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Presented to the I
LIBRARY o/r/z^
UNIVERSITY OF TORONTO ^
from
the estate of
GIORGIO BANDINI
ELEMENTI DI SCIENZà POLITICA
m
GAETANO MOSOA
PROFHSSORE ORDIHARIO DI DIRITTO COSTITOZIONALE NELL' aNIVKBSITÀ DI TORINO
SONATORE DEL RESHO
ELEMENTI
DI
SCIENZV POLITICA
Seconda edizione con una seconda parte inedita.
Dilexi justitiam, qttaesivi veritatem.
TORINO
FRATELLI BOCCA EDITORI
3 - Via Carlo Alberto - 3
1923
PROPRIETÀ LKTTBBABU
ToBiHO — Tipografia Vincenzo Bona (12126.14U7)
Printed in Italy.
ALLA DOLCE E CAEA MEMORIA
DI MIA FIGLIA Q-"R,AZIELLA
DEDICO QUESTE PAGINE
ALLE QUALI HO CONSACEATO
LE ORE MIGLIORI DELLA MIA VITA
f
PRKKAZIONE
Il volume che ora viene alla luce consta di due parti: la prima
è la seconda edizione degli Elementi di Scienza politica^ che fu-
rono pubblicati alla fine del 1895; la seconda è completamente
nuova e fu pensata e scritta negli ultimi due o tre anni.
Essendo iìifatti da un pezzo esaurita la prima edizione del
lavoro sulla Scienza politica, pubblicato quasi trenta anni fa,
diventava necessario farne una nuova; ma intanto erano mu-
tati i teìnpi, nuovi avvenimenti erano maturati ed essi mi for-
nivano nuovi dati dei quali dovevo tener conto, anche perchè
modificavano sensibilìnente alcuni dei modi di vedere ai quali
mi ero conformato quando scrivevo la prima parte del lavoro.
Né devo nascondere al lettore che a ciò hanno contribuito quelle
variazioni che avvengono nel carattere e nella mentalità di qua-
lunque uomo, finché l'uno e V altra, con l'età molto avanzata,
non si cristallizzano in una forìna definitiva.
Date queste mie condizioni intellettuali e morali, o dovevo rifare
la prima parte dell'opera o dovevo scriverne un^ altra, che perfet-
tamente corrispondesse alla mia odierna maniera di pensare. Ho
scelto quest'ultima soluzione, aggiungendo alla pì'ima parte del
lavoro solo le poche note che sono segnate con un asterisco,
anche perchè tenevo a mantenere integra l'interpretazione che
molti anni fa avevo dato ad alcuni impoì'taìiti pì'obleml poli-
tici, interpretazione che fatti recentissiìni hanno oggi confermato.
Tm PREFAZIONE
J/a, tanto nella prima che nella seconda parte del presente
lavoro, mi sono sforzato di mantenermi fedele al metodo che, fin
da quando ancora giovanissimo scrivevo la Teorica dei governi,
ho adottato e che poi ho cercato sempre di praticare apportan-
dovi tutti i miglioramenti di cui ero capace. Da moltissimi anni
sono convinto che runico sistema possibile col quale l'uomo può
fino ad un certo punto dominare le proprie passioni e miglio-
rare le proprie sorti consiste nello studio della psicologia umana
individuale e collettiva. Fin da un'epoca inolio remota la sag-
gezza ellenica avea giudicato che la maniera più efficace che
avea l'uomo per elevare il proprio carattere e moderare gli
effetti di alcuni suoi istinti consistesse nella conoscenza di se
stesso. È quindi spiegabile se ho creduto e credo fermamente che
un simile metodo possa applicarsi con uguali risultati allo
studio della psicologia collettiva. Esso anzi fu già ad essa ap-
plicato pili di ventidue secoli fa, nell'epoca cioè nella quale il
grande Aristotile scriveva la sua Politica, e ben altri risultati
potrebbe dare oggi quando, mercè il progresso degli studi storici,
geografici e statistici, conosciamo tanta parte del passato e del
presente dell'umanità. Aggiungerò che l'esempio dell' Economia
politica la quale, studia?ido collo stesso sistema i fenomeni eco-
nomici, ha potuto sicuramente mettere in evidenza alcune delle
leggi che li i-egolano, mi ha oltremodo confortato a persistere
nella via che da un pezzo avevo scelto.
Naturalmente non mi nascondo le grandi difficoltà che pre-
senta l'uso del metodo che ho rapidamente accennato, fra le
quali occupa uno dei primi posti la quaìitità di cognizioni
esatte che esso richiede su tutto quanto è accaduto ed accade
nelle società che hanno una stoì-ia; uè io mi lusingo di averle
tutte superate. Quindi posso soltanto affermare che ho fatto del
mio meglio, fiducioso che, se la civiltà umana saprà superare
la procella che oggi la minaccia, la modesta opera mia potrà
essere da altri continuata e perfezionata e che potranno essere
a poco a poco colmate tutte le grandi lacune che essa oggi pre-
senta.
Dirò, per ultimo, che mi sono sforzato di comprimere tutte
INDICE IX
quelle passioni e quei sentimenti che potevano annebbiare la
visione obiettiva dei fatti sui quali dovevo fondare le mie con-
clusioni. Riconosco che la completa riuscita di questo sforzo
esigerebbe che l'uomo non fosse più tale, ma credo di aver
fatto tutto ciò che, mercè la buona fede e la buoha volontà, si
poteva in questo senso ottenere. Prossimo a chiudere la mia
carriera scientifica, ho fermamente voluto esporre, senza odi,
sema collera, sema entusiasmi, colla serenità che solo l'età
avanzata può dare, tutto quanto lo studio degli avvenimenti e
del carattere umano aveva potuto insegnarmi.
Torino, dicembre del 1922.
Gaetano Mosca.
PARTE PRIMA
^^i^f^^^^^^^^
Dilexi justitiam, quaesivi ventatem.
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origini e scopi della scienza politica. — EE. Perchè si è scelta questa denomi-
nazione. — III. Il metodo sperimentale e l'origine delle scienze. — IV. Varie
applicazioni di questo metodo nella scienza politica. — V. Sistema che dà la
prevalenza all'ambiente fisico nello studio della scienza politica. — VI. Della
prevalenza dei popoli del settentrione su quelli del mezzogiorno. — VII. Con-
tinua lo stesso argomento. — Vili. I vari tipi di organizzazione politica e le
diversità di clima. — IX. Importanza della diversa configurazione del suolo.
— X. Sistema che fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze
umane. — XI. Eazze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle razze. —
Xin. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza. — XIV. Il progresso
politico ed il miglioramento fisico delle razze umane. — XV. Riassunto delle
teoriche evoluzioniste. — XVI. Il metodo storico fondato sulla identità fonda-
mentale delle tendenze ed attitudini politiche delle grandi razze umane. —
XVII. Nuovi materiali di cui questo metodo dispone. — XVIII. Obiezioni che
ad esso si fanno. — XIX. Condizioni alle quali questo metodo può essere bene
adoperato. — XX. Continuazione dello stesso argomento e conclusione.
I. — Da molti secoli si è affacciata alla mente dei pensatori
l'ipotesi che i fenomeni sociali, che davanti ad essi si svolgevano,
non fossero meri accidenti, né la manifestazione di una volontà
soprannatm^ale ed onnipotente, ma. piuttosto l'effetto di tendenze
j)si coloniche costanti, che determinano Fazione delle masse umane.
Fin da Aristotele si è cercato di scoprii-e le leggi e le modalità
G. MosoA. Elementi di Scienza Politica. I
ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
che regolano l'azione di queste tendenze e lo studio, che ha avuto
questo obietto, si è chiamato politica.
Nei secoli decimosesto e decimosettimo molti scrittori, in Italia
specialmente, si occuparono di politica (1), Però essi, a cominciare
da Machiavelli, che è fra tutti il più famoso, non si occuparono
tanto di determinare quelle tendenze costanti in tutte le società
umane, che abbiamo già accennato, quanto d'investigare le arti
per le quali un uomo od una classe di jiersone potevano arrivare
a disporre del supremo potere, in una data società, ed a difendersi
contro gli sforzi di coloro che li volevano surrogare. Si tratta di
due cose, che, sebbene abbiano qualche punto di contatto tra loro,
pure sono sostanzialmente diverse (2). Un esempio, che crediamo
molto calzante, dimostra ciò assai meglio di un lungo ragiona-
mento. L'Economia politica studia le leggi o le tendenze costanti,
che regolano nelle società umane la produzione e la distribuzione
della ricchezza : ma questo studio non equivale in niun modo al-
l'arte di arricchirsi e di conservare le dovizie. Un valentissimo
economista può infatti essere assolutamente inetto a costituirsi
un patrimonio, ed un banchiere, un industriale, uno speculatore,
sebbene possano ricavare qualche lume dalla conoscenza delle
leggi economiche, non hanno bisogno di esserne maestri e rie-
scono del resto a fare abbastanza bene i loro affari anche se com-
pletamente le ignorano.
II. — Ai giorni nostri lo studio iniziato da Aristotele si è sud-
diviso e specializzato, sicché più che la scienza abbiamo le scienze
politiche. Inoltre si è cercato di fare la sintesi, di coordinare i
risultati di queste scienze ed è nata così la Sociologia. Anche gli
scrittori di diritto pubblico, i quali interpretano e commentano le
leggi positive, quasi sempre sono trascinati all'indagine delle ten-
denze generali alle quali que'ste leggi sono inspirate, e gli storici,
(Il II Ferrari nel suo Corso sugli scrittori politici italiani (Milano, 1862) ne
novera parecchie centinaia quasi tutti appartenenti ai secoli accennati.
(2) La differenza fra la politica come arte di governo (Staatskunst) e la po-
litica come scienza di governare (Staatswissenscliaft) è stata svolta, a dir vero
con non molta precisione e chiarezza, dall'HoLxzENDORFF nei due primi capitoli
del libro Principes de la politique. Introduction à Véttide du droif public contempo-
rain. Tradotto in francese dal Lehr. Hambourg, 1887.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA
che narrano gli avvenimenti umani, dall'esame di questi hanno
spessissimo cercato di dedurre le leggi che li regolano e li deter-
minano. Cosi fecero nell'antichità Polibio e Tacito, nel secolo de-
cimosesto Guicciardini, nel secolo presente Macaulay e Taine.
Filosofi, teologi, giuristi, quanti hanno avuto per fine diretto od
indh'etto dei loro lavori il miglioramento della umana società, ed
hanno perciò esaminato le leggi che ne regolano l'organizzazione,
possono essere considerati, almeno da un lato, come studiosi di
scienze politiche. Sicché forse una buona metà dello scibile umano,
una somma immensa di sforzi intellettuali, che l'uomo ha impie-
gato alla ricerca del suo passato, a scrutare il suo avvenire, a stu-
diare la propria natura morale e sociale, si può considerare come
ad esse consacrata.
Fra le scienze politiche o sociali una branca ha finora raggiunto
una maturità scientifica tale che, per la sicurezza e l'abbondanza
dei risultati acquisiti, si lascia notevolmente indietro tutte le
altre. Intendiamo alludere all'Economia politica.
Infatti verso la fine del secolo decimottavo alcuni ingegni potenti
hanno isolato i fenomeni riguardanti la produzione e la distribu-
zione della ricchezza dagli altri fenomeni sociali, ed, isolatamente
guardandoli, sono riusciti a determinare molte delle leggi o ten-
denze psicologiche costanti alle quali ubbidiscono. L'isolamento dei
fenomeni economici dagli altri rami delle scienze sociali, e special-
mente l'uso invalso di considerarli come indipendenti dagli altri
fenomeni, che riguardano l'organizzazione dei poteri politici, se
da una parte spiega i rapidi progressi dell'Economia politica, dal-
l'altra è forse la causa principale per la quale alcuni postulati di
questa scienza sono ancora soggetti a discussione. Sicché forse,
coordinando le proprie osservazioni con altre che riguardano altri
lati della psicologia umana, l'Economia politica potrà fare nuovi
e decisivi passi in avanti (1).
(1) Negli ultimi venti o trent'anni è nata la tendenza di spiegare con lo
studio dei fenomeni economici tutti i fatti politici che avvengono nella storia
dell'umanità. In Italia questo ardito concetto è stato svolto dal Loria nel libro
La Teoria economica della Costituzione politica (Torino, 1886). A noi pare questo
un modo di vedere troppo unilaterale ed esclusivo. Vi sono fenomeni sociali
e politici, ad esempio il sorgere ed il diffondersi delle grandi religioni, il ri-
nascere di alcune antiche nazionalità, il costituirsi di alcune grandi monarchie
ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
È indiscutibile però che non si possono studiare le tendenze
che regolano l'ordinamento dei ])oteri politici senza tener conto
dei risultati che l'Economia politica, questa scienza sorella che ha
raggiunto più presto la sua maturità, ha di già ottenuto. Noi lo
studio delle tendenze suddette, che forma oggetto di questo nostro
lavoro, chiamiamo Scienza politica. Ed abbiamo scelta questa de-
nominazione perchè fu la prima usata nella storia dello scibile
umano, perchè ancora non è caduta in disuso (1), ed anche perchè
il nome nuovo di Sociologia, che, dopo Augusto Comte, si è da
molti scrittori adottato, non ha ancora una significazione ben de-
terminata e precisa e, nell'uso comune, comprende tutte le scienze
sociali, fra le quali anche le economiche e quelle che hanno per
obietto lo studio delle leggi che determinano la delinquenza,
anziché quell'una, che ha per suo scopo principale l'esame dei
fenomeni, che più propriamente e specialmente si chiamano po-
litici.
III. — Una scienza risulta sempre da un sistema di osserva-
zioni fatte sopra un dato ordine di fenomeni con speciale cura,
con appropriati metodi e coordinate in modo da giungere alla
scoperta di verità indiscutibili, che all'osservazione volgare e co-
mune sarebbero rimaste ignote.
Le scienze matematiche forniscono l'esempio più semplice e più
facile per porre in luce come si forma il procedimento scientifico.
L'assioma è il frutto di un'osservazione accessibile a tutti e la cui
verità salta subito agli occhi anche dei profani ; richiamando e
coordinando diversi assiomi si arriva alla dimostrazione dei più
facili teoremi, e poi, coordinando ancora le verità ricavate da
questi teoremi con quelli degli assiomi, si arriva alla dimostra-
zione di nuovi teoremi più difficili ancora, e la cui verità non si
può intuire ne provare da chi in quelle scienze non sia iniziato.
Analogamente si procede nella fisica e nelle altre scienze natu-
militari, che non si possono esclusivamente spiegare col variare della distri-
buzione della ricchezza o con la lotta fra il capitale ed i proletari o fra il
capitale mobile e l'immobile, come vorrebbe il Loria.
(1) E usato, oltre che dal citato Holtzendorff, dal Bluntschli, dal Donnat,
dallo Scolari, dal Brougham, dallo Sheldon-Amos, dal De Parieu, dal Pollock
e da altri scrittori del secolo decimonono e del ventesimo.
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA
rali, ma in esse il metodo comincia a complicarsi con nuovi ele-
menti : s]3esso non basta coordinare parecchie osservazioni sem-
plici per ottenere la dimostrazione di una verità, che chiameremo
composta, ossia non percepibile a prima vista, ma, nella maggior
parte dei casi, ciò che in matematica è l'assioma si ottiene per
mezzo di un esperimento o di lunghe esperienze. Or si l'uno che
le altre hanno un valore quando si fanno con metodi speciali ed
accurati e da persone che a questi metodi sono state debitamente
iniziate. Nei primordi delle singole scienze il vero procedimento
scientifico è quasi sempre dovuto ad ipotesi felici, che poi sono
state provate dalle esperienze e dalle osservazioni dei fatti, e che
alla loro volta hanno spiegato moltissime altre esperienze e mol-
tissimi altri fatti. Quasi sempre un lungo periodo d'empirismo, dei
sistemi sbagliati, che impedivano di coordinare utihnente i dati
che si raccoglievano sui singoli fenomeni, dei metodi di ossei^va-
zione imperfetti od errati hanno preceduto il periodo veramente
scientifico di una data disciplina. E cosi che, per lunghi secoli,
l'astronomia e la chimica si son dibattute negli errori e nei va-
neggiamenti dell'astrologia e dell'alchimia. Solo dopo che i cer-
velli umani si sono affaticati per molto tempo sopra un dato or-
dine di fenomeni, l'abbondanza dei dati raccolti, il perfezionamento
dei metodi e degli strumenti materiali dell'osservazione, la in-
tuizione e la lunga pazienza di potenti ingegni hanno prodotto
quelle ipotesi felici, che abbiamo accennato, ed hanno reso possi-
bile una vera scienza.
Da quanto abbiamo detto si deduce facilmente che non basta
per ottenere dei veri risultati scientifici che, sopra un dato ordine
di fenomeni, si proceda col sistema dell'osservazione e dell'espe-
rienza. Francesco Bacone si illuse, e forse anche molti pensatori
e scrittori nostri contemporanei si fanno illusioni, sulla capacità
assoluta che il detto sistema ha nello scoprire la verità scienti-
fica (1). In verità perchè l'osservazione dei fatti e l'esperienza
(1) Francesco Bacone, come si sa, paragonava il metodo esperimentale, che
del reato era stato usato molto prima di lui, ad un compasso che permette,
anche ad una mano inesperta del disegno, di tracciare circoli perfetti, ossia
di ottenere dei risultati scientifici esatti (Vedi Macaulav, Essais poliiique.< et
philosophiques, tradotti da Guglielmo Guizot. Paris. Michel Lévy, 1872).
6 Br.EMENTI DI SCIENZA POLITICA
diano buoni risultati sono necessarie le condizioni che abbiamo
teste accennato ; malamente usate e quando il procedimento scien-
tifico è errato conducono a scoperte fallaci e possono anche dare
un colore di serietà a vere sciocchezze. In fondo l'astrologia e
l'alchimia, che abbiamo già citato, erano fondate sopra vere o
pretese osservazioni di fatti ed esperienze : ma il metodo di os-
servazione, o meglio il punto di vista che tutte le informava e
coordinava, era profondamente errato. Il famoso Martino Delrio
quando scriveva il suo libro De disquisitione magicaruiìi, credeva
di fondarsi sull'osservazione dei fatti determinando le differenze
fra il maleficio amatorio, l'ostile ed il sonnifero e rivelando le
arti ed i costumi delle streghe e dei maliardi, ed intendeva ap-
punto che la sua esperienza dovesse giovare a scoprirli ed a pre-
munirsene. Credevano di fondarsi pure sull'osservazione dei fatti
gli economisti anteriori ad Adamo Smith, che la ricchezza di una
nazione facevano unicamente consistere nel denaro e nella pro-
duzione della terra ; e sui fatti e sulle esperienze quasi universal-
mente riconosciute dai suoi contemporanei si basava don Ferrante,
tipo dello scienziato del seicento dipinto cosi efficacemente dal
Manzoni, quando con un ragionamento, nelle apparenze e nella
forma perfettamente logico e positivo, volea provare l'impossibi-
lità che esistesse il contagio della peste bubbonica (1).
IV. — La scienza politica non crediamo che neanche ora, sia
entrata interamente nel vero periodo scientifico. Sebbene uno stu-
dioso possa in essa vedere molte cose, che sfuggono all'attenzione
di un profano, pure non ci pare che possa fornire un complesso di
verità indiscutibili, riconosciute da tutti coloro che in questa disci-
plina sono iniziati, e molto meno che abbia già acquistato un me-
todo d'indagini sicuro e da tutti universalmente accettato. Le cause
di questo fatto son varie, ma noi per ora ci asterremo dallo esporre
(1) Per qualcuno che non lo rammentasse o che non avesse letto I Promessi
Sposi, il ragionamento di Don Ferrante era il seguente: in rerum natura non
vi sono che sostanze ed accidenti. Ora il contagio non può essere accidente
perchè non potrebbe passare da un corpo all'altro, e non può essere sostanza
perchè le sostanze sono terree, acquee, ignee ed aeriformi. Se fosse sostanza
terrea sarebbe visibile, se acquea bagnerebbe, se ignea brucerebbe, se aerea
volerebbe alla sua sfera.
IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA
il nostro pensiero in proposito. Diremo soltanto che ci pare che
esse non siano per nulla attribuibili a deficienza degli ingegni, che
sopra gli argomenti politici hanno meditato, ma piuttosto alla mag-
giore complessità dei fenomeni che ad essi si riferiscono, e sopra-
tutto alla quasi impossibilità, che ci è stata fino a pochi decennii
fa, di avere larga ed esatta cognizione di quei fatti, dallo studio
dei quali ]3uò ricavarsi la nozione di quelle leggi o tendenze co-
stanti, che regolano l'ordinamento politico delle società umane.
Per quanto possiamo crederli incompleti o manchevoli, è intanto
nostro dovere di fare un rapido esame dei vari metodi o sistemi
d'idee coi quali si è proceduto finora allo studio della scienza po-
litica. Parecchi di essi non sono stati e non sono che una giusti-
ficazione più o meno filosofica, teologica o razionale di certi tipi
di organizzazione politica, che hanno avuto per secoli una parte
importante, e talvolta l'hanno ancora, nella storia dell'umanità.
Giacché, come vedremo più avanti, una delle tendenze sociali più
costanti è appunto questa di spiegare mediante una teoria razio-
nale od una credenza soprannaturale la forma di Governo esi-
stente. Abbiamo avuto perciò una pretesa scienza politica a servizio
di quelle società in cui le credenze soprannaturali predominano
ancora negli animi umani, e nelle quali perciò l'esercizio dei poteri
politici trova la sua spiegazione nella volontà di Dio o degli Dei,
e abbiamo avuto, e abbiamo, un'altra scienza politica che gli stessi
poteri legittima volendone fare una libera e spontanea espres-
sione della libera volontà del popolo, ossia della maggioranza
degli individui che compongono una data società. Dobbiamo però
a preferenza occuparci di due fra tutti questi sistemi e metodi di
osservazione politica, i quali hanno un carattere più obiettivo ed
universale e tendono a trovare le leggi con cui si spiega l'esi-
stenza di tutte le varie forme di regime politico, che esistono nel
mondo.
Questi due metodi sono: quello che fa dipendere la differen-
ziazione politica delle varie società dalla varietà dell'ambiente
fisico, e sopratutto del clima dei paesi in cui esse abitano, e l'altro
che la fa dipendere principalmente dalle differenze fisiche, ed in
conseguenza psicologiche, che vi sono fra le diverse razze umane.
L'uno fa prevalere nelle scienze sociali il criterio dellambientu
fisico, l'altro quello etnologico o somatico. Tutti e due hanno una
parte troppo importante nella storia della scienza, ed anche nella
ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
scienza contemi)oranea, ed un carattere apparentemente troppo po-
sitivo e sperimentale perchè ci sia possibile il disj)onsarci d'esa-
minarne il vero valore scientifico.
V. — A cominciare da Erodoto ed Ippocrate e venendo fino
al secolo presente, grandissimo ò il numero degli scrittori, che
hanno parlato dell'influenza del clima sui fenomeni sociali in
genere e specialmente sui fenomeni politici. Molti hanno anche cer-
cato di provarla ed hanno su di essa fondato intieri sistemi scien-
tifici. Fra questi primeggia il Montesquieu, il quale forse più re-
cisamente di ogni altro ha affermato l'influenza preponderante
del clima sul senso morale e sull'ordinamento politico delle na-
zioni: " Avvicinandovi ai paesi del Mezzogiorno voi potete credere
di allontanarvi dalla morale stessa ,, scrisse cello Spirito delie
leggio ed in altro brano della stessa opera sentenziò che la libertà
è incompatibile con i paesi caldi e che essa non prospera dove
fiorisce l'arancio. Altri scrittori ammettono che la civiltà sia nata
nei paesi caldi, ma sostengono pure che il suo centro di gravità
si sia andato sempre più spostando verso il nord e che ivi oggi
sono posti i paesi politicamente meglio organizzati (1).
Cominciando a trattare quest'argomento ci pare quasi superfluo
il rammentare che il clima di un paese non dipende esclusiva-
mente dalla sua latitudine ma risente anche l'influenza di altre
circostanze, quali sarebbero l'altezza sul livello del mare, l'espo-
sizione, i venti dominanti, ecc. Bisogna anche avvertire che non
tutto l'ambiente fisico dipende dal clima, cioè dalle variazioni
termometriche ed idrometriche; concorrono a determinarlo anche
altre circostanze, ad esempio la maggiore o minore popolazione,
che una contrada può avere, e perciò il grado al quale vi è arri-
vata la cultura del suolo ed anche il genere di cultiu'a più comu-
nemente in uso (2).
E innegabile poi che l'influenza, che il clima può esercitare in
(1) MoDGEOLLE, Statìquc des civilisations. Paris, Leroux, 1883 e Les problèmes
de V histoire. JParis, Reinwald, 1886; Bldntschli , Politik ah Wissenschaft .
Stuttgart, 1876.
(2) Gli abitanti di un paese scarsamente popolato, e perciò pastorale o bo-
schivo, vivono in un ambiente fisico differente di quelli che stanno in una
contrada molto popolosa e perciò intensivamente coltivata.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA
tutta la vita e suU'ordinainento politico di un popolo, deve andare
continuamente diminuendo col crescere della civiltà. Il regno ve-
getale è senza dubbio quello più sottomesso alle condizioni atmosfe-
riche e telluriche, perchè le piante, tranne che non siano allevate nelle
stufe, mancano quasi assolutamente dei mezzi di reagire e difen-
dersi contro le influenze esterne. Gli animali lo sono già di meno,
perchè per essi la difesa e la reazione non è del tutto impos-
sibile. L'uomo, anche selvaggio, lo è ancora meno, perchè sempre
superiori a quelli degli animali sono i suoi mezzi di difesa, e
meno di tutti lo è Tuomo d'avanzata civiltà, che dispone di tali
risorse da risentire relativamente ben poco gli effetti dei cam-
biamenti di clima, e queste risorse tuttodì va aumentando e per-
fezionando.
Ciò premesso, ci pare un concetto ovvio ed accettevole questo:
che le prime grandi civiltà siano nate nei siti dove la natura pre-
sentava più facilitazioni o minori resistenze ; sicché generalmente
esse hanno prosperato nelle grandi vallate di clima piuttosto caldo e
bene irrigue, che, con relativa facilità, permettono la cultm-a di
qualche cereale, cultura necessaria al sostentamento di grandi
masse umane in spazii relativamente piccoli (1).
Questa induzione è confermata dalla storia, che ci mostra le
prime civiltà essere sorte nelle vallate del Nilo, dell'Eufrate, del
Gange e del fiume Giallo, oppure nell'altipiano di Anahuac, paesi
che appunto presentano tutte le condizioni fisiche da noi accennate.
Una volta però che l'uomo è riuscito, in un sito eccezionalmente
favorevole, ad organizzare le sue forze in modo da domare la
natura, può in seguito vincerla in altri luoghi, nei quali essa si
mostra più restia. Ai giorni nostri, tranne le contrade polari e
(1) L'essere la popolazione abbastanza fitta "e condizione quasi indispensabile
al nascere di una civiltà; essa non è infatti possibile dove cento uomini vi-
vono dispersi in mille chilometri quadrati. Or, perchè molti uomini possano
vivere in uno spazio relativamente piccolo (almeno in 10 o 20 per chilometni
quadrato), è necessaria la coltivazione dei cereali. Ditatti troviamo la civiltà
chinese contemporanea o posteriore alla cultura del riso, quella egiziana e
mesopotamica basata sulla cultura del frumento, dell'orzo e del miglio, l'ame-
ricana indigena su quella del maiz. Forse in qualche paese tropicale alcune
frutta 0 radici farinacee, come il banano e la manioca, possono sostituire i
cereali.
10 ELEMENTI DI SCIKN/-A PitLITlCA
forse qualche regione equatoriale e qualch<3 altra, che, per malaria
o soverchia aridità, presenta specialissime condizioni sfavorevoli,
tutti gli altri paesi sono o possono diventare suscettibili di alber-
gare popoli civili.
VI. — La regola per la quale la civiltà si espande sempre dal
sud verso il nord, o meglio dai paesi caldi ai freddi, ci pare una
di quelle formolo sempliciste, che hanno la pretesa di spiegare, me-
diante una causa unica, fenomeni molto complessi. Essa non si fonda
che sopra un frammento della storia, su quella di un solo periodo
della civiltà eui'opea, ed anche questo superficialmente studiato. Esa-
minando con metodo analogo una carta geografica, osservando ad
es. quella della Germania settentrionale o della Siberia, si potrebbe
trarne la legge che tutti i fiumi scorrono da sud a nord, perchè ciò
avviene in quei paesi, che hanno le alture a mezzogiorno ed il mare
a tramontana. La regola potrebbe essere invertita se si osservasse
la Russia meridionale, e nell'America meridionale potrebbe tro-
varsene una terza : cioè che i fiumi scorrono da ovest ad est. La
verità è che i fiumi, senza alcun riguardo alla latitudine od alla
longitudine, scorrono sempre dall'alto in basso, dal monte o dagli
altipiani verso il mare od i laghi. E diremmo quasi che, conside-
rando come contrade più basse quelle dove si trova meno resi-
stenza, analoga è la legge che regola l'espansione delle varie
civiltà. Il movimento incivilitore procede indifferentemente da sud
a nord e da nord a sud, ma va sempre a preferenza verso quella
direzione nella quale incontra minori ostacoli naturali e sociali;
ed intendo per questi ultimi l'urto di un'altra civiltà originale, che
si espande in senso inverso alla x^rima.
Difatti la civiltà chinese, nata nelle provinole centrali dell'im-
pero, a nord è stata fermata dagli sterili e freddi altipiani del-
l'Asia centrale, mentre al sud si è potuta estendere non solo nelle
Provincie meridionali della China propriamente detta, ma anche
neirindochina. Anche la civiltà indiana trovando al nord la quasi
insuperabile catena dell'lmalaia si è estesa dal nord al sud, dal-
l'India settentrionale nel Deccan e poi anche a Ceylan ed a
Giava. La civiltà egiziana si estese a nord finché trovò nella
Siria settentrionale la potente confederazione dei Khetas, cioè
Furto di un'altra civiltà; potè al contrario espandersi maggior-
mente al sud, risalendo il corso del Nilo da Menfi a Tebe e da
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 11
Tebe a Meroe (1). La civiltà persiana, erede di quelle anticliissiine
della Mesopotamia. si estese da oriente ad occidente, direzione
nella quale trovava meno ostacoli naturali, finché non urtò nella
civiltà greca. Alla sua volta la civiltà greco-romana, abbracciando
tutto il bacino del Mediterraneo, limitata al sud da deserti insu-
perabili, all'Est dalla civiltà orientale, rappresentata dall'impero
partico e poi dal persiano, si estese a nord finche non incontrò
le paludi e le foreste, allora difficilissime, della Grermania setten-
trionale e della Scozia.
Anche la civiltà maomettana, limitata al sud dal mare e dal
deserto, dovette avanzarsi verso il nord-ovest. Nel Medio Evo la
civiltà em'opea, stretta al sud dalla civiltà araba, che le tolse tutta
la parte meridionale del bacino del Mediterraneo, si allargò verso
il nord, acquistando la Scozia, la Germania settentrionale, la
Scandinavia e la Polonia. Al giorno d'oggi la civiltà europea si
estende in tutte le direzioni, dovunque vi sono terreni scarsi di
popolazione e facilmente colonizzabili o nazioni di civiltà deca-
duta che asijettano chi le conquisti. Ed aggiungiamo che anche
il centro, il focolare precipuo di una civiltà si sposta, secondo
che essa si estende in un senso o nell'altro, obbedendo alla legge
che abbiamo accennato. I paesi che stanno alla frontiera di un
tipo di coltura umana non sono ordinariamente quelli che in essa
eccellono. Quando la civiltà em-opea abbracciava l'intero bacino
del Mediterraneo, la Grecia propriamente detta e Tltalia meri-
dionale stavano al centro del mondo civile ed erano i paesi più
prosperi, più colti, più ricchi; quando diventarono la più avanzata
avanguardia, che stava di fronte al mondo maomettano, necessa-
riamente decaddero (2).
(1) Rammentiamo che ora sembra provato che le più antiche dinastie fiori-
rono a Tanis ed a Menfi, che Tebe acquistò importanza soltanto dopo l'inva-
sione dei Pastori, che l'Etiopia fu incivilita dagli Egiziani e che solo molto
tardi divenne un regno indipendente.
(2) Nello stesso paese, a parità di condizioni, la parte più civile e prospera
è quasi sempre quella che ha comunicazioni più facili con le contrade che
formano il focolare o il centro irradiatore di quella tale civiltà alla quale il
paese stesso appartiene. Per esempio, in Sicilia la parte più prospera e civile
fu la costa orientale finche l'isola appartenne all'antica civiltà ellenica, che
avea appunto il suo centro all'Oriente della Sicilia (Bei.uch, La poj)olu:iont-
12 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
VII. — Ipotesi pure molto arrischiata ci pare quella che at-
tribuisce una moralità superiore ai popoli del settentrione di
fronte a (lucUi del mezzogiorno. La moralità risulta da qualità cosi
complesse dell'animo e della mente, ed hanno tanta parte nelle
sue affermazioni positive e negative le cù^costanze esteriori in cui
si svolge la vita umana, clie è già un giudizio abbastanza diffìcile
il determinare se un singolo individuo sia potenzialmente più mo-
rale di un altro; e lo stesso giudizio diventa difficilissimo quando
lo si vuol fare rispetto a due società, a due masse umane com-
poste di numerosissimi individui. I dati statistici su questo argo-
mento non possono dir tutto e spesso non dicono neanche abba-
stanza, e le impressioni personali, quasi sempre tropico subiettive (1;
sono anche più fallaci delle statistiche.
Il vizio, che più comunemente si attribuisce ai meridionali, è la
lussuria, mentre la ubbriachezza è più generalmente imputata ai
settentrionali. Ma si può invero osservare che i Negri del Congo
si ubbriacano più vergognosamente dei contadini russi e degli
operai svedesi e quanto alla lussuria pare che le abitudini ed il
tipo di organizzazione sociale, che ogni popolo per una serie di
circostanze storiche si è creato, vi influiscano più del clima. San
Vladimiro, lo czar che santificato diventò il patrono di tutte le
Russie, prima di convertirsi al cristianesimo teneva più donne nei
suoi serragli di quante ne poteva avere il califfo Harun-al-Raschid
ed Ivan il terribile per la crudeltà come per la lussuria emulò e
superò Nerone, Eliogabalo ed i più feroci sultani dell'oriente. Ai
giorni nostri la prostituzione di Londra, Parigi e Vienna ha. forse
superato quella antica di Babilonia e di Delhi. Nell'Europa odierna
della Sicilia antica. " Archivio storico siciliano ,, 1887). Durante il periodo
arabo, più colta, più ricca, più popolata fu la Sicilia occidentale, più vicina
all'Africa, da dove s'irradiava la civiltà maomettana (Amaki, Storia dei Musul-
mani in Sicilia. Firenze, Le Monnier, 1854-58-68). Al giorno d'oggi la maggiore
popolazione e ricchezza è sulla costa settentrionale dell'isola, che guarda verso
il nord di Europa.
(1) Generalmente fa più impressione quella data specie d'immoralità alla
quale siamo meno abituati e perciò facilmente gli uomini di un altro paese si giu-
dicano peggiori di quelli del nostro. Però è comune anche il vezzo di giudicare
più immorale degli altri quel paese in cui prima o meglio si è avuto occa-
sione di conoscere ed apprezzare i vizi e le debolezze, che son proprie di tutti
gli uomini.
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 13
il massimo dei reati di libidine lo presenta la Germania, vengono
dopo in ordine decrescente, il Belgio, la Francia, l'Austria-Unglie-
ria ; l'Italia occupa un ]Dosto vicino al minimo, il quale è segnato
dalla Spagna (1).
Molti fra i sociologi criminalisti generalmente ammettono che
nel Sud prevalgono i reati di sangue, quelli contro le persone,
mentre attribuiscono al nord un maggior numero di reati contro
la proprietà (2). Ma il Tarde ed il Colajanni hanno dimostrato al-
l'evidenza che le relazioni, che si sono volute trovare tra le varie
forme della delinquenza ed il clima sono piuttosto da attri-
buirsi alle differenze di condizioni sociali, che talora si riscontrano
tra le varie regioni di uno stesso Stato (3). E vero che negli Stati
Uniti d'America, in Francia e anche in Italia si osserva costantemente
una prevalenza dei reati di sangue al sud, mentre al nord vi è
un numero relativamente maggiore di reati contro la proprietà,
ma come fa rilevare benissimo lo stesso Tarde, in tutti questi
paesi le contrade meridionali sono più prive di comunicazioni,
più lontane dai grandi centri industriali e dai focolari della
odierna civiltà delle contrade settentrionali; or è naturale che la
forma violenta della criminalità prevalga, indipendentemente dal
clima, nei paesi più rozzi, mentre la criminalità astuta diventa più
comune in quelli più colti. E tanto è vero che questa è la migliore
spiegazione del fenomeno, che i dipartimenti francesi dove la cri-
minalità violenta è più elevata sono, è vero, nel mezzogiorno
della Francia, ma hanno un clima relativamente freddo perchè
montagnosi (4). Ciò si osserva anche in Italia, dove la Basilicata,
contrada che ha dato uno dei più forti contingenti dei reati di
sangue, è un paese montagnoso di clima relativamente freddo, e
son coperti di neve per gran parte dell'anno i gioghi del Matese,
del Gargano e della Sila e quelli dove stanno alcuni Comuni
della Sicilia famosi per imprese sanguinarie e brigantesche (5).
(1) Colajanni, Sociologia criminale, voi. TI, cap. VII, Catania, Tropea edi-
tore, 1889.
(2) Vedi le opere del Maury, del Lombroso, del Ferri, del Puglia.
(3) Takde, La Criminalità comparée, cap. IV.
(4) Sarebbero i dipartimenti dei Pirenei orientali dell'Ardèche e della Lozère.
(5) Nella già citata Sociologia criminale del Colajanni (voi. 11, cap. VII) si
contengono altri numerosissimi e calzanti esempi, che dimostrano la scarsa o
nessuna influenza del clima nella criminalità.
14 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Vili. — Venendo poi alla parte strettamente politica della
<luistione diremo che, prima di sentenziare che i meridionali siano
incapaci di libertà, bisogna intendersi sul significato preciso e
scientilico di questa parola. Se ammettiamo che paese più libero
sia quello in cui i diritti dei governati sono meglio difesi contro
l'arbitrio personale e la voglia di prepotere dei governanti, dob-
biamo convenire che istituzioni politiche sotto questo riguardo ri-
tenute migliori, sono state in vigore tanto in paesi freddi quanto
in altri temperati molto, come, ad esempio, la Grecia e Roma.
Viceversa l'arbitrio dei governanti innalzato a sistema di governo si
può trovare anche in paesi freddissimi come la Russia, II sistema
costituzionale non ebbe inizi più vigorosi nella brumosa Inghil-
terra che nell'Aragona, nella Castiglia ed in Sicilia (1). Am-
messo che presentemente le diverse modalità di governo rap-
presentativo possano essere riguardate come le forme di regime
politico meno imperfette, noi le troviamo in vigore in Europa,
tanto al nord che al sud, e, fuori d'Europa, funzionano forse tanto
bene nel freddo Canada che al Capo di Buona Speranza, dove il
clima, se non caldo addirittura, è certo temperatissimo.
La ragione per la quale i meridionali dovrebbero essere meno
atti ad un regime politico libero ed elevato non può essere altra
che questa : che essi hanno minore energia fìsica e sopratutto mi-
nore energia morale ed intellettuale. E infatti una opinione molto
comune che i settentrionali siano destinati con la loro superiore
energia, che si esplica nel lavoro, nelle armi, nelle scienze, a con-
quistare sempre i fiacchi meridionali. Ma questa opinione è anche
più superficiale e più contradetta dai fatti di quelle che abbiamo
precedentemente confutato. Invero le civiltà nate e sviluppate in
climi caldi o molto temperati ci hanno lasciato monumenti, che
testimoniano di una avanzata cultura e di una incalcolabile
energia di lavoro, che riesce più maravigliosa quando si rammenta
che esse non disponevano di quelle macchine, che ora centuplicano
(1) Per farsi un concetto dell'importanza e dello sviluppo che ebbe l'antica
costituzione siciliana si può consultare: Rosario Gregorio, Introduzione allo
studio del diritto pubblico siciliano e Considerazioni sulla Storia di Sicilia (Pa-
lermo, 1794 e 1831-34). Se Montesquieu avesse esteso i suoi viaggi un po' piìi
a mezzogiorno, avrebbe trovato in Sicilia un ordinamento politico nel quale,
anche ai suoi tempi, l'autorità regia era molto più temperata che in Francia.
OAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 15
le forze clell'uomo. La laboriosità di un popolo più che dal clima
pare che dipenda da abitudini che sono in gran parte detenninate
dalle sue vicende storiche. In generale hanno abitudini laboriose
i popoli di antica civiltà, pervenuti da lungo tempo allo stadio
agricolo e che pure da lungo tempo hanno goduto di un regime
politico tollerabile, il quale assicura ai lavoratori una parte almeno
del frutto dei propri sforzi. Al contrario i popoli barbari e semi-
barbari, o ricaduti in una parziale barbarie, abituati a vivere in
parte di guerra e di ladroneccio, fuori della guerra e della caccia
sogliono essere pigri ed inerti. Come tali infatti Tacito descrive
i Grermani antichi, tali sona adesso le Pelli Rosse deirAmerica
settentrionale e oltremodo pigri sono pure i Calmucchi, sebbene
i primi abbiano abitato e gli altri abitino ancora in paesi molto
freddi. Al contrario laboriosissimi sono i Chinesi delle provincie
meridionali e con gran tenacia sanno lavorare i Fellah egiziani.
E se la mancanza di grandi industrie nella parte i)iù meridionale
deH'Eui'opa ha fatto nascere ed alimenta il pregiudizio che i suoi
abitanti siano poco laboriosi, chi conosce bene quelle popolazioni
sa benissimo che in generale quest'accusa è poco meritata (1).
Se ammettiamo che la superiorità militare sia una prova di
maggiore energia, in verità è difficile stabilire se i settentrionali
abbiano vinto e conquistato i meridionali più di frequente di
quello che ne siano stati alla lor volta vinti e conquistati. Eran
meridionali gli Egiziani, che nei loro bei momenti percorsero
vittoriosi l'Asia fino alle montagne deir Armenia, ed abitavano in
un paese di clima temperatissimo quei guerrieri Assiri, dei quali
si può detestare la crudeltà ma bisogna anche ammirare Tindo-
mabile energia bellicosa. Eran meridionali i Greci, che seppero
conquistare tutta l'Asia occidentale, e con le armi, le colonie, i
commerci, la superiorità del loro genio, ellenizzarono tutta la parte
orientale del bacino del Mediterraneo e gran parte di quello del
(1) Citeremo l'esempio della Sicilia: quest'isola, sopra una superficie di circa
25,000 chilometri quadri ha una popolazione di più di tre milioni e mezzo d'abitanti,
ossia più di 130 per chilometro quadro. Non ha grandi industrie, né grande
abbondanza di capitali, il suo suolo è in gran parte montagnoso, ricco di sole
ma povero di acque: or, in queste condizioni, perchè una popolazione possa
vivere con un'agiatezza appena discreta è necessario un lavoro agricolo inde-
fesso ed anche abbastanza ben diretto.
16 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Mar Nero. Lo erano anche i Romani, le cui legioni coprirono i
piani della Dacia, penetrarono nelle inaccessibili foreste della
Germania ed inseguirono i Pitti ed i Caledoni fin nei più remoti
ricettacoli delle loro fredde e selvagge montagne. Erano meridio-
nali gl'Italiani del Medio Evo, che fecero prodigi d'attività mili-
tare, industriale, commerciale ; e meridionali erano gli Spagnuoli
del cinquecento, quei famosi conquistadores, che in meno di mezzo
secolo, esploravano, percoiTCvano e conquistavano la maggior parte
dell'America. Meridionali erano, rispetto agl'Inglesi, quei Franco-
Normanni, seguaci di Guglielmo il conquistatore, che in pochi anni
sei)pero spossessare quasi del tutto gli abitatori della parte meri-
dionale della Gran Brettagna, e che, colla spada alle reni, perse-
guitarono gli Angli fino all'antica muraglia romana; e meridio-
nali in senso assoluto quegli Arabi, che, in meno di un secolo,
seppero imporre la loro conquista, e, colla conquista la lingua,
religione e civiltà loro a tanta parte di mondo quanta ne hanno
forse conquistata e colonizzata gli Anglo-Sassoni in parecchi secoli.
IX. — Le differenze di organizzazione sociale determinate
dalla configurazione del suolo possono essere considerate come
appendice di quelle dovute alla varietà dei climi, sebbene siano
forse più importanti.
Non si i)uò negare infatti che l'essere un paese più o meno
piano o montuoso, il trovarsi sulle grandi vie di comunicazione
o l'esserne appartato, sono elementi che influiscono nella sua storia
molto più di alcuni gTadi in più o in meno nella sua media ter-
mometrica; ma neppure la loro importanza deve essere esagerata
al punto da farne una legge fatale. Certe circostanze topografiche,
che, date alcune condizioni storiche, sono favorevoli, in altre con-
dizioni diventano sfavorevolissime e viceversa. La Grecia, quando
tutta l'Europa era ancora all'età del bronzo e nei primordi di
quella del ferro, si trovò in condizione maravigliosamente favo-
revole per diventare il primo paese civile di questa parte del
mondo; perchè, a preferenza di qualunque altra contrada, potè
ricevere le infiltrazioni della civiltà egiziana e di quelle asiatiche.
Ma nell'epoca moderna, fino a quando si tagliò l'istmo di Suez,
si può dire che lo stesso paese sia stato fra quelli d'Europa più
sfavorevolmente situati, perchè lontano dal centro della coltura
europea e dalle grandi vie del commercio transatlantico ed indiano.
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 17
Altra opinione abbastanza diffusa in questi argomenti è quella
che fa i montanari abitualmente superiori ai pianigiani e destinati
quasi sempre a conquistarli. Certo essa è meno infondata di quella
che attribuisce una grande superiorità ai popoli settentrionali,
perchè, se è discutibile che un clima freddo sia più salutare di
quello temperato o caldo, sembra accertato che i paesi elevati sono
quasi sempre più salubri di quelli bassi, e miglior salute vuol dire
costituzione fìsica più forte e perciò maggiore energia individuale.
Ma non sempre una maggiore energia individuale va unita ad
una più forte organizzazione della compagine sociale, della quale
in fondo dipende l'essere una gente dominatrice o dominata. Ora
un saldo organismo politico, che riunisca e diriga gli sforzi di
grandi masse d'uomini, è più facile che sorga e si mantenga nelle
pianure anziché nelle montagne. Difatti noi vediamo in Oriente i
montanari Circassi, Curdi ed Albanesi avere individualmente spesso
raggiunta una grande importanza, le loro bande, che entravano al
servizio degli imperi limitrofi, essere spesso diventate influenti e
temute (1), ma l'Albania, la Circassia ed il Curdistan non hanno
mai, in tempi storici, formato il nocciolo di grandi imperi indi-
pendenti, anzi sono stati sempre attratti nell'orbita dei grandi
organismi politici, che hanno toccato i loro confini. Anche gli Sviz-
zeri hanno avuto grande importanza come individui e come corpi
di soldati mercenari, ma la Svizzera, come nazione, non ha mai
pesato sensibilmente nella bilancia politica d'Europa.
Nella storia poi, in generale, si vede che se le ardite bande dei
montanari hanno spesso devastato più che conquistato le pianure,
più spesso ancora gli eserciti organizzati dei pianigiani sono riu-
sciti vincitori degli sforzi sconnessi dei montanari e li hanno sta-
bilmente domati. Furono i Romani che conquistarono i Sanniti,
mentre questi poterono solo qualche volta vincere i Romani; e,
nella Gran Brettagna, se le bande dei montanari scozzesi scorsero
e devastarono qvialche volta il nord dell'Inghilterra, gl'Inglesi
pianigiani vinsero e conquistarono più di frequente la montuosa
Scozia e finirono col domarne gli umori riottosi e coll'assimilarla
(1) Era Curdo Saladino, Albanese Mehemet Ali, primo Kedivó d'Egitto. Cir-
cassi erano i famosi bey mammalucchi, che per tanti secoli tennero il dominio
dell'Egitto.
tì. Mosca, Rlrinfiiti di Srienr:a Politira. 2
18 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
completamente. Ne del resto si può ammettere che i popoli abi-
tanti nelle pianure debbano essere necessariamente destituiti o
anche scarsi di energia : basta riflettere che gli Olandesi, i Tedeschi
settentrionali, i Russi e gli stessi Inglesi sono in gran parte abi-
tatori di un paese molto basso per comprendere quanto un'oi)i-
nione simile sarebbe poco fondata.
X. — Il metodo che fa dipendere dalla razza alla quale un
popolo appartiene oltre che il grado di progresso civile, che ge-
nericamente ha raggiunto, anche il tipo di ordinamento politico,
che ha adottato, è molto meno antico dell'altro, che arbitro di
tutto fa il clima. Ne poteva essere altrimenti, perchè l'antropo-
logia e la filologia comparata, sulle quali è fondata la classifica-
zione scientifica delle razze umane, sono scienze molto recenti :
Broca e Grimm sono vissuti nel secolo decimonono, mentre una
nozione abbastanza approssimativa delle differenze di clima si è
potuta avere fin dal tempo di Erodoto. Però, per quanto tardi
venuta, altrettanto la tendenza etnologica nelle scienze sociali è
stata invadente : e negli ultimi decenni del secolo decimonono
con la differenza e l'azione delle varie razze si è cercata di spiegare
tutta la storia dell'umanità (1).
Si è fatta la distinzione tra razze superiori ed inferiori, attri-
buendo alle prime la civiltà, la moralità, la capacità di costituirsi
in grandi agglomerazioni politiche; riserbando alle altre la sorte
dura, ma fatale, di sparire davanti le razze elevate oppure di es-
serne conquistate ed incivilite. Alla meno peggio si ammette che
esse ]30ssano continuare a vivere restando indipendenti, ma senza
poter mai raggiungere quella cultura e quel perfetto ordinamento
sociale e politico, che sono propri soltanto dei popoli di stirpe pri-
vilegiata.
Renan scrisse che la poesia dell'anima, la fede, la libertà, l'onestà,
il sacrifìcio non apparvero nel mondo che con le due grandi razze,
che in certo senso hanno formato l'umanità: cioè la razza ariana
(1) Vedi fra gli altri Quatrefages, Histoire generale des races hunmines. Paris,
1889; GuMPLOwicz, Der Rassenkampf. Insprùck, 1884; Lapouge, diverse mono-
grafie pubblicate nella " Revue d'Anthropologie „ del 1887 e del 1888, oltre ai
lavori dell'HELWALD, del De Gobineau [Essai sur Vinégalité des races hunmines.
Paris, 1884, ed. Didot), ecc.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 19
e la semitica (1). Per De Gobineau il punto centrale della storia
■è sempre là dove abita il gruppo bianco più puro, più intelli-
gente, più forte. Il Lapouge porta la stessa dottrina alle più
estreme conseguenze; secondo quest'autore non solo la razza ve-
ramente morale e superiore in tutto è l'ariana, ma in questa
stessa eccellono solo quegli individui, che il tipo ariano conser-
vano pui'o ed incontaminato; coloro che sono alti, biondi e doli-
cocefali. Anche fra i popoli che passano per indogermanici questi
individui non sarebbero che un'esigua minoranza dispersa fra una
maggioranza di bassi, bruni e brachicefali. I veri ariani perciò,
piuttosto numerosi tra gl'Inglesi ed i Nord-Americani, comincereb-
bero a scarseggiare in Germania, dove si potrebbero trovare solo
nelle classi superiori, sarebbero rarissimi in Francia, e nei paesi
dell'Europa meridionale diventerebbero merce quasi sconosciuta (2).
Accanto a questa scuola, che sostiene la superiorità innata e
fatale di alcune razze umane, ve ne è un'altra, che, senza essere
con essa in assoluto contrasto, più direttamente si rannoda alle
teoriche di Darwin, le cui applicazioni alle scienze sociali nella
seconda metà del secolo scorso sono state larghissime. Lo Spencer
è lo scrittore più in fama di questa seconda scuola, i cui seguaci
sono numerosissimi : essi, senza sostenere la superiorità inevitabile
e continua di una razza sulle altre, credono che ogni progTesso
sociale sia avvenuto ed avvenga per via della cosi detta evoluzione
organica e superorganica. Secondo questa scuola entro ogni società
avverrebbe una lotta continua, quella per l'esistenza ; per la quale
gl'individui più forti, migliori, più adatti all'ambiente, sopra wi-
verebbero ai più deboli e meno adatti e prolificherebbero a pre-
ferenza di questi ultimi, comunicando ai loro tigli come innate
(1) Vita di Gesù, cap. 1. In altri lavori lo stesso autore descrive il Semita
in modo poco lusinghiero.
(2) Vedi articoli citati nella " Revue d'Anthropologie „. 11 Morselli, in un
articolo pubblicato nella " Illustrazione popolare , del 1887 (Biondi e Bruni)
fa sua la tesi del Lapouge, sostenendo la superiorità dei biondi sui bruni;
perchè le nazioni più civili sono quelle dove prevalgono più i biondi e nella
stessa nazione è sempre più civile quella regione o provincia dove i biondi
sono più numerosi. Ammesso che il fatto sia vero, bisognerebbe pure provare
che nel passato i popoli bruni non siano mai stati piìi civili e più forti dei
biondi, giacche, in questo caso, la presente superiorità delle nazioni e Provincie
dove il pelo fulvo è più comune potrebbe essere dovuta ad altre cause.
20 ELEMENTI DI S(;IENZA l'OLITICA
quelle (jualità per le quali essi avevano ripoiiato la vittoria e che
per loro erano acquisite per via di una lenta educazione. Ija stessa
lotta avverrebbe tra le società stesse, per la quale quelle più so-
lidamente costituite, o composte di individui più forti, vincereb-
bero le altre meno vantaggiosamente dotate, che, cacciate nei siti
meno adatti all'umano sviluppo, sarebbero condannate a rimanere
in uno stato di perenne inferiorità.
Non è difficile trovare una differenza sostanziale fra le due
dottrine testé ricordate, perchè, anche ammettendo la teoria mono-
genistica, cioè che tutte le razze umane siano derivate da unico ceppo,
è certo che i loro caratteri differenziali sono antichissimi, e si dovet-
tero fissare in epoche molto remote, quando l'uomo non avea oltre-
passato lo stadio della vita selvaggia ed era quindi più adatto a
sentire l'influenza degli agenti naturali coi quali era in contatto (1).
Stando perciò alla teoria strettamente etnologica, fin dall'inizio
dell'epoca storica le razze elevate avrebbero già avnto quei carat-
teri di superiorità, che conservano ancora quasi inalterati; mentre
la teoria propriamente detta evoluzionista, implicitamente od espli-
citamente, ammette che la lotta per l'esistenza abbia avuto i suoi
effetti pratici più recentemente e ad essa attribuisce il decadere
od il prosperare delle varie nazioni e civiltà dm-ante il periodo
storico.
XI. — Prima di parlare della superiorità od inferiorità delle
varie razze umane bisogna determinare il valore della parola
razza ^ alla quale si attacca un significato ora molto lato, ora
assai ristretto. Si dice la razza bianca, la gialla e la nera, indi-
cando varietà della specie umana distinte non solo dal linguaggio,
ma anche da differenze anatomiche abbastanza importanti e pal-
pabili, e si dice pure la razza ariana e la semitica X3er indicare
due suddivisioni della razza bianca, distinte, è vero, dal linguaggio,
ma la cui somiglianza fisica è notevolissima. Si dice anche la razza
latina, la germanica, la slava, denominando sempre con lo stesso
(1) È accertato che, fin da un'epoca preistorica abbastanza remota, la razza
americana indigena avea quei caratteri fisici che ancora la distinguono ; in
bassorilievi egiziani molto antichi (di circa venti secoli prima dell'era volgare)
le figure dei Negri, dei Semiti, degli Egiziani indigeni hanno quei caratteri
fisici, che ancora distinguono queste razze.
OAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 21
vocabolo tre suddivisioni del ramo ariano della razza bianca; le
quali, sebbene parlino lingue differenti, pure è dimostrato che filo-
logicamente sono legate da una origine comune e le cui differenze
fìsiche sono minime^ tanto che può accadere che un individuo del-
l'una sia giudicato come appartenente ad un'altra. Or la confu-
sione delle parole porta in questo caso, come semi^re, quella delle
idee : la differenza di razza si fa valere tanto per sx:)iegare certe
diversità, che vi sono nella civiltà e nell'ordinamento politico dei
bianchi e dei negri, quanto per giustificare quelle tra latini, ger-
mani e slavi ; mentre, nel primo caso, può veramente il coeffi-
ciente etnologico avere molta importanza e, nel secondo, averne
una minima.
Bisogna anche por mente che, nel periodo storico ed in quello
preistorico, gl'incrociamenti e le mescolanze, specialmente fra po-
poli di razza molto affine, sono state frequenti. In quest'ultimo
caso, siccome le differenze fisiche fra le razze che si sono incro-
ciate sono poco importanti e sopratutto non facilmente percepi-
bili, nel fare le classificazioni più che ai caratteri anatomici si è data
importanza alle affinità filologiche. Ma questo criterio è tutt"altro
che sicuro ed infallibile. Spesso può avvenire ed avviene che due
popoli strettamente parenti per sangue parlino lingue, che filolo-
gicamente hanno lontani rapporti, mentre popoli di razza diversa
possono servirsi di lingue e di dialetti, le radici e la struttura gram-
maticale dei quali sono molto affini. Per quanto la cosa sembri a
prima vista improbabile, pure vi sono molti esempi e circostanze
storiche che la spiegano e la provano ; generalmente i popoli con-
quistati, se sono meno civili dei conquistatori, ne adottano le leggi,
le arti, la cultura, la religione e spesso finiscono con l'adottarne
la lingua (1).
(1) 1 Greci ed i Romani seppero maravigliosamente espandere la loro lingua
e la loro civiltà facendole adottare dai popoli barbari. In Francia il sostrato
della popolazione è ancora celto-kimi-ico, mentre il francese e un linguaggio
essenzialmente neo-latino. Anche in Ispagna è probabilissimo che nel nord
della penisola prevalga il sangue basco, mentre nel sud dev'essere fortissima
la mescolanza del sangue arabo-berbero. Nella stessa Italia vi sono certo dif-
ferenze etniche sensibilissime tra gl'Italiani del nord e quelli del sud e delle
isole, sebbene i varii dialetti siano tutti essenzialmente neo-latini. Andando
fuori dall'influenza della lingua latina troviamo che i Fellah, discendenti dagli
22 EI.RMENTI DI SCIENZA POLITICA
Ciò premesso, ci pare un fatto assodato che le razze più misere,
quelle che is^li antropoioghi chiamano più basse, i Fuegiani, gli
Australiani, i Boschimani, ecc., siano fisicamente ed anche intel-
lettualmente inferiori alle altre. Che questa inferiorità sia innata,
che sia sempre esistita, o che si debba attribuire alla desolazione
delle contrade che quei popoli abitano, alla scarsezza di risorse
che esse offrono ed all'estrema miseria che ne è la conseguenza,
è quistione che non è né facile né indispensabile per noi di risol-
vere. Del resto queste razze non formano che una frazione picco-
lissima dell' umanità, frazione che va rapidamente diminuendo
avanti l'espansione della razza bianca, dietro la quale si va in
molti luoghi infiltrando anche la gialla. Per spirito di giustizia
bisogna riconoscere che il prosperare di queste due razze, in quelle
stesse terre dove gli aborigeni potevano solo stentatamente vivac-
chiare, non è tutto dovuto alla superiorità organica, che esse van-
tano. Griacchè i nuovi abitatori portano seco cognizioni e mezzi
materiali, mercè i quali traggono abbondanti sussistenze da quelle
zolle, che spontaneamente avrebbero dato quasi nulla. L'indigeno
australiano si contentò per secoli e secoli d'inseguire i kanguri, di
abbattere uccelli col bòmerang o, alla peggio, di mangiare lucer-
tole : ma bisogna confessare che non aveva alcun mezzo di pro-
curarsi le sementi dei grani e delle altre piante commestibili, ne
i progenitori delle mandrie di montoni, che sono stati a disposi-
zione dei coloni inglesi.
antichi Egiziani, hanno dimenticato l'antichissima lingua di Mizraim ed adot-
tato l'arabo, la quale lingua si è inoltre generalizzata nell'Irak-Arabi, nella
Siria e va sempre più diventando la lingua parlata dai Berberi dell'Africa.
Nell'India dialetti provenienti dal sanscrito sono parlati da popolazioni che
nel colore della pelle e nei lineamenti mostrano fortissima la mescolanza, e
forse anche la prevalenza, del sangue dravidico. Nella Slesia, nel Brandeburgo.
nella Pomerania e nella vecchia Prussia il tedesco è parlato da popolazioni
di origine in parte slava o letta. Finalmente ai giorni nostri i Celti dell'Irlanda
e del nord della Scozia vanno sempre più adottando l'inglese.
Queste considerazioni sono ovvie; pure si continuano a fare le classificazioni
etnografiche, specialmente quelle dei popoli europei, appoggiandosi unicamente
sopra i criterii filologici. In verità in favore di questo sistema si può addurre
che la somiglianza delle lingue, occasionando fra certi popoli un maggiore
scambio d'idee e di sentimenti, contribuisce a dar loro una somiglianza di
tipo intellettuale e morale molto più forte di quella che si suole attribuire
alla consangiiineità.
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 23
Ben più difficile è il sentenziare sopra l'inferiorità della razza
americana aborigena e della razza nera. Esse sono state da tempo
immemorabile in possesso di vastissime contrade, nelle quali jjo-
tenti civiltà si sarebbero potute sviluppare. In America infatti,
nel Messico, nel Perù, in qualche altro sito esistevano od avevano
esistito possenti imperi, dei quali però non possiamo esattamente
determinare il grado di cultura, perchè ebbero il torto di crollare
davanti l'urto di poche centinaia di avventurieri spagnuoli. In
Africa qualche volta la razza nera si è politicamente organizzata
in vasti imperi, come fu per es., quello di Uganda, ma nessuno
ha raggiunto spontaneamente tal grado di cultura da potere essere
paragonato agli Stati più antichi fondati dalla razza bianca o
dalla gialla, agli imperi chinese. babilonese o egizio antico, nel
quale la razza incivilitrice non era la nera. Parrebbe perciò che
tanto per gli Americani indigeni quanto per i Negri una certa
inferiorità si possa anche a prima vista stabilire.
Ma quando le cose vanno in un modo, non sempre è lecito as-
serire che dovevano necessariamente ed immancabilmente andare
in quel modo. E dubbio che Tuomo sia vissuto durante il periodo
terziario, ma è un fatto scientificamente provato che la sua anti-
chità risale al principio del periodo quaternario, e che perciò va
calcolata non per migliaia d'anni, ma per centinaia e forse mi-
gliaia di secoli. Ora le razze, l'abbiamo già accennato, dovettero
formarsi in epoca remotissima, e, trattandosi di periodi cosi lunghi,
l'essere una razza arrivata, trenta, quaranta, anche cinquanta se-
coli prima ad un perfezionamento ragguardevole di cultura, non
è una prova infallibile di superiorità organica. Delle circostanze
esteriori, spesso anche fortuite, la scoperta e l'uso di un metallo,
cosa più o meno agevole secondo i vari paesi, l'avere o no a por-
tata della mano piante o animali addomesticabili, possono acce-
lerare o ritardare lo sviluppo di una civiltà, ovvero mutarne le
vicende. E innegabile che se gli Americani indigeni avessero
conosciuto l'uso del ferro (1), o se gli Europei avessero scoperto
la polvere da sparo due secoli dopo, questi non avrebbero cosi
presto e così completamente distrutto le organizzazioni politiche
(1) L'ipotesi non ha niente d'impossibile perchè conoscevano altri metalli,
come l'oro ed il rame.
24 ELEMENTI DI SCIENZA l'()LITICA
di quelli. Né bisogna dimenticare che, quando una razza ari'ivata
ad una civiltà matura si trova in contatto con un'altra ancora allo
stato barbaro, se da una jjarte le fornisce una quantità di stru-
menti e cognizioni utili, dall'altra ne disturba ]jrofond amente,
quando non ne arresta del tutto, lo ,svilu])})0 spontaneo ed ori-
ginale.
I Bianchi infatti non solo hanno quasi dappertutto distrutto od
asservito gli Americani indigeni, ma per secoli hanno anche ab-
brutito ed impoverito la razza negra coU'alcool e colla tratta;
sicché si deve convenire che la civiltà europea finora non solo ha
contrastato, ma quasi ha impedito tutti gli sforzi che Negri e Pelli
Rosse avrebbero potuto spontaneamente fare per progredire.
A diversi rami della razza americana indigena si fa il rimpro-
vero, che si estende anche ai Polinesi oltre che agli Australiani e
ad altre razze umane delle più misere, di non saper sopportare il
contatto coir uomo bianco e di scomparire rapidamente davanti
l'avanzarsi di questo. La verità è che i Bianchi tolgono alle razze
di colore i mezzi di sussistenza, prima che esse possano abituarsi
a far uso dei nuovi mezzi di sostentare la vita, che sono dagli
stessi Bianchi introdotti. Ordinariamente i territori di caccia delle
tribù selvaggie sono invasi e la grossa selvaggina è distrutta prima
che gl'indigeni abbiano potuto adattarsi all'agricoltura. Inoltre le
razze civili comunicano alle meno civili le loro malattie, senza che
quest'ultime possano ordinariamente giovarsi dei metodi preven-
tivi e curativi, che il progresso scientifico ed una lunga esperienza
hanno a quelle insegnato. La tisi, la sifilide ed il vaiuolo fareb-
bero probabilmente tra noi la stessa strage, che fanno presso
alcune tribù selvaggie, se noi queste malattie prevenissimo e
curassimo con i soli mezzi che sono alla portata dei selvaggi,
che consistono nel non averne alcuno.
Sono generalmente le Pelli Rosse ed i Negri inferiori ai Bianchi
come individui? Sebbene i più rispondano subito ed energicamente
di sì, qualcuno dice con eguale prontezza e risoluzione di no ; a
noi pare difficile l'affermarlo con sicurezza, come il negarlo.
Chi rammenta la storia della prima colonizzazione della Virginia
deve convenire che la figlia di Powattan, il Sachem che coman-
dava in quelle contrade all'arrivo dei Bianchi, la gentile ed affet-
tuosa Pocahonta, aveva doti di mente e di cuore non inferiori a
quelle di quasi alcuna fanciulla europea dei suoi tempi. Stanley,
GAP. I - IL METODO KELLA SCIENZA POLITICA 25
che i Negri doveva conoscer bene, non sentenzia mai sulla infe-
riorità assoluta della razza africana, anzi cita parecchi esempi di
Negri intelligenti e non privi di qualità morali, specie tra quelli
che sono stati educati tra popoli civili : anche tra quelli assoluta-
mente barbari trova sviluppate certe qualità, che sono state a pre-
ferenza coltivate \ ad esempio, dice che nel Congo anche un fan-
ciullo riesce superiore al più astuto sensale europeo neirabilità di
far valere la sua merce, nel saper vender caro e comprare a buon
patto (1). Gli Americani indigeni, dove si sono mescolati coi Bianchi
e ne hanno abbracciato la civiltà, non hanno mancato di dare
qualche uomo notevole, come ad esempio Garcilasso della Yega
e Benito Juarez (2). I Negri nelle identiche condizioni x^ossono
vantare Toussaint Louverture, il Morton dotto teologo ed uma-
nista, il Firmin (3) e parecchi altri. Dobbiamo però confessare che,
nell'una e nell'altra razza, la nota delle indi\'idualità cospicue è
molto scarsa rispetto alla quantità d'individui, che hanno avuto
e hanno la ]30ssibilità di fruire dei vantaggi che offre il vivere
civile. Però ha qualche peso l'osservazione che un dotto vescovo
di razza negra facea al George (4) : che i fanciulli negri nelle
scuole profittano quanto i bianchi e si mostrano egualmente svegli
ed intelligenti fino all'età di dieci o dodici anni, ma, appena co-
minciano a capire che essi appartengono ad una razza conside-
rata inferiore, e che a loro non è riservata altra sorte che quella
di fare i cuochi ed i facchini, si svogliano dallo studio e cadono
nell'apatia. Non si può infatti negare che in gran parte dell'Ame-
rica gli uomini di colore siano generalmente considerati come es-
seri inferiori, che debbono essere necessariamente rilegati negli
ultimi strati sociali; or, se le nostre classi diseredate portassero
nell'aspetto l'impronta indelebile della loro inferiorità sociale, è
certo che tra esse ben pochi sarebbero gli individui i quali avreb-
(1) Vedi Cinq-années an Congo. Traduttore Gerard Harry. Paris. 1885. edi-
tore Dreyfus.
(2) Porfirio Diaz, giìi presidente della repubblica messicana, che seppe as-
sicurare al suo paese un lungo ed inconsueto periodo di tranquillità, era un
meticcio.
(3) Autore del libro V Egalité des races hutnaines. Paris. 1885. — Citato dal
CoLAjANNi, Sociologia criminale, voi. II, pag. 227.
(4) Progress and povertg. cap. ultimo. London. IS^!;-!.
26 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
bero l'energia di sollevarsi ad ima condiziono sociale molto supe-
riore a (inolia della loro nascita.
Ad ogni modo, se (lualche dubbio è lecito di elevare sulla atti-
tudine dei Negri e degli Americani indigeni ad una civiltà e ad
un ordinamento politico superiore, ogni perplessità vien meno ri-
guardo non solo agli Arii ed ai Semiti, ma a tutta la razza cosi
detta mongolica o gialla ed anche a quella razza bruna, che nel-
l'India vive ora mescolata con la razza ariana e nella China me-
ridionale, neirindochina, forse anche nel Giapjjone si è fusa con
quella gialla (1). Il complesso di queste razze forma certamente
più dei tre (juarti e forse i quattro quinti dell'intera umanità.
I Chinesi hanno saputo fondare una civiltà originalissima, che
maravigliosamente è durata e più maravigliosamente ancora Jia
saputo espandersi. Figlia in gran parte della civiltà chinese è
quella del Giappone e quella della Indochina, e pare che abbia
appartenuto alla razza turanica quel popolo dei Somiri e degli
Akkad, che fondò la più antica civiltà babilonese. La razza bruna
pare che fosse autrice dell'antichissima civiltà delFElam o Susiana,
ed una civiltà autoctona pare che esistesse nell'India prima del-
l'arrivo degli Ariani. L'Egitto deve la sua civiltà ad una razza,
che si dice sub-semitica o berbera, e Ninive, Sidone, Gerusalemme,
Damasco, forse anche Sardi, appartennero ai Semiti. Alla più re-
cente civiltà degli Arabi maomettani ci pare superfluo accennare.
Xn. — Senza ammettere la superiorità o l'inferiorità assoluta
di alcuna razza umana, molti credono che ognuna di esse abbia
speciali qualità intellettuali e morali in corrispondenza necessaria
con certi tipi di organizzazione sociale e politica, dai quali il suo
siiii'ito, o meglio ancora, ciò che si dice il genio stesso della razza
non le permettono di allontanarsi.
Or fatta la debita parte alle esagerazioni, che facilmente si am-
mettono su questo argomento, tenuto sempre presente il gran
fondo umano, che si ritrova in tutti i popoli ed in tutti i tempi,
è innegabile che non diciamo ogni razza, ma ogni nazione, ogni
(1) Non parliamo della razza polinesia, la quale ha forse attitudini superiori,
ma, essendo scarsa di numero, e dispersa quasi tutta in piccole isole, non ha
potuto creare alcuna grande civiltà.
CAP. T - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 27
regione, ogni città ha un certo tipo speciale, non dappertutto
ngualmente determinato e preciso, il quale consiste in un com-
plesso d'idee, di credenze, di opinioni, di sentimenti, di consuetu-
dini e di pregiudizi, i quali rappresentano per ogni gruppo dell'uma-
nità cioè che i lineamenti del viso sono per ogni individuo.
Ma questa diversità di tipo sarebbe sicuramente una conse-
guenza delle diversità fìsiche, della varietà della razea, del sangue
diverso che scorre nelle vene di ogni nazione, se non trovasse la
sua spiegazione in un altro fatto, che è uno dei più sicuri e co-
stanti, che si possono accertare mercè l'osservazione della natura
umana. Intendiamo alludere al Tnimetismo^ a quella grande forza
psicologica per la quale ogni individuo suole acquistare le idee,
le credenze ed i sentimenti, che sono più comuni nell'ambiente
nel quale è cresciuto. Salvo rare e quasi mai complete eccezioni,
si pensa, si giudica, si crede, come pensa giudica e crede la so-
cietà nella quale viviamo ; delle cose si osserva quel lato, che ge-
neralmente è più notato dalle persone che ci circondano, e si
sviluppano nell'individuo a preferenza quelle attitudini morali ed
intellettuali, che sono i^iù pregiate e più comuni in quell'ambiente
umano in cui egli si è formato.
Infatti l'unità di tipo morale ed intellettuale si ritrova fortis-
sima in collettività di persone, fra le quali non vi è alcuna spe-
ciale comunanza di sangue e di razza. Valga ad esempio il clero
cattolico, il quale, sparso dappertutto, conserva sempre una sin-
golare uniformità nelle sue credenze, nelle sue abitudini intellet-
tuali e morali ed anche nei suoi costumi.
Il fenomeno si osserva più spiccato nei vari ordini religiosi; è
notoria la maravigliosa rassomiglianza di un Gesuita italiano, con
un Gesuita francese, tedesco od inglese. Molta rassomiglianza si
trova pure nel tipo militare comune a quasi tutti i grandi eserciti
europei ; ed un tipo intellettuale e morale abbastanza costante può
anche esistere perfino nei singoli reggimenti della milizia, nelle
scuole militari ed anche nei collegi laici, dovunque insomma si è
potuto o saputo costituire un ambiente particolare, una specie di
forma psicologica, la quale plasma alla sua maniera tutti glin-
dividui che vengono in essa gettati.
Non indaghiamo per ora come i grandi ambienti nazionali, e
meglio ancora, quelle grandi correnti psicologiche, che abbrac-
ciano talvolta tutta una civiltà od i seguaci di una religione si
2S ELEMENTI DI SCIENZA Por.niCA
siano formate, siano vissute e spesso anche sparite dalla scena
del mondo. L'iniziare questo studio equivarrebbe a richiamare la
storia di tutta la parte civile dell'umanità: questo possiamo con
sicurezza asserire che le circostanze storiche speciali ad ognuno
dei grandi gruppi dell'umanità hanno principalmente formato gli
ambienti speciali, ai quali abbiamo accennato, e nuove circostanze
storiche questi ambienti lentamente modificano o anche distruggono
La parte che la consanguineità, la razza, ha nella formazione dei
vari aml)ionti morali ed intellettuali può almeno in certi casi essere
piccola e difficilmente apprezzabile, anche quando il coefficiente
etnico sembra a prima vista preponderante. Così si cita l'esempio
degli Ebrei, che, sparsi in mezzo ad altri popoli, hanno per secoli
e secoli maravigliosamente conservato il loro tipo nazionale. Ma
bisogna appunto tener presente che i discendenti d'Israele sono
sempre vissuti moralmente appartati dalle popolazioni in mezzo
alle quali abitavano e sono perciò sempre stati in un ambiejite
speciale (1).
Infatti la prole delle famiglie ebraiche convertite al Cristiane-
simo od airislamismo di raro conserva lungamente, ossia per molte
generazioni, i caratteri dei suoi antenati, e lo stesso Ebreo non
convertito mantiene meglio il suo tipo speciale là dove vive più
appartato. Un Ebreo della Piccola Eussia o di Costantinopoli è
molto più Ebreo di un suo correligionario nato e cresciuto in
Italia o in Francia, paesi dove i Ghetti non sono più che una
memoria. Anche i Chinesi trasportati in America apprendono
molti lati della civiltà dei Bianchi, sebbene moralmente non trasfor-
mino il loro tipo ; ma essi in California ed altrove vivono sempre
tra loro in un ambiente chinese. Nella Turchia europea ed asia-
tica convivono nelle stesse città Turchi, Greci, Armeni, Ebrei e
Franchi e non si fondono, né le razze si modificano, perchè esse,
sebbene materialmente in contatto, moralmente sono divise e cia-
scuna ha il suo ambiente speciale. E si potrebbe perfino osservare
che la maggiore tenacia con cui si conserva il tipo nazionale in-
glese, fra quelli delle altre nazioni europee, è una conseguenza
(1) Vedi Leroy-Beaulieu Anatole, Les juifs et V antisémitisme . Nella " Revue
des Deux Mondes , del 1891, 92 e 93. Secondo quest'autore l'Ebreo moderno
è un prodotto dell'isolamento in cui è stato tenuto per tanti secoli dalla Thora,
dal Talmud e dal Ghetto.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 29
della poca sociabilità che gli Inglesi, stabiliti in paese straniero,
hanno verso gl'indigeni, la quale li costringe a stare fra loro in
un embrione di ambiente britannico (1).
Il cosi detto genio delle razze non è quindi qualche cosa di
cosi fatale e necessario come ad alcuni piace immaginare. Am-
mettendo pure che le varie razze superiori, suscettibili cioè di
creare una propria ed originale civiltà, siano organicamente di-
verse una dall'altra, non è la somma delle loro differenze orga-
niche ciò che esclusivamente od anche principalmente ha deter-
minato la diversità del tipo sociale, che esse hanno adottato, ma
piuttosto la diversità dei contatti sociali e delle circostanze sto-
riche, alle quali, non solo ogni razza, ma ogni nazione ed ogni
organismo sociale son destinati a sottostare.
Xm. — La questione della razza sarebbe qui esaurita se da
tutti si ammettesse che i cambiamenti organici e psichici, dai
quali una razza umana può essere modificata durante un periodo
storico anche lungo, per esempio di venti o trenta secoli, sono poco
apprezzabili e quasi trascurabili. Ma, lungi dall'essere una simile
credenza generalmente accettata, prevale ora una scuola, che si
fonda su postulati diversi ; giacché, applicando alle scienze sociali
le dottrine di Darwin sull'evoluzione delle specie, ammette che
ogni gruppo umano possa nel decorso di pochi secoli raggiungere
un notevole migKoramento organico, dal quale fa provenire il
perfezionamento politico e sociale.
Ora, senza discutere o negare le dottrine di Darwin sulla tras-
formazione nella specie, ed ammettendo anche la discendenza del-
l'uomo da un ipotetico antropopiteco, una cosa ci sembra certa,
(1) Si potrebbero citare moltissimi casi nei quali l'affinità etnica fra due
popoli costituisce un legame quasi impercettibile di fronte a quelli che risul-
tano dalla somiglianza di religione, o dalla comunanza di storia e di civiltà.
Gli eruditi hanno scoperto che un Magiaro è più stretto parente di un Chinese
0 di un Turco anziché di un Francese od un Tedesco, ma ohi potrà asserirt-
che egli moralmente ed intellettualmente sia più vicino ai primi che ai se-
condi ? Gli Arii maomettani della Persia e dell'Indostan hanno certo più affi-
nità morale cogli Arabi e coi Turchi, anziché coi loro consanguinei europei,
e gli Ebrei stabiliti da lungo tempo nell'Europa occidentale si sentono certo
moralmente più vicini ai popoli tra i quali abitano, anziché agli Arabi loro
parenti, che hanno abbracciato la civiltà orientale.
30 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
indiscutibile e percepibile a prima vista: che la famosa lotta per
l'esistenza e la selezione natui'ale, che ne è conseguenza, come è
stata descritta nelle piante, negli animali e negli uomini selvaggi,
non esiste nelle società umane pervenute anche ad un mediocris-
simo stadio di civiltà. L'avercela voluta trovare è effetto naturale
della fortuna straordinaria che ebbe l' ipotesi dai'winista nelle
scienze naturali, fortuna che dovea tentare fortemente gli spiriti
sistematici ad estenderne l'applicazione. Ciò è pure effetto di un
equivoco, della confusione di due fatti, che, sostanzialmente di-
versi, hanno apparentemente qualche punto di contatto, la quale
confusione è facilmente spiegabile che sia avvenuta nelle menti
fortemente prevenute a favore del sistema evoluzionista. Si è, per
spiegarsi in poche parole, scambiata la lotta per l'esistenza con
quella per la preminenza^ la quale è realmente un fatto costante,
che avviene in tutte le società umane dalle più civili a quelle appena
uscite dallo stato selvaggio.
Infatti nella lotta fra le varie società umane, la vincitrice ordi-
nariamente, anzi quasi sempre, non distrugge la vinta, ma la sot-
tomette, l'assimila, le impone il proprio tipo di civiltà. Oggidì in
Europa ed in America la guerra non ha altro risultato che
l'egemonia politica della nazione, che riesce militarmente su-
periore, o l'annessione di qualche provincia ; ma anche antica-
mente, quando lottavano la Grrecia con la Persia e Roma
con Cartagine, si distruggeva qualche volta l'organismo politico,
l'esistenza nazionale dei vinti, ma individualmente, anche nell'ipo-
tesi peggiore, questi erano ridotti preferibilmente in servitù anziché
passati a iil di spada. I casi come quelli di Sagunto e di Numanzia,
della presa di Tiro per opera di Alessandro Magno e di quella di
Cartagine sono stati sempre assolutamente eccezionali. Gli Assiri
nell'antico Oriente, i Mongoli nel Medio Evo furono i popoli che
X)iù frequentemente praticarono l'uso orrendo dello sterminio si-
stematico dei vinti, eppure anche essi lo usarono piuttosto come
mezzo di raggiungere con il terrore la sottomissione degli altri
popoli, anziché come fine ; ed in verità non si può dire che un
solo popolo sia stato dalle loro orribili stragi materialmente di-
strutto (1).
(1) A proposito di popolazioni interamente distrutte dai vincitori si cita il
caso dei Tasmaniani, degli Australiani e delle Pelli-Rosse. Ma in verità queste
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 31
Se poniamo mente poi al lavorìo interiore, che av\'iene nel seno
di ogni società, vediamo subito che in esso il carattere di lotta
per la preminenza anziché per l'esistenza è anche più spiccato.
La gara fra gl'individui di ogni nucleo sociale è per arrivare ai
posti elevati, alla ricchezza, al comando, per conquistare i mezzi,
che danno la facoltà di dii'igere a proprio piacimento molte atti-
vità e molte volontà umane. I vinti, che in questa lotta sono na-
turalmente i più, non vengono già, come sarebbe carattere sostan-
ziale dello struggle for life. né divorati, né distrutti, né tampoco
impediti di riprodursi ; essi soltanto godono più scarse soddisfa-
zioni materiali e sopratutto hanno minor libertà ed indipendenza.
Si può dire anzi che in generale nelle società colte le classi infe-
riori, lungi dall'essere lentamente eliminate per via della cosi detta
selezione naturale, sono più iDrolifìche delle superiori, ed é certo
che, anche in quelle classi, tutti gl'individui finiscono quasi sempre
coir avere un pane ed una donna; per quanto il primo possa essere
più o meno nero e stentato, la seconda più o meno leggiadra e
desiderabile.
La poligamia delle classi superiori è il solo argomento che si
potrebbe citare a favore del principio della selezione naturale ap-
plicato alle società barbare e civili. Ma anche quest'argomento è
debolissimo, perche alla poligamia umana non corrisponde sempre
una maggiore fecondità e perché sono a preferenza poligame quelle
società umane, le quali hanno realizzato minori progressi sociali;
sicché la selezione naturale si sarebbe mostrata più impotente colà
dove aveva maggiori mezzi d'azione.
XIV. — Premesse queste osservazioni, che equivalgono quasi
ad una questione pregiudiziale, venendo ad altro ordine d'idee, è
tribù selvaggie, scarsissime di numero o sparse sopra territori immensi, sono
perite e periscono principalmente perchè la cultura e l'invadente civiltà fanno
diminuire la grossa selvaggina, che costituiva il loro principale mezzo di sus-
sistenza. In qualche sito, nel quale le Pelli-Rosse hanno potuto adattarsi ad
una grossolana agricoltura, si sono sottratte alla distruzione. Nel Messico e
nel Perà, dove gl'indigeni erano numerosi perchè pervenuti allo stadio agri-
colo, malgrado le stragi dei conquistatori spagnuoli, essi costituiscono sempre
la gran maggioranza della popolazione. Anche in Algei-ia la stentata e san-
guinosa conquista, che ne hanno fatto i Francesi, non ha prodotto la diminu-
zione numerica degli indigeni.
32 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
facile rilevare che, se il progresso di una razza e di una nazione
dipendesse principalmente dal mif^lioramento organico degli
individui che ne fanno parte, le vicende del mondo dovrebbero
I)resentare una trama ben differente di quella che noi cono-
sciamo. Il progresso morale, intellettuale e quindi sociale di
ogni popolo dovrebbe essere più lento^ ma più continuo. La
legge della selezione naturale combinata con (juella dell'eredità
dovrebbe ad ogni generazione far segnare un passo, ma un
passo solo, in avanti di (juella che l'ha preceduto ; e non
dovrebbe accadere, ciò che nella storia spessissimo vediamo, che
un popolo in due o tre generazioni soltanto dia moltissimi passi
avanti e, qualche volta, moltissimi indietro.
Questi casi di progressi rapidi e di decadenze vertiginose sono
così comuni che quasi non varrebbe la pena di citarli. Da Pisi-
strato a Socrate non corrono che circa centovent'anni, ma durante
essi l'arte, il pensiero, la civiltà ellenica compirono tali incom-
mensurabili progressi da trasformare un popolo di civiltà mediocre,
per quanto antica, in quella Grecia, che nella storia del progresso
umano scrisse le pagine più siDlendide, più profonde, più incancel-
labili. Non citiamo l'esempio di Roma perchè, a dir vero, nel suo
rapido passaggio dalla barbarie alla civiltà ebbe moltissima jjarte
l'influenza ellenica; ma l'Italia del rinascimento cronologicamente
non dista che un secolo circa dall'Italia di Dante, eppure in questo
spazio di tempo, l' ideale artistico, morale e scientifico per lavorio
intimo ed originale della nazione cambia interamente, e l'uomo
del Medio Evo si trasforma e scompare.
Osserviamo un momento la Francia del 1650 e quella del 1750.
Nella prima vive ancora chi può rammentare la notte di S. Bar-
tolomeo; le guerre religiose, la lega santa, due Re che consecu-
tivamente cadono sotto il coltello dei fanatici sono fatti, che non
hanno ancora acquistato il mistero dell'antichità, dei quali i testi-
moni oculari non devono essere rari ; alla presa della Roccella,
ultimo episodio del periodo storico che abbiamo accennato, hanno
potuto assistere tutti coloro, che appena varcarono la prima gio-
ventù ; quasi nessuno osa esprimere i suoi dubbi sull'esistenza dei
folletti e delle streghe, e trentasette anni sono appena trascorsi
dal di che, come strega, fu bruciata la moglie del maresciallo
d'Ancre. Un secolo dopo Montesquieu è già vecchio, Voltaire e
Rousseau sono adulti, l'Enciclopedia, se non pubblicata, è già ma-
GAP. I - IL METODO SELLA SCIENZA POLITICA 33
tura nel mondo intellettuale, la rivoluzione dell' ottantanove nelle
idee, nelle credenze, nei costumi si può dire quasi compiuta. E,
senza andar cercando altri esempi lontani, guardiamo i paesi più
noti dell'Europa presente, Flnghilterra, la Germania, l'Italia, la
Spagna. Certo la rivoluzione intellettuale e morale, die si svolse
nell'ultimo secolo in queste nazioni, se fosse stata una conse-
guenza di modificazioni organiche degli individui che le com-
pongono, avrebbe richiesto per lo meno qualche dozzina di gene-
razioni (1).
D'altra parte anche gli esempi di rapide decadenze di nazioni
e di civiltà intere non sono rari. Si cerca di spiegarle attribuen-
dole alle invasioni ed alle distruzioni dei barbari, ma si dimentica
che, perchè un paese civile possa diventare preda dei barbari,
deve essere caduto in uno stato di grande esaurimento e di grande
disorganizzazione, che sono conseguenza della dissoluzione morale
e politica ; giacché, nel caso contrario, una maggiore civiltà pre-
suppone sempre una popolazione maggiore e cognizioni e mezzi
di offesa e di difesa più potenti ed efficaci. La (3hina è stata con-
quistata due volte dai Mongoli o Tartari e l'India parecchie volte
dai Turchi, dai Tartari, dagli Afgani, ma la civiltà chinese ed
indiana al momento delle invasioni erano già entrate in periodi
di decadenza.
E questa decadenza spontanea dei popoli civili in alcuni casi si
può quasi matematicamente accertare. Tutti gli orientalisti sanno
che l'antichissima fra tutte le antiche civiltà egiziane, quella che
canalizzò il Nilo, inventò la scrittura geroglifica, costruì le grandi
piramidi, si ecclissò spontaneamente e scomparve senza che sinora
se ne siano potute conoscere le ragioni. Vi furono guerre civili^
ecco tutto quello che si sa, e poi l'oscurità e la barbarie, dalle
(1) In alcune regioni che per cause particolari erano rimaste indietro dal
movimento generale dell'Europa, la trasformazione che abbiamo accennato è
stata più rapida e sopratutto più profonda. Chi conosce anche superficialmente
la storia della Scozia e della Sicilia potrà fare un rapido paragone fra lo stato
sociale del primo di questi paesi nel 1745 e quello che aveva raggiunto nel 1845,
e fra le condizioni sociali della Sicilia nel 1812 e quelle odierne. 11 rapido
incivilimento dei montanari scozzesi è stato anche osservato dal Colajanni,
nell'opera già citata, e da altri autori.
G. Mosca, Elementi di Sciensa Politica. S
34 RLBMENTX IJl SCIENZA l'UMTIOA
quali, dopo più di quattro secoli, si vede spontaneamente sorgere
una nuova civiltà (1).
Babilonia, che per tanti e tanti secoli era stata un focolare di
civiltà, non fu distrutta dai suoi conquistatori, nò da Ciro, ne da
Dario, né da Alessandro, decadde e scomparve dalla scena del
mondo per lenta consunzione, per disfacimento spontaneo. L'im-
pero romano d'occidente si dice che sia stato distrutto dai barbari,
ma chi conosce anche mediocremente la storia sa che i barbari
non ammazzarono che un cadavere, sa quanto grande sia stata la
decadenza nell'arte, nella letteratura, nella ricchezza, nell'ammi-
nistrazione, in tutti i rami insomma della romana civiltà da Marco
Aurelio a Diocleziano; epoca nella quale i barbari non fecero che
scorrere temporaneamente qualche provincia, ma non si stabi-
lirono in alcuna parte dell'impero, né ebbero modo di farvi danni
duraturi (2). Senza che fosse perturbata da alcuna invasione od
elemento straniero, la Spagna della seconda metà del secolo de-
cimosettimo non era più che l'ombra di quel x>9,ese, che, un
secolo prima era la Spagna di Carlo V e che mezzo secolo prima,
aveva avuto Cervantes, Lopez de Vega e Quevedo (3).
(I)Lenoemant scrive (Histoire ancienne de l'Orient, voi. Il, cap. II, Paris, 1881)
che * a datare dai torbidi e dalle guerre civili nelle quali perì Nitocri
(Nit-aqrit) un'eclisse subitanea e finora inesplicabile si produsse nella civiltà
egiziana. Dalla fine della VI dinastia al cominciare della XI Manetone conta
436 anni, durante i quali i monumenti sono assolutamente muti. L'Egitto
allora sembra di essere sparito dal numero delle nazioni e quando la civiltà
riappare sembra che ricominci il suo corso senza tradizione del passato „.
L'A. a dir vero non esclude che durante questo periodo non siano avvenute
invasioni straniere, ma, oltre che di esse non vi è alcuna traccia nei monu-
menti e nelle iscrizioni, è certo ad ogni modo che dovettero seguire non pre-
cedere la decadenza della prima civiltà egiziana.
(2) È forse un'eccezione la grande invasione dei Goti avvenuta sotto l'im-
peratore Decio e che fu respinta da Claudio II. Ma essa desolò le provincie
orientali dell'impero, paesi dove la civiltà greco-romana dovea durare ancora
per lunghissimi secoli.
(3) Di questa rapidissima decadenza della penisola iberica si dà la'^colpa alla
cacciata dei Mori, avvenuta principalmente nel 1609 sotto Filippo III. Ma la
cacciata dei Mori non poteva danneggiare che alcune provincie, parte cioè di
Valenza e dell'Andalusia, che furono poi quelle che meno soflrirono nell'esau-
rimento generale della Spagna. Il Portogallo e l'Italia, che decaddero contem-
poraneamente alla Spagna sebbene in modo meno sensibile, non ebbero certo
a soffrire della cacciata dei Mori.
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 35
Tutti questi fatti si spiegano molto male o meglio non si spie-
gano affatto con la teoria dell'evoluzione organica e superorga-
nica e della selezione naturale. Stando ad essa un popolo più
civile dovrebbe essere più epurato e migliorato dalla lotta per
l'esistenza, e per via dell'eredità avrebbe dovuto acquistare sugli
altri un vantaggio, che, nella corsa delle nazioni attraverso i secoli,
non si capisce perchè poi dovrebbe perdere. Al contrario noi ve-
diamo una nazione, un gruppo di popoli, ora lanciarsi con impeto
irresistibile avanti, ora accasciarsi e miseramente restare indietro.
Si può invero notare un movimento di progi'esso, che, nonostante
le interruzioni e le lacune, spinge l'umanità sempre più avanti,
e la civiltà odierna della razza ariana è infatti superiore a tutte
le precedenti, ma bisogna riflettere che ogni nuovo popolo, il quale
ha la fortuna di diventare civile, ha molto meno cammino a fare
e disperde una quantità infinitamente minore di forze, perchè esso
eredita la esperienza e le cognizioni positive di tutte le civiltà
che l'hanno preceduto.
Certo che i Germani di Tacito non sarebbero arrivati in diciotto
secoli a formare centri di cultura come Londra, Berlino, New-
York se avessero dovuto inventare essi la scrittura alfabetica, i
primi elementi delle matematiche e tutto quel tesoro immenso di
cognizioni, che appresero mercè il contatto coi Greci e coi Romani.
Né la civiltà ellenica e la civiltà romana avrebbero tanto progre-
dito senza le infiltrazioni delle antiche civiltà orientali, alle quali
appunto esse dovettero la nozione dell'alfabeto e dei primi rudi-
menti delle scienze esatte. Adunque piuttosto che per la via del-
l'eredità organica la civiltà umana progredisce per quella della
eredità scientifica ; possono restare stazionari, o anche diventar
barbari, i discendenti di un popolo civile e gli studi dei loro
padri feconderanno la civiltà nascente di orde incolte che si tro-
veranno in condizioni favorevoli per accogliere quei benefici
germi (1).
(1) Rammentiamo ad esempio che gli Anglo-Sassoni moderni non discendono
già dai Romani e dai Greci, non dai Semiti della Siria, fra i quali nacque
quella religione che ha così fortemente fissato la sua impronta nei popoli
della Gran Bretagna e delle sue colonie, non dagli Arabi a cui si debbono
tante delle cognizioni fisiche e matematiche, che gli Inglesi e gli Americani
moderni hanno così maravigliosamente applicato e fecondato. Essi sono eredi
36 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
A dir vero si riconosce anche dagli evoluzionisti il fatto che,
prima della razza ariana e segnatamente del ramo germanico di
essa, altre razze sono arrivate alla civiltà; ma si aggiunge che
queste razze sono decadute o rimaste stazionarie perchè invec-
chiate^ od, in altri termini, perchè hanno esaurito tutta quella
somma di energia intellettuale e morale di cui potevano disporre.
Veramente questa idea della vecchiaia di alcune razze ci ])are
l'effetto di un'analogia del tutto apparente fra la vita dell'individuo
e quella della comunità ; mentre, stando ai fatti che noi vediamo,
siccome i membri di quest'ultima si riproducono sempre ed ogni
nuova generazione ha tutto il vigore della gioventù, un'intera so-
cietà non può diventare vecchia come accade all'individuo quando
le sue forze cominciano a declinare (1). Né, a nostra conoscenza,
è stata mai accertata alcuna differenza organica fra gl'individui di
una società che progredisce e quelli di un'altra società che decade.
Le società in decadenza invecchiano perchè cambia il tipo del-
l'organizzazione sociale ; invecchiano allora, o meglio si sfatano
lentamente, le credenze religiose, i costumi, i x^regiudizi e le tra-
dizioni sulle quali le istituzioni politiche e sociali sono fondate :
ma questi sono tutti elementi sociali il cui variare dipende dal-
l'intervento di nuovi fattori storici coi quali un popolo si può tro-
vare in contatto, o anche da una lenta e spontanea elaborazione
intellettuale, morale e sociale, che in seno allo stesso si può pro-
dm-re. Sicché è molto, ma molto arrischiato l'asserire che i cam-
biamenti nella costituzione fisica della razza vi possano entrare
per qualche cosa (2).
Del resto questa credenza che tutte le civiltà extra-ariane, l'egi-
ziana, la babilonese, quella chinese antica e moderna siano state
non del sangue, ma delle elaborazioni scientifiche e psicologiche dei popoli
summentovati. Alle volte un popolo può valersi, risorgendo a civiltà, del la-
vorìo intellettuale e morale dei suoi antenati, che, dopo essere stati civili,
erano ricaduti nella barbarie. Tale fu il caso degli Egiziani antichi e degli
Italiani del Rinascimento; ma questo fatto, a volerlo considerar bene, fornisce
un altro argomento contro la teoria che fa dipendere il progresso sociale dalla
eredità organica.
(1) Quest'ultima osservazione l'abbiamo tolta dal GEORaE, opera citata, capo
ultimo.
(2) È difficile provare che i cervelli dei Francesi contemporanei di Voltaire
erano diversamente conformati di quelli dei loro padri, che avevano fatto la
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 37
e siano uniformemente immobili ci pare proprio l'effetto di un
errore d'ottica, proveniente dal fatto clie noi le vediamo molto da
lontano. E il caso delle montagne, che, da lontano sotto il cielo
limpido e trasparente della Sicilia, sembrano belle mm-aglie az-
zurre, che, perpendicolarmente ed uniformemente, chiudono l'oriz-
zonte e che, da vicino, poi si vede che sono tutt'altra cosa: perchè
ognuna comprende un piccolo mondo speciale di salite, di discese,
di accidentalità di ogni genere. Non possiamo raccontare qui, nep-
pure sommariamente, le vicende di Babilonia, di Tebe, di Menfi,
ma lo studio dei monumenti caldei ed egiziani ci ha informato in modo
omai non dubbio, che degli alti e dei bassi, delle decadenze e delle
epoche di risorgimento e di progTesso ce ne furono parecchie,
tanto sulle rive del Nilo che su quelle dell'Eufrate e del Tigri (1).
E quanto alla China, è vero che la sua civiltà è durata maravi-
gliosamente e senza interruzione parecchie migliaia d'anni, ma
non è a dire che sia stata sempre la stessa: quel tanto che sap-
piamo della storia chinese basta ad assicurarci che l'organizzazione
politica e sociale del Celeste impero ha subito, nel corso dei secoli,
fortissime modificazioni (2).
XV. — Il Letourneau nel suo libro intitolato "Evoluzione della
morale „ fa derivare il progresso delle società umane da un pro-
cesso organico, per il quale le azioni buone, che sarebbero poi le
azioni utili (3), lasciano una traccia nel cervello e nei centri ner-
strage di S. Bartolomeo e la lega santa. Si può invece agevolmente dimostrare
che, in poco più di un secolo e mezzo, si erano profondamente modificati lo
stato economico e politico e l'ambiente intellettuale della Francia.
(1) Vedi Lenormant, Maspero, Brugsch, ecc.
(2) Basti osservare che la China ha avuto anch'essa il suo periodo feudale
e che, almeno fino a poco tempo fa, era retta da una burocrazia che si reclutava
per mezzo di concorsi. Anche la religione ed il regime della proprietà vi
hanno subito vicissitudini diversissime. Vedi Rousset, A travers la Chine. Parie,
1879, Hachette; Mktchnikof, La civilisation et les grandes (lenves historiques.
Paris, 1889, Hachette; Élisée Réclus, Nouvelle géographie nniverselle, voi. VII.
Paris, 1882, Hachette.
(3) Utili per chi? Per l'individuo che le commette o per la società? Pur
troppo le due utilità sono molto separate e distinte e ci pare che ci voglia...
assai poca pratica del mondo per sostenere che un'azione utile per la società
riesca generalmente tale per l'individuo che la fa e viceversa.
38 BLEMBNTI VI SCIENZA COLITICA
vosi dell'individuo che le fa, traccia che, ripetuta diverse volte,
produce una tendenza verso la continuazione dello stesso atto, la
qual tendenza si trasmette poi ai discendenti. Si può domandare
perchè non lasciano la stessa traccia le azioni cattive od inutili. Ma
ascoltiamo l'autore : egli scrive che "come i corjìi suscettibili di fosfo-
rescenza si ricordano della luce, cosi la cellula nervosa si ricorda dei
suoi atti intimi, ma attenendosi a modi infinitamente più tenaci e
svariati. Ogni atto al quale ha presieduto la cellula nervosa, vi lascia
una specie di residuo funzionale, che nell'avvenire ne faciliterà la
ripetizione e qualche volta la provocherà. In effetto questa ripeti-
zione diverrà sempre più facile e finirà anche col compiersi spon-
taneamente ed automaticamente. La cellula nervosa avrà allora
acquistato un"inclinazione, un'abitudine, un istinto, vm bisogno „ (1).
E più avanti : " Le cellule nervose sono per eccellenza degli ap-
parecchi d impregnazione ; qualunque corrente d'attività moleco-
lare le traversi vi lascia più o meno una traccia, che tende a ri-
vivere. Con una ripetizione sufficiente degli atti queste traccie
s'organizzano^ si fissano, si trasmettono ereditariamente ed a cia-
scuna di esse corrisponde una tendenza, un"inclinazione, che si
manifesterà all'occasione e contribuirà a costituire ciò che si chiama
il carattere. Bisogna tener presente questa veduta generale se si
vuole capire l'origine e l'evoluzione della morale „. E più avanti
ancora, ribadendo sempre lo stesso concetto, aggiunge : " Nei suoi
tratti essenziali ciò che è etico è utilitario e progressivo. Pertanto
una volta formate, impiantate nei centri nervosi, le inclinazioni
morali o immorali non si spengono che lentamente come esse si
sono formate. Spesso anche riappariscono per atavismo ed allora
si vedono sorgere nel seno di una società relativamente incivilita
dei tipi morali dell'epoca della pietra, ovvero dei tipi eroici in
mezzo ad una civiltà mercantile „. Ci pare che questi brani ba-
stino per avere un'idea abbastanza precisa e coscienziosa del con-
cetto fondamentale dello scrittore. Essi sono inoltre sufficienti per
fornire un concetto abbastanza chiaro degli argomenti di tutta
quella scuola, che pone le scienze antropologiche a fondamento
della sociologia.
(1) Letournead, L'évolution de la morale. Paris, 1887. I brani riportati sono
nella lezione seconda, nella quale l'A. spiega l'origine delle inclinazioni
(penchants) morali, e nella ventesima.
IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 39
Le ipotesi però, per quanto belle ed ardite, nella scienza hanno
un valore solo quando sono confermate dall'esperienza, ossia da
dimostrazioni a base di fatti : ad ogni modo noi non vogliamo
ora discutere l'autenticità di tutto quel j)rocedimento organico,
elle, nel libro del Letourneau, troviamo così nettamente e cosi si-
curamente esposto. Ma i fatti sono sempre i fatti, essi hanno lo
stesso valore scientifico, sia che siano tratti dallo studio delle cel-
lule nervose, dal colore dei capelli e dalla misurazione dei crani
delle varie razze e dalla osservazione delle società animali, oppure
dallo studio della storia umana. L'unica classificazione per ordine
d'importanza, che si xjossa ammettere tra essi, è quella tra fatti
bene accertati, che, ad esempio, non sono stati trovati ed asseriti
da coloro stessi, che vi hanno sopra fabbricato le loro teorie, e
fatti dubbi, male accertati, che hanno subito l'influenza dei precon-
cetti dell'osservatore. Or tutta la storia ampiamente dimostra come
il progresso delle società umane non segua quel corso che do-
vrebbe seguire se le teorie della scuola antropologica fossero
esatte: sicché per accettarle bisogna che esse subiscano almeno
una modificazione. Si deve cioè ammettere che l'uomo civile o
capace di civiltà^ il quale non è certo comparso ieri sulla faccia
del mondo, ha subito nelle sue cellule nervose tante e cosi varie
impressioni morali da rendergli possibili le tendenze e le abitu-
dini più disparate : tanto quelle che conducono una società verso
il progresso intellettuale, morale e politico, quanto le altre, che la
portano alla decadenza ed al disfacimento (1).
XVI. — Ma, cosi ridotta, la teoria antropologica non ha più
alcun valore pratico, non c'insegna ne ci può insegnare alcuna
(1) Avevamo già scritto queste pagine quando abbiamo letto un articolo di
Alfred Fouillée (La psycholocjie des peuples et l' a nthr apologie nella * Revue
des Deux Mondes „ del 25 marzo 1895). In esso si sostiene presso u poco e
con alcuni argomenti analoghi la tesi che noi abbiamo propugnata; l'A., ad
esempio, scrive che " Ics facteurs ethniques du caractère national ne sont ni
les seules, ni les plus importanta, l'uniformité de l'instruction, de l'édueatiou,
dee croyances communes compensent, et au delà, les diversités des familles
ethniques ,. Anche il Colajanni e il Metchnikof, nelle opere citate, combattono
fortemente e brillantemente coloro che amano esagerare l'importanza della
razza come fattore sociale.
40 efjEmenti di scienza politica
cosa, che già non sappiamo, e vai meglio di tentar di raggiungere
risultati scientifici per altra via, per (guanto ardua questa possa
essere. La verità è che, come fondandosi sulla varietà dei climi,
nessuna legge generale si ò potuta trovare intorno all'organizza-
zione delle società umane ed alla varietà dei tipi, che esse presen-
tano, cosi non se ne è trovata alcuna che sia basata sulla diversità
delle razze e che è impossibile attribuire al loro miglioramento
od alla decadenza organica il progresso o la rovina delle nazioni.
Chi ha molto viaggiato ordinariamente viene nell'opinione che
gli uomini, sotto le apparenti differenze di costumi e di abitu-
dini, in fondo psicologicamente si somigliano moltissimo ; chi ha
molto letto la storia acquista una convinzione analoga per quel
che riguarda le varie epoche della umana civiltà : scorrendo i do-
cumenti i quali c'informano come gli uomini di un altro tempo
sentirono, pensarono, vissero, la conclusione alla quale si arriva è
sempre identica : che essi erano molto simili a noi (1). Questa so-
miglianza psicologica, il fatto che le grandi razze, che formano i
quattro quinti dell'umanità, si sono mostrate capaci di svariatis-
sime vicende di progresso e di decadenza, ci induce a porre avanti
l'ipotesi, che è anche il risultato di tutte le indagini negative che
abbiamo già fatto, che come l'uomo o almeno le grandi razze
umane, hanno la tendenza costante a costituirsi in società, cosi
devono avere tendenze psicologiche ugualmente forti e costanti,
che le spingono verso un grado sempre maggiore di cultura e di
progresso sociale, tendenze che però agiscono con più o meno forza,
o possono essere anche soffocate, a seconda che trovano più o
meno favorevole l'ambiente fisico, quel complesso di circostanze
che si chiama il caso fortuito (2) ed anche a seconda che sono più
(1) La somiglianza psicologica è sempre maggiore fra popoli, che hanno
raggiunto un grado di civiltà, se non uguale, non troppo diverso, anziché fra
quelli che sono più vicini cronologicamente ed etnograficamente. Un Italiano
od un Tedesco moderno è piìi vicino nel suo modo di pensare ad un Greco
dell'epoca di Platone e di Aristotile anziché ad un suo antenato del Medio
Evo. Basta consultare la letteratura delle diverse epoche per accorgersi che
questa asserzione è esatta.
(5) Per convincersi che ciò che si chiama il caso fortuito, cioè una serie di
circostanze che sfuggono all'azione ed alla previdenza umana, ha un'influenza
nella sorte dei popoli, basta tener presente che finora non raramente la sorte
di una nazione è stata decisa dall'esito di una battaglia (ad esempio, a Platea,
CAP, I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 41
o meno combattute dall'ambiente sociale, cioè da altre tendenze
psicologiche egualmente generali e costanti (*).
In fondo è un processo organico, per quanto più complicato,
simile a quello che avviene in tutta la natura animale e vegetale.
Una pianta ha la tendenza fortissima ad espandersi e moltipli-
carsi, tendenza che può essere agevolata o combattuta dall'am-
biente fisico, dalle condizioni cioè di umidità e di clima, dal caso
fortuito rappresentato dal vento e dagli uccelli, che ne propagano
o disperdono i semi^ e da qualità proprie, cioè dalla maggiore o
minore resistenza, che oppone alle malattie che la colpiscono. Si-
mile pure è il procedimento che avviene in quel ramo dell'atti-
vità sociale, che è stato a preferenza degli altri studiato, cioè nella
produzione della ricchezza : produzione la quale ha una ten-
denza indefinita ad aumentare , che è più o meno ostacolata
dalle difficoltà naturali, fino ad un certo punto dal caso fortuito
ed anche dall'ignoranza, dalla soverchia ingordigia e dai pregiu-
dizi umani.
L'uomo non crea uè distrugge alcuna delle forze della natui'a,
però può studiarne il gioco e l'andamento e dirigerlo a suo pro-
fitto. E cosi che agisce nell'agricoltura, nella navigazione, nella
meccanica ; è cosi che in questi rami di attività la scienza mo-
derna ha potuto raggiungere risultati quasi miracolosi. Il metodo
certo non può essere diverso quando si tratta delle scienze sociali;
e infatti è quello stesso che ha dato finora discreti risultati nel-
l'Economia politica. Senonchè non è da dissimularsi che nelle
scienze sociali in genere le difficoltà da superare sono immensa-
mente maggiori : giacché non solo la più grande complessità delle
a Zama, a Xeres, a Poitiers, ad Hastings), e nell'esito delle battaglie, special-
mente prima che la guerra fosse combattuta con criteri scientifici, il caso for-
tuito ha avuto gran parte.
(*) Queste pagine furono scritte nel 1894, noi non le rinneghiamo; ma
oggi un più attento studio ci ha indotto ad attribuire maggiore importanza
al coefficiente etnico. Crediamo infatti che, come dimostra assai bene il Le Bon
{J.es Opinions et les Croyances. Paris, Flammarion, 1911, libro VI), il passato
di un popolo, che in certo modo s'identifica con la razza alla quale appar-
tiene, determini in esso la formazione di abitudini e di tendenze intellettuali
e sopratutto morali, le quali, appunto perchè si sono formate attraverso un
lungo corso di generazioni umane, hanno talora bisogno di molti secoli perchè
siano sostanzialmente modificate.
42 ELEMENTI DI SCIENZA l'OLITIOA
leggi psicologiche, o tendenze costanti comuni alle masse umane,
rende più diffìcile il determinarne l'azione, ma è indiscutibile che
è più agevole l'osservazione dei fatti che si svolgono attorno a
noi, anziché quella dei fatti, che sono opera nostra. L'uomo può
studiare molto più agevolmente i fenomeni della fisica, della chi-
mica, della botanica, anziché i propri istinti e le proprie pas-
sioni (1). E bisogna anche confessare che la necessaria obietti-
vità per condurre con buon risultato questo genere di osservazioni
sarà sempre privilegio di una ristretta frazione d'individui dotati
di attitudini speciali e di una particolare educazione intellettuale,
e, dato che questi individui possano raggiungere risultati scienti-
fici, è molto problematico che riescano a modificare in base ad
essi l'azione politica delle grandi società umane (2).
XVn. — Qualunque possa essere nell'avvenire l'efficacia pra-
tica della scienza politica è indiscutibile che i progressi di questa
disciplina sono tutti fondati sullo studio dei fatti sociali e che
questi fatti non si possono cavare che dalla storia delle diverse na-
zioni. In altre i)arole se la scienza politica deve essere fondata
sullo studio e l'osservazione dei fatti politici è all'antico metodo
storico che bisogna tornare.
Contro questo metodo si elevano diverse obiezioni più o meno
gravi, alle quali brevemente risponderemo.
Si dice prima di tutto che moltissimi autori, a cominciare da
Aristotile continuando con Machiavelli e Montesquieu fino ai giorni
nostri, hanno questo metodo usato, e che, malgrado che molte delle
loro osservazioni parziali siano universalmente riconosciute come
(1) È il caso di rammentare i pregiudizi diversi che, secondo lo Spencer, si
oppongono al progresso delle scienze sociali. Certo lo studioso di scienza po-
litica deve riguardare le nazionalità, le religioni, i partiti, le dottrine politiche
obiettivamente e solo come fenomeni dello spirito umano. Ma il precetto è
più facile a darsi che ad essere applicato, e per la sua applicazione occorrono
nell'osservatore un'attitudine speciale e sopra tutto un lunghissimo studio della
storia umana, che contribuisce moltissimo a sviluppare quell'obiettività di
vedute alla quale abbiamo accennato.
(2) Non bisogna dimenticare quello che avviene neH'Eeouomia politica. Il
libero scambio, ad esempio, è dai cultori spassionati di questa scienza unani-
memente giudicato come vantaggioso, ed intanto le nazioni più civili tornano
al più feroce protezionismo.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA
fondate e come verità scientificamente acquisite, pure un vero si-
stema scientifico ancora non si è trovato.
Ma del metodo storico in particolare si può dire quello che ab-
biamo già detto del metodo positivo in genere, che per dare buoni
risultati deve essere bene applicato. Or per bene applicarlo, con-
dizione indispensabile è il conoscere la storia largamente ed esat-
tamente, e ciò non era nella possibilità né di Aristotile, ne di
Machiavelli o di Montesquieu, ne di alcun altro scrittore, che fosse
vissuto solo più di mezzo secolo addietro. Le grandi sintesi non possono
essere tentate che dopo che si ha una collezione grandissima di
fatti studiati ed accertati con criterio scientifico ; certo anche nei
secoli scorsi delle nozioni storiche non mancavano, ma esse erano
quasi unicamente ristrette a singoli periodi: fino agli inizi del secolo
scorso si conosceva forse in qualche modo la civiltà greco-romana e la
storia delle nazioni moderne europee, ma sul passato del resto del
mondo non si sapevano se non favole vaghissime ed incerte tra-
dizioni. Ed anche nella ristretta parte della storia, che abbiamo
accennato, le nozioni che si possedevano non erano perfette ; non
era ancora sviluppato il senso critico, mancava quella paziente
ricerca dei documenti, quella minuziosa ed accurata inter]3retazione
delle inscrizioni, che, non solo ha precisato megHo le linee gene-
rali delle azioni dei gTandi personaggi storici, ma ci ha rivelato
tutti quei dettagli delle consuetudini sociali e dell'organizzazione
politica ed amministrativa dei diversi popoli, che sono interessanti
per lo studio della scienza politica assai più delle gesta personali
dei grandi guerrieri e dei sovrani.
La conoscenza esatta della geografia fisica, l'etnologia e la filo-
logia comparata, che illuminano sulle origini ed i rapporti di con-
sanguineità delle nazioni, la preistoria, che ha posto in evidenza
Tantichità del genere umano e di alcune civiltà, la interpretazione
degli alfabeti geroglifico, cuneiforme ed indiano antico, che ci
hanno svelato i misteri delle civiltà orientali ora estinte, sono
conquiste del secolo decimonono. Ugualmente in questo secolo si
sono, almeno in parte, tolti i misteri, che avviluppavano la storia
della China, del Giappone e di altre nazioni dell'estremo oriente,
e si sono in parte scoperti, in parte più accuratamente studiati i
ricordi delle antiche civiltà americane. In questo secolo infine è
invalso l'uso degli studi statistici comparati, che ci rendono facile
la conoscenza delle condizioni di popoli lontanissimi. Indiscutibil-
44 KLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
mente se lo studioso di sciensse sociali poteva prima intuire, ora
soltanto ci ha i mezzi per osservare in grande, gli strumenti ed i
materiali per provare.
Aristotile non conosceva che imperfettissimamente la storia
delle grandi monarchie asiatiche; le sue cognizioni probabilmente
si limitavano a quanto ne avevano scritto Erodoto e Senofonte, ed a
quanto ne aveva potuto sapere dai seguaci di Alessandro, che
poco capivano i i)aesi che conquistavano. Sicché in fondo altro
tipo politico non avea famigliare che lo Stato greco del quarto e
del quinto secolo avanti Cristo e poco o nulla di esatto avea po-
tuto apprendere sul resto del mondo : in queste condizioni la sua
Politica rappresenta uno sforzo intellettuale maraviglioso e la sua
classificazione dei governi in monarchie, aristocrazie e democrazie,
che ora si potrebbe giudicare incompleta e superficiale, allora certo
era quanto di meglio la mente umana potea escogitare. Machia-
velli ebbe per modello quasi esclusivo dello stato il Comune ita-
liano della fine del quattrocento, colle sue alternative di tirannide
e di anarchia, nel quale il potere si conquistava e si perdeva per
un giuoco di violenze e furberie, che facea guadagnare la partita
a chi sa]pea meglio mentire e dava l'ultimo colpo di pugnale : si
comprende che questo modello abbia colpito tanto il suo spirito
da fargli scrivere il Principe. La conoscenza quasi esclusiva che
avea della storia romana, come si poteva apprendere ai suoi tempi,
e di quella delle grandi monarchie moderne, che poco avanti a lui
eransi formate, spiegano i Discorsi sulle Decadi, le Storie e le sue
lettere. — Montesquieu non i)oteva conoscere la storia deirOriente
molto meglio di Aristotile, né quella greca e romana assai più pro-
fondamente di Machiavelli, e le maggiori cognizioni che avea sugli
istituti e la storia della Francia, dell'Inghilterra e della Germania,
a preferenza di quelli degli altri paesi, danno la spiegazione della
sua teoria secondo la quale la libertà politica sarebbe solo possi-
bile nei paesi freddi.
XVIII. — Un'altra obiezione si fa al metodo storico, la quale
se non più fondata è certo più speciosa, e tale che agli occhi di
alcuni può parere molto grave e perfino insuperabile. Essa si basa
sulla poca attendibilità dei materiali storici. Si dice infatti comu-
nemente che tutti gli sforzi degli storici spesso non giungono a
scoprire la verità, che frequentemente è diffìcile accertare preci-
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 45
samente come realmente siano accaduti fatti che si sono svolti
nel corso dell'anno e nella nostra città, sicché si può ritenere come
impossibile di ottenere racconti degni di fede quando si tratta di
epoche e paesi lontani. Non si manca di rilevare le contradizioni che
esistono tra i diversi storici e le smentite, che l'un l'altro si danno,
le passioni da cui ordinariamente sono animati e se ne conclude
che nessuna deduzione sicura, nessuna vera scienza si può trarre da
fatti che sono sempre molto dubbi e imperfettamente conosciuti.
A questi argomenti la risposta non è ardua. E prima di tutto
osserviamo di passaggio che i fatti contemporanei non appuriamo
esattamente solo quando non abbiamo né l'interesse né i mezzi
di conoscere la verità, oppure quando vi sono interessi contrari,
che vi si oppongono. Se quest'ostacolo non vi fosse, ognuno che
volesse impiegarvi tempo ed un po' di danaro, potrebbe sempre,
in mezzo alle varie versioni, alle ciarle ed ai si dice, trovare,
per mezzo di un'inchiesta più o meno lunga, come presso a poco
un fatto realmente sia accaduto. Or, pei fatti storici, quanto più
antichi sono tanto più tacciono gì' interessi, che mirano ad alte-
rarne la esatta nozione, e si deve supporre che lo storico abbia pa-
zienza e tempo sufficienti per appurare intorno ad essi la verità.
Di ben altra importanza è una seconda osservazione, che ora
faremo in proposito. I fatti storici sui quali regna e regnerà
sempre la maggiore incertezza sono quelli aneddottici e biografici
che possono interessare la vanità od il tornaconto di un uomo,
di una nazione, di un partito. E su questi principalmente che la
passione dello scrittore può essere causa anche incosciente di er-
rori ; ma fortunatamente, questo genere di fatti interessano me-
diocremente lo studioso di scienze politiche, al quale importerà
ben poco se una battaglia sia stata vinta per merito di un tal
capitano o per colpa di un altro, o se un assassinio politico sia
stato più o meno giustificabile. Al contrario vi sono altri fatti
che riguardano il tipo e l'organizzazione sociale dei vari popoli e
delle varie epoche; e su questi appunto, che son quelli che a pre-
ferenza c'interessano, gli storici, spontaneamente e senza partito
preso, ci dicono spesso la verità e più che gli storici ci illuminano
i documenti ed i monumenti.
Ad es. probabilmente non sapremo mai quando Omero precisa-
mente visse, in quale città nacque, quali furono i casi della sua
vita, ma ciò ha un certo interesse per il critico ed il letterato che
46 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
amerebbero conoscere i più minuti particolari intorno alla per-
sona dell'autore dell'Iliade e della Odissea, e ne ha uno ben me-
diocre per il politico che studia il mondo psicologico e sociale
descritto dal gran poeta, mondo che, per (juanto abbellito dalla
fantasia del vate^ dovette realmente esistere in epoca poco ante-
riore ad Omero. Nessuno conoscerà mai precisamente quali siano
stati i torti ed i meriti di Temistocle, come siano stati pronunziati
i discorsi di Pericle, quale fosse la gamba dalla quale zoppicava
Agesilao, la razza del cane di Alcibiade ed il colore del cavallo
di Alessandro Magno, ma è indiscutibilmente provato che nel-
l'Eliade, dal sesto al quarto secolo avanti Cristo, vi era un tipo
di organizzazione politica^ della quale conosciamo già bene, e
sempre meglio conosceremo, a misura che si studieranno le iscri-
zioni ed i monumenti che mano mano si trovano, le diverse va-
rietà, le specialità ed 1 particolari della compagine amministrativa
economica e militare.
Nessuno probabilmente conoscerà mai nulla di esatto sulla vita
del Re egiziano Kufro della IV dinastia, malgrado la grande pi-
ramide, che egli si fece costruire per tomba, nessuno avrà la bio-
grafìa di Ramses 2° della XVIII dinastia, malgrado che resti il
poema di Pentaur, che ne celebra le vittorie vere o supposte ; ma
nessuno porrà in dubbio che, trenta o quaranta secoli avanti l'èra
volgare, eravi già nella valle del Nilo una società numerosa^ or-
ganizzata, civile, e che lo spirito umano dovette fare prodigiosi
sforzi di pazienza e di originalità per cavarla dalla barbarie. Nes-
suno può porre in. dubbio che questa società, modificandosi sempre
nel volger dei secoli, ebbe credenze religiose^ cognizioni scienti-
fiche e, talvolta, cosi m.aravigliosa organizzazione amministrativa
e militare, che si potrebbe quasi paragonare a quella degli Stati
più civili dell'era odierna (1).
E lecito dubitare che Tiberio e Nerone siano stati cosi tristi
come Tacito li ha descritti, che siasi esagerata l'imbecillità di
Claudio, la lascivia di Messalina, la passione di Caligola per il
suo cavallo. Ma non si può negare l'esistenza dell'impero romano
(1) Ad esempio vi furono epoche in cui alle cariciie pubbliche pare si arri-
vasse per esami ed all'esercito era preposta una ufficialità educata ed istruita
in speciali scuole militari.
IL MET«DO NELLA SCIENZA POLITICA 47
e la possibilità negli imperatori di commettere malvagità e pazzie
che. in altri tempi ed in altri tipi di organizzazione politica, non
sarebbero state tollerate. Ne si può mettere in dubbio che, nei primi
secoli dell'era volgare, una grande civiltà riunita politicamente in
un grande stato abbracciava tutto il bacino del Mediterraneo : e di
questo stato conosciamo già abbastanza, e sempre meglio cono-
sceremo, la legislazione e la elaborata organizzazione finanziaria,
amministrativa e militare. Si può perfino supporre che Sakia-Muni
sia interamente un mito, che Gesù Cristo non sia stato mai cro-
cifisso, anzi che neppure abbia esistito, ma nessuno negherà mai
l'esistenza del Buddismo e del Cristianesimo coi dogmi e precetti
morali che li costituiscono ; nessuno negherà mai che queste due
religioni, poiché tanto si son diffuse e da tanto tempo durano,
devono rispondere a sentimenti ed a bisogni psicologici diffusissimi
nelle masse umane.
XIX. — In conclusione dunque, pm- ammettendo che l'aned-
doto ed il particolare biografico abbiano potuto influire sulla storia
delle nazioni, ci pare innegabile che essi possono dare ben poco
aiuto nello scoprire le grandi leggi psicologiche, che si manife-
stano nella vita delle nazioni stesse. Queste leggi svelano piut-
tosto la loro azione nelle istituzioni amministrative e giuridiche,
nelle religioni, in tutte le abitudini morali e politiche dei vari
popoli, ed è quindi in questi ultimi ordini di fatti che dobbiamo
concentrare la nostra attenzione.
Ed intorno a questi fatti crediamo difficile e scarsamente utile
stabilire dei criteri precisi di preferenza. In verità qualunque no-
tizia, sia storica o contemporanea, che riguardi le istituzioni di
un popolo politicamente organizzato, che sia cioè riunito in masse
piuttosto numerose e che abbia raggiunto un certo grado di una
qualunque civiltà, può essere molto interessante. Se una raccoman-
dazione si può fare in proposito è questa : che si sfugga dal rica-
vare tutte le osservazioni da un gruppo di organismi politici, che
appartengono allo stesso periodo storico o presentino lo stesso, o
poco dissimile, tipo di civiltà (1). Lo Spencer, come abbiamo già
(1) Ad esempio, se si tien presente soltanto la storia degh stati greci del-
l'epoca di Pericle, si può credere che la storia del mondo consista soltanto
48 ELBMENTI DI SCIENZA POLITICA
accennato, nei suoi Primi principi di sociologia ha cercato di pre-
munire gli studiosi di scienze sociali contro quelli che egli chiama
pregiudizi; che consistono in certe abitudini dello spirito umano,
per le quali l'osservatore vede i fatti sociali sotto un punto di
vista subiettivo unilaterale e ristretto, che necessariamente i)roduce
dei risultati erronei. Or, per riparare a quest'inconveniente, non
basta avvertire chi può cadervi che l'inconveniente esiste, ma bi-
sogna che il suo spirito sia preparato in maniera da evitarlo. In-
fatti l'aver la nozione del pregiudizio politico, del pregiudizio
nazionale e di quello religioso o antireligioso non toglie che una
persona, la quale è stata educata nella credenza che una data
forma di governo basti a rigenerare l'umanità, che la sua nazione
è la prima dell'universo, che la sua religione è la sola verace o
che il progresso umano consista nella distruzione di tutte le reli-
gioni, quando viene all'applicazione pratica delle teoriche spence-
riane, non cada in uno o in parecchi dei pregiudizi enumerati. La
vera salvaguardia contro questa specie di errori sta nel sapere
elevare il proprio criterio al di sopra delle credenze ed opinioni
che sono generali nella propria epoca o in quel tipo sociale o na-
zionale di cui facciamo parte ; il che, riportandoci ad un concetto
già accennato, corrisponde all'avere studiato molti fatti sociali, a
conoscer bene e molto la storia, non già di un periodo o di un
popolo, ma possibilmente dell'umanità.
XX. — Ai giorni nostri, od almeno fino a poco tempo fa, è
prevalsa negli studi sociali la tendenza a considerare con speciale
cura gli organismi politici più semplici e più primitivi, cioè quelli
delle tribù selvaggie; e tutte le circostanze, che ad esse si riferi-
scono, sono state attentamente notate e registrate (1). Le relazioni
nella lotta della democrazia coll'aristocrazia (o meglio di due oligarchie, l'una
più ristretta, l'altra più larga) e dell'ellenismo coi barbari. Se si pon mente
alla sola storia dell'Europa dal mille cinquecento al mille seicento, si può
conchiudere che tutto il movimento dell'umanità siasi esplicato nella lotta fra
Cattolici e Protestanti e fra la civiltà europea e la maomettana.
(1) Alcuni sociologi anzi rimontano più avanti ed analizzano attentamente
le società animali, e negli alveari delle api, nei formicai, negli strupi dei qua-
drupedi e dei quadrumani rintracciano le prime origini di quei sentimenti
sociali, che poi si manifestano completamente nei grandi organismi politici
umani.
GAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 49
dei viaggiatori, che fra queste tribù hanno dimorato, hanno perciò
acquistato una particolare importanza e riempiono i moderni libri
di Sociologia.
Or noi non diremo che questi studi siano completamente inutili,
giacché è difficile trovare un'applicazione qualsiasi dello spirito
umano, che resti completamente infeconda; ma certo non ci sem-
brano i più adatti a fornire solidi materiali alle scienze sociali in
genere ed alla scienza politica in ispecie. E, prima di tutto, fac-
ciamo osservare che le relazioni dei viaggiatori sono ordinaria-
mente più subiettive, più incerte e contradittorie dei racconti degli
storici e sopratutto meno soggette al controllo dei documenti e
dei monumenti. Un individuo, che si trova in mezzo a uomini di
una civiltà molto differente di quella alla quale è abituato, gene-
ralmente li osserva a preferenza da certi punti di vista sj)eciali,
e perciò può facilmente prendere abbagli ed errori. Erodoto, che
fu il più gran viaggiatore dell'antichità ed osservatore, come ora
si è riscontrato, non superficiale e coscienzioso, molte cose riferi
erroneamente, appunto perchè, abituato alla civiltà greca, mal
sapea spiegarsi certi fenomeni delle civiltà orientali : e se si po-
tessero controllare le relazioni dei viaggiatori moderni su docu-
menti autentici, come si è fatto qualche volta con quelle di Erodoto,
non crediamo che le troveremmo più esatte (1).
In secondo luogo poi, e ci par questo argomento decisivo, i fatti
sociali non si xjossono raccogliere che nelle società umane, e per
società non si deve intendere un'agglomerazione di poche famiglie,
ma ciò che comunemente dicesi una nazione, un popolo, uno stato.
Le forze psicologiche sociali non si possono sviluppare e non pos-
sono avere la loro applicazione che nei grandi organismi politici,
cioè colà dove esistono numerose riunioni di uomini moralmente
e politicamente uniti. Nel grupi)o primitivo, nella tribù di cin-
(1) Crediamo che, per illuminarci sulle vere condizioni sociali di un dato
popolo, valga più un documento autentico come le leggi di Manìi, i frammenti
delle Dodici Tavole o il Codice di Rotari, che le relazioni di parecchi viag-
giatori contemporanei. Ammettiamo però che la relazione del viaggiatore
potrebbe servire molto utilmente per illustrare e commentare il documento.
E superfluo ricordare che, trattandoci di tribii selvaggie, i documenti mancane
allatto.
(}. Mosca, Eminenti <ìi Scienza Politica. t
50 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
quanta o cento individui, il problema politico quasi non esiste e
quindi non si può studiare.
Ad esempio è molto facile spiegarsi la monarchia in una di
quelle tribù che abbiamo accennato, nelle quali il maschio più
forte e più scaltro facilmente s'impone ai i^ochi compagni; ma
occorrono ben altri elementi ijer potere darsi ragione dello stabi-
lirsi di questa istituzione in società di milioni di individui, nelle
quali un solo non si può materialmente imporre alla totalità degli
altri e, per quanto abile ed energico, troverà facilmente nella
massa centinaia di individui che, almeno potenzialmente, sono
abili ed energici quanto lui. Si comprende pure facilmente come
poche decine ed anche poche centinaia d'individui, che vivono in-
sieme, restando isolati moralmente, se non materialmente, dal
resto del mondo, presentino una data singolarità di tipo morale,
ed abbiano vivo il sentimento della tribù e della famiglia. Ma il
comprendere ciò ci aiuta ben poco quando si tratta di spiegarci
perchè una identità di tipo morale, un sentimento vivissimo na-
zionale, esista in agglomerazioni umane di decine e qualche volta,
come nel caso della Russia e della China, di centinaia di milioni
di persone, nelle quali gli individui quasi sempre vivono lonta-
nissimi gli uni dagli altri, sono nella loro grandissima mag-
gioranza scevri di qualunque reciproco rapporto personale, e, nei
loro vari gruppi, presentano condizioni di vita materiale molto
differente.
Si dice che lo studio degli enti politici minuscoli riesce utilis-
simo, perchè in essi si trovano in embrione tutti quegli organi
sociali che poi si vanno mano mano svilupx)ando nelle società jjìù
vaste e più progredite, e si crede che riesca molto più facile esa-
minarne il meccanismo quando i detti organi sono rudimentali,
anziché quando divengono complicati. Ma il paragone, ormai cosi
frequente, fra l'organizzazione delle società umane e quelle degli
individui del regno animale, giammai crediamo che sia stato meno
calzante e meno opportuno come in questo caso. Esso si può ri-
torcere facilissimamente contro la tesi a favore della quale fu
invocato ; giacche non crediamo che nessun zoologo vorrebbe trar
lume dallo studio degli animali inferiori per risolvere le quistioni
riguardanti l'anatomia e la fisiologia dei vertebrati a sangue caldo,
e non è certo coll'osservazione delle monère e dei polipi che si
sono scoperte la circolazione del sangue ed accertate le funzioni
CAP. I - IL METODO NELLA SCIENZA POLITICA 51
del cuore, del cervello e elei polmoni nell'uomo e negli altri ani-
mali superiori.
Ed ora non manca che un argomento ancora, ma è il più im-
portante di tutti, per provare la bontà del metodo storico da noi
preferito. Questo argomento consiste nella buona applicazione del
detto metodo ; nel dimostrare con l'esempio pratico che esso, usu-
fruendo di tutti i materiali storici, che la scienza di questo secolo
ha messo a nostra disposizione, può dare risultati veramente scien-
tifici. Ciò tenteremo di fare negli altri capitoli di questo lavoro.
\iy xU \iy \V \f/ sV %'• \<^
^^\^5).^5>;'^^'^;^/^j^>^
CAPITOLO II.
La classe politica.
I. Predoniiniu di una classe dirigente in tutte le società. — II. Importanza politica
di questo fatto. — HI. Prevalenza delle minoranze organizzate sulle maggio-
ranze. — IV. Forze politiche. Il valor militare. — V. La ricchezza. — VI. Le
credenze religiose e la cultura scientifica. — VII. Influenza dell'eredità nella
classe politica. — VIII. Periodi di stabilità e di rinnovamento della classe po-
litica.
L — Fra le tendenze ed i fatti costanti, che si trovano in
tutti gli organismi politici, uno ve n'è la cui evidenza può essere
facilmente a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da
quelle più mediocremente sviluppate e che sono appena arrivate
ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono
due classi di persone: quella dei governanti e l'altra dei gover-
nati. La prima, che è sempre la meno numerosa, adempie a tutte
le funzioni politiche, monopolizza il i^otere e gode i vantaggi
che ad esso sono uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta
e regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero più o
meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno apparente-
mente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla vitalità
dell'organismo politico sono necessari.
Nella pratica della vita tutti riconosciamo l'esistenza di questa
classe dirigente o classe politica, come altra volta ebbimo a de-
finirla (1). Sappiamo infatti che nel nostro paese alla direzione
(1) Mosca, Teorica dei Governi e Governo parlamentare, cap. 1°. Torino, 1884,
Loeecher.
CAP. II - LA CLASSE POLITICA 53
(Iella cosa pubblica vi è una minoranza di persone influenti, di
'ui la maggioranza subisce, di buon grado o malgrado, la dire-
zione e che lo stesso avviene nei paesi vicini, e non sapremmo
quasi nella realtà immaginare un mondo organizzato diversamente,
nel quale tutti ugualmente e senza alcuna gerarchia fossero sot-
toposti ad un solo o tutti ugualmente dirigessero le cose politiche.
Se in teoria ragioniamo altrimenti ciò è in parte l'effetto di abi-
tudini inveterate nel nostro pensiero ed in parte è dovuto alla so-
verchia importanza che diamo a due fatti politici, la cui appari-
scenza è d'assai superiore alla realtà.
Il primo di essi consiste nella facile constatazione che in ogni
organismo politico vi è semi^re una persona che è capo della
gerarchia di tutta la classe politica e dirige ciò che si chiama il
timone dello Stato. Questa persona non sempre è quella che legal-
mente avrebbe il supremo potere, alle volte anzi, accanto al Re od
all'Imperatore ereditario vi è un primo ministro o un maestro di pa-
lazzo che ha un potere effettivo maggiore di quello del Sovrano, od,
in luogo del Presidente elettivo, governa l'uomo politico influente,
che l'ha fatto eleggere. Qualche volta, per circostanze speciali,
invece di una persona sola sono due o tre quelle che adempiono
a quest'ufficio della suprema direzione.
Il secondo fatto è anch'esso di facile percezione, perchè qua-
lunque sia il tipo di organizzazione sociale, agevolmente si può
constatare che la pressione proveniente dal malcontento dalla massa
dei governati, le passioni da cui essa è agitata possono esercitare
una certa influenza sull'indirizzo dalla classe politica.
Ma Tuomo che è a capo dello Stato non potrebbe eerto governare
senza l'appoggio di una classe numerosa, che i suoi ordini fa ese-
guire e rispettare, e se egli può far sentire il peso della sua pos-
sanza ad uno od a parecchi dei singoli individui, che a questa classe
appartengono, non può certo urtarla nel suo complesso e distrug-
gerla. Giacché, dato che ciò fosse possibile, dovrebbe subito ricosti-
tuirne un'altra, senza di che la sua azione sarebbe completamente
annullata. E d'altra parte, ammesso anche che il malcontento
delle masse riuscisse a detronizzare la classe diligente, dovrebbe
necessariamente trovarsi, come più avanti meglio dimostreremo,
nel seno delle masse stesse un'altra minoranza organizzata, clie
all'ufficio di classe dirigente adempisse. Altrimenti qualunque or-
ganizzazione e qualunque compagine sociale sarebbe distnitta.
54 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
II. — Ciò che poi costituisce la vera superiorità della classe
politica, come base di ricerche scientifiche, è Timportanza prepon-
derante che la sua varia costituzione ha nel determinare il tipo
politico ed anche il grado di civiltà dei diversi popoli. Stando in-
fatti a quella maniera di classificare le forme dei governi, che è
ancora in voga, la Turchia e la Russia erano fino a qualche
anno fa tutte e due monarchie assolute, l'Inghilterra e l'Italia
monarchie costituzionali e la Francia e gli Stati Uniti andreb-
bero poste nella categoria delle Repubbliche. Questa classificazione
è basata sul fatto che, nei primi due paesi, il capo dello Stato è
ereditario ed era nominalmente onnipotente, nei secondi, pur es-
sendo ereditario, ha facoltà ed attribuzioni limitate, negli ultimi
infine è elettivo. Ma la classificazione è evidentemente superficiale.
Giacché appare subito che ben poco di comune v'è nella maniera
come sono ed erano rette politicamente la Russia e la Turchia,
assai diverso essendo il grado di civiltà di questi due paesi e l'ordi-
namento delle loro classi politiche: e, seguendo lo stesso criterio,
troviamo il regime dell'Italia monarchica assai più analogo a
quello della Francia repubblicana che a quello dell'Inghilterra
ugualmente monarchica, ed importantissime differenze esservi
fra l'ordinamento politico degli Stati Uniti e quello della Francia
stessa, sebbene ambidue i j)aesi siano retti a repubblica.
Come poco avanti abbiamo accennato, lunghe abitudini di pen-
siero si sono opposte e si oppongono su questo punto al progresso
scientifico. La classificazione da noi accennata, che divide i Go-
verni in monarchie assolute, temperate e repubbliche è opera di
Montesquieu che la sostituì a quella classica, che già avea fatto
Aristotele, il quale li divideva in monarchie, aristocrazie e demo-
crazie (1). Da Polibio a Montesquieu molti autori aveano perfezio-
nato la classificazione aristotelica sviluppandola nella teoria dei Go-
verni misti. Poi la corrente democratica moderna, che ebbe il suo
inizio con Rousseau, si fondò sul concetto che la maggioranza dei
cittadini di uno Stato possa, anzi debba partecipare alla vita poli-
(1) Si sa che quella che Aristotele chiamò democrazia non era che un' ari-
stocrazia più larga, e lo stesso Aristotele avrebbe potuto osservare che. iu
ogni Stato greco, aristocratico o democratico che fosse, vi erano sempre una
0 pochissime persone che aveano un'influenza preponderante.
CAP. II - LA CLASSE POLITICA
tica ; e la dottrina della sovranità poiDolare, malgrado che la
scienza moderna renda sempre più manifesta la coesistenza in
ogni organismo politico del principio democratico, del monarchico
e dell'aristocratico (1), s'impone ancora a moltissime menti. Noi
qui non la confuteremo direttamente, giacché a questo compito
adempiamo in tutto il complesso del nostro lavoro, e perchè è assai
difiicile in poche pagine distruggere in una mente umana tutto un
sistema d'idee, che vi si è radicato; giacché, come bene scrisse il
Las Casas nella vita di Cristoforo Colombo, il (ìisimparare è
in molti casi più difficile àeVCimparare.
III. — Fin da ora però crediamo utile di rispondere ad una
obiezione, la quale ci pare che molto facilmente si possa fare al
nostro modo di vedere. Se è agevole il comi^rendere che un solo
non possa comandare ad una massa senza che ci sia in essa una
minoranza che lo sostenga, è piuttosto difficile l'ammettere come
un fatto costante e naturale, che le minoranze comandino alle
maggioranze anziché queste a quelle. Ma è questo uno dei punti,
come tanti se ne danno in tutte le altre scienze, in cui la prima
apparenza delle cose è contraria alla loro realtà. Nel fatto é fatale
la prevalenza di una minoranza organizzata, che obbedisce ad
unico impulso, sulla maggioranza disorganizzata. La forza di
qualsiasi minoranza è irresistibile di fronte ad ogni individuo
della maggioranza, il quale si trova solo davanti alla totalità
della minoranza organizzata; e nello stesso tempo si può dire
che questa è organizzata appunto perché é minoranza. Cento, che
agiscano sempre di concerto e d'intesa gli uni cogli altri, trion-
feranno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno alcun
accordo fra loro ; e nello stesso tempo sarà ai primi molto più
facile l'agire di concerto e l'avere un'intesa, i^erché son cento e
non mille.
Da questo fatto si ricava facilmente la conseguenza che, quanto
più è grande una comunità politica, altrettanto minore può essere
la proporzione della minoranza governante rispetto alla maggio-
ranza governata, e tanto più difficile riesce a questa l'organizzarsi
per reagire contro di quella.
(1) Fra gli autori che ammettono questa coesistenza basta citare Io Spencer.
56 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Però, oltre al vantaggio grandissimo che viene dall'organizza-
zione, le minoranze governanti ordinariamente sono costituite in
maniera che gl'individui che le compongono, si distinguono dalla
massa dei governati por certe qualità, che danno loro una certa
superiorità materiale ed intellettuale od anche morale, oppure
sono gli eredi di coloro che queste qualità possedevano: essi in
altre parole devono avere qualche requisito, vero od apparente,
che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società
nella quale vivono.
IV. — Nelle Società primitive, che sono ancora nel primo
stadio della loro costituzione, la qualità che più facilmente apre
l'accesso alla classe politica o dirigente, è il valor militare. La
guerra, che nelle società di avanzata civiltà è uno stato eccezio-
nale, può essere considerata quasi come normale in quelle che
sono all'inizio del loro sviluppo, ed allora gl'individui che spie-
gano in essa migliori attitudini acquistano facilmente la supre-
mazia sugli altri: i più bravi diventano i capi. Il fatto è costante,
ma le modalità che può assumere, secondo i casi, sono alquanto
diverse.
Ordinariamente il dominio di una classe guerriera sopra una
moltitudine pacifica si suole attribuire alla sovi'apposizione delle
razze, alla conquista, che un popolo bellicoso fa di un altro rela-
tivamente imbelle. Qualche volta infatti la cosa avviene precisa-
mente cosi: e ne abbiamo degli esempi nell'India dopo le invasioni
degli Arii, nell'impero romano dopo quelle dei popoli germanici
e nel Messico dopo la conquista azteca; ma più spesso ancora, in
certe condizioni sociali, vediamo formarsi una classe guerriera e
dominatrice anche là dove di conquista straniera non vi è assolu-
tamente traccia. Finche un'orda infatti vive esclusivamente di
caccia, allora tutti i suoi individui possono facilmente tramutarsi
in guerrieri e vi saranno dei capi, che avranno naturalmente il
predominio nella tribù, ma non si avrà la formazione di una classe
bellicosa, che sfrutti e tuteli nello stesso tempo un'altra addetta
al lavoro pacifico. Ma, a misura che si va lasciando lo stadio ve-
natorio e si entra in quello agricolo e pastorale, allora, insieme
all'aumento enorme della popolazione ed alla maggiore stabilità
dei mezzi d'influenza sociale, può nascere la divisione più o meno
netta in due classi: l'ima consacrata esclusivamente al lavoro aurri-
CAP. II - LA CLASSE POLITICA 57
colo, l'altra alla guerra. Se ciò avviene, è inevitabile che rultima
acquisti poco a poco tale preponderanza sulla prima da poterla
impunemente opprimere.
La Polonia offre un esempio caratteristico del cambiamento
graduale della classe guerriera in classe assolutamente domina-
trice. In origine i Polacchi aveano quell'ordinamento del comune
rurale che era prevalso fra tutti i popoli slavi, ne eravi fra loro
distinzione alcuna fra guerrieri ed agricoltori, ossia nobili e con-
tadini. Però, dopo che fissaronsi nelle grandi pianure dove scorre
la Vistola ed il Niemen, cominciando a svilupparsi fra essi l'a-
gricoltura e nello stesso tempo continuando la necessità di guerreg-
giare contro bellicosi vicini, i capi delle tribù o icoiewodi si circon-
darono di un certo numero di individui scelti, i quali ebbero come
occupazione speciale quella delle armi. Essi erano divisi nelle varie
comunità rurali ed erano naturalmente esentati dai lavori agri-
coli, pur ricevendo la loro porzione dei j)rodotti della terra, alla
quale, come gli altri comunisti, aveano diritto. Nei primi tempi
la loro posizione non era molto ricercata e vi ebbero esempi di
paesani, che rifiutavano l'esenzione dei lavori agTicoli pur di non
andare a combattere ; ma. gradatamente, come quest'ordine di cose
si fece stabile, come una classe si abituò al maneggio delle armi
ed agli ordinamenti militari, mentre l'altra vieppiù incallivasi nel-
l'uso dell'aratro e della vanga, i guerrieri divennero nobili e pa-
droni ed i contadini, da compagni e fratelli, tramutaronsi in villani e
servi. Poco a poco i bellicosi signori moltiplicarono le loro esigenze
al punto che la parte, che essi prendevano come membri della
comunità, si allargò fino a comprendere tutto il prodotto della
comunità stessa, meno ciò che era assolutamente necessario alla
sussistenza dei coltivatori; e quando questi tentarono di fuggire,
furono con la forza costretti a restar legati alla terra, assumendo
cosi il loro stato i caratteri di una vera e propria servitù della
gleba (1).
(1) Il Re Casimiro 11 il Grande (1333) tentò invano di yiorre un argine a
questo prepotere dei guerrieri e, quando i paesani venivano a reclamare
contro i nobili, si limitava a dom.andare loro se non avessero bastoni e
pietre. Più tardi, nel 1587, la nobiltà imponeva che tutti i borghesi delle
città fossero costretti a vendere le loro torre, in maniera che la proprietà di
queste non poteva appartenere che a nobili, contemporaneamente faceva pres-
58 ELEMENTI DI SCIENZA POUTIOA
Evoluzione analoga abbiamo in Russia. Colà i guerrieri che co-
stituivano la droujiìia, ossia il seguito degli antichi kniaz o ])rin-
cipi discendenti da Riirick, ottennero anch'essi, per vivere, una
parte del reddito dei mir^ o comuni rurali dei contadini. A poco
a poco questa parte crebbe e siccome la terra abbondava e le
braccia mancavano ed i contadini ne profittavano per emigrare,
lo czar Boris Godounof alla fine del decimosesto secolo die il di-
ritto ai nobili di ritenere con la forza i contadini nelle loro teiTe,
dando cosi origine alla servitù della gleba. Però in Russia giammai
la forza armata fu costituita esclusivamente dai nobili : i moiijiks
o piccoli uomini seguivano alla guerra come gregari i membri
della droujina e poi, fin dal secolo sedicesimo, Ivano IV il Terri-
bile costituiva mediante gli strelitsi un corpo di truppe quasi stan-
ziali, che durò fino a quando Pietro il Grande lo sostituì con i
reggimenti organizzati secondo il tipo europeo-occidentale, nei quali
gli antichi membri della droujina, uniti a stranieri, formarono il
corpo degli ufficiali, ed i moujiks diedero l'intero contingente dei
soldati (1).
In generale poi, in tutti i popoli entrati recentemente nello
stadio agricolo e relativamente civile, troviamo costante il fatto
che la classe i3er eccellenza militare corrisponde a quella politica
o dominatrice; in qualche parte anzi l'uso delle armi resta riser-
vato esclusivamente a questa classe, come è accaduto nell' India
ed in Polonia ; più comunemente avviene che anche i membri
della classe governata iDOSsono essere eventualmente arruolati, ma
sempre come gregari e nei corpi meno stimati. Così in Grecia, al-
l'epoca delle guerre mediche, i cittadini appartenenti alle classi
più ricche ed influenti costituivano i corpi scelti dei cavalieri e
degli opliti, i meno ricchi combattevano come peltasti o frombo-
lieri e gli schiavi, ossia la massa dei lavoratori, era quasi comple-
sione sul Re affinchè iniziasse a Roma le pratiche necessarie per ottenere che
non potessero d'allora in poi essere ammessi in Polonia negli ordini sacri che
i soli nobili, volendosi così escludere assolutamente dalle cariche onorifiche
e da ogni importanza sociale i borghesi ed i contadini. Vedi Mickiewicz,
Slaves, cap. IV, pag. 376-80; Histoire lìopulaire de Pologne, cap. I e li. Pari?,
1875, ed. Hetzel.
(1) Leroy-Beaulieu Anatole, L'Empire des tzars et les Rtisses, voi. I, pag. 338
e seg. Paris, 1881-82, Hachette.
GAP. II - LA. CLASSE POLITICA 59
tamente esentata dal maneggio delle armi. Ordinamento per-
fettamente analogo troviamo nella Roma repubblicana fino al-
l'epoca delle guerre f)^iiiiche ed anche fino a Caio Mario, tra i
G-alli all'epoca di G-iulio Cesare (1), nell'Europa latina e ger-
manica del Medio Evo, nella Russia testé citata ed in molti altri
lìopoli.
V. — Come in Russia ed in Polonia, come nell'India e nel-
r Europa del Medio Evo, dappertutto le classi guerriere e domi-
natrici si sono accaparrata la quasi esclusiva proprietà delle terre,
che nei paesi non molto civili sono la fonte principalissima della
produzione e della ricchezza. A misura poi che la civiltà va pro-
gredendo, il reddito di queste terre va aumentando (2), ed allora,
se altre circostanze vi concordano, può avvenire una trasforma-
zione sociale molto imijortante: la qualità più caratteristica della
classe dominante i^iù che il valore militare viene ad essere la ric-
chezza, i governanti sono i ricchi piuttosto che i forti.
La princij)ale condizione necessaria perchè questa trasforma-
zione avvenga è la seguente : occorre che l'organizzazione sociale
si x)erfezioni e si concentri in maniera che il presidio della forza
pubblica diventi molto più efficace di quello della forza privata.
Bisogna, in altre parole, che la proprietà ijrivata sia sufficiente-
mente tutelata dalla forza pratica e reale delle leggi in modo da
rendere superflua quella del proprietario stesso. Ciò si ottiene me-
diante una serie di graduali mutamenti nell'ordinamento sociale,
sui quali più avanti ci dovremo piuttosto lungamente intrattenere,
e che hanno per effetto di cambiare quel tipo di organizzazione
politica, che noi chiameremo lo Stato feudale, in un altro tipo,
(1) Cesare fu rilevare replicatamente che il nerbo degli eserciti gallici era
costituito dai cavalieri reclutati nella nobiltà. Gli Edui, ad esempio, non po-
tevano piìi resistere ad Ariovisto dopo che la maggior parte dei loro cava-
lieri era stata uccisa combattendo.
(2) Col crescere della popolazione suole crescere, almeno in certe epoche,
la rendita ricardiana, segnatamente perchè si creano quei grandi centri di
consumo, che sono o furono costituiti da tutte le metropoli e dalle altre
grandi città antiche e moderne. Or una popolazione discretamente fitta e la
creazione di grandi città sono condizioni quasi necessarie di una civiltà
avanzata.
60 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
essenzialmente diverso, che da noi sarà denominato Stato bui'o-
cratico. Però fin da ora possiamo dire che la evoluzione, alla quale
abbiamo accennato, ordinariamente è molto facilitata dal progre-
dire dei pacifici costumi e da certe abitudini morali, che le società
contraggono col progredire della civiltà.
Una volta avvenuta la detta trasformazione è certo che, come
il potere politico ha prodotto la ricchezza, cosi la ricchezza pro-
duce il potere. In una società già abbastanza matura, nella quale
la forza individuale è tenuta a freno da quella collettiva, se i po-
tenti sono ordinariamente i ricchi, dall'altra parte basta essere
ricchi per diventare potenti. Ed in verità è inevitabile che, quando
è proibita la lotta a mano armata restando permessa quella a colpi
di scudi, i posti migliori siano conquistati appunto da coloro che
di scudi sono meglio forniti.
Ci sono invero Stati di civiltà avanzatissima, che sono organiz-
zati in base a principi morali di un'indole tale, che sembrano
escludere questa preponderanza della ricchezza da noi enunciata.
Ma questo è uno dei tanti casi in cui i principi teorici non hanno
che una limitata applicazione nella realtà delle cose. Negli Stati
Uniti d'America, ad esempio, tutti i poteri escono direttamente od
indirettamente dalle elezioni popolari ed il suffragio è, in quasi
tutti gli Stati, universale; e vi è anche di più: la democrazia colà
non è solo nelle istituzioni^ ma anche in certo modo nei costumi,
e vi è una certa ripugnanza nei ricchi a darsi ordinariamente alla
vita X3ubblica ed una certa ripugnanza nei poveri a scegliere i
ricchi per le cariche elettive (1). Ciò non toglie che un ricco vi sia
sempre molto più influente di un povero, perchè può xDagare i po-
liticanti spiantati, che dispongono delle pubbliche amministrazioni ;
non toglie che le elezioni si facciano al suono dei dollari; che
intieri parlamenti locali e numerose frazioni del Congresso non
risentano l' influenza delle potenti compagnie ferroviarie e dei
grandi baroni della finanza. E vi è perfino chi assicura che, in
parecchi Stati dell'Unione, chi abbia molto da spendere possa anche
(1) Vedi Claudio Jannet, Le istituzioni politiche negli Stati Uniti d'America,
parte II, cap. X e seg. (" Biblioteca politica „, Unione tipografica editrice,
Torino). L'A. cita moltissimi autori e giornali americani, che rendono la sua
asserzione irrecusabile.
GAP. II - LA CLASSE POLITICA 61
concedersi il lusso di ammazzare un uomo colla quasi sicurezza del-
l'impunità (1).
Anche nella China fino a qualche anno fa, il Gro verno, sebbene
non avesse accolto il principio dell'elezione popolare, era fon-
dato sopra una base essenzialmente egalitaria; si sa che i gradi
accademici aprivano l'accesso alle pubbliche cariche e che questi
gradi si conferivano per esame senza apparente riguardo alla na-
scita od alla ricchezza (2). Ma benché la classe doviziosa sia in
China meno numerosa, meno ricca, meno strapotente che negli Stati
Uniti d'America, non è men vero che essa avea saputo notevol-
mente intaccare la leale applicazione di questo sistema. Non solo
si comprava spesso a forza di danaro l'indulgenza degli esamina-
tori, ma il Groverno stesso talora per danaro vendeva i diversi
gradi accademici e permetteva che arrivassero agli impieghi ])er-
sone ignoranti, che qualche volta erano venute su dagli ultimi
strati sociali (3).
Prima di lasciare quest' argomento dobbiamo poi rammentare
che, in tutti i paesi del mondo, altri mezzi d'influenza sociale,
quali sarebbero la notorietà, la grande cultura, le cognizioni spe-
ciali, i gradi elevati nelle gerarchie ecclesiastiche, amministrative
e militari, si acquistano sempre più facilmente dai ricchi anziché
dai poveri. I primi per arrivare devono sempre percorrere una via
(1) Jannet, opera e capitoli citati (La corruzione privata. Onnipotenza del
danaro. La plutocrazia, ecc.). I fatti citati oltre che attestati da quest'autore
con numerosissimi documenti sono confermati da molti scrittori americani di
cose politiche, dal Seamen ad es. e dal George, che pur sono di principi dif-
ferenti. Del resto coloro che hanno qualche pratica della letteratura ameri-
cana sanno che essi sono ammessi da romanzieri, commediografi e giornalisti
come cosa risaputa. 11 socialista George ha più che all'evidenza dimostrato
(vedi opera già citata) come il suffragio universale non basti ad impedire la
plutocrazia, dove vi è una grande disuguaglianza di fortune. È sua l'asserzione
che negli Stati dell'Ovest un ricco si può cavare il capriccio di ammazzare
impunemente un povero. Lo stesso autore nel " Protection and free trade ,
(London, 1886) accenna continuamente all'influenza dei grandi industriali nelle
decisioni del Congresso.
(2) Secondo qualche autore solo i barbieri e certe categorie di battellieri
sarebbero stati esclusi, insieme ai loro figli, dal diritto di concorrere ai vari
gradi del mandarinato. Rousset, A travers la Chine. Paris, 1878, Hachette.
(3) SiNiHAi.DO DE Mas, Chine ei puixsances chrétiennes, pag. 332-34; Huc. L'Em-
pire Chinois.
62 ELEMENTI DI SI'IENZA l'OLITICA
notevolmente i)iù breve di quella dei secondi, senza contare che
il tratto di strada, che ai ricchi viene risparmiato, è spessissimo
il più aspro e difficile.
VI. — Nelle società nelle quali le credenze religiose hanno
molta forza ed i ministri del culto formano una classe speciale
si costituisce quasi sempre un'aristocrazia sacerdotale, che ottiene
una parte più o meno grande della ricchezza e del potere i)olitico.
Abbiamo esempi cospicui di questo fatto in certe epoche dell'an-
tico Egitto, nell'India braminica e nell'Europa del Medio Evo.
Spesso i sacerdoti, oltre che adempire agli uffici religiosi, hanno
avuto anche cognizioni giuridiche e scientifiche e hanno rappre-
sentato la classe intellettualmente più elevata. Conscientemente o
inconscientemente però, nelle gerarchie sacerdotali si è manife-
stata di frequente la tendenza a monopolizzare le cognizioni ac-
cennate e ad ostacolare la diffusione dei metodi e dei jDi'Ocedi-
menti, che rendono possibile e facile l'apprenderle. Si può invero
sospettare che a questa tendenza sia, almeno in parte, dovuta la
lentissima diffusione che ebbe nell'Egitto antico l'alfabeto demo-
tico, infinitamente più semplice e facile della scrittura geroglifica.
In Gallia i Druidi, sebbene avessero conoscenza dell'alfabeto greco,
non permettevano che la copiosa raccolta della loro letteratura sacra
fosse scritta ed obbligavano i loro allievi a cacciarla con molta
fatica a memoria. Allo stesso scopo può essere attribuito l'uso te-
nace e frequente delle lingue morte, che troviamo nell'antica
Caldea, nell' India e nell' Europa del Medio Evo. Qualche volta,
infine, come è appunto accaduto nell'India, si è proibito formal-
mente alle classi inferiori di aver conoscenza dei libri sacri.
Le nozioni speciali e la vera cultm-a scientifica, spoglie di qua-
lunque carattere sacro e religioso, diventano una forza politica im-
portante solo in uno stadio molto avanzato di civiltà ; ed è allora
soltanto che esse possono a coloro che le posseggono aprire l'adito
della classe governante. Ma, anche in questo caso, è da tener pre-
sente che ciò che ha un valore politico non è tanto la scienza in
se stessa quanto le applicazioni pratiche che se ne possono fare a
vantaggio del pubblico, ovvero dello Stato. Qualche volta non si
richiede che il possesso dei soli p)rocedimenti meccanici indispen-
sabili per acquistare una coltura superiore, forse perchè è più facile
constatare e misurare la perizia, che in essi il candidato ha potuto
CAP. II - LA CLASSE POLITICA 63
acquistare. Cosi, in certe epoche deirantico Egitto, la professione
di scriba conduceva alle cariche pubbliche ed al potere, forse anche
perchè l'apprendere la scrittura geroglifica richiedeva lunghi e
pazienti studi ; come pure, nella China moderna, la conoscenza dei
numerosissimi caratteri della scrittura chinese ha formato la base
della cultura dei mandarini (1). Nell'Europa presente ed in Ame-
rica la classe, che applica alla guerra, all'amministrazione pub-
blica, alle oxjere ed alla sanità pubblica i ritrovati della scienza
moderna, occupa una posizione socialmente e politicamente rag-
guardevole : e, negli stessi paesi, come nella Roma antica, privile-
giata assolutamente è la condizione dei giurisperiti, che conoscono
la complicata legislazione comune a tutti i popoli di antica ci-
viltà, massime se alle nozioni giuridiche accoppiano quel genere
di eloquenza, che più incontra il gusto dei propri contemporanei.
Non mancano esempi nei quali vediamo che, nella frazione più
elevata della classe politica, la lunga pratica nel dirigere l'orga-
nizzazione militare e civile della comunità fa nascere e sviluppare
una vera arte di governo superiore al gretto empirismo ed a tutto
ciò che può suggerire la sola esperienza individuale. E allora che
si costituiscono quelle aristocrazie di funzionari, come il Senato
romano, il veneto e, fino ad un certo punto la stessa aristocrazia
inglese, che formavano l'ammirazione dello Stuart Mill e che certo
hanno dato alcuni dei Governi, che più si sono distinti per ma-
tui'ità nei loro disegni e costanza ed avvedutezza nel metterli in
esecuzione. Quest'arte non è certo la Scienza politica, ma ha pre-
corso senza dubbio l'applicazione di alcuni suoi postulati ; però,
se essa si è in qualche modo affermata in certe classi di persone da
lungo tempo in possesso delle funzioni politiche, crediamo che la
sua conoscenza non abbia servito mai come criterio ordinario per
aprirne l'accesso a coloro, che dalla loro posizione sociale ne re-
stavano esclusi (2).
(1) Almeno così era fino a pochi anni fa, quando gli esami dei mandarini
versavano soltanto sulle discipline letterarie e storiche alla maniera, ben in-
teso, come queste discipline erano comprese dai Chinesi.
(2) Ci pare del resto che quest'arte di governo, meno casi eccezionali, sia
una qualità molto difficile a constatare in individui, che ancora non hanno
fornito la prova pratica di possederla.
64 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
VII. — In certi paesi troviamo le caste ereditarie ; la classe
governante è perciò definitivamente ristretta ad un dato numero
di famiglie e la nascita è l'unico criterio, che determina Fentrata
nella detta classe o Tosclusione da essa. Gli esempi di queste ari-
stocrazie ereditarie sono comunissimi e non vi è quasi jiaese di
antica civiltà, che, in una data epoca della sua storia, non ne abbia
avuto. Una nobiltà ereditaria troviamo infatti in certi periodi nella
China e nell'Egitto antico, nell'India, nella Grecia anterioic alle
guerre mediche, in Roma antica, tra gli Slavi, tra i Latini e Ger-
mani del Medio Evo, nel Messico all'epoca della scoverta del-
l'America e nel Giappone fino a pochi anni fa.
Su questo proposito dobbiamo premettere due osservazioni : la
prima è che tutte le classi politiche hanno la tendenza a diven-
tare di fatto, se non di diritto, ereditarie. Infatti tutte le forze
politiche hanno quella qualità, che in fìsica si chiama forza di
inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello stato in cui
si trovano. Il valor militare e la ricchezza facilmente per tradi-
zione morale e per effetto dell'eredità si mantengono in certe fa-
miglie; e la pratica delle grandi cariche, l'abitudine e quasi l'atti-
tudine a trattare gli affari di importanza si acquistano molto più
facilmente quando da piccoli si è avuta con essi una certa famiglia-
rità. Anche quando i gradi accademici, la coltura scientifica, le atti-
tudini speciali provate per mezzo di esami e di concorsi aprono
l'adito alle cariche pubbliche, non si distrugge quel vantaggio spe-
ciale a favore di taluni, che i Francesi definiscono il vantaggio
delle posizioni già prese. Ed in realtà, per quanto esami e concorsi
siano teoricamente aperti a tutti, alla maggioranza manca sempre
l'agiatezza necessaria per sopperire alle spese di una lunga prex)a-
razione, ed a molti altri fanno difetto le relazioni e le parentele,
per le quali un individuo è messo subito sulla vìa buona e si
evitano i tentennamenti e gli sbagli inevitabili quando si entra
in un ambiente sconosciuto, nel quale non si hanno guide ed ap-
poggi (1).
(1) 1! principio democratico della elezione a suffragio molto largo parrebbe
a prima vista in contraddizione con questa tendenza alla stabilità della classe
politica, che abbiamo accennato. Ma bisogna osservare che riescono quasi
sempre eletti coloro che posseggono le forze politiche, che abbiamo gin euu-
CAP. II - LA CLASSE POLITICA 65
La seconda osservazione consiste in ciò : che, quando vediamo
in un ijaese stabilita una casta ereditaria che monopolizza il po-
tere politico, si può esser sicuri che un simile stato di diritto fu
preceduto dallo stato di fatto. Prima di affermare il loro diritto
esclusivo ed ereditario al potere, le famiglie o le caste potenti do-
vettero tenere ben saldo nelle loro mani il bastone del comando,
dovettero monopolizzare assolutamente tutte le forze politiche di
quell'epoca e di quel popolo in cui si affermarono ; altrimenti
una pretesa di questo genere avrebbe suscitato proteste e lotte
acerbissime.
Dopo ciò diremo come le aristocrazie ereditarie spesso hanno
vantato una origine soprannaturale o almeno diversa e superiore
a quella delle classi governate ; tale pretesa si spiega con un fatto
sociale importantissimo, del quale dovremo Imigamente parlare
nel seguente capitolo, e che fa si che ogni classe governante tende
a giustificare il suo potere di fatto appoggiandolo ad un principio
morale d'ordine generale. Recentemente però la stessa i)retesa si
è presentata con l'appoggio di un corredo scientifico. Qualche
scrittore, sviluppando ed ampliando le teorie del Darwin, crede che
le classi superiori rappresentino un grado più elevato dell'evolu-
zione sociale e che esse quindi siano per costituzione organica
migliori di quelle inferiori; il Grumplowicz, già citato, va più avanti
e sostiene nettamente il concetto che la divisione dei popoli in
classi professionali è fondata, nei paesi di "moderna civiltà, sopra
una eterogeneità etnica (1).
Or sono notissime nella storia le qualità come anche i difetti
speciali, le une e gli altri molto accentuati, che hanno mostrato
quelle aristocrazie, che sono rimaste perfettamente chiuse, oppure
che hanno reso molto difficile l'accesso nella loro classe. L'antico
patriziato romano e la moderna nobiltà inglese e tedesca danno
subito l'idea del tipo che accenniamo. Senonchè, di fronte a questo
fatto ed alle teorie che tendono ad esagerarne la portata, si può
merato e che spessissimo sono ereditarie. Difatti nel Parlamento inglese ed
anche in quelli francese ed italiano vediamo frequentemente sedere i figli, i
fratelli, i nipoti e i generi di deputati ed ex-deputati.
(1) Op. cit. Questo concetto si ricava da tutto lo spirito del lavoro, ma ;•
nettamente affermato nel libro 2°, cap. XXXIll.
tx. Mosca, lUemenfì di Scienza Politica.
66 ELEMENTI 1>I SOIENZA POLITICA
fare sempre la stessa obiezione : che gl'individui appartenenti a
questo aristocrazie debbono le loro (jualità speciali non tanto al
sangue, che loro scorre nelle vene, quanto alla particolarissima
educazione che hanno ricevuto, e che ha sviluppato in loro certe
tendenze intellettuali e morali a preferenza di altre (*).
Si dice che ciò può esser sufficiente a spiegare le superiorità
nelle attitudini puramente intellettuali, ma non le differenze di
carattere morale, come sarebbero la forza di volontà, il coraggio,
l'orgoglio, l'energia. Ma la verità è che la posizione sociale, le
tradizioni di famiglia, le abitudini della classe in cui viviamo,
contribuiscono al maggiore o minore sviluppo delle qualità accen-
nate più di quanto comunemente si crede. Se infatti osserviamo
attentamente gl'individui che cambiano di posizione sociale, o in
meglio o in peggio, e che entrano in conseguenza in un am-
biente diverso da quello al quale erano abituati, possiamo facil-
mente accertarci che le loro attitudini intellettuali si modificano
molto meno sensibilmente di quelle morali, Astrazion facendo della
maggiore larghezza di vedute, che lo studio e le cognizioni danno
a chiunque non sia assolutamente uno stupido, ogni individuo,
resti semplice segretario o diventi ministro, arrivi al grado di ser-
gente od a quello di generale, sia milionario o pezzente, si man-
tiene immancabilmente a quel livello intellettuale, che la natura
gli ha dato. Mentre, col cambiare del grado sociale e della ric-
chezza, possiamo benissimo vedere l'orgoglioso diventare umile e
la servilità cambiarsi in tracotanza ; un carattere franco e fiero,
costretto da necessità, imparare a mentire o quanto meno a dissi-
mulare ; e chi si è piegato lungamente a simulare e mentire ri-
farsene poi adottando una sedicente franchezza ed inflessibiUtà
di carattere. E pure vero che chi dall'alto viene abbassato spesso
acquista forza di rassegnazione, di sacrifìcio e d'iniziativa, come
pure che chi dal basso viene innalzato qualche volta guadagna
riguardo al sentimento della giustizia e dell'equità. Insomma, si
(*) Sembra anzi accertato che, fra tutti i coefficienti di superiorità sociale,
quello nel quale l'eredità si aiferma con minore efficacia sia la superiorità in-
tellettuale , poiché i figli degli uomini di mente più elevata spesso hanno
intelletto mediocre; ed è perciò che le aristocrazie ereditarie non si sono mai
fondate sulla sola superiorità intellettuale, ma piuttosto su quella del carattere
e della ricchezza.
LA CLASSE POLITICA 67
muti in bene o in male, deve essere eccezionalmente temprato
queirindividuo, che, cambiando notevolmente di posizione sociale,
conserva inalterato il proprio carattere (1).
n coraggio guerresco, l'energia nell'attacco, la longanimità nella
resistenza sono qualità, che spesso e lungamente sono state cre-
dute monopolio delle classi superiori. Certo grande può essere la
differenza naturale e, diremo cosi, innata che su queste qualità
può correre fra un individuo ed un altro ; a mantenerle però alte
o basse, in media, in una categoria d'uomini numerosa, concor-
rono sopratutto le tradizioni e le abitudini dell'ambiente. Gene-
ralmente ci familiarizziamo col pericolo, o meglio ancora con un
dato pericolo, quando le persone con cui siamo usi a vivere ne
parlano con indifferenza e rimangono calme ed imi^erturbabili
davanti ad esso. Infatti, sebbene molti ce ne siano naturalmente
timidi, i montanari affrontano impavidi i pericoli degli abissi ed
i marinari quelli del mare, ed allo stesso modo le popolazioni e
le classi abituate alla guerra mantengono in sommo grado le virtù
militari.
E ciò è tanto vero che, anche popolazioni e classi sociali ordi-
nariamente disusate dalle armi, acquistano rapidamente le dette
virtù, purché gl'individui da esse provenienti vengano incorporati
in certi nuclei, dove il coraggio e l'ardire siano tradizionali ; purché
siano, ci si passi la metafora, gettati in crogiuoli umani forte-
mente imbevuti di quei sentimenti, che ad essi si vogliono tras-
mettere. Con fanciulli principalmente rubati fra gl'infiacchiti Greci
di Bisanzio Maometto II reclutava i suoi terribili giannizzeri ;
il tanto disprezzato fellah egiziano, da lunghi secoli disabituato
dalle armi ed avvezzo a ricevere umile ed imbelle le bastonate
di tutti gli oppressori, mescolato ai Turchi ed Albanesi di Mehemet-
Alì diventava un buon soldato. La nobiltà francese ha goduto
sempre gran fama per il suo brillante valore, ma, fino alla fine
del secolo decimottavo, questa qualità non era ugualmente attri-
buita alla borghesia dello stesso paese; le guerre della repubblica e
(1) Scrisse Mirabeau che, per qualunque uomo, una grande elevazione nella
scala sociale produce una crisi, che guarisce i mali che ha e glie ne crea
alcuni, che prima non aveva. Vedi Correspomlance entre le comfe de Mirabeau
et le comfe de La March, voi. Il, pag. 228. Paris, 1851. Librairie Le Norman!
68 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
fieli' impero dimostrarono am])iamente che la natura era stata
ugualmente prodiga di coraggio per tutti gli abitanti della Francia,
e che plebe e borghesia i)otevano fornire non .solo buoni soldati,
ma anche, che ciò si credeva privilegio esclusivo dei nobili, eccel-
lenti ufficiali (1).
Vili. — Infine, stando all'idea di coloro che sostengono la
forza esclusiva del principio ereditario nella classe politica, si ver-
rebbe ad una conseguenza consimile a quella che abbiamo accen-
nato nella prima parte del nostro lavoro : la storia politica della
umanità dovrebbe essere molto più semplice di quella che è. Se
veramente la classe politica appartenesse ad una razza differente
o se le sue qualità dominatrici si trasmettessero principalmente
per mezzo della eredità organica, non si capirebbe il perchè, for-
mata una volta questa classe, essa debba decadere e perdere il
potere. E ammesso comunemente che le qualità proprie di una
razza sono molto tenaci e, stando alla teoria dell'evoluzione, le
attitudini acquisite nei padri sono innate nei figli e col succedersi
delle generazioni si vanno sempre più affinando. Sicché i discen-
denti dei dominatori dovrebbero diventare sempre più atti a do-
minare, e le altre classi dovi'ebbero mano mano vedere allonta-
nata la possibilità di misurarsi con loro e di sostituirli. Or la più
volgare esperienza basta a farci sicuri che le cose non vanno pre-
cisamente così.
Noi vediamo che, appena si spostano le forze politiche, se si fa
sentire il bisogno che attitudini diverse di quelle antiche si affer-
mino nella direzione dello Stato e se le antiche quindi non con-
servano la loro importanza, o se avvengono dei cambiamenti nella
loro distribuzione, muta anclie la maniera come la classe politica
è formata. Se in una società si forma un nuovo cespite di ric-
chezza, se cresce rimportanza pratica del sapere, se l'antica reli-
gione decade od una nuova ne nasce, se una nuova corrente di
(1) Del resto l'asserzione del Gumplowicz che la differenziazione delle classi
sociali dipenda massimamente dalle varietà etniche meriterebbe almeno di
essere provata; di contro a quest'asserzione si possono addurre facilmente
molti fatti, e fra gli altri quello, tanto ovvio, che spessissimo i rami della
stessa famiglia appartengono a classi sociali molto differenti.
CAP. II - LA CLASSE POLITICA 69
idee si diffonde, contemporaneamente avvengono forti sposta-
menti nella classe dirigente. Si può dire anzi che tutta la storia
dell'umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza, che
hanno gli elementi dominatori a monopolizzare le forze politiche
ed a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la ten-
denza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e l'af-
fermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorio di
endosmosi ed esosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di quelle
basse. Decadono poi immancabilmente le classi politiche ogni
qualvolta non possono più esercitare le qualità per le quali arriva-
rono al potere, o quando non possono rendere più il servizio sociale
che rendevano o le loro qualità ed i servizi che rendono perdono
ogni importanza nell'ambiente sociale in cui vivono: cosi decadde
l'aristocrazia romana quando non forni più esclusivamente gli alti
ufficiali dell'esercito, gli amministratori della repubblica, i gover-
natori delle Provincie ; cosi decadde la veneta quando i suoi pa-
trizi non comandarono più le galere e non passarono più gran
parte della loro vita navigando, commerciando e combattendo.
Nella natura inorganica troviamo l'esempio dell'aria, nella quale
la tendenza all'immobilità, prodotta dalla forza d'inerzia, è con-
tinuamente combattuta dalla tendenza allo spostamento, conse-
guenza delle ineguaglianze nella distribuzione del calorico. Le due
tendenze, prevalendo a vicenda nelle diverse parti del nostro pia-
neta, vi producono or la calma, or il vento e la tempesta. Senza
voler trovare alcuna analogia sostanziale fra questo esempio ed i
fenomeni sociali, e solo citandolo perchè ci fa comodo come para-
gone formale, osserviamo che, nelle società umane, prevale ora la
tendenza che produce la chiusura, l'immobilità, la cristallizzazione,
per dir cosi, della classe politica, ora quella che ha per conse-
guenza il suo più o meno rapido rinnovamento.
Le società dell'Oriente, che noi giudichiamo immobili, in realtà
non lo sono sempre state, perchè altrimenti, come abbiamo già
accennato, non avrebbero potuto fare quei progressi di cui ci la-
sciarono le irrecusabili testimonianze. E molto più esatto il dire che
noi le abbiamo conosciute quando erano in un periodo di cristal-
lizzazione delle loro forze e classi politiche. Lo stesso avviene in
quelle società, che comunemente si chiamano invecchiate, nelle
quali le credenze religiose, la cultura scientifica, i modi di pro-
durre e distribuire la ricchezza non hanno subito da lunghi secoli
70 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
alcun radicale cambiamento, e che non sono state turbate nel loro
ordinario andamento da infiltrazioni materiali od intellettuali di
elementi stranieri. In queste società, le forze politiche essendo
sempre le stesse, la classe che le possiede mantiene indisputato il
potere, che si perpetua per ciò in certe famiglie e l'inclinazione
verso la immobilità si generalizza anche in tutti gli strati sociali,
E cosi che nell'India vediamo il regime delle caste stabilirsi
rigorosamente dopo che vi fu soffocato il Buddismo. Cosi vediamo
pure che nell'antico Egitto i Greci trovarono le caste ereditarie,
mentre sappiamo che nei periodi di splendore e rinnovamento
della civiltà egiziana la ereditarietà degli uffici e delle condizioni
sociali non esisteva (1). Ma l'esempio più noto e forse più impor-
tante di una società che tende a cristallizzarsi l'abbiamo in quel
periodo della storia romana che dicesi il basso impero, nel quale,
dopo alcuni secoli di un'immobilità sociale quasi completa, ve-
diamo farsi sempre più netta la separazione fra due classi : l'una
di grandi proprietari e funzionari importanti, l'altra di servii di
coloni, di plebe; e cosa anche più notevole, stabilita pria dal co-
stume che dalla legge, l'eredità degli uffici e delle condizioni so-
ciali si andò in quell'epoca rapidamente generalizzando (2).
Ma può avvenire al contrario, e avviene qualche volta nella
storia delle nazioni, che il commercio con genti estranee, la ne-
cessità di emigrare, le scoperte, le guerre, creino nuova povertà e
ricchezza nuova, diffondano cognizioni fin allora sconosciute, produ-
cano l'infiltrazione di nuove correnti morali, intellettuali e reli-
giose. Può accadere che, per lenta elaborazione interna o per ef-
fetto di queste infiltrazioni, o per ambo le cause, sorga una scienza
nuova, o tornino in onore i risultati di quella antica, che era stata
obliata, e che le nuove idee e le nuove credenze scuotano le abi-
tudini intellettuali sulle quali si fondava l'obbedienza delle masse.
(1) Lenokmant, Maspero, Brugsh, opere citate. Durante il periodo della cac-
ciata degli Hiqsos abbiamo il resoconto della carriera di un alto ufficiale, che
aveva cominciato la carriera da semplice soldato. Frequentissimi erano poi i
casi in cui lo stesso individuo serviva successivamente nella milizia, nell'am-
ministrazione civile e nel sacerdozio.
(2) MoMMSEN e Marquakdt, Manuel des antiquités romaines. Trad. Humbert,
Ed. Thorin, Paris, 1887; Fustel de Coulanges, Nouvelles recherches sur qiielques
problètnes d'histoire. Paris, 1891, Hachette.
GAP. II - LA CLASSE POLITICA 71
La classe politica può anclie essere vinta e distrutta in tutto od
in parte da invasioni straniere e, quando si j)roducono le circostanze
dianzi rammentate, può anche essere sbalzata di seggio da nuovi
strati sociali forti di nuove forze politiche. E naturale che ci sia
allora un periodo di rinnovamento, o, se si vuole definirlo cosi, di
rivoluzione, durante il quale le energie individuali hanno buon
giuoco ed alcuni fra gl'individui più passionati, più attica, j)iù
scaltri ed arditi possono dal basso della scala sociale aprirsi la via
fino ai gradi più elevati.
Questo movimento, una volta iniziato, non si può tutto ad un
tratto fermare ; l'esempio di contemporanei, che, partiti dal nulla
sono arrivati a posizioni cospicue, stimola nuove ambizioni, nuove
cupidigie, nuove energie, ed il rinnovamento molecolare della
classe politica si mantiene attivo finche un lungo periodo di sta-
bilità sociale non lo va di nuovo rallentando (1). Allora, mano
mano che dallo stato febbrile una società va passando a quello
di calma, siccome le tendenze psicologiche dell'uomo sono sempre
le stesse, coloro che fanno parte della classe politica vanno ac-
quistando lo spirito di corpo e di esclusivismo ed imparano l'arte
di monopolizzare a loro vantaggio le qualità e le attitudini neces-
sarie per arrivare al potere e per mantenerlo : infine, col tempo,
si forma la forza conservatrice per eccellenza, quella dell'abitudine,
per la quale molti si rassegnano a stare in basso^ ed i membri di certe
famiglie o classi privilegiate acquistano la convinzione che per
loro è quasi un diritto assoluto lo stare in alto ed il comandare.
(1) Non citeremo esempi di popoli, che si trovano in periodi di rinnova-
mento perchè nel nostro secolo sarebbero superflui. Rammentiamo soltanto
che, nei paesi di recente colonizzazione, il fenomeno del rapido rinnovarsi
della classe politica si presenta più di frequente e più spiccato. Dappoiché,
quando comincia la vita sociale nei detti paesi, non esiste una classe dii'igente
bella e formata e, durante il periodo in cui si costituisce, è naturale che il
suo ingresso resti più accessibile. Inoltre il monopolio della terra e di altri
mezzi di produzione vi è, se non del tutto impossibile, certo più difficile che
altrove. E perciò che le colonie greche oft'rirono, almeno tino ad una certa epoca,
un largo sbocco a tutti i caratteri energici ed intraprendenti dell'Eliade, e che
negli Stati-Uniti d'America, dove la colonizzazione di nuove terre ha durato
per tutto il secolo decinionono e nuove industrie sono continuamente sorte, gli
uomini che dal nulla arrivano alla notorietà ed alla ricchezza sono ancora fre-
quenti, ciò che contribuisce a mantenervi l'illusione che la democrazia sia una
realtà.
72 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Ad un filantropo verrebbe certo la voglia di indagare se Fuma-
nità sia i)iù felice o meno tribolata quando si trova in un periodo
di calma e cristallizzazione sociale, in cui ognuno deve quasi /"a-
talmente restare in quel gradino della gerarchia sociale nel qaale
è nato, ovvero quando traversa il periodo perfettamente opposto
di rinnovamento e rivoluzione, che permette a tutti di aspirare ai
gradi più eccelsi ed a qualcheduno di arrivarvi. Una simile inda-
gine sarebbe difficile, e si dovrebbe tener conto nella risposta di
molte condizioni ed eccezioni e forse essa sarebbe sempre influen-
zata dal gusto individuale dell'osservatore. Perciò noi ci guarde-
remo bene dal darla; molto più che, se anche potessimo ottenere
un risultato indiscutibile e sicuro, esso sarebbe sempre di una
scarsissima utilità pratica: attesoché ciò che filosofi e teologi
chiamano il libero arbitrio, cioè la scelta spontanea degli individui,
ha avuto finora, e forse avrà sempre, pochissima o quasi nessuna
influenza nell'affrettare la fine od il principio di uno dei periodi
storici accennati.
^ — '^|.V'*^ipHilH-'-rtii'^U'' •■■■'trilli'' %'% i|^i|(1"-"'iy^'tf-"-7'ir"'""it'' '' 'rii'HW'— ^ìjr"Ui"""^|VT ■«iip'T|f~""'[l[ V^'""lil"lit'-^|I-TF'"
CAPITOLO m.
Nozioni preliminari.
I. La forinola politica. — II. H tipo sociale. — HI. Rapporti tra il tipo sociale e
le religioni universali. — IV. Efficacia di queste religioni. — V. La formola po-
litica e le religioni universali. — VI. Lo Stato feudale e lo Stato burocratico.
— Vn. Differenze fra questi due tipi di ordinamento politico. — Vni. Cenno
sulle cause della decadenza degli Stati burocratici.
I. — Come abbiamo già accennato nel precedente capitolo,
accade immancabilmente, o almeno è accaduto finora in tutte le
società discretamente numerose ed appena arrivate ad un certo
grado di coltura, che la classe politica non giustifica esclusiva-
mente il suo potere col solo possesso di fatto, ma cerca di dare
ad esso una base morale ed anche legale, facendolo scaturù'e come
conseguenza necessaria di dottrine e credenze generalmente rico-
nosciute ed accettate nella società che essa dirige. Cosi, ad es.,
in una società fortemente imbevuta dallo spirito cristiano, la
classe politica governa per volontà del sovrano, il quale, alla sua
volta, regna perchè è l'unto del Signore. Anche nelle società
maomettane l'autorità politica è esercitata direttamente in nome
dal califfo, ossia vicario del Profeta, o in nome di colui che dal
califfo ha ricevuto una investitura tacita od espressa. I mandarini
chinesi reggevano lo Stato, perchè si supponeva interpretassero
la volontà del figlio del cielo, che dal cielo avea ricevuto il man-
dato di governare paternamente, e secondo le regole della morale
di Confucio, il popolo delle cento famiglie. La complicata gerarchia
dei funzionari civili e militari dell'impero romano si fondava sulla
volontà dell'imperatore, il (juale^ almeno fino a Diocleziano, per
74 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
supposizione legale, avea ricevuto dal popolo il mandato di reg-
gere la cosa pubblica. I poteri di tutti i legislatori, magistrati ed
impiegati negli Stati Uniti d'America emanano direttamente od
indirettamente dal suffragio degli elettori, ritenuto espressione
della sovrana volontà popolare.
Questa base giuridica e morale, sulla quale in ogni società poggia
il potere della classe politica, è quella che in altro lavoro abbiamo
chiamato (1), e che d'ora in poi chiameremo formola politica, e
che i filosofi del diritto appellano generalmente principio di so-
vranità. — Essa diffìcilmente è identica in società diverse, e due
o parecchie formole politiche hanno notevoli punti di contatto,
oppure una rassomiglianza fondamentale, solo quando sono pro-
fessate da popoli che hanno lo stesso tipo di civiltà, o, usando
già una espressione che fra poco spiegheremo, a^Dpartengono allo
stesso tipo sociale. — Le diverse formole politiche, secondo il
diverso grado di civiltà delle genti fra le quali sono in vigore,
possono essere fondate o su credenze soprannaturali o sopra con-
cetti che, se non sono positivi, ossia fondati sulla realtà dei fatti,
appaiono almeno razionali. — Non diremo però che, tanto nel
primo che nell'altro caso, rispondano a verità scientifiche; anzi
ci è d'uopo confessare che, se nessuno ha visto mai l'atto autentico
con il quale il Signore ha dato facoltà a certe persone o famiglie
privilegiate di reggere per conto suo i popoli, un osservatore co-
scienzioso può anche facilmente constatare che un'elezione popo-
lare, per quanto il suffragio sia largo, non è ordinariamente l'e-
spressione della volontà delle maggioranze (2).
Ciò però non vuol dire che le varie formole politiche siano vol-
gari ciarlatanerie inventate appositamente per scroccare l'obbe-
dienza delle masse, e sbaglierebbe di molto colui che in questo
modo le considerasse. La verità è dunque che esse corrispondono
ad un vero bisogno della natura sociale dell'uomo; e questo bi-
sogno, così universalmente sentito, di governare e sentirsi go-
vernare non sulla sola base della forza materiale ed intellettuale.
(1) Teorica dei Governi, cap. I.
(2) Per la dimostrazione di questo concetto vedi Mosca, Teorica dei Governi
e le Costituzioni moderne. Dovremo tornare sull'argomento anche durante il
corso del presente lavoro.
NOZIONI PRELIMINARI 75
ma anche su quella di un principio morale, ha indiscutibilmente
la sua pratica e reale importanza.
Ha scritto lo Spencer che il diritto divino dei Re fu la grande
superstizione dei secoli passati e che il diritto divino delle assem-
blee elette a suffragio popolare è la grande superstizione del se-
colo presente. — Il concetto non si può dire errato, ma certo non
contempla ed esaurisce tutti i lati della questione. Pare a noi che
sia necessario anche di vedere se, senza qualcuna di queste grandi
super stisioni^ una società si possa reggere ; se una illusione gene-
rale non sia cioè una forza sociale, che serve potentemente a ce-
mentare la unità e la organizzazione politica di un popolo e di
un'intera civiltà.
IL — L'umanità si divide in gruppi sociali, ognuno dei quali
è distinto dagli altri da credenze, sentimenti, abitudini ed inte-
ressij che ad esso sono speciali. G-Findividui, che di uno di questi
gruppi fanno parte, sono uniti fra loro dalla coscienza di una fra-
tellanza comune, e divisi dagli altri gruppi da passioni e ten-
denze più o meno antagonistiche e repulsive. Come abbiamo già
accennato, la formola politica deve essere fondata sulle speciali
credenze e sui sentimenti più forti del gruppo sociale nel quale è
in vigore, o almeno della frazione di questo gruppo, che ha la
preminenza politica.
Questo fenomeno dell'esistenza dei gruppi sociali, ognuno dei
quali ha caratteristiche proprie e spesso presume una superiorità
assoluta sugli altri (1), è stato riconosciuto ed esaminato da molti
autori, segnatamente da quelli moderni che trattano del principio
di nazionalità. Recentemente il Grumplowicz ha fatto molto bene
rilevare l'importanza che esso ha nella Scienza politica o Socio-
logia che voglia dirsi. Adotteremmo anche il termine usato a de-
finirlo da questo autore, il quale lo chiama sinffenismo^ se il vo-
cabolo, conformemente alle idee fondamentali dello scrittore, non
accennasse ad una preponderanza quasi assoluta dell'elemento et-
nico, ossia della comunità di sangue e di razza, nella formazione
di ciascun gruppo sociale (2). Or noi crediamo che in parecchie
(1) È la boria nazionale di cui parla Yioo.
(2) Opera citata, parte 2», cap. XXX VII.
76 ELEMENTI UI SCIENZA POLITICA
civiltà primitivo, non tanto la comunità di sanjf^ue (guanto l'opi-
nione che essa esisteva, la credenza di un antenato comune, spesso
nata dopo che il tipo sociale era formato (1), abbia potuto con-
tribuire a cementarne l'unità; ma crediamo jmre che le moderne
dottrine antropologiche e filologiche abbiano potuto suscitare un
risveglio di antipatie tra gruppi sociali e frazioni dello stesso
gruppo, le quali hanno jier semplice pretesto le differenze di
razza. In verità poi nella formazione del gruppo o tipo sociale,
oltre alla più o meno sicura affinità della razza, concorrono molti
altri elementi, come sarebbero la comunità di lingua, di religione,
di interessi, ed i frequenti rapporti determinati dalla posizione
geografica. Anzi, non è neppur necessario che tutti questi fattori
coesistano; giacche la comunità della storia, la vita vissuta per
secoli insieme con vicende identiche o simili, determinando la so-
miglianza delle abitudini morali ed intellettuali, delle passioni e
delle ricordanze, diventa spesso l'elemento precipuo per la creazione
di un tipo sociale consciente (2).
Una volta questo formato si ha, come già avvertimmo nella
prima parte del nostro lavoro, quasi un crogiuolo, che imprime
lino stampo comune a tutti gli individui che entrano in esso. Si
chiami suggestione, mimetismo o semplicemente educazione, av-
viene allora quel fenomeno per il quale l'uomo sente, crede, ama
ed odia, secondo l'ambiente nel quale vive : per il quale si è Cri-
stiani od Ebrei, Maomettani o Buddisti, Francesi od Italiani,
meno rarissime eccezioni, per la sola ragione che tali erano coloro
fra i quali siamo nati e cresciuti (3).
III. — Nei primordi della storia ogni popolo civile era quasi
un'oasi in mezzo ad un deserto di barbarie, le diverse civiltà
aveano perciò fra di loro o scarsissime comunicazioni o queste
mancavano in modo assoluto: tale fu infatti la condizione dell'an-
tico Egitto durante le prime dinastie e tale quella della China fìjio
ad un'epoca assai meno remota. Allora naturalmente ogni tipo
sociale avea un'originalità assoluta, quasi in ni un modo temperata
(1) Ciò è riconosciuto dallo stesso Gumplowicz. Vedi Opera e capitolo citati.
(2) Vedi in proposito Mosca, Fattori della Nazionalità. " Rivista Europea ,
del 1882.
(3) Vedi il capitolo primo di questo lavoro.
CAP. Ili - NOZIONI PRELIMINARI 77
da infiltrazioni ed influenze straniere (1). Malgrado però che questo
isolamento dovesse fortemente contribuire a rinforzare la tendenza
che ha ogni tipo sociale a riunirsi in unico organismo politico,
pure fin d'allora vediamo che essa non prevale che a sbalzi. Stando
infatti agli esemf>i citati, la China all'epoca di Confucio, si divi-
deva in molti Stati feudali quasi indipendenti l'uno dall'altro, e
nell'Egitto spesso vediamo i diversi hiq o re locali dei singoli
notni acquistare la piena indipendenza e qualche volta anche il
basso e l'alto Egitto formavano regni distinti. Pi:i tardi, in civiltà
avanzatissime e molto complesse come quella ellenica, vediamo
svolgersi a preferenza una tendenza contraria a quella che abbiamo
accennato, la tendenza cioè che spinge un tipo sociale a dividersi
in organismi politici distinti e quasi sempre rivali.
Infatti l'egemonia, che diversi stati greci tentarono stabilire su
tutti i popoli ellenici, fu sempre un concetto molto lontano dalla
vera unità ijolitica; e del resto gli sforzi di Atene, di Sparta e
poi della Macedonia per stabilire quest'egemonia in modo dura-
turo ed efficace non ebbero mai un completo successo.
Ciò che forma il tratto veramente caratteristico di molti popoli
dell'antichità ed in generale delle civiltà che chiameremmo pri-
mitive, perchè poco hanno sentito l'influenza di elementi stranieri,
è la semplicità e l'unità dell'intero sistema d'idee e di credenze,
sulle quali si basava l'esistenza di un popolo e la sua organizza-
zione politica. Vediamo infatti fra i detti popoli la formola poli-
tica non solo essere appoggiata sulla religione, ma completamente
immedesimarsi colla stessa. Il Dio era eminentemente nazionale,
rappresentava il protettore speciale del territorio e del popolo, il
fulcro della sua organizzazione politica; il popolo viveva finché
il suo Dio aveva forze bastanti per aiutarlo ed, alla sua volta, il
Dio durava finché viveva il suo popolo.
Gli Ebrei sono l'esempio più noto di un popolo organizzato se-
condo il sistema che abbiamo accennato, ma non si deve credere
che, nell'epoca in cui fiorirono, i regni d'Israele e di Giuda costi-
tuissero un'eccezione. Lo stesso ufficio che Javeh esercitava a Ge-
(1) Intendiamo parlare delle influenze morali ed intellettuali, giacche mate-
rialmente delle mescolanze coi barbari vicini, ne saranno sempre avvenute, si-
non altro perchè ad essi si usava dare la caccia per ridurli schiavi.
78 ELEMENTI lU SCIENZA POLITICA
rusalemme, Kamos lo disimpe^nava a Moal) (1); Marduk a Babi-
lonia, Assur a Ninive ed Ammon a Tebe.
Come il Dio d'Israele comandava a Saul, a David ed a Salo-
mone di combattere ad oltranza gli Ammoniti ed i Filistei, cosi
Ammon imponeva ai Faraoni d'Egitto di percuotere i barbari del-
l' Oriente e dell' Occidente ed Assur incitava allo sterminio degli
stranieri i sovrani di Ninive e loro concedeva la vittoria (2).
A poco a poco però i rapporti fra j^opoli relativamente civili si
fecero più frequenti ; avvenne la fondazione di grandissimi imperi
e questi non poterono sempre essere basati sull'assimilazione e di-
struzione completa dei popoli vinti, ma dovettero spesso conten-
tarsi della semplice loro dipendenza. Allora il vincitore frequen-
temente credè atto politico il riconoscere e l'adorare il Dio dei
vinti: infatti i Re assiri conquistatori di Babilonia spesso resero
omaggio a Marduk e pare che lo stesso abbia fatto Ciro; Ales-
sandro Magno sacrificò ad Ammon, ed in generale a tutte le divi-
nità dei conquistati, ed i Romani poi le ammisero tutte nel loro
Pantlieon. A questo punto, reso possibile dai lunghi periodi di pace
e dall'assopimento delle rivalità nazionali, che seguono appunto
lo stabilirsi di grandi organismi politici, vediamo apparire nel
mondo un fenomeno relativamente recente, cioè le grandi reli-
ligioni umanitarie ed universali; che, senza distinzione di razza,
di lingua, di regime politico, aspirano ad estendere l'influenza
delle loro dottrine indistintamente su tutta la terra.
IV. — Il Buddismo, il Cristianesimo ed il Maomettismo sono
le tre grandi religioni umanitarie comparse finora nel mondo (3).
(1) Vedi la famosa stela di Mesa re di Moab. Si trova tradotta nell'opera
citata del Lenormant ed in altri scrittori di storia dell'antico Oriente.
(2) Il linguaggio che Rab-Sache ambasciatore assiro avrebbe indirizzato al
popolo radunato sulle mura di Gerusalemme illustra i concetti che abbiamo
accennato. " Rendetevi al mio signore, diceva egli, perchè come gli altri Dei
sono stati impotenti a salvare i loro popoli dalla conquista assira così Javeh
non poti'à salvare voi ,. In altre parole Javeh era un Dio, ma era meno po-
tente di Assur, perchè il popolo di Assur vinceva gli altri. I Siri di Damasco
una volta avrebbero evitato di dare battaglia ai Re d'Israele nelle montagne,
perchè credevano che nelle regioni montuose Javeh fosse piìi potente del loro
Dio {Cronache e libro dei Re).
(3) L'Ebraismo padre del Cristianesimo e del Maomettismo è divenuto an-
ch'esso, mediante un lungo processo evolutivo che rimonta ai Profeti, una
CAP. Ili - NOZIONI PRELIMINARI
Comprendono tutte e tre un corpo completo di dottrine a base
prevalentemente filosofica nel Buddismo e dommatica nel Cristia-
nesimo e nel Maomettismo: ed ognuna di esse lia la pretesa di
contenere la verità assoluta e di offrire una guida sicura ed infalli-
bile, la cui osservanza procaccia il bene in questa vita e nell'altra.
L'appartenere insieme ad una di queste religioni costituisce un
legame grandissimo fra popoli disparati e differentissimi di razza
e di lingua e dà ad essi una maniera speciale e comune d'inten-
dere la morale e la vita, ed oltre a ciò costumi ed abitudini poli-
tiche e familiari tali da determinare la formazione di un vero tipo
sociale, le cui caratteristiche sono spesso cosi spiccate, cosi pro-
fonde, da riuscire quasi indelebili. Si può dire anzi che dalla com-
parsa di queste grandi religioni data la distinzione precisa tra tipo
sociale e tipo nazionale, che prima quasi non esisteva. Infatti un
tempo vi era la civiltà egiziana, la caldaica, la greca, ma non la
civiltà cristiana e la maomettana ; non esisteva cioè un complesso
di popoli, distinti di lingua e di razza e divisi in molteplici orga-
nismi politici, ma uniti da credenze, sentimenti e coltura comune.
Il Maomettismo è fra tutte le religioni quella che forse scolpisce
più fortemente la sua impronta negli individui, che l'hanno ab-
bracciato, o meglio che sono nati in una società di cui essa si è
impadronita. Il Cristianesimo ed anche l'Ebraismo sono state e
sono finora forme adattissime per modellare, secondo certi deter-
minati disegni, la molle creta dello spirito umano. Più blanda è
l'azione del Buddismo, ma pur sempre molto efficace.
E pui'e da osservare che queste grandi religioni con dottrine e
gerarchia religiosa fortemente organizzate, se da una parte servono
maravigliosamente all'affratellamento ed all'assimilazione dei cor-
religionari, sono dall'altra parte una forza coibente di una effi-
cacia grandissima fra popolazioni di credenze diverse. Esse ba-
stano a scavare un abisso quasi incolmabile fra genti vicine per
razza e per lingua, che abitano in paesi contigui o anche nella
stessa contrada. E la differenza di religione infatti che ha reso quasi
impossibile la fusione fra le popolazioni che abitano la penisola
religione prevalentemente umanitaria, però si è poco diffuso. Forse anche,
sebbene in origine fosse una religione nazionale, avea tendenze umanitarie la
religione di Zoroastro.
80 ELEMENTI DI SCIENZA J'OLITICA
balcanica e l'India (1). E certamente maravigliosa l'attitudine che
mostrarono i Romani ad assimilare i popoli sottomessi vincendo
notevolissime resistenze provenienti dalla differenza di razza, di
lintjua, di grado di cultura ; ma forse non sarebbero ugualmente
riusciti se avessero incontrato l'ostacolo di religioni ostili, esclu-
sive e fortemente organizzate. Difatti il Druidismo nelle Gallie
ed in Bretagna, benché avesse una organizzazione assai poco ela-
borata, pure offrì qualche resistenza, ed i Giudei si fecero stermi-
nare e disperdere, ma non furono assimilati. Nel Nord dell'Africa
Roma riusci a latinizzare e conquidere alla sua civiltà, almeno
fino ad un certo punto, i progenitori dei moderni Mori, Arabi e
Kabili, ma non si trovò di fronte alla religione mussulmana, come
ora accade ai Francesi ed agii Italiani. Giugurta e Tacfarina non
potevano fare aj^pello alle passioni religiose come Abd-el-Kader e
Bou-Maza. Come bene scrisse il Karamzine la religione cristiana
impedi che la Moscovia, sotto la lunga dominazione dei Mongoli,
diventasse interamente asiatica; e d'altra jjarte, sebbene i Russi siano
alla loro volta potenti assimilatori e nella grande Russia il sangue
finnico e mongolo siasi in forti xjroporzioni mescolato allo slavo (2),
pure i nuclei di Tartari maomettani di Kazan, di Astrakan e di
Crimea non si sono fatti assorbire; essi o hanno emigrato o sono
rimasti formando una popolazione a parte, sottomessa ma netta-
mente distinta dal resto dei sudditi dello Czar. Anche in China i
figli del Celeste Impero hanno i)otuto assai bene assimilare gli
abitanti delle provincie meridionali, diversi di razza e di lingua,
ma non già i Roui-Tze, discendenti dalle tribù turche da circa
mille anni residenti nelle iDrovincie del Nord-ovest della China
propriamente detta; perchè, malgrado che questi abbiano adottato
la lingua e le apparenze esteriori dei Chinesi propriamente detti,
coi quali vivono mescolati nelle stesse città, pure sono stati tenuti
(1) In India si sa che le religioni ora prevalenti sono la maomettana e la
braminica; la quale, benché non sia una religione umanitaria, è fortemente
organizzata e, colle sue caste e colle sue minute prescrizioni, che moltiplicano
i casi d'impurità ai menomi contatti con persone fuori della casta, ha una
grande efficacia coibente ed ostacola moltissimo qualunque lavorìo di assimi-
lazione sociale.
(2) Vedi Lerot-Beaulieu, L'Empire des tzars et les Russes.
GAP. Ili - NOZIONI PRELIMINARI 81
in un isolamento morale dal Maomettismo, che i loro padri avevano
adottato prima che passassero la gran muraglia (1).
V. — Coir apparire delle grandi religioni universali la storia
dell'umanità si complica di fattori nuovi. Già abbiamo visto che,
anche prima che esse sorgessero, un tipo sociale, malgrado la sua
tendenza all'unità, si potea dividere in diversi organismi politici.
Con le dette religioni questo fatto divenne più generale e meno
evitabile e potè cominciare quel fenomeno, che in Europa viene
definito la lotta tra lo Stato e la Chiesa.
La complicazione nasce principalmente da ciò, che la tendenza
all'unità nel tipo sociale resta, ma è ostacolata da forze molto
maggiori. Avviene poi che se da una parte la organizzazione po-
litica tende sempre a giustificare la propria esistenza mercè i prin-
cipi della religione prevalente, questa, da parte sua, cerca sempre
d'impadronirsi del potere politico e d'identificarsi con esso per
farne strumento ai suoi fini ed alla sua ]3ropaganda.
E nei paesi maomettani che religione e politica stanno più stret-
tamente unite. Il capo di uno Stato maomettano è stato quasi
sempre il pontefice di una delle grandi sètte in cui si divide l'Islam,
oppure dal pontefice ha ricevuto l'investitura. A'ero è che nei se-
coli scorsi quest'investitura fu spesso una vana formalità, che il
Califfo, ridotto omai senza forze temporali, non potea negare ai po-
tenti ; ma bisogna tener presente che, nel periodo che corre dalla
decadenza degli Abassidi di Bagdad fino al sorgere del grande
impero ottomano, il fanatismo musulmano era molto minore di
quello di oggi (2). Certo è poi che ogni grande rivoluzione o
(1) Fu sotto la dinastia dei Tang che queste tribù turche si stabilirono
nelle provincie di Scen-si e di Kan-sou, chiamatevi per combattere le inva-
sioni dei Tibetani. Nel 1861 l'antipatia, che sempre ci era stata tra i mao-
mettani ed i loro conterranei buddisti, die origine ad una terribile insurre-
zione, nella quale i primi fecero una guerra di sterminio ai secondi. Dopo
avere desolato orribilmente le provincie accennate la guerra civile si restrinse
nella Kashgaria al di là della gran muraglia, e non finì che nel 1877 coll'as-
sassinio del capo dei maomettani Jakoub-beg (Rousskt, opera citata).
(2) Basta avere una superficiale conoscenza della storia dei paesi maomet-
tani per esseime convinto. Eredi della civiltà persiana dell'epoca dei Sassanidi
e mercè lo studio degli antichi autori greci, i Musulmani, per parecchi secoli
del Medio Elvo, furono assai piìi spregiudicati dei cristiani contemporanei
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 6
82 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
fondazione di nuovo Stato nei paesi maomettani si accoppia e
giustifica quasi sempre con un nuovo scisma religioso ; cosi fu
nel Medio Evo, quando sorsero i nuovi imperi degli Almoravidi
e degli Almohaidi, e lo stesso è avvenuto nel secolo decimonono
coll'insurrezione dei Wahabiti e con quella capitanata dal Mahdi
di Ondurman.
In China il Buddismo vive sottomesso sotto la protezione dello
Stato, il quale mostra di riconoscerne e tutelarne il culto per un
riguardo alle classi basse della popolazione, che ne sono seguaci (1).
Nel Giappone questa religione è tollerata, ma il Governo cerca at-
tualmente di favorire l'antica religione nazionale di Sinto. In Eu-
ropa i diversi riti del Cristianesimo si trovano in condizioni molto
differenti.
In Russia lo czar è il capo della religione ortodossa e l'autorità
della Chiesa si confonde quasi con quella dello Stato, anzi, agli
occhi di un vero russo, un buon suddito dello czar deve essere
greco ortodosso (2). Anche nei paesi jDrotestanti il rito dominante
ha pui'e un carattere più o meno ufficiale. Il Cattolicismo, dalla
caduta dell'impero romano, ha a\Tito, ed ha ancora, un'indipen-
denza maggiore. Nel Medio Evo aspirò ad asservire l'autorità laica
in tutti i paesi che erano entrati nell'orbita cattolica, e ci fu un
m^omento in cui il Papa, potè sperare vicina la realizzazione del
vastissimo progetto di riunire tutta la Cristianità, cioè tutto un
tipo sociale, sotto la sua influenza più o meno diretta. Ora vive
di compromessi, dando appoggio ai poteri laici e ricevendone, e,
qua e là, in lotta aperta con essi.
(Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia). Quest'autore traduce e riporta una
corrispondenza fra l'imperatore Federico II e parecchi dotti musulmani, suoi
contemporanei, nella quale si sente un forte sapore di razionalismo.
(1) Si sa che il gran Lama, dal quale dipendono i Buddisti del Tibet, della
Mongolia e di alcune provincie della China propriamente detta, seguiva stret-
tamente a Lassa, fino a pochi anni fa, le ispirazioni del residente chinese. I
Bonzi diffusi nella maggior parte della China, non hanno un'organizzazione
centralizzata e rappresentano quasi i Protestanti del Buddismo. Il Governo li
tollera e spende spesso alcune somme per calmare le superstizioni popolari
mediante feste buddistiche. Le classi colte, come si sa, seguono in China il
positivismo agnostico di Confucio, che si può anche confondere con un vago
Deismo.
(2) Lkkot-Beaulieu, opera citata e segnatamente il libro dove parla delle
religioni della Russia.
CAP. Ili - NOZIONI PRELIMINARI 83
Un organismo politico la cui popolazione è seguace di una delle
religioni universali accennate, o anche divisa fra diversi riti di
una di queste religioni, deve avere una base propria giuridica e
morale sulla quale poggi la sua classe politica. Deve essere perciò
fondato sul sentimento nazionale, sulla lunga tradizione dell'auto-
nomia, sulle rimembranze storiche, sulla devozione secolare ad una
dinastia, su qualche cosa insomma che ad esso sia speciale. Ac-
canto al culto generale, umanitario, deve esistere in certo modo il
culto, diremmo quasi nazionale, più o meno bene conciliato e coor-
dinato con quello. I doveri dei due culti vengono spesso cumula-
tivamente osservati dagli stessi individui: ed a questo proposito
è bene osservare che non sempre gli uomini sono perfettamente
coerenti nello stabilire i principi ai quali inspirano la loro con-
dotta. Sicché in pratica si può essere buoni cattolici e nello stesso
tempo buoni Tedeschi, buoni Italiani, buoni Francesi e servire
fedelmente un sovrano protestante od una Repubblica, che fa
professione ufficiale di anticlericalismo. Qualche volta, come av-
viene frequentemente in Italia, si può essere anche buon pa-
triotta ed ardente socialista, sebbene la democrazia sociale, come
il Cattolicismo, sia nella sua essenza contraria al particolarismo
nazionale. Però queste transazioni avvengono quando le passioni
non sono molto acuite, ed, a rigor di logica, avevano ragione gl'In-
glesi del secolo decimottavo, i quali, considerando che il Re era
il capo della Chiesa anglicana e che al Papa dovea anzi tutto ob-
bedienza ogni buon cattolico, credevano che egli non potesse essere
nello stesso tempo un buon inglese.
Ciò che è veramente necessario, quando esiste un antagonismo
più o meno larvato fra una dottrina od una religione che aspira
all'universalità ed i sentimenti e le tradizioni, che sostengono il
particolarismo di uno Stato, è che questi ultimi siano veramente
forti, che siano anche collegati con molti interessi materiali e che
una frazione cospicua della classe dirigente ne sia fortemente im-
bevuta e li propaghi e li mantenga nelle masse. Quando questa
frazione della classe politica è inoltre saldamente organizzata può
tener testa a tutte le correnti religiose e dottrinarie, che eserci-
tano la loro influenza nella società che essa dirige. Ma se i suoi
sentimenti sono fiacchi, lo sue forze morali od intellettuali defi-
cienti, la sua organizzazione difettosa, allora quelle prevalgono e
lo Stato finisce col diventare lo zimbello di qualcuna delle reli-
84 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
gioni o dottrine universali, ad esempio del cattolicismo o della
democrazia sociale.
VI. — Prima di procedere innanzi crediamo opportuno, per
rendere più facile l'esposizione di ciò che appresso diremo, di dare
una breve notizia intorno ai due tipi secondo i quali ci pare che
si possano classificare tutti gli organismi politici. Questi due tipi
sarebbero il feudale ed il burocratico.
Cominciamo subito col far rilevare che questa nostra classifica-
zione non è basata su criteri immutabili ed essenziali ; non cre-
diamo perciò che ci sia alcuna legge psicologica, la quale sia spe-
ciale ad alcuno dei due tipi ed ignota quindi all'altro. Ci pare
anzi che i due tijDi non siano che la manifestazione, in momenti
diversi, di una sola tendenza costante, per la quale l'organizza-
zione politica delle società umane diventa meno semplice ossia più
complicata, mano mano che ogni società aumenta in grandezza e
si perfeziona in civiltà. La seconda di queste condizioni è anzi
più indispensabile e di carattere più generale della prima, perchè,
a dir vero, anche Stati molto vasti possono essere organizzati feu-
dalmente. In fondo uno Stato burocratico non è perciò che uno
Stato feudale la cui organizzazione, progredendo e sviluppandosi,
si è complicata ; come pure uno Stato feudale può provenire da una
società già burocratizzata, che, decaduta di civiltà e sx3esso ridotta
in frammenti, è stata costretta a ritornare ad un ordinamento po-
litico più semplice e più primitivo.
Ciò premesso, diremo come per Stato feudale intendiamo quel
tipo di organizzazione politica nella quale tutte le funzioni diret-
tive di una società, come sarebbero le economiche, le giuridico-
amministrative e le-militari, sono esercitate cumulativamente dagli
stessi individui, e nello stesso tempo lo Stato si compone di pic-
coli aggregati sociali, ognuno dei quali possiede tutti gli organi
necessari per bastare a se stesso. L'Europa del Medio Evo ci offre
l'esempio più conosciuto di questa specie di ordinamento, che perciò
appunto abbiamo chiamato feudale, ma, studiando la storia degli
altri popoli e leggendo i racconti dei viaggiatori contemporanei,
ci possiamo facilmente accorgere che esso è molto diffuso. Infatti,
come il barone medioevale era proprietario della terra, coman-
dante degli armati, giudice ed amministratore del suo feudo, nel
quale godeva il mero e misto imperio, cosi ora il Ras abissino
GAP. Ili - NOZIONI PEELIMINARI 85
compartisce la giustizia, comanda i guerrieri e preleva i tributi,
ossia toglie al coltivatore tutto quanto non è strettamente neces-
sario al suo mantenimento. In certe epoche dell'antico Egitto VJiiq
o governatore locale curava la manutenzione dei canali, dirigeva
le culture, amministrava la giustizia, esigeva i tributi, comandava
gli armati (1) ; anche il curaca del Perù, sotto l'impero degli Incas,
era il capo del suo villaggio ed a questo titolo ne amministrava
la proprietà rurale collettiva, vi esercitava le funzioni giudiziarie
e, alla richiesta del figlio del Sole, ne comandava il contingente
armato (2).
Qualche volta anche le funzioni religiose sono state disimpe-
gnate dallo stesso capo che dirigeva le altre attività sociali, come
appunto avveniva nel Medio Evo europeo quando gli abati ed i
vescovi erano pure feudatari. E pure da tener presente che si può
avere un ordinamento feudale, anche quando la terra, fonte quasi
esclusiva della ricchezza nelle società poco avanzate, non è giu-
ridicamente proprietà assoluta della classe governante. Poiché,
dato che i coltivatori non siano legalmente vassalli e schiavi e
che siano anche nominalmente proprietari del campo che coltivano,
certo è che il capo locale ed i suoi satelliti, avendo piena podestà
d'imporre tributi e corvées^ lascieranno ai lavoratori dei campi
soltanto quello che è necessario per la loro sussistenza.
Hanno avuto carattere spiccatamente feudale anche piccoli or-
ganismi politici, nei quali la produzione della ricchezza è stata
basata non sulla cultura della terra, ma sul commercio e sull'in-
dustria ; giacché ci è stata la stessa fusione della direzione politica
(1) Ciò accadde sopratutto durante le più antiche ed anche al tempo di
alcune fra le piìi recenti dinastie. Bisogna tener presente che la storia del-
l'antico Egitto dura circa trenta secoli, spazio di tempo durante il quale, mal-
grado la pretesa immobilità orientale, una società ha comodamente il tempo
di passare piìi volte dallo stadio feudale al burocratico e da questo tornare
all'ordinamento feudale.
(2) Anche la China traversò il suo periodo feudale e nel Giappone questo
ordinamento è durato fino alla fine del secolo decimosesto, e le sue traccia
sparvero solo dopo la rivoluzione del 1868. È ancora feudale l'organizzazione
dell'Afganistan e lo era in gran parte quella dell'India, quando fu con-
quistata dagli Europei. Si può dire anzi che ogni grande società ha dovuto
traversare una o parecchie volte il periodo feudale.
86 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA.
ed economica nello stesse persone. Così i capi politici dei Comuni
medioovali orano nello stesso tempo capi delle corporazioni di arti
e mestieri; i negozianti di Tiro e Sidone, come quelli di Genova e
di Venezia, di Brema e di Amburgo dirigevano i banchi e le fat-
torie stabilite nei paesi barbari, comandavano le navi, che a volta
servivano al commercio ed a volta alla guerra, e governavano le
loro città. Ciò accadeva specialmente quando la città viveva di
commercio marittimo, nell'esercizio del quale chi comandava la
nave alla funzione commerciale accopi)iava molto facilmente la
direzione politica e militare. Altrove, a Firenze ad esempio, dove
gran parte dei ijroventi si traevano dall'industria e dalle banche,
la classe dirigente presto perdette le abitudini guerresche e perciò
la du'ezione militare (1). Forse si deve in parte a ciò la vita agitata,
che visse la oligarchia mercantile di Firenze dalla cacciata del duca
di Atene a Cosimo dei Medici.
VII. — Nello stato burocratico non devono necessariamente
tutte le funzioni direttive essere accentrate nella burocrazia e da
essa venire esercitate : possiamo anzi affermare che ciò fino al
momento presente, forse mai è avvenuto. La caratteristica princi-
pale di questo tipo di organizzazione sociale crediamo che stia in
questo fatto : che, laddove esso sussiste, il potere centrale preleva
per via d'imposte una parte notevole della ricchezza sociale, la
quale serve prima di tutto al mantenimento dell'organizzazione
militare, poi a sopperire ad una quantità più o meno grande di
funzioni civili. Sicché una società tanto più è burocratica quanto
maggiore è la quantità di funzionari, che disimpegnano uffici
pubblici e vivono ricevendo un salario dal Groverno centrale o dai
corpi locali.
In uno Stato burocratico poi la specializzazione delle funzioni
dirigenti è sempre maggiore che negli Stati feudali : la prima e
la più elementare divisione delle attribuzioni è quella che sottrae
all'elemento militare le facoltà amministrative e le giudiziarie. E
anche evidente che negli Stati burocratici la disciplina in tutti i
(1) Secondo Gino Capponi [Storia della Repubblica di Firenze. Firenze, 1876
ed. Barbera) le ultime cavallate, ossia spedizioni militari alle quali i nobili ed
i ricchi mercatanti fiorentini presero personalmente parte, rimontano al 1325.
CAP. Ili - NOZIONI PRELIMINARI 87
gradi della gerarchia politica amministrativa e militare è molto
più assicurata. Il paragone fra un conte del Medio Evo circon-
dato da armigeri e vassalli da secoli attaccati alla sua famiglia
e mantenuti coi i^rodotti delle terre del signore ed un prefetto ed
un generale moderni, ai quali un colpo di telegrafo j)uò sottrarre
di botto ogni autorità e perfino lo stipendio, basta subito a dar-
cene una idea. Nello Stato feudale perciò si richiede una grande
energia, un gran senso politico in colui o coloro che stanno al
sommo vertice della scala sociale per tenere organizzati, compatti,
obbedienti ad un unico im^Dulso i diversi gruppi sociali, che tende-
rebbero alla disgregazione ed all'autonomia, e ciò è tanto vero
che, spesso, con la morte di un capo autorevole finisce la forza
di uno Stato. Solo una grande unità morale, l'appartenere ad un
tipo sociale molto spiccato, può salvare per lungo tempo l'esi-
stenza f)olitica di un popolo feudalmente organizzato ; e certamente
ci è voluto il Cristianesimo per isolare e salvare l'autonomia delle
genti abissine, circondati da pagani e maomettani. Quando però
questa forza coibente agisce in modo fiacco e quando lo Stato
feudale si trova a contatto con popoli più saldamente organiz-
zati, allora è molto facile che sia assorbito e sparisca in una
delle tante crisi periodiche, alle quali in esso il potere centrale
è fatalmente soggetto (1). Al contrario le qualità personali del
capo supremo influiscono relativamente poco sulla durata di uno
Stato burocratico ed una società burocraticamente organizzata
può conservare la sua autonomia anche quando ripudia una an-
tica formola politica e ne adotta una nuova , ovvero quando
modifica, anche profondamente, il suo tipo sociale (2).
Vili. — L'organizzazione burocratica non deve essere neces-
sariamente accentratrice, nel senso che comunemente si suol dare
a quest'espressione ; spesso la burocratizzazione si può conciliare
con una larga autonomia provinciale, come accade, ad esempio,
nella China ; dove le diciotto provinole propriamente chinesi hanno
(1) Il pensiero ricorre subito all'esempio della Polonia.
(2) Come è accaduto nell'impero romano, che in Occidente sopravvisse un
secolo e mezzo ed in Oriente più di undici secoli alla adozione del Cristia-
nesimo. Analoghe osservazioni si potrebbero fare sulle nazioni moderne, che
dal diritto divino sono passate al regime parlamentare.
ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
una larghissima autonomia, in modo che dal capoluogo di ognuna
di esse si provvede a quasi tutti gli affari locali (1).
Grii Stati di civiltà europea, anche i più discentrati, sono tutti
più o meno burocratizzati : come abbiamo già accennato, la carat-
teristica principale di un organismo burocratico è questa : che in
esso le funzioni militari ed un numero i^iù o meno grande gli altri
servizi pubblici sono esercitati da impiegati salariati. Che i salari
siano tutti pagati dal Governo centrale o che in parte ricadano
sui corpi locali, che più o meno stanno sotto il controllo di quello,
è un dettaglio, che non ha la grande importanza che ad esso si suole
attribuire.
Nella storia non mancano i casi di organismi politici molto
piccoli, i quali, avendo un'organizzazione burocratica appena ab-
bozzata o non avendone quasi affatto, hanno compito miracoli di
energia in ogni ramo dell'attività umana. Le città elleniche ed i
Comuni italiani del Medio Evo sono esempi che neppure occorre di
citare. Ma quando si tratta di vasti organismi umani, che si sten-
dono su tratti grandissimi di territorio e comprendono milioni e
milioni d' individui, pare che solo l'organizzazione burocratica
riesca a riunire sotto unico impulso quegli immensi tesori di forza
economica e di energia morale ed intellettuale, coi quali la classe
dirigente può riuscire a modificare profondamente le condizioni
interne di una società (2), ed a renderne efficace e potente Fazione
al di là dei proprii confini. Era infatti burocratizzato TEgitto nei
bei tempi della XVII e X\'T[II dinastia, quando la civiltà dei Fa-
raoni ebbe una delle più splendide rinascenze ed i battaglioni
egiziani dal Nilo Azzurro estesero le loro conquiste fino ai x)iedi
del Caucaso (3). Era uno Stato fortemente bui'ocratico l' impero
romano, saldissimo organismo sociale che seppe estendere la el-
fi) Vedi Huc, Réclus, Rousset, Opere citate.
(2) Bisogna tener presente che coll'organizzazione feudale è più pesante,
diretta ed arbitraria l'autorità che un membro della classe dirigente può
esercitare su parecchi od anche molti individui della classe sottomessa, mentre
colla organizzazione burocratica è più efficace l'azione dell'intera classe politica
sul resto della società.
(3) È da notare che nell'Egitto antico, come nella China, non era ancora
conosciuta la coniazione dei metalli preziosi. I tributi perciò si prelevavano
in natura, oppure si calcolavano in metalli preziosi, che erano pesati. Ciò era
CAP. IH - NOZIONI PRELIMINARI 89
viltà della Grecia e dell'Italia e la lingua dell'Italia a tanta parte
del mondo, compiendo uno dei più diffìcili lavori di assimilazione
sociale. Ed è burocratica la Russia, che, malgrado varie gravissime
debolezze interne, lia ancora una potente vitalità e spinge sempre
più avanti la sua espansione nei vastissimi territori dell'Asia.
Malgrado questi e parecchi altri esempi, che facilmente si po-
trebbero trovare, non bisogna dimenticare un fatto importantis-
simo, che abbiamo già accennato ; cioè che nessuna grande società
troviamo nella storia, nella quale tutte le attività umane siano
state completamente burocratizzate. E questo forse uno dei tanti
indizii della grande complessità delle leggi sociali, la quale fa si
che un tipo di ordinamento politico, che produce buoni risultati
quando è applicato fìno ad un certo punto, sistematizzato e ge-
neralizzato, riesce inattuabile e dannoso. Infatti noi vediamo spesso
burocratizzata la giustizia, burocratizzata l'amministrazione, e quel
gran burocratizzatore, che fu Napoleone primo, condusse a buon
punto anche la burocratizzazione dell'insegnamento e della ge-
rarchia sacerdotale cattolica; vediamo spesso eseguiti dalla buro-
crazia strade, canali, ferrovie, tutti i lavori pubblici, che agevolano
la produzione della ricchezza, ma questa produzione stessa non
vediamo mai interamente burocratizzata. Sembra che la direzione
di questo ramo importantissimo dell'attività sociale mal si pieghi,
come tanti altri, alla regolarità burocratica e che per la classe,
che vi è dedicata, il tornaconto individuale sia uno si3rone ben
più efficace di qualunque salario governativo.
Ma vi è di più: abbiamo indizii abbastanza forti che la buro-
cratizzazione estesa alla produzione ed all'intera distribuzione della
ricchezza sarebbe esiziale. Non vogliamo accennare ai danni eco-
nomici del protezionismo, dell'ingerenza del Governo nelle banche
un ostacolo non indifferente al funzionamento del regime burocratico e vi si
suppliva mercè una complicata e minuziosa contabilità.
Importante poi è, dal lato psicologico, il fatto che, quando le circostanze
sociali sono identiche, l'uomo a migliaia d'anni di distanza si rivela, anche
nelle piccole cose, sempre lo stesso. Esistono infatti (sono tradotte e riportate
dal Lenormant nell'opera citata, e dal Masperoì lettere di ufficiali egiziani,
che descrivono i disagi delle lontane guarnigioni della Siria ed altre lettere
di funzionari, che si annoiano nelle piccole citi a di provincia e sollecitano la
protezione dei superiori e... il trasloco nella capitale.
90 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
e del soverchio svol<^imento dato ai lavori pubblici, e facciamo sol-
tanto rilevare un fatto bene accertato. Il regime burocratico, nel
quale chi dirige la produzione economica ed anche il singolo lavora-
tore sono protetti contro la confisca arbitraria i^er parte dei forti e
dei prepotenti e che severamente reprime ogni guerra privata,
offre una grande sicurezza alla vita umana ed anche alla proprietà:
con esso mediante una quota parte fìssa, che il i^roduttore paga a
profitto dell'organizzazione sociale, egli ha il tranquillo godimento
del resto della produzione ; ciò che permette tale uno svolgimento
della ricchezza pubblica e privata, il quale è ignoto nei paesi più
barbari e più primitivamente organizzati. Ma può accadere, ed è
accaduto, che, o perchè le pretensioni della classe militare e degli
altri bm'ocratici sono troppo esagerate, o per i soverchi uffici che
la burocrazia vuole disimpegnare, o per le guerre ed i debiti, che
ne sono la conseguenza, la quantità di ricchezza, che la classe che
adempie alle altre funzioni che non siano le economiche assor-
bisce e consuma, diventi troppo esagerata. Allora l'imposta i)re-
levata sulle classi produttrici della ricchezza può aumentare al
punto da far diminuire fortemente il tornaconto individuale alla
produzione, ed in questo caso viene a scemare immancabilmente
la produzione stessa. Colla diminuzione della ricchezza vanno di
pari passo l'emigrazione od una maggiore mortalità nelle classi
povere ed infine l'esaurimento delFintero corpo sociale. Sono questi
appunto i fenomeni che scorgiamo al declinare degli Stati buro-
cratici ; li vediamo infatti nell'epoca che segui il massimo svolgi-
mento burocratico dell' Egitto antico e più \àsibilmente ancora
durante la decadenza dell'impero romano (1).
(1) Alla fine del lungo regno di Ramses II, col quale comincia la decadenza
della terza civiltà egiziana, le imposte erano divenute intollerabili, come è
attestato da parecchi documenti privati, che si trovano decifrati nelle opere
del Maspero, del Lenormant, ecc. È noto che la vera causa della decadenza
dell'impero romano fu la diminuzione della popolazione e della ricchezza, che
dovette essere principalmente causata dalla gravezza delle imposte e dalla
ignorante ingordigia con cui si esigevano (Vedi principalmente Mommsen e
Marqdardt, opera citata nel volume che tratta delV Organizzazione finanziaria
dei Romani). Anche in Francia la popolazione e la ricchezza diminuirono alla
fine del lungo regno del gran re Luigi XIV e si rimisero in buono stato sotto
il governo del pacifico cardinale Fleury.
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. — II. Coesistenza
di diversi tipi sociali in unico organismo politico. — HI. Unità e diflferenze di
tipo sociale tra le varie classi dello stesso popolo. — IV. Eapporti tra la di-
versità dei costumi e la varietà del tipo sociale. — V. Psicologia delle plebi.
— VI. Conseguenze della diversità di tipo sociale tra la plebe e la classe di-
rigente.
I. — Abbiamo già visto nel capitolo precedente come ogni
tipo sociale abbia la tendenza a riunirsi in un unico organismo
politico ; diremo ora come ogni organismo politico, estendendosi,
quasi sempre miri e spesso riesca alFallargamento del proprio tipo
sociale.
Questa aspirazione, clie troviamo anche neirantichità più re-
mota, aveva allora la sua attuazione mercè procedimenti barbari,
grossolani e violenti, ma certo efficaci. Gli Assiri, ad es., costu-
mavano di trapiantare le popolazioni conquistate, le quali, strap-
pate a forza dalla madre jjatria, venivano disseminate fra genti
di spirito e di nazionalità assira colle quali finivano col fon-
dersi (1); alla loro volta colonie assire venivano spesso mandate
nelle terre conquistate. Gl'Incas del Perù costumavano parimenti
di trapiantare in massa le tribù selvagge che conquistavano, per
poterle più facilmente addomesticare alla civiltà peruviana ed
(1) Come dovette avvenire alla più gran parte del fiore delle dieci tribù
d'Israele trasportate al di là dell'Eufrate.
92 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
assimilarle agli altri sudditi del figlio del sole. Nel Medio Evo
Carlomagno, dox)o avere sterminato una buona parte dei Sassoni,
trapiantò nel loro paese delle numerose colonie di Franchi fi).
Alcuni secoli dopo i Cavalieri Teutonici estendevano la lingua
germanica e la religione cristiana dalle rive dell'Elba fino alle
foci della Vistola e del Niemen con modi consimili: sterminando
cioè una parte dei naturali e trasportando nei paesi conquistati
numerose colonie tedesche (2).
I Romani applicarono alle volte metodi analoghi, ma non ne
fecero un uso esclusivo. Ad es., non li impiegarono mai colle po-
polazioni molto civili dell'Oriente, ed anche in Gallia, in Spagna,
in Britannia ed altrove l'impero assimilò i barbari basandosi prin-
cipalmente sulla diffusione della lingua e del diritto latino e su
quella della letteratura e della scienza greco-italiana, diffondendo
infine i benefìzi di un'amministrazione ammirevolmente organiz-
zata e di una civiltà superiore (3/.
Generalmente la propaganda religiosa ed una coltui'a più avan-
zata sono i modi più efficaci per assimilare le popolazioni sotto-
messe. Fu infatti con questi modi che il Messico, il Perù e moltissimi
altri paesi dell'America meridionale ricevettero in pochi secoli
l'impronta della civiltà spagnuola e portoghese, sebbene buona
parte, e qualche volta la gran maggioranza dei loro abitanti, non
fossero di origine iberica.
II. — Ma spesso un diverso tipo sociale sopravvive, almeno
per alcuni secoli, malgrado che sul popolo che l'ha adottato pesi
l'egemonia o il dominio di un popolo conquistatore. Nell'antico
impero persiano i Medo-persiani, adoratori del fuoco, erano domi-
natori ed il loro sovrano era il Re dei Re, colui che comandava
a tutti i sovrani che facevano parte del vastissimo Stato. Ma le
popolazioni sottomesse, rette dai satrapi, ovvero anche dalle an-
tiche dinastie dei sovi'ani indigeni, conservavano intatte le loro
(1) Specialmente in quella contrada che prese dopo d'allora il nome di
Franconia.
(2) Si sa che il principale inspiratore ed autore di questa vasta colonizza-
zione fu il Gran Maestro Hermann di Salza.
(3) Vedi MoMMSEN Teodoro, Le provincie dell'impero romano da Cesare a Dio-
cleziano. Traduzione di De Ruggiero. Roma, 1887, ed. Pasqualucci.
GAP. IV - BAPPORTI TEA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 93
credenze, i loro usi, i loro costami, ne abbandonavano il loro tipo
sociale per adottare quello dei Medo-Persiani. Anzi per alcune di
queste popolazioni, poste in mezzo all'impero, ma tutelate dalla
difficoltà dei siti e dalle abitudini guerresche, la soggezione era
più apparente che reale (1). In questo modo la Corte di Susa potè
reggere per quasi due secoli un vastissimo impero nel quale, tranne
in Egitto, dalla fine del regno di Dario d'Istaspe fino all'invasione
di Alessandro Magno non vi furono notevoli ribellioni. E da no-
tare però che al primo urto un pò" forte l'impero si sfasciò, perchè
i popoli sottomessi non avevano alcuna vera solidarietà con quello
dominatore, né le loro forze erano riunite e cementate da un'or-
ganizzazione amministrativa e militare veramente salda (2).
In altri Stati troviamo anche tipi sociali distinti, che pur vivono
mescolati insieme. In Turcliia, per es., vi sono nelle città i quar-
tieri dei Turchi, dei G-reci, degli Armeni e degli Ebrei, e nelle
campagne i villaggi degli Osmanli spesso confinano cmì quelli
dei Grreci e dei Bulgari. In India convivono pure Bramini, Mao-
mettani, Parsi ed Europei ; anzi l'Oriente pare che abbia questa
speciaHtà di essere quasi un museo, dove si raccolgono quei fram-
menti ed avanzi di tipi sociali che altrove vengono assorbiti e
scompaiono (3). Quando in uno Stato avviene questa miscela di
tipi sociali la classe politica deve essere fornita quasi esclusiva-
mente da quello dominatore, e quando questa regola non è os-
(1) Ciò si vede benissimo leggendo la ritirata dei diecimila: basta ricordare
l'episodio di Siennesi re di Cilicia, quello del passaggio attraverso i Carduchi,
e gli altri riguardanti la marcia attraverso i Mosineci e gli altri popoli del
Ponto Eusino.
(2) Il neo impero persiano dei Sassanidi, sebbene assai più piccolo dell'an-
tico, pure, essendo quasi tutto abitato da popoli affi'attellati dalla comune
dottrina dell'Avesta, superò tempeste molto più forti e numerose di quelle
che ebbe a patire l'antico impero persiano, e durò più di quattro secoli.
(3) Ciò avviene o perchè i governi dell'Oriente hanno minori risorse e quindi
minor forza di assimilazione di quelli europei, o perchè in Oriente vi è più
vero spirito di tolleranza che fra noi. Rammentiamo la maniera come scom-
parvero le floride e numerose colonie maomettane della Sicilia e della Spagna,
appena qualche secolo dopo che ebbero perduto il dominio politico. Anche
oggi, nella penisola balcanica, appena un paese è sottratto al Governo del
Sultano, i suoi abitanti maomettani tendono a diminuire rapidamente e qualche
volta spariscono del tutto.
94 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
servata, perchè il tipo dominatore non è sufficiente i)er numero o
per energia morale ed intellettuale, allora un paese si può consi-
derare come malato, prossimo cioè a gravi rivolgimenti politici.
La Turchia infatti trovasi in queste condizioni, perchè, venuta
nel secolo scorso in contatto intimo e conflitto d'interessi colla ci-
viltà europea, ha dovuto impiegare un gran numero di Greci, di
Armeni ed anche di Franchi. Or, come è stato bene osservato, se
ciò le ha fornito le risorse di una cultura superiore, le ha tolto in
compenso una parte della sua selvaggia energia e non ha impe-
dito sopratutto che il gran Sultano perdesse una parte conside-
revole del suo territorio. Nell'India i conquistatori britannici sono
finora assai superiori di civiltà ; ma, scarsissimi di numero, si
fanno coadiuvare, nell'amministrazione, nella giustizia e nell'eser-
cito da elementi indigeni. Or, se la parte a questi affidata nelle
pubbliche funzioni diventerà tanto importante da rendere non indi-
spensabile l'opera degli Europei, è dubbio che il dominio di questi
possa lungamente durare.
Quando in uno Stato vivono mescolati diversi tipi sociali, ac-
cade quasi immancabilmente che anche in quelli sottomessi esista
una classe, se non dominante, certo dirigente. Avviene qualche
volta che questa classe è la prima che si lascia assorbire dal tipo
dominatore. L'aristocrazia gallica infatti fece presto a romaniz-
zarsi, essa in X30che generazioni apprese la cultura classica e giu-
ridica dei latini e brigò il diritto di cittadinanza romana, che le fu
facilmente concesso. Anche i begs della Bosnia, per non cascare nel
rango dei conculcati raia e non perdere i loro possedimenti, dopo
la battaglia di Kossovo si convertirono all'Islamismo. Ma, nell'uno
e nell'altro caso, si trattava di aristocrazie che non avevano molta
cultura, né sopratutto erano eredi delle memorie di un'antica e
gloriosa civiltà. Più spesso infatti le tradizioni della grandezza
passata, la coscienza della propria superiorità, la ripugnanza per
il diverso tipo sociale la vincono sull'interesse personale, ed allora
le classi alte del popolo vinto diventano l'elemento più inassimi-
labile. Cosi le nobili famiglie fanariote di Costantinopoli non si
sono quasi mai convertite all'islamismo ; i Cofti attuali, che eser-
citano ancora la professione di scribi e burocratici, pare che siano
discendenti dell'antichissima classe letterata, che formava l'aristo-
crazia dell'antico Egitto e si mantengono cristiani, mentre la massa
dei coltivatori o fellah è diventata da parecchi secoli maomettana.
GAP. IV - RAPPORTI TRA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 95
Pare che anche dall'aristocrazia persiana discendano gli attuali
Guebri, che ancora mantengono il culto del fuoco. In India le
caste più elevate hanno date meno conversioni all'islamismo.
m. — Ed ora accenneremo ad un fenomeno sociale meno ap-
parente, ma forse più importante. Il fatto della coesistenza in
unico organismo politico di più di un tipo sociale si può trovare,
in modo più o meno larvato, anche in paesi che apparentemente
presentano una grande unità sociale. Esso avviene tutte le volte
che la forinola politica, sulla quale si basa la classe dirigente di
una data società, non è accessibile alle classi più basse, oppure
quando l'insieme di credenze e di principi morali e filosofici, del
quale detta formola si compone, non è ancora abbastanza pene-
trato negli strati più numerosi e meno elevati di una società. Lo
stesso accade quando una notevole differenza di costumi, di cul-
tura e di abitudini vi è tra la classe dirigente e quella governata.
Ci spiegheremo meglio con degli esempi: a Roma e nella Grecia
antica lo schiavo era tenuto interamente fuori dalla città, consi-
derata come corpo politico e comunità morale. Egli non parteci-
pava all'educazione nazionale, non era cointeressato né material-
mente ne moralmente al benessere dello Stato. Il Paria indiano
tenuto fuori da ogni casta, che non deve neppure gli Dei avere
comuni coi suoi oppressori, isolato assolutamente dal resto della
popolazione, rappresenta pure una classe d'individui, che sta fuori
moralmente dal tipo sociale entro il quale vive. Al contrario gli
Ebrei ed altri j)opoli dell'antico Oriente consideravano anche il
manovale e lo schiavo, una volta che si era per dir così naziona-
lizzato, come partecipe dei sentimenti della società alla quale
apparteneva. La coltivazione accurata dei sentimenti, delle idee
e delle abitudini delle classi basse, mercè un'opportuna catechiz-
zazione, è pure merito grandissimo del Cristianesimo e dell'Isla-
mismo, i quali sono in ciò più o meno efficacemente imitati dalle
moderne nazioni europee.
Generalmente sono le formole iDolitiche molto antiche, quell'in-
sieme di credenze e di sentimenti, che hanno la sanzione dei secoli
quelle che riescono a penetrare anche negli strati più bassi delle
società umane. Accade Invece clie, quando un rapido movimento
d'idee agita le classi più alto o alcuni centri intellettuali più at-
tivi, che per lo più si trovano nelle grandi città, molto facilmente
96 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
le classi più basso e le contrade più remote di uno Stato riman-
gono indietro e diversi ti])i sociali accennano a formarsi nella stessa
società.
La maggiore o minore unione morale fra tutte le classi sociali
spiega la forza o la debolezza che in certi momenti mostrano al-
cuni organismi politici. E noto, ad esempio, quanto la macchina
governativa della Turchia pecchi di venalità, inettitudine e trascu-
ratezza; flotta, esercito, finanza tutto è andato in malora nei do-
mini della Sublime Porta ; pure, in certe determinate occasioni,
quando la mezzaluna appare in pericolo, il popolo turco ha dato
talora segni di tale fiera energia da impensierire anche gli Stati mi-
litarmente i3Ìù forti dell'Eurojja. Gli è che il povero nizam strac-
ciato e scalzo, che si fa intrepidamente ammazzare dietro la trincea,
il redìf^ che all'appello del Sultano, abbandona il tugurio, sentono
davvero la formola i)olitica che son chiamati a servire, e per essa
sono pronti a dare l'ultimo para e financo la vita. I contadini
turchi della Romelia e dell'Anatolia credono realmente e forte-
mente nell'Islam, nel Profeta, nel Sultano, che ne è il vicario, e
le credenze, in nome delle quali si domandano loro gli estremi
sacrifici, sono le stesse, che ordinariamente riempiono la sua
vita e formano il suo mondo morale ed intellettuale (*). Malgrado
la ordinaria mediocrità dei propri ufficiali superiori (1) il soldato
russo fu l'avversario più temuto da Napoleone I; nella famosa
campagna di Russia, la disfatta dell'esercito invasore, più che dal
freddo, forse più che dalla fame e dalla diserzione, fu determinata
{*) Queste righe furono scritte nel 1895, non troviamo che si debbano mo-
dificare neppure dopo gli avvenimenti del 1912 e 1913; perchè i recentissimi
disastri della Turchia sono esclusivamente dovuti alla disorganizzazione ed inca-
pacità della sua classe dirigente, intensificate da trenta anni di dispotismo hami-
diano e da quattro anni di regime giovane turco. Ma i soldati turchi hanno
dimostrato ancora una volta di saper combattere e morire per la loro fede, che
per essi si confonde con la patria.
(1) Naturalmente ci erano delle eccezioni fra i generali più importanti e fra
questi noteremo Kutuzof, Barclay di Tolly, Bennigsen, Doctorof, Bagration,
ma nessuno può negare che la istruzione e capacità media dei generali russi
fosse, al principiare del secolo scorso, notevolmente inferiore a quella degli
ufficiali austriaci o prussiani. Il famoso Souvarof conosceva assai bene la psi-
cologia del soldato russo e l'arte di condurlo alle imprese più arrischiate, ma
era del resto un temerario più che dotto condottiero.
GAP. IV - RAPPORTI TRA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 97
dall'odio dal quale esso fu circondato e perseguitato da Vitebsk
in poi, appena cioè entrò nei paesi propriamente russi. Fu quest'odio
che inspirò la sinistra energia di distruggere le provvigioni nel
raggio battuto dall'esercito nemico, di bruciare tutte le città ed i
villaggi, elle si trovavano nella strada da Smolensko a Mosca,
e che die' a Rostopckin il coraggio di far bruciare la stessa Mosca.
Poiché anche per il moujik russo. Dio, lo czar, la santa Russia
formavano parte integrante di quelle credenze e di quei senti-
menti dei quali, fin dalla nascita, era stato imbevuto e che per
tradizione domestica aveva imparato a venerare.
E la stessa unità morale ci dà il segreto di altre resistenze for-
tunate e quasi miracolose, e, là dove manca, spiega il segreto di
certe debolezze vergognose. Fu forte la Vandea, perchè nobili, cu-
rati e contadini avevano le stesse credenze, gli stessi affetti, le
stesse passioni ; fu fortissima la Spagna nel 1808 perchè il grande
di Spagna e l'ultimo mandriano ugualmente sentivano l'odio contro
i Francesi invasori, tenuti in conto di miscredenti, la fedeltà verso
il loro sovrano, l'orgoglio di essere una nazione fiera ed indipen-
dente. E questa unanimità di sentimenti, malgrado la mediocrità
dei duci, e quella ancora più spiccata degli eserciti regolari, spiega
i miracoli delle difese di Saragozza e di Tarragona e la vittoria
finale che coronò la campagna per la gueiTa d'indipendenza (1).
Al contrario debolissima si mostrò la stessa Spagna all'epoca
dell'invasione legittimista francese del 1822, perchè allora solo una
parte delle classi superiori comprendevano ed apprezzavano il prin-
cipio in nome del quale si combatteva, quello della monarchia co-
stituzionale, che era incomprensibile per il resto delle classi supe-
riori e per la massa del popolo. E debole si mostrò il Napoletano
negli anni 1798 e 1799, malgrado i numerosi atti individuali e col-
lettivi di disperato valore. Perchè, mentre la massa del popolo e
(1) Neppure l'ultimo dei contadini consentiva sotto le più forti minacele ad
insegnare la strada ai Francesi (Vedi le storie del Thiers, del Toreno e le me-'
morie del colonnello Vigo de Roussillon pubblicate nella * Revue des Deux
Mondes „ del 1891). La mediocrità degli eserciti regolari spagnuoli, composti
in massima parte di reclute e privi di ufficiali sperimentati, oltre che dagli
autori francesi è attestata pure nella corrispondenza del duca di Wellington
e di altri ufficiali inglesi.
G-. Mosca., Elementi di Scienza Politica. 7
98 ELEMENTI DI f^CIEMZA POLITICA
la maggioranza delle classi inedie e superiori odiavano i giacobini
francesi, le idee rivoluzionarie, ed erano fanatici della monarchia
legittima e più ancora della fede cattolica, una minoranza esigua
delle classi elevate, scarsa di numero, ma forte per intelligenza,
esaltazione ed audacia, dispregiava i sentimenti dei suoi compa-
triotti ed aderiva completamente a quelli dei Francesi. Fu per
questo che il tradimento, e forse più che il tradimento il sospetto
continuo di esso, disorganizzò ogni resistenza: disorganizzò l'eser-
cito regolare, già per se stesso mediocre, e rese meno efficace la
resistenza spontanea delle popolazioni, che forse, senza le intelli-
genze vere e supposte cogli invasori, avrebbe trionfato (1).
IV. — Finora abbiamo quasi esclusivamente accennato alle
differenze di credenze religiose e politiche nei diversi strati so-
ciali, ora faremo anche rilevare come il diverso grado di coltura
intellettuale e la diversità di linguaggio, di abitudini e di costumi
famigliari abbiano la loro importanza.
Noi siamo cosi abituati ad ammettere una distinzione fra la
classe che ha ricevuto un'educazione letteraria e scientifica più o
micno raffinata e quella che non ne ha ricevuto affatto od è ri-
masta ai primi rudimenti, fra il ceto civile, che ha le abitudini e
le maniere della buona società, e la numerosa categoria di per-
sone che di questi requisiti manca, che facilmente possiamo essere
indotti a credere che la stessa distinzione, ugualmente profonda
ed ugualmente netta, esista in tutte le società umane ed abbia
sempre esistito nei nostri paesi. Ora ciò non è: certo nell'Oriente
maomettano la distinzione accennata o non esiste quasi affatto o
è infinitamente meno spiccata che fra noi (2); in Russia la pro-
(1) Si sa che l'esercito di Championnet erasi fermato avanti Capua e che
fu chiamato ed incoraggiato a dar l'assalto a Napoli dai repubblicani napo-
letani. Quest'assalto inoltre non sarebbe stato dato, ne probabilmente avrebbe
avuto esito felice, senza la consegna proditoria di Castel S. Elmo e l'attacco
alle spalle dei difensori di porta Capuana; l'una e l'altro opera degli stessi
repubblicani napoletani.
Questi fatti spiegano le terribili vendette, non solo regali ma anche popo-
lari, che ebbero luogo dopo abbattuta l'effimera repubblica partenopea.
(2) Il fatto è attestato dal Renan e da altri scrittori e risulta evidente poi
per chi abbia un po' di pratica della società e della cultura maomettana.
CAP. IV - RAPPORTI TRA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 99
fonda differenza, che ci è ora fra la classe che colà si appella
V intelligema ed i moujicks ed i mercanti dalla lunga barba, non
poteva esistere all'epoca di Pietro il Grande, quando non v'erano
colà Università, ed i boiardi eran quasi cosi rozzi ed ignoranti come
i contadini. Anche nell'Europa occidentale solo due secoli fa la dif-
ferenza della coltura intellettuale e delle abitudini pubbliche e
})rivate fra le diverse classi sociali era assai meno spiccata di ora ;
essa si è andata accentuando sensibilmente solo nei secoli decimot-
tavo e decimonono. E, per quanto sia strano a prima vista, pure
è esattamente vero che questo movimento nei costumi, notato da
parecchi scrittori di paesi diversi (1), coincide col nascere e col cre-
scere di quella condente d'idee e di sentimenti, che generalmente
va intesa col nome di democrazia, rendendo più stridente la con-
traddizione fra le teorie adesso più in voga e la loro pratica ap-
plicazione.
E nelle società burocratizzate che la differenza di educazione
fra le varie classi sociali può divenire più accentuata, giacché in
quelle a tipo feudale i singoli membri della classe dirigente sono
generalmente dispersi in mezzo ai loro seguaci, vivono in continuo
contatto con loro, e devono esserne, in certo modo, i capi naturali.
(1) In Francia, ad es., Voltaire, al principio della sua Storia del secolo di
Luigi XIV, fa rilevare come la nobiltà francese, quando quel principe co-
minciò effettivamente a regnare (1660), fosse ricca d'ingegno naturale, ma
rozza di modi ed ignorante. In Inghilterra il Cobbett verso la fine del secolo
decimottavo così metteva in luce la differenza fra gli affittaioli del buon tempo
antico (cioè di quando egli era fanciullo) e quelli dell'epoca in cui scriveva:
* Una volta gli affittaioli alloggiavano e nutrivano tutti i loro contadini, se-
devano insieme alla loro gran tavola di quercia e, dopo la preghiera del pa-
store, bevevano la stessa birra; ma ora i costumi sono cambiati, il salariato
tocca la sua paga e va a mangiarla solo in qualche buco, mentre l'affittaiolo
si è trasformato in un gentilomastro, ha delle caraffe di cristallo, delle forchette
col maaico d'ebano, dei coltelli col manico d'avorio, dei piatti di porcellana.
I suoi figli in ogni caso non lavoreranno mai la terra, faranno piuttosto i
commessi, gli scritturali, i garzoni di bottega... „. Una simile trasformazione
si è compiuta negli ultimi cento anni fra i grossi affittaioli ed i medii
proprietari del Napoletano e della Sicilia; i loro bisnonni erano ricchi forse,
ma in ogni caso contadini; essi ora, anche poveri, sono sempre galantuomini,
ciò che nei dialetti locali significa persone che hanno ricevuto un'educazione
civile.
100 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
A qualcuno può far maraviglia che, durante il Medio Evo, quando
il barone stava isolato in mezzo ai suoi vassalli e li trattava du-
ramente, questi non profittassero della loro superiorità numerica
per liberarsi. Or certo la cosa non sempre era facile, perchè un
gruppo di i^ersone, superiore per energia e pratica delle armi al
resto dei soggetti, era sempre più o meno legato alla sorte del
signore. Ma, indipendentemente da questa considerazione, bisogna
tenerne presente anche un'altra, che ha un peso grandissimo : il
barone conosceva spesso personalmente i suoi vassalli, aveva il
loro modo di pensare e di sentire, le stesse superstizioni, le stesse
abitudini, lo stesso linguaggio ; era per loro un padrone, qualche
volta anche duro ed arbitrario, ma era pure l'uomo, che essi com-
prendevano perfettamente, alla cui conversazione potevano pigliar
parte, alla cui mensa, sebbene in luogo più basso, spesso si assi-
devano, ed insieme al quale qualche volta si ubbriacavano. Or
bisogna mancare di qualunque conoscenza psicologica delle classi
plebee per non comprendere subito quante cose questa famiglia-
rità vera, proveniente dall'uguaglianza dell'educazione o, se cosi
si vuole, da un'uguale rozzezza di abitudini, faccia tollerare e per-
donare (1).
Difatti le prime rivolte dei contadini scoppiarono non quando
la feudalità era più dura, ma quando i nobili impararono a stare
fra loro e la gaia scienza e le corti d'amore cominciarono a di-
rozzarli e ad allontanarli dalle rustiche abitudini dell'isolato ca-
stello. Ed una osservazione importante fa su questo riguardo
Adamo Mickievicz. Secondo quest'autore la nobiltà polacca fu po-
polare fra i contadini finche visse in mezzo a loro; questi si la-
sciavano allora togliere volentieri il pane dalla bocca, perchè il
loro signore potesse comprare cavalli ed armi di lusso per la caccia
(1) Si può obbiettare che i poveri servono generalmente a malincuore coloro
che sono arricchiti da poco tempo. Ciò è vero, ma nel caso ci sono altri ele-
menti dei quali bisogna tener conto: il neo arricchito facilmente suscita l'in-
vidia, inoltre è spesso pivi duro e piìi avaro di colui che è dalla nascita abi-
tuato all'agiatezza, infine, quasi sempre, invece di conservare comunanza di
abitudini e di sentimenti colla classe dalla quale proviene, fa di tutto per
adottare quelli della classe superiore; giacche il far dimenticare la propria
origine suole essere la sua principale ambizione e preoccupazione.
CAP. IV - BAPPORTI TEA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 101
ed anche per andare a sciabolare i Turclii ed i Russi. Ma, quando
l'educazione francese s'introdusse fra i nobili polacchi, quando essi
impararono a dare le feste di ballo all'uso di Versailles e passa-
rono le loro giornate danzando il minuetto, allora contadini e no-
biltà cominciarono a fare due popoli a parte, né i primi sostennero
validamente la seconda nelle lotte, che alla fine del secolo decimot-
tavo combattè contro gli stranieri (1). Anche l'aristocrazia celtica
dell'Irlanda, la vecchia nobiltà degli 0' e dei Mac era, secondo il
Macaulay e tutti gli altri storici, popolarissima fra i contadini, le
cui fatiche fornivano al capo del clan il lusso della sua rozza ed
abbondante tavola, le cui figlie erano talora prelevate per il suo
rustico harem; ma quei nobili erano considerati quasi come membri
della famiglia, essi coi contadini aveano comune, dicevasi, il sangue
e certo le abitudini e le idee. Invece odiatissimo fu il proprietario
inglese che li surrogò, e che, forse più moderato e certo più rego-
lato e corretto nelle esigenze, era però straniero di lingua, di re-
ligione, di consuetudini, viveva lontano, e, anche stando vicino,
avea per tradizione acquistato l'abitudine di stare isolato, senza
alcun contatto coi suoi dipendenti, tranne quello strettamente ne-
cessario fra padroni e servi (2).
(1) Histoire popiiìaire de Pologne, già citata.
(2) Qualche seguace del Gumplowicz potrebbe osservare che, nel caso del-
l'Irlanda, l'odio sopravvenuto fra proprietari e contadini potea essere un effetto
della diversità di razza, dal trovarsi il Celta di fronte al Sassone, per usare
l'espressione favorita dal famoso 0' Connell. Di passaggio facciamo rilevare
che le prime famiglie anglo-normanne stabilite nel medio-evo in Irlanda, ad
esempio i Talbot ed i Fitzgerald, ecc., le quali fecero una lunga dimora in
quel paese, finirono coll'adottare le costumanze celtiche, e, nelle varie insur-
rezioni, combatterono nelle file degli Irlandesi contro gli Inglesi. Ma vediamo
piuttosto quello che accade in Russia, dove, fra la massa della nobiltà ed i
contadini non vi è certo differenza di razza, ma vi è piuttosto una gran dif-
ferenza di tipo sociale e sopratutto di costumi fra la classe colta, povera o
ricca che sia, la quale ha adottata l'educazione europea, ed il resto della popo-
lazione, che conserva idee e costumi asiatici. Sentiamo ciò che in proposito ci
dicono i rivoluzionari russi : " Il popolo (scrive Tchernychevski, accennando
ad una possibile rivoluzione dei contadini) ignorante, pieno di pregiudizi gros-
Holani, e d'un odio cieco per tutti coloro che hanno abbandonato i suoi selraygi
costumi , (ecco l'antipatia proveniente dalla differenza del tipo sociale) ' non
farebbe aìcuna differenza fra le persone che portano l'abito alla tedesca „, (ohe
102 BLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
V. — Gli è che vi sono neirunianità sentimenti individual-
mente forse imponderabili, di analisi difficile e di più difficile de-
finizione, ma il cui insieme ò fortissimo e può contribuire alla
preparazione di fatti sociali importantissimi. Chi scrisse che l'uomo
si lascia guidare dal solo interesse, diede una massima generale
di un valore pratico presso che nullo, la quale riesce a farci ap-
prendere qualche cosa solo a patto di analisi e distinzioni molto
minute. Chi crede che l'interesse sia quello solo che viene mate-
rialmente espresso per mezzo del danaro, e che si misura a soldi
ed a lire, è una persona di poco cuore e che non ha testa sufficiente
per capire gli altri uomini. In verità per ogni individuo l'interesse
equivale al proprio gusto; ognuno quindi l'intende in una maniera
speciale, e per molti la soddisfazione dell'amor proprio, del senti-
mento della dignità personale, di vanità grandi e piccole, di ca-
pricci e rancori individuali, vale più dei godimenti puramente
materiali. Questi concetti bisogna sopratutto tener presenti quando
si vogliono studiare le relazioni fra ricchi e jjoveri, fra superiori
e subordinati, o meglio fra le diverse classi sociali. In fondo,
purché i primi bisogni siano abbastanza soddisfatti, ciò che contri-
buisce principalmente a far nascere ed a mantenere la ruggine
fra le diverse classi sociali non è tanto la differenza dei godi-
menti materiali quanto l'appartenere a due ambienti diversi :
giacche, ad una parte almeno delle classi inferiori, ancor più delle
privazioni, può riuscii-e amara l'esistenza di un mondo superiore
dal quale è esclusa : di un mondo il cui accesso, senza esser proi-
bito da leggi né da j)rivilegi ereditari, è ostacolato da un filo di
seta sottilissimo, che difficilmente però si può scavalcare : la dif-
ferenza di coltura, di maniere e di abitudini sociali.
Fin dall'antichità si è scritto che in ogni città ed in ogni Stato
vi sono due popolazioni nemiche, che stanno sempre alle vedette
per nuocersi l'una all'altra : queste due popolazioni sarebbero i
ricchi ed i poveri. Or la massima non ci pare che possa avere
un'applicazione assoluta e sopratutto generale, e quanto già ab-
hanno abbandonato il costume tradizionale russo e vestono all'europea); * con
tutti agirebbe alla stessa maniera, egli non farebbe grazia ne alla scienza, ne
alla poesia, ne all'arte e distruggerebbe tutta la nostra civiltà „. Lkroy-
Beauliku, opera citata, voi. II, pag. 524 e seguenti.
CAP. IV - KAPPOKTI TRA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 103
l)iamo detto può servire a spiegare le moltissime eccezioni e re-
strizioni colle quali la si deve accogliere. Generalmente i ])overi
seguono i ricchi, o meglio le classi dirette seguono le dirigenti,
(Igni volta che sono imbevute delle stesse opinioni e credenze ed
hanno un'educazione intellettuale e morale non troppo dissimile;
le lAehì inoltre sono iide coadiutrici delle classi elevate nelle lotte
contro gli stranieri, quando il nemico appartiene ad un tipo so-
ciale cosi differente da inspirare uguale ripugnanza a ricchi ed a
poveri. Infatti in Spagna nel 1808 ed in Vandea contadini e si-
gnori combatterono insieme, ne i primi profittarono mai dei disor-
dini dell'anarchia per svaligiare le case dei secondi. Non ci è quasi
esempio che le classi povere di un paese cristiano si siano solle-
vate per aiutare una invasione maomettana, e molto meno poi le
classi povere di un paese maomettano favorirebbero l' invasione
cristiana.
La democrazia sociale dell' Em^opa centrale ed occidentale si
mostra indifferente riguardo al concetto di nazionalità e proclama
l'alleanza dei proletari di tutti i paesi contro i capitalisti di tutto
il mondo ; or queste teorie potrebbero forse avere una certa effi-
cacia pratica se avvenisse una lotta fra Tedeschi e Francesi ovvero
fra Italiani ed Inglesi, popoli appartenenti tutti, presso a poco^ allo
stesso tipo sociale. Ma se si trattasse di respingere una seria in-
vasione tartara o chinese, o semplicemente turca o russa, noi cre-
diamo che la grande maggioranza dei proletari, anche colà dove
sono fortemente imbevuti di collettivismo mondiale, darebbero vo-
lentieri la loro cooperazione alle classi dirigenti (1).
Chi ha molto viaggiato avrà notato un fatto, che ha la sua im-
portanza : spessissimo i poveri di paese diverso, come del resto
fanno anche i ricchi che appartengono a differenti contrade, si
affrateJlano fra di loro assai più che ricchi e poveri dello stesso
paese (2). Però ciò accade finché si è tra popoli i costumi dei quali
(1) Hi sa che in America dalle coalizioni operaie sono generalmente esclusi
i Negri ed in special modo i Chinesi.
(2) A voler essere giusti anzi bisogna riconoscere che il comnopolitismo è
presentemente una qualità che, più che nei poveri, trovasi in modo spiccato
in una frazione della classe dirigente ; in quella cioè più ricca e più scio-
perata.
104 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
abbiano molta affinità con quelli di casa propria; perchè se si va
in contrade molto lontane, dove si trovino idee ed abitudini inte-
ramente nuove, allora il ricco ed il povero dello stesso paese, o
anche semplicemente di paesi vicini, si sentii-anno fra di loro assai
più legati che cogli stranieri della loro classe (1). Il che vuol dire
che, presto o tardi, arriva un punto in cui la differenza di tipo
sociale è assai maggiore con lo straniero che fra le diverse classi
dello stesso paese.
VI. — L' isolamento ]3sicologico ed intellettuale delle plebi,
il distacco troppo marcato fra la coltura, le credenze e la edu-
cazione delle varie classi sociali possono dare origine a parecchi
fenomeni sociali, interessanti certamente per lo studioso di scienze
politiche, ma pericolosi per le società ove accadono.
Ed in primo luogo, in sèguito a quest'isolamento, quasi neces-
sariamente si forma in mezzo alla plebe un'altra classe dii'igente,
spesso in antagonismo con quella, che tiene in mano il governo
legale (2). Quando questa classe dirigente plebea è bene organiz-
zata può dare a chi ufficialmente governa una data società scrii
impicci. In molti paesi cattolici, ad esempio, l' influenza morale
sui contadini è ancora quasi tutta in potere del clero: questi hanno
per il curato tutta quella fiducia che negano al funzionario go-
vernativo. In altri, dove il popolo vede in questo funzionario e
nel signore degli uomini, se non del tutto nemici, certo completa-
mente estranei, gli elementi più risoluti e maneschi della plebe
qualche volta riescono a formare vastissime e tenacissime associa-
zioni, che esigono tasse, amministrano una giustizia speciale per
proprio conto, hanno la loro gerarchia, i loro capi, i loro tribu-
nali riconosciuti. Si viene cosi a costituire un vero Stato entro lo
Stato, un Governo occulto spesso più temuto, più obbedito e, se
non più amato, certo più compreso del GToverno legale.
Dappertutto poi dove una frazione della classe politica, o perchè
(1) Così infatti accade fra gli Europei in India ed in China ed in generale
in tutte le contrade di civiltà molto differente dalla nostra.
(2) E un fenomeno analogo a quello che abbiamo osservato nel principio
del capitolo parlando dei paesi dove diversi tipi sociali, nel senso stretto del-
l'espressione, vivono mescolati.
CAP. IV - KAPPOKTl TEA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 105
convertita ad una nuova forinola politica, o per altre ragioni, aspira
a rovesciare il Governo legale, essa usa sempre di appoggiarsi
sulle classi inferiori, che facilmente la seguono quando sono ne-
miche od indifferenti verso l'ordine di cose costituito. E per questa
alleanza, cosi spesso conclusa, che noi vediamo la plebe strumento
necessario di quasi tutte le sommosse e rivoluzioni e cosi spesso
stare a capo dei movimenti popolari uomini di una condizione so-
ciale superiore. Accade pure talvolta il fenomeno opposto : cioè
che quella parte della classe politica, che ha in mano il potere e
resiste alle correnti innovatrici, si aj)poggi sulle classi basse, che
restano fedeli alle antiche idee ed all'antico tipo sociale. Cosi av-
venne in Spagna dopo il 1822 e fino al 1830, così nel Napolitano
nel 1799 ed in parte fino al 1860. In questi casi si possono avere
periodi di governo goffo, ignorante e plebeo, del genere di quello
che fu definito la negazione di Dio.
Ma il più pericoloso fra gli effetti, che può produrre la diffe-
renza di tipo sociale fra le varie classi sociali e l'isolamento re-
ciproco fra esse, che necessariamente l'accompagna, è la mancanza
di energia nelle classi superiori, che divengono deficienti di ca-
ratteri arditi e pugnaci e ricche di individui molli e passivi. Ab-
biamo già accennato come nello Stato a tipo feudale questo fatto
riesca quasi impossibile : giacché, là dove la società si divide in
frammenti quasi indixDendenti l'uno dall'altro, i capi di ogni sin-
golo gruppo devono essere necessariamente energici, essendo la loro
supremazia in gran parte affidata alla propria forza materiale e
morale, che hanno campo inoltre di continuamente applicare ed
esplicare nelle lotte cogli immediati vicini. Ma, quando l'organiz-
zazione sociale è progredita, allora la superiorità della cultura e
della ricchezza e sopra tutto la coesione e l'organizzazione della
classe governante, la quale usufruisce dei vantaggi della macchina
burocratica, possono, fino ad un certo punto, supplire alla man-
canza di energia individuale. Può cosi accadere che una parte no-
tevole della classe governante, specialmente quella che dà alla
società il tono e l'indirizzo intellettuale, si disabitui dal trattare
cogli uomini delle classi inferiori e dal direttamente comandarli.
E questa la condizione di cose necessaria perchè la frivolezza ed
una specie di cultura tutta astratta e convenzionale prendano il
posto del senso della realtà e della vera ed esatta conoscenza
della vita umana; perchè gli animi perdano ogni virilità e comin-
106 ELEMENTI 1>I SCIENZA POLITICA
cino a farsi strada le teorie sentimentali ed esageratamente uma-
nitarie sulla bontà innata della specie umana, specialmente quando
non è guasta dalla civiltà (1), e sulla preferenza assoluta da darsi,
nelle arti di governo, ai mezzi dolci e persuasivi piuttosto che a
quelli rigidi od imperiosi. Si crede allora, come scrisse il Taine,
che, poiché la vita sociale i)er secoli ha proceduto blanda ed or-
dinata, come un fiume delle acque impetuose tra i suoi robusti ar-
gini, gli argini siano diventati superflui e si possano impunemente
abbattere, perchè il fiume è rinsavito.
In questi errori tanto più facilmente una classe politica è esposta
a cadere quanto più essa è, se non legalmente, effettivamente
chiusa agli elementi provenienti dalle classi inferiori ; perchè in
queste le necessità della vita, la gara continua ed aspra per il
pane, la mancanza di coltura letteraria, mantengono sempre svegli
gli aviti istinti della lotta e la rudezza inesauribile della natura
umana. Ad ogni modo, si aggiunga o no all'isolamento intellet-
tuale e morale anche quest'altro coefficiente dell' isolamento per
dir cosi familiare, certo è che, quando la classe dirigente è dege-
nerata nel modo che abbiamo accennato, perde l'attitudine a prov-
vedere ai casi suoi ed a quelli della società, che ha la disgrazia
di essere da essa guidata. Allora lo Stato rovina al primo urto un
po' forte che venga dal nemico esterno, chi governa non sa affron-
(1) Si sa che Tacito dipinge i costumi dei Germani come oltremodo sem-
plici, frugali e virtuosi; più di tre secoli dopo, durante le invasioni barbariche,
Salviano attribuiva le vittorie dei Goti, dei Vandali, dei Franchi, ecc. alla
loro superiorità morale; giacche, secondo quest'autore, gl'invasori erano casti,
frugali, veritieri ed i Romani, specialmente quelli delle classi elevate, forni-
catori, intemperanti, fedifraghi. Machiavelli nel descrivere i costumi e le abi-
tudini dei Tedeschi dei suoi tempi evidentemente risente l'influenza di Tacito.
Nel secolo passato molti filosofi celebrarono la santità di costumi dei selvaggi
e la rustica semplicità delle plebi. Pare dunque che sia una tendenza fre-
quente, se non generale, delle civiltà molto matui-e, dove vi sono classi poli-
tiche che hanno una cultura letteraria molto raffinata, di entusiasmarsi per
antitesi della semplicità dei selvaggi, dei barbari, dei contadini (si rammenti
l'Arcadia), ai quali si attribuiscono virtù e sentimenti immaginari e convenzio-
nali. In fondo a questa tendenza vi è sempre il concetto nettamente espresso
dal Rousseau: che la natura umana è buona, ma è guasta dalla società e dalla
cultura. Su questo concetto, che ha avuto una influenza grandissima su tutte
le idee politiche del secolo scorso, dovremo ritornare nei seguenti capitoli.
CAP. IV - RAPPORTI TEA LA CLASSE POLITICA ED IL TIPO SOCIALE 107
tare la minima tempesta, ed i rivolgimenti che una classe politica
forte ed avveduta avrebbe attuato con perdite infinitamente mi-
nori di ricchezza, di sangue umano e di senso morale (1) pigliano
l'aspetto di cataclismi sociali.
(1) Facciamo notare ad esempio che l'Inghilterra ha nel secolo decimonono adot-
tato pacificamente e senza scosse violente quasi tutte le piìi essenziali riforme
civili e politiche, che sono state la conseguenza della grande rivoluzione fran-
cese e che sono costate così caramente alla Francia. È indiscutibile che il
vantaggio evidente della Gran Brettagna si deve in gran parte alla maggiore
energia, al maggior senso pratico ed alla migliore educazione politica che
ebbe, fin quasi agli ultimi anni del secolo scorso, la sua classe dirigente.
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
T. Varie opinioni intorno al progresso del senso inorale. — IL La scuola evoluzio-
nista. — in. Dottrina del Buckle - Disciplina del senso morale. — IV, In-
fluenza delle credenze religiose nella disciplina del senso morale. — V. Influenza
dell'organizzazione politica. — VI. Il semplicismo politico in rapporto alla di-
fesa giuridica. — VII. I (ìoverni misti - Completamento della teoria di Mon-
tesquieu sulla divisione dei poteri. — Vili. Influenza della separazione del
prestigio religioso dal potere laico. — IX. Influenza della distribuzione della
ricchezza. — X. Rappresentanza ed equilibrio di tutte le forze politiche. —
XI. L'unità di tipo nella classe politica.
I. — Non sarebbe indispensabile definire che cosa sia il senso
morale : giacché si tratta di un concetto, che tutti sentono e ca-
piscono, senza che sia necessario che venga da una formola de-
terminato e circoscritto. Ad ogni modo dii^emo come per esso ge-
neralmente s' intenda quell'insieme di sentimenti, j)er i quali la
naturale propensione degli individui umani ad esplicare le proprie
facoltà ed attività, a soddisfare i propri appetiti e le proprie vo-
lontà, a comandare ed a godere, viene frenata dalla naturale com-
passione per il danno ed il dispiacere, che altri uomini potrebbero
risentirne. Qualche volta questo sentimento arriva al punto che la
soddisfazione morale per aver procurato il piacere e l'utile altrui
vince quella materiale di aver provveduto al proprio.
Quando la limitazione all'appagamento del proprio piacere, di
fronte al sacrifizio altrui, è determinata dai sentimenti affettuosi
verso le persone che ci stanno più vicine e che ci sono ordinaria-
mente care, allora si dice che essa è basata sulla simpatia; quando
essa è inspirata soltanto dal rispetto che si deve agli altri uomini,
LA DIFESA GIURIDICA 109
anche estranei, anche nemici, sol perchè uomini, allora si ha il
sentimento più delicato e molto meno diffuso della giustizia. L'idea-
lizzazione e l'esagerazione di questi sentimenti sono state concre-
tate nelle note formolo: ama il prossimo tuo come te stesso, non
fare agli altri quello che non vori'esti che fosse fatto a te. Esse però
hanno ijiuttosto il significato di uno sforzo per raggiungere un
perfezionamento morale, che mai jDotrà essere toccato, anziché
quello di un consiglio pratico ed axDplicabile alla vita reale. Infatti,
tranne le eccezioni dovute quasi sempre all'amor paterno e ma-
terno, ogni individuo è quello che a preferenza di tutti può e sa
provvedere meglio ai casi suoi, e, perchè vi provveda bene, è ne-
cessario che ami sé stesso almeno un po' più degli altri e che li
tratti in modo differente dal proprio io (1).
E una quistione molto discussa quella intorno al i)rogresso od
alla stabilità del senso morale. Si sa che un chiarissimo scrittore
del secolo scorso, il Buckle, osservando che i principi etici più puri
ed elevati furono già noti e proclamati anche in società antichis-
sime, sostenne che il progresso delle società umane è quasi esclu-
sivamente intellettuale e scientifico, non già morale (2). A conclu-
sioni essenzialmente diverse viene la moderna e numerosa scuola
evoluzionista : secondo questa, il senso morale può e deve conti-
nuamente progredire in grazia della lotta per l'esistenza, in base
alla quale entro ogni società sopravvivono a preferenza gli indi-
vidui più ricchi di sentimenti altruistici, che sono i più utili agli
interessi del corpo sociale, e, nella lotta tra società diverse, fini-
scono semi^re per vincere quelle dove gli stessi sentimenti sono
in media più forti (3). Esamineremo brevemente le due dottrine,
tanto quanto basterà a dimostrare che nessuna di esse può venire
riguardata come base inconcussa di deduzioni scientifiche, e co-
minceremo dalla seconda che fino ad oggi è la più sparsa e diffusa.
(1) Del resto quest'ultima avvertenza è quasi inutile; perchè, tranne mo-
menti ed individui eccezionali, gli uomini non hanno mai preso sul serio le
massime accennate.
(2) Vedi History of civilisation in England (London, 1861, editori Parker e
Comp.), e sopratutto il voi. I, cap. IV, intitolato: " Comparison between moral
and intellectual laws ,.
(3) Vedi la citazione del Letourneau, che abbiamo fatta nella prima parte
di questo lavoro.
110 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
n. — Or, anche non tenendo conto di quanto abbiamo cre-
duto di dimostrare nella prima parte del nostro lavoro, circa la
lotta per l'esistenza, che viceversa fra gl'individui di una società
arrivata ad un grado anche mediocrissimo di cultura, sarebbe
piuttosto lotta per la preminenza, ci pare un vero paradosso il
principio proclamato dai sedicenti positivisti, secondo il quale, entro
ogni gruppo sociale, o ai gradi più elevati, od anche addirittura
alla sopravvivenza dovrebbero arrivare preferibilmente gl'individui
più morali e perciò più dotati di sentimenti altruistici. Tutto ciò
che in questo proposito possiamo concedere, e concediamo volen-
tieri, è che un individuo specialmente sprovvisto di senso morale,
e che non sappia abbastanza mascherare le sue tendenze, avrà a
superare difficoltà maggiori degli altri per l'antipatia e ripugnanza
che generalmente inspirerà; ma anche un individuo di senso mo-
rale specialmente squisito si troverà in condizioni svantaggiosis-
sime. In sostanza, in tutti i negozi grandi e piccoli della vita,
egli dovrà lottare con armi assolutamente impari. La maggioranza
degli uomini userà contro lui quelle arti, che egli potrà conoscere
benissimo, ma che si guarderà bene dall'adoperare ; e da ciò rica-
verà un danno certo maggiore di quello che risentirà dalla ma-
levolenza di cui è circondato un accorto briccone, che sa misurare
bene le sue bricconate. In verità si può essere eccezionalmente
buoni quasi senza averne conscienza, per naturale semplicità di
animo, od anche conscientemente per magnanimità di cuore, per
insuperabile ripugnanza al male ed inflessibile dirittura di carat-
tere ; ma non già perchè si possa menomamente credere che con
la bontà si ottenga più facilmente il conseguimento dei propri fini
o ciò che comunemente si dice la riuscita ed il successo nella vita.
L'utilitarismo inteso in questo senso come base della morale, ci si
permetta di dirlo, non può essere che la furberia di un ipocrita o
il sogno di uno sciocco.
E chiaro quindi che, in tutte le società, la cosi detta evoluzione
e selezione dei migliori dovrebbe risolversi in un perpetuarsi e
moltiplicarsi dei tipi di moralità media, che sono veramente i più
adatti a ciò che si dice la lotta per l'esistenza; e la sopravvivenza,
e forse è più esatto dire la preminenza, dovrebbe a preferenza
spettare a quei caratteri, che in ogni ambiente sociale, rappresen-
tano la più aurea mediocrità morale. Senonchè ci pare che, nep-
pure così sostanzialmente modificata, la teoria degli evoluzionisti
GAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 111
riesca accettabile; pacche essa suppone ad ogni modo che l'ele-
mento morale sia sempre il fattore principale, che contribuisce a
preferenza degli altri alla riuscita o al mancamento degli scopi,
che ogni individuo si prefigge nella vita. Or praticamente la cosa
non va così. A tacere dell'influenza della fortuna, che è più grande
-di quello che generalmente si immagina, la ricchezza o la defi-
cienza di certe qualità intellettuali, come sarebbero la prontezza
della percezione e la finezza dell' osservazione , contribuiscono
moltissimo a portare un uomo ai più alti gradini della società o
a tenerlo nei più bassi. Ma sopratutto vi contribuiscono altre qua-
lità, che dipendono dalla tempra dell'individuo senza che siano,
propriamente parlando, né intellettuali né morali. Esse sono la
tenacia nei propositi, la confidenza in sé stesso, e, sopra tutto
Vattività. Anzi, a voler giudicare in qualunque società se un in-
dividuo si farà o no avanti nella vita non si può certo usare un
criterio unico, ma volendo tener d'occhio il criterio principale, si
deve guardare se è attivo e se sa bene impiegare la sua attività (1).
Una parte sola della teorica selezionista possiamo ammettere
come vera ; crediamo infatti che si possa accettare che nella lotta
fra due società {caeteris paribus), debba trionfare quella i cui
individui sono in media più provvisti di senso morale, e che quindi
saranno più uniti, più fiduciosi gli uni degli altri, più capaci di
(1) Non occorre rammentare che, tranne nei brevi periodi di rivoluzione
violenta, le qualità personali sono, per arrivare ai gradi più elevati, un coef-
ficiente sempre meno efficace della nascita; giacche in qualunque società, sia
0 no apparentemente democratica, il nascere in alto è il migliore titolo jjer
restarvi.
Per evitare poi un equivoco nel quale facilmente si può incorrere, bi-
sogna tener presente che le famiglie da parecchie generazioni arrivate ai
primi gradini della scala sociale spesso mancano delle qualità, che abbiamo
segnalate come più adatte a portare un uomo dal basso in alto, e ne acqui-
stano invece altre ben diverse.
Così, ad esempio, tranne casi eccezionali dovuti ad un'accurata educazione,
le vecchie famiglie aristocratiche non si distinguono per una straordinaria
attività, e nello stesso tempo un vero raffinamento del senso morale può de-
terminarsi in quelle persone, che, per salire in alto, non hanno avuto bisogno
di combattere lotte accanite, oscure e spesso degradanti. Insomma i pregi ed
i difetti che aiutano un plebeo a forzare le porte di una aristocrazia, sono
qualche cosa di molto ditterente dei pregi e dei difetti delle aristocrazie.
112 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
abnegazione. Ma questa eccezione nuoce anziché giovare al com-
plesso della tesi evoluzionista; giacché, se in una data società una
media più elevata del senso morale non può provenire dalla so-
pravvivenza dei migliori, ammesso che il fatto esista, non si può
attribuirlo che ad una migliore organizzazione della società stessa:
a quelle cause cioè d'indole storica, che sono le peggiori nemiche
di coloro, che i fenomeni sociali vogliono precipuamente spiegare
mercè i mutamenti dell'organismo e della psiche individuale.
III. — Sebbene meno lontane dal nostro modo di vedere, pure
non possiamo accettare le teorie del Buckle senza modificarle o
almeno senza completarle. E verissimo infatti che in società molto
antiche troviamo massime e leggi, che dinotano un senso morale
molto squisito ; in papiri, ad esempio, che rimontano alla dodice-
sima dinastia egiziana, si leggono precetti che valgono quasi quelli
della morale cristiana e buddistica (1). Platonici e Stoici nel mondo
greco-romano, gli Esseni in quello ebraico sono pure i raijpresen-
tanti di una morale superiore, e numerose traccie di essa si pos-
sono agevolmente rintracciare nelle civiltà chinese, indiana e per-
siana anteriori all'èra volgare. Ma bisogna considerare e notare
che, benché la data alla quale rimontano i precetti accennati sia
remota, pure essi sono stati escogitati ed accolti da iDopoli la cui
civiltà era già antica ed il cui senso morale avea perciò subito
una lunghissima elaborazione. Invero, se un paragone è i^ossibile
fra la morale di una tribù primitiva e quella di un popolo rela-
tivamente civile e che per lunghi secoli ha vissuto organizzato in
grandi e numerosi organismi politici, è quello stesso che si può
fare fra la morale di un bambino e quella di un adulto. La prima
rappresenta l'incoscienza, la seconda la coscienza : nel primo gli
istinti buoni e cattivi sono semplicemente abbozzati, nel secondo
li osserviamo completamente sviluppati e maturi. Tanto il fan-
ciullo che il selvaggio possono fare il male, e grandissimo male,
ma nel loro operato prevarrà sempre il cieco, bestiale impeto al
calcolo ed alla premeditazione, e possono anche fare il bene senza
(1) Si sa che nel rituale dei morti degli antichi egiziani e specialmente in
quelle parti di esso che rimontano ad un'epoca più antica, si trovano precetti
molto simili ai dieci comandamenti di Dio. Vedi Lenormant, Maspero, ecc.
CAP. V - LA DIFESA GIUBIDICA 113
mai raggiungere in esso la squisita correttezza, il consciente sacri-
fizio di sé di cui è capace l'uomo adulto e civile (1).
Ma non è soltanto nella maggiore perfezione degli istinti mo-
rali ed immorali che l'uomo civile differisce dal selvaggio; giacche,
nelle società di antica cultura e che per secoli hanno goduto di
una salda organizzazione politica, la compressione degli istinti
immorali, ciò che alcuni penalisti chiamerebbero la contro spinta
che li frena, è indiscutibilmente più forte, ed acquista tutta l'im-
portanza di una inveterata abitudine. In queste società si vanno
per lunga e lenta elaborazione creando quegli organi, che fanno
si che, in un certo numero di rapporti pubblici e privati, la mo-
ralità generale tenga a freno la manifestazione della immoralità
individuale. Quasi tutti comprendono, quando non sono interessati
ed appassionati, che un dato atto non risponde a quei sentimenti di
giustizia, che sono comuni nella società in cui vivono ; ma certo
potrebbe darsi che la gran maggioranza commettesse quello stesso
atto sotto la spinta della passione o di un forte interesse.
Or l'opinione pubblica, la religione, la legge e tutta l'organizza-
zione sociale che la fa osservare, sono l'espressione della coscienza
della moltitudine, che nei casi generali è spassionata e disinte-
ressata, contro l'uno o i pochi ai quali la violenza dei sentimenti
egoistici vela, in un dato momento, il retto intendimento del giusto
e dell'onesto ; il giudice è lo strumento del senso morale di tutti,
che, caso per caso, tiene a dovere e frena le passioni e gl'istinti
malvagi di ciascuno.
Quindi non solo in una civiltà avanzata gl'istinti morali, come
le passioni egoistiche, si affinano e diventano più coscienti e per-
(1) Lo stesso rapporto, in proporzioni naturalmente minori, che si trova fra
la morale del selvaggio e del fanciullo rispetto a quella dell'adulto e del ci-
vile, si trova fra la morale dell'uomo rozzo e quella di colui che ha una
cultura superiore. Ciò che noi chiamiamo delicatezza di sentire non è che
l'intuito di una morale superiore applicata ad un numero maggiore di rap-
porti sociali.
Si sa che i viaggiatori europei dell'interno dell'Africa hanno trovato, in
generale, gli avventurieri ai-abi individualmente preferibili ai Negri. Gli è
che gli Arabi, eredi di un'antica civiltà, sebbene anch'essi capaci di tradi-
menti, di rapine e di assassini!, sanno, quando vogliono, assumere le forme
di gentiluomini ed hanno almeno la nozione di una morale superiore e perciò
più vicina alla nostra.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 8
114 ELEMENTI DI SCIENZA POLITIOA
fetti, ma in una società la cui organizzazione politica è molto jho-
gredita, la disciplina morale è indiscutibilmente maggiore, e sono
più numerosi e più specificati gli atti troppo egoistici, clie dal con-
trollo e freno reciproco degli individui che la compongono sono
proibiti ed ostacolati. In ogni società vi è certamente, un numero
di individui relativamente piccolo, che ha tendenze spiccatamente
refrattarie ad ogni disciplina sociale ; ed è pure certo che vi ha un
certo numero di coscienze superiori e di caratteri saldamente tem-
prati, per i quali ogni freno, che li mantenga nella rotta via, riesce
quasi supei'fluo. Ma fra questi due estremi vi è la maggioranza
immensa delle coscienze mediocri, per le quali il timore del danno
e della pena, il fatto che delle proprie azioni si è responsabili da-
vanti ad altri, che non sono né complici ne subordinati, sono mezzi
efficacissimi per far superare vittoriosamente le mille tentazioni,
che la vita pratica offre alla trasgressione dei doveri morali.
I meccanismi sociali che regolano questa disciplina del senso
morale formano ciò che noi chiamiamo la difesa giuridica. Di-
ciamo subito che essi non sono in tutte le società ugualmente per-
fetti : può darsi anzi, e si è dato il caso, che una società scientifica-
mente ed artisticamente più progredita di un'altra resti, da questo
lato, in uno stato di notevole inferiorità. E può darsi anche che
la difesa giuridica si vada infiacchendo e diventi meno efficace
in società le quali sono in un periodo di progresso scientifico ed eco-
nomico (1). E innegabile poi che una grave catastrofe, come
sarebbe una lunga guerra od una grande rivoluzione, produce do-
vunque un periodo di dissoluzione sociale ; la disciplina dei sen-
timenti egoistici allora vien meno, le abitudini colle quali essi
sono stati lungamente frenati si scuotono, e gli istinti bestiali,
addormentati ma non spenti da un lungo periodo di pace e di
civiltà, riappaiono vivaci. Giacché se da una parte la maggiore
cultura é riuscita a dissimularli, dall'altra li ha resi più temprati
ed acuiti.
E così che vediamo talvolta gruppi di avventurieri appartenenti
a popoli civili, in contatto con popoli barbari o di tipo sociale
(1) Il Taedk in un articolo della ' Revue des Deux Mondes , (Foules et sectes
au point de vite criminel, pag. 377, 15 novembre 1893) esprime l'opinione che
ci sia una vera decadenza morale nella moderna società europea dovuta a
ragioni d'indole sociale.
GAP. V - LA DIFESA GIUBIDICA 115
differentissimo, credersi sciolti dagli ordinari vincoli morali e per-
petrare le azioni per le quali rimasero celebri i conquistatori spa-
gnuoli nell'America, e Warren Hastings e Clive nell'India ; ed è
ricorrendo agli stessi criteri che si possono spiegare gli eccessi
tremendi della guerra dei trent'anni, della Rivoluzione francese e
di altre guerre civili (1).
IV. — Se noi guardiamo ai principali popoli, che hanno avuto
ed hanno una storia, vediamo che in essi la disciplina del senso
morale è affidata tanto alle religioni quanto a tutta l'organizza-
zione legislativa. In origine anzi presso tutti, ed ancora adesso
presso molti popoli, la legge civile e il precetto religioso si sono
assolutamente confusi e le sanzioni che li accompagnavano an-
davano e vanno sempre uniti. Oggi nei paesi di civiltà europea
e ehinese l'organizzazione laica o civile e quella religiosa sono
più o meno nettamente separate : e la seconda riesce tanto più
efficace quanto più forte è la fede che sa inspirare e mantenere;
mentre la prima fonda la sua perfezione nella sua maggiore
(1) È caratteristico il quadro che Tucidide fa della demoralizzazione soprav-
venuta in Grecia in seguito alle lotte tra le diverse città ed alle lotte civili
entro le città stesse, che ebbero luogo durante la guerra del Peloponneso.
È da notare che a tutti i cataclismi sociali, che distruggono la disciplina
morale, tiene sempre dietro un periodo di rilassamento di questa disciplina,
che non si va ricostituendo che lentamente. Il Letourneau nel suo libro " La
Sociologie après l'ethnographie , ha fatto molto bene rilevare come i progressi
intellettuali presso i barbari ed i selvaggi, siano assai più rapidi di quelli
morali. E questo fatto, che avviene anche nelle società civili che escono da
un periodo di disorganizzazione sociale, e che proviene dalla lentezza con cui
si stabiliscono e ristabiliscono le abitudini morali, contribuisce a dare un'ap-
parenza di verità alla dottrina del Buckle sulla stabilità assoluta del senso
morale.
Il lettore, che è al corrente dei moderni studi sociologici, avrà notato che
noi abbiamo affatto evitato ogni indagine sulla origine degli istinti morali od
altruistici; infatti per i nostri studi ci è sufficiente di constatare che essi sono
innati nell'uomo e necessari per la vita sociale. Avrà pure notato che il nostro
modo di vedere è opposto a quello sostenuto dal Rousseau, che l'uomo, cioè,
naturalmente è buono, ma che la società lo fa cattivo e perverso. Noi invece
crediamo che la organizzazione sociale avendo por conseguenza il freno reci-
proco degli individui umani, li migliori; non già distruggendone gl'istinti mal-
vagi, ma abituando a domarli.
116 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
conformità a certe tendenze psicologiche, che sarà nostro dovere
d'indagare.
Si è lungamente disputato se la sanzione religiosa, quando è
separata da quella politica, riesca più efficace di questa ; se il
timore dell' inferno valga in pratica più del carcere e del gen-
darme : ci pare che una risposta precisa ed applicabile a tutti i
casi, che la questione può presentare, difficilmente ])ossa darsi. E
ovvio che un paese la cui organizzazione politica è fiacca e pri-
mitiva e nel quale la fede religiosa è ardente, trovasi in condi-
zioni essenzialmente diverse di quelle di un altro paese, nel quale
gli entusiasmi religiosi siano intiepiditi ed il regime politico, am-
ministrativo e giudiziario assai perfezionato. Più avanti dovremo
trattare lungamente dell'efficacia etica delle religioni in genere ;
ad ogni modo possiamo fin da ora dire, che, sebbene tanto il pre-
cetto religioso che le leggi civili siano emanazione di quel senso
morale collettivo, che è indispensabile in tutte le associazioni
umane, sebbene sia innegabile che un qualche effetto pratico tutte
le religioni hanno e devono avere, pure è per lo meno arrischiata
l'opinione di coloro, che ne vorrebbero esagerare l'importanza. Se
chi pensa cosi avesse ragione, grande, ad esempio, dovrebbe es-
sere la differenza morale fra un popolo cristiano ed uno idolatra.
Or certo, se si paragona un popolo cristiano civile ad un popolo
idolatra barbaro, il distacco morale è immenso ; ma se poniamo
accanto due popoli allo stesso grado di barbarie, dei quali uno
abbia abbracciato il Cristianesimo e l'altro no, allora si trova che,
nella pratica, essi si diportano presso a poco alla stessa maniera,
o almeno non vi è un distacco molto sensibile nella loro condotta :
i moderni Abissini sono un esempio vivente e notorio di quanto
affermiamo (1). Se poi paragoniamo la società ancora pagana, ma
politicamente ben' ordinata, dell'epoca di Marco Aui'elio con quella
cristiana ma disordinatissima, che ci viene descritta da Gregorio
di Tours, dubitiamo forte che il parallelo non riesca tutto favo-
revole alla prima.
Invero è proprio della natura umana che un danno certo e pros-
(1) Anche il cardinale Massaja nei suoi Trentacinque anni di missione in
Etiopia (Roma-Milano, 1885-95) fa rilevare la scarsa efficacia pratica che il
Cristianesimo ha nella vita degli Abissini.
CAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 117
simo, per quanto relativamente piccolo, sia generalmente più te-
muto di un danno incerto e remoto per quanto grande. Per la massa
delle coscienze volgari, nel momento che la cupidità, la libidine
o la vendetta le spinge al furto, allo stupro, all'omicidio, il timore
dell'ergastolo e del patibolo sono mezzi più potenti e sopratutto
più sicuri di prevenzione della possibilità degli eterni tormenti ;
e se ciò è vero per i grandi strappi al senso morale, che si fanno
solo nei momenti di passione violenta, è verissimo per le piccole
violazioni ai precetti più ovvii dell'equità e della giustizia, alle
quali possiamo essere indotti dalla spinta quotidiana dei piccoli
interessi e delle piccole bizze. Infatti quale legge morale o reli-
giosa non riconosce che il pagare i debiti è, in massima, una
cosa giusta e doverosa? Eppure dobbiamo confessare che moltis-
simi buoni credenti si asterrebbero dal farlo, e troverebbero mille
cavilli e pretesti per ingannare la propria coscienza, se non vi
fossero costretti dalla pubblica vergogna e sopratutto dall'usciere.
Non ci vuole un sentimento troppo delicato per capire che il ba-
stonare un altro è una cosa, per lo meno, scorretta ; eppure l'abi-
tudine di alzare le mani sul prossimo nei momenti d'ira, viene
nelle masse combattuta efficacemente solo dalla sicurezza che chi
dà un pugno si espone a riceverne subito un altro, e che l'affare
può anche terminare col carcere o con la multa.
E noi vediamo, pur troppo, che gli esseri più deboli e più in-
capaci di difesa, le donne ed i fanciulli, i quali appunto per ciò
dovrebbero essere maggiormente tutelati dal sentimento religioso
e morale, sono le vittime più frequenti delle bnitalità manesche.
E in paesi molto religiosi, ma nei quali le classi inferiori sono
completamente abbandonate all'arbitrio di quelle superiori, non è
cosa straordinaria che i padroni battano servi e vassalli.
Certo che la fede religiosa, come l'entusiasmo patriottico e le
passioni politiche, possono, in dati momenti di sovi'aeccitazione-
straordinaria, produrre grandi concenti di abnegazione e di sacri-
ficio e spingere le masse a fatti ed a sforzi che, a chi tien conto
solo della natura ordinaria dell'uomo, sembrano quasi sovru-
mani (1). I giubilei cattolici e i revivals protestanti ce ne porgono
(1) Parliamo di atti collettivi non di quelli individuali; giacché, per quel
che riguarda questi ultimi, gli esemj)i di uomini isolati, o anche di gruppi
118 ELEMENTI DI SCIENZA, POLITICA
più di un esempio, e, come fatti caratteristici, si possono anche
citare il gran movimento di carità e d'amore, che agitò l'Umbria
al tempo di S. Francesco d'Assisi, e qualche fugace giornata della
rivoluzione francese e dei moti del 1848 in Italia. Ma la possibi-
lità che hanno certi sentimenti di eccitare febbri passeggiero non
ci deve indurre in errore intorno alla loro reale efficacia nella
vita ordinaria dell'umanità. Si sono viste città intiere, in momenti
di sovraeccitazione patriottica e religiosa, spogliarsi dei propri beni
per donarli allo Stato od alla Chiesa : ma certo nessuna organiz-
zazione xjolitica può a lungo sussistere se l' imposta non ha un
carattere coattivo ; e la Chiesa stessa, quando ha potuto, ha reso
obbligatorie le decime.
Il sentimento patriottico ed ancor più il religioso, e più ancora
quando sono combinati in unica passione, bastano a produrre in-
surrezioni generali e violente, ed in certi momenti hanno indotto
intere popolazioni a pigliare le armi per imprendere spedizioni
lontane ed arrischiatissime, come ad esempio avvenne nelle i)rime
due o tre crociate. Ma essi non bastano a fornire eserciti saldi e
sicuri, che in tutti i momenti siano pronti laddove il bisogno lo
richieda ; tranne che non si tratti di popolazioni nelle quali la
guerra sia un'occupazione ordinaria e fornisca lucri abituali. Questa
specie di eserciti, fra genti che vivono ordinariamente d'agricol-
tura, d'industrie e di commercio, sono invece il prodotto di una
salda disciplina sociale, che costringe inesorabilmente ogni indi-
viduo a fare il suo dovere ed a prestare il suo servizio in dati
tempi e in dati modi.
d'uomini, che danno prova di straordinaria abnegazione e di completo sacri-
ficio di se, non sono molto rari ne in alcuna epoca, ne in alcun popolo civile.
Essi abbondano in ogni guerra, in ogni epidemia grave, in qualunque occa-
sione insomma nella quale è utile e necessario che qualcheduno sotìVa od
atì'ronti un pericolo per tutti.
Nelle stesse occasioni è stato notato da parecchi che, come si vede una su-
blimazione della virtii in alcuni, si vede in altri una esagerazione di codardia
ed egoismo, che davanti la gravità del pericolo e del sacrificio gettano la ma-
schera di cui si solevano ricoprire. Ed a proposito di ciò è da ricordare che
come vi sono nelle masse le rare febbri di abnegazione e di sacrificio, vi sono
pure quelle che hanno a base i sentimenti cattivi: la cupidità, la rabbia san-
guinaria e. la paura.
GAP. V - LA DIFESA GIUBIDICA 119
V. — Or è certo che l'organizzazione propriamente detta po-
litica, quella che stabilisce l'indole dei rapporti tra la classe go-
vernante e quella governata e tra i vari gradi e le diverse fra-
zioni della prima, è il fattore, che contribuisce precipuamente a
determinare il grado di perfezione, che può raggiungere la difesa
giuridica di un popolo. Un Governo onesto, un Governo di verità
e di giustizia, un Governo veramente liberale, come V intendeva
il Guicciardini (1), è la miglior garenzia che, anche i diritti che
più comunemente s'intendono per privati, la tutela cioè della pro-
prietà e della vita, saranno effìcamente custoditi. Un regime cor-
rotto, nel quale può accadere che chi comanda, in nome di Dio o
del popolo poco imx)orta, libito faccia licito in sua legge, è evi-
dente che sarà insufficiente anche nell'adempiere a que.=;ta missione;
e, sebbene ufficialmente possa riguardo ad essa proclamare prin-
cipii accettabili ed anche elevati, pure nella pratica questi saranno
malamente osservati (2).
(1) Si sa che quest'autore definisce la libertà politica " un prevalere delle
leggi e degli ordini pubblici sull'appetito degli uomini particolari , (Vedi
opere inedite, Firenze, Barbera e Bianchi editori, 1858, voi. 2», pag. 169). Se
per uomini particolari intendiamo i singoli individui, compresi anche coloro
che hanno nelle mani il potere, difficilmente si può trovare una definizione
più rigorosamente scientifica; che ha il merito di essere antichissima, perchè
l'autore, forse senza saperlo, riproduce il concetto espresso nella sentenza di
uno dei famosi sette savi della Grecia.
Lo stesso Guicciardini, che certo non era un ingenuo, nei suoi " Pensieri ,
e nei " Discorsi , ripete spesso questo giudizio: " che gli uomini ingenerale
amano il bene e la giustizia tutte le volte che l'amore dell'interesse proprio
e dei congiunti o il timore della vendetta altrui non fa traviare il loro inten-
dimento „. In queste parole vi è il riconoscimento di quella legge psicologica
che noi abbiamo dato come base della difesa giuridica.
(2) Si sa, ad esempio, che nel passato regno di Napoli, come accade forse anche
oggi in Russia, l'azione delle leggi e della magistratura potea essere annullata
dalla polizia. Anche la uguaglianza davanti le leggi, ufficialmente proclamata,
può riuscire irrisoria. E, per citare esempi antichi, che sono meno scottanti,
osserveremo che nel Codice teodosiano (XI-7-r2) è stabilito che i più grossi
proprietari {potentiores possessores) dovevano pagare l'imposta per mezzo dei
governatori delle provincie; perchè pare che i magistrati municipali, incari-
cati generalmente dell'esazione, fossero troppo umili e deboli davanti a loro.
Sotto Arcadio è riconosciuto astrattamente al colono libero il diritto di citare
il proprietario davanti la giustizia imperiale, ma quest'atto è qualificato come
un'audacia (V. Fustkl dk Coulanges. Riclierches sur queìques problìnics d'/iistoire,
pag. 100 e 120. Paris, 1885, Hachette).
120 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
È un'osservazione non solo facile, ma diremo quasi banale questa:
che i rapporti fra governanti e governati e fra le varie categorie
dei primi, sono più o meno inspirati a principii di moralità e giu-
stizia, secondo la diversità dei paesi e dei tempi. Infatti non vi è
chi non veda subito la differenza, che corre su questo riguardo
fra il governo dei pascià e dei visir turchi del buon tempo antico,
dello stampo di Maometto Kòproli, Mustafà Bairakdar ed Ali
Tebelen, che disponevano alla spiccia delle sostanze, del corpo e
della vita dei raidh ed anche talvolta dei credenti da loro gover-
nati, e quello dei mandarini chinesi, che in conclusione devono far
capo alla corruzione burocratica per potere aggiunger qualche sup-
plemento al loro stipendio; e per eseguire una sentenza di morte,
a meno che una provincia non sia sottoposta a leggi eccezionali,
devono spedire il processo a Pekino per esservi riveduto ed al-
l'occorrenza corretto. Salta subito agli occhi che la Russia sotto
Ivano IV il terribile, quando le confische e gli sterminii in massa
d'intere città erano cose ordinarie, era retta in modo alquanto di-
verso di come è governata oggi ; ne è meno evidente che la Russia
d'oggi, è governata in modo diverso dall'Inghilterra, dove ogni
arresto personale deve essere subito e seriamente legalizzato. E
neppure è dubbio che le grandi nazioni dell'Europa centrale ed
occidentale siano rette in modo alquanto diverso delle Repub-
bliche dell'America meridionale, dove la fucilazione, che il partito
vincitore infligge ai cai^i del partito vinto, non è ancora andata
in disuso, ed in qualcuna delle quali, in epoca non remota, coloro
che ressero per qualche anno il potere ebbero modo di rubare
non dei milioni ma dei miliardi (1).
Tutte queste sensibilissime variazioni nel grado di bontà del
regime politico sono da alcuni molto facilmente spiegate colle
differenze di razza. Abbiamo già nella prima parte del nostro
lavoro ampiamente trattato quest'argomento ; ci limiteremo ora a
rammentare che il vizio della razza difficilmente si può invocare
quando si tratta di popoli, che hanno saputo creare civiltà molto
avanzate e che in altri tempi aveano organizzazioni politiche nelle
(1) Alludiamo a Juarez Celman, ex presidente della Repubblica Argentina,
ed ai suoi complici. Vedi Alfred Ebelot, ha liévolution de Buenos-Ayres.
" Revue des Deux Mondes ., 1" dicembre 1891.
CAP. V - LA DIFESA GICRIDICA 121
quali la difesa giuridica 'era relativamente eccellente rispetto a
quella delle nazioni, che ora da questo lato li sopravanzano, e che
finalmente, nei loro rapporti privati, non mostrano quella inferio-
rità organica del senso morale, che solo nelle pubbliche faccende
verrebbe a manifestarsi (1). Altri la spiegano colla differenza del
grado di civiltà : e questi hanno senza dubbio una parte di ra-
gione; perchè, come più avanti dovremo dimostrare, è assai diffìcile,
per non dire impossibile, che una società vasta e numerosa come
una nazione moderna abbia molto perfezionato la sua difesa giu-
ridica, se non ha raggiunto uno sviluppo intellettuale ed econo-
mico abbastanza notevole. Ma la parte è cosa differente dal tutto:
giacché molti sono i popoli che hanno avuto periodi di splendore
materiale ed anche intellettuale e che, quasi costretti da una specie
di forza fatale, non hanno mai potuto disfarsi da certi tipi di or-
ganizzazione politica, i quali sembrano del tutto impropri ad as-
sicurare un vero progresso nella morale delle classi governanti (2) :
quindi, ciò che comunemente appellasi civiltà è, evidentemente,
una condizione necessaria, ma non sufficiente per il vero progresso
politico.
Si può invero affermare che le abitudini contribuiscono gran-
demente nel determinare il grado massimo di perfezione o d'im-
perfezione nella difesa giuridica, che un popolo è capace di sta-
bilmente godere o sistematicamente tollerare. Infatti si può senza
stento ammettere che sarebbe impossibile che, in una od anche
in poche generazioni, i moderni Persiani, ad esempio, possano di-
ventare adatti al regime che ora vige in Inghilterra, o che i
nostri contemporanei Inglesi possano ridursi a tale da essere go-
vernati come lo sono i sudditi dello Scià. Abbiamo già accennato
al fatto che le abitudini morali si modificano assai più lentamente
di quelle intellettuali, però esse, per quanto lentamente, pur si
modificano ; e possono andar cambiando in senso buono come in
(1) Ad esempio Spagnuoli e Siciliani sono comunemente ritenuti come popoli
di scarsa moralità politica, ma non crediamo che si possa asserire che, nei
rapporti di famiglia e nelle loro private amicizie, siano moralmente inferiori
agli altri Europei.
(2) Basti ricordare che i caliti'ati arabi di Bagdad, di Cordova e del Cairo
furono per qualche secolo alla testa della civiltà umana, ma non realizzarono
mai sensibili progressi politici.
122 ELEMENTI DI SCIENZA. POLITICA
senso cattivo. Se è vero quindi che gl'Inglesi moderni non tolle-
rerebbero più un re come Riccardo 3", un lord cancelliere come
Francesco Bacone, un giudice come Jeffreys, un generale coman-
dante le truppe nella Scozia come Graham di Claverhouse e pro-
babilmente neppure un lord protettore come Cromwell, se si può
ragionevolmente sperare che Bernabò Visconti e Cesare Borgia
sarebbero impossibili fra gl'Italiani d'oggidì, non è men vero che,
a qualche secolo d'intervallo, i Romani, dei quali Polibio avea
ammirato l'organizzazione politica che era forse la migliore di
tutta l'antichità classica, si adattarono a sopportare la tirannide
di Tiberio, di Caligola e di Nerone, e che i discendenti dei Greci
contemporanei di Aristide, di Pericle e di Epaminonda stettero
per lunghi secoli sotto il governo degli imperatori bizantini.
Inoltre è innegabile che vi devono essere delle cause, che deter-
minano il formarsi di alcune abitudini a preferenza di altre ;
sicché, ammesso anche che la varietà di regime politico sia do-
vuta principalmente alla differenza di abitudini politiche, resta
integro il problema intorno alla ricerca delle cause per le quali
le dette abitudini si sono variamente stabilite.
In conclusione noi crediamo di trovarci davanti ad una grande
legge psicologica, la quale può sola spiegare perchè gl'istinti mo-
rali di un popolo più o meno si affermano e si sviluppano nella
sua organizzazione politica ; legge che in fondo non è che una
delle tante esplicazioni dell'altra legge più generale, che abbiamo
esposto in principio di questo capitolo, la quale spiega la mag-
giore o minore forza dei freni morali in tutte le manifestazioni
della vita sociale.
VI. — La preponderanza assoluta di una sola forza politica,
il predominio di un concetto semplicista nell'organizzazione dello
Stato, l'applicazione severamente logica d'un solo principio ispi-
ratore di tutto il diritto pubblico, sono gli elementi necessari per
qualunque genere di dispotismo ; tanto per quello fondato sul di-
ritto divino, che per l'altro che presume di avere la sua base nella
sovranità popolare ; per il fatto che essi permettono a chi ha in
mano il jjotere di sfruttare maggiormente, a benefìcio delle proprie
passioni, i vantaggi di una posizione superiore. Giacché, quando
coloro che stanno alla testa della classe governante sono gli inter-
preti esclusivi della volontà di Dio o del popolo, ed esercitano la
CAP. V - LA DIFESA GIUBIDICA 123
sovranità in nome di questi enti, in società profondamente imbe-
vute di credenze religiose o di fanatismo democratico, e quando
altre forze sociali organizzate non esistono all'infuori di quelle,
che rappresentano il princi]3Ìo sul quale si basa la sovranità della
nazione, allora nessuna resistenza, nessun controllo efficace sono
possibili, che valgano a temperare la naturale tendenza, che hanno
coloro che stanno a capo della gerarchia sociale ad abusare dei
loro poteri.
Una classe governante, che tutto si può permettere in nome di
un sovrano, che tutto può fare, subisce una vera degenerazione
morale ; quella degenerazione che è comune a tutti gli uomini, i
cui atti sono esenti dal freno e dal controllo, che ad essi ordinaria-
mente impone l'opinione e la coscienza dei loro simili. Le resj)on-
sabilità dei subordinati, che finiscono col risolversi nell'irrespon-
sabilità e nell'onnipotenza dell'uomo, o del piccolo gruppo di uo-
mini che stanno a capo della gerarchia di tutti i funzionari, si
chiamino Czar, Sultano o Comitato di salute pubblica, comuni-
cano a tutta la macchina politica i vizi che l'assolutismo genera
nei capi. Giacché tutto si può osare quando s' interpreta la vo-
lontà, vera o supposta, di chi crede avere il diritto che tutto pieghi
ad un suo cenno, senza che abbia la possibilità di tutto vedere e
senza che altre coscienze libere e disinteressate possano controllare
le sue passioni ed i suoi errori.
E gli effetti di un simile sistema sono pronti e tristissimi. Cre-
diamo che nessuno come il russo Dostoiewsky, che visse lunga-
mente nel paese dell'autocrazia e passò dieci anni nelle miniere
della Siberia, abbia fra i moderni descritto con più verità e sen-
timento la degenerazione del carattere, che il potere assoluto pro-
duce negli uomini, sicché non rinunciamo a trascrivere le sue
parole. Egli dice : " Chi possiede la potenza illimitata sulla carne
ed il sangue del suo simile, chi ha la facoltà di avvilire coll'av-
vilimento supremo un altro essere, é incai)ace di resistere al de-
siderio di fare il male. La tirannia è un'abitudine, che diventa
alla lunga una malattia. 11 miglior uomo del mondo può abbru-
tirsi così da non distinguersi da una fiera. 11 sangue inebria, lo
spirito diviene accessibile ai fenomeni più anormali, che possono
sembrare delle vere gioie. La possibilità di una tale licenza di-
viene alle volte contagiosa a tutto un popolo ; eppure la società,
che disprezza il carnefice ufficiale, non disprezza codesti carnefici
124 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
potenti ^. Or è appunto questa specie di ubbriachezza morale,
rilevata pure da parecchi moderni ]jsichiatri, quella elio sjjiega
gli eccessi degli onnipotenti, che ci dà la chiave delle follie cri-
minose di parecchi imperatori romani, di Ivano IV e Pietro il
Grande, di tanti sultani dell'Oriente, di Robespierre, di Barrere,
di Carrier e di Lébon (1).
Si può obbiettare che vi sono stati sovrani assoluti buoni, come
ve ne sono stati di cattivi, e che nell'Europa continentale, prima
della recente adozione dei Governi costituzionali e parlamentari,
l'assolutismo non produsse risultati cosi disastrosi da giustificare
quanto noi abbiamo sostenuto. Rispondiamo facilmente che l'as-
solutismo europeo posteriore al Medio Evo fu tutt'altro che com-
pleto ; perchè anche l'autorità di un Luigi XIV avea freni pos-
senti nella tradizione di un tempo in cui il Re non era che il
primo dei baroni, nei privilegi secolari della nobiltà e delle Pro-
vincie, e sopratutto nella separazione più o meno completa della
Chiesa dallo Stato. Ad ogni modo, tanta è la ricchezza e la va-
rietà della natura umana, che ammettiamo, ciò che del resto è
provato dalla storia, che alcuni individui abbiano saputo intera-
mente dominare le proprie passioni e conservarsi puri ed onesti,
anche dopo essere stati lungamente investiti di un'autorità asso-
luta. Ma l'influenza benefica di questi fortunati accidenti è meno
grande di quello che comunemente si crede : giacché, in un paese
abituato stabilmente ad un regime dispotico, la massa della classe
politica usa ad essere adulatrice e vile coi superiori, necessaria-
mente deve diventare superba, dispotica, soverchiatrice cogli in-
feriori ; gli uomini sciagui'atamente essendo cosi fatti che, quanto
(1) È notorio che parecchi dei personaggi citati, prima che arrivassero al
supremo potere avevano mostrato carattere mite e del tutto alieno dagli ec-
cessi ai quali poi si diedero in preda. Ciò vale sopratutto per coloro, che per
la nascita non parevano destinati ad arrivare al supremo potere. Napoleone I
diceva a Sant'Elena al dottore 0' Meara: * Nessuno, eccettuato me stesso, mi
La fatto del male, io posso dire di essere stato il mio unico nemico; i miei
propri progetti, la spedizione di Mosca e gli accidenti che ne vennero in se-
guito, furono le cause della mia rovina , (Vedi 0' Meara, Napoleone nell'esilio,
dialogo del 6 aprile 1817). Neppure il genio, neupure il proprio interesse ben
inteso hanno potuto dunque impedire ad un despota di commettere i falli,
nei quali naufragò la propria fortuna e per i quali perirono centinaia di mi-
gliaia di vite umane.
CAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 125
più sono soggetti al capriccio ed all'arbitrio di ch.i sta in alto,
tanto più, in generale, tendono a far pesare il loro capriccio ed
il loro arbitrio su chi sta in basso e resta in loro balia (1).
YTL. — Neirantichità Aristotile, Polibio e qualche altro scrit-
tore, dando la preferenza ai governi misti di monarchia, aristo-
crazia e democrazia, intuirono chiaramente la legge, che abbiamo
enunciato. In verità, nello Stato greco, l'antica monarchia appog-
giata al carattere sacro ed alla tradizione, l'aristocrazia che rap-
presentava pure la tradizione ed ordinariamente la proprietà ter-
ritoriale, la democrazia basata sulla ricchezza mobiliare, sul numero,
sulle passioni della folla, erano altrettante forze politiche, la cui
contemperanza, finché una non prevalse esclusivamente sulle altre,
potea dare, e diede, un tipo di organizzazione politica, nel quale
la difesa giuridica era, nei tempi ordinari, sufficientemente ga-
rentita. Anche in Roma, all'epoca nella quale la sua costituzione
fu tanto ammirata da Polibio, troviamo contemperate le influenze
della grande proprietà patrizia e della piccola proprietà plebea
con quella della j)roprietà mobiliare dei cavalieri ; troviamo le
tradizioni delle grandi famiglie di ottimati, discendenti dai Numi,
mantenere la loro possanza di fronte alle passioni popolari ed ai
1,1) Nella vita privata ed anche familiare ognuno che abbia un mediocre
spirito d'osservazione può trovare quegli esempi, che confermano la regola
che abbiamo dato. Facciamo rilevare che in uno Stato moderno, che ha così
vasta estensione e così grande complicazione burocratica ed amministrativa,
l'azione del capo dello Stato, tolte alcune risoluzioni decisive, quali sarebbero,
ad esempio, la scelta fra la guerra e la pace, nella vita ordinaria della so-
cietà è così piccola che spesso sussistono a preferenza gli abusi ai quali i
sovrani sono personalmente pivi avversi. Alessandro I, Nicola ed Alessandro II
di Russia, Ferdinando 11 di Napoli erano certo contrarissimi alla corruzione
amministrativa e pure l'uso di comprare la connivenza dei funzionari con
mancie pare che duri ancora in Russia e non si potè mai sradicare nel Regno
di Napoli (Lerot-Beaulieu, opera citata; Nisco, // Regno di Ferdinando II).
Nella storia si trovano esempi nei quali lo stabilirsi del governo di un de-
spota ha giovato ad un popolo, almeno momentaneamente. Si dice che Cesare
Borgia abbia fatto respirare la Romagna, distruggendo tutti i tirannetti ed
i ladroni che la infestavano. Anche MehemetAlì, collo sterminio dei Mame-
lucchi, diede un po' di tranquillità all'Egitto. Ciò non significa altro che il
dispotismo, sebbene sia il peggiore tipo di regime politico, è sempre prefe-
ribile all'anarchia, che è l'assenza di qualunque regime.
126 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
servizi ed alle ricchezze recenti delle f^randi fami;[^lie plebee, e
troviamo queste forze politiche diverse estrinsecarsi nelle varie
autorità politiche, militari, amministrative e giudiziarie, alleandosi
e temperandosi in modo da dar luogo allo Stato giuridicamente
più perfetto di tutta l'antichità.
Nel secolo scorso Montesquieu dallo studio della Costituzione
inglese ricavò la dottrina la quale insegna che, perchè un paese
sia libero, è necessario che il potere vi freni il potere e che l'eser-
cizio dei tre poteri fondamentali, che egli trovava in qualunque
Stato, sia affidato ad organi politici diversi. Omai i trattatisti di
diritto costituzionale hanno dimostrato che una separazione asso-
luta dei tre poteri trovati dal Montesquieu non esiste e che non
è necessario che essi siano precisamente tre. Ma non è questo forse
il difetto principale della dottrina del Montesquieu, difetto del resto
piuttosto imputabile ai numerosi scrittori, che ad essa attinsero,
che al suo primo autore. Costoro infatti, tenendo gli occhi rivolti
alla teoria del maestro, hanno dato importanza piuttosto al suo
lato formale, e, diremmo quasi curialesco, anziché a quello sostan-
ziale e politico. Si è dimenticato troppo che un organo politico,
per essere efficace a frenare l'azione di un altro, deve rappresen-
tare una forza politica, deve essere l'organizzazione di un'auto-
rità e di un' influenza sociale, che nel seno della società valga
qualche cosa, di fronte all'altra, che s'incarna nell'organo poli-
tico, che si deve controllare.
È per questa ragione, che, malgrado la lettera degli Statuti e
delle Carte fondamentali, noi vediamo in parecchie monarchie
parlamentari, il Capo dello Stato non sostenuto né da vecchie tra-
dizioni, né dal prestigio quasi scomparso del diritto divino, né
dall'influenza delle classi economicamente elevate, della burocrazia
e dell'esercito, diventare insufficiente a controbilanciare l'azione
della Camera elettiva; la quale viene sostenuta dalla credenza che
essa rappresenti l'universalità dei cittadini e riunisce in sé un cu-
mulo notevole di attitudini, di interessi, di ambizioni e di energie. E
perciò che vediamo, negli stessi paesi, la magistratura proclamata
a parole uno dei poteri fondamentali dello Stato, ma ridotta di
fatto ad essere un ramo della burocrazia dipendente dal Gabinetto
ligio alla maggioranza della Camera elettiva, mancare di prestigio
e d'indipendenza e non attirare a sé energie morali e intellettuali
bastevoli a rilevarne l'importanza. E sempre per la stessa ragione
CAP. V ■ LA DIFESA GIURIDICA 127
che vediamo qualche Camera alta, composta di funzionari in ri-
poso, di deputati che rinunziano alla vita politica militante e di
qualche ricco del quale il Ministero ha trovato conveniente di sod-
disfare la vanità, e che non offre perciò un sufficiente pascolo ne
agli spiriti pugnaci, né a quelli ambiziosi, essere rigettata facilmente
in seconda linea dalla Camera bassa, che le siede accanto.
Vili, — Il primo elemento, e diremo anzi il più essenziale,
perchè un organismo politico possa progredire nel senso di ottenere
una difesa giuridica sempre migliore, è la separazione del potere
laico dall'ecclesiastico; o, per dir meglio, bisogna che il principio
a nome del quale si esercita Tautorità temporale non abbia nulla
di sacro e di immutabile. Quando il potere si appoggia ad un or-
dine d'idee e di credenze, al di fuori del quale non è riputato po-
tervi essere né verità, né giustizia, é quasi impossibile che esso
nella pratica sia discusso e temperato e che il progresso sociale
possa arrivare al punto che le diverse potestà si armonizzino e
frenino fra di loro, in maniera che sia evitato l'arbitrio di chi sta
in alto nella gerarchia sociale. L'immobilità relativa di certi tipi
sociali si deve appunto attribuire alla ragione che abbiamo accen-
nato. Il carattere sacro delle caste ha ad esempio impedito da
molti secoli qualunque progresso sociale nella civiltà indiana. E
bisogna tener ijresente che essa in origine dovette avere un bril-
lantissimo sviluppo, altrimenti non si potrebbero spiegare i grandi
progressi materiali ed artistici, che raggiunse; il che fa supporre,
ciò che del resto pare confermato da recenti studi, che la divi-
sione e l'isolamento delle varie caste non siano stati sempre cosi
rigorosi come ora li troviamo (1).
Anche le società maomettane sono colpite dalla stessa debo-
lezza. Questo fatto, parzialmente osservato da molti, è stato con
grande esattezza rilevato dal Leroy-Beaulieu. Parlando questo
autore dei Tartari maomettani, che ancora abitano la Russia nei
(1) Pare infatti ohe il Bramanesimo sia diventato più rigoroso, immobile e
formalista dopo la lotta vittoriosa che esso sostenne nell'India col Buddismo.
Vedi Edouakd Schuhé. La legende de Cìirisna e Le Bouddha et sa legende.
" Revue des Deux Mondes , del 15 agosto 1895 e del 1° agosto 1888, e sopra-
tutto Un voi de l'Inde au (roisihne siìrle avant notre ère. Aeoka et le Boitddhisme
di Émile Sénart. " Revue des Deux Mondes , del P marzo 1889.
128 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
governi di Kazan, Astrakan e Crimea, li descrive come agiati, pu-
liti e dediti al commercio, ma aggiunge : " il vero vizio dell'Islam,
la sua vera causa d'inferiorità politica non è nel suo domma,
né nella sua morale, ma nella confusione dello spirituale col tem-
porale, della legge religiosa colla civile. Il Corano essendo in-
sieme Bibbia e codice, le parole del Profeta tenendo il posto del
diritto, le leggi ed i costumi sono per sempre resi sacri dalla re-
ligione e da questo solo fatto deriva che la civiltà maomettana è
necessariamente stazionaria „ (1). Per completare quest'analisi, cosi
fine e così giusta, potea aggiungere che, nei paesi dove le popo-
lazioni maomettane sono indipendenti, il sovrano è quasi sempre
Califfo o vicario del Profeta, o almeno dal Califfo fa derivare
nominalmente o realmente la sua autorità; ed a questo titolo nes-
suno dei credenti può rifiutargli obbedienza assoluta, a meno che
non impugni come illegittima l'autorità del califfato e non si
faccia iniziatore di una riforma religiosa (2).
I popoli cristiani hanno potuto superare il pericolo della confu-
sione accennata dal Leroy-Beaulieu ed hanno potuto creare lo
Stato laico per un complesso di circostanze favorevoli. In primo
luogo il Vangelo contiene fortunatamente poche massime che siano
applicabili direttamente alla vita politica; in secondo luogo non
bisogna dimenticare che la Chiesa cattolica, malgrado che abbia
sempre aspirato ad avere una parte preponderante nel potere poli-
tico, non ha potuto giammai monopolizzarlo interamente per due
principalissime ragioni, inerenti alla sua costituzione. La prima è
che, generalmente, è stato prescritto il celibato dei preti e, sempre,
quello dei monaci ; sicché non si sono potute stabilire vere dinastie
di abati e di vescovi sovrani ; e da questo lato anzi dobbiamo
essere molto grati a G-regorio VII. La seconda consiste nel fatto
(1) "Vedi opera citata, voi. I, pag. 86.
(2) È appunto perciò che, come già abbiamo accennato nel capitolo 3°, tutte
le lotte civili e le rivoluzioni fra i Maomettani hanno preso per pretesto una
riforma religiosa od una pretesa al vicariato del Profeta. Ciò è avvenuto nelle
lotte fra Ommiadi, Abbassidi e Fatimiti, che insanguinarono i primordi del-
l'Islam, in quelle che tanto scolvolsero l'Africa settentrionale e la Spagna nei
secoli undecimo e dodicesimo e nei recentissimi movimenti, che abbiamo già
rammentato. Naturalmente in tutti questi movimenti, accanto ai motivi reli-
giosi, non mancarono mai quelli di carattere assolutamente mondano.
CAP. V - LA DIFESA GIUKIDICA 129
che la missione ecclesiastica, malgrado i niunerosi esempi con-
trarii che troviamo nel bellicoso Medio-Evo, è stata sempre per
sua natura poco conciliabile colFesercizio delle armi. Il precetto
il quale vuoL> che la Chiesa aborrisca dal sangue non si è potuto
mai interamente obliare, e in tempi relativamente ordinati e pa-
cifici, ha finito col prevalere: sicché anche nei secoli che vanno
dal decimoprimo al decimoquarto, gli scrittori guelfi accanto alla
supremazia papale hanno dovuto ammettere l'esistenza di un
imperatore, di un sovrano laico, che di questa fosse lo strumento
ed il braccio secolare. Non bisogna poi dimenticare che il dispo-
tismo più completo, al quale siano stati sottoposti dei popoli cri-
stiani, lo troviamo a Bisanzio ed in Russia, dove i sovrani laici
riuscirono più completamente a ridurre sotto la loro diretta in-
fluenza l'autorità ecclesiastica, e che le libertà inglesi molto de-
bito di gratitudine hanno verso i Puritani e gli altri non con-
formisti.
IX. — Dopo la separazione dell'autorità laica da quella eccle-
siastica, i coefficienti più potenti di una difesa giuridica più o meno
progredita si trovano nel modo come è distribuita in una società
la ricchezza e nel modo come è organizzata la sua forza militare.
E qui occorre anzitutto fare una distinzione fra i popoli che sono
ancora nel periodo feudale e quelli che già hanno un'organizza-
zione burocratica.
Nello Stato feudale il monopolio della ricchezza, che, in uno
stadio ancor rozzo di civiltà, consiste nel possesso della terra, e
la supremazia militare si trovano ordinariamente concentrati nella
classe dominatrice ; ma questo stato di cose, pur presentando mol-
tissimi inconvenienti, non produce mai gli effetti, che avrebbe in
una organizzazione sociale più perfezionata. Il cai)o di uno Stato
feudale infatti potrà fare un torto a qualcuno dei suoi baroni,
ma non potrà mai essere il padrone assoluto di tutti i suoi feu-
datari, perchè questi disponendo di una parte, diciamo così, della
pubblica forza, potranno sempre esercitare di fatto quel diritto di
resistenza, che negli Stati bui-ocratici, quando è sancito, resta
scritto nelle costituzioni e nei libri di diritto pubblico. Ed anche
i singoli baroni hanno un limite alla tirannia, che possono eser-
citare contro la massa dei loro soggetti, nella disperazione degli
stessi, che si può cambiare facilmente in ribellione. Quindi in tutti
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 9
130 ELBMBNTI DI SCIENZA POLITICA
i paesi veramente feudali, il dominio dei capi, a scatti violento
ed arbitrario, è ordinariamente assai limitato dalle consuetudini ;
-e si sa ad esempio che gli Abissini e sopratutto gli Afgani non
prestano che un'obbedienza molto condizionale ai loro Ras ed ai
loro Emiri. Abbiamo già visto come le tradizioni e gli avanzi di
un regime feudale valgano a temperare l'autorità di un ca^jo dello
Stato, tanto che, neppure all'epoca di Luigi XIV e di Federico il
Grande di Prussia, la monarchia europea può essere paragonata
ai regimi politici, a capo dei quali stavano o stanno gli impera-
tori di Bisanzio o gli Scià di Persia (1). Ma quando al contrario
la classe, che ha il monopolio della ricchezza e delle armi estrin-
seca il suo potere per mezzo di una burocrazia accentratrice e di
un esercito stanziale onnipotente, allora si può avere il dispotismo
nelle sue peggiori manifestazioni: si ha cioè una forma di governo
barbara e primitiva, la quale tiene a sua disposizione gli stru-
menti di una civiltà avanzata, un giogo di feiTO, che può essere
applicato da mani rozze e inconscienti e che diffìcilmente si può
spezzare, perchè è temprato da artefici provetti.
Che l'onnipotenza di un esercito stanziale sia una delle forme
peggiori di regime politico è cosa cosi ovvia e conosciuta, che non
ci affaticheremo ad insistervi ancora (2). Si sa pui^e che il so-
verchio accentramento della ricchezza in una frazione della classe
governante ha prodotto la decadenza di organismi politici relativa-
mente molto perfetti come ad esempio la repubblica romana. E
impossibile infatti che leggi ed istituzioni, che garentiscano la
giustizia ed i dii'itti dei deboli, siano efficaci, quando la ricchezza è
cosi distribuita, che di fronte ad un piccolo numero di persone, che
possiedono le terre ed i capitali, vi è una moltitudine di proletari.
(1) Si è già accennato die vi contribuisce pure la separazione più o meno
completa del potere temporale dallo spirituale. Del resto, tranne la Russia e
la Turchia, crediamo che giammai nell'Europa moderna ci sia stato un paese
in cui il capo del Governo abbia esercitato più autorità personale di quella
che ebbero Federico il Grande di Prussia e suo padre. L'indole particolare di
questi sovrani, la piccolezza dello Stato da loro amministrato, le circostanze
speciali del momento storico, fecero sì che le loro amministrazioni fossero il
vero fondamento della grandezza prussiana.
(2) Le cause che rendono possibile o che valgono a temperare o distruggere
questa onnipotenza saranno esaminate in altro capitolo.
CAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 131
che non hanno altra risorsa che le proprie braccia ed hanno bisogno
dei ricchi per non morir di fame dall'oggi al domani. In questa
condizione di cose la massima che la legge è uguale per tutti, la
proclamazione dei diritti dell'uomo ed il suffragio universale non
sono che ironie ; ed è pure un'ironia il dire che ogni plebeo porta
nel suo sacco il bastone di maresciallo, cioè che può diventare alla
sua volta capitalista. Giacché, anche ammesso che qualcuno lo di-
venterà, egli non sarà il migliore di animo e di costumi, ma il più
infaticabile, il più fortunato e forse anche il più briccone, mentre
la massa resterà sempre ugualmente sottomessa a coloro che stanno
in alto (1).
Non ci è poi da farsi illusioni sulle conseguenze pratiche di un
regime, in cui la direzione della produzione economica, la distribu-
zione di essa ed il potere politico fossero indissolubilmente legati ed
attribuiti alle stesse persone. Noi vediamo che, a misura che lo
Stato assorbe e distribuisce una parte maggiore della pubblica ric-
chezza, i capi della classe politica hanno maggiori mezzi d'influenza
e di arbitrio sui loro subordinati e più agevolmente si sottraggono
al controllo di chicchessia. Non ci è invero chi non sappia come una
delle cause più importanti della decadenza del Parlamentarismo sia
la grande quantità di impieghi, di appalti, di lavori pubblici e di
altri favori d'indole economica, che i governanti possono distribuire
o ad individui o a collettività di persone; e gl'inconvenienti di
questo regime sono, maggiori colà appunto dove relativamente più
grande è la quantità di ricchezza che il Governo ed i corpi elettivi
locali assorbono e distribuiscono ; e dove quindi è più difficile pro-
cacciarsi una posizione indipendente ed un onesto guadagno senza
aver che fare con le pubbliche amministrazioni. Se poi tutti gli
stiTimenti della produzione fossero in mano del Governo, i funzio-
nari, che la produzione dovrebbero dirigere e distribuire, sarebbero
gli arbitri della fortuna e del benvivere di tutti; e giammai oli-
garchia più possente, camorra più universale si sarebbe avuta in una
(1/ Al giorno d'oggi la democrazia sociale non ha più nel suffragio univer-
sale la stessa fiducia che ponevano in esso i democratici anteriori al 1848; il
George, nel suo Progresso e Povertà, dice esplicitamente che il dare a tutti il
diritto del voto riesce inefficace e quasi irrisorio là dove vi è una grande dis-
uguaglianza di ricchezze. Si sa che gli anarchici, ad es. il Merlino, si sca-
gliano ardentemente contro l'inefficacia e l'assurdità del Parlamentarismo.
132 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
società di coltura avanzata. Quando tutti i vantaggi morali e mate-
riali dipendessero da coloro che hanno in mano il potere, non ci è
viltà che non si farebbe per contentarli ; come non ci è violenza o
frode alla quale non si ricorrerebbe per an-ivare al potere, ossia per
appartenere al numero di coloro che distribuiscono la torta, anziché
restare fra i molti altri che si devono contentare della porzione
loro attribuita.
Una società si trova nelle condizioni migliori per applicai'vi una
organizzazione politica relativamente perfetta, quando in essa esiste
una classe numerosa, in posizione economica presso che indipen-
dente da coloro che hanno nelle mani il supremo potere, la quale ha
quel tanto di benessere, che è necessario per dedicare una parte del
suo tempo a perfezionare la sua cultura e ad acquistare quelFinte-
resse al pubblico bene, quello spirito diremmo quasi aristocratico,
che solo possono indurre gli uomini a servire il proprio paese senza
altre soddisfazioni che quelle che procura l'amor proprio. In tutti
i paesi, che sono stati e sono all'avanguardia della difesa giuridica,
o come comunemente dicesi della libertà, una classe simile si è
sempre trovata. Esisteva a Roma, quando vi era quella numerosa
plebe composta di piccoli proprietari, che, per la frugalità dei tempi,
poteva bastare a se stessa e che seppe, passo passo, con una tenacia
maravigliosa, conquistare il diritto di piena cittadinanza. Esisteva
nell'Inghilterra del secolo decimosettimo ed esiste in quella pre-
sente ; giacché nell'una e nell'altra si è trovata e si trova una
numerosa gentry^ formata prima a preferenza di medii proprietari,
ora a preferenza di medii capitalisti, che ha fornito e fornisce il
miglior contingente alla classe politica. Esisteva ed esiste negli
Stati Uniti d'America, dove la classe dei farmers agiati ha fornito
e fornisce gli elementi politici migliori; ed esiste più o meno in
tutti gli Stati d'Europa centrale ed occidentale. Colà dove, per cul-
tura, per educazione, per troppo scarsa agiatezza, questa classe è
insufficiente alla sua missione, il governo parlamentare, come fa-
rebbe qualunque altro regime politico, dà i frutti peggiori.
X. — E indiscutibile poi che col crescere della civiltà aumenta
il numero di quelle influenze morali e materiali, che sono suscetti-
bili di diventare forze politiche. Accanto alla ricchezza immobiliare
si crea ad esempio quella mobiliare, frutto delle industrie e dei
commerci; gli studi progrediscono, le occupazioni che hanno per
CAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 133
base una cult.ira scientifica acquistano importanza, e si forma una
nuova classe sociale, la quale ijuò, fino ad un certo punto, bilanciare
il prestigio materiale dei ricchi e quello morale dei sacerdoti. Inoltre
la tolleranza reciproca, che può essere effetto di una cultura avan-
zata, permette la coesistenza di diverse correnti religiose e politiche,
che naturalmente si bilanciano e controllano a vicenda, e nello
stesso tempo rende possibile la discussione pubblica degli atti dei
governanti (1). La specializzazione stessa delle funzioni pubbliche
fa si che influenze diverse possano estrinsecarsi e partecipare al reg-
gimento dello Stato.
Senonchè è da osservare che ogni forza politica, perchè si faccia
valere proporzionatamente alla sua reale importanza, è necessario
che sia organizzata, e che, perchè sia bene organizzata, sono indi-
spensabili diversi coefficienti, fra i quali principalissimi il tempo e
la tradizione. E perciò che spesso vediamo un vero disquilibrio pro-
dursi, in diverse epoche ed in paesi diversi, fra l'importanza che
una classe aveva nella società e la sua diretta influenza nel governo
del paese (2). Oltreciò vi è quasi sempre qualche forza politica, che
ha la tendenza invincibile a soverchiare, ad assorbire le altre, ed a
distruggere quindi l'equilibrio giuridico legalmente stabilito. Ciò è
vero tanto per le forze politiche che hanno un carattere materiale,
come sarebbero la ricchezza e la preponderanza militare, quanto
per quelle che hanno un carattere morale, come sono le grandi cor-
renti religiose e dottrinali. Ognuna di queste correnti pretende di
avere il monopolio della verità e della giustizia, ed ogni specie di
esclusivismo e di bacchettoneria, siano essi cristiani o maomettani,
abbiano il carattere sacro o quello razionalista, s'inspirino all'infal-
libilità del papa o a quella della democrazia, sono da questo lato
ugualmente perniciosi. Ogni paese, ogni epoca, può avere la sua
speciale corrente d'idee e di credenze che, essendo la più forte,
preme sul meccanismo politico e tende a sconvolgerlo. Avviene
anzi generalmente che si apprezzino benissimo i danni prodotti
(1) Alludiamo alla così detta libertà di staoipa, strumento nuovissimo di
difesa giuridica, che è stato adottato solo nel secolo decimosettimo in Inghil-
terra e nel secolo decimonono nei paesi costituzionali e parlamentari del con-
tinente d'Europa.
(2j Ricordiamo i tacili esempi della borghesia francese prima del 1789 e di
quella inglese prima del 1832.
134 ELEMENTI DI SCIENZA l»OLITICA
dalle correnti g;ìk indebolite e passate di moda, che si stigmatiz-
zino con orrore lo lesioni gravissime che esse hanno fatto al sen-
timento della giustizia ; mentre non si scorgono o si scusano o
si condannano debolmente i danni analoghi, che la corrente in
voga ha fatto o minaccia di fare. Si grida e si proclama che la
libertà è raggiunta, che la bufera è i^assata, mentre in verità essa
non ha che cambiato di direzione e, ci si passi la metafora, di
forma e di colore.
Al giorno d'oggi in Europa due sono le forze morali, che aspi-
rano a rompere l'equilibrio giuridico : la Chiesa cattolica e la de-
mocrazia sociale. La prima, malgrado la sua mirabile organizza-
zione, può essere per il momento riguardata come meno violenta
e pericolosa e continuerà ad esserlo fino a quando le minaccie
della seconda non avranno spinto di nuovo le classi alte in grembo
a quelle credenze, che esse hanno ora abbandonato o professano
molto tiepidamente. Fra le forze materiali, quella che più facil-
mente si può imporre a tutti i poteri dello Stato e riesce più fa-
cilmente a violare, non diciamo le norme della giustizia e del-
l'equità, ma qualche volta anche il testo preciso della legge, è la
ricchezza mobiliare ; o almeno quella parte di essa che è poten-
temente organizzata. Il grande sviluppo del credito e del sistema
bancario, le grandi compagnie per azioni, che spesso dispongono
dei mezzi di comunicazione di estesissime contrade e d'interi Stati,
l'estensione grandissima che hanno preso i debiti pubblici, hanno
creato, negli ultimi cento anni, nuove compagini, nuovi elementi
d'importanza politica, la cui azione invadente e prei)otente parecchi
dei maggiori Stati del nuovo e del vecchio mondo hanno avuto già
occasione di sperimentare.
La relativa facilità di organizzazione della ricchezza mobiliare,
la possibilità di accentrare la direzione di una parte ragguarde-
vole di essa in mano di pochi individui contribuisce a spiegare la
sua preponderanza. Abbiamo qui uno dei tanti esempi di mino-
ranze organizzate che prevalgono sulle maggioranze disorganiz-
zate. Un piccolissimo numero d'individui jjossono dirigere tutte le
Banche d'emissione di uno Stato, oppure tutte le compagnie che
esercitano la grande industria dei trasporti ferroviari o marittimi,
oppure anche i)ossono essere arbitri delle grandi comi)agnie per
azioni, che esercitano industrie indispensabili alla difesa del paese,
come quelle metallurgiche, o compiono opere pubbliche per le quali
CAP. V - LA DIFESA GIOBIDICA 135
neppure le finanze dei Groverni più ricchi sarebbero sufficienti.
Questi individui, che hanno il maneggio di centinaia di milioni,
possiedono mezzi svari atissimi per allarmare o lusingare interessi
molto estesi, per intimidire e corrompere funzionari, ministri, de-
putati e giornalismo ; senza che quella parte del capitale nazio-
nale, che è senza dubbio la parte maggiore, la quale si trova im-
pegnata in moltissime industrie mediocri o piccole, ovvero dispersa
in una moltitudine di mani, sotto forma di risparmi più o meno
grandi, possa menomamente reagire contro di essi. E si noti che
anche la parte principale del capitale delle Banche e delle Com-
pagnie industriali per azioni, appartiene ordinariamente ai piccoli
e mediocri azionisti, i quali non solo restano completamente pas-
sivi, ma spesso sono le prime vittime dei loro duci, che sulle loro
perdite riescono a fondare la loro fortuna e la loro influenza (1).
XI. — E da notare infine che qualunque ordinamento politico
semplicista, basato sopra un principio assoluto, il quale fa si che
tutta la classe politica sia organizzata sopra unico tipo, rende
malagevole la partecipazione alla vita pubblica di tutte le influenze
sociali e più malagevole il controllo, che le une possono sulle altre
esercitare. Ciò è vero tanto quando il potere è esclusivamente af-
fidato ad impiegati, che si suppongono nominati dal principe, che
quando esso è in mano a funzionari elettivi, la cui scelta si dice
che appartenga al popolo. Dappoiché i freni che la burocrazia
come la democrazia possono imporre a loro stesse, e che si espli-
cano per mezzo di altri burocratici o di molteplici funzionari elet-
tivi, riescon sempre insufficienti e nella pratica non raggiungono
mai interamente il loro scopo.
(1) È difficilissimo che la proprietà immobiliare possa attualmente avere
gli stessi modi d'imporsi di quella mobiliare. Infatti, per quanto la proprietà
dei terreni possa essere poco divisa, lo è sempre abbastanza perchè riesca
molto difficile in un grande paese ad un piccolo numero di grandi proprietari
coalizzati di dettare leggi n^l mercato e di imporsi al Governo. E ciò è tanto
vero che il prr tezionismo industriale ha preceduto quello agrario, che è venuto
su come reazione e mezzo di indiretto compenso alle conseguenze del primo.
Un monopolio temporaneo possono esercitare i proprietari di terreni posti
nelle adiacenze immediate delle grandi città che hanno un rapido sviluppo
edilizio; in questo caso vediamo sorgere le stesse forme di corruzione, che
abbiamo additate come speciali alla proprietà immobiliare.
136 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
La storia amministrativa dell'impero romano ci fornisce infatti
un esempio opportuno della incapacità d'una burocrazia accen-
tratrice a frenare efficamente sé stessa. Si sa che in origine, tanto
nella capitale che nei municipi, nelle colonie e nelle città di pro-
vincia, vi era, sotto la supremazia di Roma repul^blicana o im-
periale, quello che gl'Inglesi chiamano un self-government \ le
cariche pubbliche erano cioè gratuitamente esercitate da una nu-
merosa classe agiata. Ma fin dal principio dell'impero le funzioni,
che in Roma fino allora erano state attribuite agli edili ed ai
censori, fui'ono date a funzionari speciali stipendiati, aiutati nel
loro servizio da un personale numeroso d'impiegati pure retribuiti.
Cosi la cura dell'alimentazione della città fu affidata al praefectus
annonae^ i lavori pubblici ai curatores viarum, aquarum, oxjenim
ptibblico7'uni, ripariim et alvei Tiheì'is, la sorveglianza dell'illu-
minazione e sugli incendi al praefectus vigìluìn e la polizia al
praefectus urbis. Ben presto il sistema della capitale si andò
estendendo ai municipi, che andarono perdendo la loro autonomia
amministrativa. Infatti, fin dalla fine del primo secolo dell'impero,
vediamo diminuire sensibilmente l'autorità dei duumviri Juris di-
cundo e degli aediles, ai quali era affidata l'amministrazione muni-
cipale delle singole città, che vennero poco a poco sostituiti da impie-
gati imperiali : juridici, correctores^ curatoi'es rerum publicariim,.
Per quanto l'evoluzione fosse lenta (1), a ijartire da Nerva e Traiano
interpolatamente l'autorità dei funzionari elettivi veniva sospesa
e le loro attribuzioni erano affidate per un dato tempo ad un cu-
ratore simile al nostro regio commissario, e nello stesso tempo si
andava lentamente accrescendo l' autorità ispettiva e l' ingerenza
del corrector provincìae, equivalente nel caso al nostro prefetto.
Finche, alla fine del secondo secolo, vediamo quasi universalmente
spente le autonomie municipali ed una vastissima ed assorbente
rete burocratica stendersi per tutto l'impero (2).
(1) Fino all'ottanta dopo Cristo, la lotta elettorale per arrivare alle cariche
di duumviro ed edile in alcuni municipi era ancora vivacissima, come è di-
mostrato dalle numerose grafiti pompeiane nelle quali si raccomandano dei
candidati e si fa il loro elogio.
(2) Su questo riguardo si potrebbero citare molti autori antichi e moderni;
ci contentiamo di ricordare Mommsen e Marquardt, Manuel des antiquités ro-
maines. Traduzione francese di Humbert, voi. 1°, pag. 115, 158, 214, 225, e
voi. 2°, pag. 187 e seguenti. Paris, 1858, Thorin editore.
CAP. V - LA DIFESA GIUBIDICA 137
Contemporaneamente decadeva l'agiata borghesia municipale,
che componeva Vordo deciirionum, la quale partecipava al reg-
gimento delle città e dal cui seno uscivano appunto coloro, che
coprivano le cariche di duumviro e di edile (1). Or, qaando l'ac-
centramento burocratico ed il fiscalismo ebbero creata la società
romana del Basso Impero, composta di una classe ristrettissima
di grandi proprietari e di alti funzionari e di un'altra numerosis-
sima di persone assolutamente povere, prive di ogni importanza
sociale, e che, sebbene libere di nascita, decadevano facilmente
fino a ridursi alla condizione di coloni, noi vediamo comparire
un' istituzione originalissima, un nuovo organo burocratico, che
avea appunto la missione di difendere e tutelare le classi dis-
agiate e gli avanzi dei piccoli proprietari contro gli abusi della bu-
rocrazia. Il defensor civitatis creato da Valentiniano 1°, nel 364,
era appunto un impiegato, creato apposta per proteggere la plebe
urbana contro le soverchierie degli alti funzionari e dei ricchi,
che con quelli facevano causa comune ; egli dovea specialmente
curare che i reclami dei poveri fossero accolti come di diritto e
potessero arrivare ai piedi del trono. Ma questo sforzo, che fece
l'assolutismo burocratico per correggere e controllare sé stesso,
malgrado le rettissime intenzioni del legislatore, non dovette avere
una sensibile efficacia ; giacché i mali antichi non disparvero e
le cause, che conducevano l'impero alla dissoluzione^ continuarono
colla stessa forza ad agire (2).
In Russia l'assolutismo burocratico trova le sue antichissime
radici nell'influenza bizantina, che fin dall'epoca di Wladimiro il
Grande e dei suoi successori si fece sentire a Kief, e fu certo raf-
forzato dalla terribile dominazione mongolica, che sopravvenne
(1) Come si sa, alla carica di curiale andava annessa una grave responsa-
bilità finanziaria; perchè il corpo dei curiali era solidamente garante del pa-
gamento delle imposte di tutta la città. Questa responsabilità senza dubbio
contribuì allora alla rovina economica del medio ceto.
(2) Infatti il mezzo scelto a ripararle non era il più idoneo, perchè un alto
impiegato deve avere, quasi necessariamente, i modi di vedere, le passioni
ed anche i pregiudizi della classe alla quale appartiene, ed i suoi sentimenti
ed i suoi interessi lo spingono ad agire in modo da meritare la benemerenza
della stessa, piuttosto che quella di un'altra classe, albi quale si sente moral-
mente ed intellettualmente estraneo, e che forse è già abituato a trattar male
ed a diaprezzare.
138 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
nel secolo tredicesimo e fece sentire il suo peso fin nel decimo-
sesto. Ed anche quivi la famosa cancelleria segreta organizzata
dallo czar Alessio, verso la metà del secolo decimosettimo, non
era che una polizia speciale, che facea capo direttamente al so-
vrano ed era incaricata di scrutare gli abusi ed anche i tentativi
di rivolta degli alti impiegati e dei boiari, i quali formavano in
fondo una unica classe. Or l'attuale terza sezione^ tanto tristamente
famosa, discende in linea diretta e legittima da questa cancelleria
segreta, più volte nominalmente abolita, ma sempre di fatto con-
servata (1); e pare che, più che a con-eggere la venalità e la cor-
ruttela della burocrazia russa, essa sia stata efficace nell'aumen-
tare l'oppressione, che questa fa subire a tutto il resto del paese.
Negli Stati Uniti d'America vediamo al contrario l'impotenza
della democrazia a controllare e limitare se stessa. Non si può
negare che i redattori della Costituzione del 1787 abbiano avuto
gran cura di attuare il contrajopeso e l'equilibrio perfetto dei
diversi poteri e dei diversi organi politici. Data la base assoluta-
mente democratica del Governo, la mancanza assoluta di un potere,
che direttamente non provenga dalle elezioni popolari, difficil-
mente crediamo che si sarebbe potuto immaginare di meglio. Di-
fatti, anche non tenendo conto, che colà il Senato, munito di po-
teri più efficaci delle Camere alte europee (2) e fondato sul
sentimento ancor vivace delle autonomie dei singoli Stati, è cer-
tamente molto autorevole, il Presidente, che usa liberamente del
dmtto di veto, che non può essere buttato giù da un voto della
Camera bassa e che riassume nella propria persona la responsa-
bilità del Governo per un intero lustro, come organo della difesa
giuridica è superiore ai Gabinetti dei paesi parlamentari : corpi
collettivi meno autorevoli, che hanno pùù bisogno di cattivarsi la
simpatia dei deputati e dei politicanti, ed i di cui membri sentono
meno il peso della responsabilità personale. Certo si deve anzi a
questa larghezza di poteri ed al sentimento della responsabilità
personale, che spesso si sviluppa stando in una carica elevatissima,
se, nell'ultimo mezzo secolo, abbiamo visto alcuni Presidenti, come
(1) Naturalmente Fazione di questa terza sezione ha avuto dei periodi di
calma e di recrudescenza.
(2) Come si sa partecipa all'esercizio del potere esecutivo.
CAP. V - LA DIFESA GIURIDICA 139
il Johnson, l'Hayes ed il Cleveland, opporsi con tenacia e coraggio
ai peggiori eccessi dei partiti, che li avevano eletti (1).
Ma questa perfezione che chiameremo formale, del meccanismo
del Governo federale ed anche dei Governi dei singoli Stati non
ha potuto riparare che fino ad un certo punto al vizio fondamen-
tale di tutto il regime politico ed amministrativo dell'Unione ame-
ricana. Vizio, che è stato molto aggravato dalla tendenza, che fra
il 1820 ed il 1850 cominciò a prevalere e che ora è diventata quasi
generale, per la quale il suffragio è quasi in tutti gli Stati dive-
nuto universale ; sicché un'unica categoria di elettori dà i suffragi
in tutte le elezioni e si son rese direttamente elettive e tempo-
ranee le nomine dei giudici dei vari Stati, che prima erano a vita
e generalmente attribuite ai rispettivi governatori (2j. In questo
(1) Johnson, arrivato alla Presidenza alla morte di Lincoln (1866-69), si op-
pose costantemente a che il Sud, già vinto, fosse abbandonato al saccheggio
dei politicanti repubblicani, conosciuti sotto il nomignolo di carpets haggers.
Hayes, anch'egli repubblicano, benché arrivato al potere per mezzo di sposta-
menti di voti poco corretti, sanzionati dal lodo, evidentemente parziale, del
magistrato della suprema Corte, fece subito cessare il regime di spoliazione
e di teri-ore, che avea durato per otto anni negli Stati democratici del Sud,
durante la doppia Presidenza del troppo famoso Simpson Grant. Cleveland,
presidente democratico eletto nel 1884, fra gli altri atti sommamente meritori,
ebbe il coraggio di mantenere al posto alcuni funzionari repubblicani, che i
suoi partigiani volevano destituiti; generoso tentativo di abolire il sistema di
Jackson, secondo il quale ogni partito vincitore si attribuisce tutti i posti re-
tribuiti. Lo stesso Cleveland da governatore dello Stato di New-York si era
reso celebre per la lotta fortunata sostenuta contro il Tammany Ring, vasta
associazione di malfattori, che signoreggiava nel Consiglio comunale di quella
città.
(2) Nei primordi dell'Unione americana il sutìragio era generalmente sotto-
posto a condizioni di censo; in origine anzi negli Stati della Nuova Inghil-
terra prevaleva il sistema puritano, per il quale questo diritto veniva attri-
buito ai membri delle congregazioni religiose, poi s'introdusse anche colà il
sistema censitario. Condizioni di censo elevatissime erano pure determinate
per l'eligibilità a membro delle Camere alte locali ed a governatore. Il suf-
fragio universale si cominciò ad introdurre nel principio del secolo decimonono
negli Stati dell'Ovest, dove tutti erano immigranti nuovi e proprietari, poi fu
adottato, per tutti i Bianchi, negli Stati del Sud, in fine si estese anche allo
Stato di New-York ed a quelli della Nuova Inghilterra. La evoluzione non fu
compiuta che nel 1850 sotto l'influenza dei nuovi immigranti e delle idee
democratiche francesi. Agli uomini di colore si sa che il sutìragio non fu
accordato che dopo il 1865. Il Tocqueville, il cui valore come osservatore è
140 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
modo la stessa cricca elettorale elegf^e infallibilmente le autorità
federali e quelle locali; governatori, <,nudici e Parlamento sono
in fondo gli istrumenti delle stesse influenze, le quali diventano
le padrone assolute ed irresponsabili di tutto uno Stato. Tanto
più che i politicanti americani, che fanno un mestiere delle ele-
zioni, sono abilissimi nell'arte di stabilire il Jting (letteralmente
tradotto l'anello, il circolo), cioè il sistema mediante il quale tutti
i poteri, che dovrebbero controllarsi e completarsi a vicenda, di-
ventano l'emanazione di un solo caucus o comitato elettorale.
Ma si potrebbe obiettare che, col sistema del suffragio univer-
sale, tutte le forze e tutte le influenze politiche i^ossono essere
rappresentate nella classe governante proporzionatamente alla loro
importanza numerica, e che riesce perciò impossibile ad una mi-
noranza di monopolizzare il potere a i^roprio vantaggio e farne
cosi uno strumento alle proprie vedute ed alle proprie passioni.
A quest'obiezione, che riflette un sistema d'idee ancora molto in
voga, ma che noi non abbiamo accettato ed abbiamo fin qui in-
direttamente combattuto, risponderemo direttamente nel capitolo
venturo.
stato forse alquanto esagerato, non vide che il principio di questo movimento
democratico e non ebbe modo di esaminare la democrazia pienamente trionfante.
Contemporaneamente all'allargamento del suffragio si andò introducendo il
principio della diretta eligibilità e temporaneità dei giudici. Gli antichi Stati
della Nuova Inghilterra furono anche questa volta quelli che più resistettero
alla corrente, ma finirono coll'esserne anche essi travolti.
Vedi Seamen, Si/stème du gouvemement américaìn. Trad. Hippert. Bruxelles,
1872: Claudio Jannet, Le istituzioni politiche e sociali degli Stati Uniti d'Ame-
rica. " Biblioteca di scienze politiche ,, voi. IV, parte 1*, capitoli II e VII.
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime rappresentativo e la difesa
giuridica. — DI. Significato della così detta azione dello Stato. — IV. Que-
stioni intorno ai limiti di questa azione. — V. La dottrina del Comte sui tre
stadi intellettuali e politici. — VI. Valore pratico del parallelismo stabilito
dal Corate. — VII. Classificazione degli Stati, secondo lo Spencer, in militari
ed industriali. — Vili. Debolezze e lacune di questa classificazione.
I. — Nei precedenti capitoli abbiamo esposto quali siano, se-
condo il nostro modo di vedere, alcune delle leggi e tendenze
costanti che regolano le società umane. Ora possiamo più agevol-
mente fare la critica di alcune opinioni e teorie politiche, ancora
o almeno fino a poco tempo fa, molto in voga, le quali vengono,
secondo noi, dalle leggi che abbiamo ricordato più o meno sfatate.
Molte fra le dottrine sulla libertà e suiruguaglianza, come an-
cora sono comunemente intese, dottrine che il secolo decimottavo
ha escogitato, che il diciannovesimo ha matm'ato e tentato di ap-
plicare e che il ventesimo probabilmente liquiderà o modificherà
sostanzialmente, si riassumono e si concretano nel concetto che
vuole a base di ogni Governo il suffragio universale. Si crede in-
infatti molto comunemente che Governo libero, egalitario, legittimo,
sia esclusivamente quello basato sulla volontà della maggioranza,
la quale coi suoi suffragi trasmette per un dato tempo i suoi po-
teri ai propri mandatari. Fino a qualche generazione addietro,
e per parecchi scrittori ed uomini politici anche oggi, tutte le
imperfezioni dei Governi a base rappresentativa sono state at-
142 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
tribuite alla incompleta o falsata applicazione di (questi prin-
cipii (1).
Una scuola così vasta, credenze cotanto diffuse, non si sfatano
con qualche pagina, quindi noi ora non faremo una confutazione
in regola delle teorie sulle quali si fonda il suffragio universale.
Del resto, indipendentemente da quanto abbiamo già detto su
questo argomento nel presente lavoro, di esso ci siamo occupati
anche in altri scritti (2); sicché ora accenneremo semplicemente a
qualcuno degli argomenti fondamentali che meglio possono mi-
nare le basi dell'edificio intellettuale, sul quale il suffragio uni-
versale è poggiato. Ci basterà quindi di dimostrare che la suppo-
sizione per la quale l'eletto è ritenuto l'organo della maggioranza
dei suoi elettori ordinariamente non è conforme alla verità. E,
fondandoci sull'esperienza dei fatti e ricordando alcune osserva-
zioni pratiche, che tutti hanno presenti e che riguardano il modo
come si svolge il fenomeno elettorale, facilmente proveremo il
nostro assunto.
Quel che avviene colle altre forme di Governo, che cioè la mi-
noranza organizzata domina la maggioranza disorganizzata, av-
viene pure, e perfettamente, malgrado le apparenze contrarie, col
sistema rappresentativo. Quando si dice che gli elettori scelgono
il loro deputato, si usa una locuzione molto impropria ; la verità
è che il deputato si fa scegliei'e dagli elettori, e, se questa frase
sembrasse in qualche caso troppo rigida e severa, potremmo tem-
perarla dicendo che i suoi amici lo fanno scegliere. Accade nelle
elezioni, come in tutte le altre manifestazioni della vita sociale,
che gl'individui, che hanno la voglia e sopratutto i mezzi morali,
intellettuali e materiali per imporsi agli altri, primeggiano su
questi altri e li comandano.
Il mandato politico è stato quasi assimilato a quello civile già
(1) Basta leggere le opere di Luigi Blanc, Lamartine e di quasi tutti gli
scrittori democratici francesi anteriori al 1848 per convincersi che essi attri-
buivano la così detta corruttela della Monarchia di Luglio e tutti gl'inconve-
nienti del Parlamentarismo all'intervento del Monarca e sopratutto al suffragio
ristretto. Credenze analoghe erano comunissime in Italia fino a trenta anni fa;
esse anzi formavano e formano il fondamento della scuola mazziniana.
(2) Vedi Teorica dei Governi e Governo parlamentare. Torino, 1884, Loescher;
Le Costituzioni moderne. Palermo, 1887, Andrea Amenta editore.
■AP. VI - POLEMICHE . 143
noto nel diritto privato. Ma, nei rapporti privati, la delegazione di
poteri e di facoltà presuppone sempre nel mandante la più ampia
libertà nella scelta del mandatario. Or appunto questa libertà
di scelta, ritenuta amplissima in teoria, diventa necessariamente
quasi nulla ed irrisoria nella pratica delle elezioni politiche. In-
fatti se ogni elettore dasse il suo voto al candidato del suo cuore,
sicuramente non ne risulterebbe altro, nella quasi totalità dei casi,
che una grande dispersione di voti ; poiché è quasi impossibile
che molte volontà, non coordinate e non organizzate, s'incon-
trino nella scelta spontanea di un individuo, la quale può essere
determinata da criteri diversissimi e quasi tutti subiettivi. Per
dare al suo voto qualche ef ficaia ogni singolo elettore è perciò
costretto a limitare la scelta in un campo ristrettissimo, cioè fra
le due o tre persone che hanno qualche probabilità di riuscita (1);
e questa probabilità hanno ordinariamente solo coloro che sono
sostenuti da un gruppo, da un comitato, da una minoranza orga-
nizzata, che ne propugna la candidatura.
Abbiamo altrove ragionato lungamente dei modi come si for-
mano queste minoranze organizzate attorno ai candidati singoli
od ai gruppi di candidati (2). Ci basterà ora ricordare che esse
sono ordinariamente fondate suirinfluenza del censo, sopra coin-
teressamenti materiali o sui legami di famiglia, di classe, di setta
0 di partito politico. Buona o cattiva che sia la loro composi-
zione, è innegabile che i comitati ed i deputati, che alle volte sono
i loro strumenti, alle volte i loro duci e padroni, rappresentano
l'organizzazione di un numero rilevante di valori e di forze so-
ciali. La vera conseguenza pratica del regime rappresentativo è
perciò non già il governo della maggioranza, ma la partecipazione
di un certo numero di valori sociali al reggimento dello Stato, la
influenza e l'organizzazione di molte forze politiche, che in uno
(1) Per semplificare la dimostrazione abbiamo supposto che il voto sia uni-
nominale. Ma questa libertà limitatissima, che ha nella scelta del deputato
la gran maggioranza degli elettori, e questa influenza preponderante dei co-
mitati sono fatti inevitabili (e l'abbiamo dimostrato nelle opere citate), con
qualunque sistema elettorale. Col così detto scrutinio di lista può anzi avve-
nire che il numero dei candidati che hanno probabilità di riuscire sia meno
dal doppio di quello degli eligendi.
(2) Costituzioni moderne, cap. UT.
144 . ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Stato assoluto, cioè retto dalla sola burocrazia, sarebbero rimaste
inerti ed escluse.
II. — Esaminando i rapporti che il regime rappresentativo ha
con la difesa giuridica si possono fare le seguenti distinzioni ed
osservazioni.
Se è verissimo che la gran maggioranza degli elettori è passiva,
nel senso che non ha libertà di scegliere il suo rappresentante,
ma solo un limitatissimo diritto di opzione fra i diversi candidati,
pm-e questa facoltà, per quanto sia limitata, fa si che i preten-
denti alla deputazione, cerchino di attirare a sé quella forza che
può dare il tracollo alla bilancia in prò dell'uno o dell'altro ; e
perciò fanno ogni sforzo i^er adulare, carezzare ed attirarsi le sim-
patie delle masse. In questo modo certi sentimenti e certe pas-
sioni della folla devono necessariamente avere influenza sull'animo
dei deputati, e l'eco di un'opinione molto sparsa, di un malcontento
molto forte si fa facilmente sentire fin nelle più alte sfere dei
governanti.
Si può obiettare che quest'influenza della maggioranza degli
elettori necessariamente è ristretta alle grandi linee dell'indirizzo
politico ; che essa si fa sentire solo in pochissimi argomenti di
carattere generale e che, entro questi limiti, anche nei Governi
assoluti, le classi dirigenti sono obbligate a tener conto dei sen-
timenti delle masse. E certo infatti che il Groverno più dispotico
deve procedere molto cautamente quando si tratta di urtare i sen-
timenti, le convinzioni, i pregiudizi della maggioranza dei gover-
nati, o quando deve imporre ad essa sacrifici pecuniari ai quali
non è abituata ; ma la cautela nell'offenderla sarà anche mag-
giore quando ogni singolo deputato, il cui voto può essere tanto
utile e necessario al potere esecutivo, sa che il malcontento delle
turbe può , a breve scadenza, procacciare il trionfo di un aborrito
rivale (1).
n regime rappresentativo ha poi effetti molto diversi a se-
(1) Comprendiamo che questo è un argomento a doppio taglio : perchè le
masse non sempre sono più oculate, nello scorgere e tutelare i loro interessi,
di quanto lo siano i deputati. Conosciamo anzi qualche paese in cui il pub-
blico malcontento, piìi che gli errori dei deputati e dei Governi, ha ostacolato
i rimedi che vi si volevano apportare.
CAP. VI - POLEMICHE 145
conda che varia la composizione molecolare del corpo elettorale.
Se tutti gli elettori, che hanno qualche influenza per coltura e
posizione sociale, sono entro i Comitati, e se al di fuori di questi
non resta che una massa di poveri e di ignoranti, è impossibile
che essa possa esercitare con qualche serietà ed efficacia il suo
diritto di controllo ed opzione, ed in questo caso fra le diverse
minoranze organizzate, che si disputano il campo, vince infalK-
bilmente quella che più spende e più inganna.
Lo stesso avviene se entro il corpo elettorale le persone che
hanno capacità ed indipendenza economica, rappresentano una mi-
noranza sparuta, la quale non ha modo d'influire direttamente sul
voto delle maggioranze ; perchè, come ordinariamente accade nelle
grandi città, queste si sottraggono alla loro azione morale e ma-
teriale. Mentre quando le capacità politiche dispongono esse di-
rettamente dei voti della maggioranza e riescono a sottrarla alla
azione dei Comitati e dei galoiDpini, può avvenire che il controllo
sull'opera di costoro sia efficace. Sicché il paragone fra i meriti
e le dottrine dei diversi candidati sarà relativamente serio e spas-
sionato solo quando le forze elettorali non sono interamente in
potere di coloro che delle elezioni fanno un'occupazione abituale
od un mestiere.
Ma la vera garanzia giuridica nei Governi rappresentativi sta
nella discussione pubblica, che ha luogo in seno alle assemblee.
Dentro queste possono penetrare forze ed elementi politici dispa-
ratissimi e basta una piccola minoranza indipendente per control-
lare l'operato di una grande maggioranza e sopratutto per limitare
l'onnipotenza della organizzazione burocratica. Ma quando le as-
semblee, oltre ad essere organi di discussione e di pubblicità, di-
ventano, come accade nei Groverni parlamentari, il corpo politico
che riassume in sé tutto il prestigio e tutto il potere dell'autorità
legittima, allora, malgrado il freno delle pubbliche discussioni, su
tutta la macchina amministrativa e giudiziaria può pesare la ti-
rannia irresponsabile ed anonima degli elementi che prevalgono
nelle elezioni e parlano a nome del popolo: si può avere cioè uno
dei peggiori tipi di organizzazione politica che la maggioranza
reale di una società moderna possa tollerare (1).
(1) Vedi Seamen e Mosca, op. cit.; Suhkukr, La Démocratie et la France, ecc., ecc.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 10
146 ELEMENTI DI SCIEKZA POLITICA
11 referendum nei Governi a base quasi esclusivamente rappre-
sentativa può essere un modo abbastanza efficace col quale (juel
complesso di odii ed amori, entusiasmi e disgusti, che, quando
sono veramente sparsi e (generali, formano ciò che più verisimil-
mente si appella la pubblica opinione, \mh reagire contro l'ope-
rato e l'iniziativa della minoranza governante. Difatti, trattandosi
non di fare una scelta od un'elezione, ma di dire un sì od un no
sopra una determinata questione, ogni singolo voto non può an-
dare disperso, ed ha la sua pratica importanza indipendentemente
da ogni organizzazione e coordinazione di setta, di partito, di co-
mitati. E certo però che col referendum non si avvera neppure
l'ideale democratico del Governo della maggioranza, poiché il go-
vernare, più che nel consentire o proibire le modificazioni della
Costituzione od anche della legislazione, consiste nel dirigere tutta
la macchina militare, finanziaria, giudiziaria ed amministrativa, o
nell'influire su chi la dirige. Inoltre il referendum se da una parte
limita il potere della classe governante, dall'altra non è men vero
che può seriamente ostacolare tutti i miglioramenti dell'organismo
politico ; i quali saranno sempre più facilmente apprezzati dalla
classe governante, per quanto possa essere interessata e corrotta,
che dalla maggioranza dei governati (1).
m. — Una quistione, che si agita molto tra gli scrittori di
scienze sociali, è quella relativa alla maggiore o minore ingerenza
che spetta allo Stato. Noi cercheremo di dimostrare che essa non
è una questione sola, ma un complesso di questioni, ed, applicando
le teorie che nei capitoli precedenti abbiamo esposte, forse con-
tribuiremo a dissipare alcuni equivoci e malintesi, che finora
ne hanno ostacolato il retto e preciso intendimento, ed hanno
perciò impedito che si venisse, almeno in qualcuna di esse, a
conclusioni precise.
E molto sparso ancora quel modo di vedere, che fa della so-
società e dello Stato due enti perfettamente separati e distinti
(1) È indiscutibile, ad esempio, che, in molti paesi, se gli aumenti delle im-
poste fossero sottoposti al referendum sarebbero stati sempre respinti, anche
quando fossero stati giustificati dal più evidente tornaconto del servizio pub-
blico 0 dalla più imprescindibile necessità.
POLEMICHE 147
e spesso li considera anche come antagonisti. Or, prima di tutto^
noi crediamo che occorra determinare chiaramente che cosa si in-
tende per Società e che cosa s'intende per Stato. Stando alle regole
dei Codici ed alle concezioni del diritto amministrativo, lo Stato
è certamente un ente distinto, capace di vita giuridica, il quale
rappresenta gli interessi della collettività ed amministra il demanio
pubblico; e che, come tale, può venire in conflitto d'interessi con
i i)rivati e con gli altri enti giuridici. Politicamente parlando però
lo Stato non è che l'organizzazione di tutte le forze sociali, che
hanno valore politico. Esso, in altre parole, rappresenta il com-
plesso di tutti quegli elementi, che in una società sono atti alla
funzione politica e sanno e vogliono ad essa partecipare ; è quindi
il risultato della loro coordinazione e della loio disciplina.
Questo è il vero pùnto di vista da cui lo Stato va considerato
dai cultori delle scienze sociali ; giacche è brutto e pericoloso
errore, che dura ancora nel nostro secolo ed impedisce il retto ap-
prezzamento dei problemi politici, la tendenza curialesca a riguar-
darli dal lato, non diciamo giuridico, ma prettamente ed esclusi-
vamente giudiziario. Sicché, secondo il nostro modo di vedere,
antagonismo fra Stato e Società non può esistere, potendosi riguar-
dare lo Stato come quella parte della Società, che disimpegna la
funzione politica, e tutte le questioni riguardanti la ingerenza o
non ingerenza dello Stato vengono ad assumere un nuovo aspetto,
per il quale, piuttosto che studiare quali debbano essere i limiti
dell'azione dello Stato, si deve cercare quale sia il miglior tipo di
organizzazione politica ; quello cioè che consente a tutti gli ele-
menti, che hanno valore politico in una data Società, di essere
meglio utilizzati e specializzati, meglio sottoposti al reciproco con-
trollo ed al principio della responsabilità individuale per gli atti
che compiono nelle loro rispettive mansioni.
Comprendiamo che quando si hanno certe abitudini intellettuali
non è facile il mutarle rapidamente ed adattarsi a nuovi metodi
di osservazione e ad una nuova maniera di considerare un dato
argomento. Però confidiamo che basterà un semplice accenno
alle pratiche applicazioni clie può avere il sistema da noi esposto,
perchè il lettore si familiarizzi con esso e ne scorga anche i
vantaggi.
Ad esempio, quando si contrappone l'azione dello Stato all'ini-
ziativa privata spesso non si fa che un paragone fra l'opera della
148 ELEMENT] DI SCIENZA POLITICA
burocrazia e quella che possono esercitare altri elementi diret-
tivi della Società, che, in qualche caso, possono anche, senza es-
sere impiegati stipendiati, rivestire un carattere ufficiale. Nelle
nostre società di tipo europeo, per quanto burocratizzate, la bu-
rocrazia non è lo Stato, ma soltanto una parte di esso. Sicché
quando si dice comunemente che in Italia ed in Francia, in Ger-
mania ed in Russia, lo Stato fa tutto ed assorbe tutto, bisogna
interpretare la massima nel senso che la burocrazia francese, ita-
liana, tedesca e russa hanno molte più attribuzioni di quelle di
altri paesi, ad esempio, di quella inglese e dell'americana. Come,
quando si parla del famoso Self government inglese, del popolo
dell'Inghilterra che si governa da se stesso, non bisogna supporre,
come se ne potrebbe avere la tentazione stando alla dizione usata,
che nei paesi del continente europeo, i Francesi, gl'Italiani, i Te-
deschi ed i Russi non si governino da loro stessi e che essi affidino
a stranieri la direzione delle rispettive funzioni politiche ed am-
ministrative ; ma bisogna intendere semplicemente che certi uffici,
che in Inghilterra sono affidati a persone nominate dagli elettori
o anche nominate dal G-overno, ma scelte fra i notabili dei diversi
luoghi e non retribuite né traslocabili a volontà, sono negli altri
paesi d'Europa disimpegnati da burocratici.
rV. — Abbiamo già accennato (1) come, sebbene la burocrazia
e le assemblee che dispongono del supremo potere politico, abbiano-
avuto ed abbiano ingerenza in certi rami della produzione econo-
mica, quali sarebbero, ad esempio, la manutenzione e costruzione
delle opere pubbliche e le banche di emissione, pure sembra accer-
tato che la direzione di questo ramo dell'attività sociale non sia
stata mai, in nessuna società pervenuta ad un certo grado di col-
tura e prosperità, completamente burocratizzata. Questa direzione
è stata ed é in massima sempre affidata ad elementi, che certo
fanno parte delle forze direttrici della società e quindi sono vere
forze politiche, ma non entrano nei quadri della pubblica ammi-
nistrazione. Si potrebbe anche ricordare quanto sia stata in gene-
rale dannosa l'ingerenza degli elementi che hanno la direzione
propriamente politica, cioè legislativa, amministrativa e giudi-
fi) Vedi capitolo III, pag. 104.
GAP. VI - POLEMICHE 149
ziaria, della società, nelle faccende economiche, e quanta parte del
depauperamento, che affligge qualche nazione moderna, si debba
a quest'ingerenza attribuire (1).
Generalmente coloro che vogliono restringere le funzioni dello
Stato dovrebbero inspirarsi a questo pratico e semplicissimo con-
cetto : che, in tutti i rami dell'attività sociale, nell'istruzione pub-
blica, nel culto, nella beneficenza, nell'amministrazione della giu-
stizia, nell'organizzazione militare, ecc. la funzione direttiva è
sempre necessaria e che deve essere affidata ad una classe speciale,
che abbia le attitudini necessarie a disimpegnarla.
Or quando si vuole togliere, in tutto od in parte, una di queste
attribuzioni alla burocrazia od ai corpi elettivi bisogna tener pre-
sente che è necessario che esista in seno alla società una categoria
di persone, che possieda le attitudini, ossia abbia la necessaria
preparazione morale ed intellettuale ed anche la posizione econo-
mica sufficiente per adempire al nuovo ufficio che le viene affi-
dato. Spesso anche non basta che in una società vi siano gli
elementi adatti a ciò, ma bisogna che siano bene scelti e bene
coordinati, altrimenti l'esperimento può fallire e produrre risultati
dannosi. Noi crediamo, ad esempio, che questa sia stata la vera
ragione per la quale l' istituzione dei giurati non ha fatto buona
prova in molti paesi del continente europeo.
I cosi detti giudici popolari infatti rappresentano l'intervento
di elementi sociali estranei alla magistratm'a regolare nell'ammi-
nistrazione della giustizia penale ; ma sono troppo numerosi per
poter essere tutti intellettualmente e moralmente preparati al loro
ufficio, e perchè il farne parte dia tale una soddisfazione di amor
proprio da fare loro acquistare quello spirito di corpo, quel sen-
timento, diremmo quasi aristocratico, che è necessario per rialzare
il carattere medio di uomini ai quali cosi delicate mansioni sono
affidate (2).
(1) Vedi capitoli III e IV là dove abbiamo parlato dei danni del soverchio
svolgimento dato ai lavori pubblici, del protezionismo economico, dell'influenza
antigiuridica che esercitano sui poteri politici i direttori delle Banche e delle
grandi Compagnie per azioni, dei risultati che ha l'ingerenza del Governo
nelle Banche di emissione.
(2) Osservazioni identiche si potrebbero fare sui giudici conciliatori, sugli
amministratori delle Opere pie e sui preposti a qualche altro degli uffici che
150 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Dall'altra parte coloro che invocano un maggiore intervento
dello Stato dovrebbero pensare al significato pratico e positivo
di questa parola, spogliandola di tutto ciò che essa ha di vago, di
indeterminato, diremmo quasi di magico e di soprannaturale nol-
Tuso comune. Spesso ai giorni nostri contro tutti i danni della
concorrenza privata, come rimedio a tutte le cupidigie, alla libi-
dine del prepotere, a tutti gli eccessi dell'individualismo, o meglio
dell'egoismo, s'invoca l'intervento dello Stato. Il quale, organo
del diritto e del progresso morale, dovrebbe sollevare gli umili
e debellare i superbi ; e, puro di tutte le volgari preoccupazioni
degli interessi personali^ dovrebbe reprimere tutte le iniquità,
provvedere a tutti i bisogni materiali e morali, avviare l'umanità
sui floridi sentieri della giustizia, della pace, dell'armonia uni-
versale (1). Quanto scemerebbe questa fiducia se, invece di pensare
allo Stato ente astratto, posto quasi al di fuori della società, si
tenesse presente ciò che esso è in fatti, vale a dire l'organizzazione
concreta di una gran parte degli elementi dominatori di una so-
cietà. Se si pensasse che, nella nostra società euroi^ea, quando si
parla di azione dello Stato, la frase si riferisce all'azione che pos-
sono esercitare ministri, deputati ed impiegati ; tutta bravissima
gente, che, per quanto possa essere migliorata o frenata dal sen-
timento della responsabilità, dalla disciplina e dallo spirito di
corpo, ha tutte le facoltà e tutte le debolezze umane. Eccellenti
persone, che però, come tutti gli uomini, hanno gli occhi, che si
possono all'occorrenza aprire o chiudere, e la bocca, che può, se-
condo i casi, parlare, tacere ed anche mangiare ; e le quali pos-
sono peccare anch'esse di orgoglio, di accidia, di cupidigia e di
vanità, ed avere le loro simpatie ed antipatie, le loro amicizie ed
avversioni, le loro passioni ed i loro interessi ; e fra questi anche
quello di restare al proprio posto, ed all'occorrenza di conseguirne
uno migliore.
in Italia sono affidati a persone che non fanno parte della burocrazia. Vero
è che si potrebbe obiettare che la nomina dei titolari alle cariche accennate
viene fatta, più o meno direttamente, dai corpi locali elettivi.
(1) Scrive infatti Dupont White [L'Individu et l'Etat, pag. 172. Paris, 1857,
ed. Guillaumin) : L'État c'est l'homme moins la passion; l'homme à une hauteur
oij il entre en commerce avec la vérité mème, où il ne rencontre que Dieu
et sa conscience.
POLEMICHE 151
V. — Sarebbe opera impossibile, od almeno assai difficile, il
rispondere a tutte le teorie e le dottrine, che si allontanano dal
nostro modo di vedere intorno alle tendenze costanti ossia le leggi,
che regolano l'organizzazione delle società umane. Fra queste
dottrine due però ve ne sono, strettamente connesse e legate, che,
per la loro odierna diffusione, hanno tale importanza, che di esse
non possiamo assolutamente tacere. Intendiamo alludere alle teorie
del Comte ed a quelle dello Spencer. Il primo, come si sa, ha messo
in rilievo i tre stadi dell'intendimento umano : il teologico, il me-
tafisico ed il positivo, ai quali fa corrispondere tre tipi diversi di
ordinamento sociale: il militare, il feudale e l'industriale. Il se-
condo classifica invece semplicemente le società umane in Stati
militari, fondati sulla coercizione, ed in Stati industriali, basati
sul contratto e sul libero consenso di coloro che li compongono.
Sulle orme di questi illustri sociologhi, ora gran parte di coloro
che, specialmente in Italia, si occupano di scienze sociali e poli-
tiche, fanno di questi concetti la pietra angolare dei loro ragio-
namenti e dei loro sistemi.
In linea generale sulla classificazione dei tre stadi intellettuali
fatta dal Comte ci pare che ci sia poco da obiettare. L'uomo in-
fatti può spiegarsi tutti i fenomeni, tanto dell'universo inorganico
che di quello organico, compresi quelli sociali, attribuendoli ad
enti soprannaturali, all'intervento cioè di Dio o degli Dei, di geni,
benefici o malefici, che sono autori della vittoria e della sconfitta,
dell'abbondanza e della carestia, della salute e della pestilonzA,
ed allora si ha il periodo detto teologico. Li può anche spiegare
attribuendoli a cause prime, frutto della sua imaginazione oppure
di un'osservazione superficiale e sconnessa dei fatti, come quando
credeva dipendesse dal moto e dalla congiunzione dei pianeti la
sorte degli individui e delle nazioni, dalle combinazioni degli umori
la sanità del corpo umano, e dalla quantità di metalli preziosi
posseduti la ricchezza dei popoli, ed allora è nello stadio apriori-
stico o metafisico. Può infino, rinunciando a conoscere le cause
prime di questi fenomeni, studiarne, con rigoroso sistema d'osser-
vazione, le leggi naturali che li regolano e farne suo prò, ed allora
è nel periodo scientifico o positivo.
Dove cominciano le obiezioni e le critiche al sistema del Comte
è quando si vuole fare una distinzione cronologica netta e precisa
fra le varie società umane, assegnandole ad uno dei tre periodi
152 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
accennati. Poiché è impossibile negare che tutti e tre i periodi
intellettuali coesistano in tutte le società umane, dalle più mature
a quelle che sono ancora, per dir così, nello stadio selvaggio. In-
fatti la Grecia antica ci diede Ipi)ocrate ed Aristotile, Roma Lu-
crezio, la moderna civiltà europea ci ha dato la fisica, la chimica,
l'economia politica, ha inventato il telescopio ed il microscopio,
si è impadronita della elettricità ed ha scoperto i microbi, che
cagionano le pestilenze e le malattie ; eppure non si può non ri-
conoscere che ad Atene come a Roma antica, a Parigi come a
Berlino, a Londra come a New-York, la maggioranza degli indi-
vidui erano e sono in pieno periodo teologico, o almeno in quello
metafìsico. Come non ci fu^poca alcuna della classica antichità
nella quale non si consultassero auguri ed oracoli, non si facessero
sacrifici e non si credesse ai presagi, cosi vediamo ancora le reli-
gioni rivelate avere una parte importantissima nella vita dei nostri
contemporanei e, dove esse s'indeboliscono, vediamo svilupparsi
le superstizioni spiritistiche e gli assurdi metafisici della demo-
crazia sociale. E d'altra parte il selvaggio che nella pianta e nel
sasso vede un feticcio, che crede che lo stregone della tribù possa
X^rodurre la pioggia e scongiurare il fulmine, non potrebbe vivere
se non possedesse alcune vere nozioni positive. Quando egli studia
le abitudini della selvaggina, quando impara a distinguerne le
orme e tien conto della direzione del vento per sorprenderla ed
impadronirsene, fa suo prò di osservazioni accumulate e coordinate
da lui e dai suoi maggiori, agisce perciò secondo i dettami di una
vera scienza (1).
Ma vi ha di più : come si può già intuire dagli esempi accen-
nati, non solo nella stessa epoca e nello stesso popolo possono
coesistere i tre periodi intellettuali del Comte, ma anche nello
stesso individuo. Diremo anzi che questa è la regola generale,
della quale gli esempi a centinaia saltano agli occhi di tutti, e
che il contrario è l'eccezione. A chi infatti non è accaduto di co-
noscere qualche capitano di nave buon credente, che presta fede
(1) Questa obiezione alle teorie del Comte fu fatta già da molto tempo.
Perchè il Comte stesso scrive : " cette coexistence passagère des trois états
intellectuels constitue aujourd'hui le seul fondement plausible des résistences
que les penseurs arriérés opposent encore à ma loi „. Yedi Système de politique
positive, voi. 3°, pag. 41. Paris, 1853, Carillan ed.
CAP. VI - POLEMICHE 153
anche ai miracoli della Madonna di Lourdes o della Madonna di
Pompei, che in politica o nelle scienze economiche si trova in
completo stadio metafisico e che, quando si tratta di dirigere la
rotta e comandare la manovra della sua nave, fa uso di criteri
rigorosamente scientifici ? Tutti o quasi tutti i medici, fino a due
secoli fa, erano credenti nelle loro religioni, e perciò non nega-
vano l'efficacia delle preghiere e dei voti nella guarigione delle
malattie ; inoltre sul funzionamento dei diversi organi del corpo
umano e sulle virtù di certi semplici avevano svariate credenze
assolutamente metafisiche, dovute in gran parte all'influenza di
Galeno e dei medici arabi, ma nello stesso tempo non mancavano
certo di cognizioni positive, che rimontano ad Ippocrate, e che,
lentamente elaborate dall'esperienza di tanti secoli, permettevano
in certi casi una cura razionale. Similmente le preghiere per in-
vocare la vittoria dell'Altissimo ed i Te Deum per ringraziarlo
furono in uso in Europa, assai tempo dopo che Gustavo Adolfo,
Turenne e Montecuccoli aveano cominciato a condurre le guerre
con norme scientifiche.
Senofonte, per citare un caso concreto, quando credeva che un
sogno fosse un avvertimento degli Dei era in pieno periodo teo-
logico ; sulla forma della terra e sulla composizione dei corpi aveva
certamente delle idee, che i geografi ed i chimici dei giorni nostri
avrebbero giustamente caratterizzato per metafisiche ; ma, nel con-
durre la famosa ritirata dei diecimila, quando, ad esempio, per
riparare la colonna principale, che marciava coi bagagli, dai con-
tinui assalti della cavalleria persiana la faceva coprire da due
linee di fiancheggiatori armati alla leggiera, si regolava secondo
criteri, che, dato il sistema d'armamento allora in uso, anche uno
stratega moderno avrebbe trovato scientifici e positivi. Lo stesso
autore se nella Ciropedia si mostra prevalentemente teologico e
metafisico, diventa di nuovo positivo nel suo trattato sull'arte di
cavalcare, perchè su quest'argomento, come farebbe un moderno,
trae i suoi precetti dallo studio della natura del cavallo.
VI. — La verità è che in questo, come in tanti altri casi, il
semplicismo non si adatta bene alle scienze che riguardano la
psicologia dell'uomo, animale molto complesso, pieno di contrad-
dizioni, e che non sempre si cura di esser logico e coerente ; e che
perciò anche quando crede e spera che Dio possa intervenire m
154 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
sostegno della sua causa, ha cura contemporaneamente di tenere
asciutte le polveri, di valersi cioè del sussidio dell'intelletto e del-
Tesperienza propria e degli altri. Il solo argomento veramente
valido, che si potrebbe addurre a favore della classificazione del
Comte, è questo : che, sebbene i tre stadi intellettuali coesistano
in tutte le società umane e si possano rintracciare nella maggio-
ranza degli individui che le compongono, pure possono essere, se-
condo i casi, assai inegualmente distribuiti ; sicché un popolo può
avere un corredo di cognizioni scientifiche indiscutibilmente su-
periore a quelle di un altro, e, secondo le varie epoche della sua
storia, può su questo riguardo grandemente progredire o decadere;
come pure è innegabile che le dottrine metafisiche e le credenze
soprannaturali hanno generalmente maggiore presa ed influenza
sulle nazioni e sugli individui maggiormente sprovvisti di cultura
scientifica. Ma, cosi ridotta, la teoria del Comte rassomiglia molto
a quest'altra, per verità alquanto banale : che quanto più una so-
cietà è scientificamente progredita, meno campo resta alle dottrine
aprioristiche, e di altrettanto diminuisce in essa l'influenza del
soprannaturale (1).
Dove poi i concetti del padre della moderna sociologia ci sem-
brano anche più lontani dalla verità è nella parte che si riferisce
al parallelismo fra i tre stadi intellettuali ed i tre tipi di organiz-
zazione politica che egli stabilisce : il militare, cioè, il feudale e
l'industriale, — corrispondenti il primo alla infanzia, il secondo
all'adolescenza, il terzo alla maturità delle società umane.
La funzione militare, l'organizzazione cioè di una forza armata
per la difesa interna ed esterna di un popolo, e se si vuole, secondo
portano gl'interessi, i pregiudizi e le passioni umane, anche per
l'offesa, fino ad oggi è stata ed è una necessità di tutte le società
umane. La preponderanza politica maggiore o minore dell'ele-
mento militare dipende, in parte, da cause che abbiamo già stu-
(1) Natio est omnium Gallornin admodum dedita religioìiibus, scriveva già
Cesare, esprimendo un giudizio che qualunque individuo appartenente ad un
popolo più colto dà sempre di un popolo meno colto. È da notare che anche
le persone credenti nelle religioni rivelate, se hanno una certa cultura scien-
tifica, si guardano bene dall'attribuire all'intervento continuo degli enti so-
prannaturali lo svolgersi dei fatti di questo mondo, come accade fra le genti
più rozze e gli individui più ignoranti.
CAP. VI - POLEMICHE 155
diato, dall'essere cioè o no questo elemento una forza politica più
o meno indispensabile ed assorbente, più o meno da altre forze
politiche bilanciata, ed in parte da altre cagioni, che quando sarà
il momento opportuno non mancheremo di esporre. Intanto pos-
siamo iin d'ora con sicurezza affermare che non vediamo la neces-
sità del connubio indissolubile che, secondo il Comte, vi dovrebbe
essere fra la prevalenza politica del militarismo e la prevalenza,
nel mondo intellettuale e morale, del periodo teologico. Diremo
anzi di più : che non ci pare cioè in niun modo jjrovato, che il tipo
di organizzazione, che il citato autore chiama militare, debba esclu-
sivamente prevalere solo in quelle società, che si trovano al primo
stadio del loro sviluppo, e, per parlare il linguaggio dei moderni
positivisti, nello stato d'infanzia.
La società ellenica, ad esempio, dopo Alessandro Magno si tro-
vava evidentemente organizzata secondo un tipo, che qualunque
sociologo avrebbe caratterizzato per quello militare. Le leghe re-
pubblicane della Grecia propriamente detta, posteriormente alla
conquista macedone, non ebbero che una importanza politica molto
limitata ; esse, fino alla conquista romana, furono sempre nella
clientela o nel vassallaggio dei grandi regni ellenizzati d'Egitto,
di Siria e sopratutto di Macedonia, i quali erano vere monarchie
militari assolute e fondate sulla forza degli eserciti. Eppure, proprio
in quell'epoca, la società greca era tutt'altro che in uno stato d'in-
fanzia o in un periodo teologico, perchè poco prima di allora si
erano formate ed allora fiorivano quelle scuole filosofiche, che rap-
presentano il massimo sforzo del pensiero ellenico verso la scienza
positiva. Lo stesso si può osservare nella società romana, quando,
dopo Cesare, si affermò l'assolutismo imperiale sorretto dai pre-
toriani e dalle legioni.
La prevalenza delle credenze religiose, la fede ardente che in
esse un popolo può avere, producono poi immancabilmente la pre-
ponderanza politica delle classi sacerdotali. Ora queste non sempre
sono fuse interamente colle classi militari, né sempre hanno con
esse completa comunanza di sentimenti e d'interessi. La stessa
unione fra il trono e l'altare, che ebbe luogo in Europa al prin-
cipio di questo secolo dopo la Santa Alleanza, fu dovuta alla pe-
culiare circostanza che entrambi erano direttamente minacciati
dalla corrente razionalista e rivoluzionaria. Ma questo fatto, lungi
dal formare una regola generale, che possa esser presa come legge
156 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
universale, è da riguardarsi piuttosto come uno dei tanti fenomeni
transitori che nella storia si producono. Non mancano certo ^li
esempi in contrario; e sono facili a portarsi quelli dell'India, dove
ci fu un'epoca, nella quale la casta dei Bramini si trovò in lotta
con quella dei guerrieri, e Taltro delle lotte avvenute in Europa
fra il Papato e l'Impero.
Ci pare poi impossibile trovare una giustificazione qualsiasi,
fondata sui fatti, di quella parte della dottrina del ('omte, che,
alla prevalenza della metafisica nel pensiero umano, fa corrispon-
dere la prevalenza del sistema feudale nell'ordinamento politico fi).
Abbiamo già visto come, ciò che comunemente si chiama l'orga-
nizzazione feudale, sia un tipo politico relativamente semplice, che
si riscontra spessissimo nell'inizio delle grandi società umane e si
riproduce quando un grande Stato burocratico viene a dissolversi.
Quantunque il progresso politico e quello scientifico non procedano
sempre di pari passo, come è provato dalla storia d'Italia nel Ri-
nascimento, pure si può ammettere con molte riserve che, in ge-
nerale, ad uno stadio politico primitivo o ad un periodo di deca-
denza e dissoluzione politica, corrisponda uno stato d'ignoranza
quasi generale od un pei'iodo di accasciamento intellettuale. Ma
non si sa proprio vedere il perchè questo debba essere caratteriz-
zato dal prevalere dei concetti metafisici anziché di quelli teolo-
gici ; come pure non si può ammettere che, durante il fiorire di
(1) Dobbiamo rammentare che, secondo le idee del Corate, il monoteismo
medioevale e l'ontologia rappresentano la transizione fra il politeismo, ossia
il pieno periodo teologico, e la scienza moderna. Così pure il feudalesimo, che |
egli crede un militarismo difensivo, rappresenta nel suo concetto il ponte di
passaggio fra il periodo militare e l'industriale. Questo modo di vedere, ad
esempio, risulta chiarissimo dal seguente passo: " En effet, le monothéisnie
convient autant à la défense que le polithéisme à la conquéte. Les seigneurs
feudaux formèrent, entre les commandants militaires et les chefs industriels.
une transition aussi complète que celle de l'ontologismo entre la théologie et
la science , (Système de politique positive, voi. 3*, pag. 86).
Non possiamo, con tutto il rispetto dovuto al Comte, non rilevare come la
prima asserzione, che il monoteismo cioè sia adatto alla difesa, come il i^o-
liteismo alla conquista, dimostra l'ignoranza, o almeno una trascurcnza com-
pleta di gran parte della storia del mondo; ad esempio, della storia del
mondo musulmano. Affermazioni così recise e così poco sussidiate dai fatti
infirmano gravemente i risultati di un'opera che ha la pretesa di essere po-
sitiva.
POLEMICHE 1^7
un ordinamento feudale, l'attività scientifica debba essere neces-
sariamente spenta. Confucio, che visse in un'epoca nella quale la
China era ordinata feudalmente, non fu certo un metafìsico ; e
dall'altro lato la scienza del trivio e del quadrivio, come del resto
qualunque altra specie di cultura che non sia affatto superficiale,
è ignota agli Afgani ed agli Abissini moderni.
n Comte si fonda sull'esempio del Medio Evo europeo : quest'e-
poca ebbe senza dubbio i suoi grandi scrittori metafìsici, come ne
ebbe pure la classica antichità ; però il voler fare del pensiero me-
dioevale quasi un ponte di passaggio fra l'antichità teologica ed il
moderno pensiero scientifico è un concetto falso, come è falsa la
credenza che il feudalismo sia stato la forma politica organicamente
intermedia fra gli antichi imperi ieratici e lo Stato moderno.
Ma basta leggere gli scrittori medioevali, s^jecialmente quelli
delle epoche che si allontanano un poco dalla caduta dell'Impero
d'occidente e non sono troppo vicine al Rinascimento, per capire
subito quanto il pensiero medioevale fosse assai più profondamente,
assai più costituzionalmente teologico di quello antico. Quegli scrit-
tori ed i loro contemporanei sono immensamente più lontani, più
diversi da noi, di quanto lo siano stati i contemporanei di Ari-
stotile e di Cicerone. E l'ordinamento feudale si formava e fioriva
proprio in quei secoli nei quali la paura continua delle carestie e
della peste, le frequenti apparizioni di Enti celesti ed infernali,
turbavano, imbecillivano completamente i cervelli umani; quando
il terrore del demonio era lo stato permanente di quelle povere
anime, in cui, per mancanza di qualunque cultura, la ragione de-
periva ed il maraviglioso, il soprannaturale diventavano un ele-
mento familiare come l'aria respirabile (1).
(1) Uno dei più caratteristici scrittori del periodo che abbiamo accennato
è senza dubbio il monaco Raoul Glaber, che scrisse una cronaca che va fino
quasi alla metà del secolo undecimo (Vedi Émile Gebiiaut, L'état d'anie d'un
moine de l'an 1000. " Revue des Deux Mondes „ , ottobre 1891). Per questo
monaco gli antichi scrittori classici, compreso Virgilio, apparivano ai loro
lettori sotto forma di demoni. La fede di Glaber e cieca ma priva di carità, ed
in essa la paura dell'Ente malefico, del demonio, occupa un campo forse mag-
giore dell'amore e del culto per l'Ente buono, per il Dio misericordioso dei
Cristiani. Satana, per lui sempre presente, partecipa a tutti gli avvenimenti
umani, non ci è forse individuo che non l'abbia veduto; lo stesso Glaber,
158 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
VII. — Resterebbe a dimostrare come il terzo rapporto ne-
cessario, che- pone il Comte fra il re<^ime industriale e la scienza
positiva, sia anch'esso fallace. Ce ne dispensiamo, perchè^ in que-
st'ultima parte, i concetti dell'autore del sistema di politica posi-
tiva non hanno avuta molta eco, essendo essi troppo diversi da
quelli che finora sono più in voga fra i nostri contemporanei, e
non offrendo sufficiente appiglio a giustificare, con una parvenza
di metodo scientifico, passioni ed interessi che finora hanno molta
forza. Infatti si sa che l'industrialismo secondo il Comte è un
tipo di organizzazione sociale di là da venire, nel quale la fun-
zione direttiva della società dovrebbe essere affidata ad un sacer-
dozio scientifico positivista e ad un patriziato bancario ed indu-
striale, fra i quali non dovrebbe essere facile ai membri della
malgrado la sua energia e lo zelo con cui adempiva alla regola del suo or-
dine, l'avea visto apparire tre o quattro volte.
A dir vero non tutti gli scrittori contemporanei, o quasi, manifestano lo
stesso turbamento delle facoltà intellettuali, ma nessuno ne è completamente
immune.
Il normanno Goffredo Malaterra, che racconta con abbastanza discernimento
e serenità di giudizio la conquista che il Conte Ruggiero fece della Sicilia
sui Saraceni, e che alle volte si mostra capace di osservare i fatti umani
spregiudicatamente, venuto alla descrizione della battaglia di Cerami, combat-
tuta fra il detto conte e gl'Infedeli, attribuisce la vittoria dei Cristiani all'in-
tervento diretto di S. Giorgio, che pugnò in persona fra le file dei Normanni,
ed aggiunge che, a prova del miracolo, un bianco vessillo con una croce fu
visto sventolare sull'asta del duce cristiano.
L'epidemia demoniaca aveva anche guadagnato l'oriente bizantino; Cedreno
e la cronaca di Costantino Porfirogenito raccontano infatti che la espugna-
zione di Siracusa, per parte dei Saraceni, fu conosciuta nel Peloponneso assai
prima che vi arrivassero i fuggiaschi, perchè i demoni, di notte in un bosco
conversando fra loro, ne propalarono i particolari.
Il Comte per giustificare il propizio sistema scrisse: * On doit enfin noter,
comme caractérisant le véritable esprit du catholicisme, sa réduction generale
de la vie théologique au seul domaine strictement nécessaire „ (Opera citata,
voi. III, pag. 434}. Egli però non tenne conto che questa riduzione del sopran-
naturale allo stretto indispensabile, avviene non solo col cattolicismo ma con
tutte le religioni monoteiste, quando sono professate da popoli civili che
hanno una larga cultura scientifica, come sono ad esempio gl'Inglesi moderni.
Non accade lo stesso quando sono professate da popoli barbari e privi di
qualunque cultura, perchè allora può restare all'elemento soprannaturale un
dominio molto maggiore di quello che esercita presso popoli politeisti, ma di
civiltà più progredita.
CAP. VI - POLEMICHE 159
classe inferiore di penetrare. Perchè l'autore, prevedendo il caso,
non dimenticò di scrivere che " il sacerdozio disporrà i proletari
a disprezzare qualunque tendenza ad uscire dalla propria classe,
come contraria alla dignità dell'ufficio popolare e funesta alle
giuste aspirazioni del popolo, che sempre è stato tradito dai suoi
disertori ,, (1). Altra idea fondamentale dell' A, è che tutto il movi-
mento intellettuale e politico della fine del secolo decimottavo e
della prima metà del decimonono sia stato un movimento rivolu-
zionario, che ha avuto per risultato l'anarchia morale e politica
proveniente dalla distruzione del regime monoteista feudale al
quale nulla si è saputo sostituire. Coerentemente a questo modo
di vedere, il regime parlamentare è severamente condannato dal
Comte, come un effetto del periodo anarchico nel quale siamo;
la stessa funzione rappresentativa, per la quale gl'inferiori scel-
gono i superiori, è definita da quest'autore come una operazione
rivoluzionaria (2).
Piuttosto ci converrà fermarci sulla seconda teoria, che abbiamo
già accennato ; sulla modificazione cioè che lo Spencer, e dopo lui
moltissimi moderni sociologhi, hanno apportato alle dottrine del
loro maestro, classificando le società umane in due tipi, rappre-
sentati dallo Stato militare e dallo Stato industriale (3).
Qualunque classificazione deve essere fondata sopra caratteri di-
stintivi netti e precisi e lo Spencer infatti non manca di avver-
tirci che, sebbene " durante l'evoluzione sociale si vedano i carat-
teri dei due tipi mescolarsi, pure, nella teoria come nei fatti è
possibile di seguire con tutta la chiarezza desiderabile i caratteri
opposti, che distinguono ciascuna delle due organizzazioni nel loro
completo sviluppo „ (4). Or, trattandosi di un autore così reputato,
anzi addirittura cosi celebre, si può ammettere che egli sia il mi-
gliore giudice dell'opera propria; ma tuttavia avremmo desiderato
(lì Opera citata, libro IV, cap. 1°, pag. 83.
(2) Opera citata, libro IV, cap. 5" e segnatamente pagine 368, 382, 393, 394.
(3) Non bisogna dimenticare che per alcuni sociologhi, per esempio, per il
Letourneau, lo Stato industriale rappresenta anch'esso un periodo eminente-
mente transitorio, che dovrà tramontare quando la moralità umana avrà fatto
altri passi nel senso altruistico.
(4) Principes de sociologie, traduttore Cazelles, voi. Ili, cap. XVII, pag. 756.
Paris, 1883, Germer-Baillière.
160 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
una chiarezza e certo un?i precisione maggiore in quei due capi-
toli dei principii di sociologia nei quali l'illustre scrittore tratta
ex professo di questo argomento; e non esitiamo a confessare che,
certo per colpa nostra, non ci siamo formato un concetto del tutto
determinato delle idee che egli espone in proposito (1).
Il criterio fondamentale della classificazione dello Spencer, quello
che non solo è esposto nei due capitoli accennati, ma al quale
continuamente si allude in tutte le sue opere ed in quelle dei suoi
numerosi seguaci, è questo: che la società militare è fondata sul
regime degli statuti, sulla coercizione che i governanti esercitano
sui governati, mentre quella industriale è basata sul contratto, sul
libero consenso di coloro che ne fanno parte, né più ne meno come
una società letteraria, industriale e commerciale, la quale non è
possibile senza il libero assentimento dei soci. Ora, ci perdonino
tutti coloro che hanno abbracciato questo concetto, ma a noi sembra,
e non possiamo fare a meno di confessarlo, che esso si fondi sopra
presupposti eminentemente aprioristici e che non reggono alla
prova dei fatti. Qualunque organizzazione politica crediamo in-
vece che sia contemporaneamente spontanea e coercitiva; spon-
tanea poiché essa proviene dalla natura dell'uomo, come é stato
osservato fin da Aristotile, e nello stesso tempo coercitiva, perchè
é un fatto necessario, l'uomo non potendo vivere altrimenti. E
naturale quindi, ed é spontaneo, e nello stesso tempo è indispen-
sabile, che, dove ci sono uomini, ci sia una società, e che, dove
vi é una società, ci sia anche uno Stato ; cioè una minoranza diri-
gente ed una maggioranza che da essa è diretta.
Si potrebbe obiettare che noi spostiamo la quistione in modo
artificiosamente a noi vantaggioso, e che, sebbene l'esistenza di
un'organizzazione sociale sia un fatto naturale e necessario là
dove ci sono gruppi o moltitudini umane, piu^e ci possono essere
alcuni Stati i cui ordinamenti riscuotono l'assentimento, o almeno
l'acquiescenza completa, della gran maggioranza degli individui
che ne fanno parte, mentre altri questa condizione non raggiun-
gono. Non neghiamo che la cosa sia precisamente cosi, ma non
vediamo però perchè i primi si debbano chiamare Stati industriali
(1) Per qualcheduno che non li avesse presenti rammentiamo che si tratta
dei capitoli XVII e XVIII del volume III dei Principii di Sociologia.
CAP. VI - POLEMICHE
161
ed i secondi Stati militari. Infatti il consenso della maggioranza
di un popolo in una data forma di regime politico, dipende unica-
mente dal fatto che questo regime è fondato sopra credenze reli-
giose o filosofiche universalmente accettate; o, per parlare il lin-
guaggio nostro, dipende dalla diffusione e dall'ardore della fede,
che la classe governata ha nella f ormola politica con la quale la
classe governante giustifica il suo potere. Ora questa fede, in ge-
nerale, è certo maggiore in quegli Stati, che lo Spencer classifi-
cherebbe fra gli Stati militari e che presentano tutti i caratteri
che egli ad essi suole attribuire ; cioè negli Stati dove un Governo
assoluto ed arbitrario si fonda sul diritto divino.
Infatti nelle monarchie orientali spesso si congiura contro la
persona del sovrano, ma fino a pochi anni fa è stata rara l'aspi-
razione ad una forma diversa di Governo; e fra i popoli della
moderna Europa noi vediamo che i Turchi ed i Russi, ad eccezione
di una piccola minoranza istruita, sono stati quelli fra i quali il
regime che esisteva fino a pochi anni fa era più in armonia col-
l'ideale politico della gran maggioranza della nazione. Del resto
in tutti i paesi barbari la popolazione può essere malcontenta del
capo 0 dei capi, ma ordinariamente non concepisce e non desidera
un regime politico migliore.
Senza che sia mai tassativamente detto, da alcuni esempi citati
dallo Spencer (1) e dal capitolo che segue i due già rammentati,
e che tratta del passato e dell'avvenire delle istituzioni politiche,
si potrebbe arguire che per lui gli Stati industriali sono quelli nei
quali il Governo ha una base rappresentativa, o nei quali vi è
almeno la tendenza a non riconoscere altra autorità legittima se
non quella che emana dai popolari comizi.
Però malgrado gl'indizi che abbiamo accennato, non possiamo
ammettere che sia precisamente questo il concetto del chiarissimo
autore. Perchè altrimenti tutti i suoi volumi di Sociologia non ser-
(1) Ricordiamo quello dei Pueblos, popoli che abitavano al nord del Mes-
sico, classificati come appartenenti al tipo industriale, perchè si limitavano
alle guerre difensive ed eleggevano liberamente i loro capi. Opera e volume
citati, pag. 819. Del resto a pag. 810 è detto che: " l'autorità che è necessaria
nel tipo industriale dovrebbe essere esercitata da un organo istituito per con-
statare la volontà media. Un organo rappresentativo è il più proprio ad adem-
piere quest'ufficio ,.
tì. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 11
162 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
virebbero che a rinforzare quella corrente d'idee già tanto diffusa,'
che comunemente appellasi radicale, e che dallo stesso Spencer e
da molti dei suoi seguaci è stata più o meno direttamente com-
battuta. Inoltre egli non può ignorare quanto il sistema elettivo
sia stato diffuso nelle repubbliche dell'antica Grecia, a Roma e
persino fra gli antichi Germani, che tumultuariamente sceglievano
i loro capi innalzandoli sugli scudi, e tutti questi i^opoli, stando
ai suoi criteri, andrebbero classificati fra quelli che avevano un
tipo accentuatamente militare. Né infine si può ammettere che alla
sua alta mente siano sfuggite totalmente le considerazioni già più
o meno accennate in altri libri e da altri autori, e che noi abbiamo
sommariamente svolte nel principio di questo capitolo. Or dalle
considerazioni ricordate risulta che la partecipazione del popolo
ai comizi elettorali non significa che esso diriga il Governo e che
la classe dei governati scelga quella dei governanti, ma piuttosto
che la funzione elettorale, quando si svolge in buone condizioni
sociali, equivale ad un mezzo col quale alcune forze politiche con-
trollano e limitano l'azione delle altre.
Vni. — Lo Spencer stabilisce altri caratteri distintivi fra i
due tipi militare ed industriale, che ci sembrano ugualmente vaghi
ed indeterminati. Scrive egli, ad esempio, che colla decrescenza
del militarismo e l'accrescimento relativo dell'industrialismo, si
va da un ordinamento sociale nel quale gl'individui esistono a
profitto dello Stato ad un altro ordinamento nel quale lo Stato
esiste a profitto degl'individui (1). Distinzione sottile, che ci ram-
menta quella che si farebbe qualora si disputasse se nell'uomo il
cervello esista a profitto del resto del corpo o il resto del corpo
esista a vantaggio del cervello. Altrove asserisce che l'azione dello
Stato militare è regolatrice positiva, nel senso che impone una
quantità di atti da compire, mentre quella dello Stato industriale
è regolatrice negativa (2), limitandosi essa a prescrivere gli atti
che non si possono commettere ; non avendo presente che non esiste
organizzazione sociale nella quale l'azione dirigente non sia nello
stesso tempo positiva e negativa, e che, siccome l'attività umana
(1) Opera e volumi citati, cap. XVIII.
(2) Idem., pag. 814.
CAP. VI - POLEMICHE 163
è limitata, moltiplicando la regolamentazione negativa, si ottiene,
riguardo all'inceppamento dell'iniziativa individuale, quasi lo stesso
risultato di quello che produce una soverchia regolamentazione
positiva.
Alcuni caratteri poi dello Stato militare che lo Spencer enumera
si riferiscono alle società soverchiamente burocratizzate, come sa-
rebbero quelle che l'autore ritrova nell'antico Perù, dove gli uffi-
ciali pubblici dirigevano le colture e distribuivano l'acqua (proba-
bilmente a scopo d'irrigazione oppure in paesi ed in tempi di
estrema siccità) ; mentre altri al contrario si riscontrano nei popoli,
dove l'autorità sociale è ancora, od è stata recentemente, debole,
e che si trovano in quel periodo di organizzazione rozza e primi-
tiva, che noi abbiamo definito l'ordinamento feudale o ne sono
usciti da poco. Fra quest'ultimi va messa l'usanza della vendetta
privata, che il chiarissimo autore, il quale crede opportuno citare
in proposito l'autorità di Brantóme, trova ancora diffusa in Francia
alla fine del Medio Evo perfino fra gli ecclesiastici.
Inoltre, dove vige quest'usanza, e quindi presso tutti i popoli
barbari, o la cui organizzazione sociale è molto indebolita, è na-
turale che il valore personale sia qualità molto pregiata e cosi va
spiegata quest'altra caratteristica che lo Spencer attribuisce alle
società militari. Aggiungiamo che lo stesso accade in quelle società
che, per svariate ragioni, hanno dovuto sostenere molte guen^e
offensive e difensive, e che è naturale che la bravura sia l'unico
attributo che conferisce prestigio ed influenza, là dove la rozzezza
non permette alle attitudini scientifiche, od a quelle che mirano a
produrre la ricchezza, di svilupparsi.
Finalmente non possiamo tacere che la tendenza, che lo Spencer
attribuisce alle società militari, di vivere delle proprie risorse eco-
nomiche ricorrendo il meno possibile agli scambi internazionali, è
più che altro una conseguenza della rozzezza e dell'isolamento di
molti popoli e, presso altri già più civili, dei pregiudizi delle masse
sfruttati dagli interessi dei pochi, che sanno raggiungere il loro
tornaconto a danno dei molti. E molto probabile infatti che ben
poco abbiano profittato degli scambi cogli altri popoli quelle tribù
che lo Spencer cita cosi spesso come tipi di società industriali pri-
mitive; ed al giorno d'oggi le correnti protezioniste pur troppo
non si sono fatte sentire meno forti nell'industriale America del
Nord che nella militare Germania. Né vuoisi per ultimo dimenticare
164 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
che mal si apporrebbero coloro i quali volessero distinguere le so-
cietà industriali dal grado di svilupjjo economico che hanno rag-
giunto, o quelle militari dall'energia e dalla prevalenza guerresca
che hanno saputo ottenere. Giacché lo stesso Spencer direttamente
od indirettamente ci avverte che questo criterio, forse superficiale
ma certo molto semplice e facilmente percepibile, è da scartare.
Difatti, riguardo alla prima ipotesi, l'egregio l'autore non manca
di far rilevare che " non bisogna confondere una società industriale
con una società industriosa „ e che " le relazioni sociali che carat-
terizzano il tipo industriale possono coesistere con un'attività pro-
duttrice molto limitata „ (1) ; e riguardo alla seconda lo Spencer
non vorrà ammettere che la Repubblica romana abbia avuto una
organizzazione più militare e meno industriale, nel senso che egli
dà a quest'espressione, degli Imperi Orientali che furono da essa
conquistati, o che i conquistatori inglesi siano stati meno inoltrati
nel tipo industriale dei conquistati indiani.
Malgrado queste e malgrado altre obiezioni, che si potrebbero
muovere alla classificazione dello Spencer, non possiamo però ne-
gare, che, diremo cosi, nascosta ed ottenebrata da un equivoco,
con essa una grande verità non sia stata intravista. E certo che,
oltre ai criteri di classificazione che abbiamo già accennato e che
ci siamo sforzati di confutare, molti altri se ne possono desumere
da tutte le affermazioni sue, dall'insieme delle sue opere e sopra-
tutto dallo spirito che le anima. Dal complesso di quanto questo
autore ha scritto non si può infatti fare a meno di ricavare che
egli per Stato militare intende quello in cui la difesa giuridica è
meno progredita, e per Stato industriale un altro tipo di società,
in cui la giustizia e la morale sociale sono maggiormente tutelate.
L'equivoco, di cui teste abbiamo parlato e che ha impedito allo
Spencer di procedere oltre nello scoprire una grande verità scien-
tifica, consiste in ciò: che egli, preoccupato dal fatto che la vio-
lenza materiale è stata ed è uno dei maggiori ostacoli al progre-
dire della difesa giuridica, ha creduto nello stesso tempo che la
guerra e la necessità di un'organizzazione militare sia di ogni vio-
lenza l'origine.
Cosi concependo il problema, si è confusa la causa con uno dei
(1) Opera e volume citati, cap. XVIII, pag. 804.
CAP. VI - POLEMICHE 165
suoi effetti. Si è creduto ch.e la guerra sia l'esclusiva origine della
tendenza, che ha la natura umana a prepotere sui propri simili,
mentre non è che una delle sue tante manifestazioni. Ora questa
tendenza, che, nei rapporti esterni fra popolo e popolo, non può
essere frenata che dalla prevalenza sempre maggiore degli inte-
ressi materiali ben intesi (1), nei rapporti interni fra gl'individui
dello stesso popolo, abbiamo già visto che viene, fino ad un certo
punto, neutralizzata solo dalla moltiplicità delle forze politiche
che in una società si possono affermare e dal controllo che le une
sulle altre possono esercitare.
Su quanto abbiamo scritto già sopra quest'importante argomento
nulla abbiamo da togliere, ma certo molto ci resta da aggiungere.
E infatti nostro compito l'esaminare come mai fra le classi diri-
genti, fra le forze politiche, quella frazione che rappresenta ap-
punto la forza materiale, che tiene in mano le armi, non rompa
l'equilibrio giuridico a suo vantaggio e non s'imponga sistematica-
mente alle altre. Certo la possibilità che questo fatto avvenga è
un pericolo continuo, al quale tutte le società sono esposte e che
suole minacciare specialmente quelle che si trovano in un periodo
di rapido rinnovamento di forze e di formole politiche. Senonchè
l'esame dei rapporti fra gli ordinamenti militari e la difesa giu-
ridica, la ricerca dei metodi migliori affinchè il detto pericolo sia
scongiurato, è tema cosi arduo che a trattarlo consacreremo un
apposito capitolo del nostro lavoro.
Per ora solo dobbiamo far rilevare che le idee dello Spencer su
questo argomento, delle quali abbiamo cercato di porre in luce i
lati deboli per quel che riguarda la generalità sistematica, non
sono neppure tali da potersi approvare rispetto a quelle applica-
zioni pratiche, che, più o meno direttamente, l'autore suggerisce.
Egli infatti fra gli ordinamenti militari mostra di prediligere
quelli nei quali '' il soldato, volontariamente arruolato a certe con-
dizioni determinate, partecipa in qualche maniera delle condizioni
di un libero operaio „ e crede che un tale ordinamento convenga
ad una società '' in cui il tipo industriale si è già affermato „ (2).
(1) Naturalmente questo freno agisce soltanto fra popoli economicamente e
scientificamente molto progrediti, perchè allora soltanto la guerra danneggia
infallibilmente, sebbene in vario grado, il vinto ed il vincitore.
(2) Opera citata, voi. Ili, cap. XVIII, pag. 803.
166 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
In altri termini ciò significa che quella frazione della società, che
ha più gasto per il mestiere delle armi, dovrebbe assumere volon-
tariamente, mediante compenso, che, per questo come per gli altri
mestieri sarebbe determinato dalle condizioni del mercato, l'inca-
rico della difesa militare si interna che estema. Ora pare a noi,
e molto prima di noi era parso a Machiavelli ed a tanti altri
scrittori, che a meno di circostanze speciali ed eccezionali, sia
appunto questo il sistema, che, nei popoli di cultura avanzata,
dà peggiori risultati ; che più facilmente sviluppa nella classe mi-
litare la tendenza ad opprimere le altre e toglie a queste la pos-
sibilità di ogni rimedio efficace e di ogni riparo.
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
I. Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri coefficienti delle gare
religiose e politiche. — III. Qualità dei fondatori di nuove religioni e dottrine
politiche. — IV. Nuclei dirigenti di ogni nuova religione o dottrina politica. —
V. Condizioni transitorie per l'adattabiUtà delle dottrine religiose e politiche ai
vari momenti storici. — VI. Condizioni permanenti per la loro adattabilità alla
natura umana. — VII. Transazioni pratiche di certe dottrine. — Vili. Orga-
nizzazione stabile dei nuclei dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti
generosi e degli interessi materiali. — X. Sistemi per attirare e dominare le
masse. — Efficacia della forza materiale. — XI. Altre arti adoperate allo stesso
scopo. — XII. Conclusione del capitolo.
I. — Narra Buffon che, racchiudendo un certo numero di daini
in un parco, avviene immancabilmente che dividonsi in due truppe
sempre in guerra fra loro. Pare che un istinto molto simile a
questo faccia sentire la sua influenza sugli uomini. Essi hanno
infatti la naturale inclinazione alla lotta, ma questa solo spora-
dicamente assume il carattere individuale, di un solo cioè in guerra
contro un solo; perchè, anche lottando, l'uomo resta un animale
eminentemente sociale. Vediamo perciò abitualmente gli uomini
formarsi in nuclei, fra i quali vi sono capi e gregari; e gl'indi-
vidui, che ogni nucleo compongono, sono fra di loro specialmente
affratellati e concordi e sfogano gli istinti pugnaci contro coloro
che fanno parte degli altri nuclei.
Questo istinto di attrupparsi e di combattere contro gli altri at-
truppamenti è la prima base ed il fondamento più primitivo tanto
delle lotte esterne, che accadono fra società diverse, che delle fa-
zioni, delle sette, dei partiti, ed in certo modo anche dello vario
168 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
chiese e di tutte le divisioni e suddivisioni che sorgono in seno
ad una stessa società e vi occasionano lotte morali e qualche volta
materiali. Esso, nelle società molto piccole e primitive, nelle quali
vi è molta unità morale ed intellettuale ed ogni individuo ha gli
stessi costumi, le stesse credenze e le stesse superstizioni, può ba-
stare da solo a mantenere le abitudini discordi e bellicose. Gli
Arabi e i Kabili della Barberia, ad esempio, hanno tutti le stesse
credenze religiose, lo stesso grado e lo stesso tipo di cultura in-
tellettuale e morale, eppure, quando non combattevano contro Fin-
fedele in Algeria ed a Tunisi, contro i Turchi a Tripoli, e contro
il Sultano nel Marocco, erano sempre in lotta fra loro (1). Ogni
confederazione di tribù era in rivalità od in lotta aperta contro la
confederazione vicina; nel seno della stessa confederazione vi erano
discordie e spesso si faceva parlare la polvere fra le tribù che la
componevano; dentro la tribù vi erano inimicizie fra i vari douars,
e spesso il donar era diviso dalle contese fra le singole famiglie.
Altre volte, quando gli ambienti sociali sono piccoli, anche tra
minuscole frazioni di popoli abbastanza civili le lotte interne possono
nascere senza che siano giustificate da differenze morali ed intel-
lettuali delle parti nemiche, o, se pure queste differenze si accam-
pano, non sono che un puro pretesto. Cosi i nomi di Guelfi e Ghi-
bellini fornirono piuttosto la giustificazione e l'occasione anziché la
causa alle lotte intestine dei nostri Comuni medioevali; e lo stesso
si può dire generalmente dei nomi di liberale, clericale, radicale e
socialista, che assumono oggi le fazioni, che si contendono il potere
amministrativo nei piccoli Comuni dell'Italia meridionale. In mo-
menti poi di eccezionale apatia intellettuale, pretesti, anche frivo-
lissimi, possono dare occasione a lotte abbastanza importanti in
seno a società molto grandi e progredite. A Bisanzio, ad esempio,
durante e dopo l'impero di Giustiniano, i due partiti dei Verdi e
dei Turchini o dei Prasini e dei Veneti, che spesso insanguinarono
con lotte molto cruenti le vie della città, ebbero origine dal par-
teggiare che facevano gli spettatori del circo per i cocchieri di
(1) Naturalmente nell'Algeria e nella Tunisia il consolidarsi della dominazione
francese ha fatto quasi scomparire non solo le rivolte contro i dominatori
stranieri, ma anche le lotte intestine fra le varie tribù e lo stesso è avvenuto
0 avverrà prima in Tripolitania e Cirenaica e poi nel Marocco.
GAP. VII - CHIESE, PABTITI E SETTE 169
differente colore (1). Un pallido ricordo di queste lotte si ebbe,
prima del 1848, in qualche città italiana, dove una parte della
gioventù si accalorava per la preminenza di qualche prima donna
o prima ballerina.
IL — Prima di procedere oltre apriamo una brevissima pa-
rentesi e facciamo osservare che, tanto nelle società piccole che
nelle grandi, quando il bisogno di lottare trova il suo sfogo nelle
gare e nelle guerre esteriori, esso è in certo modo appagato ed è
men facile che si esplichi nelle discordie e nei certami civili od
interni. Ciò premesso, diremo come, guardando attentamente alla
natura dei partiti, delle sette, delle fazioni politiche, filosofiche e
religiose, che si manifestano in generale in seno ai popoli civili,
facilmente ci possiamo accorgere che in esse all'istinto pugnace
di attrupparsi e combattere, che è il più primitivo e, se ci fosse
lecita la parola, diremmo il più animalesco, si mescolano altri
coefficienti intellettuali e psicologici più complessi e più umani.
Nelle società grandi e civili tenute insieme, oltre che dalla affinità
morale ed intellettuale anche da una forte e complicata organiz-
zazione politica, vi è la possibilità di una libertà speculativa ed
affettiva molto maggiore che in quelle piccole e rozze. Perciò
in un gran popolo le lotte politiche e religiose sono anche deter-
minate dalla moltiplicità delle correnti d'idee, di credenze e di
affetti, che riescono ad affermarsi; dalla formazione di crogiuoli
intellettuali e morali diversi, entro i quali le convinzioni ed i sen-
timenti dei singoli individui sono variamente elaborati.
Cosi noi vediamo il Buddismo svilupparsi in seno alla società
bramanica, il Profetismo e posteriormente le varie scuole dei Sa-
ducei e degli Esseni e la setta degli Zelanti tenere agitata la vita
d'Israele, lo Stoicismo, il Manicheismo, il Cristianesimo ed il culto
mitriaco contendersi la supremazia del mondo romano-ellenico, il
Mazdeismo (2) propagarsi nella Persia dei Sassanidi, il Maomet-
(1) A dir vero si appoggiarono poi a questi partiti e li protessero a vicenda
le varie correnti che prevalevano in Corte, sicchb essi acquistarono una certa
importanza politica, sebbene non abbiano mai perduto il carattere di fazioni
personali.
(2) ModiGcaziono del Manicheismo con spiccata tendenza verso il comunismo
dei beni e delle donne.
170 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
tismo nascere in Arabia e diffondersi rapidamente in Asia, Africa
ed Europa. Fenomeni perfettamente analoghi, sebbene adattati al-
l'indole più razionalista della moderna civiltà europea, sono il libe-
ralismo ed il radicalismo del secolo decimonono, e meglio ancora la
democrazia sociale, che, nata quasi contemporaneamente al libe-
ralismo, ha mantenuto più a lungo la sua forza di propaganda e
come è stata uno dei fattori storici più importanti della fine del
secolo decimonono, continuerà ad esserlo nei i)rimi decenni del
ventesimo. Accanto a queste che abbiamo nominato, nella storia
dei popoli civili sarebbe facile rintracciare moltissime altre correnti
minori, le quali, con più o meno fortunata diffusione, hanno tutte
raggiunto una certa importanza, ed hanno tutte contribuito a dar
pascolo agli istinti della disputa, della lotta, del sacrificio e della
persecuzione, che sono così radicati nei cuori degli uomini.
Il modo come nascono tutte queste dottrine o correnti di idee,
di sentimenti, di convinzioni, ha sempre qualche cosa di costante,
che dà all'esordio di ognuna di esse alcuni caratteri comuni. L'uomo,
essere debole assai davanti le sue passioni ed anche davanti quelle
degli altri, egoista spesso più che necessità il comporti, ordina-
riamente vano, invidioso, meschino, conserva nella quasi totalità
degli individui due grandi aspirazioni, due sentimenti che lo no-
bilitano, lo elevano, lo purificano : cerca la verità, ama la giustizia ;
e qualche volta è capace di sacrificare a questi due sentimenti
anche una parte più o meno grande dell'appagamento delle sue
passioni e dei suoi interessi materiali. L'uomo civile, essere assai
più complesso e delicato del selvaggio e del barbaro, può, in
qualche caso, elevarsi fino ad una concezione assai raffinata dei
sentimenti accennati.
In certi momenti storici, in una data società un individuo può
sorgere, che acquisti la convinzione che egli ha qualche cosa di
nuovo a dire riguardo alla ricerca della verità, una dottrina più
elevata da insegnare per la migliore attuazione della giustizia ;
quest'individuo è il piccolo seme, che può, date alcune doti di ca-
rattere, il favore dell'ambiente e molteplici circostanze acciden-
tali, produrre la pianta che stenderà i suoi rami in gran parte del
mondo.
III. — La storia non sempre ci ha conservato i particolari bio-
grafici di questi fondatori di religioni e di scuole politico-sociali,
CAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 171
che in fondo sono piu' esse quasi religioni spoglie dell'elemento
teologico. Di alcuni però sappiamo abbastanza; e ad esempio Mao-
metto, Lutero, Calvino e sopratutto Rousseau, possono essere con
una relativa facilità analizzati.
La qualità fondamentale, che tutti debbono avere, è una pro-
fonda convinzione della propria importanza o meglio dell'efficacia
dell'opera loro. Se credono in Dio si stimeranno sempre destinati
dall'Onnipotente a riformare la religione e la umanità intiera. In-
discutibilmente poi non è in essi che si potrà ricercare il perfetto
equilibrio di tutte le facoltà intellettuali e morali, ma neppure
possono essere considerati come pazzi; giacché la follia è un male
che presuppone nell'individuo che ne è colpito uno stato anteriore
e normale di sanità. Vanno piuttosto classificati fra coloro che ordi-
nariamente sono chiamati originali o esaltati ; nel senso che attri-
buiscono a certi lati della vita o dell'attività umana una impor-
tanza esagerata, e che tutto il loro essere, tutto lo sforzo di cui sono
capaci, giuocano sopra una carta, cercando di raggiungere l'ideale
della loro esistenza per una via inusitata che dai più sarebbe
ritenuta assurda. Ma evidentemente chi ha il perfetto equilibrio
di tutte le sue facoltà, chi fa il conto esatto dei risultati da rag-
giungere di fronte agli sforzi ed ai sacrifìci che sono necessari per
ottenerli, chi giudica modestamente e sensatamente dell'importanza
del proprio individuo e dell'efficacia reale e duratura che la sua
azione, dato il corso ordinario degli eventi umani, può esercitare
nel mondo, chi calcola esattamente e freddamente le probabilità
prò e contro la riuscita, non intraprenderà mai un'iziativa originale
e ardita e non farà mai grandi cose. Se tutti gli uomini fossero
normali ed equilibrati, la storia del mondo sarebbe molto diversa,
e, conviene anche confessarlo, sarebbe molto monotona.
Qualità fondamentale del capo partito, del fondatore d'una setta
0 di una religione ed in generale, si può dire, di qualunque pastore
di popoli, che voglia far sentire la propria personalità ed indiriz-
zare una società secondo le sue vedute, è il sapere infondere in
altri le proprie convinzioni e sopratutto i propri sentimenti, il riu-
scire a far si che molti vivano della sua vita intellettuale e morale
e compiano dei sacrifici per gli ideali, che egli ha concepito.
Questa facoltà comunicatrice dei sentimenti e delle passioni
proprie non è comune a tutti i riformatori ; quelli che ne man-
cano, anche che abbiano una forte originalità di pensiero e di
172 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
sentimento, riescono inefficaci nella vita pratica e spesso finiscono
coll'entrare nella categoria dei novatori senza seguito, dei geni
incompresi, i quali difficilmente possono evitare il ridicolo.
Al contrario coloro che la posseggono non solo sanno inspirare
agli apostoli ed alle turbe i loro entusiasmi e persino suscitarne
il delirio, ma finiscono anche col far nascere una specie di vene-
razione per la loro persona e col diventare l'oggetto di un vero
culto, per il quale ogni loro minimo atto acquista importanza,
ogni loro parola è senza discussione creduta, ogni loro cenno cie-
camente obbedito. Attorno ad essi si forma un ambiente di esal-
tazione, che è sommamente contagioso e che è padre di atti arditi
e sacrifici, che certamente non sarebbero possibili se gli uomini
che ne sono gli autori fossero nel loro stato normale.
E cosi che si spiega il successo enorme di certe predicazioni ed
insegnamenti e la fortuna straordinaria che, ad esempio, ebbero
nel Medio Evo due tipi, così diversi in tante altre cose ma cosi
simili nell'arte di interessare gli uomini, come furono San Fran-
cesco d'Assisi ed Abelardo. Cosi si spiega come Maometto fosse
tenuto in tale venerazione dai suoi discepoli ed adepti, che con-
servavano quali reliquie i peli della sua barba e (bisogna far la
parte alla rozzezza dei tempi) raccoglievano con venerazione i
suoi sputi, e come bastasse una sua insinuazione perchè i suoi più
pericolosi avversari fossero assassinati (1). E cosi si spiega pm"e
come, ad un cenno di Mazzini, non siano mancate quasi mai per-
sone disposte ad assumere le imprese più arrischiate e perigliose,
e come in tutti i tentativi di comunismo pratico, che si sono fatti
nel secolo decimonono da Owen e da Fourier fino a David Laz-
zaretti, siansi trovate sempre un certo numero di persone disposte
a sacrificare la loro sostanza.
Quando qualcheduno di questi fondatori o capi di scuole poli-
tiche o religiose è anche uomo di guerra, come fu Giovanni Ziska,
(1) Solea dire, presente qualche giovanotto dei piìi esaltati e parlando di
qualcuno, che era di forte ostacolo ai suoi disegni : non vi è alcuno che mi
sappia liberare da questo cane! Il discepolo correva a perpetrare un omicidio,
che poi Maometto naturalmente disapprovava affermando di non averlo ordi-
nato. Quanti capi di sette e di partiti politici hanno imitato ed imitano, con-
sciamente od inconsciamente, Maometto !
CAP. VII - CHIESE, PABTITI E SETTE 173
riesce ad infondere nei suoi seguaci una sicurezza di vincere e
quindi un coraggio poco comuni.
Non si deve poi cercare in tutti i caratteri originali, che si fanno
iniziatori di un movimento d'idee e di sentimenti, un senso morale
assolutamente -squisito che presieda uniformemente a tutti gli atti
della loro vita, perchè non sempre lo si troverebbe. Preoccupati
quasi esclusivamente di raggiungere il loro ideale, per il conse-
guimento di questo scopo sono quasi sempre pronti a soffrire essi
ed a far soffrire anche gli altri. Generalmente anzi hanno un alto
disprezzo o almeno una gran trascuranza per tutto ciò che si rife-
risce ai bisogni quotidiani ed agli interessi materiali ed immediati
della vita, e, anche che non lo dicano espressamente, biasimano
sempre in cuor loro la gente dedita a seminare, mietere e con-
servare il raccolto, perchè pensano che, una volta stabilito quello
che essi credono il regno di Dio o della verità e della giustizia,
i bisogni degli uomini saranno cosi facili ad essere appagati come
quelli degli uccelli dell'aria o dei pesci delle acque. Quando vivono
in tempi razionalisti, ed apparentemente più positivi, non tengono
conto dell'esaurimento della pubblica ricchezza che il solo tenta-
tivo di attuare i loro ideali potrebbe produrre.
Su questo riguardo, del resto, conviene distinguere tre x^eriodi
attraverso i quali la vita di ogni grande riformatore può pas-
sare.
Il i3rimo è quello durante il quale egli concepisce la sua dot-
trina e questa si va elaborando nell'intimo della sua coscienza, e,
durante questo stadio, egli può conservarsi in perfetta buona fede
e potrà essere accusato di fanatismo, ma non già di doppiezza e
ciarlataneria; il secondo comincia quando inizia la sua ipredica-
zione, ed allora la necessità di impressionare gli altri lo spinge
fatalmente a caricare alcune tinte e quindi alla j90sa; il terzo pe-
riodo si ha quando è cosi fortunato da jioter tentare l'attuazione
pratica dei suoi insegnamenti.
Arrivato a quest'ultimo stadio e trovandosi necessariamente in
contatto diretto con tutte le imperfezioni e le debolezze della na-
tura umana, deve, se vuole riuscire, moralmente decadere.
Allora tutti i riformatori convengono nell'interno della loro co-
scienza che il fine giustifica i mezzi, che non si possono guidare
gli uomini senza alcun poco ingannarli, e, di transazione in tran-
sazione, si arriva al punto che riesce malagevole anche al più
174 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
acuto psicologo il distinguere dove finisca in ossi la sincera con-
vinzione e dove cominci la messa in scena e la furfanteria (Ij.
Certo è che svariatissimi elementi morali possono coesistere nello
stesso individuo, come ad esempio in Enfantin, il secondo sommo
pontefice del Sansimonismo (2), ed in Maometto, noi quale non si
può negare l'aspirazione sincera ed onesta verso una religione
meno rozza e materiale di quella che gli Arabi praticavano prima
di lui, mentre è pure certo che qualche volta i versetti del Corano,
che l'Arcangelo Gabriele mano mano gli comunicava, giungevano
opportuni per liberarlo da imi)egni presi e perfino per esentarlo
dall'osservanza di certi freni morali, che in versetti precedenti
erano stati stabiliti (3).
IV. — Accanto all'individuo, che primo concepisce una nuova
dottrina, vi è sempre un gruppo più o meno numeroso, che riceve
direttamente la parola dal maestro e che dei suoi sentimenti è
profondamente imbevuto (4). Ogni Messia deve avere i suoi apo-
(1) Sulla relazione che il padre Oberwalder, che stette parecchi anni pri-
gioniero dei Mahdisti, ha pubblicato intorno alla sua prigionia è stato osser-
vato che l'autore in un punto giudica quel Mohamed Hamed mercante di
schiavi, che fu il fondatore del Mahdismo, come inspirato da sincero zelo re-
ligioso, mentre in un altro punto lo fa apparire ipocrita e ciarlatano. I due
giudizi, secondo noi, non hanno nulla di inconciliabile, sopratutto se si rife-
riscono a due periodi differenti della vita del Mahdi.
(2) Un discepolo, verso la fine del Sansimonismo, scriveva ad Enfantin :
Alcuni vi rimproverano di voler sempre posare, io sono del vostro parere
e penso con voi che ciò corrisponde alla vostra natura, alla vostra missione,
alla vostra capacità „. Vedi Thueeau Dangin, Histoire de la monarchie de juillet,
voi. I, cap. Vili. Paris, 1884, Librairie Plon.
(3) Ad esempio, volendo, per stringere legami politici e per soddisfare alla
sua passione voluttuosa, aumentare il numero delle mogli fino a sette, l'Ai--
cangelo Gabriele venne con opportuni versetti ad autorizzare l'apostolo di Dio
all'inosservanza del precetto che limitava a quattro il numero delle mogli le-
gittime, precetto che era stato precedentemente imposto a tutti i credenti.
Su questo e sugli altri dettagli della vita del fondatore dell'Islamismo, che
abbiamo rammentato e rammenteremo, vedi Hammer-Purgstall. Gemaldesaal
der Lebenshesdìreihimgen grosser mosUmischer Herrscher. Leipzig, 1839.
(4) Per semplificare la nostra esposizione abbiamo implicitamente ammesso
che il fondatore di ogni nuova dottrina religiosa o filosofica sia sempre esclu-
sivamente un solo individuo. Ciò non è perfettamente esatto: alle volte, quando
una riforma è moralmente ed intellettualmente già preparata e trova l'am-
GAP. VII - CHIESE, PAETITI E SETTE 175
stoli, dappoiché l'uomo lia in quasi tutte le manifestazioni della
sua attività morale e materiale bisogno della società; non c'è en-
tusiasmo che non si spenga, non ci è fede che non si scuota se
restano in un prolungato isolamento. La scuola, la chiesa, l'agape,
la loggia, il convegno abituale, comunque si chiami, di un gruppo
di persone, che sentono e pensano nello stesso modo, che hanno
gli stessi entusiasmi, gli stessi odi, gli stessi amori e comprendono
ugualmente la vita, fortifica, esalta e sviluppa i loro sentimenti e
produce tale un'assimilazione di questi nel carattere di ogni singolo
individuo da renderne la traccia indelebile.
E in questo gruppo dirigente che d'ordinario la inspirazione
primitiva del maestro viene sviluppata, raffinata, completata tanto
da diventare un vero sistema politico, religioso o filosofico scevro
da incongruenze e contraddizioni troppo apparenti. E dentro di
esso che si mantiene il fuoco sacro della propaganda anche dopo
che il primo autore della dottrina è scomparso; ed è a questo
nucleo, che si recluta da sé per coaptazione, che l'avvenire della
nuova dottrina é affidato. Giacché per quanto l'originalità di ve-
dute, la forza dei sentimenti, l'attitudine alla propaganda di un
maestro siano grandi, tutte queste qualità riescono inefficaci se,
prima di materialmente o moralmente morire, egli non ha fon-
dato la scuola; mentre, al contrario, quando il soffio che anima
questa é energico e potente, tutti i difetti e le imperfezioni, che
posteriormente si possono scorgere nell'opera del primo autore
della dottrina, possono essere mano mano corretti o dimenticati
e la propaganda può continuare attiva ed efficace.
biente perfettamente favorevole, possono sorgere contemporaneamente parecchi
maestri, come fu il caso del Protestantesimo, quando Zuinglio e Calvino co-
minciarono a predicare quasi contemporaneamente a Lutero. Qualche volta la
riuscita del primo maestro fa nascere i plagiari, ad esempio Moseilama ed altri
cercarono di imitare Maometto proclamandosi alla lor volta apostoli di Dio.
Più frequente è il caso che il primo novatore non riesca ad esplicare intera-
mente e molto meno ad attuare la sua dottrina ed allora sorgono uno od anche
parecchi continuatori, e l'ingiustizia della sorte può far sì che uno di costoro
dia il proprio nome alla dottrina a preferenza di colui che primo l'ha conce-
pita. Così pare che accada nella moderna democrazia sociale, che generalmente
proclama Marx per maestro, mentre il suo primo padre intellettuale e morale
è senza dubbio Rousseau. Il maestro od i maestri, che continuano l'opera del
primo fondatore, non si devono mai confondere col gruppo degli apostoli, di
cui ora parliamo.
176 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Al di l'uoii dol nucleo diri^i^ento resta la folla dei proseliti, ma
questa, mentre numericamente forma l'elemento maggiore e dà e
fornisco alla Chiosa od al ])artito la forza materiale ed anclie eco-
nomica, intellettualmente e moralmente è il fattore più trascm'a-
bile di quahuKjue dottiina ])olitica e religiosa. Le masse, difficili
ad essere conquistate da una dottrina nuova, non l'abbandonano
poi che con difficoltà (1); e, quando ciò avviene, la colpa è quasi
sempre del nucleo dirigente; giacche è quasi sempre in mezzo ad
esso che prima s'insinuano l'indifferentismo e lo scetticismo. La
miglior maniera di far credere è quella di essere profondamente
convinto, l'arte di appassionare consiste nell'essere fortemente ap-
passionato. Quando il sacerdote non sente la sua fede il popolo
diventerà indifferente ed abbraccerà un'altra dottrina che avrà
ministri più zelanti; se l'ufficiale non è imbevuto di spirito mili-
tare, se non sarà pronto a dar la vita ]jer il decoro della propria
bandiera, il soldato non si batterà; se il settario non sarà infa-
natichito non potrà trascinare le turbe alla ribellione.
Se si tratta di dottrine o credenze antiche, da un pezzo for-
mate, che si sono già tradizionalmente imposte, ed il cui campo
d'azione è omai fissato e circoscritto, è generalmente la nascita
che ascrive un individuo nelle file dei loro seguaci. In Germania
o negli Stati Uniti, ad esempio, quasi sempre si è cattolici, pro-
testanti od israeliti a seconda che si nasca in una famiglia che
professi una di queste religioni; in Spagna ed in Italia chi ha
ancora una religione è quasi sempre cattolico. Se però in un paese
vi sono diverse dottrine, ancora nello stadio di formazione e di
propaganda attiva, che si fanno vicendevolmente la concorrenza,
allora la scelta individuale, nelle persone di media levatura, di-
pende da un cumulo di circostanze, in parte accidentali, in parte
frutto dell'abilità con cui la propaganda di una data dottrina vien
fatta. In Francia ed anche in Italia il giovinetto può diventare
conservatore o radicale socialista a seconda delle idee del padre,
del professore o del compagno, che esercita più influenza sopra
di lui nel momento che i suoi principii cominciano a formarsi;
un libro che capita nelle sue mani, un giornale che si legge quoti-
li) È perciò che parecchi sociologi moderni affermano che la moltitudine è
misoneista.
CAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 177
dianamente, in un'età in cui i concetti generali non sono ancora
precisati e si ha principalmente bisogno di entusiasmarsi, amando
ed odiando qualche cosa e qualche uomo, possono determinare
l'intiero indirizzo di una vita. Griacchè, siccome le convinzioni po-
litiche, religiose o filosofiche sono in fondo per molti uomini una
cosa molto secondaria, specialmente dopo che è trascorsa la prima
gioventù ed è venuta l'età delle occupazioni pratiche e degli af-
fari, cosi un po' per indolenza, un po' per abitudine, un po' per
malinteso amor proprio e per la cosi detta coerenza di carattere,
si finisce spessissimo, quando l'interesse fortemente noi contrasta,
col conservare per tutta la vita quelle dottrine, che si sono ab-
bracciate in un momento d'impeto fanciullesco, consacrando ad
esse quel po' di energia e di attività, che anche gli uomini co-
munemente detti positivi sogliono riserbare per ciò che si reputa
l'ideale.
Dal fatto però che la scelta individuale di una credenza o di
un colore politico può essere determinata dal caso non si deve
indurre che questo sia la causa principale che contribuisce alla
riuscita delle varie scuole o chiese. Vi sono invece dottrine molto
adatte al proselitismo, ed altre ve ne sono assai meno adatte. Tre
infatti sono i fattori dai quali quasi esclusivamente dipende la
larga diffusione di un insegnamento politico o religioso. Il primo
consiste nella sua adattabilità ad un dato momento storico. Il se-
condo corrisponde alla sua attitudine a soddisfare un maggior nu-
mero di passioni, di sentimenti e d'inclinazioni umane, di quelle
specialmente che sono più diffuse e radicate nelle masse. Il terzo
finalmente è costituito dalla buona organizzazione del nucleo di-
rigente, formato di tutti gl'individui specialmente dediti al man-
tenimento ed alla diffusione dello spirito, che informa una data
dottrina,
V, — Perchè una dottrina sia adatta ad un dato momento
storico di una data società, bisogna anzitutto che corrisponda allo
stato di maturità che lo spirito umano ha raggiunto in quel mo-
mento ed in quella società. Una religione monoteista trionferà
facilmente quando gli intelletti saranno abbastanza progrediti per
comprendere come tutti i fenomeni naturali si possano attribuire
ad unica causa ed unica sia la forza che regge l'universo. Il ra-
zionalismo potrà essere il fondamento di altre dottrine, quando il
G. Mosca. Elementi di Scienza Politicn. 12
178 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
libero esame ed i risultati delle scienze naturali e storiche avranno
infirmato il contenuto delle religioni rivelate, e la concezione di
un Dio, l'atto ad immagine e somiglianza dell'uomo, che inter-
viene arbitrariamente negli eventi umani, apparirà assurda alle
classi dirigenti.
Nei secoli durante i (juali il Cristianesimo si diffuse nell'impero
romano, ancora quasi tutti, pagani e cristiani, credevano nel so-
prannaturale e nel miracolo; ma il soprannaturale pagano era già
divenuto troppo grossolano ed incoerente, mentre quello cristiano,
che, oltre a rispondere meglio ai bisogni dell'animo umano, era
più sistematico e meno fanciullesco, doveva trionfare. Luciano,
perfettamente scettico, che ride di tutti, pagani e cristiani, nel
secondo secolo dell'era volgare è un'eccezione. Il pubblico colto
di allora nella sua media intelligenza era meglio rappresentato
da Celso, che, deista e credente nel soprannaturale e nei miracoli,
pure attaccava col ridicolo il Vecchio ed il Nuovo Testamento (1).
Ma, giacché si era posto in questa via tanto conveniente ad un
razionalista, e che, sedici secoli dopo, in circostanze diverse, dovea
riuscire cosi bene a Voltaire, avrebbe dovuto facilmente accorgersi
come fosse molto più facile provocare il ridicolo ed anche il di-
sgusto sulle turpi azioni e le puerili baruffe di cui davano spet-
tacolo gli Dei dell'Olimpo. Ed in verità riesce evidente che da
parecchio tempo il paganesimo classico non potea bastare più ne
al sentimento, ne all'intelletto degli uomini e, come bene osserva
il Renan (2), il mondo romano ed ellenico se non fosse divenuto
cristiano si sarebbe convertito al culto di Mitra, o a qualche altra
religione asiatica più mistica del Paganesimo classico e meno in-
coerente.
Similmente Rousseau apparve ed ebbe fortuna quando, prima
l'Umanesimo e la Riforma, poi i progressi delle scienze esatte e
naturali, infine Voltaire e l'Enciclopedia aveano sfatato tutto il
mondo cristiano e medioevale, sicché poteva riuscire accetta una
nuova spiegazione razionale, se non ragionevole, delle istituzioni
politiche. Se noi esaminiamo la vita di Lutero e di Maometto fa-
ci) Tutto quello che si sa intorno a quest'autore è ricavato dai brani ripor-
tati dai Santi Padri che lo confutavano e specialmente dal libro Centro Celso
di Origene.
(2) Principalmente nel Marco Aurelio.
GAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 179
cilmente possiamo vedere che la Germania e l'Arabia erano, quando
essi apparvero, preparate ad accogliere le loro dottrine.
Se teniamo presente che l'uomo, quando ha una certa cultura,
e soprattutto quando non è sotto la pressione assorbente dei bi-
sogni materiali, ha generalmente la tendenza ad interessarsi a
qualche cosa di superiore, che riguardi gl'interessi della società alla
quale appartiene e si elevi al di sopra delle cure ordinarie della
vita, facilmente ci possiamo accorgere che è assai più facile che
una nuova dottrina possa attecchire colà dove questa tendenza
non trova il suo pascolo nell'organizzazione politica già esistente;
dove perciò gli entusiasmi, le ambizioni, il desiderio di lottare e
primeggiare più diffìcilmenle riescono ad avere uno sfogo. Certo,
ad esempio, il Cristianesimo non si sarebbe rapidamente diffuso
quando Roma repubblicana potea offrire ai suoi cittadini le emozioni
delle lotte elettorali o quando essa faceva il suo terribile duello con
Cartagine; sicché fu la ]3ace dell'impero che, attutendo le guerre fra
le nazioni, riserbando tutte le pubbliche funzioni ai soli impiegati,
preparando un lungo periodo di sicurezza e di ozio politico, rese
alla nuova religione il miglior servizio possibile. Similmente la
consolidazione dello stato burocratico, che avvenne nel secolo pas-
sato, la fine delle guerre religiose, la formazione di una classe
colta ed agiata che era esclusa dalle funzioni politiche, fornirono
il sostrato che rese possibile prima il movimento liberale e poi
quello radicale socialista.
Conviene anche ammettere che una nazione si può trovare, di-
remo cosi, psicologicamente esaurita o riposata. E lo stesso con-
cetto che, forse con meno proprietà di parola, si esprime quando
si dice che un popolo è vecchio o giovane. Quando una società da
parecchi secoli non ha subito rivoluzioni o gravi rivolgimenti po-
litici e si prepara ad uscire da questo suo lungo torpore, riesce
più facile di convincerla che il trionfo di una nuova dottrina,
l'inizio di una nuova forma di governo debbano segnare il prin-
cipio di un'era nuova, dell'età dell'oro o del regno della cuccagna,
coir avvento del quale tutti gli uomini debbono diventare buoni
e felici (1).
(1) Fu questa appunto l'illusione caratteristica del 1789 in Francia ed anche
un poco del 1848 in Italia.
180 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Al contrario è naturale che, dopo una serio di rivolgimenti, l'en-
tusiasmo e la fede che inspirano i novatori e le novità politiche,
diminuiscano di molto e che un certo senso di scetticismo e di
stanchezza si diffonda nelle masse. Poro questo esaurimento della
facoltà di credere e di entusiasmarsi si produce assai più difficil-
mente di quanto a prima vista possa sembrare. Non solo infatti
sfuggono in gran parte alla influenza deleteria della disillusione
tutte le dottrine religiose, che si fondano sul soprannaturale, sulla
soluzione del problema che riguarda la causa prima dell'universo
e che rimandano ad un'altra vita l'attuazione di un ideale di feli-
cità e di giustizia ; ma anche quelle apparentemente più positive,
che dovrebbero dare i loro frutti in questa vita, resistono assai
bene alle smentite che dà loro l'esperienza quotidiana dei fatti.
In fondo le illusioni durano perchè, per la quasi totalità degli
uomini, l'illudersi è un bisogno meno materiale, ma non meno
sentito di tanti altri; perciò un sistema di illusioni non si sfata
facilmente finché non lo si sostituisca con un sistema nuovo. Alle
volte, quando ciò non è possibile, neppure una serie di sofferenze,
delle prove terribili, frutto di più terribili esperienze, bastano a
far ricredere un popolo; o meglio l'accasciamento, più che la de-
lusione, dura finche vive la generazione, che è stata personal-
mente desolata e decimata; ma poi, appena le energie sociali si
rinfrancano alquanto, se l'indirizzo delle idee e l'educazione dei
sentimenti non mutano, le stesse illusioni produrranno nuove lotte
e nuove sventure (1).
VI. — L'attitudine di una dottrina a soddisfare i bisogni del-
l'anima umana, oltreché dalle necessità di tempo e di luogo alle
quali abbiamo già accennato, dipende anche da condizioni perma-
nenti, da vere leggi psicologiche, che é necessario siano da essa
osservate. Anzi è questo il secondo ed importantissimo fattore del
(1) Del resto è nella natura dell'uomo il conservare un grato ricordo dei
tempi e degli individui durante i quali o per i quali ha molto softerto;
ciò avviene specialmente quando molti anni sono trascorsi dopo le sofferenze.
Le masse finiscono sempre coU'ammirare e col circondare di poetiche leggende
quei capi, che, come Napoleone I, hanno loro inflitto travagli e sventure, ma
che nello stesso tempo ne hanno appagato il bisogno di emozioni e la fanta-
stica sete di novità e di grandezze.
CAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 181
successo delle nuove dottrine politiche e religiose del quale ve-
niamo ora a parlare.
Come regola generale un sistema d'idee, di credenze, di affetti
per essere accolto da grandi masse umane, deve rispondere da una
parte ai sentimenti i)iù elevati dell'animo, deve perciò promettere
il regno della giustizia e dell'uguaglianza in questo mondo o nel-
l'altro, e proclamare che i buoni saranno premiati, i malvagi pu-
niti. Ma nello stesso tempo non sarà male se darà un po' di sod-
disfazione all'invidia ed a quel rancore, che generalmente si ha
contro i forti ed i fortunati, e sarà molto opportuna l'affermazione
che, in questa vita o nell'altra, verrà un momento in cui gli ul-
timi saranno i primi ed i primi saranno gli ultimi. Gioverà molto
se qualche lato della dottrina che si vuole propagare potrà offrire
un rifugio agli animi dolci e buoni, che dalle lotte e dalle delu-
sioni della vita cercano un conforto nel raccoglimento e nella ras-
segnazione; sarà pure utile ed anzi indispensabile che essa abbia
modo di usufruire e di indirizzare lo spirito di abnegazione e di
sacrifìcio, che in alcuni individui è preponderante, ma la dottrina
stessa deve lasciare anche una qualche base all'orgoglio ed alla
vanità.
Sicché i credenti devono essere sempre il popolo o la classe
degli eletti o almeno devono rappresentare l'avanguardia del vero
progresso. Il Cristiano quindi deve poter pensare con soddisfazione
che, al di fuori della propria fede, tutti saranno dannati ; il Bra-
mino deve poter rallegrarsi che egli solo discende dalla testa di
Brama ed ha l'altissimo onore di leggere i libri sacri; il Buddista
deve apprezzare altamente il privilegio di raggiungere più presto
il Nirvana, il Maomettano deve con soddisfazione rammentare che
egli solo è il vero credente e che tutti gli altri sono cani infedeli
in questa vita e dannati nell'altra, il radicale socialista infine deve
esser convinto che sono putridi ed egoisti borghesi o pecoroni
ignoranti e servili coloro che non pensano come lui. Cosi si prov-
vede al bisogno di stimare se stesso ed il proprio culto o le
proprie convinzioni e nello stesso tempo a quello di disprezzare
ed odiare gli altri.
Dall'odio alla lotta non vi è che un passo, e difatti non vi è
setta politica o credenza religiosa che non Fammetta, cruenta od
incruenta secondo i casi, contro coloro che non accettano i suoi
dogmi. Se la scansa assolutamente e predica in tutti i casi man-
182 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
suetudine e sottomissione è segno che si sente del tutto debole e
che troppo rischiorebbe ad intrai)renderla. Nella lotta poi trovano
pascolo tutti gli appetiti meno nobili ma non meno diffusi del
cuore umano: l'amore del lusso, la libidine di sangue e di donne,
l'ambizione di comandare e prepotere.
Certo non si può fare una ricetta con i quantitativi che esige
la soddisfazione di ogni sentimento umano per la fondazione di
una duratura setta politica o dottrina religiosa, ma si può affer-
mare con sicurezza che a raggiungere questo scopo è necessaria
l'alleanza di una certa quantità di sentimenti elevati e di passioni
basse, di metallo prezioso e di metallo vile; altrimenti la lega non
riesce resistente. Ogni dottrina che non tiene abbastanza conto
delle qualità diverse e contraddittorie delle masse umane, ha poca
forza di propaganda e, se si vuole diffondere, deve essere nella
pratica modificata. Anzi la mescolanza del bene e del male è cosi
ingenita nella natura umana, che un po' di metallo fino deve esi-
stere anche nella lega di cui sono impastate le associazioni di
malfattori e le sette misteriose ed assassine, ed un po' di metallo
basso deve entrare anche in quel complesso di sentimenti, che
inspira le comunità degli asceti, che fanno completo sacrificio di
se stessi, ed i gruppi degli eroi. La soverchia scarsezza dei due
elementi ha sempre però lo stesso risultato di impedire la larga
diffusione della dottrina o della disciplina speciale, che un dato
instituto impone ai suoi membri.
Infatti è accaduto ed accade che si formi una setta brigantesca,
che predichi il furto, l'omicidio e la distruzione; ma, anche in
questo caso, noi vediamo che la perpetrazione di questi fatti è
colorita con qualche speciosa dottrina politica o religiosa, che
serve ad attirare nel sodalizio qualche illuso non del tutto spre-
gevole, il quale col suo briciolo di rispettabilità rende più tolle-
rabile agli altri la loro turpitudine e introduce nel sodalizio quel
tanto di senso morale, che è indispensabile perchè le bricconate
riescano (1). Esempio di società di questo genere abbiamo negli
(1) È una frase che abbiamo inteso attribuire al principe di Bismarek questa:
che bisogna un po' d'onestà perchè le bricconate riescano. Infatti certe po-
tenti associazioni di malfattori, ad esempio, la mafia siciliana, hanno certe
regole ed un certo sentimento d'onore, che fa sì che i loro affiliati manten-
gano alle volte la loro parola anche agli estranei ai loro sodalizi e non si
GAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 183
Assassini, che nel Medio Evo funestarono la Siria e Tlrak- Arabi,
nei Thugs o strangolatori dell'India, negli anarchici militanti
d'Europa e d'America e forse anche in qualche società secreta
della China (1).
Vediamo pure d'altra parte, che associazioni di uomini si sono
costituite nelle quali si è stabilito di rinunciare ad ogni vanità e
ad ogni godimento di questo mondo e si è accettato il sacrificio
completo della propria personalità in prò del sodalizio o della
umanità intera. I conventi dei bonzi e gli ordini religiosi del cat-
tolicesimo sono esempi abbastanza noti di istituti di questa specie.
E nondimeno, sebbene essi siano in generale reclutati fra gl'indi-
vidui i quali, o per circostanze speciali della vita o per naturale
vocazione al sacrifìcio ed alla rassegnazione, sono più adatti al
loro speciale ufficio, i^ure non si può dire che siano del tutto
esenti dalle loassioni mondane; giacché il desiderio di riscuotere
l'ammirazione dei devoti, la voglia che hanno molti individui di
primeggiare nell'ordine e quella, forse ancora più forte, che l'or-
dine primeggi sopra i sodalizi rivali, sono molle potentissime, che
contribuiscono alla durata di simili associazioni ed alla loro pro-
sperità.
Ma nell'uno e nell'altro caso, oltre che un briciolo di bene si è
trovato sempre mescolato al male e che un briciolo di male ha
tradiscano facilmente tra di loro. A questa limitazione della furfanteria si
deve principalmente la straordinaria vitalità di parecchie associazioni di fur-
fanti. Il Macaulay osserva che i complotti per assassinii non riescono quasi
mai nell'Inghilterra propriamente detta, perchè gli assassini inglesi non hanno
quel briciolo di senso morale, che è necessario per potersi fidare gli uni degli
altri. Non sappiamo se il fatto sia rigorosamente vero, ma la conseguenza che
ne trae lo scrittore inglese è certamente esatta.
(1) Gli Assassini furono una degenerazione degli Ismaeliti, setta molto dif-
fusa verso il mille nel mondo maomettano e i-elatìvamente innocua, la cui
dottrina e disciplina avea molti punti di contatto coll'odierna massoneria dei
paesi latini. Vedi Clavkl, Storia della massoneria e di altre società secrete;
Amaui, Storia dei Musulmani in Sicilia, voi. II, pag. 119 e seguenti ed Hammer
PuRGsTALL, Origine, potenza e caduta degli Assassini. Dei Thugs se ne è parlato
in quasi tutte le opere che trattavano dell'India di mezzo secolo fa. Come
pure quasi tutti i viaggiatori, che scrissero sulla China, parlano delle società
secrete, alcune delle quali, diffusissime, hanno od affettano scopi puramente
politici.
184 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
sempre intossicato il bene, siamo di fronte costantemente a soda-
lizi non troppo grandi, e che sopratutto non hanno mai compreso
tutti i membri di una f^rande società umana. Malgrado tutte le
speciose giustificazioni del delitto, che si sono escogitate, le sette
assassine e ladre non sono state finora che delle vere malattie so-
ciali, che sono riuscite per qualche tempo a terrorizzare ed anche
ad influenzare vaste contrade, ma non hanno mai convertito un
gran popolo ai loro principii. Anche il convento è stato sempre
un'eccezione e, dove la vita monacale si è estesa ed è diventata
un mestiere abituale di una parte notevole della popolazione, essa
ha rapidamente tralignato. Le Chiese ebionite, che nei primi tempi
del Cristianesimo esigevano che ogni fedele mettesse in comune
i propri guadagni e volevano estendere il tipo monacale all'intera
società cristiana, vissero sempre vita stentata e presto dovettero
scomparire. Giacché se tesori di abnegazione si possono ottenere
da un piccolo numero d'individui scelti ed educati con acconcia
disciplina, lo stesso non è possibile quando si abbia da fare con
un'intiera massa umana, nella quale necessariamente il bene è me-
scolato al male ed i bisogni e le passioni di ogni genere si fanno
sentire. E perciò che qualunque esperimento di palingenesi sociale
per provare qualche cosa dovrebbe essere applicato ad un popolo
intero ; dato che se ne trovi uno che si presti ad un simile studio.
VII. — E per queste ragioni che una religione la cui morale
è troppo elevata produce tutto al più quei buoni risultati, certo
non disprezzabili, che spesso si ottengono quando gli uomini si
sforzano di raggiungere un ideale di bene, che è al di sopra delle
loro forze l'attuare, ma nella pratica deve finire sempre coll'es-
sere poco scrupolosamente osservata. L'urto continuo fra la cre-
denza religiosa e le necessità umane, fra ciò che si riconosce santo
e conforme alla legge divina e ciò che si fa, costituisce la eterna
contradizione, la inevitabile ipocrisia della vita di molti popoli e
non soltanto dei poi3oli cristiani. Poco prima che il Cristianesimo
diventasse, mercè Costantino, la religione ufficiale deirimpero ro-
m,ano, il buon Lattanzio esclamava : " Se il vero Dio soltanto fosse
onorato (cioè se tutti si fossero convertiti al Cristianesimo), non
vi sarebbero più dissensioni né guerre. Gli uomini sarebbero tutti
uniti con i legami di una carità indissolubile, perchè essi si ri-
guarderebbero tutti come fratelli. Nessuno macchinerebbe più
CAP. VII - CHIESE, PABTITI E SETTE 185
agguati per disfarsi del suo vicino, ciascuno si contenterebbe di
poco e non vi sarebbero più frodi e latrocinii. Come diventerebbe
fortunata la condizione degli uomini, che età dell'oro comincie-
rebbe per il mondo! „ (1). Doveva essere questa infatti l'opinione
di un cristiano, convinto che ogni credente dovesse porre intera-
mente in pratica i precetti e lo spirito della sua religione e che
reputava possibile che questi fossero osservati da un'intiera so-
cietà, come lo erano da quelle anime elette che, col sacrifìcio della
loro vita, non rinnegavano la fede davanti le persecuzioni di
Diocleziano. Se Lattanzio fosse vissuto solo cinquant'anni più
tardi, forse si sarebbe accorto come nessuna religione basti ad
elevare sensibilmente e rapidamente il livello morale di tutto un
popolo; se fosse rinato nel Medio Evo avrebbe potuto accertarsi
come, adattandosi sempre più alle mutevoli condizioni storiche ed
alle esigenze perenni dell'animo umano, la stessa religione, che
aveva dato il martire e che dava il missionario, era buona a pro-
durre pure il crociato e l'inquisitore.
I Maomettani, in generale, osservano il Corano assai più scru-
polosamente di come i Cristiani obbediscono al Vangelo. Ma ciò
non proviene soltanto dalla loro fede più cieca, che è un effetto
della loro maggiore ignoranza scientifica, ma anche dal fatto che
le prescrizioni di Maometto sono moralmente meno elevate, e
quindi umanamente più realizzabili di quelle di Cristo. Coloro che
praticano l'Islam si astengono, in generale, molto severamente dal
vino e dalla carne di maiale, ma un individuo, che non ne abbia
mai gustato, non risente un disagio apprezzabile se è privo di
questi alimenti (2). L'adulterio è anche fra i seguaci dell'Islam
(1) Vedi Gaston Boissier. Étiides (VìUstoirc reìigieuse. " Revues des Deux
Mondes „ del 15 gennaio 1890.
(2) Pare, del resto, che quando i Musulmani hanno abitato insieme ai Cri-
stiani paesi largamente produttori di vino, siano stati meno scrupolosi osser-
vatori dei precetti del Profeta riguardanti la proibizione delle bevande ine-
brianti. La storia dei Saraceni di Sicilia rammenta parecchi casi di Maomettani
ubbriachi. Ad esempio Ebn-El Theman (Ibn-Thimna, secondo l'Amari), emiro
di Catania, era in uno stato di completa ubriachezza quando ordinò che si
aprissero le vene a sua moglie, sorella dell'Emiro di Palermo. Ci fu perfino
un poeta arabo, Ibn-Hamdis, che cantò le lodi del buon vino di Siracusa del
colore dell'ambra e dell'odore del muschio. — Vedi Amari, Storia dei Musul-
mani in Sicilia, voi. li, pag. 531.
186 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
assai più raro che fra i Cristiani, ma il divorzio è fra i primi
molto pili facile e Maometto permette di prendere diverse mogli,
nò proibisco di praticare le schiave. E raccomandato assai ai cre-
denti nell'Islam di fare l'elemosina ai compagni di fede e di es-
sere con essi larghi di ogni sorta di aiuti, ma è anche loro in-
culcato di far la guerra agli infedeli, ed è anzi riputata opera
meritoria lo sterminarli in guerra ed il sottoporli a tributo in
pace. In fondo nel Corano si trovano perciò prescrizioni per tutti
i gusti e, restando fedeli alla sua lettera ed al suo spirito, si può
andare in paradiso per parecchie strade maestre. Non è da dimen-
ticare che qualche credenza islamitica, la quale urta uno degli
istinti più forti e radicati nella natura umana, è quella appunto
che meno facilmente riesce ad influenzare la condotta dei Mu-
sulmani. Maometto infatti promette il paradiso a tutti coloro che
soccombono nella guerra santa. Ora se ogni credente conformasse
la sua condotta a quanto assicura il Corano, ogni volta che un
esercito maomettano si trova di fronte ai miscredenti dovrebbe
vincere o perire fino all'ultimo uomo. Non si può negare che un
certo numero di individui si comporti conforme al detto del Pro-
feta, ma la maggioranza preferisce per ordinario la sconfitta alla
morte, benché accompagnata dall'eterna beatitudine.
I Buddisti sono, in generale, osservantissimi dei precetti este-
riori della loro religione, però nel metterne in pratica lo spirito
e le j)rescrizioni sanno, come i Cristiani, togliersi di imbarazzo
facendo col cielo opportuni accomodamenti. Penultimo re di Bir-
mania fu il saggio ed accorto Meudoume-Men : oltre a governare
bene i suoi sudditi, egli era molto appassionato per le discussioni
religiose e filosofiche, né mancava mai di far venire alla sua pre-
senza tutti gli Inglesi e gli altri Europei di distinzione, che pas-
savano per Mandala}^ capitale dei suoi Stati. Discorrendo con co-
storo si sforzava sempre di sostenere la superiorità della morale
buddista su quella delle altre religioni, e non mancava mai di
richiamare l'attenzione dei suoi interlocutori sul fatto che la con
dotta dei Cristiani non rispondeva ordinariamente ai precetti della
loro religione; e certamente non dovea stentare molto a dimo-
strare che la maniera come gl'Inglesi avevano tolto al suo pre-
decessore una parte dei suoi Stati non era in nulla conforme al
Vangelo. Egli dal canto suo, essendo stato educato in un mona-
stero di bonzi, era rigido osservatore delle prescrizioni buddi-
GAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 187
stiche ; alla sua corte non era affatto permesso di macellare alcun
animale, e gli Europei che lungamente vi soggiornavano, ai quali
la dieta esclusivamente vegetale riusciva ostica, erano costretti a
cercarvi di nascosto un supplemento nei bosclii, dove andavano
in traccia d'uova d'uccelli. Non avrebbe poi dato giammai, e per
nessuna ragione al mondo, l'ordine di una esecuzione capitale.
Infatti, quando la presenza di qualcuno lo incomodava troppo,
l'arguto monarca si limitava a domandare replicatamente al suo
primo ministro: il tale è ancora in questo mondo? E, quando il
primo ministro rispondeva finalmente di no, Meudoume-Men sor-
rideva placidamente. Egli non aveva offeso i precetti della sua
religione, ma non per questo aveva ottenuto meno il suo scopo,
cioè, che un'anima umana avesse anticipato il cominciamento di
quella serie di trasmigrazioni, che la devono condurre alla fu-
sione nell'anima universale preconizzata dalle credenze buddi-
stiche (1).
Una dottrina essenzialmente virile che ben poco, anzi quasi
nulla, concedeva alle passioni, alle debolezze ed anche ai senti-
menti umani fu quella stoica (2). Ma appunto per questo lo stoi-
cismo limitò la sua influenza ad una frazione della classe colta,
e le masse restarono completamente estranee alla sua propaganda.
La scuola stoica potè quindi in una data epoca contribuire alla
formazione del carattere di una parte della classe dirigente del-
l'impero romano e ad essa senza dubbio si deve una serie di buoni
imperatori; ma dal momento che i suoi adepti non sedettero più
sui gradini di un trono restò completamente inefficace. Impotente
5, trasformarsi, perchè la parte intellettuale e strettamente filoso-
fica aveva in essa quasi totalmente assorbito quella dommatica ed
affettiva, non potè contendere l'impero del mondo romano al Cri-
stianesimo, come non sarebbe riuscita a contenderlo al Mosaismo,
all'Islam ed al Buddismo.
Certo non si può affermare che sia indifferente per un popolo
l'abbracciare una qualsiasi religione o dottrina politica. Anzi dif-
ficilmente si potrà sostenere che gli effetti pratici del Cristiane-
(1) Vedi EuMOND Plauchut, Un roijaume disparu. " Revue des Deux Mondes „,
1» luglio 1889.
(2) Tranne per quel che riguardu la posa e la vanità, comuni anche fra gli
stoici.
188 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
simo siano uguali a quelli del Maomettismo o della democrazia
sociale. E quindi indiscutibile che una credenza alla lunga può
determinare una certa piega noi sentimenti umani le cui conse-
guenze possono essere grandissime. Ma ciò che ci pare ugualmente
indiscutibile è che nessuna credenza riuscirà a render Tuomo so-
stanzialmente diverso da quello che è; e, per parlare un linguaggio
compreso da chiunque, oltre che dagli adepti delle scienze sociali,
nessuna lo renderà del tutto buono o del tutto cattivo, completa-
mente altruista od assolutamente egoista. Un adattamento a quella
mediocrità morale ed affettiva, che risponde alla media dell'uma-
nità, è in tutte indispensabile. Coloro che questa verità non vo-
gliono riconoscere ci pare che agevolino il compito a quegli altri
che, dalla inefficacia relativa dei sentimenti religiosi e delle dot-
trine politiche, traggono argomento per proclamarne l'inefficacia
assoluta (1).
Vm. — Resta a parlare dell'organizzazione del nucleo dii'i-
gente e dei mezzi che esso usa per convertire le masse, o mante-
nerle fedeli ad una data credenza o dottrina. Come il lettore ram-
menterà, è questo il terzo dei fattori dai quali dipende la riuscita
e la durata di qualunque sistema religioso o politico.
Come abbiamo già visto, la prima formazione del nucleo diri-
gente di una nuova dottrina politica o religiosa avviene per coap-
tazione spontanea; in seguito la sua organizzazione è basata
principalmente su quel fenomeno dello spirito umano, al quale
abbiamo pure accennato, che chiameremo mimetismo e consiste
nella tendenza che hanno le passioni, i sentimenti e le credenze
di un individuo a svilupparsi secondo la corrente, che prevale
nell'ambiente in cui egli moralmente si forma e viene educato. E
(1) A questo proposito ci viene in mente un giudizio, che abbiamo spesso
sentito esprimere. Siccome i briganti del mezzogiorno d'Italia erano ordina-
riamente carichi di scapolari ed immagini di santi e di Madonne e nello
stesso tempo erano spesso rei di parecchi omicidi ed altri misfatti, si è da
questo fatto tratta la conclusione che in essi le credenze religiose non avessero
alcuna utilità pratica. Or, per giudicare così, bisognerebbe prima provare che,
senza gli scapolari e le Madonne, i briganti non avrebbero commesso qualche
altro omicidio o qualche altro atto di ferocia. Una sola vita umana, un solo
dolore, una sola lacrima, che quelle immagini avessero fatto risparmiare, ci
sembrano sufficienti per ammettere che esse riescono di qualche utilità.
GAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 189
un fatto perfettamente naturale che, in un xDopolo arrivato ad un
certo grado di cultura, un certo numero di giovani abbia la fa-
coltà di entusiasmarsi per ciò che crede vero e morale, per quelle
idee, in apparenza almeno, generose ed elevate, che riguardano il
destino della nazione e dell'umanità. Questi sentimenti e lo spi-
rito di abnegazione e di sacrifìcio, che ne è la conseguenza, pos-
sono restare allo stato puramente potenziale ed atrofizzarsi od
avere uno splendido sviluppo a seconda che siano o no coltivati ;
e possono dare frutti diversissimi secondo la maniera diversa come
sono coltivati.
Nel figlio di un mercante a minuto, che non ha altro contatto
che cogli avventori ed i commessi della bottega paterna, è pro-
babile che non abbiano mai occasione di affermarsi o manife-
starsi; a meno che non si tratti di uno di quegli individui supe-
riori e rarissimi, che riescono a formarsi da se ; mentre un giovane
allevato fin dai primi anni religiosamente ed educato in seguito
in un seminario cattolico potrà diventare un missionario, che tutta
la sua vita consacrerà al trionfo della fede. Un altro, nato in una
famiglia blasonata, educato in un collegio militare, e che poi entrerà
come sottotenente in un reggimento, dove troverà compagni e
superiori imbevuti delle stesse convinzioni, crederà suo dovere
primo ed esclusivo d'obbedire per tutta la vita agli ordini del So-
vrano ed all'occorrenza farsi ammazzare per lui. Un altro infine,
venuto su fra antichi congiuratori e rivoluzionari, che da bambino
avrà provato entusiasmi e fremiti al racconto di persecuzioni po-
litiche e di episodi delle barricate, la cui cultura intellettuale si
sarà formata sugli scritti di Rousseau, di Mazzini o di Marx,
crederà santo il lottare sempre contro l'oppressione dei Governi
costituiti e per la rivoluzione affronterà il carcere ed il patibolo.
Tutto ciò accade perchè, una volta formato l'ambiente catto-
lico-ecclesiastico, il burocratico-militare, il rivoluzionario, un indi-
viduo, un giovane s^jecialmente, che non sia assolutamente d'in-
telletto superiore o di animo del tutto volgare, presto entro
quell'ambiente darà alle sue facoltà affettive quella direzione che
da esso gli viene indicata ; sicché, a seconda dei casi, si sviluppe-
ranno nell'alunno certi sentimenti anziché altri, lo spirito di ri-
bellione e di lotta, ad esempio, a preferenza di quello di obbe-
dienza passiva e di sacrificio. L'educazione (i Francesi direbbero
il dressage) riesce, l'abbiamo già accennato, sui giovani a prefe-
190 BLEMBNTI DI SCIENZA POLITICA
renza che sugli adulti, sui caratteri entusiasti e passionati, anziché
su quelli freddi, ponderati e calcolatori, sui docili anziché sui ri-
belli; tranne nel caso che la dottrina si trovi in un periodo, o sia
per la sua essenza tale, che riesca utile di coltivare e sviluppare
l'istinto della ribellione.
Una condizione sopra tutte è opportuna e quasi indispensabile
perchè si raggiunga lo scopo, che abbiamo accennato, deirassimi-
lazione cioè degli individui all'ambiente: che quest'ambiente sia
chiuso a tutte le influenze esteriori, che nessun sentimento e so-
pratutto nessuna idea al di fuori di quelle che portano la marca
della fabbrica vi penetri. Nel seminario non deve entrare nessun
libro posto all'indice, la filosofia si deve riassumere in S. Tom-
maso d'Aquino, la cultura deve esservi essenzialmente teologica
e patristica, i racconti che desteranno l'interesse e serviranno di
pascolo alla curiosità dei giovani saranno tolti dalla storia dei
martiri e confessori. Nel collegio militare si narreranno le gesta
dei grandi capitani, le glorie del proprio esercito e della propria
dinastia, l'educazione e l'istruzione saranno quelle strettamente
necessarie per far conoscere il mestiere delle armi ed apprezzare
altamente l'onore di essere ufficiale, gentiluomo e servire fedel-
mente il Re e la patria. Nella conventicola rivoluzionaria non si
parlerà che delle vittorie e delle glorie del popolo impeccabile,
delle nefandezze dei tiranni e dei loro satelliti, della cupidità e
viltà dei borghesi e sarà proscritto qualunque libro che non sia
redatto secondo lo spirito e le vedute dei maestri. Ogni barlume
di equanimità, ogni raggio che porti la luce di altri mondi mo-
rali ed intellettuali, il quale penetri in uno di questi ambienti
chiusi, vi produce dubbi, titubanze, diserzioni. La storia vera, sin-
cera, obiettiva dei fatti, quella che insegna a conoscere ed a
valutare gli uomini indipendentemente dalla loro casta, religione
o partito politico, che solo tien conto delle loro debolezze e delle
loro virtù, che educa e forma il senso dell'osservazione e del reale,
deve esservi assolutamente interdetta.
In fondo non si tratta dunque che di un vero squilibrio dello
spirito, che ogni ambiente procaccia alla recluta che entro il suo
seno viene attirata, alla quale si offre della vita un'immagine
parziale, accuratamente riveduta, circoscritta e corretta, che il
neofita x)rende per quella intiera e reale. Si esagerano certi sen-
timenti, si comprimono certi altri, si dà del giusto, dell'onesto,
CAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 191
del dovere una idea, se non fondamentalmente errata, certo del
tutto incompleta (1). Però bisogna anche riconoscere che le per-
sone perfettamente equilibrate, che conoscono ed apprezzano tutti
i doveri e ad ognuno di essi annettono la giusta importa>nza, è
diffìcile assai che consacrino tutta la loro vita e la loro energia
ad uno scopo particolare e determinato. E la forza di una esage-
razione e, se cosi si vuole, di una illusione collettiva quella che
produce i grandi fatti storici e fa muovere il mondo. Se un Cri-
stiano ammettesse che anche senza battesimo si può essere ugual-
mente onesto e che fosse possibile salvarsi l'anima rinnegando la
propria fede, si sarebbe spento l'ardore dei missionari e dei mar-
tiri ed il Cristianesimo non sarebbe divenuto uno dei grandi fat-
tori della storia umana. Se molti tra i fautori di una rivoluzione
fossero ben persuasi che l'indomani della vittoria lo stato della
società non potrebbe essere gran fatto migliorato, e se dubitas-
sero che vi è anche il rischio di peggiorarlo, sarebbe difficilissimo
trascinarli sulle barricate. Le nazioni infatti in cui lo spirito cri-
tico abbonda e che sono (in fondo giustamente) scettiche sugli
effetti pratici che possono avere dottrine nuove, non si fanno mai
iniziatrici di grandi movimenti sociali e finiscono coll'essere tra-
scinate a rimorchio dalle altre più facilmente entusiasmabili ; ed,
(1) È questa identificazione completa del concetto del giusto e dell'onesto
con una dottrina qualsiasi religiosa o politica, anche moralmente elevata, ciò
che negli animi retti ma violenti produce i grandi fanatismi e qualche volta
i reati politici.
Per far vedere fino a che punto il fanatismo arrivi rapidamente a spegnere
ogni sentimento gentile in un popolo cavalleresco, racconteremo un ultimo aned-
doto relativo a Maometto. Ancora vivente il profeta, nella battaglia che si
combattè ad Onein fra i suoi seguaci e gli avversari, fra le file di costoro
era Doreid-Ben-Sana, il Baiardo di quell'epoca e di quel popolo, che, ormai
novantenne, si era fatto condurre vicino alla mischia in lettiga. Un giovine
islamita Rebiaa-ben-Rafii arrivò fino a lui, e gli misurò un fendente, ma l'arma
andò in frantumi. " Che cattiva spada ti ha dato tuo padre, giovanotto, disse
il vecchio eroe ; prendi la mia ben temprata scimitarra e va a dire a tua
madre che hai ucciso Dorcid con quella stessa arma con cui egli tante volte
difese la libertà ed il buon diritto degli Arabi e l'onore delle loro donne „.
Rebiaa prese la scimitarra di Doreid, lo massacrò e spinse l'incoscienza fino
a portare l'ambasciata a sua madre, che, forse meno fanatica della nuova re-
ligione perchè più avanzata in età, pare che l'abbia accolto col meritato di-
sprezzo. Vedi Hammer Purgstall, Il Profeta Maometto.
192 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
a guardar bene, lo stesso accade fra gl'individui di uno stesso
popolo, entro il quale i più riflessivi finiscono spessissimo coU'esser
trascinati dai più impulsivi. Dappoiché non sempre accade che i
pazzi siano trattenuti dai savi, spesso anzi i primi costringono
gli altri a tener loro compagnia.
IX. — Ma una volta passato il periodo eroico di ogni istitu-
zione, quello della prima propaganda, allora la riflessione e gl'in-
teressi presto reclamano i loro diritti. L'entusiasmo, lo spirito di
sacrificio, la unilateralità di vedute, bastano a fondare religioni e
partiti politici, ma non sono sufficienti a diffonderli molto ed a
durevolmente conservarli. Allora il reclutamento del nucleo diri-
gente si modifica o meglio si completa ; poiché accade sempre che
fra gl'individui che lo compongono si entri per considerazioni pu-
ramente idealiste, ma l'età nella quale l'idealismo è tutto passa
presto nella gran maggioranza degli individui umani, e bisogna
trovare anche qualche cosa che soddisfi l'ambizione, la vanità, la
sete di godimenti materiali. In una parola, insieme ad un centro
d'idee e di sentimenti, bisogna creare un centro d'interessi.
E qui riappare e ritroviamo di nuovo la teoria della lega del
metallo puro col metallo vile, che abbiamo precedentemente enun-
ciata. In un nucleo dirigente veramente bene organizzato tutti i
caratteri devono trovare il loro posto: chi vuol sacrificarsi agli
altri e chi vuole sfruttare il prossimo a favor suo, chi vuol sem-
brare potente e chi vuole esserlo effettivamente senza curarsi
delle apparenze, chi ama soffrire le privazioni e chi vuol godere
i piaceri della vita. Tutti questi elementi fusi e disciplinati sotto
un regime forte ed autoritario, entro il quale ogni individuo sa
che, finché resterà fedele allo scopo ed all'indirizzo dell'istituzione,
le sue tendenze saranno appagate, e, se ad essa si ribella, potrà
essere moralmente ed anche materialmente distrutto, formano
quegli organismi sociali, che sfidano le più svariate vicende sto-
riche e durano per decine di secoli.
E la mente ricorre spontanea alla Chiesa cattolica, che di
tutti questi organismi é stato ed é il più saldo ed il più tipico,
e non si può non restare ammirati di fronte alla complessità ed
alla sapienza del suo ordinamento. Il seminarista, il novizio, la
sorella di carità, il missionario, il predicatore, il frate mendicante,
l'opulento abate ed il convento aristocratico, il curato di cam-
GAP. VII - CHIESE, PAKTITI E SETTE 193
pagna, il ricco arcivescovo, qualche volta anche principe sovrano,
il cardinale che prende il passo sui primi ministri, il PaiDa, fino
a qualche secolo fa uno dei più potenti sovrani temporali, tutti in
essa hanno il loro posto e la loro ragione d'essere. Il Macaulay ha
fatto rilevare un grande vantaggio, che ha il Cattolicesimo sul
Protestantesimo e che sarebbe il seguente: quando in seno al
secondo nasce uno spirito entusiasta e squilibravo finisce sempre
col trovare una nuova spiegazione della Bibbia e col fondare
quindi un'altra delle tante sette in cui si divide la Riforma ;
mentre lo stesso individuo dal Cattolicesimo sarebbe stato perfet-
tamente utilizzato e sarebbe divenuto un elemento di forza anziché
di disgregazione. Avrebbe infatti vestito un saio di frate, sarebbe
divenuto un famoso predicatore e, nel caso che fosse stato un
carattere veramente originale, un cuore davvero caldo, e che i
tempi avessero aiutato, se ne sarebbe potuto fare anche un San
Francesco d'Assisi od un Sant'Ignazio di Loyola. Ora questo
esempio, pur cosi calzante, ci svela solo uno dei tanti modi con
cui la gerarchia cattolica sa mettere a profìtto tutte le attitudini
umane.
Si dice che il celibato degli ecclesiastici sia contro natura, e
veramente per un certo numero di uomini è sacrifìcio grandissimo
il restar privi di una famiglia legale ; ma d'altra parte bisogna
riflettere che a questo prezzo soltanto si può avere una milizia
scevra di affetti privati ed isolata dal resto della società; e per
i caratteri che ad esso sono proclivi, il celibato stesso non esclude
certe soddisfazioni materiali. Credono anche molti che la Chiesa
sia tralignata e che abbia perduto forza ed influenza perchè si è
allontanata dalle sue origini e non è stata più unicamente l'an-
cella dei poveri. Ma anche questo è un modo di vedere superfìciale
e quindi erroneo.
Forse alla fìne del secolo decimonono o al principiare del
ventesimo, quando tutti parlano e s'interessano, o mostrano d'in-
teressarsi, delle classi diseredate, j)uò convenire anche al Sommo
Pontefice di rammentarsi un poco di più che Egli è il servo dei
servi di Dio. Ma, tolte certe epoche transitorie, la Chiesa catto-
lica non sarebbe divenuta quella che è stata, né sarebbe durata
tanto tempo in auge, se si fosse conservata sempre una istituzione
a puro beneficio dei miseri e popolare soltanto fra gli straccioni.
Essa al contrario accortamente ha trovato il modo di farsi apprez-
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 13
194 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
zare tanto dal povero che dal ricco: al primo ha offerto elemo-
sine e consolazioni, il secondo ha conquistato colla magnificenza
e collo soddisfazioni, che ha saputo procacciare alhi sua vanità ed
al suo amor pro])rio. E tanto (juest'indirizzo è stato bene scelto,
che tutti i nemici della Chiesa, mentre da una parte le hanno
rimproverato il suo lusso e la sua mondanità, d'altra parte, se
sono stati accorti, hanno avuto sempre cura di toglierle, per
quanto è stato possibile, influenza e ricchezze; ed un'altra isti-
tuzione, che ora in parecchi paesi a combatter la Chiesa cattolica
si è tutta consacrata, dal canto suo non manca di procacciare,
per quanto può, soddisfazioni personali e vantaggi materiali ai
suoi aderenti.
X. — Organizzato il nucleo dirigente, i sistemi da esso ado-
perati per conquistare le masse e mantenerle fedeli alla dottrina
possono essere vari. Quando non s'incontrano forti ostacoli este-
riori o nella natura stessa di un sistema politico o religioso, pos-
sono dare buoni risultati tanto i metodi di propaganda fondati
sulla persuasione e l'educazione graduale delle tui'be, quanto gli
altri che ricorrono alla violenza. La violenza è anzi forse il modo
più spiccio di far prevalere convinzioni ed idee, ma naturalmente
per usarla è ovvio che bisogna essere i più forti.
Nel secolo decimonono si è molto diffusa la persuasione che
la forza e la persecuzione non valgano a combattere le dottrine
fondate sulla verità, alle quali è riserbato l'avvenire, e che sono
del pari inutili contro quelle sbagliate, delle quali la ragione
popolare fa giustizia da sé. Or, ci si conceda di esser sinceri, è
difficile trovare un concetto più erroneo, perchè fondato sopra
una maggiore superficialità di osservazioni e sopra una maggiore
inesperienza dei fatti storici, di questo che abbiamo ora esposto:
esso ci pare uno di quelli che faranno più ridere i posteri alle no-
stre spalle. Che un simile modo di vedere sia predicato da tutti
i partiti e da tutte le sette, che non hanno ancora nelle mani il
potere, lo si comprende benissimo ; perchè l'istinto del proprio
interesse le deve indurre a professare questa opinione; ma la
stoltezza incomincia quando essa è accettata dagli altri. Quid
est veritas? diceva Pilato, e noi cominciamo col domandare che
cosa sia una dottrina vera e una dottrina falsa? Scientifica-
mente parlando, tutte le dottrine religiose, anche quelle più dif-
GAP. VII - CHIESE, PARTITI E SETTE 195
fuse, sono false, e certo non si sosterrà che il Maomettismo, ad
esempio, che ha conquistato tanta parte del mondo, sia fondato
sulla verità scientifica. E quindi molto più esatto il dire che vi sono
dottrine le quali soddisfano i sentimenti più sparsi e radicati nei
cuori umani e che quindi hanno una gran forza di diffusione, e
dottrine le quali posseggono in minor grado la qualità accennata,
e che quindi, benché dal lato intellettuale possano essere ])m ac-
cettabili, si diffonderanno meno. E, se si vuole, si possono anche
distinguere le dottrine la cui diffusione è giovevole agli interessi
della civiltà e della giustizia e produce una maggior somma di
pace, di moralità, di benessere, dalle dottrine colle quali si può
ottenere un effetto contrario ; le quali pur troppo non sono quelle
che sempre presentano meno i caratteri della diffusibilità. Noi, ad
esempio, crediamo che la democrazia sociale minacci l'avvenire
della civiltà moderna, eppure bisogna riconoscere che essa si fonda
sul sentimento della giustizia, sulla invidia e sulla sete dei godi-
menti; qualità cosi diffuse negli uomini, specialmente in quelli
presenti, che sarebbe errore grandissimo negare alle dottrine so-
cialiste una gran forza di propaganda.
Si rammenta sempre l'esempio del Cristianesimo che trionfò
malgrado le persecuzioni, e del liberalismo moderno che vinse i
tiranni che lo comprimevano. Ciò dimostra soltanto che una per-
secuzione condotta male non può bastare a tutto, e che vi sono
forse dei casi in cui la forza stessa non basta ad arrestare una
corrente d' idee ; ma l'eccezione non può servire di fondamento
ad un principio generale. La verità è che quasi sempre se le
persecuzioni mal fatte, tardivamente intraprese, condotte con
mollezza ed oscitanza, possono anche giovare al trionfo di una
dottrina, la persecuzione spietata, energica, che colpisce la dot-
trina avversaria appena essa si manifesta, è il modo più adatto
per combatterla.
Il Cristianesimo non sempre nell'impero romano fu perse-
guitato energicamente, ebbe lunghi periodi di tolleranza, e le per-
secuzioni stesse furono di frequente parziali, limitate cioè in
qualche provincia ; infine non trionfò definitivamente se non quando
un imperatore, che aveva in mano la forza costituita, cominciò a
favorirlo. Similmente la propaganda liberale non solo non fu
ostacolata, ma fu quasi aiutata dai governi dalla metà del secolo
decimottavo fino alla Rivoluzione francese. Combattuta in seguito
196 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
con intermittenza e non mai contemporaneamente in tutto il mondo
europeo, trionfò quando i Governi stessi si convertirono o furono
colla forza, interna od esterna, abbattuti.
Di fronte a questi due esempi dubbi quanti altri ve no sono
decisamente contrari. Lo stesso Cristianesimo nei suoi inizi dif-
ficilmente si diffuse fuori dei confini dell'impero romano; in
Persia, ad es., non fu accolto, non solo perchè trovò ostacolo nella
religione nazionale, ma anche perchè vi fu energicamente persegui-
tato. Colla spada e col fuoco Carlo Magno, durante lo spazio di
una generazione, lo impiantò fra i Sassoni. L'evangelizzazione
dell' imjDero romano avea richiesto secoli; pochi anni bastarono a
quella di molti paesi barbari, perchè una volta convertiti i Re
ed i grandi, il popolo in massa chinava la cervice al battesimo.
In questo modo molto spiccio la croce fu impiantata nei diversi
regni anglo-sassoni, in Polonia, in Russia, nei paesi scandinavi
ed in Lituania. Nel secolo decimosettimo la religione cristiana fu
quasi spenta nel Giappone mediante una persecuzione spietata e
quindi efficace. Colla persecuzione il Buddismo fu sradicato dal-
l'India sua patria, il Mazdeismo dalla Persia dei Sassanidi ed il
Babismo dalla Persia moderna, la nuova religione del Taeping
dalla China. Mercè la persecuzione sparirono gli Albigesi dalla
Francia meridionale ed il Maomettismo ed il Mosaismo furono
sbarbicati dalla Spagna e dalla Sicilia. La Riforma religiosa in
fondo non trionfò che in quei paesi in cui fu appoggiata dai
Governi ed in qualche caso da una rivoluzione vittoriosa. La
stessa rapida diffusione del Cristianesimo, che si attribuisce a
miracolo, è nulla di fronte a quella ben più rapida del Maomet-
tismo. Il primo in tre secoli si estese per tutto il territorio del-
l'impero romano; il secondo in soli ottanta anni allargò i suoi
confini da Samarcanda ai Pirenei. Ma il primo agiva unicamente
colla predicazione e la persuasione, il secondo impiegava a pre-
ferenza la scimitarra.
Del resto il fatto che tutti i partiti politici e tutte le credenze
religiose tendono ad esercitare un'influenza su chi comanda, e,
quando possono, a monopolizzare il comando, è la miglior prova
che essi, anche se non lo confessano apertamente, hanno l'intima
convinzione che il disporre di tutte le forze più efficaci di un or-
ganismo sociale, e specialmente di uno Stato burocratico, sia il
modo migliore per diffondere e sostenere le loro dottrine.
CAP. VII - CHIESE, PAKTITI E SETTE 197
XI. — Indipendentemente dall'uso della forza materiale,
sugli altri modi che usano le varie religioni ed i partiti politici
per attirare le turbe, per conservare sopra di esse il predominio
e sfruttarne la credulità, ci sono da fare osservazioni analoghe a
quelle che abbiamo già fatte, relativamente alla necessità che
hanno i fondatori di dottrine e le dottrine stesse di adattarsi ad
una certa mediocrità morale. I seguaci di ogni sistema politico o
religioso usano su questo riguardo rilevare accuratamente le
pecche degli avversari, avendo la pretensione di esserne mondi,
ma in fatti tutti sono, con molte gradazioni è vero, più o meno
intinti della stessa pece. In verità, come abbiamo già accennato,
si può essere perfettamente morali finché non si viene in contatto
cogli altri uomini e sopratutto finche non si ha la pretensione di
guidarli, ma quando si vuole dirigere la loro condotta, allora è
necessario far giuocare tutte le loro molle sensibili, sfruttare tutte
le loro debolezze, e chi volesse soltanto fare appello ai loro sen-
timenti generosi sarebbe assai facilmente vinto da altri meno
scrupoloso. Gli Stati non si governano coi paternostri^ diceva
Cosimo dei Medici (il padre della patria): ed invero è difficile
assai il condurre le moltitudini secondo certe vedute, quando non
si sa all'occorrenza lusingare le passioni, soddisfare fantasie ed
appetiti ed incutere paura (1).
A guardarci bene si vede che le arti usate per adescare le
turbe, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, hanno avuto ed hanno
una grande analogia, perchè è occorso sempre di mettere a pro-
fitto le stesse debolezze umane. Tutte le religioni, anche quelle
che rinnegano il soprannaturale, hanno il loro speciale stile de-
clamatorio, con cui si fanno le prediche, i discorsi od i sernioni;
(1) Non occorre di rammentare che l'uomo che volesse reggere uno Stato
soltanto colle bestemmie, basandosi cioè esclusivamente sugli interessi mate-
riali e sui sentimenti bassi, per quanto tristo, sarebbe altrettanto ingenuo di
chi lo volesse governare coi soli paternostri e, se Cosimo il vecchio fosse vivo,
non esiterebbe a biasimarlo.
Del resto coll'energia, l'abnegazione, l'attività, la pazienza e, ove occorre,
colla superiorità nelle conoscenze tecniche, può, chiunque comanda o dirige,
sentir meno il bisogno di sfruttare i sentimenti bassi e può far maggior fon-
damento sui sentimenti generosi e buoni dei suoi sottoposti. Ma chi comanda
è pure uomo, quindi non sempre possiede in grado eminente le qualità ac-
cennate.
198 ELBMENTI DI BOIBNZA POLITICA
tutte hanno per colpire la fantasia il loro lituale a le loro pompe
esteriori; If processioni alcune lo fanno coi ceri e salmodiando
litanie, altro dietro le bandiere rosso al suono della marsigliese o
cantando l'inno dei lavoratori.
Religioni e partiti politici mettono ugualmente a {profitto i
vanitosi e creano per loro gradi, uffici e distinzioni, ed ugual-
mente sfruttano i semplici e gli ingenui e gli avidi di sacrificio
o di notorietà per creare il martire, e, una volta ottenuto il mar-
tire, hanno cura di mantenerne vivo il culto, che serve tanto a
rafforzare la fede. Altra volta nei conventi si soleva scegliere il
più baccellone dei frati e lo si accreditava come santo, attribuen-
dogli anche miracoli, e ciò allo scopo di aumentare la celebrità
e quindi la ricchezza e l'influenza del sodalizio, le quali erano
sapute ben adoperare da coloro che aveano difetto la commedia.
Ai giorni nostri sette e partiti politici sono abilissimi nel creare
l'uomo superiore, l'eroe leggendario, il carattere che non si discute,
il quale servo anche esso a mantenere il lustro della congrega
e procaccia ricchezze e potere ai furbi che ne fanno parte. Quando
il conte zio rammentava al padre provinciale dei cappuccini le
marachelle che il padre Cristoforo avea commesse in gioventù: è
la gloria dell'abito, rispondeva di botto il padre provinciale, che
uno, che al secolo ha potuto far dire di se, con quest'abito indosso
diventa tutt'altro (1). Questa è senza dubbio risposta prettamente
fratesca, ma agiscono peggio dei frati partiti e sette politiche,
che, purché i loro adepti siano fedeli alla bandiera, ne coprono
e ne scusano le peggiori ribalderie. Per essi chiimque porta
l'abito indosso diventa di botto tutt'altro.
Quel complesso di dissimulazioni, artifici e furberie, che va
comunemente inteso col nome di gesuitismo, non è proprio sol-
tanto dei seguaci di Loyola ; forse questi ebbero l'onore di dargli
il nome perchè lo coordinarono, lo perfezionarono e quasi lo
costituirono a sistema; ma in fondo lo spirito gesuitico non è
che una esagerazione dello spirito settario portato alle ultime
conseguenze. Tutte le religioni e tutti i partiti, che, con più o
meno sincerità iniziale d'entusiasmo, si sono prefissi di condm-re
gli uomini secondo un dato scopo, hanno, con maggiore o minor
(1) Si allude ad un episodio del notissimo romanzo / Promessi sposi.
CAP. VII - CHIESE, PABTITI E SETTE 199
temperanza, usato modi analoghi a quelli dei Gresuiti e qualche
volta forse anche peggiori. Il principio che il fine giustifica i
mezzi si è adottato per il trionfo di tutte le cause e di tutti i
sistemi sociali e politici; per tutti i partiti, come in tutti i culti,
vige l'usanza di giudicare uomini grandi solo quelli che militano
nelle loro file, gli altri tutti essendo bricconi o cretini ; e, quando
peggio non si può fare, si mantiene un ostinato silenzio sui meriti
degli individui, che stanno fuori della chiesa o della chiesuola.
Tutti i settari praticano l'arte di mantenere formalmente e lette-
ralmente la parola data violandola nella sostanza; tutti conoscono
il modo di torcere la narrazione dei fatti a loro profitto; tutti
sanno trovare i caratteri semplici e timorati e conoscono le vie di
cattivarsene la fiducia ed averne aiuti e sussidi per Videa e per le
persone che la rappresentano e ne sono gli apostoli. Pur troppo
perciò anche se i Gesuiti sparissero il gesuitismo resterebbe ; e basta
guardarsi un poco attorno per essere convinti di questa verità (1).
XI. — E difficile assai che venga un giorno in cui le lotte
e le gare fra religioni e partiti diversi debbano finire; ciò sarebbe
(1) I modi meno scrupolosi sono più spesso usati nelle associazioni in lotta
colle autorità costituite e pivi o meno segrete. Si sa, ad es., che fra le istru-
zioni di Bakounine vi è questa: " Per giungere alla tenebrosa città di Pan-
distruzione il primo requisito è una serie di assassinii, di audaci ed anche
pazze imprese,- le quali mettano il terrore nel potente ed abbaglino il popolo,
fino a che essi credano nel trionfo della rivoluzione „ (In forma più cruda
queste massitae somigliano alquanto all' " agitatevi ed agitate ,, di un altro
grande rivoluzionario). Nello stesso opuscolo intitolato 1 Principii della Rivo-
luzione il Bakounine dice : " Col non ammettere altra attività che quella della
distruzione, noi dichiariamo che le forme con le quali quest'attività dovrebbe
manifestarsi possono essere svariatissime : veleno, pugnale, knout. La rivolu-
zione santifica tutto senza distinzione ,. Un altro russo che diventò di prin-
cipii molto diversi da quelli del Bakounine, il Dostojewsski, così in un suo
romanzo descrive i modi con cui gli astuti attirano gli ingenui nel seno delle
società rivoluzionarie: " Prima di tutto occorre l'esca burocratica, s'inventano
titoli di presidente, segretario, ecc. Viene poi la sentimentalità, che è l'agente
più efficace; sopra tutto vi possono il rispetto umano, la paura di avere una
opinione propria ed il timore di passare per antiliberali „.
" Poi (aggiunge un altro personaggio) vi è anche il segreto di associare i
neofiti inconsapevoli ad un reato, per esempio facendo assassinare un com-
pagno da cinque colleghi col pretesto che sia una spia; perchè l'assassinio
cementa ogni cosa e trascina nell'orbita i piìi riluttanti „.
200 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
possibile quando tutto il mondo civile appartenesse ad unico tipo
sociale, ad unica religione, e non vi fossero più dispareri sul modo
di raggiungere un miglioramento sociale. Or, senza accogliere le
teorie di qualche autore tedesco che ammette la necessità dei
partiti politici, perchè rispondono alle varie tendenze, che si ma-
nifestano nelle diverse età dell'uomo, noi possiamo facilmente
constatare che qualunque nuova religione, qualunque nuovo indi-
rizzo politico, che arrivano a raggiungere un certo successo, si
suddividono ordinariamente in altre sette; nelle (juali gli istinti
della disputa e della lotta trovano il loro sfogo, e che combattono
fra loro collo stesso zelo e lo stesso accanimento, che prima ado-
peravano contro le religioni ed i partiti avversari. I numerosi
scismi e le eresie continuamente ripullulanti del Cristianesimo, del
Maomettismo e di tante altre religioni, le divisioni che già na-
scono in seno alla democrazia sociale, ancor lontana dal suo trionfo,
che forse non raggiungerà mai, provano la difficoltà straordinaria
di attuare quell'universalità di un solo mondo morale ed intellet-
tuale, alla quale abbiamo accennato.
Del resto, ammesso anche che essa si possa facilmente con-
seguire, non ci pare desiderabile : finora la libertà di pensare, os-
servare e giudicare serenamente e spassionatamente uomini e
cose è stata possibile, sempre, s'intende, per pochi individui, solo
in quelle società il dominio delle quali è stato conteso da diverse
correnti religiose e politiche. Questa stessa condizione, abbiamo
già visto al capitolo quinto, essere indispensabile quasi per otte-
nere quella maggior giustizia nei rapporti fra governanti e go-
vernati, che è compatibile coll'imperfetta natm-a umana, il che
sarebbe ciò che comunemente viene inteso per libertà politica.
Nelle società infatti nelle quali la scelta fra più correnti reli-
giose e politiche non è più possibile, perchè una sola è riuscita
ad imporsi esclusivamente, il pensatore isolato ed originale deve
tacere, e, al monopolio morale ed intellettuale, si unisce infal-
libilmente quello politico a prò di una casta o di una sola forza
sociale.
Base delle moderne dottrine massoniche è la credenza che l'uomo
tende a divenire fisicamente, intellettualmente e moralmente
sempre più sano ed elevato, e che solo l'ignoranza e la superstizione,
che hanno generato le religioni dommatiche, lo hanno allontanato
e lo allontanano dal seguire questa via, che sarebbe per lui la più
GAP. VII - CHIESE, PAKTITI E SETTE 201
naturale, e lo hanno spinto alle persecuzioni, alle stragi, alle lotte
fratricide (1). Un simile modo di vedere non ci pare accettabile.
Quelle che ora molti chiamano superstizioni, tutte le religioni rive-
late, non sono state certo insegnate all'uomo da un Ente extra-
umano, ma furono create dagli uomini stessi e nella natura umana
hanno trovato il loro alimento e la loro ragion d'essere. Esse non
sono che solo in parte, e qualche volta minima, responsabili delle
lotte, delle stragi e delle persecuzioni, dovute spesso più alle pas-
sioni degli uomini che ai dommi che le religioni insegnano. Anzi
crediamo che la scusa dei tempi e dei fanatismi religiosi e politici
non valga a togliere, innanzi la storia imparziale, che una pic-
cola frazione della responsabilità individuale per gli eccessi di
ogni genere ; perchè in ogni tempo, in ogni religione, in ogni dot-
trina, ciascuno può e sa trovare quella tendenza, che alla sua in-
dole è più confacente. E tanto ciò è vero che il Maomettismo non
impedi a Saladino di essere umano e generoso anche cogli infe-
deli, come il Cristianesimo non mitigò la ferocia di Riccardo cuor
di leone (2); che la stessa religione, che diede Simone di Monfort
e Torquemada, diede pure S. Francesco d'Assisi e Santa Teresa,
che nello stesso anno 1793, in cui \'issero ed operarono Marat,
Robespierre e quel convenzionale Camer, che a Nantes faceva an-
negare a migliaia i bambini dei Vandeisti, il capo vandeista Bon-
champs, ferito, al letto di morte implorava ed otteneva la vita e la
libertà di quattromila prigionieri repubblicani, che i suoi commili-
toni volevano moschettare. Del resto lotte vivissime si sono avute,
e persecuzioni e stragi, nell'ultimo secolo, si sono perpetrate in
nome di altre dottrine, che non hanno alcun fondamento nel sopran-
naturale e proclamano la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza di
tutti gli uomini.
(1) Questa dottrina è stata pubblicamente proclamata in una lettera del
Grand' Oriente della Massoneria francese al Grand' Oriente della Massoneria
italiana, che fu riprodotta da molti giornali italiani del 1892. Del resto ab-
biamo attinto da molteplici fonti che essa è accettata generalmente dalla
Massoneria francese, italiana, belga e spagnuola, e ne determina l'azione e le
tendenze politiche.
(2) Si deve infatti a questo sovrano, tanto celebrato per i suoi pregi caval-
lereschi, il massacro di tre mila prigionieri maomettani presi, dopo strenua
difesa, in S. Giovanni d'Acri, e si deve alla magnanimità di Saladino se il
terribile esempio non fu in larga scala imitato dall'esercito maomettano.
202 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
In verità il sentimento, che nasce spontaneo da una rapida e
sprejf^iudicata sintesi della storia dei popoli, è la compassione per
le qualità contradittorie della povera razza umana: così ricca di
abnegazione, cosi pronta alle volte al sacrifìcio individuale e nella
quale, nello stesso tempo, ogni tentativo più o meno indovinato,
e qualche volta non indovinato affatto, per raggiungere un mi-
glioramento morale e quindi materiale, va unito allo sfrenarsi di
odii, di rancori, delle passioni peggiori. Tragico destino quello
degli uomini: i fjuali, pur aspirando sempre a conseguire ed attuare
il bene, trovarono nello stesso tempo il modo di scannarsi e per-
seguitarsi a vicenda, fino a ieri, per l'interpretazione di un dogma
o di un passo della Bibbia; hanno continuato a scannarsi ed a
perseguitarsi oggi per inaugurare il regno della libertà, dell'ugua-
glianza e della fratellanza; e forse si scanneranno, si perseguite-
ranno, si martirizzeranno atrocemente domani, quando, in nome
della democrazia sociale, si vorrà fare sparire dal mondo ogni
traccia di violenza e d'ingiustizia.
CAPITOLO Vili.
Le rivoluzioni.
Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei Comuni raedioevali. —
II. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica, nell'Europa feudale e nei paesi
maomettani. — III. Rivoluzioni in China. — IV. Insurrezioni di carattere na-
zionale. — V. Insurrezioni rurali in Europa. — VI. Rivoluzioni tipiche della
Francia moderna. — VII. Condizioni per la riuscita di queste rivoluzioni.
I. — Abbiamo esaminato i modi come si formano e si affer-
mano le correnti d'idee, di sentimenti e di passioni, che ordina-
riamente influiscono a mutare l'indirizzo delle società umane.
Resta a vedere in qual maniera queste correnti riescano talora
materialmente ad imporsi mediante l'uso della forza, cambiando
anche gli individui che stanno al potere e facendo si che essi rap-
presentino i loro principii. Simili mutamenti, nelle società che
hanno raggiunto un certo sviluppo nella loro organizzazione, pos-
sono avvenire o per iniziativa o almeno col consenso di quella
frazione della società, alla quale suole essere affidata la tutela di
tutto il corpo politico e che, nei casi ordinari, ha il monopolio
delle armi, oppure per opera di altri elementi e forze sociali, che
quella frazione riescono a vincere. Allora ha luogo quel fenomeno,
abbastanza frequente nella storia contemporanea, che comunemente
chiamasi rivoluzione e che sarà ora nostro compito di brevemente
analizzare.
I rivolgimenti dei piccoli Stati, nei quali l'organizzazione buro-
cratica non esiste o è assolutamente embrionale, non hanno che
un'analogia del tutto apparente con quelli dei grandi e sopratutto
colle rivoluzioni moderne. Nell'antichità classica, ad esempio,
204 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
quando un tiranno diveniva padrone di una città, oppure un'oli-
garchia si sostituiva alla democrazia, e spesso anche quando il
tiranno o l'oligarchia venivano rovesciati, in fondo si trattava
sempre di una cricca, più o meno numerosa, che, nella direzione
della cosa pubblica, ne sostituiva un'altra. Quando lo Stato greco
funzionava regolarmente, tutta la classe governante, cioè tutti co-
loro che non erano né schiavi, né stranieri domiciliati, né operai
manovali partecipavano alle funzioni politiche. Quando si stabiliva
il regime tirannico, ovvero oligarchico, o anche quella degenerazione
della democrazia che dicevasi oclocrazia, allora ima frazione di
questa classe usurpava per sé tutto il potere a detrimento del-
l'altra, che veniva in parte uccisa, in parte spogliata dei beni ed
esiliata. Alla loro volta i vincitori dovevano temere le rappresaglie
dei vinti, i quali se riuscivano a superarli li trattavano alla stessa
maniera.
La lotta era quindi condotta a base di forza e di furberia, cogli
assassinii e le sorprese, e le parti in lizza spesso ricorrevano al-
l'appoggio degli stranieri o di qualche pugno di mercenari e, una
volta vittoriose, usavano occupare la rocca e togliere le armi a
tutti coloro che non erano fra i loro accoliti, e queste, essendo
allora abbastanza costose, non si potevano facilmente rimpiazzare.
Raro avveniva, come nel caso delle imprese condotte da Pelopida
ed Epaminonda a Tebe e da Timoleone a Siracusa, che si profit-
tasse della vittoria per stabilire un regime meno sanguinario e
violento, ed in questo caso la benefica innovazione durava solo
quanto l'influenza personale o la vita di colui, che ne era stato
autore. Qualche altra volta invece la fazione usurpatrice riusciva
a mantenersi al potere per più di una generazione, come avvenne
per i Pisistraditi e per i due Dionigi. Agatocle, uno dei peggiori
tiranni del mondo greco, mori vecchio ed era arrivato al potere
da giovane, e pare che solo il veleno sia riuscito ad abbreviare
la sua vita ed il suo governo.
Nei Comuni italiani, la cui organizzazione politica somigliava a
quella della classica Grecia, rivissero le abitudini dell'antico Stato
ellenico : una fazione con a capo un signore sbandiva gli avver-
sari o li assassinava, e in tutti e due i casi s'impadroniva dei loro
beni; spesso bisognava sopraffare per non essere sopraffatti. Or-
dinariamente le due famiglie più ricche e potenti del Comune se
ne contendevano armata mano la supremazia; anche esse, come
GAP. Vili - LE KIVOLUZIONI 205
gli antichi capi-parte greci, appoggiandosi, quando potevano, agli
aiuti stranieri ed ai mercenari. Cosi Torriani e Visconti si dispu-
tarono il possesso di Milano e la scena, con poche varianti, si ri-
petè nei Comuni minori. Paci, tregue, intenerimenti religiosi, pro-
vocati da frati e da cittadini dabbene, come quello che racconta
il buon Dino Compagni (1), non ottenevano che un effetto mo-
mentaneo e, peggio ancora, spesso non erano che arti colle quali
i più ribaldi sopraffacevano i meno malvagi assalendoli quando
erano impreparati e indifesi.
Col Rinascimento i costumi si fecero meno armigeri, la lotta in
campo aperto più rara, ma la perfìdia ed il tradimento diventa-
rono ancor più sottili e con il lungo uso fm-ono quasi innalzati
all'altezza di scienza. In qualche città prevalsero i cosi detti modi
civili: in Firenze i potenti, ad esempio, si strinsero fra loro con
parentadi, mantennero un certo equilibrio e conservarono la pre-
ponderanza riempiendo le borse (ora sarebbero le liste elettorali)
con i loro clienti. Questa fu la politica che segui l'oligarchia mer-
cantile con a capo gli Albizzi finché fu vivo Niccolò d'Uzzano e
quella che segui Cosimo dei Medici coi suoi consorti, sebbene, al-
l'occorrenza, sapesse usare altri mezzi (2). Altrove, nelle Romagne
e nell'Umbria, le lotte si prolungarono fin dopo il 1500, come tra
veri masnadieri. A Perugia gli Oddi, cacciati dai Baglioni, li sor-
presero di notte ; ma i Baglioni combatterono perfino in camicia e
non si fecero sopraffare; vittoriosi poi si sterminarono fra di loro.
Oliverotto da Fermo ottenne la signoria della sua città trucidando,
a capo della sua compagnia di ventura, suo zio ed i maggiorenti
del luogo, che l'avevano invitato ad amichevole banchetto.
Tanto nelle lotte civili delle città greche, quanto in quelle dei
Comuni italiani, la temperanza e l'umanità poco potevano giovare,
la prevalenza dovea ordinariamente restare ai più pronti ed ai più
furbi, a coloro che meglio sapevano fingere e meno pativano di
scrupoli. Anche il caso fortuito avea una gran parte nella buona
riuscita di un'impresa e si raccontano in proposito molti episodi
(1) Quando narra nella sua Cronica del tentativo da lui fatto, ed apparen-
temente riuscito, di riconciliare i capi delle parti Bianca e Nera, riunendoli
in Chiesa ed inducendoli con acconcie parole ad abbracciarsi a vicenda.
(2) Vedi la Storia della Repubblica di Firenze di Gino Capponi, già citata al
capitolo III.
206 • ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
romanzeschi. Un cane che latrava, un'ubbriacatura presa qualche
ora prima o dopo, una lettera letta a tempo o rimandata chiusa
per l'indomani, decidevano del successo di un colpo di mano;
come avvenne quando Epaminonda e Pelopida s'impadronirono di
Tebe ed Arato di Sicione. E da notare poi che, tanto le lotte ci-
vili che tormentarono gli Stati greci, quanto quelle che dilaniarono
i Comuni italiani non contribuirono sensibilmente a maturare
alcun vero cambiamento sociale. Mutavano i governanti, ma la
società, chiunque trionfasse, rimaneva (|uasi sempre organizzata
alla stessa maniera. I grandi fattori storici, la scienza e l'arte el-
lenica, l'emancipazione dei servi della gleba, il rinascimento arti-
stico e letterario, si svolsero indipendentemente dalle gare san-
guinose, che turbarono la Grecia e l'Italia. Tutto al più le guerre
civili non poterono influire che a ritardarne lo sviluppo, simili in
ciò alle guerre esteriori, alle fami, alle pestilenze, che impove-
rendo od abbattendo un paese ne ostacolano sempre i progressi
economici ed intellettuali.
Qualunque scienza politica, basata poi esclusivamente sull'osser-
vazione dei periodi storici ai quali abbiamo accennato, non potea
riuscire che incompleta e superficiale. E tale è appunto quella che
si rivela nella famosa opera di Machiavelli intitolata il Principe,
troppo vituperata, troppo lodata, ed alla quale in ogni caso si è
attribuita soverchia importanza. Al giorno d'oggi un osservatore,
che tenesse mente al modo come nelle Borse, nelle Società ano-
nime, e nelle Banche si fanno e si disfanno le fortune i)rivate,
potrebbe facilmente scrivere un libro sull'arte di arricchirsi, nel
quale dovrebbe probabilmente dare consigli tali sui modi di pa-
rere onesto e di non esserlo e di rubare scansando la Corte d'as-
sise, da far diventare facezie innocenti i precetti che si trovano
nel libro del segretario fiorentino. Ma, l'abbiamo già accennato (1),
un simile lavoro non farebbe parte della scienza economica, come
l'arte di arrivare al potere e restarci, in date condizioni sociali,
non è la scienza politica. E che non si tratti di scienza, cioè di
grandi leggi psicologiche che si ritrovano in tutte le grandi so-
cietà umane, è provato dal fatto che i suggerimenti del Machia-
velli potevano giovare forse a Ludovico il Moro od a Cesare
(1) Nella prima parte di questo lavoro.
GAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 207
Borgia, come probabilmente avrebbero servito a Dionigi, ad Aga-
tocle ed a G-iasone di Fere, ai dey di Algeri, ad Ali Tebelen ed
anclie a Mehemet Ali, quando questi esclamava che l'Egitto era
all'asta e sarebbe rimasto a colui che avrebbe speso l'ultima somma
e dato l'ultimo colpo di sciabola; ma agli uomini politici dell'Europa
moderna od a quelli della Repubblica romana avrebbero apportato
un sussidio molto scarso. Sebbene, a scanso di equivoci, convenga
confessare che la rettitudine, l'abnegazione e la buona fede forse
in nessun luogo ed in nessun tempo siano state e siano le qualità
più adatte per conseguire il potere e conservarlo (1).
Dopo quanto abbiamo già esposto non occorre neppure di far
rilevare che negli Stati moderni, di organizzazione molto compli-
cata, assai più vasti degli antichi e poggiati sulla burocrazia e
gli eserciti stanziali, è impossibile compire le rivoluzioni mediante
uno o più colpi di pugnale od organizzando bene una sorpresa od
un'imboscata : perciò i rivoluzionari moderni inspirandosi a quelli
classici commettono un grossolano anacronismo. Ciò non vuol dire
però che le reminiscenze classiche siano affatto inutili, perchè
esse sono sempre molto adatte a riscaldare i cervelli dei giovani
ed a mantenere l'ambiente rivoluzionario, e, fin dall'epoca del Ri-
nascimento, furono in questo senso abilmente sfruttate (2). Se il
regicidio infatti ora non basta a rovesciare un Gro verno, l'assas-
sinio politico può sempre servire a spargere la titubanza ed il
(1) Del resto crediamo anche scarsamente all'efficacia pratica dell'arte in-
segnata da Machiavelli e dubitiamo assai del profitto, che ne avrebbero po-
tuto trarre quegli stessi uomini politici che abbiamo menzionato. Giacche,
quando si tratta di arrivare al potere e di conservarlo, le leggi generali ri-
cavate dallo studio della psicologia umana, dalle tendenze costanti che si
rivelano nelle masse, valgono poco, e tutto si riduce a saper bene conoscere
ed usare le attitudini individuali proprie e degli altri, che sono così disparate
da sfuggire a qualunque sintesi. Un dato consiglio per un tale, che lo saprà
ben mettere in pratica, sarà buono e per un altro cattivo; e lo stesso indi-
viduo agendo alla atessa maniera» in due casi apparentemente identici, potrà
fare bene e male a seconda degli uomini diversi con cui si troverà di fronte.
Perciò il Guicciardini scriveva nei suoi pensieri: " La teoria è assai diversa
dalla pratica e molti che intendono quella non sanno poi metterla in atto.
Ne giova il discorrere per esempi, perchè ogni piccola varietà nel caso par-
ticolare porta grandissima variazione nell'effetto ,.
(2) Ad esempio nella preparazione della congiura del 1476 che produsse
l'uccisione di Galeazzo Sforza.
208 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
terrore noi capi della classe governante ed a renderne meno ener-
gica l'azione; inoltre, siccome quasi tutti gli assassini politici soc-
combono nell'esecuzione delle loro imprese, cosi diventano martiri
di un'idea, ed il culto che loro si viene a tributare è uno dei mezzi
meno onesti, ma non meno efficaci, per mantenere una propaganda
rivoluzionaria.
II. — Roma repubblicana fu in complesso lo Stato antico in
cui la difesa giuridica fu meglio assicurata e le lotte civili perciò
meno sanguinose e più raro. Durante i lunghi contrasti fra patrizi
e plebei, nel *oro non mancarono i tumulti e qualche volta si
trascorse anche fino alle ])ugnalate, qualche altra volta accadde
che una mano di facinorosi occupasse di sorpresa il Campidoglio,
ma, per secoli interi, non ci furono fazioni che usurpassero vio-
lentemente il potere trucidando ed esiliando gli avversari. Quando
furono uccisi i Gracchi per ben due volte lo svolgersi legale delle
votazioni fu impedito col sangue, e quando i)OÌ fu violentemente
rivocata la deliberazione dei comizi, che affidava il comando della
guerra d'Asia a Siila, avvenne che questi, con esempio nuovo, en-
trasse in città a capo di un esercito. Giacché le legioni, militando
lungamente fuori d'Italia, aveano acquistato il carattere di eserciti
stanziali ed erano divenuti tali da potere essere strumenti ciechi
in mano dei loro capi. Sicché fra eserciti regolari si combatte-
rono poi le guerre civili, ed il capo dell'ultimo esercito che in
queste guerre fu vittorioso, Ottaviano Augusto, mutò stabilmente
la forma di governo e die x^rincipio alla monarchia burocratica e
militare. D'allora in poi le soldatesche regolari si arrogarono il
diritto di mutare non già la forma, ma il Capo del Governo.
Nell'Europa feudale, ed in generale in tutti i popoli feudal-
mente organizzati, le lotte civili e le rivoluzioni assunsero ed as-
sumono sempre il carattere di guerre fra le fazioni in cui si di-
videvano o si dividono i baroni o capi locali. Cosi avveniva che
in Germania all'elezione di un nuovo imperatore spesso si for-
massero fra i baroni e le città libere due partiti, che si combat-
tevano a vicenda, ognuno seguendo il sovrano di sua scelta che
proclamava legittimo. Altrove, come in Sicilia all'epoca delle lotte
fra la nobiltà latina e la catalana, le parti contendenti si dispu-
tavano il possesso della persona del Re o del jprincipe o princi-
pessa ereditaria, giacché questo possesso dava il modo ad una
GAP. Vili - LE EIVOLUZIONI 209
fazione di mettersi sotto lo scudo della legittimità e di proclamare
ribelli e felloni gli avversari. Per analoghe ragioni in Francia
Borgognoni ed Ai'inagnacchi si contendevano il possesso della per-
sona del Re o del Delfino. Altre volte i baroni si schieravano
sotto gli stendardi di due dinastie rivali, come avvenne in Inghil-
terra durante la guerra delle due Rose. Quando x^oi tutta o quasi
tutta la nobiltà si sollevava unanime contro un sovrano, allora la
rivoluzione era presto compiuta ed il Re veniva agevolmente sbal-
zato e ridotto all'impotenza; quest'ultimo caso, non raro in tutti
i regimi feudali, accadde con una certa frequenza nella Scozia.
Come nelle lotte civili degli Stati greci e dei Comuni italiani,
cosi pure in quelle intestine fra i baroni dello stesso regno, la
parte vincitrice soleva, quando ciò era possibile, spossessare i vinti
dei loro feudi, che distribuiva fra i suoi accoliti. Se gli assassinii
e sopratutto gli avvelenamenti erano più rari, ai vinti, quando
non perivano sul campo di battaglia, sovrastava spesso la scure
del carnefice. Tutta la nobile famiglia Chiaramonti peri a Pa-
lermo sul palco fatale ; sul x)alco e sui campi di battaglia fu ster-
minata quasi tutta la vecchia nobiltà inglese durante le successive
vittorie e sconfìtte delle due case di Yorck e di Lancaster. In
Francia parecchi capi Armagnacchi furono assassinati, altri uccisi
a furor di popolo dalla plebe di Parigi, ed assassinato alla sua
volta moriva Giovanni senza inaura duca di Borgogna.
Nei i)aesi maomettani, non tenendo conto degli intrighi di ser-
raglio, che producono la deposizione e la morte di un sultano e
ne elevano un altro, le rivoluzioni propriamente dette, mentre da
un lato hanno molta analogia con le lotte che si combattevano
nell'Europa feudale, dall'altro racchiudono spesso i germi di un
movimento, che ora chiameremmo socialista, nascosto e dissimu-
lato da una riforma religiosa. Difatti, malgrado che gli sforzi di
molti sovrani orientali ed africani per circondarsi di truppe rego-
larmente assoldate siano alle volte abbastanza riusciti, pure, nella
maggioranza delle popolazioni musulmane, specialmente in quelle
che abitano la campagna e che menano una vita più pastorale che
agricola, l'antichissima organizzazione delle tribù si è conservata,
e l'insurrezione dei capi di esse, come quella dei baroni europei,
per sostenere un pretendente al trono od i diritti di una nuova
dinastia è rimasta sempre un fatto possibile. Fra le tribù stesse
poi può sempre sorgere un novatore, il quale pretenda di ricon-
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 14
210 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
durre l'Islam alla primitiva purezza e predichi una riforma reli-
giosa, ed allora, se la sua propaganda è seguita dal successo, si
ha la rivoluziono religiosa e sociale.
Giacche nei paesi orientali ed anche nel nord dell'Africa, se
non vi è la lotta di classe fra capitalisti e proletari, che si vor-
rebbe inaugurare nell' Europa moderna, si è mantenuto per die-
cine di secoli e dura sempre il sordo antagonismo fra le tribù
povere e brigantesche del deserto e della montagna e quelle più
ricche, che abitano i fertili piani, e più ancora fra le prime e le
imbelli e doviziose popolazioni delle città. Né si può dire che
l'Islam non offra appiglio al risorgere del vecchio spinto egali-
tario dispregiatore delle ricchezze e dei godimenti, che già tro-
viamo in alcuni profeti ebraici, in Isaia ed in Amos il mandriano
di Tecoa. Se Maometto non disse che era più facile che un camello
passasse attraverso la cruna di un ago anziché un ricco andasse
in Paradiso, era però assai amante della semplicità dei costumi,
e delle gioie di questo mondo non pregiava che le donne ed i
profumi. Una volta che si presentarono a lui come ambasciadori
ottanta cavalieri dei Beni-Kende, tribù recentemente convertita
all'Islamismo, in magnifico arnese con abiti di seta, egli fece su-
bito loro osservare che la nuova religione non permetteva il lusso,
e qvielli stracciarono subito le ricche vestimenta (1). Il secondo
califfo Omar, che conquistò tante terre e tanti tesori, desinava
frugalmente per terra, e, quando mori, lasciò per eredità perso-
nale un solo abito e tre dramme.
Cosi si spiega facilmente come nella Barberia, durante Tunde-
cimo e dodicesimo secolo, le vecchie dinastie arabe venissero
vinte e spossessate dalla riforma religiosa degli Almoravidi, che
alla loro volta furono rovesciati da una nuova riforma religiosa,
detta degli Almohaidi. In tutti e due i casi le tribù del deserto
o della montagna caldeggiarono le dottrine riformatrici e si so-
vraj)posero alle popolazioni più colte e più ricche del Teli o zona
marittima. Elementi consimili si possono facilmente trovare nella
setta dei Wah abiti dell'Arabia e nelle più recenti fortune del Maha-
dismo dell'alto Nilo. Va da se che come i prischi Saraceni, una volta
padroni delle ricche contrade della Siria, della Persia e dell'Egitto,
(1) Hammer Purgstall, opera citata.
GAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 211
dimenticarono la frugalità dei Sarabehoni, ossia degli nomini che
avevano conosciuto il Profeta, qualcuno dei quali nella sua vec-
chiaia ebbe camj)o di scandalizzarsi per il fasto spiegato dai ca-
liffi Ommiadi di Damasco, che fu poi superato dai califfi Abbas-
sidi di Bagdad ; così anche nel caso degli Almoravidi ed Almohaidi,
la natura umana presto trionfò dell'ardore settario. Anche questi
infatti, una volta in possesso delle reggie di Fez e di Cordova,
obliarono la vita semplice che avevano praticato e predicato negli
altipiani al di là dell'Atlante, ed adottarono tutte le raffinatezze
del lusso orientale. Se risultati perfettamente identici non hanno
dato i Wahabiti, i Mahdisti ed altre sette maomettane, ciò è av-
venuto per la minor fortuna che finora esse hanno avuto.
III. ^ In China le rivoluzioni ed i rivolgimenti violenti non
sono stati rari, ci riesce però ancora diffìcile di apprezzare le cause
sociali di quelli molto antichi. Sappiamo che V Impero Celeste è
passato attraverso regimi economici e politici diversi, che da Stato
feudale, che era prima, è diventato uno Stato burocratico ; a se-
conda di questi cambiamenti hanno dovuto, certo cambiare i motivi
e le forme delle ribellioni.
Ci è noto questo : che, quando l'educazione di una dinastia era
molto decaduta, quando principi fiacchi facevano governare le
donne e gli eunuchi o perdevano il tempo a cercare la bevanda
dell' immortalità, e gli abusi dei funzionari oltrepassavano certi
limiti, allora qualche governatore ribelle o qualche ardito avven-
turiero, posti a capo di bande d' insorti, battevano qualche volta
le truppe del Governo , , aiutati dall' universale malcontento,
spossessavano la vecchia e fondavano una nuova dinastia. La
quale conservava una maggiore energia per qualche generazione,
finché anch'essa s'infiacchiva e di nuovo si accentuavano gli an-
tichi abusi.
Le invasioni dei barbari del settentrione e dei Tibetani occasio-
narono ed agevolarono spesso questi cambiamenti. Quando poi il
paese intiero cadde sotto la dominazione dei Mongoli, col tempo
maturò una di quelle potentissime reazioni dello spirito nazionale,
che spesso si accentuano fra i popoli di antica civiltà, come av-
venne nell' antico Egitto colla cacciata degli Hiqsos, e come in
questo secolo è accaduto in Grecia ed in Italia. Alla fine del se-
colo decimoquarto un gruppo di uomini entusiasti ed energici, con
212 BLBMENTI DI SCIENZA POLITIOA
a capo il bonzo Rong-ou (1), sollevò lo stendardo della rivolta
contro i Mongoli ed, aiutati dall'esplosione del sentimento nazio-
nale, che avvenne in tutta la China, riuscirono a ricacciare i bar-
bari al di là della grande muraglia. Rong-ou fu il fondatore della
dinastia dei Ming, che governò il paese fino allo scorcio del secolo
decimosettimo.
Durante il secolo decimonono la China, diventata uno Stato
quasi completamente burocratizzato, ebbe un'altra rivoluzione che,
sebbene non sia riuscita, pure merita di essere ricordata, ed è im-
portante sopratutto per l'analogia che offre con quella che aveva
messo sul trono il bonzo Rong-ou. In seguito al disordine che la
guerra cogli Inglesi, terminata cogli svantaggiosi trattati del 1842
e 1844, produsse in tutto l'impero, una rivolta contro la dinastia
straniera dei Tartari Manschù scoppiò nelle vicinanze di Nankin,
l'antica capitale dei Ming, il cuore del nazionalismo chinese. La
cacciata dello straniero e la fondazione di una nuova religione,
nella quale i dommi del Cristianesimo erano curiosamente mesco-
lati ed adattati alle idee filosofiche ed alle superstizioni popolari
dei Chinesi, fornirono la base morale della rivoluzione. Un maestro
di scuola, letterato d' infima classe, una specie di spostato, che
rispondeva al nome di Rong-Sieou-Tsien, ne fu il capo supremo :
attorno a lui un gruppo di uomini energici, intelligenti, ambi-
ziosi ne secondarono i primi movimenti e lo aiutarono tanto nel-
l'escogitare il sistema religioso e filosofico accennato, quanto nel
dirigere le prime imprese dell'insurrezione.
La macchina burocratica chinese era allora x^rofondamente scossa
per le sconfitte toccate e la inferiorità manifestata di fronte agli
Europei, i popoli erano malcontenti, sicché i primi successi dei
ribelli furono rapidissimi. Entrati in Nankin nel 1853, essi vi pro-
clamarono il Taè-i3Ìng, cioè l'èra della pace universale (2), e nello
stesso tempo Rong-Sieou-Tsien, che certo non era un uomo vol-
gare, fu assunto al grado di Imperatore Celeste e capo-stix)ite della
nuova dinastia nazionale. Siccome però, anche in China, la forza
(1) È da notare che i Bonzi, o monaci buddisti, reclutati per lo più fra le
infime classi della popolazione, sono, almeno ora, pochissimo stimati in tutta
la China.
(2) È sotto questo nome di Taè-ping che furono comunemente intesi dagli
Europei.
CAP. Vili - LE KIVOLUZIONI 213
bruta necessaria alla riuscita delle rivoluzioni si trova a preferenza
nella feccia della società, i gregari dell'esercito che dovea inau-
gurare la pace universale si reclutarono a preferenza fra i soldati
disertori, i delinquenti sfuggiti alla giustizia, e, in generale, fra
tutti i vagabondi e gli spostati, che abbondano nelle grandi città
tanto chinesi che europee. Ben tosto i capi furono impotenti a
frenare gli eccessi dei loro seguaci, e le bande del Taè-ping por-
tarono dappertutto il saccheggio, la desolazione, la strage. Le
mosse stesse della insurrezione non furono più dirette da un pen-
siero politico, ma dalla libidine del furto e del sangue, ed i paesi
che essa dominava subirono tutti gli orrori di una vera anarchia.
La nuova guerra coli' Inghilterra e colla Francia scoppiata
il 1860 e la insuiTezione dei Maomettani del nord-ovest prolun-
garono per parecchi anni questo stato di cose, ma appena il Go-
verno chinese, liberatosi in parte dai suoi imbarazzi, potè spedire
forze considerevoli contro i ribelli, questi, che omai aveano per-
duto interamente la simpatia delle popolazioni, si trovarono ridotti
a mal partito. Nankin fu accerchiata, quasi tutti i primi compagni
di Rong-Sieou-Tsien, i soli capaci di vedute politiche e larghi con-
cetti, erano periti, e questi, attorniato da una massa raunaticcia
pronta a saccheggiare come a tradirlo, disperando di resistere
ancora, si avvelenò nel suo palazzo il 30 giugno 1864. Venti giorni
dopo le truppe imperiali, padrone di Nankin, decapitavano il gio-
vane figlio del defunto capo dei ribelli, e soffocavano atrocemente
nel sangue una rivolta che tra il sangue si era mantenuta (1).
Adunque, anche nel Celeste Lnpero, come nei paesi maomettani
e come in gran parte è accaduto in Europa, Tidealità della con-
cezione politica, in nome della quale nacque la rivoluzione, si
tm'bò e si perdette quasi interamente appena si entrò nel periodo
della sua attuazione.
Ed un altro punto di contatto possiamo trovare fra la insurre-
zione del Taè-ping e quelle europee nel fatto che anche in China
il movimento rivoluzionario fu preceduto e preparato dalle società
secrete. Infatti, fin dal secolo decimottavo, si è avvertita colà
l'opera di associazioni occulte, che mantengono vivo il malcontento
(1) Sui particolari di questa insurrezione vedi le opere citate sulla China e
specialmente quella del Rousset, al capitolo XIX.
214 BLKMBKTI DI SCIENZA POLITICA
del popolo 0 l'odio contro la dinastia straniera (*). Esse del rep.to
sono sopravvissute alla rivolta, che avevano contribuito a susci-
tare. Pare anzi che all'opera loro si debbano gli assassinii di pa-
recchi europei, diretti a suscitare al Governo di Pechino imbarazzi
colle Potenze occidentali, e che a queste società siano affiliati,
l)roprio come accade in paesi molto più noti della China, i)atrioti
ardenti e disinteressati, malfattori che del legame settario si val-
gono per procacciarsi Fimpunità, e perfino funzionari che ne appro-
fittano alle volte per far carriera.
IV. — Fra le rivoluzioni europee hanno un carattere speciale
quelle che rappresentano la reazione di un popolo sottomesso
verso il popolo oppressore. Tali furono l'insurrezione della Svezia
contro la Danimarca sotto Gustavo Wasa, quella dell'Olanda contro
la Spagna, della Spagna stessa contro la Francia nel 1808, della
Grecia contro la Turchia, dell'Italia contro l'Austria, della Polonia
contro la Russia. Queste insurrezioni somigliano più alle guerre
esteriori fra due popoli anziché alle lotte civili, e sono quelle che
più facilmente riescono. Oggi però coi grossi eserciti stanziali che
abbiamo, il popolo che insorge, per avere forti probabilità di vit-
toria, deve già godere di una semi-indipendenza, in maniera che
una parte di esso sia militarmente bene organizzata.
Nella Spagna nel 1808, oltre alle famose guerrillas^ anche gli
eserciti regolari presero parte attivissima a favore dell' insuiTe-
zione; in Italia al 1848 l'esercito piemontese ebbe la i^arte prin-
cipale nella lotta contro lo straniero, e le truppe regolari del
Piemonte insieme agli alleati francesi diedero nel 1859 i colpi che
decisero della sorte della penisola. Anche la Polonia, nel 1830
e 31, potè lottare quasi un anno contro il colosso russo, perchè
esisteva fino allora un esercito polacco, che sposò la causa nazio-
nale. L'insurrezione del 1863 e 1864 condotta da sole bande irre-
golari ebbe infatti risultati assai meno importanti e fu repressa
mercè sforzi assai minori.
Nella stessa classe di rivoluzioni va messa quella degli Stati Uniti
contro l'Inghilterra. Si sa che le colonie anglo-americane godevano,
(*) È noto che si deve in gran parte all'opera delle società secrete la re-
centissima rivoluzione che rovesciò la dinastia Mandschù.
OAP. Vili - LB RIVOLUZIONI 215
anche prima del 1776, una larghissima autonomia; sicché quando si
strinsero in confederazione e proclamarono l' indipendenza, pote-
rono facilmente, un po' colle antiche milizie dei vari Stati, un po'
coi volontari, organizzare una forza armata colla quale tennero in
bilico le truppe mandate dalla madre patria a soggiogarli, finché,
soccorsi dalla Francia, riuscirono ad emanciparsi interamente.
Quando scoppiò la rivoluzione inglese del 1643 l'Inghilterra non
era ancora uno Stato burocratico, ed il Re Carlo I non poteva
disporre che di uno scarsissimo esercito stanziale. Sicché dalla
parte del Parlamento combatterono in principio le milizie dei Co-
muni, dalla parte del Re sostennero principalmente il peso della
lotta i nobili di campagna, ossia i Cavalieri.
Questi erano assai più esercitati nelle armi e furono sulle prime
facilmente vittoriosi, ma quando Cromwell seppe formare pria un
reggimento e poi un esercito di trui^pe stanziali e disciplinate,
allora la lotta non fu più possibile ; ed alla testa di quell'esercito
il lord protettore non solo vinse i Cavalieri, ma sottomise la Scozia
e l'Irlanda, tenne a posto i Livellatori, mandò a casa poco gar-
batamente il lungo Parlamento e divenne il padrone assoluto delle
isole britanniche. Certo la memoria di questi fatti per lungo tempo
rese diffidenti gì' Inglesi, amanti delle costituzionali franchigie,
verso le truppe stanziali; essa fece sì che si lasciassero mancare
a Carlo II e Giacomo II i mezzi per mantenere un grosso esercito
stanziale, che si cercassero tutti i modi di tenere esercitate le milizie
delle contee, e che si costringesse lo stesso Guglielmo d'Orange
a rinviare nel continente, con suo grande rammarico, quei vecchi
reggimenti olandesi alla testa dei quali aveva rovesciato l'ultimo
degli Stuardi.
V. — Altro fenomeno sociale importante troviamo nelle in-
surrezioni contadinesche piuttosto frequenti in diverse contrade
di Europa nella seconda metà del secolo decimottavo e nella prima
metà di quello decimonono. Tali furono, a tacere di quelle che
scoppiarono in Russia al principio dell'impero di Caterina II, sotto
colore di rimettere sul trono diverse persone che si spacciavano
per lo Czar Pietro III morto assassinato, e di quella spagnuola
del 1808 alla quale prese parte tutta la nazione, la grande insur-
rezione della Vandea nel 1793, quella del Napoletano nel 1799
contro la repubblica partenopea, l'altra dei calabresi contro Giù-
216 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
seppe Bonaparte del 1808, quella del Tirolo nel 1809 e le diverse
insurrezioni carliste della Bisca<^lia e della Navan'a.
Il Macaulay, parlando della insun-ezionf; ruiale che fu capita-
nata da Monmouth all'epoca di Giacomo II, osserva che essa fu
possibile, perchè allora in In<?hilterra i contadini erano tutti un.
po' militari. E veramente una seria insurrezione delle plebi agricole
è solo possibile dove esse hanno una certa abitudine alle armi ; o
almeno dove la caccia, o il briganta/?i£?io, o le lotte di famiglia
e di campanile mantengono la famigliarità coi colpi di fucile.
Nella Russia i moti che abbiamo già accennati, dei quali il più
importante venne capitanato da Pugatcheff, furono una conse-
guenza dell'odio che i contadini, i cosacchi, e tutti gli scorridori
abituati alla libertà della steppa, nutrivano per l'accentramento
burocratico, che allora si andava accentuando e contro gli im-
piegati tedeschi, che di questo accentramento erano ritenuti prin-
cipali autori. Però gl'insorti mantennero sempre un carattere, che
ora si direbbe lealista, perchè sostenevano che il vero Czar si
trovava nel loro campo, e che la Czarina, che risiedeva a Pietro-
burgo ed a Mosca, era una usurpatrice. Sentimenti, da un lato
conservatori e dall'altro lato avversi alla soverchia ingerenza dello
Stato, troviamo anche in tutte le insurrezioni contadinesche, ge-
neralmente avvenute quando i partiti novatori trionfanti, in nome
della civiltà e del progresso, hanno voluto imporre sacrifici nuovi.
I Vandeisti, infatti, per quanto malcontenti della Repubblica che
perseguitava i loro curati, benché irritatissimi per il supplizio di
Luigi XVI, si sollevarono in massa soltanto nel marzo 1793 quando
la Convenzione decretò una leva generale. I contadini del Napo-
letano nel 1799, oltreché lesi dai novatori nelle loro abitudini e
nelle loro credenze, furono dalle truppe francesi taglieggiati e
saccheggiati in malo modo. Nella Spagna nel 1808, oltre al senti-
mento cattolico e nazionale altamente offeso, dicevasi e credevasi
che gl'invasori francesi venissero provveduti di gran numero di ma-
nette, che dovevano servire a condurre fuori del paese tutta la gio-
ventù destinata ad essere arruolata negli eserciti napoleonici (1).
(1) Vedi le storie del Thieks (Consolato ed Impero) e quelle del Tokeno,
dalle quali il Thiers ricavò in gran parte tutto ciò che scrisse sulla grande
insurrezione spagnuola del 1808.
GAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 217
Nella Biscaglia e nella Navarra spagnuola le diverse insurrezioni
carliste sono state in gran parte causate dalla gelosia colla quale
queste provincie hanno tutelato il mantenimento degli antichi
fueros^ che loro assicuravano molte immunità rispetto ai pubblici
pesi ed un'amministrazione locale quasi indipendente.
I primi capi delle insurrezioni rurali sogliono essere per cultura e
condizione sociale di poco superiori ai contadini. Il famoso cabecilla
spagnuolo Mina era un mulattiere ; nel Napoletano al 1799 il solo
Rodio era un leguleio di provincia, ma Pronio, Mammone e Nun-
ziante facevano prima i mugnai o i sotto-ufficiali. Andrea Hoffer^
il capo della insurrezione tirolese del 1809, era un agiato oste : i
moti iniziali dell'insurrezione vandeista furono diretti dal barbiere
Gaston, dal vetturale Cathelinau e dal guardacaccia Stofflet. Se
però le classi superiori aderiscono all'insurrezione, dando ad essa
forza e consistenza, presto sorgono altri capitani di una condi-
zione sociale superiore. Fu cosi che in Vandea i contadini anda-
rono ai castelli dei signori, naturalmente esitanti perchè capivano
meglio le difficoltà dell' impresa, e li persuasero o li costrinsero
quasi a mettersi alla loro testa. Cosi furono trascinati nell'azione
i gentiluomini Lescm-e, Bonchamps, Larochejacquelin e Charette.
Quest'ultimo, freddo, astuto, di un'attività e di un'energia indo-
mabili, spiegò subito tutte le doti di un perfetto capoparte; sicché^
invece di frenare gli eccessi dei suoi seguaci, fece loro commet-
tere tutte le vendette che vollero, al fine di comprometterli e le-
garli irrevocabilmente alla causa della ribellione. Fra i capi delle
rivolte rurali e conservatrici il solo che possa essere paragonato
a lui è il biscaglino Zumalacarreguy, capo supremo della prima
insurrezione carlista, che anch' egli era un piccolo gentiluomo
campagnuolo.
Un carattere comune alle insurrezioni conservatrici dei conta-
dini, come a quelle che in nome della libertà e del progresso si
fanno nelle grandi città, è il seguente : per poco che esse durino
presto si forma una classe di persone che vi prende gusto ed ha
interesse a continuarle. Il primo movimento può avere un carat-
tere di universalità, ma ben tosto nella massa si distinguono co-
loro che, una volta lasciate le abituali occupazioni, non vogliono
tornarvi, perchè sentono svilupparsi l' istinto della lotta e delle
avventure. Vi sono infatti uomini, che non hanno attitudine per
farsi molto avanti nei momenti ordinari della vita sociale, ma al
218 ELBUBNTI DI SCIENZA POLITICA.
contrario sanno farsi valere nei momenti eccezionali, come sono
le guerre civili ; costoro hanno naturalmente la tendenza a che
l'eccezione diventi regola generale.
Cosi vediamo che, dopo la jDrima fase, la più grandiosa dell'in-
surrezione vandeista, che si chiuse colla terribile rotta di Savenay,
la guerra si prolungò ancora per anni, jjerchè, attorno ai capi, si
erano formati nuclei di uomini risoluti, che altro mestiere non
volevano esercitare che quello del jjartigiano. Più si accentua
questa tendenza quando la rivoluzione è un mezzo di far rapida
fortuna, come avvenne a Rodio ed a Pronio, che diventarono di
botto generali, ed a Nunziante e Mammone, che furono ricono-
sciuti colonnelli. Nella Spagna il lievito rivoluzionario lasciato
dai sei anni della guerra d'indipendenza fermentò nelle succes-
sive guerre civili, nelle quali il nocciolo delle insurrezioni fu
sempre formato da avventurieri che speravano fortune ed avan-
zamenti ; poiché molti gradi furono colà guadagnati servendo ed
abbandonando in tempo le diverse parti combattenti (1).
VI. — Le rivoluzioni che rappresentano fatti sociali apparen-
temente più strani, perchè dovuti a condizioni politiche più spe-
ciali, sono senza dubbio quelle scopi)iate in Francia durante il se-
colo decimonono. Esse sono state infatti rese possibili solo da una
eccessiva burocratizzazione e da altre circostanze peculiari alle
quali brevemente accenneremo.
Non mettiamo nel novero la grande rivoluzione del 1789, che
fu una vera dissoluzione delle classi e delle forze politiche che
fì.n allora avevano diretto la Francia. Si sa che allora l'ammini-
strazione e l'esercito, disorganizzati completamente dall' inespe-
rienza dell'Assemblea nazionale, dall'emigrazione e dalla propa-
ganda dei clubs^ non furono per parecchio tempo più al caso di
far rispettare le decisioni di qualunque governo (2). Sicché il po-
ri) Le abitudini rivoluzionarie contratte da un certo numero di persone con-
tribuiscono pure a spiegare le diserzioni e le inconseguenze non rare nei civili
rivolgimenti. Avviene infatti qualche volta che gente, che si è battuta per un
principio, dopo il trionfo di questo continua a ribellarsi ed a battersi solo
perchè di ribellione e di battaglia sente il bisogno.
(2) Fin dal luglio 1789 interi reggimenti erano passati alla causa della Ri-
voluzione. In seguito si ebbe cura di trascinare sotto-ufficiali e soldati nei
cluhs, dove ebbero la parola d'ordine di obbedire alle inspirazioni dei comitati
GAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 219
tere caduto dalle mani del Re non fu raccolto da un ministero
che aveva la fiducia dell'Assemblea costituente, ed appartenne
volta per volta alla setta od all'uomo che, in un dato giorno, sapea
farsi seguire a Parigi da un nucleo di forza armata; fosse questi
La Fayette a capo della guardia nazionale o Danton colla plebe
dei sobborghi armata di picche.
Però fin d'allora comincia a manifestarsi una tendenza che si
andrà vieppiù accentuando nella prima metà del secolo decimo-
nono. Coloro che dirigevano le insurrezioni cercavano sempre di
impadronirsi della persona o delle persone, che rappresentavano il
simbolo o l'istituzione alla quale la Francia, o per antica tradi-
zione o per fede nei principii nuovi, obbediva; ed, una volta riu-
sciti nel loro intento, erano realmente padroni del Paese.
Cosi fecero gli insorti al 6 ottobre 1789, quando, obbedendo evi-
dentemente ad una parola d'ordine, andarono a Versailles e s'im-
padronirono del Re. Abolita la monarchia, fu contro la Conven-
zione nazionale che si diressero i colpi di mano, come quello del
31 maggio 1793 che fece l'Assemblea la quale rappresentava la
Francia, schiava di un pugno di marmaglia parigina. La provincia
tentò allora di reagire, ma invano, perchè l'esercito restò obbe-
diente ai comandi che venivano dalla capitale in nome della Con-
venzione, per quanto fosse notorio che questa era coartata.
La stessa generale acquiescenza per tutto ciò che aw^eniva nella
sede del Groverno contribuì molto al felice risultato dei diversi
colpi di stato, che avvennero sotto il Direttorio e fino allo stabi-
lirsi dell'impero napoleonico.
Ma forse ancora più caratteristico è quello che avvenne nel 1830,
nel 1848 e nel 1870. Dopo un combattimento più o meno lungo,
qualche volta relativamente insignificante (1), con quella frazione
rivoluzionari anziché ai comandi dei loro ufficiali. — Il marchese di Bouillé,
comandante l'esercito dell'est, e che avea pur saputo reprimere la pericolosa
insurrrezione militare di Metz, scriveva sul finire del 1790 che l'esercito, ad
eccezione di qualche reggimento, era incancrenito, che i soldati avi-ebbero
seguito il partito del disordine o tutto al più chi meglio li avesse pagati e
che questi erano i discorsi che apertamente tenevano (Vedi Currespondance
entre le comte de Mirabeau et le conte de La Marck. Paris, 1851, Lenormant).
(l) Le famose giornate di febbraio 1848, che rovesciarono la monarchia di
Luigi Filippo, costarono la vita a 72 soldati e 287 insorti o curiosi.
220 ELBMENTI DI SCIENZA POLITICA
di trupi)e, che difendeva nella capitale i fabbricati dove stavano
i ra})])re.sentanti del supremo potere fin allora riconosciuto legit-
timo, la folla armata e disarmata fece fuggire sovrani e ministri,
sciolse le assemblee e tumultuariamente formò un Governo, com-
posto di uomini jjìù o meno noti al paese, i quali s'insediarono
nei luoghi dove gli antichi capi del Governo erano soliti a gover-
nare, e di là, coadiuvati quasi sempre dai soliti funzionari, tele-
grafarono alla Francia che, grazie al popolo vittorioso, essi erano
diventati i padroni del Paese; e Paese, amministrazione ed eser-
cito prontamente li obbedirono. Pare la storia della lanterna ma-
ravigliosa di Aladino, la quale quando, per caso od astuzia, ca-
pitava in mano ad uno, fosse egli anche un semplice ed ignorante
fanciullo, subito i genii lo servivano ciecamente e rendevano il
possessore più ricco e potente dei sultani dell'Oriente, senza che
nessuno gli domandasse come e perchè il prezioso talismano fosse
pervenuto nelle sue mani.
Si può obiettare che nel 1830 il Governo era diventato cieco
strumento del partito legittimista, che era uscito dalla legalità,
che una gran parte della Francia era decisamente contraria al-
l'indirizzo politico che esso seguiva e che una p>arte stessa delle
truppe agi mollemente o non agi del tutto nel momento de-
cisivo. La catastrofe del 1870 contribuisce pure a spiegarci il
cambiamento di Governo, che allora in Francia ebbe luogo. Ma
nessun elemento di questo genere abbiamo per renderci ragione
della subitanea rivoluzione del 1848 : né le Camere, ne la buro-
crazia, ne l'esercito avevano allora simpatie per il Governo re-
pubblicano, la maggior parte dei dipartimenti vi era contraria (1) ;
a Parigi stessa la guardia nazionale, in febbraio oscillante, perchè
(1) Ciò è confessato dallo stesso Louis Blanc, il quale, dopo avere respinto
nella sua Histoire de la Revolution de 1848 (Paris, 1870, ed. Lacroix), l'ingiu-
riosa supposizione che la repubblica fosse allora voluta da una minoranza,
nella stessa opera (volume 1°, pag. 85), ammette che il suffragio universale
avrebbe potuto dichiararsi contrario alle istituzioni repubblicane; e pili avanti
(volume 2°, pag. 3) dice queste precise parole: " A quoi bon en faire mystère?
La plupart des départements en février 1848 étaient encore monarchiques „.
Anche Lamartine, parlando delle impressioni che destò in Francia la rivolu-
zione del 1848, riconosce che essa ebbe " un caractère de trouble, de doute,
d'horreur et d'effroi, qui ne se presenta peut-ètre jamais au méme degré dans
l'histoire des hommes ,.
CAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 221
desiderava la caduta del Ministero Guizot, nel marzo e nell'aprile
successivi fece manifestazioni reazionarie. Eppure bastarono poche
ore di titubanza perchè Luigi Filippo, la sua famiglia ed i suoi
ministri dovessero fuggire non da Parigi, ma dalla Francia, le
Camere fossero annullate ed un Governo provvisorio, i cui membri
furono, in mezzo ad una folla tumultuante, proclamati al Palazzo
Borbone, assumesse, di punto in bianco, la direzione politica della
Francia.
Il cittadino Caussidière, fino al giorno avanti perseguitato dalla
polizia, alla testa di un gruppo d'insorti e con le mani ancora
sporche di polvere, andò nel pomeriggio del 24 febbraio 1848 alla
Prefettura di polizia e, fin dalla stessa sera, ne divenne il capo
ed il dù-ettore. L'indomani tutti i capi servizio gli promisero la
loro fedele cooperazione e, volenti o nolenti, mantennero la pro-
messa (1).
n Blanc, nella prefazione dell'opera teste citata, dice che Luigi
Filippo cadde i)rincipalmente perchè i suoi fautori lo sostenevano
per interesse non già per devozione personale. Secondo quest'au-
tore, aveva il Re borghese pochi nemici, molti cointeressati, ma
al momento del pericolo non si trovò un amico. Questa ragione
crediamo che abbia un valore molto limitato ; giacché non ci pare
che tutti coloro che sostengono una forma di governo debbano
avere affezione personale od amicizia disinteressata per l'individuo,
che di questa forma sta a capo. Anzi questi sentimenti non pos-
sono essere sinceramente sentiti che dalle poche persone o poche
famiglie, che stanno nella sua intimità. La devozione politica per
un sovrano o anche per il capo di una repubblica è tutt' altra
cosa. Piuttosto, come abbiamo già accennato, ci pare invece che
la causa principale dei subitanei rivolgimenti della Francia sia il
soverchio accentramento burocratico, peggiorato dal regime parla-
mentare, il quale fa si che gli impiegati siano già abituati ai cam-
biamenti di padrone e d'indirizzo e sappiano per esperienza che
(1) Vedi le memorie dello stesso Caussidière. La Prefettura di polizia fu
anzi il solo ufficio in cui il basso personale fu cambiato, le antiche fj^uardie
municipali essendo state sciolte e surrogate dai montagnardi, antichi compagni
di congiura e di barricata del nuovo prefetto; il quale poi pronunziò la famosa
frase che faceva l'ordine per mezzo del disordine.
222 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
a contentare chi sta in alto ci si guadagna molto e che a scon-
tentarlo ci si perde assai.
Con un simile regime ciò che abbisogna alla gran maggioranza
dell'esercito, della burocrazia ed anche a quella parte della popo-
lazione che per interesse od istinto ama l'ordine, è un governo,
non un dato governo ; sicché coloro che di fatto stanno a capo
della macchina dello Stato trovano sempre le forze conservatrici
pronte a sostenerli e l'intiero organismo politico si muove quasi
ugualmente, qualunque sia la mano che lo faccia agire.
Certo con questo sistema si può ottenere piuttosto un cambia-
mento nelle persone che hanno in mano il supremo potere, an-
ziché nel vero indirizzo politico di una società; e ciò appunto è
accaduto in Francia dopo il 1830, il 1848 ed il 1870 : giacché, se
si vuole tentare un mutamento più radicale, gli stessi governanti
usciti dalla Rivoluzione sono trascinati ad impedirlo, come av-
venne nel giugno 1848 e nel 1871, dagli elementi conservatori che
sono i loro strumenti e nello stesso tempo i loro padroni.
E pure indiscutibile che un forte sentimento della legalità e
della legittimità del Governo preesistente ostacolerebbe l'obbe-
dienza passiva ad un nuovo regime sorto dalle barricate, ma un
sentimento di questo genere per nascere ed affermarsi ha bisogno
del tempo e della tradizione, ed in Francia troppo rapidi furono
i cambiamenti avvenuti fino al 1870 perchè la tradizione vi potesse
attecchire. Bisogna finalmente tener presente che, durante il secolo
decimonono, in Francia ed in gran parte d'Europa le minoranze
rivoluzionarie hanno potuto fare assegnamento non solo sulla sim-
patia delle masse povere ed incolte, ma anche, e principalmente
forse, su quelle delle classi, che pure hanno una certa cultura.
A torto od a ragione, si è, per tre quarti di secolo, insegnato alla
gioventù che molte fra le più importanti conquiste della vita mo-
derna si sono ottenute in seguito alla grande rivoluzione o colle
rivoluzioni. Data una simile educazione, non è da mara\ngliare
se i tentativi e le vittorie dei rivoluzionari non siano vedute con
ripugnanza dalla generalità, fino a tanto almeno che non ne mi-
nacciano 0 danneggiano seriamente gli interessi materiali (1). Na-
(1) Sugli effetti di questa educazione rivoluzionaria vedi Villetabd, Insur-
rection du 18 mars, capitolo 1°. Paris, 1872, Charpentier.
GAP. Vili - LE EIVOLUZIONI 223
turalmente i sentimenti ai quali abbiamo accennato devono essere
per un pezzo più forti e diffusi in quei paesi nei quali gli stessi
Governi di fatto o legali sono usciti da una rivoluzione ; in modo
che, pur condannando le ribellioni in genere, devono pur cele-
brare quella buona, quella santa insurrezione dalla quale ripetono
la loro origine.
VII. — Uno dei modi principali mercè i quali la tradizione e
le passioni rivoluzionarie si sono mantenute in molti paesi d'Eu-
ropa sono le società politiche, specialmente quelle segrete. E nel
loro seno infatti che si educano i gruppi dirigenti, che sanno poi
fomentare le passioni delle masse e condmde verso un dato fine.
Quando si potrà scrivere imparzialmente la storia del secolo de-
cimonono essa si dovrà molto occupare dell'efficacia colla quale
qualche società segreta molto diffusa ha saputo spargere le idee
liberali e democratiche, modificando jiro fondamente e rapidamente
l'indirizzo intellettuale di una gran parte della società europea.
Giacche, se non si tenesse conto di una propaganda attiva, orga-
nizzata e ben diretta, diffìcilmente si potrebbe spiegare come certi
modi di vedere, che sulla fine del secolo decimottavo erano patri-
monio dei salotti eleganti e di una società ristrettissima, ora si
sentono ripetere in fondo ai più remoti villaggi da persone ed in
ambienti, che certo non si sono modificati in forza di una cultura
propria.
Se però nella preparazione intellettuale e morale delle rivolu-
zioni le associazioni, sia jjalesi che segrete, ordinariamente eccel-
lono, lo stesso non si può dire quando si tratta di spingere le masse
all'azione immediata, di suscitare un movimento a mano armata
in un dato punto ed in un giorno stabilito ; perchè allora società e
congiure, per una volta che riescono, dieci volte almeno falliscono.
La ragione è evidente : per lanciare una rivoluzione non bastano gli
spostati pronti ad ogni rischio, che si trovano in tutte le grandi
città europee, ma bisogna anche la cooperazione di una parte no-
tevole delle masse. Or queste non si commuovono senza che vi
sia un gran fermento negli spiriti causato da avvenimenti, che i
Governi spesso non sanno o non possono evitare, ma che nello
stesso tempo le società rivoluzionarie non possono creare, e dei
quali perciò possono soltanto trarre abilmente profìtto. Una grande
speranza delusa, un rapido peggioramento delle condizioni econo-
224 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
miche, una sconfitta toccata all'esercito nazionale o una rivolta
vittoriosa di un paese vicino sono tutti fatti molto adatti a so-
vracccitare una moltitudine già preparata dall'educazione rivolu-
zionaria. Allora il nucleo dei ribelli stabilmente organizzato, se
sa profittare del momento, può sperare un successo; ma se al con-
trario si lancia solo nell'azione, senza alcun sussidio di circostanze
eccezionali, viene infallibilmente e con facilità sopraffatto, come
accadde in Francia in occasione dei moti del 1832, 1834, e 1840.
Perciò le Polizie, che d'ordinario si i^reoccupano poco della pro-
paganda dei principii e stanno solo attente a prevenire e sventare
i colpi di mano dei gruppi rivoluzionari, dei quali riescono abba-
stanza facilmente a conoscere i progetti e le intenzioni imme-
diate mercè qualche spia che insinuano nel loro seno (1), danno
prova di quella meschinità di vedute, che pare una qualità comune
e quasi fatale in tutte le presenti istituzioni conservatrici.
In Francia, in Spagna ed anche in Italia si trova qualche città,
nella quale è più facile trascinare le masse sulle barricate. E questo
uno dei tanti effetti dell'abitudine e della tradizione, per le quali
una popolazione, che una volta ha fatto alle fucilate ed ha rove-
sciato il Groverno costituito, crederà, per una generazione almeno,
possibile di rinnovare con buon esito il tentativo, a meno che ri-
petuti e sanguinosi insuccessi non la disingannino. Aggiungiamo
che gl'individui, che hanno parecchie volte affrontato il fuoco,
acquistano una specie d'educazione guerresca e diventano capaci
di battersi meglio (2). Malgrado i^erò tutti i vantaggi di tempo,
di luogo, di circostanze, dei quali un movimento rivoluzionario può
fruire, certo ai giorni nostri, coi grossi eserciti stanziali che ab-
biamo e mercè i mezzi pecuniari e gli strumenti bellici, che solo
i poteri costituiti sono al caso di procurarsi, nessun Groverno può
essere colla forza rovesciato se gli uomini stessi che lo dii'igono
(1) Fra queste fu famoso quel Luciano De La Hodde, uno dei capi di tutte
le congiure repubblicane dell'epoca di Luigi Filippo, che, dopo la rivoluzione
di febbraio, si scoprì che era stato un agente segreto della polizia.
(2) E questa una delle ragioni per le quali gli operai parigini si batterono
così accanitamente nel giugno 1848, sebbene a ciò abbia contribuito, come
spiega il Blanc nella sua storia della rivoluzione del 1848, quella certa orga-
nizzazione che aveano avuto negli opifici nazionali. L'elemento rivoluzionario
si battè anche meglio nel 1871, perchè, facendo esso parte della guardia na-
zionale parigina, era stato accuratamente armato, organizzato ed esercitato.
i
CAP. Vili - LE RIVOLUZIONI 225
non sono per i primi scossi ed esitanti, o se almeno non sono
trattenuti da una forte paura di assumere la responsabilità di una
repressione sanguinosa. Le concessioni all'ultima ora, gli ordini
e contrordini, le titubanze di coloro che hanno in mano la forza
legale e che la debbono adoperare, sono i veri e più efficaci fattori
della riuscita di una rivoluzione e la storia delle giornate di
febbraio 1848 è su questo riguardo molto istruttiva (1). Ed è dan-
nosa illusione il credere che, mentre nei posti più elevati si ten-
tenna e si ha paura di compromettersi, si possano trovare uffi-
fìciali subalterni che assumano la responsabilità di una energica
iniziativa o anche di una energica esecuzione di ordini i^erplessi
e contradittori.
Resta ora ad esaminare in che modo si siano costituiti gli eser-
citi stanziali e quali siano le condizioni perchè non degenerino
questi organismi complessi e delicati, che, senza turbare ordina-
riamente l'equilibrio giuridico delle altre forze sociali, sono, se
saputi ben adoperare, strumenti così efficaci in mano dei Governi
legali. Di ciò tratteremo nel seguente capitolo.
(1) Vedi specialmente Thureau Dangik, Histoire de la Monarchie de Juillet,
volume ultimo.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 16
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — IT. Lo Stato burocratico e gli
eserciti mercenari e stanziali. — IIL Preponderanza politica abituale dell'ele-
mento militare. — IV. Ragioni per le quali questa preponderanza è stata li-
mitata e distrutta nei paesi di civiltà europea. — V. Importanza pratica delle
moderne milizie cittadine. — VI. Diversità di classe fra la bassa forza e gli
ufficiali in molti eserciti stanziali. — VII. Giudizi e pregiudizi intomo alle
speciali attitudini militari dei vari popoli. — VUI. Gli eserciti stanziali, la
guerra e l'avvenire della civiltà di tipo europeo.
I. — Nei paesi selvaggi o molto barbari, nei quali la produ-
zione economica è rudimentale, nel caso abbastanza frequente che
si venga alla guerra, tutti gl'individui maschi ed adulti sono sol-
dati. Giacché nelle società primitive, dato che esista la pastorizia
nomade o che vi sia anche un embrione di agricoltura e d'industria,
queste non sono mai cosi sviluppate da assorbire interamente l'at-
tività umana; sicché restano sempre tempo ed energia sufficienti
per darsi alle scorrerie avventurose, le quali forniscono un'occu-
pazione non solo piacevole ma quasi sempre lucrosa. Nelle popo-
lazioni dunque alle quali accenniamo, le arti pacifiche sono la-
sciate volentieri alle donne o tutto al più agli schiavi e gli uomini
si danno a preferenza alla caccia ed alla guerra.
Così è accaduto ed accade fra tutte le razze ed in tutti i climi,
quando si trovino le condizioni che abbiamo rilevate: cosi vive-
vano gli antichi Germani e fino a pochi anni fa gli avanzi delle
CAP. IX - GLI ESEKOITI STANZIALI 227
odierne Pelli Rosse, gli Sciti dell'antichità classica ed i Turco-
manni dell'era moderna, e cosi vivono fino ad oggi una parte dei
Negl'i dell'interno dell'Africa e le tribù ariane, semitiche o mon-
gole, che, nelle regioni più inaccessibili dell'Asia, hanno potuto
conservare un'indipendenza di fatto.
Un coefficiente favorevole alla durata di questo stato di cose è
la esistenza di organismi politici minimi, l'autonomia di fatto di
ogni piccola tribù o minuscolo villaggio, che può rendere diuturna
la guerra e continui il ladroneggio e le rappresaglie fra vicini.
Difatti anche le tribù barbare sottomesse ad un Groverno regolare
che impedisce le guerre intestine, alla lunga diventano pacifiche;
come, ad esempio, è accaduto in gran parte alle popolazioni no-
madi dell'Asia da lungo tempo sottoposte al Governo chinese ed
a quelle fra il Volga e gli Urali, che pure da un pezzo subiscono
il giogo della Russia. Al contrario, nel Medio Evo. vediamo in
Germania ed anche in Italia popolazioni relativamente colte man-
tenere costumi molto guerreschi, perchè divise in feudi e Comuni
fra i quali di fatto durava il diritto del pugno.
Appena però grandi organismi politici, anche rudimentali ed
imperfetti, si vanno costituendo, e sopratutto appena lo sviluppo
economico è più avanzato e la guerra non fornisce più l'occupa-
zione maggiormente lucrosa, allora vediamo consacrarsi al mestiere
delle armi una classe speciale, la quale ritrae il proprio sostenta-
mento non tanto dalle prede, che fa sugli avversari, quanto dai
tributi, che, sotto diverse forme, preleva sui lavoratori pacifici del
paese che essa tutela e difende. Generalmente, siccome in un pe-
riodo di mediocre civiltà e cultura la produzione è quasi esclusi-
vamente agricola, i gaemeri o sono proprietari delle terre, che
fanno da altri coltivare, o dai lavoratori della terra ritraggono
pesanti ed onerose contribuzioni. Cosi accadde durante quel periodo
primitivo della classica antichità nel quale la parte dominatrice
e militare della città era costituita unicamente dai proprietari di
terre (1), e lo stesso fenomeno si ha piti spiccatamente in tutti i
paesi feudalmente organizzati. Lo troviamo perciò tra i Latini ed
i Germani del Medio Evo come anche fra gli Slavi, presso i quali
si determinò più tardi, perchè più tardi abbandonarono la vita
(1) Come nella costituzione serviana.
228 EliEMBNTI DI .SCIENZA POLITICA
nomade ed entrarono noi periodo stabilmente agricolo; e lo tro-
viamo puro, in corto e]>oche, in China, nel Giappone e. nell'India,
nella quale era rientrato in pieno vigore durante quell'epoca di
decadenza e di anarchia, che seguì la dissoluzione dell'impero del
Gran Mogol. Organizzazioni analoghe si possono rintracciare in
Turchia, nell'Abissinia, in Afganistan e nei periodi di decadenza,
che si frappongono fra le diverse fasi dell'antichissima civiltà egi-
ziana; in tutte quelle società, insomma, che non hanno ancora ab-
bandonato quel primo e più rozzo periodo di cultura, che possiamo
in una grande nazione trovare, ovvero che, doj^o avere raggiunto
una civiltà molto più avanzata, per ragioni interne ed esterne de-
cadono, si decompongono, e, come tipo sociale, si trasformano e
periscono, come fu il caso dell'Impero romano (1).
II. — Quando però la civiltà degli Stati feudali va aumen-
tando, non tarda a manifestarsi in essi la tendenza verso la cen-
tralizzazione e perciò verso l'ordinamento burocratico. Dappoiché
il potere centrale cerca costantemente di emanciparsi dalla ne-
cessità di ricorrere alla buona volontà dei piccoli organismi poli-
tici, che formano lo Stato; buona volontà che non è sempre pronta
e disinteressata. Quindi, anche per tenerli ubbidienti e disciplinati,
cerca di fornirsi direttamente dei mezzi coi quali efficacemente si
impone la propria volontà agli altri uomini: il denaro, cioè, ed i
soldati. E cosi che si vanno creando i corpi mercenari, che sono a
servizio diretto del capo dello Stato, e questo fatto è cosi natu-
rale e costante, che, in embrione almeno, lo troviamo in tutti i
paesi feudalmente organizzati.
Al giorno d'oggi infatti il Negus d'Abissinia, oltre il contin-
gente che gli forniscono i vari Ras, ha un primo nucleo di ar-
mati formato dalle guardie addette alla sua persona, che egli
mantiene direttamente colle requisizioni che affluiscono a Corte,
ed anche dai servitori della sua casa, beccai, palafrenieri e pa-
(1) Abbiamo già parlato del predominio della classe militare nel capitolo li,
ed abbiamo già visto come, in qualche caso, i guerrieri siano stati forniti
esclusivamente dalla classe dominatrice, mentre in altri casi questa ha fornito
soltanto i capi, gli ufficiali ed i corpi scelti, mentre un certo numero di gre-
gari delle armi meno pregiate si è reclutato fra le classi meno elevate.
GAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 229
nattieri, che seguono rimperatore dappertutto ed all'occorreiiza
diventano soldati (1).
Anche nella Bibbia troviamo che il primo nucleo dell'esercito
di David e dei suoi successori era composto dai guerrieri che man-
giavano alla mensa del Re e dai mercenari Cretesi e Filistei; tutta
gente molto provetta nelle armi, la quale represse la rivolta ca-
pitanata da Assalonne sebbene fosse secondata dalla maggioranza
del popolo (2). Il Renan crede anzi che questo fatto di un nucleo
di sbirri stranieri presi al servizio del Governo centrale sia proprio
soltanto dei popoli semitici, presso i quali lo spirito di tribù e di
famiglia è cosi forte, che gli elementi indigeni non riescono adatti
a far rispettare i diritti dello Stato, che vengono sempre posposti
agli interessi della propria fazione. Ma in verità pare a noi che
ciò accada dappertutto dove l'aggregato sociale si componga di
X)iccoli nuclei provvisti di tutti gli organi necessari ad una vita
indipendente e che quindi possono facilmente ribellarsi al potere
centrale. Sicché il Re d'Inghilterra, che nel Medio Evo procurava
di assoldare Fiamminghi e Brabanzoni, il Re di Francia che si
circondava di Svizzeri, il signore italiano che stipendiava i Te-
deschi, in fondo obbedivano alle stesse necessità politiche che spin-
gevano i Re di Giuda ad assoldare Filistei e Cretesi, e spinsero
più tardi i Califf di Bagdad ad assoldare la guardia turca.
A nostra conoscenza solo il genio organizzatore di Roma portò
a tale perfezione l'ordinamento degli eserciti cittadini reclutati
nella classe dominatrice ed agiata e composti d'individui che pi-
gliavano le armi solo in caso di bisogno, da renderne possibile,
senza scosse e quasi insensibilmente, la trasformazione in un vero
e proprio esercito stanziale formato di soldati di mestiere (3). Ge-
neralmente però l'inizio degli eserciti stanziali si deve trovare nei
nuclei di mercenari indigeni o stranieri che il potere centrale as-
solda per avere un punto di appoggio di fronte alle altre forze
militari feudalmente organizzate. La nazionalità dei mercenari
(1) Vedi la relazione dell'Antonelli sulla zemeccià ovvero spedizione ed or-
ganizzazione dell'esercito scioano pubblicata nei Documenti diplomatici pre-
sentati al Parlamento italiano il 17 dicembre 1889.
(2) Libro di Samuele, dal paragrafo 15 al paragrafo 18.
(3) Questa trasforruazione, come si sa, cominciò nell'ultimo secolo della Re-
pubblica ed era già compiuta quando principiò l'impero.
230 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
stessi può qualche volta essere stata determinata da ragioni po-
litiche G forse anche da abitudini ed attitudini tradizionali, ma il
criterio che più comunemente ha prevalso è senza dubbio quello
economico del minimo mezzo col massimo risultato: cioè di avere
il maggior numero possibile di soldati colla minima spesa.
Perciò sono stati sempre i paesi relativamente ])overi di capitali
e ricchi di popolazione, nei quali il tempo e la vita degli uomini
si possono avere a più buon patto, quelli che hanno fornito, come
regola generale, i contingenti più importanti alle truppe assol-
date (1).
III. — Stranieri o indigeni i mercenari stabilmente organiz-
zati, una volta diventati la forza preponderante di un paese, hanno
(1) Riguardo all'usanza di assoldare mercenari è da notare che essa si svi-
luppa primieramente ed a preferenza nei paesi non solo ricchi, ma nei quali
la ricchezza è industriale e commerciale piuttosto che agricola. Giacche quivi
la classe dirigente è disabituata dalla vita dei campi, che è la miglior prepa-
razione a quella delle armi, e trova più il suo tornaconto a dirigere il banco
e la fabbrica, anziché a cavalcare in guerra. Così accadde in Cartagine, a
Venezia ed in generale nei piti ricchi Comuni italiani, dove la borghesia mer-
cantile ed industriale perdette presto l'abitudine di combattere personalmente
le sue guerre e le affidò a preferenza ai mercenari. Sicché, come abbiamo ram-
mentato, a Firenze le cabaliate, cioè le spedizioni armate che i cittadini, che
pur 8Ì erano battuti all'Arbia ed a Campaldino, eseguivano in persona, sono
ricordate solo fino al 1325.
I mercenari poi, quando l'armatura del soldato costa molto e la sua maniera
di combattere esige un lungo tirocinio, come era il caso del cavaliere medio-
evale e dell'oplita greco, sono ordinariamente cadetti o spostati di buona fa-
miglia, che spontaneamente o per necessità cercano ventura fuori del loro
paese nativo, e questa, ad esempio, era l'origine dei diecimila di Senofonte.
Se al contrario l'armatura costa poco e non si richiede un lungo periodo di
addestramento, allora si reclutano a preferenza nei paesi poveri, dove le
braccia abbondano e vi sono poca industria e pochi capitali. Fino a poco tempo fa
erano infatti le contee più povere dell'Irlanda, che fornivano il maggior numero
di reclute all'esercito inglese; Machiavelli notava già la difficoltà con cui i
Tedeschi delle città industriose andavano a servire come mercenari, e Voltaire
rilevava che, ai suoi tempi, fra tutti i Tedeschi, i Sassoni erano i meno propensi
ad arruolarsi come soldati, perchè la Sassonia era la regione più industriosa della
Germania. Ai giorni nostri, anche se il Governo federale lo permettesse, non
si troverebbero certo molti Svizzeri da assoldare; perchè la Svizzera è ora un
paese abbastanza agiato, e parecchie sono le contrade europee che un tempo
erano use a pigliare ai loro stipendi gli Svizzeri e che, forse a miglior mercato,
sarebbero ora servite dagli elementi indigeni.
GAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 231
sempre cercato d'imporsi al resto della società. Come la classe
feudale, essi, una volta conseguito il monopolio delle armi, ne
hanno profittato per ottenere privilegi, per vivere quanto più gTas-
samente è stato possibile alle spalle dei lavoratori, e sopratutto
per ridurre alla loro dipendenza il supremo potere politico ; e la
loro influenza è stata tanto più esclusiva quanto più perfetta era
la loro organizzazione e quanto più completa la disorganizzazione
militare del resto della nazione.
Alcuni esempi in proposito sono a tutti familiari e, senza ram-
mentare i pretoriani e le legioni ch.e disponevano dell'Impero ro-
mano, diremo che quasi ogni volta che i Governi, per reagire
contro l'anarchia feudale o per altre ragioni, hanno creato corpi
di truppe stanziali, si sono poi trovati quasi sempre in balia di
questi. Ivano IV di Russia, per non dijjendere interamente dai
contingenti forniti dai boiardi e poter governare più assoluto,
formò il corpo degli strelitzi stabilmente assoldato, e che dipen-
deva direttamente dal Sovrano; e ben tosto gli strelitzi fecero e
disfecero gli czar, diventarono quasi i padroni della Russia, e
Pietro il Grande non se ne potè liberare altrimenti che mitra-
gliandoli e decapitandoli a migliaia. A Costantinopoli i Sultani
vollero anch'essi avere una milizia completamente fida, che al-
l'occorrenza marciasse senza scrupoli, non solo contro gl'infedeli,
ma anche contro gli scheihs degli Arabi e dei Kurdi, i begs alba-
nesi e bosniaci ed i kan dei Turcomanni e dei Tartari, perchè
formata da gente senza patria e senza famiglia, educata esclusi-
vamente nella devozione all'Islam ed al Padischiàh; e crearono i
giannizzeri reclutati con fanciulli circassi, greci e di altre nazioni
cristiane, comprati o rapiti giovanissimi alle loro famiglie. E ben
tosto i giannizzeri crearono e deposero i Sultani, furono i veri pa-
droni dell'Impero degli Osmanli, strangolarono l'infelice Selim III,
che primo volle frenare la loro onnipotenza, ed il sultano Mahmud
dovette sterminarli per vincerli.
Ed i sultani di Costantinopoli avrebbero potuto far tesoro del-
l'esperienza degli Abbassidi di Bagdad, loro predecessori nel ca-
liffato. Costoro fin dagli inizi del nono secolo, e forse anche prima,
per avere una milizia fida, che non avesse la tentazione d'innal-
zare lo stendardo dei Fatimiti o dogli Ommeiadi, come non di
rado facevano le truppe arabe, avevano formato la guardia turca.
A partire dal califfo Motasem (833-842), questa guardia divenne
232 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
onnipotente ed i mercenari turchi commisero in Bagdad ogni sorta
di eccessi. Il successore di Motasem, di nome V'atek, fu dai Turchi
deposto e suiTOgato col fratello Al-Motavakel e poi in quattro
anni (806-870) essi fecero e disfecero tre altri califfi; finché il ca-
liffo Motamed, dopo la morte di Musa loro ca])0, potè alquanto
imbrigliarli e, sparpagliatili sulle frontiere del Khorasan e della
Dsungaria, riguardava come jjroprie vittorie le sconfitte che essi
toccavano.
In conclusione la storia c'insegna che ordinariamente la classe
che ha portato la lancia od il fucile si è imi)osta all'altra, che ha
maneggiato la vanga o la spola. Appena una società è tanto pro-
gredita che la produzione economica debba assorbire un gran nu-
mero di braccia e d'intelligenze, fra popoli civili dati abitualmente
alle occupazioni pacifiche, il dichiarare in jjrincipio che tutti sono
soldati, quando non vi è una salda organizzazione militare ed un
nucleo di capi e di ufficiali particolarmente consacrati al mestiere
delle armi, equivale in pratica a non avere nel momento del pe-
ricolo alcun soldato e ad esporre un paese popolatissimo a restare
in balia di un piccolo esercito, nazionale o straniero, purché sia
ben esercitato ed organizzato. Dall'altro lato l'affidare il mestiere
delle armi esclusivamente a quella frazione della società, che
spontaneamente vi è più adatta e volontariamente lo assume, si-
stema che pare il più naturale ed ovvio, e che molti popoli nel pas-
sato hanno adottato, presenta pure gravissimi e vari inconvenienti.
In una società disorganizzata, in ogni villaggio si formerà una banda
di uomini composta da coloro, che avranno più ripugnanza al lavoro
metodico e più inclinazione alle avventure ed alla violenza, e
questa banda ed il suo capo tiranneggeranno i pacifici lavoratori
senza regola né legge. In una società semi-organizzata, l'insieme
di queste bande costituirà la classe dominatrice, che sarà signora
e padrona di tutta la ricchezza e l'influenza politica, come fu il
caso della feudalità medioevale nell'occidente di Europa e della
nobiltà polacca fino a poco più di un secolo fa. In uno stato bu-
rocratico, che rappresenta il tipo di organizzazione sociale più
complicato, l'esercito stanziale, che comprenderà tutti gli elementi
più belligeri e saprà facilmente e prontamente obbedire ad unico
impulso, facilmente s'imporrà al resto della società.
Il gran fatto moderno, quasi generale nelle nazioni di civiltà
europea, di grossi eserciti stanziali rigidi custodi della legge, os-
GAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 233
sequenti agli ordini dell'autorità civile, e la cui importanza poli-
tica è scarsa ed indirettamente esercitata, se non è assolutamente
senza esempio nella storia umana, rappresenta quindi una fortu-
nata eccezione. Solo l'abitudine di poche generazioni e la dimen-
ticanza del passato fanno si che esso sembri normale a noi, che
abbiamo vissuto sulla fine del secolo decimonono e sul principio
del ventesimo e che troviamo strano quando questo stato di cose
subisce qualche eccezione (1). Ma in verità un simile risultato si
è potuto ottenere solo in grazia ad un grande e sapiente sviluppo
di quei sentimenti sui quali è basata la difesa giuridica, e sopra-
tutto mercè una serie di circostanze storiche eccezionalmente fa-
vorevoli, che sarà nostra cura di brevemente rammentare. Accen-
niamo fin da ora che non è impossibile che altre circostanze sto-
riche, che si vanno elaborando, riescano ad indebolire ed a sfasciare
il complicato, delicato e sapiente meccanismo degli eserciti mo-
derni; ciò che ci ricondurrebbe ad un tipo di organizzazione mi-
litare, forse più naturale e i3Ìù semplice, ma certo anche più bar-
baro e meno adatto ad una difesa giuridica perfezionata.
IV. — La lenta elaborazione storica per la quale si è arrivati
alla costituzione dei moderni eserciti stanziali rimonta alla fine
del Medio Evo. Fu durante il secolo decimoquinto che, in Francia
dapprima, e poi nelle altre regioni d'Europa la monarchia accen-
tratrice, madre dello Stato burocratico moderno, andò sostituendo
le truppe stanziali alle milizie feudali. Se fin d'allora l'Europa
ebbe relativamente poco a soffrire dalle insurrezioni e dalle so-
vrapposizioni militari, ciò si deve al fatto che la sostituzione av-
venne lentamente, gradatamente e che, anche sulla fine del Medio
Evo, la costituzione degli eserciti europei fu complicata in guisa
che diversi e disparati elementi sociali vi erano rappresentati e si
bilanciavano a vicenda. La cavalleria infatti, al principiare del
(1) Queste eccezioni sono avvenute qualche volta in Francia e più spesso in
Ispagua, (love gli eserciti stanziali hanno cambiato qualche volta gli uomini
che stavano al supremo potere ed anche le forme di governo. Ma bisogna
riflettere che ciò è avvenuto in momenti di crisi e di disorganizzazione sociale,
e che, una volta iniziato l'uso dei cambiamenti di governo per mezzo della
violenza, ogni partito o classe sociale usa per imporsi quei mezzi che più sono
nelle sue abitudini ed alla sua jiortata.
234 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
periodo storico al quale abbiamo accennato, era in generale for-
mata dagli uomini d'arme, gentiluomini di nascita, profondamente
imbevuti di spirito aristocratico e feudale, che stavano però al
soldo del Re; mentre la fanteria era una raccolta di avventurieri
di vari paesi. Poco a poco provalse il sistema di affidare anche il
comando dei reggimenti e poi delle compagnie di fanteria a gen-
tiluomini, per nascita ed indole diversi dai loro soldati. Inoltre,
fino a Luigi XIV ed anche dopo, si prolungò l'antico uso che un
signore raccoglieva per conto suo uno squadrone, un reggimento,
una compagnia fra gli uomini delle sue terre, e con il cor]>o già
formato si metteva al soldo di un sovrano. In caso di bisogno poi
si supponeva sempre che il Re potesse convocare sotto le armi
tutta la nobiltà del Reame (1).
Malgrado però che la mescolanza dei vari elementi sociali e
delle varie nazionalità avesse impedito agli eserciti del cinque-
cento e della prima metà del seicento di diventare padroni degli
Stati che servivano, pure non era cosa facile il mantenere una
tollerabile disciplina fra truppe formate dagli avventurieri di ogni
paese ed in gran parte dalla zavorra della società. Se restarono
proverbiali gli eccessi dei lanzichinecchi tedeschi e dei micheletti
spagnuoli, non è a credere che i reggimenti francesi, svizzeri od
italiani, croati o walloni, si diportassero m.olto meglio. Bisogna
(1) La costumanza di avere in proprietà compagnie e reggimenti e di met-
tersi con essi allo stipendio dei vari Governi durò fino alla fine del secolo
decimottavo, specialmente per i reggimenti svizzeri e tedeschi. 11 reggimento
di fanteria tedesca De la Marck, al servizio della Francia, era, ad es., sempre
comandato da uno della famiglia De la Marck, veniva reclutato a preferenza
nella contea dello stesso nome, si trasmetteva per eredità e gli ufficiali erano
nominati dal colonnello; e tutto ciò fino alla rivoluzione francese (Vedi l'in-
troduzione alla Correspondance entre le Comte de Mirabeau, etc, già citata).
La convocazione di tutta la nobiltà in armi ebbe luogo in Francia l'ultima
volta sul principio del regno di Luigi XIV. Ma si vide allora che la riunione
di dodici 0 quindicimila cavalieri con armamento diverso, alcuni troppo gio-
vani, altri troppo vecchi, personalmente valorosi ma poco esercitati a combat-
tere in rango, avea in pratica poco valore.
Per analoghe ragioni la cavalleria polacca nel secolo decimottavo perdette
molto della sua importanza militare. Al 1809, quando i francesi invasero l'Un-
gheria, fu convocata per l'ultima volta la nobiltà magiara in armi. Ma il corpo
così formato, sebbene individualmente composto di brillanti cavalieri, mostrò
poca solidità nella battaglia del Raab.
CAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 235
leggere la corrispondenza di don Giovanni d'Austria per vedere
con quanti stenti, con quanta destrezza ed energia del capitano
e degli ufficiali fosse mantenuta una disciplina molto relativa fra
le truppe che repressero la rivolta dei Mori negli Alpuxarres, che
s'imbarcarono nelle galee che vinsero a Lepanto e che servirono
nella guerra di Fiandra. Già nei primi anni del secolo decimo-
sesto il cardinale Ximenes all'udire che un esercito spaglinolo,
sbarcato per conquistare Algeri, era stato sconfitto e quasi di-
strutto, dicesi che abbia esclamato: " Dio sia lodato; ecco final-
mente liberata la Spagna da tanti mali arnesi! „. Ed alla fine dello
stesso secolo, fra le cose impossibili che Cervantes faceva desiderare
al curato ed al farmacista del villaggio dove nacque il cavaliere
della Mancia, ci era anche questa: che i soldati, che dall'interno
del paese si avviavano ai porti per imbarcarsi per l'estero, non
saccheggiassero per la via i contadini loro connazionali. Sono note
poi le gesta delle milizie di tutti i paesi, che combatterono nella
famosa guerra dei trent'anni. In Inghilterra una delle cause prin-
cipalissime per le quali si mantenne a lungo Tavversione agli
eserciti stanziali fu la paura della vita licenziosa che menavano
i soldati di mestiere. Sotto Giacomo II fu famoso per stupri e ra-
pine un reggimento inglese tornato in patria dopo avere servito
alcuni anni in Tangeri sotto il colonnello Kirke. Siccome questo
reggimento portava nella bandiera per insegna un agnello, i sol-
dati che di esso facevano parte furono, con umorismo britannico,
soprannominati gli arpielli di Kirke (1).
(1) In quelle contrade d'Europa dove si conservarono fino a tardi immunità
e privilegi medioevali, gli abitanti mantennero gelosamente la prerogativa
di custodire le mura e i fortilizi delle città con milizie cittadine. Ad esempio
in Palermo, sotto la dominazione spagnuola, sebbene gli abitanti si con-
servassero quasi sempre fedelissimi sudditi di Sua Maestà Cattolica, pure
non poteva entrare che un numex'O ben piccolo di soldati stranieri per custo-
dire il Palazzo reale ed il Castello a mare, ed i baluardi con le artiglierie
restavano in potere della milizia cittadina formata dalle onorate maestranze.
Qualche volta che si trattò d'introdurre altre soldatesche in città, le dette
maestranze, sempre professando devozione e fedeltà al Re, barricarono le
strade e puntarono i cannoni dei baluardi sul palazzo reale. La rivolta di
Messina del 1676 fu in parte occasionata dal tentativo, che fece lo stratigoto
don Luigi dell'Hoyo, di sorprendere i forti che erano custoditi dalla milizia
cittadina. 11 timore che inspirava la soldatesca era fondato sulla condotta li-
cenziosa, che si supponeva dovessero tenere i soldati.
236 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Una disciplina migliore non si ebbe che nella fine del secolo
decimosettimo e sopratutto nel secolo decimottavo, durante il quale
vediamo sparire quasi generalmente le milizie feudali e cittadine
e cominciare l'èra dei veri e propri eserciti stanziali alla moderna.
Allora la necessità di tenere molti uomini in arme e la dif-
ficoltà di pagarli tanto quanto bastava per averli volontarii, fecero
sì che si cominciasse ad introduiTO la coscrizione nella maggior
parte dei paesi del continente europeo. Inoltre poi i soldati non
vennero più raccolti fra gli avventurieri e la feccia della società,
ma furono piuttosto scelti fra i contadini ed operai, che, anziché
dedicarsi per tutta la vita al mestiere delle armi, tornarono dopo
pochi anni alle loro ordinarie occupazioni e gli ufficiali conti-
nuarono ad appartenere ad una classe totalmente distinta. Essi
infatti divennero sempre f)iù dei gentiluomini burocratizzati, che,
all'ordine ed alla puntualità dell'impiegato, accoppiarono lo spi-
rito cavalleresco ed il sentimento dell'onore tradizionale nella
nobiltà (1).
Solo nell'Inghilterra e negli Stati Uniti d'America durò e dura
l'antico sistema di reclutare i soldati volontariamente ed a prefe-
renze tra gli spostati delle classi più povere della società (*). In questi
due paesi, e specialmente negli Stati Uniti, le truppe stanziah si
sono mantenute relativamente scarse; perchè, per la loro posizione
geografica, la loro difesa esteriore può in gran parte essere affi-
data alla marina da guerra, mentre l'ordine interno è in parte
mantenuto da milizie cittadine e sopratutto dalla numerosa e bene
organizzata polizia. Inoltre vi si conserva negli eserciti regolari
più rigorosamente che negli eserciti del continente europeo la
(1) Federico II di Prussia si scusa nelle sue Memorie di essere stato co-
stretto, durante la guerra dei sette anni, a nominare ufficiali persone che non
erano nobili. Egli aveva una certa ripugnanza per questa nuova classe di uf-
ficiali, perchè, secondo lui, il gentiluomo di nascita oftriva maggiori garanzie
morali e materiali; giacche, se si disonorava come ufficiale, non poteva andare
a fare un altro mestiere, mentre il plebeo trovava sempre modo di occuparsi
ed era perciò meno interessato ad adempire scrupolosamente al dovere del suo
grado. Questo ragionamento di un uomo così spregiudicato come fu il fonda-
tore della potenza prussiana dimostra che in Germania, come altrove, la for-
mazione di una classe la quale ha un'educazione elevata e che non fa parte
della nobiltà è un fatto relativamente recente.
(*) Si sa che in Inghilterra è stata nel 1916 introdotta la coscrizione.
GAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 237
distinzione di classe fra gli ufficiali e la bassa forza; distinzione
la quale fa si che i primi per attinenze di famiglia e per edu-
cazione siano strettamente legati a quella minoranza, che, per
nascita , cultura e ricchezza , sta al vertice della piramide
sociale (1).
V. — Il valore pratico della milizia cittadina americana finora
si è dimostrato molto mediocre. Già lo stesso Washington di-
ceva che, se fosse stato invitato a rispondere con giuramento a
questa domanda: se le milizie erano utili od inutili, non avrebbe
esitato a rispondere che erano inutili (2). Le guerre esterne in-
fatti ed anche quelle di secessione si sono combattute quasi esclu-
sivamente dall'esercito federale aumentato da aiTuolamenti volon-
tari e, nei disordini interni, è dubbio almeno se la milizia sia più
efficace a sedarli che ad accrescerli. Essa non ha saputo impedire
i frequenti linciaggi^ e davanti gli scioperanti si è dispersa o è
venuta a patti, come accadde nel 1887 ed in altri scioperi più
recenti, nei quali l'ordine è stato ristabilito dall'esercito fede-
rale (3). Ad ogni modo la milizia americana diede il modello e
fu in certo modo la madre della guardia nazionale europea, alla
quale fino a quaranta o cinquant'anni addietro si attribuiva una
grande importanza, principalmente per lo scopo politico che cre-
(1) È noto il carattere ai-istocratico che ha conservato l'ufficialità inglese e
come nell'esercito inglese fino al 1870 sia durato il sistema della compra dei
gradi. 11 FiscHEL (Vedi La Constitution d'Angleterre, pag. 297. Paris, 1864, tra-
duttore Vogel, ed. Reinwald) nota giustamente, che non è stato il Miitiny act
che ha impedito all'esercito inglese di farsi strumento di colpi di Stato, ma
piuttosto il fatto che l'ufficialità inglese appartiene per nascita e sentimento
alle stesse classi, che sono state fino a mezzo secolo fa a preferenza rappre-
sentate nel Parlamento.
Gli Stati Uniti d'America hanno seguito in ciò la tradizione inglese. II so-
cialista George rileva che nell'esercito federale fra il sott'ufficiale di grado
più elevato e l'ufficiale subalterno di grado più basso non vi è solo ditferenza
di grado ma anche di classe; vi è, dice egli, un vero abisso, che si potrebbe
paragonare benissimo a quello che separa il negro dal bianco, là dove le di-
stinzioni di colore sono maggiormente tenute in conto.
(2) CoRNELius De Witt, Storia di Washington, pag. 104. Riportata dal Jannet
nell'opera più volte citata.
(3) Vedi l'opera già citata, Le istituzioni politiche e sociali agli Stati Uniti
d'America di Claudio Jannet, parte I, cap. XVII.
238 ELEMENTI DI .SCIENZA l'OLITlCA
devasi dovesse disimpof^nare: si voleva infatti costituire con eesa
un corpo armato, il quale, emancipato dalla cieca disciplina mi-
litare, custodisse le istitujjioni parlamentari contro gli attentati
del potere esecutivo sostenuto dalle truppe stanziali.
Già fin dalla grande rivoluzione francese Mirabeau avea ri-
velato molto bene gl'inconvenienti della formazione di un simile
corpo, il quale favoriva o reprimeva la rivolta secondo gli umori
del momento e si costituiva in certo modo arbitro armato fra le
autorità costituite ed i rivoluzionari (1). Malgrado ciò nel 1830,
quando si fece la revisione della Carta, non si trascurò di sancire
con un articolo speciale che " la Carta e tutti i diritti che essa
consacrava restavano affidati al patriottismo ed al coraggio delle
guardie nazionali „, e, quando Garibaldi entrò in Napoli, per salvare
dalla distruzione il Castel S. Elmo, da dove fino allora le truppe
regie avevano tenuto la città sotto il loro cannone, dovette pro-
mettere che esso sarebbe stato sempre custodito dalla guardia
nazionale napoletana. In Francia, a dir vero, non sempre l'opera
delle guardie nazionali riusci inefficace: nel 1832 e 1834 e nelle
giornate di giugno 1848 la paura del socialismo produsse scatti
di coraggio nei pacifici borghesi parigini, e la guardia nazionale
coadiuvò l'esercito nella repressione delle rivolte ; ma nel feb-
braio 1848, scontenta del Ministero Guizot, e non comprendendo
che si faceva una rivoluzione, fu dapprincipio ostile alle truppe,
poi dubbiosa ed inerte, e la sua condotta fu causa principalissima
della caduta della monarchia di luglio (2). Non seppe poi osta-
colare il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, e nel 1870-71, essendo
stati ammessi a servire nelle sue file anche gli operai socialisti,
gli elementi di disordine ebbero, com'è naturale, il disopra sopra
quelli d'ordine, e la milizia cittadina di Parigi forni i pretoriani
alla Comune. Ai giorni nostri, in parte perchè la poca efficacia
e solidità dell'istituzione sono diventate coll'esperienza troppo evi-
denti, in parte perchè ogni professionista o bottegaio, avendo
servito qualche tempo nell'esercito permanente, ha perduto l'en-
(1) Vedi Apergu de la situation de la France et des moyens de concilier la
liberté publique avec Vautorité royale pubblicato nella Correspondance entre le
comte de Mirabeau et le comte De La Marck, voi. Il, pag. 418.
(2) Vedi Thureau Dangin, Histoire de la Monarchie de Juillet, voi. VII, cap. VII.
CAP. IX - GLI ESBBCITI STANZIALI 239
tusiasmo per le parate e per l'uniforme, la guardia nazionale è
stata abolita in tutti i grandi paesi d'Europa (1).
VI. — Prima di concludere sull'argomento dell'organizzazione
militare della moderna Europa e sui suoi rapporti colla difesa
giuridica dobbiamo ancora fare due osservazioni.
La prima riguarda la divisione della forza armata in due
classi, delle quali l'una comprende gli ufficiali, reclutati quasi
sempre nella classe politicamente dirigente e che hanno una edu-
cazione ed istruzione speciale e cominciano il loro servizio con
un grado abbastanza elevato, mentre l'altra viene composta dai
gregari e dai graduati inferiori i quali difficilmente hanno aperto
l'adito ai gradi maggiori. Or questa distinzione, che parrebbe a
prima vista oltremodo convenzionale ed arbitraria, si ritrova più
o meno precisa in tutti quei grossi eserciti stanziali, di epoche
e paesi differentissimi, che sono stati meglio organizzati. Essa
era già applicata in certe epoche dell'antico Egitto, giacché i
papiri che rimontano a quelle dinastie, durante le quali le armi
egiziane più si distinsero , ci parlano di ufficiali dei carri di
guerra e di ufficiali di fanteria educati in speciali collegi militari,
dove erano iniziati a tutte le durezze della vita delle armi, e per
entrare nei quali si doveva pagare abbastanza, non già in danaro,
che allora non esisteva, ma in schiavi ed in cavalli (2). E stata
applicata in certo modo nella China moderna, dove il mandari-
nato militare ha avuto qualche analogia colla nostra ufficialità;
giacché il mandarino militare doveva superare un esame davanti
alle autorità militari della provincia ed entrava poi con un grado
abbastanza elevato nelle milizie di una delle diciotto provincie
chinesi (3). Ma era sopratutto in vigore nelle legioni romane
(1) 11 latto che la guardia na,zionale è durata più a lungo nel Belgio, dove
si e tardato molto ad introdurre il servizio militare obbligatorio per tutti, fa-
rebbe supporre che la seconda delle due ragioni, che abbiamo addotto, non
sia stata la meno efficace.
(2) Vedi Papiro del Museo britannico dove è la corrispondenza di Amon-
em-apt, bibliotecario di Ramessou 2" (XIX dinastia), col suo allievo il poeta
Pen-ta-our. La traduzione, che ne ha fatto Maspero, è riprodotta in tutte le
moderne storie dell'antico Oriente.
(3) L'esame per il mandarinato militare si dava principalmente davanti il
Tchang-kiin ossia il capo della guarnigione tartara, che si trovava fino a
240 ELEMKNTI I>I SCIENZA POLITICA
degli ultimi secoli della repubblica e dei primi secoli dell'impero,
nelle quali si mantenne lungamente la distinzione fra la milizia
comune e quella detta equestris, clie si iniziava servendo come
contuberyialìs (oggi si direbbe aiutante di campo) del console o
del comandante la legione, il quale poi apriva l'adito al grado di
tribuno militare ed agii altri gradi superiori; mentre, chi iniziava
la sua carriera da semplice soldato nella milizia comune, potè per
lunghissimi secoli solo arrivare a centurione primijjilare, ufficio
che costituiva quasi il bastone di maresciallo della bassa forza.
Organizzazione questa che assicurava il possesso dei gradi elevati
nell'esercito alla stessa classe sociale che occupava le alte magi-
strature civili e che, avendo la ricchezza ed il potere politico, for-
mava l'aristocrazia dell'antica Roma (1).
VII. — L'altra osservazione riguarda uno dei giudizi e pre-
giudizi più sparsi nel mondo : che le qualità militari siano cioè
qualche anno fa in tutte le città strategiche della China. È vero che, dopo
le guerre civili della metà del secolo decimonono i gradi dei mandarini militari
ebbero poca importanza, perchè conferiti spesso arbitrariamente in modo
che chi in una provincia veniva congedato con un grado abbastanza elevato,
spesso, nella provincia limitrofa, veniva arruolato come semplice soldato e
viceversa. Però è da notare che il comando dei grossi reparti di truppe era
affidato ai governatori delle Provincie e ad altri mandarini civili di grado
elevato; fra i quali l'avanzamento si conseguiva con molteplici e rigorosi
esami. Giacche in China, come nell'antica Roma, negli alti gradi, la gerarchia
civile si confonde con quella militare. Vedi in proposito Rocsset, opera citata.
(1) La distinzione fra la militia equestris e quella comune fu originata dalla
legge, che attribuiva ai comizi la nomina dei tribuni militari e dei gradi su-
periori. Or le elezioni popolari nell'antica Roma, come del resto avviene fa-
cilmente in molti paesi che non sono in uno stato di rivoluzione latente e r^i
quali il sistema elettivo vige da un pezzo, dava quasi sempre la prevalenza
ai ricchi ed alle persone le cui famiglie godevano già una notorietà ed occu-
pavano posizioni eminenti. Nei primi secoli dell'impero continuò la stessa
organizzazione, ed i tribuni e gli altri ufficiali superiori furono scelti fra le
più cospicue famiglie romane; però a poco a poco gl'imperatori esentarono
prima i senatori e poi i cavalieri dal servizio militare, perchè temevano in
essi possibili concorrenti. Durante poi l'anarchia militare, che ebbe luogo nel
terzo secolo dopo Cristo e che produsse il periodo dei trenta tiranni, fu pos-
sibile a' semplici soldati diventare non solo generali ma anche imperatori.
Vedi in proposito il volume di Mommsen e Mauquabdt suìV Orgatiìzzazione mi-
litare dei Romani che fa parte del citato Manuel des antiquités romaines.
CAP. IX - GLI BSEKCITI STANZIALI 241
assai inegualmente distribuite fra i popoli, dei quali alcuni sa-
rebbero naturalmente timidi e poltroni ed altri arditi e valorosi.
Certo non si potrà mai dimostrare che qualche cosa di vero non
vi sia in questi pregiudizi. Ma d'altra parte ci pare indiscutibile
che sono principalmente le abitudini più o meno guerresche di un
popolo, la solidità ed il tipo dell'ordinamento militare che ha
adottato, gli elementi che più contribuiscono ad accrescere la sua
fama bellicosa.
La verità è che la guerra, come tutti i mestieri pericolosi,
richiede una certa abitudine per essere affrontata con calma e
sangue freddo; quando quest'abitudine manca, non può essere
supplita che o da quei momenti d'orgasmo, che si producono in
rarissimi periodi della vita dei j)opoli, o da quel sentimento del
dovere e dell'onore che, in una classe molto ristretta ed eletta,
può essere suscitato e mantenuto vivo da una educazione speciale.
Or nelle nazioni civili, nelle quali la gran maggioranza non può
stabilmente dedicarsi alle lotte cruente, l'organizzazione militare
deve tendere allo scopo di distribuire fra le masse una piccola
minoranza che a queste lotte è abituata o che è preparata dal-
l'educazione speciale, che abbiamo accennato, in modo che possa
padroneggiare i gregari, esercitare sopra di essi un'influenza de-
cisiva ed indurli ad affrontare un pericolo, che altrimenti avreb-
bero evitato (*).
Siccome l'organizzazione, alla quale abbiamo accennato, può
essere più o meno perfetta e può anche completamente mancare,
siccome la classe dirigente può essere familiare col mestiere delle
armi e può anche esserne, per circostanze diverse, completamente
schiva, noi vediamo, percorrendo la storia dei popoli civili, che quasi
tutti hanno avuto i loro momenti di gloria militare, e quasi tutti
hanno avuto i loro periodi di debolezza materiale. Gl'Indiani, tante
volte saccheggiati e conquistati da Turchi, Mongoli, Afgani e Per-
siani e che nel secolo decimottavo si fecero sottomettere da poche
migliaia d'Inglesi, furono il popolo asiatico che resistette più va-
(*) L'ultima grande guerra europea ha dimostrato che la solidità degli eser-
citi devesi in buona parte aliai forza dei sentimenti patriottici inculcati da
una lunga ed accurata educazione intellettuale e morale negli animi delle
class; dirigenti e delle masse popolari.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 16
242 KLKMBNTI DI SCIENZA POLITICA
lorosamente ai Macedoni. Gli indigeni dell'Egitto per lunghi se-
coli hanno avuto fama di soldati poco valorosi, eppure si reclu-
tavano fra gli abitatori della bassa valle del Nilo le truppe degli
Ahmes e dei Touthmes, che ai loro tempi erano i primi eserciti
del mondo. Da Leonida ad Alessandro Magno i Greci furono con-
siderati soldati valorosissimi, ed all'epoca di Senofonte parlavano
col massimo disprezzo dei Siri e degli abitanti della Mesopotamia,
ma quando sorse l'Islam, le popolazioni semitiche dell'Asia ripre-
sero il sopravvento e fecero scempio delle pacifiche popolazioni
che ubbidivano all'impero di Bisanzio (1). Gl'Italiani del Rina-
scimento erano cattivi soldati, perchè disabituati della vera guerra,
ma fra i loro padri si erano reclutati i legionari di Roma, valore
sufficiente aveano mostrato all'epoca dei Comuni e, solo qualche
secolo dopo Machiavelli, i reggimenti italiani emularono per la
solidità quelli spagnuoli nella famosa giornata di Rocroy. I Na-
poletani, nel passato specialmente imputati di codardia, dovettero
questa loro fama piuttosto alla mancanza di coesione ed unità
morale, che hanno mostrato in diverse occasioni, che a deficienza
di valore personale, ed in Spagna ed in Russia sotto Napo-
leone I ed in altre occasioni le truppe napolitane si sono assai
bene comportate (2).
(1) L'Amari nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia pare che attribuisca
all'azione del Cristianesimo la fiaccona di cui diedero spettacolo le genti greche
durante l'impero bizantino. Or prima di tutto è da osservare che questo im-
pero durò dieci secoli, durante i quali ebbe momenti di singolare energia
militare. Poi bisogna tener presente che il Cristianesimo non produsse gli
stessi risultati presso i Germani e gli Slavi e che gli spiriti guerreschi presto
rinacquero anche fra le popolazioni latine dell'Occidente, una volta che colà
l'amministrazione romana fu materialmente annullata e dall'anarchia uscì fuori
la costituzione feudale. La verità è dunque che l'impero e la pace romana
avevano assolutamente disabituato le popolazioni dalle armi, sicché, una volta
vinto l'esercito regolare, esse restavano facilissima preda di qualunque invasore.
(2) Si potrebbero portare moltissimi altri esempi a sostegno della nostra
tesi; è da notare anche che l'eccellere in alcune armi e per certe determi-
nate qualità militari è, per le varie nazioni, cosa molto mutevole, che dipende
anzitutto dai loro ordinamenti civili e militari. Così Machiavelli trovava la
cavalleria francese la migliore d'Europa, perchè quivi la nobiltà era tutta
data alla vita militare, mentre le fanterie della stessa nazione giudicava cat-
tive, "■ perchè composte d'ignobili e genti di mestiere sottomesse ai baroni e
tanto in ogni loro azione depressi che sono vili ,. Cambiato l'ordinamento
GAP. IX - GLI ESEBCITI STANZIALI 243
Vm. — Ai giorni nostri ci è una reazione contro i grossi
eserciti stanziali e si adducono a carico di essi le braccia, che
tolgono agli opifici ed all'agricoltura, i vizi che inspirano alla
gioventù e sopratutto l'intollerabile spesa di cui sono cagione.
Vero è clie questi lagni sono a preferenza mossi da quegli ele-
menti sociali che in ogni tempo hanno avuto più la tendenza a
farsi valere ed imporsi colla forza al resto della società, da quelli
che avrebbero naturalmente e spontaneamente più gusto per il
mestiere delle armi e che trovano ostacolo all'esplicazione dei
loro istinti, forse incoscienti, nella presente organizzazione mili-
tare delle masse pacifiche e lavoratrici (1) ; ma è pur vero che le
necessità, che hanno condotte le diverse nazioni europee alla or-
ganizzazione degli eserciti moderni, hanno ora l'effetto di allar-
gare sempre più l'applicazione di quei principii sui quali essi sono
fondati in maniera da snaturarne la compagine.
Le guerre napoleoniche prima e poi sopratutto quella del 1870
avendo dato la vittoria a quelle nazioni, che hanno armato e mo-
bilizzato eserciti più numerosi, hanno condotto a tale esagerazione,
in quasi tutti i paesi del continente europeo, il sistema del ser-
vizio militare obbligatorio, che ora si è arrivati al punto da aver
della società e degli eserciti, la fanteria divenne il miglior nerbo della forza
militare della Francia.
Muza, uno dei generali arabi che conquistarono la Spagna, nel fare il suo
rapporto al oaliiFo Walid I, diceva: i Goti (con questo nome intendeva tutti
gli Spagnuoli) sono aquile a cavallo, leoni nei loro castelli, a piedi donnic-
ciuole. Anche durante la guerra d'indipendenza contro la Francia, il duca di
Wellington lamentava la poca solidità della fanteria spagnuola in campo
aperto, mentre, dietro gli spaldi di Saragozza, Tarragona ed altre città, essa
mostrò valore e costanza straordinari. Or bisogna considerare che all'epoca
dell'invasione araba la cavalleria doveva essere composta dalla nobiltà più
abituata alle armi, mentre la fanteria, come all'epoca della guerra d'indipen-
denza, era forse formata da leve in massa, che solo dietro gli spaldi delle
fortezze poteano mostrare il loro coraggio naturale; perchè non aveano quel
coraggio acquisito, dovuto alla lunga abitudine della vita militare ed ai buoni
quadri, che senza dubbio fu la dote precipua delle vecchie fanterie spagnuole,
che, da Ferdinando il Cattolico a Filippo IV, vennero riguardate come le più
solide di tutta l'Europa.
(1) Alludiamo agli elementi rivoluzionari, i quali naturalmente raccolgono
quasi tutto ciò che di pii'i avventuroso, ardito e violento vi è nelle società
moderne.
244 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA.
la pretesa di raccogliere, in caso di bisogno, nei quadri dell'eser-
cito tutta la popolazione valida di uno Stato di trenta, quaranta
o più milioni di abitanti. Ma per rendere possibile l'attuazione di
una simile pretesa si è dovuto da una parte accorciare tanto la
durata del servizio da rendere dubbio che i coscritti abbiano il
tempo di acquistare quelle abitudini, quello speciale spirito di
corpo, che devono distinguere il soldato dal resto della società, e
che, per ragioni tecniche e sopratutto politiche, è necessario che
non siano soverchiamente indebolite. E, d'altra parte, si è dovuto
aumentare tanto la spesa per gli uomini, per i quadri e per gli
armamenti, che sono in continuo rinnovamento, da renderne sempre
più difficile la continuazione e da produrre quel mostruoso accu-
mulo del debito pubblico, che è una delle principalissime piaghe
di molti paesi moderni e sotto il quale qualcuno di quelli econo-
micamente meno forti rischia di soccombere.
Né ciò è tutto: la macchina militare, a forza di essere ingran-
dita, è diventata sempre più complicata e delicata ed il dirigerne
il funzionamento in tempo di mobilitazione e di guerra è dive-
nuta opera irta di sempre maggiori difficoltà (1). Ed è lecito anche
(1) Il VoN DER GoLTz (vedl la Nation armée nella traduzione di .Taeglè, ed.
Hirnischen. Paris, 1884, nell'introduzione a pag. vii) lascia chiaramente indo-
vinare un suo concetto secondo il quale, nella storia militare dei popoli, si
può scorgere costantemente la lotta e l'alternato trionfo di due diverse ten-
denze militari.
La prima porta ad aumentare la massa dei combattenti ed a vincere colla
preponderanza del numero, finche, diventate le grosse masse di difficile ma-
neggiamento e troppo poco esercitate, sono vinte da piccoli eserciti di soldati
di mestiere, che rappresentano la seconda tendenza, cioè la specializzazione
della funzione militare, la quale poi di nuovo tende a trasformarsi nell'arma-
mento delle masse. L'autore crede che ancora in Europa non sia esaurita la
tendenza ad aumentare il numero dei combattenti.
Or questo fenomeno storico accennato dal Von der Goltz non si esplica
certo sempre regolarmente, subisce anzi molte eccezioni e perturbazioni, ma
in qualche caso speciale si presenta abbastanza netto. I Medo-Persiani, ad
esempio, stando al racconto degli storici greci, riuscirono a conquistare tutto
il sud-ovest dell'Asia mobilizzando delle grandi masse; l'aver tenuto Ciro, per
piìi di una stagione, un grosso esercito sotto le bandiere fu infatti la causa
della rapida caduta del regno di Lidia, e grossissimi nuclei d'armati dovettero
per lungo tempo tenere la campagna durante i due blocchi di Babilonia, che
ebbero luogo sotto il predetto Ciro e sotto Dario d'Istaspe. Altre grandi masse
si mobilizzarono pure nella spedizione contro gli Sciti ed in quella di Serse,
CAP. IX - GLI ESERCITI STANZIALI 245
domandarsi se la guerra stessa sarà un fatto possibile, quando
ogni giorno di ostilità, fra i danni economici del paese e le spese
dell'erario, costerà ad ogni nazione parecchie decine di milioni;
quando, il giorno in cui sarà dichiarata, saranno turbati gl'inte-
ressi e gli affetti di tutte le famiglie di un popolo civile. — Or,
se gli interessi economici e le ripugnanze morali, che si oppon-
gono ad uno scoppio bellicoso fra nazioni civili, riescono ad evi-
tarlo solo per sessanta o settanta anni di seguito, è dubbio se fra
le nuove generazioni potrà durare ancora quello spirito militare
e patriottico sul quale sono fondati gli eserciti moderni e che solo
rende possibili gli enormi sacrifìci materiali, che essi costano.
Quando il decadere dei sentimenti accennati e la lunghissima
pace avranno di fatto abolito o reso parvenza vana e senza sub-
bietto gli eserciti stanziali, rinascerà il pericolo che la prevalenza
militare ritorni ad altre razze, ad altre civiltà, che hanno avuto
ed avranno svolgimento diverso da quella europea e se ne saranno
appropriati i mezzi ed i metodi di distruzione. — E se anche
questo pericolo parrà ad alcuni troppo lontano e chimerico, nes-
suno potrà negare che, nel seno stesso delle popolazioni europee,
vi saranno sempre i caratteri violenti e quelli timidi, le discre-
panze d'interessi e la voglia d'imporsi con la forza materiale. —
Sicché, sciolta una volta od indebolita la grande organizzazione
per la quale il monopolio della funzione militare è stato tolto a
quella categoria di persone che naturalmente vi ha più gusto ed
attitudine (1), chi impedirà alle piccole organizzazioni dei forti,
durante la quale la macchina militare persiana cominciò a mostrare i suoi
difetti. Infatti i contingenti dei vari popoli che formavano l'impero persiano,
ornai disabituati dalla guerra diuturna per il fatto stesso che appartenevano
ad un grande Stato, perdettero gradatamente le loro qualità militari e si ri-
dussero a turbe senza coesione, che non reggevano avanti la carica degli opliti
greci, scarsi di numero ma molto esercitati, pesantemente armati e che sape-
vano combattere in ordine serrato.
(1) Il lettore avrà notato che l'ordinamento di un esercito moderno è in
certo modo contrario al principio economico della divisione del lavoro ed alla
legge fisiologica della adattabilità dei vari organi ad un determinato scopo.
Ciò che dimostra ancora una volta la difflcoltà di stabilire analogie fra i fe-
nomeni del corpo umano e quelli del corpo sociale e fa rilevare le restrizioni
che certe leggi economiche devono avere nel campo politico; perchè la divi-
sione del lavoro troppo rigorosamente in esso applicata distruggerebbe facil-
246 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
degli arditi e dei violenti di ricostituirsi per opprimere i deboli
ed i pacifici? E la guerra, morta ali'ingrande, non rinascerà a
minuto nelle contese tra le famiglie, le classi ed i villaggi?
In verità dai dubbi, che abbiamo espresso, si i)uò trarre una
conclusione, che noi non osiamo quasi nettamente formulare: che
la guerra stessa cioè, nella sua forma presente causa ancora di
tanti mali e madre di tante barbarie, sia un fatto che di tanto in
tanto si rende necessario, affinchè non decada ciò che ci ha di
meglio nel funzionamento delle odierne società europee ed esse
non ritornino ad un tipo di difesa giuridica meno elevato. Grave
e terribile conclusione, che non sarebbe del resto che un'altra di
quelle conseguenze della natura umana, cosi complicata e contra-
dittoria, alle quali abbiamo già accennato alla fine del capitolo
settimo; di quella natura umana per la quale il bene, nello svol-
gimento della storia dei popoli, è sempre fatalmente connesso col
male, ed il miglioramento giuridico e morale di una società va
unito con lo sfogo delle passioni più basse ed egoistiche e degli
istinti più brutali (*).
mente ogni equilibrio giuridico, facendo dipendere la società intera da quella
frazione, che esercita la funzione non già intellettualmente e moralmente piìi
elevata, ma più indispensabile e che dà più facilmente modo di imporsi agli
altri; come è appunto la funzione militare.
(*) Le ultime pagine del capitolo nono furono, come tutto il libro, scritte
prima del 1896, quando non era possibile prevedere la grande guerra europea,
scoppiata nel 1914 e maturata negli anni immediatamente precedenti. Facil-
mente oggi si può aifermare che questa grande guerra Gambiera sensibilmente
il corso degli avvenimenti umani in quasi tutto il mondo civile. Essa non fu
evitata ne dagli interessi economici ne dalle repugnanze morali alle quali
avevamo accennato a pag. 245.
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — II. I tre problemi della vita moderna — Il problema
reliì^oso. — ITI. L'avvenire del Cristianesimo. — IV. Il Cristianesimo e la
scienza positiva. — V. Il problema politico. — VI. Esame critico del Parla-
mentarismo. — VII. Le riforme del Parlamentarismo. — Vili. Quale sarebbe
la riforma fondamentale — Ostacoli che incontra. — IX. Il problema sociale
— Origine della democrazia sociale. — X. Estensione ed importanza della de-
mocrazia sociale — Varie scuole nelle quali si divide. — XI. Esame critico del
collettivismo. — XII. La giustizia nell'organizzazione sociale. — XIII. Esame
critico dell'anarchia. — XIV. La lotta di classe. — XV. Effetti pratici della
democrazia sociale. — XVI. Cause della stessa. — XVII. Probabilità di trionfo
della democrazia sociale. — XVHI. Rimedi atti a combatterla. — XIX. Mis -
sione della scienza politica.
I. — Il chiudere questo nostro lavoro sarebbe cosa assai breve
e facile se ci potessimo limitare ad una semplice e sommaria enu-
merazione degli argomenti che abbiamo finora trattati. Basterebbe
infatti rammentare che nel primo capitolo abbiamo esposto le ra-
gioni per le quali crediamo che solamente mercè lo studio dei
fatti storici si possano scoprire le tendenze costanti, ossia le leggi,
che regolano l'ordinamento delle società umane, e che nei seguenti
capitoli ci siamo appunto occupati di determinare la natm*a e
l'azione di alcune delle dette leggi. Abbiamo voluto infatti dimo-
strare che, in qualunque aggregato umano che abbia raggiunto
un certo grado di cultura, esiste una minoranza dirigente, la quale
si recluta in modi diversi, ma sempre fondati sul possesso delle
molteplici e variabili forze sociali; cioè di quelle qualità, t-he, se-
condo i tempi ed i luoghi, danno agli individui che le po;>seggono
248 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
prestigio morale e preminenza intellettuale ed economica, e for-
niscono i modi di dirigere le volontà altrui. Abbiamo anche cer-
cato di porre in chiaro che ogni società si fonda sopra un com-
plesso di credenze e principii religiosi e filosofici, che ad essa sono
speciali, e in base ai quali spiega e giustifica il suo ordinamento.
Ciò ci ha dato occasione di occuparci della diversità dei tipi so-
ciali, dovuta principalmente alla fondamentale diversità di alcuni
di questi sistemi filosofici e religiosi o formole politiche, che si
dividono l'impero di quella parte massima dell'umanità, che ha
raggiunto un certo grado di cultura.
Due poi sono i punti di questa parte del nostro lavoro, che ci
sembrano più specialmente suscettibili di applicazioni scientifiche
e pratiche di qualche importanza. Quello nel quale ci siamo sfor-
zati di provare che la migliore difesa giuridica, il maggior ri-
spetto del senso morale da parte dei governanti si può ottenere
solo mediante la partecipazione al Governo ed il controllo reci-
proco di molteplici forze politiche. E l'altro che consiste nella di-
mostrazione, che ci sembra di aver sufficientemente dato, della
incapacità che ha qualunque dottrina filosofica o religiosa a cam-
biare radicalmente e durevolmente la natura umana; specialmente
quando, invece di limitare la propria propaganda ad un piccolo
numero di individui scelti, di anime elette, la estende a tutta in-
tera una grande società e pretende governarla informandola ai
suoi principii; senza con ciò negare la notevole efficacia pratica
che può avere la prevalenza di un dato indirizzo dottrinario o
religioso.
Infine i capitoli ottavo e nono riguardano l'applicazione delle
teorie precedentemente esposte ad un fenomeno così comune nei
tempi moderni come è stata la rivoluzione violenta e ad un altro
fenomeno in contraddizione col primo, che è l'ordinamento dei
moderni eserciti stanziali, il quale impedisce a quella frazione
della società, che potrebbe naturalmente assumere il monopolio
militare, di imporsi colla violenza alle altre forze sociali.
Però noi crediamo che in quest'ultimo capitolo un compito un
po' più delicato e difficile ci resti ancora da esaurire. Crediamo
che sia nostro dovere l'esaminare al lume dei principii, che ab-
biamo già esposto, i problemi più importanti che agitano ora le
nazioni di civiltà europea. Forse con ciò da un lato determine-
remo meglio la natura di questi problemi e potremo anche inda-
CAP. X .- OONCLUSIONB 249
gare più agevolmente quali siano le soluzioni più probabili, che
essi avranno; e dall'altro lato potremo meglio scientificamente
precisare i nostri concetti e porre in luce ancora più le conse-
guenze pratiche, che se ne possono trarre. Aggiungiamo che al-
l'indagine predetta siamo pure spinti da quello stimolo, tanto na-
turale ed umano, che certamente agisce tanto sul lettore che sullo
scrittore, e che fa si che siamo indotti ad interessarci sommamente
a quei fatti ed a quelle quistioni, che si svolgono intorno a noi,
nel paese e fra la generazione fra i quali viviamo.
n. — Diciamo subito che i problemi di cui ci occuperemo
sono tre. In primo luogo esamineremo se le presenti religioni a
base dommatica o, per precisare meglio il nostro concetto, se le
diverse forme del Cristianesimo riusciranno a sopravvivere alla
presente corrente rivoluzionaria ed a resistere al movimento ra-
zionalista, che tende a distruggerle. In secondo luogo vedremo se
la prevalenza delle autorità politiche elettive, e sopratutto quel
sistema di governo che è comunemente chiamato Parlamentarismo,
siano suscettibili di una lunga durata, e, nel caso che si debbano
necessariamente modificare, esamineremo in che senso le modifi-
cazioni potranno o dovranno avvenire. In terzo luogo finalmente
getteremo lo sguardo sull'avvenire della nostra civiltà di fronte
alla democrazia sociale, di questa grandiosa corrente di sentimenti
e d'idee, che invade tanti paesi d'Europa e d'America, e che,
mentre da un lato è una vera conseguenza della loro storia più
recente, dall'altro è un fattore attissimo a modificare il loro av-
venire.
Il primo di questi problemi può a prima vista sembrare il più
facile dei tre, ma certo non lo è: infatti contiene forse una parte
maggiore d'imprevedibile e d'imponderabile che il secondo ed il
terzo, che sembrano, giustamente, cosi complicati e coi quali del
resto è intimamente connesso. Diciamo perciò fin da ora che, sj^e-
cialmente su questo primo problema, una risposta precisa, netta
e sicura non la daremo, e che ci limiteremo piuttosto ad ipotesi
ed a previsioni cautamente generiche e pensatamente incerte.
Molti con sicurezza affermano che la scienza ammazzerà il
dogma. Questa opinione, superficialmente considerata, è senza
dubbio per diversi lati accettabile. Non si può negare infatti che
le scienze fisiche e chimiche, la geologia, la preistoria, la critica
250 ELKMENTI DI SCIENZA POLITICA
degli stessi documenti storici, battano in breccia tutto il sopran-
naturale del Vecchio e del nuovo Testamento e l'inspirazione dei
santi Padri. Diciamo anzi di più; che, anche se la scienza non
intaccasse direttamente le credenze religiose, una mente educata
alle sue severe indagini ed ai suoi metodi rigorosi dove sentire,
se è spassionata, una invincibile ripugnanza ad accettare dottrine
ed asserzioni dommatiche, che deve considerare come gratuita-
mente affermate (1).
Però d'altra parte è da tener presente che le credenze religiose
non hanno mai risposto ad un bisogno del nostro raziocinio, ma
piuttosto ad altre necessità della psicologia e sopratutto del sen-
timento umano. Se da un certo x^tinto di vista possono essere con-
siderate come illusioni, bisogna pure riconoscere che esse son man-
tenute non tanto dalla loro apparenza di verità, quanto dal bisogno
che hanno gli uomini d'illudersi. E questo bisogno è così generale,
cosi forte, specialmente in certi momenti della vita, che noi ve-
diamo spesso individui d'intelletto robusto, abituato al senso della
realtà, corredato di studi positivi, e talvolta anche di carattere
calmo ed equilibrato, pagare ad esso un largo tributo.
Né in proposito dobbiamo attribuire troppa importanza ad un
fenomeno al quale ora assistiamo, segnatamente nei paesi catto-
lici, e che può condurre ad apprezzamenti erronei. Le j)ratiche
del Cristianesimo nelle grandi città della Francia, in parecchie
(1) A questo proposito è degna di nota un'osservazione che lo Cherbuliez
(Valbert) fa a proposito di un libro pubblicato dal dotto bramino Behramji.
Questi, allevato dai naissionari di Surate, aveva abiurato la religione dei suoi
padri, senza divenire cristiano. " Parecchie centinaia di migliaia dei suoi com-
patrioti, aggiunge l'A., si trovano nello stesso caso. Al Bengala, come al Gu-
zerate, il Cristianesimo è il più energico dei dissolventi. Esso rode e distrugge
insensibilmente le vecchie idolatrie ma non riesce a rimpiazzarle, l'altare resta
vuoto e viene consacrato al Dio ignoto. Gl'Indii, che non credono più alla Tri-
murti, alla incarnazione di Visnù ed alla metempsicosi, non credono neppure
alla Santissima Trinità, all'incarnazione di Gesù Cristo, a Satana, all'inferno,
ed il Paradiso del quale S. Pietro tiene le chiavi ha per essi poche attrattive ,,
Vedi Un voyage dans le Guzerate. * Revue des Deux Mondes ,, 1° dicembre 1885.
Or questo stato d'animo degli Indù colti si spiega facilmente. Da tutti coloro
che sono iniziati alla scienza europea la religione cristiana può essere ancora
praticata perchè ha radice nel sentimento non già nel raziocinio. Ma, quando
non si è nati cristiani o non si è stati almeno educati in una famiglia cri-
stiana, difficilmente il sentimento può agire.
CONCLUSIONE 251
della Spagna e dell'alta Italia, forse anche in taluna della G-er-
mania e dell' America settentrionale, vanno scomparendo, e scom-
paiono ivi a preferenza nelle plebi anziché nelle classi che hanno
una certa agiatezza e cultura. Or non deve da ciò dedursi che
l'educazione razionalista e positiva abbia fatto fra quelle plebi
grandi progressi. Si può non solo dubitare della verità delle dot-
trine religiose, ma esser convinti che esse sono tutte fenomeni storici
prodotti però da bisogni innati e profondi dello spirito umano,
perchè una educazione positiva della mente, nutrita di larghi
studi, l'ha a poco a poco abituato a non ritenere per vero se non
ciò che sia scientificamente provato. In questo caso l'individuo,
perdendo un sistema di illusioni, resta cosi bene equilibrato che
non è certo disposto ad abbracciarne un altro, e sopratutto il primo
che capita. Ma la totaKtà dei miscredenti plebei ed anche, bisogna
dirlo, la gran maggioranza dei miscredenti di qualche cultura,
che abbiamo ora nelle nazioni di civiltà europea, non arriva al
razionalismo per questa strada : non crede, e schernisce, semplice-
mente perchè è cresciuta in un ambiente nel quale le hanno in-
segnato a non credere ed a schernire. Ed, in queste condizioni, la
mente, che respinge il Cristianesimo perchè è una credenza basata
sul soprannaturale, è sempre disposta ad accoglierne altre certo
più grossolane e volgari.
L'operaio di Parigi, di Barcellona o di Milano, il bracciante
delle Romagne o il piccolo commerciante di Berlino in fondo non
sono emancipati daWipse dixit, più di quanto lo sarebbero se an-
dassero a messa o frequentassero la predica del pastore prote-
stante o la Sinagoga. Invece di credere ciecamente al prete cre-
dono con uguale cecità all'agitatore rivoluzionario. Si stimano
all'avanguardia della civiltà ed hanno lo spirito accessibile a tutte
le ubbie ed a tutti i sofismi. Lo stadio morale ed intellettuale che
hanno raggiunto, lungi dall'essere un illuminato positivismo, non
è che un volgare, sensuale e degradante materialismo, o indiffe-
rentismo religioso che voglia dirsi. Prima di ridere del lazzarone,
che ha fede nella liquefazione del sangue di San Gennaro, do-
vrebbero rendersi capaci di non ammettere per vere cose ugual-
mente assurde e certo più dannose.
in. — Ora, cosi stando le cose, prevalendo in parte delle
masse non già un positivismo od agnosticismo per dir cosi, or-
252 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
ganico, ma un volgare ateismo d'imitazione, il terreno che le
credenze religiose hanno con raj)idità perduto, può essere, almeno
per un certo spazio di tempo, prima cioè che l'indifferenza reli-
giosa diventi tradizionale, con una relativa rapidità riguadagnato.
Può darsi benissimo che le dottrine socialiste e gli istinti rivolu-
zionari abbiano fra qualche generazione manifestamente dichia-
rato la loro bancarotta, può anche darsi che a questo risultato
si arrivi dopo lotte civili, dopo sofferenze morali ed economiche
grandissime; paragonabili, non già a quelle che si ebbero a patire
dopo le piccole rivoluzioni passeggiere del secolo decimonono, ma
alle altre, che xjrovarono cosi duramente la generazione che assistè
alla grande rivoluzione francese. E risaputo intanto che il Cri-
stianesimo è a preferenza la religione dei tempi difficili anziché
di quelli prosperi ; di Esso si può fare facilmente a meno quando
la vita è facile ed agiata, quando l'avvenire si presenta ridente,
quando i godimenti materiali non fanno difetto; ma si sente al
contrario urgente il bisogno delle sue speranze e dei suoi con-
forti quando si è colpiti da disillusioni amare e da catastrofi,
quando le privazioni ed i dolori rendono amaro l'oggi e più amara
la prospettiva dell'indomani. Bisogna rammentare che già una
volta trionfò definitivamente quando le classi alte e medie del
mondo antico subirono quella tremenda catastrofe, quelle inenar-
rabili sofferenze, che furono la conseguenza delle vittorie defi-
nitive dei barbari e della caduta dell' impero romano d'occi-
dente (1). Se, sulla fine del secolo decimono od all'alba di quello
venturo, molte vite fossero sacrificate, ed una buona parte del
capitale europeo fosse sciupato in lotte ed in vani tentativi di
riforme sociali, non è improbabile che al fasto ed allo sperpero,
che sono stati una delle caratteristiche degli ultimi decenni del
secolo decimonono (*), non debba succedere un'era di abbattimento
(1) Vedi in proposito gli Etudes d'histoire religieuse pubblicati da Gaston
BoissiER nella " Revue des Deux Mondes , del 1889 e 1890. Specialmente l'ar-
ticolo intitolato Le lendemain de l'invasion nella * Revue „ del 1° maggio 1890,
nella quale l'autore scrive che " les miseres de ce temps (dell'epoca dell'in-
vasione dei barbari), qui semblaient devoir porter un coup funest au christia-
nisme, assurèrent sa victoire „. Si sa d'altronde che in parecchie grandi città
dell'impero, a Roma specialmente, le classi più elevate erano state fino al
tempo di Sant'Agostino generalmente ostili alla nuova religione.
(*) Ed ancor piìi dei primi quattordici anni del secolo ventesimo.
CAP. X - CONCLUSIONE 253
e di relativa miseria, durante la quale le dottrine cristiane tro-
verebbero propizio il terreno per riguadagnare il cuore delle
masse (1).
Finora, nei paesi cattolici, essendo appunto la Chiesa catto-
lica quella che gode di una maggiore autonomia e che pretende
una più grande ingerenza nelle cose dello Stato, la propaganda
anti-religiosa è stata direttamente od indirettamente favorita dalle
autorità laiche con le quali il Papato si è trovato in violenti con-
flitti d'interessi. Ciò è avvenuto specialmente in Francia, nei primi
anni della monarchia di luglio e durante un certo periodo della
terza repubblica, ed in Italia, dm^ante e dopo la caduta del po-
tere temporale dei Papi. Ma è erroneo scambiare queste lotte, che
sono episodi! che di quando in quando si sono rinnovati nella
vita dei popoli cattolici, con l'essenza stessa della loro storia,
dando ad esse il carattere di guerre a morte non interrotte né
da paci né da tregue. Come é accaduto spessissimo nei secoli
scorsi, dopo essersi accanitamente disputata una posizione, bi-
sogna che quella delle due parti in contesa che l'ha perduta si
abitui alla nuova condizione delle cose e si rassegni, almeno
tacitamente, ad accettarla. Di queste ore di tacita rassegna-
zione la Chiesa cattolica ne conta parecchie nella sua lunga
storia.
Non è possibile poi che tanto la Chiesa che lo Stato non fini-
scano coU'accorgersi che nelle loro lotte presenti, il vero tertius
gaudens^ come ebbe a scrivere lo Schàffle (2) e come vede da sé
chiunque sia spassionato ed. abbia appena appena un zinzino di
senno politico, è la democrazia sociale. Non è possibile che questi
due Enti non vedano alla lunga il gran bene, che, camminando
con un certo accordo, si possono scambievolmente fare. Ormai in
Francia pare che un movimento nel senso da noi indicato si vada
(1) Specialmente se il clero saprà esercitare la sua missione di carità. In
Francia ed altrove, dopo una grave epidemia od una sensibile catastrofe, ei
è sempre notato un risveglio del pietismo. Ad esempio il cholera del 1832
fece diminuire l'avversione, che la rivoluzione del 1830 avea destato contro i
preti. Altra reazione religiosa vi fu dopo Vannata terribile del 1870-71. Si noti
che in entrambi i casi si è trattato di patimenti temporanei, che dopo qualche
anno sono stati dimenticati.
(2) Nella Quintessenza del socialismo al paragrafo II.
254 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
sempre più eccentuando (*). Ed anche in Italia il tempo è e sarà
il miglior maestro, e molta gente va vedendo, e vedrà sempre più
chiaramente, che, se da un lato il Cattolicesimo dura (:: facilmente
non si distrugge, dall'altro neppure è possibile distruggere la
storia; annullare cioè quei fatti ai quali un lungo volgere di anni
ha apposto il suo incancellabile suggello ed ha dato Fautorità di
cosa giudicata. Corre ormai il ventiseiesimo anno dal di nel quale
le ultime traccie del potere temporale dei papi furono distrutte,
ed era già un pezzo che gli ultimi suoi avanzi non si potevano
più reggere per forza jDropria (1). Chiunque vive nel mondo eu-
ropeo, e specialmente in quello italiano, e non vuole affettare
vani timori né pascersi d'inconsulte speranze, deve scorgere chia-
ramente l'impossibilità materiale della sua restaurazione; e tutto
fa prevedere che la quistione, che ad essa si riferisce, va posta
tra quelle che il secolo ventesimo dimenticherà, incalzato, come
sarà, da tante altre questioni più nuove, più calde, più ur-
genti (**).
(*) Si sa che questo oiovimento fu poi interrotto dal prevalere degli ele-
menti radicali e socialisti. I quali, avendo quasi sempre un intuito esatto dei
loro interessi politici, sentono istintivamente che le lotte acute fra lo Stato
e la Chiesa riescono a loro vantaggio.
(1) Bisogna tener presente che nel 1870 il potere temporale non cadde ad
un tratto, come edificio nuovo colpito da violento terremoto, ma venne giù
come gli ultimi avanzi di una fabbrica vecchia e tarlata alla quale si tolgono
gli ultimi puntelli.
Nei secoli scorsi infatti, anche dopo la Riforma, il dominio temporale dei
Papi non era un fatto isolato, giacche vi erano pure parecchi vescovi ed ar-
civescovi, che erano ancora sovrani. Al 1802 tutti i loro domini furono seco-
larizzati ed incorporati negli Stati vicini, e la Rivoluzione francese già prima
avea occupato Avignone. Ristabilito nel 1814, e soltanto in Italia, il dominio
temporale di una autorità ecclesiastica, già fin dal 1830 le fu necessario l'ap-
poggio delle armi straniere, e dal 1848 in poi si resse soltanto in quelle parti,
che erano presidiate dai soldati di un altro Governo. È perciò circa un secolo
che il dominio temporale dei Papi è rimasto una istituzione monca ed isolata,
e che quaranta anni prima della sua caduta avea cessato di vivere per forza
propria. Questi concetti sono ampiamente sviluppati nel capitolo 1° del lavoro
di Diomede Pantaleoni intitolato L'Idea italiana biella soppressione del potere
temporale dei Papi. Torino, 1884, Loescher.
(**) È superfluo ricordare che quanto è esposto nelle ultime pagine del testo
fu scritto verso la fine del 1895. Del resto quasi tutto quanto posteriormente è
accaduto, e che ora accade, non smentisce ma conferma ciò che allora pen-
savamo.
CAP. X - CONCLUSIONE 255
IV. — Meno conciliabile è, a dir vero, il dissidio fra il me-
todo scientifico positivo e quella base soprannaturale e dogma-
tica che si trova in tutte le religioni, quella cristiana compresa,
e che il Cattolicesimo segnatamente ha di recente esagerato. Ma
bisogna tener presente che la fede è cosa vecchia e la scienza
relativamente nuova. Essa avea già mostrato qualche barlume
di sé nell'antico Egitto, in Babilonia, nell'India braminica, in
China; barlumi però non coordinati, avvolti quasi sempre nel
mistero ed interrotti da lunghi secoli di oscurità. Più forte fu la
luce che sviluppò la civiltà greco-romana ; ma anch'essa si spense
quasi al declinare del mondo antico; altri sprazzi ne vediamo
apparire durante l'epoca più splendida della civiltà araba, che
fecondò germi preparati dalla Grecia e dalla Persia dei Sassanidi;
ma anch'essi furono soffocati dall'imbarbarimento progressivo del
mondo maomettano (1). Come base integrante di una civiltà, come
vero portato di un periodo storico, la scienza positiva comincia
nel secolo decimosesto e non si affermò che nel decimottavo in
questa Europa, che ereditò e fecondò dottrine e nozioni elaborate
da tanti popoli e da tante civiltà. Ora, la guerra fra questa nuova
forza sociale, che si volea affermare, e la religione che si voleva
difendere, e che per prima cosa cercò di soffocare nelle fasce il
nuovo concorrente, fu naturale e spiegabile. E la religione prima
cercò di negare, e poi colpi d'anatema i risultati della scienza, e
d'altra parte la scienza assunse con particolare impegno la mis-
sione di sbugiardare agli occhi delle masse i dogmi della religione.
Tante istituzioni però e tante persone sembrano incompatibili,
le quali, dalla impossibilità di eliminarsi a vicenda e dalla ne-
cessità, che ne viene in conseguenza, di far vita insieme, sono
costrette a compatirsi. Se la scienza poi attacca direttamente od
indirettamente il dogma, almeno essa si svolge in un campo dif-
ferente da quello delle religioni; il pensiero scientifico infatti
spiega la sua azione sul raziocinio umano, mentre la fede ha la
sue base nel sentimento. Il primo necessariamente è accessibile
solo a quel piccolo numero di individui, che hanno la capacità e
la possibilità di menare una vita fortemente intellettiva, mentre
(1) Vedi Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia e specialmente la parto 11,
volume FU, paor. 702 e seguenti. Si potrebbe anche ricordare Averroe e l'Aver-
roismo di Renan.
256 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
l'altra estende la sua azione sulle masse. Certo più incompatibili
assai che la scienza ed una religione sono due religioni diverse,
che necessariamente si devono sbugiardare a vicenda e si fanno
la concorrenza sullo stesso terreno. Eppure noi vediamo che, pa-
recchie volte, dopo lunghe ed atroci lotte, due religioni, una volta
convinte della impossibilità di distruggersi, finiscono col tollerarsi
a vicenda. Cosi è avvenuto ed avviene dovunque cattolici e pro-
testanti, cristiani e maomettani, maomettani ed idolatri hanno
convissuto e convivono pacificamente nello stesso paese.
Ma forse la China ci offre su questo argomento un esempio,
che fa più al caso nostro. Colà le classi colte e governanti se-
guono un vago Deismo, che in fondo è un vero e proprio posi-
tivismo razionale (1), mentre il popolo è buddista, seguace della
religione di Lao-Tze, o maomettano. Il Buddismo è anche in
certo modo legalmente riconosciuto e l'autorità partecipa ufficial-
mente alle sue feste. Or potrebbe avvenire qualche cosa di molto
analogo in Europa. Quivi ci pare assai improbabile che in un
prossimo avvenire religioni nuove possano, non diciamo nascere,
ma diffondersi; sicché le varie forme del Cristianesimo manter-
ranno la loro preponderanza in quei paesi dove attualmente la
hanno (2). Alla lunga una reciproca tolleranza potrebbe stabilirsi
fra il positivismo o meglio l'agnosticismo scientifico degli indi-
vidui più colti e le credenze seguite, non solo dalle masse po-
vere ed incolte, ma anche da tutta quella gran parte della classe
agiata, che per sesso, per abitudine, per l'educazione ricevuta o
per temperamento, è più ossequente agli impulsi del sentimento.
(1) Tale è almeno il risultato pratico degli insegnamenti di Confucio. Una
volta Kilou, discepolo di questo filosofo, avendo interrogato il maestro intomo
alla morte ne ottenne questa risposta: " Come è che voi, che non potete ar-
rivare a sapere ciò che sia la vita, potete desiderare di conoscere ciò che sia
la morte? ,. Tze-Kong, altro discepolo, avendogli domandato se i Mani dei
defanti avevano conoscenza di ciò che avviene nel mondo dei viventi, Con-
fucio rispose : " Non occorre, Tze-Kong, che abbiate alcun impegno di sapere
se i Mani dei nostri antenati abbiano cognizione di ciò che avviene tra noi.
Non vi è alcuna urgenza di risolvere questo problema. Più tardi potrete vedere
da voi stesso quale sia la verità su questo riguardo ,. Rousset, op. cit., cap. VI,
(2) Forse il cattolicismo, in grazia della sua organizzazione superiore e
perchè più coerente nel suo domraatismo, seguiterà a guadagnare un po' di
terreno sulle diverse chiese protestanti, segnatamente nell'Inghilterra e negli
Stati Uniti d'America.
CAP. X - CONCLUSIONE 257
I primi dovrebbero comprendere che non si ottiene alcun van-
taggio sociale facendo la propaganda della miscredenza fra coloro
che sentono il bisogno delle credenze religiose, o che son troppo
ignoranti per arrivare a formarsi una concezione originale e propria
intorno a certi problemi naturali e sociali. E d'altra parte, coloro
che dirigono il movimento cristiano, e specialmente quello catto-
lico, dovrebbero pure persuadersi, e questa persuasione a dir vero
è alquanto diffìcile che acquistino, che ormai la scienza è diven-
tata tanta parte della vita dei popoli civili, che non può riuscire
facile, e diremmo quasi che non può riuscire possibile, di soffo-
carla e distruggerla.
Però le soluzioni, alle quali abbiamo ora accennato, dei problemi
moderni riguardanti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e fra la
scienza e le religioni dommatiche, sono soltanto da ritenersi come
possibili; il che non vuol dire che siano facili e sopratutto che
sian le più probabili.
Perchè fossero adottate, dovrebbero avere molto senno politico
le parti che attualmente sono in conflitto, e purtroppo, a prefe-
renza del senno, le passioni, i rancori ed i fanatismi dirigono gli
avvenimenti umani. Non bisogna poi dimenticare che attualmente
la corrente democratica socialista rappresenta quasi un'altra reli-
gione, che fa una terribile concorrenza a quella cristiana, ed è
con essa quasi assolutamente incompatibile.
Or, è pure possibile che, nell'urto fra queste due correnti, non
resti più la libertà, la tolleranza sufficiente perchè continui a pro-
sperare ed a vivere quel piccolissimo strato sociale capace di
conservare l'indipendenza del pensiero davanti i grandi problemi
sociali e politici. Pur troppo le epoche nelle quali è stato permesso
di liberamente esprimere il proprio pensiero, di non esser servo di
alcun fanatismo, di alcuna superstizione, sono epoche privilegiate
e piuttosto eccezionali nella storia dei popoli, ed esse non hanno
durato ordinariamente molto a lungo. Spesso le società umane si
sono adagiate per secoli in un sistema di credenze, e ad esso
hanno sacrificato la libertà di discutere e di pensare, oppure si
sono dilaniate aspramente perchè due diverse correnti di dottrine
e di credenze hanno conteso in tutti i modi per la {)reponderanza
sociale. I momenti di pace, di tolleranza relativa, nei (luali le
passioni sono state ahiuanto imbrigliate e l'intelletto ha potuto
con calma osservare e ragionare, sono stati in fondo fortunate
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 17
258 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
parentesi, divise fra loro da lunghi periodi di cieco ed esclusivo
fanatismo o di selvaggie lotte e persecuzioni.
E, che ognuna di queste parentesi possa essere chiusa, è pro-
vato dai tipi di civiltà che troviamo ora decaduti od immobilizzati,
e che dovettero avere anch'essi dei momenti in cui il pensiero
umano fu relativamente libero, altrimenti non si potrebbe spie-
gare il grado di progresso intellettuale, che pure un giorno rag-
giunsero. E, anche restando nell'Europa, si i)uò rammentare che
da Aristotile si andò indietro fino al bizantinismo, dalla civiltà
splendida e positiva dei primi secoli dell'impero romano, che solo
nei secoli decimottavo e decimonono le più colte nazioni hanno
sorpassato, si andò, con una decadenza ora lenta ora rapida, alla
barbarie, che troviamo descritta da Gregorio di Tours e Paolo
Diacono ed a quella, forse ancora più supina e degradante, che
troviamo documentata nella cronaca di Raul GTlaber (1). E ripen-
sando a queste grandi eclissi dell'intelletto umano che, senza fare
pronostici la cui difficoltà è evidente, sorge nell'animo il triste
sospetto che all'epoca presente potrà succederne un'altra in cui
non sarà libero per ogni individuo il professare o il non profes-
sare pubblicamente la religione cristiana, ed in cui la spontanea
e sincera espressione del pensiero umano, la piena indipendenza
dell'indagine scientifica potrà essere limitata dalla necessità di
conservare intatto quel tipo sociale, che, dopo lunghe ed accanite
lotte, sarà riuscito vittorioso.
V. — Legato al problema religioso e sopratutto al terzo pro-
blema, cioè all'avvenire della nostra civiltà di fronte allo svolgi-
mento della democrazia sociale, è il secondo problema che ora
imprendiamo a trattare, che riguarda la crisi che traversano i
Governi rappresentativi e sopratutto quelli parlamentari ; crisi che,
ristretta oggi nel campo delle idee e delle opinioni, può allargarsi
domani in quello dei fatti e determinare mutamenti graduali o
repentini nelle istituzioni che reggono tanta parte d'Europa.
Cominciamo coU'osservare infatti che, non tenendo conto delle
nuove forze sociali, che si affermarono durante il secolo decimot-
tavo, forze basate sopra la produzione di nuove ricchezze e sulla
(1) Vedi più sopra capitolo VI, paragrafo 6" in nota.
GAP. X - CONCLUSIONE 259
diversa distribuzione delle ricchezze stesse e sul sorgere di una
classe media colta ed agiata, due furono le correnti intellettuali
che produssero i movimenti politici, i quali hanno condotto alla
loro volta quasi tutti i popoli di civiltà europea ai governi rap-
presentativi e spesso anche ai governi parlamentari. La prima è
quella basata sulle dottrine del Montesquieu, e che chiameremo
la corrente liberale, la quale, mercè la divisione dei poteri, ha
voluto fare un argine all'assolutismo burocratico, ed abbiamo già
visto come, benché incompleto, il sistema d'idee al quale ora ac-
cenniamo non si possa dire fondamentalmente errato. La seconda
è la corrente democratica, il cui padre intellettuale è indiscutibil-
mente il Rousseau, la quale pone come base legale di ogni po-
tere politico la sovranità popolare, il mandato che i governanti
ricevono dalla maggioranza dei cittadini, e fa dipendere dalla
sincera attuazione di questo presupposto non solo la legittimità
dei governi, ma anche la loro bontà, ossia la loro attitudine a
soddisfare gli interessi e gli ideali delle masse ed a condurle verso
il miglioramento economico, intellettuale e morale (1). Or, come
più avanti cercheremo di dimostrare, questa seconda corrente
d'idee, venendo alle sue ultime esplicazioni e conseguenze, ha pro-
dotto anche la moderna democrazia sociale.
Le numerose obiezioni che ora si muovono ai governi rappre-
sentativi, e sopratutto a quelli nei quali, per la larga base data
al suffragio popolare, e più ancora per la preponderanza che ha
politicamente l'organo elettivo detto comunemente camera bassa,
l'ideale democratico si potrebbe dire a preferenza attuato, sono di
tre ordini : Una prima categoria di attacchi e di critiche infatti si
riferisce ai pettegolezzi, alle lungaggini, alle futilità di cui spesso
si occupano le assemblee parlamentari. Un'altra, che fin d'ora cre-
(1) Non occorre quasi di rammentare che Rousseau, il vero padre, come ab-
biamo già detto, della teoria della sovranità popolare e quindi della demo-
crazia rappresentativa moderna, in qualche pagina del Contratto sociale (Vedi
cap. XV) si mostrò decisamente avversario alla delegazione della sovranità ed
al sistema rappresentativo. Invece ha dovuto accettarlo la scuola democratica,
fondata sui prinupii posti dal filosofo ginevrino, per molteplici ragioni, fra le
quali non va dimonticata questa: che il modello pratico, che s'impose tanto
ai liberali che ai democratici per l'attuazione delle loro dottrine, fu la Costi-
tuzione inglese quale era nel secolo decimottavo, che dalla sua origine feudale
avea tratto il principio della rappresentanza e l'avea conservato e sviluppato.
260 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
diamo di potere affermare che è meglio fondata, viene a preferenza
formulata dai socialisti avanzati e dagli anarchici, e si può riassu-
mere nell'accusa che, dato il presente sistema d'ineguale distribu-
zione della ricchezza, i parlamenti non rappresentano gli interessi
e le aspirazioni della maggioranza, ma piuttosto quelle delle classi
ricche e dirigenti. La terza finalmente, certo più fondata di tutte,
riguarda la soverchia ingerenza, non tanto della Camera come
corpo politico, quanto dei singoli deputati, nella giustizia, nell'am-
ministrazione, nella distribuzione di tutta quella parte grandissima
di ricchezza sociale, che è, sotto forma di imposte e di tasse, as-
sorbita dallo Stato e da esso impiegata nei diversi servizi pubblici
e di quell'altra parte, pure grande, concentrata nelle banche e
nelle grandi speculazioni industriali, nelle Opere Pie, la quale non
sfugge ordinariamente alla influenza e sorveglianza dei governi
moderni.
Non ci è infatti chi non veda a prima vista quanto sia dannosa
la continua ingerenza, la faccenderia dei deputati in un regime
fortemente burocratizzato quale è il nostro ; ad essa si è dato un
nome speciale, recente e pure già odioso: si chiama infatti comu-
nemente il Parlamentarismo.
VI. — Or glinconvenienti insiti a qualunque regime di discus-
sione, la lungaggine delle assemblee, la vacuità di molti discorsi
nei quali è facile scorgere che lo sfogo di piccole ambizioni e del
piccolo amor proprio individuale ha una parte maggiore che la
devozione al pubblico interesse, la leggerezza con cui spesso si
compilano nuove leggi, l'ostruzionismo che qualche volta ritarda
provvedimenti necessari, le stesse violenze di linguaggio non
sempre giustificate, sono tutti senza dubbio difetti gravi; ma pos-
sono sembrare gravissimi e di capitale importanza solo a chi ha
la persuasione che il regime politico di un popolo possa andare
esente dalle debolezze inerenti alla natura umana. La capacità
che ha l'uomo di concepire il bene, la giustizia assoluta, il modo
migliore di adempiere al proprio dovere, e la difficoltà grandis-
sima che poi prova nel regolare le proprie azioni conformandosi
scrupolosamente a questi suoi concepimenti, producono la conse-
guenza inevitabile che non vi è uomo di Stato e forma di Groverno
che non possano essere oggetto di censure numerose ed, astrat-
tamente considerate, anche giuste. L'unico criterio pratico per
GAP. X - CONCLUSIONE 261
giudicare tanto gli uomini che i regimi politici è dunque quello
di paragonarli con gli altri, e sopratutto con quelli che li hanno
preceduti e, quando si può, con quelli che li hanno seguito. Or,
valutati a questa stregua, i vizi delle Assemblee, le cattive con-
seguenze che il loro controllo e la loro partecipazione al potere
può produrre in tutti i regimi rappresentativi, compresi quelli
costituzionali (1), sono ben poca cosa di fronte ai danni innega-
bili che si avrebbero dal loro annullamento o dalla loro completa
esautorazione.
Infatti, nelle presenti condizioni della società, alla soppressione
della assemblee rappresentative seguirebbe immancabilmente quel
regime, che si chiama comunemente assoluto, e che noi crediamo
che si potrebbe meglio battezzare come esclusivamente burocra-
tico, perchè ha come caratteristica principale l'allontanamento dalla
vita pubblica di tutte le forze politiche, di tutti i valori sociali,
che non fanno parte della burocrazia e, se non altro, la loro sub-
ordinazione assoluta all' elemento burocratico. Certo non esclu-
diamo interamente che il disgusto sempre crescente del parlamen-
tarismo e sopratutto la paura della democrazia sociale, là dove
essa assume un carattere minacciosamente rivoluzionario, possano
spingere parecchi popoli della moderna Europa verso un tale re-
gime ; ma non possiamo ammettere che ciò sarà un bene ; e non
occorre una lunga dimostrazione per questa nostra tesi, dopo quanto
abbiamo esposto, nel capitolo quinto, sui pericoli e gli inconve-
(1) Rararuentiamo tin da ora, per qualcheduno che non lo ricordasse, come
recentemente fra gli scrittori di diritto pubblico e fra coloro che si occupano
di politica militante sia prevalso l'uso, specialmente in Italia, di chiamare go-
verni costituzionali quelli nei quali il Presidente del Consiglio o Gran Can-
celliere ed i Ministri che dirigono il potere esecutivo non cambiano per i voti
contrari della Camera dei rappresentanti, ma solo per iniziativa del Capo dello
Stato, come avviene segnatamente in Germania, mentre governi parlamentari
sarebbero quelli in cui il Presidente del Consiglio ed i Ministri sono nominati
dal Capo dello Stato, ma presentano le loro dimissioni ogni volta che perdono
la maggioranza nella Camera elettiva, come è uso quasi costante, ad esempio,
in Inghilterra, in Francia ed in Italia. In questi paesi, secondo alcuni scrit-
tori, il Gabinetto viene ad essere un comitato della maggioranza della Camera
elettiva. Vi sarebbe pure un terzo tipo di governo rappresentativo, quello pre-
sidea/.iale, che è in vigore negli Stati Uniti d'America, nel quale il potere
esecutivo non si modifica secondo i voti della Camera bassa, ma il Capo dello
Stato è elettivo ed inoltre lo Stato è ordinato secondo il sistema federale.
262 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
nienti della preponderanza assoluta, non sogg^etta a limitazione
ed a discussione alcuna, di una sola forza politica. E che non si
tratti di un' obiezione puramente teorica e dottrinale, ma di un
valore pratico grandissimo, è facilmente provato dall' esempio di
qualche paese di civiltà europea, dove il regime rappresentativo
ancora molto imperfettamente funziona, come ad esempio sarebbe
la Russia, e forse meglio ancora dalle ricordanze dell'antico regime
francese e da quelle più recenti che gl'Italiani, specialmente quelli
del Mezzogiorno, possono facilmente rievocare (1). Solo l'abitudine
ai vantaggi di un regime di discussione pubblica di tutti gli atti dei
Governi può non fare scorgere a prima vista agli osservatori superfi-
ciali della giovane generazione quale sarebbe la rovina morale che
verrebbe dalla sua caduta; rovina che si esplicherebbe in una serie
di attentati alla difesa giuridica, alla giustizia, a tutto ciò che
comunemente dicesi la libertà, assai più perniciosi di tutti quelli
che possono essere addebitati, non diciamo ai governi rappresen-
tativi in genere, ma anche ai meno corretti fra i Governi parla-
mentari (2).
(1) Raccomandiamo in proposito ai lettori lo studio di un interessantissimo
libro venuto alla luce circa venti anni fa, nel quale si descrive quale fosse
l'organizzazione politica e sociale, quale lo stato morale, del Reame delle
Due Sicilie negli ultimi anni della sua durata. Si noti che il Re Ferdi-
nando II di cui si descrive l'opera, era uomo di discreta intelligenza, attivo,
amante, a modo suo, del bene del suo popolo, moralmente superiore alla
media dei suoi sudditi. Vedi Memor, La fine di un regno, Città di Castello,
1895, ed. Lapi.
(2) Forse ci siamo fin troppo dilungati a dimostrare l'utilità morale e sociale
delle forme rappresentative, ma a ciò siamo stati indotti da una certa omai an-
tica tendenza a denigrarle troppo e con soverchia leggerezza. Alcuni anni fa,
ad esempio, ci è capitato sott'occhi un opuscolo nel quale per combattere il
Parlamentarismo si affermava che il governo delle Assemblee è dannoso perchè
esse partecipano della natura delle folle, facili a farsi trascinare dalla retorica
e dal calore degli oratori a risoluzioni inconsulte e precipitate. Non occorre
quasi di far osservare che le Assemblee non governano ma controllano chi go-
verna e ne limitano il potere, e che del resto quasi sempre un'Assemblea di
rappresentanti non è una folla, cioè una riunione di uomini fortuita ed inor-
ganica, ma suole, al contrario, avere una organizzazione gerarchica di capacità
e di competenze riconosciute, e contiene moltissime persone da una lunga
esperienza salvaguardate contro i danni possibili che una eloquenza calda ed
affascinante può produrre nei cervelli poco equilibrati.
Prima di lasciare l'argomento dobbiamo anche rammentare che alcuni degli
CAP. X - CONCLUSIONE 263
Le obiezioni che i socialisti molto avanzati e gli anarchici fanno
comunemente al sistema rappresentativo hanno fondamento in
una osservazione già da noi esposta nel capitolo VI del presente
lavoro ed altrove, che molti altri scrittori hanno pure formulato
e che è da maravigliare soltanto che non sia più diffusa ed ac-
creditata. Alludiamo al fatto evidente che i membri di una Camera
elettiva non sono quasi mai scelti liberamente e spontaneamente
dalla maggioranza dei loro elettori, perchè questi non hanno che
una limitatissima libertà di opzione tra i pochissimi candidati, la
riuscita dei quali presenta una certa probabilità. Certo questa
contraddizione flagrante tra il fatto ed il diritto, fra la base giu-
ridica del mandato politico e la sua pratica esplicazione, è una
debolezza grandissima di qualunque sistema rappresentativo. Però
essa può fornire un argomento di capitale importanza contro al
detto sistema solo a coloro, e sono ancora moltissimi, che accet-
tano la teoria della sovranità popolare secondo la interpretazione ri-
stretta e precisamente circoscritta, che ne hanno dato Rousseau ed i
suoi seguaci della scuola democratica, pei quali significa che il Go-
verno di ogni società debba emanare dalla maggioranza nume-
rica dei cittadini. Ma se, come noi crediamo, la sola cosa impor-
tante e possibile in un regime politico è che vi prendano parte
tutti i valori sociali, che in esso trovino un posto tutti coloro
che hanno qualcuna delle qualità, che, in un dato tempo e in un
dato popolo, determinano il prestigio e l' influenza delle classi e
degli individui, allora si può ammettere che, come non va com-
battuta una religione per la scarsa veridicità dei suoi dogmi
quando moralmente })roduce buoni risultati, cosi le applicazioni
di una dottrina politica si possono accettare finché hanno per con-
seguenza un miglioramento della difesa giuridica, benché la dot-
trina stessa offra facilmente il fianco ad una critica inspirata a
criteri positivi. Or é innegabile che il sistema rappresentativo dà
a molteplici forze sociali il modo di j^artecipare al regime poli-
tico, controllando e limitando l'azione di altre forze sociali, cioè,
inconvenienti rimproverati alle Assemblee ofifrono in contraccambio reali van-
taggi, ad esempio la lentezza nel legiferare non è una cosa sempre dannosa;
poiché spesso le leggi nuove richiedono nuovi impiegati e nuovi mezzi pecu-
niari per essere applicate, ciò che è in massima dannoso negli Stati moderni,
dove la burocrazia ed i sistemi tributari sono già tanto sviluppati.
264 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
della burocrazia. E certamente, se queste sole fossero le conse-
guenze e le applicazioni possibili della dottrina della sovranità
popolare, converrebbe accettarle, pur riconoscendo la scarsa base
scientifica della corrente d'idee e di sentimenti che le ha prodotte.
Né si dica che il fatto che le maggioranze vere e reali hanno
un'influenza molto limitata nella scelta dei rappresentanti dipenda
esclusivamente dalle presenti disuguaglianze sociali. Indiscutibil-
mente, quando queste esistono, è naturale che la scelta degli elet-
tori cada a preferenza su coloro che nella disuguaglianza rap-
presentano i punti più elevati della scala sociale; ma, anche se per
un'ipotesi, che crediamo impossibile, la scala fosse livellata in
modo da diventare un piano, resterebbe sempre la prevalenza ine-
vitabile delle minoranze organizzate e facili ad organizzare, di
fronte alle maggioranze disorganizzate. La moltitudine degli elet-
tori sarebbe perciò sempre costretta a scegliere i suoi rappresen-
tanti fra i candidati sostenuti dai gruppi di persone per gusto ed
interesse più attivamente dedite alla vita politica.
Adunque, ciò che vi è di più fondato nelle critiche, che ormai
da più di un ventennio si fanno contro i Governi rappresentativi,
sta tutto nella soverchia ed esclusiva prevalenza degli elementi
elettivi, che si verifica in molti di essi e specialmente quando
degenerano nel Parlamentarismo. Il fatto che, dove questo è in
vigore, esce dal seno della Camera elettiva il Ministero, che di-
rige tutta la vasta ed assorbente macchina burocratica, e quello
più grave ancora che Presidenti del Consiglio e Ministri restano
in carica finché piaccia alla maggioranza della detta Camera il
conservarli, sono le prime e vere radici dei mali così comunemente
lamentati. E per essi che nelle Camere la discussione degli atti
del Groverno ed il controllo, che sopra l'azione governativa i de-
putati dovrebbero esercitare, sono quasi sempre traviati da ambi-
zioni personali ed interessi di parte. E per essi che il desiderio
naturale nei governanti di fare il bene viene efficacemente e co-
stantemente combattuto dal desiderio, non meno naturale, di fare
il proprio interesse, che il sentimento del dovere professionale è
nei ministri e nei deputati sempre bilanciato da tutte le ambizioni
e da tutti gli amor propri giustificati ed ingiustificati. E per essi che
la macchina amministrativa e giudiziaria viene mutata in grande
agenzia elettorale col relativo sperpero di pubblico danaro e di
senso morale, che le pretese di qualunque grande elettore, attra-
GAP. X - CONCLUSIONE 265
verso il deputato che ha bisogno di lui, e del ministro che ha
bisogno del deputato, bastano talvolta a far rinnegare qualunque
rispetto all' equità ed alla legge. E infine per questa costante,
procurata, flagrante contraddizione fra il dovere e 1" interesse di
chi governa e di chi deve limitare e giudicare l'azione del Go-
verno, che la burocrazia e l'elemento elettivo, che dovi-ebbero con-
trollarsi a vicenda, finiscono col corrompersi e con lo snaturarsi
a vicenda (1).
VII. — Prima di studiare i rimedi proposti e da proporre ad
un simile stato di cose conviene fermarsi un momento per esa-
minare cosa accadrebbe se esso durasse immutato per un certo
spazio di tempo, se, ad esempio, per mezzo secolo ancora nulla
di sostanziale fosse mutato nelle istituzioni che reggono tanta
parte della società europea e non avvenissero in essa nuovi rivol-
gimenti talmente violenti da spostare le influenze . e le fortune
personali. Or, dato che questa ijiotesi, cosa che ci pare difficile,
possa avverarsi, respingiamo formalmente quell'opinione, un tempo
abbracciata da molti ed ora seguita da pochi, secondo la quale
le istituzioni parlamentari avrebbero in sé stesse una virtù ripa-
ratrice dei mali che producono negli inizi della loro applicazione (2).
Possiamo però ammettere che questi mali cambierebbero un po'
di natura per quel fenomeno della stabilità o cristallizzazione
delle influenze politiche, che av^-iene in tutti i paesi il cui regime
politico non è per un lungo tempo cambiato da infiltrazioni stra-
niere o da un lavorìo interiore d'idee e di passioni. I figli delle
notorietà presenti del Parlamento, della Banca e della burocrazia
arriverebbero infatti sempre più facilmente ai posti già occupati
dai padri, e si formerebbe un piccolo mondo, una consorteria di
(1) Sugli inconvenienti del Parlamentarismo vedi Schérer. La démocratie et
la France. Paris, 1883, Librairie nouvelle; Prins, La démocratie et le regime
parlemeiitaire. Bruxelles, 1884; Mosca, opere citate.
Dei mali cagionati dalla soverchia preponderanza dell'elemento elettivo si
occupano pure il Skamen, Le si/stème de gourernement américain, traduttore
Hippert. Bruxelles, 1872, ed il Winschell in un articolo pubblicato nel numero
di febbraio 1883 della * North-American Review ,.
(2) Alludiamo alla volgare dottrina, secondo la quale la libertà sarciibe ri-
medio a ftè f^tessa e, come la famosa lancia d'Achille, guarirebbe i mali che
essa s(essa produce.
266 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
famiglie influenti, entro la quale sarebbe difficile agli uomini
nuovi di penetrare. Accadrebbe ciò che è accaduto in Roma re-
pubblicana, dove le diverse generazioni delle famiglie più co-
spicue si succedevano nelle cariche più elevate e nell'Inghilterra
del secolo decimottavo e dei primi decenni del decimonono fino
alla riforma del 1832, quando le antiche famiglie parlamentari
erano alternativamente alla testa dell'Opposizione o del Gabinetto,
e si accentuerebbe ciò che già accade in Francia ed in Italia,
paesi dove il sistema rappresentativo è ancora recente, nei quali
spesso vediamo i figli, i fratelli ed i generi degli uomini politici
ereditare i collegi dei loro parenti. Mercè questa maggiore sta-
bilità della classe che avrebbe l'alta direzione politica si rende-
rebbe più difficile il farsi avanti agli uomini di merito e di nascita
oscura, ma crescerebbe la difficoltà anche i3er coloro che escono
dalla folla e salgono i primi gradini della notorietà e dell' in-
fluenza ijolitica lusingando ed acuendo le più basse o le più in-
sensate aspirazioni della folla. Il tempo farebbe pure dimenticare
la prima origine impura di molte fortune e molte influenze, ai
figli nati in elevata fortuna sarebbero risparmiate le bassezze e
le contraddizioni che, per arrivarvi, fui'ono necessarie ai padri, ma
diventerebbe sempre più. flagrante la contraddizione fra lo spirito
delle istituzioni e coloro, che sarebbero chiamati a rappresentarle,
e l'oligarchia, che governerebbe a nome del popolo, e che non
potrebbe mai ripudiare interamente le arti e le ipocrisie neces-
sarie in qualunque regime parlamentare, starebbe sempre più lon-
tana ed appartata dai sentimenti e dalle passioni del popolo. E
per popolo non intendiamo solo le masse dei contadini e degli
operai, ma anche quelle numerose classi medie, fra le quali
si svolge tanta parte dell' attività economica ed intellettuale
del paese.
Prescindendo quindi dagli effetti naturali , che eserciterebbe
r azione del tempo, la quale, come abbiamo visto, sarebbe di
dubbia utilità , non è difficile escogitare quelle modificazioni
degli istituti presenti, che attenuerebbero i danni del Parlamen-
tarismo.
Non ci è infatti chi non veda quanto riuscirebbe utile l'aumen-
tare le guarentigie d'indipendenza della magistratura, assicurando
ai magistrati in tutti i paesi quella vera e reale inamovibilità di
grado e di luogo, che ora è praticata soltanto in alcuni, ed eie-
GAP. X - CONCLUSIONE 267
vando, a fatti non a parole, la loro posizione sociale ed il loro
prestigio. Non ci è chi non veda quanto gioverebbe in Francia ed
in Italia ed altrove l'introdurre il sistema della responsabilità di
tutti gli impiegati dello Stato al modo tedesco, in guisa che tutti i
pubblici funzionari di grado elevato rispondessero dell'opera loro da-
vanti tribunali amministrativi realmente indipendenti, e sottraendo
nello stesso tempo i detti funzionari agli arbitrii dei Ministri e
quindi dei deputati.
Si potrebbe anche organizzare meglio il controllo finanziario,
aumentando l' indipendenza della Corte dei Conti. Disgraziata-
mente tutti questi rimedi, che attenuerebbero la gravità di alcuni
sintomi del male senza toglierne la radice, sono pure di diffìcile
attuazione per la resistenza che gli elementi dominatori che hanno
il battesimo del suffragio popolare, e che vengono comunemente
appellati democratici, oppongono tacitamente od apertamente, in
nome degli intangibili principii della sovranità nazionale, ogni
qual volta si tratta di aumentare il prestigio e le attribuzioni di
quegli istituti, che limitano la loro onnipotenza (1).
Più radicale ed efficace rimedio sarebbe senza alcun dubbio
quello, che è stato vagheggiato da molti, e che consiste in un ri-
torno al sistema costituzionale del quale il Governo parlamentare
non è che una trasformazione e, secondo alcuni, una degenera-
zione. Non bisogna nascondere che un movimento politico che
cercasse di arrivare a questo resultato, avrebbe una certa facilità
di pratica attuazione, perchè realmente, stando alla lettera degli
Statuti e delle Carte fondamentali sulle quali posa l'edificio giu-
ridico dei Governi moderni, non si può scorgere alcuna differenza
fra il regime parlamentare e quello costituzionale, anzi tutti i testi
ammettono esclusivamente l'esistenza di un regime costituzionale
non già di quello parlamentare (2). Questa forma di Governo non
(1) Se ne ebbe un esempio in Italia quando si discusse il disegno di legge
sullo stato degli impiegati civili nel marzo ed aprile 1890, diseguo di legge
che, senza ragioni apparenti, fu improvvisamente messo a tacere e poi decadde
per la chiusura della sessione, dopo che era stato approvato dalla Camera dei
deputati. In Francia si è fatto peggio, giacche colle epurazioni della burocrazia
e della magistratura si è aumentato l'arbitrio dei Ministri strumenti delle
maggioranze parlamentari.
(2) Solo nella Costituzione portoghese del 1826 veniva fatta la distinzione
fra il potere moderatore, che apparteneva esclusivamente alla persona del Re
268 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
si è perciò stabilita se non in base ad ima serie di concessioni
tacitamente richieste dalla pubblica opinione e tacitamente con-
sentite dai Capi degli Stati ; sicché basterebbe un cambiamento
nell'opinione pubblica ijer tornare ad una interpretazione più au-
tentica dei principii codificati nelle Costituzioni. Aggiungiamo non
essere esatto ciò che alcuni credono, che il Governo parlamentare
cioè abbia avuto in Inghilterra la sanzione di una durata parec-
chie volte secolare ; perchè realmente esso cominciò colà a deli-
nearsi soltanto poco prima della metà del secolo decimottavo e
non ha funzionato secondo le norme, che i trattatisti credono cor-
rette, se non durante il secolo decimonono e specialmente durante
il lungo regno della regina Vittoria e durante quelli dei suoi suc-
cessori (1).
Malgrado ciò confessiamo che una evoluzione politica nel senso
indicato ci parrebbe ora di una opportunità molto dubbia. In
Francia, in Italia e negli altri paesi parlamentari del continente
europeo il funzionamento di tutti gli istituti politici è ormai le-
gato al presupposto che debba vigere in fatto il regime parla-
mentare. E discutibile se sia stato giovevole il passaggio diretto
dal regime burocratico assoluto a quello parlamentare, senza fer-
marsi prima, almeno per un certo tempo, nel periodo semplice-
mente costituzionale; ma, poiché gli eventi hanno cosi proceduto,
bisogna subirne le conseguenze. Or principalissima conseguenza
delle teorie e delle consuetudini politiche, che hanno finora prevalso
in tanta parte d'Europa, è stata questa : che la Camera elettiva,
(art. 21) ed il potere esecutivo che era esercitato dal Re per mezzo dei Ministri
(art. 75). la tutte le altre costituzioni è detto solamente che il Capo dello
Stato esercita il potere esecutivo mediante Ministri responsabili nominati e
revocati a volontà. In Italia, ad esempio, nello Statuto non si parla che dei
singoli Ministri e non già del Gabinetto e del Presidente del Consiglio, e le
attribuzioni tanto dell'uno che dell'altro sono state determinate da una serie
di decreti reali, di cui il più antico è quello dell'Azeglio del 1850 ed il piìi
importante quello del Ricasoli del marzo 1867, abrogato un mese dopo dal
Rattazzi e copiato in gran parte dal decreto Depretis del 20 agosto 1876, e
poi da quelli successivi.
(1) Rammentiamo che nel 1783 il secondo Pitt fu chiamato al Governo da
Giorgio III contro la volontà della maggioranza della Camera dei Comuni e
che fin nel 1835 Guglielmo IV fece un tentativo, che ebbe alcuni mesi di suc-
cesso, per sostituire di sua iniziativa Roberto Peel a Lord Melbourne.
GAP. X - CONCLUSIONE 269
sicura che il G-abinetto potea essere sempre rovesciato da un suo
voto contrario, non ha curato abbastanza la necessità di limitarne
i poteri e le attribuzioni. Sicché essa è stata larghissima nell'au-
nientare le risorse, le funzioni, le inframmettenze dello Stato, ed
è stata forse poco gelosa della intangibilità di alcuni dei suoi po-
teri (1) ; perchè ha pensato che coloro che dello Stato sono a capo
sarebbero sempre gli strumenti della sua maggioranza.
Cosi stando le cose, è evidente che il passaggio rapido dal re-
gime parlamentare al costituzionale, nei paesi che sono al primo
abituati, condurrebbe ad un sistema di Governo molto più auto-
ritario e ristretto di quello che vediamo in vigore in quelle nazioni
nelle quali il costituzionalismo puro non si è mai trasformato e
le funzioni di tutti i poteri sono rimaste sempre conformi alla
lettera degli Statuti fondamentali. Senza farsi illusioni, si può con
quasi sicurezza affermare che una simile evoluzione, decapitando
la Camera dei rappresentanti, togliendole cioè la principale delle
sue attribuzioni e nello stesso tempo conservando intatta tutta
quell'assorbente organizzazione burocratica, tutti quei mezzi e
quelle abitudini di corruzione coi quali ora i Governi parlamen-
tari sanno modificare i responsi delle urne, toglierebbe almeno per
molto tempo ogni spontaneità di azione, ogni importanza politica
ai Parlamenti e ci condurrebbe ad un regime molto simile a quel-
l'assolutismo burocratico, del quale abbiamo poco sopra accennato
i vizi e gl'inconvenienti. Ed è anche da tener presente che questi
sarebbero più sentiti, più amari, più gravi se il Gabinetto, che
inaugurerebbe il nuovo sistema, fosse uscito, come è molto pro-
babile, dal Parlamentarismo e fosse quindi inquinato da tutte le
corruttele e le ipocrisie inerenti alla sua origine.
Vili. — Il rimedio più efficace e più sicuro ai mali del Par-
lamentarismo starebbe in un discentramento largo ed organico, il
quale non dovrebbe solo consistere in un passaggio di attribuzioni
dalla burocrazia centrale a quella provinciale, e dalle Camere del
Parlamento nazionale ai corpi elettivi locali, ma nell'affidare gran
parte delle mansioni, che ora sono esercitate dalla burocrazia e dai
(1) Rammentiamo in proposito l'uso e l'abuso che in certi paesi parlamen-
tari si è fatto dei così detti Decreti-legge.
270 KLEMBNTI DI SCIENZA POLITICA
corpi elettivi, a quella classe di persone, che per cultura ed agia-
tezza ha capacità, indipendenza, prestigio sociale assai superiore
a quello delle masse; la quale non si dà ai pubblici impieghi e
che ora, quando non riesce o non vuole farsi eleggero alla depu-
tazione, 0 non entra a far i)arte dei Consigli provinciali o di quelli
dei grandi Comuni, resta completamente lontana dalla vita pub-
blica. È in questo modo soltanto che si possono lenire i mali del
Parlamentarismo o rendere meno pericoloso per le pubbliche li-
bertà il passaggio da esso al regime costituzionale.
Se non fosse noto altrimenti, si potrebbe rilevare da quanto noi
abbiamo già scritto che le magagne dei Governi parlamentari
hanno quasi tutte origine dall'indebita ingerenza che la burocrazia,
per mezzo principalmente dei Prefetti, esercita nella formazione
degli elementi elettivi centrali e locali e da quella, ugualmente
indebita, che gli elementi elettivi centrali, ossia i deputati, eser-
citano alla loro volta sulla burocrazia.
Da ciò proviene un indecente ed ipocrita mercimonio di tolle-
ranze reciproche e di scambievoli favori, che è la vera cancrena
di parecchie nazioni europee. Or questo cerchio non si rompe
aumentando i poteri della burocrazia o allargando le attribuzioni
dei corpi elettivi, ma si spezzerà soltanto chiamando nuovi ele-
menti politici, nuove forze sociali al servizio della cosa pubblica,
XDerfezionando la difesa giuridica mediante la partecipazione ai
pubblici uffici di tutte le persone, che hanno attitudine a ciò e che
non sono impiegati salariati promovibili e traslocabili a benepla-
cito di un Ministro, né devono attendere la riconferma della loro
carica dalla sollecitazione dei voti, dal beneplacito di un comitato
o di un faccendiere elettorale.
In Francia, in Italia ed altrove, in ogni provincia o dipartimento
si potrebbe applicare il concetto testé esposto, facendo la lista di
tutti coloro che hanno una laurea universitaria (1) e pagano un
dato censo, e formandone una categoria speciale di funzionari gra-
tuiti, la quale, sebbene aperta a tutti coloro che arrivassero a con-
I
(1) Potrebbe considerarsi come titolo equipollente alla laurea universitaria
l'aver raggiunto nell'esercito il grado di capitano, l'essere stato deputato al
Parlamento o sindaco di un comune di piìi di diecimila abitanti ed anche
l'aver presieduto un'associazione operaia od agricola, che contasse un certo
numero di soci e possedesse un certo capitale.
GAP. X - CONCLUSIONE 271
quistare i titoli enunciati, pure per l'omogeneità della condizione
sociale e per la naturale tendenza che ha l'uomo per le distinzioni
sociali, acquisterebbe presto solidità e spirito di corpo, e dediche-
rebbe volentieri una parte del suo tempo ai pubblici negozi.
Fra gl'individui appartenenti a questa categoria si dovrebbero
scegliere a sorte o nominare a vita, secondo i casi, i giudici con-
ciliatori, gli ufficiali incaricati di redigere le liste degli elettori
politici e comunali e alcuni nuovi funzionari, che dovrebbero es-
sere incaricati di certe mansioni di polizia giudiziaria. Nella stessa
classe dovrebbero essere scelti i componenti dei tribunali ammi-
nistrativi di primo grado, che dovrebbero surrogare, là dove esi-
stono, le presenti Giunte amministrative e che potrebbero essere
anche presieduti da un magistrato di carriera. Lo stesso elemento
potrebbe, anzi dovrebbe, essere rappresentato nei Consigli di pre-
fettura.
Certo non possiamo qui esporre minutamente tutto un sistema
di riforme delle istituzioni politiche ed amministrative della so-
cietà europea e diamo quindi soltanto l'idea fondamentale, che del
resto non è esclusivamente nostra (1), alla quale le riforme do-
vrebbero essere inspirate, tracciamo la via che ci pare opportuno
e necessario di seguire. Non ci dissimuliamo neppure le obiezioni,
che alla immediata applicazione dei nostri concetti si potrebbero
opporre. Anzi, sebbene non abbiano tutte la stessa gravità, è
nostro dovere farne un sommario esame.
Si può dire infatti che la presente istituzione della giuria è or-
ganizzata secondo il metodo da noi propugnato e che pure essa
fa cattiva prova e si va di giorno in giorno sempre più discredi-
tando. Ma, in primo luogo, osserviamo che le accuse contro la
giuria sono forse esagerate nel senso che gl'inconvenienti, che ad
essa esclusivamente si attribuiscono, sono forse a preferenza il
frutto di una tendenza generale del secolo verso una soverchia
mitezza nella repressione dei reati comuni; tendenza contro la
quale, presto o tardi, dovrà affermarsi una forte reazione. In se-
condo luogo poi gli elementi che entrano nella giurìa non sono
esclusivamente quelli da noi indicati, perchè, essendosi allargata
(1) Fra i libri pubblicati in Italia, ad es., la stessa idea emerge dai duo vo-
lumi dell'opera del Tukiki.lo intitolata Governo e Governanti (Vedi 2* edizione
Zanichelli, ed. Bologna, 1887).
272 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
molto, anzi troppo, la base di questo istituto, ne fa parte una mag-
gioranza di persone, che non ha la preparazione intellettuale e
morale sufficiente al delicato ufficio che deve esercitare.
Or gli organismi sociali spesso funzionano male, non già perchè
il principio al quale devono la loro origine sia sostanzialmente
falso, ma perchè è male applicato. Certo, ad esempio, è giusto il
principio propugnato dal Machiavelli, che la forza armata a tutela
dell'ordine e dell'indipendenza di uno Stato debba essere com-
posta di cittadini, che a turno prestino il loro servizio, anziché
di stranieri e di mercenari, che della milizia fanno un mestiere.
Ma, mentre una sapiente ed accorta applicazione di questo prin-
cipio ha prodotto i moderni eserciti stanziali, un'applicazione
inorganica e leggiera dello stesso avrebbe risultati identici a
quelli che diedero l'ordinanza fiorentina creata secondo i suggeri-
menti del segretario fiorentino e la guardia nazionale che funzionò
in Italia fino a quarant'anni fa.
Si può anche obiettare che la formazione di una classe di fun-
zionari come quella da noi accennata avrebbe qualche cosa di ar-
tificiale e di arbitrario. Non neghiamo che ad un osservatore su-
perficiale la critica possa sembrare giusta, perchè nessun istituto
umano, nessuna legge, si sottrae alla necessità di stabilire limiti
che hanno qualche cosa di artificioso e convenzionale (1); ma, nel
caso nostro, se guardiamo alla sostanza delle cose, ci pare che sia
perfettamente il contrario. Nei nostri costumi e nelle nostre abi-
tudini private facciamo infatti sempre una notevole distinzione
tra colui che ha un'elevata cultura e per la sua posizione econo-
mica fa parte della buona società, e l'uomo i^overo ed ignorante;
e, se politicamente sono ambidue considerati alla stessa stregua,
ciò dipende appunto dal fatto che nel nostro ordinamento politico
prevalgono criteri arbitrari e convenzionali. Se una cosa ci deve
perciò far maraviglia è la nullità politica come classe di coloro
che hanno i requisiti accennati. E diciamo pensatamente come
classe, perchè poi, individualmente, escono ora quasi tutti dagli
(1) Così è, ad es., il limite che stabilisce il giorno preciso della maggiore
età, per il quale fino a venti anni, undici mesi e ventinove giorni si è ripu-
tati incapaci di dirigere i propri aifari e l'indomani si diventa maggiorenne,
e quello che determina le condizioni precise per essere elettore, là dove non
vige il suffragio universale, ecc.
GAP. X - CONCLUSIONE 273
strati sociali cte hanno una certa agiatezza ed una certa cultui'a
ijoloro che coprono le cariche elettive di qualche importanza, cioè
i deputati, i consiglieri provinciali o dipartimentali ed i sindaci
nd i consiglieri comunali delle grandi città. H male è che ne
escono dopo esser passati, meno rare eccezioni, attraverso un si-
stema di selezione alla rovescia, che esclude dai posti di maggiore
importanza quanti non vogliono o non possono comprare i voti
degli elettori, oppure coloro che hanno carattere troppo elevato
per sacrificare all'ambizione la dignità, e troppa lealtà e corret-
tezza per profondere promesse che sanno di non poter mantenere,
o che si mantengono soltanto col sacrificio dell'utile pubblico a
quello privato.
Più grave, più reale è l'ostacolo che all'attuazione pratica dei
nostri concetti verrebbe dalle presenti condizioni economiche di
molti paesi d'Europa. Nel secolo scorso e nella prima metà di
quello presente, la gentry inglese ha esercitato quasi tutti gli uf-
fici equivalenti a quelli che noi vorremmo affidati alla classe, che
ad essa corrisponde nella società del continente europeo; e li ha
esercitato in base ad un sistema analogo a quello che vorremmo
introdurre nei nostri paesi, sistema che purtroppo, è bene che lo
dichiariamo fin da ora, per l'influenza delle moderne idee demo-
cratiche, ha perduto negli ultimi decenni molto terreno anche al
di là della Manica.
Ma l'Inghilterra è stata negli ultimi secoli un paese relativa-
mente ricco e, fino a cinquant'anni fa, la scienza non avea una
cosi larga applicazione nei varii rami dell'attività sociale: perciò
a stabilire il prestigio di un individuo bastava una certa agia-
tezza ed una certa educazione morale e non era, come oggi, quasi
indispensabile che a questi fattori si aggiungesse una cultura su-
periore. Ora le necessità dei tempi e sopratutto il bisogno di man-
tenere la propria influenza possono indurre la classe più ricca,
quella che possiede le grandi fortune, a scuotere la tradizionale
ignavia, della quale ha dato in molti paesi spettacolo, ed a se-
guire i corsi universitari ; ma questa classe è e sarà sempre molto
ristretta, e non ])otrà bastare a tutti gli uffici che abbiamo enu-
merato, se non è unita a quell'altra, che possiedo solo una onesta
e mediocre agiatezza.
Intauto questo strato sociale è appunto quello, che più stonta
a mantenere il proprio rango, colpito come è, forse a preferenza
G-. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 18
274 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
de«jfli altri, dai pesantissimi e depauperanti sistemi tributari mo-
derni. Sicché esso difficilmente in molti paesi conserva quel mar-
gine di benessere economico, che è indispensabile per adire la
cultura superiore quasi esclusivamente a scopo di decoro indivi-
duale, di lusso di famiglia, di utilità sociale; ma a preferenza la
consegue con uno scopo professionale, costretta come è ad avere
quei diplomi, che sono necessari per l'esercizio delle carriere dette
liberali. E fin qui il danno sociale sarebbe forse tollerabile, ma il
peggio è che l'ingombro di queste carriere spinge sempre più
questa classe verso la ricerca affannosa dei pubblici impieghi, i
quali per le pressioni degli aspiranti si moltiplicano non solo nelle
amministrazioni centrali, ma anche in quelle locali, occasionando
nuove spese e nuove ingerenze burocratiche. Sicché si stabilisce
un cerchio fatale di cause ed effetti reciproci, per il quale la ro-
vina della media proprietà e dei capitalisti mediocri, dovuta al
soverchio peso delle imposte, rende quasi necessario di aumentare
ancora le imposte : e vengono cosi trasformati in funzionari di
carriera quegli stessi elementi sociali, che, in un paese più pro-
spero, resterebbero liberi cittadini e costituirebbero il più efficace
controllo all'azione della burocrazia.
Ma anche le difficoltà economiche si potrebbero gradatamente
superare, se, alla formazione di una nuova aristocrazia a basi
larghe, di una classe numerosa, che racchiuderebbe quasi tutte le
energie morali e le forze intellettuali delle nazioni e che sarebbe
lo strumento più atto a contrappcsare le oligarchie burocratiche,
bancarie ed elettorali, non fosse più forte e meno vincibile osta-
colo quella corrente democratica, ancora tanto in voga, la quale
nessuna legittimità di azione politica, nessuna prerogativa am-
mette, che non emani direttamente od indirettamente dal suffragio
popolare. Questa corrente, che, come abbiamo già accennato, ha
contribuito potentemente a diminuire, negli ultimi decenni, le at-
tribuzioni della gentry inglese e le ha affidate in cambio all'ele-
mento elettivo od alla burocrazia, spiegherebbe tutta la forza di
cui è ancora capace per impedire che una evoluzione in senso
inverso si compisse nel continente europeo. In fondo perciò la
maggiore difficoltà nei rimedi da applicare ai mali del parlamen-
tarismo sta tutta nelle condizioni intellettuali delle società, che
sono rette a sistema parlamentare, nelle dottrine cioè e nelle opi-
nioni che in esse sono più diffuse; e, nella ricerca di questi rimedi,
GAP. X - CONCLUSIONE 275
finiamo col trovarci di fronte a quello stesso ordine d'idee e di
passioni al quale deve la sua origine la democrazia sociale (*),
IX. — Cominciando l'esame di quest'ultimo ed importantissimo
degli argomenti, che ci eravamo prefissi di trattare, sarà oppor-
tuno premettere un po' di storia. In parecchi movimenti religiosi
e sociali, che poi hanno assunto grandi proporzioni, può riuscire
difficile il rintracciare esattamente e determinare la i3arte precisa
che il primo fondatore ed i suoi prischi collaboratori hanno avuto
nella maniera come i detti movimenti praticamente si sono svolti ;
diciamo di più che non è agevole l'accertare la fede di nascita dei
primi maestri ed i caratteri che, fin dalla nascita, erano loro spe-
■ ciali. La personalità di Sakya Muni resta confusa infatti tra il
vago e l'incerto delle leggende buddistiche e forse non si potrà
mai determinare la parte che Manete, primo fondatore del Mani-
cheismo, ebbe in quelle credenze che poi produssero in Persia sulla
fine del secolo quinto una specie di tentativo di rivoluzione so-
ciale. Ma, quando spuntò l'alba del socialismo odierno, eravamo già
in un periodo intellettualmente assai più maturo, nel quale le dot-
trine nuove ed i ricordi personali venivano subito raccolti e fissati
in libri pubblicati a migliaia di copie, che non saranno mai forse
interamente distrutti e perduti. I primordi perciò delle attuali dot-
trine riformatrici sono noti e possono essere seguiti passo per
passo; ed, arrivando alle loro non lontane origini, facilmente con-
statiamo che Voltaire e i suoi seguaci ebbero una parte impor-
tantissima nel distruggere il mondo antico, ma non accennarono
quasi mai a sistemi sociali nuovi che a quello allora vigente si
potessero sostituire. Sicché il vero padre di quei sentimenti, di
quelle passioni, di quel modo di comprendere e giudicare la vita
(*) Non abbiamo alcuna difficoltà a confessare che le nostre idee relativa-
mente a tutto quanto abbiamo scritto sulle trasformazioni possibili del regime
parlamentare e, sopratutto sull'argomento trattato nel capo Vili, si sono sen-
sibilmente modificate nei venti e più anni trascorsi dopo la pubblicazione
della prima edizione degli Elementi di Scienza politica. Questa modificazione
h avvenuta per diverse ragioni, ma sopratutto per il fatto che, a causa delle
sempre accresciute mansioni dello Stato, la burocrazia assorbisce oggi tale una
quantità di attività e competenze che, nella grande maggioranza delle regioni
italiane, non si saprebbe con quali elementi reclutare quella classe di fun-
zionari onorari alla quale si accenna nel testo.
276 ELEMENTI DI SCIENZA l'OMTlCA
sociale, che hanno avuto per conseguenza pratica la nascita e lo
sviluppo della democrazia sociale, è indiscutibilmente, per come
molti hanno già osservato prima di noi, Giangiacomo Rousseau (1).
Certo è facile trovare nella China, nell'India, perfino nell'antico
Egitto, in qualche scrittore greco e romano, nella Persia dei Sas-
sanidi, fra i Profeti d'Israele e fra i Santi Padri della Chiesa cat-
tolica, negli eresiarchi cristiani del Medio Evo e del principio
dell'era moderna e fra i riformatori della religione maomettana, idee,
sentimenti, giudizi staccati e talvolta anche sistemi completi di cre-
denze, che si avvicinano mirabilmente a quelli dei moderni socia-
listi (2). Ciò è molto naturale perchè i sentimenti sui quali pog-
(1) Questa osservazione è ancora generalmente poco nota, sicché la si può
sempre annunziare come una scoperta nuova; ma fra i Francesi che già l'hanno
fatto vi è il Janet che la espose chiaramente in un pregevole lavoro sulle origini
del socialismo contemporaneo, che apparve nella " Revue des deux Mondes ,
del luglio e dell'agosto 1880 ed anche il Thureau Dangin ed il Block e fra
gl'Italiani rammenteremo rODEscALcei nelle sue lettere sociali ed il Sernicoli
nel suo libro suW Anarchia e gli anarchici pubblicato nel 1894. — Del resto sic-
come l'osservazione è tale che salta subito agli occhi di chiunque voglia stu-
diare un po' seriamente le origini del socialismo, non è da maravigliare che
siano stati in parecchi coloro che l'hanno fatta spontaneamente.
(2) Chi fosse vago di conoscere maggiori particolari sulle scuole socialiste
sorte in altri tempi ed in altre civiltà potrebbe consultare il Cognetti De Mae-
Tiis, Socialismo antico. Torino, 1885. Particolarmente interessanti sono i tenta-
tivi socialisti avvenuti in China sui quali si possono citare Hcc, L'Empire
chinois; De Varigny, Un socialiste chinois au XI siede. " Revue des deux Mondes ,,
del 1880 e la Nouvelle géographie universelle del Réclds (Paris, Hachette, 1882)
a voi. VII, pag. 577 e segg. — Quest'ultimo lavoro si basa principalmente sul
lavoro dello Zakharov, Arheiten des russischen Gesandtschaft zu Peking. 1 più
interessanti dei tentativi accennati furono quello che fu iniziato dal ministro
Wang-maug, il quale sul finire del secolo III dell'era volgare tentò di ripri-
stinare in China le antichissime comunità agrarie, analoghe al mir russo, proi-
bendo inoltre ad ogni privato di possedere più di un trin, ossia 6 ettari di
terra, e l'altro più famoso che fu fatto nel 1069 dal ministro Wang-Ngan-Che
(Wang-ant-Che secondo il Réclus), tentativo che fu prettamente collettivista,
perchè con esso si pretendeva attribuire allo Stato solo la proprietà di tutte
le terre e di tutti i capitali. — È superfluo dire che tutti e due i tentativi
fallirono miseramente, che furono entrambi preceduti da periodi di malcon-
tento e provocati da una critica demolitrice delle istituzioni allora vigenti, e
che, dopo la mala riuscita del primo, un filosofo contemporaneo, forse disingan-
nato, ebbe a scrivere: che " neppure You (il fondatore della monarchia chinese)
sarebbe riuscito a ristabilire la proprietà comunale. — Che tutto cambia, i
fiumi mutano di letto e ciò che il tempo cancella sparisce per sempre ,.
GAP. X - CONCLUSIONE 277
giano tanto le scuole socialiste propriamente dette, quanto quelle
anarchiche, non sono certo esclusivi delle odierne generazioni eu-
ropee ed americane. Inoltre l'applicazione dello spirito critico al-
Fanalisi delle istituzioni sociali contemporanee, collo scopo di
fornire una base razionale e sistematica, almeno apparente, alla
esplicazione dei sentimenti accennati, è pure un fatto antico ed
abbastanza ovvio, che può accadere in tutte le società umane
amvate ad un certo periodo della loro maturità.
Però ciò non significa che il socialismo odierno discenda per
filiazione morale ed intellettuale diretta e non interrotta da al-
cuna delle dottrine che hanno con esso qualche analogia, e che
fiorirono nelle diverse parti del mondo in secoli più o meno re-
moti, e perirono dopo aver lasciato nella storia traccie più o meno
profonde della loro propaganda. Le odierne scuole riformatrici,
tanto socialiste che anarchiche, che non si riattaccano ad alcun
principio religioso ed hanno una base puramente razionale, sono
invece un parto spontaneo delle condizioni intellettuali e morali
del secolo decimottavo e del secolo decimonono. Il loro germe è
tutto in quella dottrina che proclama l'uomo naturalmente buono,
e sostiene che la società lo rende cattivo, dimenticando che la
struttura di una società non è che un risultato delle transazioni e
degli equilibri fra gli svariati e complicatissimi istinti umani.
Or il primo che formulò nettamente questa dottrina, colui che
ne fu il propugnatore più illustre, è senza dubbio il filosofo gine-
vrino, nelle cui opere, del resto, non solo appare esplicitamente il
concetto che pone la giustizia assoluta a fondamento di tutte le
istituzioni politiche e condanna perciò ogni disuguaglianza politica
ed economica, ma anche agevolmente si riconoscono quei senti-
menti di rancore verso i prediletti della fortuna, i ricchi, i potenti,
che entrano per tanta parte nel bagaglio polemico dei socialisti
delle generazioni passate e della presente (1).
(1) Già il .fANET ebbe a scrivere nel suo lavoro citato sulle origini del socialismo
contemporaneo: " che è da Rousseau che data quell'odio contro la proprietà e
quella collera contro l'ineguaglianza delle ricchezze, che alimentano di una
maniera così terribile le moderne sètte socialiste ,. È da notare però che tanto
eyrli che gli altri autori, che attribuiscono giustamente a Rousseau la paternità
intellettuale delle moderne teorie sovversive, citano ordinariamente soltanto
un passo molto divulgato della dissertazione di questo scrittore : * Sull'origine
dell'ineguaglianza fra gli uomini „, il quale passo, considerato indipendente-
278 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Il lavoro sull'origine della ineguaglianza fra gli uomini, nel
quale il Rousseau poneva quei germi che, fecondati maraviglio-
samente dall'ambiente, doveano tanto svilu]jparsi, fu pubblicato
mente dal resto dell'opera, è più declamatorio che concludente. — Esso è il
principio della seconda parte della dissertazione accennata là dove l'autore
scrive: " Il primo che avendo chiuso un terreno credette opportuno di dire
esso è mio, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, miserie ed
orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui che, togliendo i pali e
colmando i fossi, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dal dar retta a questo
impostore, voi siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra
è di nessuno „. Ora si potrebbe obiettare che nello stesso lavoro lo stesso
autore osserva che " conseguenza necessaria della coltura delle terre fu la loro
spartizione (leur partage) , venendo in certo modo a riconoscere che non ci
può essere civiltà senza proprietà privata. I passi più decisivi, secondo noi,
si trovano quattro o cinque pagine dopo. Rammentiamo che Rousseau fa una
lunga descrizione, a modo suo, del lento e graduale passaggio degli uomini dalla
vita selvaggia, anzi animalesca, a quella civile, e crede che i momenti più
importanti di questa evoluzione siano stati la scoperta dei metalli e dell'agri-
coltura. — Egli crede inoltre che l'agricoltura, e quindi la proprietà privata,
e la disuguaglianza di fortune abbiano preceduto qualunque organizzazione
sociale, e che quindi vi sia stato un periodo di anarchia in cui ognuno com-
batteva contro tutti, e durante il quale chi aveva più da perdere era il ricco;
allora (lasciamo la parola all'autore): " le riche, seul contre tous, et ne pou-
vant, à cause des jalousies mutuelles, s'unir avec ses égaux contre des ennemis
unis par l'espoir commun du pillage, presse par la nécessité, con9ut le projet
le plus réfiéchi qui soit jamais entré dans l'esprit humain; ce fut d'employer
en sa faveur les forces mèmes de ceux qui l'attaquaient, de faire ses défen-
seurs de ses adversaires, de leur inspirer d'autres maximes qui lui fussent
aussi favorables que le droit naturel lui était contraire „. Segue poi narrando
come su proposta dei ricchi gli uomini consentissero ad organizzarsi sotto
un governo e sotto leggi, che apparentemente garentivano la vita e la pro-
prietà di tutti, ma di fatto giovavano solo ai potenti, e conclude : " Telle
fut ou dut ótre l'origine de la société et des lois, qui donnèrent de nouvelles
entraves au faible et de nouvelles forces au riche, détruisirent sans retour la
liberté naturelle, fixèrent pour jamais la loi de la propriété et de l'inégalité,
d'une adroite usurpation firent un droit irrévocable et pour le profit de quelques
ambitieux assnjétirent désormais tout le genre humain au travail, à la servi-
tude et à la misere ,. Or non occorre una molto profonda conoscenza delle
odierne scuole socialiste ed anarchiche per accorgersi che, nei brani citati,
vi è intero il concetto della lotta di classe, ossia del governo istituito a be-
neficio di una sola classe, e vi è pure il germe di tutte quelle teorie e quei
sentimenti ai quali si inspirano il principio collettivista, che, per impedire lo
sfruttamento di una classe a vantaggio di un'altra, vuole abolire la proprietà
privata delle terre, dei capitali e degli strumenti di lavoro, e, più logicamente
GAP. X - CONCLUSIONE 279
nel 1754 e già l'anno dopo, nel 1755, dai principii posti si traevano
le naturali conseguenze in un libro lungamente oscuro, attribuito
per un pezzo al Diderot, ma il cui vero autore è certo Morelly, e
nel quale già sono grossolanamente ma chiaramente tracciate le
linee fondamentali di una riforma sociale in senso collettivista (1);
ed ugualmente per l'abolizione della proprietà privata conchiudeva
nel 1776 uno scrittore, ai suoi tempi abbastanza celebre e cono-
sciuto, cioè l'abate Mably, e la famosa frase di Proudhon che la
proprietà è un furto la troviamo già in un opuscolo pubblicato
nel 1778 da quel Brissot di Warville, che divenne poi uno dei
capi più noti del partito girondino (2).
Si è molto disputato e si disputa ancora se gli uomini che di-
ressero il gran movimento rivoluzionario francese alla fine del se-
ancora, il principio anarchico, che vuole abolire qualunque organizzazione po-
litica per togliere radicalmente il modo ai governanti di sfruttare e coman-
dare con la violenza e l'impostura i governati.
(1) In questo libro intitolato Code de la nature, che è un lavoro abbastanza
volgare, sì per la forma che per l'incoerenza delle idee, il Morelly sostiene
che tre debbono essere le leggi fondamentali di ogni società: P che non vi
sia proprietà privata; 2° che ogni cittadino debba essere un pubblico funzio-
nario; 3° che ogni cittadino debba contribuire all'utilità pubblica. Partendo
da questi principii l'autore ammette che lo Stato debba nutrire ogni individuo
e che ogni individuo debba lavorare per lo Stato, e fa il quadro di una so-
cietà organizzata secondo i suoi ideali. 11 Morelly, come precursore e pioniere
delle moderne idee collettiviste, meriterebbe forse maggiore rispetto, almeno
da parte dei suoi correligionari.
(2) Le idee del Mably (che il Rousseau accusò spesso di plagio) furono la
prima volta adombrate in un lavoro intitolato: Doutes aux éconotnistes, pub-
blicato nel 1768 in risposta ad un libro, pubblicato l'anno precedente, da
Mercier de la Rivière, che avea per titolo : " Ordre naturel et essentiel dea
sociétéa politiques ,. 11 secondo lavoro sull'argomento dello stesso Mably,
s'intitola Législations oii principes des lois. In esso l'A. si pone l'obiezione che
se si facesse la divisione delle terre l'ineguaglianza sarebbe ristabilita in poco
tempo, e vi risponde così: " il ne s'agit pas de partage, mais de communauté:
il ne s'agit pas de partager la propriété, il faut l'abolir ,. La frase accennata
di Brissot, che testualmente è questa: " La propriété exclusive est un voi,,
trovasi in un lavoro intitolato : Recherches philosophiques sur la propriété et sur
le voi; e tanto il lavoro in genere che la frase furono molto rimproverati al-
l'autore quando divenne uno dei capi del partito moderato della Convenzione.
Per maggiori particolari si può leggere l'articolo già citato di Paolo Janet
pubblicato nella " Revue des deux Mondes „ del 1° agosto ISSO.
280 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
colo XVIII fossero stati o no intinti di dottrine socialiste. Ante-
rioiinente al 1848 il Blanc lo ha affermato ed il Quinet, fondandosi
principalmente sulle memorie del convenzionale Baudot, lo ha
negato. A noi pare evidente che il socialismo debba essere una
conseguenza necessaria della democrazia pura, se almeno per de-
mocrazia devesi intendere la negazione di ogni sui)eriorità sociale
che non sia basata sul libero consenso della maggioranza; e su
questo punto non esitiamo a dar perfettamente ragione allo Stahl
e torto al Tocqueville e ad altri, che hanno sostenuto il contrario.
Però una conseguenza necessaria non vuol dire che debba essere
immediata^ ed è naturale anzi che corra un certo tempo fra il
tentativo di attuare l'uguaglianza assoluta nel campo j)olitico e
l'altro col quale si cerca di applicarla anche nel campo economico,
giacché ordinariamente solo l'esperienza insegna che la prima è
del tutto apparente se non è completata dalla seconda. Sicché, du-
rante il periodo che corre dal 1789 al 1793, un po' perché l'espe-
rienza mancava, un po' perché le dottrine socialiste erano ancora
nella loro infanzia e non erano state ancora bene elaborate e concre-
tate in sistemi che avessero almeno l'apparenza scientifica, sopratutto
poi perchè i capi dei rivoluzionari d'azione, se erano soldati, si con-
tentavano di arrivare in un par d'anni da sergenti a generali, se
avvocati, si limitavano a diventare (quando non morivano sulla
ghigliottina) legislatori, proconsoli, membri dei Comitati di salute
pubblica, o alla peggio altissimi funzionari, e perchè tutti costoro,
insieme ai contadini, trovavano assai comodo acquistare dallo Stato
le proprietà private degli emigrati mercè un pugno di assegnati
senza valore, le teorie che ufficialmente prevalsero nelle varie
Assemblee legislative e costituenti furon quelle che i socialisti
odierni chiamano individualiste e borghesi. Vero è che se tali fu-
rono le dottrine prevalenti, ben altra intonazione ebbero gli istinti
e le passioni che allora si scatenarono, e che, se non si fece ufficial-
mente la guerra alla ricchezza ed alla proprietà privata in genere,
la si fece, in generale con molta efficacia, ai proprietari ed ai ricchi.
Quindi di fatti e discorsi dei rivoluzionari d'allora, perfettamente
all'unisono colle aspirazioni dei socialisti rivoluzionari di mezzo
secolo fa e d'oggi, se ne possono citare a dovizia (1).
(1) Per esempio Marat scriveva nel suo giornale 1'* Amico del popolo „ che
i signori droghieri, procuratori e commessi di bottega cospiravano coi signori
CAP. X - CONCLUSIONE 281
Nondimeno, quando il movimento rivoluzionàrio era già al suo
declinare, troviamo un tentativo per attuare l'uguaglianza asso-
luta e porre termine alle oppressioni ed ai privilegi, mediante
l'abolizione della proprietà privata e la concentrazione di tutta la
ricchezza nelle mani dello Stato. Questo infatti era il fine, che,
come è notorio, si proponeva di raggiungere il famoso Cajo Gracco
Baboeuf. La cospirazione degli Eguali, della quale costui era a
capo, comprendeva tutta quella parte dei sopravvissuti giacobini,
che nelle idee socialiste, come abbiamo visto non ignote alla fine
del secolo scorso, volevano attingere la forza ravvivatrice della
rivoluzione, che accennava a spegnersi neiranarchia o nel cesa-
rismo. Compagno del Baboeuf, che, sventata la sua congiura, fu
ghigliottinato come si sa nel 1797, era l'italiano Buonarroti, anello
di congiunzione fra i socialisti del secolo scorso e quelli della
prima metà del presente. Egli infatti espose chiaramente le dottrine
del suo maestro in un libro che comparve nel 1828, che contiene
tutta la parte essenziale delle dottrine secondo le quali lo Stato
deve diventare unico proprietario delle terre e dei capitali (1).
del lato destro della Convenzione e coi signori ricchi per combattere la rivo-
luzione e che bisognava arrestarli tutti come sospetti e ridurli alla classe di
sanculotti " en ne leur laissant pas de quoi se couvrir le derrière ,. Cambon
proponeva un prestito forzoso di un miliardo sui riechi con ipoteca sui beni
degli emigrati. Con un decreto del 3 settembre 1793 si contìscavano tutti i
redditi superiori alle 14.000 lire annue sotto il nome d'imprestilo forzoso. Alla
Convenzione ci era chi credeva la ricchezza una colpa e dichiarava cattivo
cittadino chi non si sapesse contentare di un reddito di 3.000 lire annue. 11
convenzionale La Planche, mandato in missione nel dipartimento del Cher,
così il 29 vendemmiale 1793 rendeva conto del suo operato ai Giacobini: * Dap-
pertutto ho messo il terrore all'ordine del giorno, dappertutto ho posto con-
tribuzioni sui ricchi e gli aristocratici... Ho destituito i federalisti, messo in
prigione i sospetti e dato man forte ai sanculotti ,. Nello stesso club dei Gia-
cobini si proponeva di requisire tutte le vettovaglie e distribuirle al popolo,
ed il procuratore generale Chaumette, quando i fabbricanti chiudevano gli
opifici, faceva la proposta che la Repubblica s'impadronisse di tutte le fab-
briche e le materie prime. Per maggiori particolari leggere qualunque storia
un po' dettagliata della grande rivolnzione francese.
(1) 11 libro è intitolato: Histoire de la conspiration de Balnvuf e fu edito a
Bruxelles, fc da notare che il Buonarroti, il quale diventò poi uno dei padri
della Carboneria, ebbe una parte importantissima in tutte le società segrete,
che, dopo la caduta dell'impero napoleonico, agitavano la Francia e l'Italia.
282 BliBMBNTI DI SOIBKZA POLITICA
Questo libro ebbe una grandissima influenza nell'educazione in-
tellettuale fli tutte le conventicole rivoluzionarie che si formarono
in Francia poco prima e sopratutto dopo della rivoluzione del 1830,
quando le passioni e gl'intelletti cominciarono ad agitarsi nel senso
di una radicale riforma della società e si costituì il primo grande
ambiente socialista. Pochi anni prima del Buonarroti aveano co-
minciato le loro pubblicazioni il Fourier ed il Saint-Simon (*j, e
nei dieci o quindici anni che seguirono il 1830 il socialismo veniva
fecondato dalle pubblicazioni di Pietro Leroux (1), di Luigi Blanc (2)
e di Proudhon (3), per tacere degli astri minori. E, a stare bene
attenti, nella feconda fioritura d'idee riformatrici che ebbe luogo in
Francia dal 1820 al 1848, troviamo già accennate tutte le varietà e
le gradazioni del socialismo presente. Abbiamo infatti già il socia-
lismo legalitario di Fourier e quello rivoluzionario di Blanc, ci sono
già in Proudhon i germi delle dottrine anarchiche e nel Buchez è
già abbozzato il socialismo cristiano (4) ; e, se guardiamo ai metodi
coi quali si faceva la propaganda, constatiamo anche allora la pub-
blicazione del romanzo collettivista che mena grande rumore (ò).
(*) Fourier, a dir vero, aveva pubblicato fin dal 1808 la sua Théorie des quatre
mouvements, ma pubblicò solo nel 1822 V Association domestique et agricole e
nel 1829 le Nouveou monde industriel. Saint-Simon pubblicò il Nouveau Chì'i-
stianisme nel 1824 e morì nel 1825. Però, sebbene in quest'ultima fra le pub-
blicazioni siasi dal lato sentimentale accostato in qualche modo al Socialismo,
e benché il Sansimonismo che fiorì dopo il 1830 abbia contribuito a prepa-
rare il terreno al vero socialismo ed abbia precorso molte di quelle vedute
che poi furono dal socialismo adottate, pure il pensiero espresso da Saint-Simon
nelle sue pubblicazioni precedenti è troppo vasto, profondo ed originale perchè
egli possa essere senz'altro menzionato come uno dei tanti scrittori che pre-
pararono la moderna democrazia sociale.
(1) Leroux pubblicò il suo libro De l'égalité nel 1838, la Réfutation de l'è-
clectisme nel 1839, Malthus et les écononiistes nel 1840. De Vhumanité nel 1840;
del resto aveva cominciato a scrivere fin dal 1832 nel giornale " Le Globe „.
(2) Pubblicò nel 1840 la sua Organisation du travail.
(3) Di Proudhon apparvero il Mémoire sur la propriété nel 1840, la Création
de l'ordre dans l'humanité nel 1843, il Système des contradictions éconorniques
ou philosophie de la misere nel 1846.
(4) Il libro del Buchez intitolato: Essai d'un tr aite compiei de Philosophie au
point de vue du catholicisme et du progrès, fu pubblicato nel 1839. Scrisse molto
inoltre nel giornale V " Atelier ,.
(5) Alludiamo al già notissimo, ed ora dimenticato. Viaggio in Icaria di
Cabet, che venne alla luce nel 1840. In esso l'autore finge di essere arrivato in
GAP. X - CONOLUSIOITE 283
X. — Se una lettura attenta degli scrittori socialisti anteriori
al 1848, che sono quasi tutti Francesi, ci può facilmente convin-
cere che essi poco o nulla lasciarono da inventare ai Tedeschi che
vennero dopo, se si può agevolmente scorgere che Marx non ha
fatto che sviluppare sistematicamente, in una forma più stretta-
mente logica e valendosi di una conoscenza più ampia dell'eco-
nomia politica classica ed anche della filosofia hegeliana, quegli
stessi principii, che già avevano posato il Buonarroti, il Leroux, il
Blanc e sopratutto il Proudhon, non è men vero che il socialismo
contemporaneo è un fenomeno sociale assai più grave di quello
di sessanta anni fa. La sua diffusione, infatti, è senza paragone
maggiore, perchè, invece di essere ristretto quasi unicamente alle
grandi città della Francia e sopratutto a Parigi, abbraccia quasi
tutta l'Europa oltre agli Stati Uniti d'America ed all'Australia,
sicché si x)uò dire che sia un bene od un male comune a tutti i
popoli di civiltà europea. Né in profondità ha guadagnato meno
che in estensione; giacché gl'istinti rivoluzionari ed i propositi
generosi, che prima trovavano un obbiettivo ed uno sfogo nel
movimento semplicemente democratico o in quello per la ricosti-
tuzione di alcune nazionalità, ora che i governi rappresentativi a
larga base sono stati introdotti quasi dappertutto ed hanno a\Tito
spesso per risultato le delusioni del Parlamentarismo, ora che
l'unità italiana e quella tedesca sono da un pezzo quasi compiute
e che la quistione polacca può sembrare tristamente giudicata, si
sono tutti concentrati neir aspirazione di riforme sostanziali del
presente ordinamento sociale (*).
un paese in cui non esiste la proprietà privata, e descrive la felicità che go-
devano gli uomini sotto un tale regime. Circa cinquant'anni dopo il Bellamy,
quasi sulla stessa tela, ordì il Looking Backward, che ebbe una grandissima
dififusione e fece la fortuna pecuniaria del suo autore. Quasi nessuno ha rile-
vata la scarsa originalità di questo lavoro e si e ricordato di Cabet.
(*) Ricordiamo ancora una volta che queste pagine furono scritte più di
venti anni fa. È evidente che durante l'ultimo ventennio una nuova mentalità
ed una nuova corrente di sentimenti si è andata formando nella gioventù delle
diverse nazioni europee.
11 solo paese nel quale la corrente intellettuale che aspira ad un regime
rappresentativo è stata fino a qualche tempo fii in certo modo confusa con quella
che vorrebbe radicali riforme della proprietà e del presente ordinamento so-
284 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
E venuto un momento in cui sono molti al mondo che hanno
sete di giustizia e nutrono la speranza di poterla j)resto soddi-
sfare. Ormai non è" più un pensatore, un uomo di cuore isolato
" che ha veduto tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole, ha
veduto le lagrime degli oppressi, i quali non hanno alcun conso-
latore, né forza da potere scampare dalle mani dei loro oppres-
sori „ (1) e, colla constatazione generale del danno, va unita la fi-
ducia nella possibilità di un sollecito rimedio.
La credenza che i primi Cristiani avevano nel prossimo avvento
del regno di Dio, che dovea fare sparire il male, premiare i giusti,
punire i malvagi, trova il suo riscontro nella persuasione, diffusa
in tatti gli strati sociali, che la parte maggiore delle iniquità, che
si trovano nel mondo, sia imputabile alla maniera come è ora or-
ganizzata la società, e che esse potrebbero essere evitate se coloro
che hanno nelle mani il potere sociale non fossero lo strumento
dei ricchi e dei forti ed intervenissero efficacemente a favore dei
deboli. Questa persuasione, che ornai ha conquistato tante menti
e riscalda tanti cuori, la convinzione omai tanto sparsa che vi sia
una quistione sociale, che fra poco siano inevitabili importanti
riforme del diritto di proprietà, della famiglia, di tutta la presente
organizzazione industriale e capitalistica, i tentativi e le promesse,
che gli stessi governanti ed i Sovrani non mancano talvolta di
fare su questo argomento, contribuiscono a formare quell'ambiente
intellettuale e morale in cui il socialismo militante vive, prospera,
si diffonde.
Col favore infatti di quest'ambiente, attorno ai più reputati
1
ciale e persino con gli anarchici, è la Russia. Potremmo citare in proposito
pubblicazioni ufficiose e non molto antiche degli stessi comitati nihilisti, che
mostrano il carattere non bene determinato della loro agitazione.
(1) Ecclesiaste, paragrafo 4°, versetto 1°. Nei versetti 2° e 3" continua:
Onde io pregio i morti, che già sono morti, piìi che i viventi, che sono
in vita fino ad ora.
Anzi più felice che gli uni e gli altri giudico colui, che fino ad ora non
è stato, il quale non ha veduto le opere malvagie che si fanno sotto il sole „.
È importante il notare come questa malinconica e positiva concezione della
società si trovi pure in altri scritti di pensatori che vissero fra popoli di antica
cultura. Probabilmente è il frutto della raffinatezza di senso morale e della
lucida percezione della realtà della vita che un lungo periodo di civiltà rende
possibili in chi ha mente e cuore elevati.
CONCLUSIONE 285
maestri ed organizzatori, si sono formate due numerosissime orga-
nizzazioni politiclie, ognuna delle quali lia le sue aspirazioni, i suoi
programmi, le sue dottrine abbastanza circoscritte e determinate,
quasi due vere Chiese: esse sono costituite dai seguaci del collet-
tivismo e da quelli dell'anarchia. Ambedue hanno, a somiglianza
delle comunità religiose, una certa tendenza all'universalità e, se
non spediscono missionari a convertire i barbari, esercitano però
la loro propaganda in quasi tutti i popoli di civiltà europea; in
una di esse più specialmente, cioè in quella collettivista, vediamo
che, malgrado i numerosi eresiarchi ed i frequenti scismi, feno-
meno comune a tutti gli organismi giovani e pieni di vita, i capi,
gl'ispiratori, si riuniscono in frequenti concilii nazionali ed uni-
versali, e discutono intorno ai dogmi, alla disciplina, alla linea
di condotta che il partito deve tenere, e fissano norme e metodi,
che poi sono dalla moltitudine dei credenti universalmente ac-
cettati.
XI. — L'esporre succintamente i postulati del collettivismo è
cosa abbastanza facile, essendo essi già abbastanza noti a tutte
le persone di qualche cultura dopo che, da non pochi anni a questa
parte, i suoi seguaci son diventati cosi numerosi da essere rappre-
sentati nei Parlamenti dell'Italia, della Francia e sopratutto della
Germania, dove essi assumono il titolo, che noi crediamo il più.
scientificamente adatto a designarli, di democrazia sociale. Secondo
dunque la dottrina universalmente riconosciuta per ortodossa, lo
Stato rappresentante della collettività dei cittadini dovrebbe es-
sere l'unico proprietario di tutti gli strumenti di produzione, siano
essi capitali propriamente detti, macchine o terreni, e dovrebbe
essere l'unico direttore e l'unico distributore della produzione eco-
nomica.
Non essendovi più nò proprietari d'immobili, nò capitalisti pri-
vati, tutti lavorerebbero per conto dell'intera società, e l'organismo
sociale provvederebbe a tutti o in ragione del bisogno di ogni
individuo, come avrebbe voluto una formola più semplice e più
antica, o in ragione del lavoro compiuto, come vorrebbe la for-
mola più nuova ed ora più generalmente accettata (1).
(1) Per essere esatti dobbiamo rammentare che i seguaci della prima lor-
raula sono intesi fra i socialisti col nome di comunisti; mentre coloro che ac-
286 ELEMENTI VI SCIENZA POLITICA.
Tutta la macchina cosi organi/.zata sarà poi amministrata e di-
retta da capi scelti dal popolo a suffragio univf^rsale, che avranno
cura di attribuire ad ognuno quella qualità di lavoro di cui è più
capace, faranno in modo che i prodotti del lavoro e dei capitali
sociali non siano sciupati né indebitamente sottratti o goduti, e
nello stesso tempo ne distribuiranno ad ogni individuo, con per-
fetta equità e giustizia, quella quota esatta, che gli spetta o come
prodotto del proprio lavoro onestamente ed infallibilmente calco-
lato, o per i propri bisogni, dei quali con eguale imparzialità i
governanti si saranno formato un esatto criterio.
Or noi non vogliamo tener conto delle lotte civili, delle violenze,
che molti giustamente ritengono indispensabili per l'attuazione di
questo programma e che certo non farebbero che esasperare gli
odi e rancori e le cupidigie e, dividendo la popolazione in vinci-
tori e vinti e mettendo i secondi in balia dei primi, darebbero
agio di sfrenarsi ai più malvagi tra gl'istinti umani. Ammettiamo
anzi che le riforme accennate siansi potute compiere pacificamente
e di comune accordo, o che i secoli col loro volgere abbiano già
spento l'ultima eco delle guerre fratricide, con le quali il nuovo
tipo di organizzazione sociale si era inaugurato. Ammettiamo
anche di più, che la produzione e la ricchezza totale della società
non sia, come vogliono gli economisti, e come ci pare che essi
abbiano indiscutibilmente provato, col nuovo sistema notevolmente
diminuita. Anzi siamo prontissimi a riconoscere che il lato etico
del problema sociale debba avere un'assoluta prevalenza su quello
esclusivamente economico e che giustamente per molte menti e
molte coscienze il poco, ben diviso, sia preferibile al molto, diviso
male. Ma, dopo aver tanto conceduto, abbiamo il diritto ed il do-
vere di proporre un'altra quistione, che chiameremo politica, perchè
è la più larga, la più comprensiva che si possa immaginare; perchè
cettano l'altra, molto più in voga fra i numerosissimi seguaci del Marx, si
chiamano propriamente collettivisti. Vero è che molti fra costoro ammettono
che il comunismo sia l'ideale al quale si deve mirare e che solo ha l'incon-
veniente di non potersi immediatamente raggiungere. Come vedremo più avanti,
pare a noi che il collettivismo, pure essendo una concessione che i riforma-
tori fanno alla conosciuta fragilità o meglio all'egoismo della natura umana,
complichi molto il sistema di rigenerazione sociale che essi vogliono attuare
ed offra un numero maggiore di argomenti validissimi a coloro che lo com-
battono.
GAP. X - CONCLUSIONE 287
è un prodotto spontaneo dell'esame sintetico di ogni ordine di
rapporti sociali; perchè la sua soluzione deve interessare non meno
gli economisti ortodossi che i socialisti, non meno i capitalisti che
gli operai, i ricchi che i poveri; perchè essa è la prima, la più
importante per tutti i cuori nobili, per tutti gl'intelletti spregiu-
dicati, che, al disopra di qualunque formola e di qualunque par-
tito, pongono la ricerca spassionata di un assestamento sociale che
rappresenti il massimo del bene che sia lecito alla nostra povera
umanità di raggiungere. Abbiamo dunque il diritto ed il dovere
di chiedere se, con l'attuazione del sistema comunista o di quello
collettivista, la giustizia, la verità, l'amore ed il compatimento
reciproco fra gli uomini avranno nel mondo un posto maggiore
di quello che ora vi occupano: se i forti, che staranno sempre in
alto, saranno meno soverchiatori; se i deboli, che rimarranno
sempre in basso, saranno meno soverchiati. A questa domanda
rispondiamo fin d'ora recisamente, ma osiamo dirlo ponderata-
mente, con un no.
Un uomo di mente ci disse una volta che era impossibile allo stu-
dioso di scienze storiche e politiche di prevedere esattamente ciò
che avverrà in un futuro prossimo o remoto nelle società umane,
perchè vi è semijre negli eventi umani una parte dovuta a ciò
che comunemente si chiama il caso fortuito, la quale non potrà
mai essere in anticipazione calcolata; aggiungeva però che si può
al contrario prevedere molto bene ciò che non avverrà mai^ l'in-
dagine negativa avendo una base sicura nella conoscenza della
natura umana, la quale mai permetterà che si attui realmente ciò
che ad essa fondamentalmente ripugna (1). La seconda di queste
massime ci pare molto applicabile al caso che ora stiamo stu-
diando, e la sua applicazione deve riuscire tanto più facile che in
gran parte non si tratta già di prevedere ciò che potrà o no ac-
cadere, ma di constatare semplicemente ciò che è accaduto e tutti
i giorni accade; sicché il moltissimo già per esperienza noto ci
rende agevolissimo lo stabilire ciò che sarà il poco, che alcuni
credono ancora un ignoto.
Infatti le società comuniste e collettiviste sarebbero senza dubbio
(1) Questi apprezzamenti, che noi dividiamo, li abbiamo raccolti dalia bocca
del chiarissimo professore Saverio Scolari, morto nel dicembre del 1893.
288 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
rette da magistrati eletti esclusivamente a suffra^^io universale (1),
e noi sappiamo già come funzionino i poteri politici dove essi sono
in mano quasi esclusivamente ai così detti mandatari del popolo.
Sappiamo già come le maggioranze non abbiano che un semplice
diritto di opzione fra i pochi candidati possibili e come non pos-
sano perciò esercitare sopra di essi che un controllo saltuario, li-
mitato e spesso inefficace; sappiamo come l'indicazione dei can-
didati stessi sia quasi sempre l'opera di minoranze organizzate
per gusto o per mestiere dedite alla politica elettorale, di caucus
e di comitati i cui interessi sono spessissimo in contradizione con
quelli delle maggioranze. Conosciamo già quali siano le astuzie
usate dai peggiori per falsare a loro profìtto i verdetti delle urne,
quali siano le bugie che si dicono, le promesse fallaci e le vio-
lenze che si fanno, per carpire i voti degli elettori.
Ma, possono obiettare i comunisti e collettivisti, tutto ciò av-
viene perchè esiste la presente organizzazione capitalistica, perchè
ora i latifondisti ed i proprietari delle grandi fortune mobiliari
hanno mille modi diretti ed indiretti di coartare e comprare i
voti dei poveri, dei quali si giovano per rendere il suffragio uni-
versale una menzogna ed assicurarsi la preponderanza politica ;
ed è appunto per evitare gl'inconvenienti testé enumerati che bi-
sognerebbe, quando non ci fossero altre ragioni, cambiare radi-
calmente l'ordinamento sociale. Coloro che ragionano in questo
modo dimenticano però un particolare della questione, che a noi
non pare trascurabile; dimenticano cioè che, anche nelle società
organizzate come essi vorrebbero, vi sarebbero sempre coloro che
amministrerebbero la pubblica ricchezza e vi sarebbe la grande
massa degli amministrati, che si do\'Tebbero contentare della parte
che loro verrebbe attribuita. Or gli amministratori della repub-
blica sociale, che sarebbero nello stesso tempo i capi politici, di-
verrebbero indubbiamente molto più potenti dei ministri e dei
milionari d'oggidì.
Poiché l'uomo, che avrà la facoltà di costringere gli altri ad un
dato lavoro e di fissare la porzione di godimenti e di soddisfa-
(1) È perciò che, come abbiamo poco avanti accennato, il nome di socia-
listi-democratici, col quale si appellano i novatori tedeschi, ci pare il più
adatto di tutti a dinotare i vari scopi che il loro partito si propone di rag-
giungere.
CAP. X - CONCLUSIONE 289
zioni morali e materiali, che dovrà essere il correspettivo di questo
lavoro, per quanto possa essere frenato da leggi e regolamenti,
sarà sempre il despota dei suoi fratelli e potrà sempre far pie-
gare a suo vantaggio la loro coscienza e la loro volontà (1).
E tutte le menzogne, tutte le viltà, tutte le violenze e le barat-
terie, che ora non servono soltanto per brigare i suffragi del po-
polo ma si adoperano anche per farsi avanti nei pubblici impieghi
0 semplicemente per far quattrini presto e con modi poco scru-
polosi, in un regime collettivista sarebbero tutte consacrate allo
scopo di diventare amministratori dell'azienda sociale. Unica sa-
rebbe la mèta degli avidi, dei furbi e dei violenti, unica la ten-
denza delle cabale e delle combriccole, che non mancherebbero
di formarsi a scapito dei caratteri più miti, più giusti, più leali.
E la differenza sarebbe tutta a vantaggio della società presente;
poiché la distruzione della pluralità delle forze politiche, della
diversità dei modi e delle vie con cui ora si acquista l'importanza
sociale, toglierebbe ogni indipendenza ed ogni possibilità di con-
trollo reciproco. Ora almeno l'impiegato può ridersi del milionario ;
un buon operaio, che sappia bene guadagnarsi la vita colle proprie
braccia, nulla ha da temere dal capo-divisione, dal deputato o dal
ministro; chiunque abbia una posizione discreta come proprietario,
industriale o professionista può portare la fronte alta dinanzi a
tutti i poteri dello 'Stato ed a tutti i latifondisti ed alti baroni
della finanza che stanno nel mondo. Col collettivismo nessuno
potrà fare a meno di essere sottomesso agli uomini che saranno
al governo, essi soli potranno dispensare i favori, il pane, la gioia
ed il dolore della vita. Una arannide unica, assorbente e schiac-
ciante graverà su tutti; i grandi della terra saranno i padroni
assoluti di tutto, e la parola indipendente di chi da loro nulla
teme e nulla spera non verrà più a frenarne gli eccessi.
Cita il G-eorge frequentemente, nel suo libro intitolato P?-of/resso
e Povertà, un passo dei Vedas nel quale è detto che gli elefanti
folli d'orgoglio ed i parasoli ricamati d'oro sono il frutto della
proprietà privata della terra. Al giorno d'oggi, che la civiltà è più
(1) Il lettore forse avrà notato che qualcuna delle osservazioni teste fatte,
trovavasi già nel capitolo V, paragrafo IX del presente lavoro. L'importanza
dell'argomento forse varrà a farci perdonare la ripetizione.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 19
290 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
raffinata e la vita più multiforme, la ricchezza può procacciare
ben altro che elefanti e paraseli; mu in fondo i privilegi che essa
conferisce a chi la possiede consistono nel londor più facile il con-
setruimento dei piaceri intellettuali, nel più abbondante godimento
di quelli materiali, in soddisfazioni di vanità e d'amor proprio e
sopratutto nel poter disporre delle volontà altrui, conservando in-
dipendente la propria. Or i capi di una repubblica comunista o
collettivista disporrebbero più che mai tirannicamente delle vo-
lontà degli altri e, potendo distribuire privazioni o favori, avreb-
bero mezzo di godere, forse più gesuiticamente ma con eguale
abbondanza, di quei piaceri materiali e di quei trionfi della vanità,
che ora sono patrimonio dei potenti e dei milionari ; come questi,
e meglio di questi, potrebbero avvilire la dignità degli altri uo-
mini e potrebbero corrompere la virtù delle donne (1).
XII. — Più che nella parte positiva, la forza delle dottrine
socialiste e di quelle anarchiche sta nella parte negativa, cioè
nella critica acuta, minuziosa, spietata, che fanno degli ordina-
menti presenti.
Or che la distribuzione della ricchezza, cosi come si è fatta per
il passato e come avviene ai nostri tempi, considerata dal punto
di vista della giustizia assoluta, offra margine a molti e gravis-
simi appunti, perchè consacra grandi e flagranti ingiustizie, è cosa
tanto evidente che l'affermarla ci pare quasi una vera e propria
banalità. In verità non ci volevano il sottilissimo ingegno del
(1) Il lettore avrà notato che la nostra critica si riferisce tanto ai postulati
del comunismo che a quelli del collettivismo e forse più ai primi che ai se-
condi. Or facciamo espressamente rilevare che, dal punto di vista nostro, il
collettivismo si trova in condizioni di notevole inferiorità rispetto al comu-
nismo. Infatti, se trionfasse la democrazia sociale piìi ortodossa, i governanti
non solo avrebbero il diritto di fissare per ognuno la qualità di lavoro da fare
ed il luogo dove andrebbe fatto, ma, non essendoci più una misura fissa di re-
tribuzione, dovrebbero fissare il correspettivo di ogni genere di lavoro. Si vede
subito la latitudine maggiore che potrebbe avere il loro arbitrio ed il loro
favoritismo. Ne ciò sarebbe tutto: poiché il collettivismo permette l'accumu-
lazione della ricchezza pi'ivata non già sotto forma di capitali industriali, ma
bensì sotto l'altra di oggetti di puro consumo, i quali certo si potrebbero
sempre cedere a titolo gratuito od oneroso e così i-inascerebbe la corruzione
elettorale e... tante altre specie di corruzione proprie delle società borghesi.
CAP. X - CONCLUSIONE 291
Proudhon, non le lunghe ed algebriche deduzioni del Marx, né la
potente e sanguinosa ironia del Lassalle, per provare ciò che salta
tanto agevolmente agli occhi di tutti, anche dell'osservatore più
superficiale e profano : che il godimento individuale dei beni della
vita non è proporzionato, non diciamo allo stento, ma neppm-e al
merito del lavoro, che è stato impiegato a produrli. Accade nella
vita economica ciò che osserviamo tutti i giorni nella vita poli-
tica, in quella scientifica, in tutti i rami, insomma, dell' attività
sociale : che il successo, cioè, quasi mai è proporzionato al merito ;
che fra il servizio reso da un individuo alla società ed il guider-
done che ne ricava vi è quasi sempre un grande e spesso stri-
dente squilibrio.
Il combattere il socialismo volendo negare o semplicemente at-
tenuare la verità del fatto testé da noi accennato, equivale a porsi
sopra un terreno nel quale si é sicuri di avere la peggio. Gli eco-
nomisti ortodossi, che qualche volta l'hanno tentato ed hanno
cercato dimostrare che la proprietà privata delle terre e dei capi-
tali non solo è indispensabile o utile per la convivenza sociale, ma
risponde anche ai dettami assoluti delia morale e della giustizia,
ci pare che abbiano prestato il fianco a poderosissimi attacchi; e
la loro tesi, che in ogni tempo potrebbe essere giudicata difficile,
anzi quasi disperata, raggiunge l'evidenza deH'assm'dità nei tempi
che corrono, quando tutti sappiamo con quali modi si costituiscano
di frequente le grandi fortune.
Tutto ciò che si può e si deve obiettare alla critica demolitrice
dei socialisti si riassume in una verità, che può sembrare crudele
ed alla quale abbiamo già accennato, ma che è utile e morale che
sia altamente e ripetutamente proclamata. Questa verità consiste
nella constatazione che non vi può essere organizzazione sociale
che sia basata esclusivamente sul sentimento della giustizia e che
da questo lato quindi non lasci molto a desiderare. Ed è naturale
che sia cosi, perché ogni individuo non è mai nella sua condotta
privata e pubblica guidato esclusivamente dal senso del giusto,
ma anche dalle sue passioni e dai suoi bisogni. Solo chi si isola
dal mondo, chi rinuncia ad ogni ambizione di ricchezza o di po-
tere, ad ogni vanità mondana, ad esplicare in qualsiasi modo la
propria personalità, può lusingarsi che i suoi atti siano inispirati
dal sentimento assoluto della giustizia; ma l'uomo d'azione, che
sta nella vita politica o in quella degli affari, sia egli commer-
292 ELEMENTI DI SCIENZA PULITICA
ciante o proprietario, professionista o manuale, sacerdote di una
religione od apostolo del socialismo, mira sempre a raggiungere
il successo, e perciò la sua condotta sarà sempre il risultato di
una transazione, consciente od inconsciente, fra il sentimento della
giustizia ed i suoi interessi (1). Il volere, con sentimenti cosi fatti,
costituire un tipo di organizzazione sociale corrispondente in tutto
a quell'ideale di giustizia che l'uomo può concepire ma non sa
attuare, è un'utopia che in certe cirsostanze può diventare peri-
colosa; quando essa cioè riesce a far convergere una quantità di
forze intellettuali e morali verso il conseguimento di uno scopo
che non sarà mai una verità e che il giorno che si tenterà di rea-
lizzare non potrà produrre che il trionfo dei peggiori e lo scon-
forto e la delusione dei buoni (2).
I dottori del socialismo affermano che tutte o almeno gran
parte delle imperfezioni umane, delle ingiustizie che ora si com-
mettono sotto il sole, non sono un effetto delle naturali condizioni
etiche della nostra specie, ma piuttosto di quelle che ad essa ven-
gono imposte dalla presente organizzazione borghese. Uno di questi
dottori in un suo recente lavoro ha detto esplicitamente che ^ cam-
(1) Naturalmente non tutti transigono allo stesso punto o nella stessa ma-
niera: le transazioni hanno varietà grandissime rispondenti al maggiore o
minore egoismo, al diverso grado di delicatezza, alla diversa intensità degli
scrupoli di ogni individuo.
(2) Fu detto già dal Burke, più di un secolo fa, che qualunque sistema po-
litico, che presupponga l'esistenza di virtvi sovrumane ed eroiche, ha per ri-
sultato il vizio e la corruzione.
L'osservazione che abbiamo teste fatta, che la parte demolitrice, cioè, delle
dottrine socialiste ha il suo fondamento nell'attribuire alla presente organiz-
zazione sociale i mali e le ingiustizie che sono proprie della natura umana,
si trova accennata in parecchi scrittori contemporanei. Ad esempio, vi alluse
replicatamente lo Schaeffle nella sua Quintessenza del socialismo, che fu pub-
blicata fin dal 1874. Più chiaramente ancora l'italiano Icilio Vanni scrisse
nel 1890: " Il socialismo vecchio e nuovo, razionalista ed evoluzionista che
sia, riesce in sostanza alla pretesa di attuare in questo povero mondo umano
un ordine assolutamente giusto, e così sempre si rivela il suo spirito meta-
fisico ,. Anche il Block nel suo libro L'Europe politique et sociale (Paris, Ha-
chette, 189B) dice : ' Nous n'ignorons pas qu'il se commet des injustices, mais
celles-ci on ne les supprime pas en changeant l'organisation sociale; on ne les
supprimerait que si on pouvait modifier la nature humaine ,. Allo stesso or-
dine d'idee si riferiscono parecchi argomenti del libro intitotato: La supersti-
zione socialista, pubblicato dal Garofalo.
CONCLUSIONE 293
blando le condizioni sociali, secondo gl'intenti che si propone il socia-
lismo, avremo una profonda trasformazione della natura umana „(1).
Or noi non faremo il torto ai riformatori odierni di supporre
che essi vogliano riprodurre sotto una forma nuova il vecchio afo-
risma di Rousseau : che l'uomo nasce buono e la società lo rende
cattivo. Poiché, per accettare incondizionatamente questo giudizio,
bisogna anche ammettere che la società non sia il risultato della
naturale e spontanea attività degli uomini, ma siasi costituita per
influenza di un ente sovrumano od extraumano, che si è divertito
a darci leggi, istituti e consuetudini, che hanno attossiccato e
sconvolto la bontà, la generosità, la magnaminità innate della
stirpe di Adamo. Non crediamo neppure che i socialisti moderni
pensino che la presente organizzazione sociale risponda solo agli
istinti di altre razze, di altre generazioni umane, il cui senso mo-
rale dovea essere molto più basso di quello della generazione con-
temporanea, la quale, nobile ed elevata come è, sentirebbe urgente
il bisogno di liberarsi, come da una tunica di Nesso, degli istituti
ereditati dai suoi poco scrupolosi maggiori. Dappoiché, ammesso
questo modo di applicare le teorie evoluzioniste alle società umane,
ammesso che la selezione abbia da qualche secolo ad ora sensibil-
mente rialzato il livello medio della moralità, bisogna anche am-
mettere che il progresso morale già ottenuto a\i'ebbe dovuto sen-
sibilmente diminuire, anziché aumentare, gì' inconvenienti della
organizzazione borghese.
Or ciò non é evidentemente accaduto: gli uomini non sono di-
ventati, stando anche a quello che dicono i socialisti, meno egoisti
e duri di cuore. Giacché, se il contrario fosse vero, se un atomo
dell'utile proprio non avesse spesso per loro ugual peso di una
gran somma d'interessi e di dignità altrui, se tutta una società
fosse nella sua gran maggioranza composta di persone giuste e
compassionevoli, di gente retta ed intera, come piaceva al Signore
d'Israele e come certo sarebbe piaciuta ai signori Marx e Lassalle,
verrebbero ridotti ai minimi termini tutti quei funesti risultati
del rapace capitalismo e della disperata concorrenza, i quali dagli
autori ora citati sono stati con si rara maestria rilevati (2).
(1) Lo scrisse il Bebel nel suo libro : La donna ed il socialismo.
(2) Il mondo potrebbe diventare un Eden anche con la presente organiz-
zazione borghese se ogni capitalista si contentasse di un onesto e moderato
294 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Sicché l'interpretazione più positiva, che si possa ora dare al-
l'antica dottrina di Rousseau, è quella che viene appunto seguita
da moltissimi fra coloro che militano nelle file del partito collet-
guadagno e non cercasse di rovinare i suoi emuli, di spremere quanti soldi
può dalla tasca del consumatore, di far colare l'ultima stilla di sudore dalla
fronte dell'operaio. Nello stesso tempo il proprietario di terre dovrebbe colti-
vare diligentemente i suoi campi e trarne il puro necessario per la sua frugale
sussistenza, senza profittare delle oscillazioni del mercato per vendere più cari
gli oggetti di prima necessità. Il mercante dovrebbe pure trarre dalla merce
solo una quota limitata e fissa di profitto e non dovrebbe mai abusare della
inesperienza del compratore per vendere più caro e frodarlo sulla qualità e
sulla quantità dei diversi generi. L'operaio ed il contadino dovrebbero lavo-
rare coscienziosamente per i loro padroni, ne più ne meno di come farebbero
per conto proprio, senza mai ingannarlo, rubacchiarlo e farsi pagare la gior-
nata ad ufo. Tutti poi, invece di spendere il loro superfluo o le loro economie
in un fasto insultante, in soddisfazioni di vanità, in vizi e bagordi, dovrebbero
andare in traccia dei più miseri, dei più inetti a guadagnarsi la vita per soc-
correrli. In maniera che per una mano che si stendesse per domandare aiuto,
dieci dovebbero offrirsi, pronte e volonterose, per darlo.
Il George, che fu certamente un nobile cuore ed un acuto ingegno, credette
che sia il sistema della concorrenza, e più px-ecisamente il pericolo di mancare
del necessario in cui taluno è messo da questo sistema, ciò che produce tutti
i mali, che noi imputiamo all'egoismo ed alla mancanza di giustizia e di carità
della maggior parte degli uomini.
Quest'autore, nel Progresso e Povertà, opera nella quale sostiene questa tesi,
citò l'esempio di ciò che avviene in una tavola ben servita, dove, siccome ogni
commensale sa che ci è roba sufficiente per tutti, cerca di essere gentile coi
vicini e si evita così la gara ignobile di arraffare i buoni bocconi e nessuno
cerca di avere una quantità di cibo maggiore degli altri.
Ora noi crediamo che il paragone non regga. E prima di tutto non in tutte
le tavole bene servite il contegno dei commensali è così corretto come il George
descrive. In secondo luogo poi è da osservare che l'appetito materiale è ne-
cessariamente limitato (Sancio Panza diceva che tre volte al giorno mangia
il povero e tre volte al giorno può mangiare il ricco), sicché in una tavola
ben imbandita chiunque può trovar modo di saziare la sua, anche straordi-
naria, voracità senza usurpare la porzione degli altri. Così non è quando non
si tratta più di un banchetto materiale, ma del banchetto allegorico della
vita. Allora la voglia di imporsi agli altri, di soddisfare i propri capricci, le
proprie passioni, le proprie libidini, può essere sciaguratamente illimitata ed
insaziabile; sicché uno solo cercherà di avere dieci, cento, mi' le porzioni, per
potere, distribuendole agli altri, ridurli alle sue voglie, nella lotta per la pre-
minenza avendo il trionfo chi può dispensare più largamente i mezzi coi quali
si soddisfano i bisogni ed i vizi umani.
Sicché, se ad ognuno si assicurasse un minimum per provvedere alle prime
CAP. X - CONCLUSIONE 295
ti vista o anche fra gli anarchici. Essi credono infatti che il lavorio
naturale della selezione sia profondamente disturbato e j)ervertito
nelle presenti società borghesi e che esso potrà liberamente agire
ed avere i suoi benefici effetti solo quando saranno attuati quei
programmi, che variano secondo le diverse scuole riformatrici.
Ragionando in questo modo è evidente che si sconta una spe-
ranza^ che non si potrà mai provare anticipatamente se sarà rea-
lizzata, che si calcola sopra un progresso morale che si asserisce
che si raggiungerà, per attuare un tipo di organizzazione sociale,
che lo suppone di già raggiunto e che potrebbe forse funzionare
soltanto quando fosse raggiunto. Non si farebbe infine che rin-
novare, in grande e con effetti più disastrosi, l'errore al quale dob-
biamo principalmente i danni presenti del Parlamentarismo.
Ma in verità, se lo studio spassionato della storia ci può dire
qualche cosa, esso c'insegna, come crediamo di avere dimostrato
al capitolo VII di questo lavoro, che è assai difficile il modificare
sensibilmente il livello morale medio di tutto un popolo che abbia
già raggiunto da un pezzo un grado elevato di civiltà, e che
l'influenza, che i diversi tipi di organizzazione sociale e politica
possono avere in queste modificazioni, è certo minore di quanto
immaginano i novatori d'oggidì. C'insegna inoltre che tutte le
volte che, nel corso dei secoli, quest'influenza si è esplicata in
modo benefico, questo si è ottenuto perchè l'arbitrio individuale e
collettivo di coloro che avevano in mano un potere è stato frenato
e controllato da altri uomini posti in condizioni di assoluta indi-
pendenza e di nessuna comunanza d'interessi con coloro che dove-
vano controllare. E stato necessario ed indispensabile perciò che
siasi potuta avere la moltiplicità delle forze politiche, che pa-
recchie fossero le vie colle quali si arrivava ad acquistare l'impor-
tanza sociale e che le diverse forze politiche fossero rappresentate
nel reggimento dello Stato. Il collettivismo ed il comunismo, come
tutte le dottrine basate sulle passioni e la fede cieca delle masse,
tendono a distruggere l'accennata moltiplicità delle forze poli-
tiche e, riducendo ogni potere in mano ai soli eletti del popolo,
necessità della vita, la questione sociale non sarebbe risoluta. Si contentereb-
bero di quel minimum solo i più deboli ed i più poltroni, quelli cbe in ogni
caso sarebbero i più disadatti alla lotta per la preminenza, e gli altri conti-
nuerebbero a farsi una concorrenza accanita.
296 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
abolendo per giunta la ricchezza individuale, che in tutte le so-
cietà mature ha fornito spesso il mezzo d'acquistare indipendenza
e prestigio senza il concorso dei reggitori dello Stato, non pos-
sono condurre che alla menomazione della difesa giuridica, a ciò
che in linguaggio povero si chiama la tirannia dei governanti sui
governati. Quella tirannia, ch'è stata sempre il risultato pratico di
tutte le dottrine politiche sempliciste, che, non osservando quanto
vi sia di complicato e difficile nella natura umana, hanno voluto
adattare l'organizzazione sociale ad un solo concetto unilaterale
ed assoluto ed hanno voluto stabilirla sopra un principio esclu-
sivo, sia stato esso quello della volontà di Dio, interpretata dai
suoi ministri e dai suoi vicari terrestri, o quello' della volontà del
popolo, esercitata per mezzo dei suoi rappresentanti.
Certo, per quanto una sana dottrina politica possa suggerire ri-
medi legislativi ed indicare quell'indirizzo atto a diminuire al-
quanto le ingiustizie sociali; per quanto i congegni della difesa
giuridica possano esser migliorati in modo da moderare l'oltraco-
tanza degli uomini investiti dei pubblici poteri; i benefìci che da
tutte le riforme inspirate a questi criteri si potrebbero avere sono
sempre ben poca cosa di fronte a quell'era di felicità, di ugua-
glianza, di giustizia universale, che le varie scuole socialiste im-
plicitamente od esplicitamente promettono ai loro seguaci. I detti
benefìci corrispondono ai pochi e dubbi anni di discreta sanità
fìsica che un coscienzioso medico j)uò, con le debite riserve, ga-
rantire ai suoi clienti; premio, invero, molto scarso di una diuturna
osservanza di tutte le norme igieniche, specialmente se vien pa-
ragonato alla pronta e sicura guarigione di tutti i malanni ed
alla vita quasi secolare che viene promessa dall'elisir del ciar-
latano.
Chiediamo sinceramente venia di un ravvicinamento, che certo
dal lato morale non è applicabile ad uomini che in buona fede
sostengono le loro idee; ma osserviamo che potrebbe darsi benis-
simo che il medico dimostrasse la fallacia dell'elisir e che il ciar-
latano lo sfidasse di rimando ad inventarne un altro, che avesse
realmente quella virtù che dovea esser contenuta nel suo. Siamo
certi che il medico risponderebbe che, appunto perchè egli co-
nosce quale sia la moltiplicità dei germi patogenici e quanto siano
varie e numerose le cause che possono deteriorare il delicato or-
ganismo del corpo umano, non pretenderà mai di trovare il ri-
GAP. X - CONCLUSIONE 297
medio universale e sicuro di tutte le malattie, poiché, se sempli-
cemente lo tentasse, scenderebbe subito al livello del ciarlatano.
XIII. — Grli anarchici, come abbiamo già notato, fondano la
loro critica demolitrice delle istituzioni vigenti sulle stesse pas-
sioni, sullo stesso ordine di osservazioni e d'idee, che costituiscono
la base della propaganda collettivista ; con questa differenza sol-
tanto, che essi sono ordinariamente più violenti, e qualche volta
addirittura feroci, non solo negli atti, ma anche nelle parole (1).
Negli ideali che si propongono di attuare, si distinguono però
profondamente da tutte le scuole socialiste. Mentre queste, in-
fatti, per abolire od attenuare notevolmente le ingiustizie e le
disuguaglianze che si lamentano nel mondo, vorrebbero modifi-
care, sia pure radicalmente, l'organizzazione presente della società,
gli anarchici, saggiamente argomentando che, con qualunque tipo
di organizzazione sociale, vi sarebbero sempre le disparità di con-
dizione fra gli uomini, e continuerebbero a coesistere i dominatori
ed i dominati, o, come essi dicono, gli sfruttatori e gli sfruttati,
propugnano la distruzione di ogni società organizzata. Fanno come
colui che, avendo scoperto che nessun morigerato tenore di vita
può assicurare una salute perfetta, ricorre, come rimedio sicuro
contro ogni possibilità di malattia, al suicidio.
Seguaci più logici e più rigorosi del padre di tutti i novatori
moderni, ossia di Giangiacomo Rousseau, i partigiani dell'anarchia
ritengono dunque che, essendo la società organizzata l'origine di
tutti gli abusi, questi non possano venir altrimenti eliminati che
con una disorganizzazione completa del consorzio umano, ossia
con un ritorno allo stato di natura. Ma con ciò non fanno che
ripetere, forse inconsciamente, un errore del loro maestro; poiché
la verità è che lo stato naturale dell'uomo, come del resto quello
di molti altri animali, non è il disgregamento individuale, ma la
(1) Ci è capitata, tra le tante, sotto gli occhi una pubblicazione di un
anarchico italiano, nella quale si raccomanda ai lavoratori di sterminare, nel
giorno della loro vittoria, non solo i borghesi adulti presi colle armi alla
mano, ma anche i vecchi inermi, le donne e i bambini di due o tre anni, di
trattarli insomma come gli antichi Ebrei trattavano i vinti, quando erano
espressamente colpiti dall'interdetto di Jahveh. La forma di questa pubblica-
zione è tale che rivela nel suo autore buona cultura ed anche una discreta
intelligenza!
298 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
società, che può esser soltanto più o mono vasta, più o meno or-
ganizzata. Il supporre quindi che un fatto cosi universale, come
è quello tanto facilmente constatabile che tutti gli uomini vivono
socialmente, sia dovuto all'interesse ed alla furberia di pochi, è un
concetto che, certo non noi per i primi, ci i)ermettiamo di definire
come assurdo ed infantile. Aristotile, che visse ventuno secoli
prima del filosofo e romanziere ginevrino, ebbe una percezione
infinitamente più chiara e precisa della vera natura dell'uomo
quando scrisse che questi è un animale politico. Mu le facoltà in-
tellettuali del peripatetico greco probabilmente non furono mai
turbate né da un puntiglioso amor proprio, ne dalla vanità lette-
raria; e si può anche supporre che la i)rotezione dei sovrani di
Macedonia, o il saper bastare ai propri bisogni, lo abbiano sot-
tratto alla necessità di inasprirsi il carattere e guastarsi il fegato
stando vicino a persone spesso frivole, qualche volta pettegole,
quasi sempre di condizione sociale superiore (*).
Nel fatto, ammesso che l'ipotesi anarchica si avverasse, che
fosse distrutto perciò il tipo" odierno di organizzazione sociale, che
non ci fossero più nazioni né Governi, che fossero spazzati via
gli eserciti stanziali, la burocrazia, le Camere, e sopratutto i poli-
ziotti e le carceri, resterebbe sempre la necessità di vivere, e perciò
di usare delle terre e degli altri strumenti di produzione e reste-
rebbero sempre le armi ed i caratteri intraprendenti ed arditi dis-
(*) Si aggiunga che nella sua giovinezza Rousseau, che pure proveniva da
una onorevole famiglia ginevrina e ne aveva ereditato gli istinti onesti e
corretti, per la sua leggerezza, per la poca attitudine ad un lavoro modesto
e proficuo, per l'abbandono in cui fu lasciato dal padre, decadde moralmente
al punto da diventare per circa dieci anni il mantenuto, non sempre bene ac-
cetto, di madama di Warens. Recenti studi hanno messo in nuova luce la figura
non solo equivoca ma addirittura losca di questa signora, e pare ornai accer-
tato che, mentre conviveva con Rousseau, abbia esercitato lo spionaggio anche
ai danni di Ginevra, però nello stesso tempo non si può ad essa negare una
certa bontà d'animo e per Gian-Giacomo fu certo una vera benefattrice.
Indubbiamente, nell'età matura, la coscienza della bassezza morale nella quale
era caduto in gioventìi dovette essere uno dei più acuti tormenti del filosofo
ginevrino; e, non potendo o non volendo imputare a se stesso, a suo padre
ed a madama di Warens le cause di questo suo abbassamento morale, le ad-
debitò senz'altro alla società. Questa, secondo noi, è la vera spiegazione psi-
cologica del concetto fondamentale che serve di base a tutto il sistema poli-
tico e sociale di Rousseau : l'uomo nasce buono e la società lo rende cattivo.
CONCLUSIONE 299
posti ad usarne per asservire altri. Dati questi elementi, si costi-
tuirebbero subito piccoli nuclei sociali, in cui molti lavorerebbero
e pochi armati ed organizzati li spoglerebbero o tutelerebbero,
vivendo in ogni modo alle loro spalle; si tornerebbe cioè a quel
tipo di organizzazione semplice e primitivo, nel quale ogni gruppo
di armati è padrone assoluto di un cantuccio di terra e dei suoi
coltivatori, dato che lo sappia conquistare e difendere con le pro-
prie armi; tipo che noi abbiamo chiamato feudale. Accadrebbe,
infine, ciò che accadde in Europa, quando la dissoluzione dell'im-
pero di Carlo Magno finì di disgregare quel tanto di organizza-
zione sociale che era sopravvissuto alla caduta dell'Impero ro-
mano, ciò che accadde nell'India quando i successori del Grran
Mogol furono ridotti all'impotenza, ciò che accadrà in ogni società
di cultura avanzata che, per cagioni interiori od esteriori, si dis-
grega e discioglie.
Certo coloro che si sentono baldi e forti e non hanno nulla da
perdere si avvantaggerebbero di un simile rivolgimento, che da-
rebbe la preponderanza come forza i^olitica solo alla violenza ed
al valor personale; ma ne sarebbe danneggiata l'immensa mag-
gioranza dei pacifici, forse il novanta per cento degli uomini, che
al regno del pugno preferisce anche una imperfettissima giustizia
sociale, un po' di tranquillità e la sicurezza di godere almeno una
parte dei frutti del proprio lavoro (1).
Per non far nascere fallaci speranze dobbiamo intanto osser-
vare che i risultati, che il trionfo dell'anarchia ci farebbe raggiun-
gere, non si possono ottenere in pochi anni, o anche in qualche
(1) Mentre la maggior parte degli anarchici (per es. il Gravk nella Société
mourante et l'Anarchie) credono che basti abolire la proprietà e le leggi perchè
gli uomini diventino tutti buoni, qualche altro meno ingenuo arriva a con-
chiusioni, che somigliano molto alle nostre. Così un certo De Goirmont negli
Entretiens politiqiies et littéraires (aprile 1892, pag. 147), scrive : " Data la
mancanza di qualsivoglia legge, l'ascendente degli uomini superiori diverrebbe
unica legge ed il loro giusto dispotismo sarebbe incontestato. Questo dispo-
tismo è necessario per mettere la museruola agli imbecilli: l'uomo senza in-
telligenza morde „. Noi invece di uomini superiori diremmo i piìi forti, invece
di imbecilli i più deboli, e nel resto, tranne il punto di vista completamente
diverso, siamo d'accordo.
Questa citazione l'abbiamo trovata nell'importante lavoro del Sernicoli in-
titolato L'anarchia e (/li anarchici, a pag. 70 del volume secondo.
300 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
generazione. Giacche, se occorsero molti secoli per arrivare
dalla barbarie al f^rado presente di civiltà, ne deve i>a.ssare pure
qualcuno perchè una società vada perdendo le abitudini civili e
ritorni in uno stato di relativa barbarie. Che se poi si volesse
addirittura tornare alla barbarie assoluta, allo stato delle tribù,
che vivono di caccia, di inesca, di agricoltura nomade, allora ci
vorrà un tempo anche maggiore; (luello cioè che occorre perchè
la vecchia e popolatissima Europa si riduca ad una popolazione
che sia appena un ventesimo di quella presente. A meno che, per
far presto, i fautori dell'anarchia, oltre a sterminare i borghesi e,
come essi dicono, i loro satelliti e sicofanti, non vorranno pure
distruggere violentemente la grandissima maggioranza di quegli
sfruttati, sulla sorte dei quali ora spargono tante lagrime (1).
XIV. — Una dottrina comune a tutti i partiti novatori, siano
essi anarchici o semplicemente socialisti, è quella della cosi detta
lotta di classe. Questa dottrina, svolta abbastanza largamente per
la prima volta dal Marx, è uno dei migliori cavalli di battaglia
di tutti coloro che attaccano l'ordinamento presente della società ;
occorre perciò dirne qualche cosa.
(1) Fra i romanzi pubblicati verso la fine del secolo scorso che descrivono
come sarà il mondo dopo il trionfo delia rivoluzione sociale, ce ne è uno,
pochissimo conosciuto in Europa, che, per quanto anch'esso fantastico, ci pare
esprima un concetto piii inspirato alla realtà e quindi più pessimista di quelli
più divulgati.
Il romanzo s'intitola Caesar's Column (la colonna di Cesare), e fu pubblicato
a Melbourne nel 1892 (editore Cole), il suo vero autore si nasconde sotto il
pseudonimo di Edmund Boisgilbert. In esso si descrive il trionfo del proleta-
riato, che avverx'à fra qualche secolo sulla plutocrazia, quando '' un giorno di
giustizia sociale silderà i secoli d'ingiustizia borghese „. Eccone la descrizione
sommaria: Cesare Loinellini, il capo dei proletari, s'impadronisce dei tesori,
dei vini e delle donne del principe dei plutocrati Cabanus e li proclama suoi
abbandonandosi all'orgia ed alle crudeltà. Una tremenda carneficina intanto
insanguina l'Europa, l'America e l'Australia ed i lavoratori vittoriosi, dopo
avere ammazzato i plutocrati ed i loro satelliti ed aver consumato le provvi-
gioni accumulate, si ammazzano fra di loro finche tre quarti della popolazione
e l'intera civiltà periscono. Il romanzo si chiude con la erezione di una co-
lonna di teschi ed ossa umane (Caesar's Column) che Lomellini fa erigere a
memoria dell'avvenimento, nella quale una iscrizione scongiura i posteri, nel
caso che vogliano fondare nuove civiltà, ad evitare le corruzioni, le iniquità,
le menzogne, che causarono la rovina di quella ora vigente.
CONCLUSIONE 301
E prima di tutto facciamo rilevare che essa è fondata sopra un
esame incompleto, unilaterale e tendenzioso della storia, col quale
si vorrebbe provare che tutta l'attività delle società civili siasi
finora esplicata negli sforzi che hanno fatto le classi dominatrici
per mantenersi al potere e sfruttarlo a loro vantaggio e in quelli
delle classi basse tendenti a scuotere questo giogo. Or ritroviamo
nel passato di tutti i popoli importantissimi fatti sociali, che non.
possono essere contenuti in verun modo nella vernice angusta di
questo quadro. Ad esempio, la lotta della Grecia contro la Persia,
quella di Roma contro Cartagine, l'immensa diffusione del Cri-
stianesimo e del Maomettismo, le Crociate e lo stesso risorgimento
della nazionalità italiana, che, come diceva un arguto e coltissimo
economista, piuttosto che a fattori economici, fu dovuto alla in-
fluenza esercitata dai poeti e dai romanzieri (1).
Venendo poi alle gare civili, che dovrebbero a preferenza essere
determinate dalla lotta di classe, osserviamo che anche in questo
punto il fenomeno sociale è posto in luce dai socialisti in modo
parziale e quindi errato. Troviamo di quando in quando nella
storia esempi di insurrezioni violente delle classi più povere o di
frazioni di queste, come furono, ad esempio, le ribellioni degli Iloti
a Sparta e quelle degli schiavi a Roma, le Jacqueries della Francia
ed altri moti contadineschi e dei minatori, che sono scoppiati nei
secoli scorsi in Grermania, in Inghilterra ed anche in Russia. Essi
sono stati occasionati o da oppressioni inusitate e veramente in-
tollerabili o, più di frequente, da disordini degli Stati all'origine
dei quali gli insorti erano rimasti estranei, ma che avevano loro
offerto il destro di avere delle armi e un principio di organizza-
ci) TI giudizio sul risorgimento italiano l'abbiamo inteso esprimere dal
prof. Messedaglia. Sugli altri esempi da noi addotti si può osservare che,
quando Annibale venne in Italia e riportò diverse vittorie sui Romani, in
molte città italiche la plebe cominciò a parteggiare per il duce cartaginese,
mentre i patrizi in generale si mantenevano fedeli a Roma; ciò che si spiega
facilmente perchè i poveri sono sempre più desiderosi di novità ed hanno
anche meno tatto politico delle classi dirigenti. Anche per le Crociate si può
dire, che, specialmente verso la fine di esse, al fanatismo religioso si mescolò
l'amore del lucro, ma però il constatare in un fenomeno sociale l'esistenza
di un coefficiente economico non significa già che esso sia il principale e
molto meno vuol dire che esso abbia determinato il nascere del fenomeno
stesso.
302 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
zione. Ad o^ni modo però è certo che tutti i movimenti ai quali
lianno preso parte esclusivamente le sole classi che vivono di la-
voro manuale, sono stati sempre con una relativa facilità, e tal-
volta con crudeltà, repressi, e che quasi mai hanno contribuito a
migliorare stabilmente le condizioni di queste classi. Le solo lotte,
cruenti od incruenti, che hanno avuto il risultato pratico di mo-
dificare l'ordinamento delle società e sopratutto la composizione
delle classi dirigenti, sono state quelle che nuovi elementi d'in-
fluenza e nuove forze politiche, sorte nel seno della classe gover-
nata ma che rappresentavano numericamente una frazione minima
di essa, hanno impegnato per ottenere quella partecipazione al
governo dello Stato, che esse credevano, e forse era, loro ingiu-
stamente ostacolata.
Fu così che le famiglie più ricche della plebe romana, escluse
dal consolato e da altre cariche cospicue, ingaggiarono nel quinto
e quarto secolo avanti l'èra volgare quella lotta con l'antico pa-
triziato, che ebbe per effetto la costituzione di una classe diri-
gente più larga, fondata sul criterio del censo anziché su quello
esclusivo della nascita, classe che formò la nobiltà degli ultimi
secoli della Repubblica. Fu pure cosi che quella parte del terzo
stato francese, che, durante il secolo scorso, aveva acquistato ric-
chezze quasi uguali e cultura ed attitudine di governo anche su-
periore a quelle della nobiltà ebbe, dopo la Rivoluzione, aperto
l'accesso a tutte le cariche pubbliche. E, se è vero che, tanto nel-
l'uno che nell'altro caso, la massa dei governanti ebbe a godere
i vantaggi di una maggiore difesa giuridica, ciò avvenne perchè
i suoi interessi si trovarono concordi con quelli delle nuove forze
politiche, che richiedevano l'ammissione nella classe governante;
avvenne perchè queste nuove forze, per ottenere il loro intento,
dovettero propugnare principi! di utilità sociale e di giustizia,
l'applicazione dei quali, se giovava più direttamente a loro, gio-
vava pure ai membri più umiK del civile consorzio. Certo anzi
non si può disconoscere che questo che abbiamo accennato sia
uno dei tanti modi coi quali il sorgere di nuovi elementi d'in-
fluenza sociale può migliorare e rendere più equi i rapporti fra
governanti e governati; ma ciò non vuol dire che qualche volta
sia avvenuto, o possa avvenire, che l'intiera massa dei governati,
di fatto non di diritto, si sostituisca o venga messa a pari alla
minoranza governante, che finisca perciò la distinzione fra quella
GAP. X - CONCLUSIONE 303
che i socialisti chiamano classe sfruttatrice e la classe che essi
dicono sfruttata.
Resta a vedere poi se sia esatta questa divisione della società,
di cui tanto scrivono e che tanto vanno predicando, in una classe
parassita, che nulla contribuisce alla produzione ed al benessere
sociale e ne gode la parte migliore, ed una classe, che tutto fa,
tutto produce e che viene rimunerata appena col necessario alla
vita e qualche volta neppure con questo. Ora, neppure isolando
completamente, come fanno spesso gli economisti ed i loro av-
versari socialisti, i fenomeni riguardanti la produzione e la distri-
buzione della ricchezza da tutti gli altri fatti sociali, questo modo
di vedere risulta perfettamente conforme alla verità. Giacché se
è vero che è il capitale, non il capitalista, quello che fornisce
agli operai i mezzi e la possibilità di un lavoro proficuo, se è
pur vero che è la terra, non il proprietario di essa, ciò che è ne-
cessaria al contadino, non si può negare che l'individuo, che sa
riunire nelle sue mani una forte quantità di capitale e sa impie-
garlo profìcuamente a scopo industriale, ed il proprietario che sa
dirigere bene la cultura dei suoi fondi, non rendano un vero ser-
vizio sociale aumentando la produzione e la ricchezza; servizio
del quale è perfettamente giusto che abbiano una rimunerazione.
Che se poi guardiamo l'insieme dei fenomeni sociali, se teniamo
presente che la produzione della ricchezza è strettamente legata
al grado di coltura che un paese ha raggiunto, alla bontà del suo
ordinamento politico ed amministrativo, allora l'accusa di paras-
sitismo leggermente lanciata all'intiera classe dirigente composta
di proprietari, di capitalisti, d'industriali, d'impiegati, di professio-
nisti, di tutti coloro, insomma, che non vivono di lavoro manuale,
ci parrà supremamente ingiusta e tale che soltanto dalla più cieca
passione può essere accolta (1).
(1) Il Loria nel suo libro Les bases économiques de ìa consfitution sociale
(Paris, 1893, Alcan editore), in cui riproduce e sviluppa i concetti ai quali
avea già accennato nel suo precedente lavoro : La teoria economica delia Co-
stituzione politica, enumera tra i lavoratori improduttivi, gl'impiegati, i ma-
gistrati, gli avvocati, i medici ed i giornalisti e dice che l'opera di costoro,
specialmente l'opera morale, impiegata a vantaggio del capitale, è retribuita
non con una parte del capitale, ma con una larga partecipazione al suo red-
dito. Secondo l'A. " la funzione del lavoro improduttivo è di garantire i de-
304 ELKMENXl I>1 dOIENZA POLITICA
Ora infatti che la ^^rande industria e l'a^^ricoltura hanno bi-
sogno ogni giorno di più delle applicazioni della scienza, ora che
la x)roduzione economica è basata quasi tutta sugli scambi fra
paesi lontanissimi, che non sono possibili se gli uomini non sono
riuniti in grandi nazioni e sotto governi sapientemente organiz-
zati, è assurdo l'asserire che tutto è prodotto dai lavoratori ma-
novali e tutto debba loro legittimamente a]jpartenere; è iniquo
dimenticare i servizi che rende quella classe che mantiene la
pace e l'ordine, dirige tutto il movimento politico ed economico,
conserva e fa progredire l'alta cultura scientifica e rende possibile
che grandi masse umane vivano e collaborino insieme. In piena
giustizia non si può negare a questa classe che una parte non
disprezzabile della produzione economica sia consacrata a sosten-
tarla con tutta quell'agiatezza, che è necessaria affinchè conservi
e sviluppi la propria superiorità intellettuale e morale. Giacché
se è certo, che senza la cooperazione dei lavoratori manovali,
essa sarebbe condannata a decadere e forse anche a perire, è
pure certo che, senza gli elementi dirigenti, i lavoratori mano-
vali cadrebbero subito in uno stato di barbarie, che farebbe im-
mensamente diminuire la produzione economica e deteriorerebbe
quindi in modo grandissimo il loro stato morale e materiale. Su
questo argomento la più antica lezione di sociologia, l'apologo
delle membra e dello stomaco, che Menenio Agrippa recitava,
circa ventiquattro secoli fa, avanti la plebe romana adunata sul
Monte Sacro, resta sempre quella che meglio risponde alla verità
delle cose (1).
tentori del reddito contro la reazione di coloro, che sono esclusi dal possesso
della terra „ ; e, su questo argomento dei rapporti tra lavoratori improduttivi e
proprietari e capitalisti, cita, qualche pagina avanti al brano che abbiamo
riportato, una sentenza di Shakespeare nella quale è detto che * quando i
furbacchioni ricchi hanno bisogno dei furbacchioni poveri, questi possono
imporre ai primi le condizioni che piìi loro convengono ,.. Evidentemente
è per questa ragione che, secondo l'A., i lavoratori improduttivi sono così lar-
gamente rimunerati. Vedi opera citata, parte 3% cap. 11, pp. 172-74 e anche
le seguenti.
(1) Ci si permetta un altro paragone, che crediamo calzante. Se si osserva
una grande nave a vapore, di quelle che rappresentano gli ultimi perfezio-
namenti dell'industria e della scienza moderna, facilmente possiamo constatare
che essa è stata costruita mercè la cooperazione di capitalisti, ingegneri na-
GAP. X - CONCLUSIONE 305
Ciò che tutti debbono riconoscere, e che nessuno potrà negare,
è che nelle classi elevate vi è buon numero di parassiti o sfrut-
tatori, che molto godono e molto consumano senza rendere alcun
vero servizio sociale, ne di direzione, ne di esecuzione ; e che vi
sono in esse anche elementi che profittano della loro posizione
per trarre una rimunerazione dei loro servizi infinitamente supe-
riore ai loro meriti reali. A questi elementi abbiamo già accen-
nato fin dal capitolo V del presente lavoro, quando abbiamo par-
lato di quelle tali forze sociali, che tendono sempre con la loro
soverchia preponderanza a rompere l'equilibrio giuridico a loro
vantaggio; e se mal non ci apponiamo, abbiamo nominato come
particolarmente pericolosi a questo riguardo i banchieri, alcuni
grossi industriali e speculatori e generalmente coloro che riuni-
scono in unica mano grosse frazioni di capitale mobiliare. Però,
osservando questi sfruttamenti, che avvengono in molti paesi me-
diante le famose tariffe protezioniste, ed in alcuni altri anche
mediante i privilegi bancari, dobbiamo convenire che essi sono
esercitati tanto a danno delle classi lavoratrici che a pregiudizio
delle frazioni più grosse della classe dirigente; sicché anche questa,
nella sua grande maggioranza, paga largamente il fio della sua
debolezza ed ignoranza, sopportando sacrifìci che vanno a prò di
un numero piccolissimo d'individui (1).
vali ed operai e funziona mercè la cooperazione di un certo numero di uffi-
ciali e di un numero più grande di sem()lici marinai e fuochisti. Or sarebbe
giusto che questi ultimi insieme agli operai costruttori, come rappresentanti
la parte che il lavoro manuale ha avuto ed ha nella costruzione e nel fun-
zionamento della nave, pretendessero tutto il prodotto della stessa e giudicas-
sero rubata quella parte che non va a loro? Evidentemente no: perchè se,
senza gli operai ed i semplici marinai, i capitalisti, gl'ingegneri e gli ufficiali
non potrebbero ne costruire, ne condurre un battello a vapore, senza la coo-
perazione dei capitalisti, degl'ingegneri e degli ufficiali, i rappresentanti del
lavoro manuale non avrebbero saputo fabbricare altro che piccolissime barche,
colle quali avrebbero potuto esercitare solo la pesca ed il piccolo cabotaggio,
guadagnando molto meno di quanto complessivamente ritragi,'ono dalla costru-
zione della nave a vapore e dal navigare sopra di essa. Se applichiamo l'e-
sempio ai vari rami dell'attività sociale si vedrà che l'unione della ricchezza,
della cultura superiore e del lavoro manuale produce ciò che complessivamente
chiamasi la civiltà e migliora complessivamente le condizioni di tutti.
(1) Si potrebbe agevolmente dimostrare che il protezionismo non pub gio-
vare ad una parte della produzione nazionale senza che nuocia nello stesso
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 530
306 KLKMKNTl DI SCIENZA POLITICA
Del resto parassiti e sfruttatori esistono in tutti gli strati so-
ciali, come pure in tutti i gradini della scala economica e ge-
rarchica vi sono gli sfruttati. E uno sfruttatore colui che sciupa
in lusso, giuochi e bagordi una fortuna, e disfà in questo modo
il capitale ereditato, ed è uno sfruttato quegli che laboriosamente
ed onestamente l'ha accumulato, faticando molto, consumando
l>oco e forse godendo niente. E sfruttatore l'uomo politico, che
arriva ai i)rimi posti profittando della facilità che hanno i popoli
a lasciarsi ingannare, lusingando le l;orie e le vanità delle masse,
comprando le coscienze, usando ed abusando di tutte le cattive
qualità e le debolezze dei suoi simili, ed è uno sfruttato l'uomo
di Stato che, più che all'effetto ed all'applauso, mira al vantaggio
reale dei governati ed è sempre pronto a lasciare il potere quando
questo vantaggio crede di non poter più raggiungere. È sfrut-
tatore l'impiegato che ha conquistato il suo posto ingannando gli
esaminatori o rendendo servizi loschi ai politicanti e lo conserva
e fa carriera e lavora il meno possibile, adulando i suoi superiori
o tradendo il suo dovere d'ufficio, ed è uno sfruttato il suo col-
lega che fa... precisamente tutto il contrario.
E uno sfruttatore il soldato, che si eclissa nel momento del
pericolo ma si fa vivo quando si tratta di avere la medaglia o
la ricompensa, ed è uno sfruttato il suo commilitone, che affronta
la morte e le ferite senza pensare a farsene un titolo per posare
ad eroe e chiedere posti di favore e sussidi per tutta la vita. Sono
sfruttatori quei contadini e sopratutto quegli operai pigri, viziosi.
tempo ad un'altra parte della stessa, indiscutibilmente maggiore. Perciò se
alcuni proprietari ed imiu^tnali ne possono avere vantaggio, altri, più nume-
rosi, ne debbono ritrarre nocumento. E, insieme coi poveri, esclusivamente
danno ne ritrae tutta quella grossa frazione della classe ricca ed agiata che vive
cogli interessi dei titoli di Stato, o di capitali dati a mutuo, oppure col com-
mercio, coi guadagni professionali, cogli impieghi. Una cattiva politica ban-
caria può giovare soltanto ad alcuni industriali o politicanti che ottengono
sconti di favore, ma nuoce in liscutitnlmente a tutti gli altri cittadini, e spe-
cialmente poi a coloro che hanno dunari. Un superficiale esame dei fatti ac-
cennati dimostra perciò assurda l'accusa, che si fa in qualche paese aWintera
borr/hesia, di essere autrice consdente di certi danni e di certi scandali. Sarebbe
molto piìi giusto ed esatto l'asserire che la gran maggioranza della classe di-
rigente, non per malizia ma per ignoranza, ha tollerato o consentito la sua
rovina trascinando in essa anche quelle classi più misere, la cui tutela era
affidata non solo alla sua onoratezza, ma anche al suo sapere.
GAP. X - CONCLUSIONE 307
e disonesti, che cominciano coll'essere i parassiti dei loro parenti
più laboriosi, continuano coll'essere i parassiti dei loro compagni,
ai quali scroccano aiuti dando in cambio chiaccliere e cattivi
consigli, e dei padroni ai quali scroccano il salario dando in
cambio un lavoro mal fatto ed incompleto, e finiscono spesso
coll'essere parassiti della società intera nel carcere; e sono sfrut-
tati tutti quei lavoratori manovali, che coscienziosamente e tacita-
mente adempiono al loro dovere, che mai si sottraggono al disagio
ed alla fatica, e vivono stentatamente senza poter migliorare la
propria posizione o mettere qualche cosa da parte per la vecchiaia.
E uno sfruttatore colui che, restando pensatamente celibe, insidia
all'onore delle donne altrui, ed è uno sfruttato chi, dopo essersi
sobbarcato ai pesi ed alla responsabilità di una famiglia rego-
larmente costituita, diventa bersaglio alle insidie del primo. Fi-
nalmente è uno sfruttatore lo scienziato che consegue la cattedra
scrivendo il libro che piace a coloro che devono essere i suoi giu-
dici, o consegue la celebrità o la popolarità pubblicando l'opera
che piace alle turbe, perchè lusinga la passione del giorno; ed è
uno sfruttato quegli che all'amore della verità sacrifica buona
parte del suo successo e si rassegna perciò a rimanere in un rango
inferiore a quello in cui, se meno onesto, il suo ingegno ed i suoi
studi l'avrebbero chiamato.
Un tempo gli sfruttati si chiamavano i buoni, gli onesti, i
galantuomini, i bravi, i laboriosi ed i morigerati, e gli sfruttatori
venivano definiti come viziosi, scioperati, poltroni, intriganti, fara-
butti e delinquenti. — Si chiamino pure come si vogliono, e forse
non è male che ci siano due espressioni sole, che sintetizzino le
molteplici categorie delle quali sono formate le due classi di cui ci
siamo occupati, che ci sono sempre state e purtroppo sempre ci sa-
ranno nel mondo. — L'importante è che si tenga presente che, se
più miseri e più da compiangere sono gli sfruttati delle classi più
basse, un buon numero pure ne deve esistere nelle classi medie ed
alte ; altrimenti verrebbe meno quel tanto di abnegazione e di sen-
timento del dovere che è indispensabile nella minoranza dirigente
affinchè il consorzio civile possa durare (1).
(1) Prima di lasciare quest'argomento crediamo doveroso l'avvertire come
gli autori, che colla storia hanno creduto di dimostrare che le classi alte ar-
bitro del potere politico ne hanno usato costantemente per sfruttare i lavo-
308 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
XV. — Resta a vedere se tutta questa gran corrente di idee
e di passioni, che complessivamente va desi^cnata col nome di
socialismo, pur non essendo fondata sopra un'osservazione esatta
delle leggi che regolano la vita sociale, pur mirando ad un ideale,
ratori, potrebbero essere molto facilmente confutati. — La loro ipotesi e la
maniera come cercano di dimostrarla farebbero supporre che gli eventi umani
fossero stati diretti per secoli e secoli da una volontà tenace e costante, che
sapeva dove voleva {giungere e preparava astutamente i mezzi all' uopo, da
una congiura continua e tenebrosa delle classi ricche contro i poveri. Questa,
per definirla benicrnamente, non ci pare altro che una forma del delirio di
persecuzione; perchè in verità un osservatore calmo e spassionato studiando
la storia. vede subito che i fatti, che hanno importanza sociale, sono deter-
minati in parte da passioni, istinti e pregiudizi, quasi sempre incoscienti e
che quasi mai si rendono conto dei risultati pratici che avrà la loro azione,
in parte da interessi che hanno ordinariamente un obiettivo immediato, ed
in parte finalmente da ciò che gli uomini chiamano il caso fortuito.
Così, ad esempio, contrariamente a quanto mostra di credere qualche scrit-
tore socialista, il Cristianesimo non fu adottato perchè è una religione che,
promettendo la felicità nell'altra vita, garantisce in questa ai potenti il quieto
godimento delle ricchezze; ne le guerre modei-ne furono fatte con Io scopo di
aumentare i debiti pubblici e quindi la influenza politica del capitale impro-
duttivo. Come, aggiungiamo noi, l'America e l'Australia non furono scoperte
col disegno di preparare uno sbocco alla esuberante popolazione operaia ed
agricola dell'Europa nella seconda metà del secolo decinaonono e nel ventesimo
e di garantirla in questo modo contro un soverchio abbassamento dei salari.
Si sa poi come, alterando un poco alcuni fatti^ tacendone altri, qualunque
caso di delirio di persecuzione possa assumere l'apparenza di una realtà; ora
il metodo che abbiamo accennato è appunto quello seguito dagli scrittori so-
cialisti per provare che le classi dirigenti, che hanno fatto le leggi e deter-
minato l'azione dello Stato, si sono serviti della loro influenza politica per
depauperare coscientemente e costantemente le classi basse. Essi citano ge-
neralmente quelle leggi e quei provvedimenti, che possono essere giudicati
dannosi a coloro che vivono di lavoro manuale, e quando poi debbono ram-
mentare qualcuno che evidentemente è favorevole agli stessi, asseriscono, ben
inteso senza provarlo, che fu dai salariati strappato con la forza all'avarizia
dei capitalisti e dei proprietari.
Per addurre qualche esempio speciale rammenteremo che il Marx afterma
(vedi II Capitale, capo XVIII) che " durante la genesi storica dell' evoluzione
capitalistica, la borghesia nascente si valse dello Stato per regolare il salario,
cioè per deprimerlo fino al livello conveniente per mantenere il lavoratore al
grado di dipendenza voluta ,, e cita, in appoggio del suo assunto, lo Statute of
labourers del 1349, che stabilisce il maximum dei salari, altri statuti inglesi
consimili di epoche posteriori, ed infine un'ordinanza francese del 1350.
Or di leggi di questo genere se ne trovano nei secoli scorsi anche in altri
CAP. X - CONCLUSIONE 309
che non si potrà raggiungere se non quando sarà radicalmente
mutata la natui'a umana, abbia almeno l'effetto pratico di mi-
gliorare le condizioni morali e quindi materiali della maggioranza.
— La sua azione in questo caso sarebbe benefica e potrebbe pa-
popoli, ad esempio, ce ne furono in Germania dopo che la guerra dei trent'anni
ebbe spopolato il paese, e furono sempre fatte quando o per una lunga guerra
0 in seguito a pestilenze (non dimentichiamo che il 1848 fu l'anno della peste
nera) la popolazione era molto diminuita ed i salari quindi bruscamente rial-
zavano. Ma provvedimenti così fatti non possono essere imparzialmente ap-
prezzati se non si mettono in raffronto con altri provvedimenti contemporanei,
o quasi; che stabilivano il maximum del pane, del grano, delle stoffe, dell'af-
fitto delle case, ecc. Evidentemente quindi i reggitori dello Stato non volevano
sistematicamente favorire la formazione della borghesia, ma nella loro igno-
ranza credevano di potere con le loro leggi mitigare o impedire i bruschi
squilibri economici, che provenivano dall'eccessivo rincaro di qualunque
merce, compreso il lavoro umano. — Il Loria fa anche meglio: nella pag. 6
del libro teste citato, dopo aver detto che ci fu un'epoca in cui. essendoci
ancora terre libere, i proprietari avevano interesse a che i proletari non ri-
sparmiassero per acquistare il capitale necessario a coltivarle, enumera i ^
metodi usati per ottenere quest'intento e quindi per ribassare i salari ; essi
sarebbero stati : ^ la riduzione diretta del salario, il deprezzamento della mo-
neta, l'impiego di macchine più costose degli operai eh' esse sostituiscono,
l'espansione del capitale improduttivo impiegato negli affari di borsa e di
banca, nella moneta metallica, nei debiti pubblici, il numero eccessivo degli
intermediarii inutili, la creazione di una popolazione eccessiva, che fa con-
correnza agli operai occupati. — Tutti questi mez^i (continua sempre l'egregio
autore) arrivano indubbiamente a limitare la produzione e per questa via
anche a diminuire il profitto; nondimeno la classe proprietaria non esita a
ricorrervi perchè sono la condizione necessaria per assicurare la durata del
profitto impedendo la elevazione del salario, che avrebbe per risultato inevi-
tabile la fine del reddito capitalista ,.
Or il chiarissimo professore di Economia politica, che non merita certo la
taccia di sicofante dei capitalisti, indirizzata dal Marx a tanti altri cultori
della stessa disciplina, avrebbe dovuto provarci: 1° che in un'epoca, che non
può essere molto vicina a noi, perchè esistevano ancora nell'Europa occiden-
tale terre libere, la classe dirigente avesse avuto tante e tali nozioni econo-
miche da poter prevedere che le misure accennate, ad esempio, l'espansione
del capitale improduttivo, avrebbero prodotto un ribasso dei salari ; 2° che
tutte queste misure, compreso lo svilimento della moneta e il soverchio au-
mento della popolazione, potessero essere la conseguenza di una volontaria
determinazione di coloro che avevano nelle mani il potere. — Noi, attendendo
questa dimostrazione, ci permettiamo di dubitare che neppure ora i governanti
ed i loro amici abbiano tanta preveggenza e sopratutto che abbiano la possibi-
lità di compiere tutti quei rivolgimenti economici che il Loria loro attribuisce-
310 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
ragonarsi a quella di altre grandi illusioni collettive, che, rendendo
gli uomini [)iii buoni, più scambievolmente tolleranti, meno impa-
zienti di fronte alle ingiustizie del mondo, fanno, nei limiti del
possibile, meno dura l'esistenza per tutti coloro che restano negli
ultimi gradini della scala economica e contribuiscono con ciò a
fortificare la compagine della società. — Fin da ora dichiariamo
che l'indagine sommaria, che faremo su (juesto importante argo-
mento, ci darà un risultato tutt'altro che positivo.
Si sa che tutti i libri, oltre ad avere una influenza intellet-
tuale, che si esplica mercè le dottrine in essi contenute ed a se-
conda, del modo come certi problemi della vita umana vengono
studiati e presentati al lettore, hanno pure un'influenza che chia-
meremo morale, la quale dipende dalle passioni e dai sentimenti
che gli autori consciamente ed inconsciamente sovraeccitano od
attutiscono. Or, se cominciamo ad esaminare sotto quest'ultimo
punto di vista le opere dei maggiori dottori del socialismo e spe-
cialmente di quelli della seconda metà del secolo decimonono, che
sono più noti, certamente troviamo che un soffio di pace, d'amore
di concordia sociale spira da quelle di Rodbertus, di Carlo Mario (1)
e sopratutto di Enrico George, nel quale più che Podio contro i forti
si sente una nobile e tenera compassione per i deboli (2); ma in
altri più numerosi, ed a tacere di Bakounine, in qualcheduno degli
autori più divulgati e più ortodossi^ in Marx, ad esempio, nello
stesso Lassalle, il sentimento che predomina, attraverso la faci-
lità polemica ed il brio o l'aridità e la pesantezza con cui è con-
dotto il ragionamento scientifico, è l'avversione contro il ricco ed
il potente, che si esplica di continuo collironia, col sarcasmo, col-
l'invettiva. Nei loro scritti il capitalista viene sempre considerato e
dipinto quasi come un uomo di altra razza, di altro sangue, che il
povero non deve riguardare come un suo simile, il quale ha fonda-
mentalmente le sue stesse debolezze e le sue virtù, che si mani-
festano in modo un po' diverso, solo perchè diverso è per lui
l'ambiente, diverse sono le tentazioni e le necessità della vita, ma
(1) Pseudonimo del professore tedesco Vinkelblech.
(2) Fra gli autori socialisti in cui i sentimenti benevoli sono più forti, e
quelli che hanno la loro base nell'odio sono meno accentuati, ci piace men-
zionare il CoLAjANNi ed Ignazio Scarabelli, che ha pubblicato un libro Sul
socialismo e la lotta di classe. Ferrara, 1895, Tipografia Sociale.
GAP. X - CONCLUSIONE 311
come un rivale ed un nemico, come un essere infesto, oppressore,
degradato e degradante, la cui rovina soltanto può rendere possi-
bile la propria redenzione e la propria salvezza (1).
Indiscutibilmente un movimento cosi vasto e complesso come
la democrazia sociale non si può fondare unicamente sui buoni
istinti della natura umana ; sicché riconosciamo come naturale e
necessario cbe, accanto al sentimento della giustizia ed all'aspi-
razione verso una società migliore, anche le passioni basse, anti-
sociali e selvaggie vi trovino il loro pascolo. 11 male è che pre-
cisamente a quest'ultime le dottrine socialiste offrono un campo
troppo fertile e vasto dove possono oltremodo moltiplicarsi e lus-
sureggiare. Si è insegnato al povero che il ricco gavazza col
frutto dei suoi sudori, che gli viene rapito mediante una artificiosa
organizzazione della società basata sulla violenza e la frode. Questa
credenza in tutte le coscienze, che non siano assolutamente nobili
e pure, serve mirabilmente a giustificare lo spirito di ribellione,
la sete dei godimenti materiali, la bestemmia, l'odio, la maledizione ;
essa feconda il sentimento della vendetta e l'invidia istintiva verso
quelle superiorità naturali e sociali, che solo una lunga abitudine
e la convinzione che sono fatti necessari ed inevitabili possono
rendere universalmente indiscusse ed accettate.
Debolezza innegabile di tutto il movimento socialista è poi
la soverchia materializzazione del concetto della felicità umana e
quindi della giustizia sociale. — I socialisti, dopo aver idealizzato
troppo l'uomo, credendolo migliore di quello che è, giacché attribui-
scono all'ordinamento sociale gran parte dei vizi e delle debolezze
che sono inerenti alla natura umana, mostrano poi un concetto troppo
basso dei loro simili quando credono, o mostrano di credere, che
la ricchezza sia compagna inseparabile del godimento e la po-
vertà vada fatalmente unita alla sofferenza. 'Leggendo i loro
scritti ed ascoltando i loro sermoni parrebbe che la felicità indi-
viduale sia esattamente proporzionata alla quantità di danari che
(1) Chiunque abbia una certa pratica degli opuscoli e dei giornali collet-
tivisti ed anarchici sa quanto in essi sia spiccato questo carattere odioso
della propaganda socialista, che si esplica con la sovraeccitazione della ma-
levolenza e dell'invidia. È da notare che è appunto per mezzo degli opuscoli
e dei giornali che la parola dei maestri, popolarizzata e sminuzzata, arriva
alle masse.
312 KLEMKNTI DI SCIENZA POLITICA
Ognuno possiede. — Or, per quanto un simile sistema sia polemi-
camente comodo per tutti i novatori, facendo apparire maggiore
assai di quella che realmente sia l'ingiustizia della società odierna,
esso non corrisponde alla verità, perchè, fortunatamente, le cose
non vanno così. Infatti, sebbene il poter mantenere quel tenore
di vita al quale siamo abituati e sopratutto la .sicurezza del do-
mani, siano condizioni indispensabili di un certo benessere, j)ure
non è raen vero che alla felicità individuale contrih»uiscono molti
altri elementi obiettivi e subiettivi. — In fondo chi è buono ed
ha l'animo ben temprato può essere molto più soddi.sfatto di un
altro che gli è assai superiore in ricchezza ed anche di posizione
sociale, ed il riconoscere che fa generalmente il mondo che il
primo è stato mal rimeritato può, insieme all'intima soddisfazione
della sua coscienza, essere uno degli elementi della sua maggiore
felicità (1).
Altre dottrine, altre credenze si sono trovate davanti al grave
e tormentoso problema della vita, nella quale s})esso il giusto ed
il buono soccombe, l'iniquo ed il malvagio trionfa, ma l'hanno
risoluto in modo diverso di come pretende risolverlo il socialismo.
Gli stoici, ad esempio, non potendo fare si)arire dal mondo il
dolore, educavano i loro adepti a sopportarlo fortemente ; non po-
tendo promettere a tutti il godimento dei beni materiali, ne in-
culcavano il disprezzo anche a coloro che erano nella possibilità
(1) La povertà che va accompagnata immancabilaiente dal dolore e dalla
infelicità, come abbiamo già accennato, è quella estrema, che non consente
che si provveda ai pivi elementari bisogni umani, oppure la povertà invida
di chi non sa rassegnarsi che altri abbia di quei godimenti e di quelle sod-
disfazioni di vanità ai quali egli non può aspirare, oppure finalmente la po-
vertà che segue un decadimento economico e produce quindi un peggioramento
nel tenore di vita al quale si era abituati. — A questo proposito osserviamo
che il godimento e la soddisfazione che si provano quando si migliora di con-
dizione economica e sociale sono molto meno intensi e sopratutto più fugaci
del dolore, che è conseguenza di un analogo peggioramento. — Perciò i fre-
quenti mutamenti di fortuna, che portano molti in basso ed altri in alto, pro-
ducono un totale di sofferenze assai superiore al totale della gioia.
Prima di lasciare quest'argomento rammenteremo che il Nobili Vitelleschi
in un articolo intitolato Socialismo ed Anarchia, pubblicato nella "Nuova An-
tologia , del 15 gennaio 1895, scrisse che " è nella distinzione fra la felicità
e la ricchezza che sta il motto dell'enigma, che turba i sonni dell'Europa e
del mondo ,.
CONCLUSIONE 313
di largamente fruirne. Lo stesso disprezzo delle gioie della carne,
del piacere materiale troviamo negli inizi ed in tutti i momenti
di fervore del Cristianesimo. E se è vero che Tesagerazione di
questo indirizzo può produrre quel misticismo, che aliena dal
mondo e dalla vita i caratteri più nobili e più proclivi al sacri-
fìcio di se, non è men vero che un insegnamento cosi fatto è non
solo moralmente più elevato, ma anche più pratico di quello dia-
metralmente opposto che tengono in generale i socialisti ; il quale
può avere per conseguenza il momentaneo decadimento di alcuni
dei sentimenti più elevati della natura umana.
L' uguaglianza fra tutti gli uomini e V aspirazione verso la
giustizia assoluta non è la prima volta che sono predicate per il
mondo. Ma esse possono essere bandite poggiandosi sull'amore,
sulla tolleranza, sul compatimento reciproco, e possono anche
essere proclamate facendo appello all'odio ed alla violenza. Si
può intimare al ricco ed al potente di considerare il povero ed
il misero come suo fratello e si può anche far credere al povero
ed al misero che il ricco ed il potente sia il suo nemico. La prima
maniera è quella seguita da Gesù, dagli apostoli, da S. Fran-
cesco d'Assisi, che dicevano ai ricchi: date. La seconda è quella
usata dalla maggioranza dei socialisti presenti, che, descrivendo i
godimenti dei ricchi come il prodotto dei sudori furati ai poveri,
implicitamente od esplicitamente dicono a questi: prendete. Non
è chi non veda come tale differenza sostanziale di metodo debba
avere in pratica conseguenze incalcolabili.
XVI. — Dopo quanto abbiamo scritto non occorrerà lunga-
mente soffermarsi per esporre quali siano le cause della corrente
socialista. Il lettore avrà già compreso che la causa delle cause è
quella che abbiamo combattuto in tutto il presente lavoro, cioè
l'indirizzo intellettuale del secolo nelle dottrine che riguardano la
organizzazione della società, i modi di vedere che finora preval-
gono, nelle persone di mezzana e qualche volta di elevata cul-
tura, circa le leggi che regolano i rapporti politici. Naturalmente
poi questa causa prima si presenta in mille forme e genera quelle
molteplici cause secondarie e dirette, che sono state da parecchi
scrittori più o meno completamente rilevate. Noi ne accenneremo
soltanto alcune, alle quali forse non si è data finora l'importanza
che meritano ; notando che spesso esse assumono l'apparenza, e
314 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
anche la realtà di malattie del senso morale anziché di errori di
discernimento e del giudizio. Giacché jjer la strettissima connes-
sione che vi è in tutto ciò che riguarda l'ordinamento sociale fra
il mondo morale e quello intellettuale, di frequente avviene che
il falso indirizzo nel campo speculativo, l'apprezzamento sbagliato
sulla natura e le tendenze sociali degli uomini, si traducano in
pratica nel mettere questi in una {posizione moralmente falsa; e
quindi nel renderli più facili alle transazioni ed alle colpe, dimi-
nuendo l'efficacia degli istinti più nobili e avendo per necessaria
conseguenza un abbassamento del livello medio del carattere e
della coscienza.
Ad esempio, una delle cause prossime ed immediate, un coeffi-
ciente importante del progresso della propaganda socialista è
l'allargamento del suffragio politico, e meglio ancora il suffragio
universale, che, in omaggio ai principii della scuola radicale ed
alla logica democratica, si è venuto adottando in tanta parte di
Europa. Ora il suffragio a larga base può riuscire pericoloso, non
tanto perchè, come molti sperano o temono, dando ai proletari il
diritto di deporre la scheda nell'urna, i loro rappresentanti ge-
nuini possano formare la maggioranza delle assemblee ]}olitiche;
giacché in fondo, con qualunque sistema elettorale, la preponde-
ranza resterà sempre alle classi più influenti anziché a quelle più
numerose; ma piuttosto per l'omaggio che la maggior parte dei
candidati, per superare più facilmente i rivali, si affretta a ren-
dere ai sentimenti ed ai pregiudizi popolari. Omaggio che porta
facilmente a fare professioni di fede e promesse fondate sui po-
stulati del socialismo. Naturalmente il sistema fa si che i carat-
teri più schietti ed energici vengano a preferenza allontanati dalla
vita pubblica, che le transazioni e le restrizioni morali diventino
sempre più comuni, e, come risultato ultimo, fa imbecillii'e sempre
più, moralmente ed intellettualmente, le schiere dei cosi detti con-
servatori.
Altro elemento importantissimo nella elaborazione dei partiti
socialisti è la tradizione rivoluzionaria ancora vivissima nei paesi
latini, nei quali le classi dirigenti hanno fatto di tutto per tenerla
viva e perpetuarla. Come ha osservato il Villetard (1) e come già
(1) Vedi Insnrrection du 18 tnars. Paris, Charpentier, 1872, nel capitolo I.
GAP. X - CONCLUSIONE 315
abbiamo accennato nel capitolo Vili, in Francia, almeno fino a
pochi anni addietro, ad eccezione forse dei clericali-legittimisti,
solo gl'interessi sono stati conservatori, ma le idee ed i sentimenti
inspirati non solo dall' istruzione e dall' educazione privata, ma
sopratutto da quella ufficiale, sono stati eminentemente rivolu-
zionari. E lo stesso si può dire dell' Italia negli ultimi cinquanta
anni.
Si sa quanto sia naturale nella gioventù il bisogno di entu-
siasmarsi e di avere davanti un tipo, un modello, die raj)presenti
l'ideale della virtù e della perfezione, che ognuno cerca, per quanto
può, di imitare. Or il modello che si è posto davanti ai giovani
moderni, tanto da noi che oltre Alpe, non è, e non può essere, il
cavaliere che si fa uccidere per la sua bella, la sua fede ed il suo
Re, ma molto meno è stato il funzionario, il magistrato, il mili-
tare rigido custode della legge e della consegna; esso è puramente
e semplicemente il rivoluzionario d' azione : l' uomo che, in nome
della libertà e dell' eguaglianza, ha combattuto i tiranni, si è
ribellato al potere costituito, e che, vinto, ne ha subito intre-
pido le persecuzioni, vincitore lo ha rovesciato e spesso lo ha
sostituito.
Dopo che si è così studiosamente coltivata la simpatia per i
ribelli, dopo che si è insegnato che tutto quanto essi hanno fatto
è stato nobile e generoso, è naturale che la corrente dei senti-
menti e delle idee della nuova generazione siasi spinta verso quella
dottrina, che può giustificare e render necessaria la ribellione.
Dappoiché, non essendoci più una Bastiglia da espugnare, non
potendosi più cacciare dal Louvre gli Svizzeri di Carlo X, com-
pita presso a poco l'unità d'Italia, diventato quel Governo, che fu
definito come la negazione di Dio, una memoria talmente remota
che lo si comincia a giudicare con imparzialità, lo spirito di ri-
bellione non si può applicare che contro le istituzioni, che dalle
antiche rivoluzioni sono venute fuori, e contro gli uomini che di
queste istituzioni stanno a capo e che sono stati spesso gli an-
tichi rivoluzionari.
E ciò parrà anche più naturale e ovvio se si pon mente che,
in parte per le imperfezioni inseparabili da qualunque regime
politico, in parte per la loro debolezza intrinseca, le nuove isti-
tuzioni non hanno i)otuto appagare tutte quelle speranze di rige-
nerazione sociale che in esse si erano riposte, e che gli antichi
316 KLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
congiuratori e rivoluzionari diveltati uomini di Stato e reggitori
di popoli certo non sono stati immuni da onori e peccati. Così
stando le cose, chi si potrà maravigliare se quegli elementi gio-
vani che credono possibile una più radicale riforma della società,
se coloro che sperano con essa di acc^uistare importanza politica,
se buona parte di quanto vi è di nobile, di attivo, di geneijoso ed
ambizioso nella generazione che si prepara a raccogliere l'eredità
dei vecchi, abbia abbracciato le dottrino socialiste? (1).
Ha acquistato una certa popolarità fra le persone di qualche
cultura una massima del Machiavelli, il ijuale scrisse che per sal-
(1) Lo stato psicologico da noi accennato, che si ritrovava più specialmente
nella gioventù italiana, e che era notorio a tutti coloro che avevano fre-
quenti contatti cogli studenti delle nostre Università, viene stupendamente
descritto in un lavoro giovanile di uno scrittore che dimostrò fin d'allora
ingegno veramente eccezionale. Alludiamo all'opuscolo di Guglielmo Febkeeo,
intitolato Stazione (Torino, 1895, Roux editore). In esso l'A. dopo avere, a
pagina 54 e seguenti, spiegate le ragioni per le quali la gioventù non credeva
e non s'inspirava agli ideali dei suoi padri, scrive:
* Che resta dunque? C'è sempre un certo numero di individui che hanno
bisogno di appassionarsi per qualche cosa di non immediato, di non jiersonale
e di lontano; a cui la cerehia dei propri attari, della scienza, dell'arte, non
basta per esaurire tutta l'attività dello spirito. Che rimaneva a costoro in
Italia se non l'idea socialista? Veniva da lontano, ciò che seduce sempre; era
abbastanza complessa ed abbastanza vaga, almeno in certe sue parti, per sod-
disfare ai bisogni morali così difterenti dei molti proseliti; da un lato portava
uno spirito vasto di fratellanza e di internazionalismo, che corrisponde ad un
reale bisogno moderno; dall'altro era improntata a un metodo scientifico che
rassicurava gli spiriti educati alle scuole sperimentali. Dato ciò. nessuna me-
raviglia che un gran numero di giovani si sia inscritto in un partito dove
almeno, se c'era pericolo d'incontrare qualche umile uscito dal carcere o
qualche modesto repris de jm^tice, non si poteva incontrare nessun panamista,
nessun speculatore della politica, nessun appaltatore di patriottismo, nessun
membro di quella banda di avventurieri senza coscienza e senza pudore, che,
dopo aver fatto l'Italia, l'hanno divorata. La piìi superficiale osservazione di-
mostra subito che in Italia non esistono quasi in nessun posto le condizioni
economiche e sociali per la formazione di un vero e grande partito socialista;
inoltre un partito socialista dovrebbe trovare logicamente il nerbo delle sue
reclute nelle classi operaie, non nella borghesia, come era accaduto in Italia.
Ora se un partito socialista si sviluppava in Italia in condizioni sì sfavorevoli
e in un modo così illogico, si è perchè rispondeva più che altro a un bisogno
morale di un certo numero di giovani, nauseati di tanta corruzione, bassezza
e viltà; e che si sarebbero dati al diavolo pur di sfuggire ai vecchi partiti
imputriditi sino nelle midolla delle ossa ,.
CONCLUSIONE 317
vare o rinvigorire le istituzioni antiche bisognava richiamarle ai
loro principii. Leggendo la storia dei principi mongoli discendenti
da Grengiskan ne abbiamo trovata un'altra, che può avere un si-
gnificato diametralmente opposto a quella del segretario fiorentino
e che ci pare più vera, perchè applicabile ad un numero maggiore
di casi pratici. Secondo gii storici dunque, Yeliui-Cutsai, primo
ministro di Octai figlio di Gengiskan, avrebbe di frequente detto
al suo padrone e signore : il vostro impero fu conquistato a ca-
vallo, ma non lo potete governare restando a cavallo. Nessuno vorrà
negare l'intuito politico del ministro mongolo; perchè veramente,
e lo potremmo con facilità dimostrare, i modi con cui si conser-
vano gli Stati, le religioni ed i partiti politici, i sentimenti e le
passioni che bisogna a quest'uopo coltivare, sono di frequente es-
senzialmente diversi di quelli che hanno servito a fondarli.
Tornando al caso nostro, facilmente riconosciamo che uno Stato
nuovo, un nuovo regime politico possono esser fondati mediante
la rivoluzione, ammettiamo anzi che qualche volta ciò possa essere
necessario ; ma è certo però che nessuno Stato si consolida, nessun
regime dura se contiìiua lo spìrito rivoluzionario^ e peggio an-
cora se coloro che hanno nelle mani il potere proseguono a fo-
mentarlo, invece di coltivare quei sentimenti, quelle passioni, quei
modi di vedere, che ad esso sono diametralmente opposti.
Prima di terminare questo argomento rammenteremo di volo
altre cause, che contribuiscono indubbiamente ai progressi del so-
cialismo e che sono state già da altri autori ampiamente svolte.
Tali sarebbero le improvvisate ricchezze di tanti speculatori, quasi
sempre disonestamente guadagnate e più malamente spese nel-
l'acquisto di immeritata ed ingiustificata influenza politica, oppure
in un lusso volgare ed appariscente, che offende le mediocrità
degli onesti ed insulta quasi alla inopia dei più miseri. Tutto l'an-
dazzo del secolo, del resto, congiura ad aumentare questo danno,
perchè, mentre si predica uguaglianza, democrazia e che tutti gli
uomini hanno gli stessi diritti, mai forse ci è stato tanto pubblico
squilibrio nei godimenti materiali, mai la ricchezza, comunque
raggiunta, ha servito meglio ad aprire tutte le porte, mai essa è stata
più stupidamente ostentata (1).
(1) Nei secoli scorsi il lusso avea di frequente un carattere, per così dire,
primitivo; esso si esplicava infatti principalmente nel tenere una nunierosis-
318 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Altri fattori del socialismo sarebbero la guerra inconsulta che
si è fatta al sentimento religioso, la povertà jjubìjlica prodotta
dalle imposte eccessive e sovratutto dai soverchi debiti e dalle
troppe spese improduttive, le immoralità notorie dei governanti,
le ingiustizie e le ipocrisie del Parlamentarismo, le fabbriche di
spostati, che si sono istituite mediante l'ordinamento presente del-
l'insegnamento secondario e superiore. Finalmente occujja un posto
distinto in questa enumerazione l'uso invalso di servirsi dell'in-
fluenza che si ha sull'opinione pubblica e sui governi per ottenere
concessioni di monopolii o dazi così detti protettori dell'industria
e dell'agricoltura nazionale. Giacché in questa maniera si giusti-
fica qualunque altra forma di socialismo, avendone già adottato
una veramente pessima che fa servire l'autorità dello Stato ad
avvantaggiare alcuni pochi, per lo più doviziosi, a danno di tutti
gli altri poveri e ricchi.
Si sa che la trascuranza delle norme igieniche, la penuria di
buoni viveri, buona acqua e sane abitazioni, se non hanno l'ef-
fetto di generare il bacillo del cholera, indebolendo però gli or-
ganismi umani ed ostacolando le difese contro il morbo, ne age-
volano la diffusione colà dove esso è entrato, e producono lo
sviluppo della epidemia. Analogamente tutti i coefficienti che
sima servitù, nell'esercitare largamente l'ospitalità, qualche volta nel distri-
buire cibi e bevande alla popolazione di un'intera città. Certo in tutti questi
modi di disfarsi del superfluo la vanità avea la sua parte, ma in conchiusione,
mercè di essi, una porzione di ciò che soverchiava ad alcuni era goduta da
coloro che più ne difettavano. In certe epoche più raffinate la magnificenza
dei grandi si applicò a proteggere artisti e poeti e nell'agevolare quindi la
creazione di quei capolavori dell'arte e della letteratura, che recano un godi-
mento intellettuale squisitissimo non solo al proprietario od al mecenate, ma
a tutti coloro che sono capaci d'apprezzarli. Il lusso moderno è nello stesso
tempo più egoistico e meno intellettuale; giacche consiste principalmente nel
procacciare una quantità enorme di comodità e di soddisfazioni sensuali a
coloro che possono spendere. Come se ciò non bastasse, i godimenti privati
che esso procura a pochi sono da costoro resi, con ogni industria, di pubblica
ragione mediante la descrizione che ne fanno i giornali quotidiani. Certo
questa non è in fondo che una delle tante esplicazioni della vanità umana,
ma l'effetto pratico delle pubblicazioni accennate è indiscutibilmente di far
reputare i piaceri, di cui i ricchi soltanto possono godere, maggiori assai di
quello che realmente siano e di aumentare quindi l'invidia e l'appetito in
coloro che ne sono privi.
CONCLUSIONE 319
abbiamo enumerato, tutti gli atti di mal governo, se non sono
direttamente responsabili di aver dato origine a quell' infezione
intellettuale che è il socialismo, certo, aumentando il malcontento
e diminuendo quindi la resistenza organica della società, ne age-
volano il progresso. Sarebbe perciò molto opportuno il consigliare
alle classi dirigenti una più stretta igiene sociale, il che vuol dire
l'abbandono dei vecchi errori. Disgraziatamente il consiglio facile
a dare è piuttosto diffìcile ad eseguire ; perchè sia accolto e messo
in pratica, le dette classi dovrebbero avere maggiore moralità e
sopratutto pre veggenza e capacità maggiori di quelle di cui finora
hanno dato, in molti paesi, spettacolo.
XVII. — Forse ben pochi fra coloro che oggi seguono con
un certo interesse lo svolgimento della vita pubblica in Eu-
ropa ed in America, non si sono fatta la domanda se la demo-
crazia sociale sia o no destinata a trionfare in un avvenii^e più o
meno prossimo.
Dobbiamo sinceramente confessare che molti, i quali certo non
hanno simpatia per le dottrine socialiste e che non hanno alcun
interesse a favorirle, sono però inclinati a rispondere affermati-
vamente alla domanda accennata, e questo è uno dei frutti di
quell'educazione intellettuale per la quale la gran maggioranza
delle persone di qualche coltura è abituata a considerare la storia
dell'umanità come un cammino continuo verso la realizzazione di
quelle idee, che ora diconsi comunemente avanzate. La credenza
cieca poi nel trionfo fatale, inevitabile e più o meno prossimo del
loro programma è comunissima nei seguaci del collettivismo e
dell'anarchia, ed è per essi un grandissimo elemento di forza, ren-
dendo loro lo stesso servizio che ai Cristiani primitivi rese la fede
nel prossimo avvento del Regno di Dio o nella vita futura. Come
questi, infatti, fondati sulla fiducia che avevano nella rivelazione
divina, affrontavano intrepidi il martirio, cosi i novatori odierni
sopportano volentieri le noie, i disagi, le persecuzioni, quando
per caso debbono qualcuna patirne, pregustando anticipatamente
la gioia della sicura, e molti credono, della vicina vittoria (1).
(1) Parecchi autori dei più accreditati avevano già fissato la data del trionfo
del collettivismo, prognosticandolo per la fine del secolo decinionono o per i
primi decenni del ventesimo.
320 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Dopo quanto abbiamo già scritto nessuno si meraviglierà se noi
affermiamo recisamente che, anche nell'ipotesi che collettivisti ed
anarchici fossero vittoriosi in parecchi Stati e s'impadronissero
dell'autorità politica, sarebbe sempre hìi possibile la realizzazione
del loro programma; poiché i postulati del collettivismo, del co-
munismo e dell'anarchia non potranno mai avere una pratica at-
tuazione (1). Resta però a vedere quanta probabilità di divenire
una realtà abbia la ipotesi che abbiamo accennata. Giucche il
semplice tentativo, continuato per qualche anno, di porre in vigore,
ad esempio, le teorie collettiviste, se non altererà le leggi costanti,
che regolano la organizzazione delle società umane, leggi che fini-
ranno sempre coli' imporsi e col trionfare, graverà terribilmente
sulla sorte della generazione sulla quale l'esperimento sarà fatto.
Essa, sbattuta fra la rivoluzione e la inevitabile reazione, sarà ad
ogni modo costretta a ritornare verso un tipo di governo assai
più rozzo ed assoluto di quello al quale siamo omai abituati e
dovrà subire necessariamente una decadenza nella difesa giuridica
e un vero disastro morale e materiale, i quali fra qualche secolo
potranno essere studiati con interesse e forse anche con diletto,
come un bel caso di patologia sociale, ma intanto procacceranno
sofferenze inenarrabili a coloro, che ne saranno stati gli spettatori
e le vittime.
Ma, anche posta in questi termini, la questione non è di quelle
clie si possono risolvere con sicurezza, perchè molti sono gli ar-
gomenti che si possono addurre prò e contro il trionfo tempo-
raneo di una rivoluzione sociale, e gli elementi del giudizio va-
riano abbastanza da uno Stato all'altro di Europa, e variano ancora
di più se si tien conto delle colonie inglesi e degli Stati Uniti
d'America.
Certo è assai meno facile l'attuazione di un semplice tentativo di
collettivismo che l'abbattere la più salda delle dinastie regnanti.
Non bisogna infatti dimenticare che, nel presente ordinamento so-
ciale, le due redini di cui si serve qualunque Governo per condurre
una nazione, sono la burocrazia e l'esercito stanziale. Or, come
abbiamo già accennato nel capitolo VIU, nelle rivoluzioni prece-
fi) Come non l'ebbero gl'ideali dei prischi cristiani dopo il trionfo ufficiale
del Cristianesimo.
CAP. X - OONCLUSIOMB 321
denti, fatta eccezione della grande rivoluzione francese, si è cam-
biato il cavaliere, ma le redini non si sono spezzate, esse anzi hanno
continuato a funzionare.
Or se trionfasse una grande rivoluzione sociale, è assai dubbio
se il presente corpo d' impiegati ed ufficiali potrebbe continuare
nelle sue funzioni, e sopratutto è oltremodo dubbio se nelle fila
dei vincitori si troverebbe il personale adatto a surrogarli. Non
agendo più i consueti organi del Governo, si avrebbe un periodo
d'anarchia dal quale non si sa che cosa potrebbe uscire, ma che
intanto renderebbe impossibile persino la continuazione momen-
tanea di un saggio qualunque di collettivismo.
L'ordinamento presente della società fornisce poi forze di resi-
stenza immense e di cui ancora non si è esperimentato il valore.
Incalcolabile è il numero di uomini e d' interessi la cui sorte è
legata alla continuazione del regime che oggi prevale. Banchieri,
commercianti, industriali, impiegati pubblici e privati, possessori
di titoli di credito pubblico, depositari di risparmi anche piccoli,
proprietari grandi e piccini, formano un esercito numerosissimo,
i cui gregari se possono anche simpatizzare colle idee di ugua-
glianza sociale, quando si tratta di progetti vaghi ed a lunga
scadenza, certo penserebbero altrimenti se ne vedessero immediata
l'esecuzione ed imminente fosse la lesione dei loro interessi.
Bisogna anche calcolare che un Governo può in certi momenti
avere il monopolio di mezzi d'azione efficacissimi, quali sarebbero
la posta, il telegrafo e le ferrovie (*), che esso può disporre dei mi-
lioni che si trovano nelle pubbliche casse, senza pregiudizio di
quelli che in un momento grave possono fornigli le Banche ed il
corso forzoso, e che esso infine ha a sua disposizione la polizia e
l' esercito stanziale, che, se non è stato già disorganizzato dalle
concessioni fatte allo spinto democratico (1), quando è saldo e
risolutamente adoperato può, anche ridotto ad un numero relati-
(*) li. bene tener presente che lo svilupparsi delle organizzazioni sindacaliste
ed il loro antagonismo con lo Stato può rendere assai meno sicuro l'uso di
questi mezzi d'azione.
(1) Alludiamo a quelle riforme mediante le quali lo si vorrebbe trasfor-
mare nella così detta nazione armata, come sarebbero la soverchia brevità della
ferma, il reclutamento regionale in tempo di pace, ecc.
O. Mosca, Elementi di S'cieusa l'oìitica. 21
322 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
vamente scarso, comprimere sempre qualunque tentativo d'insur-
rezione armata.
D'altra parte si devo tener conto della propaganda continua clie,
in tutti gli strati sociali, anche in quelli che dovrebbero essere più
inclinati alla difesa dell'ordine presente, fa la democrazia sociale.
Propaganda, che se raramente ottiene dello conversioni piene ed
intere fra gli uomini di una certa età e di una certa posizione
sociale, rende dubbiosi della giustizia della propria causa molti
di coloro, che, per interesse o per ufficio, dovrebbero combattere
la nuova corrente rivoluzionaria, e che nel momento del pericolo
può far diventare oscillanti buona parte di quelle forze, che hanno
la missione di arrestarla. E questa titul^anza può diventare un
grave fattore di sconfitta se è complicata colla lenta azione dis-
solvente, che in tutti gli organi dello Stato esercita il regime
parlamentare. Come si può esigere infatti fermezza nel pericolo,
ed un servizio scrupoloso e leale senza debolezze ed esitazioni, da
una macchina burocratica abituata al mutevole arbitrio dei suc-
cessivi Ministeri ; da Prefetti ed ufficiali di i)olizia cambiati pe-
riodicamente in agenti elettorali? Quale affidamento potranno
dare uomini, che, per obbligo quasi di ufficio, non devono avere
fedeltà e devozione sincera per alcun principio, per alcuna per-
sona, che devono combattere oggi colui al quale ubbidirono fino
a ieri, e il cui studio i^rincipale deve esser quello di non incor-
rere nella collera del padrone presente, senza farsi troppo nemico
il padrone futuro ? In questo modo si potranno formare buoni
equilibristi, adatti tutto al più per i momenti ordinari della vita
amministrativa, ma che non avranno ne l'abitudine alla cieca ob-
bedienza, né il coraggio di ardite iniziative e di assumere gravi
responsabilità, e che sopratutto mancheranno della fermezza di
mente e di cuore, così rara negli uomini abituati a transazioni ed
a ripieghi, e che pure è la qualità più indispensabile per gli alti
funzionari di un Groverno nei momenti straordinari in cui avven-
gono le rivoluzioni.
Ciò che sopratutto poi rende difficile qualunque presagio è il
fatto che il giorno in cui lo scoppio rivoluzionario avverrà (e non
è secondo noi sicuro che debba avvenire), non sarà determinato
ne dai capi della democrazia sociale, né dagli uomini che staranno
al governo dei vari Stati. Esso sarà la conseguenza o di errori in-
volontari dei gojvernanti, o di avvenimenti inconsciamente provo-
GAP. X - CONCLUSIONE 323
cati, che nessuno avrà avuto la forza d'impedire e che produrranno
in una data società una scossa ed una agitazione grandiosa (1).
Or non sappiamo, ne possiamo sapere, se l'occasione che si pre-
senterà e nella quale il partito rivoluzionario sarà in certo modo
forzato ad agire, potrà essere per questo la migliore possibile; se
allora cioè le sue forze saranno del tutto organizzate e quelle dei
suoi avversarli abbastanza disorganizzate. D'altra parte bisogna
tener presente che se il momento favorevole di iniziare la rivolu-
zione dovesse ancora per molto tempo tardare, ciò sarebbe dan-
noso ai rivoluzionari stessi. Perchè è difficilissimo mantenere a
lungo fra le masse una agitazione qualsiasi, quando non si fa al-
cuno sforzo concreto affinchè queste possano sperare che vedranno
l'attuazione di quegli ideali, che l'agitazione stessa si propone di
raggiungere ; e perchè in Francia ed in qualche altro paese, dove
si conservano le abitudini e le tradizioni della lotta a mano ar-
mata, esse andrebbero interamente perdute, e mancherebbero del
tutto quei capi, che, coll'autorità e l'esperienza acquistate nei pre-
cedenti cimenti, potrebbero meglio dirigire l'andamento delle fu-
ture rivoluzioni.
Infine il valore personale degli uomini, che reggeranno il potere
supremo nei grandi Stati d'Europa e d'America nel momento che
si giocherà la partita decisiva, se pure questa sarà giocata, costi-
tuirà un fattore non indifferente di vittoria o di sconfitta per la
democrazia sociale rivoluzionaria.
XVIII. — Ad ogni modo è certo che, anche che sia evitato
un movimento violento, ammesso pure che tra le file dei novatori
il partito detto evoluzionista abbia a conservare sempre tale pre-
ponderanza da poter impedire, per ora e per qualche generazione
ancora, una lotta a mano armata, non per questo la democrazia
sociale cesserà di essere un violento agente dissolvitore della so-
cietà moderna. Sicché se la nuova dottrina non sarà debellata,
l'ordine di cose ora prevalente rimarrà sempre in uno stato di
equilibrio instabile, e non sarà in gran parte custodito che dalla
(1) Citiamo alcuni degli avvenimenti che potrebbero provocare una rivo-
luzione sociale. Tali sarebbero, ad esem|)io, una guerra disastrosa con qualche
potenza straniera, una gravissima crisi industriale ed agricola, il fallimento
di uno 0 di parecchi grandi Stati europei.
324 ELEMENTI VI SCIENZA POLITICA
forza materiale. Or questa può bastare ad impedire, giorno per
giorno, lo scoppio di una catastrofe violenta, ma non può ridare
al consorzio civile quell'unità morale senza la quale esso non può
godere di uno stabile assetto (1). Ci pare perciò indiscutibile che
la civiltà europea, se sarà costretta a stare lungamente e diutur-
namente sulle difese contro le tendenze delle scuole socialiste, sarà,
per questo solo, costretta a decadere. E la decadenza si manife-
sterà tanto se vorrà con esse transigere, far concessioni e quasi
venire a patti, come fra poco meglio vedremo, quanto se adotterà
un sistema di coazione e di resistenza assoluta, per mantenere il
quale dovrà abbandonare buona parte delle sue idealità, diminuire
la libertà del pensiero ed adottare nuovi tipi di governo, che se-
gneranno una vera diminuzione nella tutela della giustizia e
nella difesa giuridica.
Rimedi se ne sono suggeriti molti e certo buona parte di essi
non è da respingere; ma, anche i migliori, se accrescono, come già
abbiamo visto, la forza di resistenza del malato, non tolgono la
vera causa della malattia. Di questa specie di farmachi abbiamo
teste parlato e non crediamo opportuno di ritornarci sopra. Se si
migliora l'economia nazionale, se si diminuiscono le imposte, se si
rende più equa ed efficace la giustizia, se si tolgono tutti gli abusi
che si possono fare scomparire, sarà certo per la società un bene
non disprezzabile; ma la democrazia sociale, che aspira alla giu-
stizia assoluta ed all'uguaglianza assoluta, le quali mai si potranno
ottenere, non disarmerà certo per questo e non perdonerà alla
società borghese solo perchè essa confesserà in parte le sue colpe
e farà penitenza; giacché, diversamente del Dio dei cristiani, il
vero socialista di fronte all'ordinamento economico presente vuole
la morte del peccatore, non già che si converta e viva.
Un secondo ordine di rimedi nel quale molto hanno sperato
uomini di Stato e qualche sovrano moderno, consiste nell'applicare
(1) Abbiamo già detto al capitolo VII che la forza brutale può da sola
reprimere o anche sopprimere una corrente d'idee e di passioni solo quando
essa è adoperata senza scrupoli e senza riguardi, quando cioè è accompagnata
da una crudeltà che non si arresta davanti il numero delle vittime.
Or, anche non tenendo conto che un tale uso della forza non è certo desi-
derabile, ai nostri tempi e coi nostri costumi esso è anche impossibile, almeno
fino a quando non sarà provocato da eccessi analoghi dei rivoluzionari.
CONCLUSIONE 326
rintervento dello Stato a sanare o diminuire molte delle ingiu-
stizie, delle sofferenze, che sono il prodotto dell'individualismo
economico, della concorrenza spietata che si fanno proprietari e
grandi industriali, e che hanno per effetto la miseria e l'incertezza
del domani per i proletari salariati. Anche su questo punto noi ci
siamo già abbastanza spiegati nel capitolo VI del presente lavoro.
Abbiamo infatti già detto che iron vi è una quistione sociale, ma
vi sono molte quistioni sociali, e che, caso per caso, l'intervento
dello Stato, ossia della burocrazia e delle alt^^e classi dirigenti or-
ganizzate, può essere giustificato o respinto. Certo vi sono esempi
in cui quest'intervento, moderatamente usato, può essere accolto,
come avviene per la limitazione di certi lavori per le donne ed i
fanciulli. Non negheremo anche che per quel che riguarda la ca-
rità, l'assistenza pubblica o la mutua assistenza, l'organizzazione
moderna sia affatto insufficiente; poiché fra lo Stato ed il grosso
Comune, strumento dello Stato, enti troppo grandi, entro i quali
l'individuo sparisce ed è dimenticato, e la famiglia moderna ri-
dotta ornai alla massima semplicità, alla minima espressione pos-
sibile, nella quale neppure i fratelli sentono spesso il dovere di
aiutare i loro consanguinei, non vi sono organismi intermedia Tali
erano fra noi nell'antichità, nel Medio Evo e fino a qualche secolo
fa, le corporazioni e le fratellanze d'arte e di professione, e orga-
nismi consimili si trovano anche ora in tutte le altre civiltà (1).
Essi impongono certi obblighi a coloro che ne fanno parte; ma
(1) Ad esempio nell'India coloro che in ogni città o villaggio appartengono
alla atessa casta, o meglio alla stessa suddivisione di casta, si assistono e si
aiutano reciprocamente. Anche fra i maomettani l'assistenza reciproca è di
rito fra i membri della stessa tribù. In China la famiglia è molto più nume-
rosa che in Europa, giacché ordinariamente coabitano ed hanno comunità di
interessi i discendenti delio stesso antenato fino alla terza generazione. Nel
Giappone, a quanto ci ha assicurato il chiarissimo professore Paternostro che
vi ha abitato diversi anni, gli abitanti dello stesso villaggio o dello stesso
quartiere di una città si credono consuetudinariamente obbligati a soccorrere
un vicino che ha subito un disastro; se, ad esempio, gli s'incendia la casa,
glie la ricostruiscono a spese comuni.
Nell'occidente d'Europa, e specialmente nelle grandi città, la famiglia da
cui si può ricevere assistenza e praticamente ridotta al padre, alla madre ed
ai figli finché sono minorenni. Sicché, se il capofamiglia, che vive di lavoro,
per un accidente qualsiasi vede interrotti per qualche mese i suoi guadagni,
la miseria e la disperazione sono inevitabili.
326 BLKMEMTI DI 80IBKZA POLITICA
riconoscono pure in ossi certi diritti e sopratutto impediscono che
l'individuo o la famiglia, colj)iti da un momentaneo disastro, siano
lasciati nell'abbandono e ridotti alla disperazione. Indiscutibilmente
(quindi da questo lato qualche cosa vi è da rifare, e forse baste-
rebbe che i Groverni lasciassero fare perchè spontaneamente si an-
dassero ricostituendo quelle solidarietà naturali, che per formarsi
hanno principalmente bisogno di un lungo periodo di stabilità
nelle ijopolazioni e negli interessi economici (1).
Ben altro però è ciò che ordinariamente si pretende dall'inter-
vento dello Stato; perchè si vorrebbe da molti che questo diret-
tamente influisse sulla distribuzione della ricchezza, togliendo,
mediante le imposte, ai ricchi il sui)erfiuo per darlo ai poveri. Or
questo concetto, che raccoglie molte simpatie anche tra i conser-
vatori, come quello che tende a contentare tutti i numerosissimi
socialistoidi^ cioè quella turba grandissima, che, senza essere
ascritta al partito collettivista od all'anarchico, forma quell'am-
biente di simpatia nel quale i detti jjartiti possono prosperare e
propagarsi, è veramente pericoloso. Non bisogna infatti dissimu-
larsi che una sua applicazione alquanto larga, colpendo troppo
gravemente il capitale, o pretendendo, ad esempio, d'imporre un
dato tipo di cultura delle terre, ucciderebbe ciò che i Francesi
chiamano la vacca da latte; cioè farebbe diminuire grandemente
la produzione della ricchezza e quindi aumenterebbe la miseria
ed il malcontento in tutti gli strati sociali. Inaugurando un simile
sistema, non si avrebbe il collettivismo, non sparirebbero le dis-
uguaglianze sociali, e quindi resterebbe sempre ai novatori qualche
cosa di sostanziale da chiedere, ma si turberebbe oltremodo tutta
l'economia della società detta borghese e se ne disorganizzerebbe
(l) Ciò che si chiama V individualismo europeo, il fatto cioè che ognuno
deve pensare solo per aè e Dio per tutti, è stato in questo secolo prodotto
in parte dai frequenti spostamenti di fortuna, per i quali si rompono od al-
lentano i legami di famiglia, di colleganza, di vicinato, ed in parte maggiore
dalla soverchia mobilità della popolazione, dovuta alla creazione di nuovi
centri industriali, nuove grandi città, ecc. Infatti è principalmente nelle
grandi città, abitate in gran parte da una popolazione avventizia, dov'è raro
che una famiglia risieda per dieci anni nella stessa casa, e dove non si sa
quasi mai chi sia il proprio vicino di casa, che avvengono i più dolorosi casi
di abbandono, nei quali un individuo od una famiglia, soli in mezzo ad una
moltitudine, possono in qualche caso arrivare a morire letteralmente di fame.
CAP. X - CONCLUSIONE 327
del tutto il funzionamento. Che i seguaci del Marx caldeggino
transitoriamente l'applicazione del sistema accennato è naturale
ed è logico; perchè è il solo che possa ridurre la società al punto
da rendere desiderabile un esperimento di collettivismo; ma ci
pare molto strano che quelli, che le loro teorie non accettano,
sperino di neutralizzarle e combatterle agendo in modo da peg-
giorare le condizioni economiche di tutti e riducendo quasi tutti
nella condizione di attendere un miglioramento dal collettivismo (1).
Il socialismo cristiano, e più specialmente quello cattolico, è in-
fine ritenuto da molti mezzo adattissimo a neutralizzare quello
ateo, materialista e rivoluzionario, e sforzi lodevolissimi, e non del
tutto inefficaci, si sono fatti e si fanno in questo senso. Non bi-
sogna però avere una fiducia illimitata in questa diversione. Come
abbiamo già accennato, il Cristianesimo ed il socialismo, sebbene
ambidue profittino di quella sete di giustizia e d'ideale, che è cosi
comune negli uomini, pur costretti a vivere in un mondo dove
esistono tante nequizie delle quali essi stessi sono gli autori, si
appoggiano poi ad altri sentimenti, che nelle due dottrine sono
tutt'altro che identici. I loro metodi di propaganda, le loro aspi-
razioni sono anche essenzialmente diverse, e diversissimo è l'am-
biente intellettuale, che è loro necessario per prosperare. Giacché
la base del Cristianesimo è la fede nel soprannaturale, in un Dio
(1) Alcune delle misure che molti caldeggiano, credendole una giusta sod-
disfazione alle aspirazioni dei socialisti, sarebbero : il diritto al lavoro, cioè
l'obbligo imposto allo Stato di si^endiare tutti i disoccupati ; la suddivisione
forzata dei latifondi, che equivarrebbe alla prescrizione d'introdurre la piccola
cultura anche colà dove essa non ha le condizioni naturali per vivere ; il
massimo di otto ore di lavoro, stabilito, non per mutuo consenso fra operai
e capitalisti, ma per legge dello Stato; il tasso minimo dei salari stabilito
pure per legge dello Stato; l'imposta unica e fortemente progressiva, ecc., ecc.
Ognuno che abbia una mediocre conoscenza delle leggi economiche vede subito
come basterebbe l'applicazione dei provvedimenti accennati per fare sparire
nel volgere di pochi anni qualunque capitale privato. Bisogna però confessare
che i Governi di molti paesi d'Europa si sono messi in una via tale, che,
senza gravi strappi alla logica ed all'equità, diffìcilmente possono respingere
tutte queste e le analoghe aspirazioni dei socialisti e socialistoidi.
Infatti quando si eleva artificialmente il prezzo del patte, sotto lo specioso
pretesto che bisogna assicurare ai proprietari un minimo di rimunerazione
pìr la coltura del grano, come si può negare all'operaio che si stabilisca il
prezzo minimo del suo lavoro? - <
328 F.r.EMKNTI DI SCIENZA POLITICA
che vede le lacrime dei miseri e li consola in questa vita e li
premia nell'altra; mentre il socialismo, nato dalla filosofia razio-
nalista del secolo passato, si fonda sullo dottrine materialiste, che
insegnano tutta la felicità consistere nell'appagamento degli istinti
e delle passioni terrene. Sono perciò due piante di natura diffe-
rentiss'nsna, che possono benissimo contrastarsi gli umori del suolo,
ma delle quali è impossibile tentare lo scambievole innesto. E vana
perciò la speranza che il ramoscello cristiano inserito nel tronco
socialista ne possa modificare i frutti, togliendo loro ogni sapore
aspro, ogni virtù nociva, e rendendoli dolci e salubri; ed il socia-
lismo cristiano invero altro non è e non può essere che un nome
nuovo applicato ad una cosa vecchia, cioè alla carità cristiana. La
quale può senza dubbio rendere ancora grandissimi servigi alla
società europea, ma potrebbe interamente distruggere il socialismo
ateo e rivoluzionario solo quando il mondo divenisse di nuovo tal-
mente imbevuto di spirito cristiano, come lo fu nei secoli meno
colti del Medio Evo.
XIX. — Nelle condizioni presenti della civiltà europea, il ri-
medio che può colpire il male alla radice, quello che, facendo spa-
rire i succhi vitali dei quali l'albero si nutre, può solo farlo dis-
seccare, è ben altro. La democrazia sociale, come crediamo di aver
già dimostrato, è principalmente una malattia intellettuale del
secolo nostro. E, sebbene essa abbia trovato propizio anche l'am-
biente morale, preparato da tutti i rancori, le ambizioni e le cu-
pidigie, che sono la necessaria conseguenza di un lungo periodo
rivoluzionario e dagli spostamenti di fortuna che a questo vanno
uniti, sebbene le sia stata sommamente giovevole la disillusione
prodotta dalla democrazia parlamentare, che dovea inaugurare
nel mondo il regno della giustizia e dell'uguaglianza ed ha così
male adempiuto ai suoi impegni, pure l'origine della nuova dot-
trina è dovuta ad un dato sistema d'idee, che in fondo è la conse-
guenza logica di quello al quale l'antica democrazia pura si era
inspirata.
La credenza nella possibilità che il Governo emani dalla mag-
gioranza, la fede nella incorruttibilità di questa maggioranza, la
fiducia assoluta che gli uomini emancipati da ogni principio d'au-
torità, che non abbia la sua base nel consenso universale, da ogni
superstizione aristocratica, monarchica e religiosa, potranno inau-
GAP. X - CONCLUSIONE 329
gurare quel regime politico, che più risponde agli interessi gene-
rali ed a quelli della giustizia, hanno formato quel complesso di
idee e di sentimenti, che ha combattuto e combatte le credenze
cristiane nel popolo ed è il principale ostacolo a qualunque com-
promesso con la Chiesa. Lo stesso ordine d'idee e di sentimenti
ha prodotto la democrazia parlamentare e, come abbiamo visto,
impedisce ora che si applichino al parlamentarismo rimedi radi-
cali; e lo stesso infine è quello che ci porta inesorabilmente verso
il socialismo ed in ultimo verso l'anarchia.
Poiché, dopo che l'esperienza ha dimostrato che la semplice
uguaglianza politica, estrinsecata col suffragio universale, non pro-
duce l'uguaglianza di fatto e mantiene la preminenza di una data
classe e di certe influenze sociali, è naturale ed è logico che si
escogiti un sistema, che distrugga le disparità delle fortune pri-
vate e ponga in condizioni uguali coloro che, aspirando a reggere
la società, domandano il suffragio del popolo. E, dopo che un'espe-
rienza un po' più matura avrà accertato, o semplicemente fatto
intuire, che neanche in questo modo si avrà un Governo che sia
la sincera emanazione della volontà della maggioranza, e che molto
meno si avrà la giustizia assoluta, sorgerà, come ultimo portato
di un concetto metafisico che invano ha corso verso la sua realiz-
zazione, la dottrina che caldeggia la fine di qualunque tipo di or-
ganismo sociale, e perciò l'anarchia,
La verità è quindi che la dottrina democratica, che pure ha
reso innegabili servigi alla civiltà, e che, incarnandosi nel sistema
rappresentativo del quale ha trovato il modello in Inghilterra,
ha contribuito alla realizzazione di importantissimi migliora-
menti nella difesa giuridica, ottenuti mercè un regime di libera
discussione che si è applicato in tante parti d'Europa, ora che
si è arrivati alle sue ultime deduzioni logiche, e che i principi!
sui quali è fondata si vogliono attuare fino alle loro ultime con-
seguenze, produce la disorganizzazione ed il decadimento dei
paesi nei quali prevale (1). Ed è necessario che sia cosi; perchè
(1) Non sarebbe il primo caso di una società che decade perchè si sono
voluti applicare fino alle ultime conseguenze logiche quei principii, quelle
dottrine, quei metodi, che in origine fecero la sua grandezza. Ad esempio, la
forte organizzazione burocratica fu nei primi tempi forza grandissima dell'im-
pero romano, che mercé di essa potè assimilare tanta parte del mondo, e
330 ELEHBNTI DI 8CIBNZA POLITICA
la detta dottrina, sotto apparenze pseudo-scientifiche, è in fondo
I)orfettamente apriorista. Infatti le sue premesse non sono in nulla
giustificato dai fatti, giacché, nelle società umane, l'uguaglianza
assoluta non è mai esistita, ed il potere politico non è stato o non
sarà mai fondato sul consenso esplicito della maggioranza; perchè
esso è stato e sarà sempre esercitato da quella minoranza orga-
nizzata che ha avuto od avrà i mezzi, variabili secondo i tempi,
di imporre la sua supremazia alla moltitudine. Abbiamo già visto
che solo un'organizzazione sapiente ed un numero veramente
grande di circostanze storiche favorevoli hanno potuto rendere
questa preponderanza della classe dirigente meno pesante ed
abusiva.
Scrisse Renan che l'Impero romano avrebbe potuto arrestare il
propagarsi del Cristianesimo ad una sola condizione: diffondendo
cioè quell'insegnamento positivo delle scienze naturali che solo può
sviluppare il senso del reale e che, col porre in chiaro che nei
fatti naturali il nostro mondo ubbidisce a leggi immutabili, riesce
a sradicare dallo spirito umano la credenza nei miracoli e nell'in-
tervento continuo del soprannaturale (1). Ma allora le scienze na-
turali erano appena in uno stato embrionale, ed il Cristianesimo
trionfò. Ora, nel mondo in cui viviamo, il socialismo sarà solo ar-
rostato se la scienza politica positiva arriverà nelle discipline so-
ciali a schiacciare del tutto gli attuali metodi aprioristici ed ot-
timisti, se cioè la scoperta e la dimostrazione delle grandi leggi
costanti, che si manifestano in tutte le società umane, metterà a
nudo l'impossibile attuazione della concezione democratica. A questo
patto, ma a questo patto soltanto, le classi intellettuali saranno
interamente sottratte all'influenza della democrazia sociale e for-
meranno un ostacolo invincibile al suo trionfo.
Finora questo o quell'altro postulato dei socialisti è stato dagli
l'eccesso della burocratizzazione divenne poi una delle cause principali del
decadimento di quell'impero. Il fanatismo e la fede cieca ed esclusiva nel
Corano furono il coefficiente più importante della pronta diffusione della
civiltà maomettana, ma, col correre dei secoli, diventarono anche la ragione
precipua della sua immobilità e decadenza.
(1) Questo giudizio, che si trova implicito in tutte le opere dell'egregio
autore, è espresso esattamente nel Marco Aurelio al capitolo XXI. Vedi
Marc-Aiirèle et la fin du monde antique. Paris, 1882, Calman Lévy.
CAP. X - OONCLUaiONE 331
studiosi di scienze sociali, e sopratutto dagli economisti, studiato
in modo da farne rilevare l'evidente fallacia. Ma ciò non basta,
perchè equivale a dimostrare falsi uno^ parecchi miracoli senza
distruggere la fede nella possibilità dei miracoli. \A<Z un intero
sistema metafìsico si deve opporre un intero sistema positivo.
Scrisse pure recentemente un altro egregio autore che '' nell'inse-
gnamento superiore, agli errori del marxismo bisogna contrapporre
le teorie dell'Economia politica e della sociologia positiva, perchè
gl'intelletti giovanili non restino in balia di chimere ad essi pre-
sentate come gli ultimi risultati della scienza „ (1). Saggie e giuste
parole, ma che finora contengono più l'espressione di un lodevole
desiderio che l'indicazione di un rimedio di pronta e sicura effi-
cacia. Eccellente cosa è invero lo studio dell'Economia politica,
ma non basta da solo a bandire dalla mente le chimere alle quali
si accenna. Perchè questa disciplina, che ha acutamente indagato
le leggi che regolano la produzione e la distribuzione della ric-
chezza, non si è consacrata eziandio a studiare i rapporti che
hanno con le altre leggi che spiegano la loro azione sull'organiz-
zazione politica delle società umane; perchè gli economisti non
si sono dedicati ad osservare quelle credenze, quelle illusioni col-
lettive, che possono diventare, in una data società, generali e for-
mano tanta parte della storia del mondo; essendoché è risaputo
che l'uomo non vive di solo pane. E in quanto poi alla sociologia
positiva^ l'egregio autore che abbiamo citato ci permetta di cre-
dere che finora non siasi manifestata, almeno nella maggioranza
delle sue dottrine, come scienza matura ed indiscutibile. Ci pare
infatti che, nella seconda metà del secolo decimonono, la concor-
renza alla metafìsica democratico-socialista sia stata fatta solo da
altri sistemi sedicenti positivi, ma ugualmente metafisici, che hanno
anche meno riscontro nella vita reale dei popoli e sono anche meno
suscettibili di j)ratiche applicazioni. Fra le diverse metafisiche è
naturale che la prevalenza sia rimasta a quella che meglio sa
lusingare le passioni più vive e più generali.
Arduo quindi è il compito che resta alla scienza politica. E lo
sarà tanto più, perchè le verità, che è sua missione di rivelare,
non saranno generalmente gradite ed urteranno molte passioni e
(1) GAnoFALo, opera citata, pag. 240.
332 KLKMKNTI DI 8CIBNZA POLITICA
molti interessi. È quindi molto probabile che, malgrado l'abitu-
dine alla libera discussione che distingue i nostri tempi, la diffu-
sione dei nuovi risultati scientifici incontrerà ancora una volta
quegli ostacoli, che hanno ritardato i progressi dogli altri rami
dello scibile. Né è da credere che le nuovissimo dottrine potranno
trovare un appoggio nei Governi, in quelle classi dirigenti, che
dovrebbero pure sostenerle. Perchè gli interessi, di qualunque na-
tura siano, amano la polemica, non la discussione spassionata, e
sostengono solo la teoria che serve ad un fine particolare ed im-
mediato, che giustifica un uomo, sostiene un dato Governo od un
partito; non già quella che potrà portare pratiche conseguenze
solo in momenti relativamente lontani e nell'interesse generale
della società. Se la scienza quindi finirà col trionfare, la sua vit-
toria sarà, ora come sempre, dovuta alla coscienza degli studiosi
onesti, per i quali, sopra ogni altra considerazione, sta il dovere
di ricercare ed esporre la verità.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da circa un secolo. — II. Cause
estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo. — III. Cause intrinseche
della sua mancata diffusione e cenni sui modi di eliminarle.
I. — La dottrina la quale afferma che, in tutte le società
umane arrivate ad un certo grado di sviluppo e di cultura, la di-
rezione politica nel senso più largo dell'espressione, che comprende
quindi quella amministrativa, militare, religiosa, economica e mo-
rale, viene costantemente esercitata da una classe speciale, ossia
da una minoranza organizzata, è più antica di quanto comune-
mente si crede anche da parecchi di coloro che la propugnano.
Perchè, pur non tenendo conto che i fatti, sui quali si fondano
i suoi principi fondamentali, sono così evidenti e comuni che non
poterono mai intieramente sfuggire alla osservazione volgare, so-
pratutto se sgombra da preconcetti teorici, e che vaghi accenni
e più o meno chiare intuizioni di essa si possono qua e là rinve-
nire perfino in qualche scrittore politico di secoli abbastanza
lontani dal nostro, come sarebbe il Machiavelli (1), certo è che le
linee fondamentali della dottrina accennata furono tracciate in
modo abbastanza preciso ed evidente circa cento anni fa negli
scritti del Saint-Simon.
(1) Come quando afferma che * in qualunque città, in qualunque modo or-
dinata, ai gradi del comandare non giungono mai più di quaranta o cinquanta
persone ,. Vedi Discorsi, Cap. XVI.
336 KliEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Difatti fin cVallora questo autore, del quale ancora non è abba-
stanza nota ed apprezzata la i)rofonda originalità, esaminando le
condizioni morali e politiche della società medioevale e paragonan-
dole a quelle della società a^li inizi del secolo decimonono, affer-
mava che nella i)rima prevaleva l'elemento militare e teologico,
e perciò all'apice della x>iramide politica stavano i sacerdoti ed i
capi militari, mentre nella seconda le funzioni principali ed essen-
ziali per la vita sociale erano quella scientifica e quella industriale,
e quindi la direzione politica doveva essere affidata a coloro che
avevano la capacità di far jprogredire la scienza e di dirigere la
produzione economica. E con ciò non solo veniva a stabilire im-
plicitamente la immanente necessità di una classe dirigente, ma
chiaramente proclamava che essa doveva possedere i requisiti e le
attitudini che, in una data epoca ed in un dato tipo di civiltà,
sono alla direzione sociale più necessari (1).
Figliuolo intellettuale di Saint-Simon fu il suo allievo Augusto
Comte (2), il quale nel suo Sistema di politica positiva ossia di
sociologia^ pubblicato verso la metà del secolo decimonono, svi-
luppò, modificandole, alcune delle idee fondamentali del suo antico
maestro, sostenendo che la direzione della società doveva in avve-
nire spettare ad un'aristocrazia scientifica, che egli apjjellava sa-
cerdozio scientifico, ed affermando che questo regime sarebbe stato
una conseguenza necessaria del periodo positivo al quale era per-
venuta la mentalità umana nel secolo scorso, in contrapposto allo
(1) Vedi Olindo Rodriguez, Saint-Simon et son premier écrit, Paris, Librairie
Saint-Simonienne, 1832. Il volume contiene realmente tre dei principali scritti
di Saint-Simon, cioè le Lettere ad un abitante di Ginevra, la sua. Parabola poli-
tica ed il Nuovo Cristianesimo. Come pure vedi le (Euvres de Saint-Simon et
d'Enfanfin, Paris, Dentu, anno 1865 e se.s^uetiti. In questa grande raccolta, che
consta di 47 volumi, si trovano pubblicati scritti di Saint-Simon nei voi. 15,
16, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 37 e 39. I concetti che abbiamo accennato nel testo
formano i capisaldi delle dottrine di Saint-Simon e si trovano ripetuti in quasi
tutte le sue pubblicazioni. Crediamo superfluo ricordare che il Saint-Simonismo,
il quale si costituì e si difl'use alcuni anni dopo la morte di Saint-Simon, si
allontanò molto dalle idee del primo Maestro da cui prese il nome. In pro-
posito si può pure consultare il lavoro di Paul Jankt, sopra Saint Simon et le
Satnt-Simonisme, Paris, Germer-Baillière, 1878.
(2) La influenza intellettuale esercitata da Saint-Simon sopra Augusto Comte
è assai bene rilevata da Geoege Dumas ; vedi Psychologie de deitx Meesies positi-
tistes, Paris, Felix Alcan editore, 1905, pagina 255 e seguenti.
PABTK II. GAP. I - ORIO. DSLLA DUTTR. DELLA SCIENZA POLITICA KCO. 337
stadio teologico ijrevalente nell'antichità classica ed a quello me-
tafìsico prevalente nel Medio Evo (1). Circa venti anni dopo, poco
dopo il 1870, Enrico Taine spiegava magistralmente le cause prime
della grande rivoluzione francese colla necessità di sostituire una
nuova classe dirigente alla vecchia, che le antiche attitudini al
comando avea perduto e quelle che i nuovi tempi richiedevano
non aveva saputo acquistare; e poco prima, il Marx e l'Engels
aveano formulato la teoria per la quale lo Stato sarebbe stato
sempre nel passato, e sarebbe ancora oggi nella società borghese,
il rappresentante della classe padrona degli strumenti di produ-
zione economica. Dottrina che rimanda quindi alla fine di un'evo-
luzione, che dovrebbe fatalmente condurre al collettivismo, l'inizio
di una forma di regime politico ed economico nel quale la col-
lettività intiera, impadronitasi alla sua volta degli strimienti
accennati, non sarà più sfruttata a benefìcio di una minoranza.
Perciò più di sessanta anni erano trascorsi dopo le pubblicazioni
di Saint-Simon, e la prima unica fonte si era già suddivisa in di-
verse correnti, assai divergenti l'una dall'altra, quando, sullo scorcio
del secolo scorso e nei primi anni di quello presente, la nuova vi-
sione del mondo politico veniva proclamata e propalata da un
certo numero di scrittori di vari paesi, che ad essa spesso erano
arrivati per vie diverse ed avendo scarsa od imperfetta conoscenza
gli uni degli altri e dei loro primi predecessori. Ciò che, se qualche
volta aggiungeva alla loro percezione qualche cosa di spontaneo
ed originale, qualche altra volta la guidava per vie senza uscita
o l'arricchiva di dettagli facilmente confutabili. Quando si farà la
storia della nuova dottrina della classe politica non sarà diffìcile
l'attribuire ad ogni scrittore la parte di merito che avrà avuto
nell'apportare il suo contributo di materiale buono, mediocre o
cattivo nella costruzione dell'edificio, e distinguere anche quale
materiale era perfettamente nuovo e quale già usato. Per ora ba-
sterà ricordare a titolo di cronaca che nel 1881 veniva alla luce
la Lotta delle razze di Gumplowicz (2), che riconosceva in ogni
organismo politico l'esistenza di due classi dirigenti, delle quali
l'una si riservava la direzione amministrativa e militare e l'altra
(1) Vedi CoMTK, Système de poUtique positive, ParÌ3, Carillan ed., 1853.
(2) Il Grundriss der Sociologie, nel quale l'autore ribadiva e sviluppava i
concetti espressi nel Rassonkiimpf, comparve nel 1885.
G. Mosca, Elementi di Scinnsa Politica. 29
338 KLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
quella industrialo, commerciale e bancaria, e fondava sopra la
diversità dello origini etniche la differenziazione fra queste due
classi ed il loro predominio su quella diretta, e nel 1883 veniva
pubblicata la nostra Teorica dei f/overni, nella quale, esaminando
l'intimo funzionamento dei regimi democratici, si dimostrava come
anche in essi perduri la necessità di una minoranza organizzata
che, a dispetto delle api)arenze e dei principi sui quali legalment*-
poggia lo Stato, conserva la direzione reale od effettiva di esso.
Negli anni successivi venivano pubblicate la prima edizione degli
Elementi di scienza politica ed a tacere di altri, le opere del-
l'Ammon, del Novikof, del Rensi, del Pareto e del Michels d).
Sicché, in parte per opera degli scrittori menzionati, ed in parte
forse anche maggiore per quella spontanea maturità dell'esperienza
collettiva per la quale il pensiero di una generazione, quando non
si cristallizza nell'adorazione cieca degli insegnamenti degli ante-
nati, arriva a profondità un poco più grandi di quelle raggiunte
dalle generazioni precedenti, si può affermare che oggi il concetto
dell'esistenza necessaria di una classe dirigente è entrato, in modo
più o meno preciso, nella coscienza di tutti coloro che, nei paesi
più colti d'Europa, pensano, meditano o parlano sui fenomeni sto-
rici e politici. Difatti vediamo comunemente attribuire, più che
all'ignoranza delle masse o all'arbitrio dei reggitori supremi, alla
incapacità ed insufficienza delle classi dirigenti gli insuccessi delle
(1) Delle dottrine del De Gobineau e del Lapouge basate sulla superiorità
etnica della classe dirigente ci siamo già occupati nella prima parte di questo
lavoro (Capitolo ì", paragrafo 10). Riguardo agli autori ora citati I'Ammon avea
già pubblicato nel 1893 Die naturliche Auslese beim Menschen, Jena, edizione
Fischer, e nel 1898 venne alla luce la prima edizione tedesca deWOrdre social
et ses bases naturelles (Paris, Librairie Thorin, 1900), nel quale la teoria del-
l'immanenza necessaria della classe politica, basata sopra una selezione natu-
rale che accadrebbe negli strati sociali superiori, è largamente sviluppata.
Quanto agli altri scrittori citati vedi Novikof, Conscience et volontà sociale,
Paris, Giard e Briere ed., 1897; Rensi, Les anciennes Wgimes e La democrazia
diretta. Bellinzona, 1902; Pareto, Les si/Hèmes socialixte^, Paris, Saint-Aniand,
1902, ed il Trattato di sociologia generale, Firenze, Barbèra, 1916; Michkls
Roberto, La sociologia del jìartito politico nella democrazia moderna, Torino,
Unione Tip., 1912. In questo lavoro, del quale comparve un'edizione tedesca
nel 1911, l'A. dimostra con validissimi argomenti che anche i errandi partiti
democratici e socialisti sono inevitabilmente guidati, e spesso con ferrea di-
sciplina, da minoranze organizzate.
PAKTE II. GAP. I - ORIG. DELLA DOTTE. DELLA SCIENZA POLITICA ECC. 339
varie nazioni e le catastrofi che le minacciano. Ciò che, per con-
seguenza logica, porterebbe ad attribuire all'azione illuminata delle
stesse classi i successi, quando questi si conseguiscono. E bisogna
aggiungere che alla divulgazione dell'idea accennata ha proceduto
parallela la lenta erosione di quella concezione ottimistica della
natura umana che, nata nel secolo decimottavo, occupò un posto
preponderante nella mentalità europea durante quasi tutto il secolo
decimonono. Concezione per la quale si credeva che, distrutte le
ineguaglianze legali, fosse possibile una elevazione morale ed in-
tellettuale indefinita in tutti gli strati sociali, in modo da renderli
tutti ugualmente capaci di reggere la cosa pubblica. Il quale modo
di. vedere evidentemente è il solo che possa fornire una base mo-
rale ed intellettuale a ciò che comunemente s'intende per demo-
crazia, cioè al governo dello Stato per opera della maggioranza
numerica dei consociati.
II. — Dopo quanto abbiamo detto, può destare ragionevole
maraviglia la scarsa efficacia pratica che la nuova dottrina ha
esercitato ed esercita non solo nello svolgersi delle istituzioni
politiche, ma anche nella scienza ufficiale e non ufficiale. G-iacchè
anche coloro che ammettono l'esistenza della classe politica, ed
il non ammetterla equivarrebbe alle volte a negare l'evidenza,
molto spesso non ragionano come se il fatto fosse inevitabile, non
ne traggono le conseguenze necessarie, e quindi non si servono
della nozione accennata come di un filo conduttore che deve gui-
darci nell'indagine delle cause che preparano e producono gli
effetti, i quali alle volte spingono le società umane verso la pro-
sperità e la potenza, alle volte le inabissano nel disfacimento e
nell'anarchia. A nulla giova infatti l'attribuire il merito del suc-
cesso, o la responsabilità dell'insuccesso, alla classe dirigente se non
se ne scrutano i congegni, nell'azione dei quali si può ritrovare
la spiegazione della sua forza o della sua debolezza. E con ciò
si è già accennato ad una delle cause della sterilità pratica delhi
nuova dottrina; cause che però vanno piuttosto largamente esa-
minate e che, per facilitarne l'esame, divideremo in due categorie :
in estrinseche, cioè estranee all'essenza ed allo svolgimento della
dottrina stessa, ed intrinseche, ossia dovute a difetti o manche-
volezze di essa.
La prima delle cause estrinseche, e si potrebbe dir anche la prin-
340 BliBMENTI DI SCIENZA POLITICA
cipale, consiste nel fatto che finora tutte le istituzioni \'igenti in
Europa sono basate sopra altre dottrino, delle quali qualcuna è di-
versa e quasi estranea a quella della quale ci occupiamo e qualche
altra con essa in antitesi perfetta. Difatti i Governi rappresenta-
tivi, ora quasi da per tutto prevalenti nei paesi di civiltà europea,
in parte sono modellati secondo i precetti del Montesquieu, che
nella triplice partizione dei poteri sovrani fa consistere l'essenza
e la guarentigia della libertà politica, ed in ])arte sempre mag-
giore sopra quelli di Rousseau, a tenore dei quali soli poteri legit-
timi sono quelli che rappresentano la volontà della maggioranza
numerica dei cittadini ed il diritto al suffragio viene considerato
come un diritto innato, dal quale nessun individuo può essere
ragionevolmente ed onestamente escluso.
Or il regime democratico ha per se, a preferenza di altri, una
grande forza conservatrice, la quale consiste nella necessità che
hanno i suoi naturali avversari di accettarlo ufficialmente se vo-
gliono eluderne, in parte maggiore o minore, le conseguenze. Tutti
coloro infatti che per ricchezza, cultura, intelligenza o furberia
hanno le attitudini e la possibilità di guidare la comune degli
uomini, in altre parole tutte le frazioni della classe dirigente,
una volta che il suffragio universale è istituito, devono inchinarsi
davanti ad esso; ed anche, occorrendo, adularlo, se vogliono par-
tecipare alla direzione dello Stato ed arrivare a quei posti dai
quali i loro particolari interessi di classe possono essere meglio
difesi. Questo omaggio ufficiale, che gli stessi naturali avversari
della democrazia devono tributarle, impedisce ad essi di profes-
sarsi pubblicamente come seguaci di teorie le quali esplicitamente
negano la possibilità di un regime democratico, come viene co-
munemente concepito, e fa si che difficilmente possa formarsi
quella coalizione di sentimenti e d'interessi, che è necessaria af-
finchè una dottrina diventi una forza attiva capace di trasformare
le istituzioni, perchè essa conquisti e penetri gli intelletti in modo
da modificare sensibilmente l'indirizzo di una società (1).
(1) Il Michels ha già rilevato la necessità dell'omaggio che, nei paesi retti
a governo rappresentativo, i partiti conservatori devono rendere alle dottrine
democratiche. Vedi opera citata e sopratutto l'articolo di quest'autore intito-
lato La democrazia e la legge ferrea dclV oligarchia, pubblicato nella * Rassegna
contemporanea ,, anno III, N. 5.
PARTE li. GAP. I - OKIG. DELLA DOTTE. DELLA SCIENZA POLITICA ECC. 341
Si aggiunga che una concezione nuova, in politica od in reli-
gione, non può acquistare molta efficacia pratica finché quella che
nella mentalità umana l'ha preceduto non ha esaurito tutta la sua
forza di espansione, o, meglio ancora, finché non ha compito il pro-
gramma storico per il quale era nata e si era più o meno rapi-
damente diffusa. Ora la moderna concezione democratica é nata
poco più di un secolo e mezzo fa, ebbe rapidissima diffusione
perchè prima in Francia, e poi immediatamente dopo nell'Europa
occidentale, la nuova classe dirigente l'adoperò subito per abbat-
tere i privilegi della nobiltà e del clero e sostituirsi in gran parte
ad essi; ma, per quanto i progressi della cennata dottrina siano
stati rapidi, alla fine del secolo decimonono la sua missione non
era certamente compiuta e, nei paesi dell'Europa orientale, l'effi-
cacia della sua azione é stata relativamente molto recente.
Perciò quando Saint-Simon, circa cento anni fa, credeva esaurito
il compito delle dottrine democratiche ed in una lettera aperta
a Luigi XVIII gli suggeriva " di non preoccuparsi del preteso
dogma della sovranità popolare, il quale non era che un'antitesi
opposta dai legisti e dai metafisici al dogma del diritto divino,
un'astrazione provocata da un'altra astrazione, e che i due dogmi
rappresentavano i residui di una lotta ornai terminata „ (1), evi-
dentemente egli commetteva un grossolano anacronismo e dimen-
ticava, o non sapeva, con quanta disperante lentezza si svolga
ordinariamente la storia in rapporto alla brevità della vita umana.
Invece il diritto divino, che Saint-Simon credeva morto e se-
polto precisamente un secolo fa, tentava ancora di resistere in
Francia nel 1830, quando Saint-Simon era già morto, con Carlo X
e con Polignac, ed in Germania ed in Russia resisteva ancora
alla corrente dei tempi fino a qualche anno fa; mentre l'altro
dogma metafisico della sovranità popolare non si affermò inte-
ramente che col suffragio universale, che la Francia adottò per
la prima in Europa solo nel 1848. Sebbene sia pure vero che.
(1) Vedi Opere di Saint-Simon ed Enfantin, tomo XXI, pag. 211. Sarà utile
ricordare che per Saint-Simon il dominio dei legisti e dei metafisici rappre-
sentava il periodo di transizione fra la dominazione dei sacerdoti e dei guer-
rieri e quella degli scienziati e degli industriali. Inoltre egli giudicava che i
legisti ed i metafisici, adattissimi a distruggere il mondo antico, si dimostra-
vano inetti a ricostruire quello moderno.
/
342 KLKMENTI DI SCIENZA POLITICA
in tulli i paesi che più o meno recentemente l'hanno adottato,
si è mantenuto finora, sotto l'egida di esso, quel predominio delle
classi colto ed agiate, più o meno temperato dalle influenze della
piccola borghesia e da quelle dei rappresentanti degli interessi
di alcune categorie del proletariato, il quale ha in fondo molta
analogia con quel governo degli industriali, dei dotti e dogli artisti
auspicato dal nostro autore e che egli voleva che Luigi XVIII
iniziasse di sua autorità. E si potrebbe aggiungere che le isti-
tuzioni democratiche potranno forse ancora durare se, mediante
esse, si riuscirà a mantenere un certo equilibrio fra le varie fra-
zioni della classe dirigente e se l'apparente democrazia, fatalmente
trascinata dalla logica, che è la sua peggiore nem.ica, e dagli ap-
petiti delle classi inferiori e di coloro che le capeggiano, non
vorrà fare il tentativo di diventare realtà, integrando l'ugua-
glianza politica con quella economica e culturale.
III. — Alla principale causa intrinseca della scarsa fortuna
che ha avuto finora la dottrina della immanenza necessaria della
classe dirigente abbiamo già sommariamente accennato.
Una dottrina è un filo dal quale, non dico i profani, ma coloro
che sono iniziati nello studio di un dato ordine di fatti, vogliono
essere guidati nel laberinto che questi a prima vista presentano, e,
tanto più riesce praticamente utile, quanto più agevola e semplifica
la loro comprensione e la loro analisi; ed in questa cosa, come in
tante altre, l'apparenza basta spesso a soddisfare gli uomini quanto
la sostanza. Or certamente le antiche classificazioni delle varie forme
di regime politico, quella di Aristotile, che le divideva in monarchie,
aristocrazie e democrazie, e quella di Montesquieu, che le tripar-
tiva in governi dispotici, monarchici e repubblicani, adempivano
abbastanza bene al fine indicato. Ognuno, seguendo lo Stagirita o
l'autore dello Spirito delle leggio poteva facilmente orizzontarsi
nello stabilire la categoria alla quale apparteneva il regime politico
del proprio paese o dei paesi vicini o anche lontani e, bene stabilito
questo punto, poteva credersi facilmente autorizzato, applicando i
precetti del maestro che aveva scelto e dei suoi continuatori, a
rilevarne i pregi, i difetti ed i pericoli ed a rispondere alle obbie-
zioni che gli venivano fatte.
Invece, la semplice affermazione che in tutte le forme di go-
gerno il potere vero e reale risiede in una minoranza dirigente,
PARTE II. GAP. I - ORIO. DELLA DOTTP.. DELLA SCIENZA POLITICA ECC. 343
esautoi'a le antiche guide senza fornirne una nuova; è la con-
statazione di una verità generica, che non aiuta ad addentrarsi
nell'esame degli avvenimenti politici presenti e passati, che per sé
sola non spiega perchè certi organismi politici siano saldi ed altri
deboli, ne indica i modi e le vie per evitame la decadenza e ripa-
rare i loro possibili difetti. E l'imputare tutto il merito della pro-
sperità, 0 la responsabilità della dissoluzione politica di una società,
alla sua classe dirigente serve a poco quando non si conoscono i
vari tipi secondo i quali le classi politiche si formano e si organiz-
zano, perchè è appunto in questa varietà che bisogna ricercare il
segi'eto della loro forza o della loro debolezza.
Perciò all'affermazione sintetica e generica è necessario aggiun-
gere lo studio analitico, ricercando pazientemente i caratteri co-
stanti delle varie classi dirigenti e quelli variabili, ai quali si riat-
taccano le cause remote, quasi sempre inavvertite dai contemporanei,
della loro coesione o della loro dissoluzione. Si tratta in fondo di
adoperare il procedimento tanto usato nelle scienze naturali, nelle
quali una quantità di cognizioni, diventate ora patrimonio intan-
gibile del sapere umano, sono dovute ad intuizioni felici, in parte
confermate, in parte modificate, ma sempre sviluppate, dagli espe-
rimenti e dalle esperienze successive. E se si obbiettasse la diffi-
coltà, e si potrebbe aggiungere la quasi impossibilità, di fare
esperimenti quando si tratta di fatti sociali, si potrebbe rispondere
che la storia, la statistica e l'economia politica hanno omai rac-
colto tale un tesoro di esperienze che esso è sufficiente per ini-
ziare l'indagine accennata.
Finora gli storici, seguendo in ciò l'opinione prevalente nel pub-
blico, hanno messo sopratutto in evidenza le gesta dei capi supremi
degli Stati, di coloro che stanno al vertice della piramide politica
ed, occasionalmente, anche i meriti degli strati più bassi della
piramide, delle masse che coi loro sudori, e spesso col loro sangue,
hanno fornito ai capi supremi i mezzi materiali necessari a rag-
giungere 1 loro fini. Se la nuova visione relativa all'importanza
della classe dirigente si vuole affermare occorre che, senza negare
la valida cooperazione tanto del vertice che della base della pira-
mide, sia dimostrato che, senza l'opera degli strati intermedi, quasi
nulla di importante e duraturo l'uno e l'altra avrebbero potuto fare ;
poiché dalla maniera come questi strati intermedi sono formati e
funzionano dipende principalmente il tipo al quale un organismo
344 RLKMENTl DI S<;iEN/A COLITICA
politico appartiene e l'efficacia della sua azione. E, quando questa
dimostrazione verrà fatta, sarà reso evidente che l'opera dei capi
supremi degli Stati ha potuto lasciare di sé traccia duratura, in
generale, solo quando essa ha saputo prendere l'iniziativa di una
opportuna riforma delle classi dirigenti, e che il merito precipuo
delle classi popolari ha consistito sempre nella capacità congenita
di trarre dallo loro viscere nuovi elementi idonei a bene guidarle.
E per le ragioni esposte che intendiamo ora di continuare e svi-
luppare lo studio analitico della clas.se politica. Naturalmente non
mancheremo di valerci in proposito delle osservazioni fatte nella
prima i^arte di questo ed in altri nostri lavori, coordinandole e
completandole con osservazioni nuove, ne trascureremo di trarre
il massimo profitto che ci sarà possibile di quanto altri autori
hanno scritto sull'argomento.
Sarebbe puerile la speranza di esaurire il tema, poiché si tratta
di lavoro per il quale puft non riuscire sufficiente l'opera di tutta
una generazione di pensatori. E come se ci trovassimo davanti
un'ardua catena di montagne nella quale l'umanità, se vorrà acqui-
stare una certa conoscenza delle leggi che finora, quasi a sua in-
saputa, hanno guidato la sua azione politica, deve aprire un'ar-
ditissima strada, che dovrà inerpicarsi per cime difficili e scavalcare
abissi profondi. Non aspiriamo neppure a completarne il primo
tronco, e saremo assai soddisfatti se arriveremo a costruire alcuni
dei sentieri, che permetteranno agli ingegneri di studiare bene il
tracciato che la strada dovrà seguire e di preparare alcuni dei
progetti di quelle opere d'arte, che, per la sua costruzione, sa-
ranno indispensabili.
CAPITOLO n.
Descrizione dei diversi tipi di organizzazione politica.
I. I primi nuclei politici. — li. I grandi imperi orientali. — III. Formazione
dello Stato ellenico. — IV. Originalità e debolezze dello Stato ellenico.
I. — Volendo studiare i diversi tipi di formazione ed orga-
nizzazione della classe politica, è molto utile, per non dire indi-
spensabile, di gettare prima uno sguardo sui vari metodi secondo i
quali le società umane, che hanno raggiunto un certo sviluppo ed
hanno acquistato un posto nella storia del mondo, si sono costi-
tuite ed hanno funzionato. Questa indagine preliminare fornisce
forse la maniera più adatta e più pratica di porre in evidenza la
importanza che alla classe politica spetta in ogni organizzazione
sociale; perchè, studiando i diversi metodi seguiti nella formazione
dei vari Stati, sarà facile accertare che le differenze, per dir così
anatomiche, che in essi riscontreremo, ed i tipi, secondo i quali
queste differenze si possono raggruppare, corrispondono appunto
alla diversa formazione ed al diverso funzionamento delle loro
classi dirigenti.
Uno studio, che aveva qualche analogia con quello che ora vo-
gliamo iniziare, fu già intrapreso, più di mezzo secolo fa, quando
lo Spencer e poi i suoi seguaci, volendo costruire la nuova scienza
che essi, sull'esempio del Comte, appellavano Sociologia, credet-
tero opportuno dividere tutte le organizzazioni politiche in due
grandi tipi fondamentali: quello militare, basato sulla costrizione
con la quale i dominatori s'imponevano ai dominati, e quello indù-
;ì4G klkmknti di scienza politica
strialo, basato sopra [)atti o contratti liberamente accettati da tutti
coloro che partecipavano al consorzio sociale. Abbiamo ^ià nella
prima parte di questo lavoro accennato alla imperfezione di questa
classificazione, ed abbiamo già messo in rilievo come il germe di
verità che conteneva sia rimasto infecondamente sperduto in una
visione unilaterale ed incomi)leta dei fatti che, colla guida di esso,
si volevano analizzare (1). Aggiungeremo ora che a questa infe-
condità della classificazione accennata, ed in generale di tutte le
dottrine dello Spencer e dei suoi seguaci, ha senza dubbio effica-
cemente contribuito l'indirizzo seguito nelle loro ricerche ed i ma-
teriali da loro usati per costruire l'edificio della nuova scienza che
volevano creare.
Essi partivano infatti dal concetto che è negli organismi sociali
più semplici e primitivi, e perciò nelle piccole orde dei selvaggi
o semi-selvaggi, che bisogna rintracciare i germi dai quali poi si
sono sviluppati i diversi tipi di ordinamento politico, che si pos-
sono riscontrare nei popoli arrivati ad un certo grado di civiltà ed
ordinati in nuclei politici di qualche importanza; e le loro conclu-
sioni perciò si fondavano principalmente sulle relazioni dei viag-
giatori, che con le popolazioni più primitive avevano avuto mag-
giori contatti. Mentre, a tacere di tanti altri appunti che al detto
metodo si potrebbero fare, sembra a noi evidente che, come av-
viene nelle piante e negli animali, nei quali i tipi primitivi neces-
sariamente si rassomigliano, pel-chè una semplice cellula sarà
sempre simile ad un'altra cellula, anche negli organismi sociali la
differenziazione debba farsi maggiore a misura che essi si svilup--
pano e si complicano.
Ed in verità non ci vuole molto a convincersi che una piccola
orda di selvaggi, del genere di quelle che ancora vagano nell'in-
terno dell'Australia, potrà essere pacifica o guerriera, a seconda
della maggiore abbondanza o deficienza dei suoi mezzi di sussi-
stenza o della natura delle popolazioni, con le quali si troverà
in contatto; ma che, se vogliamo rintracciare in essa un regime
politico, questo non potrà consistere che nel predominio del maschio,
più forte, intelligente ed astuto, e, generalmente, del migliore cac-
ciatore o del migliore guerriero. Potrà anche darsi che l'esperienza
(1) Vedi Parte prima, Capitolo VI, paragrafi VII ed Vili.
PARTE II. CAP. II - DE3CKIZ. DEI DIVERSI TIPI DI ORGANIZZ. POLITICA 347
(li qualche vecchio o di qualche vecchia sia tenuta in qualche
considerazione, ma è impossibile che in un organismo sociale cosi
primitivo ci sia già una distinzione di classi, che non può essere
fondata che sulla differenziazione stabile delle occupazioni.
Ed, anche quando lo stadio primitivo è decisamente oltrepassato,
quando la sussistenza è già basata sulla pastorizia ed anche sopra
una incipiente agricoltura, e l'orda è diventata una tribù, che com-
prende, secondo i casi, diversi raggruppamenti di tende od anche
un borgo o parecchi villaggi, e comincia a delinearsi una certa
specializzazione nelle funzioni e quindi una certa gerarchia sociale.
il tipo politico che riscontriamo in tutti questi organismi, che non
hanno superato la prima fase del loro sviluppo, presenta, in tutte
le razze ed in tutte le latitudini, una notevole somiglianza. Poiché
la tribù, sia essa ancora nomade o semi-nomade, o abbia già stabile
dimora, avi'à sempre un capo, che è giudice supremo, sacerdote,
quando essa ha ancora i suoi speciali Dei protettori, e duce mili-
tare. Ma egli, in tutte le quistioni di qualche importanza, deve
sempre consultare il consiglio dei maggiorenti e nulla decide senza
il loro consenso, ed in quelle di massima importanza, le sue deci-
sioni e quelle dei maggiorenti devono essere approvate dall'as-
semblea di tutti i membri della tribù, cioè di tutti gli adulti, che
non sono schiavi, e neppure individui estranei, ai quali la tribù
ha accordato la sua protezione, ma che non ha ancora aggregato
a sé per via dell'adozione o di qualche altra finzione legale.
E questo l'ordinamento che troviamo descritto in Omero (1), e
quasi identico é quello che Tacito riscontrava nei Germani suoi
contemporanei (2), e che ora riscontrasi nelle tribù arabe dell'Asia
0 in quelle arabo-berbere dell'Africa settentrionale, nelle quali però
il capo, dato il prevalente islamismo, ha quasi perduto ogni ca-
rattere religioso. Né altro ordinamento sarebbe, date le condizioni
sociali, possibile. Perchè il capo, sebbene appartenga ordinaria-
(1) Vedi Iliade nel secondo e nel nono canto. Nel canto secondo vi è la
minuta descrizione tanto del consifrlio dei maggiorenti che dell'assemblea
generale di tutti i guerrieri. Vedi anche il canto secondo ed il canto ottavo
dell'Odissea.
(2) Vedi Tacito, De origine, situ, moribuf ac populis Gennaniae, al capo XI,
dove dice che * De minoribus rebus principe» oonaultant de majoribus oinnes ,.
S'intende però tutti i guerrieri che facevano parte della tribù.
;;t8 ELKMENXI 1)1 SC1E.\ZA POLITICA
mente alla famiglia })iù ricca ed influente della tribù, non potrebbe
farsi obbedire senza che siasi prima concertato con gli altri membri
autorevoli per ricchezze ed aderenze, od anche per particolare fama
di saggezza. La massa poi degli uomini liberi, quando è riunita
in assemblea, ordinariamente non prende parte attiva alla discus-
sione e si limita ad approvare coi suoi applausi od a disapprovare
coi suoi mormorii le proposte dei maggiorenti, che quasi sempre
hanno preso la precauzione di mettersi prima d'accordo e che, già
consumati nell'arte di condurre le folle, qualche volta si sono
prima divise le parti che devono recitare (1).
In questi organismi politici al primo stadio del loro sviluppo,
come si è già accennato, comincia ordinariamente a delinearsi una
certa differenziazione di classi basata sull'eredità della situazione
economica e politica. Anzi il capo supremo è molto spesso eredi-
tario, ma, come oggi accade nelle tribù arabo-berl^ere, difficilmente
al padre succede il figlio se questi per intelligenza, tatto ed energia
si mostra incapace a reggere la suprema carica e se non è affian-
cato da numerosi parenti e clienti e son*etto da una fortuna per-
sonale relativamente cospicua. E lo stesso avviene per i maggio-
renti, nei quali il lustro degli antenati è quasi sempre pregiato,
ma non è sufficiente da solo alla conservazione del rango politico.
In certe tribù non vi è un vero capo, perchè gli altri maggiorenti
gelosi non lo tollererebbero, ma in fondo vi è quasi sempre qual-
cuno fra loro che riesce ad avere di fatto un predominio sugli
altri (2). Spesso il primo posto è disputato fra due famiglie in-
fluenti e rivali ed è questa alle volte l'origine dei cof o partiti, che
agitano così spesso le tribù arabo-berbere (3). Naturalmente poi,
quando la tribù si sviluppa in modo che essa si avvia a diventare
un piccolo popolo di parecchie decine di migliaia di persone, la
sua organizzazione politica accenna a modificarsi ; e si modifica in
(1) Come accade precisamente nel citato canto secondo àoiV Iliade. Del resto
anche Tacito parlando dei Germani in seguito alle parole teste citate aggiunge:
* ita tameu ut ea quoque, quorum penes plebem arbitrium est, principes prae-
tractentur ,.
(2) Pare che ciò attualmente avvenga in qualche tribìi arabo-berbera della
Cirenaica.
(3) Anche Omero accenna ad uno dei Proci, Antinoo figlio di Eupite, il
quale aspirava a diventare re d'Itaca scalzando Telemaco figlio di Ulisse.
Vedi Odissea, canto ventiduesimo.
PABTE II. CAP, II - D23CKCZ. DBI DIVERSI TIPI DI ORQASIZZ. POLITICA 349
generale nel senso di una maggiore differenziazione delle classi
sociali e di una maggiore influenza dei maggiorenti, che tendono
a rafforzare ed a rendere più stabile la loro azione sulle masse (1\
IL — Ma dovette venire un momento, che forse non sarà mai
precisato, nel quale una tribù si potè sviluppare tanto, assorbendo
0 sottomettendo altre tribù limitrofe, che essa potè diventare un
popolo, creare una civiltà, e costituire un grande organismo
politico, cosi saldo da riunire e coordinare un numero rilevante
di sforzi e di energie individuali indirizzandoli al raggiungi-
mento di scopi comuni, sia di guerra che di pace; riuscendo
perciò ad organizzare ed a tenere in campo eserciti numerosi e
relativamente disciplinati, o costruendo edifici maravigliosi, o meglio
ancora, rendendo più feconda la terra per via di un complesso e
studiato sistema di canalizzazione delle acque.
Certo anche questa volta la natura non dovette fare dei salti,
e perciò il sorgere dei primi grandi stati dovette essere preceduto
da un lungo periodo di elaborazione, durante il quale il borgo
primitivo, che era capoluogo della tribù, dovette avviarsi a diven-
tare una città, i progressi dell'agricoltura dovettero esser tali da
permettere ad un numero relativamente grande di uomini di vivere
addensati in un territorio relativamente piccolo, e l'organizzazione
politica potè divenire più salda e meno rudimentale di quella
testé descritta. Anzi, molto probabilmente, durante questo periodo
preparatorio alcune arti avevano già preso un qualche sviluppo
ed un primo accumulo di capitale sotto la forma di scorte di viveri
e di strumenti di guerra e di pace era già avvenuto. E già fin d'al-
lora la scrittura, per quanto ancora imperfetta, cominciava a fissare
i ricordi del passato ed a facilitare la trasmissione delle nozioni e
dell'esperienza di una generazione alle generazioni successive.
(1) Dìfatti essendo le popolazioni galliche, all'epoca della conquista romana,
arrivate ad un grado di sviluppo economico e politico superiore a quello dei
Germani contemporanei a Tacito, Cesare così descrive i loro ordinamenti po-
litici : * In omni Gallia eorum hominum qui aliquo sunt numero et honore
sunt duo (cioè i Druidi ed i cavalieri). Nam piebs poene servorum habetur
loco, quae nihil audet per se, nulli adhibetur Consilio , {De bello gallico,
Libro VI, Gap. XIII). Ed anche fra i Sassoni dell'epoca di Carlo Magno, certo
socialmente più sviluppati dei Germani di Tacito, si distinguevano già net-
tamente due classi: i nobili od Etelingi ed in semplici uomini liberi, ossia
Frilingi.
350 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Paro che il primo grande iiapero del quale è possibile, mercè
documenti storici, di stal^ilire presso a poco la data della nascita,
sia stato quello fondato da Sargon, detto l'antico, re di Agadé nella
Caldea, circa tremila ottocento anni prima dell'era volgare; esso
si estendeva sicuramente dal golfo Persico fino al Mediterraneo
ed alla penisola del Sinai. E, se realmente fu questo il più antico
grande organismo politico, esso segna senza dubbio un passo de-
cisivo nella storia della civiltà umana. Sembra del resto che abbia
durato meno di un secolo, essendosi spezzato in parecchi regni
rivali e nemici fra di loro, dopo la morte di Saramsin figlio e suc-
cessore di Sargon. Ma l'esempio dato-dovea trovare imitatori, ed
altri grandi imperi, in epoca sempre remota, doveano sorgere
prima nella bassa Mesopotamia e più tardi in quella alta. Babi-
lonia, posta in una posizione quasi intermedia fra l'alta e la bassa
vallata dell'Eufrate e del Tigri, fu, almeno per sedici secoli, quanti
ne corrono da Hammurabi a Nabu-kudur-ussur, quasi sicuramente
il più grande centro di popolazione, di ricchezza e di cultura che
abbia avuto allora il mondo.
Intanto, forse qualche tempo prima di Sargon, certo non molto
tempo dopo, Menes, il fondatore della prima dinastia egiziana,
aveva riunito in un solo tutti i piccoli stati nei quali si suddivi-
devano prima l'alto e basso Egitto, dando origine ad un impero
e ad un centro di civiltà rivale di quelli mesopotamici e che dovea,
interrotto da qualche lunga eclissi, quanto questi durare.
Tutto ciò che sappiamo dell'organizzazione politica degli anti-
chissimi imperi della Mesopotamia e dell'Egitto ci fornisce la prova
che al vertice della piramide sociale stava un sovrano che aveva
un carattere sacro, perchè offriva a nome di tutto il popolo i sa-
crifizi al nume nazionale, al quale era affidata la tutela dell'impero,
nume che a Tebe egizia era Ammon, a Babilonia Marduk ed a
Ninive Asshur. A nome del sovrano tutti i poteri civili e mili-
tari erano esercitati da una numerosa gerarchia di funzionari, scelti
ordinariamente fra i maggiorenti della popolazione che aveva
fondato l'impero. Spesso le popolazioni sottomesse conservavano
i loro capi ereditari locali ed una certa autonomia, ma qualche
volta venivano interamente assorbite da quella vincitrice, si fon-
devano con essa, ed in questo caso i funzionari locali venivano
direttamente nominati e revocati dal Re, o meglio dalla Corte e
nella Corte. In Egitto si è potuto notare che i due sistemi, durante
PAKTB II. GAP. II - DKSCBIZ. DBI DIVERSI TIPI DI ORGANIZZ. POLITICA 351
il lunghissimo periodo nel quale durò la nazionalità egizia, hanno
parecchie volte prevalso l'uno sull'altro, a seconda che l'impero
rafforzandosi si centralizzava o, indebolendosi, tendeva a scompa-
ginarsi. La classe dirigente dividevasi ordinariamente in capi dei
guerrieri e sacerdoti, ma i sacerdoti egizii e caldei erano i depo-
sitari della scienza d'allora e ad essi era ordinariamente devoluta
la conoscenza e l'applicazione delle leggi. Non manca qualche
esempio di sommi sacerdoti che riuscivano anche a sostituire il
potere laico e ad esercitare l'autorità regia (1).
Quanto al sistema di reclutamento dei funzionari civili e militari
si è potuto pure constatare, sopratutto nell'antico Egitto, una grande
differenza di metodi durante i tremila anni circa che dura la sua
storia. Come abbiamo detto nella prima parte di questo lavoro, ci
furono epoche nelle quali la conoscenza esatta della scrittura ge-
roglifica era la chiave che apriva l'adito alle carriere superiori, sia
civili che militari, e si vedevano persone del popolo arrivare ai gradi
elevati (2). Ma generalmente, se non vi erano delle vere caste
chiuse, la gerarchia sociale aveva una grande stabilità e si era
piuttosto figli dei propri padri anziché delle proprie opere. In Ba-
bilonia sappiamo intanto che gli schiavi erano numerosissimi e
quasi tutti i documenti ed i monumenti egiziani ci fanno testi-
monianza del fasto che, sia durante la vita che nella tomba, spie-
gava sempre la classe elevata, mentre un lavoro manuale intenso,
e spesso forzato, era la sorte ordinaria di quelle più umili.
Le notizie che gli scrittori greci incidentalmente ci danno sulle
condizioni sociali e politiche dell'ultimo grande impero orientale
anteriore all'era volgare, su quello cioè dei Persiani, col quale la
Grecia ebbe frequentissimi contatti, dimostrano concordemente la
grande importanza che la nascita aveva nella formazione della
gerarchia politica. Secondo Erodoto, dopo l'uccisione del falso
Smerdi, che aveva potuto diventare re facendosi credere figlio di
Ciro, sette signori persiani disposero del trono; secondo Senofonte
quando, morto a Cunassa Ciro il giovane, i mercenari greci offri-
rono la corona ad Arieo^ che comandava le truppe persiane che
(1) Ciò avvenne nell'alto Egitto, dove nel nono secolo avanti Cristo i sonimi
sacerdoti di Aminon esercitarono ciò che ora sarebbe il potere temporale.
(2) Vedi Teorica dei governi, cap. II, § II, e la prima parte di questo volume,
cap. Il, § Vili.
352 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
avevano conibatiuto insieme a Ciro, Arieo si rifiutò dicendo che egli
non era abbastanza nol)ile e che perciò i grandi di Persia non l'avreb-
bero mai accettato per re. Gli stessi Greci ci informano che l'impero
di Persia era in fondo una confederazione più o meno spontanea
di popoli, di civiltà più o meno antica e diversa, sotto l'egemonia
della Persia. Alcuni popoli, come l'Armenia, la Cilicia e la città
di Tiro, conservavano le loro autonomie ed i loro sovrani nazio-
nali, mentre altri, come la Lidia e la Babilonia, erano governati
da satrapi scelti fra i grandi signori persiani della Corte di Susa e
che la Corte faceva strettamente sorvegliare. Ad essa quasi tutte le
nazioni sottomesse pagavano un tributo annuo, proporzionato alla
loro ricchezza, e fornivano all'occorrenza milizie ausiliarie. Nel
mezzo poi delle Provincie sottomesse alcune popolazioni di mon-
tanari conservavano di fatto una selvaggia indipendenza, come era
il caso dei Carduchi, che corrispondevano su per giù agli odierni
Curdi (1).
Nel Medio Evo in gran parte sul tipo dello Stato orientale si
costituì lo Stato maomettano, il quale senza dubbio alcuni ele-
menti della sua organizzazione amministrativa e politica potè ri-
ceverli da Bisanzio, ma in parte assai maggiore si modellò sugli
esempi e le tradizioni del nuovo impero persiano dei Sassanidi (2).
Si sa però che lo Stato maomettano, malgrado il cemento religioso
che costituiva la forza della sua classe dominante, malgrado che
anch'esso in certe epoche abbia permesso lo sviluppo di una grande
cultura, avea delle debolezze innate, che fatalmente produssero la
più o meno rapida disgregazione dei grandi organismi politici che
lo slancio conquistatore delle prime generazioni islamiche avea
creato. Anche non tenendo conto del fatto risaputo che quasi tutti
i rapporti sociali e politici vengono nel mondo musulmano rego-
lati dal codice religioso, ossia del Corano, ciò che alla lunga dovea
necessariamente arrestarne lo sviluppo, pare accertato che una
delle cause più frequenti delle rapide disgregazioni degli imperi
musulmani derivasse dall'uso di concedere ai capi preposti alle
(1) Senofonte, Anabasi.
(2) Vedi Hdart, Histoire des Aràbes. Paris, ed. Geutbner, 1912, volume I,
cap. XIII. L'influenza persiana divenne preponderante specialmente sotto i
califfi abbassidi. Lo stesso titolo di vizir, che si dava al primo ministro, era
di origine persiana.
PARTE II. CAP. II - DESCRIZ. DEI DIVERSI TIPI DI OKGANIZZ. POLITICA 353
singole Provincie la facoltà di levare i soldati e di riscuotere di-
rettamente le imposte, con le quali li pagavano. Concentramento
di poteri che facea si che essi facilmente riuscissero a formare tale
uno spirito nelle truppe da potersi proclamare indipendenti, o
diventare di fatto tali, conservando verso il Califfo un ossequio
solo formale (1).
Anche la Cina, fino a pochi anni fa, era politicamente organiz-
zata sul tipo dello Stato orientale, che però essa da parecchi secoli
aveva portato ad un grado di perfezionamento forse mai raggiunto,
per la morale laica e positiva che formava la base della sua civiltà,
per la grande unità della cultura, che fra il suo popolo si era
diffusa in tanti secoli di storia comune, e finalmente per il sistema
democratico di reclutamento dei suoi funzionari, ammessi e pro-
mossi sempre in seguito a concorsi. Malgrado ciò lo Stato cinese
ebbe quasi sempre una forza inadeguata alla sua vastità, ed esso
mostrò subito la inferiorità della sua macchina politica appena
venne in contatto con gli Stati europei. E si sa infine che il Giap-
pone, se ha voluto conservare la sua indipendenza e la sua antica
anima nazionale, ha dovuto rapidamente rinnovare la sua orga-
nizzazione politica, amministrativa e militare secondo i modelli
forniti dagli Stati di civiltà europea.
Certo è dunque che l'organizzazione degli imperi di tipo orien-
tale è rimasta sempre assai inferiore a quella dei moderni Stati
di civiltà europea ed anche a quella dell'antico impero romano.
E si potrebbe anche aggiungere che essa per molti lati era im-
perfetta, se la paragoniamo a quella del piccolo stato ellenico del-
l'epoca classica, di cui fra poco dovremo occuparci. Senonchè sa-
rebbe ingiusta dimenticare che fu in quegli antichi imperi, le cui
vicende apprendiamo a misura che si vanno decifrando le vecchie
iscrizioni geroglifiche e cuneiformi, che l'umanità potè accumulare
le prime esperienze ed i primi capitali, che resero possibili gli ul-
teriori progressi intellettuali ed economici. Fu sulle rive del Tigri,
dell'Eufrate e del Nilo che per la prima volta i gruppi di mag-
giorenti, che prima reggevano Icsingole tribù, si fusero ed orga-
nizzarono in vere classi politiche, le quali ebbero campo di concepire
(1) Questa causa fu rilevata da Avcrroè, uno ilei più l'orti iutelletli che la
civiltà maomettana nei suoi bei tempi abbia prodotto. Vedi Rknan, Averroès
et l'AverroTsine, deuxième édiUon. Faris. Michel Lévy, cap. II, pag. 161.
Q. Mosca, Elementi di Scienea Politica. iS
354 ELRMBNTI DI SCIENZA POLITICA
e sviluppare l'idea che vi erano grandi interessi comuni a milioni
di individui umani. E fu in quoste classi che, per la prima volta,
potò avvenire una selezione per la quale un certo numero d'indi-
vidui, liberi dalle cure materiali della vita, difesi dall'organizza-
zione, della quale facevano parte, contro le cupidigie e le violenze
di coloro che, in ogni tempo ed in ogni società, aspirano ad occu-
pare i posti migliori, poterono dedicarsi all'osservazione dell'uomo
e del mondo in cui esso vive ed elaborare i primi rudimenti della
morale famigliare e sociale. Quei rudimenti, che troviamo espressi
circa 4.000 anni fa nel Codice di Hammurabi, dove sono già san-
cite molte delle norme che l'individuo deve osservare affinchè il
consorzio sociale possa sussistere, e nel vecchio rituale dei morti
dell'antico Egitto, in parte più antico del codice di Hammurabi,
nel quale troviamo per la prima volta alcuni di quei precetti mo-
rali, di quelle norme di carità, che poi formeranno la base morale
di tutte le grandi religioni mondiali (1). Fu infine colà che fece le
sue prime prove la difficile arte della pubblica amministrazione, la
quale consiste sopratutto nel fare in modo che in una grande so-
cietà, col minimo di costrizione possibile, l'attività che ogni in-
dividuo spiega spontaneamente a proprio vantaggio dia anche
risultati proficui per la collettività.
ni. — Se la civiltà europea ha potuto creare un tipo di or-
ganizzazione politica, che profondamente si distingue da quella
dell'impero orientale, ciò si deve in grandissima parte all'eredità
intellettuale della Grecia e di Roma. Senza dubbio grandissima è
la differenza che corre fra un grande Stato moderno europeo od
americano e ciò che era lo Stato ateniese o spartano o anche quello
romano all'epoca repubblicana, ma possiamo ritenere come sicuro
che, senza l'eredità intellettuale degli scrittori politici dell'epoca
classica, i quali formarono il loro pensiero sulle istituzioni politiche
che sotto i loro occhi si svolgevano, l'Europa moderna ed i paesi
(1) Per esempio quelli di dare a mangiare all'affamato, di dare a bere
all'assetato, di non frodare la mercede all'operaio, di non mentire, di non
fare falsa testimonianza, ecc. Come si sa, il così detto Rituale dei morti era
una raccolta di testi sacri, dei quali i più antichi rimontano alla XI Dinastia,
ed i più recenti alla XVIII, che si deponevano nelle tombe perche servissero
di guida al defunto nell'altra vita. La XVIII Dinastia regnò in Egitto circa
18 secoli prima dell'era volgare.
PARTE II. GAP. II - DESCRIZ. DEI DIVERSI TIPI DI ORGANIZZ. POLITICA 355
d'oltremare colonizzati da Europei non a\Tebbero adottato quegli
ordinamenti politici, che tanto li distinguono dagli imperi asiatici.
Certo molti elementi della sua civiltà la Grecia li prese dai più
vicini imperi asiatici e dall'Egitto, e le prime infiltrazioni dovet-
tero avvenire nel periodo preistorico, quando fiori quella civiltà
preellenica, che ebbe il suo centro a Creta e scomparve non la-
sciando che vaghi ricordi e l'iniziazione all'agricoltura e ad altri
progressi materiali che, una volta entrati nelle abitudini di un
paese, possono decadere ma non scompaiono mai interamente, anche
se sono distrutti il popolo o la civiltà che per i primi li hanno inven-
tati od adottati. Altre infiltrazioni orientali ed egiziane avvennero
pure nell'epoca nella quale la cultui-a, che fu propriamente ellenica,
cominciò a ridestarsi, cioè a partire dal nono secolo avanti l'èra
volgare, quando intermediari fra la Grecia, gli imperi orientali e
l'Egitto furono principalmente i Fenici. E questa volta i nuovi
semi trapiantati nel suolo dell'Eliade diedero frutti abbastanza di-
versi, e per molti rispetti migliori, di quelli della pianta dalla
quale provenivano, specialmente per quel che riguarda l'arte, la
scienza e l'organizzazione politica.
Abbiamo già visto come il regno omerico, che troviamo agli
inizi del risveglio della civiltà greca, non si differenziasse molto
dal tipo di organizzazione politica semi-primitivo, che troviamo in
tutte le popolazioni che hanno salito solo i primi gradini della scala
la quale conduce alle grandi organizzazioni politiche. Il Re ome-
rico era infatti assai analogo al capo della tribù araba o germanica,
perchè egli esercitava la sua autorità, che era principalmente mo-
rale ed aveva anche un certo fondamento religioso, coU'assistenza
di un Consiglio di maggiorenti e, nei casi più gravi, chiamava a
parlamento tutti i guerrieri, ossia gli uomini liberi che facevano
parte della tribù. Senonchè in uno spazio di tempo, che non può
essere superiore ai tre secoli, vediamo questo tipo di organiz-
zazione politica, che ben poco aveva di speciale, trasformarsi nel-
l'originalissima città greca dell'epoca classica (1).
Se studiamo le cause di questa trasformazione, si può anzitutto
(1) È bene ricordare che la data approssimativamente più esatta intorno
all'epoca nella quale furono composti i poemi omerici sembra la fine del nono
secolo avanti l'èra volgare. È quella presso a poco accennata da Erodoto nel
libro II, § 53, della sua storia.
356 ELBMBNTI DI SOIBKZA POMTICA
notare elio il suolo greco, accidentato in modo che of?ni cantone,
ogni borgo col suo torritorio, ora diviso da ostacoli nalurali abba-
stanza importanti dai cantoni vicini, ostacolava la formazione di
grandi imperi come quelli che poterono sorgere nelle grandi e
[)ianeggianti vallate del Tigri, dolTEufrate, del Nilo e del fiume
Giallo. Inoltre la stabilità delle sedi, già abbastanza assicurata, e
la proprietà privata della terra, già entrata nelle consuetudini fin
dai tempi di Omero, permisero tale uno sviluppo della produ-
zione agricola da rendere possibile che, in un territorio relati-
vamente piccolo, potesse vivere una popolazione relativamente
grande, sicché il villaggio od il borgo primitivo potè diventare
una città di trenta o quarantamila abitanti ed in casi speciali
anche più popolosa (1). Forse anche al divci'so sviluppo politico
contribuì la salda organizzazione gentilizia, per la quale ogni
gruppo di famiglie che reputavasi discendere da un antenato co-
mune conservava in origine una certa autonomia politica e reli-
giosa, in maniera che la città era una specie di confederazione di
genti. Ma, accanto a questi coefficienti, ne dovettero agire altri di
natura intellettuale e morale, che, a tanta distanza di tempo ed in
tanta povertà di documenti, non possiamo esattamente scernere ed
analizzare e che perciò indichiamo con una espressione generica
ed imperfetta, definendoli come un prodotto del genio particolare
della stirpe ellenica' e poi di quella italica.
Checché ne sia, certo è che nell'Eliade, forse meno di un secolo
dopo Omero (2), la regalità cominciò a perdere terreno ed a cadere
(1) Una città greca nell'epoca classica generalmente distava da un'altra
città greca una grossa giornata di' cammino ed il suo tenùtorio raramente
superava i mille chilometri quadrati. In questo spazio, dato lo sviluppo agri-
colo dell'epoca, potevano agevolmente vivere dalle trenta alle quarantamila
persone, fra le quali erano naturalmente compresi gli schiavi e gli stranieri
domiciliati. Si sa che l'Attica aveva un territorio di circa duemilaseicento
chilometri quadrati e che, nei suoi momenti migliori, la sua popolazione su-
però forse i duecentomila abitanti, e che anche Siracusa e Sparta avevano
territori e popolazioni notevolmente superiori a quelle di una città greca
normale, ma Atene, Siracusa e Sparta furono appunto gli Stati più grandi e
forti dell'antico mondo ellenico. Sulla popolazione della Grecia antica si pos-
sono consultare gli ottimi lavori del Beloch e di altri egregi scrittori ripub-
blicati nel IV volume della Biblioteca di Storia economica di Vilfredo Pareto.
(2) Già Esiodo parla dei Re con assai meno rispetto di Omero. Difatti, quegli
che fu detto il poeta dei contadini, li accusa di vendere la giustizia, li chiama
PARTE II. GAP. II - DBSCRIZ. DEI DIVERSI TIPI DI OROANIZZ. POLITICA 357
in dissuetudine e che nel Consiglio dei maggiorenti il re o disparve
o perdette quasi intieramente la sua importanza. La città fu perciò
governata dai capi delle genti, ossia dei gruppi di famiglie più an-
tiche ed influenti, che possedevano le terre migliori e le facevano col-
tivare dagli schiavi, o da quella turba di spostati e di profughi, che
ogni città soleva accogliere quando qua,lche cittadino influente
concedeva loro la sua protezione. L'organo politico prevalente fu
quindi l'antico senato o Consiglio dei maggiorenti, dove le famiglie
principali erano rappresentate. Quasi sicuramente l'antica assemblea
di tutti i cittadini continuò a sussistere accanto al Consiglio dei mag-
giorenti, ma, dato l'accentramento della proprietà e date le nume-
rose clientele di cui i gruppi di famiglie principali disponevano,
quest'ultimo conservò per un certo tempo la preponderanza che
aveva all'epoca della regalità.
In un'epoca, che deve corrispondere su per giù al settimo secolo
avanti l'èra volgare, i progressi dell'agricoltura ed un incipiente
commercio dovettero fornire a molti dei discendenti degli antichi
stranieri domiciliati i mezzi per formarsi una posizione economica
presso a poco indipendente, e nacque quindi in essi il desiderio di
essere ammessi nella cittadinanza, ciò che era l'unico modo di par-
tecipare ai pubblici poteri e di sottrarsi alla onerosa tutela dei
maggiorenti. Il movimento dovette essere secondato dalle famiglie
più povere ed oscure degli antichi cittadini, che anche essi avevano
interesse a combattere il regime oligarchico che le famiglie più
ricche ed illustri avevano instaurato (1). Dopo un periodo di lotte
senz'altro divoratori di regali, òoQotpayoi, e raccomanda caldamente a suo
fratello Perseo di stare da essi lontano.
(1) Oltre alle cause accennate, d'indole prevalentemente economica, alla de-
mocratizzazione della città greca dovette contribuire il cambiamento dell'ar-
mamento e della tattica, avvenuto appunto nell'epoca di cui trattiamo. Ai
carri da guerra in uso all'epoca omerica, nella quale essi formavano, per dir
così, l'arma che decideva dell'esito della pugna, carri che solo potevano pro-
cacciarsi le pex'sone molto doviziose, si sostituirono col tempo i semplici ca-
valieri e poi anche gli opliti, fanti pesantemente armati, che formavano il
nerbo degli eserciti greci durante l'epoca classica, l'arredamento dei quali,
sebbene relativamente costoso, era acces-'fihile alle mediocri fortune. Nella
costituzione di Bracone, anteriore a quella di Solone, troviamo già sancito
che partecipavano alle cariche pubbliche tutti coloro che erano forniti di
armi (Vedi Aristotilk, Costituzione di Atene, paragrafo IV).
358 Rt.EMKNTI DI SCIENZA POLITICA
civili, nelle quali spesso la parte soccombente doveva emigrare,
periodo del quale le traccio si ritrovano nei poeti dell'epoca e se-
«^natamento noi versi di Teognide da Megara, e che fu alle volte
interrotto dalla dittatura di qualche capo popolo che appellavasi
tiranno, si venne generalmente ad un compromesso del genere di
quello che Solone attuò in Atene nei primi decenni del sesto secolo
avanti Cristo, e da questi compromessi nacque quella costituzione
delle città greche nell'epoca classica che, nella storia politica del
mondo, doveva avere cosi grande importanza.
Le basi precipue dei compromessi fui'ono generalmente due :
anzitutto l'entrata nella città di un certo numero di discendenti di
antichi stranieri domiciliati o di schiavi emancipati, senza però
che il principio fosse applicato ai casi posteriori alla riforma della
costituzione, perchè i nuovi stranieri domiciliati rimasero in gene-
rale rigorosamente esclusi dalla cittadinanza, tanto che perfino la
democratica Atene non ammetteva fra i suoi cittadini i figli di
un cittadino e di una straniera (1) ; ed in secondo luogo il ricono-
scimento esplicito che il potere sovrano risiedeva nell'assemblea
di tutti i cittadini. La quale perciò assorbì a poco a poco quasi
tutte le antiche giurisdizioni gentilizie, che prima i capi delle fa-
miglie aristocratiche esercitavano sui loro consanguinei, ed esautorò
più o meno l'antico Consiglio dei maggiorenti, che si trasformò
ordinariamente in un senato, che era molto spesso un'emanazione
diretta dell'assemblea che ne nominava i membri.
Si sa che l'antichità classica non conobbe quella netta divisione
dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario che, almeno teo-
ricamente, è una delle principali caratteristiche delle costituzioni
moderne (2), tanto che il pretore romano potè esercitare funzioni
che ora si direbbero legislative; ma è certo che, nell'Eliade clas-
sica, ciò che ora corrisponderebbe al potere sovrano per eccellenza,
cioè al potere legislativo, veniva quasi esclusivamente affidato al-
l'assemblea dei cittadini, mentre ciò che noi chiamiamo funzioni
esecutive e giudiziarie venivano delegate a Corpi o ad individui.
(1) Vedi Aristotile, Costituzione di Atene, paragrafo 42.
{2i Perfino a Roma all'epoca dell'impero la separazione perfetta fra giustizia
ed amministrazione, che per noi "e uno dei concetti più familiari, non era stata
introdotta. Vedi in proposito Hartmann, La rovina del mondo antico, traduzione
di Gino Luzzatto. Roux e Viarengo editori, capitolo 2°. pag. 46.
PARTE II. CAP. II - DESCBIZ. DEI DIVERSI TIPI DI ORGANIZZ. POLITICA 359
che erano quasi sempre eletti da tutti i cittadini, o designati dalla
sorte fra tutti o fra determinate categorie di cittadini (1).
Caratteristiche comuni di quasi tutte le costituzioni delle città
elleniche erano la temporaneità delle cariche, i cui titolari veni-
vano quasi sempre rinnovati almeno tutti gli anni, e la moltiplicità
delle persone che esercitavano una data pubblica funzione; mol-
tiplicità che mirava a far si che il potere di un individuo potesse
esser sempre controllato e limitato da quello di uno o di parecchi
altri individui rivestiti di uguale potere, come appunto avveniva
dei consoli a Roma. Ed il principio veniva cosi rigorosamente ap-
plicato che, in molte città greche, il comando dell'esercito o del
naviglio in guerra veniva affidato a diversi polemarchi o navarchi,
che l'esercitavano a turno. Altra caratteristica dell'ordinamento
politico ed amministrativo della città greca era la quasi completa
mancanza di ciò che ora si direbbe una burocrazia professionale e di
un esercito stanziale (2), e si deve inoltre notare che anche alcune
funzioni giudiziarie ed esecutive ritenute di grande importanza ve-
nivano ordinariamente riservate all'assemblea del popolo. La quale
perciò conservava quasi sempre il diritto di dichiarare la guerra
e concludere la pace e si riservava spessissimo quello di applicare
le pene più gravi, quali erano la morte e l'esilio, o quanto meno
veniva in questi casi ammesso l'appello all'assemblea del popolo.
(1) Aristotile, nella Costituzione di Atene, enumera tutte le cariche pubbliche
che erano ritenute necessarie per il retto andamento della repubblica. ìlsse
occupavano parecchie migliaia di cittadini ed i titolari erano per lo più desi-
gnati dalla sorte (Vedi opera citata nei paragrafi che vanno dal 42 al 62).
(2) Però Aristotile nella sua Costituzione di Atene (al paragrafo 42) ci in-
forma che, arrivati all'età di diciotto anni, tutti gli efebi ateniesi facevano
un anno di esercizi militari e poi per altri due anni custodivano armati il
lido e gli altri luoghi strategici dell'Attica. In fondo perciò in Atene vi era
ciò che ora si chiamerebbe la ferma triennale. Però mancava totalmente un
corpo permanente di ufficiali. Il popolo sceglieva solamente ogni anno cinque
cittadini probi che avessero sorpassato i quarant'anni, i quali curavano l'am-
ministrazione degli efebi e sopraintendevano a ciò che ora sarebbe il rancio
(ogni efebo riceveva per il proprio mantenimento quattro oboli al giorno), e
due maestri di ginnastica incaricati di insegnare il maneggio delle armi e gli
esercizi militari. Mancava inoltre un regolamento di disciplina ed un codice
penale militare, e sicuramente, almeno in tempo di pace, l'efebo era sotto-
posto alla stessa giurisdizione degli altri cittadini. Nella storia di Atene non
vi è poi alcun indizio il quale faccia supporre che questo corpo degli efebi
sia intervenuto in sostegno di ciò che ora sarebbe il Governo
360 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
IV. — A cominciare ria Erodoto, tutti ^li scrittori ^reci del-
l'epoca classica ammettono l'esistenza di tre forme di governo: la
monarchia, l'aristocrazia e la democrazia (1), Si comprende agevol-
mente come il ricordo della monarchia omerica, il recente esempio
dello tirannie, frequenti sopratutto nelle colonie elleniche della
Magna Grecia e della Sicilia, la sopravvivenza stessa della antica
monarchia patriarcale in qualche remoto cantone dell'Epiro, le
traccie di essa che tenacemente si mantenevano a Sparta e final-
mente il contatto frequente coi popoli barbari, che quasi sempre
avevano un re, dovevano far si che i pensatori dell'Eliade enume-
rassero fra le possibili forme di governo anche il regime monar-
chico. Ma in verità lo Stato ellenico dell'epoca classica oscillava
quasi sempre fra l'aristocrazia e la democrazia, le quali rappresen-
tavano le due tendenze costanti che in esso erano in perenne con-
trasto. E difatti all'analisi di questo inevitabile contrasto consacra
Aristotile buona parte della sua immortale opera sulla Politica (2).
Or sarà bene anzitutto ricordare che i)resso i Greci dell'epoca
classica, non si potrebbe dire precisamente lo stesso dei Romani ;
il concetto di aristocrazia non si accoppiava in modo quasi in-
scindibile a quello della ereditarietà del potere e delle cariche
pubbliche nelle stesse famiglie, ma voleva dire semplicemente che
le cariche venivano affidate, esclusivamente od a preferenza, a
coloro che, per ricchezza o per meriti eccezionali, spiccavano fra
gli altri cittadini, discendessero o no da antenati illustri. Tanto
vero che Aristotile distingue l'aristocrazia dall'eugenismo, che si-
gnificava appunto l'appartenere ad una famiglia già da lunga
data illustre (3). Anzi non raramente accadeva che qualche euge-
(1) Si sa che, nel libro terzo della sua storia, Erodoto mette, con assai poca
verosimiglianza, in bocca a tre dei grandi di Persia che avevano ucciso il
falso Smerdi una disputa intorno ai pregi ed ai difetti della monarchia, del-
l'aristocrazia e della democrazia. Questa disputa prova che, fin dalla metà del
secolo quinto avanti l'èra volgare, cioè piti di un secolo prima che Aristotile det-
tasse i suoi libri, i Greci, non già i Persiani, ammettevano l'esistenza di tre
forme fondamentali di governo ed esercitavano il loro spirito critico nell'esame
dei vantaggi e dei danni inerenti a ciascuna di esse.
(2) Specialmente i libri sesto, settimo ed ottavo dell'opera citata.
(3) Vedi Politica, libro III, capitolo 7, paragrafo 7, e libro Vili, capitolo 1,
paragrafo 7. In quest'ultimo passo è detto testualmente : yaQ tòyivsia èativ
àQczrj Kcl TtÀòviog àQxalog, imperciocché l'eugenia è la virtù e la ricchezza
di antica data (si sottintende nella famiglia).
PARTE li. GAP. II - DESOBIZ. DEI DIVERSI TIPI DI ORGAKIZZ. POLITICA 361
nico capitanasse il popolo contro la parte aristocratica composta in
maggioranza di nuovi arricchiti, come appunto fu il caso di Pericle.
Venendo ora all'esame del contrasto accennato, in poche parole
si può affermare che nello Stato greco si aveva il regime aristo-
cratico quando fra i cittadini la ricchezza riusciva a prevalere sul
numero, mentre quello democratico significava la prevalenza del
numero sulla ricchezza. Perciò nel regime aristocratico le cariche
pubbliche, o almeno le più importanti, quando non venivano per
legge riservate alle categorie dei maggiori censiti, erano gratuite,
in maniera che diventavano accessibili solo a coloro che non do-
vevano personalmente e diuturnamente lavorare per vivere, e nes-
suna indennità vi era per la partecipazione alle assemblee dei
cittadini, che venivano cosi disertate dai poveri e frequentate as-
siduamente dai ricchi e dai loro clienti; mentre in quello demo-
cratico le cariche pubbliche venivano retribuite e la partecipazione
all'assemblea dava diritto ad un gettone di presenza.
Nel primo le cariche pubbliche erano quasi sempre elettive,
perchè nelle votazioni i ricchi, stretti in associazioni più o meno
scerete, che si dicevano eterie, e con l'appoggio dei loro clienti riu-
scivano facilmente a concentrare i loro suffragi sui propri can-
didati ed a prevalere su quelli dei poveri, che più diffìcilmente
riuscivano ad organizzarsi ; nel secondo le cariche pubbliche erano
generalmente distribuite a sorte fra i cittadini. Sistema a giusta
ragione ritenuto assurdo anche da molti pensatori della Grecia
antica, ma che in sostanza era il solo mediante il quale l'influenza
della notorietà, delle relazioni personali e dei comitati elettorali
poteva venire eliminata.
Come si è già accennato, poiché i poveri erano sempre più nu-
merosi dei ricchi, i governi aristocratici molto si poggiavano sulle
clientele, mantenute mercè il patrocinio che ogni ricco esercitava
a prò di un certo numero di poveri e sulla larghezza colla quale
coloro che aspiravano alla carriera politica esercitavano l'ospita-
lità a favore dei cittadini meno facoltosi. Aristotile nota espres-
samente che Pericle non potendo, perchè meno ricco, lottare su
questo terreno con Cimone, figlio di Milziade, capo della parte ari-
stocratica, guadagnò a sé i poveri facendo retribuire dal pubblico
erario molte cariche prima gratuite (1); sistema che, coi dovuti
(1) Vedi Costituzione di Alene, paragrafo 27.
362 BLBMBNTI DI SCIENZA POLITICA
adattamenti, non è i«:jnoto neppure oggi nei paesi retti a demo-
crazia, dove all'influenza della ricchezza privata spesso si contrap-
[)one lo sperpero del danaro pubblico.
Gli abusi del regime aristocratico nello Stato greco quasi sempre
consistevano nella esagerazione del sistema prevalente, la quale
faceva si che molto spesso l'aristocrazia si trasformava in oli-
garchia, cioè in una consorteria chiusa, che gelosamente escludeva
dalle cariche [)ubbliche tutti gli elementi estranei, qualunque fosse
la loro ricchezza ed il loro merito personale. Altri abusi frequenti
si avevano quando il monopolio delle cariche pubbliche veniva
usato per la conservazione e l'accrescimento delle ricchezze pri-
vate dei governanti e dei loro consorti e clienti, ciò che ottenevasi
sopratutto facendo in modo che i giudizi nelle cause civili e pe-
nali fossero sempre affidati a persone affiliate o ligie alla fazione
che reggeva lo Stato.
Viceversa, dove i poveri si contavano e riuscivano in maggio-
ranza a sottrarsi alla clientela dei ricchi, facilmente si avevano gli
abusi della democrazia. Molte ed importanti erano allora le ca-
riche i)ubbliche che venivano date ai designati dalla sorte, la
quale naturalmente non aveva nessun riguardo alla capacità ed
alle attitudini necessarie a disimpegnarle; e le indennità attribuite
per l'esercizio di ogni pubblica funzione aggravavano talmente
l'erario che, per fare fronte all'ingente spesa, si dovevano colpire
con gravissime imposte i ricchi e gli agiati, fino ad arrivare ad
una larvata confisca delle fortune private e quindi al disastro
dell'economia pubblica. Aristotile calcola che all'epoca di Pericle
in Atene circa ventimila cittadini venissero sussidiati dall'erario
pubblico, sicché quasi tutta la cittadinanza erasi trasformata in
una classe di stipendiati dallo Stato (1). Ciò che fu per un certo
tempo possibile non solo per il reddito che la città traeva dalle
miniere d'argento del Laurion, ma anche, e principalmente, perchè
si stornavano i contributi che gli alleati pagavano ad Atene per
il proseguimento della guerra contro la Persia. Causa questa non
ultima della lunga e nefanda guerra scoppiata poi fra gli EUeni,
che prese il nome di guerra del Peloponneso. Nei casi più gravi
(1) Vedi Costituzione di Atene, paragrafo 24. Ivi è detto espressamente che
alla spesa si provvedeva in parte coi contributi degli alleati.
PARTE ir. GAP. II - DESOBIZ. DEI DIVERSI TIPI DI ORGANIZZ. POLITICA 363
un caporione del popolo uccideva o mandava in esilio i ricclii e
ne confiscava i beni, che divideva poi fra i suoi partigiani o fra
i mercenari stranieri che lo sostenevano. Si aveva allora quella
sospensione del normale funzionamento della costituzione e quella
dittatura di un capo, sostenuto dalla sua fazione, che appellavasi
tirannide, che tutti gli scrittori greci concordemente descrivono
come la peggiore delle forme di governo (1).
Dopo quanto abbiamo detto, appare evidente che il normale
funzionamento dello Stato ellenico richiedeva un grado di pro-
sperità economica e di elevazione intellettuale e morale nella parte
maggiore della cittadinanza, che non era agevole che fosse sempre
raggiunto. Difatti la piena efficienza di questa forma di organiz-
zazione politica durò meno di due secoli, cioè dal principio del
quinto al declinare del quarto secolo avanti Cristo, periodo che
coincide con quello del massimo sviluppo della civiltà ellenica. La
mancanza di una burocrazia regolare e di un corpo di polizia perma-
nente incaricati dell'esecuzione delle leggi rendeva necessario che,
nella maggioranza dei cittadini, fossero molto forti il senso della
legalità e lo spirito di sacrificio degli interessi individuali a quello
pubblico, le quali virtù perciò venivano coll'educazione in tutti i
modi inculcate e celebrate (2). Inoltre era indispensabile che fosse
conservata una certa proporzione numerica fra i cittadini e gli
schiavi. Perchè se i primi erano molto pochi, gli altri facilmente
si ribellavano, come spesso facevano gli Iloti a Sparta, e, se i cit-
tadini invece erano troppo numerosi, allora fatalmente una buona
parte di essi era molto povera e non si sentiva cointeressata al
mantenimento delle istituzioni. Per superare queste difficoltà
Platone nella sua Repubblica propose l'abolizione della proprietà
privata, e conseguentemente della famiglia, almeno nella classe
dominante, ed Aristotele invece, con criterio più pratico, racco-
mandò la diffusione della media proprietà, facendo giustamente
osservare che la porta era aperta a tutti i rivolgimenti, dove pochi
cittadini molto ricchi si trovavano di fronte a numerosi poveri,
(1) Vedi principalmente la Colitica di Aristotile ed il dialogo di Platone
sulla Repubblica.
(2) E ciò spiega in gran parte l'importanza grande che Platone ed Aristotile
attribuivano all'educazione della giovane generazione, considerata già nella
Grecia antica come una delle funzioni dello Stato.
364 KLBIIBNTI DI 8CIBKZA POLITICA
che, mentre disponevano delle armi e dei voti, non avevano alcun
interesso a difendoie l'ordine di cose esistente (1).
E i)oi lo Stato gl'eco era dalla sua stessa costituzione organica
destinato fatalmente a restare sempre piccolo ed a non oltrepas-
sare i limiti di una città di mediocre grandezza col suo toiritorio.
Infatti se gli antichi Greci adoperarono lo stesso vocabolo, nóXis,
per indicare lo Stato e la città, ciò avvenne perchè essi non con-
cepivano uno Stato ollenicamentc organizzato che fosse più vasto
di una città e della contrada che ad essa forniva i mezzi di sus-
sistenza. Certo che, quando la civiltà greca ebbe con Alessandro
Magno conquistato l'impero di Persia, essa si estese a Stati di
grande mole, quali erano i regni di Siria, di Egitto e di Mace-
donia, ma questi erano grandi monarchie militari, la cui organiz-
zazione nulla aveva a che fare colla forma politica della quale
trattano Platone ed Aristotile, ed in esse l'ellenizzazione era limi-
tata solo ad un piccolo strato dirigente. La Grecia propriamente
detta non conobbe i grandi Stati, perchè la città greca tale non
poteva divenire. La base della sua costituzione era infatti l'as-
semblea dei cittadini e, per intervenirvi assiduamente, occorreva
abitare in città o nei suoi immediati dintorni, e l'assemblea stessa
non poteva essere troppo numerosa, perchè altrimenti la maggior
parte dei presenti non poteva udire le argomentazioni degli ora-
tori. Ed è appunto per questa ragione che Platone nella sua Re-
pubblica ed Ippodamo da Mileto nel suo progetto di costituzione
ideale, limitano il numero dei cittadini il primo a cinque mila ed
il secondo a diecimila (2) e che lo stesso Aristotile, senza precisarne
il numero, dice che essi devono esser tanti da potere ascoltare
una voce umana che non sia quella di Stentore (3). Atene, a dir
(1) Vedi Politica, sopratutto nel libro VI, capitolo IX.
(2) Però dei diecimila solo la terza parte era fornita di armi e quindi, come
osserva Aristotile, poteva prendere parte alle cariche pubbliche. Questo pro-
getto di costituzione ideale d'Ippodamo è ricordato da Aristotile nel libro II,
capitolo V della Politica. Nel capitolo precedente Aristotile parla di un altro
tipo di costituzione ideale proposto da Falca di Calcedonia, nel quale si pro-
poneva la ripartizione uguale dei beni immobili fra i cittadini; lo Stagirita
con molto buon senso dimostra la difficoltà di applicare, e sopratutto di man-
tenere integra, una simile misura.
(3) Vedi Politica, libro IV, capitolo IV. Aristotile aggiunge che è necessario
che i cittadini si possano conoscere tutti scambievolmente, perchè possano
PAUTE II. GAP. II - DESCBIZ. UBI DIVERSI TIPI DI OUGANIZZ. POLITICA 365
vero, nei suoi più bei tempi, forse oltrepassò i trentamila citta-
dini, ma costituì un'eccezione; Siracusa ne ebbe forse anche più, ma
in essa, a cominciare dal quarto secolo avanti Cristo, la costitu-
zione normale della città greca non potè più funzionare; Sparta
all'epoca di Aristotile era ridotta a due o tre mila cittadini (1).
Per rimediare alla impossibilità di formare un grande Stato
conservando integra l'organizzazione della città ellenica, la Grecia
antica tentò l'attuazione della cosi delta egemonia, cioè della su-
premazia di una città più grande su molte più piccole, ma il ri-
medio si rivelò inadatto ed insufficiente, perchè le città sottomesse
riacquistavano la loro indipendenza appena la loro dominatrice
subiva un grave rovescio di fortuna (2). Le stesse colonie di poco
aumentavano la potenza della madre patria, perchè generalmente
formavano tante città e quindi tanti Stati a sé, conservando ap-
pena qualche legume affettivo e religioso con quella dalla quale
traevano origine.
Perciò può destare ragionevole ammirazione il fatto che in or-
ganismi politici cosi piccoli siansi elaborate, e per la prima volta
attuate, alcune di quelle idee fondamentali, che poi hanno servito
di base alle costituzioni dei grandi Stati moderni di tipo europeo.
A dir vero, il concetto di libertà politica non fu completamente
estraneo ai popoli dell'antico Oriente ed all'Egitto, ma esso signi-
ficava semj)licemente che un popolo non era sottomesso ad un
altro, di razza, religione e civiltà differente, che coloro che reg-
gevano una gente erano uomini della stessa gente e non già stra-
nieri, ma non veniva mai interpretato nel senso che potesse es-
giudicare delle loro reciproche attitudini nell'esercitare le cariche pubbliche,
e che ciò riesce impossibile se la cittadinanza è troppo numerosa.
(1) Nel libro II, capitolo VI della Politica si afferma che Sparta non poteva
ornai armare più di mille combattenti, ma probabilmente la cifra è troppo
esigua. Lo stesso autore ammette che in epoche anteriori Sparta poteva avere
circa diecimila cittadini. È superfluo far rilevare che il numero dei combat-
tenti dovea sempre essere inferiore a quello dei cittadini. Quanto ad Atene
il Beloch ammette che nel 431, allo scoppiare della guerra del Peloponneso,
epoca della sua massima prosperità, il numero dei cittadini abbia potuto rag-
giungere i 45.000, comprendendovi i cleruchi, coloni ateniesi che abitavano in
altre città. * Vedi Biblioteca di Storia economica „. Voi. IV, pag. 129.
(2) Come accadde ad Atene dopo la battaglia di Egospotamos ed a Sparta
dopo quella di Leuttra.
366 ELKMKSTI DI SCIENZA POLITICA
sere riguardato come servitù un regime nazionale, pcA- quanto
assoluto ed arbitrario (1). Fu invece nella Grecia antica che, per
la prima volta, in una popolazione non più primitiva e che aveva
raggiunto un alto grado di civiltà, si riguardò come politicamente
libera solo quella gente che era sottomessa alle leggi, che la mag-
gioranza dei consociati avea approvato, ed a quei magistrati ai
quali la maggioranza stessa avea delegato, per un determinato
tempo, determinati poteri; fu in Grecia che, per la prima volta,
l'autorità non venne trasmessa dall'alto in basso, da chi stava al-
l'apice della gerarchia politica a coloro che erano a lui subordi-
nati, ma dal basso in alto, cioè da coloro sui quali l'autorità si
esercitava a coloro che la dovevano esercitare.
In altre parole, fu la civiltà ellenica la prima ad affermare, di
fronte al diritto divino dei Re, il diritto umano del popolo a go-
vernare se stesso, fu essa che per la prima non considerò più la
legge come una emanazione della volontà divina, o di coloro che
agivano in nome della volontà divina, ma bensì come una inter-
petrazione umana e variabile della volontà popolare. E, se grande
fu l'autorità che lo Stato greco esercitava sul cittadino, fino al
punto da regolare i dettagli della vita familiare, quest'autorità
dovea sempre essere esercitata in base alle norme che la mag-
gioranza aveva accettato.
E, come abbiamo già ricordato, questi stessi concetti fondamen-
tali, adattati per quanto era possibile alle società europee del se-
colo decimottavo e decimonono, efficacemente contribuirono a
modificarne gli ordinamenti politici, fecero sentire la loro influenza
dovunque vi sono popoli di origine europea, ed oggi, trasmessi
mercè il contatto intellettuale con l'Europa e l'America, hanno la
loro ripercussione persino nel Giappone, nella China ed in altre
popolazioni di civiltà asiatica.
(1) Difatti nel Vecchio Testamento gli Ebrei sono cou.siderati come caduti
in servitù quando sono sottomessi dagli Amaleciti o dai Filistei, o quando ven-
gono da Nabucco trapiantati in Babilonia, ma non già quando hanno un re
nazionale, sebbene il governo duro ed arbitrario dei Re sia assai bene descritto
da Samuele agli anziani d'Israele nel libro dei Giudici.
CAPITOLO m.
Continua il tema del capitolo precedente. — I. Caratteri speciali della città-Stato
romana. — li. Sua graduale trasformazione in uno Stato burocratico-mi-
litare durante l'Impero. — III. Dissolvimento dello Stato e della civiltà
romana. — IV. Cause che prepararono lo Stato feudale e sue caratteri-
stiche. — V, Graduale trasformazione dello Stato feudale nello Stato asso-
luto burocratico. — VI. Cause intellettuali ed economiche che preparano
la trasformazione dello Stato assoluto burocratico nello Stato rappresen-
tativo moderno. — VII. La Costituzione inglese del secolo XVIII fornisce
il modello formale allo Stato rappresentativo moderno. — Vili. Caratte-
ristiche dello Stato rappresentativo moderno ed elementi dissolvitori che
Io minacciano.
I. — Sia per l'affinità della stirpe italica con la stirpe ellenica,
sia perchè la civiltà greca, attraverso le colonie della Sicilia e della
Magna Grecia, fece sentire la sua influenza sui popoli italici in
epoca più remota di quella nella quale avvenne la conquista delle
accennate colonie per opera dei Romani, certo è che la costitu-
zione politica delle città italiche presenta molte analogie con quella
della città greca.
In origine infatti abbiamo anche nella città italica primitiva un
re, un Consiglio di maggiorenti ed una assemblea del popolo, ed
in seguito, quando incomincia l'epoca veramente storica, cioè quando
sulla fine del quarto e nei primi decenni del terzo secolo avanti
l'èra volgare, tutte le popolazioni italiche sono costrette a ricono-
scere la supremazia di Roma, non troviamo in esse quasi più
traccia della regalità ereditaria, mentre non vi erano rare le riva-
lità fra gli ottimati e la plebe (1). Tanto vero che Roma general-
(1) Ci sono nella storia romana accenni all'esistenza della carica regia presso
gli Etruschi ed i Latini all'epoca in cui Roma aveva ancora dei re o li aveva
368 BLBMBNTI DI SOIENZA POLITICA
mente favorì i primi, giustamente ritenendo che, come i)iù incli-
nati al conservatorismo ed alla tranquillità sociale, la sua supremazia
potesse sopra di essi più facilmente ai)poggiarsi, e, per raggiun-
gere meglio lo scopo, concosse con abbastanza larghezza il diritto
di cittadinanza romana agli ottimati delle città federate.
Di Roma sappiamo che in epoca remota ebbe i suoi re, il suo
Senato composto dai capi delle diverse genti patrizie, la cui con-
federazione formò la città primitiva, ed anche l'assemblea del
popolo, ossia i comizi. Abolita come in Grecia la regalità eredi-
taria e sostituita ad essa il Consolato e le altre magistrature tem-
poranee ed elettive, e quasi sempre multiple in modo che la stessa
funzione veniva contemporaneamente affidata a diverse persone,
sorse presto anche a Roma la lotta fra l'antica cittadinanza patrizia,
costituita da coloro che facevan parte delle antiche genti, e la
nuova cittadinanza plebea, composta a preferenza dai discendenti
degli stranieri domiciliati e dei servi liberati. E per un certo tempo
pare che due città coesistano nel recinto dell'urbe con magistrature
speciali all'una ed all'altra, finché si fondono quasi intieramente
entro una costituzione che ricorda molto il tipo ellenico teste
esposto, che anche essa è fatta certamente per essere applicata ad
una città-Stato, ma che si distingue per alcune particolarità pro-
fondamente originali.
La prima di esse e la più ricca di conseguenze pratiche fu l'esten-
sione data al diritto di cittadinanza, le cui prerogative vennero
suddivise in modo che, accanto al cittadino perfetto, vi era quello
imperfetto, che ne godeva una parte sola ed a poco a poco subiva
l'assimilazione necessaria per diventare giuridicamente uguale agli
altri membri della città romana (1). Ciò permise tale un'estensione
cacciati da poco, e basterebbe in proposito ricordare l'esempio di Porsena. Pare
che Veio avesse ancora un re quando fu conquistata dai Romani nel 395 avanti
Cristo. Però quando Roma conquistò tutti i popoli italici sembra che la rega-
lità fosse stata già fra essi dappertutto abolita.
(1) Si sa che i diritti del cittadino perfetto {optimi juris) erano il jtis coni-
mercii, il jus conniihii, il jus suffraga ed il^"«s honorum. Col primo si otteneva
il godimento di tutti i diritti privati del cittadino romano, col secondo quello
di contrarre nozze regolari con un cittadino od una cittadina romana, col terzo
quello di partecipare ai comizi e col quarto quello di conseguire le cariche
pubbliche. Generalmente i due primi si concedevano con maggiore facilità, ma
essi servivano ordinariamente di preparazione alla concessione degli altri.
PABTE II. OAP. Ili - Segue: descriz. dei diversi tipi ecc. 369
del diritto di cittadinanza da far sì che di esso godessero molte
persone le quali abitavano cosi lontano da Roma clie diffìcilmente,
anche avendone il diritto, poteano intervenire ai comizi. In altre
parole, Roma seppe rompere il cerchio fatale, che impediva alla
città greca di allargarsi, concedendo la cittadinanza a coloro che
abitavano tanto lontano dal centro da non potere diuturnamente
fare atto di presenza alle assemblee e praticò, per dir così, dei
gradini nell'abisso che nella Grecia divideva il cittadino da chi
non era tale. In questa maniera essa potè avere inscritti nei
suoi ruoli nel duecentosessantacinque avanti Cristo, cioè nell'anno
precedente alla prima guerra punica, duecentonovantaduemila
cittadini, e dopo le perdite in essa subite, ne aveva ancora due-
centoquarantamila nel duecentoquarantasette, ossia tra la prima
e la seconda guerra punica; ciò che rese possibile il reclutamento
delle numerose legioni mediante le quali jjotè superare la terribile
prova che subì durante l'invasione di Annibale in Italia (1). E fu
continuando in questo sistema che potè a poco a poco assimilare
tanta parte del mondo facendone, come cantava durante l'agonia
dell'impero un poeta nativo della Gallia romanizzata, una città
sola (2).
La seconda nota originale della costituzione repubblicana di
Roma antica consistette nel carattere spiccatamente più aristocra-
tico che essa mantenne rispetto a quelle greche. Il Senato romano
infatti col tempo non fu più la riunione dei padri di famiglia
delle antiche genti, ma i suoi membri furono sempre scelti dal
censore fra coloro che avevano già esercitato cariche elevate, e, solo
in un'epoca relativamente recente, i comizi centuriati furono rifor-
mati in maniera da togliere in essi la preponderanza alle classi
altamente censite ed, accanto ai comizi centuriati, furono ammessi
quei tributi nei quali prevaleva decisamente il numero sul censo (3).
(1) Vedi Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani. Torino, ed. Bocca. Voi. IH,
Gap. Ili, pag. 193.
(2) Urhem fecisti quod priiis orbili erat, cantava nel principio del quinto se-
colo dopo Cristo Rutilio Numaziano. Lo stesso concetto esprime il contempo-
raneo Claudiano nel suo carme In secundum consHÌatum Stiliconis, nei versi
che vanno dal centocinquanta al centosessanta.
(3) Una riforma democratica dei comizi centuriati, in modo da togliere in
essi la preponderanza delle classi piìi agiate, fu certamente attuata nel periodo
che corre dal 241 al 218 avanti Cristo, cioè fra la line della prima ed il prin-
G. Mosca, Elementi di Sciensa Politica. il
370 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Ma la legge non poteva essere dai comizi approvata se non quale
i magistrati l'avevano proposto e l'autorità del Sonato l'avea con-
fermato. Ed in quanto alle cariche elettive il costume più che la
legge imi)edi fino agli ultimi tempi della repubblica che fossero con-
ferite a veri popolani. Infatti il tribunato militare, che era il primo
gradino che dovevano salire coloro che aspiravano alla carriera po-
litica, fino alle guerre puniche, non fu praticamente accessibile che
ai membri dell'ordine equestre (1), ed il Ferrerò fa giustamente rile-
vare come, anche durante il periodo delle guerre civili, ad ecce-
zione di Caio Mario, che del resto pare fosse di famiglia equestre,
gli eserciti furono sempre comandati da membri delle grandi fa-
miglie romane (2).
Inoltre il fatto che molti cittadini abitavano cosi lontano da
Roma che fra la data della convocazione dei comizi e quella della
loro riunione doveva intercedere un intervallo di diciassette, o, come
altri vogliono, di ventiquattro giorni (3), contribuì ad aumentare
le attribuzioni e l'autorità del Senato, che si poteva radunare assai
più rapidamente, e che ebbe perciò fino alla fine della repubblica la
direzione quasi esclusiva della politica finanziaria e di quella estera.
II. — Nell'ultimo secolo della repubblica, dopo i Gracchi,
questa costituzione aristocratica fu modificata o per dir meglio
essa non potè più regolarmente funzionare. Poiché si rese mani-
cipio della seconda guerra punica. L'equiparazione delle leggi votate dai co-
mizi centuriati ai plebisciti votati da quelli tributi, nei quali il numero
prevaleva decisamente sul censo, sarebbe stata fatta da una legge Ortensia
del 286 avanti Cristo, ma su questo punto i competenti fanno delle riserve.
Del resto sul diritto pubblico romano esistono ancora molte incertezze, forse
anche perchè noi vogliamo trovare in esso quella rigorosa delimitazione delle
attribuzioni fra i vari organi dello Stato alla quale siamo abituati nelle
Costituzioni moderne. Vedi in proposito Pacchioni, Corso di diritto romano,
Torino, Unione Tipografica, 1918. Volume I, Periodo li. Capitolo IV.
(1) Vedi De Sanctis, opera citata, Voi. Ili, cap. IV, pagg. 344-346. L'A. di-
mostra come i pochi centurioni che a quell'epoca arrivarono fino al grado di
tribuni si ha ragione di credere che avessero raggiunto il censo equestre.
(2) Vedi Fekrkro, Grandezza e decadenza di Roma, voi. I, pag. 112.
(3) Il trinundinum, che dovea intercedere fra la convocazione e la riunione
dei comizi, da alcuni autori viene calcolato di ventiquattro giorni, da altri di
diciassette, ad ogni modo era sempre un periodo abbastanza lungo perchè si
moltiplicassero i casi di urgenza ai quali dovea provvedere il Senato.
PABTB II. OAP. III. - Segue: descriz. dei diversi tipi eoo. 371
festa l'impossibilità che uno Stato città organizzato sul tipo elle-
nico, per quanto modificato ed allargato, potesse diventare un
corpo politico mondiale. I comizi, che rappresentavano l'adunanza
legale di tutto il popolo sovrano nel foro di Roma, potevano già
sembrare una finzione legale quando, nell'ottantotto avanti Cristo,
la cittadinanza fu estesa a tutti i popoli italici, ma divennero
un'irrisione quando buona parte, se non la maggioranza dei cit-
tadini, risiedeva fuori dell'Italia sparsa per tutto il bacino del Medi-
terraneo (1). Né l'annuale avvicendamento delle cariche pubbliche
fu più praticabile una volta che i loro titolari, investiti di potere
quasi assoluto, dovevano stare per anni lontani dall'Italia in Pro-
vincie remote e che, per la stessa ragione, gli eserciti perdettero
il carattere di milizie cittadine, reclutate anno per anno, ed acqui-
starono guadualmente quello di soldati professionali, legati più al
capitano, che per molti anni consecutivi li comandava, che alla
repubblica. Sicché era fatale che l'antica civitas romana si dovesse
trasformare in un organismo politico tenuto insieme e governato
mercé una burocrazia professionale ed un esercito stanziale.
Questa trasformazione ebbe luogo quando, per usare il linguaggio
ora comunemente accettato, alla Repubblica fu sostituito l'impero ;
si può disputare, e certo si disputerà ancora, sulle intenzioni che
ebbero Augusto ed i suoi collaboratori quando inaugurarono il
nuovo regime, ed è indiscutibile che essi non vollero sostituire a
quello vecchio né la monarchia assoluta né la monarchia tempe-
rata, come oggi l'intendiamo ; ma è pure certo che coi nuovi ordi-
namenti fu fatto un passo decisivo verso la trasformazione del-
l'antico Stato città in una nuova forma di organizzazione politica,
la quale rendeva assai più agevole di tenere uniti, governare ed
assimilare lentamente i vasti domini che Roma aveva saputo
conquistare.
(1) 11 censo dell'anno 28 avanti Cristo (tre anni dopo la battaseli» di Azio)
dava la cifra di 4.164.000 cittadini, quello dell'anno 8 avanti Cristo ne con-
tava 4.233.000, l'ultimo di cui abbiamo notizia del 48 dopo Cristo, sotto l'im-
peratore Claudio, ne contava 5.894.012. Siccome non erano compresi nel censo
le donne ed i maschi inferiori ai 17 anni, così la prima cifra corrispondeva
già ad una popolazione di circa quattordici o quindici milioni di persone, assai
pivi di quanto ne poteva contenere allora l'Italia, se teniamo conto pure dejjli
schiavi e degli stranieri domiciliati. Vedi Marquardt, De l'organisation finattcière
chez les Komains, Paris, Thorin, ed. 1888, 2' parte, pag. 337 in nota.
372 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
È legge forse costante che, nella trasformazione degli organismi
politici, quelli susseguenti conservino larglie traccie di quelli imme-
diatamente precedenti, perchè più o meno il nuovo edificio viene
costruito sulle rovine del vecchio ed, almeno in parte, coi materiali
da esso forniti. Questa legge noi la vediamo chiaramente affer-
marsi nella riforma augustea, la quale, se non tolse di un tratto la
potestà legislativa ai comizi, tanto che essi continuarono ad essere
qualche volta convocati ed a funzionare, sia pure in modo inter-
mittente, fino a più di un secolo dopo la battaglia d'Azio, fece in
modo che la facoltà di legiferare fosse, poco a poco, intieramente
usucapita dal Senato e dal Principe (1).
Quanto a ciò che ora corrisponderebbe al potere esecutivo ed
al giudiziario, esso fu diviso quasi intieramente fra il Senato e
l'imperatore. Poiché questi fu considerato come un magistrato
cittadino, che concentrava in sé molti poteri, ma molti altri ne
lasciava al Senato, a Roma, in Italia e nelle provincie senatorie,
ma assunse subito le funzioni di sovrano assoluto nelle provincie
imperiali, considerate soggette ad un'occupazione militare, e che egli
governava a suo talento, per mezzo di una burocrazia i cui dirigenti
erano scelti qualche volta fra i senatori ma a preferenza fra i
semplici cavalieri (2).
Naturalmente, come sempre accade nei contatti e nelle compe-
tizioni inevitabili fra gli avanzi di un regime vecchio ed im regime
nuovo più conforme alle necessità dei tempi, i funzionari scelti
dal Senato andarono perdendo sempre più terreno, finche finirono
col lasciare poche traccie di se. Difatti, fin dai primi imperatori d'ella
casa Giulia, nella stessa Roma, alla competenza di molti degli
(1) Le leggi approvate dai comizi sono ancora importanti e numerose sotto
Augusto, diminuiscono in seguito e sono gradatamente sostituite dai senatus
consulta e poi dalle costituzioni imperiali. L'ultima legge approvata dai comizi
che si ricordi è la lex agraria fatta sotto l'imperatore Nerva (96-98 dopo Cristo).
Vedi Pacchioni, opera citata, Periodo quarto, cap. 9, 10 ed 11.
(2) La trasformazione dell'antico Stato città romano in un impero burocra-
tico è stata oggetto degli studi profondi di molti storici e giuristi. Ricorderemo
fra gli altri Pacchioni, opera citata, voi. I, periodo IV ; Hartmann, La rovina
del mondo antico, trad. di Gino Luzzatto, Torino, Roux e Viarengo ; Guglielmo
Ferrerò, Grandezza e decadenza di Roma, Milano, Treves, specialmente nel vo-
lume IV; Bryce, Il sacro romano impero, traduttore Balzani, Napoli, Vallardi
editore.
PABTE II. CAP. Ili - Segue: desoriz. dei diversi tipi ecc. 373
antichi magistrati onorari si sostituì quella di nuovi funzionari scelti
dall'imperatore, e gradatamente la burocrazia regolare, composta di
cavalieri ed anche di liberti del principe, fece sentire sempre più la
sua azione in tutto l'impero. Praticamente, dopo i primi imperatori,
la competenza del Senato, reclutato sempre fra l'alta burocrazia e
fra le grandi famiglie d'Italia e poi del mondo intero, fu ristretta
nei limiti che agli imperatori ed ai suoi strumenti piaceva di trac-
ciare (1). Sicché, dopo la grave crisi che l'impero ebbe a subire e
che potè superare nella seconda metà del terzo secolo, non fu
difficile a Diocleziano ed a Costantino di sopprimere quasi tutti
i ricordi e le sopravvivenze dell'antica costituzione cittadina, od
a ridurle a nomi vani, senza alcun contenuto positivo. I soli con-
cetti provenienti dall'antica costituzione che si salvarono dal nau-
fragio furono quello che l'imperatore riceveva la sua autorità dal
popolo, concetto che, in grazia ai giureconsulti, sopravvisse fino a
Giustiniano (2), e l'altro che ogni magistrato aveva una sfera di
competenza nettamente delimitata e doveva, almeno teoricamente,
esercitare la sua autorità conformemente alla legge. Forse a ciò
in parte si deve il fatto che l'azione della burocrazia romana fu
certo più regolare, e quindi più efficace, di quella degli antichi imperi
orientali, e basterebbe a provarlo il modo maraviglioso con il quale
riusci a diffondere la lingua, le leggi ed i costumi di Roma e ad
unificare moralmente quasi tutto il mondo civile di allora.
III. — Le cause prime della decadenza della civiltà antica
e del disgregamento dell'impero romano d'occidente costituiscono
forse il problema più intricato ed oscuro della storia ; e, benché
molta luce sopra di esse abbiano apportato gli studi dell'ultimo
mezzo secolo, non tutte le tenebre sono ancora scomparse (3). Ed
(1) Vedi Pacchioni, opera citata, Periodo IV, capitolo IX.
(2) Pacchioni nell'opera citata (Periodo IV, capitolo XI) sostiene con validi
argomenti che i giureconsulti giustinianei abbiano dato al famoso e noto passo
di Ulpiano quod principi placuit legis habet vigorem una interpretazione esten-
siva che in principio non aveva. Ad ogni modo anche essi rendevano, per dir
così, omaggio al principio della sovranità popolare, riconoscendo che il popolo
avea delegato al principe la facoltà legislativa in virtìi della lex regia de
imperio.
(3) Interessantissimi sono in proposito i recenti lavori di Gcolielmo Ferrerò
intitolati: La mine de la civilisation antique, e pubblicati nella * Revue dee
874 XLEMENTl DI SCIENZA POLITICA
il })unto più oscuro del f^rande fenomeno storico resta sempre
l'inizio di esso : cioè quella povertà di uomini superiori, quella
decadenza artistica e letteraria, che già sono manifeste nel terzo
secolo dell'era volgare, quando gli antichi ideali pagani erano già
esauriti ed il nuovo ideale cristiano non era ancora, nelle classi
còlte, diffuso.
Certo che, nella società romana del basso impero, vi erano molte
gravi piaghe : il sistema delle imposte era posante od assurdo,
esauriva le fonti della ricchezza e colpiva sopratutto le classi
medie, ossia la borghesia provinciale che formava il decurionato
delle città (1), e la decadenza delle classi medie lasciava di fronte
un'aristocrazia di grandi proprietari, fra i quali a preferenza si
reclutava l'alta burocrazia, ed una numerosa poveraglia, che tumul-
tuava e viveva in parte a spese dello Stato, e poi della Chiesa, nella
capitale e nelle grandi città, o che era ridotta nella semiservitù del
colonato nelle campagne. La sicurezza pubblica era molto relativa,
il brigantaggio fioriva, i ricchi si difendevano tenendo ai loro servizi
delle guardie private, specie di bravi che si chiamavano bucceUari,
le medie e piccole fortune non avevano modo di difendersi e soc-
combevano (2). L'igiene pubblica non era così perfezionata che
l'incremento ordinario della popolazione potesse facilmente col-
mare i vuoti lasciati dalle carestie, dalle pestilenze, dalle incur-
sioni dei barbari o da qualsiasi mortalità straordinaria, e del resto.
deux mondes „ del 15 settembre 1919, del 15 settembre e 1° giugno 1920 e
del 15 febbraio 1921. Ripubblicati poi in volume a Parigi, librairie Plon, 1921.
(1) Come si sa, il corpo dei decurioni, costituito dai maggiori censiti e che
esercitava funzioni abbastanza analoghe a quelle dei nostri Consigli comunali,
era pure incaricato della riscossione delle imposte dirette e, nel caso che la
città non potesse pagare interamente la quota assegnata, i decurioni doveano
supplirvi coi loro beni privati. Perciò la carica di decurione, prima ambita
come segno di distinzione sociale, diventò aborrita e tutti cercavano di sot-
trarvisi.
(2) E ricordato dagli storici un certo Bulla, che per lungo tempo scorazzò
per l'Italia a capo di una masnada di seicento briganti; in Gallia durò molto
a lungo il brigantaggio dei contadini rivoltati, che si dicevano Bagaudi. Del
resto, per vedere quanto il brigantaggio fosse allora diffuso, basta leggere uno
dei pochi romanzi che l'antichità classica ci ha lasciato, cioè l'Asino d'oro di
Apuleio.
PARTE II. GAP. Ili - Segue: dkscriz. dei diversi tipi ecc. 375
come accade in tutte le civiltà molto stagionate e non rattenute
da freni religiosi, pare che la natalità fosse scarsa (1).
Dopo Diocleziano lo Stato, per porre riparo alla grave crisi, che
alla metà circa del terzo secolo aveva colpito l'impero, assunse
poteri ed esercitò ingerenze straordinarie ed ebbe la pretesa di
disciplinare tutta la vita economica, fissando i salari ed i prezzi
delle derrate e, per assicurare la continuità di ciò che ora sareb-
bero i servizi pubblici, ne proibì l'abbandono a coloro che vi erano
addetti e costrinse i loro figli a seguire il mestiere del padre. Infine
l'amministrazione era fortemente inquinata dal vizio, che è la ma-
ledizione e la fonte di ogni debolezza dei regimi burocratici, cioè
dalla venalità. Il funzionario romano del basso impero general-
mente badava più al suo interesse privato che all'interesse pub-
blico che era incaricato di tutelare, e per molte notizie è noto
che talora, anche nei gradini più elevati della scala burocratica,
nulla era possibile di ottenere senza ricchi presenti (2),
Ma d'altra parte non bisogna dimenticare che non vi è società
umana che non abbia le sue piaghe e che, accanto ad esse, vi è
quasi sempre una forza naturale riparatrice, la quale tende ad
attenuarne gli effetti. L'impero remano d'oriente, che soffriva
delle stesse piaghe di quello d'occidente, non solo potè soprav-
vivere, ma, nel sesto secolo, sotto Giustiniano, e poi nell'ottavo e
nono secolo, sotto gli imperatori iconoclasti e la dinastia mace-
done, ebbe notevoli risvegli di energia e potè allora in gran parte
salvare il suo territorio e la sua civiltà assalita dai barbari del
settentrione e poi anche dagli Arabi.
Un individuo muore quando, essendo logorati i suoi organi per
(1) Certo il Cristianesimo neppure nel quinto secolo era talmente penetrato
nelle plebi campagnuole da rendere disusati l'aborto procurato e l'esposizione
dei neonati, la quale era così comune nell'antichità cbe il riconoscimento di
un esposto è uno degli intrecci piìi comuni del teatro antico.
(2) Si sa ad esempio cbe, quando l'imperatore Valente consentì che i Goti
passassero il Danubio e si stabilissero nelle terre dell'impero, i funzionari
incaricati di distribuire loro dei viveri e togliere le armi, corrotti dai doni,
lasciarono loro le armi e nello stesso tempo si appropriarono di buona parte
dei viveri. È inoltre molto istruttiva in proposito la relazione di una inchiesta,
avvenuta in Tripolitania verso la fine del quarto secolo e riferita in tutti i
suoi particolari da Ammiano Marcellino noi libro XXVllI capo 6°, paragrafo 5"',
della sua storia.
376 BLRMEKTI DI 60IENZA POLITICA
la vecchiaia, essi non possono più normalmente funzionare, ovvero
quando, indebolito per questa o per altre cause, non può resistere
ad una infezione che lo assale. A prima vista parrebbe che la vec-
chiaia non dovesse mai manifestarsi in un popolo, in una civiltà,
perchè in essi le generazioni umane sempre si rinnovano ed ogni
generazione nuova ha tutto il vigore della giovinezza. Invece ciò
che può equivalere alla vecchiaia o alla debolezza organica, si
manifesta in un popolo quando vengono meno i legami morali,
come sarebbero la religione ed il patriottismo, che formavano la
base della sua coesione sociale, e non agisce i)iù quella forza natu-
rale riparatrice, alla quale teste accennavamo, perchè i migliori
elementi rimangono paralizzati, avendo rivolta la loro attività ed
energia verso fini diversi da quelli che sarebbero necessari per la
salvezza dello Stato. E la debolezza interna deve essere tanto
maggiore quanto minore è la forza dell'urto esterno che produce
la catastrofe, ciò che avviene quando essa ha luogo per l'assalto
di popoli inferiori per mezzi offensivi, sapere e disciplina.
Or, come abbiamo già accennato in un precedente lavoro, l'impero
romano d'occidente subì la grande irruzione dei popoli germanici,
determinata alla fine del quarto secolo dall'urto degli Unni, in un
momento critico, quando erano venute meno le concezioni ed i
sentimenti, che formavano la base morale della vecchia civiltà
classica ed una ondata di misticismo toglieva allo Stato tutti gli
elementi migliori, quasi tutti gli individui che si distinguevano
per altezza di carattere e d'ingegno, per darli alla Chiesa (1). So-
(1) Vedi Mosca, Teorica dei Governi, capitolo II, paragrafo VI, pag. 87. To-
rino, Loescher, 1884. È forse opportuno ricordare che, verso la fine del quarto
secolo e nella prima metà del quinto, mentre l'impero d'occidente crollava, ab-
biamo nella Chiesa una pleiade di uomini superiori, sant'Ambrogio, san Giro-
lamo, sant'Agostino, san Paolino da Nola, Paolo Orosio, Salviano, ecc., mentre, ad
eccezione di Teodosio e dello sventurato Magioriano, uno degli ultimi imperatori
d'occidente, quasi nessun uomo di carattere e di mente elevata di origine ro-
mana si dedica al servizio dello Stato. È caratteristico in proposito l'aneddoto
narrato da sant'Agostino, di quel Pontitianus, che, mentre l'imperatore è al
circo, con altri tre ufficiali del seguito imperiale va a passeggiare nei giardini
vicino le mura di Treviri, durante la passeggiata entrano in un monastero e
leggono la vita di sant'Antonio scritta da Atanasio arcivescovo di Alessandria,
e la lettura ha tale effetto che essi abbandonano immediatamente il servizio
imperiale e si danno alla Chiesa.
PABTE II. GAP. HI. - Segue-, descriz. dei diversi tipi ecc. 377
pravvisse la parte orientale del mondo romano perchè, forse in
grazia della sua posizione geografica, ebbe il tempo di superare il
momento critico e di restaurare le sue forze, mentre questo tempo
mancò alla parte occidentale, già quasi tutta in potere dei barbari
alla metà del quinto secolo.
IV. — Dopo che i barbari si furono insediati in tutte le an-
tiche provinole dell'impero d'Occidente, il processo di disgregazione
politica e civile, già iniziato nel terzo secolo dell'era volgare,pro-
cedette rapidamente. In principio parecchi dei primi governanti bar-
bari, e segnatamente l'ostrogoto Teodorico, pare che si siano sforzati
di conservare per quanto era possibile i quadri dell'antica ammi-
nistrazione civile romana, riservando agli invasori la difesa militare
del paese, ma i nuovi regimi diffìcilmente potevano adattarsi alla
complicata macchina burocratica romana, che presupponeva una
esperienza amministrativa ed una cultura giuridica che mancavano
ai conquistatori. Inoltre la necessità in cui si trovarono i re bar-
bari, di compensare i loro seguaci colla concessione di buona parte
delle terre dei vinti, dovette necessariamente sconvolgere la società
d'allora, nella quale le classi alte di origine romana o si adatta-
rono alla vita ed ai costumi dei barbari o scomparvero confon-
dendosi nella plebe, e dovette preparare la trasformazione del
grande proprietario terriero in sovrano ereditario locale. Se a ciò
si aggiunge che ai primi invasori, già un poco assuefatti alla
civiltà ed alle istituzioni romane, spesso si sostituii'ono, come fu
il caso dei Longobardi, altri completamente ignari, si comprende
agevolmente come, dopo qualche secolo, quasi nulla dovesse so-
pravvivere dell'antica macchina statale romana, e come la nuova,
modellata sulle istituzioni ed i sentimenti con i quali si soleano
reggere le tribù germaniche nella loro patria d'origine, cioè sul-
l'obbligo personale di reciproca fedeltà, che legava il capo supremo
della banda guerriera ai suoi sottocapi, siasi alla lunga dimostrata
assolutamente insufficiente a mantenere salda sotto unica direzione
la compagine di un grande Stato.
Perciò lo sfacelo della grande monarchia barbarica, arrestato
durante due o tre generazioni per opera della energica dinastia
franca degli Heristal, e sopratutto di Carlo Magno, dopo la morte
di questo geniale sovi'ano, che tentò di far rivivere le tradizioni
unitarie ed accentratrici di Roma, si accentuò sempre più, aiutato
378 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
dalle nuove scorrerie deoli Un^'hori, dei Normanni e dei Saraceni,
tanto che al decimo secolo la indipendenza dei capi locali di fronte
al potere centrale era già quasi completa e di fatto era già isti-
tuito quel regime che poi si disse feudale.
Il feudalesimo non fu, né potea essere, un ritorno puro e sem-
plice allo condizioni di tribù o piccole ijopolazioni nemiche l'una
dell'altra, che Roma avea trovato nel mondo occidentale prima
che l'avesse conquistato. Poiché certi progressi intellettuali, come
l'adozione di un linguaggio comune, e sopratutto quelli materiali.
una volta acquisiti, non si perdono più intieramente, anche quando
l'organizzazione politica che li ha reso possibili intieramente si
dissolve.
Difatti un popolo abituato alla stabilità delle sedi, ad una agri-
coltura basata sulla proprietà privata, ad una certa differenzia-
zione fra le classi sociali, non perde intieramente queste abitudini
caratteristiche anche dopo un lungo periodo di anarchia. Si po-
trebbe anche aggiungere che alcuni dei materiali con i quali si
costruì l'edificio feudale non furono che lo sviluppo e la conti-
nuazione di istituti del basso impero. Cosi ad esempio la servitù
della gleba, ossia il vincolo che legava alla terra la numerosa
classe addetta al lavoro agricolo, è noto che rimonta già al basso
imiterò, sicché nelle campagne il nuovo regime non fece che tras-
formare nel castello fortificato del barone la villa dell'antico grande
proprietario romano.
Invece come novità introdotta dal feudalesimo si può riguardare
la supremazia politica di una classe esclusivamente guerriera, che
abbandonò al clero la cura di mantenere vivi quei bricioli di cul-
tura, che sopravvissero alla catastrofe del mondo antico. Un'altra
caratteristica del sistema feudale consistette nell'accentramento di
tutte le funzioni direttive e di tutta l'influenza sociale nei capi
militari locali, che nello stesso tempo furono i padroni della terra,
ossia del quasi unico strumento di produzione che allora vi fosse.
E finalmente non bisogna dimenticare che il feudalesimo institui
una sovranità intermedia fra l'organo centrale e coordinatore dello
Stato e l'individuo.
Difatti i capi locali più importanti, diventati ereditari, legarono
a sé con subconcessioni di terre i capi minori, i quali, stretti dal-
l'omaggio feudale e dall'obbligo di fedeltà verso il concedente, non
avevano alcun rapporto diretto col capo di tutta la confederazione
PABTK II. GAP. Ili - Segue-, descbiz. dei diversi tipi ecc. 379
feudale, cioè col Re, e si credevano obbligati a combatterlo se il
capo al quale erano direttamente legati lo combatteva. E certa-
mente fu questa la causa principale della lunghissima resistenza
opposta dal regime feudale all'azione diuturna del potere centrale
che mirava a distruggerlo.
V. — Scrisse il Bryce che le due grandi idee che l'antichità
morente trasmise all'età che la segui furono quelle di una mo-
narchia universale e di una religione universale (1). Difatti fino
al secolo decimoquarto si mantenne nelle classi intellettuali, rap-
presentate dal clero e dai giuristi, vivace il ricordo dell'antica
unità di tutte le genti civili e cristiane guidate nelle cose religiose
dal pontefice romano, che a poco a poco fu riconosciuto come
supremo gerarca della Chiesa cattolica, ed in quelle temporali dal
successore dell'antico imperatore romano. Senza la vivacità di
queste reminiscenze non si spiegherebbe il tentativo di restaura-
zione dell'impero, che ebbe luogo per opera di Carlo Magno e di
Papa Leone III nell'anno ottocento, né quello, alquanto più du-
raturo, di Ottone I di Sassonia nel 962.
Ma un nome ed un'idea, per quanto possano esercitare una
grande influenza morale, non bastano alla restaurazione di un
sistema politico accentrato e coordinato, quando esso è già disfatto,
senza il sussidio di un'organizzazione materiale che si metta al
loro servizio, e, per avere questa, occorrono i mezzi necessari a
costituirla. E di questi appunto difettavano i successori di Carlo
Magno e gli imperatori germanici, che non disponevano né di una
finanza solida, ne di una burocrazia regolare, ne infine di un eser-
cito stanziale adatti a fare rispettare le loro pretese.
Sotto Carlo Magno l'antico bando germanico forniva ancora agli
eserciti franchi milizie abbastanza disciplinate ed i signori locali
non erano ancora onnipotenti; per la stessa ragione gli imperatori
della casa di Sassonia ed i primi due della casa di Franconia pote-
rono contare sulla cooperazione della classe militare tedesca, non
ancora saldamente raggruppata attorno a pochi capi (2) ; ma, ap-
(1) Vedi Giacomo Bryce, Il sacro romano impero. Traduzione di Ugo Balzani,
Napoli, Vallardi. 1886, cap. VII, pag. 84.
(2) Sotto Enrico III di Franoonia il potere imperiale e regale raggiunse in
Germania il mas8Ìmo della sua efficacia; difatti egli potè per lungo tempo
380 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
pena il sistema fendale ebbe poste salde radici anche in Germania,
questa base divenne iDure tentennante. Se poi si tiene conto che
la lotta sopravvenuta fra l'Impero e la Chiesa forni alle sovranità
locali, in urto con l'autorità imperiale, il sussidio di una grande
forza morale, non desterà maraviglia che il tentativo di ristabilire
l'unità politica universale dei popoli cristiani, iniziato da Carlo
Magno e ripreso da Ottone I di Sassonia, si possa considerare, dopo
la morte di Federico II di Hohenstauffen, come completamente
e definitivamente fallito.
Ma, siccome nell'Europa centrale ed occidentale non dovea eter-
narsi quello stato di semibarbarie che fu la caratteristica del-
l'epoca più oscura del Medio Evo, siccome in essa la civiltà dovea
risorgere, era fatale che il lavorio di riassorbimento dei poteri
locali noli' organo centrale dello Stato dovesse essere ripreso
sotto altra forma, e che ciò che era riuscito impossibile al rappre-
sentante dell'antico impero romano dovesse diventare il compito
delle diverse monarchie nazionali.
Intanto dopo il mille avea cominciato a sorgere accanto al feudo
un'altra forma di sovranità locale, ossia il Comune, costituito dalla
confederazione delle ghilde, delle fratellanze vicinali, delle cor-
porazioni di mestiere, di tutte quelle leghe di uomini non nobili
e non soggetti a vassallaggio, che, nei periodi più brutti del-
l'anarchia feudale, si erano formate, affinchè gli individui ad esse
appartenenti godessero, mercè la mutua difesa, di una certa si-
curezza personale. Ora i Comuni, i quali diventati potentissimi
prima nell'Italia settentrionale e poi in Germania ed in Fiandra,
furono colà uno degli ostacoli maggiori all'affermarsi del potere
del sacro imperatore romano, viceversa, avendo forze più modeste
in Francia, in Inghilterra, nei regni iberici e nell'Italia meridio-
nale, appoggiarono in questi paesi il Re contro la feudalità.
far rimanere inoccupati parecchi dei principali ducati, o farli occupare da pa-
renti della casa regnante, e ritenere sotto il suo diretto dominio il ducato di
Franconia e, per un certo tempo, anche quello di Svevia. Inoltre l'imperatore
aveva il diritto esclusivo di nominare i titolari dei grandi feudi ecclesiastici,
vescovati ed abbazie, i quali non erano ereditari e comprendevano quasi la
metà del territorio tedesco. La morte immatura di Enrico III e poi la minore
età e la debolezza di Enrico IV e le sue lotte col Papato permisero all'alta
nobiltà tedesca di riguadagnare il terreno perduto. Vedi Bryce, opera citata,
capitolo IX.
PARTE II. CAP. III. - Segue: descbiz. dei diversi tipi ecc. 381
In generale le monarchie nazionali si riattaccavano storicamente
alle antiche monarchie barbariche, che i Germani invasori aveano
formato sulle rovine dell'antico impero romano. Senonchè esse,
dopo il periodo di dissoluzione politica che ebbe luogo sotto i
primi successori di Carlo Magno, si andarono ricostituendo adat-
tandosi più ai criteri geografici e linguistici anziché a quelli pu-
ramente storici. Sicché ad esempio la Francia di San Luigi non
corrispondeva all'antico paese dei Franchi, ma da una parte ab-
bracciava l'antica Settimania, già dominata dai Visigoti, e dall'altra
avea dovuto rinunziare alle Fiandre, alla Franconia, ed alle rive
del Reno, paesi germanici e perciò attratti nell'orbita del sacro
romano impero.
Certamente poi, per quanto il suo titolo derivasse ufficialmente
da quello di cui si erano fregiati gli antichi re barbarici, il re
nazionale non fu in origine che il capo, qualche volta nominale,
di una confederazione di grandi baroni, primo fra essi, ma primo
fra i pari. Come tali furono considerati in Francia Ugo Capete e
Filippo Augusto, come tale appare Giovanni senza terra nel testo
della Magna Charta, e tali appaiono i re d'Aragona nella formola
del giuramento che essi dovevano prestare davanti le Cortes (1).
Ci vollero più di sei secoli di lotte e di lavorìo, lento ma co-
stante, perché il Re feudale si trasformasse in Re assoluto, la
gerarchia feudale in burocrazia regolare e l'esercito, formato dalla
nobiltà in armi e dai suoi vassalli, diventasse un esercito regolare
e stanziale ; sei secoli durante i quali vi furono anche dei periodi
in cui la feudalità, giovandosi dei momenti critici che il paese e
la Corona traversavano, potè alle volte riguadagnare qualche
parte del terreno perduto. Ma alla fine la vittoria rimase alla mo-
narchia accentratrice, che seppe a poco a poco riunire nelle sue
mani una quantità di forze materiali, maggiore di quelle che la
nobiltà feudale potea contrapporle, e che contro di essa abilmente
si giovò dell'appoggio dei Comuni e di potenti e costanti forze
morali, quali furono l'opinione diffusa della missione divina delle
(1) Si 8a che i baroni aragonesi adunati invitando il nuovo re a giurare che
avrebbe conservati gli antichi patti prima di enumerarli dicevano : " noi di cui
ciascuno vale quanto voi, e che tutti uniti vagliamo più di voi, vi nominiamo
nobtro re a queste condizioni „, e che, enumerate le condizioni, conchiudevano;
" e se no, no „.
382 KLBMBNTI DI SCIENZA POLITICA
dinastie regnanti e la dottrina dei giureconsulti, i quali nei Re rav-
visavano il i)otere sovrano che, a somiglianza dell'antico impera-
tore romano, creava colla sua volontà la legge e la facea os-
servare (1).
E importante di rilevare come le cause economiche abbiano
esercitato un'azione poco sensibile nella trasformazione dello stato
feudale in quello burocratico, trasformazione che è certo uno degli
avvenimenti che maggiormente modificarono la storia del mondo;
perchè dal secolo decimoquarto al decimosettimo i sistemi di pro-
duzione economica non subirono cambiamenti radicali, sopratutto
se li paragoniamo a quelli che ebbero luogo dopo che fu costi-
tuito lo Stato burocratico assoluto. Viceversa dalla fine del quat-
trocento alla seconda metà del seicento, nell'epoca cioè in cui il
sistema feudale perdeva ogni giorno terreno ed era definitiva-
mente domato, ebbe luogo un gravissimo rivolgimento nell'arte e
nell'organizzazione militare, prodotta dal perfezionamento e dal
generalizzarsi delle armi da fuoco. Difatti il castello baronale potè
essere facilmente e rapidamente espugnato appena si rese comune
l'uso del cannone e la cavalleria pesante formata dalla nobiltà,
che sola poteva sottoporsi alla lunga esercitazione ed all'ingente
spesa che richiedevano l'armamento equestre, non fu più l'arma che
decise dell'esito delle battaglie, dopo che l'archibuso fu perfezio-
nato e le fanterie lo ebbero generalmente adottato (2).
(1) Il proceBso di trasformazione della monarchia feudale in monarchia as-
soluta burocratica, che abbiamo sommariamente descritto, è quello che si po-
trebbe chiamare tipico o normale e che ebbe luogo in Franeia ed in parecchi paesi
d'Europa. Però ce ne furono altri che condussero, o che avrebbero condotto,
allo stesso risultato. Ad esempio nella valle del Po il comune di Milano, tras-
formato prima in signoria e poi in ducato, sottomettendo molti altri comuni
avea acquistato, nella prima metà del secolo decimoquinto, un territorio così
vasto che avrebbe potuto benissimo diventare un reame. Altrove furono dei
grandi feudatari che allargarono tanto i loro domini da trasformarli in regni,
e questo fu precisamente il caso dei marchesi di Brandeburgo, che diventarono
re di Prussia, e dei duchi di Savoia che diventarono re di Sardegna.
(2) Vedi in proposito nel capitolo precedente, nella nota a pagina 357, quanto
è detto relativamente all'influenza che la trasformazione dell'armamento ebbe
nelle vicende politiche della città ellenica nel settimo e sesto secolo avanti
l'era volgare. Si può aggiungere che anche nel Giappone il prevalere dell'ac-
centramento monarchico sulla feudalità, che ebbe luogo alla fine del secolo
decimosesto ed agli inizi del decimosettimo per opera degli Shogun della fa-
PAKTB II. GAP. Ili - Segue: descbiz. dei diversi tipi ecc. 383
VI, — Lo Stato assoluto burocratico si può considerare come
definitivamente stabilito e sviluppato in Francia all'inizio del
Regno di Luigi XIV, cioè nel 1660; contemporaneamente, o poco
dopo, il rafforzamento dell'autorità centrale e l'assorbimento delle
sovranità locali si generalizzò, più o meno completamente, in
quasi tutta l'Europa; i pochi Stati che, come la Polonia e Venezia,
non seppero o non poterono marciare con i tempi e trasformare
il loro organismo, perdettero ogni forza ed ogni coesione e scom-
parvero prima che terminasse il secolo decimottavo.
Ora, data l'origine relativamente recente di quella forma di re-
gime politico che appellavasi ed apiDellasi monarchia assoluta, uno
dei fenomeni storici più interessanti è senza dubbio la rapidità
con la quale, nel suo seno ed alla sua ombra, si formarono quelle
nuove forze dirigenti e quelle nuove condizioni intellettuali, mo-
rali ed economiche, le quali, in un i^eriodo che non è più lungo
di circa un secolo e mezzo, resero inevitabile la sua trasforma-
zione nello stato rappresentativo moderno.
Il più importante coefficiente di questa trasformazione fu la
rapida creazione di una classe sociale nuova, la quale sorse e si
affermò fra il popolo minuto ed i discendenti dell'antica aristocrazia
feudale. Fu infatti durante il secolo decimottavo che nacque la
borghesia nel senso lato della parola, cioè quella classe numerosa
addetta alle professioni liberali, ai commerci, alle industrie, che
ad una discreta agiatezza accoppia una cultura tecnica e spesso
scientifica assai superiore a quella delle altre classi sociali. Certo
che, anche prima di allora, le file della nobiltà non erano impe-
netrabili; anzi qualche grande giureconsulto aveva potuto esservi
ammesso, ed, in alcune grandi città commerciali, alcune grandi
famiglie di industriali e di banchieri avevano finito col confon-
dersi con l'antica nobiltà feudale o col sostituirla addirittura. Ma,
fino agli inizi del secolo decimottavo, una vera classe media non
esisteva, perchè come tale non poteva riguardarsi il modesto arti-
gianato, le cui condizioni economiche ed intellettuali assai poco
differivano da quelle del j^opolo minuto.
Fu il regime assoluto che, assicurando l'ordine ed una pace re-
miglia Tokugava, fu di pochi anni posteriore all'introduzione delle armi da
fuoco, fatte conoscere in quei paesi dai Portoghesi. Vedi De La Mazellibub,
Le Japon, volume 3", capitolo 2". Paris, Librairie Plon, 1907.
384 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
lativa, ed allontanando la nobiltà dalle sue proprietà terriere (1),
rese possibile che dalle classi inferiori della popolazione si staccas-
sero gli elementi più adatti a formare un nuovo strato sociale, quello
strato, che, assorbendo anche gli elementi meno doviziosi e più at-
tivi dell'antica nobiltà, formò quella classe, la quale, con vocabolo
molto espressivo, in Russia ed in Germania appellasi Vinteli if/ema.
Classe che da un lato, per la sua educazione scientifica e letteraria,
per le sue maniere e per le sue abitudini, distinguesi nettamente
dai lavoratori manuali, mentre dall'altro, per le sue condizioni
economiche, alle volte si confonde con i ceti più agiati, alle volte
molto se ne distacca. Come si è già accennato, essa in qualche
paese cominciò a formarsi negli ultimi decenni del secolo decimo-
settimo, ma si sviluppò ed affermò in tutta l'Europa centrale ed
occidentale durante il secolo decimottavo ed anche nella prima
metà del decimonono. Il suo sviluppo è in certo modo parallelo
al diffondersi dell'istruzione secondaria classica e tecnica e del-
insegnamento universitario.
Questa classe, appena ebbe acquistato le sue qualità caratteri-
stiche e la coscienza della propria forza ed importanza, dovette
accorgersi che essa era vittima di una grande ingiustizia ; la quale
consisteva nei privilegi che la nobiltà aveva, più o meno in tutti
gli Stati assoluti, ma sopratutto in Francia, conservato. Abbiamo
già accennato ad una legge quasi costante della storia, per la
quale ogni nuovo edificio politico deve più o meno utilizzare i
ruderi di quello che l'ha preceduto. Obbedendo per necessità a
questa legge, il regime assoluto, quando si era costituito, aveva
tratto quasi tutti gli elementi della nuova burocrazia civile e mi-
litare, che reggeva lo Stato, dalla nobiltà e dal clero, ai quali
aveva tolto le antiche sovranità territoriali, e sovratutto ai membri
della nobiltà aveva riservato tutte le posizioni più elevate e le
cariche più lucrose. Tutto ciò parve una cosa naturale finché al
di sotto della nobiltà non vi era che plebe e l'abitudine tradizio-
(1) La perdita degli antichi diritti sovrani e la necessità di stare vicino alle
Corti, per brigare ed ottenere impieghi lucrosi, indussero molte famiglie nobili
ad abbandonare le loro terre per stabilirsi nelle capitali. L'allontanamento, come
quasi sempre accade, fece sì che esse dovessero affittare, o anche vendere, in
parte le loro proprietà rurali, e dagli affittuari o dai nuovi proprietari sorse
la borghesia rurale.
PABTE II. GAP. Ili - Segue: descriz. dei diversi tipi ecc. 385
naie al comando costituiva il migliore e quasi unico requisito per
comandare, ma degenerò in parassitismo odioso e dannoso alla
società quando la cultura e la preparazione tecnica, nelle quali
i ceti privilegiati si lasciarono generalmente sopravvanzare dalla
nuova classe media, divennero i requisiti più richiesti per l'eser-
cizio degli uffici pubblici elevati.
Ma la borghesia avi-ebbe potuto forse prima intaccare e poi di-
struggere, o ridurre a vana parvenza, i privilegi nobiliari, senza
che fosse necessario un cambiamento radicale dell'organizzazione
dello Stato, se, nel secolo decimottavo, non si fosse pure formata
una mentalità politica profondamente diversa da quella prece-
dente ; e se, in un paese europeo nel quale per la sua posizione
insulare l'organizzazione politica aveva avuto uno svolgimento assai
diverso di quello del continente, non si fosse nel secolo decimot-
tavo stabilita una forma di governo che offriva, almeno apparen-
temente, un modello pratico adatto all'attuazione di quelle aspi-
razioni che erano il frutto della nuova mentalità alla quale abbiamo
accennato.
Indebolito fortemente il sentimento religioso, che solo poteva
fornire una base morale al cosi detto diritto divino dei principi (1),
cadute in completo discredito, come reliquie di un'epoca barbara,
tutte le reminiscenze e le sopravvivenze dell'antico regime feudale,
distrutta ogni sovranità intermedia fra lo Stato e l'individuo, nel
secolo decimottavo gli intelletti si nutrirono più che mai delle
classiche dottrine politiche della Grecia e di Roma, e più che mai
tornarono in onore gli antichi concetti di libertà, di uguaglianza,
di sovranità popolare, che gli scrittori classici, avendo sotto gli
occhi il modello dell'antica città gi-eca e romana, avevano formu-
lato. Quel rinnovamento della forma mentale, che era avvenuto
(1) È opportuno ricordare che il diritto divino, come lo intendeva Bossuet
alla fine del secolo decimosettimo, cioè che i popoli non potessero mai ribel-
larsi ai principi, anche malvagi, e che questi dovessero render conto del modo
come esercitavano il potere soltanto a Dio, non fu mai ammesso dagli scrit-
tori medioevali ne da quelli posteriori fino al seicento. San Tommaso, ad
esempio, nella Stimma in eerti casi giustificava la ribellione ed ammetteva che
i popoli potessero scegliersi la forma di regime politico che credevano più
conveniente, e manifestava anzi la sua preferenza per un governo misto, nel
quale le tre forme della classificazione aristotelica, cioè la monarchica, l'aristo-
cratica e la democratica fossero fuse e contemperate.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 25
386 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
durante il Rinascimento nel campo letterario ed artistico mercè
lo studio dei modelli classici, avvenne sugli stessi modelli, quasi
tre secoli dopo, in quello politico; imma. che lo sviluppo del senso
storico permettesse di scorgere chiaramente quanto fosse diversa
l'organizzazione di (j negli Stati sui quali le concezioni politiche
dell'antichità greca e romana si erano formate.
Senza questa nuova mentalità, senza questa nuova visione della
vita politica, cosi profondamente penetrata nella coscienza delle
classi intellettuali di allora, non si spiegherebbe il rapido successo
del Contratto sociale di Grian Giacomo Rousseau. In quest'opera
infatti lo scrittore ginevrino, partendo dall'ipotesi di uno stato di
natura, che gli uomini avrebbero abbandonato in sèguito ad un
patto nel quale erano fissate le basi morali e giuridiche del con-
sorzio politico, ipotesi entrata anche essa nel bagaglio intellet-
tuale del secolo decimottavo, arrivava alla conchiusione che solo
patto o contratto legittimo fosse quello che faceva sì che la legge
fosse l'espressione della volontà della maggioranza numerica dei
consociati e che affidava l'esecuzione della ^QggQ a coloro che
dalla stessa maggioranza, per un tempo determinato, ne avevano
ricevuto il mandato. Concetto, come si vede, perfettamente coiri-
spondente a quello della democrazia classica, colla semplice dif-
ferenza che gli antichi non ammisero mai nello Stato la massima
parte dei lavoratori manuali, cioè gli schiavi, i quali furono sempre
esclusi dal voto e dalle cariche pubbliche e tenuti lontani dalle armi.
Senonchè l'assolutismo burocratico del secolo decimottavo aveva
in un punto solo preparato il terreno all'applicazione delle nuove
teorie democratiche; distruggendo cioè, o riducendo a vana par-
venza, ogni sovranità intermedia fra il potere supremo ed i sin-
goli cittadini, facendo si che fosse possibile concepire la sovranità
popolare, come la sovranità della pura e semplice maggioranza
numerica di coloro che facevano parte di uno Stato, e non già
alla maniera medioevale, che si prolungò del resto fino a tutto il
secolo decimosesto ed ai primi decenni del decimosettimo, come
l'espressione della volontà dei capi ereditari e naturali del popolo,
ossia dei baroni, e dei rappresentanti dei Comuni e delle corpora-
zioni (1). Ma in tutto il resto il Governo assoluto con la sua com-
(1) Basta avere una certa dimestichezza con gli scrittori politici medioevali,
e anche con quelli posteriori del cinquecento e del principio del seicento, per com-
PARTE li. CAP. Ili - Segue: dbsckiz. dei diversi tipi ecc. 387
j)lessa ed accentrata organizzazione burocratica, col suo esercito
stanziale, con le sue abitudini autoritarie, mal si adattava a tras-
formarsi in modo da rendere possibile la pratica applicazione di
quei principi, che erano stati escogitati avendo avanti il modello
della città stato greca e latina. E si può dubitare se l'adattamento
sarebbe stato possibile, e se la storia politica dell'Europa continen-
tale non sarebbe stata, nei secoli decimottavo e decimonono, diversa
di quella alla quale le generazioni precedenti alla nostra hanno as-
sistito, se l'Inghilterra nel secolo decimottavo non avesse già adot-
tato un regime politico il quale offriva un modello pratico, che
rendeva possibile la trasformazione dello Stato assoluto in un
altro tipo di organizzazione politica abbastanza conciliabile colle
idee ereditate dalla classica antichità e sopratutto, ed era ciò che
più importava, col bisogno che aveva la borghesia di partecipare
largamente ai poteri sovrani.
VII. — In Inghilterra infatti, a cominciare sopratutto dagli
inizi del secolo decimosettimo, le istituzioni politiche avevano
avuto uno svolgimento originale e sostanzialmente diverso da
quello del vicino continente. Il regime feudale era stato colà tra-
piantato dalla conquista normanna, ma esso fin dal principio ebbe
al di là della Manica alcune caratteristiche speciali, per il fatto
che la razza conquistatrice, stando nei primi tempi come accam-
pata in paese nemico, aveva dovuto mantenersi più unita e più
disciplinata attorno al Re di quello che fosse la classe dominatrice
prendere come essi adattassero il concetto di sovranità popolare, ereditato dalla
classica antichità, alle condizioni della società nella quale vivevano. Perciò quando
San Tommaso, Marsilio da Padova, Umberto Languet, Buchanan, Althusius, ecc.
parlano del popolo, essi pensano sempre che questo sia legittimamente rap-
presentato dai suoi capi naturali, ossia dai baroni e dai capi delle corporazioni
e dei Comuni, che essi chiamano in vario modo, ossia selecti, ephori, ecc. L'idea
che tutti i singoli individui dovevano avere una parte uguale nell'esercizio
della sovranità non potea nascere se non dopo che l'assolutismo burocratico
ebbe frantumato gli antichi conglomerati umani e distrutto ogni potere so-
vrano intermedio fra lo Stato e l'individuo. Il Rdffini in una sua recente
pubblicazione (vedi Guerra e riforme costituzionali, nell"* Annuario dell'Univer-
sità di Torino „, del 1920 a pag. 22), ha sostenuto che Marsilio di Padova in-
tendeva la sovranità popolare alla moderna, cioè come quella della maggioranza
numerica dei consociati; non crediamo che sia il momento ed il luogo di
aprire una discussione in proposito, ma, malgrado la grande autorità dello
scrittore, non dividiamo la sua opinione.
388 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
nel ^jQjitinentc. Avvenuta poi, dopo circa un secolo e mezzo, la
fusione fra vinti e vincitori, la grande nobiltà aveva strappato
colla forza al Re la Magna Charta, vero patto bilaterale fra il
Re ed i baroni, nel quale si stabilivandT diritti ed i doveri reci-
próci"3eiruno e degli altri (1). Si ebbe perciò una delle solite co-
stituzioni feudali che, mano mano sviluppandosi, restrinse sempre
più i jioteri della Corona di fronte a quelli del Parlamento, dove,
accanto alla Camera alta, ossia dei Pari e quasi un'appendice di
questa, presto sorse la Cainefa__bassaj_dpy6 sedettero i rapjiresen-
tanti dei .piccoli nobili delle Contee e quelli dei Comuni, che
colà furono piuttosto gli alleati e gli strumenti dei Pari e del-
l'alta nobiltà anziché dei Re.
Mentre nella seconda metà del secolo decimoquinto i monarchi
del continente dovevano ancora lottare strenuamente contro i
grandi feudatari, in Inghilterra la lunga guerra civile detta delle
due rose faceva si che essi si dividessero in due parti acerbamente
nemiche l'una dell'altra, che si sterminarono a vicenda. Sicché,
quando nel 1485, con l'avvento della dinastia dei Tudor, si riebbe
la pace interna, la Corona si trovò davanti una Camera alta com-
posta quasi esclusivamente di uomini nuovi, da essa stessa di re-
cente innalzati alla dignità di Pari, che non avevano né le forze
materiali, né il prestigio e l'autorità degli antichi baroni; mentre
nello stesso tempo, non essendo sorta ancora in Inghilterra una
borghesia campagnuola e cittadina, docile e poco autorevole rima-
neva la Camera dei Comuni.
Fu per queste ragioni che il secolo decimosesto può riguardarsi
come quello nel quale massima fu la potenza della Corona inglese.
Tanto che un autorevolissimo ed acuto testimonio contemporaneo,
ossia Giovanni Boterò, nelle sue Relazioni universali^ pubblicate
verso la fine del cinquecento, a ragione poteva osservare che, seb-
bene i Re d' Inghilterra continuassero a convocare regolarmente
il Parlamento, pure di fatto non avevano poteri meno estesi di
quelli dei Re di Francia, dove le convocazioni degli Stati gene-
rali si facevano sempre più rare ed andavano in disuso (2).
(1) Vedi Mosca, Appunti di diritto costituzionale, Società editrice libraria,
Milano, 1921, cap. V, pagine 30 e 31.
(2) Vedi Giovanni Boterò, Relazioni universali, edizione veneziana Bertani
del 1671. Parte 2% libro 1°, pag. 257. Come si sa, le Relazioni universali sono
PABTE li. GAP. Ili - Segue', descbiz. dei diversi tipi ecc. 389
Ma forse fu appunto questa facilità clie ebbero i Tudor, ed i loro
cortigiani e funzionari, di dirigere quasi senza opposizione la vita
politica del loro paese la causa principale per la quale la Corona
inglese trascurò allora la creazione dei due strumenti più sicuri
dell'assolutismo monarchico: cioè dell'esercito stanziale e della
burocrazia stabile e regolare. Infatti, un po' per economia, un po'
perchè la posizione insulare dell'Inghilterra l'assicurava contro le
invasioni straniere, come forza armata i Re di quella dinastia sti-
marono sufficiente una milizia reclutata in ogni Contea fra i na-
tivi del luogo e che era composta d'individui i quali, dopo alcuni
giorni di esercitazioni periodiche, ritornavano alle loro ordinarie
occupazioni, ed anche probabilmente per economia prevalse pure
l'uso di affidare nelle provinole le cariche civili di lord luogote-
nente, di scerifo, di coroner, ecc., ai notabili del luogo; i quali
volentieri servivano senza stipendio, perchè la carica dava lustro
alla famiglia ed autorità alla persona che ne era investita, ma la
cui fedeltà poteva diventare dubbia o condizionata una volta che
l'opinione pubblica si fosse fortemente dichiarata contro il Re e
la Corte (1).
Sicché, quando all'inizio del secolo decimosettimo, la dinastia
degli Stuard volle stabilire il regime assoluto, di fronte al ridestarsi
un trattato di geografia fisica e politica, maravigliosamente esatto per l'epoca in
cui fu scritto. Il Boterò evidentemente attingeva le sue notizie sui vari paesi ad
ottime fonti e sapeva distinguere quali fossero a preferenza le notizie che im-
portava di conoscere e di comunicare al lettore. Difatti lo stesso autore rileva
ancbe, a pagina 260 della stessa opera, come i grandi baroni inglesi, a diffe-
renza di quelli francesi, avevano già perduto ogni importanza politica, perchè
non esercitavano più alcuna giurisdizione, ne avevano piìi castelli fortificati.
Del resto la preponderanza della Corte e della Corona nell'Inghilterra del se-
colo XVI è generalmente ammessa, ed è provata dal fatto che tutti i muta-
menti religiosi, che vi ebbero luogo durante quell'epoca, si compirono per ini-
ziativa dei Re e delle due regine Maria ed Elisabetta Tudor.
(1) Il sistema di affidare molte cariche locali amministrative e giudiziarie
a funzionari scelti dalla Corona fra i notabili del luogo costituì ciò che gli
Inglesi chiamarono il self-government e fu una delle cause principali del pre-
valere del Parlamento sulla Corona. A cominciare dalla grande riforma am-
ministrativa del 1834 le attribuzioni dei funzionari onorari furono prima
diminuite e poi gradatamente abolite e ad essi si sostituirono i consigli elettivi
e la burocrazia stipendiata. Questa trasformazione si potè considerare come
compiuta nel 1894. Vedi Bbrtolini, Il governo locale inglese, Torino, Bocca, 1899.
390 BLIMENTI DI SCIENZA l'OLITlCA
dell'opposizione della Camera dei Comuni, dove era rappresentata
la borghesia rurale e cittadina, che, per le peculiari condizioni
del "X^Sése, non depauperato da guerre esteme e civili e meno
^-avato d'imposte, aveva potuto di là della Manica formarsiVj^ualche
■generazione prima che nel continente, e che in parte anche per
ragioni religiose era avversa all'autorità della Corona, i sovrani
inglesi si trovarono privi di quei mezzi materiali che nel conti-
nente avevano dato la vittoria alla regalità contro la feudalità fi).
E, dopo più di mezzo secolo di lotte, e dopo che un Re ebbe la-
sciata la testa sul patibolo, l'influenza delle forze politiche rap-
presentate nel Parlamento soverchiò definitivamente quella dei
sostenitori della regalità.
La consacrazione legale di questa vittoria si ebbe con una serie
di atti del Parlamento, debitamente sanzionati dalla Corona, i
quali, o miravano come VHabeas corpus ad assicurare le libertà
individuali di tutti gli Inglesi, impedendo efficacemente l'axbitrio
dei regi funzionari, oppure, come il secondo atto dei diritti del 1688
e l'atto di stabilimento del 1700, accoppiavano a disposizioni di
questo genere altre, in forza delle quali la Corona era indiretta-
mente costretta a governare secondo le leggi approvate dal Par-
lamento. E valga j)er tutte ricordare quella appunto compresa nel
secondo degli atti citati, per la quale ogni atto di governo aveva
valore solo se controfirmato da un membro del Consiglio privato,
che era cosi personalmente responsabile della sua legalità (2).
(1) Si sa cbe Carlo I alle milizie ribelli delle città non potè contrapporre
che quelle delle campagne, guidate dai così detti cavalieri. Perdette la guerra
per i suoi tentennamenti e perchè si trovò di fronte un uomo di genio, Oli-
viero Cromwell, che per il primo seppe costituire in Inghilterra un vero eser-
cito stanziale, sul quale appoggiandosi instaurò poi la dittatura militare. Ap-
pena avvenuta la restaurazione degli Stuard con Carlo II quest'esercito fu
sciolto. Vedi Mosca, Appunti di diritto costituzionale, pagine 45 e seguenti.
(2) Questa disposizione fondamentale, che rese possibile la trasformazione
avvenuta in tanti Stati europei della monarchia assoluta in monarchia rappre-
sentativa, è contenuta nel quarto comma dell'Atto di stabilimento. Il Consiglio
privato era un corpo consultivo di alti funzionari, che assisteva il Re nell'eser-
cizio del potere esecutivo. Verso la fine del secolo decimosettimo le adunanze
del Consiglio privato cominciarono ad essere tenute prò forma, e poi ad an-
dare in disuso, perchè era troppo numeroso, ed esse furono sostituite da quelle
dei membri più influenti del consiglio stesso, che costituirono ciò che poi fu
chiamato il Gabinetto. Vedi Mosca, opera citata, pagine 55 e 56.
PAKTE II. GAP. Ili - Segue: descrjz. dei diveksi tipi ecc. 391
Coll'avvento poi della dinastia di Hannover, cioè dal 1715 in poi,
si accentuò vieppiù la preponderanza politica della Camera elet-
tiva, perchè la Corona prese l'abitudine di scegliere i membri del
Gabinetto, ossia del ristretto Consiglio al quale affidava l'esercizio
del potere esecutivo, fra le personalità più spiccate della maggio-
ranza della Camera bassa.
In questo modo, se si tiene anche conto della indipendenza della
magistratura assicurata dalla sua inamovibilità, delle guarentigie
concesse _ad jDgni inglese contro gli arresti e le condanne arbitrarie
e del fatto che la libertà di stampa cominciò in Inghilterra ad
affermarsi fin dal secolo decimottavo, si può dire che si ebbe
allora' colà un regime che, nelle sue linee principali e nei suoi
caratteri più appariscenti, rassomigliava ai regimi rappresentativi
moderni (1). E si può anzi osservare che la grande originalità della
storia politica inglese consistette nella trasformazione lenta e gra-
duale del regime feudale sancito dalla Magna Cliarta in un
regime rappresentativo moderno, trasformazione che fu poi com-
piuta nel secolo decimonono, senza che quel paese abbia attraver-
sato quel periodo di assolutismo burocratico e militare, che, più o
meno, si ebbe in tutti gli Stati dell'Europa continentale.
Ma non sarà inutile ricordare che la rassomiglianza fra la costi-
tuzione inglese, quale era nel secolo XVIII, e le moderne costituzioni
rappresentative a base democratica si può constatare più nelle forme
che nella sostanza; poiché questa rassomiglianza era grande se guar-
diamo il funzionamento degli organi principali dello Stato, ma era
ben piccola, per non dire inesistente, se teniamo conto della ma-
niera come i detti organi venivano formati, ossia delle forze poli-
tiche che essi rappresentavano. Difatti la Camera elettiva inglese
era già fin d'allora il potere preponderante dello Stato, ma il diritto
elettorale era concesso solo ad una piccola minoranza di cittadini,
i quali ne godevano o perchè erano proprietari di immobili rurali
nelle Contee, o in virtù di diritti e consuetudini, che spesso ri-
montavano al Medio Evo, nei borghi, tra i quali erano comprese
anche cospicue città. E tutto ciò faceva si che l'elezione di buona
(1) La censura preventiva era stata di iatto abolita in Inghilterra nel 1694
ma la legislazione repressiva dei reati di stampa continuò ad essere molto
severa fino allo scorcio del secolo XVIIl. Diventò assai più mite dopo una
legge proposta dal Fox ed approvata nel 1778.
392 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
parte dei deputati dipendesse da qualche centinaio di grandi
proprietari, che spessissimo sedevano inoltre per diritto ereditario
nella Camera dei Pari.
Poco più di venti anni prima che Rousseau nel suo Contratto
sociale avesse dimostrato, con apparente rigore logico e quasi ma-
tematico, che la sola autorità legittima era quella che si basava
sul consenso della maggioranza numerica dei consociati, Montes-
quieu nello Spirito delle leggi, scrutando e direi quasi anatomiz-
zando la Costituzione inglese di allora, era arrivato alla conclu-
sione che la sua superiorità consistesse nella divisione e nella
reciproca indipendenza dei tre poteri fondamentali dello Stato;
che, secondo lui erano il legislativo, l'esecutivo ed il giudiziario.
Un esame sommario dei regimi rajipresentativi del secolo decimo-
nono basta a convincerci che essi sono il risultato della fusione dei
concetti del filosofo ginevrino, che erano poi molto analoghi a
quelli che la classica antichità aveva elaborato, con le idee del-
l'acuto magistrato francese. E bastato infatti fare della Camera
elettiva l'organo delle forze politiche preponderanti, e farla eleg-
gere mercè un suffragio largo od anche universale, perchè si potesse
credere di avere trasformato l'antico stato burocratico ed assoluto
in un regime che aveva per base la sovranità popolare, come linten-
devano gli antichi, o, meglio ancora, come l'intendevano Rousseau
ed i suoi seguaci. Si ebbero quindi, ci sia lecito il paragone, dei
regimi politici paragonabili ad abiti tagliati sul modello della
Costituzione inglese dell'epoca degli Hannover, ma confezionati
con stoffe che potevano anche essere intessute coi principi della
più pura democrazia.
Vili. — Le generazioni, che vissero durante il secolo decimo-
nono, hanno potuto considerare come il massimo dei cataclismi
sociali quello che, alla fine del secolo decimottavo, diede un fortis-
simo crollo all'antico regime assoluto e che, dopo la parentesi napo-
leonica, inaugurò gradatamente il regime rappresentativo, prima
in Francia e poi negli altri paesi del centro e dell'occidente d'Eu-
ropa. Questa maniera di vedere presenta molta analogia col solito
errore di ottica, per il quale gli oggetti vicini ci sembrano più
grandi di quelli lontani; ma in verità il cataclisma al quale assi-
stettero i nostri bisnonni, e che fu seguito da altri molto minori,
dei quali furono attori e spettatori i padri dei nostri padri, può
PARTB II. CAP. Ili - Segue: dkscriz. dei divbesi tipi ecc. 393
sembrare relativamente piccolo se lo paragoniamo a quella grande
catastrofe della civiltà umana, che precedette e segui la caduta
dell'impero romano d'occidente, o alle terribili invasioni dei Mongoli,
che nel secolo decimoterzo misero a durissima prova tanta parte
del mondo, poiché dalla China si estesero fino all'Ungheria. E, se
fosse possibile prevedere esattamente l'avvenire, si potrebbe forse
affermare che le convulsioni occasionate dall'avvento e dal diffon-
dersi delle istituzioni liberali e del regime rappresentativo saranno
probabilmente considerate come lievi a paragone di quelle altre,
che potranno essere nello stesso tempo causa ed effetto della loro
sparizione.
Come si sa, fra le scosse che accompagnarono l'istituzione de
regime rappresentativo, la prima, che fu la più violenta, avvenne
in Francia nell'ultimo decennio del secolo decimottavo; e quivi
allora si ebbe quel grande e subitaneo spostamento della ricchezza
a danno di una classe ed a favore di altre, che suole accompa-
gnare tutti i gravi e profondi rivolgimenti politici. Senonchè in
Francia il moto, per la grandissima maggioranza dei contempo-
ranei, giunse improvviso e quasi inaspettato, non trovò, per l'im-
preparazione politica delle vecchie classi privilegiate e di quelle
che aspiravano a surrogarle, uomini adatti a dirigerlo ed a mode-
rarlo, e l'ondata rivoluzionaria disciolse quindi l'antica organizza-
zione statale senza avere pronta l'altra che la doveva sostituire.
Sicché Napoleone dovette poi ricostruirla quasi di sana pianta,
adoperando all'uopo gli elementi più adatti, che non mancavano
né nelle antiche classi privilegiate né sopratutto in quella borghesia
che aveva fatto la rivoluzione. Ma nella grande maggioranza degli
altri xDaesi d'Europa, quando s'iniziò il regime rappresentativo, esso
era già cosi aspettato e socialmente cosi maturo, che potè essere
inaugurato senza gravi perturbamenti; se come tali non si vogliono
riguardare quelli che nel 1848 e 49 ebbero luogo nella quasi tota-
lità degli Stati europei.
E si ebbe cosi, poco prima o poco dopo, verso la metà del secolo
decimonono, il nuovo tipo di organizzazione politica, che si può
definire come lo Stato rappresentativo moderno (1). Esso, come
(1) Lo Stato rappresentativo moderno naturalmente presenta diverse varietà
0 sottotipi a seconda dei vari paesi che l'hanno adottato : ad esempio uno di
essi sarebbe quello monarchico costituzionale, che vigeva in Germania fino al
394 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
già si è accennato, è il risultato di nozioni ed idee ereditate dalla
classica antichità ed adattate ai bisogni della società del secolo
decimonono, così diversa da quella che aveva creato la Città Stato
della Grecia e di Roma, ed adattate entro un modello che, quasi
empiricamente e per effetto delle circostanze specialissime della
sua storia, era stato nei due secoli precedenti tracciato in Inghil-
terra. Pure i nuovi ordinamenti rispondevano cosi bene alla men-
talità ed alle necessità sociali dell'epoca che li adottò che, sus-
sidiati dalle maravigliose scoperte le quali resero possibile un
progresso economico mai prima sognato, potettero, durante tutto
il secolo decimonono, conservare indiscussa nel mondo la supre-
mazia dei popoli di civiltà europea, già affermatasi nel secolo
precedente, e, nel regime interno di questi popoli, hanno potuto
mantenere un ordine relativo ed una prosperità materiale, dei quali
difficilmente si troverebbero esempi analoghi nella storia di altri
tempi e di altre civiltà umane (1).
Certo che fra i presupposti teorici del nuovo regime politico ed
il suo pratico funzionamento ci è stata, e non poteva non esserci,
1918, nel quale il potere esecutivo non emanava dalla maggioranza della Ca-
mera elettiva; un altro, quello monarchico parlamentare, che vige in Inghil-
terra, nel Belgio ed in Italia, dove i Ministeri cadono quando perdono la
maggioranza nella Camera elettiva; inoltre vi è quello repubblicano parlamen-
tare, che è in vigore in Francia, e quello repubblicano presidenziale degli
Stati Uniti d'America, nel quale il Presidente è nello stesso tempo capo dello
Stato e capo del Governo. Abbiamo adottato l'espressione di Stato rappresen-
tavivo moderno, perchè con essa si possono collettivamente indicare tutte le
varietà che questa forma di regime politico può presentare.
(1) La preponderanza assoluta degli Stati di civiltà europea rispetto a quelli
di civiltà asiatica si era già affermata nel mondo al principio del secolo de-
cimottavo, quando la Turchia, che fino all'assedio di Vienna, avvenuto nel 1683,
non aveva perduto la sua forza offensiva, cominciò a manifestare la sua debo-
lezza rispetto al resto dell'Europa. La conquista dell'India fu fatta dagli In-
glesi nella seconda metà del secolo decimottavo, ed avrebbe forse potuto esser
fatta dai Francesi se questi avessero capito a tempo l'importanza della partita
che colà si giocava. La preponderanza europea si mantenne inconcussa durante
il secolo decimonono, oggi è già fortemente scossa dopo le vittorie del Giap-
pone sulla Russia, perchè gli Asiatici cominciano a comprendere che è loro
possibile di adottare l'organizzazione amministrativa e militare dell'Europa e
dell'America e trar profìtto dei loro progressi scientifici conservando il proprio
tipo di civiltà.
PAKTE II. GAP. Ili - Segue: descriz. dei diversi tipi ecc. 395
una profonda ed insanabile disannonia. Poiché naturalmente, mal-
grado l'adozione graduale del suffragio universale, il potere ef-
fettivo è rimasto sempre per una parte in mano alle classi più
doviziose e per una ]3arte maggiore, specialmente nei paesi cosi
detti democratici, in mano alle classi medie ; le quali hanno sempre
avuto la prevalenza nelle organizzazioni direttive dei partiti poli-
tici e nei comitati elettorali ed hanno in grandissima maggioranza
fornito i redattori alla stampa quotidiana, il personale alla buro-
crazia e l'ufficialità all'esercito (1).
Ma nello stesso tempo, appunto in grazia della combinazione
insita nel regime fra l'elemento burocratico e quello elettivo, si
è potuta avere una utilizzazione quasi completa nel campo poli-
tico ed amministrativo di tutti i valori umani e si è dato il modo
a quasi tutti gli elementi più adatti delle classi dirette di entrare
in quelle dirigenti.
La specializzazione poi delle diverse funzioni politiche e la co-
operazione ed il controllo reciproco fra l'elemento burocratico e
quello elettivo, che sono due delle principali caratteristiche dello
Stato rappresentativo moderno, hanno fatto si che esso possa es-
sere riguardato come il tipo di organizzazione politica più com-
plesso, e quindi più delicato, fra tutti quelli che sono ricordati
nella storia del mondo. Da questo e da altri lati si può anzi af-
fermare che vi è una quasi perfetta armonia fra il presente or-
dinamento politico e le condizioni della civiltà del secolo che l'ha
visto nascere e vivere. Civiltà che se, nella squisita perfezione
delle forme artistiche e letterarie, nella profondità del pensiero
filosofico e del sentimento religioso, nel valutare l'importanza di
alcuni grandi problemi morali, si è forse rivelata inferiore a qual-
cuna di quelle che l'hanno preceduto, è stata ed è di molto supe-
(1) Del fatto che anche in un regime rappresentativo a suffragio molto largo
il potere effettivo resta in mano a piccole minoranze organizzate, quasi tutte
composte di individui provenienti dalle classi superiori e sopratutlo da quelle
medie, o che hanno già acquistato i requisiti delle classi medie, ci siamo già
occupati nella Teorica dei Governi (Torino, Loescher, 1884) ed anche nella
prima parte di questo lavoro. Sullo stesso argomento si potrebbero utilmente
consultare altri lavori, fra i quali quello già citato del Michkls, La sociologia
del partito politico nella democrazia moderna, Torino, Unione Tipografica Ed.,
1912, e quello classico deirOsTuouousici, intitolato La démocratie et l'organìsation
des partis politiques, Paris, Calman-Léwy, 1903.
396 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
riore a tutte le altre nella sapiente organizzazione della produ-
zione economica e di quella scientifica, come anche nell'esatta
cognizione e nell'accorto sfruttamento delle forze della natura.
Ora indiscutibilmente la vittoria, che quel complesso d'istituzioni,
di strumenti, di cognizioni e di attitudini acquisite, le quali formano
la cultura e la forza di una generazione, ha ottenuto sulle forze
naturali, l'organizzazione politica finora vigente l'ha ottenuto sulle
spontanee energie e sulle volontà dei singoli individui umani (1).
Certo che, anche ieri ed oggi, è stato ed è possibile ad interessi
particolari di piccole minoranze organizzate di prevalere sull'in-
teresse collettivo, paralizzando l'azione di coloro che dovrebbero
tutelarlo. Ma dobbiamo pure riconoscere che la macchina statale
è cosi potente e perfezionata che giammai, come oggi, in Europa
e nel mondo si è vista una somma uguale di mezzi economici e di atti-
vità individuali convergere per il raggiungimento di un fine collet-
tivo ; e l'ultima grande guerra mondiale ce ne ha dato una terribile
ma irrecusabile prova. E, se si obietterà che qualche città antica ed
anche qualche comune medioevale, proporzionatamente alla loro
grandezza, non hanno fatto talora sforzi minori, si può facilmente
rispondere che, quanto più piccolo è un organismo tanto più facile
(1) Qualche lettore, che potrà ricordare quanto abbiamo scritto nella Teorica
dei Governi a proposito del governo parlamentare, avrà forse notato ohe le
nostre idee sull'argomento si sono abbastanza modificate. Era difficile infatti
che ciò non avvenisse a distanza di trentanove anni, ed i primi segni di questa
modificazione già si erano rivelati nella prima parte di questo lavoro, che fu
pubblicata per la prima volta alla fine del 1895. In sostanza conserviamo anche
oggi integro il concetto fondamentale della Teorica dei Governi, cioè che tutte
le organizzazioni statali sono costituite da minoranze organizzate e che per ciò
ogni forma di regime politico, la quale presume di basarsi sulla libera espres-
sione della volontà della maggioranza, contiene una insanabile menzogna, che
alla lunga ne deve produrre la decadenza. Riconosciamo pure fondati quasi
tutti gli altri appunti fatti allora al governo parlamentare, ma una maggiore
conoscenza della storia ed una esperienza maggiore della vita ci hanno insegnato
a considerarli con maggiore indulgenza, avendo constatato come sia impossi-
bile che esista una forma di organizzazione politica la quale, nel suo pratico
funzionamento, non sia inquinata dalle immancabili debolezze morali ed intel-
lettuali della natura umana. Ed oggi ci atterrisce piuttosto la previsione che
ai tipi attuali di organizzazione politica se ne possano sostituire altri, nei quali
le debolezze accennate avranno un campo d'azione assai più vasto e potranno
agire con efficacia maggiore.
PARTE II. GAP. Ili - Segue: descbiz. dei diversi tipi ecc. 397
riesce di coordinare l'azione delle cellule che lo compongono, e che
Atene, Sparta ed anche qualche grosso Comune medioevale ave-
vano un territorio ed una popolazione cento volte minore di quella
di uno Stato moderno di media grandezza. Solo Roma, nell'epoca
delle due prime guerre puniche, e più ancora quando seppe nei
primi due secoli dell'Impero espandere la sua lingua e la sua ci-
viltà in tutta l'Europa occidentale, ottenne risultati paragonabili
per l'entità, e forse anche da certi lati superiori, a quelli delle or-
ganizzazioni politiche presenti.
Senonchè, come tutti gli organismi, siano essi individuali o so-
ciali, anche lo Stato rappresentativo moderno porta con sé i germi
che, sviluppandosi, possono produrne la decadenza e la dissoluzione.
Accenneremo per ora soltanto ad alcuni dei principali fra essi, a
quelli cioè la cui azione già si può chiaramente percepire.
E prima di tutto faremo presente che in molti paesi d'Europa
si nota in questo momento una notevole decadenza economica di
quella classe media che, col suo sorgere e col suo prosperare, rese
possibile l'avvento del regime rappresentativo. E, se questa de-
cadenza dovesse prolungarsi per la durata di una generazione,
essa sarebbe immancabilmente seguita da quella intellettuale. Ora,
come la diffusione della media proprietà era, secondo Aristotile,
una condizione indispensabile per il retto funzionamento della
città greca, cosi l'esistenza di una media borghesia riesce neces-
saria per la vita normale del regime rappresentativo moderno.
Tanto vero che in quei paesi ed in quelle regioni nelle quali questa
classe è poco sviluppata, o non ha i requisiti richiesti per man-
tenere il suo prestigio e la sua influenza, questo regime ha dato
i risultati peggiori (1). Perciò, se la decadenza accennata dovesse
accentuarsi e durare, si potrebbero forse per qualche tempo an-
cora osservare le forme degli ordinamenti presenti, ma di fatto
si avrebbe o una dittatura plutocratica o una dittatura buro-
cratica e militare, oppure una dittatura demagogica di pochi ca-
porioni, che saprebbero lusingare le masse ed appagarne, fin dove
sarebbe possibile, e con danno sicuro dell'interesse generale, l'in-
vidia e gli istinti spogliatori (2). Ovvero, peggio ancora, si po-
(1) Vedi in proposito la Parte prima del presente lavoro a Cap. V, p. 132.
(2j È interessante di rilevare come questa verità sia stata nettamente per-
cepita da Gian Giacomo Rousseau, il quale nel Contratto sociale (Libro III,
398 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
irebbe avere una combinazione di due e magari di tutte e tre
le dittature citate.
Ed il pericolo sembra tanto più grande in quanto esso si ricon-
nette ad un altro, il (piale ò una conso|^uenza necessaria del si-
stema d'idee che ha fornito la base morale ed intellettuale al
sistema rappresentativo. Intendiamo alludere a quella forma men-
tale, finora prevalente, che ha reso quasi ineluttabile l'introduzione
del suffragio universale.
A dir vero, nei primi decenni del regime rappresentativo la bor-
ghesia, transigendo col dogma della sovranità popolare sul quale quel
regime era fondato, aveva adottato quasi dappertutto forme di
suffragio ristretto; ma in sèguito, vinta più dalla forza della logica
che dalla spinta che veniva dagli strati più umili della società, e
sopratutto costretta dalla necessità di mostrarsi coerente ai prin-
cipi che aveva proclamato ed in nome dei quali aveva combattuto
ed abbattuto l'assolutismo, adottò il suffragio universale. Il quale
fu cominciato ad attuare prima negli Stati Uniti d'America, poi
in Francia nel 1848, ed in sèguito in tutti gli altri paesi retti a
regime rappresentativo.
Ora giammai i molti, specialmente se poveri ed ignoranti, hanno
diretto i pochi, sopratutto se essi sono relativamente ricchi ed
intelligenti ; e perciò la cosi detta dittatura del proletariato non
potrebbe essere che quella di una classe assai ristretta esercitata
a nome del proletariato; e forse la nozione di questa verità, pene-
trata più o meno chiaramente nella coscienza o nella subcoscienza
delle classi dirigenti, ha contribuito a far loro accettare senza
molta resistenza il suffragio universale. Ma, una volta che tutti
hanno acquistato il diritto al voto, è inevitabile che dalla stessa bor-
ghesia si distacchi una frazione, la quale, nella gara per arrivare
ai posti migliori, cercherà di appoggiarsi sugli istinti e sugli ap-
capitolo IV) scrisse: " A prende le terme dans la rigueur de l'acceptation il
n'a jamais existé de véritable démocratie, et il n'en esisterà jamais. 11 est
contre l'ordre naturel que le gran nombre gouverne et que le petit soit gou-
verné „. Questo passo è un esempio tipico di quella intuizione della necessaria
esistenza della elasse politica alla quale abbiamo accennato nella prima pagina
della seconda parte di questo lavoro. 11 passo di Rousseau, che abbiamo ora
citato, è ricordato anche dal Michels nel capitolo 3° della parte seconda del
suo libro sulla Sociologia dei partiti politici.
y
PARTE li. GAP. Ili - Segue: descbiz. dei diversi tipi ecc. 399^
peliti delle classi più numerose, insegnando ad esse che l'ugua-
glianza politica significa presso che nulla se non è accompagnata
da quella economica e che la prima può servire benissimo di
strumento per ottenere la seconda.
E ciò è avvenuto ed avviene tanto più facilmente in quanto la
borghesia, non solo è rimasta in certo modo prigioniera dei suoi
principi democratici, ma anche di quelli liberali ; e si sa che il libera-
lismo accetta come verità assiomatica che ogni credenza, ogni
opinione ha il diritto di essere senza alcun ostacolo predicata e
propagata. Certo che il liberalismo e la democrazia non sono la
stessa cosa, ma hanno un certo fondo comune in quella corrente
intellettuale e sentimentale formatasi nel secolo decimottavo e che
si fondava sopra una concezione ottimistica della natura umana,
o meglio dei sentimenti e delle idee che necessariamente avreb-
bero dovuto prevalere nelle collettività umane. Sicché, come la
democrazia deve ammettere che il governo migliore è quello che
emana dal consenso della maggioranza numerica dei consociati, il
liberalismo deve credere che basti il buon senso popolare a di-
stinguere la verità dall'errore ed a far giustizia delle idee anti-
sociali e dannose. E, dato che le classi dirigenti hanno informato
la loro condotta ai principi accennati, non è da maravigliare se in
molti paesi siasi affermata e grandemente diffusa una nuova dot-
trina, e si potrebbe anzi dire una nuova fede, la quale, se si può
presumere e dimostrare inetta a ricostruire un sistema di ordina-
mento sociale e politico migliore, e sopratutto più morale, di quello
esistente, è certamente attissima a distruggerlo (1).
Se a tutto ciò aggiungiamo la grandissima complessità della
moderna economia e la conseguente specializzazione delle attività
necessarie alla produzione ed alla distribuzione delle derrate e dei
servizi più indispensabili alla vita quotidiana dell'intiera società,
e quindi dello Stato, ciò che rende possibile a piccole minoranze
di causare, incrociando semplicemente le braccia, gravissimi per-
turbamenti in tutto il corpo sociale, potremo formarci un concetto
sommario degli elementi dissolvitori, che corrodono la compagine
degli attuali ordinamenti politici e sociali e ne minacciano l'esi-
(1) Ricorderemo quanto abbiamo scritto in proposito nell'ultimo capitolo della
prima parte di questo lavoro e che trova ora la sua conferma in quanto è
avvenuto ed avviene in Russia.
400 ELEMENTI DI SCAR^fZA. POLITICA
stenza (1). Ma di questo argomento crediamo per ora di aver detto
abbastanza, tanto più che ce ne dovremo di nuovo occupare nel-
l'ultimo capitolo del presente lavoro.
(1) Questo pericolo è stato già studiato e segnalato in due nostri articoli
che furono pubblicati nel * Corriere della Sera „ del 17 ottobre 1907 e del
27 maggio 1909, l'uno intitolato Feudalismo funzionale, l'altro II pericolo dello
Stato moderno. Un altro articolo sullo stesso argomento, intitolato Feudalismo
e Sindacalismo, abbiamo pubblicato nella " Tribuna , del 1° febbraio 1920. Vedi
pure in proposito: Mosca, Appunti di diritto costituzionale. Terza edizione, pa-
gine 164 e 165.
Cìttitigt li9é'tg> {.•9i'&t<9 8 i&»^»g&»<B«^»!0»^<>g»<»^«-JP<i>'Ì)8>»-^^ ; 9*^t'ì>'9t^t
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella for-
mazione e nella organizzazione della classe po-
litica.
I. I due principi e le due tendenze che si possono riscontrare nelle varie classi
politiche. — li. Il principio autocratico. — III. I due strati della classe
politica e l'autocrazia burocratica. — IV. Il principio liberale. — V. Ana-
lisi della tendenza democratica. — VI. Analisi della tendenza aristocra-
tica. — VII. Risultati dell'equilibrio fra i due principi e le due tendenze.
I. — Secondo scrisse Platone in uno dei suoi ultimi dialoghi,
la monarcMa e la democrazia sarebbero le due forme di governo
fondamentali, dalle quali, mercè combinazioni più o meno felici,
deriverebbero tutte le altre (1). Questo concetto, accortamente in-
terpetrato e completato, si può anche oggi accettare ; perchè real-
mente in tutte le forme di organizzazione politica o l'autorità
viene trasmessa dall'alto verso il basso della scala ijolitica e so-
ciale, in maniera che la scelta del funzionario inferiore viene la-
sciata a quello superiore, finché si arriva al supremo gerarca che
(1) Vedi il dialogo delle leggi in Platonis Opera, Parigi, Firmin Didot edi-
tore, volume II, pagina 311. Anche Machiavkli.i scrisse nello prime righe del
Principe che " tutti gli Stati, tutti i domini! che hanno avuto ed hanno im-
perio sopra gli uomini sono stati e sono repubbliche o principati „, ricono-
scendo così anche egli due forme fondamentali di reggimento politico, in una
delle quali i poteri sovrani si esercitano in nome di un individuo, mentre
nell'altra sono esercitati in nome del popolo.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica, 26
402 BLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
.sceglie i suoi immediati collaboratori, come dovrebbe accadere
nella monarchia assoluta tipica, ovvero dal basso viene delegata
a coloro che stanno in alto, dai governati ai governanti, come si
usava nell'antica G-recia ed in Roma repubblicana.
Bisognerebbe aggiungere che i due sistemi possono essere fusi
e contemperati in vari modi, come accade oggi nei governi rap-
presentativi; e si potrebbe citare in proposito la forma presente
di governo degli Stati Uniti d'America, nei quali il Presidente è
scelto dalla universalità dei cittadini ed egli alla sua volta nomina
tutti i funzionari del governo federale ed i magistrati della Corte
suprema.
Il primo tipo di organizzazione politica, quello nel quale l'auto-
rità viene trasmessa dall'alto della scala politica ai funzionari in-
feriori, e che fu da Platone appellato monarchico, noi crediamo
più esatto di chiamarlo autocratico ; perchè un monarca nel senso
lato della parola, ossia un capo dello Stato, si trova quasi sempre
in tutte le forme di regime politico. Più diffìcile riesce la scelta
del vocabolo adatto ad indicare il secondo. Seguendo l'esempio di
Platone, si potrebbe chiamarlo democratico, ma, siccome per de-
mocrazia s'intende oggi comunemente una forma di regime po-
litico nella quale tutti ugualmente j)artecipano alla formazione dei
poteri sovrani, ciò che non sempre è accaduto nel passato nei re-,
gimi nei quali il popolo scieglieva i suoi governanti, perchè spesso
per popolo s'intendeva una ristretta aristocrazia, crediamo più op-
portuno di a"ppellarlo liberale (1). E questa denominazione ci
sembra tanto più appropriata in quanto è prevalso l'uso di rite-
nere liberi quei popoli nei quali, stando alla legge, i governanti
dovrebbero essere scelti da tutti o anche da una parte dei gover-
nati e la legge stessa dovrebbe essere una emanazione della vo-
lontà generale. Mentre nei regimi autocratici essa o ha un carat-
tere immutabile e sacro, oppure è una espressione della volontà
dell'autocrate o meglio ancora di coloro che agiscono in suo nome.
Viceversa ci sembra più adatto di chiamare democratica quella
tendenza che, latente o manifesta, agisce sempre con maggiore o
(1) Basta ricordare in proposito quel che accadeva nei regimi indiscutibil-
mente liberali della Grecia e di Roma ed anche in molti Comuni medioevali,
nei quali cittadini perfetti erano soltanto gli ascritti alle arti maggiori.
PARTE II. OAP. IV - PRINCIPI B TENDENZE DIVERSE ECC. 403
minore intensità in tutti gli organismi politici e che mira a rin-
novare la classe dirigente, sostituendola con elementi provenienti
dalle classi dirette. E naturalmente chiameremo aristocratica la
tendenza contraria, anche essa costante sebbene di varia intensità,
la quale mira alla stabilizzazione della direzione sociale e del po-
tere politico nei discendenti di quella classe che, in un dato mo-
mento storico, se ne è impossessata.
A prima vista parrebbe che la prevalenza di quello che noi
denomineremo principio autocratico dovrebbe accoppiarsi a quella
che chiameremo tendenza aristocratica; e che al contrario il prin-
cipio opposto, che chiameremo liberale, dovrebbe accoppiarsi alla
tendenza che abbiamo appellato democratica. E realmente dall'e-
same di molti tipi di .organizzazione politica potrebbe trarsi la
conclusione che esiste una certa simpatia fra l'autocrazia e l'ari-
stocrazia da una parte ed il liberalismo e la democrazia dall'altra;
ma però sarebbe questa una di quelle regole che sono soggette a
moltissime eccezioni. Riuscirebbe facile infatti trovare esempi di
autocrazie che non hanno ammesso l'esistenza di classi alle quali
la nascita conferiva privilegi legali, e si potrebbe citare in pro-
posito l'impero chinese durante lunghi periodi della sua storia; ed
anche più facile sarebbe di trovare esempi di regimi elettivi nei
quali il popolo elettore era costituito solo dalla classe dirigente
ereditaria, come avveniva a Venezia e nella repubblica polacca.
Ad ogni modo, tenendo anche conto che riesce difficile assai di
trovare un regime politico nel quale si possa constatare l'esclu-
sione assoluta di uno dei due principi, o di una delle due tendenze,
ci sembra certo che la forte prevalenza dell'autocrazia o del libe-
ralismo, della tendenza aristocratica o della democratica, possa
fornire un criterio sicuro e fondamentale per determinare il tipo
al quale l'organizzazione politica di un dato popolo, in una data
epoca, aj)partiene. Ed è perciò che ora ci sembra molto utile di
iniziare un breve studio sui vantaggi e gli inconvenienti che ad
ognuno e ad ognuna di esse si possono attribuire.
II. — Pare indiscutibile che l'autocrazia abbia formato la base
della organizzazione politica dei primi grandi aggregati umani.
Tutti gli antichi grandi imperi dell'Asia e Fantico Egitto erano or-
ganizzati autocraticamente, come pure secondo il principio autocra-
tico erano organizzati il nuovo impero persiano dei Sassanidi ed i
404 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
califfati araldi (1). Fino a pochi anni fa erano autocratici i regimi
politici del Giappone, della China e della Turchia, che, per la na-
tura della sua civiltà, potea essere considerata come paese asiatico.
In Europa si può considerare come autocratico il governo del-
l'impero romano dopo Diocleziano e quello dell'impero bizantino
e fu retta da una pura autocrazia la Russia di Ivano IV il teni-
bile e di Pietro il grande e quella di Alessandro III e dei primi
tempi di Niccola li. Abbiamo visto come, anche nell'Europa oc-
cidentale, la formazione del grande Stato moderno, mercè la distru-
zione di tutte le sovranità intermedie che caratterizzavano il re-
gime feudale, abbia dato luogo alla creazione di governi autocratici;
che poi si trasformarono nei regimi rappresentativi moderni. Fi-
nalmente anche in America erano autocraticamente organizzati il
Messico ed il Perù, ossia i soli due grandi Stati che gli Europei
trovarono nel nuovo continente (2).
È evidente che un sistema di organizzazione politica cosi dif-
fuso e cosi duraturo fra popoli di civiltà diversissima, e che spesso
nessun contatto ne materiale ne intellettuale avevano avuto fra di
loro, deve, se non sempre, spessissimo corrispondere alla natura
politica dell'uomo, perchè ciò che è artificioso od eccezionale non
sussiste lungamente. L'autocrazia infatti, sia che il capo supremo
che sta al vertice della piramide politica eserciti la sua autorità
in nome di Dio e degli Dei, sia che egli la riceva dal popolo o
da coloro che presumono di rappresentarlo, fornisce una formola
politica, ossia un principio d'autorità ed una giustificazione del
potere, chiara, semplice e che tutti facilmente comprendono. Non
ci può essere una organizzazione umana senza una gerarchia, e
(1) Si aa che i primi quattro Califfi furono eletti dalla comunità musulmana,
0, per dire le cose più esattamente, dai più autorevoli membri di essa, che
presumevano di rappresentarla, ma che poi il califfato diventò ereditario e
restò infeudato in alcune famiglie. È da notare però che il Sovrano musul-
mano, per quanto assoluto, non può cambiare le leggi fondamentali, che sono
contenute nel Corano o desunte dalla tradizione trasmessa dai più antichi
dottori.
(2) Nel Messico però i conquistatori spagnuoli trovarono pure una repub-
blica, quella di Tlascala, che pare fosse retta da un Consiglio di capi tribù.
Essa si alleò con Cortes e gli servì di base di operazione nella sua lotta
contro l'impero degli Aztechf. Vedi Antonio dk Solis, Storia della conquista del
Messico.
PARTE li. GAP. IV - PRINCIPÌ E TENDENZE DIVBR8B EOO, 405
qualunque gerarchia necessariamente richiede che alcuni coman-
dino e gli altri ubbidiscano ; e, poiché è nella natura degli uomini
che molti di essi amino il comandare e che quasi tutti si adattino
ad ubbidire, riesce assai utile una istituzione, la quale dà a coloro
che stanno in alto la maniera di giustificare la loro autorità e
nello stesso tempo aiuta potentemente a persuadere coloro che
stanno in basso a subirla.
Si potrebbe obiettare che se l'autocrazia è un regime molto
adatto alla formazione di grandi organismi politici, come furono
gli antichi imperi mesopotamici e l'antica Persia, ed in tempi più
recenti la China, la Turchia e la Russia, e ad assicurarne la du-
rata per parecchi ed alle volte per molti secoli, essa non consente
ai popoli che l'hanno adottato, e sopratutto alle loro classi diri-
genti, di raggiungere tutta quella elevazione morale ed intellet-
tuale di cui l'umanità civile è capace. Difatti l'arte ed il pensiero
della Grecia e di Roma furono in complesso superiori a quelli
degli imperi orientali e nessuna delle civiltà asiatiche antiche e
recenti ha avuto una vita intellettuale cosi intensa da potere so-
stenere il confronto con quella delle grandi nazioni dell'Europa
centrale ed occidentale e dell'America del secolo decimonono. Ma
l'epoca splendida di Atene durò circa un secolo e mezzo, perchè
iniziatasi colla battaglia di Platea, che ebbe luogo il 479 avanti
Cristo, si protrasse tutto al più fino alla guerra lamiaca, cioè fino
al 323 a. C. Ed anche Roma potè cominciare ad essere consi-
derata come un grande Stato ed un centro di cultura alla fine della
seconda guerra punica, cioè al 203 a. C. ; ma già al 133 s'iniziarono
con Tiberio Gracco le lotte civili, ed al 31 a. C, dopo un secolo
di tumulti quasi continui, di proscrizioni, di guerre intestine, l'an-
tico Stato città dovette tramutarsi nell'impero d'Augusto.
Fra le grandi nazioni moderne l'Inghilterra ed il Nord-America
sono quelle che da più lungo tempo si reggono secondo il prin-
cipio liberale, ma abbiamo già visto che la prima lottò contro
l'assolutismo fino al 1689, e sappiamo che la data della nascita
degli Stati Uniti può essere fissata al 1783. E l'Inghilterra del 1689
era per potenza, ricchezza e valore intellettuale assai diversa da
quella di oggi ; come pure è noto che la grande repubblica nord-
americana, fin quasi alla metà del secolo decimonono, era un paese
quasi esclusivamente agricolo, sobrio, ristretto in se stesso, attac-
cato alle antiche tradizioni, molto lontano dalla opulenza e dalla
406 ELEMENTI DI SOIENZA POLITICA
importanza mondiale che oggi ha raggiunto. Sicché parrebbe
quasi che il principio liberale facilmente prevalga in quei periodi
eccezionali della vita dei popoli durante i quali alcune delle ])iù
nobili facoltà dell'uomo si manifestano con tutta la loro intensità
ed energia e maturano i germi che produrranno a breve scadenza
un notevolissimo aumento di potenza politica e jjrosperità econo-
mica. Ma sembra pure che a questi periodi, i quali segnano al-
cune delle tappe più importanti raggiunte nel cammino della
civiltà, altri ne seguano, durante i quali le società umane sentono
quasi il bisogno di un lungo riposo, che politicamente trovano
adagiandosi in un autocratismo i)iù o meno larvato, e più o meno
adattato al grado di sviluppo e di cultura raggiunto.
Il regime autocratico naturalmente presuppone l'esistenza di un
autocrate, di un uomo cioè che personifichi l'istituzione in nome
della quale agiscono tutti coloro che sono investiti di una parte
o di una particella qualsiasi della pubblica autorità. Ora l'auto-
crate può essere ereditario, nel quale caso si ha una combinazione
del principio autocratico colla tendenza aristocratica, o elettivo,
nel quale caso la combinazione avverrebbe colla tendenza demo-
cratica. Non bisogna però dimenticare che gli autocrati a vita
tendono sempre a trasformarsi in ereditari e che, come avveniva
a Roma durante l'impero, l'autocrate, il quale nominalmente ha ri-
cevuto il mandato dal popolo, molto spesso viene creato dalle classi
dirigenti, o meglio da quella frazione delle classi dirigenti che
ha i mezzi più efficaci per imporsi alle altre, ovvero finalmente
da quel gruppo di alti funzionari che tengono in mano le fila
colle quali si dirige la macchina dello Stato (1).
L'eredità, quando è regolata in maniera che non possano na-
scere dubbi sui diritti dell'erede al trono, presenta certamente
il vantaggio di assicurare meccanicamente la stabilità e la con-
(1) I mezzi più efficaci e sicuri d'imporsi sono sempre stati i soldi e sopra-
tutto i soldati. Perciò nei regimi autocratici molto spesso il successore del
trono è stato scelto da coloro che disponevano delle casse dello Stato e della
forza armata, e specialmente di quella parte della forza armata che stava nella
capitale a custodia del sovrano, della corte e degli organi centrali del Go-
verno. Basterebbe ricordare in proposito quello che fecero i pretoriani a Roma,
la guardia turca nel califfato di Bagdad, gli strelitzi a Mosca fino a Pietro il
Grande ed i giannizzeri a Costantinopoli fino ai primi decenni del secolo de-
cimonono.
PARTE II. GAP. IV - PRINOIPÌ E TENDENZE DIVERSE ECC. 407
tinnita del potere e di evitare che ogni successione fornisca facili
occasioni a guerre civili e ad intrighi di Corte a favore o contro
i vari pretendenti. Da questo lato il sistema adottato dalle nio-
narchie europee, nelle quali la famiglia legale è stata ed è sempre
monogama e la successione è toccata sempre al maschio primo-
genito, ha dato risultati migliori di quello usato nelle monarchie
orientali, che non hanno mai regolato il diritto di successione in
modo cosi chiaro e preciso e hanno sempre ammesso che il sovrano
regnante possa cambiarlo. Ciò che naturalmente ha aperto la porta
agli intrighi della sultana favorita, degli alti funzionari ed anche
del basso personale di Corte, che col sovrano ha quotidiani con-
tatti (1).
La prima origine delle dinastie autocratiche è dovuta molto
spesso ad una individualità forte ed energica, la quale, dopo che
è arrivata al potere supremo, ha saputo acquistare tale prestigio
nella classe politica ed anche fra le masse popolari ed ha saputo
costituire tale una rete intessuta d'interessi e di devozione fra gli
alti funzionari, da fare sembrare molto opportuno, e quasi.naturale,
che la successione venga trasmessa ai suoi discendenti. Sappiamo
infatti che in China le nuove dinastie sono state generalmente
fondate da avventurieri energici e fortunati che, ponendosi a
capo di una rivolta vittoriosa, rovesciavano la dinastia precedente.
Origine simile ebbe nel Giappone la dinastia degli Shogun Toku-
gava e si sa pure che in India il turco Baber, postosi a capo di una
grossa banda di avventurieri suoi compatriotti, riusci a fondare,
nei primi decenni del secolo decimosesto, l'impero del Grran Mogol.
In Europa simili casi sono avvenuti assai più raramente; Napo-
leone non potè trasmettere il trono al re di Roma, ed il figlio di
01i\dero Cromwel i)otè occupare la carica di lord protettore sol-
tanto per meno di un anno. Un caso tipico, che si potrebbe in
proposito ricordare, fu quello di Gustavo Wasa che, figlio di un
nobile svedese, ma ridottosi nella sua gioventù a fare il pastore ed
il minatore nella Derecarlia, si pose poi a capo di una rivolta dei
suoi compatriotti contro i Danesi, e fu il fondatore di una dinastia
«he, dai primi decenni del secolo decimosesto, regnò nella Svezia fino
(1) Si può ricordare l'influenza che ebbero spesso a Costantinopoli gli eunuchi
che stavano a servizio del Sultano e quella che essi esercitavano non rara-
mente in China, quando qualche dinastia era nel periodo della decadenza.
408 BLBMBMTI DI 80IB!fZA POLITICA
all'avvento dei Bernadotte. Invece più di frequente è avvenuto
fra noi che una dinastia, nata piccola e debole, siasi a poco a poco
fortificata ed ingrandita mediante il lavorio costante di una serie
di generazioni. E basterebbe citare l'esempio dei Capetingi, dei
Savoia, degli Ilolionzollern e forse anche degli Habsburgo.
In una autocrazia ereditaria è assai difficile che la persona de-
stinata dalla nascita ad occupare la difficilissima carica di capo
supremo di un grande Stato abbia le qualità necessarie per ef-
fettivamente e bene disirapegnarla. A dir vero l'eredità familiare
e l'educazione possono contriljuire molto a far sì che un sovrano
ereditario riesca ad acquistare il contegno esteriore e le forme che
più convengono alla posizione che occupa. Ma, benché le forme
abbiano la loro importanza, sopratutto quando ogni gesto ed ogni
parola possono attirare l'attenzione di un intero popolo, esse non
bastano a supplire alla deficienza delle qualità più sostanziali:
quali sarebbero la capacità di lavoro, l'energia, la volontà di do-
minio, la conoscenza degli uomini ed anche una certa insensibilità
affettiva tanto utile per i regnanti, che non dovrebbero troppo
commuoversi per i dolori altrui, ma dovi'ebbero invece sapere re-
primere gli slanci del cuore ed evitare studiosamente quei mo-
menti critici nei quali l'animo umano è irresistibilmente spinto a
rendere palesi i sentimenti ed i pensieri più intimi (1).
Alla deficienza accennata si ripara nella maggior parte dei casi
affidando a due diversi personaggi le funzioni autocratich.e ; al-
l'autocrate titolare resta la parte rappresentativa e decorativa
della carica, mentre il potere effettivo viene affidato ad un'altra
persona, clie si può chiamare maestro di palazzo, primo ministro
o vizir. Spesso però quest'ultimo compito è affidato, anziché ad
una persona sola, ad un Consiglio formato di un piccolo gruppo
di maggiorenti, come sarebbero stati il Consiglio dei Ministri, che
assisteva il principe in Europa sotto l'antico regime, il Tsong-li-
(1) Ricordiamo il detto di Luigi XI di Francia: qui nescit dis.tìmuìare nescit
regnare. Però un maligno potrebbe pensare che quel sovrano avrebbe meglio
operato se avesse messo in pratica, come fece, il precetto senza enunciarlo e
farlo passare alla storia. N'ayez jamais d'atta che me ut pour personne, scriveva
di proprio pugno Luigi XIV nelle istruzioni che dava a suo nipote Filippo,
che andava a regnare in Spagna (Vedi Michels, La sociologia del partito poli-
tico, pag. 365).
PARTE II. CAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECC. 409
yamen in Cliina, il Divano in Turchia, il Ba-ku-fu nel Giappone
dei Tokugava (1). Ma ordinariamente in questo piccolo gruppo vi
è un individuo il quale ad una maggiore capacità di lavoro ac-
coppia una più forte e più ferma volontà di dominio e che perciò
predomina sugli altri. Quando il principe titolare regna ed il primo
ministro governa, e le circostanze esigono un cambiamento ra-
dicale d'indirizzo politico, esso si può effettuare cambiando il mi-
nistro e lasciando in piedi la dinastia ed il sovrano regnante.
Naturalmente di fronte a questo vantaggio sorge il pericolo che
il sovrano di fatto, cioè colui che effettivamente governa, si sforzi
di conservare il potere per tutta la vita e cerchi anche di trasmet-
terlo ai suoi figli ; come accadde in Francia all'epoca dei maestri
di palazzo ed è accaduto replicatamente nel Giappone, dove, assai
prima che s'istituisse lo Shogunato dei Tokugava, il potere del
Mikado era diventato nominale ed era di fatto esercitato dal capo
di qualche grande famiglia feudale (2).
Non è facile di teorizzare sul come e sul quando diventa neces-
saria la divisione accennata del potere autocratico. Certo è che
essa si rende inevitabile quando la dinastia autocratica è invec-
chiata ed ammollita, sicché l'autocrate legale, chiuso nel suo pa-
lazzo e spesso snervato dai piaceri sensuali, perde ogni contatto
coi grandi e col popolo e non conosce più l'arte di fare agire le
ruote della macchina statale. Ma non mancano, specialmente in
Europa, numerosi esempi di discendenti di antiche dinastie, che
come Carlo V e Filippo II di Spagna, Luigi XIV di Francia,
Vittorio Amedeo II di Savoia, Pietro il grande di Russia e Fe-
derico il grande di Prussia, hanno saputo dirigere effettivamente
il governo dei loro Stati. Studiando uno ad uno i personaggi in-
dicati, e quegli altri che si potrebbero indicare, facilmente si po-
trebbe constatare che, malgrado la varietà dei caratteri individuali,
essi avevano comuni due qualità fondamentali : cioè una grande
capacità di lavoro fisico ed intellettuale ed una forte volontà di
dominio.
(1) Vedi Dk la Mazelièrk, Le Japon, volume III, libro VI. Paris, Plon edi-
tore, 1907.
(2) Vedi De la Mazelièrk, opera citata, specialmente il volume II, cap. II.
Fra le grandi famiglie accennate le più celebri furono quelle dei Taira, dei
Minamoto, degli Hojo e degli Ashikaga.
410 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
È naturale ohe in ori<?ine, e si potrebbe anche dire a caso ver-
gine, la scolta dell'autocrate coadiutore, che esercita il potere ef-
fettivo, spetti all'autocrate titolare, e che il primo perciò debba
essersi saputa accaparrare la fiducia del secondo. Ma col tempo
un carattere forte può acquistare tale ascendente sopra un carat-
tere debole che questo non oserà più revocare ciò che una volta
ha liberamente concesso; sicché il mandatario volontariamente
scelto può diventare un tutore che si subisce. Si aggiunga che la
prima e la più urgente cura del vice-principe è quasi sempre
quella di mettere in tutte le cariche elevate persone legate a lui
da vincoli di famiglia, di riconoscenza, o, meglio ancora, da com-
plicità in azioni basse od in vere ribalderie. Poiché cosi facendo
egli può contare sulla fedeltà della camarilla che ha contatti fre-
quenti col principe e tenere da lui studiosamente lontani tutti
coloro che ad essa non appartengono.
Del resto la formazione di un gruppo di persone, che, secondo
i casi, può comprendere due o tre dozzine o anche un centinaio d'in-
dividui, i quali monopolizzano la direzione dello Stato e occupano,
alle volte a turno, le cariche più importanti, è un fatto che av-
viene in tutte le autocrazie, anzi in tutte lo forme di regime poli-
tico. Variano soltanto i criteri con i quali questo gruppo, che forma
il primo strato della classe dirigente, viene selezionato, a seconda
che il regime è autocratico o liberale o che prevale la tendenza
democratica o quella aristocratica. Ma, in tutti i casi ed in tutti i
regimi, un criterio costante, e che ha sempre grande importanza,
consiste nel gradimento di coloro che del gruppo già fanno parte.
In tempi normali, quando si tratta di arrivare ad uno dei posti
che permettono di disporre effettivamente di una parte delle forze
di uno Stato, e quindi della sorte di molti individui, quasi sempre
sono necessari il consenso o almeno la simpatia e l'acquiescenza
di coloro che ai posti accennati sono già arrivati. Non per nulla
dice il proverbio che non si entra in Paradiso a dispetto dei santi.
Nei paesi nei quali prevale nello stesso tempo il principio au-
tocratico e la tendenza aristocratica, il gruppo al quale abbiamo
accennato viene formato a preferenza dai membri della più alta
nobiltà, i quali dalla nascita sono destinati ad occupare gli uffici
e le mansioni più importanti dello Stato. La Corte allora suole
spesso essere il teatro dove si svolgono le gare di preminenza fra
le più grandi famiglie del reame, come avveniva in Francia al-
PARTE li. OAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECO. 411
l'epoca delle lotte fra il conte di Armagnac ed il duca di Bor-
gogna, in Sicilia nella seconda metà del secolo decimoquarto ed
in Spagna sotto il debole Carlo II. Ma, quando il sovrano titolare
ha ingegno e forza di volontà, riesce alle volte a rompere il cerchio
delle camarille aristocratiche, che lo servono e nello stesso tempo
lo padroneggiano, e spesso lo padroneggiano più di quanto lo
servano, e lo rompe portando a posti molto elevati persone di na-
scita mediocre, che, dovendo tutto a lui, sono strumenti più effi-
caci e più fedeli della sua politica. Si sa infatti che i due princi-
pali ministri di Luigi XIV, Colbert e Louvois, non appartenevano
all'alta nobiltà francese, e che Pietro il Grande di Russia affidò
spesso cariche elevate ad avventurieri di origine straniera o anche
a Hussi di bassa estrazione. Nelle autocrazie orientali non era
neppure inaudito il caso di persone di origine molto bassa che
arrivavano prima alle cariche più elevate e poi al potere supremo,
e si potrebbero citare gli esempi di Basilio il Macedone nel secolo
nono a Bisanzio e di Nadir Scià nella Persia del secolo decimot-
tavo (1). Non occorre dire che queste carriere eccezionali erano
dovute ad una straordinaria assistenza della fortuna, a doti eccezio-
nali d'intelletto e sopratutto all'arte di valersi di tutte le circostanze
propizie per salire in alto; la quale arte consiste sopratutto nel
sapersi rendere utili, e meglio ancora necessari, a coloro che già
si trovano in alto, sfruttandone tutte le qualità buone e cattive.
(1) Basilio il Macedone, morto nell'ottocento ottantasei, era figlio di un con-
tadino. Assunto prima, per la sua abilità a governare i cavalli, come scudiero
di uno dei grandi della Corte, egli, in grazia della sua intelligenza ed energia,
riuscì a diventare prima il favorito e poi il collega dell'imperatore Michele III,
e, quando questi si volle sbarazzare di lui, egli si sbarazzò dell'imperatore as-
sassinandolo e riuscendo a sostituirlo. Non tenendo conto delle arti e dei de-
litti coi quali era arrivato al trono, si può giudicarlo come uno dei migliori
imperatori che abbia avuto Bisanzio. — Nadir Scià, figlio di un capo tribù turco-
manno, esordì come capo brigante ; dopo varie vicende entrò al servizio di
Tamasp 2° Scià di Persia della dinastia dei Soiì, in seguito lo depose e fece
prima proclamare Scià un figlio bambino di Tamasp, di cui Nadir diventò il
tutore; poco dopo fece uccidere il padre ed il figlio e si fece proclamare Scià
nel 1736. Energico ma crudelissimo, rialzò all'estero il prestigio della Persia e
riuscì a prendere Delhi, capitale dell'impero del Gran Mogol, facendovi, dicesi,
un bottino del valore di due miliardi. Morì alla sua volta assassinato nel 1747.
Tanto Basilio che Scià Nadir avrebbero potuto fornire due magnifici esempi
degni di essere citati da Machiavelli nel Principe accanto a quelli di Agatoele
e di Cesare Borgia.
412 blbmbuti di soibnza politica
III. — Al di sotto del primo strato della classe dirigente ve
ne è sempre, e quindi anche nei regimi autocratici, un altro molto
più numeroso, che comprendo tutte le capacità direttrici del paese.
Senza di esso qualuncjue organizzazione sarebbe impossibile, perchè
il primo strato non basterebbe da solo ad inquadrare e dirigere
l'azione delle masse. Sicché dal grado di moralità, d'intelligenza
e di attività di questo secondo strato dipende in ultima analisi la
consistenza di qualunque organismo politico, la quale suole essere
tanto più grande quanto maggiore è la pressione che il senso
degli interessi collettivi della nazione o della classe, riesce ad
esercitare sulle cupidigie individuali di coloro che ne fanno parte.
Perciò le deficienze intellettuali e morali di questo secondo strato
rappresentano per l'organismo politico un pericolo più grave e
più difficilmente rimediabile di quello nel quale si incorre quando
le stesse deficienze si riscontrano nelle poche dozzine di persone
che tengono in mano i meccanismi della macchina statale (1).
Nei regimi autocratici primitivi, ed in generale in quelli più
antichi, questo secondo strato della classe politica era quasi sempre
formato dai sacerdoti e dai guerrieri. Cioè da quello due cate-
gorie di persone che disponevano della forza materiale e della
direzione intellettuale e morale della società e che, come conse-
guenza più che come causa, del predominio intellettuale e mo-
rale, avevano anche quello economico; e, date queste condizioni
della società, era naturale che al regime autocratico si accop-
piasse quasi sempre il prevalere della tendenza aristocratica. Ma,
(1) Porteremo in proposito un paragone che la recente guerra mondiale lia
reso facilmente comprensibile. Si sa ora da molti che la saldezza di un eser-
cito dipende principalmente dal valore intellettuale e sopratutto morale degli
ufficiali che hanno contatto diretto colle truppe, a cominciare dal colonnello
e terminando col sottotenente. Sicché se, per un caso impossibile, scomparissero
di un tratto tutti i generali e gli ufficiali di stato maggiore un esercito su-
birebbe una scossa gravissima, ma esso potrebbe restare in piedi e gli scom-
parsi potrebbero essere, più o meno bene, in pochi mesi sostituiti, promovendo
i migliori comandanti di reggimento e facendo entrare nello stato maggiore
altri ufficiali fra i più colti. Ma, se scomparisse di un tratto tutta l'ufficialità
che inquadra i soldati, l'esercito si dissolverebbe prima che fosse possibile di
sostituirla. Ora il primo strato della classe politica corrisponde ai generali ed
allo stato maggiore, il secondo agli ufficiali che conducono personalmente la
trupi3a di qualunque arma al fuoco.
PARTE li. GAP. IV - PBINOIP! B TENDENZE DIVERSE ECC. 413
col decorrere del tempo, colla fusione completa della razza con-
quistatrice colla conquistata, là dove la differenziazione delle
classi era dovuta in origine all'invasione di popoli stranieri, col-
l'aumento della civiltà e quindi della ricchezza e della cultura, e
colla conseguente necessità di una preparazione tecnica per bene
disimpegnare le cariche pubbliche, le autocrazie aristocratiche si
sono quasi sempre più o meno trasformate in autocrazie burocra-
tiche. Tali erano infatti l'impero romano, specialmente dopo Dio-
cleziano, e quello bizantino, l'impero chinese, almeno negli ultimi
secoli della sua esistenza, la Russia dopo Pietro il Grande, i prin-
cipali Stati europei nel secolo decimottavo e, con qualche riserva,
poteva anche essere considerato come un'autocrazia burocratica il
Giappone dopo la creazione dello Shogunato dei Tokugava (1).
Perchè un'autocrazia inizi la burocratizzazione di un grande
Stato è senza dubbio necessario che l'organizzazione politica sia
già cosi salda da potere regolarmente prelevare una parte delle
entrate dei privati sufficiente a fornire un trattamento ai pubblici
funzionari ed a potere mantenere una forza armata permanente.
Ma, come spesso avviene nei fenomeni sociali, alla sua volta una
burocratizzazione già bene iniziata permette di accrescere gran-
demente l'efficacia coercitiva della macchina statale e rende quindi
possibile alla classe dirigente, e sopratutto al gruppo che la guida,
di esercitare un'azione sempre più forte sulle masse governate,
orientandone gli sforzi verso i fini voluti dai governanti. In altre
parole, un'autocrazia burocratizzata è un'autocrazia perfezionata,
con tutti i vantaggi e gli inconvenienti dovuti al perfezionamento.
Tra i primi si possono enumerare la possibilità di affidare le di-
verse funzioni dirigenti agli specialisti, e quella di aprire le porte
alle capacità provenienti dagli strati meno elevati della società e
di fare così largo al merito personale. Rendendo con ciò omaggio
ad un canone di giustizia distributiva, che ha avuto sempre presa
nel cuore degli uomini, e che ne ha sopratutto oggi; canone che
vorrebbe stabilire un rapporto esatto e quasi matematico fra il
servizio che ogni individuo rende alla società ed il grado che egli
raggiunge nella gerarchia sociale.
(1) Vedi De la Mazelièrk, opera citata, volume III, libro VI. Si sa ohe dopo
clie Jeyasu, il quale regnò dal 1598 al 1616, ebbe fondato lo Shogunato dei
Tokugava, il potere dei daimios, o grandi feudatari, fu molto limitato.
414 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Ma, come scrive il Ferrerò, il meritxD personale, è una delle cose
che le passioni e gli interessi degli uomini sanno meglio falsifi-
care (1). E si potrebbe forse aggiungere che nei regimi autocra-
tici, dove il successo dipende dal giudizio di una o di poche per-
sone, può bastare per falsificare l'intrigo; mentre in quelli liberali,
sopratutto quando prevale anche la tendenza democratica, ed occorre
quindi per farsi avanti anche la stima e la simpatia attiva di molti,
all'intrigo bisogna accoppiare una buona dose di ciarlataneria. Ad
ogni modo, anche prescindendo da questa obiezione pregiudiziale,
e, se si vuole, troppo pessimista, è certo che ogni giudizio sul me-
rito e sulle attitudini di una persona sarà sempre più o meno sub-
biettivo e che perciò ogni giudice apprezzerà maggiormente, ed
in piena buona fede, nei candidati, quelle qualità intellettuali e
morali che egli stesso possiede. Ed è questa certamente una delle
ragioni principali di quel conservatorismo cieco, di quell'incapa-
cità a correggere i propri vizi e le proprie debolezze che spesso
si riscontra nei regimi esclusivamente burocratici (2).
E per evitare questo grave inconveniente non basta che i fun-
zionari superiori, dai quali dipende l'ammissione e la carriera di
quelli inferiori, siano persone di alto intelletto, ma bisogna pure
che abbiano il cuore molto generoso ed elevato. Difatti alle volte
anche le persone dotate delle qualità più rare ed eccelse dell'in-
telletto umano prediligono coloro che hanno le qualità più comuni
e secondarie, le quali danno meno ombra al superiore e lo com-
pletano meglio. Poiché coloro che le posseggono fanno ciò che
egli non sa fare, o disdegna di fare, e sono quasi sempre più
insinuanti, non avendo, o sapendo meglio dissimulare, quella bal-
danza giovanile, che spesso può sembrare od anche essere pre-
fi) Vedi Guglielmo Ferrerò, Memorie e Confessioni di un sovrano deposto.
Milano. Treves, 1920, pag. 29.
(2) Si potrebbe citare in proposito l'esempio della China, dove, nella se-
conda metà del secolo deciraonono l'alto mandarinato, composto di persone
colte, ma la cui cultura era quella antica e tradizionale nel paese, si oppose
tenacemente ad un nuovo reclutamento dei fuzionari basato sulla conoscenza
delle lingue e delle scienze europee. Viceversa nel Giappone gli uomini che
diressero la grande riforma del 1868 compresero subito la necessità di appren-
dere la cultura europea, ma quegli uomini, benché quasi tutti provenissero
dalla classe dei samurai e fossero persone colte, non erano letterati e scien-
ziati di professione.
PARTE II. GAP, IV - PRIXCIPÌ E TENDENZE DIVERSE ECC. 41S
sunzione, e che di frequente si riscontra negli uomini di verde
età e d'ingegno vivace; i quali riescono spesso a vedere subito
ciò che gli altri, anche vecchi, o non vedono affatto o vedono
molto tardi.
Che se poi, diffidando della umana imparzialità, alla scelta ed
all'indicazione dei superiori si vogliono sostituire regole di avan-
zamento meccaniche, le quali non possono essere basate che sulla
anzianità, avviene infallibilmente che uguale è la carriera del
pigro e del solerte, dell'intelligente e del mediocre, e che quindi
il funzionario, persuaso che far meglio e più degli altri non serve
a nulla, farà solo quel minimo che è indispensabile per non per-
dere il posto o la promozione. Allora le carriere burocratiche ten-
dono a diventare l'asilo dei mediocri o di coloro che hanno ur-
genza assoluta di avere un posto rimunerato per potere provvedere
alla propria sussistenza, ed un uomo intelligente che entra nella
burocrazia consacra al suo ufficio solo una parte, e spesso non
quella migliore, della propria attività e del proprio ingegno.
Va da se che, per quanto una burocrazia possa essere legal-
mente aperta a tutte le classi sociali, di fatto essa viene quasi
sempre reclutata nella classe media, cioè in quel secondo strato
della classe dirigente di cui abbiamo parlato; perchè i nati in
questa classe trovano assai più facilmente i mezzi di procacciarsi
l'istruzione necessaria e nello stesso ambiente familiare acquistano
la nozione pratica dei modi più adatti per entrare nella carriera
e per fare carriera; e non occorre neppure dire quanto possano a
ciò giovare la guida e la protezione del padre o di parenti ed amici
di famiglia altolocati. Perciò si può in genere affermare che, sia
nel regime autocratico puro, sia in quello combinato con il re-
gime liberale, quasi identico è il livello morale della burocrazia
e della classe dirigente del paese. Quindi è più elevato dove questa
classe ha tradizioni radicate di probità e di onore, perchè da più
lungo tempo formata e raffinata e da molte generazioni si è con-
sacrata al servizio dello Stato, tanto nelle carriere civili che in
quella militare. Ed è più basso quando essa è di data più recente,
e proviene o da avventurieri procaccianti e fortunati o da famiglie
di contadini e piccoli commercianti, appena digrossate, nelle quali,
sebbene abbiano acquistato una certa agiatezza, molto spesso an-
cora perdm-ano la mancanza di ogni idealità e la inveterata e
sordida avidità del grosso ed anche del piccolo guadagno.
416 BLBMKNTI DI SOIENZA POLITICA
E in questi casi che l'organizzcazione burocratica dà i frutti
pofj^iori: che sarebbero il favoritismo sfacciato dei superiori, la
bassa servilità dei subalterni, in tutli la tendenza a barattare con
favori di qualsiasi genere quel tanto d'autorità che la carica mette
a loro disposizione. Nei casi ])iù gravi il baratto si converte in
vendita, ed allora si ha quella corruzione pecuniaria che, quando
diventa comune nei gradi alti e bassi della scala burocratica, dis-
grega e paralizza ogni azione dello Stato. Difetto poi comune a
tutte le burocrazie, e quindi anche a quelle moralmente più ele-
vate, è la convinzione della propria infallibilità; perla quale sono
sempre oltremodo restie ad accogliere quelle critiche e quei sug-
gerimenti che provengono da persone estranee alla loro carriera.
IV. — Abbiamo già visto nelle pagine precedenti come il
principio liberale abbia uno stato di servizio più brillante, ma certo
più ristretto e i3Ìù breve, di quello autocratico. Agli esempi di Stati
liberali antichi e moderni che allora abbiamo addotto, si potreb-
bero aggiungere quelli della Polonia, delFOlanda, delle città an-
seatiche, di Genova, di Firenze e della Svizzera, paesi nei quali
il regime liberale durò più o meno lungamente, e finalmente di
Venezia, dove un regime liberale, nel senso da noi attribuito al
vocabolo, e nello stesso tempo oligarchico, prevalse per molti
secoli. Ma anche quasi tutti gli altri Stati che abbiamo menzio-
nato, ad eccezione di qualche piccolo cantone della Svizzera, erano
governati da aristocrazie più o meno ristrette, ed in Polonia, cioè
in quello che raggiungeva la massima estensione, l'aristocrazia
presto degenerò in una turbolenta anarchia.
Come abbiamo pure accennato, le caratteristiche del regime li-
berale consistono nel fatto che la legge è basata sul consenso della
maggioranza dei cittadini, i quali però possono anche essere una
esigua frazione degli abitanti dello Stato, e che i funzionari i
quali la applicano sono nominati direttamente od indirettamente
dai loro subordinati e sono temporanei e responsabili della lega-
lità dei loro atti. Nei grandi Stati liberali generalmente i cittadini,
anziché esercitare personalmente il potere legislativo, lo delegano
ad assemblee direttamente od indirettamente da loro nominate, e
l'azione dei funzionari elettivi viene completata ed integrata da
una vera e propria burocrazia. Inoltre, dove prevale il principio
liberale, lo Stato suole riconoscere certi limiti ai suoi poteri nei
PARTE II. GAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECO. 417
suoi rapporti coi singoli cittadini e coi sodalizi da essi formati.
Questi limiti, non completamente ignoti alla Grecia classica ed a
Roma antica, sono quasi sempre sanciti nei moderni Statuti e ri-
guardano la libertà di religione, di stampa, d'insegnamento, di
associazione e riunione e le guarentigie per la libertà personale,
per la proprietà privata e Tinviolabilità del domicilio.
Anche negli Stati nei quali prevale il principio liberale tro-
viamo quei due strati della classe dirigente, il primo molto pic-
colo, il secondo molto più largo e profondo, dei quali abbiamo
parlato a proposito del regime autocratico. Il sistema elettivo non
esclude infatti che si formino dei gruppi jjìù o meno chiusi, i quali
si contendono le cariche più elevate dello Stato e fanno capo
ciascuno ad un pretendente alla carica più elevata, che potrebbe
essere quella di Presidente della Repubblica o di Presidente del
Consiglio dei Ministri; gruppi che corrispondono alle camarille di
Corte, fra le quali nelle autocrazie si scelgono i coadiutori imme-
diati del supremo gerarca. Naturalmente i metodi usati sono di-
versi, perchè nelle autocrazie per arrivare basta influire sopra di
uno o di pochi uomini, sfruttandone tutte le passioni buone e cat-
tive; mentre nei regimi liberali bisogna guidare la volontà di al-
meno tutto il secondo strato della classe dirigente, il quale, se
non costituisce da solo il corpo elettorale, fornisce i quadri che
ne formano le opinioni e ne determinano Fazione. Perchè dal suo
seno escono i comitati che dirigono le associazioni politiche, gli
oratori dei comizi ed i redattori dei giornali, ed infine quel piccolo
numero di persone capaci di formarsi una opinione propria sugli
uomini e sugli avvenimenti del giorno e che perciò esercitano una
grande influenza sui moltissimi incapaci, e preparati quindi, senza
saperlo, ad accogliere sempre quella degli altri.
Molto diversi sono i risultati che dà l'applicazione del principio
liberale a seconda che il corpo elettorale, dal quale dipende la
scelta di coloro che occupano le cariche pubbliche più elevate, è
molto ristretto, ovvero molto largo.
Nel primo caso è evidente che una buona parte della classe po-
litica, o di coloro che avrebbero le attitudini a farne parte, ne
resta esclusa. Questa esclusione fa si che il regime liberale diventi
molto somigliante ad un'autocrazia larvata di una classe ristret-
tissima, che alle volte si riduce a poche famiglie potenti e quasi
onnipotenti, come accadeva in Polonia negli ultimi decenni ante-
Q-. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 27
418 ELEMENTI DI 80IBNZA POLITIOA
riori alla sua spartizione. Inoltre quando il corpo elettorale è molto
ristretto, quiisi tutti ^'li elettori sono o jjossono credersi effettiva-
mente eleggibili, e quindi quasi tutti diventano candidati, ossia
giudicabili, senza che resti un numero sufficiente di giudici (1).
Ordinariamente perciò nei corpi elettorali ristrettissimi o si forma
una cricca unica, composta dai titolari delle cariche e dai loro
consorti e cointeressati, o so ne formano due, delle quali una sta
al potere e l'altra fa un'opposizione astiosa e sistematica. I pochi
che si mantengono al di fuori delle due cricche ordinariamente
restano isolati e vengono lasciati in disparte; e riescono ad eserci-
tare un'azione efficace solo nei momenti critici, quando una serie
di gravi scandali o di grandi insuccessi rendono inevitabile o fa-
cile la caduta della cricca che stava al potere.
Nel secondo caso, cioè quando tutti o quasi tutti sono elettori,
lo studio principale delle diverse organizzazioni di partito in cui
si divide la classe dirigente diventa quello di captare i suffragi
delle classi più numerose, che sono necessariamente le più povere
ed indotte. La prima e la più spontanea e naturale aspirazione di
queste classi, costrette a subire un governo che spesso non amano
e del quale ancora più spesso non capiscono gli scopi e gli in-
granaggi, sarebbe quella di esser governata il meno possibile,
ossia di fare per lo Stato il minor numero possibile di sacrifizi;
la seconda, che si sviluppa sopratutto coll'esercizio del suffragio,
sarebbe quella di trarre da esso profitto per migliorare la propria
situazione economica e per sfogare quel risentimento compresso e
quell'invidia che spesso, non sempre, l'uomo che sta in basso sente
per colui che sta in alto, e specialmente per colui che è il suo
superiore immediato.
Or, quando nella lotta fra le diverse frazioni della classe diri-
gente il successo dipende dall'appoggio e dalla simpatia delle
masse popolari, è inevitabile che quella frazione, la quale dispone
(1) Qualche cosa di simile avviene in certe Camere elettive nei paesi retti
a governo parlamentare, nei quali la frequenza delle crisi di gabinetto e la
difficoltà di comporre i nuovi Ministeri dipendono, almeno in parte, dal fatto
che molto numerosi sono i deputati che aspirano a diventare ministri o sotto-
segretari di Stato. Cosicché, essendo troppi i candidati, vengono a scarseg-
giare i giudici, i quali dovrebbero essere costituiti da coloro che non hanno
alcuna delle aspirazioni accennate.
PABTE II. GAP. IV - PRINCIPI E TEKDENZE DIVEBSE ECC. 419
di mezzi d'influenza meno efficaci, si valga delle due aspirazioni
accennate, e sopratutto della seconda, per trascinare con sé gli
strati più umili della società. A questa frazione si uniscono di
frequente, per sentimento o per interesse, quegli individui che,
nati nelle classi meno elevate, hanno saputo da esse sollevarsi, in
grazia -della loro speciale intelligenza ed energia, ovvero per la
loro eccezionale furberia (1). Ma, qualunque sia la loro origine, i
metodi seguiti da coloro che vogliono monopolizzare e sfruttare
la simpatia delle plebi sono stati e sono sempre identici : essi con-
sistono nel porre in luce, naturalmente esagerandoli, l'egoismo,
l'insipienza ed i godimenti materiali dei ricchi e dei potenti, nel
denunziare i loro vizi ed i loro errori reali ed immaginari e nel
promettere di soddisfare quel senso cosi comune e diffuso di gros-
solana giustizia, che vorrebbe abolita ogni gerarchia sociale fon-
data sui vantaggi che conferisce la nascita e vorrebbe nello stesso
tempo raggiungere l'uguaglianza assoluta dei godimenti e delle
pene.
Accade poi spesso che i partiti ai danni dei quali si rivolge la
propaganda demagogica per combatterla usino mezzi assai ana-
loghi a quelli dei loro avversari. Anche essi perciò fanno pro-
messe impossibili a mantenere, adulano le masse, ne lusingano gli
istinti più rozzi e sfruttano e fomentano tutti i loro pregiudizi e
tutte le loro cupidigie, quando stimano di poterne trarre van-
taggio. Ignobile gara, nella quale coloro che ingannano volonta-
riamente abbassano il loro livello intellettuale fino a renderlo
uguale a quello degli ingannati, e moralmente scendono ancora più
in basso (2).
(1) Il MicHELs nel suo interessantissimo lavoro sulla Sociologia del partito
politico, e snecialmente nella parte quarta del lavoro accennato, studia con
molto acume il contributo apportato alla direzione ed alla orjfanizzazione dei
partiti socialisti delle varie nazioni dagli elementi provenienti dalla borghesia
e da quelli usciti dalla classe operaia e le rivalità e le gare che spesso avven-
gono fra queste due frazioni degli stati maggiori socialisti.
(2) Il più antico saggio di eloquenza tribunizia è quello che Omero, nel canto
secondo àelV Iliade, mette in bocca a Tersite il quale, uso a denigrare tutti i
capi, accusa Agamennone di arricchirsi mercè le fatiche e i pericoli soppor-
tati dai semplici soldati e di passare il tempo a godersi le belle schiave, ed
incita quindi i Greci ad un vero sciopero militare, cioè a lasciare solo il loro
duce, affinchè riconosca che tutto deve alle fatiche dei soldati. Come insupe-
420 ELEHUNTI DI 80IBMZA POLITICA
Tatto sommato quindi il principio liberale trova le condizioni
migliori por la sua applicazione quando il corpo elettorale è com-
posto in maggioranza da quel secondo strato della clas.se dirigente
che forma la spina dorsale di tutte le grandi organizzazioni po-
litiche. Quando perciò esso è abbastanza numeroso perchè la
maggior parte dogli elettori non possa aspirare alle candidature,
sicché i candidati possono trovare in essi doi giudici e non già
dei rivali o dei compari, e nello stesso tempo abbastanza ristretto
perchè non diventi necessario per riuscire di rendere omaggio alla
mentalità ed ai sentimenti delle classi più incolte, allora soltanto
può diventare, non diciamo completa, ma non del tutto illusoria,
quella responsabilità dei mandatari verso i mandanti, che è uno
dei principali presupposti del regime liberale (1).
Come è noto, e come abbiamo accennato, altro suo vantaggio,
presunto od effettivo, sarebbe la pubblica discussione degli atti
dei governanti, sia nelle assemblee politiche e nei consigli ammi-
nistrativi, che per opera della stamjja periodica. Ma, perchè questo
ultimo ed efficacissimo mezzo di controllo potesse realmente illu-
minare la pubblica opinione, bisognerebbe che i giornali non fos-
rati modelli di eloquenza tribunizia, nei quali vendono magistralmente esposti,
in modo da suscitare un'eco profonda nel cuore dei diseredati, tutti gli ar-
gomenti che ai possono addurre contro coloro che le ricchezze e le cariche
elevate devono alla nascita, si possono citare il discorso che Sallustio nel
capo LXXXV della guerra giugurtina mette in bocca a Cajo Mario e quello
che Machiavelli nel libro III delle Storie fiorentine fa recitare ad un ignoto
popolano in occasione del tumulto dei Ciompi. I moderni demagoghi restano
quasi sempre assai inferiori a questi classici modelli.
(1) Nella Teorica dei governi e nella prima parte di questo lavoro abbiamo
cercato di spiegare come in un sistema rappresentativo, nel quale gli elettori
sono molto più numerosi dei candidati, gli eletti non possono essere mai il
risultato di una scelta spontanea della grande maggioranza del corpo eletto-
rale, il quale di fatto 'non ha che la facoltà di optare fra i diversi candidati,
che sono presentati e sostenuti da piccole minoranze organizzate, composte
dai comitati che dirigono i partiti politici o da gruppi di grandi elettori.
Manteniamo perfettamente questo punto di vista, aggiungendo che, quando il
corpo elettorale è relativamente colto ed intelligente , può fare la sua opzione
con discernimento, mentre quando è inesperto ed ignorante diventa necessario
di impressionarlo ed attirarlo a se con i più grossolani ripieghi. Avviene al-
lora il fenomeno, al quale abbiamo teste accennato, dell'adattamento delle
classi più colte alla mentalità ed ai pregiudizi di quelle più incolte.
PAKTB II. OAP. IV - PBINOIPÌ B TENDENZE DIVERSE ECO. 421
sero l'organo di camarille politiche o finanziarie, o gli strumenti
ciechi di una fazione, e, quando lo sono, bisognerebbe che il pub-
blico lo sapesse e potesse tenerne conto.
V. — La tendenza democratica, cioè verso il rinnovamento
delle classi dirigenti, si può affermare che agisce costantemente,
con maggiore o minore intensità, in tutte le società umane. Alle
volte il rinnovamento avviene in modo rapido e violento, più spesso,
anzi normalmente, mercè la lenta infiltrazione di alcuni elementi
j)rovenienti dagli strati più umili nelle classi elevate.
Nel passato i rinnovamenti violenti avvenivano non raramente
in seguito ad invasioni straniere, quando un popolo veniva con-
quistato da un altro popolo che si stabiliva nello stesso paese e,
senza distruggerli o cacciarli, si sovrapponeva agli antichi abitanti.
Cosi avvenne nell'Europa occidentale dopo la caduta dell'impero
romano, nella Persia dei Sassanidi dopo l'invasione araba, in In-
ghilterra dopo la vittoria di G-uglielmo il conquistatore, nell'India
dopo l'invasione dei Maomettani ed in China dopo l'invasione dei
Mongoli e'poi dopo quella dei Tartari Mandchù. Però in questo caso,
quasi sempre, frammenti dell'antica aristocrazia paesana sono en-
trati in quella nuova di origine straniera. E forse, in tutti i casi
snmmentovati, uno studio attento delle condizioni dei popoli con-
quistati ci farebbe constatare che la conquista straniera è stata
quasi sempre agevolata da un principio di dissolvimento interno,
che aveva già indebolito e disgregato la classe dirigente indigena,
o l'aveva moralmente separato dal resto della popolazione.
In tempi più recenti si sono talora avuti rinnovamenti violenti
e molto larghi delle antiche classi politiche in seguito a gravi
rivolgimenti interni. Essi corrispondono alle vere e proprie rivo-
luzioni, ed avvengono quando fra la organizzazione politica uf-
ficiale ed i costumi, le idee ed i sentimenti di un popolo si deter-
mina una grande disarmonia ed artificiosamente vengono tenuti
in condizione subordinata molti elementi che sarebbero attissimi
a partecipare alla direzione politica. Un esempio classico di questo
genere si ebbe colla grande rivoluzione francese; un altro si sta
svolgendo sotto i nostri occhi in Russia (1).
(1) Ormai è notorio che in Russia il rej^ime dei Soviet ha potuto durare
perchè ad esso ha in generale aderito la piccola borghesia ebraica, certo più
422 SLBMKMTI DI SCIENZA POLITICA
Ma le crisi violenti, che cambiano radicalmente i criteri in base
ai quali si reclutano le classi dirigenti e che ne mutano o modi-
ficano profondamente nel giro di pochi anni il personale, possono
essere considerate come un fatto piuttosto eccezionale, il quale ca-
ratterizza alcune epoche storiche ; fatto che qualche volta ha dato
un energico impulso al progresso intellettuale, morale e materiale,
e qualche altra volta è stato l'inizio o la conseguenza di un pe-
riodo di decadenza e dissoluzione di una civiltà. Viceversa, anche
in tempi normali, possiamo quasi sempre constatare che un lento
e graduale rinnovamento della classe politica avviene mediante
infiltrazioni di elementi provenienti dagli strati inferiori in quelli
superiori della società. Senonchè questa tendenza, che noi abbiamo
chiamato democratica, alle volte prevale ed agisce in modo più
efficace e più rapido, alle volte invece più copertamente, attra-
verso mille ostacoli creati dalle leggi, dalle consuetudini e dai
costumi, e perciò in modo assai più blando.
Come abbiamo già osservato nella prima parte di questo lavoro,
la tendenza democratica prevale più facilmente nei tempi agitati,
quando una mentalità nuova riesce a scalzare le antiche conce-
zioni sulle quali si basava l'edificio della gerarchia sociale, quando
i progressi scientifici e tecnici hanno creato nuove fonti di gua-
dagno o hanno prodotto un cambiamento negli ordinamenti mi-
litari, o anche quando un urto esterno ha costretto una nazione a
fare appello a tutte le sue energie e ad attitudini che, in tempi
quieti, sarebbero rimasti allo stato potenziale (1). Perciò in gene-
rale i cambiamenti di religione, le nuove dottrine filosofiche e
politiche, la scoperta di armi nuove o di nuovi strumenti di guerra,
attiva ed astuta e forse anche più intelligente di quella di origine russa; ed
è noto che, durante il passato regime, gli Israeliti erano, con mille piccole e
grandi vessazioni, ostacolati nelle loro aspirazioni di conseguire i posti elevati.
Di fatti il popolino russo, che vede il lato più appariscente della terribile crisi
che travaglia l'antico impero degli Czar, spesso l'attribuisce senz'altro alla ven-
detta degli Ebrei.
(1) È notorio che le rivoluzioni e le lunghe guerre danno a molti uomini
nuovi la possibilità di farsi valere. È stato da molto tempo osservato che, se
non vi fosse stata la rivoluzione francese, Napoleone Bonaparte sarebbe pro-
babilmente diventato nella sua età matura un buon colonnello d'artiglieria ed
è pure sicuro che, senza le guerre della rivoluzione e dell'impero, parecchi
dei suoi marescialli sarebbero rimasti semplici sottoufficiali.
PARTE II. CAP. IV - PRINCIPI B TENDENZE DIVERSE ECC. 423
l'applicazione di nuovi ritrovati alla produzione economica e lo
stesso aumento di essa, le lunghe guerre, sono tutti elementi che
favoriscono il rapido scambio delle molecole che compongono i
vari strati sociali. Aggiungiamo che questo scambio avviene sempre
più agevolmente nei paesi nuovi, dove abbondano ancora le ric-
chezze naturali poco sfruttate, che danno modo agli uomini ener-
gici ed intraprendenti di arrivare più facilmente, o almeno meno
difficilmente, alla ricchezza e quindi alla notorietà. Grli esempi dei
diversi Stati americani e dell'Australia ci sembrano a questo ri-
guardo abbastanza calzanti e persuasivi.
Non si può negare che la tendenza democratica, sopratutto se
contenuta in limiti moderati, sia in certo modo indispensabile a
ciò che si chiama, e spesso è realmente, il progresso delle società
umane. Infatti, se tutte le aristocrazie fossero riinaste sempre
chiuse ed immobili, il mondo non sarebbe mai cambiato e l'uma-
nità si sarebbe fermata nello stadio raggiunto all'epoca delle mo-
narchie omeriche o degli antichi imperi orientali. La lotta fra
coloro che stanno in alto e coloro che, nati in basso, aspirano a
salire è stata, è, e sarà sempre il fermento che ha costretto gli
individui e le classi ad allargare i proprii orizzonti ed a cercare
quelle vie nuove che ci hanno condotto fino al grado di civiltà
raggiunto nel secolo decimonono. A quel grado che ha reso pos-
sibile nel campo politico la creazione del grande stato rappresen-
tativo moderno, il quale, come abbiamo visto nel precedente ca-
pitolo, fra tutti gli organismi politici è quello che è riuscito a
coordinare una somma maggiore di energie e di attività indivi-
duali verso fini d'interesse collettivo.
Si può aggiungere che la tendenza democratica, quando la sua
azione non tende a diventare eccessiva ed esclusiva, rappresenta
ciò che in linguaggio volgare si chiamerebbe una forza conserva-
trice. Perchè essa permette di rinsanguare continuamente le classi
dirigenti mercè l'ammissione di elementi nuovi, che hanno innate
e spontanee le attitudini al comando e la volontà di comandare,
ed impedisce cosi quell'esaurimento delle aristocrazie della nascita,
che suole preparare i grandi cataclismi sociali.
Però, come abbiamo già accennato, a cominciare dalla fine del
secolo decimottavo e durante il decimonono, e forse anche oggi,
da quando cioè il dogma dell'uguaglianza umana, rimodernato se-
condo la mentalità dei tempi, ha acquistato nuovo vigore, e si è
424 BLBMBJJTI DI BCIKNZA POLITICA
riputato possibile elio esso possa avoro completa applicazione
nel mondo terreno, molti hanno creduto, e non pochi hanno finto
di credere, che ogni vantaggio ))roveniente dalla nascita debba,
col tempo 0 con oiiportuni ordinamenti, venire eliminato e che
l'avvenire potrà vedere dei consorzi umani nei quali vi sarà una
corrispondenza completa fra il reale servizio reso alla società ed il
grado occupato nella gerarchia sociale (1).
Ma, sebbene questa aspirazione mai forse come ora sia stata dif-
fusa e nettamente formulata, sarebbe assurdo credere che sia nata
soltanto poco meno di duecento anni fa; poiché essa invece ha
sempre costituito la base morale di ogni attacco che mirava al
rinnovamento o al rinsanguamento della classe dirigente. Ogni
volta che si è voluto forzare la barriera, che separava un'aristo-
crazia, di diritto o di fatto ereditaria, dal resto della società, si è
sempre fatto appello in nome della religione o dell'uguaglianza
naturale degli uomini o almeno di quella dei cittadini, ai diritti
del merito individuale contro il x>rivilegio della nascita. Su questo
riguardo le democrazie della Grecia e di Roma, i contadini inglesi
guidati da "Wat Tyrel, i Ciompi di Firenze e gli Anabattisti di
Mùnster, senza avere in mano la dichiarazione dei diritti dell'uomo,
pensavano ed operavano come i riformatori francesi del secolo
decimottavo e come i comunisti di oggi (2).
Senonchè, ogni volta che il movimento democratico ha potuto
parzialmente o totalmente trionfare, abbiamo visto costantemente
(1) Il concetto che in uno Stato idealmente organizzato debba esservi una
corrispondenza assoluta fra il servizio i-eso da un individuo alla società ed il
grado che questi in essa viene ad occupare, fu per la prima volta nettamente
formulatj da Saint-Simon, il quale sotto varia forma vi insiste in molte delle
sue opere. Lo stesso concetto diventò i^oi uno dei capisaldi della scuola saint-
simonista, che in altri campi molto si allontanò dalle dottrine del suo Maestro.
Vedi in proposito la raccolta già citata delle opere di Saint-Simon ed En-
fantin e Beknardo Mosca, Il pensiero di Saint-Simon considerato dopo un secolo,
pubblicato nella " Riforma sociale , del 1° gennaio 1922.
(2) Wat Tyrel era il capo di una nota ribellione dei contadini inglesi contro
i signori scoppiata nel 1381. Qualche anno prima, mentre l'insurrezione si
preparava, il prete John Ball aveva scritto i famosi versi tante volte citati:
When Adam delved and Ève span
Wbo was then the gentleman?
Non occorre ricordare chi fossero i Ciompi e gli Anabattisti.
PARTE II. GAP. IV - PBINC;PÌ E TENDENZE DIVERSE ECC. 425
la tendenza aristocratica risorgere per opera di coloro stessi che
Tavevano combattuta e talora ne avevano proclamato la soppres-
sione. A Roma i plebei ricchi, dopo avere forzato le porte che
precludevano loro l'accesso delle cariche più elevate, si fusero col-
l'antico patriziato e formarono una nobiltà nuova, nella quale
l'accesso agli estranei, legalmente ijermesso, era di fatto molto
diffìcile. A Firenze alle famiglie nobili, delle quali si volle di-
struggere l'influenza politica mercè i famosi ordinamenti di giu-
stizia, si sostituì l'oligarchia dei popolani grassi. In Francia la
borghesia del secolo decimonono sostituì in parte la nobiltà del-
Tantico regime. Dappertutto, appena si è abbattuta l'antica bar-
riera, se ne è edificata un'altra, talora forse più bassa e meno irta
di triboli e di spine, ma tale che presentava sempre un ostacolo
abbastanza efficace a coloro che la volevano superare. Dapper-
tutto gli arrivati ai primi gradini della scala sociale hanno costi-
tuito una difesa per sé e per i loro figli contro coloro che vole-
vano arrivare (1).
Si dirà che ciò è un prodotto necessario della proprietà indivi-
duale, che rende ereditaria la ricchezza e facilita grandemente a
coloro che la ereditano le vie per arrivare al potere e per restarci.
Ed è certo che in questa obiezione vi ò una gran parte di verità,
e non diciamo tutta la verità perchè le cognizioni e le relazioni
dei padri possono essere trasmesse jjarzialmente ai figli anche
quando la famiglia non ha un patrimonio vero e proprio. Ma
pochi si rendono oggi conto che in uno stato collettivista l'incon-
veniente accennato, che ora ha per base la proprietà privata, non
sparirebbe, anzi si presenterebbe in forma più grave. Perchè, come
abbiamo già dimostrato nell'ultimo capitolo della prima parte di
questo lavoro, e come attualmente accade in Russia, coloro che
reggono uno Stato organizzato secondo i principi collettivisti
avrebbero facoltà e mezzi d'azione molto maggiori dei ricchi e
dei potenti di oggi. Infatti in uno Stato collettivista i reggitori
cumulerebbero il potere politico con quello economico e, dispo-
nendo così della sorte di tutti gli individui e di tutte le famiglie^
avrebbero mille modi di distribuire favori e castighi e sarebbe
(1) Vedi iu proposito Gaetano Mosca, // principio aristocratico ed il demo-
cratico noi passato e nell'avvenire, pubblicato nell'" Annuario dell'Università di
Torino , del 1902.
426 BLEUEKTI DI SOISKZA POLITICA
strano che di queste facoltà non si valessero per procacciare ai
loro fif^li i posti mifcliori.
Por abolire intieramente il privilegio della nascita bisognerebbe
dunque abolire anche la famiglia ed adottare la Venere vaga, fa-
cendo discendere l'umanità fino al livello della più bassa anima-
lità (1). E crediamo per giunta che neppure questo provvedimento
cosi radicale sarebbe sufficiente a stabilire nel mondo quella giu-
stizia assoluta che, mai attuata, sarà sempre invocata da coloro
che vogliono rovesciare il sistema vigente delle gerarchie sociali.
Perchè abbiamo visto che, quando il clero cattolico, il quale non
poteva legalmente avere figli, disponeva di una grande potenza
economica e politica, è sorto il nepotismo; e, quando non ci sa-
ranno neppure i nipoti, l'uomo è così fatto che saprà trovare sempre
qualcuno dei suoi simili che amerà e proteggerà a preferenza
degli altri.
E resta poi a vedere se sarebbe sempre vantaggioso per la col-
lettività che fosse tolto ogni vantaggio alla nascita nella lotta
per entrare a far parte della classe dirigente e per arrivare ai
gradi più elevati della gerarchia sociale. Poiché, quando tutti gli
individui potessero prendervi parte a condizioni uguali, questa lotta
diverrebbe senza dubbio acuta fino al parossismo e produrrebbe
quindi un enorme dispendio di forze e di energie dirette a rag-
giungere un fine individuale, senza che, nella maggior parte dei
casi, vi fosse un corrispondente profìtto per l'organismo sociale (2).
Mentre potrebbe benissimo darsi che certe qualità intellettuali e
^opratutto morali, le quali sono utili e forse anche necessarie af-
(1) Forse è opportuno ricordare che Platone, nella sua Repubblica, propu-
gnava appunto l'abolizione della famiglia quasi come una conseguenza neces-
saria di quella della proprietà privata. Sembra però che egli volesse limitare
queste abolizioni alla classe dirigente composta dai saggi e dai guerrieri ed
inoltre che non avrebbe voluto quello che oggi si chiamerebbe il libero amore, ma
piuttosto unioni temporanee nelle quali la scelta dei due coniugi momentanei
era determinata dai saggi, ed egli inoltre stabiliva che i figli nati da queste
unioni non dovessero conoscere i loro genitori ne essere da questi conosciuti,
perchè secondo lui lo Stato doveva formare una sola famiglia. Un sistema
analogo è esposto e propugnato nella Città del Sole di Campanella, che voleva
pure abolite la proprietà privata e la famiglia.
(2) Vedi in proposito il lavoro citato sul Principio aristocratico e democra-
tico nel passato e nell'avvenire.
PARTE II. GAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECC. 427
finché una classe dirigente mantenga il suo prestigio e disimpegni
bene la sua funzione, ricliiedano, per svilupparsi ed affermarsi,
che per parecchie generazioni le stesse famiglie possano conser-
vare una posizione sociale abbastanza elevata. Ma di questo ar-
gomento ci dovremo intrattenere a preferenza nel susseguente pa-
ragrafo e durante il seguito del nostro lavoro.
VI. — Scrivendo nel primo quarto del secolo ventesimo,
quando ben pochi sono coloro che in pubblico non si dichiarano
partigiani entusiasti della democrazia, potrebbe sembrare superfluo
di esporre i danni e gli svantaggi del soverchio prevalere della
tendenza aristocratica, ossia della stabilizzazione del potere poli-
tico e dell'influenza sociale in determinate famiglie. Però, siccome
questa stabilizzazione, tanto comune nelle civiltà tramontate ed
in quelle rimaste estranee alla presente cultura europea, anche
oggi fra noi di fatto è attenuata ma non distrutta, siccome lo
spirito aristocratico non è morto, e probabilmente non morrà mai,
non crediamo superfluo di consacrare qualche pagina a questo ar-
gomento.
Parlando poco fa di alcuni vantaggi della tendenza democratica
abbiamo indirettamente accennato ad alcuni svantaggi di quella
aristocratica. Aggiungeremo ora che, quando un popolo è retto
lungamente da un'aristocrazia chiusa o semichiusa, è quasi inevi-
tabile che in essa nasca e si accentui uno spirito di corpo o di casta
per il quale i suoi membri si credono infinitamente superiori al resto
dell'umanità. Quest'orgoglio, che spesso si accompagna ad una
certa frivolezza di spirito e ad un culto eccessivo per le forme
esteriori, fa si che facilmente coloro che stanno in alto stimino
che tutto sia loro spontaneamente dovuto, senza che essi abbiano
doveri precisi verso coloro che sono fuori della loro casta, che con-
siderano quasi come destinati ad essere ciechi strumenti delle loro
mire, delle loro passioni e dei loro capricci (1).
Questa maniera di pensare e di sentire, la quale si forma quasi
spontaneamente negli individui che fin dalla nascita sono desti-
ci) È giusto ricordare che spesso anche coloro che da umile condizione hanno
potuto arrivare ad una situazione elevata si credono molto superiori al resto
dell'umanità.
428 EliBMENTI DI 80IRNZA POLITIQA
nati ad occuparo cariche più o meno elevate e che fin dall'infanzia
godono di molti privilegi e ricevono molti omaggi, impedisco che
ossi gonorulmento comprendano, o quindi compatiscano, i dolori
e le pene di quegli altri che stanno nogli ultimi gradini della
scala sociale e gli stenti e gli sforzi di coloro che hanno saputo
coll'opora propria salire qualcuno dei gradini della scala accennata.
Inoltre l'esagerazione dello spirito aristocratico fa si che si evitino
i contatti con gli strati più umili della società e che quindi si
trascuri di studiarli attentamente. E questa trascuratezza produce
spesso una completa ignoranza delle loro reali (condizioni psico-
logiche; che alle volte vengono raffigurate, attraverso la lettera-
tura ed i romanzi, come assai vicine alla semplicità e bontà pri-
mitiva dell'uomo, alle volte invece vengono assimilate senz'altro
a quelle dei bruti. Naturalmente tutte e due le esagerazioni hanno
il comune risultato di togliere alla classe dirigente qualunque in-
fluenza sulla formazione della mentalità e dei sentimenti delle
masse e di renderla perciò inetta alla loro direzione.
Raramente nella storia troviamo esempi di classi elevate eredi-
tarie che, avendo coscienza, come debbono averla, della loro su-
periorità intellettuale e morale, abbiano spontaneamente avuto
un'uguale coscienza dei doveri che questa superiorità imponeva
loro verso le classi inferiori. E più raramente ancora fra gli in-
dividui appartenenti alle classi dirigenti ereditarie si è diffuso
quel sentimento di vera e reale fratellanza e solidarietà universale,
che forma la base e l'onore delle tre grandi religioni mondiali, il
Buddismo, il Cristianesimo e l'Islam; sentimento il quale fa si che
l'uomo più elevato riconosca e comprenda che anche l'uomo più
basso fa parte integrante di quella umanità alla quale tutti e due
appartengono. Ciò che in fondo corrisponde a quel tanto di vero
che può essere contenuto in tutta quella grande congerie di sogni
e di menzogne che oggi appellasi democrazia.
Il più insidioso nemico di tutte le aristocrazie della nascita è
senza dubbio l'ozio, che genera la mollezza e la sensualità, fomenta
la frivolezza e produce l'aspirazione ad una vita nella quale i pia-
ceri non sono accompagnati dai doveri. E bisogna confessare che,
quando manca la necessità quotidiana dell'obbligo ad un determi-
nato lavoro, e quando non si è già contratta nei primi anni della
giovinezza l'abitudine di lavorare, è difficile sfuggire alle insidie
di questo terribile nemico. Ma le aristocrazie che da esso non
PAKTE II. CAI*. IV - PBINOIPi E TENDENZE DIVBBSE EOO, 429
sanno sufficientemente difendersi decadono rapidamente, giacché,
se pure nominalmente conservano per qualche tempo il loro rango
e le loro funzioni, queste vengono di fatto esercitate dai subal-
terni, che presto diventano i padroni effettivi; essendo impossibile
che chi fa e sa fare non riesca pure col tempo a comandare.
Senonchè non 'bisogna dimenticare che l'esenzione dei lavori ma-
teriali, la sicurezza di potere vivere e conservare la propria posi-
zione sociale senza che ad essa corrisponda la necessità impellente
di un'occupazione grave e quotidiana, può dare in certi casi ottimi
risultati dal lato dell'interesse collettivo, e che l'essersi un certo
numero di uomini trovati nelle condizioni accennate è una delle
cause precipue dei progressi intellettuali e morali della umanità.
Uno scrittore spagnuolo contemporaneo, Miguel de Unamuno, ha
scritto l'elogio della f annuUoneria. Egli ha voluto dimostrare che il
mondo molto deve agli oziosi, perchè, se fra i nostri antenati non
ci fosse stato un certo numero di persone, che non dovevano
lavorare colle proprie braccia e che potevano interamente disporre
del loro tempo, non sarebbero nate né la scienza, né l'arte, né la
morale (1).
La tesi é ardita e contiene molta parte di vero, ma la quistione
non ci sembra posta nei suoi veri termini. Nel caso contemplato
ciò che i non iniziati, i quali possono appartenere tanto alle classi
superiori che alle inferiori, chiamano ozio, molto spesso, lungi dal-
l'esser tale, è la forma più nobile di lavoro umano. Quella forma
cioè che non si propone una utilità immediata per l'individuo che
vi si dedica, o anche per altri determinati individui, ma cerca di
rendersi conto delle leggi che regolano l'universo, del quale fac-
ciamo parte, e dello svolgimento del pensiero e delle istituzioni
umane, senza altra spinta che la passione disinteressata di allargare
un poco i confini del noto a spese dell'ignoto, senza altro fine che
quello di chiarire alquanto, e nei limiti del possibile, quei problemi
gravi ed angosciosi, che travagliano l'anima e l'intelletto umano
(1) Vedi Miguel de Unamuno, En defensa de la hara^/atieria nei * Soliloqui
e convorsazioni ,, pag. 153 e seguenti. Ricordiamo di aver letto in una pub-
blicazione del Baqehot un pensiero molto simile a quello dell'Unamuno teste
citato ; ciò non significa che lo scrittore spagnuolo, il quale espone e ditende
la sua tesi con molto spirito e molta coltura, abbia plagiato quello inglese,
ma piuttosto che è molto difficile di trovare oggi un'idea che sia completa-
mente nuova.
430 ELEMSNTI DI 80IEIIZA POLITICA
e gli danno quell'impronta caratteristica che lo solleva al di sopra
dell'animalità. Or è evidente che questi istinti hanno avuto la
maggiore facilità, e diremmo quasi la possibilità di affermarsi,
solo fra uomini, che appartenevano ad una classe dirigente cosi
raffermata nel suo dominio da rendere possibile che alcuni dei
suoi membri fossero esenti dalle cure materiali della vita e dalla
preoccupazione di difendere giorno per giorno la propria posizione
sociale. Ed è perciò che si deve ammettere che la scienza e la
morale sociale sono state originariamente elaborate in seno alle
aristocrazie e che anche oggi trovano in esse a preferenza i loro
cultori più devoti (1).
Si potrebbe obiettare che le grandi scoperte nel campo scien-
tifico e le grandi affermazioni nel campo morale sono dovute ad
uomini dotati di ciò che comunemente si dice il genio, cioè di una
capacità d'intelletto e di sentimento e di una forza di volontà ec-
cezionali, e che il genio raramente è ereditario. E ciò è vero; ma
il genio suole a preferenza manifestarsi in individui che appar-
tengono a quei popoli ed a quelle classi nelle quali il livello medio
dell'intelligenza è più elevato, ed è notorio che le qualità intellet-
tuali, le quali, senza essere straordinarie, sono superiori alla media,
facilmente si tramandano dai genitori ai figliuoli. Or non è ar-
rischiato supporre che in origine le classi elevate, qualunque sia
stato il criterio con il quale vennero costituite, dovettero attirare
nel proprio seno molti degli individui più intelligenti e, quando
esse non sono ermeticamente chiuse, continuamente si rinsanguano
cogli elementi più intelligenti che provengono dagli strati inferiori
della società (2).
(1) Sarebbe falso ed ingiusto affermare che la passione disinteressata per il
sapere non possa ancHe trovarsi in individui nati negli strati più umili della
società. Senonchè bisogna pure tenere presente che le moderne nazioni civili
sono il frutto di una cultura molto antica e che in esse le classi sociali hanno
subito tanti rivolgimenti e tante mescolanze che non è da maravigliare se
qualche volta gli istinti più aristocratici, ereditati da lontani antenati, si tro-
vano anche in individui di umile condizione. Una delle applicazioni più felici
della tendenza democratica consisterebbe nel rendere possibile a questi indi-
vidui di sviluppare le loro qualità superiori. Però ciò non è facile e sopratutto
non crediamo che a ciò possa bastare l'istruzione elementare obbligatoria.
(2) La selezione che avviene nelle classi superiori, per la quale la loro
media intellettuale diventa e si mantiene più alta di quella delle classi infe-
PARTE li. CàV. IV - PKlNCIin E TENDENZE DIVERSE ECC. 431
Certamente poi più spiccato è il fenomeno dell'eredità familiare
per quel che riguarda le qualità morali, nello sviluppo delle quali
grande è l'influenza dell'educazione, e sopratutto di quella educa-
zione indiretta che proviene dall'ambiente in cui si nasce e si vive.
Non senza una profonda ragione in tutti i tempi e in tutti i luoghi
si è pregiata l'antichità di una famiglia, ossia il fatto che per una
lunga serie di generazioni essa ha potuto conservare una posizione
sociale elevata. Perchè è relativamente facile di arrivare in alto,
quando i tempi e la fortuna aiutano, ed un individuo possiede
una certa dose d'intelligenza, di attività, di perseveranza e sopra
tutto ha una grande e ferma volontà di farsi avanti; ma nelle
cose umane l'immobilità è artificiale ed il cambiamento naturale,
sicché occorrono una prudenza costante ed una vigile e durevole
energia per conservare, attraverso i secoli e per una lunga serie
di generazioni, ciò che si è acquistato per il merito, o per un colpo
di fortuna, e qualche volta anche per la mancanza di scrupoli, di
un lontano antenato.
Perciò le famiglie, che hanno potuto resistere lungamente a questa
prova, sono soltanto quelle nelle quali la maggioranza almeno di
coloro che ne facevano parte hanno saputo conservare il senso del
limite e della misura ed hanno saputo resistere alla tentazione di
cedere a desideri ardenti, che si aveva la possibilità di imme-
riori, è stata oggetto di studi accurati dell'AMMON; il quale, neìVOrdre social
(Paris, Thorin, 1900) e specialmente nei capitoli XX e XXI, giustamente dà
molta importanza al fatto che i matrimoni avvengono quasi sempre fra indi-
vidui della stessa classe, sopra tutto per la ripugnanza che hanno le donne
delle classi superiori a sposare individui di classe e quindi di educazione in-
feriore alla propria.
A questo proposito è opportuno mettere in evidenza un apprezzamento ine-
satto nel quale spesso si incorre a causa dell'uso europeo della trasmissione del
cognome da padre in figlio. Quest'uso fa sì che il solo antenato in vista sia
quello di cui si porta il cognome, mentre ve ne sono tanti altri che non
hanno fisiologicamente minor diritto ad essere presi in considerazione. Difatti
ogni individuo ha sempre due genitori, l'uno maschio e l'altro femina, sicché
alla prima generazione si hanno due antenati, alla seconda quattro, alla terza
otto e, rimontando alla decima generazione, mille e ventiquattro. Perciò il
tipo intellettuale e morale di una famiglia antica è piuttosto da attribuire
alla continuazione degli incrociamenti eugenici, anziché al lontano antenato,
che ha dato alla generazione presente la mille e ventiquattresima parte del
suo sangue.
432 ELEMENTI DI SCIEN/.A POLITICA
diatamente soddisfarò; che in altre parole hanno conosciuto e pra-
ticato l'arto di comandare a so stesso, {)iù difficile di quella di
comandare a^li altri, che alla sua volta è più difficile di quella
di obbedire (1). Avviene quindi naturalmente una selezione per la
quale tutti i casati nei quali fanno difetto le virtù accennate presto
ricadono nell'oscurità e i)erdono il ran^o che avevano acquistato.
Or è evidente che, perchè la selezione accennata abbia luogo, è
necessario che la classe dirigente abbia una certa stabilità e che
non venga perciò ad ogni generazione rinnovata; ed è forse questa
necessità che spiega la grande persistenza della tendenza aristo-
cratica e costituisce la sua migliore giustificazione.
Uno degli organismi più saldi e duraturi che ricordi la storia è
senza dubbio la Chiesa cattolica, la quale ha sempre ammesso
nelle file del clero individui provenienti da tutte le classi ed al-
l'occon'onza ha saputo portare al posto più insigne della gerarchia
ecclesiastica uomini provenienti dagli strati più umili della società,
e si potrebbero facilmente citare in proposito i nomi dei Papi
Gregorio VII, Sisto V e Pio X. Si sa che il celibato dei preti ha
impedito che si formasse nella Chiesa una vera aristocrazia ere-
ditaria, ma è pure notorio che parecchie furono nel passato le
grandi famiglie che avevano quasi sempre uno dei loro membri
nel Sacro Collegio, e che la maggioranza dei Papi e dei Cardinali
provenivano nei secoli scorsi, e forse provengono ancora, dalla
classe elevata e da quella media. Ed oggi forse una delle mag-
giori difficoltà con la quale il Cattolicesimo deve lottare sta nel
fatto che la vecchia aristocrazia e l'alta e la media borghesia in
molti paesi non danno più alle file del clero un numero sufficiente
di adepti.
Or, se da questo esempio, e da altri analoghi che si potrebbero
facilmente portare, si potesse trarre una regola, diremmo che la
penetrazione degli elementi provenienti dalle classi più umili in
quelle elevate riesce utile quando avviene in proporzione e con
(1) Raccontano gli storici greci che una volta Dionigi il vecchio, tiranno di
Siracusa, rimproverò aspramente un suo figliuolo perchè questi aveva rapito la
moglie assai bella di un cittadino e gli fece osservare che egli, quando era
giovine, non aveva mai fatto una cosa simile. — Ma tu non sei nato figliuolo di
un re, obiettò il figlio al padre, e questi di rimando rispose: — Ed i tuoi figli
non saranno re se tu nou cambierai i tuoi diportamenti.
PARTE II. GAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECC. 433
criteri tali che i nuovi venuti si assimilano presto le qualità mi-
gliori dei vecchi dominatori, e riesce dannosa quando questi ven-
gono in certo modo assorbiti ed assimilati dai nuovi compagni.
Perchè in questo caso l'aristocrazia non si rinsangua ma anche
essa diventa plebe.
Una delle qualità più essenziali delle classi dirigenti è, o do-
vrebbe essere, la lealtà nei rapporti coi propri subordinati. Infatti
la menzogna, schermo molto usato dall'inferiore verso il superiore,
dal debole contro il forte, diventa doppiamente ripugnante e vile
quando il forte l'usa a danno del debole. Essa toglie perciò a chi
comanda ogni rispettabilità e lo rende spregevole di fronte al sub-
ordinato, e si può aggiungere che, appunto perchè gli uomini vi
ricorrono troppo spesso, acquista un grande prestigio colui che se
ne astiene. Or l'aborrimento dalla menzogna è una qualità che di
solito si acquista in seguito ad una lunga ed accurata, e diremmo
quasi tradizionale, educazione morale; ed è naturale perciò che si
trovi a preferenza in quelle classi dirigenti nella formazione delle
quali l'elemento ereditario ha una parte preponderante.
Altro requisito importantissimo, e diremmo quasi indispensabile
dei ceti dirigenti, anche in tempi relativamente pacifici e mer-
cantili, è il coraggio personale. Appunto perchè gli uomini ordi-
nariamente scansano il i^ericolo e temono la morte, ammirano
coloro che sanno all'occon-enza esporre intrepidamente la vita;
perchè, quando non lo si fa per incoscienza o frivolezza, ciò ri-
chiede una gran forza di volontà ed un gran dominio sopra se
stesso, che fra tutte le qualità morali è forse quella che più im-
pone il rispetto e l'obbedienza. Perciò quando si farà una storia
dettagliata della maniera come si formarono, vissero e decaddero
molte classi dirigenti, si potrà constatare che quelle che avevano
un'origine ed una tradizione militare sono state più salde ed in
generale hanno durato più a lungo di quelle che avevano soltanto
una base industriale e plutocratica (1). Ed ancora oggi nelFEuropa
(1) Parrebbe a prima vista contrario l'esempio dell'aristocrazia veneziana,
che seppe restare al potere per tanti secoli ed era un'aristocrazia di commer-
cianti e banchieri. Ma i nobil'uomini veneziani comandavano anche le navi e
le flotte e qualche volta anche gli eserciti della Serenissima fino alla seconda
metà del secolo decimosettimo. Si divezzarono quasi completamente dalle
armi nel secolo decimottavo, quando la Repubblica era in piena decadenza.
G. Mosca, Elementi di Scienza Politica. 28
434 KLBMENTI DI SCIENZA POLITICA
occidentale e centrale una delle migliori difese della classe diri-
gente consiste nel coraggio personale che gli ufficiali, i quali usci-
vano dal suo seno, hanno in generale dimostrato davanti i propri
soldati.
È assurdo il progiudizio che considera le classi dirigenti come
economicamente improduttive, perchè esse, mantenendo l'ordine e
tenendo unita la compagine sociale, creano le condizioni nelle quali
il lavoro produttivo può meglio esplicare la sua azione, ed inoltre
forniscono ordinariamente alla produzione il personale tecnico e
direttivo. Però su questo riguardo sarebbe interessante di esami-
nare se una classe dirigente di origine recente si contenta nella
ripartizione della ricchezza di una parte minore di quella che è
sufficiente per una classe dirigente di antica data, nella quale
perciò prevale la tendenza aristocratica. Ciò che in altri termini
equivale a giudicare se la democrazia sia per una società più eco-
nomica della aristocrazia (1).
Il giudizio è molto difficile e potrebbe assai variare secondo i
tempi ed i popoli. Perciò ci limiteremo a far notare che in gene-
rale i grandi sogliono ostentare un lusso chiassoso a preferenza
nelle nazioni barbare o in quelle di recente arricchite. E si sa che
qualche cosa di simile avviene fra i singoli individui delle classi
dirigenti, nelle quali coloro che più si distinguono per lo spreco
insensato dei frutti del lavoro umano sono appunto quelli che più
di recente sono arrivati ai fastigi della ricchezza e del potere.
Ciò premesso, non bisogna però dimenticare, che nella distribu-
zione della produzione economica fra le varie classi sociali è ne-
cessario che alla classe politicamente dirigente sia attribuita una
parte sufficiente a far si che essa possa dare ai propri figli una
educazione lunga ed accurata, e quindi costosa, e che possa con-
servare un tenore di vita decoroso. Tale insomma che le permetta
di non mostrarsi troppo attaccata ai piccoli guadagni ed ai piccoli
risparmi, a quelle lesinerie che pur troppo, talora più di qualche
cattiva azione, abbassano l'uomo agli occhi dei propri simili.
(1) Va da se che le classi dirigenti, sia democratiche che aristocratiche, le
quali per mantenersi al potere favoriscono sistematicamente gli interessi dei
privati 0 di piccole minoranze organizzate a spese della collettività, sono sempre
le più costose.
PARTE II. OAP. IV - PBINOIPÌ E TBKDENZE DIVEBSB ECC. 435
Vn. — Platone nel suo dialogo sulle leggi, che già abbiamo
ricordato e nel quale egli espose il pensiero della sua età matura,
sostenne che la migliore forma di governo era quella nella quale
l'autocrazia e la democrazia, che, come abbiamo già visto, erano
per lui le due forme tipiche di regime politico, venivano fuse e
contemperate (1). Aristotile, nella sua immortale Politica^ dopo
avere obiettivamente descritto le sue tre forme fondamentali di
governo, cioè la monarchia, l'aristocrazia e la democrazia, mostra
la sua preferenza per un'aristocrazia temperata, e più ancora per
una democrazia temperata, nella quale, non diciamo gli schiavi ed
i metechi, ma neppure gli artigiani, avrebbero dovuto essere am-
messi alle cariche pubbliche (2). Quasi due secoli dopo Polibio
giudicava ottima la costituzione politica di Roma perchè secondo
lui in essa i tre tipi fondamentali della costituzione aristotelica
trovavano contemporaneamente la loro applicazione (3). Circa un
secolo dopo Polibio presso a poco analogo era il concetto esposto
da Cicerone nel suo libro sulla repubblica e, più di dodici secoli
dopo Cicerone, quando la scienza politica accennava a rinascere,
San Tommaso nella Summa dimostrava pure la sua preferenza
per i governi misti (4). Come si sa, Montesquieu si emancipava
dalla classificazione aristotelica e divideva i governi in dispotici,
monarchici e repubblicani, ma prediligeva la monarchia temperata,
nella quale i tre poteri fondamentali, cioè il legislativo, Tesecutivo
ed il giudiziario, erano affidati ad organi diversi indipendenti l'uno
dall'altro, e quindi si accostava anche egli al concetto di un equi-
librio, necessario fra le diverse forze ed influenze politiche (5). E
finalmente ricorderemo che anche Cavour in politica si dichiarava
partigiano del juste milieu, del giusto mezzo, che equivale in
fondo ad equilibrio e contemperanza fra le diverse forze o correnti
politiche (6).
(1) Vedi la fine del dialogo citato in principio del capitolo.
(2) Vedi la Politica e specialmente il libro III, capitolo III ed i libri VI e VII.
(3) Vedi PoLTBii, Historiarum reliquiae, libro VI, Parigi, Firmin Didot, 1859.
(4) Afferma infatti nella Summa dopo avere descritto i vari regimi politici:
* Est etiam aliquod regimen ex istis commixtum quod est optimum: et se-
cundum hoc sumitur lex quam majores natu simul cum plebe sanxerunt „. —
Vedi Divi Thomak Aqdinatis, Summa theologica, voi. secundum, quaestio XCV,
articulus IV, pag. 681, Tipografia del Senato, Romae, 1896.
(5) Vedi le ultime parti dell'esprit des Lois.
(6) Vedi |Fh. Ruffini, La giovinezza del Conte di Cavour, Torino, Bocca, 1912.
486 RLKMBNTI DI SCIENZA POLITICA
Sembra perciò che tutti questi grandi pensatori abbiano avuto
una intuizione comune: cioè che la saldezza delle istituzioni poli-
tiche dipenda da una opportuna fusione o contemjjeranza di prin-
cipi e tendenze diverse, ma costanti, che agiscono immancabilmente
in tutti gli organismi politici. E crediamo i)er ora promaturo for-
mulare una legge, ma ci pare che si possa senz'altro avanzare
l'ipotesi, che la stabilità degli Stati e la rarefazione di quelle crisi
politiche violente, che, come avvenne alla caduta dell'impero ro-
mano, e come avviene oggi in Russia, procacciano a tanta parte
dell'umanità sofferenze inenarrabili, ed interrompono, alle volte
per lunghi secoli, il progredire della civiltà, provengano princi-
palmente dalla prevalenza quasi assoluta di uno dei due principi
o di una delle due tendenze che abbiamo testò esaminato. Questa
ipotesi, che potrebbe già essere corredata di un numero conside-
revole di esperienze storiche, si appoggia sopratutto sul fatto che
solo l'opposizione, e diremmo quasi la concorrenza, del principio
o della tendenza contraria, può imjDedire l'accentuazione dei vizi
congeniti a ciascuno di essi od a ciascuna di esse, vizi che abbiamo
tentato di rapidamente descrivere.
Questa conclusione corrisponderebbe presso a poco all'antica dot-
trina del giusto mezzo che trovava ottimi i governi misti, dottrina
che verrebbe rinnovata in base ad una conoscenza più esatta e
profonda delle leggi naturali che agiscono sulle organizzazioni
politiche. Rimarrebbe però sempre la difficoltà di trovare dove sia
il giusto mezzo, il quale è un punto assai diffìcile a precisare,
sicché ognuno facilmente lo può porre là dove meglio conviene
alle sue passioni ed ai suoi interessi.
Dopo averci molto pensato non troviamo in proposito che un
solo metodo pratico da suggerire alle persone di buona volontà,
le quali hanno la mira esclusiva del bene e della prosperità gene-
rale, indipendentemente da qualsiasi interesse personale e da qual-
siasi preconcetto sistematico; e questo metodo consiste nell'osser-
vare, per dir cosi, le vicende atmosferiche dei tempi e dei x)opoli,
fra i quali e nei quali si vive.
Quando, per esempio, regna una calma glaciale, nella quale non
spira alito di discussione politica, ovvero quando quasi tutti inneg-
giano a qualche grande personalità che ha restaurato l'ordine e
la pace, allora si può star sicuri che troppo prevale il principio
autocratico su quello liberale'; ed il contrario accade quando quasi
PABTB II. GAP. IV - PRINCIPI E TENDENZE DIVERSE ECO. 437
tutti maledicono i tiranni e propugnano la libertà. Similmente
quando romanzieri e poeti vantano le glorie delle grandi famiglie
ed imprecano contro il volgo profano, si può sicuramente ritenere
ch.e soverchia è la prevalenza della tendenza aristocratica ; e final-
mente quando spira un vento furioso di uguaglianza sociale e tutti
si dichiarano teneri degli interessi degli umili, è evidente che la
tendenza democratica è in forte rialzo e quindi assai pericolosa.
In fondo non si tratta che di seguire la regola contraria a quella
adottata, consciamente od inconsciamente, dagli arrivisti di tutti
i tempi e di tutti i paesi ; e ciò facendo, quel piccolo nucleo di in-
telletti saldi e di anime elette, che in ogni generazione impedi-
scono all'umanità di intieramente corrompersi, potranno alle volte
rendere un grande servizio ai loro contemporanei e sopratutto ai
figli dei loro contemporanei. Perchè nella vita politica gli errori
di una generazione sono quasi sempre scontati da quella susse-
guente.
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli Stati e quello
della classe politica. — II. Rapporti fra il valore intellettuale e morale
della classe politica e quello dei governati. — III. Confutazione del ma-
terialismo storico. — IV. Se eia possibile il governo dei migliori e quali
siano politicamente i migliori. — V. La giustizia assoluta e la giustizia
relativa nelle organizzazioni politiche. — VI. Se i progressi della scienza
politica potranno in avvenire evitare le grandi crisi sociali.
I. — È innegabile che vi debba essere uno stretto rapporto
fra il valore intellettuale e morale di tutto il secondo e maggiore
strato della classe dirigente e quello di colui cbe effettivamente
sta a capo di tutta l'organizzazione politica e del piccolo gruppo
di persone cbe direttamente lo coadiuvano. Oiacchè gli uomini
che occupano i posti più elevati devono necessariamente essere
più o meno imbevuti delle idee, dei sentimenti, delle passioni, e
perciò del modo di vedere, degli strati sociali che vengono imme-
diatamente dopo di loro, con i quali strati sono in continuo ed
immediato contatto e senza l'aiuto dei quali non potrebbero go-
vernare.
Ma, cosi complicata è la storia delle società umane e cosi diversi
sono i fattori materiali, morali ed intellettuali i quali contribui-
scono a determinarne lo svolgimento, che non è stato e non è raro
il caso di classi politiche, che avevano la capacità di una salda
organizzazione ed erano ancora abbastanza ricche di elementi
energici e devoti al pubblico bene, le quali hanno avuto od hanno
alla loro testa, anche in momenti diffìcili, duci mediocrissimi e
qualche volta corrotti, e che perciò, in altre parole, hanno dovuto
PAKTB II. OAP. V - SCHIARIMENTI B POLEMICHE 439
sopportare o sopportano il rex fatuus di cui parla la Bibbia, come
di uno dei flagelli dei quali Dio si serve per castigare i popoli.
Per spiegare questo fatto si possono addurre molte ragioni e
principalmente questa che una classe politica nella scelta dei suoi
duci supremi è in certo modo prigioniera delle idee e dei criteri
che in proposito essa ha adottato; idee e criteri che sono un risul-
tato della sua storia e del grado di maturità intellettuale alla
quale essa è pervenuta, e che perciò non si possono da un giorno
all'altro mutare. Tali sarebbero, ad esempio, il criterio ereditario
ed anche quello elettivo, quando i meccanismi elettorali si cristal-
lizzano e diventano uno strumento comodo in mano di piccole
cricche di politicanti, che se ne servono per arrivare al potere e
per restarvi il più lungamente possibile.
Ciò premesso, si deve però constatare che, quando una civiltà
od una nazione hanno avuto una classe dirigente vitale ed ener-
gica, il danno prodotto dalla fatuità, ed anche dalla malvagità
dei suoi duci supremi, è stato assai minore di quanto si potrebbe
aspettare. Difatti, malgrado che qualche storico abbia tentato di
riabilitarli, crediamo che si possa sicuramente ammettere che
Caligola, forse anche Claudio, e certamente Nerone, non erano per
le loro qualità personali uomini adatti a stare a capo di un orga-
nismo politico cosi importante come l'impero romano. Eppure si
sa che, se della loro stravaganza e nequizia e di quella degli
uomini che erano i loro immediati strumenti ebbero molto a sof-
frire le grandi famiglie romane, che stavano a contatto diretto
con l'imperatore, viceversa il resto del mondo, durante il loro go-
verno, continuò a godere della pace romana e ad assorbire quella
cultura che un'amministrazione relativamente saggia ed ordinata
sapeva diffondere per tutte le provincie. Come pure è notorio che
Giorgio III d'Inghilterra fu uomo di poco ingegno, testardo ed
afflitto inoltre da frequenti accessi di vera follia e che, ciò non
ostante e malgrado che l'influenza funesta della regale volontà
siasi alle volte fatta sentire in modo pernicioso per la cosa pub-
blica, durante il suo lunghissimo regno la Gran Bretagna con-
quistò l'India ed il Canada, vinse Napoleone, gettò le basi salde
del suo impero mondiale e diventò la padrona assoluta dei mari (1).
(1) Giorgio III reguò dal 1760 al 1820 e si sa che in questo lungo periodo
ebbe parecchi accessi di follia, durante i quali assunse la reggenza il principe
440 BLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
E se vogliamo poi approfondire di più l'argomento, facilmente
possiamo constatare che l'opera i^iù duratura ed efficace di tutti
i grandi capi di stato, le cui gesta sono ricordate dalla storia, con-
Bistetto in una felice trasformazione della classe politica della
quale resero migliore il reclutamento e perfezionarono gli ordi-
namenti; con questa riserva che allo volte l'opera accennata era
stata iniziata e condotta a buon punto dai loro immediati prede-
cessori.
Infatti gli storici hanno molto disputato, e forse ancora molto
disputeranno, sulle vere intenzioni di Augusto, ma tutti concordano
nel riconoscere che egli compi la trasformazione della antica or-
ganizzazione repubblicana in un'altra più adatta ai bisogni dei
tempi e che rinsanguò la vecchia classe politica romana, decimata
da quasi un secolo di guerre civili, introducendovi molti elementi
nuovi; concetto che poi fu ripreso e completato da Vespasiano, il
quale fece entrare in Senato i rappresentanti di molte fra le più
illustri famiglie italiche. Si sa che in Francia la formazione dello
Stato assoluto burocratico fu il principale risultato dell'opera co-
stante ed assidua di Richelieu, Mazarino e Luigi XIV e dei suoi
ministri Louvois e Colbert; i quali tutti seppero a poco a poco
creare un'amministrazione salda ed efficace, una finanza corrispon-
dente ai nuovi bisogni dello Stato ed un forte esercito stanziale.
Analogamente nell'Europa orientale la trasformazione dell'antica
e debole Moscovia in quell'impero degli Czar, che tanto pesò sui
destini dell'Europa e dell'Asia, avvenne mediante le successive
riorganizzazioni della classe politica dovute agli sforzi di Ivano IV
il terribile, di Pietro il Grande e di Caterina II (1). Ed infine non
di Galles. La conquista del Canada, e conseguentemente di tutti i vastissimi
territori al nord degli Stati Uniti d'America e che si estendono dall'Atlantico
al Pacifico, ebbe luogo durante la guerra dei sette anni, cioè dal 1756 al 1763.
La conquista inglese dell'India si può considerare come seriamente iniziata
colla battaglia di Plassey vinta da Olive nel 1757, ma fu continuata e por-
tata a buon punto durante tutto lo scorcio del secolo decimottavo ed i primi
decenni del decimonono. Si potrebbe in proposito ricordare che durante il
regno di Giorgio III l'Inghilterra subì la ribellione ed il distacco dei moderni
Stati Uniti d'America, ma è assai dubbio se li avrebbe potuto lungamente
mantenere sotto la sua sovranità.
(1) Per quel che riguarda le riforme compiute da Ivano lY vedi Waliszewski,
Ivan le terrible, e specialmente la parte 3' al capitolo II. Più note sono le
PARTE II. GAP. V - SCHIABIMENTI E POLEMICHE 441
bisogna dimenticare clie Alessandro Magno non avrebbe potuto
conquistare la^Persia e diffondere la cultura ellenica per tanta
parte del mondo asiatico se suo padre Filippo non avesse riorga-
nizzato di sana pianta la Macedonia e non avesse saputo creare
l'esercito macedone (1). Ed una analoga riflessione si potrebbe fare
a proposito di Federico il Grande di Prussia e del suo immediato
predecessore.
E^ se dopo la prova vogliamo fare la controprova, facilmente
possiamo constatare che, quando il caso o la disperazione hanno
fatto si che un uomo superiore arrivasse a capo di un organismo
politico in completa dissoluzione, i suoi sforzi sono stati quasi
sempre impotenti a salvare lo Stato od a ritardarne notevolmente
la fine. L'infelice imperatore Magioriano, di cui tutti gli storici
lodano concordemente l'energia, l'alto intelletto e le ottime inten-
zioni, non riusci a ritardare forse neppure di un anno la caduta
dell'Impero romano d'Occidente (2). L'impero di Bisanzio potè
essere rinvigorito dalla dinastia isaurica nell'ottavo secolo e potè
acquistare nuova vitalità nel nono e decimo secolo sotto la dinastia
macedone perchè le sue classi dirigenti conservavano ancora, nelle
epoche accennate, notevoli riserve di forza intellettuale e di patriot-
tismo e le popolazioni potevano ancora fornire larghe entrate al-
l'erario e numerosi soldati. Ma, alla fine del secolo decimoquarto,
la civiltà bizantina era cosi esaurita che i cronisti contemporanei
poterono scrivere che l'imperatore Manuele IV avrebbe salvato
l'impero se questo avesse potuto ancora essere salvato; ed è noto
poi come, qualche generazione dopo, la condotta energica e la
morte eroica dell'ultimo imperatore Costantino Dragases non abbia
trasformazioni compiute nello Stato e nella società russa da Pietro il Grande
e Caterina II, le quali sono pure descritte dallo stesso autore nei volumi che
trattano di questi sovrani.
(1) L'opera di Filippo re di Macedonia è minutamente descritta sopratutto
dal Grotk; vedi Histoire de la Grece, traduction de Sadous, volume XVIII, ca-
pitolo II.
(2) Sopra l'imperatore Magioriano, che resse il cadente impero romano d'Oc-
cidente dal 457 al 461, si può consultare la interessantissima monografia di
Luigi Cantakelli, pubblicata a Roma a cura della Società romana di storia
patria nel 1883. Nella cennata monografia sono raccolti i brani di tutti gli
scrittori antichi e moderni che trattano di questo valoroso e sfortunato im-
peratore.
442 SLEMBMTI DI 80IEVZA POLITICA
ritardato che di poche settimane la caduta della capitale e la fine
dello Stato (1). •
IL — Senonchè molti, che crederanno forse facilmente che vi
possa ossero un rapporto abbastanza stretto fra le qualità morali
ed intellettuali del capo supremo di uno Stato e del grui)po dei
suoi immediati coadiutori e quello dell'intiera classe politica, sa-
rebbero molto restii ad ammettere l'esistenza di un identico rap-
porto fra l'intiera classe politica e la grande massa dei governati.
Mentre noi opiniamo al contrario che questo secondo rapporto sia
più sicuro e costante del primo; perchè molti elementi occasionali,
che agiscono solo in dati momenti, quali sarebbero la prevalenza
di alcune dottrine politiche, la volontà dei pochi uomini che già
occupano le cariche supreme e quelli che si chiamano i casi for-
tuiti, perchè imprevedibili, e fra questi si potrebbe mettere anche
la nascita, hanno un'azione assai più efficace quando si tratta di
determinare la scelta di coloro che arriveranno ai primissimi posti
anziché nello stabilire i criteri in base ai quali si esplica quella
grande e continua selezione da cui viene fuori tutta la classe di-
rigente.
Nei tempi nei quali abbiamo vissuto ci è capitato spesso di sen-
tire affermare che il popolo è naturalmente buono e virtuoso e
che la classe dirigente è viziosa e corrotta, e non diciamo che
questa affermazione non possa avere talvolta una qualche parvenza
di verità. Ma coloro che la fanno quasi sempre non tengono conto
che è facile di conservare certe virtù quando è materialmente im-
possibile di acquistare certi vizi, che ad esempio la prepotenza non
può essere praticata dai deboli e che il lusso, lo spreco insensato
ed il soverchio amore dei godimenti sono inaccessibili ai poveri.
Volendo fare quindi un paragone esatto fra il senso morale di due
classi sociali diverse, sarebbe necessario di osservare i costami e
le tendenze di coloro che dalla classe più bassa riescono ad innal-
(1) Fra i tanti lavori recentemente pubblicati sull'impero bizantino, e che
l'hanno in gran parte riabilitato, si possono consultare quelli di Charles Diehl
e specialmente VHistoire de l'empire Byzantin (Paris, Picard 1919) e Byzance,
Grandeur et décadence (Paris, Flammarion, 1919) ; come anche il dettagliatis-
simo lavoro dello Schlumbkkqer, L'epopee byzantine à la fin du dixihne siede,
Paris, Hachette, 1896.
PAKTK li. CAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 443
zarsi e ad entrare in quella più alta, e solo se essi ed i loro figli
fossero realmente migliori dei loro nuovi compagni di classe si
potrebbe con qualche sicurezza proclamare la superiorità morale
della classe diretta rispetto a quella dirigente. Non sembra che
un'indagine di questo genere dia in generale risultati favorevoli
per i nuovi arrivati.
Si potrà obiettare che fra le classi dirette solo i peggiori riescono
a farsi avanti e ad entrare nelle classi dirigenti; ma l'obiezione ci
sembra fondata sopra una concezione incompleta e confusa, e
quindi inesatta, dei criteri secondo i quali è regolata la lotta per
la preminenza sociale, criteri nei quali bisogna rintracciare la
causa prima del ''^ per che una gente impera ed altra langue „.
Senza dubbio vi sono alcune qualità che in tutti i tempi ed in
tutti i luoghi devono esser possedute da coloro che dal basso
riescono a salire in alto, qualità che anche i loro discendenti de-
vono fino ad un certo punto conservare, se non vogliono ricadere
nella condizione dei loro padri o dei loro antenati, e tali sarebbero
la capacità di lavoro e la costante volontà di innalzarsi e di restare
in alto; ma ve ne sono altre variabili assai secondo i tempi ed i
luoghi e che rispondono appunto ai bisogni ed alla natura delle
varie epoche ed alle tendenze dei vari popoli. Ed in generale si
può dire che in ogni società il successo, a parità di circostanze,
è a preferenza riservato a quegli individui che posseggono in modo
eminente le doti che in quella società sono più comuni, e quindi
più apprezzate.
Infatti è evidente che per riconoscere ed apprezzare il valore
di una qualità intellettuale o morale nei nostri simili bisogna in
qualche modo possederla : è questa una regola che crediamo di
potere enunciare basandoci sull'esperienza della vita, e di cui
ognuno, guardandosi attorno, può constatare la verità. Si sa che
per sentire il fascino di un grande artista bisogna fino ad un certo
punto possedere il senso dell'arte, e nello stesso modo per ammi-
rare sinceramente un gran coraggio od una grande rettitudine
bisogna essere coraggiosi e retti; poiché non è possibile di com-
prendere le qualità più nobili dell'intelligenza e del carattere
umano se esse sono totalmente estranee alla nostra natura. Vice-
versa, dove la furberia, l'intrigo e la ciarlataneria sono molto co-
muni e pregiate, i più furbi, i più intriganti ed i più ciarlatani, a
parità di condizioni, faranno fortuna ; dove la maggioranza crede
444 ELEMENTI DI BOIENZA POLITIOA
che l'inganno sia la via migliore per raggiungere il successo, lo
conseguiranno preferibilmente coloro che raggiungeranno l'eccel-
lenza nell'arte dell'ingannare.
Naturalmente in tutti i paesi ed in tutti i tempi l'uomo che vuole
farsi avanti deve avere un certo grado di quella che comunemente
si chiama abilità; cioè deve possedere l'attitudine a far valere le
proprie doti e ad imporsi all'attenzione, e qualche volta all'ammi-
razione, dei propri simili, rendendoli persuasi della propria supe-
riorità (1). Ma il genere di abilità necessario alla riuscita varia
molto secondo i tempi ed i luoghi. Si sa che vi è la magia bianca
e quella nera, la prima basata sulle qualità superiori dell'ingegno
e del carattere, la seconda sulle inferiori. Forse in nessun paese
ed in nessun luogo la magia bianca è riuscita e riesce veramente
efficace se non è mescolata ad un poco di quella nera, o quanto
meno all'arte di mettere in mostra i lati migliori del proprio ca-
rattere e della propria intelligenza, tenendo nella penombra quelli
peggiori; ma le dosi della mescolanza possono variare assai da una
nazione ad un'altra e nella stessa nazione secondo le epoche. Va-
riano perchè generalmente quando, in un dato ambiente sociale, la
quantità di magia nera è soverchia, il gusto del pubblico non la
tollera, e l'individuo che di questa mescolanza fa uso resta squa-
lificato, come succede al giocatore che bara. Ora riesce evidente
che, in un ambiente di gusto più raffinato, si faranno avanti a
preferenza coloro che meglio sanno e possono usare le arti della
magia bianca, mentre precisamente il contrario accadrà in quegli
altri nei quali più comuni, e quindi più tollerate, sono quelle della
magia nera.
Studiando la storia dei popoli noi possiamo facilmente consta-
tare che ve ne sono stati e ve ne sono di quelli che hanno lunga-
mente subito e subiscono la dominazione straniera, o che sono stati
lungamente governati da aristocrazie di origine straniera. Tale è
stato, ad esempio, il caso dell'Egitto dopo la dominazione persiana,
(1) Oggi l'avere quest'attitudine è diventato un mezzo di successo assai più
efficace di quello che era fino a qualche secolo fa, purché si abbia l'amicizia
e la protezione dei quotidiani più difl:usi. A dir vero sono più di quattro secoli
che Machiavelli scriveva nel Principe: " ognuno vede quello che tu pari pochi
sentono quel che tu sei ,, ma oggi parere e diventato infinitamente più facile,
dato che la grande maggioranza forma il suo giudizio intorno agli uomini
politici, ai letterati ed agli scienziati su quanto ne dicono i giornali.
PARTE II. CAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 445
dell'India, dopo le prime invasioni maomettane, avvenute verso il
mille dell'era volgare, e fino ad un certo punto della Russia (1);
nella quale la formazione del primo impero si dovette ad un
gruppo di avventurieri scandinavi e dove, dopo Ivano IV e sopra
tutto dopo Pietro il Grande, elementi stranieri entrarono in gran
numero nella sua classe dirigente.
(1) Si sa che l'Egitto, dopo che Alessandro Magno vi ebbe distrutto il do-
minio persiano, formò un regno indipendente sotto i Tolomei, i quali vi intro-
dussero la cultura ellenica, ed allora la sua classe dirigente era di origine
elbnica od ellenizzata. Conquistato poi dai Romani ed alla caduta dell'impero
d'occidente governato dai Bizantini, fu durante il quinto e sesto secolo una
delle Provincie più turbolente, finche fu nel settimo secolo conquistato dagli
Arabi ed obbedì prima ai califfi ommeyadi di Damasco e poi a quelli abassidi
di Bagdad. Verso la metà del decimo secolo ricuperò la sua autonomia perchè
fu conquistato da una dinastia e da un esercito berbero, provenienti dalla
Tunisia, che vi istituirono un califfato fatimita, il quale ebbe sede al Cairo. Inde-
bolitasi mano a mano la dinastia berbera e mescolatasi cogli indigeni la po-
polazione di origine berbera, fu aggregato verso la fine del dodicesimo secolo
aU'impei'o di Saladino e, dopo la morte di questo sultano, fu quasi sempre
governato da capi di milizie mercenarie di origine straniera, per lopiìi cir-
cassa, finche nel secolo decimosesto fu conquistato dai Turchi. I quali del resto
presto tornarono ad affidarne il governo ai bey dei Mammelucchi, milizia
pure di origine circassa, finche questi furono prima vinti da Bonaparte e poi
sterminati da Mehemet Ali, il primo Kedivè che era di origine albanese. Anche
oggi in Egitto le famiglie della classe elevata sono in maggioranza di origine
turca, circassa ed albanese.
Quanto all'India sembra accertato che, assai prima delle invasioni maomet-
tane, abbia subito delle invasioni di barbari del settentrione, dai quali discen-
derebbero alcune delle popolazioni più guerriere, che hanno evitato studio-
samente ogni mescolanza con gli indigeni. Così hanno fatto, ad esempio, i
Radjaputi, che però abbracciarono la religione e la coltura bvaminica. Viceversa
ciò non potè accadere quando vennero nel paese i più recenti conquistatori
di origine turca od afgana, che avevano già abbracciato l'Islamismo. L'ultima
conquista turca fu quella capitanata da Baber, che al principio del secolo
decimosesto gettò le fondamenta dell'impero del Gran Mogol. A dir vero, trat-
tandosi di paese vastissimo ed in condizioni molto diverse da una contrada
all'altra, è accaduto che anche popolazioni di antica origine indiana e di cul-
tura braminica, come ad esempio la grande confederazione dei Mahratti, vi
abbiano, in tempi relativamente recenti, fondato Stati abbastanza vasti e mi-
litarmente bene organizzati, ma in sostanza quasi tutta la grande vallata del
Gange e buona parte dell'India centrale e meridionale erano, quando furono
conquistate dagli Inglesi, govei-nate da sovrani maomettani, e maomettana vi
era la classe dominante in prevalenza di origine straniera.
446 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Ed alle volte è avvenuto che, fino a quando la classe domina-
trice di origine straniera si è mantenuta abbastanza pura, lo Stato
ha conservato la sua forza ed il paese la sua prosperità; ma poi,
a misura che la detta classe si andava fondendo e confondendo
con gli elementi indigeni, la compagine politica si è indebolita e
la nazione è ricaduta nell'anarchia od in un'altra dominazione
straniera.
Or questi fatti, quando si sono costantemente ripetuti ed hanno
durato per lungo volgere di secoli, dimostrano che l'elemento in-
digeno di quelle nazioni nelle quali sono accaduti non possedeva
le attitudini, le virtù necessarie a cavare dal proprio seno una
classe dirigente degna di dirigere e che, se in origine queste virtù
aveva posseduto, come fu il caso dell'Egitto e dell'India, le aveva
in seguito perdute. Abbiamo già detto quanto il comandare sia
più difficile dell'obbedire e, quando un popolo od una razza non
possiedono elementi atti al comando, o quando questi elementi
intisichiscono e non possono svilupparsi, perchè soffocati dalla ge-
nerale mediocrità intellettuale e morale, allora questo popolo o
questa razza sono destinati ad obbedire agli stranieri, o ad elementi
dirigenti di origine straniera.
Questa ultima osservazione, insieme a quelle che già abbiamo
fatto in questo e nel precedente capitolo, permettono di fare meglio
rilevare la grande importanza pratica che è destinata ad assumere
la nuova dottrina, la quale mira a concentrare gli sforzi degli stu-
diosi nell'indagine relativa alla formazione ed organizzazione delle
varie classi politiche.
Infatti le antiche e viete classificazioni di Aristotile e di Mon-
tesquieu mettevano in fondo un'etichetta comune a vasi il cui
contenuto era quanto mai disparato; per la prima, ad esempio,
potevano senz'altro essere classificate come democrazie quella di
Atene e quella che attualmente è in vigore nella Svizzera o negli
Stati Uniti d'America; e per la seconda potevano essere messe fra
le repubbliche quella di Roma antica e quella di Venezia, o anche
quelle dell'Argentina e del Brasile. Mentre la nuova dottrina non
ha saputo ancora trovare delle etichette ma costringe a studiare il
contenuto dei vasi, ad indagare ed analizzare i criteri che preval-
gono nella formazione di quelle classi dirigenti dalle quali dipende,
come si è visto, la forza o la debolezza degli Stati, e nelle quali
si può sempre trovare l'immagine fedele delle virtù e delle man-
PARTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 447
chevolezze politiche di ogni pojjolo e di ogni razza. Il nuovo me-
todo è certamente più difficile e rictiiede sopratutto uno spirito di
osservazione, una esperienza della vita politica ed una cultura
storica infinitamente superiori a quelle che potevano bastare coi
metodi antichi; ma esso è indiscutibilmente più positivo, e può
condurre, se usato con discrezione e con la dovuta preparazione, a
risultati più sicuri; e finalmente è più corrispondente a quel grado
di maturità intellettuale che gli elementi più colti della presente
generazione hanno già quasi raggiunto.
ni. — Ma anche il nuovo metodo potrà dare tutti i suoi frutti
solo quando saranno distrutti certi preconcetti che rappresentano
i residui della mentalità dei secoli decimottavo e decimonono, pre-
concetti i quali impediscono che esso sia efficacemente applicato
allo studio dei fatti politici o che almeno ne ostacolano e contur-
bano l'applicazione. Abbiamo già ricordato nella prima parte di
questo lavoro che il disimparare è cosa assai più difficile dell'im-
parare; aggiungeremo ora che il maggiore ostacolo alla prevalenza
di un'idea o di un metodo più conformi alla verità si riscontra
quando l'intelletto umano è già abituato ad un'altra idea o ad un
altro metodo meno perfetti, che lo ingombrano e impediscono che
in esso concetti nuovi possano agevolmente penetrare.
Or precisamente uno dei sistemi d'idee oggi molto diffusi e che
rendono difficile la retta visione del mondo politico è quello che
viene comunemente chiamato materialismo storico, il quale non è
soltanto un articolo di fede per i moltissimi seguaci del Marxismo,
ma ha eziandio più o meno influenzato molti di coloro che alle dot-
trine marxistiche completamente non aderiscono. Ed il pericolo
maggiore della diffusione del cennato sistema e della grande in-
fluenza intellettuale e morale che esercita consiste nella piccola
parte di verità che esso contiene; perchè nella scienza, come in
generale nella vita, le bugie più pericolose sono quelle mescolate
con una certa dose di verità, che serve a meglio mascherarle ed
a colorirle in modo da renderle facilmente credibili. Sicché, sebbene
tanto nella prima che nella seconda parte di questo lavoro, non
manchino molti accenni diretti ed indiretti alla fallacia della detta
dottrina, crediamo indispensabile di tornare di proposito sull'ar-
gomento.
Il materialismo storico si può riassumere in duo proposizioni che
448 SLKMBNTI DI SCIENZA PULITIOA
no costituiscono, per dir cosi, gli assiomi fondamentali, sui quali
si basa la dimostrazione di tutti i teoremi che ne derivano.
Secondo il primo assioma, tutta l'orf^anizzazione politica, giuri-
dica e religiosa di una società sarebbe costantemente subordinata
al tipo prevalente di produzione economica ed alla natura dei rap-
porti che esso crea fra i detentori dei mezzi di produzione ed i
lavoratori manuali. Perciò, cambiando il sistema di produzione eco-
nomica, dovrebbero necessariamente cambiare la forma di Governo,
la legislazione che regola i rapporti fra gli individui e fra questi
e lo Stato e finalmente anche quelle concezioni religiose e politiche
che forniscono la base morale all'organizzazione dello Stato; come
sarebbero, ad esempio, il concetto del diritto divino dei Re o quello
della sovranità popolare. Il fattore economico sarebbe quindi la
causa unica ed esclusiva di tutti i mutamenti materiali, intellettuali
e morali che avvengono nelle società umane e tutti gli altri fattori
non sarebbero tali, ma dovrebbero essere considerati come sem-
plici effetti e conseguenze di esso.
Il secondo assioma, che sarebbe in certo modo un postulato del
primo, afferma che ogni epoca economica racchiude i germi i quali,
mano mano maturandosi, rendono necessario l'avvento di quella
successiva con la conseguente trasformazione di tutta l'impalcatura
politica, religiosa e legislativa della società. Perciò, durante la pre-
sente epoca borghese, sopratutto mediante l'accentramento progres-
sivo della ricchezza in pochissime mani, si andrebbero preparando
quelle condizioni economiche e sociali, che quanto prima dovreb-
bero rendere inevitabile e fatale il collettivismo. Quando poi si sarà
arrivati a quest'ultima fase dell'evoluzione storica, sparirà per
sempre ogni disuguaglianza fondata sulle istituzioni sociali, sarà
reso impossibile il predominio e lo sfruttamento esercitato da una
classe a danno delle altre e verrà inaugurato un nuovo sistema
basato, non già sull'egoismo individuale, ma sulla fratellanza uni-
versale (1).
(1) Queste dottrine si trovano, come è noto, già accennate nel Manifesto dei
Comunisti, pubblicato dal Marx e dall'Engel nel 1848; ebbero poi uno sviluppo
maggiore nella Prefazione alla "Critica dell'Economia politica,,, pubblicata
dal Marx nel 1859 e finalmente formano in certo modo l'ossatura del primo
volume del Capitale, pubblicato, come si "sa, nel 1867, poiché esse sono sal-
tuariamente enunciate o sottintese durante tutto lo svolgimento del lavoro.
Chi non avesse la pazienza di leggere o di rileggere le opere del Marx potrebbe
PAKTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 449
Ora riguardo al primo assioma faremo anzitutto osservare che
si potrebbero addurre moltissimi esempi storici per dimostrare che
nelle società umane sono avvenuti cambiamenti importantissimi,
i quali ne hanno mutato radicalmente gli ordinamenti politici, ed
alle volte anche le concezioni fondamentali sui quali questi ordi-
namenti erano fondati, senza che vi sia stata una contemporanea,
o quasi contemporanea, modificazione nei sistemi di produzione
economica e nei rapporti fra i detentori degli strumenti di produ-
zione ed i lavoratori. La repubblica romana, ad es., si trasformò
neirimpero di Augusto e dei suoi successori, e perciò lo Stato città
classico diventò un organismo politico a base burocratica, senza
che i sistemi di produzione si fossero minimamente modificati e
senza che le leggi che regolavano la proprietà e la distribuzione
della ricchezza si fossero alterate. Il solo cambiamento che av-
venne, e che non fu certamente generale, fu quello delle persone
dei proprietari, perchè, sopratutto dopo la seconda guerra civile,
molti beni dei privati furono confiscati e distribuiti ai soldati dei
triumviri (1). Il trionfo del Cristianesimo apportò nel mondo an-
tico un grande rivolgimento intellettuale e morale; molte idee
fondamentali, molti sentimenti, e per conseguenza molte istitu-
zioni, e basterebbe in proposito ricordare il matrimonio ed altri
rapporti di famiglia, furono dalla nuova religione modificati; ma
non consta, anzi si può escludere, che lo stesso sia avvenuto nel
quarto e quinto secolo dell'era volgare nei rapporti fra coloro che
consultare in proposito l'ottimo lavoro di Achille Loria, intitolato Carlo Marx
(Genova, Formigini editore, 1916). Ricorderemo incidentalmente che parecchie
delle idee fondamentali del Marx non sono del tutto originali, ma si trovano
già esposte, certamente con minor metodo e precisione, nelle pubblicazioni di
altri precedenti scrittori più o meno socialisti, e specialmente, insieme a molte
concezioni mistiche e trascendentali, in quelle di Pietro Léroux (Vedi in pro-
posito le pubblicazioni di questo scrittore e specialmente VÉgalité pubblicata
nel 1838 e V Humanité pubblicata nel 1840). Anche per il Léroux il Comunismo
e l'uguaglianza assoluta doveano essere la conchiusione fatale di tutta l'evo-
luzione storica dell'umanità; anzi, secondo lui, il secolo decimonono rappresen-
tava un periodo di transizione fra un mondo di disuguaglianza, che stava per
finire, ed un mondo di uguaglianza che stava per cominciare.
(1) Questa spogliazione e le sue disastrose conseguenze morali ed economiche
sono assai bene descritte da Guglielmo Febrkuo nel volume 111 di Grandezza
e decadenza di Roma, intitolato * Da Cesare ad Augusto ,.
G. Mosca, Elementi di Sciensa PolUica, 29
450 KLEMENTI DI BOIIÌNZA POLITICA
possedevano gli strumenti della produzione economica, dei quali
principalissimo ora alloia la terra, ed i lavoratori manuali.
E difficile citare un rivolgimento di tutta una società parago-
naljile per la sua importanza alla caduta dell'impero romano di
occidente, all'inabissarsi della splendida civiltà antica in tanta
parte d'Europa (1); eppure noi vediamo che il sistema di produ-
zione economica restò identico prima e dopo le invasioni dei bar-
bari; giaccliè oggi è notorio che il colonato, e quindi la servitù
della gleba, non trassero origine dalle invasioni barbariche, ma
erano già istituzioni generalizzate nel Basso Impero. Si potrebbe
invero citare come uno dei coefficienti della caduta dell'impero
d'Occidente l'esaurimento economico della società di quell'epoca,
dovuto alla diminuzione della produzione e quindi della ricchezza;
ma, esaminando attentamente il fenomeno, si vede che il generale
impoverimento fu piuttosto un effetto anziché una causa della
decadenza politica, perchè esso fu in gran parte dovuto alla cat-
tiva amministrazione finanziaria (2).
E, se dall'antichità veniamo a tempi meno remoti, vediamo in
Italia, verso la fine del secolo decimoterzo e durante il secolo de-
cimoquarto, i Comuni trasformarsi generalmente in Signorie senza
olle i sistemi di produzione, e quindi i rapporti fra i lavoratori ed
i detentori delle terre e dei capitali si fossero sensibilmente mo-
dificati. Analogamente vediamo in Francia costituirsi lo Stato mo-
derno assoluto e cominciare a formarsi il medio ceto, durante il
secolo decimosettimo, senza che fosse contemporaneamente avve-
nuta nessuna importante modificazione nei sistemi di produzione
e nei rapporti economici che ne derivano ; perchè la servitù della
gleba era in quell'epoca quasi dappertutto scomparsa e non ne
(1) Forse il paragone si potrebbe fare con la catastrofe che ora ha colpito
la Russia, che quasi sicuramente avrà durata ed effetti minori, ma che è stata
più intensa, perchè si è svolta in pochissimi anni. In questo senso si può con-
siderare come abbastanza esatta un'affermazione di Guglielmo Ferrerò, il quale
ha scritto in uno dei suoi articoli pubblicati neWUlustration frangaise che la
Russia ha in quattro anni compiuto quel lavorìo di disgregazione sociale per
il quale occorsero alla civiltà antica nell'Occidente d'Europa quattro secoli.
(2) Basta ricordare il gravissimo danno che subì la media proprietà, dovuto
non solo all'inasprimento delle imposte, ma anche al fatto che i decurioni, i
quali nelle città di provincia costituivano la media borghesia, rispondevano
coi loro beni del recupero integrale dell'imposta che gravava sull'intiera città.
PABTE II. GAP. V - SOHIABIMBNTI B POLEMICHE 451
restavano che quelle poche traccie, che durarono fino alla grande
rivoluzione francese.
Né si deve credere che vi sia un perfetto sincronismo fra il sor-
gere della grande industria moderna e l'adozione del sistema di
governo rappresentativo, con la conseguente diffusione delle idee
liberali, democratiche ed anche socialiste. Infatti in Inghilterra gli
inizi della grande industria si ebbero nella seconda metà del
secolo decimottavo, quando il governo parlamentare funzionava
già da circa mezzo secolo, ma la classe dirigente conservava an-
cora le sue antiche basi aristocratiche. In Francia, in Germania,
negli Stati Uniti d'America ed in tutto l'occidente d'Europa, lo
sviluppo della grande industria ed il grande accentramento di ca-
pitali e di operai, che ne è la conseguenza, ebbe luogo in generale
dopo il 1830; perchè allora soltanto cominciò ad essere diffusa
l'applicazione del vapore alle navi ed ai trasporti terrestri ed il
carbon fossile acquistò un'importanza capitale come fattore ma-
teriale della produzione. Tutto quello che in proposito si può con-
cedere è che la grande fabbrica, con le grandi agglomerazioni di
lavoratori manuali che essa ha reso necessarie, ha contribuito for-
temente allo sviluppo ed alla popolarizzazione delle idee comuniste,
che erano state già precedentemente enunciate e che sono in fondo
il corollario naturale di quelle democratiche, già formulate da
Rousseau (1).
Con ciò non si vuole negare che il sistema prevalente di pro-
duzione economica, coi particolari rapporti che esso determina fra
coloro che la produzione dirigono e che ne posseggono gli stru-
menti ed i loro coadiutori, non sia uno dei fattori che maggiormente
influiscono nel modificare gli ordinamenti politici di una società e
che questo fattore non abbia il suo necessario contraccolpo anche
nelle concezioni che servono di fondamento morale agli ordina-
menti accennati. L'errore del materialismo storico sta nel credere
che il fattore economico sia l'unico degno di essere considerato
come causa e che tutti gli altri debbono essere riguardati come
suoi effetti; mentre ogni grande esplicazione dell'umana attività
(1) Vedi in proposito la prima parte di questo lavoro al Capitolo X, para-
grafo IX, nel quale abbiamo fatto menzione degli scrittori comunisti che pub-
blicarono i loro lavori negli ultimi decenni del secolo decimottavo e nei primi
decenni del decimonono.
452 KLIMHNTI DI SCIENZA POLITICA
nel campo sociale è nello stesso tempo causa ed effetto dei muta-
menti che avvengono nello altre: causa, perchè of^ni sua modifica-
zione influisce sullo altre; ed effetto, perchè sente l'influenza delle
loro modificazioni (1).
Nessuno ha mai affermato, e speriamo che nessuno mai affer-
merà, che le mutazioni che avvenfjono negli ordinamenti politici
abbiano come causa unica quelle che il cambiamento delle armi,
della tattica e dei sistemi di reclutamento hanno già introdotto
negli ordinamenti militari. Eppure abbiamo già ricordato, nel
corso del presente lavoro, quali effetti politici abbia avuto nella
città greca la sostituzione degli opliti, come arma decisiva, agli
antichi carri da guerra ed alla cavalleria e come la vittoria defi-
nitiva della regalità sulla feudalità, vittoria che ebbe luogo nel
periodo che corre fra la metà del secolo decimoquinto e la metà
del decimosettimo, sia stata in gran parte dovuta all'introduzione
ed al perfezionamento continuo delle armi da fuoco (2). Aggiun-
geremo ora che un esame attento della storia dell'ultimo secolo
della Repubblica romana potrebbe mettere in luce gli effetti po-
litici della modificazione introdotta nel reclutamento delle legioni
da Caio Mario, il quale arruolò anche i nullatenenti ed i figli
dei liberti, che prima, tranne in momenti eccezionalissimi, come
ad esempio verso la fine della seconda guerra punica, erano esclusi
dal servizio militare (3). E, quando si potrà con mente serena fare
(1) Ci sia concesso anche qui di ricorrere ad un paragone materiale, cha
crediamo calzante, per spiegare meglio il nostro concetto. Direbbe senza dubbio
la verità colui che affermasse che, se è malato il cervello, l'intiero organismo
umano non si trova più nello stato normale; ma lo stesso si potrebbe dire del-
l'apparato digerente, di quello respiratorio e di qualunque organo essenziale
del nostro corpo. Sarebbe perciò un sofisma concludere che tutte le malattie
dipendono dal cervello, o da uno qualsiasi dei nostri organi principali, mentre
è evidente che il benessere di ogni individuo dipende dal retto funzionamento
di tutti i suoi organi.
(2) Vedi in proposito i capitoli II e lU della seconda parte di questo lavoro
a pagine 357 e 382.
(3) La cennata riforma di Caio Mario fu attuata precisamente nel 107 avanti
Cristo ed aggiungeremo che, pochi anni prima, nel 123 avanti Cristo, Caio
Gracco avea fatto approvare una lex militaris, che metteva a carico dello Stato
la spesa per l'equipaggiamento e l'armamento del soldato, alla quale fino allora
questi dovea provvedere con i propri mezzi; ciò che rese possibile che nell'eser-
cito entrassero anche i più poveri. Le due riforme accennate contribuiscono
PASTE II. GAP. y - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 453
la storia del secolo decimonono e del ventesimo, facilmente si
potranno mettere in evidenza gli effetti politici del servizio mi-
litare obbligatoriamente esteso a tutti i cittadini, che, introdotto
già dalla rivoluzione francese, venne poi adottato e perfezionato
prima dalla Prussia e poi dagli altri Stati del continente europeo.
E diremo pure che ci sembra assurdo di annoverare fra i sem-
plici effetti, senza dar loro mai la dignità di causa, quelle dottrine
politiche e quelle credenze religiose, che forniscono agli organismi
statali la base morale e che, penetrando profondamente nella co-
scienza delle classi dirigenti e delle masse, legittimano e discipli-
nano il comando e giustificano l'obbedienza e creano quegli speciali
ambienti intellettuali e morali, che tanto contribuiscono a deter-
minare i fatti storici ed a dirigere perciò il corso degli avvenimenti
umani. Senza il Cristianesimo e la forza che esso acquistò nella
coscienza delle masse e delle classi dirigenti e senza il tenace ri-
cordo dell'unità che il mondo civile avea conseguito sotto Roma,
non si spiegherebbe la lotta secolare fra il Papato e l'Impero, che
fu uno degli avvenimenti principali della storia medioevale. Come
senza Maometto ed il Corano non sarebbe sorto il grande Stato
musulmano, che tanta parte ha avuto ed ha ancora nella storia
del mondo e che, dove ha potuto impiantarsi e durare, ha intro-
dotto uno speciale tipo di civiltà. E, se noi non avessimo ereditato
dai nostri lontani antenati Grreci e Latini la concezione della libertà
politica e la dottrina della sovranità popolare, che fu poi adattata
ai tempi nuovi e modificata da Rousseau e dagli altri scrittori
politici del secolo decimottavo, non sarebbe sorto lo Stato rappre-
sentativo moderno e l'organizzazione politica europea del secolo
decimonono non si sarebbe cosi profondamente differenziata da
quella del secolo decimottavo (1).
molto a spiegare perchè negli ultimi sessanta anni della Repubblica i soldati
diventarono strumento cieco in mano dei loro duci, che promettevano e conce-
devano largizioni e distribuzioni di terre, spesso confiscate agli avversari poli-
tici. Aggiungeremo che, durante il secondo triumvirato, furono anche arruolati
liberti e schiavi; or lo Stato repubblicano antico non poteva reggersi se le
armi venivano concesse agli infimi strati della popolazione. Vedi in proposito
Ferrerò e Barbagallo, Roma antica. Volume I, a pagine 251 e 272.
(1) La storia delle dottrine politiche, abbastanza studiata in Francia ed in
Inghilterra ed anche in Germania e negli Stati Uniti d'America, è stata quaii
454 ELEMENTI DI SCIENZA FOLITIOA
Ed è inutile discutere se le forze morali hanno preponderato su
quelle materiali più di quanto queste abbiano messo al loro ser-
vizio quelle morali. Come crediamo di avere già dimostrato nella
prima parte di questo lavoro, ogni forza morale cerca, appena può,
d'integrarsi creando a suo vantaggio una base d'interessi costituiti,
ed ogni forza materiale procura di giustificarsi appoggiandosi a
qualche concezione d'ordine intellettuale e morale (Ij.
In India le popolazioni di razza ariana aveano certo da parecchi
secoli sottomesso e relegato negli strati inferiori della società gli
indigeni di razza dravidica quando gli scrittori dei Vedas insegna-
rono che i Bramini uscirono dalla testa di Brama, i Ksiatria dalle
braccia e le caste inferiori, ossia i Vaisia ed i Sudra, dalle gambe
e dai piedi del Dio. Il Cristianesimo nacque come forza puramente
intellettuale e morale, eppure, appena fu molto diffuso, si tramutò
in forza anche materiale; acquistò ricchezze, seppe premere sui
pubblici poteri ed infine i suoi vescovi ed i suoi abati divennero
anche sovrani. Nel Maomettismo la concezione religiosa si integrò
subito coll'esercizio del potere sovrano, ma, senza la conversione
disinteressata e sincera dei suoi primi seguaci, ciò non sarebbe
stato possibile. Infine anche il moderno socialismo nacque come
pura forza intellettuale e morale, ma oggi, dove può e quanto può,
cerca di creare tutta una rete d'interessi materiali, la quale serve
mirabilmente a mantenere fedeli i gregari ed a rimunerare la classe
del tutto trascurata in Italia, dopo la pubblicazione fatta, piìi di mezzo secolo
fa, della storia degli scrittori politici italiani di Giuseppe Ferrari; e ciò è oltre-
modo deplorevole, perchè si tratta di un ordine di studi destinato ad acqui-
stare grande importanza se la scienza politica, o, come altri l'appellano, la
sociologia, deve veramente diventare una scienza. Difatti, se si segue lo svol-
gimento del pensiero politico attraverso le varie epoche storiche, facilmente
si constata che, se i fatti politici contemporanei allo scrittore hanno grande-
mente influito nella formazione della sua mentalità e quindi delle sue teorie,
alla loro volta queste teorie, una volta formulate, hanno potentemente con-
tribuito a formare la mentalità politica delle generazioni successive e quindi
hanno" contribuito a determinare nuovi fatti. Di ciò si potrebbero facilmente
addurre moltissimi esempi ed in fondo è questo uno dei tanti casi, così fre-
quenti nelle scienze sociali, nei quali ciò che in origine era un effetto si
tramuta in causa determinante. Su questo argomento si può anche consultare
il lavoro citato sul Principio aristocratico, a pagina 4.
(1) Vedi la parte prima del lavoro e specialmente il Capitolo VI intitolato:
Chiese, partiti e sètte.
PARTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 455
dirigente die in esso si è costituita. E d'altra parte oggi anche le
influenze puramente materiali della plutocrazia cercano di masche-
rarsi, sovvenendo largamente giornali di tinta spiccatamente de-
mocratica, influendo sui comitati elettorali, chinando la cervice al
battesimo della sovranità popolare e mandando spesso nei Parla-
menti i propri rappresentanti a sedere fra le file dei partiti più
avanzati.
La verità è dunque che i grandi fattori delia storia umana sono
cosi complessi ed intrecciati fra di loro che qualunque dottrina
semplicista, che voglia determinare quale sia fra essi il principale,
quello che non è mosso giammai ma muove sempre gli altri, con-
duce necessariamente a conclusioni e ad applicazioni errate; spe-
cialmente quando essa intende spiegare, seguendo il metodo Gen-
naio e guardandoli da un solo punto di vista, tutto il passato ed
il presente dell'umanità. E peggio ancora accade quando, seguendo
lo stesso sistema, se ne vuole predire il futuro.
Dovremmo ora occuparci del secondo degli assiomi sui quali si
fonda il materialismo storico, ma, come abbiamo già accennato,
esso può essere considerato come una conseguenza del primo e
quindi perde ogni importanza quando questo è distrutto. Ad ogni
modo faremo rilevare come l'affermazione generica che ogni epoca
storica contiene i germi, i quali poi sviluppandosi la trasforme-
ranno in quella immediatamente successiva, equivale ad enunciare
una verità cosi evidente e di tanto facile percezione per coloro che
hanno una certa pratica della storia da potere essere considerata
quasi come un luogo comune; e ricorderemo incidentalmente che
alla regola accennata abbiamo già parecchie volte dovuto fare
allusione nel corso del presente lavoro. Senonchè per il Marx
questi germi sarebbero soltanto quelli d'indole economica, mentre
noi crediamo di aver dimostrato che sono molto più numerosi e
complessi.
E questa limitata visiono del fenomeno sarebbe già sufficiente
a far respingere l'affermazione, che è uno dei capisaldi della dot-
trina marxista, secondo la quale la presente epoca borghese sta-
rebbe maturando, o secondo altri avrebbe già maturato, quei germi
che renderanno inevitabile l'avvento del collettivismo. Ma, anche
astraendo da questa considerazione, è noto che omai la statistica
ha dimostrato che quella concentrazione della ricchezza e dei
mezzi di produzione in pochissime mani, che a^nrebbe dovuto pre-
456 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
ludere alla loro collettivizzazione ed avrebbe reso facile all'infinita
falange dei proletari l'espropriazione dei pochissimi proprietari,
non era prima della grande guerra avvenuta e neppure era in-
camminata verso una sua prossima attuazione (1). E, se la guerra
ha recentemente dappertutto più o meno peggiorato la condizione
delle classi medie, ciò è dovuto ad altre cause non preannunziate
né previste dal materialismo storico; ed anche oggi se la compa-
gine dello Stato borghese è stata in qualche paese distrutta, ed in
altri si dimostra molto scossa, ciò non avviene per la concentra-
zione della ricchezza in pochissime mani, ma per ben altre ragioni
alle quali avevamo già accennato nella prima parte di questo la-
voro e sulle quali dovremo ancora tornare nel capitolo seguente.
Assolutamente fantastica poi ci sembra la conclusione del se-
condo assioma e di tutta la dottrina del materialismo storico :
cioè che, una volta attuato il collettivismo, esso sarà l'inizio di
un'era di uguaglianza e di giustizia universale, durante la quale
lo Stato non sarà più l'organo di una classe e quindi non ci sa-
ranno più sfruttati e sfruttatori. Non ci attarderemo a confutare
ancora una volta questa vera utopia, perchè, insieme a tanti altri
scrittori, anche noi l'abbiamo già confutato durante tutto il pre-
sente lavoro. Ricorderemo soltanto che essa è la conseguenza na-
turale e necessaria di quella concezione ottimistica della natura
umana che, nata nel secolo decimottavo, non ha ancora compiuto,
ma è forse prossima a compiere, il suo ciclo storico. Concezione
in base alla quale l'uomo nasce buono e la società, o meglio le
istituzioni sociali, lo renderebbero malvagio; sicché, cambiando
queste, la stirpe di Adamo, come liberata da una ferrea compres-
(1) Anche il Loria ammette che " la tesi dell'accentramerito progressivo
della ricchezza presso un numero decrescente di possessori e del correlativo
progressivo immiserimento delle plebi non è confermata, ma all'opposto è
smentita dalle statistiche più autorevoli del periodo successivo al Marx ; seb-
bene più avanti faccia rilevare che " la divergenza dei redditi sia negli ultimi
anni enormemente cresciuta e che l'accentramento bancario e l'impero delle
banche sull'industria (fonte di sperequazioni crescenti nei patrimoni) abbia
raggiunto negli ultimi anni intensità imprevedibili dallo stesso Marx^. Vedi
LoKiA, opera citata a pag. 41 e 42. Aggiungeremo infine che in quésto lavoro
non ci è sembrato opportuno di ripetere la confutazione, già tante volte fatta
dagli economisti, degli errori d'indole puramente economica del Marxismo,
dei quali parla anche nel lavoro citato lo stesso Loria.
PARTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 457
sione, avrebbe potuto esplicare tutta la sua naturale bontà. Ed è
ovvio che i seguaci di questa scuola dovessero indicare la proprietà
privata come origine prima ed unica dell'egoismo umano, anziché
ammettere, come già aveva fatto Aristotile, che l'egoismo fosse
la causa che rendeva inevitabile la proprietà privata (1).
Difatti a cominciare da Morelly, da Mably e da Babeuf, venendo
fino a Luigi Blanc, a Proudhon ed a Lassalle, tutti gli scrittori
che hanno voluto tracciare un piano completo di rigenerazione
umana hanno sempre messo nel loro programma l'attuazione par-
ziale e graduale, ovvero completa ed immediata, del comunismo e
l'abolizione della proprietà privata. Il Marx, invece, seguendo in
certo modo le indicazioni di Pietro Léroux, sostituì al piano con-
cepito da un individuo il fatale corso della storia, che, secondo lui,
doveva condurre allo stesso risultato. E senza dubbio il metodo
da lui adottato si è dimostrato in pratica assai più efficace di
quello dei suoi predecessori; perchè non si può criticare e demo-
lire ciò che si presume che debba fatalmente avvenire, come si
critica e si demolisce un progetto di riforme fondamentali, che
poggia soltanto sull'autorità di un uomo ; e perchè, fra tutti gli
argomenti a favore di una dottrina, il più convincente di tutti è
quello che ne vuole dimostrare inevitabile il più o meno prossimo
trionfo.
IV. — Un'altra concezione, che, dal tempo in cui Platone
scrisse i suoi dialoghi, ha preoccupato, più o meno, le menti di
coloro che hanno meditato sopra argomenti politici, è quella se-
condo la quale al Groverno di un paese dovrebbero arrivare i mi-
gliori] e conseguenza di questa aspirazione è stato, e forse è, lo
studio di trovare un sistema politico il quale faccia si, o almeno
renda possibile, che tale concetto diventi una realtà. Naturalmente,
negli ultimi decenni del secolo decimottavo e durante la prima
(1) Aristotele nella Politica, combattendo le teorie comuniste di Platone,
aflFerma che la proprietà privata è indispensabile se si vuole che l'individuo
produca e provveda quindi ai bisogni suoi, della famiglia e della città (Vedi
Politica, libro li, specialmente nei capitoli I e 11). Identica presso a poco è la
giustificazione che della proprietà privata dà San Tommaso nella Suiniua ; nò
crediamo che ce ne sia una migliore, perchè essa ci sembra inconfutabile finché
l'uomo amerà se stesso e la propria famiglia piìi di quanto ama gli estranei.
458 ELEMENTI VI SCIENZA POLITICA
metà del secolo decimonono, e magari anche per qualche decennio
ancora, la cennata aspirazione si è intensificata, perchè essa ha
trovato alimento in quella opinione ottimista sulla natura umana
della quale abbiamo fatto tante volte parola; opinione la quale
rendeva facile supporre che, cambiando le istituzioni, si sarebbero
senz'altro soppressi od atrofizzati tutti gli istinti meno nobili che
travagliano la povera umanità.
Or, per esaminare quel tanto di vero e di falso che ci può essere
nell'idea accennata, conviene anzitutto stabilire chi siano coloro
che meritano di essere appellati migliori.
Ed anzitutto ci sembra evidente che, nel linguaggio comune,
essendo la parola migliore il comparativo ed, usata in senso asso-
luto, anche il superlativo di buono, essa dovrebbe servire ad in-
dicare quelle persone che, rispetto al comune degli uomini, possono
essere giudicate di eccezionale bontà. I migliori dovrebbero perciò
essere i più altruisti, i più inclinati a sacrificare se stessi agli altri,
anziché gli altri a se stessi, coloro che nella vita molto danno e
poco ricevono, che, secondo Dora Melegari, sono più faiseurs de
Jole anziché faiseurs des peines (1) ; e nei quali quindi più com-
pressi e domati sono gli istinti che mirano soltanto a superare od
a sopprimere gli ostacoli che si frappongono alla soddisfazione
delle proprie passioni e dei propri interessi.
Ma si dovrebbe omai sapere che la bontà, intesa in questo senso,
che è poi quello letterale, è una qualità la quale serve molto agli
altri e quasi sempre assai poco a coloro che la posseggono. Essa tutto
al più riesce poco nociva quando si ritrova in persone nate od
arrivate, quasi per caso, in posizione sociale talmente elevata da
togliere ogni tentazione a coloro che vorrebbero abusarne. Ma,
anche in questo caso, l'individuo, al quale si può legittimamente
applicare l'aggettivo buono, deve sapere rinunziare a salire in alto
tanto quanto per le sue altre qualità gli sarebbe possibile. Perchè
per sollevarsi nella scala sociale, anche in tempi calmi e normali,
il primo requisito è senza dubbio la costante capacità di lavoro,
ma, immediatamente dopo, viene l'ambizione, la volontà decisa
di farsi avanti, di primeggiare sui propri simili, e questa mal si
concilia con una soverchia sensibilità e, diciamolo pure, con la
(1) Si allude al titolo di un libro molto interessante di questa egregia
scrittrice.
PAKTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHH 459
bontà. La quale non può restare indifferente alle sofferenze di
coloro che, per farsi avanti, bisogna spingere indietro, e che, quando
è veramente profonda e sentita, si fa scrupolo di calcolare i meriti,
i diritti ed i dolori degli altri infinitamente meno dei propri.
E può sembrare a prima vista strano che gli uomini, i quali in
generale vorrebbero che i loro governanti avessero le qualità mo-
rali più elevate e squisite e che pensassero molto all'interesse pub-
blico e ben poco al proprio, poi, quando sono essi stessi in ballo,
e sopratutto quando cercano di farsi avanti e di arrivare, se pos-
sono, ai posti più eminenti, non si curano generalmente di osser-
vare quei precetti che vorrebbero fossero guida costante dei loro
superiori. Mentre tutto quello che giustamente si potrebbe a costoro
richiedere è di non riuscire inferiori al livello morale medio della
società che governano, di identificare fino ad un certo punto il loro
interesse con quello pubblico e di non commettere azioni troppo
vili, basse e ripugnanti, di quelle che squalificano, nell'ambiente
in cui vive, l'uomo che le ha compiute.
Senonchè l'espressione migliore applicata alla vita politica può
anche significare, ed anzi ordinariamente significa, che l'uomo re-
putato tale possiede i requisiti che lo rendono più atto a governare
i propri simili. Inteso in questo senso l'aggettivo può essere sempre,
in tempi normali, applicato alle classi dirigenti, perchè il fatto che
sono tali dimostra che in una data epoca, ed in un dato paese,
esse contengono gli elementi più atti a governare; ciò che non
sempre significa che siano gli elementi più elevati intellettual-
mente e sopratutto moralmente (1), Perchè, per governare gli
uomini, più del senso della giustizia e molto più dell'altruismo, e
anche più della vastità delle cognizioni e delle vedute, giovano la
perspicacia, la pronta intuizione della psicologia degli individui e
di quella delle masse e sopratutto la confidenza in se stessi e la
forza di volontà. E non per nulla poi Machiavelli metteva in bocca
a Cosimo dei Medici la famosa frase che abbiamo citato nella
prima parte di questo lavoro: che gli Stati cioè non si governano
coi paternostri.
Ed a questo proposito occorre analizzare una distinzione, che
(1) È per questa ragione che ci sembra inesatta l'espressione di élite ado-
perata dal Pareto per indicare quella che noi molti anni prima avevamo
denominato classe politica.
460 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
già comincia ad entrare nella mentalità comune, cioè quella fra
uomo di Stato e uomo di Governo. Uomo di Stato è colui che per
la vastità delle sue cognizioni e per la profondità delle sue vedute
acquista una coscienza chiara e precisa dei bisogni della società
in cui vive e che sa trovare la via migliore per condurla, con le
minori scosse e le minori sofferenze possibili, alla meta alla quale
dovrebbe, o almeno potrebbe, arrivare. Uomini di Stato in questo
senso furono Cavour, Bismark e Stolypine, il Ministro russo che
nel 1906 comprese che in Kussia, dato l'aumento della popolazione
e la necessaria intensificazione dell'agricoltura, il sistema della
proprietà collettiva indivisa fra i contadini non poteva più durare
e promosse provvedimenti tali che, in mezzo secolo circa, avreb-
bero creato colà una classe di contadini proprietari individuali ed
una vera borghesia rurale (1). Mentre l'uomo di governo è colui
che ha le qualità richieste per arrivare ai posti più elevati della
gerarchia politica e per sapervi restare. E una vera fortuna per
i popoli quando alla loro testa vi sono persone che alle qualità
eminenti e rare dell'uomo di stato sanno accoppiare quelle secon-
darie dell'uomo di governo, ed è una fortuna meno grande, ma
pure ragguardevole, quando i suoi uomini di governo sanno trarre
profìtto delle vedute degli uomini di Stato.
Platone nella conchiusione del suo dialogo sulle leggi, ribadendo
un concetto che può considerarsi come quello che appare fonda-
mentale nei suoi studi politici, dice che una città non potrà essere
bene governata finche i Re, ossia i governanti, non saranno filo-
sofi, od i filosofi non saranno Re. Egli naturalmente per filosofi
intendeva i sapienti, coloro che possedevano le cognizioni neces-
sarie all'uomo di Stato e che erano nello stesso tempo al disopra
delle passioni basse e volgari (2). Ora qualche volta l'eredità od
(1) Non fu colpa di Stolypine se egli prematuramente moriva, ucciso nel 1911
dalle bombe di fanatici idioti, e se i provvedimenti da lui presi non ebbero
il tempo di produrre i loro effetti.
(2) L'accoppiamento che fa Platone fra le qualità più elevate del carattere
e quelle della mente non crediamo che sia destituito di fondamento. Abbiamo
appreso da amici personali del grande fisico Galileo Ferraris che questi opi-
nava che nessuna grande scoperta scientifica era possibile quando lo speri-
mentatore, anziché al progresso della scienza pura, mirava ad ottenere risul-
tati pratici, a strappare cioè alla natura qualche segreto che rendesse possibile
a qualche grande industria di adottare procedimenti più remunerativi. Ora
PARTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 461
il caso hanno fatto si che a capo di uno Stato vi fosse un filosofo
come l'intendeva Platone, ma non sempre il filosofo Re è passato
alla storia come il modello di un buon reggitore di popoli (1). Ed
è diffìcile assai poi che, in tempi normali, nella lotta per la pre-
minenza, che avviene fra coloro che aspirano ad arrivare ai posti
supremi, riportino la vittoria i filosofi come Platone li concepiva.
Prima di tutto perchè molto spesso la vera saggezza non eccita
l'ambizione ma la smorza, e poi perchè le alte qualità del carat-
tere e dell'intelletto non li avvicinano, ma piuttosto li allontanano,
dalle cariche più elevate; sopratutto quando non sono integrate
dalle qualità dell'uomo di governo e quando l'individuo non ha
abbastanza senso pratico per mettere, almeno per qualche tempo,
a dormire le prime e fare agire le altre (2).
Come abbiamo già accennato si può esser quindi contenti se al
la massima che Galileo Ferraris riputava applicabile alle scienze naturali
crediamo che abbia la sua conferma sopratutto in quelle sociali; nelle quali
riesce impossibile di trovare la verità se le qualità dell'intelligenza non
sono integrate da quelle del carattere ; se il pensatore non sa spogliarsi da
ogni passione, da ogni interesse, da ogni timore.
(1) Marco Aurelio fu, come è noto, il vero tipo dell'imperatore filosofo. Egli
nacque intanto sui gradini del trono, era buono ma non era sciocco, e quindi,
come rilevasi dai suoi Pensieri, l'esercizio del potere gli diede in generale
un'idea poco lusinghiera del carattere umano, ed era anche un discreto uomo
d'azione, sicché guidò pei'sonalmente gli eserciti in parecchie guerre e morì
mentre conduceva una campagna sul Danubio. Ciò malgrado è assai dubbio
se la sua bontà abbia sempre giovato alla cosa pubblica; gli stessi storici a lui
favorevoli gli addebitano a colpa di avere mantenuto talvolta al governo delle
Provincie persone indegne, e sotto di lui la disciplina militare, già egregia-
mente restaurata da Trajano, cominciò di nuovo a rallentarsi e si ebbe nel-
l'Asia una grave insurrezione delle legioni, che proclamarono imperatore
Avidio Cassio; ed il competitore sarebbe stato molto pericoloso se uno dei
suoi centurioni non l'avesse ucciso.
(2) Secondo Manzoni, don Ferrante, che era " uomo di studio non amava ne
di comandare né di obbedire „. A dire il vero il don Ferrante manzoniano non
era precisamente un filosofo, un sapiente, come l'immaginava Platone ; ma
apparteneva un po' alla famiglia, perchè " passava di grandi ore nel suo
studio ,, aveva una biblioteca piena di libri ed impiegava il suo tempo a
leggerli; egli era quindi ciò che ora si direbbe un intellettuale. Ora le persone
che realmente amano molto di meditare si sanno alle volte assai bene adat-
tare a comandare e ad obbedire, quando ciò è necessario, ma generalmente
non amano molto né l'una ne l'altra cosa.
462 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
potere ci stanno uomini di governo il cui intelletto e la cui mo-
ralità non sono al di sotto di quella media della classe dirigente.
Ed aggiun<^eremo che, quando il livello intellettuale e morale di
essa ò abbastanza elevato per comprendere ed apprezzare le con-
cezioni dei pensatori che studiano a fondo i problemi politici,
non è necessario che questi ultimi arrivino al potere per attuare
i loro programmi; perchè la pressione intellettuale della intiera
classe politica, ciò che comunemente appellasi la pubblica opinione,
farà si che gli uomini di governo debbano più o meno conformare
la loro azione alle vedute di coloro che rappresentano quanto di
meglio Tintelligenza politica di un popolo sa e può produrre.
V. — Il fatto che coloro i quali occupano ordinariamente le
cariche elevate non sono quasi mai i migliori in senso assoluto,
ma piuttosto gli individui che posseggono le qualità più adatte
a dirigere ed a padroneggiare i propri simili, dimostra già come
sia arduo e quasi impossibile, nei casi ordinari, di applicare negli
ordinamenti politici la giustizia assoluta, quale l'uomo sa e può
concepirla. Ma, siccome l'attuazione di questo concetto è stato, da
Platone in poi, il sogno di molte anime nobili e di molte menti
elevate e, diciamolo pure, anche il comodo pretesto invocato da
tanti ambiziosi, più o meno volgari, per mettersi al posto di coloro
che stavano in alto, ci sembra opportuno di intrattenerci alquanto
sopra di esso.
La giustizia assoluta negli ordinamenti politici naturalmente
dovrebbe significare che in ogni individuo il successo, il grado
che occupa nella scala politica, corrisponde perfettamente alla
reale utilità del servizio che egli ha reso o rende alla società. In
fondo si tratta dell'applicazione del concetto che fu formulato in
modo preciso forse per la prima volta da Saint-Simon, concetto
al quale abbiamo già accennato e che forni la formola famosa
colla quale i sansimonisti riassunsero il loro programma (1).
La prima obiezione che sorge in proposito è quella relativa
alla difficoltà di valutare esattamente, e con una certa sollecitudine,
il valore esatto del servizio che ogni individuo ha reso^ o rende,
alla società di cui fa parte; e diciamo con sollecitudine perchè,
(1) Per chi non la ricordasse la formula era : a ciascuno secondo la eua ca-
pacità, ad ogni capacità secondo le sue opere.
PABTE II. CAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 463
se la valutazione dovesse avvenire dopo qualche secolo, o dopo
alcune dozzine di anni, il guiderdone od il castigo tarderebbero
tanto che l'uomo al quale converrebbe di dare Tuno o l'altro,
sarebbe già nella tomba, o almeno in età molto avanzata. Or, a
farlo apposta, le benemerenze o gli errori d'indole politica, dai
più grandi ai più piccoli, sono quelli i cui risultati si veggono
ordinariamente a j)iù lunga scadenza. Difatti solo dopo un tempo
ordinariamente abbastanza lungo si può, con serenità e con una
certa sicurezza, giudicare se l'opera di un funzionario, un voto dato
in una Camera, o una deliberazione presa in un momento grave
da un Consiglio dei Ministri corrispondano o no agli interessi di
un paese. A dir vero gli uomini quasi sempre non aspettano tanto
per giudicare gli atti accennati, ma appunto perciò il loro giudizio
è tanto spesso influenzato dalle passioni e dagli interessi, od arti-
ficiosamente sviato dalle arti dell'intrigo e della ciarlataneria.
Ed alle volte, anche dopo che l'ala del tempo e le generazioni
trascorse hanno fatto tacere gli interessi e spento le passioni, e
che, insieme agli interessi ed alle passioni, sono venute meno le
opere dell'intrigo e della ciarlataneria, anche quando non vi sono
più turbe che applaudono perchè a ciò ammaestrate, scrittori o
giornali che in piena malafede vi esaltano o vi deprimono, l'uomo
per lo più è cosi fatto che, pur essendo dedito agli studi, non riesce
ad essere obiettivo ed imparziale. Abbiamo già accennato come
l'indagine storica dia sempre risultati più o meno incerti quando
essa vuole giudicare le grandi personalità del passato, mentre le sue
deduzioni e le sue conclusioni sono assai meno incerte quando essa
rievoca e chiarisce le istituzioni, le idee, le opere delle grandi civiltà
tramontate (1). Or l'incertezza accennata dipende in buona parte
dalla passionalità degli scrittori, i quali non riescono ad esprimere
la loro ammirazione per una grande personalità vissuta quasi
venti secoli prima di noi, senza deprimerne un'altra che fu ad
essa contemporanea; che non sanno, ad esempio, scrivendo nel
secolo decimonono, esaltare Cesare, senza contemporaneamente
deprimere il povero Cicerone. Ciò che dimostra come, anche quando
tacciono gli interessi e le cupidigie personali, possano bastare le
antipatie e le simpatie, nel senso classico della parola, cioè le affi-
ci) Vedi sopratutto in proposito il capitolo I della seconda parte del pre-
sente lavoro.
464 ELBMRNTI DI SCIISNZA POLTTIOA
nità o le disaffinità della mente e del carattere, a renderci ingiusti
verso coloro dio sono da tanti secoli scomparsi dalla terra.
Appare quindi evidente che lo stabilire un rapporto esatto ed
infallibile fra i meriti ed il successo, fra le opere di ogni individuo
ed il premio od il castigo che gli spettano, è opera cosi sovrumana
che solo un Essere onnisciente ed onnipossente, che sa sollevare
i veli che ricoprono tutte le coscienze, e che non ha nessuna delle
nostre ignoranze, nessuna delle nostre debolezze, nessuna delle
nostre passioni, vi potrà riuscire. Ed è perciò che quasi tutte le
grandi religioni, a cominciare da quella degli antichi Egiziani,
hanno rimandato il giudizio definitivo sull'operato dell'uomo alla
fine della sua vita terrena e l'hanno affidato agli Dei od a Dio.
Una certa equivalenza fra il servizio reso e la ricompensa rice-
vuta si potrebbe rinvenire nelle libere contrattazioni che avven-
gono nella vita privata ; ma questa equivalenza non è fondata
sopra un principio morale, come dovrebbe esser quella che si vor-
rebbe stabilire nella vita politica, ma semplicemente sulla domanda
e sull'offerta; ossia sul bisogno relativo dei due contraenti, il quale
fa sì che si apprezzi di più il servizio quando esso è molto richiesto,
e si apprezzi più la ricompensa quando l'offerta di questa scar-
seggia e quella del servizio sovrabbonda. Ed aggiungeremo che
questa equivalenza puramente economica, che non tiene conto,
come la morale vorrebbe, del sacrifizio che il servizio ha costato,
non funziona più quando i servizi non sono resi a determinati
individui od a determinati gruppi d'individui, ma a tutta intiera
la collettività. Tutti sanno infatti che le grandi scoperte scienti-
fiche, sia nel campo delle scienze fisiche che in quello delle scienze
morali, non hanno fatto sì che i loro autori fosssero investiti delle
cariche eminenti dello Stato o arrivassero ai fastigi della ricchezza;
esse anzi quasi mai hanno fornito agli inventori i parasoli dorati
e gli elefanti folli d'orgoglio che, secondo gli antichi scrittori dei
Vedas, spettavano ai potenti della terra. Viceversa le applicazioni
pratiche di queste scoperte, che hanno potuto essere sfruttate da
determinati individui, hanno quasi sempre arricchito e reso influenti
i loro autori. Veramente, almeno nei paesi di antica e solida cul-
tura, dovrebbe essere uno degli uffici dei governanti il dare ricom-
pense morali e materiali a quegli scienziati, che, come Copernico,
G-alileo, Volta e Champollion hanno fatto scoperte utili all'umanità
intiera, ma non direttamente utilizzabili da singoli individui; e
PARTE II. GAP. T - SOHIAEIMENTI E POLEMICHE 465
qualche volta i governanti hanno più o meno bene adempito a
questo dovere, generalmente quando ciò poteva loro riuscire utile
perchè corrispondeva al voto di un'opinione pubblica molto illu-
minata.
Ma se, fino a quando l'umanità non sarà realmente plasmata
ad immagine e somiglianza di Dio, non vi sarà mai nel mondo
una giustizia assoluta, nelle società più o meno bene ordinate
vi è stata, vi è e vi sarà sempre una giustizia relativa; cioè un
insieme di leggi, di consuetudini, di norme imposte dalla pubblica
opinione, tutte variabili secondo le epoche ed i popoli, in base
alle quali viene regolata quella che noi abbiamo chiamato la lotta
per la preminenza ; cioè lo sforzo che ogni individuo fa per mi-
gliorare e conservare la propria posizione sociale (1). Secondo
questa giustizia relativa quasi sempre per ottenere il successo è
necessaria una certa quantità di lavoro, ciò che generalmente
corrisponde ad un vero e reale servizio reso alla società, ma il
lavoro viene quasi sempre più o meno coadiuvato dall' abiKtà, cioè
dall'arte di farlo valere, e naturalmente anche da ciò che comu-
nemente appellasi la fortuna, cioè da quelle circostanze impreve-
dibili che sopratutto in certi momenti possono molto aiutare e
molto danneggiare un uomo; e ricorderemo in proposito che, in
tutti i paesi ed in tutti i tempi, spesso la migliore delle fortune,
0 la peggiore delle sfortune, è quella di nascere figlio del proprio
padre e della propria madre (2).
(1) La coesistenza di una giustizia assoluta e di una giustizia relativa h stata
rilevata fin dall'antichità classica, la quale sapeva distinguere il jus civile,
fondato sulla legge, dal jus naturale, basato sulla ragione e sull'equità naturale
dell'uomo. Si sa, per esempio, che per Seneca la schiavitù era un istituto
conforme al diritto civile, ma contrario a quello naturale. Che la giustizia
relativa varia poi da luogo a luogo e da un'epoca all'altra è stato pure repli-
catamente rilevato e basta il ricordare in proposito i Pensieri di Pascal.
(2) Molti che negano, o vorrebbero molto ridurre, la parte che ha ciò che
comunemente chiamasi la fortuna nei successi degli individui, ed aggiungiamo
ora anche delle collettività, dovrebbero leggere o rileggere i Pensieri del Guic-
ciardini e specialmente il 30° ed il 31" (Vedi Guicciardini, Ricordi politici e
civili, edizione completa a cura di Giovanni Papini, edit. Carrabba, a pagina 19).
In quest'ultimo è scritto : * Coloro ancora che attribuendo il tutto alla pru-
denza ed alla virtù, escludono quanto possono la potestà della fortuna, bisogna
almeno confessino che importa assai abbattersi o nascere in tempi che le
virtù 0 qualità per le quali tu ti stimi siano in pregio ,. La verità è che gli
Or. Mosca, Elementi di Sdenta Politica. BO
466 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Accade in fondo nella vita quello che avviene ordinariamente
nei giuochi di carte, noi quali il vincere dipende in parte dalla
cieca sorte, in parte dall'abilità del giocatore o dagli errori dei
suoi avversari. Però come il gioco si convertirebbe in truffa se
venisse tollerata la sostituzione delle carte, cosi non dovrebbe
essere mai permesso, nella grande partita che ogni uomo gioca
nella sua vita, di violare le norme stabilite, ossia di barare ; e
misera e disordinata sarà sempre quella società nella quale è quasi
tacitamente ammesso che il giocatore abile possa anche correggere
la fortuna (1).
Spesso, ed oggi molto spesso, coloro che più e meglio sanno
mettere in evidenza le contraddizioni, alle volte stridenti, fra la
giustizia assoluta e quella relativa sancita dalle leggi e dalle con-
suetudini, sono uomini che hanno in mano carte cattive e che
desidererebbero di averle migliori, e che quindi bramerebbero che
fosse sospesa la partita e rimescolato il mazzo, e forse anche che
questo carico fosse loro affidato. Perchè quasi sempre gli individui
più altruisti, e che più sinceramente abborriscono la menzogna e
la frode, coll'esperienza della vita finiscono coli' acquistare la per-
suasione che il raggiungimento della giustizia assoluta è impos-
sibile, e che quindi la lealtà e la bontà vera e cosciente devono
essere necessariamente accompagnate dalla generosità, che sa do-
nare senza speranza di nulla ricevere in cambio.
VI. — Prima di terminare questo capitolo dobbiamo fare cenno
di una grave quistione, che forse praticamente è la più importante
di tutte quelle che la scienza politica può e deve trattare. Si tratta
uomini, i quali nella vita non hanno avuto tutto il successo che speravano,
volentieri ne addossano la responsabilità alla fortuna, e che invece quelli, a
riguardo dei quali il successo ha perfino oltrepassato le loro aspettative,
amano attribuirne tutto il merito a loro stessi.
(1) Sulla impossibilità di attuare nel mondo una giustizia assoluta e sulla
necessità che sia osservata una giustizia relativa ha scritto recentemente pa-
gine molto interessanti e piene di acute osservazioni Gina Lombroso-Ferrero
(Vedi L'Anima della donna, Bologna, 1920, volume I, libro V). L'egregia scrit-
trice sostiene che si raggiungerebbe già un grado elevato di perfezione sociale
8e la lotta per arrivare ai posti elevati si facesse lealmente, secondo quello
che Essa chiama " un criterio conclamato „ invece che " secondo criteri incon-
fessabili ,.
PARTE li. GAP. Y - SCHIABIMENTI B POLEMICHE 467
cioè di esaminare se i progressi di questa scienza potranno un
giorno eliminare, o rendere più rare e meno gravi, le grandi ca-
tastrofi che di tanto in tanto interrompono il corso della civiltà e
ricacciano nella barbarie, sia pure relativa e temporanea, popoli
che avevano acquistato un posto glorioso nella storia dell'umanità.
Volendo aggiungere qualche elemento nuovo, che possa riuscire
utile alla soluzione di questo intricato problema, occorre di porlo
anzitutto nei suoi termini precisi.
Le catastrofi accennate si dice generalmente che avvengano
quando un popolo è invecchiato e quando, come conseguenza na-
turale della vecchiaia, avviene la sua, morte. Or ci sembra evi-
dente, e l'abbiamo già accennato nel primo capitolo della prima
parte di questo lavoro, che, quando si parla della vecchiaia e della
morte di un popolo, o di una civiltà, si usa una metafora la quale,
non dà, sopratutto a coloro che non si sono approfonditi negli
studi storici, un'idea precisa del fenomeno che si vuole studiare.
L'individuo infatti invecchia fatalmente e muore quando le sue
forze vitali sono esaurite, o quando un'infezione od una causa
violenta sopprimono od impediscono la funzione di un organo
necessario alla continuazione della vita; mentre in una società
l'invecchiamento materiale non si concepisce, perchè ogni genera-
zione nuova deve avere tutto il vigore della gioventù, né la morte
materiale è possibile, perchè a ciò occorrerebbe che almeno una
generazione intera si astenesse dalla procreazione (1).
Sarebbe facile invero citare il caso di genti scomparse senza
lasciare una discendenza. È noto che sono cosi spariti gli indigeni
della Tasmania, che sono in via di sparizione quelli dell'Australia,
che forse pochi sopravvivono fra i discendenti dei Guanchi delle
Canarie, che molte tribù indigene dell'America sono scomparse ed
(1) René Worms nella sua Philosophie des sciences sociales (Paris, Giard et
Brière, ed, 1903) tratta magistralmente la questione relativa alla vecchiaia ed
alla morte dei popoli e conchiude che un'organizzazione politica può essere
immortale. Egli così scrive nel volume III, pag. 305 dell'opera citata: * Sans
doute des théoriciens affirment que les États sont, comme les individus, con-
damné fatalement à disparaìtre un jour ou l'autre. Mais jusqu'à présent on n'a
apporté aucune épreuve valable de cette prétendue nécessité et pour notre
part nous n'y croyons pas. Nous estimons au contraire que les peuples ayant
la possibilité de renouveler par la generation leurs éléments, faculté qui
n'ont pas les individus, peuvent attendre à une véritable immortalité ,.
468 ELIMBNTI DI 80IKNZA POLITIOA
altre in via di scomparire. Ma, si tratta, o si trattava, di popola-
zioni rade, che vivevano o vivono di caccia e di pesca, alle quali
la colonizzazione bianca avea tolto o va togliendo i mezzi di sus-
sistenza e che, quando vennero in contatto coi Bianchi, erano
troppo arretrate per adattarsi alla vita agricola e per potere adot-
tare i loro metodi di produzione (1).
Ben diverso è il caso quando ci troviamo davanti a popolazioni
già pervenute allo stadio agricolo, che hanno costituito nazionalità
numerose, ordinate e potenti e creato o fecondato una civiltà. Al-
lora quella che sarebbe la morte materiale, lo spegnersi della razza
per mancanza di discendenti, forse mai è avvenuta. Un popolo
arrivato allo stadio di cultura accennato, potrà perdere la sua
fisonomia originale, essere assorbito da altri popoli, da altre ci-
viltà, cambiare la sua religione e qualche volta la sua lingua,
potrà infine subire un'intiera trasformazione intellettuale e morale,
continuando a sopravvivere materialmente (2).
E la storia è piena dì queste trasformazioni e di queste sopravvi-
venze. Sopravvissero i discendenti degli antichi Galli e degli an-
tichi Iberi, sotto lo strato di civiltà latina dalla quale furono
plasmati, e sopravvissero i discendenti delle antiche popolazioni
mesopotamiche e siriache, sebbene abbiano adottato la lingua e la
religione degli Arabi, che nell'ottavo secolo le conquistarono; e lo
stesso è avvenuto in Egitto, dove la massa della popolazione cosi
detta araba conserva ancora i caratteri fisici dei suoi veri antenati,
che crearono e fecero durare per più di quaranta secoli la civiltà
(1) Difatti nel Messico e nel Perù, dove le popolazioni indigene all'arrivo
degli Europei praticavano già l'agricoltura, ed erano perciò molto più nume-
rose, esse non si sono spente e pare che anche negli Stati Uniti qualche tribù
di Pelli Rosse, che ha saputo adattarsi all'agricoltura, non accenni a spegnersi.
(2) Contro la tesi sostenuta si potrebbe citare l'esempio dei Bretoni, i quali
i?enza dubbio praticavano già l'agricoltura quando il loro paese fu invaso dagli
Anglo-Sassoni, che in gran parte lo occuparono. Ma anzitutto la discendenza
della popolazione celtica primitiva sopravvive ancora nel nord della Scozia e
nel Galles, come anche nella Bretagna francese, dove emigrò sotto la spinta dei
Sassoni; ed in secondo luogo se nella più grande parte della Gran Brettagna
i Celti perdettero la loro lingua, ciò non vuol dire che essi furono sterminati,
ma che vennero piuttosto assorbiti dagli invasori di razza germanica. Infatti,
benché gli studi di questo genere diano spesso risultati ambigui ed incerti,
sembra che il fondo della popolazione nelle contee occidentali dell'Inghilterra
ed in gran parte della Scozia sia rimasto celtico.
PARTE II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 469
dei Faraoni, Gli Italiani moderni sono ancora prevalentemente i
discendenti degli antichi Italici e nelle vene dei Greci moderni,
per quanto molto commisto ad altro sangue, scorre ancora quello
degli EUeni contemporanei di Pericle e di Aristotile e quello dei
Bizantini del nono e del decimo secolo.
Ciò premesso, e non tenendo conto dei popoli assimilati per opera
di una dominazione straniera di origine ma apportatrice di una
cultura superiore, come avvenne nel caso citato dei Galli, degli
Iberi e delle altre genti più o meno barbare che la virtù di Roma
antica seppe fondere in una gente sola, è evidente che la morte di
un popolo, il quale ha saputo creare e mantenere per un lungo corso
di secoli una propria civiltà, può avvenire ed avviene sopratutto
per due cause, che lo minano e corrodono internamente e che fanno
sì che il minimo urto esteriore basti ad ucciderlo; cause che del
resto sono quasi sempre fatalmente accoppiate. Muoiono infatti i
popoli quando manca alle loro classi dirigenti la capacità di riorga-
nizzarsi secondo i bisogni dei tempi e di attingere negli strati più bassi
e profondi della società elementi nuovi che le rinsanguino, e, come
abbiamo già accennato, sono pure destinati a morire i popoli, quando
vengono meno in essi quelle forze morali che li tenevano uniti e
facevano si che una quantità importante di sforzi individuali potesse
essere riunita, disciplinata e diretta verso scopi d'interesse collet-
tivo (1). In altre parole, la vecchiaia, che è prodromo della morte, si
aggrava sugli organismi politici in seno ai quali perdono ogni pre-
stigio, senza che esse siano sostituite, quelle idee e quei sentimenti
che li rendono capaci dello sforzo collettivo necessario a mante-
nere intatta la propria personalità.
E ciò spiega quel cieco attaccamento alla tradizione, ai costumi
ed agli esempi degli antenati, che costituiva il fondo delle reli-
gioni e della mentalità politica di tutte le grandi nazioni dell'an-
tichità, a cominciare dalle vecchie civiltà della Mesopotamia e
dell'Egitto venendo fino a Roma; attaccamento che si è mantenuto
fortissimo, fino a qualche generazione fa, nel Giappone e nella
China, e che, malgrado le apparenze contrarie, non è del tutto
ignoto alle moderne nazioni di civiltà europea, e specialmente a
quelle di razza anglo-sassone. Pare che l'anima nazionale istinti-
(1) Vedi in proposito quanto è detto nel Capitolo III della seconda parte
di questo lavoro a pagine 375 e 376.
470 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
vamente senta che per non morire dove restare fedele a certi prin-
cipi, a certe idee fondamentali e caratteristiche, che impregnano
tutti gli atomi dalla unione dei quali è formata, e che solo a questa
condizione essa può conservare la propria personalità e mantenere
intatto il proprio edificio sociale, facendo si che ogni pietra che
lo compone non perda il cemento che la unisce a tutte le altre (1).
Disgraziatamente, o fortunatamente, il culto del passato, quando
è eccessivo ed esclusivo, ha per conseguenza necessaria la immo-
bilità, e perchè fosse permesso ad una nazione di restare impune-
mente immobile bisognerebbe che non si muovessero tutte le altre;
la China ed il Giappone che, durante i secoli decimosettimo, de-
eimottavo e parte del decimonono, hanno cercato di adagiarsi
nell'immobilità, pur non essendovi completamente riusciti, hanno
poi dovuto subire dei bruschi risvegli (2). Ed è ovvio che ciò sia
avvenuto, perchè l'immobilità completa è in una società umana
artificiale, mentre il cambiamento continuo nelle idee, nei senti-
menti e nei costumi, il quale non può non avere il suo contrac-
colpo nella organizzazione politica, è naturale. Per impedirlo bi-
sognerebbe distruggere gli effetti dello spirito d'osservazione e
d'indagine, dell'allargarsi delle cognizioni, della maggiore espe-
rienza, che rendono inevitabili il maturarsi di una mentalità nuova
e l'affermarsi di nuovi sentimenti, i quali necessariamente corrodono
la fede negli insegnamenti dei maggiori e nei concetti tradizio-
nali, che formavano la base dell'edificio politico.
(1) Il fatto storico che più ha contribuito a modificare quel complesso di
sentimenti e di credenze, che erano speciali ad ogni nazione, è stato il sorgere
ed il diffondersi delle religioni mondiali, che mirano ad abbracciare tutta l'uma-
nità ed a fonderla in una universale fratellanza ed imprimono nei loro seguaci
uno speciale stampo intellettuale e morale. Difatti ad ognuna delle tre grandi
religioni mondiali, cioè al Buddismo, al Cristianesimo ed all'Islamismo corri-
spondono tre speciali tipi di civiltà; ciò che costituisce un altro argomento
contro il materialismo storico.
(2) La China cercò di sottrarsi alle influenze europee e di restare quindi in
una immobilità relativa quando l'imperatore Yung-Cheng, che regnò dal 1723
al 1735, cacciò i missionari. Il Giappone l'aveva preceduto su questa via, perchè
fin dal 1639 un editto dello Shogun Yemitsu avea, con pochissime eccezioni
e con severissime pene, proibito ogni commercio con gli stranieri. La China,
come si sa, dovette cominciare ad aprire i suoi porti dopo la guerra detta
dell'oppio, che ebbe coll'lnghilterra e che scoppiò nel 1839, ed il Giappone
dopo che la squadra del commodoro americano Parry approdò sulle sue coste
nel 1853.
PARTE II. GAP. V - SCHIAP.IMKNri E POLEMICHE 471
Un Grreco, ad esempio, contemporaneo di Platone e di Aristotile,
assai diffìcilmente potea credere negli Dei, quali li concepiva l'in-
fantile antropomorfismo omerico, e molto meno ammettere che
essi fossero soliti di aiutare coi loro consigli e la loro assistenza
quei capi ereditari delle città, che il sommo poeta della Grecia
soleva chiamare pastori di popoli; come un francese contemporaneo
di Voltaire assai diffìcilmente si sarebbe persuaso che Luigi XV
avesse avuto da Dio il mandato di governare la Francia; e come
oggi un Chinese od un Giapponese, che abbiano frequentato una
Università europea od americana, stentano a conservare la con-
vinzione che nei libri di Confucio sia contenuta la più perfetta e
completa espressione della saggezza umana.
Così stando le cose, risulta evidente che l'unico metodo per evi-
tare ciò che si chiama la morte di uno Stato o di una grande
nazione, ossia uno di quei periodi di crisi acuta che talvolta pro-
ducono 0 rendono possibile la sparizione di un tipo di civiltà e
sono causa di sofferenze inenarrabili per le generazioni che vi
assistono, come fu ad esempio quella che determinò e che segui
la caduta dell'impero romano d'Occidente, e come è quella che
oggi travaglia la Russia, consiste nella lenta ma continua modi-
ficazione della classe dirigente e nella lenta e continua assimila-
zione di nuovi elementi di coesione morale, che gradatamente si
vanno sostituendo ai vecchi. Forse anche in questo caso la giusta
contemperanza fra due tendenze naturali diverse e contrarie, la
conservatrice cioè e la innovatrice, finisce col dare i risultati pra-
ticamente migliori. In altre parole quindi un organismo politico,
un popolo, una civiltà possono essere a rigor di termine immor-
tali^ purché sappiano continuamente trasform^arsi senza mai
dissolversi (1).
(1) Un esempio mirabilissimo di adattamento ai contatti necessari con i
popoli stranieri, senza rinunziare a quel complesso di tradizioni e di sentimenti
speciali che costituiscono il nocciolo dell'anima nazionale, ci è stato dato negli
ultimi cinquanta o sessanta anni dal Giappone, che ha saputo trasformarsi
radicalmente senza dissolversi. Non sarà superfluo ricordare che esso è stato,
dura,nte il periodo accennato, sempre di fatto governato da una ristretta ari-
stocrazia, che comprendeva gli uomini più intelligenti del paese, e che non è
escluso il pericolo che, mano mano che certi altri concetti europei penetre-
ranno negli strati inferiori della popolazione, potrà anche colà sorgere uno
di quei contrasti insanabili fra la mentalità vecchia e la nuova, che preparano
le crisi alle quali abbiamo accennato.
472 ■LmiBVTI DI 80IINZA POLITIOA
E se la morte dei popoli, lo sfasciamento completo degli organi
politici, le crisi sociali durature e violente, che interrompono il
corso della civiltà e ricacciano l'uomo verso la bestialità, fossero
a rigore evitabili, il sorgere e l'affermarsi di una vera scienza
politica potrebbe certamente molto contribuire ad evitarle.
Noi crediamo che nel passato più d'una delle crisi accennata
sia stata alle volte notevolmente ritardata dal semplice empirismo
politico, purché non sviato da false dottrine ed illuminato dal
lampo del genio (1). Ci sembra evidente che opera assai più effi-
cace si potrà svolgere mercè la conoscenza esatta delle leggi che
regolano la natura sociale dell'uomo ; la quale conoscenza se non
altro insegnerebbe a distinguere ciò che può avvenire da ciò che
non può e non potrà mai avvenire, evitando cosi che molti intenti
generosi e molte buone volontà si disperdano improfìcuamente, ed
anche dannosamente, nel volere conseguire gradi di perfezione
sociale che sono irraggiungibili, e renderà inoltre possibile di
applicare alla vita politica lo stesso metodo che la mente umana
mette in pratica quando vuole padroneggiare le altre forze natu-
rali. Metodo che consiste precisamente nel comprenderne il mec-
canismo mediante un'attenta osservazione e nel saperne dirigere
l'azione senza mai brutalmente violentarle (2).
Abbiamo già accennato come sia nostra opinione che il secolo
decimonono ed i primi decenni di quello presente abbiano già
elaborato, mercè i progressi delle indagini storiche e quelli delle
scienze sociali descrittive, tale quantità di dati, di fatti accertati,
(1) Noi crediamo, ad esempio, che Augusto, Traiano e forse anche Diocle-
ziano abbiano notevolmente ritardata la dissoluzione dell'impero romano d'Oc-
cidente e che la Francia non si sarebbe così bene e così prontamente riorga-
nizzata, dopo la grande rivoluzione, se non avesse avuto alla sua testa Napoleone
Buonaparte. Bisogna tener presente che qualche volta il ritardare una grande
crisi può equivalere ad evitarla per un tempo molto lungo. La civiltà bizan-
tina, ad esempio, dopo che ebbe superato la crisi del quinto secolo, che trascinò
con se l'impero romano d'Occidente, potè vivere ancora per quasi altri dieci
secoli.
(2) Sarebbe un violentare le leggi naturali il seminare, ad esempio, nel-
l'emisfero boreale, il grano in luglio per mieterlo in gennaio. Basta un po' di
riflessione per comprendere che l'uomo, in qualunque ramo della sua attività,
ha potuto domare la natura solo usando il metodo che abbiamo accennato, e
che lo stesso metodo deve usare se vuole correggere gli efifetti della propria
natura politica.
PABTB II. GAP. V - SCHIARIMENTI E POLEMICHE 473
di materiale scientifico da rendere possibile alla generazione pre-
sente ed a quelle immediatamente successive ciò clie è stato im-
possibile alle passate, cioè la creazione di una vera politica scien-
tifica. Ma è assai difficile precisare quando essa potrà affermarsi
e sopratutto quando potrà diventare un fattore attivo capace d'in-
tegrare e modificare gli altri, che finora hanno determinato il corso
degli avvenimenti umani (1). Infatti, perchè un sistema d'idee
possa diventare una forza politica attiva bisogna che esso plasmi
la coscienza della maggioranza almeno della classe dirigente, e che
diventi preponderante nel determinare il suo modo di pensare e
quindi di sentire; or le idee veramente scientifiche sono a ciò le
meno adatte, perchè sono le meno adattabili^ e quindi poco o
nulla si prestano all'eccitamento delle passioni del giorno ed alla
soddisfazione immediata degli interessi del momento.
(1) Degli altri fattori abbiamo fatto cenno nella prima parte di questo lavoro
dove è detto che " un osservatore calmo e spassionato, studiando la storia,
vede subito che i fatti che hanno importanza sociale sono determinati in parte
da passioni, istinti e pregiudizi, quasi sempre incoscienti e che quasi mai si
rendono conto dei risultati pratici che avrà la loro azione, in parte da inte-
ressi, che hanno ordinariamente un obbiettivo immediato, ed in parte final-
mente da ciò che gli uomini chiamano il caso fortuito , (Vedi Parte prima.
Capitolo X, paragrafo XIV, nella nota in fine del paragrafo).
CAPITOLO VI.
Conclusione.
I. Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo decimonono. — IL Pro-
gramma politico del detto secolo. — III. Risaltati pratici dell'esecuzione
di questo programma. — IV. Germi di dissoluzione politica che esso con-
teneva e contiene. — V. Pericoli e danni che presentano le tre soluzioni
radicali possibili della crisi che ora traversa il regime rappresentativo. —
VI. Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi pivi adatti
per effettuarla.
I. — Un'epoca spesso viene indicata mediante il secolo che
ad essa corrisponde, perchè generalmente cento anni sono uno
spazio di tempo sufficiente per modificare sensibilmente la men-
talità, i costumi e le istituzioni di un popolo o di una civiltà.
Però, volendo precisare l'anno nel quale questi cambiamenti rie-
scono più sensibili e nel quale è possibile stabilire che un'epoca finisce
ed un'altra comincia, difficilmente accade che fra l'epoca ed il
secolo vi sia una corrispondenza perfetta, anche perchè spesso vi
sono dei periodi di transazione, più o meno laboriosi, e qualche
volta accompagnati da crisi violente, fra la fine di un periodo
storico e l'inizio di un altro.
Così, ad esempio, ci sembra che, volendo stabilire il momento
preciso in cui terminò l'epoca che corrisponde al secolo decimot-
tavo, l'anno più indicato sarebbe il celebre 1789 e non già il 1800;
e, se la stessa indagine vogliamo fare sul periodo successivo, pare
che si possa stabilire che una nuova èra si iniziò nell'anno 1815
e che terminò precisamente quasi cento anni dopo nel 1914. Lo
spazio di ventisei anni, che corre fra il 1789 ed il 1815, corrispon-
PABTB II. GAP. VI - CONOLUSIONB 475
derebbe ad una di quelle parentesi contrassegnato da crisi violente
elle spesso, ma non sempre, accompagnano le grandi trasforma-
zioni delle società umane (1).
Volendo quindi esaminare quale sia stata in Europa l'opera po-
litica del secolo decimonono, bisogna evidentemente studiare gli
avvenimenti compresi fra il 1815 ed il 1914, anno che forse po-
trebbe corrispondere all'apertura di una nuova parentesi, che si
dovrebbe poi chiudere coll'inizio di un'epoca nuova, che prende-
rebbe il nome dal secolo ventesimo. Or, trovandoci in un mo-
mento storico, che potrebbe essere decisivo per l' avvenire della
nostra civiltà, sarebbe forse opportuno che la generazione pre-
sente, e sopratutto la parte più giovine di essa, prima di agire
si raccogliesse per qualche ora in se stessa per fare ciò che la
Chiesa chiama un esame di coscienza. E se i viventi di oggi, e
sopratutto i giovani, a quest'esame non volessero assoggettarsi,
attribuendo ogni eventuale peccato alle tre generazioni che li
hanno preceduto, siccome essi ad ogni modo hanno dai loro padri
ricevuto un'eredità alla quale non possono rinunziare, sarebbe
molto utile che almeno ne facessero l'inventario.
II. — Come si sa, durante il secolo decimonono i popoli di
civiltà europea si sforzarono di attuare in politica il programma
idealmente tracciato dal secolo precedente, programma che si può
riassumere in tre concetti fondamentali, che vennero espressi con
tre magiche parole: libertà, uguaglianza e fratellanza.
Abbiamo già visto come il concetto di libertà, nel senso che alla
parola viene dato nella vita politica, gli Europei moderni l'ab-
biano ereditato dai Grreci e dai Romani antichi. Confusamente ed
(1) Il concetto che fra il secolo decimottavo ed il decimonono ci sia stata
quasi una parentesi, ossia un periodo intermedio di crisi, si trova già espresso
nei famosi versi manzoniani del Cinque maggio, nei quali, come b noto, il poeta,
accennando all'opera d'i Napoleone, canta:
Ei si nomò : due secoli
L'un contro l'altro armato
Sommesfii a lui si volsero
Come aspettando il Fato.
Ei fé' silenzio: ed arbitro
S'assise in mezzo a lor.
476 BLBMENTI DI SCIENZA POLITICA
imperfettaiaente inteso nel Medio Evo, ed in modo assai più chiaro
e preciso dopo il Rinascimento, questo concetto fu popolarizzato
ed interpretato conformemente alle condizioni della società del
secolo XVIU da Rousseau e da altri scrittori a lui contempo-
ranei (1). Però, siccome era impossibile la trasformazione dello
Stato assoluto burocratico, che vigeva nel secolo decimottavo, in
uno Stato- città come erano state Atene, Sparta ed anche Roma
all'epoca di Fabrizio e di Attilio Regolo, il concetto ereditato
dagli antichi dovette subire un ulteriore adattamento e si cercò
di attuarlo prendendo come modello quel tipo di organizzazione
politica, che già nel secolo decimottavo funzionava in Inghilterra
ed i cui vantaggi erano stati assai bene illustrati da un altro ce-
lebre scrittore, ossia da Montesquieu.
Quindi invece delle Assemblee della Grecia classica e dei Co-
mizi di Roma, nei quali tutti i cittadini potevano intervenire e
si approvavano le leggi e si eleggevano i titolari di quasi tutte
le cariche pubbliche, si ebbero dei Parlamenti, quasi sempre di
due Camere, con preponderanza morale più che legale di quella
che più direttamente proveniva dal suffragio popolare, alle quali
furono affidati il potere legislativo, l'approvazione delle imposte
e delle spese ed un controllo generale su tutta l'amministrazione
dello Stato. Inoltre, allontanandosi anche qui dagli esempi della
classica antichità, non si estese l'applicazione del sistema elettivo
ne all'organizzazione amministrativa dello Stato, né, in generale,
a quella giudiziaria. L'importanza delle mansioni, che già sulla
fine del secolo decimottavo l'organismo statale europeo esercitava,
e la tecnicità quasi sempre indispensabile per l'esercizio di queste
funzioni resero necessario che esse continuassero ad essere affi-
date, anziché a funzionari elettivi e temporanei, come era avve-
nuto nell'antico Stato-città, ad impiegati stabili e di carriera; re-
clutati generalmente in seguito a concorsi o scelti liberamente da
coloro che stavano ai sommi gradi della loro gerarchia (2).
(1) Le diverse fasi storielle del concetto di sovranità popolare, che spesso si
identifica con quello di libertà politica, durante il Medio Evo e l'età moderna
fino alla Rivoluzione francese, sono state assai bene esposte nell'opera di
Emilio Cbosa, Sulla sovranità popolare. Bocca, editore, Torino, 1915.
(2) Quest'ultimo sistema prevale in America, dove è noto che la burocrazia
non gode di quelle guarentigie di stabilità che ha conseguito in quasi tutti
PABTB II. GAP. VI - CONCLUSIONE 477
Quindi l'impalcatura burocratica degli antichi regimi assoluti,
lungi dall'essere soppressa, venne mano mano sempre più svilup-
pandosi ed affermandosi per le nuove mansioni che durante il
secolo decimonono veniva assumendo lo Stato, ed essa in fondo
venne a costituire due dei poteri fondamentali dei moderni re-
gimi politici, cioè il potere esecutivo ed il giudiziario. Parvero
provvedimenti sufficienti a temperarne le esorbitanze l'affidare,
come abbiamo ricordato, ai Parlamenti il controllo delle entrate
e delle spese ed il diritto di sindacare tutta l'amministrazione
dello Stato e, nei paesi retti a governo parlamentare, il preporre
ai diversi rami della macchina burocratica dei capi scelti a prefe-
renza fra i membri della Camera elettiva e perciò indirettamente
provenienti dall'elezione popolare.
In quasi tutti i paesi di civiltà europea gli ordinamenti militari
sono stati poi quella parte dell'organizzazione dello Stato che,
pure enormemente sviluppandosi e notevolmente modificandosi,
ha conservato a preferenza, durante il moderno regime rappresen-
tativo, quella fisonomia che ad essa avevano impresso gli antichi
regimi assoluti.
Infatti si è a dir vero quasi dappertutto adottato il servizio mi-
litare obbligatoria esteso a tutte le classi dei cittadini, in maniera
che ora è possibile in caso di guerra di mobilizzare tutta la po-
polazione valida di un paese, e si sono aboliti i privilegi che con-
ferivano all'antica nobiltà il monopolio dei gradi superiori della
milizia, sebbene traccie dei privilegi cennati siano rimaste in alcuni
eserciti europei fino a tempi molto recenti (1). Ma la forza armata
gli Stati d'Europa, ma essa viene in generale licenziata e sostituita da ele-
menti nuovi quando cambia il partito che è al potere. Il sistema americano
anche nel nuovo mondo, insieme a qualche vantaggio, presenta molti incon-
venienti" e non si potrebbe adottare in Europa, perchè da noi si richiede dal
pubblico impiegato una preparazione maggiore e non è relativamente facile,
come in America, di procacciarsi una nuova occupazione quando si è perduta
quella che già si aveva.
(1) Ricordiamo in proposito che nell'esercito inglese la compera dei gradi,
grazie alla quale l'ufficialità era quasi tutta reclutata fra le classi più ricche,
fu abolita soltanto nel 1871 e che in Germania fino al 1914 alcuni reggimenti
non ammettevano nelle loro file ufficiali che non fossero nobili e che colà
fino allo scoppiare della grande guerra gli Israeliti non potevano di fatto
diventare ufficiali.
478 BLIMENTI DI SCIENZA POLITICA
conservò un ordinamento strettamente autocratico, perchè l'avan-
zamento nella carriera militare restò sempre esclusivamente di-
pendente dal criterio di coloro che occupano i gradi superiori, e
perchè sopratutto si mantenne, più o meno rigorosamente, ma
sempre abbastanza notevole, l'antica distinzione fra gli ufficiali e
gli uomini di truppa. I primi generalmente militari di professione
e provenienti dalle classi alte e medie, e quindi per la loro origine
e per la loro istruzione ed educazione ad esse legati; i secondi
quasi sempre reclutati mercè il servizio militare obbligatorio e
che hanno perciò in grande maggioranza la mentalità ed i sen-
timenti degli operai e dei contadini.
Questa distinzione, che è la base della disciplina e dell'organiz-
zazione militare, unita alla maggiore cultura generale e militare
degli ufficiali, fa si che gli uomini di truppa diventino ordinaria-
mente uno strumento sicuro nelle loro mani. Ed è sopratutto
mercè di essa che la moderna società europea ha potuto raggiun-
gere il risultato mirabile di affidare le armi ai proletari senza
che questi se ne potessero servire come mezzo di dominio. Ed è
sempre grazie alla distinzione stessa che l'esercito è rimasto quasi
dappertutto una forza conservatrice, un elemento di ordine e di
stabilità sociale (1).
Ma il concetto di libertà politica non si è, nella moderna Eu-
ropa, ed in generale in tutti i paesi di civiltà europea, attuato
soltanto coll'istituzione dei regimi rappresentativi, ma quasi dap-
pertutto esso è stato più o meno completato mercè una serie di
(1) La borghesia europea non ha in generale piena coscienza della impor-
tanza politica dei moderni ordinamenti militari e perciò in qualche paese eu-
ropeo non vedrebbe con soverchio allarme che essi fossero radicalmente mo-
dificati, abbreviando moltissimo la durata del servizio militare e sostituendolo
con la cosidetta educazione premilitare. Durante l' ultima grande guerra
alle volte si abusò talmente delle forze fisiche e morali dell'uomo che, in
quasi tutti gli eserciti europei, vi furono momenti durante i quali la disciplina
s'indebolì e l'organizzazione militare presentò gravi sintomi di dissoluzione.
Si sa poi che la stoltissima borghesia russa, appena scoppiata la prima rivo-
luzione, col famoso prikaz numero uno, mediante il quale si toglieva agli uffi-
ciali ogni autorità sui soldati, si affrettò a distruggere il proprio esercito. In
seguito il governo bolscevico ha con molta sapienza creato il suo esercito,
organizzandolo con ferrea disciplina, e si sforza ora in tutte le maniere di
costituire un corpo di ufficiali che, per educazione ed interessi, sia legato agli
attuali dominatori della Russia.
PAKTE II. GAP. VI - OONOLUSIONE 479
istituzioni, che assicurano agli individui ed alle coalizioni di indi-
vidui parecchie efficaci guarentigie di fronte ai detentori dei pub-
blici poteri. Nei paesi perciò che a buon diritto sono stati finora
reputati liberi noi troviamo che le proprietà private non possono
essere arbitrariamente violate, che un cittadino non può essere ar-
restato e condannato se non mercè l'osservanza di norme determi-
nate, che ognuno può seguire la religione che crede migliore senza
menomazione dei suoi diritti civili e politici, che la stampa non può
essere soggetta a censura preventiva e che essa può liberamente
discutere e criticare gli atti dei governanti; che i cittadini infine,
seguendo certe norme, possono riunirsi per prendere deliberazioni
d'indole politica e che essi possono pure associarsi allo scopo di
raggiungere fini morali, politici o professionali.
Queste ed altre simili libertà, che possono essere considerate
come delle vere autolimitazioni che lo Stato mette ai suoi poteri
sovrani nei suoi rapporti con i singoli cittadini, sono in buona
parte una imitazione di leggi che l'Inghilterra aveva adottato
alla fine del secolo decimosettimo, dopo la sua seconda rivoluzione,
od anche in epoca posteriore, e costituiscono un complemento ne-
cessario del regime rappresentativo; che assai male potrebbe fun-
zionare se ogni libera attività politica degli individui fosse sop-
pressa e se essi non fossero tutelati abbastanza contro l'azione
arbitraria del potere esecutivo e del giudiziario. Nello stesso tempo
queste libertà trovano la loro massima guarentigia nell'esistenza
del regime rappresentativo, il quale fa sì che il potere legisla-
tivo, che solo avrebbe il diritto di toglierle o restringerle, sia
l'emanazione di quelle stesse forze politiche che hanno interesse
a conservarle (1).
Assai più diffìcile, perchè contraria alla natura delle cose, e
quindi meno reale e concreta, è stata l'attuazione del concetto di
uguaglianza.
Naturalmente furono aboliti, poiché alla borghesia stessa inte-
ressava di abolirli, quei privilegi di classe che ancora sussistevano
alla fine del secolo decimottavo, e tutti i cittadini furono solen-
nemente proclamati uguali davanti alla legge, ma non si pote-
(1) Vedi in proposito Mosca, Appunti di diritto costituzionale, Terza edizione.
Milano, Società editrice libraria, 1921, al § 17, pagg. 152 e segg.
480 ELEMBNTl DI SCIENZA POLITICA
rono abolire gli effetti delle disuguaglianze naturali e neanche
di quelle per dir cosi artificiali, che sono una consej^uenza del-
l'eredità familiare, come sarebbero le differenze di ricchezza, di
educazione e di cultura.
Anzi mentre l'uguaglianza, che dovrebbe portare come conse-
guenza necessaria la sparizione delle classi sociali, veniva ufficial-
mente proclamata, giammai forse la distanza fra la mentalità, il
modo di sentire e perfino le inclinazioni delle varie classi sociali
è stata più accentuata di quanto lo sia nella società europea del
secolo ventesimo e giammai forse esse si sono meno scambievol-
mente comprese. Ciò che non è esclusivamente dovuto alla dis-
uguaglianza delle ricchezze, perchè quasi sempre l'intelletto e la
psicologia di un piccolo borghese, che abbia potuto ottenere una
laurea od anche un diploma d'istituto secondario, si accosta più
a quella di un milionario anziché a quella di un operaio, sebbene
economicamente il piccolo borghese sia senza dubbio più vicino a
quest'ultimo anziché al milionario. Ma piuttosto è un effetto del
progresso della cultura e di ciò che dicesi la civiltà, la quale fa
sì che coloro che si dedicano ai lavori intellettuali, e qualche volta
anche agli ozi raffinati, sempre più si debbano necessariamente
differenziare da quegli strati sociali che sono adatti e dedicati
esclusivamente ai lavori manuali.
Come guarentigia e prova tangibile dell'uguaglianza, durante
il secolo decimonono e nei primi decenni del ventesimo, la bor-
ghesia europea ed americana ha concesso a tutti i cittadini, com-
presi gli analfabeti, che in alcuni paesi formano ancora una parte
notevole della popolazione, il suffragio universale, ossia il diritto
di partecipare in misura uguale alla elezione dei membri della
Camera elettiva. Come abbiamo già accennato, questa concessione
fu sopratutto una conseguenza delle dottrine politiche prevalenti
nelle classi dirigenti, dottrine che facevano parte dell'eredità in-
tellettuale che il secolo decimottavo aveva trasmesso al decimo-
nono ed in base alle quali unico governo legittimo veniva consi-
derato quello basato sulla sovranità popolare, intesa come sovranità
della maggioranza numerica dei membri del consorzio sociale.
Sicché la largizione del voto a tutti i cittadini maggiorenni di-
ventò un atto indispensabile affinché la minoranza, che realmente
avea in mano la direzione politica, potesse evitare la taccia d'in-
coerenza e potesse mettere in pace la propria coscienza.
PARTE li. GAP. VI - CONCLUSIONE 481
Ma, fin dall'epoca di Aristotile, quando ancora la maggioranza
dei lavoratori manuali era esclusa dalla cittadinanza e quindi dal
suffragio, era stata rilevata la difficoltà di conciliare l'ugua-
glianza politica, che dava la preponderanza ai poveri sui ricchi,
colla disuguaglianza economica. Non è quindi da maravigliare
che precisamente davanti la stessa difficoltà si siano trovate, dopo
la concessione del suffragio universale, le classi dirigenti europee
ed americane. Se esse prima della grande guerra poterono con
relativa facilità affrontarla e fino ad un certo punto superarla,
ciò fu dovuto in parte alla impreparazione politica delle classi
popolari, che in molti paesi si sono lasciate in principio agevol-
mente regimentare entro i quadri dei partiti borghesi, in parte
alla grande forza di resistenza dei moderni organismi statali e
finalmente, in parte forse maggiore delle altre, alla grande prospe-
rità economica, che fu una delle caratteristiche più spiccate della
seconda metà del secolo decimonono e che si accentuò fortemente
durante gli ultimi venti o trent'anni anteriori al 1914. Prosperità
la quale rese in molti paesi possibile di fare notevoli concessioni
d'indole economica alle classi più numerose senza impedire l'au-
mento dei risparmi privati, senza soverchiamente intaccare l'in-
violabilità della proprietà privata e senza imporre carichi insop-
portabili alle grandi ed alle medie fortune (1).
Anche più vacua, più priva di contenuto dell'attuazione della
uguaglianza dovea infine riuscire quella della fratellanza.
(1) La migliore e la più gradita delle concessioni accennate fu il grande
miglioramento dei salari effettivi reso possibile, sopratutto negli ultimi de-
cenni anteriori al 1914, dalla maggiore produttività dell'industria e dell'agri-
coltura. A dir vero, questo miglioramento ha potuto servire anche agli agita-
tori, che si sono vantati di averlo strappato alla borghesia, mercè l'organizzazione
dei lavoratori manuali e l'azione dei loro rappresentanti in Parlamento, nella
quale affermazione, come sanno tutti gli economisti, vi è un poco di vero e
molto di falso; ma certamente le migliorate condizioni economiche hanno reso
in complesso le classi lavoratrici meno proclivi alle azioni disperate e vio-
lenti. Le altre concessioni alle quali abbiamo accennato concernono la limita-
zione delle ore di lavoro, specialmente per quel che riguarda il lavoro delle
donne e dei fanciulli, e le assicurazioni per la vecchiaia, le malattie, la dis-
occupazione e gli infortunii sul lavoro. Queati provvedimenti sono tutti accet-
tabili quando non sono troppo esagerati e quando l'industria, l'agricoltura e la
finanza pubblica hanno la capacicà di sopportarne il carico; benché quasi
sempre servano a giustificare la creazione di una numerosa burocrazia ingom-
brante e fastidiosa.
G. Mosca, Elemenli di Scienza PolUica. 81
482 BLEMBNTI DI 8CIBMZA POLITICA
La fratellanza, ossia l'amore reciproco fra tutti gli individui
umani, era stata già proclamata e i)redicata, prima che dai filosofi
dei secoli decimottavo e decimonono, da un certo numero di pensa-
tori delFantichità, che però credevano in generale che essa dovesse
essere a preferenza praticata fra i membri dello stesso popolo o
della stessa città. Non mancarono però, in una delle epoche di mag-
giore cultura che abbia avuto la classica antichità, degli scrittori
che, come Seneca, insegnarono che essa doveva essere estesa a
tutta l'umanità, ma in generale restarono poco ascoltati. L'amore
reciproco universale entrò anche nei programmi delle tre grandi
religioni mondiali, ossia del Buddismo, del Cristianesimo e del
Maomettismo ; ma in tutte e tre furono poi a preferenza riguar-
dati come fratelli coloro che seguivano la stessa fede ed anche
fra compagni di fede la fratellanza fu in pratica tutt'altro che
perfetta. Perchè essa possa diventare una realtà occorrerebbe
infatti che nell'uomo, pur non tenendo conto degli inevitabili con-
flitti d'interessi e delle gare indispensabili per arrivare alla pre-
minenza sociale, restasse solo il bisogno di amare e si estinguesse
quello di odiare il proprio simile ; sia esso vicino o lontano, parli
o no la stessa lingua e segua o no la stessa religione o le stesse
dottrine politiche. E disgraziatamente il cennato bisogno finora
non sembra prossimo ad estinguersi (1).
Date queste condizioni della psiche umana, riesce perfettamente
spiegabile che il senso della fratellanza universale, anche nel se-
colo decimonono e negli inizii del ventesimo, sia rimasto e rimanga
molto fiacco. Tanto più che le delusioni sofferte per la mancata
attuazione dell'uguaglianza dovevano e debbono contribuire ad
indebolirlo, acuendo la natui-ale rivalità fra i ricchi ed i poveri,
i potenti e gli impotenti, i felici e gli infelici. Mentre il grossolano
materialismo prevalente fino a pochi anni fa, e contro il quale
solo da poco tempo e fra le classi più colte è sorta una certa
reazione, rinfocolando le aspirazioni verso i beni terrestri e to-
gliendo ogni consolazione ai vinti della vita, necessariamente
fomentava sempre più l'odio, non già l'amore, fra i popoli, fra le
classi e fra i singoli individui.
(1) Vedi in proposito quaaito abbiamo scritto nella prima parte di questo
lavoro al Capitolo VII nei paragrafi dal primo al sesto.
PARTE II. OAP. VI - CONCLUSIONE 483
m. — Ciò nondimeno noi crediamo che, quando i nostri lon-
tani nepoti potranno giudicare spassionatamente l'opera dei loro
antenati, dovranno riconoscere che l'epoca, che sarà appellata nella
storia col nome del secolo decimonono, è stata una delle più grandi
e magnifiche fra tutte quelle che l'umanità ha attraversato.
Difatti durante essa il pensiero umano, non più limitato e co-
stretto entro confini che non poteva violare, sia nel campo delle
scienze naturali che in quello delle scienze storiche e sociali, ha
ottenuto risultati che hanno di molto superato il patrimonio intel-
lettuale che le civiltà del passato ci avevano tramandato. Griammai,
come negli ultimi cento o centoventi anni, l'uomo ha avuto a sua
disposizione tanti potenti e nuovi strumenti di osservazione e tanta
copia di esatte informazioni sui fenomeni naturali e su quelli so-
ciali, e giammai quindi ha potuto rendersi e si è reso un conto
così esatto e minuto delle leggi che governano il mondo in cui
vive e di quelle che regolano i suoi stessi istinti e le sue stesse
azioni ed ha potuto meglio conoscere l'universo di cui fa parte e
se stesso.
E gli effetti dell'applicazione delle cognizioni accennate ai pro-
gressi della vita materiale sono troppo noti e troppo sono stati
celebrati perchè sia necessario di ricordarli. Tutti sanno infatti
che oggi, con lo stesso sforzo, il lavoro umano può raggiungere un
risultato che alle volte è decuplo di quello di cento anni fa, e che
il progresso dei mezzi di comunicazione e della tecnica agraria
ed industriale hanno reso possibile lo scambio di prodotti, di ser-
vizi e di cognizioni fra paesi remoti, e che tutto ciò ha prodotto
un'agiatezza, proporzionatamente diffusa fra tutte le classi sociali,
che mai nel passato era stata raggiunta.
A tutti questi risultati scientifici ed economici deve avere neces-
sariamente contribuito il regime politico, ma, anche limitando ad
esso la nostra indagine, dobbiamo riconoscere le grandi beneme-
renze, che, attraverso le illusioni che lo hanno guidato, costituiscono
e costituiranno il merito imperituro del secolo decimonono. — Certo
che quel governo della maggioranza e quella uguaglianza politica
assoluta, che il secolo avea scritto nella sua bandiera, non furono
attuate perchè non potevano diventare una realtà, e che lo stesso si
può dire della fratellanza; ma le file delle classi dirigenti sono ri-
maste aperte, le barriere che impedivano agli individui delle classi
più umili di entrarvi sono state tolte od almeno abbassate e la tras-
484 KLBHEMTI DI BUIENZA POLITICA
formazione dell'antico Stato assoluto nel moderno Stato rajjpresen-
tativo ha reso possibile a quasi tutte le forze politiche, ossia a
quasi tutti i valori sociali, di partecipare alla direzione politica
della società.
E bisogna inoltre ricordare che la trasformazione accennata ha
suddiviso la classe politica in due rami distinti: quello proveniente
dalle elezioni popolari e quello burocratico; e che ciò non ha sol-
tanto permesso di utilizzare meglio tutte le capacità individuali
ma ha reso possibile quella ripartizione delle funzioni sovrane,
ossia dei poteri dello Stato, che, dove le condizioni della società
sono tali da renderla effettiva, costituiscono il merito principale
dei regimi rappresentativi, quello per il quale essi hanno dato
risultati migliori di tutti quegli altri che hanno potuto finora essere
applicati a grandi organizzazioni politiche (1). Rousseau si propose
un fine irraggiungibile quando volle dimostrare che unica forma
di governo legittima è quella fondata sull'espresso consenso della
maggioranza dei consociati ; ma Montesquieu invece espose un
concetto molto più pratico e profondo quando sostenne che, affinchè
un popolo sia libero, cioè governato secondo la legge e non se-
condo l'arbitrio dei suoi reggitori, bisogna che abbia una organiz-
zazione politica nella quale il potere arresti e limiti il potere e
non vi sia perciò nessun individuo e nessuna assemblea che abbiano
nello stesso tempo la facoltà di faro la legge e quella di appli-
carla. E, per completare questa dottrina, basta tener presente che
l'azione di un organo politico può essere efficace solo quando esso
rappresenta una frazione della classe politica diversa da quella
rappresentata dall'altro organo che deve esser limitato e con-
trollato.
Se poi facciamo il debito conto delle libertà individuali, che
difendono il cittadino contro la possibile azione arbitraria di tutti
i poteri dello Stato, e sopratutto della libertà della stampa, che,
insieme a quella delle discussioni parlamentari, può richiamare
l'attenzione del pubblico su tutti i possibili abusi dei governanti,
(1) Abbiamo già replicatamente accennato che le condizioni sociali neces-
sarie per il retto funzionamento del regime rappresentativo consistono nel
l'esistenza di una numerosa classe media la quale, restando al di fuori della
burocrazia, ha la capacità e l'indipendenza economica indispensabili per real-
mente partecipare all'esercizio dei pubblici poteri.
PARTE II. GAP. VI - CONCLUSIONE 485
facilmente possiamo renderci ragione della grande superiorità dei
regimi rappresentativi. La quale ha permesso la costituzione di
una forma di Stato fortissima, che ha potuto incanalare verso fini
d'interesse collettivo una somma immensa di energie individuali
e nello stesso tempo non le ha schiacciate e soppresse; e ha
perciò lasciato ad esse una vitalità sufficiente per conseguire altri
grandi risultati, sopratutto nel campo scientifico e letterario ed in
quello economico. — Si può quindi con quasi sicurezza affermare
che, se durante l'epoca che ora accenna a tramontare, i popoli di
civiltà europea hanno potuto mantenere il loro primato nel mondo
ciò si deve in massima parte ai benefici effetti del loro regime
politico (1).
A dir vero, fin dal secolo decimottavo, quando vigeva ancora il
regime assoluto burocratico, si era già affermata la superiorità
militare ed amministrativa degli Stati europei su quelli di civiltà
asiatica. Difatti la Turchia dopo i due trattati di pace di Carlowitz
e di Passarowitz, che furono conchiusi nel 1699 e nel 1718, non
costituii'., più una minaccia permanente per l'Europa e, già nella
seconda metà del secolo decimottavo, la conquista inglese dell'India
era condotta a buon punto ; ma forse non fu effetto del caso se essa
avvenne per opera di quello Stato europeo che per il primo avea
adottato il regime rappresentativo. Ed è noto poi che la prevalenza
degli Stati europei su quelli asiatici si è sempre più affermata ed
è rimasta inconcussa per tutto il secolo decimonono fino al 1904,
quando il Giappone, avendo già adottato l'organizzazione militare
ed amministrativa europea, potè vincere la Russia. E naturale
che questa vittoria abbia fatto nascere la speranza di una pros-
sima riscossa nei popoli di civiltà asiatica, speranza che si è no-
tevolmente accresciuta dopo che l'ultima grande guerra ha esaurito
(1) Si potrebbe osservare che, se i regimi rappresentativi hanno potuto, du-
rante il secolo decimonono, regolarmente funzionare nella maggioranza dei
paesi che hanno abbracciato la civiltà europea, ciò è dovuto al fatto che nei
detti paesi le condizioni culturali ed economiche erano tali da permettere che
i cennati siatemi bene funzionassero. Sarebbe questo uno dei tanti casi nei
quali, come abbiamo già accennato, l'effetto diventa causa e la causa effetto ;
sicché, invece di parlare di effetti e di cause, sarebbe più esatto dire che si
tratta della collaborazione di vari fattori, nei quali l'azione dell'uno deve
essere necessariamente completata da quella dell'altro.
486 BLimifTI DI 60IEKZA POLITIOA
tanta parte dell'Europa ed ha messo in evidenza i lati deboli della
sua organizzazione.
Certamente, già prima del 1914, ad un osservatore sagace
non poteva sfuggire che il centro di gravità della civiltà europea
tendeva a spostarsi verso l'America, dove specialmente gli Stati
Uniti, il Canada, il Brasile e l'Argentina dispongono di vastissimi
territori e di grandi ricchezze naturali, ancora assai incompleta-
mente sfruttate, e potrebbero nell'avvenire sostentare una popola-
zione almeno quadrupla di quella odierna. Ma, fino alla vigilia della
grande guerra europea, questi paesi per sviluppare le loro ric-
chezze avevano ancora bisogno di capitali e di lavoratori che solo
l'Europa poteva loro fornire (1). Sicché il i^ericolo della loro pre-
valenza sul vecchio mondo potea ancora essere considerato come
non imminente, anche perchè parecchi Stati europei avevano già
iniziato a loro profitto la valorizzazione dell'Africa equatoriale
ed australe, dove sono pure grandi territori abitati da popolazioni
primitive, e quindi per un pezzo facilmente governabili, e sono
quindi suscettibili col tempo di fornire quelle materie prime delle
quali la sovrapopolata Europa ha indispensabile bisogno (2).
IV. — Come tutti i regimi politici, anche il regime rappre-
sentativo conteneva, durante l'epoca che corrisponde al secolo
decimonono, i germi che ne preparavano la lenta trasformazione
o la rapida dissoluzione. Abbiamo già detto nel capitolo prece-
dente come solo mediante la lenta e continua trasformazione dei
regimi politici si possono evitare quei periodi di rapida dissolu-
zione, che sono accompagnati da crisi violente apportatrici di inau-
dite sofferenze alle generazioni che le subiscono, e che quasi
sempre le fanno tornare indietro nel cammino della civiltà.
Il primo di questi germi è stato ed è senza dubbio la contrad-
(1) Veramente i lavoratori avrebbero potuto, e forse anche voluto, fornirli
anche la China, il Giappone e qualche altro paese asiatico; ma si sa ehe la
emigrazione gialla non si fonde in una o due generazioni con la popolazione
americana, come fa quella europea, e che ciò potrebbe nell'avvenire creare
un pericolo del quale gli Stati americani giustamente si preoccupano.
(2) Si potrebbe anche a questo proposito ricordare che fino ad oggi la cul-
tura artistica e scientifica di parecchi grandi paesi europei, sopratutto per
quel che riguarda le scienze storiche e sociali, è notevolmente superiore a quella
dell'America.
PARTE II. OAP. VI - CONCLUSIONE 487
dizione evidente fra uno dei fini principali che il secolo si era
proposto ed il risultato che aveva raggiunto. L'Europa, e sopra-
tutto l'Europa centrale ed occidentale, ha avuto finora una forma
di governo che assicurava abbastanza la libertà individuale, che
faceva sì che l'azione dei governanti fosse sufficientemente con-
trollata e moderata, che ha reso possibile lo sviluppo di una grande
prosperità materiale^ ma che, come abbiamo visto, non ha attuato
l'uguaglianza né dato alle maggioranze la direzione effettiva dei
vari paesi. Giacché le masse popolari tutto al più, al momento delle
elezioni, sono state lusingate con la promessa di qualche vantaggio
materiale, spesso più apparente che reale, e che, quando è stato
realmente concesso, spessissimo ha danneggiato gli interessi della
economia nazionale e quindi anche quelli delle classi più umili (1).
Date queste condizioni psicologiche e materiali della società
europea, non riesce difficile comprendere come in seno alla stessa
borghesia siasi costituito un fortissimo partito politico, in parte
formato d'idealisti ed in parte da ambiziosi, che aspirava ed aspira
a rendere reale l'uguaglianza e la partecipazione delle masse alla
direzione dello Stato, e come a questo partito abbiano aderito mol-
tissimi fra coloro che, nati nella classe dei lavoratori manuali,
sono riusciti ad acquistare una certa cultura. Ed é naturale che
questo partito sia arrivato subito alla conclusione che, senza l'abo-
lizione della proprietà privata, non poteano essere instaurate nel
mondo né una giustizia assoluta né una reale uguaglianza.
Piuttosto può sembrare a prima vista meno naturale che la bor-
ghesia europea abbia durante il secolo decimonono, e si può dire fino
al 1914, combattuto in generale assai mollemente e saltuariamente la
diffusione delle dottrine socialiste e l'organizzazione di quelle forze
politiche che queste dottrine aveano abbracciato. Ma ciò è avve-
nuto per una serie di motivi, fra i quali vanno compresi l'omaggio
a quei principii liberali, secondo i quali si dovrebbe affidare al
buon senso del pubblico lo sceverare la verità dall'errore, ciò che
(1) L'esempio più tipico di questo genere di concessioni è stata la conces-
sione del massimo di otto ore giornaliere di lavoro.; il quale limite, forse sop-
portabile in un paese molto ricco, riesce esiziale in un paese povero. La stol-
tezza e la codardia delle classi dirigenti di parecchi paesi europei fece loro
accettare questo limite all'indomani della grande guerra europea, quando i
popoli, oltremodo impoveriti, aveauo bisogno urgentissimo di intensificare il
lavoro e la produzione.
488 ELEMENTI DI SOIENZA POLITICA
è attuabile dall'inattuabile, e quel senso di vago ottimismo, che
durò quasi inalterato fino agli ultimi decenni del secolo scorso.
Il quale manteneva salda la fiducia nella ragionevolezza e nella
bontà umana, nella futura educazione delle masse popolari affidata
ai maestri di scuola, e facea comunemente ammettere come sicuro
che il mondo fosse incamminato verso un'era di concordia e di fe-
licità universale. E poi, diciamolo pure, la mentalità borghese è
stata fino a ieri impregnata di molti dei concetti che formano la
base intellettuale del socialismo; sicché la borghesia, prigioniera
dei propri pregiudizi, lo ha combattuto fino alla vigilia del 1914
con la mano destra legata e con la sinistra notevolmente impac-
ciatn. Anzi, invece di apertamente combatterlo, in molti paesi
d'Europa è venuta con esso a patti ed ha accettato transazioni
dannose e qualche volta indecorose.
E le conseguenze di questa debolezza si sono aggravate per il
fatto che, fra tutti i vangeli socialisti, fu dichiarato canonico ed
universalmente adottato quello che, mentre prometteva il trionfo
sicuro della dottrina, più eccitava quel sentimento che è fra tutti
il più atto a minare e distruggere la compagine di un popolo o
di una civiltà: cioè l'odio. Abbiamo già notato nella prima parte
di questo lavoro quanto fosse efficace e perniciosa la propaganda
dissolvitrice di odio fra le classi sociali contenuta nelle pagine del
Capitale di Carlo Marx; oggi da una recente pubblicazione pos-
siamo apprendere che l'eccitazione di questo sentimento entrava
precisamente nei fini che l'autore coi suoi scritti si proponeva di
raggiungere (1). E, se si obietterà che fra tanti socialisti o comu-
(1) Vedi la parte prima di questo lavoro al Capitolo X, § XV. La recente
pubblicazione alla quale alludiamo è quella dell'epistolario fra Marx e Las-
salle nel quale a pag. 170 è riportata la seguente frase del Marx: " Gift
infiltrieren wo immer ist nuii ratsam , (È ora consigliabile di infiltrare veleno
dovunque si possa). Vedi Der Briefivechsel zivischen Lassalle und Marx, heraus-
gegeben von Gustav Mater, " Deutsche Verlag's Anstalt „, Stuttgart, 1922.
Per maggiori particolari si può consultare utilmente il lavoro d'imminente
pubblicazione di Alessandro Lezio intitolato Carlo Alberto e Mazzini, Torino,
Bocca, 19«23.
A questo proposito ricorderemo che uno dei sofismi più comuni di coloro
che fanno propaganda di socialismo consiste nell'affermare che non sono le
dottrine socialiste che producono l'odio di classe, ma che questo è un natu-
rale effetto delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali.
Si potrebbe facilmente rispondere che le disuguaglianze e le ingiustizie so-
PABTB II. GAP. VI - CONOIiUSIONE 489
nisti forse uno fra mille avrà letto e compreso il libro accennato,
risponderemo che dal nuovo Vangelo si è avuto cura di estrarre
un breve catechismo, che tutti hanno potuto facilmente imparare
a memoria. Sicché oggi non vi è quasi operaio della grande industria
il quale non creda, o per lo meno non abbia sentito ripetere,
che la ricchezza del padrone o degli azionisti, che hanno fornito
il capitale alla fabbrica, è stata costituita sottraendo ai lavoratori
manuali una parte del salario che loro spettava, e non vi è quasi
in moltissimi paesi un contadino che lavori a giornata al quale
una analoga notizia non sia arrivata.
Ma se il socialismo, e la sua frazione più avanzata che oggi
appellasi comunismo, sono pericolosi per lo stato d'animo che
creano e mantengono nelle masse e p^r la organizzazione dei loro
seguaci, che secondo i vari paesi è più o meno forte, un altro pe-
ricolo incombe sugli Stati moderni che è forse più grave. Perchè
esso non proviene da uno stato mentale, che può essere modificato,
o dall'eccitamento di alcune passioni, le quali possono a poco a poco
essere calmate, ma dalla natura stessa dell'organizzazione econo-
micar che la società moderna ha adottato e che non può abban-
donare senza che rinunzi a gran parte del suo benessere, alla
soddisfazione di molti bisogni recenti ma che ornai sono entrati
nel numero delle cose indispensabili.
La divisione del lavoro e la specializzazione nella produzione
hanno difatti nella società europea raggiunto tali progressi che
senza le ferrovie, la navigazione a vapore, le poste, il telegrafo
e senza il carbon fossile necessario per fare muovere tutte le mac-
chine, nessuna grande città potrebbe vivere più di qualche mese,
e qualche grande nazione sarebbe, dopo pochi mesi, ridotta nella
impossibilità di nutrire più della metà della propria popolazione.
Giammai come oggi la vita materiale di ogni individuo è stata
ciali ci sono sempre state, mentre l'odio di classe è stato nel passato molto
intermittente e mai forse così forte come opgi a causa della propaganda so-
cialista. La verità è che l'uomo non ha il potere di far nascere nei proprii
simili passioni nuove, che siano ad essi ignote, ma ha quello di sovraeccitare
le passioni di cui già esistono i germi nel cuore umano, e fra queste sono
comprese l'odio e l'invidia. E si sa che uno dei mezzi più facili e comuni per
sovraeccitare le due passioni menzionate consiste nel far credere che le soffe-
renze fisiche e morali, da cui tutti sono più o meno travagliati, siano un effetto
dell'altrui malvagità.
490 BLBHENTI DI SCIENZA POLITICA
in diretta dipendenza del perfetto funzionamento di tutti i mec-
canismi sociali. E, siccome il funzionamento di ogni meccanismo
è affidato ad una determinata classe di persone, la vita normale
dell'intiera collettività viene a dipendere dal buon volere di ognuna
di queste classi.
Da questa condizione di cose, che riesce assai difficile di modi-
ficare, è nato il pericolo sindacalista,, cioè la possibilità che una
piccola frazione della società s'imponga a tutta la società. Oggi
a rigore non è necessario che si ripeta fedelmente il famoso apo-
logo di Menenio Agrippa, cioè che tutte le membra congiurino a
danno dello stomaco, o, come sarebbe più esatto di dire, a danno
del cervello, ma basterebbe che un solo membro, un solo organo
importante, cessasse di prestare il proprio ufficio perchè il cervello,
e tutti i contri nervosi che da esso dipendono, potessero restare
immobilizzati.
E naturale che ogni classe di persone addette ad una speciale
funzione, avendo una certa omogeneità di spirito, di cultura e
sopratutto d'interessi, abbia cercato di organizzarsi in sindacati
professionali sotto proprii capi, e che i sindacati, una volta orga-
nizzati, abbiano subito intuito la loro potenza ed il profitto che
potevano trarne. Quindi ciò che comunemente appellasi sindaca-
lismo è diventato per gli Stati moderni un pericolo forse più grave
di quello rappresentato negli Stati medioevali dal feudalismo.
Infatti nell'età di mezzo, data l'organizzazione primitiva della
società e quindi dello Stato, ogni frazione di esso poteva bastare
a se stessa, poiché disponeva di tutti gli organi necessari alla
propria vita, e perciò la contrapposizione della parte rispetto al
tutto avveniva secondo criteri locali, mentre oggi la contrapposi-
zione della parte al tutto avrebbe una base funzionale. Allora un
potente barone od un grosso Comune, od una lega di baroni e di
Comuni, potevano imporre la propria volontà all'Imperatore od al
Re, oggi un potente sindacato, ed a forzieri, una lega di sindacati,
potrebbe imporla allo Stato.
Per scongiurare questo pericolo sarebbe necessario che ad ogni
costo s'impedisse la rinascita di una nuova sovranità intermedia
fra l'individuo e lo Stato, del genere di quella che esisteva nel
Medio Evo, quando il vassallo obbediva direttamente al barone e non
già al Re; ossia in altre parole sarebbe indispensabile che i capi
degli attuali governi fossero sempre più obbediti dei capi dei sin-
PARTE II. CAP. VI - CONCLUSIONE 491
dacati e che la devozione agli interessi della nazione fosse sempre
più forte della devozione agli interessi della classe. Ma è noto
pur troppo che una delle maggiori debolezze della presente società
europea, un altro di quei germi di dissoluzione dei moderni regimi
rappresentativi ai quali abbiamo accennato, consiste appunto nella
rilassatezza di quelle forze di coesione morale, le quali sono le sole
capaci di riunire tutti gli atomi che compongono un popolo in un
comune consenso di sentimenti e di idee, e costituiscono perciò
il cemento senza il quale ogni edifìcio politico rimane sempre
barcollante e caduco.
Difatti l'antica religione, la cui dottrina fondamentale ha sempre
mirato ad affratellare tutti i cittadini della stessa nazione e tutte le
nazioni cristiane fra di loro, ha perduto, specialmente negli ultimi
due secoli, buona parte del suo prestigio e della sua efficacia pra-
tica, per una serie di cause che non è qui il luogo di enumerare.
Diremo soltanto che, sopratutto per quel che riguarda le nazioni
latine, fra esse va rilevata l'ostilità delle classi dirigenti, le quali
troppo tardi ora si accorgono che, emancipando le plebi da quelle
che, con soverchia leggerezza, venivano chiamate viete supersti-
zioni, le gettavano in braccio ad un gretto e grossolano materia-
lismo ed aprivano la strada a superstizioni peggiori (1). Indebolito
il legame religioso, si è creduto di poterlo sostituire con la fede
nei tre principii già enumerati, cioè nella libertà, nell'uguaglianza
e nella fratellanza, la cui attuazione avrebbe dovuto inaugurare
in questo mondo una nuova èra di pace e di giustizia universale.
Ma la proi)aganda socialista non ha dovuto stentare molto a di-
mostrare che questa fede non si appoggiava sulla verità, che la
democrazia per quanto larga non impediva che il potere restasse
in mano alle classi dirigenti, a quella che i socialisti chiamano
borghesia e che, secondo loro, sarà sempre divisa da un insana-
bile contrasto d'interessi dalle classi più umili della società.
Come principale fattore di coesione morale ed intellettuale nel
seno dei diversi popoli europei è rimasto perciò il patriottismo.
Anche esso combattuto generalmente dai socialisti come una in-
venzione delle classi dirigenti, destinata ad impedire l'unione pro-
ti) Ricordiamo iu proposito quanto abbiamo scritto al § 11 del Gap. X della
prima parte di questo lavoro.
492 BLBMBMTI DI SCIENZA POLITICA
nosticata da Marx dei {)roletari di tutto il mondo contro la bor-
ghesia di tutto il mondo, ma che, avendo oggi radici più salde
neiraniina dei popoli moderni, ha meglio resistito agli attacchi
dei suoi avversari. Il x^atriottismo infatti ha la sua base nella
comunità d'interessi che lega coloro che abitano lo stesso paese,
e nella comunità di sentimenti e d'idee, che quasi infallibilmente
si stabilisce fra uomini che parlano la stessa lingua, che hanno
lo stesso passato, che hanno avuto comuni le glorie, le fortune e
le sventure, ed esso infine soddisfa quel bisogno che ha l'animo
umano di amare la collettività alla quale si appartiene a prefe-
renza di tutte le altre.
Sarebbe assai arrischiato, e forse anche non corrispondente a
verità, l'affermare che la borghesia europea abbia avuto una
chiara e precisa coscienza del grande ostacolo morale che il pa-
triottismo opponeva ai progressi del socialismo ; ma è certo che,
a cominciare dai primissimi anni del secolo ventesimo, si notò
nella gioventù colta di quasi tutti i paesi europei un potente ri-
sveglio di sentimenti patriottici. Disgraziatamente l'amore per la
propria nazione ed il desiderio naturale che essa sempre più s-i
affermi nel mondo spesso si accoppiano alla diffidenza e qualche
volta all'odio verso le nazioni straniere ; sicché la sovraeccita-
zione del patriottismo contribuì a creare quell'ambiente morale
ed intellettuale che rese possibile lo scoppio della guerra mondiale.
V. — Le gravi e profonde conseguenze della lunga guerra,
durante la quale ognuno dei popoli che vi parteciparono tese al-
l'estremo le sue forze, sono ornai troppo note perchè sia neces-
sario di minutamente descriverle (1). Accenneremo quindi soltanto
che alla fine del 1918 tutti gli Stati belligeranti si erano caricati
di un enorme debito pubblico e, siccome la maggior parte delle
somme procacciate mercè i debiti erano state dedicate a scopi
guerreschi economicamente improduttivi ed un'altra parte avea
trasmigrato presso le nazioni neutrali o che molto tardi entrarono
in guerra, cosi fra le nazioni che maggiormente sostennero il peso
(1) Fra le molte descrizioni che se ne sono fatte ricorderemo quella effica-
cissima di John-Meynard Keines (vedi Le conseguenze economiche della pace.
Milano, Treves, 1921 e l'opera di Francesco Saverio Nitti intitolata VEuropa
senza pace. Firenze, Bemporad, 1921.
PARTE II. GAP. VI - CONOLUSIONB 493
della guerra anche i capitali privati si trovarono in quell'epoca
notevolmente diminuiti. Era quindi inevitabile che al periodo di
prosperità anteriore al 1914 dovesse susseguire un periodo di re-
lativa povertà, il quale fra le nazioni già meno ricche e sopratutto
fra quelle vinte, e perciò peggio trattate, potè inacerbirsi fino a
diventare miseria.
Ed al disastro economico si aggiunse quello morale per la mu-
tata distribuzione di quel tanto di ricchezza che pure restava.
Difatti, nelle nazioni che avevano preso parte al terribile cimento,
ed anche, sebbene in proporzioni minori, in quelle rimaste neu-
trali, mentre una parte notevole della popolazione sensibilmente
impoveriva, una minoranza più o meno numerosa trovava nella
guerra occasione di improvvisi e lauti guadagni. Ora nessuna cosa
demoralizza più gli uomini quanto il vedere la ricchezza acqui-
stata rapidamente e senza meriti speciali accanto alla povertà
improvvisa e che non è conseguenza di una colpa. Questo spetta-
colo ferisce da un lato il sentimento della giustizia e sovraeccita
dall'altro oltremodo l'invidia e la cupidigia. Molti, che fino al
grande cataclisma si erano conservati onesti, divennero disonesti,
perchè vollero ad ogni costo entrare fra i nuovi ricchi anziché
subire la sorte dei nuovi poveri.
Ma ciò che sopratutto ha contribuito a diminuire la saldezza
dell'organizzazione politica ed a turbare l'equilibrio fra le classi
sociali, è stato l'impoverimento della classe media, di quella parte
della borghesia che viveva e vive del frutto di piccoli risparmi,
di mediocri proprietà immobiliari e sopratutto di quello del proprio
lavoro intellettuale. Abbiamo già visto come il sorgere di questa
classe sia stato uno dei fattori che hanno creato le condizioni ne-
cessarie per il retto funzionamento del sistema rappresentativo;
è quindi naturale che la sua decadenza economica, che, se duratura,
sarà necessariamento seguita da quella intellettuale e morale,
renderà molto difficile la continuazione del regime accennato.
Infine, in tutti i paesi che presero parte lungamente alla guerra,
la macchina dello Stato dovette sobbarcarsi a tale ed a tanto
lavoro, dovette comprimere e schiacciare tale una quantità di pas-
sioni, di sentimenti e d'interessi individuali, che non è da mara-
vigliare se i suoi congegni ad un certo punto accennarono a
guastarsi e ad arrestarne il funzionamento. Anzi, si può dire che,
dove essa era più debole, cioè in Russia, il guasto fu tale che ne
494 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
andò senz'altro distrutta ; ma anche in tutti gli altri paesi è evi-
dente che ha più o meno bisogno di riposo e di riparazioni.
Queste ed altre cause secondarie hanno reso in quasi tutti gli
Stati europei più o meno arduo il funzionamento del regime politico
in vigore prima della guerra. Sicché è sorta, sopratutto in qualche
paese più travagliato degli altri dai comuni dolori, l'idea che la
crisi presente si possa e debba risolvere mediante una profonda
e radicale trasformazione delle istituzioni ereditate dal secolo pre-
cedente, e che questo debba essere appunto il compito della nuova
generazione, della gioventù, la quale, dopo aver fatto la guerra,
dovrebbe disfare l'opera politica dei suoi padri per rifarla seguendo
un indirizzo nuovo e migliore.
Or, esaminando le presenti condizioni economiche, intellettuali
e morali della società europea, tenendo conto delle diverse cor-
renti d'idee, di sentimenti e d'interessi che in essa si agitano, tre
sarebbero le sole soluzioni radicali possibili della presente crisi
politica : quella già adottata in Russia, cioè la così detta dittatura
del proletariato con il relativo esperimento comunista, il ritomo
all'antico assolutismo burocratico, ed infine il sindacalismo, cioè
la sostituzione nelle assemblee legislative della rappresentanza
delle classi a quella degli individui.
Gli effetti della così detta dittatura del proletariato, dopo l'espe-
rimento che di essa ha fatto e sta facendo la Russia, sono omai
abbastanza noti e tali che molti antichi e ferventi seguaci del
Marxismo sono oggi più o meno apertamente contrari all' attua-
zione immediata del programma del loro maestro (1). Difatti,
(1) Il dissidio fra quei Marxisti che vorrebbero l'attuazione immediata e vio-
lenta del programma, che comunemente viene attribuito al loro maestro, e
quegli altri che ne propugnano l'attuazione lenta e graduale ha fatto sì che i
seguaci del Marxismo, in Italia ed in altri paesi, si siano negli ultimi anni di-
visi in due frazioni. Coloro che aderiscono alla frazione più violenta hanno
preso il nome di Comunisti, gli altri hanno conservato quello antico di socia-
listi. Un criterio piìi scientifico per distinguere il Socialismo dal Comunismo
è quello che abbiamo accennato nella prima parte del lavoro, secondo il quale
nel Socialismo la retribuzione che la comunità darebbe ad ogni lavoratore
sarebbe in rapporto coll'efficacia dell'opera prestata, mentre nel Comunismo
ogni lavoratore avrebbe una retribuzione adeguata ai proprii bisogni (vedi
Parte Prima, Cap. X, § XI, in nota). Questo criterio è precisamente quello adot-
tato da Lenin, il quale afferma che in una prima fase si dovrà attuare il si-
PARTE li. GAP. VI - CONCLUSIONE 495
sebbene coloro che attualmente governano l'antico impero degli
Czar si sforzino oggi di temperare l'attuazione del progi^amma
accennato, sebbene sia inevitabile che in Russia col tempo dalle
fila di coloro stessi che hanno fatto la rivoluzione esca una nuova
borghesia e si ristabilisca, nella sostanza se non nella forma, la
proprietà privata, riusci colà impossibile di evitare nei primi mo-
menti l'attuazione di un tentativo di comunismo integrale (1). E
si sa come il tentativo accennato abbia rapidamente prodotto la
disorganizzazione completa di ogni genere di produzione e quindi
la carestia e la fame. Né crediamo che se il comunismo trionfasse
in altre parti d'Europa sarebbe possibile di evitare un esperimento
analogo, che avrebbe infallibilmente effetti identici e forse anche
peggiori ; perchè la sovrapopolata Europa occidentale ha bisogno
continuo, anche in tempi normali, di alcune materie prime che sono
indispensabili alla vita quotidiana e che solo le altre parti del
mondo, e segnatamente l'America, possono ora fornirle.
Oltre a questi risultati d'indole economica la dittatura del pro-
letariato avrebbe, in qualunque paese, risultati morali disastrosi^
ancora peggiori forse di quelli che abbiamo descritto e predetto,
quasi trenta anni fa, nella prima parte di questo lavoro (2). In
nome di quella dittatura infatti in Russia si è quasi sterminata
l'antica classe dirigente e la si è sostituita con un'altra, certo più
avveduta ed energica, e forse anche più intelligente, ma che è
stata ed è, quasi per necessità, moralmente assai più bassa. Poiché,
per reggersi contro il malcontento generale, per fronteggiare la di-
sperazione di tutti coloro che di essa non fanno parte e per sup-
plire ad altre sue deficienze, deve governare tirannicamente, pas-
stema socialista, ed in una seconda fase, quando la società si sarà completa-
mente liberata dalle sopravvivenze della moralità o meglio della immoi-alità
borghese, quello comunista. Vedi Lenin, Stato e Rivoluzione, traduzione del
prof. G. Sanna, da pagina 102 alla 116. Milano, Tipografia editrice Avanti, 1920,
(1) Naturalmente la previsione che abbiamo fatto relativamente alla tras-
formazione della minoranza che ora domina in Russia in una nuova borghesia
parte dal presupposto che colà non debba fra pochi anni avvenire una con-
trorivoluzione ; ciò che non sembra a dir vero molto probabile, ma che non si
può ancora ritenere come impossibile.
(2) Vedi Parte Prima, Capitolo X e specialmente i parai?nitì XI, XII, XIII
e XIV.
496 ELEMENTI DI SOIBNZA POLITIOA
sando di sopra a tutti gli scrupoli ed imponendo l'obbedienza col
terrore.
Ma diremo di più : cioè che in Russia bene o male è stato pos-
sibile di trovare un'altra classe dirigente che ha sostituito l'antica ;
mentre nell'Europa occidentale ciò riuscirebbe quasi impossibile
e quindi il comunismo si risolverebbe o meglio si dissolverebbe
presto in una completa anarchia. In Russia infatti l'antica bor-
ghesia è stata sostituita dalla piccola borghesia ebraica e da altri
elementi più o meno allogeni, come sarebbero i Lettoni, gli Armeni
ed i Tartari maomettani, ed in ognuno di questi elementi gli individui
che lo compongono erano e sono fra loro legati da un'antica so-
lidarietà di razza, di lingua e di religione e dalle comuni piccole
persecuzioni ed esclusioni dalle quali erano colpiti sotto il go-
verno degli Czar, e quindi gli attuali reggitori possono contare
sulla loro fedeltà (1). Nell'Europa occidentale queste minoranze
diverse per razza e per religione dal resto della popolazione non
esistono, e, se pure ve n'è qualcuna, essa si trova in condizioni
tali da farle nella sua grande maggioranza temere assai l'avvento
del comunismo. Sicché la nuova classe dirigente, necessariamente
reclutata fra la frazione più violenta della plebe e la parte meno
sana della vecchia borghesia, riuscirebbe intellettualmente insuffi-
ciente e mancherebbe quasi sicuramente di quel minimo di moralità
che deve regolare i rapporti fra coloro i quali commettono insieme
una grande bricconata, se si vuole che questa raggiunga un dura-
turo successo.
(1) Parecchie persone degnissime di fede ed estranee alle lotte civili della
Russia, perchè di nazionalità straniera, le quali sono state in Russia durante
il trionfo del Bolscevismo, ci hanno assicurato che i Soviet sono in grande
maggioranza costituiti da elementi allogeni, Ebrei, Lettoni, Armeni, ecc., e
che lo stesso accade fra i funzionari dell'attuale governo russo. Qualcuno ci
ha perfino mostrato qualche documento che suffragava le sue affermazioni,
che sono del resto conformi a quelle che dicono in proposito i profughi russi.
Una famiglia d'Israeliti russi, che non aveva preso alcuna parte alla rivoluzione,
ha detto ad un Italiano che essa viveva in continuo timore di una controri-
voluzione, perchè, se questa fosse avvenuta, non un Israelita sarebbe rimasto
vivo in tutta la Russia. Un altissimo funzionario dell'attuale governo russo ha
detto ad un altro italiano che ce l'ha riferito: * il nostro è un governo pes-
simo, ma se esso cado non ci sarà più in Russia alcun governo possibile „.
Molte cose, che sarebbero oscure, si spiegano agevolmente se si pon mente
alle due ultime affeimazioni che abbiamo citatfo e se ne traggono le conseguenze.
PARTB II. GAP. VI - CONOLUSIOKE 497
Ed accenneremo infine che anche minori probabilità di durata
di una schietta e sincera dittatura del proletariato avrebbe attual-
mente nell'Europa occidentale un esperimento di socialismo sedi-
cente temperato che, lasciando provvisoriamente e nominalmente
sussistere la proprietà privata, la sottomettesse a tali pesi ed a
tali limitazioni da renderne impossibile il funzionamento. Un si-
mile regime sarebbe sempre esposto ai violenti attacchi dei co-
munisti puri, senza avere l'autorità e la forza di reprimerli, e non
disporrebbe oggi di quel margine di ricchezza che è indispensa-
bile per potersi permettere gli sperperi che sono inevitabili anche
quando si vuole attuare un socialismo temperato. Perciò esso, a
causa dei suoi insuccessi e delle delusioni che creerebbe, o dege-
nererebbe presto nel comunismo puro o preparerebbe senz'altro la
trasformazione dell'attuale regime politico ed economico in una
dittatura burocratica e militare.
Questa trasformazione, che corrisponderebbe alla seconda delle
soluzioni della crisi presente del regime rappresentativo, potrebbe
forse diventare momentaneamente opportuna in qualche paese
d'Europa, ma presenterebbe anche essa inconvenienti gravissimi
se fosse adottata come soluzione definitiva. Poiché ciò signifi-
cherebbe che l'elemento elettivo, il quale, in tutti i paesi retti con
una delle diverse modalità del sistema rappresentativo, ha avuto
fino al 1914 una partecipazione importante ed efficace nell'esercizio
dei poteri sovrani, dovrebbe scomparire dalla vita pubblica o venire
ridotto a contentarsi di funzioni secondarie o decorative, lasciando
alla burocrazia civile e militare un'autorità effettiva quasi incon-
trastata (1).
(1) Forse è opportuno ricordare che il regime burocratico del quale noi ci
occupiamo non sarebbe paragonabile a nessuna delle diverse forme di regime
rappresentativo: non a quella parlamentare, che è in vigore in Inghilterra,
in Francia e normalmente anche in Italia, non a quella presidenziale, che fun-
ziona negli Stati Uniti d'America, e neppure a quella semplicemente costitu-
zionale, che vi era in Germania fino al 1918. Ma sarebbe invece una specie
di Cesarismo, come quello che si ebbe in Francia durante il primo impero na-
poleonico, ed anche, in modo più temperato, durante il secondo impero fino
al 1868; cioè una forma di governo nella quale il Parlamento aveva una fun-
zione quasi esclusivamente decorativa. Forse anche il novello Cesarismo cer-
cherebbe di costituirsi una base legale mercè il Referendum popolare, oseia i
plebisciti, come appunto fecero i due Cesarismi napoleonici-
Q. Mosca, Elementi di Scietiea Politica. 88
498 ELEMENTI DI SCIENZA POLITICA
Infatti abbiamo ^ìà, visto (guanto sia grande l'importanza che
ha nello Stato moderno la partecipazione dell' elemento elettivo
e come la grande superiorità e la forza precipua dei moderni re-
gimi politici risiedano nell'accorta contemperanza, che essi con-
sentono, del j)rincipio liberale con quello autocratico, il primo
rappresentato nelle Camere e nei Consigli dei corpi locali, il se-
condo costituito dalla burocrazia stabile. Ed abbiamo visto come
questa compartecipazione sia necessaria perchè tutte le forze e
le capacità politiche siano ammesse nella vita pubblica e si possa
ottenere quel controllo e quella limitazione reciproca fra i poteri
sovrani, che è condizione indispensabile della libertà politica, la
quale altrimenti diventa un'espressione priva di significato pratico.
Poiché anche la libertà della stampa e tutti in genere i diritti
individuali, ossia tutte le guarentigie concesse ai cittadini contro
gli arbitri dei pubblici funzionari, sarebbero insufficientemente
tutelate una volta che l'elemento elettivo venisse a pesare poco
o nulla nella bilancia dei pubblici poteri.
Si ritornerebbe in altre parole a quel regime assoluto, probabil-
mente mascherato da una larva di sovranità popolare, per distrug-
gere il quale i nostri padri strenuamente lottarono, che la giovine
generazione non ha visto e che generalmente non sa nepijure come
fosse fatto. Ora le conseguenze di questo regime sarebbero oggi
infinitamente più gravi di quello che potevano essere un secolo
o anche mezzo secolo fa; perchè nel frattempo le attribuzioni
dello Stato, e con esse la quantità di ricchezza che questo assor-
bisce e distribuisce, sono oltremodo aumentate. Sicché l'assolu-
tismo dei governanti non troverebbe più come una volta, e come
accade ancora nelle organizzazioni politiche rozze e primitive, un
freno ed un limite nella scarsezza dei mezzi di cui il governo di-
spone. Oggi, data l'attuale perfezione ed il grande sviluppo preso
dalla macchina statale, una burocrazia il cui potere non fosse
limitato e controllato, facilmente potrebbe spezzare qualunque
resistenza individuale e collettiva, sopprimere ogni iniziativa di
elementi estranei ad essa ed esaurire l'intiero corpo sociale suc-
chiandone tutte le forze vitali.
E finalmente non impiegheremo molte parole per descrivere i
pericoli della terza soluzione radicale dell'attuale crisi del regime
parlamentare, cioè della soluzione sindacalista ; poiché dopo quanto
abbiamo scritto in proposito poche pagine avanti ci sembra che
PABTE II. CAP. VI - CONCLUSIONE 499
essi debbano già riuscire evidenti. Difatti una Camera die dispo-
nesse di poteri sovrani, che partecipasse alla formazione delle
leggi e che fosse la rappresentanza legale dei sindacati di classe
fornirebbe la migliore base possibile per la organizzazione di quella
sovranità intermedia fra gli individui e lo Stato, la quale rappresenta
forse la minaccia più grave che incombe sulla società nell'at-
tuale momento politico. Poiché, per mezzo dei loro rappresentanti,
i sindacati stessi potrebbero esercitare un'azione efficacissima entro
lo Stato e contro lo Stato e paralizzare ogni sforzo che questo
potrebbe fare per sottrarsi alla loro tutela.
E sarebbe ingenuo supporre che la coesistenza di un'altra Ca-
mera, o anche di altre due Camere, formate coli' antico sistema
della rappresentanza individuale o con altri elementi estranei ai
sindacati, sarebbe sufficiente a controbilanciare l'azione della terza
Camera eletta dai sindacati. Si do\Tebbe infatti omai sapere che l'ef-
ficacia di un organo politico, l'importanza che esso assume nella
direzione effettiva dello Stato, non è prevalentemente in relazione
coi poteri legali che gli statuti fondamentali gli conferiscono, ma
piuttosto proviene dal prestigio di cui l'organo stesso gode nella
pubblica opinione e sopratutto dalla quantità di forze sociali, d'in-
teressi, di idee e di sentimenti che in esso trovano la loro espres-
sione. Ed è appunto per questa ragione che fino ad oggi le Camere
che provenivano direttamente dall'elezione popolare hanno in gene-
rale esercitato maggiore influenza di quelle formate con criteri
diversi, sebbene spessissimo queste ultime contassero fra i loro
membri un numero maggiore di capacità tecniche e di valori
individuali. Ora, data l'importanza che l'opera delle singole classi
ha acquistato nella vita economica di ogni paese civile, non è
esagerato supporre che l'azione della Camera sindacale potrebbe
facilmente prevalere su quella delle altre; molto più se si tiene
presente che i sindacati più numerosi potrebbero coi loro suffragi
compatti e disciplinati influire moltissimo sulle elezioni dei membri
della Camera che conservasse la presente base individuale.
Né si deve infine credere che in una Camera composta dai rap-
presentanti dei sindacati facilmente prevarrebbero gli elementi
più colti, come sarebbero ad esempio i rappresentanti dei magi-
strati e dei professori, o quelli degli avvocati e dogli ingegneri.
Anzi molto probabilmente la preponderanza sarebbe quasi imme-
diatamente assunta dai rappresentanti dei ferrovieri, dei marinai,
G. Mosca, Elementi di Scienza PoHtica. 82*
500 ELEMENTI DI SOIENZA POLITICA
degli scaricatori dei porti ed, in Inghilterra ed in Germania, anche
da quelli dei minatori ; perchè la forza di un sindacato non sa-
rebbe in ragione della cultura dei suoi aderenti, ma piuttosto in
ragione del loro numero e sopratutto della indispensabilità della
funzione, che ad ogni classe è affidata, per la vita quotidiana della
società. Ed è certo più indispensabile la funzione dei ferrovieri
e dei panattieri che quella dei professori e degli avvocati. Perciò
se i sindacati più incolti e più numerosi, tutti più o meno iniziati
alle dottrine marxiste e studiosamente allevati nella credenza della
necessità della cosi detta lotta di classe, si mettessero d'accordo,
essi potrebbero senz'altro impadronirsi della direzione dello Stato.
Se poi, come è probabile, l'accordo alla lunga riuscisse impossibile,
allora si avrebbe una grande disorganizzazione economica, che
sarebbe completata dall'anarchia politica (1).
VI. — Da quanto abbiamo detto risulta evidente che le tre
sole soluzioni radicali possibili della crisi che ora attraversa il
regime rappresentativo condurrebbero le nazioni europee all'ado-
zione di un regime politico meno perfetto, e si potrebbe anche
dire più rozzo, di quello finora esistente. Esse sarebbero l'indizio
di una decadenza politica, che al solito diventerebbe nello stesso
tempo causa ed effetto di una decadenza generale della civiltà.
Certo che nessuno vorrà affermare che il regime rappresentativo
non possa essere suscettibile di notevoli perfezionamenti e che
esso non possa col tempo essere sostituito da un altro migliore.
Anzi, se l'Europa potrà vincere le difficoltà del momento presente,
è probabile che, nell'anno duemila e forse anche prima, fra trenta
0 quarant'anni, spontaneamente, come conseguenza delle nuove
idee, dei nuovi sentimenti e dei nuovi bisogni che saranno matu-
(1) Crediamo opportuno di avvertire il lettore che una parte dei concetti
svolti in questo paragrafo e nel susseguente furono già esposti dall'autore in
un discorso tenuto alla Camera dei deputati il 7 marzo 1919 ed in due di-
scorsi tenuti al Senato, l'uno il 31 marzo 1920 e l'altro il 27 novembre 1922.
Ma, siccome i resoconti parlamentari sono generalmente ben poco letti, ci è
sembrato utile di ripetere, abbreviandola, l'esposizione delle stesse idee nel
presente lavoro. Alcune altre delle idee ora svolte erano state già abbastanza
largamente accennate in quegli articoli pubblicati in giornali quotidiani che
abbiamo ricordato a pag. 400 del presente lavoro.
PARTE II. CAP. VI - CONCLUSIONE 501
rati, potranno essere attuati altri ordinamenti politici preferibili
a quelli ora esistenti.
Disgraziatamente i risultati morali ed economici della lunga
guerra hanno reso proprio in questo momento difficile il retto
funzionamento delle istituzioni che erano in vigore fino al 1914;
le quali, come abbiamo visto, richiedevano e richiedono, come
condizione necessaria per mantenere integra la loro vitalità, la
continuazione di quel periodo di pace relativa e di prosperità ge-
nerale di cui il mondo ha goduto negli ultimi decenni del secolo
scorso e nel primo di quello corrente. La guerra non ha creato,
ma bensì ha reso più virulenti ed attivi, i germi di dissoluzione
che il regime rappresentativo, come qualunque altro, conteneva
e contiene ; e l'azione di questi germi oggi ne minaccia l'esistenza
prima che le forze riparatrici, le quali agiscono nel seno di ogni
società la cui vitalità non sia esaurita, abbiano potuto elaborare
gli elementi necessari per la creazione di un nuovo tipo di orga-
nizzazione politica più elevato di quello finora in vigore. In altre
parole, la vecchia casa minaccia di crollare prima che siano pronti
i materiali per costruire la nuova ; e perciò, se il crollo avvenisse,
bisognerebbe rifugiarsi fra i ruderi di una casa ancora più vecchia,
e che fu da due o tre generazioni abbandonata, ovvero in una ca-
panna improvvisata.
Ed è per queste ragioni che pur avendo quarant' anni fa
iniziato la nostra carriera di scrittore con un volume giovanile,
che però non rinneghiamo, nel quale abbiamo cercato di mettere
a nudo le menzogne contenute nei presupposti del regime rappre-
sentativo e le magagne del Parlamentarismo, oggi che l'età avan-
zata ha reso più cauti ed oseremmo dire più ponderati i giudizi
e più meditate le conclusioni, considerando attentamente e spas-
sionatamente le condizioni di molti popoli europei e sopratutto
quello della nostra Italia, ci sentiamo costretti a raccomandare
alla generazione novella la restaurazione e la conservazione di
quel regime politico che essa ha ereditato dai suoi padri (1).
E evidente che l'opera non è facile. Anzituto perchè occorre che
siano almeno iniziati la restaurazione economica dell'Europa ed
(1) Può essere opportuno ricordare che il volume al quale alludiamo è
quello sulla Teorica dei Governi e sul Governo parlamentare ohe già abbiamo
citato.
502 KLEMENTI DI SCIENZA POLITICA
il conseguente miglioramento delle condizioni della classe media,
senza la cooperazione della quale nessuna forma di regime rap-
presentativo riesce alla lunga possibile, ed è noto che alla connata
restaurazione fanno pur troppo ostacolo gli odi ancora vivi fra
le varie classi sociali e quelli ancora più vivi fra i diversi popoli
europei, odii che la guerra ha terribilmente eccitato e che non
si sono fino ad oggi sopiti. Bisognerebbe perciò che nella mente
e nei cuori di tutte le nazioni europee entrasse finalmente la con-
vinzione che esso hanno molti comuni e supremi interessi da
salvaguardare, e che sono tra loro legate da tale una fitta rete
di rapporti intellettuali, sentimentali ed economici ed hanno tali
affinità psicologiche e culturali che riesce impossibile che le soffe-
renze, l'avvilimento, la decadenza di una di esse non abbiano il
loro contraccolpo su tutte le altre.
La restaurazione del sistema rappresentativo non significa poi
che esso non possa e non debba, sopratutto in qualche paese, su-
bire alcune modificazioni. Secondo noi una delle più importanti
dovrebbe riguardare la legislazione sulla stampa ; nella quale non
dovrebbe poi riuscire impossibile di conservare integra la libertà
dell'indagine scientifica e l'esercizio di una onesta critica verso
gli atti dei governanti, rendendo più difficile quella corruzione
d'intelletti, che sono e saranno eternamente minorenni, la quale
finora è stata, in qualche nazione europea, liberamente esercitata.
E, volendo raggiungere questo fine, bisognerebbe sopratutto adot-
tare il principio che la responsabilità dei reati di stampa, come
quella di qualunque altro reato, deve essere attribuita a colui clie
realmente li ha commesso, cioè allo scrittore (1). Un'altra modifica-
zione necessaria ed urgente, se non in tutti in parecchi paesi
d'Europa, dovrebbe riguardare i limiti della libertà di associazione,
che alle volte sono cosi vaghi ed indefiniti da permettere ad un
(1) Come si sa in Italia ed in altri paesi vige la mostruosità giuridica che
permette a colui che scrive in un periodico, quando egli vuole restare ano-
nimo od ignoto, di sfuggire alla responsabilità penale che viene attribuita al
cosidetto gerente responsabile (Vedi a proposito Appunti di diritto costituzio-
nale, a pagine 167-168). Quando accenniamo ad una critica onesta degli atti
dei governanti intendiamo alludere anche a quella critica che si basa sopra
un fondamentale dissenso d'idee e di principii politici, purché essa non si
abbassi fino all'ingiuria volgare, alla menzogna consapevole e sfacciata ed al
turpiloquio.
PARTE li, OAP. VI - OONOLUSIONB 503
governo forte ed autoritario di sopprimere con misure di polizia
ogni associazione e da non offrire nello stesso tempo ad un go-
verno debole e timido alcuna efficace difesa di fronte all'orga-
nizzazione di elementi contrari alla forma attuale dello Stato e
che mirano ad impadronirsi dei suoi stessi organi per sopraffarlo (1).
Ma per superare la presente crisi, che minaccia gli ordinamenti
politici e la stessa compagine sociale, più di ogni altra cosa oc-
corre che la classe dirigente, spogliandosi di molti pregiudizi e mo-
dificando la propria mentalità, acquisti la coscienza di esser tale ed
abbia quindi chiara la nozione dei propri diritti e dei propri doveri.
E questa nozione non potrà avere se non saprà elevare il livello
della propria cultura politica, fino ad oggi deficiente anche nei
paesi più colti d'Europa ed in qualcuno deficientissima. Perchè
allora soltanto imparerà a giudicare rettamente l'opera dei suoi
capi, potrà riacquistare presso le masse il prestigio, che in gran
parte ha perduto, e saprà guardare un po' al di là dei suoi interessi
immediati, senza sciupare più quasi tutta la sua energia per il
(1) In Italia si sa che non è stato mai possibile di fare una legge speciale
che disciplini il diritto di associazione, di maniera che la norma principale e
quasi esclusiva, che nello stesso tempo limita e guarentisce questo diritto, consiste
nell'articolo 251 del Codice penale, che commina la detenzione da sei a di-
ciotto m3si a coloro che fanno parte di un'associazione, la quale si propone
come scopo l'apologia di un reato, l'incitamento alla disobbedienza verso la
legge, ovvero l'eccitamento all'odio di classe in modo pericoloso per la pub-
Mica tranquillità. Vede subito ognuno come quest'apprezzamento possa essere
subiettivo, come oggi possa essere considerato come pericoloso ciò che ieri
era ritenuto innocuo e come lo stesso possa accadere da una città all'altra
dello stesso Stato (Vedi anche in proposito Mosca, Appunti di diritto costitu-
zionale, terza edizione, da pagina 160 alla 165).
Qualcuno forse rileverà che, fra i mezzi più adatti per assicurare la durata
del regime rappresentativo, non abbiamo accennato ad una restrizione del
BufiFragio politico. Rispondiamo che la concessione del suffragio universale fu
vmo di quegli errori, non rari nella vita pubblica come nella privata, sui
quali non si può tornare indietro se non commettendo un secondo errore,
che può anche esso avere conseguenze gravi e non facilmente prevedibili.
Infine faremo notare come un breve periodo durante il quale un governo
forte ed onesto eserciti molti poteri ed abbia molta autorità può in qualche
nazione europea essere riguardato come opportuno, perchè può contribuire a
preparare quelle condizioni che renderanno possibile, in un prossimo avvenire,
il normale funzionamento del regime rappresentativo. Anche a Roma, nei mi-
gliori tempi della Repubblica, qualche volta si ricorreva, per brevi periodi,
alla dittatura.
604 EliBMBNTI DI SCIENZA POIilTIOA
conseguimento di scopi che g^iovano solo a determinati individui
ed alle piccole consorterie che attorno ad essi si formano. Bisogna
infine una buona volta convincersi che oggi siamo in condizioni
tali che, per fare degnamente parte di quella scelta minoranza
alla quale sono affidate le sorti di ogni paese, non basta l'avere
conseguito una laurea d'avvocato od il saper dirigere un'azienda
commerciale od industriale, e neppure l'aver saputo nobilmente
esporre la propria vita nelle trincee, ma sono necessari lungo
studio e grande amore.
In ogni generazione vi è un certo numero di caratteri, generosi
che sanno amare tutto ciò che è, od appare, nobile e bello e con-
sacrano una buona parte della loro attività ad elevare od a salvare
dalla decadenza la società nella quale vivono. Costituiscono essi
quella piccola aristocrazia morale ed intellettuale che impedisce
all'umanità di imputridire nel fango degli egoismi e degli appetiti
materiali, ed a questa aristocrazia principalmente si deve se molte
nazioni sono uscite dalla barbarie e non vi sono mai del tutto
ricadute. Raramente coloro che di quest'aristocrazia fanno parte
arrivano ai posti più eminenti della gerarchia politica, ma essi
fanno opera forse più efficace, perchè, plasmando la mentalità ed
orientando i sentimenti dei loro contemporanei, riescono per questa
via ad imporre il proprio programma ai reggitori degli Stati.
E impossibile che nella generazione novella vi sia mancanza o
deficienza di questi caratteri generosi. Ma più di una volta, nel
corso ornai lungo della storia, è accaduto che i loro sforzi ed i loro
sacrifizi sono stati impotenti a salvare un popolo od una civiltà
dalla decadenza e dalla rovina. Senonchè, a guardarci bene, noi
crediamo che ciò sia in gran parte accaduto perchè allora i mi-
gliori non hanno avuto una visione chiara e precisa dei bisogni
della loro epoca e quindi dei metodi e dei mezzi più adatti a con-
seguire la salvezza. Terminiamo perciò facendo voti vivissimi che
questa visione non manchi oggi alla parte più nobile della gio-
ventù G che Dio illumini la sua mente e riscaldi il suo cuore in
modo che essa sappia meditare ed agire durante la pace cosi forte-
m.ente come, durante la guerra, ha saputo combattere.
TXT
XDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
CITATI NEL VOLUME
Althusius, pagina 387.
Amaki Michele, pag. 12, 82, 183, 185,
242, 255.
Ammiano Marcellino, pag. 375.
Ammon Otto, pag. 338, 431.
Aktonklli, pag. 229.
Apuleio, pag. 374.
Aristotile, pag. 54, 357, 358, 359, 360,
361, 362, 363, 364, 365, 435, 457.
AvRRBoÈ, pag. 353.
3
Bacone Francesco, pag. 5.
Bagehot Guglielmo, pag. 429.
Bakunink, pag. 199.
Ball John, pag. 424.
Bebel, pag. 293.
Bellamy, pag. 283.
Beloch Giulio, pag. 12, 356, 365.
Bebtolini Pietro, pag. 389.
Bismakk, pag. 182.
Blanc Luigi, pag. 142,220, 282.
Block, pag. 292.
Bluntschli, pag. 4, 8.
Boisgilbert Edmund, pag. 300.
Boissier Gaston, pag. 185, 252.
BossuET, pag. 385.
Boteko Giovanni, pag. 388.
Brissot DE Warville, pag. 279.
Brouoham, pag. 4.
Bruqsch, pag. 37, 70.
Bryce, pag. 872, 879, 380.
Buchanan, pag. 387.
Bucuez, pag. 282.
Buckle, pag. 109.
Buffon, pag. 167.
Buonarroti, pag. 281.
Burke, pag. 292.
Cabet, pag. 282.
Cantarelli Luigi, pag. 441.
Capponi Gino, pag. 86, 205.
Cau&sidièbe. pag. 221.
Cedbeno, pag. 158.
Celso, pag. 178.
Cesare, pag. 154, 155, 349.
Cherbuliez (Yalbert), pag. 250.
Claudiano, pag. 369.
Clavel, pag. 183.
CoGNETTi De Martiis, pag. 276.
Colajanni Napoleone, pag. 13, 83, 39,
310.
Compagni Dino, pag. 205.
CouTB Augusto, pag. 152, 156, 159, 337.
Confucio, pag. 256.
Cbosa Emilio, pag. 476.
D
De Gobineau, pag. 18,338.
De Goubmont, pag. 299.
De La Hoddk Luciano, pag. 224.
Db La March, pag. 234.
De La Mazeuère, pag. 383, 409, 413.
Db Mas Sinibaldo, pag. 61.
De Pabieu, pag. 4.
Dk Quatrekages, pag. 18.
De Sanctis Gaetano, pag. 369, 370.
De Solis Antonio, pag. 404.
Db Unamuno Miguel, pag. 429.
506
INDIOB ALFABETICO DEGLI AUTORI
De Varigny, pag. 276.
Dk Witt Cornelius, pag. 237.
Djkht. Carlo, pag. 442.
DoNNAT Leon, pag. 4.
D08T01EW8KY, pag. 128, 199.
Dumas George, pag. 336.
DupoHT WniTK, pag. 150.
Hàmhuhaiii (Codice di Hammurabi), pa-
gina 354.
Hartman.v, pag. 358, 372.
HoLTZKNDonK, pag. 2, 4.
Huart, pag. 352.
Huc, pag. 61.
Ébelot Alfred, pag. 120.
Ecclesiaste, pag. 284.
Engels Federico, pag. 837, 448.
Erodoto, pag. 355, 360.
Esiodo, pag. 356.
Federico 2° di Prussia, pag. 236.
Ferrari Giuseppe, pag. 2.
Ferraris Galileo, pag. 460.
Ferrerò Guglielmo, pag. 316, 370, 372,
373, 414, 449, 450..
Ferrerò Guglielmo e Barbaqallo, pa-
gina 453,
Ferrerò Lombroso Gina, pag. 466.
Ferri Enrico, pag. 13.
Fibchel, pag. 237.
FiBMiN, pag. 25.
F0UILLÉE Alfred, pag. 39.
FouRiER, pag. 282.
Fustel de Coulangks, pag. 119.
Garofalo RaiFaele, pag. 292, 331.
Gebhart Émile, pag. 157.
George Enrico, pag. 25, 36, 61, 131,
289, 294.
Glaber Raoul, pag. 157.
Grave, pag. 299.
Gregorio Rosario, pag. 14.
Grote, pag. 441.
Guicciardini, pag. 119, 207, 465.
GuMPLOwicz, pag. 18, 65, 68, 76, 337.
H
Hammer Puhgstall, pag. 174, 183, 191,
210.
Janet Paolo, pag. 276, 277, 279, 336.
Jannet Claudio, pag. 60,61, 140, 237.
Karamzine, pag. 80.
Keikks John Meynard, pag. 492.
Lamartine, pag. 142, 220.
Lapouoe, pag. 18, 338.
Las Casas, pag. 55.
Lassalle Ferdinando, pag. 310.
Le Bon Gustavo, pag. 41.
Lenin (Ulianof), pag. 494, 495.
Lenormant, pag. 34, 37, 70, 78, 79, 90,
112.
Léroux Pietro, pag. 282, 449.
Leroy Beaulieu Anatole, pag. 28, 58,
80, 82, 102, 125.
Letourneau, pag. 38, 109, 115, 159.
Libro dei Giudici, pag. 366.
Libro dei Re, pag. 78.
Libro di Samuele, pag. 229.
Lombroso Cesare, pag. 13.
Loria Achille, pag. 3, 303, 309, 449,
456.
Luzio Alessandro, pag. 488.
M
Macaulay, pag. 5, 188, 193.
Mably, pag. 279.
Machiavelli, pag. 106, 166, 206, 207,
230, 242, 335, 401, 420, 444.
Malaterra Goffredo, pag. 158.
Manzoni, pag. 6, 198, 461, 475.
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
,507
Makat, pag. 280.
Marco Aurelio, pag. 461.
Mablo Carlo (Vinkelblech), pag. 310.
Marsilio di Padova, pag. 387.
Marquardt, pag. 371.
Marx Carlo, pag. 308, 310, 337, 448,
488.
Maspero, pag. 37, 70, 89, 90, 112, 239.
Massaja, pag. 116.
Mater Gustavo, pag. 488.
Mklegari Dora, pag. 458.
Memor (Raffaele De Cesare), pag. 262.
Merlino, pag. 131.
Messedaglia Aagelo, pag. 301.
Metchnikof, pag. 37, 39.
MicHBLs Roberto, pag. 338, 340, 395,
898, 408, 419.
Mickiewicz Adamo, pag. 58.
MiRABKAu, pag. 67, 219, 238.
MoMMSEN e Marquardt, pag. 70, 90,
136, 240.
MoMMSEN Teodoro, pag. 92.
Montesquieu, pag. 14, 340, 435.
MoRELLY, pag. 279.
Mosca Bernardo, pag. 424,
Mosca Gaetano, pag. 52, 74, 76, 142,
265, 351, 376, 388, 390, 395, 396,
400, 420, 425, 426, 473, 479, 500,
501, 502, 503.
Monqeolle, pag. 8.
Pacchioni Giovanni, pag. 370, 372, 373.
Pantaleoni Diomede, pag. 254.
Pareto Vilfredo, pag. 338, 356, 459.
Pascal, pag. 465.
Platone, pag. 363, 401, 426, 435, 457.
Plauchut Edmondo, pag. 187.
Polibio, pag. 435.
PoLLocK Federico, pag. 4.
Prins Adolfo, pag. 265.
Proudhon, pag. 282.
Puglia, pag. 13.
Réclus Élisée, pag. 37, 88, 276.
Renan, pag. 18, 98, 178, 255, 380, 353.
Rensi Giuseppe, pag. 338.
Rituale dei Morti degli antichi Egi-
ziani, pag. 112, 354.
Rodbertus, pag. 310.
RoDRiGUEz Olindo, pag. 336.
Rousseau Gian Giacomo, pag. 115,259,
277, 278, 298, 397.
Rousset Leon, pag. 37, 61, 81, 88, 213,
240, 256.
RuFFiNi Francesco, pag. 387, 435.
Rutilio Numaziano, pag. 369.
N
Nisco Niccola, pag. 125.
Nitti Francesco Saverio, pag. 492.
Nobili Vitellbschi, pag. 312,
NoviKOF Giacomo, pag. 338.
O
Oberwalder, pag. 174.
Odescalchi Baldassare, pag. 276.
0' CoNNELL, pag. 101.
0' Meara, pag. 124.
Omero, pag. 347, 348, 419.
Origene, pag. 178.
OsTROGOBSKi, pag. 395.
Saint-Simon Claudio Enrico, pag. 282,
336, 341, 462.
Sallustio, pag. 420.
Salviano, pag. 106.
Sant'Agostino, pag. 376.
San Tommaso, pag. 385, 387, 435, 457.
Scababklh Ignazio, pag. 310.
SchJìffle, pag. 253, 292.
ScHÉuKR, pag. 265.
SCHLUMIIERGKR, pag. 442.
ScnuuÉ Édouard, pag. 127.
Scolami Saverio, pag. 4, 287.
Seamen, pag. 61, 140, 145, 265.
Sénart Émile, pag. 127.
Seneca, pag. 465.
608
INDIOB ALKABBTIOO DEGLI ADTORI
Senofonte, paj^. 93, 352.
Skbnicoli, pag. 276, 299.
Sheldon Amos, pag. 4.
Spencer, pag. 42, 55, 159, 160, 161, 162,
163, 164, 346.
Stanlky Enrico, pag. 24, 25.
Tacito, pag. 106, 347, 348.
Takde, pag. 13, 114.
TCHERNTCHEVSKI, pag. 101.
Thiebs Adolfo, pag. 97, 216.
Thureau-Dangin, pag. 174, 225, 238.
Tocqueville Alessio, pag. 139.
ToRENo, pag. 97, 216.
Tucidide, pag. 115.
ToRiELLo, pag. 271.
Vico Gian Battista, pag. 75.
Vigo de Roussillon, pag. 97.
ViLLETAHD, pag. 222, 314.
Voltaire, pag. 99, 230.
VoN DSB GoLTz, pag. 244.
Walibzewski, pag. 440.
Wellington, pag. 97.
Winschell, pag. 265.
WoRMS René, pag. 467.
U
Ulpiano, pag. 373.
Zakhabof, pag. 276.
I isr 13 I o E
PARTF. PKINIA
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origine e scopo della scienza politica. — IL Perchè si è scelta questa
denominazione. — III. Il metodo sperimentale e l'origine delle scienze.
— rV. Varie applicazioni di questo metodo nella scienza politica. —
V. Sistema che dà la prevalenza all'ambiente tisico nello studio della
scienza politica. — VI. Della prevalenza dei popoli del settentrione su
quelli del mezzogiorno. — VII. Continua Io stesso argomento. —
Vni. I vari tipi di organizzazione politica e le diversità di clima. —
IX. Importanza delia diversa configurazione del suolo. — X. Sistema
che fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze umane.
— XI. Eazze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle razze. —
Xni. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza. — XFV. Il pro-
gresso politico ed il miglioramento fisico delle razze umane. — XV. Rias-
sunto delle teoriche evoluzioniste. — XVI. Il metodo storico fondato
sulla identità fondamentale delle tendenze ed attitudini politiche delle
grandi razze umane. — XVII. Nuovi materiali di cui questo metodo
dispone. — XVIII. Obiezioni che ad esso si fanno. — XIX. A quali
condizioni questo metodo può essere bene adoperato. — XX. Continua-
zione dello steso argomento o conclusione Pag-
1-51
610 INDIOB
CAPITOLO IL
La classe politica.
I. Predominio di una classe dirigente in tutte le soeietà. — II. Importanza
politica di questo fatto. — IH. Prevalenza delle minoranze organizzate
sulle maggioranze. — IV. Forze politiche. Il valor militare. — V. La
ricchezza. — VI. Le credenze religiose e la cultura scientifica. —
VII. Influenza dell'eredità nella classe politica. — Vm. Periodi di
stabilità e di rinnovamento della classe politica Pag. 52-72
CAPITOLO m.
Nozioni preliminari.
I. La formola politica. — II. Il tipo sociale. — III. Rapporti tra il tipo
sociale e le religioni universali. — IV. Efficacia di queste religioni. —
V. La formola politica e le religioni universali. — VI. Lo Stato feudale
e lo Stato burocratico. — VM. Differenze fra questi due tipi di ordina-
mento politico. — Vni. Cenno sulle cause della decadenza degli Stati
burocratici -P«^- 73-90
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. — II. Coesi-
stenza di diversi tipi sociali in unico organismo politico. — HI. Unità e
differenze di tipo sociale tra le varie classi dello stesso popolo. — IV. Eap-
porti tra la diversità dei costumi e la varietà del tipo sociale. —
V. Psicologia delle plebi. — VI. Conseguenze della diversità di tipo so-
ciale tra la plebe e la classe dirigente Pag. 91-107
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
I. Varie opinioni intorno al progresso del senso morale. — II. La scuola
evoluzionista. — IH. Dottrina del Buckle - Disciplina del senso morale.
— rV. Influenza delle credenze religiose nella disciplina del senso mo-
rale. — V. Influenza dell'organizzazione politica. — VI. Il semplicismo
politico in rapporto alla difesa politica. — YTl. I governi misti - Cora-
511
pletaraento della teoria di Montesquieu sulla divisione dei poteri. —
Vm. Influenza della separazione del prestigio religioso dal potere laico.
— IX. Influenza della distribuzione della ricchezza. — X. Rappresentanza
ed equilibrio di tutte ■ le forze politiche. — XI. L'unità di tipo nella
classe politica Pag. 108-140
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime rappresentativo e la
difesa giuridica. — HI. Significato della così detta azione dello Stato.
— IV. Questioni intorno ai limiti di questa azione. — V. La dottrina
dei Comte sui tre stadi intellettuali e politici. — VI. Valore pratico
del parallelismo stabilito dal Corat3. — VH. Classificazione degli Stati,
secondo lo Spencer, in militari ed industriali. — VITI. Debolezze e
lacune di questa classificazione Pag- 141-166
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
L Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri coefficienti deUe
gare religiose e politiche. — ITI. Qualità dei fondatori di nuove religioni
e dottrine politiche. — IV. Nuclei dirigenti di ogni nuova religione o
dottrina politica. — V. Condizioni transitorie per l'adattabilità delle dot-
trine religiose e politiche ai vari momenti storici. — VI. Condizioni per-
manenti per la loro adattabilità alla natura umana. — VII. Transazioni
pratiche di certe dottrine. — Vili. Organizzazione stabile dei nuclei
dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti generosi e degli interessi
materiali. — X. Sistemi per attirare e dominare le masse. — Efficacia
della forza materiale. — XI. Altre arti adoperate allo stesso scopo. —
Xn. Conclusione del capitolo Pag. 167-202
CAPITOLO Vili.
Le rivoluzioni.
I. Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei comuni medioevali.
— n. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica, nell'Europa feudale e
nei paesi maomettani. — HI. Rivoluzioni in China. — IV. Insurrezioni
di carattere nazionale. — V. Insurrezioni rurali in Europa. — VI. Ri-
voluzioni tipiche della Francia moderna. — VII. Condizioni per la riu-
scita di queste rivoluzioni Pag- 203-225
612 INDIOB
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — II. Lo Stato burocratico
e gli eserciti mercenari e stanziali. — m. Preponderanza politica abi-
tuale dell'elemento militare. — IV. Ragioni per le quali questa prepon-
deranza è stata limitata e distrutta nei paesi di civiltà europea. —
V, Importanza pratica delle moderne milite cittadine. — VI. Diversità
di classe fra la bassa forza e gli ufficiali in molti eserciti stanziali. —
Vn. Giudizi e pregiudizi intorno alle speciali attitudini militari dei vari
popoli. — Vm. Gli eserciti stanziali, la guerra e l'avvenire della civiltà
di tipo europeo Pag. 226-246
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — IL I tre problemi della vita moderna — Il pro-
blema religioso. — HI. L'avvenire del Cristianesimo. — IV. Il Cristia-
nesimo e la scienza positiva. — V. Il problema politico. — VI. Esame
critico del Parlamentarismo. — VU. Le riforme del Parlamentarismo.
— vm. Quale sarebbe la riforma fondamentale — Ostacoli che incontra.
— IX. Il problema sociale — Origine della democrazia sociale. —
X. Estensione ed importanza della democrazia sociale — Varie scuole
nelle quali si divide. — XI. Esame critico del collettivismo. — Xn. La
giustizia nell'organizzazione sociale. — Xm. Esame critico dell'anarchia.
XIV. La lotta di classe. — XV. Effetti pratici della democrazia
sociale. — XVI. Cause della stessa. — XVTI. Probabilità di trionfo
della democrazia sociale. — XV ili. Rimedi atti a combatterla. —
XIX. Missione della scienza politica Png. 247-332
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina delia classe politica
e cause che ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da ch"ca un secolo. ~ II. Cause
estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo. — III. Cause intrinseche
della sua mancata diftusione e cenni sui modi di eliminarle . Fag. 885-344
INDICE 513
CAPITOLO n.
Descrizione dei diversi tipi di organizzazione politica.
I, I primi nuclei politici. — II. I grandi imperi orientali. — III. Forma-
zione dello Stato ellenico. — IV. Originalità e debolezze dello Stato
ellenico Pa^.. 345-366
CAPITOLO in.
Continua il tema del capitolo precedente.
I. Caratteri speciali della città-Stato romana. — II. Sua graduale trasforma-
zione in uno Stato burocratico-militare durante l'Impero. — III. Dissolvi-
mento dello Stato e della civiltà romana. — IV. Cause che prepararono
lo Stato feudale e sue caratteristiche. — V. Graduale trasformazione
dello Stato feudale nello Stato assoluto burocratico. — VI. Cause intel-
lettuali ed economiche che prepararono la trasformazione dello Stato
assoluto burocratico nello Stato rappresentativo moderno. — VII. La
costituzione inglese del secolo XVIII fornisce il modello formale allo
Stato rappresentativo moderno. — Vili. Caratteristiche dello Stato rap-
presentativo moderno ed elementi dissolvitori che lo minacciano Pag. 867-400
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella for-
mazione e nella organizzazione della classe po-
litica.
I. I due principi e le due tendenze chre si possono riscontrare nelle varie
classi politiche. — IL II principio autocratico. — III. I «uè strati della
classe politica e l'autoci'azia burocratica. — IV. Il principio liberale. —
V. Analisi della tendenza democratica. — VI. Asalisi della tendenza
aristocratica. — VII. Risultati dell'equilibrio fra i due principi e le due
tendenze Png- 401-437
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
I. Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli Stati o quello
della classe politica. — IL Rapporti fra il valore intellettuale e morale
della classe politica e quella dei governati. — III. Confutazione del
514
materialismo storico. — IV. Se sia possibile il governo dei migliori e
quali siano politicamente i migliori* — V. La giustizia assoluta e la
giustizia relativa nelle organizzazioni politiche. — VI. Se i progressi della
scienza politica potranno in avvenire evitare le grandi crisi sociali Pag. i'i^Al'i
CAPITOLO VI.
Conclusione
Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo decinionono. — II. Pro-
gramma politico del detto secolo. — IH. Risultati pratici dell'esecuzione
di questo programma. — IV. Germi di dissoluzione politica che esso
conteneva e contiene. — V. Pericoli e danni che presentano le tre so-
luzioni radicali possibili della crisi che ora traversa il regime rappresen-
tativo. — VI. Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi
più adatti per effettuarla Pag, 474-504
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