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Full text of "Giornale Arcadico di Scienze / Lettere ed Arti"

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GIORNALE 

ARCADICO 

DI  SCIENZE  ,  LETTERE ,   ED  ARTI 

TOMO  IX. 

GENNARO  5  FEBBRARO5  E    MARZO 

MDCGCXXI. 


ROMA 

KELLA    STAMPERIA    DEL   GIORNALI 
PRESSO     PAOLO    SALVIUCCI     E    FIGLIO 

Con  licenza  de  Superiori. 


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■  COMPILATORI 

DEL  GIORNALE  ARCADICO  .  (*) 


AMATI  ab.  Girolamo  ,  scrittor  i^reco  alla  vati- 
cana , 

BIONDI  caKK  Luigi  . 

BORGHESI  Bartolomeo  . 

CARPI  Pietro  ,  professore  aggiunto  di  chimica 
e  mineralogia  nelt  archiginnasio  romano  . 

DE  CROLLIS  Domenico. 

FOLCHI  Giacomo  ,  professore  aggiunto  di  me^ 
dicina  nelf  archiginnasio  romano . 

MARTORELLI    conte  Luigi. 

DEL  MEDICO  Giuseppe  ,  professore  d  anatomia 
neir  insigne  accademia  di    s.  Luca  . 

PERTICARI  conte   Giulio  . 

RUGA  avv.  Pietro  ,  professore  di  diritto  civile 
nelf  archiginnasio  romano  . 

TAMBRONI  cav.  Giuseppe  . 

Pietro  de'  Principi  ODESGALGHI  ,  Direttore. 


(*)  Il  catalogo  de' signori  collaboratori  si  darà  nel  tomo  avvenire. 


IL  DIRETTORE 

A'  DI  S  GRE  T  I    LETTORI 


c 


ompiuto  il  secondo  àniio  de'  nostri  lavori,  ci  fa- 
remo a  dare  uno  sguardo  a' tre  fonti  da' quali  ri- 
ceve alimento  questo  giornale,  onde  vedere  se  al- 
cuno possa  imputarci  d  aver  mancato  a  quanto  per 
noi  si  era  promesso.  Abbìaraio  offerto  nel!' anno  scor- 
so a'  nostri  associati  sessantatrè  articoli  di  scienze , 
settantadue  di  lettere,    venticinque  di    belle  arti. 

Nella  parte  delle  scienze,  oltre  a  molti  estratti 
critici  di  opere  gravissime ,  abbiamo  ancìie  dato 
alcune  memorie  originali,  delle  quali  ci  piace  lare 
menzione.  Il  Bellenghi  ne  ha  favorita  una  intorno 
al  modo  di  tinger  la  lana  in  colore  scarlatto.  Il 
Marperger  Asters  ne  ha  data  un'  altra  intorno  la 
guarigione  d'  un  fanciullo  rachitico  ottenuta  coft 
mezzi  meccanici  e  farmaceutici  .  li  Poggioli  ha 
illustrate  le  tavole  fitosofi che  del  principe  Federi- 
co Cesi.  Si  è  parlato  intorno  ad  un  nuovo  baro- 
metro del  marchese  Origo.  Il  cavalier  Tambroni  ha 
scritto  fra  noi  sulle  capre  di  Kachemire  .  Il  dottor 
Tonelli  sulla  digitale  purpurea,  e  sull'  uso  del  rus 
radicans.  Finalmente  il  professor  Morichiui  ci  è 
slato  cortese  di  due  memorie;  nella  prima  delie 
iqnali  ha  trattato  di  varii  argomenti  di  fisica , 
chimica,  e  storia  naturale;  e  nella  seconda  del  gas 
iaJiamnitiLile    del    Tevere. 

Come  abbiamo  date  originali  operette  nella 
parie  drlle  scienze,  così  ne  abbiamo  ancor  date  uel- 
ia  par{c  delle    Ltl.ere.    L'  Amati  ha  in»/        MhI^  •f.'' 


)    IV    ( 

antica  iscrizioue  greca  pesarese,  eà  un  prezioso 
amuleto  greco.  Il  Biondi  ha  illustrato  un  verso  del 
Tasso,  e  ha  dato  la  spiegazione  d'  un'antica  lapi-^ 
da  rinvenuta  helle  maremine  sanesi.  Il  Cardinali 
ha  scritto  di  una  lapida  veliterna;  e  finalmente  da 
un  uomo  di  molte  lettere  abbiamo  avuto  il  dotto 
ragionamento  sali'  architettura  del  tempio  di  Ro- 
ma. Aggiungi  à  questi  tutti  gli  articoli  datici  da 
monsignor  Mai  ,  dal  conte  Perticar!,  e  dal  profes- 
sor Ruga, e  quelli  altresì  del  Borghesi  sull  Eusebio,  e 
suir  ara  d'  Edimburgo,  i  quali  sono  tali  per  merito 
di  buona  critica  da  essere  riputati  pii!i  altamente 
che   semplici  estratti   d'  opere  ^ 

Nella  parte  delle  belle  arti  6i  4  dato  Conto  di 
tutti  quasi  i  lavori  ,  che  sono  stati  condotti  a  fine 
da'  migliori  artefici  che  stanno  in  Roma  ,  Fra' 
pittori  di  storia  abbiam  parlato  e  del  Wicar,  e 
Grassi,  e  dell'  Agricola,  e  del  Pozzi,  e  del  Ripen- 
liausen,  e  del  Pellegrini;  fra  que'  di  paesaggi  ab- 
biamo scritto  e  del  Rebel,  e  del  Catel,  e  del  Bas- 
si; né  si  è  taciuto  de'  quadri  di  prospettiva  del 
Roberti,  e  di  quelli,  eh'  ora  si  vogliono  chiamare 
di  genere  dipinti  dal  Bombelli-  Finalmente  abbiam 
dato  lode  alle  incisioni  del  Longhi,  ed  al  Teseo  del 
divino  Canova. 

E  siccome  il  giornale  arcadico  unisce  alle 
scienze,  alle  lettere,  allearti  anche  la  pubblicazione 
delle  cose  inedite  de'  nostri  antichi  e  valenti ,  ecco 
perciò  quelle  dello  scorso  anno  *  Alcune  lettere 
del  Guarini  ,  e  qualche  maggio  della  traduzio- 
ne di  Omero  del  cardinal  Litta  date  da  noi  me- 
desimi .  I  dialoghi  del  Gravina  pubblicati  dal 
cavalier  Biondi .  11  Betti  ha  posto  in  luce  e  un  so- 
netto .  del  Tiisso ,  e  alcuni  tratti  della  Fiorila  d' 
Armanino  ,  e  le   rime  d'  Andrea   da  Vogliarana ,    e 


)v    ( 

linaìmcnte  le  notizie  aneddotte  sopra  il  sepolcro  di 
Giulio  II.  fatto  dal   Buonarroti  . 

ideila  parte  lapidaria  ,  alla  quale  si  pregierà, 
sempre  dar  luogo  questo  giornale,  abbiamo  offerto 
oltr.^  alle  antiche  lapidi  che  ci  hanno  date  e  l'A- 
mati ,  e  il  Borghesi ,  e  il  Tambroni,  e  il  Biondi, 
e  il  Nardi  ,  e  il  Cardinali:  ancara  quelle  inedite 
del  Morcelli,  del  Labus,  del  Zannoni,  del  Cancel-^ 
lieri  ,   del  Betti  ,  del    Ferruzzi ,  e  del  Borda  . 

Sono  stati  questi  i  principali  nostri  lavori  ^ 
e  ce  ne  riputiamo:  ben  sapendo  che  i  letterati  ita- 
liaui  ce  ne  sanno  buon  grado  ,  e  ci  onorano  del- 
le loro  benevolenza  .  Se  anche  in  questo  terz'  an- 
no meriteremo  co'  nostri  lavori  il  voto  di  coloro 
che  sanno  ,  avremo  ottenuto  il  solo  premio  ,  al 
quale  aspiriamo  ,  e  soddisfatto  così  a  quel!'  unico, 
fine  che  ci  siamo  proposti  ,  di  mostrare  cioè  a 
tutti  che  Roma  non  dee  al  certo  tenersi  1'  ultima 
fra  le  città  italiche,  dov'è  in  pregio  l'umano  sapere. 


Pietro  Odescalchi 


SCIENZE 


Dissertazione  stòrico- critico-legale  del  co.  Leopoldo 
Armar  oli.,  sulla  questione — .S'è  il  cittadino  intjuisi- 
to  j  o  accusato  di  un  delitto^  abbia  dritto  di  es- 
ser dichiarato  innocente  quando  dagli  atti  non  ri" 
sullino  ne  prove ,  ne  indizj  ,  che  lo  abbia  com-' 
messo  S.   4°  f—  Macerata  1820. 

JLja  giuiisprudenza  romana  non  conobbe  nella  mae- 
stà delle  sue  criminali  instituzioni  né  X  ambiguo 
calcolo  della  prova  semipiena  ,  ne  T  assoluzione  ab 
instaniia  ,  né  le  speciose  lormole  del  non  tro~ 
voto  colpevole  ,  del  trovato  non  colpevole  .  Os- 
servò già  il  mio  eh.  institutore  avvocato  Renazzi  , 
che  :  lìoninnis  legibus  ,  nioribusque  ,  nisi  aìnplian- 
die  causce  judex  locum  esse  extimaret ,  quod  si- 
bi  nondum  res  liqueret ,  vel  absolvere ,  vel  condem- 
nare  reuin  omnino  debebat.  Absolutio  autem  ficbat 
a  crimine  ita^  ut  qui  absolutus  esset  numquam  p os- 
sei amplius  prò  ilio  molesiiam  aliquam  pati^  aut  rur- 
sus  in  judiciwn  vocari  («).Ma  sotto  le  rovine  deiriai- 
peio  restò  sommerso  1  edificio  della  latina  sapienza. 
Dalle  spesse  invasioni  de'  barbari  degenerarono  le  no- 
stie  razze  ,  e  tatti  furon  crudeli  i  nostri  cosiumi; 
la  potenza  feudale  ,  imponendo  silenzio  alla  lagione 
invilita  ,  fece  succedere  all'  antico  splendore  dei  no- 
stro   orizzonte    una    spessa    notte   d'ignoranza.   JN^e 


(«y  Eleinen.  jur.  ci  Un.  ab.  o.  cap.   17.  §.  4-  nunv.  2. 

G.A.T.IX.  i 


a  Scienze 

risentì  i  tristi  effetti  V  obbliata  giurisprudenza  ro- 
mana ,  e  singolarmente  quella  parte  nobilissima  ,  che 
ne  criminali  giudizj  determinava  la  solennità  delle 
forme  ,  e  la  misura  delle  pene  .  Ne'  secoli  di  mez- 
zo la  vita  ,  la  libertà  ,  la  estimazione  de'  cittadi- 
ni più  non  aveva  un  palladio  di  sicurezza  contro 
gli  attacchi  della  prevalente  ferocia  delle  inumane 
consuetudini.  Col  risorgimento  delle  scienze  ,  e  del- 
le lettere,  e  specialmente  colle  italiane  scuole  di 
dritto  Giustinianeo,  si  resero  a  poco  a  poco  più  man» 
sucti  i  nostri  costumi ,  e  meno  indegne  del  clima 
nostro  dolcissimo  le  forme  de'  giudizj  criminali  • 
Mollo  ancora  però  vi  restava  per  ischiantare  dalle 
tenaci  radici  la  ferocità  dell'  invecchiala  osservan- 
za .  Mercè  lo  splendore  ,  che  a  poco  a  poco  ditluse 
la  filosofia  ,  fu  dall'  umanità  e  sapienza  de'  prin- 
cipi ricondotto  il  dritto  criminale  al  rango  delle 
scienze  politico  -  economiche .  Anche  fra  noi  con 
benefica  sovrana  disposizione  veggiamo  abolito  fuso 
crudele  della  tortura.  Pur  tuttavia  il  signor  conte 
avvocato  Armaroli ,  alle  opportunità  di  una  causa 
con  felicissimo  esito  difesa ,  ha  dovuto  lottare  con 
qualche  residuo  delle  instituzioni  ne'  bassi  tempi  in- 
trodotte .  Questo  giureconsulto  filosolo  ,  che  con 
laudevole  ,  e  non  frequente  esempio  ,  professa  ju- 
rispruilentiam  mmime  qucestuariain  ,  accorse  vo- 
lenteroso a  sostener  X  innocenza  d'  un  accusato  da 
quel  campestre  silenzio  ,  ove  lungi  dallo  sliepito 
del  gran  mondo  coltiva  quetamente  lo  studio  delle 
più  gravi  discipline  .  Colla  dissertazione,  di  cui  vo- 
gliam  dare  un  saggio,  accompagnò  la  dotta  difesa, 
eh'  è  pure  alle  stampe,  e  pnse  francamente  a  com- 
battere 1'  uso  del  foro  criminale  intorno  la  distin- 
zione fra  r  assolutoria  a  crimine  e  1'  assolutoria  ab 
%nstantia  .  Sostiene  che   abbia  a  risolversi  per  la/- 


GlUniSPRUDENZA  3 

fermatìva  la  questione  ,  che  mette  in  fronte  dell' 
erudito  e  profondo  suo  lavoro  :  ed  assai  interes- 
sante ne  sembra  il  soggetto.  L'  onore  de  cittadini 
è  quel  terso  cristallo  ,  cui  appanna  ogni  fiato  leg- 
giero :  consiste  in  quello  la  vita  civile,  altrettanto 
preziosa  che  1'  esistenza  ,  e  si  appartiene  alle  leg- 
gi di  natura  e  di  società  vitamqiLe  famamque  tueri 
incolumem  .  Si  riduce  pertanto  il  quesito  ad  esami- 
nare se  lestimazione  d'un  cittadino  abbia  ad  essere  il 
bersaglio  dell'  imprudenza  ,  o  della  malizia  d'  un  de- 
latore per  modo,  che  T accusato,  posto  che  abbia 
una  volta  il  piede  nelle  soglie  sacre  di  Temide  , soffra 
lo  scapilo  della  propria  fama  rimanendosi  in  socie- 
tà né  condannato,  nò  assoluto  dall'imputazione,  seb- 
bene scevra  d'  appoggio,  come  se  sulla  porta  vi  fos- 
se scritta,  per  ciò  che  riguarda  la  pubblica  stima  ,  la 
fatarle  sentenza  delf  Alighieri  :  uscite  di  speranza  , 
o  voi  che  entrate  ;  o  in  altri  termini  ,  se  abbia  ad 
offuscarsi  per  sempre  la  fama  d'un  cittadino  sulF 
asserzione  sconsigliata  d'  un  accusatore,  quante  vol- 
te r  accusato,  assistito  dalla  legale  presunzione  di 
probità  e  dì  onoratezza  ,  non  si  carichi  della  pro- 
va   positiva    di  sua  intaccata  innocenza. 

Incomincia  il  eh.  A.  dal  rilevare  il  contra- 
sto di  questo  sistema  colle  norme  fondamentali  di 
dritto ,  che  alf  attore  ,  e  specialmente  all'  accusa- 
tore ,  ingiungono  il  peso  di  giustificare  1'  assunto 
apertissiinis  documenlis ,  induhitatis  ,  et  luce  clario- 
rihus.  Leg.  ult.  Cod.  de  probat.  ;  e  1'  opposizione 
diretta  di  tal  consuetudine  col  naturale  teorema  , 
che  giammai  1'  attore  :  reum  necessitate  mostrandi 
contrarium  non  adstringit  ,  leg,  2  3.  Cod.  de  pro- 
bat. ;  e  colle  umane  disposizioni  de'  sacri  canoni, 
fra' quali  giovi  il  ricordare  l'autorevole  pistola  di 
di   i>.    Gregorio   a  Massimo    (  Caus.    6.  qua'st.  5. 

2* 


q  S   e   1   E  K   E   E 

cnp.  I-  )  ,  in  cui  ligetlnncio  T  assurtlltà  si  un- 
cuaììt  ratio  ei^  qui  accusatui\  necessiidlem  proba- 
tionis  impoìieret  ,  conchiude  saggiamente  :  non  tibi  , 
sed  accusantibus  hoc  onus   incuinbit . 

Rintracciando  T  origine    di  sì  fatta  distinzione 
fra  r assolutoria  a  crijnine  ,  e  l'altra  ahistanfia^  il 
eh.   A.   torma    un    rapido   e    schiettissimo     quadro 
sulla    trista    condizione    della   eliminale    giurispru- 
denza per  r  infelicità   de'    secoli  ,  che  precedettero 
il   risorgimento  delle   scienze.   Per  antesignani  dell' 
ingiusta    pratica    designa  in  Italia  due  milanesi  ma- 
gistrati ,  Egidio  Bossi  e   Giulio    Claro;  in   Ispagna 
Covarruvias  ,  e  Rebuffo  in   Francia.   Invano  il  col- 
tissimo Andrea  Alciato.,  primo  restauratore  della  pu- 
ra giurisprudenza,    redarguì   con   isdegno  e  disprez- 
zo   r  ingiurioso    stile    nel    comento    alla    legge    Si 
cah'itor   200.  ff-  de  V.  S.   JNon  i'u    as  ;oltalo  .    La 
plebe    de'   prammatici    scrittori    non    avendo     forza 
bastante    a   sollevarsi    dail  antica    palude  ,    abbrac- 
ciò   lo  stesso    errore,   perchè    sanzionato    dal  fiero 
Farinaccio    in   que'  zibaldoni ,  ne'  quali  contraddit- 
torio  a  se  stesso  tacciò  egualmente  come  iniqua  tan- 
to la     sentenza  che  alla    pratica  si    accomodasse  , 
quanto  T  altra   che  i  principj   seguisse  del   comune 
diritto  . 

Tentarono  indarno  di  far  un'  argine  ai  pro- 
gressi del  i'orense  errore  il  celebre  Andrea  FaC" 
chini  professore  in  Pisa  :  e  non  giunse  dal  Belgio  se 
non  troppo  tardi  in  Italia  1'  egregio  trattato  di  An- 
tonio Mattei^  che  riportando  ai  testuali  precetti  la 
scienza  criminale  guasta  da'  prammatii  i,  scrisse:  tria 
sunt  ex  quibus  unum  judex  elicere  dcbi^t ,  vel  ab- 
solvere  ,  vel  condemnare  reum ,  vel  ampliare  cau- 
sam  :  quartum  ab  solatio  ab  instantia  non  datar.  i\è 
gioTÒ  a   ricondurre  sul   retto  sentiero  i  traviati  lo- 


Giurisprudenza  5 

rensi  Lodovico  Maria  Sinistrari  frate  minore,  co- 
nosciuto sotto  il  nome  di  padre  Ameno  ^  che  aper- 
tamente disapprovò  1'  opinione  del  Claro  ,  e  de'suoi 
seguaci  .  Prevalse  1'  antico  pregiudizio  ,  ad  onta 
che  li  stessi  fautori  ne  conlessassero  le  perniciose 
conseguenze  .  iSUrsaja^  che  seco  trascinava  il  fiore 
della  romana  scolaresca  mentre  la  cattedra  del  chia- 
rissimo Gravina  era  quasi  deserta  d'ascoltatori  ,  non 
ebbe  ribrezzo  d'  insegnare,  che  la  sentenza  assolu- 
toria ex  defectu  prohationuni  ,  infamiam  ex  illa  re- 
sultantem  non  tollit.  Instit.  Crini,  lib.  4-  tit.S.mcm.g, 
Secondo  questo  sistema  un'  accorto  calunniatore  » 
che  sappia  velare  1'  accusa  con  qualche  leggiera  ap- 
parenza di  verità,  diviene  impunemente  l'arbitro  del- 
la fama  dell'  accusato  .  Un'  assolutoria  ab  instantia. 
non  gli  rende  l'onore  presso  la  società,  in  cui  ri- 
torna col  sospetto  del  reato  impresso  ancor  sulla  fion- 
te  :  non  gli  rende  la  tranquillità  e  sicurezza  per- 
sonale ,  perchè  soggetto  a  nuova  inquisizione  per  lo 
stesso  delitto  anche  dopo  lungo  intervallo.  Conob- 
be quest  assurdo  l'encomiato  Antonio  Mattei,  e  per- 
ciò sclamava  :  ferendum  non  est  ,  ut  vix  unquain 
de  salute    sua  certa s  sii  reus . 

Si  ribattono  in  fine  dal  eh.  A.  le  osservazio- 
ni del  professor  Nani  ,  che  nelle  note  all'  edizio- 
ne torinese  deli'  opera  di  Mattei  inclinò  a  soste- 
nere il  crollante  edificio  de' prammatici  ,  e  conchiu- 
de di  esser  ben  fortunato  ,  se  fosse  il  suo  lavoro 
in  qualche  modo  efficace  a  rimuovere  dal  foro  una 
massima  vieta  ed  irragionevole  ,  ed  a  ripristinare 
i  giudizj  criminali  nella  prisca  semplicità  de'  no- 
stri maggiori ,  presso  i  quali:  judices  aut  ubsol- 
vo  ,  aut  condemno  solummodo  respondebant  .  So- 
no queste  le  parole  usate  dui  eh.  sig.  avvocalo 
concistoriale    Filippo  Invernizj   nell'  aureo    comeu- 


6  Scienze 

tario  de  puhlìcis  et  crimwalih.judic  Uh.  2.  cap.  2. ., 
che  al  conte  Armaroli  è  sfuggito  nella  enumerazione 
de' recenti  scrittori  sulla  materia.  Verità,  Ijuon  senso, 
ed  erudizione  sceltissima  sono  i  tre  pregj  «ìì  que- 
sto lavoro  ,  che  meritano  la  nostra  comm(MitIazio- 
ne.  Il  nobile  disinteresse  del  eh.  A.  rende  il  di  lui 
nome  ben  degno  di  essere  registrato  con  quello 
degl'  antichi  oratori  C.  Asinii^  et  Me<:snl(e  ,  et  re- 
centìorian  Arruntii ,  et  JEseinini  ,  die  rìgidi  osser- 
vatori della  legge  Cincia,  ne  quis  ob  caiisam  oran- 
dam  pecwiiam  donumve  accipiat  ;  furono,  per  te- 
stimonianza di  Tacito,  ad  summa  provtitcti  incor~ 
rupta  fide  et  facundia  (  Armai,  lib.  II.  cap.  5. 
e  G.  ). 

Pietro  Avv.  Rugì. 


Exercitationes  patholo£Ìcae  aiictore  Joaime  Bapti" 
sta  Palletta  eijuite  a  corona  ferrea  ,  honorisque 
legione  etc.  (  ^rt.  1 1 .  ) 


J[l  cap.  Vili,  risgnarda  alcuni  vizj  della  coscia. 
E  qui  TA.  incomincia  dal  dire,  che  dopo  scoperta 
ai  tempi  di  Pareo  la  frattura  del  collo  del  iemore , 
la  maggior  parte  dei  chirurghi  è  stata  sempre  nell' 
opinione  che  più  facilmente  accada  questa  ,  che  la 
lussazione  dell'  osso  medesimo  ,  avuto  riguardo  alla 
molla  resistenza  da  superarsi  inn-anzi  che  il  capo 
del  femore  possa  svincolarsi  dalla  sua  cavità  .  A 
loro  disinganno  si  fa  1'  A.  nelf  art.  i.  ad  esami- 
nare ad  una  ad  una  le  mentovate  resistenze,  e 
iquanto  all'  acetabolo  osserva  essere  questa  cavità 
più   ampia  di   quel   che  richit  gga   il    capo    del  fé- 


EXERCITATIONES    PATHOLOGICAE  .^ 

more  ;   ed  avendola  egli   scoperta  in  varj  punti  nelT 
interno  del    bacino ,  ha  veduto    che    nei    movimenti 
del  femore  sempre  vi  rimane  un  poco  di  vuoto  ,  con 
il    quale    spiega    come   dopo  un   colpo    o    cadutasi 
allunghi   talvolta  ,    ovvero    si    accorci   la    coscia ,  e 
naturalmente  poi  riprenda   la    sua  ordinaria  dimen- 
sione .    Il    legamento    orbicolare   (   prosiegue    FA. ,) 
è    abbastanza   lasso ,   e   la    sua  origine    ed  insersia- 
ne  è  abbastanza   lontana  dall'  articolo  ,  onde  permet- 
tere   alla    testa    del    femore  di    scostarsi   dal    fondo 
deir  acetabolo  :    e    che    ciò  sia  vero  ,   lo  prova  V  os- 
servazione  di  Kirkland  ,  che  nelle  lussazioni  questo 
legamento   non    viene    lacerato ,    ma    soltanto   sbar- 
bicalo  un    poco    dal    collo    del   femore  ,   ove  s'  in- 
serisce ,  probabilmente  per  la  gagliarda  distensione  . 
Il   legamento  interno,  o   terete  così  detto,  non  è  tam- 
poco   da,  salutarsi    gran    fatto  ;  esso  è  lungo   al  se- 
gno ,   che    quando  sieno    tolte   le   altre    resistenze , 
non    impedisce    che  il   capo    del  femore  sia  portato 
sino   al    margine   dell'  acetabolo  :   e   ciò  basta  per  la 
lussazione  interiore  ed  interna  .   NelJa  superiore  poi , 
che    è    più    frequente  della    prima  ,   esso    si   rompe 
più    presto    che  rattenere   V  osso   nella    articolazio- 
ne ;    e    la   rottura   non    osta  che  \  osso    rimesso  in 
sito    dall'  arte  vi  rimanga    costantemente  pel  tratto 
successivo    della    vita  ,    come  risulta  da  una  osser- 
vazione del   sig.   Palletta,    e    da    altra  di   Plattner  . 
Che    dirassi   poi    quando  si  sappia  dal   Genga  ,  da 
Caldani,  da  Palletta  ,   Sandifort,  Bonn  ed  altri,  che 
in  alcuni   individui,  i  quali  non   hanno  mai  sofferto 
lussazione  ,  si  è  trovato  mancante  il  medesimo  lega- 
mento ,  e  in  vece  di  esso  una  macchia   rosseggiante 
nel  capo  del  femore  coperta  da  tenue  membrana  ,   e 
nel  punto  corrispondente  dell'acetabolo  un  bricciolo 


8  SciKwr» 

informe  di  pinguedine  (a)  ?  Ci  sembra  dunqtie  che  a 
buon  diritto  concliiuda  il  nostro  A.  ,  che  le  accen- 
nate resist(Mize  non  sono  tali  da  rendere  pin  fa- 
cile la  rottura  del  collo  del  femore  ,  che  la  lus- 
sazione ;  e  ,  più  che  ad  esse,  deve  per  avventura  tri- 
buirsi  di  possanza  a  quella  cartilagine ,  che  for- 
ma il  margine  dell'  acetabolo  ,  ed  abbraccia  all'  in- 
torno  il    capo    del   femore  . 

Dopo  aver  mostrato  che  il  legamento  intorno 
non  vai  molto  a  ritenere  il  capo  del  femore  nella 
cavità  ,  si  fa  V  A.  nelf  art.  2.  ad  esaminarne  la 
struttura,  e  a  desumere  da  questa  V  uso  princip:de 
di  esso  .  JNotomizzato  pertanto  nei  fanciulli  il  le- 
gamento, si  trova  composto  di  tre  fascicoli  ,  i  quali 
nascono  dal  fondo  dell'  acetabolo  con  triplice  e  di- 
stinta origine  ,  ed  insieme  riuniti  formano  un  lu- 
nicolo  a  guisa  di  prisma  triangolare  ,  con  gli  an- 
goli retti  nella  prima  età  ,  e  ritorti  nella  età  adul- 
ta :  cotesto  funicolo  ricoperto  dalla  membrana  pro- 
veniente dal  pericondrio  va  ad  impinntarsi  nel  cnpo 
del  femore  .  Ciò  che  p\ù  importa  rimaic'ire  si  è  , 
che  il  medesimo  limicolo  con  prende  nel  suo  in- 
terno una  cavità  imbutiforme  ,  larga  dalla  parte  dell' 
acetabolo  ,  e  più  angusta  verso  il  femore  ,  e  che 
questa  cavità  pervia  nel  suo  principio  riceve  i 
vasi  sanguigni  ,  i  quali  nati  dai  turatori  oltrepas- 
sano r  incisura  dell'  acetabolo  ,  e  protetti  dal  le- 
gamento  trasverso   penetrano   in  essa  .  Il   ramo  ar- 


(ft)  Qui  il  sig.Weiizel  in  una  nota  avverte,  che  la  mancanxa  del 
legamento  interno  ha  luogo  per  ordinario  in  quelli ,  che  sono  stati 
lunga  pezza  malmenati  dall' artritide:  questa  malattia  dell' ari ii.ola- 
aùone  distrugge  il  legamento,  riempie  la  fossetta  di  sostanza  ossea, 
•  prolungando  il  margine  dell'  acetabolo  rassicura  nella  carità  il  cap* 
4«ir  osto . 


EXERCITATIONES    PATHOtOGI«AE  f) 

terioso  ffinnto  al  mezzo  dell'  imbuto  si  divide  in 
due  ramicc'lli  ,  uno  de'  quali  si  porta  sino  alla  fos- 
setta della  testa  del  femore  ,  1'  altro  tenendo  op- 
posta direzione  va  a  disperdersi  nella  fossa  sca- 
brosa doli  acetabolo  .  Tralasciamo  di  descrivere  i 
mutam  'uti  che  soiFre  il  funicolo  coli'  avanzar  dell' 
età  ,  e  deduciamo  coli  A.  dalia  sua  struttura  ,  che 
egli  sembra  destinato  a  tenere  sì  in  freno  1'  osso  , 
cui  s'inserisce,  ma  in  speziai  modo  a  proteggere 
e  dirigere  i  vasi  ,  che  servono  al  nodrimcnto  della 
giuntura  . 

Ora  scende  l'A.  al  3.  art.  ,  dove  parla  di 
certe  lussazioni  del  femore  ;  e  dopo  avere  dichia- 
rato con  Plaltner  che  il  sanare  <[uesta  malattia  non 
è  si  facil  cosa  ,  come  da  taluni  si  crede ,  narra 
eh'  egli  in  due  casi  si  è  felicemente  servito  del  me- 
todo d  Dupovy  ,  eh  è  in  poche  parole  il  seguente  . 
Tiene  un  ministro  ben  fermo  1'  osso  innominato  , 
un  altro  distende  la  gamba  ,  ed  il  professore  af- 
llsrrando  il  ginocchio  dopo  aver  cooperato  per  al- 
cun poco  alla  distensione  ,  lo  spinge  indentro  sino 
a  che  si  avvede  essere  T  osso  rientrato  nell'  arti- 
colazione .  Animato  dal  felice  successo  ,  volle  TV. 
tentare  il  medesimo  metodo  iu  una  terza  lussa- 
zione superJuie  ed  esterna  ,  la  quale  due  mesi  in- 
nanzi era  slata  trattata  da  un  chirurgo,  e  da  un 
empirico  .  Fu  vano  ogni  tentativo  ,  e  quando  il 
malato  ebbe  il  permesso  di  abbandonare  il  letto,  do- 
vette ricoirere  ad  un  sostegno  per  camminare ,  ra- 
dendo il  suolo  con  le  dita  .  Qui  T  A.  con  Scìnta 
ingenuità  ,  osiam  dire  ,  propria  di  pochi  scrit- 
tori, si  duole  di  non  aver  praticato  tutti  i  mez- 
zi dell'arte  a  prò  dell'infermo,  e  ramirìcnla  a  suo 
carico  che  Cabanis  avea  sanata  una  lussazione  di 
due  anni  preparando    prima    T  articolaiione  con   il 


IO  Scienze 

lungo  uso  degli    ammollienti ,    e  poscia    servendosi 
della   macchina  di  Petit;   che  Cai  bendala  ,    o  altro 
chiunque,  avea  riposto  in  sito  il  femore  lussato  da  un 
anno,   disponendo  prima  V  articolo  con  bagni,   e  raf" 
fermando   dopo  Y  operazione  la  giuntura  con  fasce; 
e  però   aneli  ei  probabilmente   sarebbe  riuscito  nell' 
intento  ,    ove  alla   operazione  avesse  premesso  i  sa- 
lassi, i  bagni  ,  i  cataplasmi  ,  e  simili  altri  soccorsi . 
Quantunaue  avendo  assicurato   l'infermo  che  men- 
tre   giaceva  in   letto    nella  sua   casa  ,  festremilà  in- 
feriore erano  eguali  ,  entra  il  sospetto  che  il  femo- 
re  non    siasi    lussato  per  l'urto   della    caduta,  ma 
per  effetto   di  lenta  infiammazione  dell'articolo;  tan- 
to  più    che  questo    era  ancor  dolente  ,   quando  fin- 
fermo    fu    congedato    dall'  ospitale.  In  tal  caso  ognun 
vede  ,  che  una  maggior  diligenza  del  nostro  A.  non 
avrebbe  certamente  migliorala  la  condizione  di  quell 
individuo.    Comunque  sia    la  cosa,  è  però  da  lodar- 
si da   un  altro   canto    il  sig.  Palletta  per  non  essersi 
contentato  in   appresso   in   simili  circostanze  di  un 
sol   metodo,    ma  per    aver    messo    a   profitto  anche 
gli  altri.  Venne  difatto    alf  ospitale   un   giovane ,  il 
quale  cadendo  da  un  albero    incontrò  il   suolo   con 
i    piedi,    e   stramazzò  poi  sul  lato  sinistro;  egli  avea 
la    gamba  sinistra   più   lunga   di  un  pollice;  poteva 
volgerla    all'  esterno,    ma  non  aU' interno  senza  gra- 
ve dolore;  il  trocantere  maggiore  erasi  portalo   in- 
dietro,   il  solco  della  natica  quasi  cancellato,  ed  in- 
tanto niun   tumore  appariva  all'  intorno    della  giun- 
tura.   Tutto    annunciando    una  lussazione  del  femo- 
re,   fu  tentata  la   reposizione  delf  osso  col  metodo 
di  Dupovy,  rinforzando  le  distensioni  anco  con  i  lac- 
ci ;   ma    essendo  riuscito  infruttuoso,  furono  in\ ita- 
ti a  consulto  gli  altri    professori  delf  ospitale,  i  qua- 
li esclusero  ia  lussazione  delf  osso.  Allora  fu  che  il 


EXERCITATIONES    PATHOLOGICAE  II 

sig.  Palletta  tenendo  opinione  contraria ,  si  appigliò 
al  metodo  di  Paolo  Egineta  (b) ,  e  coricato  il  ma- 
lato in  letto,  fece  elevare  da  un  ministro  orizzon- 
talmente la  gamba  ,  mentr'  egli  applicata  una  mano 
all'  anguinaja,  e  posta  l'altra  al  poplite,  piegò  il 
femore  con  la  gamba  in  modo  che  ambedue  con- 
corressero ad  angolo  acuto:  quindi  portò  infuori  il 
ginocchio,  e  muovendolo  quasi  sopra  un  asse  lo  ri- 
condusse indentro;  in  ultimo  fece  volgere  l'infer- 
mo sopra  il  lato  sano  ,  crebbe  l'inflessione,  e  gli  co- 
mandò di  conservare  cotesta  posizione.  Ripetuto  lo 
stesso  artifizio,  potè  il  malato  dopo  un  certo  tem- 
po alzarsi  di  letto,  se  non  che  nel  caminare  gli  si 
abbreviava  la  gamba;  al  qual  difetto  rimediò  1'  A. 
col  distenderla  ogni  giorno  in  linea  orizzonlaie.  JNon 
è  da  tacersi,  che  con  il  metodo  si. esso  di  Paolo  con- 
seguì un  altro  individuo  la  guarigione ,  ritardata  al- 
quanto dalla  flogosi  sopraggiunta  all' articolo,  e  dis- 
sipata con  r  uso    della  raoxa. 

Continua  l'A.  nell'  art.  4-  a  ragionare  delle  lus- 
sazioni ,  e  fa  delle  riflessioni  generali  sulla  loro  dia- 
gnosi ,  e  piano  curativo.  S'  intrattiene  in  particolare 
su  le  lussazioni  del  femore,  analizzai  segni  di  quel- 
le esposte  neir  articolo  antecedente,  e  veggendo  che 
alcuni  ne  mancano,  e  che  spesso  l'allungamento, 
o  abbreviamento  della  gamba  non  corrisponde  all' 
evasione  totale  del  capo  del  femore ,  crede  che  oltre 
le  quattro  spezie  cardinali  di  lussazioni  stabilite  da- 
gli autori  se  ne  dieno  alcune  intermedie.  Passando 
poi   alla  loro   cujia,  dopo   avere    accennato  che  Ip- 


(b)  Qui  troverà  il  lettore  citato  il  lib.  VI  cap.  116  di  Paolo; 
noi  però  lo  avvertiamo  che,  nella  nostra  edizione  diAldo  Manuzio 
1590, sta  al  cap,  1*8  il  metodo  di  che  si  tratta. 


12  Scienze 

pocrate  ha  proposto  tre  metodi,  uno  de'  quali  è  ora 
disusato  1  quello  cioè  di  sospendere  1'  ini'eimo  j'  r 
i  piedi,  che  pure  in  qualcJie  circostanza  poUi'bbe 
essere  utile  ,  vuole  che  la  cura  sia  variata  secondo 
la  spezie  della  lussazione:  che  quando  questa  è  su- 
periore, convengono  le  distensioni  della  gamba  fat- 
te ,  giusta  i!  precetto  d'  Ippocrate  ,  con  le  mani  a 
preferenza  de'  lacci  e  macchinamenti ,  i  quali  re- 
cando violenza  ai  muscoli  e  v:isi,  impediscono  che 
possa  al  bisogno  ripetersi  l;i  medesima  operaziotìe. 
Questo  è  anche  il  metodo  di  Dnpouj,  del  quale  ab- 
biam  parlato  di  sopra  :  e  se  esso  talvolta  non  rie- 
sce, non  però  dcbb  essere  trasnudato  da' pratici.  Quan- 
to poi  alla  lussazione  iche  asx  iene  sotto  l'acetabolo, 
ossia  inferiore,  le  distensioni  assolutamente  nuoco- 
no,  e  contribuiscono,  a  detto  di  Petit,  a  rassoda- 
re il  femore  nel  forame  ovale  .  Per  questa  spe- 
ajie  Ippocrate  ha  oscuramente  accennato  il  suo  me- 
todo, che  in  appresso  è  stato  sviluppato  da  Paolo 
ii-gineta,  come  poc'  anzi  si  è  veduto;  nel  quale  me- 
todo è  da  notarsi  che  con  la  inflessione  della  gam- 
ba si  ralleutauo  i  muscoli  ,  e  con  la  elevazione  del 
membro  ,  e  volgimento  in  giro,  si  scosta  dalla  nuo- 
va sede,  e  sì  riconduce  nella  ca\ilà  naturale.  La  con- 
trazione però  de'  muscoli  a  dispetto  della  volontà 
è  alcune  volte  tale,  che  a  diminuirla  non  basta  T in- 
flessione dell'arte:  allora  conviene  ricorrere  ad  al- 
tri mezzi  ,  tra'  quali  ai  bagni  ed  ai  cataplasmi  ado- 
perati da  Gabanis  a  C^arbondala  per  le  inveterate  lus- 
sazioni. Dee  anche  chiamarsi  a  memoria  ,  che  in  si- 
mili casi  si  è  servito  Chester  della  bevanda  eme- 
tica, sino  a  debilitare  l'infermo  Joung  dei  purganti; 
che  il  salasso  al  deliquio  è  parimente  efficace,» 
sempre  poi  utile  1'  uso  parchissimo  del  cibo.  L'  ope- 
razione   ài  dee  ripetere   quante    volle  V  osso  nou    sìa 


EXERCITATIONES     PATOLOGICAE  l3 

p  rG^ttamente  tornato  in  sito,  ed  a  rilenerlo  in  es- 
so si  farà  uso  di  fasce,  bagnuoli  corroboranti  «e.  Né 
fra  le  ultime  cautele  dee  noverarsi  quella  di  far  gia- 
cere 1  infermo  sul  lato  sano,  poiché  su  questo  ri- 
ivosa  meglio  e  piti  lungo  tempo,  tiene  i  muscoli  nel- 
lo stato  di  rilassamento,  e  permette  il  confronto  del- 
l'.  due  estremità. 

Art.5.  Delle  semilus sazioni  .  È  opinione  di  mol- 
ti  che  le  ossa  articolate  per  enartrosi  non   possano 
subire    lussazione    imperfetta,  ed  è  sostenuta    dall' 
autorità  d' Ippocrate,  Paolo Egineta,  e  Fabrizio  d'Ac- 
quapendente .  Già  ha    rilevato  ilN.    A.   che  in    al- 
cuni casi  i  segni  non  corrispondono  interamente  ad 
una  delle  quattro  specie  cardinali,  e  che  da  questa 
circostanza   si  possono  arguire  le  lussazioni  interme- 
die: riflette  poi  nel  presente  articolo,  che  lasciando  a 
parte  le  semilussazioni  per  interne  cagioni,  come  per 
debolezza  de'  legamenti,   per  tumore  nato   nel    seno 
articolare  ,  per  corrosione  dell'  osso,  possono  elle  av- 
venire   ancora  per  esterna  violenza,  quando    questa 
è  tale  da  non  vincere  del  tutto  V  opposizione  de  mu- 
scoli: ed  allora  il  capo  del  femore,  distendendoli  le- 
gamento orbicolare,  resta   sopra  il  margine  dell'ace- 
tabolo; ovvero  quando  l'urto  sopra  il  femore  è  vio- 
lento al  segno,  che  il   capo  di  esso  frange  il  lembo 
dell'acetabolo,  e  ne  rimane  sopra  le  rovine.   Molti 
esempli   di  simil  fatta   sono  stati  raccolti  da  Andrea 
Bonn,  tra'  quali  v'  ha  quello  di  un  fanciullo,  nel  di 
cui  cadavere   fu  trovato  l'acetabolo  destro  più  am- 
pio del  naturale,   poiché  nella  parte  esterna   e   po- 
steriore era  smarginato,  ed  avea  comunicazione  con 
un'  area  concava,  coperta  da  sottil  membrana,  e  mu- 
nita   anch'essa   di   margine   osseo,    al    di    fuori    al- 
quanto scabroso.    L'origine  di  questa  novella   cavi- 
tà prova  quanto  ora  si  è  detto.  L'  A.  stesso   addii- 


i4  Scienze 

ce  una  sua  osservazione    spettante   ad  un  fanciullo 
mal  conformato,  nel  quale  il  femore  sinistro  ai  trovò 
mancante  del   capo,  ed  articolato    mediante   il    suo 
collo  rostrato  in  una  nuova  cavità  a  canto  di  quel- 
la naturale,   che  era  quasi  tutta  riempiuta  e  cancel- 
lata da  una  materia   cartilaginea  .    Non  può  supporsL 
che  nella  prima  età  si  spezzasse  il    collo  del   femo- 
re, e  che  il   capo  disfatto  fosse  succiato  dai  linfa- 
tici,   mentre    T  esperienza  ne  ammaestra  che  la  testa 
del  femore    suol    rimanere   nella    articolazione;    ma 
è  più   naturale  il  credere  che  accadesse  una    semi- 
lussazione,   per  la   quale  avendo  il   capo  del  femo- 
re spinto  il  lembo  dell'acetabolo   al  di  fuori,  scol- 
pisse   sopra  di  esso  una  nuova    cavità,    e    che   poi 
molle  di  natura,   e  sotto  un  continuo  attrito,  s'im- 
picciolisse,   e  cangiasse  del  tutto  la  sua  forma,  re- 
stando coperto  dallo  strato  cartilagineo.  Ma  più  mi- 
rabile si  è,  che  il  capo  medesimo  semilussato  pas- 
sa  talvolta  da  un  sito  all'  altro  ,  e  va    imprimen- 
do delle    cavità     piìi    o    meno    profonde  ,    secondo 
il  tempo    dell'  attrito  ;   e    ciò  appunto     ha    veduto 
r  A.  nelle  pelvi   di  un  zoppo.  Poche  linee  lungc  dall' 
acetabolo  naturale  apparivano  le  vestigia  di  altre  tre 
cavità  di  ampiezza  e  profondità  differente,    che    il 
capo  del  femore  avea  successivamente  scolpite  ,    e 
nel!  ultima  delle  quali  trovossi  all'  apertura  del  ca- 
davere. Dal  sin  qui  detto  apparisce,  che  pur    trop- 
po si  danno  le  lussazioni  imperfette,  e  non  solo  si 
danno  riguardo  al  femore,    ma  ben  anche  nell'  arti- 
colazione dell' antibraccio   con  il  carpo,  e  del  me- 
desimo coir  omero:  lo  che  il  N.  A.  conferma  con  le 
sue  patologiche  osservazioni. 

L'  ultimo  art.  di  questo  capo  ha  per  iscopo  la 
claudicazione  congenita^  la  quale  si  manifesta  quan- 
do il  fanciullo  incomiacia  a  camminare .  Egli  allora 


EXERCITATIONES    PATHOLOGiCAE  l5 

presenta  1'  arto  nella  sua  positura,  e   può  con  esso 
eseguire  i  consueti  movimenti;    ma  lo    mostra    più 
corto  del  compagno ,  ed  è  perciò   costretto  a  soste- 
nersi sulla  pianta  del  piede  ;  ha  la  natica  di  quel  la- 
to, e  il  di  lei  solco   cangiati  nelle  l'orme;  se  gli  si 
distenda  la    gamba,  cede  alla  distensione  ,   e  va  ad 
agguagliare  l'altra,    sì   contrae  però  di  nuovo  quan- 
do è  lasciata  a  se  stessa.  La  cagione   di  questo  vi- 
zio congenito  sta   talvolta  nell'  acetabolo ,  il  quale  o 
è  troppo  profondo,  ovvero  ha  la    figura  variata  in 
oblonga ,   ovale  ,  ovvero  anche  ha  il  margine  carti- 
lagineo ed  osseo  depresso  nella  parte  superiore,  men- 
tre nella  inferiore  è  più  facile  che  lo  abbia  rotto.  Al- 
cune volte  la   cagione  si  scontra  nell'  osso  innomi- 
nato,  il  quale  ha  un  giro  più  ampio,  o  è  posto  più 
in  alto,  oppure  ha  l'osso  sacro  non   ben   connesso 
in  uno  dei  lati  ;  lo  che  sebbene  accada  assai  di  rado, 
pur  talvolta  avviene  o  per  lassezza  de' legamenti,  o 
per  mala  costituzione  delle  ossa,  e  rende  zoppo  1  in- 
dividuo in  quella  parte  ov'è  la  diastasi.  Si  scontra 
ancora  la  causa  della  claudicazione  congenita  nel  ca- 
po del  femore,  il  quale   o  è  acuto,  o  depresso,   o 
conformato  a  foggia  di  un  rostro ,  oppure  manca  del 
tutto,   e  la  superfìcie  articolare   sta  nel  collo  di  es- 
so.  ISè  questo  sempre   va  esente  da  colpa,  poiché  si 
è  trovato  in  alcuni   casi    brevissimo,   o  prolungato 
trasversalmente  ,  o  diretto  in  una  posizione  troppo 
obliqua.  Oltre  queste  cagioni,  le  quali  già  1'  A.  ha 
in  un  particolare   cemento   ,    ne  aggiunge  due  altre 
nell'opera  presente,  vale  a  dire  la  lussazione  del  fe- 
more e  della  rotula  avvenuta  nell'  utero  stesso  del- 
la madre.    Quanto  alla  prima ,   della  quale  fa  men- 
zione anche  Ippocrate  in  più  luoghi  de' suoi  scritti, 
n'  ha  veduto  1'  A.  un  esempio  in  un  bambino    che 
Tisse  un  mese  e  mezzo  circa .  Egli  avea  gli  aceta- 


iG  Scienze 

boli  in  parte  occupati  da  un  legamento  trasverso  , 
morbosa  espansione  di  quello  die  compie  i'tlerior- 
mente  il  margine  delle  mentovate  cavità,  ed  in  par- 
te ingombrato  da  materia  simigliante  alla  pinguedi- 
ne: i  legam-^-nti  interni  erano  molto  più  proiissi  dell' 
ordinario:  i  femori  per  conseguente  stavano  fuori 
degli  acetaboli,  ritenuti  dalla  cassa  articolare,  e  ade- 
renti verso  la  spina  inferiore  dell  ileo.  Se  il  fanciuU 
lo  avesse  vissuto  più  a  lungo ,  ognun  vede  che  le 
teste  dei  femori  si  avrebbono  scolpite  nuo\  e  cavità. 
Quanto  poi  alla  lussazione  delia  rotula ,  non  essen- 
do quest'  osso  collocalo  precisamente  nel  mezzo  dell' 
articolazione,  il  condilo  esterno  del  femore  essendo 
alquanto  minore,  e  più  rubusli  i  muscoli  della  par- 
te esteriore  della  coscia,  non  è  strano  eli  ella  av- 
venga sin  dalla  prima  età,  e  che  la  rotula  sdruc- 
cioli al  difuori  sopra  la  faccia  del  condilo  minore. 
Avvenuto  questo  disordine  i  muscoli  estensori  del- 
la gamba ,  e  spezialmemcnte  il  vasto  ,  retto ,  e 
e  femorale,  i  quali  in  linea  diritta  andavano  ad  in- 
serirsi nella  tibia,  sono  portati  all'  esterno  dalla  ro- 
tula, e  però  esercitano  la  loro  azione  in  modo  di- 
verso dallo  stato  naturale:  nel  contrarsi ,  ed  esten- 
dere la  gamba,  la  tirano  al  tempo  stesso  verso  il  la- 
to esteriore,  e  continuando  sempre  la  loro  azione 
in  questo  senso,  la  piegano  infme  ad  angolo  ottuso 
con  il  femore,  e  fan  divergere  i  piedi.  Due  osser- 
vazioni anatomico-patologiche  comprovano  la  veri- 
tà di  questa  causa  della  claudicazione  congenita,e  pon- 
gono line  al  capitolo  . 

Capo  IX.  Dei  tubercoli  ossivi.  La  storia  di  quei 
tumori,  i  quali  devastano  le  ossa,  e  sono  ordina- 
riamente fatali  all'uomo,  non  è  a  conto  dellA-  ba- 
stevolmente  illustrata;  e  però  egli  nel  presente  ca- 
po ,  guidato  dalle  ispezioni  de'  cadaveri,  si  studia  de- 


^: 


ExERClT.VTIOi\i;.S     l'ATHOLOGICAE  IH 

terminarne  la  sede,  T  indole, ,  e  le  diiìerenze  dagli 
Lri  tumori.  JNcl  i .'^  art-  die  ha  per  titolo  dai  tu- 
bercoli del  capo^  riporta  sette  casi,  dei  quali  noi  da- 
remo una  succinta  no/.ione.  11  primo  oiiVe  varj  tu- 
mori nel  capo,  i  quali  aveano  la  loro  radice  nel 
tramezzo  l'aìciiorme  della  dura  madre,  e  ne  aveano 
tmato  il  seno  longitudinale;  erano  zeppi  di  una  ma- 
teria bianca,  (riabile,  sebacea,  ulcerati  nella  loro 
superficie,  ed  aveano  corroso  in  corrispondenza  il 
C!;!nio.  li  secondo  olire  parimente  alcuni  tumori  sfe- 
lici  al  capo,  di  varia  grandezza,  molli,  un  poco 
llnltuanti,  coperti  da  pelle  sana,  tali  insomma  da 
rassembiiìr*;  tumori  cistici.  Aperti  in  principio  col 
lerro  ,  gettarono  una  materia  rossastia,  poi  sponta- 
neamente prolusero  una  materia  corrotta,  puzzolen- 
te; r  inleimo  si  estenuò  ;  sopravvenne  la  l'ebbre, 
il  delirio  furioso,  la  morte.  La  sede  di  questi  tu- 
mori eia  in  parte  nel  pericranio  ,  e  in  parte  nella 
dura  madre,  e  per  necessità  T  osso  intermedio  era 
corroso;  la  sostanza  di  essi  alquanto  solida,  ine- 
guale, e  rosseggiante,  era  ripartita  in  varie  cellette  da 
iilamenti   e  membrane,  il  terzo   rii>uarda   un    indivi- 

o 

duo,  il  quale  avea  soiierto  aiiezioni  veneree  loca- 
li, e  non  mai  la  lue;  gi'insorseio  dei  tumori  al  ca- 
po, i  quali  passarono  in  suppurazione;  fu  preso  più 
Volte  da  accessi  epiletici,  e  dopo  2.0  mesi  moii  ò.i 
scorbuto.  Di  sotto  alle  ulcere  si  trovò  cariato  il  Cia- 
rdo; ma  mentre  le  tavole  esterna  ed  interna  di  que- 
sto si  osservarono  più  o  meno  intaccate,  sui  vii  ne 
apparve  il  diploe.  il  quarto  caso  ci  presentft;  una 
donna,  la  quale  nel  cadere  percosse  fortemente  Joc-!' 
cipite,  e  in  seguito  rimase  sorda.  Dopo  alicunitem?. 
pò  le  pullulò  un  tumore  nel  mezzo  deìbi.  fionte, 
da  principio  indolente;  quindi  crebbe  sino;  a  giu- 
gnere  alla  radice  del  na^u,  si  le'  dolor(.;so  yi  itóccu- 
G.A.T.iX.  u 


l8  S  e    I    E   \  /  E 

rnonto  e  piilsantt^;   la  mahitn   dopo  aver  soflerta  una 
tlimimr/ioiie   notabile  eli   visla,    divrnne  sUipiiia,   e 
in  nllinio  morì    apoplettica.    Una    massa  saicoinato- 
sa  ,  simile  nella  crnsistenza,  colore,  e  striitlnia  alla 
placenta  umana,  le  germogliava  dalla  dura  madre  so- 
pra  il   volto  delle    orbite,   e   trapassando    il    cranio 
veni\a  fuori;  avea  sospinto  indietro  gli   emisterj  an- 
teriori del  cervello;  la  gianduia  pituitaria,  più  gros- 
sa e  dura  del  nalui'ale,  conipiimeva  i  ncrxi  ottici  nel 
punto   di    loro   iiitersecamento.  11   quinto   caso  poco 
differisce  dall  antecedente,   se  si  prescinda   dalla  cir- 
costanza   della    caduta  ,    e    si   aggiunga  die  ,    olire  il 
tumore   del   capo    Ibi  malo  da   una    massa  simile  ali 
ateroma ,   e  perforante  il   parietale    destro,   un   altra 
massa  cerebriforme,  nata  dalla  snperiieit^  interna  dell 
ileo  sinistro,   avea  forato  lacetabolo ,  estera   ,iper- 
ta  una    via  al  difuori  ,   rendendo   finierma   ine;i;i  al 
moto  senza  un  sostegno.  Ben  dissinule  si  è   la  con- 
dizione morbosa  nel  sesto  caso,  nel  quale  furono  tro- 
vate le  parli  molli    intorno   l'acetabolo    tramutate  in 
natura   lardacea,   e  nello    stesso   acetabolo,   ed    osso 
innominato  uno  smemma  sanguigno.  Finalmente  nell 
ultimo   malato,  defunto  per  nn'osteosarcoma  aderen- 
te air  osso  sinistro   delle  scapole  ,   fu  veduto  1  omo- 
piata  cangiato   in  una  spezie  di    carne  mucilaginosa  . 
E   piaciuto  air  A.  di  annettere  alle  altre  queste  due 
osservazioni  ,   sebbene   non  appartengano  ai    tumori 
del  capo  .    affini  liè  -lai  luro  couironto  meglio  apparis- 
se  il  diverso   genere  di    alterazione   ne  le  parti  mol- 
li o  dure.  Ora  dunque  raccogliendo  dai  casi  accen- 
nati qualcbe  nozione  generale  intorno  i   tubercoli  os- 
sivori  del    capo,    ninno  primamente    vorrà  poi  re    in 
dubbio   che  la  loro  sede  sia  entro  il   cranio  ,  e  per- 
chè non  preceduti  da  esterna  violenza,  e  quasi  S(.'m- 
prc  da  fiero  ed  ostinalo  dolor  di  capo,   e  perchè  co- 


KÌ    nr?  ammaestra   T  isne/;ione  anaicmica.    In   secon- 
do   iiiugo  ,   checché    voglia  dirsi  sul  modo  col  qua- 
le  l'  osso  viene  corroso,  sarà  sempre    vero  che  il  se- 
no  del    tumore   covando    una   lenta    flogosi ,   1  osso 
né  niolliiicato,    e  reso  quindi  soggetto  al  potere  as- 
sorbente de  iinlatici.  Per  U;rzo,  contemplata  la  strut- 
tura e  la    materia   contenuta   nei  tubercoli  ossivoii  , 
par    che    possa  stabilirsi  questo  triplice  genere  ;    di 
quelli  cioè   che  nascono   per   vegetazioiie  ,  ossia  per 
espansione  di  vasi  di   ogni  spezie,    e  per  incremen- 
to soverchio  della  sostanza  cellulare;   di  questi  altri 
che  nascono  da  separazione^  vfale  a  dire  quando  una 
parte  od   organo  qualunque  ,  '  che    ha  la    facoltà   di 
separare  dal    sangue  un   materiale  ,   perverte  il   suo 
cilicio,  e    contra  le  ^ leggi   naturali  rende   un  umore 
morboso;  di  quelli   inline  che  sorgono  per  tramuta- 
mento  ,  mentre  alcuna   parte   del   corpo   si    converte 
in   sostanza   diversa   dalla   naturale  ,  e  si  costituisce 
in  carne,  cartilagine  ,   ovvero  in  o-jso.  Che   se  a  ta- 
luno prrndisse   vaghezza  di  sapere  a    quali  spezie   si 
debbano  riportare,  e  con    quai   nomi  dinotare  i    tu- 
mori   dei    primi  cinque  casi  ,   diremo   che  1  A.  S(  n- 
za   esitare   annovera  tra  i  fungosi  quei  della    quarta 
e  quinta  storia  ;   e,    avendo  ragione  della  struttura, 
non  è   alieno  dal  porvi    anche  quello   della    seconda 
istoria,   quantunque  vegga    che   gli    mancano   inulti 
de'  (Caratteri;  gli  altri  poi,  e  sono  della   prima  e  ter- 
za   istoria  ,    li   riconosce   per  quei   tumori  ,    che  gli 
scrittori    del  barbaro  evo   han  chiamato  testuggini  ,o 
talpe  ^   1   quali  tumori  deggiono  ben  distinguere t  d^i 
cisLici^  o  natte  volgarmente  detti,  i.°  perchè  non  cq- 
sta  che   sieno    racchiusi  iu    un   involucro  ,3.     nop 
sono   così  mobili,  3.**  a  guisa   di  quegli  animali  ser-    - 
poggiando  sotto  la  cute  devastano  il  cvauLo,  4-**. per- 
chè assai  pili  diftìcile  i/è  la  cura  ,  e  qnusi  aw  no^i 
giova  r  aprirli ,  o  1  estirparli  .  2  * 


:20  SciEXZK 

Passa   V.\.  nel    it.  arf.   a  |>av]aro  doi   hihercnìl 
ddla  spina  ^  e  inlende  quella  Sj)ezìe  di  tumore,  che 
lia  la  sua   sede  in  una  parte  della  colonna  vertebrale 
e  logorando  a   poco  a  poco  i  legjimenù  ,  Je  cartilagi- 
ni, e  Ja  sosrani'.a  ossea,  la  piegare  in   avanti  la  colon- 
na   medesima  ,  e   solleva   al  di  dietro    una    promi- 
nenza a    guisa  di  gobba  .  Egli  noma  questa  spezie  di 
tu  mure  (ifosi   (  gibbosità  )    paralitica,    l'er    dare  ai 
nostri  lettori  un  cenno  della   sloiia  ,  che  fa  YA.  di 
questa    terribile   malattia,    incominceremo  dal  dire , 
che  il   dolore  e  la    lesione  delle   parti    soggette  all' 
impero  del  midollo   spinale  sono    i   primi  fenomeni 
di  essa  .   Se   il   tumore  è   por  sorgere  nelle  vertebre 
cervicali  ,   o  dorsali  ,    si  annunzia  col  torpóre  delle 
estremità  superiori,  con  dillicoJtà  di  muovere  il  col- 
lo   o  il  tronco,  e   di    respiiai'e,  coli  inerzia  dei  mu- 
scoli  del   basso  ventre  ;   e  qiesti  segni  sono  talvol- 
ta   Iribniti   dal  medico   ad    altre    inlerinità  ,  e  si  di- 
ce che    il    tal   individuo  sollVe  dispnèa  ,   gonfiamen- 
to    di    sfomaco  ,    e    languore    di  ventre  .   Se  il  tu- 
more sta  per  sorgere   sopra  le  \  ertebre  lombari,  ven- 
gono peilurbate   le   funzioni   delle  intestina   grosse, 
«iella  vescica,  e   delle  infcrioii  estremità;  quindi  sti- 
tichezza  di    ventre   ,   iscuiia  ,    e    quindi    una    lenta 
perdita   del  moto  e  del   senso    negli    arti   inferiori . 
Tu    odi    i    fanciulli  ,     nei  quali    la    malallia     è  più 
fre(juente  ,  e  si   sviluppa  con    maggiore  celerità,   la- 
gnaisi  di   lassezza  nelle  gambe  ;  poi   li  vedi  cammi- 
nare con   istento  ,   piegarsi  loro  le   ginocchia,   i  pie- 
di   pendere    ingiù,  gonfiarsi  i  malleoli,  e   in  uili- 
jno  li    vedi  privi   della    facoltà  al  moto,  e  in    gran 
parte  anche  di  sensibilità  .   Sorge    intanto  il   tumore 
in  uno  dei    mentovati    luoghi    della   spina  ,  e  com- 
prende ora   due  ,  ora   tre  vertebre  ;   al   suo    crescere 
crescono  in  corrispondenza  i  sintomi    ora  esposti  , 


EXERCITATJONES    PATHOLOGICAE 


3  r 


sinché  li    tronco    si  piega  in  avanti,   ed   una  proml- 
aenza   (  gobba  ,  o  cilosi  )  deforma  la  schiena.  Ecco 
in   compendio  l'alterazione   di   organismo,    che    va 
operandosi   entro    il    tumore.   In 'principio  del  ma- 
le  1  legamenti   delle   vertebre  s'  ingrossano  e  si   ral- 
lentano ,    si    fanno  anche    un    poco    tumidi  i   corpi 
delle  medesime   vertebre,    e    le  cartilagini,  che  so- 
no tra  di  essij,  si  ammolliscono:  progredendo  il  mor- 
bo,  si    i'a. maggiore    F  alterazione    di  queste   parti, 
mentre    le    cartilagini    e    i    legamenti    si    disfanno  ' 
1  osso  è    anco  più  o   meno   logorato  ,  ed  allora    per 
necessità  la  colonna  vertebrale  inchina  anteriormen- 
te ,  e   forma  nella  parte  posteriore   una  protuberan- 
za.  Quella  striscia  legamentosa,  la  quale  dalla    som- 
mità della    colonna  scende   al   basso  ,  onde    tenere 
in   freno  le  vertebi'c  ,  è  distesa  in   un  sacco,   ed  ivi 
ristagna    una   materia    ora   saniosa ,    ora   più    densa 
in  forma  di   sevo  o  di  latte  rappreso,   ed  in  questa 
nuotano  le  squammette  bianchissime  dell'osso  con- 
sumato. Né  il  vizio   si  limita  a  questo  punto  ;   spes- 
so  SI  estende   alle    vicine  costole  ,  ne  intacca  il  ca- 
po ,  e  le    separa  dulie  vertebre ,  nei    casi    fatali   poi 
trovasi   la   membrana    propria    del   midollo    spinale 
tmta  in   fosco  livido  o  in    grigio;  lo  stesso   midollo 
di  color  cinericcio ,  e  più   molle  dell'ordinario  ,•   tro- 
vansiil   gran  simpatico,  gli   splancnici,  e    glmlGr- 
costali  da  lui  provenienti,  o  avvolti  e  compressi  dal 
tumore      o   in    esso   macerati  ,  d'  onde  poi   nascono 
gravi   disordini  nelle   i unzioni  del   petto  e  delf  ad- 
dome.    I  visceri    stessi,    e    le   membrane   si    scuo- 
prono   talvolta    viziate  ;  imperocché  si   vede  il  pol- 
mone   contenere   qua    e    là    tubercoli  suppurati  ;    la 
pleura  anche  zeppa  di  tubercoli  del    genere  dei  stea^ 
tomi  ,  e  slmilmenle  deturpato  il   periostio  delle  co- 
stole:  la  sanie   del    tumore  dorsale    si  fa  strada   al- 


22  Scienze 

cune  volte  in  basso,  e  prorompe  o  nella  natica,  © 
neir  anguìnaja  ec.  ec.  Ma  di  un  morbo  così  perver-^' 
so  qual' ò  mai  la  cagione  prossima  ,  e  (jiiali  le  ri-' 
mote  ?  A  parere  del  nostro  A.  ,  le  profoiKl'*  lesioni 
delle  parti  organiche  nascono  ,  se  non  luite,  certo 
in  gran  parte  ,  da  infiammagione  o  moTiifesta,  o  la- 
tente ,  la  quale  allorché  invade  gli  ossi  ,  i  legamenti  , 
è  le  cartilagini ,  procede  sì  lentamente  e  nascosa- 
mente, che  non  si  appalesa  con  il  dolore  se  non 
dopo  un  lungo  intervallo  di  tempo,  e  solo  nei  lan- 
ciulli  si  spiega  più  presto  per  la  copia  de"  vasi  san- 
guigni ,e  per  la  forza  piìi  pronta  de'  nervi.  L' in- 
fiammagione è  dun(pie  secondo  lui  la  cagione  pros- 
sima della  cilosi  paralitica  ;  o  ,  per  mi  glio  dire  ,  una 
irritazione  della  spina  dorsale  ,  <l,e  poi  passa 
in  flogosi  ,  cagionata  o  da  peicossa  ,  o  da  dislui- 
sione  ,  ovvero  da  deposizione  dì  umore  rachiti- 
fo,  scrolbloso  ,  reumatico  ,  e  più  trequenlc  nn  n- 
le  da  stcatoma  ,  Y  indole  del  quale  sinora  non 
ben  si  conosce  .  E  se  nel  predominio  di  alcuno 
di  questi  umori  sì  voglia  ravvisare  una  preceden- 
te morbifica  disposizione  dei  solidi,  si  poti<i  con- 
cedere al  Racchettì  che  da  questi  incominci  il  mor- 
bo ,  e  probabilmente  ;ìbbia  la  [)rima  origltu^  nel 
midollo  spinale,  e  poscia  si  propaghi  alle  p.nti  vi- 
cine .  Di  più  ,  sapendosi  che  nella  flogistica  opeia/ào- 
ne  si  ammolliscono  le  parti  organiche  più  dure  , 
e  che  più  attiva  diviene  la  facoltà  assorbente  dei 
linfatici  ,  potrassi  con  questi  dati  spiegare  il  di- 
struggimento delle  ossa  nella  cifosi  paralitica  ,  quan- 
tunque a  dilucidare  questo  latto  bene  anche  si  pre- 
sti la  ipotesi  di  Marchelli  ;  vale  a  dire  che  V  a<  ido 
fosforico  ,  in  soverchia  {[uantità  separato  ,  sciolga  il 
fosfato  calcare  delle  ossa  ,  il  (pjale  si  trova  poi 
nella    sania  del    tumore  ,   nel    latte  ,  e  nel!'  oiina  . 


ExERCITAT)ONES    PATHOLOGICAE  2.1 

Ma  venendo  finalmente  alla  cura  ,  interessa  pria  ■M 
tutto  assiemarsi  quale  sia  il  luogo  affetto  della  spi- 
na vertebrale  ,  onde  applicarvi  le  sanguisughe  ,  ed 
il  vescicatorio  innanzi  che  apparisca  il  tumore  . 
Gioveià  per  iscopiirlo  portare  ,  secondo  il  metodo 
di  Copeland  ,  insù  e  ingiù  per  la  colonna  vertebra- 
le una  spugna  inzuppata  di  acqua  calda  ,  sinché  me- 
diante il  calore  si  manifesti  il  luogo  dolente  ,  e 
su  questo  dovranno  dirigersi  i  primi  soccorsi  doli' 
arte  .  Oltre  adunque  le  sanguisughe  ed  il  vescica- 
torio ripetuti  a  norma  del  bisogno  ,  sarà  utilissi- 
mo il  cauterio,  adoperato  coraggiosamente  da  tutti 
gli  antichi  medici  ,  e  giudicato  opportuno  a  spe- 
gnere r  infiammazione  ,  arrestare  la  carie  ,  e  pro- 
durre r  anchilosi  delle  vertebre  .  L'  illustre  G.  P. 
Franck  risanò  un  giovanetto  di  kj  anni  nello  spa- 
zio di  1 2  settimane  ,  aprendogli  i  fonticoli  ,  e  poi 
dandogli  internamente  Y  estratto  di  aconito  nappel- 
lo  ,  e  la  resina  di  guajaco  ;  corroborandolo  a  suo 
tempo  con  la  corteccia  peruviana  ,  e  la  radice  di 
arnica  ,  facendo  sul  dorso  le  iregagioni  o  con  li- 
nimento volatile  o  con  mercurio,  ed  aggiungendo 
alla  china-china  la  radice  di  Scilla  ,  quando  appa- 
riva r  edema  .  Il  Sig.  Marchelli,  stando  alla  sua  ipo- 
tesi poc'  anzi  riferita  ,  suggerisce  l'uso  interno  del 
carbonato  di  calce,  e  del  ferro  porfirizzato,  a  fine 
di    neutralizzare  f  eccessivo  acido  fosforico  . 

Dopo  queste  nozioni  generali  ci  possiamo  di- 
spensare dair  esporre  quattro  casi  di  cifosi  che  ven- 
gono in  seguito  ;  come  anco  crediamo  di  non  in- 
trattenerci neir  art.  iti,  ove  si  tratta  dei  tuber- 
coli degli  arti  ^  tanto  più  che  T  A.  rispetto  a  qiie- 
sti  si  esprime  così  :  -Tuberculis  in  cyphosi  occurren- 
tibus  non  dissimilia  sunt  alia  ,  quae  artiMim  o^~-i 
occupant ,  quippe  eadem  ralione  eorum  sliuctiuaia 


a4  Scienze 

vastant  destninntqur  .  Tllud  a utem  peculiare  iis  inest, , 
quod  fere  miiiquani  sol  li  aria  sint  ,  et  qiiod  unum 
quodque  ossis  ,  cui  incunibit ,  aiiqnara  partoin  aver- 
tat-  .  Diremo  soltanto  che  in  questo  articolo  sono 
inclusi  otto  casi  di  stcatonia  in  \aij  punii  delle 
estremità  inferiori  con  alterazione  dell'  osso ,  si  dà 
1  analisi  della  materia  contenuta  in  quel  tumore  ; 
si  ripropone  la  quislione  sopra  la  cagione  immedia- 
ta del  dislacimento  delle  ossa  ;  e  ,  por  compiere  la 
storia  delie  malattie  di  cotesto  sistema  ,  trattasi 
ancora  brevemente  della  spina  ue/itosa  ,  ossia  tu- 
mefazione dell'  osso  ;  della  spina  velenosa  ,  della  da 
altri  pedartrocace  ,  ossia  carie  delle  apolisi  e  del 
tessuto  spongioso  con  Ulcerazione  delle  parli  molli , 
stillicidio  di  umore  sanìoso  ,  e  dolor  pungente  ;  della 
spina  pia  mite  ,  delta  dai  moderni  jì aerosi  ossea  , 
la  quale  non  importa  né  carie  né  fetore  ,  ma  solo 
la  separazione  di  frammenti  ,  o  lamine  di  osso 
bianche  ,  pesanti  ,  e  non  corrotte  . 
(  Sarà  continuato  ) 


Osservazioni  notoniico  -fisiologiche  sult  epidermide 
di  B.  Mojon  dottore  in  medicina  ed  in  chi- 
rurgia ,  professore  emerito  della  R.  Uni^'cisità  di 
Geno'i'a  ,  membro  di  molte  illustri  accademie  .  Se- 
conda edizione  .  Genova  dalla  stamperia  e  fon- 
dei  ia   Poti tìt enier    1820. 


u. 


na  lettera  dedicatoria  al  eh.  sig.  Prockiiska  , 
ed.  un  elegante  epigramma  del  sig.  Gagliufii  pn^ce- 
dono  la  dissertazione  -  In  principio  di  questa  si  [iro- 
pone  r  A.  di  con5^.iderare   \  epidermide  sotto  faspel- 


Oss.  slll'  Epidermide  a5 

to  fli  un  corpo  organizzato  ,  sensitivo  ,  e  canace 
di  subire  tutte  quelle  organiche  e  vitali  modi- 
ficazioni proprie  alle  altre  parti  della  macchina  ani- 
male ;  e  dichiara  che  in  questa  impresa  gii  sa- 
ranno di  scorta  alcune  sue  microscopiche  o.sscr- 
vazioni  ,  molte  fisiologiche  ricerche,  1'  ajuto  nolo- 
mico  comparativo  dell' epideimide  di  alcuni  anima- 
li ,  e  lo  stato  patologico  del  medesimo  .  INoi  per 
soddisfare  al  nostro  instituto  ,  e  colla  maggior  Li^e- 
vità  possibile  appagare  la  curiosità  del  lettore  ,  tra- 
sceglieremo nella  disseriazione  tutto  ciò  che  ci  sem- 
bra appartenere  all'  A.  ,  lasciando  indietro  quella 
erudizione  ,  che  può  lacilmente  trovarsi  ne'  lihii  di 
fisiologia  ,    notomia    umana  ,    e   comparata  . 

Ognun  sa  ,  che  gli  anatomici  diversamente  han- 
no opinato  intorno  la  conformazione  esterna  dcìhx 
cuticola  ;  altri  ha  detto  essere  sotto  V  aspetto  di 
scaglia  ,  altri  sotto  quello  di  filamenti  ,  o  perfet- 
tamente levigata  ec  II  nostro  A.  ci  assicura  che 
questa  diversilà  di  opinioni  dipende  dall'  aver  os- 
servato la  cuticola  in  varie  parti  del  corpo  ;  poi- 
ché al  suo  occhio  armato  di  lente,  la  cuticola  ,  che 
copre  il  petto  ,  gli  arti  ,  e  il  dorso  ,  ha  offerto  sem- 
pre piccole  squame  imbricale  come  quelle  de'  pe- 
sci ;  r  epidi  rmide  che  sta  sul  polpastrello  delle  di- 
ta ,  sotto  il  calcagno  ,  ed  in  alcune  altre  parti  ,  ha 
presentato  un  tessuto  di  fibre  in  forma  di  piccoli 
cilindri  tortuosi,  tra  gì' interstizj  de'  quali  si  scor- 
gono   minutissimi    globetti   e   pori  . 

Ha  voluto  in  oltre  il  sig.  Mojon  prendere  in 
disamina  T  opinione  generale  che  l' epidermide  ester- 
no ripiegandosi  nelle  diverse  aperture  del  corpo  , 
tali  che  la  bocca  ,  le  orecchie  ,  le  narici  ,  la  vul- 
va ,  r  uretra  ,  Y  ano  ce.  ,  si  prolunghi  entro  le  me- 
desime senza  ni(  ule    alterarsi    o  cambiar  di    nalu- 


26  Scienze 

ra  ,    ii\  ostrrifìonp  inili    tulle    le    ravità   come  sareb- 
bero 1   esofago  ,   Io  stomaco  ,   gV  intestini  ,  Y  utero, 
la    vescica    orinaria   ec.   A    rendersi    certo   della  ve- 
rità  di  celesta  opinione  ,  ha   slaccato  colla  maggiore 
accuralczza    alcuni    pez/1    di    cuticola    da    varie    in- 
terne   cavità  ,    gli   ha   passati  in  rivista    sotto  1'  esa- 
me   di    un    attivissimo    londinense    microscopio  ,   e 
si    è    convinto    che    essa    vaiia    assaissimo    di     tes- 
situra ne  diversi  organi  ,   per  cui  non  si  può  conside- 
rare   in    verun   modo   come  una  continuazione  dello 
stesso   esterno  epidermide    che    riveste    tutto  il  coi- 
po  .   E    per    vero,  l'epitelio  dcgV  intestini  ,  e    spe- 
cialmente  dei  tenui,  ^li  ha  olTerlo  coir  ispezione  mi- 
croscopica   un' imniens;!    qunntilà    di   piccoli    lori    a 
lembi   rialzati ,   tra   i  quali    lia    scorta  una  specie  di 
glutine    trasparente  e    condensalo  ,   che   lega  assieme 
un'  infinità   di    minutissimi   linfatici  .   Per   qur.nto  ei 
siasi    studiato   di    ben    esaminare  questa  membrana , 
non    gli    venne  mai    fatto  di   vedervi   la  pretesa  am- 
polla  delle   villosità  intestinali  ,  di  cui  parla  Lieber- 
kuhn  ;    onde    a    ragione    si   arroga    il    diritto   di   ne- 
garne l'esistenza  ,   siccome  già  fecero  altri   fi.'iolegi  . 
Le  villosità  figurale  nelle  tavole  chilografiche  di  Shel- 
don  non   sono  ,  a   suo   credere  ,    elie  le  estrciautà  de' 
vasi   assorbenti  intestinali  .   La   pellicola  poi,  <'he  ve- 
ste   internamente   la  vagina    e    la    matrice  ,    si    mo- 
strò  all'  A.    sotto   r  aspetto   di    nna    reticella    o  ma- 
glia tessuta  di  sottilissimi  vasi  ;    tessitura  afl'atto  dis- 
simile dall'  epidermide  esterno  .  E  che  le  interne  cu- 
ticole de'  visceri    cavi   non  sieno   nna   continuazione 
dello   stesso  esteriore   epidermide,    oltre  la  diversi  là 
delle    indicate  strutture   dall' A.   più   e  piìi  volte  \e- 
rificata  ,  e  fatta  ostensibile  a'  suoi  allievi  in  una  pub- 
blica prelezione  di  notomia  e  fisiologia  ,  viene  ezian- 
dio  provato   dalla   natura  de' fluidi   che    le    bagnano 


Qss.  sull' Epidermide  2^7 

di  continuo  ,  e  dal  vario  lor  grado  particolare  di 
s<'nsibililà  ,  di  maniera  che  il  raziocinio  e  V  espe- 
rienza sen  vanno  bene  d'  accordo  nel  combatter  la 
contraria  opinione,  generalmente  ,  ma  indebitamente 
ammessa  . 

Ci  sembra  anche  meritevole  di  attenzione  ciò 
che  r  A.  dice  intorno  la  formazione  dell'  epidermi- 
de ,  su  la  quale  molte  e  varie  sono  state  le  ipo- 
tesi dei  notomìci  ,  che  lungo  e  inutile  sarebbe  il' 
riportare  .  I  progressi  della  tisica  animale  (  così 
egli  ragiona  )  latti  in  questi  ultimi  tempi  su  qnaulo 
spetta  la  formazione  e  lo  sviluppo  dogli  organi  ani- 
mali tutti  ,  non  permettono  più  che  si  muova  al- 
tro dubbio  che  T  epidermide  sia  ,  siccome  ogni  al- 
tra membrana  ,  il  risultato  di  un  processo  orga- 
nico e  nutritivo  .  Le  osservazioni  e  le  esperienze 
ingegnose  di  Guglielmo  Hunter  sulla  membrana  cai- 
duca,  non  che  quelle  di  Giovanni  Hunter  sulla  co- 
tenna flogistica  del  sangue  ,  corroborano  vieppiù  la 
detta  ojjinione  sulla  natura  organica  ,  e  sulle  pro- 
prietà vitali  dell'  epidermide  :  qualità  che  pur  gli 
si  vogliono  contendere  da  molti  .  .Né  varrà  il  dire  : 
che  le  più  scrupolose  indagini  su  di  questa  mem- 
brana non  abbiano  fatto  intravedere  in  essa  alcuna 
vascolarità  ,  e  che  le  più  line  injezioni  Ruj'Schiiine 
non  abbiano  potuto  penetrarne  il  tessuto  .  Impe- 
rocché v'  ha  pure  qualche  osservatore  più  fortu- 
nato ,  il  quale  dicesi  riuscito  in  questa  ricerca  , 
come  quel  Saint-André  ,  qui  non  soliim  vasa  epi- 
dermide adscripvit  ,  veruni  edam  affirmasse  dicitur 
se  vasa  haec  ita  replere  posse  ,  ut  rubra  materia 
injecta  valde  turgerent ,  utque  uhique  libero  oculo 
copiosissima  apparerent  (a)  ;   e   come  si   è   detto  di 

(a)  Heiit.  Comp.  A;: ni. 


28  Scienze 

un  gentiluomo  inglese  possedei  e  alcune  preparazio- 
ni ,  nelle  quali  la  cuticola  era  injettata  (b)  .  iì  poi 
non  vi  sono  altre  parti  nella  macchina  animale;  che 
tali  vascolarità  .  non  presentano,  e  non  ostante  non 
fu  mai  negata  loro  un'  organica  struttura  ?  Le  in- 
dagini di  Eichat  (e)  pongono  in  dubbio  la  pre- 
senza di  un  sistema  vascolare  sanguigno  nella; tes- 
situra (Ielle  membi  ane  sierose  ;  ma  chi  ha  mai  pre- 
teso sostenere  che  quelle  membrane  non  sieno  or- 
ganizzate/* D'altronde  v'hanno  delle  aiiezioni  cutanee, 
per  le  quali  l'epidermide  staccandosi  a  brani  offre  an- 
che ad  occhio  nudo  un  tessuto  di  minutissimi  a  asi , 
i  quali  è  lorza  supporre  dalla  malattia  dilatali  e 
resi  percettibili  ,  mentre  non  pare  verosimile  che 
ne  sieno    stati    generati  . 

K  qui  cade  in  proposito  1'  aggiungere  che ,  se- 
condo il  nostro  A.  ,  i  piccoli  filamenti  cellulari  ,  le 
ultime  estremità  de'  vasi  esalanti,  e  le  radici  de- 
gli assorbenti  legano  strettamente  la  cuticola  al  cor- 
po mucoso  ;  e  che  queste  parti  tutte  intrecciate 
tra  loro  in  mille  diversi  modi  ,  e  legate  assieme 
con  una  materia  albuminosa  ,  iormano  l'intiero  tes- 
suto dell'  epidermide  ;  che  tanto  rilevasi  dalh;  os- 
servazioni microscopiche  ,  e  dall'  analisi  delle  sue 
funzioni  .  Sono  appunto  questi  vasi  o  tubi  che  , 
allorquando  1'  epidermide  si  stacca  dal  corpo  mu- 
coso ,  formando  una  vescica  per  1'  azione  degli  epi- 
spastici  ,  lacerandosi  e  corrugandosi  su  dì  loro  stes- 
si ,  e  sopra  la  cuticola  ,  ne  chiudono  la  porosità  ; 
e  con  ciò  si  spiega  la  cagione  ,  per  cui  le  am- 
polle prodotte   da   vescicanti  ,   o    dalle  scottatuie  si 


(|j)  Huiiter  Med.  Obs.  arni.  Kn.(.  voi.   2.  pag.  5-^. 
(e)  Tiiiilc  do»   uiciiil)raijci 


nfiv.irngono   gonfie  per  molfo   tempo  ,    seriza   lasciar 
«i'neeiro  attraverso  \   epiriermide  il  siero  traversato  , 
o    Tarla  che  esse  riiicbindono  ;   l'obliquità   a    inser- 
zione (levasi  esalanti,  clv<  altiaversiano  questa  mem- 
brana t    vende   pure    rtìgionf"  di    un,  tale   fenomeno  . 
Posta   r  organica  tessitura  della  cuticola,  ne  di- 
scende   per   legittima    conseguenza  la  di  lei    facoltà 
di    sentire  .   K    come  m^ii  potrebbe  questa  membra- 
na   (   così   argomenta  FA.    )   assorbire   alcuni    fluidi 
che    la  'bagnano  ,   e  rigetlarne  altri,  senza  esser  do- 
tala   di    una    propria    particolare   sensibilità  ?    Vano 
si    è   r  opporre   che   i    vasi  linfatici,   e  le  estremità 
esalanti  che  la  forano    in    mille  luoghi    diversi  ,  non 
le    appartengono  .   Ma  come  spiegheremmo  noi  ,  sen- 
za   accordarle   una    vitale    qualità  ,   le   varie   altera- 
zioni    morbose  ,    cui    va     soggetta  ,   e  che  noi    pos- 
siamo   correggere  ,  ed  anche  prevenire   con    un  me- 
todo   curativo    appropriato  ?    Questa    pellicola    non 
peicorre    essa    quelle  stesse  moditicazioui  ,  che  acca- 
dono agli   altri  organi  della  macchina    animale   nelle 
differenti    epoche    della    vita  ?  Non    la    vediam  noi 
sommamente    sottile    nella    infanzia  ,    più    dènsa    in 
una    età  più  avanzata  ,    molto    compatta   nella  vec- 
chiaja  ,    e  riprodursi   pi^ontamente  ove    sia  distrut- 
ta? Se  adunque    V  epidermide   cresce  ,   si   nutre  ,  e 
si    riproduce  ,    come   si   potrà  negargli  una   organica 
struttura  e  delle  vitali  qualità?  Anzi  una  comunità 
di  vita  e  di  azione  col  rimanente  delfanimale  al  qua- 
le appartiene?  Il  suo  stato  morboso  sviluppa  soven- 
te in   esso  una  sensibilità  sì  squisita,  che  non  si  può 
certo  attribuire  al  derme,   od   al  corpo  mucoso  che 
esso  ricopre.  „ //i  erisipelntis  ^  dice  Krause  (r/),  ge- 
nevibiis  leviorihus    cutis   lìon  magis    quam    ciiticula 

(il)  De  sensilibvisparlibvis  huniani  corporis 


3q 


e    I    I^    \    Z    E 


affcctce ,  et  pruritus  sc.des  in  hac  ceqnn  al  quo  in  il- 

la  esse  i'idefur atgue  hcec  quiiìcm  de  scw 

su  epidermidis  satis  dieta  sunto  ,,  .   S'  innalzano  so- 
vente alla  radiciì  tifile   nngliie  delle  jjipile  di    puro 
epidermide,    le  qu,di  si   gonfiano,   e  diveuf',0110  do- 
lorosissime. Vi  sono  degli  insetti   che  si  rendono  as- 
sai molesti  col  solo  percorrere,  benché  leggermente, 
sull'epidermide;   il    taon,  le  ostri,   la  pulce,  h»  ci- 
mice, il  pidocchio,  1  ichnenmone  ec.   ce  ne  danno 
lina  prova.   Non  si  può  disconvenire  che  la'sonsibi- 
lità  dell'epidermide  è  mollo  oscnra  ed    ottusa,    ed 
anche  da  perer  nidla   in   alcune  esperienze;   mi  non 
e  perciò   concesso  il  riiiularglicia  intieraiiienlc,  msn- 
ti;q  fa  mostra  di  se  in  parecchie  circoitan/.e,  e  spe- 
cialmente in  alcuni   casi   patologici.     Niun    artilìcio 
notomico,  a  dir  vero,  riesce  a  svelare  alcuna  rami- 
licazione,  nervosa  nella   culicula  ;  sai'ebbe  per    altro 
Rudimento  il  dichiararla  per  ciò   solo  priva   di   ner- 
vi. E    ormai  riconosciuio  e  stabilito  dai  moderni  fi- 
siologi,   che  i   corpi  oig:tnizzali  godono  tutti  di   una 
pailicolare  sensibililà  ali'-ilto  indipendente  dal  siste- 
ma  nervoso;   sensibililà   conosciuta  sotto  il  nome  di 
oti^aìdca ^   e  che  può  considciarsi  come  il  primo  gra- 
do  delia   sensibilità  di  relazione^   o  di  vita  animale. 
JJichat,   liicherand,  e  Dumas  osservano  che  vi  sono 
d  ile   vene,    delle  arterie,   de' legamenti,   delle    car- 
tilagini,  e  deije  ossa,   che   non  hanno,   per    quanto 
Sembra,   alcun   nervo,    e  che  nel  loro  slato  naturale 
di   salute  non  olirono  alcun  sentimento  percettibile, 
quanti'  anche  si  tormentassero  in  mille  modi  di  aver- 
le isolale  ;   pure    esse  debbono   a\eie    una    maniera 
propiiu  di  sentire,  distinguendo  negli    umori  che  le 
penetrano   ciò   ch(;  loro    conviene  per  nodrirle,  e  ri- 
getlaudo  ciò  che  è  loro  inutile  e  nocivo.  Queste  stes- 
se parli,   che  per  molto  tempo  lurono    credute  in- 


OSS.     SLILl'   EpiDE^tVI' de  3i 

seuslbill,  non  soiTroiio  esse  quando  sono  infilate  una 
S(|iil.slta  sensibilità,  che  dallo  stato  dirò  cosi  latente 
passa  allo  stato  di  relazione?  Ogni  parte  del  corpo 
animale  sente  e  vive  alla  sua  maniera;  T  epidermi- 
de, l'aceudo  parte  di  questo  corpo,  ha  conseguente- 
mente delle  proprietà  vitali  sue  proprie,  che  invano 
gli  sì  vorrebbero  contrastare. 

Si  è  addotta  di  sopra  ,  come  prova  dell'  organis- 
mo e  vitalità  della  cutìcola,  la  di  lei  pronta  ripro- 
duzione, ove  sia  distaccata  dal  corpo  mucoso.  Mol- 
le cause  possono  durante  la  vita  separarla  dal  re- 
ticolo malpighiano:  una  forte  pressione,  uno  stio- 
iinauK  ìlio  continuato  per  molto  tempo,  T  applica- 
zione dell  acqua,  dt  13' olio,  o  di  qualimque  altio 
liquido  bollente,  Tazione  del  fuoco,  t!el  fulmine, 
gli  epispastici,  le  infiammazioni  violenti  della  p.^l- 
k\  specialmente  1  eresipola,  le  affezioni  erpetiche, 
parecchj  esantemi,  ed  altre  malattie.  Ora  in  que- 
sti ella  prontamente  si  rigenera,  e  non  solo  in  quel- 
le parti  che  si  trovano  esposte  ad  un  immediato  con- 
latto con  Varia,  ma  altresì  su  quelle,  che  coperte 
sono  da  un  empiastro  o  da  un  Huido  qualunque;  e 
nel  riprodursi  passa  per  tutte  quelle  gradazioni  di 
accrescimento  ,  proprie  a  qualuuipie  altro  tessuto  or- 
ganizzato. Sul  principio  rassomiglia  ad  una  materia 
glutinosa,  indi  a  poco  a  poco  prende  T  aspetto  di 
una  esìlissima  membrana  É  osservabile  che  la  riprodu- 
zione deir  epidermide  procede  contemporaneamente 
su  tutti  i  punti  del  reticolo  malpighiano,  che  n  è  sta- 
to spoglialo,  mentre  il  derme  non  si  riproduce  che 
per  il  prolungamento  de'  suoi  lembi.  La  cuticola  in 
alcuni  casi  si  rigenera  iiiìmediatamen te  sul  cuojo: 
accade  ciò  nelle  ferite  con  perdita  di  sostanza,  o 
sulle  piaghe,  che  hanno  suppurato  qualche  tempo, 
per  cui  il  corpo  mucoso  è  stato  intieramente  dislrut- 


32  S  e  I  r  X  z  E 

to.  Qucsi' opidermidc  e  alquanto  diverso  iicila  stia 
slruttura  dn  quello,  elio  suol  rigenerarsi  snl  icllco- 
lo  mucoso;  esso,  corno  già  osservarono  IVicliat,  Cha- 
ussier  ,  e  Adelon,  non  si  può  slaccare  dalla  soUo- 
j)osta  cute  con  gli  stessi  mezzi,  che  sogliono  prati- 
carsi per  ottenere  la  cute  isolata.  Nel  callo  poi  il 
primo  strato  cuticolare,  che  viene  slaccalo  dalla  ri- 
petuta compressione,  e  confricazione  de  corpi,  è  suc- 
ceduto da  altri  strati,  i  quali  formano  una  j)romi- 
nenza  dura,  ed  insensibile  sino  ad  un  certo  limite, 
come  nelle    ginocchia,  nelle  mani ,   e  ne' piedi. 

Questo  breve  sunto  ci  sombra-  snltìf-iontc  a 
guarentire  la  verità  della  tesi  del  sig.  Mojou  ,  che 
]'  epidermide  sia  un  corpo  organizzato  ,  sensitivo  , 
e  capace  di  subire  le  vitali  modilicazioni  proprie 
delle  altre  partì  del  corpo  .  11  lettore  troverà  poi 
nella  dissertazione  molle  notizie  desunte  dalla  no- 
tomia  comparata  sulla  struttura  deiT  epideimide  ; 
vi  troverà  i  mezzi  per  separarlo  nel  cadavere  ;  la 
chimica  composizione  ,  e  gli  usi:  in  poche  parole 
V  opuscolo  è  assai  pii'i  pregevole  ,  di  quel  che  pos- 
sa qui  comparire  ;  e  conferma  la  ripula/ione  ,  di  cui 
meritamente  gode  presso  il  pubblico  T  autore  delle 
preziose  Leggi  Jisioìogiche . 

G.  F. 


33 


tUT'Tn'inilWH'TIilirniMIP*—  PliWIMIMIf  ^Wl  'P'WIWIIili' J>    I   tl»tlMH'M    ■!>*  ff 


De  hlenna  -  pyoderrhagia  sjphilitica  dissertatio  in 
duas  partes  tributa  ,  diagnosim  ,  prognosim  ,  et 
curntionem  complectens  .  jéucturc  Josepho  Cccsa- 
re  Fenolio  Ripuleiisi  ,  pJiilosophue  et  medicince 
doctore  .  Mediolani  1820  . 

autore  per  trattare  della  gonorrea  sifilitica  , 
che  egli  dice  hlenna  pjuderragia  sjplillitica  ,  di- 
vide la  sua  dissertazione  in  due  parti  .  Nella  pii- 
ma  è  compresa  la  diagnosi  ,  e  la  prognosi  di  que- 
sta malattia  .  E  nella  seconda  è  soltanto  il  modo 
da  curarla  . 

i\eila  diagnosi  si  notano  i  varj  sintomi  della 
gonorrea  da  qualsivoglia  cagione  prodotta  .  Si  asse- 
risce che  questo  male  ha  tre  generi  ,  de'  quali  il 
primo  è  nominato  blenna-pjoderragi^-idiopatliica  , 
cioè  gonorrea-idiopatica  ^  perchè  prodotto  da  uno  sti- 
molo esterno  ;  il  secondo  simpatica  ,  o  sintomati- 
ca ,  perchè  deriva  da  un  altro  male  ;  ed  il  terzo 
(  qui  son  necessarie  le"  parole  dell' A.)  metastatica  , 
ob  humorum  moìbijicorum  super  vaginam  ,  ure- 
tliram  ,  reliquasque  partes  repercussionem  „  .  Si  mo- 
stra dipoi ,  che  ciascun  genere  contiene  molte  spe- 
cie ,  nominate  con  i  nomi  delle  varie  cause  spe- 
cijiche  ,  le   quali    producono  la   gonorrea  . 

La  quistione  ,  che  molti  scrittori  tanno  per  sa- 
pere se  la  natura  della  gonorrea- sifilitica  sia  ,  o 
no  diversa  dalla  essenza  delle  altre  malattie  ve- 
neree ,  è  acconciamente  esaminata  .  Egli  espone 
gli  argomenti ,  i  quali  provano  che  questi  non  han- 
no la  stessa  natura  .  JNomina  gli  autori  che  tengo- 
no questa  dottrina  ;  e  coloio  ,  i  quali  vi  si  oppon- 
G.A.T.I  X  3 


34  Scienze 

gono  .  Reca  sei  osservazioni  fatte  da  se  medesimo  . 
K  por  queste  ,  e  per  ciò  cIk;  Iianno  sciitto  moìti 
jainosi  medici  e  cliirurgi  ,  ragionando  ,  allei  ma 
rssei-  uno  quello  ignoto  principio  ,  che  genera  le 
diverse  malattie  veneree  .  Dice  che  non  prova  es- 
sere speciale  la  natura  della  gonorrea  sililitica  il 
mostrar  questa  i  suoi  eflfetti  in  una  sola  parte  ,  e 
le  altre  in  molte  parti  del  cor[)o  .  Poiché  ciò  av- 
viene dal  che  sovente  quel  principio ,  il  quale  pro- 
duce la  gonorrea,  stimola  soltanto  la  membrana  mu- 
cosa degli  organi  della  generazione,  e  colà  si  ri- 
mane .  Forse  perchè  il  muco  impedisce  1  azione 
de'  vasi  assorbenti  . 

Dopo  aver  ragionato  alquanto  della  natura 
della  gonorrea  prodotta  dal  veleno  venereo  ,  T  A. 
vorrebbe  farci  sapere  con  quali  segni  possiamo  ri- 
conoscerla .  Ma  egli  medesmio  ci  avverte  non  esser- 
vene  alcuno  sicuro  .  Tutte  le  specie  di  gonorree 
]ianno  spesso  sintomi  comuni  .  i:.d  è  diflicil  cosa 
distinguere  V  una  dall'  filtra  ;  se  non  son  palesi  le 
cause,   da  cui    procedono. 

Parlando  l  A.  della  cura  della  gonorrea  sifili- 
tica nella  seconda  parte  del  suo  ragionamento  , 
considera  ciò  che  avviene ,  quando  incomincia  il 
male ,  quando  questo  si  accresce  ,  e  quando  di- 
venta minore  .  Égli  nomina  questi  tre  tempi  perio~ 
do  d  infezione  ,  periodo  di  Jlogosi  ,  e  terzo  sta- 
dio delia  hlenna  pioderagia  .  E  siccome  crede  ,  e 
giustamente  ,  che  il  veleno  venereo  non  in  altro 
modo  operi  ,  se  non  stimolando  soverchiamente  ; 
così  egli  vuole  che  nel  principio  ,  e  nell'  accresci- 
mento della  gonorrea  sifditica  siano  opportuni  i 
rimodi  ,  che  diminuiscono  il  valoi'e  degli  altri  sti- 
moli ,  non  potendo  scacciar  quello  ,  che  cagiona  la 
malattia  .  E  stima    che  contrarie  in    qualche   modo 


De    BLE.VNA.    PYODERRIIAGIA  35 

a  questi  rlm^^dj  debbono  essere  quelle  cose  ,  le 
quali  convengono  al  terzo  stadio  della  blenna-pio- 
deragia  . 

L'  oggetto  ultimo  del  nostro  A.  ò  la  cura 
de'  tristi  elFetti  della  gonorrea  sifilitica  ,  cagionati 
o  per  la  malignila  di  sua  natura  ,  o  perchè  i  ri- 
medj    non    l'urooo    convenevolmente  adoperati . 

J\oi  abbiamo  ragionato  con  queste  poche  pa- 
role della  dissertazione  del  Fenolio  ,  non  ad  al- 
tra cagione  ,  se  non  per  brevemente  maniiestare  ciò 
che  a  noi  ne  pare  delle  infinite  opere ,  che  in  qual- 
che parte  somigliano  questa  ;  e  ,  ciò  facendo  ,  desi- 
deriamo che  altri  non  creda  essere  nostra  inten- 
zione il   mordere   chi   che  sia  . 

I  dotti  di  chiaro  ingegno  ,  e  forse  anche  co- 
loro ,  che  ne  hanno  1'  apparenza  ,  e  non  la  so- 
stanza ,  gridando  ,  vituperano  la  turba  degli  scritto- 
ri ,  i  quali  pubblicano  con  le  stampe  le  loro  ope- 
re o  per  aver  gloria  ,  perchè  ingannati  dal  me- 
desimo loro  giudizio  ;  o  per  ingannare  altrui  ,  ed 
averne  ingiusta  mercede  .  Molti  buoni  gioi'nali  cer- 
cano di  Irenare  la  dannosa  voglia  di  questi  tali  , 
biasimandoli  più  che  a  gente  costumata  non  con- 
verrebbe .  Ma  ciascuno  grida  ,  ed  opera  imlarno  . 
Le  biblioteche  ognora  soa  caricate  di  nuovi  libri 
inutili ,  o  nocivi  ;  quasi  non  mai  senza  utilità,  de' 
loro  autori  . 

JNoi  crediamo  che  questo  male  proceda  da  due 
principali  cagioni  ,  delle  quali  luna  è  nel  giudicio  di 
quei  lamosi  ,  i,  quali  o  scrivendo  o  parlando  esa- 
minano le  opere  altrui  .  L  altra  è  nella  mente  di  co- 
loro ,  che  né  sono  del  tutto  ciechi  ,  né  abbastan- 
za  illuminati  .    E  ,  per    dir    chiaro; 

Alcuni  dotti  scrittori  o  perchè  natura'mente 
cortesi,    o   perchè   tali   m  lor  prò  diventarono,  sti- 

J 


36  Sciente 

mano  dannevole  il  vituperare  ingiuslaniPTite  -  Ma  ,  a 
parer  di  questi ,  non  è  mai  sconcia  cosa  il  lodare 
chi  che  sia.  Perciò  talvolta  sicuri  della  loro  auto- 
rità, giudicano,  e  lodano,  non  mostrandone  la  ca- 
gione. E  sovente  periodare,  ed  apparire  giusti,  esa- 
itìinano  lo  scritto,  al  quale  vogliouo  dar  lode.  E  con 
il  loro  sapere,  e  con  il  loro  ingegno  acconciano  in 
hella  forma  quella  scarsa  materia,  che  quivi  trova- 
no non  guasta.  Della  qual  cosa  coloro,  che  dicem- 
mo benigni  per  natura,  se  ne  compiacciono.  Quel- 
li, che  lo  sono  per  arte  (  e  meglio  si  direbbe  per  ma^ 
lizia  )  ne  vivono  lieti,  o  perchè  n  ebbero,  o  perchè 
ne  aspettano  mercede.  L'  autore  dello  scritto  loda- 
to da  coloro  ,  che  meritano  lode  ,  diventa  più  ar- 
dito, e  meno  ingegnoso.  Il  suo  esempio  sprona  e 
guida  mille  sciagurati  scrittori.  E  nascono  infinite 
opere,  che  recano  non  picciolo  danno  alle  scienze, 
ed  alle  buone  lettere. 

A  far  conoscere  il  valore  della  seconda  causa, 
che  produce  questo  cattivo  effetto,  diciamo:  To- 
stochè  si  manifesta  un  libro  ,  lo  stuolo  di  quelli, 
che  son  detti  leg-isti,  medici,  letterati,  ec.  i  quali 
seco  trasportano  il  volgo  cieco,  per  apparir  dotti, 
devono  leggere  questo  scritto  novello,©  almeno  far- 
ne vista,  e  darne  sentenza.  E  ciascuno  di  questi, 
se  si  tratta  di  ciò  che  si  crede  sua  materia,  deve 
più  arditamente  giudicare.  Per  sapere  però  se  il  giu- 
dicio  sarà  o  nò  giusto,  consideriamone  il  giudice  , 
Questi  mal  volentieri  sofferendo  che  altri  diventi 
famoso,  sospinto  da  invidia  desidererebbe  che  il  li- 
bro, e  diremmo  anche  V  autore,  più  non  esistes- 
sero. E  non  potendo  ciò  avvenire  per  suo  mezzo; 
vorrebbe  almeno  biasimare  ogni  cosa.  Ma  si  ritiene; 
e  loda  invece;  conoscendo  potersi  lo  biasimo  facil- 
mente  rivolgere  contro  se  medesimo.    Ed  in  vero. 


De  blenna  pyoderrhagia  Sn 

allorché  taluno    loda  altri,    se  coloro,  che  ascolta- 
no, ne  chiedessero  la  cagione,  mostrerebbero  forse  di 
essere  maligni.  Al  contrario,  se  si  biasima,  colui  che 
biasima  deve  manifestarne  il  perchè;   onde  non  ap- 
parir malvagio ,  o  stolto.  E  chi  non  sa  trovare  que- 
sto perchè,   deve  di  necessità  lodare.  Questo  argu- 
mento  ha  maggior   forza  nel  nostro  proposito;    poi- 
ché lo  scritto  pubblicato  con  le  stampe  dispone  la 
^enle  volgare  ad   onorarne  Y  autore.   Chiaro  è  dun- 
que essere  il  giudicio  de'  loschi  la  seconda  cagione, 
onde  molti  arditi,  non  senza  loro  utilità,  scrivono; 
e  le  scienze    e   le  lettere  spesse  volte  o  non  ricevo- 
no alcun  nutrimento  da'  libri  novelli ,   o  vi  son  pa- 
sciute a    tosco.  Ma  poiché  le  cose  insino  a  qui  da 
noi  significate  mostrarono  già  il  nostro  soverchio  ar- 
dire ;    possiamo    senza    nostro    danno    metterne    la 
giunta. 

Ci  sono  non  pochi  scrittori,  i  quali  fanno  sì 
gran  conto  de  sopradetti  giudici,  che  per  non  es- 
sere offesi  dalla  invidia  di  quelli,  e  per  renderseli 
amorevoli,  non  solo  intitolano  ad  uno  di  essi  le  lo- 
ro ciancìe;  ma  scrivendole,  cercano  ogni  modo  on- 
de o  commendare,  se  è  possibile,  alcuna  cosa  ope- 
rata da  quei  cotali,  o  almeno  onorevolmente  nomi- 
narli. E  ciò  più  volentieri  fanno,  se  que' mezzani  del- 
la gloria  adulterata  sono  in  alto  luogo,  tanto  che 
per  la  loro  voce  possa  ficilmente  spandersi  il  no- 
me dei  dannnevoli  dicitori  delle  vere  e  delle  fal- 
se dottrine  altrui. 

Afiìnchè  però  non  paja,  voler  noi  dire,  non  es- 
serci alcuno ,  il  quale  dia  giusto  giudicio  intorno  le 
opere  eli  cui  ragioniamo;  è  necessario  soggiugnere* 
che  essendo  stati  anche  da'  veri  dotti  o  por  invidia, 
o  per  altra  cagione,  alcuna  volta  biasimati  gli  scrUli 
di  coloro,  i  quali  a  buon  dritto  sono  gloriosi;  quei 


38  S  e  I  K  re  Z  E 

pochi  giusti,  che  rettamente  g'uidlcano,  non  sono 
intesi.  Poicliò  se  questi  biasimano  ,  i  biasimati  se 
ne  dan  vanto  ,  mentre  additano  quei  chiari  e  fa- 
mosi ingegni,  che  ingiustamente  furono  vituperati. 
E  la  gente,  la  quale  crede  aver  tutte  la  m(Hh'SÌma 
natura  quelle  cose,  che  in  qualche  parte  T  una  T  al- 
tra somiglia,  anche  per  questa  sagrilega  compara- 
zione rimane  ingannata. 

Ritorniamo  ora  alla  dissertazione  del  Fenolio  , 
che  ci  ha  dato  occasione  di  mostiaro  una  piccola 
parte  della  ventraja  di  coloro  ,  i  quali  benché  pri- 
vi di  ogni  buon  valore  ,  non  possono  essere  fe- 
riti per  punta,  ma  sì  ben  per  taglio  -  Noi  cre- 
diamo clie  r  A.  siccome  giovane  ,  per  quello  che 
egli  dice  ,  dall'  amor  della  gloria ,  e  non  da  al- 
tra cagione  sia  stato  tirato  a  pubblicare  il  suo  scrìt- 
to .  Perciò  ,  lasciando  stai-e  le  cose  di  sopra  det- 
te ,  che  tutte  non  sono  per  lo  suo  dosso  ,  gli  fac- 
ciamo sapere  ,  non  poterci  noi  lodare  del  suo  li- 
bricciuolo  .  Noi  slimiamo  degno  di  essere  mani- 
festato con  le  stampe  quello  scritto  soltanto  ,  il  qua- 
le o  mostra  nuove  cose  con  giusti  argomenti ,  o 
ne  insegna  un  modo  ,  onde  pii'i  facilmente  si  possa 
apprendere  ciò  che  altri  prima  significarono  ;  o  ab- 
batte le  dottrine  ingiustamente  credule  vere  ;  e  di- 
lettando guida  r  ingegno  al  ben  oprare  .  Il  Fe- 
nolio scriv-endo  ciò  che  era  a  molti  palese  ;  os- 
servando e  notando  cose  già  osservate  e  nota- 
te piìj  volte  ;  aggiiigncndo  la  voce  hlcnvn  -  pjo~ 
derragia  al  vocabolario  de'  medici  ,  dal  quale  con- 
verrebbe toglierne  mille  di  sì  fatte  :  molto  meglio 
avrebbe  operalo ,  se  ad  un  buon  censore  avesse 
mostrata  la  sua  dissertazione  .  Non  per  sapere  ,  se 
doveva  o  no  pubblicarla  ,  ma  solo  per  esser  certo 
di   aver   ben    appresa    la  scienza   altrui  .  Quello    il 


De  blenna  byoderrhagia  39 

quale  trama"  di  sapere  ,  ed  ammaestrare  coloro  che 
sanno  molte  altre  cose ,  mettendosi  per  la  via  del 
vero  ,  prima  deve  seguitare  attentamente  la  guida 
che  lo  conduce  ,  finché  non  giunge  là  dove  altri 
giunse  .  Dopo  ciò  convien  che  provi  col  parere  de' 
savj ,  se  le  cose  scontrate  per  lo  cammino  fuio- 
■no  da  esso  sì  o  no  osservate  ,  e  ben  comprese  . 
Poscia  è  necessaiìo  che  egli  torni  indietro  per  fare 
la  se  solo  k  seconda  volta  lo  stesso  viaggio  ;  e 
cercare  se  mai  vi  l'osse  un  sentiero  più  breve  ,  e  più 
àcìle  ;  se  chi  lo  ha  guidato  la  prima  volta  gli  ha 
nosti'ata  ogni  cosa,  che  ce;  e  se  nel  miglior  mo- 
Od  .  E  quando  di  nuovo  viene  al  termine  ,  se  sente 
«1  certo  valore,  e  desidera  di  andar  più  oltre, 
COI  ogni  buon'ardire  deve  sforzarsi  di  abbattere  quell' 
osacolo  ,  da  cui  gli  altri  furono  ritenuti  .  Per 
qiHUo  ,  e  non  per  altro  mezzo  noi  crediamo  ,  che 
alctiia  volta  alcuni  pochi  possano  scrivere  per  dirsi 
auto]  giustamente  .  li  se  f  autorità  di  molti  non. 
CI  vjitasse  di  ombrare  la  fama  di  coloro  ,  i  quali 
scrissero  nuovi  libri  ,  perchè  iL  caso  e  non  la  scien- 
za li  indusse  a  veder  nuove  cose  ;  noi  mostre- 
remmo rf  infiniti  danni  recati  dalle  strane  conse- 
guenze, r^he  questi  trassero  dalle  ìoro  scoperte  per 
nomuiars  autori  dì  grossi  volumi  .  La  storia  della 
medicina  ola  basterebbe  per  farne  mille  luminose 
prove . 

1  er  Crnpiere  il  nostro  proposito ,  come  me- 
glio per  noi!;i  possa  ,  parleremo  alquanto  dello  stile 
«el  nostro  j.  Egli  scrisse  latino  ;  non  però  con 
quelle  voci  ,^  con  quei  belli  modi  ,  con  cui  parlò 
la    gente  , 

„   Che   vissta  Roma  sotto  il  buon  Augusto  ; 
ma   con    quel    ^gnagglo  ,    che    da   parenti    di    na- 
tura  guasta  nac(je  nel   Lazio  ,  sotto  ben  altro  im- 


4o  Scienze 

pero  .    Molti   nostri  cittadini  ,    non  vedendo  a  quple 
altezza  è  giunto  il  nostro   idioma   per  lo  nnlrimento 
avuto   nel   decimo  quarto   secolo  ,    fecero  poco  con- 
to   del    parlare  italico  .    Per  far  prova  del   loro  sa- 
pere ,    inventarono    una    lingua,    che    dissero    delle 
scuole.  E  con   un   ardire  assai   più  stolto   di  quel- 
lo,  che  ebbero   le    Piche    e    Marsia    allorché    pro- 
vocarono   Apollo   ,    credettero    che    le     loro    voci 
somigliassero   quelle  degT   antichi  e   gloriosi  .    No 
recheremo  alcune    parole    dell'  oratore    romano ,    l< 
quali  non    disconvengono   al    nostro   ragionamento 
affinchè    il  nostro    A.,  mosso   da   coscienza,    consi- 
deri più    attentamente  i  libri  di  questo   latino  ;   e  i 
sovvenga  del  nostro  giudìzio.   iVè   vogliamo    cred;- 
re    che  ,   essendo  stato  Cicerone   letterato  e  scici- 
ziato  insieme  ,   non  si   possa    paragonar    questi    ou 
chi    tratta  di    scienze  ;    essendo    certi    che    il    lete- 
rato    e    lo    scienziato  ,   comechè   talvolta    non  car- 
lino nel   modo    stesso,    e    Inno  e    l'altro    d(*ono 
sapere    e   mostrare   nei     loro    concetti     1'  art    del 
ben  dire . 

Il  Fenolio  ,  come  dicemmo,  pare  eh'  desi- 
deri di  essere  glorioso  :  ognuno  sa  che  qu'^to  de- 
siderio è  buono.  Cicerone  asserisce  cìie  Taror  della 
gloria  ci  sprona  ,  e  ci  ia  operar  bene  .  ,,  Joiios  alit 
artes  omiiesque  incendimur  ad  studia  ,  glota  .  ,, 

Ma  questa  gloria  ,  come  tutte  le  cse  deside- 
rate da  molti,  è  speso  falsificata;  e  là  dove  fia  sua  for- 
ma, sempre  non  è  la  sua  sostanza.  L'orgofio,  per  sod- 
disfare la  brama  de'molti  suoi  seguaci  ,i  quello  che 
sogliono  fare  taluni  artefici,  i  quali  danno  l'ap- 
parenza di  gemma  orientale  ad  una  nateria  vile  ; 
ed  appagano  così  la  vanità  delle  antescho  ,  1<« 
quali  vogliono  somigliare  le  donne'iccamenle  or- 
nate .  Affinchè  il  nostro  A.  non  si  vago  di  queste 


De  blenna  pyoderrhagia  4* 

ingannevoli  Immagini,  ponga  mente, alle  Tuscolane, 
là  dove  si  legge  :  „  Tu  ergo  quae  habent  speciem 
gloriae^  collecta  ex  inanlssimis  splendoris  insignihns^ 
contcmne  :  bragia  ,  fugacia  et  caduca  existiina  ,,  . 
Se  egli  con  nuovo  valore  ,  e  con  miglior  ardire  vo- 
lesse cercare  la  vera  gloria  per  mercede  de'  suoi  scrit- 
ti, sappia  che  il  suo  volere  sarà  vano,  se  la  sua 
opera  non  recherà  vantaggio  o  ai  cittadini ,  o  alla 
patria  ,  o  all'  umaa  genere  .  Questo  ci  fa  sapere  Ci- 
cerone parlando  a  favore  di  Marcello  :  „  Gloria  est 
ilìustris  et  pervadala  multorum  et  magnorum  ,  vel 
in  suos  cives  ,  vel  in  patriam  ,  fé/  in  oniìie  genus  ho- 
minum  Jnnia  meritorum  .  „ 

L' arte  e  la  scienza  de'  medici ,  di  cui  è 
piccolissima  parte  lo  scritto  del  Fenolio ,  più  clic 
ogni  altra  cosa  ci  rende  facile  il  sentiero  di  quel- 
la gloria  ,  della  quale  Tullio  ragiona  .  I  medici  ,  se- 
condo che  scrisse  questo  principe  della  romana  elo- 
quenza ,  operando  perla  salvezza  degli  uomini,  mo- 
strano di  aveie  una  parte  della  divina  potenza  .  Ma 
non  può  ognuno  posseder  quest' arte ,  e  scrivere  del- 
la   sua  materia  ; 

„  Che  non  è  impresa  da  pigliare  a  gabbo  .  „ 
La  medicina  non  è  vana  ,  come  taluno  crede  . 
Vane  però  sono  le  parole  ,  e  gli  scritti  di  molti , 
i  quali  ingiustamente  hanno  lama  di  tenere  questa 
scienza .  Se  il  Fenolio  brama  di  ragionar  di  me- 
dicina ;  prima  di  pubblicare  con  le  stampe  i  siud 
concetti  ,  mostri  la  sua  opera  a  quei  pochi  ,  che 
a  buon  dritto  sono  lodati  ;  e  se  eglino  la  terran- 
no per  buona,  la  faccia  palese  ad  ognuno  ,  e 
sia    certo    di   esserne  glorioso  . 

A  noi  è  piaciuto,  parlando  della  disertazione 
del  F-enolio  ,  dir  queste  poche  cose  intorno  talune 
opere  ;    circa    X  inleiuioue    de'  loro    autori  \   e  ri- 


42  Scienze 

Spetto  ai  giudici  che  danno  valore  a  quelle  .  Non 
crediamo  j)oi'ò  clie  le  nostro  parole  possino  ti'at- 
tenere  taluni  scrittori,  o  guidarli  per  la  dritta  via. 
Per  liberare  le  scienze  e  le  arti  dal  velenoso 
incliioslro  di  coloro  ,  noi  vorremmo  muovere  quei 
valorosi  ,  i  quali  beti  potrebbero  fare  quello  ,  che 
noi   non    possiamo  . 

„  Poca    favilla   gran   fiamma  seconda  ; 

„  Forse    di   retro   a    me   con    miglior  voci 

„   Si    pregherà    perchè  Girra    risponda. 

Né,  perchè  abbiamo  parlato  con  molto  ar- 
dire de'  difetti  altrui,  alcuno  può  riprenderci  con 
le    parole    di    Orazio  : 

,, Quid  tu? 

,,   Nulla  ne  habes     vitia  ? 

Poiché  ,  proseguendo  il  medesimo  canto  ,  risponde- 
remmo : 

,,  Imo  ,  alia  ,  haud  fortasse  minora  . 

Non  ci  è  ignoto  il  nostro  scarso  ingegno .  Noi 
abbiamo  solamente  mostrato  di  conoscere  la  strada 
del  vero  ;  e  di  sapere  come  si  deve  andar  per 
essa  .  I  giornalisti  possono  ripetere  a  buona  ra- 
gione questo  che  Fiacco  per   sua  modestia  diceva  : 

„  Fungar  vice  cotis  ,  acutum 

„  Reddere  quae  ferrum   valet  exors  ipsa  secatidi  . 

De  Crolli* 


Annotazioni  alla  storia  del  feto  mostruoso  ec.  ylr- 
ticolo  II  ed  ultimo  di  G.   Tonelli  . 


J_Ja  forza  iriimagìiiatlva  dell'  uomo  ha  un  grande 
impero  Sn  di  esso.  Lo  comprovano  il  delirio  melan- 
conico di  un  Socrate,  di  un  Pascal,  di  un  Euge- 
nio, di  un  Petrarca,  di  un  Tasso,  di  un  Abelardo, 
di  un  Pìgmalione  (a),  di  un  Gaspare  Barloeo,  e  per 
fine  (  tacendone  molti  altri  )  di  un  Pietro  lurieu'i, 
il  quale,  celebre  per  dispute  teologiche,  scritti  po- 
lemici, e  pel  suo  comcntario  sopra  l'apocalisse,  si 
abbandonò  alla  melanconica  affezione  di  ritenere  i 
suoi  colici  dolori,  che  lo  bersagliavano,  prodotti  dall' 
animale  fornito  di  sette  capi  e  dieci  corna,  di  cui 
si  fa  menzione  nell'  apocalisse  medesimo  (b).  Lo  at- 
testano altresì  i  sintomi  della  idrofobia  per  effetto  di 
esaltata  immaginazione  sperimentati  da  Temisone ,  ed 
osservati  da  Franck,  da  Schmucker,  e  da  Brera;  i 
sconcerti  morbosi,  dei  quali  si  querelano  gì  ìpo-^ 
condriacirle  moltiplici  affezioni  delle  ovaja  delle  fem- 
mine (e)  ,  e  r  istessa  formazione  dei  corpi  lutei,  di 
che  Buffon  e  Vallisnieri  di  già  parlarono,  e  che  dall' 
ili.  Roose  si  credettero  ancora  in  virtù  di  esaltata  im- 
maginazione generati. (d)  Ne  starò  io  qui  a  rammentare 
la  leucorrea, le  polluzioni,  la  ninfomania,  e  l'onanismo 
derivanti  da'  ripetuti  esaltamenti  del  potere  imraa- 

(a)  V.  Brera.  Traduzione  di  Borsieriec:  K  Prolegomeni  pag.    iSi. 

(b)  V.  Tissot,  Reil,  5'prengel. 
(e)  Brera.  1.  cit. 

(d)  Cvivier-Lecons  d'anatomie  coraparée  ec  Lecon  XXIX  section  I. 
Artide  IL 


44  Scienze 

ginatlvo,  bastando  sol  che  io  rammenti  esservi  sta- 
ti in  ogni  tempo  li  più   eruditi    scrittori,     che  sul 
potere,   e  sui  danni  dalla  forza  d'  immaginazione  pro- 
dotti, bau  consegnato  alla  posterità  le  più  pregevoli 
cognizioni   (e).  Emerge  da   tali  premesse  una  conse- 
guenza  giustissima    ed  evidente  ,  qual  sì   è,   che  la 
facoltà  della  immaginazione  ha  un  dominio  positivo 
ed  assoluto  sull'  umano  organismo^  mentre  lo  assog- 
getta alla   tirannia  dei  morbi  i  più  gravi,  i  più  tur- 
pi,  ed   i  più  incurabili   non  solo,  ma  ben  anche  lo 
rende  talvolta  folle   vittima,   o  unicamente  del  suo 
insano  trasporto ,  o  semplicemente  di  malattie  le  più 
miti,   come  diverse  osservazioni  ne  leggiamo  alla  pag, 
5o  del  voi.  XX.  della  Bibhoflièque  Medicale  sp^^t- 
tanti  a  varj  individui,   che  colla  morte  han  pagato 
realmente  il  tributo  della  loro  stolta  credulità  a  so- 
gnate predizioni-   Maggior  peso  acquista  V  enunciata 
conseguenza,  ove  al  finquì  esposto  aggiunger  voglia- 
si un'  opportuna  distinzione  fondata  sul  lume  della 
giornaliera  esperienza,  che  la    muliebre    immagina- 
zione trovisi  neir  epoca  della  gravidanza  in  un  gra- 
do maggiore  di  esaltamento.   Agevole   in   tal    guisa 
riuscì  al  sagace  Arnoldo  Wlenholt  (f)  di  sostenere 
il  potere  della  immaginazione  materna,  e  virilmente 
combatterne  tutte  le  obiezioni  in  proposito. 

Ciò  premesso,  a  me  sembra  che  non  riesca  dif- 
ficile a  concepirsi  \  idea  del  rapporto  della  mater- 
na immaginazione  colf  organismo  del  feto  racchiuso 
neirutero.  Il  dott.  Adolfo  Krause,  che  nella  sua  citata 

(e)  Meritano  fra  qucsù  onorevole  ricordanza;  Zimmcnnann, Clel- 
ia esperienza  nella  medicina.  Gap.  ii.  e  12  del  Uh.  4-,  non  die 
Adolfo  Krause,  De  damnis,  qu.T  ad  corpus  huinanuni  ex  imagiria- 
tionc  rcilnudam  (V.  Brera.  Syllog;C  Cc:  voi.  VII.) 

(f)  Lezioni  sulla  origine  dei  mostri  ce:  '    '• 


Feto   mostruoso  4^ 

opera  tatti  affidò  alF  azione  dei  nervi  gli  effetti  i  piiì 
nocivi  da  esaltala  immaginazione  derivanti,  conchiu- 
se su  ir  argomento  in  discorso  con  augurare  che  si  sa- 
rebbero un  dì  scoperte  le  occulte  vie  finquì  ignote, 
ma  atte  a  svelare  il  fenomeno  di  cui  si  tratta.  ,,  Nam 
„  etsi  neutiquam  sura  nescius  ( 'son  sue  parole), 
,,  neminem  fuisse  inter  anatomicos,  qui  haec  or- 
„  gana  reperisse  sibi  visus  fuerit,  ea  tamen  vere  ades- 
,,  se  dubitari  non  potest,  et  certissime  mihi  per- 
,,  suasLim  habeo,  ea  aliqiiando  inventum  iri,  prae- 
„  sertim  cum  videam,  simile  quid  aliis  partibus 
,,  corporis  nostri  din  prorsus  ignotis,  tandem  vero 
,,  piena  luce  illustratis  accidisse  ,,  .  (g) .  E  se  il 
Wieusscns,  il  Bradlej,  ed  altri  ebbero  ricorso  all' 
opera  'dei  nervi;  V  autorità  però  assai  veneranda  di 
im  uomo  sommo,  qual  si  fu  l'Hallero,  oscurò  per 
incanto  le  opinioni  di  quegli  scrittori  col  franca- 
mente asserire  :  a  maire  in  Jrstum  nulli  nervi  tran- 
seunt .  (Il)  .  Né  per  f  inverso  ordine  riuscì  a  que- 
sto insigne  fisiologo  il  persuadersene  ;  giacché  se 
dietro  X  esposizione  di  Bertrandi  soggiunse  in  ap- 
presso :  etsi  aliqui  ah  hepate  ad  ligamenta ,  et  ad 
umbilicum  utique  venire  possunt  ;  era  per  altro  di 
avviso,  che  fuori  dell'  ombelico  fosse  a  lai  nervi 
precluso  Y  egresso,  e  che  ivi  avessero  il  lor  termi- 
ne; sì  perchè  nemo  (  così  egli  si  esprime)  accura- 
tiorum  infunicido  ....  nervos  vidit  (i);  come  an- 
che perchè  a  lui  sembrava  non  essere  il  tralcio  om- 
belicale una  continuazione  delle  parti  del  feto,  ma 
bensì  lo  giudicava  inserito,  aderente  semplicemente 


(g)  L.  cit.  pag.   143.  (  vcd.  not.  (e)  ) 

(h)  L.  cit. 

(i)  Voi.  X.  lib.  29.  sect.  III.  secundce.  §.  XIX. 


40  Scienze 

alla  cute  del  feto  is tesso  :  funicAtlus  in  ciifis  fls' 
suram  potiiis  inscr/us  videtiir  .  (k)  Mu  sembrami 
(  se  mal  non  mi  appongo  )  trovarsi  la  cosa  oggidì 
sotto  altro  aspetto  in  grazia  delle  luminose  sperien- 
ze  Agì  chiar.  prof,  di  anatomia  umana  in  Bologna 
il  dottor  Francesco  Mondini.  Questo  celebre  anato- 
mico è  giunto  a  dimostrare  con  rigorosa  evidenza  in 
virtù  dei  suoi  moltiplicì  esperimenti  (I),  che  dal  fe- 
to si  espande,  e  si  prolunga  per  una  continuata  in- 
tegrità della  sua  propria  sostanza,  la  cute  e  1' apo- 
nevrosi  dei  muscoli  dell'  addomine,  onde  formarsi  la 
robusta  ed  elastica  guaina  dei  vasi  ombelicali  .  Più: 
da  tale  inviluppo  del  cordone  ombelicale  continuan- 
dosi progressivamente  l'espansione  delle  accennate 
parti  del  feto,  giungono  fjuestc  lamine  alla  placenta, 
si  prolungano  sulla  interna  superficie  di  rpjesta,  ed 
oltrepassando  il  lembo  circolare  della  medesima  si 
rivolgono  d'  intorno  al  feto  in  modo  da  costituire 
le  due  membrane  amuio  e  corio  ,  nelle  quali  tro- 
vasi il  feto  rinchiuso  lino  al  momento  di  vedere  la 
luce.  Or  questa  produzione  di  parti  organiche  del 
lèto  medesimo  ne  istruisce,  che  dette  parti  sian  for- 
nite di  vasi  e  rossi  e  linfatici  ,  non  che  di  pro- 
pagini  nervose  .  Né  X  estrema  sottigliezza  dei  va- 
sellìnì,  che  per  la  placenta  serpeggiano,  può  esclu- 
dere ivi  la  presenza  dei  nervi.  Giacché  dopo  le  os- 
servazioni di  Wrisberg,  e  di  Soemmering,  il  pri- 
mo dei. quali  depone  aver  veduto  tanto    più   molti- 

(k)  L  cit.  §.  IV.  li  punto,  ili  cui  disse  Hallcro,  che  gT  integu- 
menti formano  un  nolal>iIe  anello  d'intorno  al  fuaicolo,  si  è  quel- 
lo, in  cui  la  cuticola,  giunta  alla  cosi  detta  origine  del  tralcio, non 
si  estende  più  oltre  mentre  la  rute  si  prolunga. 

(I)  i-ascic.  XVII.  degli  opuscoli  scicntilìci  di  Bologna  e  Osserva- 
zioni iìilorno  ag;^  iiiv^lluppi  del  J'clo  umano  ce:    =3 


Feto   mostruoso  4? 

plicarsi  iutorno  ai  vasi  i  filamenti  nervosi,  quanto 
più  si  vanno  quelli  ad  assottigliare;  è  di  parere  il 
prof.  Racclìetti ,  che  le  propagini  nervose,  le  qua- 
li dappertutto  siegiM)no  ì  andamento  dei  vasi,  fini- 
scano Doi    in    confondere    ed   immedesimare    la  lor 

i. 

sostanza  midollare  colle  ultime  estremità  capillari, 
dalle  quali  si   effettua  la  nutrizione  (m)  . 

Che  se  è  vero  (  come  tiensi  per  dimostrato  dal- 
le dottrine    fisiologiche  )    esser  grandissimo  il    coo- 
perar  dei  nervi  alla  nutrizione,  spiegando  questi  uno 
speciale    dominio   su  i  vasi    secernenti    e   capillari , 
non    che    sulle    loro    l'unzioni    di    secrezione    e    di 
assorhìmenlo  ;  e   se  è   vero  altresì    (  come  riceviam 
conl'ermalo  dalla  osservazione  ),    che  Tesercizio  del- 
la nutrizione,  essendo   maggiore  e  più  attivo   al  pri- 
mo isvolgcrsi  del  ieto  nell'  utero  col  rendersi  succes- 
sivamente minore  fino    al  periodo  del  di  lui    ultimo 
esistere,   richiede,  che  ì   efficacia  della  forza  nervo- 
sa  dehba  essere  certamente  maggiore  nella  prima  età 
delTuomo,  che  in  tutte  le  rimanenti  della  vita:  ne 
discende  per  logica  conseguenza,    che   T  attività  dei 
nervi  sia   generalmente    più  energica,    più  pronta  in 
quella    età  delf  uomo,    che    nell  utero   conosciamo 
sotto   lo  stato  di  embrione  e  di  feto.  Sappiamo  d  al- 
tronde,   che  dopo  essersi  le  baihoiine  della  esterior 
superficie  dell'  uovo  fecondato  rese  aderenti  ad  una 
porzione  della  matrice,  ivi  principalmente  avviene  la 
nutrizione  e  T  incremento;   perchè  la  di  lui  placen- 
ta, in  virtù  dei  vasi  linfatici   (n) ,  dei  quali  a  do- 
vizia ridonda  questo   corpo  spugnoso  nella  sua    or- 
ganica struttura,  è  capace  per  mezzo  loro  a  foggia 

(m)  L.  cit.  scz.  t|uai-ta  cap.  Vili. 

(n)  Schregcr ,  De  funct.  placenta  uterina;  ec;  (  V.Brera  Sj  l!o- 
jc  ce:  voi.  111.  pag.  64,  e  seg.) 


48  S    e    I    E    >-    2    5 

di  pianta  parasita,  a  cui  la  paragonò  Osiander  (o), 
di  succhiare  nelle  cellule  dell'  utero  1  umor  nutri- 
zio  atto  a  somministiare  al  nuovo  ospite  i  mate- 
riali del  suo  rapido  ingrandimento.  Resta  così  coti 
piena  evidenza  riconosciuta  una  immediata  corrispon- 
denza del  feto  colla  madre;  coirispondenza  di  vasi 
e  di  nervi  della  madre  con  quelli  del  feto,-  corri- 
spondenza per  altro  ben  diversa  da  quella  delle  ana- 
stomosi già  confutata  da  Monrò,  Simson,  Roederer, 
ed  altri.  Che  se  poi,  mentre  Haller,  Walter,  Wris- 
bcrg,  Meckel  giuniore,  Schreger,  Kunter,  Dubois , 
Gardieu  impugnano  il  passaggio  di  alcun  liquido  dai 
vasi  della  madre  a  quelli  del  feto,  piacesse  nulladi- 
meno  di  valutare  le  osservazioni,  gli  esperimenti,  e 
pur  le  induzioni,  che  da  questi  ha  potuto  desumere 
lo  Ghaussier,  si  avrebbe  una  idea  di  una  piij  imme- 
diata (dirò  cosi),  più  diretta  corrispondenza,  mer- 
cè la  comunicazione  delle  radicule  della  vena  om- 
belicale colle  vene  uterine  (p). 

Rimane  dunque  in  un  modo  plausibile  provato: 
cKè  grande  T  imporo  della  immaginazione  sull'or- 
ganismo: cK  h  maggiore  il  dominio  di  qu:>sta  nelle 
Icmmine  pregnanti:  che  direttamente  colla  madre 
comunica  il  feto  mercè  del  prolungamento  della  cute, 
e  dell'  aponevrosi  dei  muscoli  addominali:  che.  que- 
sta comunicazione  non  è  solo  di  vasi  rossi  e  lin- 
fatici; ma  che  havvi  altresì  una  certa  corrisponden- 
za dei  nervi  dell'una  con  i  nervi  dell'altro,  giac- 
ché le  nervose  rarailicazioni  sìeguono  ovunque  il  cor- 
so dei  vasi  ,  fino  ad  immedesimarsi  colle  loro  ul- 
time estremità  capillari:  e  lilialmente  che  vi  esiste 

(o)  De  causa  inserlionis  placenta;  ec.  (v.  Urerasylloge  ec.Vol. 
I.  pa;^.  27.) 

(p)  V.  BuUctin  de  la  faculic  de  incdiciuc  de  Paris,  lanvier  ì8ì4- 


Feto   mostriìoso  49 

una  maggiore  altìvità  ed  energia  del  si<;fema  nervo- 
so del  feto  in  un  epoca  di  tempo,  in  cui  questa  cir- 
costanza coincide  con  il  grado  di  maggiore  esalta- 
mento'della  materna  immaginazione;  esaltamento  clie 
si  disse  deriìsnte  dalla  forza  istessa  dei  nervi.  Chia- 
ra quindi  dalle  cose  dette  emerge  la  concliiusione, 
clic  il  sistema  nervoso  della  donna  incinta  posta  già 
in  un  maggior  grado  di  esaltamento,  se  in  conse- 
guenza di  sopraggiunto  terrore,  spavento,  o  altro 
soBjiglieyol  patema  d«bba  dal  suo  naturale  stato  de- 
viare, uopo  è  che  ai  nervi  dell' utero  specialmen- 
te partepipi  una  tal  deviazione  un  certo  straordina- 
rio org;'ismo  liipidamente  questo  comunicatosi  alle 
i^ertose,  propagini  appartenenti  al  feto,  e  nelle  cel- 
lule dall  utero  immedesimate  coli'  estremità  capil- 
lari dei  vasi,  induce  quindi  col  mezzo  di  esse  per 
la  via  degf  inviluppi  letali  fino  al  luogo  della  loro 
origine  una  certa  impiessione,  che  riferita  ai  gangli 
del  feto  istesso  determina  la  produz.ione  di  quelle 
trasfbrmizionì  ,  cambiamenti,  mostruosità,  che  la 
giornaliera  esperienza  ci  pone  sott'  occhio;  giacche 
ognun  sa,  che  i  filamenti  nervosi  sono  disposti  in 
guisa  che  non  solo  si  i^accolgono,  e  riuniscono  in 
l'ascetti  sempre  maggiori,  ma  formano  nei  gangli  cer- 
ti centri,  e  precipuamente  , nel  cervello  ed  anzi  nella 
midolla  allungata  un  centro  massimo  costituiscono. 
Ma,  dirassi,  in  che  mai  consiste  una  tal  de- 
viazione dei  nervi  dal  loro  stato  normale  !  in  che 
quest'orgasmo!  in  che  questa  impressione  '  Sarà  mai 
essa  (  rispondo  )  quella  impercettibile  azione,  clii^  nel 
sistema  nervoso  si  desta  dopo  il  patema;  sarà  m  li 
essa  che  vaglia  a  produrre  un  pervertimento  nella 
composizione  naturale  dell'  umoi^e  nervoso,  o  tur- 
barne la  proporzione  nella  di  lui  secrezione  ed  assor- 

G.A.T.IX.  4 


5o  Scienze 

bimento,  per  valermi  delle  idee  di  Soemraeiing  (q)? 
Sarà  mai  essa  che  riesca  a  cangiare  1'  affinità  chi- 
mica delle  melecole  di  questo  umore  nervoso,  o  a 
modificare  la  di  lui  l'orza  vitale  col  variare  la  mo- 
bilità ,  la  preponderanza  o  dell'  ossigeno,  o  del  flui- 
do elettrico,  o  del  galvanico?  Potrà  forse  essa  con- 
sistere in  una  specie  di  oscillazione,  e  di  scuoti- 
mento del  principio  proprio  dei  nervi,  presso  a  po- 
co somiglievole  al  comunicarsi  del  suono  per  V  aria, 
se  fia  lecito  adottare  la  teorica  dottrina  di  Le  Pal- 
lois  (r)  ?  Si  potrà  forse  dessa  stabilire  nell'  altera- 
zione dell'  equilibrio  delle  azioni  reciproche  di  tut- 
ti gli  elementi  delle  melecole  nervose ,  ove  sia  per- 
messo di  qui  applicare  le  fisiologiche  idee  del  som- 
mo Gallini?  Or  se  questa  perdita  di  equilibrio  va- 
da neir  istante  istesso  a  produrre  un'  analoga  altera- 
zione nelle  vicine  melecole,  si  concepisce  agevol- 
mente il  rapido  trasmettersi  di  una  impressione  da 
una  estremità  all'altra,  dalle  estremità  senzienti  al 
centro  massimo  dei  nervi,  e  quindi  per  mezzo  di 
altre  diramazioni  nervose  ai  vari  tessuti,  che  van- 
no ad  essere  da  queste  penetrati.  Diffusa  così  V  im- 
pressione al  sistema  nervoso  dell'  utero,  si  ricevo- 
no queste  medesime  impressioni  dai  filamenti  ner- 
vosi del  feto  ,  dotati  tutti  della  stessa  forza  insita: 
ma  quinci  dalle  estremità  senzienti  del  feto  diffon- 
donsi  al  centro  massimo  dei  nervi  di  quesfto  nuovo 
organismo,  donde  poi  le  istcsse  alterazioni  si  comu- 
nicano ai  nervi  diretti  alle  parli,  nelle  quali  si  van- 
no ad   operare   quelle   trasformazioni,  mostruosità. 


(q)  Dell'  umore   che  si  riassorbe   dai  nervi   del   corpo   umano 
co    ce.  Memoria  coronata  in  Amsterdam  Tanno  1810. 

(r)  Experienccs  sur  le  principe  de  la  vie,  ce. ,  Paris  1812. 


Feto  mosirloso  5  i 

cambiamenti,  che  nella  lor  somiglianza  punto  non 
si  discostano  il  più  delle  volte  dal  genio  della  cau- 
sa primordiale,  che  eccitò  la  materna  immagina- 
zione. 

Rimarrà  per  altro  sconosciuto  sempre  il  mec- 
canismo, con  cui  vadano  (per  dir  così  )  a  dipin- 
gersi questi  effetti  nel  corpo  del  feto;  rimarrà  ad 
onta  di  ciò  sconosciuto  V  ordine,  che  i  nervi  ten- 
gono neir  operare  quei  cambiamenti,  quelle  trasfor- 
mazioni, che  air  atto  della  esaltata  immaginazione 
materna  sussieguono.  Con\fintissimo  quindi  io  so- 
no, che  gli  esposti  raziocinj  non  abbiano  squar- 
ciato il  velo,  che  cuopre  il  mistero  di  siffatte  opera- 
zioni; ma  si  potrà  almeno  dire  intanto  con  maggior 
fondamento,  che  in  virtù  di  una  violenta  emozio- 
ne deir  animo  di  una  donna  incinta  avvengano  real- 
mente certe  mostruose  alterazioni,  alcuni  difettosi 
cangiamenti  nella  organica  struttura  e  sviluppi  dei 
feti.  E  se  per  lo  innanzi  vi  era  una  insormontabile 
difiicoltà  a  concepirli  avvenuti,  sol  perchè  a  igno- 
ravano le  vie  di  reciproco  rapporto  della  madre  col 
feto;  or  che  io  fra  gli  esposti  documenti  ho  pro- 
Jfittato  il  primo  delle  anatomiche  osservazioni  del 
sig.  Mondini,  sembrami  (  se  mal  non  mi  appongo  ) 
di  aver  potuto  additare  la  strada  di  comunicazione 
fra  la  madre  ed  il  feto  ,  onde  conoscere  la  produ- 
zione del  fenomeno.  Fatto  un  passo  nella  scienza', 
havvi  tutta  la  probabilità,  che  rinvenir  si  possa  il 
sentiero  da  battersi  per  progredire  innanzi,  sol  che 
si  vadano  a  proseguire  ulteriori  indagini  con  inces- 
santi fatiche-  Non  ad  un  tratto  si  toglie  lo  stupore 
dell'  animo  alla  contemplazione  di  certi  arcani.  Ed 
in  vero  quanti  sono,  di  grazia,  i  fatti  che  colpii 
scono  di  maraviglia  il  patologo  nella  teoria  delle  ma- 
lattie nervose?  Si  è    mai  data  soddisfacente  e   cer- 

4* 


52  Scienze 

tissimà  é[)icgazione    dol  pcrch;';   p.   e.   il   snono    deli' 
organo   lichiamiss»    1  accesso   di  una  rcbbrc  terzana 
a    queir  uomo    conosciuto   da  Michel?  Del  perchè  la 
donna,    di  cui    fa    menzione   Felice  Plaler,    venisse 
posta  in   terribili  convulsioni  alla  sola  vista  dell'  ac- 
qua^  do|30chè    alla  riva  di  un  finine   venne    abban- 
donata dalle  sue   compagne?   Del  perchè  il  soldato, 
di  cui  parla  Fabrizio  Hilduno,    al    vedere   un    dì   il 
suo  nemico,  da   cui  ricevuto  avea  in  duello  una  fe- 
rita,    morisse    in    breve    tempo    vittima  di    ribelle 
emorragia   dalla  piaga,   che  già  cicatrizzata  riaprissi 
alla  vista  del    vincitore/  Sì    dice,    che  la    potenza 
nervosa  ha  una   certa  disposizione  naturale  a  ripro- 
durre delle   sensazioni  vive,   che  lo  hanno  una  vol- 
ta agitato  :  ma   e    con   ciò  abbiam   penetrato    la  se- 
greta maniera  di  agire  delia  potenza  nervosa?  Quan- 
ti  sono  ancora   gli   esempj  di    persone    attaccate  da 
convulsioni  nel    momento   in   cui  ne  resta   un    indi- 
"viduo  sorpreso?  Un  assai   memorabile  fatto  ne  ab- 
biamo  nel  morbo  convulsivo  propagatosi  per  la  so- 
la  forza  d  immaginazione   nella    casa   dei    poveri   di 
Harlem,   che  ci  riferisse    Boeraave.   Il  riso,  lo  sba- 
diglio, le  lagrime,  ed    altri  movimenti  di   tal    fatta 
entrano   pure  nel  medesimo   ruolo.   Del  terrore ,  dell' 
aramirazioTie,   del  coraggio,  del  disprezzo  s'  investe 
ad  un  tratto  una  numerosa   schiera  di  persone   agi- 
tate  da'    medesimi  patemi.  Dei  quali  effetti   se   rin- 
tracciar vorremo  la  spiegazione;  ci    verrà    soggiun- 
to,  eh  è   grande    il  potere  della  imitazione  negli  atti 
delia-potenza    nervosa;    clie    per  questo  magico  po- 
tere della  sensibilità    imilaliva  tendono  tutt  i  siste- 
mi nervosi  a  porsi   ali  unisono:    ma  e   con    silfatta 
spiegazione  .abbiam  conosciuto  Y  intima   maniera  di 
prodursi  tai  fenomeni?  Così  finalmonle  (  e  qui  chiu- 
derò le    mie  riflessioni  onde   non  rendermi    so  ver- 


Feto  mostruoso  53 

chiamente  prolisso  )  se  della  osservazione  di  Wer- 
Ihoof,  il  quale  vide  vari€  donne  dopo  i  parti  ialsi 
soffrire  nel  nono  mese  evacuazioni  copiose  ed  aven- 
ti qualche  rapporto  con  i  lochj;  o  se  della  osser- 
vazione di  Alibert,  il  quale  vide  una  signora  sog- 
giacere ad  una  specie  di  travaglio  dì  colica  nel  dì 
dell'anno,  ch'era  anniversario  di  quest'accidente, 
si  vorrà  ricercare  una  ragione:  sentiremo  risuonar- 
ci air  orecchio,  che  1'  abitudine  ha  un  singolare  im- 
pero sul  sistema  nervoso  .  Ma  e  da  ciò  qual  idea 
ci  formiamo  di  quel  processo  morboso,  che  vor- 
remmo sapere  in  qual  maniera  si  eseguisce?  Or 
quanto  più  si  va  ciò  ad  avverare  nel  complesso 
dei  fenomeni  tutti  risguardanti  la  generazione,  per- 
chè (  come  avverte  fra  gli  altri  Roose  )  (s)  la  cau^ 
sa  generatrice  è  superiore  alle  nostre  medesime  co- 
gnizioni! TONELLI. 


(s)  Raccolta  di  opere   mediche  co:  Tom.  XXIX.  „   Fondamenti 
della  dottrina  concernente  la  energia  della  Vi7«  "  J=  VenezU  iSoa. 


54 

LETTERATURA 


Opere  di  Orazio  Fiacco  recate  in  versi  italiani 


da  Tommaso  Gargallo 


Tentavit  quoque  rem  si  digne  vertere  posset 
Hor.  ep.  i.  l.  2.  V.  164. 

In  Napoli  ^  nella   stamperia  reale  1820. 


ì^ono  già  nove  anni  decorsi  da  che  il  sig,  D. 
Tommaso  Gargallo  pubblicò  in  tre  vokimi  la  tradu- 
zione delle  odi  di  Orazio  ,  od  il  suo  lavoro  riu- 
nì i  suffragii  della  lettrerattira  in  sua  lode.  Da 
quell  epoca  si  accinse  a  recar  in  versi  italiani  le 
opere  tutte  del  Venosino  ,  e  di  queste  la  ora  do- 
no alla  repubblica  delle  lettere  .  Accompagna  la 
traduzione  con  giudiziose  note  ,  ed  è  preceduta  da 
un  ragionato  proemio  ,  nel  quale  e  nelle  note  che 
vi  sono  riunite  immensa  copia  s])iega  di  erudizione, 
e   la    più    savia    manifra    di   ragionare. 

Incomincia  egli  dal  porre  in  vista  i  migliori 
metodi  di  tradurre,  sulle  difficoltà  moltìplici  che 
in  essi  s'  incontrano ,  e  lassi  in  una  nota  a  porre 
in  ischiera  la  non  scarsa  turba  dei  traduttori 
d'Orazio,  i^spone  gli  oblacoli  ,  che  oppone  ad  un 
traduttore  la  soverchia  venerazione  per  T  originale, 
e  vuole  che  in  una  specie  di  gara  o  duello  stia 
la  traduzioTie  col  suo  origitiale  ,  onde  il  tradut- 
tore come  schiavo  non  si  avvilisca  ,   e  non  si   p(iu- 


Orazio  tradotto  dal   Gargallo  55 

ga  ai  piedi  dei  ceppi,  che  povero  ,  meschino  , 
tremante  lo  rendono  .  Adotta  la  divisione  del 
d'  Alambert  sul  vario  carattere  degli  autori  ,  cioè 
quelli  che  dallo  stile  traggono  la  loro  eccellenza , 
quelli  che  per  1  loro  concetti  l'acquistano,  quel- 
li finalmente  che  in  ambedue  i  prcgii  riportano 
la  palma  .  Passa  poscia  ad  osservare  i  tempi  ne' 
quali  scrisse  Orazio  ,  i  legami  che  i  costumi  di 
queir  epoca  e  le  politiche  circostanze  gli  poneano 
d'  intorno  ,  ed  avvedutamente  rileva  qualche  lam- 
po di  libertà  eh'  egli  lasciò  balenare  in  quel  se- 
colo di  schiavitù  .  Nel  ponderare  la  disparità  clie 
nelle  odi  passa  fra  Pindaro  e  Fiacco ,  oserva  co- 
me questi  abbia  imitato  i  diversi  lirici  greci  ,  e 
come  sia  il  solo  lirico ,  che  oppone  alla  greca 
la  poesia  latina  ,  la  quale  fino  ai  tempi  di  Au- 
gusto non  ebbe  verun  lirico  ,  e  dopo  di  Orazio 
altro    lodevole  non    sa    proporne. 

Nella  nota  decimiquarta  ci  dà  il  ritratto  di 
Orazio ,  e  simiglianlìssimo  ,  perchè  dagli  stessi 
suoi  scritti  ne  trae  il  disegno  ed  il  colorito  ,  non 
avendo  quel  gran  poeta  tralasciato  di  dipingere  il 
suo  corpo,  il  suo  animo,  il  suo  ingegno,  e  fino 
gli  stessi  suoi  diletti .  Espone  con  acutissima  pe- 
netrazione il  carattere  di  Orazio  riguardato  come 
scrittore,  ricavandolo  dal  suo  modo  di  concepire , 
imagiuare ,  ed  esprimere  le  sue  idee  ;  e  da  questo 
carattere  fa  risultare  la  somma  difficoltà ,  che 
porta  con  se  la  traduzione  delle  opere  sue  :  ed 
esamina  anche  con  qualche  rigore  gli  svantaggi 
della    nostra   lingua  in  confronto  della    latina  . 

Nella    decimasettima    nota    estrae    da    Orazio 
tutti    i    più    importanti    precetti  ,    eh'  egli   ha    dato-^ 
nelle  sue   opere    suU'  ingegno    che    debbono    posse- 
dere   gli    scrittori  ,    supU    studii    cui  debbono  dedi- 


5C  Lettì-raturì. 

carsi  ,  sul  metodi  che  debbono  seguitare  ,  èv.ìY  ele- 
ganza che  adattare  debbono  ai  costumi  del  secolo. 
Orazio  quasi  sempre  reca  se  stesso  ad  esempio  in 
ciò  che  insegna  ,  e  dimostra  che  quanto  vuol  che 
si   faccia    tanto    fece   egli    stesso  . 

-  Dopo  aver  osservalo  il  N.  A.  assai  fondata- 
mente ,  che  talora  spontanea  allo  scrittore  si  pre- 
senta la  traduzione  dell'  espressione  o  del  concet- 
to dell'  originale  ,  riconosce  che  lavoro  di  dispe- 
rato esito  sarebbe  il  tentare  simile  continua  fedeltà 
Della  traduzione  di  un  opera;  ma  che  però  se  il 
compenetrarsi  colf  originale  è  impossibile  ,  1  av- 
vicinarsi ed  andargli  a  fianco  è  permesso  ;  e  leg- 
giadramente adotta  il  detto  del  sig.  De  la  Harpe ,  che 
la  musica  dev'  essere  la  stessa,  ma  sonata  sopra 
diverso  stromento  .  Quindi  ,  come  geloso  della  fe- 
deltà, per  quanto  è  possibile  ,  osserva  che  nelle  sue 
traduzioni  si  è  ingegnato  di  cercare  una  simiglianza 
di  metà  con    quella    delle  o  di  oraziaìie . 

Accenna  poi  con  molto  buon  giudizio  il  pa- 
ralello  che  Ira  molti  anlichi  e  moderni  poeti  po- 
trebbe farsi,  e  decide  che  Cicerone,  ed  Orazio 
con  lui  ,  non  possono  trovare  fra  gli  italiani  chi 
li  accoppi!.  É  ben  naturale  che  parlando  della  sua 
versione  parli  ancora  della  nostra  lingua,  e  si  pon- 
ga in  mezzo  alle  guerrieie  zuffe  ,  che  su  di  essa 
a'  dì  nostri  si  sono  riaccese,  e  che  incominciano 
dal  dubitare  del  suo  nome,  e  contrastare  se  tosca- 
na o  italiana  debba  chiamarsi  .  Egli  però  entra 
fra  le  discordie  colla  divisa  piuttosto  di  media- 
tore che  di  combattente  :  quindi  non  se  la  pren- 
de totalmente  contro  coloro  ,  che  appoggiali  al 
gran  triumviiato  di  Dante  Ftlrarca  e  lioceaccio  ,  e 
difesi  dai  baloardi  del  dizionario  della  crusca  ,  vo- 
gliono   che    la    lingua    che    parlasi     di    qua    da    le 


Orazio   tradotto  dai,    Gargallo  5^ 

Alpi  debba  nominarsi  toscana  ,  e  dalla  Toscana  so- 
la debba  ricevere  leggi  ,  ed  obbediente  osservarle  . 

Air  incontro  poi  il  N.  A.  non  volle  farsi 
totalmente  campione  di  coloro  che,  contrastando 
alla  Toscana  il  privativo  vanto  di  dar  nome  al- 
la lingua  ,  vogliono  che  T  Italia  tutta  ed  i  tanti 
dialetti  che  in  essa  si  parlano  abbiano  diritto  ad 
ampliare  la  lingua  stessa ,  e  che  la  siepe  del  di- 
zionario della  crusca  non  sia  impenetrabile  a  co- 
loro  che    non    bevono  le    acque    dell    Arno . 

Qualche  arma  a  favore  di  questo  diri  Ito 
comune  all'  Italia  tutta  ,  non  proprio  della  Toscana 
sola ,  la  somministra  lo  stesso  Alighieri ,  e  non 
può  dirsi  che  per  mal  umore  contra  la  patria  la 
somministri  . 

Dopo  il  primo  sommo  triumvirato  ,  che  fiorì  nel 
secolo  decimoquarto,  il  A\  A.  ne  riconosce  un  altro  nel 
secolo  decimosesto  nelT  x4riosto  ,  nel  Tasso,  e  nel 
Chiabrera  .  Il  terzo  triumviro  prevede  anch'  egli 
che  da  tutti  non  sarà  accolto  eoa  lieto  viso  ,  n^a 
trova  in  lui  il  pregio  di  aver  alla  nostra  favel- 
la nuove  fonti  e  grecite  e  latine  dischiuse  ,  di 
averci  risparmiato  ulteriore  copia  di  lunghi  la- 
menti platonici  ,  e  finalmente  di  avere  spinto  in- 
nanzi come  promotore  il  verso  sciolto,  ed  avere 
usato  in  esso  epitetare  ardito  ,  voci  alla  maniera 
greca  composte ,  nuovo  ondeggiamento  nelle  frasi , 
nuovo  gusto  di  accentuazione  ,  ed  in  una  parola 
di  aver  mirabilmente  aumentata  la  dovizia  poetica. 
In  questo  luogo  spiega  egli  tutta  la  sua  propen- 
sione a  favore  dei  versi  sciolti  ,  e  della  rima  si 
dichiara  non  dirò  apertamente  nimico,  ma  sicu- 
ramente poco  partigiano  e  fautore.  Però  egli  molto 
saviamente  desidererebbe,  che  nelle  vastissime  regio- 
ni poetiche  si  dividessero  in   certo  modo  le  proviu- 


58  Letteratura 

eie  ,  ed  alcune  se  ne  assegnassero  alla  rima,  come 
r  anacreontica  ,  la  lirica;  ed  altre  poi,  come  la  di- 
dascalica ,  1'  epistolare  ,  V  umile  e  pedestre  sermo- 
ne restassero  proprii  del  verso  sciolto.  L'  epica  an- 
cora inclina  ad  assoggettare  al  dominio  dei  verso 
sciolto  ;  ma  parmì  che  dillìcilmente  otterrà  il  ver- 
so sciolto  superiorità  sulle  ottave,  che  coi  sublimi 
poemi  deir  Ariosto  e  del  Tasso  hanno  acquistato 
già  i  diritti  di  prescrizione  in  loro  favore  .  Ancora 
non  abbiamo  imponente  esempio  di  poema  epico 
eseguito  in  versi  sciolti  ,  e  f Italia  liberata  da  Go- 
ti ne  dà  uno  non  molto  soddisfacente,  se  pure  non 
vuoisi  riflettere  che  scritto  fu  quel  poema  prima 
che  tal  verso  fosse  dal  Chiahr.'ra  alzato  a  maggioro 
dignità  .  Egli  destina  Ja  provincia  delle  traduzio- 
ni al  verso  sciolto  ,  e  non  gli  si  può  opporre  il 
suo  proprio  esempio  che  così  bene  nelle  tradu- 
zioni delle  odi  fece  uso  della  rima  ;  perchè  avea 
egli  già   concessa  la  provincia   della  rima  alla  lirica. 

I  precetti  e  le  massime  ,  che  va  TA.  svilup- 
pando e  -nel  proemio,  e  nelle  note  ,  chiaramente 
dimostrano  quanto  gli  è  a  cuore  la  diffusione  de'  buo- 
ni   principii   nella    gioventù  . 

IVeir  annoverare  i  pregii  del  verso  sciolto  e  di 
coloro  che  tal  modo  di  poetare  adottarono ,  non 
lascia  di  osservare  che  ,  dopo  la  metà  dello  scor- 
so secolo  ,  il  Frugoni  ed  altri  ,  fra'  quali  eminente 
grado  occupa  il  Parini  ,  diedero  esempii  della  no- 
biltà delia  vaghezza  della  iacilità  con  cui  per 
mezzo  di  esso  il  poeta  può  libc-ro  dalle  stretture 
della  rima  esprimere  ,  nobilitare  ,  ingentilire  ogni 
concetto  . 

Per  prova  che  ciò  anche  nelle  tiatluzioni  ac- 
cade ,   cita  la    traduzione  del   Cesarotti    e  in    parti- 


Orazio  tradotto  dal   Gargallo  5<) 

colare  quella  cV  Ossian  ,  sicuramente  la  prima  Ira 
le  altre  di  simile  scrittore  .  Crede  il  N.  A.  simi- 
le il  verso  sciolto  ad  una  cera  ,  che  V  impressio- 
ne    del     modello     che     vuol     copiarsi     fedelmente 

ricava  . 

Riconoscendo  lo  scrivere  in  verso  anteriore 
sempre  allo  scrivere  in  prosa  ,  fassi  a  sviluppare 
r  influsso  che  ha  il  verso  sopra  la  prosa  ,  ed  ispi- 
ra poi  agli  studiosi  della  lingua  il  dissetarsi  ai  i'onli 
greci  €  latini  ,  ed  a  ragione  argomenta  che  se  so- 
pra questi  il  Dante,  il  Boccaccio,  il  Petrarca  forma- 
rono il  loro  stile  ,  aucor  noi  detti  originali  dob- 
biamo prendere  a  nostri  esemplari  .  Pur  troppo  li 
perde  di  vista  il  seicento  ,  e  nelle  tumide  metafore 
e  negli  acuti  concetti  andò  ad  ingollarsi  !  E  li 
perde  di  vista  anche  il  seguente  secolo  in  buona 
parte  della  sua  età  ,  quando  si  fece  vanto  delle 
altilature  francesi  ,  senza  ponderare  quanto  dalla 
francese  sia  V  ìudo\e  della  nostra  lingua  diversa  . 
Esamina  il  nostro  autore  eh'  è  vana  scusa  il  cre- 
dersi obbligati  a  ricevere  esempii  di  semplicità  , 
o  concisione ,  di  vibrazione ,  di  energia  presso  gli 
scrittori  oltremontani  ,  quando  non  vi  ha  foggia  di 
scrìvere  in  cui  gli  antichi  non  sieno  stati  eccel- 
lenti ed  imitabili  .  Finisce  il  proemio  giovandosi 
deir  esempio  del  sommo  Alighieri  ,  che  a  Virgi- 
lio come  a  fonte  di  ogni  sapere  si  volse,  e  ben 
avvedutamente  lo  chiamò  suo  maestro  e  precetto- 
re di    quello    stile,   che    gli  procacciò   tanto   onore. 

Ci  siamo  ingegnati  di  dare  una  qualche  idea 
di  questo  proemio  ;  ma  è  impossibile  il  darne  un 
esatto  estratto ,  perchè  tante  e  tante  cose  racchiude 
altre  magistralmente  trattate  ,  altre  accennate  più 
rapidamente  ,  ma    sempre    con   bravura    e    Tcrità , 

/ 


6ò  Letteratura 

che  bisogna  riraeltere  i  loggilori  all'  opera  stessa. 
Sì  nel  discorso  che  nelle  copiose  note  tro\  ansi  ad 
ogni  passo  ,  e  savii  precetti  ,  e  forti  argomouti  , 
e  belli  esempii:  onde  ne  ritrarrà  certamente  istru- 
zione somma  la  gioventù ,  ed  i  dotti  saranno  ben 
soddisfatti  dei  lumi  e  del  sapere  di  cui  sono 
sparsi  , 

È  giusto  il  notare  ,  che  quanto  il  N.  A.  in 
tanti  e  sì  varii  modi  dice  ed  insegna  ,  tutto  pe- 
rò si  riduce  ad  aver  relazione  al  suo  Fiacco  ,  e 
tutte  le  sue  idee  come  raggi  al  centro  nella  sua 
traduzione  coincidono  .  Lo  stile  con  cui  ò  sciit- 
to  questo  proemio  è  sostenuto  ed  elegante  ,  sen- 
za affettazione  e  armonioso;  onde  la  giacitura  del- 
le frasi  alla  fecondità  dei  pensieri  assai  ben  cor- 
risponde ,  Anclie  le  note  sono  elegantemente  scrit- 
te,  ma  con  un  modo  più  fluido  e  più  semplice, 
quale    si    conviene    a   materia   che    deve  istruire . 

Ripetiamo ,  che  poco  abbiam  detto  in  parago- 
ne del  molto  che  potea  dirsi  di  questa  prosa  ,  che 
precede  la  traduzione  di  tutte  le  opere  del  Ve- 
nosmo  ,  di  cui  daremo  un  saggio  nel  seguente  ar- 
ticolo . 

(  Sarà  contimaito  )  . 

Gian   Gherardo  de  Rossi 


La  corona  ferrea  del  regno  (T Italia:,^  considerata  i.** 
come  monumento  di  arte^  2."  come  monumento 
storico,  3.'*  come  monumento  sacro  .  Memoria  apo- 
logetica di  Angelo  Btllani  canonico  nella  regia 
insigne  basilica  di  Monza  ec.  ,  Milano  dalla  ti' 
pograjìa   Girtori    1819. 

\X  sig-   canonico,  Bellani  dimostra  con  molto   suo 
.onore  la    sciocchezza  di    quella    volgare  '  ^Opinione, 
che  le  persone  assiduamente    occupate    nelle    sagre 
salmodìe   non    sieno    ordinariamente  applicate   agli 
si^udj-  Vero    è    che    i  corpi  ecclesiastici  più  illustri , 
come  il  suo  capìtolo,  sono  lodevolmente   tenaci  de' 
loro   privilegi    e     delle   loro    prerogative:   ma  è  vero 
ancora,   che  se  il   desiderio    e    lo  zelo  per  sostener- 
le è  in    quelli  comune,   non  sono   spesso  comuni   i 
mezzi    per  difenderle  scrivendo  .    11  signor  canoni- 
co Bellani   dà  un    esempio    degno   d   imitazione   di- 
fendendo  la    corona    ferrea,  'la  cui  il   suo    capitolo 
riceve  tanto   splendore ,  con  gran  copia  di  scelta  eru- 
dizione,   con  satia  critica,   e  con  uno  stile  sodo,  e 
adattato  al  soggetto  :  nel  che  egli  ha  un   doppio  me- 
rito,   mentre  egli   scrive    giustamente   così    come  il 
suo  argomento  richiedea,  benché  si   vegga  chiara  in 
lui  r  inclinazione  per  quelli,    che  il  recentissimo  ed 
eccellente    traduttore    di  Ciazio  sig.  Tommaso  Gar- 
gallo   chiama   graziosamente  puritani  . 

Parca  \  eramente  ,  che  avendo  di  questa  co- 
rona parlato  sin  dal  secolo  XV  il  gran  Pio  li, 
più  conosciuto  sotto  il  nome  ài  Enea  Jsilvio,  aven- 
done poi  sul  principio  dello  scorso  secolo  ampia*- 
mente  trattato  il   Muratori  ,   e  il   Fontanini  ,     e  lo 


(>2  Letteratura 

stesso  gran   pontefice  Benedetto  XIV  ,  mentre    era 
ancora  promotore  della    fede  ,   e    avendo    finalmen- 
te   la    sagra      congregazione  de'    riti    sin    dal    1717. 
pronundato    il    suo  oiacolo   in   favore  del  culto  im- 
inemorabile  di   essa   corona  ,    fosse   ormai    tempo  di 
tacere  .    Ma   la  iavenzione   della    stampa  ,    che   pur 
tanto  si    loda  ,  facilitandone  i  mezzi  ,   ha  moltipli- 
cate pur   troppo   le   occasioni  di  pubblicar  cose  inu- 
tili ,  se    non    anche   spesso    dannose .   La    sola  sco- 
perta di  un    monumento   sino   ad    ora  sconosciuto, 
da    cui   meglio   si  rilevasse   la  storia  di    questa  co- 
rona ,    con   cui  più    agevolmente  potesse    formarse- 
ne   giudizio  ,   sarebbe   a  parer    mio   capace    di   giu- 
stificar  nuovi    scritti.  JNulla   si  è  scoperto   di  nuo- 
vo ,  ma    r  autore    dell'    opera     S   Del  costume  an^ 
fico  ,  e   moderno  di  tutti  i  popoli  .   Milano    18 17.  S 
Ila    creduto   di    accennare    e   di   ripetere  ciò   ,  che 
già    cento    volte    era   stato   detto    contro  la    corona 
di   ferro  ,  eccitando    così    la   collera   del  sig.    cano- 
nico Bellani,    e  facendogli   scrivere  il  libro  ,  di  cui 
ora    si    tratta  ;    nel    quale   per   verità    ammiriamo  , 
come    si    è    detto ,  la    varia    erudizione ,   la    buona 
critica  ,   ma  nulla   similmente  vi   troviamo   di  nuo- 
vo .  Contro   1   autore  del  costume  egli   non  ha  ve- 
ramente   scritto    se  non   che    il  discorso  preUmina' 
re  ,  ma  la  sua  opera  la  corona  ferrea  ,  di  cui  par- 
liamo ,  è  stata  scritta   in   questa  occasione .   Il  peg- 
gio poi  si  è,  che  ,  come   il  sig.    canonico    accen- 
na nel  suo  avvertimento  (1),  il  sig.  abate  D.  Giu- 
lio   Ferrarlo   autore  del  cosiume   ha  pubblicata  un' 
appendice      contro     la    corona  ferrea  anche  prima 
ciie   il   sig.  canonico    avesse    terminato    di    scrive- 
re ,  e   peggio  ancora   sarà ,    se   questo  mio   debole 

estratto  ,  in  cui  non  si  trovano   nuovi  documenti, 

■  I  II  I  I      -  i'' 

CO  P.  208. 


Della  corona  ìehuea  63 

ma  riflessioni  nuovissime  ,  darà  inoli vo  all'  uno  e 
air  altro  di  scrivere  ulteriormente  ;  il  che  però  io 
bramerei  ,  se  le  nuove  mie  congetture  si  trove- 
ranno fondate  . 

Nel    discorso   preliminare   il   sig.   canonico    si 
fa  carico    di   osservare    diverse    cose    del  costume  , 
che  nulla    hanno    di    comune    colla   corona    ferrea  . 
Per  esempio   non    approva    (»3  )    che    il    sig.  abate 
D.    Giulio    chiami    /'  Europa   la  pia   piccola   della 
parti  ond'  è  composto  il  ^lobo  terrestre ,  quasi  che  , 
dice  il  sig.   canonico    ,    si  trattasse  di  niente  più  , 
di  un  granello  di  sabbia  ;    e    dimanderebbe  volen- 
tieri, quali  saranno  le   altre  parti  piccole  del  nostro 
globo  ,  e  quali  poi  dovranno   essere  le  grandi  •   La 
picciolezza  dell'  Europa  viene  dal  sig.  canonico  con- 
siderata Jìsicamente  ,  essendo  egli    assai  versato  nel- 
le  scienze   fìsiche  ,    ed   essendo    venuto    una    volta 
a    Roma  (4)  a  solo  oggetto  di  veder    ripetuta  Y  es- 
perienza    del    professore  Morichini  intorno    al  ma- 
gnetismo de'  raggi   solari  ,    e  andato    a  Napoli    per 
vedere  la  fusione    del    sangue  di    s.    Gennaro   .    E 
certamente  considerando    1'  Europa   in  senso  Jisico 
egli  avrebbe  ragione    di  non   ammettere  ,   che  que- 
sta  fosse   la  più  piccola  parte  del   globo ,   nientre  al- 
meno ci  sarebbe  per    esempio    Monza    eh'  è    ancor 
più  piccola  .   Ma  X  autore    del   costume  considerava 
ginstamente    1'  Europa    secondo    il    suo   oggetto  in 
senso  geografico  ,    e   in    questo    senso    essendo   so- 
lamente quattro    le  parti  del    globo  ,     è  una    verità 
manifesta  ,  che  1'  Europa    è  la  più  piccola  ,    seppu- 
re   il   sig,    canonico  per  il  granello    di  sabbia  non 
intende  le   terre  australi   di    fresco  scoperte , 

(3)  P.  3. 

(4)  P.  i85. 


C)4  L  1^  'f    i'  E  H  A  T  U  Tl  A 

Ma  lasciando  ,  che  il  sig.  canonico  si  di- 
verta per  ben  venti  pagine  del  suo  discorso  pre- 
liminai'e  col  sig.  ahate  in  simili  censure  ,  che 
per  niente  appartengono  all'  argomento  della  coro- 
na ,  non  po'^sianio  non  convenire  con  lui  degli  er- 
rori del  sig.  abate  nel  supporre  ,  che  le  cronache 
iwonzesi  asseriscalo,  chq,  la,  corona  tu  donata,  da 
s.  Gregorio  Magno  alla  regina  Teodelinda  ,  che  la 
corona  imperiale  era  dalla  monzese  diversissima» 
e  nei  dire  altrettali  cose  dette  già  cento  volte  prima 
eli  lui  ,  alle  <juali  il  sig.  canonico  rispontle  sirail- 
hiente  con  altrettsinte  cose  già  dette,  è  che  noi 
per  non  cadere  in  ripi'tizioni  in  questo  stesso  estrat- 
to ci  riserbiamo  di  brevemo'ute  or  ora  esaminare, 
passando  ìdal  discorso  preliminare  alla  memoria 
apologetica   del   sig.    canonico  . 

Questa  opera  è  divisa  in  tre  pai '^  7  come 
promette  il  suo  titolo;  nella  prima  ,.  in  cu^  si  con- 
sidera la  corona  come  monumento  di  arte  ,  si  dà 
una  diligente  e  minuta  descrizione  di  essa  ,  la 
quale  esaminata  ,  tenendo  sotto  gli  occhj  1  incisio- 
ne che  accompagna  il  frontespizio  ,  ne  (là  una  ba- 
stante idea  anche  a  chi  non  ha  vedutp  T  origina- 
le .  Si  maraviglia  il  sig.  cauonicp  (5)  clic  in  uno 
de'  due  campi  quadrilunghi,  ppsti  all'  estremità  del- 
la corona,  non  si  siegua  il  medesimo  disegno  degli 
altri,  mentre  trovandosi  In  tutti  tre  gemme,  iil 
questo  si  vede  una  sola  gemma  in  nie/-zo  a  due 
rose  d'  oro  ,  e  crede  che  iiivano  si  cercherebbe 
d'  indovinare  i  motivi  di  qubsta  diversità  .  Non 
pare  peraltro  così  dillicile  lo  spiegarla  ,  mentre  p 
si  consideri  la  corona  come  un  diadema,  che  do- 
vea  cinger  la  parte  anteriore  della  IrouLe  ,  e  legar- 

(5j  P.  6. 


Della  corona  ferrka  C5 

si  nella  parte  posteriore  del  capo   con  fosco  penden- 
ti   sugli    omeri  ,   coni'    era    proprio    di  tutti  i   dia- 
demi ,  o    si  consideri  come   vera  corona,  riunite  le 
due  estremità  del  diadema  con  una   cerniera  e  sen- 
za fasce  ,  per  mettersi  o   nella   sommitìi  del  capo  in 
una  momentanea   cerimonia  ,   o  per  mostrarsi  al  po- 
polo   sopra    un    altare,   die  non  dovesse  essere  ar- 
bitrario ed   indifferente    il    porvela  ora   in  un  modo , 
ora    in   un    altio  ,  di   modo    che  quella    parte  ,   die 
una    volta  fosse  posta  nel  Lasso  ,   e   in  conlatto  col 
capo  o   coir    altaie  ,  potesse    un'   altra    volta    esser 
la    più    alta  .    La  diiferenza  dunque   di  uno    de'  due 
estremi   era    sempre   necessaria    per    ottener   questo 
elFetto  ,    servendo  per    coUocar  sempre  uno  de'  due 
nel  lato    sinistro   ,  1'  altro   nel    destro .    E  volendo 
anche   aprir  la  corona  ,    non    era   egualmente  neces- 
sario  un  indizio  per   conoscere  da   qual  parte  con- 
veniva  tentarlo  . 

Trovo  poi  giustissime  le  due    conseguenze  (6), 
che  l'autore    deriva    dalla   descrizione  ;  cioè    i.  che 
in  origine  questa    corona   era  un   vero  diadema  ,  2. 
che    questo   diadema    non    fu    in   origine    destinato 
a    contenere  il    circolo  di    ferro  ,    e  che  questo  cir- 
colo    fu    adattato    posteriormente    al    diadema  ,    ed 
è  da    esso  indipendente.   Il    diadema  essendo   aper- 
to ,    egli    soggiunge ,  nella    parte    posteriore    veniva 
allacciato    al    capo  con   fibbie  o    con   bende   ,  e    si 
Vede    perciò  ,   che   il  circolo    di   ferro    vi    fu    adat- 
tato posteriormente  .   Ditfatti  a   che  servivano  le  c^n- 
niere  ,  e    che    bisogno   vi    era  di    fare    un    civcolo 
di   oro  gemmato    che    potesse  aprirsi  in    sei    parti , 
se  doveva    essere    circoscritto  da    un    altro   circoio 
di   ferro  tutto    di  un   solo    pezzo  ? 

(6)  P.  9, 

G.A.T.IX.  5 


CG  L  E  T  T  ;é  R  A  T  u  n  A 

Riflette  ancor  giuslunirnte  T  autore  (7)  ,  die 
se  un  rozzo  pezx-o  di  (erro  ,  eh'  è  Ira  i  metalli  il 
più  ignobile  ,  fu  coperto ,  e  custodito  frali'  oro 
e  le  gemme,  è  lòrza  supporre  in  esso  un  qualche 
non  comune  valore.  E  qui  il  sig.  canonico  anche 
prima  di  terminar  la  prima  parie  cle>iinata  al  mo- 
numento d  arte,  passa  (8)  all'  improvviso  al  testi- 
monio di  sant'Ambi  ogio  ,  che  pai  èva  dovesse  aver 
luogo  nella  seconda  desLinata  al  monumento  storico. 
Ma  ciò  poco  importa  .  Aoi  ci  trattenemo  alquan- 
to sul  testimonio  di  sant'  Ambrogio  ,  che  al  parer 
nostro  è  1  unico  monumento  ,  che  merita  in  questa 
fiialeria  un  profondo  esame  ;  e  ci  pare  in  veri- 
tà ,  che  questo  esame  non  sia  stato  fatto  ,  come 
si  convenix  a  ,  non  già  solamente  né  dal  sig.  cano- 
nico né  dal  sig.  abate  ,  ma  neppure  dal  Murato- 
ri impugnando  1'  autenticità  e  la  santità  della  co- 
rona ,  e  neanclie  dal  Fontanini  ,  che  intraprese  a 
difenderla  . 

Il  santo  arcivescovo  di  Milano  nella  sua  ora- 
zione funebre  dell  imperatore  Teodosio  ,  che  reci- 
tò in  presenza  di  Onorio  iiglio  di  Teodosio  stes- 
so ,  e  dal  padre  dichiarato  già  imperatore  di  oc- 
cidente ,  dal  paragrofo  4^  ■>  secondo  1  edizione  de' 
padri  di  s.  Mauro,  sino  al  §  jG  ,  cioè  sino  al 
iine  parla  sempre  di  sant'  illena,  della  croce  del 
divin  Redentore  da  lei  trovala  ,  e  piiì  specialmen- 
te de'  chiodi  di  quella  ,  e  dell  uso  ,  che  sant*  fi- 
lena  e  Costantino  ne  fecero .  In  somma  un'  in- 
tiero terzo  dell  orazione  in  niente  altro  si  aggi- 
ra ,  che  sopra  questi  chiodi  ,  ricavandone  bensì  di 
tratto  in    tratto  delle  riflessioni  morali  .  11  sig.  ca- 

(7)  P-  20. 

(«)    P.    2-2. 


Dklla  coroxa  terrea  67 

nonico  di  questa  orazione  non  riporta  che  un 
breve  estratto  ,  appena  eguale  ad  un  solo  dei  sedici 
paragrafi  ,  ciie  il  santo  impiega  in  parlare  de'chio- 
di  ;  ed  io  in  gran  parte  lo  scuso  ,  mentre  nulla  di 
pili   avean   latto  il  Muratori  e  il  l'^ontanini  . 

10  sto  scrivendo  un  aiticolo  per  il  nostro  gior- 
nale ,  e  non  già  un  trattato  sulla  corona  di  t'er- 
ro .  Credo  dunque  dì  esser  ben  dispensato  dallo 
scrivere  un'  opera  suU'  orazione  di  sant'  Ambrogio. 
Comunicherò  solamente  al  sig.  canonico  alcune 
mie  idee  ,  che  approvandosi  in  tutto  o  in  parte 
da  lui ,  potranno  dargli  occasione  di  rispondere  all' 
appendice  del  sig.  abate  e  di  produrre  argomenti  , 
che  da  nessuno  ancora  sono  stati  prodotti.  Convie- 
ne però  riflettere  ,  che  non  si  possono  aspettare  in 
questa  materia  delle  piove  geometriche;  bisogna  con- 
tentarsi di   una  probabilità  morale  . 

11  Muiatori  ,  il  Fontanini,  e  il  sig.  canonico  si 
contentano  di  considerare  ciascuno  pel  loro  ogget- 
to il  semplice  cenno  del  fatto  ,  e  le  parole  col- 
le quali  sant'  Ambrogio  dice',  che  sant'  Elena,  oltre 
la  croce,  cercò  e  trovò  anche  i  chiodi,  e  di  que- 
sti chiodi  ,  fraenos  fieri  praecepit  ,  et  diadema  in~ 
texuit  ,  unum  ad  decorem  ,  alterum  ad  devotionem 
vertit,  Misit  itaijue  filio  suo  Constantino  diadema  gem- 
mis  insignitum  .  Misit  et  fraenum  .  Il  Fontanini  , 
te  il  sig.  canonico  da  queste  parole  concludono  , 
che  la  corona  di  Monza  è  quello  stesso  diadema  , 
che  sant'  Ambrogio  dice  fatto  da  sant'  Elena  ,  e 
non  parlano  del  freno  di  Milano  .  Il  Muratori  poi 
tacendo  anch'  egli  sul  Treno  di  Milano  ,  prende  ar- 
gomento ,  come  il  sig.  abate  D.  Giulio  ,  dalla 
dissomiglianza  delle  medaglie  per  concludere,  che 
la  corona  di  Monza  non  è  il  diadema  da  sant'  E- 
ena  mandato  a  Costantino  . 

5  '^ 


G8  Ij  ette  u  a  T  V  R  A 

Io  domando  perdono  a  tutti  e  tre  ,   o    a   tilt-, 
ti  quattro  ,  se  mi  Io  ardito  di  sospeltarc;  ,    che  U 
corona  ferrea  sia  il  vero  diadema  da  s.  Eiena  man- 
dato a   Costantino,  appoggiando  però   la  mia  conget- 
tura  sopra   fondamenLi   afl'atto  nuovi  ,    e  affatto  di- 
versi dai   loro  .  Dirò   in  appresso  perchè  io  sia  in- 
timamente persuaso  ,     che  quando   sant'    Ambrogio 
pronunziò  la  sua  orazione  ,    il    freno  e  il    diadema 
erano  già  in    Italia  .  Per  ora    osserverò  ,    che  non 
è  niente  incredibile  ,   che  alla    morte  di    Costantino 
queste   due  preziose    reliquie  passassero  in  dominio 
di  Costante  di   lui  lìgliuolo  .   1  figli  ,   che  Costanti  - 
no  lasciò    ,    furono    tre  ,  e    fra  questi    egli    divise 
r  impero  .   Ognun    sa  ,   che   F  Italia    toccò    in  sor- 
te, a   Costante  ;  ognun  sa ,     che  Costantino    II    in- 
Tano  tentò  d'impadronirsi    degli  stati    di  suo  Catel- 
lo Costante    e    brevemente  visse    e    regnò  .   JNessu^ 
no    ignora  del  pari ,   che  Costanzo ,  altro   figlio    di 
Costantino  ,  eh   ebbe      in   sua   porzione    F  oriente  , 
non  fu  imitatore  del  padre  ne  sentimenti  di  religio- 
ne ,  perseguitò  sant'Atanasio  ,  e  protesse  gli  ariani  ; 
al  contrario  di  Costante  ,     che    loro  si    oppose  ,    e 
difese    sant'  Atanasio    contro   il   fratello ,   fece   con- 
vocare   il    concilio   di  Sardica  ,   e  procurò   di  estin- 
guere in  Africa  lo  scisma   de  donatisti.   Ora  io  do- 
mando a   quc'  quattro  signori    nominati    di    sopra , 
o    almeno   ai    due   vivi   che  possono    rispondermi  , 
cioè  al  sig.    canonico  e  al    sig.    abate  ,    a    quale  di 
questi  tre   figli   di   Costantino   è  più  probabile,  che 
fosse    a    cuore   d   impadronirsi  ,  e  di    conservare  i 
due  preziosi    pegni  ^  Sarà  ben  forza  ,   eh'  essi  con- 
vengano,  che  la  probabilità  è  per  Costante  ,  buon 
cattolico  ,  che  mai   non  ismentì  questi  suoi    senti- 
menti .  E  Costante  fu  padrone  d'  Italia  ,  e  vi  por-' 
lo    i  sagri    pegni  .    Se  F  amor  proprio  iioii  m'  io- 


Della,  corona  terrsa  69 

^•ànna  ,    non  è  questa   cougettura    da    disprezzar.si  . 
Ma  sia   per  vana  .  Facciamone    un'  altra  . 

Nulla  sappiamo  di  que'  sagri  pegni  sotto  Giu- 
liano ,   Gioviiìno  ,   Valontiniauo  ,   Vaiente  ,   Grazia- 
no ,  e  l'altro  Valentiniano ,   che  successero  nell  im- 
perio sino  a  Teodosio  .   Sappiamo  però  ,  che  Teodo- 
sio morì  in  Milano  ,  dove  sant  Ambrogio  pronunzio 
l'orazione  funebre;  ;   sappiamo  ,  eh'  egli  divise  il  ro- 
mano  imperio  in   orientale    ed    occidentale   ,   e  che 
quest'  ultimo  toccò   in  sorte  ad  Onorio  ;   sappiamo  , 
che  aggravandosi  lidropisia  di  Teodosio,  egli  chiamò 
a  se    Onorio    a  Milano  ,   e  fialle  sue    braccia  mori . 
Sappiamo   dalla  stessa  orazione  di  sant'  Ambrogio  , 
che  Onorio    dovendo    attendere  al   goveruo  di    occi- 
dente, l'utilità  pubblica  ,  come  dice  il  santo  ,  gì  im- 
pediva di  accompagnare  il  cadavere  del  padre  a  Co- 
stantinopoli .   Ora   a  chi  sa   tutlo    questo ,   eh  è  della 
più  incriticabile  certezza,  io  domando  come  sia  pos- 
sibile d'immaginare ,   che  sant'  Ambrogio  impiegasse 
un  terzo  della  sua  orazione  ,  pronunziata  in  presen- 
za di  Onorio  ,  in  parlar  sempre  de'  santi  chiodi  ,  se 
questi  chiodi   non   fossero   sin   d'  allora   in   Milano  , 
anzi  forse  nello    stesso  luogo    ove  il   santo  declamLi- 
va  ,  o  portativi  prima  da  Costante  ,  o  da  Teodosio  , 
o  posteriormente  da  Onorio   quando  vi  fu    dal  padre 
chiamato  ?  È  egli  possibile  di  concepire  ,  che  il  san- 
to vescovo  per  sì  lungo  tratto   del  suo  discorso  vo- 
lesse trattenere  Onorio  su  di    un    fatto  accaduto   più 
di   sessant'  anni  prima  ,  su   de'  chiodi  ,   che  o  non 
si  sapeva   dove  fossero  ,  o  erano   in-  Costantinopoli 
in   tanta   lontananza  ,  e    tutti   gli    altri    ascoltatori , 
che  forse  di   tutto  questo  erano  ignari  ? 

Principium  itacjue  credentium  imperatorum  ,  di" 
ce  s.  Ambrogio  in  un  luogo  non  allegato  dal  sig.  ca- 
nonico né   dagli    altri  ,   l'adendo    allusiou©  al  profa- 


^o  Letteratura 

ta  Zaccaria  ,  sanctum  est  quod  super  fraenum  ;  ex 
ilio  Jides  ìtt  persecutio  cessarci  ,  devotio  succederet. 
Mette  poi  in  bocca  ai  giudei  — Ecce  et  clavus  in 
honore  est ,  et  quem  ad  nwrtem  impressimus  ,  reme~ 
dium  salutis  est .  Ferro  pcduni  ejiis  reges  inclinan- 
tur  ,  reges  adorant  ,  et  photiivani  di^'iiùtntem  ejus 
negant  ?  Clavum  crucis  ejus  diademati  suo  praefe- 
runt  imperatores  ,  et  arriavi  potestatem  ejus  im-^ 
ininuunt  ì  Sed  quaero  :  quare  sanctum  super  frae- 
nwn^  nisi  ut  imperatoriam  insolentiam  refraenaret^ 
comprimeret  licentiam  tjrannorum  ,  qui  quasi  equi 
in  libidines  adhimdrent  ,  quod  liceret  illis  adulte- 
ria  impune  covimitlere?  Quae  Neronum^  quae  Cali- 
gularum ,  caeterorumque  probra  comperimus ,  quihus 
nonjuit  sanctum  super  fraenum.  Quid  ergo  egit  aliud 
Helenae  operatio,  ut  fraena  dirigerete  nisi  ut  omni' 
bus  imperutoribus  sondo  dicere  spiritu  viderelur  — 
ìtolite  fieri  sicut  eqitus  et  mulus  ,  sed  in  fraeno  et 
chamo   maailìas  eorum  comtringeret  ? 

Gli  ultimi  sedici  paragrafi  dell'  orazione  sono 
tutti  scritti  dello  stesso  tenore ,  volendo  Ibrse  il 
santo  nello  stesso  discorso  ,  in  cui  lodava  le  virti'i 
del  delonto  padre  ,  ammonire  il  figlio  che  T  ascol- 
tava ,  e  preservarlo  da  qualunque  pericolo  potes- 
se esporlo  alla  penitenza  ,  che  il  santo  stesso  avea 
già  coraggiosamente  imposto  al  padre  per  }a  stra- 
ge di  Tessalonica  .  Nessuno  potrà  mai  persuadermi, 
che  tutte  queste  morali  sentenze  potesse  il  santo 
dedurle  dai  sagri  chiedi  ,  se  questi  fossero  stati 
mille  miglia  lontani  ,  o  non  si  sapesse  dove  fos- 
sero .  A  me  pare  alT  opposto  ,  che  tutte  queste 
allusioni  ai  sagri  chiodi  in  sì  lungo  tratto  del  di- 
scorso ,  possano  a  maraviglia  concepirsi,  qualoia 
essi  fossero  in  quel  medesimo  luogo  ,  ove  V  ora- 
zione   si  pronunziava,  qualora  anzi    forse,  doven- 


Della  corona,  ferrea 


71 


do  Onorio  prender  possesso  del  suo  irhperio  oc- 
cidentale ,  avesse  già  fatto  uso  o  dovesse  farlo  in 
quei  giorni  del  freno  e  del  diad  ma ,  e  molto  più  qua- 
lora li  avesse  il  padre  o  egli  stesso  portati  poc  anzi  da 
Costantinopoli  .  Diversamente  Onorio  ,  e  la  numero- 
sa udienza  che  ascoltava  quella  lunga  perora >;ioae , 
si  sarebbe  assai  maravigliata  di  tale  inaspettata 
digressione  ,  allusiva  a  cose  che  specialmente  il 
volgo  doveva  affatto  ignorare  .  E  Onorio  avrebbe 
potuto  pensare  in  cuor  suo  ,  che  quelle  ammoni- 
zioni punto  non  lo  riguardavano  ,  perchè  desunte 
da  due  chiodi  ,  clie  egli  non  aveva  mai  avvici- 
nati ,  e  non  dovea  mai  più  vedere  ,  non  andando 
a  Costantinopoli  :  ed  erano  solamente  applicabili 
ad  Arcadio  suo  fratello  ,  eh'  era  rimasto  in  orien- 
te ,  e  che  non  ne  profittò  esiliando  e  persegui- 
tando   il    gran    Crisostomo  . 

Non  sono  io  solo  ,  che  mi  maraviglio  della 
incongruenza  di  que'  sedici  paragrafi .  I  padri  di 
s.  Mauro  se  ne  sono  anch'  essi  maravigliati  .  Sed 
quorsum  ^  essi  dicono,  in  Theodosii  laudatione  Im- 
jusmodi  excursio  in  crucis  inveniionem  ?  La  ma- 
raviglia dunque  par  giusta  ,  e  non  trovo  altro 
modo  di  escluderla  se  non  supponendo  la  presen- 
za de'  santi  chiodi  .  Se  fosse  mai  possìbile  ,  che 
io  avessi  l'onore  di  divenir  canonico  di  Monza, 
vorrei  fare  un  lungo  studio  per  renderla  assai  più 
probabile  e  forse  evidente  ,  esaminando  ben  minu- 
tamente quanto  narra  la  storia  ,  prima  de'  tre  figli 
di  Costantino  ,  poi  de'due  figli  di  Teodosio ,  e  dì 
luì  stesso  ,  e  forse  non  mancherebbero  i  mezzi  per 
appoggiar  sempre   meglio   queste  mie   congetture  . 

Io  non  posso  assolutamente  adottare  le  con- 
getlure  altrui  ,  ne  il  dono  fatto  da  s.  Gregorio 
Magno   a   Teodelinda  regina   de'  longobardi ,  e  mol- 


^j  Letteratura 

to  meno  quello  di  Foca  al  di  lei  figlio  Agilulfo  . 
La  prima  di  queste  ipotesi  ,  benché  il  sig.  cauoni- 
00  la  dica  sostenuta  dalla  comune  tradizione  ,  non 
pare  egli  molto  inclinato  ad  ammeltc^rla  .  Ed  ò 
A  ero  ,  che  s.  Gregorio  fu  inviato  apocrisario  a  Co- 
stantinopoli dal  papa  Pelagio  II,  e  che  ivi  mol- 
to bene  T  accolse  T  imp<-rator  Tiberio  secondo,  ma 
il  dedurre  da  questa  sola  buona  accoglienza ,  che 
Tiberio  gli  donasse  il  diadema,  mi  pare  in  veri- 
tà un  sogno  .  Altro  sogno  mi  pai'e  ,  che  s.  Gre- 
gorio innalzato  al  pontKicato  si  privasse  del  do- 
no ,  e  r  inviasse  a  Teodelinda  ;  tanto  più  che  nel- 
le lettere,  eh'  egli  scrive  a  Teodelinda,  si  trova 
la  nota  delle  molte  reliquie  che  le  mandò  ,  e 
non  si  parla  mai  de  chiodi  ,  che  sarebbero  stati 
i   primi  a    notarsi , 

Il  Muratori  poi  dice ,  che  s.  Gregorio  non 
fra  molto  facile  a  privarsi  delle  preziose  reliquie, 
e  negò  a  Gostantina  augusta  il  sudario  di  s.  Paolo  . 
E  aggiunge,  che  il  Sigonio  non  asserisce  che  s.  (ìre- 
gorio  donò  la  corona  a  Tcod(;linda  ,  ma  che  la  co- 
rona fu  l'atta  fare  originalmente  da  questa  regina  . 
E  si  crede,  eh'  ella  fece  coprire  il  circolo  di  l'er- 
ro dalla  lama  di  oro  giinmata  per  avvertire  i  so- 
vrani ,  che  la  corona  r,  un  peso  ,  che  soveiJe  op- 
prime colui  che  la  porla ,  e  di  cui  ciò  non  ostan- 
te il  peso  si  dissimula  per  lo  splendore  delf  orna- 
mento ,  che  abbaglia  la  vista  .  Ma  se  questa  prin- 
cipessa avesse  voluto  fare  questo  metallico  epigram- 
ma ,  giù  non  si  tratterebbe  più  di  alcun  chiodo  , 
avrebbe  fatta  una  corona  non  divisa  in  sei  pe/./i  , 
e  avrebbe  fatto  corrisponderti  al  buon  lavoro  dell* 
ornamento  ,  che  non  è  certamente  opera  de'  suoi 
tempi  ,  una  maggior  nettezza  nel  circolo  di  l'er- 
ro    più     forbito    ,     che     al     coulrario     sappinmo 


t)ELLA   CORONA  FERREA  ^3  \ 

dal  sig.  canonico  eli'  è  assai  rozzo  ,  e  conserva 
le  vestigia  del  martello  e  della  lima  .  Un  altro 
epigramma  sullo  stesso  proposito  è  del  famoso  giu- 
reconsulto Baldo  1=  Quippe  Daniel  propheta  ,  egli 
dice  ,  quatuor  orbis  regna  niajora  describens  ,  ul- 
timiim ,  quod  nostri  romamim  esse  volunt ,  ferro 
comparavit  ,  quoniam  sicut  ferrimi  onuiia  metalla 
comminuit  ,  sic  omnia  regna  romanum  imperium 
detrivit.  Ma  Enea  Silvio  ,  che  lo  riporta  ,  chiama 
giustamente  questo  legale  epigramma  :  slulta  iii- 
terpretatio  . 

L'  altra  ipotesi  poi  del  dono  della  corona  fat- 
to da  Foca  ad  Agilulfo,  benché  sia  più  gradita 
al  sig.  canonico  (9)  ,  a  me  in  verità  piace  assai 
meno  ;  mentre  Foca  usurpatore,  che  a^evct  scan- 
nato Maurizio  e  i  suoi  tigli ,  affettando  da  prin- 
cipio molta  divozione  ,  è  improbabile  die  voles- 
se privarsi  di  quel  sagro  diadema  ;  e  dal  caratte- 
re rapace  ,  che  la  storia  ne  fa ,  sarebbe  forse  cre- 
dibile ,  che  si  fosse  privato  del  solo  chiodo  ,  ma 
non  mai  delle  gemme  che  \  adornavano  .  E  d'  al- 
tronde non  per  altro  il  sig.  canonico  inclina  di  più 
a  questa  assurda  ipotesi ,  se  non  perchè  Paolo  Dif(-> 
cono  ,  che  scrisse  tre  secoli  dopo  Foca  ,  dice,  eh' 
egli  rimandando  in  Italia  Stabiliciano  ,  che  A^'i- 
lulfo  gli  aveva  spedito  insieme  co'  suoi  ambascia- 
tori ,  questi  :  Agilulfo  regi  imperialia  numera  obtu- 
lere.  In  queìi" imperialia  mimerà,  che  realmente  nien- 
te altro  significa  che  i  co  zi  delt  imperatore ,  il 
sig.   canonico  trova    il    diadema  . 

Io  non  mi  occuperò  punto  della  seconda  pai- 
te  destinata  al  monumento  storico,  mentre  in  que- 
sta non   si    fa    che     confutare    capo    per   capo  T  o- 

^y;   Jf.    lai. 


y4  -J^E  TTERATURA 

pera   del    Muratori  ,  e  dlconrlo   lo    stesso  sig.  cario* 
nico   (io)    che    poco    importa  ,     che    un    re    o    un 
imperatore  di  più   o  di  meno  sia  stato  coronato  con 
quella    corona  ,   e  in    queste    ricerche  difTondendosi 
piincipaìmente    il    Muratori    sino    al    cap.    i8,    po- 
tè a  in    verità  sino  al   detto    capo  ,  che  si  esamina 
nella  terza  parte,  risparmiarsene  la  fatica  .    Il  Mura- 
tori  cessa  allora   di  parlare  delle  coronazioni,  e  par- 
la   della     corona  .   A    lui  pare    più  probabile  ,    che 
sant'  Elena  facesse   inserire  il    santo  chiodo    nelf  el- 
mo   di    Costantino    piuttosto  che   nel   diadema  ,  co- 
me  dice     sant'    Ambrogio  .     Et    prqfecto  ^^  adhi- 
hita      quam    par    est    Sniicti    Amhrosii    ve?  bis     re- 
verentia  ,    cequiiis  vedebatur    cassidi    quam    coroiice 
Costantiìii   clavum   inserere\    ut  enim  singuli  aneto- 
res  fatentuì\  covsilium  Imjusmodi    Helena  augusta 
inivit  ,   ut  (ìlium  dum   ade  cum  hoste  co  njligeret^ 
divina    virtute    clavis  indita    incolumem   tueretur.  E 
continua  poi  osservando  al  contrario,  che  nella  guer- 
ra portandosi  alia  vista   degT  inimici  ornamenti  pre- 
ziosi ,  questi    accrescono  il  pericolo  di    chi   li  por- 
ta. E  il  sig.  canonico  ,  per  evitare  X  obiezione  del- 
la   picclolezza    della  corona   incapace  di  cingere  una 
testa  adulta,  si  figura,  colfauturìtà  di  qualche  scrit- 
tore,  che  Costantino    non    la    portasse  in  capo,  ma 
sopra   l'elmo,   adattatavi  in  qualche  modo  .   Mi  pa~ 
re     che    s'   ingannino     ugualmente   il   Muratori  e    il 
sig.   canonico  ,   mentre  questi    espone    Costantino  al 
pericolo  di  esser  più    facilmente    conosciuto  ,  e  più 
avidamente  combattuto:   e   il   Muratori    non    ha  ri- 
flettuto,   che  portandosi   quel   sagro  chiodo     e    quel 
diadema  per  ottenerne    niiracolosamentc    la    salvez- 
za ,  era  br-n  IndifFtTente  il  portarlo  nascosto  nel  pet- 
to,  e    anche   in    tasca,  piuttosto  che  sopra   rehno. 

(io;  P.  72. 


Della  corona  ferr?:a  ^5 

Al  Muratori  ,  che  non  vorrebbe  assolutamen- 
te che  in  quel  diadema  vi  fosse  il  sagro  chiodo, 
pare  impossibile  che  sant'  Elena  abbia  commes- 
sa r  irriverenza  di  assoggettare  un  ferro  così  san- 
to al  fuoco,  e  al  martello,  e  alla  lima.  Sant'Am- 
brogio nulla  trova  d'  indecente  in  questa  ope- 
razione ,  che  loda  molto  :  e  il  Fontanini  riflotte 
bene  ,  che  anche  la  santa  croce  ha  dovuto  sotto- 
porsi ad  esser  divisa  in  tanti  minuti  pezzi  per  au- 
mentare da  per  tutto  la  venerazione  ,  e  tutto  gior- 
no le  reliquie  si  tagliano  per  moltiplicarle  .  T*o- 
veva  il  Muratori  piuttosto  maravigliarsi  de'  due 
tanto  diversi  destini  de'  sagri  chiodi  ,  mettendone 
uno  sulla  testa  dell'  imperatore,  e  1'  altro  nella  boc- 
ca di  un  cavallo  .  Bcncliè  neppur  questo  Secondo 
uso  sembri  indecente  a  sant'Ambrogio,  tuttavia  io 
credo  che  ne  nostri  tempi  non  si  adotterebbe  ;  e 
dirò  anch'  io ,  cuìhihìta  quam  par  est  reverenda  tan- 
to a  6.  Ambrogio  che  a  sant'  Elena  ,  sospetto  , 
che  a  questa  principessa  ne  venisse  il  pensiero  dal 
suo  antico  stato  ;  mentre  ,  sebbene  il  card.  Ba- 
roni© la  creda  figlia  di  un  piccolo  re  britanno  , 
sant'  Ambrogio  nella  medesima  orazion  funebre  di 
Teodosio ,  in  cui ,  come  ho  detto  ,  tanto  lunga- 
mente si  occupa  di  sant'  Elena  ,  dice  di  lei  :  sta- 
bulariam  hanc  primo  Julsse  oderunt^  sic  CGgnitam 
Constantio  seniori^  qui  postea.  reg^num  adeptus  est; 
e  molto  poi  discorre  su  questa  antica  condizio- 
ne di  sant'  Elena.  San  Girolamo  poi  cementan- 
do il  profeta  Zaccaria  non  chiama  espressamente 
indecente  ,  che  un  santo  chiodo  fosse  destinato  al- 
la bocca  di  un  animale ,  ma  sembra  che  lo  pen- 
si ,  non  approvando  1'  applicazione  a  quel  freno  del 
passo  di  Zaccaria  ^  Sanctuni  est  quod  super J'rce- 
num   c  elidivi  a   quodam ,  dice  s.    Girolamo ,  reni 


'jti  Letteratura 

sensu  quidem  pio  dictam  ^  sed  ridiculam^  cla^'os  r/ò« 
minicce  crucis ,  e  quibus  Constantinus  aiigùsfus 
J'r<enos  equo  suo  fecerit ,  sanctum  domini  appclla- 
ri  ti;  Quibus  verbis  ,  osservano  i  maur'mi,  Ambro- 
sium    ab  eo  tacite    vellicari  jiou  ambigimus. 

In  somma  se  il  sig.  canonico  vorrà  fare  una 
bdlisslma  opera  ,  avendone  sicuramente  i  talenti 
opportuni ,  come  ha  mostrato  in  questa  ,  dovrà 
scordarsi  affatto  di  tutti  gli  scrittori  più  moder- 
ni e  bruciare  ancora  Tristano  Calco  ,  e  il  Morigia, 
e  il  Bayer,  e  tanti  altri  ,  e  specialmente  liusul- 
so  Dita  Mundi,  che  taiìto  spasso  cita  per  occulto  femo- 
re di  purismo  ,  e  far.  un  ostinato  studio  suìFo- 
razione  di  sant'  Ambrogio:,  e  sulle  varianti  lezioni 
de'  diversi  codici  in  cui  si  trova  :  quindi  esami- 
nar minutamente  la  storia  de'  figli  di  Costan- 
tino ,  e  quella  di  Teodosio  e  di  Onorio  .  Fingia- 
mo per  un  momento,  che  non  esìstano  quegli  au- 
tori ignoti  di  sopra  nominati  ,  e  neppure  il  gran 
Muratori  ,  né  il  Fontanini,  eh'  era  anch'  esso  un 
valent'  uomo  ,  e  che  ora  per  la  prima  volta  in  qual- 
che codice  rescritto  ,  o  palimpsesto  ,  come  a  tor- 
to sì  chiama  ,  si  trovi  1  ora/ione  di  sant  Ambro- 
gio ,  nella  quale  tanto  si  parla  del  freno  e  del  dia- 
dema.  Trovandosi  un  freno  e  un  diadema  in  quel- 
le stesse  contrade  ,  ove  sant'  Ambrogio  la  pronun- 
ciò ,  potrebbe  forse  da  alcuno  dubitarsi ,  che  non 
sieno  gli  slessi  ,  de'  quali  il  santo  vescovo  par- 
lò ,  e  che  sin  d'  allora  nelle  stesse  contrade  sì  tro- 
vassero? Non  potrebbe  assolutamente  dubitarsene,  se 
tutti  quelli  scrittori  non  avessero,  invece  di  schiarii-  || 

la ,   oscurata    affatto  la  questione  .   Io   sono    intima-  1 

mente  persuaso,  che  so  prima  dell'  invenzione  del- 
la stampa  fosse  stata  universalmnnle  conosciul.i, 
coxue  io   è    al  presente,  quell'  orazione,    non  si  sa- 


DòM.A   CORONA   FERREA  ^y 

rebbe  giammai  posla  in  dubbio  Y  iiidentità  ,  Tau- 
Ipnticità  ,  e  la  santità  della  corona  ;  e  Pio  II  , 
che  morì  appunto  quando  la  stampa  nacque,  par- 
lando della  corona  ferrea  avrebbe  senza  dubbio  par- 
lato ancora    dell'  orazione  - 

Il   Muratori    stesso  ,   che     sebbene    assai  incli- 
nato   alla    ruggine   dell'    erudizione ,     avea    tuttavi  i 
wu    ingegno    superiore ,    pare    che     sciolto   dall'  im- 
pegno di  contraddire   i  monzesi,   sarebbe  stato  della 
medesima   opinione   che  qui   sì   sostiene   .    Nel  suo 
cap.  2  2.    dopo   aver   conlossato  ,   che    in   tutti  que- 
gli epigrammi   di  metallo,   di   cui    ne    ho    accenna-! 
ti   due  ,   non   vi    era    sale  ,   ricerca    come    mai,    es- 
sendosi   per   molti  secoli  dimenticato   il  sagro  chio- 
do ,  benché    si    facesse   menzione    della   corona,  sia 
potuta    finalmente  nel   XYl.   secolo  nascere  T  idea, 
che  quel  sagro  chiodo    fosse  il    medesimo    circo'  » 
di    ferro  inserito  nel  diadema  di  Monza  ;    e  ne  at- 
tribuisce r  origine  alla  lettura  dell'  omilia   di    saut' 
Ambrogio  ,  non  riflettendo  però ,    che  prima    delia 
stampa,  trovata  appunto  nel    line  del  secolo  prece- 
dente, questa  lettura  invece  di  esser  generale  dove- 
va essere  rarissima  :     Quod  si    cjuis  cjucerat   ,    egli 
dice  ,  undenam  haec  opinio    tandem  invaluerit^  con- 
Jectura  f orlasse  non    inepta  ad  respondeiidum  utar. 
Saeculo   proxime  elapso  fonasse   inquirthatur   cur 
modoetiensi     coronae  ferrus    circulus   insertus  fu- 
isset.    Qiium    vero    in    interpreiationibns ,    quas    ad 
Jinnc   rem    explicandam    jurisperiti  aliioue    scripto- 
r€S  excogitarant  ,    sai  desideraretur  ,  et  f or  san  cui- 
dam    legenti    s.     Ambrosii    orationem  ,    de  costan- 
tiniana corona  sermo  occitrrisset  ^facile  in  eam  sen- 
teiìtiam  is   abiit^   ut   eandem    Costantini   Magni  cO'- 
roriam  acferream  esse  ccnseret.  Plausibilis  sane  opi- 
mo ,    et  cui    haud  aegre  niodoetienses  reliqui  ma^ 


78  L  E  T  T  i,  n  A  T   U  R  A 

num  darent ,  qitippe  qimm  nostra  laudantur ,  dui- 
ce  indetur  falli  .  Bisogna  notare  ,  che  questo  più 
grande  avversario  della  corona  chiama  quell'  opi- 
nione plausdìde  ,  e  che  se  avesse  pensato  ,  che  il 
leggere  X  omilia  di  s.  Ambrogio  non  fu  per  mol- 
ti secoli  prima  della  stampa  concesso  che  a  po- 
chissimi ,  avrebbe  confessato ,  che  questa  opinio- 
ne plausibile  sarebbe  nata  molti  secoli  prima  sen- 
za un   tale  impedimento  . 

Io  non  trovo  altra  difficoltà  nelle  mie  nuove 
idee,  se  non  ch«  il  giuramento  del  papa  Vigilio  ri- 
portato dal  Fontanini ,  in  cui  si  nominano  i  santi 
chiodi  e  il  freno  ,  come  se  questi  nell'anno  55o. 
si  trovassero  ancora  a  Costantinopoli.  Mi  sorpren- 
de, che  il  Fontaniai  difensore,  e  non  piuttosto  il 
Muratori  avversario  della  corona  e  tanto  più  dot- 
to del  Fonlauini,  abbia  riportato  questo  giuramento 
cavato  dal  Baluzio  .  Dubito  peraltro  assai  delf  au- 
tenticità di  questo  giuramento,  che  si  suppone  fat- 
to dal  papa  Vigilio  ali  imperator  Giustiniano,  pro- 
mettendo il  papa  ,  il  capo  della  Chiesa  all'  auto- 
rità temporale,  di  non  più  aderire  agli  errori  cono- 
sciuti soito  il  nome  de'  tre  capitoli  .  Non  è  del 
mio  istituto,  né  del  mio  tempo,  il  dimostrare  ades- 
so che  quel  giuramento  è  apocrifo  .  Ma  sia  pur 
genuino.  In  esso  non  si  nomina  mai  il  diadema, 
ma  solamente  il  freno  e  i  chiodi .  Poteva  il  fre- 
no esser  rimaso  a  Costantinopoli,  e  non  già  il  dia- 
dema .  Poterono  farsi  coi  santi  chiodi  più  freni , 
e  non  un  solo  ,  come  lo  stesso  s.  Ambrogio  ac- 
cenna colla  parola  fracnos  ,  ed  esserne  uno  in  Ita- 
lia ,  e  UJi  altro  a  Costantinopoli .  Poteano  final- 
mente esservi  in  Costantinopoli  altri  chiodi  della 
croce  diversi  da  quelli  del  diadema  ,  annoverando 
lo  stesso  Fontanini  non  meno  di  quattordici  chio- 


I 


Della  corona  feurea  n() 

di,  che  si  venerano  anche  adesso  ,  se  non  come 
quelli  ,  che  trafissero  le  mani  e  i  piedi  del  di- 
vin  Redentore,  almeno  come  adoperati  per  la  co- 
struzione della  croce  . 

lo  prego  il  sig.  canonico  ad  occuparsi  di  tut-* 
ti  questi  esami ,  ne  quali  egli  riuscirà  al  certo  fe- 
licemente .  Vorrei  perù  ,  che  fosse  più  lei  ice  nell' 
applicazione  de' classici  ,  mentre  lasciando  (i  i)  an- 
cora il  passo  dell'  aureo  opuscolo  di  Plutarco  del- 
la tranquillità  dell  animo  ,  eh'  egli  riporta  a  pro- 
posito del  dolore  di  testa  del  card,  Litta  guarita 
col  contatto  del  santo  chiodo,  dicet>da ,  che  non 
è  più  vero  ciò  che  dice  Plutarco  ,  che  né  i  ric- 
chi calzari  guariscono  la  podagra ,  uè  un  prezioso 
anello  il  pannericcio  ,  né  il  diadema  il  dolor  di 
capo,  che  si  dice  da  Plutarco  in  senso  di 
morale  filosofia  ;  i  versi  delia  satira  decima 
dì  Giovenale  (12)  sono  veramente  poco  appli- 
cabili alla  corona  di  Federico  secondo  .  E  molto 
meno  alla  falsa  opinione  ,  che  in  Milano  si  custo- 
disse la  corona  di  ferro  ,  e  in  Motiza  un  altia  di 
paglia,  viene  a  proposito  V  altro  verso  di  Giove- 
nale  (i3) 

Quis  tam 

Perditus  ut  dubitet  Senecam  praeferre    JVeroni  ? 

seppure  non  intende  ,  che  Seneca  era  un  uomo    di 
paglia ,  e  Nerone  un  uomo  di  ferro  . 

Vero  è  però   che  il  sig.   canonico,  avendo  per 
le  mani  il  Fontanini    apologista  della  sua  corona  , 

(il)  P.  20». 
(12)  p.  99. 
(x3)  P.  i5o. 


So  Letxekatuka 

ha  potuto  facilmente  esser  sedolto  ad  imitarlo  in 
simili  strane  applicazioni  ,  citando  il  Fontuniiù 
Orazio  a  proposito  delle  reliquie  di  s.  Gregorio 
mandate  a  Teodelinda  ,  e  Tacito  a  proposito  del- 
la gara  che  vi  è  fra  Milano  e  Monza  .  Si  fanno 
presto  così  de'  libri  sostituendo  alle  prove  le  ci- 
tazioni, e  alla  forza  degli  argomenti  la  pompa 
dell'  erudizione .  Gli  scrittori  più  illustri  cadono 
talvolta  in  questa  vanità  ,  e  Grozio  nella  stessa  pa- 
gina cita  Omero  ,  sant'  Agostino  ,  Esiodo,  san  Glo: 
Crisostomo  ,  Ovidio  ,  e  l'Alcorano  .  11  sig.  cano- 
nico non  ha  però  abusato  nel  numero  ,  ma  solo 
un   poco  nella  giustezza . 

Luigi    Martoreih 


I) ella  forza  dell'  eloquenza  nella  poesia. 


L. 


|a  bella  orazione  del  eh.  sig.  abate  Girolamo  Rug- 
giu  professore  di  sacra  eloquenza  nella  università 
di  Bologna  ,  inserita  nel  fascicolo  I.  de'  letterarj 
bolognesi  opuscoli  de  vi  poeseos  in  sacìam  prae- 
sertim  elof/uentiam  ,  mi  risvegliò  il  pensiero  di  scri- 
vere, quando  che  fosse,  alcuna  cosa  sulla  forza  dell' 
eloquenza  nella  poesia  ;  il  che  intendo  ora  di  fare 
brevissimamente  per  mezzo  di  tre  esempj  tolti  tut- 
ti  dal  quarto  libro   dell  Eneide  . 

Al  terzo  pon  fine  il  lungo  e  raaraviglioso  di- 
scorso tenuto  da  Enea  alla  regina  di  Cartagine,  ed 
ai  grandi  del  regno  intorno  ai  destini  degli  dei  so- 
pra di  lui  appresso  l'  eccidio    di  Troja  . 


Eloquenza  nella,  poesiì^  8i 

„   Sic  pater  Aeneas  ,   intentis   omnibus  ,  iiniis 
„  Fata  renarrabat  divum  ,    cursusque  docebat . 
„   CoiiUcuit  tandem  ,  liactoque  hic  fine  quievit. 

Primo    esempio   tolto    dal  primo    colloquio 

fra  la  regina  di  Cartagine,  e  la  sua 

sorella    Anna . 

Enea  dormiva  tranquillamente  ;  ma  la  reina  ve- 
gliava, smaniosa  della  profonda  ferita  che  il  dardo 
di  cieco  amore  aperto  le  aveva  nel  petto  .  Da  ciò 
trae  principio  il  quarto  libro,  dove  si  prosegue 
la   intrapresa  storica  nai-razione  de'  fasti  dell'  eroe  , 

„  At  regina,  gravi  jamdudum  saucia  cura, 
„  Vulnus  alit  venis  ,  et  cacca  carpitur  igni . 

La  reìna ,  anzi  che  curare  la  piaga,  le  porge- 
va alimento.  11  giudizioso  poeta  descrive  qui  l'a- 
more di  essa,  qual  era  veracemente,  fuor  d'ogni  mi- 
sura; affinchè  poi  si  conosca  quanta  parte  ne  asco- 
se cautamenle  alla  sorella  nel  colloquio  che  ebbe 
con  esso  lei.  Altrimenti  ottenuto  non  avrebbe  l'inten- 
to di  essere  consigliata  alle  nozze  con  Knea  più  as- 
sai (  come  ella  desiderava  )  in  vista  di  ragioni  di 
slato  ,  che  di  alcun'altra  ;  siccome  vedremo  in  ap- 
presso .  Appartiene  all'  arte  oratoria  il  far  sì  che 
il  virtuoso  pretesto,  donde  ne  venga  laude,  pre\  al- 
ga neir  altrui  opinione  alla  verità  donde  biasimo 
ne  veiTebbe  . 

Sinché  Virgilio  fu  Titiro  pastorello,  spiegò  sen- 
timenti umili  acconci  alla  capanna  :  divenuto  po- 
eta epico  spiegò  sentimenti  quali  a  sorrano  si  con- 
venivano ,  e  degni  della  reggia  .  Perciò  introdus- 
se la  reina  ad  amare  ,  non  mica  qual  donniciuola 
G.A.T.IX.  G 


Sa  L  E  T  T  k.  R  A  T    i;  R  A 

volgare  e  leggiere  ,  colpita  soltanto  dall'  avvonen- 
7a  dell'  ospite  e  dal  suo  dolce  favellale  ,  ma  pre- 
cipuamente sorpresa  dalle  grandi  sue  virtù,  e  dall' 
essere  egli  duce  di  popolo  bellicoso  ,  cinto  di 
gloria  . 

„  Multa  viri  virtus  animo  ,  multusque  recursat 
,,  Gentis  honos  ;  haerent  infixi  pectore  vultus, 
5,  Verbaqueinec  placidam  membris  dat  cura  quietem. 

Scelse  Virgilio  avvedutamente  la  notte  ,  qual 
tempo  più  d'  ogni  altro  opportuno  a  chi  veglia 
agitato,  per  meditare  nei  silenzio  e  nella  solitudine  su 
la  propria  passione  .  Aveva  già  la  rosea  Aurora  dis- 
gombrate le  tenebre  dell  umida  notte,  e  già  Febo  illu- 
minava co'  suoi  raggi  la  terra:  quando  la  reina,  impa- 
ziente di  ristare,  balzò  di  letto  in  traccia  della  sorella, 
»  cui  aprire  il  suo  cuore  per  trarne  conlorlo  .  Piacque 
il  più  delle  volte  a' greci  poeti  di  dare  la  nudri- 
ce  a  confidente  della  sovrana  ;  ma  il  nostro  poeta 
le  diede  con  maggior  avvedimento  la  sorella,  e 
tale ,  da  dirsi  che  un'  anima  sola  l'osse  ne'  due  cor- 
pi divisa  . 

„  Posterà  Phoebea  lustrabat  lampade  terras, 

„  Uumentemque  aurora  polo  dimoverat  umbram; 

,,  Quum  sic  unanimem  adioquitur  male  sana  sororem: 

Come  il  poeta  ebbe  esposto  quanto  richiedevasi  a 
rendere  il  colloquio  di  più  alto  pregio  ;  introdus- 
se a  parlare  la  reina  ,  la  quale  cominciò  dal  cat- 
tivarsi r  animo  della  sorella  chiamandola  per  no- 
me .  Poi  senza  preambolo  di  alcuna  loggia  (  giacché 
la  passione  non  tolleia  pieamboli),  eccita  in  lei  com- 
passione ad  un  tempo  e  curiosità  ,  manilestaudole  il 


Eloquenza  nella  poesia  83 

raccapriccio  end'  era  compresa  pe'  funesti  sogni  che 
la  tenevano  agitata,  e  priva  di    consiglio. 

,,  Anna  soror,quae  me  suspensam  insomnia  terreni  ! 

Né  si  perde  ella  a  raccontare  i  sogni  ;  sì  per- 
chè simili  racconti  di  rado  vanno  scevri  da  leg- 
gerezza ;  sì  perchè  il  focoso  amore  non  le  consente 
che  d'  altro,  parli  che  del  nuovo  ospite  ,  ammira- 
bile pel  militare  aspetto  ,  pel  coraggio  ,  pel  valo- 
re   nelle    armi  .  '     ^^sl^ 

,,  Quis.novus  hic  noslris  successit  sedibus  hospes  ! 
„   Quem  sese  ore  ferens!  quara  forti  pectore  et  armis! 

tale  insomma  da  non  essere  piii  in  forse  eh'  e'  di- 
scendesse   dagli   dei  : 

„  Credo  equidem,nec  vana  fides,  genus  esse  deorum. 

Perochè  siccome  il  timore  esclude  questa  origine  ; 
cosi  la  convincono  le  sostenute  fatiche  ,  e  le  bat- 
taglie coronate    dalla    vittoria  : 

,,  Degeneres  animos  timor  arguit .  Heu  ,  quibus  ille 
„   Taciatus  fàclis  !    quae  bella  exhausta  eanebat  !  ,- 

n 

È  finissimo  Y  ingegno  della  reina  di  mette- 
re in  vista  alla  sorella  i  tanti  e  sì  rari  prcgj 
dell'ospite  per  somministrarle  argomenti  da  con* 
fonarla  alle  sospirate  nozze,  precisivamente  anche 
dalla  ragione  comune  ad  ogni  amante  di  seconda- 
re   il  proprio  naturale    affetto  .  ^  •       '"" 

La  reina ,  innanzi  di  scoprire  la  sua  inclinazio- 
ne ,  protesta  di  abborrire   le  seconde   nozze  :  né  ^ik 

0* 


84  Letteratura 

perchè  fosse  estinta  in  lei  ogni  fiamma  amorosa, 
di  che  per  anche  non  aveva  parlato  ;  ma  perchè 
ingannata  una  volta  da  amore ,  inoriidiva  al  pen- 
sare   di   poterlo    essere  di   nuovo  . 

„   Si    mìlii    non  animo    fixum  jnmotumqne  sederet  , 
„  Ne  cui  me  vinclo    vellem  sodare  jugali, 
„   Postquam   primus  amor  deceptam  morte  fefellit  t 
„  Si  non  pertaesum   Uialami    taedaque   fuisset  ; 

Che   fatto  avrebbe  ? 

„  Huic  uni  forsan  potui  succumbere  culpae. 

Ogni    sillaba  di  questo    verso    è    d'  inesplica*» 
lille    bellezza .  La  reina    mette    in  dubbio   anche  la 
sola    possibilità  di    soccombere  •.forsan  potui.  Per- 
chè   soccombere  ?     Per  dinotare    che  nel    caso    di 
passaggio   a  seconde  nozze  ,   avrebbe  ella  a  viva  for- 
za ,    e  non   di  sua  volontà,  ceduto  al    destino.  E  a 
qual  destino  ?   Di    accoppiarsi   ad  un  eroe  che  trae- 
va la  sua    origine    dal  cielo  ,  ed   era    dagli    dei    pa- 
lesemente piotetto  .    Perchè    colpa  ?  Per    esclude- 
re   qual   si    fosse   ragione  ,    sebbene   fortissima ,    dì 
scusa  ;  onde    far   credere    alla  sorella    di  essere  per 
ugual  modo   aliena  dalle   nozze  con  Enea  ,    che  dal 
macchiarsi    di    colpa  .    Ma    siccome  ciò  non    le  to- 
glieva   i    sentimenti    di    afFelto    verso    l'ospite;  co- 
si ben    conoscendo    ella    oramai    che    tornava   inu- 
tile  il   nascondere   affatto  alla  sorella  un  amore  che 
da  se    troppo   si  palesava  ,    mostra  di  farlene  stret- 
ta   confidenza ,    sebbene  con    tanta  riserva    da    in- 
durla ad    opinare ,    che   ella    finalmente    non  aves- 
se pei*  Knea  che  al   più  una  semplice  inclinazione. 


Eloquenza  nella  poesia  85 

,,  Anna  ,   fatebor  enim  ,   miseri   post   fata   Sycliaei 
„   Conjugls  ,  et  Sparsos    fraterna    caede  penates  ,  l 
„  Solus   hic  inflexit   sensus  ,    animumque  labantem 
„  Inpulit.  Adgnosco  veteris  vestigia  flammae. 

Accostandosi  la  reina  al  punto  di  palesare  al- 
quanto più  la  sua  passione  ,  fa  di  nuovo  sentire 
alla  sorella  il  suo  affetto  chiamandola  per  nome, 
ed  aprendole  il  suo  cuore  con  igenua  confessio- 
ne :  Anna  ,  faiehor  enim  .  Dà  all'  estinto  Siclieo 
l'epiteto  di  mìsero  :  epiteto  piiì  di  compassione,  che 
di  affetto  .  Si  riferisce  ad  Enea  per  mezzo  del  pro- 
nome hic  ,  benché  innanzi  non  avesse  parlato  che 
di  Sicheo  ;  perchè  il  solo  Enea  tutta  occupava  la 
sua  mente  in  guisa,  da  non  curare  che  il  prono- 
me fosse  costretto  di  andare  in  traccia  della  per- 
sona .  Soggiunge  che  il  solo  Enea  le  aveva  pie- 
gati i  sensi  ,  adoprando  le  soavissime  parole  :  so~ 
lus  hic  inflexit  sensus  .  E  poco  stante  confes- 
sa alla  fin  fine  con  is tento  di  sentir  pure  qual- 
che vestigio  deir  antica  fiamma  .  Chiunque  sia  co- 
stretto di  scoprire  un  secreto  che  ferisca  la  pro- 
pria estimazione,  comincia  il  discorso  di  lontano, 
quasi  per  prender  tempo  ;  e  da  ultimo  parla  in 
modo  che  altri  intenda  piìi  di  quello  che  egli  dis- 
se ;  anche  a  fine  di  poter  all'  uopo  negare  di  aver 
detto   ciò   che  fu    inteso  . 

Temette  non  ostante  la  reina  di  aver  detto 
troppo  ;  e  quasi  per  correggersi  desidera  che  le 
si  apra  la  terra  sotto  i  piedi,  e  Giove  la  colpi- 
sca   di  fulmine ,   anziché   violare  il  primo  talamo^ 

„  Sed  mihi   vel  tellus  optem  prius  ima  dehiscat  , 
„  Vel  pater  omnipotens  adigat  me  fulmine  ad  umbras, 
„  Pallentes  umbras  Èrebi  ,  noctemque  profundam  , 
,,  Ante,  pudor ,  quam  te  violo  ,  aut  tua  jura  resolvo- 


86  LETTERATURA 

E  perchè  la  sorella  si  persuadesse  che  la  fat- 
ta imprecazione  era  effetto  del  suo  amore  per  Y  e- 
stinto  consorte  ,  aggiunge  : 

„   Ille  meos,  primus  qui  me  sibi  junxit,  amores 
IT  Abstulit  ;  ille  habeat  secum ,  servelque  sepulcro. 

Quanto  affetto  nella  replica  del  pronome/7/e!  quanta 
decenza  nella  espressione  qui  me  sibi  junxit  !  quanta 
delicatezza  dell'  intero  distico  ! 

Terminato  il  discorso  mal  potè  la  reina  rattenere 
il  pianto  dirotto: 

„  Sic  effata,  sinum   lacrimis  inplevit  obortis: 

pianto  che  sembrar  potea  dì  tenerezza  alla  memoria 
di  Sicheo,  quando  lo  era  di  tenerezza  verso  il  nuo- 
vo ospite.  Ben  se  ne  avvide  la  sorella ,  la  quale 
fatta  accorta  che  il  lagrimare  della  reina  le  chie- 
dea  quel  consiglio  che  tacque  il  labbro,  cominciò  la 
risposta  là  dove  la  reina  avea  compiuto  il  discorso. 

,,  Anna  referet:  O  luce  raagis    dilecta   sorori, 

,,  Solane  perpetua  maerens   carpere  juventa? 

„  Nec   dulccs  natos,  veneris  nec  praemia  noris? 

„  Id   cinerem  aut  manes  credis  curare  sepultos? 

Corrisponde  pur  bene  Anna  alla  fiducia  in  lei 
riposta  dalla  sorella,  mettendole  innanzi  la  solitudi- 
ne di  vedova  in  età  giovanile,  la  melanconia  di  ta- 
le stato,  la  privazione  de' figlhioli,  frutti  di  con^ 
cesso  amore,  ed  il  vano  sospetto  che  il  cenere  de- 
gli «tinti  si  dolga,  se  le  vedove  ad  altri  sposi  si 
congiungano  !  Poscia  si  fa  incontro  alla  obbjezione 
de'  tanti  partiti  ricusati  dalla  reina;  rispondendo  che 


Elo<ìuen«a  nella  poesia  Sj 

i    rifiuti    accaddero  quando,    trapassato  dì  corto    il 
manto,   era  sì   intenso    il  suo   dolore,   da  non  con- 
sentire eh'  ella  desse  ascolto  agT  inviti  di  sposi  sco- 
nosciuti;  ma  che  ora,  ritornato  l'animo  alla  calma 
non  dovea  più  resistere  alla  propria  inclinazione. 

„  Esto:   aegram  nulli  quondam  flexere  mariti; 

„  Non  Ljbiae,  non  ante  Tjro;  despectns  laibas, 

„  Ducturesque  alii,   quos  Africa  terra   triumphis 

„  Dives  alit:  piacitene    etiam  pugnabis  amori? 

Ne  tarda  (  non  altrimenti  che  accorto  primo 
ministro  di  stato  )  a  lame  alla  reina  un  obbligo 
preciso  coi  rappresentarle  i  grandi  pericoli  che  ^  le 
sovrastano  da  ogni  lato,  dove  ella  non  risolva  di 
associarsi  al  trono  sì  valoroso  capitano  ,  il  quAe 
le  sia  di  scudo  contro  i  lormidabili  nemici  che  k 
circondano. 

1,  Nee  venit  in  mentem,  quorum  consederis  arvis? 
„  lime  Gaetulae  urbes,  geaus  insuperabile  bello, 
5,  Et  JYumidae  infreni  cingunt,  et  inhospita  syrtis  : 
„  Hinc  deserta  siti  regio,    lateque   furentes 
,,  -Barcaei.  Quid  bella  Tyro  surgentia   dicam, 
•),   Germauique  minas? 

E  da  uno  passando  Anna  ad  altro  argomento  vie 
più  torte,  attribuisce  a  singolare  provvidenza  de^li 
ciii,  e  spezialmente  di  Giunone  protettrice  di  Car- 
tagine, lo  sbarco  de  trojani  ne'  porti  cartaginesi  , 
aggiungendo  così  all'obbligo  di  stato,  quello  di  re- 
ligione per  indurre  la  reina  a  dar  la  mano  ad 
Enea. 

,.  Dis  eqnidcm  auspicibus  reor,  et  Junone  secunda, 
„  Hunc  cursum  iliacas  vento  touuisse  carinas. 


88  Letteratura 

Indi,  come  se  fosse  divinamente  ispirata ,  pre- 
dice con  tutta  franchezza  per  mezzo  di  nobilissimi 
versi  r  ingrandimento  di  Cartagine  e  del  regno  , 
stretta  che   siasi  dalla  reina  V  alleanza   co'  trojani, 

Quam  tu  urbem,    soror,  hanc    cernes,  quae  isur- 

gere  regna 
Conjugio   tali!   Teucrum  comitantibus  armis. 
Punica  se  quantis  adtoUet  gloiùa  rebus  ! 

Maraviglioso  contrapposto  di  sciagure  e  di  pro- 
sperità! Quelle  nel  caso  di  rifiutare  le  nozze  dagli 
dei  preparate;  queste  nel  caso  di  acconsentirvi.  Po- 
teva la  reina  dopo  ciò  rimanere  in  l'orse?  Si  com- 
pie dalla  sorella  il  discorso  insinuando  alla  reina 
di  placare  co'  sagrifizj  gli  dei,  che  ne'  sogni  fune- 
sti le  sì  mostrarono  sdegnati,  e  di  proseguire  a 
tenersi  benevolo  l'ospite,  sinché  il  mare  levato  ia 
burrasca  gì' impediva  di  mettersi  in  corso. 

„  Tu  modo  posce  deos  venìam;  sacrisquè  Htatis 
,,  Indulge  hospitio,  caussasque  innectc  morandi: 
„  Dum  pelago  desaevit  hiems,  et  aquosus  Orion, 
„  Quassataeque  rates,  dum  non  tractabile  coelum. 

L'  uomo  brama  ardentemente  eh'  ogni  sua  azio- 
ne sia  riputata  laudevole:  però  gode  dove  si  tro- 
vino motivi  che  facciano  velo  alla  sua  passione.  La 
reina  si  diede  vinta  alle  ragioni  di  stato;  perchè 
era  già  vinta  da  un  amore  che  più  non  sentiva  il 
freno  della  ragione.  JNon  era  possibile  che  un  di- 
scorso tessuto  con  tanta  arte,  con  tanto  ingegno,  con 
tanta  religione,  non  rendesse  più  ardente  il  luoco 
di  che  avvampava  la  reina  Didone;  la  quale  ab- 
bandonato oramai  il  troppo  severo  contegno,  passe 
dal   (hjLbio  alia   spenmx.a- 


Eloquenza  nella  poesia  ■  ^Sq 

„  His  dictis  incensum  animuni  inflammavit  amore, 
,,  Speitìque  dedit  dubiae  menti,  solvitque  pudorem. 

Oh  forza  invincibile  della  eloquenza  !  Voleva 
la  reina  ricevere  quel  consiglio,  che  ella  era  già 
vicina  a  seguire;  ma  senza  chiederlo.  Qual  miglior 
mezzo  a  ciò  ,  che  di  manifestare  alla  sorella  un  amo- 
re, che  dopo  di  aver  fatto  per  lungo  tempo  la  vir- 
tuosa comparsa  di  eroico,  anziché  di  passionato, 
tradisce  tutto  ad  un  tratto  se  stesso,  convertendo 
i  due  occhi  della  reina  in  due  copiosi  fonti  di  lagri« 
me  che  le  innondassero  il  seno? 

„  Sic  effata,  sinum  lacrimis  implevit  ohortis. 

Secondo  esempio  tolto  dal  discorso  della  reina 
di  Cartagine  col  duce   trojano. 

Avvedutasi  la  reina  che  Enea  si  preparava  al- 
la   fuga,  divenne  furibonda  al  jDari  di  baccante. 

„  Saevit  inops  animi,  totamque  incensa  per  urbom 
,,  Baccliatur;   qualis    conraotis  excita  sacrìs 
,.   Thjias ,    ubi  audito  stimulant  trieterica  Baccho 
„  Orgia,  nocturnusque  vocat  clamore  Cithaeron. 

Ed  accesa  di  un  furore  che  la  trasse  di  sen- 
no, avendo  incontrato  Enea  ,  obbliò  per  poco  il  rea- 
Je  contegno,  le  tante  insigni  qualità  del  duce,  eia 
sua  discendenza  dagli  dei,  per  trattarlo  ingiuriosa- 
mente qual  perfido  che  tradiva  V  ospitalità  e  F  amo- 
re; che  non  dubitava  di  recar  morte  a  lei,  e  dì. 
metter  se  stesso  in  pericolo  di  naufragio  scioglien- 
do le  vele  nel  tempo  che  il  mare  era  procellosu; 
il  che  fatto   non   avrebbe   né  anche,  se    invece    di 


go  Lettehatura. 

andare  in    cerca  dì  terre  straniere  ed  ignote,  aves- 
se dovuto  ritornare  alla  propria  patria. 

Dissimulare  etiam  sperasti,  perfide,  tantum 
Posse  uefas,   tacitusque  moa  decedere  terra? 
Nec  te  uoster  amor,  nec  te  data  dextera  quondam, 
Nec  moritura   tenet  crudeli   funere  Dido? 
Quin  etiam   liiberno  moliris  sidere  classem. 
Et    niediis  properas  aquilonibus  ire  per  altum, 
Crudelis?  Quid?  si    non  arva  aliena  domosque 
Ignotas  pateres,   et  Troja  antiqua  maneret, 
Troja  per  undosum  peteretur  classibus  aequor? 

Veggendo  la  reiiia  che  Enea,  avvolto  in  pro- 
fonda meditazione,  non  si  risentiva  ai  rimprove- 
ri, sperò  di  ammolirne  il  cuore  colla  dolcezza  e 
con  r  affetto.  Piange  quindi,  prega,  gli  rammenta 
gF  intrapresi  imenei  ,  gli  rappresenta  la  propria  di 
lei  desolazione,  i  pericoli  a'  quali  per  sua  cagione 
rimane  esposta,  il  pudore  da  essa  perduto,  la  vi- 
cina di  lei  schiavitù  e  morte. 

„   Mene   fugis?    Per    ego    has    lacrimas    dexteram- 

qne  tuam  ,  te, 
„   (Quando  aliud  mihi  jam  mlserae  tiihil  ipsa  rcliqnì) 
„   Per    connuLia  nostra,  per  inceptos  hymenaeos; 
„  Si  bene  quid  de  te  merui,   fuit  aut  tibi  quidquam 
,,   Dulce  meum:  misercre  domus  labentis,  et  istam, 
„   Oro,  si  quis  adhuc  precibus  locus,  exue  mentem. 
,,  Te  propter   lib}  ciae  gentes  Nomadumque  tyranni 
„   Odere;  infensi   tyrii;    te  propter   eundera 
,,  Extinctus  pudor,  et,  qua  sola  sidera  adibam, 
,,   Fama  prior.  Cui  me  moribundam  deseris,hospes? 
„  Hoc    solum  nomen    quonìam  de  coniuge  restat. 
„  Quid  moror?  an  mea  Pygmajion  dum  moeaia  frater 
„  iJestrnat,  aut  captam  diicat  Gaetulus  larbas? 


Eloquenza  nella  poesia  91 

Sebbene  ognuna  delle  portate  ragioni  fosse  di 
se  atta  a  piegare  il  cuore  di  Enea,  tuttavolta  ad 
ogn'  altra  di  gran  lunga  prevaler  dovevano  gli  intra- 
presi imenei  ,  come  quelli  che  lo  accusavano  d'  in- 
gratitudine senza  pari  ,  e  de'  quali  perciò  la  reiua 
fa  rimembranza  per  ben  quattro  volte  in  breve  trat- 
to di  tempo,  e  sempre  con  tutta  decenza  ts  JNec 
„  te  noster  amor,  nec  te  data  dextera  quondam  .  . 
,,..,.  Per  cunnubia  nostra,  per  inceptos  Hime- 
„  neos  ...   .   .  .Si  fuit  tibi  quidquam  dulce    me- 

,,  um Te    propter    exctinctus    pudor, 

„  et,  qua  sola  sidera  adibam,  fama  priorS  Quan- 
ta passione  esprime  il  verso  che  succede  al  voca- 
bolo hospes  !  t=;  Hoc  solum  nonien  quoniam  de  con- 
juge  restat. 

Sarà  continuato. 

V.  Berni  degli  Antoni 


Patera    etrusca  inedita  ,   descritta  e   spiegata 


R 


dal  sig.    Luigi    f^escovali. 


.eputiamo  propizia  sorte  de'  letterati  e  nostra  , 
che  il  sig.  Vescovali  abbia  voluto  farne  presente 
Qeir  annesso  erudito  ed  esatto  suo  scritto .  Datosi 
egli  nella  sua  giovinezza  agli  studi  veramente  ro- 
mani delle  antichità  ,  promette  di  segnalarsi  in  es- 
si,  come  già  in  quelli  di  Euclide.  Che  mai  non 
può  r  amore  del  bello  e  della  virtù ,  allorché  al- 
ligni in  animo  ben  fatto  !  Da  un  pezzo  di  metal- 
lo, che  altri  avrebbe  gittato  come  inutile  (  tanto 
era  coverto  di  alta  e  tenace  ruggine)  ,  ha  egli  trat- 
to in  luce  una  delle  così  dette  patere  eti  usche , 
e   la  più   bella    che   conosciamo.   I\on  contento    di 


,QrS  '        L-E  TTERATUKl. 

ciò  ,  ha  Voluto  produrla  ornata  di  fedel  tavola  in 
rame  ,  resa  più  pregevole  con  acconcio  schiarimen- 
to .  Mentre  perciò  a  lui  attestiamo  la  gratitudin 
nostra  ,  e  le  giuste  lodi  che  si  merita  .,  speria- 
mo questo  esempio  dover  essere  di  stimolo  ad  altri 
studiosi  giovani ,  onde  alla  impresa  nostra  col  frut- 
to delle  loro  cure  si  accostino ,  e  questa  incontri 
vieppiù  ,  come  pure  incontra  ,  l' approvazion  de' 
sapienti ,  ed  il  favore  di  tutte  le  persone ,  che 
amano  una  lettura  di  solida  insieme  e  piacevole 
istruzione . 

I    COMPILATORI. 

Mi  affretto  a  comunicare  al  pubblico  una  di 
quelle  finora  dette  patere  etrusche,  ossia  uno  di 
que'  dischi  di  metallo  ,  che  pieni  da  una  parte 
d'  incisioni  a  contorno  ,  tanto  interessano  per  la 
più  dotta  mitologia  de'  greci  ,  e  per  l' istoria  di 
un  popolo  primitivo  della  nostra  Italia ,  che  poco 
ancora  conosciamo  ,  non  che  per  quella  de'  roma- 
ni ,  i  quali  ne  adottarono  in  ispecial  modo  le  co- 
stumanze. 

Dopo  ciò  che  ha  scritto  eruditamente  il  sig. 
cav.  Inghirami ,  seguendo  il  parere  di  alcuni  va- 
lentuomini ,  da'  quali  era  stata  proposta  una  tale 
osservazione ,  credo  non  doversi  più  dubitare  ,  che 
questi  dischi  manubriati  tenessero  le  veci  de'  nostri 
specchi .  Vorrei  di  più  che  non  sì  chiamassero 
mistici ,  come  chiamar  non  si  debbono  bacchiche 
quelle  ciste,  o  arcule,  nelle  quali  si  rinvengono 
per  lo  più  simili  dischi,  tra  le  strigili  ,  gli  aghi 
crinali,  ed  arnesi  di  tal  guisa  cosmetici,  o  pa- 
lestrici .  E  cortamente  errano  coloro  ,  i  quali  cre- 
dono ,  che  siffatte  lamine  orbicolari  fossero  patere 
da     sagridzj .    Imp:;rocchò  nò   hanno  labbri  rilevati. 


I 


Patera   etrusca  qS 

né  superficie  tanto  concava  ,  che  le  renda  capaci 
di  un  qualunque  fluido  .  Molti  sono  in  vero  i 
marmi  e  le  medaglie  ,  che  presentandoci  o  sa- 
grifìzj  ,  o  cose  a  questi  appartenenti  ,  sempre  mo- 
strano le  patere  assai  concave,  senza  manubrio  ,  e 
quali  da  Virgilio  e  da  altri  vengon  descritte  ; 
mentre  poi  altrettanti  ne  sono,  che  ci  offrono  le 
finora  chiamate  patere  in  mano  di  donne  ,  le  qua- 
li in  atto  di  acconciarsi ,  o  vagheggiare  loro  stes- 
se ,  non  possono  aver  nelle  mani  un  utensile  da 
sagritìzio . 

Nò  ometter  si  debbono  due  altre  considera- 
zioni .  La  prima  è  ,  che  in  parecchi  de'  dischi  in 
quistione  ,  tra'  quali  anche  quello  di  cui  parlo,  ed 
in  uno  singolarmente  del  rriuseo  Kircheriano  ,  ve- 
desi  sulla  parte  opposta  alle  figure  qualche  avanzo 
di  un  lucido  ancor  sufficiente  a  rifletter  1  imma- 
gine .  La  seconda  è  ,  che  i  popoli  orientali  usano 
anche  a'  dì  nostri  specchi  metallici  della  como- 
dissima   forma  di  questi   antichi  . 

Il  nostro  è  stato  rinvenuto  nelle  vicinanze  di 
Viterbo ,  malconcio  da  varj  colpi  fendenti  ,  ri- 
cevuti;; sulla  parte  liscia ,  e  passati  ali'  altra  con 
qualche  danno  delle  figure  ,  e  ricoperto  di  ossi- 
dazioni ,  prodotte  dai  differenti  metalli  che  lo 
compongono  .  Il  suo  diametro  è  di  un  palmo  ;  ed 
ha    un   picciolo  avanzo  del   manubrio . 

Il  graffito  è  d'uno  stile  perfetto;  e  non  sembra 
lavoro  di  rozzo  ed  inesperto  etrusco,  ma  di  va- 
lente e  peritissimo  greco  .  Tanto  son  belli  e  re- 
golari i  contorni  ,  ragionati  e  ben  disposti  i  musco- 
li ,  eleganti  e  maestri  i  panneggi  ,  graziose  impo- 
nenti e  ben  aggruppate  le  figure  ;  e  naturali  e 
semplici  le  forme  degli  animali .  Ma  eccone  uA 
cenno   più   circostanziato  *  ,      ^ 


o4  Letteratura 

Immaginate  due  circoli  concentrici.  Nel  cir- 
colo interno,  il  quale  occupa  quattro  delle  cinque 
parti  del  raggio  di  tutto  il  disco  ,  vcggonsi  rap- 
presentati cinque  personaggi .  NelT  esterno  ,  o  per 
dir  meglio  in  quella  fascia  ,  che  cinge  il  primo 
ed  il  secondo  cerchio  ,  espressa  si  scorge  una 
battaglia  di  animali,  che  fieramente  si  azzuffano. 
In  ogni  gruppo,  uno  di  natura  più  debole  vìen 
assalito  da  due  più  forti  .  Gli  assaliti  son  due 
cavalli,  un  cervo  ,  un  asino,  un  bue  ,  un  cingliia- 
le  ,  ed  un  becco  .  Gli  assalitori  son  cani  ,  tigri , 
leoni ,  e  grifi .  A  me  pare  ,  che  questi  non  ab- 
biano alcuna  relazione  col  soggetto  principale  ,  ma 
che  siano  solamente  destinati  a  formare  un  orna- 
to  per  chiudere  la   composizione. 

JNè  il  manubrio  manca  di  lavoro;  essendovi 
disegnato  un  vecchio  Sileno  seguace  di  Bacco , 
quale  ce  lo  descrive  Luciano  ,  basso  ,  pingue , 
panciuto,  calvo,  col  naso  schiacciato  ,  con  grandi 
orecchie  dritte  ,  il  quale ,  sebbene  mancante  ora  di 
una  gamba,  pur  si  conosce  essere  in  atto  di  cor- 
rere saltando,  alzando  colla  destra  una  clava,  da 
cui  pendono  forse  alcune  di  quelle  strisce  di  cuojo, 
colle  quali  ,  nelle  licenze  delle  feste  lupercali  o 
licee  del  Dio  Pane,  pcrcuotevansi  le  femmine  spe- 
cialmente  che   bramavano    di  essere    fecondate . 

Tra  le  cinque  figure  ,  che  occupano  ,  come 
)ìO  detto  ,  il  circolo  interno  ,  Apollo  accompa- 
H^ato  dall'  epigrafe  Vs)1/l  ,  involto  T  estremità  in- 
feriori nel  suo  pallio  riccamente  ornato  a'  lembi, 
siede  qual  protagonista  su  d'  un  sedile ,  che  po- 
trebbe forse  essere  quel  medesimo  tripode  ,  sul 
quale  dicevasi  eh'  egli  sedendo  proferisse  gli  ora- 
coli ;  dal  che  gli  venne  il  cognome  di  vate.  Ap- 
poggia   i    piedi  sopra    un   di    que   suppedanei  ,    © 


Patera  etrusca  <)5 

panchetti,  che  gli  attici  chiamarono  9'payoi  .  Stringe 
eolla  sinistra  un  lungo  scettro  ,  che  termina  in 
fronzuto  ramo  di  alloro  ,  pianta  a  lui  sacra  e  dilet- 
ta, e  da  lui  destinata  ad  essere  il  distintivo  de' 
vincitori  e  de'  poeti  ;  e  riposa  la  destra  sul  cor- 
rispondente ginocchio,  stendendone  1'  indice  in  at- 
to  di  favellare  . 

Sul  suo  volto  egregiamente  espressa  si  nota 
quella  serenità  ,  effetto  della  eterna  giovinezza  con- 
cessagli dal  padre;  e  le  sue  chioma,  elevate  sul 
vertice  in  doppio  ciuffo,  vezzosamente  increspate 
e  raccolte  da  uno  strofio,  o  cordone,  proprio  de' 
numi  e  de'  re  ,  si  mostrano  esser  quelle  ,  che  i  poeti 
^  dissero  ondose,  auree,  intonse,  e  stillanti  unguenti. 
La  soavità  delle  forme  è  quale  conviénsi  al  più 
bello  degli  Dei  ;  ed  è  lontana  dalla  morbidezza 
di  quelle  di  Bacco,  egualmente  che  dalla  durezza 
di    quelle    di   Ercole. 

Segue  in  giro  a   destra  una   Dea ,  che  io  credo 
essere   Giunone,  pel  velo  specialmente,  che  le  scen- 
de in    maestosa   foggia   dal    capo-    Ravviso  in   esso 
quella  specie  di   rete,   ìiixpu<pet\op  ,  o  ìipnlt^vav^  di  cui 
si    coprivano  e   le   vergini,   e  piìì    pomposamente  le 
novelle  spose;  e  di  cui  fece  pur  uso  Giunone  stessa, 
allor  quando,  per   comparir  più  bella,  ed  accender 
tf  amorosa    fiamma    a   danno  de'    trojani    il  Tonante 
marito   sulle   vette  delf  Ida,    lavatasi,   profumatasi, 
acconciatesi  le  chiome,  sulle  altre  vaghe  vesti  infe- 
riori si  sovrappose  un  velo^  bello  ^  nuovo  ^  e  candi- 
do  al  par  del  sole,  (i) 


(t)  Homer.  lliad.  2  •  XIV.  v.  184. 
K/Dv^t/^''^  he(pij'jrtp3i   xu\u^oito  J/a  dtàcoy  . 
KaKa  yn-^XTe'p  '    KtuKoy  Ìyi'v  ìiicKios  èÒi  , 


qG  Letteratura 

JVè  11  leggiadro  atteggiamento  di  sollevar  dal 
petto  calla  destra  uu'  estremità  dell'  abito,  fu  po- 
sto quivi  senza  ragione;  poiché  ben  ò  stato  os- 
S6r\ato,  che  T  adoperarono  gli  antichi  artelici  in 
quelle  figure,  alle  quali  volevano  dar  grazia  e  di- 
gnità; ed  è  per  ciò  conveniente  alla  veneranda  so^- 
rdla  e  sposa  del  sommo  Giovq,  padre  e  sovrano 
degli    uomini   e    degli   Dei. 

Continuando  coli'  istess'  ordine,  vedesi  al  fian- 
co di  Giunone  un  altra  Dea,  che  nuda  in  tutto  il 
resto  del  corpo,  ha  coperte  le  sole  gambe,  reggen- 
do colla  mano  sinistra  un  lembo  del  peplo  di  una 
terza  vicina,  sulla  di  cui  spalla  appoggia  il  braccio 
destro,  che  ripiegato  le  fa  ritornar  sul  petto  la  ma- 
no^ nella  quale  tiene  un  ramo  di  mirto,  pianta  a 
\eiiere  consacrata  forse  per  la  facilita  d'  allignare 
sulle  dve.  del  rtiare,  donde  la  Diva  delle  spume 
trasse  i  suoi  natali.  Senza  di  ciò  anche  T  avvenen- 
za del  Volto,  la  soavità  dello  sguardo,  il  capo  dol- 
cemente inclinato,  le  delicate  membra,  la  molle 
espressione  di  tutta  la  persona,  sarebbero  bastanti 
^  farci  ravvisare  in  essa  la  Dea  delle  grazie,  degli 
amori,   e  della   bellezza. 

La  decisa  passione  per  gli  ornamenti,  con  som- 
ma proprietà  indicataci  dalla  collana,  che  le  fre-  |, 
già  U  collo  ,  assai  più  ricca  di  quella  onde  si 
contenta  la  sua  vicina  a  destra,  forma  un  nuovo 
argomento,  che  posto  a  cnmolo  con  gli  altri  distin- 
tivi, toglie  ogni  dubbio  di  riconoscere  in  essa  la 
bella  signora  di  Cipro,  di  Palo,  di  Guido  ,  e  di 
Citerà. 

La  figura  seguente,  coli'  epigrafe  >?I](lH3Wk, 
Menerva^  vestita  ci  si,  olTre  di  un'ampia  ricca  to- 
naca, alla  quale  è  sovrapposto  il  vasto  peplo,  la- 
Toro  ammirabile    di   sua   mano,  e   l' orrenda  egida 


II 


Patera  etrlsca  oa 

adorna  di  fibbie,  nel  cui  mezzo  sta  fissa  la  spo- 
glia del  .  terribile  capo  di  Medusa,  cangiate  in  ser- 
pi le  belle  chiome  emule  delle  immortali  della  Di- 
va. Il  movimento  di  tutta  la  persona,  ed  il  volto 
su  cui  rifulge  il  coraggio  ed  il  sapere,  esprimono  il 
carattere  bellicoso  e  feroce  della  vergine  guerrie- 
ra ,  Dea  del  consiglio  e  del  valore,  che  tanto  pro- 
tesse Tarmata  greca  nella  presa  di  Troja  ;  non  ri- 
sparmiando di  mischiarsi  nelle  battaglie  tra  le  fol- 
te schiere  de' popoli  pugnaci,  giungendo  persino  a 
ferire,  e  forzare  ad  abbandonar  T  attacco  io  stesso 
Dio  della  guerra. 

L'egida,  che  aggruppata  in  segno  di  pace,  le 
pende  dal  petto  ,  i  piedi  non  coperti  di  calzari 
ma  nudi,  ed  il  capo  ornato,  non  dell'  alta  celata, 
Wa  del  divino  diadema,  ne  po^:-gono  indizj ,  chela 
Dea  qui  sta,  non  accesa  dal  furore  militare,  pre- 
parandosi a  romper  le  intere  squadre  degli  eroi, 
ma  tranquilla    scorrendo   la    paterna    reggia. 

Ercole,    tal   confermato  dall'  epigrafe  34903 M  , 
e  la  quinta  ed    ultima  figura  del  nobil   gruppo.  Mo- 
strasi diritto,,  tenendo  il    pie  sinistro  sopra  qualchq 
l>aso,    o    sasso,   che    eie   stato  tolto  dall' ossido;  J|i 
.guai    positura   fu  usata    dagli    antichi  artefici    nelle 
immagini   de' laboriosi  eroi,  per  depotare    un  ripor- 
.80  degno    di  essi,   che  non   avesse  in    tutto    dei  ne- 
ghittoso .    Appoggia  la  destra  alla  clava i   eia  &li]j^ 
stra,    che  si  dirige  .verso,  il  giiiocchio,    non  appa^ 
nsce  abbastanza  distipta.  Ha'  gitULa  siiì  collo  la  spo- 
glia   del  leone    nemeo,  che  scendendo  gli  cade  sul- 
la   coscia  sinistra.   La    folta    barba,    che   gli    veste 
il  mento    (  sebbene   gli  Ercoli   degli   etruschi  sieno- 
qiiasi  sempre    imberbi),    il    carattere    della   fisono- 
mia,  eie  membra    di    tutto    il     corpo    giustamente 
significano   la    velocità   e  la   fortezza    di    un    eroe 
G.A.T.IX.  ^ 


98  Letteratura 

al  quale  mai  sempre  vincitore  avean  ceduto  uomini 
e  fiere;  ma  che  ora  deificato  e  latta  immortale,  ha 
lasciato  gV  impeti  di  quella  gagliardìa,  di  cui  fé' 
prova  sulle  rive  del  Ladone,  raggiungendo  la  cer- 
va instancabile,  fornita  d  auree  corna  e  di  pie  di 
bronzo,  o  traendo  vivo  dall' isola  di  Creta  in  Arga 
il  toro   adultei-o    di    Pasifae . 

Forse  nella  sinistra  potrebbe  aver  tenuto  que 
pomi  delle  esperidi ,  sua  penosissima  conquista , 
che  fu  r  ultima  delle  prescritte  fatiche  ;  attestando 
così  con  essi  di  aver  già  soddisfatto  a  tutte  le  dif- 
fìcili condizioni ,  e  dover  quindi  godere  a  buon  dirit- 
to  del    soggiorno   e    della  vita  degl"  immortali  -  (i) 

Mi  par  dunque ,  che  1'  arrivo  alf  Olimpo  del 
figlio  di  Giove  e  di  Alcmena  riputar  si  debba  il  sog- 
getto di  tutta  la  rappresentazione .  Sappiamo  che 
r  eroe  ,  dopo  essersi  posto  indosso  la  mortifera 
"veste,  lorda  delT avvelenato  sangue  di  Nesso,  invia^ 
tagli  dalla  gelosa  moglie ,  stanco  di  sollVire  ,  ìnvan 
tentando  di  spogliarsene,  sdegnato  contro  Timplaca- 
bile  matrigna,  distesosi  sul  rogo  Oeteo  ,  si  lasciò 
consumar  dalla  fiamma  ,  eh'  egli  stesso  intrepida 
accese;  e  dal  padre  Giove  fu  quindi  ammesso  nel 
concilio  degli  I)ei ,  dove  lieta  accoglienza  da  tut- 
ti   ottenne,    per  le  tante   sue  lodevoli  imprese. 

Le  divinità  ,  che  nel  nostro  monumento  lian- 
Bosi  in  atto  di  riceverlo,  non  disconvengono  cer- 
tamente al  soggetto  ;  perchè  né  Apollo  è  collo- 
cato fuor  di  proposito,  come  quegli  eh'  essendo 
Pio  della  luce ,  siede  qual  sovrano  là  dove  risplende 


(1)  Secondo  Diodoro,  Apollodoro,  e  la  maggior  parte  degli  anti- 
chi lavori ,  che  ci  rimangono  sulla  vita  di  Ercole . 


Patera  etrusca  gg 

un  giorno  eterno  ,  e  può  simboleggiarci  il  cielo  (i)  : 
rè  Giunone  dirsi  vuole  avversa  in  questa  scena  ; 
poiché,  sebbene  stata  contraria  a  quel  figlio  adul- 
terino in  tutto  il  corso  della  vita,  costretta  alla 
fine  da  Giove  ,  con  esso  si  pacificò  ,  e  diedegli 
Ebe  sua  figlia  in  isposa  (2)  .  Venere  poi  qui  com- 
parisce opportuna  ,  che  benigna  le  tante  volte 
confortato  lo  avea  tra  le  improbe  sue  fatiche  ;  e 
talora ,.  come  se  da  lei  sola  vinto  fosse ,  lasciar 
gli  fece  la  clava  e  le  frecce ,  per  torcere  il  fuso 
lavoleggiando  tra  le  ancelle  della  regina  di  Lidia,  e 
mostrare  il  volle  minor  di  se  stesso  inverso  V  amata 
fanciulla  di  Eurito.  La  principal  parte  però  d'  in- 
tervenienza  spetta  giustamente  a  Minerva,  che  dal 
giudizioso  artista  all'  immediato  fianco  gli  è  stata 
posta;  mentr  essa  sola  era  la  scorta  solenne  de' va- 
lorosi, essa  avea  per  ciò  sempre  mai  protetto  il 
massimo  fra  tutti,  Alcide;  ed  è  pur  noto,  che  a  lei 
sola  toccò  r  incarico  d'  introdurlo  alla  meritata 
sempiterna  dimora.  (3) 

Così  le  tre  Dee  maggiori  dell'Olimpo  rimiran  con- 
cordemente r  ospite  novello ,  sul  di  cui  volto  eleva- 


(1)  Anche  Seneca,  nell' atto  IV.  dell'  Ercole  Oeteo,  fa  che  il 
suo  protagonista ,  giunto  suU'  Olimpo  vicino  a  Febo ,  ne  ammiri  la 
chiara  luce . 

„  Video  nitcntcm  regiam  clari  aetJicris, 

„.  Phoebiquc  tritam  flammea  zonam  rota .  ce. 

(2)  Apollodor.  Biblioth.  Lib.  II.  cap.  7.  EunStf  ìt  rrux^f 
àSAyxffletr  Kctì  itxWuyat  H/j^twV  'fKay/it  Sv^/ur^ pet  HSny 
i'^VUt»  ,  Qui'idi  oUenuta  rit\iinortciUtù  «  e  riconcUiuiosi  con  Giu- 
none ,  la  di  lei  Jiglia  Ebe  sposò . 

(3)  Pausatiias,  Lacon.  seu.  Lib.  Ili-  cap.  i5.  pag.  aSS,  edit.  Kuhnii. 
ASityx  ie  if^ouax    ìipxY.Kix  au>oiy.tiaovTX  xir'o  toÙtov  Stili  . 

7 


100 


Letteratura 


to  dipinta  si  vede  la  sorpresa  e  la  maraviglia^  che 
nascer  gli  doveano  al  primo  aspetto  delia  fulgidis- 
sima reggia.  Egli  comincia  a  sentirsi  scorrere  per 
le  vene  il  vigore  della  immoi  taiità  ;  e  di  tanta 
espressione  credo  che  V  ingegnoso  Ovidio  a  noi  dia 
un  tocco,  preso  da'  greci  modelli,  là  dove  dice: 
(  Metamorph.   lib.  IX.  v.   2 69.  et  seqq.  ) 

„  Sic  ubi  mortales  Tirj^nthius  exuit  artus, 
„  Parte  sui  meliore  viget,  majorque  videri 
„  Coepit,  et  augusta  fieri  gravitate  verendus.  \ 

L.  Vescgvali 


Lettera  delt  ab.  France&co  Cancellieri  al  eh. 
signor  Sjlfatohe  Betti ^  sopra  la  permanenza 
di  Federico  IV ^  redi  Danimarca^  in  Firenze 
ed  in  Bologna  nel  1^09,  e  la  grazia  della  sen- 
tenza capitale  da  lui  ottenuta  al  marchese  Filip- 
po Bejitii'oglio  ad  istanza  di  suor  Teresa  Maria 
Maddalena  Trenta  lucchese  ^  monaca  carmelitana^ 
col  diploma  di  protettore  perpetuo  delf  accademia 
volsca  di  Velhtri  a  S.  M.  il  regnante  Federico  VI- 

Ifuanto  cari  mi  sono  stati  gli  elogi  tributati  da' 
giornali  napolitani,  e  ripetuti  al  n."  90  del 
diario  di  Roma  de  6  dello  scorso  decembre  ,  alle 
LL;  AA.  BK.  il  Principe  e  la  Principessa  di  Da- 
nimarca !  Le  loro  singolari  attrattive  hanno  incan- 
tato gli  abitatori  del  Sebeto ,  i  quali,  quantunque 
avvezzi  a  veder  ad  approdare  di  continuo  a  quel- 
le deliziose  spiagge  i  personaggi  di  ogni  nazione,  pu- 


Permanenza  di  Fed.  IV.  m  Italia  ioi 

ì'c  giustamente  confessano  di  non  averne  mai  am- 
mirato uno  più  degno  di  rispetto  e  di  amore:  aven- 
do ancora  potuto  la  bella  Partenope  aver  la  sorte 
dì  vagheggiare  per  lungo  tempo  nell'  avvenenza  e 
nelle  grazie  xlell  adorabile  di  lui  sposa  il  vivo  ri- 
tratto d'  una  delle  sue  tanto  decantate  sirene  ,  che 
•perciò  sarà  stata  forse  tentata  a  non  creder  più  fa- 
volose. Chi  potea  goderue  e  compiacersene  p.ù  di 
me,  che  eblii  dai  regio  console  signor  cav.  Luigi 
Chiaveri  ronorevole  commissione  di  stendere  e  di 
■dare  alla  luce  le  notizie  della  cenuta  in  Roma  di 
Canuto  II  e  di  Cristiano  /,  re  di  Danimarca  ,  ite- 
gli anni  1007  e  i474i  ^  di-  Federico  If^  giunto  a 
Firenze  con  animo  di  venirvi  nel  1709;  con  lu  bi- 
blioteca delle  cose  danesi!  Se  peiò  mostrai  allora 
la  mia  esultanza,  con  applaudire  al  primo  loro  ri- 
torno dalla  stessa  città,  al  fine  dello  scorso  mag- 
gio; voglio  farla  palese  anche  in  quest'  altro  col 
pubblicare  varie  annedote  memorie  relative  a  Fe- 
derico IV  ed  alla  monaca  Trenta,  la  quale  il  ce- 
lebre Cav.  Ippolito  Pindemonte  finse  ingegnosamen- 
te che  qual  Eloisa  novella  scrivesse  allo  stesso  re  Fe- 
derico una  lettera  la  più  patetica  e  commovente, 
in  leggiadrissime  terze  rime,  inserita  nel  voi.  VII 
del  parnaso  degf  italiani  viventi  p.  89. ,  che  voi 
avete  avuto  la  bontà  di  prestarmi  con  singoiar  gen- 
tilezza,   e  col  mio  maggior  gradimento. 

Il  signor  Galluzzi  nella  storia  della  casa  Me- 
dici racconta  ,  clic  questo  sovrano  ,  mosso  dall' 
esempio  del  czar  Pietro,  si  pose  a  viaggiare,  e  venne 
nel  1709  in  Italia  ,  ov'era  stato  incognito  \in'  altra 
volta  nel  iGyi  prima  di  salire  sul  trono.  Avea  nel 
suo  primo  viaggio  concepita  un'  ardente  passione 
per  la  figlia  di  un  gentiluomo  lucchese,  per  cui 
prolungò  il  suo  soggiorno  in  Lucca,  così  che  la  gio- 


102  Letteratura 

vane,  che  molto  pure  lo  amava,  potò  concepirò  le 
più  grandi  speranze.  Lasciolla  peraltro  il  re,  ben- 
ché con  gran  pianto:  ed  ella,  che  aveva  prima  ri- 
cusato i  migliori  partiti  di  nozze,  e  che  poi  <ia  qual- 
che altro  era  stata  lusingata  senza  veruna  conclu- 
sione, risolvette  di  chiudersi  in  un  monastero  de' 
piìji  osservanti  di  Firenze.  Il  re  ivi  la  rivide,  e  le 
fece  molte  visite,  avendo  con  essa  colloquj  asce- 
tici, e  separandosi  da  essa  con  lagrime,  ed  espres- 
sioni di  parzialità  pel  cattolicismo. 

Non  contento  io  di  essere  giunto  a  scoprire 
nel  T.  V.  deir  istoria  del  marchese  Francesco  Ma- 
ria Ottieri  (i),  che  la  suddetta  monaca  ,  da  tutti 
gli  altri  scrittori  sempre  indicata  col  solo  cogno- 
me ,  aveva  il  nome  di  Maddalena ,  non  ho  cessalo 
di    continuare  le  mie  istanze  all'  eruditissimo  signor 

(i)  Nacque  in  Firenze  a'  5  di  luglio  del  i655  da  Lotario,  conte 
di  Montorio  e  di  Sopaiio,  e  da  Olimpia  Maidalchini ,  e  fu  paggio  pre- 
diletto di  Cosmo  III  G.  D.  di  Toscana.  Nel  1728  pubblicò  il  primo 
tomo  della  sua  storia  delle  guerre  tn'yenuie  in  Europa,  e  pariico- 
larinenie  in  Italici  per  la  successione  alla  monarchia  delle  Spaiane 
dui  1696  al  1726,  che  fu  inserito  nell' elenco  de' libri  proibiti,  con 
la  privazione  della  sua  carica  di  cavallerizzo  del  papa,  per  cui  si  ri- 
tirò ne'  suoi  feudi.  Tornato  in  Roma  nel  pontificato  di  Benedetto  XIII, 
vii:nperò  il  suo  impiego  coxi  maggiori  emolumenti;  e  vi  fu  conferma- 
lo dal  successore  Clemente  XII,  che  fece  togliere  dalT  indice  il  sud- 
detto primo  volume  della  sua  storia,  che  proseguì.  Ma  essendone  ri- 
masta manoscriua  una  buona  parte,  dopo  la  sua  morte  seguita  a'i3 
di  maggio  174-i»  fn  poi  ultimata  da  Lotario,  unico  suo  figliuolo,  il  qua- 
le nel  17C2  la  pubblicò  pe' torchi  del  Barbiellini,  con  la  ^  ita  del  pa- 
dre, e  con  r  indice  di  tutte  le  materie  trattate  ne' IX  volumi  della 
medesima,  avendo  anch' egli  cessato  di  vivere  in  età  d'aTini  i<o  a' i>r> 
febbraro  17H9,  ed  essendo  stato  sepolto  nella  sua  parrocchia  di  s.  Ca- 
terina delUi  Rota. 


Permanenza  di  Fed.  IV.  in  Italia  io3 

canonico  Domenico  Moreni  per  averne  "ulteriori  no- 
tizie; finché  non  mi  è  riuscito  eli  esserne  pienami>n- 
te  informato  Poiché  egli  con  lettera,  in  data  dei 
6  dello  scaduto  maggio  da  Firenze,  favorì  di  scri- 
vermi :  Quel  che  /inora  non  avea  potuto  ottcTiere 
t  ho  ottenuto  adesso.  Morì  suor  Teresa  Maria  Mad- 
dalena Trenta  a  9  dicembre  1740  ,  in  età  di  anni 
80.  mesi  4i  giorni  19,  essendo  rimasta  nel  mona- 
stero delle  carmelitane  di  s.  Maria  Maddalena  de 
Pazzi  ^  detto  degli  angeli ,  4?'  <^'""  •>  ^i^s^<^  ^  ^  e  gior- 
ni G.  Stette  inferma  mesi  i5.  Essendo  adunque  na- 
ta agli  2  agosto  nel  iG59,  avea  già  nel  1G91,  in 
cui  conobbe  per  la  prima  volta  in  Lucca  il  prin- 
cipe Federico,  anni  32;  ed  essendo  stata  monaca 
47  anni,  essa  ne  prese  l'abito  nel  1G93,  due  an- 
ni dopo  la  di  lui  partenza.  Allorché  poi  tornò  a  ri- 
vederlo per  la  seconda  volta  nel  1709,  era  già  ar- 
rivata all'età  di  5o  anni.  All'  incontro  Federico,  fi- 
gliuolo di  Cristiano  V  ,  essendo  nato  nel  1G70  ,  e 
morto  di  $9  anni  nel  lySo  dopo  di  essere  salito 
sul  trono  nel  1G99,  andò  in  Lucca  nel  1G91  di  so- 
li anni  21;  e  quando  tornò  nel  1709  ne  aveva  so- 
li 39.  Onde  la  monaca  alle  esterne  convien  che 
unisse  le  più  belle  doti  dello  spirito,  se  potè  co- 
tanto interressarlo  ambedue  le  volte,  benché  a  lui 
superiore  di  età  di  anni  undici.  Ma  non  sono  rari 
gli  esempj  di  quelle  donne,  che  anche  nel  loro 
autunno  hanno  superata  la  freschezza  della  prima- 
Vera  di   molte   altre. 

Questa  virtuosissima  monaca  ,  come  seguita  a 
narrare  \  Otlieri ,  a<^>ea  riconosciuta  in  se  stessa  la 
vanità  del  mondo  ^  e  la  fallacia  delle  promesse  degli 
uomini-,  perchè  il  marchese  Filippo^  Bentivoglio  (  da 
lui  scambiato  col  conte,  poi  principe  Filippo  Erco- 
lani  )   essendo  povero  figliuolo  ,  tavea  assicurata  dì 


loi  L-ETTilRATCRA 

volerla    sposare  :   e    divenuto  ricco   per  la  morfr  (Jel 
padre  ^   noìì   soddisfece    alla  promessa.   El'a  senza 
lagnarsi    di   lui  ,    come    altra  donna  avrcì.>he  Jcllo , 
si   rivolse  con  fortezza  e  con  iLsuìnzione  a   chi  non 
le  putea  mancare.   Pertatilo  non   soìo   si  volle  con- 
sagrare a    Dio,   Tacendosi    monaca,   ma,    benché    da 
lui  ingiustamente  abbandonata,  usò  \  eroismo  d' im- 
pegnare il  principe  Federico  ad.  intercedere  da  Cle- 
mente   XI  la  grazia  delia   vita  allo  stesso  marchese  , 
reo   di    delitto    capitale.  Ma  non   essendosi    spedii- 
cala  né    da    Pietro  Polidori,  né  dal  Raboiilet,  scrit- 
tori della  vita  di   quel   pontefice,  né  da  veinn'  altro 
ìstorico,   la  qualità  della  sua  colpa,  io  m  impegnali 
di    farne  ricerca   con   varie  lettere  scritte   a    Fano, 
a    Lucca,  a  Ferrara,   a  Bologna,     a  Firenze,   ed    a 
Milano;    giacché  /'  isloria  genealogica  della  famiglia 
'  Bentivoglio  scritta  da  Vincenzo  Armanni  è  anteriore 
a  tal  fatto;   né  avea  potuto  rinvenire  nella  storia  di 
Bologna  del  Savioli   il  motivo  della  sua  condanna  , 
Flsseudo  percià  state  inutili  tutte  le   mie    ricerche, 
fui    costretto  a  divulgare  le  mie  notizie  danesi  senz' 
averlo  potuto    indicare  .  Ma  poco  dopo   la    pubbli- 
cazione delTc  i¥Krdesinie  ,  potei  addattare  a  me  stes- 
so  r  adagio  :  extra  quaeris.,  quod  intus  habes.  Poi- 
ché   mi    rammentai  ,    ma    fuor    di    tempo ,   che   io 
stesso   ne    aveva    rilevato   la  ragione  in   due  diver- 
se   mie    opere  ;    avendo    prima    ne'  possessi  pontiji- 
cj  p.   4o5  ,  e  poi    nel    mercato    p.    77  ,     riferito   il 
c( l;brc    fatto  ,   nanato    in    questo    modo  nel   diario 
dì    Francesco  Valesio  .   Martedì   4-   settembre  yro'6. 
^4 n gelo    Gavotti  fu   ucciso   in   un   duello    da   Sci- 
pione  Santacroce    in    Campovacciiìo  ,    alla   presen- 
za del  marchese    Filippo    Bentn'oglio  ,    e    del  mar- 
chese   Nereo   Corsini.    Mercoldì    5.    //   Gavotti Ju 
esposto    a  s.    Nicola   di   Tolentino  ,  ove  fu  umaio 


Permaneivza  di  Fed.  IV.  IN.  Italia  io5 

nella   cappella   della    Madonna    di    Savona .    È  ve- 
nuto fuori   il  seguente  madrigale  : 

È  morto   il  buon   Gavotti, 
'  Come   già    Cristo  in    croce  ^ 
Da   Scipion    Santacroce 
In  mezzo   a   due  assassini 
^  Bentivoglio  e    Corsini  . 

In  ambedue  i  luogìii  mi  ristrinsi  soltanto  a  da- 
re   copiose  notizie   di    Scipione    Santacroce,    e  del 
Corsini  ,  processato   per  questo   duello  ,  perchè  as- 
sistè da   padrino   all'  ucciso    Govotti ,   dal  fisco  clie 
stampò   una    scrittura  avanti   monsignor  governato- 
re,  intitolata:  lìomana  praetensae  moderationis  mo- 
nitora .    Ma    nulla    dissi    del   Bentivoglio ,   che  ser- 
vì   da   padrino    al    Santacroce  .    Tutti  e  tre  i  con- 
dannati   però  furono    contumaci .  Il   Corsini    si  ri- 
fugiò   in    Toscana  ;  il    Santacroce  a  Vienna  ;   ed  il 
Bentivoglio   a  Venezia  ;   senza  che  per  interposizio- 
ne  di    valevoli    uihij    avesse  luogo  per  lui   la  con- 
fisca   de  beni  .   La   sua    consorte    Camilla    Caprara, 
sorella    del    celebre    maresciallo  Enea    Capraia   che 
gloriosamente  si  distinse    nel!'  assedio   di   Vienna  , 
lo  andò  a  trovare  alla   metà  di   dicembre  del  ii^oo. 
Ai  24.  di  lebbrajo  nel    1709.    il  senato   di  Bo- 
logna fu  avvisato  dal  cardinal  legato  Niccolò   Gri- 
maldi del  prossimo  arrivo  del  re  Federico  IV.  sot- 
to il    nome    di    conte    dì   Oldemburgo  ,    acciocché 
sì   usassero    verso  di  lui  tutte  le  dimostrazioni  d  o- 
iiore    e    d'   ossequio  ,    e   che   si    scegliesse    uno    do' 
più    nobili   palazzi    di    quella  città  ,  per  alloggiarvi 
comodamente    e  decentemente    quel   sovrano  . 

Ai    35.    furono    perciò    eletti  i   senatori   Vin- 
cenzo   Bargelli  ni  ,   Antonio  Bovio,  ed   i   conti  C-i- 


I  oG  Le  tteratura 

nullo  BologneLti  e  Vincenzo  Ranuzzi ,  che  come 
cleputati  assistessero  e  servissero  S.  M.  dall'  ingre5* 
so  nella  legazione  fino  a'  confini  .  Ai  medesimi  fu- 
rono aggiunti  per  colleghi  i  conti  Frangiotto  e 
Gio.  Niccolò  Tanara ,  Alessandro  Fava ,  Girola- 
mo Bolognetti ,  il  marchese  Paris  Grassi  ,  ed  i  no- 
bili Orazio  Bargellini,  Alessandro  Sampieri,  e  Giu- 
seppe Carlo   Ratta  . 

Ai  2'j.  fu  spedito  a  Venezia  il  slg.  Luca  Pe- 
derzani ,  persona  molto  abile  e  manierosa ,  con 
lettera  dell'  assunteria  al  suddetto  marchese  e  se- 
natore Filippo  Bentivoglio  ,  figliuolo  del  senatore 
Ulisse ,  che  ancora  vi  dimorava  durando  la  sua 
contumacia  ,  affinchè  appena  giunto  il  re  cercasse 
d'  indagare  la  intenzion;;  di  S.  M.  sopra  la  sua  par- 
tenza da  quella  città  ,  suo  viaggio  ,  ed  arrivo  a 
Bologna,  la  qualità  della  sua  corte  e  famiglia,  uso 
di  servirlo  a  tavola,  ed  i  regali  ricevuti  da  quel- 
la repubblica ,  descritti  nelle  mie  Notizie  dane- 
si p.    2  0. 

Ai  5.  di  marzo  arrivò  a  Bologna  M.  Wolff 
consigliere  di  giustizia  e  medico  di  S.  M.  ,  dal 
quale  si  seppe  che  il  re  sarebbe  venuto  per  acqua. 
Ónde  subito  furono  allestite  le  barche  ,  due  delle 
quali  erano  dipinte  e  dorate  per  di  fuori  ,  e  co- 
perte d'  un  padiglione  vellutato.  La  prima  era  di- 
visa dentro  in  due  camere  chiuse  da  doppie  bus- 
sole di  cristallo  .  La  seconda  conteneva  un  letto 
reale;  ed  amendue  apparate  di  damasco,  trinato 
d'  oro  ,  con  placche  d'  argento  appese  alle  pare- 
ti.  I  barcajoli  erano  vesùti  con  giubbone  e  cal- 
zoni e  berretta  ,  alT  uso  di  Venezia  ,  di  panno 
turchino  ,  trinato  d'  oro  ;  ed  i  cavalcanti  vestita 
di  panno  ,   di    colore    conforme  . 

Si   ebbe   avviso  che   ai    9.    dopo  la  colazione  , 


Permanenza  di  Fed.  IV.  in  Italia  107 

alle  ore  18.  sarebbe  partito  il  re  da  Ferrara  per 
Malalbergo  .  P  erciò  i  senatori  deputati ,  verso  Vave 
Maria ^  con  varie  carrozze  con  mute  a  sei ,  ac- 
compagnati dà  cavalieri  loro  colleghi  ,  si  porta- 
rono a  Corticella .  Ma  il  re  pernottò  a  Malalbergo  . 
Nella  domenica  del  io.  alle  ore  18.  appro- 
dò il  re  alla  Corticella  ,  ove  il  senator  Bargelli- 
ni  ^  come  decano  ,  lo  complimentò  .  Dopo  che  il 
re  montò  in  carrozza ,  ed  arrivò  a  Bologna  a  ore 
20.  circa  ,  andando  al  palazzo  destinatogli  del  se- 
natore Vincenzo  Ferdinando  Ranuzzi  ,  in  me2zo  a 
folto  popolo  .  Arrivato  al  luogo  dì  sua  dimora, 
fu  ricevuto  dalle  tre  donne  Ranuzzi,  cioè  dalla  con- 
tessa Maria  Virginia  Pucci  moglie  del  senatore  Vin- 
cenzo ,  dalla  contessa  Anna  Campeggi  vedova  del 
senator  Gio.  Carlo  Ranuzzi  ^  e  dalla  signora  Orin- 
tia  Ranuzzi  in  Ratta  ,  ed  anche  dal  figliuolo  del 
senator  viveate  .  La  Pucci  diresse  il  complimen- 
to al  principe ,  che  subito  andò  a  pranzo  -  La 
sera  passò  nel  quartiere  a  pian  terreno  del  pa- 
lazzo ,  dove  gli  fu  data  una  brillante  e  magnì- 
fica festa  di  ballo  ,  nella  quale  il  re  aprì  la  dan- 
za colla  contessa  Maria  Virginia,  e  vi  si  tratten- 
ne lietamente    fino    alle  ore    cinque   della    notte. 

Agli  II.  desinò  co' quattro  senatori  deputa- 
ti ,  come  avea  fatto  anche  il  giorno  jjrecedente  . 
Dopo  andò  in  una  stufìglia  al  passeggio  ordinato 
nella  strada  di  Saragozza  .  Aveva  alla  sinistra  il 
decano  Bargellìni ,  il  Bovio  occupava  il  terzo  po- 
sto ,  ed  il  quarto  il  generale  Ravenelò  .  La  sera 
si  restituì  ai  palazzo  Ranuzzi  ,  dove  fu  ripetu- 
to   il  ballo  . 

Ai  j2.  andò  a  vedere  il  palazzo  di  Zola  della 
famiglia  Albergati:  ed  ivi  fu  accolto  con  magni- 
ficenza  e   con  musica  e  rinfreschi . 


.IOi8  LÈTtTEftATlJRA 

Ai  i3.  il  maresciallo  di  corte  presentò  uu 
medaglione  d'  oro  al  senatore  Ranuzzi  ;  e  poi  par^ 
ti  il  re  per  la  via  di  s.  Stefano  alla  volta  di  To- 
.scana  .  A  tre  ore  dopo  mezzo ,  dì  arrivò  a  Sca-^- 
ricalasino  ,  dove  fu  trattato  a  lauto  pranzo  da'pa* 
dri  Olivetani  .  Il  corteggio  bolognese  V  accompagnò 
fino  a  Pianoro  .  Egli  aveva  86.  persone  di  segui- 
to ,  39.  cavalli ,  e  due  cani  .  Il  senato  gli  fece  il 
solito  regalo  di  vini  e  comestibili  .  Il  re  lasciò  di 
regalo  253.    ungheri  . 

(  Sarà    continuato  ) 


Continuazione  e  fine  delle  osservazioni  su  la  clisser-- 
taziofie  del  processore  Michelangelo  Lanci  intor* 
no  gli  omireui. 

g.  5o.  Iluella  che  l'importanza  e  il  midollo  dell' 
opeia  e  la  grave  fatica  del  dotto  scrit- 
tore vie  maggiormente  palesa  ;  quella  che  può  a 
buon  dritto  chiamarsi  ardimentoso  tentativo  del  ta- 
glio dciristmo  :  si  è  \i\  parte  secondatili  cui  scen- 
dendo allo  scopo  precipuo  del  suo  lavoro ,  si  po- 
ne egli  a  provare,  che  omirene  sono  le  inscrizioni 
di  que'  codici  vaticani  ;  e  a  magistralmente  snoc- 
ciolarne il  significato  .  Non  farò  che  ristringere  la 
serie  delle  sue  prove  ,  e  de'  principii  da  lui  cre- 
duti   esserne  fermissima  base  . 

§.  5i.  Dopo  aver  parlato  quella  penisola  per 
molto  tempo  uu  linguaggio  unitoime,  si  divise  que- 
sto in  due  dialetti  diversi  ;  e  ciò  derivò  dalla  es- 
pulsione che  una  parte  del  popolo  del  paese  chia- 
mato Adramauth  fece  delf  altia  partR,  la  quale    fu 


Sugli  Omireni  '109 

obbligata  rifugiarsi  nell'    Egiazze  .    I  discacciatorì 
che  furono   gì  invitti   purpurei  omireni  ,   portati  in 
seguito  dal  furore  delie  armi  oltremare-^  (   cioè  pri- 
ma   che  si   circoncidessero    per  la   paura    )    e    fre- 
quentando a  motivo  di    commercio   India    Etiopia 
Persia   Samarcanda  Fenicia   Siria  e  Caldea  :   adotta- 
rono fogge  varie  di  straniera  lingua  ;  e   la  propria 
scostando    da  fonti  originali^    e    nuovi  vocaboli  so- 
stituendo agli  antichi:  il  dialello  loro  ibrmarono.  (a) 
I  discacciati  che  furono  i  tamudei^  tribù  di  tal  no- 
me ,   non   fecero  altro  miscuglio  di  linguaggio,   che 
conformando  il  proprio  dialetto   a  quello    che  nelV 
Egiazze  parlavasi  .    La   lingua  egiazzea    chiamavasi 
la  coraiscita  ,  in   memoria  di    un  Corais  discenden- 
te da  Ismaele .  A  costui ,  rappresentato  dalla  gene- 
si quale    abitatore  di     solitudini    e   saettatore  (b)  , 
quelle  contrade    chiamansi  debitrici  del  perfeziona- 
mento del  loro  linguaggio,  e  suo  avvicinamento  al- 
le   ebraiche    maniere  (e)  . 

§.  52.  Che  che  fosse  della  purezza  de' due  dia- 
letti dopo  la  divisione  :  pretende  il  signor  Lanci, 
che  prima  di  essa,  quello  degli  omireni  fosse  più 
puro:  per  la  ragione,  che  la  civilizzazione  loro  pre- 
cede a  quella  de'  tamudei^  e  scrissero  prima  di  que- 
sti nella  propria  favella  ;  e  anche  per  T  altra  ra- 
gione maggiore  di  tutte,  che  non  ebbero  un  Ismae- 
le ^  il  cjuale  diverso  linguaggio  0^  ebraico  o'  caldeo 
nelt  arabo  trapiantasse  (à).  Ond'  è  che  se  i  filolo- 
,  gi  più  elegante  il  coraiscita  decantano  :  ciò  debba 
intendersi    de'  bassi    tempi ,    in    cui   l'Arabia   felice 

(a)  P.  98. 

(b)  C.  21,  V.  21. 

(e)  D.  p.  98. 

M)  P.  99- 


no  Letteratura. 

da  principi  etiopi    fu    dominata  ;   e  1'  Egiazze   all' 
incontro  di  elegantissimi   scrittori   abbondava. 

§.  53.  Decidere,  in  che  il  coraiscito  dall'omo- 
reno  dissenta,  è  stato  finora  dalla  mancanza  di  mo- 
numenti reso  inpossibile.  Hanno  alcuni  creduto, 
che  come  all'  ebraico  il  primo  ,  così  al  siro  il  se- 
condo si  avvicinasse  ;  e  ne  Iianno  preso  argomen- 
to dal  narrarsi,  che  un  arabo  (  forse  dell'  Egiaz- 
ze )  da  certo  re  omireno  invitato  a  sedere  con  la 
parola  teb^  la  quale  in  siro  significa  siedi,  si  po- 
nesse a  saltare  :  per  lo  motivo  che  nella  parte 
d'Arabia  dove  colui  soggiornava  interpretavasi  sal-^ 
ta,  (a)  Il  signor  Lanci  a  dir  vero  da  tale  avvi- 
cinamento dissente;  ma  ne  dà  una  ragione  che  non 
persuade.  Se  l'omireno  linguaggio  era  diverso  dall* 
arabo  odierno:  come  può  provarsi,  che  quello  non 
partecipasse  continuamente  del  siro  ,  solo  perchè  il- 
secondo  vocaboli  contiene  derivanti  da  ebraiche  ra- 
dici ?  (a)  Perlochè  nel  golfo  arabico,  rimpetto  la 
provincia  di  Seger  ,  collocandosi  dal  geografo  di 
Nuhia  le  due  isole  di  Cartaii  e  Mortori  abitate  da 
una  razza  di  arabi  qui  diversis  et  antiqids  utuntur 
linguis;.  (b)  e  dal  signor  Lanci  riputandosi  questa 
una  colonia  omirena  ,  emigrata  a  motivo  delle  guer- 
re e  devastazioni  dello  lemen:  (a)  trovo  molto  giu- 
sto il  desiderio  di  lui ,  che  qualche  sagace  viag- 
giatore d'Europa  a  que'  lidi  approdando,  torni  poi 
con  la  propria  sperienza  a  sciogliere  la  questione,  (b) 
DigiULS  vindice  nodusy  e  dispendio  bene  impiegato. 


(a)  P.  loi. 
(a)  P.  104. 
(a)  P.  101. 
(1.)  ivi 


Sugli  Omireni  ih 

Siccome  a  questa  età  nel  clima  in  che  viviamo  dif- 
ficilmente tale  spedizione  egli  vedrebbe  secondata  : 
chi  ha  zelo  per  la  interpretazione  rilevantissima  di 
due  mezze  righe  di  que'  due  codici  arabi  vaticani, 
non  può  non  incoraggirlo  a  invocare  gli  auspicii 
per  questo  di   alcun    mecenate  straniero,   (a) 

§.  54.  In  quanto  a  me  ,  bastami  che  anche 
prima  del  fausto  ritorno  e  della  relazione  dettaglia- 
ta del  sagace  viaggiatore  ,  abbia  il  signor  Lanci 
deciso  ,  che  1'  antico  omireno  dialetto  dalf  odierno 
comune  parlare  di  molto  si  allontanava:,  (a)  e  che 
non  solo  soggiaceva  air  unione  di  asprissime  con" 
sonanti ,  le  quali  dal  linguaggio  de'  coraisciti^  eh  era 
il  più  nobile  ed  elegante  ,  e  V  arabo  purissimo  (b) 
iùrono  eliminate:  (e)  ma  assai  radici  conteneva  molto 
diverse  dal  senso  nel  quale  i  coraisciti  le  usava- 
no •  dal    che  diversità  ne'  due   dialetti   nasceva,  (a) 

§.  55.  Dal  linguaggio  passanda  alla  scrittura: 
égli,  come  a  suo  loco  accennossi,  suppone,  che 
i  primi  omireni,  per  instituzione  di  re  Saba  ,  le 
loro  idee  col  mezzo  di  geroglifici  propagassero  :  il 
quale  scrivere  inosservato  fino  a  lui  ,  è  stato  da 
esso  scoperto  e  raccolto  da  pia  manoscritti  ara- 
beschi ,  che  sotto  esteri  auspicii  promette  render 
pubblici;  (a)  ed  è  a  bramarsi  che  le  sue  discussio- 
ni conducano  alla  consueta  evidenza.  Dal  simbolico 
passò  la  scrittura  alla  composizione  per  elementi:- e  di 
essa  avendo  preso  scuola    da  Salomone  quella  regina 

(a)  P.  109. 

(a)  P.  4  00. 

(b)  Lett.  sul  mon.  cuf.  f.  p.  42. 
(e)  P.  104. 

(a)  P.  104. 
(a)  P.  109; 


112  Letteratura  "^ 

Balchis^  la  quale  abbiam  risto  cbe  non  potè  essere 
coetanea  di  lui:  a  essa  e  non  ad  altri  egli  vuole, 
che  tal  cambiamento  si  attribuisca.  Non  nega  egli, 
da  qualche  arabo  scrittore  asserirsi  ,  essere  stato 
introdotto  in  Arabia  da  un  viaggiatore  venuto  da 
rimotissime  terre .  Ma  se  da  rimotissime  terre  egli 
venne  :  perchè  quel  viaggiatore  ,  (  dice  il  signor 
Lanci  )  esser  non  potrebbe  quella  regina  medesi- 
ma ?  (a)  Quindi  dopo  aver  dichiarato  ,  mostrarsi 
col  fatto,  che  le  due  inscrizioni  omirene  tutte 
risentono  delle  forine  samaritane  ,  fenicie  e  assi- 
rie:  diasi,  egli  esclama,  la  gloria  de  primi  ca- 
ratteri tra  tobbei  alla  gran  donna  di  Saba  e  a 
Salomone,  (b)  ' 

§.  56.  Quest'  antica  scrittura  agli  ardui  sim- 
boli succeduta  ,  i  quali  non  eran  pel  volgo  ,  non 
fu  pel  volgo  né  pur  essa ,  ma  joe'  primi  sapienti  e 
per  le  regie  famiglie  ;  impiegata  si  vide  n^ 
grandi  affari  di  religione  ,  in  memorie  di  tempi  e 
in  regii  fatti  ;  (e)  ne  si  poteva  apprenderla  sen-^ 
za  permesso  .  (d)  Cercare  un  saggio  di  tali  carat- 
teri, fuori  de'  codici  vaticani  esaminati  dal  signor 
Lanci,  è  cosa  inutile  totalmente.  Son  troppo  lon- 
tani da  noi  il  secolo  di  Nassernem  successore  di 
Balchis  il  quale  scolpì  caratteri  omireni  sul  segna- 
jle  lasciato  in  Africa,  per  avvertire  ciascuno  a  guar- 
darsi da  quella  arenosa  solitudine;  (e)  quello  in 
cui  altjri;  ne  furono  scolpiti  su    le  mura    di    Scia- 


in)  P.    112. 

(b)  P.  11 3. 

(..)  Ivi 
(d)  P.    Ili- 
ce) P.    ii4. 


,  Sugli  Omireiji  ii3 

irpi^ramd  ;  (a)  e  quello  in  cui  furono-  incisi  i  se- 
polctt'ali  epitaffìi  di  Gìassan  figlio  ài  Amr  Alcali^  e 
di  Ta<^a  ligi ia  di  Safar\  (b)  e  il  tempo  fu  sì  sol- 
lecito a  distruggere  tali  monumenti:  che  nessuno 
di  quanti  ne  fanno  menzione  può  darsi  vanto  d  a- 
verli  visti.  Tale  scrittura  fu  riformata  da  Marai\  (e) 
•filologo  anteriore  a  Maometto  ;  (d)  e  la  ri  l'orma  con- 
sistè in  attaccare  l'un  l'altro  gli  alfabetici  elemen- 
ti, i  quali  nel  primo  antico  stile,  continuato  fino 
a  quel  persiano  governatore  Badan  che  maomettano 
divenne,  erano  perfettamente  isolati.  Adottata  allo- 
ra la  maravica  scrittura ,  fu  abbandonata  \  oinire- 
na.,  (e)  e  tanto  assolwto  fu  \  abbandono  :  che  è 
passato  finora  per  erudito  abbastanza,  chi  ha  det- 
to ,  le  scritture  degli  omlrenl  esser  certe;  ma  non 
essere  state  da  nessuno  vedute,   (f) 

§.  5^.  Che  le  inscrizioni,  rinvenute  dal  signor 
Lanci  ne' due  codici  vaticani,  non  sieno  capric-' 
dose  forme  di  bizzarro  calli^rrifo  ,  ma  compo- 
ste degli  elementi  medesimi  in  Arabia  telice  usati 
prima  di  xVlaomeUo  :  egli  prevede,  che  non  debba 
èssere  facilmente  creduto  ;  e  die  la  bassa  età  de' 
codici  stessi  possa  agli  oppositoii  servir  di  prete- 
sto, (g)  Imperciochè  Gemaleddin,  scrittore  del  co- 
dice lao,  visse  il  nono  secolo  egirico  ò  sia  quindi- 
cesimo dell    era    nostra   ;   (h)     e  quegli     che  scris- 

(n)  P.   li 5. 

(b)  P.    n6. 

(()  P.   114. 

(dj  Lettera  p.  44>  .  •  • 

(e)  P.   iiG. 

(ij  P.   119. 

(è)  P.   123. 

(il)  P.   120. 

G.A.T.IX,.  8 


ii4  Letteratura 

se  il  codice  i55  fiorì  circa  un  secolo  dopo,  (a) 
Kgli  per  altro  tale  difficoltà  non  la  reputa  grave. 
Potrà  mai  dirsi  fatto  a  capriccio  quel  genere  di 
scrittura ,  di  cui  vedonsi  due  inscrizioni  segna- 
te in  manoscritti  un  secolo  l  uno  dati  altro  discO" 
sii  ?  (b)  Poteano  esser  guidate  due  mani  maestre 
a  notare  in  vario  paese  e  in  età  varia  due  scrii-' 
ti,  in  essenza  e  qualità  perfettamente  concordi?  (e) 
a,  forse  improbabile^  che  essendo  il  primo  codice  au-^ 
tografo  ^  fosse  dal  calligrafo  miniata  V  epigrafe  a 
piacer  delf autore  ;  e  ehe  il  secondo  fosse  copia  do» 
riginaley  in  cui  già  la  bella  inscrizione  esisteva  ?  (d) 
Perche  non  poterono  gli  scrittori  delle  storie  in 
que  codici  contenute  aver  rinvenuto  quelle  epigra» 
Jì  in  fronte  e  in  fine  di  rimotissime  croniche  ;  e 
prendersi  la  premura  di  serbarle^  quantunque  forse 
(  giudiziosissima  ipotesi  !  )  non  le  capissero  ;  ò  alV 
opposto  forniti  essendo  di  erudizione  ;,  e  penetrane 
do  le  cose  de  trapassati  ^  aver  voluto,  per  argomen-^ 
to  della  scienza  e  perizia  loro  e  instruzione  de  pO" 
steri ,    che  fossero   su    que  volumi   vergate  ?  (e) 

§.  58.  E  se  in  dette  epigrafi  le  componenti 
lettere  non  sono  ne  nischie  cioè  corsive  ;  ne  car~ 
niatiche  ossia  impiccolite;  vie  cz/y^cAe  ovvero  ornate, 
come  gli  amanuensi  solevano  in  Gufa  città  di  Me- 
sopotamia;  ne  tamuree  ^  il  che  vuol  dire  lo  stessa 
che  cufiche  :  (  identità  stabilita  nella  lettera  lancèa 
sul  cufico  sepolcrale   monumento  portato  da   Egitto 


(a)  P.  123. 

(b)  ivi. 

(e)  P.   124. 

(A)  ivi. 

(e)  P.  125; 


StÌG-Lt  Òài'hrM 


lìti 


in    lìnma  ;    (a)    nella    prèsérite  dissertazione  peral- 
tro dimenticata  :   (b)    che  mai  esser  possono  fuor- 
c/iè  omirene^  (e)  cioè  di  qud  daratter'e,il  quale,  venuto 
Maometto  ,    andò   in  disuso,    è  gli    si     dà   nome   di 
carattere  perduto^  (A)  Ed  èssendo  esse  dipìnge  di  ros- 
so ;  e  gli   omirew  .,     come    sopta'  si    è  detto,     con 
tal  nbnie   chidnMjidosi\,   ih  ti/lesso   delle  regie  ros' 
se    vestimenfa  :   chi    non'  rinverrà  in  talìé  circostan- 
za  un    sopracaiico  di  ragione,  onde   le  epigrafi  at- 
trib(jire  a   quel    popolo  f  (e)   Questi  sono   gli  argo- 
nienti  ,  da'  quali  il  signor  Lanci  credesi  confortato 
a   giudicare  ,   che   gli   sberleffi    segnati    su    que'  co- 
dici   sono  realmente    inscrizioni  ;  e   inscrizioni  pre- 
cisa meute  o//i//'<?«<? .   Noni  repiito  i  leggitori  bisogno- 
si   dì  prolisso   esamo  .   Si  tratta  di    logica  ,  le   cui 
operazioni    sono    lacilissime    per    chi    ha    sano    in- 
telletto . 

§.  59.  Ma  ecco  che  il  signor  Lanci  s' incam- 
mina alla  spiegazione  del  significato  delle  due  ra- 
iissime  epigrafi  .  Seguitiamo  il  magnanimo  viaggia- 
tore ,  per  tutto  il  corso  dèi  siio  viaggio  corag- 
gioso . 

§.  Co.  Egli  comincia  da  nominare-  all'  ebrai- 
ca i  quattordici  distìnti  elementi  dì  dtìi  le  crede 
Composte;  e  dice  che  sotiù  Innied  he' jod  samech 
copìi  vau  tlicth  phe  hétt*  nuli'  àdph'  ddlei  aiin 
resch.   (f)  Dal    nome  pàsSà  alla   nazìonaiità  e  quali- 


(a)  Letterat  p.  55^ 

(b)  P.  127. 
(e)   ivi. 

(d)  P.  4. 

(e)  P.    128. 

(f,  P.  xSi.,  e  seguenti. 

8* 


tiG  Letteratura 

tà  ;  e  ne  riconosce  dieci  per  samaritane^  una  per 
palmirena^  simile  ad  altra  nelle  epigrafi  capitoline^  le 
quali  ci  avverte  che  non  hanno  veduto  ancora  la 
luce  ,  ma  avremo  la  felicità  di  vedervele  colloca- 
t  e  per  mezzo  di  lui  ;  (a)  una  araba  odierna  ,  (b) 
una    cufica  ,   (e)  e  una  nischia  .   (d) 

§.  tìi.  Fermiamoci  alquanto.  Dopo  essersi  det- 
to, ciie  queste  lettere  non  sono  nischie:  (e)  come 
ora  ne  esce  fuori  qualcuna  di  lai  genere?  E  se  nel- 
la prefata  lettera  sul  sepolcrale  cufico  monumento^ 
che  si  dà  per  bussola,  con  cui  far, vela  nel  pelago 
della  dissertazione^  (f)  si  dichiarano  autori  di  tal 
niodo  di  scrivere  ò  Ehn  Moclia  ò  suo  fratello,  vis- 
suti nel  quarto  secolo  dopo  f  egira  :  (g)  come  let- 
tere inventate  da  costoro  possono  essere  state  in- 
castrate in  una  scrittura  ,  la  quale  cessata  era,  ap- 
pena  Maometto    comparve?  (h) 

§.  62.  Dopo  essersi  detto  altresì  ,  che  quelle 
Jettere.non  son  cufiche  :  (i)  come  ora  ,  per  tro- 
var lettere  in  quegli  sberleffi ,  al  carattere  cufico 
si  ricorre?  E  se  il  carattere  arabico  moderno  è 
una  riduzione  posteriore  alla  soppressione  dellow/- 
rcno  :  come  dunque  inscrizioni  omirene  possono 
qualche  elemento  contenerne  ? 

§.  6ò.  Per  convincermi  della  rassomiglianza 
di  que'  segni    co'  caratteri  samaritani   identilici  co' 

(a)  P.   i35. 

(b)  r.  i38. 
(e)  P.   i4o. 

(d)  P.   142. 

(e)  P.   127. 

(0  p- 137. 

(g)  Lettera  p.  4?- 
(h)  P.   116.  (i)  ivi. 


SlJGLl    OmIRENI  I  i'j 

fenica,  confesso  uon  aver  avuto  tal  dose  di  fidu- 
cia da  riposare  su  la  tavola  seconda  ,  posta  dal  si- 
gnor Lanci  in  fine  del  libro  ;  e  aver  voluto  all'in- 
contro la  ta\>ola  prima  contenente  le  inscrizioni  con- 
frontare con  quanti  alfabeti  samaritani  mi  è  riusci- 
to vedere:  cioè  con  quelli  di  Samuele  Bochart  nel- 
la celebre  opera  Geogiriphia  sacra  ;  (a)  di  Chiuse p^ 
pe  Scaligero  nelle  sue  jtnimadversiones  in  cìiro^ 
ìiicon  Eusebii  ;  (b)  di  Bernardo  Montfaucon  nella 
Palaeogìaphia  graeca  ;  (e)  di  Eduardo  Bernard 
presso  Ezechiele  Spanemio  De  praestantia  et  nsit 
niimismatum  anticjuorum\  (d)  di  Luigi  Giuseppe  Ve- 
lazquez  nelT  Ensajo  sohre  los  alphahetos  descono- 
cidos  ;  (e)  di  Arrigo  TValton  ne'  suoi  Prolegome- 
jia  alla  famosa  bibbia  poliglotta  di  Londra  ;  (fj  di 
Edmondo  Chisìiull  nelle  sue  Antiquitatcs  asiatricae-^{^^ 
e  di  alti'i  ò  più  moderni  ò  meno  autorevoli  -  Non 
§o  ,  s'  io  debba  gloriarmi  di  mia  diffidenza  ;  ov- 
verameute  rinfacciare  a'  tipografi  di  que'  libri  la 
poca  fedeltà  con  cui  hanno  impresso  quegli  alfa- 
beti :  i  quali  son  forse  gli  stessi  che  i  confron- 
tati dal  signor  Lanci  ,  e  da  luì  rinvenuti  unifor- 
mi in  dieci  lettere  ad  alU'ettante  delle  due  iii- 
scrizioni  di  cui  si  tratta . 

§.  G4-  Impcrochè  di  que'  dieci  segni  negli  al- 
fabeti di  Bochart  e  di  Scaligero  due  soli  co'  sa-' 
morii  ani  analoghi  elementi  hanno  qualche  rasso- 
miglianza ;  in  quello  di   Chishull    con    tre    soli  ;  e 

(a)  Chaii.  L.    i.  e.   20. 

(h)   Auiiiail.  p.    ilo. 

(e)  L.  2.  e.   1. 

C<1)   (lisscrt.   2.  p.   8, 

(e)  T;iv-.  3.  in  l\u, 

(0  Pfolo;-;.  -1.  p.   11.  (e)  Tali,  pò  t   p.  24-  • 


Il8  LlTTERATURA 

in  quelli  di  Monifaiccon  ,  di  Bernard^  e  dì  WaUon 
solamente  con  quattro  .Se  la  residuale  dissomiglian- 
za sempre  si  verifica  sopra  sei  di  que'  segni  ;  ed 
essa  sia  elfetto  non  di  tipografica  inesattezza  ,  ma 
della  vera  figura  di  que'  caratteri  :  (  il  che  si  re- 
puta più  probabile  :  )  lascio  considerare  ,  quan- 
to felicemente  poss*ano  interpretarsi  due  inscrizio- 
ni composte  di  quattordici  segni  ,  tra  cui  quattro 
soli  si  sospetta  eh'  esser  possano  lettere  ;  (  e  di- 
ciam  pure  che  il  sieno  :  )  e  gli  altri  dieci  ò  non 
son  lettere  in  nessun  conto i  ò  non  appartengono 
all'alfabeto  samaritano  al  quale  vogliono  gli  altri 
quattro  riferirsi  .  E  uniscansi  pure  a  queste  lette- 
re ,  con  supposizione  di  vero  significato  ,  e  la  pal- 
mirena  e  la  cufica  e  la  niscìiia  e  1'  araba  mo- 
derna .  Sfido  qualsivoglia  a  decidere  ,  che  inscri- 
zioni, di  cui  si  è  supposto  conoscere  quattordici  let- 
tere ,  abbiano  il  significato  medesimo  ,  allorché  si 
provi ,  essersi  equivocato  sopra  di  sei  :  alcune  del- 
le quali  essendo  ripetute ,  rendono  il  numero  de- 
gli   errori    maggiore   d'  assai  . 

g.  65.  l{ipren.diamo  il  cammino,  e  teniam  die- 
tro al  signor  Lanci  ,  il  quale  considerando ,  che 
il  solo  eseguito  confronto  non  condurrebbe  al  si- 
gnificato da  lui  voluto  :  trasforma  que'  caratteri 
quattordici  e  i  ripetuti  consimili  in  altretanti  ara- 
^i  corrispondenti ,  cioè  in  lam  he  je  sin  koph  vaii 
Ut  jjhe  hha  min  hapli  dal,  <jn  re  .  Quindi  questi 
Mualtprdici  caratteri  arabi,  disposti  da  prima  nel  mo- 
do stesso  che  quelli  cui  gli  ha  surrogati ,  e  cosi 
vicini  tra  loro  che  non  appaja  division  di  parole^ 
in  separate  voci  li  riduce:  talché  una  delle  inscri- 
zixinl  mi^assicnran  che  dica:  lahnn  jàski  va'hata- 
pJia  hanviin  khlla  kàsta  iuìkdi  ;  e  l'altra:  lahìin 
jàiki    vahatapha   hanvun   kàpphi    so  k  e  ah    vakàrri  j 


Sugli  Omireni  i  19 

§,  66.  La  pritna  dì  queste  imprese  non  è  sta- 
la malagevole;  e  poiché  al  signor  Lanci  è  piaciu- 
to decidere  ,,  che  i  suoi  caratteri  omireni  somigli- 
no a'  samaritani ,  palmireni^  cufici  et  coetera  :  quan- 
tunque parlando  ingenuamente  manchino  per  la  mas- 
sima parte  della  rassomiglianza  che  per  approssimazio- 
ne ha  il  capitello  corintio  con  un  paniere  di  foglie  d* 
acanto:  poca  fatica  sembra  aver  dovuto  costare  il  ri- 
durli in  caratteri  arabi  corrispondenti.  La  fatica  gran- 
de incomprensibile  maravigliosa  sembra  essere  stata 
quella  di  far  sì,  che  caratteri  arabi  moderni,  separati 
in  vocaboli  di  lingua  araba  letterale  moderna ,  ren- 
dano il  significato  medesimo  ,  che  parole  formate 
Con  caratteri  bensì  corrispondenti,  ma  di  una  lin- 
gua la  quale  e  per  sostanza  e  per  meccanismo  dal 
moderno  comune  parlare  e  Ietterai  modo  di  scri- 
vere assai  si  allontana .  Se  quell'  antico  scritto  si 
riduce,  senza  variazione  di  scritturai  giacitura. 
Si  parole  arabe  moderne  :  dunque  gli  omireni  parla- 
vano Tarabo  moderno.  Ma  essi,  dice  il  signor  Lan- 
ci ,  parlavano  lingua  assai  diversa:  (a)  dunqua 
i  caratteri  antichi  di  quello  scritto  trasportati,  sen- 
za Variazione  di  scritturai  giacitura ,  in  caratteri 
arabi  moderni,  non  sembra  che  possano  parole  pro- 
durre ,  le  quali  abbiano  il  significato  stesso  delle 
parole  omirene  . 

g.  67.  Come  è  possibile,  che  le  due  epigrafi 
scritte  co'  caratteri  analoghi  di  due  lingue  diver- 
se ,  rendano  naturlalmente  questo  stesso  significato  5 
(  poiché  tale  interpretazione  è  la  gioconda  meta  e 
il  non  plus  ultra  del  signor  Lanci  :  )  Iddio  inaf- 
Jìa    (   ecco  la  prima  )  e  /a  piovere  benig'io  sopra 


(a)  Si  Tede  qui  sopra  il  §.  ^iw 


120  LETTERATURA 

Ogni  parte  del  mio  lavoro  :  Iridio  inaffia  (  ceco 
la  seconda  )  e  fa  piovere  benigno  :  la  mia  /na- 
no n  è  stata  irrigata  e  il  mio  scritto  altresì  ^  Se 
a  Pitagora  ,  esclusa  antecedente  premeditazione , 
fosse  riiiscito  tale  portento  :  credo  che  inirnolito 
avria  l'ecatombe  per  questo,  e  non  pel  teorema  no- 
tissimo .  (a)  Trovare  a  caso  la  quadratura  dol  cer- 
chio e  il  moto  perpetuo,  è  qualche  cosa  di  mr^no. 
,  §.  08.  Facciasi  una  sperienza  con  sciiver<>  in 
gieci  caratteri  ,  senza  separazione  di  vocaboli,  T  o- 
nierico  verso  (b) 

Tts  Tup    ff(pàt    (fiùv    ipi^t    ^vvixi  f^it^toSui- 

e  trasportisi  in  lettere  latine  corrispondenti  senza 
nessuno  spazio  .  Fin  qui  T  operazione  non  eccede 
i  limiti  d'  una  fanciullaggine  :  come  anche  fanciul- 
laggine sarà  separare  il  verso  greco  in  distinti  vo- 
caboli ,  e  far  lo  stesso  del  copiato  latino:  talché 
le  parole  gieche  scritte  in  latino  stieno  sotto  l'al- 
tre scritte  in  greco  ;  e  le  greche  e  latine  lettere 
stiano  a  perpendicolare  contatto  -  Da  queste  fan- 
ciullaggini si  passi  in  fine  alla  operazione  virile  , 
ossia  interpretazione  del  verso.  Qual  signiiicalo  ab- 
biano le  parole  greche  scritte  ò  in  greco  ò  in  la- 
tino ,  i  grecisti  lo  intenderanno  bensì,  ma  riducen- 
dole sempre  ali  idioma  greco  ,  senza  che  i  eaiat- 
.teri  latini,  in  cui  sono  state  trasportate,  dieno  al 
senso  la  menoma  variaziont;.  Quelle;  j):trole  greche 
peraltro  nei  latino  idioma  nulla  sigtiitichera'nnu  ;  e 
gì  ignari  di  greco,  lungi  da  intendere  che  il  \er- 
.so   \  uol  dire  :    Quis    nani    eos    deoruni    conti/ifione 


^.i)  Lac;i.  T.  ?.  p.  m.   217. 
(b;  likd.  L.    1.  V  », 


SrOI.I    OiVIIRENl  12  I 

commisit  ut  pugtiàrentl  non  faranno  distinzione  da 
que'  greci  vocaboli  a  vocaboli  giapponesi  e  messi- 
cani ;  e  rendeninno  a  noi  sempre  più  portentosa  la 
ventura  del  signor  Lanci ,  il  quale  a  voci  scritto 
in  caratteri  non  arabi  di  lingue  non  arabe,  fa  signi- 
ficare lo  stesso  ,  quando  scritte  sieno  in  caratteri 
arabi  corrispondenti . 

§.  69.  Diranno,  clie  il  greco  dista  ora  da!  latino  più 
di  quello  die  distar  potesse  ìì  samaritano  dalfarabo  ;  e 
che  per  conseguenza  la  prova  non  col  greco  e  coi  la- 
tino ;  ma  esige  la  rettitudine  che  si  faccia  col  la- 
tino e  coir  italiano  :  cioè  con  due  lingue  in  gra- 
do più  prossimo  aflini ,  e  la  prima  delle  quali  sa- 
ria cecità  non  riconoscere  per  immediata  e  mo- 
dei'na  origine  dell'  altra  .  Letterati  poliglotti ,  per- 
mettetemi aderire  a  tale  obiezione  .  Qual  frutto  ne 
trarrà  T  oppositore  ?  Vediamolo  per  curiosità ,  ma 
senza  fìar  caso  di  pochi  ,  studiati,  laboriosi,  e  tou 
lunghe  ripetute  prove  combinati  rapporti  ,  di  po- 
che parole  latine  ,  cui  siasi  procurato  conservare 
il  senso  unito  alla  giacitura  letterale  nello  idioma 
toscano  :  come  sarebbero  i  due  versi  premessi  da 
Saverio  Mattei  alla  sua  versione  dell'  ujizio  di  no- 
stra signora^  i  quali  tanto  in  latino  quanto  in 
volgare   dicou  lo  stesso  : 

hi    mare  irato  ,    in    subita  procella  , 
Invoco   te  ,   Maria   benigna  stella  . 

Un  artiiiziale  conato  non  prova  mai  1'  andamertlo 
ordinario  e  invariabile  della  natura  .  Si  scriva  il 
passo  biblico  latinizzato  :  Nihil  est  opertum  quod 
non  revelabitur  .  (a)  Il  carattere  latino  ,  fuori  di 
due  elementi  greci  non  variati,  è  lo  stesso  che 
quello  de'  toscani  :   perloehè  non   abbiamo  la   fatica 


132  Letteratura 

di  trasmutare  uno  nelT  altro  *  Ma  come  capirà  V 
italiano  il  senso  delle  suddette  parole  latine  ?  Non 
in  altro  modo  che  traducendole  in  italiano  :  il  che 
a'  detti  vocaboli  dee  dare  altra  giacitura  i  come 
potranno  convincersene  quelli  che  scriveranno  in 
una  linea  il  detto  latino  passo  ;  e  in  altra  linea 
inferiore  :  Nulla  è  coperto  che  non  si  rivelerà  .  E 
lincile  le  parole  resteranno  in  suono  e  giacitura 
latina  :  lifaliano  ignaro  di  latino  resterà  ignaro  an- 
die    del  senso   di   que'  latini   vocaboli  . 

§.   jo.    Sarebbe  pur  facile  il  mestiere  del  tra- 
duttore ,  se  in  altro  non  consistesse  che  in  traspor- 
tare   per  esempio. in  italiani  caratteri  ciò  che  scrit- 
to  in  arabi   in  greci   in   ebraici  ;  e   ne  risulterebbe 
una  lingua  universale,  parlata  dalla  baja  di   Baffin 
alla  nova  Zelanda  ,    e  dal  Senegal   alle   isole    ma- 
riane .    Tali  inconcludenti  lavori    lasciar    dovendo 
necessariamente  incognito  il    senso    della   scrittura 
originale  :  non  v'  è    altro    mezzo    per   dilucidarlo  , 
Se  non  cambiare  le  parole  dell'    originale  nel    lin- 
guaggio del    traduttore  ;     il    che   darà    un  suono  e 
una  giacitura    diversa  .    Perlochè    applicando    tale 
principio  alle    inscrizioni    omirene    del  signor   Lan- 
ci :  se   esse  erano   veramente    omirene ,  cioè  scritte 
in    un    linguaggio  il  quale   non   piiì  in   Arabia    si 
parla  :   riducendosi  all'  aiabo  dialetto  ,  pare  che  non 
potessero    ritenere    il    suono   e    la    giacitura    di  pri- 
ma .   E    nel   libro    del    signor    Lanci    tale    diversi- 
tà   non    rilevandosi:  quasi  quasi  viene  la    tentazio- 
ne di    dire  ,  eh'  egli  prese     nel  leggerle  equivoco  ì 
poiché    neir  opposto    caso   dovea   trovar   parole   di 
■significato  diversissimo  dallo  immaginato   da   lui  . 

§.  'ji.  Ciò  mi    fa  ricordare   di    cosa  narrata- 

.mi   da  Cosmo   mio  bono  e  dotto   padre  t  cioè  d'un 

antiquario  ,  il  quale  rinvenuta  una  lastra    di   pie- 


Siigli  OMIRE^fl  i23 

tra  irregolarmente  scolpita  da  capo  a  fondo  con 
caratteri  ignoti  e  strani,  in  ness un'altra  cognita  in- 
scrizione occorrenti  :  si  pose  in  testa  che  ,  appar- 
tenessero a  certa  nazione  di  cui  non  ben  mi  sov- 
viene .  Per  accreditare  il  sogno  §uo  ,  incomin- 
ciò egli  dal  dire  ,  che  uno  de'  piìi  saggi  e  dotti 
di  quella  età  ,  da  tutta  Europa  veneralo  ,  avea 
riconosciuto  que'  caratteri  per  quelli  eh'  egli  stes- 
so opinava.  Nessuno  tuttavia  credè  mai,  che  quel 
valentuomo  tal  giudizio  formasse.  Poiché  attual- 
mente noi  possiam  dire,  la  tale  inscrizione  è  ara- 
La,  la  tale  è  greca,  la  tale  è  latina  ,  in  forza  di 
averne  visto  più  migliaja  consimili.  Ma  come  mai 
può  dottamente  decidersi  della  nazionalità  d'un  mo- 
numento ,  irquale  essendo  unico,  non  può  porsi  con 
alcun  altro  a  confronto  ?  Fu  dunque  voce  pubblica, 
ch'egli  stesso  comunicasse  a  quell'insigne  soggetto  la 
sua  capricciosa  sentenza  ;  e  facendo  il  francone  ,  con 
millantare  di  provarlo  :  si  trovasse  poi  nell'impe- 
gno ,  né  potesse  tirarsene  a   dietro . 

§.  ^2.  Che  fece  ,  per  riuscir  nelf  intento  ? 
Lasciando  di  emaciarsi  nello  spremere  la  inscri- 
zione ,  la  quale  tanto  meno  gli  si  dava  a  capire, 
quanto  più  la  propria  erudizione  coartava  a  pe- 
netrarne l'arcano  :  incominciò  da  comporre  ceivel- 
loticamente  una  sentenziosa  epigrafe  in  volgare,; 
poi  proseguì  a  trasportar  questa  in  un  idioma  di 
qualche  supposta  alfinità  con  la  nazione  a  cui  vo- 
leva che  il  sassaccio  originale  spettasse  :  badundo 
bene  ,  che  il  numero  degli  elementi  formanti  le 
parole  corrispondesse  a  quello  de'  segni  sul  sassac- 
cio incavati  .  Quindi  terminò  con  una  lunga  ana- 
lisi di  que'  segni  ,  ostinandosi  a  sostenere  ,  senza 
argomenti  ne'  morali  ne  fisici  ,  ch'essi  erauo  le  tali 
h'tlcre    e    non    le    tali  ;  e  generalmente  le  medesimi^ 


ia4  Letteratura 

di    cui    la   inscrizione    aveva   mestieri ,    por    signi- 
ficar   qnalche   cosa  . 

§   ^3   Alcuni    forse    invidiosi  della  gloria  a  cnl 
poggiava   il   signor    Lanci    con  la  spiegazione  di  diKì 
inscrizioni   oininme   quasi    uniformi  ,    le    quali   con- 
sliluiscono    IH)    monumento    unico  in  tutto  il  mon- 
do ;   ò  anche  sbalorditi  dalla  inaudita  novità  di  vo- 
caboli di  dnc  diverse  lingue  ,   sempre  uniformi  nolKi 
giacitnva  nel  suono  e    nel   significato  :   hanno  conce- 
pito il  sospetto  ,  che  imitando  egli  queif  antiquario  , 
abbia    incominciato    dallo    idearsi   1"  epigrafe    dello 
inaffiamento  ,    con    qualche   analogia    ad    altre   ara- 
be   poesie  ,    in    cui    si    nomina  Y  acqua  •    (a)  e    poi 
conciliato  tutlo    il    resto   in  modo   da  gettar  la  pol- 
vere agli   occhi    de'  pochi   leggitori   che   si  è  propo- 
sto d'  avere  .   Tale  sospetto  è  intieramente  maligno  . 
Il  signor  Lanci  è  universalmente  conosciuto  per  esat- 
tissima   probità    e  bona    fede,    per    ricco  l'ondo  dì 
dottrina  ,    per    (ino    criterio  ,    per  indefesso   studio; 
e  ogtii    circostanza    di   tal    questione    contribuisce  a 
convincen;    chi    per  sì  belle  doti     sì   vanta    di    giu- 
stamente apprezzarlo  ,  che  s'  egli  ,  per  una  di  quelle 
fatalità   spesso    comuni  anche  agli  uomini  di  supe- 
riore   ingegno  ,     fosse    caduto    in    equivoco  :    dalla 
sola  ìntima  e  costante   persuasione  propria   derivalo 
sarebbe   il    vendersi    da   lui     questo    equivoco    per 
geometrica    dimostrazione  .   Quindi    è  ,    che  la  mi- 
sura   della    più   snblime  carità  essendo  T  amor  di  se 
stesso  :    non   si  potrebbe  incolparlo  d'  averci  indotto 
fraudolentemente   in    errore  :    quando  la  prima  vit- 
tima  di   questo    erroie    fosse   slato   egli    medesimo. 
§.     ^'4-    Iniperochè    pviiua     di   i'arlo  credere    a 
noi  1  sembra  certissimo,    che    avrà  egli   stesso  cre- 
duto   1  ,   po!eisi    giudicare  della    nazionalità    d'  ww 
nionumento    uìjÌ'_'j   al  mondo  ,  mir-ivantc  il;  cuuiron- 


SUGT.I  OiIlRElVI  125 

to  ,   e   segnato  a  caratteri    non  più   visti  ;  2 ,  quegli 
sLorleiìi  de'  codici  arabi  vaticani,  essere  precisamen- 
te una   inscrizione  omirciia  ;  3,    essa,  rassomigliare  a 
lettere    di    aliabeti    conosciuti,  bencliè  non    abbiano 
co'  m.^desimi    la  necessaria    somiglianza  ;  4,  potersi 
diro  di  conoscere  un   aliabeto,  il   quale   avrà   avuto 
ventidue  battere  per   lo   meno,  in   l'orza   della  erro- 
nea  cognizione  di   sole  quattordici;  5,  le  quattordi- 
ci  lettere  d'  un    ai;  theto    obliterato   ridotte  a  lettere 
di   alfabeto   moderno  ,  coqs  ituire  parole    di  moder- 
no  idioma  ,  escluso  ogni   cambiamento  di  giacitura 
e  di    suono  ;  6    fmalmente  ,   le   supposte    inscrizioni 
uinireìie    avere    il   significato     da    lui   voluto  .    Glie 
se  egli   non    fosse  stato  il   pilmo  a    credere    queste 
cose  :  come ,  onesto  e  probo  qual  è ,  si  sarebbe  sfor- 
zato di   liìrle  credere   a  noi  ,   con    un   libro    di   du- 
cento  e   più  pagine  ?  Così   sono    d'  avviso,   farsi  la 
migliore    apologia   e   dell'  autore   e   del    libro  . 

§.  75.  E   eh'  egli   non    abbia  antecedentemente 
ideato  da  se  il  significato    di  quelle  epigrafi  ,  risul- 
ta  anche  dalla  sciocchezza  di   detto   significato.  Se 
il  benigno  cielo    avesse    fatto    dirottamente   piovere 
sopra  ogni  pagina    della    sua  dissertazione   intorno 
gli    omireni  ,   mentre  egli    stava   scrivendola  :  come 
avrebbe  potuto  proseguire  a  scriverla  e  ringranziarnc 
Giove  pluvio  umilmente?    Si  può  egli  scrivere  so- 
pra   carta    bagnata   ,    ò   si   è  potuto  ciò  mai  :  quan- 
do  questa  non  sia   una   delle   cose    che    gli  antichi 
sapevan  liare  ;  e  noi  dimenticato   ne  abbiamo  e  mo- 
do e  ricetta?  Se  dunque  il  signor    Lanci  ideato  aves- 
se  quel    senso  :  concepito    avrebbe,   contro  ogni  re- 
1  -àco   principio ,   una   cosa    allegorica ,   la   quale    è 
leLteralmente  chimera  .  Or   siccome  è    letteralmente 
iiipossibile  di  scrivere  sopra  carta  tutta  inzuppata 
fi   pioggia;  e  i  libri ,  bagnati   che  intieramente  sie- 


I  aG  Letteratura 

no  ,  vanno  a  perire  :  a  me  sembra  impossibile  non 
mono,  che  un  uomo,  quale  è  certamente  il  signor 
Lanci  ,  non  imbecille  ,  ma  savio  assai  ,  abbia  in- 
ventato di  pianta,  per  intrerpretazione  di  quelle  epi- 
grafi ,  che  lo  scrittore ,  omireno  compiacevasi  del- 
ia celeste  benignità  della    pioggia  . 

§.  jG.  Senza  né  ingolfarmi  in  illustrazioni  ulte- 
riori, né  dire  liberamente  ch'io  creda  capricci  e  non 
altro  i  segni  rossi  di  quegli  arabi  vaticani  co- 
dici ,  e  tanto  li  reputi  inscrizioni  omirene,  quanto 
il  signor  Lanci  è  romano  :  qui  aveva  io  risoluto  dar 
fine  a  questo  forse  troppo  lungo  articolo.  Se  non 
che,  mi  è  sembrato  ,  che  alcuni  rigidi  e  anche  in 
discreti  censori,  tirandomi  pel  sajo  ,  e  che  ?  mi  do- 
mandino ,  7iulla  dir  vuoi  dello  stile  del  libro  ?  Nul- 
la delle  vecchie  ammuffate  parole  ,  appassite  foglie 
d'  un  albero  che  Placco  dice  rinovarsi  di  quando 
in  quandoì  Nulla  delle  talora  inintéllii^ibdi  frasil  Nul- 
la della  intralciata  e  confusa  composizione  ?  Amici 
miei  ,  permeltetèrai  dirlo  -•  avete  il  torto  voi  soli. 
Primieramente  il  libro  non  è  scritto  sì  male  ,  co- 
me qualche  emolo,  prima  di  leggerlo  ed  egli  e  voi» 
forse  vi  ha  descritto  sinistramente  .  Il  suo  stile  -| 
mi  è  sembrato  '  a  dir  vero  alquanto  inelastico  .  Pur 
ne  traspare  molte  volte  T  ingegno  ;  e  non  sempre 
è  privo  di  nobiltà  .  Poi  dovete  comprendere  ,  da 
nessuno  negarsi,  che  Boccaccio  Machiavello  Davan- 
zali Casa  Caro  Bembo  e  altri  purissimi,  con  cui  tut- 
todì conversate  ,  contribuiscano  alla  floridezza  all' 
amenità  alla  venustà  dello  scrivere  .  Ma  un  pove- 
ro letterato,  il  quale  dall'  aurora  alla  sera  ha  sempre 
per  le  mani  Hariri  Gcrfialcddini  Caliduni  Gali- 
cani  e  altri  arabi  barbassori  :  il  quale  dalla  cat- 
tedra insegna  arabo,  e  arabo  parla,  e  arabo  ascol- 
ta-- parare  ^  il  quale  quando  di  cattedra  scende  ,  si 


SuGfLI  OmiRENI  IV'.'J 

tóiccia  nella  biblioteca  del  Vaticano  ,  e  ivi  è  di  no- 
vo in  conversazione  eoa  arabi  vivi  e  morti ,  e  nul- 
la esamina  e  nulla  medita  che  arabo  non  sia  :  co- 
me pretendete  ,  che  scriva  nel  modo  che  scrivete 
voi  ?  Egli  scrive  talora  un  po'  duro  difficile  ara- 
bizzato  ;  ne  potrebbe  diversamente  succedere  .  Ri- 
cordatevi di  quel  celebre  scrittore  latino  ,  il  quale 
obbligato  alla  reci'a  del  breviario  ,  implorò  la  dis- 
pensa ,  per  non  corrompere  il  favellare  tulliano  , 
in  cui  era  rigorosissimo  .  È  ben  vero  ,  che  qual- 
cuno vedendo  il  signor  Lanci  soverchiamente  pro- 
penso a  pubblicare  operette ,  a  lui  potria  dire  :  (a) 

Su  questo  di  Procuste    orrido  letto 
Chi   ti  sforza  a  giacer  ? 

Ma  non  potrebbe  forse  egli  rispondere  :  se  le  cose 
mie  non  ti  piacciono  :  e  tu  lascia  di  leggere  ?  Credo 
dunque  ,  che  non  gli  si  debba  recare  a  colpa  qual- 
che malagevolezza  di  stile  ;  e  che  anzi,  come  egli 
incoraggisce  nel  fine  della  dissertazione  il  chiarissima 
e  valoroso  sig.  Girolamo  Amati  a  pubblicare  la  sua 
tachigrafia  greca ,  che  né  vaticani  codici  dice  ino- 
norata giacersi  :  (b)  (  frase  che  non  approvo  :  per- 
chè inonorato  non  può  dirsi  mai  ciò  che  conser- 
vasi nella  prima  biblioteca  del  mondo  ;  né  la  cu- 
stodia di  Apollo  palatino  formava  al  tempo  d'Au- 
gusto infamia  di  autore  alcuno  :  )  così  non  solo  a 
lui  stesso  debba  inspirarsi  coraggio  di  pubblicar* 
la  promessa  raccolta   di   geroglifici  omireni  ,  (e)  e 

(a)  Mcrzini  Art.  poet* 

(b)  p.  i8i. 

(e)  V.  sopra  §.  55i 


ia8  Letteratura 

delle  epìs^rvfi  capitoline'^  (a)  come:  anclie  la  ver- 
sione dell'  articolo  di  Eben  Caliduiio  sali  antica  e 
varia  arte  di  scrivere  appresso  gli  arabi  .  che  non 
si  sa  per  qua]  titolo  ci  ha  dato  in  ajjpendice  ^la 
dissertazione  di  solo  arabo  linguaggio  e  caraftere  : 
ma  eccitare  altresì  l'ottima  e  intraprendente  sua  vo- 
lonlà  a  sollecitamente  prestarvisi  :  acciò  un  conti- 
nualo e  indefesso  studio  di  esotici  monumenti  ,  non 
renda  il  suo  stile  viemeno  gradito  a  gentili  ama- 
tori e  zelatori  del  bel  parlare  ;  e  la  relazione  non 
pienamente  propizia  de'  medesimi,  con  lo  scoraggi- 
la i  lettori ,  estenui  quel  pubblico  profitto  ,  a  cui 
teiide  chi  ,  a  imitazione  del  virtuosissima  signor 
Lanci  ,  dedica  la  sua  vita  alla  illustrazione  di  cose 
dotte  . 

TrOFiLo  Betti  . 


.•«)  V.  sopra  5'  Go. 


t2Q 


ARTI 

BELLE     ARTI 


Pittura —^  Berti   Giorgio  ^Jiorentino^ 

*i  buon  grado  ci  facciamo  a  parlare  di  questo 
giovine  ar;e'lce,il  quale  ebbe  le  discipline  della  pit- 
tura da  uno  de  più  valenti  maestri  italiani  ,  da 
quel  Benvenuti  che  può  meritamente  chiamarsi  splen- 
dore e  decoro  delle  belle  arti  toscane. 

Ha  il  Berti  tra  le  altre  opere  sue  condotto  di 
recente  un  gran  quadro,  nel  quale  è  rappresentato 
Bacco  sedente  vicino  ad  Arianna  nell'isola  di  Nas- 
so  •  Le  figure  sono  di  giandezza  quanto  il  vivo, 
e  operate  con  tanto  vigore  di  colorire  ed  espressione 
dì  senlimento  ,  che  si  può  risguardare  l'arletice  sic- 
come già  pervenuto  ad  alto  grado  di  valore.  Una 
scena  di  paese  assai  vago  e  grandioso  torma  il  cam- 
po a  questo  composto,  che  per  la  sua  semplicità 
e  vaghezza  di  forme  riempie  f  animo  dello  spetta- 
tore. Il  disegno  è  robusto  ,  ed  i  particolari  sono 
toccati  con  assai  bravura  di  pennello;  né  citeremo 
tra  questi  che  la  sola  pelle  della  tigre  che  serve 
di  vestimento  a  Bacco ,  la  quale  è  fatta  con  tanta 
verità  e  diligenza  ,  eh'  ei  ti  sembra  di  poterla  toc- 
care .  Il  modo  delle  pieghe  è  largo  e  maestrevo- 
le, il  colorire  delle  carni,  soprattutto  in  Arianna, 
è  trasparente  e  armonioso  .  Un  piccolo  Amorino  che 
sta  sulla  dritta  del  quadro j,  dietro  le  ligure  prin- 
cipali ,  guardandole  con  aria  di  maliziosa  compia- 
G.A.T.IX.  '  9 


i3o  Belle  Arti 

cenza ,  è  il  solo  episodio  di  questo  componimento  : 
ma  è  però  sufficiente  per  se  a  dichiarare  il  trionfo 
che  la  bellezza  d*  Arianna  ha  riportato  sul  cuore 
di  Bacco.  E  in  ciò  loderemo  la  sobria  convenienza 
dell'  artefice,  il  quale  si  dimostra  penetrato  del  prin- 
cipio, che  quanto  più  son  semplici  i  composti  tan- 
to sono  meglio;  essendo  che  la  moltiplicità  delle 
figure,  allor  quando  non  sono  necessarie  e  volute 
dalla  storia,  distraggono  l'attenzione,  e  nuocono  al 
soggetto   principale. 

]Non  sapremmo  che  incoraggiare  il  Berti  a 
proseguire  animosamente  la  sua  carriera,  e  a  soste- 
nere così  ed  accrescere  la  lama  della  sua  patria  , 
alla  quale  va  debitrice  di  lanta  gratitudine  i  Euro- 
pa ,  per  essere  stata  la  principale  e  più  onorata  culla 
delle  belle  arti  italiane. 

Pittuta  di  paesi —  Teerlink    Alessandro  ^ 
di   Dordrecht^ 

J2jgll  è  gran  tempo  che  desideriamo  parlare  dì 
questo  valentissimo  artelice,  le  opere  del  quale  vani- 
rò per  tutta  Europa  lodatissime.  Ond'  è  che  im- 
prendiamo a  descrivere,  fra  gli  altri  lavori  suoi-, 
due  quadri  di  diveise  maniere  e  grandezze.  Per- 
chè troppo  ci  vorrebbe  a  tener  dietro  minutamente 
•alle  tante  produzioni  de' pittori  di  paesi  operate  in 
questa  città,  e  che  meriterebbero  singoiar  menzione 
nel  nostro  giornale,  nel  quale,  lino  dal  suo  co- 
'ihinciamento,  si  dimostrò  che  per  noi  non  sareb- 
besi  avuta  ragione  che,  di  quelle  cose,  che  con- 
tengono in  se  maggiori  pregi  che  deformità.  Es- 
sendo troppo  bassa  e  vile  compiacenza  degli  scrit- 
tori   r  adoperare  \  ingegno   a    dichiarare   i    difetti 


I 


Bej.le  Arti  i3i 

aUrui,  nel  ;mentre  che  il  silenzio  intorno  le  cose 
tli  poco  pregio,  è  la  più  nobile  e  generosa  censura 
che  per   essi  si  possa  seguire. 

Ora  dunque  comincieremo  dal  minore  de' due 
quadri  detti,  nel  quale  è  rappresentata  una  vedu- 
ta delle  paludi  pontine  tolta  non  lontano  da  Ci- 
sterna. Di  ,prinio  tratto  ti  sembra  vedere  una  scena 
orientale:  tanto  è  il  .calore  della  tinta  ganerale,  eh' 
è,  prodotta  dall'  eftetto  della  luce  del  sole  cadente. 
Palla  parte  destra  incomimcia  una  dolce  catena  di 
colline,  che  discende  verso  il  mare  ripiegandosi  sul 
mezzo.  l'ochi  pini  altissimi  stanno  sul  davanti,  e 
incontro  a  loro  alia  destra  è  un  abbeveratojo  con 
alcuni  hwol  e  pastoii  .  iQuesto  gentile  composto  è 
in  taut'  armonia  coU'ariJ»,,  da  non  lasciar  nulla  a  de- 
siderare nella  sua  artificiosa  semplicità,  la^  quale 
pcoduceil  effetto  voluto  dalF  artefice,  di  è  di  i;i- 
, scaldale  T  animo  dello  spettatore.  Il  quadro  è  sta- 
to condotto  a  richiesta  della  dama  inglese  miss 
Oliver. 

Il    maggiore -dei   detti  quadri,  che  il  Teerlink 
ha  operato   in   servigio    del    cav.  Poublon  ,  è   tutto 
di  composizione,  ed  è  di  molto  mcsliero,  perchè    in 
esso  è   con  singolare  artificio  rapprescmata  una  va- 
sta   scen^  mirabilmente  .divisa ,    onde  renderla    piiì 
grandiosa.  X^ai  lato   destro   si  vede   scorrere  preci- 
pitosa dall'  alto  di  u]^a  rupe  ,  tutta  .rivestita  di  bo- 
schi ,,  un  ruscello  di  lin^pidissime  acque  a  traver- 
so a  grossi  sassi  che  le   rompono  e  le  rendono  spu- 
mose.   Poco  dopo    si  vede  lo  stesso  ruscello  corre- 
re più  tranquillo,   e  venir  formando  verso  il  mez- 
zo una  lama    o  seno    d'  acqua  slagnante.,  al   di    so- 
pra della  quale  s'innalza, un  grosso  scoglio,  tutto  ri- 
coperto  di   cespugli    e  piante  salvatiche.   Alla  sini- 
stra parte  ;mouta  ,un»i  stvadasuUa  costa  d'  una  mott- 


iSa  Belle  Arti 

tagna,  e  ìa  circonda  volgendosi  in  curva  sulla  sini- 
stra, con   una  piccola  cappella  che  posta  sul  ciglio 
della  detta  strada.  L'  aria  è  tresca  e  ridente,  e  qua- 
le si  dimostra  sulle  prime  ore  d'un  mattino  di  state, 
e  tutto  il    composto   è  animato  da  una   greggia    di 
pecore  e   di  capre,  e   d'  alcuni  buoi  sparsi  qua  e  là 
con   assai  naturalezza,   fc.d  è   in  questa  parte  del  di- 
pingere animali    che  il  Te.^rlink  si   dimostra  valen- 
ti >sinio,  secondo   il  genio  e    valore  de' pittori  fiam- 
minghi .  E   basti   a  noi  di  citare   in    questo  quadro 
quel  toro  ,  che  dopo    essersi    abbeverato  nella    lama 
d'acqua   detta  di    sopra^  si  ferma  riposatamente  in 
mezzo  a    quella,  quasi  che   voglia  godere  della  fre- 
scura dell  acqua,  che  gli  bagna  parte  delle   zampe- 
Questo    fiero    animale    è   con    tanta    verità    e    fini- 
tezza espresso  ,   che  ben  ricorda    il    magistero    dei 
Poter    e  dei  Wovermann  .   Il  rimanente  degli    ani- 
mali risponde    alla  bellezza   e   al  naturale  del  toro 
per   noi  descritto. 

Schoenberger  di    Vienna 

Jl_j  poi  che  abbiamo  intrapreso  a  parlare  de'  va- 
lenti artefici ,  de'  quali  non  ha  latto  peranche  men- 
zione questo  nostro  giornale  ,  ci  faremo  pure  a  ra- 
gionare de' paesi  del  sig.  Schoenberger,  pittore  mol- 
to conosciuto  in  Germania  ,  e  che  ora  ha  fermata 
la  sua  dimora  in  Roma  .  E  tra  le  tante  ope- 
re ,  delle  quali  egli  ha  ripiena  la  sua  officina  ,  ci 
contenteremo  di  parlare  soltanto  di  due  paesi  per 
lui  condotti  bellamente  e  con  un  effetto  maraviglio- 
so  di  luce,  a  dimostrare  la  quale  egli  è  sopra  ogni 
modo  valentissimo  .  Perchè  ove  si  volesse  di  tutti 
i  suoi  lavori  ragionare  ,  noi  consentirebbero  i  ri- 
stretti limiti  di   questo   foglio . 


Belle  Arti  i 33 

Il  primo  quadro  è  uno  di  que'  tanti  ritratti  Io- 
tali,  che  la  costumanza  del  giorno  impone  disgra- 
ziatamente agli  artefici  di  eseguire  a  grave  danno 
del  sublime  e  difficile  concetto  d'  inventiva:  ond'  è 
che  per  questa  parte  si  vede  pur  troppo  declinare 
al  basso  la  più  nobile  prerogativa  dell'  arte  .  Ma  così 
Yogliono  le  condizioni  de'  tempi  presenti  . 

La  veduta  è  tolta  un  poco  innanzi  1'  arco  di 
Tito,  guardando  inverso  il  Campidoglio  .  Sulla  di- 
ritta del  quadro  si  vede  quasi  di  profilo  la  porta 
degli  orti  farnesiani  ;  e  dopo  questa  la  linea  si  pro- 
lunga coi  muri  che  chiudono  le  falde  del  Palatino 
fino  alle  colonne  di  Giove  statore ,  o  del  comizio  . 
Si  presenta  in  faccia  e  nel  fondo  il  Campidoglio,  e 
sulla  costa  di  questo  le  poche  reliquie,  che  tutto- 
ra stanno  dell'  antica  magnificenza.  Sulla  sinistra  è 
il  viale  d'  alberi  che  dall'  arco  di  Tito  conduce  a 
quello  di  Settimio  ,  e  che  mde  risponde  alla  via 
sacra  ,  la  direzione  della  quale  stava  più  alla  sini- 
stra .  Nel  mezzo  del  quadro  è  la  strada  moderna  . 
L'  ora  del  giorno  è  sul  tramonto  del  sole  ,  ond'  è 
che  tutti  gli  oggetti  sono  tinti  e  colorati  da  un 
vapore  caldo  ,  che  bene  si  accorda  col  cielo  ros- 
seggiante,  Questi  composti  di  prospettiva  rettilìnea 
sono  difficili  ad  eseguirsi  senza  una  perfetta  co- 
gnizione dell'  arte .  E  noi  non  potremmo  dare  che 
grande  lode  all'  artefice  ,  il  quale  si  è  tratto  di 
questa  difficoltà  in  modo  maraviglioso  ,  e  con  tan- 
ta illusione,  da  far  sembrare  vastissima  in  poca  tela 
questa  scena  ,  la  quale  è  nelle  sue  rovine  augustis- 
sima ,  e  parla  assai  più  alla  mente  ,  che  agli  oc- 
chi . 

Il  secondo  quadro  è  tutto  opera  di  compo- 
sizione ideale.  Il  qual  modo  è  lodevolmente  pre- 
ferito da   questo  valente  artefire.    Rappresenta  esso 


i34  Belle  Arti 

il  mare  tranquillo  ,  in  una  notte  mal  rischiarata 
dalla  luna,  che  si  mostra  involta  da  nubi,  a  traverso 
le  q  uali  ella  mauda  deboli  raggi.  Sulla  diritta  è  una 
selva,  nel  mezzo  di  cui  vedesi  acceso  un  gran  fuo- 
co. Sul  davanti  una  pianta  maestosa,  e  di  nobi- 
lissima forma,  signoreggia  tutta  la  scena.  Alla  [)arte 
sinistra  un'  alta  montagna  si  avanza  nel  mare,  a 
tale  che  questo  si  spinge  verso  lo  spettatore  a  gui- 
sa di  seno  infra  le  terre  ove  forma  una  lìnea  curva. 
Sopra  alcuni  sassi  seggono  a  ragionamento  tre  guer- 
rieri, che  air  abito  e  all'armi  sembrano  greci.  Gli 
scarsi  raggi  della  luna  .  che  si  rifrangono  nelle 
onde  increspate  dal  vento,  contrastano  collo  splen- 
dore del  fuoco  che  arde  nelf  interno  della  Ibresta, 
Il  luogo  solitario,  e  l'aria  melanconica  che  lo  cir- 
conda, producono  un  effetto  tristo  e  singolare  a  chi 
lo  rimira.  JNel  che  non  poca  lode  si  deve  al  pitto- 
re ,  il  quale  ha  avuto  in  mente  di  destare  questo 
effetto  iieir  animo  dello  spettatore;  e  ciò  ha  prati- 
cato con  assai  magistero  e  bravura  di  pennello.  Il 
che  facendo,  ha  dimostrato  che  la  pittura,  sicco- 
me la  poesia,  ha  i  suoi  artificii  per  volgere  a  suo 
grado   le    umane  passioni. 

Tambroni. 


i-3r") 


VARIETÀ' 


NECROLOGIA  .  (i) 

Annunzio  ai  leggitori  la  perdita  irreparabile  ,  che  l' Italia  e  V  Eu- 
1ropa  hanno  fatto  po::'  anzi  nella  morte  acerbissima  dell'  abate  Stefa- 
no Antonio  Morcclli ,  principe  de'  latinisti  ili  questa  età  ,  e  creato- 
re immortale  della  difiicìiissima  scienza  epigrafica  .  Nato  in  Chiari  , 
terra  fertiie  ed  agiata  della  bresciana  provincia  ,  da  Francesco  e  da 
Gio^a^nla  Rocca  ,  di  onorevole  condizione  il  17  gennaio  lySy,  e  avuti 
al  sacro  fonte  i  nomi  di  Giovanni  Antonio  ,  da  lui  poscia  malato  il 
primo  in  quello  di  Stefano  ,  per  essersi  da  fanciullo  votato  a  que- 
sto gran  santo,  ebbe  a  maestro  nei  primi  rudimeiili  del  sapere  cer- 
to ab.  Faustini,  per  verità  con  poco  frutto  del  vivace  ingegno  del 
discepolo  ,  ma  con  moltissimo  della  mente  .  Imperocché  inviato  di 
quattordici  anni  a  Brescia  nel  collegio  de'  gesuiti ,  gli  angelici  costu- 
mi ,  la  innocenza  e  il  modesto  contegno  di  luì  unito  a  non  comu- 
ne acutezza  ,  piacquero  tanto  a  que'  padri ,  che  secondando  la  de- 
cisa sua  volontà.  Io  annuissero  di  16  anni  nel  chiostro,  e  il  man- 
darono a  Roma . 

Quivi  ebbe  la  sorte  di  trovar  precetterò  di  retorica  il  padre 
Raimondo  Gunich  ,  la  cui  rara  dottrina  e  P  ingenuo  costume  ,  da 
quanti  Io  conobbero  ,  si  citano  tuttora  ad  esemplo .  Dagli  ammae- 
stramenti di  lui  quanto  profitto  traesse  il  Morcelli ,  basti  a  mostrar- 
lo ciò  solo ,  che  nei  4^  anni  che  quel  dottissimo  raguseo  ivi  compi 
r  ufizio  di  retore  ,  solca  dire  egli  stesso  :  fra  tanti  discepoli ,  pochi 
avere  tanto  amato,  niano  aver  superato  nel  riamarlo  il  Morcelli  . 
Ne'  teologici  studi   fu   istruito  dal  eh.  padre  Favre  :  e  se  ignoro   gli 


(1)  Quesi'  articolo  è  stato  già  pubblicato  nella  gazzetta  di  Mi- 
lano degli  8  gennaro  ;  ma  senza  quelle  aggiunte  che  il  eh.  autore 
vi  ha  fatte  nelle  seconde  cure  ,  e  di  cui  ha  voluto  esserci  cortese  . 


l36  V  A  R  I  1  T  à' 

altri  maestri  ,  son  però  conscio  ,  che  in  ogni  fai^oltà  fu  egli  vprso 
ciascuna  si  tutto  e  si  propriamente  disposto  ,  che  parve  a  questa  so- 
la il  portasse  r  nnato  pcso  dell'istinto  suo  naturale,  dal  che  venne 
r  essere  in  molte  riuscito  per  f  coellenza . 

E  per  dire  di  quelle  sole  che  di  proposito  professò,  spcdifo  ad 
insegnare  la  gramatica  a  Fermo,  vi  destò  subito  il  più  caldo  amore 
della  incontaminata  latinità .  Condotto  a  Raglisi  institutore  di  umane 
lettere,  vi  fece  sorgere  il  gusto  de' greci  e  latini  esemplari.  Fatta 
poi  la  solenne  dichiarazione  de'  quattro  voti  (  1771  )  »  e  prescelto 
a  spiegare  nel  col!e,",io  romano  la  beli'  arte  del  dire ,  non  so  come 
appieno  esprimere  I'  approvazione  che  dai  più  dotti  ne  riportò .  Né 
polca  ciò  tornare  altrimenti:  avvegnaché  in  questo  svio  magistero 
si  principale  per  l'uso  di  molte  virtù,  con  tanto  cuore  l'ampio  ca- 
pilalc  delle  poderose  sue  forze  impiegò,  ed  usò  di  tutte  l'arti  per 
meglio  riusciri;i,  massimamente  di  carità,  di  pazienza  e  umiltà,  che 
i  suoi  moltissimi  allievi  in  lui  trovai-ono  più  presto  1'  amico  che  il 
precettore,  piuttosto  il  compagno  dei  loro  stndj  che  il  moderatore  di 
quelli  .  An?i  a  tenerne  sempre  più  fermo  e  svegliato  il  fervore,  in- 
stitui  r  accademia  archeologica  ,  che  a  giorni  determinati  adunavasì 
nelle  sale  del  museo  Kircheriano  di  cui  era  prefetto ,  nella  quale  sì 
recitarono  dottissime  dissertazioni,  e  due  di  queste  per  sagjiio  fu- 
rono pubblicale  pochi  anni  sono  in  Milano,  quattro  altre  tuttora  ine- 
dite vedranno  in  breve  la   luce  . 

Ma  abolita  nel  1770  la  compagnia  di  Gesi'i,  e  fatta  il  Morcelli 
una  scorsa  a  Chiari,  tornò  presto  a  Roma,  ove  fu  accolto,  ricove- 
rato ,  e  protetto  dal  gran  cardinale  Alessandro  Albani  vero  mecenate 
doj;li  uomini  letterati .  Datagli  da  esso  in  cura  la  sua  splendida  biblio- 
teca ,  ideò  la  grand'  opera  de  siilo  inscripfìonuin  ,  edita  in  Roma  dal 
Gi'inthi  nel  febbrajo  del  1781  .  Intorno  a  che  non  credo  iperbolica 
né  ofii'  Ica  r  espressione  che  udii  dal  Mor<:elH  ,  cioti  che  avrebbe  sem- 
pre avuto  di  cIjC  ringraziare  quell'ottimo  prin'ipe  ,  e  di  rallegrarsi 
fino  alla  tomba  del  favore  allora  impartitogli ,  più  assai  che  se  do- 
na» o  gli  avesse  centies  sestertiuin:  perchè  senza  1'  uso  pronto  e  con- 
tinuo dì  quell'immenso  deposito  dell' umana  ragione  non  mai  avreb- 
be potuto  dettare  quelle /joi/cre  e^^er/ccj«oZe  (  cosi  soleva  qualltìcar- 
Ic  )  ch'egli  avca  fatte,  non  già  per  ostentazione  di  sapere,  che  in- 


Varietà'  1^7 

SttfRcicTitissìmo   riconoacevasi ,  ma   per  gloria  maggiore  del  padre  de' 
lumi  e  della  sna  relij^ione  . 

Fra  le  quali  open'cciiwle  ^  userò  ia  sua  frase)  la  testé  ricordata 
fu  detta  Insigne  dall' ab.  Marini,  eccellente  da  Ennio  Visconti,  me- 
ramente aurea  dal  La«zi ,  di  sceltissimo  gusto  e  piena  di  erudizione 
non  meno  piacevole  de  recondita  dal  Dacier,  e  da  tutta  la  còlta 
Europa ,  prosicgue  Antonioli ,  appro^fata  e  applaiutitu  di  cpuiHià  ,  ut 
cardinalis  Garampius,  termina  il  Caballero,  i-ir  eie ^antissi/nus  le- 
pide ajebat ,  neminem  ,  cjui  illum  consulat ,  pravam  inscriptinnem  -, 
fel  si  velH  cjuidem,  componere  posse.  So  molto  bene,  che  chi  por- 
ge facile  orecchie  al  gracchiar  d'uno  stolto,  crederà  questo  libro  non 
che  pernicioso  ma  inutile  .  A  che  dettare  latine  iscrizioni ,  dice  co- 
stui ,  se  tra'  principi  e  magistrati ,  tra'  militari  e  popolani,  non  avvi 
oggidì  chi  conosca  lo  stile  oscurÌ3simo  lapidario?  Qual  affetto ,  qual 
sentimento  possono  destare  le  venerande  tabelle ,  che  ad  esprimere 
la  mestizia  od  il  gaudio  nelle  maggiori  solennità  si  sogliono  appor- 
re agli  sguaidi  dei  cittadini?  Se  le  scritte  sono  ingombre  di  cifre 
e  vocaboli  tenebrosi,  non  è  ciò  ammutolire  in  cospetto  d'  ognuno  ! 
Tristo  colui,  che  suscita  un'  arte  da  niun  coltivata,  che  scrive  cose 
che  niun  sa  leggere,  che  perpetua  la  impostura  e  la  idiotagine 
degli  arcavoli  nelle  città?  Le  quali  cose,  dirò  col  Lanzi,  se  nellx 
Scizia  o  neir  India  si  disputassero ,  forse  di  leggieri  si  potrebbero 
comportarci  ma  che  si  dicano  seriamente  in  Italia,  ove  ha  seo-i^io 
da  venti  e  più  secoli  la  lingua  di  Tullio  e  d'  Orario ,  ove  ognuno 
può  chiedere  la  spiegazione  di  poche  ma  nervose  parole,nii  pare  strano 
e  veramente  maraviglioso .  Se  i  monumenti  si  espongono  al  pub- 
blico nelle  occasioni  solenni ,  il  pubblico  che  vi  accorre  è  già  com* 
mosso  da  se  dalle  cose  medesime  ,  né  oltre  bada  allo  scritto  sul  fion- 
tale  del  foro  o  della  basilica:  se  poi  si  presentano  per  serbarne  me- 
moria, non  si  dee  forse  usare  lo  stile  che  meglio  alla  cosa  coiiven'a, 
e  che  più.  onori  la  dotta  posterità?  Non] si  dee  forse  preferire  il  lia- 
guaggio,  che  stabilmente  radicato  nel  consenso  di  tutt' i  tempi  « 
di  tutti  i  popoli,  è  il  meglio  inteso  dalla  gran  famiglia  dell'  uni- 
Terso  ?  Non  parlo  dell'  attitudine  della  latina  lingua',  ben  altri- 
menti che  delle  moderne,  per  questa  sorta  dì  componimenti.  Grave, 
•numerosa,  breve,  varia,  elegante   l'una,  non  cosi  l'alfre.  Ma  nou 


l38  V  A  R  I  E    A 

è  del  presente  luogo  (e  men  duole)  il  discorrere  i  pregi  del? opera 
de  stilo  inscr/f)lionum;ììc  tampoco  il  parlare  delle  i/ixcriplirtnes  com- 
mentariis  subjccUs  (1785.),  né  del  FlAPEPrON  (  1818  )  ,  con 
amendue  le  quali  opere  si  riducono,  dirò  losi,  a  pratica  materiale 
le  sublimi  teoriche  da  lui  riirovate  per  la  più  elegante  e  pcrfetia 
maniera  di  comporre  iscrizioni .  Non  mi  è  permesso  neppure  di 
trattenermi  intorno   i  due   libri    sermotium  ^(  iy8o),   V  indicctzinnc 

antiquaria  di  casa  Albani  (  1 786  ) ,  il  kalendariwn  ecàlesicc  Coii- 
stantinnpolilancB,  che  supera,  gli  altri  tutti  in  antichità,  da  luì  volto 
dal  greco  in  latino  ed  illustrato  (  1788)  .  Toccar  anche  di  volo  tutte 
queste  opere  adorne  della  più  scelta  eleganza  e  dottrina,  non  che 
ì  dièci  libri  greci  latini  e.rp'wuilione\  ccch\'ia<tticce  dì  s.  Gregorio 
vescovo  di  Gìrgenti  (  17891),  i  due  'ibri  electorwn  (1814)5  1'  Agape- 
ja  (1816  ),  la  bolla  tt oro  de'' fanciulli  romani  (  1816  ),  Vacano 
capitolino  (  1817  )  ,  la  MIXAHAETA  (  1818  ),  i  tre  volumetti  di 
cose  ascetiche  (  1820  )  ,  e,  omessi  altri  opuscoli  ,  la  studiatissima 
ed  elaboratissima  Africa  Christiana  in  tre  grossi  volumi  in  quar- 
to (  j8i6  )  ,  mi  recherebbe  più  oltre  che  i  contini  di  una  breve  no- 
tizia necrologica  non  mi  concedono.  Elleno,  altronde,  sono  tra  le 
mani  dei  veri  sapienti  ,  che  le  applaudono  e  sen  profittano  ,  e  i 
veri  sapienti  per  onorarne  1' autore  non  hanno  mestiere  di  nuovi  ap- 
plausi . 

Farò  piuttosto  un  certno  brevissimo  delle  amabili  e  sommamente 
ammirevoli  sue  qualità  .  Pregato  dalla  sua  patria  nel  1791  ,  perchè 
venisse  a  reggerla  in  qualità  di  prevosto,  comecché  non- se  ne  tro- 
vasse punto  contento  per  lo  gran  carico  cui  gli  si  veniva  ad  impor- 
re ,  non  perciò  vi  si  è  adattato  di  buona  voglia  :  e  qual  fosse  in  si 
dilicato  e  importantissimo  uftzio  la  virtuosa  sua  vita  ,  qual  bene  d'ogni 
maniera  procacciasse  al  suo  gregge,  quanti  abusi  sradicasse  ,  quante 
opere  laudabili  e  pie  promovesse,  come  insomma  in  trcnt'aiìni  di 
non  interrotto  prepositurato  coli' esemplare  adempimento  de' suoi  do- 
veri si  acquistasse  la  stima,  V  affetto  e  la  riverenza  d'o;:,ni  genere 
di  persone  ,  le  caltllssime  lagrime  universali  che,  mentre  scrivo  e  pian- 
go io  pure  ,  si  spargono  da  quel  popolo,  ne  fanno  apertissima  testi- 
monianza. Parecchi  oratori,  anche  insigni  e  per  pietà  rinomati,  mi 
venne  fatto  di  udire  in  mia  vita,  ma   niuiio  si  copioso,  si  cfììcace  , 


Varietà'  189 

si  erudito  come  il  IVToroelli.  La  voce  di  Dio  si  dal  pulpito  e  sidaif 
altare  era  nella  sua  bocca  la  più  soave,  la  più  viva,  la  più  giocon- 
da. Pia:e\a  agl'idioil  ed  ai  dotti,  oginino  la  intendeva,  ognuno  sta- 
va tacito  e  intento,  e  per  essa  rapito  da  inesplicabil  diletto  .  Eia 
poi  speciale  sua  proprietà,  cosi  nel  parlare,  come  in  ogni  pubblica 
e  privata  azione  ,  mo3trarsi  sempre  intero  e  libero,  sopportando  mai 
volentieri  e  con  fatiraiti  altrui,  e  detestando  in  se  sleiso ,  la  doppiez- 
za e  sopratatto  V  audacia  e  la  prosunzione  .  Fu  al  suo  gregge  ogni  co- 
sa: ed  ebbe,  per  dir  cosi,  tanti  cuori  quante  furono  Te  sue  pecore, 
tanti  affetti  diversi  quanto  differenti  avean  elle  nature  ,  in  ciò  solo 
a  loro  dissimile,  circgli  non  altro  cercava  ,  nò  ad  altro  colla  sua  in- 
dustria^ colla  doì  e '.za  e  col  fervido  zelo  intendeva  ,  fuorché  a  pro- 
cacciare la  quiete  costante  al  paese,  alle  famiglie  la  dome-tìoa  pace, 
a  tutti  la  bramala  felicita^  La  carità  sua  verso  la  patria  fu  tale ,  che 
quella  prepone  alla  proprin  grarnìezza  ;  perchè  offertogli  dalla  repub- 
LÌica  di  Ragusi  quél  pa  o  archiepiscopale,  modestamente  rispose:  di 
questi  onori  faa'/ius  carco.  Avuto  il  prezioso  dono  dal  S.  P.  Pio  VI 
del  sacro  corpo  della  santa  martire  Agape,  trovato  nel  cimitero  di  Ca- 
listo, ne  ha  promosso  in  Chiari  il  culto  ,  e  vi  è  venerato  con  mei-» 
tissima  divozione.  Radunata  con  tanti  anni  di  studj  e  risparmi  una 
sceltissima  libreria,  ne  ha  fatto  in  vita  libero  dono  al  paese  ,  ed 
ha  fondalo  e  provveduto  tìn  dove  ha  potuto  un  decente  gineceo  per 
l'educazi'.ne  gratuita  delle  fanciville  .  La  sua  pensione,  come  socio 
del  R.  C.  iiistituto  ,  dal  primo  di  che  spontaneamente  gli  fu  asse- 
gnata lino  al  di  cPoggi  ,  fu  da  Ivti  convertita  in  beneficio  delia  sua 
chiesa  e  dei  poveri  »  Il  tempo  maggiore  di  Chiari ,  la  chiesa  di  s.  Ma- 
ria ,  r  edìcoletta  di  s.  Michele ,  il  pubblico  cepotafio  ,  per  lui  fu- 
rono o  fondati  o  restaurati  0  abbelliti .  Riordinò  le  pubbliche  scuole 
che  ivi  rigogliosamente  fioriscono  ,  ed  eccitò  1'  esercizio  di  molte  pra- 
tiche di  pietà  con  solerzia  osservate  dal  suo  clero  e  dal  popolo,  da 
lui  ben  diretto  ed  edificato  .  Fu  amico  benigno  di  tutti,  né  sì  sa  c'ie 
fosse  da  persona  richiesto  ,  cui  mancasse  mai  ne  di  consiglio  nò  di 
opera  .  Delle  mutazioni  di  stato  avvenute  in  Italia  e  in  Europa  non; 
si  è  mai  mostrato  contento  :  non  già  pèrch'  egli  abborrisse  la  savi» 
e  ragionevole  libertà  civile,  che  i  prudenti  governi  e  promuovono  e 
favoriscono;  xna  perchè  T animo  suo  interiisimo  e  pio  non  poiw  non 


1 4o  Varietà" 

rimanere  (conturbato  ,  come  si  espresse  meco  più  volte ,  dal  vedere 
impunemetitc  cosi  le  regali  come  Tecclesiasii-he  istituzioni  dispre- 
giate e  poste  in  abboininio  da  tante  ardile  scritture  ,  rotto  ogni  ie»- 
game  di  giuramenti  e  di  voti ,  scio.'te  le  professioni  e  i  patti  solenni  i 
vuotati  i  monasteri  di  religiosi,  riempiuto  il  mondo  di  riijclli  e  d'apo- 
stati .  Ondi;  i  principi  Io  riverivano ,  i  sapienti  lo  consultavano  el'  esal- 
tavano, Roma  e  l'Italia  tutta  lo  adorava.  La  sua  maestosa  presenza, 
il  portamento  composto,  le  regolari  e  graziate  forme  del  volto  ,  iJ  fui» 
gido  sguardo,  e  sopratatto  la  grave  e  sempre  dotta  sua  convcrsazio^ 
ne,  e  la  fama  d' uomo  giusto  ,  pio ,  e  caritatevole,  che  ovunque  voi-» 
gevasi  il  prccorrea,  a  se  traevano  tutti  gli  occhi  ,  >:  gli  procacciava- 
no la  universale  ammirazione .  Perciò  a  Chiari  da  lontani  paesi  uo- 
mini di  sommo  rispetto  chi  per  nobiltà  ,  chi  per  lettere ,  o  a  null'al- 
trn  o  principalmente  a  questo  fermaronsi,  di  vederlo,  di  conoscerlo  « 
d'  ossequiarlo . 

Mori  il  primo  giorno  del  presente  anno  1821.,  alle  ore  otto 
pomeridiane.  Le  sue  spoglie  mortali,  ottenutone  preventivamente  il 
permesso  dall'I.  K.  Governo,  furono  imbalsamate  e  deposte  presso 
il  corpo  di  quella  santa  martire  Agape,  per  la  quale  ebbe  in  vita 
divotissima  tenerezza  .  Tre  giorni  continui  fu  esposto  alla  pubblica 
contemplazione,  e  al  suo  feretro  è  concorso  il  fiore  della  città  e  dei 
.  paesi  circonvicini  .  Felice  l'ingegno  che  si  rivolge  per  tempo  agli 
studi  coir  animo  agli  onori  fagaci  non  incliinevole  ,  non  signoreg- 
giato dall'  avarizia  e  dall'  ambizione ,  non  irritato  dall'  odio  ,  né  vinto 
dalla  paura!  Costui  del  poco  si  appaga,  che  poco  pane  lo  pranza, 
rozza  veste  lo  copre  ,  umile  abituro  il  ricovera;  e  libero  come  l'aria, 
e  sovrano  di  se  medesimo  ,  acceso  solo  d' amore  del  giusto  e  del  ve- 
ro, dalia  virtù  consegue  il  premio  delle  sue  veglie  ,  dalla  coscienza  il 
ripoio  della  sua  vita,  dalla  religione  il  conforto  <!c'  mali  suoi,  dalla 
giusta  e  imparziale  posterità  gli  onori  ed  i  planai  immortali  . 

G.  Labus 


Varietà*  i  4 1 

Saltatore  Bitti  al  conti  Fbaitciìsco  Cassi 


P 


erchc  non  abbi  a  dir  sempre,    eh'  io   ti  venga   innanzi    così  a 
mani  vuote  ,  eccoti  un  bel  regalo ,  degno  di  te  e   di  quanti  amano 
la  buona  epigralia  :  tre  iscrizioni  d'  un  celebre  fiorentino  e  mio  pre- 
giatissimo amico  il  sig.  ab.  Giambatista  Zannoni ,  segretario  dell'  im- 
periale e  reale  accademia  della  crusca,  ed  antiquario  di  quel  gran- 
duca. Elle  sono  ta.i  per  niiidezza  di  latinità  ,  da  farci  bene    deside- 
rare ,  che  l'autor  loro  ne  ponga  presto  alle  stampe  l' intera  raccol- 
ta :    onde  ajutare  cosi  con    utili    esempi  uno  studio  ,  eh'  é  a  dirsi 
iiaiiaiio  per  eccellenza ,  e   crescer  de("Oro  a  quel  paese  nobilissimo 
di  Toscana  ,  il  quale  siccome  patria   d'  alti  intelletti  non  finirò  mai 
d'onorare  .  Il  che  valga  a  toglier  d' inganno  tutti  coloro  ,  i  quali  pel 
tenero  amore  che  da  tanti  anni  mi  stringe  al  dottissimo  conte  Giu- 
lio Perticari ,  credessero    di  me   il  contrario  :  perciocché  ho    sempre 
stimato  le  opinioni  letterarie  esser  libere  e  generose  ,  né  da  mino- 
rare la  stima  che  vuoisi  avere  pe'  sommi  uomini  ^  e  il  Perticari  me- 
desimo ,  di  cui  non  v'  ha  spirito  più  cortese ,  e  ne'  colloquj  e  nelle 
opere  sue  m'  è  stato  sempre  maestro  d'  usar  la  critica  secondo  il  mo- 
do de'  savj .   Non  nego  che  circa  le  cose  della  lingua ,  le  quali  fan- 
no presentemente  una   gran   parte  delle  cure  d'  uomini  valentissi- 
mi ,  non  tenga  io  coli'  immortal  pesarese  .  E  come  no  ,  dopo  aver 
letta  la  sua  difesa  di  Dante  "^  Questo  però  non  fa  eh'  io  sempre  non 
mi  ricordi ,  come  non  se  n'  e  mai  il  Perticari  dimenticato ,   che  non 
pur  siamo  tutti  cittadini  di  questa  diletta  Italia  ,  ma  che  alla  Tosca- 
na principalmente  si  dee  quanto  abbiamo  avuto  di  sano  scrivere  e 
ragionare,  ed  ora  colà  fioriscono  tali  nobili  ingegni,  che  sono  Ivtme  di 
questa  età,e  da  durare  lontani  colla  memoria  della  sapienza  europea. 
Ma  tornando  alle  lapidi  del  sig.  ab.  Zannoni ,  sappi  eh'  elle  mi  sono 
carissime  non  solo  per  le  cose  fin  qui  discorse  ,  ma  si  per  vedervi 
onorato  il  Pederzoli ,  che  fu  uomo  chiaro  a' di  nostri  per  gravità  di 
Lojtumi  e  dottrina  ,  e  specialmente  pel  suo    grande  amare  il  santo 
iiome  di   patria  .  Gradiscile  ,  o  Cassi  mio  ,  siccome  la  miglior  cosa 
i  11'  ora  ti  possa  dare  ;  e  bacia  e  saluta  per  me  il  Perticari ,  1'  An- 
laldi,  il  Paoli ,  il  Pctrucci,  il  Baldassini,  il  Ciaccki  ,  i  Mamiani  » 


Varietà'  142 

con  tutti  gli  altri  tli  quel  numero  eletto  di  gentili  e  dotti  cavalie- 
ri ,  che  fanno  bellissima  la  tua  Pesaro .  A  Dio .  -Di.  Roma  il  di  24- 
gennaro  iS<2i  . 

I. 

TTO-RESIAiE  .  WriNERBETTAE 

MARCH.  NICOLAI  -  SAjMCTIKII  .  LVCENSIS  .  VIDVAE 

SOBOtiI  .  POSTREIVIAE  .  NOBILISSIMAB  .    GEJJTIS 

qYA?E  .  PATB.ICIAE  .  HAVD  .  IMPAR  .  IKSTITVTIONI 

CIVE-S  .    EXTEROSQVE  .    COMPLVRES 

INGENIO.     DOCTRINA.    ALIAVE  .    LAVDE 

COMIKENDATOS 

SERM05VF  .    ALACRI.    ET.    COMI.    SIBI.    DEVIXXIT' 

FA.CVLTATIBVS  .    SAPIEXTER.    VTENS 

EAS.    VITAE.     CVM.    DIGKITATf.    DEGENDAE 

AMICORTM.    COMMODIS.    ET.   PAVPERVM.    LEVAIVIINI 

IMPEJSDIT 

RELIGIONE  .  ÌRECJTA 

AiERVWKAS     fiAEViISSlMI  .   MORBI.   PATIBNTER.    TVLIT 

mortejm:.  fortis.  constans.  oppetiit 
tictoria.  5aì4ct1n1a.  petri.  torrigiani.  march.  vxor 

■ST.    m.    ANNA.    SANCTINIA 

MABCU.    LAVRENTIO.    MONTECATIWIO.    NVETA 

EILIAE.   ET.    HEREUES 

;SVPPLICAT10NE^  INDlCffA 

.A..-I1É6V..,  PRO.  HOMINIBJJS.    IMMOLA-TO 

CA"PrriA.    SEMPITERNAE.    BEATITATIS  .    EXPOSCVNT 

DA.    REIJVIEM.    HVIC,   ANIMAE.    DEVS.    ET.    MISERERE  .  PRECANXVDl 

FAC.    PAtBAT.    CVNCTIS.   REGIA.    SANCTA  .    POLL 


Varietà'  i43 

2. 

lACOBO  .    PEEERZOT.IO  .    DOMO.    SALODIO 

V2TVSTISSIMAE..   OPTIMAEQVE.    DE.    PATK.1A.    MERITAR 

CEXTIS..    POSTREMO. 

QTI  .    SOLLERTISlilMVM 

CVM  .  BONITATE  .  NATVRAE  .  SORTITTS  .  INGENIVM 

ELOQVIO.    IVBICIO  .    DOCTRINA  .    xVIAXIME  .    INCLARVIT 

OMNES.    VEL.    QVOS  .    INFENSOS.    ERAT  .    EXPERTVS 

RE  .    CONSILIO  .    AVCTORITATE  .    COiMSTANTER.    IVVIT 

lULVSTRiA.    MVKERA.    SEDVLO  .    ET  .    ABSTI3MENTER  .    GESSIT' 

AMPLIORA  .    IN  .    EXEMPLVM  .    MODESTVS  ■    RECVSAVIT 

Piva.    VIXIT.    AN.    P.    M.    LXVIII  .. 

DECESS  .    INTER.    PVBLICAS  -    LACRYMAS 

VII.    ID.    SEPTEMBR    .    AN  ,    M.    DCCC.   XX. 

AMICI.    AD.    QVANTVMCVMQ  .    DOLORI  S  .    SOLATIVI^ 

TIRO  .  VSQVEIJVAQ  .  LAVDABILI  .  RARISSIMO  .  POS- 

3. 

SONORI 

ALOISII .   IiANZII  .   MONTVLMIENSIS 

QVEM 

SAPIENTISSIMA.    DE.    ETRVSCORVM  .    VETERVM  .  LINGVJt 

ITAEICISQ  .    PICTORIBVS  .  TOLVMINA 

AD.    FAMAM.    PERENNEM.    PROTVLEI^VNT 

CAIETANVS  .  FRATRIS  .  FILIVS  .  HERES 

MARMOR.    POSVIT.    IN.    FRONTE.    AEDIVIVI 

QVAS  .    TIR.    MAGNVS 

A.    MAIORIBVS.    ACCEPTAS  ,  INCOLVIT 

VTI.    ANIMI.    ERGA,   TALEM.    PATRVVM,    GRATISSIMI 

MEMORIA  .    IN.    SBRIVS.    PERMANEAT.   AEVVIkl 

VTIQ,    POSTERI.    SVI.   CIVESQ  . 

TANTO  ,     EXCITATI  .     EXEMPLO 

PATRIAE.  GLORIAE  .  EMIXIYS.   STYDEAJfT.  INSERVIANTQ. 


;    IMPRIMATUR, 

Si  videbitur  Reverendissimo  Patri  Mag.  Sacri  Palatii 
Apostolici. 

C.  M.  Frattini  Jrchiep .  Philippensis  Vices^. 


IMPRIMATUR. 

Fr.  Philippus  Anfossi  Sac.  Pai.  Jpost.  3Iag. 


Osservazioni  Meteorologiche  fatte  cdla  Specola  del  Colleg.Rom. 


Osservazioni  Meteorologiche  faiìc  alla  Specola  del  Colleg.  Rom. 

Gennajo  1821- 

MATTINA 

GIORNO 

SERA 

e 

Stato      Eva- 

Stato 

Meteore 

Stato 

1       '" 

dei        por.        Vento 

del       Piogg. 

Vento 

del 

Vento 

'3 

1 

Cifelo 

Cielo 

Cielo 

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0   15 

tra.        I 

s.p.n. 

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me.lib.i 

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3     12 

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1     21 

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20 

s. 

I    22 

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s. 

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31 

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22 

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1     21 

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s. 

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2    29 

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24 

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gre. lev. 0 

s.p.  n. 

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25 

s.  n. 

2    2,S 

tra.         i  m 

s.  p.n. 

tra.gr.  ilm 

s. 

tra,        I 

26  s. 

t      H 

/r«.        1 

s. 

tra.         i 

s. 

tra.        0 

27  J. 

I        0 

tra.        I 

s. 

tra.        0 

s. 

tra.        0 

brin. gel. 

28  J. 

0  .so 

tra.gr.  i 

s. 

gre.       0 

s. 

tra.         I 

29  ^. 

0   52 

tra.        I 

s. 

Ira.        I 

s. 

tra.        0 

brin. gel. 

30  J. 

0  54 

^r.gr.    1 

s. 

tra.        1 

s. 

tra.        0 

3 1  n  .p.  s 

0  42 

/ra.        0 

s.  n. 

Ira.        I 

s.p. il. 

tra.        0 

brin. 

Volendosi   da' eh.  Astronomi  abbondare  per   diligenza,  pongonsi  le  Osservazioni   | 

Triplici  in  e 

gni  giorno 

e  volendosi   da   noi    ristringere    in   pagin.i  ,   affinchè 
erdano  ,  usiamo  alcune  abbreviature  .  Pertanto   nella 

meno  farilm 

ente  si  disp 

colonna  delle   Meteore   pi  signilica  pioggia   1  lampi   t    tuoni    n  nei)bia   g  gelo 

b   brina.   E  nelle  colonne  dello  iV^ato   del  Ciclo  s   vuol   dire  sereno  n  nuvolo, 

p  poco.   Le   nltre  abbreviature  nelle  colonne  de^  venti  sono  per  se  stesse  in- 

telligibili. Quando   segue  uu  ast»risco  s'inteuJe  gran  quantità  j  ove   trovasi 

una  f  croce  s'intende  piccola   quantità. 

k 

.4; 

SCIENZE 


N, 


Sopra  le  acque  fermali  di  Civitavecchia  , 
Memoria  del  prof.  Moriehini. 


ell'antica  Tuscia  fra  i  monti  Falisci  e  Cimini, 
e  fra  questi  ed  il  mar  Tirreno,  scaturiscono  nume- 
rose sorgenti  di  acque  minerali,  per  la  maggior 
parte  termali,  che  sembrano  essere  state  conosciu- 
te dagli  antichi,  come  può  chiaramente  rilevarsi  dal 
seguente  passo  di  Stratone  (a)  - .  Thuscia  quoque  , 
uhi  Romae  est  propinquior  ,  ubertatem  calidarum 
habet  aquarum ,  nec  minus  ahundat  quam  Bajae , 
quae  reliquas  omnes  nobilitate  praecellunt  .  Gli 
antichi  però  non  ci  lasciarono  alcuna  descritione 
esatta  di  queste  acque,  e  se  qualche  volta  ne  in- 
dicarono alcuna  con  un  nome  particolare,  il  fecero 
senza  quel  dettaglio  e  precisione,  che  sarebbero  ne- 
cessarii  per  far  concordare  le  antiche  con  le  mo- 
derne  denominazioni. 

Quindi  non  è  che  per  congetture  più  o  meno 
probabili  che  si  asserisce,  essere  le  acque  stigie  de- 
gli antichi  lungo  la  via  Aurelìa  le  moderne  acque 
di  Stigliano,  e  le  ceretane  quelle  di  Cerveteri  {h). 
Delle  vescicarie  è  più  difficile  d'indovinare  la 
vera  ubicazione.  Scribonio  Largo  che  viveva  sotto 
Tiberio  ,  e  Marcello  Empirico  medico  sotto  il  pri- 


(a)  Geogr.  lib.  2. 

(b)  Itùìerar,    Antonin, 

G.A.T.IX.  ?o. 


i/^6  Scienze 

mo  Teodosio  ,  non  ci  dicono  altro  se  non  clic  es- 
se erano  distanti  cinquanta  miglia  da  Roma  ,  sen- 
za aggiungere  neppure  sé  per  la  via  Aurelia  o  Cas- 
sia ;  locchè  ha  latto  credere  a  (iirolamo  Mercu- 
riale ed  a  Giovanni  Rhodio  ,  che  le  vescicarie  de- 
gli antichi  potessero  essere  le  acque  termali  di  Vi- 
terbo,  ovvero  quelle  di  Civitavecchia  (e).  Che  se 
poi  potesse  riporsi  la  più  piccola  fiducia  nelle  no- 
zioni di  Scribonio  Largo  e  di  Marcello  Empirico 
sopra  i  principii  dell'acque  termali  della  Tuscia, 
eh  essi  chiamano  vescicarie ^  perchè  utili  in  alcuni 
mali  della  vescica  urinaria,  siccome  le  dicono  yè/*- 
ratae  ,  e  non  lo  sono  né  quelle  di  Civitavecchia  , 
rè  quelle  di  Viterbo,  potrebbe  in  questo  caso  ri- 
vocars'  in  dubbio  1  opinione  di  Mercuriale  e  di 
Bhodio. 

Comunque  ciò  sia  ,  le  acque  termali  o  le  terme 
di  Civitavecchia  ricevettero  ancora  il  nome  dì  (ter- 
me Taurine,  e  così  trovansi  per  la  prima  volt;^ 
denominate  da  Rutilio  (d^  per  una    ragione  però  pu- 


(c)  Torraca.  Delle  terme  taurine,  part,  2.  art.   1. 

(d)  Itiiicr.  Poet.  a  versu  249  «<1  Centumullas  ec. 


©Tosse  juvat  Tauri  dicias  de  nomine  thermas. 
£  dopo  : 

Credere  si  dignum  famae  ,  flagranti»  Taurut 

Investigato  fonte  lavacra  dcdit. 
Ut  solet  ex.cussis  pugnam  proeludere  glebis 

Stipite  cum  rigido  cornua  prona  terit. 
Sive  Deus  faciem  mentibus  et  ora  juvenci 

rtoluit  ardentis  dona  iaterc  soli. 


Acque  term.  di  Civitavecchia  147 

ramente  poetica  .  Ma  siccome  Plinio  (e)  annovera 
fra  i  popoli  della  Tuscia  gli  Aquenses  ,  Tauri- 
ni cogiiominc  ,  se  dessi  potessero  supporsi  abitato- 
ri della  contrada,  ove  sono  poste  le  acque  Tauri- 
ne, r  origine  di  questo  nome  saiebbe  assai  più  na- 
turale e  ragionevole  .  Diffatti  ai  tempi  di  s.  Gregorio 
Magno  esisteva  tuttora  in  vicinanza  di  queste  terme 
una  borgata  cospicua  chiamata  Tauriana  (t),  ed  in 
tutt'  i  scrittori  posteriori  ,  che  fanno  menzione  del- 
le antiche  terme  di  Gentocelle,  si  trovano  chiama- 
te col  nome  di   Taurine  (g). 

Le  grandiose  rovine  che  tuttora  rimangono  di 
queste  terme,  attestano  nel  tempo  slesso  la  loro  an- 
tichità e  la  loro  passata  magnificenza.  Si  è  con- 
getturato che  Trajano  ,  il  quale  fece  fabbricare  il 
porto  di  Gentocelle  ,  ed  ebbe  in  quelle  vicinanze 
una  superba  villa,  1'  ornasse  altresì  di  queste  ter- 
me; ma  il  silenzio  di  Plinio  il  giovane  sopra  ta- 
le oggetto  nella  lettera  3i  del  sesto  libro,  dove  par- 
la e  del  porto  e  della  villa,  danno  argomento  a  pen- 

Qualis  Ageiiorei  rapturus  gaudia  furti 

Per  frcta  rirgineum  sollicitavit  onus. 
Àrdua  non  solos  deceant  miracula  Grajos 

Auctorem  pecudem  fons  Heliconis  habet. 
Elicitns  simili  credamus  origine  lymphas, 

Musarum  latices  ungula  fodit  equi. 

(e)  Hist.  nat.  lib.  3.  cap.  5- 

(f)  Di*^.  Grej.  Magn.  Dial.  lib.  IV.  cap.  55. 

(g)  È  degna  di  osservazione  la  nota  di  Arduino  al  precitato  pas- 
so di  Plinio,  s  Ariolanlur  (  egli  dice  )  i^ni  Accjicapciidente  in  He- 
fruria  oppidum  signari  hoc  loco  pidunt.  A  CeniwncelUs  hoc  est  Ci- 
vilavecc/iia ,  ut  diximiis,  prope  hctc  Aquunsiuin  icrirum  abfuerunt.  t=3 
Questa  e  altresì  l'opinione  d' Holstenio,  Baronio,  Clucrio,  Cellario  ec. 
citati  dal  Torraca  sopra  quest'argomento. 

IO* 


i/j3  S  e  1  E  i-i  e  E 

sare  cl:e  fossero  fabbricate  in  appresso  .  Ma  sopra 
ciò  possiamo  sperare  più  sicure  notizie  dalle  ricer- 
che che  ha  iiìtrapreso  sul  luogo  il  eh.  sig.  Manzi, 
e  dallo  illustrazioni  che  promette  il  eel.  sig.  avv. 
Fea  .  Più  certa  è  V  epoca  della  loro  rovina  ac- 
caduta dall'  828  air  833  della  nostra  era  opera  dei 
saraceni  ,  che  venuti  all'  Africa  occuparono  Cento- 
celle ,  e  di  là  mossero  verso  Roma,  ove  dettero 
il  guasto  alla  città  Leonina  ,  e  ritirandosi  quindi 
per  rimbarcarsi  a  Centocelle  misero  a  ferro  e  a 
fuoco  quanto  vi  rimaneva  ancora  della  villa  im- 
periale ,  le  terme  Taurine ,  e  la  città  (h)  • 

Sopra  la  natura  poi  di  queste  acque,  ed  i  lo- 
ro usi  medicinali ,  rare  e  scarse  sono  le  notizie  che 
ce  ne  hanno  trasmesse  gli  antichi,  ed  anche  imo- 
derni  ,  se  ne  venga  eccettuata  V  opera  del  dottor 
Gaetano  Torraca  medico  in  Civitavecchia  ,  pubbli- 
cata in  Roma  l'anno  l'^Gi  per  le  stampe  del  Pa- 
gliarini.  E,  per  rapporto  agli  antichi,  non  è  giunto 
fino  a  noi  che  ciò  che  ne  dissero  Scribonio  Largo 
e  Marcello  Empirico,  seppure  con  il  nome  di  ve- 
scicarie  intesero  parlare  delle  acque  di  Civitavec- 
chia; e  tutto  si  riduce  alla  guarigione  di  un'  affe- 
zione calcolosa  sofferta  dal  pretore  Milone  Gracco, 
come  lo  chiama  Scribonio,  ovvero  Brocco,  come 
si  legge  in  Marcello.  Girolamo  Mercuriale  e  Gio. 
lìhodio,  che  parlarono  certamente  delle  nostre  acque, 
ed  il  primo  soprattutto  che  vi  accompagnò  un  car- 
dinal Farnese  ,  non  ce  ne  hanno  trasmesse  osserva- 
zioni più  dettagliate  .  L'uno  le  riguarda  come  ferru- 
ginose ed  inutili  nei  mali  della  vescica,  e  le  asserisce 
a  tal'uopo  usate  a'suoi  tempi;  e  l'altro  di  questi  scrit- 
tori  (i)  dice  solamente,  non  essere  queste  acque  uti- 

(h)  Torraca.  Op.  cit.  p;irt.   i.  art.   11.  ,■ 

(i)  Ad  Scrib.  Lai'^.  emciid.  et  uoiae  in  composit.  i46. 


Acque  term.  di  Civitavecchia  i49 

iì  in  bevanda,  ma  solamente  per  uso  esterno  nei 
vizii  dei  nervi,  ulceri,  torpidezza  di  cute  e  mali 
di  fegato,  escludendo  la  loro  convenienza  nei  ma- 
li della  vescica.  Il  dott.  Torraca  per  conciliare  que- 
sta contraddizione  ,  e  spiegare  inoltre  come  Pai  ti!  io 
abbia  escluso  ogni  odor  sull'ureo  e  disgustoso  delle 
acque  delle  terme  Taurine  (1)  ,  ed  i  due  medi- 
ci sopracitati  le  abbiano  riguardale  piuttosto  come 
ferruginose,  cbe  come  soliòrose;  racconta  (m)  che 
poco  prima  de'  suoi  tempi  altra  sorgente  eli  acque 
acidule  trovavasi  nel  recintò  delle  terme,  e  che 
di  quella  facévasi  uso  internamente  e  ilei  mali  del- 
la vescica ,  ma  che  coli'  incuria  e  con  il  tempO 
dispersa  questa  sorgente  o  riunita  alle  acque  solfu- 
ree  molto  pii^i  copiose,  non  sia  siato  più  possibi- 
le di  riconoscere  nelle  moderne  acque  Taurine  le 
qualità  descritte  da  Rutilio,  e  non  contraddette  da 
Mercuriale  e  da    Rhodio. 

In  mezzo  a  tante  incertezze  non  reca  minot 
sorpresa  il  vedere  ,  che  Andrea  Baccio  nella  sua 
grande  opera  de  thermis  ,  nella  quale  ha  rac- 
colto tuttociò  che  si  conosceva  fino  ai  suoi  tem;»! 
di  acque  termali  e  terme,  non  abbia  fatta  alcuni 
menzione  delle  acquee  terme  Taurine;  locchò  It 
cedere  che  dopo  il  guasto  ad  esse  dato  ,  come  si  <) 
detto,  nel  principio  del  nono  secolo,  la  loiu  cfli- 
brità  fosse  aifatto  estinta,  o  almeno  tanto  climinuitu 
Adi  non  conservarsene  più  memoria  che  fra  gli  abitanti 
dei  luoghi  più  vicini. 

'" 

(1)  Non  illic  gustu  lacites  vitiàntvir  amaro, 

Limphaque  funiiiìco  sulphure  lincia  calet  ; 
Purus  odor,  moUisi^ne  sapor  dulntarc  lavaiitem 
Cogit ,  qua  melius  parte  petaiuur  a(^w«e, 

.(ili)  Pfirt.  a.  Art.   ». 


IDO 


Scienze 


In  questa  oscurità  si  trovavano  ancora  le  acque 
Taurine,  quando  intraprese  ad  illustrarle  il  Torraca 
con  r  opera  citata,  nella  quale,  oltre  una  vasta 
erudizione  ,  si  trovano  riunite  tutte  le  nozioni  che 
potevano  convenire  a  quel  tempo  sopra  le  qualità 
chimiche  e  mediche  delle  medesime  .  Questo  la- 
voro aveva  ridestata  la  loro  fama,  e  si  era  accinto 
a  sostenerla  con  successo  il  dott.  Costantino  IVuccì 
medico  di  Civitavecchia  ,  rapito  da  una  morte  im- 
matura alla  sua  famiglia  ai  suoi  amici  ed  alla 
scienza  che  professava  con  candore  e  con  zelo. 
Egli  aveva  incominciato  da  quindici  anni  a  tenere 
un  registro  esatto  di  tutti  gì'  infermi  che  andavano 
a  prendere  i  hagni  termali  a  Civitavecchia ,  ed  i 
risultati  di  queste  osservazioni  dovevano  formare 
la  parte  medica  ,  ossia  la  parte  più  utile  di  questa 
memoria,  la  quale  però  non  sarà  perduta,  se,  come 
è  sperabile,  qualcuno  de' suoi  amici  potrà  racco- 
gliere ed  ordinare  le  note  che  si  troveranno  fra  le 
sue  carte . 

Non  poco  ancora  ha  contribuito  a  rialzare  il 
credilo  delle  acque  termali  di  Civitavecchia  una 
spiritosa  lettera  del  chiariss.  sig.  cavaliere  Tambioni 
inserita  nel  quaderno  58  del  giornale  letterario 
lo  spettatore  stampato  in  Milano  il  i5  agosto  i8i(5, 
nella  quale  1'  illustre  autore  rende  conto  della  sua 
guarigione  da'  molesti  incomodi  di  gotta  cronica, 
ottenuta  per  X  uso  delle  medesime  .  Dopo  questo 
tempo  altre  cure  iclici  operate  da  queste  acque  in 
soggetti  assai  ragguardevoli  determinarono  il  prov- 
vido nostro  governo  ad  ordinarne  un'  analisi,  .  ed 
un  piano  di  slaLilimeuto ,  che  ne  rendesse  d'ora 
in  avanti  1'  uso  più  comodo  e  piTi  profittevo- 
le. Il  sig.  Girolamo  Scaccia,  abilissimo  ingegnere 
idraulico  ,    uno   degl"  ispettori   del  consìglio   per  la 


Acque  term.  di  Civitavecchia  i5i 

direzione  d'  acque  e  strade ,  e  già  noto  per  varii  let- 
terarii  lavori  sulle  paludi  ponLiue ,  e  sul  flusso  e 
riflusso  del  mare  nella  costa  del  Mediterraneo  ,  eb- 
be Tincarico  della  parte  idraulica  ed  architettonica 
della  commissione,  ed  il  sig.  prof.  Alessandro  Conti 
ed  io  quello  dell  analisi  chimica  delle  acque.  Ed 
è  di  quest'ultima  che  io  mi  sono  proposto  di  render 
conto  »in  questa  memoria  ,  avendo  già  dato  il  suo 
progetto  sopra  V  altra  parte  della  incombenza  il 
sullodato  sig.    Scaccia . 

Le  acque  termali  di  Civitavecchia  hanno  tre 
sorgenti  distinte.  La  prima  e  più  lontana  dalla 
città  (a  quattro  miglia  di  distanza  circa  )  si  rinviene 
in  un  colle  al  di  là  delle  terme  Taurine  ;  e  chiamasi 
la  sorgente  di  sferra-cavalli  ;  la  s  'conda  è  quella  che 
trovasi  dentro  le  rovine  delle  terme  stesse ,  e  la 
terza  all'  occidente  di  queste,  e  si  nomina  1'  acqua 
della  ficoiìcella  per  una  pianta  di  fico  selvatico 
che  vegeta  sullo  scoglio,  dal  quale  scaturisce.  Le 
due  ultime  non  sono  lontane  dalla  città  più  di  Ire 
miglia  ,  e  tutte  sono  poste  al  nord  -  est  della  me- 
desima . 

La  sorgente  dì  sferra  -  cavalli  è  la  più  eleva- 
ta fra  le  tre  ,  ed  essendo  altresì  la  più  lontana  ,  non 
se  ne  fa  alcun'  uso  ;  e  perciò  noi  non  faceftimo 
sopra  di  questa  alcun' osservazione,  tanto  più  cho 
le  sue  qualità  sensibili  sono  affatto  simili  a  quelle 
delle  altre  due  sorgenti  più  vicine  e  più  usitate . 
Il  prof.  Biiriocci,  eh'  ebbe  la  compiacenza  di  ac- 
compagnarci in  questa  spedizione ,  e  di  prender 
parte  a  tutte  le  sperienze  che  l'urono  eseguite,  de- 
terminò l'altezza  delle  due  sorgenti  ,  delle  ter/ne 
cioè  e  della  Jiconcella  .  La  prima  ,  presa  dal  piano 
della  vasca  dentro  cui  si  raccoglie  1'  acqua  ,  si 
trovò   elevala   sul   livello   del    mare   piedi    (>  ?4  »    ^ 


i5:2  SelKrrzE 

—  .    La  seconda  ,  presa  dallo   scoglio   donde    sca- 

JOO 

tiirisce ,  piedi  564  ,  ed  —  .  Il    sig.   prof.    Mauri  , 

della  di  cui  compagnia  godevamo  ancora  in  que- 
sta occasione  ,  li'a  le  piante  più  singolari  vegetan- 
ti in  quei  contorni  osservò  la  Brignolia  pastina* 
caefoUa  di  Bertoloni  ,  X  onobrjchis  caput  -  galli  , 
r  oenanihe  pimpinelloides  -,  la  salvia  lun'uiatìiodes  , 
il  tencrium  iva  ,  e  comunissime  poi  d"  ogn'  in- 
torno riirovò  la  pistacia  levtiscus  ,  e  la  scahio- 
sa  Transilvanica.  La  roccia,  dalla  quale  sgorga 
V  acqua  d<'!la  Jiconcella .,  e  che  si  mostra  a  nudo 
in  gran  pai  le  del  monticello  ,  sul  dorso  del  qua- 
le ritrovasi  questa  soigente  ,  è  una  calcoìia  di  tran-' 
sizione  Lianco-  grigia  ,  della  stessa  specie  di  quella 
che  ,  scendendo  dai  monti  della  Tolla  ,  giunge  fino 
al  mare  ,  e  della  quale  si  tagliano  gli  scogli  che  si 
traspollano  a  difesa  dell'  antemurale  del  porlo  di 
Civitav«>cchia  . 

jNeir  analisi  di  queste  acque  noi  al)biamo  se- 
guito il  iiìetodo  di  Bergman  combinato  a  quello  di 
Murray  ,  Incendo  servire  1'  uno  di  criterio  all'  al- 
tro ;  e  ci  siamo  proposti  per  modelli  le  migliori 
analisi  da  noi  conosciute  delie  acque  minerali  sol- 
lòrose,  cioè  quella  di  Fourcroy  delle  acque  di  En- 
ghien  ,  quella  di  Giobert  delle  acque  di  Vaudier, 
e  quella   Hi    JViojon   delle   acque   di   Vollri . 

La  proprietà  fìsiche  e  chimiche  delle  due  acque 
termali  di  Civitavecchia  sottoposte  all' analisi ,  so- 
no statte  per  brevità  rinchiuse  in  un  quadro  sinot- 
tico ,  non  esigendo  alcuna  dichiarazione  ;  giacché 
le  proprietà  fisiche  non  sono  che  risullali  puten- 
ti di  sperien/e  dirette  ,  e  le  proprietà  ehimithe , 
ossiano    gli  eflelti   dei  reagenti,    sono  semplici  jiro- 


Acque  term.  di  Civitavecchia  i53 

ve  indicanti  il  numero  e  la  natura  dei  principii 
mineralizzatori  ,  die  si  determinano  poi  esattamen- 
te coi  processi  analitici  ,  tanto  per  la  loio  quaii- 
tità ,  che  per  lo  stato  di  combinazione  ,  in  cui 
ai  trovano  disciolti    nelle   acque. 

S'  incominciò  T  analisi  dal  raccogliere  i  flui- 
di elastici  dalle  due  acque  appena  attinte  dalle  lo- 
ro sorgenti  ;  V  una  e  1  altra  furono  rinchiuse  suc- 
sessivamente  in  un  vase  graduato  fino  alla  misu- 
ra di  ventiquattro  pollici  cubici.  Il  rimanente  del- 
la capacità  del  vase  e  del  sifone  annesso  egua- 
gliava esattamente  tre  alìri  pollici  cubici  .  I  flui- 
di elastici,  sviluppati  e  mescolali  con  l'aria  atmo- 
sferica della  parte  vuota  del  vase  e  del  tubo  ,  fu- 
rono raccolti  siil  mercurio,  e  misurati  sotto  la  piés- 
sione  barometrica  di  ventotto  pollici,  e  la  tempe- 
ratura   di   2  0.  del    term.   di    R.    Dalf    acqua    dcììe 

3 
terme  Taurine  si  raccolsero  poli.  cub.  1 1  ?  di  gas, 

e  da  quella  della  Jìconcella  poli.  cub.  12  •  L'aria 
dei  vasi  essendo  eguale  a  tre  poli:  cub:  nell'  una 
e  r  altra  sperienza,  i  fluidi  elastici  sviluppali  dall' 

acqua  delle    terme   uguagliavano    poli,  cub,  ^Ti  e 

9  quelli  dell'  acqua  della  JiC07ìcella  . 

L'  analisi  di  questi  gas  si  eseguì  nel  modo  se- 
guente .  Si  liscerò  prima  attraversare  la  soluzione 
di  nitrato  di  piombo  ,  e  quindi  V  acqua  di  calce 
sino  a  che  nell  una  e  nell'  altra  sperienza  fosse  ces- 
sato rintorbidiimento  .  Si  notò  dopo  ciascuna  ope- 
razione r  assorbimento  del  gas  ,  riportato  alla  stes- 
sa temperatura  e  pressione  del  principio  della  spe- 
rienza .  Il   rimanente  si   espose  all'  azione  del   fosl'o- 

10  neir  eudioiiietro  di    Berthollet  . 

iNel    gas  dell'  acqua    delle    terme    gli    assorbì- 


i54  Sci  e  ly  z  e 

menti  furono   come  segue  .  La  soluzione  di  piombo 

assorbì    un   poco    più   di    ^  dì  poli  :    cub  :    di  gas 

idrogeno  solforato  ;  Y  acqua  di  calce  un  poco  me- 
no di  sette  poli  :  cub  :  di  gas  acido  carbonico  .  Il 
fosforo  assorbì  da   uno  dei    quattro    poli  :  cub  :  re- 

sidui  7oTI  ^^  g^s  ossigeno,   e    siccome  i  tre  poli.  cub. 

di  aria  atmosferica  non  ne  Contenevano  per  ciascbe-p 

duno   che  ^^-^  ,  dunque  l'aria  atmosferica  dell'  acqua 

equivalente  ad  im  poli:  cub:  conteneva    -^   di   gas 

ossigeno  e    ^-^  di  gas  azoto  in  volume  .  L'  aria  dell* 

acqua  della  Ficoncella  conteneva  in  numeri  roton- 
di un  poli:  cub:  di  gas  idrogeno  solforato  ,  uno 
di  aria  atmosferica  colle  indicate  proporzioni  di 
gas  ossigeno  ad  -azoto  ,  e  sette  di  gas  acido  car- 
bonico . 

Volendo  ora  ridurre  le  misure  di  questi  gas 
a  quelle  corrispondenti  ad  una  libbra  medicinah;  di 
acqua  ,  sì  comincierà  dal  riflettere  che  un  poli  : 
cub:  di  acqua  alla  temperatura  di  20.  R.,  ed  alla 
pressione  ordinaria  ,  pesa  4oo  grani  ;  e  che  perciò 
i  24  pollici  cub  :  di  acqua  pesavano  yOoo  grani  . 
Ma  la  libbra  medicinale  pesa  6912  grani  ,  ed  occu- 
pa il  volume  di  poli  :  cub  :  ly  ,  a8  .  Se  dunque  24 
poli:  cub:  di  acqua  eguali  a  grani  9600  sommi- 
nistrarono   alla    sorgente    della    Ficoncdla    9    poli: 

cub:  di  gas  ,  ed  8  -y  in  quella  delle  terme,  una  lib- 
bra della  prima  conterrà  G,  4^3  poli:  cub:  di  gas, 
e  G  ,  29G  una  libbra  della  seconda  ;  e  ripartendo 
questa  quantità    di    gas   secondo  le  proporzioni   in- 


Acque  term.  di  Civitavecchia  i55 

dìcate  dalla  sperienza  ,  l'acqua  della  Ficoncella  si 
troverà  contenere  poli:  cub:  5  ,  o5  di  gas  acido 
carbonico,  o,  72  di  quel  idrogeno  solforato,  e  o,  72  dì 

aria  atmosferica  a  ^^    di  gas  ossigeno  .  L'acqua  poi 

100         ^ 

delle  terme  conterrà  prossimamente  poli  :  cub  :  5 
di  gas  acido;  carbonico,  o  ,  65  di  gas  idrogeno  sol- 
forato ,  e  o  ,  04  di  aria  alla  stessa  proporzione 
di  ossigeno  .  Infine  è  da  osservarsi  ,  che  la  quanti- 
tà di  gas,  contenuta  nelle  due  acque  di  Civitavec- 
chia, supera  di  poco  il  terzo  del  volume  del  li- 
quido . 

Si  procedette  quindi  ad  ottenere  i  prodotti  fis- 
si ,  svaporando  in  vasi  di  vetro  cinquanta  libbre  di 
ciascuna  delle  due  acque  ,  e  si  ebbe  dall'  acqua 
delle  terme  un  residuo  salino-terroso  pesante  899 
grani ,  e  901  dall'  acqua  della  Ficoncella  ;  locchè  in- 
dica il  rapporto  dei  principii  fìssi  al  fluido  acquo- 
so=  1:  383  ,  ossia  la  proporzione  di  dicciotto  ^rani 
di  questi  principii  in  una  libbra  medicinale  di 
acqua  - 

Il  residuo  salino-terroso  delle  due  acque  ave- 
va un  colore  bianco  gvigio  ,  un  sapore  stdso  e  leg- 
germente amaro  ,  ed  era  privo  di  ogni  odore  .  Sic- 
come la  svaporazione  dell'  acqua  era  stata  condot- 
ta a  fuoco  lento  verso  la  fine  ,  ed  il  sedimento  era 
stato  disseccato  al  moderato  calore  di  trenta  gra- 
di Pi.  in  una  stufa  ,  per  determinare  quant'  acqua 
di  cristallizazione  fosse  stata  ritenuta  dai  sali  esi- 
stenti in  questo  sedimento  ,  cento  grani  del  me- 
desimo furono  esposti  ad  un  calore  di  loo*'  di  R.  ,  e 
perderono  circa  trentotto  grani  di  acqua  .  Quella 
che  si  ottenne  dal  deposito  dell'  acqua  delle  terme 
aveva  seco  tratta  una  piccola  porzione  di  acirlo  mu- 
riatico ,  la   quale  ,  come  si  vedrà  dall'  analisi  ,  non 


l56  SciEHZE 

poteva  provenire  che  dal  rauriato  di  magnesia  i,  il 
solo  fra  i  sali  contenuti  nel  sedimento  ,  che  potes- 
se decomporsi    a  quel    grado  di   calore  . 

Si  passò  quindi  all'  esame  del  sedimento  dis- 
seccato ,  come  si  è  detto  ,  semplicetnente  alla  stu- 
fa ,  incominciando  da  quello  dell'  acqua  della  Ficon- 
ccll'a  .  Cento  grani  del  medesimo  si  tennero  ìii  di- 
gestione neir  alcool  di  una  densità  uguale  a  o  ,  8  <o. 
Il  residuo  asciugato  a  3o°  R.  e  pesato ,  si  tro\  ò  ri^* 
dotto  a   grani  novantasei  .  -  Sciolti    gr:  4  • 

I  q6  grani  indisciolti  dall'  alcool  furono  trat- 
tati a  varie  riprese  con  acqua  a  4^°  ^-  i  li '^ che 
questa  non  manifestasse  più  alcun  sapore  .  Il  re- 
siduo, asciugato  e  pesato  come  sopra  ,  si  trovò 
Uguale  a  quarantaquattro  grani.  -  Sciolti  gr  :  Sa  . 

I  44  grani  residui  furono  trattati  con  V  acido 
acetico  concentrato ,  finche  fosse  cessata  ogni  elfer- 
vescenza .  Ciò  che  rimase  dopo  l'asciugamento  non 
pesava  piià  che  grani   otto  .  -  Sciolti  gr:  36  . 

Si  mescolò  a  questo  residuo  il  doppio  di  pol- 
vere di  carbone  puro  ,  e  si  sottopose  ad  un  colpo 
di  fuoco  di  fucina  in  un  crogiuolo  .  Quindi  si  la-» 
vò  con  r  acido  debole,  che  sviluppò  una  sensibi-' 
le  quantità  di  gas  idrogeno  solforato  .  Si  disseccò 
ciò  che  rimaneva  ai  fuoco  ,  e  si  ritrovò  del  peso 
di   tre  grani  * 

Sopra  quest'  ultimo  residuo  si  fece  bollire  per 
qualche   tempo  un'  oncia  di    acido   muriatico  ,  che 

raffreddata  si  trovò    averne   sciolto  -^^  di  grano  ,  he 

sciando  due  granì  e  -  di  sabbia  terruginosa  o  si- 
licato di  ferro  . 

Dopo  queste  sperienze  si  passò  all'  esame  par- 
ticolare di  ciascuna  delle  soluzioni  oltenute .  Ln  so- 


Acque  term.  di  Givita-vecchia  157 

luzlone  aleoolica  fu  svaporata  ,  e  ridisciolto  il  re- 
siduo in  acqua  stillata  .  Questa  soluzione  fu  divisa 
in  tre  vasi  ,  e  trattata  nel  primo  con  V  ossalato  di 
ammoniaca  ,  nel  secondo  col  nitrato  di  argento  , 
e  nel  terzo  con  l'ammoniaca  liquida  perfettamente 
caustica  .  I  primi  due  reagenti  produssero  un  pre- 
cipitato abbondante  ,  e  niun  cangiamento  si  otten- 
ne col  terzo  ,  neppure  coli'  ajuto  del  calore  :  locchè 
prova  cbe  i  quattro  grani  discioltì  dall'  alcool  erano 
fermati  di  solo  muriato  di  calce,  senz'alcuna  trac- 
cia   di   muriato  di  magnesia  . 

La  soluzione  acquosa  fu  parimenti  divisa  e 
trattata  in  vasi  separati  con  i  seguenti  reattivi  ;  i° 
coir  acido  muriatico  ,  e  non  si  ebbe  alcuno  svilup- 
po di  gas  acido  carbonico  ;  2°  coli'  acido  solforico , 
e  si  ebbe  sviluppo  sensibile  di  gas  acido  muria- 
tico ;  3°  col  muriato  di  barite  ,  e  si  ebbe  un  pre- 
cipitato di  solfato  di  barite  ,  che  proporzionato  alla 
quantità  totale  della  soluzione  acquea  corrisponde- 
va a  26  grani  di  solfato  di  barite  bene  asciugato 
e  pesato;  4°  col  nitrato  di  argento  nello  stesso  vase, 
nel  quale  era  stato  precipitato  il  solfato  di  barite  . 
Si  ottenne  un  precipitato  abbondante  di  cloruro  di 
argento  ,  cbe  diminuito  della  quantità  dovuta  al 
muriato  di  barite  precedentemente  affuso  ,  e  quin- 
di proporzionato  alla  quantità  totale  della  soluzio- 
ne acquosa  ,  equivaleva  al  peso  di  28  grani  ;  5** 
col  carbonato  neutro  di  potassa  ,  che  non  pro- 
dusse a  freddo  alcun'  effetto  ,  ma  che  somministrò 
coir  ajuto  del  calore  un  precipitato  di  magnesia,  il 
quale  indicava  grani  2  ,  5  di  questa  terra  in  tutta 
la  soluzione  acquosa  ;  6°  col  nitro-muriato  di  oro 
che  indicò  la  soda  con  la  formazione  del  così  detto 
muriato  triplo  .  Dalle  quali  sperienze  risulta ,  che  la 
soluzione   acquosa    conteneva  due  soli  acidi ,  e  due 


i58  Scienze 

sole  basi  ,  cioè  gli  acidi  solforico  e  muriatico  ,  la 
soda  e  la  magnesia  .  Quest'  ultima  base  doveva  es- 
sere in  totalità  unita  all'  acido  soHorico  ,  perchè 
se  fosse  stata  unita  anche  in  parte  all'  acido  mu- 
riatico ,  avrebbe  formato  il  muriato  magnesìaco  , 
sale  deliquescente  ,  e  che  non  sarebbe  sfuggito  all' 
azione   dell'  alcool    adoperato   prima  dell'  acqua  . 

La  soluzione  acetica  non  conteneva  che  la  cal- 
ce combinata  prima  con  1'  acido  carbonico  ,  che 
si  svolse  durante  1'  azione  dell'  acido  acetico  .  Fu 
precipitata  la  calce  con  1'  ossalalo  di  ammoniaca  ; 
ed  esposto  il  precipitato  ottenuto  in  un  crogiuolo 
di  platino  ad  un  fuoco  sostenuto,  se  n'  ebbero  20 
grani  di  calce  caustica  ,  che  aggiunti  all'  acido  car- 
bonico ,  necessario  per  la  loro  saturazione  ,  rappre- 
sentano 36  grani  di  carbonato  di  calce  ,  quanti  ap- 
punto   ne    vennero  disciolti   dall'  acido   acetico  . 

Si    è  detto  di   sopra  ,   che    l'ultimo  residuo   di 
otto   grani  fu  esposto  prima   al  fuoco   con  il    dop- 
pio   del   suo  peso  di  carbone  puro  ,   e   quindi    trat- 
tato  coir  acido  nitrico    debole  ,   che  ne    svolse  del 
gas  idrogeno  solforato,   e    che   lasciò   soli  tre  grani 
di  residuo  .  Questa  soluzione  nitrica  neutralizzata  pri- 
ma con  r  ammoniaca  e   quindi  trattata  con  1'  ossa- 
lato  di    ammoniaca,  somministrò   una    quantità    di 
calce  uguale   a   gl'ani   2   ed   una   frazione  ,  che  unito 
all'  acido  solforico,  dimostrato  dall'  azione  del  car- 
bone   e    dallo    sviluppo    del    gas   idrogeno    solfora- 
to, somministrano  appunto    cinque    grani   di  solfato 
di    caJce ,   che   separati   dal   residuo    per  mezzo   del 
trattamento  descritto  ,  lo  ridussero  a  soli  3  grani  . 
Questa   stessa   soluzione  nitrica   dopo  la  preci- 
pitazione  della   calce,   con   1'  aggiunta  di    una  solu- 
zione di  carbonato  neutro  di  potassa,  e  col  successi- 
vo riscaldamento,  indicò  qualche  traccia  di  magne- 


AcQCE  TERM.  ni  Civitavecchia  iSq 

sia.  Per  rendersi  ragione  dì  questo  fenomeno,  con- 
viene supporre  che  verso  il  fine  della  eviiporazio- 
ne,  fatta  per  raccogliere  i  principii  fissi  ,  quando 
il  calore  si  avvicina  a  quello  della  ebollizione  dell 
acqua,  ed  il  fondo  del  vase  esposto  al  Inoco,  e 
ricoperto  da  un  strato  considerabile  di  deposito , 
concepisce  un  alto  grado  di  riscaldamento,  si  de- 
componesse la  piccola  quantità  di  muriato  di  ma- 
gnesia contenuta  nell'acqua  della  Ficoncella,  come 
si  ritrovò  in  quella  delle  terme  Taurine:  giacché 
si  sa,  che  questo  sale  abbandona  a  secco  il  suo  aci- 
do ad  un  calore  anche  inferiore  a  quello  dell  acqua 
"bollente,  e  lascia   la    magnesia  insolubile. 

Finalmente  ciò  che    Y  acido  muriatico  potè  cli- 
sciogliere  dell' ultimo  residuo  di   grani  tre,   e    che, 

come  si   è  detto,  non   eccedette    -  di  grano  ,  era  un 

poco  di  ferro  precipitabile    in   bleu  per   mezzo    del 
prussiato    o   idrocianato  di  potassa  ferruginoso,    ed 

6 
i  due  ^rani  e  ^  quella  combinazione  di  silice  e  fer- 
ro, che  alcuni  credono  una  lega  di  silicio  e  di 
ferro,  e  che  altri  riguardano  come  una  combina- 
zione salina,  nella  quale  la  silice  fa  funzione  di  aci- 
do :  e  questa  è  la  più  comune  opinione,  che  ha 
fatto  dare  al  composto  il  nome  di  silicato  di  fer- 
ro. I  chimici  moderni  i  pii^i  esatti,  fra  i  quali  ba- 
sterà nominare  Davy  e  Èerzelius ,  hanno  osservato 
che  le  acque  minerali  saline  contengono  quasi  sem- 
pre  questa  combinazione   di    silice  e  ferro. 

A  rendere  completa  V  analisi  del  sedimento  dell" 
acqua  della  Ficoncella  altro  ora  non  manca ,  che  de- 
terminare il  modo  di  combinazione  che  affettavano 
i  principii  rinvenuti  nella  soluzione  acquosa  del  me- 
desimo ,  e  che  sono  i  due  acidi  muriatico  e  solfo- 


'  *'>o  '  S  e  1  E  ^t  T 

rico,  e    le   due  basi    soda   e  ni?jgnesla  .  Fu    già  av- 
vertito  di   sopra  ,  che  la    magnesia   in    questa  solu- 
zione  non  poteva  trovarsi  riunita  coli'  acido  muria- 
tico, perchè   questa  combinazione  essendo  delique- 
scente  ,   se  ave?»'   esistilo    sarebbe    stata    disciolta 
nell'  alcool,   la  di  cui  azione  si  fa  precedere  a  quella 
cìeir  acqua   nel    metodo  di   Bergrnan  da  noi  adotta- 
to.   Ciò  posto,  tutto    r  acido  muriatico    o    idroclo- 
rico  indicato   dal   cloruro  di   argento,    si  deve  sup- 
porre   combinato  con  la  soda.   Ora  ,  secondo  le  ta- 
vole di  Thorasom,38  di  cloruro  di  argento  conten- 
gono   tanto    di   cloro  da   equivalere    a    7    di   acido 
idro-clorico,  o  muriatico,  e  queste  equivalgono  a  16 
di   muriato   di    soda  con  la  sua  acqua  di  cristalliz- 
zazione. Per  determinare  dipoi  le  combinazioni  dell' 
acido   solforico  con    la  magnesia  e   con   la  soda ,  bi- 
sognava conoscere  prima  la  quantità  assoluta  di  aci- 
do solforico,    e   quella  di   una  delle  due  basi   satu- 
rate  da  questo  acido  nella  soluzione  di  cui  parlia- 
mo :    ciò    che    appunto  fu  fatto,  come   si   è  di    so- 
pra esposto  ,  precipitando  tutto  l'acido  solforico  con 
il  muriato    di  barite  ,  e  la  magnesia   con    il  bicar- 
bonato  di  potassa  a   caldo  .  Il   precipitato  ottenuto 
col  muriato    di  barite  pesava  26  grani  ,  locchè  de- 
nota  8  ,   ^5   grani  di  acido  solforico .  Quello  otte- 
nuto col  bicarbonato  di  potassa  ugualiava  grani  2  , 
.5o  ,   Ora  2  ,  5o  di  magnesia  saturano  4  ■»  ^5  di  aci- 
do solforico  reale  ,  cui  aggiungendo  8,  2  5  di  acqua  , 
che    ritiene  il  solfato  di    magnesia    non    anidro  ,   si 
avranno    i5  grani   o  parti  di  solfato    di    magnesia  . 
Rimangono  4 1   ^^    f^i    acido    solforico  ,   capaci    di 
saturare    circa    3,  5o    di    soda  ,    ed    otto    parti    di 
solfato    di    soda    anidro    potendo    prendere    undici 
parti    di  acqua    di  cristallizzazione  ,    si  avranno   19 
parti   di  solfato  di  soda  .   Ora  i6-f«  i5  +  i9  =  5o 


Acque  tirm.  di  Civitavecchia  iGi 

non  corrispondono  esattamente  ai  52  grani  dì  so- 
stanze saline  disciolte  dall'  acqua  ,  locchò  potreb- 
be far  credere  che  quaich  errore  fosse  incorso 
nel  processo  di   analisi.  Ma  se  si  considera,    i.°  che 

il  sedimento  dell'  acqua  della  Ficon cella   conteneva 

Zìi 

^g'^di  acqua,  come  si  è  provato  di  sopra  con  espe- 
rienza diretta,  e  che  valutando  le  quantità  dei  tre 
sali  contenuti  nella  soluzione,  come  affatto  privi 
<ii  acqua,  la  loro  somma  sarebbe  i5,  6,  y5  ed  8  --39, 
^5,  alla  quale  aggiungendo  la  proporzione  di  acqua 
competente  secondo  la  sperienza  diretta  =  19,  y5, 
si  ha  prossimamente  lo  stesso  risultato  di  5o  gra- 
ni di  sostanze  saline  sciolte  dall'  acqua  ;  e  3.°  che 
per  le  numercse  filtrazioni  occorrenti  in  questo  ge- 
nere di  sperienze,  si  perde  e  rimane  aderente  ai 
filtri  qualche  porzione  di  sostanze  saline  anche  di- 
sciolte nell'acqua;  se,  ripeto,  si  considerano  que- 
ste due  circostanze,  si   potrà  rendere  facilmente  ra* 

gione  del  deficit  di     ~— 

*"  100 . 

Riassumendo  dunque,  i  cento  grani  del  deposi- 
to dell'acqua  della  Ficoncella  svaporata  sono  for- 
mati come  siegue,  ossia  contengono  le  sostanze,  se» 
guenti. 

Sioluzione  alcoolica  -^  Muriato  dì  calce  grani  4 

)  Muriato  di  soda  grani  16 

Soluzione  acquosa     )   Solfato  di  soda  gr.  19 

)  Solfato  di  magnesia  i5 

Soluzione  acetica  — <  Carbonato  di  calce  gr.  3G 

liesiduo  insolubile    )  Solfato  di    calce  gr:  5 

)  Silicato  di    ferro    gì:  3 

Somma  -  gr:  — >  98 

Perdita  2 

»»  « 

G.A.T.IX.                            n.  100 


iGa  Scienze 

E  siccome  i  cento  grnni  del  deposito  dell' 
acqua  della  Ficoncella  non  sono  che  la  nona  par- 
te «li  quello  ottenuto  per  lo  svaporamento  di  cin- 
quanta libbre  di  acqua  ,  così  per  avere  T  espres- 
sione della  quantità  di  ciascuno  dei  principii  rin- 
venuti neir  intiero  sedimento  ,  basterà  moltiplica- 
re per  9  ciascuno  dei  medesimi  principii  ,  ed  al- 
lora i  <;oo  grani  del  sedimento  si  troveranno  com- 
posti   di 

,   Muriato  di  calce  —  36 

di  soda  —  i44 

Solfato  di  soda  —  i^i 

Solfato  di  magnesia  —  i35 

Solfato  di  calce  —  4^ 

Carbonato  di  calce  > —  824 

Silicato  di  ferro  —  27 

Perdita  —  18 


Totale  —       900 

E  finalmente  dividendo  per  5o  ciascuno  di 
questi  prodotti  si  avrà  la  loro  quantità  propor- 
zionale ad  una  libbra  di  acqua,  come  può  veder- 
si   nella    Tav.  I. 

L'  analisi  del  sedimento  delle  acque  delle  ter- 
me Taurine  fu  eseguita  sul  medesimo  piano  ,  e 
con  le  stesse  cautele,  e  dette  i  seguenti  prodot- 
ti  sopra  cento   grani . 

Muriato  di  calce  —  3     Ì 

di  magnesia  —  0*2 

di  soda  •—  19 

Solfato  di  soda  — .  21 


Acque  term.  di  Civitavecchia            iG3 

di  magnesia  —  i4 

di  calce  —  07 

Silicato  di   ferro  — -  o3 

CaibonaLo  di  calce  —  3o 


Totale  98 

Perdita  02 

E  trasportando  questa  valutazione  sopra  i  900 
grani  (  trascurando  la  piccola  frazione  in  diletto  )  di 
sedimento  ottenuto  da  libbre  5o  di  acqua  ,  si  avran- 
no  i    stessi   prodotti  nelle  seguenti  proporzioni. 

Muriato  di  calce  —        3 1      7 

di  magnesia 

di  soda 
Solfato     di  soda 

di  magnesia 

di   calce 
Carbonato  di  calce 
Silicato    di   ferro 
Perdita 

Totale  -— •     900 

E  dividendo  similmente  questi  prodotti  per 
5o  ,  si  avranno  quelli  cbe  corrispondono  ad  una 
libbra  di  acqua,  come  può  vedersi  nella  Tav.  I. 

JNon  essendo  infrequente  il  caso  di  ritrovare 
nelle  acque  sollbrose  fra  i  principii  mineralizza- 
tori  ancbe  qualche  idrosolfuro,  o  ,  come  ora  dice- 
si idrosolfato  ,  specialmente  di  calce,  né  mancan- 
do questa  base  e  T  idrogeno  solforato  ,  o  acido 
idro  -  solforico  nelle  acque  termali  di  Civitavecchia, 
noi  volemmo  assicui'arci   con   la  sperienza  se  esi- 


04    1 

171 

189 

126 

63 

270 

^7 
18 

iG4  Scienze 

stesse  d  mancasse  questo  composto  nelle  medesi- 
me ,  ed  a  tale  oggetto  fu  istituito  il  seguente  pro- 
cesso  analitico. 

Sì  fece  bollire  in  vasi  separati  una  quantità 
eguale  di  acqua  della  Ficoncella  e  delle  terme  Tau- 
rine ,  tino  a  che  Tuna  e  Y  altra  fossero  ridotte  al 
quarto  del  loro  peso  .  Quindi  si  lasciarono  raffred- 
dare ,  e  sì  separarono  dai  depositi  di  carbonato  e 
solfato  di  calce ,  che  avevano  formato  ,  e  si  fe- 
cero sopra  ciacuna  di  esse  le  sperienze  seguenti 
in  separati  vasi  di  vetro  .  i°.  Si  affuserò  le  tinture 
di  viole,  di  alcea,  e  di  curcuma,  e  non  si  os- 
servò in  esse  alcun  cangiamento  di  colore  .  Se 
qualche  idrosoliato  si  fosse  trovat*  in  alcuna  o 
in  ambedue  le  acque  ,  le  tinture  di  viola  e  di 
alcea  si  sarebbero  colorate  in  verde  ,  ed  in  rosso 
quella  di  curcuma  .  2".  L'  acido  solforico  concen- 
trato produsse  uno  sviluppo  sensibile  di  gas  aci- 
do idro  -  dorico ,  e  non  isvolse  alcuna  bolla  di  gas 
idrogeno-solforato ,  locchò  sarebbe  necessariamente 
accaduto  ,  se  vi  si  fosse  trovata  qualsivoglia  quan- 
tità apprezzabile  d' idro  -  solfato  .  3''.  Il  nitrato  di 
argento  e  l' acetato  di  piombo  produssero  abbon- 
danti precipitati  bianchì  ,  che  tenuti  al  coperto  del- 
la luce ,  dopo  a4  ore  non  avevano  presa  alcuna 
tinta  fosca  o  nera:  locchè  rende  affatto  complete  1« 
prove  esclusive  della  esistenza  degT  idrosolfati  nel- 
le acque  termali  della  Ficoncella  ,  e  delle  terme 
Taurine. 

Sopra  le  due  acque  ridotte  al  quarto  del  loro 
volume  per  la  svaporazione  si  fecero  anche  alcune 
prove  per  verificare  i  risultati  ottenuti  nelf  analisi 
dei  loro  sedimenti.  1°.  Si  mescolarono  le  due  acque 
termali  con  le  soluzioni  di  ammoniaca  e  di  cal- 
ce ,  che  produssero  ambedue    un  precipitato  sola- 


Acque  term.  di  Civitavecchia  i03 

bile  neir  acido  solforico ,  locchè  somministra  una 
Controprofva  sicura  della  esistenza  dei  sali  magnesìaci, 
a**.  Il  muriate  di  barite  ed  il  nitrato  di  argento  conti- 
nuarono a  dimostrar  sempre  gli  acidi  solforico  e  mu- 
riatico. 3*.  L'ossalato  di  ammoniaca  non  mancò  di  se^ 
gnare  in  una  maniera  assai  sensibile  la  calce,  la  quale 
non  potendo  essere  più  quella  del  carbonato  di 
calce  che  si  era  pi-ecipitato  intieramente  ,  ed  es- 
sendo molto  più  abbondante  di  quella  che  avreb- 
be potuto  competere  a  qualche  atomo  di  solfato 
di  calce,  che  fosse  ancora  rimasto  disciolto  in  quel 
resto  di  acqua  ,  forza  è  credere  che  appartenesse 
al  muriate  di  calce,  la  di  cui  coesistenza  (in  pic- 
cola quantità,  come  nelle  acque  termali  di  Civita- 
vecchia )  con  i  solfati  solubili  è  perciò  diretta- 
mente provata  contro  r  opinione  di  Bergaman  e  di 
Fourcroy  ,  rivocata  in  dubbio  da  Bertholìet  per  il 
primo  nelle  sue  memorie  sopra  V  influenza  delle 
masse  nelle  azioni  chimiche. 

A  compimento  del  nostro  lavoro  sopra  le 
acque  di  Civitavecchia,  noi  sottoponemmo  all'  ana- 
lisi anche  il  deposito  spontaneo  delle  acque  del- 
la Ficoncella  lungo  il  canale  che  le  raccoglie.  I 
depositi  furono  presi,  i  ^  vicino  alla  sorgente  prin- 
cipale ,  2  °  air  altra  sorgente  lontana  dalla  prima 
circa  23o  canne  Romane;  e  3*.  quelli  raccolti 
più  al  disotto  alla  distanza  di  altre  5o  canne.  Tut- 
ti questi  depositi  si  trovarono  per  la  massima  parte 
composti  di  carbonato  di  calce,  unito  a  piccole 
quantità  dì  solfato  di  calce  e  silicato  di  ferro .  Le 
quantità  di  queste  ultime  sostanze,  benché  sempre 
tenuissime,  andavano  tuttavia  crescendo  dalla  sorgen- 
te principale  alla  maggior  distanza  a  cui  questi 
depositi  yeuuero  presi  ^   iu    guisa  che   nei   primi 


lG6  S   e    I    KOf    Z    B 

si  rinvennero  —^   solamente  fra  solfalo  di  calce  più 

4 
abbondante ,  e  silicato  di  ferro  più  scarso,    —    nei 

secondi,  e  —  neijli  ultimi  ;  loccliè  si  accorda  bcnis- 

lOO  " 

simo  con  le  leggi  della  solubilità  del  solfato  di  calce, 
eh'  essendo  sempre  esilissima,  cresce  tutta\ia  con  la 
temperatura,  e  scema  con  es.sa. 

Uno  dei  problemi  clic  ci  venne  proposto  a  ri- 
solvere neir  adempimento  della  nostra  commissione 
sopra  le  acque  termali  di  Ci\  itaveccliia,  fu  di  esa- 
minare, se  una  di  esse,  o  ambeduf^,  salve  le  loro 
proprietà  medicinali ,  si  fossero  potute  condurre  a 
canale  aperto  o  chiuso  dentro  la  Città,  ove  i  balneanti 
avrebbero  trovato  comodi  alloggi,  e  tutte  le  altre 
cose  necessarie   alla   vita. 

L'  accpia  della  Ficoncclla  essendo  la  più  cal- 
da, e  scorrendo  dalla  sua  prima  scaturigine  in  un 
canale  aperto,  ma  profondo  angusto  e  bene  incassa- 
to per  un  lungo  tratfo,  et  sembrò  la  più  opportuna 
per  fare  le  osservazioni  necessarie  sopra  il  progressi- 
vo raffreddamento  dell'acqua  in  un  canale  aperto, 
e  sopra  gli  elfetti  di  questo  raffreddamento  nella 
composizione  chimica  di  queste  acque  termali,  cioè 
rapporto   ai   principii  in   esse    contenuti. 

E  primieramente  fu  osservato,  che  a  pochi  piedi 
lontano  dalla  sorgente,  nel  principio  stesso  del  ca- 
nale, dove  l'acqua  si  è  appena  raffreddala  dì  un 
grado,  si  forma  alla  superticie  della  medesimaAina 
pellicola  di  carbonato  calcare  abbastanza  solida  per 
sostenere  qualche  lucertola  che  noi  vedemmo  attra- 
versare il  cauale  senza  romperla,  e  molti  licheni 
di  varii  colori  gialli  e  verdi,  che  simulavano  de- 
positi ocracei  e  vitiiuolici,  ma  che  all'esame  non 
esibivano  alcuna  particola  di  ferro.  Questa  pellicola, 


Acque  tkrm.  di  Civitavecchia  167 

giunta  ad  una  certa  spessezza,  o  cade  per  il  suo 
proprio  peso,  o  vien  rotta  e  fatta  cadere  dallo  svi- 
luppo dei  gas  che  Irovansi  nell'acqua,  e  si  for- 
mano così  quei  depositi  al  fondo,  che  stratiJi- 
cati  in  forma  dì  spato  lo  rialzano  tanto  piiì  rapi- 
damente, quanto  più  T  acqua  si  allontana  dalla  sor- 
gente, e  si  railicdda.  Quindi  la  necessità  di  ripu- 
lire il  canale  di  tempo  in  tempo  ,  perchè  V  acqua 
scorra  liberamente  lino  ad  un  mulino,  eh'  essa  mette 
in  movimento,  riunita  a  quella  che  proviene  dulie 
terme    Taurine  e   da  altre  sorgenti  vicine  . 

Sembra  dunque  non  potersi  avere  alcun  dub- 
bio sopra  l'impossibilità  di  condurre  quest'acqua 
fino  a  Civitavecchia  in  canale  aperto,  senza  che  venga 
affatto  snaturata  nei  suoi  principii,  perdendo  i  suoi 
gas  acido  carbonico  ed  idrogeno  solforato,  e  depo- 
nendo il  suo  carbonato  calcare.  Ma  non  sarebbe  que- 
sto il  solo  disordine,  cui  si  andrebbe  incontro,  vo- 
lendo condurre  l'acqua  della  Ficoncella  fino  a  Civi- 
tavecchia, che  n'è  lontana  circa  tre  miglia.  Altro 
gravissimo  sconcerto  s'  incontrerebbe  per  la  perdita 
totale  di  quella  quantità  di  calorico,  che  rende  que- 
st'acqua così  eminentemente  termale.  A  tal'uopo  si  fe- 
.cero  osservazioni  termometriche  di  45  in  ^j  canne 
romane  lungo  il  canale  della  Ficoncella,  e  queste  os- 
servazioni trovansi  raccolte  nell'annessa  tavola  2.  re- 
datta con  somma  diligenza  dal  nostro  collega  sig. 
Scaccia.  Si  rileva  dalla  medesima,  che  alla  distanza  di 
sole    canne   romane     ij./^S  ,    ossia    di    un    miglio    e 

^dalla  sorgente,  l'acqua  si  era  ridotta  alla  tempe- 
ratura di  gradi  19,  cioè  di  un  grado  più  fredda  dell' 
atmosfera  all'  ombra. 

E  bensì  verisimile  che  questi  abbassamenti  di 
temperatura  e  questi  depositi  calcarci  sarebbero  mi- 


iGS  S  e  r  E  ^'  z  E 

nori  in  pari  tempo,  conducendo  l'acqua  per  un  canale 
chiuso;  ma  la  necessità  di  lasciare  per  intervalli  qual- 
che comunicazione  coli  aria  per  l'uscita  di  quella  del 
canale  spinta  dall'acqua ,  rarefatta  dal  calorico  svi- 
luppato dalla  medesima, ed  aumentata  nella  sua  massa 
dallo  svolgimento  dei  gas  dell'acqua  stessa:  tutte  que- 
ste circostanze  potrebbero  ritardare,  ma  non  annullare 
gli  effetti  osservati  nel  canale  aperto^  e  si  può  sup- 
porre con  fondamento,  che  se  in  un  canale  aperto 
r  acqua  si  raffredda  dalla  temperatura  di  44-"  ^  quel- 

la  di    19.°    per  il  corso  di    un    miglio   e  'J  non  si 

raffreddarebbe  meno  in  un  canale  chiuso  della  lun- 
ghezza di  tre  miglia,  e  si  troverebbe  alla  fine  del 
suo  corso  eh'  essa  avrebbe  perduto  verisimilmente 
tutto  il  calorico,  e  tutt'i  suoi  principii  elastici,  de- 
ponendo altresì  in  questo  tempo  il  carbonato  ed  il 
solfato  di  calce,  che  ostruirebbero  il  canale  chiu- 
so nella  stessa  guisa  che  ostruiscono  il  canale  aper- 
to; ed  allora  la  necessità  di  ripulirlo  portando  se- 
co quella  di  romperlo  o  di  aprirlo,  renderebbe  per 
questo  solo  riflesso  incompatibile  con  ogni  econo- 
mia un  tal  sistema  di  condurre  le  acque  a  Civi- 
tavecchia. 

Finalmente  non  è  da  trascurarsi  la  considera- 
zione ,  che  le  acque  termali  per  calde  eh'  esse  siano 
al  pari  della  nostra,  non  si  amministrano  in  bagni 
in  tutta  Italia  e  fuori,  che  alla  sorgente  stessa,  do- 
ve con  opportuni  mezzi  si  modera  il  calore  dell'  ac- 
qua senza  perdere  in  tutto  i  suoi  principii  elastici  e 
qualcuno  dei  fissi. 

Non  rimangono  dunque  che  due  soli  partiti  a 
prendere  per  mettere  il  pubblico  in  istato  di  far  uso 
più  comodamente  delle  acque  termali  di  Givitavec- 
thia.   L'uno  è  quello  che  attualmente  si  pratica,  dì 


Acque  term.  di  CiviTAyEccHiA  iQcf 

trasportare  cioè  in  barili  o  in  botti  V  acqua  cbe  at- 
tinta alla  sorgente  della  Ficoncella  giunge  così  chiu- 
sa in  Civitaveccliia  ancor  calda  di  Ò5.°  R.;  e  T altro 
di  formare  uno  stabilimento  allo  Ficoncella  stessa,  o 
alle  lernie  Taurine,  profittando  degli  avanzi  delle 
medesime.  In  verità  tlurante  la  stagione  estiva  l'at- 
mosfera di  questi  due  luoghi  non  va  esente  da  ogni 
sospetto  d'insalubrità  ;  ma  le  fabbriche,  le  piantagio- 
ni di  alberi  verso  il  mezzogiorno,  ed  altri  mezzi 
d'  igiene  potrebbero  togliere  in  tutto  o  in  parte  que- 
sto grave  disordine.  Conviene  però  confessare  che  le 
spese  occorrenti  per  una  intrapresa  di  questa  natu- 
ra, non  potrebbero  essere  che  grandi  nella  prima 
erezione  dello  stabilimento,  e  questo  riflesso  obbliga 
almeno  per  il  momento  a  dare  la  preferenza  al  tra- 
sporto ,  come  ora  si  eseguisce ,  delle  acque  ia 
città. 

Ma  i  poveri  che  non  sono  in  istato  di  sop- 
portare le  spese  del  trasporto  ,  meriterebbero  che 
si  disponessero  negli  avanzi  delle  terme  Taurine  tre 
o  quattro  piccole  camere  con  le  necessarie  vasche, 
nelle  quali  potessero  bagnarsi  con  comodo  e  de- 
cenza .  E  per  quest'  oggetto  poi  ,  e  per  V  altro  del 
trasporto  delle  acque  ,  si  dovrebbe  condurre  a  ter- 
mine la  comoda  strada  già  incominciata  ,  e  clie  do- 
vrebbe menare  tanto  alle  terme  Taurine  ,  che  al 
colle  della  Ficoncella  ,  e  fiancheggiarla  di  alberi  per 
garantire  dai  colpi  di  sole  gì'  infermi  che  voles- 
sero colà    condursi   a    prender    bagni  . 

Infine  alla  sorgente  della  Ficoncella,  dove  si  va 
ad  attingere  1'  acqua  che  si  trasporta  in  Civitavec- 
chia, dovrebbe  puranche  costruirsi  un  locale  coper- 
to con  le  opportune  comodità  per  il  facile  riem- 
pimento dei  barili  e  delle  botti  ,  locchó  si  fa  ora 
con    difficoltà    Qtl    allo    scoperto  •    Ma  di   tutte    le 


ino  Scienze 

previdenze  dì  questo  genere  ha  già  dato  il  suo 
narere  a  parte  il  nostro  collega  sig.  Scaccia  ,  e 
confidiamo  che  il  Governo  abbraccerà  il  partilo  dal 
medesimo  proposto ,  e  manderà  ad  effetto  le  mi- 
sure reclamate  non  solo  dalla  popolazione  di  Ci- 
vitavecchia ,  ma  dagl'  infermi  di  tutti  i  paesi  ,  a 
quali  potesse  giungere  la  fama  di  queste  acque 
e  nascere  la  speranza  di  trovarvi  rimetlio  ai  loro 
mali  . 

E  qui  duolci  di  nuovo  di  non  potere  addur- 
re una  serie  abbastanza  numerosa  di  latti  bene  os- 
servati ed  autentici  ,  onde  stabilire  sopra  le  basi 
della  sperienza  le  virtù  medicinali  delle  acque  di 
Civitavecchia  ,  e  somministrare  così  a  coloro  che 
Terrebbero  larne  uso  una  "uìda  che  clixiene  sicura 
quando  è  rischiarata  dall'  analisi  chimica.  Contut- 
tociò  noi  non  vogliamo  lasciare  aifatto  mancante 
questa  parte  del  nostro  lavoro  ,  e  in  difetto  di  più 
recenti  osservazioni  ,  noi  formeremo  la  nostra  opi- 
nione sopra  le  antiche  ,  specialmente  quando  o$se 
sono  conformi  alle  analogie  dedotte  dall'  analisi 
chimica  . 

Le  acque  di  Civitavecchia  pertanto  sono  ter- 
];nali ,  e  del  genere  salino  solforose,  locchè  fa  pre- 
sumere di  già  che  le  medesime,  potranno  essere  utili 
in  tutt'  i  casi  ,  nei  quali  si  adoperano  con  frutto 
le  acque  congeneri  di  altri  paesi ,  come  quelle  d 
Ischia  in  Aapoli,  le  acque  Caje  di  Viterbo,  quelle 
di  Abano  a  Padova  ,  di  Valdieri  in  Piemonte  ,  di 
Veltri  nel  Gcnovesato  ,  e  tante  altre  celebrate  in  Ita- 
lia e  fuori  .  Dilfatti  nelle  vecchie  piaghe  ,  negli  erpe- 
ti e  reumatismi  cronici,  nei  teli  podagrici,  nelle  ostru- 
iiioni  di  fegato  e  di  milza  ,  negf  infarcimenti  delle 
glandole  prodotti  da  umori  freddi  e  scevri  di  sin- 
.tomi  flogistici  ,  nelle  rigidità    degli   articoli  prodot- 


Acque  term.  di  Civitavecchia  ini 

te  da  contusioni  antiche  ,  ed  accompagnate  da  gon- 
fiezze ossee  ,  sarcomatose ,  ed  anche  edematose  ,  le 
acque  termali  di  Civitavecchia  hanno  esibite  feli- 
cissime guarigioni ,  come  viene  indicato  dal  cita- 
to passo  di  Pihodio.  come  risuha  «ia  molte  osser- 
vazioni riportate  nel  libro  dj  Tonaca  ,  e  come  ab- 
biamo noi  stessi  veduto  in  moìte  circostanze .  Ed 
a  produrre  questi  eifetti,  le  acque  termali  di  Civi- 
tavecchia, non  altrimenti  che  la  maggior  parte  delle 
acque  congeneri  d  Italia,  furono  amministrate  in  ba- 
gni ,  cioè  esternamente  .  Ma  si  possono  adoperare 
queste  acque  internamente,  ed  in  quali  casi  ?  A 
questa  domanda  risponde  affermativamente  ma  trop- 
po timidamente  il  Torraca  (  part:  2,  art:  VI  )  per 
potervisi  affidare  con  sicurezza  ,  ed  il  defunto  mio 
amico  D.  Nucci  mi  aveva  annunziato  di  avere  am- 
ministrata internamente  Y  acqua  della  Ficoncella  a 
pijj  di  un'  infermo  ,  alcune  volte  con  vantaggio 
reale  ,  come  in  casi  di  affezioni  arenulari  e  di  ca- 
tarro  di   vescica  ,   e   sempre   senza  danno  . 

JViuno  diffatti  dei  principii  fissi  o  volatili  con- 
tenuti nelle  acque  di  Civitavecchia  può  ispi- 
rare alcuna  diffldenza  sopra  T  uso  interno  delle  me- 
desime ,  meno  il  solfato  di  calce  .  Ma  la  sua  quan- 
tità è  tanto  esile  ,  e  si  trova  unito  con  tanti  al- 
tri sali  solubili  ,  ed  in  quantità  tanta  maggiore  , 
che  non  è  in  v^run  conto  da  temersi  la  sua  jjre- 
senza  .  Il  carbonaio  di  calce,  reso  solubile  dal  gas 
acido  carbonico  ,  rende  le  nostre  acque  in  qualche 
modo  simili  alle  così  dette  acque  mefitiche  alca' 
line  ,  r  utilità  delle  ouali  nella  litiasi  ,  e  nei  ca- 
tarri di  vescica  è  già  da  lungo  tempo  riconosciu- 
ta .  Infine  tutti  gli  altri  sali  perfettamente  solubili 
rendono  le  acque  di  cui  parliamo  analoglie  alle 
acque  saline  ,  che  sono    cotanto  utili  negf  infarci- 


1^3  Scienze 

menti  mucosi  ,  pltuitosi ,  nell'  inerzia  della  bile  , 
nelle  ostruzioni  dei  visceri  addominali ,  e  nelle  ca- 
cliessie  in  genere  .  Dalle  quali  considerazioni  si  ri- 
leva, che  r  uso  interno  delle  acque  di  Civitavecchia 
amministrato  con  ponderatezza  e  con  misura  può 
riuscire  innocuo  ,  anzi  utile  in  tutt'  i  casi  conve- 
nienti ,  e  potrebbe  giustificare  pienamente  il  nome 
di  f^escicarie  che ,  come  abbiam  veduto  ,  si  sup- 
pone  dato    dagli    antichi   alle  medesime  . 

Infine  Civitavecchia  per  la  sua  posizione  ma- 
rittima offre  a  quelli  che  vi  accorrono  per  profit- 
tare delle  sue  acque  termali  anche  il  comodo  di 
usare  i  bagni  di  mare  ,  utilissimi  e  non  di  rado 
necessarii  per  completare  le  cure  eseguite  con  ogni 
genere  di  acque  minerali ,  e  qualche  volta  per  cor- 
reggerne gli  effetti  sfavorevoli  .  Vero  è  che  niuno 
stabilimento  è  colà  preparato  per  T  amministrazio- 
ne dei  bagni  di  mare  ;  ma  è  da  sperarsi  che  qual- 
cuno di  quei  zelanti  cittadini  ,  o  la  città  stessa  , 
prenda  a  cuore  u>n'  intrapresa  che  sarebbe  di  un 
utilità  assai  più  generale  di  quella  dei  bagni  ter- 
mali ,  tanlopiù  che  sopra  la  lunga  costa  dei  stati 
pontificii  sul  Mediterraneo  niun  altro  punto  più  fa- 
vorevole potrebbe  rinvenirsi  ad  un  pari  stabilimen- 
to, e  gli  abitanti  della  capitale,  e  quelli  delle  pro- 
vincia cis-appennine  accorrerebbero  in  folla  a  pro- 
fittare di  un  rimedio  utile  egualmente  ai  sani  ,  ai 
valetudinarij,  ed  agF  infermi,  e  eh'  è  divenuto  di 
un'  uso  universale  e  veramente  europeo. 


73 


Fatti  per  sennre  alla  storia  delf  oro ,  Memoria 
del  sig.  Pelletier,  letta  ali  accademia  delle  scien* 
ze   di  Parigi,  (a) 

ESTRATTO 

llnantunque  molti  chimici  non  solo  antichi,  ma 
anche  moderni,  fra  i  quali  i  celebri  Proust,  Vau- 
quelin  ,  Oberkampft,  e  Ber/elius  ,  si  sieno  occu- 
pali a  studiare  le  proprietà  dell'  oro  e  delle  su» 
combinazioni  ,  ed  abbiano  arricchito  la  scienza  di 
fatti  importantissimi ,  pur  nonostante  esistevano 
tuttora  delle  lacune ,  che  rendevano  incompleta 
la  storia  di  questo  metallo.  S' ingnoravano  infatti 
le  proprietà  dei  sali  d'  oro  ,  o  piuttosto  si  erano 
descritti  dei  sali  ,  che  non  potevano  esistere ,  e 
si  erano  presi  per  sali  tripli  sostanze,  le  quali  non 
erano  che  semplici  miscugli  .  Si  era  rilevato  da 
molti  chimici  la  difficoltà  di  precipitare  1  oro  dal- 
la sua  soluzione  nelf  acqua  regia  per  mezzo  del- 
le basi  salificabili  :  si  era  veduto  che  un'  eccesso 
d'  acido  nella  soluzione  di  questo  metallo  si  op- 
poneva alla  precipitazione  dell'  ossido  d'  oro  :  ma 
non  si  era  spiegato  in  una  maniera  soddisfacente 
come  un'  eccesso  d'  acido,  che  verrebbe  saturato 
dalle  prime  porzioni  di  basi  salificabili  impiegate  , 
poteva  opporsi  alla  precipitazione  ulteriore  dell'os- 
sido, o  piuttosto  si  era  fatta  una  supposizione  trop- 
po azzardata,  ammettendo  in  questo  caso  la  for- 
mazione d'  un  sale  triplo  indecomponibile  da  nuo- 


(a)  Annal:  de  ehiai:  et  phys:  septembre  et  octobre  1820^ 


l'ji  Scienze 

ve  quantità  di  basi.  Finalmente  non  si  era  fatto  al- 
cuna distinzione  nella  natura  dei  precipitati  for- 
mati nel  cloruro  d'  oro  per  mezzo  di  diverse  basi 
stìlificabili ,  ed  ereno  stati  considerati  tutti  come 
identici  .  Questi  sono  slati  gli  oggetti  ,  dei  quali 
si  è  particolarmente  occupato  T  A.  in  questa  me- 
moria ,    di    cui   presentiamo    V  estratto  . 

Azione  degli  acidi  minerali  sopra  i  cloruri 
d  oro  . 

Per  meglio  conoscere  1'  azione  degli  alcali  so- 
pra i  cloruri  d'  oro,  TA.  incomincia  dall  esporre 
i  risultati  ottenuti  nel  trattare,  con  gli  acidi  mi- 
nerali ,    i    cloruri    e    gli    ossidi   d'  oro . 

Il  primo  acido  messo  in  azione  sopra  il  clo- 
ruro d' oro  è  stato  \  acido  solforico  concentrato. 
Quest'  acido  non  produce  alcun  cambiamento  sul- 
la soluzione  di  cloruro  d'oro;  ma  esposta  la  me- 
desima air  azione  del  fuoco  si  sviluppa  il  cloro, 
e  si  precipita  come  all'  ordinario,  prima  il  sotto 
cloruro  d'  oro  ,  e  quindi  Toro  metallico,  eh'  è  l'ul- 
timo risultato  dell'  azione  prolungata  dell'  acido  sol- 
forico . 

Gli  acidi  fosforico  ,  arsenico  ,  e  generalmente 
tutti  gli  acidi  minerali  saturi  di  ossigeno  e  suscet- 
tibili di  poter  essere  elevati  ad  un'alta  tempera,  si 
comportano  sul  cloruro  d'  oro  ,  come  1'  acido  sol- 
forico ,. 

L'  acido  nitrico  ,  e  gli  altri  acidi  volatili  sa- 
turi di  ossigeno  non  hanno  parimenti  alcun'  azio- 
ne particolare  sul  cloruro  d'  oro  :  essi  si  volatiz^ 
.7ano  per  mezzo  del  calore,  e  lasciano  il  medesi- 
mo intatto.  Se  però,  si  continui  a  riscaldarlo  dopo 
l'evaporazione  dell' acido  straniero  ,  si  decompone, 
come  air  ordinario  . 


Storia  deil'  oro  l'jS 

Gli  acidi  saturati  di  ossigeno  messi  in  contat- 
to col  sotto  -  cloruro  d'  oro  presentano  un'  altr  or- 
dine di  fenomr^ni  .  Lssi  pare  che  agiscano  in  vir- 
iù  dell'  acqua  che  contengono  .  Si  sa  che  questo 
liquido  decompone  il  sotto  -  cloruro  d'  oro  ,  pre- 
cipita cioè  una  parte  di  oro  che  abbandona  il  suo 
cloro,  meni  re  1  altra  parte  portata  allo  stato  di 
cloruro  si  scioglie  nell'  acqua  .  Se  dunque  gli  aci- 
di sono  privati  di  questo  liquido  ,  come  Y  acido 
fosforico  vetroso  ,  e  V  acido  borico  ,  non  v'  è  al- 
cun' azione  Ira  queste  sostanze  ,  ed  il  sotto  -  clo*- 
ruro  ;  se  poi  contengono  dell'acqua,  allora  ha  luo- 
go la  medesima  decomposizione,  che  produce  que- 
sto liquido  ,  ed  è  tanto  piià  pronta,  quanto  è  mag- 
giore la  sua  quantità  .  In  queste  diverse  circostan- 
ze non  si  sviluppa  ne'  cloro ,  né  acido  idroclori- 
co,  e  se  vi  si  aggiunga  V  azione  del  fuoco,  i  fe- 
nomeni sono  i  medesimi  :  solamente  la  decompo- 
sizione è  più  rapida  .  Tali  risultati  provano  ,  che 
non  si  possono  ottenere  sali  d'  oro  dall'  azione 
degli  acidi  sopra  i  cloruri  di  questo  metallo  ,  e 
che  il  cloruro  d' oro  sciogliendosi  nell'  acqua  non 
passa  allo  stato  d'  idroclorato . 

lezione  degli  acidi  sult  ossido  d'  oro. 

Gli  acidi  che  hanno  Y  ossigeno  per  principio 
acidificante  non  possono  sciogliere  1'  ossido  d'  oro 
né  combinarvisi  ,  eccettuati  il  nitrico  ed  il  sol- 
forico ,  e  questi  ancora  non  formano  combinazio- 
ni permanenti .  Per  conseguenza  non  ammette  1'  A, 
che  gli  acidi  possano  formare  vere  combinazio- 
ni saline  con  1'  ossido  d'  oro  ,  e  le  soluzioni  del 
medesimo  negli  acidi  nitrico  e  solforico  non  pos- 
sono  neppure  considerarsi  come  tali  ,  Infatti  sono 


1^6  SciErrze 

esse  estremamente  acide;  la  quantità  dell'ossido  che 
contengono  è  piccolissima  per  rapporto  alla  mas- 
sa del  dissolvente .  D'  altronde  non  si  può  para- 
gonare r  azione  delF  acqua  su  queste  soluzioni  con 
quella,  che  lo  stesso  liquido  esercita  sopra  alcu- 
ni sali  metallici  ,  come  il  nitrato  di  bismuto  ec. 
Poiché  in  quest'  ultimo  caso  si  forma  un  sale  con 
eccesso  di  base,  ed  un  sale  con  eccesso  d'  aci- 
do, e  solubilissimo,  ciò  che  non  ha  luogo  nel- 
le soluzioni  d'  oro  .  Finalmente  queste  medesime 
soluzioni  sono  prive  delle  propri<ità  che  compe- 
tono alle  combinazioni  saline  ,  nelle  quali  !e  pro- 
porzioni di  ossigeno  della  base  sono  in  rapporti  co- 
stanti con  quelle  dell'  acido  . 

Azione  dei  sali   sopra   il  cloruro  et  oro. 

Se  gli  acidi  ,  dice  1'  A.,  fossero  suscettibili  di 
unirsi  air  ossido  d'  oro  formando  vere  combina- 
zioni saline ,  le  circostanze  più  favorevoli  per  ot- 
tenere tali  combinazioni  s'  incontrerebbero  senza 
dubbio  nel  giuoco  delle  affinità  doppie.  Ciò  non 
ostante  neppure  con  questo  mezzo  si  può  giun- 
gere a  formare  sali  d'  oro.  Versando  egli  delle  so- 
luzioni di  solfato  ,  e  di  fosfato  di  soda  nel  cloru- 
ro d'  oro  non  ha  ottenuto  che  semplici  miscugli  . 
Il  solfato  però  ed  il  nitrato  di  argento  versati  nel 
cloruro  d'  oro  producono  un  precipitato  d'  un  co- 
lore giallo  -  brunastro;  raz^  questo  precipitato  esa- 
minato dall'  A.  non  è  altro  se  non  un  miscuglio 
intimo  di  cloruro   d'  argento  ,  e  d'  ossido  d'  oro. 


Storia  dell'oro  \nn 

Azione  delle  basi  salificabili  (  ossidi  metallici  ) 
sopra  i  cloruri  d'oro. 

Le  basi  salificabili  cbe  TA.  ha  messo  in  azio- 
ne sopra  il  cloruro  d'oro,  sono  state  la  potassa,  la 
soda,  la  barite,  e  la  magnesia.  Versando  la  potassa, 
che  però  non  sia  in  eccesso  per  rapporto  alla  quau- 
tià  del  cloro,  in  una  soluzione  di  cloniro  d'oro  non 
si  forma  al  momento  il  precipitato,  ma  il  liquido  perde 
il  suo  colore  dorato  per  prendere  una  tinta  rosso- 
brunaslra.  Qiiest  elTctto  è  dovuto  alla  saturazione 
dell  acido  idroclorico,  che  contiene  quasi  sempie. 
il  cloruro  d'  oro.  Dopo  alcune  ore  incomincia  a  ma- 
nifestarsi il  precipitato,  la  di  cui  formazione  può  de- 
terminarsi prontamente  elevando  la  temperatura. 
Questo  precipitato  è  di  un  colore  giallo-rossastro^ 
leggerissimo,  e  molto  voluminoso;  la  sua  quantità 
Taria  secondo  alcune  particolari  circostanze,  ma  è 
sempre  minore  dell' oro' impiegato ,  ed  è  uguale  tut- 
to al   più    ai   cinque   sesti. 

Se  venga  impiegata  per  la  precipitazione  dell' 
ossido  d'  oro  una  quantità  di  potassa  in  eccesso,  sì 
ottiene  un  precipitato  inlinitamente  minore,  anzi  se 
1  alcali  vi  sia  stato  aggiunto  a  poco  a  poco,  il  pre- 
cipitato formato  dalle  prime  porzioni  d' alcali  sì 
ridiscioglie  in  gran  parte  nelle  seconde.  Il  precipita- 
to che  si  ottiene  in  quest'  ultimo  caso  non  solo  diil'e- 
risce  dal  precedente  per  la  sua  quantità,  ma  anco- 
ra per  il  suo  aspetto,  e  per  la  sua  natura.  I  liqui- 
di, nei  quali  si  sono  formati  i  precipitati,  sono  anco- 
ra diversi.  Nel  primo  caso  hanno  un  colore  gial- 
lo-rossastro; nel  secondo  un  colore  verde  giallastro 
tanto  più  debole,  quanto  maggiore  è  stata  la  quan- 
tità  della  potassa  . 

Il  primo  precipitato  ottenuto  dalla  potassa  non 
G.A,T.L\.  12 


jnS  Scienze 

in  eccesso,  prova  TA.  eh  è  formato  di  ossido  d'  oro 
mescolato  ad  un  poco  di  cloruro  d'oro  o  di  cloruro 
di  potassio,  che  nasce  dalla  reazione  delia  potassa,  e 
non  è  un  muriato  d'oro  con  eccesso  di  ossido  ,  come 
ha  preteso  Oberkampi't.  Il  liquido,  nel  quale  si  è  for- 
mato il  precipitato  d  ossido  d'oro  per  mezzo  della 
potassa,  dà  coli  evaporazione  un  miscuglio  di  dorare 
di  potassio,  e  di  cloruro  d'oro. 

Allorquando  si  versa  in  una  soluzione  di  clo- 
ruro d'  oro  una  quantità  eccedente  di  potassa,  il  li- 
quido, il  quale  da  principio  per  le  prime  porzioni 
d'  alcali  era  divenuto  più  cupo,  si  scolora  rapidamen- 
te sopra  tutto  per  mezzo  del  calore  ,  e  non  conserva 
che  una  tinta  gialia-verdastra,  la  quale  ancora  spari- 
sce diluita  che  sia  coli'  acqua.  Mentre  hanno  luogo 
questi  cambiamenti,  si  precipita  una  polvere  nera- 
stra, la  quale  è  tanto  meno  abbondante,  quanto  mag- 
giore è  stata  la  quantità  dell'alcali.  In  tutt' i  casi 
non  arriva  mai  al  decimo  del  peso  del  metallo  im- 
piegato. Questa  polvere  nera  è  un'  ossido  d'oro  non 
idrato,  che  ritiene  un  poco  di  potassa.  Se  dunque 
questo  precipitato  non  rappresenta  che  la  più  pic- 
cola parte  dell'  oro  impiegato,  bisogna  necessaria- 
mente, che  il  resto  si  ritrovi  nella  soluzione.  Ma 
in  quale  stato  vi  esisterà  ?  Vauquelin  ha  creduto 
che  vi  fosse  in  fórma  di  sale  triplo ,  che  la  so- 
luzione cioè  contenesse  un  muriato  triplo  d'  oro 
e  di  potassa  ;  e  siccome  con  altre  basi  salificabili 
lianno  luogo  le  medesime  combinazioni,  per  con- 
seguenza le  ha  tutte  considerate  come  sali  tripli  • 
Ma  r  A.  ha  provato,  che  l'oro  in  queste  soluzioni 
si  trova  allo  stato  di  ossido  combinato  con  le  ba- 
si salificabili,  e  nel  nostro  caso  con  la  potassa  fa- 
cendo le  veci  d'un'  acido:  forma  cioè  un  aurato  di 
potassa  ;  così  egli  chiama  una  tale  combinazione , 


Storia  dell'oro  *  iy(^ 

come  r  ossido  di    stagno    e    quello    di    antimonio 
formano  stannati    ed    antimoniati  di  potassa .    In- 
fatti r  opposizione  ,    che    presenta    V  ossido  d'  oro 
ad  unirsi  agli  acidi,   non  dimostra  forse  che  tende 
piuttoso    a    fare  le  funzioni  di    acido    con    Je  basi 
salificabili  ?  Ammettendo   quest'  ipotesi  ,   che  sem- 
bra  appoggiata  a  tanti  latti  da  poterla   considerare 
come   una  verità  dimostrata,  ed  ammettendo  anco- 
ra che  ì  oro  nella    sua    soluzione  nelf  acqua   regia 
si  trovi   allo    stato    di    cloruro  ,    tutte  le   anomalie 
operate  finora  realmente   a    questo  metallo    si  spie- 
gano con  gran   facilità,  e  rientrano  nella  teoria  ge- 
nerale .  Così  si  spiega  perchè  l'addozione  degli  ai- 
cali  nelle  soluzioni  d'  oro  non    precipita  immedia- 
tamente questo    metallo   allo    stato   di   ossido ,    co- 
me  accade  in  quelle  soluzioni  saline  ,     nelle  quali 
il  metallo  si   trova  allo    stato    di  ossido  .   Ma  nel- 
la soluzione    d' oro  nel    cloro  ,  questo    metallo  non 
è  ossidato  :  bisogna    dunque   che  1'  ossido   si  formi 
per  la  presenza  della  base  salificabile:   così,  nel  ca- 
so della   potassa,  l'ossigeno    della  medesima  si  por- 
ta  sull'oro,   mentre  il   cloro  si    unisce  al    potassio. 
Allor  quando    si  versa  poca  potassa ,   una  parte  del 
cloruro  deve  restare  indecomposta,  ma  quando  fal- 
cali è  in  maggior  quantità,  tutto  il  cloruro  d'  oro 
è  decomposto,   e  feccesso  di  potassa  si  unisce  all' 
ossido  d    oro  ,    che  discioglie  ,    meno  una  piccola 
quantità  ,    la    quale  perdendo  V  acqua    con  cui  era 
combinata  ,  acquista  una  certa  coesione ,   e  si  sot- 
trae così  ali   azione  dissolvente  della  potassa.     La 
soluzione  scolorata  consiste  dunque  in    un   miscu- 
glio di   aurato  di  potassa  ,  e  di  cloruro  di   potas- 
sio. Da  ciò  si  concepisce  la  ragione  ,    per    cui    la 
medesima  è  decomposta,  e  diventa  colorata  versan- 
dovi gli  acidi  :  poiché  al  momento    in  cui    un  a-» 

»2 


i8o  Scienze 

ciclo  ,  por  quanto  sia  debole  ,  si  trova  in  contatto 
deir  aurato  di  potassa  e  del  cloruro  di  potassio, 
r  ossigeno  dell'  oro  deve  portarsi  sul  potassio,  au- 
mentare la  massa  della  potassa  ,  che  si  combina 
con  r  acido  ,  mentre  il  cloro  si  unisce  all'  oro  ri* 
dotto  alio  stato  metallico. 

La  soda  agisce  sul  cloruro  d'  oro  nello  stesso 
modo  della  potassa  .  La  barite  perù  presenta  qual- 
che di/Fercnza,  la  quale  consiste  in  un  afiluità  mag- 
giore dell'ossido  d'  oro  verso  questa  terra  :  alTmità 
tale,  che  impiegando  anche  poca  barite  si  trova  sem- 
pre una  parte  della  medesima  in  combinazione  coli' 
ossido  d'  oro  precipitato,  benché  una  certa  quantità 
di  cloruro  d'  oro  resti  nel  liquido .  Il  precipitato 
ritiene  ancora  ostinatamente  del  cloro  dovuto  pro- 
babilmente alla  presenza  della    barite . 

Impiegando  una  dose  eccedente  di  barite  per 
la  decomposizione  del  cloruro  d'  oro  ,  si  ottiene 
uira  polvere  nera,  eh'  è  V  ossido  d'oro  non  idrato 
con  una  certa  quantità  di  barite  ,  che  si  può  to- 
gliere per  mezzo  dell'  acido  nitrico  :  la  soluzione  , 
da  cui  è  stato  precipitato  l'ossido,  è  senza  colore , 
e  contiene  un  miscuglio  di  cloruro  di  barium ,  e 
di  aurato  di  barite  .  Quest'  ultimo  gode  delle  me- 
desime proprietà  dcdl'  aurato  di  potassa  ,  modificate 
da    quelle  che   sono  proprie   della  barite. 

li  precipitato  ottenuto  dal  cloruro  d'  oro  per 
mezzo  della  barite  essendo  sempre  più  abbondante 
di  quello  somministrato  dalla  potassa ,  i  farmaci- 
sti ed  Oberkampf't  stesso  hanno  indicato  questo  mez- 
zo per  prepaiare  1'  ossido  d'  oro;  ma  questo  proces- 
so,  dice  1  A.,  dev'  essere  rigettalo,  poiché  l'ossi- 
do d'  oro  così  ottenuto  ritiene  sempre  della  bari- 
te ,  dalia  quale    è    difficile  di    privarlo  . 

Quanto  alla  magnesia  ,  se  questa  terra  si  faC- 


Storia  dell'oro  i8i 

eia  riscaldare  in  una  soluzione  di  cloruro  d'  oro  , 
e  che  non  sìa  in  una  dose  eccedente,  si  ottiene  un' 
ossido  d'oro  idrato  impregnato  di  cloruro.  Questo 
precipitato  ritiene  sempre  un  poco  di  magnesia  ;  la 
soluzione  è  di  un  colore  gialio-brunastro  ,  e  con- 
tiene del  cloruro  d'  oro ,  e  dell'  idroclorato  di  ma- 
gnesia (i).  Versando  una  quantità  di  magnesia  ec- 
cedente, il  precipitato  è  egualmente  .ormato  d'ossi- 
do d  oro  idrato  ,  e  di  magnesia  in  eccesso  una  par- 
te della  quale  dev'  essere  combinata  all'  ossido.  II 
liquido  contiene  1'  idroclarato  ,6  1'  aurato  di  ma- 
gnesia ;  non  ha  per  se  stesso  alcun  colore  ,  ma  di- 
venta colorato  per  mezzo  dell'  acido  idi^oclofico  . 

Il  trattamento  del  cloruro  d'  oro  con  la  ma- 
gnesia offre,  secondo  TA.,  il  miglior  processo  per  ot- 
tenere r  ossido  d'  oro.  Impiegando  infatti  un'  ecces- 
so di  magnesia  ,  ì  oro  che  resta  nella  soluzione  è 
in  piccola  quantità  ,  e  la  magnesia  che  resta  me- 
scolata air  ossido  può  facilmente  operarsi  per  mez- 
zo dell'  acido  nitrico  . 

Dei  pretesi  sali  tripli  d'  oro. 

Non  potendo  V  ossido  d'  oro  formare  combi- 
nazioni binarie  con  gli  acidi,  mentre  1'  A.  non  con- 
sidera conica  tali  le  soluzioni  del  medesimo  negli 
acidi  nitrico  e  solforico  concentrati,  egli  non  am- 
mette neppure  i  sali  tripli  .  Infatti  tutti  questi  pre- 
tesi sali  tripli  sono  stati  fatti  con  la  soluzione  d' 
oro  neir  acqua  regia  .In  questa    soluzione  Y  oro  è 


(i)  L'A.  si  è  servito  dell'  espressione  d'  idocloralo  perchè  è  mol- 
to probabile  che  il  cloruro  di  magnesivim  trovisi  in  questo  stato  in 
io'uzione  neir  acf^ua  . 


iSa  S  e  1  Jì  jx  z  E 

allo  slato  di  cloruro;  Y  addizione  d'.un  cloruro  stra* 
niero ,  come  sarebbe  quello  di  sodio  e  di  potassio  , 
deve  dar  luogo  solamente  a'  cloruri  doppj  .  Un  fo- 
sfato ,  od  un  un  solfato,  non  produce  egualmente 
alcun  cambiamento,  e  non  si  avranno  anche  in  que- 
sto caso  se  non  semplici    miscugli  . 

Ma  neir  aggiungere  un  cloraro  alcalino  al  clo- 
ruro d'oro,  se  non  si  forma  un  sale  triplo  ,  ha  al- 
meno luogo  una  combinazione  fra  i  due  cloruri? 
L'A.  crede  il  contrario,  poiché  ha  osservato  che  nell* 
unione  di  questi  cloruri  non  v'  è  alcuna  proprietà  , 
di  cui  non  si  possa  l'endere  ragione  supponendoli 
semplicemente  mescolati  ,  e  la  cristallizzazione  di 
questi  pretesi  sali  tripli  è  sempre  quella  del  cloru- 
ro alcalino  impiegato  -.  osservazione  eh'  è  stata  fat- 
ta anche  da  Obeikamplt,  il  quale  ammetteva  V  esi- 
stenza dei    sali  tripli  . 

dizione  del  j'odo  sult  oro.  Jodiiro   d'  oro. 

Il  jodo  non  ha  un'  azione  molto  sensibile  sull' 
oro  :  ne  altera  appena  il  suo  splendore  .  L'  acido 
idriodico  non  ne  ha  alcuna;  ma  l'acido  idriodico 
jodurato  al  lacca  e  scioglie  ancora  1'  oro  .  Il  mi- 
glior mezzo,  secondo  l'A.,  per  ottenere  una  tale  so- 
luzione consiste  nel  prendere  1'  oro  molto  diviso  , 
e  tarlo  bollire  con  1'  acido  idriodico  ,  al  quale  si 
aggiunge  a  poco  a  poco  nel  corso  dell'  operazione 
r  acidonitrico.il  liquido  filtrato  bollente  lascia  spes- 
so deporre  col  ralìVeddamenlo  il  joduro  d'  oro  d'  un 
colore  giallo  di  cedro  ,  lucenlissimo  ,  e  come  cri- 
stallino ;  ma  la  maggior  parte  resta  in  soluzione  nell' 
acido  idriodico  jodurato  .  Per  mezzo  allora  dell'  aci- 
do nitrico  ,  che  decompone  1  acido  idriodico  ,  e  del 
riscaldamento  che  separa  1'  eccesso  di  jodo  ,  sì  prc- 


Storia  dell'oro  i83 

clplta  tutto  il  joduro  d'  oro  sotto  forma  d'  una  pol- 
vere gialla  verdastra .  Con  altri  mezzi  ancora  si 
può  ottenere  lo  stesso  joduro  d'  oro,  p.  e.  o  metten- 
do l'ossido  d'  oro  in  cotatto  con  1'  acido  idriodico, 
o  versando  sul  cloruro  d'  oro  1'  idriodato  di  po- 
tassa . 

Il  joduro  d'  oro  preparato  o  in  un  modo  o 
neir  altro  è  insolubile  neil'  acqua  fredda  ;  pochissi- 
mo se  ne  scioglie  nella  bollente .  Gli  acidi  idro-clo- 
rico  ,  nitrico  ,  e  solforico  a  freddo  non  lo  decom- 
pongono :  per  mezzo  dell'  ebullizione  con  questi  aci- 
di concentrati  ,  il  jodo  si  sviluppa  ,  e  1'  oro  ripren- 
de la  forma  metallica  .  Esposto  ad  una  temp.  di  i5q 
si  decompone  egualmente  .  Gli  alcali  producono  lo 
stesso  effetto  ;  con  la  potassa  si  ottengono  il  jo- 
dato  ,  e  r  idriodato  di  potassa  ,  e  1'  oro  resta  allo 
stato  metallico  sotto  forma    polverulenta . 

L'  A.  ha  istituito  molte  sperienze  per  determi- 
nare le  proporzioni  del  joduro  d'  oro  .  I  risultati  so- 
no stati  sempre  uniformi.  Stabilisce  dunque  che  il 
joduro  d'  oro  è  formato  di  : 

Jodo    —    34       —       100 

Oro      —    66       —       194»   1176. 

Dall'  analisi  di  questo  joduro,  corrispondente 
cioè  al  protossido  di  questo  metallo,  determina  an- 
cora le  proposizioni  degli  ossidi  d'  oro,  che  sono 
come  siegue  . 

Protossido  d'  oro     f  «'^'§^"^  ^  ^'  ^^^^' 
(  oro  —  100. 

Prossido  d'oro        f  °''^S*^"°  -  io,  o3. 
(  oro  —  100. 


l84  SciiiNZE 

E'  stata  esaminata  ancora  dall'  A.  V  azione  , 
eh'  esercitano  alcune  sostanze  vegetali  ,  e  special- 
aiiente  gli  acidi  ed  i  sali  vegetali  sopra  il  cloru- 
ro e  1  ossido  d  oro  .  ^Si  sapeva  ohe  tali  sostan- 
ze generalmente  precipitano  1  oro  più  o  meno  pron- 
tamente allo  stato  metallico  dalla  sua  soluzione  nell' 
acqua  regia;  ma  supponendosi,  che  1'  oro  in  ta- 
le soluzione  fosse  allo  stalo  di  ossido,  si  spiega- 
va la  sua  riduzione  per  mezzo  dell  idrogeno  e 
del  carbonio  delle  sostanze  vegetali  .  Ora  che  la 
soluzione  dell'  oro  nelT  acqua  regìa  è  considerata 
come  un  cloruro,  la  precipitazione  dell'oro  si  spie- 
ga per  1  idrogenazione  del  cloro,  che  si  fa  per  mez- 
2o  dell'  idrogeno  contenuto  nelle  sostanze  organi- 
che. Ma  non  tutti  questi  corpi  agiscono  nella  stes- 
sa maniera  .  Dalle  sperìenze  dell'  A.  risulta  ,  che 
se  si  eccettui  i'  acido  ossalico ,  gli  acidi  tartari- 
co, citrico  ,  ed  acetico  non  decompongono  (  al- 
meno in  un  dato  tempo  )  i  cloruri  d'  oro  :  ma 
ha  luogo  una  tale  decomposizione  se  questi  aci- 
di siano  uniti  ad  una  base,  come  accade  col  tar- 
trato  acidulo  e  neutro  di  potassa  e  di  soda  , 
con  i  citrati  alcalini ,  e  gli  acetati,  sebbene  que- 
sti ultimi  agiscano  più  debolmente  degli  altri:  in 
questo  caso  il  cloro  è  tolto  all'  oro  dalla  base,  che 
vi  si  combina  col  favore  d'  una  parte  dell'  idro- 
geno dell'acido  vegetale;  idrogeno  che  serve  a  ri- 
durre la  base,  se  si  forma  un  cloruro  alcalino» 
o  a  portare  il  cloro  allo  stato  d'  acido  idroclori- 
co   per    Ibrmare  un'  idroclorato. 

Il  solo  acido  ossalico,  decomponendo  il  cloru- 
ro d'oro  con  isviluppo  di  gas  acido  carbonico,  de- 
ve avere,  secondo  l'A.,  una  costituzione  partico- 
lare ,  e  le  sue  spericnze  confermano  1'  opiuione 
del  sig.  Dulong,  il  quale  lo  considera  come  for- 
mato di  acido    carbonico  o    d'  idroo^eno  . 


Storia  dkll'ojio  ì85 

Finalmente  gli  acidi  ossalico ,  citrico  ,  tarta- 
rico, ed  acetico  tutti  decompongono  l'ossido  d'oro 
portandolo  allo  stato  melaliico  .  Con  il  solo  aci- 
do ossalico  una  tale  decomposizione  ha  luogo  con 
jsviluppo   di   gas  acido    carbonico  . 


Pomona  italiana  ossia  trattato  degli  alberi  fruttiferi, 
di  Giorgio  Galesio  :  tomo  /,  fascicoli  due  .  Pisa 
pel  Capurro  ^  1818,  infoi,  con  S  tav.  superba- 
inerite  miniate. 


N. 


on  si  potrebbe  rendere  conto  di  quest'  opera  sen- 
za incominciare  dal  fare  conoscere  i  pregi  materiali 
dell'  edizione ,  che  vince  di  gran  lunga  tutte  quelle  di 
simil  geneie  che  sono  stale  con  grande  splendidezza 
intraprese  oltramonli.L'eleganza  dei  caratteri  e  la  niti- 
dezza della  carta  sono  i  minori  di  questi  pregi,  venendo 
l'occhio  singolarmente  trattenuto  dalla  squisitezza  delle 
miniature  che  servono  di  corredo  al  libro  e  che  ne 
sono  anzi  parte  essenziale  .  Oltre  all'  esprimere  con 
evidenza  e  con  verità  gli  oggetti  che  rappresentano, 
sono  eseguite  con  tutta  quella  delicatezza  e,  se  così 
possiamo  esprimerci  ,  con  tutto  quel  lusso  a  cui 
possa  mai   attingere  quest'  arte. 

In  un  breve  preliminare  avvertimento  dichiara 
r  A.  che  nelle  figure  e  nelle  descrizioni  comprese  in 
quest'  opera  non  si  è  attenuto  a  verun  metodo,  atteso 
che  gli  fu  d'  uopo  adattarsi  all'  opportunità  di  rin- 
venire in  istato  di  perfezione  i  fiori  e  le  frutta  dei 
varj  individui.  Per  la  qual  cosa  i  fascicoli  conten- 
gono e  conterranno  varietà  di  spezie  diverse  e  spezie 
di  diverso  genere  insieme  senza  ordine  mescolate. 
Avverte  inoltre  che  compiuta  che  sia  l'opera  si  pò- 


i86  Scienze 

tra  mediante  un  indice  metodicamente  distribuire 
così  le  tavole  come  le  pagine,  nelle  quali  è  stata  per 
tale  oggetto  ommessa  V  indicazione  numerica. 

In  questi  due  primi  fascicoli  si  descrivono  al- 
cune spezie  o  varietà  dei  quattro  generi  ciliegio, 
pesco,  susino,  poro  e  fico;  e  sono  il  ciliegio  susi- 
no e  napoletano;  il  pesco  mela  e  poppa  di  venere; 
il  susino  settembrino  damaschino;  il  pero  Allora;  il 
fico  pissalutto  e  gentile.  Le  tavole  rappresentano  al 
naturale  un  ramo  fronzuto  corredato  di  frutta  matu- 
re, e  talvolta,  come  nel  fico,  con  frutta  acerbe; 
indi  il  frutto  spaccato  per  farne  conoscere  1  interno, 
e  quando  si  riputi  conveniente  si  esibisce  il  fiore  co- 
me vien  fatto  nel  pero  Allora. 

La  descrizione  di  ogni  spezie  incomincia  con 
quella  del  frutto  fatta  con  frasi  tecniche  latine,  ag- 
giungendovi il  nome  vernacolo  e  qualche  sinoni- 
mo ancora.  Si  passa  poscia  ad  acceonare  in  idioma 
italiano  i  principali  caratteri  dell'albero  rispetto  al 
tronco,  alle  foglie  ed  al  fiore,  indi  si  dà  una  più  di- 
stesa esposizione  del  frutto  considerato  così  nell'ester- 
no, come  internamente;  s'indica  il  luogo  ove  la  pian- 
ta alligna  in  Italia  ed  in  qualche  estero  paese,  e 
succintamente  si  conciliano  alcuni  sinonimi  tratti  da 
opere  o   nostrali   ovvero  oltramontane. 

Perchè  ad  un'opera  così  splendida  e  di  caro  co- 
sto non  s'abbia  ad  apporre  l'epigrafe  oculos  pictura 
pascit  inani ^  essendo  assai  sobria  e  succinta  la  par- 
te descrittiva  prometjte  l'A.  nel  frontispizio  de'  fa- 
scicoli che  essa  conterrà  di  mano  in  mano  la  clas- 
sificazione delle  frutta,  gli  avvertimenti  sulla  loro 
cultura,  e  sarà  preceduta  da  un  trattato  elementare 
di  pomologia.  Questo  trattato,  a  quel  che  sappiamo, 
non  è  ancora  comparso,-  né  potremmo  abbastanza 
esortare  X  A.  che  ne  afiVetti  la  pubblicazione  acciò 


POMONA.    ITALIANA  l8y 

die  sieno  meglio  gustate  e  meglio  intese  le  sue  descri- 
zioni. Senza  di  ciò  s' ignorerà  quali  frutta  consideri 
spezie,  quali  varietà,    e  qual  valore  conceda  a  que- 
sti termini  allorché  ne  fa  uso.   Non  saranno  tampo- 
co bene  comprese  alcune  proposizioni  dipendenti  dal- 
le sue  particolari   teorie.   Così,  per  esempio,  allor- 
ché   parlando  del  ciliegio  susino  dice  che  le  sue  for- 
me sono  state  modiiicate  dall'  influenza  del  s  Jsino, 
ciò,   se  non   erriamo,  significa  che  quando  un  cilie- 
gio  trovasi    in    vicinanza   di    un  susino    la  polvere 
fecondati  ice  di  quest'  ultimo  passando  nel  fiore  dell' 
altro   induce  alcune    modificazioni    tiel    frutto;    ma 
questa  proposizione  lestamente   annunziata  non  po- 
trebbe così  di  leggieri  essere  accettala  da  alcuni  fi- 
siologi. L'agricoltore  inoltre  attenderà  con  impazien- 
za questo  trattato  a  fine  di  acquistare  istruzioni  sulle 
pratiche  necessarie  per  innestare  e  per  educare  buo- 
ni alberi  da    frutto,  e  crederà  che  allora  solo  abbia 
r  opera  compiutamente  soddisiatto  al  titolo  di  Po- 
mona  che  porta  in  fronte.  Lo  scienziato   dall'  altro 
canto   sarà  ben  contento   di   apprendere  quale  sia  il 
tipo  e  la  genuina  spezie  di  quelle  tante  varietà   che 
si  ottengono  con  1'  artifizio  della  cultura;  investiga- 
zione che  costituirà  la  parte  veramente  filosofica  del  li- 
bro. Su  tale  proposito  non  possiamo  astenerci  dal  con- 
siderare che  ottimo  divisamento  sarebbe  stato  se  alla 
descrizione    delle  diverse  qualità  di   alberi   fruttiferi 
si  avesse  voluto  premettere  senza  iudugio  quella  del- 
la  spezie  salvatica    quando  esista;    se  per  esempio 
alla  testa  della  serie  dei  peri,  e  dei  meli  fossero  com- 
parsi  il  Pjrus  pjraster^  ed  il  Malus  sjlvestris  che 
allignano  nei  boschi  e  che  sono  gli  alberi  della  Na- 
tura. 

^ero  è  bensì  che   le  dotte  opere  antecedente- 
mente scritte  dall' A.  e  (juella  nominatajaiente   che 


1^8  S  e   I  E  N  z  » 

porta  per  titolo  Teoria  della  riproduzione  vegetale 
possono  avviare  il  lettore  ad  intPDtlere  quanto  nella 
presente  va  egli  esponendo;  ma  poiclìè  questa  si  mo- 
stra così  slarzosa,  dovrebbe  essere  da  sé  stessa  com- 
pleta senza  dipendere  dai  sussidj  delle  altre  minori. 
L'  A.  intanto  ha  dato  un  saggio  della  parte 
scientifica  coli  avere  pubblicato  il  trattato  del  lieo, 
che  quantunque  stampato  in  l'orma  di  ottavo  debb 
essere  annesso  alla  Pomana  italiana.  Egli  ha  raccol- 
to quanto  intorno  a  quest' albeio  può  dirsi,  e  sicco- 
me tale  è  il  disegno  che  sembra  avere  delibei'ato 
di  seguire  ragionando  di  tutte  le  altre  frutta,  così 
ragion  vuole  che  ci  occupiamo  a  porgerne  un  di- 
steso ragguaglio. 

La  prima  indagine  che  egli  saggiamente -intra- 
prende quella  è  di  riconoscere  quale  sia  il  fico  ti- 
po da  cui  derivano  le  varietà  coltivate.  Egli  rav- 
visa per  tale  il  caprifico  ossia  quella  ficaja  che 
nasce  spontaneamente  ne'  luoghi  salvatici  (  Ficus  ca- 
rica caprificus  );  e  dopo  di  avere  descritto  i  suoi 
particolari  caratteri  e  la  sua  maniera  di  vegetare  e 
di  crescere,  lungamente  si  trattiene  intorno  alla  frut- 
tificazione. Questo  albero  è  uni  fero,  vale  a  dire  non 
produce  frutta  che  una  sola  volta  alfanno,edin 
primavera  sbocciano  dalle  gemme  situate  nelle 
ascelle  delle  foglie  i  piccioli  fichi  che  acquistano 
la  maturità  botanica  al  cadere  della  state.  L  A.  dà 
loro  il  nome  di  Grossi,  nome  adottato  da  parecchi 
scrittori  latini  per  indicare  i  fichi  primaticci  o  Fio- 
roni, benché  alcuni  altri  intendano  con  questo  vo- 
cabolo i  fichi  caduchi  i  quali  non  maturano.  Ciò 
gli  apre  il  campo  a  molte  erudite  investigazioni  a 
fine  di   stabilire  il  vero  significato  della   parola. 

Questi  Fioroni   o  Crossi  consistono    in  un  ri- 
cettacolo mqjnbranoso  e  parenchimatoso  che    costi*- 


POMONA    ITALIANA  l8j) 

tuisce   la  borsa  del   fico,   la   quale  nel    suo  interno 
racchiude    gran    numero    di  fiorellini    parte  maschi 
e  parte   femmine.  I  primi  sono  posti  nella  parte  su- 
periore del   concavo  verso   quell'  apertura  conosciu- 
ta sotto  il  nome  dì  occhio  del  Jico;   gli  altri  In  mag- 
gior copia  sono  ragunati  nella  parte  inferiore  più  pros- 
sima   al  peduncolo.    I    fiori  maschi   costano    dì  un 
calice    o    perigonio    diviso  in   tre  o    in  cinque  laci- 
nie, dal  cui  centro  sorgono  gii  stami  in  numero  di  uno, 
e  di   due  fino    a    nove,   ma  più   sovente  di    quattro 
o   di    cinque;  qualche   volta    scorgesi  nel  mezzo  un 
corpicciuolo  equivoco  che   senza  ragione   fu    preso 
pel  ludimeuto   di  un    pistillo    abortito.    I    fiori    fe- 
minei  poi  sono  essi  medesimi  corredati  di  calice  eh» 
abbraccia  un  ovay'o  fornito  di  uno  stilo  terminato  da 
due  stigmati  ritorti    e  ineguali,  e  che  racchiude  un 
solo   seme  rotondo. 

Tali  sono  dice  1'  A.,  i  caratteri  costanti  del- 
la fruttificazione  del  caprifico  d'  onde  appare  che 
è  una  pianta  spettante  alla  classe  Monoecia  ,  poi- 
ché porta  i  due  sessi  in  due  fiori  diversi  ma  riu- 
niti sullo  stesso  individuo.  Questa  classificazione  si 
discosta  da  quella  di  Linneo  che  aveva  riposto  il 
fico  nella  poligamia  trioecia  in  quanto  che  suppo- 
neva che  avesse  fiori  maschi ,  fiori  l'emine  e  fiori 
ermafroditi  sopra  tre  distinti  individui .  Ma  1'  A, 
è  di  avviso  che  osservazioni  equivoche  ed  illusorie  ab- 
biano dato  motivo  a  tale  ripartizione;  che  i  frutti  con 
fiori  solamente  maschi  sieno  stati  veduti  nelle  ficajc 
selvatiche  in  cui  talvolta  sono  per  accidente  abor- 
titi gli  organi  feminei;  che  gli  altri  con  fiori  femi- 
ne  siensi  riscontrati  nelle  ficaje  domestiche  ove  per 
mostruosità  non  havvi  mai  maschi;  e  che  gli  erma- 
froditi non  esistano  punto  essendo  stati  scambiati 
€ou  essi  certi  fiori  staiiiiniferi  del  caprifico  che  sem- 


IQO  Scienze 

brano  avere  nel  loro  centro  un  rudimento  ài  pistillo  . 
Alcuni  botanici  mal  paghi  della  classi tìcazione  di 
Linneo  riposero  il  fico  nella  poligamia  dioecia  ed 
altri  come  Persoon  nella  dioecia  triandria;  ma  TA. 
dopo  di  avere  impugnato  tutte  queste  sentenze  sta- 
bilisce, come  abbiam  detto,  che  la  vera  sua  classe  è 
la  monoecia ,  ed  in  quanto  all'ordine  si  attiene  al- 
la triandria  per  non  introdurre  inutili  cambiamenti, 
bencliè  sia  molto  variabile  il  numero  degli  stami 
come  lo  mostra  in  un'apposita  tabella.  Termiua  que- 
sto articolo  con  la  descrizione  della  specie  del  I^i~ 
cUs  carica  stesa  in  latino  col  metodo  e  coi  termi- 
ni della  scienza . 

Se  il   caprifico  è  il  prototipo  dei  ficbi  come  ne 
provengono   tutte  le  varietà   che   si    coltivano  negli 
orti  e  nelle  campagne?  La  ficaja  selvatica  porta  frut- 
ta spugnose  ,  asciutte ,  senza  polpa  ,  senza  buon  sa- 
pore talché   non  sono   mangiabili;  la  domestica  ali* 
opposto  ne  produce  di   succolente  e  di  mielate  clie 
riescono  soavi  al  palato.  Tutto  il  mistero  di  siffat- 
ti cambiamenti,  soggiunge   1  A.,   si  riduce  ad  un'al- 
terazione che  soffrono  in  questa  gli  organi   della   ri- 
produzione, ossia,  come  egli  si  esprime,  al  mulismo. 
Questo    termine   di  cui  abitualmente  si    vale   allude 
presso  di  lui  a  quello  stato  in   cui  trovansi    le  ficaje 
domestiche ,  le  quali  sono  incapaci  di  generare  o  di 
produrre  seme  fecondo  per  mancanza  o  per   difetto 
dei  sopraddetti  organi:  esso  equivale  a  quello  di  ca- 
strazione o ,    diremmo    noi ,   di   spadonismo    se  si 
volesse  adottare  un  termine  di  provenienza  latina  che 
non  sappiamo  se  sia  tale  da  potere  fare  fortuna.  Cer- 
to è  che  la  parola  mulismo  non  esprime  quello  che 
si   vuole  dare  ad  intendere  e  che  ogni   qualvolta  in 
queste  pagine  s'incontra  forma   sempre  intoppo  nel- 
la mente  del  lettore  che  è  necessitato  di  tradurla  giù- 


POMONA    ITALIANA  i^l 

Sta  il  significato  che  dall' autore  le  viene  attribuito.' 
Muli  chiamanslnel  linguaggio  comune  quegli  indivi- 
dui che  provengono  dall'  accoppiamento  di  spezie 
dissimili?  1  infecondità  è  bensì  uno  de' loro  attri- 
buti ,  ma  nuli  dipende  né  da  mancanza ,  né  da  di- 
fetto apparente  degli  organi  della  generazione;  e  quell* 
attributo  non  è  la  principale,  né  la  più  ovvia  idea 
che  occorra  alla  mente  pronunziando  o  udendo  il 
vocabolo.  Perciò  una  donna  sterile  ed  un  uomo  pri- 
vo della  facoltà  lécondatrice  e  un  eunuco  non  si 
chiamerebbero  muli . 

Allorché  adunque  le  parti  destinate  alla  gene- 
razione o  maschili  o  feminee  o  f  una  e  Y  altra  in- 
sìpme  sono  così  viziate  ne'  fichi  che  non  possono 
adempiere  airufUzioloro,ne  addiviene  a  senso  delVA, 
che  quell'umore  proUlico,  quella  soprabbondanza  di 
vita  ditr;rmaia  nel  frutto  una  separazione  straordi- 
naria di  sostanza  per  cui  esso  maggiormente  ingros- 
sa ,  diviene  più  succolento  e  polputo  ed  acqui- 
sta la  maturità  pomologica.  Questa  sorta  di  natu- 
rale castrazione  può  essere  di  due  spezie;  o  total- 
mente dispajouo  i  fiorì  maschi  e  rimangono  i  femi- 
nei  ;  o  questi  e  quelli  sono  del  pari  obbliterati.  Si 
chiederà  ora  da  quali  cause  derivino  queste  alte- 
razioni nel  sessuale  organismo.  L'A.  dice  che  le  fi- 
caje  incapaci  di  portare  fiori  perfetti  nascono  da* 
semi  del  caprifico  che  hanno  ricevuto  nella  conce- 
zione loro  i  caratteri  dello  spadonismo .  Allora  quan- 
do addivenga  che  nelle  ovaje  di  un  caprifico  siavi 
soprabbondanza  e  promiscuità  d' influenza  maschile 
gli  >embrioni  in  tal  caso  ;non  giungono  a  perfezione, 
ma  combinasi ,  die'  egli ,  un  germe  complicato  ,  il 
quale  per  un  principio  delle  leggi  eterne  della  crea- 
zione é  privo  di  sesso  o  lo  porta  imperfetto  (pag.zS  ). 

Questa   proposizione    meriterebbe    qualche    ri- 


192  S   e   I  B  N   Z   B 

schiaramento  perchè  si  dovessero  senza  titubanza 
ammettere  le  conseguenze  che  ne  ricava  1  \.  Con 
la  frase  di  promiscuità  dell  in /licenza  maschile  inten- 
de egli  forse  la  concorrenza  di  molti  fiori  maschi  o 
dì  molti  individui  della  medesima  spezie  che  disper- 
dano la  loro  polvere  prolifica  per  fecondare  un  ger- 
me? Se  così  è  come  adunque  addiviene  che  questa 
promiscuità  e  la  copia  di  umor  seminale  che  pe- 
netra nelle  ovaje  abbiano  la  capacità  di  alterare  sì 
fattamente  i  germi  stessi  che  debbano  da  essi  de- 
rivare piante  mutilate  negli  organi  della  generazio- 
ne ?  Noi  non  veggiamo  in  tali  casi  succedere  nien- 
te di  simile  negli  animali;  se  non  che  sembra  che 
r  A.  «sia  persuaso  che  i  vegetabili  costituiscano  in- 
torno a  ciò  una  particolare  eccezione  a  nonna  del- 
le esperienze  da  lui  riferite  nella  Teoria  della  ripro^ 
dazione  vegetale  (pag.  64  )  a  cui  rimettiamo  il  let- 
tore. Duriamo  per  altro  fatica  a  comprendere  co- 
me ciò  succeda  per  un  principio,  come  egli  si  espri- 
me ,  delle  leggi  eterne  della  creazione  ;  poiché  non 
sì  conosce  in  natura  la  necessità  che  da  un  gf»rme 
fecondato  da  soprabbondanza  di  seme  debba  prove- 
nire   un  individuo  incapace  di  prolificare. 

Comunque  ciò  sia  sembra  almeno  confermato 
dalle  osservazioni  dei  botanici  che  i  fichi  domesti- 
ci sieno  castrati  .  Essi  mancano  del  tutto  di  fiori 
maschili;  ed  i  feminei  sono  infecondi  perchè  van- 
no forniti  di  un  seme  coriaceo  e  voto,  mentre  la 
sostanza  destinata  a  formare  la  mandorla  crede  si  che 
si   sviluppi  in  una   polpa  succulenta  e  mielata. 

Ma  non  sono  questi,  seguita  l'A.,  i  soli  effetti 
della  soppressione  dei  sessi.  La  ficaja  che  di  sua  na- 
tura sarebbe  unilera  che,  vale  a  dire,  non  produr- 
rebbe frutta,  che  una  sola  volta  all'  anno  diventa 
spesso   bifera  cioè  fruttifica  due  volte.  I  primi  fi- 


PoMONA    ITALIANA  .       l()3 

chi  sono  quelli  che  provengono  dalla  crescita  e  dal- 
la maturazione  degli  embrioni  appartenenti  alle  gem- 
me fiorifere  sbocciate  nell  antiinno  dell  anno  ante- 
cedente. Essi  si  fanno  manifesti  nella  primavera  del 
susseguente,  maturano  presso  noi  verso  luglio  e  so- 
no que'  fichi  chiamati  primaticci  e  precoci  e  vol- 
garmente fichi-fiore  o  di  primo  fiore  o  fioroni.  In- 
tanto per  un  rigurgito  di  sostanza  nutritiva  prorom- 
pono sulla  fine  di  giugno  altre  gemine  d'onde  esco-, 
no  fichi  la  cui  maturazione  comincia  in  agosto  e 
continua  per  due  e  tre  mesi  ,  Questi  sono  i  fichi 
serotini,  autunnali  e  settembrini.  Riflette  per  altro 
giustamente  TA.  che  il  serotino  o  tardivo  sarebbe 
propriamente  quello  di  primavera  poiché  erasi  già 
formato  nel  precedente  anno,  mentre  al  settembrino 
competerebbe  piuttosto  il  nome  di  precoce  e  più  ve- 
ramente di  abortivo  .  Non  tutte  pertanto  le  ficaja 
producono  queste  due  generazioni  di  fichi  :  alcune 
maturano  il  fiorone  ed  abbandonano  i  fichi  autun- 
nali, come  succede  al  così  detto  fico  gentile;  ed 
altre  si  diportano  victì-versa  come  vedesi  nei  bro- 
giotti e  nei  dottati. 

Esposte  queste  cosepassaTA.  a  svolgere  più  am- 
piamente la  storia  delfico  salvatico  o  caprifico.  Esso, 
come  abbiamo  già  detto,  costituisce  il  vero  tipo  ; 
esso  è  il  fico  fecondo,  quello  a  cui  è  affidata  la  con- 
servazione della  spezie  benché  sia  affatto  inutile  all' 
uso  delfuomo.  Nonpertanto  questa  pianta  è  soven- 
te soggetta  a  particolari  modificazioni  che  senza  al-* 
terare  gli  spezifici  suoi  caratteri  ne  variano  i  mo- 
di di  essere  e  producono  insigni  aborti  .  Ben- 
ché in  generale  il  suo  frutto  o  veramente  il  suo  ri- 
cettacolo vada  corredato  di  fiori  maschi  e  femine 
tutti  perfetti,  nondimeno  talvolta  i  femiuei  sono  abor- 
titi in.totaliià  o  in  parte  i  ed  ora  gli  organi  delitti 
Q.A.T.IX.     ■  i3 


194  Scienze 

generazione  dell'  uno  e  dell'  altro  sesso  sono  cosi 
mutilati  che  non  vi  appare  distinta  organizzazione. 
Tutte  queste  fruita  soao  precoci  o  fioroni ,  e  se  al- 
cuni autori  dicono  esservi  caprilichi  uniferi  die  pro- 
ducono in  cambio  frutta  serotine,  assicuraTA.  che  non 
gli  riuscì  mai   di    vederne. 

11  caprifico  è  bensì  anch'  esso  qualche  volta 
bifero;  ma  in  questo  caso  i  fichi  che  sbucciano  in 
estate  e  che  maturano  nel  prossimo  autunno  sono 
aborti  che  contengono  soltanto  fiori  feminei  con  un 
grano  senza  ovolo  e  perciò  infecondi.  Talvolta  an- 
cora invece  di  fiori  liavvi  una  peluria  insignifican- 
te ed  allora  cadono  avvizziti,  mentre  i  primi  sono 
capaci  di  acquistare  la  maturità  pomologica  .  Addi- 
viene eziandio  in  alcuni  paesi  che  simili  fichi  se- 
rotini portano  fiorì  feminei  perfetti  e  racchiudenti 
un  grano  suscettibile  di  fecondazione  .  Tale  capri- 
fico è  descritto  dal   Cavolini  e  dal  Pontedera. 

Finalmente  questa  pianta  diviene  anche  trifera- 
Tale  razza  è  sconosciuta  Ira  noi  ma  alligna  nelle  iso- 
le dell'Arcipelago,  ove  trovausi  ficaje  salvatiche  che 
danno  tre  sorta  di  frutta  niuna  delle  quali  è  buo- 
na a  mangiarsi .  Tournefort  ce  ne  ha  lasciato  una 
circostanziata  descrizione  .  Il  primo  frutto  chiama- 
to in  quel  linguaggio  Ornos  spunta  in  primavera,  il 
secondo  detto  Fornites  si  maniliesta  in  agosto  e  du- 
ra fino  a  novendare.  Sulla  fine  di  settembre  ne  com- 
pare un  terzo  detto  Cratitires  che  si  sostiene  per 
tu  Ito  l'inverno.  11  solo  Ornos  è  un  fico  perfetto  cor- 
redato di  iiori  maschili  e  di  fiori  feminei  ,  mentre 
il  Pornites  ed  il  Cratitires  ne  portano  solamente  di 
questi  ultimi.  Osserva  1  A.  che  siffatto  caprifico  tri- 
fero  non  potn  bbe  essere  in  rigore  che  un  vero  bi- 
fero,  imperocché  le  due  ultime  generazioni  estive  di 
J^ornites  e  di    Cratitires  nascendo  ambedue  nel  gei- 


POxìIONA    ITALIANA  J  qS. 

to  novello  dell'albero  potrebb-^o  in  sostanza  essere 
una  sola  generazione  che  continuatamente  e  succes- 
sivamente si  sviluppasse. 

Per  compiere  Ja  storia  naturale  del  caprifico 
avrebbe  dovuto  Y  A.  soddisfare  a  varj  quesiti  che, 
se  non  erriamo,  potrebbero  essere  proposti .  i  .  Se 
è  vero ,  come  egli  crede ,  cliP  il  fico  domestico  ca- 
strato negli  organi  sessuali  maschili  e  viziato  ne' 
feminei  produca  per  tal  causa  frutta  dolci  e  pol- 
pose ,  d'  onde  avviene  che  non  hanno  tal  qualità 
quelle  del  caprifico  quando  sono  in  esse  medasime 
obbl.iterati  ambi  i  sessi  ,  come  si  avvera  allorché 
in  caniljio  dei  fiori  mostrano  una  tenue  ed  inutile 
peluria  ?  a  .  Se  il  fico  domestico  i  cui  fiori  sono 
castrati  deriva  dai  semi  di  que'  caprifichi  che  ri- 
mangono fecondati  da  un'  abbondanza  di  polvere 
prolifica  quale  origine  hanno  le  frutta  serotine  del 
caprifico  bifero  clie  oiTrono  la  stessa  mostruosità  ? 
e  perchè  quest'ultima  pianta  produce  in  estate  frut- 
ta ermafrodite  perfette ,  ed  in  autunno  così  muti- 
late? 3  .  Se  la  castrazione  tanto  influisce  sull'  or";a- 
nismo  del  frutto  da  farlo  riuscire  succolento  e  mie- 
lato  ,  perchè  i  Fornltes  ed  i  Crafidres  a  cui  man- 
cono  del  pari  gli  organi  maschili  sono  insipidi  e 
caduchi  ?  4  •  Se  le  ficaje  domestiche  sono  bifere 
mercè  un  rigurgito  di  sostanza  nutritiva  prodotto 
dalla  soppressione  dei  sessi  ,  perchè  bifero  eziandio 
è  il  caprifico  che  ne'  frutti  primaticci  è  fornito  di 
tutti  gli  organi  sessuali  ?  Noi  siamo  di  avviso  che 
r  A.  saprebbe  dare  con  la  sua  sagacità  una  sod- 
jdisfacente  risposta  a  tutte  queste  inchieste . 

Dopo  di  avere  esibito  la  storia  del  caprifico 
si  trattiene  a  più  particolarmente  ragionare  del  fico 
domestico  .  Egli  ne  riconosce  due  varietà  ,  Y  una 
perfettamente  castrata,  e  Y  altra  semi-castrata  (  mu,- 

i3* 


njG  Scienze 

la  e  semi-mula  )  .  La  prima  non  isviluppa  mai  fio- 
ri capaci  di  fecondazione  mancando  degli  organi 
uecessaij  per  darla  e  per  riceverla  ,  e  costituisce 
le  diverse  qualità  di  fichi  domestici  che  si  colti-» 
vano  in  Italia,  in  Francia,  in  Ispagna.  Questi  non 
portano  mai  fiori  maschili  ed  i  feminei  che  inter- 
namente vestono  tutto  il  ricettacolo  non  sono  for- 
niti che  di  un  ovajo  coriaceo  e  voto  ,  poiché  la 
sostanza  destinata  a  formare  la  mandorla  si  svilup- 
pa invece,  dice  TA.,  in  una  polpa  che  ingrossa  il 
ricettacolo  stesso  ed  i  pedicelli  de'  fiori  ,  ed  in  un 
miele  che  gli  inviluppa  . 

Gotal  fico  domestico  può  dividersi  in  due  prin- 
cipali classi  ;  in  unifero  cioè  e  bifero  .  L'  unifero  è 
o  precoce  quando  dà  frutta  nella  stagione  estiva  ; 
o  serotino  se  le  porge  in  autunno  .  Nel  primo  ca- 
so è  o  a  gemma  semplice  che  appare  in  estate  ,  si 
condiziona  in  autunno,  e  perfezionata  nelV  inverno 
fa  sbocciare  nella  primavera  dell'  anno  seguente  i 
fioroni  che  poi  maturano  in  luglio  ;  o  a  gemma 
doppia  allorché  olti'e  a  quella  sopradescritta  un'al- 
tra ne  caccia  in  primavera  da  cui  immediatamen- 
te sì  schiudono  fichi  imperfetti  che  abortiscono  e 
sono  caduchi:  la  fica j a  unifera  serotina  ammette  la 
divisione  medesima  .  Quella  a  gemma  semplice  è  co- 
mune e  non  poita  mai  che  fichi  autunnali  ;  1'  al- 
tro a  gemma  doppia  è  piiì  rara  e  produce  una  se- 
conda volta  ne'  nodi  delle  gemme  che  hanno  già 
fruttato  in  autunno  ;  ma  questa  produzione  è  im- 
perfetta   e  abortiva  - 

Quanto  alla  ficaja  bifera  essa  è  quella  che  di 
àiie  successioni  di  fichi  ambe  castrate  ,  ambe  ma- 
turescenti  ed  ambe  mangiabili  .  Essa  presenta  mol- 
te varietà  così  nella  forma  come  nel  colore  le  quali 
sono  metodicamente  descritte  dall'  A.  La  polpa  stes- 


I^OMONA    ITALIANI  Ifjy 

sa  e  la  forma  delle  foglie    sono  soggette  a    diver- 
se modificazioni . 

Abbiamo  fatto  osservare  che  tutti  questi  fichi 
domestici  sono  per  intiero  castrati  .  Rimane  ora  a 
parlare  dei  semi-castrati  i  quali  s' incontrano  nelle 
isole  dell'  Arcipelago  ed  in  alcuni  paesi  del  regno 
di  JNapoli .  Essi  mancano  del  pari  di  fiori  maschi- 
li ,  ma  i  feminei  sono  perfetti  e  contengono  un  ovajo 
che  può  essere  fecondato  dalf  azione  de'  primi  e 
produrre  veri  semi  .  Siffatto  fico  non  è  mai  né  bi- 
fcro  ,  né  serotino  ,  ma  sempre  unifero  e  precoce  . 
Le  sue  gemme  sono  costantemente  semplici  ,  ne  mai 
ne  ammette  di  quelle  secondarie  che  immediatamen- 
te si  sviluppino  in  tanti  ficolini  ora  maturescentì 
ed  ora  caduchi  come  avviene  nelle  altre  ficaje.  Un 
altro  particolare  carattere  che  lo  distingue  si  è  che 
la  maturazione  delle  sue  frutta  è  sempre  contem- 
poranea, quando  ne'fìchi  domestici  bifcrì  e  negli  uni- 
feri  a  gemma  doppia  essa  è  graduata  e  successiva.  Ciò 
addiviene  perchè  la  messa  che  spunta  in  questi  ul- 
timi nella  primavera  non  acquista  tutta  la  sua  lun- 
ghezza che  sul  finire  della  state,  nel  quale  corso  di 
tempo  vansi  via  via  formando  sempre  nuove  gem- 
me florali  da  cui  più  presto  e  più  tardi  si  svi- 
luppano le  frutta  .  Nel  fico  semi-castrato  dell'  Ar- 
cipelago all'  incontro  la  messa  della  primavera  non 
fruttifica  mai  nell'  autunno  ,  e  le  sue  gemme  tutte 
e  contemporaneamente  si  svolgono  nel  seguente  an- 
no ,  perciò  i  fioroni  nascono  anche  essi  tutti  ad 
un   tratto  . 

Il  fico  di  cui  parliamo  somministra  argomen- 
to air  A.  di  tessere  un  lungo  capitolo  intorno  al- 
la capri ficazione.  È  questa  una  curiosa  pratica  co- 
nosciuta sino  dagli  antichi  tempi  ed  accennata  da 
l'rodoto  ,    da    Arislolele,  da    TeofrastQ    e,   da    Pli- 


IQÒ  Scienze 

Ilio  ,  mediante  la  quale  le  fruita  di  tali  ficaje  che 
cadn-bbero  dall'  albero  imrjiature  acquistano  quel 
grado  de  maturità  necessaria  |3er  essere  mangiabi- 
li .  Ciò  consiste  nelF  appiccare  ai  rami  di  questa 
pianta  filze  di  fichi  salvatici  tolti  dal  caprifico,  en- 
tro aiquàli  annida  un  insetto  volante  simile  ad  un  mo- 
scherlno  chiamato  da  Linneo  Cjnips  psenes  e  dell'A. 
Chalcis  psenes .  Ora  questo  insetto  abbandona  le 
frutta  del  caprifico  e  trasmigra  in  quelle  del  fico 
domestico  o  semi  -  domestico  ,  come  egli  lo  cliia- 
nia ,  le  quali  giungono  per  suo  mezzo  alla  ma- 
turità . 

Molto  è  stalo  quistionato  dai  fisici  intorno  al- 
la causa  di  questo  fenomeno  .  Pretendono  alcuni 
che  la  maturazione  con  tale  spediente  conseguita 
sia  r  effetto  della  morsicatura  di  questi  insetti  me- 
diante la  quale  producasi  ne' fichi  uno  stravaso  di 
succhi.  Altri,  nominatamente  Linneo,  si  avvisa- 
no che  sia  una  conseguenza  della  fecondazione  de' 
fiori  feminei  della  fìcaja  semi  -  domestica  impre- 
gnata dalla  polvere  prolifica  de'  fiori  maschi  del 
caprifico  portata  dai  moscherini  che  ne  hanno  in- 
triso il  corpo  e  le  ali .  Altri  ancora ,  e  fra  que- 
sti il  sig.  Olivier,  qualificano  questa  pratica  come 
un  mero  pregiudizio  . 

L'  A.  si  attiene  alla  seconda  di  queste  sen- 
tenze benché  conlessi  di  non  essere  stato  in  pae- 
si dove  potesse  ocularmente  osservare  la  caprifìca- 
zione  ,  e  così  la  va  discorrendo .  I  fichi  che  so- 
no prodotti  da  simili  ficaje  sono  castrati  negli  or- 
gani sessuali  maschili,  ma  hanno  fiori  feminei  per- 
fetti racchiudenti  un  ovolo  capace  di  essere  fe- 
condato. Questi  fiori  destinati  a  perfezionare  il  se- 
me hanno  una  co  litigai;  ione  necessaiia  col  ricetta- 
colo su  cui  sono  impiantati.    Se  la    mancanza    di 


PoMONA    ITALIANA  Ì()0 

fecondazione  arresta  la  vita  loro  si  disorganizzano 
innanzi  tempo  ,  e  la  morte  di  essi  seco  porta  per 
conseguenza  la  morte  del  ricettacolo  che  cade  avviz- 
zito .  Ma  se  potranno  adempiere  a  quelF  uffizio  a 
cui  sono  destinati  dalla  Natura,  se  rimarranno  fe- 
condati dalla  polvere  portata  dai  moscìierini  la 
loro  vita  sarà  allora  prolungata;  il  ricettacolo  stes- 
so che  gli  sostiene  parteciperà  di  questo  beneficio  , 
avrà  tempo  di  elaborare  i  succhi  determinati  in  es- 
so dalla  soppressione  dei  maschi,  ed  acquisterà  la  ma- 
turità    pomologica . 

Se  così  va  la  bisogna  potrebbesi  chiedere  per- 
chè le  ficaje  domestiche  e  nostrali  perfettamente  ca- 
strate negli  organi  maschili  e  viziate  ne'  feminei 
nulla  ostante  T  incapacità  di  ottenere  fecondazione 
producano  frutta  mature,  mangiabili  e  persistenti  - 
L'  A.  risponde  che  siffatte  piante  hanno  sortito  que- 
sta castrazione  fino  dalla  nascita  mediante  una  par- 
ticolare modificazione  del  loro  organismo  ;  perciò 
i  fiori  femine  mostruosi  in  origine,  abortiti,  e  sen- 
za principio  di  seme  non  vanno  soggetti  a  quella 
morte  che  colpirebbe  gli  altri  della  ficaja  caprifica- 
bile  quando  mancasse  T  azione  maschile  a  ricevere 
la  quale  sono  essi  disposti  per  la  loro  conformazio- 
no.  Non  succedendo  per  tale  motivo  la  morte  de'fio- 
ri  persevera  in  vita  lo  stesso  ricettacolo  e  giunge 
a  maturità  .  Tali  almeno  ci  sembrano  essere  le  idee 
deir  A.  benché  non  sieno  con  bastante  estensione 
sviluppate. 

Ma  un'  altro  dubbio  potrebbe  insorgere  biso- 
gnoso di  rischiaramento.  Se  i  frutti  delle  ficaje  capri- 
ficabili  acquistano  la  maturità  mediante  la  feconda- 
zione ,  e  se  questa  è  veramente  una  condizione  si- 
ile qua  non  ,  come  addiviene  che  le  ficaje  salvati- 
che  o  i  caprifichi  ne'  quali  essa  ha  luogo  no.n  dan- 


aod  S  e  1 1.  ìn  z  E 

no  malgrado  a  ciò  che  fruita  insulse,  senza  polpa 
e  senza  succo?  Benché  T  A.  direttamente  non  rispon- 
da a  questo  quesito  si  può  dal  complesso  della  sua 
teoria  argomentare  che  egli  supponga  che  ciò  suc- 
ceda perchè  oltra  ai  feminei  essendo  i  caprifichi 
forniti  di  orgaiii  maschili  troppo  succo  nutritivo  si 
disperde  per  la  preparazione  dell'  umore  prolifico, 
e  perciò  il  ricettacolo  non  ha  campo  di  impinguar- 
si .  Queste  ficaje  si  fecondano  a  spese  delle  pro- 
prie forze  ;  nelle  capriiicabili  all'  opposto  la  fecon- 
dazione si  compie  mediante  il  sussidio  di  un  al- 
tro individuo  ,  di    un  individuo   maschio  - 

Ingegnose  senza  fallo  e  lilosoliche  sono  queste 
induzioni  .  Nulladimeno  impegniamo  l'  A.  a  volere 
esaminare,  quando  l'opportunità  gliel  conceda,  se  non 
fosse  piuttosto  possibile  che  la  maturazione  delle 
frutta  nelle  ficaje  capriiicabili  rientrasse  nella  re- 
gola generale  a  cui  sono  soggette  quelle  domesti- 
che ;  se  in  cambio  di  attribuirla  alla  fecondazione 
fosse  un  effetto  di  completa  castrazione  ;  se  i  mo- 
srherini  che  vien  supposto  essere  pronubi  di  que- 
ste nozze  in  quanto  che  introducano  la  polvere  pro- 
lifica del  caprifico  ne'  fiori  femine  della  pianta  ca- 
prificabile  non  fossero  piuttosto  norcini,  se  così  pos- 
siam  dire,  che  castrino  del  tutto  qua'  fiori  o  ro- 
dendo la  mandorla  del  seme  ,  o  mozzando  lo  sti- 
lo ,  o  in  qualunque  altra  maniera  decurtando  que- 
gli organi  prima  che  abbiano  conseguito  T  intiero 
sviluppo,  e  sieusi  messi  in  istalo  di  appetire  in  cer- 
ta  guisa  r  azione  del  maschio  . 

Terminando  la  relazione  di  questa  parte  del 
libro  dell'  A.  soggiungeremo  che  1'  opera  della  ca- 
prificazione  in  Sicilia  ove  abbiamo  veduto  usarla  , 
e  nominatamente  a  Castel  Termini  ,  chiamasi  tic- 
rhiaroì^e  ,  poiché  ticchiara    dicesi  in  quel    paose  il 


POMOXA    ITALIANA.  a  Oli 

frutto  del   caprifico .  A  Reggio  di   Calabria    si    de- 
nota col  vocabolo  armare .  Essa  viene  praticata  dalla 
metà  di  giugno  fino  all'  incominciamento  di  luglio 
infilando  le  ticchiare  piene  di  moscberini  in    un  vì- 
mine a   guisa  di    corona  (jd  appendendole    a    molti 
rami  dell  albero  .  Le  ficaje  caprificabili  si   cliiama- 
no  a   Reggio  Flcazzana  ,    Melisa  e   Molignana  ,  ma 
così  in  questo  paese    come  in   Sicilia  fummo  raggua- 
gliati che  darebbero  fichi  anche  senza  la    caprificazio- 
ne  benché  in  minor  copia  ,   e  se   è  vero   quanto    ci 
fu  narrato  molte   volte  sono  bifere  .  Quelle  che  frut- 
tificano senza  questo   artifizio  sono  le   Ottate  o  Dot- 
tate ,   le   Catalane  ,  le    Trojane  ,   e    le   Gentili  .  Sul 
proposito  di   queste  ultime  dove  f  A.  nella   sua  Po- 
mona  ne  dà  la  descrizione  avverte  nella  lista  de'  si- 
nonimi che  corrispondono   alla    Ficus    Tihurtina  di 
Plinio  ,  e  parlando  dell'altro  fico  chiamato  Pissalut- 
to  (  o    piuttosto  Pizzaluto  che  ne  dialetti    delf  Ita- 
lia meridionale  vorrebbe  dire  appuntilo  )  indica  che 
è  il    Ficus    Liviana  dello    stesso    autore    e   di    Go- 
lumella.  Ma  gli  scrittori  latini  non  fanno  che  nomina- 
re   queste  due    razze  di    fichi    senza  menomamente 
dichiararne  i    caratteri  ,  per   la  qual    cosa    sarebbe 
molto  difficile  di   decidere  a   quali  delle  nostre  spe- 
zie appaFtengano  . 

All'  articolo  della  caprificazione  di  cui  abbia- 
mo dato  contezza  un  altro  ne  succede  sulf  Ingal- 
lazione  e  sulla  Ogliazione  .  Definiamo  questi  termi* 
ni  o  a  meglio  dire  esponiamo  a  quale  oggetto  si 
riferiscano  .  Narrano  i  viaggiatori  ,  ed  è  cosa  po- 
sta fuori  di  dubbio,  che  il  fico  di  Egitto  chiama- 
to sicomoro  (  Ficus  sjcomorus  )  non  matura  se 
non  che  qualora  venga  scarificato  nella  buccia  con 
un  uncino  di  ferro  o    con  cdtro    equivalente   istrur 


:i02  S    e  1  E  N  Z  E 

mento .  In  conseguenza  di  ciò  è  stato  da  molti  na- 
turalisti inimjiginato  che  la  maturità  a  cui  giun- 
gono i  lìchi  per  mezzo  della  caprificazione  sia  un 
effetto  disile  punture  cagionate  da  que'  moscbeiini 
di  cui  abbiamo  parlato  .  E  siccome  queste  ferite 
possono  paragonarsi  a  quelle  fatte  da  alcuni  insetti 
nella  corteccia  degli  alberi  e  da  cui  derivano  le 
escrescenze  conosciute  sotto  il  nome  di  galle  ,  così 
l'A.  dà  a  tale  operazione  eseguila  nei  fichi  il  titolo  di 
ingallazione  .  Quanto  alla  oliazìone,  questo  termine 
allude  ad  una  pratica  comune  ne'  paesi  meridionali 
ove  si  accostuma  di  fare  maturare  i  fichi  ungen- 
done   r  occhio  con   una  gocciola  d'  olio  . 

Non  è  da  disconvenirsi  che  gli  effetti  prodot- 
ti dalla  scarificazione  sul  sicomoro  non  sieno  tali 
che  possano  estenuare  la  teoria  della  caprificazione 
fondata  sulla  fecondazione  ^  poiché  sembra  che  essi 
si  prestino  senza  di  questa  alla  spiegazione  del  fe- 
nomeno. Perciò  VA.  si  va  industriando  di  interpre- 
tarli in  guisa  che  non  rechino  nocumento  al  siste- 
ma da  lui  adottato;  ma  per  amore  della  verità  ci 
sia  lecito  il  dire  che  questo  capitolo  è  meno  argu- 
to degli  altri;  che  leggermente  si  trascorre  su  alcu- 
ne importanti  obbiezioni;  e  quasi/^che  si  volesse  sot- 
trarle allo  sguardo  immediato  del  lettore  vengono  in- 
sieme con  le  risposte  confinate  in  una  nota  alla  li- 
ne del  libro  quando  dovevano  fare  parte  integrante 
del  testo-  Prima  di  tutto  conviene  egli  che  i  sum- 
mentovati  moscherini  trapanino  il  seme  del  fico  per 
depositarvi  le  loro  uova ,  ma  nega  che  questa  ope- 
razione possa  produrre  nn  risultato  simile  a  quello 
che  deriva  dall  ovo  di  un  insetto  chiuso  in  un  frut- 
to il  quale  accelera  la  maturità  di  esso .  Questa 
maturità,  die' egli,  non  ha  luogo  che   dopo  lo  svi- 


POMONA    ITALIANA.  4o3 

Juppo  della  larva  la  quale  sola  può  coi  suoi  morsi 
cagionare  uno  stravaso  eli  umori  che  produca  nel 
tessuto  vegetale  un  intenerimento  che  somiglia  alla 
maturazione.  Ma  l'evo  del  moscherino  non  può  svi- 
lupparsi nel  seme  del  fico  se  non  che  dopo  a  die- 
ci o  dodici  giorni,  mentre  il  fico  caprificato  matu- 
ra prima  di  questo  tempo.  Dunque,  soggiunge,  la 
sua  maturazione  precedendo  l'azione  della  larva  non 
può  esserne  la  conseguenza. 

Questa  induzione  non  ci  sembra  abbastanza  le- 
gìttima; imperocché  come  può  egli  assicurare  che 
im  corpo  estranio  animato  introdotto  in  un  piccio- 
lo e  delicato  seme  non  possa  di  botto  in  esso  pro- 
durre quelle  alterazioni  che  indurrebbe  una  larva  in 
un  grosso  frutto? 

Ma,  prosegue  l'A-,  l'ovo  dell'  insetto  è  deposi- 
tato nei  grani  racchiusi  nel  ricettacolo  ed  in  que- 
sti grani  si  sviluppa  e  vive  la  larva  del  moscheri- 
no. Essi  sono  dunque  i  soli  che  possono  risentirsi 
della  sua  influenza,  la  quale  non  si  può  estendere 
al  ricettacolo  stesso.  E  che!  non  ha  egli  esposto  in 
un  altro  luogo,  come  già  abbiamo  avvertito,  che 
tanta  è  la  collegazione  tra  il  ricettacolo  ed  i  semi, 
o  il  fiore  di  cui  sono  parte,  che  la  morte  di  que- 
sto cagiona  il  deperimento  dell'  altro?  In  conse- 
ofuenza  di  ciò  non  sarà  anche  lecito  di  dire  che  un* 
alterazione  per  cause  esterne  succeduta  negli  orga- 
ni florali  si  possa  per  consenso  estendere  al  ricet- 
tacolo? Se  queste  nostre  considerazioni  potessero  ave- 
re qualche  valore,  verrebbero  in  sussidio  dell'opinio- 
ne o  piuttosto  del  sospetto  manifestato  che  la  ma- 
turazione dei  fichi  prodotta  dai  moscherini  possa  es- 
sere un   effetto  della  castrazione . 

Quanto  alfoliazione  dichiara  l'A.  in  conseguen- 


2o4-  Scienze 

za  delle  osservazioni  e  delle  esperienze  da  Ini  fatte 
che  essa  è  inutile  ne'  fichi  delle  varietà  caduche  , 
e  che  non  giova  nelle  altre  se  non  che  quando  il 
frutto  è  giunto  ad  un  cetto  grado  di  perfezione  o 
di  sviluppo  per  cui  sia  capace  di  ricevere  quel  prin- 
cipio di  fermentazione  indotta  dall'  olio.  Tale  ope- 
razione non  rende  maturescenti  i  fichi,  ma  accele- 
ra soltanto  la  maturità  di  quelli  che  di  loro  natura 
sono  fatti  per  acquistarla  .  Gonchiude  perciò  che 
essa  non  ha  nulla  di  comune  con  Ja  caprificazione. 

Gli  ultimi  capitoli  della  parte  di  questo  trat- 
tato finora  pubblicata  sì  aggirano  sulla  storia  natu- 
rale di  due  insetti  che  vivono  nel  caprifico;  del  Chal- 
cis  o  Cjnips  Psenes  e  del  Chalcis  Centrinus  o  Ichneii-' 
mon  ficnrius  del  Cavolini,  non  che  della  coccini- 
gia  del  fico  ,  Cocus  ficus  caricae^  e  di  alcuni  in- 
setti che  vivono  nel  fico  in  America  .  Il  Chalcis 
psenes  è  quello  che  veramente  serve  alla  caprifica- 
zione ,  ma  l'A.  si  attiene  in  gran  parte  a  quanto 
ne  è  stato  scritto  dagli  autori  e  particolarmente  dal 
Cavolini,  poiché  non  si  è  trovato  in  luoghi  ove  po- 
tesse esplorare  tutte  le  abitudini  di  questo  insetto- 
Importante  è  1'  osservazione  da  lui  fatta  su  quelli 
che  vivono  ne'  caprifichi  uniferi  del  Finale  e  del  ter- 
ritorio di  Pisa  assicurando  di  avere  verificato  che 
vi  sono  individui  maschi  ed  altri  femine,  laddove 
il  Cavolini  aveva  preleso  che  fossero  androgini  . 

La  parie  non  per  anche  stampata  di  questo 
trattato  conterrà,  come  l'indice  lo  dimostra,  un  di- 
scorso sulla  cultura  e  sugli  usi  del  iico  e  sulle 
varietà  di  questa  pianta  in  Italia  .  Intanto  da  quan- 
to è  stato  finora  pubblicato  non  potranno  i  fisici  se 
non  che  ammirare  la  sagacità  ,  il  genio  osservatore,  e 
le  viste  originali  dell' A.  ed  incoraggiarlo  alla  conti- 


POMONA    ITALIANA  ao5 

nuazione  di  un' intrapresa  da  cui  tanto  onore  ridonda 
a  lui  ed  alla  sua  propria  nazione,  vogliamo  dire  all' 
Italia.  Se  noi  ci  siamo  fatto  lecito  dì  arrischiare  con. 
filosofica  libertà  alcune  critiche  osservazioni  non  ab- 
biamo menomamente  avuto  intenzione  di  estenuare  il 
pregio  di  un  opera  tanto  cospicua.  Se  tali  esse  sono 
che  possano  meritare  qualche  riflesso  saprà  egli  met- 
terle a  calcolo  nel  proseguimento  del  suo  lavoro  ;  ia 
caso  diverso  saranno  da  lui  trascurate  e  poste  al  pa^* 
ro  di  tante  altre  che  si  spacciano  ne'  giornali . 


3o6 

■*■■  ' 

LETTERATURA. 


^l  signor  marchese  Gian  Giacomo    Trivulzio 
VmcENzo  Monti 


X  oco  tempo  avanti  clie  T  onorando  professor  pa- 
dovano Marsand  ponesse  mano  alla  magnifica  sua 
edizione  del  Petrarca,  dimandandomi  egli  se  in  quel 
passo  del  son.  80,  v.  7,  che  fin  dai  tempi  del  Bem- 
bo mise  in  tanta  battaglia  i  grammatici  ,  tornasse 
bene  o  no  l'ammettere  la  nuova  lezione  Ciò  che  non 
è  in  lei^  io  gli  diedi  liberamente  il  consiglio  di  ri- 
fiutarla, e  tener  ferma  l'antica  Ciò  che  non  e  lei  ; 
promettendogli,  nel  caso  che  altri  gliene  desse  bia- 
simo, di  pigliarne,  per  quanto  fosse  in  me,  le  di- 
fese . 

So  che  questa  lezione  fa  gridare  alcuni  dotti 
allo  scandalo ,  come  quella  che ,  per  loro  avviso  , 
rimette  nel  primo  stato  d'accusa  il  Petrarca,  gravan- 
dolo d'un  fallo  grammaticale  fuor  di  perdono;  e  so 
che  l'altra,  promossa  primieramente  dal  Manni,  poi 
suggellata  dal  celebre  bibliotecario  cav.  Morelli ,  di 
cui  piangiamo  ancora  la  perdita,  ha  trovato  ultima- 
inente  negli  atti  dellT.  K.  accademia  della  Crusca 
due  altri  insigni  avrocati,  Francesco  Del  Furia  e 
Luigi  Fiacchi,  uomini  di  bella  riputazione  e  molta 
dottrina .  GoU'autorità  adunque  di  nuovi  testi,  con- 
sultati da  quegli  eruditi,  rimanendo  finalmente  pur- 
gato il  Petrarca  di  quella  colpa,  parrebbe,  dirà  ta- 


Verso    del   Petrarca    difeso  207 

luno ,  ornai  tempo  di  oiFerire  un'ecatombe  ad  Apol-» 
lo  a  simiglianza  di  qiiplJa  già  di  Pittagora  pel  ritro- 
vato dell'ipolenusa.  Tuttavia  ,  trattandosi  d'un  sa- 
crifizio di  molta  spesa ,  io  fo  istanza  che  si  sospen- 
da fin  a  tanto  che  combattendo  il  xMorelli  e  i  due 
seguaci  accademici,  o  bene  o  male  io  liberi  coU' 
amico  la  mia  promessa.  Dovendosi  però  porre  Ja 
lite  davanti  ad  un  giudice  d'  intendimento  a  molte 
prove  sicuro,  io  mi  affido  di  averlo  in  voi,  prestan- 
tissimo sig.  marchese,  in  voi  c|ie  per  assiduo  no- 
bilissimo studio  ne'  classici  vi  siete  fatto,  per  cosi 
dire,  loro  contemporaneo;  e  spendendo  tesori  nell* 
acquistarne  i  codici  più  preziosi,  e,  ciò  che  più  mon- 
ta, attentamente  volgendoli  e  confrontandoli  e  po- 
stillandoli avete  presa  in  essi  tal  pratica  della  lin- 
gua e  di  quelle  loro  maniere,  che  singolari  li  ren- 
dono dai  moderni,  ch'io  non  so  chiosatore  più  acu- 
to di  voi,  nò  più  pronto.  Piacciavi  adunque  di  se- 
der giudice  della  contesa  ;  ed  eccomi  nell  arena. 

Su  quali  principi  pretendono  essi  Y  espulsione 
della   volgata  Ciò  che  non  è  lei? 

Quel  lei  primo  caso ,  risponde  il  Fiacchi  (  Att. 
Accad.  Grus.  f.  iGy  ),  fa  reo  il  Petrarca  d'  un  gravis- 
simo solecismo  che  a  guisa  di  puledra  idomita  senza 
capestro  salta  a  pie  pari  i  canapi  delle  regole  della 
grammatica  :  e  non  si  dovendo  mai  credere  (soggiunge 
il  Del  Furia,  ib.  f.  3o)  che  un  così  puro  ^  corretto 
e  grave  scrittore  sia  caduto  in  tal  mancamento,  ne- 
cessità vuole  e  ragione  che  a  lavare  il  Petrarca  di 
questa  macchia,  e  a  por  fine  a  tanta  letteraria  contesa, 
a  tanta  grammaticale  discordia ,  ricorrasi  ai  testi  €L 
penna  più  autorevoli  e  fedeli.  E  qui ,  portanti  la 
preziosa  variante  C^ò  che  non  è  in  lei.,  egli  cita  tre 
codici  Laurenziani ,  che  uniti  a  quello  del  Recanati  , 
al   Riccardiano,   allo  Strozziano  e  al.  Pucciano  al- 


2o8  Letteratura 

legati  dal  suo  valente  collega,  fanno  sette  codici  in 
tutto:  ai  quali  debbonsi  aggiungere  tre  conformi 
antiche  edizioni  ricordate  dal  Morelli.  Ed  ecco  in 
ischiera  dieci  belle  testimonianze ,  innanzi  alle  quali 
o^ni  contrasto  men  tolto  ,  e  libero  pur  finalmente 
rimane  dalla  sferza  di  molti  severi  ed  accigliati 
Aristarchi  il  gentilissimo  nostro  poeta  ^  e  quel  passo 
dai  copisti  malamente  ridotto  così  viene  restituito 
alla   sua    vera   lezione: 

liasciai  quel  eh'  ìl    più   bramo  ;   ed  ho  sì  avvezza 
La  mente  a   contemplar  sola   costei, 
Ch'  altro  nou  vede;  e  ciò  che  non    è  in  lei 
Già  per  antica  usanza  odia  e  disprezza.  (Ib.f.So.) 

Così  gli  egregi  accademici  dietro  al  Morelli,  sen- 
za alcun  sospetto  d'aver  errata  la  strada.  Lasciamo  da 
parte  la  gravissima  considerazione,  che  dove  per  auto- 
rità dì  stampe  e  di  testi  s  avesse  a  decidere  la 
quistione ,  sarebbe  cosa  da  riso  il  pretendere  che 
sette  di  questi  e  tre  di  quelle  debbano  prevalere 
alle  centinaia  per  non  dir  le  raigliaja  di  altri  e  di 
altre  tutti  contrarj .  Concediamo  assai  volentieri, 
anzi  vogliamo  che  mantengasi  intatta  come  una  del- 
le più  sante  la  regola  grammaticale  che  danna  il 
pronome  lei  in  caso  retto  y  vogliamo ,  che  nella 
discordanza  delle  lezioni  si  debba  sapere  ricor- 
rere ai  testi  a  penna  piìc  autorevoli  e  fedeli .  Ma 
di  questa  maggiore  autorità  e  fedeltà  chi  decide? 
La  critica  .  E  che  quella  regola  rimanga  infranta 
nella  volgata ,  a  chi  spetta  il  farne  giudicio  ?  Alla 
grammatica.  La  grammatica  adunque  e  la  critica  sienoi 
eolie  veri  giudici  della  liter  e  voi,  mio signoreed amico, 
secondo  la  preghiera  che  ve  n'ho  fatta,  sostenetene 
la  persona.  Intanto  comincino  gii  avversar]  a  prò- 


Verso  del  Petrarca    difeso  209 

▼are  che  il   verbo  essere  non  ammettendo  compagnia 
di    nome    che  in  caso    rotto  ,  ne    sogue  di  neccssitft 
che  la  lezione  Ciò  che  non  è  lei  sia  dannata .  Qui 
fermino    le    loro    forze,    qui    badino  a    trincerarsi; 
perchè,   perduto  quel  nominativo,  tu^to   è  perduto  . 
Or  che    dicono    essi  ,    che    ianno   a    dilesa    di 
questo    importantissimo    punto?    Nulla.    Le  buone 
regole  grammaticali   insegnano  che   lei  per  ella  non. 
vuoisi    usare  nel    caso   retto  ,    ib.  f.  3o.  Ecco   tutto 
il  loro    argomento   oltre   i   salti    che   avete    visti    di 
quella    scapestrata  puledra .  Ma    che   in    buona    lor 
pace   sia  falso   che    la  puledra  corra  senza   capesl.  o  , 
Vale    a  dire   che  lei  in    quel  passo  non  è  altrimenti 
primo    caso,    ma   quarto,  insorgono   a    dimostrarlo 
tanti  scrittori  di  primo  seggio  ,  e  grammatici  severis- 
simi ,  e  legislatori   della  più    corretta  favella  ,  che  il 
Marsand    non    solamente  andrà  bello  e    assoluto    di 
quella  supposta  col|>a  ,  ma,  se  a  Dio  piace  ,  lodato. 
Imperciocché  V    autorità  del  Morelli  e  de  suoi    il- 
lustri   seguaci ,    per   quanto    vogliasi   reverenda ,   io 
dubito    fortemente    eh    ella    possa    stare    a  bilancia 
con    quella    di    Dante ,  del    Boccaccio ,    d'    Anuibal 
Caro,    del    Varchi    e  di    altri    sommi   scrittori,  cha 
a  tutto  rigor  di  grammatica  colla  stessa    stessissima 
costruzione  del   Petrarca    a  bello   studio   dispero   lei 
e   lui   quarto    caso  di    essere  .   jNè   gioverà   indurre 
sospetto    di    scorretta  lezione  di  testi ,   perchè  cor- 
rettissima la  proveranno   i  più  austeri   custodi  delle 
dodici  tavole  della    lingua  ,  un  Bembo  ,  un  Gastelve- 
tro  ,  un  Daniele  Bartoli  ,  un  Luigi  Lamberti  :  i  quali 
nulla    curanti    il    vantaggio    delf  immenso  maggior 
numero    de'  codici    e    delle    stampe   che    parlano    a 
lor  favore ,  unicamente  armati  di  critica  e  di  ragione 
promettono   di  mostrare   sincera    elegante   e    diritta 
come    raggio    di    luce  V  antica    lesioue .    E   a   soc- 
G.A.T.iJt,  14 


210  Letteratura 

corso  di  quogti  ,  che  meritamente  chiameremo  filosofi 
della  lingua,  perchè  non  si  ajutano  della  sola  e 
spesso  fallace  aulorità  dei  testi  a  penna  ,  ma  rigo- 
rosamente ragionano  ,  vedrete  l'arsi  innanzi  un  filo- 
logo che  ne  vale  ben  molti ,  il  parmigiano  ab.  Co- 
lombo ,  cui  vivo  e  sano  (e  il  sia  lungamente  per 
onore  delle  nostre  lettere  )  io  citerò  come  antico , 
perchè  mi  sembra  ingiustizia  T  attendere  che  la 
morto  renda  classica  T  autorità  degli  eccellenti 
scrittori. 

Messa  su  questo  piede  la  controversia,  stiamo 
un  poco  ad  udire  ciò  che  in  prima  sentenza  pro- 
nuncia   r  oracolo  della   grammatica  . 

Jl  Gorticelli,  1.2.  cap.4.  append.  prlm.  ,  espres- 
samente dice  :  //  V.  essere  si  trova  coli'  accusativo  : 
e  cita  il  passo,  che  tra  poco  verremo  più  intima- 
mente considerando  ,  della  novella  7  ,  g.  3  del  Boc- 
caccio: credendo  egli  eli  io  /ossi  te.  Ma  perchè  al 
tempo  eh'  egli  scrivea  la  sua  grammatica  accadde 
ciie  il  Manni  trasse  fuori  la  nuova  lezione  ,  e  il 
Gorticelli  Tammise  come  quella  che  gli  parea  doves-? 
se  terminare  la  disputa,  perciò  noi  rlserbandoci  di  far 
constare  piij  avanti  il  suo  torto  nell'accettarla,  ci  ter- 
remo per  ora  contenti  che  anche  ilsuifragio  di  questo 
insigne  grammatico  apertamente  concorra  a  porre 
in  sodo  r  essenziale  dotlrina  che  in  certi  incontri 
attribuisce  al  verbo  essere  \  accusativo  :  vinto  il 
guai  punto  sarà  vinta  tutta  la  lite. 

Porgiamo  adunque  secondamente  Torecchio  al 
grande  avvocato  del  volgar  fiorentino.  Bemb.  ling. 
volg.  1.  3  .  „  Lo  avere  il  Petrarca  posta  questa  vo- 
„  ce  lei  col  verbo  è,  non  la  eh'  ella  sia  voce  del 
„  primo  caso:  perciocché  ò  alle  volte  che  la  lingua 
„  a  quel  veibo  il  quarto  caso  appunto  dà,  e  non 
„  mostra  che  la  maniera  della  toscana  favella  por- 


VeUso  del   Petra-Rca  difeso  aii 

.,  ti  die  gli  si  dia;  si  come  non  gliele  diede  il  me- 
„  desimo  Boccaccio ,  il  quale  nella  novella  di  Lo- 
„  dovico  disse  :  credendo  egli  eh  io/ossi  te^  e  non 
„  disse,  ch'io  fossi  tii^  che  la  lingua  no  \  porta,  ,, 
E  seguita  con  più  altre  belle  ragioni  a  chiarire  la 
sua  sentenza. 

Dunque,  o  si  dia  querela  al  Boccaccio  d'aver 
violata  nella  più  perfetta  delle  sue  opere  la  soprap- 
posta regola  (  violazione  che  quei  signori  non  ardi- 
ranno pretendere,  nò  noi  potremmo  concedere  )  ;  o, 
s'egli  hanno  retta  coscienza,  confessino  che  il  non 
e  lei  del  Petrarca  è  quarto  caso  come  il  fossi  te 
del  Boccaccio. 

Questa  singolare  proprietà  di  favella,  questa 
incontrastabile  prerogativa  del  verbo  essere ,  che 
collocato  fra  due  sustantivi  piglia  1  andar  dei  tran- 
sitivi, s'illustra  per  tanti  eserapj,  che  il  porli  tutti 
in  presenza  sarebbe  vanità  troppo  lunga.  Faremo 
perciò  scelta  d'  alcuni ,  e  li  piglieremo  da'  più  cor- 
retti scrittori ,  da  quelli  che  noi  teniamo  a  maestri 
della  più  purgata  favella. 

Nuovamente  adunque  il  Boccaccio,  g.  3.  n.  7. 
Marm'igliossi  forte  Tedaldo  che  alcuno  in  tanto  il 
simigliasse^  che  fosse  creduto  lui-  Al  qual  passo  il 
postillator  milanese  avendo  apposta  la  noterella 
Avverti  lui  primo  caso  ,  il  filologo  parmigiano  con- 
trappose quest'altra  ,  a  cui  vuoisi  far  attenzione: 

„  Io  credo  che  sia  quarto  caso;  e  così  han- 
„  no  creduto  il  Gastelvetro,  il  Bartolì  e  il  Manni.  Il 
„  verbo  essere  ,  quando  trovasi  in  me^zo  a  due 
,,  nomi  sustantivi,  significa  (  per  usare  la  frase  del 
„  Castelvetro  )  trasmutazioni.  Ragion  vuole  pertan- 
,.  to  ,  che  si  costruisca  alla  foggia  de'  verbi  tran- 
„  sitivi  ancor  esso.  Allora  si  considera  come  agen- 
,1  t«  la  sustanza  che  in  alcuna  guisa  trasmutasi,  e 

ir 


ai2  LETTERATtRA 

„  come  paziente  l'altra  in  cui  ,  per  così  dir  ,-7  si 
,,  trasmuta  :  ond'  è  che  il  nome  della  prtma  dee  por- 
,,  si  nel  primo  caso  ,  e  il  nome  della  seconda  nel 
,,  quarto.  A  questa  osservazione  dà  molto  peso  il 
,,  seguente  esempio  del  Boccaccio  (  G.  ^.  n.  7.  ) 
,,  Credendo  esso  c/i  io  Jvssì  te ,  rrì  ha  con  un  ba~ 
„  stone  tutto  rotto.  Certo  nessun  s'  avviserà  mai  dì 
,,  dire,  che  nelV  esempio  or  addotto  te  possa  essere 
„  primo  caso.  E  perchè  si  dirà  dunque  che  sia  pri- 
,,  mo  caso  lui  in  questo  luogo,  se  la  costruzione  è 
,,  anche  qui  la  medesima  affatto  ?  ,, 

Dunque  di  nuovo  quel  lei  del  Petrarca  ,  co- 
me questo  lui  del  Boccaccio  ,  è  accusativo.  Pro- 
cediamo negli  esempi  :  e  ne  vedremo  uscir  tanta 
luce,  che  i  Morellisti  non  sapranno  dove  nasconder- 
si. Dante  Conv.  nella  canz.  Le  dolci  rime  ecc.,  str. 
3.  V.  i3.  Poi  chi  pinge  figura  Senon  può  esser  lei ^ 
non  la  può  porre. 

Varchi ,  Ercol.  80.  Tu  mi  vuoi  far  Calandri- 
no .,  e  taholta  il  Grasso  tegnajuolo  ,  al  quale  fu 
fatto  credere  eli  egli  ncn  era  lui-  ma  diventato  un 
altro.  Esempio  allegato  dalf  autorità  più  d  ogni  al- 
tra inappellabile  del  vocabolario  della  Crusca  (  pa- 
role del  sig.  Del  Furia  ).   V.  Far  Calandrino. 

CiritF.  Cai 7.  2.  43.  Ma  primamente  ti  ringrazio 
assai  dell  esser  te  sì  magnalmo  e  cortese.  Esempio 
similmente  prodotto  dalla  soddetta  inappellabile  au- 
torità.  V.  Magnalmo. 

Morg.  I.  I,  In  principio  era  il  Verbo  appres- 
so a  Dio  ,  Ed  era  Iddio  il  Verbo ,  e  il  Verbo  lui. 

Salv.  Granch.  1.  2.  Ella  sapeva  che^  per  es- 
ser lui  a  questo  modo  povero  e  di  bassa  mano,  non 
era  mai  per  ottenerlo. 

Ann.  Caro  ,  Lett.  voi.  i.  pag.  io3.  ediz.  railan. 
Fece  quasi  credere  a  chi  noi  conosceva  che  egli  non 


Verso  del  Petrarca  difeso  aiS 

fosse  lui.  E  poco  prima  avea   detto  :    Quel  (  Ver- 
tunno  )  che  è  ogni  altro  uomo  che  lui. 

Il  med. ,  voi.  3.  pag.  223.  Accettatelo  per  ami- 
co con  tutte  quelle  accoglienze  che  vi  detta  la  vostra 
gentilezza.,  e  che  fareste  a  me  proprio.,  o  se  iofos^ 
si  lui. 

Il  med,,  Apol.  pag.  128  ,  ediz.  milan.  1820. 
Con  ciò  sia  che  vedendone  tanti  (  enimrai  )  quanti 
ne  veggo  ne  vostri  scritti ,  io  vo  pensando  se  per 
avventura  voi  foste  lei  (  la  sfinge  ),  o  ella  fosse  voi. 
K  nota  bene  che  se  mai  vi  fu  scritto  in  cui  il  Ca- 
.ro  ponesse  tutta  correzione  di  lingua,  fu  questo  di 
materia  tutta  grammaticaJe,  e  in  risposta  ad  un  av- 
versario così  sottile  e  diftlcile  come  il  Gastelvetro  . 

Firenz.  Lagrim.  Che  il  padre  el  Jiglio  una  co- 
sa medesma  Sieri,  riputati-^  ond'  io  son  lui ,  ed  egli 
£  me . 

Il  med.  ,  nov.  6  col  verbo  e/^a  sottinteso.  E* 
non  aveva  mai  bene  se  non  quando  era  dove  lei. 

Il  med.,  Lucid.  2.  2.  Di  sorte  che  io  sto  infra 
due  ,  se  egli  è  lui  egli.,  o  s^  io  sono  me. 

Allautorità  di  questi  esempj,  fortissima  pel  con- 
senso di  tanto  chiari  scrittori,  sulle  cui  opere  non 
può  cader  sospetto  di  negligenza  né  ignoranza  del- 
le più  strette  regole  dello  scrivere,  s'  aggiugne  la 
grande  ragione  della  consuetudine,  maestra  certissi- 
ma del  parlare.,  come  Quintiliano  l'appella,  1.  i. 
pag.  4-  JNel  raccomandare  ex.  gr.  un  carissimo  ami- 
co non  diciamo  noi  tuttodì  :  stimerò  fatto  a  me  il 
bene  che  a  lui  farete  ,  perchè  egli  è  un  altro  me 
stesso?  E  mi  parrebbe  sproposito  il  dire:  egli  è  un 
altro  io  stesso.  Così  nella  seconda  persona  diciamo 
correttissimamente  :  egli  è  un  altro  te  stesso ,  e  non 
mai  un  altro  tu  stesso.  Così  nella  terza:  egli  è  un 
altro   lui  stesso-^  e    darebbe  da  ridere    chi  dicesse: 


ìli  4  Letteratura 

e^li  è  un  altro  egli   stesso.  Né  ci  muova  il  {)oc*an2Ì 
arrecato  esempio  del  Firenzuola  se  egli  è  lui  egli  -. 
perciocché  quivi,  solamente  per   dar  più  forza,  l'i- 
petesi  la  voce  egli  che  agisce,  ma  niente  mutasi  deL 
sentimento  in  che  dapprima  fu  posta.  Della  quale  ri- 
petizione infiniti  sono   gli   esempj,   come  i  seguenti 
del  Boccaccio  allegati   pure  dai   Bembo,  a  cui  inte- 
ramente  ci  rimettiamo:  e  so  che  tu  fosti  desso  tu: 
io  non  ci  fu  io-  qual  donna  canterà  s*  /'  non  cant'iol 
Da  buon  filosoTo  adunque  parlò   il  Castelvetro, 
allorché  nella  gran  lite  dai  grammatici  suscitata   so- 
pra qneif  emistichio,  acutamente  osservando  la  par- 
ticolare innegabile  proprietà  del  v.  essere  di  cangia- 
re  in  accusativo  il  secondo  dei  sustantivi  che  talor 
l'accompagnano  ,  sciolse  il  nodo   della  quistione  ,  e 
l'ondò  sopra  quel   verbo   la  sana   dottrina  di  trasmu- 
tazione poc'  anzi    veduta   nelf  osservazione   dell'  ab. 
Colombo,  e  confermata  prima  di    lui  da  quel  som- 
mo  conoscitore  dei   più   segreti   arcani  delta  favella 
il  Bartoli  nel  torto  e  diritto  del  non  si  può,  cap.  XLV, 
con   queste   parole: 

,,  Il  verbo  essere,  singolarmente  colà  dove  ha 
,,  forza  di  esprimere  trasformazione  d'uno  in  un  al- 
,,  tro,  accetta  dopo  sé  il  quarto  caso:  così  doven- 
„  dosi  per  chiarezza  alla  distinzione ,  che  ragion 
,,  vuol  che  sia,  fra  due  termini  quasi  per  azione  e 
,,  passione  diderenti  .  Altrimenti,  se  amendue  fos- 
,,  sero  in  un  medesimo  caso,  non  s'intenderebbe  qual 
,,  di  loro  sia  il  trasmutato,  e  quale  colui  in  che 
,,  si  trasmuta.  Così  ne  filosofa  un  sottile  grammati- 
,,  co;  e  sia  vero:  che  il  disputarlo  punto  più  non 
,,  rileva  che  il  crederlo.  ,,  — •  E  qui  dopo  gli  esem- 
pi e  di  Dante  e  del  Boccaccio  poco  ia  n.'citati,  al- 
loga quel  del  Petrarca,  e  conclude  che  il  gran  ru- 
more fatto  sovr'esso  è  nato  dal  non  sapere  là  pro- 
prietà del  verbo  essere,   tanto  già   ripetuta. 


Verso  dkl  Petrarca  difeso  3i5 

Conforme  a  quella  del  BaiMoli  è  l'opinione  del 
cav.  Luigi  Lamberti,  di  cui  quanta  si  fosse  la  ca- 
stigatezza dello  scrivere  e  la  profonda  perizia  in  fat- 
to di  lingua,  a  niuno  ,  che  ne  conosca  gli  scritti, 
è  nascoso.  Nelle  sue  aggiunte  al  Ginonio  ecco  coni' 
egli  la  discorre; 

„  'Lei  nel  verso  del  Petrarca ,  allegato  dal  Gino- 
,,  nio  ,  debbe  sicuramente  ,  siccome  a  noi  pare  , 
,,  aversi  per  quarto  caso  ,  dipendente  dal  verbo 
,,  essere.  Ciò  che  non  è  lei  vorrà  dunque  sigiii- 
,,  ficare  ciò  che  non  forma  lei  ,  o  come  interprc- 
,,  tò  il  Gastelvetro  :  ciò  che  non  dimostra  lei .  „  — ^ 
Indi,  riportato  il  ragionamento  che  quel  critico  vi 
fa  sopra  ,  il  Lamberti  soggiunge  :  ■•'  A  più  chiara 
,,  dimostrazione  di  quello  che  dice  il  Gastelvetro  , 
,,  recheremo  altri  due  esempj  fra  i  moltissimi  che 
„  si  potrebbero  allegare,  ne'  quali  il  verbo  essere 
„  regge  manifestamente  il  quarto  caso  ,  per  espri- 
„  mere  sensi  non  punto  diversi  da  quello  che  si 
„  riconosce  nel  verso  del  Petrarca  .Bemb.Asol.  i.3. 
„  Ma  non  perciò  ne  viene  che  non  s'  ami  cosa  che 
„  noìi  si  desideri  :  perciocché  se  n  amano  molte  , 
„  e  non  si  desiderano  ;  e  ciò  sono  tutte  quelle  cose 
„  che  si  posseggono  .  Dove  il  ciò  non  può  essere 
„  che  quarto  caso  -  Pandolf.  -yG.  Coli  altre  donne 
„  sempre   diceva  che    io    era  i   suoi    ornamenti . 

Dopo  esempj  sì  splendidi  ,  dopo  il  giudicato 
d'  uomini  così  consumati  nella  cognizione  e  nell'  ar- 
te della  favella,  non  è  più  lecito  ,  non  è  più  da  uo- 
mo di  sano  intelletto  il  negare  che  ,  in  virtù  della 
regola  stabilita  sul  verbo  essere  situato  fra  due 
sustantivi  ,  quel  lei  del  Petrarca  sia  un  manifestis- 
simo accusativo  .E  se  le  regole  dello  scrivere  risul- 
tano dall'autorità  de' sommi  scrittori,  se  nel  con- 
corde loro  consenso  fondasi  la  ragione  di  queste  re- 


a  i  G  L  E  T  T  E  K  A  T    U  R  A 

gole  ,  qiial  altra  venne  mai  fermata  e  provata  da 
più  solenni  raaestn  con  esempj  più  luminosi?  Noi 
siamo  bens]  presti  a  concedere  che  la  contraria  au- 
torità del  Morelli  sia  grande  grandissima  in  fatto 
d'  erudizione  ;  ma  in  fatto  di  bella  lingua  ,  nei  mi- 
steri dell'  eleganza  ,  nelle  materie  di  gusto  ,  sicco- 
me la  presente  ,  in  verità  il  suo  modo  di  scrivere 
non  la  mostra  eh  egli  abbia  sacrilicato  troppo  alle 
grazie;  meno  ()0Ì  alle  muse.iNe  volete  una  prova? 
Colla  nuova  lezione  egli  ha  creduto  di  preseivare 
il  Petrarca  da  un  solecismo;  e  certamente  la  frase 
Cifj  che  non  è  in  lei  ,  in  quanto  a  grammatica  ,  è 
senza  pecca;  ma  in  quanto  a  frase  poetica,  gesum- 
maria !  lilla  scende  sì  abbasso  nelF  inlimo  della  pro- 
sa ,  che  questo  solissimo  Ciò  che  non  è  in  lei  ba- 
sterebbe a  rovinar  un  poeta  :  mentre  nella  contra- 
ila Ciò  che  non  è  lei  si  sente  un  parlare  diviso 
dall'  ordinario  ,  e  chi  conosce  la  proprietà  prc^di- 
cata  del  verbo  regolatore,  ne  gusta  subito  l'ele- 
ganza .  Ma  egli  è  poco  1'  aver  gittato  il  Petrarca 
nell'uliima  umiltà  della  prosa  ;  il  Morelli  per  giun- 
ta ne  ha  depresso  ancora  il  concetto  .  K  qui  vor- 
rei che  con  animo  riposato  e  ben  certo  eh  io  noa 
parlo  per  disistima  ckgii  avversar]  (  cui  protesto 
di  avere  in  altissima  riverenza  )  ,  ma  unicamente 
per  andare  in  cerca  di  quel  medesimo  vero  a  cui 
essi  stessi  han  dritta  la  mira  ;  qui ,  dico  ,  vorrei 
si  ponesse  ben  attenzione  allo  spirito  di  quei  ver- 
si ,  onde  afferrarne  netto  il  pensiero  ,  ed  entrare  , 
per  modo  di  dire  ,  neir  anima  del  poeta  .  Egli  dice 
di  avere  la  mente  cosi  avvezza  a  contemplare  la 
sola  sua  Lauta  ,  che  altro  non  vede  clie  Laura  , 
e  ciò  chr  non  è  dessa  ,  ciò  che  non  gli  presenta 
r  immagine  di  questa  donna  adorata  ,  gli  diviene 
og^'ctto  d    odio  e  di  spergio  .  INon  è  questo  in  pa- 


Verso  del   Petrarca  difeso  2 in 

role  sciolte  il  concetto  ?  E  si  può  egli  aver  il  cuo- 
re di  credere,  che  alla  passione  in  quel  concetto  rac- 
colta risponda  bene  la  frase  ciò  che  non  è  in  lei, 
perfettamente  sinonima  di  quest'  altra  ciò  che  in  lei 
non  si   trovo  ,   o  sia   ciò  che  ella   non  possiede  ? 

Tale  essendo  lo  schietto  intero  valore  di  quella 
miracolosa  lezione,  qui  è  dove  la  critica  si  alEa  sde- 
gnosa, e  querelasi  che  per  sospet'o  di  una  chimeri- 
ca scorrezione  grammaticale  il  delicatissimo  senti- 
mento del  poeta  sìa  stato  miseramente  tradito  ,  e 
per  ristoro  strascinato  nel  fango  di  una  trivialissi- 
ma  locuzione.  E  arditamente  dico  tradito,  perchè 
il  caldo  amatore  non  solamente  non  pensa,  non  cal- 
cola ,  non  esamina  punto  il  bello  che  nell'amato 
oggetto  non  è,  ma  né  manco  per  ombra  gliene  può 
supporre  il  difetto;  e  mostrerebbe  di  amare  assai  po- 
co se  gii  avvenisse  di  riconoscere  in  altra  donna 
un'  amabile  qualità  di  cui  fosse  priva  la  sua.  Per- 
ciò colia  benda  su  gli  occhi  ei  tiene  fisso  il  pen- 
siero unicamente  nel  bello  della  sua  amata  ,  e  que- 
sto ei  trova  perfetto  ,  in  questo  è  tutta  la  somma 
de'  suoi  desideri  :  che  tale  è  la  vera  natura  dell' 
amorosa  passione,  figurarsi  nella  donna  amata  ogni 
pregio  e  di  corpo  e  di  spirito  ,  e  non  fare  stima 
di  qual  siasi  altro  oggetto  ,  se  non  in  quanto  ci 
rende  somiglianza  e  figura  di  quello  di  cui  siamo 
presi  :  e  dove  manca  la  realtà  supplisce  la  fantasia  , 
la  quale  ognun  sa  che  in  modo  maraviglioso  esa- 
gera tutto ,  massimamente  in  capo  a'  poeti  .  Quindi 
è  che  r  innamorato  Petrarca  per  lunga  usanza  ac- 
costumato a  non  contemplare  che  la  sua  Laura  , 
non  sa  vedere  che  Laura  ,  e  gli  nasce  odio  e 
disprezzo  di  tutto  ciò  che  non  gli  reca  innanzi  1  im- 
magine di  questo  idolo  ,  in  cui  la  rapita  sua  men- 
te non  solo  non   ravvisa  ,  i»a    non  le   ò   possibile 


:^iCk.  L  E  T  T  B  R  A  T  u  n  A 

di  ravvisare  alcuna  mancanza .  Di  che  segue  che  il 
concetto  racchiuso  nelle  parole  ciò  che  non  è  m 
lei  ,  oltre  T  essere  insensato  è  anche  oltraggioso  , 
perchè  suppone  in  Laura  il  difetto  di  qualche  ciò , 
che  è  quanto  dire  di  qualche  pregio  ,  di  qualche 
cosa  pur  degna  d'  essere  considerata  ;  mentre  il  suo 
amante  in  lei  trova  tutto  il  desiderabile  ,  e  in  tut- 
ta la  perfezione  .  Questo  era  per  mio  avviso  il  gran 
punto  da  meditarsi  prima  di  accettar  ciecamente 
quella  lezione  che  agghiaccia  tutto  l'affetto  del  sen- 
timento ,  e  r  estingue  .  Onde  mi  do  a  credere  che 
ne'  pochi  codici  che  la  portano  ,  i  copisti  abbiano 
alterata  la  genuina  per  la  stessa  falsa  persuasione 
che  mosse  il  Manni  ,  poi  il  Morelli  ,  ed  ultima- 
mente i  due  lodati  accademici  a  seguitarla  ;  persua- 
sione nata  dall'  ostinarsi  a  prendere  per  caso  retto 
quel  lei  ,  e  dal  non  aver  latta  la  debita  osserva- 
zione alla  parti  colar  maniera  con  cui  il  verbo  es- 
sere  spesse  volte  si  costruisce  .    . 

Vi  ho  schierate  davanti  le  forze  messe  in  cam- 
po dai  promotori  delle  due  contrarie  lezioni  t  vi  ho 
posti  i  combattenti  in  cospetto  :  da  una  parte  il 
Manni,  il  Morelli,  il  Fiacchi  e  il  Del  Furia  con 
gli  ajuti  di  sette  testi  a  penna  e  tre  stampe:  dall' 
altra  con  molte  centinaja  di  testi  e  di  stampe  (la- 
sciate addietro  per  corpo  di  riserva  )  ,  ed  armati 
soltanto  di  buona  critica  sotto  le  bandiere  del  Boc- 
caccio ,  di  Dante ,  del  Pandolfini  ,  degli  autori  del 
Ciriffo  Calvaneo  e  del  Morgante  ,  del  Varchi,  del 
Salviati,  del  Firenzuola  e  del  Caro,  i  sommi  ana- 
litici della  lingua  Pietro  Bembo  ,  Lodovico  Castel- 
vetro  ,  Daniele  Bartoli  ,  Luigi  Lamberti  e  V  ab.  Co- 
lombo .  Avete  udito  hinc  inde  i  loro  argomenti  ,  e 
la  quistione  parmi  esaurita  .  Profferite  or  voi  la 
sentenza  .  Se  uscirà   contraria  al  mio  voto  ,  farò  di 


Verso  del  Petrarca  difeso  21^ 

tutta  questa  diceria  solenne  ritrattazione  .  Se  V  avrò 
favorevole  ,  ripeterò  il  mille  volte  già  detto  ,  ch« 
la  fede  cioè  dei  codici  senza  la  confermazione  della 
critica  non  vai  nulla  ,  e  concluderò  che  dietro  alla 
sola  guida  dei  testi  a  penna  (  per  Io  piiì  opera  ma- 
teriale d'  ignoranti  copisti  )  ,  spesse  volte  ,  creden- 
do di  risanarli,  si  storpiano  gli  antichi  nostri  scvit- 
tori .  State  sano  . 


imi  II  II  I  u«»^»»'»ug'.f<iagarfngia»» 


Dionigi'  d'  Alicarnasso^  intorno  lo  stile  ed  altri  mo^ 
di  di  Tucidide.  Volgarizzamento  di  Pietro  M(Oi~ 
zi.  Roma  pel  de-Romanis  ,1819. 

(  Seconda  parte.  Vedi  il  volume  XIV  p.  aj^.) 

I  l/ueslo  Dionigi  d'Alicarnasso  fu  veramente  noni© 
d'arditi  spiriti:  e  mostrò  colfesempio  suo  che 
nella  grande  repubblica  delle  lettere  entrano  alcuna 
volta  cavalieri  bizzarri  che  cercano  belle  brighe,  e 
le  trovano.  Donde  poi  traggono  jjlauso  non  vile,  quan- 
tunque sfidino  i  campioni  più  valorosi.  Perchè  al 
coraggioso  che  lotta  col  piìi  possente,  perfino  la  scon- 
fitta mutasi  in  onore:  non  essendo  breve  parte  di 
gloria  l'essere  stato  a  fronte  de'  gagliardissimi:  e 
l'avere  tenuto  il  campa- con  buona  prova  di  brac- 
cia: non  latrando,  ma  combattendo:  e  combatten- 
do a  legge  di  buon  cavaliere,  senza  movere  il  dispet- 
to, il  riso  o  la  compassione  de'  savii.  11  che  poi  sem- 
pre incontra  a  que'  miserabili,  che  nudi  e  dispera- 
ti d  Ogni  bene,  cercano  fama  dallo  stare  contro  i 
lodati:  e  sì  ne  hanno  quella  lama  infelice  eh' è  peg- 
giore della  morte.  Perchè  venuti  in  ispregio  anzi  in 
ira  a  ogni  gente,  sono  poi  segnati  dal  ditj  di  chipas- 


►520  Letteratura. 

sa,  e  fuggiti  siccome  i  cani,  che  corrono  la  via  col- 
la rabbia  e  col  veleno  nel  morso.  Misera  e  vera- 
mente cieca  famiglia!  cui  sarebbe  stato  assai  meglio 
o  il  non  essere  mai  venuta  fra  i  vivi,  o  f  avere  sem- 
pre  vissuto  senza  conoscimento  di  lettere. 

2.  Ma  Dionigi  ,  facendosi  in  campo  contro  Tu- 
cidide, ha  ornata  la  sua  disHda  di  sì  oneste  paro- 
le, che  scusato  è  per  quelle  dal  reo  titolo  dell  ar- 
roganza. 

Dopo  avergli  dunque  renduta  la  debita  lode,  cer- 
cheremo fino  al  termine  il  suo  ragionamento:  pro- 
cacciando di  riprendere  il  riprenditore  di  Tucidide 
in  que'  luoghi  soli,  dove  paja  eh'  egli  abbia  com- 
battuto più  presto  colle  umili  insidie  del  sofista  che 
coir  armi   nobilissime  del  filosofo. 

3.  Al  capitolo  XVII  la  censura  è  intorno  fuso 
delle  concioni:  che  sono  que'  tali  arringhi  cui  lo  sto- 
rico induce  nella  sua  narrazione,  abbandonando  egli, 
il  parlare,  e  attribuendolo  ad  alcun  personaggio,  se- 
condo r  artificio  deir  epopea  e  della  tragedia.  Qui 
chiamasi  in  colpa  Tucidide:  e  specialmente  di  que- 
sto: che  rechi  egli  in  mezzo  qualche  belle  orazioni: 
e  altre  ne  taccia  che  pur  potevano  riuscire  bellissi- 
me. Del  qual  peccato  si  leva  esempio  dal  terzo  li- 
bro, dov'  è  discorsa  la  guerra  de'  mitilenesi:  e  sono 
raccontati  i  due  grandi  parlamenti  che  tenne  il  po- 
polo re  d'Atene.  Ivi  Tucidide  ha  riferite  le  concio- 
ni del  secondo  parlamento:  e  taciute  al  tutto  quel- 
le del  primo.  E  fu  pure  nel  primo  che  gli  ateniesi, 
seguendo  l'impeto  e  l'ire  de'  più  concitati  oratori, 
stanziarono  quella  dura  legge:  che  i  prigioni  e  i  ^io- 
vani  di  Mitilcne  fossero  tutte  inorti^  e  menate  infer- 
ri le  donne  co"  figli  loro.  Ma  nella  seconda  tornata 
quel  decreto  fu  rotto:  fu  il  rigore ^vinto  dalla  pietà; 
«  le   fiere  voglie  si  mutarono  in  mansuete.  Per    la 


Dionigi    d' Alicarnasso  221 

qual  cosa  pare  a  Dionigi ,  che  Tucidide  narrando 
la  più  umana  concione,  dovesse  pur  narrare  la  più 
crudele:  essendo  uflcio  dello  storico  il  rendere  in- 
tera la  imagine  delle  cose,  ed  il  vario  favellare  de- 
gli uomini  di  che  narransi  i  fatti:  o  sieno  destri  e 
santi  ,  ovvero    sinistri  ed  iniqui. 

4.  Tucidide  è  qui  adunque  non  d'altro  accagio- 
nato che  di  ommissione .  Or  veggiamo  com'  egli  se 
ne   scagioni  . 

E  posto  primamente  da  banda  il  trattato  di  Dio- 
nigi,  apriamo  quell'aurea  storia  di  Tucidide  al  ter- 
zo libro,  là  dov'è  scritta  la  guerra  e'I  danno  di  Mi- 
tilene.  Jeri  il  popolo  cieco  dall'ira  condannò  a  mor- 
te i   cittadini   tutti   di  quella  sfolgorata  città.   Oggi 
ha  sentita  nel  cuore  una  punta  di  misericordia:  og- 
gi vuole  che  le  sue  mani  sieno  caste  dal  sangue  degl' 
innocenti.  Quindi  chiede   il  parlamento:  congregasi: 
sta  nella  piazza:  va  sussurrando,   che  la  legge  di  je- 
ri è  stolta  ed  inumana:  non  vi  essendo  cosa  né  tan- 
to inumana,   né  tanto   stolta  quanto  l'uccidere  per 
pochi  ribelli  tutti  gli  uomini  d  una   terra.  Ed  ecco 
sale  la  ringhiera  Cleone  figlio  di  Gleeneto:   il  seve- 
rissimo degli  ateniesi  :  e  di  autorità  eguale  al  severo 
suo   animo.   Si  fa  silenzio:  e  il  rigido  oratore  favel- 
la. Or  fatti  presso   Dionigi,  ed  ascolla  il  parlare  di 
costui.  Che  ragiona  egli?  Che  vuole?  Forse  il  per- 
dono? Non   già.  Egli  é  quel  Cleone  che  jeri  gridò» 
che  i  vinti  di  Mitilene  si  uccidessero,   ed  oggi  torna 
a   gridare  che  si    uccìdano  i  vinti  di  Mitilene.  Cho 
se  il  partito  de'  pietosi  va  sopra,   questo    si  dee  al- 
la concione  del  buon  Diodoto  con  cui  si  segue,  e  si 
risponde,  e  si  vince.  Ma  intanto  già  tu  conosci  qua- 
le orazione  fu  quella  del  parlamento  primo ,  perdi* 
ella  ripetesi  nel  secondo:  ed  oggi  ella  tutte  pur  t'apr© 
le  cagioni  che  jeri  incitarono  il  popolo  a  quella  noa 


3»3         Lktteratura 

credibile  ferità.  Vana  è  dunque,  o  Dionigi ,  la  tua 
censura,  siccome  sarebbe  stato  vano  a  Tucidide  il 
riferire  due  volte  Y  arringa  dell'  oratore  carnefice  . 
E  che  altro  potea  colui  dire  nel  primo  giorno,  che 
noh  dovesse  con  più  di  veemenza  ridire  nel  secon- 
do? Anzi  quella  concione  qui  collocata  mette  un  più 
tetro  lume,  perchè  si  vede  di  costa  all'arringa  di  Dio- 
doto  tutta  soave,  e  quieta,  e  traente  gli  aiFetti  de- 
gli ascoltanti  nella  cara  dolcezza  della  pietà.  Ed  è 
perciò  da  conchiudere,  che  dove  il  retore  di  Alicar- 
nasso  cercò  una  colpa,  quivi  medesimo  trovasi  quell' 
artificio  finissimo,  che  ha  nome  economìa:  la  quale 
spesso  si  nasconde  anche  agli  occhi  più  acuti.  Ma 
perchè  si  viene  per  noi  usando  sovra  Dionigi  quel 
severo  consiglio  eh'  egli  usò  sovra  Tucidide,  tan- 
to noi  cureremo  di  abbondare  in  argomenti,  quan- 
to sappiamo  le  nostre  forze  inferiori  a  quelle  di  sì 
Talente  avversario.  E  perciò  considereremo  alcuna 
parte  dell'arringa  di  Cleone  tonde  il  giudicio  de' leggi- 
tori non  si  appoggi  nelle  parole  nostre,  ma  nel  co- 
noscimento dell'arte  da  noi   svelala  in  Tucidide. 

5.  Gleone,  così  com'  è  dipinto  dal  greco  stori- 
co, rassembra  quel  Marco  Porcio  che  fulminava  nel 
foro  i  tristi  repubblicani  di  Roma.  Anzi  Gleone  vin- 
ce Marco  nell  ira:  perciocché  veggendo  come  la  mat- 
ta plebe  oggi  disvole  quello  che  jeri  volle,  egli  s'in- 
fiamma contro  i  reggimenti  popolari,  e  prende  co- 
minciamento  dal  bestemmiare  la  democrazia  .  Uà 
oratore  nato  in  repubblica,  capo  di  parte  plebea  , 
arringante  in  piazza,  non  può  adoprare  più  franchez- 
za né  ardire.  Ho  conosciuto  (figli  grida)  ho  co^ 
nosciuto  die  governo  di  popolo  è  cosa  che  non  è 
ferina:  è  cosa  che  non  è  atta  a  correggere  la  repub- 
blica. Ora  li  veggo  ^  ora  da  questo  medesimo  pentii 
mmto  vostro ,  ateniesi,  per  cui  volete  oggi  vivi  que 


Dionigi    d'  Alicarnasso  233 

di  Metilene ,  cui  decretaste  jeri  la  morte .  Indi  se- 
gue con  quel  libero  animo  suo,  numerando  i  mali 
che  flagellano  quelle  città  che  si  reggono  a  stato  ^i 
plebe.  E  l  altre  (egli  dice  )  V altre  ^  le  cui  leggi  so- 
no men  buone  e  pia  forme ,  sono  sempre  meglio  or- 
dinate  die  queste  che  hanno  buone  leggio  ma  non 
Vhan  ferme.  E  talvolta  è  migliore  ignoranza  ch& 
s' accompagni  a  gravità  ed  a  modestia^  che  non  è  il 
favore  colla  compagnia  della  leggerezza  e  della  fó- 
merità.  Perciò  spesso  i  meno  sapienti  meglio  iìif re- 
nano e  meglio  guidano  che  non  farebbero  i  sapien- 
tissimi .  Perchè  i  sapientissimi  vogliono  alcuna  vol- 
ta mostrare  d  essere  pia  prudenti  che  non  sono  le 
leggi:  nei  parlamenti  contendono  a  soprastare:  que- 
sto tengono  pel  miglior  campo  dove  provisi  la  loro 
gloria  :  e  così  crollano  e  diroccano  f  edificio  della  re* 
pubblica.  Ma  intanto  qué  pia  discreti^  che  meno  fi- 
dano nel  lor  valore^  si  confessano  servi  alla  leggez 
non  fanno  contrasto  a  savi  dicitori  :  e  girano  diritto 
il  governo  della  città  ^  perchè  delle  cose  sono  giu- 
dici gravi:  e  astuti  disputatori  non  sono.  E  grave 
giudice  io  dunque  deggio  essere^  io:  né  farmi  vento- 
so per  poter  di  parole  e  d'arguzie  :  ne  nulla  persua- 
dere alla  moltitudine^  cìi  io  prima  non  abbia  bene 
estimata  neW  animo.  Sappiate  or  dujujue  ^  che  nella 
sentenza  di  jeri  io  mi  sto;  e  solo  meravigliomi  di 
coloro^  che  nuovamente  si  congregarono  a  parlare 
di  Mitilene.  In  questo  ei  procede  agli  argomenti  che 
deggiono  persuadere  la  neccessità  della  strage:  e  af- 
ferma e  prova,  che  la  citt^  de'  mitilenesi  ha  fatto 
ad  Atene  il  gravissimo  degli  oltraggi.  E  tutta  in  que- 
sto principio  fondasi  l'orazione.  Dì  che  dunque  la- 
gnasi  il  buon  Dionigi  ?  Vuol'  egli  udire  per  quali  sti- 
moli si  movessero  gli  ateniesi  a  quella  legge  di  mor- 
^?  Legga  egli  in  questo  luogo:  vi  conosca  le  arti 


324  LeTTEIIÀTURA 

del  severo  Cleone  ;  vi  sappia  le  parole  esterne  dal- 
le odierne,  ed  anzi  oggi  le  vegga  meglio  dipinte  ed 
accese  :  e  dove  descrivesi  la  ribellione  di  Mitilene  : 
e  dove  si  segna  il  gran  danno  che  n'aspetta  la  patria: 
e  dove  si  chiarisce  la  malizia  d'un  popolo  che  per 
mille  ricevuti  beni  rende  ora  Tinfame  prezzo  del  tra- 
dimento.  E   qui  r  oratore    tuona:   e  qui   mostra  co- 
me per  quegl  ingrati  il  beneficio   fu   la  semenza   di 
tante  colpe:  com'  elll  fatti  orgogliosi  per  gran   fidu- 
cia^ come  tutto  arrogando  alla  potenza  loro^  aveano 
impresa  la  guerra  •.   credendo   che  fosse  bello^  l  an- 
teporre la/orza:  alla  giustizia.  Perciocché,  non  ingiu- 
riati da  persona  d'Atene  ,  mossero    guerra  ad  Ate- 
ne per  la  sola  speranza  del  poterla  vincere.  E  quin- 
di l'oratore  rammenta  le  cortesie  usate  da'  suoi  ver- 
so que'  malvagi:  onde  meglio  s'  inQammi  lo  sdegno 
e  la  vendetta  del  popolo  ;  e  grida:  che  con  tale  razza 
sarebbe  stata  virtù  f  essere  villani  :  perciocché  l'uo- 
mo naturalmente  ha  in  ispregio  chi  lo  carezza^  e  me- 
ravigliasi di  chi  non  s'  inchina  .  Sieno   dunque  pu- 
niti secondo  la  grandezza  della  ingiuria   loro  •    uè 
il    castigo  sia  già  di  pochi-  ne  il  popolo  sia  perdo- 
nato', ma   se  già  tutti  insieme  furono    assalitori ,  e 
tutti  insieme  ora  trucidati.   Così  Cleone:  il   quale  poi 
segue,  compitando  i  mali  che  verrebbero  da  una  scon- 
sigliata clemenza  per  la  certa  ribellione  degli  altri 
confederati;  e  mette  sotto  gli  occhi  il  pericolo  che 
ogni  ateniese  incontrerebbe  in  ogni  città  della  Gre- 
cia: né  vuole  che  si  dica  scusa  alf  errore  la  fralez- 
za umana;  avvegnacchè  i  ribelli  non  hanno  olleso  per 
umana  fralezza,  ma  per  forte  voglia,  ma  per  aper- 
to consentimento,  e  tutti    hanno  confessata  la  par- 
te de'  traditori . 

Dichiarate  queste  ragioni ,  1'  oratore  discende 
a  pregare  i  giudici  che  no»  pecchino  in  tre  cose  c|^ 


JD  IONICI    »*  AlICARNASSO  22? 

grandissimo  danno  all'  imperio  :  i.*  nel  muoversi 
troppo  a  pietà  :  a°  nel  lasciarsi  piendere  all'  esca 
dell  eloquenza  :  3*^  nel  troppo  usare  atti  magnanimi  . 
Vuole  che  la  pietà  non  s  abbia  a  operare  con  chi 
non  la  prezza;  ed  è  fatto  avversario  dalla  sventu- 
ra .  Vuole  che  gli  scaltri  oratori  si  lodino  per  1'  arte 
loro  ,  ma  che  il  piacere  che  se  ne  coglie  non  val- 
ga la  ruina  della  città.  Vuole  da  ultimo  che  i  ma- 
gnanimi atti  sieno  usali  in  quelli  eh'  esser  ponno 
fedeli ,  non  in  coloro  ,  che  mentre  ricevono  il  per- 
dono ,  si  giurano  inimici  eterni  di  chi  perdona  . 
Imperocché  ognuno  eh'  è  offeso  d'  offesa  ingiusta  , 
s'  egli  scampa ,  è  più  crudele  nella  vendetta  che  noa 
è  colui  il  quale  per  giusta  offesa  è  nimico  .  Così  con- 
dotta a'  suoi  termini  conchiudesi  1'  orazione  eoa 
arte  maravigliosa  ,  ed  esclamasi  agli  ateniesi  .  Su  , 
decretate  morte  a  quelli  di  Mitilene  per  non  easere 
ucciditori  di  voi  medesimi  .  Considerate  quanta  era 
in  voi  la  sete  del  costoro  sangue  .  Considerate  den- 
tro dair  iinimo  ,  che  travagli  e  che  pene  vi  aspet- 
tavano ,  se  eravate  voi  vinti  .  Or  via  contr  essi  os- 
servate il  contrapasso  .  Ne  inteneriscavi  il  cuore  la 
presente  loro  sventura  :  né  guardate  al  misero  staio 
loro;  ma  sì  guardate  a  pericoli  che  vi  stavano  sul- 
la testa  .  Rendete  lor  dunque  il  prezzo  della' loro 
opera  ;  e  questo  solenne  esempio  n  abbiano  gli  al- 
leati :  eh"  ei  sappiano  ,  che  qualunque  tradisce  AtC' 
ne  ,  egli  è  morto .  E  se  tutti  il  sapranno  ,  voi  non 
dovrete  pia  lasciare  di  far  guerra  a  nemici  per  guer- 
reggiare gli  amici  . 

Questo  fu  il  sermone  del  figlio  di  Cleeneto  » 
uomo  principale  della  fazione  plebea  . 

^  noi  r  abbiamo  esaminato  a  lungo  ,  perchè 
si  vegga  aperto  T  artificio  di  Tucidide  e  1'  errore 
di  Dionigi .  Perchè  Dionigi  accusa  Tucidide  per  noa 
G.A.T.IX.  i5 


226  Letteratura 

avere  narrata  V  arringa  d'  alcuno  degli  oratori  di 
parte  plebea  :  e  quest'  arringa  di  Cleone  è  di  colui 
che  i'u  principe  di  quella  parte.  Dionigi  accusò  Tu- 
cidide, peicTiè  nulla  disse  di  ciò  che  mise  negli  at-^ 
tici  la  voglia  del  sangue  di  Mitilene  :  e  Tucidide 
ha  propriamente  qui  dette  quelle  cose  che  furono 
recitate  per  volgere  gli  attici  a  quel  fiero  e  sangui- 
noso proposto  .  Laonde  è  da  credere  che  allorché 
Dionigi  slimò  dì  vedere  questa  colpa,  avesse  al  tut- 
to chiusi  gli  occhi  deir  intelletto  :  togliendo  ragione 
d'  accusa  ,  dove  era  materia  di  lode  :  e  specialmen- 
ee  in  quella  maestra  economia  ,  senza  la  quale  Tu- 
cidide non  avrebbe  mai  conseguita  quella  sua  dote 
mirabile  della  brevità  . 

'j.  Ma  basti  al  fine  di  ciò  .  Seguasi  la  comin- 
ciata inchiesta  :  e  si  legga  il  capo  diciottesimo  della 
censura  . 

Quivi  si  tocca  dell'  orazione  funerale  ,  che  nel 
primo  anno  della  guerra  fu  detta  sulle  ceneri  di  que' 
gloriosi ,  eh'  erano  morti  per  la  patria  in  battaglia . 
iVè  in  vero  ci  rimane  per  le  greche  storie  conclo- 
ne alcuna,  che  si  mostri  più  alta,  o,  per  mieglio 
dire  ,  pili  tragica  di  questa  .  Così  tulli  credettero  « 
credono.  Ma  il  solo  Dionigi  noi  crede  .  E  comec- 
ché non  possa  egli  negare  ,  eh'  ella  non  sia  cosa 
rarissima  per  la  morale  filosofia,  e  adornata  d«'  piiì 
chiari  lumi  dell'eloquenza,  pure  il  rigido  .censore 
cerca  ogni  modo  per  abbassarne  1'  altezza  .  E  viene 
dicendo  :  che  quel  tanto  panegirico  era  da  lasciarsi 
a  più  nobili  tempi  :  che  troppa  retorica  si  spende 
per  pochi  morti  ed  oscuri:  che  quelle  alte  parole  si 
convenivano  meglio  a  que'  soldati  che  caddero  in 
pilo,  sterminando  1  eser  ito  de' lacedemoni  :  che  que' 
plebei  da  Tucidide  celebrati  non  crebbero  gloria  né 
potenza  ad  Aleue  ;  ma  coloro ,  egli  sclama ,  colo- 


Dionigi   d'  Alicarnasso  n^'j 

ro  la  fecero  veramente  immortale ,  i  quali  si  stese- 
ro ai  piedi  que'  superbi  spartani ,  che  aveano  mossa 
guerra  alla  patria:  coloro  i  quali  capitanati  eia  De- 
mostene e  da  Nicla  ,  o  perirono  sotto  il  ferro  ni- 
mico ,  o  in  miserabil  fuga  si  spersero  per  le  terre 
e  pei  mari  di  tutta  Grecia  :  ed  erano  pn^sso  ai  qua- 
rantamila :  e  non  ebbero  pur  la  trista  mercede  di 
dormire  ne'  patrii  sepolcri  . 

8.  Queste  cose  dice  Dionigi  :  e  n'aggiunge  al- 
cun' altra  di  simile  tempera:  le  quali  a  roi.  pajo- 
no  venute  più  tosto  dalle  scuole  de'  retori,  clie  da 
quelle  de' filosofanti  .  Perchè  se  entrei^emo  ad  esami- 
nare in  quali  argomenti  Tucidide  si  fondasse,  quan- 
do fra  l'altre  orazioni  scelse  questa  soia  di  Pericle, 
vedrassi  a  un  tratto  eli'  elli  furono  argomenti  chia- 
ri, buoni,  gravissimi,  e  tutti  degni  di  qu/iF  arguto 
ingegno  . 

E  primamente  dicasi  :  eh'  ei  volle  donarci  dì 
ima  orazione  del  più  nobile  tra  gli  antichi  autori: 
di  quel  Pericle,  di  cui,  per  testimonio  di  Cicerone > 
fu  detto  da  Aristofane  eh'  ei  seppe  balenare ,  tico- 
tiare  ^  e  mescere  tutta  Grecia'  (i)  di  quel  Pericle, 
di  che  Plutarco  afferma  tanta  essere  stata  1'  auto- 
rità e  r  eccellenza ,  che  gli  ateniesi  non  dubitaro- 
no di  nominarlo  /'  Olimpio  ,  Cuomo  so\>rapposto  al 
segno  degli  altri  ,  la  vera  prole  di  Gioue  .  (  i  )  Or 
questo  sia  qui  notato  per  difendere  la  scelta  dell'ora- 
tore .  Il  quale  non  era  certamente  da  posporsi  a 
que' dicitori  di  minor  grido  ,  che  nelle  seguenti  guer- 
re celebrarono  il  nome  e  la  virtù  de  morti  .  E  do- 
vendosi tra  le  cose  bufone  sempre  scegliere  la  mi- 


(i)  eie.  de  Orat.  e.  tj,. 
(i)  Plut.  Vit.  E«x;, 


228  Letteratura 

gllore  ,  era  certo  da  scogliere  Y  arringa  di  questo 
Pericle:  r  scegliere  quella  detta  in  questo  primo  an- 
no :  perchè  nel  secondo  eì  tacque  :  e  nel  terzo  era 
morto  .  La  quale  arringa  fu  di  tanta  fanna  per  tutta 
Grecia  ,  che  ne  troviamo  in  Plutarco  il  seguente 
bellissimo  testimonio  .  Ritornato  in  Atene  fece  Pe- 
ricle solenni  esequie  a  coloro  ch'erano  morti  nelt  ar- 
me  :  e  recitò  a  loro  laude  (  come  s^  usa  pur  anche  ) 
una  orazione  funerale  ,  per  cui  fu  sommamente  am- 
mirato ì  perchè  ,  sceso  lui  dalla  ì^inghiera  ,  le  don- 
jie  gli  furono  attorno  ,  e  gli  fecero  festa  stringen- 
dolo per  mano  ,  e  incoronandolo  di  ghirlande  e  di 
bende  ,  siccome  ad  atleta  che  tornasse  dalla  vitto- 
ria .  (^i)  Per  grido  adunque  di  sì  degno  sermone 
s'era  fatto  debito  dello  scrittore  il  serbarne  memo- 
ria ,  e  il  mostrarlo  come  ad  esempio  di  quanti  vo- 
lessero onorato  di  utili  lodi  gli  eroi .  E  diciamo  di 
lodi  utili  ,  perchè  Tucidide  badò  principalmente  a 
quel  fine  ,  che  degno  d'  ogni  filosofo  ,  cioè  al  gio- 
vare la  sua  cittadinanza  .  Quindi  non  solo  intese  a 
narrare  i  fatti  d'Atene,  ma  anche  ad  accenderne  i 
cittadini  nelf  amore  della  gloria  :  e  pose  quasi  nel 
principio  de'  suoi  libri  il  grave  panegirico  di  quella 
morte,  che  fra  i  valorosi  è  tenuta  in  migliore  prez- 
zo che  non  è  la  vita  .  £  voile  che  i  suoi  leggito- 
ri conoscessero  ,  che  il  cittadino  che  muore  per  la 
patria  si  fa  sacro  ai  posteri  :  o  muoja  egli  nella  più 
grande  delie  battaglie  ,  o  in  un  breve  scontro  di 
pochi  assalitori  .  Perchè  la  virtù  si  loda  per  se  stes- 
sa :  né  la  fama  de'  buoni  dee  dipendere  o  dal  nu- 
mero de'  nemici ,  e  da  quello   de'  morti  . 


(i)  Plut.  vit.  Perici. 


Dionigi  d*  Alicarnasso  239 

Q.  Ma  vogliamo  che  questo  consiglio  di  Tuci- 
dide chiaro  apparisca  ,  cercando  Lene  in  quel  di- 
scorso che  si  vuol  condannare  .  Il  quale  non  è  già 
una  gonfiata  ciancia  in  lode  dì  pochi  uomini  del 
volgo  ,  spenti  in  una  piccola  zuffa  •  ma  è  un  parla- 
re tutto  nuovo  ,  ardito  ,  utilissimo  ai  cittadini  vi- 
vi ,  perchè  onorino  il  nome  de  morti  gloriosamen- 
te ,  e  adoprino  fatti  simiglianti  ai  loro  ,  quando  la 
comune  necessità  lo  richiegga  .  E  in  somma  un  ser- 
mone tutto  degno  di  quel  Tucidide,  che  scacciato 
in  esilio  ,  ne  potendo  più  giovare  la  patria  colla 
spada  ,  intese  a  farla  potente  e  forte  colle  sue  pa- 
role .  Per  ciò  si  prende  cominciaraento  dal  lodare 
que'  primi  avi  ,  i  quali  fondarono  gli  ordini  civili 
d'  Atene  :  poi  s'  innalza  il  nome  c\e  padri  ,  che  ne 
allargarono  V  imperio  ,  il  vigore  e  la  libertà  :  se  ne 
descrive  il  bello  e  fiorente  stato  ,  e  se  ne  racconta 
la  già  compiuta  grandezza..  Dalle  quali  cose  non 
solo  si  tiae  un'  alta  e  secreta  lode  a  quelli  che  per 
Atene  morirono  ,  ma  si  mette  nel  cuore  degli  as- 
coltanti un  acuto  stimolo  che  li  mova  a  farsene 
imitatori  . 

IO.  Quindi  Pericle  dice  :  che  la  sua  repubblica 
non  imita  le  leggi  altrui  :  ma  che  gU  altri  imitano 
quelle  di  lei  ;  che  in  essa  non  è  cittadino  che  ali* 
altro  cittadino  non  si  pareggi  :  ma  chi  giunge  alle 
insegne  del  maestrato  ,  vi  giunge  per  la  vera  e  sola 
eccellenza  o  della  mano  o  del  senno  ;  che  la  pover-» 
tà  non  si  attraversa  fra  gli  onori  e  V  uomo  ,  e  non 
vieta  ad  alcuno  il  giovare  di  se  la  patria  ;  che  gli 
ateniesi  sono  del  privato  avere  datori  allegri,  e  del 
pubblico  ministri  severi  ;  eh'  ei  temono  la  pena 
rompendo  le  leggi  scritte  :  e  rompendo  le  non  iscrit- 
te, temono  la  vergogna  .  E  qui  recita  i  piaceri  della 
città  ,  e  i  teatri ,  e  i   giuochi ,  e  le    feste  ,  e  i  sagrili- 


iSo  Letteratura 

cii  per  tutto  Tanno  ,  e  le  belle  pompe,  e  i  com- 
mercii ,  e  quante  sono  le  cose  che  recano  il  bene 
e  la  gioja  nelf  animo  de'  mortali  .  Donde  viene  con 
sottilissim  arte  a  parlare  della  guerra  ,  e  delle  cose 
pertinenti  alla  guerra  .  E  mostra  come  gli  uomini 
d'  Atene  non  si  confidano  ne'  grandi  apprestamenti 
d'  arme  ,  e  nelle  scerete  pratiche  e  neile  insidie  , 
ma  solo  nella  grandezza  e  nella  l'orza  diagli  animi  e 
delle  braccia  ;  eh'  ei  non  chiudono  la  città  a  stra- 
niero alcuno  :  che  lo  fanno  comune  ad  ogni  gene- 
razione di  genti  ,  benché  inimiclie  ;  che  agli  [spar- 
tani, che  crescono  i  giovinetti  nella  virile  fortezza, 
non  bastò  mai  il  cuore  d'  assalire  Atene  :  ma  che 
gli  ateniesi ,  soli  ,  e  senz'  altri  compagni ,  seppero 
asscìlire  e  prendere  coloro  che  si  difendevano  nel 
chiuso  dellp  propria  case  .  Né  per  ciò  adoprano  si- 
nistrameJite  la  forza  :  ma  più  seguono  il  valore  delle 
leggi  ,  che  quello  dello  spade  .  Splendidamente  vi- 
vendo usano  continenza  :  e  sopportono  povertà  lie- 
tamente; e  le  richezze  spendono  ne  bisogni,  e  non 
prr  ventoso  animo  e  vile  .  Ciascuno  ha  cura  de' 
ncgozii  comuni  ,  e  de'  privati  :  perchè  quegli  che 
intende  alle  bisogne  dimestiche,  non  per  questo  per- 
de la  scienza  del  governare  le  pubbliche  .  li  qui  ag- 
giunge altre  cose  intorno  la  prudenza  ,  e  il  buon 
coraggio  ,  e  la  cortesia  ,  e  i  benefìcii  ,  e  la  libera- 
lità, e  conchiude:  che  Atene  è  noima  di  tutta  Gre- 
cia :  che  la  potmza  sua,  per  tali  modi  acquistata  , 
L'me  addimostra  che  tutte  queste  lodi  non  si  de- 
rivano dalla  gloria  vana  ,  ina  dal  solo  vero  .  Per 
che  non  h  fanno  bisogno  i  versi  del  cantore  di  Troja 
o  d'  altro  sacro  poeta  ,  che  la  renda  famosa  e  vi- 
va ;  ma  le  basta  il  suo  valore  ,  che  già  s'  ò  aper- 
to una  via  per  ogni  mare  e  per  ogni  terra,  e  v  ha 
lasciato  la    stampa  de  beni  resi  agli   amici  ,  e    de' 


Dionigi   n'  Alicarnàsso  ùZì 

mali  fatti  a'nimici,  si  che  il  popolo  che  non  V  ama, 
già  la  paventa.  E  in  questo  luogo  con  una  inaspet- 
tata transizione  1'  oratore  si  volge  al  suo  subietto  , 
ed  esclama  :  per  cotale  città  combattendo  adunque 
costoro  sono  morti  da  generosi  :  per  cotale  città  :  e 
il  fecero  perdi'  ella  non  gisse  a  ruina  :  e  per  tal  fine 
ognuno  di  voi  ,  ognuno  de'  posteri  dee  sudare  e  pe- 
rire. La  vita  degli  uomiai  si  dimostra  dalla  virtù, 
e  confermasi  dalla  morte  .  Costoro  adunque  sono 
stati  quali  loro  si  conveniva  d'  essere  secondo  la 
dignità  d  una  patria  sì  grande  .  E  per  essa  hanno 
acquistato  una  lunghissimi  gloria  e  questi  onorati 
sepolcri  .  Ne  già  solo  questi  ,  in  che  si  pongono  le 
ceneri  e  1'  ossa  loro ,  ma  quelli ,  onde  il  lor  nome 
si  farà  lontano  ,  finche  duri  T  imitazione  e  la  ri- 
cordanza de'  buoni  .  Perchè  ogni  terra  è  buon  sepol- 
cro agli  eroi  -  Né  la  virtù  loro  si  mostra  dai  titoli 
delle  domestiche  pietre  ,  ma  dalla  memoria  che  ne 
rimane  per  ogni  loco  ,  senza  essere  scritta  ;  e  me- 
glio si  scolpisce  ella  negli  animi  che  ne'  sassi  .  Qui 
r  oratore  si  volge  ai  padri  che  sono  presenti  ;  e  vuo- 
le ,  che  non  si  dolgano  ,  ma  si  rallegrino  :  dicen- 
do :  che  veramente  beato  è  1'  uomo  ,  cui  data  è  dal 
cielo  una  gloriosa  morte  ,  ed  un  finir  felice  col  con- 
forto del  pubblico  pianto  .  Vuole  che  i  padri  ancor 
giovani  si  consolino  nella  speranza  de'  figli  che  po- 
tranno ancor  nascere  ;  che  il  padre,  il  quale  ha  per- 
duto i  figliuoli  per  la  patria  ,  le  dà  migliore  con* 
siglio  di  chi  non  ha  per  lei  perduto  i  figliuoli  .  Poi 
que' vecchi ,  che  non  hanno  più  speranza  di  prole, 
comanda  che  si  consolino  della  loro  gloria  .  Per- 
ciocché la  sola  magnanimità  non  sì  fa  vecchia  giam- 
mai :  e  ne'  tardi  anni  dà  minor  gioia  il  guadagno 
che  non  ne  dà  la  vita  magnifica  dell'  onore .  Indi 
rivolto  a'  figli   ed    a'  fratelli  ,  mostra  loro  il   diffi- 


J2  3  3  L  E  T  T  E  U  A  T  U  R  A 

cilc  esempio  ,  pcicliè  pure  anelino  ad  imitarlo  ,  e 
loro  grida,  eh' elli  sono  ancora  inferiori  a  que' mor- 
ti .  E  finalmente  loda  la  virtij  di  quelle  donue  che 
durano  la  vedovanza  per  la  patria ,  e  npn  m'atten- 
do vani  lamenti  ,  si  coronono  sid  loro  sesso  -  Do- 
po di  che  conchiude  Y  arringo  ,  parlando  parole  da 
principe  della  città  :  e  promc^ttcndo  eh'  ella  nudrirà 
i  figliuoli  de'  morti  in  premio  de'  loro  padri  ,  e  la 
utile  di  tutto  il  popolo.  Imperocché  dove  sono  po- 
sti gran  premi  alla  virtù  ,  ivi  si  trovano  i  valo- 
rosi . 

11.  Questo  è  in  breve  il  sermone  di  Pericle: 
che  a  noi  pare  di  tale  bontà  che  ogni  lode  gli  sa- 
ria scarsa  .  E  bene  si  conosco  posto  da  Tucidide  per 
mostrai-e  non  pure  la  eloquenza  di  colui,  ma  l'intero 
aspetto  della  sua  repubblica  ,  e  le  semenze  di  quel 
valore  ,  di  che  ne'  seguenti  libri  si  veggono  frutti 
sì  copiosi  e  sì  belli  .  Onde  questo  parlamento  può 
bandirsi  per  un  vero  panegirico  d'  Atene  ,  e  degli 
ateniesi,]  e  della  greca  libertà,  e  dell'  onor  mili- 
tare .  Dopo  ciò  ,  se  alcuno  ,  seguendo  il  censore  Dio- 
nigi ,  amasse  leggere  un  orazion  funebre  d'  altro  ge- 
nere ,  noi  senza  invidia  lasceremo  eh'  egli  segua 
Dionigi  ;  ed  ami  un'  altra  orazione  ,  che  sia  posta 
negli  ultimi  libri  della  storia  :  che  ragioni  ai  morti 
che  pili  non  odono  :  che  descriva  alcuna  battaglia 
già  raccontata  :  e  che  parli  di  poche  migliaja  d'  uo- 
mini :  dimenticando  il  bisogno  vero  dell'  intera  re- 
pubblica ,  e  le  riposte  ragioni  dell'  arte  storica  .  Che 
dove  arte  non  è  ,  la  quale  è  legge  dell'  opere  ,  noi 
non  sappiamo  pensare  com'  esser  possa  che  si  tro- 
vi il  bene  o  il  male,  e  la  miglior  cosa  discernasi 
dalla  peggiore  . 

12.  Ma  si  passi  ali  altra  censura,  la  quale  si 
legge  al    capitolo  decimonono  :  e   tratta  i  vi^ii  del 


PioNiGi  d'  Alicarnasso  333 

Proemio  in   modo  assai  più    sottile  di   quello  ,  che 
la  ragione  concede  . 

Dionigi  vi  chiama  in  colpa  Tucidide  per  aver 
fatto  di  quel  proemio  quasi  un  camentario  delle  co- 
se deir  antica  Grecia  ,  e  mostrato  che  quelle  vec- 
chie geste  furono  di  minor  mole  che  non  le  mo- 
derne .  Poscia  il  buon  retore  insegna,  che  i  proe- 
mii  sieno  come  indici  ,  che  brevemente  tocchino 
quelle  sole  cose,  di  cui  hanno  a  ordinarsi  le  nar- 
razioni seguenti  .  Aggiunge  :  che  il  greco  istorico 
non  operò  da  pio  cittadino  svelando  i  rozzi  prin- 
cipi! della  patria  ,  e  mostrando  come  i  greci  vi- 
vessero in  antico  ,  senza  la  loro  dignità  .  Stima  che 
dovesse  tacersi  ,  come  al  tempo  della  guerra  di  Tro- 
ja  ei  non  aveano  comune  neppure  il  nome  :  che  per 
rabbia  di  cibo  si  facevano  corsari  rubatori  del 
mare  :  e  scesi  a  terra  ,  poneano  a  sacco  le  città  che 
allora  erano  senza  muro  :  e  del  pane  dei  rubati  si 
satollavano  ;  che  è  vanità  il  raccontare  ,  come  i 
vecchi  ateniesi  si  vestissero  a  pompa  :  e  portasse- 
ro le  zazzere  torte  in  anella  ,  e  le  cicale  d'  oro  sul 
capo  ;  e  come  i  lacedemonii  si  traessero  i  primi 
le  vestimenta  ,  e  nudi  si  ungessero  nella  palestra  . 
Non  vuole  in  somma  che  lo  storico  narri  altra  co- 
sa fuor  questa  delia  guerra  del  Peloponneso,  e  delle 
ragioni  che  la  mossero  .  Nò  pago  a  tanto  ,  giunge 
anche  a'  termini  di  più  fino  coraggio.  Perchè  ,  pre- 
so lo  stile,  cancella  una  gran  parte  di  quest'  aurea 
scrittura:  rifa  egli  medesimo  tutto  il  proemio  :  e  non 
dubita  di  tenere  col  gran  Tucidide  il  modo  ,  che 
tiene  il  pedagogo  co  suoi  fanciulli ,  quando  per  ar- 
te di  scarabocchi  ne  fa  più  bello  il  latino  .  La  qual 
follia  pur  vedemmo  a  nostri  dì  rinnovarsi  :  mentre 
due  grandi  ingegni  teneano  il  campo  delle  lette- 
re :  r  uno  de*  quali  volle  (;jiuc«llar«  i  tre  quarti  del 


234  LuTTERATUnl. 

poema  di  Dante  ,  per  farlo  tutto  soave  :  e  Y  altro 
empiè  Omero  di  frasche  ,  perdi'  egli  si  maraviglias- 
se  delle  frondi  non  sue  . 

i3.  Ma  veggasi  se  l'ardimento  di  Dionigi  gli 
torni   a  lode . 

I  principii  de'  libri  deggiono  essere  ronsidera- 
ti  sempre  ed  esaminati  con  molta  cura.  P»  rciocchè 
gli  errori  che  si  cacciano  dentro  i  proemii  ,  quasi 
mala  radice  posta  in  terreno  fecondo,  vanno  poscia 
di  tale  maniera  crescendo  e  moltiplicando  ,  che  a 
gran  fatica  si  possono  indi  diradicare  e  divellere  . 
Diasi  dunque  lode  a  Dionigi,  perchè  ci  richiama  a 
sì  necessaria  osservanza  .  Ma  le  mancanze  e  gli  er- 
rori eh'  egli  vuol  trovare  in  questa  introduzione  , 
ove  sono?  Nella  sola  mente  del  retore.  Perchè  egli 
si  lagna  che,  per  dir  cose  vane,  non  abbia  Tucidi- 
de manifestate  le  ragioni  delia  guerra.  E  poi  scri- 
ve egli  stesso  il  nuovo  proemio  :  e  non  aggiunge  una 
sola  ragione  di  essa  guerra  ,  che  già  non  fosse  nel 
vecchio  proemio  significata.  Quale  ingiustizia  sìa  que- 
sta, o  lettore,   noi   chiedere:   chèqui  noi  si  scrive. 

i4-  Passiamo  dunque  più  oltie.  Sì  vuole,  che 
Tucidide  abbia  vituperata  la  patria  per  averla  mo- 
strata povera,  inerme,  agreste  mentre  fu  antica.  Ma 
si  può  egli  pensare  più  vana  accusa  ?  Quale  è  quel 
popolo  che  non  sìa  venuto  dal  misero  stato  nel  si- 
gnorile ?  quale  è  quella  città  che  prima  d'essere  di 
marmo  non  fosse  latta  di  sassi?  Anzi  di  fango  pri- 
ma che  di  sassi?  Dionigi  dunque  direbbe  vitupera- 
tori degli  uomini  que'  filosofi  ,  i  quali  ci  segnano  i 
primi  padri  d'ogni  gente  nudi,  tremanti,  selvati- 
chi,  ripararsi  alle  caverne,  e  contendere  sotto  Telci 
le  ghiande  cogli  animali.  Se  v'ha  popolo  cotanto 
folle  che  sì  creda  nato  con  indosso  le  porpore  e  Toro, 
e  posto  per  incanto  in  una  città  di  palagi  e  di  tem- 


Dionigi    d'  Alicarnasso  335 

pli  *,  egli  sarà  un  popolo  guidato  da  ciurmatori  e 
da  negromanti  ;  né  questo  potrà  mai  credersi  il  po- 
polo di  Grecia,  pieno  d'  alto  Ingegno,  e  cresciuto 
in  tutte  l'arti  della  civile  sapienza.  E  sapeva  egli  be- 
ne ,  come  ogni  cosa  muove  da  prìncipii  tenui  e  qua- 
si non  visibili  ;  come  il  lompo,  gli  uomini  e  la  foi- 
tuna  tutto  governano,  allargano  ed  afforzano;  come 
le  prime  congreghe  di  poche  famiglie  si  mutano  irv 
belle  cittadinanze  :  che  poi  si  laiino  genei'ose  na- 
zioni ornate  di  città,  di  magistrati,  d'  armi  e  d'in- 
dustrie, di  virtìi  civiche  e  di  vittorie.  E  così  esse- 
re accaduto  alla  Grecia  vedesi  in  questo  proemio 
di  Tucidide:  dove  tutte  queste  cose  sono  dipinte  e 
strette  in  poche  e  brevissime  note;  sicché  lo  spec- 
chio d'una  lente  meglio  non  potrebbe  stringere  nel 
breve  suo  cerchio  finterò  aspetto  d'una  vasta  cam- 
pagna e  del  cielo.  Perchè  vi  conosci  gli  esordii  di 
que'  popoli  ,  i  quali  poi  vengono  a  fare  di  se  stes- 
si spettacolo  ne'  seguenti  libri  ;  e  vi  trovi  le  cose 
che  lo  storico  avrebbe  dovuto  narrare  altrove  con 
digressioni  moleste;  e  vi  conosci  le  ragioni  del  for- 
te sito  d'  A.tene:  e  il  modo  con  che  quelle  v&rie 
genti  si  annodarono  in  un  solo  nome:  e  la  eterna 
indole  di  coloro  ,  onde  si  raccontano  le  imprese  e 
1  danni  ,  ed  i  peccati  e  le  glorie. 

(  Sarà  continuato.) 

GlUilO    PERTICARI 


;i36 

Canzoni  inedite  d' Angiolo   Firenzuola  , 
e  6r/o.  Matteo  Faetani. 

à.  S.   K.    IL    SIGNOR  D.  PIETRO    Dk'  PRINCIPI    ODESCALCHI 
GIO.    BATISTA    VERMlGL,IOLI 

X  vecchi  codici  ,  comunque  elli  sieno ,  a  prò  del- 
le lettere  non  mai  si  consultano  in  damo.  Accade 
poi  soventemente ,  che  da  essi  preziosissime  gomme 
si  traggano,  le  quali  per  avventura  se  decentemente 
non  si  collocano,  e  se  a  chi  n  è  meritevole  in  pla- 
usibile dono  non  si  destinano  , corrono  gian  risico 
di   perdere  gran  parte  del  pioprio  valore. 

Se  così  è  ,  chiarissimo  signore ,  io  non  saprei 
a  chi  meglio  destinare  1  otferta  d  una  non  dispre- 
gevole gemma  per  me  ripescata  per  entro  un  co- 
dice del  secolo  XVI.  Ella  con  si  grande  amore  del- 
le lettere  ,  e  con  tanto  zelo  della  nazione  presiede 
ad  un  assai  dotto  giornale  ,  ove  lodevolmente  un 
dignitoso  posto  alle  cose  inedite  de'  nostri  italiani , 
anche  mercè  delle  sue  cure,  si  serba;  penso  che 
debba  essere  preferita  nel  dono.  Il  nome  oscurissi- 
mo  del  donatore  potrebbe  scemar  di  pregio  rolFer- 
ta  ;  ma  in  questa  circostanza  ella  di  riguardare  si 
degni  la  sincera  ambizione  di  lui ,  che  da  sì  lun- 
go tempo  un  attestato  di  doverosa  stima  esternarle 
bramava. 

Il  codice  pertanto,  in  forma  di  4-"  •>  ^^  "on 
perfetta  conservazione,  di  qualche  foglio  forse  man- 
cante ,  ed  esistente  presso  di  me  ,  contiene  rime  di 
Bartolomeo  Carli  Piccolomini ,  di  qualche  accade- 
mico Intronalo  di  Siena,  di  allri  accademici,  del 
13erni  ,  del  Coppetta  ,  del  Caro  ,  del  Molza,  di  Raf- 


Canzoni  del  Firenzuola  e  del  Faetani     aS^ 

faello  Gualtieri,  del  Gasa,  e  di  altri  poeti  meno  co- 
gniti ,  ed  al  foglio  7  si  legge  una  canzone  del  Fi- 
renzuola. Ella  mi  sembra  non  dispregevole  cosa  ,  e 
non  immeritevole  d'  ottenere  nel  giornale  medesimo 
posto  distinto.  Sebbene  il  Firenzuola  sembrasse  mi- 
glior poeta  nel  burlesco  che  nel  grave  e  nel  serio  , 
pare  a  me ,  se  pure  non  erro ,  che  la  canzone  non 
sia  destituita  di  quella  nobile  gravità  che  il  sublime 
argomento  richiede.  Ella  ,  chiarissimo  signore  ,  già 
bene  e  lodevolmente  per  lunga  stagione  accostumata 
a  gentilmente  gustare  le  grazie  dell' italiano  parnas- 
so  ,  assai  meglio  di  me  potrà  adequato  giudizio  me- 
narne, mentre  io  le  ne  fo  semplicemente  1'  offerta, 
credendola  inedita,  e  come  a  lei  piacque  di  conveni- 
re. Intanto  nella  raccolta  rarissima  di  sue  poesie 
pubbHca^a  dal  Giunta  nel  i549,  ^  procurata  da  Lo- 
renzo Scala,  non  si  rinviene,  come  neppure  nella 
recentissima  edizione  che  fa  parte  de'  classici  ita- 
liani pubblicati  in  Milano,  ove  le  poesie  del  Firen- 
zuola furono  ordinate  dietro  a  quella  stessa  del  i549. 
JVella  copiosa  raccolta  di  rime  pubblicata  da  Dio- 
nigi Atanagi  (Venezia  i565  )  fra  que'  -yS  e  più  ri- 
matori non  trovo  che  v'abbia  posto  il  Firenzuola: 
e  sono  quasi  certo,  che  questa  canzone  neppur  s'  ab- 
bia nella  raccolta  poetica  d'Agostino  Gobbi  pub- 
blicata in  principio  del  secolo  scorso.  Così  neppure 
è  da  supporsi,  eh'  esso  componimento  sia  nella  rac- 
colta rarissima  di  poesie  data  in  luce  in  Venezia 
al  segno  della  speranza  nel  i55o,  ove  il  Firenzuo- 
la ha  pur  qualche  cosa:  imperocché  la  stessa  rac- 
colta   non  è  che  di  rime   sagre. 

Ella  è  forse  una  di  quelle  composizioni  di  mes» 
ser  Angelo,  di  cui  Lorenzo  Scala  nella  dedica  a 
Francesco  Miniati  lo  smarrimento  compiange,  co- 
me noi  d'  averla  felicemente  ritrovata  rallegrare  ci 


a38  Letteratura 

dobbiamo.  Né  io  sono  lungi  dal  credere,  che  una 
tale  canzone  sempre  ascosa  nel  codice  perugino  ri- 
manesse, e  che  il  Firenzuola  medesimo  in  Perugia 
la  travagliasse:,  imperocché  è  da  sapersi  come  egli 
vi  era  stato  allo  studio  ;  notizia  che  ci  perviene 
primieramente  da  Pietro  Aretino,  ove  fu  suo  con- 
discepolo ed  amico  (  lett.  voi.  r.  p.  239.  aiS.  ),  e 
quindi  ripetuta  dal  Mannì  nelle  sue  veglie  piacevo^ 
li  (il.  5'j.  ).  E  per  maggior  sicurezza  di  ciò  ,  io 
le  aggiungo  ,  come  in  una  vecchia  matricola  degli 
scolari  del  perugino  studio,  spettante  al  secolo  XVI, 
Angiolo  stesso  così  di  propria  mano  sottoscritto  si 
trova  :  Angiolus  Florentiolanus  de  Florenzia  die 
XXXI  mnj   i5i6  (Ibi.  4'-)- 

Intanto  al  suo  finissimo  gusto  di  qualche  mi- 
nor pregio  potrebbe  sembrare  una  nuova  poesia  , 
•nnedota  anch'essa,  ma  che  la  singolarissima  cir- 
costanza ,  per  cui  fu  fatta  ,  potrebbe  rendere  non 
immeritevole  del  tutto  d'  ottener  qualche  posto  in 
codesto  dotto  giorqale.  Ella  è  pertanto  una  canzone 
di  frate  Giovanni  Matteo  Faetani  da  Rimini,  in  mor- 
te dell'  Ariosto  ,  e  indrizzata  al  duca  Ercole  Esten- 
se. Del  Faetani  mi  è  ascosa  ogni  notizia  :  so  per 
altro  non  essere  oscuro  del  tutto  nella  storia  della 
poesia  italiana  ,  imperocché  egli  ha  rime  fra  quel- 
le di  molti  altri  rimatori  raccolte  da  Giovanni  Offre- 
di  ,  e  pubblicate  in  Cremona  per  Vincenzo  Conti 
nel  i5(3o,  e  raccolta  di  qualche  rarità.  Un  nuovo 
motivo  di  crederla  inedita  sembra  a  me  eh'  esser 
possa  il  vedere  che  tace  di  essa  il  signor  Barrufal- 
di  nella  sua  recente  e  diligentissima  vita  dell'  Arió- 
•sto.  E  siccome  il  dotto  biografo  non  dimenticò 
Lorenzo  Frizzolio  riminese,  anch' esso  autore  d'un 
elogio  di  Lodovico,  così  io  penso  che  neppure  il 
Faetani  avrebbe   dimenticato  7  quante   voltq   cono- 


Cannoni  del  Fireit^uolà  i  del  Faetani     23^ 

scinto  lo  avesse.  Che  se  poi  non  fosse  stata  cosa 
di  qualche  eleganza ,  il  Faetani  non  Y  avrebbe  in- 
dirizzata al  duca  Ercole,  come  a  quello  ch'era  be- 
ne incaminato  nella  via  delle  lettere  amene,  e  che 
nudrì  per  V  Ariosto   stima   ed    affetto. 

E  perchè  ella,  chiarissimo  signor  principe,  pos- 
sa comprendere  come  io  anche  col.  mio  pochissi- 
mo sarei  ben  disposto  di  contribuire  all'  incremen- 
to di  sì  dotto  giornale  ,  alla  di  cui  compilazione  fui 
onoratamente,  ma  immeritamente,  chiamato;  appro-* 
fitto  di  questa  circostanza  onde  nuova  offerta  umi-* 
liarle,  semprechè  la  sua  approvazione  possa  incon- 
trare. Sarebbe  questa  l' illustrazione  d' una  rara  ed 
annedota  medaglia  coniata  in  onore  di  Malatesta  IV 
Baglioni  ,  soggetto  ii  quale  nelle  storie  de'  ponti- 
ficati di  Leon  X  e  Clemente  VII  tiene  un  posto 
luminoso  e  distinto.  È  pur  singolare  che  assai,  e 
molti  scrittori  avendo  parlato  di  lui ,  fu  ascoso  ad 
ognuno  un  monumento,  il  quale  per  essere  ezian- 
dio di  quel  dottissimo  secolo  merita  d'  essere  co- 
nosciuto: e  lo  merita  poi  in  un  tempo  in  cui,  nien- 
te dimenticandosi  che  possa  la  storia  italiana  illu- 
strare, con  lodevole  cura  ed  impegno  si  prende 
eziandio  a  cercare  studiare  e  sporre  con  dotti  co- 
menti  la  numismatica  moderna  non  altrimenti  clhe 
l'antica.  La  mia  illustrazione  brevissima,  tratta  dal- 
la vita  assai  copiosa  che  ne  scrissi  ,  1'  ho  model- 
lata sulla  foggia  della  lapidaria  italiana,  impercioc- 
ché neppur  questi  studi  oggi  si  dispregiano,  e  le  ho 
dato  la  mtitolazìone  di  fasti  in  fronte. 

Pongo  fine  ad  uno  scritto,  che  potrebbe  averla 
annojata:  ma  mi  conforto  nel  pensare,  ch'ella  da 
esso  passando  ai  versi  del  Firenzuola ,  si  ristorerà 
dalla  sua  noja  medesima;  mentre  io  pieno  di  stima 
f  asso  a  nuovamente  confermarle  il  mio  rispetto, 


a40  IjETTETlATtJRA 

Canzone  d'  angiolo  Firenzuola 

Beir  intelletto,  entro  del  quale  alberga 
Sì  largamente  quel  gran   don  d'  Iddio, 
Ch'era  il  lemminil  ostro  in  quei  primi  anni, 
Come  fora  mestier  eh'  al  pensier  mio 
Nodosa  sferza  e  non  pietosa  verga 
Fella  non  pigri  i  miei  timidi  vanni , 
Acciò  eh'  insin  sovra  i  celesti  scanni, 

•     È  d'  onde  s'  erge  il  sole 
E  che  più  splender  suole, 

E  dove  han  triegua  i  suoi  più  lunghi  affanni, 
E  là  've  i  monti  e  state  e  primavera 
Sempre  han  bianche  le  chiome. 
Portasse  il  nome  tuo  mattino  e  sera. 

Ma  chi  ha  oggi  così  bello  stile 

Che  di  tant'  alta  impresa  non  paventi? 
Quale  isnodata  lìngua  ha  tanto  ardire. 
Che  presuma  alle  orecchie  delle  genti 
Portare  il  suon   dell'  opre  sue  gentile? 
Come  avrò  speme  io  mai  poter  venire. 
Senza  tema  eh'  io  meco  non  m'  adire, 
A  celebrare  in  carte 
Di  te  sola  una  parte  ? 

Ma  supplisca  ,  ov'  io  manco  ,  il  gran  desire; 
E  sieme  almen  per  mio   piacer  concesso. 
Quando  eh'  alcun  non  m'  ode , 
Narrar  le  lode  tue  solo  a  me  stesso. 

£cco  queir  alma ,  che  sì   lungo  tempo 
Delle  grazie  del  ciel  stata  è  ricetto, 
E  del  ben  di  lassù  la  pompa  e  l  fregio , 
Disces*  è  al  calle,  che,  ben   eh'  or  sia  stretto. 
Dette  la  via  per  tutto  il  mondo  un  tempo  , 


Canzoni  del  Firenzuola  e  del  Faetani     24ì 

E  fatto   ha  via   più   chiaro  il  nome  egregio 

Dì  quella,   ch'entro  Roma  fu  in   tal  pregio. 

Che  delle  sue  contrade 

Con  adirate  spade 

Scacciò  per  sì  gran  tempo  il  nome  regio. 

Nel  cui   bel   seno  ognor  virtute  nuove 

Piovendo,  alzano   un   grido: 

Qui  dentro  è '1  nido  nostro,   e  non  altrove. 

E  per  vietar  che  la  terrestre  gonna 
Non  le  macchiasse  il   perfido   tiranno  , 
Che  per  turbar  di  lei   la  pace  venne. 
L'alma  gentil  ,  e  per  fuggirre  il  danno 
Che  mal  seppe  schivar  Y  antica  donna  , 
Nelle  sue  caste  mani   \  velen  tenne, 
E  quel ,  per  sigurtà  del  suo  onor,  fenne 
Che  '1  gran    cartaginese 
Allor  che  '1  nome  intese 
Di  quei,   eh' a  fuggir   lui  bramar  già  penne. 
Né  forza  ebbe  '1  signor  :  che  1  eie!   non  volse  ; 
Oh  singolare  esempio  ! 
Anzi  neir  empio  miostro  il  furor  volse. 

Pili  che  mai  vaga ,  leggiadretta  ,  e  bella 
Tornò  la   donna  poscia  ;  e  così  piacque 
Anzi  al  cospetto  del  divino  Amore 
L'  atto  pudico  e  1  cor  là  dove  nacque. 
Che  tutto  r  arse  con  la  sua  facella. 
Da  indi  in  qua  sol  bel  desìo  d'  onore 
Si  muove  in  essa,  e  d'indi  a  noi  vien  fuore 
Là  onde  1  dolce  sguardo 
Rende  vii ,  pigro  ,  e   tardo 
Qual  sia  rozzo  pensier  eh'  uscir  vuol  fuore  S 
E  le  poche  parole  accorte  han  forza 

G.A.TJX.  i6 


242  Letteratura 

Ogni  villan  costume 

Spegner,  qual  fiume  picciol  fuoco  ammorza. 

Poscia   che  le  latine  alme  cortesi 
Restaron  ,  saziando  le  lor  voglie  , 
Far  ricchi  i  templi  ,  e  de  i  vinti  nemici 
Ornar  tanti  trionfi,  e  le  lor  soglie 
Spogliar  per  rivestir  i  lor   paesi  , 
JNou  ebber  speme  mai  queste  pendici 
Ritornar  come  pria  liete  e  felici  , 
JVè  ristorare   1  danno 
Che  fea  maggiore  ogn'  anno  , 
A  mal  grado  di  noi,  le    sue  radici: 
Finché  questa  gentil  pianta  novella 
Scoprìo  la  bella  chioma  , 
E  te   che  Roma  ancor  spera  esser  bella. 

Quanti  ved'  or  per  Y  antico   viaggio 

Drizzare  i  passi,    e  girsen   con  costei  ! 
Quanti  s'ascoltan  su  per  gli  alti   poggi 
Sonare   or  cetre  ed  or  cantare  Orlei  ! 
Quanti  Titiri  stansi ,  a  pie  d'un  faggio  , 
Colla  sampogna  lor,  sonare  anch'  oggi 
A  quante  piante  il   dolce  umore  appoggi  ! 
D'  Arno  la  bella  riva  , 
Ch'  in  un  sol  già  fioriva  , 
Veder  può  ognun,  che  a  questi  colli  or  poggi. 
Come  crede   che  Fidia  e  1  grande  Apelle 
Dichin   col  viso  tinto: 

^'  Vedi  e'  han  vinto  pur  1  opre  novelle. 

Non  scese  mai  con  sì  celesti  tempre 

Anima  ,  o  di  virtù  sì  colma   unquanco. 

Sorga '1  sa  ella,  e  questi  nostri  regni  ; 

Che  quando  torna  al  cicl  non   ci  sie  almanco 


Canzoni  pel  Firenzuola  e  delFaetani     243 

Chi  la  tenghi  fra  noi  viva   mai  sempre  ! 

Destinsi  adunque  i   più  purgati  ingegni, 

E  in  stile  uguale  a'  fatti  egregi  e  degni. 

Con  dolce  onesta  gara. 

La  bella  donna   e  rara 

Farsi   immortai  ognun  di   lor  s'ingegni: 

E  tal  la   mostri  V  incude  e  1  martello 

.  .  .  •.        •  ;  -  .  O 

Come  casto  fu  mai  corpo  sì  bello. 

Canzon,  s'  io  ti  vedessi 

Esser  più.  eh'  altra  dar  lode  a  costei  , 

Di  cui  uomihi  e  dei 

Non  vider  mai  né  vederanno  anch' altra. 

Forse  eh' io   ti   direi:  raddoppia '1   stile; 

Ma  ,  sendo  vile  assai, 

JMiglior  farai  tacer  povera  e   umile. 

Canzone  di  fra  Janmatteo  Faetani  d  Arimino 

nella  morte  dell  Ariosto^  al  signor 

Ercole  da  Este. 

Ercol,  spietata  morte  oggi  ne  ha  tolto 
Il  maggior  uom  che  mai  vergasse  carte . 
E  piagato  di  doglia  a  tutti  il   cuore: 
Io '1  posso  dir,   che  n' ho  lagrime  sparte, 
E   sospirato  le  parole  e  1  volto 
Che  del   mondo  stordito  era  V  onore. 
Benché,  malgrado  suo  ,  vedrassi  fuore 
Del  sepolcro  ir  pascendo  mille  ingegni , 
Che  dopo  lunga  età  vedran  la    terra  , 
D'  amor  di  gelosia  d'  arme  e   di   guerra: 


(*)  M»nca  un  verso  »  e  nel  codice  v'  è  il  vacuo  d'una  riga. 

l6' 


a44  Letteratura. 

E  tra  que'  che  quaggiù  son  chiari  e  degni 

Vedrà  molto  più  regni 

Che   non  fé'  ,  su    V  alato  e  bel  destriero 

D' Atlante,  il  vostro   ardito  e  gran  Ruggiero. 

Da  Marocco  al  Catai  ,  da  Borea  ali*  Ostro  , 
Di   scrittor   in  scrittor,  di  grido  in  grido. 
Veggio  1  bel  nome  andar   carco  di   piume. 
E  ,  poi   che  di  se  pieno  avrà   ogni  lido  , 
Restarne  in  fregio  via  più  che  1'  ostro; 
]Nè  fia  fuoco  né  età  che  le   consume; 
Quasi  un  bel  sol ,  eh'  ogni  intelleto  allume  , 
E  scopre  rose  gigli  e  verdi  fronde 
Sul  Po  quant' è  sul  mezzo,  o  in  riva  d'Arno; 
Talché  gelo  crudel  tenterà   indarno 
Spogliar  le  rugiadose  altiere  sponde  , 
E   turbar  le  belle  onde 
Che  del  figlio  del  Sol  bagnano  1'  ossa  , 
E  alla   nostra  città  fanno  ampia  fossa. 

Onde  tempo  verrà ,  che  ognun  che   arrivi 
Sotto  le  mmacciate  ed  alte  mura  , 
Felice  voi  dirà  d'  un  parto  tale  : 
Che   questo    gran   miracol   di  natura  , 
Che   sfrondò  lauri  ,  mirti  ,  edre  ,  ed  olivi , 
Qui  prese  quel   che  in  voi  lasciò  mortale. 
Poich'  ebbe  agli  onorati  omeri  1'  ale. 
Che   già  figurò   qui  quel  primo  cigno 
Che  ,  di   potente  re  ,  divenne  augello  ; 
Quindi   prese  le  penne  ,  e  tutto  bello 
Vinse  r  invidia  e  ogni  rumor  maligno , 
E  tanto  ebbe  benigno 
Il  cielo ,  eh'  insegnò  fino  a  le  piante 
Le   battaglie  di  Cano  e  d'  Agramante. 


Canzoni  del  Firenzuola  k  del  FAETAin     ^45 

Talché  con   Tugne  verdi  e  fuor  dei  balli 
Corser  le   semplicette  verginelle  , 
Concie   intorno  le  trecce  a  mille  fiori. 
Per  sentire   iterar  tra  le   mirtelle  , 
E  fra  tutte  le  ripe  e  fra   i  cristalli  , 
Le  donne  i  cavalier  V  armi   gli  amori. 
Qua  s'alzavan  le  gregge  sopra  i  tori 
Per  udir  tutto   il  suon  ,  tutto   il  concento  : 
Là  rotando   passava  il  Sol  più  basso  : 
Quei  senz'  altro  pensier  pendea  da  un  sasso  , 
O   appoggiavasi   a  un  tronco  ,  tutto  intento  ; 
Stavausi   1'  acque  e  'I  vento 
E    le  fronde  e  gli   augei  ,  mentre  s'  udia 
De  le  vostre  virtù  1'  alta  armonìa. 

Or  se  al  mondo  insensato  ,  che  mal  viv« 
E  mal  scorge  virtù  ,  piacque  qui  tanto 
Mentre  squarciò  tutto  a  la  lingua  T  gelo, 
Qual  puote  esser  di   lui  stima  nel  santo 
Coro,  ove  l' inventrice  delle  sagre  olive  (i) 
Ed  u'  Febo  l'ascolta  e  tutto  '1   cielo  ? 
Certo  sempre  desìo  ,  sempre  alto  zelo 
Di   por  fra    quella  turba  ,   tanto  ingorda 
D'  udir  quel  che  già  i  vostri  potè    porre 
Lassù  dal  fango  ,  or  che  farà   se  sciorre 
Vorrà   quel  che  non  fé'   fra  gente  sorda  ?• 
Altro  stile  altra  corda 
A  le  squallide  ripe  d'  Acheronte 
Farà  sentirne  grido  a  Rodomonte. 

Non  fia  più  che  di  pallide  viole  , 

O  pur   di  quella  fronde ,  che  da  1'  ira 


(i)  Cosi  nel  codice.  M*  quel  sa^re  è  fors»  di  più- 


:ìj^Q  '  Letteratura 

Del   fulminar  di  Giove  ognun  difende  , 

I  capei   d'  oro  e  la  dorata  lira 

S'orni,  (i)  ma    un  h^ggiadro  e  vivo  sole 

Che  molto  più  che  il   nostro   avanza   e  splende  . 

Là  si  trarran  quei  grandi ,  a  cui  non  fende 

Morte  la  chiara  fama  ,   ancor  che  '1  resto 

Tronchi  e  guasti  a  suo  modo,  e  gli  anni  e  '1  viso; 

Indi  su  le  gran  stelle  in   paradiso, 

E  più    vicini  al  nobil   canto  onesto 

E  gli  atti  e  ogni  suo  gesto  , 

Staran  chiari  ed  illustri  appo  1  bel  raggio 

Carlo,  Orlando,  Kuggier ,  Guidon  Selvaggio. 

Onde   se  meritar    grido  ed  alloro 

Quei  eh'  alle  lor  citlà  dier  manco  fregio. 

Che  sarà  di  costui  che  1  mondo  inaura? 

Vedrassi,  in  ógni   luogo  di  più  pregio 

Di   finissimo  marmo  e  di  fin'  oro 

La  bella  imraagin  sua  drizzata  all'  aura  , 

Talché   né  mar  di  Scizia  od  onda  Maura 

Bagnerà  cosa   sì ,  superba  e  vaga. 

E  in  maggior  sua  memoria  il  Po  già  mena 

II  ricco  elettro  e  la  dorata  arena 
Ove  l'onda  che   frage  il  sito  allaga, 
Ferito  d'  aspra    piaga  , 

Che   fu  io   più  onor  ch'i  rivi  d'  Elicona , 
Sentendo  onorar  tanto  Este   e    Dordona. 

Benché  non  sarà  mai  ,   che   fra  i  due  colli 
Suir  alba  al  mezzo  giorno  e  ver  la  sera 
Non  s'oda  in  lode  sua  qualche  bel   verso. 
Che  in  parte  allenterà  la  pena  fera 


(x)  Deve  dire  :  imi  iViiii  le^^iudro^ 


Canzoni  del  Firenzuola  e  del  Faetani     z^'J 

Cìì  entro  ne  rode  ,  e  fa  umidi  e  molli 

Gli  occhi  per    la  pietade  a  T  universo. 

Ond'  oggi  fra  le  lagrime  è  sommerso 

Il  piacere  e  le  grazie  e   1  rìso  e  1  giuoco  : 

Oggi  perde   la  terra  ogni  bellezza  : 

Oggi  al  fìgliuol  d'  Alfonso  il  dolor  spezza 

Il  petto  ,  e  n' escon  fuor  sospir  di  fuoco, 

E  la  luce   e  ogni  luoco 

Ha  in  odio  ,  e  pensa  sol  d'  entrar  volando 

Ove  ha   il  sangue  d'Ettor  con   quel   d'Orlando» 

Anima  benedetta  ,   per  quel  dolce 

Amor  che  mi  portasti  in  vita  ,  accetta 
Tutto   questo   mio  pianto  e  questi   versi. 
Ch'altri  già  in  onor  tuo  fior  gialli  e  persi 
Al  tuo   sepolcro   ed  al  tuo  tempio  assetta  ; 
Anima  benedetta, 

Ch'  or  più  contenta  e  in  miglior  stanza  vivi  « 
E  malgrado  di  morte   canti  e  scrivi» 


Z)elle  Opere  di  Q.  Orazio  Fiacco  ,  recate  in  versi 
italiani  da  Tommaso  Gargallo  ,  stampate  in  Na" 
poli   nel   1820   nella  stamperia   reale. 


SECONDO    ESTRATTO 


,À, 


.llorchè  parlammo  del  proemio  di  questa  tra-* 
duzione  fu  accennato  il  metodo  seguito  dall'  au- 
tore nel  tradurre  ,  e  come  egli  siasi  studiato  di  tra- 
sportare nella  nostra  lingua  i  versi  di  Orazio  ,  schi- 
vando la  servilità  di  rendere  parola  a  parola ,  e  fa- 
cendosi padrone  del  sentimento  dell'  originale  ,  ondo 
vestirlo  di  equivalenti  frasi ,  quando  il  nostro  idio- 


a45  Letteratura 

ma  non  ne  ha  corrispondenti  alle  latine  .  Egli  ha 
cercato  allora  di  servirsi  delle  espressioni  stesse  di 
cui  avrebbe  fatto  uso  il  poeta  ,  se  in  italiano  aves- 
se scritto  . 

Ha  cambiato  l'autore  nelle  odi  i  metri ,  adot- 
tando a  vicenda  i  più  corrispondenti  ai  latini  o  per 
la  fluidità  ,  o  per  V  elevazione  ,  o  per  la  robu- 
stezza . 

Sono  veramente  ingegnosissime  le  sue  osserva- 
zioni sopra  r  animo  di  Orazio  ,  e  sui  motivi  che 
lo  costringeano ,  per  adattarsi  ai  tempi  ed  alle  cir- 
costanze ,  di  addottar  modi  delicali  e  pregevoli  ,  e 
piegarsi  alquanto  alia  cortigianesca  adulazione  .  La 
sua  sort'j  dipendeva  dai  grandi  ,  ed  ai  grandi  erasi 
egli  dedicato  per  rendere  ali"  ombra  loro  felice  la 
sua   esistenza  . 

Non  potiemmo  seguire  tutte  le  note  ,  di  cui 
egli  ha  ornato  ogni  componimento  oraziano  ,  ora 
riguardanti  il  gusto  della  poesia  ,  ora  la  forza  dell 
esprp«>si(ìne  ,  ora  l  allusione  al  costume  .  Ci  si  per- 
metta però  di  rilevare  il  pregio  di  alcuna  di 
esse  . 

JVeir  ode  2^  del  i  libro  ,  esponendo  ai  suoi 
leggitori  le  antiche  leggi  de  conviti ,  e  1  ordine  con 
cui  orano  forzati  a  bere  i  convitati ,  toglie  l'epiteto 
selcerò  al  vino  di  Falerno  ,  cui  era  stato  finora  ma- 
le applicato,  e  Io  rivolge  ai  commensali,  che  se- 
veri neir  esecuzione  della  legge  de'  conviti  forza- 
vano il  poeta  a  bere  . 

Nello  slesso  libro  1  all'  ode  Sa  egli  non  fa 
che  cambiare  Tortograiìca  punteggiatura,  e  con  ciò 
rende  chiarissimo  quel  verso  che  parca  tanto  oscu- 
ro ,  e  fa  che  ragionevolmente  il  poeta  esprima  alla 
cetra  il  suo  desiderio ,  che  si  accinga  a  cantare  cose 
più   sublimi . 


Orazio   tradotto  dal  Gargallo  sj^g 

Anche  r  ode  35  alla  Fortuna  è  con  chiarezza 
e  verità  al  suo  vero  senso  ridotta  ,  e  separando  i 
sentimenti  ,  e  distinguendo  la  narrazione  del  poeta 
dair  implorazione,  rende  tacile  ad  intendersi  il  com- 
ponimento ,  e  totalmente  coerente  ai  senlimenti  , 
che  sempre    trionfano  ne'  versi  oraziani  . 

Nel  libro  2.  non  è  sfuggita  all'  annotatore  1'  o- 
de  7  che  parla  della-  fuga  d'  Orazio  ,  abbandonato 
lo  scudo  .  Rileva  pur  troppo  con  verità  quanto  sie- 
no  distantì  fra  loro  il  valore  poetico  ed  il  milita- 
re ,  e  poi  discopre  una  delicata  ironia  nell'  invito 
che  fa  Orazio  a  Pompeo  Grosfio  ,  perchè  venga  a 
riposare  all'  ombra  dell'  alloro  . 

Con  giustissime  animadversioni  ha  esaminato 
l'ode  ly  ,  in  cui  Orazio  con  tenerezza  ,  e  con  una 
certa  quasi  confidenza  ,  si  esprime  verso  Mecenate 
sulla  durata  de'  loro  giorni .  In  verità  quest'ode  mo- 
stra r  estrema  finezza  d' ingegno  onde  Orazio  era  for- 
nito ,  e  come  sapea  mescolare  per  piacere  al  suo 
signore,  espressioni  delicate  ,  rispettose ,  amichevo- 
li ,  e  proprie  ad  allacciare  1'  animo  di  esso  . 

Ma,  non  volendo,  troppo  ci  diffondiamo  sopra 
le   parti    di  un    lavoro    che    deve    leggersi    intero  . 
Terminiamo  col  dar  saggio  delle  traduzioni  stesse, 
protestando  di  non  aver   fatto  veruna  scelta  ,  e  so- 
lo aver   preferito  alcuna  per  la  brevità  . 

LiB.  I.   Ode  V. 

J   Pirra  . 

Sparso  di  liquide  gomme  odorose 

Sotto  fresc'antro  ,  Pirra  ,  qual  giovint 
Ti  avvince  tenero  tra   folte  rose  ? 

Linda  ,  ma  semplice  ,  il  crine  aurat© 


aSo  Lette  RATU  HA 

Dell  !  per  chi  annodi  ?  Ahi  quante  lagrime 

La  fé  volubile  ,  il  ciel   cangiato 
Gli   farà  spargere  !  Da'  negri  venti 

Oh  come  a  un  tratto  cort  ciglio  attonito 

Vedrà  sconvolgersi  V  onde  frementi  ^ 

Chi  gode  or  credulo   te   d'  auree  tempere 

JNè  avvezzo  a  V  aure  malfide  ,  e  libera 

Sempre  ,  ed  amabile  te  spera  sempre  ! 
Mal  per  que'  miseri  ^   cui  tu  sorprendi , 

JVuovo  cimento  ,   con   quelle  grazie , 

Onde  qual  folgore  abbagli  e  accendi  ! 
Mie  vestì  naufraghe  mostra  dal  nuoto 

Sul  sacro   muro  dipinta  tavola  , 

Al  Dio  del  pelago  appesa  in  voto  . 

LlB.  I. 

Satira  settima  . 

Qual  de  la  tabe  del  proscritto  Rege 
Rupilio  ,   e  del  velen   T  ibrida   Persio  , 
Trasse  vendetta  ,  io  credo  ornai  che  tutti 
Gli  scerpellati  ed  i  baibier  lo  sanno  . 
Egli  avea  questo  Persio  ,  uom  facoltoso  , 
Gran  traffichi  in  Clazomene  ,   e  col  Rege 
Moleste  liti  :  era  caparbio  ,  e  tale  , 
Che  nel  livor  lo  stesso  Re  vincea  . 
Prosuntuoso   inoltre ,  pien  di  se  , 
Mordace  si,  che  precedea   con  b'ianchi 
Corsier  trionfator  Barri  e  Sisenna  . 
Torniamo  a  Re  .  Vistosi   alfin   che  in  nulla 
Entrambi  convenian  (  giacche  non  altro 
Dritto  gli  uomini  han  mai  d'  esser  molesti  , 
Che  in  quanto  essi  son  forti ,  alior  che  avvenga 
Ostil  pugna  fra  lor:  ne  capitale 


Orazio  tradotto  dal  Gargallo  :i5i 

Odio  ,  cui  sol  r  estremo  fiato  estinse  , 
Già  per  altra  cagion   arse  fra  Ettorre 
A  Priamo  figlio  ,   e  V  animoso  Achille  , 
Che  sommo  perchè  in  ambi  era  il  valore. 
Ma  due  codardi  se  discordia  aizzi  , 
O  se  fra  due  ,  come  fra    ì  licio  Glauco 
E  Tidide  ,  non  pari   arda   contesa  , 
Del  campo  esce  il  più  pigro,  e  sin  previene  ' 
Con  doni  Y  avversario  )  ,  essendo   Bruto 
Pretor  de  V  Asia  doviziosa  ,  a  1'  arme 
Scende  di  Persio  e  Rupilo  la  coppia  ,         '  '  • 
Sì  egual ,   che  non  poria  meglio  assortito    *'     ' 
Dirsi  Bacchia  a  Biton  :  corrono  ardenti       *'^-^ 
In  tribunal  ,  spetlacòl   fiero  !  entrambi. 
Persio  la  causa  espone  :  un  generale 
S'  ode  ne  l  assemblea  scroscio  di  rìsa  . 
Dà  lodi  a  Bruto  i   lodi  a  la  coorte; 
Appella  Bruto  sol  de  T  Asia  ,  e  appella 
Tante  stelle  benefiche  i  compagni; 
Toltone  Re .  Quel  sirio  cane  apparso 
De  la  terra  a'  cultor  astro  maligno  , 
Traboccava  il  suo  dir,  come  torrente. 
Ove  rara  la  scure  i  colpi  addoppia  . 
A  r  avversario  allor  ,  lingua  tabana 
Garrula  troppo  ,  il  Prenestin  le  ingiurie. 
Quasi  da  la  sua  pergola  ,  ritorce  . 
Provano  egli   è  vendemmiatore  invitto  , 
Cui  spesso  avria  ceduto  il  viandante. 
Alto  gridando  sol  :  cuculo  ,   canta  . 
Ma  il  greco  Persio  al  fin  ,  quando  sentissi 
Stropicciato  ben   ben  d'  italo  aceto  ; 
Pe'  sommi  numi  ,  esclama  ,  o  tu  ,  che  suoli 
Esterminare  i  re  ,  Bruto  ,   ti  prego  : 
A  strozzar  questo  Re  ,  che  tardi  ancora  ? 
Degn« ,  il  evedi ,  d'un  Bruto  impresa  è  questa. 


^5a  LlTTIRÀTUHA 

LIB:  I. 

EPISTOLA    III. 

A  Giulio  Floro. 

Floro  ,  in  qual  terra  militi  d'Augusto 
Claudio  privigno  ,  io  di    saper  anelo  . 
La  Tracia  forse  ,  e  di  nevosi  ceppi 
Avvinto  r  Ebro  ,  o  il  mar  ,   che  mugge  stretta 
Fra  le  vicine  torri  ,  or  vi  ritiene  , 
O  i  colli  d'  Asia  ,  ed  i   ferraci  campi  ? 
Quai  medita  lavori  or  la  coorte 
Sacra  a  le  muse  ?  E  questo  ancor  mi  cale. 
Chi  d'Augusto  le  gesta  a  scriver  prende  ? 
Chi  le  guerre  ,  e  le  paci  al  corso  eterno 
Regger  farà  degli  anni  ?  In  che   si  adopra 
Tizio  ,  che  in  breve  udrà  volar  suo  nome 
Per  le  romulee  bocche  ;  ei  ,  che  a   gran  sorsi 
Ber  di  Pindaro  al  fonte  ,  immoto   in  viso , 
Laghi   sdegnando  e  aperti  rivi  ,  ardio  ? 
Qual  ha  vigor  ?  Qual  ha  di  noi  memoria  ? 
Modi  adattar  tebahi  a  latin  plettro  , 
Auspice  Clio,  s'ingegna  ;   o  del  pugnale 
Di  Melpomene  armato  infuria  e  tuona  ? 
Di  che  si  occupa  Celso  ,  egli  ammonito  <, 
E  da  ammonirsi  assai  ,  perchè  si  giovi 
Di  sue  dovizie  ,  e  non  toccar  que'  libri 
Osi  ,  che  accolse  il  palatino  Apollo  ; 
Onde  sue  piume  un  dì  se  mai  1'  alato 
Gregge  a  ripeter  vien  ,  cornacchia  ,  ignuda 
De'  furtivi  color  ,  non  desti  il  riso  ? 
Dove  tu  stesso  drizzi  il  voi  ?  Intorno 
A  quai  timi  volteggi  agii  su  l'ale  ? 
INon  tenue  e  incullo  ingegno,  e  informe  ed  irto 


Orazio  tradotto  dal  Gargallo  a55 

Sortisti .  O  vibri  acuta  lingua  in  foro  , 
O  li  civil  dritto  a  interpetrar  ti  accigni , 
O  i  carmi  amor  ti  detta  ;  i  serti  primi 
D'  edera  vincitrice  al  crin  ti  attendi  . 
Che  se  stracciar  i  gelidi  fomenti 
De  le  cure  potessi  ;  ove  t'  è  guida 
Sofia,  per  Tetra  batteresti  il  volo. 
Qua  accorrer  ,  qui  a   sudar  grandi  e   plebei 
Amor  di  patria  ,   e  di  noi  stessi  ajffretta  , 
Viver  se  amiam  cari  a  la  patria ,  e  a  noi . 

Dei  rescrivermi  ancor,  se,  qual  conviensi. 
Caro  ornai  t'  è  Munazio,  o  mal  commessa 
Concordia  or  si  combacia,  or  si  rescinde; 

'     E  aizza  voi,  feroci  per  non  doma 

Cervice,   o   caldo  sangue,  o  età  inesperta. 
Degni  non  mai  di  rompere  il  fraterno 
Nodo,  ovunque  viviate,  una  giovenca 
Pascesi  al  vostro  ritornar  votiva. 

G.  Gherardo    de    Rossi 


Della  forza   delV  eloquenza  nella  poesia  • 
(  Continuazione  e  fine  dell'  estratto  ) 

I  j  ultimo  sorprendente  sforzo  dell'  umana  elo- 
quenza è  r  augurarsi  che  fa  la  reina  un  piccola 
Enea  che  gli  scherzi  d'  intorno  ,  e  che  al  genitore 
somigli;  di  che  tale  avrebbe  una  gioja  da  credersi 

non  al  tutto  abbandonata. 

„  Saltem  si  qua  mihi  de  te  suscepta  fuisset 

„  Ante  fugam  saboles;  si  quis  mihi  parvulus  aula 

„  Luderet  Aeneas,  qui  te  tamen  ore  referret; 

„  Non  equidem  omnino  capta  ac  deserta  viderer. 


^54  I^  ^  T  T  fi  R  A  T  U  R   A 

Sì  diede  egli  vìnto  Enea  ad  un  tanto  parlare? 
Mai  no.  Dunque,  diva  taluno,  qual  forza  ebbe  qui 
r  eloquenza  ?  Grandissima  ,  rispondo  io  ,  quanta 
avere  ne  dovea  a  fine  che  trionfasse  la  somma  pie- 
tà di  Enea  nel  sommo  contrasto  della  passione. 
Volle  qui  Virgilio  qual  filosolo  morale  ì^nmaestrar 
l'uomo,  che  non  v'ha  ragione,  non  afr(4io,  non 
pianto  che  servire  gli  posija  di  scusa  dall'adompiere 
la  volontà  del  cielo.  Niuna  mostra  di  se  avrebbe  fat- 
to la  virtù  di  Enea,  se  fosse  §tal^  lieve  l'obbedien- 
za agli  dei.  L'eloquenza  pertaiito  in  questo  luogo 
adoperata  da  Virgilio  debbe  couvincere  chi  ascol- 
ta, o  legge  il  discorso  della  reina;  ma  non  il  pio 
Enea  ,  il  quale  ppr  non  esser  vinto  tenne  sempre 
fisso  il  pensiero  ne'  comandi  di  Giove;  soffocanda 
r  acerbo  dolore  di  abbandonar  la  reina,  e  di  veder- 
la in  tanta  desolazione. 

„  Dixerat.  lUe  lovis  monitis  inmota  tencbat 

„  Lumina,  et  obnixus  curam  sub  corde  premebat. 

Virgilio,  conoscitore  perfetto  del  cuore  umano, 
non  acconsentì  che  il  suo  eroe  mirasse  giammai  in 
volto  la  reina  ,  o  pronunciasse  parola  che  ravvi- 
var potesse  r  amorosa  fiamma  .  Sì  1'  una  che  T  al- 
tra cosa  era  piena  di    pericolo  . 

JNfon  sì  tosto  Bidone  ristossi  di  dire  ,  che  il 
duce  trojano  gravemente  rispose  :  che  non  porreb- 
be mai  in  dimenticanza  i  reali  beneficj  ;  eh'  egli 
non  pensò  mai  a  partire  di  nascosto  ;  e  che  non 
recossi  in  Cartagine  per  contraivi  nozze  . 

,,  Tandem  panca  refert  :  Ego  te  ,  quae  plurima  fando 
„  Enumerare  vales  ,  nunquam ,  reina  ,  negabo 
„  Promeritam  ^  nec  me  meminisse  pigebit  Elisae  , 


Eloquenza  nella  Poesia  a55 

„  Dum  memor  ipse  mei,dum  spiritus  hos  regit  artus. 
„  Prore  paucaloquar.  Néque  ego  hanc  abscondere 

„  furto 
„  Speravi  ,  ne  finge  ,  fugam;  nec  conjugis  umquam 
,,  Praetendi  taedas  ,  aut  haec  in  foedera  veni. 

E  perchè  la  reina  al  tutto  disperasse  di  averlo 
consorte  ,  le  dice  ,  che  non  potendo  egli  render  pa- 
go il  suo  desiderio  di  riedificare  Trojà ,  e  dovendo 
approdare  in  Italia,  questa  era  la  Sita  patria,  que- 
sta il  sdlo  oggetto  dell'  amor  suo . 

,,  Me  si  fata  nieis  paterentur  ducere  vita  ni 
,,  Auspiciis  ,  et  spontc  mea  componere  curas  : 
„  Vrbem  troianam  primum  dulcisque  meorum 
„  Reliquias  colerem;   Prìami  tecta  alta  manerent , 
„  Et  recidiva  mano  po»uissem  Pergàma  victis  . 
„  Sed  nunc  Italiani  magnam  Gryneus  Apollo  , 
,,  Italiani  lyciae  iussere  capessere  sortes  . 
,,  Hic  amor,  haec  patria  est. 

Quanta    forza  ?  Quanto    affetto    in    queste    ultime 
espressioni  ì 

Prende  in  seguito  Enea  a  giustifi(iare  la  sua 
risoluzione  ,  allegando  i  sogni ,  i  comandi  ,  le  ap- 
pariizioni  ,  i  doveri  verso  Ascanio  che  lo  affretta- 
vano a   partire  , 

11 Si  te  Garthaginis  arces 

„  Phoenissam  ,  libyciaeque  adspectus  detinet  urbis  r 
„  Quae  tandem  ,  Ausonia  teucros  considere   terra ^ 
„  Invidia  est?  et  nos   fas  extera  qnaerere  regna. 
„  Me  patris  Anchisae,   quoties  humehtibus  umbris 
„  Nox  operit  terras  ,  quoties  astra  ignea  surgunt, 
„  Admonet  in  somnis  et  turbida  terret  imago  . 
„  Me  puer  Ascanius  ,  capitisque  iniuria  cari  , 


a56  Letteratura 

„  Quem  regno  Hesperiae  fraudo  ,et  fatallbus  arvis. 
,.  Nunc  etiam  interpres  divom,  love  missus  ab  ipso, 
,,  (Tester  utruraque  caput)  celeris  mandata  per  aura» 
„  Detulit .  Ipse  deum  manifesto  in  luniine   vidi 
„  lutrantem  muros,  vocemque  bis  auribus  bausi. 

Termina  Enea  persuadendo  la  reina  a  non  esa- 
cerbare il  mutuo  dolore  co'  suoi  lamenti,  percbè  do- 
vendo egli  partire  non  per  sua  volontà  ,  ma  per 
quella  degli  dei ,  non  meritava  rimproveri  . 

,,  Desine  meque  tuis  incendere  teque  querelis  ; 
„  Italiam  non  sponte  sequor 

La  reina  ,  allorcbè  il  duce  ragionava  ,  ardeva 
di  sdegno  ;  ed  ora  lo  guatava  biecamenle  ,  ed  ora 
volgeva  gli  ocelli  irrequieti  in  giro  per  ogni  dove  ; 
come  sogliono  coloro  cbe  reprimono  la  rabbia  fin- 
che sono  costretti  a   tacere . 

„  Talia  dicentem  iamdudum  aversa  tuetur  , 

,,  Huc  illuc  volvens   oculos  ,  totumque  pererrat 

„  Luminibus  tacitis  ,  et  sic   adcensa  profatur  : 

Lasciato  eh'  ebbe  Enea  dì  favellare  ,  la  reina  , 
in  cui  pila  assai  della  religione  poteva  V  amore  , 
più  non  pensò  che  a  vilipenderlo  ;  che  a  rinfacciar- 
gli la  sua  ingratitudine  ;  che  a  dinegargli  ogni  fe- 
de ;  che  a  scagliargli  contro  imprecazioni  ;  che  a  pa- 
lesargli  sentimenti  di    vendetta  . 

Cominciò  dal  contrastargli  V  origine  umana  , 
nonché  la  divina  ;  affermando  eh'  egli  era  figliuolo 
del  Caucaso  ,  ed  allattato  dalle  tigri . 


Eloquenza  nella.  Poesia  aS^ 

,,   Nec  tibi  diva  parens ,  generis  nec  Dardanus  au- 

„  ctor, 
„  Perfide  ;   sed  duris  genuit  te  cautibiis  onens 
,,  Caucasus,  hyrcanaeque  admorunt  ubera  tigres. 

Di  che  rende  di  presente  la  ragione  nella  perfidia 
di  Enea ,  giunta  al  segno  da  non  poterne  essere  al- 
tra maggiore  ,   che  la  rattenga  dall'  ingiuriarlo  . 

„  Nam  quid  disimulo?  Autquae  me  ad  majora  re^- 
,,  servo? 

E  quasi  temesse  di  eccedere  nell'  ingiuriare  il 
traditore,  la  coraggio  a  se  stessa,  considerando  ch'egli 
punto  non  si  commosse  ai  suoi  gemiti,  al  suo  pian- 
to; e  parla  di  lui  presente  come  di  terza  persona 
lontana. 


„  JYum  fletu  ingemuit  nostro?  Num  lumina  flexit  ? 
„  JNum  lacrimas  victus  dedit,autmiseratus  amantem 
est  ? 


il 


Poi  interrompe  all'improvviso  il  suo  discorso  , 
persuasa  che  tutte  sieno  eccessive  le  sceleratezze,  e 
tutte  per  ugual  modo  in  odio  a  Giunone  ed  a  Gio- 
ve; onde  non  sia  d'uopo  di  cominciare  dalle  mino- 
ri per  salire  alle  più  detestabili. 

„  Quae  quibus  anteferara  ?  Jam,  jam  ,  nec  maxum?» 

„  Juno  , 
„  Nec  Saturnius  hacc  oculis  pater  adspicit  aequis. 

Indi  ritorna  a  ciò  che  lasciato  avea  per  rinfac- 
ciare ad  Enea  la  tradita  fede,  e  la  sua  ingratitudi^ 
ne  ai  ricevuti  benefizi. 

G.A.T.IX,  17 


^5&        Letteratura 

„  Nusqiiam   tuia  fides.  Eiectum  litore,  egentem 
„  Excepi,  et  regni  demeiis  in  parte  locavi  ; 
,,  Amissam  classem,  socios,  a  morte  reduxi. 

Interrompe  la  reina  di  nuovo  il  suo  parlare,scla-» 
ynando  di  sentirsi  invasa  dalle  furie: 

„  Heu  furiis  incensa  feror  !  ,  ,  . 

Passa  in  seguito  a  mettere  in  novelle  le  appa-' 
yizioni  e  le  sorti  vantate  da  Enea-. 

„ Nunc  augur  Apollo, 

,,  Nunc  lyciae  sortes,  nunc  et  Jove  missus  ab      iO 
,,  Interpres  divom  fert  horrida  iussa  per  auras. 

Sino  a  lasciarsi  trasportare  dall'impeto  della  passio- 
ne air  empietà,  negando  la  divina  provvidenza. 

„  Scilicet  is  superis  labor  est:  ea  cura  quietos 
„  Sollicitat 

Cadde  in  questa  orribile  empietà  anche  Filode- 
pio  ;  ma  Sellano  ,  dimenticando  di  esser  satirico  « 
gli  chiuse  la  bocca  da  oratore  e  da  filosofo  in  isti-» 
le  di  poeta  epico: 

,,  Vivit,  io, Deus:  et  quamquam  sis  perditus  amens, 
„  Non  tamen   ex  animo  poteris  divellere  numen  , 
„  Cognatum  .  Quodcunque  vides  ,  quodcunque  mo- 

„  \etur 
„  Est  Deus;  et  grandi  vestitur  imagine  mundus. 
,,  Audi:  quid  cerio  redeuntia  sidera  gyro, 
„  Et  verni  flores  ,  et  laeto  murmure  rivi, 
,,  Et  quaecunque  virens  agitatur /latibus  arbor, 


Eloquenza  nella  Poesia  aSp 

,,  Quldnobis,  muto  quamvis  sermone,  loquuntur? 

,,  Si  nescis,   clamant:  non  est  haec  machina  casus 

„  Fortuiti  ;   aeterna  sed  fluxit  condita  mente, 

„  Factorisque  sui   surdis  niiracula  narrat. 

Torno  in  carriera.  Cessa  la  reìna  di  parlare  in 
terza  persona,  e  si  volge  ancora  ad  Enea  per  dar- 
gli una  mentita,  per  dichiararlo  indegno  di  risposta, 
per  imprecargli  funesta  navigazione,  per  minacciar- 
gli vendetta,  per  manifestargli  la  sua  gioja  quando 
neir  Averno  avrà  notizia  de' disastri  da  lui  sofferti. 

„ Neque  te  teneo  ,  neque   dieta  refello. 

,,  I,  sequere  ftaliam  ventis;  pete  regna  per  undas. 
„   Spero  equidem  mediis,si  quid  pianumina  possunt. 

(  Chi  spiega  la  mente  di  chi  è  in  balia  di  cieca  pas- 
sione ?  Colei  che  poco  stante  negò  la  Provviden- 
za «—  Scilicet  is  superis  labor  est  ec  ■ — •  ora  la  dà 
per  sicura  ) 

,,  Supplicia  hausurum  scopulìs,  et  nomine  Dido 
„  Saepe  vocaturum.  Sequar  alris  ignibus  absens  ; 
„  Et,  quura  frigida  mors  anima  seduxerit  artus  , 
,,  Omnibus  umbra  locis  adero.Dabis,improbe,poenas. 
„  Audiam;et  haec  manis_  veniet  railii  fama  sub  imos, 

L'agitazione  di  questo  discorso  fa  testimonian- 
za dell'agitazione  della  reina.  Quando  l'animo  è  in 
disordine  egli  è  impossibile  che  il  parlare  sia  ordi- 
nato. Francesco  Petrarca  nella  canzone — -Che  deb- 
„  bo  far  ?  Che  mi  consigli ,  amore  ?  r —  Parla  pri- 
ma con  amore,  poi  col  mondo,  poi  con  se  stesso, 
poi  alle  donne  che  conobbero  la  sua  Laura,  poi  tor- 
na ad  amore. 

«7* 


aCo  Letterat  ura 

T^erzo  esempio  nel  secondo  colloquiojta  la  rein» 
e  la  sorella  Anna. 

La  reina  ,  spento  il  furore  di  che  arse ,  vide 
la   flotta  trojana  pronta    alla   vela.  A  tal    vista 

„  ]N e  quid  inexpertum  frustra  moritura  relinquat, 

lia  un  secondo  abboccamento  pieno  di  artifizio  con 
la  sorella;  e  ,  per  indurla  a  parlare  in  suo  favore  ad 
Enea,  afferma  che  il  perfido  lei  sola  rispetta  ,  che 
in  lei  sola  tutta  ripone  la  sua  confidenza,  e  che  es- 
sa soltanto  sa  le  vie  del  suo  cuore,  e  conosce  il 
tempo  opportuno  di  parlargli  per  impetrar   grazia. 

„ Solam  nam  perCdus  ille 

„  Te  colere,  arcanos  etiam  tibi  credere  sensus; 

„  Sola   viri  mollis   aditus,    et  tempora  noras. 

„  I,  soror  ,  atque  hostem  supplex  adfare  superburri. 

La  reina  è  convinta  che  Enea  sia  un  perfido , 
ma  lo  ama  non  pertanto.  Terribile  slato  di  amante 
luor  di  senno,  che  la  perfidia  conosce  dell'  oggetto 
amato ,   e   non  sa  disprezzarlo  ! 

Due  cose  singolarmente  danno  coraggio  a  chie- 
der grazia.  Ciò  sono,  che  il  chieditorc  non  abbia  al- 
cun demerito  presso  la  persona  che  può  esaudirlo, 
e  che  onesta  sia  la  preghiera.  Ambedue  si  espongo- 
no dalla  reina  :  la  prima  ne'  versi  : 

„  Non  ego  cum  danais  trojanam  exscindere  gentem 

„  Aulide  iuravi,  classemve  ad  Pergama  misi, 

„  iS'cc   patris  Anchisae  cinerem  manisve  revelli: 

^,  Cur  mea  dieta  ncgat  duras  demittere  in  auris? 


Si 


Eloquenza  nella  Poesia  361 

L'altra  ne'  versi  : 

Quoruìt?extreniuin  hoc  miseraedet  miinus  amanti: 
Expectet  facilemque  fugam,  ventosque  ferentis. 
Non  iam  conili  giù  m  antiquum,  quoti  prodidit,  oro; 
]\ec  palerò  ut  Latio  careat,regnumque  relinquat: 
Tempus  inane  peto,  requiem  spatiumque  furori; 
Bum  jnea  me  victam  doceat  furtuna  dolere. 


L'  arte  oratoria  è  qui  spinta  al  grado  più  ele- 
vato .  La  reina  commette  alla  sorella  di  domandar 
^d.  Enea  due  grazie,  la  prima  per  lo  stesso  Enea, 
r  altra  per  lei.  Per  Enea,  che  aspetti  i  venti  pro- 
pizj;  per  lei  che  le  accordi  breve  tempo,  che  agio 
le  dia  di  cangiar  il  furore  in  affanno.  Evvi  pure 
grande  artifizio  nel  rammentare  ad  Enea  la  tradita 
fede  neir  atto  stesso  di  protestare  che  non  lo  prega 
a  mantenerla!  Ciò  che  segue  è  diretto  a  risvegliare 
neir  animo  della  sorella  tutta   la  compassione. 

„  Extremum  liane  oro  veniam  (  miserere  sororis  ): 
'4^  Quam  mihi  dederis  cumulatam  morte  remittam. 

Anna,  udito  ciò,  eorse  senza  dir  motto  ad  Enea, 
a  cui  fece  più  volte  ritorno,  portando  sempre  la 
(disgustosa  risposta  di  nuova  ripulsa. 

Vr  Talibus  orabat,  talisque  miserrima  fletus 

91  Fertque  refertque  soror.  Sed  nuUis  ille  movetup 

„  Fletibus,  aut  voces   ullas  tractabilis  audit; 

„  Fata  obstant,placidasque  viri  deus  obstruit  anris. 

Tanto  è  vero  che  anche  i  gentili  tenevano  per  fermo 
non  poter  V  uomo  operare  virtuosamente,  ss  non 
assistito  da  Dio.  . 


aGa  Lettjkrat  u  r  a 

Le  ripetute  ripulse  di  Enea   furono   altrettanti 
argomenti  dell'  invitta  sua  religione,  e  della  sua  per- 
severanza nella  massima  di  adempiere  ad  ogni  costo 
il   volere  degli  dei  :    paragonato  quindi  nobilmente 
dal  poeta  ad  annosa  quercia  robusta  agitata  dal  fu- 
ribondo Borea   su  la  vetta  delle  Alpi.   La  compara- 
zione è  viva  in  guisa,  che  ti  sembra  di  udire  lo  spa- 
ventoso sibilo  prodotto  dall'impetuoso  vento;  dì  ve<- 
dere  una  nube  di   frondi  che  ,  divelte  da  mille    ra- 
mi e    sparse   per  l'aere  ,  nascondono  il    sole;   ed   il 
piegare  e    ripiegare  de'  rami  stessi;    rimanendo   non 
pertanto    sempre  saldo  ,  e   sempre  immobile    il    ro- 
busto   tronco,  sicuro   nelle   profonde  radici   che   si 
«distendono  fino  alle  viscere  della  terra. 

„  Ac  vielut  annoso  valldam  quum  robore  quercum 
,,  Alpini   Borae  nunc  bine  nunc  flatibus  illinc 
,,  Kruere  inter  se  certant:  it  stridor;  et  alte 
,,   Gosternunt  terranì  concusso  stipite  frondes; 
„  Ipsa  baeret  scopulis;  et, quantum  vertice  ad  auras 
„  Aetherias,  tantum  radice  in   tartara  tendit: 
„  Haud  secus  adsiduis  bine  atque  bine  vocibus  liero» 
„   Tunditur,  et  magno  persentit  pectore  curas. 
,,  Mens  inmota  manet;  lacrimae  volvuntur  inanes. 

Intento  l'illustre  poeta  a  far  sì,  che  sempre 
rlsplenda  di  chiarissima  luce  la  eroica  virtù  di  Enea, 
ne  palesò  i  gemiti,  e  le  amorose  ambasce  per  la  sua 
Didone,  nel  tempo  stesso  che  cecamente  obbediva 
agli  dii  ^iK  'ó()ó. 

„  At  plus  Aeneas,  quamquam  lenire  dolcntem 

„  Solando   cupit,   et  dictis  avertere  curas; 

„  Multa  gemens,raagnoque  animura  labclactus  amore. 

„  Jussa  taraen  divom  cxequitur ,  ciassemque  revisit. 


Eloquenza  nella  Poesia  263 

Dov'è  quel  poeta  che  ,  dopo  il  riferito  ultimo 
discórso  della  reina,  non  avesse  trattenuto  la  sorel- 
la a  dirle  qualche  parola  eli  conforto,  ed  a  promet- 
terle di  compiacerla  con  ogni  maniera  di  uffizi  pres- 
so Enea  ?  Ma  Virgilio  ben  vide  che  Ogni  remora 
sarebbe  rincresciuta  all'amante  reina  pel  tixTiore  che 
frattanto  Enea  non  isciogliesse  le  Vele;  perciò  in- 
dusse la  reina  ad  esprimersi  coti  tanta  eloquenza  j 
da  obbligare  Anna  a  partire  nell'  istante,  senza  aprif 
Bocca. 

I  pochi  tratti  da  me  comentati  lasciano  dub- 
bio se  Virgilio  ,  oltre  ad  essere  sì  gran  poeta ,  fos- 
se ancora  od  oratore  più  eloquente,  o  filosofo  piii 
profondo. 

Vincenzo  Bernì  bEGti  Anton* 


Frammenti  di  fasti  consolari  e  trionfali  ultimamen-^ 
te  scoperti  nel  foro  romano  e  altrove  ,  ora  riuni- 
ti dalt  avvocato  Carlo  Fea^  commissario  delle  anti- 
chità^  Roma  presso  Bourliè  1820.  in  \f  *  difac-* 
ce  i54  in  tutto -^  con  tavole  in  ramd 


N. 


iuno  ignora  quanto  rumore  sì  menasse  per  l'Eu- 
ropa nel  mezzo  secolo  XVI  pel  ritrovamento  di  quel- 
li antichi  marmi,  ne'  quali  efaUo  scritti  i  magistra- 
ti ed  i  triofatori  romani.  E  quanto  vantaggio  iie  ri- 
cevessero i  buoni  studj  si  fa  chiaro  a  chiunque  vo- 
glia confrontare  la  parte  delle  storie  corrette  per  que* 
tnonumenti,  con  quella  che  raanCa  tuttora  di  lumi 
uguali.  Rinvenuti  que'  sassi  nel  foro  per  opera  del 
cardinale  Alessandro  Farnese,  furono  da  questo  do- 
nati al  senato  che  li  allogò  nel  Campidoglio;  d'on- 


a04  Letteratura 

de  gii  venne  il  nome  di  fasti  capitolini.  Quella  di- 
scoperta però,  non  saziava,  aguzzava  le  voglie  de' 
letterati,  perchè  troppa  parte  ne  mancava.  E  il  ri- 
trovamento di  un  altro  pezzo  delle  tavole  trionfali 
presso  alle  radici  delTEsquilie,  avvenuto  pochi  an- 
ni .appresso  (  nel  i5G3  ),  bastò  a  nutrire  la  speran- 
za di  futura  discoperta.  Questa  rinverdì  dopo  oltre 
due  secoli  e  mezzo,  quando  nel  j8iG  molti  altri  pez- 
zi furono  estratti  da  una  cava  nel  foro  .  Il  che  ve- 
nuto a  cognizione  dell'  accademia  archeologica  ,  que- 
sta fu  sollecita  a  deputare  il  chiarissimo  sig.  Barto- 
lomeo Borghesi s  acciò  prendesse  cura  di  que'  mo- 
numenti ,  de'  quali  ha  somma  e  celebrata  perizia  . 
Ciò  fu  posto  ad  effetto  senza  indugio  per  quelfin- 
defesso  letterato,  che  lesse  la  sua  dissertazione  non 
inolti  giorni  dopo  lo  scuoprimento  de'  marmi;  ed 
ognuno  ha  per  le  mani  la  prima  parte  che  ne  pub- 
})licò  in  Milano  sin  dal  1818.  Ora  questi  stessi  fram- 
menti (  preoccupata  la  seconda  parte  della  illustra- 
zione del  Borghesi  )  ha  raccolti  il  eh.  Fea  nell'ope- 
ra di  che  abbiamo  tolto  a  ragionare.  E  principian- 
do colle  parole  stesse  di  lui  alla  faccia  CXXV  del 
libro,  diremo  che  esso:  „  È  divìso  in  due  parti,  ol- 
„  tre  la  dedica  che  può  considerarsi  come  parte  del- 
„  la  prefazione.  La  prefazione  contiene  la  storia  dei 
,,  fasti  capitolini  antichi  e  nuovi  senza  alcun  co- 
„  menlario.  Vien  dopo  un  giusto  comentario  a  mol- 
,,  te  iscrizioni  in  marmo  contenenti  per  lo  più  con- 
„  solati  in  ordine  di  tempo  ;  molte  inedite  ;  altre 
,,  corrette.  Sieguouo  le  note  ed  osservazioni  a  piiì 
,,  bolli  di  mattone  che  portano  il  consolato.  La  spie- 
,,  gazione  delle  quattro  tavole  in  rame  chiude  que- 
,,  sta  prima  parte  dell'opera  \  che  nella  stampa  por- 
„  ta  numerazione  romana  dalla  pag.  I  alla  pag.cxxv. 
-,  La  seconda  parte  è  numerata  con   cifre  arabiche 


Fasti  consolari  e  trionfali  265 

„  dall'  I  al  iS.  Contiene  i.°  i  nuovi  frammenti  dei 
„  fasti ,  ai  quali  va  unito  il  Kircheriano  :  2°  il 
„  frammento  dei  fasti  colocclaiii  ^  ed  altre  iscrizio- 
,,  ni  edite  e  inedite  col  consolato  :  3.°  le  figuline.  Il 
„  tutto  interessa  non  solo  i  fasti;  ma  la  storia  an- 
„  tìca  romana  ;  e  molto  la  topografia  della  città,  e 
„  varie  delle  sue  più  nobili  fabbriche  antiche.  „  Noi 
però  non  staremo  contenti  a  così  brevi  parole:  sti- 
mando degno  il  lavoro  di  essere  più  minutamente 
considerato.  Diremo  brevemente  deWu  prefazione-,  poi 
esamineremo  le  iscrizioni  comprese  nella  pi  ima  parte 
e  nella  seconda.  Seguiteremo  con  alcuna  osservazio- 
ne suir  appendice .,  e  suìh^  Ji gul/fie  .  Faremo  parola 
da  ultimo  delle  rimanenti  iscrizioni  sparse  nell'ope- 
ra, e  delle  tavole  che  l'adornano-  Non  toccheremo 
le  quistioni  che  hanno  rapporto  alla  topogr(ifia  di 
Jìoma;  le  quali  volentieri   lasciamo  ad  altri. 

§  I.  Incomincia  la  prefazione  con  la  storia  del- 
la antica  e  nuova  scoperta  de  marmi  capitolini.  De' 
primi  indica  il  N.  A.  gli  editori  ,  ed  i  comentarj 
che  se  ne  hanno  in  istampe  :  de'  secondi  narra  il 
modo  pel  quale  tornarono  come  a  nuova  vita  pres- 
so il  tempio  di  Castore  e  Polluce.  E  propone  una 
congettura  circa  il  .luogo ,  in  cui  anticamente  furo- 
no allogati  questi  marmi.  La  vicinanza  del  tempio 
de'  Dioscuri  lo  indurrebbe  a  sospettare  che  si  leg- 
gessero affissi  alle  mura  esterne  di  esso  :  ma  il  rac- 
conto che  abbiamo  da  Pirro  Ligorio  del  primo  ri- 
trovamento, e  la  forma  dei  marmi  ultimamente  tro- 
vati nel  dissuadono.  Ligorio  chiaramente  scrisse  ap-« 
partenere  i  l'asti  ad  un  Giano  qiiadrijronte-.  ed  il  N.A. 
avvalora  quella  asserzione,  citando  a  proposito  mol- 
te testimonianze  di  antichi  scrittori.  Passa  quindi 
a  ricercare  l'epoca  della  incisione  de'  l'asti.  France-» 
SCO  Bianchini,  ed  altri  assai,  li  stimarono  opera  d$' 


a66  Letteratura 

tempi  di  Augusto.  Con  essi  conviene  il  Fea  ,  ag- 
giugnendo  due  osservazioni  che  sembrano  avvalo- 
rare quella  sentenza  .  I  fasti  giungono  sino  agli 
ultimi  anni  dell'impero  di  Augusto:  onde  è  da  cr&- 
dere  che  non  prima  di  questa  epoca  fossero  stati 
sculti.  E  non  dopo  :  per  quelTaltra  osservazione  del 
nominato  Bianchini,  convalidata  dal  primo  illustrato- 
re archeologo:  cioè,  che  ne'  luoghi  ne' quali  in  que- 
ste tavole  era  segnato  il  nome  di  M.  Antonio  ,  si 
vede  essere  stato  quel  nome  prima  cancellato  e  poi 
riscritto.  L'epoca  della  riscrizione  non  è  certa.  È  pe- 
rò probabile  che  avvennisse  sotto  Claudio:  il  qua- 
le sappiamo  da  Sv ctonio  quanto  onorasse  la  memo- 
ria del  triumviro  suo  avolo.  Quella  della  cancella- 
zione accadde  nel  724  di  Roma;  quando  il  senato 
ne  promulgò  decreto  ad  istanza  del  figliuolo  di  Ci- 
cerone, che  fu  consolo  surrogato  in  quest'  anno.  Se 
dunque  que'  nomi  furono  scarpellati  nel  724  -.  chi 
non  vede  che  i  marmi  contano  un'  epoca  anterio- 
re ?  Né  qui  si  ferma  il  N.A. ,  ma  cerca  altri  argo- 
menti, desumendoli  dal  marmo  ancirano  e  da  Orazio- 
Che  se  Augusto  ebbe  il  merito  d'  innalzare  o 
restaurare  questo  Giano  espressamente  per  allogarvi 
i  fasti,  forse  il  progetto,  secondo  l'A.N.  ,  non  fu  il 
Suo.  Certo  poi  si  servì  dell'  opera  altrui  per  com- 
pilarli. Stefano  Vìnando  Pighio  congetturò,  che  quel 
Ibrtunato  pacificatore  del  mondo  approfittasse  a  que- 
sto fare  delle  molte  cognizioni  di  Tito  Pomponio 
Attico:  e  nella  sentenza  del  Pighio  scende  volentie- 
ri il  eh.  A.,  adducendo  alcune  testimonianze  dell' 
oratore  arpinate,  di  Cornelio  Nipote,  e  di  Asconio 
Pediano,  per  le  quali  si  conosce  quanta  opera  aves- 
se spesa  Pomponio  nella  compilazione  degli  annali, 
che,  a  parere  del  sig.  Fea  ,  altro  non  furono  se  non 
che  i  fasti  de'  quali  teniamo  discorso.  Egli  toUere- 


Fasti  consolari  e  trionfali  267 

rà,  speriamo,  che  per  noi  si  tenga  dubbiosa  questa 
sentenza  .  Ma  siano  essi  opera  di  Attico  o  di  aU 
tri,  vero  è  che  non  si  conosce  il  perchè  Livio  e  Dio- 
nigi non  li  seguissero  negli  scritti  loro.  Discordano 
certo  que' classici  dalle  tavole  capitoline  in  più  cose(e 
moltissimi  l'osservarono  )  :  ma  specialmente  ne'  pre* 
nomi  e  spesso  ancora  cognomi  de'  magistrati.  É  da 
credere  che  queste  differenze  provengano  da  errori 
fatti   dagli   amanuensi  nelle   copie  di  quelle  storie. 

Queste  cose;  che  brevemente  abbiamo  accenna- 
te, sono  a  lungo  discorse  dal  N.  A.  in  quindici  fac- 
ce piene  di  varia  erudizione  .    La  quale  omettiamo 
di  notare ,  pel  non  si  potere  restringere  in  poche  ri- 
ghe. Solo  diremo  di  quella  nota  nella  quale  impren- 
de a   difendere   Pirro    Ligorio    (  pag.  xii.  nota  2  ). 
Ammettiamo  che  Pirro  moltissimi  fra  gli  innumere- 
voli monumenti  che  lasciò  ne'  suoi  manoscritti,  co- 
piasse dagli  originali:  e  non  discenderemo  nella  opi- 
nione ,  che  qualsiesi   cosa   provenga  da   fonte  ligo- 
riano  sia   da  rigettare  senza  esame.    Diciamo  però 
che  quanto  il   JN.A.,  e  prima  di  esso  Lodovico  An- 
tonio   Muratori  ,    e  più    altri    scrissero  in   difesa  di 
Pirro,   non  è  di  tal   peso  da  bilanciare  i  fatti  reca- 
ti in  mezzo  dal  cardinale  de  Nosis   (i),  da  Antonio 
Agostino  (2),  da  Raffaello Fabretti  (3),  claGaetano  Ma- 
rini (4),  da  Annibale  Olivieri (5),  da  Stefano  Morcel- 


(1)  Episi.  cons.  ari.  836.  et  900. 

(2)  Dial.  XI. 

(o)  De  col.  Truj.  cap.i. 

(4)  Atti  de' fiatelli  arvali  pag.  101.  n4-  e  spesso  altrove. 

(5)  Negli  «sami  del  Bronzo  krplri«no  ,  e  della  isg-ri/sicHe  di  AnH* 
éio  Feroce. 

f 


a68  Le  T  TIRATURA 

li  (G);e,  per  tncere  di  altri  molti,  da  due  concittadini 
diLigorio,  Jacopo  Martorelli  (7) ed  Alessio  Simmaco 
Mazzocchi  (8).  Ezechiello  Spanheim,  comunque  par- 
tegiano  di  Pirro,  ebbe  a  confessare,  che  incontran- 
si  nelle  costui  opere  plura  quae  aut  duhine  fidei 
aut  confessae  videntur  novitatis  (6)  .  Oud'  è  che 
noi  sempre  saremo  riservati  nello  ammettere  con 
facilità  troppa,  come  nel  rigettare  inconsideratamente, 
le  merci  ligoriane  .  Nel  seguito  di  quest*  articolo 
vedranno  i  leggitori  come  a  ciò  ne  muova  più  as- 
sai il  fatto  nastro  proprio,  che  non  l'autorità  di 
altrui. 

-h  '  S  II.  Sette  frammenti  di  fasti  sono  compresi 
nella  prima  parte  dell'  opera.  Cinque  appartengono 
a  quelli  che  diciamo  consolari  •  due  a'  trionfali  . 
Di  questi  ultimi  sono  il  quarto  ed  il  settimo  fram- 
mento. 

Costa  di  2  5  righe  il  primo  frammento  consola- 
re^ ed  abbraccia  un  tempo  di  dieci  anni:  dal  29^ 
di  Roma,  al  3o5.  Volle  la  propizia  fortuna  che  que- 
sto marmo  esattamente  combaciasse  con  quello  esi- 
stente già  nel  Campidoglio:  e  lodevolmente  il  N.  A. 
riprodusse  insieme  al  nuovo  il  già  conosciuto  .  Lo 
che  fece  pure  pel  secondo  frammento  anch'esso  con- 
solare', il  quale  si  compone  di  32  righe,  e  dal  349 
giunge  al  353  ,  quando  i  tribuni  militari  reggevano 
la  repubblica.  Undici  righe  si  leggono  nel  terzo;  e 
questo  serve  a  correggere  alcuni  errori  corsi  ne'  fa- 
sti circa  1  censori  del  3Gi,  ed  i  tribuni  militari  dell' 


(6)  De  siylri  liKcr.  pag.  11. 

(7)  De  regia  iheca  ccdam.  voi.  2.  pag.  432. 

(8)  De  dedlc  sub  ascia  p.  i43- 
(•j)  De  iL\(i  et  pra:st.  mim.  Uiss.  4< 


Fasti  consolari  e  trionfali  269 

anno  istesso,  e  del  seguente.  Gol  quarto,  che  è  dei 
trionfali  ,  ritornano  a  luce  nove  righe,  mancanti  pe- 
rò di  principio  e  di  fine:  e  forse  bene  vi  riscontra 
r  A.,  quel  trionfo  che  Claudio  Marcello  riportò  con- 
tro ì  galli  nel  35o.  Vien  dopo  il  quinto  ,  nel  qua!» 
si  hanno  sole  venti  lettore  :  resta  incerto  a  qual  an- 
no possa  appartenere  :  ed  incerto  è  pure  se  spetti 
ai  consolari:  non  sembrandoci  di  molto  peso  la  con- 
gettura che  ne  vuol  trarre  l'A-  dalla  grossezza  del 
marmo.  Bello  sopra  ogni  altro  è  il  sesto  frammen- 
to consolare  diviso  in  due  colonne  :  la  prima  del- 
le quali  costa  dì  dieci  righe,  e  indica  i  magistra- 
ti dal  4^9  al  474  ì  1^  seconda  di  diecinove ,  e  nota 
quelli  dal  6ó5  al  538.  Viene  da  ultimo  il  frammen- 
to trionfale  già  edito  da  Giano  Grutero  ,  da  Ste- 
fano Vinando  Pighio  ,  e  eoa  piìi  esattezza  da  Ga- 
spare Luigi  Oderici  nella  lettera  latina  sulla  meda- 
glia di  Orcitirice  .  Lo  riproduce  il  Fea  ,  perchè 
bene  con  esso  combacia  un  picciolo  frammento,  del 
quale  già  diede  notizia  son  pochi  anni  in  una  operet- 
ta che  intitolò  Prodromo:  appresso  la  quale  notizia 
ne  vedemmo  ripetuta  la  stampa  sulla  biblioteca  ita- 
liana. .  , 
Questi  nuovi  tesori  in  ispecie  per  la  cronolo- 
gia sono  aperti  dal  N.  A.  E  sono  schietti  di  note; 
che  attendono  dalle  cure  del  celebre  Borghesi.  Il  qua- 
le dottamente  illustrando  il  primo  frammento  con 
una  dissertazione  pubblicata  in  Milano  Tanno  i8i8, 
promise  al  pubblico  che  gli  altri  ancora  avrebbero 
conseguita  eguale  illustrazione.  In  attenzione  della 
quale,  ci  restringiamo  a  dir  qualche  cosa  di  quel 
primo  frammento.  Questo  ci  dette  un  consolo  affat- 
to sconosciuto;  due  ne  espulse  dai  fasti;  due  alle 
vere  genti  restituì  ;  discoperse  sei  nuovi  cognomi  ; 
e  molti  prenomi  corresse  o  raJTermò  ,  Il   Fea   scris- 


ìyo 


Letterati;  R  A 


sé  (pag-  XXIV  )  di  dare  lezione  di  questo  marmo  in 
più  cose  diverse  e  pia  esatte  della  linora  conosciu- 
ta. Eccone  le  varianti  che  trovammo  nel  confrontare 
la  sua  con  la  lezione  del  Borijhesi.  Neil'  indicare  le  ri- 
ghe ci  atteniamo  all'  unione  del  nuovo  frammento 
nel  capitolino ,  che  si  leggono  continuali  in  ambe- 
due le  opere. 


Lezione  del  Feci 

Tair.  1  riga    i  POPLIGOLA 

2  4  MALVGINESISVR.... 

3  €  IN.MA.... 

4  li  SP.VERGINIV^S.A.F.M.... 
4          »5  CAPITO 

6  i6  SABIN. 

7  17  VT.D..EM.VIRI 

8  18  ...  .  ERIO 

9  19  CRASSINV 
10  24  RIGILL 


Lezione  del  Borghesi 

PORLI  COLA 

M^LVGINES-IS.VI... 

IN.M... 

SP.VERGINIVS.A.F.A.. 

CAPITO....TICANVS 

SABINVS. 

VT.D....MV1RI 

....  RIO 

CRASSIN 

RIGIL 


JLa  prima  e  la  nona  variante  si  riferiscono  alle 
vecchie  tavole  capitoline ,  e  nulla  tolgono  o  accre- 
scono di  pregio  alla  lezione  .  Lo  stesso  diciamo  del- 
le altre  varianti  3.  6.  7.  8.  e  io  :  le  quali,  abbenchè 
vertano  sul  nuovo  frammento  ,  nulla  e'  insegnano 
d'  nuovo.  Non  così  della  variante  seconda:  coronan- 
do essa  le  fatiche  del  Borghesi  ;  ed  assicurando  il 
secondo  cognome  di  L.  Cornelio  Maluginese  -.  il  qua- 
le si  disse  Uritinus  non  Cossus  ,  come  dopo  il  Si- 
gonio  scrissero  tutti  i  fastografi  ,  Sulla  quinta  va- 
riante noi  staremo  col  Borghesi  :  perchè  questi  eb- 
be a  scrivere  (  i  oj  :  mi  è  parso  leggere  con  bastevol 


(to)  Dissert.  citata  pag.  81^ 


Fasti  consolari  e  trionfali  271 

fondamento ticanus  .  E  molto  più  stare- 
mo col  Borghesi  sulla  quarta  .  Noi  sappiamo  che 
Spurio  p^erginioTricostoCpUmontano^  consolo  nel  2 98, 
nacque  d"  Aulo  f^erginio  consolo  anch'  egli  nel  260  : 
sappiamo  pure  che  quest'  yéulo  ,  secondo  Dionigi 
di  Alicarnasso  (i  i),  ebbe  per  padre  un  altro  Aulo. 
La  testimonianza  dell' Alicarnasseo  sarebbe  contraria 
al  vero  ,  se  si  dovesse  ritenere  il  consolo  del  298 
per  nipote  di  un  Marco  ;  come  vuole  la  lezione 
del  N.  A.  Il  quale  speriamo  voglia  perdonarci  que- 
sto nostro  assentire  alla  lezione  del  JBorghesi ,  piut- 
tosto che  alla  sua  ,  che  pure  dice  pia  esatta .  Per- 
chè essendo  conosciuta  ai  lettori  la  molta  diligen- 
za che  adopera  il  Borghesi  in  leggere  gli  antichi 
monumenti ,  è  da  tenere  che  non  sia  questo  il  solo 
caso  nel  quale  egli  siasi  da  così  lodevol  costume 
allontanato  .  Alla  quale  osservazione  se  voglia  unir- 
si ,  come  si  deve  ,  la  testimonianza  di  un  antico 
storico,  di  rado  o  non  mai  colto  in  errore;  si  vedrà  so- 
pra quali  fondamenta  noi  rigettammo  in  due  soli  luo- 
ghi la  lezione  proposta  dal  Fea:  e  non  saremo  ,  è 
sperabile,  redarguiti  di  troppa  sofistichezza,  né  di  spi- 
rito parteggiano, 

§  III.  Una  collezione  di  48  iscrizioni  ,  dove  si 
ricorda  alcun  consolato  ,  compone  la  seconda  par" 
te  di  quest'  opera .  Molte  delle  iscrizioni  erario  già 
conosciute .  Tra  le  inedite  ricorderemo  il  frammen- 
to IO.  In  esso  si  hanno  i  consoli  di  tre  anni,  non 
già  consecutivi  gli  uni  agli  altri  ;  ma  di  varj  anni, 
secondo  portava  il  bisogno  del  collegio  che  lo  fece 
scolpire  .  Incomincia  da  L.  Cornelio  Sulla  :  il  mar- 
mo essendo    rotto    appunto  laddove  era   segnata  la 


(li)  Lib.  VI.  cap,69. 


syr  Letteratura  , 

nota  del  di  lui  consolalo  ,  non  è    certo  se  si    rife- 
risca al    secondo  ,  cioè    al  Gy4  di    Roma  :  ovvero 
al  66G  ,  quando  egli  per  l;i  prima   volta  tenne  i  fa- 
sci .  Vengono  dopo   i   consoli    ordinar)   del    714  ;  e 
sieguono  i  surrogati    neir  anno  istesso  .  Da    ultimo 
è  scritto  il    nome  di    Q.  Cecilìo    Cretico    che  pro- 
cedette consolo    nel  760  .  Così   minutamente  abbia- 
mo  descritto  questo  frammento  ,  perchè  ci   sembra 
avere  ilsig.  Fea  errato,  scrivendo  (  pag.  xxxii  )  com- 
prendersi in  esso  una  serie  di  consoli  dal  OyJ  al  G79: 
quando  a    noi  pare  che  appena    vi  si  abbiano  quelli 
del  674  (forse  del  GQQ)  e  del  714  ,  e  del  7G0.  E 
questo   non  annotiamo    per  osservazione  grammati- 
cale ;   ma   sì  per   osservazione  cronologica  :  che  al- 
tro è  dire   dal  G73  al  679,  altro   dal  (Ì74  al  7G0 , 
altro  finalmente  (  che  è  il  vero  )  degli  anni  674,714» 
je   760. 

Era  inedita  la  lapida  n.  12  ,  dalla  quale  rile- 
viamo come  Vejo  fosse  eretto  in  municipio  da  Au- 
gusto, ed  avesse  a  patrono  M.  Erennio  Picente  con- 
sola surrogato  alle  calende  di  novembre  del  720 
di  Roma  .  Quella  segnata  col  n.  i5  ,  ed  il  fram- 
mento n.  18  si  leggono  anch'  essi  la  prima  volta; 
e  ci  danno  i  consoli  degli  anni  22  ed  81  dell'  era 
volgare  .  Ugual  pregio  di  novità  ha  un  cippo  con 
le  note  indicanti  l'anno  io3  ,  che  porta  il  n.  20: 
e  quella  lapida  n.  22  ,  di  un  L.  Minucio  Natale 
consolo  e  proconsolo  in  Affrica  regnando  1'  impero 
romano  Trajano.  A  quale  anno  il  consolato  di  que- 
sto Minucio  possa  spettare  non  fu  scritto  dal  N. 
A;  ma  noi  non  dubitiamo  di  attribuirlo  al  ii5, 
seguendo  in  ciò  l'opinione  di  Gaetano  Marini  (12}. 

(12)  Fr.  Arriili  pag.  142- 


Fasti  consolari  e  trionfali  ^n'ò 

Le  lapidi  segnate   co'  numeri    26,  ay,  35,  e  38,  era- 
no   inedite    anch'  esse  ;   e    ci    ricordano    i    consoli 
degli  anni  120,   i4i,iGi,e  198  dell'  era  volgare. 
A  quest'  ultimo   anno  scrisse  il  N.  A.  appartenere  al- 
tresì il  marmo  recato   al  n.  4o  (  pag.  lviii  )  :  e  sti- 
miamo andasse    errato  ,  perchè   Late- ano  e    Rufino 
tennero  i  lasci  nel  197;  Tanno  innanzi  cioè  a  Gallo, 
e  Saturnino  •■  e  vorremmo  crederlo  errore   di  stam- 
pa ,  se   la    frase  non   fosse   affatto  diversa  dall'  an- 
tecedente .  Vien  dopo  un    bronzo  spettante  all'  an- 
no aSy  ;  lo  leggiamo  per  la  prima   volta  ,   ed   è  se- 
gnato col    n.  46.  Al  seguente  ,  quel    marmo    che   fa 
menzione  di  un  Z.  Ovinio   Curio  Proculo   Modiano 
Affricano  ,  consolo  non  si  sa   in  qual'anno  ,  era  pure 
inedito .  All'  anno  SyS  ,  non  come    vuole  il   N.  A. 
al   397  (  pag,  Lxiv  )    appartiene  la   lapida   cristiana 
che  porta  il  n.  5i:  inedita  così  questa  ,  come  quella 
al  n.  55  ^  la  quale   si  riferisce    all'  aano   4^<  ^'^ 
era  volgare  . 

Tutte  le  altre  iscrizioni  di  questa  seconda  parte 
erano  già  cognite  .  Tra  le  quali  tiene  il  primo  pò»» 
sto  il  frammento  conosciuto  sotto  nome  di  fasti 
colocciani  :  che  descriviamo  così  .  Costa  di  due  co- 
lonpe  :  nella  prima  si  legge  il  iv  consolato  di  G. 
Giulio  Cesare  nel  709  di  Roma  ,  e  sieguc  a  tutto 
l'anno  714-  La  seconda  colonna  incomincia  da  uà 
Lucio  Sestio  consolo  sulfetto  nel  731  ,e  giunge  a 
tutto  il  74 a.  Oud'  è  che  non  esattamente  scrisse 
il  N.  A.  (pag.  XXIX  )  trovarsi  nel  marmo  coloccìano 
la  serie  de"  consoli  dal  708  al  742  :  dove  anclie 
aggiunse  di  darne  una  lezione  pia  vera  e  più  co- 
piosa delle  precedenti .  Pia  copiosa  non  pare ,  non 
leggendosi  in  essa  pure  una  riga  oltre  quelle  che 
SI  leggono  nella  gruteriana  :  più  vera  forse  ,  perchè 
CI    accade  osservare  che   uno   de'  consoli  surrogati 

aA/f.ix.  18 


Qni  Letteratura 

neir  anno  711  è  <^.  Pedio  ,  non  Q.  Lepido  come 
finora  fu  scritto  ne'  fasti  .  Ma  perchè  non  si  creda 
volersi  per  noi  aggravare  la  memoria  di  Giana  Gru- 
tero  ,  e  perchè  sia  palese  ,  ambir  noi  piucchè  ogni  al- 
tra amicizia  r  amicizia  della  verità  ,  diremo  a  vi- 
cenda ,  non  trovarsi  da  noi  vero  quello  che  il  N.  A* 
asserisce  (  pag.  xliu  )  di  dare  corretta  anche  la 
lapida  N.  16.  Perchè  Grutero  nella  edizione  corae- 
liniana  non  legge  nvminìo  ,  ma  nvmmio  ;  (  i3  )  e 
se  r  errore  sta  nelle  schede  chigiane  ,  noi  non  sap- 
piamo vedere  come  possa  dall'  errore  arguirsi  la 
csatezza  delle  schede  stesse  ;  né  sappiamo  conoscere 
il  perchè  il  signor  Fea  non  traesse  la  sua  iscrizione 
dalle  altre  schede  che  dice  aver  nvmmio  ,  piuttosto 
che  trarla  da  quelle  errate  ,  onde  poi  correggerle 
ed  implicare  neir  errore  Grutero  :  presso  il  quale  tro- 
viamo il  marmo  in  diversa  e  migliore  disposizio- 
ne di  righe  ;  e  apprendiamo  di  quali  sculture  fosse 
ornato  quel  monumento  .  In  luogo  di  che  avrem- 
mo desiderato  eh'  ei  non  tacesse  T  anno  di  questo 
consolato  .  Vie  maggiormente  essendogli  facile  l'os- 
servare che  nei  fasti  si  segnano  come  surrogati  alle 
calende  di  luglio  dell'  anno  779  Q.  Marcio  Barea 
e  T.  Rustio  Nummio  Gallo-,  è  più  facile  il  cono- 
scere che  Gaetano  Marini  dubitò  grandemente  che 
fossero  ben    collocati   («4)  • 

E  giacché  siamo  in  questi  confronti  fra  le  la- 
pidi pubblicate  dal  Grutero  ,  e  quelle  ripetute  in 
ìsl arapa  dal  N.  A.,  altre  quattro  osservazioni  ci  oc- 
corre per  ora  di  fare  .  Primamente  la  iscrizióne  se- 
gnata col  N.  17  è  senza  meno  quella  iitessa  che  si 


(i3)  Pag,  CVII,  8. 

(x4)  Fr.  Arvali  pag.  644- 


Fasti  copfSOLARi  e  trionfali  2'jS 

legge  nel  tesoro  gruteriano   (i5)  ,  ed  appartiene  all' 
anno  81 4  di    Roma.  Come    ne  potesse    egli  dubita- 
re, non  sappiamo  conoscere  ;;  e  non  troviamo   1^  tan- 
te differenze  che  vi  suppone  gratuitamente .  In  se- 
condo luogo ,  il  marmo  segnato  col  n.  a'ò  ,  nel  qua- 
le si  hanno  i    consoli  surrogali  nell  anno  m  dellera 
volgare ,  ci    sembra   molto  più    corretto  in    Grute- 
ro    (itì)  che  in    quest  opera  non    sia.  Può   farsene 
certo  il    Fea    ogni  qiial   volta  voglia    leggerlo    ijel 
museo  capitolino ,  dove  noi  son  già  pochi  mesi  Io 
trascrivemmo  .  A    proposito  di    questo  sasso    è   d« 
notare  l'errore  di  Francesco   Eugenio  Guasco  (17) 
che  lesse    gerviano  ,  quando    vi  sta   la    S  marcata 
a  grossa  linea  .  In    terzo   luogo  diciamo    che   il  fa- 
moso bronzo   feren tinaie  ci  sembra  più  completo  in 
Grutero   (18),  di   quello    che  presso  il   N.  A-  che  lo 
diede  al  m.  2/^:  di  questo  si  convincerà  qualsiasi  uo- 
mo voglia   farne  leggier  confronto  .  A    proposito  dì 
quesrto    bronzo  ,  non    sembra    inutile    il    ripetere  la 
osservazione  di  Filippo  della    Torre  (19)  :  cioè  che 
la   sintassi   richiederebbe    che  si  leggesse,  decreto. 
Hoc.  TABVLAE.  HospiTALi,  INCISO,  nou  come  sta  peir 
originale  :  tabvla  .  hoìspitali  .  incisa  .  in  hoc  .  de- 
creto .  In   ultimo  la  lapida  n.  3i  ,  che  il  N.  A.  co- 
più  dalle  schede  chigiane  ,  secondo  che   a  noi  pare 
è  anch'  essa  molto  più  caretta  nel  tesoro    gruteria- 
ao  (20)  .  Ed  infatti  chi  ne   indicherà  chi   si  foss^ 


(i5)  Pag,  LXIV.  9. 

(16)  Pag.  CLXXV.  10. 

(17)  mas  Cap.  Voi.  I.  p.  i3g. 

(18)  Pag.  GCCGLVI.I. 

(19)  Monuin  .  Vet .  Antii 

(20)  Pag.  XVIII.  5. 


ajG  Letteratura 

quel  p.  SALL.  socio  nel  consolato  a  C  BelUcio  Tor- 
auato  ?  I  iasti  noi  ricordano  certo  :  ricordano  però 
un  Manio  Acilio  Glabrione  consolo  nel  124  insie- 
me a  Torquato^  e  con  i  fasti  si  accorda  la  lezione 
grnteriana  AA/.  acil. 

Interessante  è  la  lapida  segnata  col  n.  33.  Que- 
sta poteva  considerarsi  come  inedita:  sendo  ben  diffi- 
cile e  veramente  meraviglioso  che  un  antiquario  la 
ripescasse  nella  leonologia  di  un  Cesare  Ripa.  Per 
essa  si  assicurano  i  veri  nomi  dei  consoli  del  iSy 
èra  volgare  ;  un  solo  de'  quali  fu  pienamente  co- 
nosciuto da  Gaetano  Marini  (21).  Il  marmo  n.  34, 
che  ilN.A.  scrisse  essere  stato  pubblicato  dal  solo 
Almelovenio  ,  fu  da  noi  letto  tra  le  iscrizioni  edite 
da  Raffaello  Fabretti ,  il  cui  libro  è  per  le  mani  di 
tutti  gli  studiosi  di  questo  genere  di  antichità  (23). 

S-  IV.  rVon  sappiamo  ved^^re  il  perchè  le  qua- 
quaranta  iscrizioni  che  si  leggono  nell'  appendice  , 
non  siano  state  unite  a  quelle  pubblicate  nella  ser 
conda  parte  dell'opera.  Ma  qualunque  ne  sia  il  mo- 
tivo ,  tralasciamo  di  ricercarlo:  e  come  usammo 
nel  paragrafo  precedente,  così  in  questo  vogliamo 
indicare  quelle  lapidi  che  ora  veggono  per  la  pri- 
ma volta  la  luce,  senza  molto  soffermarci  sulle  altre. 

Inedita  pare  senza  dubbio  la  lapida  n.  iii,  ma 
ci  proviene  da  fonte  ligoriano;  del  che  bastante- 
inenle  dicemmo  nel  primo  paragrafo.  In  essa  sì 
hanno  i  consoli  del  1 1 4  ;  già  cogniti  per  la  cele- 
bre base  giuteriana  (23),  nella  quale  è  scritto  (non 
sappiamo  se  meglio  )   ninnio.  Inedite  erano  la  quin- 


(21)  Fr-  Arvali  pa^.   654 

(22)  Gap.  111.  pa-.   128.  N.  ho. 

(23)  Pag.  CCXIV^. 


Fasti  eojrsoLARi  e  trionfali  iznn 

ta  e  la 'settima;   e    ci    danno  i  consolati  del    177, 
e   del  210. 

Più  interessante   è  la  nona.    Per  essa  sappiamo 
che  il  consolo  del  234  si  nomò  L.  Lurenio  Crispino. 
iVon   perciò  assentiamo  al  eh.  A.    (pag.   lxxxviii  ), 
che    r  opinione  esternata  da  Gaetano   Marini  circa  i 
nomi  di  questo  consolo  sia  poco  convincente.  Scris- 
se quel  dotto    che   il    consolo    dei    324  ebbe   nome 
L.  B razzio  Quinzio    Crispino  :    e    noi  non  trovia- 
mo  alcuna  difficoltà  in  ammettere  cosi  gli  uni  come 
gli  altri  nomi  in    una  stessa   persona  ;    dicendo    che 
chiamossi  (forse)  L.  Lo  renio  B  razzio  Quinzio  dispi- 
no.   Sa  ognuno  come  col  mancare  la  romana  libertà, 
mancasse  anche  ogni  regola  circa  i  nomi  e  cognomi, e 
come  alcuni  ne'monumenti  adoperassero  Homi  diversi 
da  quelli  che  gli  antichi  scrittori  avevano  loro  attri- 
buiti. Sappiamo   infatti  che  il  consolo  surrugato  nel 
69   era  volgare   C  Arrunzio  Catellio  Celere  fu  quel- 
r  istesso  che  Tacilo  chiamò   Pompejo   Vopisco  :  che 
Marco    Bruto  fu  detto  talvolta   Q.    Cepione    Bruto-. 
che  Z.  Rosaio  Eliano  si  nomò  pure  L.  Mecio  Celere. 
Del  qual  costume  lungamente  ebbe  a  scrivere  e  dot- 
tamente   in   più    luoghi    il   teste  nominalo   Gaetano 
Marini  ;    perchè  non  ci  sembri  bene  tacciare  di   leg- 
giera la  sua  opinione. 

Interessante  ed  inedita  era  lapida  n.  x.  Il  con- 
fronto di  essa  con  altre  corona  le  lati  che  del  dot- 
to scrittore  àe  Fratelli  Jrvali  (24),  e  rafferma  i 
veri  consoli  del  244:  i  quali  apprendiamo,  che  d'ora 
in  appresso  dovranno  ne'  fasti  scriversi  così:  J.  FuU 
vius  Jemilia?iusr,et  L  Armenius  Peregrinus.  Ven- 
gon  dopo  le  lapidi  iv.  xii.  xin.  xv.  xri.  xix.    xxi. 


(24)  Pai'.  5oi. 


j^8         Letteratura 

XXIV,  tutte  pubblicate  à  quel  che  pare  la  prima  vol- 
ta; e  spettanti  agli  anni  336.  34 1.  355.  358.  364- 
3G9.  e  3'ji.  dellera  volgare.  Dal  marmo  ^.  xxvii 
ci  confermiamo  nella  Igzione  che  il  consolo  del  38 1 
avesse  nome  Euterio  ,  non  Eiccherio  come  scrisse- 
ro Almelovenio  e  Belando.  Sieguono  le  iscrizioni 
de'  N.  XXX.  xxxii.  xxxiii.  xxxiv,  inedite  anch'  es- 
se ;  e  si  riferiscono  agli  anni  dell'  era  volgare  òg'j. 
4oi.  4o5.  e  4^0.  JNotiamo  approposito  di  quest'  ut- 
timo  ,  che  il  JN.  A.  Jjeir  illustrarlo  (  pag.  G.  )  se- 
guì r  opinione  di  Tommaso  Reinesio  e  di  altri,  i 
quali  supposero  che  il  sigma  -  tau  indicasse  il 
numero  v.  Non  ricordò  allora  il  N.  A.  quanto 
scrisse  a  questo  proposito  Raffaello  Fabretti  (aS) 
il  quale  restituì  indubitatamente  quel  segno  al  nu- 
mero VI,  ne  vide  forse  un  codice  presso  il  Mabil- 
lone  (2G)  ;  nel  quale  quella  nota  è  costantemente 
adoperata  pel  numero  senario.  lira  inedita  la  lapi- 
da N.  xxxvi,  nella  quale  si  legge  il  consolato  del 
470:  ed  inedita  era  quella  al  numero  xxxix;  di 
•consolato  incerto,  secondo  il  J\.  A;  a  noi  sembra 
poterla  asserire  dell  anno  326;  quando  procedero- 
110  consoli  r  imperatore  Flavio  Valerio  Costantino 
per  la  settima  volta,  insieme  a  Flavio  Giunio  Co- 
stanzo cesare . 

Delle  altre  lapidi  pubblicate  in  questa  appen- 
dice non  facciamo  parola,  perchè  già  cognite.  Vo" 
gliaimo  però  osservare  che  la  correzione  che  il  eh.  A. 
ià  della  lapida  .v.  ii,  portante  i  consoli  del  iiìs), 
edita  non  esattamente  da  Luigi  Gaspare  Oderici, 
era    già  stata   fatta ,    e  con  le   medesime  parole    da 


(2 5)  Inscr.  dom'ist.  e.  Vii.  n.  54o. 

(26)  De  re  diplomili,  lib.  II.  cap.  28.  N.   12. 


Fasti  consoiari  e  trionfali  27^ 

Gaetano   Marini  (27)-  Che   quanto    il    Fea    scris- 
se intorno  la  lapida  n.  viii  per   provare   come   L. 
Roseto  Eliano  Meda  Celere  fosse   consolo    ordina- 
rio nel  223  ,  non  getta  a   terra,  a   creder  nostro,  il 
ragionamento  del  Marini   stesso   (28):    il  quale  ad- 
dusse più  forti' argomenti  per  restituirlo  ad  un  con- 
solato sufFetto  negli  ultimi  mesi  del  iio.  Non  cono- 
sciamo inoltre  perchè  all'  anno  5  £  i ,  e  non   piutto- 
sto    al    428    abbia    il     Fea     attribuito    il    marmo 
N.  XXX VII.  Da    ultimo  domandiamo   la  ragione  per 
la   quale  al  n.  xl   egli  ci    abbia  data  la    sola   iscri- 
zione  del  lato   sinistro  di  quella  base  di  travertino 
trovata   in  Otricoli,  che  intiera  fu  pubblicata  da  es- 
so Marini   (^9):  e  non  vediamo  che  sia  vero  ricor- 
darsi   in   quel  marmo  un  consolato  di  anno  inóerto; 
avendo   il   Marini   stesso  fatto    cenno  in  più  luoghi 
di    quel   costume    degli  antichi   d'  indicare   i    con- 
solati   con  le  note  ,  preteriti   i  nomi  de'   Cesari    e 
degli  augusti    consoli  :  ciò    che  cagionò  alcuni  erro- 
ri,   e  molte  incertezze.   Se  nel    nostro  marmo  si  de- 
ve  leggere    tertio  (  o  tertiiim  )  et   semel  cos.  ,    ciò 
ne'  indica  a  creder  nostro  1'  anno  i4o    dell'era  vol- 
gare. 

Termina  quest'  appendice  con  altre  tre  iscrizio- 
ni. Ai  numeri  xli,  è  xlii,  sono  ripetute  le  due  notis- 
sime lapidi  esistenti  al  sepolcro  de'  Plauzj  vicino  al 
ponte  Lucano  sotto  Tivoli.  Al  xlih  pubblica  il  N.A- 
una  iscrizione  inedita,  non  segnata  di  consolato, 
ma  interessante,  secondo  lui,  per  la  parola  glvti- 
MARivs  ignota  finora  nei  lessici  e  negli  autori.  Co- 
noscevamo però  in  antichi  scrittori,  ed  in  lapidi 
i.«  > I >i  1 1  '  '■"> 

(27)  tr.  Arv.  pag.   116.  a. 

(28)  Fr.  Arvali  pag.   177.  6- 

(29)  Iscri/,.  Aliane  png.  49- 


a^'o  I  Letteratura 

ancora  glutinator  (3o);  e  molte  altre  derivazioni 
da  gluten.  Quanto  alle  due  iscrizioni  de'  Plauzf  dice 
il  sig.  Fea  di  ripeterle  in  istampa,  perchè  tutti  fi- 
nora le  pubblicarono  scorrettamente.  Noi  conoscen- 
do da  questo  che  il  dotto  A.  non  ha  notizia  di  una 
dissertazione  di  Domenico  de  Santls  sul  sepolcro 
de'  Plauzj  (  non  saremo  mai  della  opinione  di  al- 
cuni che  sono  tentali  di  credere  il  contrario  )  ,  ab- 
biamo stimato  non  inutile  farne  il  confronto:  dal 
quale   sono   nate   le  seguenti  verianti. 

Le3Ìonc  del  Feu  Lezione  del  De  Santis 

Iscr.  1     riga  8  GN  CU 

Iscr.  li  riga  3  sodal.  SODALI 

6  CLAVDI.  CLATD 

7  BRITTANNIA  BRITANlA 
12  PRmCIPIBVS  PRIKCIPIB 
2  3    SCYTHARVIVI  SCYTARTM 

23  ACHER03JENSI  ACHERROXENSI 

24  BORVST£N£IYI  BORVSTHENEN 
27    IN.HISPANIAM                                  HXSI'AKIAIVI 

Il  De  Santis  altronde  diligente  scrittore,  vide 
replicate  volte  questi  marmi ,  e  replicate  volte  li  tra- 
scrisse: egli  pel  primo  corresse  i  molti  errori  corsi 
nelle  copie  degli  antecedenti  editori;  e  ne  scrisse 
ima  dissertazione  piena  di  scelta  erudizione;  nella 
quale  non  è  cosa  che  il  ÌV.  A.  abbia  notata  di  que- 
ste famose  epigrali,  che  egli  pure  non  avesse  già 
notata.  Dopo  di  che  resti  libero  l'abbracciare  la  le- 
zione- del    Fga;  la   quale  però  senza    meno  è  errata  \ 


(3o)  Gnu.  p.  DXCiV.  6. 


Fasti  consolari  k  trionfali  aUt 

nel  principio  della  riga  a'j  (iscrizione  seconda)  do- 
ve si  lia  la  ripetizione  dell' iiv;  che  non  si  legge 
certo   neir  originale. 

§.  V.  Vengono  da  ultimo   le  figuline.  Di   queste 
il  N.   A.   ne  produce    ^i,   tutle    segnate  di  conso- 
lati: incominciando  da    cpieilo  che   dette  nome  all' 
anno    107    deir  era  volgare;    fhio    a    quello    in    cui 
leggiamo    i  consoli  del   229.   Facendo   attenzione  al 
numero  de  monumenti,  ed  agli  anni  che  corsero  dal 
107  al   229,    vedrà  ognuno  come  queste  figuline  non 
presentino   una    serie  contmuata  di   consoli:  nèl'A. 
aveva    ciò   impromesso:  anzi  lo    teniamo  fino  ad  ora 
per  cosa   disperata,   volendosi  ristringere  ai  soli  bolli 
de'  mattoni.   Diciamo  però  come  ci  sembrava  util  co- 
sa   il    riempire   alcune    lacune,    riproducendo     bolli 
già   cogniti:    che  già    non  alterava  il  suo  piano.  Era 
anche  facile  ad  esso  il  confrontare  molte  altre  figuline 
esistenti   nel   Vaticano,    improntate  di  consolati:  co- 
me, a  cagion  di  esempio, quelle  che  spettano  agli  anni 
ii6.   124-    i3(5.    142.    i47-    i55.  558.  2o3.  era  vol- 
gare;  le    quali  tutte  furono    in  proprietà  di   Gaeta- 
no Marini.    Eragli  vieppiù  facile,   quando  egli  con- 
fessa di  aver  consultata  la   raccolta  manoscritta  delle, 
figuline,  opera  del  lodalo  Marini  tnttora  inedita  nel- 
la   libreria  Vaticana.  Era  poi  utile,  perchè  con  que-- 
sta   ristampa    saremmo  stati  più   certi   della    lezione 
de'  monumenti  ;  avendo  questo  impromesso  replica- 
te volte  il  JN.  A.  (  alle  pag.  xxiv.  xxvm.  cvn.  ). 
Utile    infine    era,    perchè  ne    pareva  miglior    consi- 
glio, dar  monumenti    di   consolati  diversi,   che  non 
ripeterne  molti  di  uno  stesso  consolato:  come  egli  ha 
fatto  per    Tanno    128;  del  quale  riporta  ben    l'j.  te- 
goli,   e  tutti,  o  quasi,  già  cogniti. 

Si  la  strada  il  N.  A.  a  quest'ultima  parte  dell' 
opera,  con   ripetere  la  notissima  osservazione  sulla 


ardi  Letteratura 

importanza    delle    figuline   in   ristabilire    o  assicu- 
rare i  consolati.   Siegue  dicendo,  che  Gaetano  Ma- 
rini ristrinse  i  tegoli  segnati  di  consolato  ad  uno  spa- 
zio di  ottanta  anni.   Noi  avremmo  scritto  novaìita  ; 
perchè  ci  ricorda  che  il  Marini   pubblicò  un  tegolo 
del  1 14  (3a)  ed  uno  del  2o3  (33).  Ma  come  si  è  fat- 
to che  il  N.  A.  prolunghi  questo  Spazio  sino  a  i23 
anni;   chetanti  ne  corsero  dal   107  al  229?  Si  co- 
nosceva presso  Onofrio  Panvinio  ne'  fasti  un  matto- 
ne segnato   con  il  consolato  di  L.  Licinio  Sura  per 
la  terza  volta,  e  C.  Sosio  Senecione  per  la  quarta; 
cioè   dell'  anno   107:  in  tutto  simile  a  quello  ripro-» 
dotto    dal    Fea  :  ma    sì  sapeva    pure  che  era  sta- 
to giudicato  suppositizio.  E  perciò  che   ci  permet- 
tiamo   di  domandare  all' A.  J\:  donde   desunse  que- 
sto monumento,  echi  lo  possegga.Fino  a  che  egli  non 
dà  risposta,  non  saremo  certo  redarguiti  se  restiamo 
l'ermi  nella  sentenza  di  que'  dottissimi  che  già  giu- 
dicarono il    tegolo:  e    se  diremo  che  questo  matto- 
ne  merita  di  andare   a  pari  con  quelli  del  ^4^  ^^ 
Roma,   e  del  55  e   101    dell'era  volgare:  già  rico- 
nosciuti apocrifi,  e  sentenziati  per  baje  ligoriane  (34)- 
Ugual  dimanda  ci  sia  permessa  intorno   all'  altra  fi- 
gulina N.°  69    portante  il  consolato  del  229.  Di  que- 
sta pure  il   N.  A.  tace  la  provenienza:  ciò  che  ca- 
giona in    molti  esitanza    d'  ammetterla    come  vera; 
comunque  una  simile  se  ne  abbia  presso  Panvinio, 
di  cattivo  fondaco  perchè  ligoriana.  Diciamo  adun- 
que per  amore  del  vero  e  per  la  convenienza  di  que- 
sti studj,  come  fino  a  che  non  si  provi  co'  monumeu- 


(Sa)  Lettera  a  Rosini  pag.  V. 

(33)  Fr.  Arvali  pag.  544- 

to4)  Marini  lett.  a  Rosini  pag.  Vt> 


Fasti  coiysolari  e  trionfali  aSS 

ti  originali,  e  con  sode  ragioni  il  contrario  ,  piace 
ai  più  di  non  abbandonare  l'opinione  del  lodato  Ma- 
rini ;  e  tenere  come  il  più  antico  bollo  quello  ii4; 
e  come  i  più  a  noi  vicini  quelli  che  contano  l'epo- 
ca dell'impero  di   M.  Aurelio  e  L.  Vero. 

Dalla  figulina  n.°  G  si  hnnno^  son  parole  del 
JV.  A.  (  p.  evi II  ),  più  decisi  che  in  altri  monumen- 
numenti  i  nomi  de  consoli  L.  yenulejo  ^promano  e 
Q.  Articulejo  Pelino  ,  cioè  dell'anno  12^.  Le  mol- 
te dispute,  che  vi  furono  a  questo  rapporto  ,  cessa- 
rono fin  da  quanto  dottamente  e  quasi  contempo- 
raneamente ne  scrissero  Enrico  Sanclemente  e  Gae- 
tano Marini:  anzi  non  è  inutile  ricordare  a  giusto  en- 
comio de' trapassati,  che  quest'ultimo  pubblicò  una. 
suafigulina  del  tutto  simile  a  quella  data  dalN.A.(35). 
Ora  però  non  si  desidera  più  sculto  in  marmo  quel 
consolato  :  e  ne  sia  prova  la  seguente  lapida  vatica- 
na: che  volentieri  riproduciamo  in  istampa  (si  legge 
nell'opera  del  eh.  monsignorNiccolaMariaJXicolaj  sulla 
basilica  Ostiense),  perchè  il  N.A.  non  ne  fece  paro- 
la: abbenchè  per  più  titoli  si  meritasse  un  posto  nell' 
opera  che  abbiamo  fra  mani .  Sei  meritava  perchè 
corona  le  fatiche  del  Marini  e  del  Sanclemente,  e  raf- 
ferma un  consolato  tanto  malmenato  prima  che  essi 
ne  scrivessero:  sei  meritava  perchè  trovata  nel  i8i5 
in  una  cava  romana  ,  acquistata  dal  principe,  e  da 
■noi  vista  nel  Vaticano  :  moltoppiù  non  doveva  es- 
sere ignorata  dal  N.  A.  che  tanto  lodevolmente  pre- 
sieìde  ai  pubblici   scavi. 

^"   '■■■-■■■  ■ ■ ■■■■■■       wmmxmnm»     II»  i*«^wi»»»  ■■*■■>■■■■■  ^      ipi        iwiiw^Nfw»w«^ 

(35)  Fr.  Anali  pag.   ijS. 


58^  <      Letteratura 

L  .  VENVLFIO  .  APKONIANO  ^_- 
Q  .  ARTICVLEIO    .    PAETIWO  ^^^ 


MAG  .  ET  .  MINIS   .  FONTIS 

TI.CLAVDIVS.SALVIVS.IIII 
P.MARCIVS.TITHASVS.IIX 
M.FTKIVS.SYMPHOR.II 
G.IVLIVS.HIMBR.I. 

DEDIC  .  V  .  K  .  AVG  . 


ZOSIMVS.AQVILl.il 
GBRMANVS.PACTVME.l 
CALLINICVS.OLAVDI.l 
BaARlNVS.£VTVCHI.I 


Interessante  è  senza  meno  il  mattone  segnato 
col  N.°  62,  come  quello  che  pone  fine  alla  incortez- 
za del  secondo  consolato  di  O.Giunio  Rustico  nel  iCa 
dell'era  volgare,  lira  questa  figulina  conosciuta,  per 
averla  altra  volta  il  N.  A.  pubblicata:  ma  allora  les- 
se RVSTIC.  ET  .  AQVl  .  COS:  ora,  correggendo  con 
lodevole  sincerità  se  medesimo,legge  KVòT  .  IT. ET 
AQVl  .  COS. 

Alla  faccia  cix  leggiamo  quella  opinione  tut- 
ta del  N.  A.,  però  inculcata  da  lui  in  diverse  oc- 
casioni ed  in  varie  slampe  :  potersi  cioè  dai  te- 
goli segnati  di  consolalo  aver  prova  sufficiente  a 
determinare  V  età  della  fabbrica  nella  quale  i  te- 
goli si  rinvengono  .  Per  tal  modo  egli  crede  ,  che 
il  tempio  di  Roma  ,  giacente  fra  la  porteria  di  san- 
ta Francesca  romana  e  1'  arco  di  Tito  ,  fosse  molto 
avanzato  nella  fabbrica  \  anno  i23.  ,  perchè  dai 
ruderi  di  esso  egli  tolse  un  tegolo  segnato  col 
consolato  eli  Pelino  ed  Aproniano  .  La  quale  opi- 
nione non  vediamo  come  la  buona  critica  del 
signor  Fea  trovi  fondata  .  Imperocché  ammettia- 
mo che  un  sasso  ,  o  una  figulina  ,  o  una  mone- 
ta ,  o  un  monumento  qualunque  di  età  certa  ,  tro- 
vato in  un  muro  ci  obblighi  a  confessare  ,  che 
quel  muro  non  fu  fabbricato  prima  dell'epoca  che 
conta  il  monumento  trovato  nella  muraglia  :  ma 
niuna    cosa    ne   impedisce   a    poter    credere    quella 


FAStl  CCRSOLARI  E  TRIONFALI        aSS 

muraglia  posteriore  di  gran  lunga  al  sasso ,  alla 
figulina  ,  alla  moneta  .  E  questo  toccammo  spesse 
fiate  con  mani  :  avendo  trovato  in  fabbriche  del  xiv 
e  XV  secolo  alcune  figuline  ,  segnate  con  il  con- 
solato terzo  di  Serviano  ;  altre  con  quello  di  Gio- 
venzio  e  Marcello  ambi  perla  seconda  volta;  al- 
tre con  quello  di  Petino  ed  Jproniano  :  cioè  de- 
gli anni  ia3,  129,  e  i34,  dell'  era  volgare.  Se 
que'  tegoli  furono  impiegali  in  fabbriche  posteriori 
alla  loro  data  di  X)ii  e  xiv  secoli,  non  vediamo  il 
perchè  non  potessero  essere  impiegati  ugualmente 
in    fabbriche  posteriori   di   due  o  di  trecento  anni . 

Termina  questa  raccolta  di  mattoni  ,  dandone 
due  di  anni  incerti  .  Nel  primo  si  legge  kano  ixt 
CAMERiN  COS.  Uno  simile  ne  ebbe  in  proprietà  Gae- 
tano Marini  (66)  ,  che  fu  pure  incerto  a  quale 
anno  si  appartenesse  .  Niuno  penserà  ai  Camerini 
consoli  negli  anni  di  Roma  :ìG^.  409.  ^Ga.  e  788. 
Forse  meglio  potrebbe  credersi  del  89 1  (  era  vol- 
gare i38  )  :  ma  di  quest'  anno  abbiamo  altri  bolli 
ne  quali  si  legge  ni  grò  bt  camerin  cos  ;  e  ne'  fa- 
sti il  collega  di  Sulpicio  Camerino  è  detto  Quin- 
ctus  Niger  Magnns  .  Ora  chi  opinasse  che  Ne- 
gro fosse  cognominato  anche  Ka?io  anderebbe  forse 
molto  lungi  dal  vero?  Ma  queste  ricerche  lasciamo 
al  dottiss.  sig.  Borghesi,  il  quale  da  molti  anni  at- 
tende alla  correzione  e  compilazione  degf  interi  y^^/i 
consolari:  egli  pure  dirà  a  quaf  epoca  appartenga  l'ul- 
timo tegolo,  in  cui  si  legge  severo  et  arriano 
COS.  A  noi  sembra  impossibile  che  possa  dirsi 
dell'anno  243  era  volgere,  quando  tenne  i  i'asciC. Giu- 
liano   Arriano  . 

§  VI.  Promettemmo  di  scrivere  in  ultimo  luogo 
delle    altre  lapidi    pubblicate   dal    N.    A.    in    que- 

iZ6)  Fr,  Arval.  p.  joo. 


a86  Letteratura 

st'  opera  .    Belle    cinquantotto   che  sono ,   noi   tra- 
lasceremo,  secondo  il    metodo  adottato,   dì  parlare 
delle    conosciute  :   fra    le  quali    vediamo    replicata 
quella  in  cui    si    legge    svbiscalire   (   pag.   xc    )  , 
parola  che    tanto  esercitò  finora  V  ingegno   di    chi 
ToIIe    spiegarla  :    e    che  noi    vorremo   interpuntare 
svB    1.  S.C. AURE,   e    leggere   svb  .    luriS    condii 
tionibuS   ADiRK  .   (**)    Le    inedite  sono  quattordici . 
La   prima    (   pag.    xvx  )  è  un  frammento  di  bronzo 
dei    tempi   di  Augusto  ^    in    cui    si    discorre    delle 
ristorazioni    fatte  ai    così    detti    Giani  :    vien  dopo 
un    marmo    sepolcrale  di    Tiberio  Claudio  littore  , 
e    capo   di    una    decuria  de'  puUarj  (  pag.  xxxii  )  . 
Due    se   ne  hanno    alla    faccia   xxxix  :    appartiene 
il   primo   air  anno   794   di    Roma  ;    il  secondo  ri- 
corda  un    M.  Rufino    F'aleriano  prefetto  di  Roma  : 
bella   scoperta  del    N.   A.    che  aggiunge    un    nome 
di  quella   magistratura   alla   serie  datane    dal  Cor- 

■?■  _  '  *•  ^ 

(*•)  Non  si  tosto  venne  alla  lupe  questa  iscréione ,  che  in  Ro- 
ma seppesi  dagl' intelligenti  il  vero  significato  della  frase  ET.  RE- 
POSSONE.  SVBISCALIRJ^  Tropix>  son  conosciute  tic' monumenti 
le  parole  depossio  per  deposUio ,  compossio  per  composilio,  perchè 
non  potesse  dubitarsi  repossonti  essere  lo  stesso  che  rcpositionem ,  o 
repositoruin  ,  ed  iscaUre  pretto  idiotismo  italiano  in  vece  di  sca- 
lare^ o  scalari.  Non  face»  quindi  mestieri  che  altri  producesse  la 
sovrapposta  spiegazione  di  sforzo,  né  che,  a  premura  del  eh.  sig. 
ab.  Cancellieri,  sulla  gazzetta  Notizie  delgiorao,  7.  genwijo  1820., 
si  pubblicasse  una  lettera  del  sig.  professore  Ciampi  ,  in  cui  so- 
stiensi come  atto  di  donazione  quella  eh' è  manifestissima  particola 
di  testamento,  si  legge  in  accusativo  insulain  Sertorianwn^  puro 
caso  di  stato  in  luogo ,  un'  Jurclia  si  fa  Auria ,  e  liglia  di  un  Ser- 
torio ,  e  le  si  danno  dieci  tabernc  in  vece  di  undici  ;  errore  pro- 
pagato dalle  male  copie,  che  il  sig:  Fea  suol  procurarsi. 

(  Nota  de'  compilatori.  ) 


Fasti  consolari  e  triqnpali  287 

sini  .  Quel  rnarmo  (  pag.  xlv  )  dedicato  a  Giove 
Ottimo  Massimo  Dolicheno  da  Sesto  Procilio  Pa^ 
piriano  prefetto  de'  vigili  nelF  anno  92  dell'  era 
volgare  ,  è  ligoriano  :  e  restiamo  dubbiosi  che  sia 
sincero ,  perchè  il  consolo  Volusio  Saturnino  vi 
è  prenominato  Marco  ;  non  Quinto  come  realmente 
si  chiamò  (37).  La  lapida  sepolcrale  di  un  Tra- 
ce per  nome  Aurelio  Vitusto^  soldato  nella  quinta 
coorte  pretoria,  si  legge  alla  faccia  lvu  :  ed  al- 
la LXvi  una  lapida  cristiana  che  conta  1'  epoca 
del  377.  Siegue  (  p.  lxx  )  un  tubo  di  piombo 
col  nome  di  Sesto  Mario  servo  di  L.  Nonio  Aspre" 
nate  ,  Alla  faccia  lxxxii  è  riportata  una  iscri- 
zione dedicata  a  Garacalla  dai  vigili  della  quinta, 
coprte  stazionata  al  monte  Celio  :  e  ci  duole  che 
il  N.  A.  tralasciasse  di  pubblicare  i  sopra  a  iioo 
nomi  scritti  ne'  lati  di  quel  piedistallo  .  Un  mar- 
mo di  Stiaccio  Corano ,  uomo  illustre  così  per  i  pre- 
mj  ottenuti,  come  per  le  esercitate  magistrature, 
si  legge  alla  faccia  lxxxv,  ed  alla  xcix  una  la- 
minetta  di  bronzo  che  ricorda  il  famoso  Flavio 
Stilicone .  Vien  dopo  (  pag.  ci  )  un  frammento 
cristiano  \  ed  un  marmo  dedicato  ad  Adriano  dal 
collegio  degli  eliani  addetti  al  culto  di  Minerà 
va  (  pag,  ex  ):  e  l'ultima  lapida  inedita  (  pag.  cxv  ) 
è  quella   sepolcrale  di    Genicia    Cupita  • 

Crediamo  che  già  a  quest'  ora  il  N-  A.  ,  non 
mancando  a  lui  gli  ajuti  maggiori  ,  de'  qua- 
li sa  cotanto  approfittare  ,  si  vada  occupando 
della  compilazione  e  pubblicazione  delle  altre  ope- 
re impromesse  (38)  ,   Soffrirà  però  che  colla  inge- 

(3-])  Grutero  p.  CCC.  1. 

(38)  In  questa  sola  opera  da  noi  esaminata  ,  altre  quattro  il 
N.  A.  ne  ha  promesse  :  Y  una  sul  creduto  tempio  di  Bucci  nelUi  vi& 


agS  Letteratura 

nuìtà  solita  lo  preghiamo  a  noti  omettere  cosa  , 
perchè  i  tipografi  ce  le  diano  più  corrette  nelle  ci- 
tazioni (39)  ;  ed  a  non  trascurare  troppo  il  lucido 
ordine  della  distribuzione,  raccomandato  per  uno 
scrittore  che  ad  esso  è  carissimo  ,  ma  forse  non 
osservato  nella  presente  opera  de  fasti  .  (4©) 

Della  quale  è  tempo  chiudere  il  discorso  ,  ri- 
cordando le  quattro  tavole  in  rame  che  1  adorna- 
no .  La  prima  è  copia  di  quella  che  si  conosceva 
neir  opera  di  Enrico  Sanclemente  sulla  emendazio- 
ne dell'  era  volgare  .  In  essa  si  ha  il  prospetto  della 
camera  capitolina,  dove  per  cura  de'  conser»  atori 
di  Roma ,  e  d'appresso  il  disegno  di  MicherAngìoIo, 
furono  allogati  i  frammenti  dei  fasti.  Alcuni  numeri 
aggiunti  indicano  i  luoghi ,  ne  quali  dovrebbero  col- 
locarsi i  frammenti  or'  ora  scoperti  .  La  pianta  del 


T^oìnenfana ,  provando  che  fu  il  sepolcro  di.  s-  Costanza  (pag.  XXXI): 
r  altra  sopra  il  corpo  dei  Vigili  (  pag.  LXXXIII  )  :  la  terza  sopra  i 
ieinpj  di  Roma  e  Venere  (  pag.  CX  )  :  V  uHiina  sul  foro  romano  e 
me  adiacenze  (  pag.  CXXII  )  . 

(39)  A  cagione  di  esempio ,  sono  errate  le  citazioni  seguen- 
ti-"pag.  XXIX  Nota  4  (doveva  scriversi  pag.  298.  1  )-pag.  XXXVII. 
nota  5  (  doveva  scriversi  pag.  196.  1.)-  Pag.  XLVII.  nota  8  (doveva 
scriversi  p.  678,  1.  )  ~  P^S-  ^^'  nox.?L  6  (  doveva  scriversi  p.  223). 
Altre  più  ne  omettiamo . 

(40)  Diciamo  ciò  perché  molte  iscrizioni  contenenti  consolati 
non  sono  poste  per  ordine  di  tempo  ,  come  aveva  promesso  il  St. 
A.  alla  faccia  CXXV.  Terminiamo  con  pregarlo  a  volerci  spiegare 
■[tielle  parole  che  si  leggono  alla  fkccia  XXVII:  e  ci  éuva  V  an- 
no 642  replicato  dei  trionfi  contemporanei ,  anno  e  giorno  dei  due 

fratelli  Metelli  .  A  noi  è  stato  impossibile  diciferarne  il  riposto  si- 
gniticatoj  non  meno  di  quelle  altre  alla  la;cia  LXX.I1I:  si  potrà  di- 
re Qhe  a  FmnUiia  premorta  dopo  tre  ajnni  al  marita  imperatore , 


Fasti  consolari  e  trionfali  289 

tempio  eli  Castore  e  Polluce  è  data  nella  seconda 
tavola  .  Un  frammento  di  bronzo  dei  tempi  di  Au- 
gusto è  inciso  nella  terza  .  E  nella  quarta  un  pic- 
colo frammento  dei  fasti  trionfali  .  Queste  tavole 
sono  a  lungo  descritte  dal  JV.  A-  alla  faccia  cxx  e 
seguenti  dell'  opera . 

C.  Cardinali 


Continuazione  e  fine  della  lettera  deU  ah.  F.  Cancel- 
lieri al  eh.  sig.S.  Betti,  sopra   la  permanenza 
'  di  Federico  IV ,  re  di  Danimarca.,  in  Firenze  e  in 
Bologna  ec.  (V.  il  voi.  XXV.   a  face   100.) 


N. 


elle  mie  notizie  danesi  ho  esattamente  riferito  tut- 
to quello,  che  operò  il  re  Federico  nel  suo  soggiorno 
in  Firenze,  e  le  visite  fatte  alla  monaca  Trenta,  in 
grazia  di  cui  interpose  i  suoi  uffizj  per  ottenere  il 
perdono  al  marchese  Filippo  Bentivoglio.  Egli  poi 
a'  25  aprile  .ritornò  in  Bologna,  rientrandovi  alla 
ore  i5  per  la  porta  di  s.  Stefano,  scortato  da'  ca- 
valleggieri.  Restituitosi  al  palazzo  Ranuzzi,  fu  visi- 
tato da'  principi  Carlo  ed  Alessandro  Albani,  che 
colà  si  erano  portati  a  prestargli  omaggio,  ed  a  tri- 
/butargli  xvii  volumi  in  foglio  atlantico,  e  riccamen- 
te legati  ,  di  carte  geograliche  le  più  scelte,  e  del- 
le principali  antichità  di  Roma,  acquistate  dalferc- 
dità  della  regina  Cristina  di  Svezia,  per  parte  del 
sommo  pontefice  loro'  zio,  che  aveva  finallora  spe- 
rato di  vederlo  in  questa  capitale,  dove  gli  avea 
fatto  preparare  dal  cardinal  Pietro  Ottoboni  il  più 
magniiico  alloggio  nel  palazzo  Riario  ,  ora  Corsini, 
Il  re  si  mostrò  grati&sirao  a  queste  attenzioni  e  a  tut- 
G.A.T.IX.  19 


2[)o  Letteratura 

ti  i  favori  ricevuti  nel  suo  passaggio  e  dimora  nel- 
le città  dello  stato  pontificio;  ma  principalmente  per 
la  grazia  della  sentenza  capitale  accordata  al  mar- 
chese JBenlivoglio,  il  quale  perciò  potè  in  quello  stes- 
so anno  ripatriare ,  ed  essere  ascrìtto  nell'  ultimo 
quadrimestre  dello  stesso  anno  lyoy  nel  magistrato 
de  tribuni  della  plebe,  I  medesimi  nipoti  del  pa- 
pa ,  regalati  di  varie  gioje  e  di  preziose  galanterie  , 
furono  amniessi  alla  sua  tavola  unitamente  alle  due 
dame  Ranuzzi, Pucci  e  Ratta,  al  gonfaloniere  Alaman- 
no Isolani,  e  a  diversi  cavalieri  tino  al  numero  di  33 
coperte.  Finito  il  pranzo ,  il  re  si  rimise  in  viaggio 
alle  ore  19,  partendo  per  la  porta  di  s.  Felice  al- 
alia volta  di  Modena.  JVel  dopo  pranzo  ebbe  luogo 
il  corso  con  maschera  per  la  strada  di  santo  Ste- 
fano, permessa  a' soli  cavalieri  e  cittadini,  quan- 
tunque fosse  di  già  partita  S.  M. 

Questo  sovrano,  d'anni  ^9,  era  di  statura  me- 
no che  mediocre,  quadrato  di  spalle,  con  petto  ri- 
levato, ristretto  ne'  fianchi,  sostenuto  da  gambe  mi- 
nute, disinvolto  ma  grave,  con  volto  isoscelico,  di 
.fronte  spaziosa  ,  di  ciglio  biondo  ,  folto  ,  e  inarca- 
to, d  occhio  grande,  di  pupilla  cerulea,  di  naso  aqui- 
lino, con  bocca  ampia,  con  labbra  sottili,  dentatu- 
ra bianca,  mento  ristretto,  faccia  magra,  segnata  di 
piccioli  vajuoli,  guancia  scavata ,  color  chiaro  ,  in- 
carnato. Portava  una  parrucca  bionda  chiara  e  leg- 
giera di   capelli. 

11  senatore  conte  Emilio  Paolo  Fantuzzi  giu- 
niore  pubblicò  in  quest'  occasione  uno  de' suoi  elo- 
gj  colle  slampe,  che  però  non  si  tro  va  indicato  neìV 
elenco  delle  sue  opere,  nel  t.  iii,  degli  scrittori  bo~ 
lo^iiesi  del  conte  Giovanni  Fantuzzi  p.  299  ,  e  fu 
.  distiibuilo  aJlu  nobiltà  ed  a  tutti  i  virtuosi. 

La  maggior  parte  di  queste  notizie  mi  è   stata 


Venuta  di  Feo.  IV.  jn  Italia  jìqi 

gentilmente  favorita  dal  signor  Giuseppe  Guidicci- 
ni  bolognese  ,  versatissimo  nella  storia  patria ,  e  in- 
defesso raccoglitore  di  tutto  ciò  che  può  illustrare 
e  onorare  la  sempre  dotta  Bologna.  Le  seguenti  poi 
mi  sono  state  cortesemente  comunicate  dall'  orna- 
tissimo  monsignor  Camillo  Ranuzzi,  camerier  segre- 
to di  N,  S.,  il  quale  calcando  le  vestigia  de' due 
insigni  porporati  Angelo  Maria  ,  e  Vincenzo  ,  della 
sua  nobilissima  famiglia,  con  la  ;sua  savia  condot- 
ta e  colla  sua  indefèssa  applicazione  potrà  ^innovar- 
ne  le  glorie. 

A'  20  di  marzo  1709  fu  scritta  questa  let- 
tera al  card.  Fabrizio  Paolucci  segretario  di  sta- 
to dal  conte  Ferdinando  Vincenzo  Ranuzzi.  Sortf 
maggiore  non  pote^'a  ricevere  fUill  alloggio  fatto  in 
mia  casa  del  re  di  Danimarca ,  richiestone  da  que- 
sto legato  ,  per  f  onore  di  servire  Sua  Beatitudine  , 
verso  della  quale  tanto  devo  e  omne  erede  de  sen- 
timenti  del  già  conte  Annibale  mio  padre  ,  e  come 
colmo  di  tante  beneficenze.  Supplico  V.  £".,  che  fu 
sempre  sì  generosa  per  me ^  nel  prostrarmi  ai  santis- 
simi piedi  ^  renderle  umilissime  grazie  dionor  così  di- 
stinto .  E  mentre  mi  farò  gloria  d  impiegare  i  miei 
giorni  nel  pregare  il  deh  per  la  lunga  vita  e  pro- 
sperità di  S.  B.^  come  lo/arawiQ  i  miei  teneri  Ji- 
£li,  re^io  col  supplicar  lE:.  V.  di  coaidonare  l  ardir 
presole  di  comandarmi^  accio  con  giusto  titolo  pos- 
sa far  pompa  di  quella  serenili  ,  che  le  professo  : 
e  prostrato  le  baqio  la.  sacra  poppora. 

Il  signor  cardinale  a'  27  di  marzo  gli  diede 
questa  risposta.  Non  poteva  fare  V.  S.  cosa  più  ac- 
cetta a  N.  S. ,  quanto  quella  di  concedere  il  suo  pa- 
lazzo per  f  alloggio  del  re  di  Danimarca  ;  perchè  , 
siccome  premeva  grandemente  a  S.  B.  che  si  usasse^ 
ro  verso  la  maestà  sua  tutte  le  maggiori  dimo^tra- 

19* 


3QZ  Letteratura 

zioni  di  stima  e  di  ofiore^  così  è  riuscito  di  molta  sua 
soddisfazione  ,  che  sia  stata  collocata  in  una  abita- 
zione così  comoda  e  signorile .  Può  dunque  V.  S. 
esser  certa  d'aver  incontrato  in  modo  distinto  il  gra- 
dimento della  S.  S.  ,  dalla  quale  potrà  perciò  spe- 
rare benigni  effetti  nelle  aperture  opportune.  Io  in- 
tanto rendendole  'vivissime  grazie  delle  cortesi  espres- 
sioni ,  colle  quali  V-  S.  ha  voluto  J^avorirmi  nella 
sua  cortesissima  lettera  dei  20  corrente^  ini  rassegno 
sempre  disposto  a  tutte  le  occasioni  di  suo  servigio, 
e  le  auguro  dal  cielo  copiose  felicità. 

Per  eternare  la  memoria  di  sì  grand'ospite,  sot- 
to un  quadro  del  pittore  GiosefFo  Gambarini ,  che 
rappresenta  1  ambasciata  del  senato  di  Bologna  allo 
stesso  re,  nel  salone  del  palazzo  ,  fu  posta  questa 
iscrizione  : 

FRIDERICVS    .    IV    . 

DANIAE    .    NORVEGIAE    .     GOTHIAE 

AC    .    VANDALIAE    .    REX 

RANVTIAE    .    DOMVS    .    BIS    .    H0SPE« 

CIDIDCCJX 

In  un  cartello  poi  messo  ad  oro  nella  camera 
del  letto  reale,  dell'appartamento  nobile,  tra  le  dne 
finestre  che  guardano  il  mezzo  giorno  ,  fu  posta 
quest'  altra  : 

FRIDERICO    .    IV    . 

DANIAE    .    NORVEGIAEQVE    .    REGI 

DOMVS    .    HOSPITl 

QVIETIS    .    AC    .    SOMNI    .    LOCVS 

MDCCIX 


Venuta  di  Fed.  IV.  i»  Italia  293 

,.,,^*A  ^^  ™^^^'''  '7"  ^^  gazzetta  di  Bologna 
pubblicò  la  presentazione,  la  lettera,  e  l'accettazione 
fatta  da  quel  senato,  di  un  diploma  inviato  dallo 
stesso  re  Federico  IV  ai  fratelli  Ratta  nipoti  del  se- 
natore, col  quale  li  creò  marchesi  di  Mandai  con 
tutta  la  loro  discendenza  in   infinito. 

Ma  essendo  ereditaria  ne'  monarchi  di  Danimar- 
ca  la  più  generosa  beneficenza ,  il  regnante  Federi- 
co VI  ne  ha  data  nel  ijgcj  Ja  più  luminosa  ripro- 
va verso   la    eh.  mem.  del   cardinale  Stefano  Borgia, 
il  quale  essendo  stato    costretto  in   quella   catastro- 
fe di  rifugiarsi   a   Padova  ,    fu   da  luì   soccorso  con 
una  cambiale  di  cinquecento  scudi,  e  con  fassegna- 
mento  d'  un'annua  pensione  di  quattromila  lire.  Al- 
la testimonianza   dei  cav.  Millin  nella  notice  sur  la 
vie  du  cardinal  Borgia,   dans  le   Magazin  Encjclo- 
ped.  ami.    1807   t.   I.  p.   276  ,  da  me  recata   nelle 
Jiotizie  danesi  p.  3  ,  voglio  qui  aggìugner  l'altra   del 
padre  Paolino  da  s.  Bartolommeo,  carmelitano  scalzo, 
nella  Fitne  sjnopsis  Stephani  Borgiae  S.  RE.  cani. 
Romae  i8o5  apud  Antonium  Fulgonium  p.  17.  Com^ 
mwiem   omnium  nostrum  laetiiiam  hisce  diebus  non, 
parum  auxit  magnifica  sapientissimi  Daniae  regis  in 
òtephanum  card,  liberalitas.  Is  enim,  cognito  huju.v 
i>iri  exilio,  eidem  mille  numos  ardenti,  monetae  Da- 
niae ,    Pdtam  annumerari  curavit  -.   quae  summa ,  ut 
eidem  etiam  in  posterum  in  singulos  annos  pendere- 
tur,   clementissimo  decreto   sanxit.   Ratio  hujus  exi-^ 
mi    benefica  et  tantae  optimi  principis  in  cardina- 
lem  benevolentiae,  in  ipso  Stephano  Borgia  est  quae- 
renda.  Nec  ea  cjuempiam  latere potesf,  qui  novit.quaìi- 
ta    bemgnitate  ,  quam  dulci  et  amoena  suavitate  is 
omnes    Romae  danos  ad  se  adventantes.    complexus 
Juerif    Judeo  dicere,  ampli, simum  virum  plerosque 
ax  illis  vclut  sHos  germanos  fratrcs  dilexisse  : /ru- 


294  Letteratura 

gali  ,  sed  cìeganil ,  sua  mensa  semper  exceptos  ,  mo- 
dis  omnibus  in  politiores  literas^  et  varia  honesta- 
rum  artium  studia  pcrtraxisse .  Hiijus  rei  luculentt 
testes  sunt  viri  omni  eaceptione  majores  Jacohus  Geor- 
gius  Chrlstianus  Adler  (i),  Georgius  Zoega(-2)^  Fri- 
dericus  Munter  (5),  Nicolaus  Scow  ^  Torkillus  Ba- 
den^  Georgius  Pf^ad^  Fridericus  Engelbret^  PJiamus, 
pp^'allich ,  et  olii. 

In  seguito  l'accademia  de'  Volsci  in  Velletri  , 
per  dare  un  solenne  e  pubblico  contrassegno  della 
sua  indelebile  riconoscen/a  a  S.  M.  il  re  Federico  VI 
per  le  indicale  benelicenze  usate  verso  il  delonto  car- 
dinale Borgia,  lo  elesse  a  suo  augustissimo  protetto- 
re. Quindi  consegnò  Tatto  autentico  della  nomina  , 
elegantemente  miniato  ,  e  nitidamente  stampato  in 
candidissima  pergamena,  con  sigillo  delTaccademia 
rincbiuso  in  una  scatola  d'argento  dorato  ,  ed  ap- 
peso con  due  ricchissimi  Hocchi  d'oro,  al  eh.  sig. 
Federico  Munter,  affinchè  lo  spedisse  a  S.  E.  il  sig. 
barone  di  hchubarl.  L'eruditissimo  signor  Luigi  Car- 
dinali, segretario  assai  benemerito  di  quell'accade- 
mia ,  mi  ha  l'alto  la  grazia  di  favorirmene  la  seguen- 
te copia,   che  ho  il  piacere  di  comunicarvi. 

Nel  giorno  1 7  d  aprde  1 8o5  si  unirono  nella 
solita  sala  gli  accademici  della  società  volsca ,  con- 
vocati d  ordine  de  censori  dal  segretario  :  e  tro^ 
vandosi  nel  ìiumero  prescritto  dalie  leggi  ,  il  ditta- 
tore signor  don  Geraldo  Macioti  partecipò  al  ceto 
accademico  la  gravissima  perdita  che  avea  sofferta 
la  società  per  la  morte  deli  eminentissimo  principe 

(1)  Biographie  tles  hommes  vivaiits.  Paris  i8i6.  T.  I.  pag.  i4- 

(2)  V.  il  diario  del  Cracas  n.    16.  a'  i5  febb.  1S09  ,  e  le  mie 
notizie  danesi  pag. 3. 

(o)  Biographie  dcs  hommes  vivants.  T.  IV  p.  52g. 


Venuta  di  Fed.  IV.  in  Italia  39$ 

cardinale  Stefano  Borgia  ,  vigilantissimo  di  lei  pro- 
tettore .  Rappresento  V  impegno  ,  col  quale  egli  avea 
procurato  il  decoro  dell'  accademia ,  associando  alta, 
medesima  i  più  insigni  letterati  d'  Europa  ,  esten- 
dendone la  fama  alle  più  remote  nazioni .  Tra  cpiC' 
Ste  disse  la  danese  averla  fregiata  d'uomini  illustri^ 
quanto  altra  mai  .  V  onoranda  amicizia  conceduta  , 
e  le  regali  beneficenze  diffuse  nella  persona  del 
cardinale  defunto  da  S.  M.  il  re  di  Daninuirca ,  aver 
obbligata  la  riconoscenza  e  la  gratitudine  di  tutt(f' 
il  corpo  accademico  .  4  darne  però  un  attestato  , 
creder  egli  convenevole  alt  onore  delT  accademia ,  ac- 
clamare suo  protettore  perpetuo  il  principe  reale  Fe- 
derico di  Danimarca .  aggiunse  il  di  lui  amore  alle 
scienze  ed  alle  lettere  :  /'  affezione  parziale  dimo- 
strata al  defonto  cardinale  pi'otettore  ,  non  che  la 
regale  benignità  dell'  animo  suo  ,  essere  a  sodi  buo- 
no e  sodo  fondamento  a  sperare  ,  che  avrebbe  ac- 
cettato di  buon  grado  questa  dimostrazione  di  ri- 
spetto ;  7iè  scffrirebbe  che  andassero  a  vuoto  le  spe-» 
ranze  meritamente  concepute  da  essi  di  vedere  per 
luì  riparata  la  perdita  sofferta  ,  conservato  ed  este" 
so  il  nome  e  lo    splendore  dell  accademia  . 

Fu  allora  a  pieni  voti  acclamato  dagli  acca- 
demici presenti  protettore  perpetuo  della  società  vol- 
sca  il  principe  reale  Federico  di  Danimarca  ,  e  fu 
commesso  al  ceto  degli  elettori  di  segnarne  pubbli- 
co atto  ,  di  trasmetterlo  al  sig.  prof.  Munter  socio  , 
perchè  da  questi  sia  umiliato  alla  R.  A.  S- 

Fatto  ed  approvato  dal  collegio  de  censori ,  il 
dì  1  mese ,  ed  anno  ,  e  nel  luogo   sopra  detto  . 
Geraldo  Macioti ,  arciprete  della  basilica  veliterna^ 

dottore  nelV  uno  e  nell  altro  dritto ,  dittatore. 
Re gistr.  foglio   35. 

Luigi  Cardinali ,  bibliotecario  pubblico  di  VeU 

tetri  ,  segretario  \ 


agO  Letteratura 

Il    ceto  degli  Elettori 

DELLA     società'  LETTERARIA     VOLSCA     VELITERNA  . 

In  vigore  della  risoluzione  presa  nelT  adunan- 
za generale  de  sodi  il  dì  l 'j  aprile  1 8o5  ,  nomi- 
niamo il  signor  pro^'^essore  Munter  socio  ,  perchè  fac- 
cia presente  a  S.  A.  lì.  il  principe  Federico  di  Da- 
nimarca t  acclamazione  fatta  della  R.  A.  S,  in  pro- 
iettore perpetuo  della  società  ,  pregandola  in  nome 
della  medesima  a  degnarsi  d  accettare  questo  con- 
trassegno di  venerazione  .  Dato  dall'  archivio  della 
società  il  di    i    maggio    i8oL). 

Luigi  Martorelli ,  canonico  della  basilica  vatica- 
na ,  presidente  della  camera  . 

Calisto  Marini  ,  canonico  di  s.  Giovanili  Latera- 
no  ,  prefetto  degli  archivj    segreti  pontificii . 

Domenico  Attanasio  ,  protonotario  apostolico  ,  luo- 
gotenente civile  del  tribunale  del  vicariato  di 
Roma  . 

Appio  Colonnesl  ,  dottore  in  sacra  teologia  ,  de-* 
cano  della  basilica  veliterna  ,  uno  de  cen- 
sori . 

Gaetano  Marini  ,  prefetto  della  biblioteca  vatica* 
na   e  degli  archivii  segreti  pontificii  . 

Gio-  Antonio  Riccj  ,  archivista  della  S.  C  di  pro- 
paganda fide . 

Giorgio  Zoega  ,  agente  di  S.  M.  il  re  di  Da- 
nimarca ,  e  professore  di  storia  e  antichità  al 
servizio  del   medesimo  . 

Egidio  Carlo  Giuseppe  F'andervivere^  socio  di  varie 
accademie  d"  Italia,  e  di  Germania  . 

Micìielc  Cella  ,  cajionico  della  basilica  veliterna , 
uno  de  censori  . 


Venuta  di  Fed.  IV.  in  Italia  agy 

Giovanili  David  Àkerhlad  ,  delV  istituto  di  Fran- 
cia . 

Filippo  Aurelio  Visconti ,  accademico  onorario  di 
belle  arti  in   s.  Luca  di  Roma  . 

Conte  Cammillo  Borgia  ,  cavaliere  gerosolimitano , 
ciamberlano  di  S.  M.  il  re  di  Baviera  ,  e  con- 
sigliere di  legazione  intimo  di  S.  M.  il  re  di 
D(mimarca  . 

Conte  Pietro  Natale  Aletliy  . 

La  tenerissima  lettera  scritta  a  nome  della  mo- 
naca Trenta,  che  vi  rimando  ,  e  che  ora  forse  po- 
trete rileggere  con  maggior  interesse,  mi  ha  indot- 
to a  fare  tutte  queste  ricerche  ,  che  perciò  à  ve- 
run  altro  doveva  io  indrizzare  fuori  che  a  voi  , 
che  le  avete  promosse  .  Io  ne  rendo  i  più  vivi  rin- 
graziamenti alla  vostra  singoiar  bontà  ed  erudizio- 
ne; e  pieno  di  riconoscenza  e  di  stima  mi  pregio 
di  dichiararmi    tutto  vostro  . 

Di  casa  a'  12  dicembre  del   1820. 

F.  Cancellieri 

P.  S.  La  dilazione  della  stampa  della  2  parte  di 
questa  mia  lettera,  fino  al  presente,  mi  ha  dato  tempo 
di  ricevere,  contro  ogni  mia  aspettazione,  l'albero  ge- 
nealogico della  lamiglia  Trenta^  che  avea  inutilmente 
cercato  finora.  II  eh.  sig.  march,  consigliere  Cesare  Lue- 
chesini^xìon  so  se  più  rispettabile  per  la  somma  sua 
dottrina,©  per  la  somma  suaprobilà,appena  giunto  da 
Lucca,  a'  17  del  corrente  marzo,  si  è  compiaciuto  di 
favorirmelo,  onorandomi  di  una  sua  visita.  Da  esso 
risulta,  che  la  monaca  Maddalena  Trenta  nacque- 
in  Lucca^  nella  parrocchia  di  s.  Maria ^  Jbris  por- 
tam  ;   che  fu  hattemata  in  casa   dal    rev.    Iacopo 


agS  Letteratura 

Baldassari  il  di  a 2  luglio  1670  ;  che  ai  20  furo- 
no supplite  le  cerimonie  nella  chiesa  di  s.  Giovan- 
ni :>  e  che  fu  compare  il  sig.  Bonviso  Bonvisi^  e  com- 
mare la  sig.  Cassandra  ,  moglie  del  sig.  Girolamo 
Benassai.  J\on  sussistendo  adunque  1'  indicazione 
trasmessami  da  Firenze  della  sua  precisa  età,  da 
me  pubblicata  alla  pag.  io3.  del  precedente  volu- 
me XXV  di  gennajo,  non  può  più  reggere  il  con- 
to da  me  ivi  fatto. 


^Ó9 


I  [iiwiiiiii  ■iimnni'i'iiiiwìir  iwnimiamTmTiMitoi 


ARTI 

BELLE     ARTI 


Fabbriche  pia  cospicue  di  Venezia  misurate  illu-^ 
strate  ed  intagliate  dai  membri  della  veneta  aC'- 
cademia  delle  belle  arti  dal  i^io  al  1820  -  Ve- 
nezia  dai  torchi  delt  Ahnsopoli ,  per  le  cure  di 
Bartolonheo  Gamba  .  Due  volumi  in  forma  atlanti- 
ca^ in  buona  carta  velina^  con  25 o  tavole  inta- 
gliate in  rame. 


G 


(ontribuirono  all'  opera  indicata  il  presidente  ed 
i  membri  deHaccademia  veneziana  :  però  la  spesa  im- 
mensa che  venne  consecrata  a  questo  lavoro,  sic- 
come il  piano  e  le  dissertazioni  più  laboriose,  furono 
fatte  da  solo  conte  Gicognara  celebre  presidente  dell' 
accademia ,  il  quale  bramoso  di  dividere  il  meri- 
to di  quest'impresa  co  membri  dello  stabilimento  da 
lui  presieduto  ,  e  può  dirsi  instituito ,  volle  gio- 
varsi de'  lumi  e  della  pratica  del  sig.  Antonio 
Selva  architetto,  e  del  N.  U.  Ant.  Diedo  segreta- 
rio dell'accademia  ,  versati ssimo  nelle  architettoniche 
discipline;  siccome  vedesi  al  fine  di  ogni  disserta- 
zione   segnata    del    nome  di   chi   la  estese. 

Sembra  incredibile  che  in  un  paese  sì  classico 
per  le  produzioni  della  moderna  architettura  e  tanto 
dissimile  dagli  altri  per  1  antica,  non  fosse  ancora 
venuto  in  pensiere  ad  alcuno  d'  illustrare  almeno 
i   principali  monumenti  ,   prodiicendone   i  piani,  i 


3«o  Belle  Arti 

prospetti,  le  parti  con  esattezza  di  contorni  e  dì 
misure:  e  non  può  abbastanza  comprendersi  come 
senza  sussidio  d'  opere  anteriori  ,  e  dì  memorie 
storiche  e  critiche  siasi  potuto  nel  breve  periodo  dì 
cinque  anni  misurare,  disegnare,  intagliare ,  e  illu- 
strare un  sì  gran  numero  dì  edifici,  che  alcuni  avreb- 
bero anche  bramato  più  esteso  ,  restandone  gran 
copia,  che  ,  se  non  per  V  eccellenza  del  gusto,  per 
la  magnificenza  certamente  potrebbero  aver  luogo  in 
questa  scelta.  Se  un  tanto  sagrifìcio,  e  il  caldo  ze- 
lo d'  un  privato  senza  alcuna  pubblica  assistenza  e 
sussidio  rilevante  ,  venisse  imitato  in  ognuna  delle 
principali  città  dell'Italia,  s'avrebbe  in  poch' an- 
ni una  sèrie  di  preziosità  riunite  da  gareggiar  quasi 
cogli  avanzi  della  romana  grandezza,  che  iu  pur 
sempre  italiana,  e  presenterebbersi  così  onorevol- 
menti  i  fasti  dell'  Italia  antica  e  dell'  l!alia  moderna. 

Un  indice  cronologico,  avvedutamente  posto  alla 
fine  del  secondo  volume,  divide  quest'  opera  in  cin- 
que parti  od  epoche  che  meglio  riduconsi  a  quattro, 
e  può  guidarci  a  percorrere  con  ordine  le  materie 
trattate  in  ambo  i  volumi,  ove  le  tavole  e  le  dis- 
sertazioni progrediscono  a  seconda  della  più  cen- 
trale o  escentrica  posizione  degli  edifici  ;  di  modo 
che  il  primo  tomo  è  conseciato  agli  edifici  che  so- 
no posti  nella  piazza  e  nelle  vicinanze  di  s.  Mar- 
co, e  il  secondo  abbraccia  gli  edifici  che  stanno  alla 
periferia  ,  e  nei  punti  più  lontani  dell'Estuario. 

L'  opera  è  intitolata  alla  iM.  I.  e  K.  di  Fran- 
cesco I.,  e  la  dedica  è  seguita  da  un  breve  proemio 
sulla  veneta  archileltura  esteso  dal  segretario  dell' 
accademia. 

Appartengono  all'  epoca  prima,  e  sono  da  por- 
si fra  gli  edifici  più  antichi  di  Venezia,  tutti  quelli 
che  innanzi  al  mille  vennero  fondati  sino    a  tutto  il 


Belle  Arti  3*oi 

decimoqiiarto  secolo.  Trovansi  quindi  la  torre  di 
s.  Marco  ,  la  basilica  ,  alcune  parti  del  palazzo  du- 
cale, alcuni  resti  che  veggonsi  a  Torcello  e  a  Mu- 
rano, il  gran  gran  tempio  de'  ss.  Gio.  e  Paolo  in- 
signe per  la  sua  pianta,  e  alcuni  privati  palagi,  fra' 
quali  singolarmente  quello  della  Cà  et  oro^  e  altri 
monumenti,    altari,  are  ec. 

Per  ciò  che  riguarda  il  palazzo  ducale,  ad  ogni 
epoca  può  riconoscersi  appartenervi  alcuna  parte; 
ma  la  prima  antichissima  fondazione  ìhdubitatamen- 
te  appartenendo  a  questa  prima ,  attesta  la  grandez- 
za della  nazione,  non  meno  di  quello  che  la  basi- 
lica ne  attesta  lo  splendore  irnmenso  e  la  ric- 
chezza. 

Mancava  del  primo  una  storia,  e  viene  ampia- 
mente e  minutamente  trattato  il  soggetto  con  3i  ta- 
vole accompagnate  da  una  lunga  dissertazione,  ch« 
formerebbe  per  se  sola  un'opera  a  parte.  Ammirasi  in 
questi  antichi  monumenti  veneti,  come  la  primitiva 
provenienza  del  gusto  e  dei  materiali  degli  edifici 
deriva  direttamente  dal  rifugio  che  ebbero  in  que- 
ste isolette  sparse  nelle  lagune  i  resti  delle  roma- 
ne colonie,  dopo  le  distruzione  diAquileja,  d'Aiti- 
no ,  d'  Opitergio  ;  e  come  poi  resi  forti ,  e  com- 
mercianti questi  popoli  per  le  relazioni  che  con- 
trassero colle  nazioni  d'Oriente,  trasportarono  in 
Venezia  il  gusto  arabo  e  bizantino  ,  giacché  i  lo- 
ro navigli  coi  tesori  condotti  da  Alessandria,  dal 
Cairo,  da  Bagdad,  da  Damasco  conducevano  assie- 
me ai  marmi  e  ai  lavori,  anche  lo  stile,  gli  arti- 
sti, e  il  gusto  di  quei  paesi — Vi  si  aggiunse  per  lo 
stesso  modo  anche  il  gusto  greco  non  tanto  puro, 
che  corrotto;  poiché  mentre  traevano  dal  Pireo  d'Ate- 
ne i  leoni  che  posero  all'  ingresso  dell'  arsenale,  la- 
vorarono  per   conto  della  veneta  signoria  anche  gli 


3o2  .Belle  Arti 

orefici»  ì  cesellatori,  gli  smaltatori  allora  esistenti 
a  Costantinopoli  nella  pala  d'  oro,  incominciata  fi- 
no dal  nono  secolo;  e  sorgeva  poi  la  basilica  mar- 
ciana,  la  quale  più  ai  templi  di  Bisan/40  clie  ad  ogni 
altra  italica  costruzione  rassomigliava.  Ecco  i  motivi 
qui  indicati  in  iscorcio,  pei  queli  a  Venezia  s  incon- 
tra un  miscuglio  cosi  singolare  e  interessante  di 
arabo,  di  greco,  e  di  romano,  di  ogni  secolo,  col 
predominio  del  primo,  durante  Tepoca  del  suo  ori- 
ginario splendore. 

Non  fu  senza  accorgimento  il  darsi  in  quest' 
epoca  per  la  prima  volta  delineata  con  iscrupolo- 
sa  accuratezza  la  pala  d'oro,  corredata  di  una  lunga 
dissertazione ,  in  cui  rendesi  conto  deile  varie  epo- 
che in  cui  vi  fu  posta  la  mano  per  ampliarla,  e  re- 
staurarla, producendo  una  copia  di  recondite  notizie 
storiche  a  questa  relative,  e  rendendo  conto  delle 
artificiose  meccaniche  colle  quali  fu  costruita.  Fu  in 
questa  circostanza  che  vennero  pubblicate  e  ridotte  a 
chiara  lezione  le  copiose  iscrizioni  di  cui  questa  è 
ripiena  ,  tanto  greche  che  latine  ;  e  non  possiamo 
non  meravigliarci  come  questo  monumento  cospi- 
cuo non  venisse  illustrato  e  prodotto  nell'oliera  sto- 
sìca  del  conte  d'Agincourt,  consecrata  principalmente 
air  epoca  del  basso   impero  cui  appartiene  , 

JNeir  epoca  seconda,  che  riguarda  gli  edifici  del 
XV  secolo,  può  dirsi  che  in  Venezia  si  vide  il  buon 
gusto  dell'  edificare  prima  che  nelle  altre  città  dell' 
Italia:  tanta  si  fu  la  copia  delle  belle  e  ricche  fab- 
briche che  vi  costruirono  Sante,  Pietro,  Tullio, 
Antonio,  Martino  Lombardi,  maestro  Buono ,  Gu- 
glielmo Bergamasco,  il  Leopardo,  e  taut'  altri  i  cui 
nomi  quasi  ignorati  nella  sLoria  dell'  arte  ofiVirono 
gli  esempi  più  luminosi  agli  architetti  dell'  aureo  se- 
colo   che   succedette.  Il  progresso  che  in  questa  età 


Belle  Arti  dò^ 

fece  l'edificio  veramente  regio  del  palazzo  ducale, 
il  tempio  di  S.  M.  dei  miracoli  y  la  cappella  emilia- 
na, la  scuola  di  s.  Marco,  sono  monumenti  dì  tanta 
ricchezza  e  venustà  pe'  loro  ornamenti,  e  per  le  lo- 
ro trabeazioni,  che  se  vogliasi  riguardare  anche  l'ese- 
cuzione delio  scalpello ,  si  vedrà  come  potrebbero 
gareggiare  co'  getti  della  maggior  purità.  I  palagi  Fo- 
scaii,  Pisani  a  s.  Paolo,  Gornaro  a  s.  Angelo  ,  Con- 
tarini  a  s.  Luca  ,  e  a  s.  Samuello,  e  sopra  tutti  quello 
di  Vendramln  Calergi  sul  gran  canale  (che  è  uno  de' 
più  insigni  d  Italia)  confermano  questa  verità  vieppiù 
dimostrata  dalla  preziosità  ,  e  dall'eleganza  con  cui 
vennero  ornati  i  monumenti  sepolcrali  dei  Vendramin 
dei  Marcello,  dei  Suriani,  dei  Golleoni ,  molti  de* 
quali  sono  intagliati  con  gran  diligenza,  e  dimo- 
strano in  ogni  genere  d' invenzioni  architettoniche  , 
come  i  fatti  della  scultura  non  andassero  mai  la 
quella  età  disgiunti  da  quelli  dell'arte   edificatoria. 

Quantunque  possa  generalmente  rimproverarsi  al- 
le arti  risorte  in  questo  XV  secolo  un  pò  di  magrezza, 
nondimeno  è  in  Venezia  ov'  esse  mossero  più  che 
altrove  a  quella  larghezza  di  stile  ,  che  doveva  por- 
tarle all'  eccellenza  per  mano  di  Palladio  ,  di  Sca- 
mozzi  ,  di  Sammicheli  ,  di  Da  Ponte,  e  del  San- 
so vino  che  quantunque  toscano  ,  emerse  particolar- 
mente in  Venezia  con  tutta  grandezza  di  stile  ,  poi- 
ché fu  ivi  ove  le  circostanze ,  sempre  protettrici 
degl'  ingegni  ,  diedero  i  veri  impulsi  ai  voli'  del 
suo  genio  creatore  .  > 

L'  epoca  terza  in  quest'  indice  cronologico  ci 
sembra  superfluamente  accennata  ,  poiché  non  pre- 
senta questa  che  un  seguito  della  seconda ,  noa 
come  successione  di  tempi ,  ma  come  produzioni 
degli  stessi  maestri  che  operarono  in  tutto  il  corso 
del   secolo  decimo   quinto. 


3o4  Belle  Arti 

r -«^  Fu    infatti   nel  XVI   secolo  die  T  arcliilettura 
veneziana    si    presentò    in    tutto   il  suo    splendore, 
senza    che  vi    si  vedessero    per    troppa  licenza  pro- 
fusi gli    ornati  ,    e  senza  che   si  uwùsse   di  troppo 
dalla  severità   de'  principii    che    consci  var   la   dove- 
vano a  modello  delle  età  posteriori  ,    e  d'  ogni  buo- 
na architettonica    instituzione  .   Gli  editici  pubblici 
cominciarono  ad  ornarsi   con   ricchezza  più  elegan- 
te ve   le   scale,   le  porte,    gli  archi,  le  volte  slog- 
giarono   con   tutti  i    tesori  dell'  arte  ,   e    veramente 
può  dirsi    che    allora    Venezia    si    pose   in  capo   la 
corona    di  regina    dell'  Adriatico  . 
r''       Le    occasioni,    che,  come  dicemmo,   mettono 
«  '  prova    gì'  ingegni,  non  apersero   è    vero    a    Palla- 
dio   I  adito    per  grandeggiare  in  alcun  pubblico  edi- 
iicio    di   residenza  della    signoria ,  non  potendo  co- 
struire   che    la    sola     casa    dei    canonici    della    ca- 
rità, ora  reale  accad-  di  belle  arti.  Un  incendio  ster- 
minatore distrusse    quasi   per   intero    il   palazzo  du- 
cale: ma    Palladio    fu    impedito  dal  riediticarlo  pel 
sommo   ingegno   del  Da    Ponte  ,    che    nella    statica 
degli  edifici  eccellente  ,    assunse   il   più   difficil  ri- 
stauro    cRe   mai  fosse    operato ,    e   il  più    audace  , 
apponendosi    alla    nuova   edificazione  a  cui  però  non 
e    strano  credere   lo  eccitasse   la    gelosia  di  mestie- 
re -  Potè  nondimeno  Palladio  isloggiare  nelle  chie- 
se ;  e  a  cinque  pose  la  mano  in  Venezia  ,  nelle  quali 
ove   gì'    interni  ,  ove  i  prospetti  variando  ,    e    sem- 
pre migliorando ,   giunse  a  produrre  il   capo  d'  ope- 
ra   de'  templi   moderni ,    la   chiesa    del    Redentore  . 
Molte    altre    chiese    vennero  costrutte    dal  Sansovi- 
no ,   come  s.  Geminiano  ,  s.  Giorgio  de'  greci ,  l' in- 
terno   di    s.    Fantino  ,   e  più    particolarmente    pri- 
meggiò nella  biblioteca ,  nelle  procuratie  ,  nella  zec- 
ca, nel  palazzo  Gornaro  ,  «ditìci  lutti   di  tanta  ma- 


Belle  Arti  3o5 

gnificenza  ,   che  ne  meritò    ed    ottenne  dolio  stesso 
Palladio    gli    encomii   più  lusinghieri . 

Le  prigioni  vennero  rifabbricate  con  raaestà 
mista  a  quel  genei'e  ài  eleganza  che  si  conviene. 
a  cosi  solida  fabbrica  ,  e  ne  fu  celebratissimo  au- 
tore quelDa  Ponte  più  sopra  nominato  ,  che  voltò 
il  grand'  arco  di  Rialto  -  Lo  Scamozzi  continuò  le. 
opere  del  Sansovino,  e  il  Sainmicheli  elevò  nel  pa-'> 
lazzo  Grimani  uno  de'  più  grandiosi  modelli  agli 
architetti  di  tutte  le  età  ,  oltre  aver  murate  le  in- 
signi opere  di  fortificazione  ,  nelle  quali  arrivò 
tant'oltre  con  profondità  di  dottrine  ,  che  non  mai  lo 
raggiunge  lo  straniero  ardimento,  e  la  maestria  della 
tattica  oltramontana  .  La  copiosissima  serie  che  in 
queste  due  epoche  vien  presentata  di  pubblici  e 
privati  edifici  ,  di  chiese  ,  palagi ,  monumenti  se- 
polcrali ,  e  bronzo,  e  marmi  ,.  e  volte  licchissi- 
xne,  lussureggianti  per  oro  o  per  ornamenti  elegan- 
tissimi,  tutto  è  riunito  colla  maggior  solerzia  del 
disegno  e  del  bulino  ,  a  render  chiarissima  quell' 
epoca    luminosa  . 

L'  ultim'  epoca  non  contò  in  Venezia  opere 
meno  grandiose,  quantunque  non  vi  corrispose  queir 
aureo  gusto  che  la  distinse  nel  tempo  anteriore  - 
JVon  vengono  prodotti  che  pochi  monumenti  di  que- 
sta età  ;  e  a  dire  il  vero  i  prospetti  delle  chiese 
di  s.  Moisè  ,  di  s.  Maria  Zolenigo,  di  s.  Salvatore  ; 
le  chiese  degli  scalzi  ,  de'  gesuiti  ,  di  s.  Pietro  a 
calstello  ;  i  palazzi  Pisani  a  s.  Stefano  ,  Rezzoni- 
00  ,  Pesaro  ,  Grani  sul  gran  canale  ,  quantunque 
opere  sfarzose  e  per  alcuna  parte  rispptlabilissime, 
non  possono  far  parte  d'  una  collezione  da  cui  vo- 
gliono gli  artisti  e  gli  amatori  delle  belle  arti 
ritirare  profitto.  Nondimeno,  malgrado  la  corruzione 
dei  tempi  ,  le  chiese  di  *.  Basso  ,  della  Salute  , 
G.A.T.IX,  20 


3oi>  Belle   Arti 

di  s.  Simeone  minore,  dei  Tolentini,  della  Mad- 
dalena offersero  argomenti  per  non  essere  confuse 
colle  opere  sopra  citate  ;  e  Gio.  Scalfarotto  ,  il  Lon- 
ghena ,  il  Tirali  ,  il  Benouì ,  il  Temanza  e  il  suo 
allievo  Antonio  Selva  produssero  opere  non  vol- 
gari in  guest'  ultima  epoca  :  siccome  anche  il  tea- 
tro della  Fenice  ,  T  idea  primitiva  de'  pubblici  giar- 
dini ,  e  la  fabbrica  del  palazzo  regio  rendono  ra- 
gione dell'  attuai  modo  dì  costruzione  in  una  città  , 
la  di  cui  decadenza  non  fu  segnata  che  dall'  ine- 
sorabilità dei  destini  .  E  sembra  poter  concludersi 
che  le  arti  ,  la  storia ,  la  critica  possono  trar  gio- 
vamento da  un  lavoro  ,  cui  finora  V  Italia  non  può 
contrapporre  1'  eguale  .  (*) 

Tambroni 


(*)  1  pochi  esemplari  rimasti  dei  3oo,  che  vennero  impressi  di 
quest'opera,  stanno  presso  l'editore  o  l'autor  principale  in  Vene- 
zia ,  che  ne  tiene  alcuni  parimente  disponibili  in  Roma  e  in  Fi- 
renze al  prezzo  di  franchi  600  per  ciascun  esemplare  »  come  da  ma- 
nifesto pubblicato  . 

Ke  vejiuero  anche  tirate  pochissime  copie  in  carta  sottile  che, 
alla  tipografia  dove  fu  impressa .  si  rilasciano  alla  metà  del  prezzo 
suddetto. 


00' 


VARIETÀ' 


X-vssendo  mancato  a'  vivi  Bonifazio  Stacchini ,  vecchio  semdore  del- 
la famiglia  Belzoppi  di  Saftitìiariho ,  è  piaciuto  al  celebre  Chiassi  di 
comporre  iti  onor  del  defonto  un'aurea  iscrizione,  e   al  eh.  signor 
prof.  d.  Ignazio  Belzoppi  un  sonetto  cosi  gentile  da  meritare  la   ver- 
sione latina  del  dotto  signor  ab.  Montalti  di  Cesena.  Noi  daremo  qui 
e  l'iscrizione  e  il  sonetto  e  la  traduzione:  <?  porremo  insitme  un  pa-. 
ragrafo  della    lettera,   colla  quale    il  ptelódato  signor  Belzoppi  ac- 
compagna il  tutto  al  suo  dolce  amico  e  nostro  collega  signor  Salva- 
tore  Betti.  Potefe   benJìgwarvL,  egli   dice,   cha  neW  attuale   mia 
situazione  ho  abbandonato  quasi  affatto  le  muse .  Nondimeno  essendo 
fin  da  quasi  un  anno  cessato  dì  Mvùrc  Un  vecchio  e  fede/  servo  dì 
mia  casa ,   ne  fid    tocco  tcdmcnte ,   che  non  potei  conteivermi    di 
gittar  gii't    i    quattordici   versi  chi    vedrete  stampati  nelV  accluso 
figlio ,  e  tradotti  con  virgiliana  eleganza  daW  arfiico  Montala,  f^i 
troverete puranche  una  bella  iscrizione  del  fumoso  Schiassi,  ove  sono 
ed  vivo  e  con  verifct  dichiarate  le  rare  i>irtuose  cfucllità  del  defonto  , 
L''onorare  cosi  la  meiporia  d''  un  povero  servidore  sembrerei  forse  cosa 
ridevole  a  quelle  anime  vili, 'che  credono  dovuti  slmilìvntaggi  soltanto 
ed  vizio  fortunato  e  allo  sjflendore   deW  ora  ;    ma  non    «'    saggi 
che  venerano  il  vero  merito,  e  lodano  ia  virtii  dovunque  si  trovi. 
Farmi  che  V  argomento  abbia  un  qucdcke  grado  di  novità ,   e  pos- 
sa somm-inistrare  materia  a  molte  filosofiche  riflessioni  ec.  Felice   U 
gioventù ,  a  cui  la  buona  sorte  comeds  di  «injili  precettori  filosofi  J 


30' 


3o8  Varietà' 

BONIFACIO  .  STACCHINIO 

MARmiENSI 

QTI  .  IN  .  FAMVLATV  .  ANNOR  .  LUI 

INNOCENTIAM  .  VITAE 

ET  .  FIDEM  .  IN  .  HEHOS  .   INVIOLATAM  .  PRAESTITIT 

IDEM  .  CONTEMPTOR  .  LVCRI  .  OSOR  .  ASSENTATIONIS 

SmCERVS  .  SINE  .  PETVLANTIA  t 

FACETVS  .  OFFICIOSVS  .  AEQVI  .  OBSERVANTISSIMVS 

CVNCTORVTVl  .  LAVDEM  ,  ET  .  BENE  V OLENTI AM  .  MERVIT 

VIXIT  .  A  .  LXXXII  .  M  -  II  .  D.  XIV 

DECESSIT  .  VII  .  K  .  MARTIAS  .  ANN  .  MDCCCXX 

BELZOPII  .  FRATRES  .  CVM  .  LACHRYMIS 

FAMVLO  .   SVPRA  .  EXEMPLVM  .F.C 

rHILIFFI   SCHIASSII 


SONETTO 


M 


erte  n'  ha  tolto  il  vecchierel,  eh'  io  m'  ebbi 
Fida  sc^rja  e  custode  a'  più  verd'  anni  ; 
L'  amico,  il  padre,  dal  cui  labbro  io  bobbi 
Oblio  sovente   de'  terreni  affanni  . 


Per  lui  del  Ver,  del  Retto  amante  i' crebbi 
Nemico  alla  menzogna  ed  agl'inganni  : 
Piansi  al  suo  fato ,  ed  a  me  stesso  increbbi  ; 
Né  valse  il  pianto  »  ristorar  miei  danni . 

Anima  pura,  che  de' lacci  sciolta 
•  Spiegate  hai  1'  ali  disiose  all'  etra , 
De'  mici  gravi  sospiri  il   suono  ascolta; 

E  se  già  carca  di  tuo  fragii  velo 

Tanto  mi  amasti  in  terra ,  ah  tu   m' impetra 
Che  ratto  io  voli  a  rivederli  in  cielo . 


3)1  m.    IGNAZIO   BELZOr»! 


Varietà  3^^ 

IDEM    LA  T  I  ]Sr  E 

T 

•*  u  (jiioqiie,  scinde  senex' ,  suprema  fimeris  fiora 
Corriperis    tenero  ciistos  mihi  fdiis  ab  iino^ue. 
Tu  moniUs  suefus ,  veluti  pater  alter  ainicis 
Indurisse  animo  uerumnosac  obllvia  vilae . 

Crescenti  interea ,  Veri    Recfique  setjuesfer 

Prospexti:  hinc  astus,  cnnunenta^ue  pro^idus  oili : 
Niinc  gras>is  ipse  mihi  lacrymis  te  prosequor  ;  at  non 
Fas  lacrymis  reparare  homini  discrimina  mortis . 

0  qui  corporea  tandem   compage   solutus, 

Coelum  inhians,  ni^eis  traims  jam  nulila  pmnis, 
Accipe  quos  aegro  cffimdmn  Ubi  pectore  questus, 

Qiiod  si  tanta,  aluit  fragiles  dum  spiritus  artus. 
Nostri  cura  libi,  actulumfac,  nota  rev^isens 
Ora,  novus  superis  succedam  sedibus  hospes. 

CAESARIS    MOjSTTALTII    CAISEWATIS 


r  ' 

3^  anonimo,  che  nelP  antecedente  volumetto  ci  fece  dono  di  alcu- 
ne congetture  sulf  i,erizione  Osca  di  VcUetri  ,  ha  voluto  questa 
volta  produrre  un  suo  avnso  sulla  leggenda  dell'  elmo  di  Olimpia 
TOIùITVPAN  '  di  cui  favellammo  nell'istesso  voltimeito.  E'ii  si 
«sprime  cosi  . 

totl'iTvpa.i>  uiroKvtins 

Veteres  usi  sunt  ^  prò  $  . 

*^  prò  ff  per  rhotacismwn  Doribus  usitaium. 

Porte  ^  seu  N  swnptwn  petperam  est  prò  P. 

iS^jm*  ii^x»v  .  Homerus  )  qu!  praeliati  smt  apud  Cumas. 

iSuyHy  gubeniaculuin,  cursum   l  '''"'  ^'''■■""'*  "^^    Oljmpiam  dire- 

)         cieriint  a  Citmis. 


3io  Varijsta' 

J)i  Cenriino  Cenniiii  intlkito  dalla  pillura^  messo  in  luce  la  prima 
folta  con  annotazioni  dal  cai'.  Giuseppe '  Tambroni ,  socio  onora- 
rio delV  accademia  di  s.  Luca ,  delt  l.  R.  delle  belle  arti  di  Fien- 
TUi ,  deir  archeoh^ica  di  Roma ,  della  R.  di  scienze  lettere  ed  arti 
di  Farigiec.  8.  Roma,  co''  torchj  di  Paolo  Salviucci,e  Jiglio  1821. 

\J\  quest'opera  insigne,  da  cui  primamente  sappiamo  le  pratiche  più 
segrete  delle  antiche  scuole  di  pittura  e  specialmente  di  quella  veneran- 
da di  Giotto,  parleremo  ampiamente  ne'seguenti  rollimi  ;  siccome  pure 
dell'  egregio  lavoro  fattovi  sopra  dal  chiarissimo  signor  cav.  Tambroni. 
Sappiasi  intanto  che  il  Ccnnini  ebbe  a  maestro  Agnolo  Caddi ,  figliuo- 
lo di  Taddeo  lo  scolare  di  Giotto  ;  e  che  con  questo  libro  alla  mano 
si  confutano  per  modo  trionfale  tutti  coloro,  i  quali  attribuiscono 
a  Giovanni  da  Bruggia  l'invenzione   del  dipingere  ad  olio . 

IXifcrendo  a  face  i43  del  passato  volume  un'  iscrizione  del  cele- 
bre signor  ab.  Zannoiii  in  onore  del  Ped^rzoli ,  fa  stampato  :  amici 
ad  iiuantumciimcjue  doloris  solaiium;  e  dovea  dire  ad  (juantu' 
lumcumcjue . 

Risposta  al  si^.  F.  P.  che  nel  qiuiderno  XX.  del  giornale  arcadi- 
co p,  i4&.  criticò  la  memoria  sulla  natura  e  rimedio  de'  carci- 
nomi del  Ferminelii. 

Jja  fredda  ragione  dee  essere  norma  di  ogni  disputa  scientifica.  On- 
de j]  sig.  F.  P.  censore  delia  mia  memoria,  si  degni  esaminare  con 
imparzialità  le  mie  risposte.  Da  queste  mi  sarci  astenuto,  se  le  sue 
ragioni  mi  avessero  persuaso;  mcnire  ho  per  massima ,  che  convie- 
ne imparare  da  chiunque  conduce  a  sì  nobile  scopo. 
1.    Il    sig.    F.  P.    mi    dà  conuo,  e  havcdc  nella  p.  i46.  Gior.  cit. 
Afferma,  che  io  scrissi  nella  memoria  aver  detto  j^lla  Pagarotti  quel 
testo  di  Celso:  iiielius  est    anccp'i,  rjuam  nidlvm   cxperiri  reine- 
diiun;  o  che  essa. forse  intendente  di  latino  fi  arrese  alla  operazione. 
Ma  io  nelle  p.  p.   io.   11,    narrai    che  la  inferma  aderì  alla  opera- 


Varietà'  3  i  i 

zioTie  in  vista  della  sua  morte  vicina:  dunque  è  evidente,  che  quel- 
la troppo  acerba  critica  non  si  tiene  gentilmente  alla  storia  de' fat- 
ti ;  ed  ella  perciò  titorna  sopra  quel  medesimo ,  il  quale  nel  pri- 
mo attacco  non  attese  la  verità  che  in  tutte  le  cose  è  si  necessaria. 

2.  Accenna,  che  dalla  storia  del  fatto  trassi  quattro  coroHarj ,  de"  ana- 
li il  più  nuovo  é,  che  ne'  casi  in  cui  necessiti  V  operazione  chi- 
rurgica, la  medicina  è  inferiore  alla  chirurgia. 

Io  non  so  davvero  cos'egli  intenda  con  questo.  O  il  sig.  F.  P.  li- 
mita il  suo  concetto  alla  sola  novità  del  corollario ,  o  lo  estende 
al  confronto  della  medicina  colla  chirurgia,  perchè  ne^ medesimo 
si  disse ,  che  a  questa  cede  quella  ne'  casi  i  più  disperati.  Posta 
la  prima  proposizione  del  dilemma,  risponda  di  grazia  il  sig-  F- 
P.,  non  si  usa  ancora  in  medicina  la  farragine  de'  vantati  spe- 
cifici nel  cancro^  e  non  si  è  forse  abbastanza  dimostrata  l'inuti- 
lità di  essi  nella  prima  parte  della  memoria,  afhnchè  con  irragio- 
nevoli tentativi  non  si  procuri  l'esacerbamento  della  malattia,  o 
non  fugga  il  tempo  prezioso  per  l'opera  della  mano?  Il  sig. 
F.  P.  tace  sulla  stessa  inutilità,  ed  ammette  cosi,  non  volendo, 
il  pili  nuovo  de'corallarj-  Ammessa  poi  la  seconda,  provi  la  saa 
penna  qviale  influenza  possa  avere  l'arte  medica  in  que' mali ,  che 
per  la  inefficacia  de'  medicamenti  di  ogni  genere  non  possono  cu- 
rarsi senza  la  totale  estirpazione,  e  neghi,  se  può,  in  tali  casi  la 
superiorità ,  che  gode  la  chirurgia  sulla  medicina. 

D'altronde  il  sig.  F.  P.  si  persuada  pure,  che  il  controverso  co- 
rollario preso  nel  ìvlo  vero  senso  relativamente  ai  carcinomi  non 
reca  oltraggio  alcuno  all'arte  medica;  giacché  deve  aver  letto  cOm' 
io  dica  alla  p.  97.  ,lìn.  10.,  che  essa  è  sorella  della  chirurgia,  la 
quale  è  attorniata  da  minori  incertezze.  Ambedue  strettamente 
iinite  segnarono  la  prima  epoca  fatale  della  loro  disunione ,  quan- 
do fecero  passaggio  dai  greci  agli  arabi.  Ma  la  loro  natura  non 
permette  mai  che  vadano  discordi,  per  quanto  siasi  procurato ,  o 
tuttora  si  procuri  di  tenerle  svantaggiosamente  separate.  Si  ascol- 
tino le  parole  di  Pietro  Franck ,  che  senza  far  torto  agli  altri , 
è  il  vero  medico  illuminato.  „  La  medica  istruzione  non  è  meno 
necessaria  al  chirurgo  di  quello ,  che  lo  è  al  medico  la  chirur- 
gica, in  modo  che  male  a  proposito  è  stata  falla  la  divisione  di 
ima  sola  scienza  daunla  dalP  Interno  n  esterno  fieli"  nomo. ,, 


3  I  2  V  A  R  I  B  T  a' 

Farmi  pertanto  potersi  i  on.-ludcr'c,  che  il   sig.  F.  P.   dovea  con  ani- 
nrto  più  quieto  esaminare  i  corollari,  e  specialmente  quello  che  dice 
il  più  nuovo,  onàa  portarne  miglior  giutfi.io,  e  lifcrirlo  (il    dirò 
pure)  colle  medesime  ptvrole  mie,  senza  ninna  mulilazione. 
Z.  F;jli  viene  poi  moltcggiando  la  prima  parte    del   mio    lavoro.  Dì 
che  slimo  opera  cortese  i!  non  far  parola.    Avverte    però    che  io 
volli  dimostrare  l'inutilità  de' medicamenti.  Perché  non  disse, che 
la  dimostrai  con  cvidciiza?  Dalla  natura  di  essi,  e  da  quella  del 
cancro  furono  presi  i  più  forti  argomenti,    ehe  il  sig.  F.  P.  si  è 
astenuto  '  dal  riferire ,    e  molto     p?ù  daU'  analizzare .   Solo  bran- 
colando qua    eia  si  fa  molto  a  discorrere  sulla  necessaria   divisio- 
ne dello  s'-irro  in  vero  e  spurio.  Senza  poi  atterrare  le  ragioni  che 
militano  per  distinguerlo  in  tal  modo,  stupisce  come  i  medicamen- 
ti possano  essere  utili  jicr  lo  spurio,  inutili   pel    vero,  cioè  ppl 
cancro,  perchè  si  disse,  che  in  questo  tace,  ed  in  quello  parla 
la  natura.  Sembra  in  sostanza  che  il  sig.  F.  P.    non    abbia    voluto 
conoscere  la  forza  del  discorso,  e  per   fargli    fronte  si  è   servito 
(notisi  bene)  di  una    e    legittima    conseguenza,  che  mira  ad  al- 
tro scopo.  Difatti  la  premessa  antecedente  all' argomento  fu ,  che 
se  un  uomo  può  prendere  equivoco  nella  distinzione  dello  scirro 
per  mananza  di  vedute    cliniche,   lo    può   contemporaneamente 
prendere  nella  virtù  del  celebrato    rimedio,  il    quale  incontra  a 
caso  la  quaiiià  della  malallia. 
La  esperienza  in  medicina  ha  fatto  più  volte  vedere,  che  un  infer- 
mo trattato  con  moltissimi  contrari  medicamenti    gxiarisce    di  vjn 
morbo  grave,  e  che  un  altro  tlieiro  una  esatta  cura  eseguita  se- 
condo r  arte  muore  dello  stesso  morbo ,  o  di  un  morbo  meno  pe- 
ricoloso. Di  grazia,  sig.  F.  P. ,  in  questo  ultimo  luce  la    natura, 
ed  in  quel  allro  parla.  In  chirurgia  la  forza  medicatricc  di  essa 
è  sempre  inoperosa  nello  scirro  vero,  per  cui  necessita  l'opera- 
zione locale;  ma  nello  spurio  va  sicuramente  d'accordo  colle  vir- 
tù medicinali,  come  si  rileva  dai  falli. 
4.  Asserisce,  che  moltiplicai  gli  enti  senza  necessità.  Ma  dove  è  la 
moltiplicazione  degli  ciui,  so  due  generi  di  tumori   diversi,    che 
finora  sono  stati  diitinti  l'uno  dall'altro  co' nomi  di    si  irri    e    di 
rancri,  furono  riilotti  ad  un  genere  solo-,  cioè   allo  scirro    vero. 


Varietà'  3,3 

scirro  stabilito,  o  cancro?  I  varj  stati  del  tumore  i#rcinomatoso 
non  possono  costituire  altri  differenti  tumori.  Quegli  stati,  come  si 
notò  nella  p.  SS.  1.  22. ,  non  sono  che  modificazioni  dello  stesso 
tumore ,  ed  il  sig.  F.  P.  non  può  e  non  deve  ritenerli  per 
altrettanti  enti  diversi. 

5.  Vuole  egli,  che  i  tre  stati  dello  scirro,  il  torpido  cioè,  l'attivo, 
il  corrotto,  si  riducano  di  nuòvo  a  due,  perchè  il  primo  talvolta 
è  cosi  oscuro ,  che  appena  può  avvertirsi. 

Da  ciò  risulta,  che  il  med.  sig.  F.  P.  confessa,  che  talora  non  è 
oscuro,  e  che  talora  è  oscuro.  Dunque  talora  ha  i  suoi  proprj 
caratteri  distintivi.  Egli  sa  Lene ,  che  ove  questi  s' incontrano,  na- 
sce per  necessità  la  distinzione  ed  il  numero,  che  io  proposi. 

6.  Vuole  di  più,  che  lo  stato  toi'pido  del  tumore  porti  il  nome  di  can- 
cro occulto,e  gli  altri  duo  stati,  attivo  e  corrotto,  quello  di  manifesto. 

Il  suo  modo  di  pensare,  o  io  m' inganno,  involge  patente  contra- 
dizioiie,  e  moltiplica  enti  senza  necessità,  mentre  pretende  che 
sì  debba  economizzare  in  essi.,  Ma  inieuda  il  sig.  F.  P. ,  che  nel- 
la vecchia  divisione ,  la  quale  gli  è  molto  a  cuore ,  si  marca  un» 
differenza  grande  tra  un'  ente  e  V  alti* ,  vale  a  dire  tra  lo  scir- 
ro ed  il  cancro.  L' uno  non  è  dolorifico ,  V  altro  ha  per  compa- 
gni dolori  insoffribili.  Quando  il  cancro  è  intero  dicesi  occulto, 
ed  allorché  è  aperto  si  chiama  decisamente  manifesto.  Come  dun- 
que inerendo  egli  a  questa  impropria  divisione  può  chiamare  cccr- 
cinoma  occulto  quello  stato  di  torpore,  che  non  ha  senso  dolo- 
foso;  e  come  può  rendere  comune  il  nome  di  cancro  mani/èst» 
agli  altri  due  stati  di  attività  e  di  corruttela,  ne' quali  il  tumo- 
re, che  è  sempre  accompagnato  da  forti  pungenti  dolori,  suole 
presentarsi  all'occhio  tanto  intei-o,  quanto  aperto? 

7.  Venendo  egli  alla  seconda  parte  della  stessa  memoria,  esclama  :  S' 
intraprende  L  a  confutazione  delia  diatesi,  assicurando,  che  una 
località  morbosa  possa  sussistere  senza  alcuna  alterazione, 
delle  parti  intermedie,  che  inlefessano  la  vita  ec.p.  76.  Ma  po- 
co dopo  si  paragona  il  carcinoma  ad  una  potenza  nemica,  chs 
prende  le  posizioni  le  più.  fiivorevoli  al  suo  .dominio ,  ed  in  (ju(^' 
ste  sjìiega  le  sue  f.n'ze  ec.  p.  70. 

Paic  che  il  ii^.  F.  V.  iliiaciUicasse  qui  la  v«ra  guida  doli»  sana  cri- 


8i4  Varietà' 

■  tica.  La  "Pt  j^-  n<>«  viene  forse  pVima  rìella  p.  76.?  In  questa 
!  finJla  apparisce  di  ciò,  che  da  lui  si  pubblica  quasi  per  far  na- 
scere un  vano  contradittorio.  In  qviella  per  potenza  nemica  non 
si  volle  intendere  il  cancro,  ma  il  miasma  canceroso,  che  ne  è 
o  la  causa,  o  l'effetto,  e  che  nell'assorbimento  predilige  alcune 
parti  colla  sua  innegabile  affinità  elettira.  Del  resto  il  sig.  F.  P., 
piuttostochè  leggere  nella  p.  jd.  il  carclnoina ,  voglia  leggere  il 
micismci  carcino/ìiaioso,  e  cosisi  invccedi  snervare  il  suo  potere  e 
con  invasione  generale,  che  potrebbe  essere  abbattuta,  lo  riuni- 
sce, e  prende  posto  nelle  parti  ,  che  sono  più  analoghe  a  se  stes- 
so B.  Legga  poi  cosi  nella  p.  70.  Js  In  qualunque  stadio  dello  scir- 
ro dichiarato  la  malattia  è  sempre  locale  in  una  o  più  parti  del 
corpo  K.  Veda  inoltre  come  resta  impresso  nella  medesima   pagi- 

•  Jia  quel  sentimento ,  che  egli  ha  cambiato ,  e  che  noti  ha  potu- 
to rinvenire  nella  p.    76-   Ecco  le  precise    parole. —Sono    abba- 

■  stanza  conosciute  le  metastasi,  i  trasporti  cioè  di  materie  morbo- 
se da  un  sito  all'altro,  anche  in  distanze  significanti  senza  alcu- 
na alterazione  delle  parti  intermedie ,  che  interessano  la  vita.  K 

8.  Circa  la  diatesi  ne  desume  egli  le  prove  dai  fatti  che  la  ne- 
gano; ed,  un  poco  imperioso,  pretende  che  ai  fatti  medesimi  non 
debba  cedere  qualunque  ragionamento.  Lasciando  da  parte  tanti 
altri,  prende  di  mira  quello  della  Pagarotti  ne' seguenti  termini: 
in  che  se  mai  fosse,  come  panni  che  sia,  qvialchc  motteggio,  vo- 
glia di  grazia  ricordarsi  che  i  motteggi  non  istanno  per  ragione  presso 
nessun  prudente,  e  dovcano  sempre  schivarsi  in  un  giomal.di 
cortesi  com'  ò  1'  arcadico.  In  proposito  della  inentovata  diatesi,' ci 

•  dica  la  grazia  sua  il  sig.  Giambaiista,  che  ultra  cosa  fu  sonori 
una  diatesi  promossa  dall'  affezione  locale  carcinomatosa  nella  in- 
ferma si^.  Chiara,  cjuando  egli  vide  le  perdite  locali ,  la  febbre 
continua,  la  diarrea  caparbia,  Vincipienta  marasma  ec  p.  n- 
La  sua  potenza  nemica  si  contentava  allora  di  rimanersi  ne'  suoi 
quartieri ,  o  non  piuttosto  dava  a  tutta  furia  nelVoste,  e  dimen- 
ticata la  subordinazione  poneva  a  soqrjuadro  coni  cosa? 

Si  risponde  al  sig.  F.  P.,  che  nella  suddetta  inveterata  affezione  lo- 
cale non  vi  e  bisogno  di  una  virulenta  diatesi  diffusa,  che  ab- 
bracci tanto  i  solidi ,  quanto  i  fluidi  nella  loro  totalità  per  la  spie- 


Varietà'  3i5". 

.  gazione  di  tatti  quo' fenomeni  morbosi.  La  PagarottJ,  che  vive 
coJla  operazione,  sarebbe  senza  dubbio  morta  con  essa,  non  esclu- 
sa la  diatesi  generale  nel  njodo,in  cui  da  me  non  si  escluse  ne- 
gli ultimi  periodi  della  vita ,  quando  cioè  agonizza  la  forza  vitale 

p.    103.    I.     12, 

La  spiegazione  de' fenomeni  dee  partire  dal  giuoco  deJlQ   metastasi, 
che,  secondo  gli  effetti,  la  esperienza  fa  distinguere  in  morbose  e 
salutari .  Nelle  prime  il  miasma  ,  che  è  in  moto    e  die  tende  a 
fissarsi,  forma  altre  località:  e  nelle  seconde  viene  eliminato  per 
qualche  emuntorio  dalle  forze  delia  natura  reagente  .  Onde  è  chia- 
ro ,  che  la  diatesi  cancerosa  anche  dopo  1'  assorbimento  è  limitati^ 
sempre  in  più  tumori ,  ovvero  Tiella  sfera   di  uno ,  per  cui  la  chi- 
rurgia può  occuparsi  con  maggior  fondamento  . 
9.  Ripiglia  il    sig.  F.  P.  a  vantaggio  della  lue  universale  quelle  mie 
parole  malamente   interpretate.  So  il  carcinoma  si   trascuTU  di 
vantaggio ,  se  si  tratta  con  riinedj  rìpercussivi ,  emollienti ,  sap- 
purcaiti ,  se  soffre  qualche  leggiera  compressione  ,  il  veleno,  ac- 
cresce le  sue  forze ,  si  sviluppa  in  maggior  copia ,  di  una  qiut- 
lità  pii't  corrossiva ,   va  ricercando  dentro    e  fuori  tutte  le  parti 
solide  ec.p.  SS.  l.  12.  \ 
Non  vede  il   sig-  F.  P.  che  si  tratta   sempre  di  una  malattia  locale , 
in  cui  necessita  V  operazione  ,  ed  in  cui  qualunque  medicatura 
accresce  localmente  la  virulenza,  ia  quale  fa   monture   in  forti 
orgoglio  il  sistema  nervoso ,  benché  non  parta  dalla  sua  circoscrit- 
ta sfera  di  attività  nel  processo  della  spuria  infiammazione  ?  Egli 
non  deve  ignorare,  che  il  carcinoma  nel  secondo  stadio,  special- 
mente quando  viene  esacerbato  dall'azione  de' medicamenti,    svi- 
luppa un  miasma  corrosivo ,  il  quale  o  esercita  la  sua  furia  #ntro 
ì  limiti  del  tumore,  e  mettendo  a  consenso  altre  parti  senza  attac» 
carie  colla  sua  presenza  ,  oppure  esce  ratto  da   que'  limiti  a  pro- 
durre altri  parziali  disordini ,  mediante   l' affinità    elettiva.    Cad« 
per  consegvienza  l' argomento  più  forte  dei  sig.  F.  P.  ts  Si  é  aper- 
io  alla  Fa^arotii  un  fonticolo  ;   dunque  si  è  dubitato,  che   oltre 
«'  solidi  anche  i  fluidi  se  ne  possano  contaminare.  S  Ognuno  sa, 
che  i  fonticoli  si  aprono  ordinariamente  per  liberare  dei   qualche 
fissata  acrimonia  una  parte,  non  il  tutto;  gincciiè  se  questo  foie 


3i6  Varietà* 

-affetto  quelli  potrebbero  essere  mi::ìctia1i,  come  talv^olta  sono  sla- 
tti i  vescicanti.  Rilegga  il  sig.  F.  P.  con  maggior  posatezza  tutto 
-  ciò,  che  si  è  detto  dalla  p.  96.  alla  p.  ii3. 

*o.  Ma  ecco  altra  accusa.  Bello  e  pòi,  dice,  che  incnfre  il  sf^. 
FerininelU  nera  la  dialesi  nd  cancro,  il  quale  ha  certo  un 
'  veleno  piìc  diffusivo,  nan  ha  scrupolo  di  ammellerla  net  cur" 
boncello  come  si  rileva  da  queste  sue  varale.  t=  É  certo ,  che  il 
deuiocloritro  di  mercurio  adisce  sid  carboncello  in  mtmiera, 
che  lo  fissa  nel  luogo  in  cui  nacque,  ed  impedisce  cosi,  che  si 
produca  la  diatesi  morbosa ,  la  quale  uccide  con  rapidità  ec,  t=: 
Egli  però  non  si  è  avveduto  che  dal  cancro  p^  53.  ha  fatto  un  lun- 
■  go  e  rapido  passaggio  al  carboncello  p.  129,  come  se  non  vi  fos- 
se differanza  alcuna  tra  il  carcinoma  e  T  antrace.  Eppure  nella 
medesima  p.  5o. ,  avrebbe  potuto  leggere  cosi  e  II  carbonchio,  che 
ha  qualche  rapporto  colla  gangrena,  non  lo  ha  sicuramente  col 
cancro  ulcerato,  o  non  ulcerato.  Nel  carbonchio  i  rimedj  agisco- 
no con  valore ,  e  nel  cancro  non  hanno  alcuna  forza  medicinale. 
In  questo  il  caustico ,  o  le  scarificazioni  accelerano  il  passo  len- 
to colla  morte.  In  quello  arrestano  i  rapidi  progressi  colla  vita  e 
Il  sig.  F.  P.  dovea  marcare  una  tal  differenza  per  conoscere,  che 
diverse  cause  devono  produrre  diversi  fenomeni.  Né  so  menargli 
bxxono  quando  assai  facilmente  riduce  ad  una  fisica  certezza  an- 
che il  vizio  ereditario  canceroso ,  di  cui  si  ragionò  abbastanza  nel- 
la p.  82.  1.  17. 

11.  Rapporto  a  quel  verso  di  Angelo  Dclci  che  il  taglio  ai  cancri 
è  la  miglior  riretta,  rammenti,  che  è  troppo  generico  in  chi- 
rxirgia.  Onde  non  può  convenire  colla  esatta  è  limitata  conclu- 
sione di  quella  memoria  appoggiata  su  i  fatti. 

12.  Ritorna  egli  di  nuovo  al  carboncello,  di  cui  ha  già  detto  qual- 
che cosa,  e  pone  questi  due  argomenti: 

1.  Noi,  scrive,  possiamo  assicurare  di  averne  veduti  nella  genie 
della  provincia  di  Marittima  e  Campayui,  dove  un  tal  morbo 
può  dirsi  endemico  in  molle  tdtre  parti  del  corpo,  e  massiìne 
sulle  braccia  e  sidle  stesse  mani.  Dunque  in  egual  modo  devo- 
no vedersi  ancora  nella  città  di  Terni,  e  sue  adjacenze ,  dove  il 
carboncello  è  Jreqttente,  ed  è  sporadico^ 

2.  Si  è  tanfo  decla?nato  nella  prima  parte  dcl'a  sua  memoria  "orr^ 


Varietà'  3ij 

irò.  i  secreil.  Diinrjue  esso  propone  un  secreto^  quando  rewde  di 
pubblico  diritto  un  rimedio,  che  ha  sjìeriineniato  gioi'ei'ole.(i) 
Mi  scuserà  se  a  tali  cose  non  faccio  risposta.  Ne  giudichi  egli  medesi- 
mo con  mente  più  riposata,  e  da  savio  !  Ora  a  me  conviene  se» 
guirlo  negli  ultimi  tratti  della  censura. 

1.  p.  4^.  Una  materia  qualunque  eterogenea,  che  non  può  essere 
decomposta,  perfettamente  animalizzata,  e  resa  utile  alla  sostanza 
degli  organi,  viene  talvolta  da  una  forza  centrifuga  spinta  in  un» 
parte  esterna  a  fissare  la  causa  prossima  dello  scirro  estemo.  Dun^ 
que  essa  è  un  rapido  rijluto  della  ncitwu.  | 

2.  p.  47-  4^-  I*'  ingorgo  scirroso  nasce  dalla  circolazione  dcg^ 
umori',  la  quale  è  ritardata  nelle  estremità  vascolari,  accresciutii 
ne'  grossi  tronchi  più  prossimi  al  centro  del  moto.  Dunque  Io  scir^ 
ro  è  Jls^lio  deW  abuso  di  un  meccanismo  naturale 

3.  p.  So.  Si  deduce  dagli  effetti,  che  la  forza   vitalej  si  modifica 
seconda  delle  divisate  modificazioni  dello  scirro.  ,.  j 

4-  p;  57.  La  malattia  si  assomiglia  ad  una  fiera,  perchè  quanto  pii 
si  procura  assoggettarla  coli'  arte ,  tanto  più  si  inasprisce ,  e  ad- 
diviene superiore  all'applicazione  de'rimèc^.;;     ,  \ 

5.  p.  89.  Per  la  natura  de' carcinomi  giust^neritè"  si  "fa  riflettere  al  sigj 
F.  P.  essere  inutili  tutti  i  medicamenti,  che  finora  occuparono 
senza  frutto  la  mente  de' medici,  e  che  non  sono  pochi;  giacché 
la  sola  mano  del  chirurgo  può  domare  un  morbo  si  fiero.  }. 

6.  p.  5o.  Torni  il  sig.  F.  P.  per  la  spiegazione  alla  p.  60.  num;  74 
■j.  p.  54-  La  dura  massa,  che  a  poco  a  poco  si  è  formata  dal  cen-* 

tro  alla  periferia  non  si  rassomiglia  al  vegetare  di  una  pietra />er 
la  rapidità,  ma  per  la  maniera,  con  cui  si  vedono  crescere  I 
suoi  strati  morbosi.  ì 

'  .  i 

8. '11  sig.  F.  P.  conclude  confortandomi  ad  emendare  la  memoria^ 
acciò  possa  almeno  gareggiare  col  merito  dell'altro  mio  opusco» 
lo  intitolato  il  cauto  Jlebolomista~  ~  t 

Gom'io  sia  stato  riconoscente  alla  sua  gentilezza   Io   può  egli  vedere 

dalle  risposte  fin  qui  riferite.  In  queste  se  incontra   cose   degn«i^ 

di  essere    schiarite    0  corrette ,  attendo  da  lui  nuovi  lumi.  l 

GlAMBATISTA   FERMINELLI.  Ì 


(0  II  signor  Ferminelli  poteva  recare  più  fedelmente  i  passi  del 
sig,  F.P, ,  nò  tirar  da  essi  corollari  fi  suo  capriccio,  (nota  de'  compiL) 


Ossen>azioni  Meteorologiche  fciHc  alla  Specola  del  Colleg.Roin. 
Fehbrajo  1821. 


MATTINA 


Barometro 


Term. 


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Barometro 


Term. 


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he  futie  alla  Specola  del  Colico^.  Rom. 

Fehrajo    1 82 1 . 

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pon.       0 

26  n. 

I   06 

ine.  SI.   1 

n. 

I     IDI 

mei.      I 

n.s. 

tra.        0 

piog. 

27  j. 

i    10 

//•a.       I  m 

s. 

I     75 

gre.       I 

s. 

tra.         I 

28  /j. 

'     3 

niez.      I 

n. 

0     14 

incTn      I  m 

n.p.s. 

niez.      1 

Piog.         1 

29Ì 

30| 

3Jj 

Volendosi   da' eh.  Astronomi  abbondare  per   diligenza,  pongonsi  le  Osservazioni 

Triplici  in  ogni  giorno  ;  e  volendosi   da   noi    ristringere    in  pagina  ,  affinchè 

meno  facilmente  si  disperdano,  usiamo  alcune  abbreviature.  Pertanto   nella 

colonna  delle  Meteore  pi  significa  pioggia  1  lampi   t    tuoni    n  nebbia   g  gelo 
b  brina.  E  nelle  colonne  A^Wo  Slato  del  Cielo  s  vuol  dire  sereno  d  nuvolo, 

p  poco.   Le   iltre  abbreviature  nelle  colonne  Ae^  venti  sono  per  se  stesse  in- 

telligibili. Quando  segue  uu  asterisco  s'intende  gran  quantità;  ove  trovasi 

una  f  croce  s'intende  piccola   quantità. 

li  ;  IMPRIMATUR  , 

I       Si  videbitur  Reverendissimo  Patri  Mag.  Sacri  Palatiì 
Apostolici. 

H    v.  C.M.Frattini  Archiep.Philippensis  Vicesg. 


IMPRIMATUR. 
i  FV.  Philippus  Aiìfossi  Sop'  Pai.  Apost.  Mag. 

e 
[ 


'pfinniìe. 


Il  II  II  imiiiu 


Tav. 


o  idrocianaii 
potassa  e  calce 


Nessun 
cambiamento 


Iiiem 


IN 


SOLLZiOiNE 
ACETICA 


Carboiiato 

di  calce 
grani  6,48 


5,4o 


RESIDUO  INSOLUBILE 


Solfato 
di  calce 
grani  o.qo 


1,26 


Si  1  alo 
di  ferro 
n-ani  o.54 


0,54 


jotaiC   dei  priacipj  iissi  in   una  liblna  grani      iS,   00 
rerdita  nello  sperienze grani       o,  Su 


QUADRO 

Delle  proprietà  fisiche  delle  acque  termali  di  Civitavecchia  ,   dell'  acqua  cioè  detta  della  Ficoncella  e  di  quella  delle  Terme  Taurine. 


Tau.  1. 


della 
Fi.-onceUa. 


A  C  0  L'  A 

.toUe 
iTin    Ta\irìi 


TEJIPRKATL  RA 

44-  R- 
in  Luglio  CilOltobrc 


LniPIDlTA' 
perfetta. 


ODORE 

di  ^as  idrogeno 

solforalo. 


SAPORE 
salino-  amaro- 
gnolo 


i  ;,A'  HA 

U  1.  1-  0  .  t  1  o 

spPL-ifica 
So"  R.-  i.ooi4 

0.R.-l,OO2O.'i 

spontaneo 

bianco  e  copioso 

per  il 

Proprietà  chimiche   ossiano   effetti  dei  reagenti 


A  CO  VA 

dcUa 
Ficoncella 


ACyUA 
delle  Terni( 


Con   U  tiniuia 

di  LaccamutTa. 

e  siroppo  ai  viole 


Arrossamento 


TliNiL  LK.^ 
di 

Curcnma 


Kessun 
cambiamento 


IVesiun 
cambiamento 


Intorbidamento 
grande 


Intorbidamento 
grande 


ed  a  et 
di  bari 


Intorbidamento 


liilOibiùainciUo,  e 

cilimcnto  che  passa 

subilo  dal  bianco 

al  grlj^io, 

e  poi,,!  Leno. 


,i..i.1ATj 

di 
piombo 

Intorbidamento 
precipitato  bruno 


o  idrociauaii 
di  potassa  e  calce 


Principi    costitutivi  delle  acque  termali  in  ciascuna 


liììlirci  delle   medesime  . 


A  C  V  L  A 

della 
Ficoncella 


A  C  1^  L  A 

delie  Terme 

Taurine 


PK1>X1FJ  P.LASTia  IN  POLLICI  CUBICI 


Aria 

atmosferi 

0,-2 


Totale 
dei  principi  clastic 

fi. 483 


SOLUZIONE  alcoolh;a 

DEI  PKIKCIPJ  tlbSl 


Idroclorato 

di  calce 
grani   0.72 


SOLLZIOXE   ACsILOjA  DEI   FRIiNClW    IISSI 


bULl  /.IONE 
ACETICA 


Carboiiato 
di  calce 
grani  6.4^ 


RESIDLO  IISSOLL'BILE 


>0!a.  Ltiria  nlino.Jerica  ol.alla  dalle  dm:  ac/u 
e   „/v«cc„  -.j/ff-.f    di  ossigeno. 


ToUie  dei  priucj'pj  hssì  in  una  libbra  ^r 
Peniita  nelle  sperìcnze gr 


1.0 

1.» 

o<>,5 

o°,75 

©0,25 

o«,5 
oo,S 


r  Ja  forte  caduta. 

^"isce  nel  canale,  ed  ha  una  temperatura  di  35.° 

haVchesfòT;"''/','  P'-'^^«"'l'*«'ft^  presa  l'acqua 
i  ^'"  '  '»8^"^  ^^  temperatura  del  canale  di  Si. o 


Jlto 


minore  velocità  pe*  essere  il  canale 


in  pianura. 


ìl:„'l'"'S'':'ì^'  -""-«  "«'  -»«ie,  ,™i„„„„. 


osservata  nei  vaso. 


IO  -i  ,  segnar»  20.» 


sapore  sensibile. 


proveniente  dalle  terme  Tan^;»,»       j 
si  trovò  dì  ,g;.57™«  Taurine  e  d^  altre  sorgen- 


Tav. 


dalla  sort^eiue 


canne   romane 


45 
45 
46 
45 
45 
45 
45 
45 
45 
45 
45 
9° 
9° 
90 
90 

90 


C*     y45 
Miglio 


TAVOLA 

Delle  temperature  osservate  neW  acqua  minerale  della  Ficoncella  presso  Civitavecchia  li  G  Luglio  1819  dalla  sua  sorgente 
Jino  al  Ponte  di  S.  Antonio  ,   occ  conjluiscono  nel  medesimo  canale  altre  acque. 


TEMPEKATUILV 
j;  osservata 
colla  scala 
di  Reaumur 


44.° 
42.° 
S6.0 
34.° 
3i.° 
29.0 

27.0 
a6.» 

25-° 

24',  5 
24." 

22".5 
210,5 


19.0 


DEa>E]VlENTO 

delle  temperature  iii45 

canne  di  luugliezza 

di  canale 


o°,5 
o«,5 

o»,5 
00,25 
o">,5 
00,5 


DltTEREN^E 

dei 

decrementi 


4-° 
4.» 


o».5 
0.° 

0°>25 
0°,25 
o',25 
0'',25 

0.0 


OSSERVAZIONI 


Temperatura  alla  sorgente. 

In  questo  tratto  corre  l'acqua  con  gran  velocità  per  la  forte  caduta. 

In  questo  tratto  vi  è  una  nuova  sorgente  che  si  riunisce  nel  canale ,  ed  ha  una  temperatura  di  o5. 

In  questo  tratto  non  potendosi  entrare  nel  canale  per  ]a  sua  angustia  e  profondità,  fu  presa  1  acqua 
in  un  vaso,  dove  si  trovò  alla  temperatura  di  00 ——,  dal  che  si  è  arguita  la  teroperaturadel  canale  dioi. 

3 

In  questo  tratto ,  e  nei  seguenti  corre  l'acqua  con  molto  minore  velocità  pe«  essere  il  canale  in  pianura. 


Si  continuò  sempre  a  prendere  l'acqua  in  un  vaso  per  la  difficoltà  di  scendere  n«l  canale ,  aggiungen- 
do qualche  frazione  di  grado  alia  temperatura  osservata  nel  vaso. 


11  termometro  al"  ombra  noli'  aria,  essendo  le  ore  10  -i  ,  segn»Ta  20.' 


Si  e  quivi  assaggiata  l'acqua  ,  e  si  è  trovata  senza  sapore  sensibile. 

A  questo  punto  si  riunisce  nel  canale  altr'  acqua  proveniente  dalle  terme  Taurine  e  d^  altre  sorgen- 
ti, dopo  la  riunione  della  quale  la  temperatura  si  trovò  di  i8,»5. 


321 


SCIENZE 


Exercitationes  pathologicae  aiictore  Joanne   Bapti^ 
sta   Palletta   etc.  (  Art.  HI.  ) 


\_^AP.  X.  Di  alcuni  morbi  congeniti  .  art.  I.  Asces~ 
so  sanguigno  del  capo  nei  bambini .  Alcuni  fan- 
ciulli di  fresco  venuti  a  luce  ,  e  spezialmente  quelli 
usciti  dell'  utero  con  parto  sollecito,  sono  assali- 
ti da  un  certo  ascesso  nel  capo  ,  vale  a  dire  da 
un  tumore  molle  ,  con  oscura  fluttuazione  ,  non 
dolente  ,  senza  cambiamento  nel  colore  della  cute  , 
ed  intatta  rimanendo  la  capellatura  .  Questo  tu- 
more zeppo  di  sangue  occupa  talvolta  F  uno  e  T  al- 
tro parietale  ,  ma  più  spesso  il  parietale  destro  ,  e 
non  malie  ossa  delia  fronte,  dell  occipitale  delle 
tempia  ;  è  posto  quasi  traversalraente  ,  di  rado  se- 
condo la  lunghezza  del  sincipite  ^  poco  elevato  , 
ed  ora  agguaglia  un  uovo  ben  grande  ,  ora  la  gran- 
dezza di  due  uovi  ;  talvolta  sin  dalla  nascita  del 
fanciullo  ha  già  la  mole  di  un  uovo  di  gallina, 
ma  più  spesso  egli  è  picciolissimo  ,  e  cresce  poi 
dentro  pochi  giorni  al  volume  indicato  .  Palpando 
il  tumore  ,  e  in  ispecie  la  sua  base  ,  si  sente  un 
cerchio  osseo  ,  il  quale  essendo  ineguale  ed  alquanto 
acuto  fa  credere  che  nell'  aja  occupata  dal  tumore 
manchi  porzione  del  cranio  .  Ne  il  sospetto  è  on- 
ninamente falso  ,  poiché  1'  ispezione  fatta  nel  ca- 
davere ne  ammaestra,  che  in  questo  moibo  manca 
una  parte  della  lamina  esterna  del  cranio  ,  e  che 
Q.A.T.IX,  2  1 


322  Scienze 

i    vasi   del  diploe   versando  il  sangue  tra  la  interni^ 
lamina    ed    il    pericnario  sollevano  il  tumore  .  Esso 
è    stato    talvolta   dissipato  con  fomenta  aromatiche  , 
ovvero    col  finimento    volatile  ;    ma    il    modo    più 
sicuro    di   sanarlo    egli    è  il   traforarlo    col   setone . 
Il  nostro  A.  tenendo  qiusto   mietodo    insegnato   dall' 
ili.    Pietro  Moscati  ne  ha  sempre  ottenuto  una  cura 
felicissima  .  Aperto  adunque    il    tumore  con  doppia 
ferita  mediante    1    ago  o  la  lancetta  ,  esce  una  buona 
quantità   di    sangue    nericcio   e    scorrevole    che    di- 
stendeva la  cute  ,   continua  ad  uscire  ,    in  dose  però 
minore  ,  il  secondo  ed  il  terxo  giorno  ancora  :  quin- 
di  viene    fuori    un    umor    giallognolo ,  che   poco    a 
poco    dalla    apparenza   di  siero  passa  ad  essere  vera 
marcia  :  allora  l  unguento  digestivo  dapprima  ,    po- 
scia   corroborante  ,   cui    succeda  il  vino  rosso  ,    nel 
quale   siensi  cotte    erbe  aromatiche    e   simili  rime- 
dj,  sono    sufficienti  a  compiere    la    cura  nello  spa- 
zio di    i5  giorni  :   se  la  lebbre  ,    la  quale  suole  ac- 
compagnare  la  suppurazione  ,   non   ceda  alla  ammi- 
nistra/Jone di    blandi    purganti,    si  potrà    moderare 
coir  uso   del    decotto   di    china-china .    Questo    ar- 
ticolo è  corredato  di  quattro  casi  pratici  . 

Art.  II.  Del  palato  bifido  .  Qui  \  A.  ci  pre- 
senta r  osservazione  di  un  bambino  ,  il  quale  morì 
nel  terzo  giorno  dalla  nascita  per  impotenza  di  suc- 
ciare il  latte  dalle  poppe  della  madre  .  Egli  avea 
non  solamente  il  labbro  superiore  ,  ma  le  ossa  an- 
cora mascellari  e  palatine  divise  per  lo  spazio  di 
sei  linee  ,  di  maniera  che  nello  scheletro  si  po- 
tevano da  questa  lessura  mirare  benissimo  e  le 
ossa  turbinate ,  e  i  rivolgimenti  delle  cavità  na- 
sali .  La  fessura  era  divisa  in  due  dal  tramezzo 
delle  narici  ;  e  dove  questo  termina  ,  ne  rimaneva 
ima  sola  ,.  la   quale   continuava  lungo   il  velo    pa- 


EXERCITATIONES    PATHOLÙGIC^    "'  SsS 

latino  e  V  uvola  .  Casi  simili  hanno  osservato  Hal- 
ler  e  la  Faje,  e  siccome  questi  ha  ottenuto  di 
conservare  il  hamhino ,  e  fargli  anche  per  mezzo 
della  sutura  articolare  la  voce  ,  così  possiamo  spe-;. 
rare  lo  stesso  in  simili  circostanze ,  senza  però  lu- 
singarsi   di    una   pronta   e    compiuta  guarigione  . 

Art.  III.  Della  spina  bifida.  Si  leggono  in 
questo  articolo  cinque  casi  osservati  dall'  A.  ,  dei 
quali  i  due  primi  mostrano  che  la  dura  madre  ap- 
partenente al  midollo  spinale  forma  il  sacco  o  tu- 
more ,  dove  è  contenuto  il  siero  travasato ,  e  che 
dessa  apre  le  apofisi  spinose  in  una  parte  o  T  al- 
tra della  colonna  vertebrale  .  Il  terzo  mostra  che 
la  spina  bifida  o  idrorachitide  ha  origine  talvolta 
dair  idrocefalo  interno  ,  e  in  questo  caso  T  acqua 
scende  dal  cranio  nel  tubo  vertebrale  :  al  qual  pro- 
posito ricorderemo  che  Bernardino  Ganga  ha  ve- 
duto un  fanciullo  con  idrocefalo  ,  il  quale  per  la 
suppurazione  di  un  tubercolo  in  vicinanza  dell' 
ano  (  probabilmente  sul  coccige  )  fu  libero  di  quel 
morbo  ,  ma  restò  spento  in  seguito  della  evacua- 
zione del  siero  .  Il  quarto  caso  è  di  un  fanciullo 
di  due  anni  che  fu  presentato  all'  A.  ond  essei'e 
curato  di  un  tumore  ,  che  avea  sin  dalla  nascita 
tra  r  ultima  vertebra  lombare  ,  e  le  due  prime 
dell'  osso  sacro  .  Il  tumore  avea  la  figura  di  un 
uovo  appianato  ,  era  posto  trasversalmente  ,  non  sof- 
friva il  toccamente  ,  vietava  al  fanciullo  di  gia- 
cere sul  dorso  ,  e  quando  era  lungamente  palpato 
cagionava  T  evacuazione  delle  fecce  .  Alcuni  so- 
spettarono che  avesse  comunicazione  coli'  intestino 
retto  ,  ma  un'  esplorazione  accurata  dimostrò  es- 
sere falso  il  sospetto  .  La  di  lui  madre  narrava 
che  gli  escrementi  eran  sempre  venuti  fuori  con- 
tro   la  volontà  ,   e  che  il   tronco  mal  si  reggeva  so- 

21* 


3/!4  Scienze 

pra  le  estremità  inferiori.  Dopo  due  anni  giunse 
notizia  della  di  lui  morte  .  Il  quinto  caso  risguar- 
da  un  giovane  ,  il  quale  dalla  nascita  portava  um 
tumore  sopra  le  vertebre  lombari ,  e  non  ostante 
avea  toccalo  T  anno  xv  1 1  di  sua  età  senz'  altro 
incomodo  ,  se  non  che  una  debolezza  degli  arti 
inferiori  .  Per  un  urto  gli  si  lacerò  la  cute  del  tu- 
more, ne  venne  la  febbre,  e  per  tal  motivo  en- 
trò nell  ospitale  .  Ivi  fu  osservato  che  inaspren- 
dosi la  lebbre  il  malato  sentiva  una  forte  disten- 
sione al  collo  ed  all'  occipite  ,  e  però  furono  fatti 
due  salassi  ,  e  ministrate  bibite  diluenti  ,  onde  tem- 
perare r  interna  infiammagione  .  Si  ruppe  finalmente 
il  tumore,  e  tramandò  una  quantità  grande  di  sie- 
ro :  apparve  allora  un  qualche  miglioramento  ,  ma 
ben  pieslo  la  febbre  divenne  più  intensa  ,  mag- 
giore il  dolor  di  capo  ,  un  senso  di  formicolìo  si 
destò  negli  arti  inferiori  ,  e  l' inlérmo  pallidissimo  , 
esausto  di  forze,  morì  .  Nel  cadavere  si  trovarono 
alcune  alterazioni  nel  cervello  ,  come  per  esempio 
il  ventricolo  laterale  sinistro  pieno  di  un'  acqua 
torbida  ,  e  pili  ampio  del  naturale  .  Tagliato  il 
tubo  spinale,  Ibrmato  dalle  meningi,  apparve  privo 
di  acqua  .  Tutto  il  guasto  si  notò  essere  nell'  ul- 
tima vertebra  lombare,  e  in  quelle  componenti  il 
sacro  ed  il  coccige  ;  imperocché  le  loro  apofìsi  spi- 
nose erano  divise  ,  e  quelle  della  prima  e  seconda 
vertebra  dell  osso  sacro  lasciavano  un'apertura  ova- 
le ,  nella  quale  si  era  intromessa  la  dura  madre 
in  lòrma  di  sacco  non  affatto  immune  da  siero 
travasato  .  Queste  cose  dimostrarono  abbastanza  che 
tutta  la  teca  vertebrale  avea  sofferto  infiammagio- 
ne ,  e  che  non  era  andata  esente  da  questa  nep- 
pure la  sostanza  del  midollo,  poiché  goni]  si  ve- 
devano   quei   vasellini  che  sono  dispersi  tra  le  ner- 


Exercìtationes  pathologic^  3^5 

vose   filamenta  .    Dopo  la  narrazione  di   questi  cin- 
que    casi    si    oppone   l'A.   all'  opinione  di  P.   Frank 
che  non    sempre    l  idrorachitide    sia   congenita  •    e 
poscia    discute  se  la    fenditura    delle    vertebre  'sia 
cagionata  dall'  umor  sieroso    raccolto  entro   la  dura 
madre ,    e    su  questo   particolare    si   appiglia  al  pa, 
rere    di   Gio.    Andr.    Murray ,   il    quale    pensa    che 
Il   siero  SI  raccolga   là   dove  le    vertebre  sono  mal 
conformate  ,   e  non  abbastanza  consolidate  ;   e  così 
spiega    come   il    tumore  spunti    talvolta  su   la    cer- 
vice ,    talaltra    sul    dorso  ,    oppure    su    i  lombi     e 
1'  osso    sacro  ;    Avverte  infine  1'  A.  che  l' aprire  coli' 
arte,    e   il    rompersi   spontaneo  del   tumore  accele- 
rano   la   morte   dell' inlbrmo,  e  che  illeso  rimanen- 
do quello  ,   può  questi  giungere    all'  vi  1 1  ,    ed  anco 
al    XV n      anno    di    età,     come    il    fatto    ha    mo- 
strato . 

Art.    IV.  Della  diastasi  del  pube  .  Ha  l'A.  osser- 
vato   nel    cadavere  di    un    uomo   morto  all'  ospitale 
una   massa    spongiosa  nell'  ipogastrio  ,  dagli   angoli 
della    quale    gemeva    continuamente    l' orina  t    avea 
quella   massa  un'  appendice  lunga   un  dito  trasverso 
rappresentante  il  pene  ,  ed    avea  ih  ciaScUn  lalb  una 
protuberanza    ossea    coperta    di   peli  .  Notomizzata 
ia   parte  ,    trovò  che  gli  ureteri  andavano  ad  aprirsi 
m   quel   corpo    informe  ,    e    che    desso    era   la   ve- 
scica    orinaria   in    parte    mancante  ,   e    contrafatla 
la    quale   stava    fra    le  spine  del  pube    distanti  tra 
loro    di  quattro  dita  ,   e    sporgenti    nelle  mentovate 
dure    prominenze  .  Da  questa  diastasi  del  pube  ve- 
niva   che    la    cavità   del   bacino   era  più  ampia   del 
naturale  ,  i  femori    male   appoggiati    su   Je  ossa  in- 
nominate,   distratto   lo   scroto,   il  perineo  ,  e  l' ori- 
Tizio  dell'  ano,  portati  innanzi .   Ha  inoltre  osservato 
1  A.  che  al   yìzìo   medesimo   di  struttura  van  pur 


32G  Scienze 

soggette  le  femmine .  Fu  a  lui  presentata  una  bam- 
bina di  ckte  mesi  ,  la  quale  dalla  vulva  sino  al 
luogo  deir  ombelico  (  mentre  di  questo  non  eravi 
traccia  )  avea  un'  ulcera  bislunga  ,  ineguale  nella 
superGzie  ,  e  rosseggiante  ,  con  due  fori ,  dai  quali 
stillava  r  orina  ,  e  che  certamente  doveano  essere 
gli  orifizi  degli  ureteri,  poiché  il  rimanente  eraj  la 
vescica  orinaria  difettosa,  lacerata,  e  aderente  alla  cu- 
te .  Ai  lati  deir  ulcera  si  sentivano  due  tubercoli  , 
i  quali  erano  senza  fallo  le  spine  del  pube  per  la 
ragione  che  nel  loro  mezzo  nulla  si  sentiva  di  duro 
ed  osseo  ;  nel  basso  poi  dell'  ulcera  si  scorgeva 
un'  apertura  cinta  da  cerchio  membranoso  rappre- 
sentante la  vulva  .  La  madre  della  bambina  ben 
conoscendo  che  a  tanto  difetto  non  poteva  pre- 
starsi riparo  ,  si  accontentò  di  chiedere  un  qual- 
che rimedio  alle  molestie  e  dolori  cagionati  dallo 
Stillicidio  dell'  orina  sopra  la  vescica  denudata.  Hopo 
la  narrazione  di  questi  due  casi  rammenta  1'  A- 
quelli  osservati  da  lluxam  ,  da  G.  Flajanì  ,  e  da 
Gio.   Walter  ,    il  quale  per  altr9  ha  veduto  le  ossa 

del   pube  distanti  per   lo    spazio    di  linee  20    2    » 

congiunte  da  un  legamento  invece  della  cartilagi- 
he  ,  Senza  alrun  vizio  nella  vescica  orinaria  e  sue 
dipendenze.  Quindi  si  propone  due  quislioni  ;  1. 
se  la  diastasi  del  pube  sia  rimediabile  in  un  feto 
venuto  appena  alla  luce;  ed  a  questa  riisponde  che 
isebbene  con  opportuna  legatura  possano  avvici- 
narsi le  due  ossa  ,  pure  attesa  la  loro  resistenza  , 
ed  una  certa  solidità ,  e  atteso  ancora  il  difetto 
dell'  organo  genito-urinario  ,  che  n'  è  ordinariamente 
compagno  ,  non  possono  mai  perfettamente  e  sta- 
bilmente riunirsi  .  La  seconda  quistiono  si  è,  se 
r  uomo  contemplato   nel    primo   caso   sarebbe  stato 


EXERCITATIONES    PATHOLOGIC^  Zin 

idoneo  alla  generazione  ;  e  qui  notando  che  per 
tale  funzione  si  richiede  il  getto  dell'  umor  proli- 
fico con  una  certa  forza  ,  e  veggendo  che  in  quello 
,si  laprivaoo  i  condotti  dei'erenti  nella,  superlìzie  su- 
periore dei  pene  ,  e  in  conseguenza  il  seme  mancar 
tlovea  del  necessario  impeto  e  direzione  ,  giudica 
che  stato  sarebbe  inetto  alla  fecondazione  (a)  .  Per 
r  opposito  siccome  nelle  femmine  non  è  indispen- 
sabile la  introduzione  del  membro  virile  nella  va- 
;gina  onde  rimangano  fecondate  ,  ma  la  sola  eia- 
culazione del  seme  in  essa  ,  siccome  tanti  fatti  il 
-provano  abbastanza  ,  però  conchiude  che  la  bam- 
bina del  secondo  caso  avrebbe  potuto  un  gior- 
no prolificare  ,  come  gravida  divenne  là  donna , 
.di  cui  parla  Huxam  ,  quantunque  malissimo  con- 
formata   nei    genitali . 

Art.  V.  iJel  loxavtro  ,  colla  q'ual  voce  greca 
composta  intendesi  la  obliquità  degli  articoli,  o  in 
.senso  più  largo  la  loro  direzione  cangiata  dallo  stato 
naturale.  Questo  vizio  suol  prendere  le  mani  e  i 
piedi^mapiù  frequentemente  questi  che  quelle.  La 
mano  così  viziata  è  piegata  all'indentro  di  maniera 
che  il  dorso  di  essa  è  volto  all'  insìà,  e  la  palma  ri- 
guarda il  suolo ^  il  pollice  verge  all'interno,  il  dito 
mìgnolo  tiene  la  parte  esteriore ,  e  la  mano  non 
può  essere  liberamente  sollevata  :  l'ulna  in  que- 
isto  caso  è  prolungata  più  innanzi  verso  il  carpo, 
il  raggio  è  più  breve  ,  e  con  più  ampia  superfi- 
.zie    riceve  gli    ossetti    del   carpo:    questi    poi    sono 

(a)  Ci  perdoni  1'  A.  se  noi  dubitiamo  di  questo  suo  giudizio  , 
poiché  il  solo  aprii-si  dei  canali  deferenti  nella  parte  superiore  del 
pene  non  ci  sembra  ragione  sufficiente  per  escludere  la  facoltà  di 
fecondare,  e  potremmo  valerci  dell'  autornà  stessa  di  Eistero ,  ch'é 
tiportata  nel  suo  art. 


SaS  Scienze 

scomposti  in  una  foggia  ben  difficile  a  descriver- 
si .  Quanto  ai  piedi,  raro  è  che  un  solo  di  es- 
si sia  storpio,  ma  ordinariamente  lo  sono  ambe- 
due; sono  cioè  volti  indentro  in  modo  che  la  loro 
pianta  sta  un  poco  indietro,  e  alquanto  tratta  all'  insù, 
il  dorso  in  conseguenza  guarda  inferiormente  il  lato 
anteriore  ed  esterno,  e  gli  apici  delle  dita  di  entram- 
bi i  piedi  convergono:  talvolta  il  dorso  è  più  con- 
vesso per  essere  prominenti  in  esso  alcune  ossa  del 
tarso;  talaltra  sembra  mancare  il  malleolo  interno; 
e  quasi  sempre  tutto  il  corpo  sembra  sostentato  dair 
esterno  margine  dei  piedi.  Senza  dilungarci  nel  ripor- 
tare le  istorie  che  leggonsi  in  questo  articolo,e  le  ispe- 
zioni sul  cadavere,  diremo  che  anche  riguardo  i  pie- 
di il  vizio  consiste  nella  cangiala  posizione  e  con-» 
nessione  di  alcune  ossa,  di  quelle  inspezie  che  com- 
pongono il  tarso  ;  e  diremo  inoltre  che  nei  fanciulli  di 
fresco  nati  non  è  gran  fatto  difficile  il  ridurle  ali* 
ordine  naturale,  ma  è  bensì  difficilissimo  il  man- 
tenervele.  Ciò  non  pertanto  dovrà  tentarsi  la  ma- 
novra suggerita  dalFÀ.,  qual'  è  di  dirìgere  alla  par- 
te interna  il  malleolo  della  tibia,  e  alla  parte  ester- 
na sospingere  dirottamente  Y  osso  del  calcagno,  con 
i  quali  movimenti  le  ossa  che  sporgono  in  diversi 
punti  del  piede  concorrono  tra  di  loro  al  sito  na- 
turale. Dovrà  anco  tentarsi  dopo  Y  operazione  l'ap- 
plicazione delle  fasce,  pezze,  e  cerotto  glutinoso  nel 
modo  eh'  egli  insegna,  onde  contenerle  in  sito;  e 
dovrà  infine  a\ersi  in  considerazione  l'ingegnosa  in- 
venzione dell'  ili.  Scarpa  di  Tarie  macchinette  di- 
rette a  sanare  i  piedi  storpj. 

Art.  vi.  Della  lordasi.  S'  intende  con  que- 
sta voce  queir  affezione  della  spina  vertebrale ,  per 
la  quale  essa  inclina  alla  parte  anteriore;  ma  1'  A. 
la  usa  in  significato  più  ampio,  e  vi  comprende  le 


EXARCITATIONES    PATHOLOGIC^  32<> 

tieformità  delle  ossa  tanto  nella  figura  che  nelle  di- 
mensioni.  Prende  pertanto  a  considerare  tali  defor- 
mità in  dettaglio,   e  incominciando  dalle    ossa    del 
capo  scende  alla   colonna  vertebrale,  ove   s'  intrat- 
tiene più  a  lungo.  Novera  le  varie  spezie  di   stor- 
cimento, cui  va  soggetta  la  colonna  delle  vertebre, 
e  le  varie  cagioni  produttrici,  le  quali  egli  classìfica 
in   interne  ed  esterne.  Fra  le  interne  pone  i  tumori 
che  insorgono    addosso    la    spina  ,    gli    ascessi    nel 
luogo   medesimo,  la  carie,  la  rachitide,   i  profluvi 
violenti  e  pertinaci  di  ventre,  infine   il    rammolli- 
mento del  corpo  delle  vertabre    e    delle  intermedie 
cartilagini ,  per  il  quale  viene  a  mancare    il   suffi- 
ciente sostegno,  e  Y  equilibrio  al  tronco.  Ripone  tra 
le  cagioni  estrinseche  gli  urti,   le   percosse,  1'  abi- 
tudine di  tener   piegato    lungamente    il    tronco,   gli 
esercizj  smodati  del  corpo ,  le  allacciature,  e  cer- 
ti macchinamenti  inventati  a  conciliare  grazia  alla 
persona;    e  vuole    spezialmente   intendere    que'  ma- 
landrini busti,  coi  quali  una  volta  le  vergini  si  ado- 
peravano di  stringere  per   quanto    era    possibile  la 
pancia,  e  rendere  prominenti  le  poppe  e  le  anche, 
e  con  i    quali  oggigiorno  taluni  scioperati    giovani 
si  studiano  imitare,  e  diremmo  quasi  mentire  le   for- 
me muliebri .  L'A.  declama  altamente  contro   que- 
ste detestabili  mode  ,   compagne  della  depravazione 
del  costume,  e  mostra  come  il    petto  e    V  addome 
sottoposti  ad  ineguale  pressione  vadano  a  soffrire  nel- 
la struttura,  e  contraggano  alcune  deformità  che  nel- 
la età  avanzata  si  fanno  maggiormente  visibili  .  De- 
clama anche  con  ragione  contro  f  uso  di  fasciare  i 
bambini,  di  tenerli  lungo  tempo  seduti,  o  sospesi 
per  le  ascelle  mediante  un   laccio,  e  di  portarli  sul 
braccio  premente   la  regione  epigastrica   ,    siccome 
fanno  comunemente  le  nutrici;  e  vorrebbe  che  nel- 


33d  Scienze 

la  loro  adolescenza  badassero  gì  istitutori  a  mode- 
rarne i  movimenti  del  corpo  e  dello  spirito  ,  per 
esempio  il  soveichìo  saltare,  il  correre,  lo  studio 
intenso ,  le  passioni  di  animo,  e  via  discorrendo. 
Quanto  poi  alla  cura  medica  della  lordosi  verte- 
brale prodotta  vSpezialmente  «la  cagioni  interne,!' A. 
confida  molto  sul  vitto  di  buona  qualità  e  di  fa- 
cile digestione,  su  i  bagni  Ireddi ,  su  le  fregagioni 
lungo  la  spina  dorsale,  sul  conveniente  esercizio  del 
corpo,  e  .sopra  T  opportuna  giacitura  del  medesimo 
durante  il  sonno.  Dopo  ciò  egli  fa  vedere  come  dal- 
lo storcimento  della  colonna  vertebrale  nasca  per 
neOessità  relevazione  o  depressione  delle  costole  e 
dello  sterno;  tocca  di  passaggio  le  deformità  dell' 
omero  e  della  pelvi,  e  viene  poi  a  parlare  di  quel- 
le delle  estremità  Inferiori.  Qui  descrive  minuta- 
mente le  strane  fogge,  nelle  quali  sono  talvolta  pie- 
gati o  rilevati  i  femori  e  le  tibie,  e  noi  slimiamo  inu- 
tile il  ripeterne  la  descrizione,  mentile  tali  diietti  di 
struttura  sono  notissimi  a  chiunque  abita  popolose 
città.  Quindi  con  la  testimonianza  di  Orazio  Plauto, 
Marziale  ed  altri  prova  che  i  medesimi  vizj  di  confor- 
mazione non  provenienti  da  esterne  ingiurie  si  osserva- 
vano in  antichi  tempi,  nei  quali  né  il  contagio  vajo- 
loso  e  sifilitico,  né  la  rachitide  deturpavano  Tuman 
genere.  Riferisce  ed  illustra  le  voci  stesse,  colle  qua- 
li i  nòstri  maggiori  dinotavano  gli  individui  deformi, 
la  parola  valgus  significante  un  uomo  si  orto  ,  va- 
ruy  storpio,  compernis  con  le  ginocchia  piegate  ad 
angolo  interno 4  paetus  di  piccìola  statura,  scaurus 
con  i  molleoli  prominenti.  Infine  per  mostrare  che 
le  deformità  proprie  di  ciascun  osso  possono  tutte 
concorrere  io  un  medesimo  individuo,  descrive  lo 
scheletro  mostruoso  di  un  uomo  di  34  anni,  così  na- 
to secondo  T  asserzione  della  madre  vivente  alfepo* 


EXERCItATIONES    t»ATtìOLOGICJE  33  t 

eia  della  di  lui  morte,  e  senza  che  le  ossa  fossero 
alleiate  da  tofi,  gomme,  esostosi,  o  veneree  pro- 
tuberanze. 

Art.  VII.  Della  mancati  za  dei  muscoli  gemel- 
li delle  gambe.  Che  in  una  macchina  Sanissima  man- 
chi talvolta  un  muscolo  ,  come  sarebbe  il  palmare 
della  mano  ,  il  plantare  della  gamba,  il  piramida- 
le dell'addome  ec.  non  è  cosa  ignota  agli  anatomi- 
ci ;  ma  il  trovarsi  mancanti  i  muscoli  gemelli  del- 
la gamba,  egli  è  un  latto  (dice  il  N.  A.  )  forse  nuo- 
vo neir  anatomia  patologica  .  Una  fanciulla  di  set- 
te anni  gli  offerse  per  la  prima  volta  questo  difet- 
to. Ella  camminando  velocemente  zoppicava,  e  so- 
vente cadeva,  quasi  che  la  gamba  sinistra  fosse  sta- 
ta inetta  a  sorreggere  il  Corpo  ;  piegava  l'apice  del 
piede  al  di  fuori  ;  avea  il  calcagno  più  grosso  e  ro- 
tondo del  destro,  e  camminando  premeva  con  que- 
sto il  suolo  ,  mentre  teneva  la  pianta  alquanto  da 
esso  elevate.  Là  gamba  sinistra  appianata  nel  luo- 
go del  polpaccio  ,  e  più  gracile  verso  la  giuntura 
del  piede,  manifestò  la  mancanza  dei  muscoli  gemel- 
li e  del  gran  tendine  di  Achille  ,  e  fece  compren- 
dere che  i  muscoli  flessori  con  la  loro  azione  con- 
traria cagionavano  il  descritto  disordine .  Dopo  co- 
testa  fanciulla  ebbe  occaisione  l'A.  di  vedere  un  con- 
tadino con  il  medesimo  diletto,  e  ne  riporta  il  ca- 
so: poi  ragionando  su  quanto  dice  Alfonso  Borelli 
di  coloro ,  i  quali  tentano  reggersi  e  camminare  sul 
calcagno  o  1'  apice  del  piede  ,  egli  rende  ragione 
del  passo  stentato  e  vacillante  de'  mentovati  indi- 
vidui . 

Art.  vili.  Dei  deserticoli  della  vescica  orinai 
ria  ,  e  intestino  ileo  .  Accenna  1'  A.  da -principio  la 
discrepanza  di  opinioni  dei  sommi  anatomici  Mor- 
gagni G  Sandifort  intorno  l' origine  di  coleste  mor- 


33^  Scienze 

bose  appendici;  ma  vi  ritorna  poi  di  proposito  in 
fine  deirar  icolo  dopo  avere  narrato  tre  casi,  il  pri^ 
nio  osservalo  da  Sassard  ,  gli  altri  da  lui  stesso  . 
Vide  pertanto  il  cliiruigo  francese  una  vescica  ori- 
naria  ,  la  quale  in  un  lato  del  fondo  avea  le  fibre 
muscolari  separate,  e  tra  queste  insinuandosi  le  in- 
terne membrane  aveano  formata  una  dilatazione  co- 
me un  uo'  o  di  gallo  d  India  .  JNulla  di  estraneo 
trovossi  in  questa,  né  tampoco  entro  la  cavità  del- 
ia vescica  ;  per  lo  che  suppose  il  lod.  cerusico  che 
queir  individuo  andasse  soggetto  alf  iscuria ,  e -che 
l'orina  ritenuta  avesse  sfiancato  a  quel  modo  la  pa- 
ret(^  più  debole  del  licettacolo  membranoso  .  LA. 
poi  preparando  gli  organi  orinarj  per  una  pubblica 
dimostrazione  ,  e  avendo  gonfiato  di  aria  la  vesci- 
ca, ha  veduto  m  essa  molte  bolle,  una  maggiore  sul 
fondo  nel  luogo  propriamente  dell'  uraco  ,  una  nel- 
la parte  laterale  destra  ,  e  le  altre  nella  posteriore- 
La  maggior  bolla  era  guernita  di  fibre  muscolari  , 
come  anche  alcune  altre,  e  v'erano  di  quelle  del 
tutto  sguernite;  è  poi  da  notarsi  che  i  li  lamenti  mu- 
scolari nel  luogo  di  comunicazione  con  la  caviti 
della  vescica  erano  tra  loro  stretti  e  disposti  quasi 
a  foggia  di  sfintere  .  Oltre  queste  bolle  più  rileva- 
te ,  molte  altre  cellette  si  osservavano  spaise  nel- 
le pareti  della  vescica  ,  ma  non  visibili  ali  ester-» 
no;  e  grossi  oltre  1  ordinario  si  oss('rva>ano  i  fa- 
scetti  muscolari:  nulla  intanto  si  rinvenne  di  estra- 
neo. Similm  nte  il  N.  A.  apiendo  il  cadavere  di  uri 
vecchio  vi  ha  trovato  una  vescica  orinarla  di  pic- 
ciola  mole,  di  forma  conica  ,  e  munita  nel  fondo 
Idi  un  sacchetto  ,  il  quale  sembrava  sorgere  dalla 
radice  delf  uraco  ,  poiché  le  libre  carnose  che  at- 
torniano la  radice  cava  di  questo,  cangiate  in  tcn- 
dinose  dappertutto   lo    rivestivano .  Altri  sacchcUi 


EXERCITATIONES    PATHOLOGICjE  333 

niiiiori  apparivano   nella   parte  laterale  e  posteriore 
della  vescica  ,  tutti  internati  tra  le  fibre  carnose  che 
erano  rilevatissime;   e  poi  miravansi  pareccliie  cel- 
ette  non  .-Itrppassanti   Io  strato  muscoloso,  e  quel- 
e  in  vicinanza  del  collo  contenevano  calcoletti  del- 
ia  grossezza  di  una  linea  . 
^      Quanto  ai  diverticoli  delle  intestina,  osservali 
già  e  descritti  da  Littre,  Morgagni,  e  Van  Doeveren 
li    nostro  A.  narra  che   notomizzando    un    fanciullo 
di  6  mesi,  ernioso  in  ambi  i  lati,  ha  trovato  il  pe- 
ritonèo con  due  larghe  aperture  verso  la    cavità  ad. 
dominale;    e  per    quella    sinistra   scendeva    un' ap- 
pendice dell   intestino  ilao  formata  dalle  medesime 
di   lui    fibre    obliquamente    prolungate,   lunga   circa 
4  pollici,   terminante    in  forma  oiivare,  e  fermata 
da  una    produzione  del  peritonèo .   Sulla   quale   os- 
servazione egli  fondandosi   giudica  che  le  appendici ' 
intestinali    tuori    del   naturale   sono   tutte  connate, 
mentre   non  è  supponibile  che  le  fecce  accumulate 
1  vermi,    o  altro  corpo    qualunque  possa   ledere    in 
modo  una  parte  delle  intestina  da  dare  origine  ad  una 
appendice  costrutta  come  Tintestino  medesimo.  Pensa 
m    egua    modo  riguardo  alle  ernie  delia  vescica  ori- 
nana ,  che  SI  trovano  nell'alto  fondo  ,  d  onde  nasce 
1  uraco  ;    e  solo  riguardo  a  quelle  che  si  scontano 
nel    corpo    e  nei  lati   della    vescica,  non  abbastanza 
coperti  dai  peritonèo,  ammette  che  provengano  dalle 
interne  membrane  più    ampie   dello    strato  musco- 
lare distese  da   soverchio  liquido ,  o  premute  da  un 
solido,   o  in  altra  guisa   sospinte,  e  così    ravvicina 
le  discordanti  opinioni  di   Morgagni    e  Sandifort  da 
principio  accennate. 

Art.  IX.  Del/e  ostruzioni.  Con  questa  voce  vuol 
esprimere  A.  l'ingrandimento  di  un  viscere,  o  di 
una  gianduia  ,  sia  per  esuberante  nutrizione,  sia  per 


334  Se   I   E  N  Z  E 

il.  ristagno  di  un  umore  qualunque,  sia  per  la  de- 
posizione di  una  materia  eterogenea  ,  o  finalmente 
per  essersi  f^ttja  dura  e  carnosa.  Egli  parla  in  pri- 
mo luogo  àeìV  iciroglosso  ,  e  d^  la  storia  di  un  fanciul- 
lo di  2  mesi  avente  una  ramila ,  la  cn\  sostanza  re- 
ticolata era  composta  di  grosse  fibre  biancastre  , 
contenenti  molte  piccole  caverne;  essa  prolungava- 
si  inferiormente  sotto  la  membrana  del  palato,  ed 
ivi  unita  ad  un  poco  di  linfa  stagnante  ergendosi  so- 
spingeva in  alto  r  apice  della  lingua  :  la  gianduia 
sottolinguale  sinistra  era  voluminosa  ,  ed  avea  gli 
acini  poco  coerenti  per  essere  rilassata  la  cellulare 
interposta  .  Poi  viene  a  parlare  del  b roncacele  ,  e 
narra  che  in  un  feto  estratto  dall'  utero  per  i  piedi 
era  formato  dalla  gianduia  tiroidea  gonfia,  e  che  in 
entrambi  i  suoi  lobi  racchiudeva  una  materia  stena- 
tomatosa  :  che  in  un  altro  feto  di  G  mesi  con  la 
stessa  malattia  era  la  tiroidea  estesa  ai  lati  del  col- 
lo ,  dura ,  incompressibile,  di  colore  epatico  ,  e  di 
tessitura  carnosa:  che  in  ultimo  in  un  terzo  fanciul- 
lo parimente  nato  col  broncocele,  la  tiroidea  nulla 
conteneva  di  estraneo,  ma  presentava  un  soverchio 
ingrandimento  e  afflusso  di  umori ,  mentr  era  ros- 
sastra ,  gonfia  di  sangue,  provvista  di  moltissimi 
vasellini  ,  e  divisa  in  quattro  lobi  discendeva  ai  la- 
ti della  trachea .  Riguardo  alla  gianduia  timo  rac- 
conta di  averla  veduta  in  un  ragazzo  di  due  -anni 
bianca  ,  indurata ,  estesa  sopra  i  vicini  vasi ,  e  co- 
me composta  da  tanti  scirri:  le  glandule  bronchiali 
ancora  appartenenti  al  destrp  polmone  gli  parvero 
ostruite  .  Delibi  milza  ci  riferisce  di  averla  osserva- 
ta in  una  fanciulla  bimestre  lunga  sette  dita  tra- 
sverse, di  buon  colore  ,  della  consistenza  del  fega- 
to ,  in  veruna  parte  ostrutta  ,  di  ipaniera  che  egli 
giudica  aver  conseguito  cotesto  accrescimento  per  so*^ 


EXERCITATIOK-ES    PATHOLOGIC.E  335 

la  ridondante  assimilazione  .  Parla  infine  delle  scro- 
fole^ e  qui  il  soggetto  della  storia  è  una  fanciullai 
di  3  anni  morta  di  atrofia  ,  il  cui  cadavere  n  offer- 
se una  congerie  numerosissima  ;  imperocché  erano 
indurate  le  glandule  del  collo,  le  ascelleri,  il  timo, 
e  le  glandule  della  pelvi  ;  tubercoli  bianchi  e  dì 
Tarla  grandezza  si  osservavano  nel  polmone  ,  dia- 
framma ,  fegato,  milza  ,  e  mesenterio;  ve  n'  erano 
ancora  lungo  la  spina  dorsale  sotto  la  veha  cava  , 
e  in  numero  grandissimo  risaltavano  sopra  1  ester- 
na superfizie  delle  intestina  ;  tagliati  per  il  mezzo 
mostravansi  bianchissimi ,  e  come  ripieni  di  sevo 
addensato  . 

Art.  X.  Delle  ernie.  Volendo  FA.  parlare  del- 
le ernie  connate,  premette  che  nel  feto  immaturo  so- 
no collocati  i  testicoli  nella  cavità  dell'  addome  in 
vicinanza  dei  reni,  e  stanno  sopra  una  vagina  cilin- 
drica proveniente  dal  peritonèo  ;  che  questa  pro- 
duzione peritoneale  scende  poco  a  poco  nello  scroto 
con  il  testicolo,  in  modo  che  questi  rimane  al  di- 
fuori, come  gli  altri  visceri  del  ventre,  e  n'  ò  al 
tempo  stesso  rivestito;  cheinfine  la  medesima  produ zio 
ne  costituisce  la  tonaca  vaginale  dello  scroto ,  la  quale 
se  per  avventura  rimane  aperta  dopo  la  discesa  del  te- 
sticolo, può  dare  adito  al  tubo  intestinale,  e  cagiona- 
re r  ernia  connata  .  Premesse  queste  nozioni,  viene 
a  parlare  AqW  enterocele^  ed  espone  che  in  un'  lanciul-- 
lo  dì  IO  mesi  morto  di  febbre  trovò  appunto  aperta 
la  tonaca  vaginale  nel  lato  destro ,  ed  essa  riceveva 
la  massa  intestinale  composta  di  un  ansa  delf  ileo , 
da  tutto  il  cieco  con  la  sua  appendice ,  e  da  una 
parte  del  colon  :  il  testicolo  era  posto  in  situazione 
inversa  ;  con  una  faccia  giaceva  nel  fondo  della 
vaginale,  con  T  altra  era  rivolto  all'  ileo  ed  alla  op- 
pendice   vermiforme,  cui  era    legato  mediante   un 


336  Scienze 

tenue  legamento  lungo  nove  linee  circa  nato  dal 
peritonèo .  Nota  altre  particolarità  riguardo  al  testi- 
colo ,  e  al  rene  del  Iato  opposto ,  nella  cui  pelvi 
e  uretere  trovò  varie  calcolose  concrezioni  ;  e  quindi 
passa  all'  om/alocele^  premettendo  che  il  peritonèo 
dà  eziandio  una  produzione  ali  ombelico  ,  la  qua- 
le a  differenza  di  quelle  inguinali  è  spinta  indentro 
a  norma  che  il  feto  va  avvicinandosi  alla  maturi- 
tà ,  che  i  muscoli  con  i  tegumenti  vanno  a  forma- 
re e  compiere  la  cavità  addominale  :  che  se  per 
difetto  di  natura  essi  mancano  ,  o  non  si  stringo- 
no in  modo  da  cuoprire  ,  e  chiudere  Y  ombelico  , 
allora  è  che  ha  luogo  più  facilmente  Vernia  ombe- 
licale connata  .  Divide  tali  ernie  in  quelle  che  so- 
no rivestite  dalla  pelle  e  dai  muscoli  ,  e  in  quel- 
le altre  che  ne  sono  prive,  e  dice  esser  queste  mol- 
to più  rare  delle  prime:  ciò  non  pertanto  egli  ne  ad- 
duce varj  esempj  proprj  ed  altrui ,  tra  i  quali  noi 
scegliamo  il  seguente  .  Una  prirqppara  diede  alla  lu- 
ce il  feto  ,  cui  nel  destro  lato  delladdome  sporge- 
va un'ampia  borsa,  o  tumor  molle:  erano  ivi  man- 
canti i  muscoli  e  la  pelle ,  la  quale  assottigliata 
aderiva  con  i  suoi  lembi  al  peritonèo ,  e  questi  for- 
mava il  mentovato  tumore.  Stanziavano  in  esso  pres- 
soché tutti  i  visceri  del  ventre,  lo  stomaco  ,  le  in- 
testina ,  eccettuato  il  retto  ,  il  mesenterio  ,  il  fe- 
gato ,  la  milza  ,  la  Cassola  renale  destra  ,  e  il  te- 
sticolo destro    con  la  sua    vagina  . 

Art.  XI.  Scirro  del  cervello  .  Non  può  dirsi  a 
rigore  esser  questa  malattia  congenita;  ma  essendo 
rarissima,  dee  bensì  giudicarsi  degaa  di  essere  cono- 
sciuta .  È  perciò  che  il  N.  A.  ne  riporta  due  ca- 
si, de'  quali  il  primo  è  il  seguente  .  Fu  esposto  un 
fanciullo  di  un  anno  avente  un  biglietto,  nel  quale  si 
j^nnunciava il  suo  mal  di  capo:  egli  trasse  per  qual- 


£XERC^TATJ0^'ES     PATHOLOaiCX  33  7 

che  tempo  una  vita  torpida;  e  poi  previa  la  stupi- 
dità ,  lipotimìa  ,  e  vomito  cessò  improvvisamente 
di  vivere  •  Aperto  il  cranio  ,  la  dura  madre  aderi- 
va al  parietale  sinistro  più  fortemente  di  quel  che 
suole  nei  fanciulli  ,  ed  avea  sotto  di  se  non  poca 
linfa  gelatinosa  :  i  lobi  anteriori  del  cervello  erano 
sani  ;  il  medio  sinistro,  rigonfio  di  acqua  e  diaf;mo, 
presentava  un  ammasso  d' idatidi  :  entrambi  i  lobi 
posteriori  erano  scirrosi  e  duri  al  punto  ,  che  il 
midollo  poteva  risolversi  in  filamenta ,  anzi  da  que- 
sto poteva  con  tutta  facilità  separarsi  la  parte  cor- 
tinaie  ,  e  ne  scaturiva  intanto  una  sanie  abbondan- 
te, mista  ad  un  tritume  di  sostanza  granellosa  :  la 
durezza  medesima  sentivasi  in  qualche  parte  dei 
ventricoli  laterali .  Del  resto  niuna  porzione  del  cer- 
velletto appariva  offesa  ,  né,  a  detta  dell' A.,  appari- 
vano segni  d'  infiammazione  (a)  :  il  pancreas  ,  le 
glandule  soprarrenali  e  meseraiche  erano  dure  ,  il 
corpo  estremamente  estenuato.  Il  secondo  caso  spet- 
ta ad  una  giovanetta  di  i3  anni,  ornata  di  emi- 
nenti doti  di  animo  e  di  corpo  ,  1%  quale  si  diede 
ad  una  profonda  tristezza  dopo  la  morte  di  suo  pa- 
dre :  quindi  incominciò  a  querelarsi  di  dolore  nel- 
la parte  anteriore  del  capo  con  vomito  e  sciogli- 
mento di  ventre  ,  e  poco  a  poco  perdette  il  vigo- 
re del  corpo  e  le  facoltà  dell  animo.  In  ultimo  viep- 
piij  aggravata  dal  mal  di  capo ,  dimentica  di  tutte 
le  cose ,  immersa  in  continuo  silenzio  ,  con  debo- 


(a)  Quanto  a  noi  la  presenza  del  siero  gelatinoso  sopra  i  visce- 
ri è  ttu  indizio  certo  di  precedente  infiammazione.  Laonde  non  poS-- 
siamo  convenire  col  eh.  autore  che  in  questo  caso  maturassero  se- 
gni di  fiogosi;  anzi  osiamo  asserire  che  la  descritta  alterazione  or- 
giinica  ne  fosse  il  prodotto. 

G,A.T.IX.  22 


338  Scienze 

le  udito,  e  più  debole  vista  ,  perì.  Tolto  il  cranio, 
e  tagliata  la  dura  madre  ,  apparve  il  cervello  più 
duro  dell'  ordinario  :  nei  ventricoli  laterali  legger- 
mente infiammati  ristagnaTa  moltissima  linfa:  T  in- 
ferior  parte  de'talami  ottici  in  vicinanza  della  gian- 
duia pituitaria  era  dura  e  scirrosa,  in  particolare 
a  sinistra  osservavasi  di  color  cenericcio ,  corrot- 
ta ,  e  facilmente  separabile  dalla  contigua  midolla: 
ai  lati  della  sella  equina  varie  strisce  gelatinoso-pu- 
rulente  avvolgevano  i  nervi  ottici,  e  quelli  del  ter- 
zo e  quarto  pajo  ,  e  la  dura  madre  addetta  alla  mi- 
dolla allungata  ^ra  distesa  da  copioso  umore. 
(  Sarà  continuato  ) 


Memoria  del  conte  Giuseppe  Mamiani  di  Pesaro 
sulla  vita  e  gli  scritti  di  G.  Ubaldo  del  Monte, 
matematico  del  secolo  decimosesto. 


G> 


"nido  Ubaldo  del  Monte  nacque  da  una  delle  più 
cospicue  famiglie  d'  Italia.  Anzi,  secondo  il  Baldi 
(i),  convien  credere  eh'  ella  discenda  dalla  regia 
casa  di  Borbone:  e  l'Atanagi  dà  i  più  minuti  det- 
tagli sulla  di  lei  origine  particolare  (2)  .  Dice  egli 
in  fatti,  che  Raniero  del  Monte  figlio  di  Girolamo 
e  d'  Ipolita  Sforza  de'  conti  di  santa  Fiora,  vedova 
di  Federico  Farnese,  fu  il  primo  che  da  Perugia  si 
l'ecasse  in  Pesaro  :   che   fu  padre  del  gran  G.  Ubal- 


(1)  Cronica  di  matematici.  Anno  1696.  Ediz.  Urbin.  del  1707. 
pel  Monticelli, 

(2)  Lettere  .  lib.  I.  Venezia  1682  (  nella    dedicatoria    dei    28. 
piarzo  i66i.  scritta  a  Raniero  del  Monte.) 


Memorie  ci  G.  U.  del  Monte  33g 

do  e  del  card.  Fraocesco  Maria:  che  nel  ìS-^ì  dal 
ìluc^  G.  Ubaldo  secondo  di  Urbino  fu  investito  di 
l^lonte  Baroccio,  e  nel  i547  ^"  ^^^^^  nobile  romano, 
capp  delle  lapcie  spezzate  del  duca  medesimo,  e  ge- 
nerale delle  battaglie  del  suo  stato,  non  che  gover- 
natore della  città  di  Pesaro.  Egli,  secondo  l'Alme- 
Xici  (i)  (  che  si  riporta  a  un  foglio  di  memorie  dei 
siguori  del  Monte),  nell'  anno  i544  ebbe  dal  du- 
ca per  isposa  una  lìglia  del  cav.  Pianqso,  che  poi 
nel  1545  agli  1 1  di  gennajo  glj,  partorì  Gujdo  Ubal- 
do, ed  altri  figli  in  appresso. 

Vedesi  dal  fin  qui  detto,  i  °  che  la  famiglia  di 
G.  Ubaldo  esser  non  può  confusa  con  quella  dei 
duchi  della  Rovere  ,  conae  anni  sono  a^ardarono 
di  asserire  alcuni  oltyaniofitani  ,  se  pure  non  diede 
loro  occasione  la  somiglianza  del  nome,  e  la  paren- 
tela in  seguitp  ayut^  dal  duca  Guid  TJbaldoIl,  che  gli 
die  per  moglie  una  sua  figlia  Felice  (2)  ;  2°  che 
non  deyesi  attendere  il  ]\IonlucIa  (3)  quando  assicu- 
jra  essere  sconosciuto  ì\  teippo  della  di  lui  nasci- 
ta^y  e  quello  della  di  lui  morte,  citando  Bernardino 
iPaldi  nelle  sue  croniche:  mentre  questi  non  ne  par- 
1^  né  pHplQ  né  ppcq ,  indicando  solamente  gli  anni 
^ronolpgici  de  maternatici,  ovvero  Y  epoca  del  lor 
fiorare  pel  jnondo.  Errò  adunque  il  medesimo  Ti- 
;rabosc|ii  phe  in  tal  sentimento  si  unisce  al  citalo 
I^lpntucla  (4);  giacche  se  egli  stesso  ci  fissa  pel  tem- 


(1)  Spogli  esistenti   «ella   biblioteca  Oliveriana  ,   siiuarcio  C    B. 
carte  2.  8. 

(2)  Idem. 

(5)  Histoire  dcs  mattcmatiiivies  T.L  pag.  690  .   Edit.  Paris  Ajmo  VII 
e  precisaiii:  alla  pag.  709. 

(4)  Storia  etc.  T.VII.  parte  I.  l^b,  II-  cap.  2.  §•  0$. 

22*     ' 


340  S  e  ì  E  A'  Z  t 

pò  della  sua  morte  il  principio  del  secolo    XVII, 
e  r  anno  prima  del  1608,  lochè  si  accorda  con  quan- 
to ne  dice  lAlmerÌGi  (i),  si  è  parimente  veduta  da 
questo  assegnata  V  epoca  felice  del  di  lui  nascimen- 
to air  anno    i545.  Prese  abbaglio    perciò  il  Bossut 
se  il  fece  nascere  nel  i553,  e  morire  nel  1G17.  (2) 
Non  si  tralascerà  di  dire,  che  l'illustre  suo  ge- 
nitore fu  pure  dotto  e  versato  nelle  figure  sublimi , 
e  eh  ei  diede  alla  luce  due  libri  d'  archittettura  mi- 
litare, e  tre  libri  d'  astrologia,  come  avverte  il  San- 
tini ne'  suoi  eruditissimi  elogi  dei  matematici    del 
Piceno  (3).  Sotto  i  prosperi  auspicj  di  un  valente 
procuratole,  e  di  un  padre  secondo  tanto  degno  quan- 
to fu  G.  Ubaldo    II  della    Rovere  ,    cominciò   egli 
a  servire  il  principe  Francesco  Maria ,  con  cui  fa- 
migliarmente  convisse,  e  si  erudì  sotto  la  scorta  dei 
celebri  ingegni  Lodovico  Corrado  ,  Paolo  Minuccia, 
e  fra  Costanzo  Porta.  Andò  d'anni  19   allo  studio 
di  filosoiia  in  Padova,  ove  applicossi  alle  matemati- 
che,  ed    in  patria  tornato   le  coltivò  sotto  il  grande 
Federico   Cau.andino  in   compagnia  di  molti  altri, 
e  specialmente  di  Torquato  Tasso  (4)-  Conversò  co' 
più   dotti  uomini  di  quel  tempo,  quali  furono  Cesa- 
re Benedetti  vescovo  di  Pesaro ,  Federico  Bonaven- 
tura da    Uibino  ,    Bernardino   Baldi  abate  di   Gua- 
stalla ,    Pier    Matteo   Giordani    da  Pesaro  ,  Galileo 
Galilei.  Andò  in  Ungheria  col  Fregoso,  e  contro  il 


(1)  Loc.   cit. 

(2)  Saggio  sulla  storia  generale  delle  matematiche.  Ediz.  pri- 
ma itàlica  con  aggiunte  di  G.  Fontana.  Milano  1802.  T.  2.  pap. 
ultima 

(3)  Ediz.  Mac«rat.  Anno  1779. 

(4)  Serassi.  Vita  del  Tasso,  pag.  90. 


Memorie  di  G.  U.  del  Monte  34 1 

Turco  col  principe  Francesco  Maria  ;  ma  inferma- 
tosi a  Messina  non  intervenne  alla  battaglia  de* 
Gurzolari  .  Fu  poi  nell'  anno  i588  fatto  visitator 
generale  di  tutte  le  città  e  fortezze  del  gran  diica  di 
Toscana  ,  e  yisitolle  di  fatti  in  compagnia  di  Do- 
nato deir  Autella  commissario  generale  in  quello 
stato:  lo  che  prova  che  a  questo  ramo  di  matema- 
tiche applicazioni  pure  attendeva  ,  sebbene  non  ab- 
biamo di  lui  opera  alcuna  che  cel  dimostri  .  Ed 
ecco  che  oscurissimo  non  visse,  come  pretendevano 
il  Tiraboschi  (i)  ed  il  Montucla  (2)  ;  e  però  non 
prima  di  questo  tempo  sarassi  ritirato  nel  feudo  di 
Monte  Baroccio  per  meditare  vie  meglio  e  seguire 
la  scientifica  sua  carriera,  come  da  loro  si  opina. 
Morì  il  dì  9  gennajo  dell'anno  iCioy,  e  fu  sepolto 
nella  chiesa  delle  monache  di  s.  Cliiara  in  Pesaro, 
dove  leggevasi  una  iscrizione  mortuaria,  della  qua- 
le a'  tempi  nostri  non  resta  che  la  copia  da  me 
trovata  nella  biblioteca  Oliveriana  di  Pesaro  ,  cui 
le  ingiurie  del  tempo  non  rispettarono  ;  sebbene 
da  una  altra  parte  fossero  men  crudeli  verso  un  suo 
ritratto  eh'  esiste  nella  sud.  biblioteca  ,  e  che  è  di- 
pinto sicuramente  dalla  celebre  mano  dell' urbinate 
Barocci.  Vedesi  ìnnoltre  dall'  albero  genealogico  di 
sua  famiglia  esistente  nelle  Memorie  OUveriane  ^  che; 
r  ultimo  di  sua  prosapia  Raniero  sposò  Giovanna 
de'  conti  di  Montelabate  ,  e  venne  a  mancare  nclP 
stnno    i644-  (3) 

Le  di  lui  opere  coi  proprj  titoli  sono. 
I  .^  Mechanicorum  liber  dicatus  ah  auctare  Fraii-' 


(1)  Loco  citato 

(2)  Loco  citato. 

(3)  Tutto  ncir  Abnevici,  spogli  sninJicati. 


34^  S  e  I  r  N  z  E  '■ 

cisco  Marine  II  urhinatum  amplissimo  duci  .  Pisa- 
uri  apiid  Concòrd.  1677  (  in  fog.  )  .  Fu  il  tne- 
desimo  tradotto  ed  atinotato  dal  Pigàfetta  ,  dedh- 
cato  air  illustrissimo  sig.  Giulio  Savoi'grlano  ,  e  staiii- 
pato  in  Venezia  presso  Francesco  de'  Franceschi  sene- 
se nel  i58i  in  quarto  ,  e  presso  Evangelista  Deu- 
chino  nel   i6r5. 

3,**  G.  ribaldi  e  mnrcìiionihus  Montis  ,  plani- 
spheriorwn  wiiversalium  theoria.  Pisduri  apud  Coti- 
cord  >.  1679   (in   4="  )•  ^'^  or 

3**  De  ecclesiàstici  kalendarii  resfitiitiohe  t  Pi- 
iaur.  i58oi 

4°  I?i  duos  Archimedis  ecjuiponderantiurtì  li- 
hros    paraphrasis.    Pisaur.    apiid    Concord.    i588. 

in  4**  • 

5°  PerspectivK  Uh.  VI.  Pisauri  apud  Con^ 
cord.  1600.  in   fol:*. 

6°  Prohlemafiim  astronomicorum  Uh.  VII  etc. 
Veiictiis  apud  Bernardinum  Tantum  ,  et  Jo.  Bapt. 
Ciottum   1G09  in  fol.** 

7**  De  cochlealib.  IV.  Venetiis apud Evang.  Deu^ 
chinuni    iGrS  . 

Le  quali  opere  vengono  citate  anche  dal  San- 
tini e  sono  in  maggior  parte  esistenti  nelle  varie 
biblioteche  di  Pesaro .  Debbonsi  aggiungere  due  ma- 
noscritti in  foglio  appartenenti  alla  famiglia  Gior- 
dani, che  portano  in   fronte  queste    parole  . 

i"*  G.  Uhaldi  etc.  In  quintuni  Euclidis  elemen- 
torunì   libriifn  commentanus  . 

"a°  G.  Ubaldi  etc.  De  proportione  composita  . 
Opusc. 

Di  queste  le  più  comuni  sono  i  libri  delle 
mncaniche  ,  quelli  della  vite  d'  Archimede  ,  e  della 
prospettiva  :,  opere  ìniatti  degne  d'  un  più  serio  ri- 


Memorie  dì  G.  Ù.  del  Monte  3^3 

guardo  è  per  grandi  citate  dal  Montucla  (i)  ^  dal 
JBossut  (a)  ,  dal  Tiraboschi  (3)  ^  dall'  Andres  (4) 
da  Millet  de  Chalés  (5),  dal  Durantini  (6),  dal 
Baldi  (7)  ,  e  dà  tanti  altt"i  che  troppo  tedio  sarebbe  il 
riferire  . 

Riguardo  ai  matemateci  che  lo  precedettero  * 
i  primi  elementari  insegnamenti  d'  Euclide  ,  d'  Ar- 
chimede ,  d'  Apollonio  ;  le  opere  quanto  estese  al-i 
trettaiito  implicate  d' Ipparctì  e  di  Toloxnmeo  i  quel- 
le di  EudoSso  ,  Eratostene  ,  Possìdonio  ,  Anassi- 
mandro ili  parte  lasciate  dalla  mano  del  tempo  ,  q 
in  parte  confuSanlente  raccolte  e  tramandate  da, 
quella  de'  posteri  ,  erano  i  Soli  matematici  lumi 
é  gli  esemplari  più  scelti  per  i  dotti  di  allora  . 
Le  fatiche  di  un  Leonardo  da  Pisa  ,  d'  un  Gior- 
dano Flemorìano  ,  di  Purbach  ,  Regiomontano  , 
Walter  ,  è  Cardano  che  a  lui  furotì  d'  appresso  , 
per  quanto  in  sé  stesse  grandi  è  serti^re  degne  di 
onorevole  menzione,  erano  però  frutto  de' secoli  » 
meno  dotti  ,  parto  de'  tempi  i  piij  infelici  ,  e  se-^ 
quela  inevitabile  di  male  intesi  prirtcipj  .  Glavio  e 
Tartaglia,  che  fra  i  matematici  di  quel  tempo  ebber 
fama  d'  illustri  ,  quanto  agli  òcchi  imparziali  e  dì 
queste  cose  veggenti  appajano  non  solo  mancanti  -^ 
ma  talvolta  inesatti ,  ognuno  giudicar  lo  saprebbe . 
Avventasi  inoltre,  che  i  di  loro  scritti  furono  con- 


T^t 


(i)  Loc.  cit.  pag4  690.  e  70^ 

(2)  ìiOc.  cit. 

(3)  Loc.  cit. 

(4)  T.  10.  pag.  320. 

(5)  Curs.  Mathemat.  (  in  tract.  proeminm  ) 

(6)  De  Historià  libri  tres  (  Lib    2.  cap   14.  pag.  73}  . 

(7)  Croniche  loc,  cit- 


544  '  Scienze 

temporaneamente  a  quelli  di  G.  Ubaldo  prodotti  al- 
la luce  ;  e  che  di  molti  e  molti  ancora  non    avrà 
avuto  contezza  quella  mente  sublime,  che  pur  gran- 
de in    se  stessa  ,  di    gran  mezzi    avea  d'  uopo   per 
lo  scientifico  perfezionamento  .  Federico  Comandino 
suo   precettore    era   fra    gli   altri    matematici  d'  al- 
lora stimato  moltissimo  ,  ed   è  perciò  eh'  ebbe  po- 
sto fra  i  Muzi  Giustini  ,  gli  Antoni   Galli  ,  i   Ber- 
nardi Capelli ,  i  Pietri  Bonaventura ,  i  Dionigi  Ata^- 
nagi    uomini  chiari   di   quel  secolo  ,  ed   ornamenti 
ben   degni  della   corte  di    Urbino  .  Tuttavia    il  Co- 
mandino limitossi  a  molte  per  verità  dottissime  tra- 
duzioni dei    matematici   greci  ,  quali  furono  quelle 
di    Apollonio   ,   Archimede  ,  Sereno  ,  Pappo  ,  £u- 
torio  ,  Aristarco  ,  Euclide  ,    Erone  Alessandrino  e 
Tolomeo  .  Che    se    stare  vogliamo   al   detto  ancora 
di  un   suo  contemporaneo  amico   e  discepolo.  Ber- 
nardino Baldi,  egli    nelle    sue  croniche   (i)  ci    ri- 
ferisce  che  del    Comandino,  ol're    alle  prefate   tra- 
duzioni, non  abbiamo  del  suo ,  che  il  libto  del  cew 
tro    della   gravità  dei    solidi  ;  opera  da   essere  pa-- 
ragonata   a  quella    delle  più    nobili   degli    antichi  . 
E    di    Leonardo   da    Vinci  che,    come    asserisce    il 
Venturi    nelle  aggiunte    al    2'   tomo    del    Montucla 
(  vedi  r  Essai   sur  les  ouvrages    phisico-mathema- 
tiques   de  Léonard    de  Vinci)   (2),  ragionò  in  me- 
canica   secondo   i    veri    principj    sui    rapporti    delle 
forze   e   dei  pesi  applicati    obliquamente  alle  brac- 
cia  d'  una  leva  ,  sui    piani  inclinati,  e  sul  movi- 
mento dei  pendoli  ;  noi  sappiamo  con  sicurezza  che 
le  più  belle  idee  matematiche  sono  state  sepolte  per 


(i)  pag.  i38.  an.  i5;5. 
(2)  Paris.  Ali.  V.  ?ti   1797. 


Memorie  di  G.  U.  del  Monte  3^5 

Tarj  secoli  ne'  suoi  manoscritti  ,  e  che  però  niun 
soccorso  hanno  potuto  sommiaistrare  al  lodato  dei 
Monte  . 

E  volendo  subito  favellare  delle  cose  inedite  , 
la  prima  è  un  opuscolo  in  foglio  di  55  pagine  scrit- 
te dall  autore  medesimo,  (  come  si  rileva  dal  con- 
fronto latto  con  alcune  sue  lettere  esistenti  nella  bi- 
blioteca oliveriana  ,  )  e  eoi  quale  intende  di  diluci- 
dare il  quinto  libro  di  Euclide,che  egli  stima  l'ottimo 
sempre  fra  gli  scrittori  di  queste  materie,  e  nel  quinto 
il  predica  prestantissimo  per  la  chiarezza  e  distinzione 
degli  oggetti;  onde  asserisce  che  questo  libro  è  fonda- 
mento di  tutta  la  geometria  elementare  ,  e^  clip  perciò 
si  prefigge  di  non  mutarne  l'ordine  ,  ma  solo  di  ce- 
mentarne i  passi  pii^i  importanti  —  iieque  secundum 
propriam  sententiam  Euclidem  facere^  intentia  no- 
stra est .  f^olumus  enim  ut  Euclides ,  Euclides  re^ 
maneat  —  (i)  E  perchè  i  comenti  di  Federico  Co- 
mandino erano  e  sono  tenuti  per  i  più  fedeli,  chia-, 
ri  ,  ed  ordinali  di  que' tempi,  così  quelli  si  propo-» 
ne  egli  di  seguire:  e  coi  medesimi  paragonerò  io  que- 
sto lavoro  meritevole  d'  ogni  elogio  .  11  Del-|VIpute 
adunque  volendo  scrivere  sugli  elementi  della  geo- 
metria scelse  il  libro  di  maggiore  importanza,  e  se- 
guì passo  passo  il  suo  maestro,  riconoscendo  in  lui 
pregi  non  comuni,  o  superiori  a  tutti  gli  altri  ^i 
quella  età  . 

Per  dare  poi  alla  scienza  qualche  cosa  di  nuo- 
vo, e  specialmente  per  istruirne  glindotti  ,  egli  di- 
lucida ed  amplifica  sul  principio  le  definizioni  dal- 
le quali  dice  restar  appianato  il  restante,  non  per- 
dendo mai  di  vista  l'ordine  e  la  connessione  delle 


(i^  Vedine  i'  introdaic.  «Ila  pagina  jpvima  . 


44^  S   è    f   E   N    Z  fe 

medesime  i,  che  veramente  si  trova  ammirabile  ed 
litilissiiiia.  Quindi  le  venti  dcfitiìzioni  d'Euclide  met- 
te in  chiaro  lume  :  e  dove  il  Comandino  non  ne 
coraenta  che  alcune  dì  volo  ed  altre  lascia  ine- 
splicate ,  G.  Ubaldo  si  fa  a  trattare  distintamente, 
e  Supplisce  in  ispecìal  modo  al  Comandino  per 
quello  che  spetta  la  ottava  e  la  nona  sull'analogia, 
o  simiglianza  di  ragioni  ;  la  duodecima  sulle  quan- 
tità oriiologhe;  la  diecinovesimà  sull'analogia  ordi- 
nata ;  e  la  ventesima  sulla  perturbata.  Io  non  ista- 
rò  qui  a  descrivere  1'  esattezza  con  cui  nota  la  ge- 
neralità delle  prime  defìniziohi,dove  Euclide  si  espri- 
me col  tèrmine  di  grandezza  pel*  applicarle  poi  a 
qualsivoglia  'genere  di  quantità  ^  la  necessità  di  cal- 
colare la  forza  delle  equìmoltiplici  ;  la  conoscenza 
esatta  della  proporzione,  vale  a  dire  il  mutuo  stato 
di  due  grandezze  dello  stesso  genere  :  e  perciò  che 
risguarda  la  quantità  ,  escluso  sempre  il  paragone 
dì  finito  a  infinito ,  il  modo  di  distinguere  quando 
quattro  grandezze  abbiano  la  stessa  ragione  ,  va- 
le a  dire  il  conoscere  che  còsa  sia  proporzione , 
quali  siano  le  gt-andezze  proporzionali,  quali  abbia- 
no fra  se  una  uguale  ,  maggiore  ,  o  minore  propor- 
zione ;  la  dettagliata  spiegazione  dell'  analogia  ;  Id 
necessità  di  tre  termini  per  costituirla,  la  forza  del- 
le permutazioni  ,  conversioni,  e  composizioni  .  Nel- 
le quali  materie  egli  raddoppia  gli  esempj,  fa  il  pa- 
ragone coi  tìulneri  ,  e  mostra  la  necessità  di  par- 
lar sempre  di  quantità  dello  stesso  genere,  non  ri- 
sparmiando di  osservare  come  Euclide  cotiservi  l'or- 
dine naturale  delle  cose  ,  quali  dati  egli  prenda  , 
ed  in  quài  luoghi  degli  altfi  libri  applichi  le  de- 
finizioni di  questo^  che  forma  la  scorta  e  l'appog- 
gio di  quelli  .  Che  se  paragonare  vogliamo  questi 
cementi    con  quelli    del  Comandino  ^  io   trovo  che 


Memorie  ih  G.  U.  del  Monte  44'^ 

G.  Ubaldo  oltre  ad  una  maggior  chiarez2i«  ed  esten- 
sione, iihièce  il  pregio  di  analizzare  sempre  lo  spi- 
rito dì  Euclide  ,  e  far  vedere  la  connessione  dei 
princjpj  da  lui  dimostrati;  metodo  utilissimo  ai 
giovani  e  necessario  a  tenersi  in  questo  libro.  e': 
Passando  ai  teoremi  ,  egli  he  dilucida  vetìtà^' 
cinque:  la  vedére  che  qucstisoli  ad  Euclide  àppar-- 
tengono  ,  noli  curandosi  delle  aggiunte  di  Apollo- 
nio e  di  Archimede,  collazionate  da  Pappo,  ^acr^ 
che  si  propose  di  nulla  accrescere  a  quanto  EugIì-^ 
de  avea  scritto.  Avverte  qui  elle  il  greco  autore 
mantiene  in  essi  V  ordine  osservato  nelle  definizio- 
ni, trattando  prirrta  sui  multipli  ed  equimultipli  y 
poscia  sulle  proporzioni,  e  in  fine  sui  loro  diversi 
stati  .  Palesa  la  distinzione  che  conviea  fare  ptìr  le 
quantità  appartenenti  a  generi  diversi  ,1' uso  della 
decimaquarta  proposizione  che  può  servir  di  lem- 
ma alla  decimasesta  e  decimaottava;  la  inutilità  di 
Una  particolar  menzione  latta  dal  Comandino  sul* 
la  decimanona,  riguardo  alle  ragioni  Sesquiterzie  , 
e  vesquialtere,  mentre  Euclide  la  fece  comurie  a  tul»- 
té;  Tintefpretazione  del —  (juae  binde  siiriimantilr  et 
in  endem  proportione  —  per  T  analogia  ofditiatai 
che,  come  si  riporta  nella  decimhrtoha  definizione^ 
sigUiGcat  che  ire  grandezze  con  cdtr'e  dello  stesso  nii-^ 
mero  siano  fi  a  loro  in  ordinata  analogia  ;  \  appli- 
cazione del  teorema  vigesimoprimo  comt^  lemma  del 
vigesinio  terzo  ;  la  necessità  in  cui  si  trovò  Eucli- 
de di  non  collocarle  il  vigesimoquarto  tra  il  deci- 
Uno  e  decimoquarto  teorema,  dove  l'avrebbe  ri- 
chiesto la  materia  ,  ma  bensì  ivi  dove  per  la  sua 
intelligenza  necessitava  la  dimostrazione  del  vigesi- 
raosecondó  ;  e  finalmente  la  chiarezza  ,  \  ordine,  la 
sublimità  deir  autore  ,  da  Cui  tutti  han  dovuto* 
ricevere  le  basi  dell'  elementat  geometria  ,  iuvoiuta 


348  Scienze 

da  prima  ,  cavillosa ,  specialmente  rispetto  alla  su- 
blime teoria  de'  rapporti  e  delle  proporzioni  . 

Gomentasi  dal  Comandino    il    n.*',    13.**,   i4.% 
i5.°,   i6.°,  30,°,  22.°,   23.°,  e  25.°    teorema,  lad- 
dove G.  Ubaldo  tutti  rischiara  ,  ma  più  diffusamente 
l'ottavo,  il  decimonono  e  ilvjgosimo  primo,  come  più 
interessanti  e  più  meritevoli  di  un'  anali(;i  partico- 
lare. Il  Comandino    varie    volte  si  limita    alla  so- 
la interpretazione   del   testo  greco  ,   e  alV  induzione 
dì  alcuni  corollarj,  mentre  G.  Ubaldo  curandosi  so- 
lo della  materia  ,  e  della  materia  trattata  da  Eucli- 
de,  la    sviluppa,    la  chiarisce,   e    non   manca  pur 
egli  di  trarne  le  opportune  conseguenze  ,  nelle  qua- 
li va  dietro  all'autore  e  fa  apprezzare  le  ascoste  veri- 
tà che  dalle  stesse  sue  dimostrazioni  ampiamente  ri- 
fluiscono. Ci  si   ammira  la  maggior  precisione  nel 
richiamare  in  margine  le  proposizioni   antecedenti, 
nel  mantenere  le    stesse   indicazioni  di  lettere  e  di 
numeri  dall'autore  adoperate,  e  più  di  tutto  la  mas- 
sima  premura  affinchè   il  giovane   conosca  lo    spi- 
rito   delle  proposizioni ,  riassumendone   opportunar 
mente   il   filo;   la    qual   cosa  omette  quasi  sempre  il 
Comandino,  ed   anche  allora  quando  il  soggetto  la 
chiederebbe  per  essere  o  complicalo  od  oscuro.   In 
somma  egli  è    questo    un  comento  ragionato  profi- 
cuo   e  non  comune,   che  in  faccia  ai  moltissimi  di 
que'  tempi,  porta   in  se  il  carattere  di  uno  scritto- 
re matematico  e  di  un  profondo  indagatore  delle  uti- 
li  verità;    questi  è  un   comento    che  se    fosse  sta- 
to esteso   agli   altri    libri   del   Megarcsc  ,    otterrebbe 
un'applauso  generale   dai  dotti,   darebbe   un'incre- 
dibile facilità  d'  intendere  questo  celebre  autore  :  e 
se  venisse  ora  pubblicato  ,  potrebbe   forse  gareggia- 
fe  con   qualche  opera  elementare   dei  moderni  .      < 
Ma   quanto  si   disse    circa  al  primo  opuscolo, 


Memorie  di  G.  XJ.  del  Monte  349 

altrettanto  dobbiam  ripetere  e  a  più  buon  dritto 
pel  secondo  ,  il  quale  tratta  della  proporzione  com- 
posta :  opuscolo  di  venti  pagine  e  del  carattere  del 
primo,  ma  in  varj  luoghi  corretto,  ed  ampliato  con 
delle  annotazioni  e  aggiunte  riportate  in  margine. 
Ognuno  conosce  di  quale  importanza  sia  nella  geo- 
metria elementare  la  proporzione  composta,  e  quan- 
to su  di  essa  abbiano  scritto  i  greci  e  i  latini  ma- 
tematici. E  però  un  soggetto  così  degno  non  volle 
trascurare  G.  Ubaldo  ,  ma  limitossi  a  trattarlo  per 
ciò  che  riguarda  il  senso  della  quinta  definizione 
del  sesto  libro  di  Euclide ,  della  vigesimaterza  pro- 
posizione del  medesimo .  —  Qui  quidem  sensus  ah 
omnibus  praestantissimis  mathematicis  eodem  modo 
acceptus  fuisse  videtur  (r)  — Di  lui  scopo  pertanto 
è  solo  il  dichiarare  cosa  intender  si  debba  per  pro- 
porzione composta,  e  come  la  definizione  sopraddet- 
ta del  sesto  libro  di  Euclide  servir  debba  alla  ri- 
gorosa dimostrazipne  della  vigesimaterza  proposi- 
zione . 

(  Sarà  cpntinunta  ) 


^1)  Pagina  piFima-  .^  ..  .    . 


Sopra  atmm  esperienze  eletpricJ^e^  lettera  del  prof  es- 
■ .,  s.or,  Sayeiiu  Borlocci  ,  r//  chiwis^imQ  sigilo r  pro- 
fessor £l(im/2nico  Morichini . 


N. 


el  giornale  di  fisica  di  Parigi  del  sig.  Blainvil- 
le  fu  inserito  ^pl  mesp  di  maggio  deiranno  scorso 
r  articolo  di  upa  lettera  del  professor  Moli,  mem- 
3)ro  deir  istituto  dei  Paesirii^ssi,  dire|;ta  al  j;e£l^ttore, 
in  cui  si  4à  conto  di  qn  e^pprip]ent0  elettrico,  che 
a  parer  dell'autore  sembra  d^^id^^f^  h  que!>]tione  dì 
Bufaj^  e  di  Franklin  s.qilla  eleitfvJcit^  .  Voi  m'in- 
vitaste a  ripeterlo,  p4  iO',  eecon,diaw4P  il  lodevole  ze- 
lo che  vi  aniiiia  per  i  pc^gpe^i^i  dplla  scien?;.^,  noi> 
mancai  di  occuparmenie ,  pome  or^  rilevcfete  dai  ri- 
sultati che  qi^i  vi  presento  ideila  V^iQ  ricerche  . 

Ecco  quantp  1  qijtofiB  a,ccenr;ia  nell  i<^di<^«it'0  ar- 
ticolo. ,,  Situate  (  egli  dice  )  verticalmente  fra  due 
,,  verghe  di  ottone  isolate  e  terminanti  in  due  glo- 
„  bi  distanti  uno  o  due  pollici  ujip  dftff  filtro  una 
it  foglia  di  stagno  molto  sottile ,  e  fate  passare  da 
,,  una  verga  alt  altra  la  scarica  di  una  forte  batte- 
„  ria  elettrica .  La  lamina  di  stagno  si  troverà  per- 
ff,  forata  in  due  punti  ^  ed  i  labri  dei  due  fori  saran- 
„  no  diretti  in  senso  inverso.  Io  confesso  la  veri- 
'»  <à  (  egli  prosiegue  )  che  non  so  comprendere  co- 
„  me  la  disposizione  delle  lacinie  di  questi  duefo- 
„  ri  possa  spiegarsi  col  sistema  di  un  solo  fluido , 
„  e  col  semplice  ristabilimento  alt  equilibrio .  Per- 
„  che  la  esperienza  riesca,  conviene  che  la  scarica 
„  sia  forte  ,  e  la  foglia  di  stagno  sottile  :  se  fosse 
,-,  altrimenti  'non  vi  si  formerebbero  fori ,  ma  sareb- 
„  bero  visibili  due  impronte  prodotte  da  un  urtq  eserf 
^,  citato  sulla  duo  faQGG,  opposte  della  lamina  - 


J^SPERIENZE  ELETTRICHE  35 1 

,,  Questa  esperienza.,  ripetuta  da  Ercole  Lefe-^ 
,,  vre-Gineau  ,  ebbe  lo  stesso  risultato  ,  né  era  a, 
„  notizia  di  alcuno  dei  Jisici  J'rancesi  ai  quali  fu. 
,,  rappresentata.,  e  neppure  al  sig.  Tremerj.,  che  pia 
„  di  ogni  altro  si  occupò  in  questo  gemre  di  ricer-^ 
,,  che.  Ne  ha  però  rammentata  una  il  sig.  Lefe^^ 
,,  vre-Gineau.,  che  ha  molta  analogia  colla  descrit- 
^,  ta  .,  che  consiste  nel  far  passare  la  scarica  a  tia-r 
„  verso  un  quinterno  di  carta ,  ed  in  questo  caso  nel 
„  solo  foro  aperto  dal  passaggio  della  corrente  elet-, 
„  trica.,  gli  orli  si  scorgono  rfvplti  (n  due  serpsi  op^^ 
„  posti  ,  „ 

Non  deve  per  verità  giunger  nuovo  ai  fisici 
elettrizzatori  cjqesto  fatto  ,  e  specialmente  agi'  ita- 
liani ,  giacché  molti  anni  addietro  il  p.  Barletti, 
uno  dei  difensori  della  ipotesi  dei  due  fluidi,  in  una 
sua  memoria  inserita  negli  opuscoli  scelti  di  Mi- 
lano ,  che  porta  per  titolo  Dubbj  e  pensieri  sulle 
teorie  di  alcuni  elettrici  fenqrneni ,  rese  palese  un 
fenomeno  consimile  da  lui  osservato  in  una  ban- 
deruola di  ferro  di  un  campanile  jn  Cremo^a,  che 
percossa  e  perforata  da  un  fulmine  p^ese^tavj^  le 
lacinie  dei  fori  rivolte  in  sensi  opposti  ;  dal  chp 
trasse  egli  argonientp  à\  persuadersi  della  esistenza 
delle  due  diverse  specie  di  el^t^tri^jtà  vitrea  ,e  resi- 
nosa .  È  parimenti  flotissi^  ^a  psperienz^  f igprda- 
ta  di  sopra  del  si^,  h^{ev\^^^ì^^^^  cìpl  quinterno 
di  carta  trapassato  da  qp^  ?jcafiea  elettnc,^,  ;n4}PfHT- 
te  1  afflusso  di  due  pprr^Rli  si^^iqljt^flpe  §4  pppostp; 
ina  peraltro  a  pae  ppi^  ^eJ^j^r^,  ;?lie  4?  gn^sj^i  f^^i 
possa  desumersi  ^na  |>r9V?,  icppvi^ce^t^  e  decjsiya 
in  sostegno  della  ipotesi  4^i  4^e  fìyidi  .  Ayeyo  ftp- 
che  io  considerato,  mplte  yoj^p  q^fisjtq  f(^Rp{^|io  nel- 
le sc^ricl^p  elettripl^p  a  fraViersQ  le  jar^i^^  WP^aiU- 
ehe ,  p  ^tf^i  4i  ^^rtp  :  ^  yq.1  poi^Y»  ìn  UW»  m'V* 


35a  S  e  I  E  N  z  K 

ambiguità  l'in feertczza  deiresperienza,  presentando- 
sì  in  alcuni  casi  le  lacinie  dei  fori  aperti  dal  pas- 
saggio della  corrente  elettrica  in  una  sola  direzio- 
ne, ed  in  altri  in  direzioni  opposte.  Per  accertar- 
mi adunque  della  verità  del  fatto,  e  per  verifica- 
re insieme  le  circostanze  in  cui  accadono  i  due  di- 
versi effetti,  istituii  le  mie  esperienze  nel  modo  che 
vengo   ora  ad  esporvi. 

Disposi  l'apparato  destinato  a  presentare  le  la- 
mine metalliche  al  passaggio  della  corrente  elettri- 
ca nel  modo  stesso  che  1'  autore  lo  descrive ,  in- 
terponendolo air  arco  scaricatore  di  una  batteria 
di  otto  piedi  quadrati  dj  superficie  in  riiodo  ,  che 
una  grossa  catena  di  ottone  a  varie  fila  poneva  in 
comunicazione  una  delle  due  palle,  alle  quali  si  frap- 
poneva la  lamina  colla  superficie  esterna  della  det- 
ta batteria  ,  ed  altra  catena  di  egual  lunghezza  e 
grossezza  partendo  dalla  palla  opposta  serviva  a 
formare  il  contatto  colla  superficie  interna  nel  mo- 
mento della  scarica  .  Ponendo  pertanto  in  azione 
la  macchina  della  nostra  università  a  disco  di  Sa  pol- 
lici ,  portai  le  cariche  alla  tensione  di  So.**  dell' 
elettrometro  di  Henly  ,  ed  in  ogni  scarica  osser- 
vai costantemente  la  laminetta  di  stagno  frapposta 
alle  due  palle  di  ottone,  distanti  1'  una  dall'  altra 
di  un  pollice  ,  trapassata  nel  mezzo  da  un  foro  di 
circa  mezza  linea  di  diametro  ,  le  di  cuf  falde  si 
rivolgevano  verso  1'  armatura  esterna  della  batteria, 
ed  intorno  a  detta  apertura  altri  fori  sottilissimi  al 
numero  dì  tre  ,  e  qualche  volta  anche  quattro,  le 
di  cui  lacinie  tendevano  tutte  in  senso  opposto  a 
quelle  del  foro   principale  . 

Interponendo  alle  due  palle  laminette  sottili 
di  altri  metalli  ,  gli  effetti  sotto  la  medesima  ten- 
sione di  5o.**  si  osservavano  piìi  o  meno  gli  stcs- 


E.sp:^Rir.\'ZE   ELEiruif-HS  3r3 

si;  e  colla  sola  diiTerenza  di  essere  i  fori  più  dila- 
tali ,  e  più  spaziosi  nei  metalli  meno  at!i  a  con- 
durre  la   elettricità  . 

Stringendo  fra  le  due  palle  un  quinterno  di 
carta  ,  e  portando  la  carica  alla  medesima  tensio- 
ne ,  neir  unico  foro  formato  dalla  scarica  le  laci- 
nie si  dirigevano   in  due   sensi   opposti  . 

Aumentandola  carica  sopra  i  do.**,  le  laminet- 
te  metalliche  restavan  fuse  iiiLorno  ai  fori  aperti  dal 
passaggio  della  corrente  elettrica  ,  né  somministra- 
vano in  questi  casi  alcun  indizio  sulla  direzione 
delle  correnti . 

Ma  peraltro  diminuendo  la  carica,  e  portando 
la  tensione  non  oltre  i  3o.°  dell'indicato  elettrome- 
tro ,  disparve  ogn' indizio  di  contrarie  correnti,  e 
sì  nelle  lamiuette  metalliche  ,  che  nella  carta  un' 
unico  foro  appariva,  gli  orli  del  quale  sempre  erau 
rivolti  verso  larmatura  esterna  della  batteria  . 

Io  presentava  nelle  indicale  esperienze  nn  li- 
bero e  spazioso  transito  alla  coriente  elettrica  per 
mezzo  di  grosse  fila  metalliche  ,  di  cui ,  come  di 
sopra  accennai,  era  formato  1  arco  metallico  scari- 
catore .  Diminuendo  però  la  capacità  dì  detto  arco 
con  sostituire  un  sotti!  ilio  di  ottono  a  quel  tratto 
che  congiungeva  uno  dei  due  globi  di  ottone  colT 
armatura  esterna  della  batteria  ,  sempre  visibilissi- 
mi io  scorgevo  gì  indizj  di  correnti  opposte  sotto 
diverse  tensioni,  tanto  nelle  lamine  metalliche  chi; 
nelle  carte  perforate  dalle  schariclie  elettriche.  Eran 
poi  molto  più  manifesti  questi  eifetti  quando  al  det- 
to filo  metallico  sostituivo  dei  conduttori  imper- 
fetti di  seconda  classe,  come  dell'  acqua  e  dei  li^ 
quidi  ed  altre  sostanze  ,  che  dilticil  transito  pre- 
sentano   alla  corrente  elettrica  . 

Sembrami  dunque  che  dalle  indicate  espcricu- 
G.A.T.IX.  -^3 


334  Scienze 

7e  possa  dedursi,  che  le  lacinie  dei  fori  aperti  dal 
pnssaggio  dell'elettrico,  le  quali  nei  casi  di  sopra 
esposti  si  presentano  in  direzioni  opposte,  sono  pro- 
dotte da  un  riflusso  di  una  sola  identifica  corrente, 
la  quale  quando  la  carica  è  ridondante  in  modo  , 
che  la  capacità  della  esterna  superficie  delle  batte- 
rie non  ammette  tutta  quella  quantità  di  fluido  elet- 
trico accumulata  neirinterno  di  esse  e  nel  condut- 
tore con  cui  sono  a  contatto,  rigurgita,  e  reflui- 
sce in  direzione  contraria  .  Ed  infatti  accade  di 
sovente  ,  che  un  incauto  osservatore  nelle  scari- 
che di  forti  batterie  risenta  gli  effetti  di  tali  riflus- 
si nelle  commozioni  che  si  solfrono  sostenendo  sem- 
plicemente colle  mani,  senza  il  soccorso  di  manu- 
brj   isolanti,  gli  archi  metallici  scaricatori  . 

Tale  rigurgito  non  ha  luogo  nelle  deboli  cari- 
che quando  l'arco  scaricatore  ha  sufficiente  gros- 
sezza e  capacità  ,  perchè  ha  libero  campo  V  elet- 
trico di  circolare,  e  diffondersi  nella  superficie  ester- 
na della  batteria  che  gli  presenta  sufficiente  capa- 
cità ,  e  le  lacinie  dei  lori  mostrano  in  questi  casi 
la  direzione  della  corrente  elettrica,  che  dalla  inter- 
na superficie  si  versa  alla  esterna  nel  suo  ristabili- 
nìento  all'equilibrio  , 

Quando  infine  1'  arco  scaricatore  metallico  non 
dà  libero  e  spazioso  passaggio  alle  scariche  elettri- 
t;he  ,  interrotta  rimanendo  la  circolazione  o  da  fili 
troppo  sottili  e  di  non  proporzionata  capacità  ,  o 
da  sostanze  non  conduttrici  dell'  elettricismo ,  i  ri- 
flussi han  luogo  precisamente  in  quei  tratti  ,  ove  la 
libera  circolazione  rimane  impedita;  come  appunto 
accade  allorquando  un  torrente  turgido  di  acque  si 
scarica  in  un  alveo  inferiore  che,  incapace  di  ac- 
coglierne la  piena  ,  produce  dei  rigurgiti  in  direzio- 
ni opposte  al  filo  della  principale  corrente  . 


Esperienze   elettriche  355 

Se  dunque  T  ipotesi  di  un  solo  fluido  soddi- 
sfa anche  alla  spiegazione  di  questo  fatto, su  cui  tan- 
to si  appoggiano  i  fautori  della  teoria  di  Dufay:  per- 
chè, moltiplicando  enti  senza  necessità ,  vorrem  noi 
abbandonare  la  teorìa  frankliuiana,  che  illustrata  dal 
Beccaria  e  dal  Volta  semplicemente  ci  guida  al- 
la spiegazione  di  tutti  quei  fenomeni  ,  che  la  elet- 
tricità naturale  ed  artificiale  presenta  alla  conside- 
razione del  fisico? 

Sono  con  parziale  stima  ed  amicizia. 

S.  Barlocci 


Ricerche  chimiche  sopra  le  chine-chine,  di  Pelle" 
tier  e  Caventou ,  lette  ali  accademia  delle  scien- 
ze il  dì    II  settembre    1820.   (a) 

Estratto  . 

à^s^'^bbe  difficile  il  poter  numerare  tutt'  i  lavori 
intrapresi  dai  chimici  sulla  corteccia  peruviana  per 
conoscerne  i  suoi  principj  costitutivi,  e  soprattut- 
to per  determinare  a  quale  di  esse  fosse  dovuta 
la  virtù  febbrifuga  di  questa  droga  .  Chi  potrà  pe- 
rò tacere  la  grande  dissertazione  di  Fourcroy  ,  eh' 
è  stata  per  lungo  tempo  cousiderata  come  un  mo- 
dello di  analisi  vegetale?  L'  esame  di  i8  specie  di 
chine  intrapreso  da  Vauquelin  sarà  ancor  esso  in 
ogni  epoca  rimarchevole  non  solo  per  la  sua  va- 
stità ,  ma  per  i  risultati  ancora  ottenuti  ,  avendo 
arricchito  la  chimica  vegetale  d'un  nuovo  acido,  ed 
avendo  dato  i  caratteri  certi  per  distinguere  le  chi- 
— — i—  Il  I  I  1 1        I  III  —— 1— 

(fi)  Annal.  de  chim.  et  phys.  Novembre   1820. 

t3* 


356  S  e  1  E  N  Z  K 

ne  veramente  febbrifughe  .  Sopra  tutti  gli  altri  pe* 
rò  merita  una  particolare  considerazione  il  lavoro 
di  Gomès  di  Lisbona  per  aver  fatto  conoscere  nel- 
la china  un  nuovo  principio  particolare  ,  eh'  egli 
chiama  cinconino  ,  a  cui,  secondo  questo  chimico  , 
è  dovuta  l'azione  che  ha  questa  corteccia  sull'eco- 
nomia animale  .  La  «coperta  degli  alcali  vegetali  , 
in  cui  si  è  veduto  che  risiedono  le  virtù  delle  pian- 
te che  li  contengono  ,  avendo  sparse^  molti  lumi 
neir  analisi  vegetale  ,  Pelletier  e  Gaventou  hanno 
profittato  di  questi  per  analizzare  di  nuovo  varie 
specie  di  china  afline  di  assicurarsi  se  il  principio 
attivo  di  Gomès  fosse  ancor  esso  di  natura  alca- 
lina. Ecco  r  oggetto  principale  che  hanno  avuto  in 
mira  questi  chimici  in  tali  ricerche  .  Ma  nel  corso 
delle  loro  sperienze  si  sono  avveduti,  che  le  pro- 
prietà del  cinconino  sono  intimamente  legate  a  quel- 
le degli  altri  principj  della  china  ,  per  cui  sono 
stati  naturalmente  condotti  a  studiare  di  nuovo  tut- 
te queste  sostan-ce;  ciò  che  rende  tanto  più  interes- 
sante il   loro  lavoro  . 

Della   china  grigia  (  cinchona  condaminea  ) 

lì  primo  scopo  che  hanno  avuto  in  mira  gli 
A.  A.  è  stato  di  procurarsi  il  cinconino  col  metodo 
proposto  da  Gomès  tal  quale  è  riportato  nel  trat- 
tato di  chimica  di  Thenard  .  Ben  presto  però  si 
avvidero  che  la  sostanza  ottenuta  in  quel  modo 
non  era  pura  ,  ma  conteneva  una  materia  grassa  . 
Istituirono  allora  un'altro  processo,  che  è  il  se- 
guente : 

Abbiamo  trattato  a  caldo  i  kilogrammi  di  chi- 
na grigia  con/usa  con  G  kilogrammi  di  alcool  ret- 
tificato i  abbiamo  ripetuto   quattro  volte   qucs£  opc" 


Ricerche  sulle  Chine  -  Chine  Soy 

razione  ;  le  tinture  alcooliche  sono  sfate  riunite  p 
distillate  per  riottenere  tutto  V  ale  noi .  Si  è  astuta 
la  cautela  di  aggiungenti  2  k  ilo  grammi  d^  acqua  stil- 
lata ,  affinchè  la  materia  sciolta  nelT  alcool  fosse 
garantita  dall'  azione  immediata  del  calorico  dopo 
la  separazione  dell  alcool .  Ricevuta  questa  sostan- 
za sopra  un  filtro,  era  di  un  colore  rossastro  ,  dun" 
apparenza  resinosa  .  Fu  kiyata  sul  filtro  medesimo 
con  acqua  leggermente  resa  alcalina  con  la  potassa  . 
Il  liquido^  eh  era  passato  aitraverso  d  filtro^  servì  per 
prima  acqua  di  lavanda  avendovi  aggiunto  piima 
nuova  potassa  :  dopo  molti  giorni  di  lavatura  ,  e 
quando  i  liquidi  alcalini  passavano  limpidi  e  sen^ 
za  colore  ,  la  sostanza  restata  sul  filtro  fu  lavata, 
con  una  quantità  considerabile  di  acqua  stillata.  Ave- 
va essa  un  colore  bianco-verdastro^  era  fusibilissi- 
ma ,  solubile  neir  alcool ,  e  dava  dei  cristalli  •  era 
questa  il  cinconino  del  D.  Gomès  ,  ed  in  tale  sta- 
to aveva  alcuni  caratteri  delle  sostanze  resinose  :,  ma 
sciogliendola  in  un  acido  diluito  in  moli  acqiui  ,  ab- 
bandonava una  quantità  considerabile  di  materia  gras- 
sa d  un  color  verde ,  che  aveva  tutt  i  caratteri  della 
sostanza  verde  ottenuta  per  la  prima  volta  da  Lau- 
ber  facendo  agire  immediatamente  sulla  china  V ete- 
re solforico  : 

Il  liquore  acido  (  eli  era  V  acido  idro-dorico  ) 
aveva  un  color  giallo  dorato  :  svaporato  dava  del 
cristalli  solubili  nell  alcool  e  neìl  acqUa  .  Il  suo 
sapore  era  amarissimo  ;  precipitava  abbondantemen- 
te con  le  soluzioni  alcaline-^  i  gallati  ,  gli  ossalati  al- 
calini 'vi  formavano  precipitati  solubili  nelf  alcool  ce 
Fu  trattata  la  soluzione  con  la  magnesia  pura  ,  ag- 
giungendovi un  leggero  calore  . 

Dopo  V  intero  raffreddamento  il  miscuglio  fu 
gettato  sopra  un  filtro ,  ed  il  precipitato  7na^:i:Jsic«:o 


358  Scienze 

fu  lavato  con  acqua  .  Questa  sul  princìpio  era  giai^ 
la  ,  ma  finì  poi  eoi  divenire  scolorata  .  Il  precipi" 
tato  magnesiaco  lavato  sufficientemente  ,  e  dissecca- 
to a  bagno  maria^  fu  trattato  a  tre  riprese  con  al- 
cool a  40.°/  liquidi  alcoolici  leggermente  giallastri^ 
e  d  un  sapore  amarissimo^  per  mezzo  delt  evapora^ 
zione  hanno  dato  dei  cristalli  aghiformi  d'  un  color 
bianco  sporco  .  Questi  cristalli  disciolti  di  nuovo 
nelf  alcool ,  e  rimessi  a  cristallizzare ,  hanno  depo- 
sto una  sostanza  cristallina  bianchissima  e  splen- 
dente ,  eh'  è  il  cinconino  purissimo . 

Avendo  riconosciuto  gli  AA.  che  questo  prin- 
cìpio gode  di  proprietà  alcaline,  per  conservare  Tar- 
monia  della  nomenclatura  hanno  proposto  di  dar- 
gli la  stessa  desinenza  degli  altri  alcali  vegetali ,  e 
di  chiamarlo  perciò  cinconino  .  Ecco  quali  sono  i 
caratteri  di  questa   sostanza . 

La  cinconina  ottenuta  dalla  soluzione  alcooli- 
ca  per  mezzo  d'  un  evaporazione  lenta  si  presenta 
sotto  la  forma  di  aghi  prismatici  sciolti  ,  dei  qua- 
li non  si  può  determinare  la  forma  .  Per  mezzo  (T 
un  evaporazione  più  rapida  viene  deposta  in  forma 
di  lamine  cristalline ,  traslucide  ,  che  rifoangono  la 
luce  . 

ìE"  pochissimo  solubile  nell'acqua  ;  per  iscioglier- 
si  richiede  due  mila  cinquecento  volte  il  suo  peso 
di  acqua  bollente  :  per  mezzo  del  raffreddamento  la 
soluzione  diviene  leggermente  opalina  ,  locchè  prova 
che  la  cinconina  è  ancora  meno  solubile  nelV  ac- 
qua fredda  . 

Ha  un  sapore  amaro  particolare  ,  che  tardi  si 
sviluppa  ,  ed  è  poco  intenso  attesa  l  insolubilità 
di  questa  sostanza  .  Unita  però  la  medesima  agli  aci' 
di  ,  e  resa  perciò  più  solubile  ,  è  allora  amatissi- 
ma ,  ed  astringente  come  una  forte  decozione  di  chi- 


( 
Ricerche   sulle  Chine  -  Chine  Soq 

na  ;  sebbene  ques£  ultimo  carattere  sia  meno  inten- 
so ,  essendo  esso  particolarmente  dovuto  nella  china 
ad  un  altro  principio  .  La  cinconina  esposta  alt  aria 
non  prova  alcun  alterazione  ;  dopo  molto  tempo  pe*- 
rò  assorbe  dell  acido  carbonico ,  per  cui  se  si  sciol- 
ga allora  in  un  liquido  acido  produce  una  leggera 
effervescenza  . 

Esposta  alt  azione  del  calorico  in  vasi  chiusi 
non  si  fonde  prima  di  decomporsi  .  I  prodotti  che 
somministra  con  la  distillazione  a  fuoco  nudo  sono 
{quelli  ,  che  danno  in  generale  le  sostanze  vegetali 
non  ajotate  .  Distillata  in  un  apparato  conveniente 
con  lossido  di  rame  dà  de U  acqua  e  delt acido  car- 
bonico .  È  dunque  composta  di  ossigeno^  idrogeno, 
e  carbonio  in  una  certa  proporzione  senza  contener 
re  azoto  .  Bruciata  col  nitrato  di  ammoniaca  non. 
lascia  alcuna  traccia  di  sostanze  minerali  alcaline  o 
terrose. 

La  cinconina  è  solubilissima  nel t alcool^  soprat- 
'  tutto  per  mezzo  del  calore  ;  una  soluzione  alcooli- 
ca ,  satura  alla  temperatura  delt ebullizione^  cristalliz- 
za per  mezzo  del  raffreddamento  :  queste  soluzioni 
alcooliche  sono  amarissime  ;  ciò  che  prova  semprep- 
pia  che  la  poca  amarezza  della  cinconina  pura  na- 
sce dalla    sua  insolubilità . 

Si  scioglie  la  cinconina  ncltetere  ;  è  però  mola- 
to meno  solubile  in  questo  liquido  che  nelt  alcool 
soprattutto  a  freddo.  Si  scioglie  ancora  ,  sebbene  in 
piccolissima  quantità.,  negli  olii  fissi  o  volatili ,  al- 
meno nelt  olio  di  trementina  .  Queste  soluzioni  sono 
amare .  Z'  olio  di  trementina  saturo  di  cinconina  ad 
una  temperatura  elevata  ,  /'  abbandona  iìi  gran  par- 
te sotto  forma  cristallina  per  mezzo  del  raffredda- 
mento :  non  così  accade  allorché  è  sciolta  tic^ìi  olii 
fissi  . 


óGo  Scienze 

Le  proprietà  che  hanno  indotto  gli  AA.  a  riguar- 
dare la  cinconina  come  una  sostanza  alcalina,  sono 
il  ridonare  il  color  blu  al  tornasole  arrossato  da 
un  acido  ,  ed  il  Ibrniare  combinazioni  neutre  con 
lutti  gli  acidi  anche  minerali  più  torti  senz'  aver 
alcun'  azione  sulla  tintura  di  tornasole  :  finalmente 
ciò  che  dà  una  prova  maggiore  dell  alcalinità  della 
cinconina  è,  a  seìitimeuto  degli  AA.,  il  modo  con  cui 
questa  sostanza  agisce  sul  jodo  .  Trattando  la  cin- 
conina col  jodo  e  coir  intermezzo  dell  acqua  ,  si 
ottengono  gli  acidi  jodico  e  idi  iodico  ,  che  resta- 
no combiuati  con  la  cinconina  allo  stato  di  sai 
neutro  . 

Dall'esame  della  cinconina  sono  passati  gli  AA. 
a  studiare  le  combinazioni  di  quest  alcali  con  gli 
acidi. 

L'acido  solfòrico  forma  con  la  cinconina  un  sai 
neutro  solubilissimo,  che  cristallizza  facilmente  in 
prismi  a  4  lati"  e  terminati  da  un  faccia  inclinata. 
Questi  cristalli  sono  un  poco  lucenti  ,  flessibili  ,  e 
xli  un  sapore  amaiissimo  ,  sono  solubili  nel!'  alcool, 
mn  non  nell  etere  ;  ad  una  temperatura  poco  su- 
peiiore  a  quella  dell'  acqua  bollente  si  fondono  co- 
me la  cera  ;  riscaldati  ad  un  grado  maggiore  si  de- 
compongono . 

11  solfato  di  cinconina  analizzato  col  metodo 
esposto  nella  loro  memoria,  sulla  stricnina,  contiene: 

Cinconina loo 

Acido  solforico i3  ,  0210 

Ovvero  : 

Acido  solforico 100 

Cinconina ■ —   7G8  ,   oG4G 


Ricerche  sllle  Chine  -  Chine  y,Gi 

L'acido  idroclorico  sì  unisce  con  la  cinconi- 
na ,  e  forma  ancor  esso  un  sale  neutro  solubilissi- 
mo ,  che  può  cristallizzare  in  aghi  riuniti,  di  cui 
è  impossibile  di  poter  determinare  la  forma  .  L'idro- 
clorato  di  cinconina  si  scioglie  neifalcool  ,  e  qual- 
che traccia  ancora  nelf  etere  sollbrico  ;  si  fonde  ad- 
una temperatura  in  priore  a  quella  delf  acqua  bol- 
lente .   Qifesto  sale  è  composto  di  : 

Cinconina loo  i 

/Acido  idroclorico 9,   o35 

I   risultati  del    calcolo  dedotto  dall'analisi   del  sol- 
fato ,  e  che  gli  AA.  credono  più   esatti  ,   sono  : 

Cinconina 100 

Acido  idroclorico 8  ,  goi 

Per  preparare  il  nitrato  di  cinconina  bisogna 
far  uso  d'  un  acido  nitrico  molto  allungato,  poiché 
se  questo  è  concentrato  reagisce  sugli  eicnienti  del- 
la cinconina  .  Allorché  la  soluzione  è  molto  con- 
centrata, sia  a  caldo  sia  a  freddo,  si  separa  una  por- 
zione del  nitrato  sotto  forma  di  gocce  d'un' appa- 
renza oleaginosa ,' le  quali  ad  una  temperatura  bas- 
sa assomigliano  alla  cera  .  Questo  carattere  distin- 
gue eminentemente  la  cinconina  dagli  altri  alcali 
organici.  Differisce  ancora  dai  nitrati  di  stricnina, 
di  morfina  ,  e  di  brucina  per  la  propiietà  di  non 
divenir  rosso  con  un  eccesso    d'acido  nitrico. 

L'analisi  dirotta  del  nitrato  di  cinconina  non 
è  stata  fatta  ;  ma  siccome  questo  sale  è  neutro  , 
sono  state  stabilite  col  calcolo  le  proporzioni  se' 
gli  enti . 


)6a  S    e    I    E   N 


%    S 


Cinconina  — •— — -   loo  ,  ooo 

Acido  nitrico 18  ,  $94 

I!  fosfato  di  cinconina  è  solubilissimo,  e  cristal- 
lizza dilficilmente;  ordinariamente  si  dissecca  senza 
cristallizzare,  e  si  presenta  sotto  la  forma  di  lami- 
ne trasparenti  . 

L'  acido  arsenico  forma  con  la  cinconina  un 
sale  neutro  solubilissimo,  che  con  grandissima  dif- 
ficoltà cristallizza.  Non  v'ha  dubbio  ch'esso  sia 
venefico  come  tutti  gli  arseniati . 

L'acido  acetico  scioglie  la  cinconina,  ma  il  li- 
quido resta  sempre  acido  ancorché  vi  si  aggiunga 
un  eccesso  di  alcali ,  mentre  questo  si  depone  al  fon- 
do .  Evaporando  quest'  acetato  si  ottiene  una  so- 
stanza salina  sotto  forma  di  piccoli  grani  ,  o  pa- 
glietle  traslucide.  Questi  piccoli  cristralli  lavati  non 
sono  più  acidi,  ma  sono  ancora  poco  solubili  .  La 
loro  soluzione  nell'acqua  aguzzata  con  un  poco  d'aci- 
do ,  ed  evaporata  lentamente  somministra  una  mas- 
sa d'  un'  apparenza  gommosa  ,  la  quale  trattata  con 
un  poco  d  acqua  fredda  dà  un  acelato  acido  che  si 
scioglie  ,  ed  un  acetato  neutro  ,  che  resta  al  l'ondo 
del  liquido  . 

L  acido  ossalico  forma  con  la  cinconina  un  sai 
neutro  pochissimo  solubile  a  freddo,  quando  non  vi 
sia  un'  eccesso  d'  acido  .  Si  può  ottenere  facilmen- 
te versando  l'ossalato  di  ammoniaca  in  un  sale  di 
cinconina  neutro  ,  e  solubile  .  Si  forma  un  pre- 
cipitato bianco  insolubile  nell'  acqua  fredda  ,  che 
si  ridiscioglic  in  un  eccesso  d'  acido,  solubilissi- 
mo neir  alcool  soprattutto  a  caldo  ,  dal  quale 
pelò  in  parte  si  precipita  per  mezzo  del  raffred- 
damento . 


Ricerche  sulle  Chine  -  Chine  363 

Finalmente  la  cinconina  si  unisce  ancora  con 
gli  acidi  tartarico  e  gallico,  e  forma  con  ciascu- 
no di  questi  acidi  dei  sali  poco  solubili .  Il  galla- 
to di  cinconina  si  scioglie  un  poco  più  facilmente 
a  caldo,  e  la  sua  soluzione  per  mezzo  del  raffred- 
damento s'  intorbida  e  diviene  lattiginosa.  Dopo 
però  alcune  ore  ritorna  ad  esser  trasparente  ,  e  si 
trova  allora  il  gallato  di  cinconina  precipitato  sot- 
to forma  di  piccolissimi  cristalli  granulari  traslu- 
cidi attaccati  alle  pareti  del  vaso»  . 

(  Sarà  continuato  ) 


364 

LETTERATURA 


Dionigi  cC Aìicanxasso  ,  intorno  lo  stile  ed  altri  mo- 
di di  Tucidide  ec.  (  Articolo  terzo  .  V.  i  volu- 
mi XIV  p.  257  ,  e  XX.VI  p.  219. 

i.1  è  qui  si  rimane  T  ulililà  di  questo  artificioso 
proemio  .  Peichè  la  storia  greca  essendo  tutta  me- 
scolata con  meraviglie  d'eroi  e  di  numi,  Tucidide 
pone  ivi  ogn'  ingegno  nel  sequestrare  le  favole  dai 
fatti,  affinchè  la  storia,  ch'è  la  ministra  della  veri- 
tà, non  si  faccia  la  mezzana  della  bugia  .  Dice  egli 
stesso  :  che  gli  uomini  tengono  per  vera  la  fama  del- 
le cose  senza  punto  disaminarle  :  e  loro  basta  die 
sieno  del  tempo  antico  .  Onde  il  vero  è  stato  sem- 
pre cercato  con  assai  negligenza  .  Ma  chiunque  da 
segni  dati  da  me  'vorrà  giudicare  delle  cose  da  me 
narrate  ,  non  potrà  entrare  in  errore  (  i  )  •  Per  tal 
modo  egli  laulore  scuopre  le  ragioni  del  suo  lavo- 
ro .  E  ,  narrando  di  Minosso  e  degli  oracoli  e  di 
Troja  ,  segna  quel  parti  mento  che  divide  i  buoni 
racconti  degli  antichi  annali  dalle  istorie  fantastiche 
de'  poeti  e  de  gcrolanli.  Dal  quale  accorgimento  di- 
scende un  alto  pregio  in  Tucidide,  che  fu  il  primo 
a  rischiarare  alquanto  una  parte  della  vecchia  sto- 
ria ,  la  quale  in  Erodoto  in  Ecateo  e  negli  altri 
era  tutta  piena  di  novellette  e  di  sogni  .    E  questa. 


(1)  Tue  procin.  hist. 


Dionigi   d'  Alicarnasso  30^ 

e  non  altra,  è  la  più  nobile  qualità  per  cui  egli  sia- 
si fatto   singolare  dagli  a'tri  . 

i5  Perchè  si  paragonino  i  tre  principi  della  gre- 
ca storia:  cioè  Erodoto,  Senofonte,  ed  esso  Tuci- 
dide ;  e  si  vedrà  che  questi  in  nulla  cosa  tanto  si 
lontana  da  quelli  ,  quanto  nell'  amore  del  nudo  e 
semplice  vero  .  Perchè  Erodoto  scorge  in  ogni  vi- 
cenda un  suo  Giove  maligno  ,  inimico  dell'  uman 
bene  ,  che  senza  ragione  alza  gF  imperii  al  colmo 
d'ogni  gloria,  e  senza  ragione  li  trabocca  al  fondo 
d'ogni  calamità  .  Senofonte  vede  la  matta  fortuna 
che  gira  la  sua  rota:  e  non  sa  ella  il  perchè  né  del- 
la sua  voglia,  né  del  suo  lavoro.  Ma  Tucidide  nel 
crescere  e  nel  dechinare  delle  nazioni  null'altro  cer- 
ca né  mostra  che  gli  errori  e  le  virtù  dei  re,  dei 
popoli  e  degli  eserciti .  In  questa  guisa  tutto  é  in 
Erodoto  superstizione:  in  Senofonte  è  destino:  e  nel 
solo  Tucidide  tutto  è  prudenza  civile  congiunta  col- 
la ragione  delle  cose.  Così  mentre  gli  altri  servo- 
no alle  fantasie  ed  al  volgo,  egli  giova  coloro  che 
non  aprono  le  storie  per  lo  diletto  della  mente,  ma 
per  guidar  bene  la  repubblica,  o  per  innalzar  l'ani- 
mo colfesempio  de'  valorosi  .  Per  la  qual  cosa  egli 
merita  tanto  piiì  lode,  quanto  più  la  gloria  degli 
autori  fondasi  nella  utilità  de  leggenti:  e  1' officio 
di  chi  narra  è  tutto  nella  narrazione  del  vero.  Per- 
ché quantunque  ogni  arte  sia  fatta  per  conseguita- 
re la  verità,  la  quale  è  il  polo  del  nostro  corso  : 
pure  l'istoria  è  quella  che  più  da  vicino  le  pertie- 
ne  e  più  la  conserva,  e  più  la  spande  per  maggio- 
re spazio  così  di  mondo  come  di  tempo.  La  poe- 
sia la  dipinge  meschiata  al  falso  ;  la  retorica  la  dà 
a  credere;  la  metafisica  ce  ne  porge  una  cognizione 
ideale  :  e  la  sola  dimostrazione  de'  fatti  ce  ne  fa  cer- 
ti; ma  i  latti  e  in  certezza  loro  si  farebbero  cos^  va- 


366  Letteratura. 

na ,  dove  la  storia  non  li  travasasse  d'una  terra  in 
un  altra  ,  e  dall'  un  secolo  ne'  seguenti .  Quindi  fu- 
rono per  gli  antichi  sovra  ogni  cosa  lodati  gli  an- 
nali: che  scritti  dai  sacerdoti  in  Egitto,  e  da'  pon- 
tefici in  Roma  ,  stavano  nella  custodia  della  reli« 
gione  . 

Quelli ,  dice  il  filosofo  ,  tutto  liberamente  par- 
lavano alla  patria  ,  perdi'  ella  imparasse  da  quel 
eh'  è  corso  e  passato  ,  di  conservarsi  nello  avve- 
nire .  La  quale  dottrina  fu  già  si  cara  a'  lace^e- 
raoniì ,  che  fatti  accorti  per  prova  ,  che  in  amplian- 
do r  imperio  assai  perdevano  tuttavia  della  bontà 
de'  costumi ,  né  signoreggiavano  i  lor  vicini  senza 
esser  servi  di  molti  vizii  :  con  una  nobile  grandez- 
za d'animo,  quale  a  Licurgo  si  conveniva,  noume- 
no allegri  si  liberarono  di  tal  dominio  che  altri  far 
soglia  di  servitù  (i)  .  Questi  beni  coglievano  dalle 
cronache  que'  savii  .  Ma  ora  s'è  perduto  quell'one- 
sto modo  ,  che  pur  durava  ne'  secoli  del  ferro  :  ed 
anche  nel  buon  tempo  de'  Villani  e  de'  Malispi- 
ni .  Che  se  però  si  seguisse,  non  sarebbe  indegno 
del  senno  italiano  :  e  sarebbe  forse  libero  il  mon- 
do da  tante  storie  or  lusinghiere  ,  or  maligne  , 
e  quasi  sempre  presuntuose  e  bugiarde  .  E  co- 
sì questa  usanza  ottima  ed  antica  mostrerebbe  ai 
tardi  posteri  la  verità  delle  cose  nostre  :  fareb- 
be che  i  rei  meno  si  confidassero  nelle  loro  ar- 
ti maligae  :  e  che  i  buoni  aspettassero  il  tardo  e 
certo  premio  della  virtù  dalla  giustizia  de'  nepoti  e 
del  tempo  . 

iG.  Ma  è  da  tornare  là  onde  ci  partimmo  ,  e 
seguire  Dionigi,  e  conchiudere  :  che   male  si  con- 


(i)  Spec.  dict.  hist.  Z47> 


Dionigi  d'  Alicarnasso  367 

dannò  in  Tucidide  quel   meraviglioso   proemio  ,    iu 
cui  fu  egli   il  primo   fondatore  della   storica  verità. 
E   se  lo  empiè  di   origini,   e  di  fatti  eroici   disciol- 
ti  dalla  oscurità  e   dalla  menzogna  ,  egli  ne  fu  pu« 
ve  lodato;  e  piacque    l'esempio  :   e   gli  altri  storici 
lo   seguirono  .    Che  nel  principio   delle  loro  storie 
non   iscrissero  già  glindici   delle  materie,  siccome 
insegna  la  scarsa  musa  di  Dionigi;   ma  vollero   de- 
scrivere le   origini,  i  luoghi  ,  i  popoli  e  le  più  na- 
scoste memorie   che  ne    restavano  .    E  così  abbia- 
mo ne'  latini  e  negli  altri  greci  :  e  ne'  cronisti   me- 
desimi de'  più  rozzi  tempi:  che  le  prime  carte  sem- 
pre consumarono  narrando  o  di  Fiesole,  o  di  Troja, 
o   di   Roma.  E  per  non  tacere    finalmente   de'    più 
lodati,  basti   l'esempio   del  segretario  fiorentino:  il 
quale  nelle  storie  della  sua  repubblica  tutto  adope- 
rò il  primo  libro  nel  raccontare  la  caduta  del  roma- 
no impero,  le   incursioni  de'  barbari,  le  origini  del 
regno  di  Napoli    delle  crociate  e   de'  feudi  ,  e  i  tu- 
multi di  Roma,  e  i  casi  di  tutta  Italia  e  della  più 
gran  parte  d'Europa  ;  prendendo  poi  a   parlare  nel 
solo  secondo  libro  la  fondazione  di  quella  Fiienze, 
ond'  egli   ha  in  animo  di  registrare  le  memorie  .   Ne 
alcuno  è  sì  avverso  a  ragione,  che  danni  quello  scrit- 
tore per  lordine  di  quel  primo  libro;  il  quale  è  an- 
zi da   tutti  tenuto  in  conto  di  artificioso  e  bellissi- 
mo .  Ma  finalmente  diremo  cosa   quasi  non  credibi- 
le, ed  è:  che  il  modo  trovato  da  Tucidide  è  quel 
medesimo  che  fu   poi  imitato  dallo  stesso  Dionigi 
ne'  suoi  libri  della  romana  istoria .  Talché  si  cono- 
sce  che  in  questo  luogo    l'affetto   del  censurare  lo 
fece  dimentico   non  che  d'altrui  ,  ma  di  se  stesso  . 
Perchè  aprasi  quel  suo  primo  libro  :  e  si  vedrà  che 
per  narrare  le  venture  di  Roma  ei  prende  il  discor- 
so dagli  antichissimi  abitatori  d'Italia:  e  cerca  de- 


303  Letteratura 

'•gli  enotrii,  degli  aborigeni  e  de'  palasgi:  e  ne  reci- 
ta i  viaggi  ,  le  venute  e  le  fughe;  e  ne  segna  le  va- 
rie sedi:  e  vuolis  che  i  romani  sieno  di  ceppo  gre- 
co, cercando  così  di  far  bolla  lusinga  a'  suoi  citta- 
dini ,  e  m  "dicare  con  questi  unguenti  la  ferita  el 
dolore  della  loro  schiavitù  .  Solo  in  una  parte  si  fu 
diverso  a  Tucidide  :  che  questi  cioè  è  stretto  ,  ra- 
pido, e  ad  ogni  parola  s'  affretta  a  quel  termine  in 
cui  cominci  a  narrare  i  fatti  del  Peloponneso  ;  e 
Dionigi  tutto  cerca  sottilmente,  e  copiosamente,  e 
alla  lunga,  e  pare  che  più  non  ricordi  la  sua  promes- 
sa del  raccontare  i  gesti  di  Koma:  ma  solo  voglia 
scrivere  un  libro  delle  italiche  origini  e  delle  pe- 
lasghe  .  A  questi  termini  ci  mona  il  martello  e  la 
furia  del  censurare  :  che  mentre  accusiamo  la  pa- 
glia nell'occhio  del  vicino,  non  veggiamo  la  trave 
eh'  è  già  entrata  nel  nostro  . 

ly.  Qui  terminandosi  1  una  parte  del  trattato 
di  Dionigi,  siamo  venuti  all'  altra  .  E  come  quel- 
la fu  dintorno  le  cose,  così  questa  è  dintorno  le 
parole  . 

Entrando  adunque  il  buon  retore  a  parlare  del- 
lo stile ,  ferma  primieramente  quelle  dottrine  ,  che 
già  furono  comuni  a  tutti  i  greci  maestri  .  Le  qua- 
li si  riducono  a  due  principalissime:  luna,  che  i  vo- 
caboli bene  si  scelgano:  laitra,  che  bene  si  congiun- 
gano .  E  noi  pure  crediamo  che  da  questo  penda 
tutta  la  legge  del  dire ,  e  la  gloria  degli  eloquenti  : 
perchè  le  altre  qualità  d'  una  perfetta  sciittura  si 
derivano  più  tosto  dall'arte  del  pensare  che  da  quel- 
la del  dire  .  Quindi  il  nostro  retore  ragiona  alquanto 
su  queste  due  dottrine,  e  le  divide,  e  le  suddivi- 
de ,   e  mostra    gì  insegnamenti  che  le  conseguono  . 

Si  la  pos(ùa  a  parlare  degli  antichi  storici:  an- 
Ai  di  quegli  antichissimi  ,  la  memoria  de'  quali  s'« 


Dionigi   d' Alicarnasso  3G9 

già  nascosta  nel  tempo;  ne  sa  dire  se  i  libri  loro 
l'ossero  aspri  e  rozzi  ,  ovvero  piani  e  magnifici.  Ma 
procedendo  infino  a  quelli  che  fiorirono  inanzi  la 
guerra  del  Peloponneso  ,  ne  fa  quella  stima  che  noi 
l'acciamo  de'  nostri  autori  del  trecento  ;  dicendo  , 
eh'  elli  furono  meglio  lodati  per  l'uso  de'  vocaboli 
che  per  altra  bontà  ;  che  i  loro  periodi  erano  d  uno 
andare  schietto  e  soave  ,  senza  alcun  fumo  d  arte: 
la  loro  lingua  pura,  chiara  ,  breve  ,  sempre  acco- 
stata al  dialelto  dello  scrittore:  che  non  vedevan- 
si  in  quelle  carte  le  virtiì  che  poi  furono  trovate 
cogli  artifici!  :  o  se  pure  vi  si  vedevano  ,  elle  erano 
tenui  e  rare  ;  e  quindi  rare  e  tenui  erano  la  gravi- 
tà,  la  magnificenza,  il  sublime  .  Gare  di  concio- 
ni non  v'erano  :  non  peso  di  sentenze  :  non  affetti 
che  incitassero  gli  animi  :  non  finalmente  quegli  spi- 
riti sollevati  ,  e  fatti  per  la  battaglia  ,  pe'  quali  mo- 
vesi  il  mirabil  impeto  dell'  eloquenza  . 

1 8.  Da  quest'  ordine  di  scrittori  egli  sotragge 
Erodoto  •  solo  :  che  non  di  meno  fu  simigliante  agli 
antichi  nel  difetto  delle  concioni  ;  ma  in  ogni  altra 
condizione  si  dipartì  da  quel  modo  stretto  e  digiu- 
no: e  delle  migliori  doti  fu  ricco  più  che  in  estre» 
mo:  creando  una  tal  sua  prosa  così  venusta  e  leg- 
giadra, che  disgradò  ogni  poesia  la  più  gentile.  Da 
iirodoto  viene  il  censore  a  Tucidide:  meschiando  le 
lodi  alle  riprensioni  :  ma  non  tanto  che  la  misura 
dell'amaro  non  vinca  quella  del  dolce.  Specialmente 
dove  pone ,  che  le  parole  di  lui  tenessero  troppo  dell' 
antico  e  del  pellegrino:  e  le  loro  collocazioni  ne  fa- 
cessero l'armonia  più  tosto  rotta  e  chioccia,  che  ro- 
tonda e  soave.  Ma  non  ci  lasceremo  noi  andare  cie- 
camente dietro  l'autorità  di  Dionigi. 

Diremo  adunque  che  alcuna  parola  antica  acqui-^ 
sta  spesse  volte  assai  grazia  alle  nobili  ed  alte  seri t- 


3to  JLettera-tura 

ture,  speciaìmente  ove  sieno  d' istoria.  Da  che  sap-? 
piamo  che  nel  buon  tempo  <li  Cesare  e  di  Cicerone 
le  storie  pon liticali  erano  scritte  colle  solenni  e  gravi 
parole  dell' antichità  :  onde  la  riverenza  di  que'  vo- 
caboli accrescesse  la  dignità  di  que' libri  tutti  pieni 
di  voti ,  di  giuochi,  di  sacrificii,  e  di  patrie  glorie: 
e  perciò  sovr  essi  il  consolo  e  Scapitano  si  consi- 
gliavano della  guerra ,  della  pace  ,  e  d'ogni  caso  del- 
la repubblica.  Pei  quale  principio  si  dee  dire  ,  che 
alcuna  maggior  libertà  è  da  concedersi  allo  storico  : 
e  non  è  da  otìfendersi  per  poche  voci  e  forme,  che 
^Icupo  eccellente  abbia  scrivendo  rinverdite  e  rifio- 
rite neir  usQ.  Perchè  se  buono  è  il  rinnovare  ogni 
bella  memoria  de"  latti  andati  ,  è  anche  buono  il 
rammentare  talvolta!  a  nepoti  quelle  parole  degli  avi, 
le  quali  essi  hanno  smarrite  con  danno  della  elo- 
quenza,  ed  anche  del  comun  favellare:  dove  assai 
volte  hanno  posta  1  altrui  barbarie  nel  luogo  in  che 
sta  vasi  la  loro  civiltà;  simigliando  colui  che  di- 
menticate le  porpore  ed  i  velluti  che  sono  nella  sua 
casa,  cercasse  il  cencio  del  poverello  per  nasconde- 
re la  nudità.  Vero  è,  che  in  quest'  uso  delle  paro- 
le vecchie  vuoisi  grande  parsimonia  e  gran  senno: 
senno,  da  che  non  tutte  hanno  la  virtìi  di  rinascere 
dopo  morte  :  parsimonia  ,  da  che  se  fossero  troppo 
fitte  ,  farebbero  il  parlare  o  squisito  od  oscuro:  e 
quindi  gì'  idioti  io  direbbero  strano,  e  i  filosofi  pue- 
rile. Ma  non  sappiamo  credere  che  se  Tucidide  fos- 
se caduto  in  sì  enorme  colpa ,  Demostene  avrebbe 
cercato  d'imitarlo  con  sì  fina  cura;  Demostene,  di 
cui  Cicerone  djsse:  che  solo  egli  sorpassa  ogni  ot" 
timo  in  ogni  genere  di  eloquenza. 

i[).  l^er  le  quali  cose  dee  sospettarsi  che  Dioni- 
gi sia  caduto  in  lallo,  anche  in  questa  accusa  del-' 
le  parole.  Siccome  certo  è  caduto ,  laddove  ne  «le* 


Dionigi  o'Alicarnasso  Sti 

cusa  le  congiunzioni  come  chiocce  e  moleste.  Men- 
tre Demetrio  Falereo,  il  discepolo  di  Teofrasto,  l'udi- 
tore di  Escliine  e  di  Licurgo  ,  Demetrio  Falereo  lodò 
Tucidide  per  questa  medesima  condizione  che  daDio- 
nigi  è  dannata.  In^perocehè  egli  dice,  che  veramente 
da  quella  moderata  asprezza  venne  quella  sua  tanta 
magnificenza.  Così  è  scritto  alla  particella  trigesima: 
Tucidide  sfug<^e  ove  puh  la  struttura  piana  & 
soave  :  e  pare  uomo  che  spesso  intoppi  come  chi  per 
via  scabra  va.   Così  quando  disse  —  E  VER^iiaEN- 

TE    SALVO    DA      TUTT    ALTRI     MALI    QUELL      ANNO 

ASSAI  FU  —  disse  asprameììie.  E  più  dolce  avreb~ 
he  detto  —  E  veramente  quell  anno^  in  cio^ 

CH    ALL     altre     malattie    s'  appartiene  ,      FU 

MOLTO  SANO  —  Ma  cJù  togliesse  quel  pò  di  asprez- 
za^ ecco  torrehbe  tutta  la  magnijicenza .  La  quale 
procede  così  dalt  aspra  composizione  ,  qome  dalC  as- 
pr^  voci.  Quindi  Tucidide  anch'  egli  adoperò  accen- 
ti crudi  ^  e  pia  volentieri  scrisse  stridore  che  cri» 
X)o:  più  volentieri  scisso  che  infranto:  sempre  ac- 
compagnando la  composizione  colla  voce  ,  e  la  voce 
calla  composizione. 

Ora  si  paragoni  questa  dottrina  di  Demetrio  a 
quella  di  Dionigi t  e  veggasi  come  sia  vero  ciò  che 
dicemmo:  cioè  che  Dionigi  di  là  trasse  biasimo, 
onde  i  migliori  tolsero  da  lodare  e  da  proporre  in 
esempio.  Perche  bellissimo  è  questo  insegnamento 
dello  scegliere  voci  ruvide  ,  e  dell'  unirle  ruvida- 
mente in  que'  luoghi  dove  1  autore  dee  significare 
cose  lontane  dalla  mollezza  e  dalla  soavità.  E  Tu- 
cidide quindi  finì  col  monosillabo  quel  periodo  eh' 
ei  volle  rigido.  Il  che  bene  conobbe  quel  sovra- 
no ingegno  dì  Virgilio  ,  che  ancora  è  il  maestro  di 
tutti  coloro  che  sono  giunti  al  dit'iicile  segno  dell* 
Qttimo.  Perchè  ne'luoghi  magnifici  che  richiedevano 


3^2  Letteratura. 

struttura  aspra,  terminò  anch' egli  per  monosillabi, 
seguendo  la  greca  scuola.  E  se  dipinse  il  grande 
orrore  della  tempesta  ,  scrisse  : 

Praeruptus  aquae  monsì 
se  lo  sdegno  divino 

Asjersa  Deae  mens: 
se  il  volar  della  notte 

lìuit   Oceano  nox. 
Né  può  vedersi  composizione  più  scabra  di  quella, 
con   che    dipinge  Messenzio  intrepido   allo   scontro 
di  Enea: 

.  .  .  manet  imperterrìtiis  ììle 

Hostem  magnanimum  opperiens  ,  et  mole  sua  stat^ 

Del  quale  avviso  fu  pur  Cicerone,  che  adira- 
to contro  l'avversario  sclamò  :  ignoras  haecl  Men- 
tre in  altro  luogo  ,  schivando  col  suo  dolce  stile  la 
nota  aspra,  avrebbe  detto:  haec  ignorasi  Ma,  con 
queir  acuto  suono  da  ultimo ,  bene  imitò  l' acerba 
voce  dell'  iracondo.  Così  il  Boccaccio  in  Catella  : 
Reo  e  malvagio  uom  che  tu  se  I  Nel  qual  luogo  que- 
gli ultimi  monosillabi  1'  uno  suU'  altro  ajutano  mi- 
rabilmente r  impeto  di  quel  grido.  Ma  se  in  vece  di 
reo  uom  che  tu  sé' ,  avesse  detto  tu  sei  malvagio , 
ecco  a  un  tratto  scemata  la  gagliardia  per  la  man- 
canza di  queir  asprezza  che  viene  da'  monosillabi 
e  dall'accento.  E  siccome  rigida  è  la  materia,  co- 
sì lo  sono  in  Boccaccio  le  voci  e  i  legamenti  loro, 
dove  dice  :  //  Rossiglione  smentato  con  un  coltello 
il  petto  del  guardastagno  aprì  :  e  con  le  proprie  ma- 
ni d  cuore  gli  trasse.  Né  in  meno  rigide  parole  si 
rivolse  alla  donna ,  dicendole  :  E  sappiate  di  certo 
eh'  egli  è  stato  desso  :  perciocché  io  con  qu£ste  mar 


Dionigi  d' Alicarnasso  S^S 

Hi  glielo   sfrappai  ,  poco  astanti  cK  io  tornassi  ,  dal 
petto. 

20'  E  Dante,  il  buono  imitator  di  Virgilio,  al- 
lorché volle  con  noba  magnifica  significare  Anteo  , 
che  si  rialzò  dopo  averlo  deposto  nel  più  fondo  in- 
ferno ,  adoperò  anch'  egli  I"  artificio  del  monosillabo 
di  Tucidide,  cantando; 

Né  sì  chinato  lì  fece  dimora^ 
Ma  come  albero  in  nave  si  levo^ 

E  tanto  è  vero  che  Dante  seguì  questa  dot- 
trina del  Falereo,  che  dopo  questi  vèrsi  chiaramen- 
te r  espose.  Avvegnaché  disse  di  cercar  rime  aspre 
e  chiocce  ,  quali  si  convengono  a  quella  trista  fossa 
che  serra  Lucifero  t  ed  ivi  chiamò  Tajuto  delle  mu- 
se ,  perchè  il  dire  non  fosse  diverso  dal  fatto.  Che 
se  con  questo  intendimento  ci  volgeremo  al  vige- 
simo  ottavo  canto  di  esso  (inferno  ,  vedrassi  come 
ivi  r  acerbità  delle  imagini  s'  accompagni  a  quel- 
la de'  vocaboli  e  delle  armonie.  Sicché  quell'  om- 
bre smozzicate  ti  paiono  colorite  alla  maniera  di 
Michelangelo,  quando  non  pur  dipinge,  ma  intaglia- 
E  dopo  avere  uditi  quegli  orridi  vocaboli  di  m/- 
Tjugia ,  di  corata  ,  di  tristo  sacco  con  quel  che  se- 
gue ^  odi  colui ,  che 

.  .   .  con  le  man  s'  aperse  il  petto 
Dicendo  :  or  vedi   com'  io  mi  dilacco  * 

Il  qual  dilacco  in  ogni  altro  luogo  sarebbe  vo- 
ce bruttissima  :  ma  quivi  è  un  tocco  del  terribile 
Buonaroti , 

Poi  ti  viene  avanti  il  Mosca,  sì  che  lo  vedi  : 


3^4         Letteratura 

Che  avea  ì  una  e  f  altra  man  mozza , 
Levando  i  moncherin  per  laura  fosca 
Si  che  7  sangue  facea  la  faccia  sozza . 

Ma  non  saremo  infiniti.  Solo  non  taceremo  di  quel 
luogo  del  canto  xxix  ,  in  cui  la  più  misera  e  fie- 
ra imagine  è  sottoposta  cos-ì  agli  occbi  della  men- 
te per  Tartiiìcio  de'  suoni  e  delle  voci ,  che  non  ve- 
de meglio  chi  vede  il  vero  .  Si  hanno  a  mostrare 
due  lebbrosi ,  e  la  loro  sconcia  e  fastidiosa  pena . 
Eccoli . 

Io  vidi  due  sedere  a  se  appoggiati  , 

Come  a  scaldar  s  appoggia  tegghia  a  tegghia» 
Dal  capo  a'  pie'  di  schianze  maculati . 

E  non  vidi  giammai  menare  stregghia 
A  ragazzo  aspettato  da  sigrtorso  , 
Né  ida  colui  che  malvolentier  vegghia  : 

Come  oiascun  menava  spesso  il  morso 

D(il'  ungliie   sovra  se,  per  la  gran  rabbia 
Del  pizzicor  che  non    ha  più  soccorso. 

E  sì   traean  giù   Tunghie  la  scabbia , 
Come  colte!  di  scardo  va  le  scaglie  , 
O  d'altro  pesce  che  più  larghe  Tabbia  * 

Noi  così  veramente  veggiamo  que'  due  miseri 
in  questi  versi ,  che  più  non  vi  bisognano  gli  oc- 
chi, ed  il  ribrezzo  ce  ne  corre  pel  sangue  .  Ma  se 
ancor  se  ne  voglia  conoscere  la  ragione  ,  si  vedrà 
chVlla  è  primamente  riposta  nella  scelta  de' vocaboli 
di  suono  scabro:  fegghia^  schianze^  ragazzo,  signor- 
so,  vegghia , rabbia^ pizzicor ,  scabbia,  unghie,  coltela 
scardo\> a ,  scaglie:  e  poi  da'  paragoni  tutti  scelti  da 
suggetti  vili  '.  e  dalla  tegghia  sovra  la  tegghia ,  e  dal 
ragazzo  della  sfalla  ,  e  dal  coltello  che  trae  le  scu- 


DiONiGi  d*Alicarnasso  3«5 

glie:  e  finalmente  dal  collegare  quéste  imagini  e 
queste  voci  cori  armonie  convenienti  a  loro  .  ISè 
Certo  si  porlno  udire  suoni  veri  piÙ  di  questi  : 

'  •  •  '  ^^ndvd  spesso  it  morso 
Dell'unghie  sovrd  se  per*  la  grati  rabbia 
Del  pizzicar . 

é  di  questi  * 

E  sì  iraevan  giù  t unghie  tà  scabbia  , 
Come  cokel  di  scardom  te  scaglie. 

tenesti  artificii  degli  scrittofl  afltichi  sì  fanno  igiio- 
ti,  quando  Tarli  trabboccano  iu  certe  leggi  fanta- 
stiche, tutte  lontane  dalla  casta  e  difficile  natura 
Quindi  i  sonettierì  della  passata  generazione  si  git- 
tavano  sopra  Dante,  e  lo  stracciavano  siccome  bar- 
baro .  E  siccome  èssi  avrebbero  descritta  la  lebbra 
simigliandola  alle  rose  ed  ai  fiorellini  del  bosco  e 
chiamando  li  zefiretti  di  tutt' Arcadia  a  temperarne'  U 
fiioco,  così  non  seppero  intendere  né  Dante  né  Tar- 
tificio  suo,  che  ad  una  cosa  sovra  l'altre  intese  col 
suo  grande  stile,  cioè  :  ad  ajutare  in  tutto  l'imagi- 
ne    col  vocabolo  , 

Sì  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso  . 

Ma  assai  confutammo  Dionigi  colle  dottrine  del  Fa- 
iereo ,    e  gli  eSempj  de'  più  celebrati  maestri . 

21.  Udiamo  accusa  novella .  E  quale?  di  trop- 
pa diligenza.  E  perchè?  Perchè  Tucidide  ponesse 
ventisett  anni  interi  nello  scrivere  soli  otto  libri. 
Oh  genere  d'accusa  veramente  novello  !  Anzi  così 
maligno  che  il  confutarlo  snrebbe  atto  indegno  del- 


o 


'jG  Letteratura 


la  filosofica  gravità  .  E  perciò  passiam  oltre;  ma  non 
senza  lodare  Tucidide  ,  e  in  lui  tutti  que'  diligen- 
ti autori,  che  col  timore  della  pubblica  luce  mo- 
strano la  loro  Sapienza  ,  e  la  cura  della  buona  glo- 
ria,  e  il  desiderio  di  giungere*  a'  lor  nepoti .  E  co- 
sì il  siigello  di  questo  esempio  disinganni  quella 
gran  turba  di  autori,  che  scrivono,  al  modo  degV 
improvvisanti  ,  ciò  che  loro  detta  il  poco  sapere 
e  il  guasto  ingegno:  e  senza  molto  rivoltare  di  car- 
te si  credono  nati  a  lordare  e  correggere  tutte  le 
carte  dell'  universo  .  Pel  quale  esempio  si  ragiona, 
che  Tucidide  ponesse  più  tempo  a  scrivere  un  pe- 
riodo ,  che  costoro  non  pongono  ad  impiastrare  un 
volume.  Ma  chi  lento  sorge,  lento  pur  cade:  le  co- 
se in  fVelta  venute,  in  fretta  pure  si  partono:  ed 
il  giorno  del  loro  nascere  è  spesse  volte  indiviso 
con  quello  del  lor  morire. 

22.  Il  nostro  Alicarnasseo  seguitando  afferma, 
che  quattro  belle  qualità  fanno  a* Tucidide  uno  sti- 
le proprio  e  singolare.  Elle  so^o:  vocaboli  usati  e 
congiunti  alla  poetica:  varietà  nelle  figure:  austerità 
nel  numero:  e  brevità  nel  significare  .  E  quindi  con 
ardita  metafora  ei  dice  :  che  furono  colori  di  Tuci- 
dide faceibo,  il  denso  ,  l'amaro  ,  il  ruvido  ,  il  ga- 
gliardo, il  grave,  il  terribile;  e  che  l'eloquenza  di 
lui  massiman:enle  era  fatta  per  isvegliare  ne'  cuori 
gli  affetti  più  meravigliosi.  Per  ciò  conchiude,  che 
dove  il  suo  potere  fa  pari  passo  col  suo  volere  , 
egli  stampa  una  orazione  eletta  ,  compiuta  e  che 
può  dirsi  divina  .  Ma  quando  le  forze  poi  non  gli 
bastano  ,  e  que'  suoi  nervi  si  stancano  per  la  trop- 
pa rapidità,  allora  il  suo  dire  si  fa  dubbio  ed  oscu- 
ro .  JNè  per  questo  capo  ci  discosteremo  dal  ripren- 
ditore di  Tucidide  .  Perchè  quantunque  la  bre- 
vità  sia    uno    degli    elementi  della    eleganza ,   pure 


BioifiGi  d' Alicarptasso  3^'2 

quand'ella'  è  soverchia  si  fa  elemento  dell'oscurez- 
za  .  Dicono  i  retori  che  per  due  modi  acquistasi 
essa  brevità.  L'uno,  usando  voci  assai  proprie;  Val- 
tro  ,  adoperando  lelissi ,  o  sia  il  tralasciamento  . 
Dal  che  vogliamo  fare  una  osservazione  assai  age- 
vole a  farsi ,  ma  pur  non  fatta:  ed  è  questa.  Che 
la  brevità,  la  quale  procede  dal  modo  primo,  non 
può  mai  farsi  viziosa:  ma  quella  che  viene  dal  mo- 
do secondo ,  cioè  dal  tralasciamento ,  è  di  assai  dif- 
ficile uso  .  Che  se  le  elissi  sono  fiori  dell'eloquen- 
za ,  elli  somigliano  certo  a  que'  fiori  che  spuntano 
suir  orlo  delle  rupi  :  che  non  si  odorano  -  senza  ri- 
schio del  coglitore.  <■..■■ 

23.  Da  questa  seconda  maniera  dunque  si  de- 
riva troppo  sovente  la  brevità  di  Tucidide  :  e  quin- 
di il  peccato  suo  .  Il  quale  troviamo  osservato  da 
Cicerone  medesimo,  nel  libro  che  detto' è  l'orato- 
re :  ove  insegna  :  che  Tucidide  empiè  alcuna  nwl- 
ta  le  carte  di  sì  oscuie  e  sì  riposte  sentenze^  chel-' 
le  s intendono  a  ^ran  fatica  .  (i)  i^  nel  giudicio  di 
sì  grand' uomo  noi  ci  vogh'amo  acchetare  :  a  fine  che 
la  nostra  difesa  non  sia  più  tosto  governata  dagli 
affetti  che  dalla  ragione  .  Perchè  sia  pur  grande 
l'amore  che  noi  portiamo  a  Tucidide:  egli  non  avrà, 
mai   forza  che  basti  a  trarci  fuori  del  senno  . 

Vogliamo  anzi  aggiungere  che  il  soverchio  stu- 
dio della  brevità  ,  quantunque  non  faccia  sempre 
oscuro  il  sermone  .  pure  lo  fa  sempre  arido  ,  e 
crea  quel  genere  di  eloquenza  che  da  Tullio  è  detr 
to  ?ion  limpido^  non  isteso  ,  non  iscorrevole  ,  ma 
tenue ^  conciso,  rotto,  puerile  e  minuto  .  E  qui  si 
consentono  insieme  Tullio  ,  Dionigi  e  Demetrio  Fa- 


(i)  eie.  orat.  e.  9. 


il 


1» 


3^8  Letteratura 

lereo  .  Il  quale  ha  insegnato  che  (i)  „  trattandosi 
,,  materie  gravi  è  grande  peccato  il  chiudere  i  pe- 
„  riodi  con  suoni  acuti  ,  che  non  facciano  andar 
„  presto  e  dritto  il  discorso  ,  ma  sì  lo  tardino  e 
lo  facciano  zoppo  ,  come  disse  quel  greco  accu- 
„  sando  Aristide,  perchè  non  fosse  venuto  al  con- 
flitto di  Salamina  : 

Ma  .quivi  di   sito  talento  la  stessa  Cerere  ■venne  ^ 
e  al  nostro  fianco  pugnò  .  E  Aristide  nò  . 
^  La  quale   frattura   di  periodo   è  senza  ragione  al- 
„  cuna  e  non  ha   decoro  .  ,,   Cosi   Demetrio. 

24-  Laoade  ci  par  utile  il  ricordare  agl'italia- 
lian  questo  accorto  insegnamento:  da  che  ad  alcu- 
ni l'arido  stile  de'  ducentisti  ,  e  ad  altri  la  serva 
imitazione  degli  stranieri  hanno  fatto  dimenticare 
quelle  nobili  arti  ,  che  all'italico  stile  acquistarono 
dolcezza  e  copia ,  gravità  ed  armonia  .  Tolgasi  in 
esempio  alcuno  di  que'  periodi  del  Boccaccio,  ov' 
egli  conservò  quel  vago  temperamento  di  costru- 
zione, che  senza  farsi  latina  si  fece  meglio  italiana, 
e  singolare  per  soavità  da  tutte  l'altre  lingue  viven- 
ti. Odasi  il  caro  suono  di  questo  periodo: 

Già  per  tutto  aveva  il  sole  recato  Colia  sua  lu- 
ce il  nuovo  giorno  :  e  gli  uccelli  pe  verdi  ra- 
mi ,  cavitando  piacevoli  versi  ^  ne  davano  agli 
orecchi  testimonianza  .  Quando  parimenti  tut- 
te le  donne  e  i  tre  Giovani  levatisi  ,  né  giardi- 
ni se  n  entrarono  :  e  le  rugiadose  erbe  con 
lento  passo  scalpitando  ,  d  una  parte  in  un  al" 
tra  ,  belle  ghilande  facendosi  ^  per  lungo  spa- 
zio diportando    s'andarono  .  (2) 


(1)  Dcmctr-  Falcr.  par.  72» 
\-ì.)  Boc  gior.  2.  proem. 


Dionigi  d  Alicarnasso  ^y^ 

Non  cenosclamo  nota  che  possa  dirsi  vaga  « 
soave  se  non  è  questa  .  Ma  ora  s'ascolti,  come  ne 
torrebbero  ogni  dolcezza  coloro  che  sono  fra  noi 
cresciuti   nelle  scuole  degli   stranieri  : 

Spi f rideva  il  sole.  Era  giorno.  Gli  ucelìi  cantane 
do  il  mostravano .  Le  donne  e  i  giovani  si  le* 
varono  :  passeggiarono  il  giardino  :  vi  federo 
ghirlande-,  vi  stettero  un  gran  pezzo'. 
Ecco  accomodato  al  raaico  snono  moderno  il  bel 
periodo  antico.  Ma  ecco  pure  come  d'un  leggiadro 
corpo  s'è  fatto  un  mucchio  di  meilibia  o  affatto  di- 
scolte, 0  non  bene  congiunte  .  E  questa  calpa  fu  bo- 
tata ne*  più  rozzi  lati-ni .  Perchè  in  que'  principii  l'uo- 
mo non  seppe  sottilmente  avvisare  gli  artifizi!  dll- 
ficili  della  riposata  giacitura  e  del  numero  .  ';' 
35.  Ma  Tucidide  fiori  avanti  que'trovati  nòVèlÀ 
li  .  Né  potè  fare  che  Cratippo  (i)  non  accusasse  le 
sue  orazioni  ,  come  spesso  moleste  agli  orecchi',  e 
Cicerone  non  dicesse,  ch'ei  non  avrebbe  saputo  imi- 
tarle volendo,  ne  f  avrebbe  pur  voluto,  sapendolo.  (2) 
Perciocché  egli  stimava  che  quella  arguta  brevità 
non  potesse  movere  mai  gli  affetti ,  né  volgere  la 
moltitudine;  e  insegnava  che  essa  brevità  è  lode  in. 
alcuna  parte  del  dire  ,  ma  che  in  tutto  il  dire  non  è 
mai  da  lodare  (3).  Né  già  lo  spaventò  l'autorità  che 
viene  dalla  reverenda  vecchiaja  :  ma  disse  :  „  di 
",,  somigliare  colui  che  si  piace  del  buon  vino  di 
,,  Falerno  :  non  però  così  giovane  che  sia  nato  sot- 
,,  io  il  console  del  vicino  anno ,  né  così  vecchio 
„  che  si  sigilli  nel  nome  de'  consoli  Anicio  ed  Gpi- 


(1)  Voas.  Ret.  f.  68. 

(2)  eie.  de  ci.  or.  cap.  83. 

(3)  Cic.  1.  «. 


38o  Letteratura. 

„  mìo»  Questa  vecchia  data  è  rarissima  :  il  credo. 
„  Ma  il  troppo  vecchiume  non  sì  patisce  ;  né  tie- 
„  ne  mai  quella  soavità  che  sì  cerca  .  E  il  savio 
„  bevitore  chiede  mai  questo?  non  già.  Lo  cerca 
„  d'età  mezzana.  Ed  io  così  farò;  io  fuggirò  que- 
„  sii  novelli  sermoni  che  sanno  ancor  del  mosto  e 
„  del  tino  :  e  non  seguirò  pur  quelli  di  Tucidide, 
„  quantunque  ei  sieno  così  eccellenti .  Ma  li  terrò 
„  come  vino  riposto  sotto  il  console  Anicio  .  Che 
,,  se  Tucidide  fosse  vissuto  in  più  tardi  giorni,  io 
„  so  ch'egli  avrebbe  vena  meno  austera  e  più  ama- 
„  bile.  „ 

a5.  Ne  qui  trapassi  da  noi  l'osservare  ciò  che 
nota  Demetrio  intorno  il  chiudere  de'  periodi,  spe- 
cialmente dove  l'orazione  si  posa.  Percliè  vuole  ch'iVi 
/'  ultimo  membro  sia  pili  lungo  degli  altri ,  e  quasi  li 
contenga  ,  e  li  circondi  colle  sue  braccia  .  Perciocché 
in  tal  m,odo  il  periodo  acquista  vera  magnificenza  e 
decoro  da  quel  suo  finimento  magnifico  e  decoroso  - 
Che  se  questa  legge  non  sarà  adempiuta  ,  l  orazione 
si  faràtronca.  (i)  Del  qual  difetto  se  tra  gli  antichi  è 
notato  Tucidide  ,  noi  tra'  moderni  mal  sapremmo 
difenderne  Vittorio  Alfieri  :  che  spesso  con  questa 
Xhaniera  di  clausole  stridenti  e  rotte  si  fa  molesto 
agli  orecchi  :  irrita  l'animo  ,  ma  noi  trascina  seco  : 
perchè  gli  affetti  svegliati  e  condotti  dalla  parola  s'ar- 
restano air  arrestarsi  della  lor  guida  .  Di  che  so- 
no infiniti  gli  esempj  in  quelle  mirabili  sue  trage- 
die. E  veggasi  in  quell'  Achimelecco  del  Saul;  do- 
ve coir  acuto  monosillabo  e  il  finimento  brevissi- 
mo toglie  gran  parte  della  grandezza  dì  quel  tremen- 
do parlare  profeCìco  .  E  sonanti  al  vero  sono  que- 
sti versi,  e  quasi  battuti  alle  incudini  orientali  : 

(i)  Dcra.  Fai.  part.   19. 


Dionigi  d' Alicarivassq  38i 

,  .  .  Trema  Saul.   Già  in  alto 
In  negra  nube,  sovra  ali  dì  foco  , 
Veggio  librarsi   il  fero  angel  di  morte  . 
Già  d'una  man  disnuda  ei  la  rovente 
Spada  nitri  ce;  dell'  altra  il  crin  canuto 
Ei  già  t'afferra  dell'  iniqua  testa  . 


Dov'  è  la  casa  di  Saul  ?  Neil'  onda 
Fondata  ei  Y  ha .  Già  già  crolla  :  già  cade  : 
Già  in   cener  torna:  è  nulla  già.  (i) 

Il  quale  ultimo  verso  guasta  e  consuma  tutta  la 
magnificenza  de'  precedenti  ;  e  lascia  freddi  gli  udi- 
tori, e  come  sorpresi  di  quella  frattura.  Né  saravvi 
mai  buon  recitatore  che  se  ne  chiami  contento  -  Né 
già  questo  è  il  modo  con  cui  mostrammo  che  Vir-^ 
gilio  e  Dante  chiusero  il  periodo  co'  monosillabi; 
ma  quel  nulla  è  già  è  una  clausola  fatta  sulla  so- 
la norma  di  questa  per  Demetrio  censurata: 

Quivi  di  suo  talento  la  stessa  Cerere  ven- 
ne^ e  al  nostrojìanco  pugnò.  E  Aristide  nò. 
Che  se  il  Falereo  non  perdona  all'  autore  di  quel- 
la prosa ,  comeckè  antichissimo  :  non  saremo  noi 
tacciati  di  rigore  notandone  il  difetto  in  un  mo- 
derno poeta  ,  comechè  nobilissimo  .  Che  anzi  cre- 
diamo questa  essere  sovente  una  delle  ragioni ,  pei»- 
cui  esso  tragico  poche  volte  comraove  l'animo  ,  e 
pochissime  il  pianto  .  Perchè  studiando  a  esser  bre- 
ve, tiene  di  quella  troppa  aridità  de'  vecchi  ,  che 
qui  non  si  loda  ;  e  pare  che  in  quanto  allo  stile 
abbia  scelto  di  farsi  appellare  più  tosto  1'  Eschilo 
che  il  Sofocle  dell'  Italia  .  Comunque  però  sia  ,  egli 


(I)  Alf.  Saul,  att.  4« 


3da  Letteratura 

è  certo,  che  terminandosi  Torazioue  per  quegV in- 
cisi e  per  que  suoni  acuti  ,.  $i  rompe  il  cerchio 
delle  parole:  siccome  dice  Tullio  graziosamente:  m- 
frin^itur  ille  verborwn  quasi  eunlfitus  .  O  più  ve- 
ramente accade  quello  che  Aristotele  con  altra  bel- 
la imagine  dichiarò  nel  nono  della  sua  retorica  :  che 
quel  corto  finire  fa  che  l'ascoltante  ,  mentre  con  te 
cammina,  tutto  a  un  tratto  s  intoppi ,  come  il  cieco 
che  incontra  il  muro,  (i)  E  qi^esto  avviene  ,  perchè 
quand  uno  sì  ha  proposto  nell  animo  di  correre  a  di- 
lunga Jìno  a  un  termine  certo  ;  se  vi  si  trova  esser 
giunto  prima  che  non  s^era  imaginato  ,  necessaria- 
mente conviene  che  si  ritiri ,  e&me  se  avesse  urtato 
in  cosa  che  lo  ributtasse  . 

26.  Disputate  queste  cose  ,  Dioivigi  si  condu- 
ce a  lodare  assai  quella  pittura  ,  che  nel  settimo  li- 
bro Tucidide  ha  fatto  della  battaglia  navale  tra  que' 
d'Atene  e  quelli  di  Siracusa  .  E  la  pone  in  esem- 
pio di  tutte  le  virtù  dello  storico;  e  principalmen- 
te di  leggiadria  ,  di  gravità ,  e  di  magnificenza.  In 
questo  dichiara  una  sua  opinione ,  che  a  noi  par 
degno  che  si  rammenti  .  Ed  è  :  che  la  vera  eloquen- 
za dee  prendere  l'animo  d'ogni  generaziene  di  ascol- 
tatori :  siccliè  a  lei  s'inchini  l'uomo  che  selvaggio 
di  filosofia  nuli'  altro  conosce  fuor  quello  che  gli  è 
molesto  o  giocondo;  e  a  lei  s'inchini  del  paro  chi 
è  usato  agli  ordini  di  quel!'  arte  razionale  ,  cha  fa 
distinguere  la  bontà  d'ogni  umano  lavoro .  Quindi 
non  sia  voce,  non  figura  che  offenda  il  grosso  giu- 
dìcio  degl'  insipienti  :  ma  né  pur  modo  ,  né  stile 
che  non  trovi  grazia  presso  que'  sapien^tissimi  che 
l'imperito  volgo  dispregiano.  Simile  ed  una  sia  1« 


(1)  Arist,  Ret.  cap.  ix. 


PiONiGi  d'  Alicarxamo  383 

sentenza  così  de'  pochi  ,  come  della  volgar  genie  ? 
e  i  dotti  e  gì' indotti  si  consentano  in  quella:  per- 
chè degli  pni  e  degli  altri  vuoisi  atteso  il  giudicio 
in  tutto  che  s'appartiene  alla  squisitezza  di  quelle 
arti, che  sono  latte  a  servigio  della  moltitudine.  Que- 
sta sia  S€ntenza  che  disinganni  coloro ,  i  quali  di- 
sputando della  tragedia  ,  della  musica  ,  e  del  ser- 
mone ,  stimano  che  possa  dirsi  perfetto  quel  lavo- 
ro che  si  lodi  per  alcun  solitario  coltivatore  dell* 
arte  ,  e  che  al  rimanente  popolo  paja  brutto  .  La  fa- 
miglia di  costoro  è  già  di  mollo  cresciuta  ;  a  v'h^ 
chi  si  consola  de'fìschj  d'un  intero  teatro  per  le  ma- 
gre lodi  d  un  suonatore  di  zufFoli  vieW  orchestra  :  e 
v'ha  chi  non  cura  se  la  sua  tragedia  ha  svegliate  1^ 
risa  nel  popolo,  purché  siavi  un  pietoso  pedante  che 
jcolle  sue  regole  provi  al  popolo  ch'egli  doveva  pian- 
gere dove  ha  riso  ,  Ma  noi  con  Dionigi  stimia- 
mo ,  che  costoro  sieno  in  grande  errore:  conciossia- 
chè  la  bontà  delle  cose  dee  giudicarsi  dall'  adempi- 
mento del  loro  fine;  né  la  spada  è  buona,  se  eli*  ^ 
splende  di  rubini  ,  ma  s'ella  fora:  né  buono  è  il  ca- 
vallo s'egli  è  del  colore  dell'  oro  ,  ma  s'egli  corre. 
E  perciò  dove  il  fine  è  il  piacere  a  tutti ,  e  tutti 
persuadere  ,  male  a  colui  che  a  pochi  piacque  ,  e 
pochi  ne  persuase  .  Né  vale  il  rispondere  che  al- 
cuna volta  le  opere  non  belle  incontrano  il  favo- 
re del  vario  popolo  ;  percM  questo  avvenne  ed  av- 
viene pe'  suoi  non  sani  giudizii ,  e  per  le  torte  ima- 
gini  che  i  sapienti  falsi  alcuna  volta  gli  posero  nel- 
la mente .  Ma  da  ciò  non  iscende ,  che  le  cose  ve- 
ramente ottime  non  piacciano  ai  più  ,  e  sempre  . 
Perchè  mentre  quel  bizzarro  spirito  del  Borromino 
architettava  la  scomposta  faccia  del  palazzo  di  Pro- 
pagaiida  ,  pure  il  panteon  e  l'anfiteatro  non  cessava- 
no di  parere  i  due  miracoli  dell'alta  Roma  .  E  co-. 


384  Letteratura. 

mecliè  si  lodassero  dal  guasto  mondo  le  statue  che 
l'ardito  Bernino  poneva  nel  Vaticano  ,  pure  ad  una 
yoce  dice  vasi  che  l'Apollo,  TAntinoo,  e  il  Laocoon- 
te  erano  soli  ancora  .  Può  dunque  la  corrotta  ple- 
be lodare  alcuna  volta  le  cose  non  belle  :  ed  ora 
forse  loda  spesso  molte  sconcezze  e  assai  mostri 
nelle  poesie  e  ne'  teatri  ;  ma  ella  non  può  non  lo- 
dare le  cose  veramente  bellissime  di  bellezza  eter- 
na .  Anzi  quelle  opere  d'arte  che  manchino  di  que- 
sta lode  npn  si  dirà  che  mai  sieno  giunte  al  termi- 
ne dell'  eccellenza  .  E  perchè  questo  vero  si  fa 
troppo  invidiso  specialmente  negato  da  coloro,  che 
dopo  enormi  fatiche  non  hanno  poi  colto  il  frutto 
del  plauso  popolare  ,  noi  conforteremo  l'opinione  di 
Dionigi  e  la  nostra  coli'  autorità  e  colla  filoso- 
fia di  Cicerone  .  Il  quale  troviamo  avere  significa- 
te nel  Bruto  queste  còse  medesime:  e  averle  chia- 
rite a  lungo  con  quella  sua  lucidissima  eloquenza  . 
Ivi  ,  parlando  suU'  oratore  ,  egli  dice  :  (i)  „  Dote 
„  principalissima  del  sommo  oratore  è  l'essere  in 
„  voce  di  sommo  anche  presso  la  minuta  gente  . 
„  Né  monta  se  quell'  Antigenide  suonatore  di  ti- 
„  bie,  e  quel  suo  discepolo  che  tutti  nojava  col  suo 
„  suonare,  gridò  in  udienza  di  tutti  :  suona  a  me 
„  ed  alla  muse.  Io  a  Bruto  ,  mentre  arringava  la 
„  moltitudine,  gridai  :  o  mio  Bruto^  parla  a  me  ed 
„  alla  m,oltitudine  ;  perchè  la  plebe  sappia  che  co- 
„  sa  s'ha  da  fare  :  ed  io  il  perchè  s'ha  da  fare  .  Chi 
„  ascolta  crede  ciò  che  si  dice  :  lo  stima  vero  : 
„  approva:  consente: e  il  discorso  suo  fa  la  sua  cre- 
„  denza .  Or  tu  coU'arte  che  più  4iw»andi  ?  La  mol- 
„  titudine  è  presa  all'  esca  del  diletto  ,    e  si  volge 


(i)  eie.  Br.  cap.  5o. 


Dionigi   d'  Alicarnasso  385 

„  dove  vuole  rarringo ,  ed  ha  Tanima,  dirò  così, 
,,  tutta  infusa  d  una  soavissima  voluttà  .  Non  acca- 
„  de  più  il  disputare  .  Gode  ella  ,  si  duole  :  ride, 
„  piange  :  odia  ,  favoreggia  :  disprezza  ,  invidia  :  è 
„  menata  a  pietà,  a  pentimento  ,  a  vergogna:  s'adi- 
„  ra ,  si  meraviglia,  spera,  paventa,  è  tutta  sic- 
„  come  imperano  le  parole  ,  le  sentenze  ,  e  gii  atti 
„  deir  oratore.  Or  qui  che  bisogno  è  1'  aspettare  il 
„  giudicio  del  letterato?  Ciò  che  in  questi  modi  ella 
„  approva,  sai'à  dai  letterati  pure  approvato  .  Que- 
„  sta  è  una  foggia  di  popolare  giudicio,  in  cui  la  scn- 
„  tenza  del  sapiente  non  si  disgrega  da  quella  dell' 
„  insipiente.  —  Quelli  che  per  opinione  del  volgo 
,,  vennero  in  voce  d"  eloquentissimi ,  furono  pure 
,,  levati  a  cielo  dall'universal  parere  dei  savii.  Né 
„  Demostene  avrebbe  potuto  mai  dire  ciò  che  nar- 
„  rasi  che  dicesse  il  poeta  Antimaco  da  Glaro  .  Il 
,,  quale,  mentre  leggeva  ad  una  bella  radunanza  un 
„  certo  suo  grande  libro,  vcggendosi  a  poco  a  po- 
„  co  abbandonare  da  tutti ,  fuorché  da  Platone  : 
„  seguirò ,  disse ,  seguirò  pur  anche  :  il  solo  Platone 
,,  mi  varrà  quei  mille  che  qui  non  sono  .  E  tlisse  a 
„  dritto  .  Perchè  quel  poema  era  un'alta  e  riposta 
„  cosa  :  e  potea  starsi  contenta  all'  approvale  de' 
„  pochi  .  i\l£^  una  orazione  fatta  pel  popolo  dee  gi- 
„  rarsi  dove  il  sentire  del  popolo  lo  richiegga  .  ,, 
E  a  questo  passo  ne  si  conceda  Tosserrare  ,  che  i 
trattati  di  scienze  e  le  disputazioni  de'  filosofi  non 
cadono  sotto  questa  legge:  e  nò  pqre  vi  cadono  le 
opere  de'  poeti  ,  quando  non  sono  fatte  a  piacere 
9  a  bene  di  tutto  il  popolo  ;  siccome  sono  i  poe- 
mi filosofici,  e  i  canti  lirici ,  dove  dicono  di  odia- 
re il  volgo  e  i  profani  .  Ma  la  dottrina  dcii'Alicar- 
nasseo  e  di  Tullio  si  dee  pienamente  seguire  nelle 
tragedie  ,  nelle  musiche  ,  nelle  commedie,  nello  scol- 
G.A.T.IX.  25 


380  Letteratura 

pire,  nel  pingere,  ne  sermoni  pubblici,  e  in  quan^ 
te  sono  le  arti  ,  delle  quali  è  primo  fine  il  dilet» 
to  o  la  persuasione  della  moltitudine.  Perchè  stoU 
to  è  l'uomo  che  nell'opera  non  cura  il  pregio  dell' 
opera;  e  come  leggiadramente  conchiude  Tullio:  se 
il  suonatore  soffia  nella  piva  ,  ed  ella  non  gli  dà 
suono,  il  suonatore  consigliasi  di  gittarla.  Or  quel- 
lo che  sono  le  tibie  per  costui ,  sono  le  orecchie 
del  popolo  per  chi  parla  al  popolo  .  Che  se  elle 
non  accolgono  il  fiato  suo  :  se  chi  lo  ascolta  non 
Tolgesi  alla  sua  voglia,  può  egli  por  fine  air  inutile 
suo  soffiare  . 

2y.  Da  queste  considerazioni  il  censore  discende 
ad  osservare  sottilmente  alcuni  vocaboli  e  tropi  e 
collegamenti  eh'  egli  crede  viziosi .  De'  quali  or  sa^. 
rebbe  assai  diFfìcile  e  forse  arrogante  il  far  qui  giudi- 
ciò  .  Perchè  de'nomi ,  dc'periodi ,  delle  ragioni  armo- 
niche d'una  favella  che  più  non  è  ,  male  da'  posteri 
si  può  dispulare  con  quelli  che  vìssero  quand'ella  fu  . 
E  chi  'l  tacesse  ,  daiebbe  segno  di  non  essere  fino 
conoscitore  né  pure  della  propria  lingua  :  ignorando 
quanto  sottili  ,  e  difficili  a  ponderarsi  sieno  le  forze 
delle  voci  vive,  e  gli  usi  loro,  e  gli  accompagna- 
menti, e  i  costrutti,  e  i  suoni  che  se  ne  cavano,  e  per 
che  litigiosi  confini  si  dividano  i  solecismi  dalle  ele- 
ganze ,  le  figure  dagli  errori ,  e  le  metafore  dalle  ana- 
polle  . 

28.  Finalmente  abbandonata  la  disputazione  de 
suoni ,  degli  scontri  ,  degli  apici  ,  si  fa  il  censore  a 
ragionare  delle  concioni .  Né  sappiamo  quanto  se  ne 
giovi  l'ordine  del  suo  libro  .  Perchè  avendo  egli  al 
cap.  XVII  e  XVIII  tenuto  ragionamento  sulle  con- 
cioni di  Pericle  e  Diodoto ,  o  dovea  egli  tutta  trat- 
tare allora  la  materia  delle  concioni ,  o  riserbarne 
ogni  discorso  per  questo  luogo. 


I)lONIGl    d'  AlICARNASSO  887 

Qui  tornando  a  quell'usato  partimento  delle  cose 
dalle  parole,  incomincia  il  favellare  dalle  cose.  E  lo- 
da i  sermoni  di  Tucidide  pe' trovati  degli  argomenti 
e  delle  sentenze  :  e  li  dice  squisiti ,  pellegrini ,  mi- 
rabili .  Ma  intanto  U  condanna,  perchè  non  li  adope- 
ri secondo  le  più  ferme  leggi  dell'  arte  .  E  parla  di 
quel  genere  di  studiosi  ,  QÌie  fanno  le  maraviglie 
d'alcuno  autore  prediletto  ,  e  si  prostrano  ciechi  a 
quello ,  come  persone  invasate  dallo  spirito  di  qual- 
che nume  .  Che  se  alcuno  gli  avvisa  ,  e  gl'insegna , 
je  chiede  loro  il  perchè  d'alcuna  parte  o  posta  fuori 
di  luogo,  o  non  tiene  accomodata  alle  persone  e  alle 
cose,  o  di  soverchio  allungata  ,  ei  n'hanno  subilo  mo- 
lestia grave  .  Talché  rendono  imagine  di  coloro ,  cui 
lungo  desiderio  punge  dell'  amore  d  alcuna  cosa  ? 
ardono  di  vederla:  il  desiderio  si  muta  in  incendio. 
E  credono  nella  cosa  da  loro  amata  esser  quelle  tutte 
quante  vaghezze ,  onde  le  cose  si  fanno  vaghe  .  Che 
se  alcuno  intende  a  mostrarne  i  difetti ,  tosto  lo  fug- 
gono,  siccome  uomo  di  calunnie  e  d'invidia .  Per 
simile  questi  idolatri  d'un  solo  autore  presi  all'ingan- 
no di  una  sola  virtù  ,  gli  tribuiscono  pure  quellaltre 
ch'egli  non  ebbe  mai.  E  non  è  miracolo.  Imperoc- 
ché quelle  pose  ch'egli  desidera  in  colui  eh  egli  ama 
ed  ammira,  quelle  medesime  ei  facilmente  in  lui  ve- 
de, siccome  vogliono  meraviglia  ed  amore.  Ma  chi 
non  ha  olfeso  il  giudicio  ,  chi  misura  la  ragione  alla 
norma  della  dritta  legge  ,  né  tutto  adorna  di  lode , 
né  di  tutto  prende  noja  ed  affanno  .  Concede  il  debito 
onore  a  quelle  cose  che  sieuo  bene  ritrovate  e  di- 
sposte :  e  poi  dove  trova  peccato,  quivi  non  gitta 
lode. 

Né  questa  dottrina  bellissima  di  Dionigi  lascere- 
mo noi  senza  onore  :  che  anzi  vogliamo  ch'ella  con- 
forti le  cose  da   noi  già  scritte  intorno  1'  imilazioae 

2  0 


38S  LSTTERATUHA 

degli  antichi .  E  temperi  la  superstizione  di  coloro 
che  nelle  pQ.che  colpe  de'  classici  autori  vorrebero 
troppo  spesso  trovare  nuove  eccezioni ,  per  corrompe^ 
re  le  sane  leggi  della  natura  e  dell'arte  . 

29.  Al  capitolo  XXXV I  si  celebra  assai  quel  luo- 
go del  secondo  libro  di  Tucidide  ,  dove  è  descritta 
1  ambasceria  che  gli  uomini  di  Platea  ordinarono  di 
mandare  ad  Archidamo  re ,  che  guastava  le  loro  ter- 
re .  Non  può  certamente  leggersi  narrazione  più  vi-» 
cina  al  vero ,  né  mostrata  con  più  chiara  eloquenza . 
Ma  dopo  questa  breve  lode  ,  si  prende  subito  a  censu-» 
rare  il  quinto  libro  :  dove  è  raccontata  la  guerra  tra 
Milo  e  Atene  :  e  i  discorsi  che  si  tennero  tra  gli  1^0- 
mini  dell'  isola  e  i  nunzi  degli  ateniesi .  I  quali  con 
modo  nuovo  e  assai  bello  sono  posti  in  dialogo  se- 
condo lo  stile  de'  tragici . 

E  benché  quelle  alterne  parole  sieno  sembrate 
assai  nobili  al  comune  de  retori ,  pure  a  Dionigi  noi 
sembrano  .  Anzi  comincia  dal  notarvi  alcune  troppo 
ardite  figure  grammaticali ,  ch'egli  intitola  solecismi. 
E,  procedendo  più  innanzi,  nota  assai  mende  nelle  ra- 
gioni drammatiche  di  questa  scena.  Guardiamo  nel 
fatto  :  e  conoscasi  il  vero  . 

30.  Gl'isolani  di  Milo  erano  d'origine  lacedemo-? 
nia  :  e  superbi  del  principio  loro ,  non  volevano  pie- 
gare il  collo  ad  Alene  .  Non  però  erano  a  lei  nemici  : 
neutrali  stavano.  A  questo  l'orgogliosa  Atene  non 
si  J'a  paga  :  e  ,  v  inli  i  Medi ,  move  ai  danni  di  Milo  . 
Cleom»=de  e  Tisia  già  sono  nell'  isola ,  e  le  minac- 
ciano li  guasto .  Per  nascondere  non  di  meno  quella 
brutta  violenza  sotto  il  santo  aspetto  della  magnani- 
mità, mandano  ambasciatori  a  quella  intrepida  gente. 
Ella  ucu  vuole  riceverli  nell'udienza  del  popolo:  ma 
in  quella  di  pochi  savii  e  de'  magistrati  .  11  dialogo 
è  dunque  nei  palagio  d^l  comune  di  IV^ilo  fra  gli  ot- 


l)lONIGI    d'  AliCARNASSO  ^Sj 

timi  della  città,  ei  nunzi  degli  ateniesi.  Udiamo- 
ne  i   sensi  e  le  censure  . 

Principalmente  Dionigi  avvicina  tra  loro  alcn- 
ne  sentenze  degli   ateniesi   che  in  quel  diaìogo  sono 
divise  :    e  ne  cava  ,   eh  elli  così  ragionassero  .  ,,  Fi- 
„  nora  vi  fummo  amici  :  ed  ora  vi  siamo  nimici  :  ft 
,,  questo  senza  essere  offesi  da  voi .  Ma  /  pùì  forti 
„  mutano  parole  e  consigli  secondo  il  mutare  de  casi. 
1,,  In  questa  congrega  venimmo  per  provvedere  alla  sa- 
„  Iute  della  città ,  scegli  'vi  pare  si  parli  alla  guisa  dà 
„  voi  proposta  ,^ .  Per  poco  fermiamo  qui  la  lettura  :  e 
notiamo  che  Dionigi   qui  pone  dette    dagli   ateniesi 
queste   ultime  paróle  :  le  quali  noi   cercando  in  Tu- 
cidide   véggiamo   essére   state  dette  da  que'di  Milo . 
Né  lo   scambio  è  leggero  :  o  venga  egli  da  innocente 
errore ,  o  da  malizia  :  perchè  si  fa  grande  variazione 
nel  decoro  ,  se  le   cose   che  si  dissero   dall'  assalito 
si  mettano  sulle  labbra  dell'  assalitore.  Ma  si  segua. 
Gli  ateniesi  ripigliano.  „  Qui  non  è  mestieri 
„  lunga   diceria   vestita  a  grazie  di  lusinghe.    Non 
^,  vogliamo  noi  garrir  di  ragioni.  Già  noi  sappiamo, 
„  e  voi  ben  sapete  ,  che  si  disputa  della  giustizia  tra 
^,  gli  uomini  quando  gli  uomini  sono  eguali.  Ma  dovfe 
non  è  uguaglianza  ,  ivi  non  è  piià  giustizia;  ivi   i 
potenti  vogliono  tutto  ,  e  gì'  impotenti  gV  inchi- 
„  nano.  „  Questo  parlare,  dice  il  retore  d  Alicarnas- 
so,  a  pena  si  soffrirebbe  sulle  labbra  dì  qualche  bar- 
baro: e  non   si  conviene  à  que'  greci   ch'erano  fio- 
re di  senno  e  di  cortesia  .  Onde  risposero  pur  be- 
ne i    valorosi  di  Milo  in  queste  parole,   che  noi,  ab- 
breviando Tucidide,  riferiremo. 
Mil.  ,,  Non  curate  voi  la  giustizia?  Or  via  pongasi. 
„   r  utilità  nel  luogo   della   giustizia.   Sia  dunque 
„  nostra   utilità  il  fermo  stato  della  nostra  rjepub- 
,,  blica.  E  voi  rimanetevi  da  questa  briga  ,   che 


»' 


3C)0  LETTEhATURA 

„  v'  avrete  pure  alcun  utile.  Perchè  se  rhai  voi 
„  forti  incontraste  alcuno  più  forte  ,  n'  avreste 
„  poscia  gran  pena  ,  e  1  mondo  n*  avria  grande 
„  esempio. 

Jten.  „  JNoi  potremmo  vedere  il  nostro  imperio  di- 
„  velto  dalie  fondamenta:  e  non  per  questo  lo 
,,  piangeremmo  estinto.  Ma  noi  qui  siamo  per 
,,  allargare  questo  imperio  ,  e  dar  salute  alla  vo- 
„  stra  città.  Noi  vogliamo  essere  signori  di  voi: 
„  a  vostro  bene,  e  anche  nostro. 

Mil.  „  E  iu  che  modo  sarà  bene  a  noi  il  servire,  co- 
^,  me   a  voi  il  dominare? 

Aten. ,,  Sarà  meglio  a  voi  l'obbedire  che  l'essere  cal- 
,,  pestati;  e  a  noi  sarà  meglio  l'avervi  sudditi  che 
,,  l'uccidervi. 

Mil.  ,,  Non  vi  basta  se  saremo  aitìici  ?  Se  staremo 
,,   cheti  ed  inermi? 

Aten.^^  Non  basta.  Perchè  non  ci  è  di  tanto  danno  che 
,,  voi  ci  siate  nimici  ,  quanto  ci  è  di  danno  che 
,,  ci  siate  amici.  La  vostra  amicizia  sarebbe  se- 
,,  gno  dell' impotenza  nostra:  e  l'odio  vostro  ci 
,^  è  manifesto  argomento  della  nostra  possanza. 
E  qui  il    dialogo  procede  con   impeto ,  finche 

giunge  alla  esortazione  che   gli  ateniesi  fanno  a  que' 

di  Milo:  la  quale  è,  di  non  si  opporre  a  chi  ha  pili 

forza.  E  que'  di   Milo   ripigliano: 

Mil.  „  Noi  sappiamo  che  la  ventura  della  guerra  è 
„  incerta  :  ed  a  tutti  è  comune.  Ma  sappiamo  an- 
,,  Cora  che  la  vittoria  non  è  sempre  serva  del  mag- 
„  gior  numero.  Sappiamo  che  1'  uomo  die  si  fa 
,,  schiavo,  non  ha  più,  speranza  di  libertà:  e  che 
,,  fin  eh  ei  resiste  non  perde  almeno  essa  spetan- 
„  za,    l'ultimo  bene  degl'infelici. 

Atcri.  „  La  speranza  è  il  conforto  ne'  pericoli  a  chi 
,,  è   potente:   e   non  abbatte    il  forte   che  iu    lei 


Dionigi  d'  AlìcarnAsso  3qi 

,,  s'  affida.  Ma  ella  mette  nel  fondo  della  miseria 
^,  que'  ciechi  che  si   gittano  nelle  sole  sue  hrac- 
^,   eia.  E  la    Conoscono  tardi,  quando  si  veggono 
il,  neir  inganno.    Or    voi   cosi   infermi   di  vigore , 
,,  voi  così   prossimi   a  tanta  guerra  ,   non  vi  git- 
„  tate  in   tal   perdizione.  JNon    imitate    coloro  ,  i 
^é,  quali  mentre  ogni  strada  si  dischiude  allo  scam- 
^,  pO,  abbandonano  la  loro  salute  f  e  poi  si   volgo- 
ii  no  alle  cose  buje ,  cioè  agi'  indovini ,  agli  ora- 
„   coli ,  ed  alle  sorti ,  e  a  quante  sono  le  cose  che 
i,  rinfrescano  la  Speranza  per  accrescere  il  danno. 
A   questa   esortazione  degli  ateniesi  seguono  al- 
tre generose    risposte    di  que'  di  Milo.  I  quali  mo- 
strano di   Confidare  nella   forza  e  nella  carità   degli 
spartani  ,    che  già  furono    loro  padri  ,  ed  or   saran- 
no difenditori.  Poi  si  ripetono  altre  cose  degli  attici 
per  torre  dalle  menti  degli  avversarii  questa  vana  fi- 
danza. E  ultimamente  con  qualche  affetto  conchiu- 
dono : 

^ten.  „  Tutte  vostre  fiducie  si  raccomandano  al  tem- 
,*  pò  a  venire.  E  il  tempo  or  piìi  non  basta  a 
„  vincere  le  cose  già  pronte  al  vostro  male,  Sie- 
^,  te  già  stolti,  se  non  vi  consigliate  slubito  da  pru- 
„  denti.  Perciocché  non  vi  potrete  scusare,  né 
„  cuoprir  la  follia  col  pretesto  della  vergogna. 
„  Spesso  ella  precipitò  le  genti  nelle  spalancate 
,,  voragini.  E  molti, quantunque  sapessero  di  sca- 
„  gliarsi  nella  ruina  ,  pure  volendo  fuggire  la 
^,  bruttezza  del  solo  nome  della  vergogna  ,  sì 
„  cacciarono  nella  miseria  :  e  vinti  da  un  voca- 
„  bolo ,  trovarono  maggior  vergogna  di  quella  eh' 
„  essi  fuggirono. 

Con  queste  ed  altre  poche  parole  degli  ate- 
niesi, ed  alcuna  ostinata  risposta  degli  avversarii,  si 
terminò  quella  scena.  Ed  anche  la   guerra   non   fu 


3(^2        Letteratura, 

molto  lunga.  Perchè  ai  pochi  cotro  i  moltissimi  non 
bastò  il  larsi  per  disperazione  sicarii.  Ma  dopo  bre- 
vi conflitti  si  resero  alla  tirrannide  degli  ateniesi. 
I  quali  per  quelle  antiche  ragioni  di  guerra  scanna- 
rono tutti  gli  uomini  di  iVlilo:  e  i  ianciuUi  e  le  don- 
ne  tutte  menarono  a  schiavitù. 

(  Sarà  continuato  ) 

G.  iPlRTlCARr. 


Riflessioni  ulteriori  sulf  opera  intitolata  -  Degli 
uomini  illustri  ci  Urbino  ,  comentario  -  Urbino  per 
P^incenzo   Guerrini  stampator  camerale   1819. 

I^drucciolare  in  errore  ,  è  notì  rara  fatalità  dì  chi 
tramanda  a'posteri  laboriose  produzioni  d'ingegno  . 
Siamo  nomini  e  tanto  basta  .  Se  libri  soli  di  qua- 
lunque equivoco  scevri  meritar  potessero  lunga  vi- 
ta :  in  vece  d'immense  biblioteche  ,  pochi  vedrem- 
mo scaffali  e  angustissimi  .  Quindi  è  degna  di  al- 
tissima lode  la  massima  del  venosino  ,  che  di  scritto 
il  quale  di  molte  bellezze  risplenda  ,  i  leggieri  di- 
fetti mover  non  debbano  a  sdegno  ;  e  si  preserva 
così  il  titolo  di  libro  bono  anche  a  quelli  i  quali 
non  sempre  all'esattissimo  vero  si  appongano  .  Egre- 
gio è  certamente  ì\  Comentario  degli  uomini  illustri 
d  Urbino  ,  impresso  in  quella  città  il  1819  da  Vin- 
cenzo Guerrini .  Ma  è  forse  esente  da  nei  ?  Tor- 
to farebbesi  al  rispettabile  autore  ,  contro  chi  ne- 
gasse tale  esenzione  ,  capace  .credendolo  di  conce- 
pire iracondia  .  È'  la  molta  stima  pertanto  che  gli 
professo  quella  che  mi  dà  coraggio  di  rilevarne  i 
seguenti  :   i  quali  pare  a  me,  che  si  oppongano  alla 


Uomini  illustri  d'Urbino  SqS 

perfezione  assoluta  dell'  opera  .  Tale  rilievo  trasan- 
dato di  chi  precedentemente  ne  ha  fatto  l'analisi  , 
è  in  me  per  circostanze  speciali  divenuto  anche  un 
obbligo  . 

Riflessione  I. 

iVe'  tempi  felici  de  Feltrii  e  dei  della  Rovere  ,  estese 

Urbino  la  sovranità    sopra   Casteldurante  Santan- 

gelini>ado  Monlefeltro  Pergola  Mondnvio  Mondol- 

jFo  Sancostanzo  Gubbio  Cagli  Fossombrone  Siniga" 

glia  e  Pesaro  .  {a) 

g.  1 .  I  signori  dìMontefeltro  non  hanno  mai  avu- 
to che  far  nulla  con  Pesaro  .  Quindi  era  ben  ne- 
cessario distìnguere  ;  e  dire,  che  i  tempi  felici  in 
cui  Pesaro  ,  ugualmente  che  Urbino  ,  constituiva- 
no  la  dominazione  di  una  stessa  eccelsa  famìglia  , 
furon  quelli  del  regno  ,  non  de  signori  di  Monte- 
feltro  ,  ma  bensì    di    quelli    della    Rovere  . 

§.  2.  Poiché  ingerirmi  né  voglio  nò  debbo  delle 
storie  di  ogni  altra  città  ò  terra  nominata  di  so- 
pra :  mi  limiterò  a  domandare  ,  quando  mai  esten- 
desse Urbino  la  sovranità  sopita  Pesaro  -  Forse  al- 
lora che  i  papi  investiron  di  Pesaro  i  rovereschi , 
già  signori  di  Urbino  ?  Ma  questo  non  In  esten- 
dere la  sovranità  d  Urbino  .  Quella  della  casa  della 
Rovere  e  non  quella  d'Urbino  fu  estesa  in  tal  mo- 
do ;  e  Pesaro  divenne  suddita  ,  non  della  sovra- 
na Urbino  ;  ma  bensì  della  sovrana  casa  della  Ro- 
vere ,  dì  cui  suddita  era  e  fu  in  seguito  Urbi- 
no ugualmente  , 

§.  3.  Acciò  Pesaro  potesse  dirsi  dipendente,  per 


{(i)  Coment.  Prefaz. 


394  iLetteraturì. 

qualche  giorno,  dàlia  sovranità  d' Urbino  ,  Bisognava, 
che  i  ghibellini  urbinati ,  i  quali  tentarono  inutilmen- 
te due  volte,  il  1294  e  il  i3a4,  invaderla  e  conquistar- 
la, non  avessero  latto  la  prima  sul  momento  fu- 
garsene ;  e  trucidarsi  tutti  la  seconda  e  sepellirsi 
He'pozzi . 

§.  4-  Bisognava  altresì ,  che  Urbino  lei  sot- 
toposto avesse  alle  proprie  leggi  ;  lei  gravato  di 
tributi  ,  lei  per  me^zo  de'suoi  proconsoli  gover- 
nato i  Ma  tali  dritti  essendo  stati  esercitati  sopra 
Pesaro  ,  non  mai  da  Urbino  ;  e  sol  qualche  tempo 
dal  padrone  di  Urbino ,  il  quale  a  Urbino  leggi 
dettava  ,  tributi  a  Urbino  imponeva  ;  e  governava 
Urbino  ,  indipendentemente  da  Urbino  ,  e  ugual- 
mente che  Pesaro  ,  per  mezzo  di  suoi  pretori  e 
ministri  :  dunque  la  sovranità  decantata  di  Urbino 
sopra  Pesaro  ha  per  unicti  fonte  un'assertiva  ,  im- 
molante all'adulazione  ogni  principio  teorico  e  pra- 
tico di  gius  delle  genti  ;  e  riputata  goffa  io  credo  , 
da  Urbino  medesima  ,  così  piena  di  dotti  incapaci 
di    essere   illusi . 

§.  5.  Così  Roma  fu  sovrana  ,  finche  dettò  leg- 
gi f  impose  tributi ,  e  governò  il  mondo  per  mezzo 
de'  suoi  magistrati  .  Ma  ora  ,  benché  prima  città 
dello  stato  ,  gloriasi  di  essere ,  non  già  sovrana  del- 
lo stato  ;  ma  la  più  nobile  suddita  dell'  augusto  capo 
della    chiesa  . 

§.  G.  Ne  alla  sovranità  d'  Urbino  sopra  Pesa- 
ro giova  in  verun  modo  la  riduzione  in  provincia 
di  sei  rispettabilissime  vescovili  chiese  ,  tutte  più 
antiche  di  quella  d'Urbino  ;  tutte  in  territoriale  giu- 
risdizione maggiori  ;  e  prima  di  essere  sottoposte  da 
papa  Pio  IV  al  dritto  metropolitico  del  vescovo 
di  Urbino  dichiarato  arcivescovo  ,  tutte  immedia- 
tamente soggette  al  romano  pontefice  .  Venero  le  de- 


UOMIWI   ILLUSTRI  b'UrbINO  SqS 

fcisioni  del  Vaticano  ;  e  non  ardisco  richiamare  a 
esame  ie  ragioni  ,  per  cui  quelle  insigni  chiese  ,  e 
tra  esse  quella  di  Pesaro ,  così  benemerita  del  culto 
ortodosso  i  in  tempo  del  greco  scisma  d'Acazio  ^ 
estinto  mediante  lo  zelo  di  Germano  vescovo  pe- 
sarese ,  spogliate  furono  di  antichissime  esenzio- 
ni e  prerogative .  Solo  osserverò  ,  che  questo  novo 
regime  sarebbe  buffoneria  nominarlo  sovranità  .  An- 
che Crema  Borgosandonnino  Modena  Parma  •Pia- 
cenza e  Re'ggio  furono  da  papa  Gregorio  XIII  sot- 
toposte al  novo  arcivescovo  di  Bologna  :  pur  Bo- 
logna di  quelle  città  suflFraganee  non  è  certamente 
sovrana  . 

R    I  F   L  E  S  S-I  O  N  E    II. 

Giddantonio ,  ottavo  Conte  d"  urtino  ,  sposò  in  secoli-^ 
de  nozze  Caterina  Colonna  nipote  di  papà  Mar- 
tino- (a) 

§.  i .  Prima  di  sposarèi  con  Caterina  ,  non  ave- 
va avuto  Guidantonio  altra  moglie  legittima  .  Fer- 
vidamente bensì  innamorato  aveva  di  donna  d'  igno- 
ta prosapia  ,  cui  gli  autori  di  quel  tempo  danno 
il  nome  di  Aura  ;  e  da  essa  Federico  gli  nacque  , 
il  quale,  ucciso  che  fu  Oddantonio,  divenne  duca. 
Di  questa  amasia  dovè  egli  disfarsi,  per  uno  de'pat- 
ti  di  quelle  nozze  ;  e  la  diede  in  moglie  a  Ber- 
nardino TJbaldìni  dalla  Carda.  Nacque  da  questi  due 
coniugi  Ottaviano,  il  qual  divenne  signore  di  Mer- 
catello  ,  ed  è  nominato  fratello  di  duca  Federico . 
Ciò  giustamente  :  poiché  avendo  avuto  la  madre  stes- 
sa ,    eran    fratelli  uterini. 

§.  2.  Aura  dunque  non  fu  moglie  di  Guidau- 


(a)  Coment,  p.  5. 


3()6  Letteratura 

tonio:  altrimenti  non  avrebbe  essa  potuto,  vivènte 
lui,  passare  ad  altro  talamo;  e  Federico  non  saria 
stato  considerato  per  figlio  illegittimo  ;  e  perciò  bi^ 
sognoso,  onde  godere  i  dritti  signorili ,  che  le  circo- 
stanze de' tempi  gli  riservavano,  della  legittimazione, 
accordatagli  con  bolla  papale  da  me  veduta.  Caterina 
Colonna  fu  in  conseguenza  prima  moglie  e  non  secon- 
da di  Guidantonio  ;  e  duca  Federico  il  quale  nel  co- 
mentario  si  fa  quasi  nascere  di  padre  senza  madre  , 
nato  era  da  Aura  fuori  di  matrimonio.  Sono  in- 
numerabili le  autorità  con  cui  queste  cose  possono 
comprovarsi. 

Riflessione  III. 

Miuscito  due  volte  duca  Valentino  a  far  ire  duca 
Guidubaldo  I  ramingo  e  fuggiasco  fuori  del  suo 
dominio  :  trovò  quello  scellerato  la  più  forte  resi- 
stenza alla  sua  tirannia  neWodio  de  suoi  (così)  ur^ 
binati  ,  e  nella  lor  ostinata  fede  verso  il  legittimo 
Signore  .  (a) 

§.  I.  La  più  forte  resisf.e?ii:a  degli  urbinati  alla, 
tirannia  di  duca  Valentino ,  potr^^bbe  far  credere  a 
qualcuno  ,  eh'  essi  a  costui  facessero  fronte  ;  e  con- 
tribuissero ad  abbattere  la  potenza  di  lui  :  come  ì 
romani  la  fecero  a  Brenno  a  Pirro  ad  Annibale  ,  e 
con  generoso  e  costante  resistere  ,  Italia  ne  libera- 
rono .  Non  credo  ,  che  il  dotto  Autore  tanto  hiatu 
abbia  voluto  dir  questo  ,  onde  svolazzasse  nel  suo 
libro   un  farfallone  di  corpulenza  eccessiva  . 

§.  3.  Fatto  è  peraltro  ,  che  se  anche  avesse 
inteso  di  limitare  il  senso  di  tal  frase,  in  modo  da  far 


(fl)  Coment.  P.  ii. 


Uomini  illustri  d'Urbino  3()'j 

credere  ,  che  la  forte  resistenza  degli  urbinati  impe- 
disse i)  Valentino  da  conquistare  la  patria  :  né  pur 
questa  sarebbe  asserzione   veridica  . 

§,  3.  JNon  fuggì  duca  Guidubaldo  due  volte  ? 
Non  prese  possesso  il  Valentino  di  tutto  lo  stato  ? 
JVon  fece  governarlo,  in  tutto  il  tempo  di  sua  do- 
minazione ,  da'proprii  ministri ,  a'quali  fu  prestata 
da  ognuno  ubbidienza?  Non  era  esule  Guidubaldo, 
allorché  ,  non  dagli  urbinati ,  ma  dal  celebre  av- 
velenato fiasco  fu  la  borgiesca  potenza  disrrutta  ? 
E  distrutta  che  fu  ,  a  qual  partito  gli  urbinati  si 
appresero  ?  Essi  uccisero  barbaramente  ,  (  scrive  il 
dottissimo  urbinate  autore  Bernardino  Baldi  nella 
vita  di  detto  duca  Guidubaldo  ,  (a)  esistente  inedita 
anche  nella  biblioteca  vaticana:  )  (b)  tutti  i  partìtanti 
del  Valentino  .  Siccome  i  partitanti  uccisi  è  troppo 
naturale  che  fossero  assai  meno  de'  non  partitanti 
uccisori  :  altrimenti  non  si  sarebbero  lasciati  ucci- 
dere :  dunque  i  più  ,  in  tempo  che  duca  Valentino 
comandava ,  eransi  fatti  per  la  paura  soprafare  dai 
meno  . 

§.  4-  Ciò  essendo  ,  come  si  prova  ,  che   nelf 
odio  degli  urbinati  quello  scellerato  trovasse  la  più 
forte  resistenza  alla  sua  tirannia  ;  e  come  si   veri- 
fica la  ostinata  fede  di  quel  popola  verso  il   signo- 
re legittimo  ? 

§.  5.  Se  poi  non  mi  fosse  riuscito  capire,  che 
cosa  significhi  la  pia  forte  resistenza  degli  urbinati 
idla  tirannia  di  duca  Valentino  :  pregherò  il  cortese 
scrittore  di  benignamente  spiegarmelo  . 

{a)  L.  8.  p.  177. 

(è)  BiLl.  ivrb'  vatic.  cod.  J012, 


$()$  Letteratura 

Riflessione  IV. 

Duca  Guidiihaldo  I  superò  certamente  se  stesso  , 
quel  di  che  cangiata  Iq. fortuna  del  Valentino^  la 
ebbe  à,  ^uoi  piedi ,  e  lo  giudico  pia  presto  degno 
di  perdono  che  di  vendetta  .  ,(a) 

§.  1.  Chiedo  scusa  al  chiarissimo  autore,,  ?e 
inquanto  a  me  stabilisco,  esser  favola  quanto  egU 
qui  asserisce  e  del  Valentino  e  di  Guidubaldo  .  Da 
qual  fonte  ha  egli  attinto  la  umiliazione  del  pri- 
mo e  la  generosità  del  secondo  ?  Non  dalle  storie 
di  Guicciardini  di  Giovio  e  di  Machiavello  e  dsC 
cronisti  di  que'  giorni  ,  tutti  taciturni  su  que- 
sto punto  ;  e  né  pure  da  Baldassarre  Castiglione  ,  il 
quale  nel  Cortigiano  ^  scritto  per  magnificare  i  fatti 
delle  case  di  Mentefeltro  e  della  Rovere,  tesse  ben- 
sì l'elogio  di  Gnidubaldo,  ma  osserva  su  tal  ventu- 
ra uguale  silenzio.  Da  qual  dunque?  O  dalla  ora-» 
zione  funebre  declamata,  da  Lodovico  Odasio  ne' 
funerali  di  detto  principe  suo  discepolo  ,  pubbli- 
cata da  Pietro  Bembo  nel  suo  dialogo  De  Guido 
Ubaldo  et  Elisabetha  Urbini,  ducibus  ;  ò  dalla  suc- 
cennata  vita  che  Baldi  ne  scrisse;  ò  più  probabil- 
mente dall'  una  e  dall'  altra  . 

§.  2.  Il  passo  della  orazione  di  Odasio  è  il 
seguente .  —  Sed  clementiae  atque  mansuetudinis  fio- 
bis^  cum  saepissime  alias  ,  Uim  eo  sane  tempore  ve- 
rissimum  ac  pulcherrimum  testimonium  reliquit ,  quo 
Caesar  Borgia  valentinus  omnis  humani  divinique 
juris  contemptor  atque  perturbator  ,  qui  ei  regnuni 
per  amicitiae  simulationem  contrafas^  contra  Jidem 
datam^  optiine  etiam  àe  se  merito^  perque  vim  ma- 

■HI»  ..   w        I  .1.,  I  I  I  I  \ 

(a)  Coment,  p.  12. 


Uomini  illustri  d'Urbino  3gf) 

lis   artibua  abstulerat  ;  saluti  atcjue    vitae  saepenu- 
mero  insidias  ftcerat ,  cum  is  ex  magno  imperio  at' 
cjue  fortwnis  dejectus^  in  Juìii  pontijicis  maximi  po^ 
testatem  atque  custodiam  venisset  -^  noster  autem  dux 
ah   eodem  pontijice  per  literas   atque   nuncios   Ro- 
mam  accitus  ,  hospitio  amantissime  honorifìcentissi'- 
meque  susceptus ,  plurimis  maximisque  tractandis  re- 
bus praeficeretur ,  consiliis  omnibus  interassei  ;  ro-i 
manis  etiam  exercitihus  ejus  imperio  atque  fidei  tra" 
ditis  ,  esset  dli  quasi  quodam  fato  vendicandi  se  de 
Caesare  facultas  quam  amplissime  oblata  :  nihil  eo- 
rum  in  illum  egit^  quae  quidem  ipsumfacere  aequis- 
simum  atque  justissimum  fuit .   Sed  cum  ejus   ille 
genibus  advolutus  suo  rum  scelerum   atque  perjidia^ 
deprecatus  veniam  esset: homini  supplici  atque  miser- 
rimo  pepercit .    Itaque  qui   in  ejus  fortunas   atque 
sanguinem  omnia  tentaverat ,   milita  perfecerat  ^   ut 
s'idistis  ,  ejusdem  de  liberiate  atque  salute^  tum  cum 
sumere  poenas  posset  ,  nihil  imminuit .  Existimabat 
enim^  idque  dicere  frequentar  solebat,  non  iam  pul- 
chrum  esse  ulcisci  iniurias  quam  oblivisci  :  illud  si- 
hi  omnium  hominum-^  perpaucorum  hoCy  eorunidem" 
que  non  nisi  magni  animi  virorwn ,  suorumque  Jh-^ 
ctorum    conscientia    fretorum    atque    nitentium   vi- 
deri .    (a) 

§.  3.  Non  do  qui  ora  il  lungo  squarcio  del- 
la vita  di  Guidubaldo  scritta  da  Baldi  ,  consisten- 
te nella  descrizione  del  supposto  abboccamento  tra 
detto  principe  e  il  Valentino  :  perchè  trascritto  dall' 
originale  dell'  opera  esistente  in  Pesaro  con  le  cor- 
rezioni dell'autore  presso  il  chiarissimo  signor  mar- 
fìhese  Antaldo  Antaldi,  si  vede  inserito  dal  chiaris- 


(cf)  Apvid  Eem])<  1.  e.  p.  m.  291. 


4oo  Letteratura 

simo  signor  conte  Giulio  Perticari  nella  propria  «o- 
ta  intitolata  —  Della  vita  di  Guiduba/do  I  duca  d'Ur-r 
bino  scritta  da  Bernardino  Biddi  — -  e  pubblicata  in. 
Milano  si  da  Stella  nel  tomo  IV  della  biblioteca  italia-t 
na^  (fi)   che  separatamente  da   Giovanni  Pirotta. 

§.  4-  Qwal  giudizio  formare  di  questi  due 
scrittori?  Amendue  sono  riputati  di  gran  merito  e 
di  molta  eloquenza  .  Ma  Odasio  incastrò  nella  sua 
orazione  le  favole;  e  Baldi  non  solo  aderì  a  questo 
»utor  favoloso;  ma  nel  da  me  riportato  racconto  di 
lui   imbastì  ancora  qualche  favola  propria  . 

§.  5.  Provo,  che  Odasio  nella  orazione  sna  fa-» 
voleggi  .  Egli  narra  ,  che  duca  Federico  padre  di 
Guidubaldo,  avendo  avuto  da  sua  muglia  Battista 
Sforza,  figliuola  d  Alessandro  signor  di  Pesaro,  ot-r 
io  figliuole,  e  maschio  nessuno  il  quale  gli  succe- 
desse; e  r  età  avanzata  togliendogli  la  speranza  di 
averne:  la  suddetta  Battista  afflittissima  per  questo, 
si  diede  a  pregar  Dio,  che  di  maschil  germe  le  cour 
cedesse  la  grazia  :  ottenuta  la  quale  ,  morta  saria 
volentieri  .  Dopo  tale  orazione  addormenta  ;  e  al- 
lora per  quietem  in  altissimo  arboris  culmine  ipsa 
sibi  videtur  avem  phoenicem  parere  mirae  pulchrir 
tu-dinis  ,  quae  sex  atque  triginta  totos  dies  ei  arbo-r 
ri  cum  incubuisset ,  caelum  volatu  peteret ,  tactoqu^ 
solis  globo ,  alisjlamma  combureretur  ,  neque  amplius 
apparerei  .  Haec  illa  viro  cum  enunoiavisset  ,  Jit 
praegnans  ;  parit  tempore  puerum  pulcherrimi  sua- 
yissimique  oris  :  Ipsa  paucis  post  mensibus  moritur. 
Puero  Guidi  Ubaldi  nomen  impositum .   (b) 

g.   6.  Altissima   pianta  ;   araba  fenice  ;   tren- 


(n)  K.o  IO.  ottob.   i8i6  p.  02. 
(è)  Aj»ud  B.  1.  e.  p.  m.  2^6, 


Uomini  illlstri  d'Urbino  4or 

tasei  giorni ,  allusivi  al  numero  d'anni  oltre  cui  Gui- 
dubaldo  non  protrasse  la   eita  ,  e  numerati   in   po- 
che ore  di  sonno  ,   ignorasi   con  qual  curioso  calen- 
dario ;  volo  della   fenice  al  cielo;  suo   contatto  col 
sole  ,   e    abbruciamento  e  sparire  della    medesima  : 
chi  non   convincono  della   favolosità  di   tal  sogno, 
e  del   suo  totale  impianto    dopo  le  cose  accadute? 
Credo   che    lutti  gli   uomini    sensati,  relativamente 
al  medesimo,  ancorché    altri  autori  lo  riferissero  , 
si  approprierebbero  le  bibliche  parole — nauseai  ani^ 
ma  nostra  super  cibo    isto  levissimo  :  —  (a)  poiché 
conspirazione  tuttoché  numerosa    di    testimoni i  de 
retata  ,  non  farà  mai  che  a  cosa   assurda   ò  strana 
fede  si  presti  .   Ma  cresce  qui  l'argomento  ,  per  ve- 
dersi narrato  il  sogno  da  Odasio  soltanto;  e  special- 
mente non   travarsene   menoma  traccia  nella  orazio- 
ne funebre  di  Battista  medesima,   detta  il  1470  ne' 
suoi  funerali   dal  celebre  Antonio  Campano  vescovo 
di    Teramo  :  il  quale  narra  soltanto  ,  che  Battista  , 
nato  il  bambino,  fecene  ringraziar  Dio  ,  ut  piane  vi- 
deretur  ,  non  tam  laeta  esse  de  fillo ,  quam  esse  sol- 
licita  ,  ne  aliunde  acccptwn  munus  putaretur  quam  a 
Deo  •  (b)   cristiana  gratitudine  comune  a   chiunque 
riceve  favori  speciali  dal  cielo  .   Siccome  se  la   co- 
sa fosse  stata  divulgata  ,  vivente  Battista,  avria  ri- 
dondato pili   in  onore  di  lei   che  del  tiglio  ;  e  l'im- 
pegno di  scriverne  esser  doveva  nel  Campano   mag- 
giore che  in  Odasio  :   deduco  dal  silenzio   del  pri- 
mo, che  al   suo   tempo  di   tal  sogno  non    si  parla- 
va;  e  che   fu  esso  un   capriccioso  ritrovato,   mor- 
to Guidubaldo  di  anni  trentasei  ,  ò  di  Odasio  stes-^ 


(«)  Num.   e.   21.  6. 

(Jb)  Campan.  op.  omn.  p.  62,  • 

G.A.T.IX.  2^ 


.joa  Letteratura 

so,  ò  delle  donniccluole  di  cortc,alle  cui  ciance  quel 
credulo  letterato  non  ebbe  rossore  di  deferire  . 

§.   7.   Provo  adesso,    che    Baldi  aderì    a  que- 
sto autor  favoloso;  e  imbastì  nel  suo  racconto  dell' 
abboccamento  la  propria  favola  ,  Della  adesione  sua 
non   voglio  darne  per  prova   la  menzione   anche  da 
lui  fatta  del  sogno  ,  suH'  unico  fondamento  dell'as- 
sertiva d'Odasio,  ch'egli  suppone  aver  potuto  saper- 
lo da  coloro   i  quali  da   Battista  lo  avevano   udito: 
per  lo  motivo  che  alquanto  egli  men  corribo  di  quel 
parentale  panegirista  ,  procura  al  possibile  estenuar- 
ne la  maraviglia  .   (a)   Ma  il  perdono  ,  eh'  egli   asse- 
risce essersi  da  Guidubaldo   conceduto    al  Valenti- 
no,  onde  r  ha  preso  ,   se  non  dalla   stessa  orazione 
d'Odasio?Chi  è  che,  letto  prima  il  passo  di  detta  ora- 
zione da  me  riportato  al  S  2  ,  non  riconosca  aver 
esso  a  Baldi  somministrato  l'idea  e  la  maggior  par- 
te delle  immagini,  per  coniare  la  conferenza  del  fel- 
tresco  e  del  Borgia  ?  Perlochè  sorprende  assai,  che 
il  signor  Perticar!  a  questo  supposto   avvenimento 
dia  nome  in  quella  sua  nota  ,  di  parte  di  storia  italia- 
na molto  scura  ^  per  non  dire  appieno  ignorata  ;  (6) 
e  convien  dire,  eh  egli  familiarizzatosi,  a  motivo  delle 
sue  discussioni  su  la  lingua  nostra  ,  con  le  opere  to- 
scane di  Bembo ,  abbia  conversato  meno  spesso  con 
le    latine  .    Altrimenti   se    risovvenuto    si  fosse  del 
dialogo  di  lui  ,  mentovato  al  g  1  :  gli  saria  tornata  in 
mente  la   funebre   orazione  di   Odasio  ,    che    anche 
Baldi  asserisce  pubblicata  e  celebrata  da  Bembo;  (e) 
e  memore,che  l'avvenimento,  narrato  già  fino  dal  i5o8 
fi  I»    Il         .    I       I  1 

(et)  L.  1  nel  cod  vatic*  p.  4< 

(b)  6.  e.  p.  57.  e.  07. 

(e)  L.  12.  cod.  vatic.  p.  243. 


Uomini  illustri  d'Ukbino  4o3 

in  cui  morì  GuidubalJo  ,  viepiù  divulgossi,  allor- 
ché Torazione  fu  fatta  imprimere  da  Bembo  nella 
sua  latina  operetta  :  non  avrebbe  attribuito  lo  spri- 
gionamento del  medesimo  dalle  tenebre  al  benefi- 
zio della  sua  nota  . 

S.  8.  Che  al  racconto  d'  Odasio  abbia  agr- 
giunto  Baldi  qualche  favola  sua  ,  è  facilissimo  pro- 
varlo; e  basta  confrontare  ciò  che  scrivono  ,  prima 
quegli  e  poi  questi,  circa  il  perdono  che  dicesi  ac- 
cordato da  Guidubaldo  al  Valentino.  Costui  da  Oda- 
sio descrivesi  siwricm  scelerum  atque  perjidiae  cle- 
precatus  veniam  :  (a)  il  che  vuol  dire  ,  ch'ei  fece 
la  spontanea  e  general  confessione  di  tutti  i  delit- 
ti che  gli  venivano  attribuiti  ,  ed  erano  stati  da  lui 
realmente  commessi  .  Nel  dialogo  di  Baldi  all'  in- 
contro egli  intraprende  di  questi,  la  confessione  non 
già,  ma  bensì  la  difesa.  Imperochè  dice,  che  al- 
tri nel  caso  suo  sariasi  comportato  assai  peggio  ; 
essere  stato  impossibile  ch'ei  rimanesse  tra  le  gran- 
dezze a  guisa  d'uomo  di  legno  ò  di  fango  ;  quan- 
do si  ha  animo  grande  e  mezzi  per  dimostrarlo  , 
non  potersi  stare  ne'  termini  ;  avergli  bisognato  es- 
ser terribile  per  armarsi  contro  il  sospetto  e  l'invi- 
dia ;  non  esser  lui  stato  usurpator  dell'  altrui  ,  ma 
ricuperatore  del  tolto  alla  chiesa  ;  avere  sparso  ne- 
mico sangue  ,  per  assicurare  sé  stesso ,  come  na- 
tura consiglia  ,  e  oppresso  gli  altri  per  non  esser- 
lo egli  medesimo  ;  ninno  essere  stato  ucciso  da  lui 
senza  ragione  ;  e  non  tiranno  ma  pacificatore  esse- 
re stato  lui  di  Romagna  .  (a) 

§.  9.  È  facile  da  tal  confronto  conoscere  , 
quanto  il  perdono  che  si  suppone  accordato   al   va- 

(a)  Apuil  liemb.  ].  e. 

(a)  L.  10  cod.  vatic.  p.  200. 

2G' 


4o4  Letteratura 

lentìno  rendasi  più  malagevole  nel  dialogo  di  Bai-, 
di  ,  che  nella  orazione  di  Odasìo  .  Da  un  ofFenso- 
sore  gettato  a'  piedi  delVofFeso  e  implorante  clemen- 
za per  oltraggi  e  danni  con  ingenuità  confessati  : 
jion  è  strano  che  un  cor  generoso  resti  ammollito. 
Quegli  air  incontro  che  in  faccia  allo  insidiato  ali* 
oltraggiato  all'oppresso  al  tradito  fa  l'audace  difesa 
d'insidie  di  oltraggi  di  oppressioni  di  tradimenti  ,  e 
quasi  sen  gloria;  e  fa  con  ciò  presagire,  che  farebbe 
lo  stesso,  ristabilito  in  fortuna:  sia  pur  colui  ma- 
gnanimo della  pietà  del  quale  ha  mestieri  ,  inaspri- 
sce il  risentimento  di  lui  ,  in  vece  di  estinguerlo. 
§.  IO.  Se  si  trattasse  soltanto  d  innalzare  im- 
maginoso colosso  d'un  eroe  :  Odasio  in  tal  lavo- 
ro sarebbe  superato  da  Baldi  ;  e  il  principe  accor- 
dante presso  il  primo  pieno  perdono  al  nemico  in 
apparenza  umiliato  e  pentito ,  sarebbe  di  grandissi- 
ma lunga  meno  clemente  di  quello  ,  il  quale  presso 
Baldi  perdona  al  nemico  ostinato  superbo  e  del- 
le proprie  malvagità  lodatore;  e  per  sopracarico  lo 
benefica .  So  anch  io  ,  che  quanto  un'  impresa  è  pia. 
malagevole  ,  tanto  maggior  gloria  acquistasi  da  co- 
lui che  la  compie  .  Ma  qui  siamo  fuori  del  caso. 
Lo  storico  narrar  dee  ciò  ch'è  succeduto  ;  e  non  gli 
è  lecito  ,  a  spese  della  tradita  verità ,  ornare  di  fal- 
si pregii  i  suoi  personaggi  .  Quindi  se  Odasìo  , 
autore  non  solo  primo  ,  ma  unico  da  cui  ,  in- 
nanzi all'età  di  Baldi ,( il  qual  nacque  il  i553  cioè 
anni  quarantacinque  dopo  1  orazione  funebre  da  quel- 
lo recitata ,  siasi  parlato  del  perdono  conceduto  al 
Talentino  da  Guidubaldo  )  narra  che  gliel  conces- 
se spinto  dalla  confessione  ingenua  de'  suoi  misfat- 
ti :  era  vietato  a  Baldi  far  giungere  la  longanimità 
dell'offeso  al  grado,  che  non  so  quanto  eroico  es- 
ser possa ,  della  dabbenaggine  ;  e  inventarsi  che  sen-r 


tJoMiiXi  iiLuSTRi  d'Urbino  4^5 

tissi  tutto  intenerire  ;  e  perdonò  il  nemico  suo  ,  il 
quale  ponendo  in  luminosa  mostra  tutti  i  principi! 
dei  Valentino  encomiato  da  Machiavello  ;  ed  esal- 
tando la  necessità  regolarità  e  rettitudine  delle  pro- 
prie colpe  ,  non  pentito  ,  ma  superbo  sen  palesava  . 
JVel  quale  mancamento  essendo  Baldi  caduto  :  dun- 
que non  è  calunnia  asserire,  che  oltre  aver  seguito 
un  autor  favoloso  ,  è  anche  reo  d'  avere  aggiunto 
al  racconto  di  lui  una  favola  propria  i 

§.  II.  Tornisi  adesso  allo  scrittore  del  comeii- 
tario  ;  e  poiché  si  è  detto  ,  ch'egli  il  perdono  conces- 
so al  Valentino  improntò  ò  da  Odasio  ò  da  Baldi  ^ 
ò  più  probabilmente  da  àmendue  :  ecco  le  conse- 
guenze a  mio  sentimento  legittime  di  tale  impron- 
to .  S'egli  si  è  fidato  di  Odasio:  (  in  fatti  iion  avreb- 
be forse  usato  la  frase  lo  ebbe  a  suoi  piedi ,  se  non 
avesse  letto  in  lui  il  genibus  advolutus  :  )  dunque 
ha  preso  per  fondamento  dell'  elogio  suo  una  ora- 
zione funebre,  genere  di  scritto  ,  dal  canto  della  ve- 
rità e  fedeltà  storica  ,  screditatissimo  fino  dal  tem- 
po di  Livio;  e  a  cui  non  dee  la  storia  che  una 
farraggine  d'imposture  grossolanissirae:  come  provar 
potrei  ,  se  non  mi  fosse  vietato  e  dalla  brevità  pre- 
scrittami ,  e  dal  rispetto  che  rtiviolabile  professo  a 
rispettabili  cause  famiglie  e  persone  .  Se  una  gene- 
rai massima  consiglierebbe  diffidare  di  ciò  che  nel- 
la sua  orazione  dice  Odasio  ;  e  niuna  fede  presta- 
le al  perdono  di  cui  si  tratta  :  quanto  tal  diffiden- 
za divien  ragionevole  per  la  favola  del  sogno  ?  Chi 
non  comprende ,  essere  stato  coniato  ,  morto  Gui- 
dubaldo;  e  non  ne  pfende  argomento  da'  giorni  treii" 
tasei^  allusivo  allo  stesso  numero  d'anni  da  esso  vissu- 
ti ?  Guai  alla  impresa  del  lotto  ,  se  i  sognati  numeri 
con  tanta  precisione  oggidì  si  avverassero  !  E  se  favo- 
loso è  stato  Odasio  in  un  pu«to  ^  clii  poUà    fargli 


^oQ  Letteratura 

malleveria,  che  tale  non  fosse  negli  altri:  tanto  piò. 
che  nessuno  autore  contemporaneo  conferma  quan- 
to egli  dice  ?  Esige  quindi  la  critica,  che  non  si 
presti  fede  né  a  Odasio  ,  né  a  chi  in  lui  si  è  fonda- 
lo ,  per  asserir  cosa   solo  da  esso    attestata  . 

S.  13.  Se  poi  ha  improntato  il  fatto  da  Bal- 
di, cioè  da  chi  non  solo,  come  si  è  detto,  ha  pe- 
scato notizie  in  elogio  sospetto  assai  di  scrittore 
imico  e  favoloso  :  ma  si  è  preso  in  oltre  il  piacere  di 
alterarle  e  trasformarle  in  circostanze  totalmente  di- 
verse: non  può  che  ripetersi  conseguenza  consimile 
all'  altra  :  cioè  che  né  a  Baldi  può  credersi  ,  né  a 
chi  prende  lui  delle  proprie  asserzioni  per  hase.  Ces- 
si da  me  che  con  tale  giudizio  io  detragga  al  me- 
rito singolare  di  tanto  uomo,  forse  il  massimo  tra' 
letterati  moltissimi  dalla  dotta  sua  patria  prodotti  ; 
e  trovo  air  incontro  molto  giusta  la  stima  eh'  ebbe 
per  lui  l'egregio  pesarese  Curzio  Ardizio ,  agli  au- 
spicii  e  mediazione  di  cui  dovè  egli  il  proprio  sta- 
bile e  pingue  collocamento  in  Guastalla:  nel  modo 
stesso  ,  che  a  quelli  dell  altro  inclito  pesarese  mar- 
chese Guidubaldo  Borbon  del  Monte  dovè  il  gran 
Galileo  lo  ìncominciamento  di  sue  fortune  .  Vedo 
che  in  tale  rapporto  biasimar  Baldi  saria  lo  stes- 
so che  biasimar  Senofonte  .  Poiché  siccome  questo 
prestante  attico  ingegno  ,  nella  sua  ciropedia^  non 
si  propose  descrivere  la  vera  storia  di  Ciro,  ma  (  co- 
me anche  Platone  e  Tullio  conobbero  )  (a)  forma- 
re sotto  nome  di  lui  un  modello  di  regia  perfezio- 
ne ,  per  ammaestramento^  di  chi  dee  regnare:  co- 
sì Baldi  col  libro  ,  cui  die  titolo  di  vita  di  Gui- 
dubaldo^ non  pare  che  intendesse  tessere  storia  esat- 

(a)  V.  Diipiii  bibl.  univ.  des  hist.  1.   i   §.  27  p.  aoo. 


Uomini  illustri  d'Urbino  407 

ta  e   rigorosa;   ma   comporre  un  esemplare   noLilis- 
simo  e   filosofico  di  ardua  insolita  e  sublime  virtù, 
nel  quale  si  specchiassero  i  principi  del  suo  secolo. 
§.    i3.   In  fatti  se   il   signor  Perticari  ,    dal  cui 
parere    su  le  insigni   filologiche  prerogative    di  que- 
sto libro  non   mi  dilungo  ,   avesse  avuto  occasione, 
come  qualche  altro,  di  consultarlo  per  alcuno  sto- 
rico  lavoro  :  si  sarebbe    accorto  ,  quanto  equivoco 
sempre  e  spesso  inutile  affatto  a  tale  oggetto  si  ren- 
da.  Ond'è  che  non  scuta  storia  e  anzi  appieno  igno- 
rata avria    voluto   un  suo    racconto  chiamare  ;   ma 
fin  tascena  di  romanzo  cognito  e  manifesto,  a  imita- 
zione del  ciropedico    sistema  del  figliuolo  di  Grillo. 
§.    i4-   Perlochè  sono    persuaso   ^  il    perdono 
che  dicesi    conceduto  da  Guidubaldo  al  Valentino  , 
essere  una  specie  di  sogno  simile  a  quello  delia  fe- 
nice. Se  l'urbinate  qualche  lusinghiero  discorso  tenne 
col  suo  nemico;(il  che  né  pure  è  sicuro.-)  esige  la  pp- 
denza  che  credasi,  aver  voluto  con   ciò,  di   concer- 
certo  con  gl'interessati  ,  facilitare  la  restituzione  de' 
contrasegni  delle  fortezze  e  preziosi  oggetti   fuori  dì 
Urbino  esportati  .  Non  si  dissimula  tale  artifizio  né 
pure  dall'  encomiastico  Baldi,  (a)  Che  se  poi  si  pro- 
vasse ,  essere  stato  il  Bolgia  giudicato  dal  duca  di- 
Urbino più  presto   degno  di  perdono   che  di  vendete 
ta  :    siccome   non   è  possibile  purgare   il   duca    eoa 
prove  sufficienti  da  ogni  complicità  almeu  presunta 
nel  trattamento  che  gli    si   lece  soffrire  ,  in  seguito 
di  sue  restituzioni  è  condiscendenze:  sarebbe  egli  sla- 
to  non  solo  traditore  del   Valentino  ;    ma  traditore 
di  sé  medesimo  :   tale    essendo   chi   opera    contro  i 
dettami  della  propria  coscienza  . 


(rt)  L.    10  cod.  vatic.  p.  2o5, 


4o3  ^Letteratura 

Riflessione     V. 

Duca  Francesco  Maria  I  ricuperò  la  dignità  e  lo 
stato  pel  favore  e  le  pratiche  de  suoi  buoni  urbi'- 
nati  .   (a) 

§.  I.  Quando  fosse  verità  ,  avere  i  buoni  ur- 
binati contribuito  con  favore  e  con  pratiche  a  ri- 
stabilire questo  duca  :  divenuti  sarebbero  rei  di  fel- 
lonia ghibellina  .  i  saggi  lettori  non  riputeranno  tale 
riflessione  straniera  all'oggetto  .  Poiché  papa  Leo- 
ne avendo  solennemente  detronizzato  la  casa  della 
Piovere  ;  a  essa  sostituito  in  tutti  i  dominii  Lo- 
renzo de'  Medici  ;  e  dopo  la  morte  di  questo , 
riunito  i  medesimi  alf  immediato  governo  della 
chiesa  :  sarebbe  stato  ribellarsi  notoriamente  da 
lei  padrona  sempre  diretta  ,  e  allora  anche  utile 
di  quegli  stati ,  richiamandovi  a  regnare  ,  dopo  la 
morte  del  pontefice  operatore  di  tali  cambiamenti  , 
e  prima  delia  eie/ione  possesso  e  deliberazione  del 
novo,  un  principe  privato  del  trono  per  incolpa- 
zioni  gravissime  . 

§.  3.  Ancorché  i  suoi  delitti  esser  potessero 
parte  assoluti ,  parte  supposti  :  era  forse  questa  una 
conlesa  da  decidersi  con  arbitraria  sentenza  della 
piccola  e  suddita  Urbino  ?  Se  Francesco  Maria  dalla 
chiesa  nemico  si  riputava  :  come  poteasi  accordar- 
gli favore  e  far  pratiche  ,  acciò  il  trono  ricupe- 
rasse ;    e    non    ribellarsi    contro    la   chiesa  ? 

§.  3.  Ma  rendasi  a  boni  urbinati  giustizia.  Egli- 
no questa  volta  passivamente  regolandosi  ,  e  la  me- 
noma parte  attiva  non  permettendosi  :  riconobbero 
il   dovere  di  sudditi    della    chiesa  .   Chi    al  favore 

(rt)  Coment,  p.    i4- 


UoiaiPfi  ILLUSTRI  d'Urbino  ^09 

è  alle  pratiche  loro  attribuisce  il  ristabilimento  di 
Francesco  Maria  ne'perduti  dominìi  :  paragona  Ur- 
bino alia  esopica  mosca  ,  la  quale  stando  sul  ti- 
mone   del    cocchio ,    vanta    esserne    guidatrice  . 

§.   4-  Francesco  Maria  il  quale  ,  fino  che  visse 
papa  Leone  ,   stette  nel   mantovano  :  appena  il  sep-. 
pe  delonto,  radunò  immediatamente  in  Ferrara  (  di- 
ce  il   grave  storico    Guicciardini  )   («)  ducento  uo- 
mini   d  arme  ^   trecento    cavalli   e    tremila  fanti  .    I 
francesi   e  i   veneziani    permisero    alle   loro    milizie 
seguirlo  .   Quelle    de'  nemici   non    pagate   e  perciò 
ostinate    a    non    moversi ,   non   gli   fecero    resisten- 
za ;   e  così    non    impedito  Tesercito    suo  nella  mar- 
cia ,   arrivò    felicemente    alla    signoria  di    Pesaro  e 
al    ducato   d  Urbino .    Chi   avrebbe   potuto    opporsi 
validamente    a    questo    principe  ardito  e  prode  ?   I 
sudditi    tranquillamente  lo  accolsero  :  il  che  se  fatto 
non    avessero  ,  potea   con  la   forza    obbligarli  .  Ec- 
co  il  favore    e   le  pratiche  con  cui  fu  di  novo  po- 
sto sul    trono .    Bajonette    e   focili  hanno  in  questi 
affari   molto    efficace    eloquenza  . 

§.  5.  Favore  e  pratiche  deboni  urbinatii  E 
come  fecero  essi  in  que' rapidi  momenti  a  conci- 
liare la  cosa  col  duca  di  Ferrara  ,  con  la  repub- 
blica di  Venezia  ,  e  col  re  di  Francia  ?  Essendo 
che  finserzione  di  fatto  non  vero  nella  storia  ,  co- 
me dice  Luciano ,  (b)  equivalga  a  porzione  di  cibo 
ò  bevanda  penetrata  nella  trachea  :  si  può  ben  dire, 
che  questo  favore  e  queste  pratiche  formano  un 
corpo  estraneo  di  tal  mole  ,  che  per  espellerlo  è  ne- 
cessario uno  sforzo  assai  violento  di  tosse  . 


(«)  L.   14.  p.  419. 

(b)  Quom.  hisf;,  scrib.  sii.  op.  omn,.  p.  ayS. 


4id  Letteratura 

Riflessione  VI. 

Duca  Francesco  Maria  I  riimì  al  dominio  di    Ur- 
bino la  città  e  contado  di   Pesaro  .  (a) 

g.  I.  E  slam  qui  di  novo  col  dominio  ò  sia 
sovranità  d'  Urbino  .  Quando  mai  Pesaro ,  prima 
di  duca  Francesco  Maria  I  ,  fu  unita  al  dominio 
d  Urbino  ?  E  se  innanzi  a  Francesco  Maria  I  non 
vi  fu  unita  giammai  :  come  vi  potè  essere  riunita 
da  lui?  Si  può  forse  riunire  ,  cioè  unire  una  secon- 
da volta  ,  ciò  che  non  è  stato  unito  una  prima  ? 
§.  2.  Pesaro  soggetta  ,  fino  dal  secolo  tredice- 
simo ,  a'  Malatesti;  e  dalf  ultimo  di  essi  del  ramo 
pesarese ,  verso  la  metà  del  quindicesimo  ,  venduta 
agli  Sforzi,  non,  dipendè  mai  da'  leltreschi ,  e  mol- 
to meno  da  Urbino  a  feltreschi  subordinata  .  Estin- 
to il  lamo  sforzesco  pesarese  ,  fu  da  papa  Giulio  II 
la  signoria  pesarese  infeudata  alla  casa  della  Rovere 
signora  anche  d^  Urbino  ;  e  ciò  non  chiamossi  riu- 
nir Pesaro  al  dom,inio  d  Urbino-^  ma  cumulare  in 
unico  signore  dominii  diversi  :  talché  fosse  e  duca 
d'Urbino  e  signore  di  Pesavo  ;  e  come  duca  d'  Ur 
bino  avesse  Urbino  per  metropoli  ;  e  come  signore 
di  Pesaro  ,  Pesaro  .  Quindi  si  Francesco  Maria  I 
che  Guidubaldo  II  ^  presero  del  ducato  d'Urbino  e 
della  signoria  di  Pesaro  investitura  separata  ;  e  ne 
furono  loro  spedite  due  papali  bolle  distinte  ^  con 
obbligo  di  pagaie  due  distinti  annuali  censi  :  uno 
per  lo  ducalo  d'  Urbino  ,  F  altro  per  la  signoria 
pesarese  . 

g,  3.   Invogliatosi  papa  Paolo' III.  di  dar  Vit- 
toria sua  nipote  in  moglie  a   detto  duca  Guidubal- 


(o)  Coment,  p.  i4- 


Uomini  illustri  d'Urbino  4ii 

do  vedovo  di  Giulia  Varani  t  tra  le  altre  concessio- 
ni che  fece  allo  sposo  ,  vi  fu  anche  quella  di  al- 
leggerire e  singolaiizzare  gli  annuali  pesi  inerenti  a' 
•due  separati  dominiì  ;  e  permettere  che  da  unica 
bolla  se  ne  conlérisse  in  avvenire  1'  investitura  ,  e 
un  solo  censo  servisse  di  ricognizione  delF  dito  do- 
minio della  chiesa  su  1'  uno  e  su  V  altro  .  Volle  il 
papa  largheggiare  cosj,  per  raddolcir  l'animo  di  Gui- 
dubaido  ,  forse  non  pienamente  pago  di  tale  allean- 
za ,  per  la  non  estinta  memoria  delle  vicende  di 
Camerino  ;^  e  incoraggirlo  a  sposare  quella  donna  , 
a  dir  vero  virtuosa  e  santa  ,  pur  di  Pierluigi  fi- 
gliuola . 

§.  4-  Tuttavia  1'  unica  bolla  e  V  unico  censo 
non  produssero  mai  V  effetto  ,  che  unico  divenisse 
il  dominio.  Duca  Guidubaldo ,  anche  dopo  la  con- 
cessione ,  proseguì  a  chiamarsi  nelle  monete  nelle 
lapide  e  negli  stemmi  Urbini  dux  Pisauri  dominuSy 
nel  modo  medesimo  fece  continuamente  chiamarsi 
Francesco  Maria  II  suo  figliuolo  e  ultimo  duca  ;  e 
come  Guidubaldo,  seguita  la  morte  del  padre,  pre- 
so avea  del  ducato  di  Urbino  in  Urbino  ,  e  della  si- 
gnoria di  Pesaro  in  Pesaro ,  distinto  e  separato  pos- 
sesso :  così  possesso  distinto  e  separato  prese  de' 
due  stati  il  prefato  duca  Francesco  Maria:  il  che 
limpidamente  apparisce  dagli  atti  pubblici  i  quali 
se  ne  conservano . 

^  §.  5.  Né  con  queste  formalità  il  regime  poli- 
tico ed  economico  era  in  opposizione  :  essendo  sta- 
ta sempre  governata  la  signoria  di  Pesaro  con  se- 
parate sanzioni  indipendenti  dal  ducato  d'Urbino  ;; 
e  avendo  goduto  assoluta  esenzione  da' dritti  presunti 
di  quella  città  ,  senza  mai  riconoscerla  per  metro- 
poli :  come  diffusamente  si  narra  nella  relazione  della 
vertenza  tra  Urbino  e    Pesaro  ,  intorno  alla    visita 


'4iii  Letteratura 

dell'  urbinate  protomedico ,  egregiamente  distesa  dal 
dottissimo  e  del  decoro  della  patria  zelantissimo 
pesarese  gentiluomo  signor  Carlo   Gavardìni  * 

§.  6.  Per  le  quali  cose  la  giustissima  e  lode- 
volissima  providenza  del  regnante  papa  l'^Io  VII, 
il  quale  ha  dichiarato  delegazione  aposlolica  la  si- 
gnoria di  Pesaro  ,  governata  bensì  dallo  stesso 
prelato  (  egli  è  attualmeute  V  egregio  e  d'  alte  lodi 
ben  degno  monsignor  Lodovico  Gazzolì  )  cui  è  sot- 
toposta la  delegazione  apostolica  del  ducato  di  Ur- 
bino ,  ma  total meote  separata  da  questa  :  non  può 
chiamarsi  cosa  nova  del  tutto  .  Essa  è  piuttosto  un 
saggio  ristauro  del  sistema  ,  praticato  sempre  ,  fino 
dalle  cessioni  di  Carlo  magno  ;  e  ragionata  restitu- 
zione a  Pesaro  di  ciò  che  per  dritto  le  competeva  . 

Riflessione  VIL 

Mandati  da  Urbino  dodici  gentiluomini  a  duca  Gui- 
Guiduhaldo  II.  (  non  quasi  sempre  ,  ma  sempre 
in  Pesaro  dimorante  )  per  placare  lo  sdegno  che 
avea  concepito  contro  di  essa:  nove  f ecene  de- 
capitare nella  rocca  di  Pesaro  ,  a  molti  altri  con- 
Jiscar  beni.,  e  molti  esiliò,  (a) 

g.  I.  Se  de'  dodici  individui  spediti  da  Ur- 
inino a  placare  lo  sdegno  di  Guidubaldo  ,  egli 
ne  fece  nove  decapitare  :  gli  esilii  e  le  confische 
non  poterono  dunque  da  lui  fulminarsi  che  a  danno 
di  tre  ;  e  tre  individui  in  tal  modo  trattati  come 
possono   dirsi   molti  ? 

§.  2.  Sia  pur  vero,  che  Guidubaldo  ,  da  Giam- 
battista Passeri ,  a  motivo  dello  splendore  a   cui   Ig 


(«)  Coment,  p.   16. 


Uomini  illustri  d'Urbioo  4i3 

pesarese  città  sempre  a'suoi  legittimi  sovrani  fede- 
lissima ,  gli  piacque  innalzare  ,  detto  TAugusto  dì 
Pesaro  ,  fosse  imitatore  di  sì  celebre  principe  an- 
che nelle  sue  proscrizioni  ;  e  altresì  vera  sia  la 
ferale  condanna  contro  /  7iove  urbinati  :  egli  è  ren- 
dere troppo  atroce  questo  ngore  ,  dicendolo  adot- 
tato sopra  lo  scarso  numero  c/i  dodici  ;  e  in  tal  gui- 
sa si  cade  biasimevolmente  nel  falso  ,  pel  fine  ma- 
ligno di  eternare  non  solo  ,  ma  accrescere  1'  odio 
contro  di  un  duca  ,  il  quale  in  Urbino  anche  og- 
gi suol  chiamarsi  Baldaccio.  Non  dodici  furono  gli 
sconsigliati  a  Pesaro  in  quella  occasione  recatisi  , 
ma  settanta  :  i  quali  trattati  in  prima  tutti  del  pari 
come  gente  di  città  ribellata ,  cioè  con  guardia  di 
vista  ,  e  senza  permesso  di  uscire  dal  pubblico  al- 
bergo dove  fissarono  la  dimora  :  di  lì  a  non  gua- 
ri ,  tranne  alcuni  riservati  a  severo  processo  ,  fu- 
rono rispinti  liberi  alla  città  stessa  da  cui  eran  par- 
titi . 

§.  3.  Io  che  nella  clemenza  riconosco  la  più 
preziosa  delle  qualità  per  cui  a  Dio  ì  regnanti  so- 
migliano :  bramerei  poter  dire ,  che  Guidubaldo  ri- 
sparmiò il  sangue  di  que'miseri  .  Ma  poiché  ciò  si 
opporrebbe  alla  verità  della  storia  :  compete  almeno 
a  un  pesarese  ,  cioè  a  chi  appartiene  a  città  da  lui 
amata  teneramente,  e  poco  prima  di  morire  adottata 
per  figlia, giustificare  al  possibile  tale  insolita  austerità 
di  questo  benefico  padre .  Mi  pregio  averlo  fatto  diffu- 
samente nelle  mie  memorie  storiche  di  Pesaro  ,  ine- 
legante lavoro  ma  ingenuo  :  onde  mi  contenterò  di 
qui  accennare  di  volo,  che  i  tumulti  ins'orti  in  Ur- 
bino furono  vera  ribellione  ;  che  tal  ribellione  ,  origi- 
nata dal  novo  dazio  di  un  quattrino  per  libbra  su  le 
carni ,  (^  forte  gravezza  a  dir  vero  !  )  (a)  tende  al  ro- 

'sCi)  P.  i6, 


4i4  Letteratura 

vesciamento  dello  stato  :  avendo  que'clttadiui  offerta 
perfino  la  città  al  granduca  di  Toscana  ;  che  papa 
Gregorio  XIII ,  la  cui  clemenza  e  mansuetudine  è 
nota  ,  udendo  vociferarsi  ,  ch'ei  quel  rigore  avesse 
condannato  ,  dichiarò  a  Guidubaldo  col  mezzo  d'un 
breve  ,  esser  falso  ciò  che  diceasi  ;  che  gli  urbi- 
nati spedirono  quella  tumultuaria  deputazione  ,  sen- 
za averne  ottenuto  il  permesso,  e  meschiarono  in 
essa  molti  de'più  pertinaci  ribelli  ,  non  assicurati  an- 
tecedentemente da  salvocondotto  ;  che  incaminati  co- 
storo verso  Pesaro  ,  Guidubaldo  fece  incontrarli  da 
persone  autorevoli  ,  le  quali  a  nome  di  lui  loro  or- 
dinassero retrocedere  :  al  qual  comando  ricusarono 
arrendersi  ;  che  Urbino  avea  per  ben  due  volte  latto 
strage  de'proprii  dominanti  ,  e  che  uno  degli  arre- 
stati ribelli  era  Ettore  Seralini ,  individuo  della  fa- 
miglia autrice  della  congiura  contro  l'infelice  Od- 
dantonio  :  perlochè  da  Guidubaldo  si  riputò  neces- 
sario dare  questo  esempio  strepitoso  di  giusta  ven- 
detta ;  e  verificare  ,  che  sempre  è  de'principi  sacer 
nepotibus  cntor,  (a) 

§.  4-  Nel  coraentario  parlasi  in  guisa  di  que- 
sto fatto ,  e  con  tanto  artifizio  se  ne  sopprime  l'apo- 
logia ,  da  rendere ,  come  ho  detto  ,  sempre  più  odio- 
sa presso  quel  popolo  la  memoria  di  Guidubaldo  . 
IjO  scrittore  è  nato  in  città  non  figliuola  di  lui .  Ma 
è  forse  lecito  mingere  in  cineres   non  patrios  ? 

§.  5.  Del  così  recatogli  oltraggio  è  inutile  compen- 
so il  vanto  non  vero  ,  che  lui  duca^  continuò  la  corte 
d  Urbino  ad  accogliere  nel  suo  seno  gli  uomini  più 
celebrati   di   quel  secolo  .   (^)  Se  Guidubaldo  sem- 


(n)  Epod.  VII. 
(5)  Coment,  p.    i6. 


Uomini  illustri  d'Urbino  4l5 

pre  in  Pesaro  dimorò  :  dunque  la  corte  di  Pesaro 
quegli  uomini  celebrati  accogliea  ,  non  quella  d'Ur- 
bino .  Per  esempio ,  forse  in  Urbino  e  non  in  Pe- 
saro fu  da  Bernardo  Tasso  composta  la  maggior  par- 
te  dell' A  ma  di  gi? 

§.  G.  Essendo  la  verità  ,  come  dice  Dione  Cri- 
sostomo, (a)  amara  et  injucunda  stultis  :  ignoro  se 
la  si  possa  alterare ,  senza  fare  a  quelli  a  cui  ò  di 
cui  si  parla  l'enorme  torto  di  tenerli  per  imbe- 
cilli . 

Riflessione  Vili. 

Francesco    U gocciane   Brandi  (vescovo   di  Faenza 
e  poi  cardinale  )  ito  come  nunzio  apostolico  per 
ordine  di   Urbano  VI  nella  Francia  e  nella  Spa- 
gna ,  contrastò  con  quel  Pietro  cardinal  de  Luna 
che  poi  fu  antipapa  ;   e  ne  scoprì  in  molte  emer- 
genze le  macchinazioni ,  e  ne  ruppe  i  disegni  .  (b) 
§.    I.  Una  delle  emergenze  in  cui    furono   dal 
Brandi  scoperte  quelle  macchinazioni  e  rotti  que  dì- 
segni  ,    non    fu   certamente    la   grande    adunanza    dì 
Medinadelcampo    ,    alla  quale    provocati  furono    ì 
due    contendenti    pel    sommo   ponteficato    da    Gio- 
vanni   re  di  Castiglia   a  spedire  i  proprii  delegati , 
per  discutervi  i  dritti  rispettivi  ;  e  da  Urbano  ri- 
conosciuto  per  legittimo  guccessor  di  s.  Pietro  nella 
città  primaria   del    cristianesimo ,  fu    inviato   detto 
Brandi  per  tale  oggetto  ,  in   compagnia  di  cardinale 
Gualtieri  Gomez.  In  tale  emergenza  a  chi  non  è  no- 


(«)  De  GÌ.  non  capt.  p.  i5i, 
(b)  Coment,  p.  43. 


4iG  Letteratura 

to  ,  che  toccò  soccombere  a  quelli  die  soeteneva- 
no  Urbano  ;  e  che  cardinal  Pietro  di  Luna  e  An- 
gelo Peducci  deir  ordine  de'minorì  vescovo  di  Pe- 
saro sostenitori  di  Clemente  ottennero  piena  vitto- 
ria :  perlochè  quel  sovrano,  uscendo  dalla  neutralità 
in  cui  re  Arrigo  suo  padre  poco  prima  era  morto  , 
riconobbe  e  volle  che  da  tutto  il  suo  regno  fosse 
riconosciuto  Clemente  per  papa  legittimo  :  come  fat- 
to aveva  anche  Carlo  V  re  di  Francia  ;  e  ciò  de- 
cìse per  allora  della  ubbidienza  di  tutta  la  Spa- 
gna ?  Dico  di  tutta  ,  perchè  Giovanni  re  d'Aragona 
e  Carlo  il  nobile  re  di  Navarra  eransi  già  dichia- 
rati contro  Urbano  .  Da  niuno  potrà  questo  chia- 
marsi scoprire  le  macchinazioni  di  cardinal  di  Lu- 
na  e  frastornarne  i  disegni  . 

g,  2.  JVon  faccio  questa  riflessione  per  de- 
durne ,  che  piti  valse  il  Peducci  in  difendere  la 
causa  cattiva  e  scismatica  ,  che  il  Brandi  f  or- 
todossa e  la  bona.  La  chiesa  universale  ,  dicono  i 
teologi  ,  non  aveva  ancora  pronunziato  ,  come  poi 
fece  nel  gran  concilio  di  Costanza  ,  finfalllbile  ora- 
colo sopra  l'oggetto  di  tali  macchinazioni  e  dise- 
gni ;  e  non  sapendosi  allora  chi  fosse  papa  legit- 
timo :  i  cristiani ,  divisi  rapporto  alle  persone  ,  chia- 
mare non  si  potevano  aderenti  allo  scisma  :  poiché 
quantunque  si  fossero  innocentemente  ingannati ,  non 
lasciavano  d'essere  in  perfetta  relaKÌone  col  centro  . 
§.  3.  Siccome  dice  s.  Antonino  ,  che  peritis- 
simos  viros  in  sacra  pagina  et  jiire  canonico  ha- 
huit  loto  tempore  ilio  quo  duravit  schisma  utraque 
pars  seu  ohedientia  ,  ac  vere  religiosissimos  viros  , 
et  quod   majus  est^  etiam  miraculis  fulgentes  :  (a) 

(ft)  Hist.  P.   3.  t.  22,  e.  2.  in  princ. 


Uomini  illustri  d'Urbino  4 '7 

saremmo  ugualmente  ingiusti  chiamando  empio  il 
Peducci  perchè  sostenne  con  fervido  impegno  Cle- 
mente ;  e  ponendo  in  dubbio  ,  a  motivo  di  sua 
soccombenza  ,  il  valore  del  dottissimo  Brandi  ,  po- 
sto in  sì  chiaro  lume  nel  comentario,  e  a  dir  vero 
di  eterna  lode  meritevole. 

§.  4-  Che  se  anche  tal  soccombenza  conslituis- 
se ,  come  non  constituisce  ,  demerito:  cesserebbe  per 
questo  nello  storico  l'obbligo  del  dire  il  vero  ?  Non 
sarebbe  meglio  il  silenzio  ,  che  coniare  false  vit- 
torie ? 

Il  resto  in  seguito . 

Teofilo  Betti 


CI.   Viro  Achoc.  Petro  Ruga  Antecessori  Romano  , 
Raphael  Mecenate  ,  salutem. 


N 


on  dubito  ,  quìn  tibi  nota  sit  censura  de  meo 
Messala.  Neque  enim  puto  te  non  legisse,  quae  publi- 
ci  iuris  flunt  ut  legantur  a  doctis  et  ponderen- 
tur ,  et  tu  maxime  legas  et  lance  pendeas  exa- 
ctissima.  Scire  vellem  propterea  quid  censeas.  Ego 
vero  gratus  benignilati  censorum  quantum  peperce- 
rint;  quae  ad  bibliographiam  peitiuent  laudo,  .pla- 
citura  iis ,  qui  graviora  studia  non  sustinentes  mi- 
noribus  illis  deliciis  maxime  occupautur  in  otio:  at 
coetera  non  possum  collaudare  ,  nempe  quod  non 
patiantur  scriptorem  emergere  ab  ultima  aetate  la- 
tini sermonis.  Kecte  enim  consideres  velim,  an  istam 
sortem  jure  scriptorì  portendant  ea ,  quae  severe 
reprehendunt  ne  veterem,  mutata  licet  lectione,  opi- 
nionem  deserant.  Ac  primum  graviorom  crimina- 
tionem  ex  lectione  pag.  ^5  —  adversoqiie  Jlumine^ 
G.A.T,1X.  37. 


4  I  8  L  E  T   r  E  n  A  T  U  K  A 

quod  Brentensia  nuncnpatur  -^  quìa  non  ante  go* 
thorum  adventum  in  Italia  flumen  Medoacus  coe- 
perit  Brintia  vocari.  Grave  quidem.  Veruni  si  aui- 
inadverlissent  quam  plures  hujusmodi  grammati- 
corum  explicationes  ope  codicis  disparuerint,  judi- 
cium  iJlud  continuissent:  quia  torte  quum  legeretur 
eo  loco  — ^  adversoque  Jlumine  iJ/e^oaco— paedagogus 
per  aetatem  suam  explicaverit,  vel  gramraaticus  ad- 
notaverit  margini  —  quod  Brentensia  dicitur- — in- 
deque  corruptìo  altera  probabiliter  libello  accesserit; 
retinuit  enim  sequior  calligraphus  explicationem  fu-» 
tilem  ,  perinde  meliorem  uti  suo  intellectui  et  tem- 
pori magis  accomodatam,  —  quod  Brentensia  dici- 
tur —  praeteriens  Medoaco  veluti  nomen  arduura 
et  antiquato m.Seposita  vero  quaestione  de  aetate  mei 
codicis,  notati!  dignum  est,  hunc  locnm  controver^ 
sum  collimare  cum  Strabone  propemoduni  Augusto 
coevo;lib.  ò.  Geographiae  — -  Ad  eam  urheni  (Pata- 
vii  )  a  mari  subvectio  est  y^n terso  flumine  .  .  .  .  t 
Bleodoco  —  pag.  326.  tem.  i.  edit.  Amst.  1707. 
Sic  vero  omnium  corruptiones  scriptorum,  unius  ad 
alterum  subsidio  ,  ad  veram  lectionem  revocandae^ 
videntur, 

i\on  erit  proìnde  libellus  hoc  crimine  ad  ima 
subsellia  denuo  damnandus,  vix  dum  emergit  a  cor- 
ruptione,  sed  potius  conjectura  restituendus.  Nam 
coetera,  qnibus  irritantur,  le  via  suHt,  nec  satis  matu- 
rata. Illud  enim,  quod  legitur  pag.  87.  lin.  7. — et 
ingens  robur  armatorum  auxilio  secum  duxit — ,  in- 
flatum  nimis  visum  estcrilicis,  cerliusque  indicium 
declinantis  latiiiitatis.  At  videant  ne,  dum  Messalam 
carpunt ,  obliti  Ciceronis  videantur  eadem  dicendi 
vi  uteniis  —  soboles  et  robur  milifum  interiit"-^  etiam 
in  luimiiiori,  fpist.  33.  Jib.  io.  familiar.,  ne  quid  de 
i;i|\isf   e^emplis    dicam    stylo   graviori   prò    Cluentio 


Epìstola  in  Messalam   Corvinum  4'1> 

sect.  56.  — Cajus  Flav.  Pusio^  Cn.  Titinnius ,  C. 
Maecenas ,  illa  tohura  populi  romani  ;  cueterujue 
hujusceniodi  ordinis. 

Vellicavit  eliam  aures  delicatulas  illud,  quod 
illìtio  legitur  —  digneris  postulatione  tua  --^Bixis- 
sent  tamen  ,  an  oilendantur  veibu sculo  —  postula- 
tiene  —  vel  alio— ^ di gneris — f-an  utroque.  J\am  si 
hoc  vile  repulaiit  deteiioris  indicium  servitiitis  , 
quam  sub  Augusto;  animadvertant  primo,  usitatuni 
fuisse  Ovidio,  Tristium  lib.  3.  eleg.  i4-  vers.  peuult. 
Qualem  cunique  leges  venia  dignare  libellum. 

Ki&ìveAhwscxAo  -  postulatione-  initautur,  videant 
hoc  sensu  adhibitum  fuisse  a  Cicerone  prò  Muraena, 
sect.aS.edil.Oxonii  i^SS  tom.  5.;adQ.Fratrem  lib-  2. 
epìst.  IO.  pag.  91.  tom.  9.,Plaut.  in  Baceh.  act.  3. 
scen.  3.  vers.  45.,  Terent,  in  Hecira  act.  i.  scen.  2. 
vers.   io5. 

Graecissat  scriptoF  libelli  yo^fg.  i4-  Un-ult.^  nec 
alio  ,  quod  quidem  sciam  ,  exemplo  verbu sculi 
f^  cosmographi  — .  iVon  leve  crimen  ad  demerendum 
gradum  Inter  latinos  scriptores.  Sed  forte  scriptum 
erat  hoc  loco  —  ys.oay.o-^pa.<fou  —  iiiterscripla  enim 
apud  quosvis  bonae  aetatis  scriptcìres  occurrunt  grae- 
ca  verba ,  queis  non  adbuc  pntrium  sermonem  di- 
laverai usus  ,  quem  pencs  arhitrium  est  et  jus  et 
nonna  loqucndi.  Graecnm  igitur  paodagogus  forsi- 
tan  reddidit  latinis  literis  in  margine ,  et  calligra- 
phns,  graece  rudis,  adoptavit  ut  latinum  quod  oc- 
currebat  in  margine  .  i\on  inde  tamen  plecLendus 
auctor,  et    de  meliori  sede  depelieudus. 

Succensent  praeterea  anacronismo  ,  ut  ipsi  qui- 
dem iudicant ,  istius  scriploiis,  referentis  ad  annum 
UC.  3oi  decemvivorum  depositionem  abdicalio- 
nemve  ,  perinde  incertus  scripserit  aetale  admodum 
posteriore.  Sed  yellem  rccordarentur   Dionysii   Ua-r 

27 


^20  L  E  T  T  E  R  A  T  U  H  A 

licarnassei  grave  dictum  lib.  7.  sect.  i  fin.  —  Feren- 
dum  esset  in  historicis  si  exiguo  annoriim  numero  in 
insù  tirmporum  siipputatione  fallerentur  ,  praesertim 
Clini  priscam  et  muitorum  annorum  historiam  com- 
ponunt  —  Tanto  magis  in  epoca  decemvirorum  , 
qua-",  inteimortuis  consulatibus,  in  romana  histo- 
ria  creavit  perpetuam  diJlìcuUatem  supputandi  an- 
nos.  Qui  quian  summae  auctoritatis  historicus  de- 
positionem  decemvirorum  reterai  ad  annum  UG.So^, 
Varrò  ad  annum  3o5,  Livms  ad  annum  3o4- ,  Ine 
Mossala  ad  annum  Joi,  et  denique  Diodorus  Sic.  ad 
annum  secundum  olimpiadis  LXXXIV.  aut  omni- 
bus ,  aut  nulli ,  gradus  ob  discrepantiam  temporis 
coiitenilendus,    ipso  Dionysio  judice. 

Ubinam  vero  legerint  illud  — serenissime  au- 
guste— r»  graviter  notatum,  quodqiie  coeteris  utcum- 
qne  reraotis  ibret  argumento  ultimae  latìnitatis,  pia- 
ne non  video  in  ipsa  mea  recensione.  In  vulgatis 
qnidcm  sect.  1  in  fine  legitur  — r-  accelerare  ma- 
turoho.  serenissime  Caesar  Auguste  — ,  manifesta 
gi^ramatici-  addillo  :  sed  recensio  ex  codice  de- 
simi—  accelerabo — ,  nec  ultra  progreditur  ad  il- 
lud - —  serenissime  • — 

Kevocant  praeterea  censoies  attentionem  eru- 
ditorum  per  notulam  pag.io.  ad  scriptoris  frequen- 
tem  ùsum  versuum  Virgiiii.  Sed  quorsum  ^  An  ut 
illuni  Macrobio  comparent  vel  Sex.  Aurelio  Victori , 
qui  potius  exeinpium  videntur  praecursoris  Messa- 
lae  sequuti,  aut  denique  ut  reprehendanl  Messalam 
ipsum  ,  quasi  niliil  scientem  quam  Virgilium  ?  Sed, 
pace  eoium  ,  posset  inde  contrarium  indici  um  su- 
ini ,  Messalam  voluisse  morem  gerere  Augusto  ,  qui 
Aeneida,  a  Virgilio  legata  flammis,  tanti  habuit ,  ut 
ed i  cerei — Frangatur  potius  legum  veneranda  potè" 
stas  ,    Quam    tot  congestos   noctesque  diesque  labo^ 


Epistola  in  Messalam  CorvInum         421 

res  Hauserit  una  dies  —  Forte  etiam  Messala  gra- 
tus  Virgilio  ob  dedicationem  Ciris  ,  depravati  quon- 
dam, et  nunc  redditi  liuic  libelli  ,  blanditus  clien- 
iulo  fuit  ipsius  versus  passim  Augusto  commen- 
dans  . 

Plautino  etiam  sàie  cohspergunt  variantem  le- 
Ctionem  §.  Sa.  —  ^)iùlatae  f^irginiae^'—  ut  quam  ad- 
versari  pùtant  Livio  lib.  3.  cap.  4.  esistitnanti  m- 
iemeratam  .  Verura  si  animadvertissent  manus  quo- 
que in  Vlrgìniain  yiolenlas  luisse  injectas  ad  illanl 
perducendam  in  servitutem  M.  Claudii  ,  et  libidi- 
Jiem  Appii,  teste  Eiodoro  Sic.  bibl.  la.sect.  i4tom.  1. 
edit.  Vesselingi  Amst.  iG^ij.-^Puellam  eniin  ab  Uh 
(  Appio  )  in  manus  traditam  ut  niancipiuiu  suum  ne- 
hulo  adducit' — \  piofecto  temperàssenfc  a  loco  qui- 
squis  scripserit-^/j(jco  amico  della  preziosa  vergini^ 
tà  di  Virginia  —  Etenira  illud  violare  non  semper 
pertinet  ad  pudicitiam  ;  sed  iu  quavis  injuria  per 
contumeliam  ^  manu  ^  signis  ^^  ferro  ^  nece  ^  usurpant 
optimi  quique  sciiptores  aurei  Saeculì  .  Accedit  in- 
Certitudo  ^  subacta  libidini  Appii  ,  per  artes  nec 
ne  fuerint  Virginia,  dubietatem  ingerente  Diony- 
sio  lib.  IL  sect.  i  et  2.  ■ —  Oh  lias  igitur  causas  vi~ 
Sunt  est  mihi  persequi  omnia  ,  quce  in  deccm^'ira- 
tus  ahrogatione  acciderunt  ^  et  quce  memoratu  di- 
gita pufo  .  De  illis  aulem  agam  ,  initio  non  ab  ul~ 
timis  ducto  ,  quos  m,ultis  'videhtur  sola  causa  liber- 
iatisfuisse^  ah  iis  inquam  ,  qUn:  Appius  amore  con- 

REPTUS      IN    yiRGINEM    COMMISIT  ;    ìlOiO    eiliui     L'St 

aliorum  ejus  facinorum  appendi^  ,  .  .  in 
FORMOSAS    eorum    uxores    impie   se  gerebant  ^ 

ET    IN    FILIAS    NOBILES    CON  TU M ELIOS I    ERANT  .   i 

Ut  ii^  quibus  hcvc  minime  f erenda  videbantur  ,  reli^ 
età  patria  ,  cum  conjugibus  et  liberis  in  proo'imas 
urbes  migrarent- —  . 


432  Letteratura 

Coeterum  duoLus  aliis  ,  et  siqui  ultra  irrepse- 
runt ,  erroribus  operai  um — prcemii — loco — premit-^ 
scropham — prò — scropìia —  ,  correda  decies  vulga- 
tae  menda;  numquam  ab  operibus  sublata  :  eis  opto 
indulgeant  recieati  joco  iesti\  issimo  ,  qucm  Michael 
Fernus  praefixit  recognifioni  corruptoriim  plusquam 
MILLE  in  editione  sua  elegantium  operum  Antonii 
Campani  Romae  141)5  ,  raiis>ima  quidam  cum  islis 
praesortim  extremis  loliis  correctionum  ,  sed  apud 
me  integra  :  qtiippe  praefixum  legitur — yis  ex  stiil- 
to  demeiis  ;  idemqite  ex  demente  insa?ms  fieril  Li- 
hros  primits  romm  imprime — corruptorum  recogni- 
tio  millenorum — cui  qnum  damnatus  fuerit  sorti  Mes- 
sala meus  ,  ut  bic  impiimeretur  ,  ignoscant  censo- 
res  ,  ne,  dum  videntur  excitare — si/atti  studj  ^  pei 
quali  Roma  è  ben  tempo  ,  che  liprenda  il  vanto 
sopra  le  altre  nazioin — ^acerbitate  eliminent  potius, 
quam  sollicitent. 

Si  quis  autem  sophista  vel  rhetor  vellet  su- 
scipere  exercitationem  controversiae  ;  an  sit  libellus 
I\Jcssalae  Augusto  coaevi ,  aliqua  illi  suppeterent  ad 
siiasoriam  argumenla.  Ac  primum  quod  omnes  noti 
codices  ideni  nomea  ,  eumdemque  titulum  praese- 
ferunt  (a),  meo  quoque  meliore  in  hoc  consentien- 
te  ;  nisi  quod  codex  valicanus  834,  exscriptns  ab 
alio  antiquiore  (6),  addit  grave  aliud  quidpiam— • 
Messala^  ora  tori s  disertissimi  —  ejus  ,  qui  coae- 
vus  Augusto  fuit  per  an tonomas iam  o/}v/ro/?   dictus  : 

(«)  Codex  collegii  LincaluicnsisaThorna  Hcarno  collaius  in  sua 
^ditione  Oxonii  i7o3,aUcr  ojini  resinai  Christina;  ii.  n.  834- tran- 
slatus  in  bibliothccam  vaticanam  ,  alter  collegii  novi  Oxonicnsis  re- 
latus  in  biljliolhcca  biblioiliecarum  Monict'avicoxiii  tom.  i.  pag.  665. 

(6)  Legitur  in  fine  libelli  rubro  colore  scriptuu»— yf/7^'e/MS  Fé- 
renUnales  Rubano  Iprensi  scripsil  in  Urbe  unno  Xp.  MCCCCLFJL 


Epistola  in  Messalam  CoRviNuivt         42^ 

cui  quidem  univoco  Messalae  codicum  consensui 
accedit  animadversio  ,  quod  error  in  libris  suppo*- 
sititìis  numquam  din  viguit.  Unum  prò  multis  exem- 
plis  comnaemorabo  .  Feiebatur  enim  Lacii  Fene- 
stellce  nomine  libellus  de  potestatibus  romanorum 
Inter  disputationes  criticorum,  an  esset  liber  nomi- 
ne dignus  imposito ,  vel  hoc  essel  appictum  .  Quae- 
stio sublata  fuit  prodeunte  codice  Wiitsii  ,  qui  il- 
lum  retribuii  Flocco  fiorentino  edit.Antuerpiae  i56i. 
Pulas  ne  contra  per  tot  saecula  latere  iraposturam  de 
isto  Messala  ?  Deinde  argumento  esse  potest  restitu- 
ta  lectio  libelli,  adeo  ut,  si  forte  antiquìor  prodi^ 
ret  codex  ,  qui  residuos  uaevos,  si  qui  sunt,  espun- 
gerei ,  ad  aetatem  Augusti  retrogrado  ordine  libel- 
lus certo  calculo  pervenirci  .  Quis  enim  tantae  con- 
fidentiae  criticus  ^  qui  a  st^ylo  possit  scriptorem  de- 
terminare ,  quum  quisque  suo  etiam  stylo  scribat 
impraesens  ,  et  antea  scripserit ,  et  sit  quisque  sua 
lingua  disertus  ?  ut  ajebat  Messala  apud  Senecani 
eontrov*  iib.  1.  pag.  191.  edit.  Amst.  iG^a  ; 

IJlud  vero  praecipuum  videtur  àrgumeiitum  , 
quod  libellus  Messalae  nomen  praeseferens  ,  et  Au- 
gusto nuncupatus  ,  panca  de  ipso  Augusto  conti- 
neat  cum  dignitate  modesta  §.  35i  -  Europa  ad 
extremos  Jines  per  te  undique  pacata  .  i  ,  .  ^  ut 
nihil  te  imperante  superesset  indomitum  -  Quam- 
quam si  confìcta  Augusti  panegyris  vel  exercita- 
tio  rhetoris  ultimae  aetatis  haec  esset  ,  ut  visunl 
aliquibus  fu4t,  ampia  proiécto  rheloricae  exercita- 
tionis  suppetebat  seges  a  mutato  per  beila  civi- 
lia  statu  reipublicae  ,  indeque  laudandi  Augustum 
commutantem  .  Esemplarla  vero  non  deluisse  di- 
cerentur  rhetori  ,  quibus  se  prò  genio  aetatis  et 
exercitationis  conformaret  ,  luliani  ad  Costahtem  , 
Libanii  in  Basilico,  Cumcnii,  l^azarii ,  Latini  Pa^ 


424  Letteratura 

cali ,  Mamertini,  Corrippei.  Centra  igitnr  pauca  scri- 
bens  de  Augusto,  et  ad  Augnstum  studiose  mode- 
stns  ,  Messala  hic  ,  auctorilatis  argnmentum  videtur 
perhibere  :  qnippe  scribens  probe  noscenti  sua  ,  ef- 
ferre  haud  debebat  gesta  ejus,  in  quibus  scriptor 
maximani  partem  babnerat  .  Messala  siquidem  mi- 
litari virtute  scientiaqiie  prudentiae  civilis  prae- 
stans  ,  quantum  ab  antifjuis  scriploribus  collecta  ejus 
vita  demonstrat,  scrib('bat  Augusto  ,  et  de  Augu- 
sto in  eaclcm  scieutin  longe  praestantiore  ,  ut  qui 
ex  corruplione  reipublicae  occasionem  arripuit  blan- 
di principatus  snscipiendi  ,  adiutus  Messalae  vir- 
tute militali  ,  non  nihil  et  civili  prudcntia  ejus  , 
et  Ciluii  Mecenatis  .  Postremo  in  ea  scienlia  utrum- 
que  preslantem  decebat  propria  dissimulare  ,  ne  re- 
center  gestorum  laudatioue  invidiam  mutati  status 
reipublicae  apud  dissidenles  a  principatu  excitarent. 
Sciipsissc  praeterea  de  rebus  Augusti  Messalam  non 
anceps  indiciura  perhibet  Svetonius  in  Octaviano 
cap.  TZ|.  sect.  2,  unde  suspicìo,  progressum  ad  istum 
{[uoque  libellum  fuisse  . 

Non  levis  deniqne  coniectura  est  versum  Vir- 
gilii  quasi  florum  sparsi©  per  tolum  libellum  ,  ut 
ante  notavi,  siveadulatio  erga  Augustum  ,  sive  blan- 
ditio  Virgilii ,  denotans  Messalam  bJandientem  :  nam 
de  assertoi  e  libei  tatis  factus  est  denique  Messala  au- 
licus  ,   ut  eius  vita    demonstrat  . 

Interea  ,  si  non  istius  Messalae  vitam ,  at  il- 
lius,  cui  me  sciibendae  blautlissime  provocasti,  Mes- 
salae Augusto  coaevi  excipc ,  cui  concinnandae  im- 
pendi otium  baccanalium  ,  a  quibus  scis  me  esse 
alienissimum .  Lege  ,  corrige  ,  et,  quod  invidiae  de- 
clinandae  opoi  tuiiius  iorcL  ,  flammis  tradè  .  Sed  vale  • 

Kx  meo  musaeo  ,  nonis   martiis   16:21. 


4a5 


Ali  SIGNOR  D,  Pietro  de'  principi  Odescalchi, 
Vincenzo  Monti; 


À  lusinga  molto  rintendere  che  la  mia  dichia- 
razione iì  quel  pnsso  del  Petrarca  E  ciò  che  non  è 
lei  ec.  cagione  di  tanti  litigi ,  vi  sia  sembrata  tale 
da  metter  fine  a  tutte  le  dispute  .  Ma  due  errori  in 
quel  mio  scritto  sono  trascorsi.  Se  la  presente  giu- 
gne  a  tempo  ,  emendateli;  se  già  sono  andati  alla 
stampa,  pregovi  di  far  pubblica  nell'  appendice  del 
"vostro   giornale   questa  lettera  . 

Le  allegazioni  dell'  esempio  tratto  dal  Ciriffo 
Calvaneo:  Ma  primamente  ti  ringrazio  assai  DeU  es- 
ser te  sì  magnalmo  e  cortese;^  dell'altro  del  Salvia- 
ti  nel  Gianchio,  Ella  sapeva  pur  troppo  bene  che  per 
esser  lui  ec.sono  fuor  di  proposito, anzi  fuor  di  gram- 
matica a  dirittura:  perchè  il  pronome  te  nel  primo,  e 
lui  nel  secondo  sono  accusativi,  non  in  forza  della 
regola  stabilita  del  verbo  essere  posto  tra  due  su- 
stantivi  ,  ma  sì  bene  in  forza  delfinfinitivo ,  che  di 
sua   natura  porta  laccusativo  . 

Questi  due  esempj  adunque,  manifestamente  er- 
rati e  affatto  superflui ,  sopprimeteli .  E  se  pure  vi 
piace  che  anche  1'  autorità  del  Salviati ,  clie  è  di 
molto  momento  nelT  animo  degh  accademici,  oltre 
quella  del  Boccaccio  ,  del  Varchi  ,  del  Caro  ,  del 
Firenzuola  e  di  quelgi  altri  concorra  a  farmi  ragio- 
ne, sostituite  al  passo  del  Granchio  quf^sto  della  j^pl- 
na  2  5.  Costui  qui  è  un  altro  me:  parlate  si  ci  tram  ente. 

E  veice  sapere  chi  m  ha  tratto  in  errore/'  Pri- 
mieramente la  mia  propria  inconsidcuatez»a  cungiun- 


^ùG.        Letteratura 

la  alla  fretta  di  far  contente  le  vostre  brame:  poi 
il  Bartoli  caduto  nello  stesso  abbaglio  nella  ciLazio- 
ne  deir  esempio  di  Dante  se  non  può  esser  lei  ec, 
che  cade,  se  non  mi  gabbo,  sotto  la  stessa  legge. 
Ma  che  bisogno,  in  mia  mal'  ora ,  avev'  io  di 
tante  allegazioni,  quando  lo  stesso  Petrarca  nel  ter- 
zo dialogo  tra  lui  e  s.  Agostino  chiarissimamente 
spiega  quel  passo,  e  irrepugnabilmente  conferma  la 
mia  opinione?  11  santo  esorta  il  poeta  a  tentare  tut- 
te le  vie  onde  liberarsi  dalla  passione  amorosa  per 
Laura  .  Udite  la  sua  risposta  :  hoc  igitur  unum  sci- 
to me  aliud  amare  non  posse.  Assuevlt  animus  illam 
tìdamare  :  assue^^erunt  ocu'i  illam  intueri  ;  et  quid- 
otcid  non  illa  est,  inamenum  et  /enebrosum  dicunt* 
2\o\\  è  questa  la  netta  ed  Inter;/  traduzione  latina 
del  sentimento  espresso  nellitaliano  ? 

Ed  ho  si  avezza 

La  mente  a  contemplar  sola  costei, 

dì  altro  non  vede  ;  e  ciò  che  non  è  tei^ 

Già  per  antica  usanza  odia  e  disprezzo,. 

Se  dopo  quelle  chiare  parole  quidquid  non  illa  est.,ì 
promotori  della  moderna  lezione  E  ciò  che  non  e 
in  lei  persistono  nella  torta  loro  credenza  ,  racco- 
mandiamoli a  Dio,  e  diciamo  requiem  aeternam  ali 
esquisito  loro  giudizio  . 

A  vieppiù  stabilire  l'antica  lezione  udite  di  gra- 
zia ciò  che  acutamente  ne  pensa  il  sommo  filologo 
sig.  ab.  Colombo  in  una  lettera  all'  esimio  nostro 
Trivulzio  . 

„  ...  .  Ho  poi  avuta  non  piccola  compiacen- 
,,  za  nel  trovare  anche  il  Monti  del  mio  stesso  pa* 
,,  rere  intorno  a  quel  luogo  del  Petrarca:  E  ciò  che 
,,  non  è  lei  ec.  Anche  senza  considerare    che  così 


Lettera  di  V.  Monti  427 

appunto  stava  in  quel  testo  di  mano-  del  Petrar- 
ca medesimo  ,  il  quale  (  se  dobbiam  credere  ad 
Aldo  Manuzio)  era  posseduto  dal  Bembo,  basta 
fare  un  pò  d'analisi  al  quadernario  per  rilevare 
la  sconvenevolezza  della  lezione  adottatasi  nella 
stampa  di  Firenze  del  1748.  Che  avea  detto  il 
poeta  ne'  primi  due  versi  del  quadernario?  Ch'egli 
aveva  avezza  la  mente  a  contemplare  ,  non  mi- 
ca le  cose  ch'erano  in  lei,  ma  lei  propriamente, 
lei  medesima ,  sola  costei  .  E  che  dice  negli  al- 
tri due,  secondo  la  consueta  lezione?  Che  la  sua 
mente,  perchè  è  sì  avezza  a  contemplar  /e/,  di- 
sprezza tutto  quello  che  non  è  lei  .  Egli  sta  saldo 
nel  suo  suggetto,  ed  ha  sempre  davanti  alla  men- 
te Laura  :  dove  che,  secondo  l'altra  lezione,  egli 
salta  di  palo  in  frasca,  e  ne'  due  primi  versi  Con- 
sidera lei  ,  e  ne'  due  altri  non  più  lei ,  ma  ciò 
ch'è  in  lei  :  il  che  toglie  la  giustezza  della  con- 
trapposizione, e  guasta,  pare  a  me  ,  la  bellezza 
del  sentimento  .  Ora  il  nostro  Monti  a  quel  pas- 
so ha  assicurata  la^  sua  vera  lezione  con  sì  con- 
vincenti ragioni ,  con  tal  apparato  di  dottrina ,  e 
con  tanto  garbo  e  maestria,  che  non  potrà  piiì  ca- 
dérne il  menomo   dubbio  .  .. 

Proseguite,  mio  caro  ed  illustre  amico,  a  ben 
sostenere  con  gli  egregi  vostri  compagni  la  ragione 
e  il  decoro  della  scelta  letteratura  ,  e  fate  che  la 
dotta  Italia  sempre  più  si  consoli  di  avere  per  le  no- 
bili vostre  cure  un  giornale,  che  esercita  la  censu- 
ra senza  vituperare,  e  distribuisce  la  lode  senza  av- 
vilirsi .  State  sano  . 

Di  Milano  a'  20  marzo    iSsi. 


'4>8 


ARTI 

BELLE     ARTI 


Idea  di  un  teatro  adattato  al  locale  detto  delle  Con- 
vertito nella  strada  del  corso  di  Roma  —  Roma 
dai  torchi  di  Carlo  Mordacchini   1 8a  i . 


JLia  costruzione  di  un  teatro,  il  quale  alle  moder- 
ne costumanze  e  agli  usi  e  comodi  delle  presenti 
età  riunisca  in  modo  lodevole  tutte  le  eleganze  dell' 
antica  architettura  greca  e  romana  ,  è  divenuto  pro- 
blema di  difficile  soluzione  .  JNè  fin  qui  valsero  a 
superare  tutti  gli  ostacoli,  che  si  frappongono  allo 
scioglimento  di  questo  nodo,  le  molle  scritture  e 
stampe  dfite  in  luce  intorno  T  argomento  de'  teatri 
antichi  e  moderni  ;  che  anzi,  per  quanto  siensi  ado- 
perati valentissimi  ingegni  ,  non  siamo  ancora  per- 
venuti a  veder  cosa,  la  quale  abbia  interamente  l'at- 
to pago  il  comun  desiderio. 

In  mezzo  alle  diverse  opinioni  che  risguarda- 
no  questa  parte  de'  luoghi  dedicati  al  pubblico  ser- 
vigio, è  venuto  alle  stampe  il  progetto  di  un  tea- 
tro imagìnato  dui  Sangiorgi  ,  che  si  è  proposto  per 
area  l'antica  dimora  delle  Convertite,  ora  destina- 
ta ad  altri  usi ,  e  posta  sulla  via  del  corso  di  que- 
sta capitale  .  Il  quale  progetto  ,  fa  d'  uopo  confes- 
sarlo, Q  uno  de'  meglio  ponderati  e  imaginati  quan- 
do vogliasi  seguitare  il  costume  de'  palchi  divisi  fra 
loro    da    una   parete  »  Ma  ci  avvisiamo  essere    quc- 


Belle  Arti  4^0 

jita  costumanza  principallssima  cagione  di  que' tan- 
ti difetti  da' quali  è  bruttata  la  scena  italiana,  ed 
anzi  r  abbiamo  in  conto  di  manifesto  ostacolo  al 
perfezionamento  dell'  arte  drammatica .  Imperoc- 
ché facf^ndosi  d'ogni  palco  una  conversazione  iso- 
lata, nella  quale  la  metà  delle  persone  è  costretta  a 
volgere  le  spalle  alla  scena  (  tranne  I  palchi  di  pro- 
spetto )  e  due  terzi  sono  condannati  a  non  vedere, 
ne  addiviene  che  niuna  attenzione  si  dia  alle  cose 
recitate,  e  nascano  i  garruli  discorsi ,  e  le  frequenti 
visite  ,  e  l'aprire  e  il  chiudere  delle  porte,  e  il  giuo^ 
co,  e  tutta  quella  schiera  de'  frastuoni  che  distrag- 
gono la  platea  e  tolgono  1  amore  dell'  arte  a'  recita- 
tori .  Ma  in  tale  disgraziata  situazione  di  cose  e 
d'usanze  il  Sangiorgi  ha  certaxnente  imaginato  una 
curava  interna,  che  dee  tenersi  eccellente  e  favorevo- 
le come  pel  vedere,  così  per  l'udire:  avendo  essa 
i  rami  prossimamente  paralelli  all'asse.  Sarebbe  sta- 
to bensì  a  desiderarsi  che  la  posizione  de'  tre  cen- 
tri fosse  determinata  e  stabilita  da  qualche  regola 
che  avesse  potuto  servir  di  norma  certa  a  chi  gli 
volesse  seguire  . 

L'ampiezza  del  teatro  è  di  conveniente  dimen- 
sione, ne  va  molto  diversa  dalla  massima  adottata 
e  voluta  dalle  genti  dell'arte,  perchè  l'onda  sonora 
mossa  e  vibrata  da  una  voce  di  tempra  ordinaria 
possa  egualmente  farsi  sensibile  in  ogni  parte  del 
luogo.  Non  ci  pare  però  che  l'autore  abbia  ba- 
stevolmente  avuto  a  cuore  di  servire  a'  comodi 
del  teatro  e  disporre  così  che  sotto  il  medesimo 
tetto  si  potessero  dipingere  le  scene,  e  tener  ma- 
gazzeni di  tutte  quelle  cose  che  si  sono  fatte  indi- 
spensabili ne'  moderni  spettacoli . 

Felicissima  idea  è  stata  poi  quella  del  Sagior- 
gi  nel  dare  alla  disposizione  esterna  della  fabbricai 


43o  Belle  Arti 

la  figura  circolare  ,  dalla  quale  sì  annunzia  di  pri- 
mo tratto  r  interna  destinazióne  .  Non  peraltro  ci 
sembrano  con  egual  felicità  ricavati  gli  avancorpi  per 
uso  delle  carrozze,  giacché  moltiplicano  essi  gì  in- 
convenienti di  que'  gra t'issimi  sodi,  e  colonne  an- 
golari, e  risalti ,  pe'  quali  nascono  non  lievi  fasti- 
dii e  incomodi ,  e  si  genera  una  disgustosa  veduta. 
E  qui  oseremo  dire  non  aver  tratto  1  autore  tutto 
quel  vantaggio  ch'egli  avrebbe  potuto  dall'area  pro- 
posta .  E  a  provargli  che  non  crediamo  ingannarci, 
gli  chiederemo  perdi' egli  non  abbia  voltato  ad  uti- 
lità del  teatro  que'  vani  che  rimangono  su'  lati  del 
fabbricato  ,  e  per  cagione  de'  quali  vengono  appun- 
to  quattro  gran   risalti  e  due   inutili  rientramenti  . 

Quanto  poi  alla  solidità  de'  muri  e  delle  volte, 
non  vorremmo  essere  tratti  in  errore,ma  converrà  che 
il  Sangiorgi  ci  permetta  d  intendere  la  volta  del  suo 
teatro  costrutta  in  legno  e  non  diversamente.  Perchè 
ove  ciò  non  fosse,  ci  pare  che  a  distruggere  la  spin- 
ta di  quella  non  valessero  que'  muri  e  nella  gros- 
sezza e  ne'  piediritti  . 

Discendendo  finalmente  alla  decorazione  ,  dire- 
mo ch'essa  manca  di  uniformità.  Perchè  dove  l'ester- 
na ,  abbenchè  tormentata  di  soverchie  linee  e  fo- 
ri ,  ha  nullamsno  in  se  molto  di  quel  carattere  di- 
gnitoso che  s'  appartiene  agli  antichi  monumenti  i 
intanto  ,  ne  si  sa  perchè  ,  l'interna  è  di  un  modo 
tra  il  gotico  ed  il  moresco  ,  nò  più  si  lega  all'estcr-f 
na,  di  quello  che  tra  loro  si  confaccino  le  stanze 
del  Vaticano  colle  bambocciate  del  Calot .  Credia- 
mo dunque  poter  dire  al  Sangiorgi  esser  egli  cadu- 
to ,  per  questa  parte  ,  in  un  grave  abbaglio  di  ra- 
gionamento :  e  perchè  tal  condizione  d  ornamenti 
non  si  confà  col  suo  maschio  pensiero  dell'esterno: 
e  perchè  ricondurrebbe  ,  per  altra  via,  il  gusto  biz- 


Belle  Arti  43  i 

zarro  e  fantastico  de'  tempi  andati  :  e  perchè  man- 
ca di  quella  solidità  apparente  che  pur  vuoisi  os- 
servare nelle  fabbriche  de'  teatri  :  e  perchè  infine 
si  opporrebbe  ad  uno  de' principali  scopi  ch'è  la  pro- 
pagazione delle  onde  sonore. 

Né  queste  nostre  considerazioni  riescano  moy 
leste  al  giovane  valoroso,  il  quale  ci  ha  regalata  que- 
sta sua  idea  .  Perchè  contiene  essa  tanto  di  buo- 
no, che  con  pochi  mutamenti  e  correzioni  sarà  uu 
bel  monumento  del  suo  ingegno  e  valore  architet- 
tonico ,  e  potrà  essere  di  molta  utilità  al  pubblico. 

P.  S.  A. 


43a 

VARIETÀ' 


Di  alcuni  libri  di  rune  italicate  rari  e  rarissimi  pubblicuti  in  Pe- 
rugia nella  me/à  del  secolo  xvi,  a  S.  E.  il  sgnor  marchese  D. 
Giangiacoino  Trimhio  lettera  dì^Gio.  Battista  l^enniglioli  s  '6. 
Perugia  i8ai  presso  Frcmcesco  Baduel,  di  pag.  19. 

V^uc<;ta  lettera  è  da  piacer  granflcmcnte  a  tutti  coloro ,  eh'  amano 
gli  studi  utilissimi  della  bibliografia  :  e  può  servire  di  seguilo 
air  altra  opera  del  celebre  autore  ,  Hi  che  abbiamo  ragionato  con 
lode  nel  voi.  xxi  del  nostro  giornale  .  Essa  è  ripiena  di  molte  e 
preziose  notizie  sulla  tipografia  perugina,  e  specialmente  sulle  per- 
sone degl'illustri  tipografi  Girolamo  Cartolari  e  Bianchine  dal  Leo- 
ne: e  fa  dono  alla  storia  letteraria  italiana  di  varj  nomi,  che  non 
avevano  potuto  durare  contro  la  forza  del  tempo .  Possa  il  sig.  Ver- 
miglioli  goder  sempre  di  quella  pace  beata,  ch'é  il  premio  più  de- 
siderabile e  caro  de' virtuosi,  onde  con  le  opere  sue  onorare 
per  lunghi  anni  la  patria  e  la  nazione . 

Discorso  di  Finccnzo  Berni  degli  Antonj  intorno  alla  seconda  par- 
te del  secondo  tomo  degli  elementi  di  zoologia  delV  ab.  Camillo 
Ranzani  ec.  -  8-  Imola,  pel  Benacci,  di  pag.  20. 

J.  ratta  il  eh.  A.  di  quella  parte  della  zoologia  del  Ranzani  ,  dove 
sono  analizzati  i  mammiferi  :  e  il  fa  con  tali  parole  da  non  poterne 
restare  offeso  il  dotto  professor  bolognese .  Dove  dice  del  leone  ci  sa 
pieno  di  spirito  questo  passo  :  potrà  bensì  il  generoso  lionc  esser  do- 
lente di  trovarsi  per  opera  de'  moderni  zoologi  in  camerata  col  gat- 
to :  ma  appartenendo  e$U  disgraziata/nenie  alla  famìglia  de'  carni- 
TOi'i,sarà  costretto  a  fare  di  necessità  l'irta;  ed  a  restare  co' gatti 


Varietà'  433 

cotne  eamìvoro,  e  co^  sorci  e  col/c  talpe  come  iHammifcro .  ^/uh-à 
e^ii  non  ostante  sempre  sitpeibn-'bl'e  C.  Plinio  lo  QoUocttssa  suLilo 
dopo  Velefante  innanzi  che,  cresciuta  a  "dismisura  la  (Quanta ci  delle 
bestie,  si  fosse  in  necessitò  di'divld'sì'le  f/i  orcUdi  m  fatóglie  in  se- 
zioni 0  sia  tribù  (  in  moneto  nxsiUi  /na:so-ióri  delie  ebrav  he^  in  ge- 
neri ed  in  ispeoie  ec. ,  sidla  quale  dii'isione  non  sono  già  in  con- 
cordia fra  loro  i  iOo.'ó'i  .  Bella  è  po|  non  men  che  verissima  la 
dottrina  racchiusa  ii  quest'altro;  e  molti  potrebbero  farne  senno. 
■4!tìmé  è'eéftotMnlouifliitd  sciente  haìifio  fittfó  in  (Questi  iilfìftà  tempi 
progressi  ìkilissiipJ ..  fra  le  qntdi  la  chimica,  la  Jìsicai  la  meccani^ 
vaec.  Còsi  non' può  negarsi  che  ta/éina  nhn  siasi  dilatata  in  óogni- 
zioni  al  tutto  inutili ,  le  quali  rendono  ben.i  fuoino  maravigliosa- 
mente scientifico,  ina  non  hanno  alcun  Ji ne  che  ^'io^i  :,  nel  modo  slesso 
che  non  Z'«v,  ebbe  il  sapere  quante  gocce  WaCjUu  firmino  il  n.are, 
quanti  atomi  nuotino  nei V atmosfera^  'luaùte  sfelle  risplendano  m  cie- 
lo -  A  quoi  sert  -  il  de  savoir  comiien  de  temps  vii  une  puoi  ;  si  Ics 
rayons  du  soleil  entrent  projvmle/tuint  dans  la  iner  ;  d«  rechorcher 
si  les  huitres  ont  un  ame  ou  non?  (  VoUtiire)  ^  Molte  cose  finaLnente 
avverte  intojno  l'istoria  de' Cam  e  de'^a//i,  che  sarebbe  lungo  qui 
riferire . 


Alle  bene  augurate  notze  de)  conte  Ruggero  Ranieri  coti  quel  fio- 
re di  cortesia  la  baronessa  Marianna  (ìav^utti  hanno  creijoiulo  gioja 
co' loro  versi  gli  egregi  signori  Wiccola  Brut  alassi  e  Aiitonio  Mezza- 
notte, quegli  professor  d'eloqaeaiza  e  poesia,  qufcsti  di  lettere  greche 
Jieir  università  di  Perugia.  Del  Brucaiassi  sono  xxi  sestine,  sdruc- 
ciole ,  tutte  piene  di  spiriti  patrii  ,  e  delle  antivfae  glorio  della  fa- 
miglia Ranieri .  Leviamone  il  saggio  : 

„  Ma  se  non  ami  audace  il  brando  string.cre, 
„  O  in  dotte  carte  venir  macro  e  pallido, 
„  Suir  òrme  avite  puoi  (la  te  rispTngere 
„  L'onta  che,  reca  il  veglio  edaoe  e   quallido, 
„  Nudrendo  il  lauro ,  che  in  j,iardino  aonio 

G.A.T.U.  28 


434  Varietà' 

„  Pose  l'amabil  t«o  saggio  Alfeonio  (*), 
»  Chi  con  dirceo  valor  se  rende  orrevole, 

„  Più  che  di  gemme  ornato  e  d'ostro  tirio,     otTV5?k»b'\ 
„  Oltre  la  tomba  fama  ottien  durevole; 
„  Ma  ehi  tra  i  plausi  dcir  uman  delirio 
„  Ama  nel  fasto  idi  condurre  e  perdere, 
„  Vede  il  suo  nome  pria  del  fral  disperdere . 

Del  prof.  Mezzanotte  è  la  versione  dell'  inno  a  Venere  tri- 
bnito  ad  Omero  :  né  altro  d'essa  diciamo ,  se  non  che  bene  accusa 
la  penna  di  lui,  che  ci  diede  il  Pindaro  fatto  italiano.  Queste  sono 
le  ultime  terzine  : 

„  Ivi  da  lunge  chi  accennar  godea 

„  Neir  estasi  dell'  alma  desiosa 

„  La  candida  ridente  Giterea  ; 
M  E  chi  nudria  nel  sen  cura  amorosa 

„  Di  salutarla  per  gamelio  rito 

„  Fra  gli  amplessi  fecondi  amica  sposa»  - 
„  Cosi  possente  e  lusinghiero  invito 

„  Agli  attoniti  fea  numi  presenti 

,.  Delia  belt.i  di  Cipri  il  fior  gradito . 
.,  Salve,  occhi  -  bruna  dai  soavi  accenti  ! 

„  E  a  me  d' ambiti  ognor  lauri  vocali  ; 

„  Dona  in  agon  febeo  serti  frequenti .  J 

„  Dal  delfic'  arco  tu  i  volanti  strali  jl 

„  Dirigi ,  o  dea ,  che  il  tuo  favor  mi  è  grato  ;  j 

„  E ,  memore  de'  tuoi  pregi  immortali , 
„  Un  altro  avrai  da  me  cantico  alato.  • 

L'edizione  e  di  Pisa  ,  fatta  pe'  nitidi  torchi  del  Capurro  gli 
ultimi  mesi  del  1820. 

/ 

(*)  Costantino.  Ranieri,  fra  gli  arcadi  RostiUe  Alfeonio . 


Varietà*  435 


J^iiovì  frammenfi  de'' fasti  consolari  capitolini  illustrati  da  Bartolo' 
meo  Borghe'si.  Parie  seconda  .  Milano  \%j.\  dalla  iipo^nifia  Ma- 
'     nini  e  Rivolta,  in  t^ipag.  220  e  una  tavola. 


De 


'Gsiderata' Ha  tutta  l' Europa  erudita  esce  finalmente  alla  luce  la 
sectìnila' parte  d'un  opera,  ch'onora  grandemente  il  celelire  autore 
e  ritaiia.  Ne  conosce  ognuno  la  prima  parte,  che  comparve  al  pub- 
blico nel  1818  \  e  Sa  bene  qual  plauso  ottenesse  da  tutti  coloro  ch'ama- 
no le 'memorie  de' nostri  avi  grandissimi,  e  non  istimano  cosa  vana 
il  rendere  per  arte  critica  alla  sincera  loro  lezione  que'  venerandi 
libri  che  primi  cC  le  trasmiswSi  .  Noi  n'  avremo  discoi'so  ne' 
seguenti  volumi. 

9^ite  di  diciassette  confessori  di  Cristo  del  p.  Giampietro  Maffei  della 
compagnid  di  Gesù  „  premessavi  uiui  lettera  di  Pietro  Giordani 
al  dottor  Già.  Labiis,  e  la  vita  dcW  autore  -  Milano  1821 ,  dalla 
tipografa  e  calcografa  Manihi  e  Rivolta^  tomi  iv,  in  i6. 

Jr  acclamo  plauso  meritamente  alla  ristampa  d'un' opera  di  quel  pa- 
dre Maffei,  che  per  Vistorià  delle  Indie  e  la  vita  di  s.  Ignazio  scritte 
in  latino  tóeritó  d' essère  paragonato  a'  più  nitidi  autori  del  secolo 
d'  Ottaviano .  Egli  però  non  seppe  menò  le  grazie  della  lingua  italia- 
na: ed  a  chi  osasse  negarlo,  dee  darsi  a  leggere  (jueste  vite  tutte  pie- 
na di  modi  elegantissimi .  Escono  elle  còti  due  nomi  chiarissimi  in 
fronte:  quelli  cioè  de' signori  Pietro  Giordani  è  dottoi'c  Giovanni  La- 
bus.  -La  vita  del  Maffei,  aggiunta  all'  ciUzione ,  è  quella  compost* 
dal  Serassi  fatta  volgare  dal  signor  prof.  Giuseppe  Montani. 


J_ie  tre  iscrizioni  che  qui  rechiamo  sono  le  ultime  del  celebre  Mor- 
celli .  Basti  questo  sol  titolo ,  perchè  debbano  aversi  carissime ,  quan- 
tunque sentano  un  poco  dell'età  e  della  salute  malferma  di  chi  le 
scrisse  .  JJoi  le  dobbiamo  alla  gemii^zza  del  signor  doit.  Lalms , 


43^6  ';V,.lsM,B  TA 


PKO  .   ACERBO    .    FVNBRl 

FAVSTJNI    .    AL   .    F    .    TAD12fl    -    COBI    . 

AD  .  OMXEM  .  IJSGENII  .  5T  .  VIRTVTIS  .  LAVDEM  .  ADOLESCKNTIS 

QV£M    .    PARENTES    .    VNIGENAM    .    IMPROVIDA    .    RVINA 

BXTINCTVM    .   LVXERE    .    IKCONSOLABILITER  ; 

„.    .  LVGJiJJT   .  A  .  DIE  .  va  -  IDVS  .  DECEMBR  .  XSt  .  mSCCLXXXXlX 
HEV    .    RAPTTM    •    SIBl  ,         .  ,  ,    ; 

gVYJVI    .    ANKVM    .    AGERET    .    F1.0RENTIS     .    AEVI   .   aCXV    . 
;,        .   ..{^SCEPTAE    .    IJfSTAR    •    VITAE    .    HABETE    .    LOVERBKSES 
S1G^"VI«    .    &0C    .    PVLCRVM    .    AMABILE 
JMAGJfl    .    EQ    .    CAUOVAE    .   i\IAKV 


JVITTs'IFICESTTIA    .    CLARISSIIVII    .     PRIIfCIPlS 

lOAJv'NIS    .    GALEATil    .    SERBELLONII 

LEGATO    .    AIVIPLISSIMO 

ÌLATVM    .    SECVUDVM    .    VOTA  .  GORGONZOLIBVS  •  PUS  .  FILICIEVS 

VT    .    PATx\lA.E    .    SVAE    .   P£RCVPIE:?ITI 

TflMPLVIVI    .    3VIAGNVM    .    AVGVSTVIVI 

jr   .    o:\I?JI    .    CVLTV    .   EXORNATVM   •    IIVIPETRARENT 

VTIQVE    .    IMPEISSA     .    EIVSDEM 

A5PE5    .    HOSPiTALES    .    ABQVIRERENT 

IX    .    EGENORVM:    .    SVBSIDIVM 

QVO   .    TA>'TORVIVI   .    POSTERIS    .   IVI03SVIVÌEMTVM  .   FORST 


KA-'.EXDIS    .    TVWIIS    .    ANN    .    M    .    DCCC    .    VI 

ALOISIA    .    SfiRBELLONlI    .    FILIA    .    C    .    F 
QVVM    ,    AySPlCALEM    .    LAPIDEM    .    PRIMA 
\\0    .    OPERI    .    EXABDH?1CAND0     .    IPSA    .    POSVISSKT 
^aL    .    -NOVEUIBR    .    ANKO    .    DBMVM    .    M    .    DCCC    .    XX. 
RAROLVS    .    CAIETANVS    .    GAISRVCHIVS 


Varietà*  ;^3^y 

BXAGNVS  -  ARCHIJPISCOpyS  •  XOSTER 
INTRA    .    AN:NIVIVr    .    XIIII    .    PAGO    .    OMNI    .    GAVDENTE 

P£RFECTVM    .    RITE    .    TEMPLVM 

SOILEMNIBVS   .    TRÌnaE    .    CELEBRATIS    .    CAEREMòìAs 

CONSECRAVIT 

lOSBPHO    .    ANTONIO    .    NICOLINIO    .    PRAEPOSITO    .  ECCMSIAE  .   If   , 


»-*-f 


438 

t  M  DICE 


.,  DEGLI    ARTICOLI     CONTENUTI    NEL    TOiW.     IX, 
DEL     GIORNALE    ARCADICO 


«ENNARO,    FEBBRARO,    E    MARZO     182I. 


SCIENZE 

^Armaroli^  dissertazione  storico-criti- 
co-legale       p.     I     —     — 

Palletta  ,   exercitationes   pathologicae 

(art.  2.  e  3.  ) p.     6     -—Sai 

Mojon  ^  osservazioni  sult epidermide  p.   24     """*     — 

Fenolio^  de  blenna  pjodcrrag.  sjphil.p.  33     —     — 

Tonelli  ,  annot.  sul  foto  mostruoso 
(  art.   2.  ) yo    4^ 

Morichini ,  sulle  acque  termali  di  Ci- 
vitavecchia   yo.  -—   145     — 

Pelletier,  storia  dell'  oro     .     .     .     o.  —    in3     < — 

Gallesio  ,  pomona  italiana  ,     .     .     p.  —   i85     — 

Mamiwii ,    memorie    di  Guid'   Ubaldo 

del  Monte  (  art.    i.  )      .      .     .     p.  —     —  828 

Barlacci  ,  esperienze  elettriche     ,     p.  —     —  35 o 

Pelletier  e    Cavertou  ,    ricerche   sulle 

chine-chine p.  —^     —  355 

LETTERATURA 

Gargallo,  traduzione  d  Orazio     .     /?.  54  247     — 
JBellani  y  la  corona  forrea  .     .     .    p.  61     —     — 


439 

Piaggia  ,  eloquenza  nella  poesia  .    p.  80  253  — . 

f^escovali  ,  patera  etnisca  spiegata  p.  91      —  — . 

Cancellieri ,  venuta    di  Federico  IK. 

in    Italia      .     .     ,     .      .      .      .     yo.ioo  aj 

Lancia  degli  omireni  (art.  2.  )  .     0.108 

Monti^  dij^esa  d'un  verso  del  Petrarca  p.  ■ — t  ao()     . 

Dionigi  dAlicarnasso  ,  dello  stile   di 

Tucidide p.  . — ^219  36^ 

Firenzuola  e  Faetani^  canzoni  ineditep.  — .  aSG     ■ 

Fea^  fasti  consolari  e  trionfali     .     p.  —  2 63  — . 

Betti  ^  riflessioni  sul  comentario  degli  ' 

uomini  illustri  d  Urbino     .     .     p.  ,     303 

Mecenate^  epistola  de  suo  Messala  Cor- 
vino    p.  —     _  ^ly 

Monti  ^  lettera  sulla  sua  difesa  d  un 

verso  del  Petrarca     ,     .     .     .     n.  — .     .— ,  X^J 

ARTI  —  BELLE  ARTI 

Pittura  -  Berti  Giorgio  ^  f  or entino  p.i2()     — . 

Teerlink  Alessandro  ,  di  Dor- 

,.,>/      ^^^^^ yt).i3o     ►--  — 

'^'^^'^Scoenherger  ^  di  Vienna    ,     p.iZ^     ■  —^ 

Architettura  -  Fabbriche  pia  cospicue 

di  Venezia yo-  — -  280  — 

Sangiorgi  ,   idea   d'  un  nuovo 

teatro  ec p.  -^    4i8 


(?t^ 


^-   Zh' 


^Oor.   ■ —  .c\r>". 


, '\        -        Al'.i  \^"^vn  Ai    à    V\V)\v)'4V'i> 

1  M  PRIM  At  U  R  V  v.v  .  Aii 

Si  videLitur  Reverendissimo  Patri  Mag.  Sacri  Palatii 

Apostolici..  ,  .  )V\  j  .  ... 

C.  M.  Eratt\ni ,  4rGhiep  .PhiUppensis  Vicesg. 

IMPRIMATUR, 
Fh.  Philìpfìus  Aìifos^i  Stic.  Pai.  Jpost  Mag. 


AIv 


T 


Osserviaioni  Meteorologiche  fatte  cdla  Speco 

la  del 

CoZ/e^.  ilo/n. 

Marzo  1821. 

Barome 

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Barome 

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9 

2 

;'  3 
1 

Oufte^vazioni  Meteorolo's^iche  fatte  alla  Specola  del  Colle^.  Rorn. 


Marzo    1821, 


MATTINA 


3tat  . 
del 
Cieio 


por 


Vento 


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*  25 


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Vento 


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Stato 

del 
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me. si. 
me. si. 
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s.  p.n_\pon. 
II.  p.  s  mez. 
tra. 


Meteore 


pitg.g.a 


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pon, 
mez. 
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tra. 

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pò  II.  lib. 


Il,  p.s 


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I  iiìill'  p.  s. 


2  11- 


me.lib.  I 
ine-sir,  I 
21  ^tnez.      I  m 
b'.j'dcu.        2 
1 -'line. lib.  l 


i. p.  s 
•  p.n. 


tra.        I  j 
pò.  lib.  I 
me. lib.  I 


me?,, 
pon. 


.lib. 


piog. g. 
nèb  + 

f.ÌOg.g.2 


tra. 


Ira. 

sir. 

mesi. 

mez . 

me. si. 

leu. 

mez. 


g  2 
pio.gr. g, 
nei) 
a  p  g  l.t 

pio.g..^. 


|)10g.2. 

Il  p.g.2. 

n  p.2.g. 

Il  fh. 
PS- 
1-  g- 


Volemiosi  da' (li.  Astronomi  abliondue  per  diligenza,  pongonsi  le  Osservazioni 
l'riplici  in  ogni  giorno  ;  e  volendosi  dd  noi  ristringere  in  pagina  ,  affinchè 
meno  facilmente  ,si  disperdami  ,  usiamo  alcune  al)l)r<'viaturo  .  Pertanto  nella 
colonna  delle  Meteore  pi  significa  pi(iggia  1  lampi  t  tuoni  n  nelibia  g  gelo 
b  brina.  E  nelle  colonne  dello  iSiiz/o  dil  Citlo  s  vuol  dire  sereno  n  nuvolo, 
p  poco  Le  oltre  abbreviature  nelle  colonne  de'  ueiiii  sono  per  se  stesse  in- 
telligibili. Quando  segue  un  asterisco  s'intende  gran  quaiililà  ;  ove  trovasi 
una  "f-  croce  s'intende  piccol  i   quantità. 


-i-.V. 


Errori  interessanti  occorsi  nel  1.  volume 
del  Giornale  Arcadico. 


ERRATA 


CORRIGE. 


pag. 

gas- 


se. 1 

44.  1 

1 

52.    1 

85.  1 


effandis 

evocarunt? 

tamen 

nescio  quem 

alle  carra 

effetto  che  nel 
6.  per   il   suo   Me-     a^^JM/i^i:  S.E.  il  Conte  Giaco= 
cenate  mo  Mellerio  d-  Milano 

jag.  458.  Un.   17.  con  molto  infini-     con  infinito  rammarico, 
to  rammarico 


pag.  265.  1 
pag.  456.  I 


n.   12.  effunderis 
n.   11.  erocarunt , 
n.   21.  tam 
n.   10.  nescio,  quem 

5.  alla  carra 
n.    10,  effetto  nel 


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