavano  il  prin- 
cipio in  nome  del  quale  si  combatteva,  quello  della  monarchia  co- 
stituzionale, che  era  incomprensibile  per  il  resto  delle  classi  supe- 
riori e  per  la  massa  del  popolo.  E  debole  si  mostrò  il  Napoletano 
negli  anni  1798  e  1799,  malgrado  i  numerosi  atti  individuali  e  col- 
lettivi di  disperato  valore.  Perchè,  mentre  la  massa  del  popolo  e 


(1)  Neppure  l'ultimo  dei  contadini  consentiva  sotto  le  più  forti  minacele  ad 
insegnare  la  strada  ai  Francesi  (Vedi  le  storie  del  Thiers,  del  Toreno  e  le  me-' 
morie  del  colonnello  Vigo  de  Roussillon  pubblicate  nella  *  Revue  des  Deux 
Mondes  „  del  1891).  La  mediocrità  degli  eserciti  regolari  spagnuoli,  composti 
in  massima  parte  di  reclute  e  privi  di  ufficiali  sperimentati,  oltre  che  dagli 
autori  francesi  è  attestata  pure  nella  corrispondenza  del  duca  di  Wellington 
e  di  altri  ufficiali  inglesi. 

G-.  Mosca.,  Elementi  di  Scienza  Politica.  7 


98  ELEMENTI    DI    f^CIEMZA    POLITICA 

la  maggioranza  delle  classi  inedie  e  superiori  odiavano  i  giacobini 
francesi,  le  idee  rivoluzionarie,  ed  erano  fanatici  della  monarchia 
legittima  e  più  ancora  della  fede  cattolica,  una  minoranza  esigua 
delle  classi  elevate,  scarsa  di  numero,  ma  forte  per  intelligenza, 
esaltazione  ed  audacia,  dispregiava  i  sentimenti  dei  suoi  compa- 
triotti  ed  aderiva  completamente  a  quelli  dei  Francesi.  Fu  per 
questo  che  il  tradimento,  e  forse  più  che  il  tradimento  il  sospetto 
continuo  di  esso,  disorganizzò  ogni  resistenza:  disorganizzò  l'eser- 
cito regolare,  già  per  se  stesso  mediocre,  e  rese  meno  efficace  la 
resistenza  spontanea  delle  popolazioni,  che  forse,  senza  le  intelli- 
genze vere  e  supposte  cogli  invasori,  avrebbe  trionfato  (1). 

IV.  —  Finora  abbiamo  quasi  esclusivamente  accennato  alle 
differenze  di  credenze  religiose  e  politiche  nei  diversi  strati  so- 
ciali, ora  faremo  anche  rilevare  come  il  diverso  grado  di  coltura 
intellettuale  e  la  diversità  di  linguaggio,  di  abitudini  e  di  costumi 
famigliari  abbiano  la  loro  importanza. 

Noi  siamo  cosi  abituati  ad  ammettere  una  distinzione  fra  la 
classe  che  ha  ricevuto  un'educazione  letteraria  e  scientifica  più  o 
micno  raffinata  e  quella  che  non  ne  ha  ricevuto  affatto  od  è  ri- 
masta ai  primi  rudimenti,  fra  il  ceto  civile,  che  ha  le  abitudini  e 
le  maniere  della  buona  società,  e  la  numerosa  categoria  di  per- 
sone che  di  questi  requisiti  manca,  che  facilmente  possiamo  essere 
indotti  a  credere  che  la  stessa  distinzione,  ugualmente  profonda 
ed  ugualmente  netta,  esista  in  tutte  le  società  umane  ed  abbia 
sempre  esistito  nei  nostri  paesi.  Ora  ciò  non  è:  certo  nell'Oriente 
maomettano  la  distinzione  accennata  o  non  esiste  quasi  affatto  o 
è  infinitamente  meno  spiccata  che  fra  noi  (2);  in  Russia  la  pro- 


(1)  Si  sa  che  l'esercito  di  Championnet  erasi  fermato  avanti  Capua  e  che 
fu  chiamato  ed  incoraggiato  a  dar  l'assalto  a  Napoli  dai  repubblicani  napo- 
letani. Quest'assalto  inoltre  non  sarebbe  stato  dato,  ne  probabilmente  avrebbe 
avuto  esito  felice,  senza  la  consegna  proditoria  di  Castel  S.  Elmo  e  l'attacco 
alle  spalle  dei  difensori  di  porta  Capuana;  l'una  e  l'altro  opera  degli  stessi 
repubblicani  napoletani. 

Questi  fatti  spiegano  le  terribili  vendette,  non  solo  regali  ma  anche  popo- 
lari, che  ebbero  luogo  dopo  abbattuta  l'effimera  repubblica  partenopea. 

(2)  Il  fatto  è  attestato  dal  Renan  e  da  altri  scrittori  e  risulta  evidente  poi 
per  chi  abbia  un  po'  di  pratica  della  società  e  della  cultura  maomettana. 


CAP.  IV    -    RAPPORTI  TRA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  99 


fonda  differenza,  che  ci  è  ora  fra  la  classe  che  colà  si  appella 
V intelligema  ed  i  moujicks  ed  i  mercanti  dalla  lunga  barba,  non 
poteva  esistere  all'epoca  di  Pietro  il  Grande,  quando  non  v'erano 
colà  Università,  ed  i  boiardi  eran  quasi  cosi  rozzi  ed  ignoranti  come 
i  contadini.  Anche  nell'Europa  occidentale  solo  due  secoli  fa  la  dif- 
ferenza della  coltura  intellettuale  e  delle  abitudini  pubbliche  e 
})rivate  fra  le  diverse  classi  sociali  era  assai  meno  spiccata  di  ora  ; 
essa  si  è  andata  accentuando  sensibilmente  solo  nei  secoli  decimot- 
tavo  e  decimonono.  E,  per  quanto  sia  strano  a  prima  vista,  pure 
è  esattamente  vero  che  questo  movimento  nei  costumi,  notato  da 
parecchi  scrittori  di  paesi  diversi  (1),  coincide  col  nascere  e  col  cre- 
scere di  quella  condente  d'idee  e  di  sentimenti,  che  generalmente 
va  intesa  col  nome  di  democrazia,  rendendo  più  stridente  la  con- 
traddizione fra  le  teorie  adesso  più  in  voga  e  la  loro  pratica  ap- 
plicazione. 

E  nelle  società  burocratizzate  che  la  differenza  di  educazione 
fra  le  varie  classi  sociali  può  divenire  più  accentuata,  giacché  in 
quelle  a  tipo  feudale  i  singoli  membri  della  classe  dirigente  sono 
generalmente  dispersi  in  mezzo  ai  loro  seguaci,  vivono  in  continuo 
contatto  con  loro,  e  devono  esserne,  in  certo  modo,  i  capi  naturali. 


(1)  In  Francia,  ad  es.,  Voltaire,  al  principio  della  sua  Storia  del  secolo  di 
Luigi  XIV,  fa  rilevare  come  la  nobiltà  francese,  quando  quel  principe  co- 
minciò effettivamente  a  regnare  (1660),  fosse  ricca  d'ingegno  naturale,  ma 
rozza  di  modi  ed  ignorante.  In  Inghilterra  il  Cobbett  verso  la  fine  del  secolo 
decimottavo  così  metteva  in  luce  la  differenza  fra  gli  affittaioli  del  buon  tempo 
antico  (cioè  di  quando  egli  era  fanciullo)  e  quelli  dell'epoca  in  cui  scriveva: 
*  Una  volta  gli  affittaioli  alloggiavano  e  nutrivano  tutti  i  loro  contadini,  se- 
devano insieme  alla  loro  gran  tavola  di  quercia  e,  dopo  la  preghiera  del  pa- 
store, bevevano  la  stessa  birra;  ma  ora  i  costumi  sono  cambiati,  il  salariato 
tocca  la  sua  paga  e  va  a  mangiarla  solo  in  qualche  buco,  mentre  l'affittaiolo 
si  è  trasformato  in  un  gentilomastro,  ha  delle  caraffe  di  cristallo,  delle  forchette 
col  maaico  d'ebano,  dei  coltelli  col  manico  d'avorio,  dei  piatti  di  porcellana. 
I  suoi  figli  in  ogni  caso  non  lavoreranno  mai  la  terra,  faranno  piuttosto  i 
commessi,  gli  scritturali,  i  garzoni  di  bottega...  „.  Una  simile  trasformazione 
si  è  compiuta  negli  ultimi  cento  anni  fra  i  grossi  affittaioli  ed  i  medii 
proprietari  del  Napoletano  e  della  Sicilia;  i  loro  bisnonni  erano  ricchi  forse, 
ma  in  ogni  caso  contadini;  essi  ora,  anche  poveri,  sono  sempre  galantuomini, 
ciò  che  nei  dialetti  locali  significa  persone  che  hanno  ricevuto  un'educazione 
civile. 


100  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


A  qualcuno  può  far  maraviglia  che,  durante  il  Medio  Evo,  quando 
il  barone  stava  isolato  in  mezzo  ai  suoi  vassalli  e  li  trattava  du- 
ramente, questi  non  profittassero  della  loro  superiorità  numerica 
per  liberarsi.  Or  certo  la  cosa  non  sempre  era  facile,  perchè  un 
gruppo  di  i^ersone,  superiore  per  energia  e  pratica  delle  armi  al 
resto  dei  soggetti,  era  sempre  più  o  meno  legato  alla  sorte  del 
signore.  Ma,  indipendentemente  da  questa  considerazione,  bisogna 
tenerne  presente  anche  un'altra,  che  ha  un  peso  grandissimo  :  il 
barone  conosceva  spesso  personalmente  i  suoi  vassalli,  aveva  il 
loro  modo  di  pensare  e  di  sentire,  le  stesse  superstizioni,  le  stesse 
abitudini,  lo  stesso  linguaggio  ;  era  per  loro  un  padrone,  qualche 
volta  anche  duro  ed  arbitrario,  ma  era  pure  l'uomo,  che  essi  com- 
prendevano perfettamente,  alla  cui  conversazione  potevano  pigliar 
parte,  alla  cui  mensa,  sebbene  in  luogo  più  basso,  spesso  si  assi- 
devano, ed  insieme  al  quale  qualche  volta  si  ubbriacavano.  Or 
bisogna  mancare  di  qualunque  conoscenza  psicologica  delle  classi 
plebee  per  non  comprendere  subito  quante  cose  questa  famiglia- 
rità vera,  proveniente  dall'uguaglianza  dell'educazione  o,  se  cosi 
si  vuole,  da  un'uguale  rozzezza  di  abitudini,  faccia  tollerare  e  per- 
donare (1). 

Difatti  le  prime  rivolte  dei  contadini  scoppiarono  non  quando 
la  feudalità  era  più  dura,  ma  quando  i  nobili  impararono  a  stare 
fra  loro  e  la  gaia  scienza  e  le  corti  d'amore  cominciarono  a  di- 
rozzarli e  ad  allontanarli  dalle  rustiche  abitudini  dell'isolato  ca- 
stello. Ed  una  osservazione  importante  fa  su  questo  riguardo 
Adamo  Mickievicz.  Secondo  quest'autore  la  nobiltà  polacca  fu  po- 
polare fra  i  contadini  finche  visse  in  mezzo  a  loro;  questi  si  la- 
sciavano allora  togliere  volentieri  il  pane  dalla  bocca,  perchè  il 
loro  signore  potesse  comprare  cavalli  ed  armi  di  lusso  per  la  caccia 


(1)  Si  può  obbiettare  che  i  poveri  servono  generalmente  a  malincuore  coloro 
che  sono  arricchiti  da  poco  tempo.  Ciò  è  vero,  ma  nel  caso  ci  sono  altri  ele- 
menti dei  quali  bisogna  tener  conto:  il  neo  arricchito  facilmente  suscita  l'in- 
vidia, inoltre  è  spesso  pivi  duro  e  piìi  avaro  di  colui  che  è  dalla  nascita  abi- 
tuato all'agiatezza,  infine,  quasi  sempre,  invece  di  conservare  comunanza  di 
abitudini  e  di  sentimenti  colla  classe  dalla  quale  proviene,  fa  di  tutto  per 
adottare  quelli  della  classe  superiore;  giacche  il  far  dimenticare  la  propria 
origine  suole  essere  la  sua  principale  ambizione  e  preoccupazione. 


CAP.  IV    -    BAPPORTI  TEA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  101 

ed  anche  per  andare  a  sciabolare  i  Turclii  ed  i  Russi.  Ma,  quando 
l'educazione  francese  s'introdusse  fra  i  nobili  polacchi,  quando  essi 
impararono  a  dare  le  feste  di  ballo  all'uso  di  Versailles  e  passa- 
rono le  loro  giornate  danzando  il  minuetto,  allora  contadini  e  no- 
biltà cominciarono  a  fare  due  popoli  a  parte,  né  i  primi  sostennero 
validamente  la  seconda  nelle  lotte,  che  alla  fine  del  secolo  decimot- 
tavo  combattè  contro  gli  stranieri  (1).  Anche  l'aristocrazia  celtica 
dell'Irlanda,  la  vecchia  nobiltà  degli  0'  e  dei  Mac  era,  secondo  il 
Macaulay  e  tutti  gli  altri  storici,  popolarissima  fra  i  contadini,  le 
cui  fatiche  fornivano  al  capo  del  clan  il  lusso  della  sua  rozza  ed 
abbondante  tavola,  le  cui  figlie  erano  talora  prelevate  per  il  suo 
rustico  harem;  ma  quei  nobili  erano  considerati  quasi  come  membri 
della  famiglia,  essi  coi  contadini  aveano  comune,  dicevasi,  il  sangue 
e  certo  le  abitudini  e  le  idee.  Invece  odiatissimo  fu  il  proprietario 
inglese  che  li  surrogò,  e  che,  forse  più  moderato  e  certo  più  rego- 
lato e  corretto  nelle  esigenze,  era  però  straniero  di  lingua,  di  re- 
ligione, di  consuetudini,  viveva  lontano,  e,  anche  stando  vicino, 
avea  per  tradizione  acquistato  l'abitudine  di  stare  isolato,  senza 
alcun  contatto  coi  suoi  dipendenti,  tranne  quello  strettamente  ne- 
cessario fra  padroni  e  servi  (2). 


(1)  Histoire  popiiìaire  de  Pologne,  già  citata. 

(2)  Qualche  seguace  del  Gumplowicz  potrebbe  osservare  che,  nel  caso  del- 
l'Irlanda, l'odio  sopravvenuto  fra  proprietari  e  contadini  potea  essere  un  effetto 
della  diversità  di  razza,  dal  trovarsi  il  Celta  di  fronte  al  Sassone,  per  usare 
l'espressione  favorita  dal  famoso  0'  Connell.  Di  passaggio  facciamo  rilevare 
che  le  prime  famiglie  anglo-normanne  stabilite  nel  medio-evo  in  Irlanda,  ad 
esempio  i  Talbot  ed  i  Fitzgerald,  ecc.,  le  quali  fecero  una  lunga  dimora  in 
quel  paese,  finirono  coll'adottare  le  costumanze  celtiche,  e,  nelle  varie  insur- 
rezioni, combatterono  nelle  file  degli  Irlandesi  contro  gli  Inglesi.  Ma  vediamo 
piuttosto  quello  che  accade  in  Russia,  dove,  fra  la  massa  della  nobiltà  ed  i 
contadini  non  vi  è  certo  differenza  di  razza,  ma  vi  è  piuttosto  una  gran  dif- 
ferenza di  tipo  sociale  e  sopratutto  di  costumi  fra  la  classe  colta,  povera  o 
ricca  che  sia,  la  quale  ha  adottata  l'educazione  europea,  ed  il  resto  della  popo- 
lazione, che  conserva  idee  e  costumi  asiatici.  Sentiamo  ciò  che  in  proposito  ci 
dicono  i  rivoluzionari  russi  :  "  Il  popolo  (scrive  Tchernychevski,  accennando 
ad  una  possibile  rivoluzione  dei  contadini)  ignorante,  pieno  di  pregiudizi  gros- 
Holani,  e  d'un  odio  cieco  per  tutti  coloro  che  hanno  abbandonato  i  suoi  selraygi 
costumi  ,  (ecco  l'antipatia  proveniente  dalla  differenza  del  tipo  sociale)  '  non 
farebbe  aìcuna  differenza  fra  le  persone  che  portano    l'abito   alla   tedesca  „,  (ohe 


102  BLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

V.  —  Gli  è  che  vi  sono  neirunianità  sentimenti  individual- 
mente forse  imponderabili,  di  analisi  difficile  e  di  più  difficile  de- 
finizione, ma  il  cui  insieme  ò  fortissimo  e  può  contribuire  alla 
preparazione  di  fatti  sociali  importantissimi.  Chi  scrisse  che  l'uomo 
si  lascia  guidare  dal  solo  interesse,  diede  una  massima  generale 
di  un  valore  pratico  presso  che  nullo,  la  quale  riesce  a  farci  ap- 
prendere qualche  cosa  solo  a  patto  di  analisi  e  distinzioni  molto 
minute.  Chi  crede  che  l'interesse  sia  quello  solo  che  viene  mate- 
rialmente espresso  per  mezzo  del  danaro,  e  che  si  misura  a  soldi 
ed  a  lire,  è  una  persona  di  poco  cuore  e  che  non  ha  testa  sufficiente 
per  capire  gli  altri  uomini.  In  verità  per  ogni  individuo  l'interesse 
equivale  al  proprio  gusto;  ognuno  quindi  l'intende  in  una  maniera 
speciale,  e  per  molti  la  soddisfazione  dell'amor  proprio,  del  senti- 
mento della  dignità  personale,  di  vanità  grandi  e  piccole,  di  ca- 
pricci e  rancori  individuali,  vale  più  dei  godimenti  puramente 
materiali.  Questi  concetti  bisogna  sopratutto  tener  presenti  quando 
si  vogliono  studiare  le  relazioni  fra  ricchi  e  jjoveri,  fra  superiori 
e  subordinati,  o  meglio  fra  le  diverse  classi  sociali.  In  fondo, 
purché  i  primi  bisogni  siano  abbastanza  soddisfatti,  ciò  che  contri- 
buisce principalmente  a  far  nascere  ed  a  mantenere  la  ruggine 
fra  le  diverse  classi  sociali  non  è  tanto  la  differenza  dei  godi- 
menti materiali  quanto  l'appartenere  a  due  ambienti  diversi  : 
giacche,  ad  una  parte  almeno  delle  classi  inferiori,  ancor  più  delle 
privazioni,  può  riuscii-e  amara  l'esistenza  di  un  mondo  superiore 
dal  quale  è  esclusa  :  di  un  mondo  il  cui  accesso,  senza  esser  proi- 
bito da  leggi  né  da  j)rivilegi  ereditari,  è  ostacolato  da  un  filo  di 
seta  sottilissimo,  che  difficilmente  però  si  può  scavalcare  :  la  dif- 
ferenza di  coltura,  di  maniere  e  di  abitudini  sociali. 

Fin  dall'antichità  si  è  scritto  che  in  ogni  città  ed  in  ogni  Stato 
vi  sono  due  popolazioni  nemiche,  che  stanno  sempre  alle  vedette 
per  nuocersi  l'una  all'altra  :  queste  due  popolazioni  sarebbero  i 
ricchi  ed  i  poveri.  Or  la  massima  non  ci  pare  che  possa  avere 
un'applicazione  assoluta  e  sopratutto  generale,   e    quanto  già  ab- 


hanno  abbandonato  il  costume  tradizionale  russo  e  vestono  all'europea);  *  con 
tutti  agirebbe  alla  stessa  maniera,  egli  non  farebbe  grazia  ne  alla  scienza,  ne 
alla  poesia,  ne  all'arte  e  distruggerebbe  tutta  la  nostra  civiltà  „.  Lkroy- 
Beauliku,  opera  citata,  voi.  II,  pag.  524  e  seguenti. 


CAP.  IV    -    KAPPOKTI  TRA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  103 

l)iamo  detto  può  servire  a  spiegare  le  moltissime  eccezioni  e  re- 
strizioni colle  quali  la  si  deve  accogliere.  Generalmente  i  ])overi 
seguono  i  ricchi,  o  meglio  le  classi  dirette  seguono  le  dirigenti, 
(Igni  volta  che  sono  imbevute  delle  stesse  opinioni  e  credenze  ed 
hanno  un'educazione  intellettuale  e  morale  non  troppo  dissimile; 
le  lAehì  inoltre  sono  iide  coadiutrici  delle  classi  elevate  nelle  lotte 
contro  gli  stranieri,  quando  il  nemico  appartiene  ad  un  tipo  so- 
ciale cosi  differente  da  inspirare  uguale  ripugnanza  a  ricchi  ed  a 
poveri.  Infatti  in  Spagna  nel  1808  ed  in  Vandea  contadini  e  si- 
gnori combatterono  insieme,  ne  i  primi  profittarono  mai  dei  disor- 
dini dell'anarchia  per  svaligiare  le  case  dei  secondi.  Non  ci  è  quasi 
esempio  che  le  classi  povere  di  un  paese  cristiano  si  siano  solle- 
vate per  aiutare  una  invasione  maomettana,  e  molto  meno  poi  le 
classi  povere  di  un  paese  maomettano  favorirebbero  l' invasione 
cristiana. 

La  democrazia  sociale  dell'  Em^opa  centrale  ed  occidentale  si 
mostra  indifferente  riguardo  al  concetto  di  nazionalità  e  proclama 
l'alleanza  dei  proletari  di  tutti  i  paesi  contro  i  capitalisti  di  tutto 
il  mondo  ;  or  queste  teorie  potrebbero  forse  avere  una  certa  effi- 
cacia pratica  se  avvenisse  una  lotta  fra  Tedeschi  e  Francesi  ovvero 
fra  Italiani  ed  Inglesi,  popoli  appartenenti  tutti,  presso  a  poco^  allo 
stesso  tipo  sociale.  Ma  se  si  trattasse  di  respingere  una  seria  in- 
vasione tartara  o  chinese,  o  semplicemente  turca  o  russa,  noi  cre- 
diamo che  la  grande  maggioranza  dei  proletari,  anche  colà  dove 
sono  fortemente  imbevuti  di  collettivismo  mondiale,  darebbero  vo- 
lentieri la  loro  cooperazione  alle  classi  dirigenti  (1). 

Chi  ha  molto  viaggiato  avrà  notato  un  fatto,  che  ha  la  sua  im- 
portanza :  spessissimo  i  poveri  di  paese  diverso,  come  del  resto 
fanno  anche  i  ricchi  che  appartengono  a  differenti  contrade,  si 
affrateJlano  fra  di  loro  assai  più  che  ricchi  e  poveri  dello  stesso 
paese  (2).  Però  ciò  accade  finché  si  è  tra  popoli  i  costumi  dei  quali 


(1)  Hi  sa  che  in  America  dalle  coalizioni  operaie  sono  generalmente  esclusi 
i  Negri  ed  in  special  modo  i  Chinesi. 

(2)  A  voler  essere  giusti  anzi  bisogna  riconoscere  che  il  comnopolitismo  è 
presentemente  una  qualità  che,  più  che  nei  poveri,  trovasi  in  modo  spiccato 
in  una  frazione  della  classe  dirigente  ;  in  quella  cioè  più  ricca  e  più  scio- 
perata. 


104  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


abbiano  molta  affinità  con  quelli  di  casa  propria;  perchè  se  si  va 
in  contrade  molto  lontane,  dove  si  trovino  idee  ed  abitudini  inte- 
ramente nuove,  allora  il  ricco  ed  il  povero  dello  stesso  paese,  o 
anche  semplicemente  di  paesi  vicini,  si  sentii-anno  fra  di  loro  assai 
più  legati  che  cogli  stranieri  della  loro  classe  (1).  Il  che  vuol  dire 
che,  presto  o  tardi,  arriva  un  punto  in  cui  la  differenza  di  tipo 
sociale  è  assai  maggiore  con  lo  straniero  che  fra  le  diverse  classi 
dello  stesso  paese. 

VI.  —  L' isolamento  ]3sicologico  ed  intellettuale  delle  plebi, 
il  distacco  troppo  marcato  fra  la  coltura,  le  credenze  e  la  edu- 
cazione delle  varie  classi  sociali  possono  dare  origine  a  parecchi 
fenomeni  sociali,  interessanti  certamente  per  lo  studioso  di  scienze 
politiche,  ma  pericolosi  per  le  società  ove  accadono. 

Ed  in  primo  luogo,  in  sèguito  a  quest'isolamento,  quasi  neces- 
sariamente si  forma  in  mezzo  alla  plebe  un'altra  classe  dii'igente, 
spesso  in  antagonismo  con  quella,  che  tiene  in  mano  il  governo 
legale  (2).  Quando  questa  classe  dirigente  plebea  è  bene  organiz- 
zata può  dare  a  chi  ufficialmente  governa  una  data  società  scrii 
impicci.  In  molti  paesi  cattolici,  ad  esempio,  l' influenza  morale 
sui  contadini  è  ancora  quasi  tutta  in  potere  del  clero:  questi  hanno 
per  il  curato  tutta  quella  fiducia  che  negano  al  funzionario  go- 
vernativo. In  altri,  dove  il  popolo  vede  in  questo  funzionario  e 
nel  signore  degli  uomini,  se  non  del  tutto  nemici,  certo  completa- 
mente estranei,  gli  elementi  più  risoluti  e  maneschi  della  plebe 
qualche  volta  riescono  a  formare  vastissime  e  tenacissime  associa- 
zioni, che  esigono  tasse,  amministrano  una  giustizia  speciale  per 
proprio  conto,  hanno  la  loro  gerarchia,  i  loro  capi,  i  loro  tribu- 
nali riconosciuti.  Si  viene  cosi  a  costituire  un  vero  Stato  entro  lo 
Stato,  un  Governo  occulto  spesso  più  temuto,  più  obbedito  e,  se 
non  più  amato,  certo  più  compreso  del  GToverno  legale. 

Dappertutto  poi  dove  una  frazione  della  classe  politica,  o  perchè 


(1)  Così  infatti  accade  fra  gli  Europei  in  India  ed  in  China  ed  in  generale 
in  tutte  le  contrade  di  civiltà  molto  differente  dalla  nostra. 

(2)  E  un  fenomeno  analogo  a  quello  che  abbiamo  osservato  nel  principio 
del  capitolo  parlando  dei  paesi  dove  diversi  tipi  sociali,  nel  senso  stretto  del- 
l'espressione, vivono  mescolati. 


CAP.  IV    -    KAPPOKTl  TEA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  105 

convertita  ad  una  nuova  forinola  politica,  o  per  altre  ragioni,  aspira 
a  rovesciare  il  Governo  legale,  essa  usa  sempre  di  appoggiarsi 
sulle  classi  inferiori,  che  facilmente  la  seguono  quando  sono  ne- 
miche od  indifferenti  verso  l'ordine  di  cose  costituito.  E  per  questa 
alleanza,  cosi  spesso  conclusa,  che  noi  vediamo  la  plebe  strumento 
necessario  di  quasi  tutte  le  sommosse  e  rivoluzioni  e  cosi  spesso 
stare  a  capo  dei  movimenti  popolari  uomini  di  una  condizione  so- 
ciale superiore.  Accade  pure  talvolta  il  fenomeno  opposto  :  cioè 
che  quella  parte  della  classe  politica,  che  ha  in  mano  il  potere  e 
resiste  alle  correnti  innovatrici,  si  aj)poggi  sulle  classi  basse,  che 
restano  fedeli  alle  antiche  idee  ed  all'antico  tipo  sociale.  Cosi  av- 
venne in  Spagna  dopo  il  1822  e  fino  al  1830,  così  nel  Napolitano 
nel  1799  ed  in  parte  fino  al  1860.  In  questi  casi  si  possono  avere 
periodi  di  governo  goffo,  ignorante  e  plebeo,  del  genere  di  quello 
che  fu  definito  la  negazione  di  Dio. 

Ma  il  più  pericoloso  fra  gli  effetti,  che  può  produrre  la  diffe- 
renza di  tipo  sociale  fra  le  varie  classi  sociali  e  l'isolamento  re- 
ciproco fra  esse,  che  necessariamente  l'accompagna,  è  la  mancanza 
di  energia  nelle  classi  superiori,  che  divengono  deficienti  di  ca- 
ratteri arditi  e  pugnaci  e  ricche  di  individui  molli  e  passivi.  Ab- 
biamo già  accennato  come  nello  Stato  a  tipo  feudale  questo  fatto 
riesca  quasi  impossibile  :  giacché,  là  dove  la  società  si  divide  in 
frammenti  quasi  indixDendenti  l'uno  dall'altro,  i  capi  di  ogni  sin- 
golo gruppo  devono  essere  necessariamente  energici,  essendo  la  loro 
supremazia  in  gran  parte  affidata  alla  propria  forza  materiale  e 
morale,  che  hanno  campo  inoltre  di  continuamente  applicare  ed 
esplicare  nelle  lotte  cogli  immediati  vicini.  Ma,  quando  l'organiz- 
zazione sociale  è  progredita,  allora  la  superiorità  della  cultura  e 
della  ricchezza  e  sopra  tutto  la  coesione  e  l'organizzazione  della 
classe  governante,  la  quale  usufruisce  dei  vantaggi  della  macchina 
burocratica,  possono,  fino  ad  un  certo  punto,  supplire  alla  man- 
canza di  energia  individuale.  Può  cosi  accadere  che  una  parte  no- 
tevole della  classe  governante,  specialmente  quella  che  dà  alla 
società  il  tono  e  l'indirizzo  intellettuale,  si  disabitui  dal  trattare 
cogli  uomini  delle  classi  inferiori  e  dal  direttamente  comandarli. 
E  questa  la  condizione  di  cose  necessaria  perchè  la  frivolezza  ed 
una  specie  di  cultura  tutta  astratta  e  convenzionale  prendano  il 
posto  del  senso  della  realtà  e  della  vera  ed  esatta  conoscenza 
della  vita  umana;  perchè  gli  animi  perdano  ogni  virilità  e  comin- 


106  ELEMENTI    1>I    SCIENZA    POLITICA 

cino  a  farsi  strada  le  teorie  sentimentali  ed  esageratamente  uma- 
nitarie sulla  bontà  innata  della  specie  umana,  specialmente  quando 
non  è  guasta  dalla  civiltà  (1),  e  sulla  preferenza  assoluta  da  darsi, 
nelle  arti  di  governo,  ai  mezzi  dolci  e  persuasivi  piuttosto  che  a 
quelli  rigidi  od  imperiosi.  Si  crede  allora,  come  scrisse  il  Taine, 
che,  poiché  la  vita  sociale  i)er  secoli  ha  proceduto  blanda  ed  or- 
dinata, come  un  fiume  delle  acque  impetuose  tra  i  suoi  robusti  ar- 
gini, gli  argini  siano  diventati  superflui  e  si  possano  impunemente 
abbattere,  perchè  il  fiume  è  rinsavito. 

In  questi  errori  tanto  più  facilmente  una  classe  politica  è  esposta 
a  cadere  quanto  più  essa  è,  se  non  legalmente,  effettivamente 
chiusa  agli  elementi  provenienti  dalle  classi  inferiori  ;  perchè  in 
queste  le  necessità  della  vita,  la  gara  continua  ed  aspra  per  il 
pane,  la  mancanza  di  coltura  letteraria,  mantengono  sempre  svegli 
gli  aviti  istinti  della  lotta  e  la  rudezza  inesauribile  della  natura 
umana.  Ad  ogni  modo,  si  aggiunga  o  no  all'isolamento  intellet- 
tuale e  morale  anche  quest'altro  coefficiente  dell'  isolamento  per 
dir  cosi  familiare,  certo  è  che,  quando  la  classe  dirigente  è  dege- 
nerata nel  modo  che  abbiamo  accennato,  perde  l'attitudine  a  prov- 
vedere ai  casi  suoi  ed  a  quelli  della  società,  che  ha  la  disgrazia 
di  essere  da  essa  guidata.  Allora  lo  Stato  rovina  al  primo  urto  un 
po'  forte  che  venga  dal  nemico  esterno,  chi  governa  non  sa  affron- 


(1)  Si  sa  che  Tacito  dipinge  i  costumi  dei  Germani  come  oltremodo  sem- 
plici, frugali  e  virtuosi;  più  di  tre  secoli  dopo,  durante  le  invasioni  barbariche, 
Salviano  attribuiva  le  vittorie  dei  Goti,  dei  Vandali,  dei  Franchi,  ecc.  alla 
loro  superiorità  morale;  giacche,  secondo  quest'autore,  gl'invasori  erano  casti, 
frugali,  veritieri  ed  i  Romani,  specialmente  quelli  delle  classi  elevate,  forni- 
catori, intemperanti,  fedifraghi.  Machiavelli  nel  descrivere  i  costumi  e  le  abi- 
tudini dei  Tedeschi  dei  suoi  tempi  evidentemente  risente  l'influenza  di  Tacito. 
Nel  secolo  passato  molti  filosofi  celebrarono  la  santità  di  costumi  dei  selvaggi 
e  la  rustica  semplicità  delle  plebi.  Pare  dunque  che  sia  una  tendenza  fre- 
quente, se  non  generale,  delle  civiltà  molto  matui-e,  dove  vi  sono  classi  poli- 
tiche che  hanno  una  cultura  letteraria  molto  raffinata,  di  entusiasmarsi  per 
antitesi  della  semplicità  dei  selvaggi,  dei  barbari,  dei  contadini  (si  rammenti 
l'Arcadia),  ai  quali  si  attribuiscono  virtù  e  sentimenti  immaginari  e  convenzio- 
nali. In  fondo  a  questa  tendenza  vi  è  sempre  il  concetto  nettamente  espresso 
dal  Rousseau:  che  la  natura  umana  è  buona,  ma  è  guasta  dalla  società  e  dalla 
cultura.  Su  questo  concetto,  che  ha  avuto  una  influenza  grandissima  su  tutte 
le  idee  politiche   del  secolo   scorso,  dovremo   ritornare   nei    seguenti  capitoli. 


CAP.  IV    -    RAPPORTI  TEA  LA  CLASSE  POLITICA  ED  IL  TIPO  SOCIALE  107 

tare  la  minima  tempesta,  ed  i  rivolgimenti  che  una  classe  politica 
forte  ed  avveduta  avrebbe  attuato  con  perdite  infinitamente  mi- 
nori di  ricchezza,  di  sangue  umano  e  di  senso  morale  (1)  pigliano 
l'aspetto  di  cataclismi  sociali. 


(1)  Facciamo  notare  ad  esempio  che  l'Inghilterra  ha  nel  secolo  decimonono  adot- 
tato pacificamente  e  senza  scosse  violente  quasi  tutte  le  piìi  essenziali  riforme 
civili  e  politiche,  che  sono  state  la  conseguenza  della  grande  rivoluzione  fran- 
cese e  che  sono  costate  così  caramente  alla  Francia.  È  indiscutibile  che  il 
vantaggio  evidente  della  Gran  Brettagna  si  deve  in  gran  parte  alla  maggiore 
energia,  al  maggior  senso  pratico  ed  alla  migliore  educazione  politica  che 
ebbe,  fin  quasi  agli  ultimi  anni  del  secolo  scorso,  la  sua  classe  dirigente. 


CAPITOLO  V. 
La  difesa  giuridica. 


T.  Varie  opinioni  intorno  al  progresso  del  senso  inorale.  —  IL  La  scuola  evoluzio- 
nista. —  in.  Dottrina  del  Buckle  -  Disciplina  del  senso  morale.  —  IV,  In- 
fluenza delle  credenze  religiose  nella  disciplina  del  senso  morale.  —  V.  Influenza 
dell'organizzazione  politica.  —  VI.  Il  semplicismo  politico  in  rapporto  alla  di- 
fesa giuridica.  —  VII.  I  (ìoverni  misti  -  Completamento  della  teoria  di  Mon- 
tesquieu sulla  divisione  dei  poteri.  —  Vili.  Influenza  della  separazione  del 
prestigio  religioso  dal  potere  laico.  —  IX.  Influenza  della  distribuzione  della 
ricchezza.  —  X.  Rappresentanza  ed  equilibrio  di  tutte  le  forze  politiche.  — 
XI.  L'unità  di  tipo  nella  classe  politica. 

I.  —  Non  sarebbe  indispensabile  definire  che  cosa  sia  il  senso 
morale  :  giacché  si  tratta  di  un  concetto,  che  tutti  sentono  e  ca- 
piscono, senza  che  sia  necessario  che  venga  da  una  formola  de- 
terminato e  circoscritto.  Ad  ogni  modo  dii^emo  come  per  esso  ge- 
neralmente s' intenda  quell'insieme  di  sentimenti,  j)er  i  quali  la 
naturale  propensione  degli  individui  umani  ad  esplicare  le  proprie 
facoltà  ed  attività,  a  soddisfare  i  propri  appetiti  e  le  proprie  vo- 
lontà, a  comandare  ed  a  godere,  viene  frenata  dalla  naturale  com- 
passione per  il  danno  ed  il  dispiacere,  che  altri  uomini  potrebbero 
risentirne.  Qualche  volta  questo  sentimento  arriva  al  punto  che  la 
soddisfazione  morale  per  aver  procurato  il  piacere  e  l'utile  altrui 
vince  quella  materiale  di  aver  provveduto  al  proprio. 

Quando  la  limitazione  all'appagamento  del  proprio  piacere,  di 
fronte  al  sacrifizio  altrui,  è  determinata  dai  sentimenti  affettuosi 
verso  le  persone  che  ci  stanno  più  vicine  e  che  ci  sono  ordinaria- 
mente care,  allora  si  dice  che  essa  è  basata  sulla  simpatia;  quando 
essa  è  inspirata  soltanto  dal  rispetto  che  si  deve  agli  altri  uomini, 


LA    DIFESA    GIURIDICA  109 


anche  estranei,  anche  nemici,  sol  perchè  uomini,  allora  si  ha  il 
sentimento  più  delicato  e  molto  meno  diffuso  della  giustizia.  L'idea- 
lizzazione e  l'esagerazione  di  questi  sentimenti  sono  state  concre- 
tate nelle  note  formolo:  ama  il  prossimo  tuo  come  te  stesso,  non 
fare  agli  altri  quello  che  non  vori'esti  che  fosse  fatto  a  te.  Esse  però 
hanno  ijiuttosto  il  significato  di  uno  sforzo  per  raggiungere  un 
perfezionamento  morale,  che  mai  jDotrà  essere  toccato,  anziché 
quello  di  un  consiglio  pratico  ed  axDplicabile  alla  vita  reale.  Infatti, 
tranne  le  eccezioni  dovute  quasi  sempre  all'amor  paterno  e  ma- 
terno, ogni  individuo  è  quello  che  a  preferenza  di  tutti  può  e  sa 
provvedere  meglio  ai  casi  suoi,  e,  perchè  vi  provveda  bene,  è  ne- 
cessario che  ami  sé  stesso  almeno  un  po'  più  degli  altri  e  che  li 
tratti  in  modo  differente  dal  proprio  io  (1). 

E  una  quistione  molto  discussa  quella  intorno  al  i)rogresso  od 
alla  stabilità  del  senso  morale.  Si  sa  che  un  chiarissimo  scrittore 
del  secolo  scorso,  il  Buckle,  osservando  che  i  principi  etici  più  puri 
ed  elevati  furono  già  noti  e  proclamati  anche  in  società  antichis- 
sime, sostenne  che  il  progresso  delle  società  umane  è  quasi  esclu- 
sivamente intellettuale  e  scientifico,  non  già  morale  (2).  A  conclu- 
sioni essenzialmente  diverse  viene  la  moderna  e  numerosa  scuola 
evoluzionista  :  secondo  questa,  il  senso  morale  può  e  deve  conti- 
nuamente progredire  in  grazia  della  lotta  per  l'esistenza,  in  base 
alla  quale  entro  ogni  società  sopravvivono  a  preferenza  gli  indi- 
vidui più  ricchi  di  sentimenti  altruistici,  che  sono  i  più  utili  agli 
interessi  del  corpo  sociale,  e,  nella  lotta  tra  società  diverse,  fini- 
scono semi^re  per  vincere  quelle  dove  gli  stessi  sentimenti  sono 
in  media  più  forti  (3).  Esamineremo  brevemente  le  due  dottrine, 
tanto  quanto  basterà  a  dimostrare  che  nessuna  di  esse  può  venire 
riguardata  come  base  inconcussa  di  deduzioni  scientifiche,  e  co- 
minceremo dalla  seconda  che  fino  ad  oggi  è  la  più  sparsa  e  diffusa. 


(1)  Del  resto  quest'ultima  avvertenza  è  quasi  inutile;  perchè,  tranne  mo- 
menti ed  individui  eccezionali,  gli  uomini  non  hanno  mai  preso  sul  serio  le 
massime  accennate. 

(2)  Vedi  History  of  civilisation  in  England  (London,  1861,  editori  Parker  e 
Comp.),  e  sopratutto  il  voi.  I,  cap.  IV,  intitolato:  "  Comparison  between  moral 
and  intellectual  laws  ,. 

(3)  Vedi  la  citazione  del  Letourneau,  che  abbiamo  fatta  nella  prima  parte 
di  questo  lavoro. 


110  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


n.  —  Or,  anche  non  tenendo  conto  di  quanto  abbiamo  cre- 
duto di  dimostrare  nella  prima  parte  del  nostro  lavoro,  circa  la 
lotta  per  l'esistenza,  che  viceversa  fra  gl'individui  di  una  società 
arrivata  ad  un  grado  anche  mediocrissimo  di  cultura,  sarebbe 
piuttosto  lotta  per  la  preminenza,  ci  pare  un  vero  paradosso  il 
principio  proclamato  dai  sedicenti  positivisti,  secondo  il  quale,  entro 
ogni  gruppo  sociale,  o  ai  gradi  più  elevati,  od  anche  addirittura 
alla  sopravvivenza  dovrebbero  arrivare  preferibilmente  gl'individui 
più  morali  e  perciò  più  dotati  di  sentimenti  altruistici.  Tutto  ciò 
che  in  questo  proposito  possiamo  concedere,  e  concediamo  volen- 
tieri, è  che  un  individuo  specialmente  sprovvisto  di  senso  morale, 
e  che  non  sappia  abbastanza  mascherare  le  sue  tendenze,  avrà  a 
superare  difficoltà  maggiori  degli  altri  per  l'antipatia  e  ripugnanza 
che  generalmente  inspirerà;  ma  anche  un  individuo  di  senso  mo- 
rale specialmente  squisito  si  troverà  in  condizioni  svantaggiosis- 
sime. In  sostanza,  in  tutti  i  negozi  grandi  e  piccoli  della  vita, 
egli  dovrà  lottare  con  armi  assolutamente  impari.  La  maggioranza 
degli  uomini  userà  contro  lui  quelle  arti,  che  egli  potrà  conoscere 
benissimo,  ma  che  si  guarderà  bene  dall'adoperare  ;  e  da  ciò  rica- 
verà un  danno  certo  maggiore  di  quello  che  risentirà  dalla  ma- 
levolenza di  cui  è  circondato  un  accorto  briccone,  che  sa  misurare 
bene  le  sue  bricconate.  In  verità  si  può  essere  eccezionalmente 
buoni  quasi  senza  averne  conscienza,  per  naturale  semplicità  di 
animo,  od  anche  conscientemente  per  magnanimità  di  cuore,  per 
insuperabile  ripugnanza  al  male  ed  inflessibile  dirittura  di  carat- 
tere ;  ma  non  già  perchè  si  possa  menomamente  credere  che  con 
la  bontà  si  ottenga  più  facilmente  il  conseguimento  dei  propri  fini 
o  ciò  che  comunemente  si  dice  la  riuscita  ed  il  successo  nella  vita. 
L'utilitarismo  inteso  in  questo  senso  come  base  della  morale,  ci  si 
permetta  di  dirlo,  non  può  essere  che  la  furberia  di  un  ipocrita  o 
il  sogno  di  uno  sciocco. 

E  chiaro  quindi  che,  in  tutte  le  società,  la  cosi  detta  evoluzione 
e  selezione  dei  migliori  dovrebbe  risolversi  in  un  perpetuarsi  e 
moltiplicarsi  dei  tipi  di  moralità  media,  che  sono  veramente  i  più 
adatti  a  ciò  che  si  dice  la  lotta  per  l'esistenza;  e  la  sopravvivenza, 
e  forse  è  più  esatto  dire  la  preminenza,  dovrebbe  a  preferenza 
spettare  a  quei  caratteri,  che  in  ogni  ambiente  sociale,  rappresen- 
tano la  più  aurea  mediocrità  morale.  Senonchè  ci  pare  che,  nep- 
pure così  sostanzialmente  modificata,  la  teoria  degli  evoluzionisti 


GAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  111 


riesca  accettabile;  pacche  essa  suppone  ad  ogni  modo  che  l'ele- 
mento morale  sia  sempre  il  fattore  principale,  che  contribuisce  a 
preferenza  degli  altri  alla  riuscita  o  al  mancamento  degli  scopi, 
che  ogni  individuo  si  prefigge  nella  vita.  Or  praticamente  la  cosa 
non  va  così.  A  tacere  dell'influenza  della  fortuna,  che  è  più  grande 
-di  quello  che  generalmente  si  immagina,  la  ricchezza  o  la  defi- 
cienza di  certe  qualità  intellettuali,  come  sarebbero  la  prontezza 
della  percezione  e  la  finezza  dell'  osservazione ,  contribuiscono 
moltissimo  a  portare  un  uomo  ai  più  alti  gradini  della  società  o 
a  tenerlo  nei  più  bassi.  Ma  sopratutto  vi  contribuiscono  altre  qua- 
lità, che  dipendono  dalla  tempra  dell'individuo  senza  che  siano, 
propriamente  parlando,  né  intellettuali  né  morali.  Esse  sono  la 
tenacia  nei  propositi,  la  confidenza  in  sé  stesso,  e,  sopra  tutto 
Vattività.  Anzi,  a  voler  giudicare  in  qualunque  società  se  un  in- 
dividuo si  farà  o  no  avanti  nella  vita  non  si  può  certo  usare  un 
criterio  unico,  ma  volendo  tener  d'occhio  il  criterio  principale,  si 
deve  guardare  se  è  attivo  e  se  sa  bene  impiegare  la  sua  attività  (1). 
Una  parte  sola  della  teorica  selezionista  possiamo  ammettere 
come  vera  ;  crediamo  infatti  che  si  possa  accettare  che  nella  lotta 
fra  due  società  {caeteris  paribus),  debba  trionfare  quella  i  cui 
individui  sono  in  media  più  provvisti  di  senso  morale,  e  che  quindi 
saranno  più  uniti,    più  fiduciosi  gli  uni  degli  altri,    più  capaci  di 


(1)  Non  occorre  rammentare  che,  tranne  nei  brevi  periodi  di  rivoluzione 
violenta,  le  qualità  personali  sono,  per  arrivare  ai  gradi  più  elevati,  un  coef- 
ficiente sempre  meno  efficace  della  nascita;  giacche  in  qualunque  società,  sia 
0  no  apparentemente  democratica,  il  nascere  in  alto  è  il  migliore  titolo  jjer 
restarvi. 

Per  evitare  poi  un  equivoco  nel  quale  facilmente  si  può  incorrere,  bi- 
sogna tener  presente  che  le  famiglie  da  parecchie  generazioni  arrivate  ai 
primi  gradini  della  scala  sociale  spesso  mancano  delle  qualità,  che  abbiamo 
segnalate  come  più  adatte  a  portare  un  uomo  dal  basso  in  alto,  e  ne  acqui- 
stano invece  altre  ben  diverse. 

Così,  ad  esempio,  tranne  casi  eccezionali  dovuti  ad  un'accurata  educazione, 
le  vecchie  famiglie  aristocratiche  non  si  distinguono  per  una  straordinaria 
attività,  e  nello  stesso  tempo  un  vero  raffinamento  del  senso  morale  può  de- 
terminarsi in  quelle  persone,  che,  per  salire  in  alto,  non  hanno  avuto  bisogno 
di  combattere  lotte  accanite,  oscure  e  spesso  degradanti.  Insomma  i  pregi  ed 
i  difetti  che  aiutano  un  plebeo  a  forzare  le  porte  di  una  aristocrazia,  sono 
qualche  cosa  di  molto  ditterente  dei  pregi  e  dei  difetti  delle  aristocrazie. 


112  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

abnegazione.  Ma  questa  eccezione  nuoce  anziché  giovare  al  com- 
plesso della  tesi  evoluzionista;  giacché,  se  in  una  data  società  una 
media  più  elevata  del  senso  morale  non  può  provenire  dalla  so- 
pravvivenza dei  migliori,  ammesso  che  il  fatto  esista,  non  si  può 
attribuirlo  che  ad  una  migliore  organizzazione  della  società  stessa: 
a  quelle  cause  cioè  d'indole  storica,  che  sono  le  peggiori  nemiche 
di  coloro,  che  i  fenomeni  sociali  vogliono  precipuamente  spiegare 
mercè  i  mutamenti  dell'organismo  e  della  psiche  individuale. 

III.  —  Sebbene  meno  lontane  dal  nostro  modo  di  vedere,  pure 
non  possiamo  accettare  le  teorie  del  Buckle  senza  modificarle  o 
almeno  senza  completarle.  E  verissimo  infatti  che  in  società  molto 
antiche  troviamo  massime  e  leggi,  che  dinotano  un  senso  morale 
molto  squisito  ;  in  papiri,  ad  esempio,  che  rimontano  alla  dodice- 
sima dinastia  egiziana,  si  leggono  precetti  che  valgono  quasi  quelli 
della  morale  cristiana  e  buddistica  (1).  Platonici  e  Stoici  nel  mondo 
greco-romano,  gli  Esseni  in  quello  ebraico  sono  pure  i  raijpresen- 
tanti  di  una  morale  superiore,  e  numerose  traccie  di  essa  si  pos- 
sono agevolmente  rintracciare  nelle  civiltà  chinese,  indiana  e  per- 
siana anteriori  all'èra  volgare.  Ma  bisogna  considerare  e  notare 
che,  benché  la  data  alla  quale  rimontano  i  precetti  accennati  sia 
remota,  pure  essi  sono  stati  escogitati  ed  accolti  da  iDopoli  la  cui 
civiltà  era  già  antica  ed  il  cui  senso  morale  avea  perciò  subito 
una  lunghissima  elaborazione.  Invero,  se  un  paragone  è  i^ossibile 
fra  la  morale  di  una  tribù  primitiva  e  quella  di  un  popolo  rela- 
tivamente civile  e  che  per  lunghi  secoli  ha  vissuto  organizzato  in 
grandi  e  numerosi  organismi  politici,  è  quello  stesso  che  si  può 
fare  fra  la  morale  di  un  bambino  e  quella  di  un  adulto.  La  prima 
rappresenta  l'incoscienza,  la  seconda  la  coscienza  :  nel  primo  gli 
istinti  buoni  e  cattivi  sono  semplicemente  abbozzati,  nel  secondo 
li  osserviamo  completamente  sviluppati  e  maturi.  Tanto  il  fan- 
ciullo che  il  selvaggio  possono  fare  il  male,  e  grandissimo  male, 
ma  nel  loro  operato  prevarrà  sempre  il  cieco,  bestiale  impeto  al 
calcolo  ed  alla  premeditazione,  e  possono  anche  fare  il  bene  senza 


(1)  Si  sa  che  nel  rituale  dei  morti  degli  antichi  egiziani  e  specialmente  in 
quelle  parti  di  esso  che  rimontano  ad  un'epoca  più  antica,  si  trovano  precetti 
molto  simili  ai  dieci  comandamenti  di  Dio.  Vedi  Lenormant,  Maspero,  ecc. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUBIDICA  113 

mai  raggiungere  in  esso  la  squisita  correttezza,  il  consciente  sacri- 
fizio di  sé  di  cui  è  capace  l'uomo  adulto  e  civile  (1). 

Ma  non  è  soltanto  nella  maggiore  perfezione  degli  istinti  mo- 
rali ed  immorali  che  l'uomo  civile  differisce  dal  selvaggio;  giacche, 
nelle  società  di  antica  cultura  e  che  per  secoli  hanno  goduto  di 
una  salda  organizzazione  politica,  la  compressione  degli  istinti 
immorali,  ciò  che  alcuni  penalisti  chiamerebbero  la  contro  spinta 
che  li  frena,  è  indiscutibilmente  più  forte,  ed  acquista  tutta  l'im- 
portanza di  una  inveterata  abitudine.  In  queste  società  si  vanno 
per  lunga  e  lenta  elaborazione  creando  quegli  organi,  che  fanno 
si  che,  in  un  certo  numero  di  rapporti  pubblici  e  privati,  la  mo- 
ralità generale  tenga  a  freno  la  manifestazione  della  immoralità 
individuale.  Quasi  tutti  comprendono,  quando  non  sono  interessati 
ed  appassionati,  che  un  dato  atto  non  risponde  a  quei  sentimenti  di 
giustizia,  che  sono  comuni  nella  società  in  cui  vivono  ;  ma  certo 
potrebbe  darsi  che  la  gran  maggioranza  commettesse  quello  stesso 
atto  sotto  la  spinta  della  passione  o  di  un  forte  interesse. 

Or  l'opinione  pubblica,  la  religione,  la  legge  e  tutta  l'organizza- 
zione sociale  che  la  fa  osservare,  sono  l'espressione  della  coscienza 
della  moltitudine,  che  nei  casi  generali  è  spassionata  e  disinte- 
ressata, contro  l'uno  o  i  pochi  ai  quali  la  violenza  dei  sentimenti 
egoistici  vela,  in  un  dato  momento,  il  retto  intendimento  del  giusto 
e  dell'onesto  ;  il  giudice  è  lo  strumento  del  senso  morale  di  tutti, 
che,  caso  per  caso,  tiene  a  dovere  e  frena  le  passioni  e  gl'istinti 
malvagi  di  ciascuno. 

Quindi  non  solo  in  una  civiltà  avanzata  gl'istinti  morali,  come 
le  passioni  egoistiche,   si  affinano  e  diventano  più  coscienti  e  per- 


(1)  Lo  stesso  rapporto,  in  proporzioni  naturalmente  minori,  che  si  trova  fra 
la  morale  del  selvaggio  e  del  fanciullo  rispetto  a  quella  dell'adulto  e  del  ci- 
vile, si  trova  fra  la  morale  dell'uomo  rozzo  e  quella  di  colui  che  ha  una 
cultura  superiore.  Ciò  che  noi  chiamiamo  delicatezza  di  sentire  non  è  che 
l'intuito  di  una  morale  superiore  applicata  ad  un  numero  maggiore  di  rap- 
porti sociali. 

Si  sa  che  i  viaggiatori  europei  dell'interno  dell'Africa  hanno  trovato,  in 
generale,  gli  avventurieri  ai-abi  individualmente  preferibili  ai  Negri.  Gli  è 
che  gli  Arabi,  eredi  di  un'antica  civiltà,  sebbene  anch'essi  capaci  di  tradi- 
menti, di  rapine  e  di  assassini!,  sanno,  quando  vogliono,  assumere  le  forme 
di  gentiluomini  ed  hanno  almeno  la  nozione  di  una  morale  superiore  e  perciò 
più  vicina  alla  nostra. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  8 


114  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITIOA 


fetti,  ma  in  una  società  la  cui  organizzazione  politica  è  molto  jho- 
gredita,  la  disciplina  morale  è  indiscutibilmente  maggiore,  e  sono 
più  numerosi  e  più  specificati  gli  atti  troppo  egoistici,  clie  dal  con- 
trollo e  freno  reciproco  degli  individui  che  la  compongono  sono 
proibiti  ed  ostacolati.  In  ogni  società  vi  è  certamente,  un  numero 
di  individui  relativamente  piccolo,  che  ha  tendenze  spiccatamente 
refrattarie  ad  ogni  disciplina  sociale  ;  ed  è  pure  certo  che  vi  ha  un 
certo  numero  di  coscienze  superiori  e  di  caratteri  saldamente  tem- 
prati, per  i  quali  ogni  freno,  che  li  mantenga  nella  rotta  via,  riesce 
quasi  supei'fluo.  Ma  fra  questi  due  estremi  vi  è  la  maggioranza 
immensa  delle  coscienze  mediocri,  per  le  quali  il  timore  del  danno 
e  della  pena,  il  fatto  che  delle  proprie  azioni  si  è  responsabili  da- 
vanti ad  altri,  che  non  sono  né  complici  ne  subordinati,  sono  mezzi 
efficacissimi  per  far  superare  vittoriosamente  le  mille  tentazioni, 
che  la  vita  pratica  offre  alla  trasgressione  dei  doveri  morali. 

I  meccanismi  sociali  che  regolano  questa  disciplina  del  senso 
morale  formano  ciò  che  noi  chiamiamo  la  difesa  giuridica.  Di- 
ciamo subito  che  essi  non  sono  in  tutte  le  società  ugualmente  per- 
fetti :  può  darsi  anzi,  e  si  è  dato  il  caso,  che  una  società  scientifica- 
mente ed  artisticamente  più  progredita  di  un'altra  resti,  da  questo 
lato,  in  uno  stato  di  notevole  inferiorità.  E  può  darsi  anche  che 
la  difesa  giuridica  si  vada  infiacchendo  e  diventi  meno  efficace 
in  società  le  quali  sono  in  un  periodo  di  progresso  scientifico  ed  eco- 
nomico (1).  E  innegabile  poi  che  una  grave  catastrofe,  come 
sarebbe  una  lunga  guerra  od  una  grande  rivoluzione,  produce  do- 
vunque un  periodo  di  dissoluzione  sociale  ;  la  disciplina  dei  sen- 
timenti egoistici  allora  vien  meno,  le  abitudini  colle  quali  essi 
sono  stati  lungamente  frenati  si  scuotono,  e  gli  istinti  bestiali, 
addormentati  ma  non  spenti  da  un  lungo  periodo  di  pace  e  di 
civiltà,  riappaiono  vivaci.  Giacché  se  da  una  parte  la  maggiore 
cultura  é  riuscita  a  dissimularli,  dall'altra  li  ha  resi  più  temprati 
ed  acuiti. 

E  così  che  vediamo  talvolta  gruppi  di  avventurieri  appartenenti 
a  popoli  civili,  in    contatto  con  popoli  barbari   o    di    tipo  sociale 


(1)  Il  Taedk  in  un  articolo  della  '  Revue  des  Deux  Mondes  ,  (Foules  et  sectes 
au  point  de  vite  criminel,  pag.  377,  15  novembre  1893)  esprime  l'opinione  che 
ci  sia  una  vera  decadenza  morale  nella  moderna  società  europea  dovuta  a 
ragioni  d'indole  sociale. 


GAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUBIDICA  115 

differentissimo,  credersi  sciolti  dagli  ordinari  vincoli  morali  e  per- 
petrare le  azioni  per  le  quali  rimasero  celebri  i  conquistatori  spa- 
gnuoli  nell'America,  e  Warren  Hastings  e  Clive  nell'India  ;  ed  è 
ricorrendo  agli  stessi  criteri  che  si  possono  spiegare  gli  eccessi 
tremendi  della  guerra  dei  trent'anni,  della  Rivoluzione  francese  e 
di  altre  guerre  civili  (1). 

IV.  —  Se  noi  guardiamo  ai  principali  popoli,  che  hanno  avuto 
ed  hanno  una  storia,  vediamo  che  in  essi  la  disciplina  del  senso 
morale  è  affidata  tanto  alle  religioni  quanto  a  tutta  l'organizza- 
zione legislativa.  In  origine  anzi  presso  tutti,  ed  ancora  adesso 
presso  molti  popoli,  la  legge  civile  e  il  precetto  religioso  si  sono 
assolutamente  confusi  e  le  sanzioni  che  li  accompagnavano  an- 
davano e  vanno  sempre  uniti.  Oggi  nei  paesi  di  civiltà  europea 
e  ehinese  l'organizzazione  laica  o  civile  e  quella  religiosa  sono 
più  o  meno  nettamente  separate  :  e  la  seconda  riesce  tanto  più 
efficace  quanto  più  forte  è  la  fede  che  sa  inspirare  e  mantenere; 
mentre   la   prima  fonda   la   sua   perfezione   nella   sua   maggiore 


(1)  È  caratteristico  il  quadro  che  Tucidide  fa  della  demoralizzazione  soprav- 
venuta in  Grecia  in  seguito  alle  lotte  tra  le  diverse  città  ed  alle  lotte  civili 
entro  le  città  stesse,  che  ebbero  luogo  durante  la  guerra  del  Peloponneso. 
È  da  notare  che  a  tutti  i  cataclismi  sociali,  che  distruggono  la  disciplina 
morale,  tiene  sempre  dietro  un  periodo  di  rilassamento  di  questa  disciplina, 
che  non  si  va  ricostituendo  che  lentamente.  Il  Letourneau  nel  suo  libro  "  La 
Sociologie  après  l'ethnographie  ,  ha  fatto  molto  bene  rilevare  come  i  progressi 
intellettuali  presso  i  barbari  ed  i  selvaggi,  siano  assai  più  rapidi  di  quelli 
morali.  E  questo  fatto,  che  avviene  anche  nelle  società  civili  che  escono  da 
un  periodo  di  disorganizzazione  sociale,  e  che  proviene  dalla  lentezza  con  cui 
si  stabiliscono  e  ristabiliscono  le  abitudini  morali,  contribuisce  a  dare  un'ap- 
parenza di  verità  alla  dottrina  del  Buckle  sulla  stabilità  assoluta  del  senso 
morale. 

Il  lettore,  che  è  al  corrente  dei  moderni  studi  sociologici,  avrà  notato  che 
noi  abbiamo  affatto  evitato  ogni  indagine  sulla  origine  degli  istinti  morali  od 
altruistici;  infatti  per  i  nostri  studi  ci  è  sufficiente  di  constatare  che  essi  sono 
innati  nell'uomo  e  necessari  per  la  vita  sociale.  Avrà  pure  notato  che  il  nostro 
modo  di  vedere  è  opposto  a  quello  sostenuto  dal  Rousseau,  che  l'uomo,  cioè, 
naturalmente  è  buono,  ma  che  la  società  lo  fa  cattivo  e  perverso.  Noi  invece 
crediamo  che  la  organizzazione  sociale  avendo  por  conseguenza  il  freno  reci- 
proco degli  individui  umani,  li  migliori;  non  già  distruggendone  gl'istinti  mal- 
vagi, ma  abituando  a  domarli. 


116  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


conformità  a  certe  tendenze  psicologiche,  che  sarà  nostro  dovere 
d'indagare. 

Si  è  lungamente  disputato  se  la  sanzione  religiosa,  quando  è 
separata  da  quella  politica,  riesca  più  efficace  di  questa  ;  se  il 
timore  dell'  inferno  valga  in  pratica  più  del  carcere  e  del  gen- 
darme :  ci  pare  che  una  risposta  precisa  ed  applicabile  a  tutti  i 
casi,  che  la  questione  può  presentare,  difficilmente  ])ossa  darsi.  E 
ovvio  che  un  paese  la  cui  organizzazione  politica  è  fiacca  e  pri- 
mitiva e  nel  quale  la  fede  religiosa  è  ardente,  trovasi  in  condi- 
zioni essenzialmente  diverse  di  quelle  di  un  altro  paese,  nel  quale 
gli  entusiasmi  religiosi  siano  intiepiditi  ed  il  regime  politico,  am- 
ministrativo e  giudiziario  assai  perfezionato.  Più  avanti  dovremo 
trattare  lungamente  dell'efficacia  etica  delle  religioni  in  genere  ; 
ad  ogni  modo  possiamo  fin  da  ora  dire,  che,  sebbene  tanto  il  pre- 
cetto religioso  che  le  leggi  civili  siano  emanazione  di  quel  senso 
morale  collettivo,  che  è  indispensabile  in  tutte  le  associazioni 
umane,  sebbene  sia  innegabile  che  un  qualche  effetto  pratico  tutte 
le  religioni  hanno  e  devono  avere,  pure  è  per  lo  meno  arrischiata 
l'opinione  di  coloro,  che  ne  vorrebbero  esagerare  l'importanza.  Se 
chi  pensa  cosi  avesse  ragione,  grande,  ad  esempio,  dovrebbe  es- 
sere la  differenza  morale  fra  un  popolo  cristiano  ed  uno  idolatra. 
Or  certo,  se  si  paragona  un  popolo  cristiano  civile  ad  un  popolo 
idolatra  barbaro,  il  distacco  morale  è  immenso  ;  ma  se  poniamo 
accanto  due  popoli  allo  stesso  grado  di  barbarie,  dei  quali  uno 
abbia  abbracciato  il  Cristianesimo  e  l'altro  no,  allora  si  trova  che, 
nella  pratica,  essi  si  diportano  presso  a  poco  alla  stessa  maniera, 
o  almeno  non  vi  è  un  distacco  molto  sensibile  nella  loro  condotta  : 
i  moderni  Abissini  sono  un  esempio  vivente  e  notorio  di  quanto 
affermiamo  (1).  Se  poi  paragoniamo  la  società  ancora  pagana,  ma 
politicamente  ben' ordinata,  dell'epoca  di  Marco  Aui'elio  con  quella 
cristiana  ma  disordinatissima,  che  ci  viene  descritta  da  Gregorio 
di  Tours,  dubitiamo  forte  che  il  parallelo  non  riesca  tutto  favo- 
revole alla  prima. 

Invero  è  proprio  della  natura  umana  che  un  danno  certo  e  pros- 


(1)  Anche  il  cardinale  Massaja  nei  suoi  Trentacinque  anni  di  missione  in 
Etiopia  (Roma-Milano,  1885-95)  fa  rilevare  la  scarsa  efficacia  pratica  che  il 
Cristianesimo  ha  nella  vita  degli  Abissini. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  117 

simo,  per  quanto  relativamente  piccolo,  sia  generalmente  più  te- 
muto di  un  danno  incerto  e  remoto  per  quanto  grande.  Per  la  massa 
delle  coscienze  volgari,  nel  momento  che  la  cupidità,  la  libidine 
o  la  vendetta  le  spinge  al  furto,  allo  stupro,  all'omicidio,  il  timore 
dell'ergastolo  e  del  patibolo  sono  mezzi  più  potenti  e  sopratutto 
più  sicuri  di  prevenzione  della  possibilità  degli  eterni  tormenti  ; 
e  se  ciò  è  vero  per  i  grandi  strappi  al  senso  morale,  che  si  fanno 
solo  nei  momenti  di  passione  violenta,  è  verissimo  per  le  piccole 
violazioni  ai  precetti  più  ovvii  dell'equità  e  della  giustizia,  alle 
quali  possiamo  essere  indotti  dalla  spinta  quotidiana  dei  piccoli 
interessi  e  delle  piccole  bizze.  Infatti  quale  legge  morale  o  reli- 
giosa non  riconosce  che  il  pagare  i  debiti  è,  in  massima,  una 
cosa  giusta  e  doverosa?  Eppure  dobbiamo  confessare  che  moltis- 
simi buoni  credenti  si  asterrebbero  dal  farlo,  e  troverebbero  mille 
cavilli  e  pretesti  per  ingannare  la  propria  coscienza,  se  non  vi 
fossero  costretti  dalla  pubblica  vergogna  e  sopratutto  dall'usciere. 
Non  ci  vuole  un  sentimento  troppo  delicato  per  capire  che  il  ba- 
stonare un  altro  è  una  cosa,  per  lo  meno,  scorretta  ;  eppure  l'abi- 
tudine di  alzare  le  mani  sul  prossimo  nei  momenti  d'ira,  viene 
nelle  masse  combattuta  efficacemente  solo  dalla  sicurezza  che  chi 
dà  un  pugno  si  espone  a  riceverne  subito  un  altro,  e  che  l'affare 
può  anche  terminare  col  carcere  o  con  la  multa. 

E  noi  vediamo,  pur  troppo,  che  gli  esseri  più  deboli  e  più  in- 
capaci di  difesa,  le  donne  ed  i  fanciulli,  i  quali  appunto  per  ciò 
dovrebbero  essere  maggiormente  tutelati  dal  sentimento  religioso 
e  morale,  sono  le  vittime  più  frequenti  delle  bnitalità  manesche. 
E  in  paesi  molto  religiosi,  ma  nei  quali  le  classi  inferiori  sono 
completamente  abbandonate  all'arbitrio  di  quelle  superiori,  non  è 
cosa  straordinaria  che  i  padroni  battano  servi  e  vassalli. 

Certo  che  la  fede  religiosa,  come  l'entusiasmo  patriottico  e  le 
passioni  politiche,  possono,  in  dati  momenti  di  sovi'aeccitazione- 
straordinaria,  produrre  grandi  concenti  di  abnegazione  e  di  sacri- 
ficio e  spingere  le  masse  a  fatti  ed  a  sforzi  che,  a  chi  tien  conto 
solo  della  natura  ordinaria  dell'uomo,  sembrano  quasi  sovru- 
mani (1).  I  giubilei  cattolici  e  i  revivals  protestanti  ce  ne  porgono 


(1)  Parliamo  di  atti  collettivi  non  di  quelli  individuali;  giacché,   per    quel 
che  riguarda  questi  ultimi,  gli  esemj)i  di  uomini  isolati,  o    anche    di    gruppi 


118  ELEMENTI    DI    SCIENZA,    POLITICA 

più  di  un  esempio,  e,  come  fatti  caratteristici,  si  possono  anche 
citare  il  gran  movimento  di  carità  e  d'amore,  che  agitò  l'Umbria 
al  tempo  di  S.  Francesco  d'Assisi,  e  qualche  fugace  giornata  della 
rivoluzione  francese  e  dei  moti  del  1848  in  Italia.  Ma  la  possibi- 
lità che  hanno  certi  sentimenti  di  eccitare  febbri  passeggiero  non 
ci  deve  indurre  in  errore  intorno  alla  loro  reale  efficacia  nella 
vita  ordinaria  dell'umanità.  Si  sono  viste  città  intiere,  in  momenti 
di  sovraeccitazione  patriottica  e  religiosa,  spogliarsi  dei  propri  beni 
per  donarli  allo  Stato  od  alla  Chiesa  :  ma  certo  nessuna  organiz- 
zazione xjolitica  può  a  lungo  sussistere  se  l' imposta  non  ha  un 
carattere  coattivo  ;  e  la  Chiesa  stessa,  quando  ha  potuto,  ha  reso 
obbligatorie  le  decime. 

Il  sentimento  patriottico  ed  ancor  più  il  religioso,  e  più  ancora 
quando  sono  combinati  in  unica  passione,  bastano  a  produrre  in- 
surrezioni generali  e  violente,  ed  in  certi  momenti  hanno  indotto 
intere  popolazioni  a  pigliare  le  armi  per  imprendere  spedizioni 
lontane  ed  arrischiatissime,  come  ad  esempio  avvenne  nelle  i)rime 
due  o  tre  crociate.  Ma  essi  non  bastano  a  fornire  eserciti  saldi  e 
sicuri,  che  in  tutti  i  momenti  siano  pronti  laddove  il  bisogno  lo 
richieda  ;  tranne  che  non  si  tratti  di  popolazioni  nelle  quali  la 
guerra  sia  un'occupazione  ordinaria  e  fornisca  lucri  abituali.  Questa 
specie  di  eserciti,  fra  genti  che  vivono  ordinariamente  d'agricol- 
tura, d'industrie  e  di  commercio,  sono  invece  il  prodotto  di  una 
salda  disciplina  sociale,  che  costringe  inesorabilmente  ogni  indi- 
viduo a  fare  il  suo  dovere  ed  a  prestare  il  suo  servizio  in  dati 
tempi  e  in  dati  modi. 


d'uomini,  che  danno  prova  di  straordinaria  abnegazione  e  di  completo  sacri- 
ficio di  se,  non  sono  molto  rari  ne  in  alcuna  epoca,  ne  in  alcun  popolo  civile. 
Essi  abbondano  in  ogni  guerra,  in  ogni  epidemia  grave,  in  qualunque  occa- 
sione insomma  nella  quale  è  utile  e  necessario  che  qualcheduno  sotìVa  od 
atì'ronti  un  pericolo  per  tutti. 

Nelle  stesse  occasioni  è  stato  notato  da  parecchi  che,  come  si  vede  una  su- 
blimazione della  virtii  in  alcuni,  si  vede  in  altri  una  esagerazione  di  codardia 
ed  egoismo,  che  davanti  la  gravità  del  pericolo  e  del  sacrificio  gettano  la  ma- 
schera di  cui  si  solevano  ricoprire.  Ed  a  proposito  di  ciò  è  da  ricordare  che 
come  vi  sono  nelle  masse  le  rare  febbri  di  abnegazione  e  di  sacrificio,  vi  sono 
pure  quelle  che  hanno  a  base  i  sentimenti  cattivi:  la  cupidità,  la  rabbia  san- 
guinaria e.  la  paura. 


GAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUBIDICA  119 

V.  —  Or  è  certo  che  l'organizzazione  propriamente  detta  po- 
litica, quella  che  stabilisce  l'indole  dei  rapporti  tra  la  classe  go- 
vernante e  quella  governata  e  tra  i  vari  gradi  e  le  diverse  fra- 
zioni della  prima,  è  il  fattore,  che  contribuisce  precipuamente  a 
determinare  il  grado  di  perfezione,  che  può  raggiungere  la  difesa 
giuridica  di  un  popolo.  Un  Governo  onesto,  un  Governo  di  verità 
e  di  giustizia,  un  Governo  veramente  liberale,  come  V  intendeva 
il  Guicciardini  (1),  è  la  miglior  garenzia  che,  anche  i  diritti  che 
più  comunemente  s'intendono  per  privati,  la  tutela  cioè  della  pro- 
prietà e  della  vita,  saranno  effìcamente  custoditi.  Un  regime  cor- 
rotto, nel  quale  può  accadere  che  chi  comanda,  in  nome  di  Dio  o 
del  popolo  poco  imx)orta,  libito  faccia  licito  in  sua  legge,  è  evi- 
dente che  sarà  insufficiente  anche  nell'adempiere  a  que.=;ta  missione; 
e,  sebbene  ufficialmente  possa  riguardo  ad  essa  proclamare  prin- 
cipii  accettabili  ed  anche  elevati,  pure  nella  pratica  questi  saranno 
malamente  osservati  (2). 

(1)  Si  sa  che  quest'autore  definisce  la  libertà  politica  "  un  prevalere  delle 
leggi  e  degli  ordini  pubblici  sull'appetito  degli  uomini  particolari  ,  (Vedi 
opere  inedite,  Firenze,  Barbera  e  Bianchi  editori,  1858,  voi.  2»,  pag.  169).  Se 
per  uomini  particolari  intendiamo  i  singoli  individui,  compresi  anche  coloro 
che  hanno  nelle  mani  il  potere,  difficilmente  si  può  trovare  una  definizione 
più  rigorosamente  scientifica;  che  ha  il  merito  di  essere  antichissima,  perchè 
l'autore,  forse  senza  saperlo,  riproduce  il  concetto  espresso  nella  sentenza  di 
uno  dei  famosi  sette  savi  della  Grecia. 

Lo  stesso  Guicciardini,  che  certo  non  era  un  ingenuo,  nei  suoi  "  Pensieri  , 
e  nei  "  Discorsi  ,  ripete  spesso  questo  giudizio:  "  che  gli  uomini  ingenerale 
amano  il  bene  e  la  giustizia  tutte  le  volte  che  l'amore  dell'interesse  proprio 
e  dei  congiunti  o  il  timore  della  vendetta  altrui  non  fa  traviare  il  loro  inten- 
dimento „.  In  queste  parole  vi  è  il  riconoscimento  di  quella  legge  psicologica 
che  noi  abbiamo  dato  come  base  della  difesa  giuridica. 

(2)  Si  sa,  ad  esempio,  che  nel  passato  regno  di  Napoli,  come  accade  forse  anche 
oggi  in  Russia,  l'azione  delle  leggi  e  della  magistratura  potea  essere  annullata 
dalla  polizia.  Anche  la  uguaglianza  davanti  le  leggi,  ufficialmente  proclamata, 
può  riuscire  irrisoria.  E,  per  citare  esempi  antichi,  che  sono  meno  scottanti, 
osserveremo  che  nel  Codice  teodosiano  (XI-7-r2)  è  stabilito  che  i  più  grossi 
proprietari  {potentiores  possessores)  dovevano  pagare  l'imposta  per  mezzo  dei 
governatori  delle  provincie;  perchè  pare  che  i  magistrati  municipali,  incari- 
cati generalmente  dell'esazione,  fossero  troppo  umili  e  deboli  davanti  a  loro. 
Sotto  Arcadio  è  riconosciuto  astrattamente  al  colono  libero  il  diritto  di  citare 
il  proprietario  davanti  la  giustizia  imperiale,  ma  quest'atto  è  qualificato  come 
un'audacia  (V.  Fustkl  dk  Coulanges.  Riclierches  sur  queìques  problìnics  d'/iistoire, 
pag.  100  e  120.  Paris,  1885,  Hachette). 


120  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


È  un'osservazione  non  solo  facile,  ma  diremo  quasi  banale  questa: 
che  i  rapporti  fra  governanti  e  governati  e  fra  le  varie  categorie 
dei  primi,  sono  più  o  meno  inspirati  a  principii  di  moralità  e  giu- 
stizia, secondo  la  diversità  dei  paesi  e  dei  tempi.  Infatti  non  vi  è 
chi  non  veda  subito  la  differenza,  che  corre  su  questo  riguardo 
fra  il  governo  dei  pascià  e  dei  visir  turchi  del  buon  tempo  antico, 
dello  stampo  di  Maometto  Kòproli,  Mustafà  Bairakdar  ed  Ali 
Tebelen,  che  disponevano  alla  spiccia  delle  sostanze,  del  corpo  e 
della  vita  dei  raidh  ed  anche  talvolta  dei  credenti  da  loro  gover- 
nati, e  quello  dei  mandarini  chinesi,  che  in  conclusione  devono  far 
capo  alla  corruzione  burocratica  per  potere  aggiunger  qualche  sup- 
plemento al  loro  stipendio;  e  per  eseguire  una  sentenza  di  morte, 
a  meno  che  una  provincia  non  sia  sottoposta  a  leggi  eccezionali, 
devono  spedire  il  processo  a  Pekino  per  esservi  riveduto  ed  al- 
l'occorrenza corretto.  Salta  subito  agli  occhi  che  la  Russia  sotto 
Ivano  IV  il  terribile,  quando  le  confische  e  gli  sterminii  in  massa 
d'intere  città  erano  cose  ordinarie,  era  retta  in  modo  alquanto  di- 
verso di  come  è  governata  oggi  ;  ne  è  meno  evidente  che  la  Russia 
d'oggi,  è  governata  in  modo  diverso  dall'Inghilterra,  dove  ogni 
arresto  personale  deve  essere  subito  e  seriamente  legalizzato.  E 
neppure  è  dubbio  che  le  grandi  nazioni  dell'Europa  centrale  ed 
occidentale  siano  rette  in  modo  alquanto  diverso  delle  Repub- 
bliche dell'America  meridionale,  dove  la  fucilazione,  che  il  partito 
vincitore  infligge  ai  cai^i  del  partito  vinto,  non  è  ancora  andata 
in  disuso,  ed  in  qualcuna  delle  quali,  in  epoca  non  remota,  coloro 
che  ressero  per  qualche  anno  il  potere  ebbero  modo  di  rubare 
non  dei  milioni  ma  dei  miliardi  (1). 

Tutte  queste  sensibilissime  variazioni  nel  grado  di  bontà  del 
regime  politico  sono  da  alcuni  molto  facilmente  spiegate  colle 
differenze  di  razza.  Abbiamo  già  nella  prima  parte  del  nostro 
lavoro  ampiamente  trattato  quest'argomento  ;  ci  limiteremo  ora  a 
rammentare  che  il  vizio  della  razza  difficilmente  si  può  invocare 
quando  si  tratta  di  popoli,  che  hanno  saputo  creare  civiltà  molto 
avanzate  e  che  in  altri  tempi  aveano  organizzazioni  politiche  nelle 


(1)  Alludiamo  a  Juarez  Celman,  ex  presidente  della  Repubblica  Argentina, 
ed  ai  suoi  complici.  Vedi  Alfred  Ebelot,  ha  liévolution  de  Buenos-Ayres. 
"  Revue  des  Deux  Mondes  .,  1"  dicembre  1891. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GICRIDICA  121 

quali  la  difesa  giuridica  'era  relativamente  eccellente  rispetto  a 
quella  delle  nazioni,  che  ora  da  questo  lato  li  sopravanzano,  e  che 
finalmente,  nei  loro  rapporti  privati,  non  mostrano  quella  inferio- 
rità organica  del  senso  morale,  che  solo  nelle  pubbliche  faccende 
verrebbe  a  manifestarsi  (1).  Altri  la  spiegano  colla  differenza  del 
grado  di  civiltà  :  e  questi  hanno  senza  dubbio  una  parte  di  ra- 
gione; perchè,  come  più  avanti  dovremo  dimostrare,  è  assai  diffìcile, 
per  non  dire  impossibile,  che  una  società  vasta  e  numerosa  come 
una  nazione  moderna  abbia  molto  perfezionato  la  sua  difesa  giu- 
ridica, se  non  ha  raggiunto  uno  sviluppo  intellettuale  ed  econo- 
mico abbastanza  notevole.  Ma  la  parte  è  cosa  differente  dal  tutto: 
giacché  molti  sono  i  popoli  che  hanno  avuto  periodi  di  splendore 
materiale  ed  anche  intellettuale  e  che,  quasi  costretti  da  una  specie 
di  forza  fatale,  non  hanno  mai  potuto  disfarsi  da  certi  tipi  di  or- 
ganizzazione politica,  i  quali  sembrano  del  tutto  impropri  ad  as- 
sicurare un  vero  progresso  nella  morale  delle  classi  governanti  (2)  : 
quindi,  ciò  che  comunemente  appellasi  civiltà  è,  evidentemente, 
una  condizione  necessaria,  ma  non  sufficiente  per  il  vero  progresso 
politico. 

Si  può  invero  affermare  che  le  abitudini  contribuiscono  gran- 
demente nel  determinare  il  grado  massimo  di  perfezione  o  d'im- 
perfezione nella  difesa  giuridica,  che  un  popolo  è  capace  di  sta- 
bilmente godere  o  sistematicamente  tollerare.  Infatti  si  può  senza 
stento  ammettere  che  sarebbe  impossibile  che,  in  una  od  anche 
in  poche  generazioni,  i  moderni  Persiani,  ad  esempio,  possano  di- 
ventare adatti  al  regime  che  ora  vige  in  Inghilterra,  o  che  i 
nostri  contemporanei  Inglesi  possano  ridursi  a  tale  da  essere  go- 
vernati come  lo  sono  i  sudditi  dello  Scià.  Abbiamo  già  accennato 
al  fatto  che  le  abitudini  morali  si  modificano  assai  più  lentamente 
di  quelle  intellettuali,  però  esse,  per  quanto  lentamente,  pur  si 
modificano  ;   e  possono  andar  cambiando  in  senso  buono  come  in 


(1)  Ad  esempio  Spagnuoli  e  Siciliani  sono  comunemente  ritenuti  come  popoli 
di  scarsa  moralità  politica,  ma  non  crediamo  che  si  possa  asserire  che,  nei 
rapporti  di  famiglia  e  nelle  loro  private  amicizie,  siano  moralmente  inferiori 
agli  altri  Europei. 

(2)  Basti  ricordare  che  i  caliti'ati  arabi  di  Bagdad,  di  Cordova  e  del  Cairo 
furono  per  qualche  secolo  alla  testa  della  civiltà  umana,  ma  non  realizzarono 
mai  sensibili  progressi  politici. 


122  ELEMENTI    DI    SCIENZA.    POLITICA 


senso  cattivo.  Se  è  vero  quindi  che  gl'Inglesi  moderni  non  tolle- 
rerebbero più  un  re  come  Riccardo  3",  un  lord  cancelliere  come 
Francesco  Bacone,  un  giudice  come  Jeffreys,  un  generale  coman- 
dante le  truppe  nella  Scozia  come  Graham  di  Claverhouse  e  pro- 
babilmente neppure  un  lord  protettore  come  Cromwell,  se  si  può 
ragionevolmente  sperare  che  Bernabò  Visconti  e  Cesare  Borgia 
sarebbero  impossibili  fra  gl'Italiani  d'oggidì,  non  è  men  vero  che, 
a  qualche  secolo  d'intervallo,  i  Romani,  dei  quali  Polibio  avea 
ammirato  l'organizzazione  politica  che  era  forse  la  migliore  di 
tutta  l'antichità  classica,  si  adattarono  a  sopportare  la  tirannide 
di  Tiberio,  di  Caligola  e  di  Nerone,  e  che  i  discendenti  dei  Greci 
contemporanei  di  Aristide,  di  Pericle  e  di  Epaminonda  stettero 
per  lunghi  secoli  sotto  il  governo  degli  imperatori  bizantini. 
Inoltre  è  innegabile  che  vi  devono  essere  delle  cause,  che  deter- 
minano il  formarsi  di  alcune  abitudini  a  preferenza  di  altre  ; 
sicché,  ammesso  anche  che  la  varietà  di  regime  politico  sia  do- 
vuta principalmente  alla  differenza  di  abitudini  politiche,  resta 
integro  il  problema  intorno  alla  ricerca  delle  cause  per  le  quali 
le  dette  abitudini  si  sono  variamente  stabilite. 

In  conclusione  noi  crediamo  di  trovarci  davanti  ad  una  grande 
legge  psicologica,  la  quale  può  sola  spiegare  perchè  gl'istinti  mo- 
rali di  un  popolo  più  o  meno  si  affermano  e  si  sviluppano  nella 
sua  organizzazione  politica  ;  legge  che  in  fondo  non  è  che  una 
delle  tante  esplicazioni  dell'altra  legge  più  generale,  che  abbiamo 
esposto  in  principio  di  questo  capitolo,  la  quale  spiega  la  mag- 
giore o  minore  forza  dei  freni  morali  in  tutte  le  manifestazioni 
della  vita  sociale. 

VI.  —  La  preponderanza  assoluta  di  una  sola  forza  politica, 
il  predominio  di  un  concetto  semplicista  nell'organizzazione  dello 
Stato,  l'applicazione  severamente  logica  d'un  solo  principio  ispi- 
ratore di  tutto  il  diritto  pubblico,  sono  gli  elementi  necessari  per 
qualunque  genere  di  dispotismo  ;  tanto  per  quello  fondato  sul  di- 
ritto divino,  che  per  l'altro  che  presume  di  avere  la  sua  base  nella 
sovranità  popolare  ;  per  il  fatto  che  essi  permettono  a  chi  ha  in 
mano  il  jjotere  di  sfruttare  maggiormente,  a  benefìcio  delle  proprie 
passioni,  i  vantaggi  di  una  posizione  superiore.  Giacché,  quando 
coloro  che  stanno  alla  testa  della  classe  governante  sono  gli  inter- 
preti esclusivi  della  volontà  di  Dio  o  del  popolo,  ed  esercitano  la 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUBIDICA  123 

sovranità  in  nome  di  questi  enti,  in  società  profondamente  imbe- 
vute di  credenze  religiose  o  di  fanatismo  democratico,  e  quando 
altre  forze  sociali  organizzate  non  esistono  all'infuori  di  quelle, 
che  rappresentano  il  princi]3Ìo  sul  quale  si  basa  la  sovranità  della 
nazione,  allora  nessuna  resistenza,  nessun  controllo  efficace  sono 
possibili,  che  valgano  a  temperare  la  naturale  tendenza,  che  hanno 
coloro  che  stanno  a  capo  della  gerarchia  sociale  ad  abusare  dei 
loro  poteri. 

Una  classe  governante,  che  tutto  si  può  permettere  in  nome  di 
un  sovrano,  che  tutto  può  fare,  subisce  una  vera  degenerazione 
morale  ;  quella  degenerazione  che  è  comune  a  tutti  gli  uomini,  i 
cui  atti  sono  esenti  dal  freno  e  dal  controllo,  che  ad  essi  ordinaria- 
mente impone  l'opinione  e  la  coscienza  dei  loro  simili.  Le  resj)on- 
sabilità  dei  subordinati,  che  finiscono  col  risolversi  nell'irrespon- 
sabilità e  nell'onnipotenza  dell'uomo,  o  del  piccolo  gruppo  di  uo- 
mini che  stanno  a  capo  della  gerarchia  di  tutti  i  funzionari,  si 
chiamino  Czar,  Sultano  o  Comitato  di  salute  pubblica,  comuni- 
cano a  tutta  la  macchina  politica  i  vizi  che  l'assolutismo  genera 
nei  capi.  Giacché  tutto  si  può  osare  quando  s' interpreta  la  vo- 
lontà, vera  o  supposta,  di  chi  crede  avere  il  diritto  che  tutto  pieghi 
ad  un  suo  cenno,  senza  che  abbia  la  possibilità  di  tutto  vedere  e 
senza  che  altre  coscienze  libere  e  disinteressate  possano  controllare 
le  sue  passioni  ed  i  suoi  errori. 

E  gli  effetti  di  un  simile  sistema  sono  pronti  e  tristissimi.  Cre- 
diamo che  nessuno  come  il  russo  Dostoiewsky,  che  visse  lunga- 
mente nel  paese  dell'autocrazia  e  passò  dieci  anni  nelle  miniere 
della  Siberia,  abbia  fra  i  moderni  descritto  con  più  verità  e  sen- 
timento la  degenerazione  del  carattere,  che  il  potere  assoluto  pro- 
duce negli  uomini,  sicché  non  rinunciamo  a  trascrivere  le  sue 
parole.  Egli  dice  :  "  Chi  possiede  la  potenza  illimitata  sulla  carne 
ed  il  sangue  del  suo  simile,  chi  ha  la  facoltà  di  avvilire  coll'av- 
vilimento  supremo  un  altro  essere,  é  incai)ace  di  resistere  al  de- 
siderio di  fare  il  male.  La  tirannia  è  un'abitudine,  che  diventa 
alla  lunga  una  malattia.  11  miglior  uomo  del  mondo  può  abbru- 
tirsi così  da  non  distinguersi  da  una  fiera.  11  sangue  inebria,  lo 
spirito  diviene  accessibile  ai  fenomeni  più  anormali,  che  possono 
sembrare  delle  vere  gioie.  La  possibilità  di  una  tale  licenza  di- 
viene alle  volte  contagiosa  a  tutto  un  popolo  ;  eppure  la  società, 
che  disprezza  il  carnefice  ufficiale,  non  disprezza  codesti  carnefici 


124  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


potenti  ^.  Or  è  appunto  questa  specie  di  ubbriachezza  morale, 
rilevata  pure  da  parecchi  moderni  ]jsichiatri,  quella  elio  sjjiega 
gli  eccessi  degli  onnipotenti,  che  ci  dà  la  chiave  delle  follie  cri- 
minose di  parecchi  imperatori  romani,  di  Ivano  IV  e  Pietro  il 
Grande,  di  tanti  sultani  dell'Oriente,  di  Robespierre,  di  Barrere, 
di  Carrier  e  di  Lébon  (1). 

Si  può  obbiettare  che  vi  sono  stati  sovrani  assoluti  buoni,  come 
ve  ne  sono  stati  di  cattivi,  e  che  nell'Europa  continentale,  prima 
della  recente  adozione  dei  Governi  costituzionali  e  parlamentari, 
l'assolutismo  non  produsse  risultati  cosi  disastrosi  da  giustificare 
quanto  noi  abbiamo  sostenuto.  Rispondiamo  facilmente  che  l'as- 
solutismo europeo  posteriore  al  Medio  Evo  fu  tutt'altro  che  com- 
pleto ;  perchè  anche  l'autorità  di  un  Luigi  XIV  avea  freni  pos- 
senti nella  tradizione  di  un  tempo  in  cui  il  Re  non  era  che  il 
primo  dei  baroni,  nei  privilegi  secolari  della  nobiltà  e  delle  Pro- 
vincie, e  sopratutto  nella  separazione  più  o  meno  completa  della 
Chiesa  dallo  Stato.  Ad  ogni  modo,  tanta  è  la  ricchezza  e  la  va- 
rietà della  natura  umana,  che  ammettiamo,  ciò  che  del  resto  è 
provato  dalla  storia,  che  alcuni  individui  abbiano  saputo  intera- 
mente dominare  le  proprie  passioni  e  conservarsi  puri  ed  onesti, 
anche  dopo  essere  stati  lungamente  investiti  di  un'autorità  asso- 
luta. Ma  l'influenza  benefica  di  questi  fortunati  accidenti  è  meno 
grande  di  quello  che  comunemente  si  crede  :  giacché,  in  un  paese 
abituato  stabilmente  ad  un  regime  dispotico,  la  massa  della  classe 
politica  usa  ad  essere  adulatrice  e  vile  coi  superiori,  necessaria- 
mente deve  diventare  superba,  dispotica,  soverchiatrice  cogli  in- 
feriori ;  gli  uomini  sciagui'atamente  essendo  cosi  fatti  che,  quanto 


(1)  È  notorio  che  parecchi  dei  personaggi  citati,  prima  che  arrivassero  al 
supremo  potere  avevano  mostrato  carattere  mite  e  del  tutto  alieno  dagli  ec- 
cessi ai  quali  poi  si  diedero  in  preda.  Ciò  vale  sopratutto  per  coloro,  che  per 
la  nascita  non  parevano  destinati  ad  arrivare  al  supremo  potere.  Napoleone  I 
diceva  a  Sant'Elena  al  dottore  0'  Meara:  *  Nessuno,  eccettuato  me  stesso,  mi 
La  fatto  del  male,  io  posso  dire  di  essere  stato  il  mio  unico  nemico;  i  miei 
propri  progetti,  la  spedizione  di  Mosca  e  gli  accidenti  che  ne  vennero  in  se- 
guito, furono  le  cause  della  mia  rovina  ,  (Vedi  0'  Meara,  Napoleone  nell'esilio, 
dialogo  del  6  aprile  1817).  Neppure  il  genio,  neupure  il  proprio  interesse  ben 
inteso  hanno  potuto  dunque  impedire  ad  un  despota  di  commettere  i  falli, 
nei  quali  naufragò  la  propria  fortuna  e  per  i  quali  perirono  centinaia  di  mi- 
gliaia di  vite  umane. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  125 


più  sono  soggetti  al  capriccio  ed  all'arbitrio  di  ch.i  sta  in  alto, 
tanto  più,  in  generale,  tendono  a  far  pesare  il  loro  capriccio  ed 
il  loro  arbitrio  su  chi  sta  in  basso  e  resta  in  loro  balia  (1). 

YTL.  —  Neirantichità  Aristotile,  Polibio  e  qualche  altro  scrit- 
tore, dando  la  preferenza  ai  governi  misti  di  monarchia,  aristo- 
crazia e  democrazia,  intuirono  chiaramente  la  legge,  che  abbiamo 
enunciato.  In  verità,  nello  Stato  greco,  l'antica  monarchia  appog- 
giata al  carattere  sacro  ed  alla  tradizione,  l'aristocrazia  che  rap- 
presentava pure  la  tradizione  ed  ordinariamente  la  proprietà  ter- 
ritoriale, la  democrazia  basata  sulla  ricchezza  mobiliare,  sul  numero, 
sulle  passioni  della  folla,  erano  altrettante  forze  politiche,  la  cui 
contemperanza,  finché  una  non  prevalse  esclusivamente  sulle  altre, 
potea  dare,  e  diede,  un  tipo  di  organizzazione  politica,  nel  quale 
la  difesa  giuridica  era,  nei  tempi  ordinari,  sufficientemente  ga- 
rentita.  Anche  in  Roma,  all'epoca  nella  quale  la  sua  costituzione 
fu  tanto  ammirata  da  Polibio,  troviamo  contemperate  le  influenze 
della  grande  proprietà  patrizia  e  della  piccola  proprietà  plebea 
con  quella  della  j)roprietà  mobiliare  dei  cavalieri  ;  troviamo  le 
tradizioni  delle  grandi  famiglie  di  ottimati,  discendenti  dai  Numi, 
mantenere  la  loro  possanza  di  fronte  alle  passioni  popolari  ed  ai 


1,1)  Nella  vita  privata  ed  anche  familiare  ognuno  che  abbia  un  mediocre 
spirito  d'osservazione  può  trovare  quegli  esempi,  che  confermano  la  regola 
che  abbiamo  dato.  Facciamo  rilevare  che  in  uno  Stato  moderno,  che  ha  così 
vasta  estensione  e  così  grande  complicazione  burocratica  ed  amministrativa, 
l'azione  del  capo  dello  Stato,  tolte  alcune  risoluzioni  decisive,  quali  sarebbero, 
ad  esempio,  la  scelta  fra  la  guerra  e  la  pace,  nella  vita  ordinaria  della  so- 
cietà è  così  piccola  che  spesso  sussistono  a  preferenza  gli  abusi  ai  quali  i 
sovrani  sono  personalmente  pivi  avversi.  Alessandro  I,  Nicola  ed  Alessandro  II 
di  Russia,  Ferdinando  11  di  Napoli  erano  certo  contrarissimi  alla  corruzione 
amministrativa  e  pure  l'uso  di  comprare  la  connivenza  dei  funzionari  con 
mancie  pare  che  duri  ancora  in  Russia  e  non  si  potè  mai  sradicare  nel  Regno 
di  Napoli  (Lerot-Beaulieu,  opera  citata;  Nisco,  //  Regno  di  Ferdinando  II). 

Nella  storia  si  trovano  esempi  nei  quali  lo  stabilirsi  del  governo  di  un  de- 
spota ha  giovato  ad  un  popolo,  almeno  momentaneamente.  Si  dice  che  Cesare 
Borgia  abbia  fatto  respirare  la  Romagna,  distruggendo  tutti  i  tirannetti  ed 
i  ladroni  che  la  infestavano.  Anche  MehemetAlì,  collo  sterminio  dei  Mame- 
lucchi, diede  un  po'  di  tranquillità  all'Egitto.  Ciò  non  significa  altro  che  il 
dispotismo,  sebbene  sia  il  peggiore  tipo  di  regime  politico,  è  sempre  prefe- 
ribile all'anarchia,  che  è  l'assenza  di  qualunque  regime. 


126  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

servizi  ed  alle  ricchezze  recenti  delle  f^randi  fami;[^lie  plebee,  e 
troviamo  queste  forze  politiche  diverse  estrinsecarsi  nelle  varie 
autorità  politiche,  militari,  amministrative  e  giudiziarie,  alleandosi 
e  temperandosi  in  modo  da  dar  luogo  allo  Stato  giuridicamente 
più  perfetto  di  tutta  l'antichità. 

Nel  secolo  scorso  Montesquieu  dallo  studio  della  Costituzione 
inglese  ricavò  la  dottrina  la  quale  insegna  che,  perchè  un  paese 
sia  libero,  è  necessario  che  il  potere  vi  freni  il  potere  e  che  l'eser- 
cizio dei  tre  poteri  fondamentali,  che  egli  trovava  in  qualunque 
Stato,  sia  affidato  ad  organi  politici  diversi.  Omai  i  trattatisti  di 
diritto  costituzionale  hanno  dimostrato  che  una  separazione  asso- 
luta dei  tre  poteri  trovati  dal  Montesquieu  non  esiste  e  che  non 
è  necessario  che  essi  siano  precisamente  tre.  Ma  non  è  questo  forse 
il  difetto  principale  della  dottrina  del  Montesquieu,  difetto  del  resto 
piuttosto  imputabile  ai  numerosi  scrittori,  che  ad  essa  attinsero, 
che  al  suo  primo  autore.  Costoro  infatti,  tenendo  gli  occhi  rivolti 
alla  teoria  del  maestro,  hanno  dato  importanza  piuttosto  al  suo 
lato  formale,  e,  diremmo  quasi  curialesco,  anziché  a  quello  sostan- 
ziale e  politico.  Si  è  dimenticato  troppo  che  un  organo  politico, 
per  essere  efficace  a  frenare  l'azione  di  un  altro,  deve  rappresen- 
tare una  forza  politica,  deve  essere  l'organizzazione  di  un'auto- 
rità e  di  un'  influenza  sociale,  che  nel  seno  della  società  valga 
qualche  cosa,  di  fronte  all'altra,  che  s'incarna  nell'organo  poli- 
tico, che  si  deve  controllare. 

È  per  questa  ragione,  che,  malgrado  la  lettera  degli  Statuti  e 
delle  Carte  fondamentali,  noi  vediamo  in  parecchie  monarchie 
parlamentari,  il  Capo  dello  Stato  non  sostenuto  né  da  vecchie  tra- 
dizioni, né  dal  prestigio  quasi  scomparso  del  diritto  divino,  né 
dall'influenza  delle  classi  economicamente  elevate,  della  burocrazia 
e  dell'esercito,  diventare  insufficiente  a  controbilanciare  l'azione 
della  Camera  elettiva;  la  quale  viene  sostenuta  dalla  credenza  che 
essa  rappresenti  l'universalità  dei  cittadini  e  riunisce  in  sé  un  cu- 
mulo notevole  di  attitudini,  di  interessi,  di  ambizioni  e  di  energie.  E 
perciò  che  vediamo,  negli  stessi  paesi,  la  magistratura  proclamata 
a  parole  uno  dei  poteri  fondamentali  dello  Stato,  ma  ridotta  di 
fatto  ad  essere  un  ramo  della  burocrazia  dipendente  dal  Gabinetto 
ligio  alla  maggioranza  della  Camera  elettiva,  mancare  di  prestigio 
e  d'indipendenza  e  non  attirare  a  sé  energie  morali  e  intellettuali 
bastevoli  a  rilevarne  l'importanza.  E  sempre  per  la  stessa  ragione 


CAP.  V    ■    LA    DIFESA    GIURIDICA  127 

che  vediamo  qualche  Camera  alta,  composta  di  funzionari  in  ri- 
poso, di  deputati  che  rinunziano  alla  vita  politica  militante  e  di 
qualche  ricco  del  quale  il  Ministero  ha  trovato  conveniente  di  sod- 
disfare la  vanità,  e  che  non  offre  perciò  un  sufficiente  pascolo  ne 
agli  spiriti  pugnaci,  né  a  quelli  ambiziosi,  essere  rigettata  facilmente 
in  seconda  linea  dalla  Camera  bassa,  che  le  siede  accanto. 

Vili,  —  Il  primo  elemento,  e  diremo  anzi  il  più  essenziale, 
perchè  un  organismo  politico  possa  progredire  nel  senso  di  ottenere 
una  difesa  giuridica  sempre  migliore,  è  la  separazione  del  potere 
laico  dall'ecclesiastico;  o,  per  dir  meglio,  bisogna  che  il  principio 
a  nome  del  quale  si  esercita  Tautorità  temporale  non  abbia  nulla 
di  sacro  e  di  immutabile.  Quando  il  potere  si  appoggia  ad  un  or- 
dine d'idee  e  di  credenze,  al  di  fuori  del  quale  non  è  riputato  po- 
tervi essere  né  verità,  né  giustizia,  é  quasi  impossibile  che  esso 
nella  pratica  sia  discusso  e  temperato  e  che  il  progresso  sociale 
possa  arrivare  al  punto  che  le  diverse  potestà  si  armonizzino  e 
frenino  fra  di  loro,  in  maniera  che  sia  evitato  l'arbitrio  di  chi  sta 
in  alto  nella  gerarchia  sociale.  L'immobilità  relativa  di  certi  tipi 
sociali  si  deve  appunto  attribuire  alla  ragione  che  abbiamo  accen- 
nato. Il  carattere  sacro  delle  caste  ha  ad  esempio  impedito  da 
molti  secoli  qualunque  progresso  sociale  nella  civiltà  indiana.  E 
bisogna  tener  ijresente  che  essa  in  origine  dovette  avere  un  bril- 
lantissimo sviluppo,  altrimenti  non  si  potrebbero  spiegare  i  grandi 
progressi  materiali  ed  artistici,  che  raggiunse;  il  che  fa  supporre, 
ciò  che  del  resto  pare  confermato  da  recenti  studi,  che  la  divi- 
sione e  l'isolamento  delle  varie  caste  non  siano  stati  sempre  cosi 
rigorosi  come  ora  li  troviamo  (1). 

Anche  le  società  maomettane  sono  colpite  dalla  stessa  debo- 
lezza. Questo  fatto,  parzialmente  osservato  da  molti,  è  stato  con 
grande  esattezza  rilevato  dal  Leroy-Beaulieu.  Parlando  questo 
autore  dei  Tartari  maomettani,  che  ancora  abitano  la  Russia  nei 


(1)  Pare  infatti  ohe  il  Bramanesimo  sia  diventato  più  rigoroso,  immobile  e 
formalista  dopo  la  lotta  vittoriosa  che  esso  sostenne  nell'India  col  Buddismo. 
Vedi  Edouakd  Schuhé.  La  legende  de  Cìirisna  e  Le  Bouddha  et  sa  legende. 
"  Revue  des  Deux  Mondes  ,  del  15  agosto  1895  e  del  1°  agosto  1888,  e  sopra- 
tutto Un  voi  de  l'Inde  au  (roisihne  siìrle  avant  notre  ère.  Aeoka  et  le  Boitddhisme 
di  Émile  Sénart.  "  Revue  des  Deux  Mondes  ,  del  P  marzo  1889. 


128  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


governi  di  Kazan,  Astrakan  e  Crimea,  li  descrive  come  agiati,  pu- 
liti e  dediti  al  commercio,  ma  aggiunge  :  "  il  vero  vizio  dell'Islam, 
la  sua  vera  causa  d'inferiorità  politica  non  è  nel  suo  domma, 
né  nella  sua  morale,  ma  nella  confusione  dello  spirituale  col  tem- 
porale, della  legge  religiosa  colla  civile.  Il  Corano  essendo  in- 
sieme Bibbia  e  codice,  le  parole  del  Profeta  tenendo  il  posto  del 
diritto,  le  leggi  ed  i  costumi  sono  per  sempre  resi  sacri  dalla  re- 
ligione e  da  questo  solo  fatto  deriva  che  la  civiltà  maomettana  è 
necessariamente  stazionaria  „  (1).  Per  completare  quest'analisi,  cosi 
fine  e  così  giusta,  potea  aggiungere  che,  nei  paesi  dove  le  popo- 
lazioni maomettane  sono  indipendenti,  il  sovrano  è  quasi  sempre 
Califfo  o  vicario  del  Profeta,  o  almeno  dal  Califfo  fa  derivare 
nominalmente  o  realmente  la  sua  autorità;  ed  a  questo  titolo  nes- 
suno dei  credenti  può  rifiutargli  obbedienza  assoluta,  a  meno  che 
non  impugni  come  illegittima  l'autorità  del  califfato  e  non  si 
faccia  iniziatore  di  una  riforma  religiosa  (2). 

I  popoli  cristiani  hanno  potuto  superare  il  pericolo  della  confu- 
sione accennata  dal  Leroy-Beaulieu  ed  hanno  potuto  creare  lo 
Stato  laico  per  un  complesso  di  circostanze  favorevoli.  In  primo 
luogo  il  Vangelo  contiene  fortunatamente  poche  massime  che  siano 
applicabili  direttamente  alla  vita  politica;  in  secondo  luogo  non 
bisogna  dimenticare  che  la  Chiesa  cattolica,  malgrado  che  abbia 
sempre  aspirato  ad  avere  una  parte  preponderante  nel  potere  poli- 
tico, non  ha  potuto  giammai  monopolizzarlo  interamente  per  due 
principalissime  ragioni,  inerenti  alla  sua  costituzione.  La  prima  è 
che,  generalmente,  è  stato  prescritto  il  celibato  dei  preti  e,  sempre, 
quello  dei  monaci  ;  sicché  non  si  sono  potute  stabilire  vere  dinastie 
di  abati  e  di  vescovi  sovrani  ;  e  da  questo  lato  anzi  dobbiamo 
essere  molto  grati  a  G-regorio  VII.  La  seconda  consiste  nel  fatto 


(1)  "Vedi  opera  citata,  voi.  I,  pag.  86. 

(2)  È  appunto  perciò  che,  come  già  abbiamo  accennato  nel  capitolo  3°,  tutte 
le  lotte  civili  e  le  rivoluzioni  fra  i  Maomettani  hanno  preso  per  pretesto  una 
riforma  religiosa  od  una  pretesa  al  vicariato  del  Profeta.  Ciò  è  avvenuto  nelle 
lotte  fra  Ommiadi,  Abbassidi  e  Fatimiti,  che  insanguinarono  i  primordi  del- 
l'Islam, in  quelle  che  tanto  scolvolsero  l'Africa  settentrionale  e  la  Spagna  nei 
secoli  undecimo  e  dodicesimo  e  nei  recentissimi  movimenti,  che  abbiamo  già 
rammentato.  Naturalmente  in  tutti  questi  movimenti,  accanto  ai  motivi  reli- 
giosi, non  mancarono  mai  quelli  di  carattere  assolutamente  mondano. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUKIDICA  129 

che  la  missione  ecclesiastica,  malgrado  i  niunerosi  esempi  con- 
trarii  che  troviamo  nel  bellicoso  Medio-Evo,  è  stata  sempre  per 
sua  natura  poco  conciliabile  colFesercizio  delle  armi.  Il  precetto 
il  quale  vuoL>  che  la  Chiesa  aborrisca  dal  sangue  non  si  è  potuto 
mai  interamente  obliare,  e  in  tempi  relativamente  ordinati  e  pa- 
cifici, ha  finito  col  prevalere:  sicché  anche  nei  secoli  che  vanno 
dal  decimoprimo  al  decimoquarto,  gli  scrittori  guelfi  accanto  alla 
supremazia  papale  hanno  dovuto  ammettere  l'esistenza  di  un 
imperatore,  di  un  sovrano  laico,  che  di  questa  fosse  lo  strumento 
ed  il  braccio  secolare.  Non  bisogna  poi  dimenticare  che  il  dispo- 
tismo più  completo,  al  quale  siano  stati  sottoposti  dei  popoli  cri- 
stiani, lo  troviamo  a  Bisanzio  ed  in  Russia,  dove  i  sovrani  laici 
riuscirono  più  completamente  a  ridurre  sotto  la  loro  diretta  in- 
fluenza l'autorità  ecclesiastica,  e  che  le  libertà  inglesi  molto  de- 
bito di  gratitudine  hanno  verso  i  Puritani  e  gli  altri  non  con- 
formisti. 

IX.  —  Dopo  la  separazione  dell'autorità  laica  da  quella  eccle- 
siastica, i  coefficienti  più  potenti  di  una  difesa  giuridica  più  o  meno 
progredita  si  trovano  nel  modo  come  è  distribuita  in  una  società 
la  ricchezza  e  nel  modo  come  è  organizzata  la  sua  forza  militare. 
E  qui  occorre  anzitutto  fare  una  distinzione  fra  i  popoli  che  sono 
ancora  nel  periodo  feudale  e  quelli  che  già  hanno  un'organizza- 
zione burocratica. 

Nello  Stato  feudale  il  monopolio  della  ricchezza,  che,  in  uno 
stadio  ancor  rozzo  di  civiltà,  consiste  nel  possesso  della  terra,  e 
la  supremazia  militare  si  trovano  ordinariamente  concentrati  nella 
classe  dominatrice  ;  ma  questo  stato  di  cose,  pur  presentando  mol- 
tissimi inconvenienti,  non  produce  mai  gli  effetti,  che  avrebbe  in 
una  organizzazione  sociale  più  perfezionata.  Il  cai)o  di  uno  Stato 
feudale  infatti  potrà  fare  un  torto  a  qualcuno  dei  suoi  baroni, 
ma  non  potrà  mai  essere  il  padrone  assoluto  di  tutti  i  suoi  feu- 
datari, perchè  questi  disponendo  di  una  parte,  diciamo  così,  della 
pubblica  forza,  potranno  sempre  esercitare  di  fatto  quel  diritto  di 
resistenza,  che  negli  Stati  bui-ocratici,  quando  è  sancito,  resta 
scritto  nelle  costituzioni  e  nei  libri  di  diritto  pubblico.  Ed  anche 
i  singoli  baroni  hanno  un  limite  alla  tirannia,  che  possono  eser- 
citare contro  la  massa  dei  loro  soggetti,  nella  disperazione  degli 
stessi,  che  si  può  cambiare  facilmente  in  ribellione.  Quindi  in  tutti 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  9 


130  ELBMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


i  paesi  veramente  feudali,  il  dominio  dei  capi,  a  scatti  violento 
ed  arbitrario,  è  ordinariamente  assai  limitato  dalle  consuetudini  ; 
-e  si  sa  ad  esempio  che  gli  Abissini  e  sopratutto  gli  Afgani  non 
prestano  che  un'obbedienza  molto  condizionale  ai  loro  Ras  ed  ai 
loro  Emiri.  Abbiamo  già  visto  come  le  tradizioni  e  gli  avanzi  di 
un  regime  feudale  valgano  a  temperare  l'autorità  di  un  ca^jo  dello 
Stato,  tanto  che,  neppure  all'epoca  di  Luigi  XIV  e  di  Federico  il 
Grande  di  Prussia,  la  monarchia  europea  può  essere  paragonata 
ai  regimi  politici,  a  capo  dei  quali  stavano  o  stanno  gli  impera- 
tori di  Bisanzio  o  gli  Scià  di  Persia  (1).  Ma  quando  al  contrario 
la  classe,  che  ha  il  monopolio  della  ricchezza  e  delle  armi  estrin- 
seca il  suo  potere  per  mezzo  di  una  burocrazia  accentratrice  e  di 
un  esercito  stanziale  onnipotente,  allora  si  può  avere  il  dispotismo 
nelle  sue  peggiori  manifestazioni:  si  ha  cioè  una  forma  di  governo 
barbara  e  primitiva,  la  quale  tiene  a  sua  disposizione  gli  stru- 
menti di  una  civiltà  avanzata,  un  giogo  di  feiTO,  che  può  essere 
applicato  da  mani  rozze  e  inconscienti  e  che  diffìcilmente  si  può 
spezzare,  perchè  è  temprato  da  artefici  provetti. 

Che  l'onnipotenza  di  un  esercito  stanziale  sia  una  delle  forme 
peggiori  di  regime  politico  è  cosa  cosi  ovvia  e  conosciuta,  che  non 
ci  affaticheremo  ad  insistervi  ancora  (2).  Si  sa  pui^e  che  il  so- 
verchio accentramento  della  ricchezza  in  una  frazione  della  classe 
governante  ha  prodotto  la  decadenza  di  organismi  politici  relativa- 
mente molto  perfetti  come  ad  esempio  la  repubblica  romana.  E 
impossibile  infatti  che  leggi  ed  istituzioni,  che  garentiscano  la 
giustizia  ed  i  dii'itti  dei  deboli,  siano  efficaci,  quando  la  ricchezza  è 
cosi  distribuita,  che  di  fronte  ad  un  piccolo  numero  di  persone,  che 
possiedono  le  terre  ed  i  capitali,  vi  è  una  moltitudine  di  proletari. 


(1)  Si  è  già  accennato  die  vi  contribuisce  pure  la  separazione  più  o  meno 
completa  del  potere  temporale  dallo  spirituale.  Del  resto,  tranne  la  Russia  e 
la  Turchia,  crediamo  che  giammai  nell'Europa  moderna  ci  sia  stato  un  paese 
in  cui  il  capo  del  Governo  abbia  esercitato  più  autorità  personale  di  quella 
che  ebbero  Federico  il  Grande  di  Prussia  e  suo  padre.  L'indole  particolare  di 
questi  sovrani,  la  piccolezza  dello  Stato  da  loro  amministrato,  le  circostanze 
speciali  del  momento  storico,  fecero  sì  che  le  loro  amministrazioni  fossero  il 
vero  fondamento  della  grandezza  prussiana. 

(2)  Le  cause  che  rendono  possibile  o  che  valgono  a  temperare  o  distruggere 
questa  onnipotenza  saranno  esaminate  in  altro  capitolo. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  131 

che  non  hanno  altra  risorsa  che  le  proprie  braccia  ed  hanno  bisogno 
dei  ricchi  per  non  morir  di  fame  dall'oggi  al  domani.  In  questa 
condizione  di  cose  la  massima  che  la  legge  è  uguale  per  tutti,  la 
proclamazione  dei  diritti  dell'uomo  ed  il  suffragio  universale  non 
sono  che  ironie  ;  ed  è  pure  un'ironia  il  dire  che  ogni  plebeo  porta 
nel  suo  sacco  il  bastone  di  maresciallo,  cioè  che  può  diventare  alla 
sua  volta  capitalista.  Giacché,  anche  ammesso  che  qualcuno  lo  di- 
venterà, egli  non  sarà  il  migliore  di  animo  e  di  costumi,  ma  il  più 
infaticabile,  il  più  fortunato  e  forse  anche  il  più  briccone,  mentre 
la  massa  resterà  sempre  ugualmente  sottomessa  a  coloro  che  stanno 
in  alto  (1). 

Non  ci  è  poi  da  farsi  illusioni  sulle  conseguenze  pratiche  di  un 
regime,  in  cui  la  direzione  della  produzione  economica,  la  distribu- 
zione di  essa  ed  il  potere  politico  fossero  indissolubilmente  legati  ed 
attribuiti  alle  stesse  persone.  Noi  vediamo  che,  a  misura  che  lo 
Stato  assorbe  e  distribuisce  una  parte  maggiore  della  pubblica  ric- 
chezza, i  capi  della  classe  politica  hanno  maggiori  mezzi  d'influenza 
e  di  arbitrio  sui  loro  subordinati  e  più  agevolmente  si  sottraggono 
al  controllo  di  chicchessia.  Non  ci  è  invero  chi  non  sappia  come  una 
delle  cause  più  importanti  della  decadenza  del  Parlamentarismo  sia 
la  grande  quantità  di  impieghi,  di  appalti,  di  lavori  pubblici  e  di 
altri  favori  d'indole  economica,  che  i  governanti  possono  distribuire 
o  ad  individui  o  a  collettività  di  persone;  e  gl'inconvenienti  di 
questo  regime  sono,  maggiori  colà  appunto  dove  relativamente  più 
grande  è  la  quantità  di  ricchezza  che  il  Governo  ed  i  corpi  elettivi 
locali  assorbono  e  distribuiscono  ;  e  dove  quindi  è  più  difficile  pro- 
cacciarsi una  posizione  indipendente  ed  un  onesto  guadagno  senza 
aver  che  fare  con  le  pubbliche  amministrazioni.  Se  poi  tutti  gli 
stiTimenti  della  produzione  fossero  in  mano  del  Governo,  i  funzio- 
nari, che  la  produzione  dovrebbero  dirigere  e  distribuire,  sarebbero 
gli  arbitri  della  fortuna  e  del  benvivere  di  tutti;  e  giammai  oli- 
garchia più  possente,  camorra  più  universale  si  sarebbe  avuta  in  una 


(1/  Al  giorno  d'oggi  la  democrazia  sociale  non  ha  più  nel  suffragio  univer- 
sale la  stessa  fiducia  che  ponevano  in  esso  i  democratici  anteriori  al  1848;  il 
George,  nel  suo  Progresso  e  Povertà,  dice  esplicitamente  che  il  dare  a  tutti  il 
diritto  del  voto  riesce  inefficace  e  quasi  irrisorio  là  dove  vi  è  una  grande  dis- 
uguaglianza di  ricchezze.  Si  sa  che  gli  anarchici,  ad  es.  il  Merlino,  si  sca- 
gliano ardentemente  contro  l'inefficacia  e  l'assurdità  del  Parlamentarismo. 


132  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


società  di  coltura  avanzata.  Quando  tutti  i  vantaggi  morali  e  mate- 
riali dipendessero  da  coloro  che  hanno  in  mano  il  potere,  non  ci  è 
viltà  che  non  si  farebbe  per  contentarli  ;  come  non  ci  è  violenza  o 
frode  alla  quale  non  si  ricorrerebbe  per  an-ivare  al  potere,  ossia  per 
appartenere  al  numero  di  coloro  che  distribuiscono  la  torta,  anziché 
restare  fra  i  molti  altri  che  si  devono  contentare  della  porzione 
loro  attribuita. 

Una  società  si  trova  nelle  condizioni  migliori  per  applicai'vi  una 
organizzazione  politica  relativamente  perfetta,  quando  in  essa  esiste 
una  classe  numerosa,  in  posizione  economica  presso  che  indipen- 
dente da  coloro  che  hanno  nelle  mani  il  supremo  potere,  la  quale  ha 
quel  tanto  di  benessere,  che  è  necessario  per  dedicare  una  parte  del 
suo  tempo  a  perfezionare  la  sua  cultura  e  ad  acquistare  quelFinte- 
resse  al  pubblico  bene,  quello  spirito  diremmo  quasi  aristocratico, 
che  solo  possono  indurre  gli  uomini  a  servire  il  proprio  paese  senza 
altre  soddisfazioni  che  quelle  che  procura  l'amor  proprio.  In  tutti 
i  paesi,  che  sono  stati  e  sono  all'avanguardia  della  difesa  giuridica, 
o  come  comunemente  dicesi  della  libertà,  una  classe  simile  si  è 
sempre  trovata.  Esisteva  a  Roma,  quando  vi  era  quella  numerosa 
plebe  composta  di  piccoli  proprietari,  che,  per  la  frugalità  dei  tempi, 
poteva  bastare  a  se  stessa  e  che  seppe,  passo  passo,  con  una  tenacia 
maravigliosa,  conquistare  il  diritto  di  piena  cittadinanza.  Esisteva 
nell'Inghilterra  del  secolo  decimosettimo  ed  esiste  in  quella  pre- 
sente ;  giacché  nell'una  e  nell'altra  si  è  trovata  e  si  trova  una 
numerosa  gentry^  formata  prima  a  preferenza  di  medii  proprietari, 
ora  a  preferenza  di  medii  capitalisti,  che  ha  fornito  e  fornisce  il 
miglior  contingente  alla  classe  politica.  Esisteva  ed  esiste  negli 
Stati  Uniti  d'America,  dove  la  classe  dei  farmers  agiati  ha  fornito 
e  fornisce  gli  elementi  politici  migliori;  ed  esiste  più  o  meno  in 
tutti  gli  Stati  d'Europa  centrale  ed  occidentale.  Colà  dove,  per  cul- 
tura, per  educazione,  per  troppo  scarsa  agiatezza,  questa  classe  è 
insufficiente  alla  sua  missione,  il  governo  parlamentare,  come  fa- 
rebbe qualunque  altro  regime  politico,  dà  i  frutti  peggiori. 

X.  —  E  indiscutibile  poi  che  col  crescere  della  civiltà  aumenta 
il  numero  di  quelle  influenze  morali  e  materiali,  che  sono  suscetti- 
bili di  diventare  forze  politiche.  Accanto  alla  ricchezza  immobiliare 
si  crea  ad  esempio  quella  mobiliare,  frutto  delle  industrie  e  dei 
commerci;  gli  studi  progrediscono,  le  occupazioni  che  hanno  per 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  133 

base  una  cult.ira  scientifica  acquistano  importanza,  e  si  forma  una 
nuova  classe  sociale,  la  quale  ijuò,  fino  ad  un  certo  punto,  bilanciare 
il  prestigio  materiale  dei  ricchi  e  quello  morale  dei  sacerdoti.  Inoltre 
la  tolleranza  reciproca,  che  può  essere  effetto  di  una  cultura  avan- 
zata, permette  la  coesistenza  di  diverse  correnti  religiose  e  politiche, 
che  naturalmente  si  bilanciano  e  controllano  a  vicenda,  e  nello 
stesso  tempo  rende  possibile  la  discussione  pubblica  degli  atti  dei 
governanti  (1).  La  specializzazione  stessa  delle  funzioni  pubbliche 
fa  si  che  influenze  diverse  possano  estrinsecarsi  e  partecipare  al  reg- 
gimento dello  Stato. 

Senonchè  è  da  osservare  che  ogni  forza  politica,  perchè  si  faccia 
valere  proporzionatamente  alla  sua  reale  importanza,  è  necessario 
che  sia  organizzata,  e  che,  perchè  sia  bene  organizzata,  sono  indi- 
spensabili diversi  coefficienti,  fra  i  quali  principalissimi  il  tempo  e 
la  tradizione.  E  perciò  che  spesso  vediamo  un  vero  disquilibrio  pro- 
dursi, in  diverse  epoche  ed  in  paesi  diversi,  fra  l'importanza  che 
una  classe  aveva  nella  società  e  la  sua  diretta  influenza  nel  governo 
del  paese  (2).  Oltreciò  vi  è  quasi  sempre  qualche  forza  politica,  che 
ha  la  tendenza  invincibile  a  soverchiare,  ad  assorbire  le  altre,  ed  a 
distruggere  quindi  l'equilibrio  giuridico  legalmente  stabilito.  Ciò  è 
vero  tanto  per  le  forze  politiche  che  hanno  un  carattere  materiale, 
come  sarebbero  la  ricchezza  e  la  preponderanza  militare,  quanto 
per  quelle  che  hanno  un  carattere  morale,  come  sono  le  grandi  cor- 
renti religiose  e  dottrinali.  Ognuna  di  queste  correnti  pretende  di 
avere  il  monopolio  della  verità  e  della  giustizia,  ed  ogni  specie  di 
esclusivismo  e  di  bacchettoneria,  siano  essi  cristiani  o  maomettani, 
abbiano  il  carattere  sacro  o  quello  razionalista,  s'inspirino  all'infal- 
libilità del  papa  o  a  quella  della  democrazia,  sono  da  questo  lato 
ugualmente  perniciosi.  Ogni  paese,  ogni  epoca,  può  avere  la  sua 
speciale  corrente  d'idee  e  di  credenze  che,  essendo  la  più  forte, 
preme  sul  meccanismo  politico  e  tende  a  sconvolgerlo.  Avviene 
anzi  generalmente  che  si  apprezzino   benissimo  i  danni  prodotti 


(1)  Alludiamo  alla  così  detta  libertà  di  staoipa,  strumento  nuovissimo  di 
difesa  giuridica,  che  è  stato  adottato  solo  nel  secolo  decimosettimo  in  Inghil- 
terra e  nel  secolo  decimonono  nei  paesi  costituzionali  e  parlamentari  del  con- 
tinente d'Europa. 

(2j  Ricordiamo  i  tacili  esempi  della  borghesia  francese  prima  del  1789  e  di 
quella  inglese  prima  del  1832. 


134  ELEMENTI    DI    SCIENZA    l»OLITICA 

dalle  correnti  g;ìk  indebolite  e  passate  di  moda,  che  si  stigmatiz- 
zino con  orrore  lo  lesioni  gravissime  che  esse  hanno  fatto  al  sen- 
timento della  giustizia  ;  mentre  non  si  scorgono  o  si  scusano  o 
si  condannano  debolmente  i  danni  analoghi,  che  la  corrente  in 
voga  ha  fatto  o  minaccia  di  fare.  Si  grida  e  si  proclama  che  la 
libertà  è  raggiunta,  che  la  bufera  è  i^assata,  mentre  in  verità  essa 
non  ha  che  cambiato  di  direzione  e,  ci  si  passi  la  metafora,  di 
forma  e  di  colore. 

Al  giorno  d'oggi  in  Europa  due  sono  le  forze  morali,  che  aspi- 
rano a  rompere  l'equilibrio  giuridico  :  la  Chiesa  cattolica  e  la  de- 
mocrazia sociale.  La  prima,  malgrado  la  sua  mirabile  organizza- 
zione, può  essere  per  il  momento  riguardata  come  meno  violenta 
e  pericolosa  e  continuerà  ad  esserlo  fino  a  quando  le  minaccie 
della  seconda  non  avranno  spinto  di  nuovo  le  classi  alte  in  grembo 
a  quelle  credenze,  che  esse  hanno  ora  abbandonato  o  professano 
molto  tiepidamente.  Fra  le  forze  materiali,  quella  che  più  facil- 
mente si  può  imporre  a  tutti  i  poteri  dello  Stato  e  riesce  più  fa- 
cilmente a  violare,  non  diciamo  le  norme  della  giustizia  e  del- 
l'equità, ma  qualche  volta  anche  il  testo  preciso  della  legge,  è  la 
ricchezza  mobiliare  ;  o  almeno  quella  parte  di  essa  che  è  poten- 
temente organizzata.  Il  grande  sviluppo  del  credito  e  del  sistema 
bancario,  le  grandi  compagnie  per  azioni,  che  spesso  dispongono 
dei  mezzi  di  comunicazione  di  estesissime  contrade  e  d'interi  Stati, 
l'estensione  grandissima  che  hanno  preso  i  debiti  pubblici,  hanno 
creato,  negli  ultimi  cento  anni,  nuove  compagini,  nuovi  elementi 
d'importanza  politica,  la  cui  azione  invadente  e  prei)otente  parecchi 
dei  maggiori  Stati  del  nuovo  e  del  vecchio  mondo  hanno  avuto  già 
occasione  di  sperimentare. 

La  relativa  facilità  di  organizzazione  della  ricchezza  mobiliare, 
la  possibilità  di  accentrare  la  direzione  di  una  parte  ragguarde- 
vole di  essa  in  mano  di  pochi  individui  contribuisce  a  spiegare  la 
sua  preponderanza.  Abbiamo  qui  uno  dei  tanti  esempi  di  mino- 
ranze organizzate  che  prevalgono  sulle  maggioranze  disorganiz- 
zate. Un  piccolissimo  numero  d'individui  jjossono  dirigere  tutte  le 
Banche  d'emissione  di  uno  Stato,  oppure  tutte  le  compagnie  che 
esercitano  la  grande  industria  dei  trasporti  ferroviari  o  marittimi, 
oppure  anche  i)ossono  essere  arbitri  delle  grandi  comi)agnie  per 
azioni,  che  esercitano  industrie  indispensabili  alla  difesa  del  paese, 
come  quelle  metallurgiche,  o  compiono  opere  pubbliche  per  le  quali 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIOBIDICA  135 

neppure  le  finanze  dei  Groverni  più  ricchi  sarebbero  sufficienti. 
Questi  individui,  che  hanno  il  maneggio  di  centinaia  di  milioni, 
possiedono  mezzi  svari atissimi  per  allarmare  o  lusingare  interessi 
molto  estesi,  per  intimidire  e  corrompere  funzionari,  ministri,  de- 
putati e  giornalismo  ;  senza  che  quella  parte  del  capitale  nazio- 
nale, che  è  senza  dubbio  la  parte  maggiore,  la  quale  si  trova  im- 
pegnata in  moltissime  industrie  mediocri  o  piccole,  ovvero  dispersa 
in  una  moltitudine  di  mani,  sotto  forma  di  risparmi  più  o  meno 
grandi,  possa  menomamente  reagire  contro  di  essi.  E  si  noti  che 
anche  la  parte  principale  del  capitale  delle  Banche  e  delle  Com- 
pagnie industriali  per  azioni,  appartiene  ordinariamente  ai  piccoli 
e  mediocri  azionisti,  i  quali  non  solo  restano  completamente  pas- 
sivi, ma  spesso  sono  le  prime  vittime  dei  loro  duci,  che  sulle  loro 
perdite  riescono  a  fondare  la  loro  fortuna  e  la  loro  influenza  (1). 

XI.  —  E  da  notare  infine  che  qualunque  ordinamento  politico 
semplicista,  basato  sopra  un  principio  assoluto,  il  quale  fa  si  che 
tutta  la  classe  politica  sia  organizzata  sopra  unico  tipo,  rende 
malagevole  la  partecipazione  alla  vita  pubblica  di  tutte  le  influenze 
sociali  e  più  malagevole  il  controllo,  che  le  une  possono  sulle  altre 
esercitare.  Ciò  è  vero  tanto  quando  il  potere  è  esclusivamente  af- 
fidato ad  impiegati,  che  si  suppongono  nominati  dal  principe,  che 
quando  esso  è  in  mano  a  funzionari  elettivi,  la  cui  scelta  si  dice 
che  appartenga  al  popolo.  Dappoiché  i  freni  che  la  burocrazia 
come  la  democrazia  possono  imporre  a  loro  stesse,  e  che  si  espli- 
cano per  mezzo  di  altri  burocratici  o  di  molteplici  funzionari  elet- 
tivi, riescon  sempre  insufficienti  e  nella  pratica  non  raggiungono 
mai  interamente  il  loro  scopo. 


(1)  È  difficilissimo  che  la  proprietà  immobiliare  possa  attualmente  avere 
gli  stessi  modi  d'imporsi  di  quella  mobiliare.  Infatti,  per  quanto  la  proprietà 
dei  terreni  possa  essere  poco  divisa,  lo  è  sempre  abbastanza  perchè  riesca 
molto  difficile  in  un  grande  paese  ad  un  piccolo  numero  di  grandi  proprietari 
coalizzati  di  dettare  leggi  n^l  mercato  e  di  imporsi  al  Governo.  E  ciò  è  tanto 
vero  che  il  prr tezionismo  industriale  ha  preceduto  quello  agrario,  che  è  venuto 
su  come  reazione  e  mezzo  di  indiretto  compenso  alle  conseguenze  del  primo. 

Un  monopolio  temporaneo  possono  esercitare  i  proprietari  di  terreni  posti 
nelle  adiacenze  immediate  delle  grandi  città  che  hanno  un  rapido  sviluppo 
edilizio;  in  questo  caso  vediamo  sorgere  le  stesse  forme  di  corruzione,  che 
abbiamo  additate  come  speciali  alla  proprietà  immobiliare. 


136  ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 

La  storia  amministrativa  dell'impero  romano  ci  fornisce  infatti 
un  esempio  opportuno  della  incapacità  d'una  burocrazia  accen- 
tratrice a  frenare  efficamente  sé  stessa.  Si  sa  che  in  origine,  tanto 
nella  capitale  che  nei  municipi,  nelle  colonie  e  nelle  città  di  pro- 
vincia, vi  era,  sotto  la  supremazia  di  Roma  repul^blicana  o  im- 
periale, quello  che  gl'Inglesi  chiamano  un  self-government \  le 
cariche  pubbliche  erano  cioè  gratuitamente  esercitate  da  una  nu- 
merosa classe  agiata.  Ma  fin  dal  principio  dell'impero  le  funzioni, 
che  in  Roma  fino  allora  erano  state  attribuite  agli  edili  ed  ai 
censori,  fui'ono  date  a  funzionari  speciali  stipendiati,  aiutati  nel 
loro  servizio  da  un  personale  numeroso  d'impiegati  pure  retribuiti. 
Cosi  la  cura  dell'alimentazione  della  città  fu  affidata  al  praefectus 
annonae^  i  lavori  pubblici  ai  curatores  viarum,  aquarum,  oxjenim 
ptibblico7'uni,  ripariim  et  alvei  Tiheì'is,  la  sorveglianza  dell'illu- 
minazione e  sugli  incendi  al  praefectus  vigìluìn  e  la  polizia  al 
praefectus  urbis.  Ben  presto  il  sistema  della  capitale  si  andò 
estendendo  ai  municipi,  che  andarono  perdendo  la  loro  autonomia 
amministrativa.  Infatti,  fin  dalla  fine  del  primo  secolo  dell'impero, 
vediamo  diminuire  sensibilmente  l'autorità  dei  duumviri  Juris  di- 
cundo  e  degli  aediles,  ai  quali  era  affidata  l'amministrazione  muni- 
cipale delle  singole  città,  che  vennero  poco  a  poco  sostituiti  da  impie- 
gati imperiali  :  juridici,  correctores^  curatoi'es  rerum  publicariim,. 
Per  quanto  l'evoluzione  fosse  lenta  (1),  a  ijartire  da  Nerva  e  Traiano 
interpolatamente  l'autorità  dei  funzionari  elettivi  veniva  sospesa 
e  le  loro  attribuzioni  erano  affidate  per  un  dato  tempo  ad  un  cu- 
ratore simile  al  nostro  regio  commissario,  e  nello  stesso  tempo  si 
andava  lentamente  accrescendo  l' autorità  ispettiva  e  l' ingerenza 
del  corrector  provincìae,  equivalente  nel  caso  al  nostro  prefetto. 
Finche,  alla  fine  del  secondo  secolo,  vediamo  quasi  universalmente 
spente  le  autonomie  municipali  ed  una  vastissima  ed  assorbente 
rete  burocratica  stendersi  per  tutto  l'impero  (2). 


(1)  Fino  all'ottanta  dopo  Cristo,  la  lotta  elettorale  per  arrivare  alle  cariche 
di  duumviro  ed  edile  in  alcuni  municipi  era  ancora  vivacissima,  come  è  di- 
mostrato dalle  numerose  grafiti  pompeiane  nelle  quali  si  raccomandano  dei 
candidati  e  si  fa  il  loro  elogio. 

(2)  Su  questo  riguardo  si  potrebbero  citare  molti  autori  antichi  e  moderni; 
ci  contentiamo  di  ricordare  Mommsen  e  Marquardt,  Manuel  des  antiquités  ro- 
maines.  Traduzione  francese  di  Humbert,  voi.  1°,  pag.  115,  158,  214,  225,  e 
voi.  2°,  pag.  187  e  seguenti.  Paris,  1858,  Thorin  editore. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIUBIDICA  137 

Contemporaneamente  decadeva  l'agiata  borghesia  municipale, 
che  componeva  Vordo  deciirionum,  la  quale  partecipava  al  reg- 
gimento delle  città  e  dal  cui  seno  uscivano  appunto  coloro,  che 
coprivano  le  cariche  di  duumviro  e  di  edile  (1).  Or,  qaando  l'ac- 
centramento burocratico  ed  il  fiscalismo  ebbero  creata  la  società 
romana  del  Basso  Impero,  composta  di  una  classe  ristrettissima 
di  grandi  proprietari  e  di  alti  funzionari  e  di  un'altra  numerosis- 
sima di  persone  assolutamente  povere,  prive  di  ogni  importanza 
sociale,  e  che,  sebbene  libere  di  nascita,  decadevano  facilmente 
fino  a  ridursi  alla  condizione  di  coloni,  noi  vediamo  comparire 
un'  istituzione  originalissima,  un  nuovo  organo  burocratico,  che 
avea  appunto  la  missione  di  difendere  e  tutelare  le  classi  dis- 
agiate e  gli  avanzi  dei  piccoli  proprietari  contro  gli  abusi  della  bu- 
rocrazia. Il  defensor  civitatis  creato  da  Valentiniano  1°,  nel  364, 
era  appunto  un  impiegato,  creato  apposta  per  proteggere  la  plebe 
urbana  contro  le  soverchierie  degli  alti  funzionari  e  dei  ricchi, 
che  con  quelli  facevano  causa  comune  ;  egli  dovea  specialmente 
curare  che  i  reclami  dei  poveri  fossero  accolti  come  di  diritto  e 
potessero  arrivare  ai  piedi  del  trono.  Ma  questo  sforzo,  che  fece 
l'assolutismo  burocratico  per  correggere  e  controllare  sé  stesso, 
malgrado  le  rettissime  intenzioni  del  legislatore,  non  dovette  avere 
una  sensibile  efficacia  ;  giacché  i  mali  antichi  non  disparvero  e 
le  cause,  che  conducevano  l'impero  alla  dissoluzione^  continuarono 
colla  stessa  forza  ad  agire  (2). 

In  Russia  l'assolutismo  burocratico  trova  le  sue  antichissime 
radici  nell'influenza  bizantina,  che  fin  dall'epoca  di  Wladimiro  il 
Grande  e  dei  suoi  successori  si  fece  sentire  a  Kief,  e  fu  certo  raf- 
forzato  dalla   terribile  dominazione  mongolica,    che  sopravvenne 


(1)  Come  si  sa,  alla  carica  di  curiale  andava  annessa  una  grave  responsa- 
bilità finanziaria;  perchè  il  corpo  dei  curiali  era  solidamente  garante  del  pa- 
gamento delle  imposte  di  tutta  la  città.  Questa  responsabilità  senza  dubbio 
contribuì  allora  alla  rovina  economica  del  medio  ceto. 

(2)  Infatti  il  mezzo  scelto  a  ripararle  non  era  il  più  idoneo,  perchè  un  alto 
impiegato  deve  avere,  quasi  necessariamente,  i  modi  di  vedere,  le  passioni 
ed  anche  i  pregiudizi  della  classe  alla  quale  appartiene,  ed  i  suoi  sentimenti 
ed  i  suoi  interessi  lo  spingono  ad  agire  in  modo  da  meritare  la  benemerenza 
della  stessa,  piuttosto  che  quella  di  un'altra  classe,  albi  quale  si  sente  moral- 
mente ed  intellettualmente  estraneo,  e  che  forse  è  già  abituato  a  trattar  male 
ed  a  diaprezzare. 


138  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

nel  secolo  tredicesimo  e  fece  sentire  il  suo  peso  fin  nel  decimo- 
sesto. Ed  anche  quivi  la  famosa  cancelleria  segreta  organizzata 
dallo  czar  Alessio,  verso  la  metà  del  secolo  decimosettimo,  non 
era  che  una  polizia  speciale,  che  facea  capo  direttamente  al  so- 
vrano ed  era  incaricata  di  scrutare  gli  abusi  ed  anche  i  tentativi 
di  rivolta  degli  alti  impiegati  e  dei  boiari,  i  quali  formavano  in 
fondo  una  unica  classe.  Or  l'attuale  terza  sezione^  tanto  tristamente 
famosa,  discende  in  linea  diretta  e  legittima  da  questa  cancelleria 
segreta,  più  volte  nominalmente  abolita,  ma  sempre  di  fatto  con- 
servata (1);  e  pare  che,  più  che  a  con-eggere  la  venalità  e  la  cor- 
ruttela della  burocrazia  russa,  essa  sia  stata  efficace  nell'aumen- 
tare  l'oppressione,  che  questa  fa  subire  a  tutto  il  resto  del  paese. 
Negli  Stati  Uniti  d'America  vediamo  al  contrario  l'impotenza 
della  democrazia  a  controllare  e  limitare  se  stessa.  Non  si  può 
negare  che  i  redattori  della  Costituzione  del  1787  abbiano  avuto 
gran  cura  di  attuare  il  contrajopeso  e  l'equilibrio  perfetto  dei 
diversi  poteri  e  dei  diversi  organi  politici.  Data  la  base  assoluta- 
mente democratica  del  Governo,  la  mancanza  assoluta  di  un  potere, 
che  direttamente  non  provenga  dalle  elezioni  popolari,  difficil- 
mente crediamo  che  si  sarebbe  potuto  immaginare  di  meglio.  Di- 
fatti, anche  non  tenendo  conto,  che  colà  il  Senato,  munito  di  po- 
teri più  efficaci  delle  Camere  alte  europee  (2)  e  fondato  sul 
sentimento  ancor  vivace  delle  autonomie  dei  singoli  Stati,  è  cer- 
tamente molto  autorevole,  il  Presidente,  che  usa  liberamente  del 
dmtto  di  veto,  che  non  può  essere  buttato  giù  da  un  voto  della 
Camera  bassa  e  che  riassume  nella  propria  persona  la  responsa- 
bilità del  Governo  per  un  intero  lustro,  come  organo  della  difesa 
giuridica  è  superiore  ai  Gabinetti  dei  paesi  parlamentari  :  corpi 
collettivi  meno  autorevoli,  che  hanno  pùù  bisogno  di  cattivarsi  la 
simpatia  dei  deputati  e  dei  politicanti,  ed  i  di  cui  membri  sentono 
meno  il  peso  della  responsabilità  personale.  Certo  si  deve  anzi  a 
questa  larghezza  di  poteri  ed  al  sentimento  della  responsabilità 
personale,  che  spesso  si  sviluppa  stando  in  una  carica  elevatissima, 
se,  nell'ultimo  mezzo  secolo,  abbiamo  visto  alcuni  Presidenti,  come 


(1)  Naturalmente  Fazione  di  questa  terza  sezione   ha   avuto   dei   periodi    di 
calma  e  di  recrudescenza. 

(2)  Come  si  sa  partecipa  all'esercizio  del  potere  esecutivo. 


CAP.  V    -    LA    DIFESA    GIURIDICA  139 

il  Johnson,  l'Hayes  ed  il  Cleveland,  opporsi  con  tenacia  e  coraggio 
ai  peggiori  eccessi  dei  partiti,  che  li  avevano  eletti  (1). 

Ma  questa  perfezione  che  chiameremo  formale,  del  meccanismo 
del  Governo  federale  ed  anche  dei  Governi  dei  singoli  Stati  non 
ha  potuto  riparare  che  fino  ad  un  certo  punto  al  vizio  fondamen- 
tale di  tutto  il  regime  politico  ed  amministrativo  dell'Unione  ame- 
ricana. Vizio,  che  è  stato  molto  aggravato  dalla  tendenza,  che  fra 
il  1820  ed  il  1850  cominciò  a  prevalere  e  che  ora  è  diventata  quasi 
generale,  per  la  quale  il  suffragio  è  quasi  in  tutti  gli  Stati  dive- 
nuto universale  ;  sicché  un'unica  categoria  di  elettori  dà  i  suffragi 
in  tutte  le  elezioni  e  si  son  rese  direttamente  elettive  e  tempo- 
ranee le  nomine  dei  giudici  dei  vari  Stati,  che  prima  erano  a  vita 
e  generalmente  attribuite    ai   rispettivi  governatori  (2j.  In  questo 


(1)  Johnson,  arrivato  alla  Presidenza  alla  morte  di  Lincoln  (1866-69),  si  op- 
pose costantemente  a  che  il  Sud,  già  vinto,  fosse  abbandonato  al  saccheggio 
dei  politicanti  repubblicani,  conosciuti  sotto  il  nomignolo  di  carpets  haggers. 
Hayes,  anch'egli  repubblicano,  benché  arrivato  al  potere  per  mezzo  di  sposta- 
menti di  voti  poco  corretti,  sanzionati  dal  lodo,  evidentemente  parziale,  del 
magistrato  della  suprema  Corte,  fece  subito  cessare  il  regime  di  spoliazione 
e  di  teri-ore,  che  avea  durato  per  otto  anni  negli  Stati  democratici  del  Sud, 
durante  la  doppia  Presidenza  del  troppo  famoso  Simpson  Grant.  Cleveland, 
presidente  democratico  eletto  nel  1884,  fra  gli  altri  atti  sommamente  meritori, 
ebbe  il  coraggio  di  mantenere  al  posto  alcuni  funzionari  repubblicani,  che  i 
suoi  partigiani  volevano  destituiti;  generoso  tentativo  di  abolire  il  sistema  di 
Jackson,  secondo  il  quale  ogni  partito  vincitore  si  attribuisce  tutti  i  posti  re- 
tribuiti. Lo  stesso  Cleveland  da  governatore  dello  Stato  di  New-York  si  era 
reso  celebre  per  la  lotta  fortunata  sostenuta  contro  il  Tammany  Ring,  vasta 
associazione  di  malfattori,  che  signoreggiava  nel  Consiglio  comunale  di  quella 
città. 

(2)  Nei  primordi  dell'Unione  americana  il  sutìragio  era  generalmente  sotto- 
posto a  condizioni  di  censo;  in  origine  anzi  negli  Stati  della  Nuova  Inghil- 
terra prevaleva  il  sistema  puritano,  per  il  quale  questo  diritto  veniva  attri- 
buito ai  membri  delle  congregazioni  religiose,  poi  s'introdusse  anche  colà  il 
sistema  censitario.  Condizioni  di  censo  elevatissime  erano  pure  determinate 
per  l'eligibilità  a  membro  delle  Camere  alte  locali  ed  a  governatore.  Il  suf- 
fragio universale  si  cominciò  ad  introdurre  nel  principio  del  secolo  decimonono 
negli  Stati  dell'Ovest,  dove  tutti  erano  immigranti  nuovi  e  proprietari,  poi  fu 
adottato,  per  tutti  i  Bianchi,  negli  Stati  del  Sud,  in  fine  si  estese  anche  allo 
Stato  di  New-York  ed  a  quelli  della  Nuova  Inghilterra.  La  evoluzione  non  fu 
compiuta  che  nel  1850  sotto  l'influenza  dei  nuovi  immigranti  e  delle  idee 
democratiche  francesi.  Agli  uomini  di  colore  si  sa  che  il  sutìragio  non  fu 
accordato  che  dopo  il  1865.  Il   Tocqueville,   il  cui  valore  come  osservatore  è 


140  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

modo  la  stessa  cricca  elettorale  elegf^e  infallibilmente  le  autorità 
federali  e  quelle  locali;  governatori,  <,nudici  e  Parlamento  sono 
in  fondo  gli  istrumenti  delle  stesse  influenze,  le  quali  diventano 
le  padrone  assolute  ed  irresponsabili  di  tutto  uno  Stato.  Tanto 
più  che  i  politicanti  americani,  che  fanno  un  mestiere  delle  ele- 
zioni, sono  abilissimi  nell'arte  di  stabilire  il  Jting  (letteralmente 
tradotto  l'anello,  il  circolo),  cioè  il  sistema  mediante  il  quale  tutti 
i  poteri,  che  dovrebbero  controllarsi  e  completarsi  a  vicenda,  di- 
ventano l'emanazione  di  un  solo  caucus  o  comitato  elettorale. 

Ma  si  potrebbe  obiettare  che,  col  sistema  del  suffragio  univer- 
sale, tutte  le  forze  e  tutte  le  influenze  politiche  i^ossono  essere 
rappresentate  nella  classe  governante  proporzionatamente  alla  loro 
importanza  numerica,  e  che  riesce  perciò  impossibile  ad  una  mi- 
noranza di  monopolizzare  il  potere  a  i^roprio  vantaggio  e  farne 
cosi  uno  strumento  alle  proprie  vedute  ed  alle  proprie  passioni. 
A  quest'obiezione,  che  riflette  un  sistema  d'idee  ancora  molto  in 
voga,  ma  che  noi  non  abbiamo  accettato  ed  abbiamo  fin  qui  in- 
direttamente combattuto,  risponderemo  direttamente  nel  capitolo 
venturo. 


stato  forse  alquanto  esagerato,  non  vide  che  il  principio  di  questo  movimento 
democratico  e  non  ebbe  modo  di  esaminare  la  democrazia  pienamente  trionfante. 

Contemporaneamente  all'allargamento  del  suffragio  si  andò  introducendo  il 
principio  della  diretta  eligibilità  e  temporaneità  dei  giudici.  Gli  antichi  Stati 
della  Nuova  Inghilterra  furono  anche  questa  volta  quelli  che  più  resistettero 
alla  corrente,  ma  finirono  coll'esserne  anche  essi  travolti. 

Vedi  Seamen,  Si/stème  du  gouvemement  américaìn.  Trad.  Hippert.  Bruxelles, 
1872:  Claudio  Jannet,  Le  istituzioni  politiche  e  sociali  degli  Stati  Uniti  d'Ame- 
rica. "  Biblioteca  di  scienze  politiche  ,,  voi.  IV,  parte  1*,  capitoli  II  e  VII. 


CAPITOLO    VI. 
Polemiche. 


I.  La  teoria  democratica.  —  II.  Rapporti  fra  il  regime  rappresentativo  e  la  difesa 
giuridica.  —  DI.  Significato  della  così  detta  azione  dello  Stato.  —  IV.  Que- 
stioni intorno  ai  limiti  di  questa  azione.  —  V.  La  dottrina  del  Comte  sui  tre 
stadi  intellettuali  e  politici.  —  VI.  Valore  pratico  del  parallelismo  stabilito 
dal  Corate.  —  VII.  Classificazione  degli  Stati,  secondo  lo  Spencer,  in  militari 
ed  industriali.  —  Vili.  Debolezze  e  lacune  di  questa  classificazione. 


I.  —  Nei  precedenti  capitoli  abbiamo  esposto  quali  siano,  se- 
condo il  nostro  modo  di  vedere,  alcune  delle  leggi  e  tendenze 
costanti  che  regolano  le  società  umane.  Ora  possiamo  più  agevol- 
mente fare  la  critica  di  alcune  opinioni  e  teorie  politiche,  ancora 
o  almeno  fino  a  poco  tempo  fa,  molto  in  voga,  le  quali  vengono, 
secondo  noi,  dalle  leggi  che  abbiamo  ricordato  più  o  meno  sfatate. 
Molte  fra  le  dottrine  sulla  libertà  e  suiruguaglianza,  come  an- 
cora sono  comunemente  intese,  dottrine  che  il  secolo  decimottavo 
ha  escogitato,  che  il  diciannovesimo  ha  matm'ato  e  tentato  di  ap- 
plicare e  che  il  ventesimo  probabilmente  liquiderà  o  modificherà 
sostanzialmente,  si  riassumono  e  si  concretano  nel  concetto  che 
vuole  a  base  di  ogni  Governo  il  suffragio  universale.  Si  crede  in- 
infatti  molto  comunemente  che  Governo  libero,  egalitario,  legittimo, 
sia  esclusivamente  quello  basato  sulla  volontà  della  maggioranza, 
la  quale  coi  suoi  suffragi  trasmette  per  un  dato  tempo  i  suoi  po- 
teri ai  propri  mandatari.  Fino  a  qualche  generazione  addietro, 
e  per  parecchi  scrittori  ed  uomini  politici  anche  oggi,  tutte  le 
imperfezioni  dei  Governi    a   base   rappresentativa   sono  state  at- 


142  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


tribuite  alla  incompleta  o  falsata  applicazione  di  (questi  prin- 
cipii  (1). 

Una  scuola  così  vasta,  credenze  cotanto  diffuse,  non  si  sfatano 
con  qualche  pagina,  quindi  noi  ora  non  faremo  una  confutazione 
in  regola  delle  teorie  sulle  quali  si  fonda  il  suffragio  universale. 
Del  resto,  indipendentemente  da  quanto  abbiamo  già  detto  su 
questo  argomento  nel  presente  lavoro,  di  esso  ci  siamo  occupati 
anche  in  altri  scritti  (2);  sicché  ora  accenneremo  semplicemente  a 
qualcuno  degli  argomenti  fondamentali  che  meglio  possono  mi- 
nare le  basi  dell'edificio  intellettuale,  sul  quale  il  suffragio  uni- 
versale è  poggiato.  Ci  basterà  quindi  di  dimostrare  che  la  suppo- 
sizione per  la  quale  l'eletto  è  ritenuto  l'organo  della  maggioranza 
dei  suoi  elettori  ordinariamente  non  è  conforme  alla  verità.  E, 
fondandoci  sull'esperienza  dei  fatti  e  ricordando  alcune  osserva- 
zioni pratiche,  che  tutti  hanno  presenti  e  che  riguardano  il  modo 
come  si  svolge  il  fenomeno  elettorale,  facilmente  proveremo  il 
nostro  assunto. 

Quel  che  avviene  colle  altre  forme  di  Governo,  che  cioè  la  mi- 
noranza organizzata  domina  la  maggioranza  disorganizzata,  av- 
viene pure,  e  perfettamente,  malgrado  le  apparenze  contrarie,  col 
sistema  rappresentativo.  Quando  si  dice  che  gli  elettori  scelgono 
il  loro  deputato,  si  usa  una  locuzione  molto  impropria  ;  la  verità 
è  che  il  deputato  si  fa  scegliei'e  dagli  elettori,  e,  se  questa  frase 
sembrasse  in  qualche  caso  troppo  rigida  e  severa,  potremmo  tem- 
perarla dicendo  che  i  suoi  amici  lo  fanno  scegliere.  Accade  nelle 
elezioni,  come  in  tutte  le  altre  manifestazioni  della  vita  sociale, 
che  gl'individui,  che  hanno  la  voglia  e  sopratutto  i  mezzi  morali, 
intellettuali  e  materiali  per  imporsi  agli  altri,  primeggiano  su 
questi  altri  e  li  comandano. 

Il  mandato  politico  è  stato  quasi  assimilato  a  quello  civile  già 


(1)  Basta  leggere  le  opere  di  Luigi  Blanc,  Lamartine  e  di  quasi  tutti  gli 
scrittori  democratici  francesi  anteriori  al  1848  per  convincersi  che  essi  attri- 
buivano la  così  detta  corruttela  della  Monarchia  di  Luglio  e  tutti  gl'inconve- 
nienti del  Parlamentarismo  all'intervento  del  Monarca  e  sopratutto  al  suffragio 
ristretto.  Credenze  analoghe  erano  comunissime  in  Italia  fino  a  trenta  anni  fa; 
esse  anzi  formavano  e  formano  il  fondamento  della  scuola  mazziniana. 

(2)  Vedi  Teorica  dei  Governi  e  Governo  parlamentare.  Torino,  1884,  Loescher; 
Le  Costituzioni  moderne.  Palermo,  1887,  Andrea  Amenta  editore. 


■AP.  VI    -    POLEMICHE  .  143 


noto  nel  diritto  privato.  Ma,  nei  rapporti  privati,  la  delegazione  di 
poteri  e  di  facoltà  presuppone  sempre  nel  mandante  la  più  ampia 
libertà  nella  scelta  del  mandatario.  Or  appunto  questa  libertà 
di  scelta,  ritenuta  amplissima  in  teoria,  diventa  necessariamente 
quasi  nulla  ed  irrisoria  nella  pratica  delle  elezioni  politiche.  In- 
fatti se  ogni  elettore  dasse  il  suo  voto  al  candidato  del  suo  cuore, 
sicuramente  non  ne  risulterebbe  altro,  nella  quasi  totalità  dei  casi, 
che  una  grande  dispersione  di  voti  ;  poiché  è  quasi  impossibile 
che  molte  volontà,  non  coordinate  e  non  organizzate,  s'incon- 
trino nella  scelta  spontanea  di  un  individuo,  la  quale  può  essere 
determinata  da  criteri  diversissimi  e  quasi  tutti  subiettivi.  Per 
dare  al  suo  voto  qualche  ef ficaia  ogni  singolo  elettore  è  perciò 
costretto  a  limitare  la  scelta  in  un  campo  ristrettissimo,  cioè  fra 
le  due  o  tre  persone  che  hanno  qualche  probabilità  di  riuscita  (1); 
e  questa  probabilità  hanno  ordinariamente  solo  coloro  che  sono 
sostenuti  da  un  gruppo,  da  un  comitato,  da  una  minoranza  orga- 
nizzata, che  ne  propugna  la  candidatura. 

Abbiamo  altrove  ragionato  lungamente  dei  modi  come  si  for- 
mano queste  minoranze  organizzate  attorno  ai  candidati  singoli 
od  ai  gruppi  di  candidati  (2).  Ci  basterà  ora  ricordare  che  esse 
sono  ordinariamente  fondate  suirinfluenza  del  censo,  sopra  coin- 
teressamenti materiali  o  sui  legami  di  famiglia,  di  classe,  di  setta 
0  di  partito  politico.  Buona  o  cattiva  che  sia  la  loro  composi- 
zione, è  innegabile  che  i  comitati  ed  i  deputati,  che  alle  volte  sono 
i  loro  strumenti,  alle  volte  i  loro  duci  e  padroni,  rappresentano 
l'organizzazione  di  un  numero  rilevante  di  valori  e  di  forze  so- 
ciali. La  vera  conseguenza  pratica  del  regime  rappresentativo  è 
perciò  non  già  il  governo  della  maggioranza,  ma  la  partecipazione 
di  un  certo  numero  di  valori  sociali  al  reggimento  dello  Stato,  la 
influenza    e   l'organizzazione  di  molte  forze  politiche,  che  in  uno 


(1)  Per  semplificare  la  dimostrazione  abbiamo  supposto  che  il  voto  sia  uni- 
nominale. Ma  questa  libertà  limitatissima,  che  ha  nella  scelta  del  deputato 
la  gran  maggioranza  degli  elettori,  e  questa  influenza  preponderante  dei  co- 
mitati sono  fatti  inevitabili  (e  l'abbiamo  dimostrato  nelle  opere  citate),  con 
qualunque  sistema  elettorale.  Col  così  detto  scrutinio  di  lista  può  anzi  avve- 
nire che  il  numero  dei  candidati  che  hanno  probabilità  di  riuscire  sia  meno 
dal  doppio  di  quello  degli  eligendi. 

(2)  Costituzioni  moderne,  cap.  UT. 


144  .    ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Stato  assoluto,  cioè  retto  dalla  sola  burocrazia,  sarebbero  rimaste 
inerti  ed  escluse. 

II.  —  Esaminando  i  rapporti  che  il  regime  rappresentativo  ha 
con  la  difesa  giuridica  si  possono  fare  le  seguenti  distinzioni  ed 
osservazioni. 

Se  è  verissimo  che  la  gran  maggioranza  degli  elettori  è  passiva, 
nel  senso  che  non  ha  libertà  di  scegliere  il  suo  rappresentante, 
ma  solo  un  limitatissimo  diritto  di  opzione  fra  i  diversi  candidati, 
pm-e  questa  facoltà,  per  quanto  sia  limitata,  fa  si  che  i  preten- 
denti alla  deputazione,  cerchino  di  attirare  a  sé  quella  forza  che 
può  dare  il  tracollo  alla  bilancia  in  prò  dell'uno  o  dell'altro  ;  e 
perciò  fanno  ogni  sforzo  i^er  adulare,  carezzare  ed  attirarsi  le  sim- 
patie delle  masse.  In  questo  modo  certi  sentimenti  e  certe  pas- 
sioni della  folla  devono  necessariamente  avere  influenza  sull'animo 
dei  deputati,  e  l'eco  di  un'opinione  molto  sparsa,  di  un  malcontento 
molto  forte  si  fa  facilmente  sentire  fin  nelle  più  alte  sfere  dei 
governanti. 

Si  può  obiettare  che  quest'influenza  della  maggioranza  degli 
elettori  necessariamente  è  ristretta  alle  grandi  linee  dell'indirizzo 
politico  ;  che  essa  si  fa  sentire  solo  in  pochissimi  argomenti  di 
carattere  generale  e  che,  entro  questi  limiti,  anche  nei  Governi 
assoluti,  le  classi  dirigenti  sono  obbligate  a  tener  conto  dei  sen- 
timenti delle  masse.  E  certo  infatti  che  il  Groverno  più  dispotico 
deve  procedere  molto  cautamente  quando  si  tratta  di  urtare  i  sen- 
timenti, le  convinzioni,  i  pregiudizi  della  maggioranza  dei  gover- 
nati, o  quando  deve  imporre  ad  essa  sacrifici  pecuniari  ai  quali 
non  è  abituata  ;  ma  la  cautela  nell'offenderla  sarà  anche  mag- 
giore quando  ogni  singolo  deputato,  il  cui  voto  può  essere  tanto 
utile  e  necessario  al  potere  esecutivo,  sa  che  il  malcontento  delle 
turbe  può ,  a  breve  scadenza,  procacciare  il  trionfo  di  un  aborrito 
rivale  (1). 

n  regime  rappresentativo  ha  poi   effetti  molto   diversi   a  se- 


(1)  Comprendiamo  che  questo  è  un  argomento  a  doppio  taglio  :  perchè  le 
masse  non  sempre  sono  più  oculate,  nello  scorgere  e  tutelare  i  loro  interessi, 
di  quanto  lo  siano  i  deputati.  Conosciamo  anzi  qualche  paese  in  cui  il  pub- 
blico malcontento,  piìi  che  gli  errori  dei  deputati  e  dei  Governi,  ha  ostacolato 
i  rimedi  che  vi  si  volevano  apportare. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE  145 


conda  che  varia  la  composizione  molecolare  del  corpo  elettorale. 
Se  tutti  gli  elettori,  che  hanno  qualche  influenza  per  coltura  e 
posizione  sociale,  sono  entro  i  Comitati,  e  se  al  di  fuori  di  questi 
non  resta  che  una  massa  di  poveri  e  di  ignoranti,  è  impossibile 
che  essa  possa  esercitare  con  qualche  serietà  ed  efficacia  il  suo 
diritto  di  controllo  ed  opzione,  ed  in  questo  caso  fra  le  diverse 
minoranze  organizzate,  che  si  disputano  il  campo,  vince  infalK- 
bilmente  quella  che  più  spende  e  più  inganna. 

Lo  stesso  avviene  se  entro  il  corpo  elettorale  le  persone  che 
hanno  capacità  ed  indipendenza  economica,  rappresentano  una  mi- 
noranza sparuta,  la  quale  non  ha  modo  d'influire  direttamente  sul 
voto  delle  maggioranze  ;  perchè,  come  ordinariamente  accade  nelle 
grandi  città,  queste  si  sottraggono  alla  loro  azione  morale  e  ma- 
teriale. Mentre  quando  le  capacità  politiche  dispongono  esse  di- 
rettamente dei  voti  della  maggioranza  e  riescono  a  sottrarla  alla 
azione  dei  Comitati  e  dei  galoiDpini,  può  avvenire  che  il  controllo 
sull'opera  di  costoro  sia  efficace.  Sicché  il  paragone  fra  i  meriti 
e  le  dottrine  dei  diversi  candidati  sarà  relativamente  serio  e  spas- 
sionato solo  quando  le  forze  elettorali  non  sono  interamente  in 
potere  di  coloro  che  delle  elezioni  fanno  un'occupazione  abituale 
od  un  mestiere. 

Ma  la  vera  garanzia  giuridica  nei  Governi  rappresentativi  sta 
nella  discussione  pubblica,  che  ha  luogo  in  seno  alle  assemblee. 
Dentro  queste  possono  penetrare  forze  ed  elementi  politici  dispa- 
ratissimi  e  basta  una  piccola  minoranza  indipendente  per  control- 
lare l'operato  di  una  grande  maggioranza  e  sopratutto  per  limitare 
l'onnipotenza  della  organizzazione  burocratica.  Ma  quando  le  as- 
semblee, oltre  ad  essere  organi  di  discussione  e  di  pubblicità,  di- 
ventano, come  accade  nei  Groverni  parlamentari,  il  corpo  politico 
che  riassume  in  sé  tutto  il  prestigio  e  tutto  il  potere  dell'autorità 
legittima,  allora,  malgrado  il  freno  delle  pubbliche  discussioni,  su 
tutta  la  macchina  amministrativa  e  giudiziaria  può  pesare  la  ti- 
rannia irresponsabile  ed  anonima  degli  elementi  che  prevalgono 
nelle  elezioni  e  parlano  a  nome  del  popolo:  si  può  avere  cioè  uno 
dei  peggiori  tipi  di  organizzazione  politica  che  la  maggioranza 
reale  di  una  società  moderna  possa  tollerare  (1). 


(1)  Vedi  Seamen  e  Mosca,  op.  cit.;  Suhkukr,  La  Démocratie  et  la  France,  ecc.,  ecc. 
G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  10 


146  ELEMENTI    DI    SCIEKZA    POLITICA 


11  referendum  nei  Governi  a  base  quasi  esclusivamente  rappre- 
sentativa può  essere  un  modo  abbastanza  efficace  col  quale  (juel 
complesso  di  odii  ed  amori,  entusiasmi  e  disgusti,  che,  quando 
sono  veramente  sparsi  e  (generali,  formano  ciò  che  più  verisimil- 
mente  si  appella  la  pubblica  opinione,  \mh  reagire  contro  l'ope- 
rato e  l'iniziativa  della  minoranza  governante.  Difatti,  trattandosi 
non  di  fare  una  scelta  od  un'elezione,  ma  di  dire  un  sì  od  un  no 
sopra  una  determinata  questione,  ogni  singolo  voto  non  può  an- 
dare disperso,  ed  ha  la  sua  pratica  importanza  indipendentemente 
da  ogni  organizzazione  e  coordinazione  di  setta,  di  partito,  di  co- 
mitati. E  certo  però  che  col  referendum  non  si  avvera  neppure 
l'ideale  democratico  del  Governo  della  maggioranza,  poiché  il  go- 
vernare, più  che  nel  consentire  o  proibire  le  modificazioni  della 
Costituzione  od  anche  della  legislazione,  consiste  nel  dirigere  tutta 
la  macchina  militare,  finanziaria,  giudiziaria  ed  amministrativa,  o 
nell'influire  su  chi  la  dirige.  Inoltre  il  referendum  se  da  una  parte 
limita  il  potere  della  classe  governante,  dall'altra  non  è  men  vero 
che  può  seriamente  ostacolare  tutti  i  miglioramenti  dell'organismo 
politico  ;  i  quali  saranno  sempre  più  facilmente  apprezzati  dalla 
classe  governante,  per  quanto  possa  essere  interessata  e  corrotta, 
che  dalla  maggioranza  dei  governati  (1). 

m.  —  Una  quistione,  che  si  agita  molto  tra  gli  scrittori  di 
scienze  sociali,  è  quella  relativa  alla  maggiore  o  minore  ingerenza 
che  spetta  allo  Stato.  Noi  cercheremo  di  dimostrare  che  essa  non 
è  una  questione  sola,  ma  un  complesso  di  questioni,  ed,  applicando 
le  teorie  che  nei  capitoli  precedenti  abbiamo  esposte,  forse  con- 
tribuiremo a  dissipare  alcuni  equivoci  e  malintesi,  che  finora 
ne  hanno  ostacolato  il  retto  e  preciso  intendimento,  ed  hanno 
perciò  impedito  che  si  venisse,  almeno  in  qualcuna  di  esse,  a 
conclusioni  precise. 

E  molto  sparso  ancora  quel  modo  di  vedere,  che  fa  della  so- 
società  e  dello  Stato  due  enti  perfettamente  separati  e  distinti 


(1)  È  indiscutibile,  ad  esempio,  che,  in  molti  paesi,  se  gli  aumenti  delle  im- 
poste fossero  sottoposti  al  referendum  sarebbero  stati  sempre  respinti,  anche 
quando  fossero  stati  giustificati  dal  più  evidente  tornaconto  del  servizio  pub- 
blico 0  dalla  più  imprescindibile  necessità. 


POLEMICHE  147 


e  spesso  li  considera  anche  come  antagonisti.  Or,  prima  di  tutto^ 
noi  crediamo  che  occorra  determinare  chiaramente  che  cosa  si  in- 
tende per  Società  e  che  cosa  s'intende  per  Stato.  Stando  alle  regole 
dei  Codici  ed  alle  concezioni  del  diritto  amministrativo,  lo  Stato 
è  certamente  un  ente  distinto,  capace  di  vita  giuridica,  il  quale 
rappresenta  gli  interessi  della  collettività  ed  amministra  il  demanio 
pubblico;  e  che,  come  tale,  può  venire  in  conflitto  d'interessi  con 
i  i)rivati  e  con  gli  altri  enti  giuridici.  Politicamente  parlando  però 
lo  Stato  non  è  che  l'organizzazione  di  tutte  le  forze  sociali,  che 
hanno  valore  politico.  Esso,  in  altre  parole,  rappresenta  il  com- 
plesso di  tutti  quegli  elementi,  che  in  una  società  sono  atti  alla 
funzione  politica  e  sanno  e  vogliono  ad  essa  partecipare  ;  è  quindi 
il  risultato  della  loro  coordinazione  e  della  loio  disciplina. 

Questo  è  il  vero  pùnto  di  vista  da  cui  lo  Stato  va  considerato 
dai  cultori  delle  scienze  sociali  ;  giacche  è  brutto  e  pericoloso 
errore,  che  dura  ancora  nel  nostro  secolo  ed  impedisce  il  retto  ap- 
prezzamento dei  problemi  politici,  la  tendenza  curialesca  a  riguar- 
darli dal  lato,  non  diciamo  giuridico,  ma  prettamente  ed  esclusi- 
vamente giudiziario.  Sicché,  secondo  il  nostro  modo  di  vedere, 
antagonismo  fra  Stato  e  Società  non  può  esistere,  potendosi  riguar- 
dare lo  Stato  come  quella  parte  della  Società,  che  disimpegna  la 
funzione  politica,  e  tutte  le  questioni  riguardanti  la  ingerenza  o 
non  ingerenza  dello  Stato  vengono  ad  assumere  un  nuovo  aspetto, 
per  il  quale,  piuttosto  che  studiare  quali  debbano  essere  i  limiti 
dell'azione  dello  Stato,  si  deve  cercare  quale  sia  il  miglior  tipo  di 
organizzazione  politica  ;  quello  cioè  che  consente  a  tutti  gli  ele- 
menti, che  hanno  valore  politico  in  una  data  Società,  di  essere 
meglio  utilizzati  e  specializzati,  meglio  sottoposti  al  reciproco  con- 
trollo ed  al  principio  della  responsabilità  individuale  per  gli  atti 
che  compiono  nelle  loro  rispettive  mansioni. 

Comprendiamo  che  quando  si  hanno  certe  abitudini  intellettuali 
non  è  facile  il  mutarle  rapidamente  ed  adattarsi  a  nuovi  metodi 
di  osservazione  e  ad  una  nuova  maniera  di  considerare  un  dato 
argomento.  Però  confidiamo  che  basterà  un  semplice  accenno 
alle  pratiche  applicazioni  clie  può  avere  il  sistema  da  noi  esposto, 
perchè  il  lettore  si  familiarizzi  con  esso  e  ne  scorga  anche  i 
vantaggi. 

Ad  esempio,  quando  si  contrappone  l'azione  dello  Stato  all'ini- 
ziativa privata  spesso  non  si  fa  che  un  paragone  fra  l'opera  della 


148  ELEMENT]    DI    SCIENZA    POLITICA 

burocrazia  e  quella  che  possono  esercitare  altri  elementi  diret- 
tivi della  Società,  che,  in  qualche  caso,  possono  anche,  senza  es- 
sere impiegati  stipendiati,  rivestire  un  carattere  ufficiale.  Nelle 
nostre  società  di  tipo  europeo,  per  quanto  burocratizzate,  la  bu- 
rocrazia non  è  lo  Stato,  ma  soltanto  una  parte  di  esso.  Sicché 
quando  si  dice  comunemente  che  in  Italia  ed  in  Francia,  in  Ger- 
mania ed  in  Russia,  lo  Stato  fa  tutto  ed  assorbe  tutto,  bisogna 
interpretare  la  massima  nel  senso  che  la  burocrazia  francese,  ita- 
liana, tedesca  e  russa  hanno  molte  più  attribuzioni  di  quelle  di 
altri  paesi,  ad  esempio,  di  quella  inglese  e  dell'americana.  Come, 
quando  si  parla  del  famoso  Self  government  inglese,  del  popolo 
dell'Inghilterra  che  si  governa  da  se  stesso,  non  bisogna  supporre, 
come  se  ne  potrebbe  avere  la  tentazione  stando  alla  dizione  usata, 
che  nei  paesi  del  continente  europeo,  i  Francesi,  gl'Italiani,  i  Te- 
deschi ed  i  Russi  non  si  governino  da  loro  stessi  e  che  essi  affidino 
a  stranieri  la  direzione  delle  rispettive  funzioni  politiche  ed  am- 
ministrative ;  ma  bisogna  intendere  semplicemente  che  certi  uffici, 
che  in  Inghilterra  sono  affidati  a  persone  nominate  dagli  elettori 
o  anche  nominate  dal  G-overno,  ma  scelte  fra  i  notabili  dei  diversi 
luoghi  e  non  retribuite  né  traslocabili  a  volontà,  sono  negli  altri 
paesi  d'Europa  disimpegnati  da  burocratici. 

rV.  —  Abbiamo  già  accennato  (1)  come,  sebbene  la  burocrazia 
e  le  assemblee  che  dispongono  del  supremo  potere  politico,  abbiano- 
avuto  ed  abbiano  ingerenza  in  certi  rami  della  produzione  econo- 
mica, quali  sarebbero,  ad  esempio,  la  manutenzione  e  costruzione 
delle  opere  pubbliche  e  le  banche  di  emissione,  pure  sembra  accer- 
tato che  la  direzione  di  questo  ramo  dell'attività  sociale  non  sia 
stata  mai,  in  nessuna  società  pervenuta  ad  un  certo  grado  di  col- 
tura e  prosperità,  completamente  burocratizzata.  Questa  direzione 
è  stata  ed  é  in  massima  sempre  affidata  ad  elementi,  che  certo 
fanno  parte  delle  forze  direttrici  della  società  e  quindi  sono  vere 
forze  politiche,  ma  non  entrano  nei  quadri  della  pubblica  ammi- 
nistrazione. Si  potrebbe  anche  ricordare  quanto  sia  stata  in  gene- 
rale dannosa  l'ingerenza  degli  elementi  che  hanno  la  direzione 
propriamente   politica,   cioè  legislativa,   amministrativa  e  giudi- 


fi)  Vedi  capitolo  III,  pag.  104. 


GAP.  VI    -    POLEMICHE  149 


ziaria,  della  società,  nelle  faccende  economiche,  e  quanta  parte  del 
depauperamento,  che  affligge  qualche  nazione  moderna,  si  debba 
a  quest'ingerenza  attribuire  (1). 

Generalmente  coloro  che  vogliono  restringere  le  funzioni  dello 
Stato  dovrebbero  inspirarsi  a  questo  pratico  e  semplicissimo  con- 
cetto :  che,  in  tutti  i  rami  dell'attività  sociale,  nell'istruzione  pub- 
blica, nel  culto,  nella  beneficenza,  nell'amministrazione  della  giu- 
stizia, nell'organizzazione  militare,  ecc.  la  funzione  direttiva  è 
sempre  necessaria  e  che  deve  essere  affidata  ad  una  classe  speciale, 
che  abbia  le  attitudini  necessarie  a  disimpegnarla. 

Or  quando  si  vuole  togliere,  in  tutto  od  in  parte,  una  di  queste 
attribuzioni  alla  burocrazia  od  ai  corpi  elettivi  bisogna  tener  pre- 
sente che  è  necessario  che  esista  in  seno  alla  società  una  categoria 
di  persone,  che  possieda  le  attitudini,  ossia  abbia  la  necessaria 
preparazione  morale  ed  intellettuale  ed  anche  la  posizione  econo- 
mica sufficiente  per  adempire  al  nuovo  ufficio  che  le  viene  affi- 
dato. Spesso  anche  non  basta  che  in  una  società  vi  siano  gli 
elementi  adatti  a  ciò,  ma  bisogna  che  siano  bene  scelti  e  bene 
coordinati,  altrimenti  l'esperimento  può  fallire  e  produrre  risultati 
dannosi.  Noi  crediamo,  ad  esempio,  che  questa  sia  stata  la  vera 
ragione  per  la  quale  l' istituzione  dei  giurati  non  ha  fatto  buona 
prova  in  molti  paesi  del  continente  europeo. 

I  cosi  detti  giudici  popolari  infatti  rappresentano  l'intervento 
di  elementi  sociali  estranei  alla  magistratm'a  regolare  nell'ammi- 
nistrazione della  giustizia  penale  ;  ma  sono  troppo  numerosi  per 
poter  essere  tutti  intellettualmente  e  moralmente  preparati  al  loro 
ufficio,  e  perchè  il  farne  parte  dia  tale  una  soddisfazione  di  amor 
proprio  da  fare  loro  acquistare  quello  spirito  di  corpo,  quel  sen- 
timento, diremmo  quasi  aristocratico,  che  è  necessario  per  rialzare 
il  carattere  medio  di  uomini  ai  quali  cosi  delicate  mansioni  sono 
affidate  (2). 


(1)  Vedi  capitoli  III  e  IV  là  dove  abbiamo  parlato  dei  danni  del  soverchio 
svolgimento  dato  ai  lavori  pubblici,  del  protezionismo  economico,  dell'influenza 
antigiuridica  che  esercitano  sui  poteri  politici  i  direttori  delle  Banche  e  delle 
grandi  Compagnie  per  azioni,  dei  risultati  che  ha  l'ingerenza  del  Governo 
nelle  Banche  di  emissione. 

(2)  Osservazioni  identiche  si  potrebbero  fare  sui  giudici  conciliatori,  sugli 
amministratori  delle  Opere  pie  e  sui  preposti  a  qualche  altro  degli  uffici  che 


150  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Dall'altra  parte  coloro  che  invocano  un  maggiore  intervento 
dello  Stato  dovrebbero  pensare  al  significato  pratico  e  positivo 
di  questa  parola,  spogliandola  di  tutto  ciò  che  essa  ha  di  vago,  di 
indeterminato,  diremmo  quasi  di  magico  e  di  soprannaturale  nol- 
Tuso  comune.  Spesso  ai  giorni  nostri  contro  tutti  i  danni  della 
concorrenza  privata,  come  rimedio  a  tutte  le  cupidigie,  alla  libi- 
dine del  prepotere,  a  tutti  gli  eccessi  dell'individualismo,  o  meglio 
dell'egoismo,  s'invoca  l'intervento  dello  Stato.  Il  quale,  organo 
del  diritto  e  del  progresso  morale,  dovrebbe  sollevare  gli  umili 
e  debellare  i  superbi  ;  e,  puro  di  tutte  le  volgari  preoccupazioni 
degli  interessi  personali^  dovrebbe  reprimere  tutte  le  iniquità, 
provvedere  a  tutti  i  bisogni  materiali  e  morali,  avviare  l'umanità 
sui  floridi  sentieri  della  giustizia,  della  pace,  dell'armonia  uni- 
versale (1).  Quanto  scemerebbe  questa  fiducia  se,  invece  di  pensare 
allo  Stato  ente  astratto,  posto  quasi  al  di  fuori  della  società,  si 
tenesse  presente  ciò  che  esso  è  in  fatti,  vale  a  dire  l'organizzazione 
concreta  di  una  gran  parte  degli  elementi  dominatori  di  una  so- 
cietà. Se  si  pensasse  che,  nella  nostra  società  euroi^ea,  quando  si 
parla  di  azione  dello  Stato,  la  frase  si  riferisce  all'azione  che  pos- 
sono esercitare  ministri,  deputati  ed  impiegati  ;  tutta  bravissima 
gente,  che,  per  quanto  possa  essere  migliorata  o  frenata  dal  sen- 
timento della  responsabilità,  dalla  disciplina  e  dallo  spirito  di 
corpo,  ha  tutte  le  facoltà  e  tutte  le  debolezze  umane.  Eccellenti 
persone,  che  però,  come  tutti  gli  uomini,  hanno  gli  occhi,  che  si 
possono  all'occorrenza  aprire  o  chiudere,  e  la  bocca,  che  può,  se- 
condo i  casi,  parlare,  tacere  ed  anche  mangiare  ;  e  le  quali  pos- 
sono peccare  anch'esse  di  orgoglio,  di  accidia,  di  cupidigia  e  di 
vanità,  ed  avere  le  loro  simpatie  ed  antipatie,  le  loro  amicizie  ed 
avversioni,  le  loro  passioni  ed  i  loro  interessi  ;  e  fra  questi  anche 
quello  di  restare  al  proprio  posto,  ed  all'occorrenza  di  conseguirne 
uno  migliore. 


in  Italia  sono  affidati  a  persone  che  non  fanno  parte  della  burocrazia.  Vero 
è  che  si  potrebbe  obiettare  che  la  nomina  dei  titolari  alle  cariche  accennate 
viene  fatta,  più  o  meno  direttamente,  dai  corpi  locali  elettivi. 

(1)  Scrive  infatti  Dupont  White  [L'Individu  et  l'Etat,  pag.  172.  Paris,  1857, 
ed.  Guillaumin)  :  L'État  c'est  l'homme  moins  la  passion;  l'homme  à  une  hauteur 
oij  il  entre  en  commerce  avec  la  vérité  mème,  où  il  ne  rencontre  que  Dieu 
et  sa  conscience. 


POLEMICHE  151 


V.  —  Sarebbe  opera  impossibile,  od  almeno  assai  difficile,  il 
rispondere  a  tutte  le  teorie  e  le  dottrine,  che  si  allontanano  dal 
nostro  modo  di  vedere  intorno  alle  tendenze  costanti  ossia  le  leggi, 
che  regolano  l'organizzazione  delle  società  umane.  Fra  queste 
dottrine  due  però  ve  ne  sono,  strettamente  connesse  e  legate,  che, 
per  la  loro  odierna  diffusione,  hanno  tale  importanza,  che  di  esse 
non  possiamo  assolutamente  tacere.  Intendiamo  alludere  alle  teorie 
del  Comte  ed  a  quelle  dello  Spencer.  Il  primo,  come  si  sa,  ha  messo 
in  rilievo  i  tre  stadi  dell'intendimento  umano  :  il  teologico,  il  me- 
tafisico ed  il  positivo,  ai  quali  fa  corrispondere  tre  tipi  diversi  di 
ordinamento  sociale:  il  militare,  il  feudale  e  l'industriale.  Il  se- 
condo classifica  invece  semplicemente  le  società  umane  in  Stati 
militari,  fondati  sulla  coercizione,  ed  in  Stati  industriali,  basati 
sul  contratto  e  sul  libero  consenso  di  coloro  che  li  compongono. 
Sulle  orme  di  questi  illustri  sociologhi,  ora  gran  parte  di  coloro 
che,  specialmente  in  Italia,  si  occupano  di  scienze  sociali  e  poli- 
tiche, fanno  di  questi  concetti  la  pietra  angolare  dei  loro  ragio- 
namenti e  dei  loro  sistemi. 

In  linea  generale  sulla  classificazione  dei  tre  stadi  intellettuali 
fatta  dal  Comte  ci  pare  che  ci  sia  poco  da  obiettare.  L'uomo  in- 
fatti può  spiegarsi  tutti  i  fenomeni,  tanto  dell'universo  inorganico 
che  di  quello  organico,  compresi  quelli  sociali,  attribuendoli  ad 
enti  soprannaturali,  all'intervento  cioè  di  Dio  o  degli  Dei,  di  geni, 
benefici  o  malefici,  che  sono  autori  della  vittoria  e  della  sconfitta, 
dell'abbondanza  e  della  carestia,  della  salute  e  della  pestilonzA, 
ed  allora  si  ha  il  periodo  detto  teologico.  Li  può  anche  spiegare 
attribuendoli  a  cause  prime,  frutto  della  sua  imaginazione  oppure 
di  un'osservazione  superficiale  e  sconnessa  dei  fatti,  come  quando 
credeva  dipendesse  dal  moto  e  dalla  congiunzione  dei  pianeti  la 
sorte  degli  individui  e  delle  nazioni,  dalle  combinazioni  degli  umori 
la  sanità  del  corpo  umano,  e  dalla  quantità  di  metalli  preziosi 
posseduti  la  ricchezza  dei  popoli,  ed  allora  è  nello  stadio  apriori- 
stico o  metafisico.  Può  infino,  rinunciando  a  conoscere  le  cause 
prime  di  questi  fenomeni,  studiarne,  con  rigoroso  sistema  d'osser- 
vazione, le  leggi  naturali  che  li  regolano  e  farne  suo  prò,  ed  allora 
è  nel  periodo  scientifico  o  positivo. 

Dove  cominciano  le  obiezioni  e  le  critiche  al  sistema  del  Comte 
è  quando  si  vuole  fare  una  distinzione  cronologica  netta  e  precisa 
fra  le  varie  società  umane,  assegnandole  ad   uno  dei  tre  periodi 


152  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

accennati.  Poiché  è  impossibile  negare  che  tutti  e  tre  i  periodi 
intellettuali  coesistano  in  tutte  le  società  umane,  dalle  più  mature 
a  quelle  che  sono  ancora,  per  dir  così,  nello  stadio  selvaggio.  In- 
fatti la  Grecia  antica  ci  diede  Ipi)ocrate  ed  Aristotile,  Roma  Lu- 
crezio, la  moderna  civiltà  europea  ci  ha  dato  la  fisica,  la  chimica, 
l'economia  politica,  ha  inventato  il  telescopio  ed  il  microscopio, 
si  è  impadronita  della  elettricità  ed  ha  scoperto  i  microbi,  che 
cagionano  le  pestilenze  e  le  malattie  ;  eppure  non  si  può  non  ri- 
conoscere che  ad  Atene  come  a  Roma  antica,  a  Parigi  come  a 
Berlino,  a  Londra  come  a  New-York,  la  maggioranza  degli  indi- 
vidui erano  e  sono  in  pieno  periodo  teologico,  o  almeno  in  quello 
metafìsico.  Come  non  ci  fu^poca  alcuna  della  classica  antichità 
nella  quale  non  si  consultassero  auguri  ed  oracoli,  non  si  facessero 
sacrifici  e  non  si  credesse  ai  presagi,  cosi  vediamo  ancora  le  reli- 
gioni rivelate  avere  una  parte  importantissima  nella  vita  dei  nostri 
contemporanei  e,  dove  esse  s'indeboliscono,  vediamo  svilupparsi 
le  superstizioni  spiritistiche  e  gli  assurdi  metafisici  della  demo- 
crazia sociale.  E  d'altra  parte  il  selvaggio  che  nella  pianta  e  nel 
sasso  vede  un  feticcio,  che  crede  che  lo  stregone  della  tribù  possa 
X^rodurre  la  pioggia  e  scongiurare  il  fulmine,  non  potrebbe  vivere 
se  non  possedesse  alcune  vere  nozioni  positive.  Quando  egli  studia 
le  abitudini  della  selvaggina,  quando  impara  a  distinguerne  le 
orme  e  tien  conto  della  direzione  del  vento  per  sorprenderla  ed 
impadronirsene,  fa  suo  prò  di  osservazioni  accumulate  e  coordinate 
da  lui  e  dai  suoi  maggiori,  agisce  perciò  secondo  i  dettami  di  una 
vera  scienza  (1). 

Ma  vi  ha  di  più  :  come  si  può  già  intuire  dagli  esempi  accen- 
nati, non  solo  nella  stessa  epoca  e  nello  stesso  popolo  possono 
coesistere  i  tre  periodi  intellettuali  del  Comte,  ma  anche  nello 
stesso  individuo.  Diremo  anzi  che  questa  è  la  regola  generale, 
della  quale  gli  esempi  a  centinaia  saltano  agli  occhi  di  tutti,  e 
che  il  contrario  è  l'eccezione.  A  chi  infatti  non  è  accaduto  di  co- 
noscere qualche  capitano  di  nave  buon  credente,  che  presta  fede 


(1)  Questa  obiezione  alle  teorie  del  Comte  fu  fatta  già  da  molto  tempo. 
Perchè  il  Comte  stesso  scrive  :  "  cette  coexistence  passagère  des  trois  états 
intellectuels  constitue  aujourd'hui  le  seul  fondement  plausible  des  résistences 
que  les  penseurs  arriérés  opposent  encore  à  ma  loi  „.  Yedi  Système  de politique 
positive,  voi.  3°,  pag.  41.  Paris,  1853,  Carillan  ed. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE  153 


anche  ai  miracoli  della  Madonna  di  Lourdes  o  della  Madonna  di 
Pompei,  che  in  politica  o  nelle  scienze  economiche  si  trova  in 
completo  stadio  metafisico  e  che,  quando  si  tratta  di  dirigere  la 
rotta  e  comandare  la  manovra  della  sua  nave,  fa  uso  di  criteri 
rigorosamente  scientifici  ?  Tutti  o  quasi  tutti  i  medici,  fino  a  due 
secoli  fa,  erano  credenti  nelle  loro  religioni,  e  perciò  non  nega- 
vano l'efficacia  delle  preghiere  e  dei  voti  nella  guarigione  delle 
malattie  ;  inoltre  sul  funzionamento  dei  diversi  organi  del  corpo 
umano  e  sulle  virtù  di  certi  semplici  avevano  svariate  credenze 
assolutamente  metafisiche,  dovute  in  gran  parte  all'influenza  di 
Galeno  e  dei  medici  arabi,  ma  nello  stesso  tempo  non  mancavano 
certo  di  cognizioni  positive,  che  rimontano  ad  Ippocrate,  e  che, 
lentamente  elaborate  dall'esperienza  di  tanti  secoli,  permettevano 
in  certi  casi  una  cura  razionale.  Similmente  le  preghiere  per  in- 
vocare la  vittoria  dell'Altissimo  ed  i  Te  Deum  per  ringraziarlo 
furono  in  uso  in  Europa,  assai  tempo  dopo  che  Gustavo  Adolfo, 
Turenne  e  Montecuccoli  aveano  cominciato  a  condurre  le  guerre 
con  norme  scientifiche. 

Senofonte,  per  citare  un  caso  concreto,  quando  credeva  che  un 
sogno  fosse  un  avvertimento  degli  Dei  era  in  pieno  periodo  teo- 
logico ;  sulla  forma  della  terra  e  sulla  composizione  dei  corpi  aveva 
certamente  delle  idee,  che  i  geografi  ed  i  chimici  dei  giorni  nostri 
avrebbero  giustamente  caratterizzato  per  metafisiche  ;  ma,  nel  con- 
durre la  famosa  ritirata  dei  diecimila,  quando,  ad  esempio,  per 
riparare  la  colonna  principale,  che  marciava  coi  bagagli,  dai  con- 
tinui assalti  della  cavalleria  persiana  la  faceva  coprire  da  due 
linee  di  fiancheggiatori  armati  alla  leggiera,  si  regolava  secondo 
criteri,  che,  dato  il  sistema  d'armamento  allora  in  uso,  anche  uno 
stratega  moderno  avrebbe  trovato  scientifici  e  positivi.  Lo  stesso 
autore  se  nella  Ciropedia  si  mostra  prevalentemente  teologico  e 
metafisico,  diventa  di  nuovo  positivo  nel  suo  trattato  sull'arte  di 
cavalcare,  perchè  su  quest'argomento,  come  farebbe  un  moderno, 
trae  i  suoi  precetti  dallo  studio  della  natura  del  cavallo. 

VI.  —  La  verità  è  che  in  questo,  come  in  tanti  altri  casi,  il 
semplicismo  non  si  adatta  bene  alle  scienze  che  riguardano  la 
psicologia  dell'uomo,  animale  molto  complesso,  pieno  di  contrad- 
dizioni, e  che  non  sempre  si  cura  di  esser  logico  e  coerente  ;  e  che 
perciò  anche  quando  crede  e  spera  che  Dio  possa  intervenire   m 


154  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


sostegno  della  sua  causa,  ha  cura  contemporaneamente  di  tenere 
asciutte  le  polveri,  di  valersi  cioè  del  sussidio  dell'intelletto  e  del- 
Tesperienza  propria  e  degli  altri.  Il  solo  argomento  veramente 
valido,  che  si  potrebbe  addurre  a  favore  della  classificazione  del 
Comte,  è  questo  :  che,  sebbene  i  tre  stadi  intellettuali  coesistano 
in  tutte  le  società  umane  e  si  possano  rintracciare  nella  maggio- 
ranza degli  individui  che  le  compongono,  pure  possono  essere,  se- 
condo i  casi,  assai  inegualmente  distribuiti  ;  sicché  un  popolo  può 
avere  un  corredo  di  cognizioni  scientifiche  indiscutibilmente  su- 
periore a  quelle  di  un  altro,  e,  secondo  le  varie  epoche  della  sua 
storia,  può  su  questo  riguardo  grandemente  progredire  o  decadere; 
come  pure  è  innegabile  che  le  dottrine  metafisiche  e  le  credenze 
soprannaturali  hanno  generalmente  maggiore  presa  ed  influenza 
sulle  nazioni  e  sugli  individui  maggiormente  sprovvisti  di  cultura 
scientifica.  Ma,  cosi  ridotta,  la  teoria  del  Comte  rassomiglia  molto 
a  quest'altra,  per  verità  alquanto  banale  :  che  quanto  più  una  so- 
cietà è  scientificamente  progredita,  meno  campo  resta  alle  dottrine 
aprioristiche,  e  di  altrettanto  diminuisce  in  essa  l'influenza  del 
soprannaturale  (1). 

Dove  poi  i  concetti  del  padre  della  moderna  sociologia  ci  sem- 
brano anche  più  lontani  dalla  verità  è  nella  parte  che  si  riferisce 
al  parallelismo  fra  i  tre  stadi  intellettuali  ed  i  tre  tipi  di  organiz- 
zazione politica  che  egli  stabilisce  :  il  militare,  cioè,  il  feudale  e 
l'industriale,  —  corrispondenti  il  primo  alla  infanzia,  il  secondo 
all'adolescenza,  il  terzo  alla  maturità  delle  società  umane. 

La  funzione  militare,  l'organizzazione  cioè  di  una  forza  armata 
per  la  difesa  interna  ed  esterna  di  un  popolo,  e  se  si  vuole,  secondo 
portano  gl'interessi,  i  pregiudizi  e  le  passioni  umane,  anche  per 
l'offesa,  fino  ad  oggi  è  stata  ed  è  una  necessità  di  tutte  le  società 
umane.  La  preponderanza  politica  maggiore  o  minore  dell'ele- 
mento militare  dipende,  in  parte,  da  cause  che  abbiamo  già  stu- 


(1)  Natio  est  omnium  Gallornin  admodum  dedita  religioìiibus,  scriveva  già 
Cesare,  esprimendo  un  giudizio  che  qualunque  individuo  appartenente  ad  un 
popolo  più  colto  dà  sempre  di  un  popolo  meno  colto.  È  da  notare  che  anche 
le  persone  credenti  nelle  religioni  rivelate,  se  hanno  una  certa  cultura  scien- 
tifica, si  guardano  bene  dall'attribuire  all'intervento  continuo  degli  enti  so- 
prannaturali lo  svolgersi  dei  fatti  di  questo  mondo,  come  accade  fra  le  genti 
più  rozze  e  gli  individui  più  ignoranti. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE  155 


diato,  dall'essere  cioè  o  no  questo  elemento  una  forza  politica  più 
o  meno  indispensabile  ed  assorbente,  più  o  meno  da  altre  forze 
politiche  bilanciata,  ed  in  parte  da  altre  cagioni,  che  quando  sarà 
il  momento  opportuno  non  mancheremo  di  esporre.  Intanto  pos- 
siamo iin  d'ora  con  sicurezza  affermare  che  non  vediamo  la  neces- 
sità del  connubio  indissolubile  che,  secondo  il  Comte,  vi  dovrebbe 
essere  fra  la  prevalenza  politica  del  militarismo  e  la  prevalenza, 
nel  mondo  intellettuale  e  morale,  del  periodo  teologico.  Diremo 
anzi  di  più  :  che  non  ci  pare  cioè  in  niun  modo  jjrovato,  che  il  tipo 
di  organizzazione,  che  il  citato  autore  chiama  militare,  debba  esclu- 
sivamente prevalere  solo  in  quelle  società,  che  si  trovano  al  primo 
stadio  del  loro  sviluppo,  e,  per  parlare  il  linguaggio  dei  moderni 
positivisti,  nello  stato  d'infanzia. 

La  società  ellenica,  ad  esempio,  dopo  Alessandro  Magno  si  tro- 
vava evidentemente  organizzata  secondo  un  tipo,  che  qualunque 
sociologo  avrebbe  caratterizzato  per  quello  militare.  Le  leghe  re- 
pubblicane della  Grecia  propriamente  detta,  posteriormente  alla 
conquista  macedone,  non  ebbero  che  una  importanza  politica  molto 
limitata  ;  esse,  fino  alla  conquista  romana,  furono  sempre  nella 
clientela  o  nel  vassallaggio  dei  grandi  regni  ellenizzati  d'Egitto, 
di  Siria  e  sopratutto  di  Macedonia,  i  quali  erano  vere  monarchie 
militari  assolute  e  fondate  sulla  forza  degli  eserciti.  Eppure,  proprio 
in  quell'epoca,  la  società  greca  era  tutt'altro  che  in  uno  stato  d'in- 
fanzia o  in  un  periodo  teologico,  perchè  poco  prima  di  allora  si 
erano  formate  ed  allora  fiorivano  quelle  scuole  filosofiche,  che  rap- 
presentano il  massimo  sforzo  del  pensiero  ellenico  verso  la  scienza 
positiva.  Lo  stesso  si  può  osservare  nella  società  romana,  quando, 
dopo  Cesare,  si  affermò  l'assolutismo  imperiale  sorretto  dai  pre- 
toriani e  dalle  legioni. 

La  prevalenza  delle  credenze  religiose,  la  fede  ardente  che  in 
esse  un  popolo  può  avere,  producono  poi  immancabilmente  la  pre- 
ponderanza politica  delle  classi  sacerdotali.  Ora  queste  non  sempre 
sono  fuse  interamente  colle  classi  militari,  né  sempre  hanno  con 
esse  completa  comunanza  di  sentimenti  e  d'interessi.  La  stessa 
unione  fra  il  trono  e  l'altare,  che  ebbe  luogo  in  Europa  al  prin- 
cipio di  questo  secolo  dopo  la  Santa  Alleanza,  fu  dovuta  alla  pe- 
culiare circostanza  che  entrambi  erano  direttamente  minacciati 
dalla  corrente  razionalista  e  rivoluzionaria.  Ma  questo  fatto,  lungi 
dal  formare  una  regola  generale,  che  possa  esser  presa  come  legge 


156  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


universale,  è  da  riguardarsi  piuttosto  come  uno  dei  tanti  fenomeni 
transitori  che  nella  storia  si  producono.  Non  mancano  certo  ^li 
esempi  in  contrario;  e  sono  facili  a  portarsi  quelli  dell'India,  dove 
ci  fu  un'epoca,  nella  quale  la  casta  dei  Bramini  si  trovò  in  lotta 
con  quella  dei  guerrieri,  e  Taltro  delle  lotte  avvenute  in  Europa 
fra  il  Papato  e  l'Impero. 

Ci  pare  poi  impossibile  trovare  una  giustificazione  qualsiasi, 
fondata  sui  fatti,  di  quella  parte  della  dottrina  del  ('omte,  che, 
alla  prevalenza  della  metafisica  nel  pensiero  umano,  fa  corrispon- 
dere la  prevalenza  del  sistema  feudale  nell'ordinamento  politico  fi). 
Abbiamo  già  visto  come,  ciò  che  comunemente  si  chiama  l'orga- 
nizzazione feudale,  sia  un  tipo  politico  relativamente  semplice,  che 
si  riscontra  spessissimo  nell'inizio  delle  grandi  società  umane  e  si 
riproduce  quando  un  grande  Stato  burocratico  viene  a  dissolversi. 
Quantunque  il  progresso  politico  e  quello  scientifico  non  procedano 
sempre  di  pari  passo,  come  è  provato  dalla  storia  d'Italia  nel  Ri- 
nascimento, pure  si  può  ammettere  con  molte  riserve  che,  in  ge- 
nerale, ad  uno  stadio  politico  primitivo  o  ad  un  periodo  di  deca- 
denza e  dissoluzione  politica,  corrisponda  uno  stato  d'ignoranza 
quasi  generale  od  un  pei'iodo  di  accasciamento  intellettuale.  Ma 
non  si  sa  proprio  vedere  il  perchè  questo  debba  essere  caratteriz- 
zato dal  prevalere  dei  concetti  metafisici  anziché  di  quelli  teolo- 
gici ;  come  pure  non  si  può  ammettere  che,   durante   il  fiorire  di 


(1)  Dobbiamo  rammentare  che,  secondo  le  idee  del  Corate,  il  monoteismo 
medioevale  e  l'ontologia  rappresentano  la  transizione  fra  il  politeismo,  ossia 
il  pieno  periodo  teologico,  e  la  scienza  moderna.  Così  pure  il  feudalesimo,  che  | 
egli  crede  un  militarismo  difensivo,  rappresenta  nel  suo  concetto  il  ponte  di 
passaggio  fra  il  periodo  militare  e  l'industriale.  Questo  modo  di  vedere,  ad 
esempio,  risulta  chiarissimo  dal  seguente  passo:  "  En  effet,  le  monothéisnie 
convient  autant  à  la  défense  que  le  polithéisme  à  la  conquéte.  Les  seigneurs 
feudaux  formèrent,  entre  les  commandants  militaires  et  les  chefs  industriels. 
une  transition  aussi  complète  que  celle  de  l'ontologismo  entre  la  théologie  et 
la  science  ,  (Système  de  politique  positive,  voi.  3*,  pag.  86). 

Non  possiamo,  con  tutto  il  rispetto  dovuto  al  Comte,  non  rilevare  come  la 
prima  asserzione,  che  il  monoteismo  cioè  sia  adatto  alla  difesa,  come  il  i^o- 
liteismo  alla  conquista,  dimostra  l'ignoranza,  o  almeno  una  trascurcnza  com- 
pleta di  gran  parte  della  storia  del  mondo;  ad  esempio,  della  storia  del 
mondo  musulmano.  Affermazioni  così  recise  e  così  poco  sussidiate  dai  fatti 
infirmano  gravemente  i  risultati  di  un'opera  che  ha  la  pretesa  di  essere  po- 
sitiva. 


POLEMICHE  1^7 


un  ordinamento  feudale,  l'attività  scientifica  debba  essere  neces- 
sariamente spenta.  Confucio,  che  visse  in  un'epoca  nella  quale  la 
China  era  ordinata  feudalmente,  non  fu  certo  un  metafìsico  ;  e 
dall'altro  lato  la  scienza  del  trivio  e  del  quadrivio,  come  del  resto 
qualunque  altra  specie  di  cultura  che  non  sia  affatto  superficiale, 
è  ignota  agli  Afgani  ed  agli  Abissini  moderni. 

n  Comte  si  fonda  sull'esempio  del  Medio  Evo  europeo  :  quest'e- 
poca ebbe  senza  dubbio  i  suoi  grandi  scrittori  metafìsici,  come  ne 
ebbe  pure  la  classica  antichità  ;  però  il  voler  fare  del  pensiero  me- 
dioevale quasi  un  ponte  di  passaggio  fra  l'antichità  teologica  ed  il 
moderno  pensiero  scientifico  è  un  concetto  falso,  come  è  falsa  la 
credenza  che  il  feudalismo  sia  stato  la  forma  politica  organicamente 
intermedia  fra  gli  antichi  imperi  ieratici  e  lo  Stato  moderno. 

Ma  basta  leggere  gli  scrittori  medioevali,  s^jecialmente  quelli 
delle  epoche  che  si  allontanano  un  poco  dalla  caduta  dell'Impero 
d'occidente  e  non  sono  troppo  vicine  al  Rinascimento,  per  capire 
subito  quanto  il  pensiero  medioevale  fosse  assai  più  profondamente, 
assai  più  costituzionalmente  teologico  di  quello  antico.  Quegli  scrit- 
tori ed  i  loro  contemporanei  sono  immensamente  più  lontani,  più 
diversi  da  noi,  di  quanto  lo  siano  stati  i  contemporanei  di  Ari- 
stotile e  di  Cicerone.  E  l'ordinamento  feudale  si  formava  e  fioriva 
proprio  in  quei  secoli  nei  quali  la  paura  continua  delle  carestie  e 
della  peste,  le  frequenti  apparizioni  di  Enti  celesti  ed  infernali, 
turbavano,  imbecillivano  completamente  i  cervelli  umani;  quando 
il  terrore  del  demonio  era  lo  stato  permanente  di  quelle  povere 
anime,  in  cui,  per  mancanza  di  qualunque  cultura,  la  ragione  de- 
periva ed  il  maraviglioso,  il  soprannaturale  diventavano  un  ele- 
mento familiare  come  l'aria  respirabile  (1). 


(1)  Uno  dei  più  caratteristici  scrittori  del  periodo  che  abbiamo  accennato 
è  senza  dubbio  il  monaco  Raoul  Glaber,  che  scrisse  una  cronaca  che  va  fino 
quasi  alla  metà  del  secolo  undecimo  (Vedi  Émile  Gebiiaut,  L'état  d'anie  d'un 
moine  de  l'an  1000.  "  Revue  des  Deux  Mondes  „ ,  ottobre  1891).  Per  questo 
monaco  gli  antichi  scrittori  classici,  compreso  Virgilio,  apparivano  ai  loro 
lettori  sotto  forma  di  demoni.  La  fede  di  Glaber  e  cieca  ma  priva  di  carità,  ed 
in  essa  la  paura  dell'Ente  malefico,  del  demonio,  occupa  un  campo  forse  mag- 
giore dell'amore  e  del  culto  per  l'Ente  buono,  per  il  Dio  misericordioso  dei 
Cristiani.  Satana,  per  lui  sempre  presente,  partecipa  a  tutti  gli  avvenimenti 
umani,  non  ci  è  forse  individuo  che   non    l'abbia    veduto;    lo    stesso    Glaber, 


158  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


VII.  —  Resterebbe  a  dimostrare  come  il  terzo  rapporto  ne- 
cessario, che-  pone  il  Comte  fra  il  re<^ime  industriale  e  la  scienza 
positiva,  sia  anch'esso  fallace.  Ce  ne  dispensiamo,  perchè^  in  que- 
st'ultima parte,  i  concetti  dell'autore  del  sistema  di  politica  posi- 
tiva non  hanno  avuta  molta  eco,  essendo  essi  troppo  diversi  da 
quelli  che  finora  sono  più  in  voga  fra  i  nostri  contemporanei,  e 
non  offrendo  sufficiente  appiglio  a  giustificare,  con  una  parvenza 
di  metodo  scientifico,  passioni  ed  interessi  che  finora  hanno  molta 
forza.  Infatti  si  sa  che  l'industrialismo  secondo  il  Comte  è  un 
tipo  di  organizzazione  sociale  di  là  da  venire,  nel  quale  la  fun- 
zione direttiva  della  società  dovrebbe  essere  affidata  ad  un  sacer- 
dozio scientifico  positivista  e  ad  un  patriziato  bancario  ed  indu- 
striale, fra  i  quali  non   dovrebbe   essere   facile   ai   membri   della 


malgrado  la  sua  energia  e  lo  zelo  con  cui  adempiva  alla  regola  del  suo  or- 
dine, l'avea  visto  apparire  tre  o  quattro  volte. 

A  dir  vero  non  tutti  gli  scrittori  contemporanei,  o  quasi,  manifestano  lo 
stesso  turbamento  delle  facoltà  intellettuali,  ma  nessuno  ne  è  completamente 
immune. 

Il  normanno  Goffredo  Malaterra,  che  racconta  con  abbastanza  discernimento 
e  serenità  di  giudizio  la  conquista  che  il  Conte  Ruggiero  fece  della  Sicilia 
sui  Saraceni,  e  che  alle  volte  si  mostra  capace  di  osservare  i  fatti  umani 
spregiudicatamente,  venuto  alla  descrizione  della  battaglia  di  Cerami,  combat- 
tuta fra  il  detto  conte  e  gl'Infedeli,  attribuisce  la  vittoria  dei  Cristiani  all'in- 
tervento diretto  di  S.  Giorgio,  che  pugnò  in  persona  fra  le  file  dei  Normanni, 
ed  aggiunge  che,  a  prova  del  miracolo,  un  bianco  vessillo  con  una  croce  fu 
visto  sventolare  sull'asta  del  duce  cristiano. 

L'epidemia  demoniaca  aveva  anche  guadagnato  l'oriente  bizantino;  Cedreno 
e  la  cronaca  di  Costantino  Porfirogenito  raccontano  infatti  che  la  espugna- 
zione di  Siracusa,  per  parte  dei  Saraceni,  fu  conosciuta  nel  Peloponneso  assai 
prima  che  vi  arrivassero  i  fuggiaschi,  perchè  i  demoni,  di  notte  in  un  bosco 
conversando  fra  loro,  ne  propalarono  i  particolari. 

Il  Comte  per  giustificare  il  propizio  sistema  scrisse:  *  On  doit  enfin  noter, 
comme  caractérisant  le  véritable  esprit  du  catholicisme,  sa  réduction  generale 
de  la  vie  théologique  au  seul  domaine  strictement  nécessaire  „  (Opera  citata, 
voi.  III,  pag.  434}.  Egli  però  non  tenne  conto  che  questa  riduzione  del  sopran- 
naturale allo  stretto  indispensabile,  avviene  non  solo  col  cattolicismo  ma  con 
tutte  le  religioni  monoteiste,  quando  sono  professate  da  popoli  civili  che 
hanno  una  larga  cultura  scientifica,  come  sono  ad  esempio  gl'Inglesi  moderni. 
Non  accade  lo  stesso  quando  sono  professate  da  popoli  barbari  e  privi  di 
qualunque  cultura,  perchè  allora  può  restare  all'elemento  soprannaturale  un 
dominio  molto  maggiore  di  quello  che  esercita  presso  popoli  politeisti,  ma  di 
civiltà  più  progredita. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE  159 


classe  inferiore  di  penetrare.  Perchè  l'autore,  prevedendo  il  caso, 
non  dimenticò  di  scrivere  che  "  il  sacerdozio  disporrà  i  proletari 
a  disprezzare  qualunque  tendenza  ad  uscire  dalla  propria  classe, 
come  contraria  alla  dignità  dell'ufficio  popolare  e  funesta  alle 
giuste  aspirazioni  del  popolo,  che  sempre  è  stato  tradito  dai  suoi 
disertori ,,  (1).  Altra  idea  fondamentale  dell' A,  è  che  tutto  il  movi- 
mento intellettuale  e  politico  della  fine  del  secolo  decimottavo  e 
della  prima  metà  del  decimonono  sia  stato  un  movimento  rivolu- 
zionario, che  ha  avuto  per  risultato  l'anarchia  morale  e  politica 
proveniente  dalla  distruzione  del  regime  monoteista  feudale  al 
quale  nulla  si  è  saputo  sostituire.  Coerentemente  a  questo  modo 
di  vedere,  il  regime  parlamentare  è  severamente  condannato  dal 
Comte,  come  un  effetto  del  periodo  anarchico  nel  quale  siamo; 
la  stessa  funzione  rappresentativa,  per  la  quale  gl'inferiori  scel- 
gono i  superiori,  è  definita  da  quest'autore  come  una  operazione 
rivoluzionaria  (2). 

Piuttosto  ci  converrà  fermarci  sulla  seconda  teoria,  che  abbiamo 
già  accennato  ;  sulla  modificazione  cioè  che  lo  Spencer,  e  dopo  lui 
moltissimi  moderni  sociologhi,  hanno  apportato  alle  dottrine  del 
loro  maestro,  classificando  le  società  umane  in  due  tipi,  rappre- 
sentati dallo  Stato  militare  e  dallo  Stato  industriale  (3). 

Qualunque  classificazione  deve  essere  fondata  sopra  caratteri  di- 
stintivi netti  e  precisi  e  lo  Spencer  infatti  non  manca  di  avver- 
tirci che,  sebbene  "  durante  l'evoluzione  sociale  si  vedano  i  carat- 
teri dei  due  tipi  mescolarsi,  pure,  nella  teoria  come  nei  fatti  è 
possibile  di  seguire  con  tutta  la  chiarezza  desiderabile  i  caratteri 
opposti,  che  distinguono  ciascuna  delle  due  organizzazioni  nel  loro 
completo  sviluppo  „  (4).  Or,  trattandosi  di  un  autore  così  reputato, 
anzi  addirittura  cosi  celebre,  si  può  ammettere  che  egli  sia  il  mi- 
gliore giudice  dell'opera  propria;  ma  tuttavia  avremmo  desiderato 


(lì  Opera  citata,  libro  IV,  cap.  1°,  pag.  83. 

(2)  Opera  citata,  libro  IV,  cap.  5"  e  segnatamente  pagine  368,  382,  393,  394. 

(3)  Non  bisogna  dimenticare  che  per  alcuni  sociologhi,  per  esempio,  per  il 
Letourneau,  lo  Stato  industriale  rappresenta  anch'esso  un  periodo  eminente- 
mente transitorio,  che  dovrà  tramontare  quando  la  moralità  umana  avrà  fatto 
altri  passi  nel  senso  altruistico. 

(4)  Principes  de  sociologie,  traduttore  Cazelles,  voi.  Ili,  cap.  XVII,  pag.  756. 
Paris,  1883,  Germer-Baillière. 


160  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

una  chiarezza  e  certo  un?i  precisione  maggiore  in  quei  due  capi- 
toli dei  principii  di  sociologia  nei  quali  l'illustre  scrittore  tratta 
ex  professo  di  questo  argomento;  e  non  esitiamo  a  confessare  che, 
certo  per  colpa  nostra,  non  ci  siamo  formato  un  concetto  del  tutto 
determinato  delle  idee  che  egli  espone  in  proposito  (1). 

Il  criterio  fondamentale  della  classificazione  dello  Spencer,  quello 
che  non  solo  è  esposto  nei  due  capitoli  accennati,  ma  al  quale 
continuamente  si  allude  in  tutte  le  sue  opere  ed  in  quelle  dei  suoi 
numerosi  seguaci,  è  questo:  che  la  società  militare  è  fondata  sul 
regime  degli  statuti,  sulla  coercizione  che  i  governanti  esercitano 
sui  governati,  mentre  quella  industriale  è  basata  sul  contratto,  sul 
libero  consenso  di  coloro  che  ne  fanno  parte,  né  più  ne  meno  come 
una  società  letteraria,  industriale  e  commerciale,  la  quale  non  è 
possibile  senza  il  libero  assentimento  dei  soci.  Ora,  ci  perdonino 
tutti  coloro  che  hanno  abbracciato  questo  concetto,  ma  a  noi  sembra, 
e  non  possiamo  fare  a  meno  di  confessarlo,  che  esso  si  fondi  sopra 
presupposti  eminentemente  aprioristici  e  che  non  reggono  alla 
prova  dei  fatti.  Qualunque  organizzazione  politica  crediamo  in- 
vece che  sia  contemporaneamente  spontanea  e  coercitiva;  spon- 
tanea poiché  essa  proviene  dalla  natura  dell'uomo,  come  é  stato 
osservato  fin  da  Aristotile,  e  nello  stesso  tempo  coercitiva,  perchè 
é  un  fatto  necessario,  l'uomo  non  potendo  vivere  altrimenti.  E 
naturale  quindi,  ed  é  spontaneo,  e  nello  stesso  tempo  è  indispen- 
sabile, che,  dove  ci  sono  uomini,  ci  sia  una  società,  e  che,  dove 
vi  é  una  società,  ci  sia  anche  uno  Stato  ;  cioè  una  minoranza  diri- 
gente ed  una  maggioranza  che  da  essa  è  diretta. 

Si  potrebbe  obiettare  che  noi  spostiamo  la  quistione  in  modo 
artificiosamente  a  noi  vantaggioso,  e  che,  sebbene  l'esistenza  di 
un'organizzazione  sociale  sia  un  fatto  naturale  e  necessario  là 
dove  ci  sono  gruppi  o  moltitudini  umane,  piu^e  ci  possono  essere 
alcuni  Stati  i  cui  ordinamenti  riscuotono  l'assentimento,  o  almeno 
l'acquiescenza  completa,  della  gran  maggioranza  degli  individui 
che  ne  fanno  parte,  mentre  altri  questa  condizione  non  raggiun- 
gono. Non  neghiamo  che  la  cosa  sia  precisamente  cosi,  ma  non 
vediamo  però  perchè  i  primi  si  debbano  chiamare  Stati  industriali 


(1)  Per  qualcheduno  che  non  li  avesse  presenti  rammentiamo  che  si  tratta 
dei  capitoli  XVII  e  XVIII  del  volume  III  dei  Principii  di  Sociologia. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE 


161 


ed  i  secondi  Stati  militari.  Infatti  il  consenso  della  maggioranza 
di  un  popolo  in  una  data  forma  di  regime  politico,  dipende  unica- 
mente dal  fatto  che  questo  regime  è  fondato  sopra  credenze  reli- 
giose o  filosofiche  universalmente  accettate;  o,  per  parlare  il  lin- 
guaggio nostro,  dipende  dalla  diffusione  e  dall'ardore  della  fede, 
che  la  classe  governata  ha  nella  f  ormola  politica  con  la  quale  la 
classe  governante  giustifica  il  suo  potere.  Ora  questa  fede,  in  ge- 
nerale, è  certo  maggiore  in  quegli  Stati,  che  lo  Spencer  classifi- 
cherebbe fra  gli  Stati  militari  e  che  presentano  tutti  i  caratteri 
che  egli  ad  essi  suole  attribuire  ;  cioè  negli  Stati  dove  un  Governo 
assoluto  ed  arbitrario  si  fonda  sul  diritto  divino. 

Infatti  nelle  monarchie  orientali  spesso  si  congiura  contro  la 
persona  del  sovrano,  ma  fino  a  pochi  anni  fa  è  stata  rara  l'aspi- 
razione ad  una  forma  diversa  di  Governo;  e  fra  i  popoli  della 
moderna  Europa  noi  vediamo  che  i  Turchi  ed  i  Russi,  ad  eccezione 
di  una  piccola  minoranza  istruita,  sono  stati  quelli  fra  i  quali  il 
regime  che  esisteva  fino  a  pochi  anni  fa  era  più  in  armonia  col- 
l'ideale  politico  della  gran  maggioranza  della  nazione.  Del  resto 
in  tutti  i  paesi  barbari  la  popolazione  può  essere  malcontenta  del 
capo  0  dei  capi,  ma  ordinariamente  non  concepisce  e  non  desidera 
un  regime  politico  migliore. 

Senza  che  sia  mai  tassativamente  detto,  da  alcuni  esempi  citati 
dallo  Spencer  (1)  e  dal  capitolo  che  segue  i  due  già  rammentati, 
e  che  tratta  del  passato  e  dell'avvenire  delle  istituzioni  politiche, 
si  potrebbe  arguire  che  per  lui  gli  Stati  industriali  sono  quelli  nei 
quali  il  Governo  ha  una  base  rappresentativa,  o  nei  quali  vi  è 
almeno  la  tendenza  a  non  riconoscere  altra  autorità  legittima  se 
non  quella  che  emana  dai  popolari  comizi. 

Però  malgrado  gl'indizi  che  abbiamo  accennato,  non  possiamo 
ammettere  che  sia  precisamente  questo  il  concetto  del  chiarissimo 
autore.  Perchè  altrimenti  tutti  i  suoi  volumi  di  Sociologia  non  ser- 


(1)  Ricordiamo  quello  dei  Pueblos,  popoli  che  abitavano  al  nord  del  Mes- 
sico, classificati  come  appartenenti  al  tipo  industriale,  perchè  si  limitavano 
alle  guerre  difensive  ed  eleggevano  liberamente  i  loro  capi.  Opera  e  volume 
citati,  pag.  819.  Del  resto  a  pag.  810  è  detto  che:  "  l'autorità  che  è  necessaria 
nel  tipo  industriale  dovrebbe  essere  esercitata  da  un  organo  istituito  per  con- 
statare la  volontà  media.  Un  organo  rappresentativo  è  il  più  proprio  ad  adem- 
piere quest'ufficio  ,. 

tì.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  11 


162  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

virebbero  che  a  rinforzare  quella  corrente  d'idee  già  tanto  diffusa,' 
che  comunemente  appellasi  radicale,  e  che  dallo  stesso  Spencer  e 
da  molti  dei  suoi  seguaci  è  stata  più  o  meno  direttamente  com- 
battuta. Inoltre  egli  non  può  ignorare  quanto  il  sistema  elettivo 
sia  stato  diffuso  nelle  repubbliche  dell'antica  Grecia,  a  Roma  e 
persino  fra  gli  antichi  Germani,  che  tumultuariamente  sceglievano 
i  loro  capi  innalzandoli  sugli  scudi,  e  tutti  questi  i^opoli,  stando 
ai  suoi  criteri,  andrebbero  classificati  fra  quelli  che  avevano  un 
tipo  accentuatamente  militare.  Né  infine  si  può  ammettere  che  alla 
sua  alta  mente  siano  sfuggite  totalmente  le  considerazioni  già  più 
o  meno  accennate  in  altri  libri  e  da  altri  autori,  e  che  noi  abbiamo 
sommariamente  svolte  nel  principio  di  questo  capitolo.  Or  dalle 
considerazioni  ricordate  risulta  che  la  partecipazione  del  popolo 
ai  comizi  elettorali  non  significa  che  esso  diriga  il  Governo  e  che 
la  classe  dei  governati  scelga  quella  dei  governanti,  ma  piuttosto 
che  la  funzione  elettorale,  quando  si  svolge  in  buone  condizioni 
sociali,  equivale  ad  un  mezzo  col  quale  alcune  forze  politiche  con- 
trollano e  limitano  l'azione  delle  altre. 

Vni.  —  Lo  Spencer  stabilisce  altri  caratteri  distintivi  fra  i 
due  tipi  militare  ed  industriale,  che  ci  sembrano  ugualmente  vaghi 
ed  indeterminati.  Scrive  egli,  ad  esempio,  che  colla  decrescenza 
del  militarismo  e  l'accrescimento  relativo  dell'industrialismo,  si 
va  da  un  ordinamento  sociale  nel  quale  gl'individui  esistono  a 
profitto  dello  Stato  ad  un  altro  ordinamento  nel  quale  lo  Stato 
esiste  a  profitto  degl'individui  (1).  Distinzione  sottile,  che  ci  ram- 
menta quella  che  si  farebbe  qualora  si  disputasse  se  nell'uomo  il 
cervello  esista  a  profitto  del  resto  del  corpo  o  il  resto  del  corpo 
esista  a  vantaggio  del  cervello.  Altrove  asserisce  che  l'azione  dello 
Stato  militare  è  regolatrice  positiva,  nel  senso  che  impone  una 
quantità  di  atti  da  compire,  mentre  quella  dello  Stato  industriale 
è  regolatrice  negativa  (2),  limitandosi  essa  a  prescrivere  gli  atti 
che  non  si  possono  commettere  ;  non  avendo  presente  che  non  esiste 
organizzazione  sociale  nella  quale  l'azione  dirigente  non  sia  nello 
stesso  tempo  positiva  e  negativa,  e  che,  siccome  l'attività  umana 


(1)  Opera  e  volumi  citati,  cap.  XVIII. 

(2)  Idem.,  pag.  814. 


CAP.  VI    -   POLEMICHE  163 


è  limitata,  moltiplicando  la  regolamentazione  negativa,  si  ottiene, 
riguardo  all'inceppamento  dell'iniziativa  individuale,  quasi  lo  stesso 
risultato  di  quello  che  produce  una  soverchia  regolamentazione 
positiva. 

Alcuni  caratteri  poi  dello  Stato  militare  che  lo  Spencer  enumera 
si  riferiscono  alle  società  soverchiamente  burocratizzate,  come  sa- 
rebbero quelle  che  l'autore  ritrova  nell'antico  Perù,  dove  gli  uffi- 
ciali pubblici  dirigevano  le  colture  e  distribuivano  l'acqua  (proba- 
bilmente a  scopo  d'irrigazione  oppure  in  paesi  ed  in  tempi  di 
estrema  siccità)  ;  mentre  altri  al  contrario  si  riscontrano  nei  popoli, 
dove  l'autorità  sociale  è  ancora,  od  è  stata  recentemente,  debole, 
e  che  si  trovano  in  quel  periodo  di  organizzazione  rozza  e  primi- 
tiva, che  noi  abbiamo  definito  l'ordinamento  feudale  o  ne  sono 
usciti  da  poco.  Fra  quest'ultimi  va  messa  l'usanza  della  vendetta 
privata,  che  il  chiarissimo  autore,  il  quale  crede  opportuno  citare 
in  proposito  l'autorità  di  Brantóme,  trova  ancora  diffusa  in  Francia 
alla  fine  del  Medio  Evo  perfino  fra  gli  ecclesiastici. 

Inoltre,  dove  vige  quest'usanza,  e  quindi  presso  tutti  i  popoli 
barbari,  o  la  cui  organizzazione  sociale  è  molto  indebolita,  è  na- 
turale che  il  valore  personale  sia  qualità  molto  pregiata  e  cosi  va 
spiegata  quest'altra  caratteristica  che  lo  Spencer  attribuisce  alle 
società  militari.  Aggiungiamo  che  lo  stesso  accade  in  quelle  società 
che,  per  svariate  ragioni,  hanno  dovuto  sostenere  molte  guen^e 
offensive  e  difensive,  e  che  è  naturale  che  la  bravura  sia  l'unico 
attributo  che  conferisce  prestigio  ed  influenza,  là  dove  la  rozzezza 
non  permette  alle  attitudini  scientifiche,  od  a  quelle  che  mirano  a 
produrre  la  ricchezza,  di  svilupparsi. 

Finalmente  non  possiamo  tacere  che  la  tendenza,  che  lo  Spencer 
attribuisce  alle  società  militari,  di  vivere  delle  proprie  risorse  eco- 
nomiche ricorrendo  il  meno  possibile  agli  scambi  internazionali,  è 
più  che  altro  una  conseguenza  della  rozzezza  e  dell'isolamento  di 
molti  popoli  e,  presso  altri  già  più  civili,  dei  pregiudizi  delle  masse 
sfruttati  dagli  interessi  dei  pochi,  che  sanno  raggiungere  il  loro 
tornaconto  a  danno  dei  molti.  E  molto  probabile  infatti  che  ben 
poco  abbiano  profittato  degli  scambi  cogli  altri  popoli  quelle  tribù 
che  lo  Spencer  cita  cosi  spesso  come  tipi  di  società  industriali  pri- 
mitive; ed  al  giorno  d'oggi  le  correnti  protezioniste  pur  troppo 
non  si  sono  fatte  sentire  meno  forti  nell'industriale  America  del 
Nord  che  nella  militare  Germania.  Né  vuoisi  per  ultimo  dimenticare 


164  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

che  mal  si  apporrebbero  coloro  i  quali  volessero  distinguere  le  so- 
cietà industriali  dal  grado  di  svilupjjo  economico  che  hanno  rag- 
giunto, o  quelle  militari  dall'energia  e  dalla  prevalenza  guerresca 
che  hanno  saputo  ottenere.  Giacché  lo  stesso  Spencer  direttamente 
od  indirettamente  ci  avverte  che  questo  criterio,  forse  superficiale 
ma  certo  molto  semplice  e  facilmente  percepibile,  è  da  scartare. 
Difatti,  riguardo  alla  prima  ipotesi,  l'egregio  l'autore  non  manca 
di  far  rilevare  che  "  non  bisogna  confondere  una  società  industriale 
con  una  società  industriosa  „  e  che  "  le  relazioni  sociali  che  carat- 
terizzano il  tipo  industriale  possono  coesistere  con  un'attività  pro- 
duttrice molto  limitata  „  (1)  ;  e  riguardo  alla  seconda  lo  Spencer 
non  vorrà  ammettere  che  la  Repubblica  romana  abbia  avuto  una 
organizzazione  più  militare  e  meno  industriale,  nel  senso  che  egli 
dà  a  quest'espressione,  degli  Imperi  Orientali  che  furono  da  essa 
conquistati,  o  che  i  conquistatori  inglesi  siano  stati  meno  inoltrati 
nel  tipo  industriale  dei  conquistati  indiani. 

Malgrado  queste  e  malgrado  altre  obiezioni,  che  si  potrebbero 
muovere  alla  classificazione  dello  Spencer,  non  possiamo  però  ne- 
gare, che,  diremo  cosi,  nascosta  ed  ottenebrata  da  un  equivoco, 
con  essa  una  grande  verità  non  sia  stata  intravista.  E  certo  che, 
oltre  ai  criteri  di  classificazione  che  abbiamo  già  accennato  e  che 
ci  siamo  sforzati  di  confutare,  molti  altri  se  ne  possono  desumere 
da  tutte  le  affermazioni  sue,  dall'insieme  delle  sue  opere  e  sopra- 
tutto dallo  spirito  che  le  anima.  Dal  complesso  di  quanto  questo 
autore  ha  scritto  non  si  può  infatti  fare  a  meno  di  ricavare  che 
egli  per  Stato  militare  intende  quello  in  cui  la  difesa  giuridica  è 
meno  progredita,  e  per  Stato  industriale  un  altro  tipo  di  società, 
in  cui  la  giustizia  e  la  morale  sociale  sono  maggiormente  tutelate. 
L'equivoco,  di  cui  teste  abbiamo  parlato  e  che  ha  impedito  allo 
Spencer  di  procedere  oltre  nello  scoprire  una  grande  verità  scien- 
tifica, consiste  in  ciò:  che  egli,  preoccupato  dal  fatto  che  la  vio- 
lenza materiale  è  stata  ed  è  uno  dei  maggiori  ostacoli  al  progre- 
dire della  difesa  giuridica,  ha  creduto  nello  stesso  tempo  che  la 
guerra  e  la  necessità  di  un'organizzazione  militare  sia  di  ogni  vio- 
lenza l'origine. 

Cosi  concependo  il  problema,  si  è  confusa  la  causa  con  uno  dei 


(1)  Opera  e  volume  citati,  cap.  XVIII,  pag.  804. 


CAP.  VI    -    POLEMICHE  165 


suoi  effetti.  Si  è  creduto  ch.e  la  guerra  sia  l'esclusiva  origine  della 
tendenza,  che  ha  la  natura  umana  a  prepotere  sui  propri  simili, 
mentre  non  è  che  una  delle  sue  tante  manifestazioni.  Ora  questa 
tendenza,  che,  nei  rapporti  esterni  fra  popolo  e  popolo,  non  può 
essere  frenata  che  dalla  prevalenza  sempre  maggiore  degli  inte- 
ressi materiali  ben  intesi  (1),  nei  rapporti  interni  fra  gl'individui 
dello  stesso  popolo,  abbiamo  già  visto  che  viene,  fino  ad  un  certo 
punto,  neutralizzata  solo  dalla  moltiplicità  delle  forze  politiche 
che  in  una  società  si  possono  affermare  e  dal  controllo  che  le  une 
sulle  altre  possono  esercitare. 

Su  quanto  abbiamo  scritto  già  sopra  quest'importante  argomento 
nulla  abbiamo  da  togliere,  ma  certo  molto  ci  resta  da  aggiungere. 
E  infatti  nostro  compito  l'esaminare  come  mai  fra  le  classi  diri- 
genti, fra  le  forze  politiche,  quella  frazione  che  rappresenta  ap- 
punto la  forza  materiale,  che  tiene  in  mano  le  armi,  non  rompa 
l'equilibrio  giuridico  a  suo  vantaggio  e  non  s'imponga  sistematica- 
mente alle  altre.  Certo  la  possibilità  che  questo  fatto  avvenga  è 
un  pericolo  continuo,  al  quale  tutte  le  società  sono  esposte  e  che 
suole  minacciare  specialmente  quelle  che  si  trovano  in  un  periodo 
di  rapido  rinnovamento  di  forze  e  di  formole  politiche.  Senonchè 
l'esame  dei  rapporti  fra  gli  ordinamenti  militari  e  la  difesa  giu- 
ridica, la  ricerca  dei  metodi  migliori  affinchè  il  detto  pericolo  sia 
scongiurato,  è  tema  cosi  arduo  che  a  trattarlo  consacreremo  un 
apposito  capitolo  del  nostro  lavoro. 

Per  ora  solo  dobbiamo  far  rilevare  che  le  idee  dello  Spencer  su 
questo  argomento,  delle  quali  abbiamo  cercato  di  porre  in  luce  i 
lati  deboli  per  quel  che  riguarda  la  generalità  sistematica,  non 
sono  neppure  tali  da  potersi  approvare  rispetto  a  quelle  applica- 
zioni pratiche,  che,  più  o  meno  direttamente,  l'autore  suggerisce. 
Egli  infatti  fra  gli  ordinamenti  militari  mostra  di  prediligere 
quelli  nei  quali  ''  il  soldato,  volontariamente  arruolato  a  certe  con- 
dizioni determinate,  partecipa  in  qualche  maniera  delle  condizioni 
di  un  libero  operaio  „  e  crede  che  un  tale  ordinamento  convenga 
ad  una  società  ''  in  cui  il  tipo  industriale  si  è  già  affermato  „  (2). 


(1)  Naturalmente  questo  freno  agisce  soltanto  fra  popoli  economicamente  e 
scientificamente  molto  progrediti,  perchè  allora  soltanto  la  guerra  danneggia 
infallibilmente,  sebbene  in  vario  grado,  il  vinto  ed  il  vincitore. 

(2)  Opera  citata,  voi.  Ili,  cap.  XVIII,  pag.  803. 


166  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

In  altri  termini  ciò  significa  che  quella  frazione  della  società,  che 
ha  più  gasto  per  il  mestiere  delle  armi,  dovrebbe  assumere  volon- 
tariamente, mediante  compenso,  che,  per  questo  come  per  gli  altri 
mestieri  sarebbe  determinato  dalle  condizioni  del  mercato,  l'inca- 
rico della  difesa  militare  si  interna  che  estema.  Ora  pare  a  noi, 
e  molto  prima  di  noi  era  parso  a  Machiavelli  ed  a  tanti  altri 
scrittori,  che  a  meno  di  circostanze  speciali  ed  eccezionali,  sia 
appunto  questo  il  sistema,  che,  nei  popoli  di  cultura  avanzata, 
dà  peggiori  risultati  ;  che  più  facilmente  sviluppa  nella  classe  mi- 
litare la  tendenza  ad  opprimere  le  altre  e  toglie  a  queste  la  pos- 
sibilità di  ogni  rimedio  efficace  e  di  ogni  riparo. 


CAPITOLO  VII. 
Chiese,  partiti  e  sette. 


I.  Istinto  della  lotta  fra  le  collettività  umane.  —  II.  Altri  coefficienti  delle  gare 
religiose  e  politiche.  —  III.  Qualità  dei  fondatori  di  nuove  religioni  e  dottrine 
politiche.  —  IV.  Nuclei  dirigenti  di  ogni  nuova  religione  o  dottrina  politica.  — 
V.  Condizioni  transitorie  per  l'adattabiUtà  delle  dottrine  religiose  e  politiche  ai 
vari  momenti  storici.  —  VI.  Condizioni  permanenti  per  la  loro  adattabilità  alla 
natura  umana.  —  VII.  Transazioni  pratiche  di  certe  dottrine.  —  Vili.  Orga- 
nizzazione stabile  dei  nuclei  dirigenti.  —  IX.  Contemperanza  dei  sentimenti 
generosi  e  degli  interessi  materiali.  —  X.  Sistemi  per  attirare  e  dominare  le 
masse.  —  Efficacia  della  forza  materiale.  —  XI.  Altre  arti  adoperate  allo  stesso 
scopo.  —  XII.  Conclusione  del  capitolo. 

I.  —  Narra  Buffon  che,  racchiudendo  un  certo  numero  di  daini 
in  un  parco,  avviene  immancabilmente  che  dividonsi  in  due  truppe 
sempre  in  guerra  fra  loro.  Pare  che  un  istinto  molto  simile  a 
questo  faccia  sentire  la  sua  influenza  sugli  uomini.  Essi  hanno 
infatti  la  naturale  inclinazione  alla  lotta,  ma  questa  solo  spora- 
dicamente assume  il  carattere  individuale,  di  un  solo  cioè  in  guerra 
contro  un  solo;  perchè,  anche  lottando,  l'uomo  resta  un  animale 
eminentemente  sociale.  Vediamo  perciò  abitualmente  gli  uomini 
formarsi  in  nuclei,  fra  i  quali  vi  sono  capi  e  gregari;  e  gl'indi- 
vidui, che  ogni  nucleo  compongono,  sono  fra  di  loro  specialmente 
affratellati  e  concordi  e  sfogano  gli  istinti  pugnaci  contro  coloro 
che  fanno  parte  degli  altri  nuclei. 

Questo  istinto  di  attrupparsi  e  di  combattere  contro  gli  altri  at- 
truppamenti è  la  prima  base  ed  il  fondamento  più  primitivo  tanto 
delle  lotte  esterne,  che  accadono  fra  società  diverse,  che  delle  fa- 
zioni, delle  sette,  dei  partiti,  ed  in  certo  modo  anche  dello  vario 


168  ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 

chiese  e  di  tutte  le  divisioni  e  suddivisioni  che  sorgono  in  seno 
ad  una  stessa  società  e  vi  occasionano  lotte  morali  e  qualche  volta 
materiali.  Esso,  nelle  società  molto  piccole  e  primitive,  nelle  quali 
vi  è  molta  unità  morale  ed  intellettuale  ed  ogni  individuo  ha  gli 
stessi  costumi,  le  stesse  credenze  e  le  stesse  superstizioni,  può  ba- 
stare da  solo  a  mantenere  le  abitudini  discordi  e  bellicose.  Gli 
Arabi  e  i  Kabili  della  Barberia,  ad  esempio,  hanno  tutti  le  stesse 
credenze  religiose,  lo  stesso  grado  e  lo  stesso  tipo  di  cultura  in- 
tellettuale e  morale,  eppure,  quando  non  combattevano  contro  Fin- 
fedele  in  Algeria  ed  a  Tunisi,  contro  i  Turchi  a  Tripoli,  e  contro 
il  Sultano  nel  Marocco,  erano  sempre  in  lotta  fra  loro  (1).  Ogni 
confederazione  di  tribù  era  in  rivalità  od  in  lotta  aperta  contro  la 
confederazione  vicina;  nel  seno  della  stessa  confederazione  vi  erano 
discordie  e  spesso  si  faceva  parlare  la  polvere  fra  le  tribù  che  la 
componevano;  dentro  la  tribù  vi  erano  inimicizie  fra  i  vari  douars, 
e  spesso  il  donar  era  diviso  dalle  contese  fra  le  singole  famiglie. 
Altre  volte,  quando  gli  ambienti  sociali  sono  piccoli,  anche  tra 
minuscole  frazioni  di  popoli  abbastanza  civili  le  lotte  interne  possono 
nascere  senza  che  siano  giustificate  da  differenze  morali  ed  intel- 
lettuali delle  parti  nemiche,  o,  se  pure  queste  differenze  si  accam- 
pano, non  sono  che  un  puro  pretesto.  Cosi  i  nomi  di  Guelfi  e  Ghi- 
bellini fornirono  piuttosto  la  giustificazione  e  l'occasione  anziché  la 
causa  alle  lotte  intestine  dei  nostri  Comuni  medioevali;  e  lo  stesso 
si  può  dire  generalmente  dei  nomi  di  liberale,  clericale,  radicale  e 
socialista,  che  assumono  oggi  le  fazioni,  che  si  contendono  il  potere 
amministrativo  nei  piccoli  Comuni  dell'Italia  meridionale.  In  mo- 
menti poi  di  eccezionale  apatia  intellettuale,  pretesti,  anche  frivo- 
lissimi, possono  dare  occasione  a  lotte  abbastanza  importanti  in 
seno  a  società  molto  grandi  e  progredite.  A  Bisanzio,  ad  esempio, 
durante  e  dopo  l'impero  di  Giustiniano,  i  due  partiti  dei  Verdi  e 
dei  Turchini  o  dei  Prasini  e  dei  Veneti,  che  spesso  insanguinarono 
con  lotte  molto  cruenti  le  vie  della  città,  ebbero  origine  dal  par- 
teggiare che  facevano  gli  spettatori  del  circo  per   i  cocchieri  di 


(1)  Naturalmente  nell'Algeria  e  nella  Tunisia  il  consolidarsi  della  dominazione 
francese  ha  fatto  quasi  scomparire  non  solo  le  rivolte  contro  i  dominatori 
stranieri,  ma  anche  le  lotte  intestine  fra  le  varie  tribù  e  lo  stesso  è  avvenuto 
0  avverrà  prima  in  Tripolitania  e  Cirenaica  e  poi  nel  Marocco. 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PABTITI   E    SETTE  169 

differente  colore  (1).  Un  pallido  ricordo  di  queste  lotte  si  ebbe, 
prima  del  1848,  in  qualche  città  italiana,  dove  una  parte  della 
gioventù  si  accalorava  per  la  preminenza  di  qualche  prima  donna 
o  prima  ballerina. 

IL  —  Prima  di  procedere  oltre  apriamo  una  brevissima  pa- 
rentesi e  facciamo  osservare  che,  tanto  nelle  società  piccole  che 
nelle  grandi,  quando  il  bisogno  di  lottare  trova  il  suo  sfogo  nelle 
gare  e  nelle  guerre  esteriori,  esso  è  in  certo  modo  appagato  ed  è 
men  facile  che  si  esplichi  nelle  discordie  e  nei  certami  civili  od 
interni.  Ciò  premesso,  diremo  come,  guardando  attentamente  alla 
natura  dei  partiti,  delle  sette,  delle  fazioni  politiche,  filosofiche  e 
religiose,  che  si  manifestano  in  generale  in  seno  ai  popoli  civili, 
facilmente  ci  possiamo  accorgere  che  in  esse  all'istinto  pugnace 
di  attrupparsi  e  combattere,  che  è  il  più  primitivo  e,  se  ci  fosse 
lecita  la  parola,  diremmo  il  più  animalesco,  si  mescolano  altri 
coefficienti  intellettuali  e  psicologici  più  complessi  e  più  umani. 
Nelle  società  grandi  e  civili  tenute  insieme,  oltre  che  dalla  affinità 
morale  ed  intellettuale  anche  da  una  forte  e  complicata  organiz- 
zazione politica,  vi  è  la  possibilità  di  una  libertà  speculativa  ed 
affettiva  molto  maggiore  che  in  quelle  piccole  e  rozze.  Perciò 
in  un  gran  popolo  le  lotte  politiche  e  religiose  sono  anche  deter- 
minate dalla  moltiplicità  delle  correnti  d'idee,  di  credenze  e  di 
affetti,  che  riescono  ad  affermarsi;  dalla  formazione  di  crogiuoli 
intellettuali  e  morali  diversi,  entro  i  quali  le  convinzioni  ed  i  sen- 
timenti dei  singoli  individui  sono  variamente  elaborati. 

Cosi  noi  vediamo  il  Buddismo  svilupparsi  in  seno  alla  società 
bramanica,  il  Profetismo  e  posteriormente  le  varie  scuole  dei  Sa- 
ducei  e  degli  Esseni  e  la  setta  degli  Zelanti  tenere  agitata  la  vita 
d'Israele,  lo  Stoicismo,  il  Manicheismo,  il  Cristianesimo  ed  il  culto 
mitriaco  contendersi  la  supremazia  del  mondo  romano-ellenico,  il 
Mazdeismo  (2)  propagarsi  nella  Persia  dei  Sassanidi,  il  Maomet- 


(1)  A  dir  vero  si  appoggiarono  poi  a  questi  partiti  e  li  protessero  a  vicenda 
le  varie  correnti  che  prevalevano  in  Corte,  sicchb  essi  acquistarono  una  certa 
importanza  politica,  sebbene  non  abbiano  mai  perduto  il  carattere  di  fazioni 
personali. 

(2)  ModiGcaziono  del  Manicheismo  con  spiccata  tendenza  verso  il  comunismo 
dei  beni  e  delle  donne. 


170  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

tismo  nascere  in  Arabia  e  diffondersi  rapidamente  in  Asia,  Africa 
ed  Europa.  Fenomeni  perfettamente  analoghi,  sebbene  adattati  al- 
l'indole più  razionalista  della  moderna  civiltà  europea,  sono  il  libe- 
ralismo ed  il  radicalismo  del  secolo  decimonono,  e  meglio  ancora  la 
democrazia  sociale,  che,  nata  quasi  contemporaneamente  al  libe- 
ralismo, ha  mantenuto  più  a  lungo  la  sua  forza  di  propaganda  e 
come  è  stata  uno  dei  fattori  storici  più  importanti  della  fine  del 
secolo  decimonono,  continuerà  ad  esserlo  nei  i)rimi  decenni  del 
ventesimo.  Accanto  a  queste  che  abbiamo  nominato,  nella  storia 
dei  popoli  civili  sarebbe  facile  rintracciare  moltissime  altre  correnti 
minori,  le  quali,  con  più  o  meno  fortunata  diffusione,  hanno  tutte 
raggiunto  una  certa  importanza,  ed  hanno  tutte  contribuito  a  dar 
pascolo  agli  istinti  della  disputa,  della  lotta,  del  sacrificio  e  della 
persecuzione,  che  sono  così  radicati  nei  cuori  degli  uomini. 

Il  modo  come  nascono  tutte  queste  dottrine  o  correnti  di  idee, 
di  sentimenti,  di  convinzioni,  ha  sempre  qualche  cosa  di  costante, 
che  dà  all'esordio  di  ognuna  di  esse  alcuni  caratteri  comuni.  L'uomo, 
essere  debole  assai  davanti  le  sue  passioni  ed  anche  davanti  quelle 
degli  altri,  egoista  spesso  più  che  necessità  il  comporti,  ordina- 
riamente vano,  invidioso,  meschino,  conserva  nella  quasi  totalità 
degli  individui  due  grandi  aspirazioni,  due  sentimenti  che  lo  no- 
bilitano, lo  elevano,  lo  purificano  :  cerca  la  verità,  ama  la  giustizia  ; 
e  qualche  volta  è  capace  di  sacrificare  a  questi  due  sentimenti 
anche  una  parte  più  o  meno  grande  dell'appagamento  delle  sue 
passioni  e  dei  suoi  interessi  materiali.  L'uomo  civile,  essere  assai 
più  complesso  e  delicato  del  selvaggio  e  del  barbaro,  può,  in 
qualche  caso,  elevarsi  fino  ad  una  concezione  assai  raffinata  dei 
sentimenti  accennati. 

In  certi  momenti  storici,  in  una  data  società  un  individuo  può 
sorgere,  che  acquisti  la  convinzione  che  egli  ha  qualche  cosa  di 
nuovo  a  dire  riguardo  alla  ricerca  della  verità,  una  dottrina  più 
elevata  da  insegnare  per  la  migliore  attuazione  della  giustizia  ; 
quest'individuo  è  il  piccolo  seme,  che  può,  date  alcune  doti  di  ca- 
rattere, il  favore  dell'ambiente  e  molteplici  circostanze  acciden- 
tali, produrre  la  pianta  che  stenderà  i  suoi  rami  in  gran  parte  del 
mondo. 

III.  —  La  storia  non  sempre  ci  ha  conservato  i  particolari  bio- 
grafici di  questi  fondatori  di  religioni  e  di  scuole  politico-sociali, 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  171 

che  in  fondo  sono  piu'  esse  quasi  religioni  spoglie  dell'elemento 
teologico.  Di  alcuni  però  sappiamo  abbastanza;  e  ad  esempio  Mao- 
metto, Lutero,  Calvino  e  sopratutto  Rousseau,  possono  essere  con 
una  relativa  facilità  analizzati. 

La  qualità  fondamentale,  che  tutti  debbono  avere,  è  una  pro- 
fonda convinzione  della  propria  importanza  o  meglio  dell'efficacia 
dell'opera  loro.  Se  credono  in  Dio  si  stimeranno  sempre  destinati 
dall'Onnipotente  a  riformare  la  religione  e  la  umanità  intiera.  In- 
discutibilmente poi  non  è  in  essi  che  si  potrà  ricercare  il  perfetto 
equilibrio  di  tutte  le  facoltà  intellettuali  e  morali,  ma  neppure 
possono  essere  considerati  come  pazzi;  giacché  la  follia  è  un  male 
che  presuppone  nell'individuo  che  ne  è  colpito  uno  stato  anteriore 
e  normale  di  sanità.  Vanno  piuttosto  classificati  fra  coloro  che  ordi- 
nariamente sono  chiamati  originali  o  esaltati  ;  nel  senso  che  attri- 
buiscono a  certi  lati  della  vita  o  dell'attività  umana  una  impor- 
tanza esagerata,  e  che  tutto  il  loro  essere,  tutto  lo  sforzo  di  cui  sono 
capaci,  giuocano  sopra  una  carta,  cercando  di  raggiungere  l'ideale 
della  loro  esistenza  per  una  via  inusitata  che  dai  più  sarebbe 
ritenuta  assurda.  Ma  evidentemente  chi  ha  il  perfetto  equilibrio 
di  tutte  le  sue  facoltà,  chi  fa  il  conto  esatto  dei  risultati  da  rag- 
giungere di  fronte  agli  sforzi  ed  ai  sacrifìci  che  sono  necessari  per 
ottenerli,  chi  giudica  modestamente  e  sensatamente  dell'importanza 
del  proprio  individuo  e  dell'efficacia  reale  e  duratura  che  la  sua 
azione,  dato  il  corso  ordinario  degli  eventi  umani,  può  esercitare 
nel  mondo,  chi  calcola  esattamente  e  freddamente  le  probabilità 
prò  e  contro  la  riuscita,  non  intraprenderà  mai  un'iziativa  originale 
e  ardita  e  non  farà  mai  grandi  cose.  Se  tutti  gli  uomini  fossero 
normali  ed  equilibrati,  la  storia  del  mondo  sarebbe  molto  diversa, 
e,  conviene  anche  confessarlo,  sarebbe  molto  monotona. 

Qualità  fondamentale  del  capo  partito,  del  fondatore  d'una  setta 
0  di  una  religione  ed  in  generale,  si  può  dire,  di  qualunque  pastore 
di  popoli,  che  voglia  far  sentire  la  propria  personalità  ed  indiriz- 
zare una  società  secondo  le  sue  vedute,  è  il  sapere  infondere  in 
altri  le  proprie  convinzioni  e  sopratutto  i  propri  sentimenti,  il  riu- 
scire a  far  si  che  molti  vivano  della  sua  vita  intellettuale  e  morale 
e  compiano  dei  sacrifici  per  gli  ideali,  che  egli  ha  concepito. 

Questa  facoltà  comunicatrice  dei  sentimenti  e  delle  passioni 
proprie  non  è  comune  a  tutti  i  riformatori  ;  quelli  che  ne  man- 
cano, anche  che  abbiano  una  forte  originalità   di   pensiero   e   di 


172  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

sentimento,  riescono  inefficaci  nella  vita  pratica  e  spesso  finiscono 
coll'entrare  nella  categoria  dei  novatori  senza  seguito,  dei  geni 
incompresi,  i  quali  difficilmente  possono  evitare  il  ridicolo. 

Al  contrario  coloro  che  la  posseggono  non  solo  sanno  inspirare 
agli  apostoli  ed  alle  turbe  i  loro  entusiasmi  e  persino  suscitarne 
il  delirio,  ma  finiscono  anche  col  far  nascere  una  specie  di  vene- 
razione per  la  loro  persona  e  col  diventare  l'oggetto  di  un  vero 
culto,  per  il  quale  ogni  loro  minimo  atto  acquista  importanza, 
ogni  loro  parola  è  senza  discussione  creduta,  ogni  loro  cenno  cie- 
camente obbedito.  Attorno  ad  essi  si  forma  un  ambiente  di  esal- 
tazione, che  è  sommamente  contagioso  e  che  è  padre  di  atti  arditi 
e  sacrifici,  che  certamente  non  sarebbero  possibili  se  gli  uomini 
che  ne  sono  gli  autori  fossero  nel  loro  stato  normale. 

E  cosi  che  si  spiega  il  successo  enorme  di  certe  predicazioni  ed 
insegnamenti  e  la  fortuna  straordinaria  che,  ad  esempio,  ebbero 
nel  Medio  Evo  due  tipi,  così  diversi  in  tante  altre  cose  ma  cosi 
simili  nell'arte  di  interessare  gli  uomini,  come  furono  San  Fran- 
cesco d'Assisi  ed  Abelardo.  Cosi  si  spiega  come  Maometto  fosse 
tenuto  in  tale  venerazione  dai  suoi  discepoli  ed  adepti,  che  con- 
servavano quali  reliquie  i  peli  della  sua  barba  e  (bisogna  far  la 
parte  alla  rozzezza  dei  tempi)  raccoglievano  con  venerazione  i 
suoi  sputi,  e  come  bastasse  una  sua  insinuazione  perchè  i  suoi  più 
pericolosi  avversari  fossero  assassinati  (1).  E  cosi  si  spiega  pm"e 
come,  ad  un  cenno  di  Mazzini,  non  siano  mancate  quasi  mai  per- 
sone disposte  ad  assumere  le  imprese  più  arrischiate  e  perigliose, 
e  come  in  tutti  i  tentativi  di  comunismo  pratico,  che  si  sono  fatti 
nel  secolo  decimonono  da  Owen  e  da  Fourier  fino  a  David  Laz- 
zaretti, siansi  trovate  sempre  un  certo  numero  di  persone  disposte 
a  sacrificare  la  loro  sostanza. 

Quando  qualcheduno  di  questi  fondatori  o  capi  di  scuole  poli- 
tiche o  religiose  è  anche  uomo  di  guerra,  come  fu  Giovanni  Ziska, 


(1)  Solea  dire,  presente  qualche  giovanotto  dei  piìi  esaltati  e  parlando  di 
qualcuno,  che  era  di  forte  ostacolo  ai  suoi  disegni  :  non  vi  è  alcuno  che  mi 
sappia  liberare  da  questo  cane!  Il  discepolo  correva  a  perpetrare  un  omicidio, 
che  poi  Maometto  naturalmente  disapprovava  affermando  di  non  averlo  ordi- 
nato. Quanti  capi  di  sette  e  di  partiti  politici  hanno  imitato  ed  imitano,  con- 
sciamente od  inconsciamente,  Maometto  ! 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PABTITI    E    SETTE  173 

riesce  ad  infondere  nei  suoi  seguaci  una  sicurezza  di  vincere  e 
quindi  un  coraggio  poco  comuni. 

Non  si  deve  poi  cercare  in  tutti  i  caratteri  originali,  che  si  fanno 
iniziatori  di  un  movimento  d'idee  e  di  sentimenti,  un  senso  morale 
assolutamente  -squisito  che  presieda  uniformemente  a  tutti  gli  atti 
della  loro  vita,  perchè  non  sempre  lo  si  troverebbe.  Preoccupati 
quasi  esclusivamente  di  raggiungere  il  loro  ideale,  per  il  conse- 
guimento di  questo  scopo  sono  quasi  sempre  pronti  a  soffrire  essi 
ed  a  far  soffrire  anche  gli  altri.  Generalmente  anzi  hanno  un  alto 
disprezzo  o  almeno  una  gran  trascuranza  per  tutto  ciò  che  si  rife- 
risce ai  bisogni  quotidiani  ed  agli  interessi  materiali  ed  immediati 
della  vita,  e,  anche  che  non  lo  dicano  espressamente,  biasimano 
sempre  in  cuor  loro  la  gente  dedita  a  seminare,  mietere  e  con- 
servare il  raccolto,  perchè  pensano  che,  una  volta  stabilito  quello 
che  essi  credono  il  regno  di  Dio  o  della  verità  e  della  giustizia, 
i  bisogni  degli  uomini  saranno  cosi  facili  ad  essere  appagati  come 
quelli  degli  uccelli  dell'aria  o  dei  pesci  delle  acque.  Quando  vivono 
in  tempi  razionalisti,  ed  apparentemente  più  positivi,  non  tengono 
conto  dell'esaurimento  della  pubblica  ricchezza  che  il  solo  tenta- 
tivo di  attuare  i  loro  ideali  potrebbe  produrre. 

Su  questo  riguardo,  del  resto,  conviene  distinguere  tre  x^eriodi 
attraverso  i  quali  la  vita  di  ogni  grande  riformatore  può  pas- 
sare. 

Il  i3rimo  è  quello  durante  il  quale  egli  concepisce  la  sua  dot- 
trina e  questa  si  va  elaborando  nell'intimo  della  sua  coscienza,  e, 
durante  questo  stadio,  egli  può  conservarsi  in  perfetta  buona  fede 
e  potrà  essere  accusato  di  fanatismo,  ma  non  già  di  doppiezza  e 
ciarlataneria;  il  secondo  comincia  quando  inizia  la  sua  ipredica- 
zione,  ed  allora  la  necessità  di  impressionare  gli  altri  lo  spinge 
fatalmente  a  caricare  alcune  tinte  e  quindi  alla  j90sa;  il  terzo  pe- 
riodo si  ha  quando  è  cosi  fortunato  da  jioter  tentare  l'attuazione 
pratica  dei  suoi  insegnamenti. 

Arrivato  a  quest'ultimo  stadio  e  trovandosi  necessariamente  in 
contatto  diretto  con  tutte  le  imperfezioni  e  le  debolezze  della  na- 
tura umana,  deve,  se  vuole  riuscire,  moralmente  decadere. 

Allora  tutti  i  riformatori  convengono  nell'interno  della  loro  co- 
scienza che  il  fine  giustifica  i  mezzi,  che  non  si  possono  guidare 
gli  uomini  senza  alcun  poco  ingannarli,  e,  di  transazione  in  tran- 
sazione, si  arriva  al  punto   che   riesce   malagevole  anche   al  più 


174  ELEMENTI   DI   SCIENZA   POLITICA 

acuto  psicologo  il  distinguere  dove  finisca  in  ossi  la  sincera  con- 
vinzione e  dove  cominci  la  messa  in  scena  e  la  furfanteria  (Ij. 
Certo  è  che  svariatissimi  elementi  morali  possono  coesistere  nello 
stesso  individuo,  come  ad  esempio  in  Enfantin,  il  secondo  sommo 
pontefice  del  Sansimonismo  (2),  ed  in  Maometto,  noi  quale  non  si 
può  negare  l'aspirazione  sincera  ed  onesta  verso  una  religione 
meno  rozza  e  materiale  di  quella  che  gli  Arabi  praticavano  prima 
di  lui,  mentre  è  pure  certo  che  qualche  volta  i  versetti  del  Corano, 
che  l'Arcangelo  Gabriele  mano  mano  gli  comunicava,  giungevano 
opportuni  per  liberarlo  da  imi)egni  presi  e  perfino  per  esentarlo 
dall'osservanza  di  certi  freni  morali,  che  in  versetti  precedenti 
erano  stati  stabiliti  (3). 

IV.  —  Accanto  all'individuo,  che  primo  concepisce  una  nuova 
dottrina,  vi  è  sempre  un  gruppo  più  o  meno  numeroso,  che  riceve 
direttamente  la  parola  dal  maestro  e  che  dei  suoi  sentimenti  è 
profondamente  imbevuto  (4).  Ogni  Messia  deve  avere  i  suoi  apo- 


(1)  Sulla  relazione  che  il  padre  Oberwalder,  che  stette  parecchi  anni  pri- 
gioniero dei  Mahdisti,  ha  pubblicato  intorno  alla  sua  prigionia  è  stato  osser- 
vato che  l'autore  in  un  punto  giudica  quel  Mohamed  Hamed  mercante  di 
schiavi,  che  fu  il  fondatore  del  Mahdismo,  come  inspirato  da  sincero  zelo  re- 
ligioso, mentre  in  un  altro  punto  lo  fa  apparire  ipocrita  e  ciarlatano.  I  due 
giudizi,  secondo  noi,  non  hanno  nulla  di  inconciliabile,  sopratutto  se  si  rife- 
riscono a  due  periodi  differenti  della  vita  del  Mahdi. 

(2)  Un  discepolo,  verso  la  fine   del    Sansimonismo,    scriveva    ad    Enfantin  : 
Alcuni  vi  rimproverano  di  voler  sempre  posare,  io  sono  del    vostro    parere 

e  penso  con  voi  che  ciò  corrisponde  alla  vostra  natura,  alla  vostra  missione, 
alla  vostra  capacità  „.  Vedi  Thueeau  Dangin,  Histoire  de  la  monarchie  de  juillet, 
voi.  I,  cap.  Vili.  Paris,  1884,  Librairie  Plon. 

(3)  Ad  esempio,  volendo,  per  stringere  legami  politici  e  per  soddisfare  alla 
sua  passione  voluttuosa,  aumentare  il  numero  delle  mogli  fino  a  sette,  l'Ai-- 
cangelo  Gabriele  venne  con  opportuni  versetti  ad  autorizzare  l'apostolo  di  Dio 
all'inosservanza  del  precetto  che  limitava  a  quattro  il  numero  delle  mogli  le- 
gittime, precetto  che  era  stato  precedentemente  imposto  a  tutti  i  credenti. 
Su  questo  e  sugli  altri  dettagli  della  vita  del  fondatore  dell'Islamismo,  che 
abbiamo  rammentato  e  rammenteremo,  vedi  Hammer-Purgstall.  Gemaldesaal 
der  Lebenshesdìreihimgen  grosser  mosUmischer  Herrscher.  Leipzig,  1839. 

(4)  Per  semplificare  la  nostra  esposizione  abbiamo  implicitamente  ammesso 
che  il  fondatore  di  ogni  nuova  dottrina  religiosa  o  filosofica  sia  sempre  esclu- 
sivamente un  solo  individuo.  Ciò  non  è  perfettamente  esatto:  alle  volte,  quando 
una  riforma  è  moralmente   ed  intellettualmente  già  preparata  e  trova  l'am- 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PAETITI   E    SETTE  175 

stoli,  dappoiché  l'uomo  lia  in  quasi  tutte  le  manifestazioni  della 
sua  attività  morale  e  materiale  bisogno  della  società;  non  c'è  en- 
tusiasmo che  non  si  spenga,  non  ci  è  fede  che  non  si  scuota  se 
restano  in  un  prolungato  isolamento.  La  scuola,  la  chiesa,  l'agape, 
la  loggia,  il  convegno  abituale,  comunque  si  chiami,  di  un  gruppo 
di  persone,  che  sentono  e  pensano  nello  stesso  modo,  che  hanno 
gli  stessi  entusiasmi,  gli  stessi  odi,  gli  stessi  amori  e  comprendono 
ugualmente  la  vita,  fortifica,  esalta  e  sviluppa  i  loro  sentimenti  e 
produce  tale  un'assimilazione  di  questi  nel  carattere  di  ogni  singolo 
individuo  da  renderne  la  traccia  indelebile. 

E  in  questo  gruppo  dirigente  che  d'ordinario  la  inspirazione 
primitiva  del  maestro  viene  sviluppata,  raffinata,  completata  tanto 
da  diventare  un  vero  sistema  politico,  religioso  o  filosofico  scevro 
da  incongruenze  e  contraddizioni  troppo  apparenti.  E  dentro  di 
esso  che  si  mantiene  il  fuoco  sacro  della  propaganda  anche  dopo 
che  il  primo  autore  della  dottrina  è  scomparso;  ed  è  a  questo 
nucleo,  che  si  recluta  da  sé  per  coaptazione,  che  l'avvenire  della 
nuova  dottrina  é  affidato.  Giacché  per  quanto  l'originalità  di  ve- 
dute, la  forza  dei  sentimenti,  l'attitudine  alla  propaganda  di  un 
maestro  siano  grandi,  tutte  queste  qualità  riescono  inefficaci  se, 
prima  di  materialmente  o  moralmente  morire,  egli  non  ha  fon- 
dato la  scuola;  mentre,  al  contrario,  quando  il  soffio  che  anima 
questa  é  energico  e  potente,  tutti  i  difetti  e  le  imperfezioni,  che 
posteriormente  si  possono  scorgere  nell'opera  del  primo  autore 
della  dottrina,  possono  essere  mano  mano  corretti  o  dimenticati 
e  la  propaganda  può  continuare  attiva  ed  efficace. 


biente  perfettamente  favorevole,  possono  sorgere  contemporaneamente  parecchi 
maestri,  come  fu  il  caso  del  Protestantesimo,  quando  Zuinglio  e  Calvino  co- 
minciarono a  predicare  quasi  contemporaneamente  a  Lutero.  Qualche  volta  la 
riuscita  del  primo  maestro  fa  nascere  i  plagiari,  ad  esempio  Moseilama  ed  altri 
cercarono  di  imitare  Maometto  proclamandosi  alla  lor  volta  apostoli  di  Dio. 
Più  frequente  è  il  caso  che  il  primo  novatore  non  riesca  ad  esplicare  intera- 
mente e  molto  meno  ad  attuare  la  sua  dottrina  ed  allora  sorgono  uno  od  anche 
parecchi  continuatori,  e  l'ingiustizia  della  sorte  può  far  sì  che  uno  di  costoro 
dia  il  proprio  nome  alla  dottrina  a  preferenza  di  colui  che  primo  l'ha  conce- 
pita. Così  pare  che  accada  nella  moderna  democrazia  sociale,  che  generalmente 
proclama  Marx  per  maestro,  mentre  il  suo  primo  padre  intellettuale  e  morale 
è  senza  dubbio  Rousseau.  Il  maestro  od  i  maestri,  che  continuano  l'opera  del 
primo  fondatore,  non  si  devono  mai  confondere  col  gruppo  degli  apostoli,  di 
cui  ora  parliamo. 


176  ELEMENTI   DI   SCIENZA    POLITICA 


Al  di  l'uoii  dol  nucleo  diri^i^ento  resta  la  folla  dei  proseliti,  ma 
questa,  mentre  numericamente  forma  l'elemento  maggiore  e  dà  e 
fornisco  alla  Chiosa  od  al  ])artito  la  forza  materiale  ed  anclie  eco- 
nomica, intellettualmente  e  moralmente  è  il  fattore  più  trascm'a- 
bile  di  quahuKjue  dottiina  ])olitica  e  religiosa.  Le  masse,  difficili 
ad  essere  conquistate  da  una  dottrina  nuova,  non  l'abbandonano 
poi  che  con  difficoltà  (1);  e,  quando  ciò  avviene,  la  colpa  è  quasi 
sempre  del  nucleo  dirigente;  giacche  è  quasi  sempre  in  mezzo  ad 
esso  che  prima  s'insinuano  l'indifferentismo  e  lo  scetticismo.  La 
miglior  maniera  di  far  credere  è  quella  di  essere  profondamente 
convinto,  l'arte  di  appassionare  consiste  nell'essere  fortemente  ap- 
passionato. Quando  il  sacerdote  non  sente  la  sua  fede  il  popolo 
diventerà  indifferente  ed  abbraccerà  un'altra  dottrina  che  avrà 
ministri  più  zelanti;  se  l'ufficiale  non  è  imbevuto  di  spirito  mili- 
tare, se  non  sarà  pronto  a  dar  la  vita  ]jer  il  decoro  della  propria 
bandiera,  il  soldato  non  si  batterà;  se  il  settario  non  sarà  infa- 
natichito non  potrà  trascinare  le  turbe  alla  ribellione. 

Se  si  tratta  di  dottrine  o  credenze  antiche,  da  un  pezzo  for- 
mate, che  si  sono  già  tradizionalmente  imposte,  ed  il  cui  campo 
d'azione  è  omai  fissato  e  circoscritto,  è  generalmente  la  nascita 
che  ascrive  un  individuo  nelle  file  dei  loro  seguaci.  In  Germania 
o  negli  Stati  Uniti,  ad  esempio,  quasi  sempre  si  è  cattolici,  pro- 
testanti od  israeliti  a  seconda  che  si  nasca  in  una  famiglia  che 
professi  una  di  queste  religioni;  in  Spagna  ed  in  Italia  chi  ha 
ancora  una  religione  è  quasi  sempre  cattolico.  Se  però  in  un  paese 
vi  sono  diverse  dottrine,  ancora  nello  stadio  di  formazione  e  di 
propaganda  attiva,  che  si  fanno  vicendevolmente  la  concorrenza, 
allora  la  scelta  individuale,  nelle  persone  di  media  levatura,  di- 
pende da  un  cumulo  di  circostanze,  in  parte  accidentali,  in  parte 
frutto  dell'abilità  con  cui  la  propaganda  di  una  data  dottrina  vien 
fatta.  In  Francia  ed  anche  in  Italia  il  giovinetto  può  diventare 
conservatore  o  radicale  socialista  a  seconda  delle  idee  del  padre, 
del  professore  o  del  compagno,  che  esercita  più  influenza  sopra 
di  lui  nel  momento  che  i  suoi  principii  cominciano  a  formarsi; 
un  libro  che  capita  nelle  sue  mani,  un  giornale  che  si  legge  quoti- 


li) È  perciò  che  parecchi  sociologi  moderni  affermano  che  la  moltitudine  è 
misoneista. 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  177 

dianamente,  in  un'età  in  cui  i  concetti  generali  non  sono  ancora 
precisati  e  si  ha  principalmente  bisogno  di  entusiasmarsi,  amando 
ed  odiando  qualche  cosa  e  qualche  uomo,  possono  determinare 
l'intiero  indirizzo  di  una  vita.  Griacchè,  siccome  le  convinzioni  po- 
litiche, religiose  o  filosofiche  sono  in  fondo  per  molti  uomini  una 
cosa  molto  secondaria,  specialmente  dopo  che  è  trascorsa  la  prima 
gioventù  ed  è  venuta  l'età  delle  occupazioni  pratiche  e  degli  af- 
fari, cosi  un  po'  per  indolenza,  un  po'  per  abitudine,  un  po'  per 
malinteso  amor  proprio  e  per  la  cosi  detta  coerenza  di  carattere, 
si  finisce  spessissimo,  quando  l'interesse  fortemente  noi  contrasta, 
col  conservare  per  tutta  la  vita  quelle  dottrine,  che  si  sono  ab- 
bracciate in  un  momento  d'impeto  fanciullesco,  consacrando  ad 
esse  quel  po'  di  energia  e  di  attività,  che  anche  gli  uomini  co- 
munemente detti  positivi  sogliono  riserbare  per  ciò  che  si  reputa 
l'ideale. 

Dal  fatto  però  che  la  scelta  individuale  di  una  credenza  o  di 
un  colore  politico  può  essere  determinata  dal  caso  non  si  deve 
indurre  che  questo  sia  la  causa  principale  che  contribuisce  alla 
riuscita  delle  varie  scuole  o  chiese.  Vi  sono  invece  dottrine  molto 
adatte  al  proselitismo,  ed  altre  ve  ne  sono  assai  meno  adatte.  Tre 
infatti  sono  i  fattori  dai  quali  quasi  esclusivamente  dipende  la 
larga  diffusione  di  un  insegnamento  politico  o  religioso.  Il  primo 
consiste  nella  sua  adattabilità  ad  un  dato  momento  storico.  Il  se- 
condo corrisponde  alla  sua  attitudine  a  soddisfare  un  maggior  nu- 
mero di  passioni,  di  sentimenti  e  d'inclinazioni  umane,  di  quelle 
specialmente  che  sono  più  diffuse  e  radicate  nelle  masse.  Il  terzo 
finalmente  è  costituito  dalla  buona  organizzazione  del  nucleo  di- 
rigente, formato  di  tutti  gl'individui  specialmente  dediti  al  man- 
tenimento ed  alla  diffusione  dello  spirito,  che  informa  una  data 
dottrina, 

V,  —  Perchè  una  dottrina  sia  adatta  ad  un  dato  momento 
storico  di  una  data  società,  bisogna  anzitutto  che  corrisponda  allo 
stato  di  maturità  che  lo  spirito  umano  ha  raggiunto  in  quel  mo- 
mento ed  in  quella  società.  Una  religione  monoteista  trionferà 
facilmente  quando  gli  intelletti  saranno  abbastanza  progrediti  per 
comprendere  come  tutti  i  fenomeni  naturali  si  possano  attribuire 
ad  unica  causa  ed  unica  sia  la  forza  che  regge  l'universo.  Il  ra- 
zionalismo potrà  essere  il  fondamento  di  altre  dottrine,  quando  il 

G.  Mosca.  Elementi  di  Scienza  Politicn.  12 


178  ELEMENTI   DI   SCIENZA    POLITICA 


libero  esame  ed  i  risultati  delle  scienze  naturali  e  storiche  avranno 
infirmato  il  contenuto  delle  religioni  rivelate,  e  la  concezione  di 
un  Dio,  l'atto  ad  immagine  e  somiglianza  dell'uomo,  che  inter- 
viene arbitrariamente  negli  eventi  umani,  apparirà  assurda  alle 
classi  dirigenti. 

Nei  secoli  durante  i  (juali  il  Cristianesimo  si  diffuse  nell'impero 
romano,  ancora  quasi  tutti,  pagani  e  cristiani,  credevano  nel  so- 
prannaturale e  nel  miracolo;  ma  il  soprannaturale  pagano  era  già 
divenuto  troppo  grossolano  ed  incoerente,  mentre  quello  cristiano, 
che,  oltre  a  rispondere  meglio  ai  bisogni  dell'animo  umano,  era 
più  sistematico  e  meno  fanciullesco,  doveva  trionfare.  Luciano, 
perfettamente  scettico,  che  ride  di  tutti,  pagani  e  cristiani,  nel 
secondo  secolo  dell'era  volgare  è  un'eccezione.  Il  pubblico  colto 
di  allora  nella  sua  media  intelligenza  era  meglio  rappresentato 
da  Celso,  che,  deista  e  credente  nel  soprannaturale  e  nei  miracoli, 
pure  attaccava  col  ridicolo  il  Vecchio  ed  il  Nuovo  Testamento  (1). 
Ma,  giacché  si  era  posto  in  questa  via  tanto  conveniente  ad  un 
razionalista,  e  che,  sedici  secoli  dopo,  in  circostanze  diverse,  dovea 
riuscire  cosi  bene  a  Voltaire,  avrebbe  dovuto  facilmente  accorgersi 
come  fosse  molto  più  facile  provocare  il  ridicolo  ed  anche  il  di- 
sgusto sulle  turpi  azioni  e  le  puerili  baruffe  di  cui  davano  spet- 
tacolo gli  Dei  dell'Olimpo.  Ed  in  verità  riesce  evidente  che  da 
parecchio  tempo  il  paganesimo  classico  non  potea  bastare  più  ne 
al  sentimento,  ne  all'intelletto  degli  uomini  e,  come  bene  osserva 
il  Renan  (2),  il  mondo  romano  ed  ellenico  se  non  fosse  divenuto 
cristiano  si  sarebbe  convertito  al  culto  di  Mitra,  o  a  qualche  altra 
religione  asiatica  più  mistica  del  Paganesimo  classico  e  meno  in- 
coerente. 

Similmente  Rousseau  apparve  ed  ebbe  fortuna  quando,  prima 
l'Umanesimo  e  la  Riforma,  poi  i  progressi  delle  scienze  esatte  e 
naturali,  infine  Voltaire  e  l'Enciclopedia  aveano  sfatato  tutto  il 
mondo  cristiano  e  medioevale,  sicché  poteva  riuscire  accetta  una 
nuova  spiegazione  razionale,  se  non  ragionevole,  delle  istituzioni 
politiche.  Se  noi  esaminiamo  la  vita  di  Lutero  e  di  Maometto  fa- 


ci) Tutto  quello  che  si  sa  intorno  a  quest'autore  è  ricavato  dai  brani  ripor- 
tati dai  Santi  Padri  che  lo  confutavano  e  specialmente  dal  libro  Centro  Celso 
di  Origene. 

(2)  Principalmente  nel  Marco  Aurelio. 


GAP.  VII   -    CHIESE,    PARTITI    E   SETTE  179 

cilmente  possiamo  vedere  che  la  Germania  e  l'Arabia  erano,  quando 
essi  apparvero,  preparate  ad  accogliere  le  loro  dottrine. 

Se  teniamo  presente  che  l'uomo,  quando  ha  una  certa  cultura, 
e  soprattutto  quando  non  è  sotto  la  pressione  assorbente  dei  bi- 
sogni materiali,  ha  generalmente  la  tendenza  ad  interessarsi  a 
qualche  cosa  di  superiore,  che  riguardi  gl'interessi  della  società  alla 
quale  appartiene  e  si  elevi  al  di  sopra  delle  cure  ordinarie  della 
vita,  facilmente  ci  possiamo  accorgere  che  è  assai  più  facile  che 
una  nuova  dottrina  possa  attecchire  colà  dove  questa  tendenza 
non  trova  il  suo  pascolo  nell'organizzazione  politica  già  esistente; 
dove  perciò  gli  entusiasmi,  le  ambizioni,  il  desiderio  di  lottare  e 
primeggiare  più  diffìcilmenle  riescono  ad  avere  uno  sfogo.  Certo, 
ad  esempio,  il  Cristianesimo  non  si  sarebbe  rapidamente  diffuso 
quando  Roma  repubblicana  potea  offrire  ai  suoi  cittadini  le  emozioni 
delle  lotte  elettorali  o  quando  essa  faceva  il  suo  terribile  duello  con 
Cartagine;  sicché  fu  la  ]3ace  dell'impero  che,  attutendo  le  guerre  fra 
le  nazioni,  riserbando  tutte  le  pubbliche  funzioni  ai  soli  impiegati, 
preparando  un  lungo  periodo  di  sicurezza  e  di  ozio  politico,  rese 
alla  nuova  religione  il  miglior  servizio  possibile.  Similmente  la 
consolidazione  dello  stato  burocratico,  che  avvenne  nel  secolo  pas- 
sato, la  fine  delle  guerre  religiose,  la  formazione  di  una  classe 
colta  ed  agiata  che  era  esclusa  dalle  funzioni  politiche,  fornirono 
il  sostrato  che  rese  possibile  prima  il  movimento  liberale  e  poi 
quello  radicale  socialista. 

Conviene  anche  ammettere  che  una  nazione  si  può  trovare,  di- 
remo cosi,  psicologicamente  esaurita  o  riposata.  E  lo  stesso  con- 
cetto che,  forse  con  meno  proprietà  di  parola,  si  esprime  quando 
si  dice  che  un  popolo  è  vecchio  o  giovane.  Quando  una  società  da 
parecchi  secoli  non  ha  subito  rivoluzioni  o  gravi  rivolgimenti  po- 
litici e  si  prepara  ad  uscire  da  questo  suo  lungo  torpore,  riesce 
più  facile  di  convincerla  che  il  trionfo  di  una  nuova  dottrina, 
l'inizio  di  una  nuova  forma  di  governo  debbano  segnare  il  prin- 
cipio di  un'era  nuova,  dell'età  dell'oro  o  del  regno  della  cuccagna, 
coir  avvento  del  quale  tutti  gli  uomini  debbono  diventare  buoni 
e  felici  (1). 


(1)  Fu  questa  appunto  l'illusione  caratteristica  del  1789  in  Francia  ed  anche 
un  poco  del  1848  in  Italia. 


180  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Al  contrario  è  naturale  che,  dopo  una  serio  di  rivolgimenti,  l'en- 
tusiasmo e  la  fede  che  inspirano  i  novatori  e  le  novità  politiche, 
diminuiscano  di  molto  e  che  un  certo  senso  di  scetticismo  e  di 
stanchezza  si  diffonda  nelle  masse.  Poro  questo  esaurimento  della 
facoltà  di  credere  e  di  entusiasmarsi  si  produce  assai  più  difficil- 
mente di  quanto  a  prima  vista  possa  sembrare.  Non  solo  infatti 
sfuggono  in  gran  parte  alla  influenza  deleteria  della  disillusione 
tutte  le  dottrine  religiose,  che  si  fondano  sul  soprannaturale,  sulla 
soluzione  del  problema  che  riguarda  la  causa  prima  dell'universo 
e  che  rimandano  ad  un'altra  vita  l'attuazione  di  un  ideale  di  feli- 
cità e  di  giustizia  ;  ma  anche  quelle  apparentemente  più  positive, 
che  dovrebbero  dare  i  loro  frutti  in  questa  vita,  resistono  assai 
bene  alle  smentite  che  dà  loro  l'esperienza  quotidiana  dei  fatti. 
In  fondo  le  illusioni  durano  perchè,  per  la  quasi  totalità  degli 
uomini,  l'illudersi  è  un  bisogno  meno  materiale,  ma  non  meno 
sentito  di  tanti  altri;  perciò  un  sistema  di  illusioni  non  si  sfata 
facilmente  finché  non  lo  si  sostituisca  con  un  sistema  nuovo.  Alle 
volte,  quando  ciò  non  è  possibile,  neppure  una  serie  di  sofferenze, 
delle  prove  terribili,  frutto  di  più  terribili  esperienze,  bastano  a 
far  ricredere  un  popolo;  o  meglio  l'accasciamento,  più  che  la  de- 
lusione, dura  finche  vive  la  generazione,  che  è  stata  personal- 
mente desolata  e  decimata;  ma  poi,  appena  le  energie  sociali  si 
rinfrancano  alquanto,  se  l'indirizzo  delle  idee  e  l'educazione  dei 
sentimenti  non  mutano,  le  stesse  illusioni  produrranno  nuove  lotte 
e  nuove  sventure  (1). 

VI.  —  L'attitudine  di  una  dottrina  a  soddisfare  i  bisogni  del- 
l'anima umana,  oltreché  dalle  necessità  di  tempo  e  di  luogo  alle 
quali  abbiamo  già  accennato,  dipende  anche  da  condizioni  perma- 
nenti, da  vere  leggi  psicologiche,  che  é  necessario  siano  da  essa 
osservate.  Anzi  è  questo  il  secondo  ed  importantissimo  fattore  del 


(1)  Del  resto  è  nella  natura  dell'uomo  il  conservare  un  grato  ricordo  dei 
tempi  e  degli  individui  durante  i  quali  o  per  i  quali  ha  molto  softerto; 
ciò  avviene  specialmente  quando  molti  anni  sono  trascorsi  dopo  le  sofferenze. 
Le  masse  finiscono  sempre  coU'ammirare  e  col  circondare  di  poetiche  leggende 
quei  capi,  che,  come  Napoleone  I,  hanno  loro  inflitto  travagli  e  sventure,  ma 
che  nello  stesso  tempo  ne  hanno  appagato  il  bisogno  di  emozioni  e  la  fanta- 
stica sete  di  novità  e  di  grandezze. 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  181 

successo  delle  nuove  dottrine  politiche  e  religiose  del  quale  ve- 
niamo ora  a  parlare. 

Come  regola  generale  un  sistema  d'idee,  di  credenze,  di  affetti 
per  essere  accolto  da  grandi  masse  umane,  deve  rispondere  da  una 
parte  ai  sentimenti  i)iù  elevati  dell'animo,  deve  perciò  promettere 
il  regno  della  giustizia  e  dell'uguaglianza  in  questo  mondo  o  nel- 
l'altro, e  proclamare  che  i  buoni  saranno  premiati,  i  malvagi  pu- 
niti. Ma  nello  stesso  tempo  non  sarà  male  se  darà  un  po'  di  sod- 
disfazione all'invidia  ed  a  quel  rancore,  che  generalmente  si  ha 
contro  i  forti  ed  i  fortunati,  e  sarà  molto  opportuna  l'affermazione 
che,  in  questa  vita  o  nell'altra,  verrà  un  momento  in  cui  gli  ul- 
timi saranno  i  primi  ed  i  primi  saranno  gli  ultimi.  Gioverà  molto 
se  qualche  lato  della  dottrina  che  si  vuole  propagare  potrà  offrire 
un  rifugio  agli  animi  dolci  e  buoni,  che  dalle  lotte  e  dalle  delu- 
sioni della  vita  cercano  un  conforto  nel  raccoglimento  e  nella  ras- 
segnazione; sarà  pure  utile  ed  anzi  indispensabile  che  essa  abbia 
modo  di  usufruire  e  di  indirizzare  lo  spirito  di  abnegazione  e  di 
sacrifìcio,  che  in  alcuni  individui  è  preponderante,  ma  la  dottrina 
stessa  deve  lasciare  anche  una  qualche  base  all'orgoglio  ed  alla 
vanità. 

Sicché  i  credenti  devono  essere  sempre  il  popolo  o  la  classe 
degli  eletti  o  almeno  devono  rappresentare  l'avanguardia  del  vero 
progresso.  Il  Cristiano  quindi  deve  poter  pensare  con  soddisfazione 
che,  al  di  fuori  della  propria  fede,  tutti  saranno  dannati  ;  il  Bra- 
mino deve  poter  rallegrarsi  che  egli  solo  discende  dalla  testa  di 
Brama  ed  ha  l'altissimo  onore  di  leggere  i  libri  sacri;  il  Buddista 
deve  apprezzare  altamente  il  privilegio  di  raggiungere  più  presto 
il  Nirvana,  il  Maomettano  deve  con  soddisfazione  rammentare  che 
egli  solo  è  il  vero  credente  e  che  tutti  gli  altri  sono  cani  infedeli 
in  questa  vita  e  dannati  nell'altra,  il  radicale  socialista  infine  deve 
esser  convinto  che  sono  putridi  ed  egoisti  borghesi  o  pecoroni 
ignoranti  e  servili  coloro  che  non  pensano  come  lui.  Cosi  si  prov- 
vede al  bisogno  di  stimare  se  stesso  ed  il  proprio  culto  o  le 
proprie  convinzioni  e  nello  stesso  tempo  a  quello  di  disprezzare 
ed  odiare  gli  altri. 

Dall'odio  alla  lotta  non  vi  è  che  un  passo,  e  difatti  non  vi  è 
setta  politica  o  credenza  religiosa  che  non  Fammetta,  cruenta  od 
incruenta  secondo  i  casi,  contro  coloro  che  non  accettano  i  suoi 
dogmi.  Se  la  scansa  assolutamente  e  predica  in  tutti  i  casi  man- 


182  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


suetudine  e  sottomissione  è  segno  che  si  sente  del  tutto  debole  e 
che  troppo  rischiorebbe  ad  intrai)renderla.  Nella  lotta  poi  trovano 
pascolo  tutti  gli  appetiti  meno  nobili  ma  non  meno  diffusi  del 
cuore  umano:  l'amore  del  lusso,  la  libidine  di  sangue  e  di  donne, 
l'ambizione  di  comandare  e  prepotere. 

Certo  non  si  può  fare  una  ricetta  con  i  quantitativi  che  esige 
la  soddisfazione  di  ogni  sentimento  umano  per  la  fondazione  di 
una  duratura  setta  politica  o  dottrina  religiosa,  ma  si  può  affer- 
mare con  sicurezza  che  a  raggiungere  questo  scopo  è  necessaria 
l'alleanza  di  una  certa  quantità  di  sentimenti  elevati  e  di  passioni 
basse,  di  metallo  prezioso  e  di  metallo  vile;  altrimenti  la  lega  non 
riesce  resistente.  Ogni  dottrina  che  non  tiene  abbastanza  conto 
delle  qualità  diverse  e  contraddittorie  delle  masse  umane,  ha  poca 
forza  di  propaganda  e,  se  si  vuole  diffondere,  deve  essere  nella 
pratica  modificata.  Anzi  la  mescolanza  del  bene  e  del  male  è  cosi 
ingenita  nella  natura  umana,  che  un  po'  di  metallo  fino  deve  esi- 
stere anche  nella  lega  di  cui  sono  impastate  le  associazioni  di 
malfattori  e  le  sette  misteriose  ed  assassine,  ed  un  po'  di  metallo 
basso  deve  entrare  anche  in  quel  complesso  di  sentimenti,  che 
inspira  le  comunità  degli  asceti,  che  fanno  completo  sacrificio  di 
se  stessi,  ed  i  gruppi  degli  eroi.  La  soverchia  scarsezza  dei  due 
elementi  ha  sempre  però  lo  stesso  risultato  di  impedire  la  larga 
diffusione  della  dottrina  o  della  disciplina  speciale,  che  un  dato 
instituto  impone  ai  suoi  membri. 

Infatti  è  accaduto  ed  accade  che  si  formi  una  setta  brigantesca, 
che  predichi  il  furto,  l'omicidio  e  la  distruzione;  ma,  anche  in 
questo  caso,  noi  vediamo  che  la  perpetrazione  di  questi  fatti  è 
colorita  con  qualche  speciosa  dottrina  politica  o  religiosa,  che 
serve  ad  attirare  nel  sodalizio  qualche  illuso  non  del  tutto  spre- 
gevole, il  quale  col  suo  briciolo  di  rispettabilità  rende  più  tolle- 
rabile agli  altri  la  loro  turpitudine  e  introduce  nel  sodalizio  quel 
tanto  di  senso  morale,  che  è  indispensabile  perchè  le  bricconate 
riescano  (1).  Esempio  di  società  di  questo  genere  abbiamo  negli 


(1)  È  una  frase  che  abbiamo  inteso  attribuire  al  principe  di  Bismarek  questa: 
che  bisogna  un  po'  d'onestà  perchè  le  bricconate  riescano.  Infatti  certe  po- 
tenti associazioni  di  malfattori,  ad  esempio,  la  mafia  siciliana,  hanno  certe 
regole  ed  un  certo  sentimento  d'onore,  che  fa  sì  che  i  loro  affiliati  manten- 
gano alle  volte  la  loro  parola  anche  agli  estranei   ai   loro   sodalizi  e  non  si 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  183 

Assassini,  che  nel  Medio  Evo  funestarono  la  Siria  e  Tlrak- Arabi, 
nei  Thugs  o  strangolatori  dell'India,  negli  anarchici  militanti 
d'Europa  e  d'America  e  forse  anche  in  qualche  società  secreta 
della  China  (1). 

Vediamo  pure  d'altra  parte,  che  associazioni  di  uomini  si  sono 
costituite  nelle  quali  si  è  stabilito  di  rinunciare  ad  ogni  vanità  e 
ad  ogni  godimento  di  questo  mondo  e  si  è  accettato  il  sacrificio 
completo  della  propria  personalità  in  prò  del  sodalizio  o  della 
umanità  intera.  I  conventi  dei  bonzi  e  gli  ordini  religiosi  del  cat- 
tolicesimo sono  esempi  abbastanza  noti  di  istituti  di  questa  specie. 
E  nondimeno,  sebbene  essi  siano  in  generale  reclutati  fra  gl'indi- 
vidui i  quali,  o  per  circostanze  speciali  della  vita  o  per  naturale 
vocazione  al  sacrifìcio  ed  alla  rassegnazione,  sono  più  adatti  al 
loro  speciale  ufficio,  i^ure  non  si  può  dire  che  siano  del  tutto 
esenti  dalle  loassioni  mondane;  giacché  il  desiderio  di  riscuotere 
l'ammirazione  dei  devoti,  la  voglia  che  hanno  molti  individui  di 
primeggiare  nell'ordine  e  quella,  forse  ancora  più  forte,  che  l'or- 
dine primeggi  sopra  i  sodalizi  rivali,  sono  molle  potentissime,  che 
contribuiscono  alla  durata  di  simili  associazioni  ed  alla  loro  pro- 
sperità. 

Ma  nell'uno  e  nell'altro  caso,  oltre  che  un  briciolo  di  bene  si  è 
trovato  sempre  mescolato  al  male  e  che  un  briciolo  di  male  ha 


tradiscano  facilmente  tra  di  loro.  A  questa  limitazione  della  furfanteria  si 
deve  principalmente  la  straordinaria  vitalità  di  parecchie  associazioni  di  fur- 
fanti. Il  Macaulay  osserva  che  i  complotti  per  assassinii  non  riescono  quasi 
mai  nell'Inghilterra  propriamente  detta,  perchè  gli  assassini  inglesi  non  hanno 
quel  briciolo  di  senso  morale,  che  è  necessario  per  potersi  fidare  gli  uni  degli 
altri.  Non  sappiamo  se  il  fatto  sia  rigorosamente  vero,  ma  la  conseguenza  che 
ne  trae  lo  scrittore  inglese  è  certamente  esatta. 

(1)  Gli  Assassini  furono  una  degenerazione  degli  Ismaeliti,  setta  molto  dif- 
fusa verso  il  mille  nel  mondo  maomettano  e  i-elatìvamente  innocua,  la  cui 
dottrina  e  disciplina  avea  molti  punti  di  contatto  coll'odierna  massoneria  dei 
paesi  latini.  Vedi  Clavkl,  Storia  della  massoneria  e  di  altre  società  secrete; 
Amaui,  Storia  dei  Musulmani  in  Sicilia,  voi.  II,  pag.  119  e  seguenti  ed  Hammer 
PuRGsTALL,  Origine,  potenza  e  caduta  degli  Assassini.  Dei  Thugs  se  ne  è  parlato 
in  quasi  tutte  le  opere  che  trattavano  dell'India  di  mezzo  secolo  fa.  Come 
pure  quasi  tutti  i  viaggiatori,  che  scrissero  sulla  China,  parlano  delle  società 
secrete,  alcune  delle  quali,  diffusissime,  hanno  od  affettano  scopi  puramente 
politici. 


184  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

sempre  intossicato  il  bene,  siamo  di  fronte  costantemente  a  soda- 
lizi non  troppo  grandi,  e  che  sopratutto  non  hanno  mai  compreso 
tutti  i  membri  di  una  f^rande  società  umana.  Malgrado  tutte  le 
speciose  giustificazioni  del  delitto,  che  si  sono  escogitate,  le  sette 
assassine  e  ladre  non  sono  state  finora  che  delle  vere  malattie  so- 
ciali, che  sono  riuscite  per  qualche  tempo  a  terrorizzare  ed  anche 
ad  influenzare  vaste  contrade,  ma  non  hanno  mai  convertito  un 
gran  popolo  ai  loro  principii.  Anche  il  convento  è  stato  sempre 
un'eccezione  e,  dove  la  vita  monacale  si  è  estesa  ed  è  diventata 
un  mestiere  abituale  di  una  parte  notevole  della  popolazione,  essa 
ha  rapidamente  tralignato.  Le  Chiese  ebionite,  che  nei  primi  tempi 
del  Cristianesimo  esigevano  che  ogni  fedele  mettesse  in  comune 
i  propri  guadagni  e  volevano  estendere  il  tipo  monacale  all'intera 
società  cristiana,  vissero  sempre  vita  stentata  e  presto  dovettero 
scomparire.  Giacché  se  tesori  di  abnegazione  si  possono  ottenere 
da  un  piccolo  numero  d'individui  scelti  ed  educati  con  acconcia 
disciplina,  lo  stesso  non  è  possibile  quando  si  abbia  da  fare  con 
un'intiera  massa  umana,  nella  quale  necessariamente  il  bene  è  me- 
scolato al  male  ed  i  bisogni  e  le  passioni  di  ogni  genere  si  fanno 
sentire.  E  perciò  che  qualunque  esperimento  di  palingenesi  sociale 
per  provare  qualche  cosa  dovrebbe  essere  applicato  ad  un  popolo 
intero  ;  dato  che  se  ne  trovi  uno  che  si  presti  ad  un  simile  studio. 

VII.  —  E  per  queste  ragioni  che  una  religione  la  cui  morale 
è  troppo  elevata  produce  tutto  al  più  quei  buoni  risultati,  certo 
non  disprezzabili,  che  spesso  si  ottengono  quando  gli  uomini  si 
sforzano  di  raggiungere  un  ideale  di  bene,  che  è  al  di  sopra  delle 
loro  forze  l'attuare,  ma  nella  pratica  deve  finire  sempre  coll'es- 
sere  poco  scrupolosamente  osservata.  L'urto  continuo  fra  la  cre- 
denza religiosa  e  le  necessità  umane,  fra  ciò  che  si  riconosce  santo 
e  conforme  alla  legge  divina  e  ciò  che  si  fa,  costituisce  la  eterna 
contradizione,  la  inevitabile  ipocrisia  della  vita  di  molti  popoli  e 
non  soltanto  dei  poi3oli  cristiani.  Poco  prima  che  il  Cristianesimo 
diventasse,  mercè  Costantino,  la  religione  ufficiale  deirimpero  ro- 
m,ano,  il  buon  Lattanzio  esclamava  :  "  Se  il  vero  Dio  soltanto  fosse 
onorato  (cioè  se  tutti  si  fossero  convertiti  al  Cristianesimo),  non 
vi  sarebbero  più  dissensioni  né  guerre.  Gli  uomini  sarebbero  tutti 
uniti  con  i  legami  di  una  carità  indissolubile,  perchè  essi  si  ri- 
guarderebbero  tutti    come   fratelli.   Nessuno    macchinerebbe  più 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PABTITI    E    SETTE  185 

agguati  per  disfarsi  del  suo  vicino,  ciascuno  si  contenterebbe  di 
poco  e  non  vi  sarebbero  più  frodi  e  latrocinii.  Come  diventerebbe 
fortunata  la  condizione  degli  uomini,  che  età  dell'oro  comincie- 
rebbe  per  il  mondo!  „  (1).  Doveva  essere  questa  infatti  l'opinione 
di  un  cristiano,  convinto  che  ogni  credente  dovesse  porre  intera- 
mente in  pratica  i  precetti  e  lo  spirito  della  sua  religione  e  che 
reputava  possibile  che  questi  fossero  osservati  da  un'intiera  so- 
cietà, come  lo  erano  da  quelle  anime  elette  che,  col  sacrifìcio  della 
loro  vita,  non  rinnegavano  la  fede  davanti  le  persecuzioni  di 
Diocleziano.  Se  Lattanzio  fosse  vissuto  solo  cinquant'anni  più 
tardi,  forse  si  sarebbe  accorto  come  nessuna  religione  basti  ad 
elevare  sensibilmente  e  rapidamente  il  livello  morale  di  tutto  un 
popolo;  se  fosse  rinato  nel  Medio  Evo  avrebbe  potuto  accertarsi 
come,  adattandosi  sempre  più  alle  mutevoli  condizioni  storiche  ed 
alle  esigenze  perenni  dell'animo  umano,  la  stessa  religione,  che 
aveva  dato  il  martire  e  che  dava  il  missionario,  era  buona  a  pro- 
durre pure  il  crociato  e  l'inquisitore. 

I  Maomettani,  in  generale,  osservano  il  Corano  assai  più  scru- 
polosamente di  come  i  Cristiani  obbediscono  al  Vangelo.  Ma  ciò 
non  proviene  soltanto  dalla  loro  fede  più  cieca,  che  è  un  effetto 
della  loro  maggiore  ignoranza  scientifica,  ma  anche  dal  fatto  che 
le  prescrizioni  di  Maometto  sono  moralmente  meno  elevate,  e 
quindi  umanamente  più  realizzabili  di  quelle  di  Cristo.  Coloro  che 
praticano  l'Islam  si  astengono,  in  generale,  molto  severamente  dal 
vino  e  dalla  carne  di  maiale,  ma  un  individuo,  che  non  ne  abbia 
mai  gustato,  non  risente  un  disagio  apprezzabile  se  è  privo  di 
questi   alimenti  (2).  L'adulterio  è  anche   fra  i  seguaci   dell'Islam 


(1)  Vedi  Gaston  Boissier.  Étiides  (VìUstoirc  reìigieuse.  "  Revues  des  Deux 
Mondes  „  del  15  gennaio  1890. 

(2)  Pare,  del  resto,  che  quando  i  Musulmani  hanno  abitato  insieme  ai  Cri- 
stiani paesi  largamente  produttori  di  vino,  siano  stati  meno  scrupolosi  osser- 
vatori dei  precetti  del  Profeta  riguardanti  la  proibizione  delle  bevande  ine- 
brianti. La  storia  dei  Saraceni  di  Sicilia  rammenta  parecchi  casi  di  Maomettani 
ubbriachi.  Ad  esempio  Ebn-El  Theman  (Ibn-Thimna,  secondo  l'Amari),  emiro 
di  Catania,  era  in  uno  stato  di  completa  ubriachezza  quando  ordinò  che  si 
aprissero  le  vene  a  sua  moglie,  sorella  dell'Emiro  di  Palermo.  Ci  fu  perfino 
un  poeta  arabo,  Ibn-Hamdis,  che  cantò  le  lodi  del  buon  vino  di  Siracusa  del 
colore  dell'ambra  e  dell'odore  del  muschio.  —  Vedi  Amari,  Storia  dei  Musul- 
mani in  Sicilia,  voi.  li,  pag.  531. 


186  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

assai  più  raro  che  fra  i  Cristiani,  ma  il  divorzio  è  fra  i  primi 
molto  pili  facile  e  Maometto  permette  di  prendere  diverse  mogli, 
nò  proibisco  di  praticare  le  schiave.  E  raccomandato  assai  ai  cre- 
denti nell'Islam  di  fare  l'elemosina  ai  compagni  di  fede  e  di  es- 
sere con  essi  larghi  di  ogni  sorta  di  aiuti,  ma  è  anche  loro  in- 
culcato di  far  la  guerra  agli  infedeli,  ed  è  anzi  riputata  opera 
meritoria  lo  sterminarli  in  guerra  ed  il  sottoporli  a  tributo  in 
pace.  In  fondo  nel  Corano  si  trovano  perciò  prescrizioni  per  tutti 
i  gusti  e,  restando  fedeli  alla  sua  lettera  ed  al  suo  spirito,  si  può 
andare  in  paradiso  per  parecchie  strade  maestre.  Non  è  da  dimen- 
ticare che  qualche  credenza  islamitica,  la  quale  urta  uno  degli 
istinti  più  forti  e  radicati  nella  natura  umana,  è  quella  appunto 
che  meno  facilmente  riesce  ad  influenzare  la  condotta  dei  Mu- 
sulmani. Maometto  infatti  promette  il  paradiso  a  tutti  coloro  che 
soccombono  nella  guerra  santa.  Ora  se  ogni  credente  conformasse 
la  sua  condotta  a  quanto  assicura  il  Corano,  ogni  volta  che  un 
esercito  maomettano  si  trova  di  fronte  ai  miscredenti  dovrebbe 
vincere  o  perire  fino  all'ultimo  uomo.  Non  si  può  negare  che  un 
certo  numero  di  individui  si  comporti  conforme  al  detto  del  Pro- 
feta, ma  la  maggioranza  preferisce  per  ordinario  la  sconfitta  alla 
morte,  benché  accompagnata  dall'eterna  beatitudine. 

I  Buddisti  sono,  in  generale,  osservantissimi  dei  precetti  este- 
riori della  loro  religione,  però  nel  metterne  in  pratica  lo  spirito 
e  le  j)rescrizioni  sanno,  come  i  Cristiani,  togliersi  di  imbarazzo 
facendo  col  cielo  opportuni  accomodamenti.  Penultimo  re  di  Bir- 
mania fu  il  saggio  ed  accorto  Meudoume-Men  :  oltre  a  governare 
bene  i  suoi  sudditi,  egli  era  molto  appassionato  per  le  discussioni 
religiose  e  filosofiche,  né  mancava  mai  di  far  venire  alla  sua  pre- 
senza tutti  gli  Inglesi  e  gli  altri  Europei  di  distinzione,  che  pas- 
savano per  Mandala}^  capitale  dei  suoi  Stati.  Discorrendo  con  co- 
storo si  sforzava  sempre  di  sostenere  la  superiorità  della  morale 
buddista  su  quella  delle  altre  religioni,  e  non  mancava  mai  di 
richiamare  l'attenzione  dei  suoi  interlocutori  sul  fatto  che  la  con 
dotta  dei  Cristiani  non  rispondeva  ordinariamente  ai  precetti  della 
loro  religione;  e  certamente  non  dovea  stentare  molto  a  dimo- 
strare che  la  maniera  come  gl'Inglesi  avevano  tolto  al  suo  pre- 
decessore una  parte  dei  suoi  Stati  non  era  in  nulla  conforme  al 
Vangelo.  Egli  dal  canto  suo,  essendo  stato  educato  in  un  mona- 
stero di  bonzi,   era   rigido   osservatore   delle   prescrizioni  buddi- 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  187 

stiche  ;  alla  sua  corte  non  era  affatto  permesso  di  macellare  alcun 
animale,  e  gli  Europei  che  lungamente  vi  soggiornavano,  ai  quali 
la  dieta  esclusivamente  vegetale  riusciva  ostica,  erano  costretti  a 
cercarvi  di  nascosto  un  supplemento  nei  bosclii,  dove  andavano 
in  traccia  d'uova  d'uccelli.  Non  avrebbe  poi  dato  giammai,  e  per 
nessuna  ragione  al  mondo,  l'ordine  di  una  esecuzione  capitale. 
Infatti,  quando  la  presenza  di  qualcuno  lo  incomodava  troppo, 
l'arguto  monarca  si  limitava  a  domandare  replicatamente  al  suo 
primo  ministro:  il  tale  è  ancora  in  questo  mondo?  E,  quando  il 
primo  ministro  rispondeva  finalmente  di  no,  Meudoume-Men  sor- 
rideva placidamente.  Egli  non  aveva  offeso  i  precetti  della  sua 
religione,  ma  non  per  questo  aveva  ottenuto  meno  il  suo  scopo, 
cioè,  che  un'anima  umana  avesse  anticipato  il  cominciamento  di 
quella  serie  di  trasmigrazioni,  che  la  devono  condurre  alla  fu- 
sione nell'anima  universale  preconizzata  dalle  credenze  buddi- 
stiche (1). 

Una  dottrina  essenzialmente  virile  che  ben  poco,  anzi  quasi 
nulla,  concedeva  alle  passioni,  alle  debolezze  ed  anche  ai  senti- 
menti umani  fu  quella  stoica  (2).  Ma  appunto  per  questo  lo  stoi- 
cismo limitò  la  sua  influenza  ad  una  frazione  della  classe  colta, 
e  le  masse  restarono  completamente  estranee  alla  sua  propaganda. 
La  scuola  stoica  potè  quindi  in  una  data  epoca  contribuire  alla 
formazione  del  carattere  di  una  parte  della  classe  dirigente  del- 
l'impero romano  e  ad  essa  senza  dubbio  si  deve  una  serie  di  buoni 
imperatori;  ma  dal  momento  che  i  suoi  adepti  non  sedettero  più 
sui  gradini  di  un  trono  restò  completamente  inefficace.  Impotente 
5,  trasformarsi,  perchè  la  parte  intellettuale  e  strettamente  filoso- 
fica aveva  in  essa  quasi  totalmente  assorbito  quella  dommatica  ed 
affettiva,  non  potè  contendere  l'impero  del  mondo  romano  al  Cri- 
stianesimo, come  non  sarebbe  riuscita  a  contenderlo  al  Mosaismo, 
all'Islam  ed  al  Buddismo. 

Certo  non  si  può  affermare  che  sia  indifferente  per  un  popolo 
l'abbracciare  una  qualsiasi  religione  o  dottrina  politica.  Anzi  dif- 
ficilmente si  potrà  sostenere  che  gli  effetti  pratici  del  Cristiane- 


(1)  Vedi  EuMOND  Plauchut,  Un  roijaume  disparu.  "  Revue  des  Deux  Mondes  „, 
1»  luglio  1889. 

(2)  Tranne  per  quel  che  riguardu  la  posa  e  la  vanità,  comuni  anche  fra  gli 
stoici. 


188  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

simo  siano  uguali  a  quelli  del  Maomettismo  o  della  democrazia 
sociale.  E  quindi  indiscutibile  che  una  credenza  alla  lunga  può 
determinare  una  certa  piega  noi  sentimenti  umani  le  cui  conse- 
guenze possono  essere  grandissime.  Ma  ciò  che  ci  pare  ugualmente 
indiscutibile  è  che  nessuna  credenza  riuscirà  a  render  Tuomo  so- 
stanzialmente diverso  da  quello  che  è;  e,  per  parlare  un  linguaggio 
compreso  da  chiunque,  oltre  che  dagli  adepti  delle  scienze  sociali, 
nessuna  lo  renderà  del  tutto  buono  o  del  tutto  cattivo,  completa- 
mente altruista  od  assolutamente  egoista.  Un  adattamento  a  quella 
mediocrità  morale  ed  affettiva,  che  risponde  alla  media  dell'uma- 
nità, è  in  tutte  indispensabile.  Coloro  che  questa  verità  non  vo- 
gliono riconoscere  ci  pare  che  agevolino  il  compito  a  quegli  altri 
che,  dalla  inefficacia  relativa  dei  sentimenti  religiosi  e  delle  dot- 
trine politiche,  traggono  argomento  per  proclamarne  l'inefficacia 
assoluta  (1). 

Vm.  —  Resta  a  parlare  dell'organizzazione  del  nucleo  dii'i- 
gente  e  dei  mezzi  che  esso  usa  per  convertire  le  masse,  o  mante- 
nerle fedeli  ad  una  data  credenza  o  dottrina.  Come  il  lettore  ram- 
menterà, è  questo  il  terzo  dei  fattori  dai  quali  dipende  la  riuscita 
e  la  durata  di  qualunque  sistema  religioso  o  politico. 

Come  abbiamo  già  visto,  la  prima  formazione  del  nucleo  diri- 
gente di  una  nuova  dottrina  politica  o  religiosa  avviene  per  coap- 
tazione  spontanea;  in  seguito  la  sua  organizzazione  è  basata 
principalmente  su  quel  fenomeno  dello  spirito  umano,  al  quale 
abbiamo  pure  accennato,  che  chiameremo  mimetismo  e  consiste 
nella  tendenza  che  hanno  le  passioni,  i  sentimenti  e  le  credenze 
di  un  individuo  a  svilupparsi  secondo  la  corrente,  che  prevale 
nell'ambiente  in  cui  egli  moralmente  si  forma  e  viene  educato.  E 


(1)  A  questo  proposito  ci  viene  in  mente  un  giudizio,  che  abbiamo  spesso 
sentito  esprimere.  Siccome  i  briganti  del  mezzogiorno  d'Italia  erano  ordina- 
riamente carichi  di  scapolari  ed  immagini  di  santi  e  di  Madonne  e  nello 
stesso  tempo  erano  spesso  rei  di  parecchi  omicidi  ed  altri  misfatti,  si  è  da 
questo  fatto  tratta  la  conclusione  che  in  essi  le  credenze  religiose  non  avessero 
alcuna  utilità  pratica.  Or,  per  giudicare  così,  bisognerebbe  prima  provare  che, 
senza  gli  scapolari  e  le  Madonne,  i  briganti  non  avrebbero  commesso  qualche 
altro  omicidio  o  qualche  altro  atto  di  ferocia.  Una  sola  vita  umana,  un  solo 
dolore,  una  sola  lacrima,  che  quelle  immagini  avessero  fatto  risparmiare,  ci 
sembrano  sufficienti  per  ammettere  che  esse  riescono  di  qualche  utilità. 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  189 


un  fatto  perfettamente  naturale  che,  in  un  xDopolo  arrivato  ad  un 
certo  grado  di  cultura,  un  certo  numero  di  giovani  abbia  la  fa- 
coltà di  entusiasmarsi  per  ciò  che  crede  vero  e  morale,  per  quelle 
idee,  in  apparenza  almeno,  generose  ed  elevate,  che  riguardano  il 
destino  della  nazione  e  dell'umanità.  Questi  sentimenti  e  lo  spi- 
rito di  abnegazione  e  di  sacrifìcio,  che  ne  è  la  conseguenza,  pos- 
sono restare  allo  stato  puramente  potenziale  ed  atrofizzarsi  od 
avere  uno  splendido  sviluppo  a  seconda  che  siano  o  no  coltivati  ; 
e  possono  dare  frutti  diversissimi  secondo  la  maniera  diversa  come 
sono  coltivati. 

Nel  figlio  di  un  mercante  a  minuto,  che  non  ha  altro  contatto 
che  cogli  avventori  ed  i  commessi  della  bottega  paterna,  è  pro- 
babile che  non  abbiano  mai  occasione  di  affermarsi  o  manife- 
starsi; a  meno  che  non  si  tratti  di  uno  di  quegli  individui  supe- 
riori e  rarissimi,  che  riescono  a  formarsi  da  se  ;  mentre  un  giovane 
allevato  fin  dai  primi  anni  religiosamente  ed  educato  in  seguito 
in  un  seminario  cattolico  potrà  diventare  un  missionario,  che  tutta 
la  sua  vita  consacrerà  al  trionfo  della  fede.  Un  altro,  nato  in  una 
famiglia  blasonata,  educato  in  un  collegio  militare,  e  che  poi  entrerà 
come  sottotenente  in  un  reggimento,  dove  troverà  compagni  e 
superiori  imbevuti  delle  stesse  convinzioni,  crederà  suo  dovere 
primo  ed  esclusivo  d'obbedire  per  tutta  la  vita  agli  ordini  del  So- 
vrano ed  all'occorrenza  farsi  ammazzare  per  lui.  Un  altro  infine, 
venuto  su  fra  antichi  congiuratori  e  rivoluzionari,  che  da  bambino 
avrà  provato  entusiasmi  e  fremiti  al  racconto  di  persecuzioni  po- 
litiche e  di  episodi  delle  barricate,  la  cui  cultura  intellettuale  si 
sarà  formata  sugli  scritti  di  Rousseau,  di  Mazzini  o  di  Marx, 
crederà  santo  il  lottare  sempre  contro  l'oppressione  dei  Governi 
costituiti  e  per  la  rivoluzione  affronterà  il  carcere  ed  il  patibolo. 
Tutto  ciò  accade  perchè,  una  volta  formato  l'ambiente  catto- 
lico-ecclesiastico, il  burocratico-militare,  il  rivoluzionario,  un  indi- 
viduo, un  giovane  s^jecialmente,  che  non  sia  assolutamente  d'in- 
telletto superiore  o  di  animo  del  tutto  volgare,  presto  entro 
quell'ambiente  darà  alle  sue  facoltà  affettive  quella  direzione  che 
da  esso  gli  viene  indicata  ;  sicché,  a  seconda  dei  casi,  si  sviluppe- 
ranno nell'alunno  certi  sentimenti  anziché  altri,  lo  spirito  di  ri- 
bellione e  di  lotta,  ad  esempio,  a  preferenza  di  quello  di  obbe- 
dienza passiva  e  di  sacrificio.  L'educazione  (i  Francesi  direbbero 
il  dressage)  riesce,  l'abbiamo  già  accennato,  sui  giovani  a  prefe- 


190  BLEMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

renza  che  sugli  adulti,  sui  caratteri  entusiasti  e  passionati,  anziché 
su  quelli  freddi,  ponderati  e  calcolatori,  sui  docili  anziché  sui  ri- 
belli; tranne  nel  caso  che  la  dottrina  si  trovi  in  un  periodo,  o  sia 
per  la  sua  essenza  tale,  che  riesca  utile  di  coltivare  e  sviluppare 
l'istinto  della  ribellione. 

Una  condizione  sopra  tutte  è  opportuna  e  quasi  indispensabile 
perchè  si  raggiunga  lo  scopo,  che  abbiamo  accennato,  deirassimi- 
lazione  cioè  degli  individui  all'ambiente:  che  quest'ambiente  sia 
chiuso  a  tutte  le  influenze  esteriori,  che  nessun  sentimento  e  so- 
pratutto nessuna  idea  al  di  fuori  di  quelle  che  portano  la  marca 
della  fabbrica  vi  penetri.  Nel  seminario  non  deve  entrare  nessun 
libro  posto  all'indice,  la  filosofia  si  deve  riassumere  in  S.  Tom- 
maso d'Aquino,  la  cultura  deve  esservi  essenzialmente  teologica 
e  patristica,  i  racconti  che  desteranno  l'interesse  e  serviranno  di 
pascolo  alla  curiosità  dei  giovani  saranno  tolti  dalla  storia  dei 
martiri  e  confessori.  Nel  collegio  militare  si  narreranno  le  gesta 
dei  grandi  capitani,  le  glorie  del  proprio  esercito  e  della  propria 
dinastia,  l'educazione  e  l'istruzione  saranno  quelle  strettamente 
necessarie  per  far  conoscere  il  mestiere  delle  armi  ed  apprezzare 
altamente  l'onore  di  essere  ufficiale,  gentiluomo  e  servire  fedel- 
mente il  Re  e  la  patria.  Nella  conventicola  rivoluzionaria  non  si 
parlerà  che  delle  vittorie  e  delle  glorie  del  popolo  impeccabile, 
delle  nefandezze  dei  tiranni  e  dei  loro  satelliti,  della  cupidità  e 
viltà  dei  borghesi  e  sarà  proscritto  qualunque  libro  che  non  sia 
redatto  secondo  lo  spirito  e  le  vedute  dei  maestri.  Ogni  barlume 
di  equanimità,  ogni  raggio  che  porti  la  luce  di  altri  mondi  mo- 
rali ed  intellettuali,  il  quale  penetri  in  uno  di  questi  ambienti 
chiusi,  vi  produce  dubbi,  titubanze,  diserzioni.  La  storia  vera,  sin- 
cera, obiettiva  dei  fatti,  quella  che  insegna  a  conoscere  ed  a 
valutare  gli  uomini  indipendentemente  dalla  loro  casta,  religione 
o  partito  politico,  che  solo  tien  conto  delle  loro  debolezze  e  delle 
loro  virtù,  che  educa  e  forma  il  senso  dell'osservazione  e  del  reale, 
deve  esservi  assolutamente  interdetta. 

In  fondo  non  si  tratta  dunque  che  di  un  vero  squilibrio  dello 
spirito,  che  ogni  ambiente  procaccia  alla  recluta  che  entro  il  suo 
seno  viene  attirata,  alla  quale  si  offre  della  vita  un'immagine 
parziale,  accuratamente  riveduta,  circoscritta  e  corretta,  che  il 
neofita  x)rende  per  quella  intiera  e  reale.  Si  esagerano  certi  sen- 
timenti, si  comprimono  certi  altri,  si  dà   del   giusto,   dell'onesto, 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  191 

del  dovere  una  idea,  se  non  fondamentalmente  errata,  certo  del 
tutto  incompleta  (1).  Però  bisogna  anche  riconoscere  che  le  per- 
sone perfettamente  equilibrate,  che  conoscono  ed  apprezzano  tutti 
i  doveri  e  ad  ognuno  di  essi  annettono  la  giusta  importa>nza,  è 
diffìcile  assai  che  consacrino  tutta  la  loro  vita  e  la  loro  energia 
ad  uno  scopo  particolare  e  determinato.  E  la  forza  di  una  esage- 
razione e,  se  cosi  si  vuole,  di  una  illusione  collettiva  quella  che 
produce  i  grandi  fatti  storici  e  fa  muovere  il  mondo.  Se  un  Cri- 
stiano ammettesse  che  anche  senza  battesimo  si  può  essere  ugual- 
mente onesto  e  che  fosse  possibile  salvarsi  l'anima  rinnegando  la 
propria  fede,  si  sarebbe  spento  l'ardore  dei  missionari  e  dei  mar- 
tiri ed  il  Cristianesimo  non  sarebbe  divenuto  uno  dei  grandi  fat- 
tori della  storia  umana.  Se  molti  tra  i  fautori  di  una  rivoluzione 
fossero  ben  persuasi  che  l'indomani  della  vittoria  lo  stato  della 
società  non  potrebbe  essere  gran  fatto  migliorato,  e  se  dubitas- 
sero che  vi  è  anche  il  rischio  di  peggiorarlo,  sarebbe  difficilissimo 
trascinarli  sulle  barricate.  Le  nazioni  infatti  in  cui  lo  spirito  cri- 
tico abbonda  e  che  sono  (in  fondo  giustamente)  scettiche  sugli 
effetti  pratici  che  possono  avere  dottrine  nuove,  non  si  fanno  mai 
iniziatrici  di  grandi  movimenti  sociali  e  finiscono  coll'essere  tra- 
scinate a  rimorchio  dalle  altre  più  facilmente  entusiasmabili ;  ed, 


(1)  È  questa  identificazione  completa  del  concetto  del  giusto  e  dell'onesto 
con  una  dottrina  qualsiasi  religiosa  o  politica,  anche  moralmente  elevata,  ciò 
che  negli  animi  retti  ma  violenti  produce  i  grandi  fanatismi  e  qualche  volta 
i  reati  politici. 

Per  far  vedere  fino  a  che  punto  il  fanatismo  arrivi  rapidamente  a  spegnere 
ogni  sentimento  gentile  in  un  popolo  cavalleresco,  racconteremo  un  ultimo  aned- 
doto relativo  a  Maometto.  Ancora  vivente  il  profeta,  nella  battaglia  che  si 
combattè  ad  Onein  fra  i  suoi  seguaci  e  gli  avversari,  fra  le  file  di  costoro 
era  Doreid-Ben-Sana,  il  Baiardo  di  quell'epoca  e  di  quel  popolo,  che,  ormai 
novantenne,  si  era  fatto  condurre  vicino  alla  mischia  in  lettiga.  Un  giovine 
islamita  Rebiaa-ben-Rafii  arrivò  fino  a  lui,  e  gli  misurò  un  fendente,  ma  l'arma 
andò  in  frantumi.  "  Che  cattiva  spada  ti  ha  dato  tuo  padre,  giovanotto,  disse 
il  vecchio  eroe  ;  prendi  la  mia  ben  temprata  scimitarra  e  va  a  dire  a  tua 
madre  che  hai  ucciso  Dorcid  con  quella  stessa  arma  con  cui  egli  tante  volte 
difese  la  libertà  ed  il  buon  diritto  degli  Arabi  e  l'onore  delle  loro  donne  „. 
Rebiaa  prese  la  scimitarra  di  Doreid,  lo  massacrò  e  spinse  l'incoscienza  fino 
a  portare  l'ambasciata  a  sua  madre,  che,  forse  meno  fanatica  della  nuova  re- 
ligione perchè  più  avanzata  in  età,  pare  che  l'abbia  accolto  col  meritato  di- 
sprezzo. Vedi  Hammer  Purgstall,  Il  Profeta  Maometto. 


192  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

a  guardar  bene,  lo  stesso  accade  fra  gl'individui  di  uno  stesso 
popolo,  entro  il  quale  i  più  riflessivi  finiscono  spessissimo  coU'esser 
trascinati  dai  più  impulsivi.  Dappoiché  non  sempre  accade  che  i 
pazzi  siano  trattenuti  dai  savi,  spesso  anzi  i  primi  costringono 
gli  altri  a  tener  loro  compagnia. 

IX.  —  Ma  una  volta  passato  il  periodo  eroico  di  ogni  istitu- 
zione, quello  della  prima  propaganda,  allora  la  riflessione  e  gl'in- 
teressi presto  reclamano  i  loro  diritti.  L'entusiasmo,  lo  spirito  di 
sacrificio,  la  unilateralità  di  vedute,  bastano  a  fondare  religioni  e 
partiti  politici,  ma  non  sono  sufficienti  a  diffonderli  molto  ed  a 
durevolmente  conservarli.  Allora  il  reclutamento  del  nucleo  diri- 
gente si  modifica  o  meglio  si  completa  ;  poiché  accade  sempre  che 
fra  gl'individui  che  lo  compongono  si  entri  per  considerazioni  pu- 
ramente idealiste,  ma  l'età  nella  quale  l'idealismo  è  tutto  passa 
presto  nella  gran  maggioranza  degli  individui  umani,  e  bisogna 
trovare  anche  qualche  cosa  che  soddisfi  l'ambizione,  la  vanità,  la 
sete  di  godimenti  materiali.  In  una  parola,  insieme  ad  un  centro 
d'idee  e  di  sentimenti,  bisogna  creare  un  centro  d'interessi. 

E  qui  riappare  e  ritroviamo  di  nuovo  la  teoria  della  lega  del 
metallo  puro  col  metallo  vile,  che  abbiamo  precedentemente  enun- 
ciata. In  un  nucleo  dirigente  veramente  bene  organizzato  tutti  i 
caratteri  devono  trovare  il  loro  posto:  chi  vuol  sacrificarsi  agli 
altri  e  chi  vuole  sfruttare  il  prossimo  a  favor  suo,  chi  vuol  sem- 
brare potente  e  chi  vuole  esserlo  effettivamente  senza  curarsi 
delle  apparenze,  chi  ama  soffrire  le  privazioni  e  chi  vuol  godere 
i  piaceri  della  vita.  Tutti  questi  elementi  fusi  e  disciplinati  sotto 
un  regime  forte  ed  autoritario,  entro  il  quale  ogni  individuo  sa 
che,  finché  resterà  fedele  allo  scopo  ed  all'indirizzo  dell'istituzione, 
le  sue  tendenze  saranno  appagate,  e,  se  ad  essa  si  ribella,  potrà 
essere  moralmente  ed  anche  materialmente  distrutto,  formano 
quegli  organismi  sociali,  che  sfidano  le  più  svariate  vicende  sto- 
riche e  durano  per  decine  di  secoli. 

E  la  mente  ricorre  spontanea  alla  Chiesa  cattolica,  che  di 
tutti  questi  organismi  é  stato  ed  é  il  più  saldo  ed  il  più  tipico, 
e  non  si  può  non  restare  ammirati  di  fronte  alla  complessità  ed 
alla  sapienza  del  suo  ordinamento.  Il  seminarista,  il  novizio,  la 
sorella  di  carità,  il  missionario,  il  predicatore,  il  frate  mendicante, 
l'opulento   abate  ed  il   convento   aristocratico,  il   curato  di   cam- 


GAP.    VII    -    CHIESE,    PAKTITI    E    SETTE  193 

pagna,  il  ricco  arcivescovo,  qualche  volta  anche  principe  sovrano, 
il  cardinale  che  prende  il  passo  sui  primi  ministri,  il  PaiDa,  fino 
a  qualche  secolo  fa  uno  dei  più  potenti  sovrani  temporali,  tutti  in 
essa  hanno  il  loro  posto  e  la  loro  ragione  d'essere.  Il  Macaulay  ha 
fatto  rilevare  un  grande  vantaggio,  che  ha  il  Cattolicesimo  sul 
Protestantesimo  e  che  sarebbe  il  seguente:  quando  in  seno  al 
secondo  nasce  uno  spirito  entusiasta  e  squilibravo  finisce  sempre 
col  trovare  una  nuova  spiegazione  della  Bibbia  e  col  fondare 
quindi  un'altra  delle  tante  sette  in  cui  si  divide  la  Riforma  ; 
mentre  lo  stesso  individuo  dal  Cattolicesimo  sarebbe  stato  perfet- 
tamente utilizzato  e  sarebbe  divenuto  un  elemento  di  forza  anziché 
di  disgregazione.  Avrebbe  infatti  vestito  un  saio  di  frate,  sarebbe 
divenuto  un  famoso  predicatore  e,  nel  caso  che  fosse  stato  un 
carattere  veramente  originale,  un  cuore  davvero  caldo,  e  che  i 
tempi  avessero  aiutato,  se  ne  sarebbe  potuto  fare  anche  un  San 
Francesco  d'Assisi  od  un  Sant'Ignazio  di  Loyola.  Ora  questo 
esempio,  pur  cosi  calzante,  ci  svela  solo  uno  dei  tanti  modi  con 
cui  la  gerarchia  cattolica  sa  mettere  a  profìtto  tutte  le  attitudini 
umane. 

Si  dice  che  il  celibato  degli  ecclesiastici  sia  contro  natura,  e 
veramente  per  un  certo  numero  di  uomini  è  sacrifìcio  grandissimo 
il  restar  privi  di  una  famiglia  legale  ;  ma  d'altra  parte  bisogna 
riflettere  che  a  questo  prezzo  soltanto  si  può  avere  una  milizia 
scevra  di  affetti  privati  ed  isolata  dal  resto  della  società;  e  per 
i  caratteri  che  ad  esso  sono  proclivi,  il  celibato  stesso  non  esclude 
certe  soddisfazioni  materiali.  Credono  anche  molti  che  la  Chiesa 
sia  tralignata  e  che  abbia  perduto  forza  ed  influenza  perchè  si  è 
allontanata  dalle  sue  origini  e  non  è  stata  più  unicamente  l'an- 
cella dei  poveri.  Ma  anche  questo  è  un  modo  di  vedere  superfìciale 
e  quindi  erroneo. 

Forse  alla  fìne  del  secolo  decimonono  o  al  principiare  del 
ventesimo,  quando  tutti  parlano  e  s'interessano,  o  mostrano  d'in- 
teressarsi, delle  classi  diseredate,  j)uò  convenire  anche  al  Sommo 
Pontefice  di  rammentarsi  un  poco  di  più  che  Egli  è  il  servo  dei 
servi  di  Dio.  Ma,  tolte  certe  epoche  transitorie,  la  Chiesa  catto- 
lica non  sarebbe  divenuta  quella  che  è  stata,  né  sarebbe  durata 
tanto  tempo  in  auge,  se  si  fosse  conservata  sempre  una  istituzione 
a  puro  beneficio  dei  miseri  e  popolare  soltanto  fra  gli  straccioni. 
Essa  al  contrario  accortamente  ha  trovato  il  modo  di  farsi  apprez- 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  13 


194  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

zare  tanto  dal  povero  che  dal  ricco:  al  primo  ha  offerto  elemo- 
sine e  consolazioni,  il  secondo  ha  conquistato  colla  magnificenza 
e  collo  soddisfazioni,  che  ha  saputo  procacciare  alhi  sua  vanità  ed 
al  suo  amor  pro])rio.  E  tanto  (juest'indirizzo  è  stato  bene  scelto, 
che  tutti  i  nemici  della  Chiesa,  mentre  da  una  parte  le  hanno 
rimproverato  il  suo  lusso  e  la  sua  mondanità,  d'altra  parte,  se 
sono  stati  accorti,  hanno  avuto  sempre  cura  di  toglierle,  per 
quanto  è  stato  possibile,  influenza  e  ricchezze;  ed  un'altra  isti- 
tuzione, che  ora  in  parecchi  paesi  a  combatter  la  Chiesa  cattolica 
si  è  tutta  consacrata,  dal  canto  suo  non  manca  di  procacciare, 
per  quanto  può,  soddisfazioni  personali  e  vantaggi  materiali  ai 
suoi  aderenti. 

X.  —  Organizzato  il  nucleo  dirigente,  i  sistemi  da  esso  ado- 
perati per  conquistare  le  masse  e  mantenerle  fedeli  alla  dottrina 
possono  essere  vari.  Quando  non  s'incontrano  forti  ostacoli  este- 
riori o  nella  natura  stessa  di  un  sistema  politico  o  religioso,  pos- 
sono dare  buoni  risultati  tanto  i  metodi  di  propaganda  fondati 
sulla  persuasione  e  l'educazione  graduale  delle  tui'be,  quanto  gli 
altri  che  ricorrono  alla  violenza.  La  violenza  è  anzi  forse  il  modo 
più  spiccio  di  far  prevalere  convinzioni  ed  idee,  ma  naturalmente 
per  usarla  è  ovvio  che  bisogna  essere  i  più  forti. 

Nel  secolo  decimonono  si  è  molto  diffusa  la  persuasione  che 
la  forza  e  la  persecuzione  non  valgano  a  combattere  le  dottrine 
fondate  sulla  verità,  alle  quali  è  riserbato  l'avvenire,  e  che  sono 
del  pari  inutili  contro  quelle  sbagliate,  delle  quali  la  ragione 
popolare  fa  giustizia  da  sé.  Or,  ci  si  conceda  di  esser  sinceri,  è 
difficile  trovare  un  concetto  più  erroneo,  perchè  fondato  sopra 
una  maggiore  superficialità  di  osservazioni  e  sopra  una  maggiore 
inesperienza  dei  fatti  storici,  di  questo  che  abbiamo  ora  esposto: 
esso  ci  pare  uno  di  quelli  che  faranno  più  ridere  i  posteri  alle  no- 
stre spalle.  Che  un  simile  modo  di  vedere  sia  predicato  da  tutti 
i  partiti  e  da  tutte  le  sette,  che  non  hanno  ancora  nelle  mani  il 
potere,  lo  si  comprende  benissimo  ;  perchè  l'istinto  del  proprio 
interesse  le  deve  indurre  a  professare  questa  opinione;  ma  la 
stoltezza  incomincia  quando  essa  è  accettata  dagli  altri.  Quid 
est  veritas?  diceva  Pilato,  e  noi  cominciamo  col  domandare  che 
cosa  sia  una  dottrina  vera  e  una  dottrina  falsa?  Scientifica- 
mente parlando,  tutte  le  dottrine  religiose,  anche  quelle  più  dif- 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PARTITI    E    SETTE  195 


fuse,  sono  false,  e  certo  non  si  sosterrà  che  il  Maomettismo,  ad 
esempio,  che  ha  conquistato  tanta  parte  del  mondo,  sia  fondato 
sulla  verità  scientifica.  E  quindi  molto  più  esatto  il  dire  che  vi  sono 
dottrine  le  quali  soddisfano  i  sentimenti  più  sparsi  e  radicati  nei 
cuori  umani  e  che  quindi  hanno  una  gran  forza  di  diffusione,  e 
dottrine  le  quali  posseggono  in  minor  grado  la  qualità  accennata, 
e  che  quindi,  benché  dal  lato  intellettuale  possano  essere  ])m  ac- 
cettabili, si  diffonderanno  meno.  E,  se  si  vuole,  si  possono  anche 
distinguere  le  dottrine  la  cui  diffusione  è  giovevole  agli  interessi 
della  civiltà  e  della  giustizia  e  produce  una  maggior  somma  di 
pace,  di  moralità,  di  benessere,  dalle  dottrine  colle  quali  si  può 
ottenere  un  effetto  contrario  ;  le  quali  pur  troppo  non  sono  quelle 
che  sempre  presentano  meno  i  caratteri  della  diffusibilità.  Noi,  ad 
esempio,  crediamo  che  la  democrazia  sociale  minacci  l'avvenire 
della  civiltà  moderna,  eppure  bisogna  riconoscere  che  essa  si  fonda 
sul  sentimento  della  giustizia,  sulla  invidia  e  sulla  sete  dei  godi- 
menti; qualità  cosi  diffuse  negli  uomini,  specialmente  in  quelli 
presenti,  che  sarebbe  errore  grandissimo  negare  alle  dottrine  so- 
cialiste una  gran  forza  di  propaganda. 

Si  rammenta  sempre  l'esempio  del  Cristianesimo  che  trionfò 
malgrado  le  persecuzioni,  e  del  liberalismo  moderno  che  vinse  i 
tiranni  che  lo  comprimevano.  Ciò  dimostra  soltanto  che  una  per- 
secuzione condotta  male  non  può  bastare  a  tutto,  e  che  vi  sono 
forse  dei  casi  in  cui  la  forza  stessa  non  basta  ad  arrestare  una 
corrente  d' idee  ;  ma  l'eccezione  non  può  servire  di  fondamento 
ad  un  principio  generale.  La  verità  è  che  quasi  sempre  se  le 
persecuzioni  mal  fatte,  tardivamente  intraprese,  condotte  con 
mollezza  ed  oscitanza,  possono  anche  giovare  al  trionfo  di  una 
dottrina,  la  persecuzione  spietata,  energica,  che  colpisce  la  dot- 
trina avversaria  appena  essa  si  manifesta,  è  il  modo  più  adatto 
per  combatterla. 

Il  Cristianesimo  non  sempre  nell'impero  romano  fu  perse- 
guitato energicamente,  ebbe  lunghi  periodi  di  tolleranza,  e  le  per- 
secuzioni stesse  furono  di  frequente  parziali,  limitate  cioè  in 
qualche  provincia  ;  infine  non  trionfò  definitivamente  se  non  quando 
un  imperatore,  che  aveva  in  mano  la  forza  costituita,  cominciò  a 
favorirlo.  Similmente  la  propaganda  liberale  non  solo  non  fu 
ostacolata,  ma  fu  quasi  aiutata  dai  governi  dalla  metà  del  secolo 
decimottavo  fino  alla  Rivoluzione  francese.  Combattuta  in  seguito 


196  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

con  intermittenza  e  non  mai  contemporaneamente  in  tutto  il  mondo 
europeo,  trionfò  quando  i  Governi  stessi  si  convertirono  o  furono 
colla  forza,  interna  od  esterna,  abbattuti. 

Di  fronte  a  questi  due  esempi  dubbi  quanti  altri  ve  no  sono 
decisamente  contrari.  Lo  stesso  Cristianesimo  nei  suoi  inizi  dif- 
ficilmente si  diffuse  fuori  dei  confini  dell'impero  romano;  in 
Persia,  ad  es.,  non  fu  accolto,  non  solo  perchè  trovò  ostacolo  nella 
religione  nazionale,  ma  anche  perchè  vi  fu  energicamente  persegui- 
tato. Colla  spada  e  col  fuoco  Carlo  Magno,  durante  lo  spazio  di 
una  generazione,  lo  impiantò  fra  i  Sassoni.  L'evangelizzazione 
dell' imjDero  romano  avea  richiesto  secoli;  pochi  anni  bastarono  a 
quella  di  molti  paesi  barbari,  perchè  una  volta  convertiti  i  Re 
ed  i  grandi,  il  popolo  in  massa  chinava  la  cervice  al  battesimo. 
In  questo  modo  molto  spiccio  la  croce  fu  impiantata  nei  diversi 
regni  anglo-sassoni,  in  Polonia,  in  Russia,  nei  paesi  scandinavi 
ed  in  Lituania.  Nel  secolo  decimosettimo  la  religione  cristiana  fu 
quasi  spenta  nel  Giappone  mediante  una  persecuzione  spietata  e 
quindi  efficace.  Colla  persecuzione  il  Buddismo  fu  sradicato  dal- 
l'India sua  patria,  il  Mazdeismo  dalla  Persia  dei  Sassanidi  ed  il 
Babismo  dalla  Persia  moderna,  la  nuova  religione  del  Taeping 
dalla  China.  Mercè  la  persecuzione  sparirono  gli  Albigesi  dalla 
Francia  meridionale  ed  il  Maomettismo  ed  il  Mosaismo  furono 
sbarbicati  dalla  Spagna  e  dalla  Sicilia.  La  Riforma  religiosa  in 
fondo  non  trionfò  che  in  quei  paesi  in  cui  fu  appoggiata  dai 
Governi  ed  in  qualche  caso  da  una  rivoluzione  vittoriosa.  La 
stessa  rapida  diffusione  del  Cristianesimo,  che  si  attribuisce  a 
miracolo,  è  nulla  di  fronte  a  quella  ben  più  rapida  del  Maomet- 
tismo. Il  primo  in  tre  secoli  si  estese  per  tutto  il  territorio  del- 
l'impero romano;  il  secondo  in  soli  ottanta  anni  allargò  i  suoi 
confini  da  Samarcanda  ai  Pirenei.  Ma  il  primo  agiva  unicamente 
colla  predicazione  e  la  persuasione,  il  secondo  impiegava  a  pre- 
ferenza la  scimitarra. 

Del  resto  il  fatto  che  tutti  i  partiti  politici  e  tutte  le  credenze 
religiose  tendono  ad  esercitare  un'influenza  su  chi  comanda,  e, 
quando  possono,  a  monopolizzare  il  comando,  è  la  miglior  prova 
che  essi,  anche  se  non  lo  confessano  apertamente,  hanno  l'intima 
convinzione  che  il  disporre  di  tutte  le  forze  più  efficaci  di  un  or- 
ganismo sociale,  e  specialmente  di  uno  Stato  burocratico,  sia  il 
modo  migliore  per  diffondere  e  sostenere  le  loro  dottrine. 


CAP.  VII   -    CHIESE,    PAKTITI    E    SETTE  197 

XI.  —  Indipendentemente  dall'uso  della  forza  materiale, 
sugli  altri  modi  che  usano  le  varie  religioni  ed  i  partiti  politici 
per  attirare  le  turbe,  per  conservare  sopra  di  esse  il  predominio 
e  sfruttarne  la  credulità,  ci  sono  da  fare  osservazioni  analoghe  a 
quelle  che  abbiamo  già  fatte,  relativamente  alla  necessità  che 
hanno  i  fondatori  di  dottrine  e  le  dottrine  stesse  di  adattarsi  ad 
una  certa  mediocrità  morale.  I  seguaci  di  ogni  sistema  politico  o 
religioso  usano  su  questo  riguardo  rilevare  accuratamente  le 
pecche  degli  avversari,  avendo  la  pretensione  di  esserne  mondi, 
ma  in  fatti  tutti  sono,  con  molte  gradazioni  è  vero,  più  o  meno 
intinti  della  stessa  pece.  In  verità,  come  abbiamo  già  accennato, 
si  può  essere  perfettamente  morali  finché  non  si  viene  in  contatto 
cogli  altri  uomini  e  sopratutto  finche  non  si  ha  la  pretensione  di 
guidarli,  ma  quando  si  vuole  dirigere  la  loro  condotta,  allora  è 
necessario  far  giuocare  tutte  le  loro  molle  sensibili,  sfruttare  tutte 
le  loro  debolezze,  e  chi  volesse  soltanto  fare  appello  ai  loro  sen- 
timenti generosi  sarebbe  assai  facilmente  vinto  da  altri  meno 
scrupoloso.  Gli  Stati  non  si  governano  coi  paternostri^  diceva 
Cosimo  dei  Medici  (il  padre  della  patria):  ed  invero  è  difficile 
assai  il  condurre  le  moltitudini  secondo  certe  vedute,  quando  non 
si  sa  all'occorrenza  lusingare  le  passioni,  soddisfare  fantasie  ed 
appetiti  ed  incutere  paura  (1). 

A  guardarci  bene  si  vede  che  le  arti  usate  per  adescare  le 
turbe,  in  tutti  i  tempi  ed  in  tutti  i  luoghi,  hanno  avuto  ed  hanno 
una  grande  analogia,  perchè  è  occorso  sempre  di  mettere  a  pro- 
fitto le  stesse  debolezze  umane.  Tutte  le  religioni,  anche  quelle 
che  rinnegano  il  soprannaturale,  hanno  il  loro  speciale  stile  de- 
clamatorio, con  cui  si  fanno  le  prediche,  i  discorsi  od  i  sernioni; 


(1)  Non  occorre  di  rammentare  che  l'uomo  che  volesse  reggere  uno  Stato 
soltanto  colle  bestemmie,  basandosi  cioè  esclusivamente  sugli  interessi  mate- 
riali e  sui  sentimenti  bassi,  per  quanto  tristo,  sarebbe  altrettanto  ingenuo  di 
chi  lo  volesse  governare  coi  soli  paternostri  e,  se  Cosimo  il  vecchio  fosse  vivo, 
non  esiterebbe  a  biasimarlo. 

Del  resto  coll'energia,  l'abnegazione,  l'attività,  la  pazienza  e,  ove  occorre, 
colla  superiorità  nelle  conoscenze  tecniche,  può,  chiunque  comanda  o  dirige, 
sentir  meno  il  bisogno  di  sfruttare  i  sentimenti  bassi  e  può  far  maggior  fon- 
damento sui  sentimenti  generosi  e  buoni  dei  suoi  sottoposti.  Ma  chi  comanda 
è  pure  uomo,  quindi  non  sempre  possiede  in  grado  eminente  le  qualità  ac- 
cennate. 


198  ELBMENTI   DI   BOIBNZA    POLITICA 


tutte  hanno  per  colpire  la  fantasia  il  loro  lituale  a  le  loro  pompe 
esteriori;  If  processioni  alcune  lo  fanno  coi  ceri  e  salmodiando 
litanie,  altro  dietro  le  bandiere  rosso  al  suono  della  marsigliese  o 
cantando  l'inno  dei  lavoratori. 

Religioni  e  partiti  politici  mettono  ugualmente  a  {profitto  i 
vanitosi  e  creano  per  loro  gradi,  uffici  e  distinzioni,  ed  ugual- 
mente sfruttano  i  semplici  e  gli  ingenui  e  gli  avidi  di  sacrificio 
o  di  notorietà  per  creare  il  martire,  e,  una  volta  ottenuto  il  mar- 
tire, hanno  cura  di  mantenerne  vivo  il  culto,  che  serve  tanto  a 
rafforzare  la  fede.  Altra  volta  nei  conventi  si  soleva  scegliere  il 
più  baccellone  dei  frati  e  lo  si  accreditava  come  santo,  attribuen- 
dogli anche  miracoli,  e  ciò  allo  scopo  di  aumentare  la  celebrità 
e  quindi  la  ricchezza  e  l'influenza  del  sodalizio,  le  quali  erano 
sapute  ben  adoperare  da  coloro  che  aveano  difetto  la  commedia. 
Ai  giorni  nostri  sette  e  partiti  politici  sono  abilissimi  nel  creare 
l'uomo  superiore,  l'eroe  leggendario,  il  carattere  che  non  si  discute, 
il  quale  servo  anche  esso  a  mantenere  il  lustro  della  congrega 
e  procaccia  ricchezze  e  potere  ai  furbi  che  ne  fanno  parte.  Quando 
il  conte  zio  rammentava  al  padre  provinciale  dei  cappuccini  le 
marachelle  che  il  padre  Cristoforo  avea  commesse  in  gioventù:  è 
la  gloria  dell'abito,  rispondeva  di  botto  il  padre  provinciale,  che 
uno,  che  al  secolo  ha  potuto  far  dire  di  se,  con  quest'abito  indosso 
diventa  tutt'altro  (1).  Questa  è  senza  dubbio  risposta  prettamente 
fratesca,  ma  agiscono  peggio  dei  frati  partiti  e  sette  politiche, 
che,  purché  i  loro  adepti  siano  fedeli  alla  bandiera,  ne  coprono 
e  ne  scusano  le  peggiori  ribalderie.  Per  essi  chiimque  porta 
l'abito  indosso  diventa  di  botto  tutt'altro. 

Quel  complesso  di  dissimulazioni,  artifici  e  furberie,  che  va 
comunemente  inteso  col  nome  di  gesuitismo,  non  è  proprio  sol- 
tanto dei  seguaci  di  Loyola  ;  forse  questi  ebbero  l'onore  di  dargli 
il  nome  perchè  lo  coordinarono,  lo  perfezionarono  e  quasi  lo 
costituirono  a  sistema;  ma  in  fondo  lo  spirito  gesuitico  non  è 
che  una  esagerazione  dello  spirito  settario  portato  alle  ultime 
conseguenze.  Tutte  le  religioni  e  tutti  i  partiti,  che,  con  più  o 
meno  sincerità  iniziale  d'entusiasmo,  si  sono  prefissi  di  condm-re 
gli  uomini  secondo  un   dato  scopo,  hanno,  con  maggiore  o  minor 


(1)  Si  allude  ad  un  episodio  del  notissimo  romanzo  /  Promessi  sposi. 


CAP.  VII    -    CHIESE,    PABTITI    E    SETTE  199 

temperanza,  usato  modi  analoghi  a  quelli  dei  Gresuiti  e  qualche 
volta  forse  anche  peggiori.  Il  principio  che  il  fine  giustifica  i 
mezzi  si  è  adottato  per  il  trionfo  di  tutte  le  cause  e  di  tutti  i 
sistemi  sociali  e  politici;  per  tutti  i  partiti,  come  in  tutti  i  culti, 
vige  l'usanza  di  giudicare  uomini  grandi  solo  quelli  che  militano 
nelle  loro  file,  gli  altri  tutti  essendo  bricconi  o  cretini  ;  e,  quando 
peggio  non  si  può  fare,  si  mantiene  un  ostinato  silenzio  sui  meriti 
degli  individui,  che  stanno  fuori  della  chiesa  o  della  chiesuola. 
Tutti  i  settari  praticano  l'arte  di  mantenere  formalmente  e  lette- 
ralmente la  parola  data  violandola  nella  sostanza;  tutti  conoscono 
il  modo  di  torcere  la  narrazione  dei  fatti  a  loro  profitto;  tutti 
sanno  trovare  i  caratteri  semplici  e  timorati  e  conoscono  le  vie  di 
cattivarsene  la  fiducia  ed  averne  aiuti  e  sussidi  per  Videa  e  per  le 
persone  che  la  rappresentano  e  ne  sono  gli  apostoli.  Pur  troppo 
perciò  anche  se  i  Gesuiti  sparissero  il  gesuitismo  resterebbe  ;  e  basta 
guardarsi  un  poco  attorno  per  essere  convinti  di  questa  verità  (1). 

XI.  —  E  difficile  assai  che  venga  un  giorno  in   cui  le  lotte 
e  le  gare  fra  religioni  e  partiti  diversi  debbano  finire;  ciò  sarebbe 


(1)  I  modi  meno  scrupolosi  sono  più  spesso  usati  nelle  associazioni  in  lotta 
colle  autorità  costituite  e  pivi  o  meno  segrete.  Si  sa,  ad  es.,  che  fra  le  istru- 
zioni di  Bakounine  vi  è  questa:  "  Per  giungere  alla  tenebrosa  città  di  Pan- 
distruzione  il  primo  requisito  è  una  serie  di  assassinii,  di  audaci  ed  anche 
pazze  imprese,-  le  quali  mettano  il  terrore  nel  potente  ed  abbaglino  il  popolo, 
fino  a  che  essi  credano  nel  trionfo  della  rivoluzione  „  (In  forma  più  cruda 
queste  massitae  somigliano  alquanto  all'  "  agitatevi  ed  agitate  ,,  di  un  altro 
grande  rivoluzionario).  Nello  stesso  opuscolo  intitolato  1  Principii  della  Rivo- 
luzione il  Bakounine  dice  :  "  Col  non  ammettere  altra  attività  che  quella  della 
distruzione,  noi  dichiariamo  che  le  forme  con  le  quali  quest'attività  dovrebbe 
manifestarsi  possono  essere  svariatissime  :  veleno,  pugnale,  knout.  La  rivolu- 
zione santifica  tutto  senza  distinzione  ,.  Un  altro  russo  che  diventò  di  prin- 
cipii molto  diversi  da  quelli  del  Bakounine,  il  Dostojewsski,  così  in  un  suo 
romanzo  descrive  i  modi  con  cui  gli  astuti  attirano  gli  ingenui  nel  seno  delle 
società  rivoluzionarie:  "  Prima  di  tutto  occorre  l'esca  burocratica,  s'inventano 
titoli  di  presidente,  segretario,  ecc.  Viene  poi  la  sentimentalità,  che  è  l'agente 
più  efficace;  sopra  tutto  vi  possono  il  rispetto  umano,  la  paura  di  avere  una 
opinione  propria  ed  il  timore  di  passare  per  antiliberali  „. 

"  Poi  (aggiunge  un  altro  personaggio)  vi  è  anche  il  segreto  di  associare  i 
neofiti  inconsapevoli  ad  un  reato,  per  esempio  facendo  assassinare  un  com- 
pagno da  cinque  colleghi  col  pretesto  che  sia  una  spia;  perchè  l'assassinio 
cementa  ogni  cosa  e  trascina  nell'orbita  i  piìi  riluttanti  „. 


200  ELEMENTI   DI    SCIENZA   POLITICA 

possibile  quando  tutto  il  mondo  civile  appartenesse  ad  unico  tipo 
sociale,  ad  unica  religione,  e  non  vi  fossero  più  dispareri  sul  modo 
di  raggiungere  un  miglioramento  sociale.  Or,  senza  accogliere  le 
teorie  di  qualche  autore  tedesco  che  ammette  la  necessità  dei 
partiti  politici,  perchè  rispondono  alle  varie  tendenze,  che  si  ma- 
nifestano nelle  diverse  età  dell'uomo,  noi  possiamo  facilmente 
constatare  che  qualunque  nuova  religione,  qualunque  nuovo  indi- 
rizzo politico,  che  arrivano  a  raggiungere  un  certo  successo,  si 
suddividono  ordinariamente  in  altre  sette;  nelle  (juali  gli  istinti 
della  disputa  e  della  lotta  trovano  il  loro  sfogo,  e  che  combattono 
fra  loro  collo  stesso  zelo  e  lo  stesso  accanimento,  che  prima  ado- 
peravano contro  le  religioni  ed  i  partiti  avversari.  I  numerosi 
scismi  e  le  eresie  continuamente  ripullulanti  del  Cristianesimo,  del 
Maomettismo  e  di  tante  altre  religioni,  le  divisioni  che  già  na- 
scono in  seno  alla  democrazia  sociale,  ancor  lontana  dal  suo  trionfo, 
che  forse  non  raggiungerà  mai,  provano  la  difficoltà  straordinaria 
di  attuare  quell'universalità  di  un  solo  mondo  morale  ed  intellet- 
tuale, alla  quale  abbiamo  accennato. 

Del  resto,  ammesso  anche  che  essa  si  possa  facilmente  con- 
seguire, non  ci  pare  desiderabile  :  finora  la  libertà  di  pensare,  os- 
servare e  giudicare  serenamente  e  spassionatamente  uomini  e 
cose  è  stata  possibile,  sempre,  s'intende,  per  pochi  individui,  solo 
in  quelle  società  il  dominio  delle  quali  è  stato  conteso  da  diverse 
correnti  religiose  e  politiche.  Questa  stessa  condizione,  abbiamo 
già  visto  al  capitolo  quinto,  essere  indispensabile  quasi  per  otte- 
nere quella  maggior  giustizia  nei  rapporti  fra  governanti  e  go- 
vernati, che  è  compatibile  coll'imperfetta  natm-a  umana,  il  che 
sarebbe  ciò  che  comunemente  viene  inteso  per  libertà  politica. 
Nelle  società  infatti  nelle  quali  la  scelta  fra  più  correnti  reli- 
giose e  politiche  non  è  più  possibile,  perchè  una  sola  è  riuscita 
ad  imporsi  esclusivamente,  il  pensatore  isolato  ed  originale  deve 
tacere,  e,  al  monopolio  morale  ed  intellettuale,  si  unisce  infal- 
libilmente quello  politico  a  prò  di  una  casta  o  di  una  sola  forza 
sociale. 

Base  delle  moderne  dottrine  massoniche  è  la  credenza  che  l'uomo 
tende  a  divenire  fisicamente,  intellettualmente  e  moralmente 
sempre  più  sano  ed  elevato,  e  che  solo  l'ignoranza  e  la  superstizione, 
che  hanno  generato  le  religioni  dommatiche,  lo  hanno  allontanato 
e  lo  allontanano  dal  seguire  questa  via,  che  sarebbe  per  lui  la  più 


GAP.  VII    -    CHIESE,    PAKTITI    E    SETTE  201 

naturale,  e  lo  hanno  spinto  alle  persecuzioni,  alle  stragi,  alle  lotte 
fratricide  (1).  Un  simile  modo  di  vedere  non  ci  pare  accettabile. 
Quelle  che  ora  molti  chiamano  superstizioni,  tutte  le  religioni  rive- 
late, non  sono  state  certo  insegnate  all'uomo  da  un  Ente  extra- 
umano, ma  furono  create  dagli  uomini  stessi  e  nella  natura  umana 
hanno  trovato  il  loro  alimento  e  la  loro  ragion  d'essere.  Esse  non 
sono  che  solo  in  parte,  e  qualche  volta  minima,  responsabili  delle 
lotte,  delle  stragi  e  delle  persecuzioni,  dovute  spesso  più  alle  pas- 
sioni degli  uomini  che  ai  dommi  che  le  religioni  insegnano.  Anzi 
crediamo  che  la  scusa  dei  tempi  e  dei  fanatismi  religiosi  e  politici 
non  valga  a  togliere,  innanzi  la  storia  imparziale,  che  una  pic- 
cola frazione  della  responsabilità  individuale  per  gli  eccessi  di 
ogni  genere  ;  perchè  in  ogni  tempo,  in  ogni  religione,  in  ogni  dot- 
trina, ciascuno  può  e  sa  trovare  quella  tendenza,  che  alla  sua  in- 
dole è  più  confacente.  E  tanto  ciò  è  vero  che  il  Maomettismo  non 
impedi  a  Saladino  di  essere  umano  e  generoso  anche  cogli  infe- 
deli, come  il  Cristianesimo  non  mitigò  la  ferocia  di  Riccardo  cuor 
di  leone  (2);  che  la  stessa  religione,  che  diede  Simone  di  Monfort 
e  Torquemada,  diede  pure  S.  Francesco  d'Assisi  e  Santa  Teresa, 
che  nello  stesso  anno  1793,  in  cui  \'issero  ed  operarono  Marat, 
Robespierre  e  quel  convenzionale  Camer,  che  a  Nantes  faceva  an- 
negare a  migliaia  i  bambini  dei  Vandeisti,  il  capo  vandeista  Bon- 
champs,  ferito,  al  letto  di  morte  implorava  ed  otteneva  la  vita  e  la 
libertà  di  quattromila  prigionieri  repubblicani,  che  i  suoi  commili- 
toni volevano  moschettare.  Del  resto  lotte  vivissime  si  sono  avute, 
e  persecuzioni  e  stragi,  nell'ultimo  secolo,  si  sono  perpetrate  in 
nome  di  altre  dottrine,  che  non  hanno  alcun  fondamento  nel  sopran- 
naturale e  proclamano  la  libertà,  l'uguaglianza  e  la  fratellanza  di 
tutti  gli  uomini. 


(1)  Questa  dottrina  è  stata  pubblicamente  proclamata  in  una  lettera  del 
Grand' Oriente  della  Massoneria  francese  al  Grand' Oriente  della  Massoneria 
italiana,  che  fu  riprodotta  da  molti  giornali  italiani  del  1892.  Del  resto  ab- 
biamo attinto  da  molteplici  fonti  che  essa  è  accettata  generalmente  dalla 
Massoneria  francese,  italiana,  belga  e  spagnuola,  e  ne  determina  l'azione  e  le 
tendenze  politiche. 

(2)  Si  deve  infatti  a  questo  sovrano,  tanto  celebrato  per  i  suoi  pregi  caval- 
lereschi, il  massacro  di  tre  mila  prigionieri  maomettani  presi,  dopo  strenua 
difesa,  in  S.  Giovanni  d'Acri,  e  si  deve  alla  magnanimità  di  Saladino  se  il 
terribile  esempio  non  fu  in  larga  scala  imitato  dall'esercito  maomettano. 


202  ELEMENTI    DI   SCIENZA    POLITICA 

In  verità  il  sentimento,  che  nasce  spontaneo  da  una  rapida  e 
sprejf^iudicata  sintesi  della  storia  dei  popoli,  è  la  compassione  per 
le  qualità  contradittorie  della  povera  razza  umana:  così  ricca  di 
abnegazione,  cosi  pronta  alle  volte  al  sacrifìcio  individuale  e  nella 
quale,  nello  stesso  tempo,  ogni  tentativo  più  o  meno  indovinato, 
e  qualche  volta  non  indovinato  affatto,  per  raggiungere  un  mi- 
glioramento morale  e  quindi  materiale,  va  unito  allo  sfrenarsi  di 
odii,  di  rancori,  delle  passioni  peggiori.  Tragico  destino  quello 
degli  uomini:  i  fjuali,  pur  aspirando  sempre  a  conseguire  ed  attuare 
il  bene,  trovarono  nello  stesso  tempo  il  modo  di  scannarsi  e  per- 
seguitarsi a  vicenda,  fino  a  ieri,  per  l'interpretazione  di  un  dogma 
o  di  un  passo  della  Bibbia;  hanno  continuato  a  scannarsi  ed  a 
perseguitarsi  oggi  per  inaugurare  il  regno  della  libertà,  dell'ugua- 
glianza e  della  fratellanza;  e  forse  si  scanneranno,  si  perseguite- 
ranno, si  martirizzeranno  atrocemente  domani,  quando,  in  nome 
della  democrazia  sociale,  si  vorrà  fare  sparire  dal  mondo  ogni 
traccia  di  violenza  e  d'ingiustizia. 


CAPITOLO  Vili. 
Le    rivoluzioni. 


Carattere  delle  rivoluzioni  nelle  città  elleniche  e  nei  Comuni  raedioevali.  — 
II.  Guerre  civili  e  rivoluzioni  in  Roma  antica,  nell'Europa  feudale  e  nei  paesi 
maomettani.  —  III.  Rivoluzioni  in  China.  —  IV.  Insurrezioni  di  carattere  na- 
zionale. —  V.  Insurrezioni  rurali  in  Europa.  —  VI.  Rivoluzioni  tipiche  della 
Francia  moderna.  —  VII.  Condizioni  per  la  riuscita  di  queste  rivoluzioni. 


I.  —  Abbiamo  esaminato  i  modi  come  si  formano  e  si  affer- 
mano le  correnti  d'idee,  di  sentimenti  e  di  passioni,  che  ordina- 
riamente influiscono  a  mutare  l'indirizzo  delle  società  umane. 
Resta  a  vedere  in  qual  maniera  queste  correnti  riescano  talora 
materialmente  ad  imporsi  mediante  l'uso  della  forza,  cambiando 
anche  gli  individui  che  stanno  al  potere  e  facendo  si  che  essi  rap- 
presentino i  loro  principii.  Simili  mutamenti,  nelle  società  che 
hanno  raggiunto  un  certo  sviluppo  nella  loro  organizzazione,  pos- 
sono avvenire  o  per  iniziativa  o  almeno  col  consenso  di  quella 
frazione  della  società,  alla  quale  suole  essere  affidata  la  tutela  di 
tutto  il  corpo  politico  e  che,  nei  casi  ordinari,  ha  il  monopolio 
delle  armi,  oppure  per  opera  di  altri  elementi  e  forze  sociali,  che 
quella  frazione  riescono  a  vincere.  Allora  ha  luogo  quel  fenomeno, 
abbastanza  frequente  nella  storia  contemporanea,  che  comunemente 
chiamasi  rivoluzione  e  che  sarà  ora  nostro  compito  di  brevemente 
analizzare. 

I  rivolgimenti  dei  piccoli  Stati,  nei  quali  l'organizzazione  buro- 
cratica non  esiste  o  è  assolutamente  embrionale,  non  hanno  che 
un'analogia  del  tutto  apparente  con  quelli  dei  grandi  e  sopratutto 
colle   rivoluzioni   moderne.   Nell'antichità   classica,    ad    esempio, 


204  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

quando  un  tiranno  diveniva  padrone  di  una  città,  oppure  un'oli- 
garchia si  sostituiva  alla  democrazia,  e  spesso  anche  quando  il 
tiranno  o  l'oligarchia  venivano  rovesciati,  in  fondo  si  trattava 
sempre  di  una  cricca,  più  o  meno  numerosa,  che,  nella  direzione 
della  cosa  pubblica,  ne  sostituiva  un'altra.  Quando  lo  Stato  greco 
funzionava  regolarmente,  tutta  la  classe  governante,  cioè  tutti  co- 
loro che  non  erano  né  schiavi,  né  stranieri  domiciliati,  né  operai 
manovali  partecipavano  alle  funzioni  politiche.  Quando  si  stabiliva 
il  regime  tirannico,  ovvero  oligarchico,  o  anche  quella  degenerazione 
della  democrazia  che  dicevasi  oclocrazia,  allora  ima  frazione  di 
questa  classe  usurpava  per  sé  tutto  il  potere  a  detrimento  del- 
l'altra, che  veniva  in  parte  uccisa,  in  parte  spogliata  dei  beni  ed 
esiliata.  Alla  loro  volta  i  vincitori  dovevano  temere  le  rappresaglie 
dei  vinti,  i  quali  se  riuscivano  a  superarli  li  trattavano  alla  stessa 
maniera. 

La  lotta  era  quindi  condotta  a  base  di  forza  e  di  furberia,  cogli 
assassinii  e  le  sorprese,  e  le  parti  in  lizza  spesso  ricorrevano  al- 
l'appoggio degli  stranieri  o  di  qualche  pugno  di  mercenari  e,  una 
volta  vittoriose,  usavano  occupare  la  rocca  e  togliere  le  armi  a 
tutti  coloro  che  non  erano  fra  i  loro  accoliti,  e  queste,  essendo 
allora  abbastanza  costose,  non  si  potevano  facilmente  rimpiazzare. 
Raro  avveniva,  come  nel  caso  delle  imprese  condotte  da  Pelopida 
ed  Epaminonda  a  Tebe  e  da  Timoleone  a  Siracusa,  che  si  profit- 
tasse della  vittoria  per  stabilire  un  regime  meno  sanguinario  e 
violento,  ed  in  questo  caso  la  benefica  innovazione  durava  solo 
quanto  l'influenza  personale  o  la  vita  di  colui,  che  ne  era  stato 
autore.  Qualche  altra  volta  invece  la  fazione  usurpatrice  riusciva 
a  mantenersi  al  potere  per  più  di  una  generazione,  come  avvenne 
per  i  Pisistraditi  e  per  i  due  Dionigi.  Agatocle,  uno  dei  peggiori 
tiranni  del  mondo  greco,  mori  vecchio  ed  era  arrivato  al  potere 
da  giovane,  e  pare  che  solo  il  veleno  sia  riuscito  ad  abbreviare 
la  sua  vita  ed  il  suo  governo. 

Nei  Comuni  italiani,  la  cui  organizzazione  politica  somigliava  a 
quella  della  classica  Grecia,  rivissero  le  abitudini  dell'antico  Stato 
ellenico  :  una  fazione  con  a  capo  un  signore  sbandiva  gli  avver- 
sari o  li  assassinava,  e  in  tutti  e  due  i  casi  s'impadroniva  dei  loro 
beni;  spesso  bisognava  sopraffare  per  non  essere  sopraffatti.  Or- 
dinariamente le  due  famiglie  più  ricche  e  potenti  del  Comune  se 
ne  contendevano  armata  mano  la  supremazia;   anche  esse,  come 


GAP.  Vili    -    LE    KIVOLUZIONI  205 

gli  antichi  capi-parte  greci,  appoggiandosi,  quando  potevano,  agli 
aiuti  stranieri  ed  ai  mercenari.  Cosi  Torriani  e  Visconti  si  dispu- 
tarono il  possesso  di  Milano  e  la  scena,  con  poche  varianti,  si  ri- 
petè nei  Comuni  minori.  Paci,  tregue,  intenerimenti  religiosi,  pro- 
vocati da  frati  e  da  cittadini  dabbene,  come  quello  che  racconta 
il  buon  Dino  Compagni  (1),  non  ottenevano  che  un  effetto  mo- 
mentaneo e,  peggio  ancora,  spesso  non  erano  che  arti  colle  quali 
i  più  ribaldi  sopraffacevano  i  meno  malvagi  assalendoli  quando 
erano  impreparati  e  indifesi. 

Col  Rinascimento  i  costumi  si  fecero  meno  armigeri,  la  lotta  in 
campo  aperto  più  rara,  ma  la  perfìdia  ed  il  tradimento  diventa- 
rono ancor  più  sottili  e  con  il  lungo  uso  fm-ono  quasi  innalzati 
all'altezza  di  scienza.  In  qualche  città  prevalsero  i  cosi  detti  modi 
civili:  in  Firenze  i  potenti,  ad  esempio,  si  strinsero  fra  loro  con 
parentadi,  mantennero  un  certo  equilibrio  e  conservarono  la  pre- 
ponderanza riempiendo  le  borse  (ora  sarebbero  le  liste  elettorali) 
con  i  loro  clienti.  Questa  fu  la  politica  che  segui  l'oligarchia  mer- 
cantile con  a  capo  gli  Albizzi  finché  fu  vivo  Niccolò  d'Uzzano  e 
quella  che  segui  Cosimo  dei  Medici  coi  suoi  consorti,  sebbene,  al- 
l'occorrenza, sapesse  usare  altri  mezzi  (2).  Altrove,  nelle  Romagne 
e  nell'Umbria,  le  lotte  si  prolungarono  fin  dopo  il  1500,  come  tra 
veri  masnadieri.  A  Perugia  gli  Oddi,  cacciati  dai  Baglioni,  li  sor- 
presero di  notte  ;  ma  i  Baglioni  combatterono  perfino  in  camicia  e 
non  si  fecero  sopraffare;  vittoriosi  poi  si  sterminarono  fra  di  loro. 
Oliverotto  da  Fermo  ottenne  la  signoria  della  sua  città  trucidando, 
a  capo  della  sua  compagnia  di  ventura,  suo  zio  ed  i  maggiorenti 
del  luogo,  che  l'avevano  invitato  ad  amichevole  banchetto. 

Tanto  nelle  lotte  civili  delle  città  greche,  quanto  in  quelle  dei 
Comuni  italiani,  la  temperanza  e  l'umanità  poco  potevano  giovare, 
la  prevalenza  dovea  ordinariamente  restare  ai  più  pronti  ed  ai  più 
furbi,  a  coloro  che  meglio  sapevano  fingere  e  meno  pativano  di 
scrupoli.  Anche  il  caso  fortuito  avea  una  gran  parte  nella  buona 
riuscita  di  un'impresa  e  si  raccontano  in  proposito  molti  episodi 


(1)  Quando  narra  nella  sua  Cronica  del  tentativo  da  lui  fatto,  ed  apparen- 
temente riuscito,  di  riconciliare  i  capi  delle  parti  Bianca  e  Nera,  riunendoli 
in  Chiesa  ed  inducendoli  con  acconcie  parole  ad  abbracciarsi  a  vicenda. 

(2)  Vedi  la  Storia  della  Repubblica  di  Firenze  di  Gino  Capponi,  già  citata  al 
capitolo  III. 


206  •    ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 

romanzeschi.  Un  cane  che  latrava,  un'ubbriacatura  presa  qualche 
ora  prima  o  dopo,  una  lettera  letta  a  tempo  o  rimandata  chiusa 
per  l'indomani,  decidevano  del  successo  di  un  colpo  di  mano; 
come  avvenne  quando  Epaminonda  e  Pelopida  s'impadronirono  di 
Tebe  ed  Arato  di  Sicione.  E  da  notare  poi  che,  tanto  le  lotte  ci- 
vili che  tormentarono  gli  Stati  greci,  quanto  quelle  che  dilaniarono 
i  Comuni  italiani  non  contribuirono  sensibilmente  a  maturare 
alcun  vero  cambiamento  sociale.  Mutavano  i  governanti,  ma  la 
società,  chiunque  trionfasse,  rimaneva  (|uasi  sempre  organizzata 
alla  stessa  maniera.  I  grandi  fattori  storici,  la  scienza  e  l'arte  el- 
lenica, l'emancipazione  dei  servi  della  gleba,  il  rinascimento  arti- 
stico e  letterario,  si  svolsero  indipendentemente  dalle  gare  san- 
guinose, che  turbarono  la  Grecia  e  l'Italia.  Tutto  al  più  le  guerre 
civili  non  poterono  influire  che  a  ritardarne  lo  sviluppo,  simili  in 
ciò  alle  guerre  esteriori,  alle  fami,  alle  pestilenze,  che  impove- 
rendo od  abbattendo  un  paese  ne  ostacolano  sempre  i  progressi 
economici  ed  intellettuali. 

Qualunque  scienza  politica,  basata  poi  esclusivamente  sull'osser- 
vazione dei  periodi  storici  ai  quali  abbiamo  accennato,  non  potea 
riuscire  che  incompleta  e  superficiale.  E  tale  è  appunto  quella  che 
si  rivela  nella  famosa  opera  di  Machiavelli  intitolata  il  Principe, 
troppo  vituperata,  troppo  lodata,  ed  alla  quale  in  ogni  caso  si  è 
attribuita  soverchia  importanza.  Al  giorno  d'oggi  un  osservatore, 
che  tenesse  mente  al  modo  come  nelle  Borse,  nelle  Società  ano- 
nime, e  nelle  Banche  si  fanno  e  si  disfanno  le  fortune  i)rivate, 
potrebbe  facilmente  scrivere  un  libro  sull'arte  di  arricchirsi,  nel 
quale  dovrebbe  probabilmente  dare  consigli  tali  sui  modi  di  pa- 
rere onesto  e  di  non  esserlo  e  di  rubare  scansando  la  Corte  d'as- 
sise, da  far  diventare  facezie  innocenti  i  precetti  che  si  trovano 
nel  libro  del  segretario  fiorentino.  Ma,  l'abbiamo  già  accennato  (1), 
un  simile  lavoro  non  farebbe  parte  della  scienza  economica,  come 
l'arte  di  arrivare  al  potere  e  restarci,  in  date  condizioni  sociali, 
non  è  la  scienza  politica.  E  che  non  si  tratti  di  scienza,  cioè  di 
grandi  leggi  psicologiche  che  si  ritrovano  in  tutte  le  grandi  so- 
cietà umane,  è  provato  dal  fatto  che  i  suggerimenti  del  Machia- 
velli  potevano   giovare    forse   a   Ludovico   il  Moro  od  a  Cesare 


(1)  Nella  prima  parte  di  questo  lavoro. 


GAP.  Vili    -    LE    RIVOLUZIONI  207 

Borgia,  come  probabilmente  avrebbero  servito  a  Dionigi,  ad  Aga- 
tocle  ed  a  G-iasone  di  Fere,  ai  dey  di  Algeri,  ad  Ali  Tebelen  ed 
anclie  a  Mehemet  Ali,  quando  questi  esclamava  che  l'Egitto  era 
all'asta  e  sarebbe  rimasto  a  colui  che  avrebbe  speso  l'ultima  somma 
e  dato  l'ultimo  colpo  di  sciabola;  ma  agli  uomini  politici  dell'Europa 
moderna  od  a  quelli  della  Repubblica  romana  avrebbero  apportato 
un  sussidio  molto  scarso.  Sebbene,  a  scanso  di  equivoci,  convenga 
confessare  che  la  rettitudine,  l'abnegazione  e  la  buona  fede  forse 
in  nessun  luogo  ed  in  nessun  tempo  siano  state  e  siano  le  qualità 
più  adatte  per  conseguire  il  potere  e  conservarlo  (1). 

Dopo  quanto  abbiamo  già  esposto  non  occorre  neppure  di  far 
rilevare  che  negli  Stati  moderni,  di  organizzazione  molto  compli- 
cata, assai  più  vasti  degli  antichi  e  poggiati  sulla  burocrazia  e 
gli  eserciti  stanziali,  è  impossibile  compire  le  rivoluzioni  mediante 
uno  o  più  colpi  di  pugnale  od  organizzando  bene  una  sorpresa  od 
un'imboscata  :  perciò  i  rivoluzionari  moderni  inspirandosi  a  quelli 
classici  commettono  un  grossolano  anacronismo.  Ciò  non  vuol  dire 
però  che  le  reminiscenze  classiche  siano  affatto  inutili,  perchè 
esse  sono  sempre  molto  adatte  a  riscaldare  i  cervelli  dei  giovani 
ed  a  mantenere  l'ambiente  rivoluzionario,  e,  fin  dall'epoca  del  Ri- 
nascimento, furono  in  questo  senso  abilmente  sfruttate  (2).  Se  il 
regicidio  infatti  ora  non  basta  a  rovesciare  un  Gro verno,  l'assas- 
sinio politico  può  sempre  servire  a  spargere  la  titubanza  ed  il 


(1)  Del  resto  crediamo  anche  scarsamente  all'efficacia  pratica  dell'arte  in- 
segnata da  Machiavelli  e  dubitiamo  assai  del  profitto,  che  ne  avrebbero  po- 
tuto trarre  quegli  stessi  uomini  politici  che  abbiamo  menzionato.  Giacche, 
quando  si  tratta  di  arrivare  al  potere  e  di  conservarlo,  le  leggi  generali  ri- 
cavate dallo  studio  della  psicologia  umana,  dalle  tendenze  costanti  che  si 
rivelano  nelle  masse,  valgono  poco,  e  tutto  si  riduce  a  saper  bene  conoscere 
ed  usare  le  attitudini  individuali  proprie  e  degli  altri,  che  sono  così  disparate 
da  sfuggire  a  qualunque  sintesi.  Un  dato  consiglio  per  un  tale,  che  lo  saprà 
ben  mettere  in  pratica,  sarà  buono  e  per  un  altro  cattivo;  e  lo  stesso  indi- 
viduo agendo  alla  atessa  maniera»  in  due  casi  apparentemente  identici,  potrà 
fare  bene  e  male  a  seconda  degli  uomini  diversi  con  cui  si  troverà  di  fronte. 
Perciò  il  Guicciardini  scriveva  nei  suoi  pensieri:  "  La  teoria  è  assai  diversa 
dalla  pratica  e  molti  che  intendono  quella  non  sanno  poi  metterla  in  atto. 
Ne  giova  il  discorrere  per  esempi,  perchè  ogni  piccola  varietà  nel  caso  par- 
ticolare porta  grandissima  variazione  nell'effetto  ,. 

(2)  Ad  esempio  nella  preparazione  della  congiura  del  1476  che  produsse 
l'uccisione  di  Galeazzo  Sforza. 


208  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

terrore  noi  capi  della  classe  governante  ed  a  renderne  meno  ener- 
gica l'azione;  inoltre,  siccome  quasi  tutti  gli  assassini  politici  soc- 
combono nell'esecuzione  delle  loro  imprese,  cosi  diventano  martiri 
di  un'idea,  ed  il  culto  che  loro  si  viene  a  tributare  è  uno  dei  mezzi 
meno  onesti,  ma  non  meno  efficaci,  per  mantenere  una  propaganda 
rivoluzionaria. 

II.  —  Roma  repubblicana  fu  in  complesso  lo  Stato  antico  in 
cui  la  difesa  giuridica  fu  meglio  assicurata  e  le  lotte  civili  perciò 
meno  sanguinose  e  più  raro.  Durante  i  lunghi  contrasti  fra  patrizi 
e  plebei,  nel  *oro  non  mancarono  i  tumulti  e  qualche  volta  si 
trascorse  anche  fino  alle  ])ugnalate,  qualche  altra  volta  accadde 
che  una  mano  di  facinorosi  occupasse  di  sorpresa  il  Campidoglio, 
ma,  per  secoli  interi,  non  ci  furono  fazioni  che  usurpassero  vio- 
lentemente il  potere  trucidando  ed  esiliando  gli  avversari.  Quando 
furono  uccisi  i  Gracchi  per  ben  due  volte  lo  svolgersi  legale  delle 
votazioni  fu  impedito  col  sangue,  e  quando  i)OÌ  fu  violentemente 
rivocata  la  deliberazione  dei  comizi,  che  affidava  il  comando  della 
guerra  d'Asia  a  Siila,  avvenne  che  questi,  con  esempio  nuovo,  en- 
trasse in  città  a  capo  di  un  esercito.  Giacché  le  legioni,  militando 
lungamente  fuori  d'Italia,  aveano  acquistato  il  carattere  di  eserciti 
stanziali  ed  erano  divenuti  tali  da  potere  essere  strumenti  ciechi 
in  mano  dei  loro  capi.  Sicché  fra  eserciti  regolari  si  combatte- 
rono poi  le  guerre  civili,  ed  il  capo  dell'ultimo  esercito  che  in 
queste  guerre  fu  vittorioso,  Ottaviano  Augusto,  mutò  stabilmente 
la  forma  di  governo  e  die  x^rincipio  alla  monarchia  burocratica  e 
militare.  D'allora  in  poi  le  soldatesche  regolari  si  arrogarono  il 
diritto  di  mutare  non  già  la  forma,  ma  il  Capo  del  Governo. 

Nell'Europa  feudale,  ed  in  generale  in  tutti  i  popoli  feudal- 
mente organizzati,  le  lotte  civili  e  le  rivoluzioni  assunsero  ed  as- 
sumono sempre  il  carattere  di  guerre  fra  le  fazioni  in  cui  si  di- 
videvano o  si  dividono  i  baroni  o  capi  locali.  Cosi  avveniva  che 
in  Germania  all'elezione  di  un  nuovo  imperatore  spesso  si  for- 
massero fra  i  baroni  e  le  città  libere  due  partiti,  che  si  combat- 
tevano a  vicenda,  ognuno  seguendo  il  sovrano  di  sua  scelta  che 
proclamava  legittimo.  Altrove,  come  in  Sicilia  all'epoca  delle  lotte 
fra  la  nobiltà  latina  e  la  catalana,  le  parti  contendenti  si  dispu- 
tavano il  possesso  della  persona  del  Re  o  del  jprincipe  o  princi- 
pessa ereditaria,  giacché   questo   possesso   dava  il  modo  ad  una 


GAP.  Vili    -    LE   EIVOLUZIONI  209 

fazione  di  mettersi  sotto  lo  scudo  della  legittimità  e  di  proclamare 
ribelli  e  felloni  gli  avversari.  Per  analoghe  ragioni  in  Francia 
Borgognoni  ed  Ai'inagnacchi  si  contendevano  il  possesso  della  per- 
sona del  Re  o  del  Delfino.  Altre  volte  i  baroni  si  schieravano 
sotto  gli  stendardi  di  due  dinastie  rivali,  come  avvenne  in  Inghil- 
terra durante  la  guerra  delle  due  Rose.  Quando  x^oi  tutta  o  quasi 
tutta  la  nobiltà  si  sollevava  unanime  contro  un  sovrano,  allora  la 
rivoluzione  era  presto  compiuta  ed  il  Re  veniva  agevolmente  sbal- 
zato e  ridotto  all'impotenza;  quest'ultimo  caso,  non  raro  in  tutti 
i  regimi  feudali,  accadde  con  una  certa  frequenza  nella  Scozia. 

Come  nelle  lotte  civili  degli  Stati  greci  e  dei  Comuni  italiani, 
cosi  pure  in  quelle  intestine  fra  i  baroni  dello  stesso  regno,  la 
parte  vincitrice  soleva,  quando  ciò  era  possibile,  spossessare  i  vinti 
dei  loro  feudi,  che  distribuiva  fra  i  suoi  accoliti.  Se  gli  assassinii 
e  sopratutto  gli  avvelenamenti  erano  più  rari,  ai  vinti,  quando 
non  perivano  sul  campo  di  battaglia,  sovrastava  spesso  la  scure 
del  carnefice.  Tutta  la  nobile  famiglia  Chiaramonti  peri  a  Pa- 
lermo sul  palco  fatale  ;  sul  x)alco  e  sui  campi  di  battaglia  fu  ster- 
minata quasi  tutta  la  vecchia  nobiltà  inglese  durante  le  successive 
vittorie  e  sconfìtte  delle  due  case  di  Yorck  e  di  Lancaster.  In 
Francia  parecchi  capi  Armagnacchi  furono  assassinati,  altri  uccisi 
a  furor  di  popolo  dalla  plebe  di  Parigi,  ed  assassinato  alla  sua 
volta  moriva  Giovanni  senza  inaura  duca  di  Borgogna. 

Nei  i)aesi  maomettani,  non  tenendo  conto  degli  intrighi  di  ser- 
raglio, che  producono  la  deposizione  e  la  morte  di  un  sultano  e 
ne  elevano  un  altro,  le  rivoluzioni  propriamente  dette,  mentre  da 
un  lato  hanno  molta  analogia  con  le  lotte  che  si  combattevano 
nell'Europa  feudale,  dall'altro  racchiudono  spesso  i  germi  di  un 
movimento,  che  ora  chiameremmo  socialista,  nascosto  e  dissimu- 
lato da  una  riforma  religiosa.  Difatti,  malgrado  che  gli  sforzi  di 
molti  sovrani  orientali  ed  africani  per  circondarsi  di  truppe  rego- 
larmente assoldate  siano  alle  volte  abbastanza  riusciti,  pure,  nella 
maggioranza  delle  popolazioni  musulmane,  specialmente  in  quelle 
che  abitano  la  campagna  e  che  menano  una  vita  più  pastorale  che 
agricola,  l'antichissima  organizzazione  delle  tribù  si  è  conservata, 
e  l'insurrezione  dei  capi  di  esse,  come  quella  dei  baroni  europei, 
per  sostenere  un  pretendente  al  trono  od  i  diritti  di  una  nuova 
dinastia  è  rimasta  sempre  un  fatto  possibile.  Fra  le  tribù  stesse 
poi  può  sempre  sorgere  un  novatore,  il  quale  pretenda   di  ricon- 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  14 


210  ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 


durre  l'Islam  alla  primitiva  purezza  e  predichi  una  riforma  reli- 
giosa, ed  allora,  se  la  sua  propaganda  è  seguita  dal  successo,  si 
ha  la  rivoluziono  religiosa  e  sociale. 

Giacche  nei  paesi  orientali  ed  anche  nel  nord  dell'Africa,  se 
non  vi  è  la  lotta  di  classe  fra  capitalisti  e  proletari,  che  si  vor- 
rebbe inaugurare  nell'  Europa  moderna,  si  è  mantenuto  per  die- 
cine di  secoli  e  dura  sempre  il  sordo  antagonismo  fra  le  tribù 
povere  e  brigantesche  del  deserto  e  della  montagna  e  quelle  più 
ricche,  che  abitano  i  fertili  piani,  e  più  ancora  fra  le  prime  e  le 
imbelli  e  doviziose  popolazioni  delle  città.  Né  si  può  dire  che 
l'Islam  non  offra  appiglio  al  risorgere  del  vecchio  spinto  egali- 
tario  dispregiatore  delle  ricchezze  e  dei  godimenti,  che  già  tro- 
viamo in  alcuni  profeti  ebraici,  in  Isaia  ed  in  Amos  il  mandriano 
di  Tecoa.  Se  Maometto  non  disse  che  era  più  facile  che  un  camello 
passasse  attraverso  la  cruna  di  un  ago  anziché  un  ricco  andasse 
in  Paradiso,  era  però  assai  amante  della  semplicità  dei  costumi, 
e  delle  gioie  di  questo  mondo  non  pregiava  che  le  donne  ed  i 
profumi.  Una  volta  che  si  presentarono  a  lui  come  ambasciadori 
ottanta  cavalieri  dei  Beni-Kende,  tribù  recentemente  convertita 
all'Islamismo,  in  magnifico  arnese  con  abiti  di  seta,  egli  fece  su- 
bito loro  osservare  che  la  nuova  religione  non  permetteva  il  lusso, 
e  qvielli  stracciarono  subito  le  ricche  vestimenta  (1).  Il  secondo 
califfo  Omar,  che  conquistò  tante  terre  e  tanti  tesori,  desinava 
frugalmente  per  terra,  e,  quando  mori,  lasciò  per  eredità  perso- 
nale un  solo  abito  e  tre  dramme. 

Cosi  si  spiega  facilmente  come  nella  Barberia,  durante  Tunde- 
cimo  e  dodicesimo  secolo,  le  vecchie  dinastie  arabe  venissero 
vinte  e  spossessate  dalla  riforma  religiosa  degli  Almoravidi,  che 
alla  loro  volta  furono  rovesciati  da  una  nuova  riforma  religiosa, 
detta  degli  Almohaidi.  In  tutti  e  due  i  casi  le  tribù  del  deserto 
o  della  montagna  caldeggiarono  le  dottrine  riformatrici  e  si  so- 
vraj)posero  alle  popolazioni  più  colte  e  più  ricche  del  Teli  o  zona 
marittima.  Elementi  consimili  si  possono  facilmente  trovare  nella 
setta  dei  Wah abiti  dell'Arabia  e  nelle  più  recenti  fortune  del  Maha- 
dismo  dell'alto  Nilo.  Va  da  se  che  come  i  prischi  Saraceni,  una  volta 
padroni  delle  ricche  contrade  della  Siria,  della  Persia  e  dell'Egitto, 


(1)  Hammer  Purgstall,  opera  citata. 


GAP.  Vili    -    LE    RIVOLUZIONI  211 

dimenticarono  la  frugalità  dei  Sarabehoni,  ossia  degli  nomini  che 
avevano  conosciuto  il  Profeta,  qualcuno  dei  quali  nella  sua  vec- 
chiaia ebbe  camj)o  di  scandalizzarsi  per  il  fasto  spiegato  dai  ca- 
liffi Ommiadi  di  Damasco,  che  fu  poi  superato  dai  califfi  Abbas- 
sidi  di  Bagdad  ;  così  anche  nel  caso  degli  Almoravidi  ed  Almohaidi, 
la  natura  umana  presto  trionfò  dell'ardore  settario.  Anche  questi 
infatti,  una  volta  in  possesso  delle  reggie  di  Fez  e  di  Cordova, 
obliarono  la  vita  semplice  che  avevano  praticato  e  predicato  negli 
altipiani  al  di  là  dell'Atlante,  ed  adottarono  tutte  le  raffinatezze 
del  lusso  orientale.  Se  risultati  perfettamente  identici  non  hanno 
dato  i  Wahabiti,  i  Mahdisti  ed  altre  sette  maomettane,  ciò  è  av- 
venuto per  la  minor  fortuna  che  finora  esse  hanno  avuto. 

III.  ^  In  China  le  rivoluzioni  ed  i  rivolgimenti  violenti  non 
sono  stati  rari,  ci  riesce  però  ancora  diffìcile  di  apprezzare  le  cause 
sociali  di  quelli  molto  antichi.  Sappiamo  che  V  Impero  Celeste  è 
passato  attraverso  regimi  economici  e  politici  diversi,  che  da  Stato 
feudale,  che  era  prima,  è  diventato  uno  Stato  burocratico  ;  a  se- 
conda di  questi  cambiamenti  hanno  dovuto,  certo  cambiare  i  motivi 
e  le  forme  delle  ribellioni. 

Ci  è  noto  questo  :  che,  quando  l'educazione  di  una  dinastia  era 
molto  decaduta,  quando  principi  fiacchi  facevano  governare  le 
donne  e  gli  eunuchi  o  perdevano  il  tempo  a  cercare  la  bevanda 
dell'  immortalità,  e  gli  abusi  dei  funzionari  oltrepassavano  certi 
limiti,  allora  qualche  governatore  ribelle  o  qualche  ardito  avven- 
turiero, posti  a  capo  di  bande  d' insorti,  battevano  qualche  volta 
le  truppe  del  Governo ,  ,  aiutati  dall'  universale  malcontento, 
spossessavano  la  vecchia  e  fondavano  una  nuova  dinastia.  La 
quale  conservava  una  maggiore  energia  per  qualche  generazione, 
finché  anch'essa  s'infiacchiva  e  di  nuovo  si  accentuavano  gli  an- 
tichi abusi. 

Le  invasioni  dei  barbari  del  settentrione  e  dei  Tibetani  occasio- 
narono ed  agevolarono  spesso  questi  cambiamenti.  Quando  poi  il 
paese  intiero  cadde  sotto  la  dominazione  dei  Mongoli,  col  tempo 
maturò  una  di  quelle  potentissime  reazioni  dello  spirito  nazionale, 
che  spesso  si  accentuano  fra  i  popoli  di  antica  civiltà,  come  av- 
venne nell'  antico  Egitto  colla  cacciata  degli  Hiqsos,  e  come  in 
questo  secolo  è  accaduto  in  Grecia  ed  in  Italia.  Alla  fine  del  se- 
colo decimoquarto  un  gruppo  di  uomini  entusiasti  ed  energici,  con 


212  BLBMENTI    DI    SCIENZA    POLITIOA 


a  capo  il  bonzo  Rong-ou  (1),  sollevò  lo  stendardo  della  rivolta 
contro  i  Mongoli  ed,  aiutati  dall'esplosione  del  sentimento  nazio- 
nale, che  avvenne  in  tutta  la  China,  riuscirono  a  ricacciare  i  bar- 
bari al  di  là  della  grande  muraglia.  Rong-ou  fu  il  fondatore  della 
dinastia  dei  Ming,  che  governò  il  paese  fino  allo  scorcio  del  secolo 
decimosettimo. 

Durante  il  secolo  decimonono  la  China,  diventata  uno  Stato 
quasi  completamente  burocratizzato,  ebbe  un'altra  rivoluzione  che, 
sebbene  non  sia  riuscita,  pure  merita  di  essere  ricordata,  ed  è  im- 
portante sopratutto  per  l'analogia  che  offre  con  quella  che  aveva 
messo  sul  trono  il  bonzo  Rong-ou.  In  seguito  al  disordine  che  la 
guerra  cogli  Inglesi,  terminata  cogli  svantaggiosi  trattati  del  1842 
e  1844,  produsse  in  tutto  l'impero,  una  rivolta  contro  la  dinastia 
straniera  dei  Tartari  Manschù  scoppiò  nelle  vicinanze  di  Nankin, 
l'antica  capitale  dei  Ming,  il  cuore  del  nazionalismo  chinese.  La 
cacciata  dello  straniero  e  la  fondazione  di  una  nuova  religione, 
nella  quale  i  dommi  del  Cristianesimo  erano  curiosamente  mesco- 
lati ed  adattati  alle  idee  filosofiche  ed  alle  superstizioni  popolari 
dei  Chinesi,  fornirono  la  base  morale  della  rivoluzione.  Un  maestro 
di  scuola,  letterato  d' infima  classe,  una  specie  di  spostato,  che 
rispondeva  al  nome  di  Rong-Sieou-Tsien,  ne  fu  il  capo  supremo  : 
attorno  a  lui  un  gruppo  di  uomini  energici,  intelligenti,  ambi- 
ziosi ne  secondarono  i  primi  movimenti  e  lo  aiutarono  tanto  nel- 
l'escogitare  il  sistema  religioso  e  filosofico  accennato,  quanto  nel 
dirigere  le  prime  imprese  dell'insurrezione. 

La  macchina  burocratica  chinese  era  allora  x^rofondamente  scossa 
per  le  sconfitte  toccate  e  la  inferiorità  manifestata  di  fronte  agli 
Europei,  i  popoli  erano  malcontenti,  sicché  i  primi  successi  dei 
ribelli  furono  rapidissimi.  Entrati  in  Nankin  nel  1853,  essi  vi  pro- 
clamarono il  Taè-i3Ìng,  cioè  l'èra  della  pace  universale  (2),  e  nello 
stesso  tempo  Rong-Sieou-Tsien,  che  certo  non  era  un  uomo  vol- 
gare, fu  assunto  al  grado  di  Imperatore  Celeste  e  capo-stix)ite  della 
nuova  dinastia  nazionale.  Siccome  però,  anche  in  China,  la  forza 


(1)  È  da  notare  che  i  Bonzi,  o  monaci  buddisti,  reclutati  per  lo  più  fra  le 
infime  classi  della  popolazione,  sono,  almeno  ora,  pochissimo  stimati  in  tutta 
la  China. 

(2)  È  sotto  questo  nome  di  Taè-ping  che  furono  comunemente  intesi  dagli 
Europei. 


CAP.  Vili    -    LE   KIVOLUZIONI  213 

bruta  necessaria  alla  riuscita  delle  rivoluzioni  si  trova  a  preferenza 
nella  feccia  della  società,  i  gregari  dell'esercito  che  dovea  inau- 
gurare la  pace  universale  si  reclutarono  a  preferenza  fra  i  soldati 
disertori,  i  delinquenti  sfuggiti  alla  giustizia,  e,  in  generale,  fra 
tutti  i  vagabondi  e  gli  spostati,  che  abbondano  nelle  grandi  città 
tanto  chinesi  che  europee.  Ben  tosto  i  capi  furono  impotenti  a 
frenare  gli  eccessi  dei  loro  seguaci,  e  le  bande  del  Taè-ping  por- 
tarono dappertutto  il  saccheggio,  la  desolazione,  la  strage.  Le 
mosse  stesse  della  insurrezione  non  furono  più  dirette  da  un  pen- 
siero politico,  ma  dalla  libidine  del  furto  e  del  sangue,  ed  i  paesi 
che  essa  dominava  subirono  tutti  gli  orrori  di  una  vera  anarchia. 

La  nuova  guerra  coli' Inghilterra  e  colla  Francia  scoppiata 
il  1860  e  la  insuiTezione  dei  Maomettani  del  nord-ovest  prolun- 
garono per  parecchi  anni  questo  stato  di  cose,  ma  appena  il  Go- 
verno chinese,  liberatosi  in  parte  dai  suoi  imbarazzi,  potè  spedire 
forze  considerevoli  contro  i  ribelli,  questi,  che  omai  aveano  per- 
duto interamente  la  simpatia  delle  popolazioni,  si  trovarono  ridotti 
a  mal  partito.  Nankin  fu  accerchiata,  quasi  tutti  i  primi  compagni 
di  Rong-Sieou-Tsien,  i  soli  capaci  di  vedute  politiche  e  larghi  con- 
cetti, erano  periti,  e  questi,  attorniato  da  una  massa  raunaticcia 
pronta  a  saccheggiare  come  a  tradirlo,  disperando  di  resistere 
ancora,  si  avvelenò  nel  suo  palazzo  il  30  giugno  1864.  Venti  giorni 
dopo  le  truppe  imperiali,  padrone  di  Nankin,  decapitavano  il  gio- 
vane figlio  del  defunto  capo  dei  ribelli,  e  soffocavano  atrocemente 
nel  sangue  una  rivolta  che  tra  il  sangue  si  era  mantenuta  (1). 

Adunque,  anche  nel  Celeste  Lnpero,  come  nei  paesi  maomettani 
e  come  in  gran  parte  è  accaduto  in  Europa,  Tidealità  della  con- 
cezione politica,  in  nome  della  quale  nacque  la  rivoluzione,  si 
tm'bò  e  si  perdette  quasi  interamente  appena  si  entrò  nel  periodo 
della  sua  attuazione. 

Ed  un  altro  punto  di  contatto  possiamo  trovare  fra  la  insurre- 
zione del  Taè-ping  e  quelle  europee  nel  fatto  che  anche  in  China 
il  movimento  rivoluzionario  fu  preceduto  e  preparato  dalle  società 
secrete.  Infatti,  fin  dal  secolo  decimottavo,  si  è  avvertita  colà 
l'opera  di  associazioni  occulte,  che  mantengono  vivo  il  malcontento 


(1)  Sui  particolari  di  questa  insurrezione  vedi  le  opere  citate  sulla  China  e 
specialmente  quella  del  Rousset,  al  capitolo  XIX. 


214  BLKMBKTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

del  popolo  0  l'odio  contro  la  dinastia  straniera  (*).  Esse  del  rep.to 
sono  sopravvissute  alla  rivolta,  che  avevano  contribuito  a  susci- 
tare. Pare  anzi  che  all'opera  loro  si  debbano  gli  assassinii  di  pa- 
recchi europei,  diretti  a  suscitare  al  Governo  di  Pechino  imbarazzi 
colle  Potenze  occidentali,  e  che  a  queste  società  siano  affiliati, 
l)roprio  come  accade  in  paesi  molto  più  noti  della  China,  i)atrioti 
ardenti  e  disinteressati,  malfattori  che  del  legame  settario  si  val- 
gono per  procacciarsi  Fimpunità,  e  perfino  funzionari  che  ne  appro- 
fittano alle  volte  per  far  carriera. 

IV.  —  Fra  le  rivoluzioni  europee  hanno  un  carattere  speciale 
quelle  che  rappresentano  la  reazione  di  un  popolo  sottomesso 
verso  il  popolo  oppressore.  Tali  furono  l'insurrezione  della  Svezia 
contro  la  Danimarca  sotto  Gustavo  Wasa,  quella  dell'Olanda  contro 
la  Spagna,  della  Spagna  stessa  contro  la  Francia  nel  1808,  della 
Grecia  contro  la  Turchia,  dell'Italia  contro  l'Austria,  della  Polonia 
contro  la  Russia.  Queste  insurrezioni  somigliano  più  alle  guerre 
esteriori  fra  due  popoli  anziché  alle  lotte  civili,  e  sono  quelle  che 
più  facilmente  riescono.  Oggi  però  coi  grossi  eserciti  stanziali  che 
abbiamo,  il  popolo  che  insorge,  per  avere  forti  probabilità  di  vit- 
toria, deve  già  godere  di  una  semi-indipendenza,  in  maniera  che 
una  parte  di  esso  sia  militarmente  bene  organizzata. 

Nella  Spagna  nel  1808,  oltre  alle  famose  guerrillas^  anche  gli 
eserciti  regolari  presero  parte  attivissima  a  favore  dell'  insuiTe- 
zione;  in  Italia  al  1848  l'esercito  piemontese  ebbe  la  i^arte  prin- 
cipale nella  lotta  contro  lo  straniero,  e  le  truppe  regolari  del 
Piemonte  insieme  agli  alleati  francesi  diedero  nel  1859  i  colpi  che 
decisero  della  sorte  della  penisola.  Anche  la  Polonia,  nel  1830 
e  31,  potè  lottare  quasi  un  anno  contro  il  colosso  russo,  perchè 
esisteva  fino  allora  un  esercito  polacco,  che  sposò  la  causa  nazio- 
nale. L'insurrezione  del  1863  e  1864  condotta  da  sole  bande  irre- 
golari ebbe  infatti  risultati  assai  meno  importanti  e  fu  repressa 
mercè  sforzi  assai  minori. 

Nella  stessa  classe  di  rivoluzioni  va  messa  quella  degli  Stati  Uniti 
contro  l'Inghilterra.  Si  sa  che  le  colonie  anglo-americane  godevano, 


(*)  È  noto  che  si  deve  in  gran  parte  all'opera  delle  società   secrete    la  re- 
centissima rivoluzione  che  rovesciò  la  dinastia  Mandschù. 


OAP.  Vili    -    LB   RIVOLUZIONI  215 

anche  prima  del  1776,  una  larghissima  autonomia;  sicché  quando  si 
strinsero  in  confederazione  e  proclamarono  l' indipendenza,  pote- 
rono facilmente,  un  po'  colle  antiche  milizie  dei  vari  Stati,  un  po' 
coi  volontari,  organizzare  una  forza  armata  colla  quale  tennero  in 
bilico  le  truppe  mandate  dalla  madre  patria  a  soggiogarli,  finché, 
soccorsi  dalla  Francia,  riuscirono  ad  emanciparsi  interamente. 

Quando  scoppiò  la  rivoluzione  inglese  del  1643  l'Inghilterra  non 
era  ancora  uno  Stato  burocratico,  ed  il  Re  Carlo  I  non  poteva 
disporre  che  di  uno  scarsissimo  esercito  stanziale.  Sicché  dalla 
parte  del  Parlamento  combatterono  in  principio  le  milizie  dei  Co- 
muni, dalla  parte  del  Re  sostennero  principalmente  il  peso  della 
lotta  i  nobili  di  campagna,  ossia  i  Cavalieri. 

Questi  erano  assai  più  esercitati  nelle  armi  e  furono  sulle  prime 
facilmente  vittoriosi,  ma  quando  Cromwell  seppe  formare  pria  un 
reggimento  e  poi  un  esercito  di  trui^pe  stanziali  e  disciplinate, 
allora  la  lotta  non  fu  più  possibile  ;  ed  alla  testa  di  quell'esercito 
il  lord  protettore  non  solo  vinse  i  Cavalieri,  ma  sottomise  la  Scozia 
e  l'Irlanda,  tenne  a  posto  i  Livellatori,  mandò  a  casa  poco  gar- 
batamente il  lungo  Parlamento  e  divenne  il  padrone  assoluto  delle 
isole  britanniche.  Certo  la  memoria  di  questi  fatti  per  lungo  tempo 
rese  diffidenti  gì'  Inglesi,  amanti  delle  costituzionali  franchigie, 
verso  le  truppe  stanziali;  essa  fece  sì  che  si  lasciassero  mancare 
a  Carlo  II  e  Giacomo  II  i  mezzi  per  mantenere  un  grosso  esercito 
stanziale,  che  si  cercassero  tutti  i  modi  di  tenere  esercitate  le  milizie 
delle  contee,  e  che  si  costringesse  lo  stesso  Guglielmo  d'Orange 
a  rinviare  nel  continente,  con  suo  grande  rammarico,  quei  vecchi 
reggimenti  olandesi  alla  testa  dei  quali  aveva  rovesciato  l'ultimo 
degli  Stuardi. 

V.  —  Altro  fenomeno  sociale  importante  troviamo  nelle  in- 
surrezioni contadinesche  piuttosto  frequenti  in  diverse  contrade 
di  Europa  nella  seconda  metà  del  secolo  decimottavo  e  nella  prima 
metà  di  quello  decimonono.  Tali  furono,  a  tacere  di  quelle  che 
scoppiarono  in  Russia  al  principio  dell'impero  di  Caterina  II,  sotto 
colore  di  rimettere  sul  trono  diverse  persone  che  si  spacciavano 
per  lo  Czar  Pietro  III  morto  assassinato,  e  di  quella  spagnuola 
del  1808  alla  quale  prese  parte  tutta  la  nazione,  la  grande  insur- 
rezione della  Vandea  nel  1793,  quella  del  Napoletano  nel  1799 
contro  la  repubblica  partenopea,  l'altra  dei  calabresi  contro  Giù- 


216  ELEMENTI   DI    SCIENZA    POLITICA 

seppe  Bonaparte  del  1808,  quella  del  Tirolo  nel  1809  e  le  diverse 
insurrezioni  carliste  della  Bisca<^lia  e  della  Navan'a. 

Il  Macaulay,  parlando  della  insun-ezionf;  ruiale  che  fu  capita- 
nata da  Monmouth  all'epoca  di  Giacomo  II,  osserva  che  essa  fu 
possibile,  perchè  allora  in  In<?hilterra  i  contadini  erano  tutti  un. 
po'  militari.  E  veramente  una  seria  insurrezione  delle  plebi  agricole 
è  solo  possibile  dove  esse  hanno  una  certa  abitudine  alle  armi  ;  o 
almeno  dove  la  caccia,  o  il  briganta/?i£?io,  o  le  lotte  di  famiglia 
e  di  campanile  mantengono  la  famigliarità  coi  colpi  di  fucile. 

Nella  Russia  i  moti  che  abbiamo  già  accennati,  dei  quali  il  più 
importante  venne  capitanato  da  Pugatcheff,  furono  una  conse- 
guenza dell'odio  che  i  contadini,  i  cosacchi,  e  tutti  gli  scorridori 
abituati  alla  libertà  della  steppa,  nutrivano  per  l'accentramento 
burocratico,  che  allora  si  andava  accentuando  e  contro  gli  im- 
piegati tedeschi,  che  di  questo  accentramento  erano  ritenuti  prin- 
cipali autori.  Però  gl'insorti  mantennero  sempre  un  carattere,  che 
ora  si  direbbe  lealista,  perchè  sostenevano  che  il  vero  Czar  si 
trovava  nel  loro  campo,  e  che  la  Czarina,  che  risiedeva  a  Pietro- 
burgo ed  a  Mosca,  era  una  usurpatrice.  Sentimenti,  da  un  lato 
conservatori  e  dall'altro  lato  avversi  alla  soverchia  ingerenza  dello 
Stato,  troviamo  anche  in  tutte  le  insurrezioni  contadinesche,  ge- 
neralmente avvenute  quando  i  partiti  novatori  trionfanti,  in  nome 
della  civiltà  e  del  progresso,  hanno  voluto  imporre  sacrifici  nuovi. 
I  Vandeisti,  infatti,  per  quanto  malcontenti  della  Repubblica  che 
perseguitava  i  loro  curati,  benché  irritatissimi  per  il  supplizio  di 
Luigi  XVI,  si  sollevarono  in  massa  soltanto  nel  marzo  1793  quando 
la  Convenzione  decretò  una  leva  generale.  I  contadini  del  Napo- 
letano nel  1799,  oltreché  lesi  dai  novatori  nelle  loro  abitudini  e 
nelle  loro  credenze,  furono  dalle  truppe  francesi  taglieggiati  e 
saccheggiati  in  malo  modo.  Nella  Spagna  nel  1808,  oltre  al  senti- 
mento cattolico  e  nazionale  altamente  offeso,  dicevasi  e  credevasi 
che  gl'invasori  francesi  venissero  provveduti  di  gran  numero  di  ma- 
nette, che  dovevano  servire  a  condurre  fuori  del  paese  tutta  la  gio- 
ventù destinata  ad  essere  arruolata  negli  eserciti  napoleonici  (1). 


(1)  Vedi  le  storie  del  Thieks  (Consolato  ed  Impero)  e  quelle  del  Tokeno, 
dalle  quali  il  Thiers  ricavò  in  gran  parte  tutto  ciò  che  scrisse  sulla  grande 
insurrezione  spagnuola  del  1808. 


GAP.  Vili    -    LE   RIVOLUZIONI  217 

Nella  Biscaglia  e  nella  Navarra  spagnuola  le  diverse  insurrezioni 
carliste  sono  state  in  gran  parte  causate  dalla  gelosia  colla  quale 
queste  provincie  hanno  tutelato  il  mantenimento  degli  antichi 
fueros^  che  loro  assicuravano  molte  immunità  rispetto  ai  pubblici 
pesi  ed  un'amministrazione  locale  quasi  indipendente. 

I  primi  capi  delle  insurrezioni  rurali  sogliono  essere  per  cultura  e 
condizione  sociale  di  poco  superiori  ai  contadini.  Il  famoso  cabecilla 
spagnuolo  Mina  era  un  mulattiere  ;  nel  Napoletano  al  1799  il  solo 
Rodio  era  un  leguleio  di  provincia,  ma  Pronio,  Mammone  e  Nun- 
ziante facevano  prima  i  mugnai  o  i  sotto-ufficiali.  Andrea  Hoffer^ 
il  capo  della  insurrezione  tirolese  del  1809,  era  un  agiato  oste  :  i 
moti  iniziali  dell'insurrezione  vandeista  furono  diretti  dal  barbiere 
Gaston,  dal  vetturale  Cathelinau  e  dal  guardacaccia  Stofflet.  Se 
però  le  classi  superiori  aderiscono  all'insurrezione,  dando  ad  essa 
forza  e  consistenza,  presto  sorgono  altri  capitani  di  una  condi- 
zione sociale  superiore.  Fu  cosi  che  in  Vandea  i  contadini  anda- 
rono ai  castelli  dei  signori,  naturalmente  esitanti  perchè  capivano 
meglio  le  difficoltà  dell'  impresa,  e  li  persuasero  o  li  costrinsero 
quasi  a  mettersi  alla  loro  testa.  Cosi  furono  trascinati  nell'azione 
i  gentiluomini  Lescm-e,  Bonchamps,  Larochejacquelin  e  Charette. 
Quest'ultimo,  freddo,  astuto,  di  un'attività  e  di  un'energia  indo- 
mabili, spiegò  subito  tutte  le  doti  di  un  perfetto  capoparte;  sicché^ 
invece  di  frenare  gli  eccessi  dei  suoi  seguaci,  fece  loro  commet- 
tere tutte  le  vendette  che  vollero,  al  fine  di  comprometterli  e  le- 
garli irrevocabilmente  alla  causa  della  ribellione.  Fra  i  capi  delle 
rivolte  rurali  e  conservatrici  il  solo  che  possa  essere  paragonato 
a  lui  è  il  biscaglino  Zumalacarreguy,  capo  supremo  della  prima 
insurrezione  carlista,  che  anch'  egli  era  un  piccolo  gentiluomo 
campagnuolo. 

Un  carattere  comune  alle  insurrezioni  conservatrici  dei  conta- 
dini, come  a  quelle  che  in  nome  della  libertà  e  del  progresso  si 
fanno  nelle  grandi  città,  è  il  seguente  :  per  poco  che  esse  durino 
presto  si  forma  una  classe  di  persone  che  vi  prende  gusto  ed  ha 
interesse  a  continuarle.  Il  primo  movimento  può  avere  un  carat- 
tere di  universalità,  ma  ben  tosto  nella  massa  si  distinguono  co- 
loro che,  una  volta  lasciate  le  abituali  occupazioni,  non  vogliono 
tornarvi,  perchè  sentono  svilupparsi  l' istinto  della  lotta  e  delle 
avventure.  Vi  sono  infatti  uomini,  che  non  hanno  attitudine  per 
farsi  molto  avanti  nei  momenti  ordinari  della  vita  sociale,  ma  al 


218  ELBUBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA. 

contrario  sanno  farsi  valere  nei  momenti  eccezionali,  come  sono 
le  guerre  civili  ;  costoro  hanno  naturalmente  la  tendenza  a  che 
l'eccezione  diventi  regola  generale. 

Cosi  vediamo  che,  dopo  la  jDrima  fase,  la  più  grandiosa  dell'in- 
surrezione vandeista,  che  si  chiuse  colla  terribile  rotta  di  Savenay, 
la  guerra  si  prolungò  ancora  per  anni,  jjerchè,  attorno  ai  capi,  si 
erano  formati  nuclei  di  uomini  risoluti,  che  altro  mestiere  non 
volevano  esercitare  che  quello  del  jjartigiano.  Più  si  accentua 
questa  tendenza  quando  la  rivoluzione  è  un  mezzo  di  far  rapida 
fortuna,  come  avvenne  a  Rodio  ed  a  Pronio,  che  diventarono  di 
botto  generali,  ed  a  Nunziante  e  Mammone,  che  furono  ricono- 
sciuti colonnelli.  Nella  Spagna  il  lievito  rivoluzionario  lasciato 
dai  sei  anni  della  guerra  d'indipendenza  fermentò  nelle  succes- 
sive guerre  civili,  nelle  quali  il  nocciolo  delle  insurrezioni  fu 
sempre  formato  da  avventurieri  che  speravano  fortune  ed  avan- 
zamenti ;  poiché  molti  gradi  furono  colà  guadagnati  servendo  ed 
abbandonando  in  tempo  le  diverse  parti  combattenti  (1). 

VI.  —  Le  rivoluzioni  che  rappresentano  fatti  sociali  apparen- 
temente più  strani,  perchè  dovuti  a  condizioni  politiche  più  spe- 
ciali, sono  senza  dubbio  quelle  scopi)iate  in  Francia  durante  il  se- 
colo decimonono.  Esse  sono  state  infatti  rese  possibili  solo  da  una 
eccessiva  burocratizzazione  e  da  altre  circostanze  peculiari  alle 
quali  brevemente  accenneremo. 

Non  mettiamo  nel  novero  la  grande  rivoluzione  del  1789,  che 
fu  una  vera  dissoluzione  delle  classi  e  delle  forze  politiche  che 
fì.n  allora  avevano  diretto  la  Francia.  Si  sa  che  allora  l'ammini- 
strazione e  l'esercito,  disorganizzati  completamente  dall' inespe- 
rienza dell'Assemblea  nazionale,  dall'emigrazione  e  dalla  propa- 
ganda dei  clubs^  non  furono  per  parecchio  tempo  più  al  caso  di 
far  rispettare  le  decisioni  di  qualunque  governo  (2).  Sicché  il  po- 


ri) Le  abitudini  rivoluzionarie  contratte  da  un  certo  numero  di  persone  con- 
tribuiscono pure  a  spiegare  le  diserzioni  e  le  inconseguenze  non  rare  nei  civili 
rivolgimenti.  Avviene  infatti  qualche  volta  che  gente,  che  si  è  battuta  per  un 
principio,  dopo  il  trionfo  di  questo  continua  a  ribellarsi  ed  a  battersi  solo 
perchè  di  ribellione  e  di  battaglia  sente  il  bisogno. 

(2)  Fin  dal  luglio  1789  interi  reggimenti  erano  passati  alla  causa  della  Ri- 
voluzione. In  seguito  si  ebbe  cura  di  trascinare  sotto-ufficiali  e  soldati  nei 
cluhs,  dove  ebbero  la  parola  d'ordine  di  obbedire  alle  inspirazioni  dei  comitati 


GAP.  Vili    -    LE    RIVOLUZIONI  219 

tere  caduto  dalle  mani  del  Re  non  fu  raccolto  da  un  ministero 
che  aveva  la  fiducia  dell'Assemblea  costituente,  ed  appartenne 
volta  per  volta  alla  setta  od  all'uomo  che,  in  un  dato  giorno,  sapea 
farsi  seguire  a  Parigi  da  un  nucleo  di  forza  armata;  fosse  questi 
La  Fayette  a  capo  della  guardia  nazionale  o  Danton  colla  plebe 
dei  sobborghi  armata  di  picche. 

Però  fin  d'allora  comincia  a  manifestarsi  una  tendenza  che  si 
andrà  vieppiù  accentuando  nella  prima  metà  del  secolo  decimo- 
nono. Coloro  che  dirigevano  le  insurrezioni  cercavano  sempre  di 
impadronirsi  della  persona  o  delle  persone,  che  rappresentavano  il 
simbolo  o  l'istituzione  alla  quale  la  Francia,  o  per  antica  tradi- 
zione o  per  fede  nei  principii  nuovi,  obbediva;  ed,  una  volta  riu- 
sciti nel  loro  intento,  erano  realmente  padroni  del  Paese. 

Cosi  fecero  gli  insorti  al  6  ottobre  1789,  quando,  obbedendo  evi- 
dentemente ad  una  parola  d'ordine,  andarono  a  Versailles  e  s'im- 
padronirono del  Re.  Abolita  la  monarchia,  fu  contro  la  Conven- 
zione nazionale  che  si  diressero  i  colpi  di  mano,  come  quello  del 
31  maggio  1793  che  fece  l'Assemblea  la  quale  rappresentava  la 
Francia,  schiava  di  un  pugno  di  marmaglia  parigina.  La  provincia 
tentò  allora  di  reagire,  ma  invano,  perchè  l'esercito  restò  obbe- 
diente ai  comandi  che  venivano  dalla  capitale  in  nome  della  Con- 
venzione, per  quanto  fosse  notorio  che  questa  era  coartata. 

La  stessa  generale  acquiescenza  per  tutto  ciò  che  aw^eniva  nella 
sede  del  Groverno  contribuì  molto  al  felice  risultato  dei  diversi 
colpi  di  stato,  che  avvennero  sotto  il  Direttorio  e  fino  allo  stabi- 
lirsi dell'impero  napoleonico. 

Ma  forse  ancora  più  caratteristico  è  quello  che  avvenne  nel  1830, 
nel  1848  e  nel  1870.  Dopo  un  combattimento  più  o  meno  lungo, 
qualche  volta  relativamente  insignificante  (1),  con  quella  frazione 


rivoluzionari  anziché  ai  comandi  dei  loro  ufficiali.  —  Il  marchese  di  Bouillé, 
comandante  l'esercito  dell'est,  e  che  avea  pur  saputo  reprimere  la  pericolosa 
insurrrezione  militare  di  Metz,  scriveva  sul  finire  del  1790  che  l'esercito,  ad 
eccezione  di  qualche  reggimento,  era  incancrenito,  che  i  soldati  avi-ebbero 
seguito  il  partito  del  disordine  o  tutto  al  più  chi  meglio  li  avesse  pagati  e 
che  questi  erano  i  discorsi  che  apertamente  tenevano  (Vedi  Currespondance 
entre  le  comte  de  Mirabeau  et  le  conte  de  La  Marck.  Paris,  1851,  Lenormant). 

(l)  Le  famose  giornate  di  febbraio  1848,  che  rovesciarono  la  monarchia   di 
Luigi  Filippo,  costarono  la  vita  a  72  soldati  e  287  insorti  o  curiosi. 


220  ELBMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


di  trupi)e,  che  difendeva  nella  capitale  i  fabbricati  dove  stavano 
i  ra})])re.sentanti  del  supremo  potere  fin  allora  riconosciuto  legit- 
timo, la  folla  armata  e  disarmata  fece  fuggire  sovrani  e  ministri, 
sciolse  le  assemblee  e  tumultuariamente  formò  un  Governo,  com- 
posto di  uomini  jjìù  o  meno  noti  al  paese,  i  quali  s'insediarono 
nei  luoghi  dove  gli  antichi  capi  del  Governo  erano  soliti  a  gover- 
nare, e  di  là,  coadiuvati  quasi  sempre  dai  soliti  funzionari,  tele- 
grafarono alla  Francia  che,  grazie  al  popolo  vittorioso,  essi  erano 
diventati  i  padroni  del  Paese;  e  Paese,  amministrazione  ed  eser- 
cito prontamente  li  obbedirono.  Pare  la  storia  della  lanterna  ma- 
ravigliosa  di  Aladino,  la  quale  quando,  per  caso  od  astuzia,  ca- 
pitava in  mano  ad  uno,  fosse  egli  anche  un  semplice  ed  ignorante 
fanciullo,  subito  i  genii  lo  servivano  ciecamente  e  rendevano  il 
possessore  più  ricco  e  potente  dei  sultani  dell'Oriente,  senza  che 
nessuno  gli  domandasse  come  e  perchè  il  prezioso  talismano  fosse 
pervenuto  nelle  sue  mani. 

Si  può  obiettare  che  nel  1830  il  Governo  era  diventato  cieco 
strumento  del  partito  legittimista,  che  era  uscito  dalla  legalità, 
che  una  gran  parte  della  Francia  era  decisamente  contraria  al- 
l'indirizzo politico  che  esso  seguiva  e  che  una  p>arte  stessa  delle 
truppe  agi  mollemente  o  non  agi  del  tutto  nel  momento  de- 
cisivo. La  catastrofe  del  1870  contribuisce  pure  a  spiegarci  il 
cambiamento  di  Governo,  che  allora  in  Francia  ebbe  luogo.  Ma 
nessun  elemento  di  questo  genere  abbiamo  per  renderci  ragione 
della  subitanea  rivoluzione  del  1848  :  né  le  Camere,  ne  la  buro- 
crazia, ne  l'esercito  avevano  allora  simpatie  per  il  Governo  re- 
pubblicano, la  maggior  parte  dei  dipartimenti  vi  era  contraria  (1)  ; 
a  Parigi  stessa  la  guardia  nazionale,  in  febbraio  oscillante,  perchè 


(1)  Ciò  è  confessato  dallo  stesso  Louis  Blanc,  il  quale,  dopo  avere  respinto 
nella  sua  Histoire  de  la  Revolution  de  1848  (Paris,  1870,  ed.  Lacroix),  l'ingiu- 
riosa supposizione  che  la  repubblica  fosse  allora  voluta  da  una  minoranza, 
nella  stessa  opera  (volume  1°,  pag.  85),  ammette  che  il  suffragio  universale 
avrebbe  potuto  dichiararsi  contrario  alle  istituzioni  repubblicane;  e  pili  avanti 
(volume  2°,  pag.  3)  dice  queste  precise  parole:  "  A  quoi  bon  en  faire  mystère? 
La  plupart  des  départements  en  février  1848  étaient  encore  monarchiques  „. 
Anche  Lamartine,  parlando  delle  impressioni  che  destò  in  Francia  la  rivolu- 
zione del  1848,  riconosce  che  essa  ebbe  "  un  caractère  de  trouble,  de  doute, 
d'horreur  et  d'effroi,  qui  ne  se  presenta  peut-ètre  jamais  au  méme  degré  dans 
l'histoire  des  hommes  ,. 


CAP.  Vili    -    LE   RIVOLUZIONI  221 

desiderava  la  caduta  del  Ministero  Guizot,  nel  marzo  e  nell'aprile 
successivi  fece  manifestazioni  reazionarie.  Eppure  bastarono  poche 
ore  di  titubanza  perchè  Luigi  Filippo,  la  sua  famiglia  ed  i  suoi 
ministri  dovessero  fuggire  non  da  Parigi,  ma  dalla  Francia,  le 
Camere  fossero  annullate  ed  un  Governo  provvisorio,  i  cui  membri 
furono,  in  mezzo  ad  una  folla  tumultuante,  proclamati  al  Palazzo 
Borbone,  assumesse,  di  punto  in  bianco,  la  direzione  politica  della 
Francia. 

Il  cittadino  Caussidière,  fino  al  giorno  avanti  perseguitato  dalla 
polizia,  alla  testa  di  un  gruppo  d'insorti  e  con  le  mani  ancora 
sporche  di  polvere,  andò  nel  pomeriggio  del  24  febbraio  1848  alla 
Prefettura  di  polizia  e,  fin  dalla  stessa  sera,  ne  divenne  il  capo 
ed  il  dù-ettore.  L'indomani  tutti  i  capi  servizio  gli  promisero  la 
loro  fedele  cooperazione  e,  volenti  o  nolenti,  mantennero  la  pro- 
messa (1). 

n  Blanc,  nella  prefazione  dell'opera  teste  citata,  dice  che  Luigi 
Filippo  cadde  i)rincipalmente  perchè  i  suoi  fautori  lo  sostenevano 
per  interesse  non  già  per  devozione  personale.  Secondo  quest'au- 
tore, aveva  il  Re  borghese  pochi  nemici,  molti  cointeressati,  ma 
al  momento  del  pericolo  non  si  trovò  un  amico.  Questa  ragione 
crediamo  che  abbia  un  valore  molto  limitato  ;  giacché  non  ci  pare 
che  tutti  coloro  che  sostengono  una  forma  di  governo  debbano 
avere  affezione  personale  od  amicizia  disinteressata  per  l'individuo, 
che  di  questa  forma  sta  a  capo.  Anzi  questi  sentimenti  non  pos- 
sono essere  sinceramente  sentiti  che  dalle  poche  persone  o  poche 
famiglie,  che  stanno  nella  sua  intimità.  La  devozione  politica  per 
un  sovrano  o  anche  per  il  capo  di  una  repubblica  è  tutt' altra 
cosa.  Piuttosto,  come  abbiamo  già  accennato,  ci  pare  invece  che 
la  causa  principale  dei  subitanei  rivolgimenti  della  Francia  sia  il 
soverchio  accentramento  burocratico,  peggiorato  dal  regime  parla- 
mentare, il  quale  fa  si  che  gli  impiegati  siano  già  abituati  ai  cam- 
biamenti di  padrone  e  d'indirizzo  e  sappiano  per  esperienza  che 


(1)  Vedi  le  memorie  dello  stesso  Caussidière.  La  Prefettura  di  polizia  fu 
anzi  il  solo  ufficio  in  cui  il  basso  personale  fu  cambiato,  le  antiche  fj^uardie 
municipali  essendo  state  sciolte  e  surrogate  dai  montagnardi,  antichi  compagni 
di  congiura  e  di  barricata  del  nuovo  prefetto;  il  quale  poi  pronunziò  la  famosa 
frase  che  faceva  l'ordine  per  mezzo  del  disordine. 


222  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

a  contentare  chi  sta  in  alto  ci  si  guadagna  molto  e  che  a  scon- 
tentarlo ci  si  perde  assai. 

Con  un  simile  regime  ciò  che  abbisogna  alla  gran  maggioranza 
dell'esercito,  della  burocrazia  ed  anche  a  quella  parte  della  popo- 
lazione che  per  interesse  od  istinto  ama  l'ordine,  è  un  governo, 
non  un  dato  governo  ;  sicché  coloro  che  di  fatto  stanno  a  capo 
della  macchina  dello  Stato  trovano  sempre  le  forze  conservatrici 
pronte  a  sostenerli  e  l'intiero  organismo  politico  si  muove  quasi 
ugualmente,  qualunque  sia  la  mano  che  lo  faccia  agire. 

Certo  con  questo  sistema  si  può  ottenere  piuttosto  un  cambia- 
mento nelle  persone  che  hanno  in  mano  il  supremo  potere,  an- 
ziché nel  vero  indirizzo  politico  di  una  società;  e  ciò  appunto  è 
accaduto  in  Francia  dopo  il  1830,  il  1848  ed  il  1870  :  giacché,  se 
si  vuole  tentare  un  mutamento  più  radicale,  gli  stessi  governanti 
usciti  dalla  Rivoluzione  sono  trascinati  ad  impedirlo,  come  av- 
venne nel  giugno  1848  e  nel  1871,  dagli  elementi  conservatori  che 
sono  i  loro  strumenti  e  nello  stesso  tempo  i  loro  padroni. 

E  pure  indiscutibile  che  un  forte  sentimento  della  legalità  e 
della  legittimità  del  Governo  preesistente  ostacolerebbe  l'obbe- 
dienza passiva  ad  un  nuovo  regime  sorto  dalle  barricate,  ma  un 
sentimento  di  questo  genere  per  nascere  ed  affermarsi  ha  bisogno 
del  tempo  e  della  tradizione,  ed  in  Francia  troppo  rapidi  furono 
i  cambiamenti  avvenuti  fino  al  1870  perchè  la  tradizione  vi  potesse 
attecchire.  Bisogna  finalmente  tener  presente  che,  durante  il  secolo 
decimonono,  in  Francia  ed  in  gran  parte  d'Europa  le  minoranze 
rivoluzionarie  hanno  potuto  fare  assegnamento  non  solo  sulla  sim- 
patia delle  masse  povere  ed  incolte,  ma  anche,  e  principalmente 
forse,  su  quelle  delle  classi,  che  pure  hanno  una  certa  cultura. 
A  torto  od  a  ragione,  si  è,  per  tre  quarti  di  secolo,  insegnato  alla 
gioventù  che  molte  fra  le  più  importanti  conquiste  della  vita  mo- 
derna si  sono  ottenute  in  seguito  alla  grande  rivoluzione  o  colle 
rivoluzioni.  Data  una  simile  educazione,  non  è  da  mara\ngliare 
se  i  tentativi  e  le  vittorie  dei  rivoluzionari  non  siano  vedute  con 
ripugnanza  dalla  generalità,  fino  a  tanto  almeno  che  non  ne  mi- 
nacciano 0  danneggiano  seriamente  gli  interessi  materiali  (1).  Na- 


(1)  Sugli  effetti  di  questa  educazione  rivoluzionaria  vedi   Villetabd,   Insur- 
rection  du  18  mars,  capitolo  1°.  Paris,  1872,  Charpentier. 


GAP.  Vili    -    LE   EIVOLUZIONI  223 

turalmente  i  sentimenti  ai  quali  abbiamo  accennato  devono  essere 
per  un  pezzo  più  forti  e  diffusi  in  quei  paesi  nei  quali  gli  stessi 
Governi  di  fatto  o  legali  sono  usciti  da  una  rivoluzione  ;  in  modo 
che,  pur  condannando  le  ribellioni  in  genere,  devono  pur  cele- 
brare quella  buona,  quella  santa  insurrezione  dalla  quale  ripetono 
la  loro  origine. 

VII.  —  Uno  dei  modi  principali  mercè  i  quali  la  tradizione  e 
le  passioni  rivoluzionarie  si  sono  mantenute  in  molti  paesi  d'Eu- 
ropa sono  le  società  politiche,  specialmente  quelle  segrete.  E  nel 
loro  seno  infatti  che  si  educano  i  gruppi  dirigenti,  che  sanno  poi 
fomentare  le  passioni  delle  masse  e  condmde  verso  un  dato  fine. 
Quando  si  potrà  scrivere  imparzialmente  la  storia  del  secolo  de- 
cimonono essa  si  dovrà  molto  occupare  dell'efficacia  colla  quale 
qualche  società  segreta  molto  diffusa  ha  saputo  spargere  le  idee 
liberali  e  democratiche,  modificando  jiro fondamente  e  rapidamente 
l'indirizzo  intellettuale  di  una  gran  parte  della  società  europea. 
Giacche,  se  non  si  tenesse  conto  di  una  propaganda  attiva,  orga- 
nizzata e  ben  diretta,  diffìcilmente  si  potrebbe  spiegare  come  certi 
modi  di  vedere,  che  sulla  fine  del  secolo  decimottavo  erano  patri- 
monio dei  salotti  eleganti  e  di  una  società  ristrettissima,  ora  si 
sentono  ripetere  in  fondo  ai  più  remoti  villaggi  da  persone  ed  in 
ambienti,  che  certo  non  si  sono  modificati  in  forza  di  una  cultura 
propria. 

Se  però  nella  preparazione  intellettuale  e  morale  delle  rivolu- 
zioni le  associazioni,  sia  jjalesi  che  segrete,  ordinariamente  eccel- 
lono, lo  stesso  non  si  può  dire  quando  si  tratta  di  spingere  le  masse 
all'azione  immediata,  di  suscitare  un  movimento  a  mano  armata 
in  un  dato  punto  ed  in  un  giorno  stabilito  ;  perchè  allora  società  e 
congiure,  per  una  volta  che  riescono,  dieci  volte  almeno  falliscono. 
La  ragione  è  evidente  :  per  lanciare  una  rivoluzione  non  bastano  gli 
spostati  pronti  ad  ogni  rischio,  che  si  trovano  in  tutte  le  grandi 
città  europee,  ma  bisogna  anche  la  cooperazione  di  una  parte  no- 
tevole delle  masse.  Or  queste  non  si  commuovono  senza  che  vi 
sia  un  gran  fermento  negli  spiriti  causato  da  avvenimenti,  che  i 
Governi  spesso  non  sanno  o  non  possono  evitare,  ma  che  nello 
stesso  tempo  le  società  rivoluzionarie  non  possono  creare,  e  dei 
quali  perciò  possono  soltanto  trarre  abilmente  profìtto.  Una  grande 
speranza  delusa,  un  rapido  peggioramento  delle  condizioni  econo- 


224  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

miche,  una  sconfitta  toccata  all'esercito  nazionale  o  una  rivolta 
vittoriosa  di  un  paese  vicino  sono  tutti  fatti  molto  adatti  a  so- 
vracccitare  una  moltitudine  già  preparata  dall'educazione  rivolu- 
zionaria. Allora  il  nucleo  dei  ribelli  stabilmente  organizzato,  se 
sa  profittare  del  momento,  può  sperare  un  successo;  ma  se  al  con- 
trario si  lancia  solo  nell'azione,  senza  alcun  sussidio  di  circostanze 
eccezionali,  viene  infallibilmente  e  con  facilità  sopraffatto,  come 
accadde  in  Francia  in  occasione  dei  moti  del  1832,  1834,  e  1840. 
Perciò  le  Polizie,  che  d'ordinario  si  i^reoccupano  poco  della  pro- 
paganda dei  principii  e  stanno  solo  attente  a  prevenire  e  sventare 
i  colpi  di  mano  dei  gruppi  rivoluzionari,  dei  quali  riescono  abba- 
stanza facilmente  a  conoscere  i  progetti  e  le  intenzioni  imme- 
diate mercè  qualche  spia  che  insinuano  nel  loro  seno  (1),  danno 
prova  di  quella  meschinità  di  vedute,  che  pare  una  qualità  comune 
e  quasi  fatale  in  tutte  le  presenti  istituzioni  conservatrici. 

In  Francia,  in  Spagna  ed  anche  in  Italia  si  trova  qualche  città, 
nella  quale  è  più  facile  trascinare  le  masse  sulle  barricate.  E  questo 
uno  dei  tanti  effetti  dell'abitudine  e  della  tradizione,  per  le  quali 
una  popolazione,  che  una  volta  ha  fatto  alle  fucilate  ed  ha  rove- 
sciato il  Groverno  costituito,  crederà,  per  una  generazione  almeno, 
possibile  di  rinnovare  con  buon  esito  il  tentativo,  a  meno  che  ri- 
petuti e  sanguinosi  insuccessi  non  la  disingannino.  Aggiungiamo 
che  gl'individui,  che  hanno  parecchie  volte  affrontato  il  fuoco, 
acquistano  una  specie  d'educazione  guerresca  e  diventano  capaci 
di  battersi  meglio  (2).  Malgrado  i^erò  tutti  i  vantaggi  di  tempo, 
di  luogo,  di  circostanze,  dei  quali  un  movimento  rivoluzionario  può 
fruire,  certo  ai  giorni  nostri,  coi  grossi  eserciti  stanziali  che  ab- 
biamo e  mercè  i  mezzi  pecuniari  e  gli  strumenti  bellici,  che  solo 
i  poteri  costituiti  sono  al  caso  di  procurarsi,  nessun  Groverno  può 
essere  colla  forza   rovesciato  se  gli  uomini  stessi  che  lo  dii'igono 


(1)  Fra  queste  fu  famoso  quel  Luciano  De  La  Hodde,  uno  dei  capi  di  tutte 
le  congiure  repubblicane  dell'epoca  di  Luigi  Filippo,  che,  dopo  la  rivoluzione 
di  febbraio,  si  scoprì  che  era  stato  un  agente  segreto  della  polizia. 

(2)  E  questa  una  delle  ragioni  per  le  quali  gli  operai  parigini  si  batterono 
così  accanitamente  nel  giugno  1848,  sebbene  a  ciò  abbia  contribuito,  come 
spiega  il  Blanc  nella  sua  storia  della  rivoluzione  del  1848,  quella  certa  orga- 
nizzazione che  aveano  avuto  negli  opifici  nazionali.  L'elemento  rivoluzionario 
si  battè  anche  meglio  nel  1871,  perchè,  facendo  esso  parte  della  guardia  na- 
zionale parigina,  era  stato  accuratamente  armato,   organizzato   ed   esercitato. 


i 


CAP.  Vili    -    LE    RIVOLUZIONI  225 

non  sono  per  i  primi  scossi  ed  esitanti,  o  se  almeno  non  sono 
trattenuti  da  una  forte  paura  di  assumere  la  responsabilità  di  una 
repressione  sanguinosa.  Le  concessioni  all'ultima  ora,  gli  ordini 
e  contrordini,  le  titubanze  di  coloro  che  hanno  in  mano  la  forza 
legale  e  che  la  debbono  adoperare,  sono  i  veri  e  più  efficaci  fattori 
della  riuscita  di  una  rivoluzione  e  la  storia  delle  giornate  di 
febbraio  1848  è  su  questo  riguardo  molto  istruttiva  (1).  Ed  è  dan- 
nosa illusione  il  credere  che,  mentre  nei  posti  più  elevati  si  ten- 
tenna e  si  ha  paura  di  compromettersi,  si  possano  trovare  uffi- 
fìciali  subalterni  che  assumano  la  responsabilità  di  una  energica 
iniziativa  o  anche  di  una  energica  esecuzione  di  ordini  i^erplessi 
e  contradittori. 

Resta  ora  ad  esaminare  in  che  modo  si  siano  costituiti  gli  eser- 
citi stanziali  e  quali  siano  le  condizioni  perchè  non  degenerino 
questi  organismi  complessi  e  delicati,  che,  senza  turbare  ordina- 
riamente l'equilibrio  giuridico  delle  altre  forze  sociali,  sono,  se 
saputi  ben  adoperare,  strumenti  così  efficaci  in  mano  dei  Governi 
legali.  Di  ciò  tratteremo  nel  seguente  capitolo. 


(1)  Vedi  specialmente  Thureau  Dangik,   Histoire  de  la  Monarchie  de  Juillet, 
volume  ultimo. 


G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  16 


CAPITOLO  IX. 
Gli  eserciti  stanziali. 


I.  La  funzione  militare  nelle  civiltà  primitive.  —  IT.  Lo  Stato  burocratico  e  gli 
eserciti  mercenari  e  stanziali.  —  IIL  Preponderanza  politica  abituale  dell'ele- 
mento militare.  —  IV.  Ragioni  per  le  quali  questa  preponderanza  è  stata  li- 
mitata e  distrutta  nei  paesi  di  civiltà  europea.  —  V.  Importanza  pratica  delle 
moderne  milizie  cittadine.  —  VI.  Diversità  di  classe  fra  la  bassa  forza  e  gli 
ufficiali  in  molti  eserciti  stanziali.  —  VII.  Giudizi  e  pregiudizi  intomo  alle 
speciali  attitudini  militari  dei  vari  popoli.  —  VUI.  Gli  eserciti  stanziali,  la 
guerra  e  l'avvenire  della  civiltà  di  tipo  europeo. 


I.  —  Nei  paesi  selvaggi  o  molto  barbari,  nei  quali  la  produ- 
zione economica  è  rudimentale,  nel  caso  abbastanza  frequente  che 
si  venga  alla  guerra,  tutti  gl'individui  maschi  ed  adulti  sono  sol- 
dati. Giacché  nelle  società  primitive,  dato  che  esista  la  pastorizia 
nomade  o  che  vi  sia  anche  un  embrione  di  agricoltura  e  d'industria, 
queste  non  sono  mai  cosi  sviluppate  da  assorbire  interamente  l'at- 
tività umana;  sicché  restano  sempre  tempo  ed  energia  sufficienti 
per  darsi  alle  scorrerie  avventurose,  le  quali  forniscono  un'occu- 
pazione non  solo  piacevole  ma  quasi  sempre  lucrosa.  Nelle  popo- 
lazioni dunque  alle  quali  accenniamo,  le  arti  pacifiche  sono  la- 
sciate volentieri  alle  donne  o  tutto  al  più  agli  schiavi  e  gli  uomini 
si  danno  a  preferenza  alla  caccia  ed  alla  guerra. 

Così  è  accaduto  ed  accade  fra  tutte  le  razze  ed  in  tutti  i  climi, 
quando  si  trovino  le  condizioni  che  abbiamo  rilevate:  cosi  vive- 
vano gli  antichi  Germani  e  fino  a  pochi  anni  fa  gli  avanzi  delle 


CAP.    IX    -    GLI    ESEKOITI    STANZIALI  227 

odierne  Pelli  Rosse,  gli  Sciti  dell'antichità  classica  ed  i  Turco- 
manni  dell'era  moderna,  e  cosi  vivono  fino  ad  oggi  una  parte  dei 
Negl'i  dell'interno  dell'Africa  e  le  tribù  ariane,  semitiche  o  mon- 
gole, che,  nelle  regioni  più  inaccessibili  dell'Asia,  hanno  potuto 
conservare  un'indipendenza  di  fatto. 

Un  coefficiente  favorevole  alla  durata  di  questo  stato  di  cose  è 
la  esistenza  di  organismi  politici  minimi,  l'autonomia  di  fatto  di 
ogni  piccola  tribù  o  minuscolo  villaggio,  che  può  rendere  diuturna 
la  guerra  e  continui  il  ladroneggio  e  le  rappresaglie  fra  vicini. 
Difatti  anche  le  tribù  barbare  sottomesse  ad  un  Groverno  regolare 
che  impedisce  le  guerre  intestine,  alla  lunga  diventano  pacifiche; 
come,  ad  esempio,  è  accaduto  in  gran  parte  alle  popolazioni  no- 
madi dell'Asia  da  lungo  tempo  sottoposte  al  Governo  chinese  ed 
a  quelle  fra  il  Volga  e  gli  Urali,  che  pure  da  un  pezzo  subiscono 
il  giogo  della  Russia.  Al  contrario,  nel  Medio  Evo.  vediamo  in 
Germania  ed  anche  in  Italia  popolazioni  relativamente  colte  man- 
tenere costumi  molto  guerreschi,  perchè  divise  in  feudi  e  Comuni 
fra  i  quali  di  fatto  durava  il  diritto  del  pugno. 

Appena  però  grandi  organismi  politici,  anche  rudimentali  ed 
imperfetti,  si  vanno  costituendo,  e  sopratutto  appena  lo  sviluppo 
economico  è  più  avanzato  e  la  guerra  non  fornisce  più  l'occupa- 
zione maggiormente  lucrosa,  allora  vediamo  consacrarsi  al  mestiere 
delle  armi  una  classe  speciale,  la  quale  ritrae  il  proprio  sostenta- 
mento non  tanto  dalle  prede,  che  fa  sugli  avversari,  quanto  dai 
tributi,  che,  sotto  diverse  forme,  preleva  sui  lavoratori  pacifici  del 
paese  che  essa  tutela  e  difende.  Generalmente,  siccome  in  un  pe- 
riodo di  mediocre  civiltà  e  cultura  la  produzione  è  quasi  esclusi- 
vamente agricola,  i  gaemeri  o  sono  proprietari  delle  terre,  che 
fanno  da  altri  coltivare,  o  dai  lavoratori  della  terra  ritraggono 
pesanti  ed  onerose  contribuzioni.  Cosi  accadde  durante  quel  periodo 
primitivo  della  classica  antichità  nel  quale  la  parte  dominatrice 
e  militare  della  città  era  costituita  unicamente  dai  proprietari  di 
terre  (1),  e  lo  stesso  fenomeno  si  ha  piti  spiccatamente  in  tutti  i 
paesi  feudalmente  organizzati.  Lo  troviamo  perciò  tra  i  Latini  ed 
i  Germani  del  Medio  Evo  come  anche  fra  gli  Slavi,  presso  i  quali 
si  determinò  più  tardi,   perchè  più  tardi   abbandonarono  la   vita 


(1)  Come  nella  costituzione  serviana. 


228  EliEMBNTI    DI    .SCIENZA    POLITICA 

nomade  ed  entrarono  noi  periodo  stabilmente  agricolo;  e  lo  tro- 
viamo puro,  in  corto  e]>oche,  in  China,  nel  Giappone  e.  nell'India, 
nella  quale  era  rientrato  in  pieno  vigore  durante  quell'epoca  di 
decadenza  e  di  anarchia,  che  seguì  la  dissoluzione  dell'impero  del 
Gran  Mogol.  Organizzazioni  analoghe  si  possono  rintracciare  in 
Turchia,  nell'Abissinia,  in  Afganistan  e  nei  periodi  di  decadenza, 
che  si  frappongono  fra  le  diverse  fasi  dell'antichissima  civiltà  egi- 
ziana; in  tutte  quelle  società,  insomma,  che  non  hanno  ancora  ab- 
bandonato quel  primo  e  più  rozzo  periodo  di  cultura,  che  possiamo 
in  una  grande  nazione  trovare,  ovvero  che,  doj^o  avere  raggiunto 
una  civiltà  molto  più  avanzata,  per  ragioni  interne  ed  esterne  de- 
cadono, si  decompongono,  e,  come  tipo  sociale,  si  trasformano  e 
periscono,  come  fu  il  caso  dell'Impero  romano  (1). 

II.  —  Quando  però  la  civiltà  degli  Stati  feudali  va  aumen- 
tando, non  tarda  a  manifestarsi  in  essi  la  tendenza  verso  la  cen- 
tralizzazione e  perciò  verso  l'ordinamento  burocratico.  Dappoiché 
il  potere  centrale  cerca  costantemente  di  emanciparsi  dalla  ne- 
cessità di  ricorrere  alla  buona  volontà  dei  piccoli  organismi  poli- 
tici, che  formano  lo  Stato;  buona  volontà  che  non  è  sempre  pronta 
e  disinteressata.  Quindi,  anche  per  tenerli  ubbidienti  e  disciplinati, 
cerca  di  fornirsi  direttamente  dei  mezzi  coi  quali  efficacemente  si 
impone  la  propria  volontà  agli  altri  uomini:  il  denaro,  cioè,  ed  i 
soldati.  E  cosi  che  si  vanno  creando  i  corpi  mercenari,  che  sono  a 
servizio  diretto  del  capo  dello  Stato,  e  questo  fatto  è  cosi  natu- 
rale e  costante,  che,  in  embrione  almeno,  lo  troviamo  in  tutti  i 
paesi  feudalmente  organizzati. 

Al  giorno  d'oggi  infatti  il  Negus  d'Abissinia,  oltre  il  contin- 
gente che  gli  forniscono  i  vari  Ras,  ha  un  primo  nucleo  di  ar- 
mati formato  dalle  guardie  addette  alla  sua  persona,  che  egli 
mantiene  direttamente  colle  requisizioni  che  affluiscono  a  Corte, 
ed  anche  dai  servitori  della  sua   casa,   beccai,   palafrenieri  e  pa- 


(1)  Abbiamo  già  parlato  del  predominio  della  classe  militare  nel  capitolo  li, 
ed  abbiamo  già  visto  come,  in  qualche  caso,  i  guerrieri  siano  stati  forniti 
esclusivamente  dalla  classe  dominatrice,  mentre  in  altri  casi  questa  ha  fornito 
soltanto  i  capi,  gli  ufficiali  ed  i  corpi  scelti,  mentre  un  certo  numero  di  gre- 
gari delle  armi  meno  pregiate  si  è  reclutato  fra  le  classi  meno  elevate. 


GAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  229 

nattieri,  che  seguono  rimperatore  dappertutto  ed  all'occorreiiza 
diventano  soldati  (1). 

Anche  nella  Bibbia  troviamo  che  il  primo  nucleo  dell'esercito 
di  David  e  dei  suoi  successori  era  composto  dai  guerrieri  che  man- 
giavano alla  mensa  del  Re  e  dai  mercenari  Cretesi  e  Filistei;  tutta 
gente  molto  provetta  nelle  armi,  la  quale  represse  la  rivolta  ca- 
pitanata da  Assalonne  sebbene  fosse  secondata  dalla  maggioranza 
del  popolo  (2).  Il  Renan  crede  anzi  che  questo  fatto  di  un  nucleo 
di  sbirri  stranieri  presi  al  servizio  del  Governo  centrale  sia  proprio 
soltanto  dei  popoli  semitici,  presso  i  quali  lo  spirito  di  tribù  e  di 
famiglia  è  cosi  forte,  che  gli  elementi  indigeni  non  riescono  adatti 
a  far  rispettare  i  diritti  dello  Stato,  che  vengono  sempre  posposti 
agli  interessi  della  propria  fazione.  Ma  in  verità  pare  a  noi  che 
ciò  accada  dappertutto  dove  l'aggregato  sociale  si  componga  di 
X)iccoli  nuclei  provvisti  di  tutti  gli  organi  necessari  ad  una  vita 
indipendente  e  che  quindi  possono  facilmente  ribellarsi  al  potere 
centrale.  Sicché  il  Re  d'Inghilterra,  che  nel  Medio  Evo  procurava 
di  assoldare  Fiamminghi  e  Brabanzoni,  il  Re  di  Francia  che  si 
circondava  di  Svizzeri,  il  signore  italiano  che  stipendiava  i  Te- 
deschi, in  fondo  obbedivano  alle  stesse  necessità  politiche  che  spin- 
gevano i  Re  di  Giuda  ad  assoldare  Filistei  e  Cretesi,  e  spinsero 
più  tardi  i  Califf  di  Bagdad  ad  assoldare  la  guardia  turca. 

A  nostra  conoscenza  solo  il  genio  organizzatore  di  Roma  portò 
a  tale  perfezione  l'ordinamento  degli  eserciti  cittadini  reclutati 
nella  classe  dominatrice  ed  agiata  e  composti  d'individui  che  pi- 
gliavano le  armi  solo  in  caso  di  bisogno,  da  renderne  possibile, 
senza  scosse  e  quasi  insensibilmente,  la  trasformazione  in  un  vero 
e  proprio  esercito  stanziale  formato  di  soldati  di  mestiere  (3).  Ge- 
neralmente però  l'inizio  degli  eserciti  stanziali  si  deve  trovare  nei 
nuclei  di  mercenari  indigeni  o  stranieri  che  il  potere  centrale  as- 
solda per  avere  un  punto  di  appoggio  di  fronte  alle  altre  forze 
militari   feudalmente    organizzate.  La  nazionalità  dei  mercenari 


(1)  Vedi  la  relazione  dell'Antonelli  sulla  zemeccià  ovvero  spedizione  ed  or- 
ganizzazione dell'esercito  scioano  pubblicata  nei  Documenti  diplomatici  pre- 
sentati al  Parlamento  italiano  il  17  dicembre  1889. 

(2)  Libro  di  Samuele,  dal  paragrafo  15  al  paragrafo  18. 

(3)  Questa  trasforruazione,  come  si  sa,  cominciò  nell'ultimo  secolo  della  Re- 
pubblica ed  era  già  compiuta  quando  principiò  l'impero. 


230  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


stessi  può  qualche  volta  essere  stata  determinata  da  ragioni  po- 
litiche G  forse  anche  da  abitudini  ed  attitudini  tradizionali,  ma  il 
criterio  che  più  comunemente  ha  prevalso  è  senza  dubbio  quello 
economico  del  minimo  mezzo  col  massimo  risultato:  cioè  di  avere 
il  maggior  numero  possibile  di  soldati  colla  minima  spesa. 

Perciò  sono  stati  sempre  i  paesi  relativamente  ])overi  di  capitali 
e  ricchi  di  popolazione,  nei  quali  il  tempo  e  la  vita  degli  uomini 
si  possono  avere  a  più  buon  patto,  quelli  che  hanno  fornito,  come 
regola  generale,  i  contingenti  più  importanti  alle  truppe  assol- 
date (1). 

III.  —  Stranieri  o  indigeni  i  mercenari  stabilmente  organiz- 
zati, una  volta  diventati  la  forza  preponderante  di  un  paese,  hanno 


(1)  Riguardo  all'usanza  di  assoldare  mercenari  è  da  notare  che  essa  si  svi- 
luppa primieramente  ed  a  preferenza  nei  paesi  non  solo  ricchi,  ma  nei  quali 
la  ricchezza  è  industriale  e  commerciale  piuttosto  che  agricola.  Giacche  quivi 
la  classe  dirigente  è  disabituata  dalla  vita  dei  campi,  che  è  la  miglior  prepa- 
razione a  quella  delle  armi,  e  trova  più  il  suo  tornaconto  a  dirigere  il  banco 
e  la  fabbrica,  anziché  a  cavalcare  in  guerra.  Così  accadde  in  Cartagine,  a 
Venezia  ed  in  generale  nei  piti  ricchi  Comuni  italiani,  dove  la  borghesia  mer- 
cantile ed  industriale  perdette  presto  l'abitudine  di  combattere  personalmente 
le  sue  guerre  e  le  affidò  a  preferenza  ai  mercenari.  Sicché,  come  abbiamo  ram- 
mentato, a  Firenze  le  cabaliate,  cioè  le  spedizioni  armate  che  i  cittadini,  che 
pur  8Ì  erano  battuti  all'Arbia  ed  a  Campaldino,  eseguivano  in  persona,  sono 
ricordate  solo  fino  al  1325. 

I  mercenari  poi,  quando  l'armatura  del  soldato  costa  molto  e  la  sua  maniera 
di  combattere  esige  un  lungo  tirocinio,  come  era  il  caso  del  cavaliere  medio- 
evale e  dell'oplita  greco,  sono  ordinariamente  cadetti  o  spostati  di  buona  fa- 
miglia, che  spontaneamente  o  per  necessità  cercano  ventura  fuori  del  loro 
paese  nativo,  e  questa,  ad  esempio,  era  l'origine  dei  diecimila  di  Senofonte. 
Se  al  contrario  l'armatura  costa  poco  e  non  si  richiede  un  lungo  periodo  di 
addestramento,  allora  si  reclutano  a  preferenza  nei  paesi  poveri,  dove  le 
braccia  abbondano  e  vi  sono  poca  industria  e  pochi  capitali.  Fino  a  poco  tempo  fa 
erano  infatti  le  contee  più  povere  dell'Irlanda,  che  fornivano  il  maggior  numero 
di  reclute  all'esercito  inglese;  Machiavelli  notava  già  la  difficoltà  con  cui  i 
Tedeschi  delle  città  industriose  andavano  a  servire  come  mercenari,  e  Voltaire 
rilevava  che,  ai  suoi  tempi,  fra  tutti  i  Tedeschi,  i  Sassoni  erano  i  meno  propensi 
ad  arruolarsi  come  soldati,  perchè  la  Sassonia  era  la  regione  più  industriosa  della 
Germania.  Ai  giorni  nostri,  anche  se  il  Governo  federale  lo  permettesse,  non 
si  troverebbero  certo  molti  Svizzeri  da  assoldare;  perchè  la  Svizzera  è  ora  un 
paese  abbastanza  agiato,  e  parecchie  sono  le  contrade  europee  che  un  tempo 
erano  use  a  pigliare  ai  loro  stipendi  gli  Svizzeri  e  che,  forse  a  miglior  mercato, 
sarebbero  ora  servite  dagli  elementi  indigeni. 


GAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  231 

sempre  cercato  d'imporsi  al  resto  della  società.  Come  la  classe 
feudale,  essi,  una  volta  conseguito  il  monopolio  delle  armi,  ne 
hanno  profittato  per  ottenere  privilegi,  per  vivere  quanto  più  gTas- 
samente  è  stato  possibile  alle  spalle  dei  lavoratori,  e  sopratutto 
per  ridurre  alla  loro  dipendenza  il  supremo  potere  politico  ;  e  la 
loro  influenza  è  stata  tanto  più  esclusiva  quanto  più  perfetta  era 
la  loro  organizzazione  e  quanto  più  completa  la  disorganizzazione 
militare  del  resto  della  nazione. 

Alcuni  esempi  in  proposito  sono  a  tutti  familiari  e,  senza  ram- 
mentare i  pretoriani  e  le  legioni  ch.e  disponevano  dell'Impero  ro- 
mano, diremo  che  quasi  ogni  volta  che  i  Governi,  per  reagire 
contro  l'anarchia  feudale  o  per  altre  ragioni,  hanno  creato  corpi 
di  truppe  stanziali,  si  sono  poi  trovati  quasi  sempre  in  balia  di 
questi.  Ivano  IV  di  Russia,  per  non  dijjendere  interamente  dai 
contingenti  forniti  dai  boiardi  e  poter  governare  più  assoluto, 
formò  il  corpo  degli  strelitzi  stabilmente  assoldato,  e  che  dipen- 
deva direttamente  dal  Sovrano;  e  ben  tosto  gli  strelitzi  fecero  e 
disfecero  gli  czar,  diventarono  quasi  i  padroni  della  Russia,  e 
Pietro  il  Grande  non  se  ne  potè  liberare  altrimenti  che  mitra- 
gliandoli e  decapitandoli  a  migliaia.  A  Costantinopoli  i  Sultani 
vollero  anch'essi  avere  una  milizia  completamente  fida,  che  al- 
l'occorrenza marciasse  senza  scrupoli,  non  solo  contro  gl'infedeli, 
ma  anche  contro  gli  scheihs  degli  Arabi  e  dei  Kurdi,  i  begs  alba- 
nesi e  bosniaci  ed  i  kan  dei  Turcomanni  e  dei  Tartari,  perchè 
formata  da  gente  senza  patria  e  senza  famiglia,  educata  esclusi- 
vamente nella  devozione  all'Islam  ed  al  Padischiàh;  e  crearono  i 
giannizzeri  reclutati  con  fanciulli  circassi,  greci  e  di  altre  nazioni 
cristiane,  comprati  o  rapiti  giovanissimi  alle  loro  famiglie.  E  ben 
tosto  i  giannizzeri  crearono  e  deposero  i  Sultani,  furono  i  veri  pa- 
droni dell'Impero  degli  Osmanli,  strangolarono  l'infelice  Selim  III, 
che  primo  volle  frenare  la  loro  onnipotenza,  ed  il  sultano  Mahmud 
dovette  sterminarli  per  vincerli. 

Ed  i  sultani  di  Costantinopoli  avrebbero  potuto  far  tesoro  del- 
l'esperienza degli  Abbassidi  di  Bagdad,  loro  predecessori  nel  ca- 
liffato. Costoro  fin  dagli  inizi  del  nono  secolo,  e  forse  anche  prima, 
per  avere  una  milizia  fida,  che  non  avesse  la  tentazione  d'innal- 
zare lo  stendardo  dei  Fatimiti  o  dogli  Ommeiadi,  come  non  di 
rado  facevano  le  truppe  arabe,  avevano  formato  la  guardia  turca. 
A  partire  dal  califfo  Motasem  (833-842),  questa  guardia   divenne 


232  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

onnipotente  ed  i  mercenari  turchi  commisero  in  Bagdad  ogni  sorta 
di  eccessi.  Il  successore  di  Motasem,  di  nome  V'atek,  fu  dai  Turchi 
deposto  e  suiTOgato  col  fratello  Al-Motavakel  e  poi  in  quattro 
anni  (806-870)  essi  fecero  e  disfecero  tre  altri  califfi;  finché  il  ca- 
liffo Motamed,  dopo  la  morte  di  Musa  loro  ca])0,  potè  alquanto 
imbrigliarli  e,  sparpagliatili  sulle  frontiere  del  Khorasan  e  della 
Dsungaria,  riguardava  come  jjroprie  vittorie  le  sconfitte  che  essi 
toccavano. 

In  conclusione  la  storia  c'insegna  che  ordinariamente  la  classe 
che  ha  portato  la  lancia  od  il  fucile  si  è  imi)osta  all'altra,  che  ha 
maneggiato  la  vanga  o  la  spola.  Appena  una  società  è  tanto  pro- 
gredita che  la  produzione  economica  debba  assorbire  un  gran  nu- 
mero di  braccia  e  d'intelligenze,  fra  popoli  civili  dati  abitualmente 
alle  occupazioni  pacifiche,  il  dichiarare  in  jjrincipio  che  tutti  sono 
soldati,  quando  non  vi  è  una  salda  organizzazione  militare  ed  un 
nucleo  di  capi  e  di  ufficiali  particolarmente  consacrati  al  mestiere 
delle  armi,  equivale  in  pratica  a  non  avere  nel  momento  del  pe- 
ricolo alcun  soldato  e  ad  esporre  un  paese  popolatissimo  a  restare 
in  balia  di  un  piccolo  esercito,  nazionale  o  straniero,  purché  sia 
ben  esercitato  ed  organizzato.  Dall'altro  lato  l'affidare  il  mestiere 
delle  armi  esclusivamente  a  quella  frazione  della  società,  che 
spontaneamente  vi  è  più  adatta  e  volontariamente  lo  assume,  si- 
stema che  pare  il  più  naturale  ed  ovvio,  e  che  molti  popoli  nel  pas- 
sato hanno  adottato,  presenta  pure  gravissimi  e  vari  inconvenienti. 
In  una  società  disorganizzata,  in  ogni  villaggio  si  formerà  una  banda 
di  uomini  composta  da  coloro,  che  avranno  più  ripugnanza  al  lavoro 
metodico  e  più  inclinazione  alle  avventure  ed  alla  violenza,  e 
questa  banda  ed  il  suo  capo  tiranneggeranno  i  pacifici  lavoratori 
senza  regola  né  legge.  In  una  società  semi-organizzata,  l'insieme 
di  queste  bande  costituirà  la  classe  dominatrice,  che  sarà  signora 
e  padrona  di  tutta  la  ricchezza  e  l'influenza  politica,  come  fu  il 
caso  della  feudalità  medioevale  nell'occidente  di  Europa  e  della 
nobiltà  polacca  fino  a  poco  più  di  un  secolo  fa.  In  uno  stato  bu- 
rocratico, che  rappresenta  il  tipo  di  organizzazione  sociale  più 
complicato,  l'esercito  stanziale,  che  comprenderà  tutti  gli  elementi 
più  belligeri  e  saprà  facilmente  e  prontamente  obbedire  ad  unico 
impulso,  facilmente  s'imporrà  al  resto  della  società. 

Il  gran  fatto  moderno,  quasi  generale  nelle  nazioni  di  civiltà 
europea,  di  grossi  eserciti  stanziali  rigidi  custodi  della  legge,  os- 


GAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  233 

sequenti  agli  ordini  dell'autorità  civile,  e  la  cui  importanza  poli- 
tica è  scarsa  ed  indirettamente  esercitata,  se  non  è  assolutamente 
senza  esempio  nella  storia  umana,  rappresenta  quindi  una  fortu- 
nata eccezione.  Solo  l'abitudine  di  poche  generazioni  e  la  dimen- 
ticanza del  passato  fanno  si  che  esso  sembri  normale  a  noi,  che 
abbiamo  vissuto  sulla  fine  del  secolo  decimonono  e  sul  principio 
del  ventesimo  e  che  troviamo  strano  quando  questo  stato  di  cose 
subisce  qualche  eccezione  (1).  Ma  in  verità  un  simile  risultato  si 
è  potuto  ottenere  solo  in  grazia  ad  un  grande  e  sapiente  sviluppo 
di  quei  sentimenti  sui  quali  è  basata  la  difesa  giuridica,  e  sopra- 
tutto mercè  una  serie  di  circostanze  storiche  eccezionalmente  fa- 
vorevoli, che  sarà  nostra  cura  di  brevemente  rammentare.  Accen- 
niamo fin  da  ora  che  non  è  impossibile  che  altre  circostanze  sto- 
riche, che  si  vanno  elaborando,  riescano  ad  indebolire  ed  a  sfasciare 
il  complicato,  delicato  e  sapiente  meccanismo  degli  eserciti  mo- 
derni; ciò  che  ci  ricondurrebbe  ad  un  tipo  di  organizzazione  mi- 
litare, forse  più  naturale  e  i3Ìù  semplice,  ma  certo  anche  più  bar- 
baro e  meno  adatto  ad  una  difesa  giuridica  perfezionata. 

IV.  —  La  lenta  elaborazione  storica  per  la  quale  si  è  arrivati 
alla  costituzione  dei  moderni  eserciti  stanziali  rimonta  alla  fine 
del  Medio  Evo.  Fu  durante  il  secolo  decimoquinto  che,  in  Francia 
dapprima,  e  poi  nelle  altre  regioni  d'Europa  la  monarchia  accen- 
tratrice, madre  dello  Stato  burocratico  moderno,  andò  sostituendo 
le  truppe  stanziali  alle  milizie  feudali.  Se  fin  d'allora  l'Europa 
ebbe  relativamente  poco  a  soffrire  dalle  insurrezioni  e  dalle  so- 
vrapposizioni militari,  ciò  si  deve  al  fatto  che  la  sostituzione  av- 
venne lentamente,  gradatamente  e  che,  anche  sulla  fine  del  Medio 
Evo,  la  costituzione  degli  eserciti  europei  fu  complicata  in  guisa 
che  diversi  e  disparati  elementi  sociali  vi  erano  rappresentati  e  si 
bilanciavano  a  vicenda.   La  cavalleria   infatti,   al  principiare  del 


(1)  Queste  eccezioni  sono  avvenute  qualche  volta  in  Francia  e  più  spesso  in 
Ispagua,  (love  gli  eserciti  stanziali  hanno  cambiato  qualche  volta  gli  uomini 
che  stavano  al  supremo  potere  ed  anche  le  forme  di  governo.  Ma  bisogna 
riflettere  che  ciò  è  avvenuto  in  momenti  di  crisi  e  di  disorganizzazione  sociale, 
e  che,  una  volta  iniziato  l'uso  dei  cambiamenti  di  governo  per  mezzo  della 
violenza,  ogni  partito  o  classe  sociale  usa  per  imporsi  quei  mezzi  che  più  sono 
nelle  sue  abitudini  ed  alla  sua  jiortata. 


234  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


periodo  storico  al  quale  abbiamo  accennato,  era  in  generale  for- 
mata dagli  uomini  d'arme,  gentiluomini  di  nascita,  profondamente 
imbevuti  di  spirito  aristocratico  e  feudale,  che  stavano  però  al 
soldo  del  Re;  mentre  la  fanteria  era  una  raccolta  di  avventurieri 
di  vari  paesi.  Poco  a  poco  provalse  il  sistema  di  affidare  anche  il 
comando  dei  reggimenti  e  poi  delle  compagnie  di  fanteria  a  gen- 
tiluomini, per  nascita  ed  indole  diversi  dai  loro  soldati.  Inoltre, 
fino  a  Luigi  XIV  ed  anche  dopo,  si  prolungò  l'antico  uso  che  un 
signore  raccoglieva  per  conto  suo  uno  squadrone,  un  reggimento, 
una  compagnia  fra  gli  uomini  delle  sue  terre,  e  con  il  cor]>o  già 
formato  si  metteva  al  soldo  di  un  sovrano.  In  caso  di  bisogno  poi 
si  supponeva  sempre  che  il  Re  potesse  convocare  sotto  le  armi 
tutta  la  nobiltà  del  Reame  (1). 

Malgrado  però  che  la  mescolanza  dei  vari  elementi  sociali  e 
delle  varie  nazionalità  avesse  impedito  agli  eserciti  del  cinque- 
cento e  della  prima  metà  del  seicento  di  diventare  padroni  degli 
Stati  che  servivano,  pure  non  era  cosa  facile  il  mantenere  una 
tollerabile  disciplina  fra  truppe  formate  dagli  avventurieri  di  ogni 
paese  ed  in  gran  parte  dalla  zavorra  della  società.  Se  restarono 
proverbiali  gli  eccessi  dei  lanzichinecchi  tedeschi  e  dei  micheletti 
spagnuoli,  non  è  a  credere  che  i  reggimenti  francesi,  svizzeri  od 
italiani,  croati  o  walloni,  si   diportassero   m.olto   meglio.  Bisogna 


(1)  La  costumanza  di  avere  in  proprietà  compagnie  e  reggimenti  e  di  met- 
tersi con  essi  allo  stipendio  dei  vari  Governi  durò  fino  alla  fine  del  secolo 
decimottavo,  specialmente  per  i  reggimenti  svizzeri  e  tedeschi.  11  reggimento 
di  fanteria  tedesca  De  la  Marck,  al  servizio  della  Francia,  era,  ad  es.,  sempre 
comandato  da  uno  della  famiglia  De  la  Marck,  veniva  reclutato  a  preferenza 
nella  contea  dello  stesso  nome,  si  trasmetteva  per  eredità  e  gli  ufficiali  erano 
nominati  dal  colonnello;  e  tutto  ciò  fino  alla  rivoluzione  francese  (Vedi  l'in- 
troduzione alla  Correspondance  entre  le  Comte  de  Mirabeau,  etc,  già  citata). 
La  convocazione  di  tutta  la  nobiltà  in  armi  ebbe  luogo  in  Francia  l'ultima 
volta  sul  principio  del  regno  di  Luigi  XIV.  Ma  si  vide  allora  che  la  riunione 
di  dodici  0  quindicimila  cavalieri  con  armamento  diverso,  alcuni  troppo  gio- 
vani, altri  troppo  vecchi,  personalmente  valorosi  ma  poco  esercitati  a  combat- 
tere in  rango,  avea  in  pratica  poco  valore. 

Per  analoghe  ragioni  la  cavalleria  polacca  nel  secolo  decimottavo  perdette 
molto  della  sua  importanza  militare.  Al  1809,  quando  i  francesi  invasero  l'Un- 
gheria, fu  convocata  per  l'ultima  volta  la  nobiltà  magiara  in  armi.  Ma  il  corpo 
così  formato,  sebbene  individualmente  composto  di  brillanti  cavalieri,  mostrò 
poca  solidità  nella  battaglia  del  Raab. 


CAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  235 

leggere  la  corrispondenza  di  don  Giovanni  d'Austria  per  vedere 
con  quanti  stenti,  con  quanta  destrezza  ed  energia  del  capitano 
e  degli  ufficiali  fosse  mantenuta  una  disciplina  molto  relativa  fra 
le  truppe  che  repressero  la  rivolta  dei  Mori  negli  Alpuxarres,  che 
s'imbarcarono  nelle  galee  che  vinsero  a  Lepanto  e  che  servirono 
nella  guerra  di  Fiandra.  Già  nei  primi  anni  del  secolo  decimo- 
sesto il  cardinale  Ximenes  all'udire  che  un  esercito  spaglinolo, 
sbarcato  per  conquistare  Algeri,  era  stato  sconfitto  e  quasi  di- 
strutto, dicesi  che  abbia  esclamato:  "  Dio  sia  lodato;  ecco  final- 
mente liberata  la  Spagna  da  tanti  mali  arnesi!  „.  Ed  alla  fine  dello 
stesso  secolo,  fra  le  cose  impossibili  che  Cervantes  faceva  desiderare 
al  curato  ed  al  farmacista  del  villaggio  dove  nacque  il  cavaliere 
della  Mancia,  ci  era  anche  questa:  che  i  soldati,  che  dall'interno 
del  paese  si  avviavano  ai  porti  per  imbarcarsi  per  l'estero,  non 
saccheggiassero  per  la  via  i  contadini  loro  connazionali.  Sono  note 
poi  le  gesta  delle  milizie  di  tutti  i  paesi,  che  combatterono  nella 
famosa  guerra  dei  trent'anni.  In  Inghilterra  una  delle  cause  prin- 
cipalissime  per  le  quali  si  mantenne  a  lungo  Tavversione  agli 
eserciti  stanziali  fu  la  paura  della  vita  licenziosa  che  menavano 
i  soldati  di  mestiere.  Sotto  Giacomo  II  fu  famoso  per  stupri  e  ra- 
pine un  reggimento  inglese  tornato  in  patria  dopo  avere  servito 
alcuni  anni  in  Tangeri  sotto  il  colonnello  Kirke.  Siccome  questo 
reggimento  portava  nella  bandiera  per  insegna  un  agnello,  i  sol- 
dati che  di  esso  facevano  parte  furono,  con  umorismo  britannico, 
soprannominati  gli  arpielli  di  Kirke  (1). 


(1)  In  quelle  contrade  d'Europa  dove  si  conservarono  fino  a  tardi  immunità 
e  privilegi  medioevali,  gli  abitanti  mantennero  gelosamente  la  prerogativa 
di  custodire  le  mura  e  i  fortilizi  delle  città  con  milizie  cittadine.  Ad  esempio 
in  Palermo,  sotto  la  dominazione  spagnuola,  sebbene  gli  abitanti  si  con- 
servassero quasi  sempre  fedelissimi  sudditi  di  Sua  Maestà  Cattolica,  pure 
non  poteva  entrare  che  un  numex'O  ben  piccolo  di  soldati  stranieri  per  custo- 
dire il  Palazzo  reale  ed  il  Castello  a  mare,  ed  i  baluardi  con  le  artiglierie 
restavano  in  potere  della  milizia  cittadina  formata  dalle  onorate  maestranze. 
Qualche  volta  che  si  trattò  d'introdurre  altre  soldatesche  in  città,  le  dette 
maestranze,  sempre  professando  devozione  e  fedeltà  al  Re,  barricarono  le 
strade  e  puntarono  i  cannoni  dei  baluardi  sul  palazzo  reale.  La  rivolta  di 
Messina  del  1676  fu  in  parte  occasionata  dal  tentativo,  che  fece  lo  stratigoto 
don  Luigi  dell'Hoyo,  di  sorprendere  i  forti  che  erano  custoditi  dalla  milizia 
cittadina.  11  timore  che  inspirava  la  soldatesca  era  fondato  sulla  condotta  li- 
cenziosa, che  si  supponeva  dovessero  tenere  i  soldati. 


236  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Una  disciplina  migliore  non  si  ebbe  che  nella  fine  del  secolo 
decimosettimo  e  sopratutto  nel  secolo  decimottavo,  durante  il  quale 
vediamo  sparire  quasi  generalmente  le  milizie  feudali  e  cittadine 
e  cominciare  l'èra  dei  veri  e  propri  eserciti  stanziali  alla  moderna. 

Allora  la  necessità  di  tenere  molti  uomini  in  arme  e  la  dif- 
ficoltà di  pagarli  tanto  quanto  bastava  per  averli  volontarii,  fecero 
sì  che  si  cominciasse  ad  introduiTO  la  coscrizione  nella  maggior 
parte  dei  paesi  del  continente  europeo.  Inoltre  poi  i  soldati  non 
vennero  più  raccolti  fra  gli  avventurieri  e  la  feccia  della  società, 
ma  furono  piuttosto  scelti  fra  i  contadini  ed  operai,  che,  anziché 
dedicarsi  per  tutta  la  vita  al  mestiere  delle  armi,  tornarono  dopo 
pochi  anni  alle  loro  ordinarie  occupazioni  e  gli  ufficiali  conti- 
nuarono ad  appartenere  ad  una  classe  totalmente  distinta.  Essi 
infatti  divennero  sempre  f)iù  dei  gentiluomini  burocratizzati,  che, 
all'ordine  ed  alla  puntualità  dell'impiegato,  accoppiarono  lo  spi- 
rito cavalleresco  ed  il  sentimento  dell'onore  tradizionale  nella 
nobiltà  (1). 

Solo  nell'Inghilterra  e  negli  Stati  Uniti  d'America  durò  e  dura 
l'antico  sistema  di  reclutare  i  soldati  volontariamente  ed  a  prefe- 
renze tra  gli  spostati  delle  classi  più  povere  della  società  (*).  In  questi 
due  paesi,  e  specialmente  negli  Stati  Uniti,  le  truppe  stanziah  si 
sono  mantenute  relativamente  scarse;  perchè,  per  la  loro  posizione 
geografica,  la  loro  difesa  esteriore  può  in  gran  parte  essere  affi- 
data alla  marina  da  guerra,  mentre  l'ordine  interno  è  in  parte 
mantenuto  da  milizie  cittadine  e  sopratutto  dalla  numerosa  e  bene 
organizzata  polizia.  Inoltre  vi  si  conserva  negli  eserciti  regolari 
più  rigorosamente  che   negli  eserciti    del    continente   europeo  la 


(1)  Federico  II  di  Prussia  si  scusa  nelle  sue  Memorie  di  essere  stato  co- 
stretto, durante  la  guerra  dei  sette  anni,  a  nominare  ufficiali  persone  che  non 
erano  nobili.  Egli  aveva  una  certa  ripugnanza  per  questa  nuova  classe  di  uf- 
ficiali, perchè,  secondo  lui,  il  gentiluomo  di  nascita  oftriva  maggiori  garanzie 
morali  e  materiali;  giacche,  se  si  disonorava  come  ufficiale,  non  poteva  andare 
a  fare  un  altro  mestiere,  mentre  il  plebeo  trovava  sempre  modo  di  occuparsi 
ed  era  perciò  meno  interessato  ad  adempire  scrupolosamente  al  dovere  del  suo 
grado.  Questo  ragionamento  di  un  uomo  così  spregiudicato  come  fu  il  fonda- 
tore della  potenza  prussiana  dimostra  che  in  Germania,  come  altrove,  la  for- 
mazione di  una  classe  la  quale  ha  un'educazione  elevata  e  che  non  fa  parte 
della  nobiltà  è  un  fatto  relativamente  recente. 

(*)  Si  sa  che  in  Inghilterra  è  stata  nel  1916  introdotta  la  coscrizione. 


GAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  237 


distinzione  di  classe  fra  gli  ufficiali  e  la  bassa  forza;  distinzione 
la  quale  fa  si  che  i  primi  per  attinenze  di  famiglia  e  per  edu- 
cazione siano  strettamente  legati  a  quella  minoranza,  che,  per 
nascita ,  cultura  e  ricchezza ,  sta  al  vertice  della  piramide 
sociale  (1). 

V.  —  Il  valore  pratico  della  milizia  cittadina  americana  finora 
si  è  dimostrato  molto  mediocre.  Già  lo  stesso  Washington  di- 
ceva che,  se  fosse  stato  invitato  a  rispondere  con  giuramento  a 
questa  domanda:  se  le  milizie  erano  utili  od  inutili,  non  avrebbe 
esitato  a  rispondere  che  erano  inutili  (2).  Le  guerre  esterne  in- 
fatti ed  anche  quelle  di  secessione  si  sono  combattute  quasi  esclu- 
sivamente dall'esercito  federale  aumentato  da  aiTuolamenti  volon- 
tari e,  nei  disordini  interni,  è  dubbio  almeno  se  la  milizia  sia  più 
efficace  a  sedarli  che  ad  accrescerli.  Essa  non  ha  saputo  impedire 
i  frequenti  linciaggi^  e  davanti  gli  scioperanti  si  è  dispersa  o  è 
venuta  a  patti,  come  accadde  nel  1887  ed  in  altri  scioperi  più 
recenti,  nei  quali  l'ordine  è  stato  ristabilito  dall'esercito  fede- 
rale (3).  Ad  ogni  modo  la  milizia  americana  diede  il  modello  e 
fu  in  certo  modo  la  madre  della  guardia  nazionale  europea,  alla 
quale  fino  a  quaranta  o  cinquant'anni  addietro  si  attribuiva  una 
grande  importanza,  principalmente  per  lo  scopo  politico  che  cre- 


(1)  È  noto  il  carattere  ai-istocratico  che  ha  conservato  l'ufficialità  inglese  e 
come  nell'esercito  inglese  fino  al  1870  sia  durato  il  sistema  della  compra  dei 
gradi.  11  FiscHEL  (Vedi  La  Constitution  d'Angleterre,  pag.  297.  Paris,  1864,  tra- 
duttore Vogel,  ed.  Reinwald)  nota  giustamente,  che  non  è  stato  il  Miitiny  act 
che  ha  impedito  all'esercito  inglese  di  farsi  strumento  di  colpi  di  Stato,  ma 
piuttosto  il  fatto  che  l'ufficialità  inglese  appartiene  per  nascita  e  sentimento 
alle  stesse  classi,  che  sono  state  fino  a  mezzo  secolo  fa  a  preferenza  rappre- 
sentate nel  Parlamento. 

Gli  Stati  Uniti  d'America  hanno  seguito  in  ciò  la  tradizione  inglese.  II  so- 
cialista George  rileva  che  nell'esercito  federale  fra  il  sott'ufficiale  di  grado 
più  elevato  e  l'ufficiale  subalterno  di  grado  più  basso  non  vi  è  solo  ditferenza 
di  grado  ma  anche  di  classe;  vi  è,  dice  egli,  un  vero  abisso,  che  si  potrebbe 
paragonare  benissimo  a  quello  che  separa  il  negro  dal  bianco,  là  dove  le  di- 
stinzioni di  colore  sono  maggiormente  tenute  in  conto. 

(2)  CoRNELius  De  Witt,  Storia  di  Washington,  pag.  104.  Riportata  dal  Jannet 
nell'opera  più  volte  citata. 

(3)  Vedi  l'opera  già  citata,  Le  istituzioni  politiche  e  sociali  agli  Stati  Uniti 
d'America  di  Claudio  Jannet,  parte  I,  cap.  XVII. 


238  ELEMENTI    DI    .SCIENZA    l'OLITlCA 


devasi  dovesse  disimpof^nare:  si  voleva  infatti  costituire  con  eesa 
un  corpo  armato,  il  quale,  emancipato  dalla  cieca  disciplina  mi- 
litare, custodisse  le  istitujjioni  parlamentari  contro  gli  attentati 
del  potere  esecutivo  sostenuto  dalle  truppe  stanziali. 

Già  fin  dalla  grande  rivoluzione  francese  Mirabeau  avea  ri- 
velato molto  bene  gl'inconvenienti  della  formazione  di  un  simile 
corpo,  il  quale  favoriva  o  reprimeva  la  rivolta  secondo  gli  umori 
del  momento  e  si  costituiva  in  certo  modo  arbitro  armato  fra  le 
autorità  costituite  ed  i  rivoluzionari  (1).  Malgrado  ciò  nel  1830, 
quando  si  fece  la  revisione  della  Carta,  non  si  trascurò  di  sancire 
con  un  articolo  speciale  che  "  la  Carta  e  tutti  i  diritti  che  essa 
consacrava  restavano  affidati  al  patriottismo  ed  al  coraggio  delle 
guardie  nazionali  „,  e,  quando  Garibaldi  entrò  in  Napoli,  per  salvare 
dalla  distruzione  il  Castel  S.  Elmo,  da  dove  fino  allora  le  truppe 
regie  avevano  tenuto  la  città  sotto  il  loro  cannone,  dovette  pro- 
mettere che  esso  sarebbe  stato  sempre  custodito  dalla  guardia 
nazionale  napoletana.  In  Francia,  a  dir  vero,  non  sempre  l'opera 
delle  guardie  nazionali  riusci  inefficace:  nel  1832  e  1834  e  nelle 
giornate  di  giugno  1848  la  paura  del  socialismo  produsse  scatti 
di  coraggio  nei  pacifici  borghesi  parigini,  e  la  guardia  nazionale 
coadiuvò  l'esercito  nella  repressione  delle  rivolte  ;  ma  nel  feb- 
braio 1848,  scontenta  del  Ministero  Guizot,  e  non  comprendendo 
che  si  faceva  una  rivoluzione,  fu  dapprincipio  ostile  alle  truppe, 
poi  dubbiosa  ed  inerte,  e  la  sua  condotta  fu  causa  principalissima 
della  caduta  della  monarchia  di  luglio  (2).  Non  seppe  poi  osta- 
colare il  colpo  di  Stato  del  2  dicembre  1851,  e  nel  1870-71,  essendo 
stati  ammessi  a  servire  nelle  sue  file  anche  gli  operai  socialisti, 
gli  elementi  di  disordine  ebbero,  com'è  naturale,  il  disopra  sopra 
quelli  d'ordine,  e  la  milizia  cittadina  di  Parigi  forni  i  pretoriani 
alla  Comune.  Ai  giorni  nostri,  in  parte  perchè  la  poca  efficacia 
e  solidità  dell'istituzione  sono  diventate  coll'esperienza  troppo  evi- 
denti, in  parte  perchè  ogni  professionista  o  bottegaio,  avendo 
servito  qualche  tempo  nell'esercito  permanente,  ha  perduto  l'en- 


(1)  Vedi  Apergu  de  la  situation  de  la  France  et  des  moyens  de  concilier  la 
liberté  publique  avec  Vautorité  royale  pubblicato  nella  Correspondance  entre  le 
comte  de  Mirabeau  et  le  comte  De  La  Marck,  voi.  Il,  pag.  418. 

(2)  Vedi  Thureau  Dangin,  Histoire  de  la  Monarchie  de  Juillet,  voi.  VII,  cap.  VII. 


CAP.    IX    -    GLI    ESBBCITI    STANZIALI  239 


tusiasmo  per  le  parate  e  per   l'uniforme,  la  guardia   nazionale  è 
stata  abolita  in  tutti  i  grandi  paesi  d'Europa  (1). 

VI.  —  Prima  di  concludere  sull'argomento  dell'organizzazione 
militare  della  moderna  Europa  e  sui  suoi  rapporti  colla  difesa 
giuridica  dobbiamo  ancora  fare  due  osservazioni. 

La  prima  riguarda  la  divisione  della  forza  armata  in  due 
classi,  delle  quali  l'una  comprende  gli  ufficiali,  reclutati  quasi 
sempre  nella  classe  politicamente  dirigente  e  che  hanno  una  edu- 
cazione ed  istruzione  speciale  e  cominciano  il  loro  servizio  con 
un  grado  abbastanza  elevato,  mentre  l'altra  viene  composta  dai 
gregari  e  dai  graduati  inferiori  i  quali  difficilmente  hanno  aperto 
l'adito  ai  gradi  maggiori.  Or  questa  distinzione,  che  parrebbe  a 
prima  vista  oltremodo  convenzionale  ed  arbitraria,  si  ritrova  più 
o  meno  precisa  in  tutti  quei  grossi  eserciti  stanziali,  di  epoche 
e  paesi  differentissimi,  che  sono  stati  meglio  organizzati.  Essa 
era  già  applicata  in  certe  epoche  dell'antico  Egitto,  giacché  i 
papiri  che  rimontano  a  quelle  dinastie,  durante  le  quali  le  armi 
egiziane  più  si  distinsero ,  ci  parlano  di  ufficiali  dei  carri  di 
guerra  e  di  ufficiali  di  fanteria  educati  in  speciali  collegi  militari, 
dove  erano  iniziati  a  tutte  le  durezze  della  vita  delle  armi,  e  per 
entrare  nei  quali  si  doveva  pagare  abbastanza,  non  già  in  danaro, 
che  allora  non  esisteva,  ma  in  schiavi  ed  in  cavalli  (2).  E  stata 
applicata  in  certo  modo  nella  China  moderna,  dove  il  mandari- 
nato militare  ha  avuto  qualche  analogia  colla  nostra  ufficialità; 
giacché  il  mandarino  militare  doveva  superare  un  esame  davanti 
alle  autorità  militari  della  provincia  ed  entrava  poi  con  un  grado 
abbastanza  elevato  nelle  milizie  di  una  delle  diciotto  provincie 
chinesi    (3).   Ma   era   sopratutto   in  vigore   nelle   legioni   romane 


(1)  11  latto  che  la  guardia  na,zionale  è  durata  più  a  lungo  nel  Belgio,  dove 
si  e  tardato  molto  ad  introdurre  il  servizio  militare  obbligatorio  per  tutti,  fa- 
rebbe supporre  che  la  seconda  delle  due  ragioni,  che  abbiamo  addotto,  non 
sia  stata  la  meno  efficace. 

(2)  Vedi  Papiro  del  Museo  britannico  dove  è  la  corrispondenza  di  Amon- 
em-apt,  bibliotecario  di  Ramessou  2"  (XIX  dinastia),  col  suo  allievo  il  poeta 
Pen-ta-our.  La  traduzione,  che  ne  ha  fatto  Maspero,  è  riprodotta  in  tutte  le 
moderne  storie  dell'antico  Oriente. 

(3)  L'esame  per  il  mandarinato  militare  si  dava  principalmente  davanti  il 
Tchang-kiin  ossia  il  capo  della   guarnigione    tartara,    che    si    trovava    fino    a 


240  ELEMKNTI    I>I    SCIENZA    POLITICA 

degli  ultimi  secoli  della  repubblica  e  dei  primi  secoli  dell'impero, 
nelle  quali  si  mantenne  lungamente  la  distinzione  fra  la  milizia 
comune  e  quella  detta  equestris,  clie  si  iniziava  servendo  come 
contuberyialìs  (oggi  si  direbbe  aiutante  di  campo)  del  console  o 
del  comandante  la  legione,  il  quale  poi  apriva  l'adito  al  grado  di 
tribuno  militare  ed  agii  altri  gradi  superiori;  mentre,  chi  iniziava 
la  sua  carriera  da  semplice  soldato  nella  milizia  comune,  potè  per 
lunghissimi  secoli  solo  arrivare  a  centurione  primijjilare,  ufficio 
che  costituiva  quasi  il  bastone  di  maresciallo  della  bassa  forza. 
Organizzazione  questa  che  assicurava  il  possesso  dei  gradi  elevati 
nell'esercito  alla  stessa  classe  sociale  che  occupava  le  alte  magi- 
strature civili  e  che,  avendo  la  ricchezza  ed  il  potere  politico,  for- 
mava l'aristocrazia  dell'antica  Roma  (1). 

VII.  —  L'altra    osservazione  riguarda  uno  dei  giudizi  e  pre- 
giudizi più  sparsi  nel  mondo  :  che  le    qualità    militari  siano  cioè 


qualche  anno  fa  in  tutte  le  città  strategiche  della  China.  È  vero  che,  dopo 
le  guerre  civili  della  metà  del  secolo  decimonono  i  gradi  dei  mandarini  militari 
ebbero  poca  importanza,  perchè  conferiti  spesso  arbitrariamente  in  modo 
che  chi  in  una  provincia  veniva  congedato  con  un  grado  abbastanza  elevato, 
spesso,  nella  provincia  limitrofa,  veniva  arruolato  come  semplice  soldato  e 
viceversa.  Però  è  da  notare  che  il  comando  dei  grossi  reparti  di  truppe  era 
affidato  ai  governatori  delle  Provincie  e  ad  altri  mandarini  civili  di  grado 
elevato;  fra  i  quali  l'avanzamento  si  conseguiva  con  molteplici  e  rigorosi 
esami.  Giacche  in  China,  come  nell'antica  Roma,  negli  alti  gradi,  la  gerarchia 
civile  si  confonde  con  quella  militare.  Vedi  in  proposito  Rocsset,  opera  citata. 

(1)  La  distinzione  fra  la  militia  equestris  e  quella  comune  fu  originata  dalla 
legge,  che  attribuiva  ai  comizi  la  nomina  dei  tribuni  militari  e  dei  gradi  su- 
periori. Or  le  elezioni  popolari  nell'antica  Roma,  come  del  resto  avviene  fa- 
cilmente in  molti  paesi  che  non  sono  in  uno  stato  di  rivoluzione  latente  e  r^i 
quali  il  sistema  elettivo  vige  da  un  pezzo,  dava  quasi  sempre  la  prevalenza 
ai  ricchi  ed  alle  persone  le  cui  famiglie  godevano  già  una  notorietà  ed  occu- 
pavano posizioni  eminenti.  Nei  primi  secoli  dell'impero  continuò  la  stessa 
organizzazione,  ed  i  tribuni  e  gli  altri  ufficiali  superiori  furono  scelti  fra  le 
più  cospicue  famiglie  romane;  però  a  poco  a  poco  gl'imperatori  esentarono 
prima  i  senatori  e  poi  i  cavalieri  dal  servizio  militare,  perchè  temevano  in 
essi  possibili  concorrenti.  Durante  poi  l'anarchia  militare,  che  ebbe  luogo  nel 
terzo  secolo  dopo  Cristo  e  che  produsse  il  periodo  dei  trenta  tiranni,  fu  pos- 
sibile a'  semplici  soldati  diventare  non  solo  generali  ma  anche  imperatori. 
Vedi  in  proposito  il  volume  di  Mommsen  e  Mauquabdt  suìV Orgatiìzzazione  mi- 
litare dei  Romani  che  fa  parte  del  citato  Manuel  des  antiquités  romaines. 


CAP.    IX    -    GLI    BSEKCITI    STANZIALI  241 


assai  inegualmente  distribuite  fra  i  popoli,  dei  quali  alcuni  sa- 
rebbero naturalmente  timidi  e  poltroni  ed  altri  arditi  e  valorosi. 
Certo  non  si  potrà  mai  dimostrare  che  qualche  cosa  di  vero  non 
vi  sia  in  questi  pregiudizi.  Ma  d'altra  parte  ci  pare  indiscutibile 
che  sono  principalmente  le  abitudini  più  o  meno  guerresche  di  un 
popolo,  la  solidità  ed  il  tipo  dell'ordinamento  militare  che  ha 
adottato,  gli  elementi  che  più  contribuiscono  ad  accrescere  la  sua 
fama  bellicosa. 

La  verità  è  che  la  guerra,  come  tutti  i  mestieri  pericolosi, 
richiede  una  certa  abitudine  per  essere  affrontata  con  calma  e 
sangue  freddo;  quando  quest'abitudine  manca,  non  può  essere 
supplita  che  o  da  quei  momenti  d'orgasmo,  che  si  producono  in 
rarissimi  periodi  della  vita  dei  j)opoli,  o  da  quel  sentimento  del 
dovere  e  dell'onore  che,  in  una  classe  molto  ristretta  ed  eletta, 
può  essere  suscitato  e  mantenuto  vivo  da  una  educazione  speciale. 
Or  nelle  nazioni  civili,  nelle  quali  la  gran  maggioranza  non  può 
stabilmente  dedicarsi  alle  lotte  cruente,  l'organizzazione  militare 
deve  tendere  allo  scopo  di  distribuire  fra  le  masse  una  piccola 
minoranza  che  a  queste  lotte  è  abituata  o  che  è  preparata  dal- 
l'educazione speciale,  che  abbiamo  accennato,  in  modo  che  possa 
padroneggiare  i  gregari,  esercitare  sopra  di  essi  un'influenza  de- 
cisiva ed  indurli  ad  affrontare  un  pericolo,  che  altrimenti  avreb- 
bero evitato  (*). 

Siccome  l'organizzazione,  alla  quale  abbiamo  accennato,  può 
essere  più  o  meno  perfetta  e  può  anche  completamente  mancare, 
siccome  la  classe  dirigente  può  essere  familiare  col  mestiere  delle 
armi  e  può  anche  esserne,  per  circostanze  diverse,  completamente 
schiva,  noi  vediamo,  percorrendo  la  storia  dei  popoli  civili,  che  quasi 
tutti  hanno  avuto  i  loro  momenti  di  gloria  militare,  e  quasi  tutti 
hanno  avuto  i  loro  periodi  di  debolezza  materiale.  Gl'Indiani,  tante 
volte  saccheggiati  e  conquistati  da  Turchi,  Mongoli,  Afgani  e  Per- 
siani e  che  nel  secolo  decimottavo  si  fecero  sottomettere  da  poche 
migliaia  d'Inglesi,  furono  il  popolo  asiatico  che  resistette  più  va- 


(*)  L'ultima  grande  guerra  europea  ha  dimostrato  che  la  solidità  degli  eser- 
citi devesi  in  buona  parte  aliai  forza  dei  sentimenti  patriottici  inculcati  da 
una  lunga  ed  accurata  educazione  intellettuale  e  morale  negli  animi  delle 
class;  dirigenti  e  delle  masse  popolari. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  16 


242  KLKMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


lorosamente  ai  Macedoni.  Gli  indigeni  dell'Egitto  per  lunghi  se- 
coli hanno  avuto  fama  di  soldati  poco  valorosi,  eppure  si  reclu- 
tavano fra  gli  abitatori  della  bassa  valle  del  Nilo  le  truppe  degli 
Ahmes  e  dei  Touthmes,  che  ai  loro  tempi  erano  i  primi  eserciti 
del  mondo.  Da  Leonida  ad  Alessandro  Magno  i  Greci  furono  con- 
siderati soldati  valorosissimi,  ed  all'epoca  di  Senofonte  parlavano 
col  massimo  disprezzo  dei  Siri  e  degli  abitanti  della  Mesopotamia, 
ma  quando  sorse  l'Islam,  le  popolazioni  semitiche  dell'Asia  ripre- 
sero il  sopravvento  e  fecero  scempio  delle  pacifiche  popolazioni 
che  ubbidivano  all'impero  di  Bisanzio  (1).  Gl'Italiani  del  Rina- 
scimento erano  cattivi  soldati,  perchè  disabituati  della  vera  guerra, 
ma  fra  i  loro  padri  si  erano  reclutati  i  legionari  di  Roma,  valore 
sufficiente  aveano  mostrato  all'epoca  dei  Comuni  e,  solo  qualche 
secolo  dopo  Machiavelli,  i  reggimenti  italiani  emularono  per  la 
solidità  quelli  spagnuoli  nella  famosa  giornata  di  Rocroy.  I  Na- 
poletani, nel  passato  specialmente  imputati  di  codardia,  dovettero 
questa  loro  fama  piuttosto  alla  mancanza  di  coesione  ed  unità 
morale,  che  hanno  mostrato  in  diverse  occasioni,  che  a  deficienza 
di  valore  personale,  ed  in  Spagna  ed  in  Russia  sotto  Napo- 
leone I  ed  in  altre  occasioni  le  truppe  napolitane  si  sono  assai 
bene  comportate  (2). 


(1)  L'Amari  nella  sua  Storia  dei  Musulmani  in  Sicilia  pare  che  attribuisca 
all'azione  del  Cristianesimo  la  fiaccona  di  cui  diedero  spettacolo  le  genti  greche 
durante  l'impero  bizantino.  Or  prima  di  tutto  è  da  osservare  che  questo  im- 
pero durò  dieci  secoli,  durante  i  quali  ebbe  momenti  di  singolare  energia 
militare.  Poi  bisogna  tener  presente  che  il  Cristianesimo  non  produsse  gli 
stessi  risultati  presso  i  Germani  e  gli  Slavi  e  che  gli  spiriti  guerreschi  presto 
rinacquero  anche  fra  le  popolazioni  latine  dell'Occidente,  una  volta  che  colà 
l'amministrazione  romana  fu  materialmente  annullata  e  dall'anarchia  uscì  fuori 
la  costituzione  feudale.  La  verità  è  dunque  che  l'impero  e  la  pace  romana 
avevano  assolutamente  disabituato  le  popolazioni  dalle  armi,  sicché,  una  volta 
vinto  l'esercito  regolare,  esse  restavano  facilissima  preda  di  qualunque  invasore. 

(2)  Si  potrebbero  portare  moltissimi  altri  esempi  a  sostegno  della  nostra 
tesi;  è  da  notare  anche  che  l'eccellere  in  alcune  armi  e  per  certe  determi- 
nate qualità  militari  è,  per  le  varie  nazioni,  cosa  molto  mutevole,  che  dipende 
anzitutto  dai  loro  ordinamenti  civili  e  militari.  Così  Machiavelli  trovava  la 
cavalleria  francese  la  migliore  d'Europa,  perchè  quivi  la  nobiltà  era  tutta 
data  alla  vita  militare,  mentre  le  fanterie  della  stessa  nazione  giudicava  cat- 
tive, "■  perchè  composte  d'ignobili  e  genti  di  mestiere  sottomesse  ai  baroni  e 
tanto  in  ogni  loro  azione  depressi  che   sono    vili  ,.    Cambiato    l'ordinamento 


GAP.  IX    -    GLI    ESEBCITI    STANZIALI  243 


Vm.  —  Ai  giorni  nostri  ci  è  una  reazione  contro  i  grossi 
eserciti  stanziali  e  si  adducono  a  carico  di  essi  le  braccia,  che 
tolgono  agli  opifici  ed  all'agricoltura,  i  vizi  che  inspirano  alla 
gioventù  e  sopratutto  l'intollerabile  spesa  di  cui  sono  cagione. 
Vero  è  clie  questi  lagni  sono  a  preferenza  mossi  da  quegli  ele- 
menti sociali  che  in  ogni  tempo  hanno  avuto  più  la  tendenza  a 
farsi  valere  ed  imporsi  colla  forza  al  resto  della  società,  da  quelli 
che  avrebbero  naturalmente  e  spontaneamente  più  gusto  per  il 
mestiere  delle  armi  e  che  trovano  ostacolo  all'esplicazione  dei 
loro  istinti,  forse  incoscienti,  nella  presente  organizzazione  mili- 
tare delle  masse  pacifiche  e  lavoratrici  (1)  ;  ma  è  pur  vero  che  le 
necessità,  che  hanno  condotte  le  diverse  nazioni  europee  alla  or- 
ganizzazione degli  eserciti  moderni,  hanno  ora  l'effetto  di  allar- 
gare sempre  più  l'applicazione  di  quei  principii  sui  quali  essi  sono 
fondati  in  maniera  da  snaturarne  la  compagine. 

Le  guerre  napoleoniche  prima  e  poi  sopratutto  quella  del  1870 
avendo  dato  la  vittoria  a  quelle  nazioni,  che  hanno  armato  e  mo- 
bilizzato eserciti  più  numerosi,  hanno  condotto  a  tale  esagerazione, 
in  quasi  tutti  i  paesi  del  continente  europeo,  il  sistema  del  ser- 
vizio militare  obbligatorio,  che  ora  si  è  arrivati  al  punto  da  aver 


della  società  e  degli  eserciti,  la  fanteria  divenne  il  miglior  nerbo  della  forza 
militare  della  Francia. 

Muza,  uno  dei  generali  arabi  che  conquistarono  la  Spagna,  nel  fare  il  suo 
rapporto  al  oaliiFo  Walid  I,  diceva:  i  Goti  (con  questo  nome  intendeva  tutti 
gli  Spagnuoli)  sono  aquile  a  cavallo,  leoni  nei  loro  castelli,  a  piedi  donnic- 
ciuole.  Anche  durante  la  guerra  d'indipendenza  contro  la  Francia,  il  duca  di 
Wellington  lamentava  la  poca  solidità  della  fanteria  spagnuola  in  campo 
aperto,  mentre,  dietro  gli  spaldi  di  Saragozza,  Tarragona  ed  altre  città,  essa 
mostrò  valore  e  costanza  straordinari.  Or  bisogna  considerare  che  all'epoca 
dell'invasione  araba  la  cavalleria  doveva  essere  composta  dalla  nobiltà  più 
abituata  alle  armi,  mentre  la  fanteria,  come  all'epoca  della  guerra  d'indipen- 
denza, era  forse  formata  da  leve  in  massa,  che  solo  dietro  gli  spaldi  delle 
fortezze  poteano  mostrare  il  loro  coraggio  naturale;  perchè  non  aveano  quel 
coraggio  acquisito,  dovuto  alla  lunga  abitudine  della  vita  militare  ed  ai  buoni 
quadri,  che  senza  dubbio  fu  la  dote  precipua  delle  vecchie  fanterie  spagnuole, 
che,  da  Ferdinando  il  Cattolico  a  Filippo  IV,  vennero  riguardate  come  le  più 
solide  di  tutta  l'Europa. 

(1)  Alludiamo  agli  elementi  rivoluzionari,  i  quali  naturalmente  raccolgono 
quasi  tutto  ciò  che  di  pii'i  avventuroso,  ardito  e  violento  vi  è  nelle  società 
moderne. 


244  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA. 


la  pretesa  di  raccogliere,  in  caso  di  bisogno,  nei  quadri  dell'eser- 
cito tutta  la  popolazione  valida  di  uno  Stato  di  trenta,  quaranta 
o  più  milioni  di  abitanti.  Ma  per  rendere  possibile  l'attuazione  di 
una  simile  pretesa  si  è  dovuto  da  una  parte  accorciare  tanto  la 
durata  del  servizio  da  rendere  dubbio  che  i  coscritti  abbiano  il 
tempo  di  acquistare  quelle  abitudini,  quello  speciale  spirito  di 
corpo,  che  devono  distinguere  il  soldato  dal  resto  della  società,  e 
che,  per  ragioni  tecniche  e  sopratutto  politiche,  è  necessario  che 
non  siano  soverchiamente  indebolite.  E,  d'altra  parte,  si  è  dovuto 
aumentare  tanto  la  spesa  per  gli  uomini,  per  i  quadri  e  per  gli 
armamenti,  che  sono  in  continuo  rinnovamento,  da  renderne  sempre 
più  difficile  la  continuazione  e  da  produrre  quel  mostruoso  accu- 
mulo del  debito  pubblico,  che  è  una  delle  principalissime  piaghe 
di  molti  paesi  moderni  e  sotto  il  quale  qualcuno  di  quelli  econo- 
micamente meno  forti  rischia  di  soccombere. 

Né  ciò  è  tutto:  la  macchina  militare,  a  forza  di  essere  ingran- 
dita, è  diventata  sempre  più  complicata  e  delicata  ed  il  dirigerne 
il  funzionamento  in  tempo  di  mobilitazione  e  di  guerra  è  dive- 
nuta opera  irta  di  sempre  maggiori  difficoltà  (1).  Ed  è  lecito  anche 


(1)  Il  VoN  DER  GoLTz  (vedl  la  Nation  armée  nella  traduzione  di  .Taeglè,  ed. 
Hirnischen.  Paris,  1884,  nell'introduzione  a  pag.  vii)  lascia  chiaramente  indo- 
vinare un  suo  concetto  secondo  il  quale,  nella  storia  militare  dei  popoli,  si 
può  scorgere  costantemente  la  lotta  e  l'alternato  trionfo  di  due  diverse  ten- 
denze militari. 

La  prima  porta  ad  aumentare  la  massa  dei  combattenti  ed  a  vincere  colla 
preponderanza  del  numero,  finche,  diventate  le  grosse  masse  di  difficile  ma- 
neggiamento  e  troppo  poco  esercitate,  sono  vinte  da  piccoli  eserciti  di  soldati 
di  mestiere,  che  rappresentano  la  seconda  tendenza,  cioè  la  specializzazione 
della  funzione  militare,  la  quale  poi  di  nuovo  tende  a  trasformarsi  nell'arma- 
mento delle  masse.  L'autore  crede  che  ancora  in  Europa  non  sia  esaurita  la 
tendenza  ad  aumentare  il  numero  dei  combattenti. 

Or  questo  fenomeno  storico  accennato  dal  Von  der  Goltz  non  si  esplica 
certo  sempre  regolarmente,  subisce  anzi  molte  eccezioni  e  perturbazioni,  ma 
in  qualche  caso  speciale  si  presenta  abbastanza  netto.  I  Medo-Persiani,  ad 
esempio,  stando  al  racconto  degli  storici  greci,  riuscirono  a  conquistare  tutto 
il  sud-ovest  dell'Asia  mobilizzando  delle  grandi  masse;  l'aver  tenuto  Ciro,  per 
piìi  di  una  stagione,  un  grosso  esercito  sotto  le  bandiere  fu  infatti  la  causa 
della  rapida  caduta  del  regno  di  Lidia,  e  grossissimi  nuclei  d'armati  dovettero 
per  lungo  tempo  tenere  la  campagna  durante  i  due  blocchi  di  Babilonia,  che 
ebbero  luogo  sotto  il  predetto  Ciro  e  sotto  Dario  d'Istaspe.  Altre  grandi  masse 
si  mobilizzarono  pure  nella  spedizione  contro  gli  Sciti  ed  in  quella  di  Serse, 


CAP.    IX    -    GLI    ESERCITI    STANZIALI  245 


domandarsi  se  la  guerra  stessa  sarà  un  fatto  possibile,  quando 
ogni  giorno  di  ostilità,  fra  i  danni  economici  del  paese  e  le  spese 
dell'erario,  costerà  ad  ogni  nazione  parecchie  decine  di  milioni; 
quando,  il  giorno  in  cui  sarà  dichiarata,  saranno  turbati  gl'inte- 
ressi e  gli  affetti  di  tutte  le  famiglie  di  un  popolo  civile.  —  Or, 
se  gli  interessi  economici  e  le  ripugnanze  morali,  che  si  oppon- 
gono ad  uno  scoppio  bellicoso  fra  nazioni  civili,  riescono  ad  evi- 
tarlo solo  per  sessanta  o  settanta  anni  di  seguito,  è  dubbio  se  fra 
le  nuove  generazioni  potrà  durare  ancora  quello  spirito  militare 
e  patriottico  sul  quale  sono  fondati  gli  eserciti  moderni  e  che  solo 
rende  possibili  gli  enormi  sacrifìci  materiali,  che  essi  costano. 

Quando  il  decadere  dei  sentimenti  accennati  e  la  lunghissima 
pace  avranno  di  fatto  abolito  o  reso  parvenza  vana  e  senza  sub- 
bietto  gli  eserciti  stanziali,  rinascerà  il  pericolo  che  la  prevalenza 
militare  ritorni  ad  altre  razze,  ad  altre  civiltà,  che  hanno  avuto 
ed  avranno  svolgimento  diverso  da  quella  europea  e  se  ne  saranno 
appropriati  i  mezzi  ed  i  metodi  di  distruzione.  —  E  se  anche 
questo  pericolo  parrà  ad  alcuni  troppo  lontano  e  chimerico,  nes- 
suno potrà  negare  che,  nel  seno  stesso  delle  popolazioni  europee, 
vi  saranno  sempre  i  caratteri  violenti  e  quelli  timidi,  le  discre- 
panze d'interessi  e  la  voglia  d'imporsi  con  la  forza  materiale.  — 
Sicché,  sciolta  una  volta  od  indebolita  la  grande  organizzazione 
per  la  quale  il  monopolio  della  funzione  militare  è  stato  tolto  a 
quella  categoria  di  persone  che  naturalmente  vi  ha  più  gusto  ed 
attitudine  (1),  chi  impedirà  alle  piccole  organizzazioni   dei   forti, 


durante  la  quale  la  macchina  militare  persiana  cominciò  a  mostrare  i  suoi 
difetti.  Infatti  i  contingenti  dei  vari  popoli  che  formavano  l'impero  persiano, 
ornai  disabituati  dalla  guerra  diuturna  per  il  fatto  stesso  che  appartenevano 
ad  un  grande  Stato,  perdettero  gradatamente  le  loro  qualità  militari  e  si  ri- 
dussero a  turbe  senza  coesione,  che  non  reggevano  avanti  la  carica  degli  opliti 
greci,  scarsi  di  numero  ma  molto  esercitati,  pesantemente  armati  e  che  sape- 
vano combattere  in  ordine  serrato. 

(1)  Il  lettore  avrà  notato  che  l'ordinamento  di  un  esercito  moderno  è  in 
certo  modo  contrario  al  principio  economico  della  divisione  del  lavoro  ed  alla 
legge  fisiologica  della  adattabilità  dei  vari  organi  ad  un  determinato  scopo. 
Ciò  che  dimostra  ancora  una  volta  la  difflcoltà  di  stabilire  analogie  fra  i  fe- 
nomeni del  corpo  umano  e  quelli  del  corpo  sociale  e  fa  rilevare  le  restrizioni 
che  certe  leggi  economiche  devono  avere  nel  campo  politico;  perchè  la  divi- 
sione del  lavoro  troppo  rigorosamente  in  esso  applicata  distruggerebbe  facil- 


246  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

degli  arditi  e  dei  violenti  di  ricostituirsi  per  opprimere  i  deboli 
ed  i  pacifici?  E  la  guerra,  morta  ali'ingrande,  non  rinascerà  a 
minuto  nelle  contese  tra  le  famiglie,  le  classi  ed  i  villaggi? 

In  verità  dai  dubbi,  che  abbiamo  espresso,  si  i)uò  trarre  una 
conclusione,  che  noi  non  osiamo  quasi  nettamente  formulare:  che 
la  guerra  stessa  cioè,  nella  sua  forma  presente  causa  ancora  di 
tanti  mali  e  madre  di  tante  barbarie,  sia  un  fatto  che  di  tanto  in 
tanto  si  rende  necessario,  affinchè  non  decada  ciò  che  ci  ha  di 
meglio  nel  funzionamento  delle  odierne  società  europee  ed  esse 
non  ritornino  ad  un  tipo  di  difesa  giuridica  meno  elevato.  Grave 
e  terribile  conclusione,  che  non  sarebbe  del  resto  che  un'altra  di 
quelle  conseguenze  della  natura  umana,  cosi  complicata  e  contra- 
dittoria,  alle  quali  abbiamo  già  accennato  alla  fine  del  capitolo 
settimo;  di  quella  natura  umana  per  la  quale  il  bene,  nello  svol- 
gimento della  storia  dei  popoli,  è  sempre  fatalmente  connesso  col 
male,  ed  il  miglioramento  giuridico  e  morale  di  una  società  va 
unito  con  lo  sfogo  delle  passioni  più  basse  ed  egoistiche  e  degli 
istinti  più  brutali  (*). 


mente  ogni  equilibrio  giuridico,  facendo  dipendere  la  società  intera  da  quella 
frazione,  che  esercita  la  funzione  non  già  intellettualmente  e  moralmente  piìi 
elevata,  ma  più  indispensabile  e  che  dà  più  facilmente  modo  di  imporsi  agli 
altri;  come  è  appunto  la  funzione  militare. 

(*)  Le  ultime  pagine  del  capitolo  nono  furono,  come  tutto  il  libro,  scritte 
prima  del  1896,  quando  non  era  possibile  prevedere  la  grande  guerra  europea, 
scoppiata  nel  1914  e  maturata  negli  anni  immediatamente  precedenti.  Facil- 
mente oggi  si  può  aifermare  che  questa  grande  guerra  Gambiera  sensibilmente 
il  corso  degli  avvenimenti  umani  in  quasi  tutto  il  mondo  civile.  Essa  non  fu 
evitata  ne  dagli  interessi  economici  ne  dalle  repugnanze  morali  alle  quali 
avevamo  accennato  a  pag.  245. 


CAPITOLO  X. 
Conclusione. 


I.  Scopo  della  conclusione.  —  II.  I  tre  problemi  della  vita  moderna  —  Il  problema 
reliì^oso.  —  ITI.  L'avvenire  del  Cristianesimo.  —  IV.  Il  Cristianesimo  e  la 
scienza  positiva.  —  V.  Il  problema  politico.  —  VI.  Esame  critico  del  Parla- 
mentarismo. —  VII.  Le  riforme  del  Parlamentarismo.  —  Vili.  Quale  sarebbe 
la  riforma  fondamentale  —  Ostacoli  che  incontra.  —  IX.  Il  problema  sociale 
—  Origine  della  democrazia  sociale.  —  X.  Estensione  ed  importanza  della  de- 
mocrazia sociale  —  Varie  scuole  nelle  quali  si  divide.  —  XI.  Esame  critico  del 
collettivismo.  —  XII.  La  giustizia  nell'organizzazione  sociale.  —  XIII.  Esame 
critico  dell'anarchia.  —  XIV.  La  lotta  di  classe.  —  XV.  Effetti  pratici  della 
democrazia  sociale.  —  XVI.  Cause  della  stessa.  —  XVII.  Probabilità  di  trionfo 
della  democrazia  sociale.  —  XVHI.  Rimedi  atti  a  combatterla.  —  XIX.  Mis  - 
sione  della  scienza  politica. 


I.  —  Il  chiudere  questo  nostro  lavoro  sarebbe  cosa  assai  breve 
e  facile  se  ci  potessimo  limitare  ad  una  semplice  e  sommaria  enu- 
merazione degli  argomenti  che  abbiamo  finora  trattati.  Basterebbe 
infatti  rammentare  che  nel  primo  capitolo  abbiamo  esposto  le  ra- 
gioni per  le  quali  crediamo  che  solamente  mercè  lo  studio  dei 
fatti  storici  si  possano  scoprire  le  tendenze  costanti,  ossia  le  leggi, 
che  regolano  l'ordinamento  delle  società  umane,  e  che  nei  seguenti 
capitoli  ci  siamo  appunto  occupati  di  determinare  la  natm*a  e 
l'azione  di  alcune  delle  dette  leggi.  Abbiamo  voluto  infatti  dimo- 
strare che,  in  qualunque  aggregato  umano  che  abbia  raggiunto 
un  certo  grado  di  cultura,  esiste  una  minoranza  dirigente,  la  quale 
si  recluta  in  modi  diversi,  ma  sempre  fondati  sul  possesso  delle 
molteplici  e  variabili  forze  sociali;  cioè  di  quelle  qualità,  t-he,  se- 
condo i  tempi  ed  i  luoghi,  danno  agli  individui  che  le  po;>seggono 


248  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


prestigio  morale  e  preminenza  intellettuale  ed  economica,  e  for- 
niscono i  modi  di  dirigere  le  volontà  altrui.  Abbiamo  anche  cer- 
cato di  porre  in  chiaro  che  ogni  società  si  fonda  sopra  un  com- 
plesso di  credenze  e  principii  religiosi  e  filosofici,  che  ad  essa  sono 
speciali,  e  in  base  ai  quali  spiega  e  giustifica  il  suo  ordinamento. 
Ciò  ci  ha  dato  occasione  di  occuparci  della  diversità  dei  tipi  so- 
ciali, dovuta  principalmente  alla  fondamentale  diversità  di  alcuni 
di  questi  sistemi  filosofici  e  religiosi  o  formole  politiche,  che  si 
dividono  l'impero  di  quella  parte  massima  dell'umanità,  che  ha 
raggiunto  un  certo  grado  di  cultura. 

Due  poi  sono  i  punti  di  questa  parte  del  nostro  lavoro,  che  ci 
sembrano  più  specialmente  suscettibili  di  applicazioni  scientifiche 
e  pratiche  di  qualche  importanza.  Quello  nel  quale  ci  siamo  sfor- 
zati di  provare  che  la  migliore  difesa  giuridica,  il  maggior  ri- 
spetto del  senso  morale  da  parte  dei  governanti  si  può  ottenere 
solo  mediante  la  partecipazione  al  Governo  ed  il  controllo  reci- 
proco di  molteplici  forze  politiche.  E  l'altro  che  consiste  nella  di- 
mostrazione, che  ci  sembra  di  aver  sufficientemente  dato,  della 
incapacità  che  ha  qualunque  dottrina  filosofica  o  religiosa  a  cam- 
biare radicalmente  e  durevolmente  la  natura  umana;  specialmente 
quando,  invece  di  limitare  la  propria  propaganda  ad  un  piccolo 
numero  di  individui  scelti,  di  anime  elette,  la  estende  a  tutta  in- 
tera una  grande  società  e  pretende  governarla  informandola  ai 
suoi  principii;  senza  con  ciò  negare  la  notevole  efficacia  pratica 
che  può  avere  la  prevalenza  di  un  dato  indirizzo  dottrinario  o 
religioso. 

Infine  i  capitoli  ottavo  e  nono  riguardano  l'applicazione  delle 
teorie  precedentemente  esposte  ad  un  fenomeno  così  comune  nei 
tempi  moderni  come  è  stata  la  rivoluzione  violenta  e  ad  un  altro 
fenomeno  in  contraddizione  col  primo,  che  è  l'ordinamento  dei 
moderni  eserciti  stanziali,  il  quale  impedisce  a  quella  frazione 
della  società,  che  potrebbe  naturalmente  assumere  il  monopolio 
militare,  di  imporsi  colla  violenza  alle  altre  forze  sociali. 

Però  noi  crediamo  che  in  quest'ultimo  capitolo  un  compito  un 
po'  più  delicato  e  difficile  ci  resti  ancora  da  esaurire.  Crediamo 
che  sia  nostro  dovere  l'esaminare  al  lume  dei  principii,  che  ab- 
biamo già  esposto,  i  problemi  più  importanti  che  agitano  ora  le 
nazioni  di  civiltà  europea.  Forse  con  ciò  da  un  lato  determine- 
remo meglio  la  natura  di  questi  problemi  e  potremo  anche  inda- 


CAP.    X  .-    OONCLUSIONB  249 


gare  più  agevolmente  quali  siano  le  soluzioni  più  probabili,  che 
essi  avranno;  e  dall'altro  lato  potremo  meglio  scientificamente 
precisare  i  nostri  concetti  e  porre  in  luce  ancora  più  le  conse- 
guenze pratiche,  che  se  ne  possono  trarre.  Aggiungiamo  che  al- 
l'indagine predetta  siamo  pure  spinti  da  quello  stimolo,  tanto  na- 
turale ed  umano,  che  certamente  agisce  tanto  sul  lettore  che  sullo 
scrittore,  e  che  fa  si  che  siamo  indotti  ad  interessarci  sommamente 
a  quei  fatti  ed  a  quelle  quistioni,  che  si  svolgono  intorno  a  noi, 
nel  paese  e  fra  la  generazione  fra  i  quali  viviamo. 

n.  —  Diciamo  subito  che  i  problemi  di  cui  ci  occuperemo 
sono  tre.  In  primo  luogo  esamineremo  se  le  presenti  religioni  a 
base  dommatica  o,  per  precisare  meglio  il  nostro  concetto,  se  le 
diverse  forme  del  Cristianesimo  riusciranno  a  sopravvivere  alla 
presente  corrente  rivoluzionaria  ed  a  resistere  al  movimento  ra- 
zionalista, che  tende  a  distruggerle.  In  secondo  luogo  vedremo  se 
la  prevalenza  delle  autorità  politiche  elettive,  e  sopratutto  quel 
sistema  di  governo  che  è  comunemente  chiamato  Parlamentarismo, 
siano  suscettibili  di  una  lunga  durata,  e,  nel  caso  che  si  debbano 
necessariamente  modificare,  esamineremo  in  che  senso  le  modifi- 
cazioni potranno  o  dovranno  avvenire.  In  terzo  luogo  finalmente 
getteremo  lo  sguardo  sull'avvenire  della  nostra  civiltà  di  fronte 
alla  democrazia  sociale,  di  questa  grandiosa  corrente  di  sentimenti 
e  d'idee,  che  invade  tanti  paesi  d'Europa  e  d'America,  e  che, 
mentre  da  un  lato  è  una  vera  conseguenza  della  loro  storia  più 
recente,  dall'altro  è  un  fattore  attissimo  a  modificare  il  loro  av- 
venire. 

Il  primo  di  questi  problemi  può  a  prima  vista  sembrare  il  più 
facile  dei  tre,  ma  certo  non  lo  è:  infatti  contiene  forse  una  parte 
maggiore  d'imprevedibile  e  d'imponderabile  che  il  secondo  ed  il 
terzo,  che  sembrano,  giustamente,  cosi  complicati  e  coi  quali  del 
resto  è  intimamente  connesso.  Diciamo  perciò  fin  da  ora  che,  sj^e- 
cialmente  su  questo  primo  problema,  una  risposta  precisa,  netta 
e  sicura  non  la  daremo,  e  che  ci  limiteremo  piuttosto  ad  ipotesi 
ed  a  previsioni  cautamente  generiche  e  pensatamente  incerte. 

Molti  con  sicurezza  affermano  che  la  scienza  ammazzerà  il 
dogma.  Questa  opinione,  superficialmente  considerata,  è  senza 
dubbio  per  diversi  lati  accettabile.  Non  si  può  negare  infatti  che 
le  scienze  fisiche  e  chimiche,  la  geologia,  la  preistoria,  la  critica 


250  ELKMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


degli  stessi  documenti  storici,  battano  in  breccia  tutto  il  sopran- 
naturale del  Vecchio  e  del  nuovo  Testamento  e  l'inspirazione  dei 
santi  Padri.  Diciamo  anzi  di  più;  che,  anche  se  la  scienza  non 
intaccasse  direttamente  le  credenze  religiose,  una  mente  educata 
alle  sue  severe  indagini  ed  ai  suoi  metodi  rigorosi  dove  sentire, 
se  è  spassionata,  una  invincibile  ripugnanza  ad  accettare  dottrine 
ed  asserzioni  dommatiche,  che  deve  considerare  come  gratuita- 
mente affermate  (1). 

Però  d'altra  parte  è  da  tener  presente  che  le  credenze  religiose 
non  hanno  mai  risposto  ad  un  bisogno  del  nostro  raziocinio,  ma 
piuttosto  ad  altre  necessità  della  psicologia  e  sopratutto  del  sen- 
timento umano.  Se  da  un  certo  x^tinto  di  vista  possono  essere  con- 
siderate come  illusioni,  bisogna  pure  riconoscere  che  esse  son  man- 
tenute non  tanto  dalla  loro  apparenza  di  verità,  quanto  dal  bisogno 
che  hanno  gli  uomini  d'illudersi.  E  questo  bisogno  è  così  generale, 
cosi  forte,  specialmente  in  certi  momenti  della  vita,  che  noi  ve- 
diamo spesso  individui  d'intelletto  robusto,  abituato  al  senso  della 
realtà,  corredato  di  studi  positivi,  e  talvolta  anche  di  carattere 
calmo  ed  equilibrato,  pagare  ad  esso  un  largo  tributo. 

Né  in  proposito  dobbiamo  attribuire  troppa  importanza  ad  un 
fenomeno  al  quale  ora  assistiamo,  segnatamente  nei  paesi  catto- 
lici, e  che  può  condurre  ad  apprezzamenti  erronei.  Le  j)ratiche 
del  Cristianesimo  nelle  grandi  città  della   Francia,   in   parecchie 


(1)  A  questo  proposito  è  degna  di  nota  un'osservazione  che  lo  Cherbuliez 
(Valbert)  fa  a  proposito  di  un  libro  pubblicato  dal  dotto  bramino  Behramji. 
Questi,  allevato  dai  naissionari  di  Surate,  aveva  abiurato  la  religione  dei  suoi 
padri,  senza  divenire  cristiano.  "  Parecchie  centinaia  di  migliaia  dei  suoi  com- 
patrioti, aggiunge  l'A.,  si  trovano  nello  stesso  caso.  Al  Bengala,  come  al  Gu- 
zerate,  il  Cristianesimo  è  il  più  energico  dei  dissolventi.  Esso  rode  e  distrugge 
insensibilmente  le  vecchie  idolatrie  ma  non  riesce  a  rimpiazzarle,  l'altare  resta 
vuoto  e  viene  consacrato  al  Dio  ignoto.  Gl'Indii,  che  non  credono  più  alla  Tri- 
murti, alla  incarnazione  di  Visnù  ed  alla  metempsicosi,  non  credono  neppure 
alla  Santissima  Trinità,  all'incarnazione  di  Gesù  Cristo,  a  Satana,  all'inferno, 
ed  il  Paradiso  del  quale  S.  Pietro  tiene  le  chiavi  ha  per  essi  poche  attrattive  ,, 
Vedi  Un  voyage  dans  le  Guzerate.  *  Revue  des  Deux  Mondes  ,,  1°  dicembre  1885. 

Or  questo  stato  d'animo  degli  Indù  colti  si  spiega  facilmente.  Da  tutti  coloro 
che  sono  iniziati  alla  scienza  europea  la  religione  cristiana  può  essere  ancora 
praticata  perchè  ha  radice  nel  sentimento  non  già  nel  raziocinio.  Ma,  quando 
non  si  è  nati  cristiani  o  non  si  è  stati  almeno  educati  in  una  famiglia  cri- 
stiana, difficilmente  il  sentimento  può  agire. 


CONCLUSIONE  251 


della  Spagna  e  dell'alta  Italia,  forse  anche  in  taluna  della  G-er- 
mania  e  dell' America  settentrionale,  vanno  scomparendo,  e  scom- 
paiono ivi  a  preferenza  nelle  plebi  anziché  nelle  classi  che  hanno 
una  certa  agiatezza  e  cultura.  Or  non  deve  da  ciò  dedursi  che 
l'educazione  razionalista  e  positiva  abbia  fatto  fra  quelle  plebi 
grandi  progressi.  Si  può  non  solo  dubitare  della  verità  delle  dot- 
trine religiose,  ma  esser  convinti  che  esse  sono  tutte  fenomeni  storici 
prodotti  però  da  bisogni  innati  e  profondi  dello  spirito  umano, 
perchè  una  educazione  positiva  della  mente,  nutrita  di  larghi 
studi,  l'ha  a  poco  a  poco  abituato  a  non  ritenere  per  vero  se  non 
ciò  che  sia  scientificamente  provato.  In  questo  caso  l'individuo, 
perdendo  un  sistema  di  illusioni,  resta  cosi  bene  equilibrato  che 
non  è  certo  disposto  ad  abbracciarne  un  altro,  e  sopratutto  il  primo 
che  capita.  Ma  la  totaKtà  dei  miscredenti  plebei  ed  anche,  bisogna 
dirlo,  la  gran  maggioranza  dei  miscredenti  di  qualche  cultura, 
che  abbiamo  ora  nelle  nazioni  di  civiltà  europea,  non  arriva  al 
razionalismo  per  questa  strada  :  non  crede,  e  schernisce,  semplice- 
mente perchè  è  cresciuta  in  un  ambiente  nel  quale  le  hanno  in- 
segnato a  non  credere  ed  a  schernire.  Ed,  in  queste  condizioni,  la 
mente,  che  respinge  il  Cristianesimo  perchè  è  una  credenza  basata 
sul  soprannaturale,  è  sempre  disposta  ad  accoglierne  altre  certo 
più  grossolane  e  volgari. 

L'operaio  di  Parigi,  di  Barcellona  o  di  Milano,  il  bracciante 
delle  Romagne  o  il  piccolo  commerciante  di  Berlino  in  fondo  non 
sono  emancipati  daWipse  dixit,  più  di  quanto  lo  sarebbero  se  an- 
dassero a  messa  o  frequentassero  la  predica  del  pastore  prote- 
stante o  la  Sinagoga.  Invece  di  credere  ciecamente  al  prete  cre- 
dono con  uguale  cecità  all'agitatore  rivoluzionario.  Si  stimano 
all'avanguardia  della  civiltà  ed  hanno  lo  spirito  accessibile  a  tutte 
le  ubbie  ed  a  tutti  i  sofismi.  Lo  stadio  morale  ed  intellettuale  che 
hanno  raggiunto,  lungi  dall'essere  un  illuminato  positivismo,  non 
è  che  un  volgare,  sensuale  e  degradante  materialismo,  o  indiffe- 
rentismo religioso  che  voglia  dirsi.  Prima  di  ridere  del  lazzarone, 
che  ha  fede  nella  liquefazione  del  sangue  di  San  Gennaro,  do- 
vrebbero rendersi  capaci  di  non  ammettere  per  vere  cose  ugual- 
mente assurde  e  certo  più  dannose. 

in.  —  Ora,  cosi  stando   le   cose,    prevalendo   in   parte   delle 
masse  non  già  un  positivismo  od  agnosticismo  per   dir   cosi,  or- 


252  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

ganico,  ma  un  volgare  ateismo  d'imitazione,  il  terreno  che  le 
credenze  religiose  hanno  con  raj)idità  perduto,  può  essere,  almeno 
per  un  certo  spazio  di  tempo,  prima  cioè  che  l'indifferenza  reli- 
giosa diventi  tradizionale,  con  una  relativa  rapidità  riguadagnato. 
Può  darsi  benissimo  che  le  dottrine  socialiste  e  gli  istinti  rivolu- 
zionari abbiano  fra  qualche  generazione  manifestamente  dichia- 
rato la  loro  bancarotta,  può  anche  darsi  che  a  questo  risultato 
si  arrivi  dopo  lotte  civili,  dopo  sofferenze  morali  ed  economiche 
grandissime;  paragonabili,  non  già  a  quelle  che  si  ebbero  a  patire 
dopo  le  piccole  rivoluzioni  passeggiere  del  secolo  decimonono,  ma 
alle  altre,  che  xjrovarono  cosi  duramente  la  generazione  che  assistè 
alla  grande  rivoluzione  francese.  E  risaputo  intanto  che  il  Cri- 
stianesimo è  a  preferenza  la  religione  dei  tempi  difficili  anziché 
di  quelli  prosperi  ;  di  Esso  si  può  fare  facilmente  a  meno  quando 
la  vita  è  facile  ed  agiata,  quando  l'avvenire  si  presenta  ridente, 
quando  i  godimenti  materiali  non  fanno  difetto;  ma  si  sente  al 
contrario  urgente  il  bisogno  delle  sue  speranze  e  dei  suoi  con- 
forti quando  si  è  colpiti  da  disillusioni  amare  e  da  catastrofi, 
quando  le  privazioni  ed  i  dolori  rendono  amaro  l'oggi  e  più  amara 
la  prospettiva  dell'indomani.  Bisogna  rammentare  che  già  una 
volta  trionfò  definitivamente  quando  le  classi  alte  e  medie  del 
mondo  antico  subirono  quella  tremenda  catastrofe,  quelle  inenar- 
rabili sofferenze,  che  furono  la  conseguenza  delle  vittorie  defi- 
nitive dei  barbari  e  della  caduta  dell'  impero  romano  d'occi- 
dente (1).  Se,  sulla  fine  del  secolo  decimono  od  all'alba  di  quello 
venturo,  molte  vite  fossero  sacrificate,  ed  una  buona  parte  del 
capitale  europeo  fosse  sciupato  in  lotte  ed  in  vani  tentativi  di 
riforme  sociali,  non  è  improbabile  che  al  fasto  ed  allo  sperpero, 
che  sono  stati  una  delle  caratteristiche  degli  ultimi  decenni  del 
secolo  decimonono  (*),  non  debba  succedere  un'era  di  abbattimento 


(1)  Vedi  in  proposito  gli  Etudes  d'histoire  religieuse  pubblicati  da  Gaston 
BoissiER  nella  "  Revue  des  Deux  Mondes  ,  del  1889  e  1890.  Specialmente  l'ar- 
ticolo intitolato  Le  lendemain  de  l'invasion  nella  *  Revue  „  del  1°  maggio  1890, 
nella  quale  l'autore  scrive  che  "  les  miseres  de  ce  temps  (dell'epoca  dell'in- 
vasione dei  barbari),  qui  semblaient  devoir  porter  un  coup  funest  au  christia- 
nisme,  assurèrent  sa  victoire  „.  Si  sa  d'altronde  che  in  parecchie  grandi  città 
dell'impero,  a  Roma  specialmente,  le  classi  più  elevate  erano  state  fino  al 
tempo  di  Sant'Agostino  generalmente  ostili  alla  nuova  religione. 

(*)  Ed  ancor  piìi  dei  primi  quattordici  anni  del  secolo  ventesimo. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  253 


e  di  relativa  miseria,  durante  la  quale  le  dottrine  cristiane  tro- 
verebbero propizio  il  terreno  per  riguadagnare  il  cuore  delle 
masse  (1). 

Finora,  nei  paesi  cattolici,  essendo  appunto  la  Chiesa  catto- 
lica quella  che  gode  di  una  maggiore  autonomia  e  che  pretende 
una  più  grande  ingerenza  nelle  cose  dello  Stato,  la  propaganda 
anti-religiosa  è  stata  direttamente  od  indirettamente  favorita  dalle 
autorità  laiche  con  le  quali  il  Papato  si  è  trovato  in  violenti  con- 
flitti d'interessi.  Ciò  è  avvenuto  specialmente  in  Francia,  nei  primi 
anni  della  monarchia  di  luglio  e  durante  un  certo  periodo  della 
terza  repubblica,  ed  in  Italia,  dm^ante  e  dopo  la  caduta  del  po- 
tere temporale  dei  Papi.  Ma  è  erroneo  scambiare  queste  lotte,  che 
sono  episodi!  che  di  quando  in  quando  si  sono  rinnovati  nella 
vita  dei  popoli  cattolici,  con  l'essenza  stessa  della  loro  storia, 
dando  ad  esse  il  carattere  di  guerre  a  morte  non  interrotte  né 
da  paci  né  da  tregue.  Come  é  accaduto  spessissimo  nei  secoli 
scorsi,  dopo  essersi  accanitamente  disputata  una  posizione,  bi- 
sogna che  quella  delle  due  parti  in  contesa  che  l'ha  perduta  si 
abitui  alla  nuova  condizione  delle  cose  e  si  rassegni,  almeno 
tacitamente,  ad  accettarla.  Di  queste  ore  di  tacita  rassegna- 
zione la  Chiesa  cattolica  ne  conta  parecchie  nella  sua  lunga 
storia. 

Non  è  possibile  poi  che  tanto  la  Chiesa  che  lo  Stato  non  fini- 
scano coU'accorgersi  che  nelle  loro  lotte  presenti,  il  vero  tertius 
gaudens^  come  ebbe  a  scrivere  lo  Schàffle  (2)  e  come  vede  da  sé 
chiunque  sia  spassionato  ed.  abbia  appena  appena  un  zinzino  di 
senno  politico,  è  la  democrazia  sociale.  Non  è  possibile  che  questi 
due  Enti  non  vedano  alla  lunga  il  gran  bene,  che,  camminando 
con  un  certo  accordo,  si  possono  scambievolmente  fare.  Ormai  in 
Francia  pare  che  un  movimento  nel  senso  da  noi  indicato  si  vada 


(1)  Specialmente  se  il  clero  saprà  esercitare  la  sua  missione  di  carità.  In 
Francia  ed  altrove,  dopo  una  grave  epidemia  od  una  sensibile  catastrofe,  ei 
è  sempre  notato  un  risveglio  del  pietismo.  Ad  esempio  il  cholera  del  1832 
fece  diminuire  l'avversione,  che  la  rivoluzione  del  1830  avea  destato  contro  i 
preti.  Altra  reazione  religiosa  vi  fu  dopo  Vannata  terribile  del  1870-71.  Si  noti 
che  in  entrambi  i  casi  si  è  trattato  di  patimenti  temporanei,  che  dopo  qualche 
anno  sono  stati  dimenticati. 

(2)  Nella  Quintessenza  del  socialismo  al  paragrafo  II. 


254  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


sempre  più  eccentuando  (*).  Ed  anche  in  Italia  il  tempo  è  e  sarà 
il  miglior  maestro,  e  molta  gente  va  vedendo,  e  vedrà  sempre  più 
chiaramente,  che,  se  da  un  lato  il  Cattolicesimo  dura  (::  facilmente 
non  si  distrugge,  dall'altro  neppure  è  possibile  distruggere  la 
storia;  annullare  cioè  quei  fatti  ai  quali  un  lungo  volgere  di  anni 
ha  apposto  il  suo  incancellabile  suggello  ed  ha  dato  Fautorità  di 
cosa  giudicata.  Corre  ormai  il  ventiseiesimo  anno  dal  di  nel  quale 
le  ultime  traccie  del  potere  temporale  dei  papi  furono  distrutte, 
ed  era  già  un  pezzo  che  gli  ultimi  suoi  avanzi  non  si  potevano 
più  reggere  per  forza  jDropria  (1).  Chiunque  vive  nel  mondo  eu- 
ropeo, e  specialmente  in  quello  italiano,  e  non  vuole  affettare 
vani  timori  né  pascersi  d'inconsulte  speranze,  deve  scorgere  chia- 
ramente l'impossibilità  materiale  della  sua  restaurazione;  e  tutto 
fa  prevedere  che  la  quistione,  che  ad  essa  si  riferisce,  va  posta 
tra  quelle  che  il  secolo  ventesimo  dimenticherà,  incalzato,  come 
sarà,  da  tante  altre  questioni  più  nuove,  più  calde,  più  ur- 
genti (**). 


(*)  Si  sa  che  questo  oiovimento  fu  poi  interrotto  dal  prevalere  degli  ele- 
menti radicali  e  socialisti.  I  quali,  avendo  quasi  sempre  un  intuito  esatto  dei 
loro  interessi  politici,  sentono  istintivamente  che  le  lotte  acute  fra  lo  Stato 
e  la  Chiesa  riescono  a  loro  vantaggio. 

(1)  Bisogna  tener  presente  che  nel  1870  il  potere  temporale  non  cadde  ad 
un  tratto,  come  edificio  nuovo  colpito  da  violento  terremoto,  ma  venne  giù 
come  gli  ultimi  avanzi  di  una  fabbrica  vecchia  e  tarlata  alla  quale  si  tolgono 
gli  ultimi  puntelli. 

Nei  secoli  scorsi  infatti,  anche  dopo  la  Riforma,  il  dominio  temporale  dei 
Papi  non  era  un  fatto  isolato,  giacche  vi  erano  pure  parecchi  vescovi  ed  ar- 
civescovi, che  erano  ancora  sovrani.  Al  1802  tutti  i  loro  domini  furono  seco- 
larizzati ed  incorporati  negli  Stati  vicini,  e  la  Rivoluzione  francese  già  prima 
avea  occupato  Avignone.  Ristabilito  nel  1814,  e  soltanto  in  Italia,  il  dominio 
temporale  di  una  autorità  ecclesiastica,  già  fin  dal  1830  le  fu  necessario  l'ap- 
poggio delle  armi  straniere,  e  dal  1848  in  poi  si  resse  soltanto  in  quelle  parti, 
che  erano  presidiate  dai  soldati  di  un  altro  Governo.  È  perciò  circa  un  secolo 
che  il  dominio  temporale  dei  Papi  è  rimasto  una  istituzione  monca  ed  isolata, 
e  che  quaranta  anni  prima  della  sua  caduta  avea  cessato  di  vivere  per  forza 
propria.  Questi  concetti  sono  ampiamente  sviluppati  nel  capitolo  1°  del  lavoro 
di  Diomede  Pantaleoni  intitolato  L'Idea  italiana  biella  soppressione  del  potere 
temporale  dei  Papi.  Torino,  1884,  Loescher. 

(**)  È  superfluo  ricordare  che  quanto  è  esposto  nelle  ultime  pagine  del  testo 
fu  scritto  verso  la  fine  del  1895.  Del  resto  quasi  tutto  quanto  posteriormente  è 
accaduto,  e  che  ora  accade,  non  smentisce  ma  conferma  ciò  che  allora  pen- 
savamo. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  255 


IV.  —  Meno  conciliabile  è,  a  dir  vero,  il  dissidio  fra  il  me- 
todo scientifico  positivo  e  quella  base  soprannaturale  e  dogma- 
tica che  si  trova  in  tutte  le  religioni,  quella  cristiana  compresa, 
e  che  il  Cattolicesimo  segnatamente  ha  di  recente  esagerato.  Ma 
bisogna  tener  presente  che  la  fede  è  cosa  vecchia  e  la  scienza 
relativamente  nuova.  Essa  avea  già  mostrato  qualche  barlume 
di  sé  nell'antico  Egitto,  in  Babilonia,  nell'India  braminica,  in 
China;  barlumi  però  non  coordinati,  avvolti  quasi  sempre  nel 
mistero  ed  interrotti  da  lunghi  secoli  di  oscurità.  Più  forte  fu  la 
luce  che  sviluppò  la  civiltà  greco-romana  ;  ma  anch'essa  si  spense 
quasi  al  declinare  del  mondo  antico;  altri  sprazzi  ne  vediamo 
apparire  durante  l'epoca  più  splendida  della  civiltà  araba,  che 
fecondò  germi  preparati  dalla  Grecia  e  dalla  Persia  dei  Sassanidi; 
ma  anch'essi  furono  soffocati  dall'imbarbarimento  progressivo  del 
mondo  maomettano  (1).  Come  base  integrante  di  una  civiltà,  come 
vero  portato  di  un  periodo  storico,  la  scienza  positiva  comincia 
nel  secolo  decimosesto  e  non  si  affermò  che  nel  decimottavo  in 
questa  Europa,  che  ereditò  e  fecondò  dottrine  e  nozioni  elaborate 
da  tanti  popoli  e  da  tante  civiltà.  Ora,  la  guerra  fra  questa  nuova 
forza  sociale,  che  si  volea  affermare,  e  la  religione  che  si  voleva 
difendere,  e  che  per  prima  cosa  cercò  di  soffocare  nelle  fasce  il 
nuovo  concorrente,  fu  naturale  e  spiegabile.  E  la  religione  prima 
cercò  di  negare,  e  poi  colpi  d'anatema  i  risultati  della  scienza,  e 
d'altra  parte  la  scienza  assunse  con  particolare  impegno  la  mis- 
sione di  sbugiardare  agli  occhi  delle  masse  i  dogmi  della  religione. 

Tante  istituzioni  però  e  tante  persone  sembrano  incompatibili, 
le  quali,  dalla  impossibilità  di  eliminarsi  a  vicenda  e  dalla  ne- 
cessità, che  ne  viene  in  conseguenza,  di  far  vita  insieme,  sono 
costrette  a  compatirsi.  Se  la  scienza  poi  attacca  direttamente  od 
indirettamente  il  dogma,  almeno  essa  si  svolge  in  un  campo  dif- 
ferente da  quello  delle  religioni;  il  pensiero  scientifico  infatti 
spiega  la  sua  azione  sul  raziocinio  umano,  mentre  la  fede  ha  la 
sue  base  nel  sentimento.  Il  primo  necessariamente  è  accessibile 
solo  a  quel  piccolo  numero  di  individui,  che  hanno  la  capacità  e 
la  possibilità  di  menare  una  vita  fortemente  intellettiva,  mentre 


(1)  Vedi  Amari,  Storia  dei  Musulmani  in  Sicilia  e  specialmente  la  parto  11, 
volume  FU,  paor.  702  e  seguenti.  Si  potrebbe  anche  ricordare  Averroe  e  l'Aver- 
roismo di  Renan. 


256  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


l'altra  estende  la  sua  azione  sulle  masse.  Certo  più  incompatibili 
assai  che  la  scienza  ed  una  religione  sono  due  religioni  diverse, 
che  necessariamente  si  devono  sbugiardare  a  vicenda  e  si  fanno 
la  concorrenza  sullo  stesso  terreno.  Eppure  noi  vediamo  che,  pa- 
recchie volte,  dopo  lunghe  ed  atroci  lotte,  due  religioni,  una  volta 
convinte  della  impossibilità  di  distruggersi,  finiscono  col  tollerarsi 
a  vicenda.  Cosi  è  avvenuto  ed  avviene  dovunque  cattolici  e  pro- 
testanti, cristiani  e  maomettani,  maomettani  ed  idolatri  hanno 
convissuto  e  convivono  pacificamente  nello  stesso  paese. 

Ma  forse  la  China  ci  offre  su  questo  argomento  un  esempio, 
che  fa  più  al  caso  nostro.  Colà  le  classi  colte  e  governanti  se- 
guono un  vago  Deismo,  che  in  fondo  è  un  vero  e  proprio  posi- 
tivismo razionale  (1),  mentre  il  popolo  è  buddista,  seguace  della 
religione  di  Lao-Tze,  o  maomettano.  Il  Buddismo  è  anche  in 
certo  modo  legalmente  riconosciuto  e  l'autorità  partecipa  ufficial- 
mente alle  sue  feste.  Or  potrebbe  avvenire  qualche  cosa  di  molto 
analogo  in  Europa.  Quivi  ci  pare  assai  improbabile  che  in  un 
prossimo  avvenire  religioni  nuove  possano,  non  diciamo  nascere, 
ma  diffondersi;  sicché  le  varie  forme  del  Cristianesimo  manter- 
ranno la  loro  preponderanza  in  quei  paesi  dove  attualmente  la 
hanno  (2).  Alla  lunga  una  reciproca  tolleranza  potrebbe  stabilirsi 
fra  il  positivismo  o  meglio  l'agnosticismo  scientifico  degli  indi- 
vidui più  colti  e  le  credenze  seguite,  non  solo  dalle  masse  po- 
vere ed  incolte,  ma  anche  da  tutta  quella  gran  parte  della  classe 
agiata,  che  per  sesso,  per  abitudine,  per  l'educazione  ricevuta  o 
per  temperamento,  è  più  ossequente  agli  impulsi  del  sentimento. 


(1)  Tale  è  almeno  il  risultato  pratico  degli  insegnamenti  di  Confucio.  Una 
volta  Kilou,  discepolo  di  questo  filosofo,  avendo  interrogato  il  maestro  intomo 
alla  morte  ne  ottenne  questa  risposta:  "  Come  è  che  voi,  che  non  potete  ar- 
rivare a  sapere  ciò  che  sia  la  vita,  potete  desiderare  di  conoscere  ciò  che  sia 
la  morte?  ,.  Tze-Kong,  altro  discepolo,  avendogli  domandato  se  i  Mani  dei 
defanti  avevano  conoscenza  di  ciò  che  avviene  nel  mondo  dei  viventi,  Con- 
fucio rispose  :  "  Non  occorre,  Tze-Kong,  che  abbiate  alcun  impegno  di  sapere 
se  i  Mani  dei  nostri  antenati  abbiano  cognizione  di  ciò  che  avviene  tra  noi. 
Non  vi  è  alcuna  urgenza  di  risolvere  questo  problema.  Più  tardi  potrete  vedere 
da  voi  stesso  quale  sia  la  verità  su  questo  riguardo  ,.  Rousset,  op.  cit.,  cap.  VI, 

(2)  Forse  il  cattolicismo,  in  grazia  della  sua  organizzazione  superiore  e 
perchè  più  coerente  nel  suo  domraatismo,  seguiterà  a  guadagnare  un  po'  di 
terreno  sulle  diverse  chiese  protestanti,  segnatamente  nell'Inghilterra  e  negli 
Stati  Uniti  d'America. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  257 


I  primi  dovrebbero  comprendere  che  non  si  ottiene  alcun  van- 
taggio sociale  facendo  la  propaganda  della  miscredenza  fra  coloro 
che  sentono  il  bisogno  delle  credenze  religiose,  o  che  son  troppo 
ignoranti  per  arrivare  a  formarsi  una  concezione  originale  e  propria 
intorno  a  certi  problemi  naturali  e  sociali.  E  d'altra  parte,  coloro 
che  dirigono  il  movimento  cristiano,  e  specialmente  quello  catto- 
lico, dovrebbero  pure  persuadersi,  e  questa  persuasione  a  dir  vero 
è  alquanto  diffìcile  che  acquistino,  che  ormai  la  scienza  è  diven- 
tata tanta  parte  della  vita  dei  popoli  civili,  che  non  può  riuscire 
facile,  e  diremmo  quasi  che  non  può  riuscire  possibile,  di  soffo- 
carla e  distruggerla. 

Però  le  soluzioni,  alle  quali  abbiamo  ora  accennato,  dei  problemi 
moderni  riguardanti  i  rapporti  tra  lo  Stato  e  la  Chiesa  e  fra  la 
scienza  e  le  religioni  dommatiche,  sono  soltanto  da  ritenersi  come 
possibili;  il  che  non  vuol  dire  che  siano  facili  e  sopratutto  che 
sian  le  più  probabili. 

Perchè  fossero  adottate,  dovrebbero  avere  molto  senno  politico 
le  parti  che  attualmente  sono  in  conflitto,  e  purtroppo,  a  prefe- 
renza del  senno,  le  passioni,  i  rancori  ed  i  fanatismi  dirigono  gli 
avvenimenti  umani.  Non  bisogna  poi  dimenticare  che  attualmente 
la  corrente  democratica  socialista  rappresenta  quasi  un'altra  reli- 
gione, che  fa  una  terribile  concorrenza  a  quella  cristiana,  ed  è 
con  essa  quasi  assolutamente  incompatibile. 

Or,  è  pure  possibile  che,  nell'urto  fra  queste  due  correnti,  non 
resti  più  la  libertà,  la  tolleranza  sufficiente  perchè  continui  a  pro- 
sperare ed  a  vivere  quel  piccolissimo  strato  sociale  capace  di 
conservare  l'indipendenza  del  pensiero  davanti  i  grandi  problemi 
sociali  e  politici.  Pur  troppo  le  epoche  nelle  quali  è  stato  permesso 
di  liberamente  esprimere  il  proprio  pensiero,  di  non  esser  servo  di 
alcun  fanatismo,  di  alcuna  superstizione,  sono  epoche  privilegiate 
e  piuttosto  eccezionali  nella  storia  dei  popoli,  ed  esse  non  hanno 
durato  ordinariamente  molto  a  lungo.  Spesso  le  società  umane  si 
sono  adagiate  per  secoli  in  un  sistema  di  credenze,  e  ad  esso 
hanno  sacrificato  la  libertà  di  discutere  e  di  pensare,  oppure  si 
sono  dilaniate  aspramente  perchè  due  diverse  correnti  di  dottrine 
e  di  credenze  hanno  conteso  in  tutti  i  modi  per  la  {)reponderanza 
sociale.  I  momenti  di  pace,  di  tolleranza  relativa,  nei  (luali  le 
passioni  sono  state  ahiuanto  imbrigliate  e  l'intelletto  ha  potuto 
con  calma  osservare  e  ragionare,  sono    stati    in    fondo    fortunate 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  17 


258  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

parentesi,  divise  fra  loro  da  lunghi  periodi  di  cieco   ed   esclusivo 
fanatismo  o  di  selvaggie  lotte  e  persecuzioni. 

E,  che  ognuna  di  queste  parentesi  possa  essere  chiusa,  è  pro- 
vato dai  tipi  di  civiltà  che  troviamo  ora  decaduti  od  immobilizzati, 
e  che  dovettero  avere  anch'essi  dei  momenti  in  cui  il  pensiero 
umano  fu  relativamente  libero,  altrimenti  non  si  potrebbe  spie- 
gare il  grado  di  progresso  intellettuale,  che  pure  un  giorno  rag- 
giunsero. E,  anche  restando  nell'Europa,  si  i)uò  rammentare  che 
da  Aristotile  si  andò  indietro  fino  al  bizantinismo,  dalla  civiltà 
splendida  e  positiva  dei  primi  secoli  dell'impero  romano,  che  solo 
nei  secoli  decimottavo  e  decimonono  le  più  colte  nazioni  hanno 
sorpassato,  si  andò,  con  una  decadenza  ora  lenta  ora  rapida,  alla 
barbarie,  che  troviamo  descritta  da  Gregorio  di  Tours  e  Paolo 
Diacono  ed  a  quella,  forse  ancora  più  supina  e  degradante,  che 
troviamo  documentata  nella  cronaca  di  Raul  GTlaber  (1).  E  ripen- 
sando a  queste  grandi  eclissi  dell'intelletto  umano  che,  senza  fare 
pronostici  la  cui  difficoltà  è  evidente,  sorge  nell'animo  il  triste 
sospetto  che  all'epoca  presente  potrà  succederne  un'altra  in  cui 
non  sarà  libero  per  ogni  individuo  il  professare  o  il  non  profes- 
sare pubblicamente  la  religione  cristiana,  ed  in  cui  la  spontanea 
e  sincera  espressione  del  pensiero  umano,  la  piena  indipendenza 
dell'indagine  scientifica  potrà  essere  limitata  dalla  necessità  di 
conservare  intatto  quel  tipo  sociale,  che,  dopo  lunghe  ed  accanite 
lotte,  sarà  riuscito  vittorioso. 

V.  —  Legato  al  problema  religioso  e  sopratutto  al  terzo  pro- 
blema, cioè  all'avvenire  della  nostra  civiltà  di  fronte  allo  svolgi- 
mento della  democrazia  sociale,  è  il  secondo  problema  che  ora 
imprendiamo  a  trattare,  che  riguarda  la  crisi  che  traversano  i 
Governi  rappresentativi  e  sopratutto  quelli  parlamentari  ;  crisi  che, 
ristretta  oggi  nel  campo  delle  idee  e  delle  opinioni,  può  allargarsi 
domani  in  quello  dei  fatti  e  determinare  mutamenti  graduali  o 
repentini  nelle  istituzioni  che  reggono  tanta  parte  d'Europa. 

Cominciamo  coU'osservare  infatti  che,  non  tenendo  conto  delle 
nuove  forze  sociali,  che  si  affermarono  durante  il  secolo  decimot- 
tavo, forze  basate  sopra  la  produzione  di  nuove  ricchezze  e  sulla 


(1)  Vedi  più  sopra  capitolo  VI,  paragrafo  6"  in  nota. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  259 


diversa  distribuzione  delle  ricchezze  stesse  e  sul  sorgere  di  una 
classe  media  colta  ed  agiata,  due  furono  le  correnti  intellettuali 
che  produssero  i  movimenti  politici,  i  quali  hanno  condotto  alla 
loro  volta  quasi  tutti  i  popoli  di  civiltà  europea  ai  governi  rap- 
presentativi e  spesso  anche  ai  governi  parlamentari.  La  prima  è 
quella  basata  sulle  dottrine  del  Montesquieu,  e  che  chiameremo 
la  corrente  liberale,  la  quale,  mercè  la  divisione  dei  poteri,  ha 
voluto  fare  un  argine  all'assolutismo  burocratico,  ed  abbiamo  già 
visto  come,  benché  incompleto,  il  sistema  d'idee  al  quale  ora  ac- 
cenniamo non  si  possa  dire  fondamentalmente  errato.  La  seconda 
è  la  corrente  democratica,  il  cui  padre  intellettuale  è  indiscutibil- 
mente il  Rousseau,  la  quale  pone  come  base  legale  di  ogni  po- 
tere politico  la  sovranità  popolare,  il  mandato  che  i  governanti 
ricevono  dalla  maggioranza  dei  cittadini,  e  fa  dipendere  dalla 
sincera  attuazione  di  questo  presupposto  non  solo  la  legittimità 
dei  governi,  ma  anche  la  loro  bontà,  ossia  la  loro  attitudine  a 
soddisfare  gli  interessi  e  gli  ideali  delle  masse  ed  a  condurle  verso 
il  miglioramento  economico,  intellettuale  e  morale  (1).  Or,  come 
più  avanti  cercheremo  di  dimostrare,  questa  seconda  corrente 
d'idee,  venendo  alle  sue  ultime  esplicazioni  e  conseguenze,  ha  pro- 
dotto anche  la  moderna  democrazia  sociale. 

Le  numerose  obiezioni  che  ora  si  muovono  ai  governi  rappre- 
sentativi, e  sopratutto  a  quelli  nei  quali,  per  la  larga  base  data 
al  suffragio  popolare,  e  più  ancora  per  la  preponderanza  che  ha 
politicamente  l'organo  elettivo  detto  comunemente  camera  bassa, 
l'ideale  democratico  si  potrebbe  dire  a  preferenza  attuato,  sono  di 
tre  ordini  :  Una  prima  categoria  di  attacchi  e  di  critiche  infatti  si 
riferisce  ai  pettegolezzi,  alle  lungaggini,  alle  futilità  di  cui  spesso 
si  occupano  le  assemblee  parlamentari.  Un'altra,  che  fin  d'ora  cre- 


(1)  Non  occorre  quasi  di  rammentare  che  Rousseau,  il  vero  padre,  come  ab- 
biamo già  detto,  della  teoria  della  sovranità  popolare  e  quindi  della  demo- 
crazia rappresentativa  moderna,  in  qualche  pagina  del  Contratto  sociale  (Vedi 
cap.  XV)  si  mostrò  decisamente  avversario  alla  delegazione  della  sovranità  ed 
al  sistema  rappresentativo.  Invece  ha  dovuto  accettarlo  la  scuola  democratica, 
fondata  sui  prinupii  posti  dal  filosofo  ginevrino,  per  molteplici  ragioni,  fra  le 
quali  non  va  dimonticata  questa:  che  il  modello  pratico,  che  s'impose  tanto 
ai  liberali  che  ai  democratici  per  l'attuazione  delle  loro  dottrine,  fu  la  Costi- 
tuzione inglese  quale  era  nel  secolo  decimottavo,  che  dalla  sua  origine  feudale 
avea  tratto  il  principio  della  rappresentanza  e  l'avea  conservato  e  sviluppato. 


260  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

diamo  di  potere  affermare  che  è  meglio  fondata,  viene  a  preferenza 
formulata  dai  socialisti  avanzati  e  dagli  anarchici,  e  si  può  riassu- 
mere nell'accusa  che,  dato  il  presente  sistema  d'ineguale  distribu- 
zione della  ricchezza,  i  parlamenti  non  rappresentano  gli  interessi 
e  le  aspirazioni  della  maggioranza,  ma  piuttosto  quelle  delle  classi 
ricche  e  dirigenti.  La  terza  finalmente,  certo  più  fondata  di  tutte, 
riguarda  la  soverchia  ingerenza,  non  tanto  della  Camera  come 
corpo  politico,  quanto  dei  singoli  deputati,  nella  giustizia,  nell'am- 
ministrazione, nella  distribuzione  di  tutta  quella  parte  grandissima 
di  ricchezza  sociale,  che  è,  sotto  forma  di  imposte  e  di  tasse,  as- 
sorbita dallo  Stato  e  da  esso  impiegata  nei  diversi  servizi  pubblici 
e  di  quell'altra  parte,  pure  grande,  concentrata  nelle  banche  e 
nelle  grandi  speculazioni  industriali,  nelle  Opere  Pie,  la  quale  non 
sfugge  ordinariamente  alla  influenza  e  sorveglianza  dei  governi 
moderni. 

Non  ci  è  infatti  chi  non  veda  a  prima  vista  quanto  sia  dannosa 
la  continua  ingerenza,  la  faccenderia  dei  deputati  in  un  regime 
fortemente  burocratizzato  quale  è  il  nostro  ;  ad  essa  si  è  dato  un 
nome  speciale,  recente  e  pure  già  odioso:  si  chiama  infatti  comu- 
nemente il  Parlamentarismo. 

VI.  —  Or  glinconvenienti  insiti  a  qualunque  regime  di  discus- 
sione, la  lungaggine  delle  assemblee,  la  vacuità  di  molti  discorsi 
nei  quali  è  facile  scorgere  che  lo  sfogo  di  piccole  ambizioni  e  del 
piccolo  amor  proprio  individuale  ha  una  parte  maggiore  che  la 
devozione  al  pubblico  interesse,  la  leggerezza  con  cui  spesso  si 
compilano  nuove  leggi,  l'ostruzionismo  che  qualche  volta  ritarda 
provvedimenti  necessari,  le  stesse  violenze  di  linguaggio  non 
sempre  giustificate,  sono  tutti  senza  dubbio  difetti  gravi;  ma  pos- 
sono sembrare  gravissimi  e  di  capitale  importanza  solo  a  chi  ha 
la  persuasione  che  il  regime  politico  di  un  popolo  possa  andare 
esente  dalle  debolezze  inerenti  alla  natura  umana.  La  capacità 
che  ha  l'uomo  di  concepire  il  bene,  la  giustizia  assoluta,  il  modo 
migliore  di  adempiere  al  proprio  dovere,  e  la  difficoltà  grandis- 
sima che  poi  prova  nel  regolare  le  proprie  azioni  conformandosi 
scrupolosamente  a  questi  suoi  concepimenti,  producono  la  conse- 
guenza inevitabile  che  non  vi  è  uomo  di  Stato  e  forma  di  Groverno 
che  non  possano  essere  oggetto  di  censure  numerose  ed,  astrat- 
tamente considerate,   anche  giuste.  L'unico   criterio   pratico  per 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  261 


giudicare  tanto  gli  uomini  che  i  regimi  politici  è  dunque  quello 
di  paragonarli  con  gli  altri,  e  sopratutto  con  quelli  che  li  hanno 
preceduti  e,  quando  si  può,  con  quelli  che  li  hanno  seguito.  Or, 
valutati  a  questa  stregua,  i  vizi  delle  Assemblee,  le  cattive  con- 
seguenze che  il  loro  controllo  e  la  loro  partecipazione  al  potere 
può  produrre  in  tutti  i  regimi  rappresentativi,  compresi  quelli 
costituzionali  (1),  sono  ben  poca  cosa  di  fronte  ai  danni  innega- 
bili che  si  avrebbero  dal  loro  annullamento  o  dalla  loro  completa 
esautorazione. 

Infatti,  nelle  presenti  condizioni  della  società,  alla  soppressione 
della  assemblee  rappresentative  seguirebbe  immancabilmente  quel 
regime,  che  si  chiama  comunemente  assoluto,  e  che  noi  crediamo 
che  si  potrebbe  meglio  battezzare  come  esclusivamente  burocra- 
tico, perchè  ha  come  caratteristica  principale  l'allontanamento  dalla 
vita  pubblica  di  tutte  le  forze  politiche,  di  tutti  i  valori  sociali, 
che  non  fanno  parte  della  burocrazia  e,  se  non  altro,  la  loro  sub- 
ordinazione assoluta  all'  elemento  burocratico.  Certo  non  esclu- 
diamo interamente  che  il  disgusto  sempre  crescente  del  parlamen- 
tarismo e  sopratutto  la  paura  della  democrazia  sociale,  là  dove 
essa  assume  un  carattere  minacciosamente  rivoluzionario,  possano 
spingere  parecchi  popoli  della  moderna  Europa  verso  un  tale  re- 
gime ;  ma  non  possiamo  ammettere  che  ciò  sarà  un  bene  ;  e  non 
occorre  una  lunga  dimostrazione  per  questa  nostra  tesi,  dopo  quanto 
abbiamo  esposto,   nel  capitolo  quinto,   sui  pericoli  e  gli  inconve- 


(1)  Rararuentiamo  tin  da  ora,  per  qualcheduno  che  non  lo  ricordasse,  come 
recentemente  fra  gli  scrittori  di  diritto  pubblico  e  fra  coloro  che  si  occupano 
di  politica  militante  sia  prevalso  l'uso,  specialmente  in  Italia,  di  chiamare  go- 
verni costituzionali  quelli  nei  quali  il  Presidente  del  Consiglio  o  Gran  Can- 
celliere ed  i  Ministri  che  dirigono  il  potere  esecutivo  non  cambiano  per  i  voti 
contrari  della  Camera  dei  rappresentanti,  ma  solo  per  iniziativa  del  Capo  dello 
Stato,  come  avviene  segnatamente  in  Germania,  mentre  governi  parlamentari 
sarebbero  quelli  in  cui  il  Presidente  del  Consiglio  ed  i  Ministri  sono  nominati 
dal  Capo  dello  Stato,  ma  presentano  le  loro  dimissioni  ogni  volta  che  perdono 
la  maggioranza  nella  Camera  elettiva,  come  è  uso  quasi  costante,  ad  esempio, 
in  Inghilterra,  in  Francia  ed  in  Italia.  In  questi  paesi,  secondo  alcuni  scrit- 
tori, il  Gabinetto  viene  ad  essere  un  comitato  della  maggioranza  della  Camera 
elettiva.  Vi  sarebbe  pure  un  terzo  tipo  di  governo  rappresentativo,  quello  pre- 
sidea/.iale,  che  è  in  vigore  negli  Stati  Uniti  d'America,  nel  quale  il  potere 
esecutivo  non  si  modifica  secondo  i  voti  della  Camera  bassa,  ma  il  Capo  dello 
Stato  è  elettivo  ed  inoltre  lo  Stato  è  ordinato  secondo  il  sistema  federale. 


262  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

nienti  della  preponderanza  assoluta,  non  sogg^etta  a  limitazione 
ed  a  discussione  alcuna,  di  una  sola  forza  politica.  E  che  non  si 
tratti  di  un'  obiezione  puramente  teorica  e  dottrinale,  ma  di  un 
valore  pratico  grandissimo,  è  facilmente  provato  dall'  esempio  di 
qualche  paese  di  civiltà  europea,  dove  il  regime  rappresentativo 
ancora  molto  imperfettamente  funziona,  come  ad  esempio  sarebbe 
la  Russia,  e  forse  meglio  ancora  dalle  ricordanze  dell'antico  regime 
francese  e  da  quelle  più  recenti  che  gl'Italiani,  specialmente  quelli 
del  Mezzogiorno,  possono  facilmente  rievocare  (1).  Solo  l'abitudine 
ai  vantaggi  di  un  regime  di  discussione  pubblica  di  tutti  gli  atti  dei 
Governi  può  non  fare  scorgere  a  prima  vista  agli  osservatori  superfi- 
ciali della  giovane  generazione  quale  sarebbe  la  rovina  morale  che 
verrebbe  dalla  sua  caduta;  rovina  che  si  esplicherebbe  in  una  serie 
di  attentati  alla  difesa  giuridica,  alla  giustizia,  a  tutto  ciò  che 
comunemente  dicesi  la  libertà,  assai  più  perniciosi  di  tutti  quelli 
che  possono  essere  addebitati,  non  diciamo  ai  governi  rappresen- 
tativi in  genere,  ma  anche  ai  meno  corretti  fra  i  Governi  parla- 
mentari (2). 


(1)  Raccomandiamo  in  proposito  ai  lettori  lo  studio  di  un  interessantissimo 
libro  venuto  alla  luce  circa  venti  anni  fa,  nel  quale  si  descrive  quale  fosse 
l'organizzazione  politica  e  sociale,  quale  lo  stato  morale,  del  Reame  delle 
Due  Sicilie  negli  ultimi  anni  della  sua  durata.  Si  noti  che  il  Re  Ferdi- 
nando II  di  cui  si  descrive  l'opera,  era  uomo  di  discreta  intelligenza,  attivo, 
amante,  a  modo  suo,  del  bene  del  suo  popolo,  moralmente  superiore  alla 
media  dei  suoi  sudditi.  Vedi  Memor,  La  fine  di  un  regno,  Città  di  Castello, 
1895,  ed.  Lapi. 

(2)  Forse  ci  siamo  fin  troppo  dilungati  a  dimostrare  l'utilità  morale  e  sociale 
delle  forme  rappresentative,  ma  a  ciò  siamo  stati  indotti  da  una  certa  omai  an- 
tica tendenza  a  denigrarle  troppo  e  con  soverchia  leggerezza.  Alcuni  anni  fa, 
ad  esempio,  ci  è  capitato  sott'occhi  un  opuscolo  nel  quale  per  combattere  il 
Parlamentarismo  si  affermava  che  il  governo  delle  Assemblee  è  dannoso  perchè 
esse  partecipano  della  natura  delle  folle,  facili  a  farsi  trascinare  dalla  retorica 
e  dal  calore  degli  oratori  a  risoluzioni  inconsulte  e  precipitate.  Non  occorre 
quasi  di  far  osservare  che  le  Assemblee  non  governano  ma  controllano  chi  go- 
verna e  ne  limitano  il  potere,  e  che  del  resto  quasi  sempre  un'Assemblea  di 
rappresentanti  non  è  una  folla,  cioè  una  riunione  di  uomini  fortuita  ed  inor- 
ganica, ma  suole,  al  contrario,  avere  una  organizzazione  gerarchica  di  capacità 
e  di  competenze  riconosciute,  e  contiene  moltissime  persone  da  una  lunga 
esperienza  salvaguardate  contro  i  danni  possibili  che  una  eloquenza  calda  ed 
affascinante  può  produrre  nei  cervelli  poco  equilibrati. 

Prima  di  lasciare  l'argomento  dobbiamo  anche  rammentare  che  alcuni  degli 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  263 


Le  obiezioni  che  i  socialisti  molto  avanzati  e  gli  anarchici  fanno 
comunemente  al  sistema  rappresentativo  hanno  fondamento  in 
una  osservazione  già  da  noi  esposta  nel  capitolo  VI  del  presente 
lavoro  ed  altrove,  che  molti  altri  scrittori  hanno  pure  formulato 
e  che  è  da  maravigliare  soltanto  che  non  sia  più  diffusa  ed  ac- 
creditata. Alludiamo  al  fatto  evidente  che  i  membri  di  una  Camera 
elettiva  non  sono  quasi  mai  scelti  liberamente  e  spontaneamente 
dalla  maggioranza  dei  loro  elettori,  perchè  questi  non  hanno  che 
una  limitatissima  libertà  di  opzione  tra  i  pochissimi  candidati,  la 
riuscita  dei  quali  presenta  una  certa  probabilità.  Certo  questa 
contraddizione  flagrante  tra  il  fatto  ed  il  diritto,  fra  la  base  giu- 
ridica del  mandato  politico  e  la  sua  pratica  esplicazione,  è  una 
debolezza  grandissima  di  qualunque  sistema  rappresentativo.  Però 
essa  può  fornire  un  argomento  di  capitale  importanza  contro  al 
detto  sistema  solo  a  coloro,  e  sono  ancora  moltissimi,  che  accet- 
tano la  teoria  della  sovranità  popolare  secondo  la  interpretazione  ri- 
stretta e  precisamente  circoscritta,  che  ne  hanno  dato  Rousseau  ed  i 
suoi  seguaci  della  scuola  democratica,  pei  quali  significa  che  il  Go- 
verno di  ogni  società  debba  emanare  dalla  maggioranza  nume- 
rica dei  cittadini.  Ma  se,  come  noi  crediamo,  la  sola  cosa  impor- 
tante e  possibile  in  un  regime  politico  è  che  vi  prendano  parte 
tutti  i  valori  sociali,  che  in  esso  trovino  un  posto  tutti  coloro 
che  hanno  qualcuna  delle  qualità,  che,  in  un  dato  tempo  e  in  un 
dato  popolo,  determinano  il  prestigio  e  l' influenza  delle  classi  e 
degli  individui,  allora  si  può  ammettere  che,  come  non  va  com- 
battuta una  religione  per  la  scarsa  veridicità  dei  suoi  dogmi 
quando  moralmente  })roduce  buoni  risultati,  cosi  le  applicazioni 
di  una  dottrina  politica  si  possono  accettare  finché  hanno  per  con- 
seguenza un  miglioramento  della  difesa  giuridica,  benché  la  dot- 
trina stessa  offra  facilmente  il  fianco  ad  una  critica  inspirata  a 
criteri  positivi.  Or  é  innegabile  che  il  sistema  rappresentativo  dà 
a  molteplici  forze  sociali  il  modo  di  j^artecipare  al  regime  poli- 
tico, controllando  e  limitando  l'azione  di  altre  forze  sociali,  cioè, 


inconvenienti  rimproverati  alle  Assemblee  ofifrono  in  contraccambio  reali  van- 
taggi, ad  esempio  la  lentezza  nel  legiferare  non  è  una  cosa  sempre  dannosa; 
poiché  spesso  le  leggi  nuove  richiedono  nuovi  impiegati  e  nuovi  mezzi  pecu- 
niari per  essere  applicate,  ciò  che  è  in  massima  dannoso  negli  Stati  moderni, 
dove  la  burocrazia  ed  i  sistemi  tributari  sono  già  tanto  sviluppati. 


264  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

della  burocrazia.  E  certamente,  se  queste  sole  fossero  le  conse- 
guenze e  le  applicazioni  possibili  della  dottrina  della  sovranità 
popolare,  converrebbe  accettarle,  pur  riconoscendo  la  scarsa  base 
scientifica  della  corrente  d'idee  e  di  sentimenti  che  le  ha  prodotte. 

Né  si  dica  che  il  fatto  che  le  maggioranze  vere  e  reali  hanno 
un'influenza  molto  limitata  nella  scelta  dei  rappresentanti  dipenda 
esclusivamente  dalle  presenti  disuguaglianze  sociali.  Indiscutibil- 
mente, quando  queste  esistono,  è  naturale  che  la  scelta  degli  elet- 
tori cada  a  preferenza  su  coloro  che  nella  disuguaglianza  rap- 
presentano i  punti  più  elevati  della  scala  sociale;  ma,  anche  se  per 
un'ipotesi,  che  crediamo  impossibile,  la  scala  fosse  livellata  in 
modo  da  diventare  un  piano,  resterebbe  sempre  la  prevalenza  ine- 
vitabile delle  minoranze  organizzate  e  facili  ad  organizzare,  di 
fronte  alle  maggioranze  disorganizzate.  La  moltitudine  degli  elet- 
tori sarebbe  perciò  sempre  costretta  a  scegliere  i  suoi  rappresen- 
tanti fra  i  candidati  sostenuti  dai  gruppi  di  persone  per  gusto  ed 
interesse  più  attivamente  dedite  alla  vita  politica. 

Adunque,  ciò  che  vi  è  di  più  fondato  nelle  critiche,  che  ormai 
da  più  di  un  ventennio  si  fanno  contro  i  Governi  rappresentativi, 
sta  tutto  nella  soverchia  ed  esclusiva  prevalenza  degli  elementi 
elettivi,  che  si  verifica  in  molti  di  essi  e  specialmente  quando 
degenerano  nel  Parlamentarismo.  Il  fatto  che,  dove  questo  è  in 
vigore,  esce  dal  seno  della  Camera  elettiva  il  Ministero,  che  di- 
rige tutta  la  vasta  ed  assorbente  macchina  burocratica,  e  quello 
più  grave  ancora  che  Presidenti  del  Consiglio  e  Ministri  restano 
in  carica  finché  piaccia  alla  maggioranza  della  detta  Camera  il 
conservarli,  sono  le  prime  e  vere  radici  dei  mali  così  comunemente 
lamentati.  E  per  essi  che  nelle  Camere  la  discussione  degli  atti 
del  Groverno  ed  il  controllo,  che  sopra  l'azione  governativa  i  de- 
putati dovrebbero  esercitare,  sono  quasi  sempre  traviati  da  ambi- 
zioni personali  ed  interessi  di  parte.  E  per  essi  che  il  desiderio 
naturale  nei  governanti  di  fare  il  bene  viene  efficacemente  e  co- 
stantemente combattuto  dal  desiderio,  non  meno  naturale,  di  fare 
il  proprio  interesse,  che  il  sentimento  del  dovere  professionale  è 
nei  ministri  e  nei  deputati  sempre  bilanciato  da  tutte  le  ambizioni 
e  da  tutti  gli  amor  propri  giustificati  ed  ingiustificati.  E  per  essi  che 
la  macchina  amministrativa  e  giudiziaria  viene  mutata  in  grande 
agenzia  elettorale  col  relativo  sperpero  di  pubblico  danaro  e  di 
senso  morale,  che  le  pretese  di  qualunque  grande  elettore,  attra- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  265 


verso  il  deputato  che  ha  bisogno  di  lui,  e  del  ministro  che  ha 
bisogno  del  deputato,  bastano  talvolta  a  far  rinnegare  qualunque 
rispetto  all'  equità  ed  alla  legge.  E  infine  per  questa  costante, 
procurata,  flagrante  contraddizione  fra  il  dovere  e  1"  interesse  di 
chi  governa  e  di  chi  deve  limitare  e  giudicare  l'azione  del  Go- 
verno, che  la  burocrazia  e  l'elemento  elettivo,  che  dovi-ebbero  con- 
trollarsi a  vicenda,  finiscono  col  corrompersi  e  con  lo  snaturarsi 
a  vicenda  (1). 

VII.  —  Prima  di  studiare  i  rimedi  proposti  e  da  proporre  ad 
un  simile  stato  di  cose  conviene  fermarsi  un  momento  per  esa- 
minare cosa  accadrebbe  se  esso  durasse  immutato  per  un  certo 
spazio  di  tempo,  se,  ad  esempio,  per  mezzo  secolo  ancora  nulla 
di  sostanziale  fosse  mutato  nelle  istituzioni  che  reggono  tanta 
parte  della  società  europea  e  non  avvenissero  in  essa  nuovi  rivol- 
gimenti talmente  violenti  da  spostare  le  influenze  .  e  le  fortune 
personali.  Or,  dato  che  questa  ijiotesi,  cosa  che  ci  pare  difficile, 
possa  avverarsi,  respingiamo  formalmente  quell'opinione,  un  tempo 
abbracciata  da  molti  ed  ora  seguita  da  pochi,  secondo  la  quale 
le  istituzioni  parlamentari  avrebbero  in  sé  stesse  una  virtù  ripa- 
ratrice dei  mali  che  producono  negli  inizi  della  loro  applicazione  (2). 
Possiamo  però  ammettere  che  questi  mali  cambierebbero  un  po' 
di  natura  per  quel  fenomeno  della  stabilità  o  cristallizzazione 
delle  influenze  politiche,  che  av^-iene  in  tutti  i  paesi  il  cui  regime 
politico  non  è  per  un  lungo  tempo  cambiato  da  infiltrazioni  stra- 
niere o  da  un  lavorìo  interiore  d'idee  e  di  passioni.  I  figli  delle 
notorietà  presenti  del  Parlamento,  della  Banca  e  della  burocrazia 
arriverebbero  infatti  sempre  più  facilmente  ai  posti  già  occupati 
dai  padri,   e  si  formerebbe  un  piccolo  mondo,  una  consorteria  di 


(1)  Sugli  inconvenienti  del  Parlamentarismo  vedi  Schérer.  La  démocratie  et 
la  France.  Paris,  1883,  Librairie  nouvelle;  Prins,  La  démocratie  et  le  regime 
parlemeiitaire.  Bruxelles,  1884;  Mosca,  opere  citate. 

Dei  mali  cagionati  dalla  soverchia  preponderanza  dell'elemento  elettivo  si 
occupano  pure  il  Skamen,  Le  si/stème  de  gourernement  américain,  traduttore 
Hippert.  Bruxelles,  1872,  ed  il  Winschell  in  un  articolo  pubblicato  nel  numero 
di  febbraio  1883  della  *  North-American  Review  ,. 

(2)  Alludiamo  alla  volgare  dottrina,  secondo  la  quale  la  libertà  sarciibe  ri- 
medio a  ftè  f^tessa  e,  come  la  famosa  lancia  d'Achille,  guarirebbe  i  mali  che 
essa  s(essa  produce. 


266  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


famiglie  influenti,  entro  la  quale  sarebbe  difficile  agli  uomini 
nuovi  di  penetrare.  Accadrebbe  ciò  che  è  accaduto  in  Roma  re- 
pubblicana, dove  le  diverse  generazioni  delle  famiglie  più  co- 
spicue si  succedevano  nelle  cariche  più  elevate  e  nell'Inghilterra 
del  secolo  decimottavo  e  dei  primi  decenni  del  decimonono  fino 
alla  riforma  del  1832,  quando  le  antiche  famiglie  parlamentari 
erano  alternativamente  alla  testa  dell'Opposizione  o  del  Gabinetto, 
e  si  accentuerebbe  ciò  che  già  accade  in  Francia  ed  in  Italia, 
paesi  dove  il  sistema  rappresentativo  è  ancora  recente,  nei  quali 
spesso  vediamo  i  figli,  i  fratelli  ed  i  generi  degli  uomini  politici 
ereditare  i  collegi  dei  loro  parenti.  Mercè  questa  maggiore  sta- 
bilità della  classe  che  avrebbe  l'alta  direzione  politica  si  rende- 
rebbe più  difficile  il  farsi  avanti  agli  uomini  di  merito  e  di  nascita 
oscura,  ma  crescerebbe  la  difficoltà  anche  i3er  coloro  che  escono 
dalla  folla  e  salgono  i  primi  gradini  della  notorietà  e  dell'  in- 
fluenza ijolitica  lusingando  ed  acuendo  le  più  basse  o  le  più  in- 
sensate aspirazioni  della  folla.  Il  tempo  farebbe  pure  dimenticare 
la  prima  origine  impura  di  molte  fortune  e  molte  influenze,  ai 
figli  nati  in  elevata  fortuna  sarebbero  risparmiate  le  bassezze  e 
le  contraddizioni  che,  per  arrivarvi,  fui'ono  necessarie  ai  padri,  ma 
diventerebbe  sempre  più.  flagrante  la  contraddizione  fra  lo  spirito 
delle  istituzioni  e  coloro,  che  sarebbero  chiamati  a  rappresentarle, 
e  l'oligarchia,  che  governerebbe  a  nome  del  popolo,  e  che  non 
potrebbe  mai  ripudiare  interamente  le  arti  e  le  ipocrisie  neces- 
sarie in  qualunque  regime  parlamentare,  starebbe  sempre  più  lon- 
tana ed  appartata  dai  sentimenti  e  dalle  passioni  del  popolo.  E 
per  popolo  non  intendiamo  solo  le  masse  dei  contadini  e  degli 
operai,  ma  anche  quelle  numerose  classi  medie,  fra  le  quali 
si  svolge  tanta  parte  dell'  attività  economica  ed  intellettuale 
del  paese. 

Prescindendo  quindi  dagli  effetti  naturali ,  che  eserciterebbe 
r  azione  del  tempo,  la  quale,  come  abbiamo  visto,  sarebbe  di 
dubbia  utilità ,  non  è  difficile  escogitare  quelle  modificazioni 
degli  istituti  presenti,  che  attenuerebbero  i  danni  del  Parlamen- 
tarismo. 

Non  ci  è  infatti  chi  non  veda  quanto  riuscirebbe  utile  l'aumen- 
tare le  guarentigie  d'indipendenza  della  magistratura,  assicurando 
ai  magistrati  in  tutti  i  paesi  quella  vera  e  reale  inamovibilità  di 
grado  e  di  luogo,  che   ora  è  praticata  soltanto  in  alcuni,  ed  eie- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  267 


vando,  a  fatti  non  a  parole,  la  loro  posizione  sociale  ed  il  loro 
prestigio.  Non  ci  è  chi  non  veda  quanto  gioverebbe  in  Francia  ed 
in  Italia  ed  altrove  l'introdurre  il  sistema  della  responsabilità  di 
tutti  gli  impiegati  dello  Stato  al  modo  tedesco,  in  guisa  che  tutti  i 
pubblici  funzionari  di  grado  elevato  rispondessero  dell'opera  loro  da- 
vanti tribunali  amministrativi  realmente  indipendenti,  e  sottraendo 
nello  stesso  tempo  i  detti  funzionari  agli  arbitrii  dei  Ministri  e 
quindi  dei  deputati. 

Si  potrebbe  anche  organizzare  meglio  il  controllo  finanziario, 
aumentando  l' indipendenza  della  Corte  dei  Conti.  Disgraziata- 
mente tutti  questi  rimedi,  che  attenuerebbero  la  gravità  di  alcuni 
sintomi  del  male  senza  toglierne  la  radice,  sono  pure  di  diffìcile 
attuazione  per  la  resistenza  che  gli  elementi  dominatori  che  hanno 
il  battesimo  del  suffragio  popolare,  e  che  vengono  comunemente 
appellati  democratici,  oppongono  tacitamente  od  apertamente,  in 
nome  degli  intangibili  principii  della  sovranità  nazionale,  ogni 
qual  volta  si  tratta  di  aumentare  il  prestigio  e  le  attribuzioni  di 
quegli  istituti,  che  limitano  la  loro  onnipotenza  (1). 

Più  radicale  ed  efficace  rimedio  sarebbe  senza  alcun  dubbio 
quello,  che  è  stato  vagheggiato  da  molti,  e  che  consiste  in  un  ri- 
torno al  sistema  costituzionale  del  quale  il  Governo  parlamentare 
non  è  che  una  trasformazione  e,  secondo  alcuni,  una  degenera- 
zione. Non  bisogna  nascondere  che  un  movimento  politico  che 
cercasse  di  arrivare  a  questo  resultato,  avrebbe  una  certa  facilità 
di  pratica  attuazione,  perchè  realmente,  stando  alla  lettera  degli 
Statuti  e  delle  Carte  fondamentali  sulle  quali  posa  l'edificio  giu- 
ridico dei  Governi  moderni,  non  si  può  scorgere  alcuna  differenza 
fra  il  regime  parlamentare  e  quello  costituzionale,  anzi  tutti  i  testi 
ammettono  esclusivamente  l'esistenza  di  un  regime  costituzionale 
non  già  di  quello  parlamentare  (2).  Questa  forma  di  Governo  non 


(1)  Se  ne  ebbe  un  esempio  in  Italia  quando  si  discusse  il  disegno  di  legge 
sullo  stato  degli  impiegati  civili  nel  marzo  ed  aprile  1890,  diseguo  di  legge 
che,  senza  ragioni  apparenti,  fu  improvvisamente  messo  a  tacere  e  poi  decadde 
per  la  chiusura  della  sessione,  dopo  che  era  stato  approvato  dalla  Camera  dei 
deputati.  In  Francia  si  è  fatto  peggio,  giacche  colle  epurazioni  della  burocrazia 
e  della  magistratura  si  è  aumentato  l'arbitrio  dei  Ministri  strumenti  delle 
maggioranze  parlamentari. 

(2)  Solo  nella  Costituzione  portoghese  del  1826  veniva  fatta  la  distinzione 
fra  il  potere  moderatore,  che  apparteneva  esclusivamente  alla  persona  del  Re 


268  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

si  è  perciò  stabilita  se  non  in  base  ad  ima  serie  di  concessioni 
tacitamente  richieste  dalla  pubblica  opinione  e  tacitamente  con- 
sentite dai  Capi  degli  Stati  ;  sicché  basterebbe  un  cambiamento 
nell'opinione  pubblica  ijer  tornare  ad  una  interpretazione  più  au- 
tentica dei  principii  codificati  nelle  Costituzioni.  Aggiungiamo  non 
essere  esatto  ciò  che  alcuni  credono,  che  il  Governo  parlamentare 
cioè  abbia  avuto  in  Inghilterra  la  sanzione  di  una  durata  parec- 
chie volte  secolare  ;  perchè  realmente  esso  cominciò  colà  a  deli- 
nearsi soltanto  poco  prima  della  metà  del  secolo  decimottavo  e 
non  ha  funzionato  secondo  le  norme,  che  i  trattatisti  credono  cor- 
rette, se  non  durante  il  secolo  decimonono  e  specialmente  durante 
il  lungo  regno  della  regina  Vittoria  e  durante  quelli  dei  suoi  suc- 
cessori (1). 

Malgrado  ciò  confessiamo  che  una  evoluzione  politica  nel  senso 
indicato  ci  parrebbe  ora  di  una  opportunità  molto  dubbia.  In 
Francia,  in  Italia  e  negli  altri  paesi  parlamentari  del  continente 
europeo  il  funzionamento  di  tutti  gli  istituti  politici  è  ormai  le- 
gato al  presupposto  che  debba  vigere  in  fatto  il  regime  parla- 
mentare. E  discutibile  se  sia  stato  giovevole  il  passaggio  diretto 
dal  regime  burocratico  assoluto  a  quello  parlamentare,  senza  fer- 
marsi prima,  almeno  per  un  certo  tempo,  nel  periodo  semplice- 
mente costituzionale;  ma,  poiché  gli  eventi  hanno  cosi  proceduto, 
bisogna  subirne  le  conseguenze.  Or  principalissima  conseguenza 
delle  teorie  e  delle  consuetudini  politiche,  che  hanno  finora  prevalso 
in  tanta  parte  d'Europa,  è  stata  questa  :  che  la  Camera  elettiva, 


(art.  21)  ed  il  potere  esecutivo  che  era  esercitato  dal  Re  per  mezzo  dei  Ministri 
(art.  75).  la  tutte  le  altre  costituzioni  è  detto  solamente  che  il  Capo  dello 
Stato  esercita  il  potere  esecutivo  mediante  Ministri  responsabili  nominati  e 
revocati  a  volontà.  In  Italia,  ad  esempio,  nello  Statuto  non  si  parla  che  dei 
singoli  Ministri  e  non  già  del  Gabinetto  e  del  Presidente  del  Consiglio,  e  le 
attribuzioni  tanto  dell'uno  che  dell'altro  sono  state  determinate  da  una  serie 
di  decreti  reali,  di  cui  il  più  antico  è  quello  dell'Azeglio  del  1850  ed  il  piìi 
importante  quello  del  Ricasoli  del  marzo  1867,  abrogato  un  mese  dopo  dal 
Rattazzi  e  copiato  in  gran  parte  dal  decreto  Depretis  del  20  agosto  1876,  e 
poi  da  quelli  successivi. 

(1)  Rammentiamo  che  nel  1783  il  secondo  Pitt  fu  chiamato  al  Governo  da 
Giorgio  III  contro  la  volontà  della  maggioranza  della  Camera  dei  Comuni  e 
che  fin  nel  1835  Guglielmo  IV  fece  un  tentativo,  che  ebbe  alcuni  mesi  di  suc- 
cesso, per  sostituire  di  sua  iniziativa  Roberto  Peel  a  Lord  Melbourne. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  269 


sicura  che  il  G-abinetto  potea  essere  sempre  rovesciato  da  un  suo 
voto  contrario,  non  ha  curato  abbastanza  la  necessità  di  limitarne 
i  poteri  e  le  attribuzioni.  Sicché  essa  è  stata  larghissima  nell'au- 
nientare  le  risorse,  le  funzioni,  le  inframmettenze  dello  Stato,  ed 
è  stata  forse  poco  gelosa  della  intangibilità  di  alcuni  dei  suoi  po- 
teri (1)  ;  perchè  ha  pensato  che  coloro  che  dello  Stato  sono  a  capo 
sarebbero  sempre  gli  strumenti  della  sua  maggioranza. 

Cosi  stando  le  cose,  è  evidente  che  il  passaggio  rapido  dal  re- 
gime parlamentare  al  costituzionale,  nei  paesi  che  sono  al  primo 
abituati,  condurrebbe  ad  un  sistema  di  Governo  molto  più  auto- 
ritario e  ristretto  di  quello  che  vediamo  in  vigore  in  quelle  nazioni 
nelle  quali  il  costituzionalismo  puro  non  si  è  mai  trasformato  e 
le  funzioni  di  tutti  i  poteri  sono  rimaste  sempre  conformi  alla 
lettera  degli  Statuti  fondamentali.  Senza  farsi  illusioni,  si  può  con 
quasi  sicurezza  affermare  che  una  simile  evoluzione,  decapitando 
la  Camera  dei  rappresentanti,  togliendole  cioè  la  principale  delle 
sue  attribuzioni  e  nello  stesso  tempo  conservando  intatta  tutta 
quell'assorbente  organizzazione  burocratica,  tutti  quei  mezzi  e 
quelle  abitudini  di  corruzione  coi  quali  ora  i  Governi  parlamen- 
tari sanno  modificare  i  responsi  delle  urne,  toglierebbe  almeno  per 
molto  tempo  ogni  spontaneità  di  azione,  ogni  importanza  politica 
ai  Parlamenti  e  ci  condurrebbe  ad  un  regime  molto  simile  a  quel- 
l'assolutismo burocratico,  del  quale  abbiamo  poco  sopra  accennato 
i  vizi  e  gl'inconvenienti.  Ed  è  anche  da  tener  presente  che  questi 
sarebbero  più  sentiti,  più  amari,  più  gravi  se  il  Gabinetto,  che 
inaugurerebbe  il  nuovo  sistema,  fosse  uscito,  come  è  molto  pro- 
babile, dal  Parlamentarismo  e  fosse  quindi  inquinato  da  tutte  le 
corruttele  e  le  ipocrisie  inerenti  alla  sua  origine. 

Vili.  —  Il  rimedio  più  efficace  e  più  sicuro  ai  mali  del  Par- 
lamentarismo starebbe  in  un  discentramento  largo  ed  organico,  il 
quale  non  dovrebbe  solo  consistere  in  un  passaggio  di  attribuzioni 
dalla  burocrazia  centrale  a  quella  provinciale,  e  dalle  Camere  del 
Parlamento  nazionale  ai  corpi  elettivi  locali,  ma  nell'affidare  gran 
parte  delle  mansioni,  che  ora  sono  esercitate  dalla  burocrazia  e  dai 


(1)  Rammentiamo  in  proposito  l'uso  e  l'abuso  che  in  certi  paesi   parlamen- 
tari si  è  fatto  dei  così  detti  Decreti-legge. 


270  KLEMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

corpi  elettivi,  a  quella  classe  di  persone,  che  per  cultura  ed  agia- 
tezza ha  capacità,  indipendenza,  prestigio  sociale  assai  superiore 
a  quello  delle  masse;  la  quale  non  si  dà  ai  pubblici  impieghi  e 
che  ora,  quando  non  riesce  o  non  vuole  farsi  eleggero  alla  depu- 
tazione, 0  non  entra  a  far  i)arte  dei  Consigli  provinciali  o  di  quelli 
dei  grandi  Comuni,  resta  completamente  lontana  dalla  vita  pub- 
blica. È  in  questo  modo  soltanto  che  si  possono  lenire  i  mali  del 
Parlamentarismo  o  rendere  meno  pericoloso  per  le  pubbliche  li- 
bertà il  passaggio  da  esso  al  regime  costituzionale. 

Se  non  fosse  noto  altrimenti,  si  potrebbe  rilevare  da  quanto  noi 
abbiamo  già  scritto  che  le  magagne  dei  Governi  parlamentari 
hanno  quasi  tutte  origine  dall'indebita  ingerenza  che  la  burocrazia, 
per  mezzo  principalmente  dei  Prefetti,  esercita  nella  formazione 
degli  elementi  elettivi  centrali  e  locali  e  da  quella,  ugualmente 
indebita,  che  gli  elementi  elettivi  centrali,  ossia  i  deputati,  eser- 
citano alla  loro  volta  sulla  burocrazia. 

Da  ciò  proviene  un  indecente  ed  ipocrita  mercimonio  di  tolle- 
ranze reciproche  e  di  scambievoli  favori,  che  è  la  vera  cancrena 
di  parecchie  nazioni  europee.  Or  questo  cerchio  non  si  rompe 
aumentando  i  poteri  della  burocrazia  o  allargando  le  attribuzioni 
dei  corpi  elettivi,  ma  si  spezzerà  soltanto  chiamando  nuovi  ele- 
menti politici,  nuove  forze  sociali  al  servizio  della  cosa  pubblica, 
XDerfezionando  la  difesa  giuridica  mediante  la  partecipazione  ai 
pubblici  uffici  di  tutte  le  persone,  che  hanno  attitudine  a  ciò  e  che 
non  sono  impiegati  salariati  promovibili  e  traslocabili  a  benepla- 
cito di  un  Ministro,  né  devono  attendere  la  riconferma  della  loro 
carica  dalla  sollecitazione  dei  voti,  dal  beneplacito  di  un  comitato 
o  di  un  faccendiere  elettorale. 

In  Francia,  in  Italia  ed  altrove,  in  ogni  provincia  o  dipartimento 
si  potrebbe  applicare  il  concetto  testé  esposto,  facendo  la  lista  di 
tutti  coloro  che  hanno  una  laurea  universitaria  (1)  e  pagano  un 
dato  censo,  e  formandone  una  categoria  speciale  di  funzionari  gra- 
tuiti, la  quale,  sebbene  aperta  a  tutti  coloro  che  arrivassero  a  con- 


I 


(1)  Potrebbe  considerarsi  come  titolo  equipollente  alla  laurea  universitaria 
l'aver  raggiunto  nell'esercito  il  grado  di  capitano,  l'essere  stato  deputato  al 
Parlamento  o  sindaco  di  un  comune  di  piìi  di  diecimila  abitanti  ed  anche 
l'aver  presieduto  un'associazione  operaia  od  agricola,  che  contasse  un  certo 
numero  di  soci  e  possedesse  un  certo  capitale. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  271 


quistare  i  titoli  enunciati,  pure  per  l'omogeneità  della  condizione 
sociale  e  per  la  naturale  tendenza  che  ha  l'uomo  per  le  distinzioni 
sociali,  acquisterebbe  presto  solidità  e  spirito  di  corpo,  e  dediche- 
rebbe volentieri  una  parte  del  suo  tempo  ai  pubblici  negozi. 

Fra  gl'individui  appartenenti  a  questa  categoria  si  dovrebbero 
scegliere  a  sorte  o  nominare  a  vita,  secondo  i  casi,  i  giudici  con- 
ciliatori, gli  ufficiali  incaricati  di  redigere  le  liste  degli  elettori 
politici  e  comunali  e  alcuni  nuovi  funzionari,  che  dovrebbero  es- 
sere incaricati  di  certe  mansioni  di  polizia  giudiziaria.  Nella  stessa 
classe  dovrebbero  essere  scelti  i  componenti  dei  tribunali  ammi- 
nistrativi di  primo  grado,  che  dovrebbero  surrogare,  là  dove  esi- 
stono, le  presenti  Giunte  amministrative  e  che  potrebbero  essere 
anche  presieduti  da  un  magistrato  di  carriera.  Lo  stesso  elemento 
potrebbe,  anzi  dovrebbe,  essere  rappresentato  nei  Consigli  di  pre- 
fettura. 

Certo  non  possiamo  qui  esporre  minutamente  tutto  un  sistema 
di  riforme  delle  istituzioni  politiche  ed  amministrative  della  so- 
cietà europea  e  diamo  quindi  soltanto  l'idea  fondamentale,  che  del 
resto  non  è  esclusivamente  nostra  (1),  alla  quale  le  riforme  do- 
vrebbero essere  inspirate,  tracciamo  la  via  che  ci  pare  opportuno 
e  necessario  di  seguire.  Non  ci  dissimuliamo  neppure  le  obiezioni, 
che  alla  immediata  applicazione  dei  nostri  concetti  si  potrebbero 
opporre.  Anzi,  sebbene  non  abbiano  tutte  la  stessa  gravità,  è 
nostro  dovere  farne  un  sommario  esame. 

Si  può  dire  infatti  che  la  presente  istituzione  della  giuria  è  or- 
ganizzata secondo  il  metodo  da  noi  propugnato  e  che  pure  essa 
fa  cattiva  prova  e  si  va  di  giorno  in  giorno  sempre  più  discredi- 
tando. Ma,  in  primo  luogo,  osserviamo  che  le  accuse  contro  la 
giuria  sono  forse  esagerate  nel  senso  che  gl'inconvenienti,  che  ad 
essa  esclusivamente  si  attribuiscono,  sono  forse  a  preferenza  il 
frutto  di  una  tendenza  generale  del  secolo  verso  una  soverchia 
mitezza  nella  repressione  dei  reati  comuni;  tendenza  contro  la 
quale,  presto  o  tardi,  dovrà  affermarsi  una  forte  reazione.  In  se- 
condo luogo  poi  gli  elementi  che  entrano  nella  giurìa  non  sono 
esclusivamente  quelli  da  noi  indicati,  perchè,  essendosi   allargata 


(1)  Fra  i  libri  pubblicati  in  Italia,  ad  es.,  la  stessa  idea  emerge  dai  duo  vo- 
lumi dell'opera  del  Tukiki.lo  intitolata  Governo  e  Governanti  (Vedi  2*  edizione 
Zanichelli,  ed.  Bologna,  1887). 


272  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

molto,  anzi  troppo,  la  base  di  questo  istituto,  ne  fa  parte  una  mag- 
gioranza di  persone,  che  non  ha  la  preparazione  intellettuale  e 
morale  sufficiente  al  delicato  ufficio  che  deve  esercitare. 

Or  gli  organismi  sociali  spesso  funzionano  male,  non  già  perchè 
il  principio  al  quale  devono  la  loro  origine  sia  sostanzialmente 
falso,  ma  perchè  è  male  applicato.  Certo,  ad  esempio,  è  giusto  il 
principio  propugnato  dal  Machiavelli,  che  la  forza  armata  a  tutela 
dell'ordine  e  dell'indipendenza  di  uno  Stato  debba  essere  com- 
posta di  cittadini,  che  a  turno  prestino  il  loro  servizio,  anziché 
di  stranieri  e  di  mercenari,  che  della  milizia  fanno  un  mestiere. 
Ma,  mentre  una  sapiente  ed  accorta  applicazione  di  questo  prin- 
cipio ha  prodotto  i  moderni  eserciti  stanziali,  un'applicazione 
inorganica  e  leggiera  dello  stesso  avrebbe  risultati  identici  a 
quelli  che  diedero  l'ordinanza  fiorentina  creata  secondo  i  suggeri- 
menti del  segretario  fiorentino  e  la  guardia  nazionale  che  funzionò 
in  Italia  fino  a  quarant'anni  fa. 

Si  può  anche  obiettare  che  la  formazione  di  una  classe  di  fun- 
zionari come  quella  da  noi  accennata  avrebbe  qualche  cosa  di  ar- 
tificiale e  di  arbitrario.  Non  neghiamo  che  ad  un  osservatore  su- 
perficiale la  critica  possa  sembrare  giusta,  perchè  nessun  istituto 
umano,  nessuna  legge,  si  sottrae  alla  necessità  di  stabilire  limiti 
che  hanno  qualche  cosa  di  artificioso  e  convenzionale  (1);  ma,  nel 
caso  nostro,  se  guardiamo  alla  sostanza  delle  cose,  ci  pare  che  sia 
perfettamente  il  contrario.  Nei  nostri  costumi  e  nelle  nostre  abi- 
tudini private  facciamo  infatti  sempre  una  notevole  distinzione 
tra  colui  che  ha  un'elevata  cultura  e  per  la  sua  posizione  econo- 
mica fa  parte  della  buona  società,  e  l'uomo  i^overo  ed  ignorante; 
e,  se  politicamente  sono  ambidue  considerati  alla  stessa  stregua, 
ciò  dipende  appunto  dal  fatto  che  nel  nostro  ordinamento  politico 
prevalgono  criteri  arbitrari  e  convenzionali.  Se  una  cosa  ci  deve 
perciò  far  maraviglia  è  la  nullità  politica  come  classe  di  coloro 
che  hanno  i  requisiti  accennati.  E  diciamo  pensatamente  come 
classe,  perchè  poi,  individualmente,   escono  ora  quasi  tutti  dagli 


(1)  Così  è,  ad  es.,  il  limite  che  stabilisce  il  giorno  preciso  della  maggiore 
età,  per  il  quale  fino  a  venti  anni,  undici  mesi  e  ventinove  giorni  si  è  ripu- 
tati incapaci  di  dirigere  i  propri  aifari  e  l'indomani  si  diventa  maggiorenne, 
e  quello  che  determina  le  condizioni  precise  per  essere  elettore,  là  dove  non 
vige  il  suffragio  universale,  ecc. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  273 


strati  sociali  cte  hanno  una  certa  agiatezza  ed  una  certa  cultui'a 
ijoloro  che  coprono  le  cariche  elettive  di  qualche  importanza,  cioè 
i  deputati,  i  consiglieri  provinciali  o  dipartimentali  ed  i  sindaci 
nd  i  consiglieri  comunali  delle  grandi  città.  H  male  è  che  ne 
escono  dopo  esser  passati,  meno  rare  eccezioni,  attraverso  un  si- 
stema di  selezione  alla  rovescia,  che  esclude  dai  posti  di  maggiore 
importanza  quanti  non  vogliono  o  non  possono  comprare  i  voti 
degli  elettori,  oppure  coloro  che  hanno  carattere  troppo  elevato 
per  sacrificare  all'ambizione  la  dignità,  e  troppa  lealtà  e  corret- 
tezza per  profondere  promesse  che  sanno  di  non  poter  mantenere, 
o  che  si  mantengono  soltanto  col  sacrificio  dell'utile  pubblico  a 
quello  privato. 

Più  grave,  più  reale  è  l'ostacolo  che  all'attuazione  pratica  dei 
nostri  concetti  verrebbe  dalle  presenti  condizioni  economiche  di 
molti  paesi  d'Europa.  Nel  secolo  scorso  e  nella  prima  metà  di 
quello  presente,  la  gentry  inglese  ha  esercitato  quasi  tutti  gli  uf- 
fici equivalenti  a  quelli  che  noi  vorremmo  affidati  alla  classe,  che 
ad  essa  corrisponde  nella  società  del  continente  europeo;  e  li  ha 
esercitato  in  base  ad  un  sistema  analogo  a  quello  che  vorremmo 
introdurre  nei  nostri  paesi,  sistema  che  purtroppo,  è  bene  che  lo 
dichiariamo  fin  da  ora,  per  l'influenza  delle  moderne  idee  demo- 
cratiche, ha  perduto  negli  ultimi  decenni  molto  terreno  anche  al 
di  là  della  Manica. 

Ma  l'Inghilterra  è  stata  negli  ultimi  secoli  un  paese  relativa- 
mente ricco  e,  fino  a  cinquant'anni  fa,  la  scienza  non  avea  una 
cosi  larga  applicazione  nei  varii  rami  dell'attività  sociale:  perciò 
a  stabilire  il  prestigio  di  un  individuo  bastava  una  certa  agia- 
tezza ed  una  certa  educazione  morale  e  non  era,  come  oggi,  quasi 
indispensabile  che  a  questi  fattori  si  aggiungesse  una  cultura  su- 
periore. Ora  le  necessità  dei  tempi  e  sopratutto  il  bisogno  di  man- 
tenere la  propria  influenza  possono  indurre  la  classe  più  ricca, 
quella  che  possiede  le  grandi  fortune,  a  scuotere  la  tradizionale 
ignavia,  della  quale  ha  dato  in  molti  paesi  spettacolo,  ed  a  se- 
guire i  corsi  universitari  ;  ma  questa  classe  è  e  sarà  sempre  molto 
ristretta,  e  non  ])otrà  bastare  a  tutti  gli  uffici  che  abbiamo  enu- 
merato, se  non  è  unita  a  quell'altra,  che  possiedo  solo  una  onesta 
e  mediocre  agiatezza. 

Intauto  questo  strato  sociale  è  appunto  quello,  che  più  stonta 
a  mantenere  il  proprio  rango,  colpito  come  è,  forse  a  preferenza 

G-.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  18 


274  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

de«jfli  altri,  dai  pesantissimi  e  depauperanti  sistemi  tributari  mo- 
derni. Sicché  esso  difficilmente  in  molti  paesi  conserva  quel  mar- 
gine di  benessere  economico,  che  è  indispensabile  per  adire  la 
cultura  superiore  quasi  esclusivamente  a  scopo  di  decoro  indivi- 
duale, di  lusso  di  famiglia,  di  utilità  sociale;  ma  a  preferenza  la 
consegue  con  uno  scopo  professionale,  costretta  come  è  ad  avere 
quei  diplomi,  che  sono  necessari  per  l'esercizio  delle  carriere  dette 
liberali.  E  fin  qui  il  danno  sociale  sarebbe  forse  tollerabile,  ma  il 
peggio  è  che  l'ingombro  di  queste  carriere  spinge  sempre  più 
questa  classe  verso  la  ricerca  affannosa  dei  pubblici  impieghi,  i 
quali  per  le  pressioni  degli  aspiranti  si  moltiplicano  non  solo  nelle 
amministrazioni  centrali,  ma  anche  in  quelle  locali,  occasionando 
nuove  spese  e  nuove  ingerenze  burocratiche.  Sicché  si  stabilisce 
un  cerchio  fatale  di  cause  ed  effetti  reciproci,  per  il  quale  la  ro- 
vina della  media  proprietà  e  dei  capitalisti  mediocri,  dovuta  al 
soverchio  peso  delle  imposte,  rende  quasi  necessario  di  aumentare 
ancora  le  imposte  :  e  vengono  cosi  trasformati  in  funzionari  di 
carriera  quegli  stessi  elementi  sociali,  che,  in  un  paese  più  pro- 
spero, resterebbero  liberi  cittadini  e  costituirebbero  il  più  efficace 
controllo  all'azione  della  burocrazia. 

Ma  anche  le  difficoltà  economiche  si  potrebbero  gradatamente 
superare,  se,  alla  formazione  di  una  nuova  aristocrazia  a  basi 
larghe,  di  una  classe  numerosa,  che  racchiuderebbe  quasi  tutte  le 
energie  morali  e  le  forze  intellettuali  delle  nazioni  e  che  sarebbe 
lo  strumento  più  atto  a  contrappcsare  le  oligarchie  burocratiche, 
bancarie  ed  elettorali,  non  fosse  più  forte  e  meno  vincibile  osta- 
colo quella  corrente  democratica,  ancora  tanto  in  voga,  la  quale 
nessuna  legittimità  di  azione  politica,  nessuna  prerogativa  am- 
mette, che  non  emani  direttamente  od  indirettamente  dal  suffragio 
popolare.  Questa  corrente,  che,  come  abbiamo  già  accennato,  ha 
contribuito  potentemente  a  diminuire,  negli  ultimi  decenni,  le  at- 
tribuzioni della  gentry  inglese  e  le  ha  affidate  in  cambio  all'ele- 
mento elettivo  od  alla  burocrazia,  spiegherebbe  tutta  la  forza  di 
cui  è  ancora  capace  per  impedire  che  una  evoluzione  in  senso 
inverso  si  compisse  nel  continente  europeo.  In  fondo  perciò  la 
maggiore  difficoltà  nei  rimedi  da  applicare  ai  mali  del  parlamen- 
tarismo sta  tutta  nelle  condizioni  intellettuali  delle  società,  che 
sono  rette  a  sistema  parlamentare,  nelle  dottrine  cioè  e  nelle  opi- 
nioni che  in  esse  sono  più  diffuse;  e,  nella  ricerca  di  questi  rimedi, 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  275 


finiamo  col  trovarci  di  fronte  a  quello  stesso  ordine  d'idee  e  di 
passioni  al  quale  deve  la  sua  origine  la  democrazia  sociale  (*), 

IX.  —  Cominciando  l'esame  di  quest'ultimo  ed  importantissimo 
degli  argomenti,  che  ci  eravamo  prefissi  di  trattare,  sarà  oppor- 
tuno premettere  un  po'  di  storia.  In  parecchi  movimenti  religiosi 
e  sociali,  che  poi  hanno  assunto  grandi  proporzioni,  può  riuscire 
difficile  il  rintracciare  esattamente  e  determinare  la  i3arte  precisa 
che  il  primo  fondatore  ed  i  suoi  prischi  collaboratori  hanno  avuto 
nella  maniera  come  i  detti  movimenti  praticamente  si  sono  svolti  ; 
diciamo  di  più  che  non  è  agevole  l'accertare  la  fede  di  nascita  dei 
primi  maestri  ed  i  caratteri  che,  fin  dalla  nascita,  erano  loro  spe- 
■  ciali.  La  personalità  di  Sakya  Muni  resta  confusa  infatti  tra  il 
vago  e  l'incerto  delle  leggende  buddistiche  e  forse  non  si  potrà 
mai  determinare  la  parte  che  Manete,  primo  fondatore  del  Mani- 
cheismo, ebbe  in  quelle  credenze  che  poi  produssero  in  Persia  sulla 
fine  del  secolo  quinto  una  specie  di  tentativo  di  rivoluzione  so- 
ciale. Ma,  quando  spuntò  l'alba  del  socialismo  odierno,  eravamo  già 
in  un  periodo  intellettualmente  assai  più  maturo,  nel  quale  le  dot- 
trine nuove  ed  i  ricordi  personali  venivano  subito  raccolti  e  fissati 
in  libri  pubblicati  a  migliaia  di  copie,  che  non  saranno  mai  forse 
interamente  distrutti  e  perduti.  I  primordi  perciò  delle  attuali  dot- 
trine riformatrici  sono  noti  e  possono  essere  seguiti  passo  per 
passo;  ed,  arrivando  alle  loro  non  lontane  origini,  facilmente  con- 
statiamo che  Voltaire  e  i  suoi  seguaci  ebbero  una  parte  impor- 
tantissima nel  distruggere  il  mondo  antico,  ma  non  accennarono 
quasi  mai  a  sistemi  sociali  nuovi  che  a  quello  allora  vigente  si 
potessero  sostituire.  Sicché  il  vero  padre  di  quei  sentimenti,  di 
quelle  passioni,  di  quel  modo  di  comprendere  e  giudicare  la  vita 


(*)  Non  abbiamo  alcuna  difficoltà  a  confessare  che  le  nostre  idee  relativa- 
mente a  tutto  quanto  abbiamo  scritto  sulle  trasformazioni  possibili  del  regime 
parlamentare  e,  sopratutto  sull'argomento  trattato  nel  capo  Vili,  si  sono  sen- 
sibilmente modificate  nei  venti  e  più  anni  trascorsi  dopo  la  pubblicazione 
della  prima  edizione  degli  Elementi  di  Scienza  politica.  Questa  modificazione 
h  avvenuta  per  diverse  ragioni,  ma  sopratutto  per  il  fatto  che,  a  causa  delle 
sempre  accresciute  mansioni  dello  Stato,  la  burocrazia  assorbisce  oggi  tale  una 
quantità  di  attività  e  competenze  che,  nella  grande  maggioranza  delle  regioni 
italiane,  non  si  saprebbe  con  quali  elementi  reclutare  quella  classe  di  fun- 
zionari onorari  alla  quale  si  accenna  nel  testo. 


276  ELEMENTI    DI    SCIENZA    l'OMTlCA 

sociale,  che  hanno  avuto  per  conseguenza  pratica  la  nascita  e  lo 
sviluppo  della  democrazia  sociale,  è  indiscutibilmente,  per  come 
molti  hanno  già  osservato  prima  di  noi,  Giangiacomo  Rousseau  (1). 
Certo  è  facile  trovare  nella  China,  nell'India,  perfino  nell'antico 
Egitto,  in  qualche  scrittore  greco  e  romano,  nella  Persia  dei  Sas- 
sanidi,  fra  i  Profeti  d'Israele  e  fra  i  Santi  Padri  della  Chiesa  cat- 
tolica, negli  eresiarchi  cristiani  del  Medio  Evo  e  del  principio 
dell'era  moderna  e  fra  i  riformatori  della  religione  maomettana,  idee, 
sentimenti,  giudizi  staccati  e  talvolta  anche  sistemi  completi  di  cre- 
denze, che  si  avvicinano  mirabilmente  a  quelli  dei  moderni  socia- 
listi (2).  Ciò  è  molto  naturale  perchè   i  sentimenti  sui  quali  pog- 


(1)  Questa  osservazione  è  ancora  generalmente  poco  nota,  sicché  la  si  può 
sempre  annunziare  come  una  scoperta  nuova;  ma  fra  i  Francesi  che  già  l'hanno 
fatto  vi  è  il  Janet  che  la  espose  chiaramente  in  un  pregevole  lavoro  sulle  origini 
del  socialismo  contemporaneo,  che  apparve  nella  "  Revue  des  deux  Mondes  , 
del  luglio  e  dell'agosto  1880  ed  anche  il  Thureau  Dangin  ed  il  Block  e  fra 
gl'Italiani  rammenteremo  rODEscALcei  nelle  sue  lettere  sociali  ed  il  Sernicoli 
nel  suo  libro  suW Anarchia  e  gli  anarchici  pubblicato  nel  1894.  —  Del  resto  sic- 
come l'osservazione  è  tale  che  salta  subito  agli  occhi  di  chiunque  voglia  stu- 
diare un  po'  seriamente  le  origini  del  socialismo,  non  è  da  maravigliare  che 
siano  stati  in  parecchi  coloro  che  l'hanno  fatta  spontaneamente. 

(2)  Chi  fosse  vago  di  conoscere  maggiori  particolari  sulle  scuole  socialiste 
sorte  in  altri  tempi  ed  in  altre  civiltà  potrebbe  consultare  il  Cognetti  De  Mae- 
Tiis,  Socialismo  antico.  Torino,  1885.  Particolarmente  interessanti  sono  i  tenta- 
tivi socialisti  avvenuti  in  China  sui  quali  si  possono  citare  Hcc,  L'Empire 
chinois;  De  Varigny,  Un  socialiste  chinois  au  XI  siede.  "  Revue  des  deux  Mondes  ,, 
del  1880  e  la  Nouvelle  géographie  universelle  del  Réclds  (Paris,  Hachette,  1882) 
a  voi.  VII,  pag.  577  e  segg.  —  Quest'ultimo  lavoro  si  basa  principalmente  sul 
lavoro  dello  Zakharov,  Arheiten  des  russischen  Gesandtschaft  zu  Peking.  1  più 
interessanti  dei  tentativi  accennati  furono  quello  che  fu  iniziato  dal  ministro 
Wang-maug,  il  quale  sul  finire  del  secolo  III  dell'era  volgare  tentò  di  ripri- 
stinare in  China  le  antichissime  comunità  agrarie,  analoghe  al  mir  russo,  proi- 
bendo inoltre  ad  ogni  privato  di  possedere  più  di  un  trin,  ossia  6  ettari  di 
terra,  e  l'altro  più  famoso  che  fu  fatto  nel  1069  dal  ministro  Wang-Ngan-Che 
(Wang-ant-Che  secondo  il  Réclus),  tentativo  che  fu  prettamente  collettivista, 
perchè  con  esso  si  pretendeva  attribuire  allo  Stato  solo  la  proprietà  di  tutte 
le  terre  e  di  tutti  i  capitali.  —  È  superfluo  dire  che  tutti  e  due  i  tentativi 
fallirono  miseramente,  che  furono  entrambi  preceduti  da  periodi  di  malcon- 
tento e  provocati  da  una  critica  demolitrice  delle  istituzioni  allora  vigenti,  e 
che,  dopo  la  mala  riuscita  del  primo,  un  filosofo  contemporaneo,  forse  disingan- 
nato, ebbe  a  scrivere:  che  "  neppure  You  (il  fondatore  della  monarchia  chinese) 
sarebbe  riuscito  a  ristabilire  la  proprietà  comunale.  —  Che  tutto  cambia,  i 
fiumi  mutano  di  letto  e  ciò  che  il  tempo  cancella  sparisce  per  sempre  ,. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  277 


giano  tanto  le  scuole  socialiste  propriamente  dette,  quanto  quelle 
anarchiche,  non  sono  certo  esclusivi  delle  odierne  generazioni  eu- 
ropee ed  americane.  Inoltre  l'applicazione  dello  spirito  critico  al- 
Fanalisi  delle  istituzioni  sociali  contemporanee,  collo  scopo  di 
fornire  una  base  razionale  e  sistematica,  almeno  apparente,  alla 
esplicazione  dei  sentimenti  accennati,  è  pure  un  fatto  antico  ed 
abbastanza  ovvio,  che  può  accadere  in  tutte  le  società  umane 
amvate   ad  un   certo  periodo  della  loro  maturità. 

Però  ciò  non  significa  che  il  socialismo  odierno  discenda  per 
filiazione  morale  ed  intellettuale  diretta  e  non  interrotta  da  al- 
cuna delle  dottrine  che  hanno  con  esso  qualche  analogia,  e  che 
fiorirono  nelle  diverse  parti  del  mondo  in  secoli  più  o  meno  re- 
moti, e  perirono  dopo  aver  lasciato  nella  storia  traccie  più  o  meno 
profonde  della  loro  propaganda.  Le  odierne  scuole  riformatrici, 
tanto  socialiste  che  anarchiche,  che  non  si  riattaccano  ad  alcun 
principio  religioso  ed  hanno  una  base  puramente  razionale,  sono 
invece  un  parto  spontaneo  delle  condizioni  intellettuali  e  morali 
del  secolo  decimottavo  e  del  secolo  decimonono.  Il  loro  germe  è 
tutto  in  quella  dottrina  che  proclama  l'uomo  naturalmente  buono, 
e  sostiene  che  la  società  lo  rende  cattivo,  dimenticando  che  la 
struttura  di  una  società  non  è  che  un  risultato  delle  transazioni  e 
degli  equilibri  fra  gli  svariati  e  complicatissimi  istinti  umani. 

Or  il  primo  che  formulò  nettamente  questa  dottrina,  colui  che 
ne  fu  il  propugnatore  più  illustre,  è  senza  dubbio  il  filosofo  gine- 
vrino, nelle  cui  opere,  del  resto,  non  solo  appare  esplicitamente  il 
concetto  che  pone  la  giustizia  assoluta  a  fondamento  di  tutte  le 
istituzioni  politiche  e  condanna  perciò  ogni  disuguaglianza  politica 
ed  economica,  ma  anche  agevolmente  si  riconoscono  quei  senti- 
menti di  rancore  verso  i  prediletti  della  fortuna,  i  ricchi,  i  potenti, 
che  entrano  per  tanta  parte  nel  bagaglio  polemico  dei  socialisti 
delle  generazioni  passate  e  della  presente  (1). 

(1)  Già  il  .fANET  ebbe  a  scrivere  nel  suo  lavoro  citato  sulle  origini  del  socialismo 
contemporaneo:  "  che  è  da  Rousseau  che  data  quell'odio  contro  la  proprietà  e 
quella  collera  contro  l'ineguaglianza  delle  ricchezze,  che  alimentano  di  una 
maniera  così  terribile  le  moderne  sètte  socialiste  ,.  È  da  notare  però  che  tanto 
eyrli  che  gli  altri  autori,  che  attribuiscono  giustamente  a  Rousseau  la  paternità 
intellettuale  delle  moderne  teorie  sovversive,  citano  ordinariamente  soltanto 
un  passo  molto  divulgato  della  dissertazione  di  questo  scrittore  :  *  Sull'origine 
dell'ineguaglianza  fra  gli  uomini  „,  il  quale    passo,  considerato    indipendente- 


278  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Il  lavoro  sull'origine  della  ineguaglianza  fra  gli  uomini,  nel 
quale  il  Rousseau  poneva  quei  germi  che,  fecondati  maraviglio- 
samente dall'ambiente,  doveano  tanto  svilu]jparsi,  fu   pubblicato 


mente  dal  resto  dell'opera,  è  più  declamatorio  che  concludente.  —  Esso  è  il 
principio  della  seconda  parte  della  dissertazione  accennata  là  dove  l'autore 
scrive:  "  Il  primo  che  avendo  chiuso  un  terreno  credette  opportuno  di  dire 
esso  è  mio,  fu  il  vero  fondatore  della  società  civile.  Quanti  delitti,  miserie  ed 
orrori  non  avrebbe  risparmiato  al  genere  umano  colui  che,  togliendo  i  pali  e 
colmando  i  fossi,  avesse  gridato  ai  suoi  simili:  guardatevi  dal  dar  retta  a  questo 
impostore,  voi  siete  perduti  se  dimenticate  che  i  frutti  sono  di  tutti  e  la  terra 
è  di  nessuno  „.  Ora  si  potrebbe  obiettare  che  nello  stesso  lavoro  lo  stesso 
autore  osserva  che  "  conseguenza  necessaria  della  coltura  delle  terre  fu  la  loro 
spartizione  (leur  partage)  ,  venendo  in  certo  modo  a  riconoscere  che  non  ci 
può  essere  civiltà  senza  proprietà  privata.  I  passi  più  decisivi,  secondo  noi, 
si  trovano  quattro  o  cinque  pagine  dopo.  Rammentiamo  che  Rousseau  fa  una 
lunga  descrizione,  a  modo  suo,  del  lento  e  graduale  passaggio  degli  uomini  dalla 
vita  selvaggia,  anzi  animalesca,  a  quella  civile,  e  crede  che  i  momenti  più 
importanti  di  questa  evoluzione  siano  stati  la  scoperta  dei  metalli  e  dell'agri- 
coltura. —  Egli  crede  inoltre  che  l'agricoltura,  e  quindi  la  proprietà  privata, 
e  la  disuguaglianza  di  fortune  abbiano  preceduto  qualunque  organizzazione 
sociale,  e  che  quindi  vi  sia  stato  un  periodo  di  anarchia  in  cui  ognuno  com- 
batteva contro  tutti,  e  durante  il  quale  chi  aveva  più  da  perdere  era  il  ricco; 
allora  (lasciamo  la  parola  all'autore):  "  le  riche,  seul  contre  tous,  et  ne  pou- 
vant,  à  cause  des  jalousies  mutuelles,  s'unir  avec  ses  égaux  contre  des  ennemis 
unis  par  l'espoir  commun  du  pillage,  presse  par  la  nécessité,  con9ut  le  projet 
le  plus  réfiéchi  qui  soit  jamais  entré  dans  l'esprit  humain;  ce  fut  d'employer 
en  sa  faveur  les  forces  mèmes  de  ceux  qui  l'attaquaient,  de  faire  ses  défen- 
seurs  de  ses  adversaires,  de  leur  inspirer  d'autres  maximes  qui  lui  fussent 
aussi  favorables  que  le  droit  naturel  lui  était  contraire  „.  Segue  poi  narrando 
come  su  proposta  dei  ricchi  gli  uomini  consentissero  ad  organizzarsi  sotto 
un  governo  e  sotto  leggi,  che  apparentemente  garentivano  la  vita  e  la  pro- 
prietà di  tutti,  ma  di  fatto  giovavano  solo  ai  potenti,  e  conclude  :  "  Telle 
fut  ou  dut  ótre  l'origine  de  la  société  et  des  lois,  qui  donnèrent  de  nouvelles 
entraves  au  faible  et  de  nouvelles  forces  au  riche,  détruisirent  sans  retour  la 
liberté  naturelle,  fixèrent  pour  jamais  la  loi  de  la  propriété  et  de  l'inégalité, 
d'une  adroite  usurpation  firent  un  droit  irrévocable  et  pour  le  profit  de  quelques 
ambitieux  assnjétirent  désormais  tout  le  genre  humain  au  travail,  à  la  servi- 
tude  et  à  la  misere  ,.  Or  non  occorre  una  molto  profonda  conoscenza  delle 
odierne  scuole  socialiste  ed  anarchiche  per  accorgersi  che,  nei  brani  citati, 
vi  è  intero  il  concetto  della  lotta  di  classe,  ossia  del  governo  istituito  a  be- 
neficio di  una  sola  classe,  e  vi  è  pure  il  germe  di  tutte  quelle  teorie  e  quei 
sentimenti  ai  quali  si  inspirano  il  principio  collettivista,  che,  per  impedire  lo 
sfruttamento  di  una  classe  a  vantaggio  di  un'altra,  vuole  abolire  la  proprietà 
privata  delle  terre,  dei  capitali  e  degli  strumenti  di  lavoro,  e,  più  logicamente 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  279 


nel  1754  e  già  l'anno  dopo,  nel  1755,  dai  principii  posti  si  traevano 
le  naturali  conseguenze  in  un  libro  lungamente  oscuro,  attribuito 
per  un  pezzo  al  Diderot,  ma  il  cui  vero  autore  è  certo  Morelly,  e 
nel  quale  già  sono  grossolanamente  ma  chiaramente  tracciate  le 
linee  fondamentali  di  una  riforma  sociale  in  senso  collettivista  (1); 
ed  ugualmente  per  l'abolizione  della  proprietà  privata  conchiudeva 
nel  1776  uno  scrittore,  ai  suoi  tempi  abbastanza  celebre  e  cono- 
sciuto, cioè  l'abate  Mably,  e  la  famosa  frase  di  Proudhon  che  la 
proprietà  è  un  furto  la  troviamo  già  in  un  opuscolo  pubblicato 
nel  1778  da  quel  Brissot  di  Warville,  che  divenne  poi  uno  dei 
capi  più  noti  del  partito  girondino  (2). 

Si  è  molto  disputato  e  si  disputa  ancora  se  gli  uomini  che   di- 
ressero il  gran  movimento  rivoluzionario  francese  alla  fine  del  se- 


ancora,  il  principio  anarchico,  che  vuole  abolire  qualunque  organizzazione  po- 
litica per  togliere  radicalmente  il  modo  ai  governanti  di  sfruttare  e  coman- 
dare con  la  violenza  e  l'impostura  i  governati. 

(1)  In  questo  libro  intitolato  Code  de  la  nature,  che  è  un  lavoro  abbastanza 
volgare,  sì  per  la  forma  che  per  l'incoerenza  delle  idee,  il  Morelly  sostiene 
che  tre  debbono  essere  le  leggi  fondamentali  di  ogni  società:  P  che  non  vi 
sia  proprietà  privata;  2°  che  ogni  cittadino  debba  essere  un  pubblico  funzio- 
nario; 3°  che  ogni  cittadino  debba  contribuire  all'utilità  pubblica.  Partendo 
da  questi  principii  l'autore  ammette  che  lo  Stato  debba  nutrire  ogni  individuo 
e  che  ogni  individuo  debba  lavorare  per  lo  Stato,  e  fa  il  quadro  di  una  so- 
cietà organizzata  secondo  i  suoi  ideali.  11  Morelly,  come  precursore  e  pioniere 
delle  moderne  idee  collettiviste,  meriterebbe  forse  maggiore  rispetto,  almeno 
da  parte  dei  suoi  correligionari. 

(2)  Le  idee  del  Mably  (che  il  Rousseau  accusò  spesso  di  plagio)  furono  la 
prima  volta  adombrate  in  un  lavoro  intitolato:  Doutes  aux  éconotnistes,  pub- 
blicato nel  1768  in  risposta  ad  un  libro,  pubblicato  l'anno  precedente,  da 
Mercier  de  la  Rivière,  che  avea  per  titolo  :  "  Ordre  naturel  et  essentiel  dea 
sociétéa  politiques ,.  11  secondo  lavoro  sull'argomento  dello  stesso  Mably, 
s'intitola  Législations  oii  principes  des  lois.  In  esso  l'A.  si  pone  l'obiezione  che 
se  si  facesse  la  divisione  delle  terre  l'ineguaglianza  sarebbe  ristabilita  in  poco 
tempo,  e  vi  risponde  così:  "  il  ne  s'agit  pas  de  partage,  mais  de  communauté: 
il  ne  s'agit  pas  de  partager  la  propriété,  il  faut  l'abolir  ,.  La  frase  accennata 
di  Brissot,  che  testualmente  è  questa:  "  La  propriété  exclusive  est  un  voi,, 
trovasi  in  un  lavoro  intitolato  :  Recherches  philosophiques  sur  la  propriété  et  sur 
le  voi;  e  tanto  il  lavoro  in  genere  che  la  frase  furono  molto  rimproverati  al- 
l'autore quando  divenne  uno  dei  capi  del  partito  moderato  della  Convenzione. 
Per  maggiori  particolari  si  può  leggere  l'articolo  già  citato  di  Paolo  Janet 
pubblicato  nella  "  Revue  des  deux  Mondes  „  del  1°  agosto  ISSO. 


280  ELEMENTI    DI   SCIENZA   POLITICA 

colo  XVIII  fossero  stati  o  no  intinti  di  dottrine  socialiste.  Ante- 
rioiinente  al  1848  il  Blanc  lo  ha  affermato  ed  il  Quinet,  fondandosi 
principalmente  sulle  memorie  del  convenzionale  Baudot,  lo  ha 
negato.  A  noi  pare  evidente  che  il  socialismo  debba  essere  una 
conseguenza  necessaria  della  democrazia  pura,  se  almeno  per  de- 
mocrazia devesi  intendere  la  negazione  di  ogni  sui)eriorità  sociale 
che  non  sia  basata  sul  libero  consenso  della  maggioranza;  e  su 
questo  punto  non  esitiamo  a  dar  perfettamente  ragione  allo  Stahl 
e  torto  al  Tocqueville  e  ad  altri,  che  hanno  sostenuto  il  contrario. 
Però  una  conseguenza  necessaria  non  vuol  dire  che  debba  essere 
immediata^  ed  è  naturale  anzi  che  corra  un  certo  tempo  fra  il 
tentativo  di  attuare  l'uguaglianza  assoluta  nel  campo  j)olitico  e 
l'altro  col  quale  si  cerca  di  applicarla  anche  nel  campo  economico, 
giacché  ordinariamente  solo  l'esperienza  insegna  che  la  prima  è 
del  tutto  apparente  se  non  è  completata  dalla  seconda.  Sicché,  du- 
rante il  periodo  che  corre  dal  1789  al  1793,  un  po'  perché  l'espe- 
rienza mancava,  un  po'  perché  le  dottrine  socialiste  erano  ancora 
nella  loro  infanzia  e  non  erano  state  ancora  bene  elaborate  e  concre- 
tate in  sistemi  che  avessero  almeno  l'apparenza  scientifica,  sopratutto 
poi  perchè  i  capi  dei  rivoluzionari  d'azione,  se  erano  soldati,  si  con- 
tentavano di  arrivare  in  un  par  d'anni  da  sergenti  a  generali,  se 
avvocati,  si  limitavano  a  diventare  (quando  non  morivano  sulla 
ghigliottina)  legislatori,  proconsoli,  membri  dei  Comitati  di  salute 
pubblica,  o  alla  peggio  altissimi  funzionari,  e  perchè  tutti  costoro, 
insieme  ai  contadini,  trovavano  assai  comodo  acquistare  dallo  Stato 
le  proprietà  private  degli  emigrati  mercè  un  pugno  di  assegnati 
senza  valore,  le  teorie  che  ufficialmente  prevalsero  nelle  varie 
Assemblee  legislative  e  costituenti  furon  quelle  che  i  socialisti 
odierni  chiamano  individualiste  e  borghesi.  Vero  è  che  se  tali  fu- 
rono le  dottrine  prevalenti,  ben  altra  intonazione  ebbero  gli  istinti 
e  le  passioni  che  allora  si  scatenarono,  e  che,  se  non  si  fece  ufficial- 
mente la  guerra  alla  ricchezza  ed  alla  proprietà  privata  in  genere, 
la  si  fece,  in  generale  con  molta  efficacia,  ai  proprietari  ed  ai  ricchi. 
Quindi  di  fatti  e  discorsi  dei  rivoluzionari  d'allora,  perfettamente 
all'unisono  colle  aspirazioni  dei  socialisti  rivoluzionari  di  mezzo 
secolo  fa  e  d'oggi,  se  ne  possono  citare  a  dovizia  (1). 


(1)  Per  esempio  Marat  scriveva  nel  suo  giornale  1'*  Amico  del  popolo  „  che 
i  signori  droghieri,  procuratori  e  commessi  di  bottega  cospiravano  coi  signori 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  281 


Nondimeno,  quando  il  movimento  rivoluzionàrio  era  già  al  suo 
declinare,  troviamo  un  tentativo  per  attuare  l'uguaglianza  asso- 
luta e  porre  termine  alle  oppressioni  ed  ai  privilegi,  mediante 
l'abolizione  della  proprietà  privata  e  la  concentrazione  di  tutta  la 
ricchezza  nelle  mani  dello  Stato.  Questo  infatti  era  il  fine,  che, 
come  è  notorio,  si  proponeva  di  raggiungere  il  famoso  Cajo  Gracco 
Baboeuf.  La  cospirazione  degli  Eguali,  della  quale  costui  era  a 
capo,  comprendeva  tutta  quella  parte  dei  sopravvissuti  giacobini, 
che  nelle  idee  socialiste,  come  abbiamo  visto  non  ignote  alla  fine 
del  secolo  scorso,  volevano  attingere  la  forza  ravvivatrice  della 
rivoluzione,  che  accennava  a  spegnersi  neiranarchia  o  nel  cesa- 
rismo. Compagno  del  Baboeuf,  che,  sventata  la  sua  congiura,  fu 
ghigliottinato  come  si  sa  nel  1797,  era  l'italiano  Buonarroti,  anello 
di  congiunzione  fra  i  socialisti  del  secolo  scorso  e  quelli  della 
prima  metà  del  presente.  Egli  infatti  espose  chiaramente  le  dottrine 
del  suo  maestro  in  un  libro  che  comparve  nel  1828,  che  contiene 
tutta  la  parte  essenziale  delle  dottrine  secondo  le  quali  lo  Stato 
deve  diventare  unico  proprietario  delle  terre  e  dei  capitali  (1). 


del  lato  destro  della  Convenzione  e  coi  signori  ricchi  per  combattere  la  rivo- 
luzione e  che  bisognava  arrestarli  tutti  come  sospetti  e  ridurli  alla  classe  di 
sanculotti  "  en  ne  leur  laissant  pas  de  quoi  se  couvrir  le  derrière  ,.  Cambon 
proponeva  un  prestito  forzoso  di  un  miliardo  sui  riechi  con  ipoteca  sui  beni 
degli  emigrati.  Con  un  decreto  del  3  settembre  1793  si  contìscavano  tutti  i 
redditi  superiori  alle  14.000  lire  annue  sotto  il  nome  d'imprestilo  forzoso.  Alla 
Convenzione  ci  era  chi  credeva  la  ricchezza  una  colpa  e  dichiarava  cattivo 
cittadino  chi  non  si  sapesse  contentare  di  un  reddito  di  3.000  lire  annue.  11 
convenzionale  La  Planche,  mandato  in  missione  nel  dipartimento  del  Cher, 
così  il  29  vendemmiale  1793  rendeva  conto  del  suo  operato  ai  Giacobini:  *  Dap- 
pertutto ho  messo  il  terrore  all'ordine  del  giorno,  dappertutto  ho  posto  con- 
tribuzioni sui  ricchi  e  gli  aristocratici...  Ho  destituito  i  federalisti,  messo  in 
prigione  i  sospetti  e  dato  man  forte  ai  sanculotti  ,.  Nello  stesso  club  dei  Gia- 
cobini si  proponeva  di  requisire  tutte  le  vettovaglie  e  distribuirle  al  popolo, 
ed  il  procuratore  generale  Chaumette,  quando  i  fabbricanti  chiudevano  gli 
opifici,  faceva  la  proposta  che  la  Repubblica  s'impadronisse  di  tutte  le  fab- 
briche e  le  materie  prime.  Per  maggiori  particolari  leggere  qualunque  storia 
un  po'  dettagliata  della  grande  rivolnzione  francese. 

(1)  11  libro  è  intitolato:  Histoire  de  la  conspiration  de  Balnvuf  e  fu  edito  a 
Bruxelles,  fc  da  notare  che  il  Buonarroti,  il  quale  diventò  poi  uno  dei  padri 
della  Carboneria,  ebbe  una  parte  importantissima  in  tutte  le  società  segrete, 
che,  dopo   la  caduta  dell'impero   napoleonico,  agitavano  la  Francia  e  l'Italia. 


282  BliBMBNTI    DI    SOIBKZA    POLITICA 


Questo  libro  ebbe  una  grandissima  influenza  nell'educazione  in- 
tellettuale fli  tutte  le  conventicole  rivoluzionarie  che  si  formarono 
in  Francia  poco  prima  e  sopratutto  dopo  della  rivoluzione  del  1830, 
quando  le  passioni  e  gl'intelletti  cominciarono  ad  agitarsi  nel  senso 
di  una  radicale  riforma  della  società  e  si  costituì  il  primo  grande 
ambiente  socialista.  Pochi  anni  prima  del  Buonarroti  aveano  co- 
minciato le  loro  pubblicazioni  il  Fourier  ed  il  Saint-Simon  (*j,  e 
nei  dieci  o  quindici  anni  che  seguirono  il  1830  il  socialismo  veniva 
fecondato  dalle  pubblicazioni  di  Pietro  Leroux  (1),  di  Luigi  Blanc  (2) 
e  di  Proudhon  (3),  per  tacere  degli  astri  minori.  E,  a  stare  bene 
attenti,  nella  feconda  fioritura  d'idee  riformatrici  che  ebbe  luogo  in 
Francia  dal  1820  al  1848,  troviamo  già  accennate  tutte  le  varietà  e 
le  gradazioni  del  socialismo  presente.  Abbiamo  infatti  già  il  socia- 
lismo legalitario  di  Fourier  e  quello  rivoluzionario  di  Blanc,  ci  sono 
già  in  Proudhon  i  germi  delle  dottrine  anarchiche  e  nel  Buchez  è 
già  abbozzato  il  socialismo  cristiano  (4)  ;  e,  se  guardiamo  ai  metodi 
coi  quali  si  faceva  la  propaganda,  constatiamo  anche  allora  la  pub- 
blicazione del  romanzo  collettivista  che  mena  grande  rumore  (ò). 


(*)  Fourier,  a  dir  vero,  aveva  pubblicato  fin  dal  1808  la  sua  Théorie  des  quatre 
mouvements,  ma  pubblicò  solo  nel  1822  V Association  domestique  et  agricole  e 
nel  1829  le  Nouveou  monde  industriel.  Saint-Simon  pubblicò  il  Nouveau  Chì'i- 
stianisme  nel  1824  e  morì  nel  1825.  Però,  sebbene  in  quest'ultima  fra  le  pub- 
blicazioni siasi  dal  lato  sentimentale  accostato  in  qualche  modo  al  Socialismo, 
e  benché  il  Sansimonismo  che  fiorì  dopo  il  1830  abbia  contribuito  a  prepa- 
rare il  terreno  al  vero  socialismo  ed  abbia  precorso  molte  di  quelle  vedute 
che  poi  furono  dal  socialismo  adottate,  pure  il  pensiero  espresso  da  Saint-Simon 
nelle  sue  pubblicazioni  precedenti  è  troppo  vasto,  profondo  ed  originale  perchè 
egli  possa  essere  senz'altro  menzionato  come  uno  dei  tanti  scrittori  che  pre- 
pararono la  moderna  democrazia  sociale. 

(1)  Leroux  pubblicò  il  suo  libro  De  l'égalité  nel  1838,  la  Réfutation  de  l'è- 
clectisme  nel  1839,  Malthus  et  les  écononiistes  nel  1840.  De  Vhumanité  nel  1840; 
del  resto  aveva  cominciato  a  scrivere  fin  dal  1832  nel  giornale  "  Le  Globe  „. 

(2)  Pubblicò  nel  1840  la  sua  Organisation  du  travail. 

(3)  Di  Proudhon  apparvero  il  Mémoire  sur  la  propriété  nel  1840,  la  Création 
de  l'ordre  dans  l'humanité  nel  1843,  il  Système  des  contradictions  éconorniques 
ou  philosophie  de  la  misere  nel  1846. 

(4)  Il  libro  del  Buchez  intitolato:  Essai  d'un  tr aite  compiei  de  Philosophie  au 
point  de  vue  du  catholicisme  et  du  progrès,  fu  pubblicato  nel  1839.  Scrisse  molto 
inoltre  nel  giornale  V  "  Atelier  ,. 

(5)  Alludiamo  al  già  notissimo,  ed  ora  dimenticato.  Viaggio  in  Icaria  di 
Cabet,  che  venne  alla  luce  nel  1840.  In  esso  l'autore  finge  di  essere  arrivato  in 


GAP.    X    -    CONOLUSIOITE  283 


X.  —  Se  una  lettura  attenta  degli  scrittori  socialisti  anteriori 
al  1848,  che  sono  quasi  tutti  Francesi,  ci  può  facilmente  convin- 
cere che  essi  poco  o  nulla  lasciarono  da  inventare  ai  Tedeschi  che 
vennero  dopo,  se  si  può  agevolmente  scorgere  che  Marx  non  ha 
fatto  che  sviluppare  sistematicamente,  in  una  forma  più  stretta- 
mente logica  e  valendosi  di  una  conoscenza  più  ampia  dell'eco- 
nomia politica  classica  ed  anche  della  filosofia  hegeliana,  quegli 
stessi  principii,  che  già  avevano  posato  il  Buonarroti,  il  Leroux,  il 
Blanc  e  sopratutto  il  Proudhon,  non  è  men  vero  che  il  socialismo 
contemporaneo  è  un  fenomeno  sociale  assai  più  grave  di  quello 
di  sessanta  anni  fa.  La  sua  diffusione,  infatti,  è  senza  paragone 
maggiore,  perchè,  invece  di  essere  ristretto  quasi  unicamente  alle 
grandi  città  della  Francia  e  sopratutto  a  Parigi,  abbraccia  quasi 
tutta  l'Europa  oltre  agli  Stati  Uniti  d'America  ed  all'Australia, 
sicché  si  x)uò  dire  che  sia  un  bene  od  un  male  comune  a  tutti  i 
popoli  di  civiltà  europea.  Né  in  profondità  ha  guadagnato  meno 
che  in  estensione;  giacché  gl'istinti  rivoluzionari  ed  i  propositi 
generosi,  che  prima  trovavano  un  obbiettivo  ed  uno  sfogo  nel 
movimento  semplicemente  democratico  o  in  quello  per  la  ricosti- 
tuzione di  alcune  nazionalità,  ora  che  i  governi  rappresentativi  a 
larga  base  sono  stati  introdotti  quasi  dappertutto  ed  hanno  a\Tito 
spesso  per  risultato  le  delusioni  del  Parlamentarismo,  ora  che 
l'unità  italiana  e  quella  tedesca  sono  da  un  pezzo  quasi  compiute 
e  che  la  quistione  polacca  può  sembrare  tristamente  giudicata,  si 
sono  tutti  concentrati  neir aspirazione  di  riforme  sostanziali  del 
presente  ordinamento  sociale  (*). 


un  paese  in  cui  non  esiste  la  proprietà  privata,  e  descrive  la  felicità  che  go- 
devano gli  uomini  sotto  un  tale  regime.  Circa  cinquant'anni  dopo  il  Bellamy, 
quasi  sulla  stessa  tela,  ordì  il  Looking  Backward,  che  ebbe  una  grandissima 
dififusione  e  fece  la  fortuna  pecuniaria  del  suo  autore.  Quasi  nessuno  ha  rile- 
vata la  scarsa  originalità  di  questo  lavoro  e  si  e  ricordato  di  Cabet. 

(*)  Ricordiamo  ancora  una  volta  che  queste  pagine  furono  scritte  più  di 
venti  anni  fa.  È  evidente  che  durante  l'ultimo  ventennio  una  nuova  mentalità 
ed  una  nuova  corrente  di  sentimenti  si  è  andata  formando  nella  gioventù  delle 
diverse  nazioni  europee. 

11  solo  paese  nel  quale  la  corrente  intellettuale  che  aspira  ad  un  regime 
rappresentativo  è  stata  fino  a  qualche  tempo  fii  in  certo  modo  confusa  con  quella 
che  vorrebbe  radicali  riforme  della  proprietà  e  del   presente  ordinamento  so- 


284  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

E  venuto  un  momento  in  cui  sono  molti  al  mondo  che  hanno 
sete  di  giustizia  e  nutrono  la  speranza  di  poterla  j)resto  soddi- 
sfare. Ormai  non  è"  più  un  pensatore,  un  uomo  di  cuore  isolato 
"  che  ha  veduto  tutte  le  oppressioni  che  si  fanno  sotto  il  sole,  ha 
veduto  le  lagrime  degli  oppressi,  i  quali  non  hanno  alcun  conso- 
latore, né  forza  da  potere  scampare  dalle  mani  dei  loro  oppres- 
sori „  (1)  e,  colla  constatazione  generale  del  danno,  va  unita  la  fi- 
ducia nella  possibilità  di  un  sollecito  rimedio. 

La  credenza  che  i  primi  Cristiani  avevano  nel  prossimo  avvento 
del  regno  di  Dio,  che  dovea  fare  sparire  il  male,  premiare  i  giusti, 
punire  i  malvagi,  trova  il  suo  riscontro  nella  persuasione,  diffusa 
in  tatti  gli  strati  sociali,  che  la  parte  maggiore  delle  iniquità,  che 
si  trovano  nel  mondo,  sia  imputabile  alla  maniera  come  è  ora  or- 
ganizzata la  società,  e  che  esse  potrebbero  essere  evitate  se  coloro 
che  hanno  nelle  mani  il  potere  sociale  non  fossero  lo  strumento 
dei  ricchi  e  dei  forti  ed  intervenissero  efficacemente  a  favore  dei 
deboli.  Questa  persuasione,  che  ornai  ha  conquistato  tante  menti 
e  riscalda  tanti  cuori,  la  convinzione  omai  tanto  sparsa  che  vi  sia 
una  quistione  sociale,  che  fra  poco  siano  inevitabili  importanti 
riforme  del  diritto  di  proprietà,  della  famiglia,  di  tutta  la  presente 
organizzazione  industriale  e  capitalistica,  i  tentativi  e  le  promesse, 
che  gli  stessi  governanti  ed  i  Sovrani  non  mancano  talvolta  di 
fare  su  questo  argomento,  contribuiscono  a  formare  quell'ambiente 
intellettuale  e  morale  in  cui  il  socialismo  militante  vive,  prospera, 
si  diffonde. 

Col  favore  infatti    di    quest'ambiente,    attorno    ai    più   reputati 


1 


ciale  e  persino  con  gli  anarchici,  è  la  Russia.  Potremmo  citare  in  proposito 
pubblicazioni  ufficiose  e  non  molto  antiche  degli  stessi  comitati  nihilisti,  che 
mostrano  il  carattere  non  bene  determinato  della  loro  agitazione. 

(1)  Ecclesiaste,  paragrafo  4°,  versetto  1°.  Nei  versetti  2°  e  3"  continua: 

Onde  io  pregio  i  morti,  che  già  sono  morti,  piìi  che  i  viventi,  che  sono 
in  vita  fino  ad  ora. 

Anzi  più  felice  che  gli  uni  e  gli  altri  giudico  colui,  che  fino  ad  ora  non 
è  stato,  il  quale  non  ha  veduto  le  opere  malvagie  che  si  fanno  sotto  il  sole  „. 
È  importante  il  notare  come  questa  malinconica  e  positiva  concezione  della 
società  si  trovi  pure  in  altri  scritti  di  pensatori  che  vissero  fra  popoli  di  antica 
cultura.  Probabilmente  è  il  frutto  della  raffinatezza  di  senso  morale  e  della 
lucida  percezione  della  realtà  della  vita  che  un  lungo  periodo  di  civiltà  rende 
possibili  in  chi  ha  mente  e  cuore  elevati. 


CONCLUSIONE  285 


maestri  ed  organizzatori,  si  sono  formate  due  numerosissime  orga- 
nizzazioni politiclie,  ognuna  delle  quali  lia  le  sue  aspirazioni,  i  suoi 
programmi,  le  sue  dottrine  abbastanza  circoscritte  e  determinate, 
quasi  due  vere  Chiese:  esse  sono  costituite  dai  seguaci  del  collet- 
tivismo e  da  quelli  dell'anarchia.  Ambedue  hanno,  a  somiglianza 
delle  comunità  religiose,  una  certa  tendenza  all'universalità  e,  se 
non  spediscono  missionari  a  convertire  i  barbari,  esercitano  però 
la  loro  propaganda  in  quasi  tutti  i  popoli  di  civiltà  europea;  in 
una  di  esse  più  specialmente,  cioè  in  quella  collettivista,  vediamo 
che,  malgrado  i  numerosi  eresiarchi  ed  i  frequenti  scismi,  feno- 
meno comune  a  tutti  gli  organismi  giovani  e  pieni  di  vita,  i  capi, 
gl'ispiratori,  si  riuniscono  in  frequenti  concilii  nazionali  ed  uni- 
versali, e  discutono  intorno  ai  dogmi,  alla  disciplina,  alla  linea 
di  condotta  che  il  partito  deve  tenere,  e  fissano  norme  e  metodi, 
che  poi  sono  dalla  moltitudine  dei  credenti  universalmente  ac- 
cettati. 

XI.  —  L'esporre  succintamente  i  postulati  del  collettivismo  è 
cosa  abbastanza  facile,  essendo  essi  già  abbastanza  noti  a  tutte 
le  persone  di  qualche  cultura  dopo  che,  da  non  pochi  anni  a  questa 
parte,  i  suoi  seguaci  son  diventati  cosi  numerosi  da  essere  rappre- 
sentati nei  Parlamenti  dell'Italia,  della  Francia  e  sopratutto  della 
Germania,  dove  essi  assumono  il  titolo,  che  noi  crediamo  il  più. 
scientificamente  adatto  a  designarli,  di  democrazia  sociale.  Secondo 
dunque  la  dottrina  universalmente  riconosciuta  per  ortodossa,  lo 
Stato  rappresentante  della  collettività  dei  cittadini  dovrebbe  es- 
sere l'unico  proprietario  di  tutti  gli  strumenti  di  produzione,  siano 
essi  capitali  propriamente  detti,  macchine  o  terreni,  e  dovrebbe 
essere  l'unico  direttore  e  l'unico  distributore  della  produzione  eco- 
nomica. 

Non  essendovi  più  nò  proprietari  d'immobili,  nò  capitalisti  pri- 
vati, tutti  lavorerebbero  per  conto  dell'intera  società,  e  l'organismo 
sociale  provvederebbe  a  tutti  o  in  ragione  del  bisogno  di  ogni 
individuo,  come  avrebbe  voluto  una  formola  più  semplice  e  più 
antica,  o  in  ragione  del  lavoro  compiuto,  come  vorrebbe  la  for- 
mola più  nuova  ed  ora  più  generalmente  accettata  (1). 


(1)  Per  essere   esatti   dobbiamo  rammentare  che  i  seguaci  della  prima  lor- 
raula  sono  intesi  fra  i  socialisti  col  nome  di  comunisti;  mentre  coloro  che  ac- 


286  ELEMENTI    VI    SCIENZA    POLITICA. 

Tutta  la  macchina  cosi  organi/.zata  sarà  poi  amministrata  e  di- 
retta da  capi  scelti  dal  popolo  a  suffragio  univf^rsale,  che  avranno 
cura  di  attribuire  ad  ognuno  quella  qualità  di  lavoro  di  cui  è  più 
capace,  faranno  in  modo  che  i  prodotti  del  lavoro  e  dei  capitali 
sociali  non  siano  sciupati  né  indebitamente  sottratti  o  goduti,  e 
nello  stesso  tempo  ne  distribuiranno  ad  ogni  individuo,  con  per- 
fetta equità  e  giustizia,  quella  quota  esatta,  che  gli  spetta  o  come 
prodotto  del  proprio  lavoro  onestamente  ed  infallibilmente  calco- 
lato, o  per  i  propri  bisogni,  dei  quali  con  eguale  imparzialità  i 
governanti  si  saranno  formato  un  esatto  criterio. 

Or  noi  non  vogliamo  tener  conto  delle  lotte  civili,  delle  violenze, 
che  molti  giustamente  ritengono  indispensabili  per  l'attuazione  di 
questo  programma  e  che  certo  non  farebbero  che  esasperare  gli 
odi  e  rancori  e  le  cupidigie  e,  dividendo  la  popolazione  in  vinci- 
tori e  vinti  e  mettendo  i  secondi  in  balia  dei  primi,  darebbero 
agio  di  sfrenarsi  ai  più  malvagi  tra  gl'istinti  umani.  Ammettiamo 
anzi  che  le  riforme  accennate  siansi  potute  compiere  pacificamente 
e  di  comune  accordo,  o  che  i  secoli  col  loro  volgere  abbiano  già 
spento  l'ultima  eco  delle  guerre  fratricide,  con  le  quali  il  nuovo 
tipo  di  organizzazione  sociale  si  era  inaugurato.  Ammettiamo 
anche  di  più,  che  la  produzione  e  la  ricchezza  totale  della  società 
non  sia,  come  vogliono  gli  economisti,  e  come  ci  pare  che  essi 
abbiano  indiscutibilmente  provato,  col  nuovo  sistema  notevolmente 
diminuita.  Anzi  siamo  prontissimi  a  riconoscere  che  il  lato  etico 
del  problema  sociale  debba  avere  un'assoluta  prevalenza  su  quello 
esclusivamente  economico  e  che  giustamente  per  molte  menti  e 
molte  coscienze  il  poco,  ben  diviso,  sia  preferibile  al  molto,  diviso 
male.  Ma,  dopo  aver  tanto  conceduto,  abbiamo  il  diritto  ed  il  do- 
vere di  proporre  un'altra  quistione,  che  chiameremo  politica,  perchè 
è  la  più  larga,  la  più  comprensiva  che  si  possa  immaginare;  perchè 


cettano  l'altra,  molto  più  in  voga  fra  i  numerosissimi  seguaci  del  Marx,  si 
chiamano  propriamente  collettivisti.  Vero  è  che  molti  fra  costoro  ammettono 
che  il  comunismo  sia  l'ideale  al  quale  si  deve  mirare  e  che  solo  ha  l'incon- 
veniente di  non  potersi  immediatamente  raggiungere.  Come  vedremo  più  avanti, 
pare  a  noi  che  il  collettivismo,  pure  essendo  una  concessione  che  i  riforma- 
tori fanno  alla  conosciuta  fragilità  o  meglio  all'egoismo  della  natura  umana, 
complichi  molto  il  sistema  di  rigenerazione  sociale  che  essi  vogliono  attuare 
ed  offra  un  numero  maggiore  di  argomenti  validissimi  a  coloro  che  lo  com- 
battono. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  287 


è  un  prodotto  spontaneo  dell'esame  sintetico  di  ogni  ordine  di 
rapporti  sociali;  perchè  la  sua  soluzione  deve  interessare  non  meno 
gli  economisti  ortodossi  che  i  socialisti,  non  meno  i  capitalisti  che 
gli  operai,  i  ricchi  che  i  poveri;  perchè  essa  è  la  prima,  la  più 
importante  per  tutti  i  cuori  nobili,  per  tutti  gl'intelletti  spregiu- 
dicati, che,  al  disopra  di  qualunque  formola  e  di  qualunque  par- 
tito, pongono  la  ricerca  spassionata  di  un  assestamento  sociale  che 
rappresenti  il  massimo  del  bene  che  sia  lecito  alla  nostra  povera 
umanità  di  raggiungere.  Abbiamo  dunque  il  diritto  ed  il  dovere 
di  chiedere  se,  con  l'attuazione  del  sistema  comunista  o  di  quello 
collettivista,  la  giustizia,  la  verità,  l'amore  ed  il  compatimento 
reciproco  fra  gli  uomini  avranno  nel  mondo  un  posto  maggiore 
di  quello  che  ora  vi  occupano:  se  i  forti,  che  staranno  sempre  in 
alto,  saranno  meno  soverchiatori;  se  i  deboli,  che  rimarranno 
sempre  in  basso,  saranno  meno  soverchiati.  A  questa  domanda 
rispondiamo  fin  d'ora  recisamente,  ma  osiamo  dirlo  ponderata- 
mente, con  un  no. 

Un  uomo  di  mente  ci  disse  una  volta  che  era  impossibile  allo  stu- 
dioso di  scienze  storiche  e  politiche  di  prevedere  esattamente  ciò 
che  avverrà  in  un  futuro  prossimo  o  remoto  nelle  società  umane, 
perchè  vi  è  semijre  negli  eventi  umani  una  parte  dovuta  a  ciò 
che  comunemente  si  chiama  il  caso  fortuito,  la  quale  non  potrà 
mai  essere  in  anticipazione  calcolata;  aggiungeva  però  che  si  può 
al  contrario  prevedere  molto  bene  ciò  che  non  avverrà  mai^  l'in- 
dagine negativa  avendo  una  base  sicura  nella  conoscenza  della 
natura  umana,  la  quale  mai  permetterà  che  si  attui  realmente  ciò 
che  ad  essa  fondamentalmente  ripugna  (1).  La  seconda  di  queste 
massime  ci  pare  molto  applicabile  al  caso  che  ora  stiamo  stu- 
diando, e  la  sua  applicazione  deve  riuscire  tanto  più  facile  che  in 
gran  parte  non  si  tratta  già  di  prevedere  ciò  che  potrà  o  no  ac- 
cadere, ma  di  constatare  semplicemente  ciò  che  è  accaduto  e  tutti 
i  giorni  accade;  sicché  il  moltissimo  già  per  esperienza  noto  ci 
rende  agevolissimo  lo  stabilire  ciò  che  sarà  il  poco,  che  alcuni 
credono  ancora  un  ignoto. 

Infatti  le  società  comuniste  e  collettiviste  sarebbero  senza  dubbio 


(1)  Questi  apprezzamenti,  che  noi  dividiamo,  li  abbiamo   raccolti  dalia   bocca 
del  chiarissimo  professore  Saverio  Scolari,  morto  nel  dicembre  del  1893. 


288  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

rette  da  magistrati  eletti  esclusivamente  a  suffra^^io  universale  (1), 
e  noi  sappiamo  già  come  funzionino  i  poteri  politici  dove  essi  sono 
in  mano  quasi  esclusivamente  ai  così  detti  mandatari  del  popolo. 
Sappiamo  già  come  le  maggioranze  non  abbiano  che  un  semplice 
diritto  di  opzione  fra  i  pochi  candidati  possibili  e  come  non  pos- 
sano perciò  esercitare  sopra  di  essi  che  un  controllo  saltuario,  li- 
mitato e  spesso  inefficace;  sappiamo  come  l'indicazione  dei  can- 
didati stessi  sia  quasi  sempre  l'opera  di  minoranze  organizzate 
per  gusto  o  per  mestiere  dedite  alla  politica  elettorale,  di  caucus 
e  di  comitati  i  cui  interessi  sono  spessissimo  in  contradizione  con 
quelli  delle  maggioranze.  Conosciamo  già  quali  siano  le  astuzie 
usate  dai  peggiori  per  falsare  a  loro  profìtto  i  verdetti  delle  urne, 
quali  siano  le  bugie  che  si  dicono,  le  promesse  fallaci  e  le  vio- 
lenze che  si  fanno,  per  carpire  i  voti  degli  elettori. 

Ma,  possono  obiettare  i  comunisti  e  collettivisti,  tutto  ciò  av- 
viene perchè  esiste  la  presente  organizzazione  capitalistica,  perchè 
ora  i  latifondisti  ed  i  proprietari  delle  grandi  fortune  mobiliari 
hanno  mille  modi  diretti  ed  indiretti  di  coartare  e  comprare  i 
voti  dei  poveri,  dei  quali  si  giovano  per  rendere  il  suffragio  uni- 
versale una  menzogna  ed  assicurarsi  la  preponderanza  politica  ; 
ed  è  appunto  per  evitare  gl'inconvenienti  testé  enumerati  che  bi- 
sognerebbe, quando  non  ci  fossero  altre  ragioni,  cambiare  radi- 
calmente l'ordinamento  sociale.  Coloro  che  ragionano  in  questo 
modo  dimenticano  però  un  particolare  della  questione,  che  a  noi 
non  pare  trascurabile;  dimenticano  cioè  che,  anche  nelle  società 
organizzate  come  essi  vorrebbero,  vi  sarebbero  sempre  coloro  che 
amministrerebbero  la  pubblica  ricchezza  e  vi  sarebbe  la  grande 
massa  degli  amministrati,  che  si  do\'Tebbero  contentare  della  parte 
che  loro  verrebbe  attribuita.  Or  gli  amministratori  della  repub- 
blica sociale,  che  sarebbero  nello  stesso  tempo  i  capi  politici,  di- 
verrebbero indubbiamente  molto  più  potenti  dei  ministri  e  dei 
milionari  d'oggidì. 

Poiché  l'uomo,  che  avrà  la  facoltà  di  costringere  gli  altri  ad  un 
dato  lavoro   e   di  fissare  la  porzione  di  godimenti  e  di  soddisfa- 


(1)  È  perciò  che,  come  abbiamo  poco  avanti  accennato,  il  nome  di  socia- 
listi-democratici, col  quale  si  appellano  i  novatori  tedeschi,  ci  pare  il  più 
adatto  di  tutti  a  dinotare  i  vari  scopi  che  il  loro  partito  si  propone  di  rag- 
giungere. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  289 


zioni  morali  e  materiali,  che  dovrà  essere  il  correspettivo  di  questo 
lavoro,  per  quanto  possa  essere  frenato  da  leggi  e  regolamenti, 
sarà  sempre  il  despota  dei  suoi  fratelli  e  potrà  sempre  far  pie- 
gare a  suo  vantaggio  la  loro  coscienza  e  la  loro  volontà  (1). 

E  tutte  le  menzogne,  tutte  le  viltà,  tutte  le  violenze  e  le  barat- 
terie, che  ora  non  servono  soltanto  per  brigare  i  suffragi  del  po- 
polo ma  si  adoperano  anche  per  farsi  avanti  nei  pubblici  impieghi 
0  semplicemente  per  far  quattrini  presto  e  con  modi  poco  scru- 
polosi, in  un  regime  collettivista  sarebbero  tutte  consacrate  allo 
scopo  di  diventare  amministratori  dell'azienda  sociale.  Unica  sa- 
rebbe la  mèta  degli  avidi,  dei  furbi  e  dei  violenti,  unica  la  ten- 
denza delle  cabale  e  delle  combriccole,  che  non  mancherebbero 
di  formarsi  a  scapito  dei  caratteri  più  miti,  più  giusti,  più  leali. 
E  la  differenza  sarebbe  tutta  a  vantaggio  della  società  presente; 
poiché  la  distruzione  della  pluralità  delle  forze  politiche,  della 
diversità  dei  modi  e  delle  vie  con  cui  ora  si  acquista  l'importanza 
sociale,  toglierebbe  ogni  indipendenza  ed  ogni  possibilità  di  con- 
trollo reciproco.  Ora  almeno  l'impiegato  può  ridersi  del  milionario  ; 
un  buon  operaio,  che  sappia  bene  guadagnarsi  la  vita  colle  proprie 
braccia,  nulla  ha  da  temere  dal  capo-divisione,  dal  deputato  o  dal 
ministro;  chiunque  abbia  una  posizione  discreta  come  proprietario, 
industriale  o  professionista  può  portare  la  fronte  alta  dinanzi  a 
tutti  i  poteri  dello 'Stato  ed  a  tutti  i  latifondisti  ed  alti  baroni 
della  finanza  che  stanno  nel  mondo.  Col  collettivismo  nessuno 
potrà  fare  a  meno  di  essere  sottomesso  agli  uomini  che  saranno 
al  governo,  essi  soli  potranno  dispensare  i  favori,  il  pane,  la  gioia 
ed  il  dolore  della  vita.  Una  arannide  unica,  assorbente  e  schiac- 
ciante graverà  su  tutti;  i  grandi  della  terra  saranno  i  padroni 
assoluti  di  tutto,  e  la  parola  indipendente  di  chi  da  loro  nulla 
teme  e  nulla  spera  non  verrà  più  a  frenarne  gli  eccessi. 

Cita  il  G-eorge  frequentemente,  nel  suo  libro  intitolato  P?-of/resso 
e  Povertà,  un  passo  dei  Vedas  nel  quale  è  detto  che  gli  elefanti 
folli  d'orgoglio  ed  i  parasoli  ricamati  d'oro  sono  il  frutto  della 
proprietà  privata  della  terra.  Al  giorno  d'oggi,  che  la  civiltà  è  più 


(1)  Il  lettore  forse  avrà  notato  che  qualcuna  delle  osservazioni  teste  fatte, 
trovavasi  già  nel  capitolo  V,  paragrafo  IX  del  presente  lavoro.  L'importanza 
dell'argomento  forse  varrà  a  farci  perdonare  la  ripetizione. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  19 


290  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

raffinata  e  la  vita  più  multiforme,  la  ricchezza  può  procacciare 
ben  altro  che  elefanti  e  paraseli;  mu  in  fondo  i  privilegi  che  essa 
conferisce  a  chi  la  possiede  consistono  nel  londor  più  facile  il  con- 
setruimento  dei  piaceri  intellettuali,  nel  più  abbondante  godimento 
di  quelli  materiali,  in  soddisfazioni  di  vanità  e  d'amor  proprio  e 
sopratutto  nel  poter  disporre  delle  volontà  altrui,  conservando  in- 
dipendente la  propria.  Or  i  capi  di  una  repubblica  comunista  o 
collettivista  disporrebbero  più  che  mai  tirannicamente  delle  vo- 
lontà degli  altri  e,  potendo  distribuire  privazioni  o  favori,  avreb- 
bero mezzo  di  godere,  forse  più  gesuiticamente  ma  con  eguale 
abbondanza,  di  quei  piaceri  materiali  e  di  quei  trionfi  della  vanità, 
che  ora  sono  patrimonio  dei  potenti  e  dei  milionari  ;  come  questi, 
e  meglio  di  questi,  potrebbero  avvilire  la  dignità  degli  altri  uo- 
mini e  potrebbero  corrompere  la  virtù  delle  donne  (1). 

XII.  —  Più  che  nella  parte  positiva,  la  forza  delle  dottrine 
socialiste  e  di  quelle  anarchiche  sta  nella  parte  negativa,  cioè 
nella  critica  acuta,  minuziosa,  spietata,  che  fanno  degli  ordina- 
menti presenti. 

Or  che  la  distribuzione  della  ricchezza,  cosi  come  si  è  fatta  per 
il  passato  e  come  avviene  ai  nostri  tempi,  considerata  dal  punto 
di  vista  della  giustizia  assoluta,  offra  margine  a  molti  e  gravis- 
simi appunti,  perchè  consacra  grandi  e  flagranti  ingiustizie,  è  cosa 
tanto  evidente  che  l'affermarla  ci  pare  quasi  una  vera  e  propria 
banalità.  In  verità  non  ci  volevano  il  sottilissimo  ingegno   del 


(1)  Il  lettore  avrà  notato  che  la  nostra  critica  si  riferisce  tanto  ai  postulati 
del  comunismo  che  a  quelli  del  collettivismo  e  forse  più  ai  primi  che  ai  se- 
condi. Or  facciamo  espressamente  rilevare  che,  dal  punto  di  vista  nostro,  il 
collettivismo  si  trova  in  condizioni  di  notevole  inferiorità  rispetto  al  comu- 
nismo. Infatti,  se  trionfasse  la  democrazia  sociale  piìi  ortodossa,  i  governanti 
non  solo  avrebbero  il  diritto  di  fissare  per  ognuno  la  qualità  di  lavoro  da  fare 
ed  il  luogo  dove  andrebbe  fatto,  ma,  non  essendoci  più  una  misura  fissa  di  re- 
tribuzione, dovrebbero  fissare  il  correspettivo  di  ogni  genere  di  lavoro.  Si  vede 
subito  la  latitudine  maggiore  che  potrebbe  avere  il  loro  arbitrio  ed  il  loro 
favoritismo.  Ne  ciò  sarebbe  tutto:  poiché  il  collettivismo  permette  l'accumu- 
lazione della  ricchezza  pi'ivata  non  già  sotto  forma  di  capitali  industriali,  ma 
bensì  sotto  l'altra  di  oggetti  di  puro  consumo,  i  quali  certo  si  potrebbero 
sempre  cedere  a  titolo  gratuito  od  oneroso  e  così  i-inascerebbe  la  corruzione 
elettorale  e...  tante  altre  specie  di  corruzione  proprie  delle  società  borghesi. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  291 


Proudhon,  non  le  lunghe  ed  algebriche  deduzioni  del  Marx,  né  la 
potente  e  sanguinosa  ironia  del  Lassalle,  per  provare  ciò  che  salta 
tanto  agevolmente  agli  occhi  di  tutti,  anche  dell'osservatore  più 
superficiale  e  profano  :  che  il  godimento  individuale  dei  beni  della 
vita  non  è  proporzionato,  non  diciamo  allo  stento,  ma  neppm-e  al 
merito  del  lavoro,  che  è  stato  impiegato  a  produrli.  Accade  nella 
vita  economica  ciò  che  osserviamo  tutti  i  giorni  nella  vita  poli- 
tica, in  quella  scientifica,  in  tutti  i  rami,  insomma,  dell' attività 
sociale  :  che  il  successo,  cioè,  quasi  mai  è  proporzionato  al  merito  ; 
che  fra  il  servizio  reso  da  un  individuo  alla  società  ed  il  guider- 
done che  ne  ricava  vi  è  quasi  sempre  un  grande  e  spesso  stri- 
dente squilibrio. 

Il  combattere  il  socialismo  volendo  negare  o  semplicemente  at- 
tenuare la  verità  del  fatto  testé  da  noi  accennato,  equivale  a  porsi 
sopra  un  terreno  nel  quale  si  é  sicuri  di  avere  la  peggio.  Gli  eco- 
nomisti ortodossi,  che  qualche  volta  l'hanno  tentato  ed  hanno 
cercato  dimostrare  che  la  proprietà  privata  delle  terre  e  dei  capi- 
tali non  solo  è  indispensabile  o  utile  per  la  convivenza  sociale,  ma 
risponde  anche  ai  dettami  assoluti  delia  morale  e  della  giustizia, 
ci  pare  che  abbiano  prestato  il  fianco  a  poderosissimi  attacchi;  e 
la  loro  tesi,  che  in  ogni  tempo  potrebbe  essere  giudicata  difficile, 
anzi  quasi  disperata,  raggiunge  l'evidenza  deH'assm'dità  nei  tempi 
che  corrono,  quando  tutti  sappiamo  con  quali  modi  si  costituiscano 
di  frequente  le  grandi  fortune. 

Tutto  ciò  che  si  può  e  si  deve  obiettare  alla  critica  demolitrice 
dei  socialisti  si  riassume  in  una  verità,  che  può  sembrare  crudele 
ed  alla  quale  abbiamo  già  accennato,  ma  che  è  utile  e  morale  che 
sia  altamente  e  ripetutamente  proclamata.  Questa  verità  consiste 
nella  constatazione  che  non  vi  può  essere  organizzazione  sociale 
che  sia  basata  esclusivamente  sul  sentimento  della  giustizia  e  che 
da  questo  lato  quindi  non  lasci  molto  a  desiderare.  Ed  è  naturale 
che  sia  cosi,  perché  ogni  individuo  non  è  mai  nella  sua  condotta 
privata  e  pubblica  guidato  esclusivamente  dal  senso  del  giusto, 
ma  anche  dalle  sue  passioni  e  dai  suoi  bisogni.  Solo  chi  si  isola 
dal  mondo,  chi  rinuncia  ad  ogni  ambizione  di  ricchezza  o  di  po- 
tere, ad  ogni  vanità  mondana,  ad  esplicare  in  qualsiasi  modo  la 
propria  personalità,  può  lusingarsi  che  i  suoi  atti  siano  inispirati 
dal  sentimento  assoluto  della  giustizia;  ma  l'uomo  d'azione,  che 
sta  nella  vita  politica  o  in  quella   degli   affari,  sia  egli  commer- 


292  ELEMENTI    DI    SCIENZA    PULITICA 

ciante  o  proprietario,  professionista  o  manuale,  sacerdote  di  una 
religione  od  apostolo  del  socialismo,  mira  sempre  a  raggiungere 
il  successo,  e  perciò  la  sua  condotta  sarà  sempre  il  risultato  di 
una  transazione,  consciente  od  inconsciente,  fra  il  sentimento  della 
giustizia  ed  i  suoi  interessi  (1).  Il  volere,  con  sentimenti  cosi  fatti, 
costituire  un  tipo  di  organizzazione  sociale  corrispondente  in  tutto 
a  quell'ideale  di  giustizia  che  l'uomo  può  concepire  ma  non  sa 
attuare,  è  un'utopia  che  in  certe  cirsostanze  può  diventare  peri- 
colosa; quando  essa  cioè  riesce  a  far  convergere  una  quantità  di 
forze  intellettuali  e  morali  verso  il  conseguimento  di  uno  scopo 
che  non  sarà  mai  una  verità  e  che  il  giorno  che  si  tenterà  di  rea- 
lizzare non  potrà  produrre  che  il  trionfo  dei  peggiori  e  lo  scon- 
forto e  la  delusione  dei  buoni  (2). 

I  dottori  del  socialismo  affermano  che  tutte  o  almeno  gran 
parte  delle  imperfezioni  umane,  delle  ingiustizie  che  ora  si  com- 
mettono sotto  il  sole,  non  sono  un  effetto  delle  naturali  condizioni 
etiche  della  nostra  specie,  ma  piuttosto  di  quelle  che  ad  essa  ven- 
gono imposte  dalla  presente  organizzazione  borghese.  Uno  di  questi 
dottori  in  un  suo  recente  lavoro  ha  detto  esplicitamente  che  ^  cam- 


(1)  Naturalmente  non  tutti  transigono  allo  stesso  punto  o  nella  stessa  ma- 
niera: le  transazioni  hanno  varietà  grandissime  rispondenti  al  maggiore  o 
minore  egoismo,  al  diverso  grado  di  delicatezza,  alla  diversa  intensità  degli 
scrupoli  di  ogni  individuo. 

(2)  Fu  detto  già  dal  Burke,  più  di  un  secolo  fa,  che  qualunque  sistema  po- 
litico, che  presupponga  l'esistenza  di  virtvi  sovrumane  ed  eroiche,  ha  per  ri- 
sultato il  vizio  e  la  corruzione. 

L'osservazione  che  abbiamo  teste  fatta,  che  la  parte  demolitrice,  cioè,  delle 
dottrine  socialiste  ha  il  suo  fondamento  nell'attribuire  alla  presente  organiz- 
zazione sociale  i  mali  e  le  ingiustizie  che  sono  proprie  della  natura  umana, 
si  trova  accennata  in  parecchi  scrittori  contemporanei.  Ad  esempio,  vi  alluse 
replicatamente  lo  Schaeffle  nella  sua  Quintessenza  del  socialismo,  che  fu  pub- 
blicata fin  dal  1874.  Più  chiaramente  ancora  l'italiano  Icilio  Vanni  scrisse 
nel  1890:  "  Il  socialismo  vecchio  e  nuovo,  razionalista  ed  evoluzionista  che 
sia,  riesce  in  sostanza  alla  pretesa  di  attuare  in  questo  povero  mondo  umano 
un  ordine  assolutamente  giusto,  e  così  sempre  si  rivela  il  suo  spirito  meta- 
fisico ,.  Anche  il  Block  nel  suo  libro  L'Europe  politique  et  sociale  (Paris,  Ha- 
chette,  189B)  dice  :  '  Nous  n'ignorons  pas  qu'il  se  commet  des  injustices,  mais 
celles-ci  on  ne  les  supprime  pas  en  changeant  l'organisation  sociale;  on  ne  les 
supprimerait  que  si  on  pouvait  modifier  la  nature  humaine  ,.  Allo  stesso  or- 
dine d'idee  si  riferiscono  parecchi  argomenti  del  libro  intitotato:  La  supersti- 
zione socialista,  pubblicato  dal  Garofalo. 


CONCLUSIONE  293 


blando  le  condizioni  sociali,  secondo  gl'intenti  che  si  propone  il  socia- 
lismo, avremo  una  profonda  trasformazione  della  natura  umana  „(1). 

Or  noi  non  faremo  il  torto  ai  riformatori  odierni  di  supporre 
che  essi  vogliano  riprodurre  sotto  una  forma  nuova  il  vecchio  afo- 
risma di  Rousseau  :  che  l'uomo  nasce  buono  e  la  società  lo  rende 
cattivo.  Poiché,  per  accettare  incondizionatamente  questo  giudizio, 
bisogna  anche  ammettere  che  la  società  non  sia  il  risultato  della 
naturale  e  spontanea  attività  degli  uomini,  ma  siasi  costituita  per 
influenza  di  un  ente  sovrumano  od  extraumano,  che  si  è  divertito 
a  darci  leggi,  istituti  e  consuetudini,  che  hanno  attossiccato  e 
sconvolto  la  bontà,  la  generosità,  la  magnaminità  innate  della 
stirpe  di  Adamo.  Non  crediamo  neppure  che  i  socialisti  moderni 
pensino  che  la  presente  organizzazione  sociale  risponda  solo  agli 
istinti  di  altre  razze,  di  altre  generazioni  umane,  il  cui  senso  mo- 
rale dovea  essere  molto  più  basso  di  quello  della  generazione  con- 
temporanea, la  quale,  nobile  ed  elevata  come  è,  sentirebbe  urgente 
il  bisogno  di  liberarsi,  come  da  una  tunica  di  Nesso,  degli  istituti 
ereditati  dai  suoi  poco  scrupolosi  maggiori.  Dappoiché,  ammesso 
questo  modo  di  applicare  le  teorie  evoluzioniste  alle  società  umane, 
ammesso  che  la  selezione  abbia  da  qualche  secolo  ad  ora  sensibil- 
mente rialzato  il  livello  medio  della  moralità,  bisogna  anche  am- 
mettere che  il  progresso  morale  già  ottenuto  a\i'ebbe  dovuto  sen- 
sibilmente diminuire,  anziché  aumentare,  gì'  inconvenienti  della 
organizzazione  borghese. 

Or  ciò  non  é  evidentemente  accaduto:  gli  uomini  non  sono  di- 
ventati, stando  anche  a  quello  che  dicono  i  socialisti,  meno  egoisti 
e  duri  di  cuore.  Giacché,  se  il  contrario  fosse  vero,  se  un  atomo 
dell'utile  proprio  non  avesse  spesso  per  loro  ugual  peso  di  una 
gran  somma  d'interessi  e  di  dignità  altrui,  se  tutta  una  società 
fosse  nella  sua  gran  maggioranza  composta  di  persone  giuste  e 
compassionevoli,  di  gente  retta  ed  intera,  come  piaceva  al  Signore 
d'Israele  e  come  certo  sarebbe  piaciuta  ai  signori  Marx  e  Lassalle, 
verrebbero  ridotti  ai  minimi  termini  tutti  quei  funesti  risultati 
del  rapace  capitalismo  e  della  disperata  concorrenza,  i  quali  dagli 
autori  ora  citati  sono  stati  con  si  rara  maestria  rilevati  (2). 


(1)  Lo  scrisse  il  Bebel  nel  suo  libro  :  La  donna  ed  il  socialismo. 

(2)  Il  mondo  potrebbe  diventare    un    Eden  anche  con  la   presente    organiz- 
zazione borghese  se  ogni  capitalista  si  contentasse  di  un  onesto   e    moderato 


294  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Sicché  l'interpretazione  più  positiva,  che  si  possa  ora  dare  al- 
l'antica dottrina  di  Rousseau,  è  quella  che  viene  appunto  seguita 
da  moltissimi  fra  coloro  che  militano  nelle  file  del  partito  collet- 


guadagno  e  non  cercasse  di  rovinare  i  suoi  emuli,  di  spremere  quanti  soldi 
può  dalla  tasca  del  consumatore,  di  far  colare  l'ultima  stilla  di  sudore  dalla 
fronte  dell'operaio.  Nello  stesso  tempo  il  proprietario  di  terre  dovrebbe  colti- 
vare diligentemente  i  suoi  campi  e  trarne  il  puro  necessario  per  la  sua  frugale 
sussistenza,  senza  profittare  delle  oscillazioni  del  mercato  per  vendere  più  cari 
gli  oggetti  di  prima  necessità.  Il  mercante  dovrebbe  pure  trarre  dalla  merce 
solo  una  quota  limitata  e  fissa  di  profitto  e  non  dovrebbe  mai  abusare  della 
inesperienza  del  compratore  per  vendere  più  caro  e  frodarlo  sulla  qualità  e 
sulla  quantità  dei  diversi  generi.  L'operaio  ed  il  contadino  dovrebbero  lavo- 
rare coscienziosamente  per  i  loro  padroni,  ne  più  ne  meno  di  come  farebbero 
per  conto  proprio,  senza  mai  ingannarlo,  rubacchiarlo  e  farsi  pagare  la  gior- 
nata ad  ufo.  Tutti  poi,  invece  di  spendere  il  loro  superfluo  o  le  loro  economie 
in  un  fasto  insultante,  in  soddisfazioni  di  vanità,  in  vizi  e  bagordi,  dovrebbero 
andare  in  traccia  dei  più  miseri,  dei  più  inetti  a  guadagnarsi  la  vita  per  soc- 
correrli. In  maniera  che  per  una  mano  che  si  stendesse  per  domandare  aiuto, 
dieci  dovebbero  offrirsi,  pronte  e  volonterose,  per  darlo. 

Il  George,  che  fu  certamente  un  nobile  cuore  ed  un  acuto  ingegno,  credette 
che  sia  il  sistema  della  concorrenza,  e  più  px-ecisamente  il  pericolo  di  mancare 
del  necessario  in  cui  taluno  è  messo  da  questo  sistema,  ciò  che  produce  tutti 
i  mali,  che  noi  imputiamo  all'egoismo  ed  alla  mancanza  di  giustizia  e  di  carità 
della  maggior  parte  degli  uomini. 

Quest'autore,  nel  Progresso  e  Povertà,  opera  nella  quale  sostiene  questa  tesi, 
citò  l'esempio  di  ciò  che  avviene  in  una  tavola  ben  servita,  dove,  siccome  ogni 
commensale  sa  che  ci  è  roba  sufficiente  per  tutti,  cerca  di  essere  gentile  coi 
vicini  e  si  evita  così  la  gara  ignobile  di  arraffare  i  buoni  bocconi  e  nessuno 
cerca  di  avere  una  quantità  di  cibo  maggiore  degli  altri. 

Ora  noi  crediamo  che  il  paragone  non  regga.  E  prima  di  tutto  non  in  tutte 
le  tavole  bene  servite  il  contegno  dei  commensali  è  così  corretto  come  il  George 
descrive.  In  secondo  luogo  poi  è  da  osservare  che  l'appetito  materiale  è  ne- 
cessariamente limitato  (Sancio  Panza  diceva  che  tre  volte  al  giorno  mangia 
il  povero  e  tre  volte  al  giorno  può  mangiare  il  ricco),  sicché  in  una  tavola 
ben  imbandita  chiunque  può  trovar  modo  di  saziare  la  sua,  anche  straordi- 
naria, voracità  senza  usurpare  la  porzione  degli  altri.  Così  non  è  quando  non 
si  tratta  più  di  un  banchetto  materiale,  ma  del  banchetto  allegorico  della 
vita.  Allora  la  voglia  di  imporsi  agli  altri,  di  soddisfare  i  propri  capricci,  le 
proprie  passioni,  le  proprie  libidini,  può  essere  sciaguratamente  illimitata  ed 
insaziabile;  sicché  uno  solo  cercherà  di  avere  dieci,  cento,  mi' le  porzioni,  per 
potere,  distribuendole  agli  altri,  ridurli  alle  sue  voglie,  nella  lotta  per  la  pre- 
minenza avendo  il  trionfo  chi  può  dispensare  più  largamente  i  mezzi  coi  quali 
si  soddisfano  i  bisogni  ed  i  vizi  umani. 

Sicché,  se  ad  ognuno  si  assicurasse  un  minimum  per  provvedere  alle  prime 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  295 


ti  vista  o  anche  fra  gli  anarchici.  Essi  credono  infatti  che  il  lavorio 
naturale  della  selezione  sia  profondamente  disturbato  e  j)ervertito 
nelle  presenti  società  borghesi  e  che  esso  potrà  liberamente  agire 
ed  avere  i  suoi  benefici  effetti  solo  quando  saranno  attuati  quei 
programmi,  che  variano  secondo  le  diverse  scuole  riformatrici. 
Ragionando  in  questo  modo  è  evidente  che  si  sconta  una  spe- 
ranza^ che  non  si  potrà  mai  provare  anticipatamente  se  sarà  rea- 
lizzata, che  si  calcola  sopra  un  progresso  morale  che  si  asserisce 
che  si  raggiungerà,  per  attuare  un  tipo  di  organizzazione  sociale, 
che  lo  suppone  di  già  raggiunto  e  che  potrebbe  forse  funzionare 
soltanto  quando  fosse  raggiunto.  Non  si  farebbe  infine  che  rin- 
novare, in  grande  e  con  effetti  più  disastrosi,  l'errore  al  quale  dob- 
biamo principalmente  i  danni  presenti  del  Parlamentarismo. 

Ma  in  verità,  se  lo  studio  spassionato  della  storia  ci  può  dire 
qualche  cosa,  esso  c'insegna,  come  crediamo  di  avere  dimostrato 
al  capitolo  VII  di  questo  lavoro,  che  è  assai  difficile  il  modificare 
sensibilmente  il  livello  morale  medio  di  tutto  un  popolo  che  abbia 
già  raggiunto  da  un  pezzo  un  grado  elevato  di  civiltà,  e  che 
l'influenza,  che  i  diversi  tipi  di  organizzazione  sociale  e  politica 
possono  avere  in  queste  modificazioni,  è  certo  minore  di  quanto 
immaginano  i  novatori  d'oggidì.  C'insegna  inoltre  che  tutte  le 
volte  che,  nel  corso  dei  secoli,  quest'influenza  si  è  esplicata  in 
modo  benefico,  questo  si  è  ottenuto  perchè  l'arbitrio  individuale  e 
collettivo  di  coloro  che  avevano  in  mano  un  potere  è  stato  frenato 
e  controllato  da  altri  uomini  posti  in  condizioni  di  assoluta  indi- 
pendenza e  di  nessuna  comunanza  d'interessi  con  coloro  che  dove- 
vano controllare.  E  stato  necessario  ed  indispensabile  perciò  che 
siasi  potuta  avere  la  moltiplicità  delle  forze  politiche,  che  pa- 
recchie fossero  le  vie  colle  quali  si  arrivava  ad  acquistare  l'impor- 
tanza sociale  e  che  le  diverse  forze  politiche  fossero  rappresentate 
nel  reggimento  dello  Stato.  Il  collettivismo  ed  il  comunismo,  come 
tutte  le  dottrine  basate  sulle  passioni  e  la  fede  cieca  delle  masse, 
tendono  a  distruggere  l'accennata  moltiplicità  delle  forze  poli- 
tiche e,  riducendo  ogni  potere  in  mano  ai  soli  eletti  del  popolo, 


necessità  della  vita,  la  questione  sociale  non  sarebbe  risoluta.  Si  contentereb- 
bero di  quel  minimum  solo  i  più  deboli  ed  i  più  poltroni,  quelli  cbe  in  ogni 
caso  sarebbero  i  più  disadatti  alla  lotta  per  la  preminenza,  e  gli  altri  conti- 
nuerebbero a  farsi  una  concorrenza  accanita. 


296  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

abolendo  per  giunta  la  ricchezza  individuale,  che  in  tutte  le  so- 
cietà mature  ha  fornito  spesso  il  mezzo  d'acquistare  indipendenza 
e  prestigio  senza  il  concorso  dei  reggitori  dello  Stato,  non  pos- 
sono condurre  che  alla  menomazione  della  difesa  giuridica,  a  ciò 
che  in  linguaggio  povero  si  chiama  la  tirannia  dei  governanti  sui 
governati.  Quella  tirannia,  ch'è  stata  sempre  il  risultato  pratico  di 
tutte  le  dottrine  politiche  sempliciste,  che,  non  osservando  quanto 
vi  sia  di  complicato  e  difficile  nella  natura  umana,  hanno  voluto 
adattare  l'organizzazione  sociale  ad  un  solo  concetto  unilaterale 
ed  assoluto  ed  hanno  voluto  stabilirla  sopra  un  principio  esclu- 
sivo, sia  stato  esso  quello  della  volontà  di  Dio,  interpretata  dai 
suoi  ministri  e  dai  suoi  vicari  terrestri,  o  quello'  della  volontà  del 
popolo,  esercitata  per  mezzo  dei  suoi  rappresentanti. 

Certo,  per  quanto  una  sana  dottrina  politica  possa  suggerire  ri- 
medi legislativi  ed  indicare  quell'indirizzo  atto  a  diminuire  al- 
quanto le  ingiustizie  sociali;  per  quanto  i  congegni  della  difesa 
giuridica  possano  esser  migliorati  in  modo  da  moderare  l'oltraco- 
tanza  degli  uomini  investiti  dei  pubblici  poteri;  i  benefìci  che  da 
tutte  le  riforme  inspirate  a  questi  criteri  si  potrebbero  avere  sono 
sempre  ben  poca  cosa  di  fronte  a  quell'era  di  felicità,  di  ugua- 
glianza, di  giustizia  universale,  che  le  varie  scuole  socialiste  im- 
plicitamente od  esplicitamente  promettono  ai  loro  seguaci.  I  detti 
benefìci  corrispondono  ai  pochi  e  dubbi  anni  di  discreta  sanità 
fìsica  che  un  coscienzioso  medico  j)uò,  con  le  debite  riserve,  ga- 
rantire ai  suoi  clienti;  premio,  invero,  molto  scarso  di  una  diuturna 
osservanza  di  tutte  le  norme  igieniche,  specialmente  se  vien  pa- 
ragonato alla  pronta  e  sicura  guarigione  di  tutti  i  malanni  ed 
alla  vita  quasi  secolare  che  viene  promessa  dall'elisir  del  ciar- 
latano. 

Chiediamo  sinceramente  venia  di  un  ravvicinamento,  che  certo 
dal  lato  morale  non  è  applicabile  ad  uomini  che  in  buona  fede 
sostengono  le  loro  idee;  ma  osserviamo  che  potrebbe  darsi  benis- 
simo che  il  medico  dimostrasse  la  fallacia  dell'elisir  e  che  il  ciar- 
latano lo  sfidasse  di  rimando  ad  inventarne  un  altro,  che  avesse 
realmente  quella  virtù  che  dovea  esser  contenuta  nel  suo.  Siamo 
certi  che  il  medico  risponderebbe  che,  appunto  perchè  egli  co- 
nosce quale  sia  la  moltiplicità  dei  germi  patogenici  e  quanto  siano 
varie  e  numerose  le  cause  che  possono  deteriorare  il  delicato  or- 
ganismo del  corpo  umano,  non  pretenderà  mai   di  trovare  il  ri- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  297 

medio  universale  e  sicuro  di  tutte  le  malattie,  poiché,  se  sempli- 
cemente lo  tentasse,  scenderebbe  subito  al  livello   del   ciarlatano. 

XIII.  —  Grli  anarchici,  come  abbiamo  già  notato,  fondano  la 
loro  critica  demolitrice  delle  istituzioni  vigenti  sulle  stesse  pas- 
sioni, sullo  stesso  ordine  di  osservazioni  e  d'idee,  che  costituiscono 
la  base  della  propaganda  collettivista  ;  con  questa  differenza  sol- 
tanto, che  essi  sono  ordinariamente  più  violenti,  e  qualche  volta 
addirittura  feroci,  non  solo  negli  atti,  ma  anche  nelle  parole  (1). 
Negli  ideali  che  si  propongono  di  attuare,  si  distinguono  però 
profondamente  da  tutte  le  scuole  socialiste.  Mentre  queste,  in- 
fatti, per  abolire  od  attenuare  notevolmente  le  ingiustizie  e  le 
disuguaglianze  che  si  lamentano  nel  mondo,  vorrebbero  modifi- 
care, sia  pure  radicalmente,  l'organizzazione  presente  della  società, 
gli  anarchici,  saggiamente  argomentando  che,  con  qualunque  tipo 
di  organizzazione  sociale,  vi  sarebbero  sempre  le  disparità  di  con- 
dizione fra  gli  uomini,  e  continuerebbero  a  coesistere  i  dominatori 
ed  i  dominati,  o,  come  essi  dicono,  gli  sfruttatori  e  gli  sfruttati, 
propugnano  la  distruzione  di  ogni  società  organizzata.  Fanno  come 
colui  che,  avendo  scoperto  che  nessun  morigerato  tenore  di  vita 
può  assicurare  una  salute  perfetta,  ricorre,  come  rimedio  sicuro 
contro  ogni  possibilità  di  malattia,  al  suicidio. 

Seguaci  più  logici  e  più  rigorosi  del  padre  di  tutti  i  novatori 
moderni,  ossia  di  Giangiacomo  Rousseau,  i  partigiani  dell'anarchia 
ritengono  dunque  che,  essendo  la  società  organizzata  l'origine  di 
tutti  gli  abusi,  questi  non  possano  venir  altrimenti  eliminati  che 
con  una  disorganizzazione  completa  del  consorzio  umano,  ossia 
con  un  ritorno  allo  stato  di  natura.  Ma  con  ciò  non  fanno  che 
ripetere,  forse  inconsciamente,  un  errore  del  loro  maestro;  poiché 
la  verità  è  che  lo  stato  naturale  dell'uomo,  come  del  resto  quello 
di  molti  altri  animali,  non  è  il  disgregamento  individuale,  ma  la 


(1)  Ci  è  capitata,  tra  le  tante,  sotto  gli  occhi  una  pubblicazione  di  un 
anarchico  italiano,  nella  quale  si  raccomanda  ai  lavoratori  di  sterminare,  nel 
giorno  della  loro  vittoria,  non  solo  i  borghesi  adulti  presi  colle  armi  alla 
mano,  ma  anche  i  vecchi  inermi,  le  donne  e  i  bambini  di  due  o  tre  anni,  di 
trattarli  insomma  come  gli  antichi  Ebrei  trattavano  i  vinti,  quando  erano 
espressamente  colpiti  dall'interdetto  di  Jahveh.  La  forma  di  questa  pubblica- 
zione è  tale  che  rivela  nel  suo  autore  buona  cultura  ed  anche  una  discreta 
intelligenza! 


298  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

società,  che  può  esser  soltanto  più  o  mono  vasta,  più  o  meno  or- 
ganizzata. Il  supporre  quindi  che  un  fatto  cosi  universale,  come 
è  quello  tanto  facilmente  constatabile  che  tutti  gli  uomini  vivono 
socialmente,  sia  dovuto  all'interesse  ed  alla  furberia  di  pochi,  è  un 
concetto  che,  certo  non  noi  per  i  primi,  ci  i)ermettiamo  di  definire 
come  assurdo  ed  infantile.  Aristotile,  che  visse  ventuno  secoli 
prima  del  filosofo  e  romanziere  ginevrino,  ebbe  una  percezione 
infinitamente  più  chiara  e  precisa  della  vera  natura  dell'uomo 
quando  scrisse  che  questi  è  un  animale  politico.  Mu  le  facoltà  in- 
tellettuali del  peripatetico  greco  probabilmente  non  furono  mai 
turbate  né  da  un  puntiglioso  amor  proprio,  ne  dalla  vanità  lette- 
raria; e  si  può  anche  supporre  che  la  i)rotezione  dei  sovrani  di 
Macedonia,  o  il  saper  bastare  ai  propri  bisogni,  lo  abbiano  sot- 
tratto alla  necessità  di  inasprirsi  il  carattere  e  guastarsi  il  fegato 
stando  vicino  a  persone  spesso  frivole,  qualche  volta  pettegole, 
quasi  sempre  di  condizione  sociale  superiore  (*). 

Nel  fatto,  ammesso  che  l'ipotesi  anarchica  si  avverasse,  che 
fosse  distrutto  perciò  il  tipo" odierno  di  organizzazione  sociale,  che 
non  ci  fossero  più  nazioni  né  Governi,  che  fossero  spazzati  via 
gli  eserciti  stanziali,  la  burocrazia,  le  Camere,  e  sopratutto  i  poli- 
ziotti e  le  carceri,  resterebbe  sempre  la  necessità  di  vivere,  e  perciò 
di  usare  delle  terre  e  degli  altri  strumenti  di  produzione  e  reste- 
rebbero sempre  le  armi  ed  i  caratteri  intraprendenti  ed  arditi  dis- 


(*)  Si  aggiunga  che  nella  sua  giovinezza  Rousseau,  che  pure  proveniva  da 
una  onorevole  famiglia  ginevrina  e  ne  aveva  ereditato  gli  istinti  onesti  e 
corretti,  per  la  sua  leggerezza,  per  la  poca  attitudine  ad  un  lavoro  modesto 
e  proficuo,  per  l'abbandono  in  cui  fu  lasciato  dal  padre,  decadde  moralmente 
al  punto  da  diventare  per  circa  dieci  anni  il  mantenuto,  non  sempre  bene  ac- 
cetto, di  madama  di  Warens.  Recenti  studi  hanno  messo  in  nuova  luce  la  figura 
non  solo  equivoca  ma  addirittura  losca  di  questa  signora,  e  pare  ornai  accer- 
tato che,  mentre  conviveva  con  Rousseau,  abbia  esercitato  lo  spionaggio  anche 
ai  danni  di  Ginevra,  però  nello  stesso  tempo  non  si  può  ad  essa  negare  una 
certa  bontà  d'animo  e  per  Gian-Giacomo  fu  certo  una  vera  benefattrice. 

Indubbiamente,  nell'età  matura,  la  coscienza  della  bassezza  morale  nella  quale 
era  caduto  in  gioventìi  dovette  essere  uno  dei  più  acuti  tormenti  del  filosofo 
ginevrino;  e,  non  potendo  o  non  volendo  imputare  a  se  stesso,  a  suo  padre 
ed  a  madama  di  Warens  le  cause  di  questo  suo  abbassamento  morale,  le  ad- 
debitò senz'altro  alla  società.  Questa,  secondo  noi,  è  la  vera  spiegazione  psi- 
cologica del  concetto  fondamentale  che  serve  di  base  a  tutto  il  sistema  poli- 
tico e  sociale  di  Rousseau  :  l'uomo  nasce  buono  e  la  società  lo  rende  cattivo. 


CONCLUSIONE  299 


posti  ad  usarne  per  asservire  altri.  Dati  questi  elementi,  si  costi- 
tuirebbero subito  piccoli  nuclei  sociali,  in  cui  molti  lavorerebbero 
e  pochi  armati  ed  organizzati  li  spoglerebbero  o  tutelerebbero, 
vivendo  in  ogni  modo  alle  loro  spalle;  si  tornerebbe  cioè  a  quel 
tipo  di  organizzazione  semplice  e  primitivo,  nel  quale  ogni  gruppo 
di  armati  è  padrone  assoluto  di  un  cantuccio  di  terra  e  dei  suoi 
coltivatori,  dato  che  lo  sappia  conquistare  e  difendere  con  le  pro- 
prie armi;  tipo  che  noi  abbiamo  chiamato  feudale.  Accadrebbe, 
infine,  ciò  che  accadde  in  Europa,  quando  la  dissoluzione  dell'im- 
pero di  Carlo  Magno  finì  di  disgregare  quel  tanto  di  organizza- 
zione sociale  che  era  sopravvissuto  alla  caduta  dell'Impero  ro- 
mano, ciò  che  accadde  nell'India  quando  i  successori  del  Grran 
Mogol  furono  ridotti  all'impotenza,  ciò  che  accadrà  in  ogni  società 
di  cultura  avanzata  che,  per  cagioni  interiori  od  esteriori,  si  dis- 
grega e  discioglie. 

Certo  coloro  che  si  sentono  baldi  e  forti  e  non  hanno  nulla  da 
perdere  si  avvantaggerebbero  di  un  simile  rivolgimento,  che  da- 
rebbe la  preponderanza  come  forza  i^olitica  solo  alla  violenza  ed 
al  valor  personale;  ma  ne  sarebbe  danneggiata  l'immensa  mag- 
gioranza dei  pacifici,  forse  il  novanta  per  cento  degli  uomini,  che 
al  regno  del  pugno  preferisce  anche  una  imperfettissima  giustizia 
sociale,  un  po'  di  tranquillità  e  la  sicurezza  di  godere  almeno  una 
parte  dei  frutti  del  proprio  lavoro  (1). 

Per  non  far  nascere  fallaci  speranze  dobbiamo  intanto  osser- 
vare che  i  risultati,  che  il  trionfo  dell'anarchia  ci  farebbe  raggiun- 
gere, non  si  possono  ottenere  in  pochi  anni,  o  anche  in  qualche 


(1)  Mentre  la  maggior  parte  degli  anarchici  (per  es.  il  Gravk  nella  Société 
mourante  et  l'Anarchie)  credono  che  basti  abolire  la  proprietà  e  le  leggi  perchè 
gli  uomini  diventino  tutti  buoni,  qualche  altro  meno  ingenuo  arriva  a  con- 
chiusioni,  che  somigliano  molto  alle  nostre.  Così  un  certo  De  Goirmont  negli 
Entretiens  politiqiies  et  littéraires  (aprile  1892,  pag.  147),  scrive  :  "  Data  la 
mancanza  di  qualsivoglia  legge,  l'ascendente  degli  uomini  superiori  diverrebbe 
unica  legge  ed  il  loro  giusto  dispotismo  sarebbe  incontestato.  Questo  dispo- 
tismo è  necessario  per  mettere  la  museruola  agli  imbecilli:  l'uomo  senza  in- 
telligenza morde  „.  Noi  invece  di  uomini  superiori  diremmo  i  piìi  forti,  invece 
di  imbecilli  i  più  deboli,  e  nel  resto,  tranne  il  punto  di  vista  completamente 
diverso,  siamo  d'accordo. 

Questa  citazione  l'abbiamo  trovata  nell'importante  lavoro  del  Sernicoli  in- 
titolato L'anarchia  e  (/li  anarchici,  a  pag.  70  del  volume  secondo. 


300  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

generazione.  Giacche,  se  occorsero  molti  secoli  per  arrivare 
dalla  barbarie  al  f^rado  presente  di  civiltà,  ne  deve  i>a.ssare  pure 
qualcuno  perchè  una  società  vada  perdendo  le  abitudini  civili  e 
ritorni  in  uno  stato  di  relativa  barbarie.  Che  se  poi  si  volesse 
addirittura  tornare  alla  barbarie  assoluta,  allo  stato  delle  tribù, 
che  vivono  di  caccia,  di  inesca,  di  agricoltura  nomade,  allora  ci 
vorrà  un  tempo  anche  maggiore;  (luello  cioè  che  occorre  perchè 
la  vecchia  e  popolatissima  Europa  si  riduca  ad  una  popolazione 
che  sia  appena  un  ventesimo  di  quella  presente.  A  meno  che,  per 
far  presto,  i  fautori  dell'anarchia,  oltre  a  sterminare  i  borghesi  e, 
come  essi  dicono,  i  loro  satelliti  e  sicofanti,  non  vorranno  pure 
distruggere  violentemente  la  grandissima  maggioranza  di  quegli 
sfruttati,  sulla  sorte  dei  quali  ora  spargono  tante  lagrime  (1). 

XIV.  —  Una  dottrina  comune  a  tutti  i  partiti  novatori,  siano 
essi  anarchici  o  semplicemente  socialisti,  è  quella  della  cosi  detta 
lotta  di  classe.  Questa  dottrina,  svolta  abbastanza  largamente  per 
la  prima  volta  dal  Marx,  è  uno  dei  migliori  cavalli  di  battaglia 
di  tutti  coloro  che  attaccano  l'ordinamento  presente  della  società  ; 
occorre  perciò  dirne  qualche  cosa. 


(1)  Fra  i  romanzi  pubblicati  verso  la  fine  del  secolo  scorso  che  descrivono 
come  sarà  il  mondo  dopo  il  trionfo  delia  rivoluzione  sociale,  ce  ne  è  uno, 
pochissimo  conosciuto  in  Europa,  che,  per  quanto  anch'esso  fantastico,  ci  pare 
esprima  un  concetto  piii  inspirato  alla  realtà  e  quindi  più  pessimista  di  quelli 
più  divulgati. 

Il  romanzo  s'intitola  Caesar's  Column  (la  colonna  di  Cesare),  e  fu  pubblicato 
a  Melbourne  nel  1892  (editore  Cole),  il  suo  vero  autore  si  nasconde  sotto  il 
pseudonimo  di  Edmund  Boisgilbert.  In  esso  si  descrive  il  trionfo  del  proleta- 
riato, che  avverx'à  fra  qualche  secolo  sulla  plutocrazia,  quando  ''  un  giorno  di 
giustizia  sociale  silderà  i  secoli  d'ingiustizia  borghese  „.  Eccone  la  descrizione 
sommaria:  Cesare  Loinellini,  il  capo  dei  proletari,  s'impadronisce  dei  tesori, 
dei  vini  e  delle  donne  del  principe  dei  plutocrati  Cabanus  e  li  proclama  suoi 
abbandonandosi  all'orgia  ed  alle  crudeltà.  Una  tremenda  carneficina  intanto 
insanguina  l'Europa,  l'America  e  l'Australia  ed  i  lavoratori  vittoriosi,  dopo 
avere  ammazzato  i  plutocrati  ed  i  loro  satelliti  ed  aver  consumato  le  provvi- 
gioni accumulate,  si  ammazzano  fra  di  loro  finche  tre  quarti  della  popolazione 
e  l'intera  civiltà  periscono.  Il  romanzo  si  chiude  con  la  erezione  di  una  co- 
lonna di  teschi  ed  ossa  umane  (Caesar's  Column)  che  Lomellini  fa  erigere  a 
memoria  dell'avvenimento,  nella  quale  una  iscrizione  scongiura  i  posteri,  nel 
caso  che  vogliano  fondare  nuove  civiltà,  ad  evitare  le  corruzioni,  le  iniquità, 
le  menzogne,  che  causarono  la  rovina  di  quella  ora  vigente. 


CONCLUSIONE  301 


E  prima  di  tutto  facciamo  rilevare  che  essa  è  fondata  sopra  un 
esame  incompleto,  unilaterale  e  tendenzioso  della  storia,  col  quale 
si  vorrebbe  provare  che  tutta  l'attività  delle  società  civili  siasi 
finora  esplicata  negli  sforzi  che  hanno  fatto  le  classi  dominatrici 
per  mantenersi  al  potere  e  sfruttarlo  a  loro  vantaggio  e  in  quelli 
delle  classi  basse  tendenti  a  scuotere  questo  giogo.  Or  ritroviamo 
nel  passato  di  tutti  i  popoli  importantissimi  fatti  sociali,  che  non. 
possono  essere  contenuti  in  verun  modo  nella  vernice  angusta  di 
questo  quadro.  Ad  esempio,  la  lotta  della  Grecia  contro  la  Persia, 
quella  di  Roma  contro  Cartagine,  l'immensa  diffusione  del  Cri- 
stianesimo e  del  Maomettismo,  le  Crociate  e  lo  stesso  risorgimento 
della  nazionalità  italiana,  che,  come  diceva  un  arguto  e  coltissimo 
economista,  piuttosto  che  a  fattori  economici,  fu  dovuto  alla  in- 
fluenza esercitata  dai  poeti  e  dai  romanzieri  (1). 

Venendo  poi  alle  gare  civili,  che  dovrebbero  a  preferenza  essere 
determinate  dalla  lotta  di  classe,  osserviamo  che  anche  in  questo 
punto  il  fenomeno  sociale  è  posto  in  luce  dai  socialisti  in  modo 
parziale  e  quindi  errato.  Troviamo  di  quando  in  quando  nella 
storia  esempi  di  insurrezioni  violente  delle  classi  più  povere  o  di 
frazioni  di  queste,  come  furono,  ad  esempio,  le  ribellioni  degli  Iloti 
a  Sparta  e  quelle  degli  schiavi  a  Roma,  le  Jacqueries  della  Francia 
ed  altri  moti  contadineschi  e  dei  minatori,  che  sono  scoppiati  nei 
secoli  scorsi  in  Grermania,  in  Inghilterra  ed  anche  in  Russia.  Essi 
sono  stati  occasionati  o  da  oppressioni  inusitate  e  veramente  in- 
tollerabili o,  più  di  frequente,  da  disordini  degli  Stati  all'origine 
dei  quali  gli  insorti  erano  rimasti  estranei,  ma  che  avevano  loro 
offerto  il  destro  di  avere  delle  armi  e  un  principio  di  organizza- 


ci) TI  giudizio  sul  risorgimento  italiano  l'abbiamo  inteso  esprimere  dal 
prof.  Messedaglia.  Sugli  altri  esempi  da  noi  addotti  si  può  osservare  che, 
quando  Annibale  venne  in  Italia  e  riportò  diverse  vittorie  sui  Romani,  in 
molte  città  italiche  la  plebe  cominciò  a  parteggiare  per  il  duce  cartaginese, 
mentre  i  patrizi  in  generale  si  mantenevano  fedeli  a  Roma;  ciò  che  si  spiega 
facilmente  perchè  i  poveri  sono  sempre  più  desiderosi  di  novità  ed  hanno 
anche  meno  tatto  politico  delle  classi  dirigenti.  Anche  per  le  Crociate  si  può 
dire,  che,  specialmente  verso  la  fine  di  esse,  al  fanatismo  religioso  si  mescolò 
l'amore  del  lucro,  ma  però  il  constatare  in  un  fenomeno  sociale  l'esistenza 
di  un  coefficiente  economico  non  significa  già  che  esso  sia  il  principale  e 
molto  meno  vuol  dire  che  esso  abbia  determinato  il  nascere  del  fenomeno 
stesso. 


302  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

zione.  Ad  o^ni  modo  però  è  certo  che  tutti  i  movimenti  ai  quali 
lianno  preso  parte  esclusivamente  le  sole  classi  che  vivono  di  la- 
voro manuale,  sono  stati  sempre  con  una  relativa  facilità,  e  tal- 
volta con  crudeltà,  repressi,  e  che  quasi  mai  hanno  contribuito  a 
migliorare  stabilmente  le  condizioni  di  queste  classi.  Le  solo  lotte, 
cruenti  od  incruenti,  che  hanno  avuto  il  risultato  pratico  di  mo- 
dificare l'ordinamento  delle  società  e  sopratutto  la  composizione 
delle  classi  dirigenti,  sono  state  quelle  che  nuovi  elementi  d'in- 
fluenza e  nuove  forze  politiche,  sorte  nel  seno  della  classe  gover- 
nata ma  che  rappresentavano  numericamente  una  frazione  minima 
di  essa,  hanno  impegnato  per  ottenere  quella  partecipazione  al 
governo  dello  Stato,  che  esse  credevano,  e  forse  era,  loro  ingiu- 
stamente ostacolata. 

Fu  così  che  le  famiglie  più  ricche  della  plebe  romana,  escluse 
dal  consolato  e  da  altre  cariche  cospicue,  ingaggiarono  nel  quinto 
e  quarto  secolo  avanti  l'èra  volgare  quella  lotta  con  l'antico  pa- 
triziato, che  ebbe  per  effetto  la  costituzione  di  una  classe  diri- 
gente più  larga,  fondata  sul  criterio  del  censo  anziché  su  quello 
esclusivo  della  nascita,  classe  che  formò  la  nobiltà  degli  ultimi 
secoli  della  Repubblica.  Fu  pure  cosi  che  quella  parte  del  terzo 
stato  francese,  che,  durante  il  secolo  scorso,  aveva  acquistato  ric- 
chezze quasi  uguali  e  cultura  ed  attitudine  di  governo  anche  su- 
periore a  quelle  della  nobiltà  ebbe,  dopo  la  Rivoluzione,  aperto 
l'accesso  a  tutte  le  cariche  pubbliche.  E,  se  è  vero  che,  tanto  nel- 
l'uno che  nell'altro  caso,  la  massa  dei  governanti  ebbe  a  godere 
i  vantaggi  di  una  maggiore  difesa  giuridica,  ciò  avvenne  perchè 
i  suoi  interessi  si  trovarono  concordi  con  quelli  delle  nuove  forze 
politiche,  che  richiedevano  l'ammissione  nella  classe  governante; 
avvenne  perchè  queste  nuove  forze,  per  ottenere  il  loro  intento, 
dovettero  propugnare  principi!  di  utilità  sociale  e  di  giustizia, 
l'applicazione  dei  quali,  se  giovava  più  direttamente  a  loro,  gio- 
vava pure  ai  membri  più  umiK  del  civile  consorzio.  Certo  anzi 
non  si  può  disconoscere  che  questo  che  abbiamo  accennato  sia 
uno  dei  tanti  modi  coi  quali  il  sorgere  di  nuovi  elementi  d'in- 
fluenza sociale  può  migliorare  e  rendere  più  equi  i  rapporti  fra 
governanti  e  governati;  ma  ciò  non  vuol  dire  che  qualche  volta 
sia  avvenuto,  o  possa  avvenire,  che  l'intiera  massa  dei  governati, 
di  fatto  non  di  diritto,  si  sostituisca  o  venga  messa  a  pari  alla 
minoranza  governante,  che  finisca  perciò  la  distinzione  fra  quella 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  303 


che  i  socialisti  chiamano   classe  sfruttatrice  e  la  classe   che   essi 
dicono  sfruttata. 

Resta  a  vedere  poi  se  sia  esatta  questa  divisione  della  società, 
di  cui  tanto  scrivono  e  che  tanto  vanno  predicando,  in  una  classe 
parassita,  che  nulla  contribuisce  alla  produzione  ed  al  benessere 
sociale  e  ne  gode  la  parte  migliore,  ed  una  classe,  che  tutto  fa, 
tutto  produce  e  che  viene  rimunerata  appena  col  necessario  alla 
vita  e  qualche  volta  neppure  con  questo.  Ora,  neppure  isolando 
completamente,  come  fanno  spesso  gli  economisti  ed  i  loro  av- 
versari socialisti,  i  fenomeni  riguardanti  la  produzione  e  la  distri- 
buzione della  ricchezza  da  tutti  gli  altri  fatti  sociali,  questo  modo 
di  vedere  risulta  perfettamente  conforme  alla  verità.  Giacché  se 
è  vero  che  è  il  capitale,  non  il  capitalista,  quello  che  fornisce 
agli  operai  i  mezzi  e  la  possibilità  di  un  lavoro  proficuo,  se  è 
pur  vero  che  è  la  terra,  non  il  proprietario  di  essa,  ciò  che  è  ne- 
cessaria al  contadino,  non  si  può  negare  che  l'individuo,  che  sa 
riunire  nelle  sue  mani  una  forte  quantità  di  capitale  e  sa  impie- 
garlo profìcuamente  a  scopo  industriale,  ed  il  proprietario  che  sa 
dirigere  bene  la  cultura  dei  suoi  fondi,  non  rendano  un  vero  ser- 
vizio sociale  aumentando  la  produzione  e  la  ricchezza;  servizio 
del  quale  è  perfettamente  giusto  che  abbiano  una  rimunerazione. 
Che  se  poi  guardiamo  l'insieme  dei  fenomeni  sociali,  se  teniamo 
presente  che  la  produzione  della  ricchezza  è  strettamente  legata 
al  grado  di  coltura  che  un  paese  ha  raggiunto,  alla  bontà  del  suo 
ordinamento  politico  ed  amministrativo,  allora  l'accusa  di  paras- 
sitismo leggermente  lanciata  all'intiera  classe  dirigente  composta 
di  proprietari,  di  capitalisti,  d'industriali,  d'impiegati,  di  professio- 
nisti, di  tutti  coloro,  insomma,  che  non  vivono  di  lavoro  manuale, 
ci  parrà  supremamente  ingiusta  e  tale  che  soltanto  dalla  più  cieca 
passione  può  essere  accolta  (1). 


(1)  Il  Loria  nel  suo  libro  Les  bases  économiques  de  ìa  consfitution  sociale 
(Paris,  1893,  Alcan  editore),  in  cui  riproduce  e  sviluppa  i  concetti  ai  quali 
avea  già  accennato  nel  suo  precedente  lavoro  :  La  teoria  economica  delia  Co- 
stituzione politica,  enumera  tra  i  lavoratori  improduttivi,  gl'impiegati,  i  ma- 
gistrati, gli  avvocati,  i  medici  ed  i  giornalisti  e  dice  che  l'opera  di  costoro, 
specialmente  l'opera  morale,  impiegata  a  vantaggio  del  capitale,  è  retribuita 
non  con  una  parte  del  capitale,  ma  con  una  larga  partecipazione  al  suo  red- 
dito. Secondo  l'A.  "  la  funzione   del   lavoro  improduttivo  è  di  garantire  i  de- 


304  ELKMENXl    I>1    dOIENZA    POLITICA 


Ora  infatti  che  la  ^^rande  industria  e  l'a^^ricoltura  hanno  bi- 
sogno ogni  giorno  di  più  delle  applicazioni  della  scienza,  ora  che 
la  x)roduzione  economica  è  basata  quasi  tutta  sugli  scambi  fra 
paesi  lontanissimi,  che  non  sono  possibili  se  gli  uomini  non  sono 
riuniti  in  grandi  nazioni  e  sotto  governi  sapientemente  organiz- 
zati, è  assurdo  l'asserire  che  tutto  è  prodotto  dai  lavoratori  ma- 
novali e  tutto  debba  loro  legittimamente  a]jpartenere;  è  iniquo 
dimenticare  i  servizi  che  rende  quella  classe  che  mantiene  la 
pace  e  l'ordine,  dirige  tutto  il  movimento  politico  ed  economico, 
conserva  e  fa  progredire  l'alta  cultura  scientifica  e  rende  possibile 
che  grandi  masse  umane  vivano  e  collaborino  insieme.  In  piena 
giustizia  non  si  può  negare  a  questa  classe  che  una  parte  non 
disprezzabile  della  produzione  economica  sia  consacrata  a  sosten- 
tarla con  tutta  quell'agiatezza,  che  è  necessaria  affinchè  conservi 
e  sviluppi  la  propria  superiorità  intellettuale  e  morale.  Giacché 
se  è  certo,  che  senza  la  cooperazione  dei  lavoratori  manovali, 
essa  sarebbe  condannata  a  decadere  e  forse  anche  a  perire,  è 
pure  certo  che,  senza  gli  elementi  dirigenti,  i  lavoratori  mano- 
vali cadrebbero  subito  in  uno  stato  di  barbarie,  che  farebbe  im- 
mensamente diminuire  la  produzione  economica  e  deteriorerebbe 
quindi  in  modo  grandissimo  il  loro  stato  morale  e  materiale.  Su 
questo  argomento  la  più  antica  lezione  di  sociologia,  l'apologo 
delle  membra  e  dello  stomaco,  che  Menenio  Agrippa  recitava, 
circa  ventiquattro  secoli  fa,  avanti  la  plebe  romana  adunata  sul 
Monte  Sacro,  resta  sempre  quella  che  meglio  risponde  alla  verità 
delle  cose  (1). 


tentori  del  reddito  contro  la  reazione  di  coloro,  che  sono  esclusi  dal  possesso 
della  terra  „  ;  e,  su  questo  argomento  dei  rapporti  tra  lavoratori  improduttivi  e 
proprietari  e  capitalisti,  cita,  qualche  pagina  avanti  al  brano  che  abbiamo 
riportato,  una  sentenza  di  Shakespeare  nella  quale  è  detto  che  *  quando  i 
furbacchioni  ricchi  hanno  bisogno  dei  furbacchioni  poveri,  questi  possono 
imporre  ai  primi  le  condizioni  che  piìi  loro  convengono  ,..  Evidentemente 
è  per  questa  ragione  che,  secondo  l'A.,  i  lavoratori  improduttivi  sono  così  lar- 
gamente rimunerati.  Vedi  opera  citata,  parte  3%  cap.  11,  pp.  172-74  e  anche 
le  seguenti. 

(1)  Ci  si  permetta  un  altro  paragone,  che  crediamo  calzante.  Se  si  osserva 
una  grande  nave  a  vapore,  di  quelle  che  rappresentano  gli  ultimi  perfezio- 
namenti dell'industria  e  della  scienza  moderna,  facilmente  possiamo  constatare 
che  essa  è  stata  costruita  mercè  la  cooperazione  di  capitalisti,  ingegneri  na- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  305 


Ciò  che  tutti  debbono  riconoscere,  e  che  nessuno  potrà  negare, 
è  che  nelle  classi  elevate  vi  è  buon  numero  di  parassiti  o  sfrut- 
tatori, che  molto  godono  e  molto  consumano  senza  rendere  alcun 
vero  servizio  sociale,  ne  di  direzione,  ne  di  esecuzione  ;  e  che  vi 
sono  in  esse  anche  elementi  che  profittano  della  loro  posizione 
per  trarre  una  rimunerazione  dei  loro  servizi  infinitamente  supe- 
riore ai  loro  meriti  reali.  A  questi  elementi  abbiamo  già  accen- 
nato fin  dal  capitolo  V  del  presente  lavoro,  quando  abbiamo  par- 
lato di  quelle  tali  forze  sociali,  che  tendono  sempre  con  la  loro 
soverchia  preponderanza  a  rompere  l'equilibrio  giuridico  a  loro 
vantaggio;  e  se  mal  non  ci  apponiamo,  abbiamo  nominato  come 
particolarmente  pericolosi  a  questo  riguardo  i  banchieri,  alcuni 
grossi  industriali  e  speculatori  e  generalmente  coloro  che  riuni- 
scono in  unica  mano  grosse  frazioni  di  capitale  mobiliare.  Però, 
osservando  questi  sfruttamenti,  che  avvengono  in  molti  paesi  me- 
diante le  famose  tariffe  protezioniste,  ed  in  alcuni  altri  anche 
mediante  i  privilegi  bancari,  dobbiamo  convenire  che  essi  sono 
esercitati  tanto  a  danno  delle  classi  lavoratrici  che  a  pregiudizio 
delle  frazioni  più  grosse  della  classe  dirigente;  sicché  anche  questa, 
nella  sua  grande  maggioranza,  paga  largamente  il  fio  della  sua 
debolezza  ed  ignoranza,  sopportando  sacrifìci  che  vanno  a  prò  di 
un  numero  piccolissimo  d'individui  (1). 


vali  ed  operai  e  funziona  mercè  la  cooperazione  di  un  certo  numero  di  uffi- 
ciali e  di  un  numero  più  grande  di  sem()lici  marinai  e  fuochisti.  Or  sarebbe 
giusto  che  questi  ultimi  insieme  agli  operai  costruttori,  come  rappresentanti 
la  parte  che  il  lavoro  manuale  ha  avuto  ed  ha  nella  costruzione  e  nel  fun- 
zionamento della  nave,  pretendessero  tutto  il  prodotto  della  stessa  e  giudicas- 
sero rubata  quella  parte  che  non  va  a  loro?  Evidentemente  no:  perchè  se, 
senza  gli  operai  ed  i  semplici  marinai,  i  capitalisti,  gl'ingegneri  e  gli  ufficiali 
non  potrebbero  ne  costruire,  ne  condurre  un  battello  a  vapore,  senza  la  coo- 
perazione dei  capitalisti,  degl'ingegneri  e  degli  ufficiali,  i  rappresentanti  del 
lavoro  manuale  non  avrebbero  saputo  fabbricare  altro  che  piccolissime  barche, 
colle  quali  avrebbero  potuto  esercitare  solo  la  pesca  ed  il  piccolo  cabotaggio, 
guadagnando  molto  meno  di  quanto  complessivamente  ritragi,'ono  dalla  costru- 
zione della  nave  a  vapore  e  dal  navigare  sopra  di  essa.  Se  applichiamo  l'e- 
sempio ai  vari  rami  dell'attività  sociale  si  vedrà  che  l'unione  della  ricchezza, 
della  cultura  superiore  e  del  lavoro  manuale  produce  ciò  che  complessivamente 
chiamasi  la  civiltà  e  migliora  complessivamente  le  condizioni  di  tutti. 

(1)  Si  potrebbe  agevolmente  dimostrare  che  il  protezionismo  non  pub  gio- 
vare ad  una  parte  della  produzione  nazionale   senza  che    nuocia  nello  stesso 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  530 


306  KLKMKNTl    DI    SCIENZA    POLITICA 

Del  resto  parassiti  e  sfruttatori  esistono  in  tutti  gli  strati  so- 
ciali, come  pure  in  tutti  i  gradini  della  scala  economica  e  ge- 
rarchica vi  sono  gli  sfruttati.  E  uno  sfruttatore  colui  che  sciupa 
in  lusso,  giuochi  e  bagordi  una  fortuna,  e  disfà  in  questo  modo 
il  capitale  ereditato,  ed  è  uno  sfruttato  quegli  che  laboriosamente 
ed  onestamente  l'ha  accumulato,  faticando  molto,  consumando 
l>oco  e  forse  godendo  niente.  E  sfruttatore  l'uomo  politico,  che 
arriva  ai  i)rimi  posti  profittando  della  facilità  che  hanno  i  popoli 
a  lasciarsi  ingannare,  lusingando  le  l;orie  e  le  vanità  delle  masse, 
comprando  le  coscienze,  usando  ed  abusando  di  tutte  le  cattive 
qualità  e  le  debolezze  dei  suoi  simili,  ed  è  uno  sfruttato  l'uomo 
di  Stato  che,  più  che  all'effetto  ed  all'applauso,  mira  al  vantaggio 
reale  dei  governati  ed  è  sempre  pronto  a  lasciare  il  potere  quando 
questo  vantaggio  crede  di  non  poter  più  raggiungere.  È  sfrut- 
tatore l'impiegato  che  ha  conquistato  il  suo  posto  ingannando  gli 
esaminatori  o  rendendo  servizi  loschi  ai  politicanti  e  lo  conserva 
e  fa  carriera  e  lavora  il  meno  possibile,  adulando  i  suoi  superiori 
o  tradendo  il  suo  dovere  d'ufficio,  ed  è  uno  sfruttato  il  suo  col- 
lega che  fa...  precisamente  tutto  il  contrario. 

E  uno  sfruttatore  il  soldato,  che  si  eclissa  nel  momento  del 
pericolo  ma  si  fa  vivo  quando  si  tratta  di  avere  la  medaglia  o 
la  ricompensa,  ed  è  uno  sfruttato  il  suo  commilitone,  che  affronta 
la  morte  e  le  ferite  senza  pensare  a  farsene  un  titolo  per  posare 
ad  eroe  e  chiedere  posti  di  favore  e  sussidi  per  tutta  la  vita.  Sono 
sfruttatori  quei  contadini  e  sopratutto  quegli  operai  pigri,  viziosi. 


tempo  ad  un'altra  parte  della  stessa,  indiscutibilmente  maggiore.  Perciò  se 
alcuni  proprietari  ed  imiu^tnali  ne  possono  avere  vantaggio,  altri,  più  nume- 
rosi, ne  debbono  ritrarre  nocumento.  E,  insieme  coi  poveri,  esclusivamente 
danno  ne  ritrae  tutta  quella  grossa  frazione  della  classe  ricca  ed  agiata  che  vive 
cogli  interessi  dei  titoli  di  Stato,  o  di  capitali  dati  a  mutuo,  oppure  col  com- 
mercio, coi  guadagni  professionali,  cogli  impieghi.  Una  cattiva  politica  ban- 
caria può  giovare  soltanto  ad  alcuni  industriali  o  politicanti  che  ottengono 
sconti  di  favore,  ma  nuoce  in  liscutitnlmente  a  tutti  gli  altri  cittadini,  e  spe- 
cialmente poi  a  coloro  che  hanno  dunari.  Un  superficiale  esame  dei  fatti  ac- 
cennati dimostra  perciò  assurda  l'accusa,  che  si  fa  in  qualche  paese  aWintera 
borr/hesia,  di  essere  autrice  consdente  di  certi  danni  e  di  certi  scandali.  Sarebbe 
molto  piìi  giusto  ed  esatto  l'asserire  che  la  gran  maggioranza  della  classe  di- 
rigente, non  per  malizia  ma  per  ignoranza,  ha  tollerato  o  consentito  la  sua 
rovina  trascinando  in  essa  anche  quelle  classi  più  misere,  la  cui  tutela  era 
affidata  non  solo  alla  sua  onoratezza,  ma  anche  al  suo  sapere. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  307 


e  disonesti,  che  cominciano  coll'essere  i  parassiti  dei  loro  parenti 
più  laboriosi,  continuano  coll'essere  i  parassiti  dei  loro  compagni, 
ai  quali  scroccano  aiuti  dando  in  cambio  chiaccliere  e  cattivi 
consigli,  e  dei  padroni  ai  quali  scroccano  il  salario  dando  in 
cambio  un  lavoro  mal  fatto  ed  incompleto,  e  finiscono  spesso 
coll'essere  parassiti  della  società  intera  nel  carcere;  e  sono  sfrut- 
tati tutti  quei  lavoratori  manovali,  che  coscienziosamente  e  tacita- 
mente adempiono  al  loro  dovere,  che  mai  si  sottraggono  al  disagio 
ed  alla  fatica,  e  vivono  stentatamente  senza  poter  migliorare  la 
propria  posizione  o  mettere  qualche  cosa  da  parte  per  la  vecchiaia. 
E  uno  sfruttatore  colui  che,  restando  pensatamente  celibe,  insidia 
all'onore  delle  donne  altrui,  ed  è  uno  sfruttato  chi,  dopo  essersi 
sobbarcato  ai  pesi  ed  alla  responsabilità  di  una  famiglia  rego- 
larmente costituita,  diventa  bersaglio  alle  insidie  del  primo.  Fi- 
nalmente è  uno  sfruttatore  lo  scienziato  che  consegue  la  cattedra 
scrivendo  il  libro  che  piace  a  coloro  che  devono  essere  i  suoi  giu- 
dici, o  consegue  la  celebrità  o  la  popolarità  pubblicando  l'opera 
che  piace  alle  turbe,  perchè  lusinga  la  passione  del  giorno;  ed  è 
uno  sfruttato  quegli  che  all'amore  della  verità  sacrifica  buona 
parte  del  suo  successo  e  si  rassegna  perciò  a  rimanere  in  un  rango 
inferiore  a  quello  in  cui,  se  meno  onesto,  il  suo  ingegno  ed  i  suoi 
studi  l'avrebbero  chiamato. 

Un  tempo  gli  sfruttati  si  chiamavano  i  buoni,  gli  onesti,  i 
galantuomini,  i  bravi,  i  laboriosi  ed  i  morigerati,  e  gli  sfruttatori 
venivano  definiti  come  viziosi,  scioperati,  poltroni,  intriganti,  fara- 
butti e  delinquenti.  —  Si  chiamino  pure  come  si  vogliono,  e  forse 
non  è  male  che  ci  siano  due  espressioni  sole,  che  sintetizzino  le 
molteplici  categorie  delle  quali  sono  formate  le  due  classi  di  cui  ci 
siamo  occupati,  che  ci  sono  sempre  state  e  purtroppo  sempre  ci  sa- 
ranno nel  mondo.  —  L'importante  è  che  si  tenga  presente  che,  se 
più  miseri  e  più  da  compiangere  sono  gli  sfruttati  delle  classi  più 
basse,  un  buon  numero  pure  ne  deve  esistere  nelle  classi  medie  ed 
alte  ;  altrimenti  verrebbe  meno  quel  tanto  di  abnegazione  e  di  sen- 
timento del  dovere  che  è  indispensabile  nella  minoranza  dirigente 
affinchè  il  consorzio  civile  possa  durare  (1). 


(1)  Prima  di  lasciare  quest'argomento  crediamo  doveroso  l'avvertire  come 
gli  autori,  che  colla  storia  hanno  creduto  di  dimostrare  che  le  classi  alte  ar- 
bitro del  potere  politico  ne  hanno   usato   costantemente  per  sfruttare  i  lavo- 


308  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


XV.  —  Resta  a  vedere  se  tutta  questa  gran  corrente  di  idee 
e  di  passioni,  che  complessivamente  va  desi^cnata  col  nome  di 
socialismo,  pur  non  essendo  fondata  sopra  un'osservazione  esatta 
delle  leggi  che  regolano  la  vita  sociale,  pur  mirando  ad  un  ideale, 


ratori,  potrebbero  essere  molto  facilmente  confutati.  —  La  loro  ipotesi  e  la 
maniera  come  cercano  di  dimostrarla  farebbero  supporre  che  gli  eventi  umani 
fossero  stati  diretti  per  secoli  e  secoli  da  una  volontà  tenace  e  costante,  che 
sapeva  dove  voleva  {giungere  e  preparava  astutamente  i  mezzi  all'  uopo,  da 
una  congiura  continua  e  tenebrosa  delle  classi  ricche  contro  i  poveri.  Questa, 
per  definirla  benicrnamente,  non  ci  pare  altro  che  una  forma  del  delirio  di 
persecuzione;  perchè  in  verità  un  osservatore  calmo  e  spassionato  studiando 
la  storia. vede  subito  che  i  fatti,  che  hanno  importanza  sociale,  sono  deter- 
minati in  parte  da  passioni,  istinti  e  pregiudizi,  quasi  sempre  incoscienti  e 
che  quasi  mai  si  rendono  conto  dei  risultati  pratici  che  avrà  la  loro  azione, 
in  parte  da  interessi  che  hanno  ordinariamente  un  obiettivo  immediato,  ed 
in  parte  finalmente  da  ciò  che  gli  uomini  chiamano  il  caso  fortuito. 

Così,  ad  esempio,  contrariamente  a  quanto  mostra  di  credere  qualche  scrit- 
tore socialista,  il  Cristianesimo  non  fu  adottato  perchè  è  una  religione  che, 
promettendo  la  felicità  nell'altra  vita,  garantisce  in  questa  ai  potenti  il  quieto 
godimento  delle  ricchezze;  ne  le  guerre  modei-ne  furono  fatte  con  Io  scopo  di 
aumentare  i  debiti  pubblici  e  quindi  la  influenza  politica  del  capitale  impro- 
duttivo. Come,  aggiungiamo  noi,  l'America  e  l'Australia  non  furono  scoperte 
col  disegno  di  preparare  uno  sbocco  alla  esuberante  popolazione  operaia  ed 
agricola  dell'Europa  nella  seconda  metà  del  secolo  decinaonono  e  nel  ventesimo 
e  di  garantirla  in  questo  modo  contro  un  soverchio  abbassamento  dei  salari. 

Si  sa  poi  come,  alterando  un  poco  alcuni  fatti^  tacendone  altri,  qualunque 
caso  di  delirio  di  persecuzione  possa  assumere  l'apparenza  di  una  realtà;  ora 
il  metodo  che  abbiamo  accennato  è  appunto  quello  seguito  dagli  scrittori  so- 
cialisti per  provare  che  le  classi  dirigenti,  che  hanno  fatto  le  leggi  e  deter- 
minato l'azione  dello  Stato,  si  sono  serviti  della  loro  influenza  politica  per 
depauperare  coscientemente  e  costantemente  le  classi  basse.  Essi  citano  ge- 
neralmente quelle  leggi  e  quei  provvedimenti,  che  possono  essere  giudicati 
dannosi  a  coloro  che  vivono  di  lavoro  manuale,  e  quando  poi  debbono  ram- 
mentare qualcuno  che  evidentemente  è  favorevole  agli  stessi,  asseriscono,  ben 
inteso  senza  provarlo,  che  fu  dai  salariati  strappato  con  la  forza  all'avarizia 
dei  capitalisti  e  dei  proprietari. 

Per  addurre  qualche  esempio  speciale  rammenteremo  che  il  Marx  afterma 
(vedi  II  Capitale,  capo  XVIII)  che  "  durante  la  genesi  storica  dell'  evoluzione 
capitalistica,  la  borghesia  nascente  si  valse  dello  Stato  per  regolare  il  salario, 
cioè  per  deprimerlo  fino  al  livello  conveniente  per  mantenere  il  lavoratore  al 
grado  di  dipendenza  voluta  ,,  e  cita,  in  appoggio  del  suo  assunto,  lo  Statute  of 
labourers  del  1349,  che  stabilisce  il  maximum  dei  salari,  altri  statuti  inglesi 
consimili  di  epoche  posteriori,  ed  infine  un'ordinanza  francese  del  1350. 

Or  di  leggi  di  questo  genere  se  ne  trovano  nei  secoli  scorsi  anche  in  altri 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  309 


che  non  si  potrà  raggiungere  se  non  quando  sarà  radicalmente 
mutata  la  natui'a  umana,  abbia  almeno  l'effetto  pratico  di  mi- 
gliorare le  condizioni  morali  e  quindi  materiali  della  maggioranza. 
—  La  sua  azione  in  questo  caso  sarebbe  benefica  e  potrebbe  pa- 


popoli,  ad  esempio,  ce  ne  furono  in  Germania  dopo  che  la  guerra  dei  trent'anni 
ebbe  spopolato  il  paese,  e  furono  sempre  fatte  quando  o  per  una  lunga  guerra 
0  in  seguito  a  pestilenze  (non  dimentichiamo  che  il  1848  fu  l'anno  della  peste 
nera)  la  popolazione  era  molto  diminuita  ed  i  salari  quindi  bruscamente  rial- 
zavano. Ma  provvedimenti  così  fatti  non  possono  essere  imparzialmente  ap- 
prezzati se  non  si  mettono  in  raffronto  con  altri  provvedimenti  contemporanei, 
o  quasi;  che  stabilivano  il  maximum  del  pane,  del  grano,  delle  stoffe,  dell'af- 
fitto delle  case,  ecc.  Evidentemente  quindi  i  reggitori  dello  Stato  non  volevano 
sistematicamente  favorire  la  formazione  della  borghesia,  ma  nella  loro  igno- 
ranza credevano  di  potere  con  le  loro  leggi  mitigare  o  impedire  i  bruschi 
squilibri  economici,  che  provenivano  dall'eccessivo  rincaro  di  qualunque 
merce,  compreso  il  lavoro  umano.  —  Il  Loria  fa  anche  meglio:  nella  pag.  6 
del  libro  teste  citato,  dopo  aver  detto  che  ci  fu  un'epoca  in  cui.  essendoci 
ancora  terre  libere,  i  proprietari  avevano  interesse  a  che  i  proletari  non  ri- 
sparmiassero per  acquistare  il  capitale  necessario  a  coltivarle,  enumera  i  ^ 
metodi  usati  per  ottenere  quest'intento  e  quindi  per  ribassare  i  salari  ;  essi 
sarebbero  stati  :  ^  la  riduzione  diretta  del  salario,  il  deprezzamento  della  mo- 
neta, l'impiego  di  macchine  più  costose  degli  operai  eh'  esse  sostituiscono, 
l'espansione  del  capitale  improduttivo  impiegato  negli  affari  di  borsa  e  di 
banca,  nella  moneta  metallica,  nei  debiti  pubblici,  il  numero  eccessivo  degli 
intermediarii  inutili,  la  creazione  di  una  popolazione  eccessiva,  che  fa  con- 
correnza agli  operai  occupati.  —  Tutti  questi  mez^i  (continua  sempre  l'egregio 
autore)  arrivano  indubbiamente  a  limitare  la  produzione  e  per  questa  via 
anche  a  diminuire  il  profitto;  nondimeno  la  classe  proprietaria  non  esita  a 
ricorrervi  perchè  sono  la  condizione  necessaria  per  assicurare  la  durata  del 
profitto  impedendo  la  elevazione  del  salario,  che  avrebbe  per  risultato  inevi- 
tabile la  fine  del  reddito  capitalista  ,. 

Or  il  chiarissimo  professore  di  Economia  politica,  che  non  merita  certo  la 
taccia  di  sicofante  dei  capitalisti,  indirizzata  dal  Marx  a  tanti  altri  cultori 
della  stessa  disciplina,  avrebbe  dovuto  provarci:  1°  che  in  un'epoca,  che  non 
può  essere  molto  vicina  a  noi,  perchè  esistevano  ancora  nell'Europa  occiden- 
tale terre  libere,  la  classe  dirigente  avesse  avuto  tante  e  tali  nozioni  econo- 
miche da  poter  prevedere  che  le  misure  accennate,  ad  esempio,  l'espansione 
del  capitale  improduttivo,  avrebbero  prodotto  un  ribasso  dei  salari  ;  2°  che 
tutte  queste  misure,  compreso  lo  svilimento  della  moneta  e  il  soverchio  au- 
mento della  popolazione,  potessero  essere  la  conseguenza  di  una  volontaria 
determinazione  di  coloro  che  avevano  nelle  mani  il  potere.  —  Noi,  attendendo 
questa  dimostrazione,  ci  permettiamo  di  dubitare  che  neppure  ora  i  governanti 
ed  i  loro  amici  abbiano  tanta  preveggenza  e  sopratutto  che  abbiano  la  possibi- 
lità di  compiere  tutti  quei  rivolgimenti  economici  che  il  Loria  loro  attribuisce- 


310  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

ragonarsi  a  quella  di  altre  grandi  illusioni  collettive,  che,  rendendo 
gli  uomini  [)iii  buoni,  più  scambievolmente  tolleranti,  meno  impa- 
zienti di  fronte  alle  ingiustizie  del  mondo,  fanno,  nei  limiti  del 
possibile,  meno  dura  l'esistenza  per  tutti  coloro  che  restano  negli 
ultimi  gradini  della  scala  economica  e  contribuiscono  con  ciò  a 
fortificare  la  compagine  della  società.  —  Fin  da  ora  dichiariamo 
che  l'indagine  sommaria,  che  faremo  su  (juesto  importante  argo- 
mento, ci  darà  un  risultato  tutt'altro  che  positivo. 

Si  sa  che  tutti  i  libri,  oltre  ad  avere  una  influenza  intellet- 
tuale, che  si  esplica  mercè  le  dottrine  in  essi  contenute  ed  a  se- 
conda, del  modo  come  certi  problemi  della  vita  umana  vengono 
studiati  e  presentati  al  lettore,  hanno  pure  un'influenza  che  chia- 
meremo morale,  la  quale  dipende  dalle  passioni  e  dai  sentimenti 
che  gli  autori  consciamente  ed  inconsciamente  sovraeccitano  od 
attutiscono.  Or,  se  cominciamo  ad  esaminare  sotto  quest'ultimo 
punto  di  vista  le  opere  dei  maggiori  dottori  del  socialismo  e  spe- 
cialmente di  quelli  della  seconda  metà  del  secolo  decimonono,  che 
sono  più  noti,  certamente  troviamo  che  un  soffio  di  pace,  d'amore 
di  concordia  sociale  spira  da  quelle  di  Rodbertus,  di  Carlo  Mario  (1) 
e  sopratutto  di  Enrico  George,  nel  quale  più  che  Podio  contro  i  forti 
si  sente  una  nobile  e  tenera  compassione  per  i  deboli  (2);  ma  in 
altri  più  numerosi,  ed  a  tacere  di  Bakounine,  in  qualcheduno  degli 
autori  più  divulgati  e  più  ortodossi^  in  Marx,  ad  esempio,  nello 
stesso  Lassalle,  il  sentimento  che  predomina,  attraverso  la  faci- 
lità polemica  ed  il  brio  o  l'aridità  e  la  pesantezza  con  cui  è  con- 
dotto il  ragionamento  scientifico,  è  l'avversione  contro  il  ricco  ed 
il  potente,  che  si  esplica  di  continuo  collironia,  col  sarcasmo,  col- 
l'invettiva.  Nei  loro  scritti  il  capitalista  viene  sempre  considerato  e 
dipinto  quasi  come  un  uomo  di  altra  razza,  di  altro  sangue,  che  il 
povero  non  deve  riguardare  come  un  suo  simile,  il  quale  ha  fonda- 
mentalmente le  sue  stesse  debolezze  e  le  sue  virtù,  che  si  mani- 
festano in  modo  un  po'  diverso,  solo  perchè  diverso  è  per  lui 
l'ambiente,  diverse  sono  le  tentazioni  e  le  necessità  della  vita,  ma 


(1)  Pseudonimo  del  professore  tedesco  Vinkelblech. 

(2)  Fra  gli  autori  socialisti  in  cui  i  sentimenti  benevoli  sono  più  forti,  e 
quelli  che  hanno  la  loro  base  nell'odio  sono  meno  accentuati,  ci  piace  men- 
zionare il  CoLAjANNi  ed  Ignazio  Scarabelli,  che  ha  pubblicato  un  libro  Sul 
socialismo  e  la  lotta  di  classe.  Ferrara,  1895,  Tipografia  Sociale. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  311 


come  un  rivale  ed  un  nemico,  come  un  essere  infesto,  oppressore, 
degradato  e  degradante,  la  cui  rovina  soltanto  può  rendere  possi- 
bile la  propria  redenzione  e  la  propria  salvezza  (1). 

Indiscutibilmente  un  movimento  cosi  vasto  e  complesso  come 
la  democrazia  sociale  non  si  può  fondare  unicamente  sui  buoni 
istinti  della  natura  umana  ;  sicché  riconosciamo  come  naturale  e 
necessario  cbe,  accanto  al  sentimento  della  giustizia  ed  all'aspi- 
razione verso  una  società  migliore,  anche  le  passioni  basse,  anti- 
sociali e  selvaggie  vi  trovino  il  loro  pascolo.  11  male  è  che  pre- 
cisamente a  quest'ultime  le  dottrine  socialiste  offrono  un  campo 
troppo  fertile  e  vasto  dove  possono  oltremodo  moltiplicarsi  e  lus- 
sureggiare. Si  è  insegnato  al  povero  che  il  ricco  gavazza  col 
frutto  dei  suoi  sudori,  che  gli  viene  rapito  mediante  una  artificiosa 
organizzazione  della  società  basata  sulla  violenza  e  la  frode.  Questa 
credenza  in  tutte  le  coscienze,  che  non  siano  assolutamente  nobili 
e  pure,  serve  mirabilmente  a  giustificare  lo  spirito  di  ribellione, 
la  sete  dei  godimenti  materiali,  la  bestemmia,  l'odio,  la  maledizione  ; 
essa  feconda  il  sentimento  della  vendetta  e  l'invidia  istintiva  verso 
quelle  superiorità  naturali  e  sociali,  che  solo  una  lunga  abitudine 
e  la  convinzione  che  sono  fatti  necessari  ed  inevitabili  possono 
rendere  universalmente  indiscusse  ed  accettate. 

Debolezza  innegabile  di  tutto  il  movimento  socialista  è  poi 
la  soverchia  materializzazione  del  concetto  della  felicità  umana  e 
quindi  della  giustizia  sociale.  —  I  socialisti,  dopo  aver  idealizzato 
troppo  l'uomo,  credendolo  migliore  di  quello  che  è,  giacché  attribui- 
scono all'ordinamento  sociale  gran  parte  dei  vizi  e  delle  debolezze 
che  sono  inerenti  alla  natura  umana,  mostrano  poi  un  concetto  troppo 
basso  dei  loro  simili  quando  credono,  o  mostrano  di  credere,  che 
la  ricchezza  sia  compagna  inseparabile  del  godimento  e  la  po- 
vertà vada  fatalmente  unita  alla  sofferenza.  'Leggendo  i  loro 
scritti  ed  ascoltando  i  loro  sermoni  parrebbe  che  la  felicità  indi- 
viduale sia  esattamente  proporzionata  alla  quantità  di  danari  che 


(1)  Chiunque  abbia  una  certa  pratica  degli  opuscoli  e  dei  giornali  collet- 
tivisti ed  anarchici  sa  quanto  in  essi  sia  spiccato  questo  carattere  odioso 
della  propaganda  socialista,  che  si  esplica  con  la  sovraeccitazione  della  ma- 
levolenza e  dell'invidia.  È  da  notare  che  è  appunto  per  mezzo  degli  opuscoli 
e  dei  giornali  che  la  parola  dei  maestri,  popolarizzata  e  sminuzzata,  arriva 
alle  masse. 


312  KLEMKNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Ognuno  possiede.  —  Or,  per  quanto  un  simile  sistema  sia  polemi- 
camente comodo  per  tutti  i  novatori,  facendo  apparire  maggiore 
assai  di  quella  che  realmente  sia  l'ingiustizia  della  società  odierna, 
esso  non  corrisponde  alla  verità,  perchè,  fortunatamente,  le  cose 
non  vanno  così.  Infatti,  sebbene  il  poter  mantenere  quel  tenore 
di  vita  al  quale  siamo  abituati  e  sopratutto  la  .sicurezza  del  do- 
mani, siano  condizioni  indispensabili  di  un  certo  benessere,  j)ure 
non  è  raen  vero  che  alla  felicità  individuale  contrih»uiscono  molti 
altri  elementi  obiettivi  e  subiettivi.  —  In  fondo  chi  è  buono  ed 
ha  l'animo  ben  temprato  può  essere  molto  più  soddi.sfatto  di  un 
altro  che  gli  è  assai  superiore  in  ricchezza  ed  anche  di  posizione 
sociale,  ed  il  riconoscere  che  fa  generalmente  il  mondo  che  il 
primo  è  stato  mal  rimeritato  può,  insieme  all'intima  soddisfazione 
della  sua  coscienza,  essere  uno  degli  elementi  della  sua  maggiore 
felicità  (1). 

Altre  dottrine,  altre  credenze  si  sono  trovate  davanti  al  grave 
e  tormentoso  problema  della  vita,  nella  quale  s})esso  il  giusto  ed 
il  buono  soccombe,  l'iniquo  ed  il  malvagio  trionfa,  ma  l'hanno 
risoluto  in  modo  diverso  di  come  pretende  risolverlo  il  socialismo. 
Gli  stoici,  ad  esempio,  non  potendo  fare  si)arire  dal  mondo  il 
dolore,  educavano  i  loro  adepti  a  sopportarlo  fortemente  ;  non  po- 
tendo promettere  a  tutti  il  godimento  dei  beni  materiali,  ne  in- 
culcavano il  disprezzo  anche  a  coloro  che  erano  nella  possibilità 


(1)  La  povertà  che  va  accompagnata  immancabilaiente  dal  dolore  e  dalla 
infelicità,  come  abbiamo  già  accennato,  è  quella  estrema,  che  non  consente 
che  si  provveda  ai  pivi  elementari  bisogni  umani,  oppure  la  povertà  invida 
di  chi  non  sa  rassegnarsi  che  altri  abbia  di  quei  godimenti  e  di  quelle  sod- 
disfazioni di  vanità  ai  quali  egli  non  può  aspirare,  oppure  finalmente  la  po- 
vertà che  segue  un  decadimento  economico  e  produce  quindi  un  peggioramento 
nel  tenore  di  vita  al  quale  si  era  abituati.  —  A  questo  proposito  osserviamo 
che  il  godimento  e  la  soddisfazione  che  si  provano  quando  si  migliora  di  con- 
dizione economica  e  sociale  sono  molto  meno  intensi  e  sopratutto  più  fugaci 
del  dolore,  che  è  conseguenza  di  un  analogo  peggioramento.  —  Perciò  i  fre- 
quenti mutamenti  di  fortuna,  che  portano  molti  in  basso  ed  altri  in  alto,  pro- 
ducono un  totale  di  sofferenze  assai  superiore  al  totale  della  gioia. 

Prima  di  lasciare  quest'argomento  rammenteremo  che  il  Nobili  Vitelleschi 
in  un  articolo  intitolato  Socialismo  ed  Anarchia,  pubblicato  nella  "Nuova  An- 
tologia ,  del  15  gennaio  1895,  scrisse  che  "  è  nella  distinzione  fra  la  felicità 
e  la  ricchezza  che  sta  il  motto  dell'enigma,  che  turba  i  sonni  dell'Europa  e 
del  mondo  ,. 


CONCLUSIONE  313 


di  largamente  fruirne.  Lo  stesso  disprezzo  delle  gioie  della  carne, 
del  piacere  materiale  troviamo  negli  inizi  ed  in  tutti  i  momenti 
di  fervore  del  Cristianesimo.  E  se  è  vero  che  Tesagerazione  di 
questo  indirizzo  può  produrre  quel  misticismo,  che  aliena  dal 
mondo  e  dalla  vita  i  caratteri  più  nobili  e  più  proclivi  al  sacri- 
fìcio di  se,  non  è  men  vero  che  un  insegnamento  cosi  fatto  è  non 
solo  moralmente  più  elevato,  ma  anche  più  pratico  di  quello  dia- 
metralmente opposto  che  tengono  in  generale  i  socialisti  ;  il  quale 
può  avere  per  conseguenza  il  momentaneo  decadimento  di  alcuni 
dei  sentimenti  più  elevati  della  natura  umana. 

L' uguaglianza  fra  tutti  gli  uomini  e  V  aspirazione  verso  la 
giustizia  assoluta  non  è  la  prima  volta  che  sono  predicate  per  il 
mondo.  Ma  esse  possono  essere  bandite  poggiandosi  sull'amore, 
sulla  tolleranza,  sul  compatimento  reciproco,  e  possono  anche 
essere  proclamate  facendo  appello  all'odio  ed  alla  violenza.  Si 
può  intimare  al  ricco  ed  al  potente  di  considerare  il  povero  ed 
il  misero  come  suo  fratello  e  si  può  anche  far  credere  al  povero 
ed  al  misero  che  il  ricco  ed  il  potente  sia  il  suo  nemico.  La  prima 
maniera  è  quella  seguita  da  Gesù,  dagli  apostoli,  da  S.  Fran- 
cesco d'Assisi,  che  dicevano  ai  ricchi:  date.  La  seconda  è  quella 
usata  dalla  maggioranza  dei  socialisti  presenti,  che,  descrivendo  i 
godimenti  dei  ricchi  come  il  prodotto  dei  sudori  furati  ai  poveri, 
implicitamente  od  esplicitamente  dicono  a  questi:  prendete.  Non 
è  chi  non  veda  come  tale  differenza  sostanziale  di  metodo  debba 
avere  in  pratica  conseguenze  incalcolabili. 

XVI.  —  Dopo  quanto  abbiamo  scritto  non  occorrerà  lunga- 
mente soffermarsi  per  esporre  quali  siano  le  cause  della  corrente 
socialista.  Il  lettore  avrà  già  compreso  che  la  causa  delle  cause  è 
quella  che  abbiamo  combattuto  in  tutto  il  presente  lavoro,  cioè 
l'indirizzo  intellettuale  del  secolo  nelle  dottrine  che  riguardano  la 
organizzazione  della  società,  i  modi  di  vedere  che  finora  preval- 
gono, nelle  persone  di  mezzana  e  qualche  volta  di  elevata  cul- 
tura, circa  le  leggi  che  regolano  i  rapporti  politici.  Naturalmente 
poi  questa  causa  prima  si  presenta  in  mille  forme  e  genera  quelle 
molteplici  cause  secondarie  e  dirette,  che  sono  state  da  parecchi 
scrittori  più  o  meno  completamente  rilevate.  Noi  ne  accenneremo 
soltanto  alcune,  alle  quali  forse  non  si  è  data  finora  l'importanza 
che  meritano  ;    notando  che  spesso  esse  assumono  l'apparenza,    e 


314  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

anche  la  realtà  di  malattie  del  senso  morale  anziché  di  errori  di 
discernimento  e  del  giudizio.  Giacché  jjer  la  strettissima  connes- 
sione che  vi  è  in  tutto  ciò  che  riguarda  l'ordinamento  sociale  fra 
il  mondo  morale  e  quello  intellettuale,  di  frequente  avviene  che 
il  falso  indirizzo  nel  campo  speculativo,  l'apprezzamento  sbagliato 
sulla  natura  e  le  tendenze  sociali  degli  uomini,  si  traducano  in 
pratica  nel  mettere  questi  in  una  {posizione  moralmente  falsa;  e 
quindi  nel  renderli  più  facili  alle  transazioni  ed  alle  colpe,  dimi- 
nuendo l'efficacia  degli  istinti  più  nobili  e  avendo  per  necessaria 
conseguenza  un  abbassamento  del  livello  medio  del  carattere  e 
della  coscienza. 

Ad  esempio,  una  delle  cause  prossime  ed  immediate,  un  coeffi- 
ciente importante  del  progresso  della  propaganda  socialista  è 
l'allargamento  del  suffragio  politico,  e  meglio  ancora  il  suffragio 
universale,  che,  in  omaggio  ai  principii  della  scuola  radicale  ed 
alla  logica  democratica,  si  è  venuto  adottando  in  tanta  parte  di 
Europa.  Ora  il  suffragio  a  larga  base  può  riuscire  pericoloso,  non 
tanto  perchè,  come  molti  sperano  o  temono,  dando  ai  proletari  il 
diritto  di  deporre  la  scheda  nell'urna,  i  loro  rappresentanti  ge- 
nuini possano  formare  la  maggioranza  delle  assemblee  ]}olitiche; 
giacché  in  fondo,  con  qualunque  sistema  elettorale,  la  preponde- 
ranza resterà  sempre  alle  classi  più  influenti  anziché  a  quelle  più 
numerose;  ma  piuttosto  per  l'omaggio  che  la  maggior  parte  dei 
candidati,  per  superare  più  facilmente  i  rivali,  si  affretta  a  ren- 
dere ai  sentimenti  ed  ai  pregiudizi  popolari.  Omaggio  che  porta 
facilmente  a  fare  professioni  di  fede  e  promesse  fondate  sui  po- 
stulati del  socialismo.  Naturalmente  il  sistema  fa  si  che  i  carat- 
teri più  schietti  ed  energici  vengano  a  preferenza  allontanati  dalla 
vita  pubblica,  che  le  transazioni  e  le  restrizioni  morali  diventino 
sempre  più  comuni,  e,  come  risultato  ultimo,  fa  imbecillii'e  sempre 
più,  moralmente  ed  intellettualmente,  le  schiere  dei  cosi  detti  con- 
servatori. 

Altro  elemento  importantissimo  nella  elaborazione  dei  partiti 
socialisti  è  la  tradizione  rivoluzionaria  ancora  vivissima  nei  paesi 
latini,  nei  quali  le  classi  dirigenti  hanno  fatto  di  tutto  per  tenerla 
viva  e  perpetuarla.  Come  ha  osservato  il  Villetard  (1)  e  come  già 


(1)  Vedi  Insnrrection  du  18  tnars.  Paris,  Charpentier,  1872,  nel  capitolo  I. 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  315 


abbiamo  accennato  nel  capitolo  Vili,  in  Francia,  almeno  fino  a 
pochi  anni  addietro,  ad  eccezione  forse  dei  clericali-legittimisti, 
solo  gl'interessi  sono  stati  conservatori,  ma  le  idee  ed  i  sentimenti 
inspirati  non  solo  dall'  istruzione  e  dall'  educazione  privata,  ma 
sopratutto  da  quella  ufficiale,  sono  stati  eminentemente  rivolu- 
zionari. E  lo  stesso  si  può  dire  dell'  Italia  negli  ultimi  cinquanta 
anni. 

Si  sa  quanto  sia  naturale  nella  gioventù  il  bisogno  di  entu- 
siasmarsi e  di  avere  davanti  un  tipo,  un  modello,  die  raj)presenti 
l'ideale  della  virtù  e  della  perfezione,  che  ognuno  cerca,  per  quanto 
può,  di  imitare.  Or  il  modello  che  si  è  posto  davanti  ai  giovani 
moderni,  tanto  da  noi  che  oltre  Alpe,  non  è,  e  non  può  essere,  il 
cavaliere  che  si  fa  uccidere  per  la  sua  bella,  la  sua  fede  ed  il  suo 
Re,  ma  molto  meno  è  stato  il  funzionario,  il  magistrato,  il  mili- 
tare rigido  custode  della  legge  e  della  consegna;  esso  è  puramente 
e  semplicemente  il  rivoluzionario  d'  azione  :  l' uomo  che,  in  nome 
della  libertà  e  dell'  eguaglianza,  ha  combattuto  i  tiranni,  si  è 
ribellato  al  potere  costituito,  e  che,  vinto,  ne  ha  subito  intre- 
pido le  persecuzioni,  vincitore  lo  ha  rovesciato  e  spesso  lo  ha 
sostituito. 

Dopo  che  si  è  così  studiosamente  coltivata  la  simpatia  per  i 
ribelli,  dopo  che  si  è  insegnato  che  tutto  quanto  essi  hanno  fatto 
è  stato  nobile  e  generoso,  è  naturale  che  la  corrente  dei  senti- 
menti e  delle  idee  della  nuova  generazione  siasi  spinta  verso  quella 
dottrina,  che  può  giustificare  e  render  necessaria  la  ribellione. 
Dappoiché,  non  essendoci  più  una  Bastiglia  da  espugnare,  non 
potendosi  più  cacciare  dal  Louvre  gli  Svizzeri  di  Carlo  X,  com- 
pita presso  a  poco  l'unità  d'Italia,  diventato  quel  Governo,  che  fu 
definito  come  la  negazione  di  Dio,  una  memoria  talmente  remota 
che  lo  si  comincia  a  giudicare  con  imparzialità,  lo  spirito  di  ri- 
bellione non  si  può  applicare  che  contro  le  istituzioni,  che  dalle 
antiche  rivoluzioni  sono  venute  fuori,  e  contro  gli  uomini  che  di 
queste  istituzioni  stanno  a  capo  e  che  sono  stati  spesso  gli  an- 
tichi rivoluzionari. 

E  ciò  parrà  anche  più  naturale  e  ovvio  se  si  pon  mente  che, 
in  parte  per  le  imperfezioni  inseparabili  da  qualunque  regime 
politico,  in  parte  per  la  loro  debolezza  intrinseca,  le  nuove  isti- 
tuzioni non  hanno  i)otuto  appagare  tutte  quelle  speranze  di  rige- 
nerazione sociale    che   in  esse  si  erano  riposte,    e    che  gli  antichi 


316  KLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

congiuratori  e  rivoluzionari  diveltati  uomini  di  Stato  e  reggitori 
di  popoli  certo  non  sono  stati  immuni  da  onori  e  peccati.  Così 
stando  le  cose,  chi  si  potrà  maravigliare  se  quegli  elementi  gio- 
vani che  credono  possibile  una  più  radicale  riforma  della  società, 
se  coloro  che  sperano  con  essa  di  acc^uistare  importanza  politica, 
se  buona  parte  di  quanto  vi  è  di  nobile,  di  attivo,  di  geneijoso  ed 
ambizioso  nella  generazione  che  si  prepara  a  raccogliere  l'eredità 
dei  vecchi,  abbia  abbracciato  le  dottrino  socialiste?  (1). 

Ha  acquistato  una  certa   popolarità  fra   le  persone  di  qualche 
cultura  una  massima  del  Machiavelli,  il  ijuale  scrisse  che  per  sal- 


(1)  Lo  stato  psicologico  da  noi  accennato,  che  si  ritrovava  più  specialmente 
nella  gioventù  italiana,  e  che  era  notorio  a  tutti  coloro  che  avevano  fre- 
quenti contatti  cogli  studenti  delle  nostre  Università,  viene  stupendamente 
descritto  in  un  lavoro  giovanile  di  uno  scrittore  che  dimostrò  fin  d'allora 
ingegno  veramente  eccezionale.  Alludiamo  all'opuscolo  di  Guglielmo  Febkeeo, 
intitolato  Stazione  (Torino,  1895,  Roux  editore).  In  esso  l'A.  dopo  avere,  a 
pagina  54  e  seguenti,  spiegate  le  ragioni  per  le  quali  la  gioventù  non  credeva 
e  non  s'inspirava  agli  ideali  dei  suoi  padri,  scrive: 

*  Che  resta  dunque?  C'è  sempre  un  certo  numero  di  individui  che  hanno 
bisogno  di  appassionarsi  per  qualche  cosa  di  non  immediato,  di  non  jiersonale 
e  di  lontano;  a  cui  la  cerehia  dei  propri  attari,  della  scienza,  dell'arte,  non 
basta  per  esaurire  tutta  l'attività  dello  spirito.  Che  rimaneva  a  costoro  in 
Italia  se  non  l'idea  socialista?  Veniva  da  lontano,  ciò  che  seduce  sempre;  era 
abbastanza  complessa  ed  abbastanza  vaga,  almeno  in  certe  sue  parti,  per  sod- 
disfare ai  bisogni  morali  così  difterenti  dei  molti  proseliti;  da  un  lato  portava 
uno  spirito  vasto  di  fratellanza  e  di  internazionalismo,  che  corrisponde  ad  un 
reale  bisogno  moderno;  dall'altro  era  improntata  a  un  metodo  scientifico  che 
rassicurava  gli  spiriti  educati  alle  scuole  sperimentali.  Dato  ciò.  nessuna  me- 
raviglia che  un  gran  numero  di  giovani  si  sia  inscritto  in  un  partito  dove 
almeno,  se  c'era  pericolo  d'incontrare  qualche  umile  uscito  dal  carcere  o 
qualche  modesto  repris  de  jm^tice,  non  si  poteva  incontrare  nessun  panamista, 
nessun  speculatore  della  politica,  nessun  appaltatore  di  patriottismo,  nessun 
membro  di  quella  banda  di  avventurieri  senza  coscienza  e  senza  pudore,  che, 
dopo  aver  fatto  l'Italia,  l'hanno  divorata.  La  piìi  superficiale  osservazione  di- 
mostra subito  che  in  Italia  non  esistono  quasi  in  nessun  posto  le  condizioni 
economiche  e  sociali  per  la  formazione  di  un  vero  e  grande  partito  socialista; 
inoltre  un  partito  socialista  dovrebbe  trovare  logicamente  il  nerbo  delle  sue 
reclute  nelle  classi  operaie,  non  nella  borghesia,  come  era  accaduto  in  Italia. 
Ora  se  un  partito  socialista  si  sviluppava  in  Italia  in  condizioni  sì  sfavorevoli 
e  in  un  modo  così  illogico,  si  è  perchè  rispondeva  più  che  altro  a  un  bisogno 
morale  di  un  certo  numero  di  giovani,  nauseati  di  tanta  corruzione,  bassezza 
e  viltà;  e  che  si  sarebbero  dati  al  diavolo  pur  di  sfuggire  ai  vecchi  partiti 
imputriditi  sino  nelle  midolla  delle  ossa  ,. 


CONCLUSIONE  317 


vare  o  rinvigorire  le  istituzioni  antiche  bisognava  richiamarle  ai 
loro  principii.  Leggendo  la  storia  dei  principi  mongoli  discendenti 
da  Grengiskan  ne  abbiamo  trovata  un'altra,  che  può  avere  un  si- 
gnificato diametralmente  opposto  a  quella  del  segretario  fiorentino 
e  che  ci  pare  più  vera,  perchè  applicabile  ad  un  numero  maggiore 
di  casi  pratici.  Secondo  gii  storici  dunque,  Yeliui-Cutsai,  primo 
ministro  di  Octai  figlio  di  Gengiskan,  avrebbe  di  frequente  detto 
al  suo  padrone  e  signore  :  il  vostro  impero  fu  conquistato  a  ca- 
vallo, ma  non  lo  potete  governare  restando  a  cavallo.  Nessuno  vorrà 
negare  l'intuito  politico  del  ministro  mongolo;  perchè  veramente, 
e  lo  potremmo  con  facilità  dimostrare,  i  modi  con  cui  si  conser- 
vano gli  Stati,  le  religioni  ed  i  partiti  politici,  i  sentimenti  e  le 
passioni  che  bisogna  a  quest'uopo  coltivare,  sono  di  frequente  es- 
senzialmente diversi  di  quelli  che  hanno  servito  a  fondarli. 

Tornando  al  caso  nostro,  facilmente  riconosciamo  che  uno  Stato 
nuovo,  un  nuovo  regime  politico  possono  esser  fondati  mediante 
la  rivoluzione,  ammettiamo  anzi  che  qualche  volta  ciò  possa  essere 
necessario  ;  ma  è  certo  però  che  nessuno  Stato  si  consolida,  nessun 
regime  dura  se  contiìiua  lo  spìrito  rivoluzionario^  e  peggio  an- 
cora se  coloro  che  hanno  nelle  mani  il  potere  proseguono  a  fo- 
mentarlo, invece  di  coltivare  quei  sentimenti,  quelle  passioni,  quei 
modi  di  vedere,  che  ad  esso  sono  diametralmente  opposti. 

Prima  di  terminare  questo  argomento  rammenteremo  di  volo 
altre  cause,  che  contribuiscono  indubbiamente  ai  progressi  del  so- 
cialismo e  che  sono  state  già  da  altri  autori  ampiamente  svolte. 
Tali  sarebbero  le  improvvisate  ricchezze  di  tanti  speculatori,  quasi 
sempre  disonestamente  guadagnate  e  più  malamente  spese  nel- 
l'acquisto di  immeritata  ed  ingiustificata  influenza  politica,  oppure 
in  un  lusso  volgare  ed  appariscente,  che  offende  le  mediocrità 
degli  onesti  ed  insulta  quasi  alla  inopia  dei  più  miseri.  Tutto  l'an- 
dazzo del  secolo,  del  resto,  congiura  ad  aumentare  questo  danno, 
perchè,  mentre  si  predica  uguaglianza,  democrazia  e  che  tutti  gli 
uomini  hanno  gli  stessi  diritti,  mai  forse  ci  è  stato  tanto  pubblico 
squilibrio  nei  godimenti  materiali,  mai  la  ricchezza,  comunque 
raggiunta,  ha  servito  meglio  ad  aprire  tutte  le  porte,  mai  essa  è  stata 
più  stupidamente  ostentata  (1). 


(1)  Nei  secoli  scorsi  il  lusso  avea  di  frequente  un   carattere,  per   così  dire, 
primitivo;  esso  si  esplicava  infatti  principalmente  nel  tenere  una  nunierosis- 


318  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Altri  fattori  del  socialismo  sarebbero  la  guerra  inconsulta  che 
si  è  fatta  al  sentimento  religioso,  la  povertà  jjubìjlica  prodotta 
dalle  imposte  eccessive  e  sovratutto  dai  soverchi  debiti  e  dalle 
troppe  spese  improduttive,  le  immoralità  notorie  dei  governanti, 
le  ingiustizie  e  le  ipocrisie  del  Parlamentarismo,  le  fabbriche  di 
spostati,  che  si  sono  istituite  mediante  l'ordinamento  presente  del- 
l'insegnamento secondario  e  superiore.  Finalmente  occujja  un  posto 
distinto  in  questa  enumerazione  l'uso  invalso  di  servirsi  dell'in- 
fluenza che  si  ha  sull'opinione  pubblica  e  sui  governi  per  ottenere 
concessioni  di  monopolii  o  dazi  così  detti  protettori  dell'industria 
e  dell'agricoltura  nazionale.  Giacché  in  questa  maniera  si  giusti- 
fica qualunque  altra  forma  di  socialismo,  avendone  già  adottato 
una  veramente  pessima  che  fa  servire  l'autorità  dello  Stato  ad 
avvantaggiare  alcuni  pochi,  per  lo  più  doviziosi,  a  danno  di  tutti 
gli  altri  poveri  e  ricchi. 

Si  sa  che  la  trascuranza  delle  norme  igieniche,  la  penuria  di 
buoni  viveri,  buona  acqua  e  sane  abitazioni,  se  non  hanno  l'ef- 
fetto di  generare  il  bacillo  del  cholera,  indebolendo  però  gli  or- 
ganismi umani  ed  ostacolando  le  difese  contro  il  morbo,  ne  age- 
volano la  diffusione  colà  dove  esso  è  entrato,  e  producono  lo 
sviluppo   della   epidemia.    Analogamente  tutti   i   coefficienti  che 


sima  servitù,  nell'esercitare  largamente  l'ospitalità,  qualche  volta  nel  distri- 
buire cibi  e  bevande  alla  popolazione  di  un'intera  città.  Certo  in  tutti  questi 
modi  di  disfarsi  del  superfluo  la  vanità  avea  la  sua  parte,  ma  in  conchiusione, 
mercè  di  essi,  una  porzione  di  ciò  che  soverchiava  ad  alcuni  era  goduta  da 
coloro  che  più  ne  difettavano.  In  certe  epoche  più  raffinate  la  magnificenza 
dei  grandi  si  applicò  a  proteggere  artisti  e  poeti  e  nell'agevolare  quindi  la 
creazione  di  quei  capolavori  dell'arte  e  della  letteratura,  che  recano  un  godi- 
mento intellettuale  squisitissimo  non  solo  al  proprietario  od  al  mecenate,  ma 
a  tutti  coloro  che  sono  capaci  d'apprezzarli.  Il  lusso  moderno  è  nello  stesso 
tempo  più  egoistico  e  meno  intellettuale;  giacche  consiste  principalmente  nel 
procacciare  una  quantità  enorme  di  comodità  e  di  soddisfazioni  sensuali  a 
coloro  che  possono  spendere.  Come  se  ciò  non  bastasse,  i  godimenti  privati 
che  esso  procura  a  pochi  sono  da  costoro  resi,  con  ogni  industria,  di  pubblica 
ragione  mediante  la  descrizione  che  ne  fanno  i  giornali  quotidiani.  Certo 
questa  non  è  in  fondo  che  una  delle  tante  esplicazioni  della  vanità  umana, 
ma  l'effetto  pratico  delle  pubblicazioni  accennate  è  indiscutibilmente  di  far 
reputare  i  piaceri,  di  cui  i  ricchi  soltanto  possono  godere,  maggiori  assai  di 
quello  che  realmente  siano  e  di  aumentare  quindi  l'invidia  e  l'appetito  in 
coloro  che  ne  sono  privi. 


CONCLUSIONE  319 


abbiamo  enumerato,  tutti  gli  atti  di  mal  governo,  se  non  sono 
direttamente  responsabili  di  aver  dato  origine  a  quell'  infezione 
intellettuale  che  è  il  socialismo,  certo,  aumentando  il  malcontento 
e  diminuendo  quindi  la  resistenza  organica  della  società,  ne  age- 
volano il  progresso.  Sarebbe  perciò  molto  opportuno  il  consigliare 
alle  classi  dirigenti  una  più  stretta  igiene  sociale,  il  che  vuol  dire 
l'abbandono  dei  vecchi  errori.  Disgraziatamente  il  consiglio  facile 
a  dare  è  piuttosto  diffìcile  ad  eseguire  ;  perchè  sia  accolto  e  messo 
in  pratica,  le  dette  classi  dovrebbero  avere  maggiore  moralità  e 
sopratutto  pre veggenza  e  capacità  maggiori  di  quelle  di  cui  finora 
hanno  dato,  in  molti  paesi,  spettacolo. 

XVII.  —  Forse  ben  pochi  fra  coloro  che  oggi  seguono  con 
un  certo  interesse  lo  svolgimento  della  vita  pubblica  in  Eu- 
ropa ed  in  America,  non  si  sono  fatta  la  domanda  se  la  demo- 
crazia sociale  sia  o  no  destinata  a  trionfare  in  un  avvenii^e  più  o 
meno  prossimo. 

Dobbiamo  sinceramente  confessare  che  molti,  i  quali  certo  non 
hanno  simpatia  per  le  dottrine  socialiste  e  che  non  hanno  alcun 
interesse  a  favorirle,  sono  però  inclinati  a  rispondere  affermati- 
vamente alla  domanda  accennata,  e  questo  è  uno  dei  frutti  di 
quell'educazione  intellettuale  per  la  quale  la  gran  maggioranza 
delle  persone  di  qualche  coltura  è  abituata  a  considerare  la  storia 
dell'umanità  come  un  cammino  continuo  verso  la  realizzazione  di 
quelle  idee,  che  ora  diconsi  comunemente  avanzate.  La  credenza 
cieca  poi  nel  trionfo  fatale,  inevitabile  e  più  o  meno  prossimo  del 
loro  programma  è  comunissima  nei  seguaci  del  collettivismo  e 
dell'anarchia,  ed  è  per  essi  un  grandissimo  elemento  di  forza,  ren- 
dendo loro  lo  stesso  servizio  che  ai  Cristiani  primitivi  rese  la  fede 
nel  prossimo  avvento  del  Regno  di  Dio  o  nella  vita  futura.  Come 
questi,  infatti,  fondati  sulla  fiducia  che  avevano  nella  rivelazione 
divina,  affrontavano  intrepidi  il  martirio,  cosi  i  novatori  odierni 
sopportano  volentieri  le  noie,  i  disagi,  le  persecuzioni,  quando 
per  caso  debbono  qualcuna  patirne,  pregustando  anticipatamente 
la  gioia  della  sicura,  e  molti  credono,  della  vicina  vittoria  (1). 


(1)  Parecchi  autori  dei  più  accreditati  avevano  già  fissato  la  data  del  trionfo 
del  collettivismo,  prognosticandolo  per  la  fine  del  secolo  decinionono  o  per  i 
primi  decenni  del  ventesimo. 


320  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Dopo  quanto  abbiamo  già  scritto  nessuno  si  meraviglierà  se  noi 
affermiamo  recisamente  che,  anche  nell'ipotesi  che  collettivisti  ed 
anarchici  fossero  vittoriosi  in  parecchi  Stati  e  s'impadronissero 
dell'autorità  politica,  sarebbe  sempre  hìi possibile  la  realizzazione 
del  loro  programma;  poiché  i  postulati  del  collettivismo,  del  co- 
munismo e  dell'anarchia  non  potranno  mai  avere  una  pratica  at- 
tuazione (1).  Resta  però  a  vedere  quanta  probabilità  di  divenire 
una  realtà  abbia  la  ipotesi  che  abbiamo  accennata.  Giucche  il 
semplice  tentativo,  continuato  per  qualche  anno,  di  porre  in  vigore, 
ad  esempio,  le  teorie  collettiviste,  se  non  altererà  le  leggi  costanti, 
che  regolano  la  organizzazione  delle  società  umane,  leggi  che  fini- 
ranno sempre  coli'  imporsi  e  col  trionfare,  graverà  terribilmente 
sulla  sorte  della  generazione  sulla  quale  l'esperimento  sarà  fatto. 
Essa,  sbattuta  fra  la  rivoluzione  e  la  inevitabile  reazione,  sarà  ad 
ogni  modo  costretta  a  ritornare  verso  un  tipo  di  governo  assai 
più  rozzo  ed  assoluto  di  quello  al  quale  siamo  omai  abituati  e 
dovrà  subire  necessariamente  una  decadenza  nella  difesa  giuridica 
e  un  vero  disastro  morale  e  materiale,  i  quali  fra  qualche  secolo 
potranno  essere  studiati  con  interesse  e  forse  anche  con  diletto, 
come  un  bel  caso  di  patologia  sociale,  ma  intanto  procacceranno 
sofferenze  inenarrabili  a  coloro,  che  ne  saranno  stati  gli  spettatori 
e  le  vittime. 

Ma,  anche  posta  in  questi  termini,  la  questione  non  è  di  quelle 
clie  si  possono  risolvere  con  sicurezza,  perchè  molti  sono  gli  ar- 
gomenti che  si  possono  addurre  prò  e  contro  il  trionfo  tempo- 
raneo di  una  rivoluzione  sociale,  e  gli  elementi  del  giudizio  va- 
riano abbastanza  da  uno  Stato  all'altro  di  Europa,  e  variano  ancora 
di  più  se  si  tien  conto  delle  colonie  inglesi  e  degli  Stati  Uniti 
d'America. 

Certo  è  assai  meno  facile  l'attuazione  di  un  semplice  tentativo  di 
collettivismo  che  l'abbattere  la  più  salda  delle  dinastie  regnanti. 
Non  bisogna  infatti  dimenticare  che,  nel  presente  ordinamento  so- 
ciale, le  due  redini  di  cui  si  serve  qualunque  Governo  per  condurre 
una  nazione,  sono  la  burocrazia  e  l'esercito  stanziale.  Or,  come 
abbiamo  già  accennato  nel  capitolo  VIU,  nelle  rivoluzioni  prece- 


fi) Come  non  l'ebbero  gl'ideali  dei  prischi  cristiani  dopo  il  trionfo  ufficiale 
del  Cristianesimo. 


CAP.    X    -   OONCLUSIOMB  321 


denti,  fatta  eccezione  della  grande  rivoluzione  francese,  si  è  cam- 
biato il  cavaliere,  ma  le  redini  non  si  sono  spezzate,  esse  anzi  hanno 
continuato  a  funzionare. 

Or  se  trionfasse  una  grande  rivoluzione  sociale,  è  assai  dubbio 
se  il  presente  corpo  d' impiegati  ed  ufficiali  potrebbe  continuare 
nelle  sue  funzioni,  e  sopratutto  è  oltremodo  dubbio  se  nelle  fila 
dei  vincitori  si  troverebbe  il  personale  adatto  a  surrogarli.  Non 
agendo  più  i  consueti  organi  del  Governo,  si  avrebbe  un  periodo 
d'anarchia  dal  quale  non  si  sa  che  cosa  potrebbe  uscire,  ma  che 
intanto  renderebbe  impossibile  persino  la  continuazione  momen- 
tanea di  un  saggio  qualunque  di  collettivismo. 

L'ordinamento  presente  della  società  fornisce  poi  forze  di  resi- 
stenza immense  e  di  cui  ancora  non  si  è  esperimentato  il  valore. 
Incalcolabile  è  il  numero  di  uomini  e  d' interessi  la  cui  sorte  è 
legata  alla  continuazione  del  regime  che  oggi  prevale.  Banchieri, 
commercianti,  industriali,  impiegati  pubblici  e  privati,  possessori 
di  titoli  di  credito  pubblico,  depositari  di  risparmi  anche  piccoli, 
proprietari  grandi  e  piccini,  formano  un  esercito  numerosissimo, 
i  cui  gregari  se  possono  anche  simpatizzare  colle  idee  di  ugua- 
glianza sociale,  quando  si  tratta  di  progetti  vaghi  ed  a  lunga 
scadenza,  certo  penserebbero  altrimenti  se  ne  vedessero  immediata 
l'esecuzione  ed  imminente  fosse  la  lesione  dei  loro  interessi. 

Bisogna  anche  calcolare  che  un  Governo  può  in  certi  momenti 
avere  il  monopolio  di  mezzi  d'azione  efficacissimi,  quali  sarebbero 
la  posta,  il  telegrafo  e  le  ferrovie  (*),  che  esso  può  disporre  dei  mi- 
lioni che  si  trovano  nelle  pubbliche  casse,  senza  pregiudizio  di 
quelli  che  in  un  momento  grave  possono  fornigli  le  Banche  ed  il 
corso  forzoso,  e  che  esso  infine  ha  a  sua  disposizione  la  polizia  e 
l' esercito  stanziale,  che,  se  non  è  stato  già  disorganizzato  dalle 
concessioni  fatte  allo  spinto  democratico  (1),  quando  è  saldo  e 
risolutamente  adoperato  può,   anche  ridotto  ad  un  numero  relati- 


(*)  li.  bene  tener  presente  che  lo  svilupparsi  delle  organizzazioni  sindacaliste 
ed  il  loro  antagonismo  con  lo  Stato  può  rendere  assai  meno  sicuro  l'uso  di 
questi  mezzi  d'azione. 

(1)  Alludiamo  a  quelle  riforme  mediante  le  quali  lo  si  vorrebbe  trasfor- 
mare nella  così  detta  nazione  armata,  come  sarebbero  la  soverchia  brevità  della 
ferma,  il  reclutamento  regionale  in  tempo  di  pace,  ecc. 

O.  Mosca,  Elementi  di  S'cieusa  l'oìitica.  21 


322  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


vamente  scarso,  comprimere  sempre  qualunque  tentativo  d'insur- 
rezione armata. 

D'altra  parte  si  devo  tener  conto  della  propaganda  continua  clie, 
in  tutti  gli  strati  sociali,  anche  in  quelli  che  dovrebbero  essere  più 
inclinati  alla  difesa  dell'ordine  presente,  fa  la  democrazia  sociale. 
Propaganda,  che  se  raramente  ottiene  dello  conversioni  piene  ed 
intere  fra  gli  uomini  di  una  certa  età  e  di  una  certa  posizione 
sociale,  rende  dubbiosi  della  giustizia  della  propria  causa  molti 
di  coloro,  che,  per  interesse  o  per  ufficio,  dovrebbero  combattere 
la  nuova  corrente  rivoluzionaria,  e  che  nel  momento  del  pericolo 
può  far  diventare  oscillanti  buona  parte  di  quelle  forze,  che  hanno 
la  missione  di  arrestarla.  E  questa  titul^anza  può  diventare  un 
grave  fattore  di  sconfitta  se  è  complicata  colla  lenta  azione  dis- 
solvente, che  in  tutti  gli  organi  dello  Stato  esercita  il  regime 
parlamentare.  Come  si  può  esigere  infatti  fermezza  nel  pericolo, 
ed  un  servizio  scrupoloso  e  leale  senza  debolezze  ed  esitazioni,  da 
una  macchina  burocratica  abituata  al  mutevole  arbitrio  dei  suc- 
cessivi Ministeri  ;  da  Prefetti  ed  ufficiali  di  i)olizia  cambiati  pe- 
riodicamente in  agenti  elettorali?  Quale  affidamento  potranno 
dare  uomini,  che,  per  obbligo  quasi  di  ufficio,  non  devono  avere 
fedeltà  e  devozione  sincera  per  alcun  principio,  per  alcuna  per- 
sona, che  devono  combattere  oggi  colui  al  quale  ubbidirono  fino 
a  ieri,  e  il  cui  studio  i^rincipale  deve  esser  quello  di  non  incor- 
rere nella  collera  del  padrone  presente,  senza  farsi  troppo  nemico 
il  padrone  futuro  ?  In  questo  modo  si  potranno  formare  buoni 
equilibristi,  adatti  tutto  al  più  per  i  momenti  ordinari  della  vita 
amministrativa,  ma  che  non  avranno  ne  l'abitudine  alla  cieca  ob- 
bedienza, né  il  coraggio  di  ardite  iniziative  e  di  assumere  gravi 
responsabilità,  e  che  sopratutto  mancheranno  della  fermezza  di 
mente  e  di  cuore,  così  rara  negli  uomini  abituati  a  transazioni  ed 
a  ripieghi,  e  che  pure  è  la  qualità  più  indispensabile  per  gli  alti 
funzionari  di  un  Groverno  nei  momenti  straordinari  in  cui  avven- 
gono le  rivoluzioni. 

Ciò  che  sopratutto  poi  rende  difficile  qualunque  presagio  è  il 
fatto  che  il  giorno  in  cui  lo  scoppio  rivoluzionario  avverrà  (e  non 
è  secondo  noi  sicuro  che  debba  avvenire),  non  sarà  determinato 
ne  dai  capi  della  democrazia  sociale,  né  dagli  uomini  che  staranno 
al  governo  dei  vari  Stati.  Esso  sarà  la  conseguenza  o  di  errori  in- 
volontari dei  gojvernanti,  o  di  avvenimenti  inconsciamente  provo- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  323 


cati,  che  nessuno  avrà  avuto  la  forza  d'impedire  e  che  produrranno 
in  una  data  società  una  scossa  ed  una  agitazione  grandiosa  (1). 
Or  non  sappiamo,  ne  possiamo  sapere,  se  l'occasione  che  si  pre- 
senterà e  nella  quale  il  partito  rivoluzionario  sarà  in  certo  modo 
forzato  ad  agire,  potrà  essere  per  questo  la  migliore  possibile;  se 
allora  cioè  le  sue  forze  saranno  del  tutto  organizzate  e  quelle  dei 
suoi  avversarli  abbastanza  disorganizzate.  D'altra  parte  bisogna 
tener  presente  che  se  il  momento  favorevole  di  iniziare  la  rivolu- 
zione dovesse  ancora  per  molto  tempo  tardare,  ciò  sarebbe  dan- 
noso ai  rivoluzionari  stessi.  Perchè  è  difficilissimo  mantenere  a 
lungo  fra  le  masse  una  agitazione  qualsiasi,  quando  non  si  fa  al- 
cuno sforzo  concreto  affinchè  queste  possano  sperare  che  vedranno 
l'attuazione  di  quegli  ideali,  che  l'agitazione  stessa  si  propone  di 
raggiungere  ;  e  perchè  in  Francia  ed  in  qualche  altro  paese,  dove 
si  conservano  le  abitudini  e  le  tradizioni  della  lotta  a  mano  ar- 
mata, esse  andrebbero  interamente  perdute,  e  mancherebbero  del 
tutto  quei  capi,  che,  coll'autorità  e  l'esperienza  acquistate  nei  pre- 
cedenti cimenti,  potrebbero  meglio  dirigire  l'andamento  delle  fu- 
ture rivoluzioni. 

Infine  il  valore  personale  degli  uomini,  che  reggeranno  il  potere 
supremo  nei  grandi  Stati  d'Europa  e  d'America  nel  momento  che 
si  giocherà  la  partita  decisiva,  se  pure  questa  sarà  giocata,  costi- 
tuirà un  fattore  non  indifferente  di  vittoria  o  di  sconfitta  per  la 
democrazia  sociale  rivoluzionaria. 

XVIII.  —  Ad  ogni  modo  è  certo  che,  anche  che  sia  evitato 
un  movimento  violento,  ammesso  pure  che  tra  le  file  dei  novatori 
il  partito  detto  evoluzionista  abbia  a  conservare  sempre  tale  pre- 
ponderanza da  poter  impedire,  per  ora  e  per  qualche  generazione 
ancora,  una  lotta  a  mano  armata,  non  per  questo  la  democrazia 
sociale  cesserà  di  essere  un  violento  agente  dissolvitore  della  so- 
cietà moderna.  Sicché  se  la  nuova  dottrina  non  sarà  debellata, 
l'ordine  di  cose  ora  prevalente  rimarrà  sempre  in  uno  stato  di 
equilibrio  instabile,  e  non  sarà  in  gran  parte  custodito  che  dalla 


(1)  Citiamo  alcuni  degli  avvenimenti  che  potrebbero  provocare  una  rivo- 
luzione sociale.  Tali  sarebbero,  ad  esem|)io,  una  guerra  disastrosa  con  qualche 
potenza  straniera,  una  gravissima  crisi  industriale  ed  agricola,  il  fallimento 
di  uno  0  di  parecchi  grandi  Stati  europei. 


324  ELEMENTI    VI    SCIENZA    POLITICA 


forza  materiale.  Or  questa  può  bastare  ad  impedire,  giorno  per 
giorno,  lo  scoppio  di  una  catastrofe  violenta,  ma  non  può  ridare 
al  consorzio  civile  quell'unità  morale  senza  la  quale  esso  non  può 
godere  di  uno  stabile  assetto  (1).  Ci  pare  perciò  indiscutibile  che 
la  civiltà  europea,  se  sarà  costretta  a  stare  lungamente  e  diutur- 
namente sulle  difese  contro  le  tendenze  delle  scuole  socialiste,  sarà, 
per  questo  solo,  costretta  a  decadere.  E  la  decadenza  si  manife- 
sterà tanto  se  vorrà  con  esse  transigere,  far  concessioni  e  quasi 
venire  a  patti,  come  fra  poco  meglio  vedremo,  quanto  se  adotterà 
un  sistema  di  coazione  e  di  resistenza  assoluta,  per  mantenere  il 
quale  dovrà  abbandonare  buona  parte  delle  sue  idealità,  diminuire 
la  libertà  del  pensiero  ed  adottare  nuovi  tipi  di  governo,  che  se- 
gneranno una  vera  diminuzione  nella  tutela  della  giustizia  e 
nella  difesa  giuridica. 

Rimedi  se  ne  sono  suggeriti  molti  e  certo  buona  parte  di  essi 
non  è  da  respingere;  ma,  anche  i  migliori,  se  accrescono,  come  già 
abbiamo  visto,  la  forza  di  resistenza  del  malato,  non  tolgono  la 
vera  causa  della  malattia.  Di  questa  specie  di  farmachi  abbiamo 
teste  parlato  e  non  crediamo  opportuno  di  ritornarci  sopra.  Se  si 
migliora  l'economia  nazionale,  se  si  diminuiscono  le  imposte,  se  si 
rende  più  equa  ed  efficace  la  giustizia,  se  si  tolgono  tutti  gli  abusi 
che  si  possono  fare  scomparire,  sarà  certo  per  la  società  un  bene 
non  disprezzabile;  ma  la  democrazia  sociale,  che  aspira  alla  giu- 
stizia assoluta  ed  all'uguaglianza  assoluta,  le  quali  mai  si  potranno 
ottenere,  non  disarmerà  certo  per  questo  e  non  perdonerà  alla 
società  borghese  solo  perchè  essa  confesserà  in  parte  le  sue  colpe 
e  farà  penitenza;  giacché,  diversamente  del  Dio  dei  cristiani,  il 
vero  socialista  di  fronte  all'ordinamento  economico  presente  vuole 
la  morte  del  peccatore,  non  già  che  si  converta  e  viva. 

Un  secondo  ordine  di  rimedi  nel  quale  molto  hanno  sperato 
uomini  di  Stato  e  qualche  sovrano  moderno,  consiste  nell'applicare 


(1)  Abbiamo  già  detto  al  capitolo  VII  che  la  forza  brutale  può  da  sola 
reprimere  o  anche  sopprimere  una  corrente  d'idee  e  di  passioni  solo  quando 
essa  è  adoperata  senza  scrupoli  e  senza  riguardi,  quando  cioè  è  accompagnata 
da  una  crudeltà  che  non  si  arresta  davanti  il  numero  delle  vittime. 

Or,  anche  non  tenendo  conto  che  un  tale  uso  della  forza  non  è  certo  desi- 
derabile, ai  nostri  tempi  e  coi  nostri  costumi  esso  è  anche  impossibile,  almeno 
fino  a  quando  non  sarà  provocato  da  eccessi  analoghi  dei  rivoluzionari. 


CONCLUSIONE  326 


rintervento  dello  Stato  a  sanare  o  diminuire  molte  delle  ingiu- 
stizie, delle  sofferenze,  che  sono  il  prodotto  dell'individualismo 
economico,  della  concorrenza  spietata  che  si  fanno  proprietari  e 
grandi  industriali,  e  che  hanno  per  effetto  la  miseria  e  l'incertezza 
del  domani  per  i  proletari  salariati.  Anche  su  questo  punto  noi  ci 
siamo  già  abbastanza  spiegati  nel  capitolo  VI  del  presente  lavoro. 
Abbiamo  infatti  già  detto  che  iron  vi  è  una  quistione  sociale,  ma 
vi  sono  molte  quistioni  sociali,  e  che,  caso  per  caso,  l'intervento 
dello  Stato,  ossia  della  burocrazia  e  delle  alt^^e  classi  dirigenti  or- 
ganizzate, può  essere  giustificato  o  respinto.  Certo  vi  sono  esempi 
in  cui  quest'intervento,  moderatamente  usato,  può  essere  accolto, 
come  avviene  per  la  limitazione  di  certi  lavori  per  le  donne  ed  i 
fanciulli.  Non  negheremo  anche  che  per  quel  che  riguarda  la  ca- 
rità, l'assistenza  pubblica  o  la  mutua  assistenza,  l'organizzazione 
moderna  sia  affatto  insufficiente;  poiché  fra  lo  Stato  ed  il  grosso 
Comune,  strumento  dello  Stato,  enti  troppo  grandi,  entro  i  quali 
l'individuo  sparisce  ed  è  dimenticato,  e  la  famiglia  moderna  ri- 
dotta ornai  alla  massima  semplicità,  alla  minima  espressione  pos- 
sibile, nella  quale  neppure  i  fratelli  sentono  spesso  il  dovere  di 
aiutare  i  loro  consanguinei,  non  vi  sono  organismi  intermedia  Tali 
erano  fra  noi  nell'antichità,  nel  Medio  Evo  e  fino  a  qualche  secolo 
fa,  le  corporazioni  e  le  fratellanze  d'arte  e  di  professione,  e  orga- 
nismi consimili  si  trovano  anche  ora  in  tutte  le  altre  civiltà  (1). 
Essi  impongono  certi  obblighi  a  coloro  che  ne  fanno  parte;  ma 


(1)  Ad  esempio  nell'India  coloro  che  in  ogni  città  o  villaggio  appartengono 
alla  atessa  casta,  o  meglio  alla  stessa  suddivisione  di  casta,  si  assistono  e  si 
aiutano  reciprocamente.  Anche  fra  i  maomettani  l'assistenza  reciproca  è  di 
rito  fra  i  membri  della  stessa  tribù.  In  China  la  famiglia  è  molto  più  nume- 
rosa che  in  Europa,  giacché  ordinariamente  coabitano  ed  hanno  comunità  di 
interessi  i  discendenti  delio  stesso  antenato  fino  alla  terza  generazione.  Nel 
Giappone,  a  quanto  ci  ha  assicurato  il  chiarissimo  professore  Paternostro  che 
vi  ha  abitato  diversi  anni,  gli  abitanti  dello  stesso  villaggio  o  dello  stesso 
quartiere  di  una  città  si  credono  consuetudinariamente  obbligati  a  soccorrere 
un  vicino  che  ha  subito  un  disastro;  se,  ad  esempio,  gli  s'incendia  la  casa, 
glie  la  ricostruiscono  a  spese  comuni. 

Nell'occidente  d'Europa,  e  specialmente  nelle  grandi  città,  la  famiglia  da 
cui  si  può  ricevere  assistenza  e  praticamente  ridotta  al  padre,  alla  madre  ed 
ai  figli  finché  sono  minorenni.  Sicché,  se  il  capofamiglia,  che  vive  di  lavoro, 
per  un  accidente  qualsiasi  vede  interrotti  per  qualche  mese  i  suoi  guadagni, 
la  miseria  e  la  disperazione  sono  inevitabili. 


326  BLKMEMTI    DI    80IBKZA    POLITICA 


riconoscono  pure  in  ossi  certi  diritti  e  sopratutto  impediscono  che 
l'individuo  o  la  famiglia,  colj)iti  da  un  momentaneo  disastro,  siano 
lasciati  nell'abbandono  e  ridotti  alla  disperazione.  Indiscutibilmente 
(quindi  da  questo  lato  qualche  cosa  vi  è  da  rifare,  e  forse  baste- 
rebbe che  i  Groverni  lasciassero  fare  perchè  spontaneamente  si  an- 
dassero ricostituendo  quelle  solidarietà  naturali,  che  per  formarsi 
hanno  principalmente  bisogno  di  un  lungo  periodo  di  stabilità 
nelle  ijopolazioni  e  negli  interessi  economici  (1). 

Ben  altro  però  è  ciò  che  ordinariamente  si  pretende  dall'inter- 
vento dello  Stato;  perchè  si  vorrebbe  da  molti  che  questo  diret- 
tamente influisse  sulla  distribuzione  della  ricchezza,  togliendo, 
mediante  le  imposte,  ai  ricchi  il  sui)erfiuo  per  darlo  ai  poveri.  Or 
questo  concetto,  che  raccoglie  molte  simpatie  anche  tra  i  conser- 
vatori, come  quello  che  tende  a  contentare  tutti  i  numerosissimi 
socialistoidi^  cioè  quella  turba  grandissima,  che,  senza  essere 
ascritta  al  partito  collettivista  od  all'anarchico,  forma  quell'am- 
biente di  simpatia  nel  quale  i  detti  jjartiti  possono  prosperare  e 
propagarsi,  è  veramente  pericoloso.  Non  bisogna  infatti  dissimu- 
larsi che  una  sua  applicazione  alquanto  larga,  colpendo  troppo 
gravemente  il  capitale,  o  pretendendo,  ad  esempio,  d'imporre  un 
dato  tipo  di  cultura  delle  terre,  ucciderebbe  ciò  che  i  Francesi 
chiamano  la  vacca  da  latte;  cioè  farebbe  diminuire  grandemente 
la  produzione  della  ricchezza  e  quindi  aumenterebbe  la  miseria 
ed  il  malcontento  in  tutti  gli  strati  sociali.  Inaugurando  un  simile 
sistema,  non  si  avrebbe  il  collettivismo,  non  sparirebbero  le  dis- 
uguaglianze sociali,  e  quindi  resterebbe  sempre  ai  novatori  qualche 
cosa  di  sostanziale  da  chiedere,  ma  si  turberebbe  oltremodo  tutta 
l'economia  della  società  detta  borghese  e  se  ne  disorganizzerebbe 


(l)  Ciò  che  si  chiama  V individualismo  europeo,  il  fatto  cioè  che  ognuno 
deve  pensare  solo  per  aè  e  Dio  per  tutti,  è  stato  in  questo  secolo  prodotto 
in  parte  dai  frequenti  spostamenti  di  fortuna,  per  i  quali  si  rompono  od  al- 
lentano i  legami  di  famiglia,  di  colleganza,  di  vicinato,  ed  in  parte  maggiore 
dalla  soverchia  mobilità  della  popolazione,  dovuta  alla  creazione  di  nuovi 
centri  industriali,  nuove  grandi  città,  ecc.  Infatti  è  principalmente  nelle 
grandi  città,  abitate  in  gran  parte  da  una  popolazione  avventizia,  dov'è  raro 
che  una  famiglia  risieda  per  dieci  anni  nella  stessa  casa,  e  dove  non  si  sa 
quasi  mai  chi  sia  il  proprio  vicino  di  casa,  che  avvengono  i  più  dolorosi  casi 
di  abbandono,  nei  quali  un  individuo  od  una  famiglia,  soli  in  mezzo  ad  una 
moltitudine,  possono  in  qualche  caso  arrivare  a  morire  letteralmente  di  fame. 


CAP.    X    -    CONCLUSIONE  327 


del  tutto  il  funzionamento.  Che  i  seguaci  del  Marx  caldeggino 
transitoriamente  l'applicazione  del  sistema  accennato  è  naturale 
ed  è  logico;  perchè  è  il  solo  che  possa  ridurre  la  società  al  punto 
da  rendere  desiderabile  un  esperimento  di  collettivismo;  ma  ci 
pare  molto  strano  che  quelli,  che  le  loro  teorie  non  accettano, 
sperino  di  neutralizzarle  e  combatterle  agendo  in  modo  da  peg- 
giorare le  condizioni  economiche  di  tutti  e  riducendo  quasi  tutti 
nella  condizione  di  attendere  un  miglioramento  dal  collettivismo  (1). 
Il  socialismo  cristiano,  e  più  specialmente  quello  cattolico,  è  in- 
fine ritenuto  da  molti  mezzo  adattissimo  a  neutralizzare  quello 
ateo,  materialista  e  rivoluzionario,  e  sforzi  lodevolissimi,  e  non  del 
tutto  inefficaci,  si  sono  fatti  e  si  fanno  in  questo  senso.  Non  bi- 
sogna però  avere  una  fiducia  illimitata  in  questa  diversione.  Come 
abbiamo  già  accennato,  il  Cristianesimo  ed  il  socialismo,  sebbene 
ambidue  profittino  di  quella  sete  di  giustizia  e  d'ideale,  che  è  cosi 
comune  negli  uomini,  pur  costretti  a  vivere  in  un  mondo  dove 
esistono  tante  nequizie  delle  quali  essi  stessi  sono  gli  autori,  si 
appoggiano  poi  ad  altri  sentimenti,  che  nelle  due  dottrine  sono 
tutt'altro  che  identici.  I  loro  metodi  di  propaganda,  le  loro  aspi- 
razioni sono  anche  essenzialmente  diverse,  e  diversissimo  è  l'am- 
biente intellettuale,  che  è  loro  necessario  per  prosperare.  Giacché 
la  base  del  Cristianesimo  è  la  fede  nel  soprannaturale,  in  un  Dio 


(1)  Alcune  delle  misure  che  molti  caldeggiano,  credendole  una  giusta  sod- 
disfazione alle  aspirazioni  dei  socialisti,  sarebbero  :  il  diritto  al  lavoro,  cioè 
l'obbligo  imposto  allo  Stato  di  si^endiare  tutti  i  disoccupati  ;  la  suddivisione 
forzata  dei  latifondi,  che  equivarrebbe  alla  prescrizione  d'introdurre  la  piccola 
cultura  anche  colà  dove  essa  non  ha  le  condizioni  naturali  per  vivere  ;  il 
massimo  di  otto  ore  di  lavoro,  stabilito,  non  per  mutuo  consenso  fra  operai 
e  capitalisti,  ma  per  legge  dello  Stato;  il  tasso  minimo  dei  salari  stabilito 
pure  per  legge  dello  Stato;  l'imposta  unica  e  fortemente  progressiva,  ecc.,  ecc. 
Ognuno  che  abbia  una  mediocre  conoscenza  delle  leggi  economiche  vede  subito 
come  basterebbe  l'applicazione  dei  provvedimenti  accennati  per  fare  sparire 
nel  volgere  di  pochi  anni  qualunque  capitale  privato.  Bisogna  però  confessare 
che  i  Governi  di  molti  paesi  d'Europa  si  sono  messi  in  una  via  tale,  che, 
senza  gravi  strappi  alla  logica  ed  all'equità,  diffìcilmente  possono  respingere 
tutte  queste  e  le  analoghe  aspirazioni  dei  socialisti  e  socialistoidi. 

Infatti  quando  si  eleva  artificialmente  il  prezzo  del  patte,  sotto  lo  specioso 
pretesto  che  bisogna  assicurare  ai  proprietari  un  minimo  di  rimunerazione 
pìr  la  coltura  del  grano,  come  si  può  negare  all'operaio  che  si  stabilisca  il 
prezzo  minimo  del  suo  lavoro?  -  < 


328  F.r.EMKNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


che  vede  le  lacrime  dei  miseri  e  li  consola  in  questa  vita  e  li 
premia  nell'altra;  mentre  il  socialismo,  nato  dalla  filosofia  razio- 
nalista del  secolo  passato,  si  fonda  sullo  dottrine  materialiste,  che 
insegnano  tutta  la  felicità  consistere  nell'appagamento  degli  istinti 
e  delle  passioni  terrene.  Sono  perciò  due  piante  di  natura  diffe- 
rentiss'nsna,  che  possono  benissimo  contrastarsi  gli  umori  del  suolo, 
ma  delle  quali  è  impossibile  tentare  lo  scambievole  innesto.  E  vana 
perciò  la  speranza  che  il  ramoscello  cristiano  inserito  nel  tronco 
socialista  ne  possa  modificare  i  frutti,  togliendo  loro  ogni  sapore 
aspro,  ogni  virtù  nociva,  e  rendendoli  dolci  e  salubri;  ed  il  socia- 
lismo cristiano  invero  altro  non  è  e  non  può  essere  che  un  nome 
nuovo  applicato  ad  una  cosa  vecchia,  cioè  alla  carità  cristiana.  La 
quale  può  senza  dubbio  rendere  ancora  grandissimi  servigi  alla 
società  europea,  ma  potrebbe  interamente  distruggere  il  socialismo 
ateo  e  rivoluzionario  solo  quando  il  mondo  divenisse  di  nuovo  tal- 
mente imbevuto  di  spirito  cristiano,  come  lo  fu  nei  secoli  meno 
colti  del  Medio  Evo. 

XIX.  —  Nelle  condizioni  presenti  della  civiltà  europea,  il  ri- 
medio che  può  colpire  il  male  alla  radice,  quello  che,  facendo  spa- 
rire i  succhi  vitali  dei  quali  l'albero  si  nutre,  può  solo  farlo  dis- 
seccare, è  ben  altro.  La  democrazia  sociale,  come  crediamo  di  aver 
già  dimostrato,  è  principalmente  una  malattia  intellettuale  del 
secolo  nostro.  E,  sebbene  essa  abbia  trovato  propizio  anche  l'am- 
biente morale,  preparato  da  tutti  i  rancori,  le  ambizioni  e  le  cu- 
pidigie, che  sono  la  necessaria  conseguenza  di  un  lungo  periodo 
rivoluzionario  e  dagli  spostamenti  di  fortuna  che  a  questo  vanno 
uniti,  sebbene  le  sia  stata  sommamente  giovevole  la  disillusione 
prodotta  dalla  democrazia  parlamentare,  che  dovea  inaugurare 
nel  mondo  il  regno  della  giustizia  e  dell'uguaglianza  ed  ha  così 
male  adempiuto  ai  suoi  impegni,  pure  l'origine  della  nuova  dot- 
trina è  dovuta  ad  un  dato  sistema  d'idee,  che  in  fondo  è  la  conse- 
guenza logica  di  quello  al  quale  l'antica  democrazia  pura  si  era 
inspirata. 

La  credenza  nella  possibilità  che  il  Governo  emani  dalla  mag- 
gioranza, la  fede  nella  incorruttibilità  di  questa  maggioranza,  la 
fiducia  assoluta  che  gli  uomini  emancipati  da  ogni  principio  d'au- 
torità, che  non  abbia  la  sua  base  nel  consenso  universale,  da  ogni 
superstizione  aristocratica,  monarchica  e  religiosa,  potranno  inau- 


GAP.    X    -    CONCLUSIONE  329 


gurare  quel  regime  politico,  che  più  risponde  agli  interessi  gene- 
rali ed  a  quelli  della  giustizia,  hanno  formato  quel  complesso  di 
idee  e  di  sentimenti,  che  ha  combattuto  e  combatte  le  credenze 
cristiane  nel  popolo  ed  è  il  principale  ostacolo  a  qualunque  com- 
promesso con  la  Chiesa.  Lo  stesso  ordine  d'idee  e  di  sentimenti 
ha  prodotto  la  democrazia  parlamentare  e,  come  abbiamo  visto, 
impedisce  ora  che  si  applichino  al  parlamentarismo  rimedi  radi- 
cali; e  lo  stesso  infine  è  quello  che  ci  porta  inesorabilmente  verso 
il  socialismo  ed  in  ultimo  verso  l'anarchia. 

Poiché,  dopo  che  l'esperienza  ha  dimostrato  che  la  semplice 
uguaglianza  politica,  estrinsecata  col  suffragio  universale,  non  pro- 
duce l'uguaglianza  di  fatto  e  mantiene  la  preminenza  di  una  data 
classe  e  di  certe  influenze  sociali,  è  naturale  ed  è  logico  che  si 
escogiti  un  sistema,  che  distrugga  le  disparità  delle  fortune  pri- 
vate e  ponga  in  condizioni  uguali  coloro  che,  aspirando  a  reggere 
la  società,  domandano  il  suffragio  del  popolo.  E,  dopo  che  un'espe- 
rienza un  po'  più  matura  avrà  accertato,  o  semplicemente  fatto 
intuire,  che  neanche  in  questo  modo  si  avrà  un  Governo  che  sia 
la  sincera  emanazione  della  volontà  della  maggioranza,  e  che  molto 
meno  si  avrà  la  giustizia  assoluta,  sorgerà,  come  ultimo  portato 
di  un  concetto  metafisico  che  invano  ha  corso  verso  la  sua  realiz- 
zazione, la  dottrina  che  caldeggia  la  fine  di  qualunque  tipo  di  or- 
ganismo sociale,  e  perciò  l'anarchia, 

La  verità  è  quindi  che  la  dottrina  democratica,  che  pure  ha 
reso  innegabili  servigi  alla  civiltà,  e  che,  incarnandosi  nel  sistema 
rappresentativo  del  quale  ha  trovato  il  modello  in  Inghilterra, 
ha  contribuito  alla  realizzazione  di  importantissimi  migliora- 
menti nella  difesa  giuridica,  ottenuti  mercè  un  regime  di  libera 
discussione  che  si  è  applicato  in  tante  parti  d'Europa,  ora  che 
si  è  arrivati  alle  sue  ultime  deduzioni  logiche,  e  che  i  principi! 
sui  quali  è  fondata  si  vogliono  attuare  fino  alle  loro  ultime  con- 
seguenze, produce  la  disorganizzazione  ed  il  decadimento  dei 
paesi  nei  quali  prevale  (1).  Ed  è  necessario  che  sia  cosi;  perchè 


(1)  Non  sarebbe  il  primo  caso  di  una  società  che  decade  perchè  si  sono 
voluti  applicare  fino  alle  ultime  conseguenze  logiche  quei  principii,  quelle 
dottrine,  quei  metodi,  che  in  origine  fecero  la  sua  grandezza.  Ad  esempio,  la 
forte  organizzazione  burocratica  fu  nei  primi  tempi  forza  grandissima  dell'im- 
pero   romano,  che  mercé  di  essa  potè   assimilare  tanta  parte   del   mondo,  e 


330  ELEHBNTI   DI    8CIBNZA   POLITICA 


la  detta  dottrina,  sotto  apparenze  pseudo-scientifiche,  è  in  fondo 
I)orfettamente  apriorista.  Infatti  le  sue  premesse  non  sono  in  nulla 
giustificato  dai  fatti,  giacché,  nelle  società  umane,  l'uguaglianza 
assoluta  non  è  mai  esistita,  ed  il  potere  politico  non  è  stato  o  non 
sarà  mai  fondato  sul  consenso  esplicito  della  maggioranza;  perchè 
esso  è  stato  e  sarà  sempre  esercitato  da  quella  minoranza  orga- 
nizzata che  ha  avuto  od  avrà  i  mezzi,  variabili  secondo  i  tempi, 
di  imporre  la  sua  supremazia  alla  moltitudine.  Abbiamo  già  visto 
che  solo  un'organizzazione  sapiente  ed  un  numero  veramente 
grande  di  circostanze  storiche  favorevoli  hanno  potuto  rendere 
questa  preponderanza  della  classe  dirigente  meno  pesante  ed 
abusiva. 

Scrisse  Renan  che  l'Impero  romano  avrebbe  potuto  arrestare  il 
propagarsi  del  Cristianesimo  ad  una  sola  condizione:  diffondendo 
cioè  quell'insegnamento  positivo  delle  scienze  naturali  che  solo  può 
sviluppare  il  senso  del  reale  e  che,  col  porre  in  chiaro  che  nei 
fatti  naturali  il  nostro  mondo  ubbidisce  a  leggi  immutabili,  riesce 
a  sradicare  dallo  spirito  umano  la  credenza  nei  miracoli  e  nell'in- 
tervento continuo  del  soprannaturale  (1).  Ma  allora  le  scienze  na- 
turali erano  appena  in  uno  stato  embrionale,  ed  il  Cristianesimo 
trionfò.  Ora,  nel  mondo  in  cui  viviamo,  il  socialismo  sarà  solo  ar- 
rostato se  la  scienza  politica  positiva  arriverà  nelle  discipline  so- 
ciali a  schiacciare  del  tutto  gli  attuali  metodi  aprioristici  ed  ot- 
timisti, se  cioè  la  scoperta  e  la  dimostrazione  delle  grandi  leggi 
costanti,  che  si  manifestano  in  tutte  le  società  umane,  metterà  a 
nudo  l'impossibile  attuazione  della  concezione  democratica.  A  questo 
patto,  ma  a  questo  patto  soltanto,  le  classi  intellettuali  saranno 
interamente  sottratte  all'influenza  della  democrazia  sociale  e  for- 
meranno un  ostacolo  invincibile  al  suo  trionfo. 

Finora  questo  o  quell'altro  postulato  dei  socialisti  è  stato  dagli 


l'eccesso  della  burocratizzazione  divenne  poi  una  delle  cause  principali  del 
decadimento  di  quell'impero.  Il  fanatismo  e  la  fede  cieca  ed  esclusiva  nel 
Corano  furono  il  coefficiente  più  importante  della  pronta  diffusione  della 
civiltà  maomettana,  ma,  col  correre  dei  secoli,  diventarono  anche  la  ragione 
precipua  della  sua  immobilità  e  decadenza. 

(1)  Questo  giudizio,  che  si  trova  implicito  in  tutte  le  opere  dell'egregio 
autore,  è  espresso  esattamente  nel  Marco  Aurelio  al  capitolo  XXI.  Vedi 
Marc-Aiirèle  et  la  fin  du  monde  antique.  Paris,  1882,  Calman  Lévy. 


CAP.   X    -   OONCLUaiONE  331 


studiosi  di  scienze  sociali,  e  sopratutto  dagli  economisti,  studiato 
in  modo  da  farne  rilevare  l'evidente  fallacia.  Ma  ciò  non  basta, 
perchè  equivale  a  dimostrare  falsi  uno^  parecchi  miracoli  senza 
distruggere  la  fede  nella  possibilità  dei  miracoli.  \A<Z  un  intero 
sistema  metafìsico  si  deve  opporre  un  intero  sistema  positivo. 
Scrisse  pure  recentemente  un  altro  egregio  autore  che  ''  nell'inse- 
gnamento superiore,  agli  errori  del  marxismo  bisogna  contrapporre 
le  teorie  dell'Economia  politica  e  della  sociologia  positiva,  perchè 
gl'intelletti  giovanili  non  restino  in  balia  di  chimere  ad  essi  pre- 
sentate come  gli  ultimi  risultati  della  scienza  „  (1).  Saggie  e  giuste 
parole,  ma  che  finora  contengono  più  l'espressione  di  un  lodevole 
desiderio  che  l'indicazione  di  un  rimedio  di  pronta  e  sicura  effi- 
cacia. Eccellente  cosa  è  invero  lo  studio  dell'Economia  politica, 
ma  non  basta  da  solo  a  bandire  dalla  mente  le  chimere  alle  quali 
si  accenna.  Perchè  questa  disciplina,  che  ha  acutamente  indagato 
le  leggi  che  regolano  la  produzione  e  la  distribuzione  della  ric- 
chezza, non  si  è  consacrata  eziandio  a  studiare  i  rapporti  che 
hanno  con  le  altre  leggi  che  spiegano  la  loro  azione  sull'organiz- 
zazione politica  delle  società  umane;  perchè  gli  economisti  non 
si  sono  dedicati  ad  osservare  quelle  credenze,  quelle  illusioni  col- 
lettive, che  possono  diventare,  in  una  data  società,  generali  e  for- 
mano tanta  parte  della  storia  del  mondo;  essendoché  è  risaputo 
che  l'uomo  non  vive  di  solo  pane.  E  in  quanto  poi  alla  sociologia 
positiva^  l'egregio  autore  che  abbiamo  citato  ci  permetta  di  cre- 
dere che  finora  non  siasi  manifestata,  almeno  nella  maggioranza 
delle  sue  dottrine,  come  scienza  matura  ed  indiscutibile.  Ci  pare 
infatti  che,  nella  seconda  metà  del  secolo  decimonono,  la  concor- 
renza alla  metafìsica  democratico-socialista  sia  stata  fatta  solo  da 
altri  sistemi  sedicenti  positivi,  ma  ugualmente  metafisici,  che  hanno 
anche  meno  riscontro  nella  vita  reale  dei  popoli  e  sono  anche  meno 
suscettibili  di  j)ratiche  applicazioni.  Fra  le  diverse  metafisiche  è 
naturale  che  la  prevalenza  sia  rimasta  a  quella  che  meglio  sa 
lusingare  le  passioni  più  vive  e  più  generali. 

Arduo  quindi  è  il  compito  che  resta  alla  scienza  politica.  E  lo 
sarà  tanto  più,  perchè  le  verità,  che  è  sua  missione  di  rivelare, 
non  saranno  generalmente  gradite  ed  urteranno  molte  passioni  e 


(1)  GAnoFALo,  opera  citata,  pag.  240. 


332  KLKMKNTI    DI    8CIBNZA    POLITICA 


molti  interessi.  È  quindi  molto  probabile  che,  malgrado  l'abitu- 
dine alla  libera  discussione  che  distingue  i  nostri  tempi,  la  diffu- 
sione dei  nuovi  risultati  scientifici  incontrerà  ancora  una  volta 
quegli  ostacoli,  che  hanno  ritardato  i  progressi  dogli  altri  rami 
dello  scibile.  Né  è  da  credere  che  le  nuovissimo  dottrine  potranno 
trovare  un  appoggio  nei  Governi,  in  quelle  classi  dirigenti,  che 
dovrebbero  pure  sostenerle.  Perchè  gli  interessi,  di  qualunque  na- 
tura siano,  amano  la  polemica,  non  la  discussione  spassionata,  e 
sostengono  solo  la  teoria  che  serve  ad  un  fine  particolare  ed  im- 
mediato, che  giustifica  un  uomo,  sostiene  un  dato  Governo  od  un 
partito;  non  già  quella  che  potrà  portare  pratiche  conseguenze 
solo  in  momenti  relativamente  lontani  e  nell'interesse  generale 
della  società.  Se  la  scienza  quindi  finirà  col  trionfare,  la  sua  vit- 
toria sarà,  ora  come  sempre,  dovuta  alla  coscienza  degli  studiosi 
onesti,  per  i  quali,  sopra  ogni  altra  considerazione,  sta  il  dovere 
di  ricercare  ed  esporre  la  verità. 


PARTE  SECONDA 


CAPITOLO  I. 

Origini   della   dottrina   della   classe   politica 
e  cause  che  ne  ostacolano  la  diffusione. 


I.  La  dottrina  della  classe  politica  è  nata  da  circa  un  secolo.  —  II.  Cause 
estrinseche  che  ne  hanno  ostacolato  lo  sviluppo.  —  III.  Cause  intrinseche 
della  sua  mancata  diffusione  e  cenni  sui  modi  di  eliminarle. 

I.  —  La  dottrina  la  quale  afferma  che,  in  tutte  le  società 
umane  arrivate  ad  un  certo  grado  di  sviluppo  e  di  cultura,  la  di- 
rezione politica  nel  senso  più  largo  dell'espressione,  che  comprende 
quindi  quella  amministrativa,  militare,  religiosa,  economica  e  mo- 
rale, viene  costantemente  esercitata  da  una  classe  speciale,  ossia 
da  una  minoranza  organizzata,  è  più  antica  di  quanto  comune- 
mente si  crede  anche  da  parecchi  di  coloro  che  la  propugnano. 
Perchè,  pur  non  tenendo  conto  che  i  fatti,  sui  quali  si  fondano 
i  suoi  principi  fondamentali,  sono  così  evidenti  e  comuni  che  non 
poterono  mai  intieramente  sfuggire  alla  osservazione  volgare,  so- 
pratutto se  sgombra  da  preconcetti  teorici,  e  che  vaghi  accenni 
e  più  o  meno  chiare  intuizioni  di  essa  si  possono  qua  e  là  rinve- 
nire perfino  in  qualche  scrittore  politico  di  secoli  abbastanza 
lontani  dal  nostro,  come  sarebbe  il  Machiavelli  (1),  certo  è  che  le 
linee  fondamentali  della  dottrina  accennata  furono  tracciate  in 
modo  abbastanza  preciso  ed  evidente  circa  cento  anni  fa  negli 
scritti  del  Saint-Simon. 


(1)  Come  quando  afferma  che  *  in  qualunque  città,  in  qualunque  modo  or- 
dinata, ai  gradi  del  comandare  non  giungono  mai  più  di  quaranta  o  cinquanta 
persone  ,.  Vedi  Discorsi,  Cap.  XVI. 


336  KliEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


Difatti  fin  cVallora  questo  autore,  del  quale  ancora  non  è  abba- 
stanza nota  ed  apprezzata  la  i)rofonda  originalità,  esaminando  le 
condizioni  morali  e  politiche  della  società  medioevale  e  paragonan- 
dole a  quelle  della  società  a^li  inizi  del  secolo  decimonono,  affer- 
mava che  nella  i)rima  prevaleva  l'elemento  militare  e  teologico, 
e  perciò  all'apice  della  x>iramide  politica  stavano  i  sacerdoti  ed  i 
capi  militari,  mentre  nella  seconda  le  funzioni  principali  ed  essen- 
ziali per  la  vita  sociale  erano  quella  scientifica  e  quella  industriale, 
e  quindi  la  direzione  politica  doveva  essere  affidata  a  coloro  che 
avevano  la  capacità  di  far  jprogredire  la  scienza  e  di  dirigere  la 
produzione  economica.  E  con  ciò  non  solo  veniva  a  stabilire  im- 
plicitamente la  immanente  necessità  di  una  classe  dirigente,  ma 
chiaramente  proclamava  che  essa  doveva  possedere  i  requisiti  e  le 
attitudini  che,  in  una  data  epoca  ed  in  un  dato  tipo  di  civiltà, 
sono  alla  direzione  sociale  più  necessari  (1). 

Figliuolo  intellettuale  di  Saint-Simon  fu  il  suo  allievo  Augusto 
Comte  (2),  il  quale  nel  suo  Sistema  di  politica  positiva  ossia  di 
sociologia^  pubblicato  verso  la  metà  del  secolo  decimonono,  svi- 
luppò, modificandole,  alcune  delle  idee  fondamentali  del  suo  antico 
maestro,  sostenendo  che  la  direzione  della  società  doveva  in  avve- 
nire spettare  ad  un'aristocrazia  scientifica,  che  egli  apjjellava  sa- 
cerdozio scientifico,  ed  affermando  che  questo  regime  sarebbe  stato 
una  conseguenza  necessaria  del  periodo  positivo  al  quale  era  per- 
venuta la  mentalità  umana  nel  secolo  scorso,  in  contrapposto  allo 


(1)  Vedi  Olindo  Rodriguez,  Saint-Simon  et  son  premier  écrit,  Paris,  Librairie 
Saint-Simonienne,  1832.  Il  volume  contiene  realmente  tre  dei  principali  scritti 
di  Saint-Simon,  cioè  le  Lettere  ad  un  abitante  di  Ginevra,  la  sua.  Parabola  poli- 
tica ed  il  Nuovo  Cristianesimo.  Come  pure  vedi  le  (Euvres  de  Saint-Simon  et 
d'Enfanfin,  Paris,  Dentu,  anno  1865  e  se.s^uetiti.  In  questa  grande  raccolta,  che 
consta  di  47  volumi,  si  trovano  pubblicati  scritti  di  Saint-Simon  nei  voi.  15, 
16,  18,  19,  20,  21,  22,  23,  37  e  39.  I  concetti  che  abbiamo  accennato  nel  testo 
formano  i  capisaldi  delle  dottrine  di  Saint-Simon  e  si  trovano  ripetuti  in  quasi 
tutte  le  sue  pubblicazioni.  Crediamo  superfluo  ricordare  che  il  Saint-Simonismo, 
il  quale  si  costituì  e  si  difl'use  alcuni  anni  dopo  la  morte  di  Saint-Simon,  si 
allontanò  molto  dalle  idee  del  primo  Maestro  da  cui  prese  il  nome.  In  pro- 
posito si  può  pure  consultare  il  lavoro  di  Paul  Jankt,  sopra  Saint  Simon  et  le 
Satnt-Simonisme,   Paris,  Germer-Baillière,  1878. 

(2)  La  influenza  intellettuale  esercitata  da  Saint-Simon  sopra  Augusto  Comte 
è  assai  bene  rilevata  da  Geoege  Dumas  ;  vedi  Psychologie  de  deitx  Meesies  positi- 
tistes,  Paris,  Felix  Alcan  editore,  1905,  pagina  255  e  seguenti. 


PABTK  II.  GAP.   I    -    ORIO.  DSLLA  DUTTR.  DELLA  SCIENZA  POLITICA  KCO.       337 


stadio  teologico  ijrevalente  nell'antichità  classica  ed  a  quello  me- 
tafìsico prevalente  nel  Medio  Evo  (1).  Circa  venti  anni  dopo,  poco 
dopo  il  1870,  Enrico  Taine  spiegava  magistralmente  le  cause  prime 
della  grande  rivoluzione  francese  colla  necessità  di  sostituire  una 
nuova  classe  dirigente  alla  vecchia,  che  le  antiche  attitudini  al 
comando  avea  perduto  e  quelle  che  i  nuovi  tempi  richiedevano 
non  aveva  saputo  acquistare;  e  poco  prima,  il  Marx  e  l'Engels 
aveano  formulato  la  teoria  per  la  quale  lo  Stato  sarebbe  stato 
sempre  nel  passato,  e  sarebbe  ancora  oggi  nella  società  borghese, 
il  rappresentante  della  classe  padrona  degli  strumenti  di  produ- 
zione economica.  Dottrina  che  rimanda  quindi  alla  fine  di  un'evo- 
luzione, che  dovrebbe  fatalmente  condurre  al  collettivismo,  l'inizio 
di  una  forma  di  regime  politico  ed  economico  nel  quale  la  col- 
lettività intiera,  impadronitasi  alla  sua  volta  degli  strimienti 
accennati,  non  sarà  più  sfruttata  a  benefìcio  di  una  minoranza. 

Perciò  più  di  sessanta  anni  erano  trascorsi  dopo  le  pubblicazioni 
di  Saint-Simon,  e  la  prima  unica  fonte  si  era  già  suddivisa  in  di- 
verse correnti,  assai  divergenti  l'una  dall'altra,  quando,  sullo  scorcio 
del  secolo  scorso  e  nei  primi  anni  di  quello  presente,  la  nuova  vi- 
sione del  mondo  politico  veniva  proclamata  e  propalata  da  un 
certo  numero  di  scrittori  di  vari  paesi,  che  ad  essa  spesso  erano 
arrivati  per  vie  diverse  ed  avendo  scarsa  od  imperfetta  conoscenza 
gli  uni  degli  altri  e  dei  loro  primi  predecessori.  Ciò  che,  se  qualche 
volta  aggiungeva  alla  loro  percezione  qualche  cosa  di  spontaneo 
ed  originale,  qualche  altra  volta  la  guidava  per  vie  senza  uscita 
o  l'arricchiva  di  dettagli  facilmente  confutabili.  Quando  si  farà  la 
storia  della  nuova  dottrina  della  classe  politica  non  sarà  diffìcile 
l'attribuire  ad  ogni  scrittore  la  parte  di  merito  che  avrà  avuto 
nell'apportare  il  suo  contributo  di  materiale  buono,  mediocre  o 
cattivo  nella  costruzione  dell'edificio,  e  distinguere  anche  quale 
materiale  era  perfettamente  nuovo  e  quale  già  usato.  Per  ora  ba- 
sterà ricordare  a  titolo  di  cronaca  che  nel  1881  veniva  alla  luce 
la  Lotta  delle  razze  di  Gumplowicz  (2),  che  riconosceva  in  ogni 
organismo  politico  l'esistenza  di  due  classi  dirigenti,  delle  quali 
l'una  si  riservava  la  direzione  amministrativa  e  militare  e  l'altra 


(1)  Vedi  CoMTK,  Système  de  poUtique  positive,  ParÌ3,  Carillan  ed.,  1853. 

(2)  Il  Grundriss  der  Sociologie,  nel  quale  l'autore   ribadiva    e    sviluppava    i 
concetti  espressi  nel  Rassonkiimpf,   comparve  nel  1885. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scinnsa  Politica.  29 


338  KLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


quella  industrialo,  commerciale  e  bancaria,  e  fondava  sopra  la 
diversità  dello  origini  etniche  la  differenziazione  fra  queste  due 
classi  ed  il  loro  predominio  su  quella  diretta,  e  nel  1883  veniva 
pubblicata  la  nostra  Teorica  dei  f/overni,  nella  quale,  esaminando 
l'intimo  funzionamento  dei  regimi  democratici,  si  dimostrava  come 
anche  in  essi  perduri  la  necessità  di  una  minoranza  organizzata 
che,  a  dispetto  delle  api)arenze  e  dei  principi  sui  quali  legalment*- 
poggia  lo  Stato,  conserva  la  direzione  reale  od  effettiva  di  esso. 
Negli  anni  successivi  venivano  pubblicate  la  prima  edizione  degli 
Elementi  di  scienza  politica  ed  a  tacere  di  altri,  le  opere  del- 
l'Ammon,  del  Novikof,  del  Rensi,  del  Pareto  e  del  Michels  d). 

Sicché,  in  parte  per  opera  degli  scrittori  menzionati,  ed  in  parte 
forse  anche  maggiore  per  quella  spontanea  maturità  dell'esperienza 
collettiva  per  la  quale  il  pensiero  di  una  generazione,  quando  non 
si  cristallizza  nell'adorazione  cieca  degli  insegnamenti  degli  ante- 
nati, arriva  a  profondità  un  poco  più  grandi  di  quelle  raggiunte 
dalle  generazioni  precedenti,  si  può  affermare  che  oggi  il  concetto 
dell'esistenza  necessaria  di  una  classe  dirigente  è  entrato,  in  modo 
più  o  meno  preciso,  nella  coscienza  di  tutti  coloro  che,  nei  paesi 
più  colti  d'Europa,  pensano,  meditano  o  parlano  sui  fenomeni  sto- 
rici e  politici.  Difatti  vediamo  comunemente  attribuire,  più  che 
all'ignoranza  delle  masse  o  all'arbitrio  dei  reggitori  supremi,  alla 
incapacità  ed  insufficienza  delle  classi  dirigenti  gli  insuccessi  delle 


(1)  Delle  dottrine  del  De  Gobineau  e  del  Lapouge  basate  sulla  superiorità 
etnica  della  classe  dirigente  ci  siamo  già  occupati  nella  prima  parte  di  questo 
lavoro  (Capitolo  ì",  paragrafo  10).  Riguardo  agli  autori  ora  citati  I'Ammon  avea 
già  pubblicato  nel  1893  Die  naturliche  Auslese  beim  Menschen,  Jena,  edizione 
Fischer,  e  nel  1898  venne  alla  luce  la  prima  edizione  tedesca  deWOrdre  social 
et  ses  bases  naturelles  (Paris,  Librairie  Thorin,  1900),  nel  quale  la  teoria  del- 
l'immanenza necessaria  della  classe  politica,  basata  sopra  una  selezione  natu- 
rale che  accadrebbe  negli  strati  sociali  superiori,  è  largamente  sviluppata. 
Quanto  agli  altri  scrittori  citati  vedi  Novikof,  Conscience  et  volontà  sociale, 
Paris,  Giard  e  Briere  ed.,  1897;  Rensi,  Les  anciennes  Wgimes  e  La  democrazia 
diretta.  Bellinzona,  1902;  Pareto,  Les  si/Hèmes  socialixte^,  Paris,  Saint-Aniand, 
1902,  ed  il  Trattato  di  sociologia  generale,  Firenze,  Barbèra,  1916;  Michkls 
Roberto,  La  sociologia  del  jìartito  politico  nella  democrazia  moderna,  Torino, 
Unione  Tip.,  1912.  In  questo  lavoro,  del  quale  comparve  un'edizione  tedesca 
nel  1911,  l'A.  dimostra  con  validissimi  argomenti  che  anche  i  errandi  partiti 
democratici  e  socialisti  sono  inevitabilmente  guidati,  e  spesso  con  ferrea  di- 
sciplina, da  minoranze  organizzate. 


PAKTE  II.  GAP.  I    -    ORIG.  DELLA  DOTTE.  DELLA  SCIENZA  POLITICA  ECC.       339 

varie  nazioni  e  le  catastrofi  che  le  minacciano.  Ciò  che,  per  con- 
seguenza logica,  porterebbe  ad  attribuire  all'azione  illuminata  delle 
stesse  classi  i  successi,  quando  questi  si  conseguiscono.  E  bisogna 
aggiungere  che  alla  divulgazione  dell'idea  accennata  ha  proceduto 
parallela  la  lenta  erosione  di  quella  concezione  ottimistica  della 
natura  umana  che,  nata  nel  secolo  decimottavo,  occupò  un  posto 
preponderante  nella  mentalità  europea  durante  quasi  tutto  il  secolo 
decimonono.  Concezione  per  la  quale  si  credeva  che,  distrutte  le 
ineguaglianze  legali,  fosse  possibile  una  elevazione  morale  ed  in- 
tellettuale indefinita  in  tutti  gli  strati  sociali,  in  modo  da  renderli 
tutti  ugualmente  capaci  di  reggere  la  cosa  pubblica.  Il  quale  modo 
di.  vedere  evidentemente  è  il  solo  che  possa  fornire  una  base  mo- 
rale ed  intellettuale  a  ciò  che  comunemente  s'intende  per  demo- 
crazia, cioè  al  governo  dello  Stato  per  opera  della  maggioranza 
numerica  dei  consociati. 

II.  —  Dopo  quanto  abbiamo  detto,  può  destare  ragionevole 
maraviglia  la  scarsa  efficacia  pratica  che  la  nuova  dottrina  ha 
esercitato  ed  esercita  non  solo  nello  svolgersi  delle  istituzioni 
politiche,  ma  anche  nella  scienza  ufficiale  e  non  ufficiale.  G-iacchè 
anche  coloro  che  ammettono  l'esistenza  della  classe  politica,  ed 
il  non  ammetterla  equivarrebbe  alle  volte  a  negare  l'evidenza, 
molto  spesso  non  ragionano  come  se  il  fatto  fosse  inevitabile,  non 
ne  traggono  le  conseguenze  necessarie,  e  quindi  non  si  servono 
della  nozione  accennata  come  di  un  filo  conduttore  che  deve  gui- 
darci nell'indagine  delle  cause  che  preparano  e  producono  gli 
effetti,  i  quali  alle  volte  spingono  le  società  umane  verso  la  pro- 
sperità e  la  potenza,  alle  volte  le  inabissano  nel  disfacimento  e 
nell'anarchia.  A  nulla  giova  infatti  l'attribuire  il  merito  del  suc- 
cesso, o  la  responsabilità  dell'insuccesso,  alla  classe  dirigente  se  non 
se  ne  scrutano  i  congegni,  nell'azione  dei  quali  si  può  ritrovare 
la  spiegazione  della  sua  forza  o  della  sua  debolezza.  E  con  ciò 
si  è  già  accennato  ad  una  delle  cause  della  sterilità  pratica  delhi 
nuova  dottrina;  cause  che  però  vanno  piuttosto  largamente  esa- 
minate e  che,  per  facilitarne  l'esame,  divideremo  in  due  categorie  : 
in  estrinseche,  cioè  estranee  all'essenza  ed  allo  svolgimento  della 
dottrina  stessa,  ed  intrinseche,  ossia  dovute  a  difetti  o  manche- 
volezze di  essa. 
La  prima  delle  cause  estrinseche,  e  si  potrebbe  dir  anche  la  prin- 


340  BliBMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


cipale,  consiste  nel  fatto  che  finora  tutte  le  istituzioni  \'igenti  in 
Europa  sono  basate  sopra  altre  dottrino,  delle  quali  qualcuna  è  di- 
versa e  quasi  estranea  a  quella  della  quale  ci  occupiamo  e  qualche 
altra  con  essa  in  antitesi  perfetta.  Difatti  i  Governi  rappresenta- 
tivi, ora  quasi  da  per  tutto  prevalenti  nei  paesi  di  civiltà  europea, 
in  parte  sono  modellati  secondo  i  precetti  del  Montesquieu,  che 
nella  triplice  partizione  dei  poteri  sovrani  fa  consistere  l'essenza 
e  la  guarentigia  della  libertà  politica,  ed  in  ])arte  sempre  mag- 
giore sopra  quelli  di  Rousseau,  a  tenore  dei  quali  soli  poteri  legit- 
timi sono  quelli  che  rappresentano  la  volontà  della  maggioranza 
numerica  dei  cittadini  ed  il  diritto  al  suffragio  viene  considerato 
come  un  diritto  innato,  dal  quale  nessun  individuo  può  essere 
ragionevolmente  ed  onestamente  escluso. 

Or  il  regime  democratico  ha  per  se,  a  preferenza  di  altri,  una 
grande  forza  conservatrice,  la  quale  consiste  nella  necessità  che 
hanno  i  suoi  naturali  avversari  di  accettarlo  ufficialmente  se  vo- 
gliono eluderne,  in  parte  maggiore  o  minore,  le  conseguenze.  Tutti 
coloro  infatti  che  per  ricchezza,  cultura,  intelligenza  o  furberia 
hanno  le  attitudini  e  la  possibilità  di  guidare  la  comune  degli 
uomini,  in  altre  parole  tutte  le  frazioni  della  classe  dirigente, 
una  volta  che  il  suffragio  universale  è  istituito,  devono  inchinarsi 
davanti  ad  esso;  ed  anche,  occorrendo,  adularlo,  se  vogliono  par- 
tecipare alla  direzione  dello  Stato  ed  arrivare  a  quei  posti  dai 
quali  i  loro  particolari  interessi  di  classe  possono  essere  meglio 
difesi.  Questo  omaggio  ufficiale,  che  gli  stessi  naturali  avversari 
della  democrazia  devono  tributarle,  impedisce  ad  essi  di  profes- 
sarsi pubblicamente  come  seguaci  di  teorie  le  quali  esplicitamente 
negano  la  possibilità  di  un  regime  democratico,  come  viene  co- 
munemente concepito,  e  fa  si  che  difficilmente  possa  formarsi 
quella  coalizione  di  sentimenti  e  d'interessi,  che  è  necessaria  af- 
finchè una  dottrina  diventi  una  forza  attiva  capace  di  trasformare 
le  istituzioni,  perchè  essa  conquisti  e  penetri  gli  intelletti  in  modo 
da  modificare  sensibilmente  l'indirizzo  di  una  società  (1). 


(1)  Il  Michels  ha  già  rilevato  la  necessità  dell'omaggio  che,  nei  paesi  retti 
a  governo  rappresentativo,  i  partiti  conservatori  devono  rendere  alle  dottrine 
democratiche.  Vedi  opera  citata  e  sopratutto  l'articolo  di  quest'autore  intito- 
lato La  democrazia  e  la  legge  ferrea  dclV oligarchia,  pubblicato  nella  *  Rassegna 
contemporanea  ,,  anno  III,  N.  5. 


PARTE  li.  GAP.  I    -    OKIG.  DELLA  DOTTE.  DELLA  SCIENZA  POLITICA  ECC.       341 


Si  aggiunga  che  una  concezione  nuova,  in  politica  od  in  reli- 
gione, non  può  acquistare  molta  efficacia  pratica  finché  quella  che 
nella  mentalità  umana  l'ha  preceduto  non  ha  esaurito  tutta  la  sua 
forza  di  espansione,  o,  meglio  ancora,  finché  non  ha  compito  il  pro- 
gramma storico  per  il  quale  era  nata  e  si  era  più  o  meno  rapi- 
damente diffusa.  Ora  la  moderna  concezione  democratica  é  nata 
poco  più  di  un  secolo  e  mezzo  fa,  ebbe  rapidissima  diffusione 
perchè  prima  in  Francia,  e  poi  immediatamente  dopo  nell'Europa 
occidentale,  la  nuova  classe  dirigente  l'adoperò  subito  per  abbat- 
tere i  privilegi  della  nobiltà  e  del  clero  e  sostituirsi  in  gran  parte 
ad  essi;  ma,  per  quanto  i  progressi  della  cennata  dottrina  siano 
stati  rapidi,  alla  fine  del  secolo  decimonono  la  sua  missione  non 
era  certamente  compiuta  e,  nei  paesi  dell'Europa  orientale,  l'effi- 
cacia della  sua  azione  é  stata  relativamente  molto  recente. 

Perciò  quando  Saint-Simon,  circa  cento  anni  fa,  credeva  esaurito 
il  compito  delle  dottrine  democratiche  ed  in  una  lettera  aperta 
a  Luigi  XVIII  gli  suggeriva  "  di  non  preoccuparsi  del  preteso 
dogma  della  sovranità  popolare,  il  quale  non  era  che  un'antitesi 
opposta  dai  legisti  e  dai  metafisici  al  dogma  del  diritto  divino, 
un'astrazione  provocata  da  un'altra  astrazione,  e  che  i  due  dogmi 
rappresentavano  i  residui  di  una  lotta  ornai  terminata  „  (1),  evi- 
dentemente egli  commetteva  un  grossolano  anacronismo  e  dimen- 
ticava, o  non  sapeva,  con  quanta  disperante  lentezza  si  svolga 
ordinariamente  la  storia  in  rapporto  alla  brevità  della  vita  umana. 

Invece  il  diritto  divino,  che  Saint-Simon  credeva  morto  e  se- 
polto precisamente  un  secolo  fa,  tentava  ancora  di  resistere  in 
Francia  nel  1830,  quando  Saint-Simon  era  già  morto,  con  Carlo  X 
e  con  Polignac,  ed  in  Germania  ed  in  Russia  resisteva  ancora 
alla  corrente  dei  tempi  fino  a  qualche  anno  fa;  mentre  l'altro 
dogma  metafisico  della  sovranità  popolare  non  si  affermò  inte- 
ramente che  col  suffragio  universale,  che  la  Francia  adottò  per 
la  prima  in  Europa   solo  nel  1848.   Sebbene   sia  pure   vero  che. 


(1)  Vedi  Opere  di  Saint-Simon  ed  Enfantin,  tomo  XXI,  pag.  211.  Sarà  utile 
ricordare  che  per  Saint-Simon  il  dominio  dei  legisti  e  dei  metafisici  rappre- 
sentava il  periodo  di  transizione  fra  la  dominazione  dei  sacerdoti  e  dei  guer- 
rieri e  quella  degli  scienziati  e  degli  industriali.  Inoltre  egli  giudicava  che  i 
legisti  ed  i  metafisici,  adattissimi  a  distruggere  il  mondo  antico,  si  dimostra- 
vano inetti  a  ricostruire  quello  moderno. 


/ 


342  KLKMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


in  tulli  i  paesi  che  più  o  meno  recentemente  l'hanno  adottato, 
si  è  mantenuto  finora,  sotto  l'egida  di  esso,  quel  predominio  delle 
classi  colto  ed  agiate,  più  o  meno  temperato  dalle  influenze  della 
piccola  borghesia  e  da  quelle  dei  rappresentanti  degli  interessi 
di  alcune  categorie  del  proletariato,  il  quale  ha  in  fondo  molta 
analogia  con  quel  governo  degli  industriali,  dei  dotti  e  dogli  artisti 
auspicato  dal  nostro  autore  e  che  egli  voleva  che  Luigi  XVIII 
iniziasse  di  sua  autorità.  E  si  potrebbe  aggiungere  che  le  isti- 
tuzioni democratiche  potranno  forse  ancora  durare  se,  mediante 
esse,  si  riuscirà  a  mantenere  un  certo  equilibrio  fra  le  varie  fra- 
zioni della  classe  dirigente  e  se  l'apparente  democrazia,  fatalmente 
trascinata  dalla  logica,  che  è  la  sua  peggiore  nem.ica,  e  dagli  ap- 
petiti delle  classi  inferiori  e  di  coloro  che  le  capeggiano,  non 
vorrà  fare  il  tentativo  di  diventare  realtà,  integrando  l'ugua- 
glianza politica  con  quella  economica  e  culturale. 

III.  —  Alla  principale  causa  intrinseca  della  scarsa  fortuna 
che  ha  avuto  finora  la  dottrina  della  immanenza  necessaria  della 
classe  dirigente  abbiamo  già  sommariamente  accennato. 

Una  dottrina  è  un  filo  dal  quale,  non  dico  i  profani,  ma  coloro 
che  sono  iniziati  nello  studio  di  un  dato  ordine  di  fatti,  vogliono 
essere  guidati  nel  laberinto  che  questi  a  prima  vista  presentano,  e, 
tanto  più  riesce  praticamente  utile,  quanto  più  agevola  e  semplifica 
la  loro  comprensione  e  la  loro  analisi;  ed  in  questa  cosa,  come  in 
tante  altre,  l'apparenza  basta  spesso  a  soddisfare  gli  uomini  quanto 
la  sostanza.  Or  certamente  le  antiche  classificazioni  delle  varie  forme 
di  regime  politico,  quella  di  Aristotile,  che  le  divideva  in  monarchie, 
aristocrazie  e  democrazie,  e  quella  di  Montesquieu,  che  le  tripar- 
tiva in  governi  dispotici,  monarchici  e  repubblicani,  adempivano 
abbastanza  bene  al  fine  indicato.  Ognuno,  seguendo  lo  Stagirita  o 
l'autore  dello  Spirito  delle  leggio  poteva  facilmente  orizzontarsi 
nello  stabilire  la  categoria  alla  quale  apparteneva  il  regime  politico 
del  proprio  paese  o  dei  paesi  vicini  o  anche  lontani  e,  bene  stabilito 
questo  punto,  poteva  credersi  facilmente  autorizzato,  applicando  i 
precetti  del  maestro  che  aveva  scelto  e  dei  suoi  continuatori,  a 
rilevarne  i  pregi,  i  difetti  ed  i  pericoli  ed  a  rispondere  alle  obbie- 
zioni che  gli  venivano  fatte. 

Invece,  la  semplice  affermazione  che  in  tutte  le  forme  di  go- 
gerno  il  potere  vero  e  reale  risiede  in  una  minoranza  dirigente, 


PARTE  II.  GAP.  I    -    ORIO.  DELLA  DOTTP..  DELLA  SCIENZA  POLITICA  ECC.       343 

esautoi'a  le  antiche  guide  senza  fornirne  una  nuova;  è  la  con- 
statazione di  una  verità  generica,  che  non  aiuta  ad  addentrarsi 
nell'esame  degli  avvenimenti  politici  presenti  e  passati,  che  per  sé 
sola  non  spiega  perchè  certi  organismi  politici  siano  saldi  ed  altri 
deboli,  ne  indica  i  modi  e  le  vie  per  evitame  la  decadenza  e  ripa- 
rare i  loro  possibili  difetti.  E  l'imputare  tutto  il  merito  della  pro- 
sperità, 0  la  responsabilità  della  dissoluzione  politica  di  una  società, 
alla  sua  classe  dirigente  serve  a  poco  quando  non  si  conoscono  i 
vari  tipi  secondo  i  quali  le  classi  politiche  si  formano  e  si  organiz- 
zano, perchè  è  appunto  in  questa  varietà  che  bisogna  ricercare  il 
segi'eto  della  loro  forza  o  della  loro  debolezza. 

Perciò  all'affermazione  sintetica  e  generica  è  necessario  aggiun- 
gere lo  studio  analitico,  ricercando  pazientemente  i  caratteri  co- 
stanti delle  varie  classi  dirigenti  e  quelli  variabili,  ai  quali  si  riat- 
taccano le  cause  remote,  quasi  sempre  inavvertite  dai  contemporanei, 
della  loro  coesione  o  della  loro  dissoluzione.  Si  tratta  in  fondo  di 
adoperare  il  procedimento  tanto  usato  nelle  scienze  naturali,  nelle 
quali  una  quantità  di  cognizioni,  diventate  ora  patrimonio  intan- 
gibile del  sapere  umano,  sono  dovute  ad  intuizioni  felici,  in  parte 
confermate,  in  parte  modificate,  ma  sempre  sviluppate,  dagli  espe- 
rimenti e  dalle  esperienze  successive.  E  se  si  obbiettasse  la  diffi- 
coltà, e  si  potrebbe  aggiungere  la  quasi  impossibilità,  di  fare 
esperimenti  quando  si  tratta  di  fatti  sociali,  si  potrebbe  rispondere 
che  la  storia,  la  statistica  e  l'economia  politica  hanno  omai  rac- 
colto tale  un  tesoro  di  esperienze  che  esso  è  sufficiente  per  ini- 
ziare l'indagine  accennata. 

Finora  gli  storici,  seguendo  in  ciò  l'opinione  prevalente  nel  pub- 
blico, hanno  messo  sopratutto  in  evidenza  le  gesta  dei  capi  supremi 
degli  Stati,  di  coloro  che  stanno  al  vertice  della  piramide  politica 
ed,  occasionalmente,  anche  i  meriti  degli  strati  più  bassi  della 
piramide,  delle  masse  che  coi  loro  sudori,  e  spesso  col  loro  sangue, 
hanno  fornito  ai  capi  supremi  i  mezzi  materiali  necessari  a  rag- 
giungere 1  loro  fini.  Se  la  nuova  visione  relativa  all'importanza 
della  classe  dirigente  si  vuole  affermare  occorre  che,  senza  negare 
la  valida  cooperazione  tanto  del  vertice  che  della  base  della  pira- 
mide, sia  dimostrato  che,  senza  l'opera  degli  strati  intermedi,  quasi 
nulla  di  importante  e  duraturo  l'uno  e  l'altra  avrebbero  potuto  fare  ; 
poiché  dalla  maniera  come  questi  strati  intermedi  sono  formati  e 
funzionano  dipende  principalmente  il  tipo  al  quale  un  organismo 


344  RLKMENTl    DI    S<;iEN/A    COLITICA 


politico  appartiene  e  l'efficacia  della  sua  azione.  E,  quando  questa 
dimostrazione  verrà  fatta,  sarà  reso  evidente  che  l'opera  dei  capi 
supremi  degli  Stati  ha  potuto  lasciare  di  sé  traccia  duratura,  in 
generale,  solo  quando  essa  ha  saputo  prendere  l'iniziativa  di  una 
opportuna  riforma  delle  classi  dirigenti,  e  che  il  merito  precipuo 
delle  classi  popolari  ha  consistito  sempre  nella  capacità  congenita 
di  trarre  dallo  loro  viscere  nuovi  elementi  idonei  a  bene  guidarle. 

E  per  le  ragioni  esposte  che  intendiamo  ora  di  continuare  e  svi- 
luppare lo  studio  analitico  della  clas.se  politica.  Naturalmente  non 
mancheremo  di  valerci  in  proposito  delle  osservazioni  fatte  nella 
prima  i^arte  di  questo  ed  in  altri  nostri  lavori,  coordinandole  e 
completandole  con  osservazioni  nuove,  ne  trascureremo  di  trarre 
il  massimo  profitto  che  ci  sarà  possibile  di  quanto  altri  autori 
hanno  scritto  sull'argomento. 

Sarebbe  puerile  la  speranza  di  esaurire  il  tema,  poiché  si  tratta 
di  lavoro  per  il  quale  puft  non  riuscire  sufficiente  l'opera  di  tutta 
una  generazione  di  pensatori.  E  come  se  ci  trovassimo  davanti 
un'ardua  catena  di  montagne  nella  quale  l'umanità,  se  vorrà  acqui- 
stare una  certa  conoscenza  delle  leggi  che  finora,  quasi  a  sua  in- 
saputa, hanno  guidato  la  sua  azione  politica,  deve  aprire  un'ar- 
ditissima strada,  che  dovrà  inerpicarsi  per  cime  difficili  e  scavalcare 
abissi  profondi.  Non  aspiriamo  neppure  a  completarne  il  primo 
tronco,  e  saremo  assai  soddisfatti  se  arriveremo  a  costruire  alcuni 
dei  sentieri,  che  permetteranno  agli  ingegneri  di  studiare  bene  il 
tracciato  che  la  strada  dovrà  seguire  e  di  preparare  alcuni  dei 
progetti  di  quelle  opere  d'arte,  che,  per  la  sua  costruzione,  sa- 
ranno indispensabili. 


CAPITOLO  n. 
Descrizione  dei  diversi  tipi  di  organizzazione  politica. 


I.  I  primi  nuclei  politici.  —  li.  I  grandi  imperi  orientali.  —  III.  Formazione 
dello  Stato  ellenico.  —  IV.  Originalità  e  debolezze   dello  Stato   ellenico. 

I.  —  Volendo  studiare  i  diversi  tipi  di  formazione  ed  orga- 
nizzazione della  classe  politica,  è  molto  utile,  per  non  dire  indi- 
spensabile, di  gettare  prima  uno  sguardo  sui  vari  metodi  secondo  i 
quali  le  società  umane,  che  hanno  raggiunto  un  certo  sviluppo  ed 
hanno  acquistato  un  posto  nella  storia  del  mondo,  si  sono  costi- 
tuite ed  hanno  funzionato.  Questa  indagine  preliminare  fornisce 
forse  la  maniera  più  adatta  e  più  pratica  di  porre  in  evidenza  la 
importanza  che  alla  classe  politica  spetta  in  ogni  organizzazione 
sociale;  perchè,  studiando  i  diversi  metodi  seguiti  nella  formazione 
dei  vari  Stati,  sarà  facile  accertare  che  le  differenze,  per  dir  così 
anatomiche,  che  in  essi  riscontreremo,  ed  i  tipi,  secondo  i  quali 
queste  differenze  si  possono  raggruppare,  corrispondono  appunto 
alla  diversa  formazione  ed  al  diverso  funzionamento  delle  loro 
classi  dirigenti. 

Uno  studio,  che  aveva  qualche  analogia  con  quello  che  ora  vo- 
gliamo iniziare,  fu  già  intrapreso,  più  di  mezzo  secolo  fa,  quando 
lo  Spencer  e  poi  i  suoi  seguaci,  volendo  costruire  la  nuova  scienza 
che  essi,  sull'esempio  del  Comte,  appellavano  Sociologia,  credet- 
tero opportuno  dividere  tutte  le  organizzazioni  politiche  in  due 
grandi  tipi  fondamentali:  quello  militare,  basato  sulla  costrizione 
con  la  quale  i  dominatori  s'imponevano  ai  dominati,  e  quello  indù- 


;ì4G  klkmknti  di  scienza  politica 

strialo,  basato  sopra  [)atti  o  contratti  liberamente  accettati  da  tutti 
coloro  che  partecipavano  al  consorzio  sociale.  Abbiamo  ^ià  nella 
prima  parte  di  questo  lavoro  accennato  alla  imperfezione  di  questa 
classificazione,  ed  abbiamo  già  messo  in  rilievo  come  il  germe  di 
verità  che  conteneva  sia  rimasto  infecondamente  sperduto  in  una 
visione  unilaterale  ed  incomi)leta  dei  fatti  che,  colla  guida  di  esso, 
si  volevano  analizzare  (1).  Aggiungeremo  ora  che  a  questa  infe- 
condità della  classificazione  accennata,  ed  in  generale  di  tutte  le 
dottrine  dello  Spencer  e  dei  suoi  seguaci,  ha  senza  dubbio  effica- 
cemente contribuito  l'indirizzo  seguito  nelle  loro  ricerche  ed  i  ma- 
teriali da  loro  usati  per  costruire  l'edificio  della  nuova  scienza  che 
volevano  creare. 

Essi  partivano  infatti  dal  concetto  che  è  negli  organismi  sociali 
più  semplici  e  primitivi,  e  perciò  nelle  piccole  orde  dei  selvaggi 
o  semi-selvaggi,  che  bisogna  rintracciare  i  germi  dai  quali  poi  si 
sono  sviluppati  i  diversi  tipi  di  ordinamento  politico,  che  si  pos- 
sono riscontrare  nei  popoli  arrivati  ad  un  certo  grado  di  civiltà  ed 
ordinati  in  nuclei  politici  di  qualche  importanza;  e  le  loro  conclu- 
sioni perciò  si  fondavano  principalmente  sulle  relazioni  dei  viag- 
giatori, che  con  le  popolazioni  più  primitive  avevano  avuto  mag- 
giori contatti.  Mentre,  a  tacere  di  tanti  altri  appunti  che  al  detto 
metodo  si  potrebbero  fare,  sembra  a  noi  evidente  che,  come  av- 
viene nelle  piante  e  negli  animali,  nei  quali  i  tipi  primitivi  neces- 
sariamente si  rassomigliano,  pel-chè  una  semplice  cellula  sarà 
sempre  simile  ad  un'altra  cellula,  anche  negli  organismi  sociali  la 
differenziazione  debba  farsi  maggiore  a  misura  che  essi  si  svilup-- 
pano  e  si  complicano. 

Ed  in  verità  non  ci  vuole  molto  a  convincersi  che  una  piccola 
orda  di  selvaggi,  del  genere  di  quelle  che  ancora  vagano  nell'in- 
terno dell'Australia,  potrà  essere  pacifica  o  guerriera,  a  seconda 
della  maggiore  abbondanza  o  deficienza  dei  suoi  mezzi  di  sussi- 
stenza o  della  natura  delle  popolazioni,  con  le  quali  si  troverà 
in  contatto;  ma  che,  se  vogliamo  rintracciare  in  essa  un  regime 
politico,  questo  non  potrà  consistere  che  nel  predominio  del  maschio, 
più  forte,  intelligente  ed  astuto,  e,  generalmente,  del  migliore  cac- 
ciatore o  del  migliore  guerriero.  Potrà  anche  darsi  che  l'esperienza 


(1)  Vedi  Parte  prima,  Capitolo  VI,  paragrafi  VII  ed  Vili. 


PARTE  II.  CAP.  II    -    DE3CKIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGANIZZ.  POLITICA       347 


(li  qualche  vecchio  o  di  qualche  vecchia  sia  tenuta  in  qualche 
considerazione,  ma  è  impossibile  che  in  un  organismo  sociale  cosi 
primitivo  ci  sia  già  una  distinzione  di  classi,  che  non  può  essere 
fondata  che  sulla  differenziazione  stabile  delle  occupazioni. 

Ed,  anche  quando  lo  stadio  primitivo  è  decisamente  oltrepassato, 
quando  la  sussistenza  è  già  basata  sulla  pastorizia  ed  anche  sopra 
una  incipiente  agricoltura,  e  l'orda  è  diventata  una  tribù,  che  com- 
prende, secondo  i  casi,  diversi  raggruppamenti  di  tende  od  anche 
un  borgo  o  parecchi  villaggi,  e  comincia  a  delinearsi  una  certa 
specializzazione  nelle  funzioni  e  quindi  una  certa  gerarchia  sociale. 
il  tipo  politico  che  riscontriamo  in  tutti  questi  organismi,  che  non 
hanno  superato  la  prima  fase  del  loro  sviluppo,  presenta,  in  tutte 
le  razze  ed  in  tutte  le  latitudini,  una  notevole  somiglianza.  Poiché 
la  tribù,  sia  essa  ancora  nomade  o  semi-nomade,  o  abbia  già  stabile 
dimora,  avi'à  sempre  un  capo,  che  è  giudice  supremo,  sacerdote, 
quando  essa  ha  ancora  i  suoi  speciali  Dei  protettori,  e  duce  mili- 
tare. Ma  egli,  in  tutte  le  quistioni  di  qualche  importanza,  deve 
sempre  consultare  il  consiglio  dei  maggiorenti  e  nulla  decide  senza 
il  loro  consenso,  ed  in  quelle  di  massima  importanza,  le  sue  deci- 
sioni e  quelle  dei  maggiorenti  devono  essere  approvate  dall'as- 
semblea di  tutti  i  membri  della  tribù,  cioè  di  tutti  gli  adulti,  che 
non  sono  schiavi,  e  neppure  individui  estranei,  ai  quali  la  tribù 
ha  accordato  la  sua  protezione,  ma  che  non  ha  ancora  aggregato 
a  sé  per  via  dell'adozione  o  di  qualche  altra  finzione  legale. 

E  questo  l'ordinamento  che  troviamo  descritto  in  Omero  (1),  e 
quasi  identico  é  quello  che  Tacito  riscontrava  nei  Germani  suoi 
contemporanei  (2),  e  che  ora  riscontrasi  nelle  tribù  arabe  dell'Asia 
0  in  quelle  arabo-berbere  dell'Africa  settentrionale,  nelle  quali  però 
il  capo,  dato  il  prevalente  islamismo,  ha  quasi  perduto  ogni  ca- 
rattere religioso.  Né  altro  ordinamento  sarebbe,  date  le  condizioni 
sociali,  possibile.  Perchè  il  capo,  sebbene  appartenga  ordinaria- 


(1)  Vedi  Iliade  nel  secondo  e  nel  nono  canto.  Nel  canto  secondo  vi  è  la 
minuta  descrizione  tanto  del  consifrlio  dei  maggiorenti  che  dell'assemblea 
generale  di  tutti  i  guerrieri.  Vedi  anche  il  canto  secondo  ed  il  canto  ottavo 
dell'Odissea. 

(2)  Vedi  Tacito,  De  origine,  situ,  moribuf  ac  populis  Gennaniae,  al  capo  XI, 
dove  dice  che  *  De  minoribus  rebus  principe»  oonaultant  de  majoribus  oinnes  ,. 
S'intende  però  tutti  i  guerrieri  che  facevano  parte  della  tribù. 


;;t8  ELKMENXI    1)1    SC1E.\ZA    POLITICA 


mente  alla  famiglia  })iù  ricca  ed  influente  della  tribù,  non  potrebbe 
farsi  obbedire  senza  che  siasi  prima  concertato  con  gli  altri  membri 
autorevoli  per  ricchezze  ed  aderenze,  od  anche  per  particolare  fama 
di  saggezza.  La  massa  poi  degli  uomini  liberi,  quando  è  riunita 
in  assemblea,  ordinariamente  non  prende  parte  attiva  alla  discus- 
sione e  si  limita  ad  approvare  coi  suoi  applausi  od  a  disapprovare 
coi  suoi  mormorii  le  proposte  dei  maggiorenti,  che  quasi  sempre 
hanno  preso  la  precauzione  di  mettersi  prima  d'accordo  e  che,  già 
consumati  nell'arte  di  condurre  le  folle,  qualche  volta  si  sono 
prima  divise  le  parti  che  devono  recitare  (1). 

In  questi  organismi  politici  al  primo  stadio  del  loro  sviluppo, 
come  si  è  già  accennato,  comincia  ordinariamente  a  delinearsi  una 
certa  differenziazione  di  classi  basata  sull'eredità  della  situazione 
economica  e  politica.  Anzi  il  capo  supremo  è  molto  spesso  eredi- 
tario, ma,  come  oggi  accade  nelle  tribù  arabo-berl^ere,  difficilmente 
al  padre  succede  il  figlio  se  questi  per  intelligenza,  tatto  ed  energia 
si  mostra  incapace  a  reggere  la  suprema  carica  e  se  non  è  affian- 
cato da  numerosi  parenti  e  clienti  e  son*etto  da  una  fortuna  per- 
sonale relativamente  cospicua.  E  lo  stesso  avviene  per  i  maggio- 
renti, nei  quali  il  lustro  degli  antenati  è  quasi  sempre  pregiato, 
ma  non  è  sufficiente  da  solo  alla  conservazione  del  rango  politico. 
In  certe  tribù  non  vi  è  un  vero  capo,  perchè  gli  altri  maggiorenti 
gelosi  non  lo  tollererebbero,  ma  in  fondo  vi  è  quasi  sempre  qual- 
cuno fra  loro  che  riesce  ad  avere  di  fatto  un  predominio  sugli 
altri  (2).  Spesso  il  primo  posto  è  disputato  fra  due  famiglie  in- 
fluenti e  rivali  ed  è  questa  alle  volte  l'origine  dei  cof  o  partiti,  che 
agitano  così  spesso  le  tribù  arabo-berbere  (3).  Naturalmente  poi, 
quando  la  tribù  si  sviluppa  in  modo  che  essa  si  avvia  a  diventare 
un  piccolo  popolo  di  parecchie  decine  di  migliaia  di  persone,  la 
sua  organizzazione  politica  accenna  a  modificarsi  ;  e  si  modifica  in 


(1)  Come  accade  precisamente  nel  citato  canto  secondo  àoiV Iliade.  Del  resto 
anche  Tacito  parlando  dei  Germani  in  seguito  alle  parole  teste  citate  aggiunge: 
*  ita  tameu  ut  ea  quoque,  quorum  penes  plebem  arbitrium  est,  principes  prae- 
tractentur  ,. 

(2)  Pare  che  ciò  attualmente  avvenga  in  qualche  tribìi  arabo-berbera  della 
Cirenaica. 

(3)  Anche  Omero  accenna  ad  uno  dei  Proci,  Antinoo  figlio  di  Eupite,  il 
quale  aspirava  a  diventare  re  d'Itaca  scalzando  Telemaco  figlio  di  Ulisse. 
Vedi  Odissea,  canto  ventiduesimo. 


PABTE  II.  CAP,   II    -    D23CKCZ.  DBI  DIVERSI  TIPI  DI  ORQASIZZ.  POLITICA       349 

generale  nel  senso  di  una  maggiore  differenziazione  delle  classi 
sociali  e  di  una  maggiore  influenza  dei  maggiorenti,  che  tendono 
a  rafforzare  ed  a  rendere  più  stabile  la  loro  azione  sulle  masse  (1\ 

IL  —  Ma  dovette  venire  un  momento,  che  forse  non  sarà  mai 
precisato,  nel  quale  una  tribù  si  potè  sviluppare  tanto,  assorbendo 
0  sottomettendo  altre  tribù  limitrofe,  che  essa  potè  diventare  un 
popolo,  creare  una  civiltà,  e  costituire  un  grande  organismo 
politico,  cosi  saldo  da  riunire  e  coordinare  un  numero  rilevante 
di  sforzi  e  di  energie  individuali  indirizzandoli  al  raggiungi- 
mento di  scopi  comuni,  sia  di  guerra  che  di  pace;  riuscendo 
perciò  ad  organizzare  ed  a  tenere  in  campo  eserciti  numerosi  e 
relativamente  disciplinati,  o  costruendo  edifici  maravigliosi,  o  meglio 
ancora,  rendendo  più  feconda  la  terra  per  via  di  un  complesso  e 
studiato  sistema  di  canalizzazione  delle  acque. 

Certo  anche  questa  volta  la  natura  non  dovette  fare  dei  salti, 
e  perciò  il  sorgere  dei  primi  grandi  stati  dovette  essere  preceduto 
da  un  lungo  periodo  di  elaborazione,  durante  il  quale  il  borgo 
primitivo,  che  era  capoluogo  della  tribù,  dovette  avviarsi  a  diven- 
tare una  città,  i  progressi  dell'agricoltura  dovettero  esser  tali  da 
permettere  ad  un  numero  relativamente  grande  di  uomini  di  vivere 
addensati  in  un  territorio  relativamente  piccolo,  e  l'organizzazione 
politica  potè  divenire  più  salda  e  meno  rudimentale  di  quella 
testé  descritta.  Anzi,  molto  probabilmente,  durante  questo  periodo 
preparatorio  alcune  arti  avevano  già  preso  un  qualche  sviluppo 
ed  un  primo  accumulo  di  capitale  sotto  la  forma  di  scorte  di  viveri 
e  di  strumenti  di  guerra  e  di  pace  era  già  avvenuto.  E  già  fin  d'al- 
lora la  scrittura,  per  quanto  ancora  imperfetta,  cominciava  a  fissare 
i  ricordi  del  passato  ed  a  facilitare  la  trasmissione  delle  nozioni  e 
dell'esperienza  di  una  generazione  alle  generazioni  successive. 


(1)  Dìfatti  essendo  le  popolazioni  galliche,  all'epoca  della  conquista  romana, 
arrivate  ad  un  grado  di  sviluppo  economico  e  politico  superiore  a  quello  dei 
Germani  contemporanei  a  Tacito,  Cesare  così  descrive  i  loro  ordinamenti  po- 
litici :  *  In  omni  Gallia  eorum  hominum  qui  aliquo  sunt  numero  et  honore 
sunt  duo  (cioè  i  Druidi  ed  i  cavalieri).  Nam  piebs  poene  servorum  habetur 
loco,  quae  nihil  audet  per  se,  nulli  adhibetur  Consilio  ,  {De  bello  gallico, 
Libro  VI,  Gap.  XIII).  Ed  anche  fra  i  Sassoni  dell'epoca  di  Carlo  Magno,  certo 
socialmente  più  sviluppati  dei  Germani  di  Tacito,  si  distinguevano  già  net- 
tamente due  classi:  i  nobili  od  Etelingi  ed  in  semplici  uomini  liberi,  ossia 
Frilingi. 


350  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Paro  che  il  primo  grande  iiapero  del  quale  è  possibile,  mercè 
documenti  storici,  di  stal^ilire  presso  a  poco  la  data  della  nascita, 
sia  stato  quello  fondato  da  Sargon,  detto  l'antico,  re  di  Agadé  nella 
Caldea,  circa  tremila  ottocento  anni  prima  dell'era  volgare;  esso 
si  estendeva  sicuramente  dal  golfo  Persico  fino  al  Mediterraneo 
ed  alla  penisola  del  Sinai.  E,  se  realmente  fu  questo  il  più  antico 
grande  organismo  politico,  esso  segna  senza  dubbio  un  passo  de- 
cisivo nella  storia  della  civiltà  umana.  Sembra  del  resto  che  abbia 
durato  meno  di  un  secolo,  essendosi  spezzato  in  parecchi  regni 
rivali  e  nemici  fra  di  loro,  dopo  la  morte  di  Saramsin  figlio  e  suc- 
cessore di  Sargon.  Ma  l'esempio  dato-dovea  trovare  imitatori,  ed 
altri  grandi  imperi,  in  epoca  sempre  remota,  doveano  sorgere 
prima  nella  bassa  Mesopotamia  e  più  tardi  in  quella  alta.  Babi- 
lonia, posta  in  una  posizione  quasi  intermedia  fra  l'alta  e  la  bassa 
vallata  dell'Eufrate  e  del  Tigri,  fu,  almeno  per  sedici  secoli,  quanti 
ne  corrono  da  Hammurabi  a  Nabu-kudur-ussur,  quasi  sicuramente 
il  più  grande  centro  di  popolazione,  di  ricchezza  e  di  cultura  che 
abbia  avuto  allora  il  mondo. 

Intanto,  forse  qualche  tempo  prima  di  Sargon,  certo  non  molto 
tempo  dopo,  Menes,  il  fondatore  della  prima  dinastia  egiziana, 
aveva  riunito  in  un  solo  tutti  i  piccoli  stati  nei  quali  si  suddivi- 
devano prima  l'alto  e  basso  Egitto,  dando  origine  ad  un  impero 
e  ad  un  centro  di  civiltà  rivale  di  quelli  mesopotamici  e  che  dovea, 
interrotto  da  qualche  lunga  eclissi,  quanto  questi  durare. 

Tutto  ciò  che  sappiamo  dell'organizzazione  politica  degli  anti- 
chissimi imperi  della  Mesopotamia  e  dell'Egitto  ci  fornisce  la  prova 
che  al  vertice  della  piramide  sociale  stava  un  sovrano  che  aveva 
un  carattere  sacro,  perchè  offriva  a  nome  di  tutto  il  popolo  i  sa- 
crifizi al  nume  nazionale,  al  quale  era  affidata  la  tutela  dell'impero, 
nume  che  a  Tebe  egizia  era  Ammon,  a  Babilonia  Marduk  ed  a 
Ninive  Asshur.  A  nome  del  sovrano  tutti  i  poteri  civili  e  mili- 
tari erano  esercitati  da  una  numerosa  gerarchia  di  funzionari,  scelti 
ordinariamente  fra  i  maggiorenti  della  popolazione  che  aveva 
fondato  l'impero.  Spesso  le  popolazioni  sottomesse  conservavano 
i  loro  capi  ereditari  locali  ed  una  certa  autonomia,  ma  qualche 
volta  venivano  interamente  assorbite  da  quella  vincitrice,  si  fon- 
devano con  essa,  ed  in  questo  caso  i  funzionari  locali  venivano 
direttamente  nominati  e  revocati  dal  Re,  o  meglio  dalla  Corte  e 
nella  Corte.  In  Egitto  si  è  potuto  notare  che  i  due  sistemi,  durante 


PAKTB  II.  GAP.  II    -    DKSCBIZ.  DBI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGANIZZ.  POLITICA       351 

il  lunghissimo  periodo  nel  quale  durò  la  nazionalità  egizia,  hanno 
parecchie  volte  prevalso  l'uno  sull'altro,  a  seconda  che  l'impero 
rafforzandosi  si  centralizzava  o,  indebolendosi,  tendeva  a  scompa- 
ginarsi. La  classe  dirigente  dividevasi  ordinariamente  in  capi  dei 
guerrieri  e  sacerdoti,  ma  i  sacerdoti  egizii  e  caldei  erano  i  depo- 
sitari della  scienza  d'allora  e  ad  essi  era  ordinariamente  devoluta 
la  conoscenza  e  l'applicazione  delle  leggi.  Non  manca  qualche 
esempio  di  sommi  sacerdoti  che  riuscivano  anche  a  sostituire  il 
potere  laico  e  ad  esercitare  l'autorità  regia  (1). 

Quanto  al  sistema  di  reclutamento  dei  funzionari  civili  e  militari 
si  è  potuto  pure  constatare,  sopratutto  nell'antico  Egitto,  una  grande 
differenza  di  metodi  durante  i  tremila  anni  circa  che  dura  la  sua 
storia.  Come  abbiamo  detto  nella  prima  parte  di  questo  lavoro,  ci 
furono  epoche  nelle  quali  la  conoscenza  esatta  della  scrittura  ge- 
roglifica era  la  chiave  che  apriva  l'adito  alle  carriere  superiori,  sia 
civili  che  militari,  e  si  vedevano  persone  del  popolo  arrivare  ai  gradi 
elevati  (2).  Ma  generalmente,  se  non  vi  erano  delle  vere  caste 
chiuse,  la  gerarchia  sociale  aveva  una  grande  stabilità  e  si  era 
piuttosto  figli  dei  propri  padri  anziché  delle  proprie  opere.  In  Ba- 
bilonia sappiamo  intanto  che  gli  schiavi  erano  numerosissimi  e 
quasi  tutti  i  documenti  ed  i  monumenti  egiziani  ci  fanno  testi- 
monianza del  fasto  che,  sia  durante  la  vita  che  nella  tomba,  spie- 
gava sempre  la  classe  elevata,  mentre  un  lavoro  manuale  intenso, 
e  spesso  forzato,  era  la  sorte  ordinaria  di  quelle  più  umili. 

Le  notizie  che  gli  scrittori  greci  incidentalmente  ci  danno  sulle 
condizioni  sociali  e  politiche  dell'ultimo  grande  impero  orientale 
anteriore  all'era  volgare,  su  quello  cioè  dei  Persiani,  col  quale  la 
Grecia  ebbe  frequentissimi  contatti,  dimostrano  concordemente  la 
grande  importanza  che  la  nascita  aveva  nella  formazione  della 
gerarchia  politica.  Secondo  Erodoto,  dopo  l'uccisione  del  falso 
Smerdi,  che  aveva  potuto  diventare  re  facendosi  credere  figlio  di 
Ciro,  sette  signori  persiani  disposero  del  trono;  secondo  Senofonte 
quando,  morto  a  Cunassa  Ciro  il  giovane,  i  mercenari  greci  offri- 
rono la  corona  ad  Arieo^  che  comandava  le  truppe  persiane  che 


(1)  Ciò  avvenne  nell'alto  Egitto,  dove  nel  nono  secolo  avanti  Cristo  i  sonimi 
sacerdoti  di  Aminon  esercitarono  ciò  che  ora  sarebbe  il  potere  temporale. 

(2)  Vedi  Teorica  dei  governi,  cap.  II,  §  II,  e  la  prima  parte  di  questo  volume, 
cap.  Il,  §  Vili. 


352  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


avevano  conibatiuto  insieme  a  Ciro,  Arieo  si  rifiutò  dicendo  che  egli 
non  era  abbastanza  nol)ile  e  che  perciò  i  grandi  di  Persia  non  l'avreb- 
bero mai  accettato  per  re.  Gli  stessi  Greci  ci  informano  che  l'impero 
di  Persia  era  in  fondo  una  confederazione  più  o  meno  spontanea 
di  popoli,  di  civiltà  più  o  meno  antica  e  diversa,  sotto  l'egemonia 
della  Persia.  Alcuni  popoli,  come  l'Armenia,  la  Cilicia  e  la  città 
di  Tiro,  conservavano  le  loro  autonomie  ed  i  loro  sovrani  nazio- 
nali, mentre  altri,  come  la  Lidia  e  la  Babilonia,  erano  governati 
da  satrapi  scelti  fra  i  grandi  signori  persiani  della  Corte  di  Susa  e 
che  la  Corte  faceva  strettamente  sorvegliare.  Ad  essa  quasi  tutte  le 
nazioni  sottomesse  pagavano  un  tributo  annuo,  proporzionato  alla 
loro  ricchezza,  e  fornivano  all'occorrenza  milizie  ausiliarie.  Nel 
mezzo  poi  delle  Provincie  sottomesse  alcune  popolazioni  di  mon- 
tanari conservavano  di  fatto  una  selvaggia  indipendenza,  come  era 
il  caso  dei  Carduchi,  che  corrispondevano  su  per  giù  agli  odierni 
Curdi  (1). 

Nel  Medio  Evo  in  gran  parte  sul  tipo  dello  Stato  orientale  si 
costituì  lo  Stato  maomettano,  il  quale  senza  dubbio  alcuni  ele- 
menti della  sua  organizzazione  amministrativa  e  politica  potè  ri- 
ceverli da  Bisanzio,  ma  in  parte  assai  maggiore  si  modellò  sugli 
esempi  e  le  tradizioni  del  nuovo  impero  persiano  dei  Sassanidi  (2). 
Si  sa  però  che  lo  Stato  maomettano,  malgrado  il  cemento  religioso 
che  costituiva  la  forza  della  sua  classe  dominante,  malgrado  che 
anch'esso  in  certe  epoche  abbia  permesso  lo  sviluppo  di  una  grande 
cultura,  avea  delle  debolezze  innate,  che  fatalmente  produssero  la 
più  o  meno  rapida  disgregazione  dei  grandi  organismi  politici  che 
lo  slancio  conquistatore  delle  prime  generazioni  islamiche  avea 
creato.  Anche  non  tenendo  conto  del  fatto  risaputo  che  quasi  tutti 
i  rapporti  sociali  e  politici  vengono  nel  mondo  musulmano  rego- 
lati dal  codice  religioso,  ossia  del  Corano,  ciò  che  alla  lunga  dovea 
necessariamente  arrestarne  lo  sviluppo,  pare  accertato  che  una 
delle  cause  più  frequenti  delle  rapide  disgregazioni  degli  imperi 
musulmani  derivasse  dall'uso  di  concedere   ai   capi   preposti   alle 


(1)  Senofonte,  Anabasi. 

(2)  Vedi  Hdart,  Histoire  des  Aràbes.  Paris,  ed.  Geutbner,  1912,  volume  I, 
cap.  XIII.  L'influenza  persiana  divenne  preponderante  specialmente  sotto  i 
califfi  abbassidi.  Lo  stesso  titolo  di  vizir,  che  si  dava  al  primo  ministro,  era 
di  origine  persiana. 


PARTE  II.  CAP.  II    -    DESCRIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  OKGANIZZ.  POLITICA       353 

singole  Provincie  la  facoltà  di  levare  i  soldati  e  di  riscuotere  di- 
rettamente le  imposte,  con  le  quali  li  pagavano.  Concentramento 
di  poteri  che  facea  si  che  essi  facilmente  riuscissero  a  formare  tale 
uno  spirito  nelle  truppe  da  potersi  proclamare  indipendenti,  o 
diventare  di  fatto  tali,  conservando  verso  il  Califfo  un  ossequio 
solo  formale  (1). 

Anche  la  Cina,  fino  a  pochi  anni  fa,  era  politicamente  organiz- 
zata sul  tipo  dello  Stato  orientale,  che  però  essa  da  parecchi  secoli 
aveva  portato  ad  un  grado  di  perfezionamento  forse  mai  raggiunto, 
per  la  morale  laica  e  positiva  che  formava  la  base  della  sua  civiltà, 
per  la  grande  unità  della  cultura,  che  fra  il  suo  popolo  si  era 
diffusa  in  tanti  secoli  di  storia  comune,  e  finalmente  per  il  sistema 
democratico  di  reclutamento  dei  suoi  funzionari,  ammessi  e  pro- 
mossi sempre  in  seguito  a  concorsi.  Malgrado  ciò  lo  Stato  cinese 
ebbe  quasi  sempre  una  forza  inadeguata  alla  sua  vastità,  ed  esso 
mostrò  subito  la  inferiorità  della  sua  macchina  politica  appena 
venne  in  contatto  con  gli  Stati  europei.  E  si  sa  infine  che  il  Giap- 
pone, se  ha  voluto  conservare  la  sua  indipendenza  e  la  sua  antica 
anima  nazionale,  ha  dovuto  rapidamente  rinnovare  la  sua  orga- 
nizzazione politica,  amministrativa  e  militare  secondo  i  modelli 
forniti  dagli  Stati  di  civiltà  europea. 

Certo  è  dunque  che  l'organizzazione  degli  imperi  di  tipo  orien- 
tale è  rimasta  sempre  assai  inferiore  a  quella  dei  moderni  Stati 
di  civiltà  europea  ed  anche  a  quella  dell'antico  impero  romano. 
E  si  potrebbe  anche  aggiungere  che  essa  per  molti  lati  era  im- 
perfetta, se  la  paragoniamo  a  quella  del  piccolo  stato  ellenico  del- 
l'epoca classica,  di  cui  fra  poco  dovremo  occuparci.  Senonchè  sa- 
rebbe ingiusta  dimenticare  che  fu  in  quegli  antichi  imperi,  le  cui 
vicende  apprendiamo  a  misura  che  si  vanno  decifrando  le  vecchie 
iscrizioni  geroglifiche  e  cuneiformi,  che  l'umanità  potè  accumulare 
le  prime  esperienze  ed  i  primi  capitali,  che  resero  possibili  gli  ul- 
teriori progressi  intellettuali  ed  economici.  Fu  sulle  rive  del  Tigri, 
dell'Eufrate  e  del  Nilo  che  per  la  prima  volta  i  gruppi  di  mag- 
giorenti, che  prima  reggevano  Icsingole  tribù,  si  fusero  ed  orga- 
nizzarono in  vere  classi  politiche,  le  quali  ebbero  campo  di  concepire 


(1)  Questa  causa  fu  rilevata  da  Avcrroè,  uno  ilei  più  l'orti  iutelletli  che  la 
civiltà  maomettana  nei  suoi  bei  tempi  abbia  prodotto.  Vedi  Rknan,  Averroès 
et  l'AverroTsine,  deuxième  édiUon.  Faris.  Michel  Lévy,  cap.  II,  pag.  161. 

Q.  Mosca,  Elementi  di  Scienea  Politica.  iS 


354  ELRMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

e  sviluppare  l'idea  che  vi  erano  grandi  interessi  comuni  a  milioni 
di  individui  umani.  E  fu  in  quoste  classi  che,  per  la  prima  volta, 
potò  avvenire  una  selezione  per  la  quale  un  certo  numero  d'indi- 
vidui, liberi  dalle  cure  materiali  della  vita,  difesi  dall'organizza- 
zione, della  quale  facevano  parte,  contro  le  cupidigie  e  le  violenze 
di  coloro  che,  in  ogni  tempo  ed  in  ogni  società,  aspirano  ad  occu- 
pare i  posti  migliori,  poterono  dedicarsi  all'osservazione  dell'uomo 
e  del  mondo  in  cui  esso  vive  ed  elaborare  i  primi  rudimenti  della 
morale  famigliare  e  sociale.  Quei  rudimenti,  che  troviamo  espressi 
circa  4.000  anni  fa  nel  Codice  di  Hammurabi,  dove  sono  già  san- 
cite molte  delle  norme  che  l'individuo  deve  osservare  affinchè  il 
consorzio  sociale  possa  sussistere,  e  nel  vecchio  rituale  dei  morti 
dell'antico  Egitto,  in  parte  più  antico  del  codice  di  Hammurabi, 
nel  quale  troviamo  per  la  prima  volta  alcuni  di  quei  precetti  mo- 
rali, di  quelle  norme  di  carità,  che  poi  formeranno  la  base  morale 
di  tutte  le  grandi  religioni  mondiali  (1).  Fu  infine  colà  che  fece  le 
sue  prime  prove  la  difficile  arte  della  pubblica  amministrazione,  la 
quale  consiste  sopratutto  nel  fare  in  modo  che  in  una  grande  so- 
cietà, col  minimo  di  costrizione  possibile,  l'attività  che  ogni  in- 
dividuo spiega  spontaneamente  a  proprio  vantaggio  dia  anche 
risultati  proficui  per  la  collettività. 

ni.  —  Se  la  civiltà  europea  ha  potuto  creare  un  tipo  di  or- 
ganizzazione politica,  che  profondamente  si  distingue  da  quella 
dell'impero  orientale,  ciò  si  deve  in  grandissima  parte  all'eredità 
intellettuale  della  Grecia  e  di  Roma.  Senza  dubbio  grandissima  è 
la  differenza  che  corre  fra  un  grande  Stato  moderno  europeo  od 
americano  e  ciò  che  era  lo  Stato  ateniese  o  spartano  o  anche  quello 
romano  all'epoca  repubblicana,  ma  possiamo  ritenere  come  sicuro 
che,  senza  l'eredità  intellettuale  degli  scrittori  politici  dell'epoca 
classica,  i  quali  formarono  il  loro  pensiero  sulle  istituzioni  politiche 
che  sotto  i  loro  occhi  si  svolgevano,  l'Europa  moderna  ed  i  paesi 


(1)  Per  esempio  quelli  di  dare  a  mangiare  all'affamato,  di  dare  a  bere 
all'assetato,  di  non  frodare  la  mercede  all'operaio,  di  non  mentire,  di  non 
fare  falsa  testimonianza,  ecc.  Come  si  sa,  il  così  detto  Rituale  dei  morti  era 
una  raccolta  di  testi  sacri,  dei  quali  i  più  antichi  rimontano  alla  XI  Dinastia, 
ed  i  più  recenti  alla  XVIII,  che  si  deponevano  nelle  tombe  perche  servissero 
di  guida  al  defunto  nell'altra  vita.  La  XVIII  Dinastia  regnò  in  Egitto  circa 
18  secoli  prima  dell'era  volgare. 


PARTE  II.  GAP.  II    -    DESCRIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGANIZZ.  POLITICA       355 

d'oltremare  colonizzati  da  Europei  non  a\Tebbero  adottato  quegli 
ordinamenti  politici,  che  tanto  li  distinguono  dagli  imperi  asiatici. 

Certo  molti  elementi  della  sua  civiltà  la  Grecia  li  prese  dai  più 
vicini  imperi  asiatici  e  dall'Egitto,  e  le  prime  infiltrazioni  dovet- 
tero avvenire  nel  periodo  preistorico,  quando  fiori  quella  civiltà 
preellenica,  che  ebbe  il  suo  centro  a  Creta  e  scomparve  non  la- 
sciando che  vaghi  ricordi  e  l'iniziazione  all'agricoltura  e  ad  altri 
progressi  materiali  che,  una  volta  entrati  nelle  abitudini  di  un 
paese,  possono  decadere  ma  non  scompaiono  mai  interamente,  anche 
se  sono  distrutti  il  popolo  o  la  civiltà  che  per  i  primi  li  hanno  inven- 
tati od  adottati.  Altre  infiltrazioni  orientali  ed  egiziane  avvennero 
pure  nell'epoca  nella  quale  la  cultui-a,  che  fu  propriamente  ellenica, 
cominciò  a  ridestarsi,  cioè  a  partire  dal  nono  secolo  avanti  l'èra 
volgare,  quando  intermediari  fra  la  Grecia,  gli  imperi  orientali  e 
l'Egitto  furono  principalmente  i  Fenici.  E  questa  volta  i  nuovi 
semi  trapiantati  nel  suolo  dell'Eliade  diedero  frutti  abbastanza  di- 
versi, e  per  molti  rispetti  migliori,  di  quelli  della  pianta  dalla 
quale  provenivano,  specialmente  per  quel  che  riguarda  l'arte,  la 
scienza  e  l'organizzazione  politica. 

Abbiamo  già  visto  come  il  regno  omerico,  che  troviamo  agli 
inizi  del  risveglio  della  civiltà  greca,  non  si  differenziasse  molto 
dal  tipo  di  organizzazione  politica  semi-primitivo,  che  troviamo  in 
tutte  le  popolazioni  che  hanno  salito  solo  i  primi  gradini  della  scala 
la  quale  conduce  alle  grandi  organizzazioni  politiche.  Il  Re  ome- 
rico era  infatti  assai  analogo  al  capo  della  tribù  araba  o  germanica, 
perchè  egli  esercitava  la  sua  autorità,  che  era  principalmente  mo- 
rale ed  aveva  anche  un  certo  fondamento  religioso,  coU'assistenza 
di  un  Consiglio  di  maggiorenti  e,  nei  casi  più  gravi,  chiamava  a 
parlamento  tutti  i  guerrieri,  ossia  gli  uomini  liberi  che  facevano 
parte  della  tribù.  Senonchè  in  uno  spazio  di  tempo,  che  non  può 
essere  superiore  ai  tre  secoli,  vediamo  questo  tipo  di  organiz- 
zazione politica,  che  ben  poco  aveva  di  speciale,  trasformarsi  nel- 
l'originalissima città  greca  dell'epoca  classica  (1). 

Se  studiamo  le  cause  di  questa  trasformazione,  si  può  anzitutto 


(1)  È  bene  ricordare  che  la  data  approssimativamente  più  esatta  intorno 
all'epoca  nella  quale  furono  composti  i  poemi  omerici  sembra  la  fine  del  nono 
secolo  avanti  l'èra  volgare.  È  quella  presso  a  poco  accennata  da  Erodoto  nel 
libro  II,  §  53,  della  sua  storia. 


356  ELBMBNTI   DI   SOIBKZA    POMTICA 


notare  elio  il  suolo  greco,  accidentato  in  modo  che  of?ni  cantone, 
ogni  borgo  col  suo  torritorio,  ora  diviso  da  ostacoli  nalurali  abba- 
stanza importanti  dai  cantoni  vicini,  ostacolava  la  formazione  di 
grandi  imperi  come  quelli  che  poterono  sorgere  nelle  grandi  e 
[)ianeggianti  vallate  del  Tigri,  dolTEufrate,  del  Nilo  e  del  fiume 
Giallo.  Inoltre  la  stabilità  delle  sedi,  già  abbastanza  assicurata,  e 
la  proprietà  privata  della  terra,  già  entrata  nelle  consuetudini  fin 
dai  tempi  di  Omero,  permisero  tale  uno  sviluppo  della  produ- 
zione agricola  da  rendere  possibile  che,  in  un  territorio  relati- 
vamente piccolo,  potesse  vivere  una  popolazione  relativamente 
grande,  sicché  il  villaggio  od  il  borgo  primitivo  potè  diventare 
una  città  di  trenta  o  quarantamila  abitanti  ed  in  casi  speciali 
anche  più  popolosa  (1).  Forse  anche  al  divci'so  sviluppo  politico 
contribuì  la  salda  organizzazione  gentilizia,  per  la  quale  ogni 
gruppo  di  famiglie  che  reputavasi  discendere  da  un  antenato  co- 
mune conservava  in  origine  una  certa  autonomia  politica  e  reli- 
giosa, in  maniera  che  la  città  era  una  specie  di  confederazione  di 
genti.  Ma,  accanto  a  questi  coefficienti,  ne  dovettero  agire  altri  di 
natura  intellettuale  e  morale,  che,  a  tanta  distanza  di  tempo  ed  in 
tanta  povertà  di  documenti,  non  possiamo  esattamente  scernere  ed 
analizzare  e  che  perciò  indichiamo  con  una  espressione  generica 
ed  imperfetta,  definendoli  come  un  prodotto  del  genio  particolare 
della  stirpe  ellenica'  e  poi  di  quella  italica. 

Checché  ne  sia,  certo  è  che  nell'Eliade,  forse  meno  di  un  secolo 
dopo  Omero  (2),  la  regalità  cominciò  a  perdere  terreno  ed  a  cadere 


(1)  Una  città  greca  nell'epoca  classica  generalmente  distava  da  un'altra 
città  greca  una  grossa  giornata  di'  cammino  ed  il  suo  tenùtorio  raramente 
superava  i  mille  chilometri  quadrati.  In  questo  spazio,  dato  lo  sviluppo  agri- 
colo dell'epoca,  potevano  agevolmente  vivere  dalle  trenta  alle  quarantamila 
persone,  fra  le  quali  erano  naturalmente  compresi  gli  schiavi  e  gli  stranieri 
domiciliati.  Si  sa  che  l'Attica  aveva  un  territorio  di  circa  duemilaseicento 
chilometri  quadrati  e  che,  nei  suoi  momenti  migliori,  la  sua  popolazione  su- 
però forse  i  duecentomila  abitanti,  e  che  anche  Siracusa  e  Sparta  avevano 
territori  e  popolazioni  notevolmente  superiori  a  quelle  di  una  città  greca 
normale,  ma  Atene,  Siracusa  e  Sparta  furono  appunto  gli  Stati  più  grandi  e 
forti  dell'antico  mondo  ellenico.  Sulla  popolazione  della  Grecia  antica  si  pos- 
sono consultare  gli  ottimi  lavori  del  Beloch  e  di  altri  egregi  scrittori  ripub- 
blicati nel  IV  volume  della  Biblioteca  di  Storia  economica  di  Vilfredo  Pareto. 

(2)  Già  Esiodo  parla  dei  Re  con  assai  meno  rispetto  di  Omero.  Difatti,  quegli 
che  fu  detto  il  poeta  dei  contadini,  li  accusa  di  vendere  la  giustizia,  li  chiama 


PARTE  II.  GAP.   II    -    DBSCRIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  OROANIZZ.  POLITICA       357 

in  dissuetudine  e  che  nel  Consiglio  dei  maggiorenti  il  re  o  disparve 
o  perdette  quasi  intieramente  la  sua  importanza.  La  città  fu  perciò 
governata  dai  capi  delle  genti,  ossia  dei  gruppi  di  famiglie  più  an- 
tiche ed  influenti,  che  possedevano  le  terre  migliori  e  le  facevano  col- 
tivare dagli  schiavi,  o  da  quella  turba  di  spostati  e  di  profughi,  che 
ogni  città  soleva  accogliere  quando  qua,lche  cittadino  influente 
concedeva  loro  la  sua  protezione.  L'organo  politico  prevalente  fu 
quindi  l'antico  senato  o  Consiglio  dei  maggiorenti,  dove  le  famiglie 
principali  erano  rappresentate.  Quasi  sicuramente  l'antica  assemblea 
di  tutti  i  cittadini  continuò  a  sussistere  accanto  al  Consiglio  dei  mag- 
giorenti, ma,  dato  l'accentramento  della  proprietà  e  date  le  nume- 
rose clientele  di  cui  i  gruppi  di  famiglie  principali  disponevano, 
quest'ultimo  conservò  per  un  certo  tempo  la  preponderanza  che 
aveva  all'epoca  della  regalità. 

In  un'epoca,  che  deve  corrispondere  su  per  giù  al  settimo  secolo 
avanti  l'èra  volgare,  i  progressi  dell'agricoltura  ed  un  incipiente 
commercio  dovettero  fornire  a  molti  dei  discendenti  degli  antichi 
stranieri  domiciliati  i  mezzi  per  formarsi  una  posizione  economica 
presso  a  poco  indipendente,  e  nacque  quindi  in  essi  il  desiderio  di 
essere  ammessi  nella  cittadinanza,  ciò  che  era  l'unico  modo  di  par- 
tecipare ai  pubblici  poteri  e  di  sottrarsi  alla  onerosa  tutela  dei 
maggiorenti.  Il  movimento  dovette  essere  secondato  dalle  famiglie 
più  povere  ed  oscure  degli  antichi  cittadini,  che  anche  essi  avevano 
interesse  a  combattere  il  regime  oligarchico  che  le  famiglie  più 
ricche  ed  illustri  avevano  instaurato  (1).  Dopo  un  periodo  di  lotte 


senz'altro    divoratori    di    regali,   òoQotpayoi,   e   raccomanda  caldamente  a  suo 
fratello  Perseo  di  stare  da  essi  lontano. 

(1)  Oltre  alle  cause  accennate,  d'indole  prevalentemente  economica,  alla  de- 
mocratizzazione della  città  greca  dovette  contribuire  il  cambiamento  dell'ar- 
mamento e  della  tattica,  avvenuto  appunto  nell'epoca  di  cui  trattiamo.  Ai 
carri  da  guerra  in  uso  all'epoca  omerica,  nella  quale  essi  formavano,  per  dir 
così,  l'arma  che  decideva  dell'esito  della  pugna,  carri  che  solo  potevano  pro- 
cacciarsi le  pex'sone  molto  doviziose,  si  sostituirono  col  tempo  i  semplici  ca- 
valieri e  poi  anche  gli  opliti,  fanti  pesantemente  armati,  che  formavano  il 
nerbo  degli  eserciti  greci  durante  l'epoca  classica,  l'arredamento  dei  quali, 
sebbene  relativamente  costoso,  era  acces-'fihile  alle  mediocri  fortune.  Nella 
costituzione  di  Bracone,  anteriore  a  quella  di  Solone,  troviamo  già  sancito 
che  partecipavano  alle  cariche  pubbliche  tutti  coloro  che  erano  forniti  di 
armi  (Vedi  Aristotilk,  Costituzione  di  Atene,  paragrafo  IV). 


358  Rt.EMKNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


civili,  nelle  quali  spesso  la  parte  soccombente  doveva  emigrare, 
periodo  del  quale  le  traccio  si  ritrovano  nei  poeti  dell'epoca  e  se- 
«^natamento  noi  versi  di  Teognide  da  Megara,  e  che  fu  alle  volte 
interrotto  dalla  dittatura  di  qualche  capo  popolo  che  appellavasi 
tiranno,  si  venne  generalmente  ad  un  compromesso  del  genere  di 
quello  che  Solone  attuò  in  Atene  nei  primi  decenni  del  sesto  secolo 
avanti  Cristo,  e  da  questi  compromessi  nacque  quella  costituzione 
delle  città  greche  nell'epoca  classica  che,  nella  storia  politica  del 
mondo,  doveva  avere  cosi  grande  importanza. 

Le  basi  precipue  dei  compromessi  fui'ono  generalmente  due  : 
anzitutto  l'entrata  nella  città  di  un  certo  numero  di  discendenti  di 
antichi  stranieri  domiciliati  o  di  schiavi  emancipati,  senza  però 
che  il  principio  fosse  applicato  ai  casi  posteriori  alla  riforma  della 
costituzione,  perchè  i  nuovi  stranieri  domiciliati  rimasero  in  gene- 
rale rigorosamente  esclusi  dalla  cittadinanza,  tanto  che  perfino  la 
democratica  Atene  non  ammetteva  fra  i  suoi  cittadini  i  figli  di 
un  cittadino  e  di  una  straniera  (1)  ;  ed  in  secondo  luogo  il  ricono- 
scimento esplicito  che  il  potere  sovrano  risiedeva  nell'assemblea 
di  tutti  i  cittadini.  La  quale  perciò  assorbì  a  poco  a  poco  quasi 
tutte  le  antiche  giurisdizioni  gentilizie,  che  prima  i  capi  delle  fa- 
miglie aristocratiche  esercitavano  sui  loro  consanguinei,  ed  esautorò 
più  o  meno  l'antico  Consiglio  dei  maggiorenti,  che  si  trasformò 
ordinariamente  in  un  senato,  che  era  molto  spesso  un'emanazione 
diretta  dell'assemblea  che  ne  nominava  i  membri. 

Si  sa  che  l'antichità  classica  non  conobbe  quella  netta  divisione 
dei  tre  poteri  legislativo,  esecutivo  e  giudiziario  che,  almeno  teo- 
ricamente, è  una  delle  principali  caratteristiche  delle  costituzioni 
moderne  (2),  tanto  che  il  pretore  romano  potè  esercitare  funzioni 
che  ora  si  direbbero  legislative;  ma  è  certo  che,  nell'Eliade  clas- 
sica, ciò  che  ora  corrisponderebbe  al  potere  sovrano  per  eccellenza, 
cioè  al  potere  legislativo,  veniva  quasi  esclusivamente  affidato  al- 
l'assemblea dei  cittadini,  mentre  ciò  che  noi  chiamiamo  funzioni 
esecutive  e  giudiziarie  venivano  delegate  a  Corpi  o  ad  individui. 


(1)  Vedi  Aristotile,  Costituzione  di  Atene,  paragrafo  42. 

{2i  Perfino  a  Roma  all'epoca  dell'impero  la  separazione  perfetta  fra  giustizia 
ed  amministrazione,  che  per  noi  "e  uno  dei  concetti  più  familiari,  non  era  stata 
introdotta.  Vedi  in  proposito  Hartmann,  La  rovina  del  mondo  antico,  traduzione 
di  Gino  Luzzatto.  Roux  e  Viarengo  editori,  capitolo  2°.  pag.  46. 


PARTE  II.  CAP.  II    -    DESCBIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGANIZZ.  POLITICA       359 


che  erano  quasi  sempre  eletti  da  tutti  i  cittadini,  o  designati  dalla 
sorte  fra  tutti  o  fra  determinate  categorie  di  cittadini  (1). 

Caratteristiche  comuni  di  quasi  tutte  le  costituzioni  delle  città 
elleniche  erano  la  temporaneità  delle  cariche,  i  cui  titolari  veni- 
vano quasi  sempre  rinnovati  almeno  tutti  gli  anni,  e  la  moltiplicità 
delle  persone  che  esercitavano  una  data  pubblica  funzione;  mol- 
tiplicità che  mirava  a  far  si  che  il  potere  di  un  individuo  potesse 
esser  sempre  controllato  e  limitato  da  quello  di  uno  o  di  parecchi 
altri  individui  rivestiti  di  uguale  potere,  come  appunto  avveniva 
dei  consoli  a  Roma.  Ed  il  principio  veniva  cosi  rigorosamente  ap- 
plicato che,  in  molte  città  greche,  il  comando  dell'esercito  o  del 
naviglio  in  guerra  veniva  affidato  a  diversi  polemarchi  o  navarchi, 
che  l'esercitavano  a  turno.  Altra  caratteristica  dell'ordinamento 
politico  ed  amministrativo  della  città  greca  era  la  quasi  completa 
mancanza  di  ciò  che  ora  si  direbbe  una  burocrazia  professionale  e  di 
un  esercito  stanziale  (2),  e  si  deve  inoltre  notare  che  anche  alcune 
funzioni  giudiziarie  ed  esecutive  ritenute  di  grande  importanza  ve- 
nivano ordinariamente  riservate  all'assemblea  del  popolo.  La  quale 
perciò  conservava  quasi  sempre  il  diritto  di  dichiarare  la  guerra 
e  concludere  la  pace  e  si  riservava  spessissimo  quello  di  applicare 
le  pene  più  gravi,  quali  erano  la  morte  e  l'esilio,  o  quanto  meno 
veniva  in  questi  casi  ammesso  l'appello  all'assemblea  del  popolo. 


(1)  Aristotile,  nella  Costituzione  di  Atene,  enumera  tutte  le  cariche  pubbliche 
che  erano  ritenute  necessarie  per  il  retto  andamento  della  repubblica.  ìlsse 
occupavano  parecchie  migliaia  di  cittadini  ed  i  titolari  erano  per  lo  più  desi- 
gnati dalla  sorte  (Vedi  opera  citata  nei  paragrafi  che  vanno  dal  42  al  62). 

(2)  Però  Aristotile  nella  sua  Costituzione  di  Atene  (al  paragrafo  42)  ci  in- 
forma che,  arrivati  all'età  di  diciotto  anni,  tutti  gli  efebi  ateniesi  facevano 
un  anno  di  esercizi  militari  e  poi  per  altri  due  anni  custodivano  armati  il 
lido  e  gli  altri  luoghi  strategici  dell'Attica.  In  fondo  perciò  in  Atene  vi  era 
ciò  che  ora  si  chiamerebbe  la  ferma  triennale.  Però  mancava  totalmente  un 
corpo  permanente  di  ufficiali.  Il  popolo  sceglieva  solamente  ogni  anno  cinque 
cittadini  probi  che  avessero  sorpassato  i  quarant'anni,  i  quali  curavano  l'am- 
ministrazione degli  efebi  e  sopraintendevano  a  ciò  che  ora  sarebbe  il  rancio 
(ogni  efebo  riceveva  per  il  proprio  mantenimento  quattro  oboli  al  giorno),  e 
due  maestri  di  ginnastica  incaricati  di  insegnare  il  maneggio  delle  armi  e  gli 
esercizi  militari.  Mancava  inoltre  un  regolamento  di  disciplina  ed  un  codice 
penale  militare,  e  sicuramente,  almeno  in  tempo  di  pace,  l'efebo  era  sotto- 
posto alla  stessa  giurisdizione  degli  altri  cittadini.  Nella  storia  di  Atene  non 
vi  è  poi  alcun  indizio  il  quale  faccia  supporre  che  questo  corpo  degli  efebi 
sia  intervenuto  in  sostegno  di  ciò  che  ora  sarebbe  il  Governo 


360  ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 


IV.  —  A  cominciare  ria  Erodoto,  tutti  ^li  scrittori  ^reci  del- 
l'epoca classica  ammettono  l'esistenza  di  tre  forme  di  governo:  la 
monarchia,  l'aristocrazia  e  la  democrazia  (1),  Si  comprende  agevol- 
mente come  il  ricordo  della  monarchia  omerica,  il  recente  esempio 
dello  tirannie,  frequenti  sopratutto  nelle  colonie  elleniche  della 
Magna  Grecia  e  della  Sicilia,  la  sopravvivenza  stessa  della  antica 
monarchia  patriarcale  in  qualche  remoto  cantone  dell'Epiro,  le 
traccie  di  essa  che  tenacemente  si  mantenevano  a  Sparta  e  final- 
mente il  contatto  frequente  coi  popoli  barbari,  che  quasi  sempre 
avevano  un  re,  dovevano  far  si  che  i  pensatori  dell'Eliade  enume- 
rassero fra  le  possibili  forme  di  governo  anche  il  regime  monar- 
chico. Ma  in  verità  lo  Stato  ellenico  dell'epoca  classica  oscillava 
quasi  sempre  fra  l'aristocrazia  e  la  democrazia,  le  quali  rappresen- 
tavano le  due  tendenze  costanti  che  in  esso  erano  in  perenne  con- 
trasto. E  difatti  all'analisi  di  questo  inevitabile  contrasto  consacra 
Aristotile  buona  parte  della  sua  immortale  opera  sulla  Politica  (2). 
Or  sarà  bene  anzitutto  ricordare  che  i)resso  i  Greci  dell'epoca 
classica,  non  si  potrebbe  dire  precisamente  lo  stesso  dei  Romani  ; 
il  concetto  di  aristocrazia  non  si  accoppiava  in  modo  quasi  in- 
scindibile a  quello  della  ereditarietà  del  potere  e  delle  cariche 
pubbliche  nelle  stesse  famiglie,  ma  voleva  dire  semplicemente  che 
le  cariche  venivano  affidate,  esclusivamente  od  a  preferenza,  a 
coloro  che,  per  ricchezza  o  per  meriti  eccezionali,  spiccavano  fra 
gli  altri  cittadini,  discendessero  o  no  da  antenati  illustri.  Tanto 
vero  che  Aristotile  distingue  l'aristocrazia  dall'eugenismo,  che  si- 
gnificava appunto  l'appartenere  ad  una  famiglia  già  da  lunga 
data  illustre  (3).  Anzi  non  raramente  accadeva  che  qualche  euge- 


(1)  Si  sa  che,  nel  libro  terzo  della  sua  storia,  Erodoto  mette,  con  assai  poca 
verosimiglianza,  in  bocca  a  tre  dei  grandi  di  Persia  che  avevano  ucciso  il 
falso  Smerdi  una  disputa  intorno  ai  pregi  ed  ai  difetti  della  monarchia,  del- 
l'aristocrazia e  della  democrazia.  Questa  disputa  prova  che,  fin  dalla  metà  del 
secolo  quinto  avanti  l'èra  volgare,  cioè  piti  di  un  secolo  prima  che  Aristotile  det- 
tasse i  suoi  libri,  i  Greci,  non  già  i  Persiani,  ammettevano  l'esistenza  di  tre 
forme  fondamentali  di  governo  ed  esercitavano  il  loro  spirito  critico  nell'esame 
dei  vantaggi  e  dei  danni  inerenti  a  ciascuna  di  esse. 

(2)  Specialmente  i  libri  sesto,  settimo  ed  ottavo  dell'opera  citata. 

(3)  Vedi  Politica,  libro  III,  capitolo  7,  paragrafo  7,  e  libro  Vili,  capitolo  1, 
paragrafo  7.  In  quest'ultimo  passo  è  detto  testualmente  :  yaQ  tòyivsia  èativ 
àQczrj  Kcl  TtÀòviog  àQxalog,  imperciocché  l'eugenia  è  la  virtù  e  la  ricchezza 
di  antica  data  (si  sottintende  nella  famiglia). 


PARTE  li.  GAP.  II    -    DESOBIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGAKIZZ.  POLITICA       361 

nico  capitanasse  il  popolo  contro  la  parte  aristocratica  composta  in 
maggioranza  di  nuovi  arricchiti,  come  appunto  fu  il  caso  di  Pericle. 

Venendo  ora  all'esame  del  contrasto  accennato,  in  poche  parole 
si  può  affermare  che  nello  Stato  greco  si  aveva  il  regime  aristo- 
cratico quando  fra  i  cittadini  la  ricchezza  riusciva  a  prevalere  sul 
numero,  mentre  quello  democratico  significava  la  prevalenza  del 
numero  sulla  ricchezza.  Perciò  nel  regime  aristocratico  le  cariche 
pubbliche,  o  almeno  le  più  importanti,  quando  non  venivano  per 
legge  riservate  alle  categorie  dei  maggiori  censiti,  erano  gratuite, 
in  maniera  che  diventavano  accessibili  solo  a  coloro  che  non  do- 
vevano personalmente  e  diuturnamente  lavorare  per  vivere,  e  nes- 
suna indennità  vi  era  per  la  partecipazione  alle  assemblee  dei 
cittadini,  che  venivano  cosi  disertate  dai  poveri  e  frequentate  as- 
siduamente dai  ricchi  e  dai  loro  clienti;  mentre  in  quello  demo- 
cratico le  cariche  pubbliche  venivano  retribuite  e  la  partecipazione 
all'assemblea  dava  diritto  ad  un  gettone  di  presenza. 

Nel  primo  le  cariche  pubbliche  erano  quasi  sempre  elettive, 
perchè  nelle  votazioni  i  ricchi,  stretti  in  associazioni  più  o  meno 
scerete,  che  si  dicevano  eterie,  e  con  l'appoggio  dei  loro  clienti  riu- 
scivano facilmente  a  concentrare  i  loro  suffragi  sui  propri  can- 
didati ed  a  prevalere  su  quelli  dei  poveri,  che  più  diffìcilmente 
riuscivano  ad  organizzarsi  ;  nel  secondo  le  cariche  pubbliche  erano 
generalmente  distribuite  a  sorte  fra  i  cittadini.  Sistema  a  giusta 
ragione  ritenuto  assurdo  anche  da  molti  pensatori  della  Grecia 
antica,  ma  che  in  sostanza  era  il  solo  mediante  il  quale  l'influenza 
della  notorietà,  delle  relazioni  personali  e  dei  comitati  elettorali 
poteva  venire  eliminata. 

Come  si  è  già  accennato,  poiché  i  poveri  erano  sempre  più  nu- 
merosi dei  ricchi,  i  governi  aristocratici  molto  si  poggiavano  sulle 
clientele,  mantenute  mercè  il  patrocinio  che  ogni  ricco  esercitava 
a  prò  di  un  certo  numero  di  poveri  e  sulla  larghezza  colla  quale 
coloro  che  aspiravano  alla  carriera  politica  esercitavano  l'ospita- 
lità a  favore  dei  cittadini  meno  facoltosi.  Aristotile  nota  espres- 
samente che  Pericle  non  potendo,  perchè  meno  ricco,  lottare  su 
questo  terreno  con  Cimone,  figlio  di  Milziade,  capo  della  parte  ari- 
stocratica, guadagnò  a  sé  i  poveri  facendo  retribuire  dal  pubblico 
erario  molte  cariche  prima  gratuite  (1);  sistema   che,  coi  dovuti 


(1)  Vedi  Costituzione  di  Alene,  paragrafo  27. 


362  BLBMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


adattamenti,  non  è  i«:jnoto  neppure  oggi  nei  paesi  retti  a  demo- 
crazia, dove  all'influenza  della  ricchezza  privata  spesso  si  contrap- 
[)one  lo  sperpero  del  danaro  pubblico. 

Gli  abusi  del  regime  aristocratico  nello  Stato  greco  quasi  sempre 
consistevano  nella  esagerazione  del  sistema  prevalente,  la  quale 
faceva  si  che  molto  spesso  l'aristocrazia  si  trasformava  in  oli- 
garchia, cioè  in  una  consorteria  chiusa,  che  gelosamente  escludeva 
dalle  cariche  [)ubbliche  tutti  gli  elementi  estranei,  qualunque  fosse 
la  loro  ricchezza  ed  il  loro  merito  personale.  Altri  abusi  frequenti 
si  avevano  quando  il  monopolio  delle  cariche  pubbliche  veniva 
usato  per  la  conservazione  e  l'accrescimento  delle  ricchezze  pri- 
vate dei  governanti  e  dei  loro  consorti  e  clienti,  ciò  che  ottenevasi 
sopratutto  facendo  in  modo  che  i  giudizi  nelle  cause  civili  e  pe- 
nali fossero  sempre  affidati  a  persone  affiliate  o  ligie  alla  fazione 
che  reggeva  lo  Stato. 

Viceversa,  dove  i  poveri  si  contavano  e  riuscivano  in  maggio- 
ranza a  sottrarsi  alla  clientela  dei  ricchi,  facilmente  si  avevano  gli 
abusi  della  democrazia.  Molte  ed  importanti  erano  allora  le  ca- 
riche i)ubbliche  che  venivano  date  ai  designati  dalla  sorte,  la 
quale  naturalmente  non  aveva  nessun  riguardo  alla  capacità  ed 
alle  attitudini  necessarie  a  disimpegnarle;  e  le  indennità  attribuite 
per  l'esercizio  di  ogni  pubblica  funzione  aggravavano  talmente 
l'erario  che,  per  fare  fronte  all'ingente  spesa,  si  dovevano  colpire 
con  gravissime  imposte  i  ricchi  e  gli  agiati,  fino  ad  arrivare  ad 
una  larvata  confisca  delle  fortune  private  e  quindi  al  disastro 
dell'economia  pubblica.  Aristotile  calcola  che  all'epoca  di  Pericle 
in  Atene  circa  ventimila  cittadini  venissero  sussidiati  dall'erario 
pubblico,  sicché  quasi  tutta  la  cittadinanza  erasi  trasformata  in 
una  classe  di  stipendiati  dallo  Stato  (1).  Ciò  che  fu  per  un  certo 
tempo  possibile  non  solo  per  il  reddito  che  la  città  traeva  dalle 
miniere  d'argento  del  Laurion,  ma  anche,  e  principalmente,  perchè 
si  stornavano  i  contributi  che  gli  alleati  pagavano  ad  Atene  per 
il  proseguimento  della  guerra  contro  la  Persia.  Causa  questa  non 
ultima  della  lunga  e  nefanda  guerra  scoppiata  poi  fra  gli  EUeni, 
che  prese  il  nome  di  guerra  del  Peloponneso.  Nei  casi  più  gravi 


(1)  Vedi  Costituzione  di  Atene,  paragrafo  24.  Ivi  è  detto  espressamente  che 
alla  spesa  si  provvedeva  in  parte  coi  contributi  degli  alleati. 


PARTE  ir.  GAP.  II    -    DESOBIZ.  DEI  DIVERSI  TIPI  DI  ORGANIZZ.  POLITICA       363 


un  caporione  del  popolo  uccideva  o  mandava  in  esilio  i  ricclii  e 
ne  confiscava  i  beni,  che  divideva  poi  fra  i  suoi  partigiani  o  fra 
i  mercenari  stranieri  che  lo  sostenevano.  Si  aveva  allora  quella 
sospensione  del  normale  funzionamento  della  costituzione  e  quella 
dittatura  di  un  capo,  sostenuto  dalla  sua  fazione,  che  appellavasi 
tirannide,  che  tutti  gli  scrittori  greci  concordemente  descrivono 
come  la  peggiore  delle  forme  di  governo  (1). 

Dopo  quanto  abbiamo  detto,  appare  evidente  che  il  normale 
funzionamento  dello  Stato  ellenico  richiedeva  un  grado  di  pro- 
sperità economica  e  di  elevazione  intellettuale  e  morale  nella  parte 
maggiore  della  cittadinanza,  che  non  era  agevole  che  fosse  sempre 
raggiunto.  Difatti  la  piena  efficienza  di  questa  forma  di  organiz- 
zazione politica  durò  meno  di  due  secoli,  cioè  dal  principio  del 
quinto  al  declinare  del  quarto  secolo  avanti  Cristo,  periodo  che 
coincide  con  quello  del  massimo  sviluppo  della  civiltà  ellenica.  La 
mancanza  di  una  burocrazia  regolare  e  di  un  corpo  di  polizia  perma- 
nente incaricati  dell'esecuzione  delle  leggi  rendeva  necessario  che, 
nella  maggioranza  dei  cittadini,  fossero  molto  forti  il  senso  della 
legalità  e  lo  spirito  di  sacrificio  degli  interessi  individuali  a  quello 
pubblico,  le  quali  virtù  perciò  venivano  coll'educazione  in  tutti  i 
modi  inculcate  e  celebrate  (2).  Inoltre  era  indispensabile  che  fosse 
conservata  una  certa  proporzione  numerica  fra  i  cittadini  e  gli 
schiavi.  Perchè  se  i  primi  erano  molto  pochi,  gli  altri  facilmente 
si  ribellavano,  come  spesso  facevano  gli  Iloti  a  Sparta,  e,  se  i  cit- 
tadini invece  erano  troppo  numerosi,  allora  fatalmente  una  buona 
parte  di  essi  era  molto  povera  e  non  si  sentiva  cointeressata  al 
mantenimento  delle  istituzioni.  Per  superare  queste  difficoltà 
Platone  nella  sua  Repubblica  propose  l'abolizione  della  proprietà 
privata,  e  conseguentemente  della  famiglia,  almeno  nella  classe 
dominante,  ed  Aristotele  invece,  con  criterio  più  pratico,  racco- 
mandò la  diffusione  della  media  proprietà,  facendo  giustamente 
osservare  che  la  porta  era  aperta  a  tutti  i  rivolgimenti,  dove  pochi 
cittadini  molto  ricchi  si  trovavano  di  fronte  a  numerosi  poveri, 


(1)  Vedi  principalmente  la  Colitica  di  Aristotile  ed  il  dialogo  di  Platone 
sulla  Repubblica. 

(2)  E  ciò  spiega  in  gran  parte  l'importanza  grande  che  Platone  ed  Aristotile 
attribuivano  all'educazione  della  giovane  generazione,  considerata  già  nella 
Grecia  antica  come  una  delle  funzioni  dello  Stato. 


364  KLBIIBNTI   DI    8CIBKZA    POLITICA 


che,  mentre  disponevano  delle  armi  e  dei  voti,  non  avevano  alcun 
interesso  a  difendoie  l'ordine  di  cose  esistente  (1). 

E  i)oi  lo  Stato  gl'eco  era  dalla  sua  stessa  costituzione  organica 
destinato  fatalmente  a  restare  sempre  piccolo  ed  a  non  oltrepas- 
sare i  limiti  di  una  città  di  mediocre  grandezza  col  suo  toiritorio. 
Infatti  se  gli  antichi  Greci  adoperarono  lo  stesso  vocabolo,  nóXis, 
per  indicare  lo  Stato  e  la  città,  ciò  avvenne  perchè  essi  non  con- 
cepivano uno  Stato  ollenicamentc  organizzato  che  fosse  più  vasto 
di  una  città  e  della  contrada  che  ad  essa  forniva  i  mezzi  di  sus- 
sistenza. Certo  che,  quando  la  civiltà  greca  ebbe  con  Alessandro 
Magno  conquistato  l'impero  di  Persia,  essa  si  estese  a  Stati  di 
grande  mole,  quali  erano  i  regni  di  Siria,  di  Egitto  e  di  Mace- 
donia, ma  questi  erano  grandi  monarchie  militari,  la  cui  organiz- 
zazione nulla  aveva  a  che  fare  colla  forma  politica  della  quale 
trattano  Platone  ed  Aristotile,  ed  in  esse  l'ellenizzazione  era  limi- 
tata solo  ad  un  piccolo  strato  dirigente.  La  Grecia  propriamente 
detta  non  conobbe  i  grandi  Stati,  perchè  la  città  greca  tale  non 
poteva  divenire.  La  base  della  sua  costituzione  era  infatti  l'as- 
semblea dei  cittadini  e,  per  intervenirvi  assiduamente,  occorreva 
abitare  in  città  o  nei  suoi  immediati  dintorni,  e  l'assemblea  stessa 
non  poteva  essere  troppo  numerosa,  perchè  altrimenti  la  maggior 
parte  dei  presenti  non  poteva  udire  le  argomentazioni  degli  ora- 
tori. Ed  è  appunto  per  questa  ragione  che  Platone  nella  sua  Re- 
pubblica ed  Ippodamo  da  Mileto  nel  suo  progetto  di  costituzione 
ideale,  limitano  il  numero  dei  cittadini  il  primo  a  cinque  mila  ed 
il  secondo  a  diecimila  (2)  e  che  lo  stesso  Aristotile,  senza  precisarne 
il  numero,  dice  che  essi  devono  esser  tanti  da  potere  ascoltare 
una  voce  umana  che  non  sia  quella  di  Stentore  (3).  Atene,  a  dir 


(1)  Vedi  Politica,  sopratutto  nel  libro  VI,  capitolo  IX. 

(2)  Però  dei  diecimila  solo  la  terza  parte  era  fornita  di  armi  e  quindi,  come 
osserva  Aristotile,  poteva  prendere  parte  alle  cariche  pubbliche.  Questo  pro- 
getto di  costituzione  ideale  d'Ippodamo  è  ricordato  da  Aristotile  nel  libro  II, 
capitolo  V  della  Politica.  Nel  capitolo  precedente  Aristotile  parla  di  un  altro 
tipo  di  costituzione  ideale  proposto  da  Falca  di  Calcedonia,  nel  quale  si  pro- 
poneva la  ripartizione  uguale  dei  beni  immobili  fra  i  cittadini;  lo  Stagirita 
con  molto  buon  senso  dimostra  la  difficoltà  di  applicare,  e  sopratutto  di  man- 
tenere integra,  una  simile  misura. 

(3)  Vedi  Politica,  libro  IV,  capitolo  IV.  Aristotile  aggiunge  che  è  necessario 
che    i    cittadini  si   possano   conoscere  tutti  scambievolmente,  perchè  possano 


PAUTE  II.  GAP.  II    -    DESCBIZ.  UBI  DIVERSI  TIPI  DI  OUGANIZZ.  POLITICA       365 


vero,  nei  suoi  più  bei  tempi,  forse  oltrepassò  i  trentamila  citta- 
dini, ma  costituì  un'eccezione;  Siracusa  ne  ebbe  forse  anche  più,  ma 
in  essa,  a  cominciare  dal  quarto  secolo  avanti  Cristo,  la  costitu- 
zione normale  della  città  greca  non  potè  più  funzionare;  Sparta 
all'epoca  di  Aristotile  era  ridotta  a  due  o  tre  mila  cittadini  (1). 

Per  rimediare  alla  impossibilità  di  formare  un  grande  Stato 
conservando  integra  l'organizzazione  della  città  ellenica,  la  Grecia 
antica  tentò  l'attuazione  della  cosi  delta  egemonia,  cioè  della  su- 
premazia di  una  città  più  grande  su  molte  più  piccole,  ma  il  ri- 
medio si  rivelò  inadatto  ed  insufficiente,  perchè  le  città  sottomesse 
riacquistavano  la  loro  indipendenza  appena  la  loro  dominatrice 
subiva  un  grave  rovescio  di  fortuna  (2).  Le  stesse  colonie  di  poco 
aumentavano  la  potenza  della  madre  patria,  perchè  generalmente 
formavano  tante  città  e  quindi  tanti  Stati  a  sé,  conservando  ap- 
pena qualche  legume  affettivo  e  religioso  con  quella  dalla  quale 
traevano  origine. 

Perciò  può  destare  ragionevole  ammirazione  il  fatto  che  in  or- 
ganismi politici  cosi  piccoli  siansi  elaborate,  e  per  la  prima  volta 
attuate,  alcune  di  quelle  idee  fondamentali,  che  poi  hanno  servito 
di  base  alle  costituzioni  dei  grandi  Stati  moderni  di  tipo  europeo. 
A  dir  vero,  il  concetto  di  libertà  politica  non  fu  completamente 
estraneo  ai  popoli  dell'antico  Oriente  ed  all'Egitto,  ma  esso  signi- 
ficava semj)licemente  che  un  popolo  non  era  sottomesso  ad  un 
altro,  di  razza,  religione  e  civiltà  differente,  che  coloro  che  reg- 
gevano una  gente  erano  uomini  della  stessa  gente  e  non  già  stra- 
nieri, ma  non  veniva  mai  interpretato  nel   senso  che  potesse  es- 


giudicare  delle  loro  reciproche  attitudini  nell'esercitare  le  cariche  pubbliche, 
e  che  ciò  riesce  impossibile  se  la  cittadinanza  è  troppo  numerosa. 

(1)  Nel  libro  II,  capitolo  VI  della  Politica  si  afferma  che  Sparta  non  poteva 
ornai  armare  più  di  mille  combattenti,  ma  probabilmente  la  cifra  è  troppo 
esigua.  Lo  stesso  autore  ammette  che  in  epoche  anteriori  Sparta  poteva  avere 
circa  diecimila  cittadini.  È  superfluo  far  rilevare  che  il  numero  dei  combat- 
tenti dovea  sempre  essere  inferiore  a  quello  dei  cittadini.  Quanto  ad  Atene 
il  Beloch  ammette  che  nel  431,  allo  scoppiare  della  guerra  del  Peloponneso, 
epoca  della  sua  massima  prosperità,  il  numero  dei  cittadini  abbia  potuto  rag- 
giungere i  45.000,  comprendendovi  i  cleruchi,  coloni  ateniesi  che  abitavano  in 
altre  città.  *  Vedi  Biblioteca  di  Storia  economica  „.  Voi.  IV,  pag.  129. 

(2)  Come  accadde  ad  Atene  dopo  la  battaglia  di  Egospotamos  ed  a  Sparta 
dopo  quella  di  Leuttra. 


366  ELKMKSTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

sere  riguardato  come  servitù  un  regime  nazionale,  pcA-  quanto 
assoluto  ed  arbitrario  (1).  Fu  invece  nella  Grecia  antica  che,  per 
la  prima  volta,  in  una  popolazione  non  più  primitiva  e  che  aveva 
raggiunto  un  alto  grado  di  civiltà,  si  riguardò  come  politicamente 
libera  solo  quella  gente  che  era  sottomessa  alle  leggi,  che  la  mag- 
gioranza dei  consociati  avea  approvato,  ed  a  quei  magistrati  ai 
quali  la  maggioranza  stessa  avea  delegato,  per  un  determinato 
tempo,  determinati  poteri;  fu  in  Grecia  che,  per  la  prima  volta, 
l'autorità  non  venne  trasmessa  dall'alto  in  basso,  da  chi  stava  al- 
l'apice della  gerarchia  politica  a  coloro  che  erano  a  lui  subordi- 
nati, ma  dal  basso  in  alto,  cioè  da  coloro  sui  quali  l'autorità  si 
esercitava  a  coloro  che  la  dovevano  esercitare. 

In  altre  parole,  fu  la  civiltà  ellenica  la  prima  ad  affermare,  di 
fronte  al  diritto  divino  dei  Re,  il  diritto  umano  del  popolo  a  go- 
vernare se  stesso,  fu  essa  che  per  la  prima  non  considerò  più  la 
legge  come  una  emanazione  della  volontà  divina,  o  di  coloro  che 
agivano  in  nome  della  volontà  divina,  ma  bensì  come  una  inter- 
petrazione  umana  e  variabile  della  volontà  popolare.  E,  se  grande 
fu  l'autorità  che  lo  Stato  greco  esercitava  sul  cittadino,  fino  al 
punto  da  regolare  i  dettagli  della  vita  familiare,  quest'autorità 
dovea  sempre  essere  esercitata  in  base  alle  norme  che  la  mag- 
gioranza aveva  accettato. 

E,  come  abbiamo  già  ricordato,  questi  stessi  concetti  fondamen- 
tali, adattati  per  quanto  era  possibile  alle  società  europee  del  se- 
colo decimottavo  e  decimonono,  efficacemente  contribuirono  a 
modificarne  gli  ordinamenti  politici,  fecero  sentire  la  loro  influenza 
dovunque  vi  sono  popoli  di  origine  europea,  ed  oggi,  trasmessi 
mercè  il  contatto  intellettuale  con  l'Europa  e  l'America,  hanno  la 
loro  ripercussione  persino  nel  Giappone,  nella  China  ed  in  altre 
popolazioni  di  civiltà  asiatica. 


(1)  Difatti  nel  Vecchio  Testamento  gli  Ebrei  sono  cou.siderati  come  caduti 
in  servitù  quando  sono  sottomessi  dagli  Amaleciti  o  dai  Filistei,  o  quando  ven- 
gono da  Nabucco  trapiantati  in  Babilonia,  ma  non  già  quando  hanno  un  re 
nazionale,  sebbene  il  governo  duro  ed  arbitrario  dei  Re  sia  assai  bene  descritto 
da  Samuele  agli  anziani  d'Israele  nel  libro  dei  Giudici. 


CAPITOLO  m. 


Continua  il  tema  del  capitolo  precedente.  —  I.  Caratteri  speciali  della  città-Stato 
romana.  —  li.  Sua  graduale  trasformazione  in  uno  Stato  burocratico-mi- 
litare  durante  l'Impero.  —  III.  Dissolvimento  dello  Stato  e  della  civiltà 
romana.  —  IV.  Cause  che  prepararono  lo  Stato  feudale  e  sue  caratteri- 
stiche. —  V,  Graduale  trasformazione  dello  Stato  feudale  nello  Stato  asso- 
luto burocratico.  —  VI.  Cause  intellettuali  ed  economiche  che  preparano 
la  trasformazione  dello  Stato  assoluto  burocratico  nello  Stato  rappresen- 
tativo moderno.  —  VII.  La  Costituzione  inglese  del  secolo  XVIII  fornisce 
il  modello  formale  allo  Stato  rappresentativo  moderno.  —  Vili.  Caratte- 
ristiche dello  Stato  rappresentativo  moderno  ed  elementi  dissolvitori  che 
Io  minacciano. 

I.  —  Sia  per  l'affinità  della  stirpe  italica  con  la  stirpe  ellenica, 
sia  perchè  la  civiltà  greca,  attraverso  le  colonie  della  Sicilia  e  della 
Magna  Grecia,  fece  sentire  la  sua  influenza  sui  popoli  italici  in 
epoca  più  remota  di  quella  nella  quale  avvenne  la  conquista  delle 
accennate  colonie  per  opera  dei  Romani,  certo  è  che  la  costitu- 
zione politica  delle  città  italiche  presenta  molte  analogie  con  quella 
della  città  greca. 

In  origine  infatti  abbiamo  anche  nella  città  italica  primitiva  un 
re,  un  Consiglio  di  maggiorenti  ed  una  assemblea  del  popolo,  ed 
in  seguito,  quando  incomincia  l'epoca  veramente  storica,  cioè  quando 
sulla  fine  del  quarto  e  nei  primi  decenni  del  terzo  secolo  avanti 
l'èra  volgare,  tutte  le  popolazioni  italiche  sono  costrette  a  ricono- 
scere la  supremazia  di  Roma,  non  troviamo  in  esse  quasi  più 
traccia  della  regalità  ereditaria,  mentre  non  vi  erano  rare  le  riva- 
lità fra  gli  ottimati  e  la  plebe  (1).  Tanto  vero  che  Roma  general- 


(1)  Ci  sono  nella  storia  romana  accenni  all'esistenza  della  carica  regia  presso 
gli  Etruschi  ed  i  Latini  all'epoca  in  cui  Roma  aveva  ancora  dei  re  o  li  aveva 


368  BLBMBNTI   DI    SOIENZA   POLITICA 


mente  favorì  i  primi,  giustamente  ritenendo  che,  come  i)iù  incli- 
nati al  conservatorismo  ed  alla  tranquillità  sociale,  la  sua  supremazia 
potesse  sopra  di  essi  più  facilmente  ai)poggiarsi,  e,  per  raggiun- 
gere meglio  lo  scopo,  concosse  con  abbastanza  larghezza  il  diritto 
di  cittadinanza  romana  agli  ottimati  delle  città  federate. 

Di  Roma  sappiamo  che  in  epoca  remota  ebbe  i  suoi  re,  il  suo 
Senato  composto  dai  capi  delle  diverse  genti  patrizie,  la  cui  con- 
federazione formò  la  città  primitiva,  ed  anche  l'assemblea  del 
popolo,  ossia  i  comizi.  Abolita  come  in  Grecia  la  regalità  eredi- 
taria e  sostituita  ad  essa  il  Consolato  e  le  altre  magistrature  tem- 
poranee ed  elettive,  e  quasi  sempre  multiple  in  modo  che  la  stessa 
funzione  veniva  contemporaneamente  affidata  a  diverse  persone, 
sorse  presto  anche  a  Roma  la  lotta  fra  l'antica  cittadinanza  patrizia, 
costituita  da  coloro  che  facevan  parte  delle  antiche  genti,  e  la 
nuova  cittadinanza  plebea,  composta  a  preferenza  dai  discendenti 
degli  stranieri  domiciliati  e  dei  servi  liberati.  E  per  un  certo  tempo 
pare  che  due  città  coesistano  nel  recinto  dell'urbe  con  magistrature 
speciali  all'una  ed  all'altra,  finché  si  fondono  quasi  intieramente 
entro  una  costituzione  che  ricorda  molto  il  tipo  ellenico  teste 
esposto,  che  anche  essa  è  fatta  certamente  per  essere  applicata  ad 
una  città-Stato,  ma  che  si  distingue  per  alcune  particolarità  pro- 
fondamente originali. 

La  prima  di  esse  e  la  più  ricca  di  conseguenze  pratiche  fu  l'esten- 
sione data  al  diritto  di  cittadinanza,  le  cui  prerogative  vennero 
suddivise  in  modo  che,  accanto  al  cittadino  perfetto,  vi  era  quello 
imperfetto,  che  ne  godeva  una  parte  sola  ed  a  poco  a  poco  subiva 
l'assimilazione  necessaria  per  diventare  giuridicamente  uguale  agli 
altri  membri  della  città  romana  (1).  Ciò  permise  tale  un'estensione 


cacciati  da  poco,  e  basterebbe  in  proposito  ricordare  l'esempio  di  Porsena.  Pare 
che  Veio  avesse  ancora  un  re  quando  fu  conquistata  dai  Romani  nel  395  avanti 
Cristo.  Però  quando  Roma  conquistò  tutti  i  popoli  italici  sembra  che  la  rega- 
lità fosse  stata  già  fra  essi  dappertutto  abolita. 

(1)  Si  sa  che  i  diritti  del  cittadino  perfetto  {optimi  juris)  erano  il  jtis  coni- 
mercii,  il  jus  conniihii,  il  jus  suffraga  ed  il^"«s  honorum.  Col  primo  si  otteneva 
il  godimento  di  tutti  i  diritti  privati  del  cittadino  romano,  col  secondo  quello 
di  contrarre  nozze  regolari  con  un  cittadino  od  una  cittadina  romana,  col  terzo 
quello  di  partecipare  ai  comizi  e  col  quarto  quello  di  conseguire  le  cariche 
pubbliche.  Generalmente  i  due  primi  si  concedevano  con  maggiore  facilità,  ma 
essi  servivano  ordinariamente  di  preparazione  alla  concessione  degli  altri. 


PABTE  II.  OAP.  Ili  -  Segue:  descriz.  dei  diversi  tipi  ecc.  369 

del  diritto  di  cittadinanza  da  far  sì  che  di  esso  godessero  molte 
persone  le  quali  abitavano  cosi  lontano  da  Roma  clie  diffìcilmente, 
anche  avendone  il  diritto,  poteano  intervenire  ai  comizi.  In  altre 
parole,  Roma  seppe  rompere  il  cerchio  fatale,  che  impediva  alla 
città  greca  di  allargarsi,  concedendo  la  cittadinanza  a  coloro  che 
abitavano  tanto  lontano  dal  centro  da  non  potere  diuturnamente 
fare  atto  di  presenza  alle  assemblee  e  praticò,  per  dir  così,  dei 
gradini  nell'abisso  che  nella  Grecia  divideva  il  cittadino  da  chi 
non  era  tale.  In  questa  maniera  essa  potè  avere  inscritti  nei 
suoi  ruoli  nel  duecentosessantacinque  avanti  Cristo,  cioè  nell'anno 
precedente  alla  prima  guerra  punica,  duecentonovantaduemila 
cittadini,  e  dopo  le  perdite  in  essa  subite,  ne  aveva  ancora  due- 
centoquarantamila nel  duecentoquarantasette,  ossia  tra  la  prima 
e  la  seconda  guerra  punica;  ciò  che  rese  possibile  il  reclutamento 
delle  numerose  legioni  mediante  le  quali  jjotè  superare  la  terribile 
prova  che  subì  durante  l'invasione  di  Annibale  in  Italia  (1).  E  fu 
continuando  in  questo  sistema  che  potè  a  poco  a  poco  assimilare 
tanta  parte  del  mondo  facendone,  come  cantava  durante  l'agonia 
dell'impero  un  poeta  nativo  della  Gallia  romanizzata,  una  città 
sola  (2). 

La  seconda  nota  originale  della  costituzione  repubblicana  di 
Roma  antica  consistette  nel  carattere  spiccatamente  più  aristocra- 
tico che  essa  mantenne  rispetto  a  quelle  greche.  Il  Senato  romano 
infatti  col  tempo  non  fu  più  la  riunione  dei  padri  di  famiglia 
delle  antiche  genti,  ma  i  suoi  membri  furono  sempre  scelti  dal 
censore  fra  coloro  che  avevano  già  esercitato  cariche  elevate,  e,  solo 
in  un'epoca  relativamente  recente,  i  comizi  centuriati  furono  rifor- 
mati in  maniera  da  togliere  in  essi  la  preponderanza  alle  classi 
altamente  censite  ed,  accanto  ai  comizi  centuriati,  furono  ammessi 
quei  tributi  nei  quali  prevaleva  decisamente  il  numero  sul  censo  (3). 


(1)  Vedi  Gaetano  De  Sanctis,  Storia  dei  Romani.  Torino,  ed.  Bocca.  Voi.  IH, 
Gap.  Ili,  pag.  193. 

(2)  Urhem  fecisti  quod  priiis  orbili  erat,  cantava  nel  principio  del  quinto  se- 
colo dopo  Cristo  Rutilio  Numaziano.  Lo  stesso  concetto  esprime  il  contempo- 
raneo Claudiano  nel  suo  carme  In  secundum  consHÌatum  Stiliconis,  nei  versi 
che  vanno  dal  centocinquanta  al  centosessanta. 

(3)  Una  riforma  democratica  dei  comizi  centuriati,  in  modo  da  togliere  in 
essi  la  preponderanza  delle  classi  piìi  agiate,  fu  certamente  attuata  nel  periodo 
che  corre  dal  241  al  218  avanti  Cristo,  cioè  fra  la  line  della  prima  ed  il  prin- 

G.  Mosca,  Elementi  di  Sciensa  Politica.  il 


370  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Ma  la  legge  non  poteva  essere  dai  comizi  approvata  se  non  quale 
i  magistrati  l'avevano  proposto  e  l'autorità  del  Sonato  l'avea  con- 
fermato. Ed  in  quanto  alle  cariche  elettive  il  costume  più  che  la 
legge  imi)edi  fino  agli  ultimi  tempi  della  repubblica  che  fossero  con- 
ferite a  veri  popolani.  Infatti  il  tribunato  militare,  che  era  il  primo 
gradino  che  dovevano  salire  coloro  che  aspiravano  alla  carriera  po- 
litica, fino  alle  guerre  puniche,  non  fu  praticamente  accessibile  che 
ai  membri  dell'ordine  equestre  (1),  ed  il  Ferrerò  fa  giustamente  rile- 
vare come,  anche  durante  il  periodo  delle  guerre  civili,  ad  ecce- 
zione di  Caio  Mario,  che  del  resto  pare  fosse  di  famiglia  equestre, 
gli  eserciti  furono  sempre  comandati  da  membri  delle  grandi  fa- 
miglie romane  (2). 

Inoltre  il  fatto  che  molti  cittadini  abitavano  cosi  lontano  da 
Roma  che  fra  la  data  della  convocazione  dei  comizi  e  quella  della 
loro  riunione  doveva  intercedere  un  intervallo  di  diciassette,  o,  come 
altri  vogliono,  di  ventiquattro  giorni  (3),  contribuì  ad  aumentare 
le  attribuzioni  e  l'autorità  del  Senato,  che  si  poteva  radunare  assai 
più  rapidamente,  e  che  ebbe  perciò  fino  alla  fine  della  repubblica  la 
direzione  quasi  esclusiva  della  politica  finanziaria  e  di  quella  estera. 

II.  —  Nell'ultimo  secolo  della  repubblica,  dopo  i  Gracchi, 
questa  costituzione  aristocratica  fu  modificata  o  per  dir  meglio 
essa  non  potè  più  regolarmente  funzionare.  Poiché  si  rese  mani- 


cipio  della  seconda  guerra  punica.  L'equiparazione  delle  leggi  votate  dai  co- 
mizi centuriati  ai  plebisciti  votati  da  quelli  tributi,  nei  quali  il  numero 
prevaleva  decisamente  sul  censo,  sarebbe  stata  fatta  da  una  legge  Ortensia 
del  286  avanti  Cristo,  ma  su  questo  punto  i  competenti  fanno  delle  riserve. 
Del  resto  sul  diritto  pubblico  romano  esistono  ancora  molte  incertezze,  forse 
anche  perchè  noi  vogliamo  trovare  in  esso  quella  rigorosa  delimitazione  delle 
attribuzioni  fra  i  vari  organi  dello  Stato  alla  quale  siamo  abituati  nelle 
Costituzioni  moderne.  Vedi  in  proposito  Pacchioni,  Corso  di  diritto  romano, 
Torino,  Unione  Tipografica,  1918.  Volume  I,  Periodo  li.  Capitolo  IV. 

(1)  Vedi  De  Sanctis,  opera  citata,  Voi.  Ili,  cap.  IV,  pagg.  344-346.  L'A.  di- 
mostra come  i  pochi  centurioni  che  a  quell'epoca  arrivarono  fino  al  grado  di 
tribuni  si  ha  ragione  di  credere  che  avessero  raggiunto  il  censo  equestre. 

(2)  Vedi  Fekrkro,  Grandezza  e  decadenza  di  Roma,  voi.  I,  pag.  112. 

(3)  Il  trinundinum,  che  dovea  intercedere  fra  la  convocazione  e  la  riunione 
dei  comizi,  da  alcuni  autori  viene  calcolato  di  ventiquattro  giorni,  da  altri  di 
diciassette,  ad  ogni  modo  era  sempre  un  periodo  abbastanza  lungo  perchè  si 
moltiplicassero  i  casi  di  urgenza  ai  quali  dovea  provvedere  il  Senato. 


PABTB  II.  OAP.  III.  -  Segue:  descriz.  dei  diversi  tipi  eoo.        371 

festa  l'impossibilità  che  uno  Stato  città  organizzato  sul  tipo  elle- 
nico, per  quanto  modificato  ed  allargato,  potesse  diventare  un 
corpo  politico  mondiale.  I  comizi,  che  rappresentavano  l'adunanza 
legale  di  tutto  il  popolo  sovrano  nel  foro  di  Roma,  potevano  già 
sembrare  una  finzione  legale  quando,  nell'ottantotto  avanti  Cristo, 
la  cittadinanza  fu  estesa  a  tutti  i  popoli  italici,  ma  divennero 
un'irrisione  quando  buona  parte,  se  non  la  maggioranza  dei  cit- 
tadini, risiedeva  fuori  dell'Italia  sparsa  per  tutto  il  bacino  del  Medi- 
terraneo (1).  Né  l'annuale  avvicendamento  delle  cariche  pubbliche 
fu  più  praticabile  una  volta  che  i  loro  titolari,  investiti  di  potere 
quasi  assoluto,  dovevano  stare  per  anni  lontani  dall'Italia  in  Pro- 
vincie remote  e  che,  per  la  stessa  ragione,  gli  eserciti  perdettero 
il  carattere  di  milizie  cittadine,  reclutate  anno  per  anno,  ed  acqui- 
starono guadualmente  quello  di  soldati  professionali,  legati  più  al 
capitano,  che  per  molti  anni  consecutivi  li  comandava,  che  alla 
repubblica.  Sicché  era  fatale  che  l'antica  civitas  romana  si  dovesse 
trasformare  in  un  organismo  politico  tenuto  insieme  e  governato 
mercé  una  burocrazia  professionale  ed  un  esercito  stanziale. 

Questa  trasformazione  ebbe  luogo  quando,  per  usare  il  linguaggio 
ora  comunemente  accettato,  alla  Repubblica  fu  sostituito  l'impero  ; 
si  può  disputare,  e  certo  si  disputerà  ancora,  sulle  intenzioni  che 
ebbero  Augusto  ed  i  suoi  collaboratori  quando  inaugurarono  il 
nuovo  regime,  ed  è  indiscutibile  che  essi  non  vollero  sostituire  a 
quello  vecchio  né  la  monarchia  assoluta  né  la  monarchia  tempe- 
rata, come  oggi  l'intendiamo  ;  ma  è  pure  certo  che  coi  nuovi  ordi- 
namenti fu  fatto  un  passo  decisivo  verso  la  trasformazione  del- 
l'antico Stato  città  in  una  nuova  forma  di  organizzazione  politica, 
la  quale  rendeva  assai  più  agevole  di  tenere  uniti,  governare  ed 
assimilare  lentamente  i  vasti  domini  che  Roma  aveva  saputo 
conquistare. 


(1)  11  censo  dell'anno  28  avanti  Cristo  (tre  anni  dopo  la  battaseli»  di  Azio) 
dava  la  cifra  di  4.164.000  cittadini,  quello  dell'anno  8  avanti  Cristo  ne  con- 
tava 4.233.000,  l'ultimo  di  cui  abbiamo  notizia  del  48  dopo  Cristo,  sotto  l'im- 
peratore Claudio,  ne  contava  5.894.012.  Siccome  non  erano  compresi  nel  censo 
le  donne  ed  i  maschi  inferiori  ai  17  anni,  così  la  prima  cifra  corrispondeva 
già  ad  una  popolazione  di  circa  quattordici  o  quindici  milioni  di  persone,  assai 
pivi  di  quanto  ne  poteva  contenere  allora  l'Italia,  se  teniamo  conto  pure  dejjli 
schiavi  e  degli  stranieri  domiciliati.  Vedi  Marquardt,  De  l'organisation  finattcière 
chez  les  Komains,  Paris,  Thorin,  ed.  1888,  2'  parte,  pag.  337  in  nota. 


372  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


È  legge  forse  costante  che,  nella  trasformazione  degli  organismi 
politici,  quelli  susseguenti  conservino  larglie  traccie  di  quelli  imme- 
diatamente precedenti,  perchè  più  o  meno  il  nuovo  edificio  viene 
costruito  sulle  rovine  del  vecchio  ed,  almeno  in  parte,  coi  materiali 
da  esso  forniti.  Questa  legge  noi  la  vediamo  chiaramente  affer- 
marsi nella  riforma  augustea,  la  quale,  se  non  tolse  di  un  tratto  la 
potestà  legislativa  ai  comizi,  tanto  che  essi  continuarono  ad  essere 
qualche  volta  convocati  ed  a  funzionare,  sia  pure  in  modo  inter- 
mittente, fino  a  più  di  un  secolo  dopo  la  battaglia  d'Azio,  fece  in 
modo  che  la  facoltà  di  legiferare  fosse,  poco  a  poco,  intieramente 
usucapita  dal  Senato  e  dal  Principe  (1). 

Quanto  a  ciò  che  ora  corrisponderebbe  al  potere  esecutivo  ed 
al  giudiziario,  esso  fu  diviso  quasi  intieramente  fra  il  Senato  e 
l'imperatore.  Poiché  questi  fu  considerato  come  un  magistrato 
cittadino,  che  concentrava  in  sé  molti  poteri,  ma  molti  altri  ne 
lasciava  al  Senato,  a  Roma,  in  Italia  e  nelle  provincie  senatorie, 
ma  assunse  subito  le  funzioni  di  sovrano  assoluto  nelle  provincie 
imperiali,  considerate  soggette  ad  un'occupazione  militare,  e  che  egli 
governava  a  suo  talento,  per  mezzo  di  una  burocrazia  i  cui  dirigenti 
erano  scelti  qualche  volta  fra  i  senatori  ma  a  preferenza  fra  i 
semplici  cavalieri  (2). 

Naturalmente,  come  sempre  accade  nei  contatti  e  nelle  compe- 
tizioni inevitabili  fra  gli  avanzi  di  un  regime  vecchio  ed  im  regime 
nuovo  più  conforme  alle  necessità  dei  tempi,  i  funzionari  scelti 
dal  Senato  andarono  perdendo  sempre  più  terreno,  finche  finirono 
col  lasciare  poche  traccie  di  se.  Difatti,  fin  dai  primi  imperatori  d'ella 
casa  Giulia,  nella  stessa  Roma,   alla  competenza  di  molti  degli 


(1)  Le  leggi  approvate  dai  comizi  sono  ancora  importanti  e  numerose  sotto 
Augusto,  diminuiscono  in  seguito  e  sono  gradatamente  sostituite  dai  senatus 
consulta  e  poi  dalle  costituzioni  imperiali.  L'ultima  legge  approvata  dai  comizi 
che  si  ricordi  è  la  lex  agraria  fatta  sotto  l'imperatore  Nerva  (96-98  dopo  Cristo). 
Vedi  Pacchioni,  opera  citata,  Periodo  quarto,  cap.  9,  10  ed  11. 

(2)  La  trasformazione  dell'antico  Stato  città  romano  in  un  impero  burocra- 
tico è  stata  oggetto  degli  studi  profondi  di  molti  storici  e  giuristi.  Ricorderemo 
fra  gli  altri  Pacchioni,  opera  citata,  voi.  I,  periodo  IV  ;  Hartmann,  La  rovina 
del  mondo  antico,  trad.  di  Gino  Luzzatto,  Torino,  Roux  e  Viarengo  ;  Guglielmo 
Ferrerò,  Grandezza  e  decadenza  di  Roma,  Milano,  Treves,  specialmente  nel  vo- 
lume IV;  Bryce,  Il  sacro  romano  impero,  traduttore  Balzani,  Napoli,  Vallardi 
editore. 


PABTE  II.  CAP.  Ili  -  Segue:  desoriz.  dei  diversi  tipi  ecc.         373 

antichi  magistrati  onorari  si  sostituì  quella  di  nuovi  funzionari  scelti 
dall'imperatore,  e  gradatamente  la  burocrazia  regolare,  composta  di 
cavalieri  ed  anche  di  liberti  del  principe,  fece  sentire  sempre  più  la 
sua  azione  in  tutto  l'impero.  Praticamente,  dopo  i  primi  imperatori, 
la  competenza  del  Senato,  reclutato  sempre  fra  l'alta  burocrazia  e 
fra  le  grandi  famiglie  d'Italia  e  poi  del  mondo  intero,  fu  ristretta 
nei  limiti  che  agli  imperatori  ed  ai  suoi  strumenti  piaceva  di  trac- 
ciare (1).  Sicché,  dopo  la  grave  crisi  che  l'impero  ebbe  a  subire  e 
che  potè  superare  nella  seconda  metà  del  terzo  secolo,  non  fu 
difficile  a  Diocleziano  ed  a  Costantino  di  sopprimere  quasi  tutti 
i  ricordi  e  le  sopravvivenze  dell'antica  costituzione  cittadina,  od 
a  ridurle  a  nomi  vani,  senza  alcun  contenuto  positivo.  I  soli  con- 
cetti provenienti  dall'antica  costituzione  che  si  salvarono  dal  nau- 
fragio furono  quello  che  l'imperatore  riceveva  la  sua  autorità  dal 
popolo,  concetto  che,  in  grazia  ai  giureconsulti,  sopravvisse  fino  a 
Giustiniano  (2),  e  l'altro  che  ogni  magistrato  aveva  una  sfera  di 
competenza  nettamente  delimitata  e  doveva,  almeno  teoricamente, 
esercitare  la  sua  autorità  conformemente  alla  legge.  Forse  a  ciò 
in  parte  si  deve  il  fatto  che  l'azione  della  burocrazia  romana  fu 
certo  più  regolare,  e  quindi  più  efficace,  di  quella  degli  antichi  imperi 
orientali,  e  basterebbe  a  provarlo  il  modo  maraviglioso  con  il  quale 
riusci  a  diffondere  la  lingua,  le  leggi  ed  i  costumi  di  Roma  e  ad 
unificare  moralmente  quasi  tutto  il  mondo  civile  di  allora. 

III.  —  Le  cause  prime  della  decadenza  della  civiltà  antica 
e  del  disgregamento  dell'impero  romano  d'occidente  costituiscono 
forse  il  problema  più  intricato  ed  oscuro  della  storia  ;  e,  benché 
molta  luce  sopra  di  esse  abbiano  apportato  gli  studi  dell'ultimo 
mezzo  secolo,  non  tutte  le  tenebre  sono  ancora  scomparse  (3).  Ed 


(1)  Vedi  Pacchioni,  opera  citata,  Periodo  IV,  capitolo  IX. 

(2)  Pacchioni  nell'opera  citata  (Periodo  IV,  capitolo  XI)  sostiene  con  validi 
argomenti  che  i  giureconsulti  giustinianei  abbiano  dato  al  famoso  e  noto  passo 
di  Ulpiano  quod  principi  placuit  legis  habet  vigorem  una  interpretazione  esten- 
siva che  in  principio  non  aveva.  Ad  ogni  modo  anche  essi  rendevano,  per  dir 
così,  omaggio  al  principio  della  sovranità  popolare,  riconoscendo  che  il  popolo 
avea  delegato  al  principe  la  facoltà  legislativa  in  virtìi  della  lex  regia  de 
imperio. 

(3)  Interessantissimi  sono  in  proposito  i  recenti  lavori  di  Gcolielmo  Ferrerò 
intitolati:  La  mine  de  la  civilisation   antique,  e  pubblicati    nella    *  Revue  dee 


874  XLEMENTl    DI    SCIENZA    POLITICA 


il  })unto  più  oscuro  del  f^rande  fenomeno  storico  resta  sempre 
l'inizio  di  esso  :  cioè  quella  povertà  di  uomini  superiori,  quella 
decadenza  artistica  e  letteraria,  che  già  sono  manifeste  nel  terzo 
secolo  dell'era  volgare,  quando  gli  antichi  ideali  pagani  erano  già 
esauriti  ed  il  nuovo  ideale  cristiano  non  era  ancora,  nelle  classi 
còlte,  diffuso. 

Certo  che,  nella  società  romana  del  basso  impero,  vi  erano  molte 
gravi  piaghe  :  il  sistema  delle  imposte  era  posante  od  assurdo, 
esauriva  le  fonti  della  ricchezza  e  colpiva  sopratutto  le  classi 
medie,  ossia  la  borghesia  provinciale  che  formava  il  decurionato 
delle  città  (1),  e  la  decadenza  delle  classi  medie  lasciava  di  fronte 
un'aristocrazia  di  grandi  proprietari,  fra  i  quali  a  preferenza  si 
reclutava  l'alta  burocrazia,  ed  una  numerosa  poveraglia,  che  tumul- 
tuava e  viveva  in  parte  a  spese  dello  Stato,  e  poi  della  Chiesa,  nella 
capitale  e  nelle  grandi  città,  o  che  era  ridotta  nella  semiservitù  del 
colonato  nelle  campagne.  La  sicurezza  pubblica  era  molto  relativa, 
il  brigantaggio  fioriva,  i  ricchi  si  difendevano  tenendo  ai  loro  servizi 
delle  guardie  private,  specie  di  bravi  che  si  chiamavano  bucceUari, 
le  medie  e  piccole  fortune  non  avevano  modo  di  difendersi  e  soc- 
combevano (2).  L'igiene  pubblica  non  era  così  perfezionata  che 
l'incremento  ordinario  della  popolazione  potesse  facilmente  col- 
mare i  vuoti  lasciati  dalle  carestie,  dalle  pestilenze,  dalle  incur- 
sioni dei  barbari  o  da  qualsiasi  mortalità  straordinaria,  e  del  resto. 


deux  mondes  „  del  15  settembre  1919,    del  15  settembre   e   1°  giugno  1920  e 
del  15  febbraio  1921.  Ripubblicati  poi  in  volume  a  Parigi,  librairie  Plon,  1921. 

(1)  Come  si  sa,  il  corpo  dei  decurioni,  costituito  dai  maggiori  censiti  e  che 
esercitava  funzioni  abbastanza  analoghe  a  quelle  dei  nostri  Consigli  comunali, 
era  pure  incaricato  della  riscossione  delle  imposte  dirette  e,  nel  caso  che  la 
città  non  potesse  pagare  interamente  la  quota  assegnata,  i  decurioni  doveano 
supplirvi  coi  loro  beni  privati.  Perciò  la  carica  di  decurione,  prima  ambita 
come  segno  di  distinzione  sociale,  diventò  aborrita  e  tutti  cercavano  di  sot- 
trarvisi. 

(2)  E  ricordato  dagli  storici  un  certo  Bulla,  che  per  lungo  tempo  scorazzò 
per  l'Italia  a  capo  di  una  masnada  di  seicento  briganti;  in  Gallia  durò  molto 
a  lungo  il  brigantaggio  dei  contadini  rivoltati,  che  si  dicevano  Bagaudi.  Del 
resto,  per  vedere  quanto  il  brigantaggio  fosse  allora  diffuso,  basta  leggere  uno 
dei  pochi  romanzi  che  l'antichità  classica  ci  ha  lasciato,  cioè  l'Asino  d'oro  di 
Apuleio. 


PARTE  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  dkscriz.  dei  diversi  tipi  ecc.         375 

come  accade  in  tutte  le  civiltà  molto  stagionate  e  non  rattenute 
da  freni  religiosi,  pare  che  la  natalità  fosse  scarsa  (1). 

Dopo  Diocleziano  lo  Stato,  per  porre  riparo  alla  grave  crisi,  che 
alla  metà  circa  del  terzo  secolo  aveva  colpito  l'impero,  assunse 
poteri  ed  esercitò  ingerenze  straordinarie  ed  ebbe  la  pretesa  di 
disciplinare  tutta  la  vita  economica,  fissando  i  salari  ed  i  prezzi 
delle  derrate  e,  per  assicurare  la  continuità  di  ciò  che  ora  sareb- 
bero i  servizi  pubblici,  ne  proibì  l'abbandono  a  coloro  che  vi  erano 
addetti  e  costrinse  i  loro  figli  a  seguire  il  mestiere  del  padre.  Infine 
l'amministrazione  era  fortemente  inquinata  dal  vizio,  che  è  la  ma- 
ledizione e  la  fonte  di  ogni  debolezza  dei  regimi  burocratici,  cioè 
dalla  venalità.  Il  funzionario  romano  del  basso  impero  general- 
mente badava  più  al  suo  interesse  privato  che  all'interesse  pub- 
blico che  era  incaricato  di  tutelare,  e  per  molte  notizie  è  noto 
che  talora,  anche  nei  gradini  più  elevati  della  scala  burocratica, 
nulla  era  possibile  di  ottenere  senza  ricchi  presenti  (2), 

Ma  d'altra  parte  non  bisogna  dimenticare  che  non  vi  è  società 
umana  che  non  abbia  le  sue  piaghe  e  che,  accanto  ad  esse,  vi  è 
quasi  sempre  una  forza  naturale  riparatrice,  la  quale  tende  ad 
attenuarne  gli  effetti.  L'impero  remano  d'oriente,  che  soffriva 
delle  stesse  piaghe  di  quello  d'occidente,  non  solo  potè  soprav- 
vivere, ma,  nel  sesto  secolo,  sotto  Giustiniano,  e  poi  nell'ottavo  e 
nono  secolo,  sotto  gli  imperatori  iconoclasti  e  la  dinastia  mace- 
done, ebbe  notevoli  risvegli  di  energia  e  potè  allora  in  gran  parte 
salvare  il  suo  territorio  e  la  sua  civiltà  assalita  dai  barbari  del 
settentrione  e  poi  anche  dagli  Arabi. 

Un  individuo  muore  quando,  essendo  logorati  i  suoi  organi  per 


(1)  Certo  il  Cristianesimo  neppure  nel  quinto  secolo  era  talmente  penetrato 
nelle  plebi  campagnuole  da  rendere  disusati  l'aborto  procurato  e  l'esposizione 
dei  neonati,  la  quale  era  così  comune  nell'antichità  cbe  il  riconoscimento  di 
un  esposto  è  uno  degli  intrecci  piìi  comuni  del  teatro  antico. 

(2)  Si  sa  ad  esempio  cbe,  quando  l'imperatore  Valente  consentì  che  i  Goti 
passassero  il  Danubio  e  si  stabilissero  nelle  terre  dell'impero,  i  funzionari 
incaricati  di  distribuire  loro  dei  viveri  e  togliere  le  armi,  corrotti  dai  doni, 
lasciarono  loro  le  armi  e  nello  stesso  tempo  si  appropriarono  di  buona  parte 
dei  viveri.  È  inoltre  molto  istruttiva  in  proposito  la  relazione  di  una  inchiesta, 
avvenuta  in  Tripolitania  verso  la  fine  del  quarto  secolo  e  riferita  in  tutti  i 
suoi  particolari  da  Ammiano  Marcellino  noi  libro  XXVllI  capo  6°,  paragrafo  5"', 
della  sua  storia. 


376  BLRMEKTI    DI    60IENZA    POLITICA 


la  vecchiaia,  essi  non  possono  più  normalmente  funzionare,  ovvero 
quando,  indebolito  per  questa  o  per  altre  cause,  non  può  resistere 
ad  una  infezione  che  lo  assale.  A  prima  vista  parrebbe  che  la  vec- 
chiaia non  dovesse  mai  manifestarsi  in  un  popolo,  in  una  civiltà, 
perchè  in  essi  le  generazioni  umane  sempre  si  rinnovano  ed  ogni 
generazione  nuova  ha  tutto  il  vigore  della  giovinezza.  Invece  ciò 
che  può  equivalere  alla  vecchiaia  o  alla  debolezza  organica,  si 
manifesta  in  un  popolo  quando  vengono  meno  i  legami  morali, 
come  sarebbero  la  religione  ed  il  patriottismo,  che  formavano  la 
base  della  sua  coesione  sociale,  e  non  agisce  i)iù  quella  forza  natu- 
rale riparatrice,  alla  quale  teste  accennavamo,  perchè  i  migliori 
elementi  rimangono  paralizzati,  avendo  rivolta  la  loro  attività  ed 
energia  verso  fini  diversi  da  quelli  che  sarebbero  necessari  per  la 
salvezza  dello  Stato.  E  la  debolezza  interna  deve  essere  tanto 
maggiore  quanto  minore  è  la  forza  dell'urto  esterno  che  produce 
la  catastrofe,  ciò  che  avviene  quando  essa  ha  luogo  per  l'assalto 
di  popoli  inferiori  per  mezzi  offensivi,  sapere  e  disciplina. 

Or,  come  abbiamo  già  accennato  in  un  precedente  lavoro,  l'impero 
romano  d'occidente  subì  la  grande  irruzione  dei  popoli  germanici, 
determinata  alla  fine  del  quarto  secolo  dall'urto  degli  Unni,  in  un 
momento  critico,  quando  erano  venute  meno  le  concezioni  ed  i 
sentimenti,  che  formavano  la  base  morale  della  vecchia  civiltà 
classica  ed  una  ondata  di  misticismo  toglieva  allo  Stato  tutti  gli 
elementi  migliori,  quasi  tutti  gli  individui  che  si  distinguevano 
per  altezza  di  carattere  e  d'ingegno,  per  darli  alla  Chiesa  (1).  So- 


(1)  Vedi  Mosca,  Teorica  dei  Governi,  capitolo  II,  paragrafo  VI,  pag.  87.  To- 
rino, Loescher,  1884.  È  forse  opportuno  ricordare  che,  verso  la  fine  del  quarto 
secolo  e  nella  prima  metà  del  quinto,  mentre  l'impero  d'occidente  crollava,  ab- 
biamo nella  Chiesa  una  pleiade  di  uomini  superiori,  sant'Ambrogio,  san  Giro- 
lamo, sant'Agostino,  san  Paolino  da  Nola,  Paolo  Orosio,  Salviano,  ecc.,  mentre,  ad 
eccezione  di  Teodosio  e  dello  sventurato  Magioriano,  uno  degli  ultimi  imperatori 
d'occidente,  quasi  nessun  uomo  di  carattere  e  di  mente  elevata  di  origine  ro- 
mana si  dedica  al  servizio  dello  Stato.  È  caratteristico  in  proposito  l'aneddoto 
narrato  da  sant'Agostino,  di  quel  Pontitianus,  che,  mentre  l'imperatore  è  al 
circo,  con  altri  tre  ufficiali  del  seguito  imperiale  va  a  passeggiare  nei  giardini 
vicino  le  mura  di  Treviri,  durante  la  passeggiata  entrano  in  un  monastero  e 
leggono  la  vita  di  sant'Antonio  scritta  da  Atanasio  arcivescovo  di  Alessandria, 
e  la  lettura  ha  tale  effetto  che  essi  abbandonano  immediatamente  il  servizio 
imperiale  e  si  danno  alla  Chiesa. 


PABTE  II.  GAP.  HI.  -  Segue-,  descriz.  dei  diversi  tipi  ecc.         377 

pravvisse  la  parte  orientale  del  mondo  romano  perchè,  forse  in 
grazia  della  sua  posizione  geografica,  ebbe  il  tempo  di  superare  il 
momento  critico  e  di  restaurare  le  sue  forze,  mentre  questo  tempo 
mancò  alla  parte  occidentale,  già  quasi  tutta  in  potere  dei  barbari 
alla  metà  del  quinto  secolo. 

IV.  —  Dopo  che  i  barbari  si  furono  insediati  in  tutte  le  an- 
tiche provinole  dell'impero  d'Occidente,  il  processo  di  disgregazione 
politica  e  civile,  già  iniziato  nel  terzo  secolo  dell'era  volgare,pro- 
cedette  rapidamente.  In  principio  parecchi  dei  primi  governanti  bar- 
bari, e  segnatamente  l'ostrogoto  Teodorico,  pare  che  si  siano  sforzati 
di  conservare  per  quanto  era  possibile  i  quadri  dell'antica  ammi- 
nistrazione civile  romana,  riservando  agli  invasori  la  difesa  militare 
del  paese,  ma  i  nuovi  regimi  diffìcilmente  potevano  adattarsi  alla 
complicata  macchina  burocratica  romana,  che  presupponeva  una 
esperienza  amministrativa  ed  una  cultura  giuridica  che  mancavano 
ai  conquistatori.  Inoltre  la  necessità  in  cui  si  trovarono  i  re  bar- 
bari, di  compensare  i  loro  seguaci  colla  concessione  di  buona  parte 
delle  terre  dei  vinti,  dovette  necessariamente  sconvolgere  la  società 
d'allora,  nella  quale  le  classi  alte  di  origine  romana  o  si  adatta- 
rono alla  vita  ed  ai  costumi  dei  barbari  o  scomparvero  confon- 
dendosi nella  plebe,  e  dovette  preparare  la  trasformazione  del 
grande  proprietario  terriero  in  sovrano  ereditario  locale.  Se  a  ciò 
si  aggiunge  che  ai  primi  invasori,  già  un  poco  assuefatti  alla 
civiltà  ed  alle  istituzioni  romane,  spesso  si  sostituii'ono,  come  fu 
il  caso  dei  Longobardi,  altri  completamente  ignari,  si  comprende 
agevolmente  come,  dopo  qualche  secolo,  quasi  nulla  dovesse  so- 
pravvivere dell'antica  macchina  statale  romana,  e  come  la  nuova, 
modellata  sulle  istituzioni  ed  i  sentimenti  con  i  quali  si  soleano 
reggere  le  tribù  germaniche  nella  loro  patria  d'origine,  cioè  sul- 
l'obbligo  personale  di  reciproca  fedeltà,  che  legava  il  capo  supremo 
della  banda  guerriera  ai  suoi  sottocapi,  siasi  alla  lunga  dimostrata 
assolutamente  insufficiente  a  mantenere  salda  sotto  unica  direzione 
la  compagine  di  un  grande  Stato. 

Perciò  lo  sfacelo  della  grande  monarchia  barbarica,  arrestato 
durante  due  o  tre  generazioni  per  opera  della  energica  dinastia 
franca  degli  Heristal,  e  sopratutto  di  Carlo  Magno,  dopo  la  morte 
di  questo  geniale  sovi'ano,  che  tentò  di  far  rivivere  le  tradizioni 
unitarie  ed  accentratrici  di  Roma,  si  accentuò  sempre  più,  aiutato 


378  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


dalle  nuove  scorrerie  deoli  Un^'hori,  dei  Normanni  e  dei  Saraceni, 
tanto  che  al  decimo  secolo  la  indipendenza  dei  capi  locali  di  fronte 
al  potere  centrale  era  già  quasi  completa  e  di  fatto  era  già  isti- 
tuito quel  regime  che  poi  si  disse  feudale. 

Il  feudalesimo  non  fu,  né  potea  essere,  un  ritorno  puro  e  sem- 
plice allo  condizioni  di  tribù  o  piccole  ijopolazioni  nemiche  l'una 
dell'altra,  che  Roma  avea  trovato  nel  mondo  occidentale  prima 
che  l'avesse  conquistato.  Poiché  certi  progressi  intellettuali,  come 
l'adozione  di  un  linguaggio  comune,  e  sopratutto  quelli  materiali. 
una  volta  acquisiti,  non  si  perdono  più  intieramente,  anche  quando 
l'organizzazione  politica  che  li  ha  reso  possibili  intieramente  si 
dissolve. 

Difatti  un  popolo  abituato  alla  stabilità  delle  sedi,  ad  una  agri- 
coltura basata  sulla  proprietà  privata,  ad  una  certa  differenzia- 
zione fra  le  classi  sociali,  non  perde  intieramente  queste  abitudini 
caratteristiche  anche  dopo  un  lungo  periodo  di  anarchia.  Si  po- 
trebbe anche  aggiungere  che  alcuni  dei  materiali  con  i  quali  si 
costruì  l'edificio  feudale  non  furono  che  lo  sviluppo  e  la  conti- 
nuazione di  istituti  del  basso  impero.  Cosi  ad  esempio  la  servitù 
della  gleba,  ossia  il  vincolo  che  legava  alla  terra  la  numerosa 
classe  addetta  al  lavoro  agricolo,  è  noto  che  rimonta  già  al  basso 
imiterò,  sicché  nelle  campagne  il  nuovo  regime  non  fece  che  tras- 
formare nel  castello  fortificato  del  barone  la  villa  dell'antico  grande 
proprietario  romano. 

Invece  come  novità  introdotta  dal  feudalesimo  si  può  riguardare 
la  supremazia  politica  di  una  classe  esclusivamente  guerriera,  che 
abbandonò  al  clero  la  cura  di  mantenere  vivi  quei  bricioli  di  cul- 
tura, che  sopravvissero  alla  catastrofe  del  mondo  antico.  Un'altra 
caratteristica  del  sistema  feudale  consistette  nell'accentramento  di 
tutte  le  funzioni  direttive  e  di  tutta  l'influenza  sociale  nei  capi 
militari  locali,  che  nello  stesso  tempo  furono  i  padroni  della  terra, 
ossia  del  quasi  unico  strumento  di  produzione  che  allora  vi  fosse. 
E  finalmente  non  bisogna  dimenticare  che  il  feudalesimo  institui 
una  sovranità  intermedia  fra  l'organo  centrale  e  coordinatore  dello 
Stato  e  l'individuo. 

Difatti  i  capi  locali  più  importanti,  diventati  ereditari,  legarono 
a  sé  con  subconcessioni  di  terre  i  capi  minori,  i  quali,  stretti  dal- 
l'omaggio feudale  e  dall'obbligo  di  fedeltà  verso  il  concedente,  non 
avevano  alcun  rapporto  diretto  col  capo  di  tutta  la  confederazione 


PABTK  II.  GAP.  Ili  -  Segue-,  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         379 

feudale,  cioè  col  Re,  e  si  credevano  obbligati  a  combatterlo  se  il 
capo  al  quale  erano  direttamente  legati  lo  combatteva.  E  certa- 
mente fu  questa  la  causa  principale  della  lunghissima  resistenza 
opposta  dal  regime  feudale  all'azione  diuturna  del  potere  centrale 
che  mirava  a  distruggerlo. 

V.  —  Scrisse  il  Bryce  che  le  due  grandi  idee  che  l'antichità 
morente  trasmise  all'età  che  la  segui  furono  quelle  di  una  mo- 
narchia universale  e  di  una  religione  universale  (1).  Difatti  fino 
al  secolo  decimoquarto  si  mantenne  nelle  classi  intellettuali,  rap- 
presentate dal  clero  e  dai  giuristi,  vivace  il  ricordo  dell'antica 
unità  di  tutte  le  genti  civili  e  cristiane  guidate  nelle  cose  religiose 
dal  pontefice  romano,  che  a  poco  a  poco  fu  riconosciuto  come 
supremo  gerarca  della  Chiesa  cattolica,  ed  in  quelle  temporali  dal 
successore  dell'antico  imperatore  romano.  Senza  la  vivacità  di 
queste  reminiscenze  non  si  spiegherebbe  il  tentativo  di  restaura- 
zione dell'impero,  che  ebbe  luogo  per  opera  di  Carlo  Magno  e  di 
Papa  Leone  III  nell'anno  ottocento,  né  quello,  alquanto  più  du- 
raturo, di  Ottone  I  di  Sassonia  nel  962. 

Ma  un  nome  ed  un'idea,  per  quanto  possano  esercitare  una 
grande  influenza  morale,  non  bastano  alla  restaurazione  di  un 
sistema  politico  accentrato  e  coordinato,  quando  esso  è  già  disfatto, 
senza  il  sussidio  di  un'organizzazione  materiale  che  si  metta  al 
loro  servizio,  e,  per  avere  questa,  occorrono  i  mezzi  necessari  a 
costituirla.  E  di  questi  appunto  difettavano  i  successori  di  Carlo 
Magno  e  gli  imperatori  germanici,  che  non  disponevano  né  di  una 
finanza  solida,  ne  di  una  burocrazia  regolare,  ne  infine  di  un  eser- 
cito stanziale  adatti  a  fare  rispettare  le  loro  pretese. 

Sotto  Carlo  Magno  l'antico  bando  germanico  forniva  ancora  agli 
eserciti  franchi  milizie  abbastanza  disciplinate  ed  i  signori  locali 
non  erano  ancora  onnipotenti;  per  la  stessa  ragione  gli  imperatori 
della  casa  di  Sassonia  ed  i  primi  due  della  casa  di  Franconia  pote- 
rono contare  sulla  cooperazione  della  classe  militare  tedesca,  non 
ancora  saldamente  raggruppata  attorno  a  pochi  capi  (2)  ;  ma,  ap- 


(1)  Vedi  Giacomo  Bryce,  Il  sacro  romano  impero.  Traduzione  di  Ugo  Balzani, 
Napoli,  Vallardi.  1886,  cap.  VII,  pag.  84. 

(2)  Sotto  Enrico  III  di  Franoonia  il  potere  imperiale  e  regale  raggiunse  in 
Germania  il  mas8Ìmo    della  sua   efficacia;    difatti  egli  potè   per  lungo  tempo 


380  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

pena  il  sistema  fendale  ebbe  poste  salde  radici  anche  in  Germania, 
questa  base  divenne  iDure  tentennante.  Se  poi  si  tiene  conto  che 
la  lotta  sopravvenuta  fra  l'Impero  e  la  Chiesa  forni  alle  sovranità 
locali,  in  urto  con  l'autorità  imperiale,  il  sussidio  di  una  grande 
forza  morale,  non  desterà  maraviglia  che  il  tentativo  di  ristabilire 
l'unità  politica  universale  dei  popoli  cristiani,  iniziato  da  Carlo 
Magno  e  ripreso  da  Ottone  I  di  Sassonia,  si  possa  considerare,  dopo 
la  morte  di  Federico  II  di  Hohenstauffen,  come  completamente 
e  definitivamente  fallito. 

Ma,  siccome  nell'Europa  centrale  ed  occidentale  non  dovea  eter- 
narsi quello  stato  di  semibarbarie  che  fu  la  caratteristica  del- 
l'epoca più  oscura  del  Medio  Evo,  siccome  in  essa  la  civiltà  dovea 
risorgere,  era  fatale  che  il  lavorio  di  riassorbimento  dei  poteri 
locali  noli'  organo  centrale  dello  Stato  dovesse  essere  ripreso 
sotto  altra  forma,  e  che  ciò  che  era  riuscito  impossibile  al  rappre- 
sentante dell'antico  impero  romano  dovesse  diventare  il  compito 
delle  diverse  monarchie  nazionali. 

Intanto  dopo  il  mille  avea  cominciato  a  sorgere  accanto  al  feudo 
un'altra  forma  di  sovranità  locale,  ossia  il  Comune,  costituito  dalla 
confederazione  delle  ghilde,  delle  fratellanze  vicinali,  delle  cor- 
porazioni di  mestiere,  di  tutte  quelle  leghe  di  uomini  non  nobili 
e  non  soggetti  a  vassallaggio,  che,  nei  periodi  più  brutti  del- 
l'anarchia feudale,  si  erano  formate,  affinchè  gli  individui  ad  esse 
appartenenti  godessero,  mercè  la  mutua  difesa,  di  una  certa  si- 
curezza personale.  Ora  i  Comuni,  i  quali  diventati  potentissimi 
prima  nell'Italia  settentrionale  e  poi  in  Germania  ed  in  Fiandra, 
furono  colà  uno  degli  ostacoli  maggiori  all'affermarsi  del  potere 
del  sacro  imperatore  romano,  viceversa,  avendo  forze  più  modeste 
in  Francia,  in  Inghilterra,  nei  regni  iberici  e  nell'Italia  meridio- 
nale, appoggiarono  in  questi  paesi  il  Re  contro  la  feudalità. 


far  rimanere  inoccupati  parecchi  dei  principali  ducati,  o  farli  occupare  da  pa- 
renti della  casa  regnante,  e  ritenere  sotto  il  suo  diretto  dominio  il  ducato  di 
Franconia  e,  per  un  certo  tempo,  anche  quello  di  Svevia.  Inoltre  l'imperatore 
aveva  il  diritto  esclusivo  di  nominare  i  titolari  dei  grandi  feudi  ecclesiastici, 
vescovati  ed  abbazie,  i  quali  non  erano  ereditari  e  comprendevano  quasi  la 
metà  del  territorio  tedesco.  La  morte  immatura  di  Enrico  III  e  poi  la  minore 
età  e  la  debolezza  di  Enrico  IV  e  le  sue  lotte  col  Papato  permisero  all'alta 
nobiltà  tedesca  di  riguadagnare  il  terreno  perduto.  Vedi  Bryce,  opera  citata, 
capitolo  IX. 


PARTE  II.  CAP.  III.  -  Segue:  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         381 

In  generale  le  monarchie  nazionali  si  riattaccavano  storicamente 
alle  antiche  monarchie  barbariche,  che  i  Germani  invasori  aveano 
formato  sulle  rovine  dell'antico  impero  romano.  Senonchè  esse, 
dopo  il  periodo  di  dissoluzione  politica  che  ebbe  luogo  sotto  i 
primi  successori  di  Carlo  Magno,  si  andarono  ricostituendo  adat- 
tandosi più  ai  criteri  geografici  e  linguistici  anziché  a  quelli  pu- 
ramente storici.  Sicché  ad  esempio  la  Francia  di  San  Luigi  non 
corrispondeva  all'antico  paese  dei  Franchi,  ma  da  una  parte  ab- 
bracciava l'antica  Settimania,  già  dominata  dai  Visigoti,  e  dall'altra 
avea  dovuto  rinunziare  alle  Fiandre,  alla  Franconia,  ed  alle  rive 
del  Reno,  paesi  germanici  e  perciò  attratti  nell'orbita  del  sacro 
romano  impero. 

Certamente  poi,  per  quanto  il  suo  titolo  derivasse  ufficialmente 
da  quello  di  cui  si  erano  fregiati  gli  antichi  re  barbarici,  il  re 
nazionale  non  fu  in  origine  che  il  capo,  qualche  volta  nominale, 
di  una  confederazione  di  grandi  baroni,  primo  fra  essi,  ma  primo 
fra  i  pari.  Come  tali  furono  considerati  in  Francia  Ugo  Capete  e 
Filippo  Augusto,  come  tale  appare  Giovanni  senza  terra  nel  testo 
della  Magna  Charta,  e  tali  appaiono  i  re  d'Aragona  nella  formola 
del  giuramento  che  essi  dovevano  prestare  davanti  le  Cortes  (1). 

Ci  vollero  più  di  sei  secoli  di  lotte  e  di  lavorìo,  lento  ma  co- 
stante, perché  il  Re  feudale  si  trasformasse  in  Re  assoluto,  la 
gerarchia  feudale  in  burocrazia  regolare  e  l'esercito,  formato  dalla 
nobiltà  in  armi  e  dai  suoi  vassalli,  diventasse  un  esercito  regolare 
e  stanziale  ;  sei  secoli  durante  i  quali  vi  furono  anche  dei  periodi 
in  cui  la  feudalità,  giovandosi  dei  momenti  critici  che  il  paese  e 
la  Corona  traversavano,  potè  alle  volte  riguadagnare  qualche 
parte  del  terreno  perduto.  Ma  alla  fine  la  vittoria  rimase  alla  mo- 
narchia accentratrice,  che  seppe  a  poco  a  poco  riunire  nelle  sue 
mani  una  quantità  di  forze  materiali,  maggiore  di  quelle  che  la 
nobiltà  feudale  potea  contrapporle,  e  che  contro  di  essa  abilmente 
si  giovò  dell'appoggio  dei  Comuni  e  di  potenti  e  costanti  forze 
morali,  quali  furono  l'opinione  diffusa  della  missione  divina  delle 


(1)  Si  8a  che  i  baroni  aragonesi  adunati  invitando  il  nuovo  re  a  giurare  che 
avrebbe  conservati  gli  antichi  patti  prima  di  enumerarli  dicevano  :  "  noi  di  cui 
ciascuno  vale  quanto  voi,  e  che  tutti  uniti  vagliamo  più  di  voi,  vi  nominiamo 
nobtro  re  a  queste  condizioni  „,  e  che,  enumerate  le  condizioni,  conchiudevano; 
"  e  se  no,  no  „. 


382  KLBMBNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

dinastie  regnanti  e  la  dottrina  dei  giureconsulti,  i  quali  nei  Re  rav- 
visavano il  i)otere  sovrano  che,  a  somiglianza  dell'antico  impera- 
tore romano,  creava  colla  sua  volontà  la  legge  e  la  facea  os- 
servare (1). 

E  importante  di  rilevare  come  le  cause  economiche  abbiano 
esercitato  un'azione  poco  sensibile  nella  trasformazione  dello  stato 
feudale  in  quello  burocratico,  trasformazione  che  è  certo  uno  degli 
avvenimenti  che  maggiormente  modificarono  la  storia  del  mondo; 
perchè  dal  secolo  decimoquarto  al  decimosettimo  i  sistemi  di  pro- 
duzione economica  non  subirono  cambiamenti  radicali,  sopratutto 
se  li  paragoniamo  a  quelli  che  ebbero  luogo  dopo  che  fu  costi- 
tuito lo  Stato  burocratico  assoluto.  Viceversa  dalla  fine  del  quat- 
trocento alla  seconda  metà  del  seicento,  nell'epoca  cioè  in  cui  il 
sistema  feudale  perdeva  ogni  giorno  terreno  ed  era  definitiva- 
mente domato,  ebbe  luogo  un  gravissimo  rivolgimento  nell'arte  e 
nell'organizzazione  militare,  prodotta  dal  perfezionamento  e  dal 
generalizzarsi  delle  armi  da  fuoco.  Difatti  il  castello  baronale  potè 
essere  facilmente  e  rapidamente  espugnato  appena  si  rese  comune 
l'uso  del  cannone  e  la  cavalleria  pesante  formata  dalla  nobiltà, 
che  sola  poteva  sottoporsi  alla  lunga  esercitazione  ed  all'ingente 
spesa  che  richiedevano  l'armamento  equestre,  non  fu  più  l'arma  che 
decise  dell'esito  delle  battaglie,  dopo  che  l'archibuso  fu  perfezio- 
nato e  le  fanterie  lo  ebbero  generalmente  adottato  (2). 


(1)  Il  proceBso  di  trasformazione  della  monarchia  feudale  in  monarchia  as- 
soluta burocratica,  che  abbiamo  sommariamente  descritto,  è  quello  che  si  po- 
trebbe chiamare  tipico  o  normale  e  che  ebbe  luogo  in  Franeia  ed  in  parecchi  paesi 
d'Europa.  Però  ce  ne  furono  altri  che  condussero,  o  che  avrebbero  condotto, 
allo  stesso  risultato.  Ad  esempio  nella  valle  del  Po  il  comune  di  Milano,  tras- 
formato prima  in  signoria  e  poi  in  ducato,  sottomettendo  molti  altri  comuni 
avea  acquistato,  nella  prima  metà  del  secolo  decimoquinto,  un  territorio  così 
vasto  che  avrebbe  potuto  benissimo  diventare  un  reame.  Altrove  furono  dei 
grandi  feudatari  che  allargarono  tanto  i  loro  domini  da  trasformarli  in  regni, 
e  questo  fu  precisamente  il  caso  dei  marchesi  di  Brandeburgo,  che  diventarono 
re  di  Prussia,  e  dei  duchi  di  Savoia  che  diventarono  re  di  Sardegna. 

(2)  Vedi  in  proposito  nel  capitolo  precedente,  nella  nota  a  pagina  357,  quanto 
è  detto  relativamente  all'influenza  che  la  trasformazione  dell'armamento  ebbe 
nelle  vicende  politiche  della  città  ellenica  nel  settimo  e  sesto  secolo  avanti 
l'era  volgare.  Si  può  aggiungere  che  anche  nel  Giappone  il  prevalere  dell'ac- 
centramento monarchico  sulla  feudalità,  che  ebbe  luogo  alla  fine  del  secolo 
decimosesto  ed  agli  inizi  del  decimosettimo  per  opera  degli  Shogun  della  fa- 


PAKTB  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         383 

VI,  —  Lo  Stato  assoluto  burocratico  si  può  considerare  come 
definitivamente  stabilito  e  sviluppato  in  Francia  all'inizio  del 
Regno  di  Luigi  XIV,  cioè  nel  1660;  contemporaneamente,  o  poco 
dopo,  il  rafforzamento  dell'autorità  centrale  e  l'assorbimento  delle 
sovranità  locali  si  generalizzò,  più  o  meno  completamente,  in 
quasi  tutta  l'Europa;  i  pochi  Stati  che,  come  la  Polonia  e  Venezia, 
non  seppero  o  non  poterono  marciare  con  i  tempi  e  trasformare 
il  loro  organismo,  perdettero  ogni  forza  ed  ogni  coesione  e  scom- 
parvero prima  che  terminasse  il  secolo  decimottavo. 

Ora,  data  l'origine  relativamente  recente  di  quella  forma  di  re- 
gime politico  che  appellavasi  ed  apiDellasi  monarchia  assoluta,  uno 
dei  fenomeni  storici  più  interessanti  è  senza  dubbio  la  rapidità 
con  la  quale,  nel  suo  seno  ed  alla  sua  ombra,  si  formarono  quelle 
nuove  forze  dirigenti  e  quelle  nuove  condizioni  intellettuali,  mo- 
rali ed  economiche,  le  quali,  in  un  i^eriodo  che  non  è  più  lungo 
di  circa  un  secolo  e  mezzo,  resero  inevitabile  la  sua  trasforma- 
zione nello  stato  rappresentativo  moderno. 

Il  più  importante  coefficiente  di  questa  trasformazione  fu  la 
rapida  creazione  di  una  classe  sociale  nuova,  la  quale  sorse  e  si 
affermò  fra  il  popolo  minuto  ed  i  discendenti  dell'antica  aristocrazia 
feudale.  Fu  infatti  durante  il  secolo  decimottavo  che  nacque  la 
borghesia  nel  senso  lato  della  parola,  cioè  quella  classe  numerosa 
addetta  alle  professioni  liberali,  ai  commerci,  alle  industrie,  che 
ad  una  discreta  agiatezza  accoppia  una  cultura  tecnica  e  spesso 
scientifica  assai  superiore  a  quella  delle  altre  classi  sociali.  Certo 
che,  anche  prima  di  allora,  le  file  della  nobiltà  non  erano  impe- 
netrabili; anzi  qualche  grande  giureconsulto  aveva  potuto  esservi 
ammesso,  ed,  in  alcune  grandi  città  commerciali,  alcune  grandi 
famiglie  di  industriali  e  di  banchieri  avevano  finito  col  confon- 
dersi con  l'antica  nobiltà  feudale  o  col  sostituirla  addirittura.  Ma, 
fino  agli  inizi  del  secolo  decimottavo,  una  vera  classe  media  non 
esisteva,  perchè  come  tale  non  poteva  riguardarsi  il  modesto  arti- 
gianato, le  cui  condizioni  economiche  ed  intellettuali  assai  poco 
differivano  da  quelle  del  j^opolo  minuto. 

Fu  il  regime  assoluto  che,  assicurando  l'ordine  ed  una  pace  re- 


miglia Tokugava,  fu  di  pochi  anni  posteriore  all'introduzione  delle  armi  da 
fuoco,  fatte  conoscere  in  quei  paesi  dai  Portoghesi.  Vedi  De  La  Mazellibub, 
Le  Japon,  volume  3",  capitolo  2".  Paris,  Librairie  Plon,  1907. 


384  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

lativa,  ed  allontanando  la  nobiltà  dalle  sue  proprietà  terriere  (1), 
rese  possibile  che  dalle  classi  inferiori  della  popolazione  si  staccas- 
sero gli  elementi  più  adatti  a  formare  un  nuovo  strato  sociale,  quello 
strato,  che,  assorbendo  anche  gli  elementi  meno  doviziosi  e  più  at- 
tivi dell'antica  nobiltà,  formò  quella  classe,  la  quale,  con  vocabolo 
molto  espressivo,  in  Russia  ed  in  Germania  appellasi  Vinteli if/ema. 
Classe  che  da  un  lato,  per  la  sua  educazione  scientifica  e  letteraria, 
per  le  sue  maniere  e  per  le  sue  abitudini,  distinguesi  nettamente 
dai  lavoratori  manuali,  mentre  dall'altro,  per  le  sue  condizioni 
economiche,  alle  volte  si  confonde  con  i  ceti  più  agiati,  alle  volte 
molto  se  ne  distacca.  Come  si  è  già  accennato,  essa  in  qualche 
paese  cominciò  a  formarsi  negli  ultimi  decenni  del  secolo  decimo- 
settimo, ma  si  sviluppò  ed  affermò  in  tutta  l'Europa  centrale  ed 
occidentale  durante  il  secolo  decimottavo  ed  anche  nella  prima 
metà  del  decimonono.  Il  suo  sviluppo  è  in  certo  modo  parallelo 
al  diffondersi  dell'istruzione  secondaria  classica  e  tecnica  e  del- 
insegnamento  universitario. 

Questa  classe,  appena  ebbe  acquistato  le  sue  qualità  caratteri- 
stiche e  la  coscienza  della  propria  forza  ed  importanza,  dovette 
accorgersi  che  essa  era  vittima  di  una  grande  ingiustizia  ;  la  quale 
consisteva  nei  privilegi  che  la  nobiltà  aveva,  più  o  meno  in  tutti 
gli  Stati  assoluti,  ma  sopratutto  in  Francia,  conservato.  Abbiamo 
già  accennato  ad  una  legge  quasi  costante  della  storia,  per  la 
quale  ogni  nuovo  edificio  politico  deve  più  o  meno  utilizzare  i 
ruderi  di  quello  che  l'ha  preceduto.  Obbedendo  per  necessità  a 
questa  legge,  il  regime  assoluto,  quando  si  era  costituito,  aveva 
tratto  quasi  tutti  gli  elementi  della  nuova  burocrazia  civile  e  mi- 
litare, che  reggeva  lo  Stato,  dalla  nobiltà  e  dal  clero,  ai  quali 
aveva  tolto  le  antiche  sovranità  territoriali,  e  sovratutto  ai  membri 
della  nobiltà  aveva  riservato  tutte  le  posizioni  più  elevate  e  le 
cariche  più  lucrose.  Tutto  ciò  parve  una  cosa  naturale  finché  al 
di  sotto  della  nobiltà  non  vi  era  che  plebe  e  l'abitudine  tradizio- 


(1)  La  perdita  degli  antichi  diritti  sovrani  e  la  necessità  di  stare  vicino  alle 
Corti,  per  brigare  ed  ottenere  impieghi  lucrosi,  indussero  molte  famiglie  nobili 
ad  abbandonare  le  loro  terre  per  stabilirsi  nelle  capitali.  L'allontanamento,  come 
quasi  sempre  accade,  fece  sì  che  esse  dovessero  affittare,  o  anche  vendere,  in 
parte  le  loro  proprietà  rurali,  e  dagli  affittuari  o  dai  nuovi  proprietari  sorse 
la  borghesia  rurale. 


PABTE  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  descriz.  dei  diversi  tipi  ecc.         385 

naie  al  comando  costituiva  il  migliore  e  quasi  unico  requisito  per 
comandare,  ma  degenerò  in  parassitismo  odioso  e  dannoso  alla 
società  quando  la  cultura  e  la  preparazione  tecnica,  nelle  quali 
i  ceti  privilegiati  si  lasciarono  generalmente  sopravvanzare  dalla 
nuova  classe  media,  divennero  i  requisiti  più  richiesti  per  l'eser- 
cizio degli  uffici  pubblici  elevati. 

Ma  la  borghesia  avi-ebbe  potuto  forse  prima  intaccare  e  poi  di- 
struggere, o  ridurre  a  vana  parvenza,  i  privilegi  nobiliari,  senza 
che  fosse  necessario  un  cambiamento  radicale  dell'organizzazione 
dello  Stato,  se,  nel  secolo  decimottavo,  non  si  fosse  pure  formata 
una  mentalità  politica  profondamente  diversa  da  quella  prece- 
dente ;  e  se,  in  un  paese  europeo  nel  quale  per  la  sua  posizione 
insulare  l'organizzazione  politica  aveva  avuto  uno  svolgimento  assai 
diverso  di  quello  del  continente,  non  si  fosse  nel  secolo  decimot- 
tavo stabilita  una  forma  di  governo  che  offriva,  almeno  apparen- 
temente, un  modello  pratico  adatto  all'attuazione  di  quelle  aspi- 
razioni che  erano  il  frutto  della  nuova  mentalità  alla  quale  abbiamo 
accennato. 

Indebolito  fortemente  il  sentimento  religioso,  che  solo  poteva 
fornire  una  base  morale  al  cosi  detto  diritto  divino  dei  principi  (1), 
cadute  in  completo  discredito,  come  reliquie  di  un'epoca  barbara, 
tutte  le  reminiscenze  e  le  sopravvivenze  dell'antico  regime  feudale, 
distrutta  ogni  sovranità  intermedia  fra  lo  Stato  e  l'individuo,  nel 
secolo  decimottavo  gli  intelletti  si  nutrirono  più  che  mai  delle 
classiche  dottrine  politiche  della  Grecia  e  di  Roma,  e  più  che  mai 
tornarono  in  onore  gli  antichi  concetti  di  libertà,  di  uguaglianza, 
di  sovranità  popolare,  che  gli  scrittori  classici,  avendo  sotto  gli 
occhi  il  modello  dell'antica  città  gi-eca  e  romana,  avevano  formu- 
lato. Quel  rinnovamento   della   forma  mentale,  che  era  avvenuto 


(1)  È  opportuno  ricordare  che  il  diritto  divino,  come  lo  intendeva  Bossuet 
alla  fine  del  secolo  decimosettimo,  cioè  che  i  popoli  non  potessero  mai  ribel- 
larsi ai  principi,  anche  malvagi,  e  che  questi  dovessero  render  conto  del  modo 
come  esercitavano  il  potere  soltanto  a  Dio,  non  fu  mai  ammesso  dagli  scrit- 
tori medioevali  ne  da  quelli  posteriori  fino  al  seicento.  San  Tommaso,  ad 
esempio,  nella  Stimma  in  eerti  casi  giustificava  la  ribellione  ed  ammetteva  che 
i  popoli  potessero  scegliersi  la  forma  di  regime  politico  che  credevano  più 
conveniente,  e  manifestava  anzi  la  sua  preferenza  per  un  governo  misto,  nel 
quale  le  tre  forme  della  classificazione  aristotelica,  cioè  la  monarchica,  l'aristo- 
cratica e  la  democratica  fossero  fuse  e  contemperate. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  25 


386  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

durante  il  Rinascimento  nel  campo  letterario  ed  artistico  mercè 
lo  studio  dei  modelli  classici,  avvenne  sugli  stessi  modelli,  quasi 
tre  secoli  dopo,  in  quello  politico;  imma.  che  lo  sviluppo  del  senso 
storico  permettesse  di  scorgere  chiaramente  quanto  fosse  diversa 
l'organizzazione  di  (j negli  Stati  sui  quali  le  concezioni  politiche 
dell'antichità  greca  e  romana  si  erano  formate. 

Senza  questa  nuova  mentalità,  senza  questa  nuova  visione  della 
vita  politica,  cosi  profondamente  penetrata  nella  coscienza  delle 
classi  intellettuali  di  allora,  non  si  spiegherebbe  il  rapido  successo 
del  Contratto  sociale  di  Grian  Giacomo  Rousseau.  In  quest'opera 
infatti  lo  scrittore  ginevrino,  partendo  dall'ipotesi  di  uno  stato  di 
natura,  che  gli  uomini  avrebbero  abbandonato  in  sèguito  ad  un 
patto  nel  quale  erano  fissate  le  basi  morali  e  giuridiche  del  con- 
sorzio politico,  ipotesi  entrata  anche  essa  nel  bagaglio  intellet- 
tuale del  secolo  decimottavo,  arrivava  alla  conchiusione  che  solo 
patto  o  contratto  legittimo  fosse  quello  che  faceva  sì  che  la  legge 
fosse  l'espressione  della  volontà  della  maggioranza  numerica  dei 
consociati  e  che  affidava  l'esecuzione  della  ^QggQ  a  coloro  che 
dalla  stessa  maggioranza,  per  un  tempo  determinato,  ne  avevano 
ricevuto  il  mandato.  Concetto,  come  si  vede,  perfettamente  coiri- 
spondente  a  quello  della  democrazia  classica,  colla  semplice  dif- 
ferenza che  gli  antichi  non  ammisero  mai  nello  Stato  la  massima 
parte  dei  lavoratori  manuali,  cioè  gli  schiavi,  i  quali  furono  sempre 
esclusi  dal  voto  e  dalle  cariche  pubbliche  e  tenuti  lontani  dalle  armi. 

Senonchè  l'assolutismo  burocratico  del  secolo  decimottavo  aveva 
in  un  punto  solo  preparato  il  terreno  all'applicazione  delle  nuove 
teorie  democratiche;  distruggendo  cioè,  o  riducendo  a  vana  par- 
venza, ogni  sovranità  intermedia  fra  il  potere  supremo  ed  i  sin- 
goli cittadini,  facendo  si  che  fosse  possibile  concepire  la  sovranità 
popolare,  come  la  sovranità  della  pura  e  semplice  maggioranza 
numerica  di  coloro  che  facevano  parte  di  uno  Stato,  e  non  già 
alla  maniera  medioevale,  che  si  prolungò  del  resto  fino  a  tutto  il 
secolo  decimosesto  ed  ai  primi  decenni  del  decimosettimo,  come 
l'espressione  della  volontà  dei  capi  ereditari  e  naturali  del  popolo, 
ossia  dei  baroni,  e  dei  rappresentanti  dei  Comuni  e  delle  corpora- 
zioni (1).  Ma  in  tutto  il  resto  il  Governo  assoluto  con  la  sua  com- 


(1)  Basta  avere  una  certa  dimestichezza  con  gli  scrittori  politici  medioevali, 
e  anche  con  quelli  posteriori  del  cinquecento  e  del  principio  del  seicento,  per  com- 


PARTE  li.  CAP.  Ili  -  Segue:  dbsckiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         387 

j)lessa  ed  accentrata  organizzazione  burocratica,  col  suo  esercito 
stanziale,  con  le  sue  abitudini  autoritarie,  mal  si  adattava  a  tras- 
formarsi in  modo  da  rendere  possibile  la  pratica  applicazione  di 
quei  principi,  che  erano  stati  escogitati  avendo  avanti  il  modello 
della  città  stato  greca  e  latina.  E  si  può  dubitare  se  l'adattamento 
sarebbe  stato  possibile,  e  se  la  storia  politica  dell'Europa  continen- 
tale non  sarebbe  stata,  nei  secoli  decimottavo  e  decimonono,  diversa 
di  quella  alla  quale  le  generazioni  precedenti  alla  nostra  hanno  as- 
sistito, se  l'Inghilterra  nel  secolo  decimottavo  non  avesse  già  adot- 
tato un  regime  politico  il  quale  offriva  un  modello  pratico,  che 
rendeva  possibile  la  trasformazione  dello  Stato  assoluto  in  un 
altro  tipo  di  organizzazione  politica  abbastanza  conciliabile  colle 
idee  ereditate  dalla  classica  antichità  e  sopratutto,  ed  era  ciò  che 
più  importava,  col  bisogno  che  aveva  la  borghesia  di  partecipare 
largamente  ai  poteri  sovrani. 

VII.  —  In  Inghilterra  infatti,  a  cominciare  sopratutto  dagli 
inizi  del  secolo  decimosettimo,  le  istituzioni  politiche  avevano 
avuto  uno  svolgimento  originale  e  sostanzialmente  diverso  da 
quello  del  vicino  continente.  Il  regime  feudale  era  stato  colà  tra- 
piantato dalla  conquista  normanna,  ma  esso  fin  dal  principio  ebbe 
al  di  là  della  Manica  alcune  caratteristiche  speciali,  per  il  fatto 
che  la  razza  conquistatrice,  stando  nei  primi  tempi  come  accam- 
pata in  paese  nemico,  aveva  dovuto  mantenersi  più  unita  e  più 
disciplinata  attorno  al  Re  di  quello  che  fosse  la  classe  dominatrice 


prendere  come  essi  adattassero  il  concetto  di  sovranità  popolare,  ereditato  dalla 
classica  antichità,  alle  condizioni  della  società  nella  quale  vivevano.  Perciò  quando 
San  Tommaso,  Marsilio  da  Padova,  Umberto  Languet,  Buchanan,  Althusius,  ecc. 
parlano  del  popolo,  essi  pensano  sempre  che  questo  sia  legittimamente  rap- 
presentato dai  suoi  capi  naturali,  ossia  dai  baroni  e  dai  capi  delle  corporazioni 
e  dei  Comuni,  che  essi  chiamano  in  vario  modo,  ossia  selecti,  ephori,  ecc.  L'idea 
che  tutti  i  singoli  individui  dovevano  avere  una  parte  uguale  nell'esercizio 
della  sovranità  non  potea  nascere  se  non  dopo  che  l'assolutismo  burocratico 
ebbe  frantumato  gli  antichi  conglomerati  umani  e  distrutto  ogni  potere  so- 
vrano intermedio  fra  lo  Stato  e  l'individuo.  Il  Rdffini  in  una  sua  recente 
pubblicazione  (vedi  Guerra  e  riforme  costituzionali,  nell"*  Annuario  dell'Univer- 
sità di  Torino  „,  del  1920  a  pag.  22),  ha  sostenuto  che  Marsilio  di  Padova  in- 
tendeva la  sovranità  popolare  alla  moderna,  cioè  come  quella  della  maggioranza 
numerica  dei  consociati;  non  crediamo  che  sia  il  momento  ed  il  luogo  di 
aprire  una  discussione  in  proposito,  ma,  malgrado  la  grande  autorità  dello 
scrittore,  non  dividiamo  la  sua  opinione. 


388  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

nel  ^jQjitinentc.  Avvenuta  poi,  dopo  circa  un  secolo  e  mezzo,  la 
fusione  fra  vinti  e  vincitori,  la  grande  nobiltà  aveva  strappato 
colla  forza  al  Re  la  Magna  Charta,  vero  patto  bilaterale  fra  il 
Re  ed  i  baroni,  nel  quale  si  stabilivandT  diritti  ed  i  doveri  reci- 
próci"3eiruno  e  degli  altri  (1).  Si  ebbe  perciò  una  delle  solite  co- 
stituzioni feudali  che,  mano  mano  sviluppandosi,  restrinse  sempre 
più  i  jioteri  della  Corona  di  fronte  a  quelli  del  Parlamento,  dove, 
accanto  alla  Camera  alta,  ossia  dei  Pari  e  quasi  un'appendice  di 
questa,  presto  sorse  la  Cainefa__bassaj_dpy6  sedettero  i  rapjiresen- 
tanti  dei  .piccoli  nobili  delle  Contee  e  quelli  dei  Comuni,  che 
colà  furono  piuttosto  gli  alleati  e  gli  strumenti  dei  Pari  e  del- 
l'alta nobiltà  anziché  dei  Re. 

Mentre  nella  seconda  metà  del  secolo  decimoquinto  i  monarchi 
del  continente  dovevano  ancora  lottare  strenuamente  contro  i 
grandi  feudatari,  in  Inghilterra  la  lunga  guerra  civile  detta  delle 
due  rose  faceva  si  che  essi  si  dividessero  in  due  parti  acerbamente 
nemiche  l'una  dell'altra,  che  si  sterminarono  a  vicenda.  Sicché, 
quando  nel  1485,  con  l'avvento  della  dinastia  dei  Tudor,  si  riebbe 
la  pace  interna,  la  Corona  si  trovò  davanti  una  Camera  alta  com- 
posta quasi  esclusivamente  di  uomini  nuovi,  da  essa  stessa  di  re- 
cente innalzati  alla  dignità  di  Pari,  che  non  avevano  né  le  forze 
materiali,  né  il  prestigio  e  l'autorità  degli  antichi  baroni;  mentre 
nello  stesso  tempo,  non  essendo  sorta  ancora  in  Inghilterra  una 
borghesia  campagnuola  e  cittadina,  docile  e  poco  autorevole  rima- 
neva la  Camera  dei  Comuni. 

Fu  per  queste  ragioni  che  il  secolo  decimosesto  può  riguardarsi 
come  quello  nel  quale  massima  fu  la  potenza  della  Corona  inglese. 
Tanto  che  un  autorevolissimo  ed  acuto  testimonio  contemporaneo, 
ossia  Giovanni  Boterò,  nelle  sue  Relazioni  universali^  pubblicate 
verso  la  fine  del  cinquecento,  a  ragione  poteva  osservare  che,  seb- 
bene i  Re  d' Inghilterra  continuassero  a  convocare  regolarmente 
il  Parlamento,  pure  di  fatto  non  avevano  poteri  meno  estesi  di 
quelli  dei  Re  di  Francia,  dove  le  convocazioni  degli  Stati  gene- 
rali si  facevano  sempre  più  rare  ed  andavano  in  disuso  (2). 


(1)  Vedi  Mosca,    Appunti  di  diritto   costituzionale,    Società    editrice    libraria, 
Milano,  1921,  cap.  V,  pagine  30  e  31. 

(2)  Vedi  Giovanni  Boterò,    Relazioni  universali,    edizione    veneziana  Bertani 
del  1671.  Parte  2%  libro  1°,  pag.  257.  Come  si  sa,  le  Relazioni  universali  sono 


PABTE  li.  GAP.  Ili  -  Segue',  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         389 

Ma  forse  fu  appunto  questa  facilità  clie  ebbero  i  Tudor,  ed  i  loro 
cortigiani  e  funzionari,  di  dirigere  quasi  senza  opposizione  la  vita 
politica  del  loro  paese  la  causa  principale  per  la  quale  la  Corona 
inglese  trascurò  allora  la  creazione  dei  due  strumenti  più  sicuri 
dell'assolutismo  monarchico:  cioè  dell'esercito  stanziale  e  della 
burocrazia  stabile  e  regolare.  Infatti,  un  po'  per  economia,  un  po' 
perchè  la  posizione  insulare  dell'Inghilterra  l'assicurava  contro  le 
invasioni  straniere,  come  forza  armata  i  Re  di  quella  dinastia  sti- 
marono sufficiente  una  milizia  reclutata  in  ogni  Contea  fra  i  na- 
tivi del  luogo  e  che  era  composta  d'individui  i  quali,  dopo  alcuni 
giorni  di  esercitazioni  periodiche,  ritornavano  alle  loro  ordinarie 
occupazioni,  ed  anche  probabilmente  per  economia  prevalse  pure 
l'uso  di  affidare  nelle  provinole  le  cariche  civili  di  lord  luogote- 
nente, di  scerifo,  di  coroner,  ecc.,  ai  notabili  del  luogo;  i  quali 
volentieri  servivano  senza  stipendio,  perchè  la  carica  dava  lustro 
alla  famiglia  ed  autorità  alla  persona  che  ne  era  investita,  ma  la 
cui  fedeltà  poteva  diventare  dubbia  o  condizionata  una  volta  che 
l'opinione  pubblica  si  fosse  fortemente  dichiarata  contro  il  Re  e 
la  Corte  (1). 

Sicché,  quando  all'inizio  del  secolo  decimosettimo,  la  dinastia 
degli  Stuard  volle  stabilire  il  regime  assoluto,  di  fronte  al  ridestarsi 


un  trattato  di  geografia  fisica  e  politica,  maravigliosamente  esatto  per  l'epoca  in 
cui  fu  scritto.  Il  Boterò  evidentemente  attingeva  le  sue  notizie  sui  vari  paesi  ad 
ottime  fonti  e  sapeva  distinguere  quali  fossero  a  preferenza  le  notizie  che  im- 
portava di  conoscere  e  di  comunicare  al  lettore.  Difatti  lo  stesso  autore  rileva 
ancbe,  a  pagina  260  della  stessa  opera,  come  i  grandi  baroni  inglesi,  a  diffe- 
renza di  quelli  francesi,  avevano  già  perduto  ogni  importanza  politica,  perchè 
non  esercitavano  più  alcuna  giurisdizione,  ne  avevano  piìi  castelli  fortificati. 
Del  resto  la  preponderanza  della  Corte  e  della  Corona  nell'Inghilterra  del  se- 
colo XVI  è  generalmente  ammessa,  ed  è  provata  dal  fatto  che  tutti  i  muta- 
menti religiosi,  che  vi  ebbero  luogo  durante  quell'epoca,  si  compirono  per  ini- 
ziativa dei  Re  e  delle  due  regine  Maria  ed  Elisabetta  Tudor. 

(1)  Il  sistema  di  affidare  molte  cariche  locali  amministrative  e  giudiziarie 
a  funzionari  scelti  dalla  Corona  fra  i  notabili  del  luogo  costituì  ciò  che  gli 
Inglesi  chiamarono  il  self-government  e  fu  una  delle  cause  principali  del  pre- 
valere del  Parlamento  sulla  Corona.  A  cominciare  dalla  grande  riforma  am- 
ministrativa del  1834  le  attribuzioni  dei  funzionari  onorari  furono  prima 
diminuite  e  poi  gradatamente  abolite  e  ad  essi  si  sostituirono  i  consigli  elettivi 
e  la  burocrazia  stipendiata.  Questa  trasformazione  si  potè  considerare  come 
compiuta  nel  1894.  Vedi  Bbrtolini,  Il  governo  locale  inglese,  Torino,  Bocca,  1899. 


390  BLIMENTI    DI    SCIENZA    l'OLITlCA 

dell'opposizione  della  Camera  dei  Comuni,  dove  era  rappresentata 
la  borghesia  rurale  e  cittadina,  che,  per  le  peculiari  condizioni 
del  "X^Sése,  non  depauperato  da  guerre  esteme  e  civili  e  meno 
^-avato  d'imposte,  aveva  potuto  di  là  della  Manica  formarsiVj^ualche 
■generazione  prima  che  nel  continente,  e  che  in  parte  anche  per 
ragioni  religiose  era  avversa  all'autorità  della  Corona,  i  sovrani 
inglesi  si  trovarono  privi  di  quei  mezzi  materiali  che  nel  conti- 
nente avevano  dato  la  vittoria  alla  regalità  contro  la  feudalità  fi). 
E,  dopo  più  di  mezzo  secolo  di  lotte,  e  dopo  che  un  Re  ebbe  la- 
sciata la  testa  sul  patibolo,  l'influenza  delle  forze  politiche  rap- 
presentate nel  Parlamento  soverchiò  definitivamente  quella  dei 
sostenitori  della  regalità. 

La  consacrazione  legale  di  questa  vittoria  si  ebbe  con  una  serie 
di  atti  del  Parlamento,  debitamente  sanzionati  dalla  Corona,  i 
quali,  o  miravano  come  VHabeas  corpus  ad  assicurare  le  libertà 
individuali  di  tutti  gli  Inglesi,  impedendo  efficacemente  l'axbitrio 
dei  regi  funzionari,  oppure,  come  il  secondo  atto  dei  diritti  del  1688 
e  l'atto  di  stabilimento  del  1700,  accoppiavano  a  disposizioni  di 
questo  genere  altre,  in  forza  delle  quali  la  Corona  era  indiretta- 
mente costretta  a  governare  secondo  le  leggi  approvate  dal  Par- 
lamento. E  valga  j)er  tutte  ricordare  quella  appunto  compresa  nel 
secondo  degli  atti  citati,  per  la  quale  ogni  atto  di  governo  aveva 
valore  solo  se  controfirmato  da  un  membro  del  Consiglio  privato, 
che   era   cosi   personalmente   responsabile   della   sua  legalità  (2). 


(1)  Si  sa  cbe  Carlo  I  alle  milizie  ribelli  delle  città  non  potè  contrapporre 
che  quelle  delle  campagne,  guidate  dai  così  detti  cavalieri.  Perdette  la  guerra 
per  i  suoi  tentennamenti  e  perchè  si  trovò  di  fronte  un  uomo  di  genio,  Oli- 
viero Cromwell,  che  per  il  primo  seppe  costituire  in  Inghilterra  un  vero  eser- 
cito stanziale,  sul  quale  appoggiandosi  instaurò  poi  la  dittatura  militare.  Ap- 
pena avvenuta  la  restaurazione  degli  Stuard  con  Carlo  II  quest'esercito  fu 
sciolto.  Vedi  Mosca,  Appunti  di  diritto  costituzionale,  pagine  45  e  seguenti. 

(2)  Questa  disposizione  fondamentale,  che  rese  possibile  la  trasformazione 
avvenuta  in  tanti  Stati  europei  della  monarchia  assoluta  in  monarchia  rappre- 
sentativa, è  contenuta  nel  quarto  comma  dell'Atto  di  stabilimento.  Il  Consiglio 
privato  era  un  corpo  consultivo  di  alti  funzionari,  che  assisteva  il  Re  nell'eser- 
cizio del  potere  esecutivo.  Verso  la  fine  del  secolo  decimosettimo  le  adunanze 
del  Consiglio  privato  cominciarono  ad  essere  tenute  prò  forma,  e  poi  ad  an- 
dare in  disuso,  perchè  era  troppo  numeroso,  ed  esse  furono  sostituite  da  quelle 
dei  membri  più  influenti  del  consiglio  stesso,  che  costituirono  ciò  che  poi  fu 
chiamato  il  Gabinetto.  Vedi  Mosca,  opera  citata,  pagine  55  e  56. 


PAKTE  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  descrjz.  dei  diveksi  tipi  ecc.         391 

Coll'avvento  poi  della  dinastia  di  Hannover,  cioè  dal  1715  in  poi, 
si  accentuò  vieppiù  la  preponderanza  politica  della  Camera  elet- 
tiva, perchè  la  Corona  prese  l'abitudine  di  scegliere  i  membri  del 
Gabinetto,  ossia  del  ristretto  Consiglio  al  quale  affidava  l'esercizio 
del  potere  esecutivo,  fra  le  personalità  più  spiccate  della  maggio- 
ranza della  Camera  bassa. 

In  questo  modo,  se  si  tiene  anche  conto  della  indipendenza  della 
magistratura  assicurata  dalla  sua  inamovibilità,  delle  guarentigie 
concesse  _ad  jDgni  inglese  contro  gli  arresti  e  le  condanne  arbitrarie 
e  del  fatto  che  la  libertà  di  stampa  cominciò  in  Inghilterra  ad 
affermarsi  fin  dal  secolo  decimottavo,  si  può  dire  che  si  ebbe 
allora' colà  un  regime  che,  nelle  sue  linee  principali  e  nei  suoi 
caratteri  più  appariscenti,  rassomigliava  ai  regimi  rappresentativi 
moderni  (1).  E  si  può  anzi  osservare  che  la  grande  originalità  della 
storia  politica  inglese  consistette  nella  trasformazione  lenta  e  gra- 
duale del  regime  feudale  sancito  dalla  Magna  Cliarta  in  un 
regime  rappresentativo  moderno,  trasformazione  che  fu  poi  com- 
piuta nel  secolo  decimonono,  senza  che  quel  paese  abbia  attraver- 
sato quel  periodo  di  assolutismo  burocratico  e  militare,  che,  più  o 
meno,  si  ebbe  in  tutti  gli  Stati  dell'Europa  continentale. 

Ma  non  sarà  inutile  ricordare  che  la  rassomiglianza  fra  la  costi- 
tuzione inglese,  quale  era  nel  secolo  XVIII,  e  le  moderne  costituzioni 
rappresentative  a  base  democratica  si  può  constatare  più  nelle  forme 
che  nella  sostanza;  poiché  questa  rassomiglianza  era  grande  se  guar- 
diamo il  funzionamento  degli  organi  principali  dello  Stato,  ma  era 
ben  piccola,  per  non  dire  inesistente,  se  teniamo  conto  della  ma- 
niera come  i  detti  organi  venivano  formati,  ossia  delle  forze  poli- 
tiche che  essi  rappresentavano.  Difatti  la  Camera  elettiva  inglese 
era  già  fin  d'allora  il  potere  preponderante  dello  Stato,  ma  il  diritto 
elettorale  era  concesso  solo  ad  una  piccola  minoranza  di  cittadini, 
i  quali  ne  godevano  o  perchè  erano  proprietari  di  immobili  rurali 
nelle  Contee,  o  in  virtù  di  diritti  e  consuetudini,  che  spesso  ri- 
montavano al  Medio  Evo,  nei  borghi,  tra  i  quali  erano  comprese 
anche  cospicue  città.  E  tutto  ciò  faceva  si  che  l'elezione  di  buona 


(1)  La  censura  preventiva  era  stata  di  iatto  abolita  in  Inghilterra  nel  1694 
ma  la  legislazione  repressiva  dei  reati  di  stampa  continuò  ad  essere  molto 
severa  fino  allo  scorcio  del  secolo  XVIIl.  Diventò  assai  più  mite  dopo  una 
legge  proposta  dal  Fox  ed  approvata  nel  1778. 


392  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


parte  dei  deputati  dipendesse  da  qualche  centinaio  di  grandi 
proprietari,  che  spessissimo  sedevano  inoltre  per  diritto  ereditario 
nella  Camera  dei  Pari. 

Poco  più  di  venti  anni  prima  che  Rousseau  nel  suo  Contratto 
sociale  avesse  dimostrato,  con  apparente  rigore  logico  e  quasi  ma- 
tematico, che  la  sola  autorità  legittima  era  quella  che  si  basava 
sul  consenso  della  maggioranza  numerica  dei  consociati,  Montes- 
quieu nello  Spirito  delle  leggi,  scrutando  e  direi  quasi  anatomiz- 
zando la  Costituzione  inglese  di  allora,  era  arrivato  alla  conclu- 
sione che  la  sua  superiorità  consistesse  nella  divisione  e  nella 
reciproca  indipendenza  dei  tre  poteri  fondamentali  dello  Stato; 
che,  secondo  lui  erano  il  legislativo,  l'esecutivo  ed  il  giudiziario. 
Un  esame  sommario  dei  regimi  rajipresentativi  del  secolo  decimo- 
nono basta  a  convincerci  che  essi  sono  il  risultato  della  fusione  dei 
concetti  del  filosofo  ginevrino,  che  erano  poi  molto  analoghi  a 
quelli  che  la  classica  antichità  aveva  elaborato,  con  le  idee  del- 
l'acuto magistrato  francese.  E  bastato  infatti  fare  della  Camera 
elettiva  l'organo  delle  forze  politiche  preponderanti,  e  farla  eleg- 
gere mercè  un  suffragio  largo  od  anche  universale,  perchè  si  potesse 
credere  di  avere  trasformato  l'antico  stato  burocratico  ed  assoluto 
in  un  regime  che  aveva  per  base  la  sovranità  popolare,  come  linten- 
devano  gli  antichi,  o,  meglio  ancora,  come  l'intendevano  Rousseau 
ed  i  suoi  seguaci.  Si  ebbero  quindi,  ci  sia  lecito  il  paragone,  dei 
regimi  politici  paragonabili  ad  abiti  tagliati  sul  modello  della 
Costituzione  inglese  dell'epoca  degli  Hannover,  ma  confezionati 
con  stoffe  che  potevano  anche  essere  intessute  coi  principi  della 
più  pura  democrazia. 

Vili.  —  Le  generazioni,  che  vissero  durante  il  secolo  decimo- 
nono, hanno  potuto  considerare  come  il  massimo  dei  cataclismi 
sociali  quello  che,  alla  fine  del  secolo  decimottavo,  diede  un  fortis- 
simo crollo  all'antico  regime  assoluto  e  che,  dopo  la  parentesi  napo- 
leonica, inaugurò  gradatamente  il  regime  rappresentativo,  prima 
in  Francia  e  poi  negli  altri  paesi  del  centro  e  dell'occidente  d'Eu- 
ropa. Questa  maniera  di  vedere  presenta  molta  analogia  col  solito 
errore  di  ottica,  per  il  quale  gli  oggetti  vicini  ci  sembrano  più 
grandi  di  quelli  lontani;  ma  in  verità  il  cataclisma  al  quale  assi- 
stettero i  nostri  bisnonni,  e  che  fu  seguito  da  altri  molto  minori, 
dei  quali  furono  attori  e  spettatori  i  padri  dei  nostri  padri,  può 


PARTB  II.  CAP.  Ili  -  Segue:  dkscriz.  dei  divbesi  tipi  ecc.         393 

sembrare  relativamente  piccolo  se  lo  paragoniamo  a  quella  grande 
catastrofe  della  civiltà  umana,  che  precedette  e  segui  la  caduta 
dell'impero  romano  d'occidente,  o  alle  terribili  invasioni  dei  Mongoli, 
che  nel  secolo  decimoterzo  misero  a  durissima  prova  tanta  parte 
del  mondo,  poiché  dalla  China  si  estesero  fino  all'Ungheria.  E,  se 
fosse  possibile  prevedere  esattamente  l'avvenire,  si  potrebbe  forse 
affermare  che  le  convulsioni  occasionate  dall'avvento  e  dal  diffon- 
dersi delle  istituzioni  liberali  e  del  regime  rappresentativo  saranno 
probabilmente  considerate  come  lievi  a  paragone  di  quelle  altre, 
che  potranno  essere  nello  stesso  tempo  causa  ed  effetto  della  loro 
sparizione. 

Come  si  sa,  fra  le  scosse  che  accompagnarono  l'istituzione  de 
regime  rappresentativo,  la  prima,  che  fu  la  più  violenta,  avvenne 
in  Francia  nell'ultimo  decennio  del  secolo  decimottavo;  e  quivi 
allora  si  ebbe  quel  grande  e  subitaneo  spostamento  della  ricchezza 
a  danno  di  una  classe  ed  a  favore  di  altre,  che  suole  accompa- 
gnare tutti  i  gravi  e  profondi  rivolgimenti  politici.  Senonchè  in 
Francia  il  moto,  per  la  grandissima  maggioranza  dei  contempo- 
ranei, giunse  improvviso  e  quasi  inaspettato,  non  trovò,  per  l'im- 
preparazione politica  delle  vecchie  classi  privilegiate  e  di  quelle 
che  aspiravano  a  surrogarle,  uomini  adatti  a  dirigerlo  ed  a  mode- 
rarlo, e  l'ondata  rivoluzionaria  disciolse  quindi  l'antica  organizza- 
zione statale  senza  avere  pronta  l'altra  che  la  doveva  sostituire. 
Sicché  Napoleone  dovette  poi  ricostruirla  quasi  di  sana  pianta, 
adoperando  all'uopo  gli  elementi  più  adatti,  che  non  mancavano 
né  nelle  antiche  classi  privilegiate  né  sopratutto  in  quella  borghesia 
che  aveva  fatto  la  rivoluzione.  Ma  nella  grande  maggioranza  degli 
altri  xDaesi  d'Europa,  quando  s'iniziò  il  regime  rappresentativo,  esso 
era  già  cosi  aspettato  e  socialmente  cosi  maturo,  che  potè  essere 
inaugurato  senza  gravi  perturbamenti;  se  come  tali  non  si  vogliono 
riguardare  quelli  che  nel  1848  e  49  ebbero  luogo  nella  quasi  tota- 
lità degli  Stati  europei. 

E  si  ebbe  cosi,  poco  prima  o  poco  dopo,  verso  la  metà  del  secolo 
decimonono,  il  nuovo  tipo  di  organizzazione  politica,  che  si  può 
definire  come  lo  Stato  rappresentativo  moderno   (1).  Esso,  come 


(1)  Lo  Stato  rappresentativo  moderno  naturalmente  presenta  diverse  varietà 
0  sottotipi  a  seconda  dei  vari  paesi  che  l'hanno  adottato  :  ad  esempio  uno  di 
essi  sarebbe  quello  monarchico  costituzionale,  che  vigeva  in  Germania  fino  al 


394  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

già  si  è  accennato,  è  il  risultato  di  nozioni  ed  idee  ereditate  dalla 
classica  antichità  ed  adattate  ai  bisogni  della  società  del  secolo 
decimonono,  così  diversa  da  quella  che  aveva  creato  la  Città  Stato 
della  Grecia  e  di  Roma,  ed  adattate  entro  un  modello  che,  quasi 
empiricamente  e  per  effetto  delle  circostanze  specialissime  della 
sua  storia,  era  stato  nei  due  secoli  precedenti  tracciato  in  Inghil- 
terra. Pure  i  nuovi  ordinamenti  rispondevano  cosi  bene  alla  men- 
talità ed  alle  necessità  sociali  dell'epoca  che  li  adottò  che,  sus- 
sidiati dalle  maravigliose  scoperte  le  quali  resero  possibile  un 
progresso  economico  mai  prima  sognato,  potettero,  durante  tutto 
il  secolo  decimonono,  conservare  indiscussa  nel  mondo  la  supre- 
mazia dei  popoli  di  civiltà  europea,  già  affermatasi  nel  secolo 
precedente,  e,  nel  regime  interno  di  questi  popoli,  hanno  potuto 
mantenere  un  ordine  relativo  ed  una  prosperità  materiale,  dei  quali 
difficilmente  si  troverebbero  esempi  analoghi  nella  storia  di  altri 
tempi  e  di  altre  civiltà  umane  (1). 

Certo  che  fra  i  presupposti  teorici  del  nuovo  regime  politico  ed 
il  suo  pratico  funzionamento  ci  è  stata,  e  non  poteva  non  esserci, 


1918,  nel  quale  il  potere  esecutivo  non  emanava  dalla  maggioranza  della  Ca- 
mera elettiva;  un  altro,  quello  monarchico  parlamentare,  che  vige  in  Inghil- 
terra, nel  Belgio  ed  in  Italia,  dove  i  Ministeri  cadono  quando  perdono  la 
maggioranza  nella  Camera  elettiva;  inoltre  vi  è  quello  repubblicano  parlamen- 
tare, che  è  in  vigore  in  Francia,  e  quello  repubblicano  presidenziale  degli 
Stati  Uniti  d'America,  nel  quale  il  Presidente  è  nello  stesso  tempo  capo  dello 
Stato  e  capo  del  Governo.  Abbiamo  adottato  l'espressione  di  Stato  rappresen- 
tavivo  moderno,  perchè  con  essa  si  possono  collettivamente  indicare  tutte  le 
varietà  che  questa  forma  di  regime  politico  può  presentare. 

(1)  La  preponderanza  assoluta  degli  Stati  di  civiltà  europea  rispetto  a  quelli 
di  civiltà  asiatica  si  era  già  affermata  nel  mondo  al  principio  del  secolo  de- 
cimottavo,  quando  la  Turchia,  che  fino  all'assedio  di  Vienna,  avvenuto  nel  1683, 
non  aveva  perduto  la  sua  forza  offensiva,  cominciò  a  manifestare  la  sua  debo- 
lezza rispetto  al  resto  dell'Europa.  La  conquista  dell'India  fu  fatta  dagli  In- 
glesi nella  seconda  metà  del  secolo  decimottavo,  ed  avrebbe  forse  potuto  esser 
fatta  dai  Francesi  se  questi  avessero  capito  a  tempo  l'importanza  della  partita 
che  colà  si  giocava.  La  preponderanza  europea  si  mantenne  inconcussa  durante 
il  secolo  decimonono,  oggi  è  già  fortemente  scossa  dopo  le  vittorie  del  Giap- 
pone sulla  Russia,  perchè  gli  Asiatici  cominciano  a  comprendere  che  è  loro 
possibile  di  adottare  l'organizzazione  amministrativa  e  militare  dell'Europa  e 
dell'America  e  trar  profìtto  dei  loro  progressi  scientifici  conservando  il  proprio 
tipo  di  civiltà. 


PAKTE  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  descriz.  dei  diversi  tipi  ecc.         395 

una  profonda  ed  insanabile  disannonia.  Poiché  naturalmente,  mal- 
grado l'adozione  graduale  del  suffragio  universale,  il  potere  ef- 
fettivo è  rimasto  sempre  per  una  parte  in  mano  alle  classi  più 
doviziose  e  per  una  ]3arte  maggiore,  specialmente  nei  paesi  cosi 
detti  democratici,  in  mano  alle  classi  medie  ;  le  quali  hanno  sempre 
avuto  la  prevalenza  nelle  organizzazioni  direttive  dei  partiti  poli- 
tici e  nei  comitati  elettorali  ed  hanno  in  grandissima  maggioranza 
fornito  i  redattori  alla  stampa  quotidiana,  il  personale  alla  buro- 
crazia e  l'ufficialità  all'esercito  (1). 

Ma  nello  stesso  tempo,  appunto  in  grazia  della  combinazione 
insita  nel  regime  fra  l'elemento  burocratico  e  quello  elettivo,  si 
è  potuta  avere  una  utilizzazione  quasi  completa  nel  campo  poli- 
tico ed  amministrativo  di  tutti  i  valori  umani  e  si  è  dato  il  modo 
a  quasi  tutti  gli  elementi  più  adatti  delle  classi  dirette  di  entrare 
in  quelle  dirigenti. 

La  specializzazione  poi  delle  diverse  funzioni  politiche  e  la  co- 
operazione ed  il  controllo  reciproco  fra  l'elemento  burocratico  e 
quello  elettivo,  che  sono  due  delle  principali  caratteristiche  dello 
Stato  rappresentativo  moderno,  hanno  fatto  si  che  esso  possa  es- 
sere riguardato  come  il  tipo  di  organizzazione  politica  più  com- 
plesso, e  quindi  più  delicato,  fra  tutti  quelli  che  sono  ricordati 
nella  storia  del  mondo.  Da  questo  e  da  altri  lati  si  può  anzi  af- 
fermare che  vi  è  una  quasi  perfetta  armonia  fra  il  presente  or- 
dinamento politico  e  le  condizioni  della  civiltà  del  secolo  che  l'ha 
visto  nascere  e  vivere.  Civiltà  che  se,  nella  squisita  perfezione 
delle  forme  artistiche  e  letterarie,  nella  profondità  del  pensiero 
filosofico  e  del  sentimento  religioso,  nel  valutare  l'importanza  di 
alcuni  grandi  problemi  morali,  si  è  forse  rivelata  inferiore  a  qual- 
cuna di  quelle  che  l'hanno  preceduto,  è  stata  ed  è  di  molto  supe- 


(1)  Del  fatto  che  anche  in  un  regime  rappresentativo  a  suffragio  molto  largo 
il  potere  effettivo  resta  in  mano  a  piccole  minoranze  organizzate,  quasi  tutte 
composte  di  individui  provenienti  dalle  classi  superiori  e  sopratutlo  da  quelle 
medie,  o  che  hanno  già  acquistato  i  requisiti  delle  classi  medie,  ci  siamo  già 
occupati  nella  Teorica  dei  Governi  (Torino,  Loescher,  1884)  ed  anche  nella 
prima  parte  di  questo  lavoro.  Sullo  stesso  argomento  si  potrebbero  utilmente 
consultare  altri  lavori,  fra  i  quali  quello  già  citato  del  Michkls,  La  sociologia 
del  partito  politico  nella  democrazia  moderna,  Torino,  Unione  Tipografica  Ed., 
1912,  e  quello  classico  deirOsTuouousici,  intitolato  La  démocratie  et  l'organìsation 
des  partis  politiques,  Paris,  Calman-Léwy,  1903. 


396  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

riore  a  tutte  le  altre  nella  sapiente  organizzazione  della  produ- 
zione economica  e  di  quella  scientifica,  come  anche  nell'esatta 
cognizione  e  nell'accorto  sfruttamento  delle  forze  della  natura. 
Ora  indiscutibilmente  la  vittoria,  che  quel  complesso  d'istituzioni, 
di  strumenti,  di  cognizioni  e  di  attitudini  acquisite,  le  quali  formano 
la  cultura  e  la  forza  di  una  generazione,  ha  ottenuto  sulle  forze 
naturali,  l'organizzazione  politica  finora  vigente  l'ha  ottenuto  sulle 
spontanee  energie  e  sulle  volontà  dei  singoli  individui  umani  (1). 
Certo  che,  anche  ieri  ed  oggi,  è  stato  ed  è  possibile  ad  interessi 
particolari  di  piccole  minoranze  organizzate  di  prevalere  sull'in- 
teresse collettivo,  paralizzando  l'azione  di  coloro  che  dovrebbero 
tutelarlo.  Ma  dobbiamo  pure  riconoscere  che  la  macchina  statale 
è  cosi  potente  e  perfezionata  che  giammai,  come  oggi,  in  Europa 
e  nel  mondo  si  è  vista  una  somma  uguale  di  mezzi  economici  e  di  atti- 
vità individuali  convergere  per  il  raggiungimento  di  un  fine  collet- 
tivo ;  e  l'ultima  grande  guerra  mondiale  ce  ne  ha  dato  una  terribile 
ma  irrecusabile  prova.  E,  se  si  obietterà  che  qualche  città  antica  ed 
anche  qualche  comune  medioevale,  proporzionatamente  alla  loro 
grandezza,  non  hanno  fatto  talora  sforzi  minori,  si  può  facilmente 
rispondere  che,  quanto  più  piccolo  è  un  organismo  tanto  più  facile 


(1)  Qualche  lettore,  che  potrà  ricordare  quanto  abbiamo  scritto  nella  Teorica 
dei  Governi  a  proposito  del  governo  parlamentare,  avrà  forse  notato  ohe  le 
nostre  idee  sull'argomento  si  sono  abbastanza  modificate.  Era  difficile  infatti 
che  ciò  non  avvenisse  a  distanza  di  trentanove  anni,  ed  i  primi  segni  di  questa 
modificazione  già  si  erano  rivelati  nella  prima  parte  di  questo  lavoro,  che  fu 
pubblicata  per  la  prima  volta  alla  fine  del  1895.  In  sostanza  conserviamo  anche 
oggi  integro  il  concetto  fondamentale  della  Teorica  dei  Governi,  cioè  che  tutte 
le  organizzazioni  statali  sono  costituite  da  minoranze  organizzate  e  che  per  ciò 
ogni  forma  di  regime  politico,  la  quale  presume  di  basarsi  sulla  libera  espres- 
sione della  volontà  della  maggioranza,  contiene  una  insanabile  menzogna,  che 
alla  lunga  ne  deve  produrre  la  decadenza.  Riconosciamo  pure  fondati  quasi 
tutti  gli  altri  appunti  fatti  allora  al  governo  parlamentare,  ma  una  maggiore 
conoscenza  della  storia  ed  una  esperienza  maggiore  della  vita  ci  hanno  insegnato 
a  considerarli  con  maggiore  indulgenza,  avendo  constatato  come  sia  impossi- 
bile che  esista  una  forma  di  organizzazione  politica  la  quale,  nel  suo  pratico 
funzionamento,  non  sia  inquinata  dalle  immancabili  debolezze  morali  ed  intel- 
lettuali della  natura  umana.  Ed  oggi  ci  atterrisce  piuttosto  la  previsione  che 
ai  tipi  attuali  di  organizzazione  politica  se  ne  possano  sostituire  altri,  nei  quali 
le  debolezze  accennate  avranno  un  campo  d'azione  assai  più  vasto  e  potranno 
agire  con  efficacia  maggiore. 


PARTE  II.  GAP.  Ili  -  Segue:  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         397 

riesce  di  coordinare  l'azione  delle  cellule  che  lo  compongono,  e  che 
Atene,  Sparta  ed  anche  qualche  grosso  Comune  medioevale  ave- 
vano un  territorio  ed  una  popolazione  cento  volte  minore  di  quella 
di  uno  Stato  moderno  di  media  grandezza.  Solo  Roma,  nell'epoca 
delle  due  prime  guerre  puniche,  e  più  ancora  quando  seppe  nei 
primi  due  secoli  dell'Impero  espandere  la  sua  lingua  e  la  sua  ci- 
viltà in  tutta  l'Europa  occidentale,  ottenne  risultati  paragonabili 
per  l'entità,  e  forse  anche  da  certi  lati  superiori,  a  quelli  delle  or- 
ganizzazioni politiche  presenti. 

Senonchè,  come  tutti  gli  organismi,  siano  essi  individuali  o  so- 
ciali, anche  lo  Stato  rappresentativo  moderno  porta  con  sé  i  germi 
che,  sviluppandosi,  possono  produrne  la  decadenza  e  la  dissoluzione. 
Accenneremo  per  ora  soltanto  ad  alcuni  dei  principali  fra  essi,  a 
quelli  cioè  la  cui  azione  già  si  può  chiaramente  percepire. 

E  prima  di  tutto  faremo  presente  che  in  molti  paesi  d'Europa 
si  nota  in  questo  momento  una  notevole  decadenza  economica  di 
quella  classe  media  che,  col  suo  sorgere  e  col  suo  prosperare,  rese 
possibile  l'avvento  del  regime  rappresentativo.  E,  se  questa  de- 
cadenza dovesse  prolungarsi  per  la  durata  di  una  generazione, 
essa  sarebbe  immancabilmente  seguita  da  quella  intellettuale.  Ora, 
come  la  diffusione  della  media  proprietà  era,  secondo  Aristotile, 
una  condizione  indispensabile  per  il  retto  funzionamento  della 
città  greca,  cosi  l'esistenza  di  una  media  borghesia  riesce  neces- 
saria per  la  vita  normale  del  regime  rappresentativo  moderno. 
Tanto  vero  che  in  quei  paesi  ed  in  quelle  regioni  nelle  quali  questa 
classe  è  poco  sviluppata,  o  non  ha  i  requisiti  richiesti  per  man- 
tenere il  suo  prestigio  e  la  sua  influenza,  questo  regime  ha  dato 
i  risultati  peggiori  (1).  Perciò,  se  la  decadenza  accennata  dovesse 
accentuarsi  e  durare,  si  potrebbero  forse  per  qualche  tempo  an- 
cora osservare  le  forme  degli  ordinamenti  presenti,  ma  di  fatto 
si  avrebbe  o  una  dittatura  plutocratica  o  una  dittatura  buro- 
cratica e  militare,  oppure  una  dittatura  demagogica  di  pochi  ca- 
porioni, che  saprebbero  lusingare  le  masse  ed  appagarne,  fin  dove 
sarebbe  possibile,  e  con  danno  sicuro  dell'interesse  generale,  l'in- 
vidia e  gli  istinti  spogliatori  (2).   Ovvero,  peggio   ancora,  si  po- 


(1)  Vedi  in  proposito  la  Parte  prima  del  presente  lavoro  a  Cap.  V,  p.  132. 
(2j  È  interessante  di  rilevare  come  questa  verità  sia  stata  nettamente  per- 
cepita da  Gian  Giacomo  Rousseau,    il    quale    nel    Contratto    sociale  (Libro  III, 


398  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


irebbe  avere  una  combinazione  di  due  e  magari  di  tutte  e  tre 
le  dittature  citate. 

Ed  il  pericolo  sembra  tanto  più  grande  in  quanto  esso  si  ricon- 
nette ad  un  altro,  il  (piale  ò  una  conso|^uenza  necessaria  del  si- 
stema d'idee  che  ha  fornito  la  base  morale  ed  intellettuale  al 
sistema  rappresentativo.  Intendiamo  alludere  a  quella  forma  men- 
tale, finora  prevalente,  che  ha  reso  quasi  ineluttabile  l'introduzione 
del  suffragio  universale. 

A  dir  vero,  nei  primi  decenni  del  regime  rappresentativo  la  bor- 
ghesia, transigendo  col  dogma  della  sovranità  popolare  sul  quale  quel 
regime  era  fondato,  aveva  adottato  quasi  dappertutto  forme  di 
suffragio  ristretto;  ma  in  sèguito,  vinta  più  dalla  forza  della  logica 
che  dalla  spinta  che  veniva  dagli  strati  più  umili  della  società,  e 
sopratutto  costretta  dalla  necessità  di  mostrarsi  coerente  ai  prin- 
cipi che  aveva  proclamato  ed  in  nome  dei  quali  aveva  combattuto 
ed  abbattuto  l'assolutismo,  adottò  il  suffragio  universale.  Il  quale 
fu  cominciato  ad  attuare  prima  negli  Stati  Uniti  d'America,  poi 
in  Francia  nel  1848,  ed  in  sèguito  in  tutti  gli  altri  paesi  retti  a 
regime  rappresentativo. 

Ora  giammai  i  molti,  specialmente  se  poveri  ed  ignoranti,  hanno 
diretto  i  pochi,  sopratutto  se  essi  sono  relativamente  ricchi  ed 
intelligenti  ;  e  perciò  la  cosi  detta  dittatura  del  proletariato  non 
potrebbe  essere  che  quella  di  una  classe  assai  ristretta  esercitata 
a  nome  del  proletariato;  e  forse  la  nozione  di  questa  verità,  pene- 
trata più  o  meno  chiaramente  nella  coscienza  o  nella  subcoscienza 
delle  classi  dirigenti,  ha  contribuito  a  far  loro  accettare  senza 
molta  resistenza  il  suffragio  universale.  Ma,  una  volta  che  tutti 
hanno  acquistato  il  diritto  al  voto,  è  inevitabile  che  dalla  stessa  bor- 
ghesia si  distacchi  una  frazione,  la  quale,  nella  gara  per  arrivare 
ai  posti  migliori,  cercherà  di  appoggiarsi  sugli  istinti  e  sugli  ap- 


capitolo  IV)  scrisse:  "  A  prende  le  terme  dans  la  rigueur  de  l'acceptation  il 
n'a  jamais  existé  de  véritable  démocratie,  et  il  n'en  esisterà  jamais.  11  est 
contre  l'ordre  naturel  que  le  gran  nombre  gouverne  et  que  le  petit  soit  gou- 
verné  „.  Questo  passo  è  un  esempio  tipico  di  quella  intuizione  della  necessaria 
esistenza  della  elasse  politica  alla  quale  abbiamo  accennato  nella  prima  pagina 
della  seconda  parte  di  questo  lavoro.  11  passo  di  Rousseau,  che  abbiamo  ora 
citato,  è  ricordato  anche  dal  Michels  nel  capitolo  3°  della  parte  seconda  del 
suo  libro  sulla  Sociologia  dei  partiti  politici. 


y 


PARTE  li.  GAP.  Ili  -  Segue:  descbiz.  dei  diversi  tipi  ecc.         399^ 

peliti  delle  classi  più  numerose,  insegnando  ad  esse  che  l'ugua- 
glianza politica  significa  presso  che  nulla  se  non  è  accompagnata 
da  quella  economica  e  che  la  prima  può  servire  benissimo  di 
strumento  per  ottenere  la  seconda. 

E  ciò  è  avvenuto  ed  avviene  tanto  più  facilmente  in  quanto  la 
borghesia,  non  solo  è  rimasta  in  certo  modo  prigioniera  dei  suoi 
principi  democratici,  ma  anche  di  quelli  liberali  ;  e  si  sa  che  il  libera- 
lismo accetta  come  verità  assiomatica  che  ogni  credenza,  ogni 
opinione  ha  il  diritto  di  essere  senza  alcun  ostacolo  predicata  e 
propagata.  Certo  che  il  liberalismo  e  la  democrazia  non  sono  la 
stessa  cosa,  ma  hanno  un  certo  fondo  comune  in  quella  corrente 
intellettuale  e  sentimentale  formatasi  nel  secolo  decimottavo  e  che 
si  fondava  sopra  una  concezione  ottimistica  della  natura  umana, 
o  meglio  dei  sentimenti  e  delle  idee  che  necessariamente  avreb- 
bero dovuto  prevalere  nelle  collettività  umane.  Sicché,  come  la 
democrazia  deve  ammettere  che  il  governo  migliore  è  quello  che 
emana  dal  consenso  della  maggioranza  numerica  dei  consociati,  il 
liberalismo  deve  credere  che  basti  il  buon  senso  popolare  a  di- 
stinguere la  verità  dall'errore  ed  a  far  giustizia  delle  idee  anti- 
sociali e  dannose.  E,  dato  che  le  classi  dirigenti  hanno  informato 
la  loro  condotta  ai  principi  accennati,  non  è  da  maravigliare  se  in 
molti  paesi  siasi  affermata  e  grandemente  diffusa  una  nuova  dot- 
trina, e  si  potrebbe  anzi  dire  una  nuova  fede,  la  quale,  se  si  può 
presumere  e  dimostrare  inetta  a  ricostruire  un  sistema  di  ordina- 
mento sociale  e  politico  migliore,  e  sopratutto  più  morale,  di  quello 
esistente,  è  certamente  attissima  a  distruggerlo  (1). 

Se  a  tutto  ciò  aggiungiamo  la  grandissima  complessità  della 
moderna  economia  e  la  conseguente  specializzazione  delle  attività 
necessarie  alla  produzione  ed  alla  distribuzione  delle  derrate  e  dei 
servizi  più  indispensabili  alla  vita  quotidiana  dell'intiera  società, 
e  quindi  dello  Stato,  ciò  che  rende  possibile  a  piccole  minoranze 
di  causare,  incrociando  semplicemente  le  braccia,  gravissimi  per- 
turbamenti in  tutto  il  corpo  sociale,  potremo  formarci  un  concetto 
sommario  degli  elementi  dissolvitori,  che  corrodono  la  compagine 
degli  attuali   ordinamenti    politici  e  sociali  e  ne  minacciano  l'esi- 


(1)  Ricorderemo  quanto  abbiamo  scritto  in  proposito  nell'ultimo  capitolo  della 
prima  parte  di  questo  lavoro  e  che  trova  ora  la  sua  conferma  in  quanto  è 
avvenuto  ed  avviene  in  Russia. 


400  ELEMENTI    DI    SCAR^fZA.    POLITICA 


stenza  (1).  Ma  di  questo  argomento  crediamo  per  ora  di  aver  detto 
abbastanza,  tanto  più  che  ce  ne  dovremo  di  nuovo  occupare  nel- 
l'ultimo capitolo  del  presente  lavoro. 


(1)  Questo  pericolo  è  stato  già  studiato  e  segnalato  in  due  nostri  articoli 
che  furono  pubblicati  nel  *  Corriere  della  Sera  „  del  17  ottobre  1907  e  del 
27  maggio  1909,  l'uno  intitolato  Feudalismo  funzionale,  l'altro  II  pericolo  dello 
Stato  moderno.  Un  altro  articolo  sullo  stesso  argomento,  intitolato  Feudalismo 
e  Sindacalismo,  abbiamo  pubblicato  nella  "  Tribuna  ,  del  1°  febbraio  1920.  Vedi 
pure  in  proposito:  Mosca,  Appunti  di  diritto  costituzionale.  Terza  edizione,  pa- 
gine 164  e  165. 


Cìttitigt  li9é'tg>  {.•9i'&t<9  8  i&»^»g&»<B«^»!0»^<>g»<»^«-JP<i>'Ì)8>»-^^       ;  9*^t'ì>'9t^t 


CAPITOLO  IV. 

Principi  e  tendenze  diverse  che  si  affermano  nella  for- 
mazione e  nella  organizzazione  della  classe  po- 
litica. 


I.  I  due  principi  e  le  due  tendenze  che  si  possono  riscontrare  nelle  varie  classi 
politiche.  —  li.  Il  principio  autocratico.  —  III.  I  due  strati  della  classe 
politica  e  l'autocrazia  burocratica.  —  IV.  Il  principio  liberale.  —  V.  Ana- 
lisi della  tendenza  democratica.  —  VI.  Analisi  della  tendenza  aristocra- 
tica. —  VII.  Risultati  dell'equilibrio  fra  i  due  principi  e  le  due  tendenze. 


I.  —  Secondo  scrisse  Platone  in  uno  dei  suoi  ultimi  dialoghi, 
la  monarcMa  e  la  democrazia  sarebbero  le  due  forme  di  governo 
fondamentali,  dalle  quali,  mercè  combinazioni  più  o  meno  felici, 
deriverebbero  tutte  le  altre  (1).  Questo  concetto,  accortamente  in- 
terpetrato  e  completato,  si  può  anche  oggi  accettare  ;  perchè  real- 
mente in  tutte  le  forme  di  organizzazione  politica  o  l'autorità 
viene  trasmessa  dall'alto  verso  il  basso  della  scala  ijolitica  e  so- 
ciale, in  maniera  che  la  scelta  del  funzionario  inferiore  viene  la- 
sciata a  quello  superiore,  finché  si  arriva  al  supremo  gerarca  che 


(1)  Vedi  il  dialogo  delle  leggi  in  Platonis  Opera,  Parigi,  Firmin  Didot  edi- 
tore, volume  II,  pagina  311.  Anche  Machiavkli.i  scrisse  nello  prime  righe  del 
Principe  che  "  tutti  gli  Stati,  tutti  i  domini!  che  hanno  avuto  ed  hanno  im- 
perio sopra  gli  uomini  sono  stati  e  sono  repubbliche  o  principati  „,  ricono- 
scendo così  anche  egli  due  forme  fondamentali  di  reggimento  politico,  in  una 
delle  quali  i  poteri  sovrani  si  esercitano  in  nome  di  un  individuo,  mentre 
nell'altra  sono  esercitati  in  nome  del  popolo. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica,  26 


402  BLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

.sceglie  i  suoi  immediati  collaboratori,  come  dovrebbe  accadere 
nella  monarchia  assoluta  tipica,  ovvero  dal  basso  viene  delegata 
a  coloro  che  stanno  in  alto,  dai  governati  ai  governanti,  come  si 
usava  nell'antica  G-recia  ed  in  Roma  repubblicana. 

Bisognerebbe  aggiungere  che  i  due  sistemi  possono  essere  fusi 
e  contemperati  in  vari  modi,  come  accade  oggi  nei  governi  rap- 
presentativi; e  si  potrebbe  citare  in  proposito  la  forma  presente 
di  governo  degli  Stati  Uniti  d'America,  nei  quali  il  Presidente  è 
scelto  dalla  universalità  dei  cittadini  ed  egli  alla  sua  volta  nomina 
tutti  i  funzionari  del  governo  federale  ed  i  magistrati  della  Corte 
suprema. 

Il  primo  tipo  di  organizzazione  politica,  quello  nel  quale  l'auto- 
rità viene  trasmessa  dall'alto  della  scala  politica  ai  funzionari  in- 
feriori, e  che  fu  da  Platone  appellato  monarchico,  noi  crediamo 
più  esatto  di  chiamarlo  autocratico  ;  perchè  un  monarca  nel  senso 
lato  della  parola,  ossia  un  capo  dello  Stato,  si  trova  quasi  sempre 
in  tutte  le  forme  di  regime  politico.  Più  diffìcile  riesce  la  scelta 
del  vocabolo  adatto  ad  indicare  il  secondo.  Seguendo  l'esempio  di 
Platone,  si  potrebbe  chiamarlo  democratico,  ma,  siccome  per  de- 
mocrazia s'intende  oggi  comunemente  una  forma  di  regime  po- 
litico nella  quale  tutti  ugualmente  j)artecipano  alla  formazione  dei 
poteri  sovrani,  ciò  che  non  sempre  è  accaduto  nel  passato  nei  re-, 
gimi  nei  quali  il  popolo  scieglieva  i  suoi  governanti,  perchè  spesso 
per  popolo  s'intendeva  una  ristretta  aristocrazia,  crediamo  più  op- 
portuno di  a"ppellarlo  liberale  (1).  E  questa  denominazione  ci 
sembra  tanto  più  appropriata  in  quanto  è  prevalso  l'uso  di  rite- 
nere liberi  quei  popoli  nei  quali,  stando  alla  legge,  i  governanti 
dovrebbero  essere  scelti  da  tutti  o  anche  da  una  parte  dei  gover- 
nati e  la  legge  stessa  dovrebbe  essere  una  emanazione  della  vo- 
lontà generale.  Mentre  nei  regimi  autocratici  essa  o  ha  un  carat- 
tere immutabile  e  sacro,  oppure  è  una  espressione  della  volontà 
dell'autocrate  o  meglio  ancora  di  coloro  che  agiscono  in  suo  nome. 

Viceversa  ci  sembra  più  adatto  di  chiamare  democratica  quella 
tendenza  che,  latente  o  manifesta,  agisce  sempre  con  maggiore  o 


(1)  Basta  ricordare  in  proposito  quel  che  accadeva  nei  regimi  indiscutibil- 
mente liberali  della  Grecia  e  di  Roma  ed  anche  in  molti  Comuni  medioevali, 
nei  quali  cittadini  perfetti  erano  soltanto  gli  ascritti  alle  arti  maggiori. 


PARTE    II.    OAP.    IV    -    PRINCIPI    B    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  403 

minore  intensità  in  tutti  gli  organismi  politici  e  che  mira  a  rin- 
novare la  classe  dirigente,  sostituendola  con  elementi  provenienti 
dalle  classi  dirette.  E  naturalmente  chiameremo  aristocratica  la 
tendenza  contraria,  anche  essa  costante  sebbene  di  varia  intensità, 
la  quale  mira  alla  stabilizzazione  della  direzione  sociale  e  del  po- 
tere politico  nei  discendenti  di  quella  classe  che,  in  un  dato  mo- 
mento storico,  se  ne  è  impossessata. 

A  prima  vista  parrebbe  che  la  prevalenza  di  quello  che  noi 
denomineremo  principio  autocratico  dovrebbe  accoppiarsi  a  quella 
che  chiameremo  tendenza  aristocratica;  e  che  al  contrario  il  prin- 
cipio opposto,  che  chiameremo  liberale,  dovrebbe  accoppiarsi  alla 
tendenza  che  abbiamo  appellato  democratica.  E  realmente  dall'e- 
same di  molti  tipi  di  .organizzazione  politica  potrebbe  trarsi  la 
conclusione  che  esiste  una  certa  simpatia  fra  l'autocrazia  e  l'ari- 
stocrazia da  una  parte  ed  il  liberalismo  e  la  democrazia  dall'altra; 
ma  però  sarebbe  questa  una  di  quelle  regole  che  sono  soggette  a 
moltissime  eccezioni.  Riuscirebbe  facile  infatti  trovare  esempi  di 
autocrazie  che  non  hanno  ammesso  l'esistenza  di  classi  alle  quali 
la  nascita  conferiva  privilegi  legali,  e  si  potrebbe  citare  in  pro- 
posito l'impero  chinese  durante  lunghi  periodi  della  sua  storia;  ed 
anche  più  facile  sarebbe  di  trovare  esempi  di  regimi  elettivi  nei 
quali  il  popolo  elettore  era  costituito  solo  dalla  classe  dirigente 
ereditaria,  come  avveniva  a  Venezia  e  nella  repubblica  polacca. 

Ad  ogni  modo,  tenendo  anche  conto  che  riesce  difficile  assai  di 
trovare  un  regime  politico  nel  quale  si  possa  constatare  l'esclu- 
sione assoluta  di  uno  dei  due  principi,  o  di  una  delle  due  tendenze, 
ci  sembra  certo  che  la  forte  prevalenza  dell'autocrazia  o  del  libe- 
ralismo, della  tendenza  aristocratica  o  della  democratica,  possa 
fornire  un  criterio  sicuro  e  fondamentale  per  determinare  il  tipo 
al  quale  l'organizzazione  politica  di  un  dato  popolo,  in  una  data 
epoca,  aj)partiene.  Ed  è  perciò  che  ora  ci  sembra  molto  utile  di 
iniziare  un  breve  studio  sui  vantaggi  e  gli  inconvenienti  che  ad 
ognuno  e  ad  ognuna  di  esse  si  possono  attribuire. 

II.  —  Pare  indiscutibile  che  l'autocrazia  abbia  formato  la  base 
della  organizzazione  politica  dei  primi  grandi  aggregati  umani. 
Tutti  gli  antichi  grandi  imperi  dell'Asia  e  Fantico  Egitto  erano  or- 
ganizzati autocraticamente,  come  pure  secondo  il  principio  autocra- 
tico erano  organizzati  il  nuovo  impero  persiano  dei  Sassanidi  ed  i 


404  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

califfati  araldi  (1).  Fino  a  pochi  anni  fa  erano  autocratici  i  regimi 
politici  del  Giappone,  della  China  e  della  Turchia,  che,  per  la  na- 
tura della  sua  civiltà,  potea  essere  considerata  come  paese  asiatico. 
In  Europa  si  può  considerare  come  autocratico  il  governo  del- 
l'impero romano  dopo  Diocleziano  e  quello  dell'impero  bizantino 
e  fu  retta  da  una  pura  autocrazia  la  Russia  di  Ivano  IV  il  teni- 
bile e  di  Pietro  il  grande  e  quella  di  Alessandro  III  e  dei  primi 
tempi  di  Niccola  li.  Abbiamo  visto  come,  anche  nell'Europa  oc- 
cidentale, la  formazione  del  grande  Stato  moderno,  mercè  la  distru- 
zione di  tutte  le  sovranità  intermedie  che  caratterizzavano  il  re- 
gime feudale,  abbia  dato  luogo  alla  creazione  di  governi  autocratici; 
che  poi  si  trasformarono  nei  regimi  rappresentativi  moderni.  Fi- 
nalmente anche  in  America  erano  autocraticamente  organizzati  il 
Messico  ed  il  Perù,  ossia  i  soli  due  grandi  Stati  che  gli  Europei 
trovarono  nel  nuovo  continente  (2). 

È  evidente  che  un  sistema  di  organizzazione  politica  cosi  dif- 
fuso e  cosi  duraturo  fra  popoli  di  civiltà  diversissima,  e  che  spesso 
nessun  contatto  ne  materiale  ne  intellettuale  avevano  avuto  fra  di 
loro,  deve,  se  non  sempre,  spessissimo  corrispondere  alla  natura 
politica  dell'uomo,  perchè  ciò  che  è  artificioso  od  eccezionale  non 
sussiste  lungamente.  L'autocrazia  infatti,  sia  che  il  capo  supremo 
che  sta  al  vertice  della  piramide  politica  eserciti  la  sua  autorità 
in  nome  di  Dio  e  degli  Dei,  sia  che  egli  la  riceva  dal  popolo  o 
da  coloro  che  presumono  di  rappresentarlo,  fornisce  una  formola 
politica,  ossia  un  principio  d'autorità  ed  una  giustificazione  del 
potere,  chiara,  semplice  e  che  tutti  facilmente  comprendono.  Non 
ci  può  essere  una  organizzazione  umana  senza  una  gerarchia,   e 


(1)  Si  aa  che  i  primi  quattro  Califfi  furono  eletti  dalla  comunità  musulmana, 
0,  per  dire  le  cose  più  esattamente,  dai  più  autorevoli  membri  di  essa,  che 
presumevano  di  rappresentarla,  ma  che  poi  il  califfato  diventò  ereditario  e 
restò  infeudato  in  alcune  famiglie.  È  da  notare  però  che  il  Sovrano  musul- 
mano, per  quanto  assoluto,  non  può  cambiare  le  leggi  fondamentali,  che  sono 
contenute  nel  Corano  o  desunte  dalla  tradizione  trasmessa  dai  più  antichi 
dottori. 

(2)  Nel  Messico  però  i  conquistatori  spagnuoli  trovarono  pure  una  repub- 
blica, quella  di  Tlascala,  che  pare  fosse  retta  da  un  Consiglio  di  capi  tribù. 
Essa  si  alleò  con  Cortes  e  gli  servì  di  base  di  operazione  nella  sua  lotta 
contro  l'impero  degli  Aztechf.  Vedi  Antonio  dk  Solis,  Storia  della  conquista  del 
Messico. 


PARTE   li.    GAP.    IV    -    PRINCIPÌ    E    TENDENZE    DIVBR8B    EOO,  405 

qualunque  gerarchia  necessariamente  richiede  che  alcuni  coman- 
dino e  gli  altri  ubbidiscano  ;  e,  poiché  è  nella  natura  degli  uomini 
che  molti  di  essi  amino  il  comandare  e  che  quasi  tutti  si  adattino 
ad  ubbidire,  riesce  assai  utile  una  istituzione,  la  quale  dà  a  coloro 
che  stanno  in  alto  la  maniera  di  giustificare  la  loro  autorità  e 
nello  stesso  tempo  aiuta  potentemente  a  persuadere  coloro  che 
stanno  in  basso  a  subirla. 

Si  potrebbe  obiettare  che  se  l'autocrazia  è  un  regime  molto 
adatto  alla  formazione  di  grandi  organismi  politici,  come  furono 
gli  antichi  imperi  mesopotamici  e  l'antica  Persia,  ed  in  tempi  più 
recenti  la  China,  la  Turchia  e  la  Russia,  e  ad  assicurarne  la  du- 
rata per  parecchi  ed  alle  volte  per  molti  secoli,  essa  non  consente 
ai  popoli  che  l'hanno  adottato,  e  sopratutto  alle  loro  classi  diri- 
genti, di  raggiungere  tutta  quella  elevazione  morale  ed  intellet- 
tuale di  cui  l'umanità  civile  è  capace.  Difatti  l'arte  ed  il  pensiero 
della  Grecia  e  di  Roma  furono  in  complesso  superiori  a  quelli 
degli  imperi  orientali  e  nessuna  delle  civiltà  asiatiche  antiche  e 
recenti  ha  avuto  una  vita  intellettuale  cosi  intensa  da  potere  so- 
stenere il  confronto  con  quella  delle  grandi  nazioni  dell'Europa 
centrale  ed  occidentale  e  dell'America  del  secolo  decimonono.  Ma 
l'epoca  splendida  di  Atene  durò  circa  un  secolo  e  mezzo,  perchè 
iniziatasi  colla  battaglia  di  Platea,  che  ebbe  luogo  il  479  avanti 
Cristo,  si  protrasse  tutto  al  più  fino  alla  guerra  lamiaca,  cioè  fino 
al  323  a.  C.  Ed  anche  Roma  potè  cominciare  ad  essere  consi- 
derata come  un  grande  Stato  ed  un  centro  di  cultura  alla  fine  della 
seconda  guerra  punica,  cioè  al  203  a.  C.  ;  ma  già  al  133  s'iniziarono 
con  Tiberio  Gracco  le  lotte  civili,  ed  al  31  a.  C,  dopo  un  secolo 
di  tumulti  quasi  continui,  di  proscrizioni,  di  guerre  intestine,  l'an- 
tico Stato  città  dovette  tramutarsi  nell'impero  d'Augusto. 

Fra  le  grandi  nazioni  moderne  l'Inghilterra  ed  il  Nord-America 
sono  quelle  che  da  più  lungo  tempo  si  reggono  secondo  il  prin- 
cipio liberale,  ma  abbiamo  già  visto  che  la  prima  lottò  contro 
l'assolutismo  fino  al  1689,  e  sappiamo  che  la  data  della  nascita 
degli  Stati  Uniti  può  essere  fissata  al  1783.  E  l'Inghilterra  del  1689 
era  per  potenza,  ricchezza  e  valore  intellettuale  assai  diversa  da 
quella  di  oggi  ;  come  pure  è  noto  che  la  grande  repubblica  nord- 
americana, fin  quasi  alla  metà  del  secolo  decimonono,  era  un  paese 
quasi  esclusivamente  agricolo,  sobrio,  ristretto  in  se  stesso,  attac- 
cato alle  antiche  tradizioni,  molto  lontano  dalla  opulenza  e  dalla 


406  ELEMENTI   DI    SOIENZA    POLITICA 

importanza  mondiale  che  oggi  ha  raggiunto.  Sicché  parrebbe 
quasi  che  il  principio  liberale  facilmente  prevalga  in  quei  periodi 
eccezionali  della  vita  dei  popoli  durante  i  quali  alcune  delle  ])iù 
nobili  facoltà  dell'uomo  si  manifestano  con  tutta  la  loro  intensità 
ed  energia  e  maturano  i  germi  che  produrranno  a  breve  scadenza 
un  notevolissimo  aumento  di  potenza  politica  e  jjrosperità  econo- 
mica. Ma  sembra  pure  che  a  questi  periodi,  i  quali  segnano  al- 
cune delle  tappe  più  importanti  raggiunte  nel  cammino  della 
civiltà,  altri  ne  seguano,  durante  i  quali  le  società  umane  sentono 
quasi  il  bisogno  di  un  lungo  riposo,  che  politicamente  trovano 
adagiandosi  in  un  autocratismo  i)iù  o  meno  larvato,  e  più  o  meno 
adattato  al  grado  di  sviluppo  e  di  cultura  raggiunto. 

Il  regime  autocratico  naturalmente  presuppone  l'esistenza  di  un 
autocrate,  di  un  uomo  cioè  che  personifichi  l'istituzione  in  nome 
della  quale  agiscono  tutti  coloro  che  sono  investiti  di  una  parte 
o  di  una  particella  qualsiasi  della  pubblica  autorità.  Ora  l'auto- 
crate può  essere  ereditario,  nel  quale  caso  si  ha  una  combinazione 
del  principio  autocratico  colla  tendenza  aristocratica,  o  elettivo, 
nel  quale  caso  la  combinazione  avverrebbe  colla  tendenza  demo- 
cratica. Non  bisogna  però  dimenticare  che  gli  autocrati  a  vita 
tendono  sempre  a  trasformarsi  in  ereditari  e  che,  come  avveniva 
a  Roma  durante  l'impero,  l'autocrate,  il  quale  nominalmente  ha  ri- 
cevuto il  mandato  dal  popolo,  molto  spesso  viene  creato  dalle  classi 
dirigenti,  o  meglio  da  quella  frazione  delle  classi  dirigenti  che 
ha  i  mezzi  più  efficaci  per  imporsi  alle  altre,  ovvero  finalmente 
da  quel  gruppo  di  alti  funzionari  che  tengono  in  mano  le  fila 
colle  quali  si  dirige  la  macchina  dello  Stato  (1). 

L'eredità,  quando  è  regolata  in  maniera  che  non  possano  na- 
scere dubbi  sui  diritti  dell'erede  al  trono,  presenta  certamente 
il  vantaggio  di  assicurare  meccanicamente  la  stabilità  e  la  con- 


(1)  I  mezzi  più  efficaci  e  sicuri  d'imporsi  sono  sempre  stati  i  soldi  e  sopra- 
tutto i  soldati.  Perciò  nei  regimi  autocratici  molto  spesso  il  successore  del 
trono  è  stato  scelto  da  coloro  che  disponevano  delle  casse  dello  Stato  e  della 
forza  armata,  e  specialmente  di  quella  parte  della  forza  armata  che  stava  nella 
capitale  a  custodia  del  sovrano,  della  corte  e  degli  organi  centrali  del  Go- 
verno. Basterebbe  ricordare  in  proposito  quello  che  fecero  i  pretoriani  a  Roma, 
la  guardia  turca  nel  califfato  di  Bagdad,  gli  strelitzi  a  Mosca  fino  a  Pietro  il 
Grande  ed  i  giannizzeri  a  Costantinopoli  fino  ai  primi  decenni  del  secolo  de- 
cimonono. 


PARTE    II.    GAP.    IV    -    PRINOIPÌ    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  407 

tinnita  del  potere  e  di  evitare  che  ogni  successione  fornisca  facili 
occasioni  a  guerre  civili  e  ad  intrighi  di  Corte  a  favore  o  contro 
i  vari  pretendenti.  Da  questo  lato  il  sistema  adottato  dalle  nio- 
narchie  europee,  nelle  quali  la  famiglia  legale  è  stata  ed  è  sempre 
monogama  e  la  successione  è  toccata  sempre  al  maschio  primo- 
genito, ha  dato  risultati  migliori  di  quello  usato  nelle  monarchie 
orientali,  che  non  hanno  mai  regolato  il  diritto  di  successione  in 
modo  cosi  chiaro  e  preciso  e  hanno  sempre  ammesso  che  il  sovrano 
regnante  possa  cambiarlo.  Ciò  che  naturalmente  ha  aperto  la  porta 
agli  intrighi  della  sultana  favorita,  degli  alti  funzionari  ed  anche 
del  basso  personale  di  Corte,  che  col  sovrano  ha  quotidiani  con- 
tatti (1). 

La  prima  origine  delle  dinastie  autocratiche  è  dovuta  molto 
spesso  ad  una  individualità  forte  ed  energica,  la  quale,  dopo  che 
è  arrivata  al  potere  supremo,  ha  saputo  acquistare  tale  prestigio 
nella  classe  politica  ed  anche  fra  le  masse  popolari  ed  ha  saputo 
costituire  tale  una  rete  intessuta  d'interessi  e  di  devozione  fra  gli 
alti  funzionari,  da  fare  sembrare  molto  opportuno,  e  quasi.naturale, 
che  la  successione  venga  trasmessa  ai  suoi  discendenti.  Sappiamo 
infatti  che  in  China  le  nuove  dinastie  sono  state  generalmente 
fondate  da  avventurieri  energici  e  fortunati  che,  ponendosi  a 
capo  di  una  rivolta  vittoriosa,  rovesciavano  la  dinastia  precedente. 
Origine  simile  ebbe  nel  Giappone  la  dinastia  degli  Shogun  Toku- 
gava  e  si  sa  pure  che  in  India  il  turco  Baber,  postosi  a  capo  di  una 
grossa  banda  di  avventurieri  suoi  compatriotti,  riusci  a  fondare, 
nei  primi  decenni  del  secolo  decimosesto,  l'impero  del  Grran  Mogol. 
In  Europa  simili  casi  sono  avvenuti  assai  più  raramente;  Napo- 
leone non  potè  trasmettere  il  trono  al  re  di  Roma,  ed  il  figlio  di 
01i\dero  Cromwel  i)otè  occupare  la  carica  di  lord  protettore  sol- 
tanto per  meno  di  un  anno.  Un  caso  tipico,  che  si  potrebbe  in 
proposito  ricordare,  fu  quello  di  Gustavo  Wasa  che,  figlio  di  un 
nobile  svedese,  ma  ridottosi  nella  sua  gioventù  a  fare  il  pastore  ed 
il  minatore  nella  Derecarlia,  si  pose  poi  a  capo  di  una  rivolta  dei 
suoi  compatriotti  contro  i  Danesi,  e  fu  il  fondatore  di  una  dinastia 
«he,  dai  primi  decenni  del  secolo  decimosesto,  regnò  nella  Svezia  fino 


(1)  Si  può  ricordare  l'influenza  che  ebbero  spesso  a  Costantinopoli  gli  eunuchi 
che  stavano  a  servizio  del  Sultano  e  quella  che  essi  esercitavano  non  rara- 
mente in  China,  quando  qualche  dinastia  era  nel  periodo  della  decadenza. 


408  BLBMBMTI    DI    80IB!fZA    POLITICA 

all'avvento  dei  Bernadotte.  Invece  più  di  frequente  è  avvenuto 
fra  noi  che  una  dinastia,  nata  piccola  e  debole,  siasi  a  poco  a  poco 
fortificata  ed  ingrandita  mediante  il  lavorio  costante  di  una  serie 
di  generazioni.  E  basterebbe  citare  l'esempio  dei  Capetingi,  dei 
Savoia,  degli  Ilolionzollern  e  forse  anche  degli  Habsburgo. 

In  una  autocrazia  ereditaria  è  assai  difficile  che  la  persona  de- 
stinata dalla  nascita  ad  occupare  la  difficilissima  carica  di  capo 
supremo  di  un  grande  Stato  abbia  le  qualità  necessarie  per  ef- 
fettivamente e  bene  disirapegnarla.  A  dir  vero  l'eredità  familiare 
e  l'educazione  possono  contriljuire  molto  a  far  sì  che  un  sovrano 
ereditario  riesca  ad  acquistare  il  contegno  esteriore  e  le  forme  che 
più  convengono  alla  posizione  che  occupa.  Ma,  benché  le  forme 
abbiano  la  loro  importanza,  sopratutto  quando  ogni  gesto  ed  ogni 
parola  possono  attirare  l'attenzione  di  un  intero  popolo,  esse  non 
bastano  a  supplire  alla  deficienza  delle  qualità  più  sostanziali: 
quali  sarebbero  la  capacità  di  lavoro,  l'energia,  la  volontà  di  do- 
minio, la  conoscenza  degli  uomini  ed  anche  una  certa  insensibilità 
affettiva  tanto  utile  per  i  regnanti,  che  non  dovrebbero  troppo 
commuoversi  per  i  dolori  altrui,  ma  dovi'ebbero  invece  sapere  re- 
primere gli  slanci  del  cuore  ed  evitare  studiosamente  quei  mo- 
menti critici  nei  quali  l'animo  umano  è  irresistibilmente  spinto  a 
rendere  palesi  i  sentimenti  ed  i  pensieri  più  intimi  (1). 

Alla  deficienza  accennata  si  ripara  nella  maggior  parte  dei  casi 
affidando  a  due  diversi  personaggi  le  funzioni  autocratich.e  ;  al- 
l'autocrate titolare  resta  la  parte  rappresentativa  e  decorativa 
della  carica,  mentre  il  potere  effettivo  viene  affidato  ad  un'altra 
persona,  clie  si  può  chiamare  maestro  di  palazzo,  primo  ministro 
o  vizir.  Spesso  però  quest'ultimo  compito  è  affidato,  anziché  ad 
una  persona  sola,  ad  un  Consiglio  formato  di  un  piccolo  gruppo 
di  maggiorenti,  come  sarebbero  stati  il  Consiglio  dei  Ministri,  che 
assisteva  il  principe  in  Europa  sotto  l'antico  regime,  il  Tsong-li- 


(1)  Ricordiamo  il  detto  di  Luigi  XI  di  Francia:  qui  nescit  dis.tìmuìare  nescit 
regnare.  Però  un  maligno  potrebbe  pensare  che  quel  sovrano  avrebbe  meglio 
operato  se  avesse  messo  in  pratica,  come  fece,  il  precetto  senza  enunciarlo  e 
farlo  passare  alla  storia.  N'ayez  jamais  d'atta  che  me  ut  pour  personne,  scriveva 
di  proprio  pugno  Luigi  XIV  nelle  istruzioni  che  dava  a  suo  nipote  Filippo, 
che  andava  a  regnare  in  Spagna  (Vedi  Michels,  La  sociologia  del  partito  poli- 
tico, pag.  365). 


PARTE   II.    CAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  409 

yamen  in  Cliina,  il  Divano  in  Turchia,  il  Ba-ku-fu  nel  Giappone 
dei  Tokugava  (1).  Ma  ordinariamente  in  questo  piccolo  gruppo  vi 
è  un  individuo  il  quale  ad  una  maggiore  capacità  di  lavoro  ac- 
coppia una  più  forte  e  più  ferma  volontà  di  dominio  e  che  perciò 
predomina  sugli  altri.  Quando  il  principe  titolare  regna  ed  il  primo 
ministro  governa,  e  le  circostanze  esigono  un  cambiamento  ra- 
dicale d'indirizzo  politico,  esso  si  può  effettuare  cambiando  il  mi- 
nistro e  lasciando  in  piedi  la  dinastia  ed  il  sovrano  regnante. 
Naturalmente  di  fronte  a  questo  vantaggio  sorge  il  pericolo  che 
il  sovrano  di  fatto,  cioè  colui  che  effettivamente  governa,  si  sforzi 
di  conservare  il  potere  per  tutta  la  vita  e  cerchi  anche  di  trasmet- 
terlo ai  suoi  figli  ;  come  accadde  in  Francia  all'epoca  dei  maestri 
di  palazzo  ed  è  accaduto  replicatamente  nel  Giappone,  dove,  assai 
prima  che  s'istituisse  lo  Shogunato  dei  Tokugava,  il  potere  del 
Mikado  era  diventato  nominale  ed  era  di  fatto  esercitato  dal  capo 
di  qualche  grande  famiglia  feudale  (2). 

Non  è  facile  di  teorizzare  sul  come  e  sul  quando  diventa  neces- 
saria la  divisione  accennata  del  potere  autocratico.  Certo  è  che 
essa  si  rende  inevitabile  quando  la  dinastia  autocratica  è  invec- 
chiata ed  ammollita,  sicché  l'autocrate  legale,  chiuso  nel  suo  pa- 
lazzo e  spesso  snervato  dai  piaceri  sensuali,  perde  ogni  contatto 
coi  grandi  e  col  popolo  e  non  conosce  più  l'arte  di  fare  agire  le 
ruote  della  macchina  statale.  Ma  non  mancano,  specialmente  in 
Europa,  numerosi  esempi  di  discendenti  di  antiche  dinastie,  che 
come  Carlo  V  e  Filippo  II  di  Spagna,  Luigi  XIV  di  Francia, 
Vittorio  Amedeo  II  di  Savoia,  Pietro  il  grande  di  Russia  e  Fe- 
derico il  grande  di  Prussia,  hanno  saputo  dirigere  effettivamente 
il  governo  dei  loro  Stati.  Studiando  uno  ad  uno  i  personaggi  in- 
dicati, e  quegli  altri  che  si  potrebbero  indicare,  facilmente  si  po- 
trebbe constatare  che,  malgrado  la  varietà  dei  caratteri  individuali, 
essi  avevano  comuni  due  qualità  fondamentali  :  cioè  una  grande 
capacità  di  lavoro  fisico  ed  intellettuale  ed  una  forte  volontà  di 
dominio. 


(1)  Vedi  Dk  la  Mazelièrk,  Le  Japon,  volume  III,  libro  VI.  Paris,  Plon  edi- 
tore, 1907. 

(2)  Vedi  De  la  Mazelièrk,  opera  citata,  specialmente  il  volume  II,  cap.  II. 
Fra  le  grandi  famiglie  accennate  le  più  celebri  furono  quelle  dei  Taira,  dei 
Minamoto,  degli  Hojo  e  degli  Ashikaga. 


410  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

È  naturale  ohe  in  ori<?ine,  e  si  potrebbe  anche  dire  a  caso  ver- 
gine, la  scolta  dell'autocrate  coadiutore,  che  esercita  il  potere  ef- 
fettivo, spetti  all'autocrate  titolare,  e  che  il  primo  perciò  debba 
essersi  saputa  accaparrare  la  fiducia  del  secondo.  Ma  col  tempo 
un  carattere  forte  può  acquistare  tale  ascendente  sopra  un  carat- 
tere debole  che  questo  non  oserà  più  revocare  ciò  che  una  volta 
ha  liberamente  concesso;  sicché  il  mandatario  volontariamente 
scelto  può  diventare  un  tutore  che  si  subisce.  Si  aggiunga  che  la 
prima  e  la  più  urgente  cura  del  vice-principe  è  quasi  sempre 
quella  di  mettere  in  tutte  le  cariche  elevate  persone  legate  a  lui 
da  vincoli  di  famiglia,  di  riconoscenza,  o,  meglio  ancora,  da  com- 
plicità in  azioni  basse  od  in  vere  ribalderie.  Poiché  cosi  facendo 
egli  può  contare  sulla  fedeltà  della  camarilla  che  ha  contatti  fre- 
quenti col  principe  e  tenere  da  lui  studiosamente  lontani  tutti 
coloro  che  ad  essa  non  appartengono. 

Del  resto  la  formazione  di  un  gruppo  di  persone,  che,  secondo 
i  casi,  può  comprendere  due  o  tre  dozzine  o  anche  un  centinaio  d'in- 
dividui, i  quali  monopolizzano  la  direzione  dello  Stato  e  occupano, 
alle  volte  a  turno,  le  cariche  più  importanti,  è  un  fatto  che  av- 
viene in  tutte  le  autocrazie,  anzi  in  tutte  lo  forme  di  regime  poli- 
tico. Variano  soltanto  i  criteri  con  i  quali  questo  gruppo,  che  forma 
il  primo  strato  della  classe  dirigente,  viene  selezionato,  a  seconda 
che  il  regime  è  autocratico  o  liberale  o  che  prevale  la  tendenza 
democratica  o  quella  aristocratica.  Ma,  in  tutti  i  casi  ed  in  tutti  i 
regimi,  un  criterio  costante,  e  che  ha  sempre  grande  importanza, 
consiste  nel  gradimento  di  coloro  che  del  gruppo  già  fanno  parte. 
In  tempi  normali,  quando  si  tratta  di  arrivare  ad  uno  dei  posti 
che  permettono  di  disporre  effettivamente  di  una  parte  delle  forze 
di  uno  Stato,  e  quindi  della  sorte  di  molti  individui,  quasi  sempre 
sono  necessari  il  consenso  o  almeno  la  simpatia  e  l'acquiescenza 
di  coloro  che  ai  posti  accennati  sono  già  arrivati.  Non  per  nulla 
dice  il  proverbio  che  non  si  entra  in  Paradiso  a  dispetto  dei  santi. 

Nei  paesi  nei  quali  prevale  nello  stesso  tempo  il  principio  au- 
tocratico e  la  tendenza  aristocratica,  il  gruppo  al  quale  abbiamo 
accennato  viene  formato  a  preferenza  dai  membri  della  più  alta 
nobiltà,  i  quali  dalla  nascita  sono  destinati  ad  occupare  gli  uffici 
e  le  mansioni  più  importanti  dello  Stato.  La  Corte  allora  suole 
spesso  essere  il  teatro  dove  si  svolgono  le  gare  di  preminenza  fra 
le  più  grandi  famiglie  del  reame,  come  avveniva  in  Francia  al- 


PARTE    li.    OAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECO.  411 

l'epoca  delle  lotte  fra  il  conte  di  Armagnac  ed  il  duca  di  Bor- 
gogna, in  Sicilia  nella  seconda  metà  del  secolo  decimoquarto  ed 
in  Spagna  sotto  il  debole  Carlo  II.  Ma,  quando  il  sovrano  titolare 
ha  ingegno  e  forza  di  volontà,  riesce  alle  volte  a  rompere  il  cerchio 
delle  camarille  aristocratiche,  che  lo  servono  e  nello  stesso  tempo 
lo  padroneggiano,  e  spesso  lo  padroneggiano  più  di  quanto  lo 
servano,  e  lo  rompe  portando  a  posti  molto  elevati  persone  di  na- 
scita mediocre,  che,  dovendo  tutto  a  lui,  sono  strumenti  più  effi- 
caci e  più  fedeli  della  sua  politica.  Si  sa  infatti  che  i  due  princi- 
pali ministri  di  Luigi  XIV,  Colbert  e  Louvois,  non  appartenevano 
all'alta  nobiltà  francese,  e  che  Pietro  il  Grande  di  Russia  affidò 
spesso  cariche  elevate  ad  avventurieri  di  origine  straniera  o  anche 
a  Hussi  di  bassa  estrazione.  Nelle  autocrazie  orientali  non  era 
neppure  inaudito  il  caso  di  persone  di  origine  molto  bassa  che 
arrivavano  prima  alle  cariche  più  elevate  e  poi  al  potere  supremo, 
e  si  potrebbero  citare  gli  esempi  di  Basilio  il  Macedone  nel  secolo 
nono  a  Bisanzio  e  di  Nadir  Scià  nella  Persia  del  secolo  decimot- 
tavo  (1).  Non  occorre  dire  che  queste  carriere  eccezionali  erano 
dovute  ad  una  straordinaria  assistenza  della  fortuna,  a  doti  eccezio- 
nali d'intelletto  e  sopratutto  all'arte  di  valersi  di  tutte  le  circostanze 
propizie  per  salire  in  alto;  la  quale  arte  consiste  sopratutto  nel 
sapersi  rendere  utili,  e  meglio  ancora  necessari,  a  coloro  che  già 
si  trovano  in  alto,  sfruttandone  tutte  le  qualità  buone  e  cattive. 


(1)  Basilio  il  Macedone,  morto  nell'ottocento  ottantasei,  era  figlio  di  un  con- 
tadino. Assunto  prima,  per  la  sua  abilità  a  governare  i  cavalli,  come  scudiero 
di  uno  dei  grandi  della  Corte,  egli,  in  grazia  della  sua  intelligenza  ed  energia, 
riuscì  a  diventare  prima  il  favorito  e  poi  il  collega  dell'imperatore  Michele  III, 
e,  quando  questi  si  volle  sbarazzare  di  lui,  egli  si  sbarazzò  dell'imperatore  as- 
sassinandolo e  riuscendo  a  sostituirlo.  Non  tenendo  conto  delle  arti  e  dei  de- 
litti coi  quali  era  arrivato  al  trono,  si  può  giudicarlo  come  uno  dei  migliori 
imperatori  che  abbia  avuto  Bisanzio.  —  Nadir  Scià,  figlio  di  un  capo  tribù  turco- 
manno,  esordì  come  capo  brigante  ;  dopo  varie  vicende  entrò  al  servizio  di 
Tamasp  2°  Scià  di  Persia  della  dinastia  dei  Soiì,  in  seguito  lo  depose  e  fece 
prima  proclamare  Scià  un  figlio  bambino  di  Tamasp,  di  cui  Nadir  diventò  il 
tutore;  poco  dopo  fece  uccidere  il  padre  ed  il  figlio  e  si  fece  proclamare  Scià 
nel  1736.  Energico  ma  crudelissimo,  rialzò  all'estero  il  prestigio  della  Persia  e 
riuscì  a  prendere  Delhi,  capitale  dell'impero  del  Gran  Mogol,  facendovi,  dicesi, 
un  bottino  del  valore  di  due  miliardi.  Morì  alla  sua  volta  assassinato  nel  1747. 
Tanto  Basilio  che  Scià  Nadir  avrebbero  potuto  fornire  due  magnifici  esempi 
degni  di  essere  citati  da  Machiavelli  nel  Principe  accanto  a  quelli  di  Agatoele 
e  di  Cesare  Borgia. 


412  blbmbuti  di  soibnza  politica 

III.  —  Al  di  sotto  del  primo  strato  della  classe  dirigente  ve 
ne  è  sempre,  e  quindi  anche  nei  regimi  autocratici,  un  altro  molto 
più  numeroso,  che  comprendo  tutte  le  capacità  direttrici  del  paese. 
Senza  di  esso  qualuncjue  organizzazione  sarebbe  impossibile,  perchè 
il  primo  strato  non  basterebbe  da  solo  ad  inquadrare  e  dirigere 
l'azione  delle  masse.  Sicché  dal  grado  di  moralità,  d'intelligenza 
e  di  attività  di  questo  secondo  strato  dipende  in  ultima  analisi  la 
consistenza  di  qualunque  organismo  politico,  la  quale  suole  essere 
tanto  più  grande  quanto  maggiore  è  la  pressione  che  il  senso 
degli  interessi  collettivi  della  nazione  o  della  classe,  riesce  ad 
esercitare  sulle  cupidigie  individuali  di  coloro  che  ne  fanno  parte. 
Perciò  le  deficienze  intellettuali  e  morali  di  questo  secondo  strato 
rappresentano  per  l'organismo  politico  un  pericolo  più  grave  e 
più  difficilmente  rimediabile  di  quello  nel  quale  si  incorre  quando 
le  stesse  deficienze  si  riscontrano  nelle  poche  dozzine  di  persone 
che  tengono  in  mano  i  meccanismi  della  macchina  statale  (1). 

Nei  regimi  autocratici  primitivi,  ed  in  generale  in  quelli  più 
antichi,  questo  secondo  strato  della  classe  politica  era  quasi  sempre 
formato  dai  sacerdoti  e  dai  guerrieri.  Cioè  da  quello  due  cate- 
gorie di  persone  che  disponevano  della  forza  materiale  e  della 
direzione  intellettuale  e  morale  della  società  e  che,  come  conse- 
guenza più  che  come  causa,  del  predominio  intellettuale  e  mo- 
rale, avevano  anche  quello  economico;  e,  date  queste  condizioni 
della  società,  era  naturale  che  al  regime  autocratico  si  accop- 
piasse quasi  sempre  il  prevalere  della  tendenza  aristocratica.  Ma, 


(1)  Porteremo  in  proposito  un  paragone  che  la  recente  guerra  mondiale  lia 
reso  facilmente  comprensibile.  Si  sa  ora  da  molti  che  la  saldezza  di  un  eser- 
cito dipende  principalmente  dal  valore  intellettuale  e  sopratutto  morale  degli 
ufficiali  che  hanno  contatto  diretto  colle  truppe,  a  cominciare  dal  colonnello 
e  terminando  col  sottotenente.  Sicché  se,  per  un  caso  impossibile,  scomparissero 
di  un  tratto  tutti  i  generali  e  gli  ufficiali  di  stato  maggiore  un  esercito  su- 
birebbe una  scossa  gravissima,  ma  esso  potrebbe  restare  in  piedi  e  gli  scom- 
parsi potrebbero  essere,  più  o  meno  bene,  in  pochi  mesi  sostituiti,  promovendo 
i  migliori  comandanti  di  reggimento  e  facendo  entrare  nello  stato  maggiore 
altri  ufficiali  fra  i  più  colti.  Ma,  se  scomparisse  di  un  tratto  tutta  l'ufficialità 
che  inquadra  i  soldati,  l'esercito  si  dissolverebbe  prima  che  fosse  possibile  di 
sostituirla.  Ora  il  primo  strato  della  classe  politica  corrisponde  ai  generali  ed 
allo  stato  maggiore,  il  secondo  agli  ufficiali  che  conducono  personalmente  la 
trupi3a  di  qualunque  arma  al  fuoco. 


PARTE    li.    GAP.    IV    -    PBINOIP!    B    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  413 

col  decorrere  del  tempo,  colla  fusione  completa  della  razza  con- 
quistatrice colla  conquistata,  là  dove  la  differenziazione  delle 
classi  era  dovuta  in  origine  all'invasione  di  popoli  stranieri,  col- 
l'aumento  della  civiltà  e  quindi  della  ricchezza  e  della  cultura,  e 
colla  conseguente  necessità  di  una  preparazione  tecnica  per  bene 
disimpegnare  le  cariche  pubbliche,  le  autocrazie  aristocratiche  si 
sono  quasi  sempre  più  o  meno  trasformate  in  autocrazie  burocra- 
tiche. Tali  erano  infatti  l'impero  romano,  specialmente  dopo  Dio- 
cleziano, e  quello  bizantino,  l'impero  chinese,  almeno  negli  ultimi 
secoli  della  sua  esistenza,  la  Russia  dopo  Pietro  il  Grande,  i  prin- 
cipali Stati  europei  nel  secolo  decimottavo  e,  con  qualche  riserva, 
poteva  anche  essere  considerato  come  un'autocrazia  burocratica  il 
Giappone  dopo  la  creazione  dello  Shogunato  dei  Tokugava  (1). 

Perchè  un'autocrazia  inizi  la  burocratizzazione  di  un  grande 
Stato  è  senza  dubbio  necessario  che  l'organizzazione  politica  sia 
già  cosi  salda  da  potere  regolarmente  prelevare  una  parte  delle 
entrate  dei  privati  sufficiente  a  fornire  un  trattamento  ai  pubblici 
funzionari  ed  a  potere  mantenere  una  forza  armata  permanente. 
Ma,  come  spesso  avviene  nei  fenomeni  sociali,  alla  sua  volta  una 
burocratizzazione  già  bene  iniziata  permette  di  accrescere  gran- 
demente l'efficacia  coercitiva  della  macchina  statale  e  rende  quindi 
possibile  alla  classe  dirigente,  e  sopratutto  al  gruppo  che  la  guida, 
di  esercitare  un'azione  sempre  più  forte  sulle  masse  governate, 
orientandone  gli  sforzi  verso  i  fini  voluti  dai  governanti.  In  altre 
parole,  un'autocrazia  burocratizzata  è  un'autocrazia  perfezionata, 
con  tutti  i  vantaggi  e  gli  inconvenienti  dovuti  al  perfezionamento. 
Tra  i  primi  si  possono  enumerare  la  possibilità  di  affidare  le  di- 
verse funzioni  dirigenti  agli  specialisti,  e  quella  di  aprire  le  porte 
alle  capacità  provenienti  dagli  strati  meno  elevati  della  società  e 
di  fare  così  largo  al  merito  personale.  Rendendo  con  ciò  omaggio 
ad  un  canone  di  giustizia  distributiva,  che  ha  avuto  sempre  presa 
nel  cuore  degli  uomini,  e  che  ne  ha  sopratutto  oggi;  canone  che 
vorrebbe  stabilire  un  rapporto  esatto  e  quasi  matematico  fra  il 
servizio  che  ogni  individuo  rende  alla  società  ed  il  grado  che  egli 
raggiunge  nella  gerarchia  sociale. 


(1)  Vedi  De  la  Mazelièrk,  opera  citata,  volume  III,  libro  VI.  Si  sa  ohe  dopo 
clie  Jeyasu,  il  quale  regnò  dal  1598  al  1616,  ebbe  fondato  lo  Shogunato  dei 
Tokugava,  il  potere  dei  daimios,  o  grandi  feudatari,  fu  molto  limitato. 


414  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Ma,  come  scrive  il  Ferrerò,  il  meritxD  personale,  è  una  delle  cose 
che  le  passioni  e  gli  interessi  degli  uomini  sanno  meglio  falsifi- 
care (1).  E  si  potrebbe  forse  aggiungere  che  nei  regimi  autocra- 
tici, dove  il  successo  dipende  dal  giudizio  di  una  o  di  poche  per- 
sone, può  bastare  per  falsificare  l'intrigo;  mentre  in  quelli  liberali, 
sopratutto  quando  prevale  anche  la  tendenza  democratica,  ed  occorre 
quindi  per  farsi  avanti  anche  la  stima  e  la  simpatia  attiva  di  molti, 
all'intrigo  bisogna  accoppiare  una  buona  dose  di  ciarlataneria.  Ad 
ogni  modo,  anche  prescindendo  da  questa  obiezione  pregiudiziale, 
e,  se  si  vuole,  troppo  pessimista,  è  certo  che  ogni  giudizio  sul  me- 
rito e  sulle  attitudini  di  una  persona  sarà  sempre  più  o  meno  sub- 
biettivo  e  che  perciò  ogni  giudice  apprezzerà  maggiormente,  ed 
in  piena  buona  fede,  nei  candidati,  quelle  qualità  intellettuali  e 
morali  che  egli  stesso  possiede.  Ed  è  questa  certamente  una  delle 
ragioni  principali  di  quel  conservatorismo  cieco,  di  quell'incapa- 
cità a  correggere  i  propri  vizi  e  le  proprie  debolezze  che  spesso 
si  riscontra  nei  regimi  esclusivamente  burocratici  (2). 

E  per  evitare  questo  grave  inconveniente  non  basta  che  i  fun- 
zionari superiori,  dai  quali  dipende  l'ammissione  e  la  carriera  di 
quelli  inferiori,  siano  persone  di  alto  intelletto,  ma  bisogna  pure 
che  abbiano  il  cuore  molto  generoso  ed  elevato.  Difatti  alle  volte 
anche  le  persone  dotate  delle  qualità  più  rare  ed  eccelse  dell'in- 
telletto umano  prediligono  coloro  che  hanno  le  qualità  più  comuni 
e  secondarie,  le  quali  danno  meno  ombra  al  superiore  e  lo  com- 
pletano meglio.  Poiché  coloro  che  le  posseggono  fanno  ciò  che 
egli  non  sa  fare,  o  disdegna  di  fare,  e  sono  quasi  sempre  più 
insinuanti,  non  avendo,  o  sapendo  meglio  dissimulare,  quella  bal- 
danza giovanile,  che  spesso  può  sembrare  od   anche  essere  pre- 


fi)  Vedi  Guglielmo  Ferrerò,  Memorie  e  Confessioni  di  un  sovrano  deposto. 
Milano.  Treves,  1920,  pag.  29. 

(2)  Si  potrebbe  citare  in  proposito  l'esempio  della  China,  dove,  nella  se- 
conda metà  del  secolo  deciraonono  l'alto  mandarinato,  composto  di  persone 
colte,  ma  la  cui  cultura  era  quella  antica  e  tradizionale  nel  paese,  si  oppose 
tenacemente  ad  un  nuovo  reclutamento  dei  fuzionari  basato  sulla  conoscenza 
delle  lingue  e  delle  scienze  europee.  Viceversa  nel  Giappone  gli  uomini  che 
diressero  la  grande  riforma  del  1868  compresero  subito  la  necessità  di  appren- 
dere la  cultura  europea,  ma  quegli  uomini,  benché  quasi  tutti  provenissero 
dalla  classe  dei  samurai  e  fossero  persone  colte,  non  erano  letterati  e  scien- 
ziati di  professione. 


PARTE    II.    GAP,    IV    -    PRIXCIPÌ    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  41S 

sunzione,  e  che  di  frequente  si  riscontra  negli  uomini  di  verde 
età  e  d'ingegno  vivace;  i  quali  riescono  spesso  a  vedere  subito 
ciò  che  gli  altri,  anche  vecchi,  o  non  vedono  affatto  o  vedono 
molto  tardi. 

Che  se  poi,  diffidando  della  umana  imparzialità,  alla  scelta  ed 
all'indicazione  dei  superiori  si  vogliono  sostituire  regole  di  avan- 
zamento meccaniche,  le  quali  non  possono  essere  basate  che  sulla 
anzianità,  avviene  infallibilmente  che  uguale  è  la  carriera  del 
pigro  e  del  solerte,  dell'intelligente  e  del  mediocre,  e  che  quindi 
il  funzionario,  persuaso  che  far  meglio  e  più  degli  altri  non  serve 
a  nulla,  farà  solo  quel  minimo  che  è  indispensabile  per  non  per- 
dere il  posto  o  la  promozione.  Allora  le  carriere  burocratiche  ten- 
dono a  diventare  l'asilo  dei  mediocri  o  di  coloro  che  hanno  ur- 
genza assoluta  di  avere  un  posto  rimunerato  per  potere  provvedere 
alla  propria  sussistenza,  ed  un  uomo  intelligente  che  entra  nella 
burocrazia  consacra  al  suo  ufficio  solo  una  parte,  e  spesso  non 
quella  migliore,  della  propria  attività  e  del  proprio  ingegno. 

Va  da  se  che,  per  quanto  una  burocrazia  possa  essere  legal- 
mente aperta  a  tutte  le  classi  sociali,  di  fatto  essa  viene  quasi 
sempre  reclutata  nella  classe  media,  cioè  in  quel  secondo  strato 
della  classe  dirigente  di  cui  abbiamo  parlato;  perchè  i  nati  in 
questa  classe  trovano  assai  più  facilmente  i  mezzi  di  procacciarsi 
l'istruzione  necessaria  e  nello  stesso  ambiente  familiare  acquistano 
la  nozione  pratica  dei  modi  più  adatti  per  entrare  nella  carriera 
e  per  fare  carriera;  e  non  occorre  neppure  dire  quanto  possano  a 
ciò  giovare  la  guida  e  la  protezione  del  padre  o  di  parenti  ed  amici 
di  famiglia  altolocati.  Perciò  si  può  in  genere  affermare  che,  sia 
nel  regime  autocratico  puro,  sia  in  quello  combinato  con  il  re- 
gime liberale,  quasi  identico  è  il  livello  morale  della  burocrazia 
e  della  classe  dirigente  del  paese.  Quindi  è  più  elevato  dove  questa 
classe  ha  tradizioni  radicate  di  probità  e  di  onore,  perchè  da  più 
lungo  tempo  formata  e  raffinata  e  da  molte  generazioni  si  è  con- 
sacrata al  servizio  dello  Stato,  tanto  nelle  carriere  civili  che  in 
quella  militare.  Ed  è  più  basso  quando  essa  è  di  data  più  recente, 
e  proviene  o  da  avventurieri  procaccianti  e  fortunati  o  da  famiglie 
di  contadini  e  piccoli  commercianti,  appena  digrossate,  nelle  quali, 
sebbene  abbiano  acquistato  una  certa  agiatezza,  molto  spesso  an- 
cora perdm-ano  la  mancanza  di  ogni  idealità  e  la  inveterata  e 
sordida  avidità  del  grosso  ed  anche  del  piccolo  guadagno. 


416  BLBMKNTI    DI    SOIENZA    POLITICA 

E  in  questi  casi  che  l'organizzcazione  burocratica  dà  i  frutti 
pofj^iori:  che  sarebbero  il  favoritismo  sfacciato  dei  superiori,  la 
bassa  servilità  dei  subalterni,  in  tutli  la  tendenza  a  barattare  con 
favori  di  qualsiasi  genere  quel  tanto  d'autorità  che  la  carica  mette 
a  loro  disposizione.  Nei  casi  ])iù  gravi  il  baratto  si  converte  in 
vendita,  ed  allora  si  ha  quella  corruzione  pecuniaria  che,  quando 
diventa  comune  nei  gradi  alti  e  bassi  della  scala  burocratica,  dis- 
grega e  paralizza  ogni  azione  dello  Stato.  Difetto  poi  comune  a 
tutte  le  burocrazie,  e  quindi  anche  a  quelle  moralmente  più  ele- 
vate, è  la  convinzione  della  propria  infallibilità;  perla  quale  sono 
sempre  oltremodo  restie  ad  accogliere  quelle  critiche  e  quei  sug- 
gerimenti che  provengono  da  persone  estranee  alla  loro  carriera. 

IV.  —  Abbiamo  già  visto  nelle  pagine  precedenti  come  il 
principio  liberale  abbia  uno  stato  di  servizio  più  brillante,  ma  certo 
più  ristretto  e  i3Ìù  breve,  di  quello  autocratico.  Agli  esempi  di  Stati 
liberali  antichi  e  moderni  che  allora  abbiamo  addotto,  si  potreb- 
bero aggiungere  quelli  della  Polonia,  delFOlanda,  delle  città  an- 
seatiche, di  Genova,  di  Firenze  e  della  Svizzera,  paesi  nei  quali 
il  regime  liberale  durò  più  o  meno  lungamente,  e  finalmente  di 
Venezia,  dove  un  regime  liberale,  nel  senso  da  noi  attribuito  al 
vocabolo,  e  nello  stesso  tempo  oligarchico,  prevalse  per  molti 
secoli.  Ma  anche  quasi  tutti  gli  altri  Stati  che  abbiamo  menzio- 
nato, ad  eccezione  di  qualche  piccolo  cantone  della  Svizzera,  erano 
governati  da  aristocrazie  più  o  meno  ristrette,  ed  in  Polonia,  cioè 
in  quello  che  raggiungeva  la  massima  estensione,  l'aristocrazia 
presto  degenerò  in  una  turbolenta  anarchia. 

Come  abbiamo  pure  accennato,  le  caratteristiche  del  regime  li- 
berale consistono  nel  fatto  che  la  legge  è  basata  sul  consenso  della 
maggioranza  dei  cittadini,  i  quali  però  possono  anche  essere  una 
esigua  frazione  degli  abitanti  dello  Stato,  e  che  i  funzionari  i 
quali  la  applicano  sono  nominati  direttamente  od  indirettamente 
dai  loro  subordinati  e  sono  temporanei  e  responsabili  della  lega- 
lità dei  loro  atti.  Nei  grandi  Stati  liberali  generalmente  i  cittadini, 
anziché  esercitare  personalmente  il  potere  legislativo,  lo  delegano 
ad  assemblee  direttamente  od  indirettamente  da  loro  nominate,  e 
l'azione  dei  funzionari  elettivi  viene  completata  ed  integrata  da 
una  vera  e  propria  burocrazia.  Inoltre,  dove  prevale  il  principio 
liberale,  lo  Stato  suole  riconoscere  certi  limiti  ai  suoi  poteri  nei 


PARTE    II.    GAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECO.  417 

suoi  rapporti  coi  singoli  cittadini  e  coi  sodalizi  da  essi  formati. 
Questi  limiti,  non  completamente  ignoti  alla  Grecia  classica  ed  a 
Roma  antica,  sono  quasi  sempre  sanciti  nei  moderni  Statuti  e  ri- 
guardano la  libertà  di  religione,  di  stampa,  d'insegnamento,  di 
associazione  e  riunione  e  le  guarentigie  per  la  libertà  personale, 
per  la  proprietà  privata  e  Tinviolabilità  del  domicilio. 

Anche  negli  Stati  nei  quali  prevale  il  principio  liberale  tro- 
viamo quei  due  strati  della  classe  dirigente,  il  primo  molto  pic- 
colo, il  secondo  molto  più  largo  e  profondo,  dei  quali  abbiamo 
parlato  a  proposito  del  regime  autocratico.  Il  sistema  elettivo  non 
esclude  infatti  che  si  formino  dei  gruppi  jjìù  o  meno  chiusi,  i  quali 
si  contendono  le  cariche  più  elevate  dello  Stato  e  fanno  capo 
ciascuno  ad  un  pretendente  alla  carica  più  elevata,  che  potrebbe 
essere  quella  di  Presidente  della  Repubblica  o  di  Presidente  del 
Consiglio  dei  Ministri;  gruppi  che  corrispondono  alle  camarille  di 
Corte,  fra  le  quali  nelle  autocrazie  si  scelgono  i  coadiutori  imme- 
diati del  supremo  gerarca.  Naturalmente  i  metodi  usati  sono  di- 
versi, perchè  nelle  autocrazie  per  arrivare  basta  influire  sopra  di 
uno  o  di  pochi  uomini,  sfruttandone  tutte  le  passioni  buone  e  cat- 
tive; mentre  nei  regimi  liberali  bisogna  guidare  la  volontà  di  al- 
meno tutto  il  secondo  strato  della  classe  dirigente,  il  quale,  se 
non  costituisce  da  solo  il  corpo  elettorale,  fornisce  i  quadri  che 
ne  formano  le  opinioni  e  ne  determinano  Fazione.  Perchè  dal  suo 
seno  escono  i  comitati  che  dirigono  le  associazioni  politiche,  gli 
oratori  dei  comizi  ed  i  redattori  dei  giornali,  ed  infine  quel  piccolo 
numero  di  persone  capaci  di  formarsi  una  opinione  propria  sugli 
uomini  e  sugli  avvenimenti  del  giorno  e  che  perciò  esercitano  una 
grande  influenza  sui  moltissimi  incapaci,  e  preparati  quindi,  senza 
saperlo,  ad  accogliere  sempre  quella  degli  altri. 

Molto  diversi  sono  i  risultati  che  dà  l'applicazione  del  principio 
liberale  a  seconda  che  il  corpo  elettorale,  dal  quale  dipende  la 
scelta  di  coloro  che  occupano  le  cariche  pubbliche  più  elevate,  è 
molto  ristretto,  ovvero  molto  largo. 

Nel  primo  caso  è  evidente  che  una  buona  parte  della  classe  po- 
litica, o  di  coloro  che  avrebbero  le  attitudini  a  farne  parte,  ne 
resta  esclusa.  Questa  esclusione  fa  si  che  il  regime  liberale  diventi 
molto  somigliante  ad  un'autocrazia  larvata  di  una  classe  ristret- 
tissima, che  alle  volte  si  riduce  a  poche  famiglie  potenti  e  quasi 
onnipotenti,  come  accadeva  in  Polonia  negli  ultimi  decenni  ante- 

Q-.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  27 


418  ELEMENTI    DI   80IBNZA   POLITIOA 

riori  alla  sua  spartizione.  Inoltre  quando  il  corpo  elettorale  è  molto 
ristretto,  quiisi  tutti  ^'li  elettori  sono  o  jjossono  credersi  effettiva- 
mente eleggibili,  e  quindi  quasi  tutti  diventano  candidati,  ossia 
giudicabili,  senza  che  resti  un  numero  sufficiente  di  giudici  (1). 

Ordinariamente  perciò  nei  corpi  elettorali  ristrettissimi  o  si  forma 
una  cricca  unica,  composta  dai  titolari  delle  cariche  e  dai  loro 
consorti  e  cointeressati,  o  so  ne  formano  due,  delle  quali  una  sta 
al  potere  e  l'altra  fa  un'opposizione  astiosa  e  sistematica.  I  pochi 
che  si  mantengono  al  di  fuori  delle  due  cricche  ordinariamente 
restano  isolati  e  vengono  lasciati  in  disparte;  e  riescono  ad  eserci- 
tare un'azione  efficace  solo  nei  momenti  critici,  quando  una  serie 
di  gravi  scandali  o  di  grandi  insuccessi  rendono  inevitabile  o  fa- 
cile la  caduta  della  cricca  che  stava  al  potere. 

Nel  secondo  caso,  cioè  quando  tutti  o  quasi  tutti  sono  elettori, 
lo  studio  principale  delle  diverse  organizzazioni  di  partito  in  cui 
si  divide  la  classe  dirigente  diventa  quello  di  captare  i  suffragi 
delle  classi  più  numerose,  che  sono  necessariamente  le  più  povere 
ed  indotte.  La  prima  e  la  più  spontanea  e  naturale  aspirazione  di 
queste  classi,  costrette  a  subire  un  governo  che  spesso  non  amano 
e  del  quale  ancora  più  spesso  non  capiscono  gli  scopi  e  gli  in- 
granaggi, sarebbe  quella  di  esser  governata  il  meno  possibile, 
ossia  di  fare  per  lo  Stato  il  minor  numero  possibile  di  sacrifizi; 
la  seconda,  che  si  sviluppa  sopratutto  coll'esercizio  del  suffragio, 
sarebbe  quella  di  trarre  da  esso  profitto  per  migliorare  la  propria 
situazione  economica  e  per  sfogare  quel  risentimento  compresso  e 
quell'invidia  che  spesso,  non  sempre,  l'uomo  che  sta  in  basso  sente 
per  colui  che  sta  in  alto,  e  specialmente  per  colui  che  è  il  suo 
superiore  immediato. 

Or,  quando  nella  lotta  fra  le  diverse  frazioni  della  classe  diri- 
gente il  successo  dipende  dall'appoggio  e  dalla  simpatia  delle 
masse  popolari,  è  inevitabile  che  quella  frazione,  la  quale  dispone 


(1)  Qualche  cosa  di  simile  avviene  in  certe  Camere  elettive  nei  paesi  retti 
a  governo  parlamentare,  nei  quali  la  frequenza  delle  crisi  di  gabinetto  e  la 
difficoltà  di  comporre  i  nuovi  Ministeri  dipendono,  almeno  in  parte,  dal  fatto 
che  molto  numerosi  sono  i  deputati  che  aspirano  a  diventare  ministri  o  sotto- 
segretari di  Stato.  Cosicché,  essendo  troppi  i  candidati,  vengono  a  scarseg- 
giare i  giudici,  i  quali  dovrebbero  essere  costituiti  da  coloro  che  non  hanno 
alcuna  delle  aspirazioni  accennate. 


PABTE    II.    GAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TEKDENZE   DIVEBSE    ECC.  419 

di  mezzi  d'influenza  meno  efficaci,  si  valga  delle  due  aspirazioni 
accennate,  e  sopratutto  della  seconda,  per  trascinare  con  sé  gli 
strati  più  umili  della  società.  A  questa  frazione  si  uniscono  di 
frequente,  per  sentimento  o  per  interesse,  quegli  individui  che, 
nati  nelle  classi  meno  elevate,  hanno  saputo  da  esse  sollevarsi,  in 
grazia -della  loro  speciale  intelligenza  ed  energia,  ovvero  per  la 
loro  eccezionale  furberia  (1).  Ma,  qualunque  sia  la  loro  origine,  i 
metodi  seguiti  da  coloro  che  vogliono  monopolizzare  e  sfruttare 
la  simpatia  delle  plebi  sono  stati  e  sono  sempre  identici  :  essi  con- 
sistono nel  porre  in  luce,  naturalmente  esagerandoli,  l'egoismo, 
l'insipienza  ed  i  godimenti  materiali  dei  ricchi  e  dei  potenti,  nel 
denunziare  i  loro  vizi  ed  i  loro  errori  reali  ed  immaginari  e  nel 
promettere  di  soddisfare  quel  senso  cosi  comune  e  diffuso  di  gros- 
solana giustizia,  che  vorrebbe  abolita  ogni  gerarchia  sociale  fon- 
data sui  vantaggi  che  conferisce  la  nascita  e  vorrebbe  nello  stesso 
tempo  raggiungere  l'uguaglianza  assoluta  dei  godimenti  e  delle 
pene. 

Accade  poi  spesso  che  i  partiti  ai  danni  dei  quali  si  rivolge  la 
propaganda  demagogica  per  combatterla  usino  mezzi  assai  ana- 
loghi a  quelli  dei  loro  avversari.  Anche  essi  perciò  fanno  pro- 
messe impossibili  a  mantenere,  adulano  le  masse,  ne  lusingano  gli 
istinti  più  rozzi  e  sfruttano  e  fomentano  tutti  i  loro  pregiudizi  e 
tutte  le  loro  cupidigie,  quando  stimano  di  poterne  trarre  van- 
taggio. Ignobile  gara,  nella  quale  coloro  che  ingannano  volonta- 
riamente abbassano  il  loro  livello  intellettuale  fino  a  renderlo 
uguale  a  quello  degli  ingannati,  e  moralmente  scendono  ancora  più 
in  basso  (2). 


(1)  Il  MicHELs  nel  suo  interessantissimo  lavoro  sulla  Sociologia  del  partito 
politico,  e  snecialmente  nella  parte  quarta  del  lavoro  accennato,  studia  con 
molto  acume  il  contributo  apportato  alla  direzione  ed  alla  orjfanizzazione  dei 
partiti  socialisti  delle  varie  nazioni  dagli  elementi  provenienti  dalla  borghesia 
e  da  quelli  usciti  dalla  classe  operaia  e  le  rivalità  e  le  gare  che  spesso  avven- 
gono fra  queste  due  frazioni  degli  stati  maggiori  socialisti. 

(2)  Il  più  antico  saggio  di  eloquenza  tribunizia  è  quello  che  Omero,  nel  canto 
secondo  àelV Iliade,  mette  in  bocca  a  Tersite  il  quale,  uso  a  denigrare  tutti  i 
capi,  accusa  Agamennone  di  arricchirsi  mercè  le  fatiche  e  i  pericoli  soppor- 
tati dai  semplici  soldati  e  di  passare  il  tempo  a  godersi  le  belle  schiave,  ed 
incita  quindi  i  Greci  ad  un  vero  sciopero  militare,  cioè  a  lasciare  solo  il  loro 
duce,  affinchè  riconosca  che  tutto  deve  alle  fatiche  dei  soldati.  Come  insupe- 


420  ELEHUNTI   DI    80IBMZA   POLITICA 


Tatto  sommato  quindi  il  principio  liberale  trova  le  condizioni 
migliori  por  la  sua  applicazione  quando  il  corpo  elettorale  è  com- 
posto in  maggioranza  da  quel  secondo  strato  della  clas.se  dirigente 
che  forma  la  spina  dorsale  di  tutte  le  grandi  organizzazioni  po- 
litiche. Quando  perciò  esso  è  abbastanza  numeroso  perchè  la 
maggior  parte  dogli  elettori  non  possa  aspirare  alle  candidature, 
sicché  i  candidati  possono  trovare  in  essi  doi  giudici  e  non  già 
dei  rivali  o  dei  compari,  e  nello  stesso  tempo  abbastanza  ristretto 
perchè  non  diventi  necessario  per  riuscire  di  rendere  omaggio  alla 
mentalità  ed  ai  sentimenti  delle  classi  più  incolte,  allora  soltanto 
può  diventare,  non  diciamo  completa,  ma  non  del  tutto  illusoria, 
quella  responsabilità  dei  mandatari  verso  i  mandanti,  che  è  uno 
dei  principali  presupposti  del  regime  liberale  (1). 

Come  è  noto,  e  come  abbiamo  accennato,  altro  suo  vantaggio, 
presunto  od  effettivo,  sarebbe  la  pubblica  discussione  degli  atti 
dei  governanti,  sia  nelle  assemblee  politiche  e  nei  consigli  ammi- 
nistrativi, che  per  opera  della  stamjja  periodica.  Ma,  perchè  questo 
ultimo  ed  efficacissimo  mezzo  di  controllo  potesse  realmente  illu- 
minare la  pubblica  opinione,  bisognerebbe  che  i  giornali  non  fos- 


rati  modelli  di  eloquenza  tribunizia,  nei  quali  vendono  magistralmente  esposti, 
in  modo  da  suscitare  un'eco  profonda  nel  cuore  dei  diseredati,  tutti  gli  ar- 
gomenti che  ai  possono  addurre  contro  coloro  che  le  ricchezze  e  le  cariche 
elevate  devono  alla  nascita,  si  possono  citare  il  discorso  che  Sallustio  nel 
capo  LXXXV  della  guerra  giugurtina  mette  in  bocca  a  Cajo  Mario  e  quello 
che  Machiavelli  nel  libro  III  delle  Storie  fiorentine  fa  recitare  ad  un  ignoto 
popolano  in  occasione  del  tumulto  dei  Ciompi.  I  moderni  demagoghi  restano 
quasi  sempre  assai  inferiori  a  questi  classici  modelli. 

(1)  Nella  Teorica  dei  governi  e  nella  prima  parte  di  questo  lavoro  abbiamo 
cercato  di  spiegare  come  in  un  sistema  rappresentativo,  nel  quale  gli  elettori 
sono  molto  più  numerosi  dei  candidati,  gli  eletti  non  possono  essere  mai  il 
risultato  di  una  scelta  spontanea  della  grande  maggioranza  del  corpo  eletto- 
rale, il  quale  di  fatto  'non  ha  che  la  facoltà  di  optare  fra  i  diversi  candidati, 
che  sono  presentati  e  sostenuti  da  piccole  minoranze  organizzate,  composte 
dai  comitati  che  dirigono  i  partiti  politici  o  da  gruppi  di  grandi  elettori. 
Manteniamo  perfettamente  questo  punto  di  vista,  aggiungendo  che,  quando  il 
corpo  elettorale  è  relativamente  colto  ed  intelligente ,  può  fare  la  sua  opzione 
con  discernimento,  mentre  quando  è  inesperto  ed  ignorante  diventa  necessario 
di  impressionarlo  ed  attirarlo  a  se  con  i  più  grossolani  ripieghi.  Avviene  al- 
lora il  fenomeno,  al  quale  abbiamo  teste  accennato,  dell'adattamento  delle 
classi  più  colte  alla  mentalità  ed  ai  pregiudizi  di  quelle  più  incolte. 


PAKTB    II.    OAP.    IV    -    PBINOIPÌ    B    TENDENZE    DIVERSE   ECO.  421 


sero  l'organo  di  camarille  politiche  o  finanziarie,  o  gli  strumenti 
ciechi  di  una  fazione,  e,  quando  lo  sono,  bisognerebbe  che  il  pub- 
blico lo  sapesse  e  potesse  tenerne  conto. 

V.  —  La  tendenza  democratica,  cioè  verso  il  rinnovamento 
delle  classi  dirigenti,  si  può  affermare  che  agisce  costantemente, 
con  maggiore  o  minore  intensità,  in  tutte  le  società  umane.  Alle 
volte  il  rinnovamento  avviene  in  modo  rapido  e  violento,  più  spesso, 
anzi  normalmente,  mercè  la  lenta  infiltrazione  di  alcuni  elementi 
j)rovenienti  dagli  strati  più  umili  nelle  classi  elevate. 

Nel  passato  i  rinnovamenti  violenti  avvenivano  non  raramente 
in  seguito  ad  invasioni  straniere,  quando  un  popolo  veniva  con- 
quistato da  un  altro  popolo  che  si  stabiliva  nello  stesso  paese  e, 
senza  distruggerli  o  cacciarli,  si  sovrapponeva  agli  antichi  abitanti. 
Cosi  avvenne  nell'Europa  occidentale  dopo  la  caduta  dell'impero 
romano,  nella  Persia  dei  Sassanidi  dopo  l'invasione  araba,  in  In- 
ghilterra dopo  la  vittoria  di  G-uglielmo  il  conquistatore,  nell'India 
dopo  l'invasione  dei  Maomettani  ed  in  China  dopo  l'invasione  dei 
Mongoli  e'poi  dopo  quella  dei  Tartari  Mandchù.  Però  in  questo  caso, 
quasi  sempre,  frammenti  dell'antica  aristocrazia  paesana  sono  en- 
trati in  quella  nuova  di  origine  straniera.  E  forse,  in  tutti  i  casi 
snmmentovati,  uno  studio  attento  delle  condizioni  dei  popoli  con- 
quistati ci  farebbe  constatare  che  la  conquista  straniera  è  stata 
quasi  sempre  agevolata  da  un  principio  di  dissolvimento  interno, 
che  aveva  già  indebolito  e  disgregato  la  classe  dirigente  indigena, 
o  l'aveva  moralmente  separato  dal  resto  della  popolazione. 

In  tempi  più  recenti  si  sono  talora  avuti  rinnovamenti  violenti 
e  molto  larghi  delle  antiche  classi  politiche  in  seguito  a  gravi 
rivolgimenti  interni.  Essi  corrispondono  alle  vere  e  proprie  rivo- 
luzioni, ed  avvengono  quando  fra  la  organizzazione  politica  uf- 
ficiale ed  i  costumi,  le  idee  ed  i  sentimenti  di  un  popolo  si  deter- 
mina una  grande  disarmonia  ed  artificiosamente  vengono  tenuti 
in  condizione  subordinata  molti  elementi  che  sarebbero  attissimi 
a  partecipare  alla  direzione  politica.  Un  esempio  classico  di  questo 
genere  si  ebbe  colla  grande  rivoluzione  francese;  un  altro  si  sta 
svolgendo  sotto  i  nostri  occhi  in  Russia  (1). 


(1)  Ormai  è  notorio  che  in  Russia  il  rej^ime    dei    Soviet    ha    potuto  durare 
perchè  ad  esso  ha  in  generale  aderito  la  piccola  borghesia  ebraica,  certo  più 


422  SLBMKMTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


Ma  le  crisi  violenti,  che  cambiano  radicalmente  i  criteri  in  base 
ai  quali  si  reclutano  le  classi  dirigenti  e  che  ne  mutano  o  modi- 
ficano profondamente  nel  giro  di  pochi  anni  il  personale,  possono 
essere  considerate  come  un  fatto  piuttosto  eccezionale,  il  quale  ca- 
ratterizza alcune  epoche  storiche  ;  fatto  che  qualche  volta  ha  dato 
un  energico  impulso  al  progresso  intellettuale,  morale  e  materiale, 
e  qualche  altra  volta  è  stato  l'inizio  o  la  conseguenza  di  un  pe- 
riodo di  decadenza  e  dissoluzione  di  una  civiltà.  Viceversa,  anche 
in  tempi  normali,  possiamo  quasi  sempre  constatare  che  un  lento 
e  graduale  rinnovamento  della  classe  politica  avviene  mediante 
infiltrazioni  di  elementi  provenienti  dagli  strati  inferiori  in  quelli 
superiori  della  società.  Senonchè  questa  tendenza,  che  noi  abbiamo 
chiamato  democratica,  alle  volte  prevale  ed  agisce  in  modo  più 
efficace  e  più  rapido,  alle  volte  invece  più  copertamente,  attra- 
verso mille  ostacoli  creati  dalle  leggi,  dalle  consuetudini  e  dai 
costumi,  e  perciò  in  modo  assai  più  blando. 

Come  abbiamo  già  osservato  nella  prima  parte  di  questo  lavoro, 
la  tendenza  democratica  prevale  più  facilmente  nei  tempi  agitati, 
quando  una  mentalità  nuova  riesce  a  scalzare  le  antiche  conce- 
zioni sulle  quali  si  basava  l'edificio  della  gerarchia  sociale,  quando 
i  progressi  scientifici  e  tecnici  hanno  creato  nuove  fonti  di  gua- 
dagno o  hanno  prodotto  un  cambiamento  negli  ordinamenti  mi- 
litari, o  anche  quando  un  urto  esterno  ha  costretto  una  nazione  a 
fare  appello  a  tutte  le  sue  energie  e  ad  attitudini  che,  in  tempi 
quieti,  sarebbero  rimasti  allo  stato  potenziale  (1).  Perciò  in  gene- 
rale i  cambiamenti  di  religione,  le  nuove  dottrine  filosofiche  e 
politiche,  la  scoperta  di  armi  nuove  o  di  nuovi  strumenti  di  guerra, 


attiva  ed  astuta  e  forse  anche  più  intelligente  di  quella  di  origine  russa;  ed 
è  noto  che,  durante  il  passato  regime,  gli  Israeliti  erano,  con  mille  piccole  e 
grandi  vessazioni,  ostacolati  nelle  loro  aspirazioni  di  conseguire  i  posti  elevati. 
Di  fatti  il  popolino  russo,  che  vede  il  lato  più  appariscente  della  terribile  crisi 
che  travaglia  l'antico  impero  degli  Czar,  spesso  l'attribuisce  senz'altro  alla  ven- 
detta degli  Ebrei. 

(1)  È  notorio  che  le  rivoluzioni  e  le  lunghe  guerre  danno  a  molti  uomini 
nuovi  la  possibilità  di  farsi  valere.  È  stato  da  molto  tempo  osservato  che,  se 
non  vi  fosse  stata  la  rivoluzione  francese,  Napoleone  Bonaparte  sarebbe  pro- 
babilmente diventato  nella  sua  età  matura  un  buon  colonnello  d'artiglieria  ed 
è  pure  sicuro  che,  senza  le  guerre  della  rivoluzione  e  dell'impero,  parecchi 
dei  suoi  marescialli  sarebbero  rimasti  semplici  sottoufficiali. 


PARTE    II.    CAP.    IV    -    PRINCIPI    B    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  423 

l'applicazione  di  nuovi  ritrovati  alla  produzione  economica  e  lo 
stesso  aumento  di  essa,  le  lunghe  guerre,  sono  tutti  elementi  che 
favoriscono  il  rapido  scambio  delle  molecole  che  compongono  i 
vari  strati  sociali.  Aggiungiamo  che  questo  scambio  avviene  sempre 
più  agevolmente  nei  paesi  nuovi,  dove  abbondano  ancora  le  ric- 
chezze naturali  poco  sfruttate,  che  danno  modo  agli  uomini  ener- 
gici ed  intraprendenti  di  arrivare  più  facilmente,  o  almeno  meno 
difficilmente,  alla  ricchezza  e  quindi  alla  notorietà.  Grli  esempi  dei 
diversi  Stati  americani  e  dell'Australia  ci  sembrano  a  questo  ri- 
guardo abbastanza  calzanti  e  persuasivi. 

Non  si  può  negare  che  la  tendenza  democratica,  sopratutto  se 
contenuta  in  limiti  moderati,  sia  in  certo  modo  indispensabile  a 
ciò  che  si  chiama,  e  spesso  è  realmente,  il  progresso  delle  società 
umane.  Infatti,  se  tutte  le  aristocrazie  fossero  riinaste  sempre 
chiuse  ed  immobili,  il  mondo  non  sarebbe  mai  cambiato  e  l'uma- 
nità si  sarebbe  fermata  nello  stadio  raggiunto  all'epoca  delle  mo- 
narchie omeriche  o  degli  antichi  imperi  orientali.  La  lotta  fra 
coloro  che  stanno  in  alto  e  coloro  che,  nati  in  basso,  aspirano  a 
salire  è  stata,  è,  e  sarà  sempre  il  fermento  che  ha  costretto  gli 
individui  e  le  classi  ad  allargare  i  proprii  orizzonti  ed  a  cercare 
quelle  vie  nuove  che  ci  hanno  condotto  fino  al  grado  di  civiltà 
raggiunto  nel  secolo  decimonono.  A  quel  grado  che  ha  reso  pos- 
sibile nel  campo  politico  la  creazione  del  grande  stato  rappresen- 
tativo moderno,  il  quale,  come  abbiamo  visto  nel  precedente  ca- 
pitolo, fra  tutti  gli  organismi  politici  è  quello  che  è  riuscito  a 
coordinare  una  somma  maggiore  di  energie  e  di  attività  indivi- 
duali verso  fini  d'interesse  collettivo. 

Si  può  aggiungere  che  la  tendenza  democratica,  quando  la  sua 
azione  non  tende  a  diventare  eccessiva  ed  esclusiva,  rappresenta 
ciò  che  in  linguaggio  volgare  si  chiamerebbe  una  forza  conserva- 
trice. Perchè  essa  permette  di  rinsanguare  continuamente  le  classi 
dirigenti  mercè  l'ammissione  di  elementi  nuovi,  che  hanno  innate 
e  spontanee  le  attitudini  al  comando  e  la  volontà  di  comandare, 
ed  impedisce  cosi  quell'esaurimento  delle  aristocrazie  della  nascita, 
che  suole  preparare  i  grandi  cataclismi  sociali. 

Però,  come  abbiamo  già  accennato,  a  cominciare  dalla  fine  del 
secolo  decimottavo  e  durante  il  decimonono,  e  forse  anche  oggi, 
da  quando  cioè  il  dogma  dell'uguaglianza  umana,  rimodernato  se- 
condo la  mentalità  dei  tempi,  ha  acquistato  nuovo  vigore,  e  si  è 


424  BLBMBJJTI    DI    BCIKNZA    POLITICA 


riputato  possibile  elio  esso  possa  avoro  completa  applicazione 
nel  mondo  terreno,  molti  hanno  creduto,  e  non  pochi  hanno  finto 
di  credere,  che  ogni  vantaggio  ))roveniente  dalla  nascita  debba, 
col  tempo  0  con  oiiportuni  ordinamenti,  venire  eliminato  e  che 
l'avvenire  potrà  vedere  dei  consorzi  umani  nei  quali  vi  sarà  una 
corrispondenza  completa  fra  il  reale  servizio  reso  alla  società  ed  il 
grado  occupato  nella  gerarchia  sociale  (1). 

Ma,  sebbene  questa  aspirazione  mai  forse  come  ora  sia  stata  dif- 
fusa e  nettamente  formulata,  sarebbe  assurdo  credere  che  sia  nata 
soltanto  poco  meno  di  duecento  anni  fa;  poiché  essa  invece  ha 
sempre  costituito  la  base  morale  di  ogni  attacco  che  mirava  al 
rinnovamento  o  al  rinsanguamento  della  classe  dirigente.  Ogni 
volta  che  si  è  voluto  forzare  la  barriera,  che  separava  un'aristo- 
crazia, di  diritto  o  di  fatto  ereditaria,  dal  resto  della  società,  si  è 
sempre  fatto  appello  in  nome  della  religione  o  dell'uguaglianza 
naturale  degli  uomini  o  almeno  di  quella  dei  cittadini,  ai  diritti 
del  merito  individuale  contro  il  x>rivilegio  della  nascita.  Su  questo 
riguardo  le  democrazie  della  Grecia  e  di  Roma,  i  contadini  inglesi 
guidati  da  "Wat  Tyrel,  i  Ciompi  di  Firenze  e  gli  Anabattisti  di 
Mùnster,  senza  avere  in  mano  la  dichiarazione  dei  diritti  dell'uomo, 
pensavano  ed  operavano  come  i  riformatori  francesi  del  secolo 
decimottavo  e  come  i  comunisti  di  oggi  (2). 

Senonchè,  ogni  volta  che  il  movimento  democratico  ha  potuto 
parzialmente  o  totalmente  trionfare,  abbiamo  visto  costantemente 


(1)  Il  concetto  che  in  uno  Stato  idealmente  organizzato  debba  esservi  una 
corrispondenza  assoluta  fra  il  servizio  i-eso  da  un  individuo  alla  società  ed  il 
grado  che  questi  in  essa  viene  ad  occupare,  fu  per  la  prima  volta  nettamente 
formulatj  da  Saint-Simon,  il  quale  sotto  varia  forma  vi  insiste  in  molte  delle 
sue  opere.  Lo  stesso  concetto  diventò  i^oi  uno  dei  capisaldi  della  scuola  saint- 
simonista,  che  in  altri  campi  molto  si  allontanò  dalle  dottrine  del  suo  Maestro. 
Vedi  in  proposito  la  raccolta  già  citata  delle  opere  di  Saint-Simon  ed  En- 
fantin  e  Beknardo  Mosca,  Il  pensiero  di  Saint-Simon  considerato  dopo  un  secolo, 
pubblicato  nella  "  Riforma  sociale  ,  del  1°  gennaio  1922. 

(2)  Wat  Tyrel  era  il  capo  di  una  nota  ribellione  dei  contadini  inglesi  contro 
i  signori  scoppiata  nel  1381.  Qualche  anno  prima,  mentre  l'insurrezione  si 
preparava,  il  prete  John  Ball  aveva  scritto  i  famosi  versi   tante   volte  citati: 

When  Adam  delved  and  Ève  span 
Wbo  was  then  the  gentleman? 

Non  occorre  ricordare  chi  fossero  i  Ciompi  e  gli  Anabattisti. 


PARTE    II.    GAP.    IV    -    PBINC;PÌ    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  425 

la  tendenza  aristocratica  risorgere  per  opera  di  coloro  stessi  che 
Tavevano  combattuta  e  talora  ne  avevano  proclamato  la  soppres- 
sione. A  Roma  i  plebei  ricchi,  dopo  avere  forzato  le  porte  che 
precludevano  loro  l'accesso  delle  cariche  più  elevate,  si  fusero  col- 
l'antico  patriziato  e  formarono  una  nobiltà  nuova,  nella  quale 
l'accesso  agli  estranei,  legalmente  ijermesso,  era  di  fatto  molto 
diffìcile.  A  Firenze  alle  famiglie  nobili,  delle  quali  si  volle  di- 
struggere l'influenza  politica  mercè  i  famosi  ordinamenti  di  giu- 
stizia, si  sostituì  l'oligarchia  dei  popolani  grassi.  In  Francia  la 
borghesia  del  secolo  decimonono  sostituì  in  parte  la  nobiltà  del- 
Tantico  regime.  Dappertutto,  appena  si  è  abbattuta  l'antica  bar- 
riera, se  ne  è  edificata  un'altra,  talora  forse  più  bassa  e  meno  irta 
di  triboli  e  di  spine,  ma  tale  che  presentava  sempre  un  ostacolo 
abbastanza  efficace  a  coloro  che  la  volevano  superare.  Dapper- 
tutto gli  arrivati  ai  primi  gradini  della  scala  sociale  hanno  costi- 
tuito una  difesa  per  sé  e  per  i  loro  figli  contro  coloro  che  vole- 
vano  arrivare  (1). 

Si  dirà  che  ciò  è  un  prodotto  necessario  della  proprietà  indivi- 
duale, che  rende  ereditaria  la  ricchezza  e  facilita  grandemente  a 
coloro  che  la  ereditano  le  vie  per  arrivare  al  potere  e  per  restarci. 
Ed  è  certo  che  in  questa  obiezione  vi  ò  una  gran  parte  di  verità, 
e  non  diciamo  tutta  la  verità  perchè  le  cognizioni  e  le  relazioni 
dei  padri  possono  essere  trasmesse  jjarzialmente  ai  figli  anche 
quando  la  famiglia  non  ha  un  patrimonio  vero  e  proprio.  Ma 
pochi  si  rendono  oggi  conto  che  in  uno  stato  collettivista  l'incon- 
veniente accennato,  che  ora  ha  per  base  la  proprietà  privata,  non 
sparirebbe,  anzi  si  presenterebbe  in  forma  più  grave.  Perchè,  come 
abbiamo  già  dimostrato  nell'ultimo  capitolo  della  prima  parte  di 
questo  lavoro,  e  come  attualmente  accade  in  Russia,  coloro  che 
reggono  uno  Stato  organizzato  secondo  i  principi  collettivisti 
avrebbero  facoltà  e  mezzi  d'azione  molto  maggiori  dei  ricchi  e 
dei  potenti  di  oggi.  Infatti  in  uno  Stato  collettivista  i  reggitori 
cumulerebbero  il  potere  politico  con  quello  economico  e,  dispo- 
nendo così  della  sorte  di  tutti  gli  individui  e  di  tutte  le  famiglie^ 
avrebbero  mille  modi  di  distribuire  favori  e  castighi  e   sarebbe 


(1)  Vedi  iu  proposito  Gaetano  Mosca,  //  principio  aristocratico  ed  il  demo- 
cratico noi  passato  e  nell'avvenire,  pubblicato  nell'"  Annuario  dell'Università  di 
Torino  ,  del  1902. 


426  BLEUEKTI   DI    SOISKZA    POLITICA 

strano  che  di  queste  facoltà  non  si  valessero  per  procacciare  ai 
loro  fif^li  i  posti  mifcliori. 

Por  abolire  intieramente  il  privilegio  della  nascita  bisognerebbe 
dunque  abolire  anche  la  famiglia  ed  adottare  la  Venere  vaga,  fa- 
cendo discendere  l'umanità  fino  al  livello  della  più  bassa  anima- 
lità (1).  E  crediamo  per  giunta  che  neppure  questo  provvedimento 
cosi  radicale  sarebbe  sufficiente  a  stabilire  nel  mondo  quella  giu- 
stizia assoluta  che,  mai  attuata,  sarà  sempre  invocata  da  coloro 
che  vogliono  rovesciare  il  sistema  vigente  delle  gerarchie  sociali. 
Perchè  abbiamo  visto  che,  quando  il  clero  cattolico,  il  quale  non 
poteva  legalmente  avere  figli,  disponeva  di  una  grande  potenza 
economica  e  politica,  è  sorto  il  nepotismo;  e,  quando  non  ci  sa- 
ranno neppure  i  nipoti,  l'uomo  è  così  fatto  che  saprà  trovare  sempre 
qualcuno  dei  suoi  simili  che  amerà  e  proteggerà  a  preferenza 
degli  altri. 

E  resta  poi  a  vedere  se  sarebbe  sempre  vantaggioso  per  la  col- 
lettività che  fosse  tolto  ogni  vantaggio  alla  nascita  nella  lotta 
per  entrare  a  far  parte  della  classe  dirigente  e  per  arrivare  ai 
gradi  più  elevati  della  gerarchia  sociale.  Poiché,  quando  tutti  gli 
individui  potessero  prendervi  parte  a  condizioni  uguali,  questa  lotta 
diverrebbe  senza  dubbio  acuta  fino  al  parossismo  e  produrrebbe 
quindi  un  enorme  dispendio  di  forze  e  di  energie  dirette  a  rag- 
giungere un  fine  individuale,  senza  che,  nella  maggior  parte  dei 
casi,  vi  fosse  un  corrispondente  profìtto  per  l'organismo  sociale  (2). 
Mentre  potrebbe  benissimo  darsi  che  certe  qualità  intellettuali  e 
^opratutto  morali,  le  quali  sono  utili  e  forse  anche  necessarie  af- 


(1)  Forse  è  opportuno  ricordare  che  Platone,  nella  sua  Repubblica,  propu- 
gnava appunto  l'abolizione  della  famiglia  quasi  come  una  conseguenza  neces- 
saria di  quella  della  proprietà  privata.  Sembra  però  che  egli  volesse  limitare 
queste  abolizioni  alla  classe  dirigente  composta  dai  saggi  e  dai  guerrieri  ed 
inoltre  che  non  avrebbe  voluto  quello  che  oggi  si  chiamerebbe  il  libero  amore,  ma 
piuttosto  unioni  temporanee  nelle  quali  la  scelta  dei  due  coniugi  momentanei 
era  determinata  dai  saggi,  ed  egli  inoltre  stabiliva  che  i  figli  nati  da  queste 
unioni  non  dovessero  conoscere  i  loro  genitori  ne  essere  da  questi  conosciuti, 
perchè  secondo  lui  lo  Stato  doveva  formare  una  sola  famiglia.  Un  sistema 
analogo  è  esposto  e  propugnato  nella  Città  del  Sole  di  Campanella,  che  voleva 
pure  abolite  la  proprietà  privata  e  la  famiglia. 

(2)  Vedi  in  proposito  il  lavoro  citato  sul  Principio  aristocratico  e  democra- 
tico nel  passato  e  nell'avvenire. 


PARTE    II.    GAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  427 

finché  una  classe  dirigente  mantenga  il  suo  prestigio  e  disimpegni 
bene  la  sua  funzione,  ricliiedano,  per  svilupparsi  ed  affermarsi, 
che  per  parecchie  generazioni  le  stesse  famiglie  possano  conser- 
vare una  posizione  sociale  abbastanza  elevata.  Ma  di  questo  ar- 
gomento ci  dovremo  intrattenere  a  preferenza  nel  susseguente  pa- 
ragrafo e  durante  il  seguito  del  nostro  lavoro. 

VI.  —  Scrivendo  nel  primo  quarto  del  secolo  ventesimo, 
quando  ben  pochi  sono  coloro  che  in  pubblico  non  si  dichiarano 
partigiani  entusiasti  della  democrazia,  potrebbe  sembrare  superfluo 
di  esporre  i  danni  e  gli  svantaggi  del  soverchio  prevalere  della 
tendenza  aristocratica,  ossia  della  stabilizzazione  del  potere  poli- 
tico e  dell'influenza  sociale  in  determinate  famiglie.  Però,  siccome 
questa  stabilizzazione,  tanto  comune  nelle  civiltà  tramontate  ed 
in  quelle  rimaste  estranee  alla  presente  cultura  europea,  anche 
oggi  fra  noi  di  fatto  è  attenuata  ma  non  distrutta,  siccome  lo 
spirito  aristocratico  non  è  morto,  e  probabilmente  non  morrà  mai, 
non  crediamo  superfluo  di  consacrare  qualche  pagina  a  questo  ar- 
gomento. 

Parlando  poco  fa  di  alcuni  vantaggi  della  tendenza  democratica 
abbiamo  indirettamente  accennato  ad  alcuni  svantaggi  di  quella 
aristocratica.  Aggiungeremo  ora  che,  quando  un  popolo  è  retto 
lungamente  da  un'aristocrazia  chiusa  o  semichiusa,  è  quasi  inevi- 
tabile che  in  essa  nasca  e  si  accentui  uno  spirito  di  corpo  o  di  casta 
per  il  quale  i  suoi  membri  si  credono  infinitamente  superiori  al  resto 
dell'umanità.  Quest'orgoglio,  che  spesso  si  accompagna  ad  una 
certa  frivolezza  di  spirito  e  ad  un  culto  eccessivo  per  le  forme 
esteriori,  fa  si  che  facilmente  coloro  che  stanno  in  alto  stimino 
che  tutto  sia  loro  spontaneamente  dovuto,  senza  che  essi  abbiano 
doveri  precisi  verso  coloro  che  sono  fuori  della  loro  casta,  che  con- 
siderano quasi  come  destinati  ad  essere  ciechi  strumenti  delle  loro 
mire,  delle  loro  passioni  e  dei  loro  capricci  (1). 

Questa  maniera  di  pensare  e  di  sentire,  la  quale  si  forma  quasi 
spontaneamente  negli  individui  che  fin  dalla  nascita  sono  desti- 


ci) È  giusto  ricordare  che  spesso  anche  coloro  che  da  umile  condizione  hanno 
potuto  arrivare  ad  una  situazione  elevata  si  credono  molto  superiori  al  resto 
dell'umanità. 


428  EliBMENTI    DI    80IRNZA    POLITIQA 

nati  ad  occuparo  cariche  più  o  meno  elevate  e  che  fin  dall'infanzia 
godono  di  molti  privilegi  e  ricevono  molti  omaggi,  impedisco  che 
ossi  gonorulmento  comprendano,  o  quindi  compatiscano,  i  dolori 
e  le  pene  di  quegli  altri  che  stanno  nogli  ultimi  gradini  della 
scala  sociale  e  gli  stenti  e  gli  sforzi  di  coloro  che  hanno  saputo 
coll'opora  propria  salire  qualcuno  dei  gradini  della  scala  accennata. 
Inoltre  l'esagerazione  dello  spirito  aristocratico  fa  si  che  si  evitino 
i  contatti  con  gli  strati  più  umili  della  società  e  che  quindi  si 
trascuri  di  studiarli  attentamente.  E  questa  trascuratezza  produce 
spesso  una  completa  ignoranza  delle  loro  reali  (condizioni  psico- 
logiche; che  alle  volte  vengono  raffigurate,  attraverso  la  lettera- 
tura ed  i  romanzi,  come  assai  vicine  alla  semplicità  e  bontà  pri- 
mitiva dell'uomo,  alle  volte  invece  vengono  assimilate  senz'altro 
a  quelle  dei  bruti.  Naturalmente  tutte  e  due  le  esagerazioni  hanno 
il  comune  risultato  di  togliere  alla  classe  dirigente  qualunque  in- 
fluenza sulla  formazione  della  mentalità  e  dei  sentimenti  delle 
masse  e  di  renderla  perciò  inetta  alla  loro  direzione. 

Raramente  nella  storia  troviamo  esempi  di  classi  elevate  eredi- 
tarie che,  avendo  coscienza,  come  debbono  averla,  della  loro  su- 
periorità intellettuale  e  morale,  abbiano  spontaneamente  avuto 
un'uguale  coscienza  dei  doveri  che  questa  superiorità  imponeva 
loro  verso  le  classi  inferiori.  E  più  raramente  ancora  fra  gli  in- 
dividui appartenenti  alle  classi  dirigenti  ereditarie  si  è  diffuso 
quel  sentimento  di  vera  e  reale  fratellanza  e  solidarietà  universale, 
che  forma  la  base  e  l'onore  delle  tre  grandi  religioni  mondiali,  il 
Buddismo,  il  Cristianesimo  e  l'Islam;  sentimento  il  quale  fa  si  che 
l'uomo  più  elevato  riconosca  e  comprenda  che  anche  l'uomo  più 
basso  fa  parte  integrante  di  quella  umanità  alla  quale  tutti  e  due 
appartengono.  Ciò  che  in  fondo  corrisponde  a  quel  tanto  di  vero 
che  può  essere  contenuto  in  tutta  quella  grande  congerie  di  sogni 
e  di  menzogne  che  oggi  appellasi  democrazia. 

Il  più  insidioso  nemico  di  tutte  le  aristocrazie  della  nascita  è 
senza  dubbio  l'ozio,  che  genera  la  mollezza  e  la  sensualità,  fomenta 
la  frivolezza  e  produce  l'aspirazione  ad  una  vita  nella  quale  i  pia- 
ceri non  sono  accompagnati  dai  doveri.  E  bisogna  confessare  che, 
quando  manca  la  necessità  quotidiana  dell'obbligo  ad  un  determi- 
nato lavoro,  e  quando  non  si  è  già  contratta  nei  primi  anni  della 
giovinezza  l'abitudine  di  lavorare,  è  difficile  sfuggire  alle  insidie 
di   questo   terribile   nemico.  Ma  le  aristocrazie   che  da   esso  non 


PAKTE    II.    CAI*.    IV    -    PBINOIPi    E    TENDENZE   DIVBBSE   EOO,  429 

sanno  sufficientemente  difendersi  decadono  rapidamente,  giacché, 
se  pure  nominalmente  conservano  per  qualche  tempo  il  loro  rango 
e  le  loro  funzioni,  queste  vengono  di  fatto  esercitate  dai  subal- 
terni, che  presto  diventano  i  padroni  effettivi;  essendo  impossibile 
che  chi  fa  e  sa  fare  non  riesca  pure  col  tempo  a  comandare. 

Senonchè  non 'bisogna  dimenticare  che  l'esenzione  dei  lavori  ma- 
teriali, la  sicurezza  di  potere  vivere  e  conservare  la  propria  posi- 
zione sociale  senza  che  ad  essa  corrisponda  la  necessità  impellente 
di  un'occupazione  grave  e  quotidiana,  può  dare  in  certi  casi  ottimi 
risultati  dal  lato  dell'interesse  collettivo,  e  che  l'essersi  un  certo 
numero  di  uomini  trovati  nelle  condizioni  accennate  è  una  delle 
cause  precipue  dei  progressi  intellettuali  e  morali  della  umanità. 

Uno  scrittore  spagnuolo  contemporaneo,  Miguel  de  Unamuno,  ha 
scritto  l'elogio  della  f  annuUoneria.  Egli  ha  voluto  dimostrare  che  il 
mondo  molto  deve  agli  oziosi,  perchè,  se  fra  i  nostri  antenati  non 
ci  fosse  stato  un  certo  numero  di  persone,  che  non  dovevano 
lavorare  colle  proprie  braccia  e  che  potevano  interamente  disporre 
del  loro  tempo,  non  sarebbero  nate  né  la  scienza,  né  l'arte,  né  la 
morale  (1). 

La  tesi  é  ardita  e  contiene  molta  parte  di  vero,  ma  la  quistione 
non  ci  sembra  posta  nei  suoi  veri  termini.  Nel  caso  contemplato 
ciò  che  i  non  iniziati,  i  quali  possono  appartenere  tanto  alle  classi 
superiori  che  alle  inferiori,  chiamano  ozio,  molto  spesso,  lungi  dal- 
l'esser  tale,  è  la  forma  più  nobile  di  lavoro  umano.  Quella  forma 
cioè  che  non  si  propone  una  utilità  immediata  per  l'individuo  che 
vi  si  dedica,  o  anche  per  altri  determinati  individui,  ma  cerca  di 
rendersi  conto  delle  leggi  che  regolano  l'universo,  del  quale  fac- 
ciamo parte,  e  dello  svolgimento  del  pensiero  e  delle  istituzioni 
umane,  senza  altra  spinta  che  la  passione  disinteressata  di  allargare 
un  poco  i  confini  del  noto  a  spese  dell'ignoto,  senza  altro  fine  che 
quello  di  chiarire  alquanto,  e  nei  limiti  del  possibile,  quei  problemi 
gravi  ed  angosciosi,  che  travagliano  l'anima  e  l'intelletto  umano 


(1)  Vedi  Miguel  de  Unamuno,  En  defensa  de  la  hara^/atieria  nei  *  Soliloqui 
e  convorsazioni  ,,  pag.  153  e  seguenti.  Ricordiamo  di  aver  letto  in  una  pub- 
blicazione del  Baqehot  un  pensiero  molto  simile  a  quello  dell'Unamuno  teste 
citato  ;  ciò  non  significa  che  lo  scrittore  spagnuolo,  il  quale  espone  e  ditende 
la  sua  tesi  con  molto  spirito  e  molta  coltura,  abbia  plagiato  quello  inglese, 
ma  piuttosto  che  è  molto  difficile  di  trovare  oggi  un'idea  che  sia  completa- 
mente nuova. 


430  ELEMSNTI    DI    80IEIIZA   POLITICA 

e  gli  danno  quell'impronta  caratteristica  che  lo  solleva  al  di  sopra 
dell'animalità.  Or  è  evidente  che  questi  istinti  hanno  avuto  la 
maggiore  facilità,  e  diremmo  quasi  la  possibilità  di  affermarsi, 
solo  fra  uomini,  che  appartenevano  ad  una  classe  dirigente  cosi 
raffermata  nel  suo  dominio  da  rendere  possibile  che  alcuni  dei 
suoi  membri  fossero  esenti  dalle  cure  materiali  della  vita  e  dalla 
preoccupazione  di  difendere  giorno  per  giorno  la  propria  posizione 
sociale.  Ed  è  perciò  che  si  deve  ammettere  che  la  scienza  e  la 
morale  sociale  sono  state  originariamente  elaborate  in  seno  alle 
aristocrazie  e  che  anche  oggi  trovano  in  esse  a  preferenza  i  loro 
cultori  più  devoti  (1). 

Si  potrebbe  obiettare  che  le  grandi  scoperte  nel  campo  scien- 
tifico e  le  grandi  affermazioni  nel  campo  morale  sono  dovute  ad 
uomini  dotati  di  ciò  che  comunemente  si  dice  il  genio,  cioè  di  una 
capacità  d'intelletto  e  di  sentimento  e  di  una  forza  di  volontà  ec- 
cezionali, e  che  il  genio  raramente  è  ereditario.  E  ciò  è  vero;  ma 
il  genio  suole  a  preferenza  manifestarsi  in  individui  che  appar- 
tengono a  quei  popoli  ed  a  quelle  classi  nelle  quali  il  livello  medio 
dell'intelligenza  è  più  elevato,  ed  è  notorio  che  le  qualità  intellet- 
tuali, le  quali,  senza  essere  straordinarie,  sono  superiori  alla  media, 
facilmente  si  tramandano  dai  genitori  ai  figliuoli.  Or  non  è  ar- 
rischiato supporre  che  in  origine  le  classi  elevate,  qualunque  sia 
stato  il  criterio  con  il  quale  vennero  costituite,  dovettero  attirare 
nel  proprio  seno  molti  degli  individui  più  intelligenti  e,  quando 
esse  non  sono  ermeticamente  chiuse,  continuamente  si  rinsanguano 
cogli  elementi  più  intelligenti  che  provengono  dagli  strati  inferiori 
della  società  (2). 


(1)  Sarebbe  falso  ed  ingiusto  affermare  che  la  passione  disinteressata  per  il 
sapere  non  possa  ancHe  trovarsi  in  individui  nati  negli  strati  più  umili  della 
società.  Senonchè  bisogna  pure  tenere  presente  che  le  moderne  nazioni  civili 
sono  il  frutto  di  una  cultura  molto  antica  e  che  in  esse  le  classi  sociali  hanno 
subito  tanti  rivolgimenti  e  tante  mescolanze  che  non  è  da  maravigliare  se 
qualche  volta  gli  istinti  più  aristocratici,  ereditati  da  lontani  antenati,  si  tro- 
vano anche  in  individui  di  umile  condizione.  Una  delle  applicazioni  più  felici 
della  tendenza  democratica  consisterebbe  nel  rendere  possibile  a  questi  indi- 
vidui di  sviluppare  le  loro  qualità  superiori.  Però  ciò  non  è  facile  e  sopratutto 
non  crediamo  che  a  ciò  possa  bastare  l'istruzione  elementare  obbligatoria. 

(2)  La  selezione  che  avviene  nelle  classi  superiori,  per  la  quale  la  loro 
media  intellettuale  diventa  e  si  mantiene  più  alta  di  quella  delle  classi  infe- 


PARTE    li.    CàV.    IV    -    PKlNCIin    E    TENDENZE   DIVERSE    ECC.  431 

Certamente  poi  più  spiccato  è  il  fenomeno  dell'eredità  familiare 
per  quel  che  riguarda  le  qualità  morali,  nello  sviluppo  delle  quali 
grande  è  l'influenza  dell'educazione,  e  sopratutto  di  quella  educa- 
zione indiretta  che  proviene  dall'ambiente  in  cui  si  nasce  e  si  vive. 
Non  senza  una  profonda  ragione  in  tutti  i  tempi  e  in  tutti  i  luoghi 
si  è  pregiata  l'antichità  di  una  famiglia,  ossia  il  fatto  che  per  una 
lunga  serie  di  generazioni  essa  ha  potuto  conservare  una  posizione 
sociale  elevata.  Perchè  è  relativamente  facile  di  arrivare  in  alto, 
quando  i  tempi  e  la  fortuna  aiutano,  ed  un  individuo  possiede 
una  certa  dose  d'intelligenza,  di  attività,  di  perseveranza  e  sopra 
tutto  ha  una  grande  e  ferma  volontà  di  farsi  avanti;  ma  nelle 
cose  umane  l'immobilità  è  artificiale  ed  il  cambiamento  naturale, 
sicché  occorrono  una  prudenza  costante  ed  una  vigile  e  durevole 
energia  per  conservare,  attraverso  i  secoli  e  per  una  lunga  serie 
di  generazioni,  ciò  che  si  è  acquistato  per  il  merito,  o  per  un  colpo 
di  fortuna,  e  qualche  volta  anche  per  la  mancanza  di  scrupoli,  di 
un  lontano  antenato. 

Perciò  le  famiglie,  che  hanno  potuto  resistere  lungamente  a  questa 
prova,  sono  soltanto  quelle  nelle  quali  la  maggioranza  almeno  di 
coloro  che  ne  facevano  parte  hanno  saputo  conservare  il  senso  del 
limite  e  della  misura  ed  hanno  saputo  resistere  alla  tentazione  di 
cedere  a   desideri    ardenti,  che   si   aveva   la  possibilità  di  imme- 


riori,  è  stata  oggetto  di  studi  accurati  dell'AMMON;  il  quale,  neìVOrdre  social 
(Paris,  Thorin,  1900)  e  specialmente  nei  capitoli  XX  e  XXI,  giustamente  dà 
molta  importanza  al  fatto  che  i  matrimoni  avvengono  quasi  sempre  fra  indi- 
vidui della  stessa  classe,  sopra  tutto  per  la  ripugnanza  che  hanno  le  donne 
delle  classi  superiori  a  sposare  individui  di  classe  e  quindi  di  educazione  in- 
feriore alla  propria. 

A  questo  proposito  è  opportuno  mettere  in  evidenza  un  apprezzamento  ine- 
satto nel  quale  spesso  si  incorre  a  causa  dell'uso  europeo  della  trasmissione  del 
cognome  da  padre  in  figlio.  Quest'uso  fa  sì  che  il  solo  antenato  in  vista  sia 
quello  di  cui  si  porta  il  cognome,  mentre  ve  ne  sono  tanti  altri  che  non 
hanno  fisiologicamente  minor  diritto  ad  essere  presi  in  considerazione.  Difatti 
ogni  individuo  ha  sempre  due  genitori,  l'uno  maschio  e  l'altro  femina,  sicché 
alla  prima  generazione  si  hanno  due  antenati,  alla  seconda  quattro,  alla  terza 
otto  e,  rimontando  alla  decima  generazione,  mille  e  ventiquattro.  Perciò  il 
tipo  intellettuale  e  morale  di  una  famiglia  antica  è  piuttosto  da  attribuire 
alla  continuazione  degli  incrociamenti  eugenici,  anziché  al  lontano  antenato, 
che  ha  dato  alla  generazione  presente  la  mille  e  ventiquattresima  parte  del 
suo  sangue. 


432  ELEMENTI    DI    SCIEN/.A    POLITICA 

diatamente  soddisfarò;  che  in  altre  parole  hanno  conosciuto  e  pra- 
ticato l'arto  di  comandare  a  so  stesso,  {)iù  difficile  di  quella  di 
comandare  a^li  altri,  che  alla  sua  volta  è  più  difficile  di  quella 
di  obbedire  (1).  Avviene  quindi  naturalmente  una  selezione  per  la 
quale  tutti  i  casati  nei  quali  fanno  difetto  le  virtù  accennate  presto 
ricadono  nell'oscurità  e  i)erdono  il  ran^o  che  avevano  acquistato. 
Or  è  evidente  che,  perchè  la  selezione  accennata  abbia  luogo,  è 
necessario  che  la  classe  dirigente  abbia  una  certa  stabilità  e  che 
non  venga  perciò  ad  ogni  generazione  rinnovata;  ed  è  forse  questa 
necessità  che  spiega  la  grande  persistenza  della  tendenza  aristo- 
cratica e  costituisce  la  sua  migliore  giustificazione. 

Uno  degli  organismi  più  saldi  e  duraturi  che  ricordi  la  storia  è 
senza  dubbio  la  Chiesa  cattolica,  la  quale  ha  sempre  ammesso 
nelle  file  del  clero  individui  provenienti  da  tutte  le  classi  ed  al- 
l'occon'onza  ha  saputo  portare  al  posto  più  insigne  della  gerarchia 
ecclesiastica  uomini  provenienti  dagli  strati  più  umili  della  società, 
e  si  potrebbero  facilmente  citare  in  proposito  i  nomi  dei  Papi 
Gregorio  VII,  Sisto  V  e  Pio  X.  Si  sa  che  il  celibato  dei  preti  ha 
impedito  che  si  formasse  nella  Chiesa  una  vera  aristocrazia  ere- 
ditaria, ma  è  pure  notorio  che  parecchie  furono  nel  passato  le 
grandi  famiglie  che  avevano  quasi  sempre  uno  dei  loro  membri 
nel  Sacro  Collegio,  e  che  la  maggioranza  dei  Papi  e  dei  Cardinali 
provenivano  nei  secoli  scorsi,  e  forse  provengono  ancora,  dalla 
classe  elevata  e  da  quella  media.  Ed  oggi  forse  una  delle  mag- 
giori difficoltà  con  la  quale  il  Cattolicesimo  deve  lottare  sta  nel 
fatto  che  la  vecchia  aristocrazia  e  l'alta  e  la  media  borghesia  in 
molti  paesi  non  danno  più  alle  file  del  clero  un  numero  sufficiente 
di  adepti. 

Or,  se  da  questo  esempio,  e  da  altri  analoghi  che  si  potrebbero 
facilmente  portare,  si  potesse  trarre  una  regola,  diremmo  che  la 
penetrazione  degli  elementi  provenienti  dalle  classi  più  umili  in 
quelle  elevate  riesce  utile  quando  avviene  in    proporzione  e  con 


(1)  Raccontano  gli  storici  greci  che  una  volta  Dionigi  il  vecchio,  tiranno  di 
Siracusa,  rimproverò  aspramente  un  suo  figliuolo  perchè  questi  aveva  rapito  la 
moglie  assai  bella  di  un  cittadino  e  gli  fece  osservare  che  egli,  quando  era 
giovine,  non  aveva  mai  fatto  una  cosa  simile.  —  Ma  tu  non  sei  nato  figliuolo  di 
un  re,  obiettò  il  figlio  al  padre,  e  questi  di  rimando  rispose:  —  Ed  i  tuoi  figli 
non  saranno  re  se  tu  nou  cambierai  i  tuoi  diportamenti. 


PARTE    II.    GAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECC.  433 

criteri  tali  che  i  nuovi  venuti  si  assimilano  presto  le  qualità  mi- 
gliori dei  vecchi  dominatori,  e  riesce  dannosa  quando  questi  ven- 
gono in  certo  modo  assorbiti  ed  assimilati  dai  nuovi  compagni. 
Perchè  in  questo  caso  l'aristocrazia  non  si  rinsangua  ma  anche 
essa  diventa  plebe. 

Una  delle  qualità  più  essenziali  delle  classi  dirigenti  è,  o  do- 
vrebbe essere,  la  lealtà  nei  rapporti  coi  propri  subordinati.  Infatti 
la  menzogna,  schermo  molto  usato  dall'inferiore  verso  il  superiore, 
dal  debole  contro  il  forte,  diventa  doppiamente  ripugnante  e  vile 
quando  il  forte  l'usa  a  danno  del  debole.  Essa  toglie  perciò  a  chi 
comanda  ogni  rispettabilità  e  lo  rende  spregevole  di  fronte  al  sub- 
ordinato, e  si  può  aggiungere  che,  appunto  perchè  gli  uomini  vi 
ricorrono  troppo  spesso,  acquista  un  grande  prestigio  colui  che  se 
ne  astiene.  Or  l'aborrimento  dalla  menzogna  è  una  qualità  che  di 
solito  si  acquista  in  seguito  ad  una  lunga  ed  accurata,  e  diremmo 
quasi  tradizionale,  educazione  morale;  ed  è  naturale  perciò  che  si 
trovi  a  preferenza  in  quelle  classi  dirigenti  nella  formazione  delle 
quali  l'elemento  ereditario  ha  una  parte  preponderante. 

Altro  requisito  importantissimo,  e  diremmo  quasi  indispensabile 
dei  ceti  dirigenti,  anche  in  tempi  relativamente  pacifici  e  mer- 
cantili, è  il  coraggio  personale.  Appunto  perchè  gli  uomini  ordi- 
nariamente scansano  il  i^ericolo  e  temono  la  morte,  ammirano 
coloro  che  sanno  all'occon-enza  esporre  intrepidamente  la  vita; 
perchè,  quando  non  lo  si  fa  per  incoscienza  o  frivolezza,  ciò  ri- 
chiede una  gran  forza  di  volontà  ed  un  gran  dominio  sopra  se 
stesso,  che  fra  tutte  le  qualità  morali  è  forse  quella  che  più  im- 
pone il  rispetto  e  l'obbedienza.  Perciò  quando  si  farà  una  storia 
dettagliata  della  maniera  come  si  formarono,  vissero  e  decaddero 
molte  classi  dirigenti,  si  potrà  constatare  che  quelle  che  avevano 
un'origine  ed  una  tradizione  militare  sono  state  più  salde  ed  in 
generale  hanno  durato  più  a  lungo  di  quelle  che  avevano  soltanto 
una  base  industriale  e  plutocratica  (1).  Ed  ancora  oggi  nelFEuropa 


(1)  Parrebbe  a  prima  vista  contrario  l'esempio  dell'aristocrazia  veneziana, 
che  seppe  restare  al  potere  per  tanti  secoli  ed  era  un'aristocrazia  di  commer- 
cianti e  banchieri.  Ma  i  nobil'uomini  veneziani  comandavano  anche  le  navi  e 
le  flotte  e  qualche  volta  anche  gli  eserciti  della  Serenissima  fino  alla  seconda 
metà  del  secolo  decimosettimo.  Si  divezzarono  quasi  completamente  dalle 
armi  nel  secolo  decimottavo,  quando  la  Repubblica  era  in  piena  decadenza. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  Politica.  28 


434  KLBMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

occidentale  e  centrale  una  delle  migliori  difese  della  classe  diri- 
gente consiste  nel  coraggio  personale  che  gli  ufficiali,  i  quali  usci- 
vano dal  suo  seno,  hanno  in  generale  dimostrato  davanti  i  propri 
soldati. 

È  assurdo  il  progiudizio  che  considera  le  classi  dirigenti  come 
economicamente  improduttive,  perchè  esse,  mantenendo  l'ordine  e 
tenendo  unita  la  compagine  sociale,  creano  le  condizioni  nelle  quali 
il  lavoro  produttivo  può  meglio  esplicare  la  sua  azione,  ed  inoltre 
forniscono  ordinariamente  alla  produzione  il  personale  tecnico  e 
direttivo.  Però  su  questo  riguardo  sarebbe  interessante  di  esami- 
nare se  una  classe  dirigente  di  origine  recente  si  contenta  nella 
ripartizione  della  ricchezza  di  una  parte  minore  di  quella  che  è 
sufficiente  per  una  classe  dirigente  di  antica  data,  nella  quale 
perciò  prevale  la  tendenza  aristocratica.  Ciò  che  in  altri  termini 
equivale  a  giudicare  se  la  democrazia  sia  per  una  società  più  eco- 
nomica della  aristocrazia  (1). 

Il  giudizio  è  molto  difficile  e  potrebbe  assai  variare  secondo  i 
tempi  ed  i  popoli.  Perciò  ci  limiteremo  a  far  notare  che  in  gene- 
rale i  grandi  sogliono  ostentare  un  lusso  chiassoso  a  preferenza 
nelle  nazioni  barbare  o  in  quelle  di  recente  arricchite.  E  si  sa  che 
qualche  cosa  di  simile  avviene  fra  i  singoli  individui  delle  classi 
dirigenti,  nelle  quali  coloro  che  più  si  distinguono  per  lo  spreco 
insensato  dei  frutti  del  lavoro  umano  sono  appunto  quelli  che  più 
di  recente  sono  arrivati  ai  fastigi  della  ricchezza  e  del  potere. 

Ciò  premesso,  non  bisogna  però  dimenticare,  che  nella  distribu- 
zione della  produzione  economica  fra  le  varie  classi  sociali  è  ne- 
cessario che  alla  classe  politicamente  dirigente  sia  attribuita  una 
parte  sufficiente  a  far  si  che  essa  possa  dare  ai  propri  figli  una 
educazione  lunga  ed  accurata,  e  quindi  costosa,  e  che  possa  con- 
servare un  tenore  di  vita  decoroso.  Tale  insomma  che  le  permetta 
di  non  mostrarsi  troppo  attaccata  ai  piccoli  guadagni  ed  ai  piccoli 
risparmi,  a  quelle  lesinerie  che  pur  troppo,  talora  più  di  qualche 
cattiva  azione,  abbassano  l'uomo  agli  occhi  dei  propri  simili. 


(1)  Va  da  se  che  le  classi  dirigenti,  sia  democratiche  che  aristocratiche,  le 
quali  per  mantenersi  al  potere  favoriscono  sistematicamente  gli  interessi  dei 
privati  0  di  piccole  minoranze  organizzate  a  spese  della  collettività,  sono  sempre 
le  più  costose. 


PARTE   II.    OAP.    IV    -   PBINOIPÌ   E    TBKDENZE   DIVEBSB    ECC.  435 

Vn.  —  Platone  nel  suo  dialogo  sulle  leggi,  che  già  abbiamo 
ricordato  e  nel  quale  egli  espose  il  pensiero  della  sua  età  matura, 
sostenne  che  la  migliore  forma  di  governo  era  quella  nella  quale 
l'autocrazia  e  la  democrazia,  che,  come  abbiamo  già  visto,  erano 
per  lui  le  due  forme  tipiche  di  regime  politico,  venivano  fuse  e 
contemperate  (1).  Aristotile,  nella  sua  immortale  Politica^  dopo 
avere  obiettivamente  descritto  le  sue  tre  forme  fondamentali  di 
governo,  cioè  la  monarchia,  l'aristocrazia  e  la  democrazia,  mostra 
la  sua  preferenza  per  un'aristocrazia  temperata,  e  più  ancora  per 
una  democrazia  temperata,  nella  quale,  non  diciamo  gli  schiavi  ed 
i  metechi,  ma  neppure  gli  artigiani,  avrebbero  dovuto  essere  am- 
messi alle  cariche  pubbliche  (2).  Quasi  due  secoli  dopo  Polibio 
giudicava  ottima  la  costituzione  politica  di  Roma  perchè  secondo 
lui  in  essa  i  tre  tipi  fondamentali  della  costituzione  aristotelica 
trovavano  contemporaneamente  la  loro  applicazione  (3).  Circa  un 
secolo  dopo  Polibio  presso  a  poco  analogo  era  il  concetto  esposto 
da  Cicerone  nel  suo  libro  sulla  repubblica  e,  più  di  dodici  secoli 
dopo  Cicerone,  quando  la  scienza  politica  accennava  a  rinascere, 
San  Tommaso  nella  Summa  dimostrava  pure  la  sua  preferenza 
per  i  governi  misti  (4).  Come  si  sa,  Montesquieu  si  emancipava 
dalla  classificazione  aristotelica  e  divideva  i  governi  in  dispotici, 
monarchici  e  repubblicani,  ma  prediligeva  la  monarchia  temperata, 
nella  quale  i  tre  poteri  fondamentali,  cioè  il  legislativo,  Tesecutivo 
ed  il  giudiziario,  erano  affidati  ad  organi  diversi  indipendenti  l'uno 
dall'altro,  e  quindi  si  accostava  anche  egli  al  concetto  di  un  equi- 
librio, necessario  fra  le  diverse  forze  ed  influenze  politiche  (5).  E 
finalmente  ricorderemo  che  anche  Cavour  in  politica  si  dichiarava 
partigiano  del  juste  milieu,  del  giusto  mezzo,  che  equivale  in 
fondo  ad  equilibrio  e  contemperanza  fra  le  diverse  forze  o  correnti 
politiche  (6). 


(1)  Vedi  la  fine  del  dialogo  citato  in  principio  del  capitolo. 

(2)  Vedi  la  Politica  e  specialmente  il  libro  III,  capitolo  III  ed  i  libri  VI  e  VII. 

(3)  Vedi  PoLTBii,  Historiarum  reliquiae,  libro  VI,  Parigi,  Firmin  Didot,  1859. 

(4)  Afferma  infatti  nella  Summa  dopo  avere  descritto  i  vari  regimi  politici: 
*  Est  etiam  aliquod  regimen  ex  istis  commixtum  quod  est  optimum:  et  se- 
cundum  hoc  sumitur  lex  quam  majores  natu  simul  cum  plebe  sanxerunt  „.  — 
Vedi  Divi  Thomak  Aqdinatis,  Summa  theologica,  voi.  secundum,  quaestio  XCV, 
articulus  IV,  pag.  681,  Tipografia  del  Senato,  Romae,  1896. 

(5)  Vedi  le  ultime  parti  dell'esprit  des  Lois. 

(6)  Vedi  |Fh.  Ruffini,  La  giovinezza  del  Conte  di  Cavour,  Torino,  Bocca,  1912. 


486  RLKMBNTI    DI   SCIENZA   POLITICA 


Sembra  perciò  che  tutti  questi  grandi  pensatori  abbiano  avuto 
una  intuizione  comune:  cioè  che  la  saldezza  delle  istituzioni  poli- 
tiche dipenda  da  una  opportuna  fusione  o  contemjjeranza  di  prin- 
cipi e  tendenze  diverse,  ma  costanti,  che  agiscono  immancabilmente 
in  tutti  gli  organismi  politici.  E  crediamo  i)er  ora  promaturo  for- 
mulare una  legge,  ma  ci  pare  che  si  possa  senz'altro  avanzare 
l'ipotesi,  che  la  stabilità  degli  Stati  e  la  rarefazione  di  quelle  crisi 
politiche  violente,  che,  come  avvenne  alla  caduta  dell'impero  ro- 
mano, e  come  avviene  oggi  in  Russia,  procacciano  a  tanta  parte 
dell'umanità  sofferenze  inenarrabili,  ed  interrompono,  alle  volte 
per  lunghi  secoli,  il  progredire  della  civiltà,  provengano  princi- 
palmente dalla  prevalenza  quasi  assoluta  di  uno  dei  due  principi 
o  di  una  delle  due  tendenze  che  abbiamo  testò  esaminato.  Questa 
ipotesi,  che  potrebbe  già  essere  corredata  di  un  numero  conside- 
revole di  esperienze  storiche,  si  appoggia  sopratutto  sul  fatto  che 
solo  l'opposizione,  e  diremmo  quasi  la  concorrenza,  del  principio 
o  della  tendenza  contraria,  può  imjDedire  l'accentuazione  dei  vizi 
congeniti  a  ciascuno  di  essi  od  a  ciascuna  di  esse,  vizi  che  abbiamo 
tentato  di  rapidamente  descrivere. 

Questa  conclusione  corrisponderebbe  presso  a  poco  all'antica  dot- 
trina del  giusto  mezzo  che  trovava  ottimi  i  governi  misti,  dottrina 
che  verrebbe  rinnovata  in  base  ad  una  conoscenza  più  esatta  e 
profonda  delle  leggi  naturali  che  agiscono  sulle  organizzazioni 
politiche.  Rimarrebbe  però  sempre  la  difficoltà  di  trovare  dove  sia 
il  giusto  mezzo,  il  quale  è  un  punto  assai  diffìcile  a  precisare, 
sicché  ognuno  facilmente  lo  può  porre  là  dove  meglio  conviene 
alle  sue  passioni  ed  ai  suoi  interessi. 

Dopo  averci  molto  pensato  non  troviamo  in  proposito  che  un 
solo  metodo  pratico  da  suggerire  alle  persone  di  buona  volontà, 
le  quali  hanno  la  mira  esclusiva  del  bene  e  della  prosperità  gene- 
rale, indipendentemente  da  qualsiasi  interesse  personale  e  da  qual- 
siasi preconcetto  sistematico;  e  questo  metodo  consiste  nell'osser- 
vare,  per  dir  cosi,  le  vicende  atmosferiche  dei  tempi  e  dei  x)opoli, 
fra  i  quali  e  nei  quali  si  vive. 

Quando,  per  esempio,  regna  una  calma  glaciale,  nella  quale  non 
spira  alito  di  discussione  politica,  ovvero  quando  quasi  tutti  inneg- 
giano a  qualche  grande  personalità  che  ha  restaurato  l'ordine  e 
la  pace,  allora  si  può  star  sicuri  che  troppo  prevale  il  principio 
autocratico  su  quello  liberale';  ed  il  contrario  accade  quando  quasi 


PABTB   II.    GAP.    IV    -    PRINCIPI    E    TENDENZE    DIVERSE    ECO.  437 

tutti  maledicono  i  tiranni  e  propugnano  la  libertà.  Similmente 
quando  romanzieri  e  poeti  vantano  le  glorie  delle  grandi  famiglie 
ed  imprecano  contro  il  volgo  profano,  si  può  sicuramente  ritenere 
ch.e  soverchia  è  la  prevalenza  della  tendenza  aristocratica  ;  e  final- 
mente quando  spira  un  vento  furioso  di  uguaglianza  sociale  e  tutti 
si  dichiarano  teneri  degli  interessi  degli  umili,  è  evidente  che  la 
tendenza  democratica  è  in  forte  rialzo  e  quindi  assai  pericolosa. 
In  fondo  non  si  tratta  che  di  seguire  la  regola  contraria  a  quella 
adottata,  consciamente  od  inconsciamente,  dagli  arrivisti  di  tutti 
i  tempi  e  di  tutti  i  paesi  ;  e  ciò  facendo,  quel  piccolo  nucleo  di  in- 
telletti saldi  e  di  anime  elette,  che  in  ogni  generazione  impedi- 
scono all'umanità  di  intieramente  corrompersi,  potranno  alle  volte 
rendere  un  grande  servizio  ai  loro  contemporanei  e  sopratutto  ai 
figli  dei  loro  contemporanei.  Perchè  nella  vita  politica  gli  errori 
di  una  generazione  sono  quasi  sempre  scontati  da  quella  susse- 
guente. 


CAPITOLO  V. 
Schiarimenti  e  Polemiche. 


Rapporti  fra  il  valore  intellettuale  e  morale  dei  capi  degli  Stati  e  quello 
della  classe  politica.  —  II.  Rapporti  fra  il  valore  intellettuale  e  morale 
della  classe  politica  e  quello  dei  governati.  —  III.  Confutazione  del  ma- 
terialismo storico.  —  IV.  Se  eia  possibile  il  governo  dei  migliori  e  quali 
siano  politicamente  i  migliori.  —  V.  La  giustizia  assoluta  e  la  giustizia 
relativa  nelle  organizzazioni  politiche.  —  VI.  Se  i  progressi  della  scienza 
politica  potranno  in  avvenire  evitare  le  grandi  crisi  sociali. 


I.  —  È  innegabile  che  vi  debba  essere  uno  stretto  rapporto 
fra  il  valore  intellettuale  e  morale  di  tutto  il  secondo  e  maggiore 
strato  della  classe  dirigente  e  quello  di  colui  cbe  effettivamente 
sta  a  capo  di  tutta  l'organizzazione  politica  e  del  piccolo  gruppo 
di  persone  cbe  direttamente  lo  coadiuvano.  Oiacchè  gli  uomini 
che  occupano  i  posti  più  elevati  devono  necessariamente  essere 
più  o  meno  imbevuti  delle  idee,  dei  sentimenti,  delle  passioni,  e 
perciò  del  modo  di  vedere,  degli  strati  sociali  che  vengono  imme- 
diatamente dopo  di  loro,  con  i  quali  strati  sono  in  continuo  ed 
immediato  contatto  e  senza  l'aiuto  dei  quali  non  potrebbero  go- 
vernare. 

Ma,  cosi  complicata  è  la  storia  delle  società  umane  e  cosi  diversi 
sono  i  fattori  materiali,  morali  ed  intellettuali  i  quali  contribui- 
scono a  determinarne  lo  svolgimento,  che  non  è  stato  e  non  è  raro 
il  caso  di  classi  politiche,  che  avevano  la  capacità  di  una  salda 
organizzazione  ed  erano  ancora  abbastanza  ricche  di  elementi 
energici  e  devoti  al  pubblico  bene,  le  quali  hanno  avuto  od  hanno 
alla  loro  testa,  anche  in  momenti  diffìcili,  duci  mediocrissimi  e 
qualche  volta  corrotti,  e  che  perciò,  in  altre  parole,  hanno  dovuto 


PAKTB  II.  OAP.  V  -  SCHIARIMENTI  B  POLEMICHE  439 

sopportare  o  sopportano  il  rex  fatuus  di  cui  parla  la  Bibbia,  come 
di  uno  dei  flagelli  dei  quali  Dio  si  serve  per  castigare  i  popoli. 

Per  spiegare  questo  fatto  si  possono  addurre  molte  ragioni  e 
principalmente  questa  che  una  classe  politica  nella  scelta  dei  suoi 
duci  supremi  è  in  certo  modo  prigioniera  delle  idee  e  dei  criteri 
che  in  proposito  essa  ha  adottato;  idee  e  criteri  che  sono  un  risul- 
tato della  sua  storia  e  del  grado  di  maturità  intellettuale  alla 
quale  essa  è  pervenuta,  e  che  perciò  non  si  possono  da  un  giorno 
all'altro  mutare.  Tali  sarebbero,  ad  esempio,  il  criterio  ereditario 
ed  anche  quello  elettivo,  quando  i  meccanismi  elettorali  si  cristal- 
lizzano e  diventano  uno  strumento  comodo  in  mano  di  piccole 
cricche  di  politicanti,  che  se  ne  servono  per  arrivare  al  potere  e 
per  restarvi  il  più  lungamente  possibile. 

Ciò  premesso,  si  deve  però  constatare  che,  quando  una  civiltà 
od  una  nazione  hanno  avuto  una  classe  dirigente  vitale  ed  ener- 
gica, il  danno  prodotto  dalla  fatuità,  ed  anche  dalla  malvagità 
dei  suoi  duci  supremi,  è  stato  assai  minore  di  quanto  si  potrebbe 
aspettare.  Difatti,  malgrado  che  qualche  storico  abbia  tentato  di 
riabilitarli,  crediamo  che  si  possa  sicuramente  ammettere  che 
Caligola,  forse  anche  Claudio,  e  certamente  Nerone,  non  erano  per 
le  loro  qualità  personali  uomini  adatti  a  stare  a  capo  di  un  orga- 
nismo politico  cosi  importante  come  l'impero  romano.  Eppure  si 
sa  che,  se  della  loro  stravaganza  e  nequizia  e  di  quella  degli 
uomini  che  erano  i  loro  immediati  strumenti  ebbero  molto  a  sof- 
frire le  grandi  famiglie  romane,  che  stavano  a  contatto  diretto 
con  l'imperatore,  viceversa  il  resto  del  mondo,  durante  il  loro  go- 
verno, continuò  a  godere  della  pace  romana  e  ad  assorbire  quella 
cultura  che  un'amministrazione  relativamente  saggia  ed  ordinata 
sapeva  diffondere  per  tutte  le  provincie.  Come  pure  è  notorio  che 
Giorgio  III  d'Inghilterra  fu  uomo  di  poco  ingegno,  testardo  ed 
afflitto  inoltre  da  frequenti  accessi  di  vera  follia  e  che,  ciò  non 
ostante  e  malgrado  che  l'influenza  funesta  della  regale  volontà 
siasi  alle  volte  fatta  sentire  in  modo  pernicioso  per  la  cosa  pub- 
blica, durante  il  suo  lunghissimo  regno  la  Gran  Bretagna  con- 
quistò l'India  ed  il  Canada,  vinse  Napoleone,  gettò  le  basi  salde 
del  suo  impero  mondiale  e  diventò  la  padrona  assoluta  dei  mari  (1). 


(1)  Giorgio  III  reguò  dal  1760  al  1820  e  si  sa  che  in  questo  lungo  periodo 
ebbe  parecchi  accessi  di  follia,  durante  i  quali  assunse  la  reggenza  il  principe 


440  BLEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 

E  se  vogliamo  poi  approfondire  di  più  l'argomento,  facilmente 
possiamo  constatare  che  l'opera  i^iù  duratura  ed  efficace  di  tutti 
i  grandi  capi  di  stato,  le  cui  gesta  sono  ricordate  dalla  storia,  con- 
Bistetto  in  una  felice  trasformazione  della  classe  politica  della 
quale  resero  migliore  il  reclutamento  e  perfezionarono  gli  ordi- 
namenti; con  questa  riserva  che  allo  volte  l'opera  accennata  era 
stata  iniziata  e  condotta  a  buon  punto  dai  loro  immediati  prede- 
cessori. 

Infatti  gli  storici  hanno  molto  disputato,  e  forse  ancora  molto 
disputeranno,  sulle  vere  intenzioni  di  Augusto,  ma  tutti  concordano 
nel  riconoscere  che  egli  compi  la  trasformazione  della  antica  or- 
ganizzazione repubblicana  in  un'altra  più  adatta  ai  bisogni  dei 
tempi  e  che  rinsanguò  la  vecchia  classe  politica  romana,  decimata 
da  quasi  un  secolo  di  guerre  civili,  introducendovi  molti  elementi 
nuovi;  concetto  che  poi  fu  ripreso  e  completato  da  Vespasiano,  il 
quale  fece  entrare  in  Senato  i  rappresentanti  di  molte  fra  le  più 
illustri  famiglie  italiche.  Si  sa  che  in  Francia  la  formazione  dello 
Stato  assoluto  burocratico  fu  il  principale  risultato  dell'opera  co- 
stante ed  assidua  di  Richelieu,  Mazarino  e  Luigi  XIV  e  dei  suoi 
ministri  Louvois  e  Colbert;  i  quali  tutti  seppero  a  poco  a  poco 
creare  un'amministrazione  salda  ed  efficace,  una  finanza  corrispon- 
dente ai  nuovi  bisogni  dello  Stato  ed  un  forte  esercito  stanziale. 
Analogamente  nell'Europa  orientale  la  trasformazione  dell'antica 
e  debole  Moscovia  in  quell'impero  degli  Czar,  che  tanto  pesò  sui 
destini  dell'Europa  e  dell'Asia,  avvenne  mediante  le  successive 
riorganizzazioni  della  classe  politica  dovute  agli  sforzi  di  Ivano  IV 
il  terribile,  di  Pietro  il  Grande  e  di  Caterina  II  (1).  Ed  infine  non 


di  Galles.  La  conquista  del  Canada,  e  conseguentemente  di  tutti  i  vastissimi 
territori  al  nord  degli  Stati  Uniti  d'America  e  che  si  estendono  dall'Atlantico 
al  Pacifico,  ebbe  luogo  durante  la  guerra  dei  sette  anni,  cioè  dal  1756  al  1763. 
La  conquista  inglese  dell'India  si  può  considerare  come  seriamente  iniziata 
colla  battaglia  di  Plassey  vinta  da  Olive  nel  1757,  ma  fu  continuata  e  por- 
tata a  buon  punto  durante  tutto  lo  scorcio  del  secolo  decimottavo  ed  i  primi 
decenni  del  decimonono.  Si  potrebbe  in  proposito  ricordare  che  durante  il 
regno  di  Giorgio  III  l'Inghilterra  subì  la  ribellione  ed  il  distacco  dei  moderni 
Stati  Uniti  d'America,  ma  è  assai  dubbio  se  li  avrebbe  potuto  lungamente 
mantenere  sotto  la  sua  sovranità. 

(1)  Per  quel  che  riguarda  le  riforme  compiute  da  Ivano  lY  vedi  Waliszewski, 
Ivan  le  terrible,  e  specialmente    la  parte  3'  al  capitolo    II.   Più   note    sono  le 


PARTE    II.    GAP.    V    -    SCHIABIMENTI    E    POLEMICHE  441 


bisogna  dimenticare  clie  Alessandro  Magno  non  avrebbe  potuto 
conquistare  la^Persia  e  diffondere  la  cultura  ellenica  per  tanta 
parte  del  mondo  asiatico  se  suo  padre  Filippo  non  avesse  riorga- 
nizzato di  sana  pianta  la  Macedonia  e  non  avesse  saputo  creare 
l'esercito  macedone  (1).  Ed  una  analoga  riflessione  si  potrebbe  fare 
a  proposito  di  Federico  il  Grande  di  Prussia  e  del  suo  immediato 
predecessore. 

E^  se  dopo  la  prova  vogliamo  fare  la  controprova,  facilmente 
possiamo  constatare  che,  quando  il  caso  o  la  disperazione  hanno 
fatto  si  che  un  uomo  superiore  arrivasse  a  capo  di  un  organismo 
politico  in  completa  dissoluzione,  i  suoi  sforzi  sono  stati  quasi 
sempre  impotenti  a  salvare  lo  Stato  od  a  ritardarne  notevolmente 
la  fine.  L'infelice  imperatore  Magioriano,  di  cui  tutti  gli  storici 
lodano  concordemente  l'energia,  l'alto  intelletto  e  le  ottime  inten- 
zioni, non  riusci  a  ritardare  forse  neppure  di  un  anno  la  caduta 
dell'Impero  romano  d'Occidente  (2).  L'impero  di  Bisanzio  potè 
essere  rinvigorito  dalla  dinastia  isaurica  nell'ottavo  secolo  e  potè 
acquistare  nuova  vitalità  nel  nono  e  decimo  secolo  sotto  la  dinastia 
macedone  perchè  le  sue  classi  dirigenti  conservavano  ancora,  nelle 
epoche  accennate,  notevoli  riserve  di  forza  intellettuale  e  di  patriot- 
tismo e  le  popolazioni  potevano  ancora  fornire  larghe  entrate  al- 
l'erario e  numerosi  soldati.  Ma,  alla  fine  del  secolo  decimoquarto, 
la  civiltà  bizantina  era  cosi  esaurita  che  i  cronisti  contemporanei 
poterono  scrivere  che  l'imperatore  Manuele  IV  avrebbe  salvato 
l'impero  se  questo  avesse  potuto  ancora  essere  salvato;  ed  è  noto 
poi  come,  qualche  generazione  dopo,  la  condotta  energica  e  la 
morte  eroica  dell'ultimo  imperatore  Costantino  Dragases  non  abbia 


trasformazioni  compiute  nello  Stato  e  nella  società  russa  da  Pietro  il  Grande 
e  Caterina  II,  le  quali  sono  pure  descritte  dallo  stesso  autore  nei  volumi  che 
trattano  di  questi  sovrani. 

(1)  L'opera  di  Filippo  re  di  Macedonia  è  minutamente  descritta  sopratutto 
dal  Grotk;  vedi  Histoire  de  la  Grece,  traduction  de  Sadous,  volume  XVIII,  ca- 
pitolo II. 

(2)  Sopra  l'imperatore  Magioriano,  che  resse  il  cadente  impero  romano  d'Oc- 
cidente dal  457  al  461,  si  può  consultare  la  interessantissima  monografia  di 
Luigi  Cantakelli,  pubblicata  a  Roma  a  cura  della  Società  romana  di  storia 
patria  nel  1883.  Nella  cennata  monografia  sono  raccolti  i  brani  di  tutti  gli 
scrittori  antichi  e  moderni  che  trattano  di  questo  valoroso  e  sfortunato  im- 
peratore. 


442  SLEMBMTI    DI    80IEVZA    POLITICA 


ritardato  che  di  poche  settimane  la  caduta  della  capitale  e  la  fine 
dello  Stato  (1).  • 

IL  —  Senonchè  molti,  che  crederanno  forse  facilmente  che  vi 
possa  ossero  un  rapporto  abbastanza  stretto  fra  le  qualità  morali 
ed  intellettuali  del  capo  supremo  di  uno  Stato  e  del  grui)po  dei 
suoi  immediati  coadiutori  e  quello  dell'intiera  classe  politica,  sa- 
rebbero molto  restii  ad  ammettere  l'esistenza  di  un  identico  rap- 
porto fra  l'intiera  classe  politica  e  la  grande  massa  dei  governati. 
Mentre  noi  opiniamo  al  contrario  che  questo  secondo  rapporto  sia 
più  sicuro  e  costante  del  primo;  perchè  molti  elementi  occasionali, 
che  agiscono  solo  in  dati  momenti,  quali  sarebbero  la  prevalenza 
di  alcune  dottrine  politiche,  la  volontà  dei  pochi  uomini  che  già 
occupano  le  cariche  supreme  e  quelli  che  si  chiamano  i  casi  for- 
tuiti, perchè  imprevedibili,  e  fra  questi  si  potrebbe  mettere  anche 
la  nascita,  hanno  un'azione  assai  più  efficace  quando  si  tratta  di 
determinare  la  scelta  di  coloro  che  arriveranno  ai  primissimi  posti 
anziché  nello  stabilire  i  criteri  in  base  ai  quali  si  esplica  quella 
grande  e  continua  selezione  da  cui  viene  fuori  tutta  la  classe  di- 
rigente. 

Nei  tempi  nei  quali  abbiamo  vissuto  ci  è  capitato  spesso  di  sen- 
tire affermare  che  il  popolo  è  naturalmente  buono  e  virtuoso  e 
che  la  classe  dirigente  è  viziosa  e  corrotta,  e  non  diciamo  che 
questa  affermazione  non  possa  avere  talvolta  una  qualche  parvenza 
di  verità.  Ma  coloro  che  la  fanno  quasi  sempre  non  tengono  conto 
che  è  facile  di  conservare  certe  virtù  quando  è  materialmente  im- 
possibile di  acquistare  certi  vizi,  che  ad  esempio  la  prepotenza  non 
può  essere  praticata  dai  deboli  e  che  il  lusso,  lo  spreco  insensato 
ed  il  soverchio  amore  dei  godimenti  sono  inaccessibili  ai  poveri. 
Volendo  fare  quindi  un  paragone  esatto  fra  il  senso  morale  di  due 
classi  sociali  diverse,  sarebbe  necessario  di  osservare  i  costami  e 
le  tendenze  di  coloro  che  dalla  classe  più  bassa  riescono  ad  innal- 


(1)  Fra  i  tanti  lavori  recentemente  pubblicati  sull'impero  bizantino,  e  che 
l'hanno  in  gran  parte  riabilitato,  si  possono  consultare  quelli  di  Charles  Diehl 
e  specialmente  VHistoire  de  l'empire  Byzantin  (Paris,  Picard  1919)  e  Byzance, 
Grandeur  et  décadence  (Paris,  Flammarion,  1919)  ;  come  anche  il  dettagliatis- 
simo lavoro  dello  Schlumbkkqer,  L'epopee  byzantine  à  la  fin  du  dixihne  siede, 
Paris,  Hachette,  1896. 


PAKTK  li.  CAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  443 

zarsi  e  ad  entrare  in  quella  più  alta,  e  solo  se  essi  ed  i  loro  figli 
fossero  realmente  migliori  dei  loro  nuovi  compagni  di  classe  si 
potrebbe  con  qualche  sicurezza  proclamare  la  superiorità  morale 
della  classe  diretta  rispetto  a  quella  dirigente.  Non  sembra  che 
un'indagine  di  questo  genere  dia  in  generale  risultati  favorevoli 
per  i  nuovi  arrivati. 

Si  potrà  obiettare  che  fra  le  classi  dirette  solo  i  peggiori  riescono 
a  farsi  avanti  e  ad  entrare  nelle  classi  dirigenti;  ma  l'obiezione  ci 
sembra  fondata  sopra  una  concezione  incompleta  e  confusa,  e 
quindi  inesatta,  dei  criteri  secondo  i  quali  è  regolata  la  lotta  per 
la  preminenza  sociale,  criteri  nei  quali  bisogna  rintracciare  la 
causa  prima  del  ''^  per  che  una  gente  impera  ed  altra  langue  „. 
Senza  dubbio  vi  sono  alcune  qualità  che  in  tutti  i  tempi  ed  in 
tutti  i  luoghi  devono  esser  possedute  da  coloro  che  dal  basso 
riescono  a  salire  in  alto,  qualità  che  anche  i  loro  discendenti  de- 
vono fino  ad  un  certo  punto  conservare,  se  non  vogliono  ricadere 
nella  condizione  dei  loro  padri  o  dei  loro  antenati,  e  tali  sarebbero 
la  capacità  di  lavoro  e  la  costante  volontà  di  innalzarsi  e  di  restare 
in  alto;  ma  ve  ne  sono  altre  variabili  assai  secondo  i  tempi  ed  i 
luoghi  e  che  rispondono  appunto  ai  bisogni  ed  alla  natura  delle 
varie  epoche  ed  alle  tendenze  dei  vari  popoli.  Ed  in  generale  si 
può  dire  che  in  ogni  società  il  successo,  a  parità  di  circostanze, 
è  a  preferenza  riservato  a  quegli  individui  che  posseggono  in  modo 
eminente  le  doti  che  in  quella  società  sono  più  comuni,  e  quindi 
più  apprezzate. 

Infatti  è  evidente  che  per  riconoscere  ed  apprezzare  il  valore 
di  una  qualità  intellettuale  o  morale  nei  nostri  simili  bisogna  in 
qualche  modo  possederla  :  è  questa  una  regola  che  crediamo  di 
potere  enunciare  basandoci  sull'esperienza  della  vita,  e  di  cui 
ognuno,  guardandosi  attorno,  può  constatare  la  verità.  Si  sa  che 
per  sentire  il  fascino  di  un  grande  artista  bisogna  fino  ad  un  certo 
punto  possedere  il  senso  dell'arte,  e  nello  stesso  modo  per  ammi- 
rare sinceramente  un  gran  coraggio  od  una  grande  rettitudine 
bisogna  essere  coraggiosi  e  retti;  poiché  non  è  possibile  di  com- 
prendere le  qualità  più  nobili  dell'intelligenza  e  del  carattere 
umano  se  esse  sono  totalmente  estranee  alla  nostra  natura.  Vice- 
versa, dove  la  furberia,  l'intrigo  e  la  ciarlataneria  sono  molto  co- 
muni e  pregiate,  i  più  furbi,  i  più  intriganti  ed  i  più  ciarlatani,  a 
parità  di  condizioni,  faranno  fortuna  ;  dove  la  maggioranza  crede 


444  ELEMENTI    DI   BOIENZA   POLITIOA 

che  l'inganno  sia  la  via  migliore  per  raggiungere  il  successo,  lo 
conseguiranno  preferibilmente  coloro  che  raggiungeranno  l'eccel- 
lenza nell'arte  dell'ingannare. 

Naturalmente  in  tutti  i  paesi  ed  in  tutti  i  tempi  l'uomo  che  vuole 
farsi  avanti  deve  avere  un  certo  grado  di  quella  che  comunemente 
si  chiama  abilità;  cioè  deve  possedere  l'attitudine  a  far  valere  le 
proprie  doti  e  ad  imporsi  all'attenzione,  e  qualche  volta  all'ammi- 
razione, dei  propri  simili,  rendendoli  persuasi  della  propria  supe- 
riorità (1).  Ma  il  genere  di  abilità  necessario  alla  riuscita  varia 
molto  secondo  i  tempi  ed  i  luoghi.  Si  sa  che  vi  è  la  magia  bianca 
e  quella  nera,  la  prima  basata  sulle  qualità  superiori  dell'ingegno 
e  del  carattere,  la  seconda  sulle  inferiori.  Forse  in  nessun  paese 
ed  in  nessun  luogo  la  magia  bianca  è  riuscita  e  riesce  veramente 
efficace  se  non  è  mescolata  ad  un  poco  di  quella  nera,  o  quanto 
meno  all'arte  di  mettere  in  mostra  i  lati  migliori  del  proprio  ca- 
rattere e  della  propria  intelligenza,  tenendo  nella  penombra  quelli 
peggiori;  ma  le  dosi  della  mescolanza  possono  variare  assai  da  una 
nazione  ad  un'altra  e  nella  stessa  nazione  secondo  le  epoche.  Va- 
riano perchè  generalmente  quando,  in  un  dato  ambiente  sociale,  la 
quantità  di  magia  nera  è  soverchia,  il  gusto  del  pubblico  non  la 
tollera,  e  l'individuo  che  di  questa  mescolanza  fa  uso  resta  squa- 
lificato, come  succede  al  giocatore  che  bara.  Ora  riesce  evidente 
che,  in  un  ambiente  di  gusto  più  raffinato,  si  faranno  avanti  a 
preferenza  coloro  che  meglio  sanno  e  possono  usare  le  arti  della 
magia  bianca,  mentre  precisamente  il  contrario  accadrà  in  quegli 
altri  nei  quali  più  comuni,  e  quindi  più  tollerate,  sono  quelle  della 
magia  nera. 

Studiando  la  storia  dei  popoli  noi  possiamo  facilmente  consta- 
tare che  ve  ne  sono  stati  e  ve  ne  sono  di  quelli  che  hanno  lunga- 
mente subito  e  subiscono  la  dominazione  straniera,  o  che  sono  stati 
lungamente  governati  da  aristocrazie  di  origine  straniera.  Tale  è 
stato,  ad  esempio,  il  caso  dell'Egitto  dopo  la  dominazione  persiana, 


(1)  Oggi  l'avere  quest'attitudine  è  diventato  un  mezzo  di  successo  assai  più 
efficace  di  quello  che  era  fino  a  qualche  secolo  fa,  purché  si  abbia  l'amicizia 
e  la  protezione  dei  quotidiani  più  difl:usi.  A  dir  vero  sono  più  di  quattro  secoli 
che  Machiavelli  scriveva  nel  Principe:  "  ognuno  vede  quello  che  tu  pari  pochi 
sentono  quel  che  tu  sei  ,,  ma  oggi  parere  e  diventato  infinitamente  più  facile, 
dato  che  la  grande  maggioranza  forma  il  suo  giudizio  intorno  agli  uomini 
politici,  ai  letterati  ed  agli  scienziati  su  quanto  ne  dicono  i  giornali. 


PARTE    II.    CAP.  V    -    SCHIARIMENTI    E    POLEMICHE  445 

dell'India,  dopo  le  prime  invasioni  maomettane,  avvenute  verso  il 
mille  dell'era  volgare,  e  fino  ad  un  certo  punto  della  Russia  (1); 
nella  quale  la  formazione  del  primo  impero  si  dovette  ad  un 
gruppo  di  avventurieri  scandinavi  e  dove,  dopo  Ivano  IV  e  sopra 
tutto  dopo  Pietro  il  Grande,  elementi  stranieri  entrarono  in  gran 
numero  nella  sua  classe  dirigente. 


(1)  Si  sa  che  l'Egitto,  dopo  che  Alessandro  Magno  vi  ebbe  distrutto  il  do- 
minio persiano,  formò  un  regno  indipendente  sotto  i  Tolomei,  i  quali  vi  intro- 
dussero la  cultura  ellenica,  ed  allora  la  sua  classe  dirigente  era  di  origine 
elbnica  od  ellenizzata.  Conquistato  poi  dai  Romani  ed  alla  caduta  dell'impero 
d'occidente  governato  dai  Bizantini,  fu  durante  il  quinto  e  sesto  secolo  una 
delle  Provincie  più  turbolente,  finche  fu  nel  settimo  secolo  conquistato  dagli 
Arabi  ed  obbedì  prima  ai  califfi  ommeyadi  di  Damasco  e  poi  a  quelli  abassidi 
di  Bagdad.  Verso  la  metà  del  decimo  secolo  ricuperò  la  sua  autonomia  perchè 
fu  conquistato  da  una  dinastia  e  da  un  esercito  berbero,  provenienti  dalla 
Tunisia,  che  vi  istituirono  un  califfato  fatimita,  il  quale  ebbe  sede  al  Cairo.  Inde- 
bolitasi mano  a  mano  la  dinastia  berbera  e  mescolatasi  cogli  indigeni  la  po- 
polazione di  origine  berbera,  fu  aggregato  verso  la  fine  del  dodicesimo  secolo 
aU'impei'o  di  Saladino  e,  dopo  la  morte  di  questo  sultano,  fu  quasi  sempre 
governato  da  capi  di  milizie  mercenarie  di  origine  straniera,  per  lopiìi  cir- 
cassa, finche  nel  secolo  decimosesto  fu  conquistato  dai  Turchi.  I  quali  del  resto 
presto  tornarono  ad  affidarne  il  governo  ai  bey  dei  Mammelucchi,  milizia 
pure  di  origine  circassa,  finche  questi  furono  prima  vinti  da  Bonaparte  e  poi 
sterminati  da  Mehemet  Ali,  il  primo  Kedivè  che  era  di  origine  albanese.  Anche 
oggi  in  Egitto  le  famiglie  della  classe  elevata  sono  in  maggioranza  di  origine 
turca,  circassa  ed  albanese. 

Quanto  all'India  sembra  accertato  che,  assai  prima  delle  invasioni  maomet- 
tane, abbia  subito  delle  invasioni  di  barbari  del  settentrione,  dai  quali  discen- 
derebbero alcune  delle  popolazioni  più  guerriere,  che  hanno  evitato  studio- 
samente ogni  mescolanza  con  gli  indigeni.  Così  hanno  fatto,  ad  esempio,  i 
Radjaputi,  che  però  abbracciarono  la  religione  e  la  coltura  bvaminica.  Viceversa 
ciò  non  potè  accadere  quando  vennero  nel  paese  i  più  recenti  conquistatori 
di  origine  turca  od  afgana,  che  avevano  già  abbracciato  l'Islamismo.  L'ultima 
conquista  turca  fu  quella  capitanata  da  Baber,  che  al  principio  del  secolo 
decimosesto  gettò  le  fondamenta  dell'impero  del  Gran  Mogol.  A  dir  vero,  trat- 
tandosi di  paese  vastissimo  ed  in  condizioni  molto  diverse  da  una  contrada 
all'altra,  è  accaduto  che  anche  popolazioni  di  antica  origine  indiana  e  di  cul- 
tura braminica,  come  ad  esempio  la  grande  confederazione  dei  Mahratti,  vi 
abbiano,  in  tempi  relativamente  recenti,  fondato  Stati  abbastanza  vasti  e  mi- 
litarmente bene  organizzati,  ma  in  sostanza  quasi  tutta  la  grande  vallata  del 
Gange  e  buona  parte  dell'India  centrale  e  meridionale  erano,  quando  furono 
conquistate  dagli  Inglesi,  govei-nate  da  sovrani  maomettani,  e  maomettana  vi 
era  la  classe  dominante  in  prevalenza  di  origine  straniera. 


446  ELEMENTI   DI    SCIENZA   POLITICA 

Ed  alle  volte  è  avvenuto  che,  fino  a  quando  la  classe  domina- 
trice di  origine  straniera  si  è  mantenuta  abbastanza  pura,  lo  Stato 
ha  conservato  la  sua  forza  ed  il  paese  la  sua  prosperità;  ma  poi, 
a  misura  che  la  detta  classe  si  andava  fondendo  e  confondendo 
con  gli  elementi  indigeni,  la  compagine  politica  si  è  indebolita  e 
la  nazione  è  ricaduta  nell'anarchia  od  in  un'altra  dominazione 
straniera. 

Or  questi  fatti,  quando  si  sono  costantemente  ripetuti  ed  hanno 
durato  per  lungo  volgere  di  secoli,  dimostrano  che  l'elemento  in- 
digeno di  quelle  nazioni  nelle  quali  sono  accaduti  non  possedeva 
le  attitudini,  le  virtù  necessarie  a  cavare  dal  proprio  seno  una 
classe  dirigente  degna  di  dirigere  e  che,  se  in  origine  queste  virtù 
aveva  posseduto,  come  fu  il  caso  dell'Egitto  e  dell'India,  le  aveva 
in  seguito  perdute.  Abbiamo  già  detto  quanto  il  comandare  sia 
più  difficile  dell'obbedire  e,  quando  un  popolo  od  una  razza  non 
possiedono  elementi  atti  al  comando,  o  quando  questi  elementi 
intisichiscono  e  non  possono  svilupparsi,  perchè  soffocati  dalla  ge- 
nerale mediocrità  intellettuale  e  morale,  allora  questo  popolo  o 
questa  razza  sono  destinati  ad  obbedire  agli  stranieri,  o  ad  elementi 
dirigenti  di  origine  straniera. 

Questa  ultima  osservazione,  insieme  a  quelle  che  già  abbiamo 
fatto  in  questo  e  nel  precedente  capitolo,  permettono  di  fare  meglio 
rilevare  la  grande  importanza  pratica  che  è  destinata  ad  assumere 
la  nuova  dottrina,  la  quale  mira  a  concentrare  gli  sforzi  degli  stu- 
diosi nell'indagine  relativa  alla  formazione  ed  organizzazione  delle 
varie  classi  politiche. 

Infatti  le  antiche  e  viete  classificazioni  di  Aristotile  e  di  Mon- 
tesquieu mettevano  in  fondo  un'etichetta  comune  a  vasi  il  cui 
contenuto  era  quanto  mai  disparato;  per  la  prima,  ad  esempio, 
potevano  senz'altro  essere  classificate  come  democrazie  quella  di 
Atene  e  quella  che  attualmente  è  in  vigore  nella  Svizzera  o  negli 
Stati  Uniti  d'America;  e  per  la  seconda  potevano  essere  messe  fra 
le  repubbliche  quella  di  Roma  antica  e  quella  di  Venezia,  o  anche 
quelle  dell'Argentina  e  del  Brasile.  Mentre  la  nuova  dottrina  non 
ha  saputo  ancora  trovare  delle  etichette  ma  costringe  a  studiare  il 
contenuto  dei  vasi,  ad  indagare  ed  analizzare  i  criteri  che  preval- 
gono nella  formazione  di  quelle  classi  dirigenti  dalle  quali  dipende, 
come  si  è  visto,  la  forza  o  la  debolezza  degli  Stati,  e  nelle  quali 
si  può  sempre  trovare  l'immagine  fedele  delle  virtù  e  delle  man- 


PARTE  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  447 

chevolezze  politiche  di  ogni  pojjolo  e  di  ogni  razza.  Il  nuovo  me- 
todo è  certamente  più  difficile  e  rictiiede  sopratutto  uno  spirito  di 
osservazione,  una  esperienza  della  vita  politica  ed  una  cultura 
storica  infinitamente  superiori  a  quelle  che  potevano  bastare  coi 
metodi  antichi;  ma  esso  è  indiscutibilmente  più  positivo,  e  può 
condurre,  se  usato  con  discrezione  e  con  la  dovuta  preparazione,  a 
risultati  più  sicuri;  e  finalmente  è  più  corrispondente  a  quel  grado 
di  maturità  intellettuale  che  gli  elementi  più  colti  della  presente 
generazione  hanno  già  quasi  raggiunto. 

ni.  —  Ma  anche  il  nuovo  metodo  potrà  dare  tutti  i  suoi  frutti 
solo  quando  saranno  distrutti  certi  preconcetti  che  rappresentano 
i  residui  della  mentalità  dei  secoli  decimottavo  e  decimonono,  pre- 
concetti i  quali  impediscono  che  esso  sia  efficacemente  applicato 
allo  studio  dei  fatti  politici  o  che  almeno  ne  ostacolano  e  contur- 
bano l'applicazione.  Abbiamo  già  ricordato  nella  prima  parte  di 
questo  lavoro  che  il  disimparare  è  cosa  assai  più  difficile  dell'im- 
parare; aggiungeremo  ora  che  il  maggiore  ostacolo  alla  prevalenza 
di  un'idea  o  di  un  metodo  più  conformi  alla  verità  si  riscontra 
quando  l'intelletto  umano  è  già  abituato  ad  un'altra  idea  o  ad  un 
altro  metodo  meno  perfetti,  che  lo  ingombrano  e  impediscono  che 
in  esso  concetti  nuovi  possano  agevolmente  penetrare. 

Or  precisamente  uno  dei  sistemi  d'idee  oggi  molto  diffusi  e  che 
rendono  difficile  la  retta  visione  del  mondo  politico  è  quello  che 
viene  comunemente  chiamato  materialismo  storico,  il  quale  non  è 
soltanto  un  articolo  di  fede  per  i  moltissimi  seguaci  del  Marxismo, 
ma  ha  eziandio  più  o  meno  influenzato  molti  di  coloro  che  alle  dot- 
trine marxistiche  completamente  non  aderiscono.  Ed  il  pericolo 
maggiore  della  diffusione  del  cennato  sistema  e  della  grande  in- 
fluenza intellettuale  e  morale  che  esercita  consiste  nella  piccola 
parte  di  verità  che  esso  contiene;  perchè  nella  scienza,  come  in 
generale  nella  vita,  le  bugie  più  pericolose  sono  quelle  mescolate 
con  una  certa  dose  di  verità,  che  serve  a  meglio  mascherarle  ed 
a  colorirle  in  modo  da  renderle  facilmente  credibili.  Sicché,  sebbene 
tanto  nella  prima  che  nella  seconda  parte  di  questo  lavoro,  non 
manchino  molti  accenni  diretti  ed  indiretti  alla  fallacia  della  detta 
dottrina,  crediamo  indispensabile  di  tornare  di  proposito  sull'ar- 
gomento. 

Il  materialismo  storico  si  può  riassumere  in  duo  proposizioni  che 


448  SLKMBNTI    DI    SCIENZA    PULITIOA 

no  costituiscono,  per  dir  cosi,  gli  assiomi  fondamentali,  sui  quali 
si  basa  la  dimostrazione  di  tutti  i  teoremi  che  ne  derivano. 

Secondo  il  primo  assioma,  tutta  l'orf^anizzazione  politica,  giuri- 
dica e  religiosa  di  una  società  sarebbe  costantemente  subordinata 
al  tipo  prevalente  di  produzione  economica  ed  alla  natura  dei  rap- 
porti che  esso  crea  fra  i  detentori  dei  mezzi  di  produzione  ed  i 
lavoratori  manuali.  Perciò,  cambiando  il  sistema  di  produzione  eco- 
nomica, dovrebbero  necessariamente  cambiare  la  forma  di  Governo, 
la  legislazione  che  regola  i  rapporti  fra  gli  individui  e  fra  questi 
e  lo  Stato  e  finalmente  anche  quelle  concezioni  religiose  e  politiche 
che  forniscono  la  base  morale  all'organizzazione  dello  Stato;  come 
sarebbero,  ad  esempio,  il  concetto  del  diritto  divino  dei  Re  o  quello 
della  sovranità  popolare.  Il  fattore  economico  sarebbe  quindi  la 
causa  unica  ed  esclusiva  di  tutti  i  mutamenti  materiali,  intellettuali 
e  morali  che  avvengono  nelle  società  umane  e  tutti  gli  altri  fattori 
non  sarebbero  tali,  ma  dovrebbero  essere  considerati  come  sem- 
plici effetti  e  conseguenze  di  esso. 

Il  secondo  assioma,  che  sarebbe  in  certo  modo  un  postulato  del 
primo,  afferma  che  ogni  epoca  economica  racchiude  i  germi  i  quali, 
mano  mano  maturandosi,  rendono  necessario  l'avvento  di  quella 
successiva  con  la  conseguente  trasformazione  di  tutta  l'impalcatura 
politica,  religiosa  e  legislativa  della  società.  Perciò,  durante  la  pre- 
sente epoca  borghese,  sopratutto  mediante  l'accentramento  progres- 
sivo della  ricchezza  in  pochissime  mani,  si  andrebbero  preparando 
quelle  condizioni  economiche  e  sociali,  che  quanto  prima  dovreb- 
bero rendere  inevitabile  e  fatale  il  collettivismo.  Quando  poi  si  sarà 
arrivati  a  quest'ultima  fase  dell'evoluzione  storica,  sparirà  per 
sempre  ogni  disuguaglianza  fondata  sulle  istituzioni  sociali,  sarà 
reso  impossibile  il  predominio  e  lo  sfruttamento  esercitato  da  una 
classe  a  danno  delle  altre  e  verrà  inaugurato  un  nuovo  sistema 
basato,  non  già  sull'egoismo  individuale,  ma  sulla  fratellanza  uni- 
versale (1). 


(1)  Queste  dottrine  si  trovano,  come  è  noto,  già  accennate  nel  Manifesto  dei 
Comunisti,  pubblicato  dal  Marx  e  dall'Engel  nel  1848;  ebbero  poi  uno  sviluppo 
maggiore  nella  Prefazione  alla  "Critica  dell'Economia  politica,,,  pubblicata 
dal  Marx  nel  1859  e  finalmente  formano  in  certo  modo  l'ossatura  del  primo 
volume  del  Capitale,  pubblicato,  come  si  "sa,  nel  1867,  poiché  esse  sono  sal- 
tuariamente enunciate  o  sottintese  durante  tutto  lo  svolgimento  del  lavoro. 
Chi  non  avesse  la  pazienza  di  leggere  o  di  rileggere  le  opere  del  Marx  potrebbe 


PAKTE    II.    GAP.  V    -    SCHIARIMENTI    E    POLEMICHE  449 

Ora  riguardo  al  primo  assioma  faremo  anzitutto  osservare  che 
si  potrebbero  addurre  moltissimi  esempi  storici  per  dimostrare  che 
nelle  società  umane  sono  avvenuti  cambiamenti  importantissimi, 
i  quali  ne  hanno  mutato  radicalmente  gli  ordinamenti  politici,  ed 
alle  volte  anche  le  concezioni  fondamentali  sui  quali  questi  ordi- 
namenti erano  fondati,  senza  che  vi  sia  stata  una  contemporanea, 
o  quasi  contemporanea,  modificazione  nei  sistemi  di  produzione 
economica  e  nei  rapporti  fra  i  detentori  degli  strumenti  di  produ- 
zione ed  i  lavoratori.  La  repubblica  romana,  ad  es.,  si  trasformò 
neirimpero  di  Augusto  e  dei  suoi  successori,  e  perciò  lo  Stato  città 
classico  diventò  un  organismo  politico  a  base  burocratica,  senza 
che  i  sistemi  di  produzione  si  fossero  minimamente  modificati  e 
senza  che  le  leggi  che  regolavano  la  proprietà  e  la  distribuzione 
della  ricchezza  si  fossero  alterate.  Il  solo  cambiamento  che  av- 
venne, e  che  non  fu  certamente  generale,  fu  quello  delle  persone 
dei  proprietari,  perchè,  sopratutto  dopo  la  seconda  guerra  civile, 
molti  beni  dei  privati  furono  confiscati  e  distribuiti  ai  soldati  dei 
triumviri  (1).  Il  trionfo  del  Cristianesimo  apportò  nel  mondo  an- 
tico un  grande  rivolgimento  intellettuale  e  morale;  molte  idee 
fondamentali,  molti  sentimenti,  e  per  conseguenza  molte  istitu- 
zioni, e  basterebbe  in  proposito  ricordare  il  matrimonio  ed  altri 
rapporti  di  famiglia,  furono  dalla  nuova  religione  modificati;  ma 
non  consta,  anzi  si  può  escludere,  che  lo  stesso  sia  avvenuto  nel 
quarto  e  quinto  secolo  dell'era  volgare  nei  rapporti  fra  coloro  che 


consultare  in  proposito  l'ottimo  lavoro  di  Achille  Loria,  intitolato  Carlo  Marx 
(Genova,  Formigini  editore,  1916).  Ricorderemo  incidentalmente  che  parecchie 
delle  idee  fondamentali  del  Marx  non  sono  del  tutto  originali,  ma  si  trovano 
già  esposte,  certamente  con  minor  metodo  e  precisione,  nelle  pubblicazioni  di 
altri  precedenti  scrittori  più  o  meno  socialisti,  e  specialmente,  insieme  a  molte 
concezioni  mistiche  e  trascendentali,  in  quelle  di  Pietro  Léroux  (Vedi  in  pro- 
posito le  pubblicazioni  di  questo  scrittore  e  specialmente  VÉgalité  pubblicata 
nel  1838  e  V Humanité  pubblicata  nel  1840).  Anche  per  il  Léroux  il  Comunismo 
e  l'uguaglianza  assoluta  doveano  essere  la  conchiusione  fatale  di  tutta  l'evo- 
luzione storica  dell'umanità;  anzi,  secondo  lui,  il  secolo  decimonono  rappresen- 
tava un  periodo  di  transizione  fra  un  mondo  di  disuguaglianza,  che  stava  per 
finire,  ed  un  mondo  di  uguaglianza  che  stava  per  cominciare. 

(1)  Questa  spogliazione  e  le  sue  disastrose  conseguenze  morali  ed  economiche 
sono  assai  bene  descritte  da  Guglielmo  Febrkuo  nel  volume  111  di  Grandezza 
e  decadenza  di  Roma,  intitolato  *  Da  Cesare  ad  Augusto  ,. 

G.  Mosca,  Elementi  di  Sciensa  PolUica,  29 


450  KLEMENTI    DI    BOIIÌNZA   POLITICA 

possedevano  gli  strumenti  della  produzione  economica,  dei  quali 
principalissimo  ora  alloia  la  terra,  ed  i  lavoratori  manuali. 

E  difficile  citare  un  rivolgimento  di  tutta  una  società  parago- 
naljile  per  la  sua  importanza  alla  caduta  dell'impero  romano  di 
occidente,  all'inabissarsi  della  splendida  civiltà  antica  in  tanta 
parte  d'Europa  (1);  eppure  noi  vediamo  che  il  sistema  di  produ- 
zione economica  restò  identico  prima  e  dopo  le  invasioni  dei  bar- 
bari; giaccliè  oggi  è  notorio  che  il  colonato,  e  quindi  la  servitù 
della  gleba,  non  trassero  origine  dalle  invasioni  barbariche,  ma 
erano  già  istituzioni  generalizzate  nel  Basso  Impero.  Si  potrebbe 
invero  citare  come  uno  dei  coefficienti  della  caduta  dell'impero 
d'Occidente  l'esaurimento  economico  della  società  di  quell'epoca, 
dovuto  alla  diminuzione  della  produzione  e  quindi  della  ricchezza; 
ma,  esaminando  attentamente  il  fenomeno,  si  vede  che  il  generale 
impoverimento  fu  piuttosto  un  effetto  anziché  una  causa  della 
decadenza  politica,  perchè  esso  fu  in  gran  parte  dovuto  alla  cat- 
tiva amministrazione  finanziaria  (2). 

E,  se  dall'antichità  veniamo  a  tempi  meno  remoti,  vediamo  in 
Italia,  verso  la  fine  del  secolo  decimoterzo  e  durante  il  secolo  de- 
cimoquarto, i  Comuni  trasformarsi  generalmente  in  Signorie  senza 
olle  i  sistemi  di  produzione,  e  quindi  i  rapporti  fra  i  lavoratori  ed 
i  detentori  delle  terre  e  dei  capitali  si  fossero  sensibilmente  mo- 
dificati. Analogamente  vediamo  in  Francia  costituirsi  lo  Stato  mo- 
derno assoluto  e  cominciare  a  formarsi  il  medio  ceto,  durante  il 
secolo  decimosettimo,  senza  che  fosse  contemporaneamente  avve- 
nuta nessuna  importante  modificazione  nei  sistemi  di  produzione 
e  nei  rapporti  economici  che  ne  derivano  ;  perchè  la  servitù  della 
gleba   era   in    quell'epoca  quasi  dappertutto  scomparsa  e  non  ne 


(1)  Forse  il  paragone  si  potrebbe  fare  con  la  catastrofe  che  ora  ha  colpito 
la  Russia,  che  quasi  sicuramente  avrà  durata  ed  effetti  minori,  ma  che  è  stata 
più  intensa,  perchè  si  è  svolta  in  pochissimi  anni.  In  questo  senso  si  può  con- 
siderare come  abbastanza  esatta  un'affermazione  di  Guglielmo  Ferrerò,  il  quale 
ha  scritto  in  uno  dei  suoi  articoli  pubblicati  neWUlustration  frangaise  che  la 
Russia  ha  in  quattro  anni  compiuto  quel  lavorìo  di  disgregazione  sociale  per 
il  quale  occorsero  alla  civiltà  antica  nell'Occidente  d'Europa  quattro  secoli. 

(2)  Basta  ricordare  il  gravissimo  danno  che  subì  la  media  proprietà,  dovuto 
non  solo  all'inasprimento  delle  imposte,  ma  anche  al  fatto  che  i  decurioni,  i 
quali  nelle  città  di  provincia  costituivano  la  media  borghesia,  rispondevano 
coi  loro  beni  del  recupero  integrale  dell'imposta  che  gravava  sull'intiera  città. 


PABTE    II.    GAP.  V    -    SOHIABIMBNTI    B    POLEMICHE  451 

restavano  che  quelle  poche  traccie,  che  durarono  fino  alla  grande 
rivoluzione  francese. 

Né  si  deve  credere  che  vi  sia  un  perfetto  sincronismo  fra  il  sor- 
gere della  grande  industria  moderna  e  l'adozione  del  sistema  di 
governo  rappresentativo,  con  la  conseguente  diffusione  delle  idee 
liberali,  democratiche  ed  anche  socialiste.  Infatti  in  Inghilterra  gli 
inizi  della  grande  industria  si  ebbero  nella  seconda  metà  del 
secolo  decimottavo,  quando  il  governo  parlamentare  funzionava 
già  da  circa  mezzo  secolo,  ma  la  classe  dirigente  conservava  an- 
cora le  sue  antiche  basi  aristocratiche.  In  Francia,  in  Germania, 
negli  Stati  Uniti  d'America  ed  in  tutto  l'occidente  d'Europa,  lo 
sviluppo  della  grande  industria  ed  il  grande  accentramento  di  ca- 
pitali e  di  operai,  che  ne  è  la  conseguenza,  ebbe  luogo  in  generale 
dopo  il  1830;  perchè  allora  soltanto  cominciò  ad  essere  diffusa 
l'applicazione  del  vapore  alle  navi  ed  ai  trasporti  terrestri  ed  il 
carbon  fossile  acquistò  un'importanza  capitale  come  fattore  ma- 
teriale della  produzione.  Tutto  quello  che  in  proposito  si  può  con- 
cedere è  che  la  grande  fabbrica,  con  le  grandi  agglomerazioni  di 
lavoratori  manuali  che  essa  ha  reso  necessarie,  ha  contribuito  for- 
temente allo  sviluppo  ed  alla  popolarizzazione  delle  idee  comuniste, 
che  erano  state  già  precedentemente  enunciate  e  che  sono  in  fondo 
il  corollario  naturale  di  quelle  democratiche,  già  formulate  da 
Rousseau  (1). 

Con  ciò  non  si  vuole  negare  che  il  sistema  prevalente  di  pro- 
duzione economica,  coi  particolari  rapporti  che  esso  determina  fra 
coloro  che  la  produzione  dirigono  e  che  ne  posseggono  gli  stru- 
menti ed  i  loro  coadiutori,  non  sia  uno  dei  fattori  che  maggiormente 
influiscono  nel  modificare  gli  ordinamenti  politici  di  una  società  e 
che  questo  fattore  non  abbia  il  suo  necessario  contraccolpo  anche 
nelle  concezioni  che  servono  di  fondamento  morale  agli  ordina- 
menti accennati.  L'errore  del  materialismo  storico  sta  nel  credere 
che  il  fattore  economico  sia  l'unico  degno  di  essere  considerato 
come  causa  e  che  tutti  gli  altri  debbono  essere  riguardati  come 
suoi  effetti;  mentre  ogni  grande  esplicazione   dell'umana  attività 


(1)  Vedi  in  proposito  la  prima  parte  di  questo  lavoro  al  Capitolo  X,  para- 
grafo IX,  nel  quale  abbiamo  fatto  menzione  degli  scrittori  comunisti  che  pub- 
blicarono i  loro  lavori  negli  ultimi  decenni  del  secolo  decimottavo  e  nei  primi 
decenni  del  decimonono. 


452  KLIMHNTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

nel  campo  sociale  è  nello  stesso  tempo  causa  ed  effetto  dei  muta- 
menti che  avvengono  nello  altre:  causa,  perchè  of^ni  sua  modifica- 
zione influisce  sullo  altre;  ed  effetto,  perchè  sente  l'influenza  delle 
loro  modificazioni  (1). 

Nessuno  ha  mai  affermato,  e  speriamo  che  nessuno  mai  affer- 
merà, che  le  mutazioni  che  avvenfjono  negli  ordinamenti  politici 
abbiano  come  causa  unica  quelle  che  il  cambiamento  delle  armi, 
della  tattica  e  dei  sistemi  di  reclutamento  hanno  già  introdotto 
negli  ordinamenti  militari.  Eppure  abbiamo  già  ricordato,  nel 
corso  del  presente  lavoro,  quali  effetti  politici  abbia  avuto  nella 
città  greca  la  sostituzione  degli  opliti,  come  arma  decisiva,  agli 
antichi  carri  da  guerra  ed  alla  cavalleria  e  come  la  vittoria  defi- 
nitiva della  regalità  sulla  feudalità,  vittoria  che  ebbe  luogo  nel 
periodo  che  corre  fra  la  metà  del  secolo  decimoquinto  e  la  metà 
del  decimosettimo,  sia  stata  in  gran  parte  dovuta  all'introduzione 
ed  al  perfezionamento  continuo  delle  armi  da  fuoco  (2).  Aggiun- 
geremo ora  che  un  esame  attento  della  storia  dell'ultimo  secolo 
della  Repubblica  romana  potrebbe  mettere  in  luce  gli  effetti  po- 
litici della  modificazione  introdotta  nel  reclutamento  delle  legioni 
da  Caio  Mario,  il  quale  arruolò  anche  i  nullatenenti  ed  i  figli 
dei  liberti,  che  prima,  tranne  in  momenti  eccezionalissimi,  come 
ad  esempio  verso  la  fine  della  seconda  guerra  punica,  erano  esclusi 
dal  servizio  militare  (3).  E,  quando  si  potrà  con  mente  serena  fare 


(1)  Ci  sia  concesso  anche  qui  di  ricorrere  ad  un  paragone  materiale,  cha 
crediamo  calzante,  per  spiegare  meglio  il  nostro  concetto.  Direbbe  senza  dubbio 
la  verità  colui  che  affermasse  che,  se  è  malato  il  cervello,  l'intiero  organismo 
umano  non  si  trova  più  nello  stato  normale;  ma  lo  stesso  si  potrebbe  dire  del- 
l'apparato digerente,  di  quello  respiratorio  e  di  qualunque  organo  essenziale 
del  nostro  corpo.  Sarebbe  perciò  un  sofisma  concludere  che  tutte  le  malattie 
dipendono  dal  cervello,  o  da  uno  qualsiasi  dei  nostri  organi  principali,  mentre 
è  evidente  che  il  benessere  di  ogni  individuo  dipende  dal  retto  funzionamento 
di  tutti  i  suoi  organi. 

(2)  Vedi  in  proposito  i  capitoli  II  e  lU  della  seconda  parte  di  questo  lavoro 
a  pagine  357  e  382. 

(3)  La  cennata  riforma  di  Caio  Mario  fu  attuata  precisamente  nel  107  avanti 
Cristo  ed  aggiungeremo  che,  pochi  anni  prima,  nel  123  avanti  Cristo,  Caio 
Gracco  avea  fatto  approvare  una  lex  militaris,  che  metteva  a  carico  dello  Stato 
la  spesa  per  l'equipaggiamento  e  l'armamento  del  soldato,  alla  quale  fino  allora 
questi  dovea  provvedere  con  i  propri  mezzi;  ciò  che  rese  possibile  che  nell'eser- 
cito entrassero  anche  i  più  poveri.  Le  due  riforme  accennate  contribuiscono 


PASTE  II.  GAP.  y  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  453 

la  storia  del  secolo  decimonono  e  del  ventesimo,  facilmente  si 
potranno  mettere  in  evidenza  gli  effetti  politici  del  servizio  mi- 
litare obbligatoriamente  esteso  a  tutti  i  cittadini,  che,  introdotto 
già  dalla  rivoluzione  francese,  venne  poi  adottato  e  perfezionato 
prima  dalla  Prussia  e  poi  dagli  altri  Stati  del  continente  europeo. 
E  diremo  pure  che  ci  sembra  assurdo  di  annoverare  fra  i  sem- 
plici effetti,  senza  dar  loro  mai  la  dignità  di  causa,  quelle  dottrine 
politiche  e  quelle  credenze  religiose,  che  forniscono  agli  organismi 
statali  la  base  morale  e  che,  penetrando  profondamente  nella  co- 
scienza delle  classi  dirigenti  e  delle  masse,  legittimano  e  discipli- 
nano il  comando  e  giustificano  l'obbedienza  e  creano  quegli  speciali 
ambienti  intellettuali  e  morali,  che  tanto  contribuiscono  a  deter- 
minare i  fatti  storici  ed  a  dirigere  perciò  il  corso  degli  avvenimenti 
umani.  Senza  il  Cristianesimo  e  la  forza  che  esso  acquistò  nella 
coscienza  delle  masse  e  delle  classi  dirigenti  e  senza  il  tenace  ri- 
cordo dell'unità  che  il  mondo  civile  avea  conseguito  sotto  Roma, 
non  si  spiegherebbe  la  lotta  secolare  fra  il  Papato  e  l'Impero,  che 
fu  uno  degli  avvenimenti  principali  della  storia  medioevale.  Come 
senza  Maometto  ed  il  Corano  non  sarebbe  sorto  il  grande  Stato 
musulmano,  che  tanta  parte  ha  avuto  ed  ha  ancora  nella  storia 
del  mondo  e  che,  dove  ha  potuto  impiantarsi  e  durare,  ha  intro- 
dotto uno  speciale  tipo  di  civiltà.  E,  se  noi  non  avessimo  ereditato 
dai  nostri  lontani  antenati  Grreci  e  Latini  la  concezione  della  libertà 
politica  e  la  dottrina  della  sovranità  popolare,  che  fu  poi  adattata 
ai  tempi  nuovi  e  modificata  da  Rousseau  e  dagli  altri  scrittori 
politici  del  secolo  decimottavo,  non  sarebbe  sorto  lo  Stato  rappre- 
sentativo moderno  e  l'organizzazione  politica  europea  del  secolo 
decimonono  non  si  sarebbe  cosi  profondamente  differenziata  da 
quella  del  secolo  decimottavo  (1). 


molto  a  spiegare  perchè  negli  ultimi  sessanta  anni  della  Repubblica  i  soldati 
diventarono  strumento  cieco  in  mano  dei  loro  duci,  che  promettevano  e  conce- 
devano largizioni  e  distribuzioni  di  terre,  spesso  confiscate  agli  avversari  poli- 
tici. Aggiungeremo  che,  durante  il  secondo  triumvirato,  furono  anche  arruolati 
liberti  e  schiavi;  or  lo  Stato  repubblicano  antico  non  poteva  reggersi  se  le 
armi  venivano  concesse  agli  infimi  strati  della  popolazione.  Vedi  in  proposito 
Ferrerò  e  Barbagallo,  Roma  antica.  Volume  I,  a  pagine  251   e  272. 

(1)  La  storia  delle  dottrine  politiche,  abbastanza  studiata  in  Francia   ed  in 
Inghilterra  ed  anche  in  Germania  e  negli  Stati  Uniti  d'America,  è  stata  quaii 


454  ELEMENTI    DI    SCIENZA    FOLITIOA 

Ed  è  inutile  discutere  se  le  forze  morali  hanno  preponderato  su 
quelle  materiali  più  di  quanto  queste  abbiano  messo  al  loro  ser- 
vizio quelle  morali.  Come  crediamo  di  avere  già  dimostrato  nella 
prima  parte  di  questo  lavoro,  ogni  forza  morale  cerca,  appena  può, 
d'integrarsi  creando  a  suo  vantaggio  una  base  d'interessi  costituiti, 
ed  ogni  forza  materiale  procura  di  giustificarsi  appoggiandosi  a 
qualche  concezione  d'ordine  intellettuale  e  morale  (Ij. 

In  India  le  popolazioni  di  razza  ariana  aveano  certo  da  parecchi 
secoli  sottomesso  e  relegato  negli  strati  inferiori  della  società  gli 
indigeni  di  razza  dravidica  quando  gli  scrittori  dei  Vedas  insegna- 
rono che  i  Bramini  uscirono  dalla  testa  di  Brama,  i  Ksiatria  dalle 
braccia  e  le  caste  inferiori,  ossia  i  Vaisia  ed  i  Sudra,  dalle  gambe 
e  dai  piedi  del  Dio.  Il  Cristianesimo  nacque  come  forza  puramente 
intellettuale  e  morale,  eppure,  appena  fu  molto  diffuso,  si  tramutò 
in  forza  anche  materiale;  acquistò  ricchezze,  seppe  premere  sui 
pubblici  poteri  ed  infine  i  suoi  vescovi  ed  i  suoi  abati  divennero 
anche  sovrani.  Nel  Maomettismo  la  concezione  religiosa  si  integrò 
subito  coll'esercizio  del  potere  sovrano,  ma,  senza  la  conversione 
disinteressata  e  sincera  dei  suoi  primi  seguaci,  ciò  non  sarebbe 
stato  possibile.  Infine  anche  il  moderno  socialismo  nacque  come 
pura  forza  intellettuale  e  morale,  ma  oggi,  dove  può  e  quanto  può, 
cerca  di  creare  tutta  una  rete  d'interessi  materiali,  la  quale  serve 
mirabilmente  a  mantenere  fedeli  i  gregari  ed  a  rimunerare  la  classe 


del  tutto  trascurata  in  Italia,  dopo  la  pubblicazione  fatta,  piìi  di  mezzo  secolo 
fa,  della  storia  degli  scrittori  politici  italiani  di  Giuseppe  Ferrari;  e  ciò  è  oltre- 
modo deplorevole,  perchè  si  tratta  di  un  ordine  di  studi  destinato  ad  acqui- 
stare grande  importanza  se  la  scienza  politica,  o,  come  altri  l'appellano,  la 
sociologia,  deve  veramente  diventare  una  scienza.  Difatti,  se  si  segue  lo  svol- 
gimento del  pensiero  politico  attraverso  le  varie  epoche  storiche,  facilmente 
si  constata  che,  se  i  fatti  politici  contemporanei  allo  scrittore  hanno  grande- 
mente influito  nella  formazione  della  sua  mentalità  e  quindi  delle  sue  teorie, 
alla  loro  volta  queste  teorie,  una  volta  formulate,  hanno  potentemente  con- 
tribuito a  formare  la  mentalità  politica  delle  generazioni  successive  e  quindi 
hanno"  contribuito  a  determinare  nuovi  fatti.  Di  ciò  si  potrebbero  facilmente 
addurre  moltissimi  esempi  ed  in  fondo  è  questo  uno  dei  tanti  casi,  così  fre- 
quenti nelle  scienze  sociali,  nei  quali  ciò  che  in  origine  era  un  effetto  si 
tramuta  in  causa  determinante.  Su  questo  argomento  si  può  anche  consultare 
il  lavoro  citato  sul  Principio  aristocratico,  a  pagina  4. 

(1)  Vedi  la  parte  prima  del  lavoro  e  specialmente  il  Capitolo  VI  intitolato: 
Chiese,  partiti  e  sètte. 


PARTE  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  455 

dirigente  die  in  esso  si  è  costituita.  E  d'altra  parte  oggi  anche  le 
influenze  puramente  materiali  della  plutocrazia  cercano  di  masche- 
rarsi, sovvenendo  largamente  giornali  di  tinta  spiccatamente  de- 
mocratica, influendo  sui  comitati  elettorali,  chinando  la  cervice  al 
battesimo  della  sovranità  popolare  e  mandando  spesso  nei  Parla- 
menti i  propri  rappresentanti  a  sedere  fra  le  file  dei  partiti  più 
avanzati. 

La  verità  è  dunque  che  i  grandi  fattori  delia  storia  umana  sono 
cosi  complessi  ed  intrecciati  fra  di  loro  che  qualunque  dottrina 
semplicista,  che  voglia  determinare  quale  sia  fra  essi  il  principale, 
quello  che  non  è  mosso  giammai  ma  muove  sempre  gli  altri,  con- 
duce necessariamente  a  conclusioni  e  ad  applicazioni  errate;  spe- 
cialmente quando  essa  intende  spiegare,  seguendo  il  metodo  Gen- 
naio e  guardandoli  da  un  solo  punto  di  vista,  tutto  il  passato  ed 
il  presente  dell'umanità.  E  peggio  ancora  accade  quando,  seguendo 
lo  stesso  sistema,  se  ne  vuole  predire  il  futuro. 

Dovremmo  ora  occuparci  del  secondo  degli  assiomi  sui  quali  si 
fonda  il  materialismo  storico,  ma,  come  abbiamo  già  accennato, 
esso  può  essere  considerato  come  una  conseguenza  del  primo  e 
quindi  perde  ogni  importanza  quando  questo  è  distrutto.  Ad  ogni 
modo  faremo  rilevare  come  l'affermazione  generica  che  ogni  epoca 
storica  contiene  i  germi,  i  quali  poi  sviluppandosi  la  trasforme- 
ranno in  quella  immediatamente  successiva,  equivale  ad  enunciare 
una  verità  cosi  evidente  e  di  tanto  facile  percezione  per  coloro  che 
hanno  una  certa  pratica  della  storia  da  potere  essere  considerata 
quasi  come  un  luogo  comune;  e  ricorderemo  incidentalmente  che 
alla  regola  accennata  abbiamo  già  parecchie  volte  dovuto  fare 
allusione  nel  corso  del  presente  lavoro.  Senonchè  per  il  Marx 
questi  germi  sarebbero  soltanto  quelli  d'indole  economica,  mentre 
noi  crediamo  di  aver  dimostrato  che  sono  molto  più  numerosi  e 
complessi. 

E  questa  limitata  visiono  del  fenomeno  sarebbe  già  sufficiente 
a  far  respingere  l'affermazione,  che  è  uno  dei  capisaldi  della  dot- 
trina marxista,  secondo  la  quale  la  presente  epoca  borghese  sta- 
rebbe maturando,  o  secondo  altri  avrebbe  già  maturato,  quei  germi 
che  renderanno  inevitabile  l'avvento  del  collettivismo.  Ma,  anche 
astraendo  da  questa  considerazione,  è  noto  che  omai  la  statistica 
ha  dimostrato  che  quella  concentrazione  della  ricchezza  e  dei 
mezzi  di  produzione  in  pochissime  mani,  che  a^nrebbe  dovuto  pre- 


456  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

ludere  alla  loro  collettivizzazione  ed  avrebbe  reso  facile  all'infinita 
falange  dei  proletari  l'espropriazione  dei  pochissimi  proprietari, 
non  era  prima  della  grande  guerra  avvenuta  e  neppure  era  in- 
camminata verso  una  sua  prossima  attuazione  (1).  E,  se  la  guerra 
ha  recentemente  dappertutto  più  o  meno  peggiorato  la  condizione 
delle  classi  medie,  ciò  è  dovuto  ad  altre  cause  non  preannunziate 
né  previste  dal  materialismo  storico;  ed  anche  oggi  se  la  compa- 
gine dello  Stato  borghese  è  stata  in  qualche  paese  distrutta,  ed  in 
altri  si  dimostra  molto  scossa,  ciò  non  avviene  per  la  concentra- 
zione della  ricchezza  in  pochissime  mani,  ma  per  ben  altre  ragioni 
alle  quali  avevamo  già  accennato  nella  prima  parte  di  questo  la- 
voro e  sulle  quali  dovremo  ancora  tornare  nel  capitolo  seguente. 
Assolutamente  fantastica  poi  ci  sembra  la  conclusione  del  se- 
condo assioma  e  di  tutta  la  dottrina  del  materialismo  storico  : 
cioè  che,  una  volta  attuato  il  collettivismo,  esso  sarà  l'inizio  di 
un'era  di  uguaglianza  e  di  giustizia  universale,  durante  la  quale 
lo  Stato  non  sarà  più  l'organo  di  una  classe  e  quindi  non  ci  sa- 
ranno più  sfruttati  e  sfruttatori.  Non  ci  attarderemo  a  confutare 
ancora  una  volta  questa  vera  utopia,  perchè,  insieme  a  tanti  altri 
scrittori,  anche  noi  l'abbiamo  già  confutato  durante  tutto  il  pre- 
sente lavoro.  Ricorderemo  soltanto  che  essa  è  la  conseguenza  na- 
turale e  necessaria  di  quella  concezione  ottimistica  della  natura 
umana  che,  nata  nel  secolo  decimottavo,  non  ha  ancora  compiuto, 
ma  è  forse  prossima  a  compiere,  il  suo  ciclo  storico.  Concezione 
in  base  alla  quale  l'uomo  nasce  buono  e  la  società,  o  meglio  le 
istituzioni  sociali,  lo  renderebbero  malvagio;  sicché,  cambiando 
queste,  la  stirpe  di  Adamo,  come  liberata  da  una  ferrea  compres- 


(1)  Anche  il  Loria  ammette  che  "  la  tesi  dell'accentramerito  progressivo 
della  ricchezza  presso  un  numero  decrescente  di  possessori  e  del  correlativo 
progressivo  immiserimento  delle  plebi  non  è  confermata,  ma  all'opposto  è 
smentita  dalle  statistiche  più  autorevoli  del  periodo  successivo  al  Marx  ;  seb- 
bene più  avanti  faccia  rilevare  che  "  la  divergenza  dei  redditi  sia  negli  ultimi 
anni  enormemente  cresciuta  e  che  l'accentramento  bancario  e  l'impero  delle 
banche  sull'industria  (fonte  di  sperequazioni  crescenti  nei  patrimoni)  abbia 
raggiunto  negli  ultimi  anni  intensità  imprevedibili  dallo  stesso  Marx^.  Vedi 
LoKiA,  opera  citata  a  pag.  41  e  42.  Aggiungeremo  infine  che  in  quésto  lavoro 
non  ci  è  sembrato  opportuno  di  ripetere  la  confutazione,  già  tante  volte  fatta 
dagli  economisti,  degli  errori  d'indole  puramente  economica  del  Marxismo, 
dei  quali  parla  anche  nel  lavoro  citato  lo  stesso  Loria. 


PARTE  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  457 


sione,  avrebbe  potuto  esplicare  tutta  la  sua  naturale  bontà.  Ed  è 
ovvio  che  i  seguaci  di  questa  scuola  dovessero  indicare  la  proprietà 
privata  come  origine  prima  ed  unica  dell'egoismo  umano,  anziché 
ammettere,  come  già  aveva  fatto  Aristotile,  che  l'egoismo  fosse 
la  causa  che  rendeva  inevitabile  la  proprietà  privata  (1). 

Difatti  a  cominciare  da  Morelly,  da  Mably  e  da  Babeuf,  venendo 
fino  a  Luigi  Blanc,  a  Proudhon  ed  a  Lassalle,  tutti  gli  scrittori 
che  hanno  voluto  tracciare  un  piano  completo  di  rigenerazione 
umana  hanno  sempre  messo  nel  loro  programma  l'attuazione  par- 
ziale e  graduale,  ovvero  completa  ed  immediata,  del  comunismo  e 
l'abolizione  della  proprietà  privata.  Il  Marx,  invece,  seguendo  in 
certo  modo  le  indicazioni  di  Pietro  Léroux,  sostituì  al  piano  con- 
cepito da  un  individuo  il  fatale  corso  della  storia,  che,  secondo  lui, 
doveva  condurre  allo  stesso  risultato.  E  senza  dubbio  il  metodo 
da  lui  adottato  si  è  dimostrato  in  pratica  assai  più  efficace  di 
quello  dei  suoi  predecessori;  perchè  non  si  può  criticare  e  demo- 
lire ciò  che  si  presume  che  debba  fatalmente  avvenire,  come  si 
critica  e  si  demolisce  un  progetto  di  riforme  fondamentali,  che 
poggia  soltanto  sull'autorità  di  un  uomo  ;  e  perchè,  fra  tutti  gli 
argomenti  a  favore  di  una  dottrina,  il  più  convincente  di  tutti  è 
quello  che  ne  vuole  dimostrare  inevitabile  il  più  o  meno  prossimo 
trionfo. 

IV.  —  Un'altra  concezione,  che,  dal  tempo  in  cui  Platone 
scrisse  i  suoi  dialoghi,  ha  preoccupato,  più  o  meno,  le  menti  di 
coloro  che  hanno  meditato  sopra  argomenti  politici,  è  quella  se- 
condo la  quale  al  Groverno  di  un  paese  dovrebbero  arrivare  i  mi- 
gliori] e  conseguenza  di  questa  aspirazione  è  stato,  e  forse  è,  lo 
studio  di  trovare  un  sistema  politico  il  quale  faccia  si,  o  almeno 
renda  possibile,  che  tale  concetto  diventi  una  realtà.  Naturalmente, 
negli  ultimi  decenni  del  secolo  decimottavo  e  durante  la  prima 


(1)  Aristotele  nella  Politica,  combattendo  le  teorie  comuniste  di  Platone, 
aflFerma  che  la  proprietà  privata  è  indispensabile  se  si  vuole  che  l'individuo 
produca  e  provveda  quindi  ai  bisogni  suoi,  della  famiglia  e  della  città  (Vedi 
Politica,  libro  li,  specialmente  nei  capitoli  I  e  11).  Identica  presso  a  poco  è  la 
giustificazione  che  della  proprietà  privata  dà  San  Tommaso  nella  Suiniua  ;  nò 
crediamo  che  ce  ne  sia  una  migliore,  perchè  essa  ci  sembra  inconfutabile  finché 
l'uomo  amerà  se  stesso  e  la  propria  famiglia  piìi  di  quanto  ama  gli  estranei. 


458  ELEMENTI    VI    SCIENZA    POLITICA 

metà  del  secolo  decimonono,  e  magari  anche  per  qualche  decennio 
ancora,  la  cennata  aspirazione  si  è  intensificata,  perchè  essa  ha 
trovato  alimento  in  quella  opinione  ottimista  sulla  natura  umana 
della  quale  abbiamo  fatto  tante  volte  parola;  opinione  la  quale 
rendeva  facile  supporre  che,  cambiando  le  istituzioni,  si  sarebbero 
senz'altro  soppressi  od  atrofizzati  tutti  gli  istinti  meno  nobili  che 
travagliano  la  povera  umanità. 

Or,  per  esaminare  quel  tanto  di  vero  e  di  falso  che  ci  può  essere 
nell'idea  accennata,  conviene  anzitutto  stabilire  chi  siano  coloro 
che  meritano  di  essere  appellati  migliori. 

Ed  anzitutto  ci  sembra  evidente  che,  nel  linguaggio  comune, 
essendo  la  parola  migliore  il  comparativo  ed,  usata  in  senso  asso- 
luto, anche  il  superlativo  di  buono,  essa  dovrebbe  servire  ad  in- 
dicare quelle  persone  che,  rispetto  al  comune  degli  uomini,  possono 
essere  giudicate  di  eccezionale  bontà.  I  migliori  dovrebbero  perciò 
essere  i  più  altruisti,  i  più  inclinati  a  sacrificare  se  stessi  agli  altri, 
anziché  gli  altri  a  se  stessi,  coloro  che  nella  vita  molto  danno  e 
poco  ricevono,  che,  secondo  Dora  Melegari,  sono  più  faiseurs  de 
Jole  anziché  faiseurs  des  peines  (1)  ;  e  nei  quali  quindi  più  com- 
pressi e  domati  sono  gli  istinti  che  mirano  soltanto  a  superare  od 
a  sopprimere  gli  ostacoli  che  si  frappongono  alla  soddisfazione 
delle  proprie  passioni  e  dei  propri  interessi. 

Ma  si  dovrebbe  omai  sapere  che  la  bontà,  intesa  in  questo  senso, 
che  è  poi  quello  letterale,  è  una  qualità  la  quale  serve  molto  agli 
altri  e  quasi  sempre  assai  poco  a  coloro  che  la  posseggono.  Essa  tutto 
al  più  riesce  poco  nociva  quando  si  ritrova  in  persone  nate  od 
arrivate,  quasi  per  caso,  in  posizione  sociale  talmente  elevata  da 
togliere  ogni  tentazione  a  coloro  che  vorrebbero  abusarne.  Ma, 
anche  in  questo  caso,  l'individuo,  al  quale  si  può  legittimamente 
applicare  l'aggettivo  buono,  deve  sapere  rinunziare  a  salire  in  alto 
tanto  quanto  per  le  sue  altre  qualità  gli  sarebbe  possibile.  Perchè 
per  sollevarsi  nella  scala  sociale,  anche  in  tempi  calmi  e  normali, 
il  primo  requisito  è  senza  dubbio  la  costante  capacità  di  lavoro, 
ma,  immediatamente  dopo,  viene  l'ambizione,  la  volontà  decisa 
di  farsi  avanti,  di  primeggiare  sui  propri  simili,  e  questa  mal  si 
concilia  con   una   soverchia   sensibilità  e,  diciamolo  pure,  con  la 


(1)  Si  allude  al  titolo    di    un    libro   molto   interessante    di    questa    egregia 
scrittrice. 


PAKTE  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHH  459 

bontà.  La  quale  non  può  restare  indifferente  alle  sofferenze  di 
coloro  che,  per  farsi  avanti,  bisogna  spingere  indietro,  e  che,  quando 
è  veramente  profonda  e  sentita,  si  fa  scrupolo  di  calcolare  i  meriti, 
i  diritti  ed  i  dolori  degli  altri  infinitamente  meno  dei  propri. 

E  può  sembrare  a  prima  vista  strano  che  gli  uomini,  i  quali  in 
generale  vorrebbero  che  i  loro  governanti  avessero  le  qualità  mo- 
rali più  elevate  e  squisite  e  che  pensassero  molto  all'interesse  pub- 
blico e  ben  poco  al  proprio,  poi,  quando  sono  essi  stessi  in  ballo, 
e  sopratutto  quando  cercano  di  farsi  avanti  e  di  arrivare,  se  pos- 
sono, ai  posti  più  eminenti,  non  si  curano  generalmente  di  osser- 
vare quei  precetti  che  vorrebbero  fossero  guida  costante  dei  loro 
superiori.  Mentre  tutto  quello  che  giustamente  si  potrebbe  a  costoro 
richiedere  è  di  non  riuscire  inferiori  al  livello  morale  medio  della 
società  che  governano,  di  identificare  fino  ad  un  certo  punto  il  loro 
interesse  con  quello  pubblico  e  di  non  commettere  azioni  troppo 
vili,  basse  e  ripugnanti,  di  quelle  che  squalificano,  nell'ambiente 
in  cui  vive,  l'uomo  che  le  ha  compiute. 

Senonchè  l'espressione  migliore  applicata  alla  vita  politica  può 
anche  significare,  ed  anzi  ordinariamente  significa,  che  l'uomo  re- 
putato tale  possiede  i  requisiti  che  lo  rendono  più  atto  a  governare 
i  propri  simili.  Inteso  in  questo  senso  l'aggettivo  può  essere  sempre, 
in  tempi  normali,  applicato  alle  classi  dirigenti,  perchè  il  fatto  che 
sono  tali  dimostra  che  in  una  data  epoca,  ed  in  un  dato  paese, 
esse  contengono  gli  elementi  più  atti  a  governare;  ciò  che  non 
sempre  significa  che  siano  gli  elementi  più  elevati  intellettual- 
mente e  sopratutto  moralmente  (1),  Perchè,  per  governare  gli 
uomini,  più  del  senso  della  giustizia  e  molto  più  dell'altruismo,  e 
anche  più  della  vastità  delle  cognizioni  e  delle  vedute,  giovano  la 
perspicacia,  la  pronta  intuizione  della  psicologia  degli  individui  e 
di  quella  delle  masse  e  sopratutto  la  confidenza  in  se  stessi  e  la 
forza  di  volontà.  E  non  per  nulla  poi  Machiavelli  metteva  in  bocca 
a  Cosimo  dei  Medici  la  famosa  frase  che  abbiamo  citato  nella 
prima  parte  di  questo  lavoro:  che  gli  Stati  cioè  non  si  governano 
coi  paternostri. 

Ed  a  questo  proposito  occorre   analizzare  una  distinzione,  che 


(1)  È  per  questa  ragione  che  ci  sembra  inesatta  l'espressione  di  élite  ado- 
perata dal  Pareto  per  indicare  quella  che  noi  molti  anni  prima  avevamo 
denominato  classe  politica. 


460  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


già  comincia  ad  entrare  nella  mentalità  comune,  cioè  quella  fra 
uomo  di  Stato  e  uomo  di  Governo.  Uomo  di  Stato  è  colui  che  per 
la  vastità  delle  sue  cognizioni  e  per  la  profondità  delle  sue  vedute 
acquista  una  coscienza  chiara  e  precisa  dei  bisogni  della  società 
in  cui  vive  e  che  sa  trovare  la  via  migliore  per  condurla,  con  le 
minori  scosse  e  le  minori  sofferenze  possibili,  alla  meta  alla  quale 
dovrebbe,  o  almeno  potrebbe,  arrivare.  Uomini  di  Stato  in  questo 
senso  furono  Cavour,  Bismark  e  Stolypine,  il  Ministro  russo  che 
nel  1906  comprese  che  in  Kussia,  dato  l'aumento  della  popolazione 
e  la  necessaria  intensificazione  dell'agricoltura,  il  sistema  della 
proprietà  collettiva  indivisa  fra  i  contadini  non  poteva  più  durare 
e  promosse  provvedimenti  tali  che,  in  mezzo  secolo  circa,  avreb- 
bero creato  colà  una  classe  di  contadini  proprietari  individuali  ed 
una  vera  borghesia  rurale  (1).  Mentre  l'uomo  di  governo  è  colui 
che  ha  le  qualità  richieste  per  arrivare  ai  posti  più  elevati  della 
gerarchia  politica  e  per  sapervi  restare.  E  una  vera  fortuna  per 
i  popoli  quando  alla  loro  testa  vi  sono  persone  che  alle  qualità 
eminenti  e  rare  dell'uomo  di  stato  sanno  accoppiare  quelle  secon- 
darie dell'uomo  di  governo,  ed  è  una  fortuna  meno  grande,  ma 
pure  ragguardevole,  quando  i  suoi  uomini  di  governo  sanno  trarre 
profìtto  delle  vedute  degli  uomini  di  Stato. 

Platone  nella  conchiusione  del  suo  dialogo  sulle  leggi,  ribadendo 
un  concetto  che  può  considerarsi  come  quello  che  appare  fonda- 
mentale nei  suoi  studi  politici,  dice  che  una  città  non  potrà  essere 
bene  governata  finche  i  Re,  ossia  i  governanti,  non  saranno  filo- 
sofi, od  i  filosofi  non  saranno  Re.  Egli  naturalmente  per  filosofi 
intendeva  i  sapienti,  coloro  che  possedevano  le  cognizioni  neces- 
sarie all'uomo  di  Stato  e  che  erano  nello  stesso  tempo  al  disopra 
delle  passioni  basse  e  volgari  (2).  Ora  qualche  volta  l'eredità  od 


(1)  Non  fu  colpa  di  Stolypine  se  egli  prematuramente  moriva,  ucciso  nel  1911 
dalle  bombe  di  fanatici  idioti,  e  se  i  provvedimenti  da  lui  presi  non  ebbero 
il  tempo  di  produrre  i  loro  effetti. 

(2)  L'accoppiamento  che  fa  Platone  fra  le  qualità  più  elevate  del  carattere 
e  quelle  della  mente  non  crediamo  che  sia  destituito  di  fondamento.  Abbiamo 
appreso  da  amici  personali  del  grande  fisico  Galileo  Ferraris  che  questi  opi- 
nava che  nessuna  grande  scoperta  scientifica  era  possibile  quando  lo  speri- 
mentatore, anziché  al  progresso  della  scienza  pura,  mirava  ad  ottenere  risul- 
tati pratici,  a  strappare  cioè  alla  natura  qualche  segreto  che  rendesse  possibile 
a  qualche  grande  industria  di  adottare    procedimenti   più   remunerativi.  Ora 


PARTE  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  461 

il  caso  hanno  fatto  si  che  a  capo  di  uno  Stato  vi  fosse  un  filosofo 
come  l'intendeva  Platone,  ma  non  sempre  il  filosofo  Re  è  passato 
alla  storia  come  il  modello  di  un  buon  reggitore  di  popoli  (1).  Ed 
è  diffìcile  assai  poi  che,  in  tempi  normali,  nella  lotta  per  la  pre- 
minenza, che  avviene  fra  coloro  che  aspirano  ad  arrivare  ai  posti 
supremi,  riportino  la  vittoria  i  filosofi  come  Platone  li  concepiva. 
Prima  di  tutto  perchè  molto  spesso  la  vera  saggezza  non  eccita 
l'ambizione  ma  la  smorza,  e  poi  perchè  le  alte  qualità  del  carat- 
tere e  dell'intelletto  non  li  avvicinano,  ma  piuttosto  li  allontanano, 
dalle  cariche  più  elevate;  sopratutto  quando  non  sono  integrate 
dalle  qualità  dell'uomo  di  governo  e  quando  l'individuo  non  ha 
abbastanza  senso  pratico  per  mettere,  almeno  per  qualche  tempo, 
a  dormire  le  prime  e  fare  agire  le  altre  (2). 
Come  abbiamo  già  accennato  si  può  esser  quindi  contenti  se  al 


la  massima  che  Galileo  Ferraris  riputava  applicabile  alle  scienze  naturali 
crediamo  che  abbia  la  sua  conferma  sopratutto  in  quelle  sociali;  nelle  quali 
riesce  impossibile  di  trovare  la  verità  se  le  qualità  dell'intelligenza  non 
sono  integrate  da  quelle  del  carattere  ;  se  il  pensatore  non  sa  spogliarsi  da 
ogni  passione,  da  ogni  interesse,  da  ogni  timore. 

(1)  Marco  Aurelio  fu,  come  è  noto,  il  vero  tipo  dell'imperatore  filosofo.  Egli 
nacque  intanto  sui  gradini  del  trono,  era  buono  ma  non  era  sciocco,  e  quindi, 
come  rilevasi  dai  suoi  Pensieri,  l'esercizio  del  potere  gli  diede  in  generale 
un'idea  poco  lusinghiera  del  carattere  umano,  ed  era  anche  un  discreto  uomo 
d'azione,  sicché  guidò  pei'sonalmente  gli  eserciti  in  parecchie  guerre  e  morì 
mentre  conduceva  una  campagna  sul  Danubio.  Ciò  malgrado  è  assai  dubbio 
se  la  sua  bontà  abbia  sempre  giovato  alla  cosa  pubblica;  gli  stessi  storici  a  lui 
favorevoli  gli  addebitano  a  colpa  di  avere  mantenuto  talvolta  al  governo  delle 
Provincie  persone  indegne,  e  sotto  di  lui  la  disciplina  militare,  già  egregia- 
mente restaurata  da  Trajano,  cominciò  di  nuovo  a  rallentarsi  e  si  ebbe  nel- 
l'Asia una  grave  insurrezione  delle  legioni,  che  proclamarono  imperatore 
Avidio  Cassio;  ed  il  competitore  sarebbe  stato  molto  pericoloso  se  uno  dei 
suoi  centurioni  non  l'avesse  ucciso. 

(2)  Secondo  Manzoni,  don  Ferrante,  che  era  "  uomo  di  studio  non  amava  ne 
di  comandare  né  di  obbedire  „.  A  dire  il  vero  il  don  Ferrante  manzoniano  non 
era  precisamente  un  filosofo,  un  sapiente,  come  l'immaginava  Platone  ;  ma 
apparteneva  un  po'  alla  famiglia,  perchè  "  passava  di  grandi  ore  nel  suo 
studio  ,,  aveva  una  biblioteca  piena  di  libri  ed  impiegava  il  suo  tempo  a 
leggerli;  egli  era  quindi  ciò  che  ora  si  direbbe  un  intellettuale.  Ora  le  persone 
che  realmente  amano  molto  di  meditare  si  sanno  alle  volte  assai  bene  adat- 
tare a  comandare  e  ad  obbedire,  quando  ciò  è  necessario,  ma  generalmente 
non  amano  molto  né  l'una  ne  l'altra  cosa. 


462  ELEMENTI    DI   SCIENZA    POLITICA 

potere  ci  stanno  uomini  di  governo  il  cui  intelletto  e  la  cui  mo- 
ralità non  sono  al  di  sotto  di  quella  media  della  classe  dirigente. 
Ed  aggiun<^eremo  che,  quando  il  livello  intellettuale  e  morale  di 
essa  ò  abbastanza  elevato  per  comprendere  ed  apprezzare  le  con- 
cezioni dei  pensatori  che  studiano  a  fondo  i  problemi  politici, 
non  è  necessario  che  questi  ultimi  arrivino  al  potere  per  attuare 
i  loro  programmi;  perchè  la  pressione  intellettuale  della  intiera 
classe  politica,  ciò  che  comunemente  appellasi  la  pubblica  opinione, 
farà  si  che  gli  uomini  di  governo  debbano  più  o  meno  conformare 
la  loro  azione  alle  vedute  di  coloro  che  rappresentano  quanto  di 
meglio  Tintelligenza  politica  di  un  popolo  sa  e  può  produrre. 

V.  —  Il  fatto  che  coloro  i  quali  occupano  ordinariamente  le 
cariche  elevate  non  sono  quasi  mai  i  migliori  in  senso  assoluto, 
ma  piuttosto  gli  individui  che  posseggono  le  qualità  più  adatte 
a  dirigere  ed  a  padroneggiare  i  propri  simili,  dimostra  già  come 
sia  arduo  e  quasi  impossibile,  nei  casi  ordinari,  di  applicare  negli 
ordinamenti  politici  la  giustizia  assoluta,  quale  l'uomo  sa  e  può 
concepirla.  Ma,  siccome  l'attuazione  di  questo  concetto  è  stato,  da 
Platone  in  poi,  il  sogno  di  molte  anime  nobili  e  di  molte  menti 
elevate  e,  diciamolo  pure,  anche  il  comodo  pretesto  invocato  da 
tanti  ambiziosi,  più  o  meno  volgari,  per  mettersi  al  posto  di  coloro 
che  stavano  in  alto,  ci  sembra  opportuno  di  intrattenerci  alquanto 
sopra  di  esso. 

La  giustizia  assoluta  negli  ordinamenti  politici  naturalmente 
dovrebbe  significare  che  in  ogni  individuo  il  successo,  il  grado 
che  occupa  nella  scala  politica,  corrisponde  perfettamente  alla 
reale  utilità  del  servizio  che  egli  ha  reso  o  rende  alla  società.  In 
fondo  si  tratta  dell'applicazione  del  concetto  che  fu  formulato  in 
modo  preciso  forse  per  la  prima  volta  da  Saint-Simon,  concetto 
al  quale  abbiamo  già  accennato  e  che  forni  la  formola  famosa 
colla  quale  i  sansimonisti  riassunsero  il  loro  programma  (1). 

La  prima  obiezione  che  sorge  in  proposito  è  quella  relativa 
alla  difficoltà  di  valutare  esattamente,  e  con  una  certa  sollecitudine, 
il  valore  esatto  del  servizio  che  ogni  individuo  ha  reso^  o  rende, 
alla  società  di  cui  fa  parte;   e  diciamo   con  sollecitudine  perchè, 


(1)  Per  chi  non  la  ricordasse  la  formula  era  :  a  ciascuno  secondo  la  eua  ca- 
pacità, ad  ogni  capacità  secondo  le  sue  opere. 


PABTE    II.    CAP.  V    -    SCHIARIMENTI    E   POLEMICHE  463 

se  la  valutazione  dovesse  avvenire  dopo  qualche  secolo,  o  dopo 
alcune  dozzine  di  anni,  il  guiderdone  od  il  castigo  tarderebbero 
tanto  che  l'uomo  al  quale  converrebbe  di  dare  Tuno  o  l'altro, 
sarebbe  già  nella  tomba,  o  almeno  in  età  molto  avanzata.  Or,  a 
farlo  apposta,  le  benemerenze  o  gli  errori  d'indole  politica,  dai 
più  grandi  ai  più  piccoli,  sono  quelli  i  cui  risultati  si  veggono 
ordinariamente  a  j)iù  lunga  scadenza.  Difatti  solo  dopo  un  tempo 
ordinariamente  abbastanza  lungo  si  può,  con  serenità  e  con  una 
certa  sicurezza,  giudicare  se  l'opera  di  un  funzionario,  un  voto  dato 
in  una  Camera,  o  una  deliberazione  presa  in  un  momento  grave 
da  un  Consiglio  dei  Ministri  corrispondano  o  no  agli  interessi  di 
un  paese.  A  dir  vero  gli  uomini  quasi  sempre  non  aspettano  tanto 
per  giudicare  gli  atti  accennati,  ma  appunto  perciò  il  loro  giudizio 
è  tanto  spesso  influenzato  dalle  passioni  e  dagli  interessi,  od  arti- 
ficiosamente sviato  dalle  arti  dell'intrigo  e  della  ciarlataneria. 

Ed  alle  volte,  anche  dopo  che  l'ala  del  tempo  e  le  generazioni 
trascorse  hanno  fatto  tacere  gli  interessi  e  spento  le  passioni,  e 
che,  insieme  agli  interessi  ed  alle  passioni,  sono  venute  meno  le 
opere  dell'intrigo  e  della  ciarlataneria,  anche  quando  non  vi  sono 
più  turbe  che  applaudono  perchè  a  ciò  ammaestrate,  scrittori  o 
giornali  che  in  piena  malafede  vi  esaltano  o  vi  deprimono,  l'uomo 
per  lo  più  è  cosi  fatto  che,  pur  essendo  dedito  agli  studi,  non  riesce 
ad  essere  obiettivo  ed  imparziale.  Abbiamo  già  accennato  come 
l'indagine  storica  dia  sempre  risultati  più  o  meno  incerti  quando 
essa  vuole  giudicare  le  grandi  personalità  del  passato,  mentre  le  sue 
deduzioni  e  le  sue  conclusioni  sono  assai  meno  incerte  quando  essa 
rievoca  e  chiarisce  le  istituzioni,  le  idee,  le  opere  delle  grandi  civiltà 
tramontate  (1).  Or  l'incertezza  accennata  dipende  in  buona  parte 
dalla  passionalità  degli  scrittori,  i  quali  non  riescono  ad  esprimere 
la  loro  ammirazione  per  una  grande  personalità  vissuta  quasi 
venti  secoli  prima  di  noi,  senza  deprimerne  un'altra  che  fu  ad 
essa  contemporanea;  che  non  sanno,  ad  esempio,  scrivendo  nel 
secolo  decimonono,  esaltare  Cesare,  senza  contemporaneamente 
deprimere  il  povero  Cicerone.  Ciò  che  dimostra  come,  anche  quando 
tacciono  gli  interessi  e  le  cupidigie  personali,  possano  bastare  le 
antipatie  e  le  simpatie,  nel  senso  classico  della  parola,  cioè  le  affi- 


ci) Vedi  sopratutto  in  proposito  il  capitolo  I  della  seconda  parte    del  pre- 
sente lavoro. 


464  ELBMRNTI   DI    SCIISNZA    POLTTIOA 


nità  o  le  disaffinità  della  mente  e  del  carattere,  a  renderci  ingiusti 
verso  coloro  dio  sono  da  tanti  secoli  scomparsi  dalla  terra. 

Appare  quindi  evidente  che  lo  stabilire  un  rapporto  esatto  ed 
infallibile  fra  i  meriti  ed  il  successo,  fra  le  opere  di  ogni  individuo 
ed  il  premio  od  il  castigo  che  gli  spettano,  è  opera  cosi  sovrumana 
che  solo  un  Essere  onnisciente  ed  onnipossente,  che  sa  sollevare 
i  veli  che  ricoprono  tutte  le  coscienze,  e  che  non  ha  nessuna  delle 
nostre  ignoranze,  nessuna  delle  nostre  debolezze,  nessuna  delle 
nostre  passioni,  vi  potrà  riuscire.  Ed  è  perciò  che  quasi  tutte  le 
grandi  religioni,  a  cominciare  da  quella  degli  antichi  Egiziani, 
hanno  rimandato  il  giudizio  definitivo  sull'operato  dell'uomo  alla 
fine  della  sua  vita  terrena  e  l'hanno  affidato  agli  Dei  od  a  Dio. 

Una  certa  equivalenza  fra  il  servizio  reso  e  la  ricompensa  rice- 
vuta si  potrebbe  rinvenire  nelle  libere  contrattazioni  che  avven- 
gono nella  vita  privata  ;  ma  questa  equivalenza  non  è  fondata 
sopra  un  principio  morale,  come  dovrebbe  esser  quella  che  si  vor- 
rebbe stabilire  nella  vita  politica,  ma  semplicemente  sulla  domanda 
e  sull'offerta;  ossia  sul  bisogno  relativo  dei  due  contraenti,  il  quale 
fa  sì  che  si  apprezzi  di  più  il  servizio  quando  esso  è  molto  richiesto, 
e  si  apprezzi  più  la  ricompensa  quando  l'offerta  di  questa  scar- 
seggia e  quella  del  servizio  sovrabbonda.  Ed  aggiungeremo  che 
questa  equivalenza  puramente  economica,  che  non  tiene  conto, 
come  la  morale  vorrebbe,  del  sacrifizio  che  il  servizio  ha  costato, 
non  funziona  più  quando  i  servizi  non  sono  resi  a  determinati 
individui  od  a  determinati  gruppi  d'individui,  ma  a  tutta  intiera 
la  collettività.  Tutti  sanno  infatti  che  le  grandi  scoperte  scienti- 
fiche, sia  nel  campo  delle  scienze  fisiche  che  in  quello  delle  scienze 
morali,  non  hanno  fatto  sì  che  i  loro  autori  fosssero  investiti  delle 
cariche  eminenti  dello  Stato  o  arrivassero  ai  fastigi  della  ricchezza; 
esse  anzi  quasi  mai  hanno  fornito  agli  inventori  i  parasoli  dorati 
e  gli  elefanti  folli  d'orgoglio  che,  secondo  gli  antichi  scrittori  dei 
Vedas,  spettavano  ai  potenti  della  terra.  Viceversa  le  applicazioni 
pratiche  di  queste  scoperte,  che  hanno  potuto  essere  sfruttate  da 
determinati  individui,  hanno  quasi  sempre  arricchito  e  reso  influenti 
i  loro  autori.  Veramente,  almeno  nei  paesi  di  antica  e  solida  cul- 
tura, dovrebbe  essere  uno  degli  uffici  dei  governanti  il  dare  ricom- 
pense morali  e  materiali  a  quegli  scienziati,  che,  come  Copernico, 
G-alileo,  Volta  e  Champollion  hanno  fatto  scoperte  utili  all'umanità 
intiera,  ma  non  direttamente   utilizzabili   da   singoli  individui;  e 


PARTE  II.  GAP.  T  -  SOHIAEIMENTI  E  POLEMICHE  465 

qualche  volta  i  governanti  hanno  più  o  meno  bene  adempito  a 
questo  dovere,  generalmente  quando  ciò  poteva  loro  riuscire  utile 
perchè  corrispondeva  al  voto  di  un'opinione  pubblica  molto  illu- 
minata. 

Ma  se,  fino  a  quando  l'umanità  non  sarà  realmente  plasmata 
ad  immagine  e  somiglianza  di  Dio,  non  vi  sarà  mai  nel  mondo 
una  giustizia  assoluta,  nelle  società  più  o  meno  bene  ordinate 
vi  è  stata,  vi  è  e  vi  sarà  sempre  una  giustizia  relativa;  cioè  un 
insieme  di  leggi,  di  consuetudini,  di  norme  imposte  dalla  pubblica 
opinione,  tutte  variabili  secondo  le  epoche  ed  i  popoli,  in  base 
alle  quali  viene  regolata  quella  che  noi  abbiamo  chiamato  la  lotta 
per  la  preminenza  ;  cioè  lo  sforzo  che  ogni  individuo  fa  per  mi- 
gliorare e  conservare  la  propria  posizione  sociale  (1).  Secondo 
questa  giustizia  relativa  quasi  sempre  per  ottenere  il  successo  è 
necessaria  una  certa  quantità  di  lavoro,  ciò  che  generalmente 
corrisponde  ad  un  vero  e  reale  servizio  reso  alla  società,  ma  il 
lavoro  viene  quasi  sempre  più  o  meno  coadiuvato  dall' abiKtà,  cioè 
dall'arte  di  farlo  valere,  e  naturalmente  anche  da  ciò  che  comu- 
nemente appellasi  la  fortuna,  cioè  da  quelle  circostanze  impreve- 
dibili che  sopratutto  in  certi  momenti  possono  molto  aiutare  e 
molto  danneggiare  un  uomo;  e  ricorderemo  in  proposito  che,  in 
tutti  i  paesi  ed  in  tutti  i  tempi,  spesso  la  migliore  delle  fortune, 
0  la  peggiore  delle  sfortune,  è  quella  di  nascere  figlio  del  proprio 
padre  e  della  propria  madre  (2). 


(1)  La  coesistenza  di  una  giustizia  assoluta  e  di  una  giustizia  relativa  h  stata 
rilevata  fin  dall'antichità  classica,  la  quale  sapeva  distinguere  il  jus  civile, 
fondato  sulla  legge,  dal  jus  naturale,  basato  sulla  ragione  e  sull'equità  naturale 
dell'uomo.  Si  sa,  per  esempio,  che  per  Seneca  la  schiavitù  era  un  istituto 
conforme  al  diritto  civile,  ma  contrario  a  quello  naturale.  Che  la  giustizia 
relativa  varia  poi  da  luogo  a  luogo  e  da  un'epoca  all'altra  è  stato  pure  repli- 
catamente  rilevato  e  basta  il  ricordare  in  proposito  i  Pensieri  di  Pascal. 

(2)  Molti  che  negano,  o  vorrebbero  molto  ridurre,  la  parte  che  ha  ciò  che 
comunemente  chiamasi  la  fortuna  nei  successi  degli  individui,  ed  aggiungiamo 
ora  anche  delle  collettività,  dovrebbero  leggere  o  rileggere  i  Pensieri  del  Guic- 
ciardini e  specialmente  il  30°  ed  il  31"  (Vedi  Guicciardini,  Ricordi  politici  e 
civili,  edizione  completa  a  cura  di  Giovanni  Papini,  edit.  Carrabba,  a  pagina  19). 
In  quest'ultimo  è  scritto  :  *  Coloro  ancora  che  attribuendo  il  tutto  alla  pru- 
denza ed  alla  virtù,  escludono  quanto  possono  la  potestà  della  fortuna,  bisogna 
almeno  confessino  che  importa  assai  abbattersi  o  nascere  in  tempi  che  le 
virtù  0  qualità  per  le  quali  tu  ti  stimi  siano  in  pregio  ,.  La  verità  è  che  gli 

Or.  Mosca,  Elementi  di  Sdenta  Politica.  BO 


466  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Accade  in  fondo  nella  vita  quello  che  avviene  ordinariamente 
nei  giuochi  di  carte,  noi  quali  il  vincere  dipende  in  parte  dalla 
cieca  sorte,  in  parte  dall'abilità  del  giocatore  o  dagli  errori  dei 
suoi  avversari.  Però  come  il  gioco  si  convertirebbe  in  truffa  se 
venisse  tollerata  la  sostituzione  delle  carte,  cosi  non  dovrebbe 
essere  mai  permesso,  nella  grande  partita  che  ogni  uomo  gioca 
nella  sua  vita,  di  violare  le  norme  stabilite,  ossia  di  barare  ;  e 
misera  e  disordinata  sarà  sempre  quella  società  nella  quale  è  quasi 
tacitamente  ammesso  che  il  giocatore  abile  possa  anche  correggere 
la  fortuna  (1). 

Spesso,  ed  oggi  molto  spesso,  coloro  che  più  e  meglio  sanno 
mettere  in  evidenza  le  contraddizioni,  alle  volte  stridenti,  fra  la 
giustizia  assoluta  e  quella  relativa  sancita  dalle  leggi  e  dalle  con- 
suetudini, sono  uomini  che  hanno  in  mano  carte  cattive  e  che 
desidererebbero  di  averle  migliori,  e  che  quindi  bramerebbero  che 
fosse  sospesa  la  partita  e  rimescolato  il  mazzo,  e  forse  anche  che 
questo  carico  fosse  loro  affidato.  Perchè  quasi  sempre  gli  individui 
più  altruisti,  e  che  più  sinceramente  abborriscono  la  menzogna  e 
la  frode,  coll'esperienza  della  vita  finiscono  coli' acquistare  la  per- 
suasione che  il  raggiungimento  della  giustizia  assoluta  è  impos- 
sibile, e  che  quindi  la  lealtà  e  la  bontà  vera  e  cosciente  devono 
essere  necessariamente  accompagnate  dalla  generosità,  che  sa  do- 
nare senza  speranza  di  nulla  ricevere  in  cambio. 

VI.  —  Prima  di  terminare  questo  capitolo  dobbiamo  fare  cenno 
di  una  grave  quistione,  che  forse  praticamente  è  la  più  importante 
di  tutte  quelle  che  la  scienza  politica  può  e  deve  trattare.  Si  tratta 


uomini,  i  quali  nella  vita  non  hanno  avuto  tutto  il  successo  che  speravano, 
volentieri  ne  addossano  la  responsabilità  alla  fortuna,  e  che  invece  quelli,  a 
riguardo  dei  quali  il  successo  ha  perfino  oltrepassato  le  loro  aspettative, 
amano  attribuirne  tutto  il  merito  a  loro  stessi. 

(1)  Sulla  impossibilità  di  attuare  nel  mondo  una  giustizia  assoluta  e  sulla 
necessità  che  sia  osservata  una  giustizia  relativa  ha  scritto  recentemente  pa- 
gine molto  interessanti  e  piene  di  acute  osservazioni  Gina  Lombroso-Ferrero 
(Vedi  L'Anima  della  donna,  Bologna,  1920,  volume  I,  libro  V).  L'egregia  scrit- 
trice sostiene  che  si  raggiungerebbe  già  un  grado  elevato  di  perfezione  sociale 
8e  la  lotta  per  arrivare  ai  posti  elevati  si  facesse  lealmente,  secondo  quello 
che  Essa  chiama  "  un  criterio  conclamato  „  invece  che  "  secondo  criteri  incon- 
fessabili ,. 


PARTE  li.  GAP.  Y  -  SCHIABIMENTI  B  POLEMICHE  467 

cioè  di  esaminare  se  i  progressi  di  questa  scienza  potranno  un 
giorno  eliminare,  o  rendere  più  rare  e  meno  gravi,  le  grandi  ca- 
tastrofi che  di  tanto  in  tanto  interrompono  il  corso  della  civiltà  e 
ricacciano  nella  barbarie,  sia  pure  relativa  e  temporanea,  popoli 
che  avevano  acquistato  un  posto  glorioso  nella  storia  dell'umanità. 
Volendo  aggiungere  qualche  elemento  nuovo,  che  possa  riuscire 
utile  alla  soluzione  di  questo  intricato  problema,  occorre  di  porlo 
anzitutto  nei  suoi  termini  precisi. 

Le  catastrofi  accennate  si  dice  generalmente  che  avvengano 
quando  un  popolo  è  invecchiato  e  quando,  come  conseguenza  na- 
turale della  vecchiaia,  avviene  la  sua,  morte.  Or  ci  sembra  evi- 
dente, e  l'abbiamo  già  accennato  nel  primo  capitolo  della  prima 
parte  di  questo  lavoro,  che,  quando  si  parla  della  vecchiaia  e  della 
morte  di  un  popolo,  o  di  una  civiltà,  si  usa  una  metafora  la  quale, 
non  dà,  sopratutto  a  coloro  che  non  si  sono  approfonditi  negli 
studi  storici,  un'idea  precisa  del  fenomeno  che  si  vuole  studiare. 
L'individuo  infatti  invecchia  fatalmente  e  muore  quando  le  sue 
forze  vitali  sono  esaurite,  o  quando  un'infezione  od  una  causa 
violenta  sopprimono  od  impediscono  la  funzione  di  un  organo 
necessario  alla  continuazione  della  vita;  mentre  in  una  società 
l'invecchiamento  materiale  non  si  concepisce,  perchè  ogni  genera- 
zione nuova  deve  avere  tutto  il  vigore  della  gioventù,  né  la  morte 
materiale  è  possibile,  perchè  a  ciò  occorrerebbe  che  almeno  una 
generazione  intera  si  astenesse  dalla  procreazione  (1). 

Sarebbe  facile  invero  citare  il  caso  di  genti  scomparse  senza 
lasciare  una  discendenza.  È  noto  che  sono  cosi  spariti  gli  indigeni 
della  Tasmania,  che  sono  in  via  di  sparizione  quelli  dell'Australia, 
che  forse  pochi  sopravvivono  fra  i  discendenti  dei  Guanchi  delle 
Canarie,  che  molte  tribù  indigene  dell'America  sono  scomparse  ed 


(1)  René  Worms  nella  sua  Philosophie  des  sciences  sociales  (Paris,  Giard  et 
Brière,  ed,  1903)  tratta  magistralmente  la  questione  relativa  alla  vecchiaia  ed 
alla  morte  dei  popoli  e  conchiude  che  un'organizzazione  politica  può  essere 
immortale.  Egli  così  scrive  nel  volume  III,  pag.  305  dell'opera  citata:  *  Sans 
doute  des  théoriciens  affirment  que  les  États  sont,  comme  les  individus,  con- 
damné  fatalement  à  disparaìtre  un  jour  ou  l'autre.  Mais  jusqu'à  présent  on  n'a 
apporté  aucune  épreuve  valable  de  cette  prétendue  nécessité  et  pour  notre 
part  nous  n'y  croyons  pas.  Nous  estimons  au  contraire  que  les  peuples  ayant 
la  possibilité  de  renouveler  par  la  generation  leurs  éléments,  faculté  qui 
n'ont  pas  les  individus,  peuvent  attendre  à  une  véritable  immortalité  ,. 


468  ELIMBNTI    DI    80IKNZA    POLITIOA 

altre  in  via  di  scomparire.  Ma,  si  tratta,  o  si  trattava,  di  popola- 
zioni rade,  che  vivevano  o  vivono  di  caccia  e  di  pesca,  alle  quali 
la  colonizzazione  bianca  avea  tolto  o  va  togliendo  i  mezzi  di  sus- 
sistenza e  che,  quando  vennero  in  contatto  coi  Bianchi,  erano 
troppo  arretrate  per  adattarsi  alla  vita  agricola  e  per  potere  adot- 
tare i  loro  metodi  di  produzione  (1). 

Ben  diverso  è  il  caso  quando  ci  troviamo  davanti  a  popolazioni 
già  pervenute  allo  stadio  agricolo,  che  hanno  costituito  nazionalità 
numerose,  ordinate  e  potenti  e  creato  o  fecondato  una  civiltà.  Al- 
lora quella  che  sarebbe  la  morte  materiale,  lo  spegnersi  della  razza 
per  mancanza  di  discendenti,  forse  mai  è  avvenuta.  Un  popolo 
arrivato  allo  stadio  di  cultura  accennato,  potrà  perdere  la  sua 
fisonomia  originale,  essere  assorbito  da  altri  popoli,  da  altre  ci- 
viltà, cambiare  la  sua  religione  e  qualche  volta  la  sua  lingua, 
potrà  infine  subire  un'intiera  trasformazione  intellettuale  e  morale, 
continuando  a  sopravvivere  materialmente  (2). 

E  la  storia  è  piena  dì  queste  trasformazioni  e  di  queste  sopravvi- 
venze. Sopravvissero  i  discendenti  degli  antichi  Galli  e  degli  an- 
tichi Iberi,  sotto  lo  strato  di  civiltà  latina  dalla  quale  furono 
plasmati,  e  sopravvissero  i  discendenti  delle  antiche  popolazioni 
mesopotamiche  e  siriache,  sebbene  abbiano  adottato  la  lingua  e  la 
religione  degli  Arabi,  che  nell'ottavo  secolo  le  conquistarono;  e  lo 
stesso  è  avvenuto  in  Egitto,  dove  la  massa  della  popolazione  cosi 
detta  araba  conserva  ancora  i  caratteri  fisici  dei  suoi  veri  antenati, 
che  crearono  e  fecero  durare  per  più  di  quaranta  secoli  la  civiltà 


(1)  Difatti  nel  Messico  e  nel  Perù,  dove  le  popolazioni  indigene  all'arrivo 
degli  Europei  praticavano  già  l'agricoltura,  ed  erano  perciò  molto  più  nume- 
rose, esse  non  si  sono  spente  e  pare  che  anche  negli  Stati  Uniti  qualche  tribù 
di  Pelli  Rosse,  che  ha  saputo  adattarsi  all'agricoltura,  non  accenni  a  spegnersi. 

(2)  Contro  la  tesi  sostenuta  si  potrebbe  citare  l'esempio  dei  Bretoni,  i  quali 
i?enza  dubbio  praticavano  già  l'agricoltura  quando  il  loro  paese  fu  invaso  dagli 
Anglo-Sassoni,  che  in  gran  parte  lo  occuparono.  Ma  anzitutto  la  discendenza 
della  popolazione  celtica  primitiva  sopravvive  ancora  nel  nord  della  Scozia  e 
nel  Galles,  come  anche  nella  Bretagna  francese,  dove  emigrò  sotto  la  spinta  dei 
Sassoni;  ed  in  secondo  luogo  se  nella  più  grande  parte  della  Gran  Brettagna 
i  Celti  perdettero  la  loro  lingua,  ciò  non  vuol  dire  che  essi  furono  sterminati, 
ma  che  vennero  piuttosto  assorbiti  dagli  invasori  di  razza  germanica.  Infatti, 
benché  gli  studi  di  questo  genere  diano  spesso  risultati  ambigui  ed  incerti, 
sembra  che  il  fondo  della  popolazione  nelle  contee  occidentali  dell'Inghilterra 
ed  in  gran  parte  della  Scozia  sia  rimasto  celtico. 


PARTE    II.    GAP.  V    -    SCHIARIMENTI    E   POLEMICHE  469 

dei  Faraoni,  Gli  Italiani  moderni  sono  ancora  prevalentemente  i 
discendenti  degli  antichi  Italici  e  nelle  vene  dei  Greci  moderni, 
per  quanto  molto  commisto  ad  altro  sangue,  scorre  ancora  quello 
degli  EUeni  contemporanei  di  Pericle  e  di  Aristotile  e  quello  dei 
Bizantini  del  nono  e  del  decimo  secolo. 

Ciò  premesso,  e  non  tenendo  conto  dei  popoli  assimilati  per  opera 
di  una  dominazione  straniera  di  origine  ma  apportatrice  di  una 
cultura  superiore,  come  avvenne  nel  caso  citato  dei  Galli,  degli 
Iberi  e  delle  altre  genti  più  o  meno  barbare  che  la  virtù  di  Roma 
antica  seppe  fondere  in  una  gente  sola,  è  evidente  che  la  morte  di 
un  popolo,  il  quale  ha  saputo  creare  e  mantenere  per  un  lungo  corso 
di  secoli  una  propria  civiltà,  può  avvenire  ed  avviene  sopratutto 
per  due  cause,  che  lo  minano  e  corrodono  internamente  e  che  fanno 
sì  che  il  minimo  urto  esteriore  basti  ad  ucciderlo;  cause  che  del 
resto  sono  quasi  sempre  fatalmente  accoppiate.  Muoiono  infatti  i 
popoli  quando  manca  alle  loro  classi  dirigenti  la  capacità  di  riorga- 
nizzarsi secondo  i  bisogni  dei  tempi  e  di  attingere  negli  strati  più  bassi 
e  profondi  della  società  elementi  nuovi  che  le  rinsanguino,  e,  come 
abbiamo  già  accennato,  sono  pure  destinati  a  morire  i  popoli,  quando 
vengono  meno  in  essi  quelle  forze  morali  che  li  tenevano  uniti  e 
facevano  si  che  una  quantità  importante  di  sforzi  individuali  potesse 
essere  riunita,  disciplinata  e  diretta  verso  scopi  d'interesse  collet- 
tivo (1).  In  altre  parole,  la  vecchiaia,  che  è  prodromo  della  morte,  si 
aggrava  sugli  organismi  politici  in  seno  ai  quali  perdono  ogni  pre- 
stigio, senza  che  esse  siano  sostituite,  quelle  idee  e  quei  sentimenti 
che  li  rendono  capaci  dello  sforzo  collettivo  necessario  a  mante- 
nere intatta  la  propria  personalità. 

E  ciò  spiega  quel  cieco  attaccamento  alla  tradizione,  ai  costumi 
ed  agli  esempi  degli  antenati,  che  costituiva  il  fondo  delle  reli- 
gioni e  della  mentalità  politica  di  tutte  le  grandi  nazioni  dell'an- 
tichità, a  cominciare  dalle  vecchie  civiltà  della  Mesopotamia  e 
dell'Egitto  venendo  fino  a  Roma;  attaccamento  che  si  è  mantenuto 
fortissimo,  fino  a  qualche  generazione  fa,  nel  Giappone  e  nella 
China,  e  che,  malgrado  le  apparenze  contrarie,  non  è  del  tutto 
ignoto  alle  moderne  nazioni  di  civiltà  europea,  e  specialmente  a 
quelle  di  razza  anglo-sassone.  Pare  che  l'anima  nazionale  istinti- 


(1)  Vedi  in  proposito  quanto  è   detto  nel  Capitolo  III  della   seconda   parte 
di  questo  lavoro  a  pagine  375  e  376. 


470  ELEMENTI    DI    SCIENZA   POLITICA 

vamente  senta  che  per  non  morire  dove  restare  fedele  a  certi  prin- 
cipi, a  certe  idee  fondamentali  e  caratteristiche,  che  impregnano 
tutti  gli  atomi  dalla  unione  dei  quali  è  formata,  e  che  solo  a  questa 
condizione  essa  può  conservare  la  propria  personalità  e  mantenere 
intatto  il  proprio  edificio  sociale,  facendo  si  che  ogni  pietra  che 
lo  compone  non  perda  il  cemento  che  la  unisce  a  tutte  le  altre  (1). 
Disgraziatamente,  o  fortunatamente,  il  culto  del  passato,  quando 
è  eccessivo  ed  esclusivo,  ha  per  conseguenza  necessaria  la  immo- 
bilità, e  perchè  fosse  permesso  ad  una  nazione  di  restare  impune- 
mente immobile  bisognerebbe  che  non  si  muovessero  tutte  le  altre; 
la  China  ed  il  Giappone  che,  durante  i  secoli  decimosettimo,  de- 
eimottavo  e  parte  del  decimonono,  hanno  cercato  di  adagiarsi 
nell'immobilità,  pur  non  essendovi  completamente  riusciti,  hanno 
poi  dovuto  subire  dei  bruschi  risvegli  (2).  Ed  è  ovvio  che  ciò  sia 
avvenuto,  perchè  l'immobilità  completa  è  in  una  società  umana 
artificiale,  mentre  il  cambiamento  continuo  nelle  idee,  nei  senti- 
menti e  nei  costumi,  il  quale  non  può  non  avere  il  suo  contrac- 
colpo nella  organizzazione  politica,  è  naturale.  Per  impedirlo  bi- 
sognerebbe distruggere  gli  effetti  dello  spirito  d'osservazione  e 
d'indagine,  dell'allargarsi  delle  cognizioni,  della  maggiore  espe- 
rienza, che  rendono  inevitabili  il  maturarsi  di  una  mentalità  nuova 
e  l'affermarsi  di  nuovi  sentimenti,  i  quali  necessariamente  corrodono 
la  fede  negli  insegnamenti  dei  maggiori  e  nei  concetti  tradizio- 
nali, che  formavano  la  base  dell'edificio  politico. 


(1)  Il  fatto  storico  che  più  ha  contribuito  a  modificare  quel  complesso  di 
sentimenti  e  di  credenze,  che  erano  speciali  ad  ogni  nazione,  è  stato  il  sorgere 
ed  il  diffondersi  delle  religioni  mondiali,  che  mirano  ad  abbracciare  tutta  l'uma- 
nità ed  a  fonderla  in  una  universale  fratellanza  ed  imprimono  nei  loro  seguaci 
uno  speciale  stampo  intellettuale  e  morale.  Difatti  ad  ognuna  delle  tre  grandi 
religioni  mondiali,  cioè  al  Buddismo,  al  Cristianesimo  ed  all'Islamismo  corri- 
spondono tre  speciali  tipi  di  civiltà;  ciò  che  costituisce  un  altro  argomento 
contro  il  materialismo  storico. 

(2)  La  China  cercò  di  sottrarsi  alle  influenze  europee  e  di  restare  quindi  in 
una  immobilità  relativa  quando  l'imperatore  Yung-Cheng,  che  regnò  dal  1723 
al  1735,  cacciò  i  missionari.  Il  Giappone  l'aveva  preceduto  su  questa  via,  perchè 
fin  dal  1639  un  editto  dello  Shogun  Yemitsu  avea,  con  pochissime  eccezioni 
e  con  severissime  pene,  proibito  ogni  commercio  con  gli  stranieri.  La  China, 
come  si  sa,  dovette  cominciare  ad  aprire  i  suoi  porti  dopo  la  guerra  detta 
dell'oppio,  che  ebbe  coll'lnghilterra  e  che  scoppiò  nel  1839,  ed  il  Giappone 
dopo  che  la  squadra  del  commodoro  americano  Parry  approdò  sulle  sue  coste 
nel  1853. 


PARTE    II.    GAP.  V    -    SCHIAP.IMKNri    E    POLEMICHE  471 

Un  Grreco,  ad  esempio,  contemporaneo  di  Platone  e  di  Aristotile, 
assai  diffìcilmente  potea  credere  negli  Dei,  quali  li  concepiva  l'in- 
fantile antropomorfismo  omerico,  e  molto  meno  ammettere  che 
essi  fossero  soliti  di  aiutare  coi  loro  consigli  e  la  loro  assistenza 
quei  capi  ereditari  delle  città,  che  il  sommo  poeta  della  Grecia 
soleva  chiamare  pastori  di  popoli;  come  un  francese  contemporaneo 
di  Voltaire  assai  diffìcilmente  si  sarebbe  persuaso  che  Luigi  XV 
avesse  avuto  da  Dio  il  mandato  di  governare  la  Francia;  e  come 
oggi  un  Chinese  od  un  Giapponese,  che  abbiano  frequentato  una 
Università  europea  od  americana,  stentano  a  conservare  la  con- 
vinzione che  nei  libri  di  Confucio  sia  contenuta  la  più  perfetta  e 
completa  espressione  della  saggezza  umana. 

Così  stando  le  cose,  risulta  evidente  che  l'unico  metodo  per  evi- 
tare ciò  che  si  chiama  la  morte  di  uno  Stato  o  di  una  grande 
nazione,  ossia  uno  di  quei  periodi  di  crisi  acuta  che  talvolta  pro- 
ducono 0  rendono  possibile  la  sparizione  di  un  tipo  di  civiltà  e 
sono  causa  di  sofferenze  inenarrabili  per  le  generazioni  che  vi 
assistono,  come  fu  ad  esempio  quella  che  determinò  e  che  segui 
la  caduta  dell'impero  romano  d'Occidente,  e  come  è  quella  che 
oggi  travaglia  la  Russia,  consiste  nella  lenta  ma  continua  modi- 
ficazione della  classe  dirigente  e  nella  lenta  e  continua  assimila- 
zione di  nuovi  elementi  di  coesione  morale,  che  gradatamente  si 
vanno  sostituendo  ai  vecchi.  Forse  anche  in  questo  caso  la  giusta 
contemperanza  fra  due  tendenze  naturali  diverse  e  contrarie,  la 
conservatrice  cioè  e  la  innovatrice,  finisce  col  dare  i  risultati  pra- 
ticamente migliori.  In  altre  parole  quindi  un  organismo  politico, 
un  popolo,  una  civiltà  possono  essere  a  rigor  di  termine  immor- 
tali^ purché  sappiano  continuamente  trasform^arsi  senza  mai 
dissolversi  (1). 


(1)  Un  esempio  mirabilissimo  di  adattamento  ai  contatti  necessari  con  i 
popoli  stranieri,  senza  rinunziare  a  quel  complesso  di  tradizioni  e  di  sentimenti 
speciali  che  costituiscono  il  nocciolo  dell'anima  nazionale,  ci  è  stato  dato  negli 
ultimi  cinquanta  o  sessanta  anni  dal  Giappone,  che  ha  saputo  trasformarsi 
radicalmente  senza  dissolversi.  Non  sarà  superfluo  ricordare  che  esso  è  stato, 
dura,nte  il  periodo  accennato,  sempre  di  fatto  governato  da  una  ristretta  ari- 
stocrazia, che  comprendeva  gli  uomini  più  intelligenti  del  paese,  e  che  non  è 
escluso  il  pericolo  che,  mano  mano  che  certi  altri  concetti  europei  penetre- 
ranno negli  strati  inferiori  della  popolazione,  potrà  anche  colà  sorgere  uno 
di  quei  contrasti  insanabili  fra  la  mentalità  vecchia  e  la  nuova,  che  preparano 
le  crisi  alle  quali  abbiamo  accennato. 


472  ■LmiBVTI   DI    80IINZA   POLITIOA 

E  se  la  morte  dei  popoli,  lo  sfasciamento  completo  degli  organi 
politici,  le  crisi  sociali  durature  e  violente,  che  interrompono  il 
corso  della  civiltà  e  ricacciano  l'uomo  verso  la  bestialità,  fossero 
a  rigore  evitabili,  il  sorgere  e  l'affermarsi  di  una  vera  scienza 
politica  potrebbe  certamente  molto  contribuire  ad  evitarle. 

Noi  crediamo  che  nel  passato  più  d'una  delle  crisi  accennata 
sia  stata  alle  volte  notevolmente  ritardata  dal  semplice  empirismo 
politico,  purché  non  sviato  da  false  dottrine  ed  illuminato  dal 
lampo  del  genio  (1).  Ci  sembra  evidente  che  opera  assai  più  effi- 
cace si  potrà  svolgere  mercè  la  conoscenza  esatta  delle  leggi  che 
regolano  la  natura  sociale  dell'uomo  ;  la  quale  conoscenza  se  non 
altro  insegnerebbe  a  distinguere  ciò  che  può  avvenire  da  ciò  che 
non  può  e  non  potrà  mai  avvenire,  evitando  cosi  che  molti  intenti 
generosi  e  molte  buone  volontà  si  disperdano  improfìcuamente,  ed 
anche  dannosamente,  nel  volere  conseguire  gradi  di  perfezione 
sociale  che  sono  irraggiungibili,  e  renderà  inoltre  possibile  di 
applicare  alla  vita  politica  lo  stesso  metodo  che  la  mente  umana 
mette  in  pratica  quando  vuole  padroneggiare  le  altre  forze  natu- 
rali. Metodo  che  consiste  precisamente  nel  comprenderne  il  mec- 
canismo mediante  un'attenta  osservazione  e  nel  saperne  dirigere 
l'azione  senza  mai  brutalmente  violentarle  (2). 

Abbiamo  già  accennato  come  sia  nostra  opinione  che  il  secolo 
decimonono  ed  i  primi  decenni  di  quello  presente  abbiano  già 
elaborato,  mercè  i  progressi  delle  indagini  storiche  e  quelli  delle 
scienze  sociali  descrittive,  tale  quantità  di  dati,  di  fatti  accertati, 


(1)  Noi  crediamo,  ad  esempio,  che  Augusto,  Traiano  e  forse  anche  Diocle- 
ziano abbiano  notevolmente  ritardata  la  dissoluzione  dell'impero  romano  d'Oc- 
cidente e  che  la  Francia  non  si  sarebbe  così  bene  e  così  prontamente  riorga- 
nizzata, dopo  la  grande  rivoluzione,  se  non  avesse  avuto  alla  sua  testa  Napoleone 
Buonaparte.  Bisogna  tener  presente  che  qualche  volta  il  ritardare  una  grande 
crisi  può  equivalere  ad  evitarla  per  un  tempo  molto  lungo.  La  civiltà  bizan- 
tina, ad  esempio,  dopo  che  ebbe  superato  la  crisi  del  quinto  secolo,  che  trascinò 
con  se  l'impero  romano  d'Occidente,  potè  vivere  ancora  per  quasi  altri  dieci 
secoli. 

(2)  Sarebbe  un  violentare  le  leggi  naturali  il  seminare,  ad  esempio,  nel- 
l'emisfero boreale,  il  grano  in  luglio  per  mieterlo  in  gennaio.  Basta  un  po'  di 
riflessione  per  comprendere  che  l'uomo,  in  qualunque  ramo  della  sua  attività, 
ha  potuto  domare  la  natura  solo  usando  il  metodo  che  abbiamo  accennato,  e 
che  lo  stesso  metodo  deve  usare  se  vuole  correggere  gli  efifetti  della  propria 
natura  politica. 


PABTB  II.  GAP.  V  -  SCHIARIMENTI  E  POLEMICHE  473 

di  materiale  scientifico  da  rendere  possibile  alla  generazione  pre- 
sente ed  a  quelle  immediatamente  successive  ciò  clie  è  stato  im- 
possibile alle  passate,  cioè  la  creazione  di  una  vera  politica  scien- 
tifica. Ma  è  assai  difficile  precisare  quando  essa  potrà  affermarsi 
e  sopratutto  quando  potrà  diventare  un  fattore  attivo  capace  d'in- 
tegrare e  modificare  gli  altri,  che  finora  hanno  determinato  il  corso 
degli  avvenimenti  umani  (1).  Infatti,  perchè  un  sistema  d'idee 
possa  diventare  una  forza  politica  attiva  bisogna  che  esso  plasmi 
la  coscienza  della  maggioranza  almeno  della  classe  dirigente,  e  che 
diventi  preponderante  nel  determinare  il  suo  modo  di  pensare  e 
quindi  di  sentire;  or  le  idee  veramente  scientifiche  sono  a  ciò  le 
meno  adatte,  perchè  sono  le  meno  adattabili^  e  quindi  poco  o 
nulla  si  prestano  all'eccitamento  delle  passioni  del  giorno  ed  alla 
soddisfazione  immediata  degli  interessi  del  momento. 


(1)  Degli  altri  fattori  abbiamo  fatto  cenno  nella  prima  parte  di  questo  lavoro 
dove  è  detto  che  "  un  osservatore  calmo  e  spassionato,  studiando  la  storia, 
vede  subito  che  i  fatti  che  hanno  importanza  sociale  sono  determinati  in  parte 
da  passioni,  istinti  e  pregiudizi,  quasi  sempre  incoscienti  e  che  quasi  mai  si 
rendono  conto  dei  risultati  pratici  che  avrà  la  loro  azione,  in  parte  da  inte- 
ressi, che  hanno  ordinariamente  un  obbiettivo  immediato,  ed  in  parte  final- 
mente da  ciò  che  gli  uomini  chiamano  il  caso  fortuito  ,  (Vedi  Parte  prima. 
Capitolo  X,  paragrafo  XIV,  nella  nota  in  fine  del  paragrafo). 


CAPITOLO  VI. 
Conclusione. 


I.  Quale  è  il  periodo  storico  che  corrisponde  al  secolo  decimonono.  —  IL  Pro- 
gramma politico  del  detto  secolo.  —  III.  Risaltati  pratici  dell'esecuzione 
di  questo  programma.  —  IV.  Germi  di  dissoluzione  politica  che  esso  con- 
teneva e  contiene.  —  V.  Pericoli  e  danni  che  presentano  le  tre  soluzioni 
radicali  possibili  della  crisi  che  ora  traversa  il  regime  rappresentativo.  — 
VI.  Opportunità  di  una  restaurazione  del  detto  regime  e  modi  pivi  adatti 
per  effettuarla. 

I.  —  Un'epoca  spesso  viene  indicata  mediante  il  secolo  che 
ad  essa  corrisponde,  perchè  generalmente  cento  anni  sono  uno 
spazio  di  tempo  sufficiente  per  modificare  sensibilmente  la  men- 
talità, i  costumi  e  le  istituzioni  di  un  popolo  o  di  una  civiltà. 
Però,  volendo  precisare  l'anno  nel  quale  questi  cambiamenti  rie- 
scono più  sensibili  e  nel  quale  è  possibile  stabilire  che  un'epoca  finisce 
ed  un'altra  comincia,  difficilmente  accade  che  fra  l'epoca  ed  il 
secolo  vi  sia  una  corrispondenza  perfetta,  anche  perchè  spesso  vi 
sono  dei  periodi  di  transazione,  più  o  meno  laboriosi,  e  qualche 
volta  accompagnati  da  crisi  violente,  fra  la  fine  di  un  periodo 
storico  e  l'inizio  di  un  altro. 

Così,  ad  esempio,  ci  sembra  che,  volendo  stabilire  il  momento 
preciso  in  cui  terminò  l'epoca  che  corrisponde  al  secolo  decimot- 
tavo,  l'anno  più  indicato  sarebbe  il  celebre  1789  e  non  già  il  1800; 
e,  se  la  stessa  indagine  vogliamo  fare  sul  periodo  successivo,  pare 
che  si  possa  stabilire  che  una  nuova  èra  si  iniziò  nell'anno  1815 
e  che  terminò  precisamente  quasi  cento  anni  dopo  nel  1914.  Lo 
spazio  di  ventisei  anni,  che  corre  fra  il  1789  ed  il  1815,  corrispon- 


PABTB    II.    GAP.    VI    -    CONOLUSIONB  475 

derebbe  ad  una  di  quelle  parentesi  contrassegnato  da  crisi  violente 
elle  spesso,  ma  non  sempre,  accompagnano  le  grandi  trasforma- 
zioni delle  società  umane  (1). 

Volendo  quindi  esaminare  quale  sia  stata  in  Europa  l'opera  po- 
litica del  secolo  decimonono,  bisogna  evidentemente  studiare  gli 
avvenimenti  compresi  fra  il  1815  ed  il  1914,  anno  che  forse  po- 
trebbe corrispondere  all'apertura  di  una  nuova  parentesi,  che  si 
dovrebbe  poi  chiudere  coll'inizio  di  un'epoca  nuova,  che  prende- 
rebbe il  nome  dal  secolo  ventesimo.  Or,  trovandoci  in  un  mo- 
mento storico,  che  potrebbe  essere  decisivo  per  l' avvenire  della 
nostra  civiltà,  sarebbe  forse  opportuno  che  la  generazione  pre- 
sente, e  sopratutto  la  parte  più  giovine  di  essa,  prima  di  agire 
si  raccogliesse  per  qualche  ora  in  se  stessa  per  fare  ciò  che  la 
Chiesa  chiama  un  esame  di  coscienza.  E  se  i  viventi  di  oggi,  e 
sopratutto  i  giovani,  a  quest'esame  non  volessero  assoggettarsi, 
attribuendo  ogni  eventuale  peccato  alle  tre  generazioni  che  li 
hanno  preceduto,  siccome  essi  ad  ogni  modo  hanno  dai  loro  padri 
ricevuto  un'eredità  alla  quale  non  possono  rinunziare,  sarebbe 
molto  utile  che  almeno  ne  facessero  l'inventario. 

II.  —  Come  si  sa,  durante  il  secolo  decimonono  i  popoli  di 
civiltà  europea  si  sforzarono  di  attuare  in  politica  il  programma 
idealmente  tracciato  dal  secolo  precedente,  programma  che  si  può 
riassumere  in  tre  concetti  fondamentali,  che  vennero  espressi  con 
tre  magiche  parole:  libertà,  uguaglianza  e  fratellanza. 

Abbiamo  già  visto  come  il  concetto  di  libertà,  nel  senso  che  alla 
parola  viene  dato  nella  vita  politica,  gli  Europei  moderni  l'ab- 
biano ereditato  dai  Grreci  e  dai  Romani  antichi.  Confusamente  ed 


(1)  Il  concetto  che  fra  il  secolo  decimottavo  ed  il  decimonono  ci  sia  stata 
quasi  una  parentesi,  ossia  un  periodo  intermedio  di  crisi,  si  trova  già  espresso 
nei  famosi  versi  manzoniani  del  Cinque  maggio,  nei  quali,  come  b  noto,  il  poeta, 
accennando  all'opera  d'i  Napoleone,  canta: 

Ei  si  nomò  :  due  secoli 
L'un  contro  l'altro  armato 
Sommesfii  a  lui  si  volsero 
Come  aspettando  il  Fato. 
Ei  fé'  silenzio:  ed  arbitro 
S'assise  in  mezzo  a  lor. 


476  BLBMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

imperfettaiaente  inteso  nel  Medio  Evo,  ed  in  modo  assai  più  chiaro 
e  preciso  dopo  il  Rinascimento,  questo  concetto  fu  popolarizzato 
ed  interpretato  conformemente  alle  condizioni  della  società  del 
secolo  XVIU  da  Rousseau  e  da  altri  scrittori  a  lui  contempo- 
ranei (1).  Però,  siccome  era  impossibile  la  trasformazione  dello 
Stato  assoluto  burocratico,  che  vigeva  nel  secolo  decimottavo,  in 
uno  Stato- città  come  erano  state  Atene,  Sparta  ed  anche  Roma 
all'epoca  di  Fabrizio  e  di  Attilio  Regolo,  il  concetto  ereditato 
dagli  antichi  dovette  subire  un  ulteriore  adattamento  e  si  cercò 
di  attuarlo  prendendo  come  modello  quel  tipo  di  organizzazione 
politica,  che  già  nel  secolo  decimottavo  funzionava  in  Inghilterra 
ed  i  cui  vantaggi  erano  stati  assai  bene  illustrati  da  un  altro  ce- 
lebre scrittore,  ossia  da  Montesquieu. 

Quindi  invece  delle  Assemblee  della  Grecia  classica  e  dei  Co- 
mizi di  Roma,  nei  quali  tutti  i  cittadini  potevano  intervenire  e 
si  approvavano  le  leggi  e  si  eleggevano  i  titolari  di  quasi  tutte 
le  cariche  pubbliche,  si  ebbero  dei  Parlamenti,  quasi  sempre  di 
due  Camere,  con  preponderanza  morale  più  che  legale  di  quella 
che  più  direttamente  proveniva  dal  suffragio  popolare,  alle  quali 
furono  affidati  il  potere  legislativo,  l'approvazione  delle  imposte 
e  delle  spese  ed  un  controllo  generale  su  tutta  l'amministrazione 
dello  Stato.  Inoltre,  allontanandosi  anche  qui  dagli  esempi  della 
classica  antichità,  non  si  estese  l'applicazione  del  sistema  elettivo 
ne  all'organizzazione  amministrativa  dello  Stato,  né,  in  generale, 
a  quella  giudiziaria.  L'importanza  delle  mansioni,  che  già  sulla 
fine  del  secolo  decimottavo  l'organismo  statale  europeo  esercitava, 
e  la  tecnicità  quasi  sempre  indispensabile  per  l'esercizio  di  queste 
funzioni  resero  necessario  che  esse  continuassero  ad  essere  affi- 
date, anziché  a  funzionari  elettivi  e  temporanei,  come  era  avve- 
nuto nell'antico  Stato-città,  ad  impiegati  stabili  e  di  carriera;  re- 
clutati generalmente  in  seguito  a  concorsi  o  scelti  liberamente  da 
coloro  che  stavano  ai  sommi  gradi  della  loro  gerarchia  (2). 


(1)  Le  diverse  fasi  storielle  del  concetto  di  sovranità  popolare,  che  spesso  si 
identifica  con  quello  di  libertà  politica,  durante  il  Medio  Evo  e  l'età  moderna 
fino  alla  Rivoluzione  francese,  sono  state  assai  bene  esposte  nell'opera  di 
Emilio  Cbosa,  Sulla  sovranità  popolare.  Bocca,  editore,  Torino,  1915. 

(2)  Quest'ultimo  sistema  prevale  in  America,  dove  è  noto  che  la  burocrazia 
non  gode  di  quelle  guarentigie  di  stabilità  che  ha   conseguito  in   quasi   tutti 


PABTB   II.    GAP.    VI    -    CONCLUSIONE  477 

Quindi  l'impalcatura  burocratica  degli  antichi  regimi  assoluti, 
lungi  dall'essere  soppressa,  venne  mano  mano  sempre  più  svilup- 
pandosi ed  affermandosi  per  le  nuove  mansioni  che  durante  il 
secolo  decimonono  veniva  assumendo  lo  Stato,  ed  essa  in  fondo 
venne  a  costituire  due  dei  poteri  fondamentali  dei  moderni  re- 
gimi politici,  cioè  il  potere  esecutivo  ed  il  giudiziario.  Parvero 
provvedimenti  sufficienti  a  temperarne  le  esorbitanze  l'affidare, 
come  abbiamo  ricordato,  ai  Parlamenti  il  controllo  delle  entrate 
e  delle  spese  ed  il  diritto  di  sindacare  tutta  l'amministrazione 
dello  Stato  e,  nei  paesi  retti  a  governo  parlamentare,  il  preporre 
ai  diversi  rami  della  macchina  burocratica  dei  capi  scelti  a  prefe- 
renza fra  i  membri  della  Camera  elettiva  e  perciò  indirettamente 
provenienti  dall'elezione  popolare. 

In  quasi  tutti  i  paesi  di  civiltà  europea  gli  ordinamenti  militari 
sono  stati  poi  quella  parte  dell'organizzazione  dello  Stato  che, 
pure  enormemente  sviluppandosi  e  notevolmente  modificandosi, 
ha  conservato  a  preferenza,  durante  il  moderno  regime  rappresen- 
tativo, quella  fisonomia  che  ad  essa  avevano  impresso  gli  antichi 
regimi  assoluti. 

Infatti  si  è  a  dir  vero  quasi  dappertutto  adottato  il  servizio  mi- 
litare obbligatoria  esteso  a  tutte  le  classi  dei  cittadini,  in  maniera 
che  ora  è  possibile  in  caso  di  guerra  di  mobilizzare  tutta  la  po- 
polazione valida  di  un  paese,  e  si  sono  aboliti  i  privilegi  che  con- 
ferivano all'antica  nobiltà  il  monopolio  dei  gradi  superiori  della 
milizia,  sebbene  traccie  dei  privilegi  cennati  siano  rimaste  in  alcuni 
eserciti  europei  fino  a  tempi  molto  recenti  (1).  Ma  la  forza  armata 


gli  Stati  d'Europa,  ma  essa  viene  in  generale  licenziata  e  sostituita  da  ele- 
menti nuovi  quando  cambia  il  partito  che  è  al  potere.  Il  sistema  americano 
anche  nel  nuovo  mondo,  insieme  a  qualche  vantaggio,  presenta  molti  incon- 
venienti" e  non  si  potrebbe  adottare  in  Europa,  perchè  da  noi  si  richiede  dal 
pubblico  impiegato  una  preparazione  maggiore  e  non  è  relativamente  facile, 
come  in  America,  di  procacciarsi  una  nuova  occupazione  quando  si  è  perduta 
quella  che  già  si  aveva. 

(1)  Ricordiamo  in  proposito  che  nell'esercito  inglese  la  compera  dei  gradi, 
grazie  alla  quale  l'ufficialità  era  quasi  tutta  reclutata  fra  le  classi  più  ricche, 
fu  abolita  soltanto  nel  1871  e  che  in  Germania  fino  al  1914  alcuni  reggimenti 
non  ammettevano  nelle  loro  file  ufficiali  che  non  fossero  nobili  e  che  colà 
fino  allo  scoppiare  della  grande  guerra  gli  Israeliti  non  potevano  di  fatto 
diventare  ufficiali. 


478  BLIMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

conservò  un  ordinamento  strettamente  autocratico,  perchè  l'avan- 
zamento nella  carriera  militare  restò  sempre  esclusivamente  di- 
pendente dal  criterio  di  coloro  che  occupano  i  gradi  superiori,  e 
perchè  sopratutto  si  mantenne,  più  o  meno  rigorosamente,  ma 
sempre  abbastanza  notevole,  l'antica  distinzione  fra  gli  ufficiali  e 
gli  uomini  di  truppa.  I  primi  generalmente  militari  di  professione 
e  provenienti  dalle  classi  alte  e  medie,  e  quindi  per  la  loro  origine 
e  per  la  loro  istruzione  ed  educazione  ad  esse  legati;  i  secondi 
quasi  sempre  reclutati  mercè  il  servizio  militare  obbligatorio  e 
che  hanno  perciò  in  grande  maggioranza  la  mentalità  ed  i  sen- 
timenti degli  operai  e  dei  contadini. 

Questa  distinzione,  che  è  la  base  della  disciplina  e  dell'organiz- 
zazione militare,  unita  alla  maggiore  cultura  generale  e  militare 
degli  ufficiali,  fa  si  che  gli  uomini  di  truppa  diventino  ordinaria- 
mente uno  strumento  sicuro  nelle  loro  mani.  Ed  è  sopratutto 
mercè  di  essa  che  la  moderna  società  europea  ha  potuto  raggiun- 
gere il  risultato  mirabile  di  affidare  le  armi  ai  proletari  senza 
che  questi  se  ne  potessero  servire  come  mezzo  di  dominio.  Ed  è 
sempre  grazie  alla  distinzione  stessa  che  l'esercito  è  rimasto  quasi 
dappertutto  una  forza  conservatrice,  un  elemento  di  ordine  e  di 
stabilità  sociale  (1). 

Ma  il  concetto  di  libertà  politica  non  si  è,  nella  moderna  Eu- 
ropa, ed  in  generale  in  tutti  i  paesi  di  civiltà  europea,  attuato 
soltanto  coll'istituzione  dei  regimi  rappresentativi,  ma  quasi  dap- 
pertutto esso  è  stato  più  o  meno  completato  mercè  una  serie  di 


(1)  La  borghesia  europea  non  ha  in  generale  piena  coscienza  della  impor- 
tanza politica  dei  moderni  ordinamenti  militari  e  perciò  in  qualche  paese  eu- 
ropeo non  vedrebbe  con  soverchio  allarme  che  essi  fossero  radicalmente  mo- 
dificati, abbreviando  moltissimo  la  durata  del  servizio  militare  e  sostituendolo 
con  la  cosidetta  educazione  premilitare.  Durante  l' ultima  grande  guerra 
alle  volte  si  abusò  talmente  delle  forze  fisiche  e  morali  dell'uomo  che,  in 
quasi  tutti  gli  eserciti  europei,  vi  furono  momenti  durante  i  quali  la  disciplina 
s'indebolì  e  l'organizzazione  militare  presentò  gravi  sintomi  di  dissoluzione. 
Si  sa  poi  che  la  stoltissima  borghesia  russa,  appena  scoppiata  la  prima  rivo- 
luzione, col  famoso  prikaz  numero  uno,  mediante  il  quale  si  toglieva  agli  uffi- 
ciali ogni  autorità  sui  soldati,  si  affrettò  a  distruggere  il  proprio  esercito.  In 
seguito  il  governo  bolscevico  ha  con  molta  sapienza  creato  il  suo  esercito, 
organizzandolo  con  ferrea  disciplina,  e  si  sforza  ora  in  tutte  le  maniere  di 
costituire  un  corpo  di  ufficiali  che,  per  educazione  ed  interessi,  sia  legato  agli 
attuali  dominatori  della  Russia. 


PAKTE    II.    GAP.    VI    -    OONOLUSIONE  479 

istituzioni,  che  assicurano  agli  individui  ed  alle  coalizioni  di  indi- 
vidui parecchie  efficaci  guarentigie  di  fronte  ai  detentori  dei  pub- 
blici poteri.  Nei  paesi  perciò  che  a  buon  diritto  sono  stati  finora 
reputati  liberi  noi  troviamo  che  le  proprietà  private  non  possono 
essere  arbitrariamente  violate,  che  un  cittadino  non  può  essere  ar- 
restato e  condannato  se  non  mercè  l'osservanza  di  norme  determi- 
nate, che  ognuno  può  seguire  la  religione  che  crede  migliore  senza 
menomazione  dei  suoi  diritti  civili  e  politici,  che  la  stampa  non  può 
essere  soggetta  a  censura  preventiva  e  che  essa  può  liberamente 
discutere  e  criticare  gli  atti  dei  governanti;  che  i  cittadini  infine, 
seguendo  certe  norme,  possono  riunirsi  per  prendere  deliberazioni 
d'indole  politica  e  che  essi  possono  pure  associarsi  allo  scopo  di 
raggiungere  fini  morali,  politici  o  professionali. 

Queste  ed  altre  simili  libertà,  che  possono  essere  considerate 
come  delle  vere  autolimitazioni  che  lo  Stato  mette  ai  suoi  poteri 
sovrani  nei  suoi  rapporti  con  i  singoli  cittadini,  sono  in  buona 
parte  una  imitazione  di  leggi  che  l'Inghilterra  aveva  adottato 
alla  fine  del  secolo  decimosettimo,  dopo  la  sua  seconda  rivoluzione, 
od  anche  in  epoca  posteriore,  e  costituiscono  un  complemento  ne- 
cessario del  regime  rappresentativo;  che  assai  male  potrebbe  fun- 
zionare se  ogni  libera  attività  politica  degli  individui  fosse  sop- 
pressa e  se  essi  non  fossero  tutelati  abbastanza  contro  l'azione 
arbitraria  del  potere  esecutivo  e  del  giudiziario.  Nello  stesso  tempo 
queste  libertà  trovano  la  loro  massima  guarentigia  nell'esistenza 
del  regime  rappresentativo,  il  quale  fa  sì  che  il  potere  legisla- 
tivo, che  solo  avrebbe  il  diritto  di  toglierle  o  restringerle,  sia 
l'emanazione  di  quelle  stesse  forze  politiche  che  hanno  interesse 
a  conservarle  (1). 

Assai  più  diffìcile,  perchè  contraria  alla  natura  delle  cose,  e 
quindi  meno  reale  e  concreta,  è  stata  l'attuazione  del  concetto  di 
uguaglianza. 

Naturalmente  furono  aboliti,  poiché  alla  borghesia  stessa  inte- 
ressava di  abolirli,  quei  privilegi  di  classe  che  ancora  sussistevano 
alla  fine  del  secolo  decimottavo,  e  tutti  i  cittadini  furono  solen- 
nemente proclamati  uguali   davanti   alla  legge,  ma  non  si  pote- 


(1)  Vedi  in  proposito  Mosca,  Appunti  di  diritto  costituzionale,  Terza  edizione. 
Milano,  Società  editrice  libraria,  1921,  al  §  17,  pagg.  152  e  segg. 


480  ELEMBNTl    DI    SCIENZA    POLITICA 

rono  abolire  gli  effetti  delle  disuguaglianze  naturali  e  neanche 
di  quelle  per  dir  cosi  artificiali,  che  sono  una  consej^uenza  del- 
l'eredità familiare,  come  sarebbero  le  differenze  di  ricchezza,  di 
educazione  e  di  cultura. 

Anzi  mentre  l'uguaglianza,  che  dovrebbe  portare  come  conse- 
guenza necessaria  la  sparizione  delle  classi  sociali,  veniva  ufficial- 
mente proclamata,  giammai  forse  la  distanza  fra  la  mentalità,  il 
modo  di  sentire  e  perfino  le  inclinazioni  delle  varie  classi  sociali 
è  stata  più  accentuata  di  quanto  lo  sia  nella  società  europea  del 
secolo  ventesimo  e  giammai  forse  esse  si  sono  meno  scambievol- 
mente comprese.  Ciò  che  non  è  esclusivamente  dovuto  alla  dis- 
uguaglianza delle  ricchezze,  perchè  quasi  sempre  l'intelletto  e  la 
psicologia  di  un  piccolo  borghese,  che  abbia  potuto  ottenere  una 
laurea  od  anche  un  diploma  d'istituto  secondario,  si  accosta  più 
a  quella  di  un  milionario  anziché  a  quella  di  un  operaio,  sebbene 
economicamente  il  piccolo  borghese  sia  senza  dubbio  più  vicino  a 
quest'ultimo  anziché  al  milionario.  Ma  piuttosto  è  un  effetto  del 
progresso  della  cultura  e  di  ciò  che  dicesi  la  civiltà,  la  quale  fa 
sì  che  coloro  che  si  dedicano  ai  lavori  intellettuali,  e  qualche  volta 
anche  agli  ozi  raffinati,  sempre  più  si  debbano  necessariamente 
differenziare  da  quegli  strati  sociali  che  sono  adatti  e  dedicati 
esclusivamente  ai  lavori  manuali. 

Come  guarentigia  e  prova  tangibile  dell'uguaglianza,  durante 
il  secolo  decimonono  e  nei  primi  decenni  del  ventesimo,  la  bor- 
ghesia europea  ed  americana  ha  concesso  a  tutti  i  cittadini,  com- 
presi gli  analfabeti,  che  in  alcuni  paesi  formano  ancora  una  parte 
notevole  della  popolazione,  il  suffragio  universale,  ossia  il  diritto 
di  partecipare  in  misura  uguale  alla  elezione  dei  membri  della 
Camera  elettiva.  Come  abbiamo  già  accennato,  questa  concessione 
fu  sopratutto  una  conseguenza  delle  dottrine  politiche  prevalenti 
nelle  classi  dirigenti,  dottrine  che  facevano  parte  dell'eredità  in- 
tellettuale che  il  secolo  decimottavo  aveva  trasmesso  al  decimo- 
nono ed  in  base  alle  quali  unico  governo  legittimo  veniva  consi- 
derato quello  basato  sulla  sovranità  popolare,  intesa  come  sovranità 
della  maggioranza  numerica  dei  membri  del  consorzio  sociale. 
Sicché  la  largizione  del  voto  a  tutti  i  cittadini  maggiorenni  di- 
ventò un  atto  indispensabile  affinché  la  minoranza,  che  realmente 
avea  in  mano  la  direzione  politica,  potesse  evitare  la  taccia  d'in- 
coerenza e  potesse  mettere  in  pace  la  propria  coscienza. 


PARTE    li.    GAP.  VI    -    CONCLUSIONE  481 

Ma,  fin  dall'epoca  di  Aristotile,  quando  ancora  la  maggioranza 
dei  lavoratori  manuali  era  esclusa  dalla  cittadinanza  e  quindi  dal 
suffragio,  era  stata  rilevata  la  difficoltà  di  conciliare  l'ugua- 
glianza politica,  che  dava  la  preponderanza  ai  poveri  sui  ricchi, 
colla  disuguaglianza  economica.  Non  è  quindi  da  maravigliare 
che  precisamente  davanti  la  stessa  difficoltà  si  siano  trovate,  dopo 
la  concessione  del  suffragio  universale,  le  classi  dirigenti  europee 
ed  americane.  Se  esse  prima  della  grande  guerra  poterono  con 
relativa  facilità  affrontarla  e  fino  ad  un  certo  punto  superarla, 
ciò  fu  dovuto  in  parte  alla  impreparazione  politica  delle  classi 
popolari,  che  in  molti  paesi  si  sono  lasciate  in  principio  agevol- 
mente regimentare  entro  i  quadri  dei  partiti  borghesi,  in  parte 
alla  grande  forza  di  resistenza  dei  moderni  organismi  statali  e 
finalmente,  in  parte  forse  maggiore  delle  altre,  alla  grande  prospe- 
rità economica,  che  fu  una  delle  caratteristiche  più  spiccate  della 
seconda  metà  del  secolo  decimonono  e  che  si  accentuò  fortemente 
durante  gli  ultimi  venti  o  trent'anni  anteriori  al  1914.  Prosperità 
la  quale  rese  in  molti  paesi  possibile  di  fare  notevoli  concessioni 
d'indole  economica  alle  classi  più  numerose  senza  impedire  l'au- 
mento dei  risparmi  privati,  senza  soverchiamente  intaccare  l'in- 
violabilità della  proprietà  privata  e  senza  imporre  carichi  insop- 
portabili alle  grandi  ed  alle  medie  fortune  (1). 

Anche  più  vacua,  più  priva   di  contenuto   dell'attuazione  della 
uguaglianza  dovea  infine  riuscire  quella  della  fratellanza. 


(1)  La  migliore  e  la  più  gradita  delle  concessioni  accennate  fu  il  grande 
miglioramento  dei  salari  effettivi  reso  possibile,  sopratutto  negli  ultimi  de- 
cenni anteriori  al  1914,  dalla  maggiore  produttività  dell'industria  e  dell'agri- 
coltura. A  dir  vero,  questo  miglioramento  ha  potuto  servire  anche  agli  agita- 
tori, che  si  sono  vantati  di  averlo  strappato  alla  borghesia,  mercè  l'organizzazione 
dei  lavoratori  manuali  e  l'azione  dei  loro  rappresentanti  in  Parlamento,  nella 
quale  affermazione,  come  sanno  tutti  gli  economisti,  vi  è  un  poco  di  vero  e 
molto  di  falso;  ma  certamente  le  migliorate  condizioni  economiche  hanno  reso 
in  complesso  le  classi  lavoratrici  meno  proclivi  alle  azioni  disperate  e  vio- 
lenti. Le  altre  concessioni  alle  quali  abbiamo  accennato  concernono  la  limita- 
zione delle  ore  di  lavoro,  specialmente  per  quel  che  riguarda  il  lavoro  delle 
donne  e  dei  fanciulli,  e  le  assicurazioni  per  la  vecchiaia,  le  malattie,  la  dis- 
occupazione e  gli  infortunii  sul  lavoro.  Queati  provvedimenti  sono  tutti  accet- 
tabili quando  non  sono  troppo  esagerati  e  quando  l'industria,  l'agricoltura  e  la 
finanza  pubblica  hanno  la  capacicà  di  sopportarne  il  carico;  benché  quasi 
sempre  servano  a  giustificare  la  creazione  di  una  numerosa  burocrazia  ingom- 
brante e  fastidiosa. 

G.  Mosca,  Elemenli  di  Scienza  PolUica.  81 


482  BLEMBNTI    DI    8CIBMZA    POLITICA 

La  fratellanza,  ossia  l'amore  reciproco  fra  tutti  gli  individui 
umani,  era  stata  già  proclamata  e  i)redicata,  prima  che  dai  filosofi 
dei  secoli  decimottavo  e  decimonono,  da  un  certo  numero  di  pensa- 
tori delFantichità,  che  però  credevano  in  generale  che  essa  dovesse 
essere  a  preferenza  praticata  fra  i  membri  dello  stesso  popolo  o 
della  stessa  città.  Non  mancarono  però,  in  una  delle  epoche  di  mag- 
giore cultura  che  abbia  avuto  la  classica  antichità,  degli  scrittori 
che,  come  Seneca,  insegnarono  che  essa  doveva  essere  estesa  a 
tutta  l'umanità,  ma  in  generale  restarono  poco  ascoltati.  L'amore 
reciproco  universale  entrò  anche  nei  programmi  delle  tre  grandi 
religioni  mondiali,  ossia  del  Buddismo,  del  Cristianesimo  e  del 
Maomettismo  ;  ma  in  tutte  e  tre  furono  poi  a  preferenza  riguar- 
dati come  fratelli  coloro  che  seguivano  la  stessa  fede  ed  anche 
fra  compagni  di  fede  la  fratellanza  fu  in  pratica  tutt'altro  che 
perfetta.  Perchè  essa  possa  diventare  una  realtà  occorrerebbe 
infatti  che  nell'uomo,  pur  non  tenendo  conto  degli  inevitabili  con- 
flitti d'interessi  e  delle  gare  indispensabili  per  arrivare  alla  pre- 
minenza sociale,  restasse  solo  il  bisogno  di  amare  e  si  estinguesse 
quello  di  odiare  il  proprio  simile  ;  sia  esso  vicino  o  lontano,  parli 
o  no  la  stessa  lingua  e  segua  o  no  la  stessa  religione  o  le  stesse 
dottrine  politiche.  E  disgraziatamente  il  cennato  bisogno  finora 
non  sembra  prossimo  ad  estinguersi  (1). 

Date  queste  condizioni  della  psiche  umana,  riesce  perfettamente 
spiegabile  che  il  senso  della  fratellanza  universale,  anche  nel  se- 
colo decimonono  e  negli  inizii  del  ventesimo,  sia  rimasto  e  rimanga 
molto  fiacco.  Tanto  più  che  le  delusioni  sofferte  per  la  mancata 
attuazione  dell'uguaglianza  dovevano  e  debbono  contribuire  ad 
indebolirlo,  acuendo  la  natui-ale  rivalità  fra  i  ricchi  ed  i  poveri, 
i  potenti  e  gli  impotenti,  i  felici  e  gli  infelici.  Mentre  il  grossolano 
materialismo  prevalente  fino  a  pochi  anni  fa,  e  contro  il  quale 
solo  da  poco  tempo  e  fra  le  classi  più  colte  è  sorta  una  certa 
reazione,  rinfocolando  le  aspirazioni  verso  i  beni  terrestri  e  to- 
gliendo ogni  consolazione  ai  vinti  della  vita,  necessariamente 
fomentava  sempre  più  l'odio,  non  già  l'amore,  fra  i  popoli,  fra  le 
classi  e  fra  i  singoli  individui. 


(1)  Vedi  in  proposito  quaaito  abbiamo  scritto  nella   prima  parte   di   questo 
lavoro  al  Capitolo  VII  nei  paragrafi  dal  primo  al  sesto. 


PARTE    II.    OAP.  VI    -    CONCLUSIONE  483 

m.  —  Ciò  nondimeno  noi  crediamo  che,  quando  i  nostri  lon- 
tani nepoti  potranno  giudicare  spassionatamente  l'opera  dei  loro 
antenati,  dovranno  riconoscere  che  l'epoca,  che  sarà  appellata  nella 
storia  col  nome  del  secolo  decimonono,  è  stata  una  delle  più  grandi 
e  magnifiche  fra  tutte  quelle  che  l'umanità  ha  attraversato. 

Difatti  durante  essa  il  pensiero  umano,  non  più  limitato  e  co- 
stretto entro  confini  che  non  poteva  violare,  sia  nel  campo  delle 
scienze  naturali  che  in  quello  delle  scienze  storiche  e  sociali,  ha 
ottenuto  risultati  che  hanno  di  molto  superato  il  patrimonio  intel- 
lettuale che  le  civiltà  del  passato  ci  avevano  tramandato.  Griammai, 
come  negli  ultimi  cento  o  centoventi  anni,  l'uomo  ha  avuto  a  sua 
disposizione  tanti  potenti  e  nuovi  strumenti  di  osservazione  e  tanta 
copia  di  esatte  informazioni  sui  fenomeni  naturali  e  su  quelli  so- 
ciali, e  giammai  quindi  ha  potuto  rendersi  e  si  è  reso  un  conto 
così  esatto  e  minuto  delle  leggi  che  governano  il  mondo  in  cui 
vive  e  di  quelle  che  regolano  i  suoi  stessi  istinti  e  le  sue  stesse 
azioni  ed  ha  potuto  meglio  conoscere  l'universo  di  cui  fa  parte  e 
se  stesso. 

E  gli  effetti  dell'applicazione  delle  cognizioni  accennate  ai  pro- 
gressi della  vita  materiale  sono  troppo  noti  e  troppo  sono  stati 
celebrati  perchè  sia  necessario  di  ricordarli.  Tutti  sanno  infatti 
che  oggi,  con  lo  stesso  sforzo,  il  lavoro  umano  può  raggiungere  un 
risultato  che  alle  volte  è  decuplo  di  quello  di  cento  anni  fa,  e  che 
il  progresso  dei  mezzi  di  comunicazione  e  della  tecnica  agraria 
ed  industriale  hanno  reso  possibile  lo  scambio  di  prodotti,  di  ser- 
vizi e  di  cognizioni  fra  paesi  remoti,  e  che  tutto  ciò  ha  prodotto 
un'agiatezza,  proporzionatamente  diffusa  fra  tutte  le  classi  sociali, 
che  mai  nel  passato  era  stata  raggiunta. 

A  tutti  questi  risultati  scientifici  ed  economici  deve  avere  neces- 
sariamente contribuito  il  regime  politico,  ma,  anche  limitando  ad 
esso  la  nostra  indagine,  dobbiamo  riconoscere  le  grandi  beneme- 
renze, che,  attraverso  le  illusioni  che  lo  hanno  guidato,  costituiscono 
e  costituiranno  il  merito  imperituro  del  secolo  decimonono.  —  Certo 
che  quel  governo  della  maggioranza  e  quella  uguaglianza  politica 
assoluta,  che  il  secolo  avea  scritto  nella  sua  bandiera,  non  furono 
attuate  perchè  non  potevano  diventare  una  realtà,  e  che  lo  stesso  si 
può  dire  della  fratellanza;  ma  le  file  delle  classi  dirigenti  sono  ri- 
maste aperte,  le  barriere  che  impedivano  agli  individui  delle  classi 
più  umili  di  entrarvi  sono  state  tolte  od  almeno  abbassate  e  la  tras- 


484  KLBHEMTI    DI    BUIENZA    POLITICA 


formazione  dell'antico  Stato  assoluto  nel  moderno  Stato  rajjpresen- 
tativo  ha  reso  possibile  a  quasi  tutte  le  forze  politiche,  ossia  a 
quasi  tutti  i  valori  sociali,  di  partecipare  alla  direzione  politica 
della  società. 

E  bisogna  inoltre  ricordare  che  la  trasformazione  accennata  ha 
suddiviso  la  classe  politica  in  due  rami  distinti:  quello  proveniente 
dalle  elezioni  popolari  e  quello  burocratico;  e  che  ciò  non  ha  sol- 
tanto permesso  di  utilizzare  meglio  tutte  le  capacità  individuali 
ma  ha  reso  possibile  quella  ripartizione  delle  funzioni  sovrane, 
ossia  dei  poteri  dello  Stato,  che,  dove  le  condizioni  della  società 
sono  tali  da  renderla  effettiva,  costituiscono  il  merito  principale 
dei  regimi  rappresentativi,  quello  per  il  quale  essi  hanno  dato 
risultati  migliori  di  tutti  quegli  altri  che  hanno  potuto  finora  essere 
applicati  a  grandi  organizzazioni  politiche  (1).  Rousseau  si  propose 
un  fine  irraggiungibile  quando  volle  dimostrare  che  unica  forma 
di  governo  legittima  è  quella  fondata  sull'espresso  consenso  della 
maggioranza  dei  consociati  ;  ma  Montesquieu  invece  espose  un 
concetto  molto  più  pratico  e  profondo  quando  sostenne  che,  affinchè 
un  popolo  sia  libero,  cioè  governato  secondo  la  legge  e  non  se- 
condo l'arbitrio  dei  suoi  reggitori,  bisogna  che  abbia  una  organiz- 
zazione politica  nella  quale  il  potere  arresti  e  limiti  il  potere  e 
non  vi  sia  perciò  nessun  individuo  e  nessuna  assemblea  che  abbiano 
nello  stesso  tempo  la  facoltà  di  faro  la  legge  e  quella  di  appli- 
carla. E,  per  completare  questa  dottrina,  basta  tener  presente  che 
l'azione  di  un  organo  politico  può  essere  efficace  solo  quando  esso 
rappresenta  una  frazione  della  classe  politica  diversa  da  quella 
rappresentata  dall'altro  organo  che  deve  esser  limitato  e  con- 
trollato. 

Se  poi  facciamo  il  debito  conto  delle  libertà  individuali,  che 
difendono  il  cittadino  contro  la  possibile  azione  arbitraria  di  tutti 
i  poteri  dello  Stato,  e  sopratutto  della  libertà  della  stampa,  che, 
insieme  a  quella  delle  discussioni  parlamentari,  può  richiamare 
l'attenzione  del  pubblico  su  tutti  i  possibili  abusi  dei  governanti, 


(1)  Abbiamo  già  replicatamente  accennato  che  le  condizioni  sociali  neces- 
sarie per  il  retto  funzionamento  del  regime  rappresentativo  consistono  nel 
l'esistenza  di  una  numerosa  classe  media  la  quale,  restando  al  di  fuori  della 
burocrazia,  ha  la  capacità  e  l'indipendenza  economica  indispensabili  per  real- 
mente partecipare  all'esercizio  dei  pubblici  poteri. 


PARTE    II.    GAP.  VI    -    CONCLUSIONE  485 

facilmente  possiamo  renderci  ragione  della  grande  superiorità  dei 
regimi  rappresentativi.  La  quale  ha  permesso  la  costituzione  di 
una  forma  di  Stato  fortissima,  che  ha  potuto  incanalare  verso  fini 
d'interesse  collettivo  una  somma  immensa  di  energie  individuali 
e  nello  stesso  tempo  non  le  ha  schiacciate  e  soppresse;  e  ha 
perciò  lasciato  ad  esse  una  vitalità  sufficiente  per  conseguire  altri 
grandi  risultati,  sopratutto  nel  campo  scientifico  e  letterario  ed  in 
quello  economico.  —  Si  può  quindi  con  quasi  sicurezza  affermare 
che,  se  durante  l'epoca  che  ora  accenna  a  tramontare,  i  popoli  di 
civiltà  europea  hanno  potuto  mantenere  il  loro  primato  nel  mondo 
ciò  si  deve  in  massima  parte  ai  benefici  effetti  del  loro  regime 
politico  (1). 

A  dir  vero,  fin  dal  secolo  decimottavo,  quando  vigeva  ancora  il 
regime  assoluto  burocratico,  si  era  già  affermata  la  superiorità 
militare  ed  amministrativa  degli  Stati  europei  su  quelli  di  civiltà 
asiatica.  Difatti  la  Turchia  dopo  i  due  trattati  di  pace  di  Carlowitz 
e  di  Passarowitz,  che  furono  conchiusi  nel  1699  e  nel  1718,  non 
costituii'.,  più  una  minaccia  permanente  per  l'Europa  e,  già  nella 
seconda  metà  del  secolo  decimottavo,  la  conquista  inglese  dell'India 
era  condotta  a  buon  punto  ;  ma  forse  non  fu  effetto  del  caso  se  essa 
avvenne  per  opera  di  quello  Stato  europeo  che  per  il  primo  avea 
adottato  il  regime  rappresentativo.  Ed  è  noto  poi  che  la  prevalenza 
degli  Stati  europei  su  quelli  asiatici  si  è  sempre  più  affermata  ed 
è  rimasta  inconcussa  per  tutto  il  secolo  decimonono  fino  al  1904, 
quando  il  Giappone,  avendo  già  adottato  l'organizzazione  militare 
ed  amministrativa  europea,  potè  vincere  la  Russia.  E  naturale 
che  questa  vittoria  abbia  fatto  nascere  la  speranza  di  una  pros- 
sima riscossa  nei  popoli  di  civiltà  asiatica,  speranza  che  si  è  no- 
tevolmente accresciuta  dopo  che  l'ultima  grande  guerra  ha  esaurito 


(1)  Si  potrebbe  osservare  che,  se  i  regimi  rappresentativi  hanno  potuto,  du- 
rante il  secolo  decimonono,  regolarmente  funzionare  nella  maggioranza  dei 
paesi  che  hanno  abbracciato  la  civiltà  europea,  ciò  è  dovuto  al  fatto  che  nei 
detti  paesi  le  condizioni  culturali  ed  economiche  erano  tali  da  permettere  che 
i  cennati  siatemi  bene  funzionassero.  Sarebbe  questo  uno  dei  tanti  casi  nei 
quali,  come  abbiamo  già  accennato,  l'effetto  diventa  causa  e  la  causa  effetto  ; 
sicché,  invece  di  parlare  di  effetti  e  di  cause,  sarebbe  più  esatto  dire  che  si 
tratta  della  collaborazione  di  vari  fattori,  nei  quali  l'azione  dell'uno  deve 
essere  necessariamente  completata  da  quella  dell'altro. 


486  BLimifTI    DI    60IEKZA    POLITIOA 


tanta  parte  dell'Europa  ed  ha  messo  in  evidenza  i  lati  deboli  della 
sua  organizzazione. 

Certamente,  già  prima  del  1914,  ad  un  osservatore  sagace 
non  poteva  sfuggire  che  il  centro  di  gravità  della  civiltà  europea 
tendeva  a  spostarsi  verso  l'America,  dove  specialmente  gli  Stati 
Uniti,  il  Canada,  il  Brasile  e  l'Argentina  dispongono  di  vastissimi 
territori  e  di  grandi  ricchezze  naturali,  ancora  assai  incompleta- 
mente sfruttate,  e  potrebbero  nell'avvenire  sostentare  una  popola- 
zione almeno  quadrupla  di  quella  odierna.  Ma,  fino  alla  vigilia  della 
grande  guerra  europea,  questi  paesi  per  sviluppare  le  loro  ric- 
chezze avevano  ancora  bisogno  di  capitali  e  di  lavoratori  che  solo 
l'Europa  poteva  loro  fornire  (1).  Sicché  il  i^ericolo  della  loro  pre- 
valenza sul  vecchio  mondo  potea  ancora  essere  considerato  come 
non  imminente,  anche  perchè  parecchi  Stati  europei  avevano  già 
iniziato  a  loro  profitto  la  valorizzazione  dell'Africa  equatoriale 
ed  australe,  dove  sono  pure  grandi  territori  abitati  da  popolazioni 
primitive,  e  quindi  per  un  pezzo  facilmente  governabili,  e  sono 
quindi  suscettibili  col  tempo  di  fornire  quelle  materie  prime  delle 
quali  la  sovrapopolata  Europa  ha  indispensabile  bisogno  (2). 

IV.  —  Come  tutti  i  regimi  politici,  anche  il  regime  rappre- 
sentativo conteneva,  durante  l'epoca  che  corrisponde  al  secolo 
decimonono,  i  germi  che  ne  preparavano  la  lenta  trasformazione 
o  la  rapida  dissoluzione.  Abbiamo  già  detto  nel  capitolo  prece- 
dente come  solo  mediante  la  lenta  e  continua  trasformazione  dei 
regimi  politici  si  possono  evitare  quei  periodi  di  rapida  dissolu- 
zione, che  sono  accompagnati  da  crisi  violente  apportatrici  di  inau- 
dite sofferenze  alle  generazioni  che  le  subiscono,  e  che  quasi 
sempre  le  fanno  tornare  indietro  nel  cammino  della  civiltà. 
Il  primo  di  questi  germi  è  stato  ed  è  senza  dubbio  la  contrad- 


(1)  Veramente  i  lavoratori  avrebbero  potuto,  e  forse  anche  voluto,  fornirli 
anche  la  China,  il  Giappone  e  qualche  altro  paese  asiatico;  ma  si  sa  ehe  la 
emigrazione  gialla  non  si  fonde  in  una  o  due  generazioni  con  la  popolazione 
americana,  come  fa  quella  europea,  e  che  ciò  potrebbe  nell'avvenire  creare 
un  pericolo  del  quale  gli  Stati  americani  giustamente  si  preoccupano. 

(2)  Si  potrebbe  anche  a  questo  proposito  ricordare  che  fino  ad  oggi  la  cul- 
tura artistica  e  scientifica  di  parecchi  grandi  paesi  europei,  sopratutto  per 
quel  che  riguarda  le  scienze  storiche  e  sociali,  è  notevolmente  superiore  a  quella 
dell'America. 


PARTE    II.    OAP.  VI    -    CONCLUSIONE  487 

dizione  evidente  fra  uno  dei  fini  principali  che  il  secolo  si  era 
proposto  ed  il  risultato  che  aveva  raggiunto.  L'Europa,  e  sopra- 
tutto l'Europa  centrale  ed  occidentale,  ha  avuto  finora  una  forma 
di  governo  che  assicurava  abbastanza  la  libertà  individuale,  che 
faceva  sì  che  l'azione  dei  governanti  fosse  sufficientemente  con- 
trollata e  moderata,  che  ha  reso  possibile  lo  sviluppo  di  una  grande 
prosperità  materiale^  ma  che,  come  abbiamo  visto,  non  ha  attuato 
l'uguaglianza  né  dato  alle  maggioranze  la  direzione  effettiva  dei 
vari  paesi.  Giacché  le  masse  popolari  tutto  al  più,  al  momento  delle 
elezioni,  sono  state  lusingate  con  la  promessa  di  qualche  vantaggio 
materiale,  spesso  più  apparente  che  reale,  e  che,  quando  è  stato 
realmente  concesso,  spessissimo  ha  danneggiato  gli  interessi  della 
economia  nazionale  e  quindi  anche  quelli  delle  classi  più  umili  (1). 

Date  queste  condizioni  psicologiche  e  materiali  della  società 
europea,  non  riesce  difficile  comprendere  come  in  seno  alla  stessa 
borghesia  siasi  costituito  un  fortissimo  partito  politico,  in  parte 
formato  d'idealisti  ed  in  parte  da  ambiziosi,  che  aspirava  ed  aspira 
a  rendere  reale  l'uguaglianza  e  la  partecipazione  delle  masse  alla 
direzione  dello  Stato,  e  come  a  questo  partito  abbiano  aderito  mol- 
tissimi fra  coloro  che,  nati  nella  classe  dei  lavoratori  manuali, 
sono  riusciti  ad  acquistare  una  certa  cultura.  Ed  é  naturale  che 
questo  partito  sia  arrivato  subito  alla  conclusione  che,  senza  l'abo- 
lizione della  proprietà  privata,  non  poteano  essere  instaurate  nel 
mondo  né  una  giustizia  assoluta  né  una  reale  uguaglianza. 

Piuttosto  può  sembrare  a  prima  vista  meno  naturale  che  la  bor- 
ghesia europea  abbia  durante  il  secolo  decimonono,  e  si  può  dire  fino 
al  1914,  combattuto  in  generale  assai  mollemente  e  saltuariamente  la 
diffusione  delle  dottrine  socialiste  e  l'organizzazione  di  quelle  forze 
politiche  che  queste  dottrine  aveano  abbracciato.  Ma  ciò  è  avve- 
nuto per  una  serie  di  motivi,  fra  i  quali  vanno  compresi  l'omaggio 
a  quei  principii  liberali,  secondo  i  quali  si  dovrebbe  affidare  al 
buon  senso  del  pubblico  lo  sceverare  la  verità  dall'errore,  ciò  che 


(1)  L'esempio  più  tipico  di  questo  genere  di  concessioni  è  stata  la  conces- 
sione del  massimo  di  otto  ore  giornaliere  di  lavoro.;  il  quale  limite,  forse  sop- 
portabile in  un  paese  molto  ricco,  riesce  esiziale  in  un  paese  povero.  La  stol- 
tezza e  la  codardia  delle  classi  dirigenti  di  parecchi  paesi  europei  fece  loro 
accettare  questo  limite  all'indomani  della  grande  guerra  europea,  quando  i 
popoli,  oltremodo  impoveriti,  aveauo  bisogno  urgentissimo  di  intensificare  il 
lavoro  e  la  produzione. 


488  ELEMENTI   DI   SOIENZA    POLITICA 


è  attuabile  dall'inattuabile,  e  quel  senso  di  vago  ottimismo,  che 
durò  quasi  inalterato  fino  agli  ultimi  decenni  del  secolo  scorso. 
Il  quale  manteneva  salda  la  fiducia  nella  ragionevolezza  e  nella 
bontà  umana,  nella  futura  educazione  delle  masse  popolari  affidata 
ai  maestri  di  scuola,  e  facea  comunemente  ammettere  come  sicuro 
che  il  mondo  fosse  incamminato  verso  un'era  di  concordia  e  di  fe- 
licità universale.  E  poi,  diciamolo  pure,  la  mentalità  borghese  è 
stata  fino  a  ieri  impregnata  di  molti  dei  concetti  che  formano  la 
base  intellettuale  del  socialismo;  sicché  la  borghesia,  prigioniera 
dei  propri  pregiudizi,  lo  ha  combattuto  fino  alla  vigilia  del  1914 
con  la  mano  destra  legata  e  con  la  sinistra  notevolmente  impac- 
ciatn.  Anzi,  invece  di  apertamente  combatterlo,  in  molti  paesi 
d'Europa  è  venuta  con  esso  a  patti  ed  ha  accettato  transazioni 
dannose  e  qualche  volta  indecorose. 

E  le  conseguenze  di  questa  debolezza  si  sono  aggravate  per  il 
fatto  che,  fra  tutti  i  vangeli  socialisti,  fu  dichiarato  canonico  ed 
universalmente  adottato  quello  che,  mentre  prometteva  il  trionfo 
sicuro  della  dottrina,  più  eccitava  quel  sentimento  che  è  fra  tutti 
il  più  atto  a  minare  e  distruggere  la  compagine  di  un  popolo  o 
di  una  civiltà:  cioè  l'odio.  Abbiamo  già  notato  nella  prima  parte 
di  questo  lavoro  quanto  fosse  efficace  e  perniciosa  la  propaganda 
dissolvitrice  di  odio  fra  le  classi  sociali  contenuta  nelle  pagine  del 
Capitale  di  Carlo  Marx;  oggi  da  una  recente  pubblicazione  pos- 
siamo apprendere  che  l'eccitazione  di  questo  sentimento  entrava 
precisamente  nei  fini  che  l'autore  coi  suoi  scritti  si  proponeva  di 
raggiungere  (1).  E,  se  si  obietterà  che  fra  tanti  socialisti  o  comu- 


(1)  Vedi  la  parte  prima  di  questo  lavoro  al  Capitolo  X,  §  XV.  La  recente 
pubblicazione  alla  quale  alludiamo  è  quella  dell'epistolario  fra  Marx  e  Las- 
salle  nel  quale  a  pag.  170  è  riportata  la  seguente  frase  del  Marx:  "  Gift 
infiltrieren  wo  immer  ist  nuii  ratsam  ,  (È  ora  consigliabile  di  infiltrare  veleno 
dovunque  si  possa).  Vedi  Der  Briefivechsel  zivischen  Lassalle  und  Marx,  heraus- 
gegeben  von  Gustav  Mater,  "  Deutsche  Verlag's  Anstalt  „,  Stuttgart,  1922. 
Per  maggiori  particolari  si  può  consultare  utilmente  il  lavoro  d'imminente 
pubblicazione  di  Alessandro  Lezio  intitolato  Carlo  Alberto  e  Mazzini,  Torino, 
Bocca,  19«23. 

A  questo  proposito  ricorderemo  che  uno  dei  sofismi  più  comuni  di  coloro 
che  fanno  propaganda  di  socialismo  consiste  nell'affermare  che  non  sono  le 
dottrine  socialiste  che  producono  l'odio  di  classe,  ma  che  questo  è  un  natu- 
rale effetto  delle  disuguaglianze  e  delle  ingiustizie  sociali. 

Si  potrebbe  facilmente  rispondere  che  le  disuguaglianze  e  le  ingiustizie  so- 


PABTB    II.    GAP.  VI    -    CONOIiUSIONE  489 

nisti  forse  uno  fra  mille  avrà  letto  e  compreso  il  libro  accennato, 
risponderemo  che  dal  nuovo  Vangelo  si  è  avuto  cura  di  estrarre 
un  breve  catechismo,  che  tutti  hanno  potuto  facilmente  imparare 
a  memoria.  Sicché  oggi  non  vi  è  quasi  operaio  della  grande  industria 
il  quale  non  creda,  o  per  lo  meno  non  abbia  sentito  ripetere, 
che  la  ricchezza  del  padrone  o  degli  azionisti,  che  hanno  fornito 
il  capitale  alla  fabbrica,  è  stata  costituita  sottraendo  ai  lavoratori 
manuali  una  parte  del  salario  che  loro  spettava,  e  non  vi  è  quasi 
in  moltissimi  paesi  un  contadino  che  lavori  a  giornata  al  quale 
una  analoga  notizia  non  sia  arrivata. 

Ma  se  il  socialismo,  e  la  sua  frazione  più  avanzata  che  oggi 
appellasi  comunismo,  sono  pericolosi  per  lo  stato  d'animo  che 
creano  e  mantengono  nelle  masse  e  p^r  la  organizzazione  dei  loro 
seguaci,  che  secondo  i  vari  paesi  è  più  o  meno  forte,  un  altro  pe- 
ricolo incombe  sugli  Stati  moderni  che  è  forse  più  grave.  Perchè 
esso  non  proviene  da  uno  stato  mentale,  che  può  essere  modificato, 
o  dall'eccitamento  di  alcune  passioni,  le  quali  possono  a  poco  a  poco 
essere  calmate,  ma  dalla  natura  stessa  dell'organizzazione  econo- 
micar  che  la  società  moderna  ha  adottato  e  che  non  può  abban- 
donare senza  che  rinunzi  a  gran  parte  del  suo  benessere,  alla 
soddisfazione  di  molti  bisogni  recenti  ma  che  ornai  sono  entrati 
nel  numero  delle  cose  indispensabili. 

La  divisione  del  lavoro  e  la  specializzazione  nella  produzione 
hanno  difatti  nella  società  europea  raggiunto  tali  progressi  che 
senza  le  ferrovie,  la  navigazione  a  vapore,  le  poste,  il  telegrafo 
e  senza  il  carbon  fossile  necessario  per  fare  muovere  tutte  le  mac- 
chine, nessuna  grande  città  potrebbe  vivere  più  di  qualche  mese, 
e  qualche  grande  nazione  sarebbe,  dopo  pochi  mesi,  ridotta  nella 
impossibilità  di  nutrire  più  della  metà  della  propria  popolazione. 
Giammai  come  oggi  la  vita  materiale  di  ogni   individuo  è  stata 


ciali  ci  sono  sempre  state,  mentre  l'odio  di  classe  è  stato  nel  passato  molto 
intermittente  e  mai  forse  così  forte  come  opgi  a  causa  della  propaganda  so- 
cialista. La  verità  è  che  l'uomo  non  ha  il  potere  di  far  nascere  nei  proprii 
simili  passioni  nuove,  che  siano  ad  essi  ignote,  ma  ha  quello  di  sovraeccitare 
le  passioni  di  cui  già  esistono  i  germi  nel  cuore  umano,  e  fra  queste  sono 
comprese  l'odio  e  l'invidia.  E  si  sa  che  uno  dei  mezzi  più  facili  e  comuni  per 
sovraeccitare  le  due  passioni  menzionate  consiste  nel  far  credere  che  le  soffe- 
renze fisiche  e  morali,  da  cui  tutti  sono  più  o  meno  travagliati,  siano  un  effetto 
dell'altrui  malvagità. 


490  BLBHENTI   DI   SCIENZA   POLITICA 


in  diretta  dipendenza  del  perfetto  funzionamento  di  tutti  i  mec- 
canismi sociali.  E,  siccome  il  funzionamento  di  ogni  meccanismo 
è  affidato  ad  una  determinata  classe  di  persone,  la  vita  normale 
dell'intiera  collettività  viene  a  dipendere  dal  buon  volere  di  ognuna 
di  queste  classi. 

Da  questa  condizione  di  cose,  che  riesce  assai  difficile  di  modi- 
ficare, è  nato  il  pericolo  sindacalista,,  cioè  la  possibilità  che  una 
piccola  frazione  della  società  s'imponga  a  tutta  la  società.  Oggi 
a  rigore  non  è  necessario  che  si  ripeta  fedelmente  il  famoso  apo- 
logo di  Menenio  Agrippa,  cioè  che  tutte  le  membra  congiurino  a 
danno  dello  stomaco,  o,  come  sarebbe  più  esatto  di  dire,  a  danno 
del  cervello,  ma  basterebbe  che  un  solo  membro,  un  solo  organo 
importante,  cessasse  di  prestare  il  proprio  ufficio  perchè  il  cervello, 
e  tutti  i  contri  nervosi  che  da  esso  dipendono,  potessero  restare 
immobilizzati. 

E  naturale  che  ogni  classe  di  persone  addette  ad  una  speciale 
funzione,  avendo  una  certa  omogeneità  di  spirito,  di  cultura  e 
sopratutto  d'interessi,  abbia  cercato  di  organizzarsi  in  sindacati 
professionali  sotto  proprii  capi,  e  che  i  sindacati,  una  volta  orga- 
nizzati, abbiano  subito  intuito  la  loro  potenza  ed  il  profitto  che 
potevano  trarne.  Quindi  ciò  che  comunemente  appellasi  sindaca- 
lismo è  diventato  per  gli  Stati  moderni  un  pericolo  forse  più  grave 
di  quello  rappresentato  negli  Stati  medioevali  dal  feudalismo. 
Infatti  nell'età  di  mezzo,  data  l'organizzazione  primitiva  della 
società  e  quindi  dello  Stato,  ogni  frazione  di  esso  poteva  bastare 
a  se  stessa,  poiché  disponeva  di  tutti  gli  organi  necessari  alla 
propria  vita,  e  perciò  la  contrapposizione  della  parte  rispetto  al 
tutto  avveniva  secondo  criteri  locali,  mentre  oggi  la  contrapposi- 
zione della  parte  al  tutto  avrebbe  una  base  funzionale.  Allora  un 
potente  barone  od  un  grosso  Comune,  od  una  lega  di  baroni  e  di 
Comuni,  potevano  imporre  la  propria  volontà  all'Imperatore  od  al 
Re,  oggi  un  potente  sindacato,  ed  a  forzieri,  una  lega  di  sindacati, 
potrebbe  imporla  allo  Stato. 

Per  scongiurare  questo  pericolo  sarebbe  necessario  che  ad  ogni 
costo  s'impedisse  la  rinascita  di  una  nuova  sovranità  intermedia 
fra  l'individuo  e  lo  Stato,  del  genere  di  quella  che  esisteva  nel 
Medio  Evo,  quando  il  vassallo  obbediva  direttamente  al  barone  e  non 
già  al  Re;  ossia  in  altre  parole  sarebbe  indispensabile  che  i  capi 
degli  attuali  governi  fossero  sempre  più  obbediti  dei  capi  dei  sin- 


PARTE    II.    CAP.  VI    -    CONCLUSIONE  491 

dacati  e  che  la  devozione  agli  interessi  della  nazione  fosse  sempre 
più  forte  della  devozione  agli  interessi  della  classe.  Ma  è  noto 
pur  troppo  che  una  delle  maggiori  debolezze  della  presente  società 
europea,  un  altro  di  quei  germi  di  dissoluzione  dei  moderni  regimi 
rappresentativi  ai  quali  abbiamo  accennato,  consiste  appunto  nella 
rilassatezza  di  quelle  forze  di  coesione  morale,  le  quali  sono  le  sole 
capaci  di  riunire  tutti  gli  atomi  che  compongono  un  popolo  in  un 
comune  consenso  di  sentimenti  e  di  idee,  e  costituiscono  perciò 
il  cemento  senza  il  quale  ogni  edifìcio  politico  rimane  sempre 
barcollante  e  caduco. 

Difatti  l'antica  religione,  la  cui  dottrina  fondamentale  ha  sempre 
mirato  ad  affratellare  tutti  i  cittadini  della  stessa  nazione  e  tutte  le 
nazioni  cristiane  fra  di  loro,  ha  perduto,  specialmente  negli  ultimi 
due  secoli,  buona  parte  del  suo  prestigio  e  della  sua  efficacia  pra- 
tica, per  una  serie  di  cause  che  non  è  qui  il  luogo  di  enumerare. 
Diremo  soltanto  che,  sopratutto  per  quel  che  riguarda  le  nazioni 
latine,  fra  esse  va  rilevata  l'ostilità  delle  classi  dirigenti,  le  quali 
troppo  tardi  ora  si  accorgono  che,  emancipando  le  plebi  da  quelle 
che,  con  soverchia  leggerezza,  venivano  chiamate  viete  supersti- 
zioni, le  gettavano  in  braccio  ad  un  gretto  e  grossolano  materia- 
lismo ed  aprivano  la  strada  a  superstizioni  peggiori  (1).  Indebolito 
il  legame  religioso,  si  è  creduto  di  poterlo  sostituire  con  la  fede 
nei  tre  principii  già  enumerati,  cioè  nella  libertà,  nell'uguaglianza 
e  nella  fratellanza,  la  cui  attuazione  avrebbe  dovuto  inaugurare 
in  questo  mondo  una  nuova  èra  di  pace  e  di  giustizia  universale. 
Ma  la  proi)aganda  socialista  non  ha  dovuto  stentare  molto  a  di- 
mostrare che  questa  fede  non  si  appoggiava  sulla  verità,  che  la 
democrazia  per  quanto  larga  non  impediva  che  il  potere  restasse 
in  mano  alle  classi  dirigenti,  a  quella  che  i  socialisti  chiamano 
borghesia  e  che,  secondo  loro,  sarà  sempre  divisa  da  un  insana- 
bile contrasto  d'interessi  dalle  classi  più  umili  della  società. 

Come  principale  fattore  di  coesione  morale  ed  intellettuale  nel 
seno  dei  diversi  popoli  europei  è  rimasto  perciò  il  patriottismo. 
Anche  esso  combattuto  generalmente  dai  socialisti  come  una  in- 
venzione delle  classi  dirigenti,  destinata  ad  impedire  l'unione  pro- 


ti) Ricordiamo  iu  proposito  quanto  abbiamo  scritto  al  §  11  del  Gap.  X  della 
prima  parte  di  questo  lavoro. 


492  BLBMBMTI   DI    SCIENZA    POLITICA 

nosticata  da  Marx  dei  {)roletari  di  tutto  il  mondo  contro  la  bor- 
ghesia di  tutto  il  mondo,  ma  che,  avendo  oggi  radici  più  salde 
neiraniina  dei  popoli  moderni,  ha  meglio  resistito  agli  attacchi 
dei  suoi  avversari.  Il  x^atriottismo  infatti  ha  la  sua  base  nella 
comunità  d'interessi  che  lega  coloro  che  abitano  lo  stesso  paese, 
e  nella  comunità  di  sentimenti  e  d'idee,  che  quasi  infallibilmente 
si  stabilisce  fra  uomini  che  parlano  la  stessa  lingua,  che  hanno 
lo  stesso  passato,  che  hanno  avuto  comuni  le  glorie,  le  fortune  e 
le  sventure,  ed  esso  infine  soddisfa  quel  bisogno  che  ha  l'animo 
umano  di  amare  la  collettività  alla  quale  si  appartiene  a  prefe- 
renza di  tutte  le  altre. 

Sarebbe  assai  arrischiato,  e  forse  anche  non  corrispondente  a 
verità,  l'affermare  che  la  borghesia  europea  abbia  avuto  una 
chiara  e  precisa  coscienza  del  grande  ostacolo  morale  che  il  pa- 
triottismo opponeva  ai  progressi  del  socialismo  ;  ma  è  certo  che, 
a  cominciare  dai  primissimi  anni  del  secolo  ventesimo,  si  notò 
nella  gioventù  colta  di  quasi  tutti  i  paesi  europei  un  potente  ri- 
sveglio di  sentimenti  patriottici.  Disgraziatamente  l'amore  per  la 
propria  nazione  ed  il  desiderio  naturale  che  essa  sempre  più  s-i 
affermi  nel  mondo  spesso  si  accoppiano  alla  diffidenza  e  qualche 
volta  all'odio  verso  le  nazioni  straniere  ;  sicché  la  sovraeccita- 
zione  del  patriottismo  contribuì  a  creare  quell'ambiente  morale 
ed  intellettuale  che  rese  possibile  lo  scoppio  della  guerra  mondiale. 

V.  —  Le  gravi  e  profonde  conseguenze  della  lunga  guerra, 
durante  la  quale  ognuno  dei  popoli  che  vi  parteciparono  tese  al- 
l'estremo le  sue  forze,  sono  ornai  troppo  note  perchè  sia  neces- 
sario di  minutamente  descriverle  (1).  Accenneremo  quindi  soltanto 
che  alla  fine  del  1918  tutti  gli  Stati  belligeranti  si  erano  caricati 
di  un  enorme  debito  pubblico  e,  siccome  la  maggior  parte  delle 
somme  procacciate  mercè  i  debiti  erano  state  dedicate  a  scopi 
guerreschi  economicamente  improduttivi  ed  un'altra  parte  avea 
trasmigrato  presso  le  nazioni  neutrali  o  che  molto  tardi  entrarono 
in  guerra,  cosi  fra  le  nazioni  che  maggiormente  sostennero  il  peso 


(1)  Fra  le  molte  descrizioni  che  se  ne  sono  fatte  ricorderemo  quella  effica- 
cissima di  John-Meynard  Keines  (vedi  Le  conseguenze  economiche  della  pace. 
Milano,  Treves,  1921  e  l'opera  di  Francesco  Saverio  Nitti  intitolata  VEuropa 
senza  pace.  Firenze,  Bemporad,  1921. 


PARTE    II.    GAP.  VI    -    CONOLUSIONB  493 

della  guerra  anche  i  capitali  privati  si  trovarono  in  quell'epoca 
notevolmente  diminuiti.  Era  quindi  inevitabile  che  al  periodo  di 
prosperità  anteriore  al  1914  dovesse  susseguire  un  periodo  di  re- 
lativa povertà,  il  quale  fra  le  nazioni  già  meno  ricche  e  sopratutto 
fra  quelle  vinte,  e  perciò  peggio  trattate,  potè  inacerbirsi  fino  a 
diventare  miseria. 

Ed  al  disastro  economico  si  aggiunse  quello  morale  per  la  mu- 
tata distribuzione  di  quel  tanto  di  ricchezza  che  pure  restava. 
Difatti,  nelle  nazioni  che  avevano  preso  parte  al  terribile  cimento, 
ed  anche,  sebbene  in  proporzioni  minori,  in  quelle  rimaste  neu- 
trali, mentre  una  parte  notevole  della  popolazione  sensibilmente 
impoveriva,  una  minoranza  più  o  meno  numerosa  trovava  nella 
guerra  occasione  di  improvvisi  e  lauti  guadagni.  Ora  nessuna  cosa 
demoralizza  più  gli  uomini  quanto  il  vedere  la  ricchezza  acqui- 
stata rapidamente  e  senza  meriti  speciali  accanto  alla  povertà 
improvvisa  e  che  non  è  conseguenza  di  una  colpa.  Questo  spetta- 
colo ferisce  da  un  lato  il  sentimento  della  giustizia  e  sovraeccita 
dall'altro  oltremodo  l'invidia  e  la  cupidigia.  Molti,  che  fino  al 
grande  cataclisma  si  erano  conservati  onesti,  divennero  disonesti, 
perchè  vollero  ad  ogni  costo  entrare  fra  i  nuovi  ricchi  anziché 
subire  la  sorte  dei  nuovi  poveri. 

Ma  ciò  che  sopratutto  ha  contribuito  a  diminuire  la  saldezza 
dell'organizzazione  politica  ed  a  turbare  l'equilibrio  fra  le  classi 
sociali,  è  stato  l'impoverimento  della  classe  media,  di  quella  parte 
della  borghesia  che  viveva  e  vive  del  frutto  di  piccoli  risparmi, 
di  mediocri  proprietà  immobiliari  e  sopratutto  di  quello  del  proprio 
lavoro  intellettuale.  Abbiamo  già  visto  come  il  sorgere  di  questa 
classe  sia  stato  uno  dei  fattori  che  hanno  creato  le  condizioni  ne- 
cessarie per  il  retto  funzionamento  del  sistema  rappresentativo; 
è  quindi  naturale  che  la  sua  decadenza  economica,  che,  se  duratura, 
sarà  necessariamento  seguita  da  quella  intellettuale  e  morale, 
renderà  molto  difficile  la  continuazione  del  regime  accennato. 

Infine,  in  tutti  i  paesi  che  presero  parte  lungamente  alla  guerra, 
la  macchina  dello  Stato  dovette  sobbarcarsi  a  tale  ed  a  tanto 
lavoro,  dovette  comprimere  e  schiacciare  tale  una  quantità  di  pas- 
sioni, di  sentimenti  e  d'interessi  individuali,  che  non  è  da  mara- 
vigliare se  i  suoi  congegni  ad  un  certo  punto  accennarono  a 
guastarsi  e  ad  arrestarne  il  funzionamento.  Anzi,  si  può  dire  che, 
dove  essa  era  più  debole,  cioè  in  Russia,  il  guasto  fu  tale  che  ne 


494  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 


andò  senz'altro  distrutta  ;  ma  anche  in  tutti  gli  altri  paesi  è  evi- 
dente che  ha  più  o  meno  bisogno  di  riposo  e  di  riparazioni. 

Queste  ed  altre  cause  secondarie  hanno  reso  in  quasi  tutti  gli 
Stati  europei  più  o  meno  arduo  il  funzionamento  del  regime  politico 
in  vigore  prima  della  guerra.  Sicché  è  sorta,  sopratutto  in  qualche 
paese  più  travagliato  degli  altri  dai  comuni  dolori,  l'idea  che  la 
crisi  presente  si  possa  e  debba  risolvere  mediante  una  profonda 
e  radicale  trasformazione  delle  istituzioni  ereditate  dal  secolo  pre- 
cedente, e  che  questo  debba  essere  appunto  il  compito  della  nuova 
generazione,  della  gioventù,  la  quale,  dopo  aver  fatto  la  guerra, 
dovrebbe  disfare  l'opera  politica  dei  suoi  padri  per  rifarla  seguendo 
un  indirizzo  nuovo  e  migliore. 

Or,  esaminando  le  presenti  condizioni  economiche,  intellettuali 
e  morali  della  società  europea,  tenendo  conto  delle  diverse  cor- 
renti d'idee,  di  sentimenti  e  d'interessi  che  in  essa  si  agitano,  tre 
sarebbero  le  sole  soluzioni  radicali  possibili  della  presente  crisi 
politica  :  quella  già  adottata  in  Russia,  cioè  la  così  detta  dittatura 
del  proletariato  con  il  relativo  esperimento  comunista,  il  ritomo 
all'antico  assolutismo  burocratico,  ed  infine  il  sindacalismo,  cioè 
la  sostituzione  nelle  assemblee  legislative  della  rappresentanza 
delle  classi  a  quella  degli  individui. 

Gli  effetti  della  così  detta  dittatura  del  proletariato,  dopo  l'espe- 
rimento che  di  essa  ha  fatto  e  sta  facendo  la  Russia,  sono  omai 
abbastanza  noti  e  tali  che  molti  antichi  e  ferventi  seguaci  del 
Marxismo  sono  oggi  più  o  meno  apertamente  contrari  all'  attua- 
zione immediata   del   programma   del   loro   maestro  (1).   Difatti, 


(1)  Il  dissidio  fra  quei  Marxisti  che  vorrebbero  l'attuazione  immediata  e  vio- 
lenta del  programma,  che  comunemente  viene  attribuito  al  loro  maestro,  e 
quegli  altri  che  ne  propugnano  l'attuazione  lenta  e  graduale  ha  fatto  sì  che  i 
seguaci  del  Marxismo,  in  Italia  ed  in  altri  paesi,  si  siano  negli  ultimi  anni  di- 
visi in  due  frazioni.  Coloro  che  aderiscono  alla  frazione  più  violenta  hanno 
preso  il  nome  di  Comunisti,  gli  altri  hanno  conservato  quello  antico  di  socia- 
listi. Un  criterio  piìi  scientifico  per  distinguere  il  Socialismo  dal  Comunismo 
è  quello  che  abbiamo  accennato  nella  prima  parte  del  lavoro,  secondo  il  quale 
nel  Socialismo  la  retribuzione  che  la  comunità  darebbe  ad  ogni  lavoratore 
sarebbe  in  rapporto  coll'efficacia  dell'opera  prestata,  mentre  nel  Comunismo 
ogni  lavoratore  avrebbe  una  retribuzione  adeguata  ai  proprii  bisogni  (vedi 
Parte  Prima,  Cap.  X,  §  XI,  in  nota).  Questo  criterio  è  precisamente  quello  adot- 
tato da  Lenin,  il  quale  afferma  che  in  una  prima  fase  si  dovrà  attuare  il  si- 


PARTE    li.    GAP.  VI    -    CONCLUSIONE  495 

sebbene  coloro  che  attualmente  governano  l'antico  impero  degli 
Czar  si  sforzino  oggi  di  temperare  l'attuazione  del  progi^amma 
accennato,  sebbene  sia  inevitabile  che  in  Russia  col  tempo  dalle 
fila  di  coloro  stessi  che  hanno  fatto  la  rivoluzione  esca  una  nuova 
borghesia  e  si  ristabilisca,  nella  sostanza  se  non  nella  forma,  la 
proprietà  privata,  riusci  colà  impossibile  di  evitare  nei  primi  mo- 
menti l'attuazione  di  un  tentativo  di  comunismo  integrale  (1).  E 
si  sa  come  il  tentativo  accennato  abbia  rapidamente  prodotto  la 
disorganizzazione  completa  di  ogni  genere  di  produzione  e  quindi 
la  carestia  e  la  fame.  Né  crediamo  che  se  il  comunismo  trionfasse 
in  altre  parti  d'Europa  sarebbe  possibile  di  evitare  un  esperimento 
analogo,  che  avrebbe  infallibilmente  effetti  identici  e  forse  anche 
peggiori  ;  perchè  la  sovrapopolata  Europa  occidentale  ha  bisogno 
continuo,  anche  in  tempi  normali,  di  alcune  materie  prime  che  sono 
indispensabili  alla  vita  quotidiana  e  che  solo  le  altre  parti  del 
mondo,  e  segnatamente  l'America,  possono  ora  fornirle. 

Oltre  a  questi  risultati  d'indole  economica  la  dittatura  del  pro- 
letariato avrebbe,  in  qualunque  paese,  risultati  morali  disastrosi^ 
ancora  peggiori  forse  di  quelli  che  abbiamo  descritto  e  predetto, 
quasi  trenta  anni  fa,  nella  prima  parte  di  questo  lavoro  (2).  In 
nome  di  quella  dittatura  infatti  in  Russia  si  è  quasi  sterminata 
l'antica  classe  dirigente  e  la  si  è  sostituita  con  un'altra,  certo  più 
avveduta  ed  energica,  e  forse  anche  più  intelligente,  ma  che  è 
stata  ed  è,  quasi  per  necessità,  moralmente  assai  più  bassa.  Poiché, 
per  reggersi  contro  il  malcontento  generale,  per  fronteggiare  la  di- 
sperazione di  tutti  coloro  che  di  essa  non  fanno  parte  e  per  sup- 
plire ad  altre  sue  deficienze,  deve  governare  tirannicamente,  pas- 


stema  socialista,  ed  in  una  seconda  fase,  quando  la  società  si  sarà  completa- 
mente liberata  dalle  sopravvivenze  della  moralità  o  meglio  della  immoi-alità 
borghese,  quello  comunista.  Vedi  Lenin,  Stato  e  Rivoluzione,  traduzione  del 
prof.  G.  Sanna,  da  pagina  102  alla  116.  Milano,  Tipografia  editrice  Avanti,  1920, 

(1)  Naturalmente  la  previsione  che  abbiamo  fatto  relativamente  alla  tras- 
formazione della  minoranza  che  ora  domina  in  Russia  in  una  nuova  borghesia 
parte  dal  presupposto  che  colà  non  debba  fra  pochi  anni  avvenire  una  con- 
trorivoluzione ;  ciò  che  non  sembra  a  dir  vero  molto  probabile,  ma  che  non  si 
può  ancora  ritenere  come  impossibile. 

(2)  Vedi  Parte  Prima,  Capitolo  X  e  specialmente  i  parai?nitì  XI,  XII,  XIII 
e  XIV. 


496  ELEMENTI    DI    SOIBNZA    POLITIOA 

sando  di  sopra  a  tutti  gli  scrupoli  ed  imponendo  l'obbedienza  col 
terrore. 

Ma  diremo  di  più  :  cioè  che  in  Russia  bene  o  male  è  stato  pos- 
sibile di  trovare  un'altra  classe  dirigente  che  ha  sostituito  l'antica  ; 
mentre  nell'Europa  occidentale  ciò  riuscirebbe  quasi  impossibile 
e  quindi  il  comunismo  si  risolverebbe  o  meglio  si  dissolverebbe 
presto  in  una  completa  anarchia.  In  Russia  infatti  l'antica  bor- 
ghesia è  stata  sostituita  dalla  piccola  borghesia  ebraica  e  da  altri 
elementi  più  o  meno  allogeni,  come  sarebbero  i  Lettoni,  gli  Armeni 
ed  i  Tartari  maomettani,  ed  in  ognuno  di  questi  elementi  gli  individui 
che  lo  compongono  erano  e  sono  fra  loro  legati  da  un'antica  so- 
lidarietà di  razza,  di  lingua  e  di  religione  e  dalle  comuni  piccole 
persecuzioni  ed  esclusioni  dalle  quali  erano  colpiti  sotto  il  go- 
verno degli  Czar,  e  quindi  gli  attuali  reggitori  possono  contare 
sulla  loro  fedeltà  (1).  Nell'Europa  occidentale  queste  minoranze 
diverse  per  razza  e  per  religione  dal  resto  della  popolazione  non 
esistono,  e,  se  pure  ve  n'è  qualcuna,  essa  si  trova  in  condizioni 
tali  da  farle  nella  sua  grande  maggioranza  temere  assai  l'avvento 
del  comunismo.  Sicché  la  nuova  classe  dirigente,  necessariamente 
reclutata  fra  la  frazione  più  violenta  della  plebe  e  la  parte  meno 
sana  della  vecchia  borghesia,  riuscirebbe  intellettualmente  insuffi- 
ciente e  mancherebbe  quasi  sicuramente  di  quel  minimo  di  moralità 
che  deve  regolare  i  rapporti  fra  coloro  i  quali  commettono  insieme 
una  grande  bricconata,  se  si  vuole  che  questa  raggiunga  un  dura- 
turo successo. 


(1)  Parecchie  persone  degnissime  di  fede  ed  estranee  alle  lotte  civili  della 
Russia,  perchè  di  nazionalità  straniera,  le  quali  sono  state  in  Russia  durante 
il  trionfo  del  Bolscevismo,  ci  hanno  assicurato  che  i  Soviet  sono  in  grande 
maggioranza  costituiti  da  elementi  allogeni,  Ebrei,  Lettoni,  Armeni,  ecc.,  e 
che  lo  stesso  accade  fra  i  funzionari  dell'attuale  governo  russo.  Qualcuno  ci 
ha  perfino  mostrato  qualche  documento  che  suffragava  le  sue  affermazioni, 
che  sono  del  resto  conformi  a  quelle  che  dicono  in  proposito  i  profughi  russi. 
Una  famiglia  d'Israeliti  russi,  che  non  aveva  preso  alcuna  parte  alla  rivoluzione, 
ha  detto  ad  un  Italiano  che  essa  viveva  in  continuo  timore  di  una  controri- 
voluzione, perchè,  se  questa  fosse  avvenuta,  non  un  Israelita  sarebbe  rimasto 
vivo  in  tutta  la  Russia.  Un  altissimo  funzionario  dell'attuale  governo  russo  ha 
detto  ad  un  altro  italiano  che  ce  l'ha  riferito:  *  il  nostro  è  un  governo  pes- 
simo, ma  se  esso  cado  non  ci  sarà  più  in  Russia  alcun  governo  possibile  „. 
Molte  cose,  che  sarebbero  oscure,  si  spiegano  agevolmente  se  si  pon  mente 
alle  due  ultime  affeimazioni  che  abbiamo  citatfo  e  se  ne  traggono  le  conseguenze. 


PARTB    II.    GAP.  VI    -    CONOLUSIOKE  497 

Ed  accenneremo  infine  che  anche  minori  probabilità  di  durata 
di  una  schietta  e  sincera  dittatura  del  proletariato  avrebbe  attual- 
mente nell'Europa  occidentale  un  esperimento  di  socialismo  sedi- 
cente temperato  che,  lasciando  provvisoriamente  e  nominalmente 
sussistere  la  proprietà  privata,  la  sottomettesse  a  tali  pesi  ed  a 
tali  limitazioni  da  renderne  impossibile  il  funzionamento.  Un  si- 
mile regime  sarebbe  sempre  esposto  ai  violenti  attacchi  dei  co- 
munisti puri,  senza  avere  l'autorità  e  la  forza  di  reprimerli,  e  non 
disporrebbe  oggi  di  quel  margine  di  ricchezza  che  è  indispensa- 
bile per  potersi  permettere  gli  sperperi  che  sono  inevitabili  anche 
quando  si  vuole  attuare  un  socialismo  temperato.  Perciò  esso,  a 
causa  dei  suoi  insuccessi  e  delle  delusioni  che  creerebbe,  o  dege- 
nererebbe presto  nel  comunismo  puro  o  preparerebbe  senz'altro  la 
trasformazione  dell'attuale  regime  politico  ed  economico  in  una 
dittatura  burocratica  e  militare. 

Questa  trasformazione,  che  corrisponderebbe  alla  seconda  delle 
soluzioni  della  crisi  presente  del  regime  rappresentativo,  potrebbe 
forse  diventare  momentaneamente  opportuna  in  qualche  paese 
d'Europa,  ma  presenterebbe  anche  essa  inconvenienti  gravissimi 
se  fosse  adottata  come  soluzione  definitiva.  Poiché  ciò  signifi- 
cherebbe che  l'elemento  elettivo,  il  quale,  in  tutti  i  paesi  retti  con 
una  delle  diverse  modalità  del  sistema  rappresentativo,  ha  avuto 
fino  al  1914  una  partecipazione  importante  ed  efficace  nell'esercizio 
dei  poteri  sovrani,  dovrebbe  scomparire  dalla  vita  pubblica  o  venire 
ridotto  a  contentarsi  di  funzioni  secondarie  o  decorative,  lasciando 
alla  burocrazia  civile  e  militare  un'autorità  effettiva  quasi  incon- 
trastata (1). 


(1)  Forse  è  opportuno  ricordare  che  il  regime  burocratico  del  quale  noi  ci 
occupiamo  non  sarebbe  paragonabile  a  nessuna  delle  diverse  forme  di  regime 
rappresentativo:  non  a  quella  parlamentare,  che  è  in  vigore  in  Inghilterra, 
in  Francia  e  normalmente  anche  in  Italia,  non  a  quella  presidenziale,  che  fun- 
ziona negli  Stati  Uniti  d'America,  e  neppure  a  quella  semplicemente  costitu- 
zionale, che  vi  era  in  Germania  fino  al  1918.  Ma  sarebbe  invece  una  specie 
di  Cesarismo,  come  quello  che  si  ebbe  in  Francia  durante  il  primo  impero  na- 
poleonico, ed  anche,  in  modo  più  temperato,  durante  il  secondo  impero  fino 
al  1868;  cioè  una  forma  di  governo  nella  quale  il  Parlamento  aveva  una  fun- 
zione quasi  esclusivamente  decorativa.  Forse  anche  il  novello  Cesarismo  cer- 
cherebbe di  costituirsi  una  base  legale  mercè  il  Referendum  popolare,  oseia  i 
plebisciti,  come  appunto  fecero  i  due  Cesarismi  napoleonici- 

Q.  Mosca,  Elementi  di  Scietiea  Politica.  88 


498  ELEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

Infatti  abbiamo  ^ìà,  visto  (guanto  sia  grande  l'importanza  che 
ha  nello  Stato  moderno  la  partecipazione  dell'  elemento  elettivo 
e  come  la  grande  superiorità  e  la  forza  precipua  dei  moderni  re- 
gimi politici  risiedano  nell'accorta  contemperanza,  che  essi  con- 
sentono, del  j)rincipio  liberale  con  quello  autocratico,  il  primo 
rappresentato  nelle  Camere  e  nei  Consigli  dei  corpi  locali,  il  se- 
condo costituito  dalla  burocrazia  stabile.  Ed  abbiamo  visto  come 
questa  compartecipazione  sia  necessaria  perchè  tutte  le  forze  e 
le  capacità  politiche  siano  ammesse  nella  vita  pubblica  e  si  possa 
ottenere  quel  controllo  e  quella  limitazione  reciproca  fra  i  poteri 
sovrani,  che  è  condizione  indispensabile  della  libertà  politica,  la 
quale  altrimenti  diventa  un'espressione  priva  di  significato  pratico. 
Poiché  anche  la  libertà  della  stampa  e  tutti  in  genere  i  diritti 
individuali,  ossia  tutte  le  guarentigie  concesse  ai  cittadini  contro 
gli  arbitri  dei  pubblici  funzionari,  sarebbero  insufficientemente 
tutelate  una  volta  che  l'elemento  elettivo  venisse  a  pesare  poco 
o  nulla  nella  bilancia  dei  pubblici  poteri. 

Si  ritornerebbe  in  altre  parole  a  quel  regime  assoluto,  probabil- 
mente mascherato  da  una  larva  di  sovranità  popolare,  per  distrug- 
gere il  quale  i  nostri  padri  strenuamente  lottarono,  che  la  giovine 
generazione  non  ha  visto  e  che  generalmente  non  sa  nepijure  come 
fosse  fatto.  Ora  le  conseguenze  di  questo  regime  sarebbero  oggi 
infinitamente  più  gravi  di  quello  che  potevano  essere  un  secolo 
o  anche  mezzo  secolo  fa;  perchè  nel  frattempo  le  attribuzioni 
dello  Stato,  e  con  esse  la  quantità  di  ricchezza  che  questo  assor- 
bisce e  distribuisce,  sono  oltremodo  aumentate.  Sicché  l'assolu- 
tismo dei  governanti  non  troverebbe  più  come  una  volta,  e  come 
accade  ancora  nelle  organizzazioni  politiche  rozze  e  primitive,  un 
freno  ed  un  limite  nella  scarsezza  dei  mezzi  di  cui  il  governo  di- 
spone. Oggi,  data  l'attuale  perfezione  ed  il  grande  sviluppo  preso 
dalla  macchina  statale,  una  burocrazia  il  cui  potere  non  fosse 
limitato  e  controllato,  facilmente  potrebbe  spezzare  qualunque 
resistenza  individuale  e  collettiva,  sopprimere  ogni  iniziativa  di 
elementi  estranei  ad  essa  ed  esaurire  l'intiero  corpo  sociale  suc- 
chiandone tutte  le  forze  vitali. 

E  finalmente  non  impiegheremo  molte  parole  per  descrivere  i 
pericoli  della  terza  soluzione  radicale  dell'attuale  crisi  del  regime 
parlamentare,  cioè  della  soluzione  sindacalista  ;  poiché  dopo  quanto 
abbiamo  scritto  in  proposito  poche  pagine  avanti  ci  sembra  che 


PABTE    II.    CAP.  VI    -    CONCLUSIONE  499 

essi  debbano  già  riuscire  evidenti.  Difatti  una  Camera  die  dispo- 
nesse di  poteri  sovrani,  che  partecipasse  alla  formazione  delle 
leggi  e  che  fosse  la  rappresentanza  legale  dei  sindacati  di  classe 
fornirebbe  la  migliore  base  possibile  per  la  organizzazione  di  quella 
sovranità  intermedia  fra  gli  individui  e  lo  Stato,  la  quale  rappresenta 
forse  la  minaccia  più  grave  che  incombe  sulla  società  nell'at- 
tuale momento  politico.  Poiché,  per  mezzo  dei  loro  rappresentanti, 
i  sindacati  stessi  potrebbero  esercitare  un'azione  efficacissima  entro 
lo  Stato  e  contro  lo  Stato  e  paralizzare  ogni  sforzo  che  questo 
potrebbe  fare  per  sottrarsi  alla  loro  tutela. 

E  sarebbe  ingenuo  supporre  che  la  coesistenza  di  un'altra  Ca- 
mera, o  anche  di  altre  due  Camere,  formate  coli' antico  sistema 
della  rappresentanza  individuale  o  con  altri  elementi  estranei  ai 
sindacati,  sarebbe  sufficiente  a  controbilanciare  l'azione  della  terza 
Camera  eletta  dai  sindacati.  Si  do\Tebbe  infatti  omai  sapere  che  l'ef- 
ficacia di  un  organo  politico,  l'importanza  che  esso  assume  nella 
direzione  effettiva  dello  Stato,  non  è  prevalentemente  in  relazione 
coi  poteri  legali  che  gli  statuti  fondamentali  gli  conferiscono,  ma 
piuttosto  proviene  dal  prestigio  di  cui  l'organo  stesso  gode  nella 
pubblica  opinione  e  sopratutto  dalla  quantità  di  forze  sociali,  d'in- 
teressi, di  idee  e  di  sentimenti  che  in  esso  trovano  la  loro  espres- 
sione. Ed  è  appunto  per  questa  ragione  che  fino  ad  oggi  le  Camere 
che  provenivano  direttamente  dall'elezione  popolare  hanno  in  gene- 
rale esercitato  maggiore  influenza  di  quelle  formate  con  criteri 
diversi,  sebbene  spessissimo  queste  ultime  contassero  fra  i  loro 
membri  un  numero  maggiore  di  capacità  tecniche  e  di  valori 
individuali.  Ora,  data  l'importanza  che  l'opera  delle  singole  classi 
ha  acquistato  nella  vita  economica  di  ogni  paese  civile,  non  è 
esagerato  supporre  che  l'azione  della  Camera  sindacale  potrebbe 
facilmente  prevalere  su  quella  delle  altre;  molto  più  se  si  tiene 
presente  che  i  sindacati  più  numerosi  potrebbero  coi  loro  suffragi 
compatti  e  disciplinati  influire  moltissimo  sulle  elezioni  dei  membri 
della  Camera  che  conservasse  la  presente  base  individuale. 

Né  si  deve  infine  credere  che  in  una  Camera  composta  dai  rap- 
presentanti dei  sindacati  facilmente  prevarrebbero  gli  elementi 
più  colti,  come  sarebbero  ad  esempio  i  rappresentanti  dei  magi- 
strati e  dei  professori,  o  quelli  degli  avvocati  e  dogli  ingegneri. 
Anzi  molto  probabilmente  la  preponderanza  sarebbe  quasi  imme- 
diatamente assunta  dai  rappresentanti  dei  ferrovieri,  dei  marinai, 

G.  Mosca,  Elementi  di  Scienza  PoHtica.  82* 


500  ELEMENTI    DI    SOIENZA    POLITICA 

degli  scaricatori  dei  porti  ed,  in  Inghilterra  ed  in  Germania,  anche 
da  quelli  dei  minatori  ;  perchè  la  forza  di  un  sindacato  non  sa- 
rebbe in  ragione  della  cultura  dei  suoi  aderenti,  ma  piuttosto  in 
ragione  del  loro  numero  e  sopratutto  della  indispensabilità  della 
funzione,  che  ad  ogni  classe  è  affidata,  per  la  vita  quotidiana  della 
società.  Ed  è  certo  più  indispensabile  la  funzione  dei  ferrovieri 
e  dei  panattieri  che  quella  dei  professori  e  degli  avvocati.  Perciò 
se  i  sindacati  più  incolti  e  più  numerosi,  tutti  più  o  meno  iniziati 
alle  dottrine  marxiste  e  studiosamente  allevati  nella  credenza  della 
necessità  della  cosi  detta  lotta  di  classe,  si  mettessero  d'accordo, 
essi  potrebbero  senz'altro  impadronirsi  della  direzione  dello  Stato. 
Se  poi,  come  è  probabile,  l'accordo  alla  lunga  riuscisse  impossibile, 
allora  si  avrebbe  una  grande  disorganizzazione  economica,  che 
sarebbe  completata  dall'anarchia  politica  (1). 

VI.  —  Da  quanto  abbiamo  detto  risulta  evidente  che  le  tre 
sole  soluzioni  radicali  possibili  della  crisi  che  ora  attraversa  il 
regime  rappresentativo  condurrebbero  le  nazioni  europee  all'ado- 
zione di  un  regime  politico  meno  perfetto,  e  si  potrebbe  anche 
dire  più  rozzo,  di  quello  finora  esistente.  Esse  sarebbero  l'indizio 
di  una  decadenza  politica,  che  al  solito  diventerebbe  nello  stesso 
tempo  causa  ed  effetto  di  una  decadenza  generale  della  civiltà. 
Certo  che  nessuno  vorrà  affermare  che  il  regime  rappresentativo 
non  possa  essere  suscettibile  di  notevoli  perfezionamenti  e  che 
esso  non  possa  col  tempo  essere  sostituito  da  un  altro  migliore. 
Anzi,  se  l'Europa  potrà  vincere  le  difficoltà  del  momento  presente, 
è  probabile  che,  nell'anno  duemila  e  forse  anche  prima,  fra  trenta 
0  quarant'anni,  spontaneamente,  come  conseguenza  delle  nuove 
idee,  dei  nuovi  sentimenti  e  dei  nuovi  bisogni  che  saranno  matu- 


(1)  Crediamo  opportuno  di  avvertire  il  lettore  che  una  parte  dei  concetti 
svolti  in  questo  paragrafo  e  nel  susseguente  furono  già  esposti  dall'autore  in 
un  discorso  tenuto  alla  Camera  dei  deputati  il  7  marzo  1919  ed  in  due  di- 
scorsi tenuti  al  Senato,  l'uno  il  31  marzo  1920  e  l'altro  il  27  novembre  1922. 
Ma,  siccome  i  resoconti  parlamentari  sono  generalmente  ben  poco  letti,  ci  è 
sembrato  utile  di  ripetere,  abbreviandola,  l'esposizione  delle  stesse  idee  nel 
presente  lavoro.  Alcune  altre  delle  idee  ora  svolte  erano  state  già  abbastanza 
largamente  accennate  in  quegli  articoli  pubblicati  in  giornali  quotidiani  che 
abbiamo  ricordato  a  pag.  400  del  presente  lavoro. 


PARTE    II.    CAP.  VI    -    CONCLUSIONE  501 


rati,  potranno   essere  attuati  altri  ordinamenti  politici  preferibili 
a  quelli  ora  esistenti. 

Disgraziatamente  i  risultati  morali  ed  economici  della  lunga 
guerra  hanno  reso  proprio  in  questo  momento  difficile  il  retto 
funzionamento  delle  istituzioni  che  erano  in  vigore  fino  al  1914; 
le  quali,  come  abbiamo  visto,  richiedevano  e  richiedono,  come 
condizione  necessaria  per  mantenere  integra  la  loro  vitalità,  la 
continuazione  di  quel  periodo  di  pace  relativa  e  di  prosperità  ge- 
nerale di  cui  il  mondo  ha  goduto  negli  ultimi  decenni  del  secolo 
scorso  e  nel  primo  di  quello  corrente.  La  guerra  non  ha  creato, 
ma  bensì  ha  reso  più  virulenti  ed  attivi,  i  germi  di  dissoluzione 
che  il  regime  rappresentativo,  come  qualunque  altro,  conteneva 
e  contiene  ;  e  l'azione  di  questi  germi  oggi  ne  minaccia  l'esistenza 
prima  che  le  forze  riparatrici,  le  quali  agiscono  nel  seno  di  ogni 
società  la  cui  vitalità  non  sia  esaurita,  abbiano  potuto  elaborare 
gli  elementi  necessari  per  la  creazione  di  un  nuovo  tipo  di  orga- 
nizzazione politica  più  elevato  di  quello  finora  in  vigore.  In  altre 
parole,  la  vecchia  casa  minaccia  di  crollare  prima  che  siano  pronti 
i  materiali  per  costruire  la  nuova  ;  e  perciò,  se  il  crollo  avvenisse, 
bisognerebbe  rifugiarsi  fra  i  ruderi  di  una  casa  ancora  più  vecchia, 
e  che  fu  da  due  o  tre  generazioni  abbandonata,  ovvero  in  una  ca- 
panna improvvisata. 

Ed  è  per  queste  ragioni  che  pur  avendo  quarant'  anni  fa 
iniziato  la  nostra  carriera  di  scrittore  con  un  volume  giovanile, 
che  però  non  rinneghiamo,  nel  quale  abbiamo  cercato  di  mettere 
a  nudo  le  menzogne  contenute  nei  presupposti  del  regime  rappre- 
sentativo e  le  magagne  del  Parlamentarismo,  oggi  che  l'età  avan- 
zata ha  reso  più  cauti  ed  oseremmo  dire  più  ponderati  i  giudizi 
e  più  meditate  le  conclusioni,  considerando  attentamente  e  spas- 
sionatamente le  condizioni  di  molti  popoli  europei  e  sopratutto 
quello  della  nostra  Italia,  ci  sentiamo  costretti  a  raccomandare 
alla  generazione  novella  la  restaurazione  e  la  conservazione  di 
quel  regime  politico  che  essa  ha  ereditato  dai  suoi  padri  (1). 

E  evidente  che  l'opera  non  è  facile.  Anzituto  perchè  occorre  che 
siano  almeno  iniziati   la  restaurazione  economica  dell'Europa  ed 


(1)  Può  essere  opportuno  ricordare  che  il  volume  al  quale  alludiamo  è 
quello  sulla  Teorica  dei  Governi  e  sul  Governo  parlamentare  ohe  già  abbiamo 
citato. 


502  KLEMENTI    DI    SCIENZA    POLITICA 

il  conseguente  miglioramento  delle  condizioni  della  classe  media, 
senza  la  cooperazione  della  quale  nessuna  forma  di  regime  rap- 
presentativo riesce  alla  lunga  possibile,  ed  è  noto  che  alla  connata 
restaurazione  fanno  pur  troppo  ostacolo  gli  odi  ancora  vivi  fra 
le  varie  classi  sociali  e  quelli  ancora  più  vivi  fra  i  diversi  popoli 
europei,  odii  che  la  guerra  ha  terribilmente  eccitato  e  che  non 
si  sono  fino  ad  oggi  sopiti.  Bisognerebbe  perciò  che  nella  mente 
e  nei  cuori  di  tutte  le  nazioni  europee  entrasse  finalmente  la  con- 
vinzione che  esso  hanno  molti  comuni  e  supremi  interessi  da 
salvaguardare,  e  che  sono  tra  loro  legate  da  tale  una  fitta  rete 
di  rapporti  intellettuali,  sentimentali  ed  economici  ed  hanno  tali 
affinità  psicologiche  e  culturali  che  riesce  impossibile  che  le  soffe- 
renze, l'avvilimento,  la  decadenza  di  una  di  esse  non  abbiano  il 
loro  contraccolpo  su  tutte  le  altre. 

La  restaurazione  del  sistema  rappresentativo  non  significa  poi 
che  esso  non  possa  e  non  debba,  sopratutto  in  qualche  paese,  su- 
bire alcune  modificazioni.  Secondo  noi  una  delle  più  importanti 
dovrebbe  riguardare  la  legislazione  sulla  stampa  ;  nella  quale  non 
dovrebbe  poi  riuscire  impossibile  di  conservare  integra  la  libertà 
dell'indagine  scientifica  e  l'esercizio  di  una  onesta  critica  verso 
gli  atti  dei  governanti,  rendendo  più  difficile  quella  corruzione 
d'intelletti,  che  sono  e  saranno  eternamente  minorenni,  la  quale 
finora  è  stata,  in  qualche  nazione  europea,  liberamente  esercitata. 
E,  volendo  raggiungere  questo  fine,  bisognerebbe  sopratutto  adot- 
tare il  principio  che  la  responsabilità  dei  reati  di  stampa,  come 
quella  di  qualunque  altro  reato,  deve  essere  attribuita  a  colui  clie 
realmente  li  ha  commesso,  cioè  allo  scrittore  (1).  Un'altra  modifica- 
zione necessaria  ed  urgente,  se  non  in  tutti  in  parecchi  paesi 
d'Europa,  dovrebbe  riguardare  i  limiti  della  libertà  di  associazione, 
che  alle  volte  sono  cosi  vaghi  ed  indefiniti  da  permettere  ad  un 


(1)  Come  si  sa  in  Italia  ed  in  altri  paesi  vige  la  mostruosità  giuridica  che 
permette  a  colui  che  scrive  in  un  periodico,  quando  egli  vuole  restare  ano- 
nimo od  ignoto,  di  sfuggire  alla  responsabilità  penale  che  viene  attribuita  al 
cosidetto  gerente  responsabile  (Vedi  a  proposito  Appunti  di  diritto  costituzio- 
nale, a  pagine  167-168).  Quando  accenniamo  ad  una  critica  onesta  degli  atti 
dei  governanti  intendiamo  alludere  anche  a  quella  critica  che  si  basa  sopra 
un  fondamentale  dissenso  d'idee  e  di  principii  politici,  purché  essa  non  si 
abbassi  fino  all'ingiuria  volgare,  alla  menzogna  consapevole  e  sfacciata  ed  al 
turpiloquio. 


PARTE   li,    OAP.  VI    -    OONOLUSIONB  503 

governo  forte  ed  autoritario  di  sopprimere  con  misure  di  polizia 
ogni  associazione  e  da  non  offrire  nello  stesso  tempo  ad  un  go- 
verno debole  e  timido  alcuna  efficace  difesa  di  fronte  all'orga- 
nizzazione di  elementi  contrari  alla  forma  attuale  dello  Stato  e 
che  mirano  ad  impadronirsi  dei  suoi  stessi  organi  per  sopraffarlo  (1). 
Ma  per  superare  la  presente  crisi,  che  minaccia  gli  ordinamenti 
politici  e  la  stessa  compagine  sociale,  più  di  ogni  altra  cosa  oc- 
corre che  la  classe  dirigente,  spogliandosi  di  molti  pregiudizi  e  mo- 
dificando la  propria  mentalità,  acquisti  la  coscienza  di  esser  tale  ed 
abbia  quindi  chiara  la  nozione  dei  propri  diritti  e  dei  propri  doveri. 
E  questa  nozione  non  potrà  avere  se  non  saprà  elevare  il  livello 
della  propria  cultura  politica,  fino  ad  oggi  deficiente  anche  nei 
paesi  più  colti  d'Europa  ed  in  qualcuno  deficientissima.  Perchè 
allora  soltanto  imparerà  a  giudicare  rettamente  l'opera  dei  suoi 
capi,  potrà  riacquistare  presso  le  masse  il  prestigio,  che  in  gran 
parte  ha  perduto,  e  saprà  guardare  un  po'  al  di  là  dei  suoi  interessi 
immediati,  senza  sciupare   più   quasi  tutta   la   sua  energia  per  il 


(1)  In  Italia  si  sa  che  non  è  stato  mai  possibile  di  fare  una  legge  speciale 
che  disciplini  il  diritto  di  associazione,  di  maniera  che  la  norma  principale  e 
quasi  esclusiva,  che  nello  stesso  tempo  limita  e  guarentisce  questo  diritto,  consiste 
nell'articolo  251  del  Codice  penale,  che  commina  la  detenzione  da  sei  a  di- 
ciotto m3si  a  coloro  che  fanno  parte  di  un'associazione,  la  quale  si  propone 
come  scopo  l'apologia  di  un  reato,  l'incitamento  alla  disobbedienza  verso  la 
legge,  ovvero  l'eccitamento  all'odio  di  classe  in  modo  pericoloso  per  la  pub- 
Mica  tranquillità.  Vede  subito  ognuno  come  quest'apprezzamento  possa  essere 
subiettivo,  come  oggi  possa  essere  considerato  come  pericoloso  ciò  che  ieri 
era  ritenuto  innocuo  e  come  lo  stesso  possa  accadere  da  una  città  all'altra 
dello  stesso  Stato  (Vedi  anche  in  proposito  Mosca,  Appunti  di  diritto  costitu- 
zionale, terza   edizione,  da  pagina  160  alla  165). 

Qualcuno  forse  rileverà  che,  fra  i  mezzi  più  adatti  per  assicurare  la  durata 
del  regime  rappresentativo,  non  abbiamo  accennato  ad  una  restrizione  del 
BufiFragio  politico.  Rispondiamo  che  la  concessione  del  suffragio  universale  fu 
vmo  di  quegli  errori,  non  rari  nella  vita  pubblica  come  nella  privata,  sui 
quali  non  si  può  tornare  indietro  se  non  commettendo  un  secondo  errore, 
che  può  anche  esso  avere  conseguenze  gravi  e  non  facilmente  prevedibili. 

Infine  faremo  notare  come  un  breve  periodo  durante  il  quale  un  governo 
forte  ed  onesto  eserciti  molti  poteri  ed  abbia  molta  autorità  può  in  qualche 
nazione  europea  essere  riguardato  come  opportuno,  perchè  può  contribuire  a 
preparare  quelle  condizioni  che  renderanno  possibile,  in  un  prossimo  avvenire, 
il  normale  funzionamento  del  regime  rappresentativo.  Anche  a  Roma,  nei  mi- 
gliori tempi  della  Repubblica,  qualche  volta  si  ricorreva,  per  brevi  periodi, 
alla  dittatura. 


604  EliBMBNTI    DI    SCIENZA    POIilTIOA 


conseguimento  di  scopi  che  g^iovano  solo  a  determinati  individui 
ed  alle  piccole  consorterie  che  attorno  ad  essi  si  formano.  Bisogna 
infine  una  buona  volta  convincersi  che  oggi  siamo  in  condizioni 
tali  che,  per  fare  degnamente  parte  di  quella  scelta  minoranza 
alla  quale  sono  affidate  le  sorti  di  ogni  paese,  non  basta  l'avere 
conseguito  una  laurea  d'avvocato  od  il  saper  dirigere  un'azienda 
commerciale  od  industriale,  e  neppure  l'aver  saputo  nobilmente 
esporre  la  propria  vita  nelle  trincee,  ma  sono  necessari  lungo 
studio  e  grande  amore. 

In  ogni  generazione  vi  è  un  certo  numero  di  caratteri,  generosi 
che  sanno  amare  tutto  ciò  che  è,  od  appare,  nobile  e  bello  e  con- 
sacrano una  buona  parte  della  loro  attività  ad  elevare  od  a  salvare 
dalla  decadenza  la  società  nella  quale  vivono.  Costituiscono  essi 
quella  piccola  aristocrazia  morale  ed  intellettuale  che  impedisce 
all'umanità  di  imputridire  nel  fango  degli  egoismi  e  degli  appetiti 
materiali,  ed  a  questa  aristocrazia  principalmente  si  deve  se  molte 
nazioni  sono  uscite  dalla  barbarie  e  non  vi  sono  mai  del  tutto 
ricadute.  Raramente  coloro  che  di  quest'aristocrazia  fanno  parte 
arrivano  ai  posti  più  eminenti  della  gerarchia  politica,  ma  essi 
fanno  opera  forse  più  efficace,  perchè,  plasmando  la  mentalità  ed 
orientando  i  sentimenti  dei  loro  contemporanei,  riescono  per  questa 
via  ad  imporre  il  proprio  programma  ai  reggitori  degli  Stati. 

E  impossibile  che  nella  generazione  novella  vi  sia  mancanza  o 
deficienza  di  questi  caratteri  generosi.  Ma  più  di  una  volta,  nel 
corso  ornai  lungo  della  storia,  è  accaduto  che  i  loro  sforzi  ed  i  loro 
sacrifizi  sono  stati  impotenti  a  salvare  un  popolo  od  una  civiltà 
dalla  decadenza  e  dalla  rovina.  Senonchè,  a  guardarci  bene,  noi 
crediamo  che  ciò  sia  in  gran  parte  accaduto  perchè  allora  i  mi- 
gliori non  hanno  avuto  una  visione  chiara  e  precisa  dei  bisogni 
della  loro  epoca  e  quindi  dei  metodi  e  dei  mezzi  più  adatti  a  con- 
seguire la  salvezza.  Terminiamo  perciò  facendo  voti  vivissimi  che 
questa  visione  non  manchi  oggi  alla  parte  più  nobile  della  gio- 
ventù G  che  Dio  illumini  la  sua  mente  e  riscaldi  il  suo  cuore  in 
modo  che  essa  sappia  meditare  ed  agire  durante  la  pace  cosi  forte- 
m.ente  come,  durante  la  guerra,  ha  saputo  combattere. 


TXT 


XDICE  ALFABETICO  DEGLI  AUTORI 


CITATI   NEL   VOLUME 


Althusius,  pagina  387. 

Amaki  Michele,  pag.  12,  82,  183,  185, 

242,  255. 
Ammiano  Marcellino,  pag.  375. 
Ammon  Otto,  pag.  338,  431. 
Aktonklli,  pag.  229. 
Apuleio,  pag.  374. 
Aristotile,  pag.  54,  357,  358,  359,  360, 

361,  362,  363,  364,  365,  435,  457. 
AvRRBoÈ,  pag.  353. 

3 

Bacone  Francesco,  pag.  5. 

Bagehot  Guglielmo,  pag.  429. 

Bakunink,  pag.  199. 

Ball  John,  pag.  424. 

Bebel,  pag.  293. 

Bellamy,  pag.  283. 

Beloch  Giulio,  pag.  12,  356,  365. 

Bebtolini  Pietro,  pag.  389. 

Bismakk,  pag.  182. 

Blanc  Luigi,  pag.  142,220,  282. 

Block,  pag.  292. 

Bluntschli,  pag.  4,  8. 

Boisgilbert  Edmund,  pag.  300. 

Boissier  Gaston,  pag.  185,  252. 

BossuET,  pag.  385. 

Boteko  Giovanni,  pag.  388. 

Brissot  DE  Warville,  pag.  279. 

Brouoham,  pag.  4. 

Bruqsch,  pag.  37,  70. 

Bryce,  pag.  872,  879,  380. 

Buchanan,  pag.  387. 

Bucuez,  pag.  282. 

Buckle,  pag.  109. 


Buffon,  pag.  167. 
Buonarroti,  pag.  281. 
Burke,  pag.  292. 


Cabet,  pag.  282. 

Cantarelli  Luigi,  pag.  441. 

Capponi  Gino,  pag.  86,  205. 

Cau&sidièbe.  pag.  221. 

Cedbeno,  pag.  158. 

Celso,  pag.  178. 

Cesare,  pag.  154,  155,  349. 

Cherbuliez  (Yalbert),  pag.  250. 

Claudiano,  pag.  369. 

Clavel,  pag.  183. 

CoGNETTi  De  Martiis,  pag.  276. 

Colajanni  Napoleone,  pag.  13,  83,  39, 

310. 
Compagni  Dino,  pag.  205. 
CouTB  Augusto,  pag.  152,  156,  159,  337. 
Confucio,  pag.  256. 
Cbosa  Emilio,  pag.  476. 

D 

De  Gobineau,  pag.  18,338. 

De  Goubmont,  pag.  299. 

De  La  Hoddk  Luciano,  pag.  224. 

Db  La  March,  pag.  234. 

De  La  Mazeuère,  pag.  383,  409,  413. 

Db  Mas  Sinibaldo,  pag.  61. 

De  Pabieu,  pag.  4. 

Dk  Quatrekages,  pag.  18. 

De  Sanctis  Gaetano,  pag.  369,  370. 

De  Solis  Antonio,  pag.  404. 

Db  Unamuno  Miguel,  pag.  429. 


506 


INDIOB    ALFABETICO    DEGLI    AUTORI 


De  Varigny,  pag.  276. 
Dk  Witt  Cornelius,  pag.  237. 
Djkht.  Carlo,  pag.  442. 
DoNNAT  Leon,  pag.  4. 
D08T01EW8KY,  pag.  128,  199. 
Dumas  George,  pag.  336. 
DupoHT  WniTK,  pag.  150. 


Hàmhuhaiii  (Codice  di  Hammurabi),  pa- 
gina 354. 
Hartman.v,  pag.  358,  372. 
HoLTZKNDonK,  pag.  2,  4. 
Huart,  pag.  352. 
Huc,  pag.  61. 


Ébelot  Alfred,  pag.  120. 
Ecclesiaste,  pag.  284. 
Engels  Federico,  pag.  837,  448. 
Erodoto,  pag.  355,  360. 
Esiodo,  pag.  356. 


Federico  2°  di  Prussia,  pag.  236. 

Ferrari  Giuseppe,  pag.  2. 

Ferraris  Galileo,  pag.  460. 

Ferrerò  Guglielmo,  pag.  316,  370,  372, 
373,  414,  449,  450.. 

Ferrerò  Guglielmo  e  Barbaqallo,  pa- 
gina 453, 

Ferrerò  Lombroso  Gina,  pag.  466. 

Ferri  Enrico,  pag.  13. 

Fibchel,  pag.  237. 

FiBMiN,  pag.  25. 

F0UILLÉE  Alfred,  pag.  39. 

FouRiER,  pag.  282. 

Fustel  de  Coulangks,  pag.  119. 


Garofalo  RaiFaele,  pag.  292,  331. 

Gebhart  Émile,  pag.  157. 

George  Enrico,   pag.  25,  36,  61,    131, 

289,  294. 
Glaber  Raoul,  pag.  157. 
Grave,  pag.  299. 
Gregorio  Rosario,  pag.  14. 
Grote,  pag.  441. 
Guicciardini,  pag.  119,  207,  465. 
GuMPLOwicz,  pag.  18,  65,  68,  76,  337. 

H 

Hammer  Puhgstall,  pag.  174,  183,  191, 
210. 


Janet  Paolo,  pag.  276,  277,  279,  336. 
Jannet  Claudio,  pag.  60,61,  140,  237. 

Karamzine,  pag.  80. 

Keikks  John  Meynard,  pag.  492. 


Lamartine,  pag.  142,  220. 

Lapouoe,  pag.  18,  338. 

Las  Casas,  pag.  55. 

Lassalle  Ferdinando,  pag.  310. 

Le  Bon  Gustavo,  pag.  41. 

Lenin  (Ulianof),  pag.  494,  495. 

Lenormant,  pag.  34,  37,  70,  78,  79,  90, 

112. 
Léroux  Pietro,  pag.  282,  449. 
Leroy  Beaulieu  Anatole,   pag.   28,  58, 

80,  82,  102,  125. 
Letourneau,  pag.  38,  109,  115,  159. 
Libro  dei  Giudici,  pag.  366. 
Libro  dei  Re,  pag.  78. 
Libro  di  Samuele,  pag.  229. 
Lombroso  Cesare,  pag.  13. 
Loria  Achille,   pag.   3,  303,   309,  449, 

456. 
Luzio  Alessandro,  pag.  488. 

M 

Macaulay,  pag.  5,  188,  193. 

Mably,  pag.  279. 

Machiavelli,  pag.  106,  166,  206,   207, 

230,  242,  335,  401,  420,  444. 
Malaterra  Goffredo,  pag.  158. 
Manzoni,  pag.  6,  198,  461,  475. 


INDICE  ALFABETICO  DEGLI  AUTORI 


,507 


Makat,  pag.  280. 

Marco  Aurelio,  pag.  461. 

Mablo  Carlo  (Vinkelblech),  pag.  310. 

Marsilio  di  Padova,  pag.  387. 

Marquardt,  pag.  371. 

Marx  Carlo,  pag.  308,  310,   337,  448, 

488. 
Maspero,  pag.  37,  70,  89,  90,  112,  239. 
Massaja,  pag.  116. 
Mater  Gustavo,  pag.  488. 
Mklegari  Dora,  pag.  458. 
Memor  (Raffaele  De  Cesare),  pag.  262. 
Merlino,  pag.  131. 
Messedaglia  Aagelo,  pag.  301. 
Metchnikof,  pag.  37,  39. 
MicHBLs  Roberto,  pag.  338,  340,  395, 

898,  408,  419. 
Mickiewicz  Adamo,  pag.  58. 
MiRABKAu,  pag.  67,  219,  238. 
MoMMSEN    e    Marquardt,   pag.    70,   90, 

136,  240. 
MoMMSEN  Teodoro,  pag.  92. 
Montesquieu,  pag.  14,  340,  435. 
MoRELLY,  pag.  279. 
Mosca  Bernardo,  pag.  424, 
Mosca  Gaetano,  pag.  52,  74,   76,  142, 

265,   351,   376,   388,   390,   395,  396, 

400,   420,  425,   426,   473,   479,  500, 

501,  502,  503. 
Monqeolle,  pag.  8. 


Pacchioni  Giovanni,  pag.  370,  372, 373. 

Pantaleoni  Diomede,  pag.  254. 

Pareto  Vilfredo,  pag.  338,  356,  459. 

Pascal,  pag.  465. 

Platone,  pag.  363,  401,  426,  435,  457. 

Plauchut  Edmondo,  pag.  187. 

Polibio,  pag.  435. 

PoLLocK  Federico,  pag.  4. 

Prins  Adolfo,  pag.  265. 

Proudhon,  pag.  282. 

Puglia,  pag.  13. 


Réclus  Élisée,  pag.  37,  88,  276. 

Renan,  pag.  18,  98,  178,  255,  380,  353. 

Rensi  Giuseppe,  pag.  338. 

Rituale  dei  Morti  degli  antichi  Egi- 
ziani, pag.  112,  354. 

Rodbertus,  pag.  310. 

RoDRiGUEz  Olindo,  pag.  336. 

Rousseau  Gian  Giacomo,  pag.  115,259, 
277,  278,  298,  397. 

Rousset  Leon,  pag.  37,  61,  81,  88,  213, 
240,  256. 

RuFFiNi  Francesco,  pag.  387,  435. 

Rutilio  Numaziano,  pag.  369. 


N 

Nisco  Niccola,  pag.  125. 
Nitti  Francesco  Saverio,  pag.  492. 
Nobili  Vitellbschi,  pag.  312, 
NoviKOF  Giacomo,  pag.  338. 

O 

Oberwalder,  pag.  174. 
Odescalchi  Baldassare,  pag.  276. 
0'  CoNNELL,  pag.  101. 
0'  Meara,  pag.  124. 
Omero,  pag.  347,  348,  419. 
Origene,  pag.  178. 
OsTROGOBSKi,  pag.  395. 


Saint-Simon  Claudio  Enrico,  pag.  282, 

336,  341,  462. 
Sallustio,  pag.  420. 
Salviano,  pag.  106. 
Sant'Agostino,  pag.  376. 
San  Tommaso,  pag.  385,  387,  435,  457. 
Scababklh  Ignazio,  pag.  310. 
SchJìffle,  pag.  253,  292. 
ScHÉuKR,  pag.  265. 

SCHLUMIIERGKR,    pag.  442. 

ScnuuÉ  Édouard,  pag. 127. 
Scolami  Saverio,  pag.  4,  287. 
Seamen,  pag.  61,  140,  145,  265. 
Sénart  Émile,  pag.  127. 
Seneca,  pag.  465. 


608 


INDIOB    ALKABBTIOO    DEGLI    ADTORI 


Senofonte,  paj^.  93,  352. 

Skbnicoli,  pag.  276,  299. 

Sheldon  Amos,  pag.  4. 

Spencer,  pag.  42,  55,  159,  160,  161,  162, 

163,  164,  346. 
Stanlky  Enrico,  pag.  24,  25. 


Tacito,  pag.  106,  347,  348. 
Takde,  pag.  13,  114. 

TCHERNTCHEVSKI,    pag.   101. 

Thiebs  Adolfo,  pag.  97,  216. 
Thureau-Dangin,  pag.  174,  225,  238. 
Tocqueville  Alessio,  pag.  139. 
ToRENo,  pag.  97,  216. 
Tucidide,  pag.  115. 
ToRiELLo,  pag.  271. 


Vico  Gian  Battista,  pag.  75. 
Vigo  de  Roussillon,  pag.  97. 
ViLLETAHD,  pag.  222,  314. 
Voltaire,  pag.  99,  230. 
VoN  DSB  GoLTz,  pag.  244. 


Walibzewski,  pag.  440. 
Wellington,  pag.  97. 
Winschell,  pag.  265. 
WoRMS  René,  pag.  467. 


U 


Ulpiano,  pag.  373. 


Zakhabof,  pag.  276. 


I  isr  13  I  o  E 


PARTF.    PKINIA 


CAPITOLO  I. 
Il  metodo  nella  scienza  politica. 

I.  Origine  e   scopo   della   scienza  politica.  —  IL  Perchè  si  è  scelta    questa 
denominazione.  —  III.  Il  metodo  sperimentale  e  l'origine  delle  scienze. 

—  rV.  Varie  applicazioni  di  questo  metodo  nella  scienza  politica.  — 
V.  Sistema  che  dà  la  prevalenza  all'ambiente  tisico  nello  studio  della 
scienza  politica.  —  VI.  Della  prevalenza  dei  popoli  del  settentrione  su 
quelli  del  mezzogiorno.  —  VII.  Continua  Io  stesso  argomento.  — 
Vni.  I  vari  tipi  di  organizzazione  politica  e  le  diversità  di  clima.  — 
IX.  Importanza  delia  diversa  configurazione  del  suolo.  —  X.  Sistema 
che  fa  dipendere  i  fenomeni  politici  dalla  diversità  delle  razze  umane. 

—  XI.  Eazze  superiori  ed  inferiori.  —  XII.  Il  genio  delle  razze.  — 
Xni.  Il  sistema  evoluzionista  e  la  lotta  per  l'esistenza.  —  XFV.  Il  pro- 
gresso politico  ed  il  miglioramento  fisico  delle  razze  umane.  —  XV.  Rias- 
sunto delle  teoriche  evoluzioniste.  —  XVI.  Il  metodo  storico  fondato 
sulla  identità  fondamentale  delle  tendenze  ed  attitudini  politiche  delle 
grandi  razze  umane.  —  XVII.  Nuovi  materiali  di  cui  questo  metodo 
dispone.  —  XVIII.  Obiezioni  che  ad  esso  si  fanno.  —  XIX.  A  quali 
condizioni  questo  metodo  può  essere  bene  adoperato.  —  XX.  Continua- 
zione dello  steso  argomento  o   conclusione Pag- 


1-51 


610  INDIOB 


CAPITOLO  IL 
La  classe  politica. 

I.  Predominio  di  una  classe  dirigente  in  tutte  le  soeietà.  —  II.  Importanza 
politica  di  questo  fatto.  —  IH.  Prevalenza  delle  minoranze  organizzate 
sulle  maggioranze.  —  IV.  Forze  politiche.  Il  valor  militare.  —  V.  La 
ricchezza.  —  VI.  Le  credenze  religiose  e  la  cultura  scientifica.  — 
VII.  Influenza  dell'eredità  nella  classe  politica.  —  Vm.  Periodi  di 
stabilità  e  di  rinnovamento  della  classe  politica Pag.   52-72 

CAPITOLO  m. 
Nozioni  preliminari. 

I.  La  formola  politica.  —  II.  Il  tipo  sociale.  —  III.  Rapporti  tra  il  tipo 
sociale  e  le  religioni  universali.  —  IV.  Efficacia  di  queste  religioni.  — 
V.  La  formola  politica  e  le  religioni  universali.  —  VI.  Lo  Stato  feudale 
e  lo  Stato  burocratico.  —  VM.  Differenze  fra  questi  due  tipi  di  ordina- 
mento politico.  —  Vni.  Cenno  sulle  cause  della  decadenza  degli  Stati 
burocratici -P«^-    73-90 

CAPITOLO  IV. 
Rapporti  tra  la  classe  politica  ed  il  tipo  sociale. 

I.  Tendenza  degli  organismi  ad  estendere  il  proprio  tipo  sociale.  —  II.  Coesi- 
stenza di  diversi  tipi  sociali  in  unico  organismo  politico.  —  HI.  Unità  e 
differenze  di  tipo  sociale  tra  le  varie  classi  dello  stesso  popolo.  —  IV.  Eap- 
porti tra  la  diversità  dei  costumi  e  la  varietà  del  tipo  sociale.  — 
V.  Psicologia  delle  plebi.  —  VI.  Conseguenze  della  diversità  di  tipo  so- 
ciale tra  la  plebe  e  la  classe  dirigente Pag.  91-107 

CAPITOLO  V. 
La  difesa  giuridica. 

I.  Varie  opinioni  intorno  al  progresso  del  senso  morale.  —  II.  La  scuola 
evoluzionista.  —  IH.  Dottrina  del  Buckle  -  Disciplina  del  senso  morale. 
—  rV.  Influenza  delle  credenze  religiose  nella  disciplina  del  senso  mo- 
rale. —  V.  Influenza  dell'organizzazione  politica.  —  VI.  Il  semplicismo 
politico  in  rapporto  alla  difesa  politica.  —  YTl.  I  governi  misti  -  Cora- 


511 


pletaraento  della  teoria  di  Montesquieu  sulla  divisione  dei  poteri.  — 
Vm.  Influenza  della  separazione  del  prestigio  religioso  dal  potere  laico. 

—  IX.  Influenza  della  distribuzione  della  ricchezza.  —  X.  Rappresentanza 
ed  equilibrio  di  tutte  ■  le  forze  politiche.  —  XI.  L'unità  di  tipo  nella 
classe  politica Pag.  108-140 

CAPITOLO  VI. 
Polemiche. 

I.  La  teoria  democratica.  —  II.  Rapporti  fra  il  regime  rappresentativo  e  la 
difesa  giuridica.  —  HI.  Significato   della    così  detta  azione  dello  Stato. 

—  IV.  Questioni  intorno  ai  limiti  di  questa  azione.  —  V.  La  dottrina 
dei  Comte  sui  tre  stadi  intellettuali  e  politici.  —  VI.  Valore  pratico 
del  parallelismo  stabilito  dal  Corat3.  —  VH.  Classificazione  degli  Stati, 
secondo  lo  Spencer,  in  militari  ed  industriali.  —  VITI.  Debolezze  e 
lacune  di  questa  classificazione Pag-  141-166 

CAPITOLO  VII. 
Chiese,  partiti  e  sette. 

L  Istinto  della  lotta  fra  le  collettività  umane.  —  II.  Altri  coefficienti  deUe 
gare  religiose  e  politiche.  —  ITI.  Qualità  dei  fondatori  di  nuove  religioni 
e  dottrine  politiche.  —  IV.  Nuclei  dirigenti  di  ogni  nuova  religione  o 
dottrina  politica.  —  V.  Condizioni  transitorie  per  l'adattabilità  delle  dot- 
trine religiose  e  politiche  ai  vari  momenti  storici.  —  VI.  Condizioni  per- 
manenti per  la  loro  adattabilità  alla  natura  umana.  —  VII.  Transazioni 
pratiche  di  certe  dottrine.  —  Vili.  Organizzazione  stabile  dei  nuclei 
dirigenti.  —  IX.  Contemperanza  dei  sentimenti  generosi  e  degli  interessi 
materiali.  —  X.  Sistemi  per  attirare  e  dominare  le  masse.  —  Efficacia 
della  forza  materiale.  —  XI.  Altre  arti  adoperate  allo  stesso  scopo.  — 
Xn.  Conclusione  del  capitolo Pag.  167-202 

CAPITOLO  Vili. 
Le    rivoluzioni. 

I.  Carattere  delle  rivoluzioni  nelle  città  elleniche   e  nei  comuni   medioevali. 

—  n.  Guerre  civili  e  rivoluzioni  in  Roma  antica,  nell'Europa  feudale  e 
nei  paesi  maomettani.  —  HI.  Rivoluzioni  in  China.  —  IV.  Insurrezioni 
di  carattere  nazionale.  —  V.  Insurrezioni  rurali  in  Europa.  —  VI.  Ri- 
voluzioni tipiche  della  Francia  moderna.  —  VII.  Condizioni  per  la  riu- 
scita di  queste  rivoluzioni Pag-  203-225 


612  INDIOB 


CAPITOLO  IX. 
Gli  eserciti  stanziali. 

I.  La  funzione  militare  nelle  civiltà  primitive.  —  II.  Lo  Stato  burocratico 
e  gli  eserciti  mercenari  e  stanziali.  —  m.  Preponderanza  politica  abi- 
tuale dell'elemento  militare.  —  IV.  Ragioni  per  le  quali  questa  prepon- 
deranza è  stata  limitata  e  distrutta  nei  paesi  di  civiltà  europea.  — 
V,  Importanza  pratica  delle  moderne  milite  cittadine.  —  VI.  Diversità 
di  classe  fra  la  bassa  forza  e  gli  ufficiali  in  molti  eserciti  stanziali.  — 
Vn.  Giudizi  e  pregiudizi  intorno  alle  speciali  attitudini  militari  dei  vari 
popoli.  —  Vm.  Gli  eserciti  stanziali,  la  guerra  e  l'avvenire  della  civiltà 
di  tipo  europeo Pag.  226-246 

CAPITOLO  X. 
Conclusione. 

I.  Scopo  della  conclusione.  —  IL  I  tre  problemi  della  vita  moderna  —  Il  pro- 
blema religioso.  —  HI.  L'avvenire  del  Cristianesimo.  —  IV.  Il  Cristia- 
nesimo e  la  scienza  positiva.  —  V.  Il  problema  politico.  —  VI.  Esame 
critico  del  Parlamentarismo.  —  VU.  Le  riforme  del  Parlamentarismo. 

—  vm.  Quale  sarebbe  la  riforma  fondamentale  —  Ostacoli  che  incontra. 

—  IX.    Il    problema    sociale    —    Origine    della    democrazia    sociale.    — 
X.  Estensione  ed  importanza  della   democrazia  sociale  —  Varie  scuole 
nelle  quali  si  divide.  —  XI.  Esame  critico  del  collettivismo.  —  Xn.  La 
giustizia  nell'organizzazione  sociale.  —  Xm.  Esame  critico  dell'anarchia. 

XIV.  La   lotta   di    classe.  —  XV.  Effetti   pratici   della  democrazia 

sociale.  —  XVI.  Cause  della  stessa.  —  XVTI.  Probabilità  di  trionfo 
della  democrazia  sociale.  —  XV ili.  Rimedi  atti  a  combatterla.  — 
XIX.  Missione  della  scienza  politica Png.  247-332 


PARTE    SECONDA 


CAPITOLO  I. 

Origini   della   dottrina   delia   classe    politica 
e  cause  che  ne  ostacolano  la  diffusione. 

I.  La  dottrina  della  classe  politica  è  nata  da  ch"ca  un  secolo.  ~  II.  Cause 
estrinseche  che  ne  hanno  ostacolato  lo  sviluppo.  —  III.  Cause  intrinseche 
della  sua  mancata  diftusione  e  cenni  sui  modi  di  eliminarle     .     Fag.  885-344 


INDICE  513 

CAPITOLO  n. 
Descrizione  dei  diversi  tipi  di  organizzazione  politica. 

I,  I  primi  nuclei  politici.  —  II.  I  grandi  imperi  orientali.  —  III.  Forma- 
zione dello  Stato  ellenico.  —  IV.  Originalità  e  debolezze  dello  Stato 
ellenico Pa^..  345-366 

CAPITOLO  in. 
Continua  il  tema  del  capitolo  precedente. 

I.  Caratteri  speciali  della  città-Stato  romana.  —  II.  Sua  graduale  trasforma- 
zione in  uno  Stato  burocratico-militare  durante  l'Impero.  —  III.  Dissolvi- 
mento dello  Stato  e  della  civiltà  romana.  —  IV.  Cause  che  prepararono 
lo  Stato  feudale  e  sue  caratteristiche.  —  V.  Graduale  trasformazione 
dello  Stato  feudale  nello  Stato  assoluto  burocratico.  —  VI.  Cause  intel- 
lettuali ed  economiche  che  prepararono  la  trasformazione  dello  Stato 
assoluto  burocratico  nello  Stato  rappresentativo  moderno.  —  VII.  La 
costituzione  inglese  del  secolo  XVIII  fornisce  il  modello  formale  allo 
Stato  rappresentativo  moderno.  —  Vili.  Caratteristiche  dello  Stato  rap- 
presentativo moderno  ed  elementi  dissolvitori  che  lo  minacciano  Pag.  867-400 

CAPITOLO  IV. 

Principi  e  tendenze  diverse  che  si  affermano  nella  for- 
mazione e  nella  organizzazione  della  classe  po- 
litica. 

I.  I  due  principi  e  le  due  tendenze  chre  si  possono  riscontrare  nelle  varie 
classi  politiche.  —  IL  II  principio  autocratico.  —  III.  I  «uè  strati  della 
classe  politica  e  l'autoci'azia  burocratica.  —  IV.  Il  principio  liberale.  — 
V.  Analisi  della  tendenza  democratica.  —  VI.  Asalisi  della  tendenza 
aristocratica.  —  VII.  Risultati  dell'equilibrio  fra  i  due  principi  e  le  due 
tendenze Png-  401-437 

CAPITOLO  V. 
Schiarimenti  e  Polemiche. 

I.  Rapporti  fra  il  valore  intellettuale  e  morale  dei  capi  degli  Stati  o  quello 
della  classe  politica.  —  IL  Rapporti  fra  il  valore  intellettuale  e  morale 
della   classe   politica  e  quella    dei    governati.  —  III.    Confutazione   del 


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materialismo  storico.  —  IV.  Se  sia  possibile  il  governo  dei  migliori  e 
quali  siano  politicamente  i  migliori*  —  V.  La  giustizia  assoluta  e  la 
giustizia  relativa  nelle  organizzazioni  politiche.  —  VI.  Se  i  progressi  della 
scienza  politica  potranno  in  avvenire  evitare  le  grandi  crisi  sociali  Pag.  i'i^Al'i 


CAPITOLO  VI. 
Conclusione 

Quale  è  il  periodo  storico  che  corrisponde  al  secolo  decinionono.  —  II.  Pro- 
gramma politico  del  detto  secolo.  —  IH.  Risultati  pratici  dell'esecuzione 
di  questo  programma.  —  IV.  Germi  di  dissoluzione  politica  che  esso 
conteneva  e  contiene.  —  V.  Pericoli  e  danni  che  presentano  le  tre  so- 
luzioni radicali  possibili  della  crisi  che  ora  traversa  il  regime  rappresen- 
tativo. —  VI.  Opportunità  di  una  restaurazione  del  detto  regime  e  modi 
più  adatti  per  effettuarla Pag,  474-504 


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