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ìiP
LANE MEDICAI LIBRARY OF
STANFORD UNIVERSITY
300 PASTEUR
PALO ALTO. CALIFORNIA
[OLOGIA DELL'UOMO
SULLE ALPI
STUDX2 F^m.shL moute rosa
. 3sr <3- :e3 Xi o i^^osso
Con 4» inctMioni e 49 (meetati.
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Fisiologia dell'uomo sulle Alpi.
18I0L0G1A DELL'UOMO
SULLE ALPI
STUmi FATTI SUI. MONTE ROSA
^HSTO-EXjO .J^OSSO./^^t^'/^'^
Olii <• i'.l Crarciali.
MILANO
F R A r K L L I T R EV E S , EDITORI
" // faat 8* estimer heareax si Von peui faine la moitié des
ohscroations auxquelles on s*est préparé, y,
Giuseppe Zurnsteiii scrisse queste parole raccontando all'Ac-
cadeinia delle Scienze di Torino, la sua prima ascensione sul Monte
Rosa. Io le pon^o qui perchè nii rendano il lettore indulgente, se
invece di un libro sulla flsiolop:ia deiruomo, gli presento solo al-
cuni capitoli intorno agli esperimenti che ho fatti sul Monte Rosa.
Mi preparai a questa spedizione appena fu costruita la Capanna
Regina Marglierita (sulla punta Gnifetti a 4500 metri sopra il li-
vello del mare). Pensavo che per studiare alcuni problemi della
fisiologia alpina bisognava fermarsi parecchie settimane sulla
vetta del Monte Rosa, e siccome non era possibile col solo aiuto
delle guide e dei portatori fare una serie esatta di ricerche sul-
Tuomo, chiesi al Ministro della guerra dieci soldati alpini sotto il
comando di un medico militare.
Il Ministero avendo annuito alla mia richiesta, mi recai al
reggimento degli Alpini in Ivrea e molti soldati si offrirono spon-
taneamente di venire con me sui ghiacciai del Monte Rosa. Avrò
spesso occasione di ripetere il nome di questi soldati ; ma In-
tanto voglio subito ricordare die il contegno e la disciplina loro
fu degna di elogio, per maniera che provo una soddisfazione nel-
r esprimere a questi umili soldati la mia ammirazione e ad un
tempo la mìa riconoscenza.
Il primo mese, dal 19 giugno all' 11 luglio del 1804, fu impie-
gato in ricerche preliminari per conoscere bene le condizioni fi-
siologiche dei miei soldati. Occorrendomi sapere come avrebbero
resistito alla latica, si compirono nelle prealpi marcie di 60 chilo-
metri con armi e bagaglio da Ivrea a Torino. Avevo scolto i sol-
dati in modo clie Tuna metà fossero tra i più forti e Taltra metà
di media robustezza: e li divisi in due squadre. Una venne su con
me salendo lentamente ogni settimana circa lOiX) metri. L'altra
venne su rapidamente in tre giorni sulla vetta del Monte Rosa,
quando noi eravamo già stabiliti nella Capanna Regina Margherita
IIOLOGIA DELL'UOMO
SULLE ALPI
STt/atl FAm,!KlL MOffTT ftOSA
.TsroELO i^^osso
Con 48 ifiettiont e 49 tracciati.
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Fisiologia dell' uomo sulle Alpi.
FISIOLOGIA DELLUOMOn
M SULLE ALPI ^J
^^^^^^ SII UOSTE ROS,i ^^^^^^^^^1
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O-EXjO l-dlOE
3 SO »**-/jj^
^^^^H~ MILANO ^^1
D K L L O STESSO AUTORE:
La Paura, h^ ediz. Milano, Fratelli Treves, 1884 L. 3 30
La Fatua. 4.* ediz. , riveduta dall* autore. Milauo,
Fratelli Treves, 1891 4 —
l'na ascensione d' inrcrno al Monte Rt}8a. Milauo,
Fratelli Treves, 188:> 1 —
L'educazione fisica detta donna. Milano, Fratelli Tre-
ve:*, 1892 1 —
La temperatura dd cervello, ln-8, con 49 incisioni
.'; tav. fuori testo. Milano, Fratelli Treves, 1894. 7 uO
L'educazione fisica della gioventù 2.^ ediz. Blilano,
Fratelli Treves, 1893 3 —
l'itoriiiKiA lkttf:i:aiìia kd AiiTisnrA
liiscrcati tatti i dir Itti.
Milano. — Tip. Fratelli Treves
.7
" // faut s' estimer heureax sì Von peut /aire la moitié des
obseroations auxqaelles on s*est préparé. „
Giuseppe Zurnstein scrisse queste parole raccontando alFAc-
cadeinia delle Scienze di Torino, la sua prima ascensione sul Monte
Uosa. Io le pon^o qui perdio nrii rendano il lettore indulgente, se
invece di un libro sulla fisiolopjia deiruoino, gli presento solo al-
cuni capitoli intorno agli esperimenti che ho fatti sul Monte Rosa.
Mi preparai a questa spedizione appena fu costruita la Capanna
Regina Margherita (sulla punta Gnifetti a 45G0 metri sopra il li-
vello del mare), l^eiisavo che per studiare alcuni problemi della
fisiologia alpina bisognava fermarsi pare(!cliie settimane sulla
vetta del Monte Rosa, e siccome non era possibile col solo aiuto
delle guide e dei portatori fare una serie esatta di ricerche sul-
l'uomo, chiesi al Ministro della guerra dieci soldati alpini sotto il
comando di un medico militare.
Il Ministero avendo annuito alla mia richiesta, mi recai al
reggimento degli Alpini in Ivrea e molti soldati si offrirono spon-
taneamente di venire con me sui ghiacciai del Monte Rosa. Avrò
spesso occasione di ripetere il nome di questi soldati; ma in-
tanto voglio subito ricordare clie il contegno e la disciplina loro
fu degna di elogio, per maniera che provo una soddisfazione nel-
r esprimere a ciuestì umili soldati la mia ammirazione e ad un
tempo la mia riconoscenza.
Il primo mese, dal 19 giugno air 11 luglio del 1894, fu impie-
gato in ricerclic preliminari per conoscere bene le condizioni fi-
siologiche dei miei soldati. Occorrendomi sapere come avrebbero
resistito alla fatica, si compirono nelle prealpi marcie di 6() chilo-
metri con armi e l)agaglio da Ivrea a Torino. Avevo scelto i sol-
dati in modo che Tuna metà fossero tra i più forti e Taltra metà
di inedia robustezza: e li divisi in due squadre. Una venne su con
me salendo lentamente ogni settimana circa lOrxi metri. L'altra
venne su rapidamente in tre giorni sulla vetta del Monte Rosa,
quando noi eravamo già stabiliti nella Capanna Regina Margherita
ì
i
I
IlOLOGIA DELL'UOMO
SULLE ALPI
STUDI! FATTI, mt UtOffTE ROSA
Qon 4S incininni e 49 tracciati-
Capitolo Primo.
La forza dei muscoli studiata a grandi altezze.
I.
Mi ricorderò sempre Giuseppe Ma(|uignaz che mi raccontava
come Al costruita la prima capanna sul Cervino. Eravamo iii-
sieine nel rirugio del Teodulo, accanto al fuoco aspettando si
chetasse la bufera che infuriava.
Sulle Alpi non si era mai lavorato a tale altezza, diceva Ma-
i|ui{;na/.. Era, credo, nel 18(57, e la capanna fu costruita a 1114 metri. ■<
Tutte le guide di Valtournanche andarono su per turno, ed im-
[riegarono circa tre settimane per farla. Maquigna;^ ed i suoi com-
pagni trovarono assai più dura la fatica a quell'altezza, perché
dati pochi colpi per spaccare le pietre, dovevano fermarsi a ri-
prendere fiato, cosa che in giù non capitava loro per uno sforzo
mollo maggiore.
L' appetito veniva meno stando tutta la settimana a dormir
Homo, riiiiologia diiruomo i«lU Alpi. 1
■ La forili dei inueioli eluiliala a grandi aHe::e
parecxhio ' al quale diedi il nome di erijografo. La figura 1 rap-
presenta come è disposto l'ergografo per scrivere te contrazioni
del dito medio della mano sinistra. Perchè il braccio non cambii
di posizione durante le contrazioni della mano vi é un sostegno
fissatore sul quale poggia il braccio. I morsetti die sì vedono
nella figura servono a tenere immobili il braccio, la mano in cor-
rispondenza del polso, il dito indice e l'anulare lasciando libero
solo il dito medio clic deve contrarsi sollevando un peso. A tale
scopo si attacca al diln una cnrdii'HIa per Tne/,i^o *li mi Jim^llo ili
fuoio messo strettiiiiiciiti.' iiitcti-iin ;ill;i si'(',,[i,i;i r.ii.inj,-. Dn.-'-.t.i
Ergografo applicato al br uccio per
tntrazioni del dito medio.
cordicella porta alla sua estremiti'! un peso di 4 cliilogrammi ed
é legata nel suo mezzo ad un cors'jjo registratore.
La figura 2 mostra in profilo questa parte dell' ergograro. Su
di una piattaforma di ferro due colonnette a forchetta poi-tano V ]
ciascuna due spranghe cilindriche di acciaio le quali costituiscono
le guide del corsoio metallico coli' asticella che scrive le contra-
zioni muscolari sopra un cilindro iufumato che per brevità non
venne rappresentato nella figura 2. L'apparecchio di orologeria
che fa girare il cilindro, il quale ha servito per queste e tutte le
L
L'I Fatica, 1B9I. pag. IRÒ.
dkul'volno »tll.Ul ALK
altre e^wrieiize grafiche ò rappresentato nella figura 9. l'uà cor-
dicella percorre l'apertura che sta neilassi; della vile che vedesi
il) testa all'appareccliio e dopo passa sopra una carrucnia. e soeode
tirata iii basso dal peso. 1« l'oiiIraT'.ioiil del dito medio si eseeuj-
scodo secondo il moto di mi pendolo oppure di un melronoii»
hi tutte le es|«.'rieijze falle sul Monte Hosu il ritmo col <)iuUe sa
esesulvaiio era segualo da un uieti-ouomo che sofrtmva i mluuK
secondi. Ad ogni duo secondi si faceva un coiilraziotie.
La parte dell'ergografo rappresentata dalla figura 2 é (alla in
modo cite non solo scrìve l' altezza di o^ contraziono del mu-
Fig. 2. — Ergogr«fo.
scoli, ma la misura in millimetri, e può anche dare la somma dì
tutte le contrazioni fatte in un tempo determinato. Ad opni con-
trazione del dito medili una pinxetla tira il nastm d) una luo*
gliezza che corrisponde all'altezza di sollevanicnt.» del peso, Quamln
li corsojo torna a posto, la pinzetta scorre sul nastro senza mo»-
verlo: e lo afferra di nuovo nella contrazione successiva. Cono-
scendo il numero dei cenllmetri cui fu sollevato il peso e il \-alore
del peso stesso, si determina in chilogrammetri il lavoro compiuto.
Nella figura :i A il primo tracciato a sinistra fu scritto a Torino,
l'altro B nella Capanna Resrina Margherita da mio fratello, mentre
solleva 4 chilogrammi col dito medio della mano destra. Un me-
I8I0L0GIA DELL'UOMO
~ SULLE ALPI
STUDII FATTI SUL MONTI; ROSA
LA.isra-EXjO ,iì^osso ^-^-^-'^'^l
4'.) tracciali.
MILANO
F K A T E L L I T R E V E S , EDITORI
DKLLO STESSO AUTORE:
/.a Paura, 5.» ediz. Milano. Fratelli Treves. 1884 L. 3 50
La Fativa. 4.* eliz. , riveviuta dair autore. Milano,
Fratelli Treves, 1891 4 —
rna ascensione d'in remo al Monie Ili.>Sit. Milano,
Fratelli Treves, 188') 1 —
L'educazione fisica della donna. Milano. Fratelli Tre-
ves, 1892 1 —
La temperatura del cervello, ln-8, con 49 incisioni
e T) tav. fuori testo. Milano, Fratelli Treves, 1894. 7 ^0
L'educazione fisica della yioventn 2.^ ediz. Milano,
Fratelli Treves, 1893 3 —
l'UOl'RIKT.V I.KTTKli.VKIA Kl> AKTISTUA
/iisercfUì tutti i (/ tritìi.
Milano. — Tip. Fratelli Treves
/.« for.
niwoli sliidiaUi n i,
che modo si modificassei'O la i-espirazione ed il cuore facendo un
medesimo lavoro. A tale scopo contai il polso ed il respiro in
tutti, prima che cominciassero gli esercizi coi nianuljri o mentre
erano bene riposati. Quando cessavano i sollevamenti perdio
atanclii. tornavo a contare il respiro ed il polso. La quantità del
lavoro compiuto dagli uomini allenali della mia carovana non è
diminuita, anzi ù cresciuta. Però trovai in lutti un'alterazione
mafigiure de!!' organismo, il cuore ed il respiro affrettano di più
i loi-o movimenti, quando compiamo un medesimo lavoro nel-
l'aria rarefatta.
^
Saussure aveva gi!\ tentato nel 171^ una esperienza simile a
quelle die ora espongo.
Un medico per nome Odier propose a Saussure alcuni pro-
blemi di (ìsiologia da risolvere; tra pli altri vi era questo: "Con-
tare il polso in posizione perfettamente verticale; se la differenza
è più grande che nella pianura, è una prova che l'aria delle alte
montagne aumenta l' irritabilità del cuore. ^ Quando Saussure
piantò le sue tende sul colle del Gigante, a 3365 metri ' dopo
aver dormito In posizione orizzontale, coniò il suo polso e trovò
che batteva 83 volte in un minuto, allora si alzò e il polso bat-
teva 88 volte. Temendo die la fatica per alzarsi avesse potuto
contribuire a questo acceleramento .Saussure si riposò qualdie
istante e il polso scese a 82 battute. L'esperienza non 6 riuscita
e Saussure passa ad altro senza tornare più su tale argomento.
Vedremo dalle seguenti esperienze die il cuore ed il respiro
si altei-ano di più clie nella pianura quando si compie il mede-
simo esercizio dei muscoli sullo Alpi. I dati che ho raccolto per-
mettono un'analisi più esatta dei fenomeni che osservansi nel
polso e nel respiro in seguito ad un lavoro dei muscoli.
Chamois è uno dei soldati della seconda squadra die venne
su rapidamente da Ivrea fin sulla vetta del Monte Rosa. A To-
rino per sollevare 121 volte i manubri! di 5 chilogr. ciascuno, col-
rintervallo di 4 minuti ti suo polso crebbe da 62 a (ì8. 11 respiro
da 20 sceso a 18: ma le inspirazioni dopo la fatica erano più pro-
fonde. Arrivato sul Monte Rosa a 45G0 metri il soldato Chamois
si lamentò i! primo giorno di mal dì capo e di mal di ventre,
ta SAOfeFBi-, Cìnqvièmt Voyage, Col ihi Géant. Tou
n*iel«g!a JiII-kohio rulU Alpi.
IV. \.m
3]Q.
10 nsioLooiA dell'uomo sulli alpi
(liceva spesso che non poteva respirare bene: non ha però perduto
Tappetito. Por contare bene il polso radiale che è filiforme, sono
obbli^rato a mettere le dita sull' arteria del collo.
11 resi>iro ed il polso in questa e nelle osservazioni sejruenti.
lo contavo solo per 30* onde poter sejruire meglio le loro varia-
zioni, ed aver tempo di prenderne nota. Ogni linea di queste tal)elle
(*orrisponde a due minuti.
Soliltto ChimoÌA, 14 agosto. (Capanna Re^na Margherita).
Polso in :ìiV- Respiro in .V
Or.» 4.29. 47 11
4rt 11
4« 12
Oro 4.31. Fo«'e 119 sollevamenti dei manubri.
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Vediamo clic dopo <> minuti di riposo era già tornata come
priinii la fi*e<|uenza del respiro: mentre il polso era sempre celere
ancelle dopo -jn minuti.
Nel miiggior numero dei casi trovai che V acceleramento del
respiro dura i»iù a lungo: e (lualche volta tornarono insieme ad
essere normali il i*espiro ed il cuore. Per non moltiplicare gli
esempi, mi limiterò a darne uno soliì.
Il soldato oherliofTer venne su direttamente da Ivrea alla Ca-
l)aiina He^Miia Mai'gherita. senza prima acclimatarsi. Anche lui
non stette bene il pi-ìmo giorno: aveva il polso deirarteria radiale
debole e lìlitornie tanto che dovevo ant^lie su lui contare il polso
alla (^aroti(h.\
A Torino sollevando V2i volte i manubri del peso di 5 chilo-
granuni ciascuno ad intervalli di t minuti, il ])olso crebbe da 70
ad sr>, il ivsi)in) da '2:\ senese a '2'2. Sul Monte Rosa invece avemmo
i risultati seìxuentì:
I. — La foì'za dei ìnuscoìi siudiaia a grandi altezze 11
-^ 1
Soldato Obeì'hoffeì', 14 agosto 1894. (Capanna Regina Margherita).
Polso in 30" Respiro in yO"
Ore 11.20. 43 12
41 12
Fa 180 sollevamenti dei manubri.
Ore 11.34. 69
14
62
15
48
13
47
13
44
15
45
14
45
13
45
14
44
13
44
13
42
12
Alle ore 11.52 dopo 22 minuti di riposo sono ritornati insieme
al normale il cuore ed il respiro. ♦
IV.
11 cuore ed 11 respiro si alterano più facilmente sulle Alpi
quando si compie il medesimo lavoro; ma la rarefazione del-
l' aria non esercita un' influenza immediata sulla forza e sulla
resistenza dei muscoli: perchè anche all'altitudine di 4560 metri
abbiamo l'energia per fare il medesimo lavoro che abbiamo ese-
guito in basso. Forse i prodotti della fatica agiscono più inten-
samente suir organismo quando la pressione barometrica è mi-
nore. Il nostro polso era alquanto più frequente quando stavamo
in piedi nella Capanna Regina Margherita. Questo va d' accordo
e si spiega col fatto che sul Monte Rosa il polso ed il respiro
presentarono per il medesimo lavoro una modificazione succes-
siva più intensa.
Altri esempi di queste esperienze ho raccolto in fondo al vo-
lume in una tabella. Per brevità tralasciai le stazioni intermedie
e riferii solo i numeri raccolti a Torino e nella Capanna Regina
Margiierita.
Per i concetti che svolgeremo in seguito è utile vedere come
anche sul Monte Rosa non siasi modificata la frequenza del re-
IX FISIOLOGIA DBLL'COMO SCLLB ALFI
spiro per un lavoro raticos'3 dei muscoli in alcune persone estre-
mamente forti.
Scelgo come esempio Tesperìenza fatta nella Capanna Regina
Margherita sopra uno degli uomini più robusti della nostra com-
pagnia: il soldato Marta, che faceva da cuoco. Egli mi aveva detto
parecchie volte che non si era mai sentito cosi bene come a fare
il cuoco sulla vetta del Monte Rosa: infatti lavorava contento
senza fermarsi mai.
11 giorno 14 agosto lo pregai di fare un esercizio coi due ma-
nubri die pesano 5 chilogrammi ciascuno.
S*ìÌdato Marta (CapanDa Regina Margherita).
Polso in :V» ' Respiro in :»"
Ore 10.15. 46 11 . v- i
4H 12 , formai*.
Eseguisce 183 sollevamenti dei manubri prima di fermarsi.
Ore 10.28.
67
12
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10
V2
:9
12
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lo
')'}
10
La freciuenza del respiro non è aumentata, anzi vi fu una
leggera diminuzione; la profondità dei movimenti respiratori, era
però vislbihnente maggiore. Questo risultato è importante. i>erchè
si tratta (lUi di un lavoro meccanico così grande come pochi uo-
mini sono capaci di fare. Solo il ritmo del cuore si è modificato,
e dovettero trascorrere 20 minuti di riposo prima clie tornasse
normale.
Clii prenderà in mano due manubri di 5 chilogi*. ciascuno e
proverà a sollevarli sopra la testa con intervalli di 4 secondi,
nel modo indicato, si accorgerà che la forza di questi soldati
non ora diminuita perchè superavano la media.
La fatica come la emozi(ìne proiiuce un mutamento più grave
nel cuore clic nel respiro.
Onesta b.^gge che avevo già trovata studiando le modificazioni
che.snl/iscc T orgiiiiìsmo nei Icnonieni psicliicL si verifica nelle
;is(MMisi'>ni. Resta così confermato che la causa delle alterazioni
sui/ite dal respii'o e dal cuore, non sta nella contrazione dei mu-
scoli. Sono renoiiieiii molto complessi ì rapporli che esistono tra
il cervello e i visceri, quali il polmone ed il cuore. La supposi-
zione Cile nella Tatica dei muscoli si producano delle sostanze
velenose die agiscono sui centri del cuore e del respiro è vera;
ma ó anche vero che non occorre il lavoro dei muscoli per pro-
durre la palpitazione e ì'alTanno.
^^ L'aver noi il respiro più frequente e i battiti del cuore più
rapidi, quando Tacciamo un lavoro maggiore coi muscoli, permette
di paragonare il nostro corpo ai motori a gas che ora si ado-
perano nelle industrie, i quali regolano automaticamente la forza
motrice. In queste macchine quando diviene più duro il movi-
mento che (ievono compiere si sente subito che i colpi di stantufo
e le esplosioni diventano più frequenti.
Tale similitudine non serve completamente, perchè la nostra
macclilna <i assai più complicata. L'ossigeno respirato e l'acido
carbonico prodotto, non rappresentano tutta l'energia messa in
giuoco dai muscoli. Finito il lavoro contiiuia la respirazione ad
essere più intensa e la palpitazione del cuore dura anelie più a
lungo, perchè il sistema nervoso modifica il consumo dell'orga-
nismo in modo che non è proporzionale al lavoro meccanico Tatto,
Nel mio libro sulla fatica ^ ho già dimostrato che si producono
delle sostanze velenose nei muscoli i (|uali lavorano. Iniettando
il sangue di un cane affaticato in un cane che dormiva, vidi pro-
dursi anclie in questo, l'affanno del respiro e la palpitazione del
cuore.
La frequenza maggiore del polso che dura spesso lunghissimo
tempo, dopo che siamo ritornati al riposo, dipende, secondo ogni
probabilità, dai veleni clie si producono nel corpo per la fatica.
Fino a questi ultimi tempi molti hanno creduto che il respiro,
quando ad esempio si salgono le scale, cresca perchè il sangue
deve eliminare una quantità maggiore di acido carbonico. Le
indagini recenti di Zuntz e Geppert di P'ileline e Kioniva" mo-
strarono die il sangue nelle arterie durante il lavoro è più ricco
di ossigeno che nel riposo, e che contiene una quantità minore
di acido carbonico. Johansson studiò l'iiilluenza che l'attività del
' A. Uossu, La Fiittea, jug US.
ypfiUger'» Archh- fiir Phjnolojie. Voi, 42, p^.^.
14 FISIOLOGIA DELL UOMO 8ULLB ALPI
muscoli esercita sul respiro e sul cuore ^ Egli si limitò a fare le
sue ricerche sopra i conigli, lo ho preferito V uomo dove il pro-
blema appare assai meno complesso che negli animali; qui mi
limito a riferire una esperienza.
Il soldato Solferino, il giorno 2 agosto fece una esperienza coi
manubri, mentre eravamo accampati presso la Capanna Linty
(3047 metri).
Polso in 30 Respiro lu W '
Ore 5 pom. 39 10
40 10
SoiieTa 104 Tolte i due manubri di ó chilogrammi.
5.10.
55
14
r.3
11
4.".
11
44
10
43
10
44
10
Dopo 4 minuti il respiro era tornato alla fi*equenA di prima:
i movimenti del cuore si fecero normali solo dopo 20 minuti
Il giorno dopo mandai il soldato Solferino a Gressoney a pren-
dere la posta e fare alcune provviste. Glie cosa abbia fatto la
notte non seppi, probabihnente si fermò ad una cantina: tornò il
giorno dopo verso mezzogiorno assai stanco e credo che la notte
avesse bevuto più del solito.
Il giorno successivo 5 agosto alle ore 0.40 lo invito a fare una
esperienza coi manubri poco' dopo che si era alzato dal letto:
Polso in :*»'
Respi
irò in :X)'-
29
9
28
9
28
9
Solleva solo 67
Tolte
i manubri.
Ore 9.51.
00
16
r)3
15
40
14
39
13
3:)
10
38
10
38
9
38
9
38
i»
37
9
„ 10.30.
39
9
^ 10 4.-..
37
9
„ 11.
35
9
,. 11.30.
:{()
9
,. 11.50.
2S
9
' ShdìdJuiavischcs Archiv fi'ir Physiologie, 1893. Voi. V. pagina 21.
I. — La forza dei muscoli studiata a granii altezze 15
Vediamo da questa esperienza quanto uu disordine dietetico
ndebolisca le nostre forze. Per un lavoro più leggero (il soldato
Solferino sollevò 34 volte di meno i manubri), provò in modo più
:rave la stanchezza. 11 numero delle respirazioni crebbe fino a 32
B si mantenne 12 minuti più del normale, mentre nell'esperienza
precedente aveva durato solo per G minuti la frequenza maggiore
del respiro. Ma gli effetti più gravi si riscontrano nel cuore, clic
impiega un'ora prima di tornare alle condizioni primitive, quan-
tunque la persona rimanga in questo frattempo seduta.
Il professore Oertel in un libro assai conosciuto ^ nel quale
studiò l'influenza benefica che il movimento e le ascensioni mo-
derate, esercitano sulle malattìe del cuore e dei polmoni, dimo-
strò che dopo la fatica di un'ascensione il cuore è già ritornato
al normale, mentre i vasi sanguigni sono ancora dilatati. An-
che 24 ore dopo un'ascensione faticosa vide che la tensione delle
arterie era minore registrando il polso collo sfigmografo. Non mi-
surai la pressione nel soldato Solferino, ma credo fosse poco di-
uiinuita, perchè il polso aveva una frequenza normale, e minore
di quanto fosse nel giorno 2 agosto.
L'azione nervosa necessaria per fare uno sforzo, agisce di
Per sé indipendentemente dal lavoro chimico dei muscoli e pro-
duce un cambiamento repentino nel cuore e nel respiro. Come
Una emozione morale ci mozza il fiato e ci dà la palpitazione, cosi
il sistema nervoso, quando manda una serie di ordini ai mu-
scoli, prova una specie di emozione incosciente che modifìche-
i*ebbe il respiro anche se i muscoli non si contraessero.
Ho veduto un cane molto affezionato e sensibile il quale per
aver sentito lo scoppio di un razzo a grande distanza, ebbe tale
spavento che subito cominciò a respirare come se avesse fatto
una corsa. Mezz'ora dopo era ancora ansante, il cuore gli batteva
brte e respirava con affanno.
Vi ò dunque un intimo legame fra il cervello, la respirazione
)d il cuore; legame che tutti conoscono per mezzo delle emozioni.
Nei capitoli seguenti mostrerò meglio come l'influenza di un
)iccolo disordine nel regime disponga al male di montagna. L'e-
;empio del soldato Solferino acceinia una delle complicazioni gravi
n questi studi. Oltre i veleni che di continuo si producono in noi.
liascuna parte dell'organismo opera sulle altre e spesso i feno-
neni diventano così inestricabili che non riusciamo a definire
[uale sia la causa e quale l'effetto.
^ I. Oertel, Handbuch der allgemeinen Therapie der Kreislaufs-Storungen.
»eìpzig, 1891. pag. 195.
sx
Fermlamod Rupra un Bitro punta
parlfliv ilecll HveiilmenU timr^Uli
iis'-ciinioiii itlpliic. it più Itolo (ti qneni «•
AIcsHiiiitlrn Humboldt iioH'Amcrica del Sai
Tuo roÌa.surlo viiloan do Ph:blDelkfc.j«
HulitiioiHviit, un el viulmit mal «Teaiomae
tlfiD. mio Jo fUR tiviuvó ^leiidu sana
incili Oli Jc vana))) (lo me H«H'Qrerile
iiVUilt ciuu de 1:JWiO n\Qàs iHAj iiietiik par
sldOralilfì. „
Nello ftluillo c^iinpunitlvo dollu r:ittca a
poicvt» limitarmi a. «onlai-c II respiro, ma lo
cambiui-c la proroiidltA ruApiratorla . rimaocada
MUfiiiza ilei iiiovlirioiitl. La iiece^wlà d! essere
]>ossli)Ue lu rlprodu/ioiie d! molti tracdatt che
/«re mcKlki (lueslf feiiomoMl. Uno penj rredo
liiteivk perdio ess<j ci fa n^slsture ad uiiu svealoMaÉ» pn«Mto-
dalla fatica sullo Alpi-
Il ctonio 10 agosto lisot in llii rninimiii ni iiliiii MiijlMiBi irii
ra'c 4^, scrivevo lu i-espiraì:l()iiu toracica del caporale Cxaocn
col jitioumofirafo doppio di Miimy. Il {;ionm preaedeuto e^ Ma
arrivato dalla Capanna Llnty scarico, coit tempo btìÈÈatìHMx, m
buone coiidi/loiil. Il tracciato noruialo d«l respiro, d r^ipreMK
tato dall' ultimo pezzo di tracclatu clic trovasi In basso a ihsH
iiollu figura i>. La lluoa 1.* rappresenta un minuto di respiro noni
male, durante il quale la iO respirazioni,
Tnltogli 11 pneumoiirafo dal torace, li caporale Camoxzì prew
ì due manubri di 5 cliltojtrrainmi l'uno e fe<:e 150 BolleTsmeuti.
Il massimo, all' accampamento Indra dove avQ^
esperienza- era stato di 108 sol leva nienti. La
15U sollevamenti mostra come fi>wse grande la
Rt'a]tc/.zn. Appena fluito pVi metto subito il piieumogralb • regi-
stro il respiro.
La lìnea i!.' nella figura ti, rappresenta 11 tracciato del re-
spiro scritto subito dopo la fatica. La frequenza è 29 al minuto.
> yolke 8111' deux ietitalivts d'aKttuian rfit Chimboì-aio par Alexandre ik Htm-
baldi. Annales de Chìmie et dePbjsigus, Tome OS, 1888, p. 401.
18 FISIOLOGIA DELL* UOMO SULLE ALPI
Il polso batte 128 al minuto, e subito dopo verso la fine della
linea, cresce e sale a 136 al minuto. Nella linea 3.*, dopo 6 mi-
nuti che aveva finito di sollevare i manubri, sento che il polso
radiale diviene debole e quasi non posso più contarlo. Metto la
mano al collo per toccare la carotide e conto 60 pulsazioni su 3(r.
In questo momento Camozzi mi dice che vuol sedersi perchè vede
venir tutto buio. Guardo il tracciato e subito scorgo che la re-
spirazione da oltre un minuto è anch'essa profondamente cam-
biata. In A faccio sedere Camozzi sopra una seggiola, perchè era
sempre stato in piedi: subito dopo, successe uno svenimento.
Il tracciato, come si vede, fu interrotto. Gli spruzzai la faccia
con un po' d'acqua e subito rinvenne. Appena mi disse che era
passato tornai a scrivere il respiro. Come si vede nella linea 4.'
della figura 6, il respiro è assai più forte di prima quando cessò
il lavoro, è quasi il doppio per altezza in confronto all'ultimo
pezzo di tracciato che rappresenta il respiro normale prima della
fatica. 11 polso invece è rallentato, perchè fa solo 104 pulsazioni al
minuto.
Scritto quest'ultimo pezzo di tracciato, non volli continuare la
registrazione ed invitai il caporale Camozzi a coricarsi sopra un
materasso nell'altra stanza, bevette una tazza di caffè e dopo 10 mi^
nuti volle alzarsi assicurandomi che stava perfettamente bene.
Di rado i medici, e forse non mai, ebbero occasione di seguire
con eguale precisione il cominciare e lo svolgersi di uno sveni-
mento. K importante l'aver notato che il respiro ed il cuore siansi
modificati contemporaneamente nelle loro funzioni. Passarono sei
miimti dopo cessato l'esercizio dei muscoli prima che si manife-
stasse la debolezza nella funzione del cuore e del respiro. È in-
teressante la modificazione subita dal respiro, il quale si rallentò
alquanto nel principio dello svenimento, presentando una leggera
fermata al principio della espirazione. I movimenti del torace di-
ventarono molto superficiali, e cessato lo svenimento si rinfor-
zarono.
L'eccitabilità dei centri nervosi era diminuita quando si pro-
dusse lo svenimento. Vi fu come una paralisi del centro respira-
torio, e dei nervi cardiaci. Per quale ragione sia succeduta questa
paralisi centrale non saprei dire: ma basta questa osservazione
per convincere chiunque che non è la insufficienza del respiro
che ci impedisca di lavorare sulle Alpi, e non è l'ossigeno che ci
manchi durante il lavoro. Per sei minuti dopo che cessò il la-
voro parve che tutto procedesse normalmente. Il primo feno-
meno morboso fu al contrario una diminuzione nella profondità
e nella frequenza del respiro.
- La forili ilei muscoli uludiata n grandi altezze
le
TI sangue contUiuù a diventare venoso duraiilc lo svenimento.
Questa asfissia iiicipieiile non aggravò le condizioni, il die prova
essere stata un' altra la causa della diniinuzioue di eccitabilità
subita dai centri nervosi. Appena ristabilita la Torza nervosa il
centro respiratorio cercò di rimediare alla precedente diminu-
rione del respiro. Questo ci spiega perchè la respirazione non
sia mai stata cosi Torte quanto in principio della ■1,'' linea del
traccialo.
Anclie (|ui osservammo che il massimo delle pulsazioni cardia-
die, non si raggiunge nella fatica, o immediatamente dopo cessato
il lavoro; ma passati alcuni miiiuti di riposo, il polso saliva da 12«
a 136. Su questo punto torneremo in seguito. Sappiamo intanto
che cessando l'esercizio dei muscoli, non migliorano subito le
condizioni, che anzi peggiorano. Forse l'emozione incosciente del
sistóma nervoso durante 11 lavoro dei muscoli è un eccitamento
clie agisce sul centro del respiro e del cuore. Forse quando cessa
la lotta e lo sforzo, questi centri abbandonati ai riposo sono pa-
ralizzati dai veleni della fatica.
Alessandro Humboldt* misurò nelle Ande raUe/./.a alla quale
vide volai-e un condor e trovò che era di -21 834 piedi (7072 metrij.
I fratelli Schlagintweit * raccontano che videro nell'Asia delle
aquile e degli avvoltoi a 23 000 piedi (7453 metril e che per sei
giorni mentre stavano all'altezza di (500() metri sul Ibigamìn fu-
rono seguiti dalle cornacchie {Tibelan racen) che mangiavano gli
avanzi dei loro accampamenti.
Osservazioni jiiù modeste possiamo far anello sulle nostre Alpi,
e DOQ sono meno degne di meraviglia.
I gracchi {Graculus atpinus) partivano spesso da Alagna e
venivano su a stormi sino alla Capanna Regina Marglierila. Una
Volta col cannoccliiale li vidi sopra il Ghiacciaio delle vigne, che
volavano in su facendo una grande spira. Ci chiudemmo subito
odia capanna e stetti a guardarli da una fessura, quando si po-
ttrono davanti alla porta per mangiare gii avanzi della cucina.
'Aluakdeh von HiTMBoujT, Aiigiihten iltr Salur. Zweiter Band, ErlSii-
»»«gmi. 2, S. 4.
' tlnutl>3(, AdOLPHK i«D BOBEBT ScHLiOlKTWEIT. BtSUlU of fl fcietllìfic Wli»-
•wlo India and Hi'jh Ar^a. — Leipzig London, 1862, Voi. IL
20
FISIOLOGIA DELL UOMO SULLE ALPI
Li osservai bene a pochi passi, e il loro respiro era tranquOlo,
come non noti sarei imaginato pensando che erano venuti su cosi
presto, alzandosi per circa 2000 metri d'un tratto.
Zumstein racconta che fu circondato da una quantità di questi
gracchi la prima volta che saliva sul Monte Rosa. Ho veduto
spesso questi uccelli girare sulle cime più alte e più deserte del
Monte Rosa, dove tranne qualche insetto trasportato dal vento,
manca ogni traccia di vita, e pensai che queste cornacchie, come gli
avvoltoi ed il condor, non giungono a tali altezze per cercare di
che pascersi. Non so dire perchè ci vanno, ma certo non soffrono
e non deve costare loro grande fatica questo andare a zonzo
per un'aria tanto rarefatta.
Gli studi recenti di sperimentatori abilissimi tendono a dimo-
strare che l'ossigeno assorbito dalla respirazione cresce nella
medesima ragione del lavoro compiuto. Vedremo in seguito altri
fatti più convincenti che ci obbligheranno a dare minore impor-
tanza air ossigeno che respiriamo, come causa immediata della
energia sviluppata dai muscoli.
Gli uccelli che vivono nelle regioni più elevate dell'atmosfera,
per reggersi nell'aria tanto rarefatta devono compiere un lavoro
talmente energico dei muscoli come forse non fanno mai gli ani-
mali sulla terra. Ciò nulla meno sembra che essi fra tutti gli es-
seri viventi, siano quelli che hanno bisogno di meno ossigeno nel
respirare.
Spesso guardando gli uccelli che volavano intorno al Monte
Rosa pensavo che forse lo studio della fatica in questi animali
ci aprirà dei nuovi orizzonti, essendo inesplicabile che siano gli
animali più caldi fra tutti e siano viceversa quelli che respi-
rano meno frequentemente. Il Condor fa solo sei respirazioni al
minuto (quattro volte meno di noi) e scorre veloce dove l'uomo
non è ancora giunto camminando, e se forse vi arriva " sarà pieno
di angoscia e privo di forza y. come disse Humboldt \
^ Der Menadi hefindeA nidi in ftnkhen Hlihen in einem beiiìigsiigenden astheni-
srhen Zufifande. Opera citata, p. 37.
tt'asceiisione d'iiivenio al Monte Rosat
! pazzia! Perchè I
Fu per sva{(o. Avevo bisogno nei miei studi di provare una
grande fatica, specialmente una fatica degli ocelli come può dare
solo li bagliore prolungato della neve sulle Alpi. Spero sarò giu-
dicato con indulgenza se questa ascensione invernale, non fu del
tutto inutile per la fisiologia, l'rinm pen't vorrei far conoscere
l'ambiente dove ho fatto i miei studi, ricordando le vicende degli
alpinisti ohe quivi iniziarono le ricerche scientifiche.
Gli italiani avevano già conquistato il Monte Rosa e disegnate
con esattezza tutte le sue punte, quando dal lato settenlnonale
non sapevasf ancora dove fosse questa montagna.
G. Sluder nella sua storia delle Alpi scrisse " che fino al IS-HO
^^^Dografi svizzeri e 1 disegnatori di panorami scambiarono il
ss FI9I0L0QIA OKiL^OMO tULIA AlOfl
Monte Rosa col Mischabelhòrner \ „ Adesso chi dal lato di Ze^
matt o dalla Capanna Regina Margherita (come si vede nella figura
a pag. 257) guarda la distaiu» che separa la cima del Miaebabei-
hòrner dal gruppo del Monte Rosa, si persuade a stento che ^
tanto vicina quesV epoca quasi preistorica dell* alpinismo, nella
quale la regina delle Alpi era ancora sconosciuta e contùsa colle
montagne più basse che si stendono verso il settentrione.
Nel 1788 il Ck>nte di Morozzo, presidente dell* Accademia delle
Scienze di Torino ' tentava la prima ascensione del Monte Rosa.
Disgraziatamente provò dal lato di Macugnaga, ed arrivò solo
a 3700 metri. La prima via tentata dalla parte dove il Monte
Rosa si mostra meglio in tutta la sua grandezza, fti Tultima ad
essere percorsa, dopo un secolo di prove nel 1872. Parlo del Conte
di Morozzo anche per ricordare il tempo più glorioso della fisiolo-
gia italiana. Verso la fine del secolo scorso si iniziava in Italia
prima che altrove lo studio esatto della respirazione. Spallanzani
e Fontana furono i più grandi fisiologi di quei tempi. Accanto ad
essi stanno Cigna che ricorderò più tardi e il Conte di Morozza La
sua memoria col titolo : Expériences eudiométriques sur VcUr pur
vieiépar la respircUion animale è un lavoro che merita di essere
tolto dall' oblìo, perchè le ricerche in esso contenute sono poco
diverse da quelle che facciamo adesso. L' idea fondamentale del
libro di P. Bert sulla pressione barometrica, cioè di analizzare
Tarla nella quale muore un animale per asfissia, con l'intento di
conoscere i mutamenti che )m subito la composizione dell'aria,
è un'idea del Conte di Morozzo, e che egli primo mise ad effetto
coU'analisi eudiometrica.
Le cinque ascensioni di Giuseppe Zumstein sul Monte Rosa,
sono dal lato alpinistico forse più importanti che non quella di
Saussure sul Monte Bianco. Perchè Jacques Balmat aveva già
fatto due volte l'ascensione del Monte Bianco, quando parti con
altre diciassette guide per condurre Saussure*.
L'Accademia delle Scienze di Torino pubblicò nel 1820 la rela-
zione di Zumstein, dove è descritta la prima gita fatta con Vincent
alla piramide ctie ora porta questo nome \ La descrizione dei
quattro viaprgi successivi venne pubblicata in tedesco nella Mono-
1 G. Studer, Ueber Ei» und Schnee. Bern, 1869, Il Ablh. S. 4.
^ (JoNTK e. L. Morozzo, Sur la mentre dea principaux points de9 ÉtaU du
Boi. 3r. IX, 1.
3 Saussure, Relation àbrégfe d'un royage à la cime du Moni Blanc 1787.
* J. ZuMSTBiN et N. Vincent, Voyage sur le Moni Rose et première excur-
non de. 8on sommet meridional. Memorie della R. Accademia delle Seiense di
Torino, Tomo XXV, 1820, p. 230.
grafìa del Monte Hosa, scritta dal v. Weldeii, clie erasi recato in i
quel tempo' a Gressoiiey, donde fece molle ascensioni col Ziim- |
Stein e diede il nome alla Ludwii^sliòhe.
Ho trovato nell'Archivio dell'Accademia delle Scienze di Torino,
la relazione autografa che Zumstein, come socio corrispoiideiile.
vi presentò il 1." marzo lii'M. A quei tempi il Monte Rosa si i
iiosceva solo dal lato di Macut^naga, tutti credevano che sotto |
le punte dal lato settentrionale vi fosse una valle profonda, lì
stato Zumstein il quale scopri l'altipiano di ghiaccio che sta come
un immenso anfiteatro in mezzo alla corona che fanno le punta
del Monte Rosa. Uno splendido disegno a tempra delle ultime
cime del Monte Rosa, fu da me trovato fra le carte del Zumstein.
Spero che non mi mancherà il tempo di pul^hlicare un cenno bio-
grafico di Zumstein coi nuovi documenti die lio raccolto: qui mi
limito a copiare un frammento del manoscritto dove egli racconta
come fu da luì conquistata la vetta che porta il suo nome, e I
dove si vede ancora la croce di ferro clie egli vi ha piantato.
Zumstein dormi a 4^17 metri nel crepaccio di un ghiacciaio,
fino a Tyndall nel 1859, nessun altro si fermò la notte cosi in
sulle Alpi*.
j^ ** Je vis avec satisfaction. de l'endroit où Je me trouvois, qua i
Tou pouvoit rort bien escalader la poinle que nous nous étions
propost-e pour but de notre voyage. Cette grande mer de glaces
et de nciges qui ne presentoit aucune crevasse t^toit unie et d'une
blaucheur Oblouissante.
" Au milieu de mes observations arriverent mes amis et quel-
ques porteurs : ces derniers dcposéreut leur cliarge et retournérent
à la reucontre des autres. Aprùs quelques moments de repos, M. Mo-
luiatti, qui venali d'arriver, se liàta d'établir soii theodolite à cùtò
de mes autres instruniens, mais en vain ; car k peine étolt-il prét
que les Quages se sori'èrent autour et au-dessus de nous. et les
cimes loinlalnes se dérobèrent à notre vue.
** La nuit approchait et nos porteui-s n'arrivoient point. Une
grande partie de nos effets ctoit aussi en arrière, et notamment la
lente et le bois dont nous avious si grand besoin. Il étoit six
Ueurea du soir et personne ne venoit. Le tliermomòtre ótoit à — 7".
Un cttangement de tempil'rature de 15" eii s! peu de temps tìt sur
moi un très mauvais effet. Mes gens Étoìent eugourdis et un som-
Z.UUI
m
■ LcDwia Frbuiebk t. Wbldem, Da- MoitU Rana. WìeD, IH24, Un sunto dì
<jiiH8U>Ubru fu stampato nulla "llibliothéque univurKolle de GÉnève,, TumeXXVlI,
I>. ì)21 e Inme XXVUI, p. W& nel IB34 e 1635.
■ J. TiBDALL, Uour» Qf ErtroUR in the Alps. London, 1871, pag. M.
24 FI8IOLOOIA DELL^UOMO 8ULLB ALPI
meil insurmontable me gagiioit Mes compagnons me virent pàlir
tout à coup, je me sentois sans forces et sans courage. Mais le
vieux Jos. Beck, chasseur expórimenté, commenda à me secouer,
a me déplacer, afln que mon sang pùt se réchauflfer, et à me pro-
diguer toute sorte de secours.
" Le froid augmentait de plus eii plus ainsi que notre embarras.
Il est aisé de s'Imaginer de quelle terreur nous étions pénétrés.
Placés à une liauteur de 13 000 pieds au-dessus du niveau de
la mer, avec 10° de fl*oid, toujours croissant, sans abri, sans feu,
les pieds sur la giace, à la belle étoile, et exposòs à toute la rigueur
et à tous les dangers de la nuit imminente.
^ Nous avions enfln résolu d'affronter les plus grands périls
en retournant sur nos pas, malgró robscuritó de la nuit, qui n'étoit
pas dans ce jour óclairóe par la lune, lors<iue enfln les porteurs
tant dósirós arrivèrent avec leurs charges
^ Nous arrivàmes au bord de la fente par une paroi de neige
inclince à G5 degrés environ. Le vieux chasseur Jos. Beck futle
plus bardi et le premier qui osa descendre au fond de la fosse
l)ar quaranto manMies qu'il tailloit lui mùme avec lahache dans
la noigc et la giaco, et nous ayant assuiv} que le fond ótoit forme
de noige annnasséc par les vents et fort compacte, nous de-
scendi mos tous dans cotto ospèco de tombeau les uns après les
autros. Nous ótions tous transis de froid, et moi presque engourdi
et hor^s d'ótat d'aidor los autros pour Tótablissement de notre tente,
<iui fut drossóo par Tintrópido Jos. Moritz Zumstein, tandis que le
robuste Marty nous próparoit lo bois ot nous allumoit un bon feu
dont nous avions le plus grand besoin.
" Quoique nous ne fussions guère disposés à manger, nous
partagoàmes entro nous uno soupe succulente, et nous nous ta-
pìmos sous la tento. Nous ótions onze individus couchés par terre,
tous sur 1(» còtó di*oit serrós les uns contro les autres de peur de
gólor pendant la nuit, et nous nous ondormimes ainsi dans les
bras du dostiii.
" Je fus pendant la nuit attaqué d'une forte palpitation; je
oroyois ótoutTor: mais m'ótant degagé dos autres je me levai, je
pris lialoino, ot bioiitùt jo pus nio rocoucher tranquillement et
dorniu' jusqu' à la pointo du jour.
'• Nous nous trouvions à '21SS toisos au-dessus du niveau de
la nier miuì t^st à i)ou près la hautour do la Jungfrau dans le Haut
IkM'iiòis) et 193 toisos ou 1158 piods plus ólovós que Tendroit où
M. do Saussuro passa la nuit sur lo Mont Blanc
'• A sopt liouro ot doinie du matin tout le monde étoit prét A
une douii-lioue onviron nous passàmes auprès des pointes orien-
ni Monte Rana
tales. eii marcliant sur une grande plaiiie de imge ondulante
cornine les eaux de la mer et un peu incliiit^e vers le Valais: et à
une Hèue plus loiii, montant toiyoui-s à un angle de 30" degréa
environ. nous arrivàmes au pied du aommet pyramidal que nous
oouimen<;anies à escalader. M. Molinatli. incommodé de la tnap
tirande rareW de l'air, étoit forcò de s'arrOter de temps à autre.
■* La dernière arilttì de nefge à surmonlei- faisalt un angle de
Cd degrés. Nous l'abordàmcs prócedùs par l'intrèpide chasseur
Castel, qui. arme de sa hache, taìllolt dans la neige et la giace des
marches où nous pussions inettre le pied. A inesure que nous
avaiicions sur cette affreuse cripte qui donnait en partie sur la
vallèe de Macugnaga, la neige se perdoit presque entièrement
et nous ne trouvions plus sous nos pas que de la giace unie et
solide. Si un pied nous eiU manqué eii ce moment s'en ótoit Tait
de nous; et nous faisions une cliute a plomb de 8000 pieds: mais,
par bonlieup, aucun de imus n'eut de veitiges dans un moment
aussi dL'dsif. „
DI rado cade tanta neve, quanta ne venne giù l'Inverno del 1885.
Metro Guglielmina al quale Alessandro Sella ed io ci eravamo
indirizzati perchè facesse da guida ci scriveva da Alagna che la
neve era più alta di un uomo. Partimmo da Alagria la mattina
dei 13 febbraio colle racchette sotto ì piedi. Dopo tre ore di marcia
faticosa trovammo una cnppellelta- il sole aveva sciolta la col-
matura della neve sul bordo della gronda, e noi ci sedemmo sulle
lastre del tetto per riposarci. A mezza strada verso il Colle del-
l' Olen si tentù qualche volta di conoscere quanto fosse alta la
neve; tastandola coU'alpenstocIt e affondando tutto il braccio, non
st toccava la terra, nemmeno nei poggi dove certo era minore
la sua altezza. La neve aveva colmato i greppi, i dirupi, il tor-
rente, ed era un piano uniforme. Di quando in quando ci arre-
stavamo a prender fiato e scotere le racchette per liberarle dalla
neve attaccaticcia. Ma si affondava sempre più e a stento le-
vavasi il piede fuori della neve. Si tirava innanzi a spintoni in-
ciampando, cadendo, strascicando i gìnocclii, impaniati nelle rac-
chette, affondando talvolta Hno alla cìntola.
Finalmente arrivammo sotto il Colle dell' Olen; il respiro era
affannoso, il cuore batteva cosi forte che mi dava molestia il sen-
tirlo picchiare; coniai fino a centodieci pulsazioni al mirmto. Ben-
MOno, riMelaoia dtìVnomù *«llt Alpi. 4
26 FISIOLOGIA DBLL-UOMO 8ULLB ALPI
che fossimo a solo 2800 metri, la carovana si fermava ad ogni
trenta passi. Eravamo tutti sfluiti ed il mio intento di provare una
grande fatica era completamente raggiunto.
Ad Àlagna alle ore 7, prima di alzarmi da letto. Polso 59 a 60.
Respiro 14. Temperatura rettale 3G® 6.
Arrivammo alle 4.10 all'albergo deiroien. Polso 114 — 112. Dopo
essermi fermato 15 minuti, Temperatura 38** 1. Respiro 16. Si vide
anche qui die il respiro si regolarizza assai più presto del cuore.
La temperatura presentò questo di notevole che dopo le prime due
ore di marcia raggiunse alle 10,45 il suo massimo 38^ 2 e il polso
giunse Uno a 122 pulsazioni. Dopo vi fu una leggera diminuzione
nella temperatura e nel polso, quantunque V ultima parte della
salita fosse più faticosa.
Alle ore 8 pom., Polso 80. Temperatura rettale 36** 9.
Nella notte dormo poco, ho la febbre, temperatura 38** 5. Al mat-
tino alle ore 7 la temperatura diminuisce 38** 1. Polso 84. Respiro 19.
Questa è la febbre della stanchezza che in me si produce re-
golarmente quando dopo la vita sedentaria faccio una grande
fatica. Presi alle 10 una tazza di caffè e latte e mi alzai a mezzo-
giorno per far colazione completamente guarito. Però mi man-
cava ancora l'appetito.
Ore 3.15. Temperatura rettale 30** 8. Polso 67. Respiro 16.
Partimmo il 15 febbraio di domenica all'una antimeridiana.
Quando siamo partiti dall'albergo dell' Olen la temperatura del-
l'aria era — 5°.
A mezzanotte. Polso 08. liespiro 10. Temperatura 37^
Arriviamo alla Capanna Gnifetti alle 6.30 dove ci fermiamo
mezz' ora mentre spunta il sole. Alle ore 10 siamo già sulla pi-
ramide Vincent. Polso 130. Temperatura 39** 1. Ero molto stanco.
Nel mio taccuino scrissi " respiro poco ansante, non in modo corri-
spondente al polso. Temperatura deiraria — 10**: della neve — 15**. „
Ritornato dalla Piramide Vincent alle ore 3.40. Tempera-
tura 38" 7. Polso 8(ì.
Ore 0.15, coricato nel letto dopo aver cenato. Temperatura 38** 1.
Polso 8(J. A mezzanotte, temperatura 37** 1.
I.a notte dormii e non ebbi più la febbre. Lunedi mattina nel
letto appena svegliato ho 3G**0 di temperatura. Polso 00. Respiro IG.
Bastano queste cifi'c per farci conoscere il coi'so che tiene la
febbre della fatica.
Da Ala^nia all'alberalo dell'Olen vi sono 87 1 metri (da 1991 a 2865).
La temperatura crebbe rai)idaniente nelle prime due ore di mar-
cia e raj.^{^ìunse '^S^ 2. Alle ore 8 di sera, dopo 4 ore di riposo,
la mia temperatura torna normale. Nella notte si produce un
accesso di febbre che dura Ano verso le 11 del malliiio. Quando
salerò alla piraiiikie Vincent faccio uno sforzo maggiore, perchè
mi alzo di ISSO metri (da 2865 a 4215) e la marcia iinttunia sui
ghiacciai, non affatto priva di pericoli, contribuì certo ad accre-
scere la stanchezza. Il mio organismo si è però trià allenato ed
abituato alla fatica quando giungo sulla piramide Vincent. La
notte dopo l'ascensione dor-
mo profondamente senza
febbre.
Partiamo alle 8.40 del
mattino dal colle dell'Oleu
colla neve e scendiamo ad
Alagna.
* In un prossimo libro
suWa fatica, esporrò le ri-
cerche fisiologiche e gli espe-
rimenti, che furono lo scopo
principale di questa ascen-
sione d'inverno „ cosi scris-
si nelle ultime linee di una
relazione che stampai in-
torno a questa ascensione
d'inverno'. Le hidagini sulla
fatica nervosa presero tale
sviluppo nel libro sulla fa-
tica, che mancommi lo spa-
zio per parlare delle ascen-
sioni.
(5ra vedo con sorpresa
che quelle mie ricerche non
sono invecchiate. Passarono
dodici anni e a nessuno dei fisiologi è ancora venuto in mente
di far gli studi die tentai allora. Certo non lianno migliorato aspet-
tando, ma le esiierienze incomplete d'allora fecondarono questo
) libro del quale formano come il primo nucleo.
MfMo portalo con me un manometro a mercurio per misurare
Fig. 7. — Maiiunjutroa niL-rcuriu por scrÌTeru
la forza dei movimenti respiratori.
KoMO, Uìw
iTinvemn al HonU fiowi.llilano, Fratelli Trern, 188S.
28 FI8IOLOOIA DKLL^UOMO BULLE ALPI
]' azione dell' aria rarefatta e della fatica sulla forza del torace.
La figura 7 rappresenta questo apparecchio.
Per evitare che vi fosse un errore dovuto all'aspirazione della
bocca, mettevo nel naso un tappo di sughero lavorato in modo
che chiudesse ermeticamente una delle narici. Tale turacciolo che
vedesì alla estremità del tubo nella figura, era attraversato da
un pezzo di vetro che per mezzo di un tubo di gomma imboccava
il manometro, ossia un tubo di vetro piegato a U e pieno fino a
metà di mercurio. Messo il turacciolo nel naso, chiudevo col dito
l'altra narice e leggevo, sulla scala divisa in millimetri; flnou
che altezza sollevavasi il mercurio durante una inspirazione
profonda.
È un'esperienza facile che ciascuno può fare da sé, mettendosi
il manometro vicino in modo da poter leggere la scala del me-
desimo. A Torino ottenevo una pressione negativa di 88 a 92 mot
di mercurio. La sera che giunsi al colle d'Olen ripetendo la me-
desima esperienza, vidi che la forza del torace era molto dimi*
nuita, i valori che lessi furono i seguenti :
70 mm. 60* — GO — 64 — G8 — G4 — 00.
Il giorno dopo la forza della inspirazione torna a 80 mm: eO
massimo al quale giunsi fu 84 mm. di mercurio.
Presi il manometro quando andai alla piramide Vincent e lo
portai io stesso, credendomi sicuro perdio la guida Gilardi oltre
le provvigioni portava alcuni strumenti che mi servirono per le
ricerche di ottica. Presso la vetta il vento aveva scavato nella neve
dei grandi scaglioni vetrificati. Qui caddi e il manometro andò
in pezzi. Giunsi sulla vetta estremamente spossato, scrissi poche
linee sul taccuino fra le quali notai " sento un'ambascia del re-
spiro dovuta probabilmente alla fatica del torace „.
Ritornato a Torino studiai la fatica dei muscoli che fanno
rinsplrazione, e trovai che si affaticano nello stesso modo degli
altri muscoli. Riferisco un tracciato per dare un esempio della
fatica toracica, della quale si analizzano (lui per la prima volta
gli effetti.
La figura 8 rappresenta il tracciato scritto dall'inserviente
del Laboratorio Giorgio Mondo. Messo il turacciolo nella narice
destra, Tciceva una inspirazione profonda: chiudendo la narice si-
nistra il mercurio sollevavasi nel braccio del manometro dove si
faceva l'aspirazione e scendeva naturalmente dall'altra. Lo stiletto
yalleggiante abbassandosi scriveva la prima linea a sinistra. Dopu
l'inspirazione succedeva una espirazione naturale perché aprivasi
subito la iiance sinistra. Passati I secondi un assisteutu faceva
segno colla mano lii ripetere un'altra inspirazione. Questa è rap-
presentata dalla seconda linea, poi una terza o cosi di sejniKo
ogni 4 secondi. In questo tracciato per fare economia di spazio,
non venne rapprese [data nella (i^nira la parte delle oscillazioiiL
superiore alla linea del riposo. Si comprende die il mercurio es-
sendo un liquido molto pesante oscilli per legge di inerzia nel
tubo del manometro, quaiido viene sollevato il suo livello da una
Tracciata si;ritta i^ol manometro in comunicBxione col naso per moslnre U fatto
del tnrace quando compie una serie di respirazioni profond».
parte come succede in questa esperienza. Le r>scillazioni succe»
sìve si vedono scritte per metà in alto alla base di ciascuna linea,
ohe rappresenta la forza dell'atto inspiratorio.
Le linee vanno sempre decrescendo di altezza, il che prova
che esiste pure una stanchezza per i muscoli delia respirazione,
Alle tanta modificazioni die produce la fatica nel nostro ore»
nismo, dobbiamo aggiungerne un'altra. — la diminuita capaciti
respiratoria.
Il tracciato è riprodotto in grandezza naturale, ci dti la misura
della forza della inspirazione che (ini sarebbe di IH mra. di men
curio. Questo è un dato utile del quale parlerò in seguito, ^(u^
do l'azione del vciilo sul respiro.
La cosi delta oppressione di petto della quale parlano gli al- |
piiifsti che soffrirono il nuile di montagna, Torse è l'esa^rerazione |
del senlimento di stiincliezza ciie proviamo nei muscoli del to- I
race, consociato all'ambascia che dii l'affanno del respiro.
L' influenza della fatica sull'acutezza visiva e la percezione!
dei colori, sono due capitoli irnporlauli dell'ottica fisiologica che-J
iioij furono ancora studiati con sufficiente larghezza. Nel fondo 1
dell'occhio vi è una meinbi-aua sulla quale gli oggetti luminosi prò- 1
ducono delle totografie. Una sostanza rossa, scoperta dal Boll. 1
flDBntre era professore a Itoma. dà un colore purpureo al fondo 1
■ occhio: questa sostanza si distrugge colla luce, e si rlpro- I
» di continuo nell'oscuritii.
tvevD portato con me un paio di occhiali scurissimi che la-
vano riposare la vista mentre affaticavo il corpo. Volevo a j
jto modo conoscere l'influenza della fatica generale sull'occhio,
ceversa poi volevo affaticare l'occliio coH'abbagtiamento della 1
lieve e dei ghiacciai per stabilire come sì modifichi la percezione i
dei colori quando la luce intensissima delie Alpi distrugge con 1
rapidità insolita la porpora visiva dell'occhio.
k noto clie il senso dei colori presenta differenze notevoli e 1
die vi sono delle pei-sone le quali confondono il rosso col verde,
il giaflo coll'azzurro. Avevo portato con me una tavola colle lane
colorate, fatta secondo 11 metodo di Holmgren ' per studiare come i
si modificasse la percezione dei colori per effetto della fatica mu-
sculare o per effetto dglla fatica oculare.
Un altro metodo die adoperai consisteva nel misurare a quale |
distanza si potevano ancora distinguere le gradazioni di colore in
una serie, dove la medesima tinta scemava progressivamente di
intensità con una serie di gradazioni numerate e distinte. Ado-
peravo a tale scopo le lane di Holmgren, nelle quali un colore, {
ad esempio il verde, si trova in sette gradazioni.
Questo metodo che m'era sembrato abbastanza esattn per stu-
diare la fatica dell' occhio in pianura, m'accorsi quando fui al j
colle dell'Olen, che non valeva egualmente bene per le montagne; I
perchè In alto la luce è assai più viva, cosi che già ai Colle ]
dell'Olen vedevo, alla distanza di due metri, più distinte tutte 1
■ D. .K. Daas, Dk Farbenblirtdheit und derett Erkennung.
32 FI8I0L00IA DXLL^DOMO SULLE ALPI
gradazioni dei colori ciie non in basso ; e quando fui sulla vetta
della piramide Vincent la luce era cosi intensa che, malgrado il
forte abbarbagliamento, distinguevo ancora meglio 1 colori.
Io credo che il nostro occhio si rinforzi dopo pochi giorni pas-
sati sulle Alpi. Esiste secondo ogni probabilità anche un allena-
mento per l'occhio. Un pittore che esca d'inverno dal suo studio
e vada in montagna a fare degli studi vede meno bene la natura
di quanto non la vedrà dopo una settimana di esercizio in piena
luce. Delle grandi masse illuminate fortemente, che nel principio
sembravano uniformi, mostreranno dopo delle particolarità e dei
rilievi che prima non erano percepiti. Le gradazioni delle tinte
si renderanno più palesi e rocchio potrà analizzare assai meglio
le ombre ed i colori. Quando feci le prime osservazioni al colle
d'Olen erano già tre giorni che io vivevo in mezzo alla neve illu-
minata dal sole. Alla intensità maggiore della luce che mi faceva
distinguere meglio le gradazioni delle lane colorate, credo debba
aggiungersi la forza maggiore che aveva acquistato il mio occhio
in tre giorni di allenamento.
Malgrado questa difficoltà alla quale non ho saputo come
riparare, ho imparato da queste osservazioni cose importanti.
Se la porpora visiva si distrugge tutta, come probabilmente suc-
cede quando l'occhio è abbagliato dalla luce continua dei ghiac-
ciai, noi siamo ancora capaci di riconoscere bene i colori.
In secondo luogo possiamo riconoscere bene il rosso ed il vio-
letto clie sono i colori estremi dello spettro anche quando l'oc-
chio è molto affaticato.
Secondo una teoria moderna, abbiamo nella retina in fondo al-
Tocchio tre sostanze, ciascuna delle quali dà origine a due sensa-
zioni fondamentali. L'aver osservato ad esempio che vedevo egual-
mente bene il giallo ed il bleu quando l'occhio era molto affaticato,
a me sembra contrario a questa teoria. Ma non è qui il luogo di
fermarsi per una critica dove non ho raccolto prove sufficienti.
Appena mi accorsi che la luce era troppo viva e che non era
possibile un raffronto colle esperienze di Torino, pensai che po-
tevo fare egualmente uno studio sui colori, scrivendo le impres-
sioni del paesaggio come io lo vedeva, guardando il cambia-
mento continuo dei colori quale succede noi mondo alpino. Fissai
la mia attenzione specialmente sull'aurora e sul tramonto. Fu
<^osì (^he è nata ciuella descrizione di impressioni della natura
clic forniii la i>arte maggiore del mio opuscolo Un'ascensione d'in-
remo al Monte Rosa, Alcuni avranno creduto che fosse un ten-
tativo Ii^tterario, invece fu uno studio fisiologico del mio occhio
per sei^Miare come ora la percezione dei colori durante la fatica.
Il mio concetto era che l'occhio eccessivamente stanco dal
bagliore delle nevi abbia scarsa la sensibilità luminosa e provi
una deficienza nella percezione della luce verde e che debba per
altri riguardi rassomigliare all'occhio di un vecchio. Sulla altera-
iUone che subisce la percezione dei colori nei pittori vecchi si
sono gii"i fatti molti lavori, ma nessuno studiò fino ad ora con
sufficiente esattezza l'inlluenza della fatica della retina sulla per-
cezione del colori e l'influenza che la fatica eccessiva del corpo
esereita sull'occhio.
I pittori sono certo in condizioni assai più favorevoli di no!
fisiologi per approfondire queste indagini, perchè essi col lungo
esercìzio giudicano meglio il colore delle tinte e la loro intensità,
luminosa. I pittori conoscono assai meglio di noi la prospettiva
atmosferica, il tono dei colori e la loro saturazione. Lo studio
delle ombre che à quasi ignoto ai profani è invece il campo più
fecondo per simili studi sulle Alpi dove l'artista analizza con si-
curezza il contrasto del colori e della luce.
II pittore non ha bisogno degli apparecchi speciali che noi fi-
siologi adoperiamo in simili studi. A lui basta di osservare la
natura e dì guaiolare la paletta colla (|uale dipinge.
Appunto perchè è uno studio nuovo, e per fai'lo non occorre
di essere fisiologi, ma basta qualunque pereona intelligente che
abbia un po' di sentimento artistico, io accennai lo stato della
questione ed auguro che altri possa recare un maggiore con-
tributo di nuove osservazioni.
L'alterazione della vista negli ultimi aiml in Tiziano è un fatto
che molti conoscono. Alcun! credono die questa differenza dipenda
da un opacarsi dei mezzi rifrangenti dell'occhio, da un cambia-
mento della trasparenza nella cornea e nel cristallino, ma non è
questa la sola causa.
Guardiamo Rembrandt per esempio. Nessun pittore aveva do-
mandato al suo occhio un lavoro più minuto, più contiimo e più
faticoso. Basta pensare alle sue acqueforti per restar pieni di
ammirazione e conoscere lo sforzo continuo e le difficoltà che egli
ha superate per giungere alla sua perfezione. La sua grande abi-
lità a leggere nelle ombre le più oscure, le particolarità minute
d^II oggetlf. l'arte sua di graduare l'effetto che produce nell'ap-
parenza delle forme, la modificazione di una luce più o meno
viva, più o meno obliqua, la potenza sua nel chiaroscuro, fu il
risultato di una fatica lunga come nessun artista aveva mai sop-
portata prima di lui. Il suo occhio si era talmente affaticato che
^^tìl'età di 5tj a 58 anni dovette riposarsi. E quando riprende dopo
^^^■■OMO, FttÌ9li>sii dttl'uomo tiitli Alpi.
un lungo riposo, il suo occliio dà i segni di una vecchiaia pre-
coce. La sua maniera è mutata
Nella fatica diminuisce la forza dell'attenzione e diventiamo
incapaci di un lavoro mentale complicato. Altrettanto vediamo
nei quadri fatti da Rembrandt dopo il IG&l ì quali rappresentano
un lavoro che non richiede più una lun^ preparazione. Pare che
tutta la sua vita feconda di inspirazione, che la sua grande espe-
rienza siasi interrotta e i suoi quadri hanno una composizione
semplice. Generalmente sono due o tre figure gi"andi. perchè l'oc-
chio sembra si rifluii ad un lavoro minuto. 1 suoi sclilzzi sono
larghi ed Incompleti, come la rappresentazione di un'Idea plCt
vaga e indeterminata. E. Micliel scrìsse di Henibrandt:
" Avee le temps, ses armonies sont aussi moins oompliquòes.
ses elTels moins subtils. Le nombre des oouleui-s qu'ìl emploie
est de plus en plus restreint: mais il se scrt de pn^féreuce des
plus riches et des plus ardentes; plus de pouri>res, mais des rouges
vermillon, auxquels se miMent des jaunes vifs, et des tons fauves. .
Dalle sperienze che ho fatto su! Monte Rosa quando l'occhio
era fortemente abbagliato dalla luce vivissima riflessa dalla neve
e dai gliiaccìai. ho conclnuso che anche nei gradi estremi di abba-
gliamento potevo ancora distinguere i colori, che questi perù sem-
bravano tutti più saturi, o più bassi, come dicono i pittori. Il giallo
chiaro si confonde col bianco. Il rosa pallido e il rosascuro sono
come sporchi e nerastri. Le ombre sono meno digradanti e molli
ed all'occhio stanco appaiono più scure, ti vei-de tende a confon-
dersi coll'azzurro, ed il rosso m! par\e fra tutti i colori quello cho
1' occhio percepisce meglio anche nella profonda stanchezza.
) ad ladra (altitudine 2'A-
Cacitoi.o Teiìzo.
La respirazione sulle montagne.
I.
Il respiro è la funzione dell'organismo che si modifica in modo
più visibile nelle ascensioni. Generalmente si crede che sulle mon-
tagne il respiro sia più Trequente e profondo. Lo aveva ^ìà detto
Saussure sino dalla sua prima ascensione sul Monte Bianco - lassù
avendo l'aria guari più della metà del suo peso, bisognava supphre
alla densità, con una Trequenza maggiore delle inspirazioni ^. E
(iucslo ripeterono tutti sino a P. Bert, il tiuale ha una cosi grande
autorità in tal genere di studi. Questa afTerniazione non ho po-
lutn veriUcare studiando l' uomo sulle Alpi.
Non posso a meno di richiamare fin da principio l'attenzione
Era una divergenza tanto fondamentale. Oui è que-
e quando avrò dimostrato che il respiro sulle Alpi
36 FISIOLOGIA DELL* UOMO 8CJLLE ALPI
non aumenta di profondità né di frequenza e che queste possono
anzi diminuire, sarà certo un passo che avremo fatto per consi-
derare da un nuovo punto di vista la fisiologia dell' uomo sulle
Alpi. L'errore è nato da ciò che l'azione perturbatrice di un'ascen-
sione dura a lungo, e che le osservazioni vennero fatte su per-
sone non del tutto in riposo.
Per eliminare tale complicazione contai la frequenza del re-
spiro per due mesi di seguito, nei miei soldati, ed altre persone
che vennero con me sul Monte Rosa: contai ogni giorno alla
stessa ora, cioè prima di alzarsi da letto e la sera prima del
pranzo. Siccome la frequenza del respiro si altera facilmente
quando uno sa di essere osservato, per evitare tale soggezione,
si contava prima il polso e dopo tenendo la mano in posto, come
se si volesse continuare a tastare il polso, si contava il respiro
ad insaputa della persona. Le osservazioni del pomeriggio si
facevano dalle 3 alle 5, e prima di contare il respiro i soldati sta-
vano circa dieci minuti in posizione orizzontale; le osservazioni
del mattino si facevano alle 6 quando i soldati erano ancora a
letto.
Nelle tabelle del capitolo sedicesimo sono indicate le osserva-
zioni che feci sopra cinque persone, cominciando da Torino, sa-
lendo alla vetta del Monte Rosa, e dopo, nel ritorno. Al mattino il
Dott. Abelli ed io ci alzavamo per turno a fare le osservazioni
sul polso, il respiro e la temperatura prima che i soldati uscis-
sero dalla tenda. Tenni conto nelle tabelle solo delle osserva-
zioni fatte nel riposo completo. Molte volte per il servìzio della
spedizione c'erano dei soldati che dovevano alzarsi prima di
noi, o stavano lontani da noi. Questo spiega le interruzioni fre-
quenti che vi sono nelle tabelle riguardo al tempo. Altre osser-
vazioni vennero fatte su di me, sul Dott. Abelli, su mio fratello
e su Bizozzero, e queste le tralascio, perchè vanno d'accordo
nei risultati colle tabelle riferite. Dai valori indicati si giunge
alla conclusione che sulla vetta del Monte Rosa non cambia la
frequenza del respiro, quando si è completamente riposati, e che
parecchi di noi respiravano con frequenza minore.
11 caporale Camozzi nella Capanna Regina Margherita a 45G0 m.,
ebbe un minimo di 9 respirazioni al minuto; e mai a Torino (che
sta a 270 metri sul livello del mare) la respirazione non fu così
lenta. Il soldato Sarteur ebbe pure un rallentamento del respiro
che scese ad 8 per minuto sulla vetta del Monte Rosa. Nel capo-
rale Jachini e nei soldati Marta e Cento la frequenza del respiro
rimase inalterata; tanto era a Torino quanto alla Capanna Re-
gina Margherita
- La yrtpirarione /mUe n
37
Invece nei soldati che vennero su rapidamente da Ivrea alla 1
Capanna Regina Margherita, si osservò in lutti un aumento del '
i-espiro.
Non voglio interrompere l'esposizione dei fatti con le tabelle '
delle cirre dalle riuali trassi tali conclusioni. Esaminando le ta-
belle riuscirà più facile il rafTponto tra In respirazione, il polso e ,
la temperatura nell'alta nionlatrna.
Fig- 9. — A|iparecchi
U cerchio che
È un fatto inatteso che sulle alte montagne Tacciamo lo stesso
numero di respirazioni e che in alcune persone possa anche ral-
lentarsi la frequenza del respiro. Subito però viene in mente che
se le inspirazioni fossero più profonde vi sarebbe un compenso
per rimediare alla rarefazione dell'aria.
Le esperienze che feci registralido i movimenti del respiro,
lossono in parte rispondere a questo dubbio. Per misurare con
precisione l'ampiezza dei movimenti respiratori, portai sul Monte
hio rappresentato dalla fig. il. Un'asticella met-
^^^M l' apparecchio i
tallica impeniiata. può alzarsi ed abbassare! scriveudo i movimenti
del respiro su di un cilindro rotante.
Supponiamo che un uomo sia coricato sopra una tavola, e elio
il cerchio messo per schema nella figura rappresenti la sezione
dell'addome di questa persona. Si abbassa dopo l'asticella e gli
si mette il disco che poggi sull'addome. I movimenti respiratoli
solleveranno l'asticella e te escursioni sue saranno scritte su)
cilindro int'uniato.
La figura 10 rappresenta un tracciato scritto a questo modo sul
caporale Camozzi. L'altezza di ogni sollevamento è due volte piti
grande del vero, perchè l'addome poggiava nel mezzo dell'asticella.
Ad ogni respirazione 1' apparecchio scrive una linea ascendente
ed una discendente nella espirazione successiva sul foglio di carta
infuniato avvolto attorno al cilindro il quale gira verticalmente.
Nella figura '.' si vede come è fatto il meccanismo dell'orologio
Tra(.'(;iato ili.'Iia respìraziono addominali? scrìtto u Torini) colLi leTa.
che fa girare il ciUndro, sul quale la Icv^ scrive i movimenti del
respiro,
I movimenti del respiro nell'uomo sono più forti all'addome
che nel torace, per ciò in queste esperienze preferii di applicai-e
il disco sopra l'ombeUico.
A Torino, il giorno 5 luglio, ottenni alle li poni, questo trac-
ciato dal caporale Camozzi; nel quale ad ogni minuto faceva 20 l'e-
spirazioni ed il ritmo del respiro si manteneva regolare.
Nella Capanna Regina Margherita a 4560 metri, il giorno 5 aj^o-
sto alle 5 pom.. scrivendo il tracciato del respiro col medesimo ap-
parecchio, mettendo egualmente il disco suH'ombellico e la leva a.
metà, ottenni il tracciato della llg. 11. La frequeii/a del respiro era.
solo IG al minuto, le inspirazioni meno profonde.
II respiro presenta dei periodi di attività ora maggiore ed ora
minore, per guisa che in basso la linea è come ondulata, non es-
sendo tutte le inspirazioni egualmente profonde.
Qui appare evidente che l'ampiezza e la frequenza del respiro
sono meno grandi sul Monte Rosa di quello che fossei-o a Torino,
Fj^. 11, — i_'B!ioi;ile i'ajiiihii.
1 dtilln reìpirazLone addominale scritto colla aleitsa tev;i ni'lla ('it|miiTi[t
Kegina UargberJta (altitudine 4560 m.).
Ili altre persone vidi che era eguale il numero delle respira-
7.ioni in basso ed in alto, ma che ne era anche minore l'ampiezza.
Fig. 12. ~ Soldato Haata. Kespirazionu addominale scrina colla leva.
A) Torino. — B) Capanna Begina Margherita.
li soldato Marta ad esempio il giorno 11 luglio diede a Torino il
I tracdato che vedesi nella linea superiore della figura 13. ed il re-
40 FISIOLOGIA OKLL'uOMO SCIXB AI^I
Spiro era 21 al minuto alle ore 3 pom. Sul Monte Rosa a 4560 metri
il giorno 12 agosto, aveva ancora la medesima frequenza del re-
spiro, ma le escursioni dell'addome, come si vede nel tracciato,
erano minorL
Queste ricerche hanno valore in quanto non vidi mai che 11
l'espiro fosse così debole, quanto sul Monte Rosa in queste due
persone. Per dare una prova convincente di tal fatto ho misu-
rato la quantità di aria che ciascuno dei miei compagni respi-
rava in basso ed in alto.
111.
Prima devo spiegare perchè i tracciati della figura 12 sono leg-
germente inclinati, mentre quelli della figure 10 e 11 non lo sona
La colonna vertebrale deir uomo presenta due curve molto
visibili. Una sporgente al dorso, la quale esagerandosi forma
quella deformità conosciuta col nome di gobba, l'altra rientrante
alla regione lombare. Queste curve cambiano dal mattino alla
sera. Quando ci alziamo da letto siamo meno ingobbiti, e an-
che la pancia al mattino sporge meno. La sera il nostro profilo
forma posteriormente un S più schiacciato e per ciò la statura
nostra è meno grande che al mattino. Quanto più siamo stanchi
altrettanto diventiamo più piccoli, perchè il tronco è meno diritto
e si esagerano le sue curve indietro e in avanti. Ho prese delle
misure e trovai sempre che dopo un'ascensione gli alpinisti hanno
in media una statura 2 o 3 centimetri più bassa che non al mat-
tino. Nelle persone che avevano lo zaino sulle spalle ed in alcuni
portatori della nostra spedizione sul Monte Rosa, che fecero delle
fatiche straordinarie, trovai una diminuzione anche di 4 centimetri.
Credo inutile riferire i numeri delle singole osservazioni da me
fatte. Chi voglia convincersi della rapidità colla quale diminuisce
la statura, non ha bisogno di fare delle ascensioni; prenda in
mano due manubri di 10 chilogrammi Tuno, salga e scenda pa-
recchie volte le scale di una casa e vedrà che la sua statura
diminuisce di circa un centimetro. Dopo un'ora od un'ora e mezzo
di esercizi molto faticosi, la statura può diminuire di 2 centimetri.
Appena tiueste persone si riposano, o si coricano, tornano
lentamente alla statura primitiva. Le curve del dorso e dei lombi
si appianano e il tronco si allunga.
Il medesimo apparecchio che ho descritto nella figura 9, leg-
respti
Erermeiile modificato può servire per scrivere il eambiaraenlo
della curva lombare.
Tutti sappiamo die essendo coricati possiamo far passare
senza difficoHà una mano sotto i lombi. Quest'arcata va poco per
volta abbassandosi nei riposo. Il cambiamento clie si produce
in 15 minuti quando uno é stanco, possiamo vedere nella fiK. i:i.
Il principio della lìnea A B venne scritto pochi minuti dopo che
uno arrivò alla Capanna Gnirettt alle ore 9 del mattino, dopo es-
sere partito dall' accampamento presso la Capanna Linty. Rad-
drizzandosi lentamente la curva lombare il corpo abbassa la leva
eolla quale ù in contatto. Un anello sottile di gomma tiene solle-
vatii l'asticella ciie termina neila penna la quale scrive sul cilin-
dri") ìnTninato la linea A lì. 11 movinicnto di eslensione nella re-
— Ls linea A, B segna il raddrìizamento della curva lombare dopo
t fatica, durante \b niiniiti mentre una persona sta «tricstn.
yinne lombare va lentamente rallentandosi. La leva infirandisce tie
volte il cambiamento effettivo della curva lombare.
L'inclinazione della curva A B è simile a quella dei tracciati
nella figura 1-*.
Tale Inclinazione manca nella fìyura 10 ed U, perchè la persona
sulla quale presi quel tracciato era meno stanca, e specialmente
pcrcli6 stava coricata sulla tavola da più lungo tempo. Forse è in
causa dì questo raddrizzarsi della colonna vertebrale, che ci paiono
più alle le jiersone le quali stettero a lelto molti giorni.
Certo non è l'avorcvole al respiro questa esagerazione della
ninra dorsale che si produce in tutti durante la fatica delle ascen-
SiOuL Per convincersene basta fare una ìnspiraziorìc profonda e
subito vediamo che si raddrizza la colonna vertebrale. La cosa
migliore è di caricarsi il meno possibile, e di non portare lo /.alno
sulle spalle, ma una semplice tasca che può mettersi atlnrno alla
cJnl'tla. quando la respirazione diviene dìdìcile.
. nilologl.! dell
42 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLB ALPI
IV,
Nel 1869 Lortet scriveva i movimenti del respiro sul Monte
Bianco ^ Fu il primo tra i fisiologi il quale portò uno strumento
registratore a quell'altezza ; ma l'apparecchio adoperato era tanto
imperfetto^ che non è possibile fare un raffronto fra i tracciati
che egli ottenne e quelli che io pubblico in questo libro. Egli
trovò che la quantità d'aria inspirata ed espirata era meno grande
sulla vetta del Monte Bianco che non ai Grands-Mulets e qui meno
che a Lione. Egli notò che la durata della inspirazione paragonata
a quella della espirazione, era molto più piccola alla sommità del
Monte Bianco che non alle stazioni ora citate. Nel tracciati di
Lortet, oltre all'azione dell'aria rarefatta vi è pure l'azione della
fatica.
Le esperienze sulla forma del respiro furono da me fatte per
mezzo del pneumografo doppio di Marey. Non sto a descriverlo nei
suoi particolari perchè si trovano nei trattati di fisioloida. Dirò
solo che dilatandosi il torace, si rarefa l'aria entro due capsule
chiuse da una membrana elastica alle quali si attacca il nastro
che lega il pneumografo intorno al torace. Per mezzo del tubo di
gomma, questa rarefazione dell'aria si trasmette al timpano a leva;
cosicché ad ogni inspirazione la leva si abbassa e ad ogni espira-
zione si alza. Lo strumento di Marey è assai comodo, perchè
registra i movimenti a distanza, e con esso si possono continuare
le osservazioni od interromperle senza che la persona soggetta
alFesperimento se ne accorga. Nella Capanna Gnifetti e in quella
Regina Margherita, avevo fatto un buco nella parete che divideva
una stanza dall'altra: il tubo di gomma del pneumografo, dal letto
di chi dormiva, o riposava, passando a traverso il buco della pa-
rete veniva a mettere in movimento il timpano registratore: onde
potevo a questo modo lavorare comodamente anche di notte.
La figura 14 è il tracciato del respiro preso nella Capanna Re-
gina Mai'gherita, sopra il soldato Sarteur l' 11 agosto 1894, alle
ore 4 poni. Il soldato Sarteur era uno dei più robusti giovani della
nostra carovana. Il mattino di buon'ora era partito in compagnia
del soldato Solferino, dalla Capanna Gnifetti insieme ad una guida,
^ LoiiTET, Pht/siologìe du mal des montagnes. Deu.r ascensions au Mont Blanc.
Reviie des coiirs scientitìques, 1870, pag. 119.
- Anapnographe de Bergeon et Kaslits.
e portavano ciascuno circa -20 ctiiìograiniiiì di provviste sulle
spalle. Quando si scnsse questo tpacciato erano cicca quattro ore
^ehe si trovavano in riposo nella Capanna.
^^^ferequenza del respiro 11 al minuto. Polso 74. Temperatura 37M.
^^Hba figura in è il tracciato del soldato .Solferino, scritto :t ore
^^HB minuti dopo che era giunto alla Capanna Regina Margherita,
pnrtatido 20 chilotiramini di legna sulle spalle.
Frequenza del respiro il al minuto. Polso 70. Temperatura ;)0",9.
Queste due persiane che lianno la medesima età e presso a
poco la medesima statura, che mangiavano le stesse cose e fe-
cero il medesimo cammino, presentano una differenza molto note-
Vifle nella rrciiuei!/.a del l'csi'ii'u. SoiferiiKi i-cspini quasi il diippio
Fìg. 14, — SoMato Sabteub.
ritta col pneumografo Uarey (Capanna Regina Mar^^lierita).
larleur. benclié sia leggermente inferiore la temperatura del
t corpo. La temperatura della stanza era llVi.
il fenomeno più importante è la pausa del respiro, la quale si
vede in entrambi i tracciali. Alla fine di una espirazione il torace
si arresta e la penna scrive una linea quasi oiizzontale, dove si
vedono Ire o quattro pulsazioni del cuore (talvolta anche sei) le
quali pi'Oducono una linea come ondulata. Tale forma può con-
siderarsi come tipica della respirazione a grandi altezze.
Molti fisiologi negano che fra la espirazione e l' inspirazione
esìsta una pausa. Secondo essi il torace non si fermerebbe mai:
tiijila l'inspirazione comincierebirt l'espirazione, finita l'espirazione
comincierebbe l'hispirazione. Guardando questi tracciati vediamo
che ili entrambi esistono veramente dei periodi lunghi di pausa
^^toi la espirazione e l'inspirazione successiva.
44 FlelOLOUIl UKU-'L'DMO BLLLB ILI'I
Tale arresto del respiro è iinporlaiite [«r imi, perdio diuioslra
che a ri uel l'altezza ti iiell' aria iicia *iuantità sufficiente di ossi-
treno, la r|uale permette al nostro organismo di respirare cosi
lentamente che i movimenti l'espiratori si staccano in certa guisa
l'uno dall'altro, e corre tra di essi un indugio maggiore di quanto
osservasi Reneralmenle qui in basso.
Questa è un'altra prova di quanto dissi, cioè che a gratMii al-
tezze respinamo meno.
Alle ore G pom. il soldato Sarteur stava ancora sotto le coltri
sonnecchiando. Vado a chiamarlo per il pranzo e mi Termo a con-
tare il respiro prima di svegliarlo. Conto 8 respirazioni a! minuto,
parecchie volte di WKuito. K fjuesto il minimo che io abbia mai
Respiraxione torsi
osservato nella Frequenza dell'uomo: meno della metà di quanto
trovasi notato nei trattati per l'età sua. Sveglialo mi disse che
non dormiva. Mangiò con api>elito e slava Ijene.
Quanto alta Tonila del respiro si vede In Sarteur, tìy:. U. che la
Inspirazione dura più lungo tempo della espirazione. In Solferìuo.
flg. 15, il fenomeno è Inverso. Xon mi l'ermo a discutere questo
differenze, din'i solo che il tipo di Sat-teur rassomiglia al respiro
del sonno, questo di Solferino al tipo della veglia.
Due cose importanti risultarono da queste osservazioni grafiche.
La prima clie a grandi altezze gli organi del respii-o tendono a fer-
marsi alla fine della espirazione. La seconda che il tipo del respiro
aiiL'lie nella veglia può lassù diventare simile a quello caratteri-
stico del sonno. La durata della espirazione è più breve della in-
spirazione, mentre In basso durante la veglia succede l'ìnverao.
- La regpiraxinne suite montagne
■ misurare il volume dell' aria che respiriamo sulle Alpi
"portai con me due coniatori ratti come quelli che si usano nelle
case per misurare il gas luce che si consuma. Sono però molto
più sensibili questi contatori ciie adoperiamo per ricerche fisio-
logiche e graduati più esattamente di quelli che servono per la
>C,
e colle valTole e la
la quantìli di a
naschera di guttsperea per
ia inspirata.
111uraiiia/.Ìone a ^as. tanto che segnano la centesima parte di litro.
Foi-se sono stato il primo a servirmi di un contatore per stu-
diare la respirazione dell'uomo. Questa è cosa che non ha impor-
tanza, l'accenno solo per rammentare in die modo ho comincialo
<iuesti studi. Venti anni fa sono disceso a 0000 metri sotto il livello
del mare. Mi spiego. Sono stato nell'aria compressa a due atmo-
srere. Fu a Milano die feci «lueste ricerche' sull'azione fisiologica
A. MoBiO, Sutl' atiitne finioloijica iMV a
di Torino, toI. XII, giugno 1677.
^^|teHfl di Torino
) comprtiga. B. Accademia della
46 FISIOLOGIA DBLL^UOMO 8ULLB ALPI
dell'aria compressa. Una macchina a vapore comprimeva Tana
in una camera di ferro. Gli apparecciii erano costrutti per uso
clinico e non erano garantiti che per una pressione interna di
30 o 40 centimetri di mercurio.
Volendo sperimentare su me stesso la pressione di due atmo-
sfere, dovetti puntellare bene i vetri delle finestre perchè non si
rompessero. Cosi feci per parecchi giorni delle esperienze insieme
all'inserviente del Laboratorio, Agostino Caudana. Per mezzo di
chiavette che erano nella camera di ferro potevamo graduare len-
tamente la pressione, sino a che il manometro a mercurio se-
gnasse 76 centimetri in più della pressione atmosferica. Pote-
vamo così supporre di essere in un pozzo profondo 6000 metri,
perchè tale sarebbe stata effettivamente la distanza sotto il livello
del mare, se avessimo potuto scendere verso il centro della terra.
Se mi menassero buoni questi 6000 metri passati non senza pericolo
nell'aria compressa, e gli altri sul Monte Bianco e il Monte Rosa,
potrei dire di aver provato 11 000 metri di pressione atmosferica.
Per raccogliere l'aria che entra ed esce dal naso, respirando
a traverso il contatore mi servii di una maschera di guttaperca
modellata sulla faccia, con un tubo in corrispondenza del naso.
Dopo venti anni questa maschera di guttaperca mi sembra an-
cora il mezzo migliore per studiare il respiro. Ho provato vari
congegni, che adoperano i fisiologi per raccogliere l'aria chiu-
dendo il naso con una pinzetta, ma tutti producevano tale mo-
lestia in confronto della maschera di guttaperca che li dovetti
abbandonare.
Nella spedizione al Monte Rosa portai con me sei di queste
maschere di guttaperca. Ognuno aveva la sua e qualcuna ser-
viva anche per due o tre persone le quali avevano la faccia poco
diversa. Per mezzo di mastice da vetrai rammollito con olio o
vaselina, ciascuna maschera chiudeva ermeticamente intorno alla
radice del naso, alle guancie e sotto il mento.
Dalla maschera parte un tubo, il quale si biforca e manda i
suoi rami a due valvole conosciute col nome di valvole di W. Mùller
e die si trovano descritte nei trattati. Queste valvole servono a
far passare nel contatore tutta Taria die si respira per misu-
rarla esattamente. Altre figure die vengono in seguito faranno
vedere come si applicava la maschera sulla faccia. Per fare que-
ste esperienze ci coricavamo in terra colla testa leggermente
sollevata da un cuscino di gomma.
Dalle esi)erieiize che riferisco in fondo al volume si vede che ia
profondità dei movimenti respiratori non aumenta sul Monte Rosa,
quando si fanno le osservazioni nello stato di riposo completo.
prime ricerclie alpine sul cespiro . l'uroiio da ine l'iilte
182 al Colle del Teodulo (3333 m.) dove porlai un contatore
come quello che descrissi ora, Giorgio Mondo, inserviente del La- |
boratorio fu la persona che studiai. Egli era allora un giovane di
ai anni forte e robusto. Ci fermammo il 1," settembre a Chatillon
tL'itjtj m.) in valle d'Aosta, dove tacemmo alcune misure dell'aria'
respirata per raffrontarle con quelle di Torino. " Nel giorno suc-
cessivo alle 9 antini. partinnno con due guide e due muli die por-
tavano le casse degli strumenti. Siccome era nel mio programma
di studiare gli effetti di una marcia improvvisa e lunga sulle Alpi.
si camminò Ano alla sera col sacco da alpinista sulle spalle:
facemmo una buona fermata in Valtournanche ed all'Hotel del
Monte Cervino per mangiare. La sera verso le 5 arrivammo
ai piedi del ghiacciaio di Valtournanche. Sorpresi da una nebbia
densissima, la traversata del ghiacciaio riuscì abbastanza pe-
nosa. La sera alle 8.30 giungemmo cosi stanchi alla capanna
del Teodulo, che non mi fu più possibile di fare alcuna espe-
rienza. Un'ora dopo essere arrivati al colle del Teodulo, Mondo
aveva la temperatura di 38,'7 ed lo di US",:!. La notte dormimmo
poco e male. Fummo molestati tutti due da dolori intestinali ed
avevamo molta sete. „
" Nel pomeriggio del giorno successivo facciamo l'ascensione
del Breithorn (41 18 metri); fu una marcia assai faticosa per Mondo,
il quale si trovava per la prima volta sui ghiacciai. La sera quando
ritornammo al colle del Teodulo, G. Mondo era veramente spos-
sato e alle ore (j sì mise a letto. Io ero stanchissimo, avevo per-
duto l'appetito e non mi sentivo bene. Al mattino del 3 settem-
bre G. Mondo aveva la faccia gonfia e le palpebre cosi edema-
tose elle poteva appena aprire gli occhi. La risipola della pelle
del volto, e più che tutto l' iperemia degli occhi manifestatasi in
Giorgio, crebbero cosi rapidamente che nel pomeriggio ci deci-
demmo ad abbandonare il culle del Teodulo colla speranza di
ritornarvi un'altra volta prendendo le precauzioni necessarie per
fermarcisi più a lungo. „
Questa citazione della memoria che pubblicai nel 1884 intorno
alla respirazione dell' uomo sulle alte montagne ' serve per fare
A. Mosso, .\tti dalla R. Accademia medica Hi Torino. Volume pubblicato
di C. Spi^rino, 1884.
50 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLB ALPI
Vili.
Tyndall racconta che quando sali la prima volta sul Monte
Bianco era cosi spossato che giunto vicino alla vetta si coricò
sopra la neve e si addormentò immediatamente. Egli era in com-
pagnia del signor Hirst; Huxley aveva dovuto fermarsi ai Grands-
Mulets. Il signor Hirst lo svegliò subito dicendogli: " mi avete
fatto paura perchè vi ascoltai qualche minuto, e non vi sentii
respirare neppure una volta. „ *
Questo è il primo accenno che ho trovato nella letteratura
alpina, riguardo alla forte diminuzione del respiro da me osser-
vata sul Monte Rosa.
Un altro accenno lo trovai nello scritto intorno al male di
montagna del dottor Egli-Sinclair.
" Le 17 aoùt, c'est-à-dire le troisième jour (dans la Catane de
M. Vallot à 4400 mètres) je note encore la durée du manque
d'appétit, et la fréquence de la respiration. En ce qui concerne
la respiration je fais expressément l'observation qu'elle avait le
caractère de Stoke, c'est-àdire que pendant un certain temps la
respiration semblait róguliòre, puis venaient quelques fréquentes
et profondes respirations, suivies pendant quelques secondes de
la totale suspension. „
L'Hotel del RifTelberg (2560 metri) è la stazione più bassa, nella
quale mi sia accorto di un mutamento nel mio respiro.
Arrivato colla ferrovia a Zermatt dal Lago di Ginevra, feci a
piedi la salita del RifTelalp. La notte non dormii bene come al
solito, al mattino feci di buon'ora una escursione fino alla ca-
panna Bótemps, attraversando il ghiacciaio del Gòrner. Ritornato
all'albergo mi coricai verso le 2.30 per riposarmi. Indugiando nel-
l'addormen tarmi parecchie volte mi accorsi che svegliandomi
avevo la respirazione più forte del solito, e che poi succedevano
dei periodi nei quali il respiro diventava tanto superficiale che
quasi sembrava si fosse arrestato.
Durante il soggiorno che feci ripetutamente all'albergo del-
roien (2865 metri) vidi che il respiro è meno regolare ed uni-
forme. Non sto qui ad eimmerare le persone sulle quali osservai
questo fenomeno e mi limito a dire che si tratta di cosa abba-
stanza comune da 2500 a 3000 metri di altezza.
1 Tyndall, The Glaciers of the Alps, 1860, pag. 80.
^^^H 11], — I.II i*«;in-i Itone miWe DU/iilajm:
ul^^H
Nel principio di agosto ineutre ^^^BB^^^^I
^M
eruvamo alla Capanna Giiifetti {^GiiO ^^^^^^g^M
^^H
metri) mio fratello ed io ci accor- ^^^^H^^^^|
a ^H
gemmo che la nostra respirazione ^^^^^^H^^f
era diveituta periodica non solo noi ^^^^^^^^^^|
i ^^H
sonno ma anclie nella veglia. ^I^^^^^^l
■a ^^H
Rirerìsco una di queste osserva- ^^B^B^^^9
^ ^^M
/.ioni mg. 17) ratta su me stesso. Il ^^^^^^9^^|
{.'ionio S agosto ei-avamo soli nella ^^^^^^^8^H
piccola capanna che ci serviva di ^^^^^^^^^^|
i ^1
laboratorio. Avevo chiuso la porta ^^^^^^^^|
1 ■
e vi appoggiavo le spalle contro se- ^BB^^^^^^I
duto su di una seggiola. Mio fratello ^^^^^^^^^^|
1 fl
scrìveva la mia respirazione sul ci- ^^^^^B^^^H
liiidro, e la macchina girava conti- ^^^^^^9^H
^^H
nuamente. Questo era necessario ^^H^^^B^^I
^^H
perchè io non sapessi in fjuale mi>- ^^B^^^^^^l
s ^^1
mento veniva scritto II tracciato. ^^^^^SS^^I
p ^1
Non riferisco per brevità alcun trac- ^^^S^^^I^H
^^H
ciato del mio respiro nella pianura, ^HB^^^^^^I
^H
basta che io atl'enrii che esso è gè- ^^^SS^^^^I
neralmente molto regolare in modo ^^^^^^99^1
^H
che tutti i movimenti respiratori for- ^^^BBl^^^H
1 a ^H
mano colla loro base una linea oriz- ^^H^^^^^S
° ^H
zontale. Qui invece appare subito ^^^^^SS^9
^^1
evidente che il torace non ntunia ^^^^^^^^S9
^1 ^M
sempre alla medesima posizione di ^^^^^SSSlÈ
^^H
equilibrio alla Une della espira/ione ^K^^^^^^M
Si formano come delle onde che ac- l^^^^^^^^^l
^^1
cennano ai periodi, quali vedremo di- ^^^^^^^^^H
^^1
venire evidentissimi in altre persone. ^^^^^B^^H
^^1
Nel giorno successivo torno a ^^^^^^^^^H
^^1
ripetere <iuesta osservazione. Da ^^^^S^B^^H
^^^1
quattro giorni non mi ero mosso ^^^^^^^|^^|
^^H
dalla Capanna Gnifetti e mi trovavo ^^^^^^^^^^|
1 ^1
quindi in stato di completo rìposo. ^^^^^^^3^1
1.3 fìgura 18 mostra in a dei periodi ^^^^^^^^H
^^1
più evidenti nei quali l'attività del ^^^B^^^B
^^H
^^H
respiro ó inferiore al normale. ^^^^^^S^^l
^^^1
^^H^Guardando il tracciato a sinistra ^^^^^^^S/^È
i ^1
^^^H* La linea 4iscenile nella e ^^^^B^^^^^^H
^H
^^^^E nitll'eapiraxìone ^^^^^^BH^^^B
J
III. — La resjìirazione sulle mouiaiftìf^ 'ù\
dove comincia si vede che la terza respirazione ù un pò* mono pro-
fonda della precedente, la quarta e la quinta sì fanno ancora mono
profonde. In a il torace tende a fermarsi. Succede una piccola pausa
come se mancasse un respiro, e poi comincia una ispirazione
debole alla quale succede un'altra più forte. Nella parte superioi*e
(iella curva si può vedere come nasce la pausa successiva. In K
compare un leggero arresto alla fine della espirazione: e questo
si prolunga nelle espirazioni successive sino a clie in V pro(iu(*esl
mi leggero riposo. Poi incomincia un altro periodo di maggioro
attività respiratoria. Anche in me come si è già veduto nei sol-
dati Sarteur e Solferino, tende a prodursi una pausa del respiro
clie non osservasi mai nella pianura.
Durante il soggiorno alla Capanna Gnifetti, ho trovato in due
altre persone dei periodi evidentissimi del respiro. Una di (lucste
e mio fratello. Riferisco nella figura V,) uno dei tracciati ])ri»si
sopra di lui nel sonno. Perciiò il rumore clic fa girando Toi'ologio
die mette in rotazione il cilindro non disturbasse, avevo fatto
rome dissi poco prima un buco nel trammezzo di legno dio se-
para là cucina dall'altra stanza. Io stavo nella prima mentre mio
fratello dormiva nell'altra.
I movimenti respiratori sono meno ampi dei miei, perclié mio
fi'atello dormiva da più di un'ora quando presi questo tracciato»
ed egli ha del resto il respiro più superficiale. Nella linea su|)crloi*e
si vede la tendenza che ha il resfùro a fermarsi; tre volte di
seguito nei punti segnati A vediamo un movimento insplratorio
abortito. Nella linea inferiore scritta immediatamente doiK>, com-
pare un periodo segnato B dove si fanno cinque respirazioni più
superficiali delle altre.
Quattro erano i metodi che iKjteva im[ilegare la natura \kìv
diiniimire rintensità dei movimenti respiratori 1/' Kallentare la
fi*equeuza delle respirazioni. 2." Diminuire la loro profondità,
3." Staccare una respirazione dall'altra con una pauna. 4/' AilUt-
volire solo una serie di i-espirazioni con del [>eri^>^JI di rriinor^f
attività. Questi metodi li abbiamo veduti verificarni tutti e quattro
nei tracciati che Jio riprodotta Qualche volta coiiij>arv<*ro tutti
insieme nella medesima riers4i:i. Si imj<i dunque aff<;nfiare rìnt
la respirazione tende a diminif re sulle Alpi. *t non a rr^fv/fn*.
come si era creduto fin qu:.
nSlULUOLà D
»
Alla CaiiEiiiiia Hegitia
l'ita i periodi di arresto della re-
spiraxioiie presero una intensi^
inaspettata e quasi morbosa.
La figura 20 ' rappresenta la re-
spirazione periodica di mio fratello
alla Capanna Kegina Marslierlta. Il
l'espiro ha continuato qualclie volta
per delle ore con (|uesto ilimo, dove
si facevano tre movimenti diwa-
danti, del quale il primo era forie
e yli altri due o tre più deboli e poi
succedeva un riposo il quuJe du-
rava regolarmente 12 secondi pri-
ma che cominciasse un'altra se-
rie di tre respirazioni digradanti.
Quando il torace si Terma e la liuea
diviene orizzontale, si vedono bcue
in essa le pulsazioni del cuore iu
numero di It o 16,
Un medico vedendo questi trac-
ciati del respiro direbbe che sona
di un'agonizzante. Infatti questa
I-espirazione interrotta osservasi
spesso prima della morte. Furono
due medici inglesi Cheyue e Stokes
che descrissero questa respiraziond
intermittente, come un segno ca-
ratteristico di parecchie malattie a
per ciò tale forma di respirazione
parta il nome di Cheyne e Stokes*
La respirazione che si inter-
rompe con delle lunghe pause notì
è una forma nuova di respiro, m*
b la esagerazione di un fenomeni
■ Tutti i tracciati di quwto capiulo <
S8 centimotri furono ridotti a 18 e
fisiologico, perchù In tulli il respiro tende a prendere una forma
periodica quando diminuisce la eccitabilità dei centri nervosi.
Basta somministrare del cloralio o della morfina ad una persona
die abbia disposiziono alla respirazione periodica, e subito la si
produce.
Però non può dirsi die sul Monte Uosa il sonno fosse più
duro die in basso. Anzi u me parve più leggero.
Che vi sìa una lejjprera paralisi dei centri nervosi, lo prova
pure 11 fatto che durante la pausa del respiro il cuore diviene
insensibile all'azione dell'acido carbonico. Guardando le pulsa-
zioni del cuore nei periodi di riposo del torace si vede che le
pulsazioni sono tutte eguali, mentre invece un arresto cosi lungo
del respiro dovrebbe rallentare akiuanto le ultime pulsazioni.
L'esistenza di una paralisi dei nervi del cuore ia si vedrà me-
glio in seguito. Siccome il male di montagna dipende in massima
parte dalla debolezza del cuore. Iio voluto mostrare al lettore dove
ci conducono questi studi.
Una questione molto dibattuta e non ancora risoluta ù di sa-
pere se i movimenti respiratori sono prodotti dall' accumularsi
dell'acido carbonico nel sangue o dalla diminuzione dall'ossi-
geno. Rosenthal è il più strenuo difensore di quest'ultiina ipo-
tesi, secondo la quale il centro nervoso della respirazione viene
automaticamente eccitato dalla diminuzione dell' ossigeno nel
saiig:ue.
Le osservazioni fatte nella Capanna Kegina Margherita mo-
strano quanto siano complessi i fenomeni della respirazione. Se
non si ammette una diminuzione lìella eccitabilità dei centri ner-
vosi, non si spiegherebbe il fatto inatteso che i movimenti del
respiro siano meno frequenti e meno profondi nell'aria rarefatta,
a 45G() m., dove la razione di ossigeno è minore.
Si tratta qui di un fenomeno evidentissimo che osservai in quasi
tutti, anche nelle persone più robuste che stettero con me sul
Monte Rosa. Il dottor Gurgo invitato da me a fare delle osser-
vazioni, mentre accompagnava una compagnia numerosa di stu-
denti alla Capanna Regina Margherita, mi disse che la notte ave-
vano quasi tutti la respirazione periodica.
11 centro nervoso il quale regola il respiro, sembra che iioji
si abitui facilmente all'aria rarefatta. Dopo venti giorni che era-
vamo sui fianchi del Monte Rosa, ad altezze superiori ai 3000 metri
persisteva la respirazione periodica in tutti egualmente forte, come
il primo giorno che siamo arrivati su quella cima.
Per dimostrare che tale fenomeno non sta in alcun rapporto
ceA male di montagna, riferisco un tracciato (fig. 21) preso sul
custode della Capanna, un uomo robustissimo per nome Franoioti
che da due anni aveva passato ogni estate due o tre mesi nella
Capanna Regina Margiierita.
Stabilito che i periodi sono un fenomeno caratteristico della
respirazione sulle Alpi, non viene neppure il dubbio che cM sia
dovuto alla deficiente energia dei muscoli respiratori. Parecchi di
noi che avevamo la i-espirazione periodica stavamo bene ed era-
vamo affatto riposati; anclie la forza dei muscoli inspiratori era
iionnale. come vedremo in seguito nelle ricerche eseguite collo
spirometro.
I
^^Hn risultato più importante di queste osservazioni è clie nel-
U^Pirano sauo a 45G0 metri di altezza vi siano generalmente dolle
pause nella respirazione. Glie nel somio la respirazione divenga
l>eriodica non era cosa che mi maravigliasse, perché anzi ero slato
io il primo a mostrare fino dal 1884 clie il tipo fondamentale della
nostra respirazione è costituito da periodi nei quali il respiro è più
attivo, ed altri nei quali lo è meno. Ma io non avrei mai supposto
che sollevandosi in alto diventassero più evidenti le pause de! l'e-
spiro u misura clie diminuisce la razione dell'ossigeno.
L'aver osservato che a grandi altezze il centro della respira-
zione funziona meno bene e che sono paralizzati i nervi modera-
tori del cuore, ci mette in grado di conoscere la natura del male
di montagna. Perciò mi credo in obbligo di riferire ancora allre
osservazioni le quali mostrino che sul Monte Rosa vi è realmente
una depressione nell'attività di quella parte del sistema nervoso
che è la più fondamentale per la vita.
La figura 22 è un tracciato scritto col pneumografo di Matey
messo intorno al torace del soldato Gliamois.
La linea superiore A fu scritta a Torino il 10 luglio. La linea di
mezzo coi denti segna il tempo in minuti secondi. La linea della
respirazione periodica fu scritta a 4jIjO metri, il giorno dopo che
arrivi") direttamente da Ivrea senza essersi l'ormato prima nelle
varie stazioni intermedie per acclimatarsi.
Mentre si scrisse l'ultima lìnea C del tracciato, socchiudeva
di quando in quando gli occhi, senza però mai dormire ctjmplc-
lamente.
Qui appare evidente quanto può diminuh'C l'iute
I. Fftolosta dill-uomo lull- Alpi.
58 FISIOLOGIA DBLL^UOKO SULLE ALBI
spiro sul Monte Rosa. Ma per aver un'idea delle condizioni no-
stre a quell'altezza dobbiamo ricordarci che una depressione si-
mile esisteva nella funzione del cuore, perchè il polso era debole
e filiforme. Il ceotro del cuore e l'altro che innerva 1 vasi san-
guigni essendo i più prossimi al centro nervoso del respiro, erano
divenuti anch'essi meno eccitabili.
XL
I cani soffrono il male di montagna cogli stessi sintomi del-
l'uomo. Hanno nausea, sonnolenza, vomito, affanno del respiro,
debolezza dei muscoli, incapacità a reggersi sulle gambe e sonno.
Perciò ho condotto con me un cane sul Monte Rosa. Realmente
ne avevo due, ma per le molestie che ci davano negli accam-
pamenti e sotto la tenda del Laboratorio dovetti rimandarne uno
a Gressoney.
Erano due fratelli, perfettamente eguali nell'aspetto, che pre-
sentavano differenze marcatissime nel modo col quale resiste-
vano all'azione dell'aria.
Li avevamo messi molte volte insieme sotto una campana pneu-
matica, e sempre l'uno dormiva ed aveva i sintomi del male di
montagna ad una pressione notevolmente inferiore che l' altro.
Naturalmente condussi con me il più sensibile. Si chiamava Ne-
rino, e mostrò tale disposizione per la montagna che dopo lo
lasciammo all' Albergo del signor Thedy in Gressoney. Era un
cane volpino della razza più comune, che certo non aveva visto
mai le montagne, perchè era nato e cresciuto nel Laboratorio.
Dovendo condurlo in mezzo ai gliiacciai, avevo cercato prima
di affezionarmelo e c'ero riuscito. Al primo accampamento presso
l'Alpe Indra (2515 metri) mi abbandonò perchè fece la conoscenza
del soldato Marta, il quale era il cuoco della nostra carovana.
Quando fummo alla Capanna Gnifetti (3620 metri), capitò che il
nostro cuoco un giorno dovette assentarsi per andare all'accam-
pamento della Capanna Linty, dove c'erano le provvigioni. Pre-
vedendo che il cane avrebbe voluto seguirlo, lo chiudemmo nella
piccola capanna che serviva di Laboratorio.
Dopo due ore gli aprimmo: egli cercò intorno, annusò da per
tutto, cominciò a mugolare e piangere, poi partì difilato. Scese
sul ghiacciaio, girò qualche poco correndo qua e là e scomparve.
Dopo tre ore era già vicino al soldato Marta. Vedemmo più tardi
dalle traccie che lasciò sulla neve che passò per una strada di-
HI. — La ret^ratioM vulle n
versa dalla comune, attraversando i ruscelli
del gliiacciajo e superando del passi dlUlcilì.
Il giorno dopo tornò su tutto allcfiiro e festante
malgrado alcune piccole Terite che aveva nelle
gambe.
Nella Capanna Regina Margherita aveva
esso pure la respirazione periodica, come si
vede nel tracciato 23. preso il 17 agosto alle
ore 8.30. Il cane faceva 2(1 a 28 respirazioni
per rainuto. ed il cuore batteva da 120 a 1-^6
volte.
Fu questa la prima volta che mi capitò
di ossei-vare la respirazione periodica in un
cane sveglio: mentre essa si osserva spesso
nei cani avvelenati coi narcotici.
Il nostro cane di quando in quando, come
sì vede nella fig. 23 in A B. faceva delle
inspirazioni molto profonde. Questo capita
spesso negli animali e nell'uomo, se la respi-
razione si fa Insufflciente. Questi sospiri, la
respirazione periodica ed una leggera dimi-
nuzione nell'allegi'ia, sono i soli fenomeni dai
quali ci accorgemmo che anche i cani su-
Idscono l'azione dell'aria rarefatta a lóGO
metri.
Malgrado i sospiri frequenti che faceva il
cane Nerino. non si può dire che questi
fossci-o prodotti da mancanza dì ossigenn.
Quando in causa del cattivo tempo non po-
tevamo aprire le finestre, il termometro nella
stanza dove era la cucina, saliva a 25" e an-
che a 27". In queste circostanze vidi clie il cane
restando accovacciato vicino alla stufa, aveva
la respirazione afTi-ettata, caratteristica dei
cani quando soffrono il caldo, i quali respi-
rano anche dieci volte più in fretta del solilo.
Cli. Ricliet ' di mostrò la dififerenza profondu
che passa tra questa forma di respiro che
egli chiamò poltpnea e l'asfissia. L'animale
' Cu. Ricaet. T-i; nnuvelU fnncHon dn bnibe'yrarhi-
éUn. Ufi/ulalian ile la temphature par la mpìralifii-
pnx du LabarAt«ire, tnme I, pag. 430
60 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLX ALPI
si raffredda respirando rapidamente, ma perchè funzioni questo
congegno automatico dell'organismo, il quale produce un'eva-
porazione più abbondante di acqua nei polmoni, bisogna che il
sangue non contenga un eccesso di acido carbonico: bisogna
che la quantità di ossigeno nel sangue sia in quantità sufficiente
perchè il cane non abbia bisogno di respirare. Senza queste due
condizioni non può stabilirsi il ritmo precipitoso della respirazione,
che tutti osserviamo nei cani d'estate quando hanno caldo. L'aver
stabilito che nell' aria rarefatta a 4560 m. esiste la polipnea nel
cane, è una prova che realmente a quell'altezza non fa difetto l'os-
sigeno.
Capitolo Quarto.
La circolazione del sangue nell'aria rarefatta.
I.
Al principio del secolo scoi'so un giovane (che fu poi II grande
Haller), ritornato a Berna sua patria, dopo aver compiuto gli studi
di medicina in Germania, chiese un posto di medico all'ospe-
dale. Non lo ebbe perchè dissero che era troppo erudito. Allora
chiese un posto come insegnante di storia nel Liceo di Berna.
Non lo ebbe perchè era medico. Disperato si mise a scrivere delle
poesie, e pubblicò nel 1721) un poemetto sulle Alpi. Sono strofe
che adesso paiono un po' arcadiche, ma che destarono allora
in tutti un'ammirazione profonda, ed ebbero un' azione decisiva
sulla letteratura tedesca.
Nel suo grande trattato di fisiologìa', dove compendiò quant^>
sapevasi intorno a questa scienza fino alla metà del secolo scorfK^
Haller parla ripetutamente della influenza dell'aria rarefatta.
^ Anche se Tarla è diminuita a metà del suo i>eso respiraci
senza difficoltà, come io provai al monte Jago et Parca ed altri
nel Caucaso. „ Non so bene a che altezza sia giunto Haller, ma
cerio non è stato a metà atmosfera ciie sarebbe coirne 'ì^ì'H^) metri.
In un altro volume della sua opera ^, parlando della premlone
che l'aria esercita nel nostro corpo, dice ciie que**ta é uguale a quella
^ Alb. Hallck^ 'ELemada pkynuAngiiu. Tamas HI, y. \^.
s iòùlon, Toans U. p. VA.
62 FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALPI
che proveremmo se stessimo a dieci metri sott'acqua. Quando
su una parte qualunque del corpo diminuisce la pressione, subito
vi accorre più copioso il sangue, e la fa gonfiare ed arrossare.
^ L'aria rarefatta non dilata egualmente bene il polmone, dice
Haller. Quando è diminuita la pressione su tutti i vasi del corpo,
questi resistono meno al cuore, e facilmente si rompono^*.
Questi due concetti che l'aria rarefatta non dilata abbastanza
i polmoni, e che le emorragie osservate nelle ascensioni e nei
palloni aereostatici dipendono dalla pressione diminuita alla su-
perficie del corpo, durarono fino ad oggi.
Una imagine degli effetti die produce la pressione diminuita,
se la facevano gli antichi guardando il rossore che si produce
in una parte qualunque del corpo, succliiandovi sopra colle labbra.
La cosa è però assai diversa sulle montagne, dove la depressione
avvolge tutto il corpo e penetra internamente per la via dei pol-
moni. In questo caso tutte le parti si fanno equilibrio, e le depres-
sioni si compensano. Quando la depressione barometrica su di
una parte del corpo non è controbilanciata, si produce subito
una dilatazione grave dei vasi sanguigni. Ciò vediamo nelle ven-
tose; quantunque la pressione negativa sotto la quale esse fun-
zionano sia poco diversa dalla diminuita pressione barometrica
sulle Alpi, disturbano profondamente la circolazione del sangue
e della linfa.
Queste distinzioni può fare ognuno clie guardi il colore della
pelle, mentre va in alto, e vedrà che i vasi sanguigni sulle alte
montagne, il maggior numero delle volte, sono più pallidi che in
basso. Basta dire questo perchè nessuno più dubiti che tale dot-
trina sia falsa.
II.
Ghauveau, nel 18(>G, e Lortet, nel 18(>9, scrissero i primi trac-
ciati del polso collo sfigmografo sulla vetta del Monte Bianco.
Lortet disse che tali tracciati rassomigliano al polso della febbre
tifoidea e dì alcune febbri continue.
Vediamo prima il fenomeno e cerchiamo di conoscere da che
cosa dipenda iiAe modificazione del polso. Nell'ascensione del-
l' inverno I880 al Monte Rosa avevo portato con me lo sfigmo-
1 Alr. Haller, Tomus III, pag. 196.
lY. — La circolazione del sangue nelVaria rarefatta 63
forato di Marey, che non sto a descrivere essendo uno degli
strumenti grafici ciie i medici adoperano spesso. Applicato lo
strumento dove batte il polso vicino alla mano, ogni dilatazione
dell'arteria alza una leva leggerissima che scrive. Una striscia
di carta passando sotto il tocco della penna raccoglie la traccia
del polso.
La figura 24 mostra il tracciato del mio polso ad Alagna. Ad
Fig. 24. — A. Mosso. — Tracciato del polso scritto ad Alagna.
Ogni battito del cuore l'arteria si dilata e la penna si alza. Passa
un'onda sanguigna che va ad infrangersi nelle ramificazioni ar-
teriose della mano e delle dita, e r arteria radiale mostra delle
oscillazioni dovute alla sua elasticità. Quando fui sulla vetta della
piramide Vincent, a 4215 m., scrissi nuovamente il polso ed ebbi
il tracciato 25.
Si vede subito che le pulsazioni sono più vicine. Ad Alagna
il polso batteva solo 82 volte al minuto, qui invece battè 115 volte.
La contrazione del cuore è più forte e sento un po' di palpita-
zione per la fatica del salire.
n termometro nell'aria segnava dieci gradi sotto lo zero, ma
Fig. 25. — A. Mosso. — Tracciato del polso scritto nell'ascensione invernale
salla piramide Vincent (4215 m.).
i vasi sanguigni erano dilatati, e per la stanchezza era diminuita
la loro contrattilità. Questa forma del polso è simile a quella che
si produce artificialmente in un braccio riscaldandolo. Quando le
arterie diventano più cedevoli il polso prende questa forma ca-
ratteristica della febbre. L'arteria si dilata più presto e più rapi-
damente si risvota. Il cuore affaticato e i vasi sanguigni più ce-
devoli producono questa variazione.
Noi) mi contentai delle osservazioni futte collo sdgmoicrafb
del Marej. Per seguirò più a lungo i mutamenti della dprola-
Fig. Stì. — Stignu'griifc) ad acqu*.
zioiie, portai con me due altri strumenti. Giù nel tracciato 25 del
mio |X)lso si vede die le pulsazioni si vanno alzando verso la Ano.
K un fenomeno che appai-e spesso nei tracciati clie si preuiJouo
u mirandi altezze. Un' imagine più compiuta dei mo\1menti clie
succedono nei vasi sanguigni, io ebbi servendomi del mio s(ìgm(p
grafo ad acqua, col quale non si scrive più il polso di un'arteria,
ina il polso di tutto l'antibraccio. Introduco dentro ad un cilindra
di vetro l'antibraccio di una persona, come ù rappi'csenlato nellj
Usura 20, e lo chiudo presso al gomito con un manicotto di gomma
elastica'. Sospendo l'apparecchio alla vtilta della stanza per la-
sciare liberi i movimenti e poi riempio il cilindro con acqua tie-
pida fino alla base dell'imboccatura anteriore. Ad ogni contra-
zione del cuoi'e penetra un'ondata di sani^ue nell'aliti braccio; si
produce un aumento di volume il quale solleva il livello del-
l'acqua nell'imboccatura. L'aria contenutavi viene lefjgermente
compressa, e sfuggendo dentro il tubo di gomma elastica, tras-
mette il movimento ad una leva che scrive le pulsazioni,
Oltre ai battiti del polso nella figura 27, sono registrati altri mo-
vimenti di contrazione e rilassamento che fanno i vasi sanguigni.
Se il braccio impallidisce perchè le piccole arterie si contraggono,
dimiimìsce l'antibraccio, e ta penna si muove verso il basso pul-
sando. Qualora succeda una dilatazione dei vasi, la penna scri-
vendo più in alto segna esattamente quale sia 1' aumento di vo-
lume dell'antibraccio. Le ondulazioni del tracciato 27 sono dunque
rimagiue fedele del movimenti che si producono nei vasi san-
gujgrd. Vediamo ora in (juali condizioni fu scritto questo dia-
gramma del polso.
II soldato Oberlioffer è un giovane robusto del (|Uale conosco
bene lo stato nella latica e nel riposo, perdio negli studi preli-
minari fatti nel mese di giugno a Torino, esegui una marcia di
(K) chilometri con armi e bagaglio da Ivrea a Torino. 11 giorno
IO agosto paitiva da Ivrea ed arrivava a Gressoney S. Jean la
sera. Il giorno dopo arrivò alla Capanna Gnifetti, e nel giorno 12 ago-
sto giunse alla Capanna Regina Marglierita, portando 12 cliilo-
grammi del suo bagaglio sulle spalle. Durante la marcia sui
ghiacciai stava bene, anche il respiro aveva buono. Gli andammo
iiicotitro fino alla base della punta Gnifetti e gli si prese lo zaino
dalle spalle per alleggerirlo nell'ultimo tratto delta salita che è
faticosa. Alle 9.1ó arrivò alla Capanna Regina Margherita, avendo
la pelle di color livido alle mani, alle guancie ed alle labbra.
Polso 112. Respiro 32. Temperatura rettale 38".
Dopo 15 minuti che era fermo divenne pallido. Temendo uno
sveniniento gli chiesi come stava, ed egli disse che si sentiva
meno bene di prima, che era stremato di forze ed aveva un forte
male di capo.
Il polso alla radiale era divenuto impercettibile. Dovetti con-
tarlo al collo. Era lUS. Respiro :(2. Temperatura 37",7.
Tale malessere durò più di un'ora: durante questo lempoegli
stette coricato e bene coperto. Alle ore 9.4.5 Polso UlO. Respiro 29.
1 delle acìenze dì
rtHOLoeih iicu-'ci
I
ale 37"j<. Ascolliamo il
Teinperalura3;',i>. Mi dissi
che slava ptwio bene. Pd
= si adiiormentù. Quando 8
= svegliò ilopo du(! ore la da
» iiosi (ossia i) color livido!
3 era scomparsa, ma avevi
: delle occtiiaie inarcate, se'
f triio che la circoIazioiK
! nelle vene non ora ancora
I heiie avviata; celi mancavi
f l'appetito. Anctie alla sert
l alle ^.4.^ Il polso è seniprt
= tanto dettole che per con*
f tarlo bisogna mettere la
: mano al cuore o sul cfl4kk
i Polso K»). Respiro 24. Gli
: dà molestia il male di cap4
= per.! si siale a tavola <
l mungìa discretamente. Ai»
^ die in questo soldato (c«>
I me osservammo già la at
l tre persone» le coiidizioii!
I pL'^^orauo quando egli sl
3 arresta dop^i aver coni-
I piato un ^'raiido storna.
Z Gli altri tre soldati eli^
I vennero su con lui. da Ivrea
g alt» Capanna Mai^herìti)
t preseiilarono gli slessi f#
I nomeiii.
» \el {.'"orno successivi
l persiste il colore pavo
I nazzo livido della pelle ìt
? lutti questi soldati, che e'
rano giunti insieme di
- Ivrea. Il polso 6 fUiforme
li respiro frequente, ira i
: ili ed i 28 movimenti al rat
iiuln. Li temperatura leg-i
yermeute superiore al non
uore e troviamo che i toni sono re-
goUui-
II pioriio W aposlo. 24 ore dopo che 11 soldato
I OberhoC^yH
piuiito alla Capanna Regina Margherita scrivo il polso coll'idro-
stlgmosrafo : il polso era talmente debole e filiforme che collo
sfisinografo di Marey era impossibile avere un tracciato. Invece
coiridrostigmografo si ottengono le curve rappresentate nella
figura 27. La cianosi della faccia e della mano mostrano che la cir-
colazione è debole e languente: perù i vasi sanguigni sono più ir-
requieti di quanto non avessi osservato a Torino. 11 centro vasomo-
tririo presenta delle modificazioni profonde, simili a quelle del centro
respiratorio, perchè anche le respirazioni sono irregolari. I pe-
riodi di attivila niaggrnre o minore del respiro non corrispondonn
nella Capali
conleluporaiie
» (4òtì0 m,).
csattamenle alla dilatazione e contrazìoiic dei vasi sanguigni
nell'antibraccio.
Il tracciato -ÌS fu scritto su di me nella Capanna Regina Mar-
gherita. .Si vede in esso che ad ogni movimento del respiro cam-
bia il volume dell' antibraccio. Nella inspirazione colla quale co-
mincia il traccialo a sinistra, succede vni abbassamento della
penna, e nella lìnea sottostante che segna il volume ed il polso
dell' antibraccio, si produce invece un aumento.
La linea inferiore a festoni che segna il polso dell'antibraccio
colle oscillazioni respiratorie, forma una ondulazione abbassan-
dosi simile a quelle del soldato OberhotTer. ! movimenti del re-
I iiou cambiano per questo. La durata della inspirazione ù
H8 FiBioLoeiA dell'uomo bulle alpi
alquanto più breve della espirazione, ma il rapporto è tale quale
si riscontra nella pianura.
Da queste e molte altre osservazioni simili che feci sul Monte
Rosa, posso conchiudere con sicurezza che la diminuita pressione
barometrica, in me e negli altri miei compagni, non ha modifi-
cato le condizioni fisiologiche dei vasi sanguigni per 1* altezza di
4560 metri.
I fisiologi i quali ammisero che nelFaria rarefatta possa mo-
dificarsi lo stato dei vasi sanguigni, perchè diminuisce la com-
pressione dell'atmosfera sulla pelle, diedero importanza al dicro-
tismo del polso ossia all'onda che producesi nella curva di ogni
pulsazione e che vedesi molto spiccata nei tracciati 24 e 25 del
mio polso scritto collo sfigmografo di Marey. Anche in questo
tracciato di (Jberhofifer, fig. 27, il dicrotismo è visibile quasi in
ogni pulsazione, ma in altre persone, come nei soldati Jachini.
Marta e Sarteur, il polso era affatto normale, in nessuna ma-
niera distinguendosi le curve scritte nella Capanna Regina Mar-
glierita da quelle scritte a Torino. Questo prova che i vasi san-
guigni non subiscono alcun mutamento nelle oscillazioni pulsa-
tone delle loro pareti, quando mancano 4000 metri di pressione
atmosferica alla superficie del nostro corpo. La forma del polso
non varia per tale diflerenza di pressione. Ma la fatica e le mu-
tate condizioni chimiche dell'organismo rendono i vasi sanguigni
più irrequieti, il cuore più debole e meno attiva la circolazIODe.
<r
IV.
I movimenti dei vasi sanguigni, quali noi osservammo nel para-
rafo precedente, rappresentano un fenomeno locale e quasi par-
ziale delia circolazione sanguigna ; per farci un concetto della
pressione generale del sangue adoperai lo sfìgmo-manometro. La
figura 29 fa vedere come è questo strumento.
Messo il dito medio e l'anulare di entrambe le mani negli
astucci metallici, i quali sono rivestiti internamente da un dito
di ^onima elastica fatto come un guanto, si fissa la mano colla
morsetta avvicinando le braccia al tronco. Chiuse a questo modo
le dita entro i tubi metallici, per mezzo della vite di una pic-
cola manovella che sta a destra, si fa una pressione suir ac-
qua contenuta nello stantuffo. Tutto l'apparecchio essendo stato
prima riempito di acciua, la pressione esercitata collo stantuffo,
preme i)ui'e alla superficie delle dita e dentro il manometro
a mercurio che misura tale pressione. Questo apparecchio, al
quale diedi il nome di sfigmo-manometro scrive coiiteinporanea-
Fis. 2(t. — Sflgmo-i
ii'ure la pressione <1^1 sangiit
mente il polso e la pressione. Non posso arrestarmi nei partico-
1 tecnici ' e dirù solu che collo sftgmo-manometro misuro la
1. Mosso, Sphi/'imomanotnrtre pmir mnwer la prtinon d\i gang chti l'homme.
a lUlJenneR de Biologie. XXIII, 177.
pressione del sang:ue oell'uoino e scrivo couleinporaiicairieiite
il polso.
Il traccialo HO mostra il mio polso meiiti-e si misura la pres-
sione del sangue, die oscilla fra 8 e 10 centimetri di mercurio.
In me anche a 45i>iJ metri sul Monte Rosa la pressione del sangue
Fig. 31». — A. Mosso. — Traccialo della iiressione sanguigna scrU
nella Capanna Regino Uargherita (4J60 m.).
conserva il medesimo valore che a ToHno. In questo traccialo
si osservano tre ondulazioni simili a quelle die fiuo ad ora co-
Moscevansl solo negli animali, applicando un manometro dentro
l'arteria. L'essere normale la pressione del salitine nella Capanna
Hegina Marjrherila conferma quanto enundai prima, cioè che la
Fig. ^n
teniji
Mossri, — A) TfJ^-i'int.i ilell» pr©ss;on" s.ingtiigiia sonilo
Ite al ri-apiro B nella Capanna Ileginn Marghurita (4M0 ni-).
diminuita pressione barometrica non dilata i vasi per quest'al-
tezza di 4?i60 metri. Dirò in seguito come la stanchezza e il male
di montagna modifichino la circolazione.
Scrìvendo nello slesso tempo la pressione del sangue e il re-
spiro, come si vede nella figura 31, die rapp
appresenta mi tracqt^o
e liti tangue nell'uri
refalta
preso su mio fratello, mi accorsi clie sulle Alpi vi é un rapporto
intimo tra questi due fenomeni. Quando si riulbrza il respiro cre-
sce la pressione, e questa scema quando il respii-o diminuisce di
iuteiisiti'i. Il sincronismo è chiaro tra (luesti due fenomeni. Non
credo però che uno sia la causa dell' altro, probabilmente sono
entrambi l'effetto di un mutamento contemporaneo che succede
nel centro del respiro e dei nervi vasomotori.
In mio fratello, net quale i periodi del respiro sono più evidenti,
sono anche più forti le ondulazioni nella pressione del sangue.
Queste osservazioni a parer mio sono Importanti, perché non sa-
pevasi prima d'ora dal fisiologi che nell'uomo esistesse un rap-
porto cosi intimo tra la pressione de! sangue ed i periodi del
respiro.
Un fatto egualmente nuovo e fondamentale risulta da questi
tracciati, ed è il cambiamento periodico della frequenza nei bat-
titi cardiaci. Quando il respiro si rinforza, vedesi fri mio fratello
itracdato 31) che divengono più forti e meno fl-equenti le pulsa-
zioni del cuore. Quando si rallenta il respiro o cessa, le pulsa-
zioni del cuore si fanno più deboli e più frequenti. Anche in me
(come si vede nel traccialo M) si producevano le medesime va-
riazioni periodiche nella frequon/.a del polso, clie non ho mai
riscontrate nella pianura. Nel male di montagna ho riscontrato
<iuesti mutamenti periodici nella forza e nella frequenza del polso.
Coiictitudo perciò che sulle Alpi si altera la funzione del cuore,
per modo che anche nel riposo completo e quando uno crede di
star bene, vi sono dei periodi nei quali diraiimisce 1' attività del
cuore, e vi ù un pi'incipio di paralisi in quest'organo, e che dopo
tale diminuzione neirenerj,'ia delle sistoli, vi 6 un periodo nel quale
appare rinforzata l'azione dei nervi cardiaci, perdio le pulsazioni.
de) cuore sono più forti e meno frequenti.
Non conosco fino ad ora nella fisiologia dell'uomo alcun fatto
più Intimo die possa spiegarci il meccanismo col quale si pro-
duce I) male di montagna.
Lo studio contemporaneo del respiro e della pressione san-
guigna mi giovò anche per altri risuardi. Alcuni modi di respi-
rare che sembrano irregolari quando si esaminano isolati, non
appariscono più tali quando si scrive contemporaneamente la
pressione del sangue.
Cito l'esemplo di un inglese, il signor G. Thompson, che arrivò
con un suo amico ed una guida talmente fresco alla Punta Gni-
fetU. che non voleva neppure entrare nella Capaiuia. Era un
giorno di bel tempo e pareva si contentassero di fermarsi un po'
I terrazzo al sole godendo il panorama dei monti e quindi ri-
tutte le volle che la respirazione di\'eutava più ampia, e che vi- ,
ceversa la pressione del sangue diminuiva mentre scemava la
forza ilei respira
La Trequenzu dei ballili cardiaci è maggiore anche nel si-
pnor Thompson quando il polso è più debole, e sì rallenta quando
Aso di\*iene più forte.
f
minerò delle pulsazioni cresce nolevolmente quando si fa
un' ascensione. Su tale punto siamo tutti d* accordo. Ma ora si
crede clie il polso sia molto più fi-equente sulle montagne, anche
quando uno trovasi nello stato di profondo riposo. Nelle tabelle
del capitolo sedicesimo sono scritte le osservazioni che feci giorno
per giorno su cinque soldati nella mia spedizione al Monte Rosa.
Specialmente sono importanti le cifre che segnano la frequenza
del polso al mattino prima di alzarsi dal letto. Risulta che c'è
una piccola induenza, perchè il mniìmo osservato a Torino non
lo si ebbe più nella Capanna Regina Margherita.
Le differenze sono però assai meno considerevoli di quanto
non si ammetta ora dai fisiologi, i quali si occuparono di questo
argomento. Pubblicherò in un prossimo lavoro le indicazioni bi-
bliografiche degli scritti più recenti.
Furono specialmente i medici delle stazioni climatiche quelli
clie fecero il maggior numero di pubblicazioni su questo argo-
mento. Le contraddizioni le quali osservatisi nei loro risultati pro-
vano che non furono determinate con sufficiente esattezza le con-
dizioni delle persone osservate.
Conosciuta l'azione del cuore, devo ancora dire qualctie parola
sulla corrente del sangue nei vasi capillari. Dopo Alessandro Hum-
boldt il quale osservò sul Chimborazo a 5(')ftJ metri, che le gen-
give sue e dei compagni davano sangue e che la congiuntiva
degli occhi era ingorgata, si spiegarono questi fatti colla veccliia
idea di Ilaller e che Saussure aveva espresso dicendo che 1 vasi
sono " faiblement contrebandés par la pression ,,.
Questa congettura non lia una base sperimentate, e dopo quanto
Jio esposto, ciascuno spero sai'à persuaso che l'azione fisica non ò
iwr sé capace di produrre questi inconvenienti. La causa di que-
ste emorragie deve invece cercarsi nella debolezza del cuore, e
nella circolazione periferica languente. 11 sangue Hstagna nei vasi
igni dilatati, e la pelle prende quel colore livido caralterl-
Fi'ioJasia ilell'uomn »"»(■ Alpi. I'>
74 FISIOLOGIA OXLL'uOMO SULLE ALPI
stico che tutti hanno osservato alla faccia ed alle mani sulla
vetta delle montagne.
A questo fenomeno delle emorragie avevano dato molto im-
portanza gli scrittori, perchè veniva in appoggio delle vecchie dot-
trine intorno alla fisiologia dell'uomo sulle Alpi. In base alle mie
osservazioni non posso dire che le emorragie siano più flrequenti.
Accenno solo il fatto e ne parlerò più a lungo in seguito. Le
emorragie ricordate spesso dai viaggiatori non sono mai tanto
abbondanti, quanto dovrebbero essere se fossero prodotte da
una causa flsica. Esse dipendono, come disse PayotS da una
congestione passiva. Il color venoso della pelle dimostra che il
sangue circola male, i vasi si sfiancano e possono rompersi più
facilmente: ma questo è un fenomeno abbastanza raro che noi)
dipende dalla pressione diminuita, la quale agisca localmente
aspirando il sangue, e tanto meno dalla palpitazione del cuore
che alcuni credono possa rompere i vasi sanguigni per mezza
di un polso troppo forte.
^ A. Payot, Du tnal dee moniagnes, Thèse. Faculté de médecine de Paris, 1881^
pag. 63.
Capitolo Quinto.
La stanchezza del cuore.
I.
II cuore, quando compie un lavoro soverchio, si dilata e si
altera. L'azione prolungata dei muscoli produce la stanchezza
del cuore.
Nel 1870, un medico inglese chiamò l'attenzione dei medici su
questo argomento. Raccolti i fatti patologici ed i sintomi, si co-
nobbe definita una nuova malattia, la quale venne chiamata stra-
pazzo cardiaco, o sforzo del cuore, o irritabilità cardiaca, o sub-
paralisi del cuore, secondo i vari autori.
Riferisco la prima osservazione che Albutt fece sopra di sé
stesso, ed esporrò dopo le indagini che feci io col dottor Z. Treves
a Torino e col dottor Abelli sul Monte Rosa, dalle quali è pro-
vato che le prime traccie di questa malattia possono comparire
nell'uomo sano In seguito ad una ascensione.
Ecco una pagina importante di Albutt che fa un'applicazione
felice dell'alpinismo alla scienza ^
^ Nell'estate del 1868 cominciai, egli dice, troppo presto a fare
delle gite sulle Alpi, senza essermi prima allenato abbastanza.
Dopo tre giorni di lunghe passeggiate a piccole altezze, feci col
signor K. l'ascensione del Galenstock e andammo nel giorno suc-
cessivo airoberaarpass. Invece di partire dal Grimsel ci fermammo
* Clifford Albutt, Si. George'» Hospital RepwU, Voi. V, 1870, p. 29.
76 FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALPI
al Rhonengletscher, andammo al Grimselpass e salimmo sul Si-
delhorn, prima di metterci effettivamente all'opera. Alla sera
cambiammo pure un' altra volta d' itinerario e invece di scen-
dere a Viesch, andammo in cerca d'un alloggio migliore all'Aeg-
gischhorn. Per ciò fummo obbligati, verso la fine del giorno, a
camminare con passo alquanto accelerato per raggiungere que-
st' alpe.
^ Fino a quel momento io ero sempre stato bene. Ma quel
dispendio maggiore di forza che fu necessario per sollevare nuo-
vamente il peso del mio corpo a circa 2000 piedi produsse uno
strapazzo del cuore destro. Improvvisamente venni preso da uno
strano bisogno di respirare che non avevo mai provato, il quale
era accompagnato da una sensazione molto spiacevole di tensione
e di pulsazione all'epigastrio. Misi la mano sul cuore e sentii
che il battito era diffuso a tutto l'epigastrio. Apersi tosto la ca-
micia e m'assicurai colla percussione che il ventricolo destro del
cuore era molto dilatato. Mi coricai lungo e disteso sull'erba colle
spalle sollevate, ed in pochi minuti ebbi il piacere di constatare
che la dilatazione del cuore e l' oppressione e V estensione della
ottusità cardiaca, cominciavano a diminuire. Provai le mie forze
alzandomi e coricandomi di nuovo, e poi cominciai a fare alcuni
passi. Ma i fenomeni ritornavano subito a molestarmi appena io
tentavo di salire. Fui perciò obbligato a mandare innanzi il si-
gnor K, ed io con grande prudenza m'incamminai lentamente.
Quando giunsi all'altezza dell'albergo, e vi era un miglio o due
da fare in piano, scomparve immediatamente il mio malessere.
Non sentivo punto la stanchezza, e arrivato all' albergo, pranzai
come al solito.
"^ Nella notte, verso le tre, fui svegliato improvvisamente da una
forte palpitazione: il cuore batteva forte all'epigastrio, avevo dispnea
ed ambascia, ma l'ottusità del cuore non oltrepassava più lo sterno.
Aprii la finestra, feci alcune inspirazioni profonde, e il mio males-
sere scomparve. La guida Christian Almer, al quale io raccontai
questo incidente, mi disse che anche a lui e ad alcuni suoi com-
pagni era capitata la stessa cosa quando avevano dovuto affati-
carsi troppo nel fare degli scalini sul pendio ripido dei ghiacciai.^
In questi ultimi tempi i medici hanno rivolto l' attenzione ai
veleni che si producono nelle malattie. Sono specialmente i pro-
cessi infettivi che danno luogo a infiammazioni tossiche e a lo-
calizzazioni nel cuore. E però le persone che soffrirono poco
prima una febbre tifoidea, la difterite, od anche una semplice in-
fluenza, devono usare la massima cautela nell'eseguire sforzi mu-
scolari. Gli studi clinici su questo argomento sono ora assai nume-
rosi, ed i fisiologi coi loro esperimenti vi avevano preparato già il
terreno, come espose in uno scritto recente il prof. Stefani '.
Riferisco un frammento di una memoria del fisiologo Roy che
riguarda l'alpinismo".
" Io pure, egli dice, lio fatto la prova dì uno strapazzo del cuora
prodotto da un esercizio musculare intenso. Durante la convale-
scenza di una febbre lifoidea, venni chiamato come medico a fare
una marcia rapida e faticosa sulla Mer de Giace tino al .lardili per
raggiungere una guida di Ghamoni.v gravemente ferita per u[i
accidente. I fenomeni che provai sopra me stesso, coincidono per-
fettamente con quelli descrìtti da Albutt, „
Roy e Adami mostrarono sperimentalmente che un tempo bre-
vissimo basta per produrre una dilatazione del cuore nel cane,
quando si aumenta oltre un certo limite la pressione del sangue.
La forma e il volume del nostro cuore si possono conoscere
dall'esterno con suftìcicnte esattezza adoperando la percussione.
Un metodo questo di indagine che rassomiglia a quello notissimo,
col quale si determina dall'esterno il livello del vino in una botte
senza aprirla. Picchiando leggermente il fondo producesi un suono
dove c'ò l'aria, e un altro dove c'è il liquido. Nello stesso modo
facendo la percussione del torace si conosce dove finiscono ì
polmoni. Picchiandoli risuonano perchò sono pieni d'aria. Dove
invece il cuore tocca, o sta molto vicino al torace, il suono è più
ottuso e più cupo.
n dottor A. Bianchi costrussc uno strumento, al quale diede
11 nome di fonendoscopio, col quale si determina con molto mag-
giore esattezza il volume degli organi contenuti nella cavità, tora-
cica e dell'addome. Tale strumento rinforza talmente i suoni che
non occorre picchiare come si faceva prima: basta strisciare leg-
germente un dito sulla pelle, e le vibrazioni diventano cosi accen-
tuale die si conoscono senz'altro i limiti dell'organo che vi sta
sotto nella cavità del torace o dell'addome.
' A. Stbv&ni, Action ih la prewion artfrielle tur les vai
ArDtii'M iUlienttes de Biologie, Tome XXVI, p. 1T3.
* Hot nnd .loAMt, Remitrk» -m failure of the Heart fra.
diKitea] .loarnol. Dee. 18H6.
ntndosL-opi» Bìancbi.
La figura 33 rappresenta la forma del cuore come fu disegnata
dal dottor Z. Treves per mezzo del fonendoscopio del Biauclii. L'o-
9 di Tolume del cuora ilupo
vale superiore che tocca coir apice la mammella sinistra,
la periferia del ventricolo sinistro, quello sottostante clie 1
^M
V. — La stanchezza del cuore 79
seca segna i limiti del ventricolo destro. In alto sopra lo sterno
vi è il profilo dell'orecchietta sinistra, e il cerchietto sottostante
indica l'orecchietta destra. Il dottor Treves verificò parecchie
volte questi disegni sul cadavere. La figura segnata prima col
fonendoscopio, corrispose esattamente ai limiti del cuore aprendo
il torace.
L'esame del cuore ripetuto ad intervalli di circa tre ore, mo-
stra che il volume del cuore si modifica nella giornata, e che alla
sera è diverso dal mattino. Il dottor Z. Treves pubblicherà presto
le sue indagini. Qui mi limito a riferire una esperienza per mo-
strare come una breve fatica possa già alterare la forma del
cuore. La medesima persona robustissima della quale ho dato
la fotografia nella figura precedente, esaminata alle ore 8 e mezzo
col fonendoscopio mostrava i limiti del cuore come furono segnati
dalla linea A nella figura 34. Alle dieci, dopo un'ora e mezzo di
esercizio faticoso fatto portando due manubri di 10 chilogrammi
l'uno, salendo e scendendo le scale del Laboratorio, la forma del
cuore trovasi quale è segnata dalla linea punteggiata B. Perchè
la figura fosse meno complessa si tralasciò di segnare il setto
interventricolare nelle due figure A B. L'aumento di volume del
cuore dopo un' ora e mezzo di lavoro appare evidentissimo in
questa esperienza. L' asse dei cuore si è spostato ed il volume
crebbe nella pajrte superiore che corrisponde al ventricolo sinistro.
IIL
Le cose che esporrò in questo capitolo intorno allo strapazzo
del cuore hanno un interesse più generale che non sia il semplice
studio dell'alpinismo. Quanti fanno grandi fatiche colla bicicletta,
col remo ed in qualsiasi altro modo, vanno soggetti ai medesimi
incomodi.
Due sono le cause che modificano il cuore nella fatica; l'una
è di origine meccanica, o idraulica, e dipende dalla pressione del
sangue; l'altra è chimica, o tossica, e dipende dai prodotti di
scomposizione dell'organismo.
Intorno alla circolazione nei muscoli che si contraggono vi
sono molte osservazioni. Gli autori che hanno più autorità come
Ludwig e Chauveau dissero che il sangue circola più facilmente
nel muscolo che si contrae. Sperimentando sull'uomo non mi riuscì
di vedere questo aumento della circolazione. Il problema non si
limita perù a sapere come scorra i! sangue noi muscolo che la-
vora, sìbbeiie come stia la pressione generale del sangue. Quando
i nmscoU lavorano, anclie se non sono molti, tutti sappiamo che
1:1 circolazione del sangue si inodiBca proroiidamentc, tanto da
produrre la palpitazione del cuore.
Studiai con nuovi sperimenti il problema della circolazione
iliosligmografo per
ircolazione del ungi
sanguigna nel muscolo che si contrae, e mi associai In t
cerctie il dottor F. W. Tunnicliffe di Londra. 11 metodo da noi s
guito consiste iiell' esaminare le pulsazioni proprie del muscolo. I
Costruimmo a tale scopo uno strumento rappresentato dalla IJ- I
gura .10, il quale rassomiglia, tit alcune parti, a quello già noto 1
nella tisiologia col nome di cardiograro del Marey. Vi è la me-J
desima capsula di legno, la quale per mezzo di una fasciaJj
^^^H^ — La finn
■cheiia del (■uni-C
Bt ^^H
fissata sopra il polpaccio della
gamba, oppur
e sui muscoli fles- ^^^|
sori delle dita, come si vede nella figura 3ó. 1
Dentro alla Ciipsula ^^H
di 164:110 vi è un timpano a
^^1
membrana elastica, con una
^^^H^^HI
^H^^^^H
^^^M
molla spirale interna e mi
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^B^^H
Il ■
bottone dì legno all'estfrno.
^B^^^^l
^^^^^1
b'^ ^I
Per mezzo di una molla me-
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^K^^H
tallica chiusa nel tuhn clie sUi
^^^fi^^H
^^^^^M
^^1
sopra il timpano si può com-
^^^9^^|
^^^^^M
*l ^1
primere il muscolo fino a che
^^H^^^l
^^S^^È
diventino visibili le sue pul-
^^I^^^H
^^g^H
I-i ^^1
sazioni, le quali poi vcnjrorjn
^^E^^^H
^^B^H
^1 ^H
scritte per mezzo di un tim-
^■^^^^H
^^^^^M
ss ^H
pano a leva sul cilindro in-
^H^^^^H
^^^^^1
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fumato. A questo strumento
^^^^^^H
^B^^l
il ^M
abbiamo dato 11 nome di mio-
^^S^HH
^^^^M
sftgmografo perchè serve :i
I^^^^Ih
^^H^B
SS ^M
registrare il polso dei musa il i .
^^^^^^H
^^^^H
u- ■
Applicando il miosfiffino-
^^^^^^H
^^^^H
sj< H
grafo alla superficie di un
^^^^^^H
^^^^H
^^H
muscolo senza dargli una
^^^^^^H
^^^^H
a ^H
pressione sufflciente, non si
^^^^^^H
^^^^H
vedono pulsazioni. Quando in-
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^^^^H
^H
vece la pressione è uRuaie a
^^^^^^H
^^^^H
'^.ti H
2 o3 centimetri di mereuriu.
^^^^^^H
^^^^H
si ottiene un tracciato quale
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^^^^H
SVs ^H
ho riprodotto nella linesi su-
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periore della figura 30. Que-
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^I^^H
i ^1
ste pulsazioni sono scritte rial
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^^P^l
^^1
polpaccio della gamba, ossia
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1'^ ■
del muscoli gastrocneml e ge-
^^^^^^H
^^3^1
meltf. Si verifica qui, quanto
^^^^^^H
^^^^H
ho già osservato collo sfigmo-
^^^^^^H
l^^^l
manometro, che cioè le pul-
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IS^H
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sazioni vanno crescendo di
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^^^^H
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alterjji fino ad un certo li-
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mite. B misura che va cre-
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scendo la pressione esterna.
^H^^^^E
^^^^H
^^H
Le piccole vene ed i vasi Ihi-
fatici danno al muscolo che
^^B^^^B
^^1^1
^^H
1 non è compresso una consistenz;
a quasi fluida,
, cosi che le pulsa- ^^^M
compressione elio ^^H
zioni delle piccole arterie non s
i vedono. La
si fa col miosfigmografo rende
il muscolo pi
ù resistente nella ^^^M
Itouo. ritiolagia drlfuomo tulle Alpi.
^^^^È
^2 FISIOLOGIA DELL^COMO 8ULLV ALPI
parte compressa, e le pulsazioni delle piccole arterie possono tras-
mettersi a traverso la pelle fino al timpano registratore. Per que-
sto le pulsazioni sono più forti quando il braccio è sollevato come
si vede nella figura 35.
Sadler * e Gaskell * hanno già studiato la circolazione del san-
gue nei muscoli durante la loro contrazione. Non mi fermerò qui
per fare la critica e il raffronto delle loro esperienze. Per Tintento
nostro di vedere come si modifichi la circolazione del sangue nei
muscoli che lavorano, è sufficiente esaminare la figura 36 ottenuta
sul dottor TunnicUflFe e applicando il miosfigmografo sul polpaccio
•della gamba. Stando coricato su di una tavola, teneva la gamba
sollevata, mettendo il piede sulla spalla di un assistente. Scritta
la prima parte del tracciato fino in «, egli eseguisce in questo
punto una forte contrazione dei muscoli posteriori della gamba,
la quale dura un minuto. Il tracciato scritto durante la contra-
zione non lascia più vedere il polso. Questo dipende dall'induri-
mento che subisce il muscolo il quale nella contrazione si ingrossa
-e si raccorcia. Secondo queste esperienze non esiste per il fatto
della contrazione muscolare la dilatazione dei vasi sanguigni, am-
messa ora generalmente. Vi sarebbe invece, secondo noi , una
•circolazione meno forte nei muscoli durante Fattività loro. Questo
fatto sarebbe in parte la causa dell'aumento il quale producesi
nella pressione del sangue quando lavorano i muscoli.
La linea inferiore della figura 36 fu scritta appena cessò la con-
trazione. Vediamo che le pulsazioni hanno un profilo diverso. La
seconda elevazione dicrotica è scomparsa. Le pulsazioni sono più
vicine perchè 11 cuore batte più frequente. La punta delle pulsa-
zioni è smussata: e nelle prime 15 o 20 pulsazioni dopo cessata
la contrazione non si vede il dicrotismo: questo va lentamente
ristabilendosi; ma anche dopo un minuto la forma del polso è
-diversa da quanto era prima della contrazione. Tali mutamenti
nella forma del polso, provano che i vasi sanguigni dei muscoli
si dilatano dopo una forte contrazione, e che cedono più facil-
mente sotto l'impulso dell'onda sanguigna che li attraversa. La
-dilatazione successiva dei vasi, osservata dopo la contrazione,
probabilmente è prodotta dall'arresto della circolazione succeduto
nel muscolo durante il tempo che rimase contratto.
Per analogia, sapendo che gli organi quando funzionano sono
^ W. Sadl?:r, TJcher den Bhitstrom in den ruhendeitf verkxirzttn und ermiideten
Muskeln. Ludwij^'s Arbeiten, 1869, \), 189.
2 W. H. Gaskell, Ueber die Aetulerungen des Blutstroms in den Muskeln
<ìurch die Reiznng ihrer Nerven. Ludwig's Arbeiten, 1876, p. 45.
più attivamente irrigati dal sangue, sembra meglio probabile
che i vasi si dilatino nei muscoli durante la loro contrazione.
Avendo però questi organi dei periodi di attlvitii molto brevi, po-
Irebbe anche darsi che i vasi dei muscoli non si dilatino durante
la contrazione e che non occorra per i bisogni del muscolo altra
dilatazione dei vasi se non quella successiva osservata col mio-
sflgmografo. 11 massaggio ciie esercita automaticamente il mu-
scolo sopra i suoi vasi nell'atto del contrarsi, basta forse da solo,
nelle contrazioni rapide e di breve durata, a rendere pili attiva la
circolazione nel suo interno. Comunque sia noi vediamo clie la
circolazione diviene più facile nel muscolo dopo che si è contratto.
Questo giova certo al muscolo per levargli le sostanze nocive e
le scorie die il lavoro ha prodotto nelle sue fibre.
m.
Uìì dottor TunniclifTe ho studiato i mutamenti della pressione
del sangue durante la marcia. Le ricerciie fatte prima da Baseh,
da Maximowitsch, da Rieder ed Oertel provarono che la pressione
del sangue cresce durante il lavoro e le ascensioni. Noi abbiamo
studiato la pressione del sangue mentre l'uomo cammina, ed ab-
biamo veduto che aumenta di due o tre centimetri di mercurio
movendosi con passo ordinario.
Il prof. Oertel dice die la pressione del sangue cresce nelle
ascensioni perchè vi ò un aumento del flusso del sangue venoso
al cuore ed un equilibrio tra la pressione arteriosa e venosa del
sangue '.
Noi abbiamo osservato che vi è una contrazione dei vasi san-
guigni alla superficie del corpo, tutte le volte che facciamo un
lavoro intenso dei muscoli. Questo é un altro meccanismo col
quale cresce la pressione del sangue nelle ascensioni.
Un fattore importante (oltre ai due precedenti che abbiamo
studiato) è la contrazione dei vasi sanguigni negli organi della
cavità addominale. Non si può in altro modo spiegare die sia
elevata la pressione del sangue quando si è sudati e che la pelle
è più rossa, come succede nelle ascensioni. Di necessità vi deve
essere meno sangue negli organi interni, se i muscoli attivi sono
meglio lavati dai sangue, e sono dilatati ì vasi della pelle. Questo
• OlBTBi-, Bantlbucli der Allgemeinen Thernpie uiid Krehiawfitnrungen, 1891,
64 FI8IOLOOIA DBLL*COMO 8ULLB ALPI
ci spiega perctiè alcuni correndo o camminando molto, soSft'ano
nausea e vomito. Esaminerò meglio più tardi i disturbi che si pro-
ducono nel sistema digerente durante la fatica, i quali dipendono
dall'anemia dei visceri durante la contrazione dei muscoli.
Se la dilatazione dei vasi diviene troppo grande alla superficie
del corpo e nei muscoli, e il cuore diviene più debole, la pres-
sione del sangue diminuisce. Questo fu già veduto dall' Oertel,
il quale misurando la pressione sanguigna durante un'ascensione,
la trovò maggiore a metà, e minore quando giunse in cima al
monte.
Dopo aver accennato quali congegni funzionano nell'organismo
per regolare la pressione del sangue, quando i muscoli lavorano
attivamente, devo soggiungere, a mostrare la perfezione della
nostra macchina, che ciascuno dì questi può in parte supplire
alla deficienza e ai guasti che succedono negli altri i)er eflètto
del lavoro. Non mi fermerò ad esaminare più da vicino questi
ingranaggi, perchè non ho speranza di farmi comprendere più
chiaramente da chi non sia fisiologo.
Per dare ancora un esempio del modo col quale funzionano
le cataratte del sangue nell'organismo, riferisco i dati di un'altra
esperienza fatta dal dottor Carlo Colombo nel mio Istituto. Egli
pesa 66 chilogrammi ed ha 23 anni. Il 28 febbraio del 1894, alle
ore 3.45, si determina la pressione sua del sangue, il polso, il
respiro e la temperatura interna. Subito dopo, alle 4.10, si mette
a salire e scendere per 10 volte di seguito le scale del Labora-
torio, composte di 64 gradini e tiene nelle mani due manubri del
peso di 5 chilogrammi ciascuno. Arriva tutto sudato ed ansante
nella stanza dove lo aspettiamo. Si misura immediatamente la
pressione, la temperatura, e contiamo il polso ed il respiro. Nella
tabella seguente sono raccolti i dati di questa esperienza la quale
si continua per oltre mezz'ora fino a che la pressione ed il re-
spiro tornarono ad essere come prima.
Normale.
Pressione Polso
Respiro
Temperatura
Ore 3.45
80 »nm. 65
20
37^
Dopo la fatica.
Ore 4.2'
K)- nini. 108
37
37 ^ 1
.. 4.:ì()
100 9.')
20
37**,
., 4.3.-,
98 79
18
n
.. 4.40
90 70
IH
# *
,. 4.4:.
bO 70
17
n
Si vede da questa esperienza clie la pressione del sangue è
aumentata di 25 min. di mercurio per un breve esercizio di salire
e scendere le scale, e che dopo mezz'ora la pressione ò tornata
al valore normale.
1^ una perfezione grande delta nostra macchina che il sangue
affluisca più abbondante agli organi quando si affaticano. Siccome
però la quantitii di sangue che abbiamo nel corpo è appena di
5 litri, per un congegno mirabile si restringono tutti I vasi san-
guigni quando dobbiamo fare un lavoro intenso col corvello e coi
muscoli. L'alveo, nel quale circola il sangue, divenendo più stretto,
cresce la velociti! della corrente sanguigna negli organi che la-
vorano od hanno lavorato e cresce in questi l'energia della fun-
zione e si ristabiliscono più presto le condizioni normali dopo
che furono affaticati.
I dati presi sul dottor Colombo servono a misurare il lavoro
in più, che fa il cuore quando si sale una scala. La pressione del
sangue misurata nelle piccole arterie delle dita, è certo inferiore
alla pressione del sangue nel cuore, ma lino ad ora per tali ri-
cerche sull'uomo, non abbiamo altri strumenti più esatti dello
sfigmomanometro.
È un calcolo semplice e dobbiamo failo subito per conoscere
in che modo si produca la fatica del cuore. Pensiamo solo alla
cavitA sinistra di quest'organo, la quale rassomiglia ad una borsa
muscolare che contiene 180 ce. di sangue. Nel riposo, ad ogni
battito del cuore erano prima 180 ce. che erano cacciati ad un'al-
tezza di 85 m.m. di mercurio; dopo fatto l'esercizio su e giù per
le scale sono 180 ce. che vengono sollevati all'altezza di 105 m, m.
Supponiamo che il sangue abbia il peso dell'acqua; vedremo
che prima ad ogni minuto, nel riposo, faceva un lavoro di 13.92 ciii-
logrammetri (0.085 X l'I = 1.190 1.190 X 0.180 = 0.'2itì X 65
= 13,02).
Dopo ia fatica, il cuore fa un lavoro doppio, di chilogrammetri
2857 (105X1'' = 1470 1,470X0,180 = 2646X108 = 28,57).
Prima di ottenere un lavoro doppio ó probabile che il cuore
aflaticandosi non si vuoti più completamente. Non abbiamo fino
ad ora alcun mezzo per rettificare questi calcoli: comujique sia,
il lavoro del cuore è molto cresciuto. Quando perdura tale sforzo,
si genera non solo la stanchezza del cuore, ma uno sfiancamento
e una dilatazione di quest'organo, la quale diviene causa di una
tiisutncienza del cuore, mentre le sue valvole e tutto l'apparecchio
della circolazione sono intatti. A questo stato, il quale cessa di
essere fisiologico quando il lavoro diviene eccessivo, venne dato
86
F18IOLOOIA DBLL'VOMO 8ULLB ALPI
V.
Esaminate le condizioni fisiologiclie che generano la stanchezza
del cuore, ritorniamo alle osservazioni che feci sul Monte Rosa.
La forma del cuore qua-
le può misurarsi all'ester-
no colla percussione del
torace, e le modificazioni
subite in seguito ad una
marcia sui ghiacciai, sono
rappresentate nella fig. 37.
Il capitano medico Abelli
fece questa osservazione
determinando colla percus-
sione l'ottusità cardiaca
nel caporale Cento. Il gior-
no 7 agosto mentre era-
vamo nella Capanna Gni-
fetti, la posizione e la for
ma del cuore erano quali
sono rappresentate nella li-
nea nera 1 della fig. 37. Il
punto preciso dove batteva
la punta del cuore, il limite
dell'ottusità relativa e del
l'ottusità assoluta, erano
segnati prima esattamente
con una matita azzurra
sul torace, e dopo con
una carta trasparente mes-
sa sopra si copiava la for-
ma e la posizione del cuore. L'esame del cuore venne fatto mentre
la persona stava seduta avendo verticale il torace. Nel giorno suc-
cessivo il caporale Cento parte dall'accampamento presso la Ca
panna Linty e viene su lentamente alla Capanna Gnifetti, por
tando 15 chilogrammi sulle spalle. È una piccola ascensione con
una marcia sul ghiacciaio che dura circa un'ora e mezzo. Dopo
o^^iii esperienza si cancellavano sul torace tutti i segni della ma-
tita, eccetto quello del bordo superiore della seconda costa (ri-
prodotto in queste figure), perchè neir esame successivo la deli-
Fig. 37. — Caporale Cento.
l. Forma e posizione del cuore prima di una
ascensione. — 2. Dopo un* ascensione.
T. — La bianchezza del cuore
87
mitazione precisa dell'area di ottusità non fosse guidata da idee
preconcette.
Appena giunto alla Capanna Gnlfetti si determina nuovamente
la posizione del cuore segnata colla linea 2 della flg. 37. Dal raf-
fronto appare evidente clie dopo questa ascensione, la punta del
cuore batte più in basso, e che tutto l'organo si è spostato un
po' a destra.
Il dott. Abelli credeva che
il caporale Cento, malgrado
r apparenza di essere un
uomo robusto, avesse forse
il cuore alquanto più piccolo
del normale. L'urto dell'a-
pice del cuore contro il to-
race sentivasi al bordo su-
periore della quinta costa.
In una bellissima giornata,
senza vento, fece con diffi-
coltà il tragitto dalla Capan-
na Gnifetti alla Capanna Re-
gina Margherita, quantun-
que avesse sulle spalle solo
il peso di 10 chilogrammi.
In uomini più robusti
l'abbassamento del cuore
per una ascensione cosi pic-
cola è meno considerevole,
come si vede nella figura
38, la quale rappresenta le
misure fatte dal dottore
Abelli nel soldato Solferino.
La linea 1 segna la posi-
zione del cuore alla Ca-
panna Gnifetti nel riposo,
il giorno 8 agosto alle ore
8, dopo aver dormito bene
la notte. Il bordo superiore della seconda costa, alla linea para-
sternale sinistra, è fissato anche qui come nella fig. 37 dalla linea
nera soprastante. La punta del cuore si percepisce al sesto spa-
zio intercostale. Dopo essere ritornato alla Capanna Gnifetti dal-
l'accampamento della Capanna Linty, portando solo 4 chilogrammi
sulle spalle, l'ottusità e la punta si abbassano leggermente, come
si vede nella linea 2, punteggiata. Il giorno 18 agosto arriva sca-
Fig 38. — Soldato Solferino.
Posizione e forma del cuore: 1. nel riposo,
2. dopo ascensione piccola, 3. arrivato alla
Capanna Regina Margherita.
88 FISIOLOGIA dell'uomo BULLE ALPI
*
rico alla Capanna Margherita: la linea 3, fig. 38, rappresenta la
forma del suo cuore dopo tale ascensione. Il volume è aumentato,
il diametro trasversale è maggiore, la punta batte più in alto.
Lo spostarsi del cuore in alto ci aveva fatto venire il dubbio
Cile il diaframma si sollevasse spinto dalla distensione dei gas
dello stomaco e delle intestina, in seguito alla pressione barome-
trica diminuita. L'aver osservato a Torino il medesimo solleva-
mento del cuore in seguito alla fatica, tolse ogni fondamento a
tale sospetto.
È questa una vecctiia ipotesi che il male di montagna si pro-
duca in seguito alla dilatazione dei gas della cavità addominale,
ammettendo che i gas siano capaci di porre un ostacolo al re-
spiro sollevando il diaframma. Ho fatto delle misure intorno a
questo argomento e vidi che per 2000 metri di altezza non cam-
bia neppure di un millimetro la circonferenza dell'addome. Le
persone sulle quali io feci queste misure avevano i muscoli delle
pareti addominali bene sviluppati: non escludo che in chi ha le
pareti meno resistenti possa prodursi una piccola dilatazione,
ma non sarà certo mai un rigonfiamento tale da spostare in alto
il diaframma ed il cuore recando molestia al respiro.
L' osservazione fatta nel caporale Cento è istruttiva in que-
sto riguardo, perchè dalla Capanna Linty alia Gnifetti il disli-
vello è di 600 metri (3047 a 3620 metri); e la flg. 37 mostra con
maggiore evidenza che il cuore si abbassa. Tale fatto è dovuto
alla dilatazione del cuore. Quest'organo contiene una quantità
maggiore di sangue, perchè le sue pareti si rilasciano di più: pro-
babilmente non riesce a vuotarsi completamente nelle sue con-
trazioni, e per questo scende più in basso.
Alla Capanna Regina Margherita il dottor Abelli, anche nel
soldato Sarteur, sul quale fece una serie esatta di misure, vide
che aumentava il diametro trasverso del cuore, e che si solle-
vava la punta del cuore salendo su dalla Capanna Gnifetti.
Vedremo in seguito che la stanchezza del cuore è uno dei
fatti preponderanti nel male di montagna.
VI.
Ho ^ià detto che nelle ascensioni, arrestandoci, non migliorano
subito le forze, ma che spesso peggiorano. Esaminiamo meglio che
cosa succede nel cuore alla fine di un'ascensione.
Il soldatp Chamois parti il giorno 10 agosto 1894 da Ivrea
V. — La stanchezza M CHorr H!>
Giuntò a Pont St Martin cogli altri compaj^ni, si inoanuuIn^S a
piedi, dormi a Gressoney e il giorno 11 agosto, allo :ì:M) pomperà
alla Capanna Gnifetti. Dormi poco, e credo che ciò fosso olTotto di
cattiva digestione. Quando arrivò alla Capanna Gniretti sentiva un
dolore puntorio nella inspirazione, alla baso del polmone nel lato
sinistro. Alle 5.30 del giorno 12 parti che stava bone, o portava
sulle spalle un carico di 16 chilogrammi. Durante II tragitto sul
ghiacciai stette sempre bene. Giunto sotto la punta (inllbttl, fu
preso airimprovviso da grande stanchezza nello gambo. La co-
mitiva che era discesa ad incontrarli sotto la vetta, lo Uberò dni
suo carico. Arrivato alle 0.12 alla Capanna Hogina MarglKM'ita,
disse che aveva un gran freddo e nient* altro. Coricatosi subito
trovai che il polso era molto debole, tanto che non pot(jvo con-
tarlo al braccio, e dovetti tastare l'arteria al collo.
Polso
Respiro
Tomporfitiira
Ore 9.20
109
27
37", R
. 9.30
106
37", 2
- 9.45
106
21
37". 2
, 11.10
116
21
37", 1
- 0.30
108
22
36", il
Questo aumento successivo del polso osservai in altro per-
sone, ma non in tutte, e credo dir)enda rialla stanciiozza del cuore.
L'ultima salita per giungere alla Capanna Regina Marghe-
rita è faticosissima, ciò nulla meno la frc/^uenza del polso che
ebbi a riscontrare in molte rier-sone. non arrivò mai fhio a K4',
pulsazioni, che segna il valore massimo trovato da 4a/|uet e da
Christ lavorando solo per V> o 2») minuti coir ergr^stat^i '. Tale
differenza io attribuisco alla stanchezza maggiore del rnij.<v/Wo car-
diaco, quale si produce sui ghiacciai del Nfonte U^j^i. l/yrif-A «sa-
lendo Tultima parte del Monte ì'Asluco couUf Wì puìn^i/Àoni. Qije<4f/^
massimo io non l'ho riscontrato nell' altitudine fìì I.V/i rn, (I che
cimostra quanto siano complessi tali studi. Tastare il (>^^l.v> giova
a ptxro. quando non si tenga conto esattr> delle c/'^idiziorw e dei
fattori a»lteplici che m'xlificano l'azione del cuore e dei v;m>
sanguigna
Saussure quando fece un' a-^cefi^iioae al \ir,ur>':(iìHUp r^el i;<7
c•xl^> il p»>li50 -^ulla vetra e ri^'ji ?iirnffÌ.':io 'leila j:>^/Hta del Vforj/"e-
nisio- la aito fet>* le os-serf/azì^ifii dopo rUi^ r,^.-. r\\ rir>^><;^# e ;r.
basso appena arrivati, cosi trov-'j che uno ^^'-'r;>i :1 ;t^,\-<^> tt\fr:v.
90 FI8IOLOOIA DELL^UOMO BULLE ALPI
frequente sulla vetta che in basso, ed uno, così in alto come in
basso, l'aveva eguale. Zumsteìn, sulla piramide Vincent, tastando
11 polso dei suoi compagni trovò solo 77 pulsazioni in un caccia-
tore che si era sentito male, mentre che egli aveva 101, Vincent 80
e una guida 104. Secondo Saussure quelli clie soffrirono il male
di montagna sul Moncenisio avevano il polso più accelerato e
stando all'osservazione di Zumstein era più lento.
Citai queste che furono le prime osservazioni per accennare
alle difficoltà del soggetto, e per dire che dopo un secolo non si
è ancora bene in chiaro su queste differenze individuali.
VII.
Leggendo le relazioni delle gare che ora si fanno colla bici-
cletta, capita spesso di trovare che qualcuno fu colto da uno sve-
nimento. Arturo Linton ebbe uno svenimento nel record Bordeaux-
Parigi, ma ebbe tempo di rimettersi ed arrivò ancora il primo.
Altri hanno uno svenimento quando si fermano per firmare i
registri lungo la strada: stanno male qualche minuto e poi ri-
partono. Sembra che il riposo invece di migliorare peggiori le
condizioni del cuore.
Facevo degli esperimenti sopra i soldati intorno ai mutamenti
che subisce la pressione del sangue nelle marcie.
Alle sei antimeridiane tre soldati che stavano nel Laboratorio
prendevano il caffè e quindi partivano in armi e bagaglio e an-
davano fino al Baraccone sulla strada di Rìvoli, clie è distante
circa chilometri. Tutto compreso, armi e vestiario, portavano
circa 22 chilogrammi, e la temperatura essendo elevata, perchè
eravamo già nel mese di giugno, camminavano air ombra dei
grandi olmi clie fiancheggiano questa strada. Un soldato per
nome Janetti di Busto Arsizio parti alle G.25 del 10 luglio. Polso^.
Respiro IG. Pressione del sangue misurata collo sfigmomano-
metro, so nim. di mercurio.
Alle ore 11.47 ritornato dal Baraccone. Polso 102. Respiro 20.
Pressione 100 mm. di mercurio. Si riposa, fa colazione, e riparte
alle ore 2 i^omeridiane.
Ritorna alle 7 pom. Appena giunto, il polso è 12G; metto le dita
iicirappareccliio e trovo che la pressione oscilla fra 7G e 80 mm. Il
soldato Janetti non stava tranquillo, poggiava il corpo ora su di
una gainija e ora sull'altra. Siccome questo faceva muovere al-
quanto le dita e rendeva diffìcile la determinazione esatta della
pressione saiisuigiia, lo prego di stare fermo. Improvvisamente
la pressione diminuisce. Guardo le dita e vedo die sono bene a
posto, li soldato mi dice die si sente male; infatti e pallido e
piega la lesta sulle spalle. Era mio svenimento. Subito levo le
dita ilairapparecdiio. La pressione era scesa a 50 mm. Lo por-
ttamo sul letto, sorreggendolo sotto le ascelle: gli facemmo bere
un pò" di acqua fresca e poco dopo stava bene. Tornai a misu-
rare la pressione die era solo Ih mm. e il polso KW. Alle ore 7.28
cioè circa iO miimti dopo lo svenimento si era completamente
rimesso. Egli credeva che lo svenimento Fosso dipeso da indi-
gestione pei-chii aveva mangiato del lesso troppo grasso e dopo
aveva bevuto al Baraccone una mezza bottiglia di gassosa con
ghiaccio.
L'importanza di questa osservazione sta appunto nel!' aver
veduto come si niodilìdn la pressione sanguigna durante uno sve-
nimento. La coscienza non scomparve completamente, eccetto
forse nel momento che lo coricammo sul letto. Il polso si rallenti!)
alquanto nell'istante die precedeva lo svenimento. Disgra/ìata-
mento questa volta non scrissi la pressione sul cilindro come
faccio quasi sempre.
La diminuzione della pressione sanguigna quando ritorna la
seconda volta dal Baraccone dopo aver percorso 3(> chilometri,
è il sintomo più evidente della fatica del cuore che batteva più in
fretta, tacendo 120 pulsazioni, e ciò malgrado non aveva piCl
l'energia per tenere elevala la pressione del sangue.
Perchè non rechi sorpresa l'aver letto la descrizione di un altro
svenioiento, devo avvertire che da molti anni lavoro intorno alta
fatica. Il professor V. Aducco, il professor Maggiora e mio fra-
tello ebbero a loro disposizione intere compagnie di soldati che
facevano delle marcie forzate. Non deve quindi meravigliare se
jn tanti studi sulle marcie qualcuno siasi sentito male. Mio fra-
tello e il professor Maggiora fecero delle marcie forzate fino
agli estremi dell'esaurimento, fino ad avere 1 lividi nelle gambe.
Accenno questo per dare una testimonianza dell' entusiasmo e
deirabncgazione coi quali abbiamo afTrontato Io studio della fatica.
Tali studi sulle marcie forzate, e quelli fatti sui mici soldati
prima di condurli sul Monte Rosa, mi permettono di affermare
che per una eguale fatica sono jiiù gravi i fenomeni della stan-
chezza del cuore osservati sulle .\lpi.
92 FISIOLOGIA dell'homo SULLE ALPI
Vili.
Quando i vasi sanguigni non sono perfettamente elastici, come
succede nei vecchi e qualche volta nei giovani, i quali hanno, per
cosi dire, una vecchiaia precoce delle arterie, succedono disturbi
più gravi nella circolazione per effetto della fatica. Per farci un'idea
del danno che arreca al cuore un indurimento delle arterie e una
diminuzione della loro elasticità, basta pensare ai tubi pneumatici
della bicicletta. L'importanza di questa invenzione consiste in ciò,
che la gomma piena di aria è un corpo talmente elastico che
smorza gli attriti e i colpi che incontra la bicicletta sul terreno.
Ora le gomme si applicano già alle vetture, e si trovò che dimi-
nuisce di un terzo il lavoro dei cavalli. Il cuore di un vecchio
può rassomigliarsi ad un uomo che corra su di una bicicletta
che ha i tubi pneumatici rotti.
Questo ci spiega il fatto, quale a me capitò più volte di osser-
vare, che una passeggiata in montagna, anclie non molto faticosa,
produce delle irregolarità nel ritmo del cuore nelle persone che
hanno le arterie non perfettamente elastiche. Queste irregolarità
possono durare anche 3 giorni, e sono accompagnate da un senso
di prostrazione delle forze che va lentamente scomparendo.
Anche nelle persone sane una forte fatica produce delle irre-
golarità nel polso. Durante il mio soggiorno sul Monte Rosa vidi
che le marcie sul ghiacciaio produssero, quasi in tutti, una leggera
irregolarità nei battiti del cuore.
Il polso delle guide lo trovai spesso irregolare, anche nelle
persone più robuste, come in Zurbriggen.
Quanto espressi fin qui ci spiega percliè fra gli abitanti delle
montagne siano molto più frequenti le malattie del cuore che non
nella pianura, e perchè gli uomini ne soffron di più clie le donne.
Nei miei viaggi intorno alle Alpi ho interrogato spesso i medici,
tanto sul versante italiano quanto in quello francese e svizzero,
e le risposte sono concordi nello stabilire che i vecclii muoiono
<iuasi tutti con malattie di cuore.
Un certo grado di sviluppo oltre il normale del cuore è ne-
cessario, e perciò non dobbiamo temere la fatica. Per essere forti
e resistenti occorre un cuore alquanto più sviluppato del nor-
male e come solo può dare l'esercizio.
Questo si vede bene nel cavallo. Gli scrittori più autorevoli
V. — La stanchezza del cuore 98
li anatomia del cavallo affermano che il peso normale del cuore
li un cavallo di razza comune sia di 3 a 4 chilogrammi ; il cuore
li un cavallo da corsa pesa in media 5 a G chilogrammi. In se-
guito al lavoro eccessivo e continuo delle corse il cuore di un
avallo inglese puro sangue, può anche arrivare ad 8 chilogrammi,
;ciiza che ne consegua un disordine nella circolazione per tale
rrado di ipertrofia che ha raddoppiato il peso del cuore.
Non si fecero che io sappia degli studi sul peso del cuore nelle
;arie Provincie, ma vedendo le fatiche che fanno i montanari ho
luasi la certezza che il cuore loro debba essere anche nella gio-
vinezza, assai più sviluppato che non nelle popolazioni della
>ianura.
Capitolo Sesto.
Accidenti prodotti dalla fatica eccessiva
e dairesaurimento nervoso.
I.
Esiste una sola fatica — la nervosa. Questo è Tumco tipo dì
stanchezza, dal quale derivano tutte le forme di esaurimento,
quando l'organismo oltrepassa nella sua attività i limiti fisiologici.
Ho già studiato questo argomento nel mio libro sulla Fatica.
Il tema è inesauribile e si presterà sempre a nuove indagini. Dob-
biamo innanzi tutto distinguere la fatica dalla stanchezza. Che cosa
sia la fatica sappiamo. È una sensazione vaga che non possiamo
definire e tanto meno graduare colle parole. A quel sentimento
di fatica minore, il quale perdura dopo esserci riposati, diamo il
nome di stanchezza.
La stanchezza ci assale qualche volta anche senza che vi sia
stato un lavoro del cervello, o dei muscoli, e ciò succede special-
mente negli isterici e nelle persone che hanno una grande ecci-
tabilità nervosa. La buona e la cattiva disposizione, il buon umore
o il cattivo umore di che si parla tanto spesso non sono un
capriccio dell'organismo, ma, come il bel tempo e il cattivo tempo,
dipendono da cause naturali che turbano l'atmosfera del sistema
nervoso.
Una delle cause probabili dei mutamenti che succedono in noi,
senza che ne conosciamo la ragione, credo avere trovato stu-
diando la temperatura del cervello nell' uomo. Una fanciulla per
nome Delfina Parodi, aveva una ferita alla tempia nel lato sini-
iti-o della fronte, la quale penetrava nel cranio. Quando fu guarita,
B rimase un'apertura nell'osso da cui mi Tu possibile introdurre
in (erraonietro nella scissura di Silvio (una parte profonda del
«rvello, e la più importante per lo studio dei lenomeni psichici).
Si-a la prima volta che un fisiologo poteva esaminare nell'uomo
B temperatura del cervello con tennometi'O esattissimo il ([uale
legnava la millesima parte di un grado.
Da liuelle ricerche" risultò che due sono le cause per le quali
li sviluppa calore nel cervello. Una è 1" attività psichica, cioè il
avoro chimico necessario per mantenere la coscienza, l'altra è
a nutrizione e denutrizione del cervello, che operano indipenden-
«ineute dalle riinzìonì dell'intelligenza e del moto. Agli aumenti
iella temperatura che osservai durante il soinio non turbato da
jognl, e nello stato di riposo, e di completa incoscienza, ho dato
I nome di conjlayrojioiii.
Ho potuto misurare col termometro l'intensitii del consumo di
snergia, die succede nel cervello senza trasformarsi in una sen-
sazione od in un pensiero. Il cervello può dunque lavorare a vuotot
Si. L" afTermazione è grave, ma io ciò vidi nel sonno e sotto
l'azione dell'assenzio. Per capire questa dissociazione interna e
questo consumo più rapido della materia, pensi il lettore ad un
orologio nel quale la molla tesa si smonti senza Far girare l'in-
dice, ed avr;\ un'idea di questa energia nervosa che va perduta
nel cervello senza che l'indice delle sensazioni interne segni che
6 succeduta una trasformazione nell'organo della coscienza-
I medici diedero in questi ultimi tempi U[ia grande importanza
Ri sogni nella produzione della stanchezza, e questo ù giusto.
Tlsslé si occupò in modo particolare di questo studio, e dimostrò
che alcuni accidenti patologici che sembrano succedere senza
causa nota negli isterici, dipendono dalla fatica del cervello cau-
sata dai sogni.
Non è questo il genere di fatica che qui voglio accennare. La
conflagrazione ù un processo dissociativo, un consumo di energia
che dipende da altri processi, che non sono quelli fisiologici del
pensiero e del moto. Accenno questi fatti per darò al lettore la
persuasione che 1 nostri sensi sono imperfetli e limitati, e che noi
manchiamo di un senso speciale il quale ci faccia avvertiti e, a
«osi dire, controlli l'energia che perdiamo in ogni azione nervosa.
Per gli animali, e per gli uomini elio vivono in condizioni na-
turali, certo is una perfezione dell'organismo il non essere mole-
stati dalla sensazione delle perdite di energia che facciamo con-
^^«c
Hmaf, La lempernhira tiri tertflh. Treves, Slilano, ÌB94.
96 FI8IOLOOIA dell'uomo BULLE ALPI
tìnuamente nella lotta per la vita. La macchina nostra è cosi fatta
che la fatica ci ferma solo poco prima jche la bilancia stia per
traboccare. 11 dolore che accompagna la fatica è come una val-
vola di sicurezza che si apre solo per dare il fischio di allarme
e cosi fino a quel momento possiamo lavorare tranquilli. Disgra-
ziatamente vedremo fra poco che questa valvola di sicurezza non
funziona sempre ed egualmente bene in tutti gli uomini. Fino a
che si credeva che un atto della volontà fosse qualche cosa di
immateriale, era lecito pensare che passasse inavvertito sulla ma-
teria dell'organismo, ma ora tutti sono convinti che il solo fatto
di pensare o di sentire troppo può condurre ad un esaurimento
nervoso. Ogni atto della volontà è T effetto di una combustione
interna, la quale insieme ai residui delle sostanze che si distrus-
sero, lascia come una fuliggine ed un lungo strascico nell'orga-
nismo.
Ho dimostrato nel mio libro sulla Fatica che ogni atto della
volontà, anche quello semplicemente di stringere la mano forte-
mente, è accompagnato sempre da una stanchezza centrale: e
che nel cervello per questa contrazione dei muscoli vi fu un con-
sumo di forza e che per ripristinare lo stato suo, e reintegrarlo
nella forza primitiva, occorre un certo tempo.
Le ascensioni in montagna, le corse in bicicletta, le gare di
canottaggio, tutti i generi di spori, tutte le fatiche più gravi degli
operai, tutti gli sforzi intellettuali degli uomini di studio, sono
identici nella loro natura, non sono altro che una fatica del si-
stema nervoso.
I concetti generali hanno ciuesto grande valore che avvicinano
delle cose che parevano lontane, che trovano un legame ed un
nesso tra dei fenomeni disparati. Il lavoro della scienza sta pre-
cisamente in questo: raccogliere sotto una medesima legge il
numero maggiore di fenomeni.
II.
Nelle ascensioni chi si trova il primo a capo della corda si af-
fatica di più e più presto di quelli che gli stanno dietro. Si può
credere clic questo dipenda dal lavoro meccanico maggiore che
fa chi apre la marcia, perchè esso affonda nella neve lasciando
le orme che serviranno agli altri, e deve tagliare gli scalini nel
ghiaccio, e rimuovere gli ostacoli, ecc. Ma ciò non basta. Anche
VI. — Accidenti prodotti dalla fatica eccessiva e dalVesauriMOifo nciToso 97
sul Cervino e nelle montagne dove non c'è neve nò ghiaccio, chi
è primo nella cordata si stanca più degli altri.
Coloro die fecero le prime ascensioni sul Monte Bianco, sul
Monte Rosa e dovunque, hanno sofferto assai più di quelli che
li seguirono, perchè in essi era maggiore la fatica nervosa.
K r attenzione che stanca. Pochi esercizi affaticano quanto la
scherma, perchè in nessuno è più vivo lo sforzo dell' attenzione.
Mi ricordo una volta che smarrimmo la direzione sul ghiacciaio.
Uno della comitiva si slegò per esplorare intorno i crepacci e poi
ritornò per additarci la buona strada. Intrepido come egli era,
andava solo avanti. Era il primo tentativo che facevamo senza
guida sul ghiacciaio. Uno della carovana camminò alcuni minuti
e poi fermatosi dichiarò che gli mancavano le forze, non per la
stanchezza, ma per T emozione di veder quel nostro compagno
sle;;ato camminare in testa senza che nessuno potesse salvarlo
se gli mancava un piede. Già prima che parlasse — essendo io
legato dietro a lui — mi ero accorto che camminava meno bcn^;
di prima, ed ero un po' in apprensione perchè ci trovavamo su
di un pendio incHnato. Questo era un effetto nervoso deiransletà
sua. e appena si rifece la cordata i suoi muscoli ritrov;iroiJO la
forza e la sicurezza.
Qui era la paura per gli altri, ma ben jóù si>es-o «^ la j/aura
per noi stessi <:iie ci affatica. Nelle aso-f-n^i!^»:]] ']uaijd'» la ronia <;
d'inciampo perchè si deve jias^vire in m'rzzo all'r j^i^rtr- i tti^ni'f
provetti si affaticano subito di più. [••vrcJj»; luajica loro ui, '/y'^'-'/wt
ed una guida e si s^nt^uo s-MI. Altr^r voi'^i a:/:;.f; ; ]/:ì for** "/
iioscoiio nella stanchezza ;:]] e:T'':ft:i 'iella i^a'^ra. '.o:;/; ^ i'.:.'*,'^ *>
vono slegai-si, i er.-hè mai-'^a :1 modo fi' av-r:- Tr-^^o ': a^*./' ' -•" :-i
lungM certe pareti, ripide ed u:.;f nn:. 'ry-jiA' ', ;:,* -v- o '; u.o
trasr-inerebl^ ineviiabiMjje;j*^ 'S'\ a:*-; a !<i r ■*. :.a.
Un «;aso per me eviJe.'.t'ss.:;-'' •:; 'r^:; -:•";:. ':;.*o :.:o'.o*V/ *\-t ■■*
jtaura vidi al Breuil. dov-? :] C-rr'^ :. •; ^ :,' - • • *•-. \ y.r .,-/'*-.'
degli aliiiij'Sii. Un j»->r^:'.:--r 'or:**.-;. .. ■ ,-. ■■. '. • - *""' : '
recclrie asceris:- «jji sul M'':.:e Jvs-:. •: - . "v-: • .• ;- . -o •' '■' ' »
del Cervino IìOIj j-o'^ j-iu ó;-.ì:-: ì*. -ì • .•.; • .■ , ' ».'
stava bene e cjje era \u^.vh\':^. >.* i • •. - i - , • • ., '
non s: seijt'va s!'-uro :.•: e-: y'-. :;.<;• -.■ '■'••.
biamo r*ara::oj;are rj'j^?v-i ' 'v;,:^ •: .- • • - ' ■
fa cainin::-a:-ó .. al ii^.-w e .■ ' • > >>. .- •- . - • • •' ' ' '•" '
strada, ir-i^ar >^-'r:jO v />, •»:>.•• ■, / ■ "' ''• "
gamK-e.
UH' t
98 FISIOLOOTA DSLL^UOMO SULLE ALPI
volontario. Prima la scelta e poi la decisione. Questo lavoro si
ripete ad ogni passo quando il cammino diventa diffìcile. Dopo il
lavóro nervoso della scelta dove uno deve mettere il piede o le
mani, viene la decisione a fare queir atto che si è scelto, e poi
viene lo sforzo nervoso per eseguirlo.
Un simile lavoro basterebbe ad esaurirci rapidamente, se gli
atti volontari non avessero in noi la tendenza a divenire auto-
matici. 11 meccanizzarsi dei processi nervosi è una disposizione
felice per la quale si fa una grande economia di forza nervosa,
L' ufiBcio più importante sta per cosi dire al primo piano, nella
corteccia cerebrale, alla superficie delle circonvoluzioni; è qui
dove si sbrigano le decisioni più difficili. Quando per molte volte
di seguito deve prodursi un lavoro nel piano superiore, la pratica,
come si dice negli uffici, scende poco per volta nel piano infe-
riore, dove si sbrigano gli aff*ari involontari, con minor consumo
di energia e con metodi più spicci.
Solo a questo modo si comprende che un lavoro nervoso come
quello della marcia ci afl'atichi cosi poco, mentre un lavoro esclu-
sivamente cerebrale dopo un'ora ci ha tanto esauriti che non
possiamo continuare. Anche i più grandi scrittori e i più fecondi,
come ad esempio Zola, scrivono solo un'ora con lucidezza. Dopo,
la mente si oscura e il lavoro diventa penoso. Da un'inchiesta me-
dico-psicologica che fece recentemente il dottor Toulouse a Parigi
risultò che Zola, il quale scrisse tanti volumi, dopo tre ore è as-
solutamente incapace di continuare nel lavoro suo di produzione.
Molti credono che nelle gare ciclistiche l' allenatore sia utile,
perchè rompe l'aria e diminuisce in essa la resistenza che deve
incontrare chi vien dietro, preparandogli per cosi dire un solco
nell'aria rotta. Non è questo l'effetto principale, perchè spesso
l'allenatore sta ad una distanza troppo grande. L' effetto utile è
quello di levare un dispendio di forza a chi vien dietro e di ri-
sparmiare al suo sistema nervoso tutta l'energia che andrebbe
dissipata nel lavoro dell'attenzione.
III.
Quanti hanno fatte delle lunghe passeggiate o delle ascensioni.
sì saranno accorti che dopo mezz' ora od un' ora si cammina
meglio. Succede la stessa cosa quando uno esce in bicicletta o si
mette al tavolino per scrivere o studiare. K un esaltamento che
si produce nel sistema nervoso in causa del moto.
VI. — AccidaUi prodotti iàUa fatica onorwctra e daH tmwriw^eHio nfrro^ 99
Il nostro corpo rassomiglia a quelle macchlDe complicate e
pesanti, per le quali si perde un certo tempo a metterle in moto,
e ci vuole poi dell'altro tempo per fermarle. Tale stato di ecci-
tazione, Anche sta nei limiti fisiologici, è utile. Il letterato che si
monta, o, come si suol dire, si scalda i ferri, finisce con lavorare
meglio. La leggera emozione del sistema ner\oso che serve nei
lavori di imaginazione, possiamo anche ottenerla con un leggero
esercizio muscolare. Ma una volta che fu rotta Y inerzia del si-
stema nervoso, le pause luu^e non sono favorevoli al lavoro.
L'inazione e il riposo sono fatali neUe ascensionL Di due al-
pinisti quello che lavora mentre soffia il vento freddo e fa gli
scalini, è sempre più forte e più coraggioso di quello che gli sta
dietro, aspettando per fare un passo. La volontà in questo non
giova, bisogna tener calda la macchina perchè la pressione del
sangue non si abbassi olire il limite che genera lo scoraggia-
mento e la debolezza dei muscolL
Recentemente il professor Kraepelin dimostro clie un uomo il
finale lavori una mezz'ora e si rifNjsi un'altra mezz'ora od anche
un'ora, riesce solo una volta iu principio a ristabilire la freschezza
primitiva della mente, che la fatica si accumula e la disp<:tsizione
al lavoro va rapidamente diminuendo.
È dunque vero che ozn\ attività del sistema nervoso produce
un leggero grado di esauri ment-j. Tali fatti passano inavvertiti
nelle persone robuste. S «lo i deboli se ne accorgono. Chi però
studia con diligenza s^ stesso, scopre subito il difetto dellenergìa
e la stanchezza che si ac^:amula lentamente, lo. ad esempio», ogni
anno dopo il rijK^so e lo svago delle vacanze mi accorgo che sono
più resistente al lavoro intellettuale. La stanchezza pn.Kiotta dal
medesimo lavoro scompare più presto in principio dell'anno sco-
lastico che non in fine. Le occupazioni quotidiane del laboratorio,
il far lezione, la \ita più agitata della citta, esauriscono la parte
esuberante della forza-
Se presso tutti i popoli vediamo che si interrompe di quando
in quando il lavoro, é perchè vi sono molti i quah sentono il
bisogno di una breve tregua, per ricostituire il proprio sistema
nervoso. Il riposo festivo è indispensabile, perché il sonno e il
riposo quotidiano durante la settiinaiia non bastano per ristorarci
completamente delle perdite fatte di energia.
Le prime ricerche fatte sulVuoino per conoscere quanto tempo
abbiano bisogno il cervello ed i musc«:»li per reintejrrarsi dòp.3
un certo lavoro, furono cominciate nel mio istituto dal professor
Maggiora. Da esse risulto che i j)eriodi di riposo devono essere
tre o quattro volte più lunghi, che non siano stati quelli del la-
100 FISIOLOGIA DBLL^UOMO 8ULLS ALPI
voro, e che gli sforzi che noi facciamo quando siamo slancili ci
affaticano molto di più, che non sforzi uguali quando siamo ripo-
sati. Il lavoro anche leggero che richiede un' attenzione prolun-
gata è il più esauriente della forza nervosa. Istintivamente tutti
gli uomini fuggono tale lavoro e preferiscono quelli manuali in
apparenza più faticosi, ma che richiedono uno sforzo intellettuale
minore.
Kraepelin mostrò che di una notte passata lavorando al ta-
volino, si conservano a lungo le traccie e che soltanto dopo
quattro giorni ritorna la freschezza primitiva della mente ^
La fatica nervosa è un esaurimento ed insieme un avvelena-
mento. Consumata una parte dell' energia le scorie inquinano
il corpo dando la sensazione molesta della fatica. L' organismo
dopo ha bisogno di un tempo più o meno lungo per riparare le
perdite e ripulire i tessuti dalla fuliggine del lavoro compiuto.
Chomel, uno dei più grandi clinici della Francia, raccontava
che un giorno si presentò alla sua clinica un giovane colla feb-
bre, in stato di grande prostrazione. Chomel esaminatolo con dili-
genza scrisse sulla tavoletta a capo del suo letto questa diagnosi :
Tifo o vaiaolo incipiente.
Era un ragazzo venuto a piedi da Compiègne a Parigi in due
giorni e che sentendosi sfinito si era presentato allo spedale. 11
giorno dopo con grande meraviglia di Chomel la febbre era ces-
sata, e dopo due giorni di riposo l'ammalato erasi già rimesso
completamente in forze.
IV.
La fatica fisica può dare un esaltamento nel modo stesso che
la fatica intellettuale produce delle allucinazioni. Il primo passo lo
vediamo in noi quando dopo una giornata di lavoro intenso sten-
tiamo a prendere sonno.
I grandi lavoratori non scrivono di notte, ma si direbbe che
spengono la macchina prima che tramonti il sole. La pressione
del sangue a questo modo diminuisce lentamente fino a che pos-
sono riprendere il sonno.
Se dopo un lavoro intellettuale o nmscolare ci pare di sentirci
(lualche volta più forti, dobbiamo ricordarci che questa è una
1 Kr.>:}'Elin. Kìjtjienc der Arbeit^ pag. 18.
illusione, perchè sì trana semplicemente di una eocltaziono arti-
ficiale e quasi di uaa ubbriachezza nervosa incipiente.
Alla C^panoa Regina Margherita, nei giorni di burrasiNi, o
quando per la t'3rmenta era più faticosa rascensionc, lo ;::ui(io (^
i passeggeri arrivavano cosi eccitati che paiH3vano l)rilli. Parla-
vano forte, con vi>:e concitata, e dopo si chetavano ed a8sunu>-
vano un contegno cosi diverso che sembrava mutato il loro
carattere.
Due volte invece mi capitò di osservare dolio persone (»,str(»-
mamente stanche che. entrate nella capanna, si sedottelo, <^ do-
vemmo prestare loro ì primi soccorsi, e poi dopo paroc.ciii nilnnti
si svegliarono come da un sogno, guardarono intr)i'no acqui-
stando solo in quel momento piena coscienza di o«s(m*o con noi.
Pensai prima che l'estrema fatica impedisse loi*o di int(5r(;ssarsi
a ciò che avevano intorno; ma uno mi conlessò, entrando nella
capanna, che proprio non vedeva bene, e mi pi'e;;ò di (^saminar^^li
gli occhi perchè credeva che il gelo gli avesse alterata la vista.
Era infatti un giorno di tormenta. Quando arrivò alla capanna
era irriconoscibile. Lo vidi cadere dinanzi alla porta che parvtj
una valanga di neve, tanto erano bianchi i suol vestiti per ti
ghiaccio e la brina. Intorno alla faccia aveva (Un ghiaccJnoli
alla barba che lo sfiguravano.
Sul Monte Rosa ho veduto un mio colle^^a far' delle capriolo
nella neve, buttarsi supino colle braccia in croce, ridendo e par-
lando in modo tanto diverso dal suo conte;-Mio aijitualniente serio,
che tutti eravamo in apprensione per il suo stato, sapendo che
non aveva bevuto.
Lemercier racconta nella prefazione al libro del /si;rniondy
che vide due inglesi gettarsi iii girjocchio sulla vetta del Monte
Bianco e cantare ad alta voce il Ood sane ilu* QiuutuK IMacliaud
parla di un alpinista ciie arrivato sul Monte Mlanco si njise a
piangere a calde lagrime.
Che non occorra la contrazione dei muscoli jicr |>rodijrn?
tutti i fenomeni caratteristici della fritica. si vede ri'dle emozioni
profonde, e neir esaurimento del sistema nervoso die produca?
la voluttà. L'eccitazione pass?g;riera nel primo i><5nodo deir;izion".
nasconde gli efletti della fatica I quali app;jiono più jywn n<!l
giorno che segue.
Ogni sforzo prolungato prvJuce un Ie;:;rero 'jr.%t\'f df '::'.;il»:i
mento, anche ne^Ii uomini più r^^'/usti. ler-: ^r-^^de * 'l»e|;i r.itv;i
102 FISIOLOGIA DKLL'UOMO 8ULLB ALPI
esagerata produca degli eccessi di follia istantanea nei degene-
rati, negli epilettici e negli isterici.
Nel maggio del 1894 vi fu in Italia la prima corsa nazionale
di resistenza, promossa dall'Unione velocipedista. L'itinerario era
lungo 530 chilometri. Da Milano passava per Brescia, Mantova,
Reggio, Piacenza, Alessandria, Torino. Era una grande fatica che
si poteva osservare ed io mi incaricai con alcuni colleghi di ri-
cevere i corridori. Nel locale del Veloce Club si erano preparate
delle camere con una ventina di letti, i bagni, la doccia e tutto
l'occorrente per fare il massaggio. 1 due primi che arrivarono
percorrendo 530 chilometri in 27 ore, erano in condizioni discrete.
Ma gli altri a misura die arrivarono mi persuasero sempre più
che il ciclismo fatto a questo modo è dannoso alla salute. La
cosa che subito notarono tutti, anche i non medici, fu l'esalta-
mento di alcuni ciclisti. Uno parlava tanto forte e faceva tale
schiamazzo nel letto, ripetendo sempre le storie del suo viaggio,
che lo si dovette isolare perchè lasciasse dormire gli altri, e non
v'era preghiera o minaccia che valesse a farlo tacere.
A New-York vi fu recentemente una gara in bicicletta che
durò sei giorni. Si trattava di un premio di sessanta mila lire.
Due disgraziati che presero parte a questo record caddero in tale
esaltamento ciie per un giorno furono creduti pazzi.
A questi eccessi può condurre la curiosità feroce del pubblico,
che pagando incoraggia tali spettacoli.
V.
Giuseppe Maquìgnaz mi disse un giorno che nei luoghi pe-
ricolosi si deve rallentare il passo per molte ragioni, ma anche
per questa che uno si sente subito più stanco. Ammirai l'osser-
vazione sagace di questa guida che penetrava cosi addentro nella
psicologia degli alpinisti. Eppure io credo che la paura sìa la
emozione che egli ha conosciuto meno. Tyndall parlando di Ma-
(luignaz scrisse^ "'è un uomo ad alta ebollizione, il suo sangue
freddo resiste alla pressione della paura. „
11 concetto fisiologico espresso dal Tyndall con queste parole,
non è tanto lontano dal vero quanto parrebbe dalla forma sua
imaginosa. Vi sono degli uomini che bollono ad una temperatura
più alta : essi resistono di più al fuoco del pericolo o ci vuole un
^ J. Tyndall, Honrs of exercise in the A/p^, p. 289.
- Àecidtnti prodotti (Mia fatica et
e dall'ei
103
■pericolo maggiore per agitarli. La paura esercita una pressione
sul sangue, alla quale Maciuignaz sapeva resistere.
La fatica dura tanto più lungamente quanto più fu intensa
l'emozione del sistema nervoso. Per le contrarietà e gli accidenti
che succedono nelle ascensioni, anclie gli alpinisti più intrepidi
possono trovarsi improvvisamente paralizzati, quando viene messa
in pericolo la vita.
Recentemente leggevo la dest-rizìone clic Fitz-Gerald fece delle
sue escursioni nelle Alpi della Nuova Zelanda, colla guida Zur-
briggen. Erano essi due soli legali alla corda in un luogo pericoloso,
quando staccatosi mi sasso colpi Gerald nel petto, Zurbriggen
ebbe tempo di afferi-are la corda che stava piegata presso i suoi
piedi, e trattenne Gerald mentre questi precipitava verso l'abisso.
Il peso suo era tale che Zurbriggen dovette lasciar scorrere la
coi-da fra le dita per diminuire lo sforzo mentre cercava di fer-
marsi meglio e prendere posizione In modo da tenerlo sospeso e
salvarlo. Tiratolo su e passato il pericolo Gerald disse':
"Nous nous assimes alors un moment pour nous reinellre,
car nos nerfs avaient t^ti^ horriblement ébranliis par cet accident.
qui avait éti! si près de devenir fatai, mais une fois le danger
pass*^ nous eii sentimeslecontre coup: et tous deux. nous restA-
uies assis près d'une demi-heure avant de pouvoir faire un niou-
vemeat. .,
Nelle disgrazie può venire uno svenimento, come lo ebbe
Gussfeldt che pure è uno dei più intrepidi tra gli alpinisti infì-
denii. Chi non ò slato sulle Alpi non riuscirà mai a farsi un'Idea
della tensione d'animo, degli sforzi muscolari insoliti, e dei peri-
coli pei quali per delle ore intere sta in repentaglio la vita, Lcs-
geudo le relazioni nei giornali alpini si può avere una pallida
imaglne di questo rapido esaurimento delle forze. Sono dello pa-
reli quasi verticali di rupe che si sgrana dove ciascuno essendo
legato cogli altri iia la certezza che non riuscirebbe a tenerli ed
è sicuro che un passo falso fatto da uno della carovana lra»cliie-
rebbe tutti gli altri nell'abisso, li si continua a mai-clare In questo
modo, con la imagine di una morte imminente per ore ed ore,
Qtiesln logorio incessante dell'energia produce un grave esau-
nmento del sistema nervoso, il quale m^Miiflca. 11 carallcre, tì6
può dirsi che questo in generale migliori. l'alte lo deldtc eccezlotil,
dopo una grande fatica si ó meno gioviali ed allegri. I^ i«nwno
s scrftVono di più.
. Frt*-Qt»u.B. Dan* le* Alp<i <U tn Sn
r'IU-Zrlin-I*. R«rua J* V*-
104 FI8I0L00IA DSLL'uOMO SULLE ALPI
Saussure aveva già notato queste cose fino dalla sua prima
ascensione al Monte Bianco, '^ll nous parut qu'en general nous
avions le genre nerveux plus irritable, que nous étions sensible-
ment plus altérés.„
I ciclisti che corrono faranno diventar proverbiale questo mu-
tamento del carattere. Lo sappiamo dalle invettive e dalle ingiurie
che distribuiscono lungo la strada del loro percorso, quando pre-
vedono qualche intoppo. Solo qualche volta gli alpinisti per mo-
derazione scendono al livello dei recordmen, ed è quando dopo una
marcia faticosa vengono molestati nelle capanne; quelli che di-
sturbano loro il sonno, sono salutati colla medesima buona grazia
e gli stessi sacramenti.
VI.
Alcuni anni indietro si scopri entro un sepolcro della via Ap-
pia, un mosaico avente nel centro uno scheletro coricato su delle
spine, il quale colla mano accenna al motto celebre: conosci te
stesso ^ Quel mosaico fatto con pietruzze bianche e nere, ha un
significato profondo. Le parole tolte dal frontone del tempio di
Delfo messe sotto uno scheletro, aquistano un senso diverso di
quello che loro diedero i filosofi antichi. Queirimmagine parve a
me che rappresentasse la fisiologia. Infatti ò il destino della fisio-
logia di approfondirsi tanto collo sguardo sotto la pelle da non
vedere più che lo scheletro e Timpaleatura della nostra fabbrica:
di analizzare cosi minutamente le funzioni, che il pubblico ri-
mane impaurito anche delle cose più naturah.
Scrivo ora le pagine più tristi del mio libro. L'alpinista ha più
d'ogni altro il bisogno di conoscere so stesso, e deve meditare
queste pagine terribili. 11 dolore mìo e degli amici nel ravvivare
ricordanze luttuose, trova un conforto nella speranza che qual-
cheduno troppo intrepido possa salvarsi da una catastrofe.
Al periodo di eccitamento più o meno avvertito che descrissi,
segue la depressione. L'indifferenza scarna il principio di questo
nuovo stato del sistema nervoso.
Tyndall espresse colla più grande chiarezza questa condizione
])si('lii('a. (juando parlando della sua ascensione al Weisshorn
disse: ''Nella fatica eccessiva diventiamo più ottusi, e siamo
' Ersilia ( ■aI':tani-Lovatelli. Thonafos, Memorie doli" Accademia dei Lin-
cei, 18H7. voi. Ili, pag. 62.
- Accidenti prodotti dalla fatica
qualche volta come islupìdili dagli sforzi continui e Hpeluti; iol
ero in questo stato, e dovevo vigilare su ine stesso perchù l'in- I
differenza non diventasse negligeiiza. „ I
L'iiidifrerenza può arrivare fino al disprezzo della vita. Mi ri- |
cordo una volta di aver pregato con insistenza le guide, perclià 1
mi lasciassero sulla neve. Le proteste e le minacce dei colleglli .
ciie mi. alzarono a viva forza mi parevano casa crudele. Promisi
di partire, purché mi lasciassero ancora disteso alcuni mfimti
sutia neve. In quel momento la morte non mi spaventava, mi
pareva anzi un sollievo e non ho più dimenticato <iuel momento 1
strano della mia esistenza. I
Questa indifferenza profonda per so e per gli altri, credo sia I
uno dei fattori piA gravi degli accidenti alpini. Gli atti di eroismo 1
e il disprezzo della vita quali si ammirano in molti soldati nelle j
battaglie, sono assai più l'effetto naturale della stanchezza che I
HOT) del valore. I
Mi assicurai spesso studiando la psicologìa dei miei com- 1
pagni di cordata che dopo una grande fatica, anclie i più cauti I
divengono meno prudenti. Le guide in testa non sondano più
il terreno colla picca adoperando là medesima circospezione
che usavano il mattino. Benché tutti sappiano clie nelle discese
i possi sono più pericolosi, pochi badano quando la fatica é grande '
a tenere la corda tesa con eguale premura. '
Le catastrofi non succedono sempre nei luoghi più diflldll:
ma in quelli dove venne superato poco prima un grave pericolo. <
Le disgrazie fi-equenti in luogliì relativamente facili, si devono
all'esaurimento nervoso die è costato il passo precedente e al-
l' indifferenza che ne succede, la quale spesso ci rende impru- i
denti e meno avveduti.
Il ciclismo essendo diventato una professione ed uno .spettacolo
vediamo svolgersi questi fenomeni della fatica e raggiungere un
prado anche più grave che non sia nelle ascensioni. L'indiffe- i
renza e l'apatia sono uno dei primi fenomeni che si manifestano 1
anche nei ciclisti e dopo cadono in uno stato che rassomiglia
airipnotismo. Tissiò in un lavoro recente su dì un record veloci-
petlistico disse : " L'état psychique d'un coureur. se rapproche \
i)eaucoup de l'i'fat de subconscience hypnotique. „ Se uno pensa
ai suoi ricordi alpini non gli sarà difficile di troviire le traccie di
questo fenomeno, A me capitò parecchie volte di vedere dei com-
pagni che nelle grandi fatiche si trovavano come In uno stato di '
suggestione.
Questo ci spiega perchè malgrado l' indilTerenza e l'apatia si \
itinui a camminare. Queste persone non s^rrestaoo^^pess^J
liso, Fiiiolo-jìa fuUe ^^^^^^^^^^^^^^^^^M
106 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLB ALPI
•
vengono come svegliate dal vento freddo, o da un passo peri-
coloso semplicemente difficile.
Molti avranno letto con meraviglia nei giornali che alcuni ce-
lebri corridori di bicicletta scesl a terra erano incapaci di cam-
minare, mentre che risaliti sulla bicicletta ripartivano con la velo-
cità di prima. Basta questo fatto per mostrare quanto la fatica
modifichi profondamente le funzioni del sistema nervoso.
Diamo un'occhiata fuggevole a questo fenomeno dell'automa-
tismo, il quale facilita il nostro moto nelle ascensioni, risparmiando
l'energia nervosa. Sarà capitato a qualcuno dei miei lettori di
dormire camminando. Ricordo quando ero medico militare di aver
fatto parecchi chilometri dormendo cogli occhi chiusi tenendomi
colla mano ad un carro dell'ambulanza. Quanto più si continua
a fare un movimento altrettanto diviene più facile e finalmente
può farsi in modo affatto indipendente dalla volontà. Dopo cen-
tinaia di chilometri fatti in bicicletta la contrazione dei muscoli si
è compiuta tante volte, che basta un debole stimolo nervoso a
produrla. Nei centri del midollo dove si origina l'impulso, basta
che arrivi un debolissimo cenno del cervello. Per altri movimenti
volontari essendosi esaurita la forza nervosa, occorre invece uno
stimolo più forte.
L'automatismo è una funzione assai più vasta nella nostra
fabbrica di quanto non si creda. Occorre che sia depressa la
funzione del cervello perchè si scopra che certe funzioni del
nostro organismo si compiono in modo incosciente, quando è
scemato e quasi scomparso il potere della volontà.
L'alpinista non dimentichi mai che può diventare un automa,
per effetto della fatica, quando non è più il cervello che gli dà
l'impulso a camminare, ma una potenza cieca e incosciente. Come
Tyndall, egli abbia paura della sua indifferenza che non è più
figlia del coraggio, ma è l'espressione di un fatto patologico
dovuto all'esaurimento nervoso che abolisce la coscienza del
pericolo.
VII.
Ho ^ìii descritto nel mio libro sulla fatica come si indebolisca
la memoria nelle ascensioni, e raccontai l'esempio di un mio col-
lega professore di botanica, che nel salire in alto perdeva a poco a
poco la memoria dei nomi delle piante a lui note, e che la ritro-
vava scendendo. L'indebolimento della memoria è un fenomeno
I. — Arcidtnli pi-oilotli dalla fatica ci
costante nella latiea delle asceiistaiii. Saussure dice che scen-
deodo dal Colle del Gigante non trovava più le parole per espri- l
mere il suo pensiero. '
La diminuzione della sensibilità nelle mani è creduta gene-
ralmente un elTetltì del rreddo. e lo è in gran parie: ma anclie
so uno avesse le mani calde, toccando le punte di un compasso
Irovei-ebbe che la sensiiiilitù è diminuita. Ho provato in me ed
ho conrermato le ricerclie di Kra^pelin che non solo per il lavoro
intellettuale, ma anche perla contrazione dei muscoli, diminuisce
la sensibilità. Questo studio è ancora tutto da Tarsi come pure ò |
ancora da studiare il senso muscolare nella fatica. |
Krtepelin fece delle esperienze colte addizioni; e coU'ergografo
le fece Keller : Griesbach studiò col compasso la sensibilità e vide '
che quanto più era stato grande lo strapazzo del cervello, alti'et-
tanto era minore la sensibilità della peiie.
Vi sono dei momenti nelle ascensioni che bisogna togliersi i
guanti, percliè solamente le dita possono afferrare bene la roccia
e aggrapparsi alle fessure. Malgrado che il freddo diminuisca la
sensibilità, le dita clie devono staccare la crosta del ghiaccio o
pen'itrare dentro la neve per assicurarsi se la roccia resiste, di-
ventano presto dolenti. Le unghie si rompono perchè il freddo le
rende più fragili. La forza colla «[uale agisce il sistema nervoso
sui muscoli è cosi grande che avviene la contrattura, e la volontà
non riesce più a distendere le dita che rimangono contratte ad
ogni sformo, senza potersi dopo rilasciare con sufficiente prontezza.
Anche nel senso muscolare succede un mutamento per la fa-
tica. Sono fenomeni fino ad ora poco studiati. L'andatura carat-
teristica delle persone molto stanche, che descrissi in un capitolo
sulle marcie nel mio libro sull'educazione fisica, queir andatui'a
pesante che hanno tutti dopo una lunga marcia, dipende in parte
da ciò. che noi sentiamo meno bene il terreno. Ho fatto spesso
attenzione e mi accorsi che col piede non si avvertono più con
sicurezza le ineguaglianze del suolo. La resistenza che oppone la
roccia, la certezza di aver fermo il piede, al mattino, (luando uno
é fresco, si giudicano istintivamente ed in un attimo. Quando si
è stanchi, alla sera, compare una difficoltà nuova e talora fatale,
perchè il piede scivola e sdrucciola in causa della sua iiisensibi-
iilà. e perdio il senso muscolare è divenuto più ottuso.
Il meccanismo col quale stiamo in piedi e camminiamo, è una
delle cose più complicate che siano nella fisiologia. Ho già accen-
nato che molle ruote di questo congegno funzionano in modo
affatto indipendente dalla volontà. L'indipendenza della loro furi-
^^^^le è tale che neppure la volontà può modificare il corso di
108 Fisiologia dell* comò sulle alpi
questi movimenti. Per convincersene basta guardare come una
persona cammina quando scende dalla bicicletta dopo aver fatto
una corsa anche non molto lunga. Il modo di muovere le gambe
e di fare i passi è diverso di quello che sia generalmente, e non
si riesce, per quanto uno voglia, a riprendere l'andatura normale.
Se alla fine di un' ascensione si potesse levare immediatamente
ogni traccia della fatica dai muscoli, ci accorgeremmo di avere
un' andatura diversa di quella che abbiamo abitualmente. Sono '
sensazioni cutanee, ma più specialmente nei tendini e nelle arti-
colazioni e nei muscoli quelle che modificano l'andatura.
Si cliiama ipoestesia di movimento il fatto che noi per pro-
durre un movimento leggero, imprimiamo un movimento spro-
porzionato alle articolazioni. Quando diminuisce la sensibilità della
pelle, diminuisce pure la sensibilità del movimento; questo prova
che è periferica e non centrale la sensazione del movimento. Non
vi è una innervazione di sensibilità centrale che accompagni dal-
l'origine l'impulso motorio. Appena uno mette un piede in fallo è
anche minore l'attitudine a raddrizzarsi, a correggere la posizione
e scampare dal pericolo.*
L'ottusità si estende poco per volta a tutti i nervi sensibili.
L' occhio stesso non distingue più con eguale penetrazione la
forma e la distanza delle cose.
Parrò t aveva già fatto questa osservazione nel suo viaggio
sul Caucaso in principio del secolo; e Tyndall parlando del Cer-
vino scrisse : *^ È possibile che la fatica grande dell' ascensione
mi abbia fatto vedere le cose in modo diverso di quel che sono
in realtà.,,
L'acutezza della vista diminuisce, e anche il senso della luce.
Così che declinando il sole, chi è molto stanco vede immediata-
mente più buio di uno che non sia stanco. Questa ottusità nel
senso della luce limitando il campo periferico della visione, im-
pedisce a clil cammina di v(?dere egualmente bene i piedi, se
non fa molta attenzione.
Certo la vista è alterata dopo una grande ascensione. Ho fatto
respcrien/a su di me, che le cose bianche appaiono più vicine e
le nere i)iù lontane. Si altera la conoscenza del rilievo. Un piano
(li neve, un sasso bianco, un filone meno scuro, prendono una
spor^^enza che non lianno.
- Afcidmti /•roiìolli dalla fatica
i Tatica eccessiva può pmilurre la morte.
Fino dall' iufaiizia abbiamo saputo che dopo la battaglia di ì
Maratona un soldato corse tanto per ainiuiiciare la vittoria di
Milziade, che appena toccò le porte di Atene cadde morto. Un
caso simile è succeduto or ò poco in un gara fra tourisli, in un
cosi detto record.
Sulle Alpi sono più temibili gli effetti dell'esaurimento, perchè
alla fatica si aggiungono la rarefazione dell'aria e le inteiniwrie.
L'alpinista ha sul tourista lo svantaggio che non può fermarei
dove e quando vuole, se si accorge die gli vengono meno le forze.
Dup difficoltà rendono incerto lo studio dell'esaurimento nelle
persone nervose. La prima è cJie non conosciamo quanto di energia
disponiliiie posseggono. Sono gente che si mettono in viaggio
senza sapere che cosa hanno nel portafoglio, per servirmi di una
espressione imaginosa. La seconda è che non si conosce l'entità
delie spese che fanno mentre viaggiano. Non c'è da meravigliarsi
che succedano loro incidenti gravi anche in un viaggio non lungo.
Esaminiamo ([uesto garbuglio dove s'intravede che gli isterici,
le pereone nervose, i deboli e gli affaticati, possono qualclie volta
cadere in un errore fatale di contabilità fisiologica.
La fatica produco come prhno effetto un eccitamento, il quale
genera poi l'errore di credersi più forti. Anche chi è brillo si crede
più forte per l'eccitazione dell'alcool, ed è invece più debole e meno
resistente alla fatica. Spesso Io persone nervose si conoscono per
la grande passione che hanno per gli esercizi sportivi ; il fisiologo
pensa clic in esse l'eccilaincnto della fatica sia più facile ed in-
leuso che nelle persone robuste. Quando il medico sente qualcuno
iJ quale dice: a me occorre molto moto per star bene, non se ne
ralleì^ra subito, ma pensa prima se la sensazione di benessere
cercata nella fatica stia nei limili fisiologici. Disgraziatamente è
questo un campo oscuro della medicina, perchè la macchina no-
stra sì ferma e cigola solo quando è logorata.
L'eccitamento prodotta dalle scorie della fatica ci impedisce
di conoscere quanto possediamo ancora di potenziale nervoso. La
cosa più grave è che noi intacchiamo col lavoro delle provviste
di energia, e le consumiamo giorno per giorno, senza sapere
quanto ce ne rimanga e quanto ne ripariamo col riposo. Uuelle
toue che si avvicinano di più alla bancarotta sono disgrazia-
110 FUIOUMIA
tameiitrf qu«Il^ sv-sse -^hr: più j: >i>no reoniazi-x*e i«erv»>sa prodotta
dalla fati'^a. Esse la «v-nTaa'.» C'>:i più 4?s:»ien«x <»aie il morfioo-
inane, il quak- si s^rve dorila m'jrfiiia non fer A>rtii:iv- ma per
eooiiarsL Cbiscuzio p«?iisa:ido ali*? sue •>x>j^ce:ize si raminenten
di alcuri*^ r^-rs-Mie ^Tai::l:. specìalinenle nerv.itse ed isteriche, cbe
si varitaii'' di itoii aver mai sa&uv> che o>5a s-ia la fktìca.
Tissi^- con iirraiide •vjaioeteaza ha studiato recentemente la fa-
m
tica nei S'V^».'tti d*:b->li e»l affaticati -. Ejìì r:c»:»nla c*>ine il medico
e rammalat'"» S'jrio s^rss-j tratti in errare da questo parad'^ssi)
fisiol'.tjioo: f»rD:riè si ra'>:o:na!iJa al malato di fare del moto per
consumar*.' la f-rza esuberante, mentre che la raziono deireser-
cizio fisico >: ■j:iix e- ••"essi va e si dovrebbe invet>? prescrivere li
rip':>S':i. F»>ré* di:n>>tr.> cr^- la fatica nerv«>sa e le eai«>zioni pn>
fonde «:i Dindon- • più vuh^.'rabili q^M avvelenamenti. La fatica dei
mu^^coli è pun* un aweì^namento.
Strana •• i*':nit»ile cond:zi«:»ne questa dei deb*>li.
Il l<»r» C'»rp> rass »niijHa ad un* azienda o ad una casa com-
nit^rcialv. dov»* il cassirp*. oiu- è il sistema nervoso, non a\'\'erte
il padrona' né d»-ll»' S"»niin»- «^ii»' tiene in cassa, né delle perdite
continue rii»' va fa*vnl» la casa. Gli affari vanno innanzi senza
che sia mai |N.ssibil».- far»* un bilancio: Talleirria e lo sperpero
cresi.-ono fatalmente. iiuant'> più si è vicini, alla bancanMta.
l\.
Como esempio laiale di m^-'SII errori neirapprezzaniento delle
proprio forzo, cito la m':»rie avvenuta Tanno scorso in un*altezza di
'JIVM moiri, di Raffaello oi Alf'»ns> Zoja. tìizliuoli del professore di
anatomia noir Università pavese. KatTaello Zoja benché giovane
era ^rià oonosoinl-» c«»me un cultore eminente delle scienze biolo-
^iclio. un ricen.-atore af»passionato che. comprendendo i lati nuovi
della scienza, tn iv» » imovo vie per la ricerca del vero. Alfonso era
un'anima ^'onlilo «-ho nel Laboratorio del i)roressor Golgi, isolato
dal mondo, assorbii') nella <:ontomplaziono della natura, aspirava
a «ontiiiuaro la tradizione ;-M'jri«.)sa del suo avo, il celebre anato-
mico Panizza.
^ Vn. Ti>>if:. La Fuiiifie vhez lef< d''hUefi ncrrenx oh f'it'ì'jnt's. Revue scit^nti-
-' Fkiik. So. ióté (le bioloiu:ie. I'j juillet 1833, p. 497. — Influence des agent$
jthyftiqn€fi et (1r..^ rh'jcs moranr ftur l'intoAration. S«>ciétc de biologie. 19 olt. 1895.
I parlare della loro morte che rimarrù per sempre ricordata
i terrore negli annali dell'alpinismo, sento il dolore profondo
1 amico che saluta la memoria di -due giovani carissimi nei
l l'Universi tÈi di Pavia e la scienza, avevano, più che la spc-
, la certezza di uno splendido avvenire.
1 dottor Filippo De Filippi, mio discepolo ed assistente della
a chirurgica di Bologna, loro compagno di sventura in quella
Issima giornata, scrisse una lettera che riproduco come ri-
Ido del comune cordoglio.
^Bologna, 3 dici'inbre inm.
" Caro Maestro,
"Ho voluto lasciare passare qualche tempo dalla disgrazia che
Ella mi ha domandato di analizzare pel suo libro, sperando die
si attutisse in me la violenta impressione morale provata allora
e dopo, innanzi allo strazio della Tamiglia it^elicìssìma. Ma ancora
oggi provo un turbamento tale nel ripensare a quelle ore che
non può a meno di riuscire dannoso ad un giusto apprezzamento
e ad una analisi critica rigorosa dei Tatti.
" Faccio precedere alcune note sulle condizioni fisiche e sul pas-
sato dei due giovani, fornitemi dal loro fratello, dottor Luigi Zoja.
Il primo, Raffaello, di '27 anni, era un giovane alto, magro, biondo,
con viso un po' emaciato, quasi ascetico, dai tratti affinati, con
espressione dolce, sempre serena. Uiia testa da studioso, su un
corpo non molto sviluppato, senza che però si potesse dire esile.
Non aveva cardiopatie: nel 181G-9.Ì aveva sofferto una forma
dispeptica gastro-intestinale con fenomeni nervosi esplicantìsi in
una facile stanchezza cerebrale che gii rendeva impossibile un
lavoro mentale prolungato. Questi scomparvero col guarire dei
disturbi digerenti, e nei '514 godeva di nuovo buona salute. Ebbe
però in quest'anno una forma di intossicazione gastro-intestinale,
di origine rimasta oscura, Insorta acutamente con vomito, ac-
compagnata da fenomeni di sìncope allarmanti che dui-ò pochi
giorni, e dalla quale si rimise prestissimo. Nel '95 lutti o ti-e i fra-
telli s'ammalarono di scarlattina, una forma benigna, senza com-
plicazioni renali. Raffaello faceva da aimi escursioni alpine coi
fratelli, sali ripetutamente fino ai 30ri0 metri, una volta a 3(50(1 metri
senza provare mai nessun disturbo. In una sola salita, fatta dopo
aver ballato fino alle 2 antim.. senza aver riposato nella notte,
ebbe vicino alla punta (24iJl) metri) adinamia fìsica generale con
marcata apatia morale. Potè però compiere il poco che rimaneva
dì salita e guari subito nella discesa. Il fratello Luigi crede si aia <
112 ir-IO-Vy/L* IrELl T'-v»
tniitiit ;^ *i; iji/il fìì rn ..M/i-Tiii. •jjeST'aiiiiO aveva:ii> saI::o lUTti as-
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;iir»;t;i 'li IT ;i:.:j:. >*"Im «!•:»> sviliKir.Liti rar-i-iauiruTe- Kr.i uiira-
;razz j '?>*:i •: »:i' »;;iii! ■. lu i-T » su i -i: as:»eii> r>"'-us: x m >Ito aJik.
r.iij ii:i a-s^:-;:ii- «li -•::.:* iST.i. N •:. av»?v;i avu; • a':r.i inautr^ia ohe
la <«:arlatl:!ia «li ••:ii :*•• fi!! • •>::.:! '•. Dà due a:::^l o >:iìivì-::j':» ai
rrati;lli ii»*llt* paS"^-:j-'ia:-; a-j'i.ie. »?:m Salii» tì:i> ài -J'^ • » ineiri senza
av».'!'.- !iia: privati i.r — \ì:i «ii^:!!:*:' •. Mal^rad- • la '*n:i-:i*ez/a. f'>r3e
ili ivla/i'»ri»; r. »l rapi'!'! ••\ì!mJ'P'. ih iii-;lava inoli-.» e Vera usi a
si;lierzani»3 seiiii-r»? :ra li»!.
"La S'-ra «k-l j'» ^eit-iiiS:'-?. •.••»iii''i:iaia '>-::i: «.^visa per la ;L:iia.
vei'S'i le *.» e inez/'j U^rìi'I!" •• Aìi*«niS'» s: laiser:» a leito per ri-
posani un pai» d'«»r*.\ ha pia ji«»r:ii ii«.»!i s'erano lane salile, e in
<iuella ^M^rnata av».*va:]M railo una semplice passe ::ri:iata non fati-
rosa. Alla ino/zan'iito. «l-tp-» la S'iliia iv»lazi':»ne, si parli O'.ìm iemp>
l»ellissiui«K piT 'piaitrVir»? •• nit?zzo oaianiiuaninio t|uasi al jMauo.
<:oste-'i:iantl«i il t' areni'?, tutti del s-Mit'» l»U'"»n uui«»re. p*iriaiidolo
zain«» l»en fornito iuT'Hm i-m- i!Ìas«nino. ••ouie s'era faii«» sempre
lo altro volte. l'oj in un'' "ri •* iii'.'ZZ'» «li salita n«^n fati«.v»sa, ra^ririuii-
^roinnio rultinio Ah» •» Ma'.-'a '1J>» metri». Krano le »» aniim., i*
si r».M'e il primo sumum'iio: jiaiie. ova e r'ai'io bevendo tiiè. N-ìii
avtìvam») vino «-on uni. i /••ia frano astemii ed io pure in moa-
tai:na preforisoo t!iò o i-atT*. I» »p«i mezz'ora si riprese la via, e
alle s oravamo ai piedi d'.Mla ari'ampi<-ata, quella ohe di>veva es-
sere la |»arte diverttMito della passi.';.^-iata. Presi lo zaino, e da
([uel m«)monto lo t<.Mini s«.Miii)ro io. non elio i compa;?ni apparis-
sero stanehi. ma imm* evitar loro il senso di squilibri*^ rlie esso
dà neirarrampì<-at;i. e n.Mideri.* «luesia più sieura. La salita fu ciuasi
una d<.'lusi<,iie, etM'to iii»n più dilÌPMlc dell»} altre fatte assieme quel-
l'anno, e trovammo rli«» ii.»ii metteva eonto di andare rosi lontano
por eosi |w»rN>. 11 t«MnjM» iMM st.M npriì bollo, eon poche nubi sullo
raton»' i»iù loiitan«\ da Nord suCiiava una le.i:;^era brezza non s^ra-
diavolo. Vei'So le, 11 a mi tratt.» una folata di vento ci avvolse in
mia nol)l)ia ti*aspiir<Mite, r romiin'iò a eadoro intorrottamente una
(ina p;ra^Niuola. l'n rapi"i<'<'io di vento elio durò forse mono di
ir. minuti, dopo il (juale tornò a si»londor(? il solo. N\m, ìxUì vicini
al sommo, non vi badammo, e po«;o i)rima di mezzo'::ioriio era-
vamo sul crostone terminale dolio lìoceiodi Gridone on. -^UHJcircal
isalita si poteva dire fatta, e sedemmo tranquillamente per far
tioiie e goderci il panorama. Sapevamo di dover solo supe-
) tre spuntoni poco più alti della eresia, di percorso facile, per
(vare al sentiero della Bocchetta di Fornaio e alle malglie sot-
jiti di Val Cannobina, un cammino di quattro ore al più.
Sigiammo tutti tre, ma non saprei dire ora se i Zoja mangias-
aeeo meno del solito. Certo epano del solito umore, non mi erano
parsi stanclii neppure nell'ultimo tratto di salita, ed io non ebbi
fino allora il più piccolo sospetto che fossero in condizioni anor-
mali. Le e noto come si levasse improvviso un temporale dal
Nord mentre eravamo seduti, senza die avessimo tempo di ren-
derci conio die U tempo cambiava. In meno di dieci minuti fummo
avvolti da una nube densa che ci toglieva la vista a pochi metri
df distanza, e cominciò a nevicare fittamente, a grosse falde, che .
Imbiancarono rapidamente la roccia, e dopo un quarto d'ora l'ave-
vano ricoperta di quasi un palmo di neve. Il vento, fattosi forte,
sbatteva furiosamente il nevischio, tormenta per me affatto nuova
a queir altezza, certo, dato il sito, di una violenza eccezionale.
A nessuno di noi venne in niente dì ridrscendere la ripida parete
per la quale eravamo saliti: ripresi lo zaino e ci avviammo. Su-
bito ai primi passi notai che s'andava adagio, che i miei compa-
gni avevano il passo incerto e malsicuro; pensai che fosse l'effetto
del vento che rende malagevole il percorso delle creste a clii non
vi il abituato, e consigliai a Raffaello clie mi seguiva primo di
camminare carponi se non si sentiva sicuro. Allora badavo più
vUe a loro, alla corda, per non lasciarli scivolare. Dopo neppure
mezz'ora lìaffaello mi domandò di fermarsi un po' perdio il vento
gli troncava il fiato. Allora mi accorsi che stavano male tutti e
due, e che la marcia stentata non era solo l'effetto dell' impres-
sione morale del temporale, Krano pallidi, battevano i denti, ac-
cusavano nausea e un po' di mal di cai>o, erano apatici, muti ai
miei scherzi e alle mie sollecitazioni, con passo e movimenti fiacchi,
senza energia, non dicevano di aver paura, ma di essere stanchi,
e che se li lasciavo riposare un po' avrebbero camminato meglio.
Allora cominciò una lunga lotta, cercando io con ogni mezzo di
tirarli innanzi, di impedire che si fermassero ogni momento, e il
proseguire divenne tormentoso per tutti. Le pareti che divalla-
vano a destra e a sinistra erano ripide, e si doveva camminare
uno alla volta per la necessità di sorvegliarli in ogni loro passo.
Procedevamo assieme solo nei tratti in cui potevo camminare
su un versante facendo procedere loro sull' altro, colla corda a
cavallo della cresta.
" Alle 4 pom. avevo perduto ogni speranza di raggiungere il
leuo, FWolonla ilrlVvomo ntlle Alpi. li
I?4 FT^aM-^TiA omzs.T:'wo *r
■:>r.^ T-rliaa ài :.>:••?- T- :-?:a7»« r>:.::;;java a imperversare, ave-
vani • r^r^rirs-' 7«>. • I-i •-- '^^ ^erz- i: o^r^^ia. e. senza prevedere
a:,.-:.ri :a .ra'^s?r>'e ■::.■? -^ ^>vri5:ava. f.^pivo che i miei compa-
.::.:- ni;il;ir. ::; iU"?-'-' >'-*'-• -- '"'?rz:a Ssioa e morale, erano
i.el'-? i:>:;'i;z:«..: :'?-:-r;:»r: :»?r tvìssat^ u::a none nella neve. Allora
nv. Je'::>: a ^ei.'iare u..t :.s>?^\ i.rfrrui per un canalone della
Tar»?:e «i: V;il Cv.^nr» j.^x, Av-?v:i:a . :.eve olire il irino«n"hio, e sì
s-res^ a-iì- •• i 7.:\3l :..:.a:.z:. : • :.r:r:' Trattenendoli eolla corda.
y«r«?M s-.^iii-^va:. :• ::.: a ^.v :•'.:■:.! ^i.e ooii mani e piedi come
avrt''W r:-\..vs:'> il <* •- I:. :ii-?zz' '^r.i «-i abKassammo di un
••-taT" me:r: :a"a ores'^i. .uà;, i • u:. salto venicale di roccia ci
ta-rli» 'a vii. Mi s'.e-a' ^ T*?^ '^-- l'iart» dora cercai un passag
:n*» lie". '\\:.u'. •::-? ^ >^ -* 7-^— '- .:"**vr.i'- d: ess"^. ma inutilmente:
iioii si :-~'t-?va S'?'.":.^-'r^-' i.-?:'?-.'^? a v:.Ier fare uifimprudenza, e si
d-»veva :■ 'n.are >Ml-a resu: il cabale era ripido, e se i miei com-
iKizuì '\\:n:n"::ava:. • a sv?:/. • ra. sarebbe stat«"> pe^r^rio dopo la
notte «-ii*? •:! a<i-:?'ta\a- i>.le..i> alle mie izisisienze tentarono di
inauiriaiv ':ual':he''''>i^- '^i^a la nausea fa«?eva loro sputare i boc-
i'0!ii me/./o ma>::'M:i*. -jvver^ u;i >ors> di thè. e molto a malin-
ruor»? rii'reser» la sal::a. Dar» r-o-» più dì un'ora, ma in quelle
coiiJi/ioni larve e'oiiia. lì:\i:\\mm » la oresUi a notte fatta tO poin»,
in un Mr..t" u'.' ' 'ir-M Jl ■• uieiri. I:i >^.-hi niiimti tnn'ai uno
spiali- ••ii r-cialarjo u:: :a: ■ i: m. n.. u:i p>'s«>tto la cresta, ri-
iKtrav» «lai voi.t-*. in;i :;•■:: •ial'a i^ve, e ci fermammo. Ai Zoja
-ii l.»jj»'Và ::i v:< • evììei/e la s -Misf;\zi«^:ie di n*^n dover più
rauiminare.
- nritlaell»'» ni'iii'iuiot» su':t\ era se.ìuto, inerte, coirli occhi
aperti e un p •* iì>>i. N 'ii tremava. :iè malleva i denti come me e
\iron<". ii'»n parlava <e n*.; interr ':rato. «lìceva che ora stava
i;eii»\ '•/*'* ^''>'' ar.rn jrO. 'W /''•-. liesT'iiava re;i'Marinente e aveva il
iM.lsV, un p'.'rapi.l". [•iuit-'^r' p:-^'* 'I». ritmico e m-^deratamente
ilppr^^^sil.ile. Alt- 'USÒ appariva stanco, apati»^^ anche lui, ma evì-
d»Mitemente ii'ii ».Ta nelle c^nvli/i.^ni «resauriment.^ del fratello.
Bevver» il P"*'»i t*i*- *-*»*- rimaneva, l tìammiferi ci s'erano inu-
mi'liti in ta<'-a. e n'»ii potemm-» attendere la lanterna, nò ser-
viivi d»-ìia ma.vhiiia per il .\\frè. - Tentai dì nuovo, ma inu-
tMmfMit.* «ii tar loro m:in-'iare iiual»:!;»^ e «sa. ouasi suhito coniin-
<-iammM il inasta;.:.'!. ► a KaiVaell-x .\lfón^M a-lì arti e io al tronco,
\'.>v/M\ul>V> a parlare per.:ii" n^n s* a«Monnentasse. Contìimava
•i i,».vi.-MP- ••"Ila -re^<a vision/a. e •v:rni tant-^ .\lfonso ed io scuo
t.'vam- la nov.' dalle >pa]l-: dovevamo avere 1-2 jxradi sopra
/(M-M Ralla. -11'. pe-::iorava P'hv» a ]m>^.. . insensibilmente: me
„p ar-r-or-.n-o dalle risposte rhe venivano tarde, dalla neces-
sita di ripetere più volte le domande: il polso si faceva più fre-
quente. A un certo momento, dopo die gli ebbi ripotuto una do-
manda pareccliìe volte, gridando, mi guardò ìli viso con un'aria
stralunata e disse adagio: " A'bH capisco „. Allora ripresi il mas-
saggio con neve, praticando frizioni energiclie sul petto e sul
dorso. Ogni tanto Alfonso ed io ci si fermava qualclie minuto,
staticliissimi. Io badavo poco a lui, batteva sempre i denti da!
freddo, e parlava poco: pareva perlettaraente coscienle. ma non
si accorgeva della gravila dello stato del fratello. A mezzanotte,
colla stessa rapidità colla quale era insorto, il temporale si di-
leguò e In pocliì minuti rivedemmo il cielo stellato e la luna splen-
dida. Cominciò subito a gelare, e credo che la temperatura fosse
piuttosto bassa dalla rapidità colla quale si l'ormavano stalattiti
di gliiaccio sulla roccia. Avevamo forse 6-7 gradi di freddo, ma
è difflcile rendersene conto esatto cosi bagnati e stanchi, in mez/.o
a neve ghiacciata. Dopo poco Alfonso notò che il fratello non ri-
spondeva più affatto alle domande, gli dissi che era il sonno e
che con filmasse il massaggio forte. Serviva a poco, oramai, sugli
arti, ma era un mezzo per tener desto Alfonso, dandogli una
reazione contro il freddo. Oramai credo vi fosse incoscienza com-
pleta; aveva polso filiforme, rapido, respiro ancora regolare, nessun
sussulto: sollevando un braccio ricadeva come in paralisi llaccida,
nessuna reazione agli stimoli esterni, sguardo fìsso, quasi vili-eo.
Cominciò a dire qualclie parola senza senso, pronunziata a mala
pena, iti un delirio tranquillo che durò poco. Verso Vuna mi parve
che il respiro si rallentasse , facendosi meno regolare. Allora lo
coricammo sul doi*so (era stato sempre seduto appoggiato alla
roccia, per essere più riparato dalla neve), e comineiamino la l'e-
spirazione artificiale continuando le frizioni sul torace. Alfonso
taceva e io non osavo guardarlo iii faccia — ma non capiva an-
cora.... Sì durò cosi un' altr' ora. A un tratto sentii la pelle del
malato coprirsi di sudore, e quasi subilo il rilasciamento com-
pleto della morte: 11 cuore s'era fermato prima, dopo potei ancora
sentir-e il torace soilevarai in inspirazione attiva. Erano le i an-
timeridiane.
"Alfonso non se n'era accorto e fece ancora qualche movi-
mento di respirazione artihciale. Poi senti le braccia del fratello
irrigidii-si nelle sue mani e le lasciò domandando subito esterre-
fatto "^ È mortoti Chhiai il capo, e cominciò a piangere silenzio-
samente, senza singliiozzì, ripetendo ogni tanto "Povero Jellol„
Rimisi a stento il corpo giù rigido contro la roccia, riparato Ui
parte da un piccolo vano e cercai di vincere l'amarezza ango-
i dell'ainmo por pensare a! superstite. Coll'immobilità aveva
t
..Mr.n»li«l CT*«irPft^
116 FISIOLOGIA DBLL'UOMO 8ULIJB ALPI
sentito subito acutamente il freddo, e si accoccolava contro di
me clic gli facevo percussioni e frizioni al tronco. Non lo potevo
decidere a nessun movimento attivo. Non aveva coscienza se-
guita e completa. A intervalli ripeteva il nome del fratello pian-
gendo, senza però quello strazio nel dolore che avrebbe provato
in condizioni normali. Piangeva (juasi come un bambino, rasse-
gnato, era più un lamento clie una disperazione. Poi lo ripren-
deva il senso del freddo , tremava , e si premeva contro di me
dicendomi di contiimare le frizioni. La luna rischiarava tutto di
una luce brillantissima, mancavano più di tre oi*e al giorno, e
pensai di sfuggire la vista angosciosa del cadavere e il freddo
riprendendo la via, anche lentissimamente, ma non mi fu possi-
bile far stare Alfonso in piedi. Tentando di alzarsi sorretto da
me, le gambe gli si piegavano sotto come paralizzate. E mi ras-
segnai a ripi'endere la lunga attesa inerte. Non ero molto in-
quieto: lo vedevo stanoliissimo, coUMnei-zia morale del mal di
montagna, mezzo istupidito dalla disgrazia atroce, intirizzito dal
freddo , ma speravo clic fra poche ore il giorno e il tepore del
sole gli avrebbero permesso di muovei-sì di là : dopo, passo passo
avrennno raggiunto il sentiero che era la salvezza. Alle 6 inco-
mincio ad albeggiare, ma l'Alfonso era sempre nelle stesse con-
dizioni. Allora come ultimo tentativo spazzai alla meglio la neve
da un tratto di roccia , lo feci coricare e gli dissi di provare a
dormire un po'. Coir alba rincrudiva il freddo , ed io mi distesi
sopra di lui sorvegliandolo attentamente. Si addormentò quasi
subito d' un sonno normale, non stuporoso, ma abbastanza pro-
fondo, malgrado la [xvsìzione incomoda e T ostacolo che il mio
peso gli faceva al respiro. Dormì <iuasi un'ora, e si svegliò da
so verso le 7, a giorno fatto. Ottenni che mangiasse due ova, e
alle 7 'M j)otò mettersi in piedi e partimmo. Camminava come un
ubbriaco, scivolando a tutti i passi, io stesso non ero molto franco
sulle gambe, ma rapidamente col moto riprendevo elasticità e
sicurezza. Alfonso invece pareva sempre sfinito, e non m'ac-
corgevtì ohe la temperatura mite mìglit'^rasse le sue condizioni.
Dovetti concedere fermate ogni pochi minuti, e queste si allun-
gavantì sempre più, cosicché in due ore facemmo la strada che
si sarel»be |>ercorsa normalmonio in un «luarlo d'ora o poco più.
Kravanio al piede, appena un *2<» nìotri sotto 1' ultimo spuntone
che ci separava dal colle , e Alfonso era seduto da parecchi mi-
nuti, e resisteva alle mie preu^hiere perdio facesse un ultimo
sfor/'^ Batteva di nuovo i denti: per un po' rispose alle mie in-
sistenze di'en<lodi lasciarlo riposare ancora, poi non parlò quasi
più. soi»i»ene capisse (luello che gli dicevo. :>i sentiva stanco.
AceiiUnti pndotli ilalla f'ulica "cce:
f daWei
117
nient'altro. Sedetti vicino a lui, e gli parlai de) fratello, cercando
di scuoterlo da (luell'inerzia. Mi disse " quando saremo a Finero
igrossa borgata di Val Cannobiua), telegraferemo a Gigi e lo aspet-
terò per tornare a casa con lui „ ; frase che dice meglio di qua-
lunque descrizione l'incoscienza completa del proprio stato. Io
ero inquieto, cominciava il ritardo nelle risposte, era evidente un
accasciamento fisico grave, lo vedevo cosi esaurito che non
sapevo come avrebbe potuto resistere altre due ore. Ricomin-
ciai le insistenze per muoverlo di là e m'accorsi presto con
angoscia che non lo poteva più. Non mi restava che un appiglio,
farlo scivolare in basso per uno stretto camino di roccia pieno
di neve con un pendio ripidissimo, che divallava a due passi da
noi. Ottenni da lui , ancora cosciente , che si trascinasse fin là,
aiutalo da me. e cominciai a lasciarlo scivolare seduto nella neve,
dicendogli di trattenersi 11 più ciie poteva colle braccia. Quando
non ebbi più corda (eravamo legati a circa cinque metri di di-
stanza), mi misi io pure nello stretto canale. L'avevo di peso alla
cintura, poiché mi occorrevano le due mani per trattenere me e
lui servendomi degli appigli rocciosi, fortunatamente solidi e ab-
bondanti delie pareti laterali del camino. Scendemmo cosi con
precauzione un 50 metri; a un tratto io, che in quel momento
scendevo di fianco, sentii mancare la tensione della corda e vol-
gendomi vidi -alfonso carponi, quasi coricato, che annaspava collo
mani nella neve. Lo chiamai senza risultato, mi slegai fissando
il capo della corda a uno spuntone di roccia, e scesi rapidamente
floo a lui. Era inconscio, con respiro lento, polso piccolo e ra-
pido. Dovevano essere le 10 antimeridiane. Gli feci il massaggio
con neve, mezzo istupidito dalia fatalità clie s'era legata a noi.
Dopo circa un'ora mori tran(iuiliamente, senza scosse, con un ral-
lentarsi progressivo del respiro, mentre il polso si faceva più pic-
colo e rapido. Mi sentivo esausto, e risalii quasi subito fino alla
cresta donde in mezz'ora raggiunsi il sentiero. „
^^^Bluo a ciie duren'i la tisiologia della fatica saraimo ricordate
oneste pagine del dottor De Filippi, percliè nella storia delle Alpi
vi sono pochi avvenimenti più tragici. Fra le relazioni clie scris-
sero gli alpinisti, pnche eguagliano questa per la sagacia
i fk-eddo che traspare dalia profonda e fedele sua osservazione
X.
HMtt fk-eildo che ti
i e il san- J
ovazione ^^^M
IIB FISIOLOGIA I>BLL*UOMO 8ULLB ALPI
dei fatti, nessuna supera questa per la novità di una sventura
quasi sovraumana.
Il meccanismo della morte improvvisa è forse una delle parti
meno conosciute nella patologia, perchè spesso non è possibile
per riguardi alla famiglia di fare Fautopsia in questi casi disgra-
ziati. Alcune infiammazioni parziali del muscolo cardiaco passano
inavvertite. I tendini ed i muscoli che vanno al bordo delle val-
vole nel cuore si alterano senza che ce ne accorgiamo perché
sono insensibili, e poi improvvisamente si rompono, in imo sforzo,
od in una emozione grave e ne segue la morte.
Assai più ^spesso come in questo caso è la paralisi del cuore
la quale produce improvvisamente effetti mortali Tutti sappiamo
che il cuore batte più forte e più rapido quando ci coglie una
forte emozione. Vi sono di quelli che nell'abbattimento di una
grande sventura sentono una oppressione come se loro man-
casse il flato. Il sospiro è una inspirazione profonda che noi fac-
ciamo nel dolore per rimediare alla respirazione difettosa e in-
sufficiente. Quando mettiamo degli animali sotto una campana
pneumatica e rarefacciamo Taria cadono sonnolenti, e mentre
dormono di quando in quando fanno delle respirazioni più pro-
fonde. Ho già detto come durante il mio soggiorno nella Capanna
Regina Marglierita, ho veduto che alcune persone e un cane so-
spiravano profondamente tutto il giorno.
Vi 3ono delle donne che spesso svengono per la semplice no-
tizia o la vista dì un accidente, per un rumore inaspettato. È pro-
babile clic anclie in questi casi il cuore sia paralizzato per un
difetto di Innervazione centrale, dovuto al rapido esaurimento
che l'emozione ha prodotto nei centri nervosi.
Che le emozioni rendano più debole il cuore, me ne accorsi
in un lutto domestico, per me gravissimo, che mi ha colpito in
questi ultimi anni. Salendo le scale della mia casa, sentii per la
prima volta che ero obbligato a rallentare il passo od a fermarmi
perchè mi mancava il flato. Il polso era affrettato, e sentivo la
palpitazione del cuore. Era un fenomeno come capita spesso nel
male di montagna. Il cuore, per V esaurimento centrale prodotto
daireniozione, o dalla fatica, non si contrae più completamente, e
rimanendo alquanto dilatato, la circolazione nei polmoni si fa più
languida e lo scambio dei gas nei polmoni diviene insufficiente.
Questa è la causa prima della respirazione affannosa, il cuore
balte più frequente per compensare le sue contrazioni che non
sono più complete. Quando il difetto della innervazione del cuore
diviene più grave, succede la paralisi del cuore che ò sempre
seguita dalla morte immediata.
- Atcidenti prvMti 'lalUl fatica eccemva e dtlVeynurimeatn u
Cosi si spiega come i vecchi e le persone deboli possano qual-
che volta soccombere per effetto dì uTia emozione psichica: cosi
Torse avvenne la morte di Alfonso Zoja.
Le emozioni profonde e f;li effetti della fatica sono più temibili
se la temperatura esterna è bassa, e divengono mortali quando
per la depressione del cervello e del midollo sono paralizzate le
funzioni dei centri che regolano la temperatura del corpo e la
toiiicilà dei vasi sanguigni.
Gli ubbrìachi muoiono assai più facilmente per freddo che non
le altre persone. Questo auzi è il meccanismo col quale si spie^'a
la morte di coloro che riuscirono a suicidarsi cojj'alcool o coi-
l'assenzio, perchè da soli i liquidi alcoolici non produrrebbero la
morte. Ma i vasi paralizzati si dilatano, e il sangue raffreddan-
dosi non trova più attivi nell'interno dell'organismo i congegiiì
automatici che attizzano i processi della vita e rinforzano le com-
bustioni nei tessuti appena il sangue si raffredda. L'individuo perde
poco per volta il suo calore fino a che si spegne la coscienza, e
dopo arrestandosi il cuore ed il respiro ne succede la morte.
Il dottor F. De Filippi nell'ultima parte della lettera mi scrisse
alcuni concetti per spiegare la morte dei fratelli Zoja che io di-
vido pienamente. " Forse il fatto dominante fu un indebolirsi pro-
gressivo del cuore ed una paralisi vasomotoria. Certo è una forma
che non sì può far rientrare completamente in nessuno dei quadri
morbosi classici descritti. È anclie possibile che si tratti di una
vera intossicazione dai veleni della fatica, e che (luesto fattore
intervenga in tutte le morti per esaurimento da grave strapazzo
muscolare. P'orse individui con ricambio pigro, organismi che
abbiano combustioni incomplete e tarda eliminazione dei prodotti
retrogradi, possono essere specialmente predisposti a questa forma
di avvelenamento, specialmente se il freddo interviene a limitare
ancora l'attività del chimismo organico. I precedenti di Raffaello
dimostrano una sensibilità grande del suo sistema nervoso alle
Intossicazioni: invece Alfonso era apparentemente in condizioni
tisiologlche. è possiijile che l'emozione provocata dalla morte del
fratello sìa stata troppo violenta per un organismo stanco, ma-
lato da ore dì mal di montagna, sottoposto per lungo tempo ad
una insolila perdita di calore, che da circa venti ore quasi non
aveva più preso alimento. Certo si sono sommati tutti questi fat-
tori. Nella ignoranza in cui siamo sulle modificazioni del ricambio
che accompagnano il mai di montagna, non possiamo dire se
questo possa favorire l'accumulo nell'organismo dei veleni della
fatica, e siamo costretti a vagare nel campo incerto delle ipotesi. ^
Capitolo Settimo.
Le ascensioni. I nostri accampamenti. La Capanna Gnifetti
e la Capanna Regina Margherita.
I.
Le norme per fare un'ascensione e la tecnica per superare le
diflìcoltà ed evitare i pericoli, furono conquistate dall' alpinismo
con lunga e fortunosa esperienza. Basta ricordare il nome di
Gùssfeldt ^ per accennare tutto un genere di scrittori alpini va-
lentissimi. Non è questo l'argomento che voglio toccare, né avrei
autorità per farlo. Dopo aver dato uno sguardo sommario ai mu-
tamenti più gravi che succedono nell'uomo sulle Alpi per effetto
della fatica e della rarefazione dell'aria, vorrei cominciare adesso
uno studio analitico delle ascensioni.
Ho già accennato che durante un'ascensione non siamo sem-
pre gli stessi, e che l' organismo risponde in modo diverso se-
condo lo stadio della fatica al quale siamo giunti. Era mio in-
tento di tener distinti 1 fenomeni quali si osservano nella prima
pai-te di un'ascensione da quelli che succedono più tardi per la
fatica, i quali sono più gravi e quasi morbosi.
Accanto all'albergo di Gressoney la Trinità, sulla sinistra del
Lys ho scelto un terreno che dal prato orizzontale verso la ca-
scata, sale sul fianco della vallata e interseca il sentiero del Netscio.
Misurai coll'ingegnere Bellini un'altezza di KH) metri in un punto
* P. rJi^ssFKLDT, Dati Wnndern in Hnchgehìrgc. Anhang, 299, In den Hochalpen.
VII. — Le ascensioni. I noslri accampamenti
121
dove l'inclinazione del prato era del 50 %• La prima parte della
salita era però alquanto più ripida. Quivi ho fatto delle esperienze
con passo ordinario e con passo rapido e anche di corsa su
niolte persone.
Ecco come saggio una di queste esperienze che feci su me
stesso nell'agosto 1895. Temperatura dell'aria 13°.
Ore
Polso
Respiro
Temperatura
rettale
OSSERVAZIONI
9,40
60
15
37^,2
9,42
Parto dalia base della salita ed im-
piego 6',55" a raggiungere 100
metri di altezza.
9,53
114
30
37°,7
9,55
88
9,56
84
21
37^8
^ 9,58
84
20
10,3
84
37^8
Tossisco ripetutamente.
10,5
— •
17
37«,7
10,7
79
17
10,12
80
16
10,15
16
37°,6
10,20
74
15
37°,55
10,25
73
15
10,40
63
37^,2
10,45
60
■'
Queste cifre fanno vedere in che misura siano cresciute la
frequenza del polso e del respiro e la temperatura interna per al-
zare il peso del mio corpo che è di 74 chilogrammi e per Y età
sua di 49 anni fino a 100 metri di altezza. Il polso dopo aver rag-
giunto le 114 battute al minuto cominciò a diminuire mentre che
la temperatura interna si mantenne elevata e crebbe leggermente
nel riposo e raggiunse il normale poco prima del polso.
Il termometro che adoperavo era un termometro a massimo
Baudin con bulbo piccolissimo,. il quale in meno di due minuti
raggiungeva la temperatura del corpo. La prima lettura la feci
alle ore 9.53 dopo più di 4 minuti, e la seconda dopo 3 minuti.
La frequenza del respiro è la prima che ritorna allo stato
normale: essa diminuisce in proporzione più rapida del polso,
mentre la temperatura non accenna che assai più tardi a sce-
mare. Dei tre fenomeni qui studiati, prima diminuisce la respira-
zione, poi il polso ed in ultimo la temperatura interna. Perchè
scomparisse nell'organismo ogni traccia di questa piccola ascen-
sione dovevo stare un'ora in riposo coricato sull'erba.
Ho notato che ebbi alcuni colpi di tosse. Questo, secondo me,
fa credere che si fosse accumulato del sangue nei polmoni. Non
Mosso, Fisiologia delVnomo sulle Alpi. 16
123 FI8IOLOOIA DBLL^UOMO SÌJLLM ALPI
ne sono sicuro, ma non saprei altrimenti spiegare la tosse che
osservasi così spesso nelle ascensioni, specialmente nelle per-
sone deboli, o in coloro che (come capitava a me in questo caso)
si trovano in principio dell'allenamento.
n.
Salire 100 metri in 3 minuti e mezzo si dice che sia il massimo.
Perciò feci eseguire delle gare di corsa in salita, per conoscere
meglio la forza di alcuni alpinisti. L' ingegnere Bellini col quale
avevo misurato esattamente il tragitto da percorrere stava in
basso ed lo in alto alla meta, egli contava il polso ed il respiro
prima della partenza e lo dava a ciascun corridore scritto in un
foglio e mi faceva segno colla mano nel momento che incomin-
ciava la corsa.
Il signor Borsalino Mario studente di 18 anni e del peso di
68 chilogrammi, percorse 100 metri in altezza colla inclinazione
del terreno al 50 % in 4',33". La tabella messa in nota indica i
dati raccolti in questa osservazione ^
* Borsalino Mario. Anni 18. Peso 68.
Ore Polso
Respiro
3,20 76
21
3,34 66
70
68
Parte ore 4 70
19
Arriva in 4',33" Per circa un minuto non posso
contare il polso tanl
»le e filiforme.
4,6 Conto solo per 30" 160
31
140
27
4,8 120
26
4,11 120
24
4,23 108
106
22
Tossisce parecchie volte.
4,43 90
18
4,45 94
18
È dunque ritornato sotto il normale prima
il respiro
del polso.
6,5 93
17
5.20 87
17
6,40 80
16
5,43 72
17
Dopo un'ora e 40 minuti il cuore non era
ancora
ritornato al normale.
Yn. — Ze (UotntikmL I nattri accampamenti 12S
Furono fatte otto esperienze per conoscere la velocità nelle
ascensioni e basterà riferire quella nella quale la velocità fu
maggiore *.
La guida Lochmatter fece questa salita di 100 metri in S'.io".
Egli mi disse che era il massimo che si potesse durare e che i)
doppio di strada era impossibile farlo con quella velocità.
Mi parve nei due primi minuti che il polso fosse vicino a IGO.
Messa una mano sul petto sentii una forte palpitazione, ma an-
che 11 non potevo contare bene il polso. È probabile che in questi
casi il cuore non si vuoti completamente. Il cuore nostro sarebbe
come uno stantuffo il quale non compie la corsa completa quando
noi facciamo gli sforzi maggiori.
Nell'esperienza fatta colla guida Lochmatter si vide quanto
remozione possa di per sé affrettare i battiti del polso. Dopo co-
lazione alle 2 era 73: quando andammo nel prato vicino alla salita
ed incommciarono le gare il suo polso sali a 82. Malgrado il ri-
poso non fu possibile ottenere che diminuisse la frequenza del
battiti cardiaci, anzi crebbe da 88 a 98. Il polso tradiva T emo-
zione e il desiderio suo di vincere le altre guide, delle quali per
brevità non riferisco i dati.
1 Julius Lochmatter. Anni 28. Peso 75. Guida di professione.
Ore Polso Respiro
3,18 71 13
3^ 82
3,30 88
15
Vedendo che il polso è cosi elevato gli diciamo di sedersi e di riposarsi.
Parte ore 4,13 Polso 98
Arriva impiegando minuti 3,45*.
Respiro 20
Per dae minati non posso contare il polso tanto
spiro 38.
è piccolo e filiforme. Re-
Ore Polso
4,18 140
4,20 132
4,22 130
Respiro
38
28
26
Tossisce un poco.
4,25 124
4.27 120
26
20
Il respiro diventa normale prima del polso.
5,2 106 20
5,12 104 19
5,20 102 17
5,35 96 18
Dopo ancora e mezzo diventano mono frequenti di prima che partisse, tanto
il coore quanto il respiro.
124 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLS ALPI
Finito il pranzo alle ore 8.30, quando avrebbe dovuto essere
più frequente il polso contai solo 74 battute al minuto.
Facendo questi esperimenti mi imbattei in un giovane alpi-
giano, un portatore robustissimo di anni 33 che aveva una irre-
golarità del polso: dopo quest'ascensione di 100 metri in sei mi-
nuti il suo polso si regolarizzò \
Che il polso nella fatica diventi regolare in questi casi era già
noto a Christ e ad altri che si occuparono di simili studi. Anche
nella febbre scompaiono spesso le irregolarità che alcune persone
hanno nel polso e che non sono per sé un indizio di malattia.
Queste irregolarità del polso spesso sono i fumatori che le hanno
e ne guariscono cessando Fuso del tabacco.
III.
Per conoscere Tattività del respiro nelle ascensioni non basta
contare il numero delle inspirazioni; bisogna inoltre misurare la
quantità dell'aria che introduciamo nei polmoni.
Per vedere quanto crescesse il respiro salendo 100 metri in
altezza, misi un contatore in basso ed un altro alla meta. La pe^
sona sulla quale facevo un'esperienza adattavasi bene la ma-
schera e coricatosi iii terra cominciava a respirare attraverso le
valvole ed il contatore, poi faceva la salita al passo ordinario ed
arrivato alla meta si metteva nuovamente la maschera e respi-
rava neiraltro contatore coricandosi pure in teri'a.
Come siano disposte le valvole per misurare l'aria che respi-
riamo riio già detto in un capitolo precedente. Quale esempio
(leiraumento che subisce il respiro anche quando si sale lenta-
mente, riferisco uiT espeiienza clic feci sopra un portatore di
Gressoney, che aveva l'età di 30 anni. Determino prima quant aria
1 Oro 4,20 Polso 74 a 80,76 Respiro 20 a 22
Parte ore 4,29; impiega 6 minuti. Quando arriva si può subito contare:
Ore Polso ^Respiro
4,35 148 34
112 31
4,39 100 28
II polso non e più irregolare.
4.58 84 28
:\19 80 22
Anche qui il respiro ritorna prima del polso al normale.
5.32 80 22
VII. — Le aacensionu I nostri accampamenti 125
introduce nei polmoni mentre sta in basso nel prato, dopo che
giaceva coricato da cinque minuti colla maschera messa in co-
municazione col contatore. Ottengo i valori seguenti facendo la
lettura del contatore ogni due minuti:
7,9300 — 8,4185 — 8,0352 — 7,8400 — 8,1250.
Si alza e tenendo la maschera di guttaperca sulla faccia per-
corre lentamente il fianco della montagna. In 7 minuti solleva il
peso del suo corpo, che era 67 chilogrammi, all'altezza di 100 metri ;
appena arrivato alla meta si corica e subito comincio a segnare
quant'aria inspira ogni 2 minuti ed ottengo i valori seguenti:
14,6400 — 11,9064 — 10,9800 — 9,9308 — 9,0280 — 8,1300.
Da questa esperienza si vede che la respirazione è diventata
due volte più profonda per sollevarsi di 100 metri in 8 minuti.
Quando la velocità dell' ascensione è maggiore, vidi diventare
anche quattro volte più grande il volume dell'aria respirata: devo
però avvertire che le valvole del mio apparecchio in quest'ul-
timo caso non funzionavano completamente bene, perchè la re-
spirazione era troppo rapida e profonda.
IV.
Che non sia la mancanza di fiato quella che ci ferma lo di-
mostra il fatto che alcuni come Lortet consigliano di camminare
nelle ascensioni colla testa bassa per diminuire l'orificio delle vie
respiratorie.
" Ceux qui savent marcher dans les hautes montagnes, tiennent
la téte baissée pour diminuer Torifice des voies respiratoires, et
respirent par V orifice nasal seulement, la bouche étant fermée,
€11 ayant soin de sucer un petit corps inerte, tei qu'une noisette,
ou une Pierre, ce qui augmente la sécretion salivaire \ „
Recentemente ebbi il piacere di far la conoscenza del celebre
alpinista Charles Durier, presidente del Club Alpino Francese. Mi
rammentavo di aver letto nella sua storia del Monte Bianco una
frase che mi aveva impressionato. Parlando dei vantaggi che
possono recare alcuni piccoli vizii sulla vetta del Monte Bianco,
Durier scrisse : " si l'on est fumeur, on a un petit fourneau pour
^ LoBTET, Perturhafioìis de la respiration , de la circulaiion et sur toni de la
caloì'ification à des grandes hautenrs sur le Mont-Blanc. Comptes rendus, Tome 69,
1869, p. 708.
126 FISIOLOGIA DKLL'uOMO SULLB ALPI
se róchauffer les doigts ^ ^. Capivo senz'altro da questa frase che
la respirazione doveva alterarsi poco nel signor Durier, aia era
la prima volta ciie sentivo lodare la pipa sulla vetta del Monte
Bianco per scaldarsi le dita. Lo pregai di lasciarmi un ricordo
del suo modo di respii^are nelle ascensioni, ed egli volle gentil-
mente scrivere nel mio taccuino la seguente notizia :
** Un peu au dessous du sommet du Mont-Blanc, ne ressentant
aucun essoufHement, je m'arn^tai, bourrai ma pipe et rallumai
afln de voir si je n'aurais aucune oppression. Je n'en eu aucune
et arrivai au sommet avec la pipe allumée (18G9, à Tàge de 39 ans).
Depuìs lors jamais je n'ai atteint aucune cime sans avoir ma}ripe
à la bouche et jamais je n'en ai ressenti aucune incommodité.
Je dirai mome que, d'après mon expérience personnelle, cela ré-
gularise la respìration et próvient ressoufflement. ^
Se dovessero divìdersi gli alpinisti in quelli ciie rassomigliano
al signor Durier ed in quelli che nelle grandi ascensioni tirano
fuori la lingua ed allungano il collo, confesso che dovrei met-
termi fra questi ultimi; ma sarei egualmente in buona compagnia.
Whimper dice che sul Chimborazo aveva la febbre, mal di
capo e respirava affrettatamente colla bocca aperta.
Non credo sia utile dare delle regole sul modo di respirare;
ciascuno deve respirare come vuole. In nessun genere di eser
cizio r incoscienza e Y automatismo devono aver maggiore pre-
ponderanza quanto in questo. In uno scritto recente sull' allena-
mento, Tissié dice-: ^ Bieii peu de personnes savent respirer.
Dans les exercices en plein air Tinspiration doit étre nasale, et
Texpiration buccale. ., Riconosco volentieri la grande competenza
del Tissié nello studio della fatica, ma non divido le sue idee in-
torno al modo di respirare, e ne dirò la ragione (juando parlerò
della influenza che esercita il vento sul respiro.
V.
Nelle marce i soldati si fei'mano dieci niiimti per ogni ora di
cammino. Questa re;;ola dovrel^bero adottarla ;;li alpinisti anche
per le loro marce in monta^^na.
Non feci osservazioni speciali su questo argomento che già
toccai nel mio libro sulla fatica. K uno studio dilYicile che non può
^ Cmarlks Dl'RIkr, Le Mont-Blanr. Paris. 1877, p. 230.
2 Tissii^:. Lenirai ne me ni ifhysiqne. Revue scientifique, 1896, N. 17.
vn. — • Le ascensioni. I nostH accampamenti 127
farsi bene nelle Alpi. Qui accenno solo il fatto che il lavoro dei
muscoli è soggetto alle medesime leggi di quello del pensiero.
Mentre scrivo questo libro ho fatto più volte Tesperienza che
se sto allo scrittoio un'ora o un'ora e mezzo e dopo faccio un'in-
terruzione di 15 o 20 minuti riposandomi o passeggiando, posso
compiere anche per alcune settimane di seguito un lavoro pro-
fìcuo di otto o nove ore al giorno. Se mi abbandono inavverten-
temente alla foga del lavoro dalle 7 alle 11 e mezzo senza ripo-
sarmi, sto meno bene nel pomeriggio e spesso ho male di capo.
Quando copio o trascrivo semplicemente non mi accorgo se
le pause sono lunghe o brevi, e riprendo il lavoro con eguale fa-
cilità. Ma se mi trovo impigliato in qualche capitolo che richieda
un'attenzione più intensa, quando mi riposo più di mezz'ora,
questa pausa troppo lunga nuoce alla continuazione del lavoro.
Mi accorgo nel prendere in mano la penna, che c'è un di-
stacco forte. ì[]redo che tutti più o meno sentono la medesima
differenza anche per il lavoro delle ascensioni.
La fatica delle gambe è pur essa un fenomeno nervoso e ho
già mostrato il nesso intimo che passa fra il lavoro del cervello
e quello delle ascensioni.
La fatica non modifica in modo visibile i muscoli, perchè essa
in fondo è un fenomeno chimico, però succedono nel muscolo
delle alterazioni fisiche apprezzabili quando è stanco.
VI.
Mentre ero a Gressoney ed all'accampamento Indra feci delle
osservazioni intorno ai cambiamenti che presenta la tonicità dei
muscoli nelle ascensioni. Mi servii a tale scopo di uno strumento
al quale diedi il nome di miotonometro. Con questo apparecchio
vidi che i muscoli i quali formano il polpaccio della gamba, si
lasciano allungare più facilmente per un medesimo peso quando
siamo stanchi. Un'ascensione di tre o quattro ore è sufficiente
per modificare la tonicità dei muscoli. Questo è un danno di cui
non ci accorgiamo fino a che V esaurimento delle forze non è
grande: ma il fatto di strascicare i piedi quando siamo molto
stanchi, è in parte dovuto a questo inconveniente. Il sistema ner-
voso agisce su dei muscoli che si lasciano più facilmente disten-
dere dal peso del corpo. La contrazione loro è più lenta e meno
efficace. Ma non posso fermarmi su questo argomento che richie-
derebbe una lunga digressione.
128 FISIOUKSIA dell' COMO SULLE ALPI
Del i-esto rapparcccliii » che adoperai nella spedizione al Moato
l^osa. era quello [irimiiivo da ine presentato al X Congresso iih
teruazionale di medicina a Berlino nel ISOi)^ Dopo, lo migliorala
e il d'ittor Benedicenti se ne pure servito nelle sue'indagini sub
fatica '.
Tutti sanno che le ;ram1ie diventano rigide quando ci fermiamo
troppo a lun;:o durante una marcia. Lagran^e ^ attribuisce tale
rigidità a una diminuzione della circolazione e dice che il saligne
non lava più abbastanza attivamente la libra muscolare quando
il muscolo cessa di conirarsi.
Certo dopr» che cessa il m«> vi mento, si modifica la circolaziODe
del san;;ne e delhi linfa nei muscoli e questo può contribuire
a produrre una coinlizi«»ne meno fisiologica del muscolo, ma io
credo <*ho siano altre le cause le quali producono la sensazione
molesta ciie tutti abbiani'» provato quando dopo una lunga marcia
e dopo aver lasciato pei* un certo tempo in ripolo i muscoli
vogliamo farli nuovamente riuitrarre.
11 piede nella sua p«>sizione di riposo ha il calcagno che sta
più alto delle dita. Basta guardare una persona seduta su di una
tavola e si vede subito nelle gambe penzoloni che la punta del
piede sta più bassa del calcagno. Quando mettiamo il piede in
terra per (camminare e comprimendo la pianta col peso del corpo
teniamo orizzontalmente sul pian») della terra il calcagno eia
punta, si tendono i niusc<»li nella parte posteriore della gamba.
Ho misurato la forza rbe occorre |»erclic la pianta del piede fac-
cia un aijpilo retto colla verticale del corpo. Sono necessari 11 chi-
logrannni api»licati al tendine di Aciiille. Questo peso che dob-
biamo suppori'e agisca tendendo il muscolo tutte le volte che il
corpo poggia su di una gamba, produce la tensione molesta die
sentiamo nella così detta rigidità delle gambe. Nei muscoli ab-
bianì<.» dei nervi sensibili. I dolori rha proviamo nel reumatismo
muscolare proveiig<nio dalla ccritazitìiie morbosa di questi neni
(luando niottcìido in teri'a la ;:amba. stìrianir» i muscoli del poi-
|)accio.
K probabile che nel riposo il muscolo diventi edematoso. Molte
l)ersoiie alzandosi al mattino hanno sentito le mani piene, come
' A. Mnv-n. Vi'rhnnflbinifrn '/' > -V intcnmtioìidìeìì wt'fUriui^thcn Conffrtstsf».
r.i'vMìì. ]siH.. IM. 11, Abth. II. pair. H>.
- A. !>ln--.». Ih'-in'i/fiioo 'l'uH mìfittonomì'tre po'n' rtmìier la ionicUé des mn-
f<4Ìf'<; ,he: lltnìHìuf, Archi v».'S italionnus dt» Jìioloj^ie, Tome XXV, pag. 349,
' A. lli.M.hK j.Mi, La toni' itr deff inufulcs etudire rhe: ì'htmnìe. Ibidem, p. 38.'*.
* r. i.AMiANGK. Phi/siulnf/ic dcìi ejarìics dn cot-jis. 1888, pag. 103.
130 FISIOLOGIA DELL^UOMO SULLB ALPI
più grosse, oppure avevano gli occhi e le palpebre leggermente
gonfi. È un fenomeno simile che secondo ogni probabilità si pro-
duce nel muscolo dopo che ha lavorato intensamente.
Ma bisogna prima dimostrare che i muscoli sono edematosi.
Io non riio visto, ma ecco perchè ritengo molto probabile tale
supposizione.
11 soldato Chamois partito di buon'ora da Gressoney S. Gio-
vanni, arrivò airaccampamento Indra dopo quattro ore di marcia.
Appena giunto lo feci sedere su di una tavola colle gambe pen-
zoloni. La gamba destra lasciai che pendesse naturalmente. Sotto
la sinistra misi la tavoletta del miotonometro che teneva alzata
la punta del piede quanto circa si può sollevare la punta delle
dita con un moto volontario.
Dopo 40 minuti che il piede sinistro era in questa posizione
levai il miotonometro clie teneva sollevato il piede, pia la punta
del piede non tornò subito alla sua posizione naturale. Per oltre
dieci minuti la punta del piede a sinistra rimase più alta che a
destra. Questo prova che Telastlcità dei muscoli si era modificata,
e che dopo la fatica il muscolo prende una consistenza pastosa
che non ha quando è riposato.
Camminando (dopo levato lo strumento), questa persona di-
ceva che la rigidità era maggiore nel lato destro, cioè nella gamba
lasciata in riposo, senza farle nulla. Questo lo spiego pensando
che la trazione doveva essere più forte in questo muscolo dive-
nuto edematoso e gonfio in una posizione diversa da quella che
prende poi il piede quando poggia camminando. I nervi sensibili
del muscolo venivano eccitati dolorosamente in questo lato per-
chè ciui la deformazione che doveva subire il muscolo onde il
piede stesse in posizione orizzontale era maggiore.
Non basta però il solo edema per spiegare questi fenomeni.
La sensibilità dei nervi cresce nei muscoli dopo la fatica : questo
assai meglio che nelle persone robuste appare evidente in chi.
divenuto debole in seguito ad una malattia, torna a servirsi dei
nmscoH dopo un lungo riposo.
Riferisco una osservazione fatta sopra sé stesso dal profes-
sore Forlaniiii direttore della clinica propedeutica di Torino.
'' Nel 1881 ebbi una pleui'ite con versamento nel lato sinistro.
Mi vennero praticate due toracentesi alla distanza di dieci giorni
r una dall' altra, estraendo quattro litri e mezzo di liquido. La
febbre durò a lungo dopo Tevacuazione e pure la convalescenza
fu lunga.
'' Andai in montagna ai primi di luglio e la febbre mi durò an-
cora parecchi giorni. Alla fine di luglio feci un'ascensione: par-
tilo da 1200 metri andai a 3000 metri. Fu una gita faticosissima
per me: massime in principio, ero costretto a sedermi e spesso
a coricarmi, percliè non potevo star dritto, avevo {gravissima
dispnea e cardìopalmo. Oltre i 2000 metri queste difficoltà sce-
marono notevolmente. A questo modo camminai dalle sei del mat-
linn alle otto di sera con due fermate per la colazione ed il pranzo.
" Ritornato ero stanchissimo: volli prendere un bagno e questo
non essendo pronto mi sdraiai sul mio lotto tranquillissimo aspet-
tando. Quando dieci minuti dopo il bagno fu pronto non potei più
alzarmi. Avevo l'impressione come se i muscoli delie estremità
inferiori fossero in uno stato di rigidità pastosa; anche i muscoli
de! tronco e delle braccia erano indolenziti. Ogni movimento mu-
scolare, lo stirare, il pigiare anche dolcemente un muscolo, era
dolorosissimo. Mi feci aiutare da due persone per svestirmi, im-
piegando multo tempo hi tale operazione e soffrendo molto.
"Dormii subito e passai una notte tranquilla, al mattino tutto
era scomparso e persisteva un'addolenzatura come quella che si
prova di solito dopo tnia lunga passeggiata in montagna. „
Il massaggio ben fatto dopo una marcia, impedisce nei mu-
scoli la comparsa dt'l dolori che i francesi chiamano courbature.
Questo prova die l'arrembatura è un fenomeno periferico: per
guarirla basta spremere bene i muscoli e provvedere col movi-
mento passivo, che si mantenga in essi un'abbondante circola- .
zione del sangue e della linfa. Il professore Maggiora fece nel
mio Laboratorio due studi intorno all'azione fisiologica del mas
saggio e non mi fermo più a lungo su questo argomento'.
^^f La materia clic devo trattare è cosi complessa che ho rinun-
ciato alla speranza di procedere con ordine. Nò sarebbe possibile
scegliere una funzione e studiarla senza guardare quale sia il
contatto suo, e il rapporto colle altre funzioni dell'organismo.
Siccome l'ambiente alpino esercita un'influenza grande sull'or-
franismo, voglio fare un breve cenno dei luoghi die furono la
nostra dimora sui flanclii del Monte Rosa.
' A. M>noioKA. De l'action phjuiologique dit maumge tur Uè mwcle» dt
FhoMmt. Arcbires iuiiennes de Biologie, Tome XVI, 930. — Influaue du mai- ^
I tur la conlraelion muaculaire. Iliilfm. Tomo Xm. pag. 231.
VII.
183 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLV ALPI
La prima serie di osservazioni a Torino aveva durato circa
un mese. 11 giorno 18 luglio 1894 piantammo la tenda del Labe-
ratorio a Gressoney la Trinità sulle sponde del Lys, pcKX) lontano
dall'albergo Tliedy; e cominciammo la seconda serie che era
per me tanto più interessante perchè non m'ero mai trovato ad
avere per Laboratorio una baracca di tela, piantata nel mezzo di
un prato airaltezza di 1G27 metri. In pochi giorni ci addestrammo
a tirar fuori dalle casse e a rimettere in posto gli apparecchi dopo
essercene serviti. Studiammo la quantità dell'alia respirata, la
forma del i*espiro, l'acido carbonico eliminato, la pressioue del
sangue, la forza dei muscoli, ecc. Al mattino, prima che i soldati
si alzassero da letto, si prendeva nota per ciascuno della tempe-
ratura, del polso e del respiro.
Dopo una settimana, cioè il 25 luglio, caricammo il bagaglio
sopra cinque muli e andammo a piantare laccampamento a ladra
lasciando all'albergo Tlicdy in deposito le provviste e le cose che
avremmo inandato a prendere più tardi a misura che ne venisse
il bisogno.
La località che scegliemmo trovasi a circa 2515 metri, poco
lontano dai ruderi di un mulino, che una volta serviva per le mi-
niere d'oro. La temperatura specialmente nella notte scendeva
molto ì)asso, tanto che l'acqua gelava e al mattino nei secclii
si trovava il ghiaccio spesso 2 o i\ centimetri, e i pascoli coperti
di brina.
A Gressoney avevamo costrutta una cassetta traforata e nera
internamente fissa ad un palo alto un metro e mezzo che ser-
viva per proteggere un termometro dal sole e misurare la tem-
l)eratura dell'aria. Abbiamo continuato regolarmente durante tutto
il soggiorno sul Monte Hosa a fare <iueste osservazioni. La parte
loro più importante è riferita in fondo al volume. Qui basta ricor-
dare clic il massimo della teinperatui'a da noi osservato ad Indra
fu ir alle ore 3 poni, del 27 luglio. «
Una caratteristica del clima alpino che venne già notata dai
meteorologi * è la rapida elevazione della temperatura che suc-
cede al mattino.
In un'ora la temperatura può crescere di i(f. La terra si raf-
fredda molto nella notte, perchè Tarla è più secca e meno densa.
Al mattino il fondo della valle rimane nell'ombra fino a che il
sole è già in alto suirorizzonte; i raggi che scendono più verti-
cali al mattino riscaldano più rapidamente la terra e l'aria am-
^ I. Vallot, Annales de VObservatoire méUoroIoyique du Mont-Blanc. Paris,
1893, p. 20.
134 FISIOLOOIÀ DVLL^UOMO SULLE ALPI
biente. Queste differenze vanno scomparendo a misura che uno
si solleva dal fondo delle valli, e sulla vetta del Monte Rosa ve-
dremo ridursi ad un minimo di pochi gradi le variazioni diurne
della temperatura.
Il 31 luglio si trasportò coi muli tutto il bagaglio presso la Ca-
panna Linty, e si piantarono le tende, a 3047 metri, dove era stato
Tanno prima T accampamento della Regina, quando S. M. fece
Tascensione del Monte Rosa. Nella figura qui annessa si vedono
le nostre tende. Il dottor Abelli dormiva nella baracca del La-
boratorio, ed i soldati avevano una tenda poco lontano dal luogo
che aveva servito di cucina e di alloggio per il seguito della Re-
gina. La figura clie rappresenta la piramide Vincent nel secondo
capitolo mostra questo piano roccioso, guardando verso i ghiac-
ciai deirindren e del Garstelet. A pochi metri dall'accampamento,
la neve accumulata fra le roccie serviva per darci V acqua.
La notte che arrivammo, il dottor Abelli soffri di emicrania,
ed ebbe anche vomito. Furono i primi sintomi del male di mon-
tagna clie apparvero, e dopo egli non ebbe a soffrire più nulla.
Il tempo, die era stato prima capriccioso, si era fatto bello, e
ci aiutava ad installarci bene. I raggi caldi del sole ci consolavano
in mezzo alla natura deserta, dove era scomparsa ogni traccia
di vegetazione. Il ghiacciaio del Garstelet e i torrenti rumoreg-
giavano intorno. Alle 10 si staccò una valanga immensa che usci
burrascosa come un' onda spumante dalla fronte del ghiacciaio,
e dietro lei soUevossi in alto una nube candidissima. Era una
vita nuova per noi, e spesso ognuno interrompeva il lavoro per
contemplare Timmaiie cascata del gliiacciaio, coi suoi abissi e le
sue creste vacillanti e le pareti liscie di ghiaccio che riflettono i
raggi del sole e i ruscelli biancheggianti che escono alla base
dalle caverne azzurre.
Il 2 agosto il tempo fu pessimo. Verso sera scoppiò un tem-
porale con grandine. La notte continuò a nevicare, e il giorno
dopo a piovere. L'acqua di un torrentello innondò il Laboratorio,
attraversandolo nel mezzo. Fumino obbligati a sgomberare la
tenda e trasportare altrove gli strumenti e le provviste. Le nostre
tende resistettero bene al vento ed alla neve. Avevamo portato
<'on noi delle tele cerate impermeabili che formavano il pavimento
(li ciascuna tenda, e su di esse stavano i letti da campo.
4 a^^osto. Il tempo è ritornato bello. Alle ore 2 pom. il termo-
metro nella mia tenda segna 19'\5.
Avevo portato con me dei libri per tema che mi prendesse la
noia, ma le ore fuggivano inavvertite. I giorni passati negli ac-
campamenti lasciarono una dolce ricordanza come di un benes-
sere nuovo. Fu un tempo della mia vita pieno di emozioni iiief-
rubili, nel quale mi sentii dominato dalla iulluenza poetica del- '
l'ambiente, soggiosato dal sentimento religioso della natura.
La sera mi sedevo stanco davanti alta tenda a guardare l:i
luce gialla verso il tramonto, e le nubi di porpora, e gii ultimi
raggi die indoravano la piramide Vincent. Lontano sulla pianura
si era gifi steso il velo grigio della notte, e potevo a stento per- i
suadermi die mi trovavo su quel monte die la sera troneggia
infuocato sopra la linea azzurra del ciclo, che mi trovavo su
quella massa immensa dì ghiacci, donde il sole manda l'ultimo
saluto all'Italia, quando si spegne 11 giorno.
Poi d'uu tratto la notte dominava ogni cosa. Le stelle scintil- i
lauti rendevano più solenni e più fredde le tenebre. La natura
sembrava più inesplicabile e più grande in quei sovrumani silenzi.
^
Nel capitolo secondo avrete osservato una Figura che rappre-
senta la piramide Vincent; u sinistra sull'orizzonte si vede una
creala nera in mezzo ai ghiacci. Su quella roccia venne costruita,
a 3U-20 metri, la Capanna Gniretti dalla Sezione di Varallo del Club
Alpino. Una costa del monte spiccandosi dall'accampamento presso
la Capanna Linty nella direzione della piramide Vincent divide il
gliiacdaio del Lys da quelio del Garslelet. Cainminandn in tale
direzione, dopo due ore si giunge alla Capanna Gnifettl ', La via
è facile, ma faticosa, perchè prima di arrivare sul ghiacciaio si
devono attraversare dei nevai, degli sfasciumi di rocde assai
ineguali. Una fotografia che ho riprodotta in fondo al volume
rappresenta la nostra carovana quando scese dal Monte Rosa.
lii tale disegno si vedo il ghiacciaio del Garstelet che si stendo
sotto la Capanna Gnifetli dopo avere avvolto i fianchi della pi-
ramide Vincent. È un immenso piano inclinato di ghiaccio, con
superficie uniforme e senza crepacci,
Riprodussi una fotografia delia piccola e della grande Capanna
Gnirettì come erano nel 1804. Adesso esiste una capanna più
grande e più comoda, lunga 11 metri, composta di quattro ca-
mere che comunicano fra loro.
■ QueaW nome fu dato alla capanna per ricordare il parroco di Alagna, don Dia
▼sani Onifetti. che nel 184il auU por il primo lalU Tetta dorè or* sorge 1a Ck-
^^SA Regina Margliee
*
I
amie Oiiìfuttì (ullitudìno 3(ì20 n.). .
1 portatori nel giorno t agosto trjisportarono la ihà^ioFp
degli slrumeiili nelle due c^ipaiiiie. 11 giorno 5, co» mio fratello e
Uizzozero. adattammo lu cupanna piccola ad uso di Lalioratorit^
Disgra/iatameiite era solo larga 2 metri e lunga 3, ma si jirovavaj
- La Capanna Gni/'etti k ìa Capai
un grande sollievo a trovarci più i-iparati che sotto le tende. Poco
per volta ci eravamo assuefatti al freddo e al gelo negli accam-
pamenti, ma quando potemmo finalmente scaldarci attorno alla '
stufa ci parve uno sfoggio di ricchezza e di benessere tale i
UoUD. Tititloffia drlruvno rullf Alpi. If«
138 FISIOLOGIA DELL* UOMO SULLB ALPI
farci credere che fosse passato il tempo pejrgiore della nostra spe-
dizione. Anche qui però fummo molestati dalla neve, come appare
dalla figura die rappreseiìta la piccola capanna trasformata in
Laboratorio.
IX.
Il 9 agosto insieme a Bizzozero, colla guida Simon, 1
lachini e Sarteur e due portatori, mi recai alla Capanna R^
Marglierìta. Nel giorno successivo venne su mio fratello con id-
tra parte della carovana, e nel terzo giorno arrivò il dottor AhM
•colla retroguardia e le provviste.
Il sentiero che dalla Capanna Gnifetti conduce alle vette del
Monte Rosa è nel principio alquanto ripido. Giunti alle falde della
piramide Vincent si stende un piano, e dopo una ripida salita
di circa 000 metri si arriva al Colle del Lvs, donde scende il vai-
Ione del Grenz. In fondo appaiono il ghiacciaio del Górner e le
vette stupende di Zermatt, dominate dal Cervino. A sinistra si
alzano temibili le roccie brune del Lyskamm. Poco più innanzi
si stende V immenso piano di ghiaccio sul quale troneggiano le
vette del Monte Rosa.
Il dislivello dalla Capanna Gnifetti a quella Regina Margherita
è minore di mille metri, e vi sono quattro ore di marcia. In nes-
suna parte delle Alpi si ha uno spettacolo più grandioso di neve
e di ghiacci. La figura (presa da una fotografia di Vittorio Sella)
che rappresenta la punta Parrot vista dal pianoro superiore del
Lysjoch ci dà un'idea di questo paesaggio sublime che rivaleggia
^:olla sua imponenza colle regioni polari. Qui di fronte si presenta
hi Capanna Regina Margherita quale si vede dalla parte Svizzera,
<;he vi dà accesso.
Arrivandovi, pensavo che era stato Alessandro Sella il più
<^aldo i)ropugnatore della costruzione di questa Capanna che do-
veva pure servire alla scienza; pensavo a suo padre Quintino
Sella, il fondatore del Club Alpino Italiano che mi aveva iniziato
allo studio delle Alpi e provavo un sentimento di gratitudine per
<iuesta famiglia tanto benemerita della patria.
La Capanna Regina Margherita fu l'opera più ardita che vanti
il Clulj Alpino Italiano; con essa fu compendiata in modo de-
gno deir Italia l'opera di mezzo secolo consacrato alla conquista
delle Alpi.
Capitolo Ottavo.
La nutrizione e il digiuno.
Un'ascensione fatta da Fick e da Wislicenus sul Faulhom. Tu
quella che modificò te idee dei fisiologi intorno all'origine della
forza nei muscoli, ed al valore cliimico della nutrizione.
Giusto LiebiR aveva diviso gli alimenti in alimenti respiratori, o
produttori di calore, perchè da! loro abbruciameiito, secondo lui, si
svolgeva calore; ed in alimenti plastici (quali sono l'albumina, ta
caseina, e le altre sostaiize le quali contengono a;^otoj, die egli
credeva servissero a formare i muscoli ed ì tessuti. Questa dottrina
140 LA FISIOLOGIA DBLL* UOMO BULLI ALPI
nismo, era tanto facile che venne accettata da tutti. Quando leg-
giamo le lettere chimiche di Giusto Liebig ^ restiamo ancora adesso
meravigliati del talento letterario col quale seppe volgarizzare le
sue grandi scoperte.
Disgraziatamente l'origine della forza e del calore nel nostro
organismo non è tanto semplice quanto Liebig credette.
Nel 1865 Fick e Wislicenus fecero un'ascensione per decidere
se la dottrina del Liebig era vera. Ammesso che la forza dei
muscoli fosse dovuta esclusivamente alla combustione della loro
sostanza, l'azoto .dei muscoli avrebbe dovuto passare nell'orina e
produrre un aumento di urea.
Partirono dal lago di Brieg e salirono sul Faulhorn che sorge
a 195(> metri sul livello del lago. Durante l'ascensione e nelle 12 ore
precedenti non presero alcun alimento clie contenesse azoto, li-
mitandosi a nutrirsi con amido, grasso e zucchero. Essi racco-
glievano Torina durante le sei ore d'ascensione e nelle sei ore
successive, e determinarono quanto azoto fosse contenuto in essa.
Fick e Wislicenus videro clie la distruzione dell'albumina suc-
ceduta nel loro corpo durante questa ascensione era tanto piccola,
da non potersi considerare come la causa del lavoro meccanico
compiuto.
Probabilmente questo non è più vero quando si fa una grande
ascensione, percliè come ho già mostrato in un altro mio scritto
la fisiologia dell' uomo aiTaticato ù diversa dalla fisiologia del-
l'uomo sano.
Zuntz il quale si occupò molto di questo problema disse re-
centemente : ^' Quando il lavoro è molto intenso e l'organismo
p:iunge agli ultimi limiti nella estrinsecazione della sua forza e
specialmente quando la respirazione non ò completa e sufficiente,
allora compare una distruzione di corpi albuminosi assai più
copiosa. „
II.
Il dottor Paccard e la guida Balmat quando partirono per la
prima salita sul Monte Bianco, non portarono quasi provvigioni
con loro: avevano solo il bastone ferrato e due coperte di lana.
Ilo fatto (ielle ascensioni digiuno; in altre ho mangiato e non
mi accorsi di una differenza nella stanchezza. Quando salii d'hi-
1 JcsTcs Ton LiKBio, Chemische Briefe. 6 Auflage, p. 256.
verno sulla piramide Vincent, mi riempii una tasca con prugne :
secclie e non mangiai altro in tutta la giornata. Quel sapore dolce-
agro mi piaceva e il nocciolo mi levava la sete procurandomi ]
una secrezione della saliva col tenerlo in bocca.
È divenuta oramai popolare l' idea che il nostro coi'po possa
paragonai-si ad una locomotiva, la quale col carbone die brucia
e il vapore dell'acqua riscaldata, genera lavoro meccanico.
Il tender che ha la provvista del carbone, rappresenta il ma-
teriale nutritivo immagazzinato nel nostro corpo per alimentare
il lavoro dei muscoli. Esaminerò meglio questa similitudine nel
capitolo successivo: qui avverto solo che il tender della nostra
macchina non può caricarsi poche ore prima della partenza, ma
deve aver pronte le sue provviste almeno -2-t ore prima, e du-
rante il viaggio non si può mettere combustibile nel tender. In altre
parole nel giorno di un'ascensione noi lavoriamo colla forza ac-
cumulata nei giorni precedenti.
II grande fisico Tyndall, quando riuscì per il primo a toccare una
delle vette del Cervino, nel momento supremo e trionfale di una
lotta che aveva duralo otto anni, prese un po' di cibo, più per
forza della ragione clie non per il bisiigno che ne sentisse'.
" C'est là un fait quj prouve quelle quantité eonsidérable de
force est mise en riserve dans les muscles et combien on pcut
en user loiigtemps sans la reiiouveler. Je quitta! l'Angleterro
malade, et quand .j'attaquai le Cervin le mal n'avait pas encore
còde. Le jour précédent j'avais à peine pris quelque nourriture.
et en quittant la cabane une demi-tasse de mauvais thò sans
rien de solide constitua seulc mon déjeuner. Néanmoins, pendant
les cinq heures que dura la monlée. depuis la butte jusqu'au
sommet du Cervin. quoique bien au-dessous de moi méme, phy-
siqueinent et moralement. je ne ressentls ni faim, ni faiblesse;
depuis longlemps j'en ai l'alt i'expórieiice sur les montagnes. „
III.
! sostanze alimentari che prendiamo per bocca divengono
materia viva del corpo. Come si faccia questa assimilazione.
come dagli alimenti che abbiamo digerito le cellule traggano ì
proprii materiali, è un mistero. La meraviglia nostra ò tant(t
maggiore quando vediamo che dai cibi i più diversi, se ne trae
$ Monfagnes, p. 340.
vili. — La nutrizione e il digiuno 143
la materia per il cervello, i muscoli e la sterminata varietà degli
elementi 1 quali costituiscono Tessere vivo.
I mutamenti che succedono nella forza nostra quando lavo-
riamo senza mangiare, sono un argomento che tiene viva Tatten-
zione dei fisiologi. Poiché non vi è speranza per ora di cono-
scere come si compia V assimilazione, vorremo almeno determi-
nare il tempo che occorre perchè si compia questo fenomeno. Le
prime ricerche le feci insieme al professor Maggiora per mezzo
deirergografo e si trovò che egli era molto sensibile alla man-
canza del cibo. La resistenza al lavoro dei suoi muscoli dimi-
nuiva rapidamente, nel digiuno, e rapidamente ritornava allo stato
normale colla nutrizione.
Non riferisco per brevità le ricerche intorno aW Infìuerua del
digiuno e del nutrimento sulla fatica muscolare, che il prof. Mag-
giora stampò nelle Memorie dell'Accademia dei Lincei Tanno 1888,
e nel mio giornale ^
Viaggiando in molte persone soggette allo stesso regime, se
qualche volta deve ritardare molto Torà del pasto è facile accor-
gersi delle differenze individuali profonde che esistono nella resi-
stenza al digiuno. Però malgrado gli scritti numerosi che vennero
pubblicati su tale argomento non conosciamo la causa di queste
varianti personali. Il dottor G. Manca, fece nel mio Laboratorio
uno studio in proposito 2. Qui posso appena ricordarlo percliè il
problema è troppo complesso.
Le curve che otteniamo colTergografo ci danno un'idea par-
ziale della fatica mancando in esse l'esercizio prolungato che
modifica il cuore ed il respiro. Mi auguro che altri fisiologi pos-
sano fare presto uno studio più completo dell'influenza che ha il
digiuno nelle ascensioni.
Una sola cosa voglio accennare che a primo aspetto sembra un
paradosso. Alcune persone digiunando completamente un giorno,
o due, possono divenire più forti. Questo è un eiTetto nervoso
strano il quale dimostra che pel digiuno la forza diminuisce solo
in alcuni, in altri si produce un eccitamento morboso che accresce
momentaneamente il vigore. Tale è la spiegazione della resi-
stenza osservata in molti i quah dopo aver digiunato 24 ore, cam-
minando furono meravigliati di sentirsi meno deboli di quanto
avrebbero creduto.
^ A. Maogioba, Archives italiennes de Biologie, Tome Xin, p. 226.
* G. ÌIanca, Influence du jeune sur la force musculaire, Archives italiennes
de Biologie, Tome XXI, p. 22 L
Fig. 40 — D tt l IL* — Ira iati se itti o
A) Fatica normale. — li) Patita .lo|jo 41 ore di i
era digiuno, senza che vi fosse un accenno a diminuire e ctò non
era succeduto nello stato normale.
Il dottor Colla sollevò 3 chilogrammi col dito medio della mano
sinistra ogni 2 secondi e scrisse il tracciato normale A della
tigura 40.
Dopo aver digiunato completamente per lo spazio di il ore.
scrisse il tracciato B come prima, nella figura 40. Anche qui ap-
pare un aumento della forza nel principio e sul fine della curva.
Questi tracciati furono riilottl di '/» col fotografarli per la ziiico-
tipta.
1 primi sintomi della fame sono i più dolorosi, dopo scompaiono.
ed uno sta meglio dopo 24 ore che digiuna, che non dopo le
prime 12 ore.
Lo stomaco fra tutti gli organi del corpo è forse quello che
presenta le maggiori varianti nelle sue funzioni. Per cavarcela e
non dover confessare la nostra ignoranza 'diciamo che lo sto-
maco è un organo capriccioso. Ma questi son discorsi che fac-
ciamo ai malati. Per li fisiologo non possono esistere dei capricci.
Ogni cosa ha la sua ragione, ogni fenomeno è 1' elTetto di una
causa. Ma siccome queste cause non le conosciamo, cosi dob-
biamo rassegnarci e guardar questi fenomeni come il bel tempo
e il cattivo tempo dei quali non conosciamo ancora bene le cause,
benché siamo certi che vi sono.
Tutti sanno che uomini sanissimi e robusti mangiano in modo
afTatto diverso, e ciò che ad uno piace ad un altro fa male. In
Senerale noi mangiamo troppo, molto più di quanto occorra, ma
abituati come siamo a sentirci meglio dopo aver mangiato, la di-
latazione dello stomaco finisce col diventare un fattore del no-
stro benessere.
Gli irlandesi che si nutrono specialmente con patate non pos-
sono levai-si l'appetito colla carne quando vanno a lavorare in
inghilteiTa. Questa è una sensazione nervosa dello stomaco che
b credere non sia pieno, perchè prima era troppo dilatato. Nelle
carestie si vedono intere popolazioni mangiare delle sostanze che
cei-to non sono nutrienti, e che pure calmano il senso molesto
della fame, perchè distendono meccanicamente lo stomaco. Suc-
cede lo stesso nelle persone nervose che di quando in quando
sentono il bisogno dì mangiare.
Lo stomaco oltre che per i suoi nervi e la funzione sua della
digestione è un organo importante per la circolazione del sangue.
Molti fenomeni che si attribuiscono alla digestione dipendono in-
vece da una differente distribuzione del sangue nelle parti interne
J^ corpo. Per dimoslrarlo riferisco una sola esperienza che certo
>, ritiolosia lUn'uama $'4lli Alpi. U
molti hanno fatta. Quando capita di fumare uii sigaro ti-oppo 11
ci sentiamo male. Parlo dei fumatori di mezza forza come souo
io. Viene qualche volta mi po' di nausea e di cai>Oiiìro. Se uno
beve un biccUiere d'acqua fresca questo malessere scompare im-
mediatamente. Secondo me questo é un fenomeno puramente %'a-
sale. Sono i vasi dello stomaco e delle intestina che contraendosi
producono un aumento delta pressione sanguigna, tnratti ho pro-
vato collo sfìi^monianometro che fumando un sigaro forte, quando
URO più non si sente bene, diminuisce la pressinne del sangue;
e che questa cresce immediatamente bevendo un bicchiere d'acqua
fresca.
Anche bevendo un bicchierino di cognac ho veduto crescere
per pochi minuti ]a pressione de) sangue- Il sentimento di l>eues-
sere momentaneo che provano alcuni servendosi degli aloooUcl
sarebbe dunque un fenomeno riflesso, cioè una conlraztono dei
'. 41. — Prof. Albertotti,
). — Bj Polso aubilo dopo
vasi sanguigni la quale aumentando per pochi minuti lu pres-
sione del sangue ci fa star meglio. 1 boccetlini che contengono
dell'aceto profiunato, l'uso comune di far fiutare l'ammoniaca ad
una persona che non si senta bene od abbia avuto uiio sveni-
mento. Iianno una ragione fisiologica identica.
L'influenza che il cibo esercita sul polso l'avevo gl& studiali
in uno dei primi lavori che ho fatto >. Ricordo questi studi sul
polso perche si collegano strettamente coll'argomento che ora sto
trattando. Studiando il polso dell'antibraccio coll'idrosfìgmografo
vidi che i tracciati scritti dopo colazione erano tutti diversi da
quelh che scriveva a digiuno il mattino.
1 due tracciati qui uniti (ffg. 41), rappresentano il polso del
professor Albertotli alle 11, e l'altro il polso scritto alle 2 dopo
' A. Mosao, Sullt v
Torino, novumbre 1877.
i locali lìti polso. R. Accademia delle scienze di
' La nulrUioiu e il digùn
colazione. La fre(|uenza del polso che a digiuno era 68 al minuto,
nel secondo tracciato fu di 8*j.
Basta questo per dimostrare che una colazione anche leggera
esercita una inHuenza sul cuore e sul tono dei vasi sanguigni.
Il tracciato A nella figura 42 riproduce il polso del prof. Pa-
gliani prima della colazione. Quello B il polso dopo la colazione
che ^ fece insieme nel Laboratorio, per evitare il dubbio che
camminando potesse variare il polso.
Il mutamento clie produce il cibo nella Torma del polso è si-
mile a quello che produce la fatica. Tale rassomiglianza sor-
prende, perchè a primo aspetto pare che dovrebbe succedere l'in-
verso. Paragonando ì tracciati 41 B e 42 B scritti dopo la cola-
zione, con quello scritto sopra di me dopo aver salito digiuno
sulla Piramide Vincent (che ho riferito a pagina 63. figura 25)
si vede che in entrambi i casi le pulsazioni diveiilarorio più alte.
- Bi l'also subito do[>i)
e comparve verso il mezzo della linea discendente una eleva-
zione secondaria, che chiamasi dicrotica. Come la fatica dilata
i vasi sanguigni nei muscoli e produce un'anemia relativa, per
mezzo della congestione di questi organi, cosi nella digestione,
afRuendo più copioso il sangue allo stomaco ed allo intestina s!
produce nel medesimo modo una deviazione di sangue, e si ot-
tiene lo stesso effetto sul polso.
Questo ó un lato del meccanesìmo col quale può spiegarsi la
rassomiglianza del polso nella digestione e nella fatica; ma il
problema è più complesso, perchè i prodotti delie sostanze dige-
rite generano effetti simili a quelli della fatica, quando penetrano
nei sangue. Più che tutto sono i fenomeni nervosi quelli che mo-
dificano la circolazione del sangue. Infatti le variazioni nel polso
come quelle dell'aumento nella forza dei muscoli osservale nel
professor Maggiora compaiono subito, appena mangiato, prima
} abbiano tempo di assorbirsi i liquidi e le sostanze introdotte
148 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLB ALPI
nello stomaco. Questo fa credere che si tratti qui dì un feno-
meno essenzialmente nervoso, e di un mutamento della circola-
zione sanguigna che modifica la sensazione di benessere o di
malessere del nostro corpo, senza che vi sia una modificazione
chimica e di nutrizione dei tessuti.
La fatica basta di per sé ad alterare la funzione dello stomaco.
11 prof. Lauder Brunton in un lavoro suo pregevolissimo intorno
ai disordini della digestione^ scrisse queste parole: "Vi sono
degli uomini male guidati nelle loro abitudini, i quali credono che
dopo una giornata di duro lavoro, faccia loro bene l'esercizio, e
invece di riposarsi quando hanno un po' di tempo libero, fanno
una passeggiata di tre o quattro miglia, oppure vanno a fare una
lunga corsa in bicicletta prima del pranzo. La conseguenza di
questo è che associando lo strapazzo del cervello a quello dei mu-
scoli, si guastano la digestione e si ammalano. ^
Zsigmondy dice che " nel maggior numero dei casi il male di
montagna è prodotto unicamente dall'imbarazzo gastrico, perché
il tourista arrivato dalla città non si è ancora abituato al regime
alimentare della montagna *. „
• Questa opinione del Zsigmondy clie è divisa dalla maggioranza
degli alpinisti andrà poco per volta modificandosi a misura che
le gare e i records in bicicletta renderanno più comune la cono-
scenza che i disturbi di stomaco, le nausee ed il vomito si pro-
ducono anche nella pianura, dopo sei o sette ore di corsa. La
fatica è la causa di questi inconvenienti, ed è inutile avvertire
che non tutte le persone soffrono egualmente per la fatica.
Il dottor I. Salvioli fece nel mio Laboratorio una serie di ricerche
intorno airinfluenza che la fatica esercita sulla digestione ^
Da questo studio risultò: — Che la fatica produce una diminu-
zione nella quantità del succo gastrico; — che il succo gastrico
secreto perde molto del suo potere digerente; — che le sostanze
alimentari passano dallo stomaco nell'intestino prima di essere
1 T. Lauder Brunton, On disorders of digestione iheir consequences and treat-
ment. London, 1886, pag. 66.
2 E. Zsigmondy, Les dangeì's dans la montagne. 1886, pag. 180.
3 I. Salvioli, Influence de la fatigue sur la digestion stomacale, Archives
italiennes de Biologie, Tome XVII, pag. 249.
- La imtri:iorie e U digiuno
digerite. E dunque tutta una serie di alterazioni che la fatica prò- .
duco nello stomaco, e recentemente Colin confermava che il moto .
faticoso riesce nocivo alla digestione '.
Non bisogna dunque fidarsi delle guide e tanto meno delle
guide svizzere die sono abituate a mangiare ogni tre oi-e. Si deve
mangiare solo quando uno ha fame e non guardare cosa fanno
gli altri. Sopra tutto non lasciarsi incoraggiare dalle guide a bere
tropjHj. Per le guide è una festa trovare i liquori ed il vino in
abt>ondanza. Zsigmondy che fu un grande conoscitore delle guide
lasciò questo avvertimento nei suoi scritti :
•' Credo clie l'alcool entri come un fattore negli accidenti che
si deplorano sulle montagne. 11 benessere che produce l'alcool
ha un eflctto brevissimo. La patata che si mangia dà più calore
e più forza che l'alcool che da essa si distilla'. „
Il male di montagna lo trovai in persone che avevano lo sto-
maco completamente vuoto, e che il giorno prima avevano man-
giato con buon appetito. Quando ero alla Capanna Gnifetti mi
capitò di vedere alcuni clie arrivarono dal Colle d'Oien digiuni e
stavano bene. Andarono fino al Colie del Lys, qui si fermarono
in causa ai disturbi di stomaco ed alla nausea. Tornarono indietro
la sera, mangiarono con noi, e al mattino avendo digerito per-
fettamente partirono allegri per Gressoney.
Non fa bisogno di essere fisiologo per convincersi che la ta-
tica altera la digestione. Per etretto di un'ascensione, o di una
marcia prolungata, diviene minore la quantità dei succhi intesti-
nali che continuamente vengono secreti dalle ghiandole. Se un
freddo intenso non produce disturbi intestinali, generalmente si
soffre stitichezza dopo un'ascensione. Chi fa attenzione s'accorgo
che la durezza maggiore delle feci non dipende da ciò che si fer-
marono più lungo tempo nell'intestino retto, o perchè siasi be-
vuto meno Uquido. Anche senza aver delle conoscenze speciali
sui processi della putrefazione che succedono nel nostro corpo,
siamo spesso avvertiti di uno stato anormale del sistema dige-
rente dall'odore caratteristico e insolito che hanno i gas inte-
stinali.
Si potrebbe credere che la mancanza dell'appetito sia dovuta
alla febbre della fatica, ma non è vero; perchè sul Monte Rosa
ho trovato la temperatura quasi normale in |>er8one che avevano
ribrezzo per il cibo, tanto era grande l'inappetenza.
' CoLM, F. Ueher den Einfiu»» mii»gigtr Kììrpcrbeicegungfi auf ilie Vtrdaunij.
DouiB. Arch. f. kIJn. Mvd. XLllI, i>39, 350.
* Ofora citata, pog. IT9.
150 PI810L06IA dell'uomo SULLB ALPI
VI.
Quanti fecero delle ascensioni, si sono accorti che il gusto sr
altera quando si toccano le vette delle montagne. Il prof. Ulrich
descrivendo la sua ascensione al Monte Rosa fa notare che dopo
una certa altezza bisogna aggiungere maggior quantità di sale
ai cibi perchè questi siano gustosi e propone di portare solo
carne salata od affumicata nelle ascensioni.
Il proverbio dice " dei gusti non se ne disputa „ e dovrei di-
lungarmi troppo se volessi riferire quanto mi hanno raccontato
gli alpinisti. Tutti però sono d'accordo che il gusto cambia, e che
bisogna risvegliarlo e stuzzicarlo con dei sapori piccanti. Anche
questo è un effetto dello strapazzo. Tale cambiamento non lo
provammo nel soggiorno alla Capanna Regina Margherita dove
eravamo bene riposati. Solo in principio alcuni di noi perdettero
l'appetito, e tutti lo riacquistarono quando furono completamente
rimessi ed acclimati.
Questo era già capitato a Saussure nel soggiorno che fece al
Colle del Gigante, dove essendosi fermato sedici giorni disse che
quando arrivarono soffrirono lutti di inappetenza completa, e dopo
digerivano benissimo: ''La faim paraissoit plus inquiétante et
plus impérieuse; maisaussi nous étìons beaucoup plus faciles à
rassassier, et mes digestions paroissoient se faire plus prompte-
ment que dans la plaine „ \
È vero però che si trovavano solo a 3365 metri di altezza dove
un secolo più tardi la Regina d'Italia sorpresa da violenta bufera
dovette passare una notte senza aver provato alcuna sofferenza.
Un anno prima di intraprendere V ascensione al Monte Rosa
mio fratello trovò insieme al dottor Paoletti^ che lo zucchero ha
il potere di aumentare la forza dei muscoli. Le ricerche coir er-
gografo dimostrano che dal nmsoolo affaticato, può ottenersi una
più grande energia bevendo semplicemente una soluzione di zuc-
chero nell'acqua. La dose più favorevole sarebbe di circa una
parte di zuccliero su dicci parti di acqua. Questo potere dinamo-
geno dello zucchero, ci spiega perchò nelle Alpi si faccia in generale
1 Saussure. Voyages dans les Alpes. Tome IV, pag. 318.
^ U. Mosso et L. Paoletti, Tnfluence du sucre sur le iravail des muschi.
Arcliives italiennes de Biologie, Tome XXI, pag. 293.
maggior consumo di miele e di sostanze zucclieriiie che nella
pianura.
Era nel programma dei nostri studi di esaminare l'influenza
dinamogena dello zuccJiero nello ascensioni, e mio fratello fece
parecchie esperienze che rimasero interrotto dal cattivo tempo e
dagli altri lavori sulla chimica della respirazione.
Alessandro Sella che non prendeva mai zucchero, nemmeno
nei cafTiè, lo vidi sulle alpi mangiare zucchero in abbondanza e
niì disse che Taceva lo stesso suo padre, che anclie luì si met-
teva dei pezzi di zucchero in tasca. Questo è un indizio col quale
la natura ci fa sentire la sua voce indicandoci quale debba es-
sere il regime nostro nella fatica, perche non ho visto che suc-
ceda lo stesso per la carne ed i cibi a base di albumina.
Ho qui davanti l'elenco delle casse che servirono alla dispensa
durante la nostra ascensione: esse contenevano le cose ordinarie
che ai adoperano nei viaggi e non c'è nulla di notevole. Avevamo
portato con noi molta pasta di Napoli che mangiammo quasi
ogni giorno: portammo pure del riso e dei legumi secchi, molte
scatole di consei-ve di frutta, di verdura e di biscotti. Net fare il
programma della cucina prima di partire si ebbe cura di evitare
la monotonia dei pranzi, in vista alla diminuzione probabile del-
l'appetito. Siccome era mio intendimeulo di mantenere lo stesso
regime per quanto fosse possibile in alto e in basso, cosi anche
nella Capanna Regina Margherita avenuno sempre la carne fl^
sca. Già all'Alpe Indra, all'altezza di 'i'iir> metri, cominciammo ad
uccidere dei montoni che comperammo dai pastori. Da buoni
piemontesi mangiammo spesso la polenta. Ci avevano detto che
a 40(X) metri non cuoce più bene, ma non è vero. La tempera-
tura dell'ebollizione di 85°, come bolle l'acqua sul Monte Rosa, è
più che sufflciente per cuocerla ottimamente.
Se alcuno credesse che le funzioni dello stomaco a iSfiO metri-
non siano più regolari, dirò ciò che ho mangiato per due volte a
pranzo: una buona porzione di aragosta presa dalle scatole con-
dita con olio e limone e mangiata con tre o quattro fette di po-
lenta arrostita sulle brace. Un po' di carne a lesso, con insalata
<U fagiolhii e cocomeri presi nelle scatole 'delle conserve ali-
mentari. Formaggio e Irutta secca.
Peggio di cosi non potevo fare per mettere a dura prova lo
stomaco. Kppure non ebbi alcun rimoi-so di queste esperienze.
Più lardi, la sera, prendevamo il caffo od il thè mentre i sol-
dati cantavano ed accompagnavano il canto suonando. Credo
abbia giovato molto alla nostra salute il mangiar sempre vivande
_ ^alde. Al mattino appena alzati prendevamo caffè, latte, thè o
^ M
152 FISIOLOGIA DKLL^UOMO SULLE ALPI
cioccolata in abbondanza. Fino alla Capanna Gniretti avemmo
sempre del latte fresco di vacca che ci veniva portato dai pa-
scoli sottostanti; dopo ci servimmo del latte condensato. A mez-
zogiorno e alla sera mangiavamo pure sempre dei cibi caldi.
Ritengo indispensabile sulle Alpi di non sottrarre troppo calore
all'organismo colle bevande e coi cibi freddi.
Il senatore Perazzi che fu uno dei più valenti alpinisti, mi rac-
contava che non soffrì mai il male di montagna. Una sola volta
lo provò al Mont Combin, perchè al mattino prima di partire da
un'alpe, dove aveva passato la notte, non gli fu possibile bere
qualche cosa di caldo.
Il regime che tenemmo (U di mangiare e di bere come al so-
lito e di non cambiare nulla. Ciascuno di noi dirigeva per turno
la cucina: il soldato Marta e Cento sapevano cucinare abbastanza
bene, tanto che io mi abituai a mangiare la carne di montone
alla quale non ero assuefatto, e la digerivo, malgrado che l'odore
suo non mi piacesse.
La prova sicura che la nutrizione era completamente normale
l'abbiamo dalla tabella del peso del corpo di ciascuno. Beno Biz-
zozero aumentò di peso e nessuno di noi è diminuito malgrado
la vita più attiva.
Prima di partire avevo fatto le provviste di combustibili. Un
amico mi aveva raccomandato di prendere del carbone di litan-
trace vergine in formelle, perchè la legna fa troppa cenere. Per
una eguale quantità di calore è vero che la legna costa di più, ed
è meno comoda a portarsi: ma arrivato lassù mi persuasi subita
che la legna è il combustibile più adatto. Nei giorni di tormenta,
come avemmo a soffrire parecchie volte, credo che col carbone
vergine, o col coke, avremmo dovuto spegnere la stufa per non
rimanere asfissiati.
Quanti soffrono il male di montagna diventano estremamente
sensibili agli odori della cucina. Taluni soffrivano in modo tale
che preferivano uscire dalla Capanna mentre noi mangiavamo,
o andavano nelle altre stanze per sottrarsi alla molestia di odori
che per noi, se non erano piacevoli, certo non davano nausea
come a loro.
Non feci ricerche speciali sulla qualità e quantità dei cibi che
sono igienicamente più favorevoli, nella vita alpina e durante le
ascensioni. Come medico devo però accennare al pregiudizio di
alcuni alpinisti i quali credono necessario mangiare molta carne
e cibi grassi per difendersi dal freddo e diventare più forti. Il
solo utile che abbiamo a mangiar carne, è che occorre un mi-
nore volume di alimenti per nutrirci.
vni. — La nutì'izione e il digiuno 163
Che non sia necessario mangiare della carne per essere forti,
lo provano gli operai italiani e specialmente i contadini della
Lombardia, che sono laboriosissimi e non mangiano quasi altro
che polenta.
In Inghilterra ho veduto che le fatiche maggiori nelle fucine
di ferro sono fatte da irlandesi, che non mangiano carne. Uno
dei mestieri più gravi lo fanno i metal carriera. Questi operai sol-
levano pezzi di ferraccio di oltre 60 chilogrammi che spesso sono
ancora caldi. Li afferrano con del cuojo alle mani, e si proteg-
gono con dei grembiali di suola alle ginocchia. Sollevano quSsti
pezzi di ferro in alto, e sbattendoli l'uno sull'altro, o sopra di una
pietra, li infrangono. Ho parlato con questi operai e seppi che il
loro regime è piuttosto di vegetali che di carne.
La conclusione mia è questa che non si deve cambiar regime
quando uno vive sulle alpi. Anche quando uno vuole accingersi
a grandi fatiche è meglio continuare coi cibi ai quali è as-
suefatto.
I viaggiatori dell'Asia centrale riconoscono tutti che i coolies i
quali mangiano solo del riso, sono forti quanto gli europei, e re-
sistono quanto noi al freddo ed all'aria rarefatta del Himalaja.
I Gurkha portano 4 miriagrammi sulle spalle colla medesima fa-
cilità colla quale gli europei ne portano due. Convay fece l'ascen-
sione del Monviso con due gurka ai quali diede 30 chilogrammi
ciascuno: andarono sulla vetta con questo peso, ed uno che li
vide mi disse che salivano tranquillamente senza sudare.
Mosso, Fitiologia deWuamo sulle Alpi. 20
Piano della Capanna Regina Margherita (Scala di fj^,).
Capitolo Nono.
La temperatura del corpo nelle ascensioni.
1.
I flsiolosi avevano supposto che l'enerpia chimica dei muscoli
(a soinitiliaiiza di quanto vediamo succedere nelle macchine a va-
pore e nello macchine a gas) si trasformasse prima in calore e
poi in energia meccanica. Dopo le ricerclie di Plìiìger e ói Fieli
si ammette ora dai più die l'energìa chimica si trasformi diretta-
mente in lavoro meccanico nei muscoli, facendoli contrarre.
Per adoperai-e una parola tecnica (già entrata nell'uso comunei
può dirsi che i muscoli non sono simili ad una macchina termo-
dinamica, ma si ad una macchina cliemoctinamica.
L'energia chimica contenuta negli alimenti si accumula a poco
per volta in seguito della nutrizione nelle cellule nervose, nelle fibre
muscolari e in tutti i tessuti del corpo sotto forma di materia orga-
nizzata, ijuesta energia cldmica che era negli alimenti fatta ma-
teria del nostro corpo, rimane più o meno tempo inerte, allo stato
di potenza assopita (|uasi cliiusa nei tessuti in uno stato di ten-
sione: sotto l'impulso del sistema nervoso e ad un momento vo-
luto, la matcì'ia organica dei muscoli e del cervello stesso si di-
sintegra e dà oi-iginc ad un'attività fisiologica, alla forza dei centri
motori e dei muscoli.
Una parte di questa energia si dissipa sotto forma dì calore e
si dilTondo nell'organismo riscaldandolo. Ma quasi nessuno crede
più che il calore del nostro corpo si trasformi in lavoro mecca-
1 Iilco. Il lavoro fisiologico lascia come residuo il calore; questo
uon è la causa efficiente delle ruitzioni nervose, e muscolari, ma
è l'ultima espressione e dii-ei quasi la fuliggine e la scoria del
lavoTO fisiologico.
Abbiamo due mezzi per studiare le trasformazioni elio succe-
dono nel uoslro corpo durante un'ascensione. Possiamo cioè rac-
cogliere le scorie e le sostanze disintegrate, come facevano Fieli
e Wislìceuus. La materia delle nostre cellule si trasforma e diviene
Rimile alla materia inorganica a misura che da esse si sviluppa
la vita ed il moto. Il sangue stesso si logora come ad eseinpio
nelle ascensioni è dimostrato dal colore più rossiccio dell'orina.
L' altro mezzo di studio consiste ne! misurare il calore interno
che accompagna il lavoro dell'ascensione.
Non ho studiato il primo argomento; ma le indagini recenti
fatte sul Monte Rosa dal prof. Zuntz e da suo figlio, dai dottori
Lo-wy e dal dott. Schumburg, basterebbero jier scrivere un capi-
tolo nuovo nella fisiologia dell'uomo sulle Alpi '. Del secondo ar-
gomento dirò solo quanto può bastare al nostro bisogno.
11 calore che accompagna la trasformazione dell'energia du-
rante un'ascensione, non è proporzionale né alla durala né alla
iiitensitù del lavoro meccanico compiuto dal muscoli,
Le esperienze più dimostrative di questa legge io ho fatte
nel seguente modo. Scelsi a Valtournanche un portatore robusto
die mi aveva servito per altre ricerche sul Breithorn. Il mio in-
tento fu di studiarlo alla fine di settembre, quando era bene al-
lenato, e di provario poi un'altra volta finito die fosse l'inverno.
Recatomi al Bi'euil misurai un'altezza di 400 metri fra Avuil
e Chapellette. Hiferisco iwr brevità solo una delle esperienze che
feci, tìgli pesava 74 chilogrammi e portava sulle spalle in una por-
tantina' uu peso di 40 chilogrammi. La sua temperatura interna,
»* A. LiEwv, F. L<Ewv und Leo Zuwtz, Utber dm Einfiutt der verdiirmten
tM»Ì da Hìihtnklima» avfden Menacheii, PlIilKer'a Aichiv f. d. ges. PhjBiolo-
Bil. «i. iia«. 477.
' Do la tlgura dì ijiiesta purtiintiiia peri-liè la credo indispensabile a quanti si
accinge ranni) a g]iedi«onÌ sui ghiacciai. È il modello projmsto da Vittorio Sella,
cbe egli srerimentò con suci^usso sulle più difficili vette delle Alpi e del Caucaso.
Kob c'è nulla dì meglio, ch'io sappia, dì questa portantina per il trasporto degli
■trumeoti e delle provviste a grandi altezze. (V. Stu-A, A>( Caucaso Crutralt. Bul-
Irttlno de) CiBb Aiplnu Italiaua IS89, pk^. 314). Dalla figura riesce abliasianza evidente
la costruzione della portantina Sella. I peducci sono snodati e vengono irrigiditi
mediante l'asticina di ferro, pur essa snodata, cbe si collega al piano orizzontale.
Uaando la portantina non è sulle spalle, i peducci vengano ripiegati e t' amene
b forma abbastanza regolare, di facile trasporto, e comoda per spedii
i
158
> BULLI ILFI
strada carrozzabile che ho accennato, la quale sale 400 metri eoo
un percorso di 3900. Nella tabella seguente delle osservazioni Eatte,
nsulta che anclie per gite piccole, può crescere molto la tempe-
ratura interna quando non siamo allenati. Nello studente Ventrioi
la temperatura sali da 37°.3 a 3y°,5. Vi Tu un aumento di 2"^, cioè
una vera febbre. Ciò successe non ostante che la velocità fosse
moderata, e non si portasse alcun peso e la temperatura esterna
fosse di soli 20° a 22". 11 giorno 14 maggio per la medesima gita
si riscalda di meno, ed ha solo una temperatura di 38°4i, nel
giorno 16 maggio anche meno, cioè 38° ,.3. — Si vede che per mezzo
dell' allenamento la temperatura diminuisce.
In una serie di esperienze simili che feci con dei soldati la
temperatura interna cresceva in media dì 0'',3 a 0°,5. Noa riferisco
per brevità altre cifre per mostrai-e l'efficacia dell'allenamento,
che sarebl>ero inutili dopo l'esempio che diedi in principio di que-
sto capitolo. Gli alpini i (juali erano con me sul Monte Rosa com-
pirono sforzi massimi nelle ascensioni senza che quasi cambiasse
la temperatura del loro corpo, tanto è diversa rìnllueuza che il
sistema nervoso esercita sui processi chimici dell' orgauismo
quando si compie uno stesso lavoro meccanico.
Cambiamiìntl prodotthi nella temperatura del corpo, nelln freqneau del respi»
e del polsa per una piccola aacensionu di 400 metri.
OSSEUVAZrusI
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Partenza da Turinu
12
10,-
arrivo a Superga
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11, 2ó
dopo riposo
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18
87
1,20
arrivo t. Torino
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Parlenzii da Sassi
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UBlflI!
6,11
arrivo a Superba
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M
100
7,4 H
dopo riposo
37V
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37°,5
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79
76
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Partenza da Superga
9,-
arrivo a Sassi iJTV'
37«,6
88".3
10,—
ritornali a Superga :3tìo,0
37''.B
38'.e
SO
26 1
SlOfl
109
HO
11,10
dopo ripoio aii^.«
riKV'JTsT
20
20 2
* 86
88
»
14
1.40
ritornati a Turino
36''.9
37°,;t'37o,l
IS
11>2
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78
75
14
r.,in
Partenza da S.iasi
Ila
SO'
6,in
arrivo a Superga
38°,r.
mvì 38".r, 20
32 2(
J118
87
^6
dopo riposo
17", 1
37'',4
3^.|_
16
7,'Jii
Partenza da Sassi
16.
mm
•■"
arrivo a Superga
38..!!
9
90
■ La tempcratara del corpo nelle aiceniiionì
Foi-el, professore dì fisiologia generale a Lausanne, scrisse duo
memorie pregievoll. sui cambiamenti di temperatura iieiralto del-
rascejisioiie sulle montagne'; avrò altra occasione di citare que-
sto lavoro, che certo ó uno dei migliori nella letteratura alpina. \
Mio fratello studiando l'influenza del sistema nervoso sulla tem-
peratura animale" osservò che quando facciamo una marcia, la
tcmperutura aumenta nel principio, e che continuando a cammi-
nare diminuisce progressivamente, benchù facciamo sempre il
medesimo lavoro. Ciò vediamo anche nella tabella delle esperienze
fatte a Superga, dove ritornando una seconda volta a Superga in
tutti tre gli studenti la temperatura è rimasta di 0",7 e Ù".» infe-
riore a quella che avevano nella ascensione precedente fatta
(juattro ore prima, fc questa un'altra prova ctie il calore prodotto i
non corrisponde al lavoro compiuto dai muscoli. Vi è un eccita-
mento nervoso, il quale, quasi un'emozione incosciente, accom-
pagna ogni estrinsecazione dell'attività nervosa, e rende impos-
sibile ogni calcolo di equivalenza termodinamica.
il funzionamento dell'energia chimica nei muscoli è tanto più
perfetto, quanto meno si riscaldano, e quanto è maggiore il la-
voro che essi producono. L'esempio che ora riferisco desterà me-
raviglia nel fisiologi, perchè nessuno avrebbe imaginato che un
uomo possa compiere un lavoro die supei-a di tanto la misura
ordinaria, senza che quasi si modifichi la temperatura interna, e
che a 4.'J0() metri uno possa eseguire Impunemente tate sforzo mu-
scolare. Si tratta del caporale lachhir, che io ritengo essere uno
degli uomini più forti, e la maccliina più perfetta d'uomo che io
abbia mai conosciuto.
Il giorno 10 agosto parti dall'accampamento presso la Capanna
Linty 13017 m.) scese a Gressoney St. Jean (13S5 m.) per incontrare
la carovana dei soldati che venivano da Ivrea ed accompagnal'li
con un'altra guida alla Capanna Regina Marglierita. Alle ore 7 del
giorno successivo era ritornato alla Capanna Gnifetti (:ì620 mi. Il
giorno 12 partiva coi suoi compagni alle 5.40 e arrivò alta Ca-
panna Regina Margherita alle ore 9.7. Dalla Capanna Gnifetti parli
con due miriagrammi di legna sulle spalle. Arrivato al colle Gni-
fetti un soldato per nome Chamois sentendosi male, il caporale
lachini prese sulla sua portantina anche il sacco di questo sol-
dato che pesava circa IS cliilogrammi. Carico a questo modo
' F. A. FoBEL. ErpériinKes sur la Umptralure ilu corpi hnmat
de VaKention tur les montagnen. — GenèTe et Balf, 187!, 1874.
* l'. Uosso, Infiumta del nittema nervoso sulla icmperalura ani
a4ì Torino, 1883.
I dane l'ade
lasciò agli altri la cura di sorreysere il compagno die soffriva
il male ili montagna e salendo a zig-zag il ripido ghìaccjsjo della
punta Gnifetti arrivù nella Capanna prima degli altri, eoo
rico sulle spalle di circa 40 chilogrammi contando il i»eso 4
portantina.
Lo esannno subito, porcini egli sapeva che desideravo cono- 1
scere la sua temperatura nei massimi sforzi che può fare l'i»
rx. — La temperatura del corpo nelle ascetiftioni 161
Ore 9.10, cioè tre minuti dopo arrivato alla capanna. Tempe-
ratura rettale 37*',4. Polso 85. Respiro 26.
Ore 9.24, dopo aver letto una lettera che era giunta alla ca-
panna il giorno precedente e che egli aspettava con desiderio.
Temperatura 36'',5. Polso 74. Respiro 18.
Ore 9.38. Temperatura 36^5. Polso 73. Respiro 18.
La temperatura del suo corpo per uno sforzo supremo si era
alzata di pochi decimi di grado, e dopo un quarto d'ora, malgrado
una leggera emozione, era già tornata alla temperatura del riposo
che in lui era 36^6.
Qui, oltre Y allenamento si tratta di una costituzione perfetta
dell'organismo, quale di rado ci accade di ritrovare nella fisio-
logia dell'uomo. Come ricordo mi piace di presentare al lettore la
fotografia del caporale lachini.
Mosso, Fisiologia delVuomo sulle Alpi.
Capitolo Decimo.
Le differenze individuali.
I.
In Gartok, sul versante dell' Himalaja, verso il Tibet, si tiene
ogni anno una fiera alFaltezza di 4598 metri. La fiera succede in
agosto e vi accorrono migliaia di persone da tutte le parti del-
l'Asia centrale. Siccome le case non bastano per tutti, la gente
porta con sé delle tende nere, sotto le quali sì tiene il mercato,
che è certo il più alto nel mondo. Ad Hànle nel Ladak e intorno
ai lagiii Mansaraur e Rakus, vi sono dei monasteri ancora più
alti (4619 metri) che sono abitati tutto Tanno da monaci buddisti.
Le pecore selvagge, le gregge e i pastori stanno intorno ad al-
tezze maggiori ^
I fratelli Schlagintweit i quali descrissero minutamente le po-
polazioni che vivono nelle regioni più elevate dell'Asia, non dicono
che siano diverse da noi. Jourdanet avendo studiato in modo spe-
ciale il torace dei Messicani, conchiuse " que parmi les hommes
dont la vie entiòre s'est passóe au milieu d'un air aux trois quarts
de sa pression, le thorax n'a point acquis un développement plus
grand qu'au niveau de la mer ., ^.
In Europa verso i nOtX) metri comincia per molte persone il
male di montagna. Invece in America a 3960 metri vi è la città di
^ Hermann, Adolph and Robert Schlagintweit, Resulls of a scientific mis-
sion io India and high Asia. Leipzig, London, 1862, voi. U.
3 Jourdanet, Influente de la pression de Vair sur la vie de Vhomme, Tome 1,821.
Potosi, celebre per le sue miniere d'argento, che una volta con-
lava 160000 abitanti.
In questa regione che sta sotto l'equatore, Alessandro Hum-
boldt fece negli ultimi mesi del secolo scorso il tentativo della sua
ascensione sul Chimborazo. Arrivato alla regione delle nevi per-
petue, che là incomincia ad un'altezza un poco superiore alla
vetta del Monte Bianco, gli indigeni lo abbandonarono. |
'• Les Indiens, k l'exception d'un Seul, nous abaudonnèrent à
une altiludo de 15G00 pieds (47,i3 m.). Prières, menaces pour les
retenir furenl vaines; ils prótendaient souffrir beaucoup plus que
nous. „ Quando giunsero all'altezza dì 5800 metri, Humboldt de-
scrive lo stato suo e dei compagni; " Nous commenrames tous.
par degrés. à nous trouver trés mal à notre aise. L'envle de vomir
étalt accoinpaguóe de quelques vertiges. et bien plus pònible que
la difficulté de respirer. Kos gencives et nos lévres saignaient.
La tunique conjonctive des yeux était, chez nous tous sans excep-
lion. gorgée de sang. À l'epoque de la conquéle de la i-ógion
équitioxiale de l'Amértque. les guerriers espagnols ne montérent
pas au dessus de la limite iiifùrieure des neìges perpetueiles,
par conséqueut pas au dela de la hauteur du Mont-Blanc, et ce-
pendant Acosta, daus son Historia naturai de las Indìas, parie
en détall "des malaises et de crampes d'estomac. comme de symp-
tomes douloureux du mal de montagne ^ qu'on peut comparer
au mal de mer. .,
Ricordai questo passo di Humboldt, perdio molti danno una
grande importanza al freddo. Qui vediamo nelle regioni equato-
riali, che mentre la temperatura era superiore al gelo, furono
egualmente gravi i sintomi del male di montagna su altezze come
quella del Monte Bianco, e che gli indigeni invece di essere im-
muni nelle regioni più elevate della terra, soffrirono più degli
europei.
'■ Mattia Zurbriggen di Macugnaga è ora la guida che è stata più
in alto di tutti gli uomini. Appena egli fu di ritorno daU'Himalaja
andai a visitarlo e. fatta con lui una piccola gita sul Monte Rosa,
Io pregai di venire alcuni giorni nel mio laboratorio per poterlo
studiare con maggior comodo. Per la fisiologia dell'uomo sulle Alpi
era per me una cosa fondamentale di conoscere a fondo quest'uo-
■ 'Pf>i>l quale ha resistito tanto all'aria rarefatta. Zurbriggen è stato
con Martino (^iiway sul l^ioiieer Peak il quale i> allo U888 nietrr.
A quel punto, dice Conway " ci sentivamo tutti deboli e soffe-
renti come uomini che si alzassero allora da letto dopo uua ma-
lattia, ma Zurliri^geu fu ancora capace di rumare un sigaro ^ ',
Zurbriggen stava ancora discretamente a quell'altezza; certo ap-
pena uno si muoveva provava un po' di soggezione, e iiessurm
si sarebbe legate 1' una dopo l'alti-a le scarpe senza tirare t
il flato, diceva lui; mu ciò malgrado egli creda che cammiiian(h>|
adayfo si poltebbero fare altri due mila metri. Cosi Mattia Zur-
' " Alt Telt weak :ind ili. Ilice mon jiisr lifiud froin b«d» or^icknesa, bat Snr
liriggan was nhle lo smoltu a citr.ir. , — W. Muitri C'oxway, Climbing a
ralion on the Karnkoram-WmnìiiyaK London, 1894, jiag. ó99.
X, — Le difthaiz^- hi-Uvitlitnli 16.'.
briggeii non melte in dubbio che 1' uomo possa toccare la vetta
più alla della terra, che sta 400U metri sopra la velia del Monte
Bianco.
Xel ISiìTi Mattia Zurbriggen andò sulle Alpi meridionali della
Nuova Zelanda col signor FHz Gerald, e quest'anno in gennaio
giunse sulla vetta dell'Aconcagua , nel Cliill, tentata prima dal
GQssfeldt. Filz Gerald dovette Termarsi qualclie centinaio di metri
più in basso , ma Zurbriggen. clie 1' accompagnava , giunse alla
cima del vulcano Aconcagua alla 0970 metri. Questa ò l'altezza
maggiore che l'uomo abbia lino ad ora raggiunto sulle montagne,
riiz Gerald ritiene che l'Aconcagua superi i 21 1)00 piedi (7320 m.).
Mattia Zurbriggen nel 18!)4 quando lo esaminai, aveva 38 anni.
J>esa^ 1 (17 rhiln^'ianimi ci i allo meni l 68 i i rrn/adei muscoli
Fjff U il /[RBH,OUE^
'UU I oli ergugrnro solleTanilo i i<hit igrammi ugni J secniidi
l'ho studiata per mezzo dell'ergografo. Sollevando 4 chilogrammi
ool dito medio dà il tracciato 44 dal quale appare che la forza
delle sue mani non supera la media, ma che egli resiste alla fa-
Uca più del normale. Nella riduzione fotografica questo tracciato
riuscì due decimi più piccolo dell'originale.
11 polso di Zurbriggen ò alquanto irregolare; infatti contando
di seguito per quattro minuti non ottengo lo stesso numero di
pulsazioni: 55-()0-()3-G(J. Cuore normale. Il respiro lo scrissi col
piieumografo doppio di Marey, applicalo contemporaneamente sul
torace e sull'addome. Nella fìg. 45. la linea superiore rappresenta
il traccialo della respirazione toracica, la linea inferiore rappi*e-
seiilu la respira/.ione addominale. Anche qui trovai il ritmo e la
lirofoiidità comune. Parlerò ìii seguito di allre osservazioni che
feci sopra Zurbriggen: noto solo che imlia farebbe presagire in
lui una resistenza tanto grande.
Alcuni fìsiotu^'ì allribuiroiio rtiiiDiuiiltù pel amie di montala
allo sviluppo preponderai ito del loi-ace. I,it capacilù vilale di Zui^
briggfii é 38i:i0 ce, cioè uii poco maggiore della media, che per
la sua statura di l.li8 m. sarebbe di 35li0. Guardando la sua fo-
tografia, ciascuno si persuade che certo raiiipiezza sua del torace
non è eccezionale. Il perimetro toracico è metri 0.1tl.
Ho studiiilo minutamente il cnrpo e le funzioni del sistema
itervoso di altre guide ed alpinisti celebri, e neppure vi trovai
alcuna difforeii/a colla comune degli uoiiiìmì. La prima idea che
vitìÉie clie l'eccellenza di una guida, o di un alpinista, dipenda
Fig. 4.-.. - ZunElRlfiOKN,
Tracciato del respiro torni^ica Tf. — .iddominiile A) scritto coniemporaneaiueiit».
dalla forza dei muscoli. Il tracciato scritto coU'ergografo pniva
che anche questa energia maggiore dei muscoli non esiste. U
gambe di Zurbriggen le par-agonai colle iiosti-e, e certo non erano
più voluminose di quelle delIMnserviente Giorgio e di parecclit i
quali frequentano ii Laboratorio e clie sofIMrono forte il mule di
montagna. Conosco del resto degli alpinisti celebri e delle guide
ctie hanno le gambe sottili. Devo quindi conchiudere che non
sono riuscito a conoscere una difTei-enza fìsica o funzionale che
distingua dagli altri uomiia, l'uomo die tiene oggi il primato neg^l
armali dell'alpinismo per essere salito ad un'altezza,
nessuno è giU[iti> lino a qui prima di lui.
III.
Le (litYeren/.e che vi sotio fra yli uomini per rapporto all'aria
rarefatta si irovano eguali per l'aria compressa. Cìù ho veduto
a Spezia, nella scuola speciale per i palombari. Alcuni marinai
scendevano a 40 metri aotl'acciua, die sono 4 atmosfere. Altri
non potevano scendere a 8 metri ciie (iìA. cominciavano a sen-
tirsi male. Chiudevano la valvola, l'apparecchio si riempiva d*a-.
ria e venivano a galla. Siccome per i marinai delle torpediniere
è un guadagno l'essere approvati come palombari, perché sono
pagati ad ore riuando lavorano sott'acqua, cosi era escluso il
dubbio die non facessero questi esercizi colla migliore volontà.
Ho veduto un soldato provare parecchie volte, e sempre tornava
a galla prima die avesse' toccata la profondità di circa 10 metri,
sebbene provasse a scendere adagio per acclimarsi alla pi'es-
sìone aumentata.
L'opinione mia è che si deve cercare nel sistema nervoso, assai
più che nel sangue, la causa di queste differenze individuali. Paolo
Bert cai>l die il male di uioiitagtia non poteva dipendere solo dalla
'.naucanza di ossigeno, perchè vi sono degli uomini i quali pas-
sano la loro vita ad altezze dove altri non possono reggere
per te sofferenze. Kgli suppose per rimuovere tale obbiezione che
si modificasse la composizione del sangue e die l'adattamento
consistesse nella produzione di un numero maggiore di corpu-
scoli rossi, ed in una modificazione della emoglobina '.
Nessuna di queste ipotesi trovò l'appoggio dei fatti. Jourdanet
afiternia die nelle alte regioni gli uomini sono generalmente ane-
mici. Ho esaminato il sangue di Zurbrlggen pochi mesi dopo che
era sceso dall'altezza di 6SS8 metri e trovai che il suo sangue
era normale. Il numero dei corpuscoli, la densità sua, la sostanza
colorante del corpuscoli erano come nella maggioranza degli
uomini.
È singolare die alcune persone le quali hanno resistito a de-
pressioni fortissime, sentano il male di montagna ad altezze poco
considerevoli. Riferisco l'esempio di Gastone Tissandier.
I^ catastrofe dello Zenitli produsse venti anni fa una emo-
zione cosi profonda, che molli la incorderanno ancora. Voglio dire
della Une tragica di Sivel e Croce-Spinelli.
Credo utile per mostrare meglio l'azione dell'aria rarefatta ci-
■ P, Iìebt, Op. cil. pau;. UOH.
]6b FISIOLOGIA DE LL^ COMO SULLK ALPI
tare un frammento della relazione, che Tissandier pubblicò nel
suo giornale la Nature:
^ A 7000 mòtres, Sivel, qui était d'une force physique peu com-
mune et d'un tempérament sanguin, commencait à fermer les
yeux par momcnts, ù s'assoupir mùme et à devenir un peu pale.
Mais cettc àme vaillante ne s'abbandonait pas longteraps aux
mouvemcnts de la falblesse : il se rcdressait avec Texpression
de la fermeté : il me faisait vider le liquide contenu dans mori
aspirateur après mon expérience, et il jctait le lest par dessus
.bord pour atteindre des régions plus élcvées.
" Vers 7500 mètres, Tétat d'engourdissement où l'on se trouve
est extraordinaire. Le corps et Tcsprit s'affaiblissent peu à peu,
graduellement, inscnsiblemcnt, sans qu'on en ait conscience,
^ Bientòt, je veux saisir le tube à oxygènc, mais il m'est im-
possi ble de le ver le bras. Mon esprit cependant est encore très
lucide, .le considère toiyours le barometro.
" Jc veux m'écrier : " Nous sommes à 8000 mòtres. „ Mais mr.
langue est comme paralysée. Tout à coup je ferme les yeux et
je tombe inerte, perdant ubsolument le souvenir. Il était environ
I h. 30 m.
"A3 h. 30 je rouvre les yeux, je me sens étourdi, affaissé,
mais mon esprit se ranime. Le ballon descend avec une vitesse
effrayante. Mes deux compagnons étaient accroupis dans la iiacelle,
la tète cachée sous leurs couvertures de voyage. Je rassemble
mes forces et j'essaye de les soulever. Sivel avait la figure noii^3,
les yeux ternes, la bouche beante et remplie de sang. Croce avait
les yeux à demie fermés et la bouche ensanglantée
^ Kn mettant pied à terre, j'ai été pris d'une surexcitatìon fi^
brile, et jo me suis affaissé en devenant livide. J'ai cru que j'allais
rejoinch'e mes amis dans Tautre monde. ^
Il pallone Zenith aveva raggiunto l'altezza di 8(KX) metri. Erano
in tre nella navicella e solo Gastone Tissandier è scampato.
Il primo pensiero è che Tissandier fosse più robusto degli altn
suoi due compagni. Invece sopravvisse perchè era nueno resistente
all'azione» dell'aria rarefatta. Egli cadde prima degli altri in sopore,
e fu il sonilo che lo iia salvato. Per brevità non ho riferito una
parte della relazione dove risulta che i suoi compagni erano an-
cora in movimento, e lavoravano attivamente, mentre egli era già
così debole che non poteva neppur voltare la testa per guardarli.
II sonno pi'ofondo nel quale cadde Tissandier potè smorzare per
qualche tempo le Ilnizioni della vita e condurlo incolume nelle
regioni più elevate dell'atmosfera. Gli altri due consumarono fino
airultinio la loro energia,!» pei'irono di esaurimento per la rare-
fazione dell'aria ed il freddo, come abbiamo già veduto che sono
morii i fratelli Zoja per una rarefazione meno considerevole del-
l'aria ed una l'atìca molto maggiore. Ritornerò ancora su questo
KO;;;retto parlando del sonno.
Che Tissatidier non sfa per la costituzione sua un buon alpi-
nista malgrado l'ascensione sua a 8600 metri, si vide più tardi
'{uando cercò di salire sul Monte Bianco. Prendo queste notizie
(la uno scritto del signoi- Vallol, nel quale descrive la costruzione
del suo osservatorio sul Monte Bianco '. Neil' estate del 1890 il
signor Vallot mentre stava nella sua capanna sopi'a la vetta del
Monte Bianco per mezzo del telegrafo ottico seppe dalla sua si-
gnora la quale trovavasi a Chamonix che il signor Gastone Tis-
sandler partiva per fargli una visita sul Monte Bianco. K meglio
però sentire come racconta la cosa il signor Vallot stesso, perchè
il fatto conservi il suo colore alpino.
- Vers 2 li. du matin, nous Otious reveilles en sursaut par des
coups violents frapptìs à la porte. C'etiiient dcux de mes porteurs,
inuriis de lanieriies et arrivant avec leurs charges. Comme je
leur demandaìs. non sans ctonnement, par suite de quelle blzarre
fantaisìe ils arrivaient ;i cette lieure, ils me remirent deux lettres:
rune 6tait de M. Gaston tissandier qui me disait qu'il avait 6té
frappé d'insolalion en montant aux Grands-Mulets et qu'il ne nion-
terait pas plus haut, l'autre ùtait de son ami M. Launette, qui
m'avertissait (|ue l'ctat de M. Tissandìer avait empire, que la
liévre et le mal de montagne s'Otaient Joints à l'insolation, et, enfin.
qu'en proie à la plus vive inquiietude il me demandait mon avis
et mon aide.
" n faut six lieures pour monter des Grands-Mulets aux Bosses,
mais en revanche la descente est rapide; aussi en une lieure
UOU9 arrivions à la cabane. Heureusement M. Tissandier allait
beaucoup mieux: nous caus;lines longuement pendant (|u'il aspi-
rali l'oxigùne que Javais apporta, pois complètement remis par le
gaz vital. il se leva, et put redescendre d'un pas ferme à Chamonix.^
IV.
L'alpinista che traversa le Alpi al Gran San Bernardo, ul
Moriccnisio. od altrove, guarda sempre con anmiirazione quelle
strade che passano cosi in alto, e le contempla come un trionfo
della civiltà moderna. Eppure molti secoli prima si erano già
> I. VAtLOT. Annuairt du (7/nfe Alpin Fran^aU, XVTI, voi. ]890.
Ilotso. Fiiìohgi'i dell'mimo uniti: Alpi. H
170 FUIOLOOIA DILLX'OMO 8CLLB ALPI
fatte delle strade più grandiose ad altezze maggiori. Nel Perù gli
Iiicas avevano costruito delle strade larghe più di sei metri ad
altezze che superano tutti i nostri valichi alpini.
Humboldt nei suoi Quadi*i della Natura descrisse quelle ruiue:
^ Le strade romane che ho vedute in Italia non sono certo
più imponenti di queste opere degli antichi peruviani, che ho tro-
vato airaltezza di 12 440 piedi, e ad eguale altezza trovai le ruiue
del palazzo deirinca Tupac. Sono strade che si estendono per
4G miglia geografiche, alcune pavimentate con delle pietre piane,
altre fatte con cemento e pietruzze (macadam) attraversavano dal
mare le Ande e le Cordigliere ^ ^
È con un sentimento di meraviglia e di commiserazione pi*o-
fonda che noi pensiamo ai ruderi di queste opere gigantesche
fatte da un popolo laborioso nelle regioni più elevate della terra,
prima che gli Europei vi portassero lo sterminio e la desolazione.
Una strada che può rivaleggiare con queste descritte dalPHum-
boldt, è la ferrovia del Pacifico, che neiraltipiano delle Cordigliere
al passo Evan supera i 2500 metri.
Supponendo che vi fosse una difTerenza nelle razze, volli info^
marmi sulla vita degli operai e degli ingegneri che lavorarono
per fare la ferrovia del Pacifico. Il dott. Paolo de Vecchi di S. Fran-
cisco in California, mio compagno di studi, volle gentilmente pro-
curarmi delle notizie avute dall' ing. Giorgio Davidson e da altri
suoi colleghi ingegneri, che costruirono la parte più difficile della
ferrovia del Pacifico.
Riferisco alcuni passi di questa lettera del sig. Davidson:
^ Le cime più alte delle montagne di California, dove io sono
stato per delle settimane e qualche volta per dei mesi, sono quelle
situate lungo la ferrovia del Central Pacific che si elevano fino a
4000 metri. A 3000 metri di altezza ho potuto fare molto lavoro fi-
sico, malgrado le più svariate circostanze, e quasi non mi accor-
gevo della elevazione. Al Monte Lola, alto 3090 metri, uno dei miei
amici che visitava la stazione, non poteva rimanere sotto la mia
tenda. Fu obbligato a mangiare e bere stando di fuori, perchè diceva
che, nel cliiuso, aveva una singolare sensazione di malessere. Era
specialmente della testa ciregli si lagnava e non poteva vincere
r ansietà, nò darsi pace, ciiò pareva temesse l'approssimarsi di
qualclie malanno alla sua ragione. Questa sensazione di males-
sere, era grandemente alleviata, (luando fuori della tenda i^oteva
vedere intorno le inantc, gli animali e le roccie. Eppure eravamo
^ A. Hi'mboldt. Ansichten der Xatnr, Das Hochland von Caxamarca.
almeno venti uomini occupati a lavorare e nessuno ebbe a sof-
frire. Dieci di noi si fermarono coli due mesi e mezzo senza in-
convenienti ed io lavoravo sino a 15 ore al giorno.
■* Al San Bernardino, alto 39(X) metri, l'^jltimo tratto é cosi ripido,
che cavalcando cogli asini, non vi si può andare. Qui dovetti fer-
marmi ofini 30 metri, perchè il cuore batteva 137 volte al minuto,
e la mia i-espirazione giungeva a GO e tenevo la bocca aperta.
Salendo presi sempre ad ogni fermata un cucchiaio di brandy
con un po' di neve. Però io ebbi per ben due volte un subitaneo
e forte dolore pungente al cuore. Giunsi alla cima, e dopo pochi
minuti di riposo, mi incamminai lungo la cresta della roccia
senza alcun disturbo.
■^ Sono sempre stato un lavoratore con gran potere di resi-
stenza e posso dii'e clie per circa 50 anni ho lavorato in media
15 ore al giorno, senza riposarmi neppure le domeniche.
•' Nel 1885 in seguilo ad una forte emozione mi trovai col
cuore intermittente ed irregolare. Però dopo un anno ero ritor-
nato normale e fino ad ora stetti sempre bene.
^^^L "* CiEORfiio Davidson. „
^^"'Ho raccolto altri documenti sull'alpinismo americaiio. ma
oramai tutti sanno che non esiste una superiorità della razza
sassone in (luanto alla fatica, sebbene abbia dato il maggior coii-
Iributo di forti alpinisti. Infatti le guide italiane sono Quelle che
fecero la prova migliore nelle grandi ascensioni in tutti i climi.
1
^^^Oja. maniera di sentire è cosa affatto individuale e non tutte le
^^Bnone reagiscono allo stesso modo.
'^■* Mi fermai una volta parecchi g:iorni all'ospizio del Gran San Ber-
nardo (2-172 m.) ed una settimana al piccolo San Bernardo (2153 m.)
e quivi ho veduto che molti a (|ueste piccole altezze presentano dei
fenomeni del male di montagna- Alcuni arrivano con un respiro an-
sante, e si fermano di quando in (luaiido nell'ultimo tratto della
salita. Arrivati all'Ospizio, non mangiano. Nella notte non dor-
mono, tianno una sensazione come di febbre. Dì questi ve [ie
sono alcuni che il giorno dopo alzandosi non sentono più nulla,
altri invece vogliono partire subito. Certo fu per accidente, ma
^^^irante il mio soggiorno soffrirono di più due persone che erano
172 FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALPI
venute da Martigny, mentre che delle carovane numerose venute
dalla parte di Aosta nessuno ebbe sintomi di malessere.
Il dott. Courten di Zermatt mi raccontò che una signora ebbe
i fenomeni del male di qiontagna al Riffelalp (2127 m.) ed un'altra
al Gòrnergrat (3136 m.). Egli esaminò queste signore, ma non
aveva riscontrato in esse alcun vizio di cuore.
A Gressoney la Trinità (1627 m.ì, dove mi reco da parecclii
anni a passare un mese neirestate, ho veduto che sono special-
mente le persone grasse che nei primi giorni si lagnano deiraria
sottile. Questo si spiega perchè hanno un peso maggiore da por-
tare in alto nelle passeggiate. Ma anche dei magri, io vidi soffrire
appena arrivati. Generalmente si lagnano di mal di capo, non
dormono bene, hanno oppressione di respiro, specialmente la
notte, e sono apatici. In una signorina la nausea ed il vomito
durarono circa due giorni.
Ma anche più sotto, a Gressoney St. Jean, alcuni non respi-
rano bene e si lagnano di insonnia. Eppure sopra, a Gressoney
la Trinità, vi è un gruppo di case a 2037 metri dove gli abitanti
passano Tinverno. Moutei infatti è uno dei luoghi abitati, tra i più
alti d'Europa. — Raccontavo questo ad un mio amico un po' grasso
mentre passeggiavo con lui poco sotto Moutei. — Sta bene, disse,
ma intanto il primo giorno che sono venuto fin qui avevo le tra-
veggole e mi sentivo mancar sotto le gambe unicamente per
Varia rarefatta: del resto stavo benone e in pochi giorni mi abi-
tuai a salire più in alto.
Il prof. G. Pisenti, in un suo articolo sul male di montagna^
scrive che allorquando si trovava come medico all'Abetone nel-
l'Appennino toscano soffri il male di montagna ad altezze poco
considerevoli.
"^ Lo stabilimento climatico è a 1380 metri. Io che dormo sa-
poritamente almeno 10 ore di seguito, soffersi per tutto il tempo
che stetti lassù di insonnia , perdetti V appetito e dimagrai , ed
avendo un giorno voluto salire sul Libro Aperto (1800) non potei
assolutamente giungere alla vetta, tanto mi aveva preso un senso
di stanchezza invincibile , e di più un affanno di respiro ed un
senso di oppressione. „
Scrissi al prof. Pisenti per avere maggiori informazioni sul suo
stato ed egli mi rispose : '' Fui all'Abetone nel mese di settembi'e,
quando oinai l'affluenza dei forestieri era cessata, per cui pochis-
simo era il lavoro, tanto più che quasi tutti godevano ottima sa-
lute. Mi trattenni solo una diecina di gioi'iii perchè le sofferenze
^ In alto, Cronaca bim. della Società Alpina friulana. 189.'). fìS.
I
mie ei-ano giunte ad un grado massimo, speciìilmente per l'iii-
soiinia, che non potei combattere iii nessun modo. Appena partii
dall'Abetone e mi recai a Bologna, riposai subito tranquillamente,
scomparendo l'insonnia come per incanto. Negli ultimi giorni al-
l'Abetone mi tormentò assai la perdita dell'appetito che era giunta
u tale da produrmi ripugnanza qualunque cibo eccetto il latte. „
I dolori che provano nelle cicatrici alcune persone quando il
barometro si abbassa e il malessere che annuncia alle persone
nervose l'avvicinarsi di una burrasca, sono esempi i quali dimo-
strano la grande sensibilità di alcuni uomini per la rarefazione
dell'aria.
È una legge della vita che le azioni fisiologiche non corrispon-
10 mai ad una formula esatta quantitativa.
VI.
Giovanni Antonio Carrel mi raccontò di un inglese cui Coi
dusse dal RilTel al Breithoru. Quando furono sul Plateau del
lìreithorn l'inglese cadde a terra come morto.
Questo alpinista, prevedendo che non sarebbe stato bene, aveva
preso due guide e due portatori, coll'avvertimento di non inquie-
tarsi del suo stato e l'ordine di condurlo al Breuìl anclie portan-
dolo ove occorresse. Sul gliiacciaio camminava come se fosse
ubbriaco. Lo si doveva reggere sotto le ascelle, perchè tratto
tratto si addormentava e cadeva. Passarono la notte alla capanna
del Teodulo, e, scesi al Breuìl, sentirono con grande meraviglia che
voleva tentare l'ascensione del Cervino. Tutti in coro cercarono
dissuaderlo , ma egli insistette. Disse che era abituato a quelle
sofferenze del primo giorno, e li assicurò che non avrebbe più
avuto alcun malessere. Infatti il giorno dopo con piede fermo co-
minciò ad arrampicarsi su per le roccie del Cervino.
Non conosco altri esempi di un acctimamento più rapido. Se
incomodi tanto gravi scompaiono j[j brevissimo tempo, dobbiamo
conchiudere che il male di montagna non dipende dal sangue,
perchè il numero dei corpuscoli rossi, e la quantità del l'erro,
ossia di emoglobina che essi contengono, non può cambiare sen-
sibilmente hi due giorni. Solo il sistema nervoso è capace di coal
rapidi adattamenti.
Ma non tutti hanno eguale facilità nell'acclimarsi. L'esempio
de] prof. Pisenti è mollo istruttivo in questo riguardo. Ilo veduto
persone robustissime die dopo essersi fermate 4 o 5 giorni
174 FISIOLOGIA DELL'UOMO SULLB ALPI
nella Capanna Regina Margherita, non potevano acclimarsi e di
notte si svegliavano e si alzavano per Tambascia del respiro. Ap-
pena tornati in basso a 2500 metri dormivano tutta la notte con
un sonno di piombo,
A sostegno dell'ipotesi che attribuisce alla mancanza di ossi-
geno il male di montagna, si è detto che negli uomini i quali
vivono in alto oltre i 3000 metri, i polmoni sono già preparati dalla
nascita per il loro sviluppo e la loro struttura alla rarefazione del-
Taria. Ma non è vero, perchè anche fra gli indigeni nati sui fian-
chi delle montagne più alte nell'Asia e nell'America ve n'ha che
soffrono il male di montagna se vanno più alto, e fra gli abi-
tanti nati in riva al mare ve n' ha che subito resistono alle più
forti rarefazioni dell'aria. Onde io credo poter affermare che la
maggior parte degli uomini nasce coi polmoni e col sistema ner-
voso pronti per vivere a grandi altezze. Ne abbiamo un esempio
nel viaggio recente del signor Littledale che resterà memorabile \
fra quanti vennero compiuti nelle regioni più alte del globo.
Nel 1895 il signor Littledale atti»aversò il Tibet da settentrione a
mezzogiorno. Era accompagnato dalla sua signora e da suo ni-
pote e stettero sei mesi (dal 26 aprile al 16 ottobre), senza discen-
dere sotto ai 15 000 piedi. Quattro settimane accamparono sopra
i 4C)<X) metri. Perdette oltre cento cavalli in questo viaggio e la
signora Littledale si ammalò seriamente ad un'altezza superiore
al Monte Rosa.
^ George, K. Littledale. A Joumerj across Tibet. The geographical Journal
M.'iy 189«, voi. VII, pag. 478.
CAI'ITOLO l'NniCliSIMO.
Allenamento. Capacità vitale. Alpinismo.
I.
Allenare vuol dire dar forza. La legge die segue l'aumento
della forza coll'esercizio, si vede nelle ascensioiil. ma non è cosa
da jwtere decidere racilmente con esse. Le esperienze devono
essere semplici, i termini del raffronto costanti, e abbastanza lungo
il tempo della prova.
Il dott. G. Manca determinò nel mio lahoratorio in tjuale modo
aumenta la forza delle braccia per l'azione dell'esercizio, l'rese
due manubri, dì 5 chilogrammi ciascuno, come quelli che adope-
rammo su! Monte Rosa, l'n metronomo batteva ì minuti secondi.
17H FISIOLOGIA DILLTOMO SULLB ALPI
Dalla posizione di riposo 1 manubri si portavano in due tempi
sopra la testa colle braccia distese, fermandosi nel primo tempo
per un secondo coi manubri all'altezza del torace. Come ho già
detto nel primo capitolo, ciascuno cessava quando sentivasi
stanco. Gli esperimenti si facevano ogni giorno alla stess'ora. Il
dott Manca continuò per 70 giorni senza interruzione, il dott Cao
per 35 giorni.
La flg. 46 rappresenta il corso dell'allenamento nel dott Manca.
L'aumento progressivo della quantità di lavoro fatto ogni giorno
appare evidente nell' ascensione rapida della linea, la quale co-
mincia in basso a sinistra e flnisce a destra. I numeri messi sotto
indicano i giorni di esercizio, quelli che stanno in margine, a de-
stra e sinistra, segnano il numero di volte che i manubri vennero
sollevati ogni giorna Vi sono delle variazioni da un giorno al-
l'altro ; qualche volta osservasi che la forza scema, oppure ri-
mane eguale al giorno precedente, ciò nullameno la linea del-
l' allenamento è una linea che sale , così che nel 7(f giorno il
dott. Manca, sollevando 126 volte i manubri era capace di eseguire
un lavoro cinque volte maggiore del primo giorno, nel quale in-
cominciò l'allenamento. La curva dell'allenamento non è dunque
una linea retta, od una parabola, od una delle tante ciu*ve rego-
lari della geometria.
Per riconoscere meglio fra le irregolarità giornaliere, quale
sia il tipo fondamentale, il dott. Manca fece la media dell'aumento
giornaliero calcolato ogni 15 giorni. La figura più piccola a si-
nistra in alto rappresenta graficamente tale media neirauniento
della forza, calcolata di 15 in 15 {j:iorni. 1 numeri scritti orizzon-
talmente in basso ed in alto, rappresentano ogni quindicina di
esercizio. 1 numeri scritti a sinistra, gli aumenti medii giornalieri.
Si vede che nella prima quindicina il dott. Manca ebbe un aumento
medio giornaliero di 1.28, nella seconda di 2.62, nella terza di 3,
nella quarta di '5.53. nella quinta di 5.
11 dott. Manca tenendo conto de;j:li studi che erano già stati
fatti in proposito dal Fechner, conchiuse che " la forza muscolare
durante un esercizio prolunjxato cresce seguendo una progres-
f^ione ^^eonietrica irre^xolare ^ „
' (i. Manca, Ktudefi sur V enirainemeni mysculaire. Archives italiennes de
Biologie, Tome XVII. p. 390.
XI. — AlknnMeiiio. (.'iipii^ilà rilah: Alfiir:
§ S S E 3 3 ?
■||||||pÌSS|^
?>
5i="'" "-il"!
-i}§f S!»
178 FISIOLOGIA DELL^^OMO SULLE ALPI
IL
Accennata la legge fondamentale dell'allenainento, devo subito
confessare che siamo appena al principio di queste indagini, e che
manca ancora uno studio delPalIenamento intensivo, con metodi
esatti applicati agli altri muscoli, determinando meglio le velocità
differenti colle quali si ottiene un optimum nei vari esercizi.
Trovandomi nella Università di Oxford, cliiesi una volta ad uno
di quei celebri allenatori per le boat-races quale scopo si propo-
nevano coirallenamento che là fanno durare un mese. Rispose
subito allargando la palma della mano e mostrandomi le cinque
dita e poi stringendole Tuna dopo l'altra disse:
1.® Levare il grasso e l'acqua superflua;
2.° Aumentare la forza delle contrazioni ;
3.° Accrescere la resistenza per la fatica;
4.^ Dar flato (wind or breaih training);
5.^ Frenare jl cuore.
Mi persuasi subito che parlavo con un maestro di allenamento.
Discorrendo capii che egli ed i suoi colleghì sono di parere che
uno il quale non sia allenato, si sente come soffocare nella fatica;
perchè non può respirare abbastanza profondamente. È questa an-
che ro])inione degli alpinisti e di tutti quanti hanno provato clie
realmente in una salita fatta in fretta, come si dice, manca il flato.
Vedremo però che il fatto è diametralmente opposto. Allenandosi
veniamo a respirare meno per la medesima fatica, ed anche per
una fatica maggiore.
Chi osserva le reclute quando corrono, o guarda i giovani
nelle palestre di ginnastica, ai primi esercizi per la corsa di re-
sistenza, vede che non reggono cinque miimti senza affanno del
respiro. Dopo parecchi mesi di esercizio possono invece correre
mezz'o!*a senza essere interrotti né dairaffanno, né dal palpito,
o dal dolore di milza. Una parte di questo vantaggio va perduta
completamente neirinverno quando ci abituiamo al riposo.
V'ha una gran differenza, secondo gli individui, neh' allena-
mento. Fermandomi da parecchi anni nelle stazioni alpine ele-
vate, vidi che già a 15(H) metri, alcuni poco robusti soff*rono i primi
giorni per ogni piccolo sforzo. Una jìasseggiata un po' faticosa,
un sentiero ripido, una scalinata, come se ne incontrano spesso
fra le scorciatoie, danno la palpitazione e la tosse.
K una irritazione momentanea dei bronchi dovuta all'accumu-
larsl del siiijp:ue nei polmoni. Il cuore si stanca più presto, e i
polmoni, per elleno delle Inspirazioni profonde, si ingorgano e
divengono ìperemici. Dopo alcune settimane di esercizio il cuore
e tutto il corpo sono talmente rinforzati, che le medesime per-
sone possono fare delle fatiche molto maggiori e tentare qualche
ascensione.
Anche gli uomini più forti possono provare il male di mon-
tagna quando non sono allenati. Cito l'esempio dei due alpinisti
che ora sono stati più in alto nel mondo. Martino Conway nel
suo viaggio lungo le Alpi che fece insieme a Frilz Gerald comin-
ciando dal colle di Tenda, scrisse ' : " Quando noi slamo partiti in
{fiugiio per il viaggio è probabile che nessmio di noi fosse in
condizioni molto buone. I.e nostre prime ascensioni furono fatte
in una regione che in nessuii luogo si alza ad un grande livello,
e uun giungemmo ad un'altezza dì :ì047 m. In questo tempo pixj-
vammo frequentemente il malessere per gli effetti della diminuita
pressione atmosferica. 11 fatto è degno di essere ricordato^ perchè
non ho provato mai in Europa una simile sensazione a cosi pic-
cole altezze. Io non descriverò che l'esperienza die ne feci sopra
di me, ma lo stalo mio era slmile al malessere che provavano
i miei compagni. Ho già detto che non eravamo allenati, ma io
non stavo male in alcun modo. Mi ero prima esercitato regolar-
mente due ore ogni giorno per alcuni mesi, e potevo fare 20 mi-
glia al giorno (32 chilometri) senza avere alcun incomodo per la
fatica. Infatti il primo giorno ero molto contento nelle colline, e
pensavo che non avevo mai cominciato cosi bene una stagione
alpina, il mio dispiacere fu perciò tanto maggiore nel mattino
successivo, quando a circa 7000 piedi (2132 m.) provai in una forma
leggera tutti i sintomi die avevo provato a 19000 piedi sul Ka-
rakoram. Era la medesima fatica particolare, il medesimo ma-
lessere di interruzione nella regolaritii del respiro, il mijdeslmo
incomodo a piegarsi in basso. Probabilmente non avrei avvertito
questi effetti, se l'esperienza da me fatta nell'Himalaia. non mi
avesse resa famigliare ogni forma acuta del male di montagna.
Fu per questo che mi accorsi immediatamente dei primi sintomi
e li riconobbi per (luel che erano. ^
M. CoswAV, Tlie Aìp' from md lo c,i,ì. Westminslur 1W':>. |.«g. li
180 FISIOLOGIA DELL*UOMO 8ULLB ALPI
III.
^ Erano tutti scienziati i primi adoratori delle Alpi, e si com-
prende come il primo indirizzo dell'alpinismo sia stato essen-
zialmente scientifico. Forse ora che la scoperta delle Alpi è com-
piuta, è il momento propizio per un ritorno a quei primi ideali. ^
Ho pensato a queste parole di uno dei più intrepidi e simpa-
tici colleghi del Club Alpino, quando dalla Capanna Regina Mar-
gherita ammiravo da vicino i pericoli clie egli ha superati in-
sieme a Vaccarone e Zurbriggen per salire la punta Gnifetti da
Macugnaga ^ Le ripeto adesso che sto per scrivere alcune linee
suir avvenire dell' alpinismo, e penso a lui che più di ogni altro
potrebbe dare un indirizzo razionale ed igienico alle carovane
scolastiche.
Lo studio fisiologico dell'allenamento e la sua istituzione ve-
ramente pratica sono appena sul loro nascere, malgrado che
siano molto numerosi i lavori pubblicati intorno a questo argo-
mento. Da qualunque parte un dilettante, od un medico, sì faccia
a studiare il nostro organiamo per conoscere le leggi colle quali
si rinvigoriscono le sue funzioni per mezzo dell' esercizio, tutto
rimane ancora inesplorato ^.
11 dott. Gruber^ fece insieme al prof. H. Kronecker una serie
di ricerche suirallenament(ì, da cui risultò che un uomo cammi-
nando sopra un terreno piano produce il doppio di acido carbo-
nico che non stando in riposo. Salendo a Berna dal livello dell' Aar
fino sulla torre della cattedrale, che sono 80 metri, i primi giorni
produceva quattro volte più di acido carbonico che non stando
in riposo. Quando fu allenato a questo esercizio, produceva solo
tre volte più di acido carbonico che nel riposo. Queste ricerche
sono importanti perchè stabiliscono con cifre esatte il valore del-
rallenainento; da esse appare che la produzione dell'acido car-
bonico non è una funzione che sia indissolubilmente congiunta
col lavoro che compiono i muscoli. Esercitandoci impariamo a
1 Guido Rey. Ti Colle Gnifeiii. IJoll. Club alpino italiano. Voi. XXVII. 1894.
2 Chi von;lia vedtM'e il titolo dei lavori e degli articoli su questo argomento,
cerchi \\(AVIn<le.r ('atah<]He del Billings nella rubrica Kxercise as aremedy evi
troverà oltre duecento scritti. Non vi sono compresi gli altri, egualmente nu-
merosi, degli allevatori di cavalli per le corse, ed i libri e gli articoli che ser-
vono agli studenti inglesi che si preparano alle corse a piedi ed alle regate. —
Pregevoli sono le pubblicazioni recenti di F. Lagrange.
^ Max (iRunEK, Veher den Einjìuss dcr Uelnoìg ciuf den Siofftcechsel. 1888.
vihik. Alphi
far lavorare i nostri muscoli con una quantità minore di com-
bustibile. Hisultali eguali otteneva quasi contemporaneamente il
prof. Zuntz a Berlino.
Ma è sopratutto nell' allenameiito del sistema nervoso dove
sono maggiori le lacune della fisiologia moderna. Mi basta ci-
tare come esempio le vertigini. Goethe nei ricordi della sua vita'
parlando degli anni die studiava all' Università di Strasburgo
disse:
" Godevo di una tale salute ctie mi sentivo disposto a intra-
prendere con successo qualunque cosa io volessi o dovessi fare;
solo rai era rimasta una certa irritabilità nervosa che disturbava
quest'armonia delle funzioni.... Salii da solo fino sopra la più alta
torre della cattedrale e mi fermai sotto la corona dell'ultima cu-
pola e là stetti circa un quarto d'ora prima ch'io avessi il co-
raggio di uscir fuori sulla piattaforma che ò larga poco più di
una tesa, e dove aggrappandomi potevo contemplare il paese
sterminato che mi si stendeva dinanzi. Pareva di trovarsi in un
pallone volante. L'emozione e l'oppressione dolorosa che pro-
vavo stando a quell'altezza la vinsi ritornando spesso in quel
luogo fino a che divenne per me affatto indifferente. Questo mi
giovò poscia e molto nei viaggi sulle montagne, negli studi di
geologia, e nelle visite dei monumenti ài Roma, dove spesso per
vedere da vicino le cose, gareggiai coi più intrepidi muratori. „
La temperatura elevata del corpo, quale si produce nella fa-
tica, la palpitazione del cuore, le alterazioni dei muscoli, l'affanno
del respiro, tutto diminuisce quando teniamo il corpo in esercizio
* per mezzo dell'allenamento.
Lo disse già il più antico degli scrittori di medicina. Ippoorate:
Molus roborat, olium tabej'acit.
t
^^Klx> sviluppo grande del torace in confronto al resto del corpo,
^% sempre stato un segno di robustezza. Helbig notò che le statue
" classiche dell'arte greca sono messe in posizione inspiratoriaper
«lare al torace la sua massima ampiezza.
Il medico inglese John Hutchinson^ insegnò un modo pratico
per misurare quanl'aria possiamo introdurre nei polmoni. lilgli
I ' fJoKTUK, Auv meinem Lrbeti. IX BrnJi.
^^^^JonK HuTntiNi'o!!. Von itrr CapnàUil ilcr Liinum. — Itraiinsebueig, ltM9. J
182 FISIOLOGIA DBLLX'OMO SULLE ALPI
diede il nome di -épirjometro ad un suo strumento die si vede
spesso nelle scuole di ginnastica, nelle cliniche ed anche negli
uffici per la visita medica delle Società dove si fanno le assicu-
razioni per la vita. La capacità dei polmoni è difatti un docu-
mento importante nella valutazione fisica di una persona. Ma non
è tutto e forse neppure la caratteristica più importante come ve-
dremo fra poco.
Lo spirometro di Hutchinson ù incomodo per portai-si sulle
Alpi. Anche in basso se non si ha molta pratica per rettificarlo
è facile commettere dei gravi errori nel servirsene- — Adoperai
il contatore che descrissi nel capitolo terzo, pag. 45, e studiai con
esso la capacità vitale di quanti vennero con me sulle Alpi, e
di quanti potei avvicinare nel mio soggiorno sul Monte Rosa. Le
osservazioni furono fatte misurando tre volte la capacità vitale e
dopo facondo la media dei valori trovati. Siccome i numeri della
capacità vanno diminuendo per effetto della stanchezza, quando
si fanno tre profonde inspirazioni Tuna dopo Taltra, per tale ra-
gione e per altre che dirò fra poco, lasciavo che trascorressero
parecclii minuti fra Y una e V altra misura.
Lo strumento posava su di una tavola piuttosto alta, e perchè
avesse sempre una posizione orizzontale, lo sorreggeva una ta-
voletta di legno con tre viti di pressione. Un livello a bolla d'aria
completava tale disposizione come già dissi prima. La persona
stando in piedi dopo di essersi sbottonato l'abito, perchè la
grande ins])ira/ione che deve fare non incontri alcun ostacolo,
riempie lentamente e con forza il torace di aria e poi introdotto
fra le labbra il tul)0 di gonniia, espira lentamente e fino a che
I)uò, vota i polmoni.
Vediamo adesso, se una persona a 45(i() metri di altezza, può
introdurre nei polmoni una (luantità maggiore o minore di aria
di quanto fa in basso.
P. Bert aveva già fatto un'esperienza simile nella camera pneu-
matica, e vide che a 1*20 mni. di i)ressione (che è quanto l'altezza
del Monte Rosa) la cai)acità polmonare diminuisce della metà ^
Altri fisiologi misurando là capacità vitale neh' aria rarefatta
artificialmente, trovarono diffei'cnze meno grandi, ma pur sempre
considerevoli. Vivenot dice che due persone robuste ad una ra-
refazione dell'aria che corrisponde a 4170 metri, inspiravano
runa 404 ce. e l'altra :VM ce. di meno che alla pressione nor-
male, facendo una inspirazione ed una espirazione massima.
In una memoria speciale puljblicai le esperienze colle quali
^ P. Kert, Frcssion haromitrique, p. 716.
ho fatto la critica deRli scritti più recenti iittor|{io alle cause clie
possono pi-odun-e una diminuzione nella qtmntitè d' aria die re-
spi riamo sulle alte montafrne.
Qui mi limito a riferire alcune delle osservazioni fatte sul Monte
Uosa, e per brevità rimando alla tabella che sta in fondo al vo-
lume. Dalle serie di osservazioni che sono notate risultò die
a 45('i0 metri la capacità vitale era sempre inferiore a quanto
essa fu a Torino. Il sogj-'iomo sulle Alpi non ha avuto dunque
I alcuna iiiHuenza nel dilatare la capacita polmonare.
Se invece di studiare la capacità polmonare dell'uomo a pic-
cole e grandi altezze sui livello del mare , mentre trovasi in ri-
poso, lo studiamo durante una marcia, o alla (ine di un'ascen-
sione, il problema diventa assai più complicato.
Ilo detto nel capitolo terzo che colla fatica generale dimi-
nuisce la forza dell'inspirazione, oltre a ciò è possibile die nelle
ascensioni faticose si accumuli del sangue nei polmoni. Se ciò
fosse, si spi esilerebbe come pochi minuti dì riposo bastino per
ridonare la forza. Lasciando in disparte tutte le cause che produ-
cono una sensazione di benessere nel riposo, esaminiamo questa
supposizione di un ristagno del sangue nei polmoni. Molti pro-
vano le vertigini soffiando nel fuoco, o facendo una serie di in-
spirazioni profonde. Questa sensazione di un lessero capogiro potei
mostrare (cou un apparecchio che non sto qui a descrivere) es-
sere prodotta da un accumularsi di sangue nei polmoni '. Ad
ogni inspirazione si ferina nel polmone una quantità di sangue
maggiore di quella che viene espulsa nella espirazione succes-
rfva. Questo sangue improvvisamente sottratto alla circolazione
ed al cuore (perchè rimane stagnante nei polmoni), è quello che
colla sua mancanza produce l'anemia del cervello.
Se alla fine di un'ascensione 1 vasi sanguigni die tappezzano
la superficie degli alveoli e dei lirondii. sono dilatati e contengono
più sangue, vi resterà meno spazio per l'aria respirata. Proviamo
quali dati si ottengono collo spirometro.
Sai-teur e Solferino, i quali erano due degli uomini più forti
della mìa carovana, partirono alle 4 e 'W dalla Capanna Gnifetti,
' A. Mosso, SuUn eircojatùme del tangue iiel vervrllo lUll'ti
dei LiiK-ei, IST».
0. R. Accodsmia
184 FISIOLOGIA dell'uomo 8CLLB ALPI
e vennero su alla capanna Regina Margherita scarichi e di-
giuni. Temperatura —13°. Alle ove 7 arrivarono in eccellenti cou-
dizioni.
Appena giunti misuro subito la capacità polmonare. Fanno al-
ternativamente ciascuno tre inspirazioni, e dopo 1 ora e 35 minuti
ripeto su ciascuno la misura della capacità polmonare.
Sarteur 3806 ce 3952 e e 4099 e e
Dopo 1 ora 35' 466« 4904 4782
Solferino 4123 oc 4148 oc 3928 ce
Dopo 1 ora 35' 4489 4489 4392
Facendo la media delle tre prime osservazioni fatte collo spi-
rometro sul soldato Sarteur, appena finita Tascensione e confrou-
tandone il valore con quelle della media di tre osservazioni fatte
1 ora e 35' dopo, si vede che la capacità vitale crebbe di 832 e e
Nel soldato Solferino laumento fu solo di 390 e e. Ritengo proba-
bile che tali cifre rappresentino in parte la quantità di sangue,
della quale si liberarono i polmoni, ma come è fatta quest'espe-
rienza non si può afifermare con sicurezza.
Occorrono altre ricerche più diligenti di quanto abbiamo po-
tuto fare nella breve dimora sul Monte Rosa. Sappiamo del resto
che anche il cuore si dilata nelle ascensioni per efifetto della fa-
tica. Dopo un'ora e mezzo il cuore deve essere diminuito di vo-
lume e questo permetterà che entri un po' più di aria nel torace
per mezzo dei polmoni. Poi viene la fatica dei muscoli inspiratori,
e la più grave complicazione ù la i»aralisi del nervo vago, i>er la
quale si dilatano i vasi sanguigni dei i»olmoni. Basta accennare
questi fattori per mostrare ciuaiito sia difficile tale studio.
M'era veimto il dubbio che il male dì montagna fosse prodotto
da un disturbo della circolazione sanguigna e che l'accumularsi
del sangue nei polmoni potesse produrre questo malessere.
In parecchie persone ciie soffrirono il male di montagna con
fenomeni molestissimi di voinit»». insoiniia e mal di capo, e fra
gli altri nei signori Bei'tareili e Bizzozero. ho misurato la capa-
cità polmonare mentre orano più f«»rti i sintomi, e il giorno quando
erano scomparsi, e non trovai alcuna dilTerenza dopo che era
«^ossato il male di montagna. La capacità vitale media rimase
:R^Oc(\ pel signor Bei'iarolli e4-2tX»cc. per Bizzozero con piccole
variazioni.
KatTrontando la capacità vitale dei due custodi della capanna
- Allenameiilo. Cnpaeilf'i filale. Alpini
Regina Murglierita. con quelli clie venuti lassù soffrivano il male
dì montagna, lassiamo pure persuaderci ciie la quantità di aria
la quale introduciamo nei polmoni ha un'eflìcacia meno gruiidc
(li quanto si creda ^neralmente.
Di tutti gli abitanti d'iiuropa, Francioli e Quaretta, i due custodi
della capanna Het;ina Marwliecita, sono forse le persone die ri-
mangono ogni anno un tempo più lungo a iófXI metri. Incaricati
del servizio di quella capanna, vanno lassù in principio di lu-
glio e si fermano fino alla fine di settembre secondo che il tempo
lo permette.
Malgrado il continuo salire e scendere sul ghiacciai del Monte
Rosa, coi viveri sulle spalle, la capacità loro vitale è proporzionata
alla statura ed al peso loro.
Francioli, il custode della Capanna Regina Margherita, del
quale ho riprodotto U fotografia in princìpio del capitolo, 6 alto
m. 1,74, peso 77 cliilogr.. ha 4017 e e. di capacità vitale. Beno Bì/-
zozero colla statura di m. 1,7S ed un peso di 59 cliilogr. Iia
4200 ce di capacità vitale. Francioli non iia mai sofferto il male
di montagna; Bizzozero lo provò abbastanza forte appena giunse
alla Capanna Regina Margherita, sebbene avesse una capacità
vitale maggiore del Francioli,
Quaretta ha una statura di m. 1,G4 e pesa 70 chilogr., la sua
capacità vitale è ;i79ft e non soffre il male di montagna.
Potrei riferire qui una lunga nota di pei-sone le quali soflVi-
roiio il male di montagna avendo una capacità assai maggiore
della media, riguardo alla statura e al peso loro.
k
K indubitato che l'esercizio delle gambe produce un aumento
della capacità toracica. Su questo argomento abbiamo le ricei-che
df Marey* che bastano per sé sole a dimostrarlo. Ho scritto giù
qualche pagina nel mio libro sull'educazione fisica, per dimo-
strare che non occorre fare la ginnastica agli attrezzi per dilatare
il torace, bastando le passpgglate ed i giuoclii ginnici per pro-
durre lo stesso eiVetto. Recentemente il prof. Zìemssen tenendo
un discorso a Monaco intorno alla importanza dei giuochi ginnici
all'aria aperta per la gioventù, annunciò I risultati delle o-sser-
> Haut, ModifiiatioHg des mouremenluretpiniknretpar textrtiee MMCMlaÙ*.
~aipt«s rendus, 1980, pag. 145. '~~~ — ■— — '" —
», risioloeia cfrlCiiomo »fillt Alpi.
186 FISIOLOGIA DELL'UOMO SULLB ALPI
vazioiii clie egli coi suoi assistenti fece per parecclii anni nelle
scuole. Paragonando i valori ottenuti collo spirometro, trovò che gli
scolari quando ritornano dalle vacanze dell'autunno, hanno una
capacità dei polmoni maggiore di quando lasciano le scuole alla
fine dell'estate. Quest'aumento il prof. Ziemssen lo attribuisce ai
movimenti liberi all'aria aperta.
Sì crede generalmente che il soggiorno sulle Alpi serva per
dilatare il torace. Questo io non ho verificato in noi pel soggiorno
di oltre un mese sul Monte Rosa, perchè prima di partire era-
vamo già allenati. Le marcie in pianura bastano per dare una
dilatazione massima del torace, che neppure il soggiorno sulle
Alpi riesce ad aumentare.
Ho fatto una serie di misure sulla capacità vitale dei miei
colleghi nella sezione torinese del Club Alpino. Avevo portalo nei
locali del Club lo spirometro, una stadera ^ bascule e un metro
doppio di metallo per misurare la statura.
Ho qui sotto gli occhi il registro dove sono raccolte tutte queste
cifre, penso che è un materiale utile per lo studio antropometrico
degli alpinisti, e per gli amatori della statistica sarebbe una cosa
ghiotta se riferissi una lunga tabella di queste misure fatte con
esattezza sulla capacità vitale in rapporto col peso e la statura
negli alpinisti. Ma io temo che questo libro diventerebbe troppo
voluminoso, perchè dovrei mettere in raffronto questi dati con
altri, che riferirò fra poco, di persone della medesima età, statura
e peso, che facciano una vita sedentaria. Non avendo il tempo, o
la voglia di estendere troppo queste ricerclie accennerò solo due
risultati.
Alcuni alpinisti con una capacità dei polmoni superiore alla
nonnaie, soffrirono cioimllanieno il male di montagna.
Due alpinisti eccellenti, che fecero le ascensioni più difficili,
hainio la capacità polmonare inferiore alla media.
Bastano (luesti due risultati per modificare le idee general-
mente in corso. 11 volume piccolo dei polmoni non è dunque di
ostacolo per diventare alpinisti ed affrontare la fatica e la rare-
fazione delTaria nelle ascensioni. Non è vero che una capacità
dei polmoni superiore alla normale ci renda immuni dal male di
montagna.
VII.
XI. — AHeaamcitto. Capnciti'i cifale. Alpini
$~
^- Quasi oiiiii anno quando vado in montagna, sto attento alle
prime passeggiate, per vedere con quale rapiditi 1 muscoli delle
trambe prendono lena.
Riferisco un esempio per dare un'idea più esatta della cosa.
Se da Gressoney la Trinità faccio una prima passeggiata Ano al
Lago del Gabiet passando per Orsia e tornando per la valle del
Netscio, e cammino lentamente, è una passeggiata di 4 o 5 ore,
nella quale da 1G27 metri si sale tino a 2339 metri. Uno si solleva
di 712 metri. Il giorno successivo ed anclie due giorni dopo, i
muscoli non sono ancora ritornati allo stato normale, e nel di-
stenderli mettendo il piede a terra sento un leggero indolenzi-
mento. Tale doloro é dovuto allo sforzo elle si ó fatto nella dì-
scesa a reggere tutto il peso del corpo con dei muscoli die non
sono ancora abituati a questo lavoro.
Dopo una settimana che mi trovo in esercizio vado a piedi al
Colle deiroien, mi fermo a colazione e ritorno la sera. Avendo
fatto una fatica doppia, perchè mi alzai (ino a !28(ilj metri, il giorno
dopo non sento alcun dolore nelle gambe.
Il male di montagna va sempre più scemando quanto più
cresce l'allenamento degli alpinisti, e quanto più diventano nu-
merosi e confortevoli i rifugi alpini.
Whymper disse che qualora si potesse seesliere fra il rendere
più facili le Alpi e più robusti gli alpinisti egli preferirebbe que-
st'ultimo. Credo che lutti siano del suo parere. Pur nullameno è
indispensabile per l'incremento dell'alpinismo che si migliorino
e si moltiplichino quanto più è possibile i rifugi alpini.
Colla conquista delle cime più elevate è finita in Europa l'e-
poca avventurosa e più temibile delle ascensioni in altezza. L'al-
pinismo rientrerù finalmente nella sua vita normale, die è la
contemplazione serena e tranquilla delle Alpi, senza la foga mor-
bosa delle marcie, e la ricerca pazza dei perìcoli.
Se capila agli altri ciò che è capitato a me (e non lio ragione
per duiiitanie) i grandi panorami a volo d'uccello, quali ho visto
dalle vette più eccelse delle Alpi, non lasciarono quasi traccia
nella memoria. Le impressioni più vìve della mia vita alpina
sono di giorni passati sotto la tenda fra i 2000 e i 3lt00 metri
contemplando il profilo grandioso delle Alpi, ammirando la luce
continuamente cangiante nelle valli, restando attonito dinanzi a;;li
188 FISIOLOGIA DBLL^rOMO SCLLB ALPI
si)lendidi tramonti. Lontano dalla civiltà e dalla molestia deprli uo-
mini, quando si spegne la febbre e l'ebbrezza delle cure, resistenza
diveimta più umile e sincera, si avvolge di una poesia inefiTabile.
Io spero che gli alpinisti si accingeranno a percorrere in lungo
le Alpi, ad amare i profili grandiosi delle nostre montagne, rinun-
ciando al folle merito delle fugaci e precipitose ascensioni in altezza.
L'ideale dell'alpinismo è che la gioventù si innamori delle Alpi
e senta la passione di vivere sotto la tenda all'altezza degli ul-
timi pascoli. Un popolo che ami le sue montagne diventerà certo
più morale e più forte.
Vili.
Un'emozione piacevole ebbi nei dintorni di Oxford, quando
vidi per la prima volta un accampamento di studenti In oemscbo
ad una foresta. Finite le scuole i giovani dell'Università parkMlo
a frotte sulle barelle i>er un viaggio di alcune settimane. La aera
cessano di remare e piantano le tende sotto gli alberi sulle aponde,
accendono la loro cucina e si riposano nei loro accampaiMOtL
Il mattino tornano sul fiume di buon'ora, o si fennano a peacare,
a disegnare, a cacciare od a leggere.
Il camping out è un divertimento, è uno dei sogni della ro-
busta giovLMitù inglese. Sulle Alpi hi vita nomade riesce anche
j)iù bella e più salutare. Tra i ricordi felici degli anni migliori.
couto due campagne fatte sui monti con lo zaino in spalla. Con-
servo ancora il diario del viaggio eiie feci in Savoia con alcuni
amici nel 18(X. Furono le prime pagine che scrissi sulle Alpi e
dopo trentanni ho riletto con piacere le impressioni della gio-
vinezza e gli appunti dei primi studi sulla flora alpina. Di un'al-
tra escursione fatta al Gran Paradiso, al Piccolo ed al Gran
San Bernardo insieme ad altri studenti, avrò occasione di par-
lai-e più tardi.
Sono convinto che la robustezza mia, devo in gran parte al
desiderio di vivere in campagna ed al sole, alla passione delle
marcie, airainorc della fatica, all'abbandono gioviale di qualsiasi
comodo, al disprezzo dell'ozio, che sono in fondo le virtù dell'al-
pinista. Non darei mai per consiglio ad un giovane di fermaci
nei grandi alberghi, se non vi è costretto. 1 centri che avevano
])iù attra/ioue i)er gli alpinisti vanno trasformandosi in grandi
ospedali, dove i ricchi infettano ogni cosa coi germi della tisi. La
[)ru(len/a i>ìù elementare ci obbliga ad evitare il contatto e la di-
mora coi tisici. Chi deve viaggiare per proprio conto, o devedi-
XI. — AlUniimfnlo. dapacilìt ritate. Al/iiiiiitiiio
rìtrere un'escui-sione alpina, scelgi» sempre le regioni die sono
meno frequentale dal ibrestìeri e fugga gli alberghi dove sono
maggiori le agiatezze. 1 giovani alpinisti die vogliono diventare
rotjusti devotio stare quanto più è possiijile in alto e preferire le
case dei pastori, le grande e le capanne.
Il meglio ó di attendarsi per essere più indipendenti. Una tenda
ed un letto bastano per aver casa propria sulle Alpi. Non oc-
corre essere molto ricchi per farlo. Basta mettetesi in due, sce-
gliere una guida ed avere due portatori, ed ù tacile organizzare
mia simile spedizione portando con noi quanto occorre per la
dimora sulle Alpi. Il letto da campo del quale do il disegno nella
Pig. 4T, — Un lotto ila ciimpo spiegato ed un «Uro arrotolato pronlu per il Irasporlo.
tlgura 47. pesa dieci chilogrammi completo, messo dentro il suo
sacco di tela ini permeabile colle cinghie per trasportarlo, come sì
vede a sinistra. Disteso il letto sui tre peducci di ferro, la tela
imtjottlla serve da materassa. La parte della testa si alza e si ab-
bassa per mezzo di una catenella dandovi l'inclinazione voluta.
Un cuscino di lana, o di gomma, jier molti li inutile. Nella nostra
spedizione ciascuno aveva due lenzuoli, ma r|uestn pure è un
lusso, perché le coperte bastano. Una bacinella di gomma ed un
seggio pieghevole, come si vedono nella Hgura 17 al piedi del letto,
completavano l'arredamento della nostra tenda.
Fino a che le escursioni libere non siano entrate nel costund
i alpinisti, temo saranno pochi e solo j ricchi i
190 FISIOLOGIA DBLL*UOMO SULLE ALPI
darsi questo lusso di accampare sulle Alpi. Chi ne ha provato
l'attrattiva certo preferisce la tenda alle camere mobigliate degli
alberghi. Io spero vicino il tempo nel quale sarà cura delle se-
zioni del Club Alpino di provvedere a nolo il materiale per gli ac-
campamenti. Noi siamo trascinati inevitabilmente dai progressi
dell'igiene e dell'alpinismo, verso questi nuovi ideali della vita
libera. La cooperazione degli interessati risolverà il problema.
È difficile fare delle previsioni sull' alpinismo. Dopo che esso
è divenuto un arte ^ il vero alpinista, disse Vaccarone, ama l'arte
per l'arte „. E la montagna oppone sempre nuove difficoltà, sfida
ed alletta con nuovi cimenti l'alpinista. Alcuni hanno creduto
clie l'alpinismo sarebbe morto appena fosse compiuta la con-
quista di tutte le cime ancora vergini. Ma non è vero. L'alpi-
nismo nella sua maniera più audace, vivrà fino a che vi saranno
degli uomini che hanno bisogno di forti emozioni. Ora per poco
clie uno guardi come va cambiando la psicologia della società
moderna, si persuade che il diapason delle emozioni va sempre
più elevandosi. L'intensità delle eccitazioni deve diventare più
acuta e pungente, quanto più il nervosismo moderno ottunde la
sensibilità. Anche questa è una legge fisiologica.
IX.
k un errore fatale delle classi dirigenti che nelle scuole di-
minuisca sempre più il tempo destinato agli esercizi fisici. Un
altro danno clic reca T educazione attuale, e l'uniformità degra-
dante, che soffoca o;::ni spinto di iniziativa nella gioventù. Contro
tali eccessi non vi è altro rimedio che di promuovere V educa-
zione intensiva del corpo e di procedere con indirizzo scientifico
airallenaniento. I/alpinisnio i-csterà sempre per tale scopo il primo
tra i generi di sport che deve raccomandarsi alla gioventù: per-
chè nessuno dà niag;!:ior slancio all'attività individuale e serve
meglio a rinlVaiK'are il carattere e ad aprire la mente. La vita più
semplice e i^iù natnrale è l'alimento migliore per lo sviluppo del-
l' intelligen/a e del (^orpo.
1'utti i ;j:enoi-i di sjtorf sono buoni ed utili secondo le inclina-
zioni individuali e ranil)ionte, e tutti servono a guarire e rad-
drizzare la ^^enera/ione attuale che ingobbisce sui libri. Ma tutti
i ^^Miei'i (li sport possono diventare nocivi, quando si esagera
Dell'usarli. La bicielctta ebbe il merito di aver dato un impulso
potente all' esercizio dei muscoli, e di aver reso popolare la fa-
tica. Noi siamo perù vicini a cadere nella esagerazione di questo
esercizio.
eh. du Pasquier in uno studio psicologico su] piacere dì andare
in bicicletta pubblicato nella ReDue ScìenUflqae dell'agosto l»9(ì
scrisse queste inemoiabili parole;
" On coinprend que dans ces circonstances 1' exercice iinmo-
déré de la bìcycletle couduise ù un état qui rMuit au ininiinuni
les actlvttés nerveuses, qui enlève k l'individu sa pci-soiinalité.
tout coinme le travati à la machine et la division du travail re-
tire à l'ouvrier toute iiiitiative, et le réduit à l'elat de machine
automatique. ^
Il ciclismo non è effettivamente uno sport, esso è uu mezzo di
locomozione, del quale disgraziatamente abusano alcuni profes-
sioiiistì incoraggiati dal pubblico die li paga. Il daiuio più grave
che producono le yare è l'ipertrofia del cuore. 1 record men più
celebn durano pochi anni in fiore, raggiungono presto il mas-
simo della velocità e della resistenza e soccombono per effetto
dell'ipertrofia del cuore. Mentre l'alpinista va crescendo in forza
e continua a fare delle ascensioni difficili anche a sessant' anni,
ti ciclista decade rapidamente; la sua fama e la sua esistenza
sono effìmere, perchè egli chiede ai suoi muscoli, ed al sangvie,
una pressione per la quale non può resistere il cuore dell'uomo.
Solo per chi se no serve con prudenza ù utile l'esercizio della
bicicletta; e parecchi alpiiiistì mi hanno detto che sono meglio
allenati dopo che vanno in bicicletta. Questo miglioramento non
dipende dall'esercizio delie gambe, perchè i muscoli che servono
sui pedale non sono tutti quelU che adoperiamo nel camminai-e.
Infatti sì può essere un eccellente biciclista ed un peasuno cam-
minatore. Il valore sportivo del ciclismo sta nell'esercizio vigo-
roso del cuore, perchè un leggero grado di ipertrofia del cuore,
prodotto dalla bicicletta, 6 utile per chi si accinge a fare delle
ascensioni.
La vita in montagna è la più adatta pei- rinvigorire la razza
umana. Questo lo insegna l'esperienza dei secoli nella storia, ed
ora lo conferma la medicina per mezzo delle cure climatìclie colle
quali vengono sottratte tante vite agli effetti funesti delle ma-
latlie. Le passeggiate frequenti, lo spettacolo della natura, l'aria
(MÙ ft'edda e più secca, lasciano in noi una sensazione piacevole.
come se fosse ciesciuta l'energia. Le persone apatiche sanno
vincere la loro indolenza, quelle pigre sono ravvivate dalla luce
pii'i intensa. Ma é sopratutto l'allenamenlo, ìl fattore di queste ri-
surrezioni, per cui si vedono in montagna delle persone deboli
le marcie prolungate e reggere a delle fatiche clu
• Kxix Aì.n
ooo Avrebbefo sopfiorulo In dna. La vaneia del pnwsitjto ff
tSeaìderto di veder cose nuove, una aerta fxr* di enafaudòtie a
ere ac ooo la raaiBlenza. Nelle Alpi taui provmDo un bèso^no n
Kiore di movimeato. n penserò À nnliinan) U noeitto orii;aaàt
di rìcostrulrio omi uoa Doova vita Qu le scene sraudiose d
nwati e dd ghiacci. Il desiderto della faltca. «ooo le toatà t
riMIJ die brauuo ttorìre per «en^icv l'alpiuiBino.
/
Capitolo DnnirEsiMO.
Le cause del male di montagna.
Nel 1760 Saussure fece piihijlicare in tutte le parrocchie della
«ralle di Chamonix. che avrebbe dato una ricompensa abbastanza
considerevole a coloro che avessero trovato una strada per giun-
iiere alla soinniit;^ del Monte Bianco. Prometteva nello stesso
Kmpo elle avrebbe pagato le giornate di lavoro anche a quelli
die avessero fatto dei tentativi infruttuosi '.
Tali promesse non giovarono a nulla. Solo 15 anni dopo, quat-
to alpigiani di Chamonix tentarono di salire sul Monte Bianco.
Tutto pareva promettere un successo felice. Avevano un tempo
splendido, non incontrarono né crepacci troppo larghi né pendii
iroppo ripidi. Solo il riflesso del soie e l'aria immobile pi'oduce-
■ Simsirn, Voyagn datig le» Alpa. Histoiro des tentatives q
uar pMTanir A la cime dii Mont-Blanc, Tome IV. p. 389.
«Osco, fifiolipia lìrllfiomo >u/(e Alpi.
194 FISIOLOGIA DBLL*UOMO SULLX ALPI
vano un caldo soffocante e davano loro un' avversione e un di-
sgusto completo per il cibo. E' fu dopo questo tentativo che Jo-
rasse disse a Saussure: essere inutile portare da mangiare, ba-
stava avere un ombrello in una mano e una boccetta odoì'osa
neir altra.
Sei anni dopo vi ftirono tre altri che andarono a dormire in
cima alla montagna la Cote, traversarono il gliiacciajo, ed erano
giunti assai in alto, quando uno di essi, il più robusto, fu preso
da un bisogno invincibile di dormire e tornarono indietro.
Prima di Saussure si considerava come pericoloso T andare
semplicemente a Montanvert^ L'attitudine e la forza di salire,
come la resistenza al male di montagna, sembra siansi sviluppate
poco per volta negli alpinisti.
Saussure, parlando del male di montagna, scrive:
'^J'ai observé un fait assez curieux, c'est qu'il y a pour quel-
ques individus des limites parfaitement tranchées, où la rareté
de l'air devient pour eux absolument insupportable. J'ai souvent
conduit avec moi des paysans, d'ailleurs très-robustes, qui à
une certaine hauteur se trouvaient tout d'un coup incommodés au
point de ne pourvoir absolument pas monter plus haut; et ni le
repos, ni les cordiaux, ni le désir le plus vif d'attemdre la cime
de la montagne, ne pouvaient leur faire passer cette limite. Ils
étaient saisis, les uns de palpitations, d'autres de vomissement.
d'autres de défaillance, d'autres d'une violente flévre, et tous ces
accidents disparaissaient au moment où ils respiraient un air
plus dense. J'en ai vu, quoique rarement, que ces indisposi tions.
obligèrent à s'anvter à huit cents toises au dessus de la mer:
d'autres à douze cents, plusieurs à quinze ou seize cents. „
Dopo le opere di Saussure pel male di montagna dobbiamo
consultare lo scritto di C. Meyer-AIirens ^. È un libro di sole
140 pagine fatto con molta erudizione, il quale per la parte storica
sembra abbia servito di modello alla grande opera di P. Bert^
Tutte le dottrine antiche intorno al male di montagna ivi sono
riassunte ed esposte con grande chiarezza. Il libro di P. Bert,
rimase come il testo e l'enciclopedia più completa per questo
studio (leiruomo sulle Alpi. Dopo venne stampata dal Dott. Payot*
una tesi pregevole sul male di montagna la quale però aggiunse
poco di nuovo a (luanto sapcvasi \
' Ed. Whvmper, Chamonìx ami the ranifc of Mont Blaìvc. London, 1896, p. 13.
- Conrad Meyku-Ahrens, Die Bergkranhhext. Leipzig, 1854.
■ I'aul Beiit, La pression harométrique. Paris, 1878.
* Alexandre Payot, Du mal des mnntagnes. Thèse. Paris, 1881.
' Carvallo raccolse nel Didionnaire de physiologie di Charles Richet. Tome H
No» vi è dubbio alcuno flie il malR di inoiuapiia iir.ii sìa pro-
dotto dalla diminuita pressione atmosrerica; ma pli effetti per cosi
dire primitivi dell'aria rarefatta, possono divenire causa di altri
sconcerti. Ciascuno di questi sconcerti venne slimato da solo es-
sere causa del male dì montagna.
La stanchezza e la difficoltà a muovere le gambe, che vedremo
essere un fatto complicatissimo il quale aimuncia il disordine in-
cipiente nelle runziom dei nervi, fu ritenuto da Alessandro Hum-
boldt come un semplice effetto fisico della pressione diminuita.
" l,'ossp del femore, egli disse, tende ad uscire dalla cavitù sua
articolare del bacino, perchè la pressione dell'aria non basta più
a tenerlo in posto. Per ciò dobbiamo fare uno sforzo maggiore
dei muscoli dapprima e dopo non si può più muovere bene le
gambe. „ Onesta spiegazione emessa sul principio del secolo '
venne accettata universalmente, e molti l'applicarono anche alla
urticola/.Ìone del ginocchio, dove sentesi come una rìlasciatezza
dei legamenti quando ci prende il male di montagna. Tale ipotesi
venne ora abbandonata, peri^hè si dimostrò che la gamba rimane
in posto, malgrado il suo peso, anclie quando nella camera pneu-
matica la pressione atmosferica scende oltre il limite delle più alte
montagne.
La fatica e l'indigestione sono le due cause più note, e direi
quasi popolari del male di montagna. L'aggravai-si improvviso
della stanchezza nell'ultima parte di un'ascensione, dove la mon-
1896. la bibliografia antica e moderna di (luesto arifomento. — Ud articolo pre-
(;«ToIe pubblico pura recentemente U.-v. Likbio (Dit Btri/krankìieil. Deutsebea
Vwri8ljabrst.-hrìrt fQr ilffenllicbe Gcaundheitspfiege. Voi. XXVnH, Di un altro
scritta di G. v. Liebig. come delle pubblicazioni <Ii Ln-wy e di Aron che studia-
rono la pressione dell'aria rnrefattn negli alveoli polmonari, mi occuperò in Qn
prtisstmo lavoro. Siccome sono convinto che la spiegazione loro del male di mon-
tagna non esiste in re.iltA o non batta per spiegarne i fenomeni, cosi rìmandti
tale disciisaione troppo minuta ad un lavoro speciale. Il tecnicismo della critica
sperimentale non gioverebbe al lettore cbe non sia medico.
' "^ 11 conTÌcndrait plutfìt d'esaminer la vraisomblance de l'ìnfluence d'une
noindre pression de l'air sur la lassilude lorsque les jambes se meurent dana
ìea rói^oDg où l'atmosphère est très raréSée; puisque. d'après la déconverte m^-
morable dea d«Qi savants Weber, la jambe attaehée au corps n'est supportile,
quand elle te meut, que par la pression de l'air atuospbèriqiie. - Hiiiboldt.
^^ly dL, p. ite.
1}>6 FISIOLOGIA DELL^'OMO BULLE ALPI
taglia ò più ripida, rincapacità a proseguire, il dolore che si prova
nel fare 1 passi, fecero credere a molti che la contrazione dei
muscoli fosse la causa del male di montagna.
Nelle descrizioni di viaggi fatti sulle montagne più alte del-
l'America, si legge qualche volta che delle persone salendo in
sella sui muli non sofifrivano Taria rarefatta, mentre scesi a terra
erano colpiti immediatamente dal male.
Tschudì nei suoi S€hì::si dì viaggio racconta che era già da
un anno nel Perù ed aveva attraversato parecchie volte delle
montagne alte 4000 e 4500 metri senza aver mai sofferto il male
di montagna. Quando un giorno, non avendo fatto colazione,
sali fino a 4500 metri sopra un mulo e perdette il cammino. Il
mulo era stanco, ed egli dovette camminare a piedi tirandosi
dietro per le briglie il mulo, arrampicandosi per cercare la sua
strada. I suoi sforzi furono certo esagerati dalla emozione, e su-
bito cominciò a farsi sentire a lui la diminuita pressione atmo-
sferica.
•^ Ad ogni passo, egli narra, sentivo crescere dentro di me un
malessere che non avevo mai provato: e dovevo fermarmi per
prendere fiato, ma senza poter trovare aria quanto mi bastasse.
Cercavo di camminare e mi prendeva un afifanno che dovevo fer-
marmi : il cuore batteva così forte che ne sentivo la palpitazione.
Il respiro era interrotto e corto, ed era come un grande peso che
mi oppi*imesse il petto. Le labbra si screpolavano, i piccoli vasi
sanguigni delle palpebre si rompevano ed il sangue mi colava a
goccie dagli occhi. I miei sensi divennero inerti, una nebbia si
stese dinanzi alla vista, e tremando dovetti coricarmi in terra. „
Dopo mezz'ora ([uasi incosciente potè risalire sul mulo e conti-
nuare la sua strada.
Era già l'idea primitiva di Saussure questa di dare grande
importanza alla contrazione dei muscoli nella produzione del
male di montagna.
"^ Si c'étoit une rcspiration imparfaite, qui produisit cet épuise-
ment, connnent quelques iiistans d'un repos pris en respirant ce
niènie air. paroitroient-ils réparer si coinplètement les forcesl%
Ad assicurarci che il male di montagna può manifestarsi anche
quando manca la fatica dei nmscoli, basta pensare agli inconve-
nienti ed alle morti i)rodotte dalle ascensioni aerostatiche.
Sai.ssuki:, Vof/age dans les Alpes. Tomo II. p. 311.
e del male di mantitg
in.
no studio i>iù compiuto del male d! montagna potrà farsi fra
li anni, appena aperta la Terrovia della Jungfrau. Per mezzo
di un tunnel e di un ascensore si trasporteranno comodamente
ogni giorno centinaia di persone fino all'altezza di 41G6 metri. La
Vergine, come per antonomaaia erasi chiamata questa montagna
per gli immensi suoi fianchi di neve candidissima, perderà col
principio del secolo una parte del suo fascino, più nessuno temerà
le sue frequenti valanghe, e ^\\ uomini più tìmidi saliranno sulla
vetta per sentire il rombo dei ghiacciai e godere fin l'ultimo rag-
gio della luce gloriosa dei tramonti, che fino ad ora pochi hanno
I goduto.
E^t-il governo federale della Svizzera, prima di approvare i piani
^^feuesta ferrovia, chiese ad un fisiologo celebre, il prof. Kronecker
C3r Berna ** se la costruzione e l'esercizio di questa ferrovia erano
possibili senza recare danno alla salute dell'uomo ^.
Una grande responsabilità fu con tale domanda messa a ca-
rico della fisiologia. Il prof. Kronecker doveva, con poche osser-
vazioni fatte nella camera pneumatica e sulle montagne, rico-
struire e intravedere tutta la serie complicata di fenomeni che
potranno verificarsi quando una moltitudine curiosa di malati e
di sani sarà trasEiortata sulla vetta della Jungfrau.
La relazione del prof. Kronecker è uno dei lavori più impor-
tanti che siano stati sciitti sul male di montagna e coplerò dalla
sua relazione la parte che tratta le esperienze fatte al Breithorn;
■* 11 13 settembre 1894 partii colla mia signora con assistenti
ed aiuti da Berna per Zerniult. 11 11 mi raggiunse il prof. Salili
direttore della clinica medica di Berna colla sua signora. Era-
vamo in sette persone a far parte della spedizione. Un ragazzo
di 10 anni, un vecchio contadino dì 70 anni, il dott. Ascher di
30 anni e noi quattro.
" il M settembre a Zermatt abbiamo preso su tutti la curva
oollo stìgoiografo. ia frequenza dei polso , la capacità vitale e la
:]uantità di emoglobina dei sangue. Il 15 settembre alle tre anti-
meridiane al chiarore della luna piena, con legt-'cra nebbia si parti
da Zerinatt. La carovana era formata di circa CiO persone. Le
sette persone destinate all'esperienza cavalciivano sui nìuli. cia-
scuno dei quali era condotto da un uomo. L'Inserviente del La-
bomtorio citc doveva preparare le esperienze lisiologiche e un
intendente concessoci dal dott. Seller , facevano essi pure parta
198 FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALPI
della nostra cavalcata. Due guide precedevano la colonna, 4*2 por-
tatori erano addetti al trasporto degli apparecchi scientifici, delle
coperte, delle provvigioni e delle portantine. La marcia notturna
sui muli prima che spuntasse il sole, fu abbastanza pericolosa
in causa della nebbia. La maggior parte delle persone sulle quali
doveva farsi Tesperienza non si accorsero del pericolo.
" Dopo una colazione calda nella capanna inferiore del Teodulo.
vennero collocate le sette persone nelle portantine e divisi i por-
tatori. Sei portatori per ciascuna sedia portatile : però presto non
bastarono più. Un portatore tornò indietro perchè soffriva il male
di montagna. A portare uno di noi, alquanto pesante, volevano
essere in otto per cambiarsi, e per il ragazzo non volevano es-
sere meno di sei. Il dott. Ascher dovette perciò camminare a
piedi sul ghiacciaio. Nell'ultima salita si procedeva innanzi con
molta lentezza, così che arrivammo sul Plateau solo alle 11,30'. Mi
decisi di restar là e di non raggiungere la vetta del Breithorn.
perchè ci sarebbero occorre altre due ore, e non avremmo più
avuto tempo sufficiente per le esperienze. Il vento soffiava forte
sulla vetta, come poteva giudicarsi dalle nebbie che formavansi e
svanivano su di essa. La nostra prudenza fu bene ricompensata.
Noi trovammo in questa stazione relativamente bassa (3750 metri)
tutti i segni essenziali delle alterazioni che si producono nelle
funzioni della vita per effetto deir altitudine. Determinammo la
frequenza del polso, la forma del polso, la capacità polmonare e
lo stato generale nel riposo , come pure in un lavoro moderato.
Ne risultarono delle diffei-eiize caratteristiche le quali saranno
presto pubblicate.
" Tutte le persone sentivansi bene quando erano comode ed
immobili: la sete era piccola, ed il vino non piaceva. Il polso era
notevolmente più freciuente, la curva del polso segnava una di-
minuzione nella t-ensione delle arterie, eccetto che nel vecchio,
che aveva le ai-terie indurite. La capacità vitale era scemata in
tutti. Questi sintomi erano eguali tanto nelle persone ricche di
sangue, quanto in quelle che erano scarse di sostanza colo-
rante. Tutte le persone avevano, a giudizio del prof. Salili, un leg-
gero grado di cianosi, colla pelle azzurrognola, quantunque Tarla
fosse senza vento e quasi tiepida....
"^ Il sintomo più importante e più apprezzabile, era Vinfluenza
nociva che esercitavano i più piccoh movimenti. Venti passi sul
ghiacciaio le*:gernieiite erto, e sul quale poteva camminarsi como-
damente. Inastavano a produrre un polso febbrile (100 fino a KX)
pulsa/ioiiii. Anche nelle guide e nei portatori robusti, il fare venti
passi, faceva salire il jmlso da 100 e 108 fino a 120 e 140 per mi-
liuto. La maKgior parte delle persone sentivano la palpitazione
di cuore e l'affanno del respiro quando si muovevano. Il pie-
garsi riusciva molesto ed i più piccoli lavori clie richiedevano at-
tenzione, come lo scrivere il polso, li rotografare. l'apparecchiare
od imballare gli strumenti erano più faticosi, e solo potevansi
compiere con degli intervalli di riposo,
" Alle sette di sera tutta la comitiva era ritornata a Zermalt
in ollune condizioni.
"Se io coordino tutti questi sintomi, sono obbligato ad am-
mettere die ti male di montagna trae origine da dei disturbi della
circolazione. Le persone che ne soffrono fanno l'Impressione di
malati di cuore. La pelle cianotica (azzurrognola) si accorda pie-
namente con questo quadro. Le respirazioni profonde giovano
poco. La pressione diminuita produce una dilatazione dei vasi
sati^ui^ni del polmone, per effetto di un ristagno del sangue nella
piccola circolazione, e questa dà origine ad una dilatazione del
ventricolo destro del cuore. Gli eccitamenti forti della pelle pos-
sono far contrarre i vasi sanguigni in via riflessa (quindi viene
l'iiitluenza benefica del vento, quando non è troppo freddo). Gli
sforzi muscolari eccitano il cuore già anormalmente eccitato in
causa della congestione. Le vene dilatate contengono tanto sangue
che la pressione diminuisce nelle arterie ed anche il cervello ri-
ceve uua quantitit insufficiente di sangue {sonnolenza, svenimenti),
gli ingorgili nella circolazione della vena porta causano la man-
canza dell'appetito. la nausea ed il vomito. Questi fenomeni non
possono dipendere dalla mancanza di ossigeno, altrimenti la re-
spirazione diventerebbe profonda, e colla respirazione più intensa
scomparirebbe il malessere, e questo aumenterebbe nella stessa
uiisura che diminuisce l'ossigeno „ '.
^^Mi
IV.
Martino Gonway fece recentemente un viaggio sull'Himalaja
del quale ho già parlato nei capitoli precedenti. Ritornato a Lon-
dra consegnò il materiale delle osservazioni fisiologiche da lui
lite al professore Roy, distintissimo fisiologo, e tra i migliori
lughilterra.
seguito all'osservazione fatta ripetutamente da Gonway che
'^11 "sentivasi molto peggio sulle chine che non sulle creste, co-
' H. EsoKBraeR. Ueber die Bergkrattkhdl mit Beii^ auf die JuHgfna^ahn.
DOT. 1S94. png. SI.
200 FISIOLOGIA DELL'UOMO SULLE ALPI
sicché con difficoltà sì tratteneva dal raggiungere le cornici^.
Roy emise Topinione che il malessere fosse prodotto da un'alte-
razione dell'aria. Citerò un pezzo della memoria di Roy. " Le os-
servazioni di Conway che il malessere provasi più intenso nei
luoghi profondi ed incavati, che non sopra le creste, viene a con-
fermare quanto erasi già notato da altri. Questo può essere do-
vuto a ciò, che l'acqua prende più ossigeno che azoto dall' aria.
Quando sopra di un alto picco il sole colpisce la neve, e fa scio-
gliere una parte di essa, l'aria circostante viene ad essere priva
di una certa quantità di ossigeno „ ^
Torna a presentarsi con veste nuova e sostenuta dall'autorità
di un valente fisiologo Topinione antica di Saussure il quale cre-
deva che l'aria si alterasse negli strati che toccano la neve. Ma
Boussingault fino dal 1830 ha dimostrato che solo l'aria conte-
nuta nei pori della neve tiene meno ossigeno, perchè questo
gas si scioglie più facilmente dell'azoto nell'acqua; e disdisse la
opinione che egli prima aveva accettata da Saussure che cioè
la neve attirasse Tossigeno dell'aria, sciogliendosi. E ciò disse
non solo in base alle sue analisi dell'aria, ma aggiungendovi la
giusta considerazione che il male di montagna, se questo fosse
vero, dovrebbe anche manifestarsi nella pianura nei giorni d'in-
verno. Più tardi anche Frankland analizzava l'aria presa sulla vetta
del Monte Bianco e ne risultò che aveva la stessa composizione
di quella di Chamonix.
Le analisi chimiche deir aria fatte da mio fratello, da Zuntz
e da Lcjewv sul Monte Rosa, confermarono che sulla vetta a
4560 metri è costante la composizione deiraria. Il movimento del-
l'oceano atmosferico è cosi continuo, le correnti, anche dove più si
soffre il caldo, hanno tale estensione e velocità, clie piccole altera-
zioni come quelle prodotte dalla fusione della neve non modificano
sensibilmente la composizione dell'aria. Questo non deve meravi-
gliarci quando si pensa che le analisi più minute dei chimici fatte
sull'aria delle foreste non hanno ancora potuto trovare un'influenza
della vegetazione nell'aria che sta sotto gli alberi. Ed appare tanto
meno probabile che Tuonio senta gli effetti di queste variazioni
minime, poicliò alterazioni molto più grandi passano inosservate.
Contro questa teoria sta il fatto che il male di montagna si
prova intensissimo sulle montagne dove è tutto macii^no. Zur-
bri^^;^^on mi disse che e^li soffre più sulla montagna scoperta, che
sulla neve od il ghiaccio.
^ Mountain Sicknesfi di Ch. Rov. — Clirabincr in the Himalavas, M. Conwav.
pa^r. ni.
Capiioi.0 Tredicesimo.
Una spedizione al Monte Bianco nel 1891.
1.
Per caso ini trovai in coutalto con una parte di fjuesta spe-
dizione liei 1891. Coiioblii il dottor Jacottet clie mori di polmonite
sulla vetta del Monte Biiinco, e andai colle guide di Clmnionix
alla ricerca del signor Kotlie e di una guida, periti sollo una va-
langa ili u[i crepaccio del Petit Plateau.
Questa spedizione era stata organizzata dall'ingegnere Iinfeld
iiicuricato di costruire l'osserva Iorio del Monta Bianco, sotto la
direzione di Janssen ed Kiffel.
Il giorno 13 di agosto il dottore Egli-Sinclair e il dottor Gu-
gUelmiiietti partivano da Cliainonlx e si fermarono due notti ai
Grauds-Mulets (3050 ni.) per abituarsi all'aria rarefatta. Il 14 l'inge-
gnere linfeld li raggiunse con una ventina di guide e di portatori.
Il giorno successivo partirono alle 3 ant. e verso le 10 raggiun-
aera la capanna Vallot al Hoclier des Bosses, a 4:«i5 meti*i dì al-
tezza, dove giunsero in buone condizioni. Ma in 'luesto stato non
si uiautcunero nella capanna. Si sentivano come oppressi; erano
sonnolenti con forte mal di capo e la respirazione si faceva loro
diffìcile. Tanto die doveltero uscire tutti duo fuori della capanna,
per respirare all'aria libera. Il dottor Egli-Sinclair fa la seguente
descrizione del suo stalo '.
' Bou-SiKcLàm, Sur Ir mnl de moit(.iy*ic Aniinles do l'Ohsarval
rolo^lriue dii Mont-BInnc. — Pari», I8it3, pug. 118.
ìtiiiat), f'Ifwlosiia lUtl'iioma rullf Aljn.
■ --
202 FISIOLOGIA DBLL'FOMO SULLE ALPI
^ Je m'assis devant la cabane, mais je me sentis encore pire, et
je dus faire de profondes et fréquentes inspirations, sans atteìndre
la sensation de rassasiement d'air. De plus en plus, je sentis que
les muscles accessoires de la respiration étaient en fonction ; ils
me faisaient mal, une tension douloureuse aux muscles humé-
raux ótait très pénible, et je pensai avec compassion à ces ma-
lades que j'ai souvent vus hors d'haleine. Un mal de tòte et une
légère nausee complctaient le malaise. Guglielminetti vint s'asseoir
près de moi ; lui aussi respirait fréquemment et profondément :
les comparaisons comiques qu'il faisait ne nous aidalent poiut
Nous restàmes plus d'une heure assis, sans remarquer d'amélio-
ration ; Toptimisme de notre opinion sur le mal de montagne
baissa considórablement, car nous observions son premier et
particulier symptòme, l'essouflement ; un essouflement qui se
présente après les eflbrts accomplis, qui se prolonge et s'aug-
mente, ne pouvant alors étre occasionné par la fatigue. Nous
dùmes nous lever, car nos pieds menai^aient de geler.
^ Nous fùmes bien aises d'avoir à notre service des gens qui
nous ótaient nos bottes, nos guétres, et mettaient nos pi^s
dans des sabots, ce qui nous aurait étó bien pénible à faire. De
cette manière, nous étions préparés à prendre notre soupe ; était-
elle bonne ou mauvaise, nous ne saurions le dire, nous n'avions
pas de goùt. Le vin rou^e avaìt une saveur d'encre, le blanc
celle de vinaigre ; seul, le café noir ne nous degoùta pas : je l'ai
pris après avoir avalé deux grammes de phénacótine, dont Teffet
ne tarda pas à se montrer, car je me sentis bientùt mieux.
" Si je ne pus pas dormir, ce n'est pas la couclie dure et froide
qui en était la cause, non plus la tempéte qui hurla pendant tonte
la nuit, mais toujours la mème soif d'air. Trois ou quatre fois.
je dus me lever pour pouvoir i^espirer profondément, mais rien
n'aidait ; épuisé et découragó, je me recouchai.
" Le 17 aoùt, c'est-à-dire le troisième jour, je note encore la
durée du manque d'appétit, et la fréquence de la respiration. .
" Le quatrième jour de notre séjour, notre état commen<,*a peù
à peu à s'améliorer. La respiration resta toujours un peu accé-
lérée, mais sans que nous le remarquions : seulement en faisant
des elTorts pour monter sur le lit de camp et en descendre, en
mettant soii habit, en se couchaiit, on dut respirer profondément. ^
La frequenza media del respiro era di 20 a 28. Il polso era
accelerato in tutti. E^li-Siiiclair aveva da 85 a 9G pulsazioni; Gu-
glielminetti da 72 a 81; Imfcld da 9,7 a 103. — Dal 13 al 25 di agosto
Ej^li-Siiiclaii' perdette 7 chilogrammi di peso; Guglielminetti 3,5:
Imfeld 3 chilogrammi.
La descrizione che fece il dottor Guglielmi netti di fjuesta spe-
dizione ù pure poco confortante ', Nei primi quattro o cinque
giorni soffrirono molto, es'i dice : ebbero vomito, inappetenza, af-
fanno del respiro ad ogni piccolo movimento, e grave malessere.
Si vede che non era loro bastato di essei'sì fermati duo giorni ai
Grands-Mulets per acclimatarsi all'aria rarefatta. Guglielminetti
dice; "Mon energie physlque i5tait presque annutée. „
Ad aggravare la disposizione naturale del dottor EgU-Sinclair
e del Guglielminetti, por il male di montagna, credo abbia contri-
buito molto il fteddo. Il fatto da essi ricordato che vi era un ve-
tro rotto nella capanna mentre durava la tempesta, la confessione
che non poterono studiare la circolazione del sangue perchè ave-
vano •'les doigts engourdis par le froid„ mostra die la spedi-
zione non fu ordinata bene e che la stufa non funzionava a
dovere. Essi non lo dicono per gentilezza verso il loro ospite l'in-
gegnere Imfeld. Credo che sia un errore l'aver bandito l'uso della
legna nel rifugio Vallot; se potrò ritornare sul Monte Bianco, vo-
glio scrivere sulla porta il verso d'Orazio :
Dissolve frigUB ligna super foco.
l dottor Guglielminetti dice cliiaramente quale fosse la tem-
peratura della capanna. "Le lendemain, troisième jour, le temps
s'améliora; mais li faisait tou.joui's très froid, le thermomètre ne
dépassa guère 0° et il faisait —10" deliors. L'encre avait gelé
pendant la nuft, et nous nous sommes rOveillés avec des glacons
aux nioustaches. „
Il freddo predispone al male di montagna, e ne aggrava i fe-
nomeni: questo dimostrò chiaramente il Conway nel suo ultimo
viaggio suirnimalaja. Un'altra testimonianza del freddo che sì
soffri nella capanna Vallot. durante il soggiorno della spedizione
de! 1891 ci é data dallo Sclirader * il quale dice che erano sem-
pre molto vestiti: ''car mcme dans les chambres. la tempera-
ture s'abaisse ft plusieurs degrés au dessous de zèro. Des efforts
iiicessants pour réchaufTer la chambre od la temperature C'tait
descendue à — 7°, et où nous grelottions dans nos vctements
superposés. »
■
K B. psir. 133.
* K. ScuKADEK. Une l'^uimiiiie i
Frwigai»: l»tìJ, pag. 2».
iiirs au Monl-BlMc. I/ft^lio des Alpos, 1894,
: Monl-Bl(tnc. rsill. Àtiiiimire du Chili Alpin
204 FISIOLOGIA DELL* COMO SULLE ALPI
II.
Il dottor Guglielminetti parlando delle osservazioni fisiologiche
da lui fatte sul Monte Bianco dice : I portatori sentivansi meglio
di noi, perchè la maggior parte di loro erano stati qualche giorno
prima impiegati nei lavori di ingrandimento della capanna. Tutti
però confessavano di aver sofferto nei tre, o quattro primi giorni,
e di essersi dopo acclimatati, eccetto due, che malgrado tutto, e
malgrado le inalazioni di ossigeno furono obbligati a scendere
nella valle.
" Uno dei risultati più curiosi del male di montagna, dice il
dottor Guglielminetti, fu Tannientamento della volontà, e una in-
differenza completa per noi e gli altri. Ho dovuto fare uno sforzo
supremo per constatare che la temperatura del nostro corpo era
normale in tutti (36*',8 a 37°,5). Il polso accelerato tra 96 e 103. I
movimenti del respiro da 23 a 30 per minuto. „
La quantità di orina era scemata dì 900 grammi al giorno,
ma essi bevevano meno che in basso. 11 dinamometro non indicò
differenza nelVenergia dei muscoli.
Tali osservazioni furono fatte nel primo giorno, ma eviden-
temente perduravano gli effetti del male di montagna, perchè il
dottor Guglielminetti soggiunge: "La deuxième nuit fut encore
très mauvaise. Nous nous étions à peine un peu róchauffés sous
nos couvertures qu'un de nos guides vint nous dire qu'on appor-
tait dans la cabane un jeune Parisien totalement épuisé. Je vou-
lus me lever pour lui faire préparer quelque chose: ce me fut
absolument impossible. Pour rien au monde je n'aurais pu avoir
Ténergie nécessaire. „
Il dottor Egli-Sinclair fece delle ricerche sulla quantità di emo-
globina contenuta nel sangue, e nella sua relazione dà un trac-
ciato dal quale api)ai*e che in tutti tre vi fu una certa diminuzione.
Questa però fu minore nel dottor Guglielminetti, un po' maggiore
neiriiigegnere Imfeld, e massima in lui. Dopo quattro giorni il
valore nell'emoglobina tornò a risalire verso il normale in tutti tre.
Il dott. Egli-Sinclair vorrebbe stabilire uno stretto rapporto tra
il contenuto della sostanza colorante del sangue e il male di
montagna, ma le osservazioni furono da lui compiute in condi-
zioni tanto sfavorevoli, che i suoi risultati non sono attendibili.
Del resto il prof. Kronecker fece già notare come i fenomeni del
male di montagna compajano e cessino con tale rapidità che
non possono certo dipendere dal sangue, perchè Temoglobina non
- Uno tjicdutr-nr ni Monte Bìa
piiiS dislruKsePsi e riprodursi con altretlanla prontezza. Certo il
freddo distribuisce in modo diverso i corpuscoli del sangue e il
siero net vasi sanguigni. Per dubitare del valore di queste espe-
rienze basta ricordare ([uanto dice Gufflìelininelti: " Egll-Sinclair
coinptail au microscope le nonibre de corpuscules contenus dans
une goutte de sang prise une Tois par jour ù rextremilù de nos
doigts glacés. „
Farò più tardi una critica generale degli studi sul sangue
nelle ascensioni, dove mostrerò clie i metodi atluali d'indagine
non sono abbastanza esatti. Queste osservazioni di Egli-Sinclair
sono anche meno attendibili per alti-e ragioni c)ie qui è .inutile
riferire. Lo stato psichico di questi sperimentatori non era tale
da permettere die fosseio esatti i risultati delle loi-o osservazioni.
Lo disse ligli-Sìnclair stesso. " Pour compter les globules du sang.
il fallait. en les examinant avec attention sous le microscope,
retenir k'gèrement la respiration, ce qui m'ùtait très pènible, et
c'est pourquoi il est bien comprc'^liensible et excusabJe que ce
complage n'ait pas alteint l'exactitude désiróe. „
La mancanza della calma necessaria alle indagini, impedì al
dolL Egli-Sinclair e al dolt. Guglielminetti di mettersi d'accordo
sul valore delle osservazioni fatte. Infatti quest'ultimo attribuisce
la dimtiuizione dell'emoglobina osservata da Egli-Sinclair sempli-
cemente ad una diminuzione dei corpuscoli rossi, e dice;
" J'avais à Chamonix le 12 aoùt6 100000 corpuscules par mil-
lìmétre carré, et 4 millìons seulement, le 17, dans la cabane; il
est vrai que le nombre est remonté à 5 millions Io il. Ghez lui-
méme la diminution m*a paru ailer jusqu'à 3 millions. Quoique Egli
pretende que la correclion de ces chiffres ne puisse pas iHre cer-
tiflée, je dois cependant maintenir le fait de la diminution des
corpuscules rouges, parce qu'il donne une grande importance
à la diminution de l'hi-moglobine au Mont-Blanc, à ranoxylièmie
constatée dans quelques pouttos de sang. „
Una cosa imparai in questa mia gita al Monte Bianco, cioù che
l'ossigeno non serve a nulla contro il male di montagna. Fu
per me una disillusione profonda, perchè tutta la fisiologia di
P. Bert era fondata su questo: che il male di montagna fosse
prodotto dalla mancanza di ossigeno, e die questo gas bastasse
per guarirne immediatamente. Oramai siamo tutti convinti che
il portare l'ossigeno in montagna è altrettanto inutile, quanto il
darlo ai moribondi dei quali nessuno certo fu salvato dall'os-
sigeno.
Il doti Guglielminetti dopo aver fatto l'ascensione del Monte
Kanco ed essere disceso quando si sentiva molto male, disse:
206 FISIIOLCM3IA OELL'COXO SULLE ALPI
^ J'essayai d'aspirer de Toxygène, mais je n'en obtins aucun sou-
lagement ,,
Eravamo nella capanna dei Grands-M ulets con un tempo pes-
simo. Invitai il sig. Federico Payot e le guide a bere con me
nell'albergo della vecchia cuoca Maria. Dopo, il sig. Payot mi in-
vitò ad un ricevimento in casa sua, nella capanna che aveva
costruito accanto come deposito per l'osservatorio del Jansseu
che doveva costruirsi sul Monte Bianco. La prima cosa che mi
colpì fu una grande catasta di cilindri di ferro ammucchiati in
un angolo della capanna, i quali contenevano dell'ossigeno com-
presso.
Avevo veduto portar su di questi cilindri, solo mi meravigliai
che fossero tanti. Continuando a bere feci sommariamente un'in-
chiesta per mio conto, che ho continuato anche dopo a Chamonix,
parlando cogli operai die avevano sofferto il male di montagna.
Cosa strana e per me affatto inattesa, neppur uno nai disse che
avesse provato qualche beneficio dalle inalazioni deirossigeno.
Quella sera siccome si stava bevendo e ad una delle guide gli
era scappato detto che il vino era meglio dell'ossigeno, tutti
ripetevano questo scherzo.
Uno dei portatori col quale mi accompagnai su pel Monte
Bianco , al quale chiesi se quei cilindri che egli portava erano
utili a qualche cosa, mi rispose sorridendo : "" Sono utili a noi che
li portiamo. „ Diede una tale scrollatina di spalle, che subito pensai
ad uno speziale venuto in voga per un suo cerotto che si met-
teva sul petto per guarire la tosse. Un amico, avendogli chiesto
in confidenza se proprio quel suo cerotto faceva bene, il farma-
cista rispose: "^ Intanto comincia a far bene a chi lo vende. „
III
Una buiTusca terribile si scatenò sul Monte Bianco la notte
del 19 agosto, e il tuono continuò a rumoreggiare nel giorno suc-
cessivo. Il '21 cominciarono a venir meno le provviste nella ca-
panna Vallot. Gli operai che lavoravano per fare il tunnel e cer-
care la roccia sotto la cupola del Monte Bianco erano scoraggiati.
Giuseppe Sinioud clie volle lavorare mentre cadeva la neve sulla
vetta, era disceso con un piede gelato e le mani completamente
insensibili. Si deliberò di far ])artire alcuni uomini dalla capanna
Vallot. Scesero con essi due altre carovane, quella del conte Fa-
vcrnay e del signor Kothe.
Oueste carovane i)artirono separatamente dalla capanna Val-
lot: incontratesi per strada si riunirono in una soia cordata.
Erano cinque operai dell'osservatono Janssen, tre guide e due
portatori. 11 tempo era cattivo; quando giunsero al Petit Plateau.
si staccava dal Dòme du Gouter una valanga. La sentirono av-
vicinarsi senza vederla, tanto era Ijuìo. Gli ultimi cinque della fila
furono travolti dalla valanga in un crepaccio. La corda si ruppe
e il conte Favernay con una guida ed un portatore poterono es-
sere tirali fuori dal crepaccio. 11 signor Rotile e la guida Michele
Sìtnond morirono sepolti dalia valanga.
Quando giunse la notizia a Chamonix venne subito organiz-
zata una spedizione per correre al- salvamento. Mi offrii come
medico di andare sul luogo del disastro. In questa circostanza
feci la conoscenza del doti Jacottet il quale mi lasciò andare al
suo posto, perchù egli in quel giorno si sentiva poco bene. Alle 3
del matUno eravamo pronti, ma non si potè partire, perchè il
tempo era cattivo. Intanto parlai col conte Favernay che aveva
una ferita alla fronte.
Verso le 10 partimmo colla pioggia, eravamo in quindici. Per
strada incontrammo una parte della carovana, fra cui alcuni fe-
riti che scendevano più lentamente. Un portatore mi fece vedere
la corda nel punto che si ruppe. Una guida che medicai per
strada aveva una ferita alla testa ed un'altra alla mano che sem-
bravano fatte da un'arma tagliente. Ilo compreso che il ghiaccio
cogli spigoh acuti, quando si muove con velocità, puè tagliar
netto qualunque corda.
La notte dormo poco e male. La vecchia serva Maria dei Grands-
Mulel-s. dopo avermi raccontato che il signor Rotlie era tanto al-
legro e faceto, mi aveva condotto nella stanza che aveva occu-
palo egli per ultimo. Rimboccò le lenzuola dì quell'umile letto, e
mi augurò la buona notte. Sul comodino c'era un libro clie ri-
conobbi subito essere una guida Baedeker. Sopra la coperla gialla
era scritto :
H. Rolhe. A/lemar/ne.
Braunschteeifj.
Passai una notte tiislissima. Alle tre del mattino partimmo.
Il tempo continuava ad essere cattivo. Il luogo del disastro è
un crepaccio profondo che fu per metà ripieno dalla valangfi.
Le guide gridano forte: Michel! E poi tutte ascoltano sporgendo
il capo sulla voragine. Per scendere sulla neve della valanga
'.-<iduta in fondo al crepaccio, bisognava calarsi giù a picco per
l'iillezza di oltre trenta metri. In un momento tutto fu pronto;
^*ginque guide, tenendo la corda, lasciarono scorrere lentamente
2</B FISIOLOGIA dell'uomo SCLLB JLLFI
un loro compagno che scese colla picozza. Subito dopo scese
un'altra guida legata allo stesso modo.
I colpi della picca , che sbarazzavano la gola del crepaccio,
mandavano un suono cupo e funereo; a guardare dall'alto quegli
uomini avevano un color livido di cadavere per la luce azzurro-
gnola del ghiaccio. Il vento soffiava impetuoso sulla faccia, e dal
cielo buio veniva giù una neve fina che saltellava come granel-
lini di sabbia. Quelle poche ore passate inoperoso, in mezzo alla
nebbia, sotto la sferza di un vento glaciale, col sentimento di
commiserazione profonda che destava in me quella scena stra-
ziante, rimarranno nella mia memoria come le oi*e più terribili
che ho passate sulle Alpi.
Eravamo convinti che si lavorava solo per disseppellire due
cadaveii. Il capo delle guide, vedendo che il tempo diveniva sem-
pre peggiore, diede ordine di sospendere l'impresa e ci legammo
imovamente per scendere.
Arrivammo a Chamonix che pioveva dirottamente. Alle prime
case di sinistra, presso l'entrata del villaggio, una donna venne
fuori sulla porta con un bambino in braccio e ci guardò fissa-
mente cogli occhi rossi senza parlare. Era la moglie di Michele
Simond. Le passammo dinanzi con la testa bassa e nessuno
ebbe il coraggio di salutarla. Nel guardarla m'accorsi che avevo
gli occhi pieni di pianto.
IV.
(ìli operai, attei-riti da questa disgrazia, non vollero più risa-
lire sul Monte Bianco, quantuniiue il tempo fosse splendido. Il
giorno 24 sr-esero dall' osservatorio Vallot tutti i membri della
spedi/ione e il 28 agosto risaliva il signor Imleld accoinpagnato
dal dott. Jacottet. Gli avevo tatto visita, e scherzando gli avevo
ranuncntato che i vecchi piemontesi erano stati più giusti verso
il suo i)i-ede<-ossoi*e, il dott. Paccard, perchè T Accademia delle
Scienze di Torino T aveva nominato suo socio corrispondente.
Ora a poco per volta va dimenticandosi il nome del medico di
(]lianionix, che ù salito il primo sul Monte Bianco, e nessuna
testimonianza pubblica di onoi'c gli tu resa K
Il dott. .lacottet era un giovane tarchiato e robusto: quando.
pochi giorni dopo, mentre tornavo in Italia, lessi sui giornali che
era morto il 2 settembre sulla vetta del Monte Bianco, rimasi pro-
^ Ki). WirvMi'Ku, Chamonix and the range of Moni-Bìanc. London, 1896, pag. 24.
mi. — Utut fqieilhinnc ni Mmtc Bir.nco nel I8U!
fondamente addolorato che si aggiungesse i|uesto nuovo tragico
incidente ad una spedizione già tanto disgraziata.
Riferisco bi-evemente alcun! dati intorno alia fine del dott Ja-
cottet come mi vennero favoriti dal dott. Guglielmi netti e dal ,
dott. Wizard che fece l'autopsia a Chamonix :
" Le 1™ septembre. après deux joura de repos dana la cabane |
Oli Jacottet semblait se sentir mieux quo nous au commencemeDt,
il monta au sommet, y resta une heure et redescendit à la ca-
bane. Pendant la nuil, il ne dormii pas, et toussa beaucoup, se
plaignant à déjeuner de maux de tute et de maiique d'appétit.
Dans la matlnóe, il ócHvit une lettre à son fróre, à Vienne, dans
laquelle il disaìt avoir passe une nuit si mauvaise qu'il ne la
souhaiterait pas à son pire eniiemr. Son malaise s'aggrava telle-
ment qu'Imfeld lui conseilla de descendre à Chamonix, mais il
refusa. Il écrivit encore à un de ses amis, lui disant qu'il ne
pouvait lui écrire une longue lettre à cause des soulèvements
de coeur qui le lourmentaient, qu'il souffrait du mal de montagne
cornine les autres. mais qu'il voulait éludiep rintluence de la dé-
pression atniosplicrique et s'acclimater. Ce fut, lielasi sa derniére
lettre, et ensuite il se Jeta sur sa couche en tremblant de frold.
'^ Lo 2 septembre. depuia 3 heures, de fort frlssons l'avaient
salsi et bientot il ne put plus porter lui-mi-me son verre à sa
bouclie: il etait comme paralysé et commein.-ait à délirer. On lai
donna de l'oxyijène à respirer, mais sans résuliat. La respiration
était très supertlcielle (GO a 70 resp. par minute), le pouls irrt'-
gulier (eutre lO(l e 120), la temperature 38'',3. vers 6 heures du
soir. il cessa subitement de parler, devint somnolent et entra en
aiionie. Sa figure pàlit et vers Ics 2 heures du matin il succomba
dans cette cabane de glacier, vlctimc de son dùvouement à la
science, comme le soldat sur le champ de bataille. „
Il dott. Wizard. dall'esame del cadavere', stabili che il dott. Ja-
> Copia dull 'autopsia del dott. Jai^ottut f;itU «lui ilott. Wizanl il 4 settembre
' Vigoureuse cnnstitution, nombreuses lÌTiditès, cyanoso marquéo des lèvres,
do TLHg0, des oxirmil^s, cerreau trèa-bien consti t né. Meningea nuiamment cnn-
^«slionn^es. Pas «l'adb^siona. Vaisseaux de ta pie mère augnient^-S du voltime et
ffnrg^ de sane:. £tat piquel« de la subsinnce grise, et lilani^he. Itiuri de partieiilier
dans ]«a centres, si ce n'vsl toujou» l'état congestif secundairud un òtat asphyxiqiie,
' Thor/tr. Pas d'adbèrennes, pas d'ópanchement
' Orur norma), ralviiles siiffisantes. Les cavìté» pleinos de caillota.
■■ Pouiium poiilenr vlolet, gonflé, f'tnaé. congestion bilaterali, (pd-^ine conaidé-
miqneiiaebroncbiqueinject.^efortement. Le liquide du la cou[ie est écumeux.
Mtion égale partoot. Foie, rate, reins nnnnaitx. Pas d'fpdéme des jambes. „
I, miotogia dflfHomo sollr Alpi iT
I rable, irniq
^^^ufeatioi
1
SlO riSlOLMllA llKLLefiMO tCLLB ALTI
cottet è morto di brotictiJte capillare e di polmonite lobulare. La
causa, più immediata della morte sarebbe dunque stato un catam).'
sofTocaule uccompa^iiuto du edema acuto del polmone.
Ho ricordato i particolari di questo accidente luttuoso, perché
auchc nella mia spediz-ìoiie ebbi un caso dì polmonite sulla velia
del Monte Rosa, il quale per fortuna guari.
1
Capitolo QL'ATTORDtCE<=iMn.
Osservazioni sul male di montagna.
I.
li male di montagna, quale si osserva alla Capanna Giiifelti
i3G^u in.i è seiieraln lente meno gcave che ai Grands-Mulels su)
Monte Bianco, quantunque la Capanna Gnlfettì sia fi70 metri più
alta. La ragione di questa differenza ò che sul Monte Rosa ar-
riviamo alle medesime altezze del Monte Bianco con maggior
comodo e meno freddo.
AI colle d'Olen pochi metri sotto l'albergo, sta un grosso mn-
cigtm. Domandai una volta perchè lo chiamano il sasso del dia-
nolo. Mi fu dello che a passargli vicino la gente soffre. Probabil-
mente sono i primi sintomi del male di montagna che cominciano
a manifestarsi a 2800 metri. Chi me lo disse era una guida e
soggiunse: — Vede però che quello ò il pezzo dove la salita è
]>iù ripida.
Durante il mio soggiorno sul Monte Rosa, ho studialo la to-
pografìa del male di montagna. Sul libro dei viaggiatori, negli
allwrghi che stanno alle falde del Monte Rosa e nelle capanne
trovai notizie sci'itle su biglietti di visita e su fogli che i passeg-
gieri lasciarono come ricordo. Studiando tali documenti, vidi che
Ire sono i punti più difficili a superarsi da coloro che sono di-
sposti al male di montagna. Il primo è una salita poco sopra alla
Capanna Gnifetli; l'altro è la salita che va al Lysjoch, o Colle
d'argento, cosi chiamato per la candidezza e lo splendore del suo
ghiaccio; il terzo luogo è la punta Gnifetli, dove sorge la Capanna
212 FISIOLOGIA DELL^UOMO 8ULLB ALPI
Regina Margherita. Sono tutti luoglii nei quali è alquanto più
ripido il cammino e quindi diviene maggiore la fatica.
Un mio amico ebbe accessi di vomito a stomaco digiuno
poco sopra la Capanna Gnifetti, ma non si spaventò per questo.
continuò a salire e giunse alla Capanna Regina Margherita in
condizioni migliori, tanto ciie là potò mangiare. Un alpinista non
sofllrì nel salire allapiramide Vincent, soffrì invece nella discesa,
e vomitò tutta la notte nella Capanna Gnifetti.
L'avvocato B. all'altezza di 2800 metri soffri ripetutamente il
male di montagna con soimolenza, pallore cadaverico, vomito, e
cadde in terra restiindo per parecchi minuti incapace di muoversi.
Un alpinista venendo sul ghiacciaio del Lys contro vento pro-
vava una sensazione di nausea, e questa cessava fermandosi e
voltando le spalle al vento.
Il deputato M. De Cristoforis, uno dei medici più conosciuti di
Milano, lasciò scritto nella Capanna Gnifetti:
"^ Ho GÌ anni. Questa ascensione non mi procurò alcuna traccia
di fatica muscolare; con mia figlia e un mio nipote di 10 anni e
mezzo saremmo saliti ancora per sei ore stando ai muscoli. O
mancava Tossigeno: provavamo un senso di nodo e peso all'epiga-
strio, il torace stanco per le respirazioni profonde : io che ho d'abi-
tudine 60 a G4 pulsazioni, ne avevo 1*25-140. Questa esagerazione
di circolo mi durò tutto il giorno e la notte, ad onta che fossi in
riposo perfetto. Avevamo nausea di cibo tutti, le guide comprese.
Salii per 2 ore e mezzo oltre la Capanna Gnifetti; e gli altil (mio
cognato che pesa KT) chiiogranuni , mia moglie piccolina, mia
figlia di 2:\ anni e un ragazzo di lU ainii e mezzo) andarono fino
alla Capanna Margherita. Più salivano e più provavano intensi i
fenomeni di ambascia e di nausea. Discesero con risipola super-
ficiale, e lividi in viso. ,,
Alcuni notavano nei loi*o biglietti di visita che la prima notte
appena giunti all'albergo deir()len avevano sofferto nausea, o
vomito, od insonnia; ciò nullanieno parecchi erano giunti alla
capanna Gnifetti, ed alcuni avevano toccate le vette del Monte
Rosa.
Un altro lasciò (jucsta notizia interessante che trascrivo: ^ Si
partì da Grcssoney Saint-Jean e si venne alla Capanna Gnifetti,
dove trovammo un'altra carovana numerosa. Dormimmo male
tutti e partinnno alle tre colla luna. Avanti di arrivare al colle
del Lys il più robusto della nostra carovana fu colto dal male di
montagna. Aveva capogiro, accusava stanchezza, spesso corica-
vasi sulla neve. Crediamo d'aver fatto troppo in fretta questa sa-
lita, perchè in un'ora e mezzo siamo arrivati al grande piano dove
vedemiiio lo spuntar del sole. Tornati indietro alla capanna re-
stammo soli la notte. 11 t;ioi'iio dopo (|uegli che aveva sofferto
il male di montasiia, fu il migliore camminatore nella gita a
Lyskaumi. _
Huxley, il celebre fisiologo Inglese, soffriva il male di monta-
gna e dovette fermarsi ai Grands-Mulets nella sua ascensione a!
Monte Bianco con Tyndall. Cosi tio visto altri alpinisti in età avan-
zata non trovarsi bene alla Capanna Gnifetti. Credevo die i gio-
vani resistessero più dei vecchi e meglio, ma mi persuasi per
vari esempì, che anch'essi non sono immuni dal male di monta-
gna. Un mio conoscente die fa ora le ascensioni più difficili, ebbe
a lo anni uno svenimento alla capanna Sella. Durante la salita
da Gressoney stava bene: mentre erano a tavola nella capanna,
cadde improvvisamente svenuto.
w
II.
Il male di montagna (come succede di ogni malattia) si pre-
senta con caratteri diversi a seconda delle persone che lo soffrono.
La causa fondamentale (cioè la rarefazione dell'aria) venne perù
contusa colle cause predisponenti. Che le nostre conoscenze sul
male di montagna, siano manchevoli, lo vediamo da ciii, che fu
fatto un elenco dei sintomi di questa malattia, ma non fu an-
cora stabilita con esattezza la sua sede: e anche per lo svolgi-
mento suo, manca fino ad ora una serie couipleta di descri-
zioni, mancano le storie cliniciie di questi malati, raccolte con
diligenza, per procedere ad una classificazione ragionata dei sin-
tomi. Di questo disturbo delle condizioni fisiologiche dell'orga-
nismo, devono occuparsi seriamente i medici , mentre che fino
ad ora il materiale scientifico fu raccolto quasi esclusivamente
dagli alpinisti,
Neppur io durante il soggiorno sul Monte Rosa, ho potuto stu-
diare, come avrei voluto, tale processo patologico; questo però ho
veduto, che ha dei periodi nel suo decorso: die si manifesta con
accessi anche nello stato di profondo riposo. Riferisco uno di
questi esempi per mostrare come si alterino le funzioni del centro
nervoso durante il male di montagna.
11 sig. Kijuppe arriva alla Capanna Regina Margherita in pes-
sime condizioni. È un signore di 40 anni, partito da /ermatt, e
si lagna di non poter muovere bene le gambe dopo che fu preso
dal male di montagna. Al mattino il tempo era bello e venne
discretamente sul ghiacciaio del Grenz, fino al colle del Lys,
214 FISIOLOGIA DBLL^COMO SULLE ALPI
qui cominciò a provare una prrande stanchezza, ebbe nausea e il
vomito, benché fosse digiuno. Intanto cominciò a nevicare ed im-
piegò sei ore per giungere al colle Gnifetti, tanto erano frequenti
le fermate. Arrivato nella Capanna Regina Margherita aveva
120 pulsazioni per minuto, il respiro aflfannoso, le labbra livide.
In mezz'ora migliorò rapidamente. Aveva preso un bicchiere di
vino caldo e stava accanto alla stufa. Il vomito era scomparso e
tutto pareva finito, solo che di quando in quando diceva di sen-
tirsi male. Gli veniva la palpitazione, e il respiro facevasi più ra-
pido e profondo. In uno di questi accessi, avendo voluto bere un
po' di caffè, mi disse che non poteva deglutire, come al solito. I
numeri che riferisco qui sotto, danno un'idea sufficiente delle ir-
regolarità che si producevano nel respiro contando ogni minuto
per circa mezz'ora : 16. 17. IG. 17. 18. 21. 21. 17. IG. 17. 19. 20. 24.
10. 18. 18. 17. 19. 29. 22. 10. 18. 19. 19. 17. IG. 16. 17.
È importante vedere che anche il centro della deglutizione par-
tecipa al quadro dei sintomi. Quando la respirazione diviene af-
fannosa il cuore batte più frequente, e il centro della deglutizione
esso pure si altera. Questo prova che la sede della lesione fisio-
logica sta nel midollo allungato, ossìa nel centro più importante
della vita. Perchè si ripetano a periodi gli accessi di malessere
nel riposo completo, non sappiamo. È questo uno dei segreti in-
timi della nutrizione dei centri nervosi, ed uno dei punti più oscuri
della mcdìciiia.
La complicazione maggiore nello studio del male di montagna
sta nelle cause concomitanti le quali lo fanno comparire e lo
aggravano. Per il sig. K(rppe è probabile che la burrasca ed il
f.-eddo abl^iano reso più intensi i fenomeni del male di montagna,
perchè riparatosi nella Capanna Regina Margherita non ebbe più
il vomito, e passò discretamente la notte. Che nelle forti burrasche
vi siano alcuni che soffrono i fenomeni del male di montagna, fu
osservato anche dagli alpinisti più intrepidi e mi basta citare Tau-
torità del /signiondy il (\\ui\o sofTrl due notti di nausea e di pro-
strazione generale. Una volta sul versante sud del Monte Rosa e
l'altra alla capanna svizzera del Cervino, e tutte due le volte
mentre infuriava una tempesta.
La tensione elettrica, quale osservasi nelle burrasche, favorisce
la (Comparsa del male di montagna. Eravamo nella capanna Gni-
fetti il 7 agosto, quando verso sera cominciò una tempesta. Scorta
una carovana che veniva su pel ghiacciaio, alcuni di noi parti-
rono ad incontrarla. Io scesi alla piccola capanna per aspettarla :
giunto sulla porta sentii un ronzìo come di molte vespe dentro
alla capanna: guardai e non c'era imlla. Allora sentii che erano
mlagna
gli angoli della capanna che mandavaiii) un sibilo caratleristico,
che subito compresi essere un l'eiTomeno elettrico. Essendo il
tempo minaccioso e i lampi vicini mi portai sotto le arcate della
capanna superiore. Volendo scrivere un appunto presi il coltello
per temperai'e una matita e vidi dia le schegge di legno stavano
attaccato al coltello e alla punta delle dita. Gli scoppi del tuono
erano vicinissimi: e il cielo cosi oscuro die non potevasi vedere
a cento metri sul ghiacciaio.
Arrivati poco dopo i compagni raccontarono di aver sentito
gii effetti dell'elettricità in modo fortissimo. Bizzozero e il capo-
rale Camozzi videro ripetutamente delle scintille serpeggiare in-
turno alla picozza e sentirono delle puntui'c come di una scarica
elettrica. Il caporale Jachini si lev6 due volte il beiretto, perchè
oredeva vi fossero dentro degli spilli che lo pungessero, poi senti
come una grandine fitta che gli battesse sulla testa, e mettendo
la mano sul capo si persuase che non c'era nulla. Il dottor Abelli
e Beno Bizzozero, ciie per divertimento avevano fatto spesso quella
gita, giunsero ansanti e trafelati e non finivano dal maravigliarsi
di essere tornati in quello stato, con affanno del respiro, le gambe
che non gli reggevano e leggero giracapo.
Gonchiudemmo che il tempo cattivo bisogna fuggirlo anche
per questa ragione, che deprime le funzioni deirorganismo e pro-
duce il male di montagna.
Circa la metà delle carovane che partono da Chamonix pel
Monte Bianco, si fermano ai Grands-Mulets. Dal versante di Gres-
soney e Macugnaga forse é un poco maggiore il numero di quelle
che riescono .1 fare la salita del Monte Rosa. In questi dati sta-
tistici c'entra come fattore il tempo, il quale può cambiare dopo
che una carovana si è messa in moto, e c'entrano tutte le altre
peripezie di un'escursione: ma tale media serve fino ad un certo
punto per indicare la frequenza attuale del male di montagna.
Nel soggiorno alla capanna Regina Margherita, m'accorsi che
non vi tì differenza tra i passeggeri che arrivano dal versante
di Zermatt. o dal versante italiano. Porse soffrono un poco di più
le carovane che vengono da Zermatt, perdio l'ascensione ù più
lunga e faticosa. In una carovana di cinque persone solo una
fu illesa e anche le due guide svizzero soffi-irono. L'Irrequietezza
B|e sofferenze di quei disgraziati facevano uno strano contrasto
216 FISIOLOGIA DELL'UOMO SULLE ALPI
colla voglia che avevamo tutti noi di essere lasciati un po'trau
(luìlli per dormire. Il vento soffiava tanto forte che la capanna
scriccliiolava. Era una illusione completa come di trovarsi in
mare: gli sforzi continui di vomito, e i gemiti intorno dettero
una realtà cosi terribile a quel sogno di un naufragio suiroceano
burrascoso che non dimenticherò più mai quella nottata.
Quando la neve è profonda e molle in modo che vi si afifonda
fino al ginocchio, mi dissero i custodi della Capanna Regina Mar-
gherita che i passeggeri soffrono di più il male di montagna
La fatica produce effetti cumulativi riguardo al male di moiy
lagna. Succede allora che razione nociva dell'aria rarefatta si ma-
nifesti con ritardo. Me ne sono persuaso, esaminando gli operai
che costrussero la Capanna Regina Margherita sul Monte Rosa
e l'osservatorio Janssen sul Monte Bianco. I minatori i quali aih
darono sul Monte Rosa per spianare la roccia dove fu costruita
dopo la Capanna Regina Marglierita nei primi giorni non soffri-
rono affatto, ma dopo, essendosi affaticati, provarono tale inco-
modo, che non vollero più continuare a nessun costo.
L'azione cumulativa ò causa di effetti, per cosi dire, postami
dell'aria rarefatta. È frequente il caso che il male di montagna
Ci assalga più forte nella discesa, che nella salita. Questo è ca-
pitato a me quando andai al Monviso. Avevo dormito poco la
notte precedente: giunto sulla vetta del Monviso lavorai attiva-
mente per scrivere il polso e il respiro. Quando nella discesa
giunsi alla foiitana di Sacripante, fui preso dal vomito e da ma-
lessere grave che durò circa niez//ora.
11 male di montagna tende piuttosto a diminuire che a cre-
scere, e per ciò non bisogna darvi troppa importanza. Questo è
necessario anche per il fatto che uno deve rompere il cerchio
vizioso nel quale è preso, peirhò ciii si lascia abbattere aggrava
involontariamente i fenomeni del male di montagna e peggiora il
suo stato.
Zurbriggen ed altre guide mi avevano assicurato che reca
senipre beiicficio il perdere sangue dal naso, quando uno soffre
il male di montagna. Mentre ero nella capanna Regina Marghe-
rita, un signore appena arrivato ebbe un'emorragia piuttosto
forte dal nas(\ Feci attenzione, ma nr)n vidi alcun effetto, era un
alpinista di Mihuio forte e robusto; egli continuò a vomitare nella
notte: ed i sintomi si mantennero tali quali, quando partiva al
mattino per scendere.
Molti avranno sentito l'arcontare che i cavalli ed i muli sof-
fi'oiio il malo di montagna come gli uomini. Saussure quando
andò al ghiacciaio del Toodulo racconta che i suoi muli non
potevano andare iniiaii/.i, lauto avevano la respirazione diUìcile
iu causa dell' aria rarefutta e che uno di questi mandava nel
respirare un lamento come csli non aveva mai sentito nella pia-
nura anclie per fatiche molto maggiori '.
Nel Perù quando g\ì animali si trovano in tali condizioni e
non possono più camminare c'è l'uso di fare un salasso sotto la
lingua. Questo certo non può far bene e tanto meno dar forza:
ma di tutti i rimedi popolari succede cosi, che se proprio non
:dono, molti li credono utili.
^^ccii
IV.
II male di montagna compare di notte nel riposo. Capita mentre
uno dorme d'essere svegliato improvvisamente da un malessere
non provato prhna, di sentire un'oppressione al petto, e una diffi-
coltà a respirare. Chiunque abbia dormito in alto si ricorda che
qualcuno dei suoi amici, o egli stesso, si è aliato per respirare
meglio. Trattandosi di un fenomeno che dobbiamo discutere, forse
é meglio fare qualche citazione di alphilsti di primo ordine che
^ lamentarono di essere presi dal male di montagna nella notte,
perchè resti escluso il dubbio che si tratti di altre cause che non
sono l'aria rarefatta. Abbiamo sii veduto che Zumstein provò
quest' effetto notturno al Monte lìosa. I fratelli Schlaglntweit
nel 18Ó5 e recentemente Conway nelle alte regioni dell'Asia pro-
varono il medesimo fenomeno di essere svegliati di notte da un
malessere die non avevano provato nella giornata. Essi attribui-
■ reno però questo fatto al vento leggero che soffiava di notte.
La signora llcrvey nel suo celebre viaggio a traverso l'Asia
centrale, arrivata all'altezza di 5700 metri, dice: "il male di capo
era diventato maggiore che non fosse al)itualmente, ed avevo
una oppressione terribile di petto; sopratulto la notte era mo-
lesta per l'incomodo doloroso della respirazione e la palpita-
zione di cuore. Avevo appena un'ora di soinio continuo poi do-
vevo sedermi sul letto, perché non potevo più respirare stando
coricata. Queste regioni elevate non sono fatle per i miei pol-
moni „ '.
Anche nell'America succede il medesimo fenomeno, citerò solo
quelli che ne soflrirono ad altezze poco considerevoli, come D'Or-
f Op. eit Tomo IV. pae, 38(1,
* V. Hnvxr. The nilvenlwcs of n tnriij f
' >ndon, 3 voi., 18Ó3, pag, Kia.
I, tHtioloffia ileìfuoma \,.llt Alpi.
Tartary, ■tWitI, China and Kitfli-
218 FISIOLOGIA DELL^UOMO SULLE ALPI
bigny a la Paz (3648 m.). Per altre città del Perù e della Boli\ia,
Guilbert parla di questo malessere della palpitazione che prende
di notte. Poeppig ne soffri pure a Cerro de Pasco (4350 m.): "è
la notte, dice, che produce la soffocazione più forte ed è un vero
martirio, perchè non si può stare coricati ^ „.
Nella capanna Regina Margherita mi sono convinto che non
dipende dall'aria alterata, o dalla sua temperatura. Mio fratello
che più degli altri soffriva di questo incomodo, spesso si sedeva
sul letto di notte, perchè diceva mancargli il fiato. Qualche volta
si alzava, faceva alcuni passi nella capanna, senza aprire la
finestra, od uscire (che spesso era impossibile), tornava a cori-
carsi e dormiva. Mio fratello durante tutto il soggiorno a 4560 m.
provò questo incomodo: respirava meglio da alzato che non da co-
ricato. Fino d'allora incominciammo a discutere questo fenomeno,
che ha un lato per cosi dire paradossale. Da coricati consumiamo
meno ossigeno, perchè il riposo è maggiore: appena ci alziamo
c'è un numero grande di muscoli che funziona, il cuore batte più
celere, la pressione aumenta: se fosse solo una questione chi-
mica di ossigeno evidentemente dovremmo star meglio coricati.
Mio fratello stesso dormiva così profondamente che non si
accorgeva dei rumori abbastanza forti che facevansi vicino a lui:
dopo svegliavasi spontaneamente, provando una certa oppressione.
Osservando questa palpitazione e quest'affanno del respiro, mi
ricordai che dopo la fatica di un'ascensione, succedono accessi
di angina pectoris, nelle persone predisposte a questa malattia
tanto temibile e così poco nota. A parer mio la sede del male
di montagna deve riporsi in una depressione dei centri nervosi, in
una leggera debolezza del cuore, in una momentanea diminuzione
dell'energia di quest'organo, ed in un consecutivo rallentamento
della circolazione, che dà origine all'affanno del respiro. La fatica
che ha indebolito il cuore sarebbe uno dei fattori principali di questi
accessi, i quali peggiorano nel sonno, e migliorano stando in piedi,
perchè la pressione aumentata del sangue stimola ed eccita il
muscolo cardiaco, facendo cessare l'inerzia della sua innervazione.
V.
La vita alpina ci rende meglio inclinati all'osservazione interna
di noi stessi. Me ne accorsi dall'abbondanza di osservazioni che
mi fornirono spontaneamente alcuni alpinisti. Forse è la solitu-
^ Ed. Poeppig, Reise in Chile, Perù und auf dem Amazontnstrome. Leipzig.
1832, 1836.
XIV. — Osservazioni sul male di montagna 219
dine e il veder scomparire ogni traccia della vita, quanto più si
sale, che rende più sentito il desiderio di conoscere come fun-
zioni Tessere nostro in quel mondo deserto. Fra gli esempi di
osservazioni fisiologiche importanti che n^i vennero favorite da
alpinisti che incontrai sul Monte Rosa, ricorderò solo questa: I
sig. Natale Carini e Achille Bertarelli entrambi di Milano, appena
giunti alla Capanna Regina Margherita, mi diedero queste notìzie
sul loro polso:
Albergo Olen. Capanna Gnìfettì. Cap. Regina Margherita.
Bertarelli 80 85 74
Carini 90 90 86
Partirono il 13 agosto dall'Albergo dell'Olen, fecero la salita
comodamente, dopo aver dormito bene alla Capanna Gnifetti, e
giunsero alla Capanna Regina Margherita quando cominciava
in loro a manifestarsi il male. Avevano il polso debolissimo
che batteva più lento del normale, la faccia e le mani- livide.
L' ultima parte della salita sembrò loro durissima. Il sig. Berta-
relli era tanto debole che quando mancavano dieci passi per
giungere alla porta, lo vedemmo chiedere una fermata ai col-
leghi che erano legati con lui.
È un fatto inatteso che il polso, malgrado la fatica e l'altezza
di 4.560 m., sia meno frequente che in basso. Anche qui come in
altre condizioni della vita, vi sono delle cause le quali agiscono in
senso contrario e si elidono. La stanchezza, la temperatura elevata
del sangue, la rarefazione dell'aria e remozione tendono ad acce-
lerare il polso, ma la depressione, la nausea, il vomito e lo stra-
pazzo del cuore tendono a rallentarne i moti.
I rapidi cambiamenti del polso osservati nelle ascensioni e
più che tutto nel male di montagna, dipendono dallo stato del
vasi sanguigni. Dilatandosi questi, diminuisce la resistenza alla
circolazione del sangue e il cuore batte più celeremente. Però se
prevalgono i fenomeni della mancanza di forze, comincia la nausea
immediatamente, il polso può rallentarsi, e da celerissimo che era
scende anohe sotto la media.
Quando la pelle è molto arrossata, e sudiamo molto, siamo
più facilmente presi dal male di montagna. Questo ci spiega
perchè in alcuni canali, in certe valli chiuse, le guide prevedono
che quelli della comitiva, che già vacillano, si sentiranno peggio.
Il cuore esaurito dalla fatica, dai frequenti passaggi dal freddo al
caldo, è meno resistente a questi sbalzi della pressione sangui-
gna. Si rimane, per cosi dire, più anemici, quando il sole ed il
caldo arrossano la pelle.
2S0 nSIOLOOIA nSLLUOMO tULLB ALPI
VI.
Qualche volta fi male di montagna compare per effetto di una
semplice emozione. Un mio amico, celebre alpinista, Tav vocato B^
pai-tiva da Courmayeur ben disposto. Arrivato al lago Combal.
una vecchia guida che scendeva dal Monte Bianco, lo dissuase,
dicendo che il tempo era cattivo e la neve pessima e che certo
non sarebbero riusciti neirimpresa.
Egli aveva nella sua comitiva un collega del quale non era
molto sicuro. Questa preoccupazione grave, dice lui, gli tagliò
le gambe e si senti subito stanco. L' Incertezza della decisione,
che dipendeva da lui il prendere, fece si che alla capanna a
3200 metri non mangiò e dormi male. Al mattino il tempo si
era fatto bello e partirono per la vetta del Monte Bianco. Fino
a 4000 metri vomitò pareccliie volte, e quando giunse alla ca-
panna Vallot era in buone condizioni, e dopo come al solito
stette benissimo.
Che la paura faccia comparire il male di montagna, me ne
acco^s^ una volta attraversando in fretta un canalone. Non c^erano
più di 50 passi da una parete all'altra. Di quando in quando pas-
savano delle pietre, piccole allora, ma che all'improvviso avreb-
bero potuto diventar presse. Oltre a questo pericolo che non di-
pendeva da noi Tevitarlo, c'era V inclinazione forte del canalone,
dove scivolando si rischiava la vita. La guida ci avverti di star
bene in pcuardia e si studiarono prima vari punti dove il tragitto
potesse esepuii-si più facihnente. Eravamo a 3200 metri. Un mio
amico appena j;iuiito dall'altra parte si aggrappò ai sassi ed ebbe
subito nausea e vomito.
Intorno all'effetto delle emozioni vi è una certa discordanza
nei fatti da me raccolti. Questo però era da prevedersi. Succede
del male di montagna quello che è stato osservato da molti per il
male di mare. È una vecchia osservazione già pubblicata dal
nonno dì Darwin. Un mio amico, scriveva Darwin ^ buon osser-
vatore e verace, m' assicurava di aver egli più di uiftì volta os-
servato che in un vascello, posto in pran pericolo di perdersi, il
male di mare (gessava istantaneamente e ripigliava di bel nuovo
dojìO passato il pericolo.
Forel fece a (luosto proposito delle osservazioni molto impor-
tanti sul Monte Rosa, che credo opportuno riferire integralmente*:
1 Darwin, Zoonomia. Tomo II, Milano, 1803, pag. 85.
2 FoRKL, Opera citata, pag. 110.
"Le fait le plus intéressaiit que m'a présente cette course est
celai de la disparitioii. au coinmencement de la inoiitóe de la
BotzertoUe, des symplòmes du mal des moiitagjies. En prèparant
ma course j'avais eu soia de in'inrormer auprès de toutes les
pei-soiuies (]ui coiiiiaissaient le Moiit-Hose du point où l'oii souffre
le plus du mal des montaffnes. 11 est en effet coiinu que ciiaque
tiioiitagne a sous ce rapport sa localité spùciale: ce n'est pas
eii g(';iiéral sur la cime, bien aèree et bien ventOe. sur les arètes
daiigei'euses cu intóressaiites, que le mal se Tait ressentir le plus;
c'est surtout daiis des rampes iieigeuses, encaissées, bieu prò-
légées coiitre les vents et euuuyeuses; je citerai comme exemple
le corridor du Moiit-Blaiic. Tous les rapporta qui me fureut faits
étuieul uiiaulmes: c'étail à la Botzertolle. avaut d'arriver au Sat-
tei, que tous les voyageurs, et mOme souvent les guides, étalenl
eprouvés. Sur l'arfite du sommet au contraire, persoiine ne penae
h souflrir du mal des moutasnes. Je me preparai doiic à étudier
soigneuseiiieiit cette BotzertoUe. Je ni'eii fìs tiidiquer le commen-
eemeul par les fruides. et .je me fon;ai depuls smi origine à monter
rapidement et sans anvt, de manière à exagùrer par la fatigue
les symplòmes dont je souffraìs avaut de l'aborder. Mais, chose
étrange, je vis ces symptùmes disparaltre l'un aprés l'autre ; à
inesure que je dirigeais spécialemenl moa attention sur l'un d'eux
je le sentais s'évanouir. La faligue, la lassitude, ladépressfon, la
céphalalgie, me laissèrent aiiisi l'une après l'autre, et j'enlevai ce
passage ennuyeux en parfaitement bon iltat, à la stupéfaction de
Ines guides qui m'avaient vu pL-uìblement affecte dans des régions
beaucoup moins fatales aux autres voyageure. L'altention, l'intér&t
scientiflque a donc eu pour moi dans ce cas le mfime elTet cu-
rati f que possedè le danger; personne ne souffre du mal des
moiitagnes dans les passages dangereux.
" Cette action du moral. et de l'attentioa cn particulier. sur le
mal des raontagnes doit ótre signalÈe, et morite d'ètre coiisiderée
plus qu'on ne l'a fait jusqu'ici dans l'étudo de co mal ; je me borne
ù l'iiidiquer ici. „
Quando iorel pubblicò questa osservazione v*era però giù l'ar-
fermaiiione di altri alpinisti die dicevano il contrario. Trattan-
dosi 'di contraddizioni per le quali il lettore è sempre meno indul-
gente, ricorderò rlie un altro (Isiologo, il Le Pileur, disse che
i signori Bravais e Martins avevano una sensazione di nausea
tutte le volle che osservavano con grande attenzione gli stru-
menti '.
ipin rmdttt, ISi-'i. Tome 20, p;iff. 1200.
^^^h^ampin rmdtts.
8SS nnoLoeiA raLL'ccno triXB alvi
Poiché ho paragonato il male di montagna al mal di mare,
ricorderò che anche per esso, abbiamo [le medesime contraddi-
zioni. Lo stesso Erasmo Darwin, che ho citato prima, scrìsse:
^ Io osservava che Tondeggiamento della barca e Instabilità
di tutti gli oggetti visibili , mi producevauo forte propensione al
vomito ; e questa propensione continuava e cresceva col chiudere
degli occhi, e cessava subito che io impiegava con molta energia
la mia attenzione al maneggio e al meccanismo delle corde e
delle vele : ritornando tutte le volte che io mi distoglieva dalla
mia attenzione « \
VII.
Nel male di montagna si vede spessissimo che le labbra sono
livide, le mani e le guance azzurrognola Tra le mie note di viaggi
alpini, scritte sopra i 3500 metri, trovo spesso la parola cianosi \
E il termine medico per indicare il color violetto della peUe. La
cianosi, quale osservasi sulle Alpi , ò la forma più benigna e
quasi fisiologica. La debolezza del cuore produce la cianosi; pe^
ciò essa si osserva in quasi tutte le malattie del cuore; e scom-
pare quando il cuore per azione propria, o dei rimedi, torna a far
circolai'e bene il sangue. Si capisce che scorrendo più lentamente
il sangue nella pelle, esso diventi più venoso, e quindi più scuro,
perchè contiene meno ossigeno.
Se diminuisce la pressione del sanarne, come dopo uno stra-
pazzo e dopo aver ballato tutta la notte, le vene si dilatano. In-
torno air occhio dove la pelle è sottile e le vene sono più al>-
bondanti. compare un cerciiio azzurro. Qualunque eccesso esau-
risca il sistema nervoso, produce il medesimo effetto. Anche le
ascensioni danno un livido intorno airocchio in molti alpinisti.
Una dilatazione delle vene caratteristica, è quella che dà il color
azzurro della pelle nei geloni. Nelle forme gravi di congelazione,
il colore turcliiniccio della pelle è dovuto ad un'alterazione dei
vasi. Anche un pizzicotto lascia un color di piombS sulla pelle,
se la pressione meccanica sui vasi sanj^iìgni fu troppo forte.
Quando mettiamo semplicemente le mani nell'acqua calda e. dopo
^ Dabwin, Zoonomia. Tomo IL Milano. 1803.
^ Ciano vuol dire azzurro e cosi chiamasi quella specie dì centaarea coi bei
fiori relesti tanto comuni nelle messi. CoUa medesima radice greca si fece la
parola cianosi che serve ad indicare il color livido della pelle, quale ti vede in
molte malattie.
XIV. — Osservazioni Sìil male di montagna 223
che sono arrossate, le tuffiamo nell'acqua ghiacciata, compare
nelle dita un color violetto simile a quello che ciascuno ha pro-
vato d' inverno e sulle Alpi per azione del freddo. Le piccole ar-
terie si contraggono e nei capillari e nelle piccole vene, dove
mancano le fibre muscolari per contrarsi, il sangue rimane sta-
gnante, od almeno ingorgato, perde poco per volta il suo ossi-
geno e la pelle diventa violetta. Tale è Torigine della cianosi ca-
gionata dal freddo. Cosi succede pure nella febbre quando ve-
diamo che le mani e la faccia sono azzurrognole nel brivido.
Ma sulle Alpi la cianosi si mantiene anche quando è cessato
il freddo. Parecchi giorni dopo che eravamo nella Capanna Re-
gina Margherita dove le stanze erano bene riscaldate, la cianosi
non era ancora scomparsa, hi questi casi deve essere un altro
il meccanismo che la produce: sono la debolezza del cuore, la
diminuita pressione del sangue e la circolazione periferica lan-
guente, che mantengono questi lividi nella pelle. Nel male di mon-
tagna la cianosi non manca mai, per quanto potei osservare.
S. M. la Regina, quando arrivò alla capanna, che ora porta il
suo nome, aveva un leggero colore azzurro delle guance. L'ul-
timo tratto della salita, che è il più difficile, aveva dovuto farlo a
piedi. Mi disse che non soffri nulla; solo provò una sensazione
di stringimento alle tempie, come se una sbarra di ferro le cin-
gesse la testa. Per Lei, che non ha mai sofferto mal di capo, era
un fenomeno insolito e credeva che le scoppiassero le vene alle
tempie.
Saussure dice ctie il fuoco bruciava meno bene sul NAnte Biancf
e ciie bisognava soffiar sempre sui carboni, perchè altrimenti ^
«l|iegne%'ai)o subito. Erano iu diciotto persone, e sì reroiaroiio eira
altro ore. Per bere facevano fondere della neve. L'ucijua treM
i la sola cosa che loro piacesse; ìl vino ed i h(|uoii uoti ffi
lavano piU n nessuno. Sul Monte Bianco l'acqua lM>lle a SfCl
Ciò nullameno l'apparecchio contenonlc l'aciiua. impiesò t
prima di bollire. Ij) stesso appareccliio. colia medesima i
d'acqua e dì alcool, bolliva In 12 minuti al livello del i
XY. — L'attività chimica della respirazione sulle Alpi 225
Frankland e Tyndall avevano gtà trovato che sul Monte Bianco
le candele di stearina si consumano alquanto meno che in basso.
Essi attribuirono tale differenza al freddo : ma la cosa è diversa.
Ho incaricato il dott. A. Benedicenti \ aiuto nel mio laboratorio,
di studiare la combustione nell'aria rarefatta.
Dalle ricerche del dott. Benedicenti risultò, che il consumo di
combustibile è minore alla pressione diminuita , anche quando
la temperatura dell'aria ambiente è costante. Non riferisco que-
ste esperienze perchè bisognerebbe descrivere apparecchi com-
plicati, e riprodurre una lunga serie di cifre.
Nelle prime esperienze ci servimmo di candele, dopo adope-
rammo dei lumini ad olio che avevano il lucignolo d' amianto, i
quali bruciano con regolarità assai maggiore delle candele stea-
riclie. L' intensità della fiamma corrispondeva ad un lumino da
notte. Ora se una di queste fiamme alla pressione ordinaria ed
alla temperatura di 12"* a 13"*, consumava in un'ora gr. 2,1930 di
olio, alla medesima temperatura ed alla pressione dimiimita di
3(j0 mm., che corrisponde a 5950 metri in altezza sul livello del
mare, consumava solo più gr. 1,9119, cioè gr. 0,2811 in meno.
Abbiamo pure cercato se la combustione era perfetta, e tro-
vammo che era tale, ma non mi fermo oltre in questo argomento
perdio il lettore che desidera maggiori ragguagli può consultare
la Memoria del dott; Benedicenti dove troverà rettificate le inda-
gini primitive di TyndalP.
II.
Queste osservazioni del dott. Benedicenti hanno uno stretto
legame collo studio del respiro sulle Alpi, perchè dopo le celebri
esperienze di Lavoisier tutti sanno che la respirazione può ras-
somigliare per molti riguardi alla combustione.
Devo ricordare che la fiamma di un lume è assai più sensi-
bile che non siano l'uomo e gli animali alla mancanza di os-
sigeno. Una candela si spegne dove l'uomo continua a vivere
e però a respirare. Tommaso Laghi fece queste esperienze verso
la metà del secolo scorso a Bologna. Mettendo sotto una grande
campana un uccello, un topo od un gatto insieme ad una candela
^ A. Benedicenti, La comlmstione nelVaria rarefatta. Rendiconti Accademia
dei Lincei , 17 maggio 1896. — In questa memoria fu pure raccolta la parte
bibliografica di tale argomento.
* TniDALL, Hours of eocercise in ihe AlpSj pag. 56.
Vesso, Fisiologia delVuomo sulle Alpi, 29
2S6 nnoLooiA vmLL^uùMO iulli alh
accesa, vide che gli animali continuavano a vivere per deUe ore
in queiraria chiusa dopo che la candela si era già spenta K
Giovanni Francesco Cigna, professore di anatoaiia e flsl6lo0a
neiruniversità di Torino, iniziava nel 1760 gli studi fisiologici sul-
r azione deir aria rarefatta *. V apparecchio costruito dal Ogn
consisteva in un grande boccione di vetro, capace di contenen
50 libbre di acqua. Il collo era chiuso da un grande tan>o a vite
di rame per il quale poteva introdurre un passero e dopo si
chiudeva. Due tubi laterali di vetro messi ai lati del collo nella
grande boccia venivano messi in comunicazione, uno colla mac-
china pneumatica, Taltro con un manometro a mercurio che se-
gnava la pressione intema. Cigna disse che anche nella campana
pneumatica gli animali vivono come succede sulle montagne,
purclìè Taria venga continuamente rinnovata.
Riferisco una di queste esperienze del Cigna perchè l'apparec-
chio suo è lo stesso die adoperava un secolo più tardi P. Bert:
^ Per conoscere più esattamente quanta fosse la rarefkziooe
deiraria che gli animali possono tollerare, ho fatto la seguente
esperienza. Misi un passero sotto la campana pneumatica, e Ibd
funzionare la macchina aspirante fino a che il manometro se-
gnasse 10 pollici <513 mm.). L'altezza del barometro era di 27 pol-
lici e mezzo (742 mm.). Dopo lasciai entrare dell'aria fino a che
il manometro segnava due pollici di meno (54 mm.). Poi tornai a
pompare fino a che il manometro segnava nuovamente la de-
pressione di prima <r>13 mm.) e cosi continuai a dare e togliere
dell'aria per mezz'ora di seguito in modo che vi fosse una cor-
rente d'aria sufficiente a mantenere la vita. Questo passero in
principio vomitò, dopo stette bene e levato dopo mezz'ora era in-
tegro e vigoroso , ma dopo ricomparve la dispnea , fu preso da
convulsioni e morì poco dopo che fu tolto dalla campana. „
Questo passero aveva resistito per mezz'ora ad una pressione
di soli 22() mm. del barometro, il che corrisponde ad una rare-
fazione dell'aria maggiore di quella che vi è sulla più alta moD-
tagna del mondo, perchè sul Monte Everest, a 8840 metri, la pres-
sione è solo 218 mm.
^ Thom.% Laohii, De animalium in (tre interclusorum interitu. De Bononiensi
Scientiarum Iiistitiito, Commontarii, Tomiis Quartus, 1757, pag. 89.
^ .1. F. Cigna, De caum exiinciionii^ flammee et animalmm in cere inUrehuorytWL
BlélaiìQfcs (le pliilosophie et de mathématiqiie de la Société royale de Tana,
1760-1761, pag. 176.
III.
Come si facessero le esperienze sulla chimica del l'osjiim nella
Capanna Regina Margherita, vediamo nella pagina seguente, die ó
la riproduzione di una rotografia. Beno Bizzozero lia la mascliera di
guttaperca alla faccia, e respira a traverso il contatore che vedesl
a sinistra. L'aria inspirata passa nel contatore, poi nella prima
valvola per entrare nei polmoni. L'aria espirata attraversa la se- |
conda valvola, che resta un iw>' nell'ombra, prima di uscire dal- '
l'apparecchio passa in una vescica di gomma elastica ed in una
terza valvola , la quale sta nel mezzo della figura. Mio fratello,
con uno scliizzatoio messo in comunicazione colla vescica di
gomma, prende una data quantità dell'aria espirata e la spinge
a traverso sei lubi di vetro, clie si vedono nel fondo Hella figura,
l)ìL'iii di acqua di barite per fissare l'acido carbonico. Queste espe-
rienze furono descritte da mio fratello in due Memorie presentate al- j
iWecadomia dei Lincei *. Non mi fennerù quindi sui particolari delle i
analisi dell'aria respirala limitandomi a trascriverne i risultati.
La prima tappa é stala (ìressoney la 'Irìnilà (m. 1*1-27) dovo
arrivammo il 18 del mese di luglio. I soldati erano accampati al-
l'aperto e le esperienze si facevano sotto una tenda-baracca clic ■
serviva da laboratorio.
Esperienze fatte a Grossoney la Trinilii a 1627 metri.
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Il giorno 25 luglio la spedizione lasciò Gressoney e si accampò
sotto le tende in una località denominata Alpe Indra (m. 2515). po-
sta In un piano (Rancheggiato da tre parti da montagne, ed ai
piedi del ghiacciaio clie tia Io stesso nome. Il giorno successivo
incominciarono le esperienze,
' t'ooLIMU ll06s«. Aì>]iayeciliio portatile per deUtminare l'acido carbonico nel-
l'aria t»pirala dall'uomo. Rendìiwiili Aceudumìn ùvi Lincei, l.'i marzo ISS*!. —
La re$i»riiiione dell'uomo iul Monte Bona. Eliviiiiaiione dell'addo earbomco a
_,j^ttrf« altfiie. Ibioeu. 12 aprile l«!"i.
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Il gionio 3Ci luglio, contiiiuaruin a salire, ci siamo attendati a
3047 metri, poco distanti dalla capanna Liuty, in un piano che
ba servito di accampamento a S. M. la Regina Margherita nelle
sue escursioni al Monte liosa.
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ne fatta presso la Capanna Lin
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metri.
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Solferino
Sarteiir.
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A (|uest'allezza, benché l'aria sìa rareratta di circa un terzo,
non si osservò alcun Tatto nella funzione respiratoria che accenni
alla mancanza di ossigeno nell'aria.
11 5 agosto ci traslocammo nella Capanna Gnifetti (m. SfiaO).
Ouesta 6 circondata da ogni parte da giiiacciai : a nord s'innalza
un contrafTorte che la ripara dai venti. Le esperienze vennero
ratte nella capanna.
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FISIOLOGIA OELL^COMO 8ULLB ALPI
Comparvero a questa altezza i primi sintomi di un'alterazione
nella funzione del respiro, come si vede dai tracciati in principio
del libro. La respirazione durante il sonno, e qualche volta du-
rante la veglia, assumeva una forma decisamente periodica, spe-
cialmente nel sonno. Nessuna modificazione osservammo nei
soldati.
Il giorno 8 la nostra spedizione incominciò a traslocarsi nella
Capanna Regina Margherita a 45G0 metri. Quivi giunti e ristabi-
litici dalla faticosa ascensione, siamo restati dieci giorni.
Esperienze fatte nella Capanna Begina Margherita a 4560 metri.
Jachini .
Jachini.
Sarteur.
Sarteur.
Solferino
Solferino
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0,066
0,058
0,057
0/164
0,050
Il minimo di acido carbonico eliminato in tutte queste espe-
rienze, lo trovammo nella Capanna Re^xina Margherita, e fu il
soldato Sarteur che in mezz'ora eliminò solo granimi 8,()08. An-
("he nel caporale Jachini trovammo diminuita la produzione del-
l'acido carbonico.
Ritornati a Gressoney la Trinità (metri lG27j venne fatta Tul-
tima serie di esperienze.
Esperienze fatte a Gressoney la Trinità di ritorno dal Monte Kosa.
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Ore
'J'eniperatura
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Pressione
barometrica
Litri di aria
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in mezz'ora
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eliminati
in mezz'ora
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in un litro
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0,518
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(»,r63
GiaceliL' sappiamo che le candele fatino meno luce sulle Alpi ',
abbiamo voluto vedere se aiiclie la fiamma della vita bruci meno
intetisa sulla vetta del Monte Rosa, che non hi basso. Questo fu
Io scopo delle ricerche latte da mio Fratello sulla chimica del ,
respiro.
Per avere più facilmente sotl'occliio i risultati delle sue espe-
rienze, si riassumono nella seguente tabella, riportando il peso j
dell'acido carbonico eliminato in mezz'ora alle diverse altezze. ,
Peso dall'acido carbonico eliminato in mezz
dai sol.lali Jachini, Siilferim
soir-rìDo
Sor tour.
l-'.,4a;(l 17,03») I7,tì76l
11,»UB 1».380 13,383
s,^24| 13,003! 9,m:>\
12,(>0I
11,21H
10,38^1 Ili
14,ritì:. 13,703
lt.284| 8
Appare evidente che per la rarefazione dell' aria è piuttosto di-
minuita che aumentata l'eliminazione dell'acido carbonico.
La quantiti'i dell'aria respirata in mezz'ora non subì una va-
riazione notevole, come si vede dalla seguente tabella.
Litri d'aria raspirali
n mezz'pra dai soldati Jachini, Solferino e Sarteiir
a difTerenti altitudini.
lfiL>7 ni.
20 K: m.
:)(U7m. :t620in-l 4.".60 m.
1127 m.
Jachini .
Solferino
Sorleur .
861,07:. 2b:,.oiij
2(l«.22a 889.633
207,983 177^03
390, 1U5 1283, 13H
203,061240,431
174,990l
a43,S98 231,ti4«|27«,427|38i*.29tf
803,680 231.8iie2tì7,22U 9St,l-l
220.3M 218;826ll92,06J 101,830
801.978
197,801
161,329
Da questi dati risulta che quando si è tranquilli ed in riposo
non compaiono a grandi altezze modificazioni importanti nella
elinU nazione dell'acido carbonico, e nel volume dell'aria respirala
Non è dunque una macchina economica il nostro corpo, che
si adatti all'ambiente e alle circostanze. Se diminuisce la quan-
tità di ossigeno netl' aria, non possiamo cambiare il nostro bi-
' Davv, Frankland e Tyndall hanno studialo questo argomento; altr
zieaì si trovano nella memoria sopra citala dui dottor Benedicenti, J.rdiìvei i(a-
^JMH* de Biologie. Tomo XXV. pag. 473.
988 miOLOQu oill'itomo tvuji alpi
lancio, e bruciare meno attivamente la sostanza del nostri organi
Il chimismo del corpo non può sopportare altre riduzioni, e que-
sto prova che ò già ridotto al mhiimo dei consumo per la sui
attività. Questo fatto stabilito da mio flratello è importante. Baso
dice che non è possibile moderare i processi chimici della vita,
e che non possiamo adattarci ad una razione diminuita di ossi-
geno, perchè anche neir aria rarefatta l'organismo vuole la sua
razione normale di ossigeno.
Non può nascere il dubbio che il fireddo abbia prodotto ud
consumo maggiore dell'organismo e che l'aumento conseguente
dell' acido carbonico , abbia compensato la diminuzione del pro-
cessi chimici dovuti alla rarefazione dell'aria ^' A tale supposi-
zione devo rispondere che l'influenza della temperatura, non bi
modiflcato certo i risultati delle nostre analisi , perchè avemmo
cura che la temperatura oella capanna Margherita non scendesse
sotto i 7" e non superasse i 2(f durante queste esperienze.
Il dott. W. Marcet si fermò tre giorni al Colle del Gigante od-
r anno 1880 per studiare l' acido carbonico eliminato dair uomo
all'altezza di 3365 metri K Fece delle esperienze sopra sé stesso
ed un giovane amico , raccogliendo l' aria espirata in un sacco
impermeabile di gomma, e trovò che egli avrebbe respirato 12 per
cento meno di acido carbonico, e che il suo compagno di vlasgio
avrebbe respirato 16 per cento di acido carbonico meno che in
basso. 11 doti. Marcet crede sia il freddo che fece diminuire a
questo modo le combustioni interne perchè la temperatura di
giorno era solo 6° ; ma è probabile che vi siano state altre com-
plicazioni.
I fratelli LcBwy di Berlino col figlio del prof. Zuntz', fecero
l'anno scorso sul Monte Rosa una serie importante di indagini
^ Gli studi di Speck e quelli più recenti di Wolpert, mostrarono che non tì
è differenza nella eliminazione deiracido carbonico quando la temperatura am-
biente oscilla fra 5° e 26°. Archiv. fiir HygienCy XXVI, pag. 1 a 82.
^ William Marcbt, A contHhution io the history of the BespiraHan of Man,
London, 1897, pag. 11.
' Dott. A. LcEWY, J. L(Ewy und L. Zuntz, Veher den Einfluss dei' verdUnnten
Luft und des HohenklifnaH auf den Mcnschen, Pflflger's Arcbiy. Bd. 66, pag. 477.
sulla attivitit chimica della respirazione. Queste ricerche possono
considerarsi come la continuazione di quelle die Scliumburg e
/uni/ avevano fatto l'anno prima sull'altro vereatite del Monte
Rosa nella Capanna Bètemps a 2800 metri e sui ghiacciai all'al-
titudine di circa 38f)0 metri '.
Ho avuto il piacere di seguire ed ammirare l'abilità dei miei
coIIeglU in queste indagini alpine e mi rincresce che la brevità
dello spazio non mi permetta di riferire la tecnica ingegnosa delle
loro esperienze, dovendomi limitare ad un cenno dei loro risultati
al Colle d'Oleii. alla Capanna Gntfetti e alla Capanna Regina Mar-
gherita. 11 tempo è stato poco favorevole durante 11 loro sog-
giorno sul Monte Rosa.
" La tretiuenza del polso e dei movimenti respiratori essi
trovarono accresciuta passando da Berlino al colle d'Olen ed
alla Capanna Gnifetti. Videro però che andavano gradatamente
abituandosi a tali altezze, perchè nella Capanna Ginfetti che 6
alta 3020 metri la frequenza dei polso era minore che al Colle
d'Olen alto solo 2S65 metri, e durante il loro soggiorno nella
Capanna Gnifetti . la frequenza del polso andò scemando in
lutti tre. „
Le ricerche sul consumo dell'ossigeno furono fatte cammi-
nando in piano, o facendo una breve salita al colle d'Olen, o sul
ghiacciaio presso la Capanna Gnifetti. Per il dottor J. La-vy e il
signor Zuntz 11 consumo dell'ossigeno durante il lavoro dei mu-
scoli fu maggiore sul Monte Rosa clie a Berlino. Il dott. A Lcevy
ebbe un aumento meno considerevole dei suoi due compagni per
il consumo dell'ossigeno. Il clima alpino agirebbe secondo loro in
modo da eccitare il ricambio della materia nel nostro organismo.
Essi fanno rilevare che in nessuna delle loro esperienze si potò
riscontrare qualche effetto die indicliì una mancanza di ossigeno.
Ciù malgrado l'attitudine loro a salire era notevolmente scemata;
II lavoro fatto ogni minuto salendo comodamente su di un piano
iDclinato fu minore al Colle d'Olen che a Berlino, e anche più
piccolo alla Capanna Gnifetti. La diminuzione del lavoro che uno
può compiere senza incomodo a differenti altitudini, era già stata
osservata l'anno prima dal professore Zuntz e Sfhumburg sull'al-
tro versante del Monte Rosa, ed io pure la trovai lavorando col-
l'ergografo nelle varie tappe della mìa spedizione. Questo è un
fatto importante, perchè dimostra che non é la mancanza di os-
sigeno la quale fa diminuire la nostra attitudine al lavoro, ab-
bassando per cosi dire il limile della nostra forza. Credo utile
Scni-MBi-na rNn ZrSTZ. Pfiilger's Arrliiv Brt. S
FiHuIagia drlfuomo mll' Alpi.
^^^^J ScnuMBi-na
. pAg. 4RI.
rtsiOLOou DBLt'TMia «nix ILPt
riferire una tabella di questi autori, perchè si tratta qui di mi
genere nuovo di studi clie sarà certamente fecondo di risul-
tati, e che apre un nuovo orizzonte nella fisiologìa dell' uom-i
@ulle Alpi.
HedÌA in chilogrammetri d«l laroro fatto ogni minato
camminando lu di un piano inclinato a Berlino e sul Houle
Berlino, inclinaaione 37% . . . .
Col d'OloD, inclinasione 80Vo ■ ■ •
CkpADBa Onifettì, ìndinaiions 85 Vo-
Capitolo SEnirEsrMo.
Analisi dell'asfissia e del male di montagna.
I.
Paolo Bert fu il successore di Claudio Bernard nella cattedra
di fisiologia alla Sorbonne. Il nome suo è noto nella politica, nella
letteratura e nella scienza. Fu Paolo Bert, col suo talento mec-
canico , coi suoi apparecchi e le analisi del sangue , che gettò
le prime fondamenta di una fisiologia dell'uomo sulle Alpi. Il suo
grosso volume sulla Pressìon baromélriqae venne pubblicato men-
tre egli combatteva una lotta feconda e memorabile nel campo
delia politica, quando spesso ■'erasltappato al laboratorio dalla
severità dei doveri civili „, come disse nella prefazione. La sua fine
4
286 FtUOLOOlA DBLL'UOIIO 8DLU ALFI
inunatura nel Tonchlno, dove egli mori vittima del clima, sacrifi-
candosi alla patria, che lo aveva mandato a governare quella co-
lonia in momenti dlflBcili, rende anche più cara la sua memoria.
La vastità dell'opera scientifica alla quale P. Bert pose mano,
fu superiore alle sue forze. Non dobbiamo meravigliarci se altri
venuti dopo lui rettificarono i risultati di alcune sue indagini.
P. Bert studiando come si modifichino i gas del sangue di uu
animale messo nelFaria rarefatta, trovò che già una dinunuzione
di 20 centimetri nelFaltezza del barometro (quale ad esempio os-
servasi all'Ospizio- del Gran San Bernardo) è sufficiente per dimi-
nuire la quantità di ossigeno contenuto nel sangue.
Parve allora che P* Bert avesse confermato colle sue espe-
rienze r idea di Jourdanet, ed avesse trovata la causa del male
di montagna. Jourdanet era un medico h^ncese il quale aveva
passato parecchi anni sugli altipiani del Messico, dove concepì
l'idea che ad una certa altezza sulle montagne, mancasse l'ossi-
geno al sangue, perchè l'emoglobina non trovava più nell'aria
la quantità di ossigeno sufficiente a saturarsi. Fu questo medico,
il quale scrisse due volumi suir influenza che la pressione del-
l'aria esercita sulla vita dell'uomo \ che diede a P* Bert i mezzi
per costruire gli apparecchi grandiosi della Sorbonne; e P. Bert
riconobbe i meriti di tanto benefattore della scienza. Il volume
dedicato a lui fluisce con questa conclusione: ^La diminution
de la pression baromótrique n'agit sur les òtres vivants, qu'en
diiniijuant la teusìon de roxyg^ène dans Tair qu'ils respireiit, daiis
le sang qui anime leurs tissus {cmoxyhémie de M. Jourdanet), et
en les exposant ainsi à des menaces d'asphyxie „'.
Con Fraenkel e Geppert dì Berlino comincia la critica della
dottrina di Paolo Bert. Essi dimostrarono che il metodo adoperato
da Bert per le analisi del saiìgue, non era abbastanza esatto, e
che fino alla pressione barometiica di 41 centimetri, cioè poco
più in alto del Monte Bianco, il sangue contiene ancora tutto il
suo ossigeno come a! livello del niare^
Due erano le conclusioni fondamentali dell'opera di P. Bert:
1.° che all'altezza del Gran San Bernardo, il sangue arterioso con-
tenga meno ossigeno del normale; S.*" che poco più in alto del
Monte Bianco il sangue arterioso sia già tanto povero di ossi-
geno da averne meno del sangue venoso al livello del mare. La
1 JoirRDANET, Influence de la pression de Vair sur la vie de Vhomme, Paris, 1875.
2 P. Bert, Pressùm baromótrique^ pag. 1153.
8 A. Fraenkel und J. Geppert, Ueber die Wirkungeti dei' verdìinnien Lufl
auf den Organismus. Berlin 1883, pag. 112.
semplicilA di questa doltriiia fece si che venne accettata e dominò
la fisiologia fino al 1883.
L'aver dimoslrato Fraeiikel e Geppert che il sangue dì un cane
non cambia in modo apprezzabile il suo contenuto in ossigeno
fino all'altezza di 4915 metri, non lia giovato molto alla fisiologia
del male di montagna, perchè noi sappiamo die al disotto di
questo limite molti uomini soflrono in modo al>bastaiiza grave
la rarefazione dell'aria. Fraenliel e Geppert per spiegare il male
di montagna sotto ai WXi metii ricorrono alla teoria di Dufour.
il quale fa dipendere questo malessere dal lavoro eccessivo dei
muscoli. Sappiamo però die non tutti guariscono del male di
montagna col riposo. Nella Capanna Regina Marglierlta ho cono-
sciuto parecchie persone che vomitarono tutta !a notte, e anche
nel giorno dopo che erano arrivati stavano male. Altri vidi dor-
mire la notte, e vomitare il giorno dopo. Per questi casi non ser-
vono nò l'ipotesi del Dufour, nò le analisi del sangue dì Fraenkel
e Geppert.
Alla fisiologia dell' uomo sulle Alpi, non è cosa dì grande
importanza il sapere che per mezzo del vuoto barometrico si
può estrarre la medesima quantità di ossigeno dal sangue di un
cane, tanto se lo sì esamina alla pressione normale, quanto a
quella che corrisponde a 1913 metri. I mezzi che adoperano le
cellule per togliere l'ossigeno al sangue, certo non hanno alcmia
rassomiglianza colla pompa che adoperiamo per l'analisi dei gas.
Può darsi che la depressione barometrica renda le cellule meno
alte a servirsi dell'ossigeno del sangue. Se una parte minima
delle cellule nervose perdesse tale altitudine, sì potrebbero avere
tutti i fenomeni del male di montagna, mentre ancora il sangue
mantiene inalterala la sua composizione.
■I
Alcuni sperimenti facili bastano per mostrare la differenza die
passa Ira il male di montagna e l'asfissia. Io non posso neppure
accennare le ricerche di laboratorio più complicate che fecero 1
miei assistenti, i dottori Treves e Daddi \ perchè dovrei diffon-
dermi troppo per far comprendere il significato dell'asfissia lenta
con qualche chiarezza,
Le narici e la bocca non si possono tenere chiuse contempo-
' Z. Thktss e L. Daddi, OtBefi-atiotti swW'ac/ìsaw Unta. Muinoria E. Acca-
i delle Scienze di Torino, maggio 18!tT.
^^mi& delle Scienze di '
240 FISIOLOGIA dell'uomo bulli alpi
L' 11 agosto, il soldato Cento partiva per la Capanna Regina
Margherita con 18 chilogrammi sulle spalle. Arrivato a mezza
strada, si dovette diminuirgli il carico, perchè stentava troppo
camminando sul ghiacciaio. Al Colle del Lys dette segni di tali
sofferenze, che il dottor Abelli, Il quale trovavasi con lui, credette
non fosse prudenza di condurlo alla Capanna Regina Margherita,
e lo fece ricondurre indietro dalle guide.
Esaminando meglio il tracciato 48, è importante notare che
sebbene il soldato Cento abbia resistito meno nella terza linea
scritta a 3G20 metri, non (U più grande il danno subito dalFor-
ganismo per tale arresto del respiro, perchè in un tempo minore
di prima il respiro è tornato normale. Anche questo fu per me
una sorpresa, perchè avevo supposto che neiraria rarefatta ci
volesse un tempo più lungo per rimediare alle alterazioni interne
prodotte da un arresto del respiro.
Questo infatti vediamo succedere in me stesso alla Capanna Re-
gina Margherita, flg. 49.
11 giorno 11 luglio 1804, faccio due esperienze, l'una dopo l'altra
a Torino, che danno i medesimi risultati, come si vede nei trac-
ciati 1 e 2 che sono perfettamente eguali. Arrivato alla Capanna
Regina Margherita, dopo due giorni che ero bene riposato, faccio
un'altra esperienza simile (linea 3), e trovo che anch'io resisto di
meno alla sospensione del respiro, e che mi ci vuole un temp<,>
più lungo, perdio il respiro abbia nuovamente la forma ed il ritmo
(li prima. La depressione l)arometnca produsse una diminuzione
della frequenza ed un'ampiezza maggiore dei movimenti respira-
tori. Sono sicuro che questa differenza non dipende dalla tempe-
ratura, perchè avevo fatto riscaldare la stanza che serviva di l-a-
boratorio. In altre persone della mia comitiva non fu possibile
notare una qualsiasi differenza, per simili esperienze fatte a To-
rino e sulla vetta del Monte Rosa.
III.
Avevo imaginato che l'arresto del respiro fosse un metodo
comodo per studiare la disposizione che uno ha per il male di
montagna. Tale supposizione mi parve ragionevole, non solo per
la rassomiglianza clie esiste tra l'asfissia ed il male di montagna,
ma anche perche in Zurbriggen avevo trovato una resistenza
superiore alla media. Egli infatti, come si vede nella fig. 50, può
stare 50 secondi, fino ad un minuto, col naso e la bocca chiusi,
mentì'e che la maggior parte degli uomini non resiste neppure
» mimilo
E^^^H^^^B^^^M
Issia sen-
^^^^^H^^^^^^^^B^^^^^^^H
■irelaboo-
^BJ^^KS^^^^^^^^^HH^^^H
evo però
^SI^^^s^^^^Bi^^^H
isare che
la è assai
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lomplessa
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non paia.
Ei^E^^^HS^^^H
ne questo
lento non
ato prima
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alo con
ente esat-
H^S^Hi^^^^^^lB^^^^^^H "
tili trovai
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disorien-
^^^^^bB^^^^^bH^^^^^H
!lle pociie
^^■^^HI^^^H '^^'-
■vazioiii
^^^H^^^^^^S^^^H
ul Monte
^^^B^^l^^^^l sii
ihetonia-
^^^BSE^^^BSIH^H '
Qrino do-
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ricomin-
^^^Hf^^^^^HJ^^^^^^B
Pregal trli
ti del mio
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lasciarsi
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lare per
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3 resiste
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-^ 9J jg
Fl$Moaia dtlVi
lamo tulle Alpi.
n
242
FISIOLOGIA DKLL UOMO 8ULLK ALPI
110 indicate tali misure fatte esaminando quindici i)ersone. Nella
figura 51 sono rappresentati graficamente 1 valori ottenuti per
renderli più facilmente visibili.
Differenze individuali all'asfissia in rapporto colla capacità vitale,
il peso del corpo e la statura. — Misure fatte su studenti del 3.^ anno di medicina.
o
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U
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11
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NOME E COGNOME
Devecchi Francesco.
Cambiano Giuseppe.
Succi Carlo . . .
Golzio Alfredo . .
(^asazza Adolfo . .
Giordano Piero . .
Cesare Gerolamo. .
Gedda Luigi . . .
Demonte Silvio . .
Ri vai t a Pompeo . .
Razzi Davide . . .
Antonio Mosso . .
Provera Cesare . .
Flick Vittorio. . .
Cardini Giacomo. .
SospeD!^iofle
del respiro
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1.7:>
1.71
La lìnea punteiJ:giatH rappresenta il valore della capacità pol-
monare, quella più grossa e continua la durata, in minuti secondi,
(Iella sospensione del respiro.
La persona numero 1 ad esempio, come vedesi indicato a si-
nistra, potè resistere 72 secondi. Fu il massimo osservato in que-
sto ^l'uppo di osservazioni. La capacità vitah* di questo studente
era piccola, cioè 3250. La persona numero (>, aveva il massimo
(lì capacità polmonare e resistette solo 2."» secondi.
Guardando nella figura 51 il corso delle due linee si vede su-
l)ito che manca una relazione stretta fra la capacità vitale, e il
tempo elle sì put) sospendere il respiro. Neppure può dirsi che
sia il peso del corpo, o la massa della materia che respira, quella
che entra come fattore preponderante. 11 numero 8, ad esempio,
(: più le!i;^'ero di tutti, ha una capacità i>o]monare superiore al
numero :J, e ciò nullameno resiste meno di esso e di molti altri
airaslìssia. Si conchiude da ciò che la (luantità di aria che al)-
l)iamn nei i)ohnoni, non ò (jnella che ci dà il mezzo di resistere
l)iù () meno lun;:'amente ad un ai'resto del respiro. Non è questa
provvista di ossi^xeno, wè il posr» del corpo, che produce la dii-
SVI. — Analinì ildras/isiia e ,lcì mah di mmita-fta
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XVI. — AniìiM rM(W^»r*)Vi f -ìel moie di iiwntaimn
mezzo delle esperienze esposte in iiuesto paragrafo che il sistema
nervoso esercita un'azione prepondera [ite nella resistenza all'asfìs- i
sia, ci riiiiaue più facile comprendere ciie i fenomeni del male di |
iiiontaKiia dipendono essi pure dalla resistenza mapgiore o minore
rlie Ila il sistema nervoso per la deflceiiza dell'ossigeno, ossia
I>er la fame di questo elemento, clie è uno dei più indispensabili '
lilla vita.
IV.
■^ Quando si vede un'iinitra mettere il capo sott'ac(|ua per cer-
carvi il cibo . tutti siamo sorpresi che vi rimanga tanto tempo
senza respirare. Ilo misuralo parecchie volte questo tempo e
per far meglio l'esperienza mentre uno reggeva 1' anitra sopra
un grande vaso di vetro, un altro, presa In testa, la teneva sot-
t'acqua. Per ij o 7 minuti l'anitra non muore e neppure lia con-
vulsioni. Un cane od un uomo sommersi a questo modo muoiono
nella metà dello stesso tempo.
P. Ltert aveva supposto per spiegare questa grande resistenza.
che le anitre avessero una quantità maggiore di sangue. Ricliet^
provò Clio ciò non è vero. Anche le persone che sì tuffano non
occorre die abbiano una quantità maggiore di sangue, ne uno
sviluppo maggiore dei polmoni. Nel precedente paragrafo fu già
provato che tali differenze dipendono dalla resistenza maggiore,
o minore del sistema nervoso per l'asfissia.
L'essere l'anitra tanto più resistente degli altri animali all'asfis-
sia, farebbe credere che essa sia anche più resistente all'azione
dell'aria rarefutta. Invece è meno, e lo è meno In due modi, cioè:
prima di lutto resiste assai meno all' aria rarefatta che non alla
sospensione del respiro; secondo resiste meno alla depressione
l)arometrica che non resistano gli animali più facilmente e in-
tensamente soggetti al male di montagna, quati sono il cane e
la scimmia.
Messa un'anitra sotto una grande campana pneumafica e por-
tata la pressione a 14 n IG (centimetri dì mercurio . dopo un mi-
nuto che l'anitra trovasi sotto la campana cade. Tolta subito dal-
l'aria rarefatta e messa in terra sembra morta , e poco dopo si
rialza e torna a star bene. 1 fenomeni che presenta 1' anitra in
questo minuto, sotto l'azione dell'aria rarefatta, non si possono
' JUlassbz et Bicset, Comptos rsndiis. .lociétf Ae Biologie, 1
2 IH FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALFI
Ottenere In alcun modo coirasflssla. Qui i disordini per un arresi* »
del respiro che dura solo ' „ od V? liell'asfissia, sono gravissimi.
Dopo 5 o mimiti die V anitra sì è rianimata si regge ancora
male sulle ?:ambe. Ciò pi-ova die razione sui centri nervosi, per
ca^rione dell'aria rarefatta, fu rapidissima e profonda. La morte,
in questi due casi, succede con un meccanismo diverso.
Ebbi il piacere di fare alcune di queste esperienze davanti al
mio amico il prof. Gli. I^ìcliet, (luando venne a Torino, ed egli fu
tanto gentile da annunciarne i risultati nel suo dizionario di fisio-
logia ^ Riferisco la sua descrizione come quella di un testimonio
e manifestandogli la mia gratitudine non pubblicherò altro.
"" Nella morte per asfissia, vi sono le convulsioni, l'agitazione
violenta, la dilatazione della pupilla, Tangoscia, l'emissione delle
sostanze fecali e deirurina, mentre che nella morte prodotta dalla
depressione barometrica, la pupilla è ciiiusa al massimo, invece
di un'agitazione frenetica, osservasi una specie di coma soporoso.
un'assìderazione generale, una grande debolez^za di tutte le forze
muscolari, senza passare per la fase di una eccitazione eccessiva
e delle convulsioni (*he osservansi sempre senza eccezione nel-
Tastìssia semplice. „
Cosi difatti il respiro delle anitre diventa più affannoso <lì
(luello dei cani; sotto la campana pneumatica esse non dormono
come i cani fanno spesso, e muoiono improvvisamente dopo aver
scosso foi'temente la testa senza che sia possibile salvarle quando
si manit'estano i fenomeni che accennano vicina la morte.
V.
("Jii prova a fare tre o ([uatti'o inspirazioni profonde, Tuna dopo
Taltra, si accorge, rhc dopo per un cei'to tempo non sente più il
bisogno di i-ospìrare. Avendo respii'ato ]>iù del bisogno per alcuni
se<-ondi, il centro del rcs]>iro può riposarsi e non respirar più.
A (jucsto stato i tisiologi diedero il nome di apnea, che in greco
voi'rel)be diro non i-esjn'ro. Se fosse vero, come si ritiene dalla
maggioranza dei medici, che il male di montagna ha per fonda-
mento uno stato del sangue slmile a (luello deirasflssìa, dovrebbe
sulle alte montagne riuscire meno facile di ottenere questa pausa
del respiro. Kcco perchè nella mia s])edizione al Monte Rosa, ho
])ui*e l'atto (lualr'he ricer<'a sull'apnea.
' t'u. Fìi« iiKT. Diifioìma'nr <^' l^ìitfslohvjie. Toiiir li. pricf. 36.
248 FISIOLOGIA dell'uomo SULLE ALPI
Hi ferisco tre osservazioni fatte sopra me stesso (flg. 52). I^
priirui linea in alto è il tracciato del mìo respiro a Torino, scritt»)
col pneumoixrafo doppio di Marey, messo intorno al torace. Nel
punto A faccio tre inspirazioni profonde. Il respiro cessa natural-
mente per 19 secondi, la linea se$;na i battiti del cuore, dopo il
respiro ricomincia spontaneamente con dei movimenti alquanto
più forti. Tale è l'effetto dell'apnea.
Quando fui sul Monte Rosa ripetei questa esperienza e scrissi
la seconda linea della flg. 52. Vediamo anche qui che la finequenza
del respiro, all'altezza di 45()0 metri, è leggermente diminuita e che
le inspirazioni sono alquanto più profonde. Faccio nuovamente tre
inspirazioni, e (luesta volta il riposo dura 17 secondi. La diffe-
renza è minima. Vi sono variazioni da un giorno airaltro, come ho
trovate per la sospensione del respiro, che si produce chiudendo
il naso e la bocca. Non posso tirare alcuna conclusione da que-
sta esperienza, perchè il tracciato precedente rappresenta una
delle osservazioni nelle quali durò meno l'apnea alla pressione
barometrica comune. Altre volte Tapnea, nella pressione ordinaria
dura assai più, come se ne vede un esempio nella terza linea. Pa-
ragonando il massimo ottenuto nella Capaima Regina Margherita,
col massimo ottenuto a Torino, devo conchiudere che in alto
l'apnea dura meno.
Però nel soldato Chamois, trovai che l'apnea era più forte a
4500 metri, clie non alla pressione normale. Questo risultato, che
a molti sembrerà un paradosso, è la prova più evidente che sulle
alte montagne sono delle condizioni diverse da quelle che produ-
cono l'asfissia. La novità del caso appare evidente dalla fig. 5:^.
nella (luale fece prima nove inspirazioni con pochissimo effetto.
Questo succede in molte persone nelle quali sono meno evidenti i
fenomeni deirapnea. Vedendo che dopo il respiro non ritorna più
allo stato primitivo, probabilmente per la leggera emozione e il
passaggio dalla distrazione profonda ad un lavoro come quello
che è necessario per il respiro forzato, continuo a scrivere il re-
spiro nella linea di mezzo.
Giunto alla Capanna Regina Margherita, servendomi dello
stesso cilindro, che ruota colla medesima velocità, faccio un'altra
esperienza. Vediamo nella linea inferiore che dopo nove inspira-
zioni, succede un riposo pei'fetto, come non ottenni mai nella pia-
nura, e come se ciò non bastasse, il respiro ha una tendenza a
fermarsi che non aveva prima.
Un'idea mi venne subito vedendo questo fatto paradossale, che
cioè fosse questo un effetto della fatica nel centro respiratorio, il
(|uale si nuuiit'estava solo a quell'altezza, perchè 11 centro nervoso
250 FISIOLOGIA DELL^UOMO BULLE ALPI
lassù era più debole. Ammettendo che le nove inspirazioni fatte
runa dopo l'altra con forza, abbiano prodotto un esaurimento del
centro respiratorio, la cosa parrebbe semplice; ma io temo che sia
più complicata. Certo lo stato psichico deve aver agito per dare
una modificazione cosi profonda del respira A Torino era bene
desto, qui era sonnolento. Che non dormisse lo prova il fatto che
ad un cenno fece le nove inspirazioni profonde. Subito dopo però
socchiuse gli occhi. Comunque sia è strano che le condizioni del
centro respiratorio siano tali , air altezza di 4560 metri, da pro-
durre un riposo non mai prima visto della respirazione. Questo
tracciato non può spiegarsi colla teoria di P. Bert. Ecco dunque
un altro fatto che si mette in opposizione alle idee dominanti, e
che ci trasporta come agli antipodi nella interpretazione degli ef-
fetti, che l'aria rarefatta produce nell'organismo.
Qui appare evidente che il midollo allungato non funziona più
in modo normale e in tale direzione dobbiamo approfondire lo
studio.
VI.
Esaminiamo prima quali mutamenti succedano, alzandosi di
circa mille metri ogni settimana e fermandosi dieci giorni a
45(j0 metri. Nelle seguenti tabelle sono indicate le osservazioni
che facemmo su cinque soldati nello stato di riposo completo,
contando il polso e la respirazione e misurando la temperatura
rettale. Ho gìh detto a pagina 3G che per due mesi di seguito il
dott. V. Abelli ed io, facemmo per turno cjueste osservazioni so-
pra i soldati , al mattino prima che si alzassero da letto, e la
sera dalle 8 alle 5 prima che mangiassero. Per brevità riferisco
solo la storia di cinque soldati; ma le risultanze corrispondono
a (luelle delle altre persone che vennero con me sul Monte Rosa.
Ho tralasciato i dati presi in quei giorni nei quali le persone
non erano del tutto riposate , perchè sappiamo che la fatica di
un'ascensione si fa risentire anche nel giorno successivo. Le os-
servazioni fatte al mattino prima di alzarsi sono le più sicure;
nel pomeriggio i soldati si facevano stare circa dieci minuti in
posizione orizzontale prima di esaminarli.
- Analisi dcll'aifissia e dtl male di montagna
Frequenza del polso, del respiro e temperatura retiate n
nello stato dì riposo.
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856 FUIOLOQIA PUiL'DOKO bullk alpi
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Due fatti risultarono con evidenza: cioè che in tutti noi il potm
si fece più Acuente stando in alto , e che la temperatui-a dd
corpo si mantenne alquanto più elevata sul Monte Rosa die non
in basso. Nella capanna Regina Mat^herita laftitH non fa ebbe
più il minimo della temperatura rettale osservata a TorUio. Qu»-
Bto prova che l' organismo (anche delle persone più robi
leggermente turbato a quell' altezza , e che il conaumo
nel riposo deve essere alquanto maggiore a 4560 metri.
Jaccoud, Mermod, Armieux, Vacher. Mercier ed altri
ìAk trovato, che fermandosi nei luoghi elevati, il cuore fa uniJii'l
mero di pulsadoni notevolmente maggiore. Tanto per fissare
una cifra dirò che per 1(^ metri di altitudine Vacher dis»o cIk
Il suo polso invece di fìfì battiti al minuto, ne faceva 78.
Alcuni parlano perfino di una febbre per aiiitudine tanto lii
notevole l' aumento del polso che osservarono per altQ7.ze ulte-
riori ai 2000 metri. Dal completo delle nostre osservaziofif ri-
sultò che nel riposo completo l'aumento nella ft^uenza del
é minore per l'altezza di 4560 metri di quanto si sarebbe
posto giudicando dagli studi fatti ad altezze minori.
La frequenza del movimenti respiratori sulla vetta d«l.^^
Tlosa, è poco diversa da quanto fosse nella pianura.
però il numero delle inspirazioni non è sufficiente per dare
idea dell'attività respiratoria, ho studiato per mezzo della me;
schera e del contatore come si modillcasse la inspirazione mecKs
ili alto ed in basso.
Il metodo clie seguii lo ho ^iù descrìtto a pag. 45. Le tabdiQ
di queste osservazioni le lio messe In fondo al volume per noa
accumulare troppe cifre di seguito. Da esse risulta che nelt
veghu a 4.')00 metri il volume dell'aria inspirata In mezz'orali
alcuni è aumentato, in altri è diminuito, ma che tali variazloiil
sono poco considerevoli, tenuto calcolo dell'altitudine di 4560 mdri
alla quale vennero fatte simili osservazioni.
VII.
1 primi sintomi prodotti dalla rarefazione dell'aria non coirt-
spondono a quelli dell'asfissia, perchè il polso in questa si ral-
lenta e si accelera invece sulle montagne. 11 cuore ha per i BOOl
movimenti due sistemi di nervi, i quali possono paragonarsi (pjr
capire come funzionano) l'uno alle redini che Infrenano, raKra
agli speroni che incitano al moto. I due nervi vaghi agiscono
come le redini che inibiscono ed anche arrestano il cuore; I j
258 FISIOLOGIA dell'uomo sclle alpi
nervi acceleratori quando sono eccitati fanno crescere la fre-
quenza dei battiti cardiaci. Era importante il decidere se, giunti
noi a grandi altezze, si rallentano le briglie del cuore per una
paralisi del loro centro nervoso, o se invece la maggiore fre-
quenza del polso dipenda da ciò che i centri acceleratori sono
stimolati dall'aria rarefatta.
Per risolvere tale questione, non c'era altro mezzo che fare
delle esperienze sugli animali. Devo però subito avvertire che
la fisionomia del male di montagna rassomiglia ai fenomeni clie
si producono nei cani dopo il taglio dei nervi arrestatori del
<3Uore, perchè anch' essi soffrono il vomito, la palpitazione rapi-
dissima del cuore e la diminuzione nella frequenza del respiro.
Mi limitai quindi a mettere fuori d'azione i nervi moderatori del
polso. Ecco una di queste* esperienze.
Un cane normale ha in inedia 88 battiti del cuore ogni mi-
nuto. Messo con noi nella camera pneumatica e portata la ra-
refazione dell'aria a 42 centim.. che corrisponde all' altitudine di
4723 m., il cuore batte 114 volte al minuto.
Dopo il taglio dei nervi vaghi, il polso diviene due volte più
rapido, e il respiro che era normalmente di 16 al minuto, scende
a 10. Tornati nella campana pneumatica e prodottasi la medesima
rarefazione, corrispondente a 4723 m., non si modifica più la fre-
quenza del polso per la diminuita pressione barometrica. L'ani-
male però sta meno bene di prima, si agita ed apre affannosa-
mente la bocca, come se gli mancasse l'aria, sebbene il baro-
metro segni 12 centim. come prima. Appena cessa alquanto la ra-
refazione, subito sta meglio e respira tranquillo.
I fatti esposti nei precedenti capitoli dimostrarono che nel male
di montagna esiste una depressione dei centri nervosi i quali
hanno sede nel midollo allungato. L'aumento nella frequenza del
polso a 45()0 metri è un fenomeno costante, che non so spiegai^e
se non per mezzo di un'incipiente paralisi del nervo vago. Nel
soldato Solferino ad esempio, dopo una settimana di riposo nella
(]apanna liegina Margherita, il cuore faceva un numero di con-
trazioni doppio che non faceva in basso.
l^iassumo i fatti in base ai quali la neurosi del vago deve con-
siderarsi come un fattore del male di montagna.
Abbiamo veduto a pag. 43 e 14 che sul Monte Rosa compare
una ])ausa tra una respirazione e Y altra della quale non vi era
ti-accia in basso; che il tipo della respirazione era cambiato; an-
ciie nella veglia era più lunga l'inspirazione e più rapida l'espi-
razione; la comparsa del vomito e la difficoltà della deglutizione,
sono fenomeni che caratterizzano la paralisi dei vaghi. La stan-
XVI. — AnalUi deU'aifixsia e del male di montagna 2'i9
I chezza improvvisa die si produce nei cani die hanno 1 vaghi
I tagliati, quando si provano a correre, accresce la rassomiglianza
I coi fenomeni osservati nel male di montagna. A dimostrare l'e-
' sistenza della neurosi del vago concorre la paralisi vasomotrice.
La dilatazione dei vasi sanguigni nel polmone non mi Tu possi-
bile provarla direttamente, ma è probabile che sia per effetto
dell'iperemia dei polmoni che abbiamo trovato essere minore la
Quantità, di aria che introduciamo nei polmoni, misurando la ca-
pacita vitale a Ahi'iy metri di altezza. I.a morte del dott. Jacottet
sul Monte Bianco qualcuno potrebbe credere fosse causata da
una dilatazione neuroparalitica dei vasi polmonaii. Il corso della
malattia rapidamente Tatale , e l'edema dei polmoni riscontrata
all'autopsia rendono probabile tale dubbio.
Vili.
Ho già detto nel capitolo quarto che la pressione del sangue
nella Capanna HetJiina Margherita, era in noi poco diversa da
quanto fosse a Torino. L'altitudine di 4560 m. non semljrandomi
sufficiente, feci altri studi sugli animali nella campana pneuma-
tica, mettendo un manometro in comunicazione colla carotide.
Queste esperienze furono fatte nel sonno, amministrando agli ani-
mali la morfina, il cloraHo e il cloralosio, perchè non sentissero
e non si muovessero. In tutti questi esperimenti trovai che la
pressione sanguigna non si modifica per una rarefazione dell'aria
corrispondente a 6500 m. e 70fX) m. Solo il polso diventava più
frequente, e il respiro più profondo e più rapido. Credo inutile
riferire tracciati, bastando affermare che per tali altezze la pres-
sione non cambia.
Anctif! qui appare un'altra differenza fondamentale fra l'asfis-
sia e il male di montagna, perchè nell' asfissia è un fenomeno
costante e caratteristico l'aumento della pressione del sangue
appena diviene insufficiente il respiro. In due modi possiamo
spiegare questa differenza fondamentale: o i mutamenti clie suc-
cedono nel sangue quando si rarefa l'aria sono diversi da quelli
che si producono nell'asfissia (sulle montagne infatti non si ac-
cumula acido carbonico nel sangue); o il centro nervoso dei vasi
sanguigni diviene meno attivo.
Gli studi di Hiifner sul sangue '. hanno dimostrato che non
dobbiamo cercare nelle condizioni fisiche del sangue la causa
> Dtj Bois-Rar*
, Arehiv f. Pkijsiologie,
260 FISIOLOGIA DBLL*COMO 8DLLB ALPI
del male di montagna , perchè solamente alla pressione baro-
metrica di 238 mm. questo comincia ad alterarsi. Non vi è dun-
que una montagna sulla terra abbastanza alta, dove l'uomo
arrivandovi abbia da temere che l'emoglobina del sangue non
possa più prendere dall'aria l'ossigeno che essa è capace di as-
sorbire.
Che non stia nel sangue la causa del male di montagna, me
ne sono persuaso ripetutamente vedendo che dopo una emor-
ragia fortissima non si aggravano gli effetti della depressione
barometrica. Basta enunciare il risultato di queste esperienze per
mostrarne tutta l' imix^rtanza. Se ad esempio studiamo un cane
sotto la campana pneumatica alla pressione di 32 centimetri del
barometro (corrispondenti all'altitudine di G888 metri) e dopo gli
leviamo un terzo del suo sangue e torniamo a metterlo sotto
la campana nell'aria egualmente rarefatta che corrisponde a
G888 metri , non si osserva alcuna differenza nella frequenza e
nella profondità del respiro.
La parte del sistema nervoso, la quale risente con mag-
giore facilità la depressione barometrica, è anche quella che più
rapidamente si modifica nella sua resistenza alla mancanza di
ossigeno. L'uomo prima di nascere resìste in modo straordinario
all'asfissia, e lo prova il fatto che spesso viene tentata con suc-
cesso Toperazione cesarea dopo che la madre è morta, od è ago-
nizzante. Paolo Bert studiò nei topi come vada modificandosi
rapidamente dopo la nascita T attitudine loro di resistere al-
l'aslissia. Un topo preso ai)pena nato non muore se sta mezz'ora
senza respirare ; dopo una settimana resiste solo al più 15 mi-
nuti senza respirare, e dopo due settimane che vive, resiste ap-
pena 4 minuti.
Questi mutamenti , i quali succedono certamente nel sistema
nervoso senza clie cambi in modo sensibile la composizione e la
quantità del sangue, ci spiegano perdio non sia necessario di cer-
care nel sangue la ragione del rapido acclimamento all'aria ra-
refatta, nò di credere che stiano nel sangue le differenze indivi-
duali tanto manifeste per il male di montagna. Il sistema nervoso
è la sede del male, perchè in nessun altro tessuto quanto nelle
cellule nervose sono tanto rai>idi gli adattamenti e così distinte
le ^icrarcliie e ])rofondc le dlfforen/e negli individui.
La facilità colla quale l'organismo si adatta alle grandi altezze,
apparve nella diminuzione successiva della frequenza del polso
durante il nostro soggiorno nella Capanna Regina Margherita,
tanto die avendolo nel secr)ndo giorno IV] pulsazioni, negli ultimi
ioi'ni ebbi un minimo di 54 pulsazioni al minuto come di rado
(r
- Amitini drìt'nt/ima e 'M male di
mtagnii
osservo a Torino. I.e seguenti cifi'o prese dalle tabelle, colla dimi-
nuzione della frequenza del polso iu giorni successivi a 450) metri,
I mo straiJO con evidenza l'azione dell'acclimamento:
^^^L MsrU 82. 64. 60. — Jachìni 70. ÓH.
^^^1 Saruiir 7n. 71. 67. — Camozzi 88. »1.
Vii
Sul Monte Hosa a 45G0 metri l'aria è rarefatta poco meno G
metà, cioè di 1,80, perchè la pressione media lassù ù dì \-Ì'.ì uim.
Se non vi fosse In basso la respirazione di lusso, noi dovremo
respirare un volume d'aria quasi doppia, quando siamo a 47)00 me-
tn, per introdurre nei polmoni la medesima quantità di ossigeno.
Questo però non succede: anzi, contro ogni previsione, il soldato
Solferino respira meno aria nella Capanna Regina Marglierita di
quanto ne respirasse in basso a Gressoney. Il numero delle sue
inspirazioni è cresciuto da 10 a 14 come appare nella tabella X
in fondo al volume , ma la profondità dei movimenti respiratori
6 scemala ; invece di respirare litri G,41 al minuto, respira solo 5,54
di un'aria tanto meno densa. Di qui si vede l'alterazione fun-
zionale del centro nervoso respiratorio, il quale si risente per la
mancanza dell'ossigeno ed affretta i movimenti del respiro, ma
non riesce ad ottenere l'intento di rimediarvi, perchè non è ca-
pace di fare delle inspirazioni più profonde.
In mio fratello (tabella IV) e nel caporale Camozzl (tabella VI)
aumenta la frequenza e la profojidità delle inspirazioni. Il numero "
dei litri d'aria respirati da mio fratello a Gressoney, e a \7A'f) inetri,
sta nel rapporto dì 1 : 1,33. Pel caporale Camozzi questo rap-
porto fu di 1 : 1,(J3. Fra Torino e Gressoney non trovai una diffe-
renza apprezzabile quantunque il dislivello sia di i:(r>l metri.
Beno Bizzozei'o (tabella V) introdusse una quantità d'aria nel pol-
moni maggiore clie in basso, aumentando la IVequenza delle inspi-
razioni e diminuendo la loro prol'ondità; ma i litri d'aria respi-
rati lassù ad ogni minuto, crebbero solo di 1,04 in confronto di
Gressoney.
Nel soldato Sarteur (tabella VII) la frequenza del respiro rimase
costante, e creblje la profondità; ma l'aumento dell'aria inspi-
rata fu pìccolo, percliè paragonando i litri d'aria respirati in un mi-
nuto a Gressoney e a 45tju metri stanno nel rapporto di 1; LWi.
1 soldati Cliamois ed Oberiiolfer (tsibella Mll e IX) che arriva-
rono entrambi da Ivrea alla capanna Hegina Marglierita, senza
larsi nelle stazioni intermedie per racclimamento, presenta-
9&St rmoLOOu. dbll'voiio iullb àxat
rono il fatto curioso che in entrambi il respiro era meno flreqiMBto
che a Torino, ma era più grande il valore delllnqriraztoùe
tanto che i rapporti fira i litri d'aria inspirati a Torino e a
tri, stanno come 1: 1,15 per il soldato Chamois, e come Is'
per il soldato Oberhoffer.
Facendo la media degli amnenti osservati nel volume
inspirata da sei di queste persone, all'altitudine di 4560 metri, riaidla
che i numeri dei litri d'aria inspirati ogni minuto in basso ed in alta
stanno nel rapporto di 1: 1,17. Siamo dunque molto lontani dal
rapporto di 1 : 1,80 che dovrebbe esistere, se il volume dell'aria in-
spirata crescesse in modo proporzionato alla rareCazione dell'aria.
Le modificazioni che produconsi nella frequenza e nella pro-
fondità del respiro a 4560 metri non obbediscono ad una legge
costante, e tutte le combinazioni possibili furono da noi osservatet
cioè: aumento della frequenza e della profondità delle inspirazkMii;
diminuzione della frequenza ed aumento della profondità dell'in-
spirazione; aumento della firequenza e diminuzione della profon-
dità; finalmente, come abbiamo veduto nei tracciati a pag. 39, può
diminuire la flrequenza e anche la profondità del respiro.
Alcune cifìre di queste tabelle non corrispondono esattamente
ai dati che furono già riferiti nelle tabelle precedenti; questo si
spiega notando che per respirare a traverso il contatore doveva
vincersi nell'inspirazione una piccola resistenza e che l'aver la
maschera applicata alla faccia e il sapere di essere osservati mo-
difica leggermente il respiro. Per diininuii'e gli errori si aspettava
un quarto d'ora dopo clie si era stabilita la respirazione a tra-
verso le valvole prima di cominciare l'esperienza. Malgrado tali
inconvenienti (che non si potranno mai evitare del tutto) le os-
servazioni fatte da mio fratello (che lio riassunto nella tabella III
in fondo al volume), formano colle osservazioni ora discusse, il
materiale più attendibile che possediamo fino ad ora per Io studio
della respirazione a grandi altezze.
Quanto alle indagini recenti fatte dal signor Leo Zuntz nella Ca-
panna Regina Margiierita ^ con metodo alquanto diverso dal mio,
temo che in lui non fosse ancora scomparsa del tutto la stanchezza:
perchè mentre alla pressione atmosferica ordinaria egli respirava
4,93 litri di aria al minuto, nella Capanna Regina Margherita re-
spirò litri 13,74 e 10,55 nell'esperienza successiva. Il volume del-
Taria Inspirata diventò dunque maggiore del doppio: e questo è
troppo in confronto dei valori clie io ottenni nel riposo sulle per-
sone die si fermarono con me nella Capanna Regina Margherita.
1 Op. cit, Pllttgor's Archiv, Bd. 66, pag. 517.
«
I
dal Monte Kosa. - L'iiitimapnrte del ghia
CAPrxoLO Diciassettesimo.
izione dell'aria di montagna sul sistema nervoso-
li mal di capo. Il vento.
I.
Gli animali iiireriori risentono ancii'essi l'azione dell'aria rare-
fatta. Ci vuol poco ad accorgersene; le stesse pulci, quando si
mette un cane sotto la campana pneumatica, escono di sotto ai
peli e saltano fuori irrequiete, spargendosi intorno e fuggendo;
segno che l'aria rarefatta dà loro molestia.
Per avere un alti'o indizio sperimentai nelle lucciole, le quali,
per mezzo della fosforescenza, lasciano conoscere meglio la ec-
dtazione del sistema nervoso. La fosforescenza di questi insetti
t> un processo ciiimico, come quello della luce che manda il fo-
sforo, benché incomparabilmente diverso nella sua intima natura.
Mi interessava molto il vedere, se la dhuinuzioue dell'ùssigeiio
ITaria rarefatta, modificava il fenomeno vitale della luce.
266 FISIOLOGIA DBLL^COXO 8ULLB ALPI
per la rarefazione dell'aria, sono tutti di natura nervosa, questo
è un indizio che dobbiamo cercare in un disturbo della nutrizioDe
dei centri nervosi la causa del male di montagna, e non in un
semplice effetto fisico per la diminuita pressione. Vedremo in se-
guito, che quanto più un animale ha il sistema nervoso svilup-
pato, altrettanto sente più V azione dell' aria rarefatta. La nutri-
zione delle cellule nervose è più vivace in noi, che non sia negli
animali a sangue freddo , i processi chimici sono più intensi e
questo spiega tale differenza.
111.
In generale può dirsi che il mal di capo e la stanchezza danno
il primo avvertimento che è succeduto qualche cosa di anormale
nel sistema nervoso. È con tali sintomi che comincia il male di
montagna. Dopo succede un disordine nella innervazione del cuore
e dello stomaco per cui si ha la palpitazione, la vertigine, la nau-
sea, la mancanza di appetito ed il vomito; più tardi compare la
sonnolenza. Molti hanno trovato una rassomiglianza tra il mal di
mare e il male di montagna; a me sembra però che i fenomeni
per l'aria rarefatta siano molto più complessi e variati. Ck>me e
perchè compaia prima, o si imponga agli altri uno di questi fe-
nomeni, è cosa che dipende dalla natura di ciascuna persona e
da intricatissime contingenze.
Solo questo può dirsi, che la reazione dell'organismo è tanto
più intensa quanto minore è l'energia del sistema nervoso. Tra
i molti esempi che dimostrano questo, ne scelgo uno. Quando
ero studente partii da Geresole con alcuni amici, e fatta l'ascen-
sione del Gran Paradiso, scendemmo pel Rutor alla Thuile. Arre-
stati dal cattivo tempo nell'Ospizio del Piccolo San Bernardo, scen-
demmo per TAllée Bianche e il lago di Combal a Courmayeur. Era-
vamo bene allenati; ma disgraziatamente un amico, che doveva
lasciare la nostra comitiva, ci fece bere più del solito e ci cori-
cammo così tardi, clie dormimmo solo poche ore e male, essendo
eccitati dall'alcool.
Il giorno successivo di buon mattino partimmo per il colle
Ferret. Quando arrivammo ai laghi di Fenùtre, a 2500 metri, uno
dei nostri compagni cominciò a sedersi di quando in quando e
a rimanere indietro. Io lo aspettai, e mi disse che aveva mal di
capo e stava poco bene. Poco dopo , continuando a camminare,
ebbe nausee e sforzi di vomito. Anche stando seduto, il respiro
era freciuente ed il polso accelerato e debole. Più che tutto gli
dava molestia la palpilazione del cuore e l'oppressione die gli
levava il fiato, come egli diceva. Coricatosi in terra, dopo mezz'ora
di riposo lo prendemmo sotto braccio e poti giungere fino al colle
Fenètre. ma quivi lo prese un'altra volta e più forte il malessere
ed il vomito. La forza dei muscoli era in lui tanto scemata, che
malgrado !e nostre esortazioni non volle più muoversi.
Avevamo già preparato una tenda , facendo con i bastoni da
alpinista e le coperte una specie di capanna, nella quale due di
noi, con una guida, volevamo passare la notte e far compagnia al
nostro amico. Ma una parte della comitiva, avviatasi prima al-
l'Ospizio del Gran San Bernardo , tornò indietro colle lanterne e
coi caui. Fu una emozione profonda che produsse in noi la vista
di quei cani leggendarii, die ci facevano festa. Le lanterne della
comitiva numerosa, rischiarando la notte, portarono l'allegria
nella umile tenda. Rialzatosi il morale del nostro malato, potè
scendere all'Ospizio del Gran San Bernardo, e il giorno dopo era
in condizioni perfettamente normali.
Fu questo uno dei casi di male di montagna 1 più caratteristici
che io abbia osservato. L' altezza era solo di 2.500 meli'i e si
trattava di persona allenata, senza alcun vizio di cuore e discre-
tamente robusta. La gravità dei sintomi fu prodotta dalla debo-
lezza del sistema nervoso e dalla mancanza del sonno. Le fatiche
molto più intense dei giorni precedenti ad altezze maggiori, non
avevano prodotto in lui nulla di simile. Fu l'effetto del pranzo lauto,
del vino bevuto in abbondanza e del riposo insufficiente, che fece
comparire ed aggravò i sintomi del male di montagna.
Un generale (ricordo una vecchia storia che vale ancora per
gli eserciti moderni e per gli alpinisti futuri), disse che non bi-
sogna mai condurre alla battaglia i soldati dopo un giorno di
festa. Qui ne abbiamo uiia prova sulle Alpi.
IV.
Fra le cause che hanno prodotto una depressione cosi pro-
fonda nelle forze del mio amico al colle Fenètre . credo debba
ricordarsi l' oscurità improvvisa prodotta dalla nebbia. Nel mio
soggiorno sul Monte Rosa ebbi spesso occasione di confermare
questa azione deprimente che la [lebbia esercita anche sui mi-
giiori alpinisti. Del resto le guide ammettono tutte che la nebbia,
quando é densa, sia un nemico assai più temìbile della tormenta.
Un giorno eravamo nella Capanna Regina Margherita ed es-
ipUo giunte due carovane ci trovavamo troppo pigiati. Uno dei
906 nOOMMIA lBLL*COHO SOXB AUt
custodi ddla caipanna e due soldati si offiiroiìo di scendere alla Ca-
panna Gnlfetti per lasciare un pò* di posto libera Erano gli ocmiiiii
migliori deDa nostra comitiva e partirono allegramente alle quat-
tro pomeridiane, avendo tutto il tempo per giungere in basso, prima
che si focesse la notte. Disgraziatamente, arrivati sul grande piano
di ghiaccio, furono investiti dalla nebbia e cominciò a nevicare.
Poco dopo si accorsero che avevano perduto la strada e con-
tinuarono a camminare. Passata un'ora errando a tastoni, videro
con sorpresa che erano tornati al punto dove erano passati prima
che la nebbia avesse chiuso loro intomo Torizzonte. Imfwowlsa-
mente si sentirono scoraggiatL Camminarono ancora un buon
tratto e seguivano le buche degli alpcnstock fatte da mi*altra co*
mitiva che era salita alla capanna, ma perdettero anche questo
filo che poteva condurli fuori da quel labirinto, perchè fattasi più
fitta Toscurità e cadendo più abbondante la neve non trovavano
l4ù le orme, perchè le traccio erano scomparse e il vento aveva
ricolme di nevischio le buche. Del tutto disorientati temevano di
non trovare più la via, né per ritornare indietro, né per scendere.
Per buona sorte il cielo si rischiarò e poterono giungere a notte
fatta alla Capanna Gnifetti.
Quando ritornarono il giorno dopo in alto e mi raccontarono
remozione e la paura che avevano avuto, pareva che parlassero
come di un sogno e di una ^isìone, tanto era diverso il loro lin-
guaggio da quello che essi tenevano generalmente da uomini co-
raggiosi e robustissimi com'erano. La mancanza della vista pro-
duce una depressione morale. Nella notte siamo meno corag^osi
e la paura degenera in panico.
A tutti i veri alpinisti è capitato di partii*e al mattino col propo-
sito di bivaccare in alto sulla montagna; ed a molti sarà successo
di doversi decidere, prima ciie tramonti il sole, a passare la notte
sopra la roccia o sul gliiaccio. Lo stato di animo è in questi casi
affatto diverso da quello dell'alpinista clie viene improvvisamente
avvolto dalla nebbia e chiuso dalF oscurità sul ghiacciaio. Una
guida del Monte Bianco mi ha raccontato che una volta girò molto
tempo intorno alia Capanna Vallot. senza trovarla ed era pochi
passi distante, tanto era fìtta la nebbia. Lo scoraggiamento e la
depressione psichica, cojne il timor panico, non stanno in propor-
zione colle cause. Il vento che porta via il suono della voce rende
più grave risolameiito. La paura agisce suirorganismo in modo
tale che compaiono ì fenomeni del male di montagna anche in
periscile che prima non ne avevano mai sofferto. Uno di questi
due soldati disse che aveva provato come delle vertigini e una
sensazione di nausea tale che poco mancò non vomitasse.
L'azione che le tenebre esercitano sui fenomeni psicliici, non
fu ancora studiata abbastanza. Certo le tenebre lianno aziono
deprimente. l,o prova la fatica maggiore delle marcie notturne.
F6r6 vide che gli accessi epilettici si producono per due terzi nella
notte e solo un terzo di giorno '. Il nostro corpo ó costituito da
un sistema di forze in equilibrio instabile, e basta un'emozione
per dare il tracollo in modo che la bilancia non può più ripren-
dere l'equilibrio, malgrado ogni sforzo della volontà. Chi non ha
provato la nebbia dei monti camminando tastoni, col pericolo di
essere ingoiato nei crepacci o di scivolare nei precipizii. non puù
comprendere l'ambascia e lo sgoiriento che prova l'alpinista in
simili circostanze. La mancanza della vista può condurre agli
atti più disperali.
E un'audacia pazza quella degli alpinisti che sfidano la nebbia;
anche nei giorni migliori il Monte Rosa può riuscire fatale, e guai
a chi viene sorpreso dalla nebbia nel grande anfiteatro che si
stende ai piedi delle punte più elevate.
k
Se mi si domandasse che cosa sia il mal di capo, non saprei ri-
spondere. Tutto al più direi che il mal di capo è un avvertimento
che ci dà la coscienza organica di un disturbo nella nutrizione
del cervello. Le parti fondamentali del nostro corpo sono insen-
sibili. Nei visceri, nello stomaco, nel cervello II chirurgo mette le
forbici e taglia senza die il malato se ne accorga. Non per que-
sto manca loro completamente la sensibilit;Y. Il male di capo ò
come la voce di questo senso fondamentale e recondito. Anche
la fame ci avverte, senza che abbia dei nervi speciali a sua di-
sposizione, quando è prossimo un danno per mancanza di ali-
mento. Cosi in molti il mal di capo è come un fischio di allarme
che manda la coscienza organica generalmente muta. Benessere
e malessere sono parole vaghe e convenzionali per esprimere un
mondo di sensazioni che non si possono definire. Se qualcuna
delle condizioni vitali é alterata per la febbre, per la fatica, per
il lavoro mentale eccessivo, per l'aria corrotta, per la cattiva di-
gestione, subito sorge il male dì capo come una sentinella che
i:i avverte. In alcune comitive che giunsero alla Capanna Regina
Margherita tutti se ne lagnavano. Avevamo con noi una piccola
farmacia, perchù sapevamo che ci sarebbe toccato nostro mal-
■ Cu. FtMt, La fpilcpiies, 1880, pig. i
870 FISIOLOGIA dell'uomo SrLLB ALTI
grado fare il medico. Trovammo che la fenacetina giovava dì
più dei rimedi eccitanti. Sapendo clie la debolezza e resaurimento
del sistema nervoso produce pure il male di capo, io speravo che
la cocaina sarebbe stata utile ; ma non mi accorsi, anche ammi-
nistrandola alla dose di un decigrammo nel vino di Marsala, che
facesse scomparire più presto il male di capo, benché indubbia-
mente giovi per dare forza.
La fatica, i disturbi della digestione, la durata insuflSciente del
sonno, la luce abbagliante dei gliiacciai e Fazione delFaria rare-
fatta sono i fattori del male di capo che tutti più o meno sof-
frono sulle alte cime.
Il male di testa prodotto dall'aria di montagna ha questo dì
caratteristico, che si rinforza e scema nelle varie ore della gio^
nata. II tormento maggiore che io abbia mai provato in causa
agli odori, fu per l'odore di putrefazione che mandavano gli sputi
e l'alito del soldato Ramella durante la polmonite e la gangrena
polmonare che lo prese nella Capanna Regina Margherita. L*ave-
vamo isolato nell'ultima camera, trattandosi di una malattia in-
fettiva, ma disgraziatamente io dovevo lavorare quasi sempre
vicino al suo letto, in causa alla ristrettezza dello spazio, e dopo
meno d'un'ora di lavoro ero obbligato ad interrompere le ricer-
che in causa al male di capo. Mi affacciavo ad una finestra, e
se il tempo lo permetteva andavo fuori sul ballatoio; in pochi
minuti tornavo a star bene, e rientravo nella stanza del malato
a riprendere i miei studi.
Vi.
In alcune persone molto sensibili per razione dell'aria rarefatta
compaiono dei disturbi nervosi più ^ravi. Un mio collega dellT-
niversità di Torino non può de^^lutire bene ad una certa altezza
perchè (dice luii le {ghiandole salivari non funzionano abbastanza.
Il signor Kolbe venne alla capaiuia Gnifetti col dott. Weber,
nuando partirono per il Colle del Lys il tempo era incerto; cam-
minarono un'ora sul ghiacciaio, ma le fermate diventarono sempre
l)iù frequenti e il signor Kolbe più pallido. L'ansare era divenuto
cosi affannoso che malgrado rinsistenzacoraggiosadel signor Kolbe
dovettero retrocedere. Già prima erasi manifestatala nausea con
sforzi di vomito, ma di questo poco si inquietavano entrambi.
Fu la comparsa di un color livido della faccia che li decise a tor-
nare indieti'o. Il termometro segnava 0".
Ritornati alla Capanna Gnifetti non cessavano dal meravi-
gìiarsi che il inigliorainento fosse stato cosi improvviso. Dopo
2 o ;ì minuti che si erano voltali e cominciarono a scendere,
scomparve ogni malessere e vennero giù quasi coi-rendo. Dopo
un'ora e me?:zo erano seduti a tavola e mangiavano. Il solo in-
comodo che fosso rimasto al signor Kolbe era di non poter far
bene il boccone e deglutire come al solito. Non cercammo se ciò
dipendeva da una leggera paralisi dei nervi di moto, o se pure
era la sensibilità che fosse diminuita; probabilmente la causa era
una leggera paralisi del nervo vago.
Il dott. Weber volle esaminare il cuore e Io trovò normale.
Per spiegare Io stato grave del signor Kolbe e la sua rapida ri-
surrezione basta ricordare die aveva 60 anni. Più vecchi di lui
ne vidi solo passar due sul Monte Rosa, il senatore Perazzi che
fu il nestore degli alpinisti itahanì e la guida Anthamatten di
Saas che aveva G7 anni, la più vecchia credo di quante facciano (»L. I
ancora servizio attivo. llij
Parrot ', il quale per primo sali sulla punta Parrot, la più Isella
fra le punte del Monte Rosa)^della quale ho riprodotto una foto-
grafia di Vittorio Sella), nel suo viaggio al Caucaso, racconta che
una volta j)erdette la voce. Anche questo ó un fenomeno di pa-
ralisi del nervo vago. Non sentivasi male, non aveva vertigini,
nulla, solo una grande debolezza. Anche gli occhi suoi vedevano
meno lontano e meno distinto. Si riposò mezz'ora e potò nuova-
mente parlare.
Paolo Gùssfeldt nel suo libro sul Monte Bianco disse i " Certo il
cervello nei luoghi bassi è capace di una produzione migliore che
non a grandi altezze. Probabilmente anch'esso si abituerà all'aria
i-arefatta come il cuore ed i polmoni. Cosi per lo meno suggerisce
la mia esperienza. Ho provato una volta a continuare un lavoro
in mezzo al mondo alpino e questo lavoro non aveva alcuna re-
lazione colle montagne. Tirai innanzi col più grande stento e
quanto scrissi dovetti dopo cancellare. Appena ritornai in Germa-
nia mi venivano giù i pensieri senza fatica, e condussi a termine
rapidissimamente il mio lavoro. „
Nei dieci giorni che mi fermai sul Monte Rosa, a 4560 metri, non
mi sono accorto che vi fosse una differenza nella attiviti^ del cer-
vello. Con mio fratello abbiamo fatto la prova di contare in quanti
secondi ci riusciva a fare la somma, o la moltiplicazione di un de-
terminato numero di cifre e trovammo die per le medesime ope-
jizìoni non vi era differenza nel tempo a Torino e sul Monte Rosa.
* Bfìne in dir. Krym unii dea Katikanui i
tìia, leii. I, Theil, pog. 202.
nM. I
1. Kagdharill nnd F. Pwrot.
272 FISIOLOGIA PELL^UOMO 8CLLB ALPI
Questo vale solo per lo stato di riposo completo, perchè ap-
pena si aggiunge la fatica tutto cambia, e non è più la stessa
la rapidità colla quale si compiono le operazioni^ aritmetiche degli
stessi numeri. Speck dice che stando in un' atiliosfera che cod-
tenga solo il 9 per luO di ossigeno si perde la memoria. La stessa
cosa produce l'ossido di carbonio; e credo possa dirsi in generale
che la memoria cessa appena è disturbata la nutrizione del cer-
vello.
vir.
Conosco bene il mio cuore, perchè lo studio da molti anni; la
prima volta che lo sorpresi ad essere meno regolare fu sul Monte
Rosa, dove di quando in quando batteva più in fretta. Questo
l'osservai anche su Beno Bizzozero, su mio fratello e su altri.
Gli acceleramenti dei quali devo ora parlare, sono più forti e
più irregolari delle variazioni periodiche nella frequenza del polso,
delle quali ho già riprodotto alcuni tracciati nel capitolo quarto,
pag. 70.
Trattandosi di uno dei sintomi più gravi del male di monta-
gna, e di un fenomeno sul quale vorrei chiamare l'attenzione
degli alpinisti, riferisco alcune osservazioni fatte su me stesso.
Il giorno y agosto alle ore 1,15 arrivai alla Capanna Regina
Margherita non molto affaticato, perdio mi ero proposto di cam-
minare molto adagio, tanto che impiegai cinque ore a fare que-
st'ascensione per la quale bastano quattro ore. Appena giunto
notai che la frequenza del polso era 102 al minuto, il respiro 2'2.
la temperatura l'ettale 37",9.
Dopo ([uattro ore di riposo, due delle quali passai coricato e
le altre a mettere in ordine i miei strumenti: polso 08, respiro lo.
temperatura :UV\9. L'effetto della fatica e deiraria rarefatta è pic-
colo, perchè in basso a quell'ora avrei avuto in condizioni nor-
mali: i)olso 00, respiro i:{, temperatura 30" ,8.
Il giorno successivo, 10 agosto, alla stessa ora sto meno bene;
il mio polso presenta di quando in quando delle irregolarità nella
fi'eciuenza; ora ù i)iù debole ed ora più forte. Prego Beno Bizzo-
zero di contare il polso per lU minuti di seguito, ed un soldato
scrive per ogni niiimto : 73. 70. 75. 70. 93. 80. 84. 80. 70. 77).
liespiro, '2'2 al minuto, irregolare; temperatura, 37'',4. Tale di-
sturbo nello stato fisiologico e importante perchè noi] ero uscito
dalla capanna, e non dipende ne dal freddo nò dalla fatica, ma
solo dalla de])rcssi<jiie barometrica. Fuori, la temperatura era — 9^
come segnava il termomelro messo fuori della finestra verso il
nord per le nsservazioni meteorologiche; ma dentro stavamo
ealdi perehè c'erano tutta la giornata due stufe accese, una nella
stanza dell'osservatorio e l'altra in cucina.
II quarto giorno, cioii il li agosto, le irregolaritA nella fre-
«[uenza del polso erano scomparse, e il mio cuore batteva lento
e regolare come a Torino. Il dolt. Abelli e Beno Bizzozero mera-
vigliati della lentezza del mio polso, lo contarono entrambi ripe-
tutamente mentre stavo coricato, e trovarono da 54 a riri pulsa-
zioni al minuto; respiro, ifi a 17; temperatura rettale, :t(j''.C.. Tutti
i fenomeni dovuti alla depressione erano dunque scomparsi. Solo
il respiro era più frequenle del normale, perché a Torino prima
di alzarmi da letto faccio solo 11 a \2 respirazioni al minuto. Un
inconveniente clie non scomparve mai fu la molestia maggiore
die provavo a chinarmi, mettendo cosi un ostacolo alla circola-
zione venosa del sangue.
In Beno Bizzozero notai i primi giorni che eravamo nella Ca-
panna Kegìna Margherita 1 medesimi aumenti nella frequenza
del polso, e la faccia sua cambiava di quando in quando di co-
lore; ora era più rosso ed ora più pallido, senz' altra causa che
una modificazione intima nello stato dei centri nervosi che re-
golano i movimenti del cuore e dei vasi sanguigni.
Mi sono a questo modo convinto che il male di montagna può
mostrarsi in tutti ad altezze non molto grandi, e die nella Ca-
panna Regina Margherita vi sono le condizioni favorevoli per
compiere un simile studio, e che solo descrivendo minutamente
i primi sintomi del malessere, possono gettarsi le basi sicure per
una lìsiiìlocia del male di montagna.
TI vento agisce comprimendo od aspirando. Mentre eravamo
nella Capanna Regina Margherita le burrasche si incaricavano
spesso di farci assistere nostro malgrado a delle esperienze come
non ci capita di fare «luaggiù sul movimento dell'aria. Quando
soffiava it vento in direzione tangente alla porta, appena si ten-
tava di aprirla, subito usciva la iìamma dalla buca della stufa
ed il fumo era tirato con veemenza verso la porta.
-Succede la slessa cosa nei polverizzatori, dove sì soffia in di-
rezione tangente ad un tubo Immerso in un liquid'i odoroso. I.a
^^^rcnte d'aria che passa con impet^yjJaQi^mtSoltile del tubo,
^^^■lOMO, Fitiolegii drlfriomo H'iltr AlfH.
S74 FISIOLOGIA EiELL*rOMO «l'LLE ALPI
trascina con se Varia contenuta nel tubo che sta immerso nd
liquido: altre parti«"elle d'aria vi succedono, e quest'aria
cendosi tira dietro il liquido fino al punto che giungendo qi
al soniino del tul>o. viene disperso in una nube sottil
Queste due forze del vent'j, la comprimente e l'aspirante, do^
bero pui'c a;rii*e nella respirazione: ho provato, ma non
conchiudere nulla, perchè era troppo grande la molestia che
la tormenta in quel giorno.
Provandoci a respirare colla nuca rivolta al vento, ai
che il respiro è più facile: ma non credo che questo effetto?
dovuto ali aspirazione. Il vento di fronte è più molesto
agisce sulla faccia scoperta e sugli occhi: più che tutto è la
sazione del freddo che dà molestia.
Intorno all'azione che il vento esercita sul respiro le idee aÉjtt
contradditorie: quelle del volgo sono note, perchè si cutMtoiip
esempio, che uno il quale cada da una tori*e, arrivi a terra dlr^
focato per la mancanza del respiro: come se nel moto raiMfe3|
traverso l'aria, non potesse più riempire i polmoni d'aria.
Tissic in un suo studio lucente si esprime a questo modi^
^ Plus la vitesse de progression augmente. plus la respiraMi
est diflicile; Ics couches d'air travei-sóes ótant perpendlculaÉM
à Taxe d'expiration burcalo. forment un tampon d*autant plusifr
sìstant tiue la vitesse est plus grande. C'est afin de pouvoir mtoox
respiror qu'on ì>aiS'^e instinctivement la tiHe quand il fait grand
veni, on deplace ainsi les deux. axes de la respiration. ^
Per stu<liare rome si modifichi il respiro in una corrente tor-
tissima di aria impiantai nel mio Laboratorio un ventilatore messo
in aziono da un niutore a gas. Per la sua l'orma questo ventila-
tore ora simile a quelli che si adopei-ano nelle fonderie e nelle Cab-
bricho per generare una <•« urente f<»rto <ii aria. Siccome gli anemo-
metri counnii non servivano por misurare rpiesta corrente, tailto
ossa ei*a forte, detei-niiiiai la velocità dell'aria col metodo di Llnd'
servendomi di un manometro ad ac»iua fatto da un tubo di vetro
del «liamotrt» di 20 min., pio;iato ad U. Uno dei bracci di questo
tubo oi-a piegato ancora una volta perchè Taria che usciva dal
ventilatore lo iml)oc(*asso giusto. I/a<'qua contenuta nel medesimo
sollevavasi Ira IS e Jo nun.. alla distanza di 10 centimetri dal
tubo fiondo usciva l'aria.
Facondo i ral<*oli <;oc« uido le tabelle che servono per tale ap-
parecchio, trovai elio all'alto/za di 'in nnn.. corrisponde una veto-
' Ti>sii.. L' Enfiai iìt'ìn'-,,f phf/siiiitr. — Jirrìtr sttrnfifìijm'. 2") avril 1896, p. 516.
- CJiihi.KkV. rht/iiikdJisrhrs W'irfrrìfnih. X I».. \*. 'J\^À.
^^r — Jl nuli di capo. 77 l'enlo 27ó ^^|
L
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276 FISIOLOGIA dell'uovo SULLE ALPI
cita di 34™ 6 al minuto secondo, clie è la velocità dei cicloni;
ossia una velocità di 124 chilometri all'ora.
Volli prima vedere come si modifichi la pressione del vento,
passando per il naso e la laringe, quando giunge ai polmoni. Na-
turalmente ho dovuto fare questo esperimento sopra di un cada-
vere. Messa la testa col medesimo tubo nella trachea, in modo che
la corrente dell'aria colpisse in pieno le narici, trovammo che la
pressione era solo di 15 mm. Questo prova che una parte della pres-
sione del vento va perduta prima che Taria giunga nei polmoni.
Piegando la testa del cadavere, come facciamo quando si cammina
contro il vento, la pressione nel manometro scese a 12 mm. E inu-
tile fare delle considerazioni su questi dati ciie sono facili a capirsi.
L'influenza del vento sulla forma del respiro, la studiai col me-
todo grafico. Il tracciato 54 rappresenta una prova fatta su me
stesso. La prima parte a sinistra ò il tracciato del respiro nor-
male. Dove c'è il segno « si mette in moto la macchina e co-
mincia subito la corrente fortissima di 34 metri al minuto se-
condo. Il torace resta nel primo momento un poco più dilatato.
dopo si rimette raggiungendo la posizione che aveva prima alla
fine delle espirazioni. Le inspirazioni sono più profonde e più
lente. In w cessa l'azione del vento e la respirazione riprende la
sua forma e il suo ritmo di prima.
Nel dott. Peri'od la modificazione del respiro sotto l' influenza
del vento ò maggiore al principio e dopo scompare. Lo si vede
nella fig. 55. La prima parte a sinistra segna la respirazione to-
racica normale mentre fa 17 respirazioni in un minuto. In « co-
mincia il vento : il respiro si affretta e diviene più ampio. Fa nel
})rinio minuto 20 respirazioni. Il torace reagisce alla pressione,
non si lascia distendere come in me. Le respirazioni salgono più
alto che non fosse prima nel tracciato normale. La frequenza nel
secondo minuto è scesa a 1<S : r ampiezza è normale. In (luesta
pai'te del tracciato abbiamo la prova die un vento fortissimo
(di 31 metri al miimto secondo), come forse non si prova mai
snlle Alpi, perchè l'uomo sarebbe portato via, non esercita un'in-
lluenza visibile sul respii-o.
In altre persone vidi che il vento rinforza e rallenta i moti
1-ospiratori. Quanto alla forma delle singole fasi respiratorie, scritte
dando un moto di rotazione più rapido al cilindro deirapparecchio
i-egistratore , non riscontrai alcuna differenza apprezzabile. Sic-
come però una corrente così forte di aria sulla faccia produce
una sensazione molesta di freddo , si stabilisce per questo solo
r.itto un disturbo nervoso, il quale modifica il respiro senza aver
bisogno dell'azione meccanica sui polmoni.
11 vento che adoperai era talmente forte che iiou tutti potevano ,
resisterci senza gran molestia, e il meccanico del mio Laboratorio |
pI^ìvava uii senso di vertigine, quando afTacciavasi al ventilatore,
yuesto ci spiega pereliù alcune persone sofTrauo più facilmente
il male di montagna camminando contro un vento forte.
IX.
Sui (ghiacciai, quando dobbiamo fermarci mentre c'O la toi-
ineiita, è bene fare subito colla picozza una buca e mettere le
gambe mezze nella neve per difendere i piedi dal gelo.
Nel doti. Ferrod misurai la temperatura della pelle sulle guan-
eie con un termometro speciale fatto per queste misure; alla su-
perficie della pelle era 34". Dopo essersi esposto per due minuti
all'azione del ventilatore la temperatura scese a '^y. Misi un'altra
volta un termometro ordinarlo nella bocca in modo die il bulbo
poggiasse dalla parte interna contro la guancia, la temperatura
della bocca era :i.V'.iì. Espostosi il doti. Ferrod davanti al ventila-
tore tenendo la bocca chiusa in modo die la corrente colpisse la
fafcia, essendo il termometro contro la guancia dalla parte in-
terna, si produsse una diminuzione della temperatura della bocca
di 3" in due minuti e mezzo. La temperatura dell'aria era IX^S,
misurata nella corrente del ventilatore.
.\bbiamo dei nervi che sentono il caldo, e altri che sentono il
freddo. La pelle delia faccia è più sensibile al freddo che non
sieuo le mani. La punta delle dita sente più dolore pel freddo,
die non senta la palma. Dico questo per rammentare come sia
distribuita la sensibilità alla sujterfìcie del corpo. 11 caso tipico,
e quello dì un organo, che non posso nominai-e, il quale sente
t'enissimo il caldo, ma verso l'apice non sente il freddo.
Al vento e al freddo gli occiù si riempiono di lagrime. V. un
fenomeno complesso e non ancora studiato bene. Dalle osserva-
zioni fatte su dì me, potrei credere die non sia maggiore la se-
crezione delle lagrime, l'orse è una contrazione die diminuisce
l'apertura del canale per il quale scorrono le lagrime verso il
naso, oppure succede un mutamento nella maniera colla quale
battiamo le palpebre.
Le opinioni degli alpinisti sono discordi riguardo al freddo.
.Saussure disse: "La seule chose qui me flt du bieii et qui aug-
menfclt mes forces c'Otait l'air fi'oid du veni du noi-d. Loi-squ'en
montani j'avais le visage tournù de ce còlé-là et que j'avalais à
278 FISIOLOGIA DELL^UOMO SULLE ALPI
grands traits Fair qui en venait, je pouvais sans m'arréter faire
jusqu'à vingt-cinq ou vingt-slx pas. „
I fratelli Schlagintweit notarono invece in essi e nella loro
gente un senso di soffocazione, quando sofiBava 11 vento e la sera
si sentivano cosi malati, in causa del vento, che perdevano Tap-
petito e non cucinavano neppure il pranzo, mentre stavano me-
glio al mattino quando l'aria era tranquilla.
Conway, giunto alle medesime altitudini neir Himalaja, dice
l'opposto e si lagna dell' aria tranquilla e del bel tempo. Cito le
sue parole : " Il rapporto tra il caldo, l'aria tranquilla e le soffe-
renze del corpo, è strettissimo a grandi altezze. Per ciò eravamo
obbligati a lavorare col tempo cattivo e di notte, quanto più era
possibile „ ^
1 CoNWAY, Opera citata, voi. I, pag. r>09.
Capitolo Diciottesimo.
Circolazione del sangue nel cervello deiruomo.
I.
Era mio desiderio di trovare un uomo con un'apertura nel
cranio, il quale avesse voluto venire sul Monte Rosa; ma non
lo trovai. Spero clie qualche fisiologo avrà tale fortuna, per ora
dobbiamo contentarci delle osservazioni che feci nella camera
pneumatica, su due persone che avevano il cervello scoperto.
Parecchi scrittori attribuirono il male di montagna a un di-
sturbo della circolazione sanguigj:ia nel cervello. Gli uni, come
Tschudi, dissero clie la diminuita pressione barometrica produce
una congestione cerebrale; altri, come LoBwyS attribuirono il
male di montagna all'anemia del cervello. Sarebbe lungo il voler
ricordare le teorie che furono escogitate per spiegare i fenomeni^
morbosi che si producono per l'aumento o la diminuzione della
pressione barometrica alla superficie del corpo. In genere può dirsi
che predominarono i concetti meccanici. Fu P. Bert che cercò di
sostituire una teoria chimica alla teoria meccanica nella spiega-
zione del male di montagna. Ma i fenomeni sono cosi strettamente
congiunti, che sembra Tuna cosa non si possa separare comple-
tamente dall'altra. Per darne la prova basta ricordare l'esempio
di Le-Pileur, il quale a 304G metri, sul Monte Bianco, provava le
1 LcEWY, UntersHchungen iiber die Bespiration und Circulation bei Aendeining
des Druckes. Berlin, 1890, pag. Iti.
980 naioLoou sxll'uomo mujt un
vertigtiii alzando semplicemente la testa *. Vlvenot ' afferma che
la sonnolenza, la quale spesso molesta gli operai che lavorano
nel cassoni dell'aria compressa, dipende da una congestione del
cervello. Egli dice che il sangue è cacciato dall'aria compreau
verso le parti più interne, e che atta diminuzione dal saogaa neDe
parti periferiche, deve corrispondere una congestltme del oerallo
e del midollo, la quale diviene causa del sonno.
Queste però sono ipotesi, e nessuno, cheto sappia, fece Uno ad
ora delle ricerche dirette. A mostrare quantn ]^<>co vulore abbiano
tali supposizioni, basta awerUre che tanto r anemia, quanto ta
congestione del cervetto, vennero considerati? cnine causa del
sonno e degli altri disturbi nervod, che sono prodotti dai muta-
menti della pressione barometrica ; quasi clic In ricchexza e la
povertà di sangue producessero i medeslai] efTettJ nel cervio.
L.e ricerche che feci sull'azione flsiologicii dell'ai-la compressa,
avevano mostrato già, fino dal 1877, che la dlstribu/iono de) san*
gue nell'organismo non cambia, anche quando la pressione del-
l'aria alla superficie del corpo diventa doppia della normale . il
che sarebbe un peso che ci sctiiaccerebbe se non fosse ei^uiiì-
brato su tutte le parti del corpo internamente ed i
Ora vedremo che la teorìa meccanica degli spostamenti del a
è pure Incapace di spiegare i fenomeni mortx»! che succedono
nell'aria rarefatta.
Il metodo che adoperai per scrìvere la circolazione cerebrale del
sangue, è quello che descrissi nel mio libro strila Fatica*; equi
non sto a ripeterlo. La seguente figura 58 mostra come venne
messo un tubo sull'apertura del cranio nel giovane Favre, io
modo che il polso del cervello si trasmette ad una leva, la quale
scrive il tracciato della circolazione sanguigna. Vediamo intanto
come era fatta la camera pneumatica e come era messo l'^ìpa-
recchio registratore, quando al voleva scrìvere 11 polso del cer*
vello senza disturbare la persona soggetta all' esperienza.
11 grande cilindro verticale che si vede a destra nella flg. 56 è
la campana pneumatica. Essa consiste In un grande cilindro di
ferro, fatto come le caldaie a vapore, che da una parte finisce in
una cupola schiacciata, dall'altra è aperto e vi sta fìsso intorno
un cerchio di ferro spesso e lavorato esattamente in piano. Questo
cerchio è ricoperto da un grande anello di gomma elastica, il
■ Compte» reitdu». 1840, toI. XX. pag. 1200.
) B. V. ViVBNOT. Znr Kenntnàs der phynologitchen Wirkunge» der verdithltUn
Im/Ì. Erlangen. 1S«8, ptg. 4M.
* Cnpitoln m, § V.
. Circolatio'ie del tattgve
del rangve nel rerveVo ilflVwtnn
I [ .r I I I
Stt naioLoeiA raLL*uoao tuuji aupi
quale poggia su di uaa lastra forte di marmo,
Ucamente come una campana pneumatica. In questa camera di
ferro può stare comodamente un uomo, perchè essa è alta m. IjH e
larga m. O^Ot cosi che viene ad avere quasi la capaclt& di on melfo
cubo. Una finestra, chiusa da un vetro molto qiesso, dà luce al-
rintemo.
La campana si alza e si abbassa fàcilmente, perchò é temila
in equilibrio da un contrappeso e da due carrucole fisse al maro.
Nella figura non appare questa parte del sostegno di ferro, solo
nel centro della cupola si vede l'anello al quale si attacca la corda
che tiene soq)esa la campana. Per mezzo delle maniglie, cbe d ve-
dono lateralmente, la campana viene sollevata fino aD'allBEEa H
un uomo: e dò senza fatica, perehè all'altra estremità della corda,
vi è un peso eguale che fa equilibrio alla campana di larnk
Invece di una pompa pneumatica ordinaria, adopero un mo-
tore a gas, che tiene in movimento uno stantuffo della capadlà
di due litri e mezzo, il quale fa circa 30 colpi al minuto^ Si ca-
pisce che una simile pompa riesca a produrre la rarefSazioDe éA-
l'aria corrispondente all' altitudine delle maggiori montagne dei
globo. L'aria mentre si rarefa viene continuamente rinnovata
nella campana, perchò in una parte, che non appare nella figura,
vi è una chiavetta la quale lascia entrare una corrente d'aria.
L^ depressione interna si produce perchè la pompa leva più aria
di quanta ne penetri da tale chiavetta. L'afflusso di aria pura non
solo è continuo, ma in quantità maggiore di quanta ne respiri
l' uomo. Abbiamo analizzato ripetutamente V aria nella campana
pneumatica e anche quando era molto rarefatta e quindi ridotta
al minimo l'entrata dell'aria pura, l'acido carbonico trovato dopo
un' ora di esperienza, non superava l' uno per cento di aria. Nel-
l'estate, tutte le volte ci occorse di raffreddare l'aria, questa face-
vasi passare in un miscuglio frigorifico, per mezzo di un serpen-
tino di piombo. Due manometri a mercurio, uno all'esterno che si
vede nella figura 56 a destra e l'altro all'interno, servivano per
conoscere la pressione.
II.
Fino ad ora la fisiologia trasse poco profitto dalle ascensioni
aerostatiche , e si capisce che il trovarsi sospeso nell' aria tolga
la calma per indagini minute sull'uomo. Anche la ristrettezza
dello spazio ed i movimenti della navicella, sono difficoltà gravi
ed insuperabili forse. Per molto tempo saremo dunque condannati
alle ascensioni avti_Hciali. Chiamo cosi gli esperimenti che si fanno
coli' aria rarefatta nella camera pneumatica.
P. Beri ^ aveva già costruito nel Laboratorio delia Sorbonne
luia grande campana pneumatica dove egli ed i suoi amici sop-
portarono delle rarefazioni d'aria corrispondenti a 8iXlu metri. Gior-
gio V. Liebig, C. Speck. Krouecker, Zunlz, La'wy ed altri, si ser-
virono di apparecchi simili.
L'averne io costruita una molto economica, spero che possa
facilitare lo studio del male di montagna senza che s'abbia a
soffrire il freddo intenso che domina nelle regioni elevate dell'at-
mosfera.
Nel 1S7Ó gli aeronauti Croce Spinelli e Sivel, sono morti nel-
l'aria all'altezza di 8.')10 metri, come si verificò all'apertura dei
tubi barometrici che aveva dato loro Janssen ^ Perchè stano morti
nell'aria, ad un'altitudine relativamente bassa, non saprei. Si sono
stampate delle critiche acerbe intorno a questa spedizione dello
Zenitii^ ma la morte di Croce Spinelli e Sivel rimane ancora un
mistero. Non può dirsi clie la depressione sia stata troppo rapida,
perchè mio fratello ed io siamo stati parecchie volte in un tempo
quattro volte minore a 7HXi metri, ossia alla depressione barome-
trica che corrisponde ad un" altitudine che è appena 1000 metri
inferiore a quella nella quale Croce Spinelli e Sivel sono morti.
L'azione del freddo può aver contribuito, ma non fu certo la
causa della loro morte, perdio a 7(hXi metri la temperatura era
solo, — 10°. Io credo che l'apprensione esaurisca rapidamente il
alstema nervoso ed aggravi in modo inaspettato gli efi'etti della
depressione barometrica. C'ù tutta una psicologia incosciente,
tutto un mondo di emozioni che le persone coraggiose possono
donUnare e nascondere, ma che non si possono reprimere , e
che esauriscono il potenziale dell'energia. Forse fu per questo
che in essi scoppiarono improvvisamente gli effetti più gravi del
male di montagna, prima che la rarefazione dell'aria fosse suffl-
rteiite, da sola, per produrre la morte.
Anche nella camera pneumatica si osservano qualche volta
dei fenomeni gravi, non proporzionati alla rarefazione dell'aria e
die probabilmente dipendono dalla paura incosciente e dall' ap-
prensione. Cito per darne la prova una esperienza dello stesso
P. Beri. — 11 giorno -ii febbraio 1874, egli enlrò nella camera
' P. Bbht, La premon bnt-omélri^'Uf, pag, 631.
' Opera citata, pag. 1067.
* L. Obrve, Becherchri ntr Iti loi's de la àrctilalion pìilmonaire. Paris, 1895,
284 FISIOLOGIA DELL* UOMO SCLLE ALPI
pneumatica alle ore 2,37 con un sacco pieno di aria molto ricca
di ossigeno. Dopo 35 minuti la rarefazione dell'aria corrisponde
a 4150 metri, perchè il barometro segna 450 mm. Il polso è salita)
da 04 a 84 battiti per minuto e P. Bert prova una sensazione di
nausea. Dopo altri 2 minuti , rimanendo la pressione costante a
450 mm., comincia ad avere qualche vertigine ed oscuramento
della vista (éblouissement).
Dopo un' ora che P. Bert è nella camera pneumatica , sente
un tremito convulsivo nel polpaccio della gamba e nei muscoli
della coscia. Alle ore 3,57. essendo la pressione 420 mm. (che è
l'altezza del Monte Bianco), dice: "Je me sens assez mal à mon
aise; ayant trouvó pour le nombre de mes pulsations pendant
20 secondes 28, j'al la plus grande peine à multipller ce nom-
bre par 3, et j'inscris sur mon carnet de note difficile à col-
caler ^ ^
Un'ascensione artificiale non è dunque una esperienza tanto
innocua quanto pare a primo aspetto, ma per fortuna non tutti
sono tanto sensibili all'azione dell'aria rarefatta, quanto fu P. Bert
questa volta. Esperienze importanti, le fece il prof. Hugo Krone-
cker, nella camera pneumatica di Schoneck, presso Beckenrled,
neir estate del 1891 ^. Egli dice che essendo stato a 450 mm. di
depressione, ciò che corrisponde all'altezza del Breithorn, soffri
per quasi due giorni di sensazioni febbrili, con pesantezza del capo.
Ma, ripetendo parecchie volte queste esperienze, il 14.** giorno non
ne sentiva più l'influenza. Il primo giorno, dopo tre minuti di un
esercizio simile a quello di montare una scala, era incapace di
continuare per le vertigini e Y affanno del respiro. Il 14.® giorno
poteva fare gli esercizi di salita a 450 mm. (corrispondenti all'al-
titudine di 4173 metri), come se fosse nell'aria comune. Vediamo
da queste esperienze che il prof. Kronecker è pure molto sensi-
bile alla diminuita pressione barometrica: ciò malgrado l'orga-
nismo suo si è facilmente abituato alla depressione, ed è proba-
bilmente il suo sistema nervoso che, modificandosi, fu presto in
grado di funzionare bene nell'aria rarefatta.
L'aver notato in questo paragrafo che P. Bert soffriva il male
di montagna ad altezze inferiori a 41 centimetri del barometro,
mostra che la dottrina di Fraenkel e Geppert non è sufficiente,
b^ssi affermarono che il sangue del cane conserva tutto il suo os-
sigeno fino a 11 centimetri di pressione. Ammesso che il fatto sìa
' Operi citata^ pag:. l',2.
2 H. Kronecker, Ueber die Bergkrankheit mit Bezng auf die Jungfranhahn,
Bern, 18*a.
,v„i, _ Circoln:ione M Miu/ue uri .cireìlo 'lelVmiH., a»r>
vero anche per 1' uomo (ciò che non é ancora dimostrato), ve-
dendo ohe jl male di montagna compare ad altezze minori di
41 centimetri, senza che vi occorra la partecipazione della fatica,
dobbiamo cercare un'altra spiegazione che non sìa quella l'he liir-
dero Fraenkel e Geppert.
HI.
Nei palloni aerostatici, non essendovi la fatica del moto, com-
paiono in generale assai più tardi i fenomeni dovuti alla rarefa-
zione dell'aria, e si dice che bisofina salire ad un'altezza doppia di
i|uella delle montagne per provare fenomeni di malessere. Questa
cifra concorda coji quanto ebbi ad osservare su di mio fratello, il
quale, a ntj'30 metri nella Capanna Gnifetti. senti presso a poco il
medesimo malessere che provò a 7^00 metri nella camera pneu-
matica.
Il giorno 22 fiibbraio del 18%, volendo determinare a che punto
rominciava il male di montagna artificiale, resistette nella cam-
patia pneumatica fino alla pressione di :tl cent., la quale corri-
sponde a 7141 metri. Non ebbe vertigini, ma gli si offuscò Icg-
nermente V intelligenza e non poteva più leggere bene i minuti
secondi sull'orologio. Per due volte non gli riuscì di contare il
piMsc, quantunque vi mettesse tutta l'attenzione. 11 suo carattere
scrìvendo, era profondamente alterato. I,a memoria gli si era iii-
debolila per modo che dimenticava le cose che si era proposto dì
fare, ed uscito non si ricordava bene quanto gli era successo a
forti depressioni. L'occhio suo era meno intelligente e la faccia,
cominciando il malessere, diveniva più seria ed apatica.
Quando facevo con mio fratello delle esperienze a forti de-
pressioni, i fenomeni più imponenti erano quelli psichici. Ogni pic-
colo incidente che capitasse durante un'esperienza, diveniva per
noi un ostacolo insormontabile. Anche la cosa più insignificante,
come ad esempio se cadeva una matita jier terra, bastava per
fermarci perchè non si aveva più la voglia di raccattarla, oppure
non si pensava che chinandosi e prendendola, si poteva conti-
nuare a scrivere e proseguire l'esperienza.
Ilo una raccolta di autografi fatti in queste condizioni, che
cerio sarebbero interessanti per i psicologi . ma che per brevità
ed economia mi e impedito di riprodurre,
Il dott. Z. Treves e il dott. Daddi ebbero anch'essi l'abnega-
zione di resistere alla rarefazione dell'aria fino a che non compar-
primì fenomeni di malessere, come la nausea, la palpitazione.
la sonnolenza ed il tremito, ad altezze tra i (3000 ed ì 7000 metri.
Ciascuno di noi poteva , girando di dentro una chiavetta , inter-
rompere quando gli piacesse l'esperimento. Ciò malgrado non ca-
pitò mai che qualcuno facesse penetrare dall'esterno l'aria per
migliorare il suo stato. Foiose è la depressione del sistema ner-
voso die poco per volta ci rende indifTerenti. Alcuni tutto d'uii
tratto, come se si svegliassero, si lamentavano del loro malessere.
Cosi capitò al dott. Daddi, che giunto alla pressione di 340 mm.
(Cioè di G500 metri, che è l'altezza del Chimborazo), scrìsse im-
provvisamente: mi sento molto male ho bisogno dì.... e fece una
parola indecifrabile che non si capisce se voglia dire cento o di-
centare. Prima ancora che alzasse il foglio contro la finestra per
farmelo leggere, avevo già capito, perchè era divenuto pallido e k'*
tremavano le mani scrivendo, cosi che aprii subito la cliiavetia
per dargli una corrente forte di aria.
Quando la pressione fu a 540 mm., sorridendo ci avverti che
stava meglio e che potevamo far scendere più adagio la pressione.
Il respiro suo normale alle ore 3,25, dopo un'ora che stava se-
duto vicino alla campana, era 20 al minuto. Fino a 380 Jiiin. slette
bene. Improvvisamente a 3iiO mm. cominciò a sentire un cerchio
che gli stringeva le tempia con oppressione all'epigastrio e cardio-
palmo doloroso. Non solo il cuore gli batteva più rorte. ma egli
provava anche dolore. Poi gli veinie un tremito ed il capogiro. Fu
allora che si decise a scrivere per chiedere soccorso. Il pobo
da SII sali a '.'2 per minuto, quando cominciò a sentirsi male. La
frequenza del respiro non era cambiata. Uscito dalla campana il
polso era solo più 7:ì. Messosi a camminare per la stanza disse
die il terreno gli sembrava meno duro e che probabilmente ?ii
ora un po' diminuita la sensibilità delle gamlje; ma subilo dopo,
(|uesto fciLonicuo scomparve.
IV.
Lasagne Cesare, d'ainii U, è un apprendista fabbro-ferraio:
mentre scivolava giù per una scala col ventre appoggiato sulla
ringhiera come fainio 1 ragazzi, cadde dal secondo piano, e riportò
una ferita nel mezzo della fronte con frattura del cranio. Portalo
all'Ospedale fu curato dal prof. Cai'le. Quando in ottobre venne
nel mio istituti!, erann già trascorsi due mesi ed aveva una ci-
catrii'c pulsante. Gli applicai una calotta di guttaperca e scrissi
il polso cerebrale come appare nella linea superiore A della
figura .'>7. Poi' scrivere il polso cerebrale nell'aria rarefatta, misi
- Cirrolazione iM sangue nd rcrir'Ho Adì'ut
287
una grande campana di vetro delia capacità di circa (10 litri so-
pra una lastra di marmo come si vede nella fig. 56; il bordo della
campana era smerigliato, e con un po' dì grasso chiudeva ernie-
ticameiUe sulla tavola di marmo. Sotto la campana c'era un ci-
lindro infamato, l'asse del quale potevasf far girare dall'esterno.
Nella fig, 56 si vede infatti che l'asse del cilindro è munito i[i basso
di un disco di legno con una scanalatura sul bordo orizzontale
dentro alla quale passa una corda; una ruota eguale di legno
era messa nell'asse di un apparecchio d'orologeria, il quale non
si vede nella figura, che trasmetteva il movimento di rotazione al
cilindro. Un tubo di metallo con rivestimento interno di stoppa
Pig. 57. — Lasagko L'bsare. — Polso dui carvelJo.
A) Tracciato normale. — B) PoImo ilei cervello scritti) ad tina i
dell'aria corrispondento a jlll metri. — C) Tfacc." '
Spalmata di grasso, permette la chiusura ermetica della campana
nella parte dove l'asse gira. Con tale disposizione avevo la co-'
modìtà di scrivere il polso in un apparecchio posto fuori della ca-
mera pneumatica, che potevo maneggiare, modificandone la velo-
cità, arrestandolo, o facendolo partire ad insaputa della persona
sulla quale facevo l'esperienza che stava dentro la campana.
Mentre producevasi la rarefazione dell'aria nella camera, ra-
refucevasi pure l'aria sotto la campana di vetro per mezzo della
comunicazione stabilita fra i due recipienti mediante un tubo di
gomma a pareti mollo spesse.
I moti del cervello si trasmettevano al timpano registratore
messo nella campana di vetro per mezzo di un altro tubo di
% chiusura ermetica le pareti della cassa t
28S FISIOLOGIA DELL'I'OMO 8ULLR ALPI
di ferro e il collo della campana di vetro. Una valvola ad acqua
messa neir interno della campana in continuazione del tubo che
dal cervello va alFapparecchio registratore permetteva all'aria di
espandersi nella capsula e sopra il cervello a mano a mano che
scemava la pressione barometrica. In tale modo la pressione rima-
neva eguale nella campana di vetro e nella camera pneumatica.
Potevo così seguire ogni mutamento del polso e della circolazione
cerebrale, senza dover entrare io stesso nella camera, ciò che, per
l'alterazione dell'aria prodotta dal respiro di due persone, avrebbe
reso più difficile e forse impossibile la esperienza.
La seconda linea B della fig. 57 fu scritta mentre Lasagne»
trovavasi alla pressione interna di 400 mm. (corrispondenti all'al-
titudine di 5111 metri, la pressione esterna era 740 mm.). 11 re-
spiro che era prima 28 a *A0 in 1 minuto, era sceso a 22 e 24. Il
polso invece crebbe da 80 ad 89 in 1 minuto.
Ritornato alla pressione atmosferica di 740 mm., si scrisse Tul-
tima linea C in basso della fig. 57, dove si vede che il polso ce-
rebrale aveva ripreso la frequenza e l'altezza che aveva al prin
cipio dell'esperienza. Il respiro era 20 e 22 in 1 minuto.
Guardando con una lente appare evidente la differenza nella
curva del polso cerebrale nell'aria rarefatta. Normalmente l'apice
delle pulsazioni del cervello presenta tre punte, come ho dimo-
strato nel mìo primo scritto sulla circolazione del sangue nel
cervello. Nella linea di mezzo, scritta durante Vazione dell'aria ra-
refatta, il dici'otismo appare più in basso, ed il polso non è più
anacrotico. Questo cambiamento può dipendere da un rilascia-
mento delle pareti dei vasi sanguigni, e da una dimiimzione delia
tonicità vasale. Intatti si osservò un leggerissimo aumento del
volume cerebrale, il quale andò sconij)arendo, mentre la pressione
intei'na contiimava ad essere di lU) inni.
Resterebbe così confermato (*lie anche il centro vasomotori"
cerebrale ù meno attivo nell'aria rarefatta. L'aumento nella fiv-
(luenza del polso che osservasi regolarmente nelle persone dentro
la camera pneumatica, è prodotto, aneli esso, da una paralisi del
centro donde partono i nervi che rallentano i battiti del cuore.
Dalle osservazioni fatte sul giovane Lasagno Cesare posso a 1-
l'ennare, che non si pi-oduce uè congestione, nò anemia cerebrale
pei* elletto della diininuita pressione barometrica. La causa del
male di montagna non risiede adnnciue in un cambiamento delbi
cii'coiazione ceivbi'ale. Le cause sono più intime, di natura chi-
mica e non cii'colatoria. 1*^ la vitalità delle cellule nervose nei ceii-
ti-i i>iù inii)(>rtanli della vita, ciucila che in alto si modifica per altre
cause, che non sono un disturbo della circolazione cerebrale.
ivii!. — Circolazione del magne nel feritilo dell'Homo 2h9
Se non vi fu un forte aumento del cervello per azione dell'aria
rarefatta, questo dipende dall'indebolimento del cuore. Non saprei
ili altro modo spiegare la mancanza di una dilatazione maggiore
dei vasi sanguigni, mentre diminuisce la loro tonicità. Il polso era
più piccolo e più frequente, e ritengo probabile che anclie la forza
delle contrazioni cardiache fosse minore, mentre scemava l'azione
dei nervi vasomotori nel cervello.
Fino a 5111 metri nel giovane Lasagno la circolazione san-
guigna del cervello si nuxllfìcò in modo poco sensibile. Non volli
produrre una rarefazione maggiore dell'aria, percliè non potendo
fallii compagnia nella camera pneumatica, temevo che si sarebbe
spaventato quando fosse cominciato il malessere. Non vi fu dunque
alcun accenno ad una congestione o ad anemia per effetto della
diminuita pressione barometrica. I.a sola modificazione die ap-
parve è la diminuzione leggera nella tonicità dei vasi sanguigni del
cervello. Per spiegare II male di montagna, alla paralisi incipiente
del respiro e del cuore che abbiamo veduto nel primi capitoli,
dobbiamo aggiungere questi altri fenomeni che accennano ad una
azione meno attiva dei centri nervosi ; cioò la debolezza delia
memoria, e la depressione psichica osservata nelle ascensioni
artiiiciali. e la paralisi dei vasi sanguigiii cerebrali osservata nel
fiiovane Lasagno.
Tutti questi fatti, armonizzanti fra loro, servono di fondamento
a una dottrina del male di montagna, la quale riconosce nella de-
pressione dei centri nervosi la causa precipua dei fenomeni os-
servali,
II
P" Aria artijìaalc feci respirare ad ainmali ed all'uomo, per ve-
dere quali mutamenti succedano, quando diminuisce la propor-
zione dell'ossigeno nell'aria, senza cambiare la pressione dell'atmo-
sfera. Basta a tale scopo diluire l'aria aggiungendovi dell'azoto
(come si allunga il vino aggiungendovi dell'acqua, se fosse lecito
paragonare 11 vino all'aria, e l'acqua all'azoto): oppure si può
levare una parte di ossigeno all'aria, e si ottiene un'aria artifi-
ciale che corrisponde alla rarefazione voluta. Comunque si faccia
è solo coir aria artificiale che possiamo eliminare la pressione
meccanica segnata dal barometro, per studiare isolati gli effetti
chimici dovuti alla mancanza dell'ossigeno. È nolo che su l'JO vo-
lumi di aria, ÌO'S sono di ossigeno e 70,22 dì azoto (più breve-
mente si dice che l'aria contiene 21 di ossigeno e 79 di azoto),
MoaiO, Fiiioloa'a ■leiruomo fullr Alpi. 37
290 FISIOLOGIA DELL^irOMO SULLE ILPI
Riempita con limatura di rame, una canna di ferro simile a quella
di un fucile, la si riscalda fino a che diventi rossa. Dopo facen-
dovi passare dentro una corrente di aria, l'ossigeno si combina
col rame, e dalla canna esce azoto puro, il quale si raccoglie in
uà gasometro simile a quello clie si vede nella flg. 58.
Prima di tentare l'aria artificiale sull'uomo, feci alcuni speri-
menti sugli animali. Ne riferisco uno per accennare come si mo-
difichi la vita nell'aria estremamente rarefatta, quando il baro-
metro segna solo 16 centimetri.
Febbraio 1895. Pressione barometrica 743 mm. Temperatura 16^
Un piccolo cane il qaale pesa 2500 grammi, viene messo sotto una
grande campana di vetro come qaella della fig. 56. Essendo abituato
a queste esperienze si caccia sopra an asciagamani.. e sta accovac-
ciato come se volesse dormire. Dopo circa 10 minati che sta immo-
bile, conto di seguito i movimenti del respiro ogni minato per un
qaarto d'ora:
16, 17, 16, 18, 16, 16. 17, 16, 19, 16, 15, 15, 14, 15, 14.
Dopo produco una rarefazione dell'aria fino a che la pressione
intema sia solo 334 mm. la quale corrisponde ad an' altitadine di
6571 metri. Il respiro diviene più frequente e alquanto più forte. 11
cane si è alzato in principio e dopo tornò ad accovacciarsi mettendo
il muso presso la coda, come fi\nno i cani quando vogliono dormire.
La frequenza del respiro dopo essere aumentata, quando il cane si
mosse, tornò a scemare e contando per un quarto d'ora di seguito
ottengo i seguenti numeri ad ogni minato :
18, 20, 21. 2.3, 20, 20, 20, 18, 10. 20, 2G, 22, 24, 23, 24.
L'animale è tranquillo e sembra dormire. Aumento la depressione
per produrre nel cane uno stato che rassomigli di più al male di
montagna. Si arriva a 243 mm. che corrispondono ad un'altezza di
circa 8300 metri.
Un contatore messo all'entrata dell'aria, indica che penetrano
ogni minuto 5 litri d'aria sotto la campana e questo è sufficiente
perchè l'aria si mantenga pura. Il cane torna ad alzarsi dando segno
di malessere e di stanchezza, poi torna ad accovacciarsi. Respiro 20,
20, 25. 41, 42. L'animale è sofferente, cerca di alzarsi, ma non può.
Respiro irregolare, 38 al minuto, poi 25. Contrae gli angoli della
bocca nell'inspirazione.
Continua la rarefazione dell'aria fino a 230 mm., in modo che
siano levati due terzi della pressione barometrica:
Respiro 21, 22, 23, 24, 32, 37, 41, 30, 44, 40, 40, 38, 36.
- Circulaiiune del simjiie
Facciauio aucorn scemare la pressioue fino a 1G2 mm. Respiro 37
al miDHto. Il cftDe ha un accesso di convulsioni. Perde orina. l!e-
Bpiro lOG. tìO, 70. Succede tiu nuovo acces.so. l'animale e.st«ude con
forza le estremiti. Kespiro profondo, defecazione. L'animale grida.
Dopo altri due minuti, vedendo cUe il respiro è meno forte e ral-
lentato, gli do aria, perchè temo soccomberebbe. Il cane si rimette
sobito.
Il cane messo in terra cammina male ; ha le gambe inseiL'^ibili.
In ^ o 4 minati riprende il suo aspetto normale.
Esperienza eoU'aria arlijiciale. 1
Prepariamo 300 litri di aria artiAciale corrispondente alla pres-
sione barometrica di 102 mm. Oon apparecchi appositi fatti secondo
,il metodo dell' Hempel, facciamo le analisi dell'aria contenuta nel
grande gasometro e ci assicuriamo che essa contiene solo 4,5 di os-
sigeno per 11)0, invece di 21,
Il giorno succe.'isivo alla ste.ss'ora mettiamo nuovamente il cane
eotto la campana di vetro e contando ogni minuto troviamo i numeri
segaenti per il respiro:
15, 14, 14, 13, 14, 15, 14. 14, 15.
Assicuratici che tatto è in ordine, apriamo la chiavetta del fa-
sometro, e l'aria artificiale, perchè non giunga immedintameute sotto
la campana la facciamo attraversare una gro.ssa boccia della capa-
cita di Ci litri. coDie quella che si ve<le nella flg. 5S. La circolazione
dell'aria sotto la campana era tale che passavano 4 litri al minuto,
collie misuriamo per mezzo di itn contatore.
Quando ci sembra che tutta l'aria sia rinnovata e che il cane
respiri realmente un'aria la quale contiene tanto ossigeno (inanto
ve ne può essere, per un volume eguale, all'altitudine di 16 centi-
metri del barometro, vediamo che la respirazione del cane diviene
sempre più frequente e più ampia, come risulta da questi numeri
BCrilti successivamente con tando ogni minuto :
17, 18, 20, 23, 30, 41.
la respirazione è tanto difficile che l'animale muove l'angolo delle
ibra, tutte le voltie che respira. Sta accovacciato cogli occhi chiusi,
e di (juando in quan<lo sospira. Poi succede un accesso di convul-
.'sionì. Grida, si alza barcollando, e perde l'orina. Dopo l minuto
Kembra star meglio, è a.ssopÌto. Fa 82 respirazioni, poi 70, 09 al
minuto.
Alla distanza di 8 minuti dal primo accesso di convolsiom. ne
Bcrilt
292 FISIOLOGIA dbll'uomo sulle alpi
L'animale grida e stende le gambe in contrazione tetanica. Ls
lingua pende fuori della bocca più pallida, e leggermente cianotica.
L'animale sembra privo di coscienza. Succedono ancora due accessi
di convulsioni, alla distanza di un minuto V uno dall'altro ; il cane
grida e perde le feci. Bespiro irregolare, circa 80 movimenti al minato.
Dopo mezz'oni che il cane respirava quest'aria artificiale si so-
spende Tesperienza.
Kitornato alla pressione ordinaria il cane non si alza subito; però
le condizioni sue sono già migliorate. Messo in terra si regge sulle
gambe, però cammina male e si capisce dal modo come poggia le
dita che ha le gambe insensibili.
^eWaria artificiale si producono per la rarefazione sua i me-
desimi effetti ctie abbiamo osservato, quando diminuisce la pres-
sione barometrica. Si può dunque conchiudere che non è razione^
meccanica, o il peso dimiimito dell'atmosfera, che produce il
male di montagna, ma è la rarefazione sua, la quale opera in
senso chimico sul ricambio della materia nel sistema nervoso.
VI.
Favre Kmanuele è un ragazzo di 13 anni che venne a Torino
dalla Savqja per fcirsi curare dal prof. Carle nell'ospedale mau-
riziano. Mentre aiutava il suo padrone a spaccare della legna in
una foresta presso Bramant, e porgeva egli stesso ì rami alla
scure rlie cadeva sopra di un ceppo : l'ascia del padrone, essen-
dosi il ragazzo piegato troppo alKinnanzi, lo colpì sulla testa. Ca-
duto a terra esanime, ricuperò poco dopo i sensi e potè ritornare
a casa facendo parecchi chilometri sorretto sotto le ascelle.
Quando vidi questo ragazzo era quasi guarito, rimanendo an-
cora pulsante la larga fenditura del cranio. Gli applicai una ca-
lotta di guttaperca che con della vasellina chiudeva ermeticamente
1 Ijordi della ferita, l'n tul)o di goninia, come si vede nella figura
trasmetteva per mezzo delTaria i movimenti del cervello ad un
timpano registratore. Vedendo che ottenevansi dei tracciati molto
Ijelli della circolazione sanguigna noi cervello, pensai di studiare
le niodinrazioni che si producono nel cervello quando respiriamo
dell'aria che contiene solo la metà di ossigeno.
Prosi un grande gasonìotro, quale si vede nella figura 58, vi
feci ponotrare dentro :»0() litri di aria e poi vi aggiunsi IMìO Htri
di ivAnUi preparato levando l'ossigeno all'aria col rame incan-
descente. Ogni litr(j di quest'aria artificiale conteneva la metà di
iviu. — Cifcolatione de! miiigue nel rerveìlo •!tU'v
ossigeno che contiene l'aria comune. Respirando «luest'aria si in-
troduceva nei pniinoni la stessa quantità di ossigeno, die si trove-
rebbe nell'aria a metà atmosfera, ossia all'altitudine di 5520 metri.
Quest'esperienza destava vivamente la nostra curiosità, perché ci
permetteva di scindere l'azione chimica dall'azione meccanica
nello studio del male di montagna. .Non vi ò difatti altro modo
t>er levare di mezzo la depressione buionielnca e riduri'e a metà
Fig. G8. — Fàtrb Emakuklb.
Regictruione dui pnlso cerebrale durante la respiraziuiie
la razione di ossigeno che respiriamo. Ku appunto per questo
che sebbene fossero lunghe le iiiaiiipolazioni per riempire II
grande gasometro di aria artificiale, ciò uullameno si preparò
tanto azoto da riempirlo due volto e fare sul ragazzo Favre tre
esperienze con aria artìllciate.
Perchè non respirasse subito l'aria con metà ossigeno, inter-
calai due boccie grandi piene di aria, una delle quali si vede nella
figura 58. Qui cominciava a mescolarsi l'alia artificiale, che dlven-
294 FISIOLOGIA dell'uomo sulle alpi
lava successivamente sempre meno ricca di ossigeno, a misura
che l'aria normale veniva cacciata fuori da quella del gasometro
che conteneva solo metà di ossigeno.
Per mantenere la corrente dell'aria artificiale bastava il peso
della campana di zinco: l'aria per mezzo di un grosso tubo a
forchetta, penetrava dalla grande boccia sotto la maschera di gut-
taperca fatta espressamente sulla faccia del giovane Favre. Con
del mastice da vetrai la mascliera chiudeva ermeticamente in-
torno alle ossa del naso, sulle guancie e sotto il mento. Una fa-
scia legata dietro l'occipite teneva in posto tale maschera, come
si vede nella figura 58. L'aria espirata usciva a traverso un grosso
tubo di gomma lungo parecchi metri il quale compare sulla tavola.
Con questo metodo avevo abolito le valvole, mantenendo una
corrente costante dell'aria artificiale nel tubo che dal gasometro
portava l'aria nella maschera, ed avendo una boccia di lavaggio
per conoscere con quale rapidità uscisse l'aria dal gasometro,
ero sicuro che nella inspjrazione solamente dell'aria artificiale
poteva penetrare nei polmoni.
Quest'apparecchio aveva il pregio di funzionare sotto una pres-
sione quasi nulla. Ogni esperienza durava circa mezz'ora.
La linea superiore della fig. 59 è il polso normale del cervello
scritto con un timpano. Favre respirava 12 volte al minuto; gli
avevamo detto che facesse segno colla mano quando voleva finisse
l'esperienza e noi avremmo cessato subito. Questa che riferisco
fu la terza ed ultima esperienza; sapendo egli di cosa trattavasi
viene esclusa in grande parte Temozione della paura. Quando co-
mincia a respirare V aria artificiale succede un aumento leggero
nel volume del cervello e dopo qualche minuto compare una di-
minuzione. La seconda linea della fìg. 50 fu scritta in questo se-
condo periodo della diminuzione di volume del cervello poco prima
che cessasse la respirazione deiraria artificiale. Quando appena
finita questa linea gli levammo la maschera, Favre ci disse che
era come ubbriaco, che le orecchie non sentivano bene come prima,
perchè gli fischiavano, e che aveva male di capo.
È succeduto in questa esperienza coir aria rarefatta il mede-
simo aumento nella frequenza dei movimenti del cuore, e la me-
desima diminuzione nei movimenti del respiro, che succede nel-
Taria rarefatta della camera pneumatica: dove in principio per
effetto della depressione il respiro si accelera e dopo si rallenta,
hifatti mentre che normalmente il respiro di Favre era 12 a 13
in un minuto, scese a 10 ed 11 durante la respirazione delFaria
artificiale. A primo aspetto sembra un paradosso, perchè essendo
diminuita di metà la razione di ossigeno clie respira questa per-
- di-colazione iM ^angìie nel rficc//i) dell'uomo 'M^
sona, dovrebbe diventare
doppia la frequenza dei
movimenti respiratori.
Questo però non lo veri-
ficammo neppure sul
Monte Rosa (come ó detto
nel capitolo terzo).
Né può credersi che i
movimenti del respiro
fossero più forti; me ne
assicurai guardando il
torace: e Io si puù vedere
nella fig. 59, guardandola
di fianco per scorcio. Nel-
la parte superiore le pul-
sazioni formano come un
festone . clie risponde al
ritmo della respirazione.
Tale influenza die si vede
cliiaramente nella prima
linea del traccialo iior-
male, manca nella secon-
da linea tanto era super-
ficiale il respiro. Questo è
importante perchè ci di-
mostra che l'aria quando
contiene meno ossigeno
agisce deprimejido. Non
giova dunque die l'ossi-
geno sia ridotlo a metà
per rinforzare l'azioitedel
centro respiratorio, die
anzi questo centro fun-
ziona meno attivainenle
neir aria artificiale.
La linea supcrioi'e del-
la fig. 59 verso 11 mezzo
ha una pulsazione cere-
brale che si abbassa im-
provvisamente, e le suc-
cessive ritornano poco
per volta all'altezza pri-
I aiiflva- Questo fu l'eiTetto'
nnoLtyiu H1.1. trova e
I
ili aver deglutii la saliva, come ciascuno fa spesso; de) reslo
tutte le pulsazioiii sotio cimali presso a p'Ko. Quaitdo però Favre
respira l'aria arlifìciale vediamo che [ter quattro volte si Tormuio
delle onde nelle (|uali le pulsazioui divengono ina;igÌQrì. 11 pro-
filo inferiore della seconda linea nella fì^. 50 si abl>assa foraiaitiU)
come un festone. Tali vuria/iotii dipendono se<:DiKlo ogni appa-
renza da un mutamento succeduti iiella toaìcilà dei vasi san-
guigni. Nella flg. ■21 abbiamo gik veduto ette i vasi san^lpii
sulla vetta del Monte Rosa erano più trreciuieti che in basso: qui
vediamo ripelei'si lo stesso fenomeno per i vasi saDgutgni del
cervella 11 cuore si è fallo più debole, e le pulsazioni del oer-
Cj PuUo del cervello [ijiiien.i
iiijnuniinnp <1b 11 'esperi pò la »ii Farre.
r.-siiV ili respirare l'aria nriificial'-. — D) TrucaV
scritto 2 uiliiiiti i\tipo.
vello sono meno alle durante la respirazione dell'aria artiticiale.
Mancano però ^11 indix.i della paralisi nei vasi cerebrali che os>
servammo in Lasagiio ad una depressione barometrica poco
diversa.
La fig. GO rappresenta il polso cerebrale di Favre subito dopo
die gli levammo la maschera, quando egli ci aveva fatto segno
di finii-e. La respirazione 6 divenuta profonda, e nei 12 movimenll
inspiratorii clie fece durante la prima linea si vede clie il volynie
del cervello diminuisce ad ogni inspirazione e cresce nella esjri-
razione successiva. Dopo circa un minuto il respiro ti ritornalo
normale, scompare l'elTetto del respiro sulle pulsazioni del cer-
vello, e quest' organo, come si vede nella seconda litiea deOa
fig. tìO, aumenta rapidamente di volume.
t 'lei sangue nel cervello dell'uo
L'altezza maggiore delle pulsazioni cerebrali, quale si vede in
(|uest" ultima linea, dimostra die vi fu un disturbo della nutri-
zione nel cervello durante l'azione dell'aria artificiale.
Le pulsazioni più forti, quali le sentiamo in un dito, per esem-
pio, dopn che ricevette un colpo, sono dovute alla irrigazione più
attiva che subito si stabilisce in qualunque parte del corpo venga
fatta una lesione. Un fenomeno simile l'osserviamo qui nel cer-
vello per rimediare alla fame di ossigeno ed alla inanizione cui
fu sottoposto il cervello coli' aria artificiale.
In entrambe queste persone il cuore batteva più rapidamente
quando le mettemmo in condizioni simili a quelle die producono
il male di montagna. Tale aumento di attività essendo contem-
poraneo ad un rallentamento nella funzione respiratoria, ti proba-
bile dipen«Ia da una paralisi del nervo vago, perchè quando stiamo
\ ten e, se il cuore si mette a battere più frequente, anche il respiro
H^^Htene più attivo: qui invece succede l'inverso.
^^^Baardando i tracciati scritti nel momento che queste due per-
^^^^n accusavano di sentirsi male, nessuno die abbia pratica di
r^wnilì studi sulla circolazione del cervello, oserebbe affermare che
f mutamenti osservati nel polso cerebrale, possano essere la causa
I del malessere prodottosi. La conclusione é questa, che le modi-
■^MMoaì caratteristiche osservate nella sensibilità, nell'iotellìgenza
^^Hj^ moto, di quanti fecero delle ascensioni aerostatiche, o sui
^^HGKì, non possono spiegarsi ammettendo l'esistenza di una ane-
^inio,o di una congestione del cervello. Il sangue circola in quan-
tità suflicìente nel cranio e in modo poco diverso dal normale
i (ino all'altezza di 5520 metri.
Alpe Lanx in Voi di GresMnet-, dote ebb« il L*borai*rìo i) jfnt. Piero Gtuw*
d&l 18M ai IHins (kliimitine S^'-O mX
Capitolo Diciannovesimo.
nelle ascensioni. Esperienze sulle soimmie
e sulle marmotte.
I.
" Je doi-mais eii marchant, quelqu'effort que je fisse pour me
lenir évetilti: un des deux puides éprouvait le incme effet «'. T^k
era lo stato del fisiologo Le Pileur attraversando l'altipiano a!
sud del Breitlioni, vicino ai 36(iiJ metri. Bravais e Martin» fu-
rono presi da un bisogno invincibile di dormire all'altezza dì
38i)(l metri sul Monte Bianco. Anclie Lortct dice di aver quivj àor-
' Lb ?iU[i*n, Mrmoire nur in pUfnomèntt phynohgiqtia jh'om «baatt «i
une ctrtaine hautear. Pari», 18*>, pig. 3J.
mito camminando. Il prof. Forel di Lausanne soffri il sonno a
3tU.i ni- sul colle del Gigante; quando era vicino a rapsiungere il
colle, mancandogli solo un quarto d'ora di cammino, dovette fer-
marsi e dormire sulla neve, malgrado il pericolo. Potrei citare
altri esempi presi come questi dagli scritti dei fisiologi, ma ò
inutile cereare nuove testimonianze.
Scendendo dal Monte Rosa m'incontrai una volta, ai piedi della
puma Dul'our. in una carovana che veniva su da Zermatt. Ferma-
tomi a discorrere colle guide, seppi che uno degli alpinisti le met-
teva in imbarazzo pel gran dormire. Interessandomi il caso, mi
presentai a quel signore e vidi che era più seccato che scorag-
gio. Aveva una boccettina che fiutava e mi disse die nei primi
giorni solTriva sempre di sonnolenza, giunto ai 3()ik) metri, ma
Cshe l'ammoniaca bastava a tenerlo desto. Le guide mi raccon-
tarono che vicino ai crepacci e dove c'erano dei pericoli, cammi-
nava meglio, perchè subilo destavasi , ma che appena l a nev g
era buom . cominciava a restar indietro, a l'arsi trascinare colla
cór3a. ad aver lo gambe avviluppate, e che poi usciva fuor di
strada come ubriaco e cadeva senza svegliarsi.
In generale può dirsi che a grandi altezze 11 sonno è meno
continuato, ma può essere egualmente profondo. Solo rare volte
mi capitò di dormire tutta la notte senza svegliarmi; però è vero
che nelle capanne bisogna dormire in molti sulle medesime ta-
vole di legno e che i movimenti di uno svegliano gli altri. Mio
fratello dormiva cosi duro sul Monte Rosa, che anche dei rumori
forti non bastavano a svegliarlo; una volta si cambiò la mate-
rassa accanto a lui, si fece un trambusto grande nel piano sopra
la sua testa, ed egli non si svegliò; ma poco dopo, malgrado che
il suo sonno fosse stato cosi profondo, si sedette in fretta e disse
che gli mancava il fiato. Uii'altra prova ó che la gente russa più
■ forte. Le persone coricate di fianco russano meno. Nella posizione
doreale il russare ò più arrantolato,percliè il velo pendolo e l'ugola
cadono sulla parte posteriore del faringe. Il rilassamento dei
muscoli prodotto dal soimo, restringe lo spazio per il quale deve
passare l'aria clie va al naso; nasce allora quella respirazione ru-
morosa prodotta dalla vibrazione del palato molle: quel suono
lento e terribile clie rattrista le notti nelle capanne alpine. Alcuni
miei compagni che russavano, li sentii russare molto più forte
nella capanna Regina Margherita che non nella capanna Gnlfetti,
o negli accampamenti più in basso.
Il russare dipende da ciò che la lingua nel sonno cade per pro-
prio peso e scende più in basso nelle fauci. Come nel dormiente
_ sono rilassate le braccia e cadono, cosi la lingua che e un mu-
300 FISIOLOGIA DBLL^UOMO SULLE ALPI
scolo assai voluminoso va giù nella gola, quando ci addormen-
tiamo.
Il proverbio dice che nessuno si accorge di russare, ma non
è vero. Io non russo generalmente, se sto coricato di fianco, ma
mettendomi sul dorso, posso russare e sentire qualche volta il
momento nel quale comincio a russare. Questo mi capita d'estate,
quando nel pomeriggio sono preso dal sonno. Stando tranquillo
poco per volta perdo la coscienza; nel momento che sento il suono
del russare, mi sveglio e mi accorgo che erano venute nella mente
nuove imagini, le quali non avevano alcun nesso coi pensieri
di prima: ciò vuol dire che dormivo. Ho misurata la velocità colla
quale si producono tali periodi, e vidi che intercedono appena
2 o 3 minuti fra l'uno e l'altro. Queste osservazioni nella pianura
non mi riesce sempre di farle. Invece nelle capanne sulle Alpi,
quando mi corico sul dorso per dormire, subito mi prende que-
sta molestia della respirazione russante. La fatica contribuisce
certo a produrre questa diminuzione del tono muscolare, la
quale compare colla cessazione della coscienza.
II.
** Il dio del sonno fug^e tanto più rapido quanto più lo si in-
voca ardeiitenieiite. Credo che solo una volta o due toccò leg-
giermente le mie palpebro.,, Così disse Tyndall poeticamente. ma
tutti ^ii alpinisti sanno che la notte è la parte più prosaica delle
ascensioni. Nei rifugi alpini quando sono parecchie comitive in-
sieme, si dorme male. Il rivoltarsi e il sospirare continuo clie dà
rinsoiniia, il russare, l'aria corrotta che mozza il fiato, e gli odori
che mandano tanti uomini confusi e distesi sul tavolato, lasciano
spesso una triste ricordanza.
Il bivacco all'aperto è più poetico e più bello. Chi ha dovuto
dissodare il terreno colla picca per farsi un letto più soffice, e si
ritirò nel cavo di un inaci^Mio per proteg^^ersi dal vento, e senti
il caldo delle pelli lanose, o dalle coperte cucite in forma di sacco
mise fuori la testa per contemplare le stelle scintillanti, o la luna
che inar^^entava le vette delle Alpi, ricorderà sempre 1' emozione
di (luellc notti, le più felici della ^Movinezza^
^ Aloiiiii alpinisti si resero celebri pei loro bivacchi. Vedi ad esempio: Bi-
roHdcs dansi les Aljn-s fraììcahcs. Paul (iiiillemin et André Salvator de Quatre-
fages. Anniiaire dii Club Alpin Franrais, 187B. Essi bivaccarono per un me*
sulle Alpi tra la frontiera d'Italia o di Francia.
Gli alpinisti celebri dormono poco nelle ascensioni. 11 svenatone
Perazzi mi raccontava die eslì si riposò bene solo una volta e fu sul
Cervino, nella vecchia capanna ora piena di ghiaccio e di neve:
in essa aveva trovato un materasso di gomma e vi dormi sopra.
Tyiidall clie legò per sempre il suo nome alla vetta del Cervino, ci
lasciò il ricordo di una notte passata in quell'umile rifugio '.
" Un amatore della montagna, un benefattore del suo prossimo,
aveva provveduta la capanna di un materasso di gomma ela-
stica sul quale mi coricai, avvolto solamente da una leggera co-
perla, mentre che le guide e i portatori erano avvolti bene nello
loro pelli di montone. Questo materasso olTriva un ben povero ri-
paro contro la bassa temperatura della roccia. Sopportai questa
sensazione di ll-eddo per due ore, non volendo disturbare le guide,
ma finalmente diventò insopportabile. Conosciuta la mia triste si-
tuazione quella brava gente si alzò, m'avvilupparono con delle
pelli di montone e potei ristorarmi con una buona temperatura.
Addormentatomi rapidamente, le guide preparavano già la cola-
zione e la mattina era avanzata quando apersi gli occhi. „
Più che di curiosità, è un sentimento dì emozione che mi fa
evocare questi ricordi die segnano i primi albori nella storia del-
l'alpinismo.
Il Monte Bianco ebbe già due scrittori che raccontarono la
storia delle sue capanne, il Durier e il Vallot. Spero che presto
qualche artista raccoglierà le ricordanze delle capaime sul Monte
[{osa e sul Cervino che vainio rapidamente scomparendo, lo rai
sono avvicinato sempre con rispetto a questi umili rifugi abban-
donati fra le rupi, ricoperti di neve, o pieni di ghiaccio. È un sen-
timento poetico e quasi religioso die s' impone, quando contem-
pliamo questi ultimi avanzi delle prime tappe che fecero coloro
che hanno soggiogato le Alpi. Ma sfortunatamente vi sono degli
alpinisti selvaggi che corrono a queste vecchie case dell'Alpe per
bruciarle; in essi il bisogno di scaldarsi è superiore al rispetto
per r archeologia alpina.
r Certo sarebbe utile che nello statuto per l'arruolamento delle
L guide, vi fosse l'obbligo per ciascuna comitiva di portarsi la legna
rj che occori*e per un bivacco. Tale prescrizione é necessaria per-
^ che in montagna nessuno può dire come finirà la giornata. Quando
I , arriva la tormenta, bisogna fermarsi nelle capanne, e se dura la
, I burrasca, per scaldarsi non vi e altro scampo die bruciare le la-
' vole.le panche e pertino le porte. Un fastello di legna con dentro
un biglietto di visita che ricordi chi ebbe la fortuna di non es-
' J. T«
, ffoKrs of exerciie in Ihe Alpa. png. 981.
302 FISIOLOGIA DBLL^'OMO SULLB ALPI
sere obbligato a servirsi delle sue legna, è il ricordo più gradito
che un alpinista possa lasciare ai suoi colleglli. La custodia del
combustibile nelle capanne dovrebbe organizzarsi dalle sezioni
e dalle guide, come uno dei mezzi più efficaci per tutelare la sa-
lute e la vita degli alpinisti.
III.
Nell'Hotel Riffelberg, all'altezza del Colle d'Olen pochi dormono
bene le prime notti, lo vidi il mio amico Sommier, noto pei suoi
studi antropologici e i viaggi nella Lapponia, soffrire d' insonnia
a soli 1200 metri. Arrivato a Gressoney Saint-Jean perdette subito
il sonno, mentre a Firenze dormiva benissimo.
Non porto altri esempi di fisiologi come Zuntz e Lcx^wy che
pure non dormirono bene appena giunti sul Monte Rosa, i quali
attribuirono l'insonnia alla depressione barometrica, perchè stando
all'albergo dell'Olen avevano tutti i loro comodi.
A queste osservazioni fanno contrasto quelle forse più nu-
merose di persone che dormono meglio sulle falde delle Alpi che
nella pianura. I registri degli appunti dove da molti anni scrivo
la mia fisiologia alpina, sono pieni di note come questa, presa
nelle ultime pagine:
^* Lu^rlio 1805. A Torino prendo sonno con difficoltà, spesso
devo aspettare un'ora, o due, prima di addormentarmi. Giunto a
Gressoney la Trinità subito mi addormento appena sono in letto.
La temi)eratura nella camera dove donno, è di 1*V' a 15'\ a To-
rino era tra i '2{" e i '2T\.,
A primo aspetto si direbbe che il freddo faccia dormire: ma
allora come si spie^xa clic d'estate quasi tutti proviamo nel po-
meriggio una tendenza irresistibile al sonno? Ouando di notte il
sonno è meno profondo, si sonnecchia più di giorno; ecco la
risi^osta.
Un leggero grado di caldo, o di fresco, fanno dormire meglio.
Nei loro estremi tanto il caldo quanto il freddo impediscono il sonno.
Una delle notti più tristi die al)bia passate sulle Alpi, fu quando
andai alla lloccia Melone. Dormii alla Gà d'Asti, a -2824 metri, ciie
è la chiesa più alta d'Europa. Disgraziatamente avevo solo una
coperta io^igera e dovetti coricarmi sul mattonato. Cercai proteg-
germi con (lei giornaii messi sotto i vestiti attorno al torace, ma
ebbi sempre fi-eddo alle gambe e non mi fu possibile dormire.
i;iio studio sui vari metodi per proteggersi dal freddo sarebbe
XIX. — Esperienze sulle scimmie e sulle marmotte 303
certo importante, ma non è qui il luogo di farlo. Zsigmondy, ce-
lebre alpinista, che fu privato docente di chirurgia nell'Università
di Vienna, nel suo libro / pericoli sulla Montagna, ci lasciò una
descrizione dei suoi bivacchi sul Monte Rosa.
Partito da Macugnaga per raggiungere la vetta del Rosa, do-
vette fermarsi a 2900 metri. Un sacco di pelle di foca gli servì
come scaldapiedi, attaccandoselo sotto i ginocchi dopo essersi
levato le scarpe; si legò un fazzoletto attorno al cappello sulle
orecchie, e stette benissimo.
Di un altro bivacco fatto sul Monte Rosa, Zsigmondy lasciò
questo ricordo : "* 11 panierino da piedi non mi parve sufficiente
quella sera, e ci avviluppammo i ginocchi colla corda, innova-
zione molto pratica. Secondo la nostra vecchia abitudine ci le-
vammo il soprabito per servircene come coperta; si ha più caldo
a questo modo, che tenendolo infilzato addosso. Il dorso comu-
nica presto un po' di calore alla roccia, e uno %i trova protetto da
tutti i lati: mentre che negli altri modi, uno è preso subito dal
freddo nelle mani e nelle braccia „ ^
IV.
Noi siamo più sensibili dei cani e dei gatti alla rarefazione
dell' aria. Se non avessi fatto delle ricerche sulle scimmie, avrei
potuto credere che quésto fosse l'effetto di una debolezza delle
nostre cellule nervose. Qualche pessimista avrebbe anche potuto
dire che questo sia il risultato di una degenerazione prodotta dalla
civiltà. Ma la legge di questi fenomeni è un' altra e può enun-
ciarsi in questo modo: ^Quanto più un animale ha il sistema
nervoso sviluppato, altrettanto sente più l'azione dell'aria rare-
fatta, e si addormenta in essa più facilmente. „
Le scimmie hanno sofferto più dei cani e questi più dei gatti,
e i gatti più delle marmotte, per depressioni eguali, quando fu-
rono messi sotto la campana pneumatica. Gli uccelli soffrirono
meno dei conigli, dei porcellini d'India e dei topi. Le rane meno
di tutti. Basta per ora enunciare questa legge senza svolgere nei
particolari tutta una lunga serie di osservazioni che feci sugli
animali di ogni specie che mi capitarono alle mani. Avverto però
che in ogni specie trovai degli individui che soffrono più degli
altri a pressioni relativamente basse.
Perchè l'uomo e le scimmie dormano più facilmente quando
1 E. Zsigmondy, Les dwfigers dans la montagne. Paris, 1886, pag. 101.
304 FISIOLOGIA DBLLVoMO 8IJLLS ALPI
diminuisce la pressione barometrica non saprei dire. Forse l'at-
tività del cervello e l'attenzione loro sono maggiori, e più facil-
mente tì alterano le condizioni del sistema nervoso. Forse, Te-
quilibrio della nutrizione è più instabile nelle cellule nervose,
quando le funzioni loro sono più complesse. Forse , quando il
cervello è più grande rispetto al corpo, è anche maggiore la quan-
tità di scorie e di veleni che si producono e che non si possono
distruggere od eliminare con sufficiente prontezza nell'aria rare-
fatta. Comunque sia, dobbiamo per ora contentarci di dire in
modo vago che l'uomo e gli animali superiori sentono più inten-
samente la depressione barometrica.
Ho comperato tre scimmie (Cercopithecus) per studiare il male
di montagna nelle ascensioni artificiali. Riferisco alcune espe-
rienze fatte con esse per stabilire meglio un raffronto tra i feno-
meni che presentano gli animali e quelli che presenta 1' uomo,
messi nelle medesime condizioni. Qualche volta prendevamo con
noi le scimmie nella camera pneumatica, altre volte le mette-
vamo sotto la grande campana di vetro, rappresentata nella
fig. 50, che ha la capacità di circa 00 litri.
Prima Solmmla.
30 gennaio 1895. — Fressione barometrica da 7Hà mm. a 320 mm.
Una scimmia domestica che aveva imparato a fare dei giaoclii,
e si lascia prendere in braccio tanto è buona, viene messa sotto la
campana alle ore 2,5 pom. Dopo 10 minati la pressione interna è
solo più 430 mm. A questa rarefazione dell' aria , che corrisponde
all'altezza del Monte Bianco , la scimmia sta attenta e si diverte
colla coda. Si nota però che è meno vispa del solito.
Quando la pressione interna è 394 mm. la frequenza del respiro
è diminuita. Fa solo 48 respirazioni al minuto, mentre alla pres-
sione ordinaria di 734 mm. ne faceva circa 60. La scimmia sta se-
duta senza muoversi più, e guarda in terra distratta.
Quando la pressione è 320 mm. (corrispondente all'altitudine di
4837 metri), la scimmia chiude gli occhi e sonnecchia. Respira 42 volte
al minuto. Di quando in quando apre gli occhi, ma le palpebre sem-
brano essersi fatte pesanti. Sta seduta colle mani fra le gambe e la
testa ba*>sa , nella posizione naturale del sonno. La respirazione è
un po' irregolare, qualche volta si contano 5(> respirazioni al minuto,
altre volte solo 40. Di giorno non l'avevamo mai vista dormire. Toc-
cando colla nocca delle dita la campana alza la testa, guarda istu-
pidita e subito socchiude gli occhi e il capo torna a ciondolare fra
le gambe.
XIX. — Esperienze sulle scimmie e sulle marmotte 305
Per essere sicari che la corrente dell'aria era safflciente al respiro,
avevamo messo an contatore che misurava la quantità d'aria la quale
penetrava nella campana. Nel tempo che era maggiore la rarefazione
dell'aria passavano 16. litri di aria al minuto; ciò vuol dire che la
razione di ossigeno sarebbe stata sufficiente non solo per una scim-
mia, ma per un uomo. Questa precauzione l'avemmo anche nelle
esperienze seguenti.
Alle ore 2,35, vedendo che dorme sempre, mentre la pressione
rimane costante a 4800 metri, sospendiamo la rarefazione dell'aria.
Aprii un poco di più il robinetto che dava accesso all'aria, e la
pressione dell' aria cominciò a crescere, ma il manometro non era
ancora sceso di un centimetro, che già la scimmia, svegliatasi, si mo-
strava irrequieta e come spaventata. Girò intorno alzando le mani e
cadde come se fosse presa da un accesso di convulsioni. Levata dalla
campana, continuava ad agitarsi come incosciente; messa in terra fuggì,
ma i suoi movimenti erano incoordinati e sembrava fosse ubbriaca.
La medesima scimmia, essendosi abituata rapidamente alla rare-
fazione dell'aria, dobbiamo portarla pochi giorni dopo ad una pres-
sione corrispondente a 6470 metri perchè si addormenti.
V.
La maggior parte degli uomini che sottopongonsi alla rarefa-
zione dell'aria nelle camere pneumatiche, od entrano nel cassoni
dove si comprime Taria, quando si lavora sott'acqua, sono mo-
lestati da un dolore forte negli orecchi. Tale dolore dipende dalla
pressione che fa esternamente Varia sopra la membrana del tim-
pano, quando non vi è una contropressione alla superficie interna
dentro l'orecchio medio. Nelle tempeste succedono cambiamenti
tanto rapidi e forti nella pressione barometrica, che alcuni si la-
mentano di un rumore negli orecchi. Anche nelle ascensioni vi
sono degli alpinisti i quali si accorgono di sentire meno bene;
per evitare tali incomodi basta chiudere il naso e la bocca e fare
una espirazione forte, oppure deglutire la saliva, o bere.
Nelle scimmie l'aria esce facilmente dall'orecchio medio, quando
viene rarefatta l'aria esterna, e per questo non soffrono nel salire.
Ma quando scendono, cioè quando tornasi a comprimere l'aria,
la tromba di Eustachio pare cosi fatta che non permette con
eguale facilità all'aria di penetrare nell'orecchio medio. Di qui la
pressione sulla membrana del timpano che viene spinta all'in-
terno producendo gravi dolori, vertigini, ed accessi convulsivi.
Basta scendere molto lentamente perchè anche nelle scimmie
non vi siano fenomeni nervosi gravi alla decompressione.
M0880, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi. 39
306
FISIOLOGLà DELL COMO 8ULLB ALPI
9 fMraio 1895 - prensione barawtetrica da 737 mm. a 337 atm.
Ore 9^. Messa sotto la campana alla presslione normale, fa 62 mo-
vimenti respiratoli al minuto.
Ore 9^. Comincia la rarefiazione.
^ 9.38. Pressione 490 mm. Respiro 44 al minato.
„ 9^0. ^ 337 ^ Respirazioni 50 alquanto più pro-
fonde, poi 46. La scimmia tiene gli occhi aperti, è aceoTaceiata ed
immobile. Dondola il cax>o e sbadiglia spesso.
Ore 9,42. Allunga il muso ed ha sfoni di vomito, poi vomita
realmente.
Ore 9.4.3. Dorme. La pressione si mantiene costante a 337 mm.
(corrispondente all'altitudine di 6476 mX Respiro 66 in un minuto.
Di quando in quando si piega talmente sul tronco che perde l'e-
quilibrio e si raddrizza di per sé. come quando una persona son-
necchia.
Ore 9,45. Battendo colla nocca delle dita sulla campana si sve-
glia^ guarda senza interessarsi a ciò che vede. Ha la faccia stupida.
Ore 9.47. Percotendo colla nocca la campana , non alza più il
capo e non apre gli occhi. Respiro 68. Ha defecato senza muoversi.
Si corica distesa sul fianco destro. Solo il diaframma si muove, il
torace non sembra dilatarsi nel respiro. Volendo interrompere le-
sperieuza si apre alquanto la chiavetta per la quale penetra Tana
nella campana. Quando la pressione è cresciuta fino a 370 mm. la
.scimmia si sveglia: a 410 mm. si alza ed ha un accesso di conval-
sioni. dopo aver battuto due volto la testa contro le pareti della
campana per fuggire.
Ore 0.58. Le si offre una mela : vorrebbe prenderla, ma non ha
la forza di stare ritta.
Ore 10. Ha la gamba destra paralizzata e la trascina dietro.
., 10,4. La scimmia si è completamente rimessa ed ha ripreso
il suo aspetto normale. Il respiro è però ancora piti lento che non
fosse prima ; fa solo M respirazioni al minuto.
VI.
La racilità ixraiuie colla quale le scimmie vomitano, quando
(iimiiiuisce la pressione deiraria nella campana pneumatica, prova
cIk' il male di nionta^zna non dipende da disordini nella dige-
stione, come credono la ma^zgior parte degli alpinisti. Potrei fere
una lista di malattie nelle quali il vomito dà grande ino******
mentre lo stomaco è sano e vuoto. Tutte le cause che dislur-
baiio la circolazione e la nutrizione del cervello possono pi-odurre
il vomito. Spesso sta nel sangue la causa della nausea e debili
accessi di vomito. Quando, per esempio , 1 reni si infiammano e
cessano di Tunzlonare bene, uno dei primi sinloini die avverte 1
il medico che il sangue comincia ad avvelenarsi coli' ui'sa, è il f
vomito che comparo a digiuno. È probabile che sia pure un avr
velenanieiito del sangue la causa del vomito nella Tatica, perchè ]
iniettando il sangue di un animale alTatìcato ad un cane nor- i
male, ho veduto prodursi il vomito.
Il vomito é un segno caratteristico dell'angina di petto. Quando^ j
tluranle un accesso, il polso diventa frequente e più debole e giti
ammalati Impallidiscono e sentono l'oppressione del respiro, come 1
nel male di montagna, (]uasi sempre compare il vomito.
La ragione per la quale questi fenomeni si associano dobbiamnJ
cercarla nella vicinanza e nello stretto rapporto che hanno nel f
midollo allungato il eentro del respiro, del vomito, dei nervi \
somotori e dei nervi cardiaci. Basta tastare il polso ad una per- '
[ sona che ha preso l'emetico, per sentire che cambia la frequenza
di quando in quando, e si accelera tutte le volte che incomincia
' il vomito. Variazioni simili abbiamo osservate nel polso alla Ca-
panna Regina Marghei'ita, anche senza che vi fosse 11 vomito
come primo fenomeno della depressione barometrica. È probabile |
che siano dunque queste le stesse cause che producono il vomito \
nel male di montagna. Una di queste cause è centrale; essa con-
siste nella depressione del centri nervosi; l'altra è periferica, e con-
I siste neirincipiente paralisi dei nervi dello stomaco. I cani, i gatli.
le marmotte e specialmente le scinimie vomitano tutte le volle ]
che si mettono nell'aria rarefatta sotto la campana pneumatica.
La causa del vomito in questi casi, come nel male di montagna,
credo che sia dovuta alla paralisi del nervo vago ; infatti ta^;liand.j
I questo nervo si produce un vomito persistente.
I
^^H Una ecimmìa maschio, mes^a sotto la grande campaua di v<
^^^Be ore 2,58, respira da iHi a iK) volte in un luinuto.
^^^K Oro ^,1- Comincia la rarefazione dell'ari» sotto la c'impana,
^^~- Ore 3.15. Pres-sione .370 mni., corrispondente all'altitudine di 5732 m.
11 seimmiotto sta bene, lecca il grasso che chiude intorno la cftin- j
[>anA ttnlla lastra di marmo. Respira ^fl volte in mi minuto.
. (eguale all'altezza di 6643 metri), 1
Terza Solmmla.
. 1S95. — Prei
308 FISIOLOGIA DBLL^UOMO SULLB ALPI
NoD dorme, si regge meno bene sulle gambe. Allanga il maso, come
qaando gli viene voglia di vomitare. La tinta rossa delle labbra non
è cambiata, manca il colore azzurrognolo caratteristico del msle di
montagna^ che spesso si vede anche nelle scimmie. Respira 40 volte
in un minoto.
Ore 3^. Sforzi di vomito e vomito. Rimangia sabito la cosa vo-
mitata. Si regge male snlle gambe e cade mentre vomita un'altra volte.
In questa scimmia non mi è stato possibile produrre il sonno,
anche diminuendo di più la pressione. La scimmia diventava im-
mobile ed apatica. Vi sono fra le scimmie, come fra gli uomini,
delle differenze grandi tra un individuo e Taltro , e questo Io si
vede bene negli esperimenti che ho riferito.
Anche nelle scimmie osservammo quanto verificasi neiruomo
per la depressione barometrica, che cioè cresce la frequenza del
polso e diminuisce la frequenza dei movimenti respiratori.
Nelle ascensioni, quando l'affanno diviene cosi forte che si re-
spira colla bocca aperta, la siccità delle fauci produce un'arsura
della gola ed una sensazione molesta che può dare la nausea ed
il vomito. Per ciò nelle ascensioni dobbiamo cercare di tenere
umida la bocca, quando per effetto della fatica comincia a dimi-
nuire la secrezione della saliva. La paura che un pizzico di neve,
o un pezzetto di ghiaccio, possa nuocere, è esagerata. A me per
lo meno, ed a' miei colleghi, non fece male mai, e credo preferi-
bile questo metodo a quello di bere dalla fiaschetta un po' di li-
quido alcoolico tutte le volte che uno si sente la bocca asciutta.
VII.
Riconosciuto che Tarla rarefatta produce il sonno, bisogiiava
cercare se i narcotici agiscano più intensamente nell'aria rare-
fatta. Una piccola dose di morfina, ad esempio, che da sola è in-
capace a produrre il sonno alla pressione ordinaria, invece lo
produce quando diminuisce la pressione barometrica.
Riferisco una di queste esperienze.
Azione deUa morfina su di una Soimmia.
2 aprile 1895. — Pressione barometrica da 733 mm. a 340 mm.
Alle ore 2 ni mette la scimmia sotto la campana. Respira 33 volte
al minuto.
Ore 2,10. Pressione 340 mm. (corrispondente all' altitudine di
5232 metri). La scimmia sta accoccolata, fa 34 respirazioni al mi-
nnto. Di quaudo iu quando allunga il muso coma per nauseo, e poi
ha nuo sforzo di vomito.
Ore 2,12 Si interessa ancora a ciò elio Nuecede intorno, ma ha
l'aspetto abbnttntD e a tratti ttocohiade gli ocobì. La scimmia «ta
accovacciata colla testa fra le ginoccliia. Iltspira .'Ì0 volte al minuto,
il tronco oscilla mentre dorme, di quando in quando muove legger-
mente le orecchie.
Ore 2,1(> La papillii sembra più ristretta di prima. La scimmia
non si è ancora mossa dalla sua posizione. Di quando in quando
dorme piìi duramente e la testa si corra più in basso fra le gambe.
3 nprih Ifi9r).
e baivmetrica da 734 i
1. 339 li
Ore 2,15. Si mette la scimmia sotto la campana, dopo averle
iniettato 5 milligr. di morfina sotto la pelle della coscia.
Ore 3,25. Pressione interna 339 mm, (corrispoodenttì all'altitudine
di 5171 metri), Comincia ad allungare il muso per nausea, sbadiglia,
appare più depressa che nel giorno precedente.
Ore 2,37. Respira 36 volte al minuto, compaiono gli sforzi di
vomito. Negli intervalli socchiude gli occhi.
Ore 2.45. Dorme bene, liespira 2fl volte al minuto. Vomita ancora,
ha l'aspetto sofferente. Cade su di un lato. Respira con affanno GO volte
al minuto. Rilassamento generale dei muscoli. Faccia agonizzante.
Non apre gli occhi, né si muove, qualunque mmore sì faccia bat-
tendo sulla campana
Ore 2.50. Si apre la chiavetta dell'aria in modo che ritorni len-
tamente alla pressione normale. Il grave sopore cessa. Levata dalla
campana, la scimmia nel primo momento che trova.si a terra, cam-
mina incerta, ma poco dopo riprende il suo aspetto naturale.
È dunque dimostrato che una piccola dose di morfina, la
quale da sola non basta per produrre il sonno, diviene causa
di fenomeni gravi, associata alla depressione barometrica. Se gli
effetti della morfina e dell'aria rarefatta si sommano, ò segno che
liainio un'azione identica.
Perchè il male di montagna è più grave di notte? Tschudi,
Póppig, e molti altri che viaggiarono nelle regioni più elevate
della terra, avevano giA notato questo fatto, e credo siano pochi
gli alpinisti che dormendo a grandi altezze non sìaiisi svegliati
yiiiiiiiiiiyiKiiiifiiiii^^HÉ
310 FISIOLOGIA DKLL^COMO BULLB ALPI
*
Lfewy* dice che nel sonno i movimenti del respiro si fanno
irregolari, e che essendo meno attiva la ventilazione dei poltnoui,
la diminuzione'negli alveoli polmonari della tensione dell'ossigeno,
basta a spiegare il malessere che si manifesta di notte sulle mon-
tagne. Le osservazioni che io feci sul Monte Rosa intorno alla
respirazione, e i tracciati riprodotti nel capitolo terzo, misero in
evidenza un'alterazione così profonda ed insolita dei movimenti
respiratorii durante la notte sulle montagne, che non possiamo
più ricorrere alla deficiente ventilazione dei polmoni per spiegare
il senso di oppressione e T affanno, perchè il mutamento del re-
spiro è già reffetto e non la causa dei fenomeni che qui vogliamo
studiare.
Vi è una rassomiglianza fra l'esperienza precedente della inie-
zione di morfina, che aggrava i fenomeni delKaria rarefatta nelle
scimmie, e V origine del sonno. Per mezzo di queste esperienze
ho capito che l'attività minore dei centri nervosi la quale si
produce ogni giorno nel sonno, agisce nel medesimo senso della
depressione che l'aria rarefatta produce nella vitalità dei centri
nervosi, tanto che i due effetti si sommano ed aggravano le con-
dizioni nostre.
Se il male di montagna dipendesse dalla mancanza di ossi-
geno, si dovrebbe star meglio quando il sonno è profondo, percliè
nel sonno si rallentano i processi chimici e si lia meno biso;::no
di ossigeno ^ La contraddizione esistente tra le veccliie teorie ed
i fatti ora accennatL prova ciie si deve abbandonare la teoria di
P. Bert, il quale considerava il male di montagna come una sem-
plice forma di asfissia, od un avvelcnaniento dovuto alPacido car-
bonico del sanarne \ Io credo invece che deiracido carbonico ve ne
sia meno nel sangue a grandi altezze, e che la causa fondamentale
del male di montagna sia una diminuzione nell'attività chimica
del (cervello e del midollo spinale.
11 soiuio ù il sintomo più comune e più costante nel quadro
dei fenomeni col quale si rivela la depressione nella vitalità
dei centri nervosi. Anche il freddo quando è forte produce il
sonno.
Chi si lascia sopraffare dal sonno sulle Alpi e si abbandona
al rii)0S0 nel gelo, muore inevitabilmente. Bisogna aver paura
del sonno, quando si è in alto. Appena compaiono i primi siii-
^ A L(E\VY. UntersHvhungen Hher die Respiration und Circulationj pag. 2^K
- Vedi in proj)osit<) le esperienze di raio fratello. Archives italiennes de Bio-
logie. Tura»' XXV, pag. 242.
3 P. Bert. Opera citata^ pag. 1044.
n. — Rtperiente eiille s.
e sulle marmoile
lomi del dormire, dobbiiimo eccitare in tutti i modi il sistema ner-
voso per atlizzare la flainma della vita ciie incomincia a lan-
guire, e scuotere il corpo, perchè veiipano bruciato le provviste
che ancora rimangono per riscaldare gli organi e il sangue, per-
dio la circolazione si rinror/.i, il cuore rimanga attivo e non si
spenga col raffreddamento l'energia del sistema nervoso.
Il molto dei medici antichi che dove tende la natura bisogna
seguirla, non è vero per il sonno che ci sorprende sulle Alpi, Si
tratta qui di un difetto e non di una perfezione della nostra mac-
china. Il sonno naturale tende a ristabilire le forze stremate del
cervello e dei nmscoli, quello che ci sorprende nella tormenta e
sui ghiacci, è un soimo morboso. Perchè non riesca fatale, occorre
mantenersi in molo. Se uno supera con uno sforzo della volontà
il primo inceppo delle gambe e il primo sopore delia mente, sva-
nisce la sonnolenza, e si torna a star meglio come se il calore
interno sciogliesse un ostacolo.
Qui è il freddo che uccide, li sonno prodotto dalla rarefazione
dell'aria può invece considerarsi come un beneficio, e ciò abbiamo
■ giù veduto in Tissandier il quale nell'ascensione fatate dello Ze-
nith si è salvato i>erchò cadde assopito prima degli altri.
Hegnault e Reiset nelle loro celebri '^ Ricerche chimiche sulla
respirazione degli animali „ avevano giìi osservato clie una mar-
motta in letargo può resistere lungo tempo in un'aria priva di
ossigeno, nella quale morirebbe in pocid istanti quando fosse
svegliata'. Un'esperienza non meno celebre è quella di CI. Ber-
nard ', il quale chiudendo un uccello sotto una campana, vide
che quantunque indebolito dalla mancanza di ossigeno, poteva
resistere in essa parecchie ore, mentre l'aria era già tanto alte-
rata che un altro uccello, messo improvvisamente con lui, mo-
riva subito di asfissia.
Un'esperienza simile può farsi facilmente nella campana pneu-
matica mettendo insieme un cane ed un pollo. Se il cane, come
succede spesso, si addormenta può diminuirsi la pressione baro
metrica fino a che non rimanga più clie Vn dell'atmosfera. Gli
uccelli a questa pressione di 130, o 120 mm. generalmente muoiono,
mentre il cane assopito non muore. Anciie le anitre che si crede-
rebbe siano gli animali più resistenti all'asfissia, muoiono prima
dei cani, perclié non possono addormentarsi nell'aria rarefatta.
Arrivano fino a depressioni fortissime senza presentare fenomeni
liKinletanti, poi improvvisamente aprono il becco, scuotono la
' Atmolcn de chimie et phi/siiin:, 1849, p«g. alò.
' " .. Bbuiabd, Leeoni sur ìa »uhsiancea loxiques, 1837, ftg. 136.
4
312 FISIOLOGIA DBLL*DOMO 8ULLB ALPI
testa, e muoiono, senza die si arrivi iu tempo a salvarle, dando
loro subito un'aria più densa.
11 sonno è dunque un mezzo di scampo, che ci rende più re-
sistenti all'azione dell'aria rarefatta.
IX.
Neir accampamento presso l'Alpe Indra eravamo circondati
dalle inariuotte; e fino a 2800 metri incontrammo le buche delle
loro case sotterranee. Coi fischi acuti ci salutavano dalle roccie
deserte, dagli ultimi piani erbati della montagna, dove non cre-
scono più neppure gli arbusti, dove le capre e nessun mammi-
fero tenta più di salire. Fino d'allora m'era venuto il desiderio
di studiare sotto la campana pneumatica questi rosicanti che
col loro sonno invernale accrescono importanza alla fisiologia
alpina. Non mi fu difficile procurarmi sei marmotte vive ed ora
esporrò sommariamente alcune osservazioni che feci sopra di esse.
Le marmotte, quando dormono profondamente d'inverno, sono
tanto insensibili, che tirando loro vicino un colpo di fucile non si
svegliano; e se cadono a terra dall'altezza di un metro, non si muo-
vono e neppure cambiano il ritmo del respiro. L'insensibilità loro
è però meno grande nelle parli interne, e per i mutamenti della
pressione barometrica si svegliano facilmente come lo aveva
già dimostrato Valentin nei suoi studi classici sulla marmotta ^
Dubois ^ erede che il sonno delle marmotte si generi per un
eccesso di acido carbonico nel sangue. Kgli formulò la sua dot-
trina sulTorigine del sonno letargico con una parola che esprime
bene il suo concetto: aaiotìnrcosi per acido carbonico.
Se fosse vera tale supposizione, dovrebbe essere facile produrre
il sonno e Tiiisensibilità, respirando aria mescolata colFacido car-
bonico. I tentativi fatti in questa direzione non ebbero alcun
successo. Cosi pure non credo vera l'idea del prof. Gayet che il
sonno abbia un centro speciale nel cervello; secondo me tale
idea ò contraria a quanto sapi>iamo fino ad ora intorno alla fisio
logia del sonno. Ma non è questo il luogo per aprire una discus-
sione su di un argomento che ò f<ìrse il più oscuro della fisio-
logia. Sono obbligato a |)ai'larne, perchè se esistesse Tautonarcosi
del Dubois, sarebbe sui^ito spiegata l' origine del sonno che ci
^ G. Valentin. Beitrìige zur Kenntniss des Winterschlafes der Mwmelthierf,
Moleschott's. Untersiichiingen, I Bd.. pag. 211.
- B. Dubois, Physiologie compirée de la Marmotte^ Paris, 1896, pag. 253.
XIX. — Esperienze stdle sciinmie e sulle marmotte 813
prende sulle Alpi. In fatti P. Bert aveva già notato che il sangue
arterioso diventa sempre più povero di ossigeno nell'aria rare-
fatta, tanto che a 6500 metri ha già perduta quasi la metà di
quanto ne aveva in basso, e per la composizione sua rassomiglia
sempre più al sangue venoso quanto più si sale in alto.
Dubois , fidandosi delle ricerche di Valentin , ammise che la
marmotta si sveglia quando si mette sotto la campana pneuma-
tica, perchè il suo sangue perde Teccesso di acido carbonico. Ri-
petendo tali esperienze in modo che la depressione fosse meno
rapida, vidi che le marmotte non si svegliano anche per depres-
sioni barometriche fortissime. Le marmotte quando d'inverno
dormono profondamente respirano così poco che spesso in un
minuto fanno una sola inspirazione, leggera, e tanto superficiale
che appena si vede. Mettendo queste marmotte sotto la campana
pneumatica bisogna avere attenzione che la temperatura ambiente
non cambi e non ricevano scosse. Facendo agire lentamente la
pompa pneumatica e lasciando sotto la campana una debole
corrente in modo che l'aria si rinnovasse di continuo, sono riu-
scito a tenere per due o tre ore, delle marmotte nell'aria rare-
fatta alla pressione barometrica di 13 a 14 centimetri , cioè tra
Vs ed Ve della pressione ordinaria, senza che si svegliassero. In
generale queste marmotte , essendo la temperatura ambiente di
2° o 3° facevano solo due movimenti respiratori al minuto, dopo
due ore che erano sottoposte a questa enorme depressione.
La cosa più importante è che le marmotte non si svegliano fino
a che stanno nell'aria rarefatta, ma si svegliano invece (e spesso
fanno dei movimenti vivaci e si mantengono per lungo tempo ir-
requiete) appena dimiimisce la rarefazione e si ritorna alla pres-
sione barometrica comune. 11 fatto osservato nella circolazione
sanguigna del cervello dell'uomo che i vasi sanguigni si dilatano
più del normale quando si ritorna a respirare l'aria comune, dopo
che fu diminuita per un certo tempo la razione dell'ossigeno, ci
fece conoscere una reazione intima del sistema nervoso, e ci ad-
dita i mutamenti cerebrali che fanno svegliare le marmotte, quando
cessa l'azione deprimente e paralizzante dell'aria rarefatta.
Mi sono convinto che lasciando solo Vs della pressione baro-
metrica, non scema per questo il sonno letargico delle mar-
motte. Il sangue venoso sotto tale enorme depressione deve con-
tenere meno acido carbonico , perchè sappiamo che questo gas
sta sciolto nel sangue: diminuendo la pressione barometrica il
sangue ne terrà sciolta una quantità minore. La dottrina del-
l'autonarcosi non serve dunque per spiegare il letargo delle mar-
motte e neppure vale a spiegare il sonno nelle ascensioni.
Mosso, Fisiologia deWuomo sulle Alpi. 40
314 FI810LOOIA dell'uomo scllb alpi
X.
Le marmotte quando sono sveglie sono più sensibili di ogni
altro animale alla rarefazione dell'aria. Questa è una delle osser-
vazioni più curiose che io abbia fatto, e certo nessuno avrebbe
sospettato che le marmotte, le quali in estate vivono più in alto
di tutti i mammiferi, e che d'inverno resistono tanto al freddo e
all'asfissia, sentano invece gli effetti di piccole depressioni baro-
metriche che passano inavvertite peli' uomo, e gli altri animali
Vediamo prima i fatti e verranno dopo le parole e le ipotesi
BmpnimnxtL sopra di una marmotta.
Maggio i896. — Pressione 74 i. Temperatura ambimUe /^.
Una marmotta domestica del peso di 2400 grammi, che si lascii
prendere in braccio e fa festa a quanti entrano nella sua gabbia, v-
rampicando8Ì sa per le gambe, viene messa sotto la campana pnea-
matica alle ore 7,40. Si fa da sé stessa an giaciglio con degli asdngi-
mani che si erano messi nella campana. Per mezzo della pompa si
mantiene nna debole corrente d' aria di 6 litri al minato dentro h
campana. Ija respirazione che nel principio era molto frequente, va
rallentandosi. I sejj^uenti n ameri, scritti quasi senza interruzione ad
ogni minuto, mostrano quanto sia grande Tinti uenza delle emozioni
su questi animali e quale sia l'effetto deirattenzione. Appena messa
sotto la campana la marmotta aveva girato intomo dritta sulle
gambe e dopo si era accovacciata; è da questo momento che comin-
ciammo a contare il respiro : 06, 64, 60, 54, 56. 54, oo, 54, 45, 30, 28,
20, 18, IH, 18, 24, 24.
Alle ore 8,30 la marmotta aveva già preso T atteggiamento per
dormire, incurvandosi ad arco colla testa fra le gambe : 22, 20, 2(K
18, 18.
Si sveglia alza la testa e poi riprende la posizione solita per dor-
mire : 21, 15, 18, 20, 18, 16, 15. 16. 16, 15, 17, 17.
Si sveglia nuovamente : 20, 17, 17, 16, 15, 15.
Alle ore 9 si incomincia la rarefazione dell'aria, il barometro
della campana, che fìno a questo momento aveva segnato 30 mm. in
meno della pressione esterna che era 741 mm., sale a 180. La pres-
sione interna è dunque diminuita da 711 a 531; il che corrìsponde
ad una ditVerenza in altitudine di 2324 metri.
In due minuti fu raggiunta questa pressione e dopo ai
XIX. - Eirperiensc salk siimmie e sulle marniolte 815
costante. La frequenza del respiro aamentù leggermente : IS, 21, 18,
19, 18, 19, Ifl, 20, 17. l!l, 17, IS, 17.
SI maove, alza lu testa e poi torna a dormire : 20, Iti, 18. ID. 18,
19, 20, in. 20, 20.
Ore 0,44. Vedendo cUe durme sempre ritorniamo alla pressione
di prima eguale a 711 mm.: 17, 16, 16, 16, 16. 15, 15, 16, 17, IJ, 13;
si sveglia e poi torna ad accovacciarci: 14, 15, 13, 14, 16, IB, 15, 15,
14, 13. Il rallenta mento del respiro b manifesto.
Ore 10,13. Si torna a rarefare l'aria fino a 531 mm. in due mi-
nuti : 18, 18, 17. 17, 17. 17. 17, 18, 17. 17, 17. 18, 17. 18. 19, 17, 10, 17.
17, 17, 18, 18, 19, 30. 10, 18. 18, Anche questa volta la rarefazione
dell'aria (corrispondente a 2324 m.) produsse nn aumento nella fre-
quenza del respiro.
Alle ore 10,50 .si torna lentamente alla pressione di 711 mm. e
U respiro raUentasi: 17, 17, 10, 15. 15, 16, 15. 15, 14. 14, 14, 14, 13,
12, 13. 14, 13, 12, 13, 14, 13. 12, 12. Alzata la campana, la marmotta
rimane immobile ed aggomitolata senza accorgersi di essere messa
in Uberto.
Questa marmotta durante il sonno respira con maggiore R-e-
quenzii per una rarefazione dell'aria, corrispoiidenle all'altitudine
di ■2324 metri. Infatti alle ore 8,30 fa in media 17.9
respirazioni al minuto nell' aria normale , mentre dopo a
531 mm. ne fa 18.8
Tornata alla pressione barometrica normale fa 15.9
respirazioni al minuto: rarefacendo nuovamente l'aria sotto
la campana finn a 531 mm„ respira lfi,6
volte a! minuto. Ritornata alla pressione ordinaria fa . . . 14.9
respirazioni al minuto.
Siccome la marmotta dormiva, il respiro divenne sempre più
calmo e più lento: ma tanto in questa, quanto in altre mannotte
appare costante il fatto che il respiro si accelera e si rinforza
per mutamenti poco considerevoli della pressione barometrica
ed inferiori ai limiti di 41 centimetri stabiliti da Fraenkel e Gep-
pert per le alterazioni del sangue.
VI é dunque qualche altra cosa che può modificare le condi-
zioni del respiro oltre l'emoglobina del sangue, oppure vi sono
del mutamenti nel sangue che non conosciamo ancora. 1 quali
agiscono quando diviene minoi'e la pressione barometrica.
Nulla succede nella natura die non abbia la sua ragione di
essere: e percii"! io penso che la sensibilità maggiore della mar-
motta per le depressioni barometriche, debba essere una conse-
1 delle funzioni speciali del sun sistema ner\'08o. Perchè
816 FISIOLOGIA dell'uomo sullb alpi
si sospenda quasi la vita nell'inverno, e scemi Y attività del si-
stema nervoso , quando si abbassa la temperatura esterna , la
marmotta deve mancare di alcuno dei poteri regolatori che ab-
biamo noi, i quali servono ad attizzare i processi chioiici delTor
ganismo, quando si modifica l'ambiente. Forse questa differenza ci
mette sulle traccie di altre differenze caratteristictie del sistema
nervoso delle marmotte , percliè le funzioni sue devono essere
più strettamente legate alle variazioni che succedono nell'aria
ambiente come vediamo in questo caso. Il sonno letargico delle
marmotte forse trova la sua spiegazione nella resistenza minore
che il sistema nervoso oppone all' ambiente , e nella mancanza
dei congegni regolatori, che servono a mantenere costanti i fe-
nomeni della vita negli animali superiori.
Aeoampsjnenta di Saiiasure al Colle del Gigaote (altitudine 3365 m.),
BiprodDzione di un diiegno btu dal figlio di SkUHnre nell'anno ITStl.
Capitolo Ventesimo.
L'azione della luce. La traspirazione. Il freddo.
].
La luce sulle Alpi è differente dalla luce nella pianura, perciiè
essa attraversa per giungere lassù uno strato minore d' aria e
perde meno della sua intensità. Clie l'aria, malgrado la sua tra-
sparenza, assorba dei raggi luminosi, si giudica dagli splendidi
colorì dell'aurora o del tramonto, e guardando 11 cielo sulle Alpi
il quale appare più azzurro.
"Se iieir atmosfera non vi fosse nulla che potesse rillettere i
raggi solari, in luogo di un firmamento azzurro, noi vedremmo
sul nostro capo l'oscurità profonda dello spazio infinito. L'azzurro
del cielo, è un riflesso di particelle perfettamente incolore. Di tutte
b
318 FISIOLOGIA dell'uomo 8ULLB ALPI
le Onde luminose emesse dal sole, più corte sono quelle che
corrispondono all'azzurro. Lo splendore roseo delle Alpi la sera
ed il mattino, è dovuto invece ad una luce trasmessa, cioè a della
luce, che traversando dei grandi spessori di atmosfera, si spoglia
per una serie consecutiva di riflessioni dei suoi raggi azzurri. „^
La pelle nostra è più sensibile all'azione della luce quando
siamo sulla fine dell'inverno, dopo che si è per così dire disav-
vezzata ai raggi più vivi del sole. Me ne accorsi quando nella
primavera del 1894 andai sul Monte Rosa, per cercare le località
meglio adatte ai nostri accampamenti. Toccai appena i 2600 metri
e mi sono preso una forte scottatura al collo e al dorso delle
mani, come non mi ero mai preso d'estate nel mio soggiorno a
Gressoney, visitando i medesimi luoghi.
Questo fatto si osserva pure nelle piante. Chi ha un po' di
pratica della vegetazione nelle serre calde, sa che bisogna abituare
poco per volta le piante alla luce. Alle begonie, per esempio, se ai
primi giorni della primavera si lasciano colpire dalla piena luce
del sole, le foglie si bruciano, diventano gialle sul bordo e poi
seccano. Gli amaranti accartocciano pure le foglie, ed altre piante
appassiscono. Se invece si temperano alla luce, come dicono i
giardinieri, possono dopo portarsi in piena terra ed essere esposte
ai raggi cocenti del sole, senza che ne soffrano. In questi fenomeni
non è il calore, ma la luce che ha la parte preponderante.
Sul Monte Rosa, al Riflelberg, un fisico francese, il Gornu^ ha
mostrato ciie 1 ra^gi violetti, nella luce del sole, sono più abbon-
danti, e su quest(3 argomento si fecero degli studi anche sulle
montagne delK America. Lo fotografìe dello spettro, o per ser-
virmi di una parola più bella, le fotografie dell'arcobaleno, sono
visibilmente diverse quelle che vengono fatte sulle Alpi da quelle
che si fainio nella pianura.
L'occhio nostro non è abbastanza sensibile per accorgersi che
la luce sulle Ali>i è più ricca di raggi violetti , ma ciò che non
sente l'occhio lo sente la pelle, la quale infiammandosi ci avverte,
nostro malgrado, che vi fu un'azione intensa dei raggi violetti nei
tessuti che stanno sotto l'epidermide.
Tyndall racconta di non aver mai provato sulle Alpi una scot-
tatura cosi forte quanto quella die soffri colla luce elettrica lavo
^ Tyndall, Haiìs of exercxse in the AIps.
2 CoRNU, Observaiion de la limite ultra-violette dn spectre solaire à diverses
alfìtudes. Cotnpics rendus. Tomo 89, pag. HOS. — Su'' Vabsorption par V atmosphère
des radiations ultra-violettes. Tomo 88, pag. 1285. — Sur la substance ahsorbante
dans Vatmosphère left radiations solaires ultra-vioLttes. Tomo 90, pag. 940.
XX. — L'azione della luce. La traspirazione. Il freddo 319
rando attorno al faro di North-Foreland. Ma fu Widmark ^ di
Stockholm 11 primo a dare la prova che solo 1 raggi violetti pro-
ducono Tin flammazione della pelle e degli occhi.
Recentemente il dott. Ogneff ^, in una grande officina metal-
lurgica della Russia, dove si fonde il ferro colle correnti elettriche,
ha studiato le malattie degli occhi e della pelle che si conosce-
vano già prima sulle Alpi. Una delle esperienze più belle fatte da
Widmark, fu quella di mostrare che la luce elettrica non agisce
più sulla pelle infiammandola, quando deve attraversare il vetro o
uno strato sottile di acqua che contiene sciolto un po' di allume.
11 vapore d' acqua contenuto neir atmosfera non basta per sé
a trattenere i raggi ultra-violetti. È realmente Y aria e lo spes- .
sore suo di tre o quattro chilometri ciò che ci protegge qui in
basso dall'azione cliimica di questi raggi violetti. Questo ci spiega
il fatto già noto che la pelle può infiammarsi anche quando il cielo
è annuvolato, o siamo avvolti dalla nebbia. In tedesco questa
malattia della pelle che quasi tutti gli alpinisti provano nelle prime
ascensioni, si chiama scottatura a freddo (halle VerbrennungJ ap-
punto per indicare che non è una infiammazione che dipenda dal
caldo. 11 rossore della pelle prodotto dal caldo dura assai meno
dell'infiammazione prodotta dalla luce.
Tra gli scritti più recenti che i dermatologi pubblicarono sul-
l'eritema solare, ricorderò le monografie di Hammer ^ e Bowles *.
Non mi fermerò sulla parte anatomica di tali scritti, ed accennerò
solo quanto può interessarci per la fisiologia. Bowles fece delle
esperienze al piedi del Monte Rosa sul Gornergrat: si tinse il
volto di bruno (non disse però quale sostanza adoperasse) ed os-
servando circa 100 persone che erano al Riflelalp, vide che egli
solo non ebbe a soffrire l'azione della luce.
Durante la spedizione sul Monte Rosa ho fatto una serie me-
todica di osservazioni, per vedere quale fosse il colore più attivo
per proteggere la pelle, e se la vasellina ed il grasso servivano
a qualche cosa. Avevo portato con me della curcuma, della terra
rossa, della piombaggine e del nero fumo. Per vedere meglio gli
effetti, qualche volta tingevo la metà del volto di un colore e la
1 Widmark, Skandinavisches Archiv fiir Fhysiologie, Voi. I, pag. 264, voi. IV,
pag. 281.
2 J. Ognbff, Einige Bemerkungen uber die Wirkung des elektrischen Bogenlichtcs
auf die Oewebe des Auges. Archiv. f. d. gesam. Fhysiologie 1896, voi. 63, pag. 209.
3 Hammeb, Einfluss des Lichtes auf die Haut Stuttgart, 1891.
* B. Bowles, JJeher den Einfluss der SonnenstraMen auf die Haut. Monatsbàfto
fùr praktische Dermatologie, N. 1, XVIII.
320 FISIOLOGIA dell' UOXO BULLE ALPI
metà coiraltro, oppure il naso con un colore e le guancie con uu al-
tro. Generalmente era tutta la faccia o il dorso delle mani che veni-
vano tinti colla medesima sostanza. Non riferisco nei loro parti-
colari queste esperienze. Il lettore capirà che esse contribuirono
a tenerci allegri. Anche le carovane che venivano in contatto colla
nostra spedizione si esilaravano a questa mascherata.
La conclusione fu, che basta tingersi II volto con un sughero
bruciato, perchè la pelle non si infiammi. La protezione che dà
contro i raggi del sole uno strato leggero di fumo è tanto evi-
dente che chi la prova l'adotta subito.
I corpi grassi non può dirsi che siano affatto inutili, perchè
impediscono una evaporazione troppo rapida alla superficie della
pelle; ma essi non proteggono la pelle dall'azione irritante dei
raggi violetti. La vasellina, la lanolina e II cold-cream non si mo-
strarono efficaci.
II.
Il rifiesso della luce sulla neve produce varie malattie degli
occhi, le quali cominciarono a studiarsi verso la fine del secolo
scorso. Nel 1703 il governo rivoluzionario di Francia, dopo man-
dati il re e la regina al supplizio, voleva fare alleanza col Pie-
monte. Amedeo III non si degnò neppure di ricevere l'ambascia-
tore francese ed allestì a guerra la Savoia e Nizza. In queiraniio
i soldati piemontesi, attraversando spesso d'inverno il Moncenisio
e il San Bernardo, sofTrirono così di male agli occhi, come prima
non era mai capitato a centinaia di persone alla volta.
Gli scritti che si pubblicarono su questo argomento sono
molto numerosi ed io non mi fermerò certo a parlarne difTusa-
mentc ^ Dirò solo qualche parola intorno alle osservazioni che
ho fatto.
Una volta al Colle del Teodulo vidi che bastò una gita al Breit-
horn, senza occhiali, perchè un alpinista si sfigurasse tutto. Ma
se lo meritò, perchè era una specie di l'artarin che andava per la
prima volta sul ghiacciaio e non voleva dar retta alle guido. Ce-
nammo con l'ostessa, la signora Pesson, e non mi accorsi di
nulla; al mattino svegliandosi aveva le palpebre tanto gonfie che
non poteva più aprirle. Mi convinsi che può realmente capitare
quanto si racconta dal doti. Paccard. Quando scese dal Monte
^ .1. W. Hofmann, TJeheì' die St7<nee6/tn(fAei7. Mittheil. deutsch. u. Oester. Al-
penvereine, N. 6, 1886, pag. 64.
e dellii luce. La iratiiira
. Il ìroliìo
nco. dopo la prima ascensione l'atta coti Halraat, aveva la
Ista molto staiica per la gran luce sofferta. Al matlino, sveglia-
osi, disse al suo .compagno: è strano che gli uccelli cantano
irima che siasi levato il sole.
— Ma siete voi che avete ylì occhi gonfl, — risposegii Balmal.
Uh caso lo ebbi a curare nella Capanna Regina Margherita.
In operaio parti da Gressoney per fare alcune riparazioni ad
m ballatoio che gira intorno alla capanna. L'avevo visto alla
Spanna Gnifetti quando passò e stava benissimo : dopo tre
;iorm lo trovai coricato nella capanna in tale stato che non si
tdava scendere tanta era la molestia che gli dava una luce an-
Jie debole. Era venuto su per i gliiacciai senza occhiali, e su-
dto il giorno dopo gli si gonfiarono le palpebre, e cominciò a
lentlre delle fìtte negli ocelli e a vedere le cose come attraverso
a nebbia-
La gonfiezza delle palpebre è certo molesta, ma è cosa meno
rrave delle alterazioni che possono succedere nella retina. Il
irof. Schiess' di Basilea, racconta che gli operai italiani, i quali
raversano a piedi il Gottardo per andare in Svizzera al principio
Iella primavera, soffrono spesso di questa oftalmia, specialmente
[uando soffia il vento del nord. Egli ne accolse parecchi nella
lua clinica quasi ciechi.
Vi sono altre malattie d'ocelli che peggiorano la sera: ma que-
ita invece, che è prodotta da una grande stanchezza della retina
ter la luce troppo viva, migliora sull'imbrunire. Una luce meno
nteusa permette all'occhio una visione più distinta.
Loeb *, dice che il levarsi gli occliiali sui ghiacciai scema la
sensazione della stanchezza. Può essere che agisca come ecci-
amenlo momentaneo, come l' impressione dell' aria fredda che
>er un momento ci fa star meglio. Io però non raccomanderei a
lessuno di levarsi gli occhiali, perché certo si accresce la stan-
:hezza e si hanno negli occhi danni maggiori.
Interrogando spesso gli alpinisti sul male di montagna, mi
mbattei in uno il quale attribuiva questo malessere alla luce
roppo intensa dei ghiacciai. Egli mi disse die abitualmente non
sofitiva il male di montagna, ma che lo soffrì solo una volta
aercliè aveva rotti gli occhiali. Era un uomo di temiwramento
nervoso, al quale la luce forte dava tale molestia, che la sera,
ijasseggiando per la città, cercava di scansare le farmacie dove
• ScHnsì4B, Ardito. fSr Ophtalmataiiìe, fol. XXV.
' QtmraKB, Udtr den Einfluas des LU-hlea <iuf den ThierU-h-
"R Tome ">7, pftg. 100.
irfÉiÉ
'per. Plfiigcr's Ar-
322 FISIOLOGIA DBLL^UOMO SITLLK ALPI
sono quei vasi pieni di liquidi colorati, con dietro un riflettore, i
quali illuminano la strada.
Siemens aveva già notato che alcuni operai delle sue officine,
sofiTrivano nausea e vomito lavorando colla luce elettrica molto
viva.
111.
1 polmoni e la pelle sono soggetti ad una evaporazione con-
tìnua, la quale serve ad impedire che il sangue diventi troppo
caldo. Quando d'estate facciamo inaffiare le stanze per rinfre-
scare l'aria, pochi pensano che succede qualche cosa di simile
nel nostro corpo per raffreddarlo. La funzione chimica del sudore
è quasi trascurabile, perchè le sostanze che si eliminano col su-
dore sono in quantità minima. L'acqua del sudore ha Invece
l'ufficio di produrre un raffreddamento coli' evaporazione. I cani
appena si fermano al sole, od hanno caldo , si mettono subito a
respirare con maggior frequenza, e un po' meno questo facciamo
anche noi uomini, quando cresce la temperatura interna, perchè
l'evaporazione che succede nei polmoni produce del flreddo.
L' affanno del respiro che ci prende nelle ascensioni, quando
per il lavoro dei muscoli cresce la temperatura del corpo, è dun-
que un apparecchio di difesa. È uno dei tanti congegni automatici
-che abbiamo nel nostro corpo, i quali funzionano senza che ce
ne accorp:iamo e anclie contro la volontà, per mantenere l'equi-
librio nell'organismo.
Avevo portato sul Monte Rosa una grande stadera della por-
tata di 1(X) chilogrammi, rappresentata dalla flg. 61, che invece
del piatto aveva un' assicella di legno sulla quale un uomo po-
teva stare seduto : tale stadera sentiva rapidamente la differenza
di 4 grammi.
A metà atmosfera dovrebbe evaporarsi una quantità doppia
di acqua, tutte le altre condizioni restando eguali; perchè, se-
condo la legge di Dalton, la quantità di liquido evaporato da una
determinata superfìcie nell'unità di tempo, è in ragione inversa
della pressione barometrica. Oltre alla pressione diminuita. Varia
in montagna è più secca, e per questo la quantità di acqua che
sì evapora nell'unità di tempo dovrebbe anche essere maggiore
in alto che in basso.
Nella stadera, l'estremità libera dello stilo graduato portava un
indice, e di fronte al medesimo e' era una scala fatta su di un
pezzo di carta. Sapendo che in media il peso del nostro corpo
, — L'a
e delia luce. La tranpirasione. Il freddo
diminuisce di tX) grammi ad ogni ora, fatta sedere sulla stadera
tina persona aspettavasi che l'asta della stadera fosse orizzontale,
e l'indice suo corrispondesse al sesuo A. Stabilito coli' orologio
questo momento, siccome il peso-dei nostro corpo va scemando^
I
Tig. til. — ."itiidera cbu portaiiinio uella sijyiliziofi'i ni Monte lUsu.
ilopo vm certo tempo dovevamo aggiungere dieci grammi sulle
spalle della persona die stava sulla bilancia per fare l'isalire
riiKlice nuovamente in A. In media può dirsi die occorrevano
10 iniuuU , cioè die il peso del nostro corpo a Torino perdeva
t un grammi) al mirmto per una ppisnna di slntura e di
324 FISIOLOGIA DELL^COMO SULLB ALPI
peso medio. Un altro metodo che adoperammo consisteva nel
pesare una persona con esattezza, e, segnato il tempo, ripesarla
con eguale esattezza dopo un'ora o due, per stabilire quanto in
questo spazio fosse diminuito il suo peso per la perspirazìone.
Non riferisco tutte le cifre di queste pesate fatte in basso ed
in alto: mi basta dire che in generale la perspirazione è minore
sulle Alpi. Varie spiegazioni si possono dare di questo fatto inat-
teso, e disgraziatamente le mie esperienze non sono abbastanza
numerose per autorizzare una discussione qualsiasi. È probabile
che i vasi della pelle siano meno dilatati, e quindi meno attiva
la circolazione cutanea e la secrezione del sudore. La circolazione
meno attiva, elide l'influenza che esercitano i movimenti del re-
spiro facendo diminuire l'evaporazione polmonare e cutanea. Tutte
queste cause insieme, non bastano però a spiegare che in alcuni
casi abbiamo trovato circa la metà meno della perdita in peso
sulle Alpi, a 45G0 metri, quando invece mi aspettavo di vederla
cresciuta del doppio.
La diflerenza della temperatura esterna era piccola ed inca-
pace a mio parere dì produrre un simile divario. Pptrebbe cer-
carsi la causa di questa differenza in un rallentamento dei pro-
cessi chimici. L'uomo perde in media un grammo di acido car-
bonico ogni due minuti. Se diminuisce la combustione del corpo
questa perdita (che noi misuriamo colla stadera insieme all'acqua
evaporata) deve rendersi manifesta. Contro tale -ipotesi stanno
però le osservazioni di mio fratello, le quali mostrarono che varia
poco la quantità di acido carbonico elimhiata ogni mezz'ora, a To-
rino e nella Capanna Regina Margherita.
Un utile ricavai da queste osservazioni in quanto ho seguito
con esse V influenza che il clima alpino esercitò sul peso del
corpo dei componenti la spedizione al Monte Rosa. Riferisco nella
seguente nota la media delle pesate fatte a Torino prima di par-
tire, e a Gressoney prima che la nostra comitiva si sciogliesse.
Chiunque sia pratico dì simili pesate, sa che sono grandi le dif-
ferenze tra un giorno e Taltro, malgrado ogni precauzione, cosi
che è necessaria una serie lunga di osservazioni e maggiore di
quella che ho potuto raccogliere io. Risultò pur tuttavia con evi-
denza che alcune persone della nostra carovana diminuirono
di i>oso dnrantc il soggiorno sul Monte Rosa: queste furono il
soldato Rainella, il quale ebbe una polmonite, OberhofTer, Marta.
.Sarteur, Solferino ed io : mentre altri crebbero di peso, Beno
J^iz/ozero aumentò di 4 ciiilogramnii , il caporale Camozzi di
1:?(K) grannni, il caporale .laciiini di 1170 grammi.
Peso del
-orpo di nk
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Knmella. ,
A, Mosso -
73,400 „
LÌLMoBa
IV.
tftl biclcllsta, studiato da Tisaió nel Velodromo di Bordeaux,
percorse G20 cliilometd in -^4 ore. Tenendo calcolo delle bevande
Ingerite {fra le quali due litri e mezzo di latte) e tenendo calcolo
esatto delle perdite di lÌ(|uido, sarebbe diminuito in peso di ~ ,710 gr.
Egli pesava prima 70 chilogrammi ; avrebbe dunque perduto più
di un decimo del peso del suo corpo.
Ho citato queste cifre, perchè il lettore abbia un'idea dell'en-
titA delle perdite die facciamo continuamente, e veda ciie cosa è la
fortuna delle parole. Questa perdita di un decimo del peso del
proprio corpo con termine medico si chiama, perspìrasione insen-
sibile. Certo questa diminuzione di peso nel biciclista studiato dal
Tissié (la quale si ripete in proporzioni minori in tutti noi quando
facciamo un'ascensione), è dovuta anche in parte all'acido car-
bonico che sì elimina colla respirazione. Mi rincresce di non aver
fatto delle esperienze sulla perdita di peso nelle ascensioni. Avevo
notato queste osservazioni nel programma delle mie indagini sul
Monte Rosa, ma in causa del tempo pessimo dovetti sospenderle.
Non c'è bisogno della bilancia, dirà qualcuno: noi abbiamo
una sensazione speciale delicatissima, la sete, che ci avverte
quando dìmhmiscc l'acqua nell'organismo. Basta stare attenti se
sulle Alpi si è più spesso molestati dalla sete e la questione è
risoluta. La cosa però è assai più complessa che non paia. Nelle
ascensioni qualche volta si respira colia bocca aperta, e questo
basta già a produrre una sete grande, come ciascuno provù
raffreddore, ed avendo 11 naso intasato
326 FISIOLOGIA DBLL^UOMO SULLB ALPI
si respira per la bocca. La secchezza delle fauci dà una sensa-
zione identica alla sete, anche quando questa non dovrebbe esi-
stere perchè il corpo contiene ancora acqua a sufficienza. Nella
fatica, e per azione dell' aria rarefatta , diminuisce la secrezione
della saliva. Questa è un'altra grave complicazione che ci farebbe
cadere in errore, se in tale studio volessimo fidarci esclusiva-
mente ad una sensazione così indeterminata come è la sete.
Il prof. Oertel paragonando i vari metodi che si adoperano
nella medicina per far diminuire il peso del corpo, dimostrò che
le ascensioni sui monti fanno perdere più rapidamente una quan-
tità maggiore di acqua ].
La conclusione è che stando ad altezze superiori ai 3000 metri,
io non mi accorsi sul Monte Rosa che la sete fosse più intensa
per una evaporazione più rapida dell'acqua. Il regime mio e quello
dei miei compagni, che avevo pregato di far osservazione a que-
sta cosa, mi permettono senz'altri dati più esatti, di formulare
un giudizio abbastanza sicuro. La distribuzione del vino e del
caffè, la quantità di neve che dovevamo far fondere ogni giorno
alla capanna Gnifetti e alla capanna Regina Margherita, rimasero
sempre eguali e nessuno si è mai lamentato di aver sete.
V.
Saussure disse che noi sentiamo il calore del sole molto più
sulle Alpi che non nella pianura, e soggiunse: fu il caldo non il
freddo che fece tornare indietro i primi alpigiani che tentarono
di salire sul Monte Bianco. Credo che il celebre fisico ginevrino
abbia esagerato alquanto; ma è meglio sentire i fatti come
e' gli espone. Erano ai piedi del Monte Bianco all'altezza di circa
3700 metri. Saussure aveva un parasole e un altro ne aveva il
signor Bourrit che l'accompagnava con suo figlio. Tutti due non
potevano stare al sole tanto era caldo K
j^ 2J^ J'essayai de m'en passer pendant que j'ajustois le baromètre,
mai je ne pus pas y tenir, je fus force de le reprendre, et M. Bourrit
fut obligó d'aller se blottir auprès de son pére pour ètre à l'ombre
du sien en móme temps que lui. Cependant ces rayons insuppor-
tables à nos corps, ne faissoient sur la houle du termomètre q'un
effet equivalent à 2 degrés Vs; cet instrument marquoit à Tombre
2,5 et au soleil 4,7. y>
1 O-pera citata, pag. lOB.
2 Saussure, Voynges dans Un Alpes. Tome IV, pag. 437.
xz. — liOjnxmt della luce. La traspiraziùne. Il freddo 327
Che i raggi del sole siano più attivi sulle alte montagne e che
la radiazione termica sia più intensa, è un fatto certo. Ma quanto
più andiamo in alto fa anche tanto più freddo, e Tarla conduce
meno bene il calore.
Nella spedizione al Monte Rosa, ho portato un grande para-
sole per proteggerci dalla luce, quando occorreva di lavorare al-
l'aria aperta. Ce ne servimmo più volte in mezzo alla neve ad
altezze come quelle dove Saussure fece le sue osservazioni, e non
ci capitò mai di essere cosi molestati dalla luce solare come si
crederebbe dalle parole di Saussure. Neppure mio fratello che
lavorava coll'ergografo al sole, ai piedi delle arcate che sosten-
gono la capanna Gnifetti, ebbe mai a lamentarsi di non poter
resistere, e nessuno della mia carovana soffri il caldo mentre il
termometro era così basso. Devo perciò ritenere che Saussure
ed i suoi compagni fossero più sensibili di noi, od avessero già
la pelle infiammata, o che nella località dove essi fecero le loro
osservazioni, fossero delle condizioni speciali che a me non ca-
pitò di trovare.
Saussure dice che il termometro all'ombra segnava 2**,5 e che
al sole, dove non poteva resistere per il caldo soffocante, il ter-
mometro segnava solo 4°,7. A questa osservazione di Saussure
deve però farsi l'obbiezione che il termometro non era annerito,
e che per ciò assorbiva solo una piccola parte della radiazione
solare tanto molesta alla pelle. Infatti è noto che im termometro
pieno di mercurio splendente riflette una grande parte del calore
che viene dal sole e non segna per nulla la quantità di calore
che esso riceve ^
Durante il soggiorno nella Capanna Regina Margherita osser-
vammo spesso l'iridescenza delle nubi. Una sera tenendo le spalle
volte al sole che tramontava, vedemmo nel cielo due grandi aloni,
che formavano due cerchi concentrici completi, colorati come
l'arco baleno. Il cielo dinanzi a noi era leggermente nebbioso.
Un'altra volta che era sereno vedemmo l'ombra del Monte Rosa
proiettarsi nettamente nel cielo. Era il 14 agosto all'ora del tra-
monto, quando cominciò a sollevarsi lentamente un triangolo
^ Per misurare la temperatura dell'aria, adoperai un termometro non anne-
rito tenuto all'ombra e bene riparato da ogni irradiazione. NeUe osservazioni
meteorologiche che ho fatto sul Monte Bosa mi servii di una cassetta di legno
sostenuta da un palo che piantavo in terra. Questa cassetta aperta sopra e sotto
aveva dei fori neUa parete volta al nord. Altre osservazioni le feci mettendo il
termometro entro un cilindro di carta aperto sopra e sotto, oppure girando il
termometro rapidamente come una fionda, tenendolo in mano per un filo lungo
10 20 centimetri legato airocchiello del termometro.
328 FISIOLOGIA DELL^UOMO SULLE ALPI
scuro nel cielo. La base di quest'ombra nera oltrepassava a de-
stra l'ultima parte del Lago Maggiore verso Sesto Calende, a si-
nistra il Lago di Varese. Formava come Timagine conica ed iso-
lata di certe montagne che si vedono nei disegni giapponesi. Dal
vertice del cono partivano due raggi scuri che volgevansi a de-
stra, simili ai raggi che manda il sole quando tramonta dietro
le nubi. L'ombra triangolare del Monte Rosa si sollevò lentamente,
raggiunse il massimo della sua intensità poco prima che tramon-
tasse il sole. L'illusione fu tale che parve in alcuni istanti non
più un'ombra, ma una realtà, e scomparve col sole.
VI.
Quando abbiamo freddo i vasi si contraggono, la pelle e le
parti superficiali del corpo contengono meno sangue. L'apparec-
chio nervoso che regola la circolazione, chiude, per così dire, le
cateratte che vanno alla periferia del corpo, perchè non si raf-
freddi troppo rapidamente il sangue e lo accumula negli organi
più profondi. Questo è utile; ma ogni bel giuoco deve durar
poco. Se il freddo cresce e continua, ne può derivare danno da
questa diminuzione del movimento sanguigno alla periferia del
corpo.
La resistenza al freddo ò difTerentc nelle varie persone. Di
([uesto ci accorgiamo fariluiente, (|uando vi ò un'assemblea nu-
merosa di persone clic rimangono insieme parecchie ore nel me-
desimo anil>ieiitc alla stessa temperatura. Neil' uscire, toccando
la mano a varie persone per salutarle, ò facile accorgersi che la
temperatura delle mani di ciascuno varia moltissimo. In generale
le persone hanno al mattino le mani i)iù fredde dell'ordinario e
solo nel pomeriggio queste cominciano a riscaldarsi.
Ho l'atto delle ricerche insieme ni dottor Colombo, dalle quali
risulta una diiTerenza grande nel modo col quale il sangue cir-
cola nelle mani e nei piedi di dilTerenti individui. In alcuni
per azione del freddo la contrazione dei vasi sanguigni diviene
cosi forte da impedire la cin^olazione del sangue. Di questo ci
accorgiamo facilmente guardando il colore delle mani in varie
persone soggette al medesimo grado dì freddo. In alcune la pelle
prende presto un colore livido. Questo cambiamento di colore e
dovuto a ciò die il sangue circola meno rapidamente nei piccoli
vasi e prende il colore del sangue privo di ossigeno.
San>l)l)c utile poter fare delle ricerche comparative in un grande
numero di alpinisti. Io sono convinto che la fisiologia riuscirà
- L'azinne della luce. La Iraspirazione. Il freddo
UH giorno a stabilii-e con sicmezza quali siano Itì altitudini e la re-
sistenza degli alpinisti alle iiilemperie e alla fatica eccessiva nelle
ascensioni, e a salvare i meno alti, facendo che non si espongano
agli accidenti che mettono in pericolo la loro esistenza. L'anemia
«Ielle mani e del piedi prodotta dalla contrazione dei vasi sotto
r iiilluenza del freddo, é una delle condizioni die precede il loro
congelamento. L'eccesso di difesa diventa nocivo. Il sangue, riti-
ratosi dalla periferìa del corpo per salvare i centri della vita,
lascia in balla alla morte le parli perifericiie del corpo.
Certo, coloro che hanno i vasi meno sensibili all'az.ione del
freddo, persistendo in essi la circolazione del sangue nelle estre-
inilìi. possono con leggiere contrazioni muscolari, mantenere cosi
elevata la temperatura delle dita, che queste resistono all'azione
del gelo. Di questo mi accorsi alla Capanna Regina Margherita,
durante una grande tempesta dove alcuni arrivarono coi piedi e
le mani gelate senza che potessimo attribuire tale fatto alla man- ;
canza di guanti, o a un difetto delle scarpe.
Quando dobbiamo prestare dei soccorsi ad una persona che i
ha i piedi o le mani gelate, la prima cosa che dobbiamo ricor-
darci è di non far male alla persona. Tutti sanno che il riscal-
damento deve essere lentissimo e graduato '.
Un'esperienza del dottor Catiano prova con chiarezza questo
fatto. Coll'evaporazione dell'etere sopra il cranio di un piccione
si può ralTreddare bruscamente il cervello. Se poi si effettua il
ritorno alla temperatura normale, gradatamente, lentamente, col-
l'irapiego di h ad 8 ore, l'animale non dimostra alcun disordine '
e si sveglia a poco a poco. Al contrario se, dopo il raffredda-
mento, si versa acqua tiepida sulla testa del colombo, questo pa-
lesa notevolissimi disturbi nervosi.
Il vecchio rimedio delle guide e dei pastori di fregare colla ]
neve o col ghiaccio le parti congelate è cosi cattivo, che certo é .
meglio non far' niente piutlostoché servirsi di quello. Il dottor Ca-
tiano fece delle esperienze sugli animali congelando loro le gambe
col freddo, e trovò clie sulla parte dove faCeva le fregagioni colla
neve, succedevano poi delle ulcerazioni. Nella neve vi sono dei i
cristalli che scalfiscono la pelle, e queste scalfitture diventano li
principio di una lesione e di un'ulcera.
Scioltosi il gelo, la pelle sarà cosi debole, sarà talmente sog- '
getta ad infìammai-si e a passare in gangrena, che noi dobbiamo i
essere guardingiii a toccarla; la pressione stessa che facciamo \
h
A. Uosio, n freddo. Coiifer.'
Voi. xxvn.
HoBfio. Fitiologia dtlfiiomo stille .
I ni Ctiib Alpino. 23 fobbraio 1B94. 'J
330 FISIOLOGIA DBLL^UOMO 8ULLB ALPI
col massaggio non deve essere troppo forte. Per ciò quando ar-
rivava qualcuno nella Capanna Regina Margherita coi piedi o le
mani gelate, noi gli abbiamo fatto un dolce massaggio colla vasel-
lina, procedendo nella compressione dalla punta delle dita verso
il tronco, toccando la pelle dolcemente, senza comprimere troppo,
e continuando cosi fino a che essa diventasse nuovamente rossa
e calda.
Ancora recentemente il dottor Gurgo, nella sua gita al Monte
Rosa, fece sopra sé medesimo l'esperienza del come bisogni pro-
cedere cauti nelle frizioni ^ egli potò constatare (in seguito ad una
congelazione) che la mano la quale aveva subito meno violenta
frizione, migliorò e guarì più rapidamente che non quella sotto-
posta a frizioni più energiche „ ^
Passato il gelo, i vasi cessando di essere contratti, si paraliz-
zano, e la pelle per una reazione della fatica subita dai vasi, si
tumefà ed arrossa. Per comprendere come il sangue affluisce
alla periferia del corpo in troppo grande quantità, quando la pelle
disgela, rammentiamoci il bollore che abbiamo provato palleg-
giando la neve. Quel rossore, esagerandosi, produce rinfiamma-
zione della pelle ; il formicolio e la tumefazione leggera delle mani
dopo che le abbiamo tenute nella neve ci mostrano come colFe-
sagerarsi di questi fenomeni possano prodursi l'edema, le bolle,
le vesciche e anche Tulcerazione e la distruzione della pelle e dei
muscoli per gangrena. Ad una persona venuta alla Capanna Re-
^Mna Margherita in un giorno di tormenta, gonfiarono talmente
i piedi che per tre i^norni non potè calzare le scarpe e partì zop-
l)icando.
Vi S(^iio delle coMi::elazioiii in seguito alle quali scompare la
sensibilità i>er mesi. La semplice azione intensa del freddo senza
congelazione (co:ne mi (Capitò di vedere nella signora Baccelli, che
venne alla Capanna lie.uina Margherita con suo marito, Tonore-
vole Alfredo Baccelli) produsse una sensazione di formicolio nelle
dita che durò (ine giorni dopo clic era tornata a Gressoney.
Alessandro Sella mi raccontò che una volta gli gelarono le
mani nel fare dei gradini su di un ghiacciaio. C'era un freddo
di — nr e una tormenta così forte che arrivati in cima dovet-
tero buttarsi per terra pei' non essere portati via dal vento. Ad
un certo punto suo padre. Quintino Sella, gli disse dì aiutarlo:
ma egli non potè api'ire le mani colle quali teneva la picca. Durò
ti*e mesi TelTetto del gelo; perdette la sensibilità, ma non il moto.
Suo padre ebbe un pollice gelato e perdette l'unghia.
^ G. Rey. Uìia escursione scolastica al Monte Rosa. Torino, 1897. pag. 20.
- L'orione della luce. La iraspii-aiione. Il freddo
VII.
L'azione del freddo sui vasi sanguigni fu uno dei primi sludi dia
feci nel principio della mia carriera, ma oramai sono tanto vecchi
()uegli esperimenti, clie non è più il caso di ricordarli nemuieno.
Sono convinto però die lo studio del freddo sia ancora sempre
una delle questioni più gravi nella fisiologia dell'uomo sulle Alpi.
L. Hermann fece notare recentemente che il freddo si prova ■
più intenso e molesto quando uno passa da luoghi poco riscal-
dati all'aria libera, che non quando si esce d'inverno da una
stanza ben calda. Dalla legge fisiologica del contrasto si dovrebbe
invece aspettare l'inverso. La ragione di questo latto sta in ciò
elio quando la temperatura del nostro corpo è dimiuuita di al-
quanto per esserci trattenuti a lungo in un luogo fì'eddo, basta
un'ultra dinìiuuzioiie leggera della temperatura per dare origine
al tremito '.
La maggiore molestia die noi provammo fu quella del A'eddo,
e lo soffrimmo più intensamente quando eravamo accampati fra
i a.'WO e i 3000 metri, perchè non potevamo scaldarci colla stufa.
Per consolarmi pensavo spesso all'accampamento di Saussure sul
Colle del Gigante, dove egli nel secolo scorso si era fermalo
sedici giorni all'altezza di 3;)G.5 metri. Ei'a partito da Cliamonix
Iq principio di luglio, e attraversato il gliiacciaio del Tacul pian-
tava le tende ai piedi della montagna del Tacul. Dopo aver de-
scritto i crepacci e i fianclii estremamente ripidi del ghiacciaio
dell'Aiguille Noire arrivò sul colle che scende verso Courmayeur.
Prima che toccasse la sommità, e quando credevasi fuor di [le-
ricolo, senti gridare: "des cordes, des cordes„. Era uno dei por-
tatori, il quale camminava in testa alla carovana portando le ma-
terassa di Saussure, che era scomparso sprofondando in mezzo
al suoi compagni In un crepaccio. Per fortuna cadde su di un
blocco di neve che c'era a circa venti metri nella gola del cre-
paccio e fu salvo.
Nella sua relazione Saussure non si lamenta d'altro che del
freddo, e non c'erano dice egli, né pelliccie, né mantelli che bastas-
sero a proteggerlo; la sera, anche nei giorni di bel tempo, scriveva
le sue note tenendo una pietra riscaldata sotto i piedi. Nelle due
piccole tende, che erano di tela, non si poteva accendere il fuoco,
' L. Ebbha?!!!, Kleine pkyKiologitehe Bertiterkungen und AitregwtgmA Pflflger'ti
B32 FISIOLOGIA dell'uomo sullb alpi
e la capanna era tanto misera e crivellata di fessure che non si
riusciva a scaldarla; il carbone bruciava male, e quando si ave-
vano i piedi caldi, tutto il resto del corpo era ghiacciato dal veuto
che soffiando attraversava le pareti della capanna fatta di pietre
sconnesse.
La figura a pag. 129 rappresenta il nostro accampamento presso
la capanna Linty. Non si vede la tenda a baracca che serviva di la-
boratorio , la quale era più loiìtaiìa e in essa dorpiiva il dottor
Abelli, e mancano pure le tende del personale di servizio.
I soldati avevano raddoppiato con delle coperte di lana la tela
delle loro tende. Queste erano più basse delle nostre, e vi stavano
in sei dentro ciascuna. L' aver il suolo tutto coperto di mate-
rassi, e la tenda foderata di lana, serviva a tener alta la tempe-
ratura. Un mattino ho misurato 14*^ al termometro che stava
appeso nella tenda; la temperatura esterna si manteneva come
al solito sotto zero; generalmente la temperatura nella tenda dei
soldati era 8° a ir.
La sera accendevo due candele nella tenda per leggere o scri-
vere e la temperatura, se non c*era il vento, cresceva da 0** a 7** od 8^
In seguito a tale esperienza si era addottato il metodo di accendere
la lanterna da alpinista nella propria tenda un'ora o due prima di
andare a letto. Nelle nostre tende si stava meno bene pel caldo che
in (|uelle dei soldati, ma Tarla era migliore. Le tende che hanno i
nostri uffldali neir esercito sono troppo permeabili per montagna,
per olle (|uando sotììa il vento non è possibile di procurare sotto
di esse un auiblentc che sia meno freddo delFaria esterna.
Quando salii d'inverno sul Monte Uosa con Alessandro Sella,
avevanìo decise^ di s(^avare nella neve una fossa grande e pro-
fonda, nel caso che fossimo sorpresi dal cattivo tempo: e nel
giorno che ci ferniannno al Colle d'Olen, per esercitarci co-
struimmo una casetta nella neve, che si chiuse con un grande pezzo
di ghiaccio. S era i)iantato un bastone nel mezzo per attaccarvi
il termometro, e due alti-i i>ezzi di legno servivano per api>eiJ-
dere le lanterne e l'iscaldare un po' Tarla. Avevamo preparato
un letto sotltìce di neve, coperto da una tela impermeabile. Il no
stro sogno era di donnire in quella casa di ghiaccio ! Tornati
dalla piramide Vincent ei*avamo tanto stanchi che ci consolammo
pensando che era una esperienza inutile, perchè delle prove simili
le avevnno già fatte i marinai della Jcannelte^, che le ripetono
ogni anno gli Es(iuiinesi, e che Saussure si era } proposto di farla
sul M(ìnte Bianco e (^he anche egli non Taveva fatta.
^ L'cijicdition de la Jeanneiie au poh Nord, Tome I, pag. 177.
XX. — Uazùme della lìice, Txi trcispirazione. Il freddo 333
-
Lascio da parte le ricerche sui rimedi della fatica e special-
mente sulla cocaina, le quali pubblicherò più tardi insieme ad
altri studi sulla circolazione del sangue nei polmoni. Il mio in-
tento fu di illustrare con semplicità e con chiarezza alcuni capitoli
della fisiologia umana, in modo da aiutare gli alpinisti che vo-
gliono conoscere la ragione scientifica delle norme igieniche da
seguirsi nelle ascensioni. Sarei lieto se questo mio scritto potesse
venir consultato con profitto da coloro che desiderando fare delle
osservazioni proprie nello studio dell'uomo sulle Alpi, vogliono
conoscere sommariamente le condizioni attuali della fisiologia
alpina.
Il dottor Desiderio Kuthy fece con me ima serie di ricerche
sulle " modificazioni che subisce il sangue nelle regioni elevate
per eflfetto della diminuita pressione barometrica „ \ e il prof. Piero
Giacosa col suo assistente, il dottor Lorenzo Scofoae, studiò sul-
l'alpe Lavez e nella Capanna Regina Margherita '' il contenuto in
emoglobina del sangue a grandi altezze „ ^.
Sono nel sangue i primi e più diretti mutamenti che modifi-
cano la nutrizione dei centri nervosi per produrre il male di
montagna, ma fino ad ora questa è la parte meno progredita e
la più difficile nello studio dell'uomo sulle Alpi. Degli scritti molto
numerosi su tale argomento parlerò in un prossimo lavoro, pub-
blicando i miei studi sui gas del sangue e sulle analisi dell'aria
respirata a differenti pressioni barometriche.
Sono convinto che l'opera mia sarà utile ad un maggior nu-
mero di lettori, se rendo il volume meno grossa e meno diffìcile,
e però finisco. Le digressioni furono tante, che quasi sento il do-
vere di scusarmi ; ma era necessario di fermarsi nel racconto
della spedizione per schiarire i fenomeni osservati. Giova poco
scoprire nuovi fatti, se non riusciamo a spiegarli. Tale indagine
esercita un fascino irresistibile sugli studiosi della natura ed è
la parte più nobile della scienza.
^ Doti. Dbsddebio Kuthy. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei; 6 set-
tembre 1896.
> P. Giacosa. Rendiconti del R. Istituto Lombardo. Voi. XXX, pag. 410.
-A^ r> r> E isr ID I O I.
IB APi'ENDicE Piuma.
ttnonite sviluppatasi e guarita sulla vetta del Monte Rosa.
I.
Preseuto l' nUima fotografia che Beiio Dizzoisero feco della nn-
a RpedizioDB, oome il ricordo di nn avveuimento felice, quando
lURe a Gres-soney la retroguardia della carovanii. cnmposta del sr,]-
to Ka mei la, convalescente di polmonite, del capitano dott. Vittorio
telli, dei dne caporali Camozzi e Jacbiui, e del soldato Martii.
Mentre eravamo nella capanna Uegiua Mar^'tierita, a 436U metri
alte22!t. ano dei iio.stri compa<nii ai ammalò di polmonite: pubbli-
ido la storia di questo caso raro di una malattia svoltasi e guarita
KotV, Fiiivlagti* dtlViia,,
338 FISIOLOGIA dell'uomo sullb alpi
a così grande altezza, ricordiamo le inqaietadinì e l'ansietÀ di qaei
giorni, sperando che la ristrettezza del luogo, e le di£Beoltà che do-
vemmo saperare ci serviranno di scasa, se qaesto stadio clinico non
è riuscito completo quanto avremmo desiderato.
^ Ramella Pietro, abitante in Oropa \ è un giovane alpigiano del-
l'età di 22 anni, pesa 62 chilogrammi ed è alto metri 1,62. La con-
formazione del suo corpo è regolare. La costituzione sua robusta,
benché abitualmente sia alquanto pallido. Capacità vitale misurata
il 13 luglio 3872 e e. Da ragazzo soffrì male di orecchi e non ricorda
altri fatti degni di nota.
^ Per dare una prova della robustezza del soldato Ramella, ricor-
derò l'esempio di una delle marce che egli fece nel periodo di al-
lenamento, quando ci esercitavamo con delle marce di prova nella
pianura e nelle prealpi. Il giorno 5 luglio 1894 partì da Ivrea alle
ore 17 con alcuni compagni, ed arrivò a Gressoney St. Jean alle
ore 7 aut del giorno successivo. Mi ero recato col pro£ A. Mosso
ad aspettare la comitiva un'ora sotto a Gressoney St. Jean. Quivi
trovammo che il Ramella aveva la temperatura rettale di 37%4, polso dS,
respiro 25 al minuto ; era cioè in condizioni eccellenti e si oontinnò
poco dopo per Gressoney la Trinità, dove si arrivò alle ore 10. Fa
dunque una marcia di circa 12 ore, senza tener conto delle fermate,
con uu dislivello di 1400 metri, portando circa 15 chilogrammi nello
zaino sulle spalle. — Con altre marce eguali fatte nella pianura tra
Montanaro e Torino, ci eravamo assicurati della resistenza alla fa-
tica e della robustezza del Kamella.
^' Mentre noi eravamo da alcune settimane sui ghiacciai del Monte
Rosa, mamiamino ad avvertire il Kamella, perchè ra<j:gi ungesse la
nostra comitiva, trovandosi egli ad Ivrea. Il giorno 10 agosto 1^'i^
Kamella parti alle 7 ant. col treno; giunto a Pont St. Martin si in-
camminò a piedi alle ore 8 ed arrivò siile 17 a Gressoney St. Jean.
Quivi donni e partito con alcuni compagni ed una guida alle ore 6,
arrivò alle 17,.*{i) alla capanna Gnifetti (altezza 3G20 m.) dove dormì
bene. Il giorno successivo che fu il 12 agosto partì alle ore 5,30
<lalla capanna Gnifetti portando, come già aveva fatto il giorno prece-
<lente, \in sacco di pane sulle spalle del peso di circa 20 chilogr. Du-
rante tutto il viaggio sopra il ghiacciaio anche nelle salite più faticose
non diede alcun segno di stanchezza anormale. Anche nell'ultima
parte della salita che è la più ripida e difficile (quantunque tre
^ Questa osservazione fu raccolta dal <lott. Vittorio Abelli capitano medico e
Iiresf'iìtata all'Accademia dei Lincei. Kendiconti seduta 5 luglio 1896. — Nelli
memoria originalo vi sono tre figure di tracciati che per brevità non ho ripro-
dotto in questo sunto.
perwme della nostra coinitiva fossero andate incontro alla piccola
carovana, come si faceva sompre per dare aiuto e portare ristoro con
mi po'ili vino ealdo) il soldato liamella non volle essere aiutato, e
portò il sacco del pane fino alla capanna Margherita. Arrivarono
alle 0,12 ed erano in (juattro. n tempo era sereno ed il vento forte.
La temperatura dell'aria all'ombra — 9'.
" Appena la comitiva entrò nella capanna, ciascuno di noi, eR>:eDdo
in qnattro medici. prcBC una di queste persone in esame per cono-
Hcore i fenomeni della fatica e studiare le modificazioni che presenta
l'organismo appena mio ginnge a quell'altezza. Il giovane Kamella
capitò in osservazione al professore Ugolino Mosso. Dal giornale delle
OBoervaeionì. copio la parte che si riferisce alle prime ore dopo il suo
arrivo nella capanna Regina Margherita.
** Pietro Kamella 6 giunto alle ore 0,12. ni sente bene, non ha
mule di capo, ma è molto stanco. La faccia alquanto cianotica, le
mani assai fredde. Tolt« le scarpe e le calze, trovati i piedi in stato
normale, si avviluppano in una coperta dì lana: e subito Bamella
si corica su di un materasso.
Oro 9,is Polso no Respiro ar. Tumperntiira rettale ST".!»
,. «,2T „ 1"2 „ 90 „ „ ST^OS
, »,4j ^ ilo r 2» , „ 37"
, n.-'iO . 190 ft IHJ „ 26 „ „ 33"
" Accnsa male di capo e tendenza al vomito; essendo molto de-
presso gli amministriamo li} contigrammi di cloridrato di cocaina in
mezzo bicchiere di vino dì Marsala. La cianosi è cresciuta, com-
paiono i brlvidi-
" Nella notte cresce ancora la febbre, e solo nel giorno successivo.
in seguito all'esame dei polmoni, esprimo il dubbio che si tratti di
nna polmonite- Nella tabella messa in fine sono raccolte le osserva-
zioni fatte durante la malattia.
" Il polso nei due primi giorni oscillò fra ll.S e llM) al minuto.
Collo sfigmografo del Marey non ci fu possibile ottenere un trac-
ciato, tanto il polso era debole e filiforme. Avrei potuto tentare di
(tcrivere il polso coll'idrosfigmografo del prof. A. Mosso che avevamo
con noi nella capanna Regina Margherita, ma mi par^e inutile re-
care molestia al malato, perchè eccettnata la grande frequenza e
la debolezza del polso, la funzione del cuore e dei vasi sanguigni
era normale.
" La trregolaritA nella frequenza e nella ampiezza dei movimenti
Fenpiratort era evidente. Mi sono asNicnrato con ripetute osservazioni
che la respirazione in Ramella era più superficiale che in tutti noi.
M terzo giorno di malattia la frequenza del respiro era solo 23 al
340 FISIOLOGIA DELL'UOMO SULLB ALPI
minato. Qaesto dipende dal sovrapporsi di fattori ohe agiscono in
senso inverso, qaali sono la febbre, Taltitadine, il riposo, la lenone
stessa dei polmoni^ e la depressione dei centri nervosi. Ad ogni modo
è interessante per la dottrina del male di montagna che in qaesto
caso fosse meno grande l'ampiezza delle inspirazioni, malgrado la
pressione barometrica di soli 425 mm. e malgrado che per effetto
della polmonite l'area respiratoria fosse più limitata del normale.
^ Un altro fatto degno di menzione è che la respirazione darante
la malattia si mantenne periodica. Tale fenomeno, che era cornane
in tatti noi darante il sonno, si mostrò evidente anche nella veglia
in Bamella, colla differenza che in lai i periodi erano costitaiti da
10 o 12 respirazioni saperficiali, separate da nna o dae inspirazioni
profonde.
^ La frequenza del respiro toccò il sao massimo nel secondo giorno
di malattia, raggiungendo la frequenza di 32 inspirazioni al minato ;
dopo andò successivamente e gradatamente diminuendo fino a 18 re-
spirazioni al minuto. Nella pianura la frequenza media del respiro
era in Bamella solo di 14 al minuto. La frequenza del polso pare
cominciò a decrescere dopo il secondo giorno, scendendo, da 118 che
fu nel giorno 13 agosto, fino a 64, senza raggiungere mai il minimo os-
servato nella pianura dopo il sonno, che fu di 50 pulsazioni al mi-
nuto. Durante tutto il soggiorno nella capanna Begina Margherita
il polso fu piccolo e debole.
" Caratteristico nel decorso di questa polmonite fu il decorso della
temperatura, che anche nell'inizio arrivò solo vicino ai 40' i30 .9.
oscillando nei giorni successivi fra 38'\8 e 38". La pneunionite si
risolse nella settima giornata, e può considerarsi il decorso della feb-
bre darante la medesima quasi come una lunga lisi.
" La guarigione per lisi, abbastanza rara nella polmonite acuta, ac-
cenna ad un decorso anomalo, del quale dobbiamo discutere le cause.
L'ipotesi che questa polmonite sia prodotta dal raffreddamento, nou
mi pare molto probabile ; perchè in tale caso le polmoniti dovreb-
bero essere molto più frequenti tra gli alpinisti, mentre in generale
non lo sono. Anzi per Tesperienza che ho delle Alpi, credo che le
polmoniti siano nelle regioni elevate meno frequenti che nella pianura.
" Sebbene manchi l'esame microscopico degli sputi, secondo o^ì
probabilità si tratta qui di una polmonite fibrinosa acuta. La tos.se
quasi mancanti», le qualità fisiche dello sputo che aveva l'aspetto
tipico, rugginoso, sanguigno, consistente e vischioso — la mancanzit
di altri sintomi caratteristici dei catarri bronchiali — ci fanno am-
mettere che si trattasse veramente di una infezione per il pneumo-
cocco del Fraenkel.
^* Appena diagnosticata la malattia, la prima domanda che ci siamo
Urta potinoniU icUupptUaBi e gnarila tiilla velln del Monle h
fatta fu. se il lasciare il malato a quell'altezza avrelibe aggravato
le aae coiidixioul, o h& invece la depressione atmosferica sarebbe
stata fovorevole al decorso della febbre e della polmonite. Xei due
primi giorni ci spaventammo nel vedere crescere la cianosi e la de-
pressione delle forze. Una terribile burrasca scoppiata in quei giorni
sulle Alpi, no» ci lasciò neppure discutere sulla poasibilitil di uscire
dalla capanna, e tanto meno di portare l'ammulato in basso.
i)88orTaKÌooÌ fatie durante la polmonite del solilato Bamella all'altitiid. di 4.i«i0 m.
OSSERVAZIONI
Forte cefalea, la respirazione è periodica, cioè si
alterna un rerto numero di respirazioni superUcìali,
con una a due ìnspiraiionì profonde.
Bespiro vescicolare da per tutto il polmone, eccetto
che alla base del torace, a destra e posteriormente,
dove è indelerraiiialo. — Non si avverte l'urto della
punta del cuore: area di ottusità cardìaca aumen-
tata — toni non alterati, ma debolissimi, polso pic-
colo, non percettibile alla radiale. Alla base del to-
race a destra e posteriormente odonsi rantoli crepi-
tanti, ipofonesi alla percussione, leggero aumento del
fremilo vocale. Assenza completa di tosse: respiro
periodico, cefalea frontale intensa, cianosi diffusa mar-
catissima. aasopimeoto, lingua leggermente patinosu.
Respiro bronchiale soflìante, alla base destra poste-
riormente: epistassi: continua [a cefalea. Assenea di
tosse. Orina scarsa, densa, scura.
Continua la cefalMi e l'assenza della tosse; bron-
eofonia, rantoli crepitanti, aumentata l'otiusilà sulla
superficie che corrisponde alla sede della polmonite.
Kespirazione periodica, ben nanifestB.
Con rari e deboli conati di tosse panto rumorosa,
si elimina un escreato pneiimonico caratteristico, il
<iuale emana un forte odoro putrido, insopportiibil»
allo stesso ammalato. La cefalea si è fatta più grave.
Si amministra Vi gr. di fenacetina e
caffè forte,
1
1
1
21 —
an-.ù
0.20
ne
32
3S°,<)
9,4.-.
12 —
I6.3(>
17 —
1» —
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102
104
30
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10,80
17,80
S8
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SI —
flS
24
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6 —
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2D
38",a
di.
342
FISIOLOGIA DELI/ UOMO 8ULLB ALPI
Osservazioni fatte durante la polmonite del soldato Ramella nell'altitud. di 45600.
o
Agpsto
15
16
17
18
19
S
o
p^
u
o
O
P4
11 —
16,30
96
21 —
6 —
92
17 —
21 —
8 —
14 —
17 —
95
90
21 —
m
90
HO
(il
23
24
<)')
21
2:J
OSSERVAZIONI
38^1
38°
38",7
38^4
38°,ó
'>•>
19
Calmata di molto la cefalea; il malato prende m
tuorlo d' uovo con vino di Marsala, e dopo due ore
un brodo all'uovo.
Leggera cefalea: il malato è assopito; ha preso
del vino caldo e del marsala.
Nulla notte continuò la cefalea, che era seomparu
stamane: il malato ha preso una tazza di caffè; ac-
cusa senso di molestia nelle orecchie, come se avesse
dell'acqua nei condotti uditivi estemi, i quali però
sono normali. — Escreato sanguigno : che si emette
come sempre, facilmente, al primo sforzo di tosse.
Si nota un erpete labbiale: è scomparsa la cefalea:
il malato ha preso un brodo con uova, vino nero e
marsala. Stette alzato due ore.
Kitoriiò la cefalea per tre ore: il malato ha preso
un brodo e vino nero.
Il malato riposò bene nella notte : non ha cefalea.
Malato tranquillo: ha preso una minestra. Espet-
torato diminuito o più chiaro.
Sono scomparsi quiisi completamente i sin tinnii lo-
cali: ritornata la respirazione vescicolare: cessati i
rantoli cr(^))i tanti : espettorato quasi scomparso: }H)1s(>
tilifornie, si sente male tastandolo sull'arteria radiale,
diminuita la cianosi.
•3"",9 j L'ammalato (lice di sentirsi meglio : dorme tranquillo.
I
•J7",H Ha riposato tutta la notte. Scarsi.ssimo escreato
mucco-purulento.
•^^*\-l Stette alzato 4 ore: ha mangiato: leggiera eia-
I nosi con pallore, polso filiforme e respirazione pe-
riodica.
38",a
37^7
38"
38^1
IH •Mi'\H
In tutta la malattia non si ebbe mai dolore puD-
torio al torace.
Unti potmonìk «viluppntnKi e •iiiniila siiltn retta iteì Montt Rusn 343
" La rapida ilefervescensa della malattia ci fece credere dopo che
la rare&zione dell'aria abbia reso più benigno il ilecorso della pol-
monite. Certo il pneutnococoo ebbe una viralenza minore che esso
noD abbia generalmente nelle infezioni, che succedono nella pianura.
L'essere nt-ato quest^o malato per una settimana in mezzo a noi, nel-
l' ambiente stretto di una capanna male ventilata, senza che nen-
8tmo siagli preso la «uà malattia, prova che i bacilli non dovevano
essere molto virnlenti. È vero però che pochi malati furono curati
eon eguale attenzione : eravamo quattro medici tutto il giorno in-
tenti ad occuparci dì lui e a tenergli alto il morale. Se non fu pos-
Mbile r isolamento e dovemmo abitare e dormire vicino al malato,
vennero messe in pratica tutte le precauzioni possibili, apecialniente
riguardo agli sputi che vennero sempre raccolti in vasi contenenti
nna soluzione di sublimato corrosivo. Ogni cosa che egli toccasse
per mangiare a per bere, era dopo attentamente lavata nel sublimato
corrosivo. Per tutte le altre cose che provenivano dal malato, vi era
Du mezzo di disinfezione ansoluto e come nessuna clinica può ado-
perare. Aprendo una finestra della capanna Margherita verso sud,
vi 8t*i sotto alla profondità di 1500 metri, il ghlaociaio delle Vigne.
1 Ciò che si gettava da quella finestra verso la valle della Sesia, 8oen>
deva a picco ad una distanza vertiginosa,
t' La risoluzione di questa polmonite per lisi può dipendere da ciò
fu meno attiva la virulenza dei germi, ma potrebbe anche darsi
dopo una invasione imponente, la quale ci apparve piena di pe-
lo, la rarefazione dell'aria abbia giovato a diminuire la febbre
e limitare il processo infettivo. „
Nel mio laboratorio il dott. Desiderio Kuthy di Budapest sotto-
pose ad un esame sperimentale alcune domande che sorgono leg-
gendo la storia di questa polmonite, e che il dott. Abelli aveva già
accennate. Pnò darsi ohe i germi della polmonite (pneumococchi di
Fraenkel) siano meno attivi a quell' altezza, e che per tale minore
virulenza dell'infezione il soldato Kamella sia guarito più rapida-
ineate; ma potrebbe anche darsi che l'organismo nostro e degli ani-
mali, sia in quelle altezze piìl resistente alla febbre e alla polmonite.
Le esperienze numerose fatte sui conigli, ai quali sì iniettavano !
germi della polmonite, mentre stavano sotto la campana pneumatica
por parecchi giorni nell'aria rarefatta, corrispondente all'altitudine
344 FISIOLOGIA DELL^COMO 8CLLB ALPI
del Monte Rosa, vennero già pubblicati in esteso^. Trattandosi di
ricerche batteriologiche minate, mi limiterò a riferire i risaltati di
questi studi coi quali venne iniziata una indagine importante nella
patologia alpina
Due cose risultarono, cioè: che i conigli muoiono più facilmente
quando, dopo essere infettati col pneumococco di Fraenkel, stanno in
un ambiente dove la pressione atmosferica corrisponde a quella del
Monte Rosa. La morte più rapida succede malgrado che le nostre
esperienze accennino ad una virulenza minore del pneumococ^.
quando questo si sviluppa nell'aria rarefatta. É molto probabile ^
sere stata V infezione nel soldato Bamella meno intensa per V atte-
nuazione del pneumococco, dovuta alla rarefazione dell'aria; ma il
decorso della polmonite fu più grave in causa alla depressione at-
mosferica, malgrado la mitezza della infezione.
1 Desidehto Kuthy. Azione dell'aria rarefatta sulla virulenza del dipiococct
della jìoìmoìiitc. Rendiconti. R. Accademia dei Lincei, luglio 1896. — ArdiiT»
italiennes de Biologie. Tome XXVI. pag. 11.
Appendice Seconda.
Osservazioni meteorologiche
fatte nella Capanna Regina Margherita,^
L'osservazione diretta delle condizioni meteorologiche a grandi
altezze sol livello del mare, è importante per la conoscenza gene-
rale dell'atmosfera. Ogni alpinista, provveduto di buoni strumenti,
dovrebbe raccogliere dati esatti per metterli in relazione coi dati
degli strumenti registratori quali funzionarono sul Monte Bianco
nell'osservatorio Vallot per circa un mese nell'anno 1887 ^,
Riporterò qui i risultati delle osservazioni da noi fatte durante
il nostro soggiorno alla Capanna Regina Margherita, insieme a quelli
che ottenne Alfonso Sella dal 22 al 26 agosto.
n periodo delle osservazioni va dal giorno 11 al 26 agosto, con
una breve lacuna dal 19 al 21, che sono i giorni in cui noi scen-
demmo dalla Capanna e vi salì il dott. Alfonso Sella. Le osser-
vazioni si facevano di regola ogni tre ore, fra le 6 del mattino e
le 21, adoperando un barometro aneroide di Goldschmidt, per la
pressione atmosferica e un termometro esposto al nord e protetto
dalle radiazioni dirette per la temperatura.
1 n dott. G. B. Bizzo, assistente alFOsserva torio astronomico delPUniversità
4i Torino, mise in ordine le osservazioni meteorologiche che abbiamo raccolto
^ serisse quest'appendice: per tale favore gli esprimo la mia gratitudine.
* J. Vallot, AnnaUs de VObservaUnre mUéaro^^*^ ^ Blane, 1893.
Mosso, Fisiologia delTuomo nUle Alpi. '^
346 FISIOLOGIA dellYomo sulls alpi
Pressione atmosferica.
L'aiieroide era stato beiie riscontrato prima di adoperarlo e se ne
erano determinate direttamente le cottanti, per pressioni non molto di-
verse dalla normale. Rimaneva però il dabbio che per le pressioni co^
pìccole come quelle del Monte Rosa, qneste costanti potessero mutare,
prodacendo un errore strumentale. Perciò se ne fece una nuova deter-
minazione in condizioni prossime a quelle dell'alta montagna. L'os-
servatore si chiuse col barometro aneroide , e con un barometro a
mercurio , sotto la grande campana pneumatica rappresentata dalla
fig. 56, e poi cominciammo a diminuire la pressione, finché l'aneroide
venne a segnare la pressione media indicata al Monte Rosa, osser-
vando contemporaneamente le indicazioni del barometro a mercurio.
È facile comprendere come dal paragone delle misure fatte con questo
barometro insieme con quelle fatte mediante il barometro aneroide,
si determina la correzione graduale che si deve fare ai valori dati
dairaneroide di Goldschmidt.
Nella meteorologia italiana si prende come valor medio della
pressione atmosferica in un giorno , la media dei valori osservati a
9 ore. alle 13 e alle -1, e si può dimostrare che cOvSÌ facendo si ot^
tengono dei valori medi che differiscono solamente di una quantità
inapprezzabile da quelli che si ott4?rrebbero facendo la media dei va-
lori osservati ad ogni ora per tiittii la giornata.
Ma <lalle nostre osservazioni appare evidentemente che il periodo
giornaliero della pressione atmosferica al Monte Rosa, cioè la le<riL'e
colla quale la pressione varia in un giorno a queir altezza, è diffe-
rente da <iuella die regola queste variazioni presso il livello del
mare ; e la pressione giornaliera si può meglio determinare pren-
dendo la inedia delle pressioni osservate a fi** alle 12^ e alle -1^.
I valori corrispondenti a queste ore e le inedie che se ne ottengono
sono raccolti nello specchio seguente.
*(3O8T0
PRESSIONE ATHOS
PEHICAINMM.SrLL
AVETTADELMONT
H0SA(4.-»TOm.)
1894.
Giorno
tìb.
l:ìh.
21 h.
Mediit
li
426,2
42tì,8
427,5
426,83
13
27.3
29,0
30,5
28,90
19
29,0
28,5
27,5
28,33
14
26,2
27,8
30,0
28.00
15
29,0
29,7
29,6
29.40
■ 1«
28.0
27,0
27,6
27.03
■ 1^
26,0
2ó,0
27,0
26.00
■ 18
25,5
25,0
35.0
25.17
W 32
22,0
25,0
26,5
24.60
■ 83
27;8
28.0
29! 1
28.13
S4
29,2
ao.5
31,8
30,.->0
aa
8i;9
31,5
30,5
31,30
86
30,8
30.6
29,6
30,33
Solamente in pocltissinii casi, quando le più gravi occupazioni non
permisero di fare le oaRervazioui all'ora voluta, il corrit^pondente va-
lore è interpolato fra qaelU ottenuti iui mediatameli te prima e dopo.
Nelle condizioiii ordinarie, cioè alle comuni altitudini, la pres-
sione atmosferica raggiunge ti suo massimo valore fra il levar del
Bole e il mezzodì, perchè l'evaporazione mattutina dell' acqua porta
nell'atmosfera una certa qnautiti^ di vapore e la ten.sioue propria
di questo si aggiunge alla pressione dell'aria. Poscia l'aumento della
temperatura alla .superficie terrestre produce nell'aria delle correnti
osioendenti che fanno diminuire la pressione al livello del mare, fino
a tanto clie essa raggiunge un minimo fra le 14 e le 17. In seguito
la pressione va nuovamente crescendo , finché, dopo la mezzanotte,
per la condensazione dei vapori che sì raccolgono sotto forma di ru-
^ada, ritorna a diminuire finn al levar del sole, nella quale ora ri-
oomineia a crescere col medesimo ciclo.
Queste cose sono ben conosciute dai oultori della meteorologia e si
mi ancbe che a grandi altezze sul livello del mare le leggi delle varia-
zioni nella pressione atmosferica devono essere diverse. Quivi l'effetto
della tensione del vapor acqueo che s'aggiunge alla pressione dell'aria,
si fa sentire più tarili, allorché le correnti ascendenti, che al livello
del mare determinano il minimo barometrico del pomeriggio, partano
in alto le masse di vapore. E l' aumento continua ancbe più tardi .
quando alla forte umiditi^ si aggiunge il rafi'red da mento notturno.
Ciò è pienamente confermato dalle nostre osservazioni : infatti
la pressione atmosferica media
Alle ore 6 è <ii mm, 427,r,6
848
FISIOLOGIA DBLL^UOMO 8VLLB ALPI
É anche atile di confrontare i valori della pressione atmosferica
al Monte Bosa coi valori corrispondenti osservati a Torino nei me-
desimi giorni :
Baffronto della pressione atmosferica a Torino (276 m.) e sol Monte Bosa (4560 m.1
PRESSIONE ATMOSFERICA
AGOSTO 1894.
Giorno
TORINO
MONTE ROSA
Differenza
11
734,69
426,83
307,86
12
39,07
28,90
10,17
13
35,99
28,33
07,66
14
34,52
28,00
06,52
15
36,86
29,40
07,46
16
36,45
27,53
08,92
17
34,60
26,00
08,60
18
36,72
25,17
11,55
22
39,82
24,50
15,39
23
42,74
28,13
14,61
24
42,88
30,50
12,38
25
41,02
31,30
09,72
26
40,47
30,33
10,14
H diagramma della fig. 62 dimostra più chiaramente il carattere di
queste variazioni.
Si vede subito che le grandi oscillazioni vanno quasi parallela-
mente nei due luoghi, sebbene al Monte liosa abbiano un'ampiezza
minore ; ed è naturale, perchè a Torino, essendo quasi doppio il va-
lore assoluto della pressione atmosferica, anche tra le variazioni vi
deve essere il medesimo rapporto.
Un' ultima osservazione a proposito della pressione atmosferica.
Questa serve praticamente a determinare la differenza di livello fra
due stazioni, nelle quali si conosca il valore della pressione. Ora la
media pressione barometrica a Torino nel periodo che qui conside-
riamo fu di
mm. 7;JH,I1 all'altezza di metri 27()4 sul livello del mare '
. 4l>H,07 „ „ 4.K-9
La differenza della pressione è dunque di mm. 310,.'^4, per una
variazione di livello di 4l*83 metri, che di\ una diminuzione media di
1 mm. di pressione per ogni 13,8 metri di altezza. Fra due stazioni
più vicine al livello del mare la diminuzione di pressione, col cre-
scere del l'altezza, è più rapida ; infatti nelle ordinarie altitudini la
pressione diminuisce di 1 mm. ogni 10 metri circa. Ciò non deve
^ Altozza del pozzetto del barometro all'Osservatorio di Torino.
OsserveuBumi meteorologiche fatte nella Capanna Begina Margherita 349
^ ^ ^ ^ co co co co co co
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363 OwermuioNt meUonìtogiehe fatte nella Capatuta Begina ìtàrgMerila
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I I I I I I I I I I
le
FISIOLOGIA dell'uovo BULLE ALPI 353
mero di osservazioni fatte a diverse altezze sai livello del mare nella
Svizzera e nelle montagne della Oermania , hanno, trovato che nel
mese di agosto, per ogni 100 metri di altezza la temperatura media
decresce di
0^,67 nella Svizzera del Sud
0^64 nella Svizzera del Nord
0^,66 nelle montagne delPHerz
Carlo BmnO; discnteudo una baona serie di osservazioni fatte a
Mondovì e alla Balma, nelle Alpi marittime, aveva trovato una di-
minuzione di 0%68 nella temperatura media dell'estate per ogni
100 metri.
III.
La burrasca dal 13 al 14 agosto 1894.
Nel chiudere questi brevi cenni sulle condizioni meteorologi-
che osservate al Monte Rosa, devesi fare un cenno della violenta
burrasca alla quale abbiamo assistito nella notte dal 13 al 14
agosto.
n barometro non dava segno di abbassamento notevole, anzi
osculava intomo alla media, quando, nella notte del giorno 13, il
vento cominciò a soffiare impetuoso da nord a sud e durò senza
posa fino al mezzodì del giorno seguente. La violenza del vento fu
grandissima, quale non V avevamo mai provata. Il custode Francioli
nseito dalla Capanna Regina Margherita fu sbattuto a terra dal vento
riportando una contusione al ginocchio. Cessata la burrasca trovammo
che il vento aveva incrostato tutta la capanna e il ballatojo di uno
strato spesso di brina. I cristalli erano lunghi da 12 a 14 centimetri.
Non avevamo mai veduto nulla dì simile sulle Alpi, e Beno Bizze-
zero volle fotografarmi in questa cornice fantastica di ghiaccio scin-
tillante, che ho riprodotto a pag. 235.
Abbiamo cercato da quali condizioni fosse determinata quella bu-
fera. Le carte sinottiche del tempo, che sogliono pubblicare gli
uffici centrali di meteorologia, dimostrano che in Europa fra il giorno
13 e il 14 la pressione atmosferica era distribuita come è indicato
dallo schizzo qui unito della fig. 64.
Una forte depressione si stendeva sulF Inghilterra e sulla Svezia,
mentre la pressione era molto elevata sul golfo di Guascogna e sulla
Mosso, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi. 45
354
FISIOLOGIA DBLL^UOMO SULLB ALPI
penisola Iberica. Ora dai principi fondamentali intomo ai movimenti
dell'atmosfera sì sa che per il nostro emisfero in una depiessioiie,
o come si dice in un ciclone, V aria possiede un moto vorticoso nd
senso opposto a quello delle lancette dell'orologio, mentre in on'aiii
di alta pressione^ o in un anticiclone, si muove nel verso stesso deDe
lancette. E al Monte Eosa» nella notte dal 13 al 14 agosto 18M,
tanto r azione del ciclone brittannico, come quella dell' anticidaie
iberico, si sommavano per imprimere all'aria un movimento da nord
a sud, producendo quel fortissimo vento.
Il giorno appresso il ciclone era quasi rimasto nel medesimo
luogo, mentre l'area di alta pressione si era notevolmente spostici
verso est, quindi l'atmosfera ritornò tranquilla.
Fìg. 64. - Carta della pressione barometrica in Europa durante la borraica
del 14 arrosto 1894.
l
i"
TABELLE
DELLE OSSERVAZIONI FISIOLOGICHE FATTE NELLA SPEDIZIONE
AL MONTE ROSA.
Tabella L
(Vedi pacr. 11).
Baffronto tra i mutamenti che subisce la fìrequenza del polso e del respiro a
Torino (276 m.) e alla Capanna Regina Margherita (4560 m.) per la medesima
fatica soUeyando due manubri di 5 chilogrammi ciascuno sopra la testa col-
r intervallo di quattro secondi.
6
p
b
DATA
Numero
•olleyamenti
POLSO
BSSFIBO
NOME E COGNOME
s
o
1
1
Cifonle Canoni EopBlo
276 m.
Luglio
12
44
74
100
19
20
11
13
48
89
112
22
18
4560 m.
Agosto
16
150
100
186
20
28
Sddito larU SiotiM
276 m.
Luglio
12
62
70
88
20
24
n
13 •
94
74
94
22
22
4560 m.
Agosto
14
185
«2
184
24
24
Soldato Sirtev Aitilo
276 m.
1 Luglio
12
80
64
78
20
17
lì
13
110
68
100
19
14
4560 m.
Agosto
16
148
06
182
16
22
Caponle Jackin f eliee
276 m.
Luglio
12
51
66
78
18
22
fi
13
56
70
72
18
22
4560 m.
Agosto
14
76
68
104
18
24
n
16
181
80
106
20
28
Soldato Ketro Ckarà
276 m.
Luglio
12
82
60
74
21
24
ti
13
121
62
68
20
18
4560 m.
Agosto
13
119
06
128
22
28
Soldato Okorkorer Ginseppo
276 m.
Luglio
12
95
74
82
24
24
fi
13
124
70
86
23
22
4560 m.
Agosto
14
180
82
118
24
28
Tabella IL
(Y«di pAff. 188).
Oapadtà aitale Miionito a Torina (276. m.) e ini Himt» Bom (4560 m.),
I Talari ugaiti Im e. e. toio la madia di 3 uweifBilwri
Iterino
Cta^paBaa
BifflBa MugkwiU
A. Moiso. .
8888
4556
8108
4484
780
Solferino
12S
Marta
5206
5205
4651
4723
555
Sarteur
482
Jachini
4795
4508
287
B. Bizzozero
4200
3653
547
Ohamoìs
3678
3276
402
Oberhoffer
3179
2734
445
Tabella III.
(Tedi ph:- 22£»)
YoliiMO deU'arìa iaspirata in meu^ora a Tari« altiliviiai
ri«n flitte dal ProL UeouKO Mosso nella spediaioat al Maalt K«m ^
DATA
ORA
Sa
ai
I
sii
I. Oressoney la Trinità a 1627 metri.
tini .
»
erìno.
»
arino.
lini .
Brino.
«ur .
lini .
21 vn
21
22
23
24
24
n
n
Ti
9,25
3
3
1,30
3,65
8,702
9,50
6,867
6,93
6,77
9,65
17°
18°
21°
25°
26°
24°
65 em.
IL Accampamento Alpe Indra a 2516 metri.
62 cm.
26 vn
10,45
9,68
16°
26 r,
4,30
6,952
16°
29 „
9,35
8,014
10°
29 „
10,50
6,833
10°
29 ,
2,16
9,437
12°
n
n
in. Accampamento presso la Capanna Linty a 3047 metri.
61 cm.
ani .
erino.
evLT .
uni .
erino.
;eur .
uni
:eur
érìno.
1 vm
2
3
r
n
2,30
3.39
3
8,129
10,122
7,345
15°
13°
12°
n
IV. Capanna Gnifetti a 3620 metri
VUI
7
7
8
2,20
4,20
5,25
7,721
7,732
7,294
10°
6°
7°
48 cm.
n
n
V. Capanna Regina Margherita a 4660 metri.
12 vm
13
16
17
18
18
n
«
n
n
4,28
5,30
4,35
10,25
10,20
1,45
9,214
9,643
6,402
5,061
8,907
8,639
7°
13°
12°
8°
20°
19°
43 cm.
2^.010
20«k£r»
207,98»
177^303
289,633
290,405
208,561
240,421
174,990
283,126
243,898
303,660
220,354
231,649
231,866
218.828
276.427
289,296
192,065
151,8:10
267.220
259,171
aperienze fatte al ritorno in Gressoney la Trinità a 1627 metri.
65 cm.
eur .
lini .
erino.
23 vm
23
23
n
n
10
11,20
15,40
5.374
10.65
6,595
15°
12°
161.229
l«01,97a
197,861
i Tenne mienrata collo stesso contutore» i» nerv^udwii «Itf^Ui^ lM«d««ilM^ \»)Y^W e
^ttaperca che adoperai io. i^nc^sto eit)H»rl«mtt» «i^rvir^^MO |Hi»r 4»t«riMiai^r« U
acido carbonico eliminata in mexit'ore n vurt^ ii1nfMd(M<
Fisioloffia (UWuomo sulle AIih,
4^^
Tabella IV.
(Vedi paer. 261).
Raffronto tra il volume delParia inspirata a Gressoney
e sulla vetta del .Monte Rosa.
Prof. Ugolino Mosso.
localitì.
Gressoney Triiìtà 1627 n.
Capuuia Reg. largh. 4560 id.
DATA
24 vn
i2vm
ORA
10,10
7,40 a.
24^
8^,6
•45 53
aB*H
a 1^ a
P
a
208,29
257,87
4 o
6,94
8,59
12
13
o
a
0,768
0,660
Fre-
quenza
del re-
spiro
per ogni
minato
Volume diaria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspirazione
GRESSONEY TRINITÀ
11
602
482
602
602
506 554
554 554 530 506
530
13
602
482
554
626
530 482
602 564 530 457
630
654
678
13
530
578
578
602
578 602
723 433 578 578
482
678
530
14
506
654
385
506
482 457
409 676 530 433
433
361
554 488
13
482
795
578
506
554 457
554 554 457 433
678
409
467
11
771
650
626
564
650 554
530 482 626 578
530
12
578
433
578
530
771 530
CAPANNA
650 626 650 843
REGINA MARGHERITA
482
606
13
964
795
530
554
650 795
650 482 626 698
578
385
626
13
698
602
433
674
939 698
409 819 602 578
698
602
554
12
554 1325
602
723
867 698
578 867 482 626 1180
843
12
698
674
723
891
361 385
723 771 506 674
771
747
12
747
650
891
578
867 578
723 915 626 626
723
843
12
554
771
578
674
578 1036 1012 433 1012 1036
698 1012
13
626
650
626
771
578 747
939 1060 771 602
819
626
626
13
578
723
867
602
625 891
771 1036 747 626
771
313
602
13
915
698
939 1132
843 578 1012 843 698 795
660
939
674
14
674
723
939
578
723 1060
723 530 433 1132 1084
723
771 530
Tabella V.
(Vedi pag, 261).
Raffronto tra il volume delibarla inspirata a Gressoney e sulla vetta del Monte Rosa.
Beno Bizzozebo.
LOCATJTÀ
DATA
ORA
Temperatura
anibiente
Litri di aria
inspirata
in 30 minati
Litri di aria
inspirata
in 1 minato
Freqaenza
media
del respiro
Valore
inspirazione
media
CressiMj Trutta 16271.
ùfim Reg. largh. 4560 1.
24 VU
12 Vili
9
8.15
20°
5^3
262,69
274,74
8,75
9,16
11
16
0,808
0,611
Fre-
quenza
del re-
spiro
perogrni
minato
10
10
10
10
11
12
11
12
13
11
9
10
10
Volume d'aria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspirazione
GRBSSOtlEY TRINITÀ
723
602
891
747
964
771 1060 1084
723 1180
867
660
843
891
747
843
674
915
939 723
891
796
650
578
819
530
674
626
819 7230
723
723
723
723
482
650
678
602
698 747
723
674
771
819
723
843
723
723
723 771
626
771
723
723
626
650
819
506
771
771 843
626
819
482
843
564
602
361
602
723
433
409 409
361
796
843
698
843
728
771
795
795
771 819
939
795
915
916
988
771
771
867
678
578
660 361
457
564 482
578
747
843
843
915
771
843
843
795 843
674
939
602
723
728
795
819
289
626
578
747
795
891
723
964
891
964
915
674 723
1084
771
843
795
795
674
795
457
698 723
14
771
650
602
16
386
602
482
660
16
626
660
467
606
602
16
660
482
674
771
16
678
606
660
664
664
16
626
602
530
578
506
15
660
654
626
660
GAPAKNA REGINA MARGHERITA
12 agosto 1894, ore 8,15 a. Temp. 5<*,3.
674 602 664 660 747 506 678 506 843 723
630 630 530 578 602 578 578 674 626 606 678
578 678 [723 795 554 530 467 678 660 747 606
602 630 678 482 602 457 723 771 578 723 554
606 678 564 530 554 554 530 482' 530 602 564
654 660 602 602 606 602 698 602 554 564 654
747 386 506 482 698 795 698 386 602 506 626
Tabella VI.
(Vedi pag. 261).
Raffronto tra il volume dell^aria inspirata a Gressoney
e sulla vetta del Monte Rosa.
Caporale Camozzi.
LOCALITÀ
DATA
ORA
Temperatura
ambiente
Litri di aria
inspirata
in 30 minati
Litri di aria
inspirata
in 1 minato
Freqaenza
media
del respiro
Valore
inspirasione
media
GnssoDey Trinità 1627 o.
Capaona Reg. largh. 4S60 n.
23 vn
17 Vili
9,60
11,40
18^
8^
140,960
238,69
4,90
7,96
8
9
0,687
0,883
Fre-
quenza
del re-
spiro
perogrni
minato
•
Volume d'aria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspirasione
GRESSOKBT
TRINITÀ
8
602
939
915
939
964 843 915
723
«
1132 1156
843
939
964 988
7
964 1612
915
843
843 1084 867
6
1156
819
698 1084 1036 1084
7
964
723
964
964
723 723 337
•
7
674
630
843
843
723 1200 602
7
602
660
915
723
723 843 678
7
723
964
843
723
650 7230 643
8
1325
409
482
626
602 698 602
CAPANNA REGINA
602
a
MARGHERITA
10
674
747
819
723
819 771 747
796 867 867
10
891
747
771
988
771 939 939 1036 916 1036
11
891
843
867
795
409 433 530
891 723 964 939
9
578 1036
819
915
1060 482 939 1084 747
8
1060
667
915
843
674 678 602
433
7
795
1084 1205 1397
867 1277 1025
7
1132 1229 1180
915
1277 891 1180
7
1229 1277
915
1132 1277 1108 1205
7
1253 1132 1180 1108 1108 1277 1084
-
Tabella VII.
(Vedi pag. 261).
Raffronto tra il volume delibarla inspirata a Gressoney
e sulla vetta del Monte Rosa.
Soldato Sarteub.
LOCALITÀ
DATA
ORA
Temperatura
ambiente
Litri di aria
inspirata
in 30 minati
Litri di aria
inspirata
in 1 minato
Frequenza
media
del respiro
Valore
inspirazione
media
GressMej Trintà 1627 n.
Ciriitt Reg. largh. 4560 1.
24 Vii
14 Vili
8,50
8,56
18°
168,70
174,84
5,620
5,824
10
10
0,562
0,582
Fre-
quenza
del re-
spiro
perofl^ni
minato
Volume d'aria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspirazione
ORESSONBY TRINITÀ
•
*
8
1205
723 1012
915
891 915 843 1180
8
1229 1180 1108
891
964 1084 1036 843
7
1446 1325 1084
843
964 964 843
8
843
964
843 1084
843 964 964 964
8
843
843
650
795
723 1446 1017 1036
8
1132 1036 1205
747
819 723 626 698
9
650
843
554
650
650 698 771 843 650
9
674
771
795
843
723 602 602 602 650
CAPANNA REGINA MAROHKRTTA
11
482
482
554
482
554 602 650 626 578
530
10
698
482
602
626
602 674 578 626 602
602
11
602
602
602
674
530 723 698 602 554
602 1397
11
795
457
457
385
457 578 506 482 457
530
12
554
457
506
530
482 506 409 409 554
482 409 530
11
554
482
433
626
626 530 482 482 482
433
10
409
433
409
482
626 361 433 385 482
433
11
409
361
361
409
385 385 361 385 361
409 433
Tabella Vili.
(Vedi pafi:. 261).
Raffronto tra il volarne dell'aria inspirata a Torino e sulla vetta del Monte Boss.
Soldato Chamois.
LOCJLLITÀ
DATA
ORA
Temperatura
ambiente
Litri di aria
inspirata
in m minuti
Litri di aria
inspirata
in 1 minuto
Frequenza
media
del respiro
s
tu
a
Tonio 276 1.
bram hpi lirrteriU
45601.
15 vn
15 vm
16 vili
10
8,60
4p.
20^
9V
9**
231,667
265,461
277,762
7,719
8,848
9,115
18 a 19
16
15
0,553
0,617
Fre-
—
quenza
del re-
spiro
Volarne d*arìa
k in e
1. e introdotto
nei polmoni
per ogni
minuto
ad ogni inspirazione
TORINO.
18
433
409
457
480
408
384
384
480
480
480
384
432
504
360
432
409
457
457
19
467
457
433
409
409
480
433
433
409
457
467
384
432
384
482
467
409
433
457
19
433
385
386
385
409
385
433
457
606
482
386
482
482
409
384
409
457
433
590
18
467
385
409
433
482
409
506
385
433
467
409
387
386
409
409
530
409
385
18
409
433
433
457
409
433
433
482
457
457
433
482
482
385
385
409
433
409
CAPANNA REGINA MARGHERITA
arrivato il g^iorno 12 alla capanna
faccio il (giorno 15 le osservazioni sol respiro.
16
650
747
650
723
650
650
674
723
650
674
482
723
723
698
771
674
16
674
723
674
698
626
723
674
674
723
698
698
747
723
771
698
698
16
694
674
723
650
698
723
723
771
674
723
723
674
650
698
674
650
16
670
674
674
600
650
698
530
698
723
650
626
698
698
6£6
674
723
16
771
698
674
626
650
698
674
674
654
626
650
650
578
626
650
554
16
771
698
674
626
650
698
674
674
654
626
650
650
578
626
650
554
17
650
626
030
650
602
602
602
602
578
530
674
578
626
626
660
723
698
CAPANNA REGINA MARGUERITA
nel 4.
" priorno (16 Vili»
di riposo dopo essere arrivato a 4560 metri.
15
433
650
443
530
530
626
554
602
602
650
554
578
626
698
650
15
15
14
723 430 602 626 650 795 578 723 626 674 674 771 723 57b
795
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626 650 626 626 602 650 650 674 602 674 626 626 650 626
Tabella IX.
Raffronto tra fl ToloMe d'aria isspinta a Toriao e solla retta d-^l Maate Bosa.
SoUaso OBsaxoffTZK.
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Tabella X.
(Vedi, pftff. 281).
BAffironto trm il Tolnme dell'aria inspirata a Gresson^
6 sulla Tetta del Monte Bosa.
Soldato Solubiko.
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nenza del respiro nell'alti-
dì 4^i60 metri.
ize le qaali dimostrano che
enza e la profondità dei mo-
respiratori possono dimi-
ni Monte Rosa.
rione della statura nelle
ini per effetto della fa-
Panse del respiro. Estrema
1 del respiro nel soldato Sar-
ró60 metri. Modificazioni nel
l respiro.
nze neir aria compressa.
biologia dàVuomo sulle Alpi.
Contatore per misurare la quan-
tità d'aria inspirata.
TI. Critica delle mio prime osserva-
zioni fatte al collo del Teodulo
nel 1882.
Tir. Respirazione di lusso.
VJJJ. La respirazione periodica è un
fenomeno caratteristico prodotto
dalFaria rarefatta.
IX e X. Paralisi del centro respiratorio.
Tipi morbosi della respirazione
osservati nella Capanna Regina
Margherita.
XI. Osservazioni sopra un cane du-
rante la spedizione al Mont«Eota.
47
370
Indice
Capitolo Quabto.
La circolazione del sangue nell'aria rarefatta*
(Da pa^. 61 a 74).
I. Haller e gli errori degli antichi su-
gli effetti della depressione baro-
metrica.
II. Chauveau. Studi sul polso nella mia
ascensione invernale sul3[onteRosa.
III. Irrequietezza dei vasi sanguigni a
grandi altezze. Peggioramento che
succede nell^organismo quando ci ri-
posiamo dopo una grande fatica.
La pressione del sangue neU^aoMÌ
sul Monte Rosa.
IV. Sfigniomanometro. Mutamenti pe-
riodici nella frequenza e nella fom
delle contrazioni cardiache doTUti li
una alterazione funzionale dei ceitrì
nervosi la quale agisce contempen*
neamente sui movimenti del rapina
V. La frequenza del polso. Le emorragiSi
Capitolo Quihto.
La stancheiia del cuore.
(Da pair* 75 a 93).
I. Prime osservazioni sullo strapazzo
del cuore nelle ascensioni.
IL Dilatazione del cuore prodotta dalla
fatica.
m. La circolazione del sangue nei mu-
scoli è meno abbondante quando si
contraggono.
IV. Mutamenti che succedono nellapres-
sione del sangue durante la con-
trazione dei muscoli. Misura del-
l'aumento di lavoro compiato dil
cuore nelle ascensioni.
V. Osservazioni sul cuore fatte idk
ascensioni al Monte Rosa.
VI. Aumento nella frequenza dd polsi
osservato quando uno si foni
dopo un'ascensione.
Vn. Gli svenimenti prodotti dallafatiea.
Vni .Lei r regolar i tà n ei battiti del polso.
L^ ipertrofia del cuore.
Capitolo Sesto.
Accidenti prodotti dalla fatica eccessiva e dall'esaurimento nervoso.
(Ila pap. m a IH»)-
I. La fatica e la stanchezza. Le con-
flai;:razi«>ni nel cervello.
II. Le emozioni e il lavoro intellettuale.
III. La fatica nervosa.
IV. Esaltamento prodotto dalla fatica
nello ascensi orni.
V. Effetti paralizzanti delle emozioni.
VI. La depressione nervosa, e l'in-
differenza come causa di ca-
tastrofi alpine.
VII. Diminuzione della sensibilità.
Vili. L'eccitabilità esagerata,
IX e X. La morte dei fratelli Zoja, re-
lazione del dottor De Filippi-
TAriTOLo Settimo.
Le ascensioni. I nostri accampamenti. La Capanna Ouifetti
e la Capanna Regina Margherita*
I. Mutamenti del polso, del respiro e
della temperatura del corpo nelle
ascensioni.
IL Esperienze di velocità.
III. Misura dell* aria respirata nelle
ascensioni.
IV. Sui varii modi di respirare nelle
ascensioni.
V. I periodi di riposo nelle marcie.
VI. Mutamenti di elasticità nei
muscoli per effetto deUa fa-
tica. Dolori muscolari. Bela-
zione del professor ForlaninL
VII. Descrizione dei nostri accam-
pamenti.
Vili e IX. Le due Capanne Gnifetti e
la Capanna Regina Marghe-
rita.
Indice
371
Capitolo Ottavo.
La nntrizione ed il digiuno.
(Da pag. 139 a 152;.
[. Le prime esperienze chimiche fatte
nelle ascensioni.
[. 11 digiuno.
L Sua influenza sulla forza musco-
lare. Le dififerenze individuali.
T. Fisiologia dello stomaco. Azione
dello stomaco sulla circolazione del
sangue.
V. Disturbi nel sistema digerente pro-
dotti dalla fatica.
VI. Regime ed alimentazione sulle
Alpi.
Capitolo Nono.
La temperatura del corpo neUe ascensioui.
(Da pag. lo^ a pag. 161).
Origine del calore animale. Influenza
deir allenamento sulla temperatura
interna.
n. Esperienze sullo sviluppo di calore
nelle ascensioni. Il caporale Jachini
come tipo della forza.
Capitolo Decimo.
Le differenie individuali.
(Da pag. 162 a 174).
I. La vita delPuomo nelle regioni più
elevate del globo.
IL Stadi fatti sulla guida Mattia Zur-
briggen.
X Paragone fra gli effetti delle ascen-
sioni aereostaticbe e il mal di mon-
tagna. Gastone Tissandier.
IV. Osservazioni dell'ingegnere David-
son nella California.
y. Esempi della resistenza minima alla
depressione barometrica.
IV. Acclimameuto rapido alla mon-
tagna.
Capitolo Undicesimo.
Allenamento. Capacità vitale. Alpinismo.
(Da pag. 175 a lifJ).
I. Studi sulPallenamento.
I. Analisi dei suoi fattori. Osserva-
zioni di Conway.
L Azione deir allenamento sul siste-
ma nervoso.
7. Studi sulla capacità vitale fatti
sul Monte Bosa.
V. Osservazioni sulla capacità vitale
degli alpinisti.
VI. L'avvenire dell'alpinismo. Gli ac-
campamenti sulle Alpi.
VII. L'educazione fisica. Paragone del-
l'alpinismo col ciclismo.
Capitolo Dodicesimo.
Le cause del male di montagna.
(Da pag. m^ a 200).
Osservazioni di Saussure.
Alessandro Humboldt. Tschudi.
ni. Spedizione di Kronecher al Broi-
thorn.
IV. Conway e Roy.
Capitolo Thedicbsimo.
Una spedizione al Monte Bianco nel 1891.
(Da pag. 2«:»1 a 210).
L Osservazioni fatte dal dottor Egli-
Sinclair e dal dott. Guglielminetti.
Azione deprimente del freddo.
L Stadi sul sangue. Le inalazioni di
ossigeno contro il male di mon-
tagna.
III. La catastrofe nella quale perirono
sepolti da una valanga il sig. Rothe
e la guida Simond.
IV. La morte del dott. Jacottet sul
Monte Bianco in seguito ad una
polmonite.
372
Indice
Capitolo Quattordicbsimo.
Osservazioni sul male di montagpna.
(Da pag.211 a 223).
I. Esempi raccolti sul Monte Rosa.
II. Analisi dei fenomeni che si produ-
cono nel malo di montagna. In-
fluenza delle burrasche.
IIL Azione della fatica. Emorragie.
IV. Il male di montagna dà maggiore
molestia nel riposo della notte.
V. Osservazioni sul polso e la circo-
lazione sanguigna.
VI. Influenza delle emozioni.
VII. La cianosi.
Capitolo Quindicesimo.
L'attività chimica della respirazione sulle Alpi.
(Da pag. 2*24 a pag. 234;.
I. La combustione sulle Alpi.
IL Le prime osservazioni fatte nel se-
colo scorso da Laghi e Cigna sul~
r asfissia e sulla respirazione nel-
l'aria rarefatta.
ni. Esperienze di mio fratello sulla
quantità di acido carbonico elimi-
nato a dififerenti altitudini dai sol-
dati della nostra spedizione.
IV. Riepilogo delle analisi delParia espi-
rata fatte da mio fratello.
V. Studi di Zuntz e di Loewy fatti
sul Monte Rosa.
Capitolo Sedicesimo.
iVualisi dell' asilssia e del male di montagna.
(Da pag. 235 a 262).
I. Paolo Bert. Fraenkel e Geppert.
II. Esperienze fatte sul Monte Rosa
colia sospensione del respiro.
in. Diiferenze individuali nella resi-
stenza all'asfissia in rapporto colla
capacità vitale, il peso del corpo e
la statura.
IV. Esperienze sulle anatre.
V. Apnea. Localizzazione del male di
montagna nel midollo allungato.
VI. Riepilogo delle osservazioni fatte
su cinque soldati per stabilire il
rapporto tra la frequenza del polso,
del respiro e la temperatura del-
Torganismo a varie altitudini sul
3Ionte Rosa.
VII. Differenze tra l'asfissia e il male
di montagna. Nuova dottrina del
malo di montagna.
Vili. Adattamento del cuore nel sog-
giorno a grandi altezze.
IX. Nelle ascensioni il volume dell'aria
inspirata non cresce in modo pro-
porzionale alla rarefazione del-
l'aria.
Capitolo Diciassettesimo.
Aziono dell'aria di montagna sul sistema nervoso. Il male di capo. Il Tento.
(Da pag. 2615 a 278).
I. Azione dell'aria rarefatta sugli ani-
mali inferiori, e sulla fosforescenza.
II. Studi fatti dal dott. Werner Rosen-
thal sulle rane noU'aria rarefatta.
III. Come la stanchezza possa produrre
il mule di montagna.
IV. Azione delle tenebre.
V. Il male di capo.
VI. La deglutizione meno fa-
cile. L'attività del cerveUo
a grandi altezze.
VII. Osservazioni sui mutamenti
nella frequenza dei battiti
cardiaci fatte sul Monte Rosa.
Vili e IX. Azione del vento sul respiro e
sul raifreddamento del corpo.
Indice
373
Capitolo Diciottesimo.
Cireolaiione del sangue nel cervello dell'uomo.
(Da pag. 279 a 297).
I. Metodi ed apparecchi adoperati
in queste ricerche.
II e m. Ascensioni artificiali.
IV. Osservazioni fatte sulla circo-
lazione sanguina del cervello
di Lasagne Cesare nell^aria ra-
refatta.
V. Esperienze sui cani fatte con fol-
tissime depressioni, e con aria ar-
tificiale.
VI. Favre Emanuele. Circolazione san-
guigna del cervello nell'aria arti-
ficiale che conteneva solo la metà
di ossigeno.
Capitolo Diciannovesimo.
Il sonno nelle ascensioni. Esperienze snlle sclniniie e sulle marmotte.
(Da papf. 298 a Slfi).
I. Prime osservazioni dei fisio-
logi intorno al sonno nello
ascensioni.
II. Tyndall. Proposta di una mo-
dificazione al regolamento
delle guide per il combusti-
bile necessario nelle ascen-
sioni.
III. L';Eizione del freddo e i bi-
vacchi.
IV a VI. Osservazioni sulle scimmie,
che mostrano in quali centri
nervosi prende origine il male
di montagna.
VII. I narcotici agiscono con mag-
giore intensità nelP aria rare-
fatta.
Vili. Perchè il male di montagna è
più grave nel sonno.
IX e X. Osservazioni sulle marmotte.
Capitolo Ventesimo.
L' azione della luce. La traspirazione. Il freddo,
(Da pag. 317 a X^H).
L Differenza della luce sulle Alpi.
Azione dei raggi violetti sulla pelle.
II. Malattie degli occhi.
III. La perspirazione e il peso del corpo.
IV. Diminuzione del poso nelle grandi
fatiche.
V. Temperatura dell'aria sulle Alpi.
VI. Differenze personali nella resisten-
za al freddo. La congelazione e il
modo di curarla.
VII. 11 freddo sotto le tende. Le case di
neve.
Appendici.
I.
Una polmonite sviluppatasi e guarita sulla vetta del Xontc Kosa.
(Da pag. 337 a M?^).
Storia clinica del soldato Ramella scritta
dal dottor Abelli. Ricerche del dottor
D. Kuthy per stabilire la virulenza dei
germi infettanti nell'aria r<irefatta, e la
resistenza degli animali alle infezioni
nelle altitudini elevate.
II.
Osservazioni meteorologiche fatte nella Capanna Uegina Margherita.
(Da pnp. 'Mb a 'M^\).
I. Pressione atmosferica.
IL Temperatura.
III. La burrasca dal 13 al M ago-
sto 18J>4.
Tabella VI.
(Tedi pac. 261).
Baffironto tra il Tolame dell'aria inspirata a GreaBoaej
e fttlla Tetta del Monte Boia.
Clorate Cuiozzi.
LOCAUTA
DATA
ORA
Temperatura
ambiente
Litri di aria
inspirata
in 3U minuti
Litri di aria
inepirata
in 1 minuto
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quenza
del re-
spiro
per ogni
minuto
Volarne d'aria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspiraaione
GRESSOHET TRIMTA
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H
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915
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7
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723 12<X)
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602 650
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723 964
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CAPAHN'A BEGINA MARGHERITA
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939 939 1036
915
1036
11
891 843 867
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433 530 891
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482 939 1084
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1060 667 915
843
674
578 602 433
7
795 1084 1205
1397
867
1277 1025
7
1132 1229 1180
915
1277
891 1180
*»
1
1229 1277 915
1132
1277
IIW 1205
7
1253 1132 1180
1108
1108
1277 1084
939
Tabella VII.
(Tedi
Baffironto tra il Tolimie dell'am ùspinU m
e salla Tetta del Moate Boa
Soldato SAKnETK.
LOCALITÀ
DATA
ORA
Temperatura
ambiente
3-5
Litri di aria
inspirata
in 1 minuto
uì
lls
l'i
Valore
intpiraxione
media
KT TriÉà 1S27 1.
tl«. Iiigk. fin 1.
24 VU
14 Vili
8,50
8,56
18«
8«
168,70
174,84
5,620
5,824
10
10
0,562
0,582
»-
za
•e-
ni
fco
Volarne d'aria in ce. introdotto nei polmoni
ad ogni inspirazione
OBESSONBT TRINITÀ
1205 723 1012
915
891 915 843 1180
1229 1180 1108
891
964 1084 1036 843
1446 1325 1084
843
964 964 843
843 964 843 1084
843 964 964 964
843 843 650
795
723 1446 1017 1036
1132 1036 1205
747
819 723 626 698
650 843 554
650
650 698 771 843
650
674 771 795
843
723 602 602 602
650
482 482
698 482
602 602
795 457
554 457
554 482
409 433
409 361
554 482
602 626
602 674
457 385
506 530
433 626
409 482
361 409
CAPANNA REGINA MARGHERITA
554 602 650 626 578 530
602 674 578 626 602 <J()2
530 723 698 602 554 602 IM»»7
457 578 506 482 457 5ÌI0
482 506 409 409 554 'iH'J 4(M» MÌO
626 530 482 4H2 4H2 4i)!t
626 361 433 385 4M!J UVA
385 385 361 3K5 361 Wl 4<i;t
\ '
LANE MEDICAL LIBRARY
300 Pasteur Drive
Palo Alto, California 94304
Ignorance of Librar/s niles does not exetnpt
violators from penalties.
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300 r-tóltUR