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GIORNALE
ARCADICO
DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI
TOMO IX.
GENNARO 5 FEBBRARO5 E MARZO
MDCGCXXI.
ROMA
KELLA STAMPERIA DEL GIORNALI
PRESSO PAOLO SALVIUCCI E FIGLIO
Con licenza de Superiori.
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,^ i^.f o n
a.TA'/T^'
fisTTr/
.1 ..>'v,.v.\'i *b\i Jiil.\.
■ COMPILATORI
DEL GIORNALE ARCADICO . (*)
AMATI ab. Girolamo , scrittor i^reco alla vati-
cana ,
BIONDI caKK Luigi .
BORGHESI Bartolomeo .
CARPI Pietro , professore aggiunto di chimica
e mineralogia nelt archiginnasio romano .
DE CROLLIS Domenico.
FOLCHI Giacomo , professore aggiunto di me^
dicina nelf archiginnasio romano .
MARTORELLI conte Luigi.
DEL MEDICO Giuseppe , professore d anatomia
neir insigne accademia di s. Luca .
PERTICARI conte Giulio .
RUGA avv. Pietro , professore di diritto civile
nelf archiginnasio romano .
TAMBRONI cav. Giuseppe .
Pietro de' Principi ODESGALGHI , Direttore.
(*) Il catalogo de' signori collaboratori si darà nel tomo avvenire.
IL DIRETTORE
A' DI S GRE T I LETTORI
c
ompiuto il secondo àniio de' nostri lavori, ci fa-
remo a dare uno sguardo a' tre fonti da' quali ri-
ceve alimento questo giornale, onde vedere se al-
cuno possa imputarci d aver mancato a quanto per
noi si era promesso. Abbìaraio offerto nel!' anno scor-
so a' nostri associati sessantatrè articoli di scienze ,
settantadue di lettere, venticinque di belle arti.
Nella parte delle scienze, oltre a molti estratti
critici di opere gravissime , abbiamo ancìie dato
alcune memorie originali, delle quali ci piace lare
menzione. Il Bellenghi ne ha favorita una intorno
al modo di tinger la lana in colore scarlatto. Il
Marperger Asters ne ha data un' altra intorno la
guarigione d' un fanciullo rachitico ottenuta coft
mezzi meccanici e farmaceutici . li Poggioli ha
illustrate le tavole fitosofi che del principe Federi-
co Cesi. Si è parlato intorno ad un nuovo baro-
metro del marchese Origo. Il cavalier Tambroni ha
scritto fra noi sulle capre di Kachemire . Il dottor
Tonelli sulla digitale purpurea, e sull' uso del rus
radicans. Finalmente il professor Morichiui ci è
slato cortese di due memorie; nella prima delie
iqnali ha trattato di varii argomenti di fisica ,
chimica, e storia naturale; e nella seconda del gas
iaJiamnitiLile del Tevere.
Come abbiamo date originali operette nella
parie drlle scienze, così ne abbiamo ancor date uel-
ia par{c delle Ltl.ere. L' Amati ha in»/ MhI^ •f.''
) IV (
antica iscrizioue greca pesarese, eà un prezioso
amuleto greco. Il Biondi ha illustrato un verso del
Tasso, e ha dato la spiegazione d' un'antica lapi-^
da rinvenuta helle maremine sanesi. Il Cardinali
ha scritto di una lapida veliterna; e finalmente da
un uomo di molte lettere abbiamo avuto il dotto
ragionamento sali' architettura del tempio di Ro-
ma. Aggiungi à questi tutti gli articoli datici da
monsignor Mai , dal conte Perticar!, e dal profes-
sor Ruga, e quelli altresì del Borghesi sull Eusebio, e
suir ara d' Edimburgo, i quali sono tali per merito
di buona critica da essere riputati pii!i altamente
che semplici estratti d' opere ^
Nella parte delle belle arti 6i 4 dato Conto di
tutti quasi i lavori , che sono stati condotti a fine
da' migliori artefici che stanno in Roma , Fra'
pittori di storia abbiam parlato e del Wicar, e
Grassi, e dell' Agricola, e del Pozzi, e del Ripen-
liausen, e del Pellegrini; fra que' di paesaggi ab-
biamo scritto e del Rebel, e del Catel, e del Bas-
si; né si è taciuto de' quadri di prospettiva del
Roberti, e di quelli, eh' ora si vogliono chiamare
di genere dipinti dal Bombelli- Finalmente abbiam
dato lode alle incisioni del Longhi, ed al Teseo del
divino Canova.
E siccome il giornale arcadico unisce alle
scienze, alle lettere, allearti anche la pubblicazione
delle cose inedite de' nostri antichi e valenti , ecco
perciò quelle dello scorso anno * Alcune lettere
del Guarini , e qualche maggio della traduzio-
ne di Omero del cardinal Litta date da noi me-
desimi . I dialoghi del Gravina pubblicati dal
cavalier Biondi . 11 Betti ha posto in luce e un so-
netto . del Tiisso , e alcuni tratti della Fiorila d'
Armanino , e le rime d' Andrea da Vogliarana , e
)v (
linaìmcnte le notizie aneddotte sopra il sepolcro di
Giulio II. fatto dal Buonarroti .
ideila parte lapidaria , alla quale si pregierà,
sempre dar luogo questo giornale, abbiamo offerto
oltr.^ alle antiche lapidi che ci hanno date e l'A-
mati , e il Borghesi , e il Tambroni, e il Biondi,
e il Nardi , e il Cardinali: ancara quelle inedite
del Morcelli, del Labus, del Zannoni, del Cancel-^
lieri , del Betti , del Ferruzzi , e del Borda .
Sono stati questi i principali nostri lavori ^
e ce ne riputiamo: ben sapendo che i letterati ita-
liaui ce ne sanno buon grado , e ci onorano del-
le loro benevolenza . Se anche in questo terz' an-
no meriteremo co' nostri lavori il voto di coloro
che sanno , avremo ottenuto il solo premio , al
quale aspiriamo , e soddisfatto così a quel!' unico,
fine che ci siamo proposti , di mostrare cioè a
tutti che Roma non dee al certo tenersi 1' ultima
fra le città italiche, dov'è in pregio l'umano sapere.
Pietro Odescalchi
SCIENZE
Dissertazione stòrico- critico-legale del co. Leopoldo
Armar oli., sulla questione — .S'è il cittadino intjuisi-
to j o accusato di un delitto^ abbia dritto di es-
ser dichiarato innocente quando dagli atti non ri"
sullino ne prove , ne indizj , che lo abbia com-'
messo S. 4° f— Macerata 1820.
JLja giuiisprudenza romana non conobbe nella mae-
stà delle sue criminali instituzioni né X ambiguo
calcolo della prova semipiena , ne T assoluzione ab
instaniia , né le speciose lormole del non tro~
voto colpevole , del trovato non colpevole . Os-
servò già il mio eh. institutore avvocato Renazzi ,
che : lìoninnis legibus , nioribusque , nisi aìnplian-
die causce judex locum esse extimaret , quod si-
bi nondum res liqueret , vel absolvere , vel condem-
nare reuin omnino debebat. Absolutio autem ficbat
a crimine ita^ ut qui absolutus esset numquam p os-
sei amplius prò ilio molesiiam aliquam pati^ aut rur-
sus in judiciwn vocari («).Ma sotto le rovine deiriai-
peio restò sommerso 1 edificio della latina sapienza.
Dalle spesse invasioni de' barbari degenerarono le no-
stie razze , e tatti furon crudeli i nostri cosiumi;
la potenza feudale , imponendo silenzio alla lagione
invilita , fece succedere all' antico splendore dei no-
stro orizzonte una spessa notte d'ignoranza. JN^e
(«y Eleinen. jur. ci Un. ab. o. cap. 17. §. 4- nunv. 2.
G.A.T.IX. i
a Scienze
risentì i tristi effetti V obbliata giurisprudenza ro-
mana , e singolarmente quella parte nobilissima , che
ne criminali giudizj determinava la solennità delle
forme , e la misura delle pene . Ne' secoli di mez-
zo la vita , la libertà , la estimazione de' cittadi-
ni più non aveva un palladio di sicurezza contro
gli attacchi della prevalente ferocia delle inumane
consuetudini. Col risorgimento delle scienze , e del-
le lettere, e specialmente colle italiane scuole di
dritto Giustinianeo, si resero a poco a poco più man»
sucti i nostri costumi , e meno indegne del clima
nostro dolcissimo le forme de' giudizj criminali •
Mollo ancora però vi restava per ischiantare dalle
tenaci radici la ferocità dell' invecchiala osservan-
za . Mercè lo splendore , che a poco a poco ditluse
la filosofia , fu dall' umanità e sapienza de' prin-
cipi ricondotto il dritto criminale al rango delle
scienze politico - economiche . Anche fra noi con
benefica sovrana disposizione veggiamo abolito fuso
crudele della tortura. Pur tuttavia il signor conte
avvocato Armaroli , alle opportunità di una causa
con felicissimo esito difesa , ha dovuto lottare con
qualche residuo delle instituzioni ne' bassi tempi in-
trodotte . Questo giureconsulto filosolo , che con
laudevole , e non frequente esempio , professa ju-
rispruilentiam mmime qucestuariain , accorse vo-
lenteroso a sostener X innocenza d' un accusato da
quel campestre silenzio , ove lungi dallo sliepito
del gran mondo coltiva quetamente lo studio delle
più gravi discipline . Colla dissertazione, di cui vo-
gliam dare un saggio, accompagnò la dotta difesa,
eh' è pure alle stampe, e pnse francamente a com-
battere 1' uso del foro criminale intorno la distin-
zione fra r assolutoria a crimine e 1' assolutoria ab
%nstantia . Sostiene che abbia a risolversi per la/-
GlUniSPRUDENZA 3
fermatìva la questione , che mette in fronte dell'
erudito e profondo suo lavoro : ed assai interes-
sante ne sembra il soggetto. L' onore de cittadini
è quel terso cristallo , cui appanna ogni fiato leg-
giero : consiste in quello la vita civile, altrettanto
preziosa che 1' esistenza , e si appartiene alle leg-
gi di natura e di società vitamqiLe famamque tueri
incolumem . Si riduce pertanto il quesito ad esami-
nare se lestimazione d'un cittadino abbia ad essere il
bersaglio dell' imprudenza , o della malizia d' un de-
latore per modo, che T accusato, posto che abbia
una volta il piede nelle soglie sacre di Temide , soffra
lo scapilo della propria fama rimanendosi in socie-
tà né condannato, nò assoluto dall'imputazione, seb-
bene scevra d' appoggio, come se sulla porta vi fos-
se scritta, per ciò che riguarda la pubblica stima , la
fatarle sentenza delf Alighieri : uscite di speranza ,
o voi che entrate ; o in altri termini , se abbia ad
offuscarsi per sempre la fama d'un cittadino sulF
asserzione sconsigliata d' un accusatore, quante vol-
te r accusato, assistito dalla legale presunzione di
probità e dì onoratezza , non si carichi della pro-
va positiva di sua intaccata innocenza.
Incomincia il eh. A. dal rilevare il contra-
sto di questo sistema colle norme fondamentali di
dritto , che alf attore , e specialmente all' accusa-
tore , ingiungono il peso di giustificare 1' assunto
apertissiinis documenlis , induhitatis , et luce clario-
rihus. Leg. ult. Cod. de probat. ; e 1' opposizione
diretta di tal consuetudine col naturale teorema ,
che giammai 1' attore : reum necessitate mostrandi
contrarium non adstringit , leg, 2 3. Cod. de pro-
bat. ; e colle umane disposizioni de' sacri canoni,
fra' quali giovi il ricordare l'autorevole pistola di
di i>. Gregorio a Massimo ( Caus. 6. qua'st. 5.
2*
q S e 1 E K E E
cnp. I- ) , in cui ligetlnncio T assurtlltà si un-
cuaììt ratio ei^ qui accusatui\ necessiidlem proba-
tionis impoìieret , conchiude saggiamente : non tibi ,
sed accusantibus hoc onus incuinbit .
Rintracciando T origine di sì fatta distinzione
fra r assolutoria a crijnine , e l'altra ahistanfia^ il
eh. A. torma un rapido e schiettissimo quadro
sulla trista condizione della eliminale giurispru-
denza per r infelicità de' secoli , che precedettero
il risorgimento delle scienze. Per antesignani dell'
ingiusta pratica designa in Italia due milanesi ma-
gistrati , Egidio Bossi e Giulio Claro; in Ispagna
Covarruvias , e Rebuffo in Francia. Invano il col-
tissimo Andrea Alciato., primo restauratore della pu-
ra giurisprudenza, redarguì con isdegno e disprez-
zo r ingiurioso stile nel comento alla legge Si
cah'itor 200. ff- de V. S. JNon i'u as ;oltalo . La
plebe de' prammatici scrittori non avendo forza
bastante a sollevarsi dail antica palude , abbrac-
ciò lo stesso errore, perchè sanzionato dal fiero
Farinaccio in que' zibaldoni , ne' quali contraddit-
torio a se stesso tacciò egualmente come iniqua tan-
to la sentenza che alla pratica si accomodasse ,
quanto T altra che i principj seguisse del comune
diritto .
Tentarono indarno di far un' argine ai pro-
gressi del i'orense errore il celebre Andrea FaC"
chini professore in Pisa : e non giunse dal Belgio se
non troppo tardi in Italia 1' egregio trattato di An-
tonio Mattei^ che riportando ai testuali precetti la
scienza criminale guasta da' prammatii i, scrisse: tria
sunt ex quibus unum judex elicere dcbi^t , vel ab-
solvere , vel condemnare reum , vel ampliare cau-
sam : quartum ab solatio ab instantia non datar. i\è
gioTÒ a ricondurre sul retto sentiero i traviati lo-
Giurisprudenza 5
rensi Lodovico Maria Sinistrari frate minore, co-
nosciuto sotto il nome di padre Ameno ^ che aper-
tamente disapprovò 1' opinione del Claro , e de'suoi
seguaci . Prevalse 1' antico pregiudizio , ad onta
che li stessi fautori ne conlessassero le perniciose
conseguenze . iSUrsaja^ che seco trascinava il fiore
della romana scolaresca mentre la cattedra del chia-
rissimo Gravina era quasi deserta d'ascoltatori , non
ebbe ribrezzo d' insegnare, che la sentenza assolu-
toria ex defectu prohationuni , infamiam ex illa re-
sultantem non tollit. Instit. Crini, lib. 4- tit.S.mcm.g,
Secondo questo sistema un' accorto calunniatore »
che sappia velare 1' accusa con qualche leggiera ap-
parenza di verità, diviene impunemente l'arbitro del-
la fama dell' accusato . Un' assolutoria ab instantia.
non gli rende l'onore presso la società, in cui ri-
torna col sospetto del reato impresso ancor sulla fion-
te : non gli rende la tranquillità e sicurezza per-
sonale , perchè soggetto a nuova inquisizione per lo
stesso delitto anche dopo lungo intervallo. Conob-
be quest assurdo l'encomiato Antonio Mattei, e per-
ciò sclamava : ferendum non est , ut vix unquain
de salute sua certa s sii reus .
Si ribattono in fine dal eh. A. le osservazio-
ni del professor Nani , che nelle note all' edizio-
ne torinese deli' opera di Mattei inclinò a soste-
nere il crollante edificio de' prammatici , e conchiu-
de di esser ben fortunato , se fosse il suo lavoro
in qualche modo efficace a rimuovere dal foro una
massima vieta ed irragionevole , ed a ripristinare
i giudizj criminali nella prisca semplicità de' no-
stri maggiori , presso i quali: judices aut ubsol-
vo , aut condemno solummodo respondebant . So-
no queste le parole usate dui eh. sig. avvocalo
concistoriale Filippo Invernizj nell' aureo comeu-
6 Scienze
tario de puhlìcis et crimwalih.judic Uh. 2. cap. 2. .,
che al conte Armaroli è sfuggito nella enumerazione
de' recenti scrittori sulla materia. Verità, Ijuon senso,
ed erudizione sceltissima sono i tre pregj «ìì que-
sto lavoro , che meritano la nostra comm(MitIazio-
ne. Il nobile disinteresse del eh. A. rende il di lui
nome ben degno di essere registrato con quello
degl' antichi oratori C. Asinii^ et Me<:snl(e , et re-
centìorian Arruntii , et JEseinini , die rìgidi osser-
vatori della legge Cincia, ne quis ob caiisam oran-
dam pecwiiam donumve accipiat ; furono, per te-
stimonianza di Tacito, ad summa provtitcti incor~
rupta fide et facundia ( Armai, lib. II. cap. 5.
e G. ).
Pietro Avv. Rugì.
Exercitationes patholo£Ìcae aiictore Joaime Bapti"
sta Palletta eijuite a corona ferrea , honorisque
legione etc. ( ^rt. 1 1 . )
J[l cap. Vili, risgnarda alcuni vizj della coscia.
E qui TA. incomincia dal dire, che dopo scoperta
ai tempi di Pareo la frattura del collo del iemore ,
la maggior parte dei chirurghi è stata sempre nell'
opinione che più facilmente accada questa , che la
lussazione dell' osso medesimo , avuto riguardo alla
molla resistenza da superarsi inn-anzi che il capo
del femore possa svincolarsi dalla sua cavità . A
loro disinganno si fa 1' A. nelf art. i. ad esami-
nare ad una ad una le mentovate resistenze, e
iquanto all' acetabolo osserva essere questa cavità
più ampia di quel che richit gga il capo del fé-
EXERCITATIONES PATHOLOGICAE .^
more ; ed avendola egli scoperta in varj punti nelT
interno del bacino , ha veduto che nei movimenti
del femore sempre vi rimane un poco di vuoto , con
il quale spiega come dopo un colpo o cadutasi
allunghi talvolta , ovvero si accorci la coscia , e
naturalmente poi riprenda la sua ordinaria dimen-
sione . Il legamento orbicolare ( prosiegue FA. ,)
è abbastanza lasso , e la sua origine ed insersia-
ne è abbastanza lontana dall' articolo , onde permet-
tere alla testa del femore di scostarsi dal fondo
deir acetabolo : e che ciò sia vero , lo prova V os-
servazione di Kirkland , che nelle lussazioni questo
legamento non viene lacerato , ma soltanto sbar-
bicalo un poco dal collo del femore , ove s' in-
serisce , probabilmente per la gagliarda distensione .
Il legamento interno, o terete così detto, non è tam-
poco da, salutarsi gran fatto ; esso è lungo al se-
gno , che quando sieno tolte le altre resistenze ,
non impedisce che il capo del femore sia portato
sino al margine dell' acetabolo : e ciò basta per la
lussazione interiore ed interna . NelJa superiore poi ,
che è più frequente della prima , esso si rompe
più presto che rattenere V osso nella articolazio-
ne ; e la rottura non osta che \ osso rimesso in
sito dall' arte vi rimanga costantemente pel tratto
successivo della vita , come risulta da una osser-
vazione del sig. Palletta, e da altra di Plattner .
Che dirassi poi quando si sappia dal Genga , da
Caldani, da Palletta , Sandifort, Bonn ed altri, che
in alcuni individui, i quali non hanno mai sofferto
lussazione , si è trovato mancante il medesimo lega-
mento , e in vece di esso una macchia rosseggiante
nel capo del femore coperta da tenue membrana , e
nel punto corrispondente dell'acetabolo un bricciolo
8 SciKwr»
informe di pinguedine (a) ? Ci sembra dunqtie che a
buon diritto concliiuda il nostro A. , che le accen-
nate resist(Mize non sono tali da rendere pin fa-
cile la rottura del collo del femore , che la lus-
sazione ; e , più che ad esse, deve per avventura tri-
buirsi di possanza a quella cartilagine , che for-
ma il margine dell' acetabolo , ed abbraccia all' in-
torno il capo del femore .
Dopo aver mostrato che il legamento intorno
non vai molto a ritenere il capo del femore nella
cavità , si fa V A. nelf art. 2. ad esaminarne la
struttura, e a desumere da questa V uso princip:de
di esso . JNotomizzato pertanto nei fanciulli il le-
gamento, si trova composto di tre fascicoli , i quali
nascono dal fondo dell' acetabolo con triplice e di-
stinta origine , ed insieme riuniti formano un lu-
nicolo a guisa di prisma triangolare , con gli an-
goli retti nella prima età , e ritorti nella età adul-
ta : cotesto funicolo ricoperto dalla membrana pro-
veniente dal pericondrio va ad impinntarsi nel cnpo
del femore . Ciò che p\ù importa rimaic'ire si è ,
che il medesimo limicolo con prende nel suo in-
terno una cavità imbutiforme , larga dalla parte dell'
acetabolo , e più angusta verso il femore , e che
questa cavità pervia nel suo principio riceve i
vasi sanguigni , i quali nati dai turatori oltrepas-
sano r incisura dell' acetabolo , e protetti dal le-
gamento trasverso penetrano in essa . Il ramo ar-
(ft) Qui il sig.Weiizel in una nota avverte, che la mancanxa del
legamento interno ha luogo per ordinario in quelli , che sono stati
lunga pezza malmenati dall' artritide: questa malattia dell' ari ii.ola-
aùone distrugge il legamento, riempie la fossetta di sostanza ossea,
• prolungando il margine dell' acetabolo rassicura nella carità il cap*
4«ir osto .
EXERCITATIONES PATHOtOGI«AE f)
terioso ffinnto al mezzo dell' imbuto si divide in
due ramicc'lli , uno de' quali si porta sino alla fos-
setta della testa del femore , 1' altro tenendo op-
posta direzione va a disperdersi nella fossa sca-
brosa doli acetabolo . Tralasciamo di descrivere i
mutam 'uti che soiFre il funicolo coli' avanzar dell'
età , e deduciamo coli A. dalia sua struttura , che
egli sembra destinato a tenere sì in freno 1' osso ,
cui s'inserisce, ma in speziai modo a proteggere
e dirigere i vasi , che servono al nodrimcnto della
giuntura .
Ora scende l'A. al 3. art. , dove parla di
certe lussazioni del femore ; e dopo avere dichia-
rato con Plaltner che il sanare <[uesta malattia non
è si facil cosa , come da taluni si crede , narra
eh' egli in due casi si è felicemente servito del me-
todo d Dupovy , eh è in poche parole il seguente .
Tiene un ministro ben fermo 1' osso innominato ,
un altro distende la gamba , ed il professore af-
llsrrando il ginocchio dopo aver cooperato per al-
cun poco alla distensione , lo spinge indentro sino
a che si avvede essere T osso rientrato nell' arti-
colazione . Animato dal felice successo , volle TV.
tentare il medesimo metodo iu una terza lussa-
zione superJuie ed esterna , la quale due mesi in-
nanzi era slata trattata da un chirurgo, e da un
empirico . Fu vano ogni tentativo , e quando il
malato ebbe il permesso di abbandonare il letto, do-
vette ricoirere ad un sostegno per camminare , ra-
dendo il suolo con le dita . Qui T A. con Scìnta
ingenuità , osiam dire , propria di pochi scrit-
tori, si duole di non aver praticato tutti i mez-
zi dell'arte a prò dell'infermo, e ramirìcnla a suo
carico che Cabanis avea sanata una lussazione di
due anni preparando prima T articolaiione con il
IO Scienze
lungo uso degli ammollienti , e poscia servendosi
della macchina di Petit; che Cai bendala , o altro
chiunque, avea riposto in sito il femore lussato da un
anno, disponendo prima V articolo con bagni, e raf"
fermando dopo Y operazione la giuntura con fasce;
e però aneli ei probabilmente sarebbe riuscito nell'
intento , ove alla operazione avesse premesso i sa-
lassi, i bagni , i cataplasmi , e simili altri soccorsi .
Quantunaue avendo assicurato l'infermo che men-
tre giaceva in letto nella sua casa , festremilà in-
feriore erano eguali , entra il sospetto che il femo-
re non siasi lussato per l'urto della caduta, ma
per effetto di lenta infiammazione dell'articolo; tan-
to più che questo era ancor dolente , quando fin-
fermo fu congedato dall' ospitale. In tal caso ognun
vede , che una maggior diligenza del nostro A. non
avrebbe certamente migliorala la condizione di quell
individuo. Comunque sia la cosa, è però da lodar-
si da un altro canto il sig. Palletta per non essersi
contentato in appresso in simili circostanze di un
sol metodo, ma per aver messo a profitto anche
gli altri. Venne difatto alf ospitale un giovane , il
quale cadendo da un albero incontrò il suolo con
i piedi, e stramazzò poi sul lato sinistro; egli avea
la gamba sinistra più lunga di un pollice; poteva
volgerla all' esterno, ma non aU' interno senza gra-
ve dolore; il trocantere maggiore erasi portalo in-
dietro, il solco della natica quasi cancellato, ed in-
tanto niun tumore appariva all' intorno della giun-
tura. Tutto annunciando una lussazione del femo-
re, fu tentata la reposizione delf osso col metodo
di Dupovy, rinforzando le distensioni anco con i lac-
ci ; ma essendo riuscito infruttuoso, furono in\ ita-
ti a consulto gli altri professori delf ospitale, i qua-
li esclusero ia lussazione delf osso. Allora fu che il
EXERCITATIONES PATHOLOGICAE II
sig. Palletta tenendo opinione contraria , si appigliò
al metodo di Paolo Egineta (b) , e coricato il ma-
lato in letto, fece elevare da un ministro orizzon-
talmente la gamba , mentr' egli applicata una mano
all' anguinaja, e posta l'altra al poplite, piegò il
femore con la gamba in modo che ambedue con-
corressero ad angolo acuto: quindi portò infuori il
ginocchio, e muovendolo quasi sopra un asse lo ri-
condusse indentro; in ultimo fece volgere l'infer-
mo sopra il lato sano , crebbe l'inflessione, e gli co-
mandò di conservare cotesta posizione. Ripetuto lo
stesso artifizio, potè il malato dopo un certo tem-
po alzarsi di letto, se non che nel caminare gli si
abbreviava la gamba; al qual difetto rimediò 1' A.
col distenderla ogni giorno in linea orizzonlaie. JNon
è da tacersi, che con il metodo si. esso di Paolo con-
seguì un altro individuo la guarigione , ritardata al-
quanto dalla flogosi sopraggiunta all' articolo, e dis-
sipata con r uso della raoxa.
Continua l'A. nell' art. 4- a ragionare delle lus-
sazioni , e fa delle riflessioni generali sulla loro dia-
gnosi , e piano curativo. S' intrattiene in particolare
su le lussazioni del femore, analizzai segni di quel-
le esposte neir articolo antecedente, e veggendo che
alcuni ne mancano, e che spesso l'allungamento,
o abbreviamento della gamba non corrisponde all'
evasione totale del capo del femore , crede che oltre
le quattro spezie cardinali di lussazioni stabilite da-
gli autori se ne dieno alcune intermedie. Passando
poi alla loro cujia, dopo avere accennato che Ip-
(b) Qui troverà il lettore citato il lib. VI cap. 116 di Paolo;
noi però lo avvertiamo che, nella nostra edizione diAldo Manuzio
1590, sta al cap, 1*8 il metodo di che si tratta.
12 Scienze
pocrate ha proposto tre metodi, uno de' quali è ora
disusato 1 quello cioè di sospendere 1' ini'eimo j' r
i piedi, che pure in qualcJie circostanza poUi'bbe
essere utile , vuole che la cura sia variata secondo
la spezie della lussazione: che quando questa è su-
periore, convengono le distensioni della gamba fat-
te , giusta i! precetto d' Ippocrate , con le mani a
preferenza de' lacci e macchinamenti , i quali re-
cando violenza ai muscoli e v:isi, impediscono che
possa al bisogno ripetersi l;i medesima operaziotìe.
Questo è anche il metodo di Dnpouj, del quale ab-
biam parlato di sopra : e se esso talvolta non rie-
sce, non però dcbb essere trasnudato da' pratici. Quan-
to poi alla lussazione iche asx iene sotto l'acetabolo,
ossia inferiore, le distensioni assolutamente nuoco-
no, e contribuiscono, a detto di Petit, a rassoda-
re il femore nel forame ovale . Per questa spe-
ajie Ippocrate ha oscuramente accennato il suo me-
todo, che in appresso è stato sviluppato da Paolo
ii-gineta, come poc' anzi si è veduto; nel quale me-
todo è da notarsi che con la inflessione della gam-
ba si ralleutauo i muscoli , e con la elevazione del
membro , e volgimento in giro, si scosta dalla nuo-
va sede, e sì riconduce nella ca\ilà naturale. La con-
trazione però de' muscoli a dispetto della volontà
è alcune volte tale, che a diminuirla non basta T in-
flessione dell'arte: allora conviene ricorrere ad al-
tri mezzi , tra' quali ai bagni ed ai cataplasmi ado-
perati da Gabanis a C^arbondala per le inveterate lus-
sazioni. Dee anche chiamarsi a memoria , che in si-
mili casi si è servito Chester della bevanda eme-
tica, sino a debilitare l'infermo Joung dei purganti;
che il salasso al deliquio è parimente efficace,»
sempre poi utile 1' uso parchissimo del cibo. L' ope-
razione ài dee ripetere quante volle V osso nou sìa
EXERCITATIONES PATOLOGICAE l3
p rG^ttamente tornato in sito, ed a rilenerlo in es-
so si farà uso di fasce, bagnuoli corroboranti «e. Né
fra le ultime cautele dee noverarsi quella di far gia-
cere 1 infermo sul lato sano, poiché su questo ri-
ivosa meglio e piti lungo tempo, tiene i muscoli nel-
lo stato di rilassamento, e permette il confronto del-
l'. due estremità.
Art.5. Delle semilus sazioni . È opinione di mol-
ti che le ossa articolate per enartrosi non possano
subire lussazione imperfetta, ed è sostenuta dall'
autorità d' Ippocrate, Paolo Egineta, e Fabrizio d'Ac-
quapendente . Già ha rilevato ilN. A. che in al-
cuni casi i segni non corrispondono interamente ad
una delle quattro specie cardinali, e che da questa
circostanza si possono arguire le lussazioni interme-
die: riflette poi nel presente articolo, che lasciando a
parte le semilussazioni per interne cagioni, come per
debolezza de' legamenti, per tumore nato nel seno
articolare , per corrosione dell' osso, possono elle av-
venire ancora per esterna violenza, quando questa
è tale da non vincere del tutto V opposizione de mu-
scoli: ed allora il capo del femore, distendendoli le-
gamento orbicolare, resta sopra il margine dell'ace-
tabolo; ovvero quando l'urto sopra il femore è vio-
lento al segno, che il capo di esso frange il lembo
dell'acetabolo, e ne rimane sopra le rovine. Molti
esempli di simil fatta sono stati raccolti da Andrea
Bonn, tra' quali v' ha quello di un fanciullo, nel di
cui cadavere fu trovato l'acetabolo destro più am-
pio del naturale, poiché nella parte esterna e po-
steriore era smarginato, ed avea comunicazione con
un' area concava, coperta da sottil membrana, e mu-
nita anch'essa di margine osseo, al di fuori al-
quanto scabroso. L'origine di questa novella cavi-
tà prova quanto ora si è detto. L' A. stesso addii-
i4 Scienze
ce una sua osservazione spettante ad un fanciullo
mal conformato, nel quale il femore sinistro ai trovò
mancante del capo, ed articolato mediante il suo
collo rostrato in una nuova cavità a canto di quel-
la naturale, che era quasi tutta riempiuta e cancel-
lata da una materia cartilaginea . Non può supporsL
che nella prima età si spezzasse il collo del femo-
re, e che il capo disfatto fosse succiato dai linfa-
tici, mentre T esperienza ne ammaestra che la testa
del femore suol rimanere nella articolazione; ma
è più naturale il credere che accadesse una semi-
lussazione, per la quale avendo il capo del femo-
re spinto il lembo dell'acetabolo al di fuori, scol-
pisse sopra di esso una nuova cavità, e che poi
molle di natura, e sotto un continuo attrito, s'im-
picciolisse, e cangiasse del tutto la sua forma, re-
stando coperto dallo strato cartilagineo. Ma più mi-
rabile si è, che il capo medesimo semilussato pas-
sa talvolta da un sito all' altro , e va imprimen-
do delle cavità piìi o meno profonde , secondo
il tempo dell' attrito ; e ciò appunto ha veduto
r A. nelle pelvi di un zoppo. Poche linee lungc dall'
acetabolo naturale apparivano le vestigia di altre tre
cavità di ampiezza e profondità differente, che il
capo del femore avea successivamente scolpite , e
nel! ultima delle quali trovossi all' apertura del ca-
davere. Dal sin qui detto apparisce, che pur trop-
po si danno le lussazioni imperfette, e non solo si
danno riguardo al femore, ma ben anche nell' arti-
colazione dell' antibraccio con il carpo, e del me-
desimo coir omero: lo che il N. A. conferma con le
sue patologiche osservazioni.
L' ultimo art. di questo capo ha per iscopo la
claudicazione congenita^ la quale si manifesta quan-
do il fanciullo incomiacia a camminare . Egli allora
EXERCITATIONES PATHOLOGiCAE l5
presenta 1' arto nella sua positura, e può con esso
eseguire i consueti movimenti; ma lo mostra più
corto del compagno , ed è perciò costretto a soste-
nersi sulla pianta del piede ; ha la natica di quel la-
to, e il di lei solco cangiati nelle l'orme; se gli si
distenda la gamba, cede alla distensione , e va ad
agguagliare l'altra, sì contrae però di nuovo quan-
do è lasciata a se stessa. La cagione di questo vi-
zio congenito sta talvolta nell' acetabolo , il quale o
è troppo profondo, ovvero ha la figura variata in
oblonga , ovale , ovvero anche ha il margine carti-
lagineo ed osseo depresso nella parte superiore, men-
tre nella inferiore è più facile che lo abbia rotto. Al-
cune volte la cagione si scontra nell' osso innomi-
nato, il quale ha un giro più ampio, o è posto più
in alto, oppure ha l'osso sacro non ben connesso
in uno dei lati ; lo che sebbene accada assai di rado,
pur talvolta avviene o per lassezza de' legamenti, o
per mala costituzione delle ossa, e rende zoppo 1 in-
dividuo in quella parte ov'è la diastasi. Si scontra
ancora la causa della claudicazione congenita nel ca-
po del femore, il quale o è acuto, o depresso, o
conformato a foggia di un rostro , oppure manca del
tutto, e la superfìcie articolare sta nel collo di es-
so. ISè questo sempre va esente da colpa, poiché si
è trovato in alcuni casi brevissimo, o prolungato
trasversalmente , o diretto in una posizione troppo
obliqua. Oltre queste cagioni, le quali già 1' A. ha
in un particolare cemento , ne aggiunge due altre
nell'opera presente, vale a dire la lussazione del fe-
more e della rotula avvenuta nell' utero stesso del-
la madre. Quanto alla prima , della quale fa men-
zione anche Ippocrate in più luoghi de' suoi scritti,
n' ha veduto 1' A. un esempio in un bambino che
Tisse un mese e mezzo circa . Egli avea gli aceta-
iG Scienze
boli in parte occupati da un legamento trasverso ,
morbosa espansione di quello die compie i'tlerior-
mente il margine delle mentovate cavità, ed in par-
te ingombrato da materia simigliante alla pinguedi-
ne: i legam-^-nti interni erano molto più proiissi dell'
ordinario: i femori per conseguente stavano fuori
degli acetaboli, ritenuti dalla cassa articolare, e ade-
renti verso la spina inferiore dell ileo. Se il fanciuU
lo avesse vissuto più a lungo , ognun vede che le
teste dei femori si avrebbono scolpite nuo\ e cavità.
Quanto poi alla lussazione delia rotula , non essen-
do quest' osso collocalo precisamente nel mezzo dell'
articolazione, il condilo esterno del femore essendo
alquanto minore, e più rubusli i muscoli della par-
te esteriore della coscia, non è strano eli ella av-
venga sin dalla prima età, e che la rotula sdruc-
cioli al difuori sopra la faccia del condilo minore.
Avvenuto questo disordine i muscoli estensori del-
la gamba , e spezialmemcnte il vasto , retto , e
e femorale, i quali in linea diritta andavano ad in-
serirsi nella tibia, sono portati all' esterno dalla ro-
tula, e però esercitano la loro azione in modo di-
verso dallo stato naturale: nel contrarsi , ed esten-
dere la gamba, la tirano al tempo stesso verso il la-
to esteriore, e continuando sempre la loro azione
in questo senso, la piegano infme ad angolo ottuso
con il femore, e fan divergere i piedi. Due osser-
vazioni anatomico-patologiche comprovano la veri-
tà di questa causa della claudicazione congenita,e pon-
gono line al capitolo .
Capo IX. Dei tubercoli ossivi. La storia di quei
tumori, i quali devastano le ossa, e sono ordina-
riamente fatali all'uomo, non è a conto dellA- ba-
stevolmente illustrata; e però egli nel presente ca-
po , guidato dalle ispezioni de' cadaveri, si studia de-
^:
ExERClT.VTIOi\i;.S l'ATHOLOGICAE IH
terminarne la sede, T indole, , e le diiìerenze dagli
Lri tumori. JNcl i .'^ art- die ha per titolo dai tu-
bercoli del capo^ riporta sette casi, dei quali noi da-
remo una succinta no/.ione. 11 primo oiiVe varj tu-
mori nel capo, i quali aveano la loro radice nel
tramezzo l'aìciiorme della dura madre, e ne aveano
tmato il seno longitudinale; erano zeppi di una ma-
teria bianca, (riabile, sebacea, ulcerati nella loro
superficie, ed aveano corroso in corrispondenza il
C!;!nio. li secondo olire parimente alcuni tumori sfe-
lici al capo, di varia grandezza, molli, un poco
llnltuanti, coperti da pelle sana, tali insomma da
rassembiiìr*; tumori cistici. Aperti in principio col
lerro , gettarono una materia rossastia, poi sponta-
neamente prolusero una materia corrotta, puzzolen-
te; r inleimo si estenuò ; sopravvenne la l'ebbre,
il delirio furioso, la morte. La sede di questi tu-
mori eia in parte nel pericranio , e in parte nella
dura madre, e per necessità T osso intermedio era
corroso; la sostanza di essi alquanto solida, ine-
guale, e rosseggiante, era ripartita in varie cellette da
iilamenti e membrane, il terzo rii>uarda un indivi-
o
duo, il quale avea soiierto aiiezioni veneree loca-
li, e non mai la lue; gi'insorseio dei tumori al ca-
po, i quali passarono in suppurazione; fu preso più
Volte da accessi epiletici, e dopo 2.0 mesi moii ò.i
scorbuto. Di sotto alle ulcere si trovò cariato il Cia-
rdo; ma mentre le tavole esterna ed interna di que-
sto si osservarono più o meno intaccate, sui vii ne
apparve il diploe. il quarto caso ci presentft; una
donna, la quale nel cadere percosse fortemente Joc-!'
cipite, e in seguito rimase sorda. Dopo alicunitem?.
pò le pullulò un tumore nel mezzo deìbi. fionte,
da principio indolente; quindi crebbe sino; a giu-
gnere alla radice del na^u, si le' dolor(.;so yi itóccu-
G.A.T.iX. u
l8 S e I E \ / E
rnonto e piilsantt^; la mahitn dopo aver soflerta una
tlimimr/ioiie notabile eli visla, divrnne sUipiiia, e
in nllinio morì apoplettica. Una massa saicoinato-
sa , simile nella crnsistenza, colore, e striitlnia alla
placenta umana, le germogliava dalla dura madre so-
pra il volto delle orbite, e trapassando il cranio
veni\a fuori; avea sospinto indietro gli emisterj an-
teriori del cervello; la gianduia pituitaria, più gros-
sa e dura del nalui'ale, conipiimeva i ncrxi ottici nel
punto di loro iiitersecamento. 11 quinto caso poco
differisce dall antecedente, se si prescinda dalla cir-
costanza della caduta , e si aggiunga die , olire il
tumore del capo Ibi malo da una massa simile ali
ateroma , e perforante il parietale destro, un altra
massa cerebriforme, nata dalla snperiieit^ interna dell
ileo sinistro, avea forato lacetabolo , estera ,iper-
ta una via al difuori , rendendo finierma ine;i;i al
moto senza un sostegno. Ben dissinule si è la con-
dizione morbosa nel sesto caso, nel quale furono tro-
vate le parli molli intorno l'acetabolo tramutate in
natura lardacea, e nello stesso acetabolo, ed osso
innominato uno smemma sanguigno. Finalmente nell
ultimo malato, defunto per nn'osteosarcoma aderen-
te air osso sinistro delle scapole , fu veduto 1 omo-
piata cangiato in una spezie di carne mucilaginosa .
E piaciuto air A. di annettere alle altre queste due
osservazioni , sebbene non appartengano ai tumori
del capo . affini liè -lai luro couironto meglio apparis-
se il diverso genere di alterazione ne le parti mol-
li o dure. Ora dunque raccogliendo dai casi accen-
nati qualcbe nozione generale intorno i tubercoli os-
sivori del capo, ninno primamente vorrà poi re in
dubbio che la loro sede sia entro il cranio , e per-
chè non preceduti da esterna violenza, e quasi S(.'m-
prc da fiero ed ostinalo dolor di capo, e perchè co-
KÌ nr? ammaestra T isne/;ione anaicmica. In secon-
do iiiugo , checché voglia dirsi sul modo col qua-
le l' osso viene corroso, sarà sempre vero che il se-
no del tumore covando una lenta flogosi , 1 osso
né niolliiicato, e reso quindi soggetto al potere as-
sorbente de iinlatici. Per U;rzo, contemplata la strut-
tura e la materia contenuta nei tubercoli ossivoii ,
par che possa stabilirsi questo triplice genere ; di
quelli cioè che nascono per vegetazioiie , ossia per
espansione di vasi di ogni spezie, e per incremen-
to soverchio della sostanza cellulare; di questi altri
che nascono da separazione^ vfale a dire quando una
parte od organo qualunque , ' che ha la facoltà di
separare dal sangue un materiale , perverte il suo
cilicio, e contra le ^ leggi naturali rende un umore
morboso; di quelli inline che sorgono per tramuta-
mento , mentre alcuna parte del corpo si converte
in sostanza diversa dalla naturale , e si costituisce
in carne, cartilagine , ovvero in o-jso. Che se a ta-
luno prrndisse vaghezza di sapere a quali spezie si
debbano riportare, e con quai nomi dinotare i tu-
mori dei primi cinque casi , diremo che 1 A. S( n-
za esitare annovera tra i fungosi quei della quarta
e quinta storia ; e, avendo ragione della struttura,
non è alieno dal porvi anche quello della seconda
istoria, quantunque vegga che gli mancano inulti
de' (Caratteri; gli altri poi, e sono della prima e ter-
za istoria , li riconosce per quei tumori , che gli
scrittori del barbaro evo han chiamato testuggini ,o
talpe ^ 1 quali tumori deggiono ben distinguere t d^i
cisLici^ o natte volgarmente detti, i.° perchè non cq-
sta che sieno racchiusi iu un involucro ,3. nop
sono così mobili, 3.** a guisa di quegli animali ser- -
poggiando sotto la cute devastano il cvauLo, 4-**. per-
chè assai pili diftìcile i/è la cura , e qnusi aw no^i
giova r aprirli , o 1 estirparli . 2 *
:20 SciEXZK
Passa V.\. nel it. arf. a |>av]aro doi hihercnìl
ddla spina ^ e inlende quella Sj)ezìe di tumore, che
lia la sua sede in una parte della colonna vertebrale
e logorando a poco a poco i legjimenù , Je cartilagi-
ni, e Ja sosrani'.a ossea, la piegare in avanti la colon-
na medesima , e solleva al di dietro una promi-
nenza a guisa di gobba . Egli noma questa spezie di
tu mure (ifosi ( gibbosità ) paralitica, l'er dare ai
nostri lettori un cenno della sloiia , che fa YA. di
questa terribile malattia, incominceremo dal dire ,
che il dolore e la lesione delle parti soggette all'
impero del midollo spinale sono i primi fenomeni
di essa . Se il tumore è por sorgere nelle vertebre
cervicali , o dorsali , si annunzia col torpóre delle
estremità superiori, con dillicoJtà di muovere il col-
lo o il tronco, e di respiiai'e, coli inerzia dei mu-
scoli del basso ventre ; e qiesti segni sono talvol-
ta Iribniti dal medico ad altre inlerinità , e si di-
ce che il tal individuo sollVe dispnèa , gonfiamen-
to di sfomaco , e languore di ventre . Se il tu-
more sta per sorgere sopra le \ ertebre lombari, ven-
gono peilurbate le funzioni delle intestina grosse,
«iella vescica, e delle infcrioii estremità; quindi sti-
tichezza di ventre , iscuiia , e quindi una lenta
perdita del moto e del senso negli arti inferiori .
Tu odi i fanciulli , nei quali la malallia è più
fre(juente , e si sviluppa con maggiore celerità, la-
gnaisi di lassezza nelle gambe ; poi li vedi cammi-
nare con istento , piegarsi loro le ginocchia, i pie-
di pendere ingiù, gonfiarsi i malleoli, e in uili-
jno li vedi privi della facoltà al moto, e in gran
parte anche di sensibilità . Sorge intanto il tumore
in uno dei mentovati luoghi della spina , e com-
prende ora due , ora tre vertebre ; al suo crescere
crescono in corrispondenza i sintomi ora esposti ,
EXERCITATJONES PATHOLOGICAE
3 r
sinché li tronco si piega in avanti, ed una proml-
aenza ( gobba , o cilosi ) deforma la schiena. Ecco
in compendio l'alterazione di organismo, che va
operandosi entro il tumore. In 'principio del ma-
le 1 legamenti delle vertebre s' ingrossano e si ral-
lentano , si fanno anche un poco tumidi i corpi
delle medesime vertebre, e le cartilagini, che so-
no tra di essij, si ammolliscono: progredendo il mor-
bo, si i'a. maggiore F alterazione di queste parti,
mentre le cartilagini e i legamenti si disfanno '
1 osso è anco più o meno logorato , ed allora per
necessità la colonna vertebrale inchina anteriormen-
te , e forma nella parte posteriore una protuberan-
za. Quella striscia legamentosa, la quale dalla som-
mità della colonna scende al basso , onde tenere
in freno le vertebi'c , è distesa in un sacco, ed ivi
ristagna una materia ora saniosa , ora più densa
in forma di sevo o di latte rappreso, ed in questa
nuotano le squammette bianchissime dell'osso con-
sumato. Né il vizio si limita a questo punto ; spes-
so SI estende alle vicine costole , ne intacca il ca-
po , e le separa dulie vertebre , nei casi fatali poi
trovasi la membrana propria del midollo spinale
tmta in fosco livido o in grigio; lo stesso midollo
di color cinericcio , e più molle dell'ordinario ,• tro-
vansiil gran simpatico, gli splancnici, e glmlGr-
costali da lui provenienti, o avvolti e compressi dal
tumore o in esso macerati , d' onde poi nascono
gravi disordini nelle i unzioni del petto e delf ad-
dome. I visceri stessi, e le membrane si scuo-
prono talvolta viziate ; imperocché si vede il pol-
mone contenere qua e là tubercoli suppurati ; la
pleura anche zeppa di tubercoli del genere dei stea^
tomi , e slmilmenle deturpato il periostio delle co-
stole: la sanie del tumore dorsale si fa strada al-
22 Scienze
cune volte in basso, e prorompe o nella natica, ©
neir anguìnaja ec. ec. Ma di un morbo così perver-^'
so qual' ò mai la cagione prossima , e (jiiali le ri-'
mote ? A parere del nostro A. , le profoiKl'* lesioni
delle parti organiche nascono , se non luite, certo
in gran parte , da infiammagione o moTiifesta, o la-
tente , la quale allorché invade gli ossi , i legamenti ,
è le cartilagini , procede sì lentamente e nascosa-
mente, che non si appalesa con il dolore se non
dopo un lungo intervallo di tempo, e solo nei lan-
ciulli si spiega più presto per la copia de" vasi san-
guigni ,e per la forza piìi pronta de' nervi. L' in-
fiammagione è dun(pie secondo lui la cagione pros-
sima della cilosi paralitica ; o , per mi glio dire , una
irritazione della spina dorsale , <l,e poi passa
in flogosi , cagionata o da peicossa , o da dislui-
sione , ovvero da deposizione dì umore rachiti-
fo, scrolbloso , reumatico , e più trequenlc nn n-
le da stcatoma , Y indole del quale sinora non
ben si conosce . E se nel predominio di alcuno
di questi umori sì voglia ravvisare una preceden-
te morbifica disposizione dei solidi, si poti<i con-
cedere al Racchettì che da questi incominci il mor-
bo , e probabilmente ;ìbbia la [)rima origltu^ nel
midollo spinale, e poscia si propaghi alle p.nti vi-
cine . Di più , sapendosi che nella flogistica opeia/ào-
ne si ammolliscono le parti organiche più dure ,
e che più attiva diviene la facoltà assorbente dei
linfatici , potrassi con questi dati spiegare il di-
struggimento delle ossa nella cifosi paralitica , quan-
tunque a dilucidare questo latto bene anche si pre-
sti la ipotesi di Marchelli ; vale a dire che V a< ido
fosforico , in soverchia {[uantità separato , sciolga il
fosfato calcare delle ossa , il (pjale si trova poi
nella sania del tumore , nel latte , e nel!' oiina .
ExERCITAT)ONES PATHOLOGICAE 2.1
Ma venendo finalmente alla cura , interessa pria ■M
tutto assiemarsi quale sia il luogo affetto della spi-
na vertebrale , onde applicarvi le sanguisughe , ed
il vescicatorio innanzi che apparisca il tumore .
Gioveià per iscopiirlo portare , secondo il metodo
di Copeland , insù e ingiù per la colonna vertebra-
le una spugna inzuppata di acqua calda , sinché me-
diante il calore si manifesti il luogo dolente , e
su questo dovranno dirigersi i primi soccorsi doli'
arte . Oltre adunque le sanguisughe ed il vescica-
torio ripetuti a norma del bisogno , sarà utilissi-
mo il cauterio, adoperato coraggiosamente da tutti
gli antichi medici , e giudicato opportuno a spe-
gnere r infiammazione , arrestare la carie , e pro-
durre r anchilosi delle vertebre . L' illustre G. P.
Franck risanò un giovanetto di kj anni nello spa-
zio di 1 2 settimane , aprendogli i fonticoli , e poi
dandogli internamente Y estratto di aconito nappel-
lo , e la resina di guajaco ; corroborandolo a suo
tempo con la corteccia peruviana , e la radice di
arnica , facendo sul dorso le iregagioni o con li-
nimento volatile o con mercurio, ed aggiungendo
alla china-china la radice di Scilla , quando appa-
riva r edema . Il Sig. Marchelli, stando alla sua ipo-
tesi poc' anzi riferita , suggerisce l'uso interno del
carbonato di calce, e del ferro porfirizzato, a fine
di neutralizzare f eccessivo acido fosforico .
Dopo queste nozioni generali ci possiamo di-
spensare dair esporre quattro casi di cifosi che ven-
gono in seguito ; come anco crediamo di non in-
trattenerci neir art. iti, ove si tratta dei tuber-
coli degli arti ^ tanto più che T A. rispetto a qiie-
sti si esprime così : -Tuberculis in cyphosi occurren-
tibus non dissimilia sunt alia , quae artiMim o^~-i
occupant , quippe eadem ralione eorum sliuctiuaia
a4 Scienze
vastant destninntqur . Tllud a utem peculiare iis inest, ,
quod fere miiiquani sol li aria sint , et qiiod unum
quodque ossis , cui incunibit , aiiqnara partoin aver-
tat- . Diremo soltanto che in questo articolo sono
inclusi otto casi di stcatonia in \aij punii delle
estremità inferiori con alterazione dell' osso , si dà
1 analisi della materia contenuta in quel tumore ;
si ripropone la quislione sopra la cagione immedia-
ta del dislacimento delle ossa ; e , por compiere la
storia delie malattie di cotesto sistema , trattasi
ancora brevemente della spina ue/itosa , ossia tu-
mefazione dell' osso ; della spina velenosa , della da
altri pedartrocace , ossia carie delle apolisi e del
tessuto spongioso con Ulcerazione delle parli molli ,
stillicidio di umore sanìoso , e dolor pungente ; della
spina pia mite , delta dai moderni jì aerosi ossea ,
la quale non importa né carie né fetore , ma solo
la separazione di frammenti , o lamine di osso
bianche , pesanti , e non corrotte .
( Sarà continuato )
Osservazioni notoniico -fisiologiche sult epidermide
di B. Mojon dottore in medicina ed in chi-
rurgia , professore emerito della R. Uni^'cisità di
Geno'i'a , membro di molte illustri accademie . Se-
conda edizione . Genova dalla stamperia e fon-
dei ia Poti tìt enier 1820.
u.
na lettera dedicatoria al eh. sig. Prockiiska ,
ed. un elegante epigramma del sig. Gagliufii pn^ce-
dono la dissertazione - In principio di questa si [iro-
pone r A. di con5^.iderare \ epidermide sotto faspel-
Oss. slll' Epidermide a5
to fli un corpo organizzato , sensitivo , e canace
di subire tutte quelle organiche e vitali modi-
ficazioni proprie alle altre parti della macchina ani-
male ; e dichiara che in questa impresa gii sa-
ranno di scorta alcune sue microscopiche o.sscr-
vazioni , molte fisiologiche ricerche, 1' ajuto nolo-
mico comparativo dell' epideimide di alcuni anima-
li , e lo stato patologico del medesimo . INoi per
soddisfare al nostro instituto , e colla maggior Li^e-
vità possibile appagare la curiosità del lettore , tra-
sceglieremo nella disseriazione tutto ciò che ci sem-
bra appartenere all' A. , lasciando indietro quella
erudizione , che può lacilmente trovarsi ne' lihii di
fisiologia , notomia umana , e comparata .
Ognun sa , che gli anatomici diversamente han-
no opinato intorno la conformazione esterna dcìhx
cuticola ; altri ha detto essere sotto V aspetto di
scaglia , altri sotto quello di filamenti , o perfet-
tamente levigata ec II nostro A. ci assicura che
questa diversilà di opinioni dipende dall' aver os-
servato la cuticola in varie parti del corpo ; poi-
ché al suo occhio armato di lente, la cuticola , che
copre il petto , gli arti , e il dorso , ha offerto sem-
pre piccole squame imbricale come quelle de' pe-
sci ; r epidi rmide che sta sul polpastrello delle di-
ta , sotto il calcagno , ed in alcune altre parti , ha
presentato un tessuto di fibre in forma di piccoli
cilindri tortuosi, tra gì' interstizj de' quali si scor-
gono minutissimi globetti e pori .
Ha voluto in oltre il sig. Mojon prendere in
disamina T opinione generale che l' epidermide ester-
no ripiegandosi nelle diverse aperture del corpo ,
tali che la bocca , le orecchie , le narici , la vul-
va , r uretra , Y ano ce. , si prolunghi entro le me-
desime senza ni( ule alterarsi o cambiar di nalu-
26 Scienze
ra , ii\ ostrrifìonp inili tulle le ravità come sareb-
bero 1 esofago , Io stomaco , gV intestini , Y utero,
la vescica orinaria ec. A rendersi certo della ve-
rità di celesta opinione , ha slaccato colla maggiore
accuralczza alcuni pez/1 di cuticola da varie in-
terne cavità , gli ha passati in rivista sotto 1' esa-
me di un attivissimo londinense microscopio , e
si è convinto che essa vaiia assaissimo di tes-
situra ne diversi organi , per cui non si può conside-
rare in verun modo come una continuazione dello
stesso esterno epidermide che riveste tutto il coi-
po . E per vero, l'epitelio dcgV intestini , e spe-
cialmente dei tenui, ^li ha olTerlo coir ispezione mi-
croscopica un' imniens;! qunntilà di piccoli lori a
lembi rialzati , tra i quali lia scorta una specie di
glutine trasparente e condensalo , che lega assieme
un' infinità di minutissimi linfatici . Per qur.nto ei
siasi studiato di ben esaminare questa membrana ,
non gli venne mai fatto di vedervi la pretesa am-
polla delle villosità intestinali , di cui parla Lieber-
kuhn ; onde a ragione si arroga il diritto di ne-
garne l'esistenza , siccome già fecero altri fi.'iolegi .
Le villosità figurale nelle tavole chilografiche di Shel-
don non sono , a suo credere , elie le estrciautà de'
vasi assorbenti intestinali . La pellicola poi, <'he ve-
ste internamente la vagina e la matrice , si mo-
strò all' A. sotto r aspetto di nna reticella o ma-
glia tessuta di sottilissimi vasi ; tessitura afl'atto dis-
simile dall' epidermide esterno . E che le interne cu-
ticole de' visceri cavi non sieno nna continuazione
dello stesso esteriore epidermide, oltre la diversi là
delle indicate strutture dall' A. più e piìi volte \e-
rificata , e fatta ostensibile a' suoi allievi in una pub-
blica prelezione di notomia e fisiologia , viene ezian-
dio provato dalla natura de' fluidi che le bagnano
Qss. sull' Epidermide 2^7
di continuo , e dal vario lor grado particolare di
s<'nsibililà , di maniera che il raziocinio e V espe-
rienza sen vanno bene d' accordo nel combatter la
contraria opinione, generalmente , ma indebitamente
ammessa .
Ci sembra anche meritevole di attenzione ciò
che r A. dice intorno la formazione dell' epidermi-
de , su la quale molte e varie sono state le ipo-
tesi dei notomìci , che lungo e inutile sarebbe il'
riportare . I progressi della tisica animale ( così
egli ragiona ) latti in questi ultimi tempi su qnaulo
spetta la formazione e lo sviluppo dogli organi ani-
mali tutti , non permettono più che si muova al-
tro dubbio che T epidermide sia , siccome ogni al-
tra membrana , il risultato di un processo orga-
nico e nutritivo . Le osservazioni e le esperienze
ingegnose di Guglielmo Hunter sulla membrana cai-
duca, non che quelle di Giovanni Hunter sulla co-
tenna flogistica del sangue , corroborano vieppiù la
detta ojjinione sulla natura organica , e sulle pro-
prietà vitali dell' epidermide : qualità che pur gli
si vogliono contendere da molti . .Né varrà il dire :
che le più scrupolose indagini su di questa mem-
brana non abbiano fatto intravedere in essa alcuna
vascolarità , e che le più line injezioni Ruj'Schiiine
non abbiano potuto penetrarne il tessuto . Impe-
rocché v' ha pure qualche osservatore più fortu-
nato , il quale dicesi riuscito in questa ricerca ,
come quel Saint-André , qui non soliim vasa epi-
dermide adscripvit , veruni edam affirmasse dicitur
se vasa haec ita replere posse , ut rubra materia
injecta valde turgerent , utque uhique libero oculo
copiosissima apparerent (a) ; e come si è detto di
(a) Heiit. Comp. A;: ni.
28 Scienze
un gentiluomo inglese possedei e alcune preparazio-
ni , nelle quali la cuticola era injettata (b) . iì poi
non vi sono altre parti nella macchina animale; che
tali vascolarità . non presentano, e non ostante non
fu mai negata loro un' organica struttura ? Le in-
dagini di Eichat (e) pongono in dubbio la pre-
senza di un sistema vascolare sanguigno nella; tes-
situra (Ielle membi ane sierose ; ma chi ha mai pre-
teso sostenere che quelle membrane non sieno or-
ganizzate/* D'altronde v'hanno delle aiiezioni cutanee,
per le quali l'epidermide staccandosi a brani offre an-
che ad occhio nudo un tessuto di minutissimi a asi ,
i quali è lorza supporre dalla malattia dilatali e
resi percettibili , mentre non pare verosimile che
ne sieno stati generati .
K qui cade in proposito 1' aggiungere che , se-
condo il nostro A. , i piccoli filamenti cellulari , le
ultime estremità de' vasi esalanti, e le radici de-
gli assorbenti legano strettamente la cuticola al cor-
po mucoso ; e che queste parti tutte intrecciate
tra loro in mille diversi modi , e legate assieme
con una materia albuminosa , iormano l'intiero tes-
suto dell' epidermide ; che tanto rilevasi dalh; os-
servazioni microscopiche , e dall' analisi delle sue
funzioni . Sono appunto questi vasi o tubi che ,
allorquando 1' epidermide si stacca dal corpo mu-
coso , formando una vescica per 1' azione degli epi-
spastici , lacerandosi e corrugandosi su dì loro stes-
si , e sopra la cuticola , ne chiudono la porosità ;
e con ciò si spiega la cagione , per cui le am-
polle prodotte da vescicanti , o dalle scottatuie si
(|j) Huiiter Med. Obs. arni. Kn.(. voi. 2. pag. 5-^.
(e) Tiiiilc do» uiciiil)raijci
nfiv.irngono gonfie per molfo tempo , seriza lasciar
«i'neeiro attraverso \ epiriermide il siero traversato ,
o Tarla che esse riiicbindono ; l'obliquità a inser-
zione (levasi esalanti, clv< altiaversiano questa mem-
brana t vende pure rtìgionf" di un, tale fenomeno .
Posta r organica tessitura della cuticola, ne di-
scende per legittima conseguenza la di lei facoltà
di sentire . K come m^ii potrebbe questa membra-
na ( così argomenta FA. ) assorbire alcuni fluidi
che la 'bagnano , e rigetlarne altri, senza esser do-
tala di una propria particolare sensibilità ? Vano
si è r opporre che i vasi linfatici, e le estremità
esalanti che la forano in mille luoghi diversi , non
le appartengono . Ma come spiegheremmo noi , sen-
za accordarle una vitale qualità , le varie altera-
zioni morbose , cui va soggetta , e che noi pos-
siamo correggere , ed anche prevenire con un me-
todo curativo appropriato ? Questa pellicola non
peicorre essa quelle stesse moditicazioui , che acca-
dono agli altri organi della macchina animale nelle
differenti epoche della vita ? Non la vediam noi
sommamente sottile nella infanzia , più dènsa in
una età più avanzata , molto compatta nella vec-
chiaja , e riprodursi pi^ontamente ove sia distrut-
ta? Se adunque V epidermide cresce , si nutre , e
si riproduce , come si potrà negargli una organica
struttura e delle vitali qualità? Anzi una comunità
di vita e di azione col rimanente delfanimale al qua-
le appartiene? Il suo stato morboso sviluppa soven-
te in esso una sensibilità sì squisita, che non si può
certo attribuire al derme, od al corpo mucoso che
esso ricopre. „ //i erisipelntis ^ dice Krause (r/), ge-
nevibiis leviorihus cutis lìon magis quam ciiticula
(il) De sensilibvisparlibvis huniani corporis
3q
e I I^ \ Z E
affcctce , et pruritus sc.des in hac ceqnn al quo in il-
la esse i'idefur atgue hcec quiiìcm de scw
su epidermidis satis dieta sunto ,, . S' innalzano so-
vente alla radiciì tifile nngliie delle jjipile di puro
epidermide, le qu,di si gonfiano, e diveuf',0110 do-
lorosissime. Vi sono degli insetti che si rendono as-
sai molesti col solo percorrere, benché leggermente,
sull'epidermide; il taon, le ostri, la pulce, h» ci-
mice, il pidocchio, 1 ichnenmone ec. ce ne danno
lina prova. Non si può disconvenire che la'sonsibi-
lità dell'epidermide è mollo oscnra ed ottusa, ed
anche da perer nidla in alcune esperienze; mi non
e perciò concesso il riiiularglicia intieraiiienlc, msn-
ti;q fa mostra di se in parecchie circoitan/.e, e spe-
cialmente in alcuni casi patologici. Niun artilìcio
notomico, a dir vero, riesce a svelare alcuna rami-
licazione, nervosa nella culicula ; sai'ebbe per altro
Rudimento il dichiararla per ciò solo priva di ner-
vi. E ormai riconosciuio e stabilito dai moderni fi-
siologi, che i corpi oig:tnizzali godono tutti di una
pailicolare sensibililà ali'-ilto indipendente dal siste-
ma nervoso; sensibililà conosciuta sotto il nome di
oti^aìdca ^ e che può considciarsi come il primo gra-
do delia sensibilità di relazione^ o di vita animale.
JJichat, liicherand, e Dumas osservano che vi sono
d ile vene, delle arterie, de' legamenti, delle car-
tilagini, e deije ossa, che non hanno, per quanto
Sembra, alcun nervo, e che nel loro slato naturale
di salute non olirono alcun sentimento percettibile,
quanti' anche si tormentassero in mille modi di aver-
le isolale ; pure esse debbono a\eie una maniera
propiiu di sentire, distinguendo negli umori che le
penetrano ciò ch(; loro conviene per nodrirle, e ri-
getlaudo ciò che è loro inutile e nocivo. Queste stes-
se parli, che per molto tempo lurono credute in-
OSS. SLILl' EpiDE^tVI' de 3i
seuslbill, non soiTroiio esse quando sono infilate una
S(|iil.slta sensibilità, che dallo stato dirò cosi latente
passa allo stato di relazione? Ogni parte del corpo
animale sente e vive alla sua maniera; T epidermi-
de, l'aceudo parte di questo corpo, ha conseguente-
mente delle proprietà vitali sue proprie, che invano
gli sì vorrebbero contrastare.
Si è addotta di sopra , come prova dell' organis-
mo e vitalità della cutìcola, la di lei pronta ripro-
duzione, ove sia distaccata dal corpo mucoso. Mol-
le cause possono durante la vita separarla dal re-
ticolo malpighiano: una forte pressione, uno stio-
iinauK ìlio continuato per molto tempo, T applica-
zione dell acqua, dt 13' olio, o di qualimque altio
liquido bollente, Tazione del fuoco, t!el fulmine,
gli epispastici, le infiammazioni violenti della p.^l-
k\ specialmente 1 eresipola, le affezioni erpetiche,
parecchj esantemi, ed altre malattie. Ora in que-
sti ella prontamente si rigenera, e non solo in quel-
le parti che si trovano esposte ad un immediato con-
latto con Varia, ma altresì su quelle, che coperte
sono da un empiastro o da un Huido qualunque; e
nel riprodursi passa per tutte quelle gradazioni di
accrescimento , proprie a qualuuipie altro tessuto or-
ganizzato. Sul principio rassomiglia ad una materia
glutinosa, indi a poco a poco prende T aspetto di
una esìlissima membrana É osservabile che la riprodu-
zione deir epidermide procede contemporaneamente
su tutti i punti del reticolo malpighiano, che n è sta-
to spoglialo, mentre il derme non si riproduce che
per il prolungamento de' suoi lembi. La cuticola in
alcuni casi si rigenera iiiìmediatamen te sul cuojo:
accade ciò nelle ferite con perdita di sostanza, o
sulle piaghe, che hanno suppurato qualche tempo,
per cui il corpo mucoso è stato intieramente dislrut-
32 S e I r X z E
to. Qucsi' opidermidc e alquanto diverso iicila stia
slruttura dn quello, elio suol rigenerarsi snl icllco-
lo mucoso; esso, corno già osservarono IVicliat, Cha-
ussier , e Adelon, non si può slaccare dalla soUo-
j)osta cute con gli stessi mezzi, che sogliono prati-
carsi per ottenere la cute isolata. Nel callo poi il
primo strato cuticolare, che viene slaccalo dalla ri-
petuta compressione, e confricazione de corpi, è suc-
ceduto da altri strati, i quali formano una j)romi-
nenza dura, ed insensibile sino ad un certo limite,
come nelle ginocchia, nelle mani , e ne' piedi.
Questo breve sunto ci sombra- snltìf-iontc a
guarentire la verità della tesi del sig. Mojou , che
]' epidermide sia un corpo organizzato , sensitivo ,
e capace di subire le vitali modilicazioni proprie
delle altre partì del corpo . 11 lettore troverà poi
nella dissertazione molle notizie desunte dalla no-
tomia comparata sulla struttura deiT epideimide ;
vi troverà i mezzi per separarlo nel cadavere ; la
chimica composizione , e gli usi: in poche parole
V opuscolo è assai pii'i pregevole , di quel che pos-
sa qui comparire ; e conferma la ripula/ione , di cui
meritamente gode presso il pubblico T autore delle
preziose Leggi Jisioìogiche .
G. F.
33
tUT'Tn'inilWH'TIilirniMIP*— PliWIMIMIf ^Wl 'P'WIWIIili' J> I tl»tlMH'M ■!>* ff
De hlenna - pyoderrhagia sjphilitica dissertatio in
duas partes tributa , diagnosim , prognosim , et
curntionem complectens . jéucturc Josepho Cccsa-
re Fenolio Ripuleiisi , pJiilosophue et medicince
doctore . Mediolani 1820 .
autore per trattare della gonorrea sifilitica ,
che egli dice hlenna pjuderragia sjplillitica , di-
vide la sua dissertazione in due parti . Nella pii-
ma è compresa la diagnosi , e la prognosi di que-
sta malattia . E nella seconda è soltanto il modo
da curarla .
i\eila diagnosi si notano i varj sintomi della
gonorrea da qualsivoglia cagione prodotta . Si asse-
risce che questo male ha tre generi , de' quali il
primo è nominato blenna-pjoderragi^-idiopatliica ,
cioè gonorrea-idiopatica ^ perchè prodotto da uno sti-
molo esterno ; il secondo simpatica , o sintomati-
ca , perchè deriva da un altro male ; ed il terzo
( qui son necessarie le" parole dell' A.) metastatica ,
ob humorum moìbijicorum super vaginam , ure-
tliram , reliquasque partes repercussionem „ . Si mo-
stra dipoi , che ciascun genere contiene molte spe-
cie , nominate con i nomi delle varie cause spe-
cijiche , le quali producono la gonorrea .
La quistione , che molti scrittori tanno per sa-
pere se la natura della gonorrea- sifilitica sia , o
no diversa dalla essenza delle altre malattie ve-
neree , è acconciamente esaminata . Egli espone
gli argomenti , i quali provano che questi non han-
no la stessa natura . JNomina gli autori che tengo-
no questa dottrina ; e coloio , i quali vi si oppon-
G.A.T.I X 3
34 Scienze
gono . Reca sei osservazioni fatte da se medesimo .
K por queste , e per ciò cIk; Iianno sciitto moìti
jainosi medici e cliirurgi , ragionando , allei ma
rssei- uno quello ignoto principio , che genera le
diverse malattie veneree . Dice che non prova es-
sere speciale la natura della gonorrea sililitica il
mostrar questa i suoi eflfetti in una sola parte , e
le altre in molte parti del cor[)o . Poiché ciò av-
viene dal che sovente quel principio , il quale pro-
duce la gonorrea, stimola soltanto la membrana mu-
cosa degli organi della generazione, e colà si ri-
mane . Forse perchè il muco impedisce 1 azione
de' vasi assorbenti .
Dopo aver ragionato alquanto della natura
della gonorrea prodotta dal veleno venereo , T A.
vorrebbe farci sapere con quali segni possiamo ri-
conoscerla . Ma egli medesmio ci avverte non esser-
vene alcuno sicuro . Tutte le specie di gonorree
]ianno spesso sintomi comuni . i:.d è diflicil cosa
distinguere V una dall' filtra ; se non son palesi le
cause, da cui procedono.
Parlando l A. della cura della gonorrea sifili-
tica nella seconda parte del suo ragionamento ,
considera ciò che avviene , quando incomincia il
male , quando questo si accresce , e quando di-
venta minore . Égli nomina questi tre tempi perio~
do d infezione , periodo di Jlogosi , e terzo sta-
dio delia hlenna pioderagia . E siccome crede , e
giustamente , che il veleno venereo non in altro
modo operi , se non stimolando soverchiamente ;
così egli vuole che nel principio , e nell' accresci-
mento della gonorrea sifditica siano opportuni i
rimodi , che diminuiscono il valoi'e degli altri sti-
moli , non potendo scacciar quello , che cagiona la
malattia . E stima che contrarie in qualche modo
De BLE.VNA. PYODERRIIAGIA 35
a questi rlm^^dj debbono essere quelle cose , le
quali convengono al terzo stadio della blenna-pio-
deragia .
L' oggetto ultimo del nostro A. ò la cura
de' tristi elFetti della gonorrea sifilitica , cagionati
o per la malignila di sua natura , o perchè i ri-
medj non l'urooo convenevolmente adoperati .
J\oi abbiamo ragionato con queste poche pa-
role della dissertazione del Fenolio , non ad al-
tra cagione , se non per brevemente maniiestare ciò
che a noi ne pare delle infinite opere , che in qual-
che parte somigliano questa ; e , ciò facendo , desi-
deriamo che altri non creda essere nostra inten-
zione il mordere chi che sia .
I dotti di chiaro ingegno , e forse anche co-
loro , che ne hanno 1' apparenza , e non la so-
stanza , gridando , vituperano la turba degli scritto-
ri , i quali pubblicano con le stampe le loro ope-
re o per aver gloria , perchè ingannati dal me-
desimo loro giudizio ; o per ingannare altrui , ed
averne ingiusta mercede . Molti buoni gioi'nali cer-
cano di Irenare la dannosa voglia di questi tali ,
biasimandoli più che a gente costumata non con-
verrebbe . Ma ciascuno grida , ed opera imlarno .
Le biblioteche ognora soa caricate di nuovi libri
inutili , o nocivi ; quasi non mai senza utilità, de'
loro autori .
JNoi crediamo che questo male proceda da due
principali cagioni , delle quali luna è nel giudicio di
quei lamosi , i, quali o scrivendo o parlando esa-
minano le opere altrui . L altra è nella mente di co-
loro , che né sono del tutto ciechi , né abbastan-
za illuminati . E , per dir chiaro;
Alcuni dotti scrittori o perchè natura'mente
cortesi, o perchè tali m lor prò diventarono, sti-
J
36 Sciente
mano dannevole il vituperare ingiuslaniPTite - Ma , a
parer di questi , non è mai sconcia cosa il lodare
chi che sia. Perciò talvolta sicuri della loro auto-
rità, giudicano, e lodano, non mostrandone la ca-
gione. E sovente periodare, ed apparire giusti, esa-
itìinano lo scritto, al quale vogliouo dar lode. E con
il loro sapere, e con il loro ingegno acconciano in
hella forma quella scarsa materia, che quivi trova-
no non guasta. Della qual cosa coloro, che dicem-
mo benigni per natura, se ne compiacciono. Quel-
li, che lo sono per arte ( e meglio si direbbe per ma^
lizia ) ne vivono lieti, o perchè n ebbero, o perchè
ne aspettano mercede. L' autore dello scritto loda-
to da coloro , che meritano lode , diventa più ar-
dito, e meno ingegnoso. Il suo esempio sprona e
guida mille sciagurati scrittori. E nascono infinite
opere, che recano non picciolo danno alle scienze,
ed alle buone lettere.
A far conoscere il valore della seconda causa,
che produce questo cattivo effetto, diciamo: To-
stochè si manifesta un libro , lo stuolo di quelli,
che son detti leg-isti, medici, letterati, ec. i quali
seco trasportano il volgo cieco, per apparir dotti,
devono leggere questo scritto novello,© almeno far-
ne vista, e darne sentenza. E ciascuno di questi,
se si tratta di ciò che si crede sua materia, deve
più arditamente giudicare. Per sapere però se il giu-
dicio sarà o nò giusto, consideriamone il giudice ,
Questi mal volentieri sofferendo che altri diventi
famoso, sospinto da invidia desidererebbe che il li-
bro, e diremmo anche V autore, più non esistes-
sero. E non potendo ciò avvenire per suo mezzo;
vorrebbe almeno biasimare ogni cosa. Ma si ritiene;
e loda invece; conoscendo potersi lo biasimo facil-
mente rivolgere contro se medesimo. Ed in vero.
De blenna pyoderrhagia Sn
allorché taluno loda altri, se coloro, che ascolta-
no, ne chiedessero la cagione, mostrerebbero forse di
essere maligni. Al contrario, se si biasima, colui che
biasima deve manifestarne il perchè; onde non ap-
parir malvagio , o stolto. E chi non sa trovare que-
sto perchè, deve di necessità lodare. Questo argu-
mento ha maggior forza nel nostro proposito; poi-
ché lo scritto pubblicato con le stampe dispone la
^enle volgare ad onorarne Y autore. Chiaro è dun-
que essere il giudicio de' loschi la seconda cagione,
onde molti arditi, non senza loro utilità, scrivono;
e le scienze e le lettere spesse volte o non ricevo-
no alcun nutrimento da' libri novelli , o vi son pa-
sciute a tosco. Ma poiché le cose insino a qui da
noi significate mostrarono già il nostro soverchio ar-
dire ; possiamo senza nostro danno metterne la
giunta.
Ci sono non pochi scrittori, i quali fanno sì
gran conto de sopradetti giudici, che per non es-
sere offesi dalla invidia di quelli, e per renderseli
amorevoli, non solo intitolano ad uno di essi le lo-
ro ciancìe; ma scrivendole, cercano ogni modo on-
de o commendare, se è possibile, alcuna cosa ope-
rata da quei cotali, o almeno onorevolmente nomi-
narli. E ciò più volentieri fanno, se que' mezzani del-
la gloria adulterata sono in alto luogo, tanto che
per la loro voce possa ficilmente spandersi il no-
me dei dannnevoli dicitori delle vere e delle fal-
se dottrine altrui.
Afiìnchè però non paja, voler noi dire, non es-
serci alcuno , il quale dia giusto giudicio intorno le
opere eli cui ragioniamo; è necessario soggiugnere*
che essendo stati anche da' veri dotti o por invidia,
o per altra cagione, alcuna volta biasimati gli scrUli
di coloro, i quali a buon dritto sono gloriosi; quei
38 S e I K re Z E
pochi giusti, che rettamente g'uidlcano, non sono
intesi. Poicliò se questi biasimano , i biasimati se
ne dan vanto , mentre additano quei chiari e fa-
mosi ingegni, che ingiustamente furono vituperati.
E la gente, la quale crede aver tutte la m(Hh'SÌma
natura quelle cose, che in qualche parte T una T al-
tra somiglia, anche per questa sagrilega compara-
zione rimane ingannata.
Ritorniamo ora alla dissertazione del Fenolio ,
che ci ha dato occasione di mostiaro una piccola
parte della ventraja di coloro , i quali benché pri-
vi di ogni buon valore , non possono essere fe-
riti per punta, ma sì ben per taglio - Noi cre-
diamo clie r A. siccome giovane , per quello che
egli dice , dall' amor della gloria , e non da al-
tra cagione sia stato tirato a pubblicare il suo scrìt-
to . Perciò , lasciando stai-e le cose di sopra det-
te , che tutte non sono per lo suo dosso , gli fac-
ciamo sapere , non poterci noi lodare del suo li-
bricciuolo . Noi slimiamo degno di essere mani-
festato con le stampe quello scritto soltanto , il qua-
le o mostra nuove cose con giusti argomenti , o
ne insegna un modo , onde pii'i facilmente si possa
apprendere ciò che altri prima significarono ; o ab-
batte le dottrine ingiustamente credule vere ; e di-
lettando guida r ingegno al ben oprare . Il Fe-
nolio scriv-endo ciò che era a molti palese ; os-
servando e notando cose già osservate e nota-
te piìj volte ; aggiiigncndo la voce hlcnvn - pjo~
derragia al vocabolario de' medici , dal quale con-
verrebbe toglierne mille di sì fatte : molto meglio
avrebbe operalo , se ad un buon censore avesse
mostrata la sua dissertazione . Non per sapere , se
doveva o no pubblicarla , ma solo per esser certo
di aver ben appresa la scienza altrui . Quello il
De blenna byoderrhagia 39
quale trama" di sapere , ed ammaestrare coloro che
sanno molte altre cose , mettendosi per la via del
vero , prima deve seguitare attentamente la guida
che lo conduce , finché non giunge là dove altri
giunse . Dopo ciò convien che provi col parere de'
savj , se le cose scontrate per lo cammino fuio-
■no da esso sì o no osservate , e ben comprese .
Poscia è necessaiìo che egli torni indietro per fare
la se solo k seconda volta lo stesso viaggio ; e
cercare se mai vi l'osse un sentiero più breve , e più
àcìle ; se chi lo ha guidato la prima volta gli ha
nosti'ata ogni cosa, che ce; e se nel miglior mo-
Od . E quando di nuovo viene al termine , se sente
«1 certo valore, e desidera di andar più oltre,
COI ogni buon'ardire deve sforzarsi di abbattere quell'
osacolo , da cui gli altri furono ritenuti . Per
qiHUo , e non per altro mezzo noi crediamo , che
alctiia volta alcuni pochi possano scrivere per dirsi
auto] giustamente . li se f autorità di molti non.
CI vjitasse di ombrare la fama di coloro , i quali
scrissero nuovi libri , perchè iL caso e non la scien-
za li indusse a veder nuove cose ; noi mostre-
remmo rf infiniti danni recati dalle strane conse-
guenze, r^he questi trassero dalle ìoro scoperte per
nomuiars autori dì grossi volumi . La storia della
medicina ola basterebbe per farne mille luminose
prove .
1 er Crnpiere il nostro proposito , come me-
glio per noi!;i possa , parleremo alquanto dello stile
«el nostro j. Egli scrisse latino ; non però con
quelle voci ,^ con quei belli modi , con cui parlò
la gente ,
„ Che vissta Roma sotto il buon Augusto ;
ma con quel ^gnagglo , che da parenti di na-
tura guasta nac(je nel Lazio , sotto ben altro im-
4o Scienze
pero . Molti nostri cittadini , non vedendo a quple
altezza è giunto il nostro idioma per lo nnlrimento
avuto nel decimo quarto secolo , fecero poco con-
to del parlare italico . Per far prova del loro sa-
pere , inventarono una lingua, che dissero delle
scuole. E con un ardire assai più stolto di quel-
lo, che ebbero le Piche e Marsia allorché pro-
vocarono Apollo , credettero che le loro voci
somigliassero quelle degT antichi e gloriosi . No
recheremo alcune parole dell' oratore romano , l<
quali non disconvengono al nostro ragionamento
affinchè il nostro A., mosso da coscienza, consi-
deri più attentamente i libri di questo latino ; e i
sovvenga del nostro giudìzio. iVè vogliamo cred;-
re che , essendo stato Cicerone letterato e scici-
ziato insieme , non si possa paragonar questi ou
chi tratta di scienze ; essendo certi che il lete-
rato e lo scienziato , comechè talvolta non car-
lino nel modo stesso, e Inno e l'altro d(*ono
sapere e mostrare nei loro concetti 1' art del
ben dire .
Il Fenolio , come dicemmo, pare eh' desi-
deri di essere glorioso : ognuno sa che qu'^to de-
siderio è buono. Cicerone asserisce cìie Taror della
gloria ci sprona , e ci ia operar bene . ,, Joiios alit
artes omiiesque incendimur ad studia , glota . ,,
Ma questa gloria , come tutte le cse deside-
rate da molti, è speso falsificata; e là dove fia sua for-
ma, sempre non è la sua sostanza. L'orgofio, per sod-
disfare la brama de'molti suoi seguaci ,i quello che
sogliono fare taluni artefici, i quali danno l'ap-
parenza di gemma orientale ad una nateria vile ;
ed appagano così la vanità delle antescho , 1<«
quali vogliono somigliare le donne'iccamenle or-
nate . Affinchè il nostro A. non si vago di queste
De blenna pyoderrhagia 4*
ingannevoli Immagini, ponga mente, alle Tuscolane,
là dove si legge : „ Tu ergo quae habent speciem
gloriae^ collecta ex inanlssimis splendoris insignihns^
contcmne : bragia , fugacia et caduca existiina ,, .
Se egli con nuovo valore , e con miglior ardire vo-
lesse cercare la vera gloria per mercede de' suoi scrit-
ti, sappia che il suo volere sarà vano, se la sua
opera non recherà vantaggio o ai cittadini , o alla
patria , o all' umaa genere . Questo ci fa sapere Ci-
cerone parlando a favore di Marcello : „ Gloria est
ilìustris et pervadala multorum et magnorum , vel
in suos cives , vel in patriam , fé/ in oniìie genus ho-
minum Jnnia meritorum . „
L' arte e la scienza de' medici , di cui è
piccolissima parte lo scritto del Fenolio , più clic
ogni altra cosa ci rende facile il sentiero di quel-
la gloria , della quale Tullio ragiona . I medici , se-
condo che scrisse questo principe della romana elo-
quenza , operando perla salvezza degli uomini, mo-
strano di aveie una parte della divina potenza . Ma
non può ognuno posseder quest' arte , e scrivere del-
la sua materia ;
„ Che non è impresa da pigliare a gabbo . „
La medicina non è vana , come taluno crede .
Vane però sono le parole , e gli scritti di molti ,
i quali ingiustamente hanno lama di tenere questa
scienza . Se il Fenolio brama di ragionar di me-
dicina ; prima di pubblicare con le stampe i siud
concetti , mostri la sua opera a quei pochi , che
a buon dritto sono lodati ; e se eglino la terran-
no per buona, la faccia palese ad ognuno , e
sia certo di esserne glorioso .
A noi è piaciuto, parlando della disertazione
del F-enolio , dir queste poche cose intorno talune
opere ; circa X inleiuioue de' loro autori \ e ri-
42 Scienze
Spetto ai giudici che danno valore a quelle . Non
crediamo j)oi'ò clie le nostro parole possino ti'at-
tenere taluni scrittori, o guidarli per la dritta via.
Per liberare le scienze e le arti dal velenoso
incliioslro di coloro , noi vorremmo muovere quei
valorosi , i quali beti potrebbero fare quello , che
noi non possiamo .
„ Poca favilla gran fiamma seconda ;
„ Forse di retro a me con miglior voci
„ Si pregherà perchè Girra risponda.
Né, perchè abbiamo parlato con molto ar-
dire de' difetti altrui, alcuno può riprenderci con
le parole di Orazio :
,, Quid tu?
,, Nulla ne habes vitia ?
Poiché , proseguendo il medesimo canto , risponde-
remmo :
,, Imo , alia , haud fortasse minora .
Non ci è ignoto il nostro scarso ingegno . Noi
abbiamo solamente mostrato di conoscere la strada
del vero ; e di sapere come si deve andar per
essa . I giornalisti possono ripetere a buona ra-
gione questo che Fiacco per sua modestia diceva :
„ Fungar vice cotis , acutum
„ Reddere quae ferrum valet exors ipsa secatidi .
De Crolli*
Annotazioni alla storia del feto mostruoso ec. ylr-
ticolo II ed ultimo di G. Tonelli .
J_Ja forza iriimagìiiatlva dell' uomo ha un grande
impero Sn di esso. Lo comprovano il delirio melan-
conico di un Socrate, di un Pascal, di un Euge-
nio, di un Petrarca, di un Tasso, di un Abelardo,
di un Pìgmalione (a), di un Gaspare Barloeo, e per
fine ( tacendone molti altri ) di un Pietro lurieu'i,
il quale, celebre per dispute teologiche, scritti po-
lemici, e pel suo comcntario sopra l'apocalisse, si
abbandonò alla melanconica affezione di ritenere i
suoi colici dolori, che lo bersagliavano, prodotti dall'
animale fornito di sette capi e dieci corna, di cui
si fa menzione nell' apocalisse medesimo (b). Lo at-
testano altresì i sintomi della idrofobia per effetto di
esaltata immaginazione sperimentati da Temisone , ed
osservati da Franck, da Schmucker, e da Brera; i
sconcerti morbosi, dei quali si querelano gì ìpo-^
condriacirle moltiplici affezioni delle ovaja delle fem-
mine (e) , e r istessa formazione dei corpi lutei, di
che Buffon e Vallisnieri di già parlarono, e che dall'
ili. Roose si credettero ancora in virtù di esaltata im-
maginazione generati. (d) Ne starò io qui a rammentare
la leucorrea, le polluzioni, la ninfomania, e l'onanismo
derivanti da' ripetuti esaltamenti del potere imraa-
(a) V. Brera. Traduzione di Borsieriec: K Prolegomeni pag. iSi.
(b) V. Tissot, Reil, 5'prengel.
(e) Brera. 1. cit.
(d) Cvivier-Lecons d'anatomie coraparée ec Lecon XXIX section I.
Artide IL
44 Scienze
ginatlvo, bastando sol che io rammenti esservi sta-
ti in ogni tempo li più eruditi scrittori, che sul
potere, e sui danni dalla forza d' immaginazione pro-
dotti, bau consegnato alla posterità le più pregevoli
cognizioni (e). Emerge da tali premesse una conse-
guenza giustissima ed evidente , qual sì è, che la
facoltà della immaginazione ha un dominio positivo
ed assoluto sull' umano organismo^ mentre lo assog-
getta alla tirannia dei morbi i più gravi, i più tur-
pi, ed i più incurabili non solo, ma ben anche lo
rende talvolta folle vittima, o unicamente del suo
insano trasporto , o semplicemente di malattie le più
miti, come diverse osservazioni ne leggiamo alla pag,
5o del voi. XX. della Bibhoflièque Medicale sp^^t-
tanti a varj individui, che colla morte han pagato
realmente il tributo della loro stolta credulità a so-
gnate predizioni- Maggior peso acquista V enunciata
conseguenza, ove al finquì esposto aggiunger voglia-
si un' opportuna distinzione fondata sul lume della
giornaliera esperienza, che la muliebre immagina-
zione trovisi neir epoca della gravidanza in un gra-
do maggiore di esaltamento. Agevole in tal guisa
riuscì al sagace Arnoldo Wlenholt (f) di sostenere
il potere della immaginazione materna, e virilmente
combatterne tutte le obiezioni in proposito.
Ciò premesso, a me sembra che non riesca dif-
ficile a concepirsi \ idea del rapporto della mater-
na immaginazione colf organismo del feto racchiuso
neirutero. Il dott. Adolfo Krause, che nella sua citata
(e) Meritano fra qucsù onorevole ricordanza; Zimmcnnann, Clel-
ia esperienza nella medicina. Gap. ii. e 12 del Uh. 4-, non die
Adolfo Krause, De damnis, qu.T ad corpus huinanuni ex imagiria-
tionc rcilnudam (V. Brera. Syllog;C Cc: voi. VII.)
(f) Lezioni sulla origine dei mostri ce: ' '•
Feto mostruoso 4^
opera tatti affidò alF azione dei nervi gli effetti i piiì
nocivi da esaltala immaginazione derivanti, conchiu-
se su ir argomento in discorso con augurare che si sa-
rebbero un dì scoperte le occulte vie finquì ignote,
ma atte a svelare il fenomeno di cui si tratta. ,, Nam
„ etsi neutiquam sura nescius ( 'son sue parole),
,, neminem fuisse inter anatomicos, qui haec or-
„ gana reperisse sibi visus fuerit, ea tamen vere ades-
,, se dubitari non potest, et certissime mihi per-
,, suasLim habeo, ea aliqiiando inventum iri, prae-
„ sertim cum videam, simile quid aliis partibus
,, corporis nostri din prorsus ignotis, tandem vero
,, piena luce illustratis accidisse ,, . (g) . E se il
Wieusscns, il Bradlej, ed altri ebbero ricorso all'
opera 'dei nervi; V autorità però assai veneranda di
im uomo sommo, qual si fu l'Hallero, oscurò per
incanto le opinioni di quegli scrittori col franca-
mente asserire : a maire in Jrstum nulli nervi tran-
seunt . (Il) . Né per f inverso ordine riuscì a que-
sto insigne fisiologo il persuadersene ; giacché se
dietro X esposizione di Bertrandi soggiunse in ap-
presso : etsi aliqui ah hepate ad ligamenta , et ad
umbilicum utique venire possunt ; era per altro di
avviso, che fuori dell' ombelico fosse a lai nervi
precluso Y egresso, e che ivi avessero il lor termi-
ne; sì perchè nemo ( così egli si esprime) accura-
tiorum infunicido .... nervos vidit (i); come an-
che perchè a lui sembrava non essere il tralcio om-
belicale una continuazione delle parti del feto, ma
bensì lo giudicava inserito, aderente semplicemente
(g) L. cit. pag. 143. ( vcd. not. (e) )
(h) L. cit.
(i) Voi. X. lib. 29. sect. III. secundce. §. XIX.
40 Scienze
alla cute del feto is tesso : funicAtlus in ciifis fls'
suram potiiis inscr/us videtiir . (k) Mu sembrami
( se mal non mi appongo ) trovarsi la cosa oggidì
sotto altro aspetto in grazia delle luminose sperien-
ze Agì chiar. prof, di anatomia umana in Bologna
il dottor Francesco Mondini. Questo celebre anato-
mico è giunto a dimostrare con rigorosa evidenza in
virtù dei suoi moltiplicì esperimenti (I), che dal fe-
to si espande, e si prolunga per una continuata in-
tegrità della sua propria sostanza, la cute e 1' apo-
nevrosi dei muscoli dell' addomine, onde formarsi la
robusta ed elastica guaina dei vasi ombelicali . Più:
da tale inviluppo del cordone ombelicale continuan-
dosi progressivamente l'espansione delle accennate
parti del feto, giungono fjuestc lamine alla placenta,
si prolungano sulla interna superficie di rpjesta, ed
oltrepassando il lembo circolare della medesima si
rivolgono d' intorno al feto in modo da costituire
le due membrane amuio e corio , nelle quali tro-
vasi il feto rinchiuso lino al momento di vedere la
luce. Or questa produzione di parti organiche del
lèto medesimo ne istruisce, che dette parti sian for-
nite di vasi e rossi e linfatici , non che di pro-
pagini nervose . Né X estrema sottigliezza dei va-
sellìnì, che per la placenta serpeggiano, può esclu-
dere ivi la presenza dei nervi. Giacché dopo le os-
servazioni di Wrisberg, e di Soemmering, il pri-
mo dei. quali depone aver veduto tanto più molti-
(k) L cit. §. IV. li punto, ili cui disse Hallcro, che gT integu-
menti formano un nolal>iIe anello d'intorno al fuaicolo, si è quel-
lo, in cui la cuticola, giunta alla cosi detta origine del tralcio, non
si estende più oltre mentre la rute si prolunga.
(I) i-ascic. XVII. degli opuscoli scicntilìci di Bologna e Osserva-
zioni iìilorno ag;^ iiiv^lluppi del J'clo umano ce: =3
Feto mostruoso 4?
plicarsi iutorno ai vasi i filamenti nervosi, quanto
più si vanno quelli ad assottigliare; è di parere il
prof. Racclìetti , che le propagini nervose, le qua-
li dappertutto siegiM)no ì andamento dei vasi, fini-
scano Doi in confondere ed immedesimare la lor
i.
sostanza midollare colle ultime estremità capillari,
dalle quali si effettua la nutrizione (m) .
Che se è vero ( come tiensi per dimostrato dal-
le dottrine fisiologiche ) esser grandissimo il coo-
perar dei nervi alla nutrizione, spiegando questi uno
speciale dominio su i vasi secernenti e capillari ,
non che sulle loro l'unzioni di secrezione e di
assorhìmenlo ; e se è vero altresì ( come riceviam
conl'ermalo dalla osservazione ), che Tesercizio del-
la nutrizione, essendo maggiore e più attivo al pri-
mo isvolgcrsi del ieto nell' utero col rendersi succes-
sivamente minore fino al periodo del di lui ultimo
esistere, richiede, che ì efficacia della forza nervo-
sa dehba essere certamente maggiore nella prima età
delTuomo, che in tutte le rimanenti della vita: ne
discende per logica conseguenza, che T attività dei
nervi sia generalmente più energica, più pronta in
quella età delf uomo, che nell utero conosciamo
sotto lo stato di embrione e di feto. Sappiamo d al-
tronde, che dopo essersi le baihoiine della esterior
superficie dell' uovo fecondato rese aderenti ad una
porzione della matrice, ivi principalmente avviene la
nutrizione e T incremento; perchè la di lui placen-
ta, in virtù dei vasi linfatici (n) , dei quali a do-
vizia ridonda questo corpo spugnoso nella sua or-
ganica struttura, è capace per mezzo loro a foggia
(m) L. cit. scz. t|uai-ta cap. Vili.
(n) Schregcr , De funct. placenta uterina; ec; ( V.Brera Sj l!o-
jc ce: voi. 111. pag. 64, e seg.)
48 S e I E >- 2 5
di pianta parasita, a cui la paragonò Osiander (o),
di succhiare nelle cellule dell' utero 1 umor nutri-
zio atto a somministiare al nuovo ospite i mate-
riali del suo rapido ingrandimento. Resta così coti
piena evidenza riconosciuta una immediata corrispon-
denza del feto colla madre; coirispondenza di vasi
e di nervi della madre con quelli del feto,- corri-
spondenza per altro ben diversa da quella delle ana-
stomosi già confutata da Monrò, Simson, Roederer,
ed altri. Che se poi, mentre Haller, Walter, Wris-
bcrg, Meckel giuniore, Schreger, Kunter, Dubois ,
Gardieu impugnano il passaggio di alcun liquido dai
vasi della madre a quelli del feto, piacesse nulladi-
meno di valutare le osservazioni, gli esperimenti, e
pur le induzioni, che da questi ha potuto desumere
lo Ghaussier, si avrebbe una idea di una piij imme-
diata (dirò cosi), più diretta corrispondenza, mer-
cè la comunicazione delle radicule della vena om-
belicale colle vene uterine (p).
Rimane dunque in un modo plausibile provato:
cKè grande T imporo della immaginazione sull'or-
ganismo: cK h maggiore il dominio di qu:>sta nelle
Icmmine pregnanti: che direttamente colla madre
comunica il feto mercè del prolungamento della cute,
e dell' aponevrosi dei muscoli addominali: che. que-
sta comunicazione non è solo di vasi rossi e lin-
fatici; ma che havvi altresì una certa corrisponden-
za dei nervi dell'una con i nervi dell'altro, giac-
ché le nervose rarailicazioni sìeguono ovunque il cor-
so dei vasi , fino ad immedesimarsi colle loro ul-
time estremità capillari: e lilialmente che vi esiste
(o) De causa inserlionis placenta; ec. (v. Urerasylloge ec.Vol.
I. pa;^. 27.)
(p) V. BuUctin de la faculic de incdiciuc de Paris, lanvier ì8ì4-
Feto mostriìoso 49
una maggiore altìvità ed energia del si<;fema nervo-
so del feto in un epoca di tempo, in cui questa cir-
costanza coincide con il grado di maggiore esalta-
mento'della materna immaginazione; esaltamento clie
si disse deriìsnte dalla forza istessa dei nervi. Chia-
ra quindi dalle cose dette emerge la concliiusione,
clic il sistema nervoso della donna incinta posta già
in un maggior grado di esaltamento, se in conse-
guenza di sopraggiunto terrore, spavento, o altro
soBjiglieyol patema d«bba dal suo naturale stato de-
viare, uopo è che ai nervi dell' utero specialmen-
te partepipi una tal deviazione un certo straordina-
rio org;'ismo liipidamente questo comunicatosi alle
i^ertose, propagini appartenenti al feto, e nelle cel-
lule dall utero immedesimate coli' estremità capil-
lari dei vasi, induce quindi col mezzo di esse per
la via degf inviluppi letali fino al luogo della loro
origine una certa impiessione, che riferita ai gangli
del feto istesso determina la produz.ione di quelle
trasfbrmizionì , cambiamenti, mostruosità, che la
giornaliera esperienza ci pone sott' occhio; giacche
ognun sa, che i filamenti nervosi sono disposti in
guisa che non solo si i^accolgono, e riuniscono in
l'ascetti sempre maggiori, ma formano nei gangli cer-
ti centri, e precipuamente , nel cervello ed anzi nella
midolla allungata un centro massimo costituiscono.
Ma, dirassi, in che mai consiste una tal de-
viazione dei nervi dal loro stato normale ! in che
quest'orgasmo! in che questa impressione ' Sarà mai
essa ( rispondo ) quella impercettibile azione, clii^ nel
sistema nervoso si desta dopo il patema; sarà m li
essa che vaglia a produrre un pervertimento nella
composizione naturale dell' umoi^e nervoso, o tur-
barne la proporzione nella di lui secrezione ed assor-
G.A.T.IX. 4
5o Scienze
bimento, per valermi delle idee di Soemraeiing (q)?
Sarà mai essa che riesca a cangiare 1' affinità chi-
mica delle melecole di questo umore nervoso, o a
modificare la di lui l'orza vitale col variare la mo-
bilità , la preponderanza o dell' ossigeno, o del flui-
do elettrico, o del galvanico? Potrà forse essa con-
sistere in una specie di oscillazione, e di scuoti-
mento del principio proprio dei nervi, presso a po-
co somiglievole al comunicarsi del suono per V aria,
se fia lecito adottare la teorica dottrina di Le Pal-
lois (r) ? Si potrà forse dessa stabilire nell' altera-
zione dell' equilibrio delle azioni reciproche di tut-
ti gli elementi delle melecole nervose , ove sia per-
messo di qui applicare le fisiologiche idee del som-
mo Gallini? Or se questa perdita di equilibrio va-
da neir istante istesso a produrre un' analoga altera-
zione nelle vicine melecole, si concepisce agevol-
mente il rapido trasmettersi di una impressione da
una estremità all'altra, dalle estremità senzienti al
centro massimo dei nervi, e quindi per mezzo di
altre diramazioni nervose ai vari tessuti, che van-
no ad essere da queste penetrati. Diffusa così V im-
pressione al sistema nervoso dell' utero, si ricevo-
no queste medesime impressioni dai filamenti ner-
vosi del feto , dotati tutti della stessa forza insita:
ma quinci dalle estremità senzienti del feto diffon-
donsi al centro massimo dei nervi di quesfto nuovo
organismo, donde poi le istcsse alterazioni si comu-
nicano ai nervi diretti alle parli, nelle quali si van-
no ad operare quelle trasformazioni, mostruosità.
(q) Dell' umore che si riassorbe dai nervi del corpo umano
co ce. Memoria coronata in Amsterdam Tanno 1810.
(r) Experienccs sur le principe de la vie, ce. , Paris 1812.
Feto mosirloso 5 i
cambiamenti, che nella lor somiglianza punto non
si discostano il più delle volte dal genio della cau-
sa primordiale, che eccitò la materna immagina-
zione.
Rimarrà per altro sconosciuto sempre il mec-
canismo, con cui vadano (per dir così ) a dipin-
gersi questi effetti nel corpo del feto; rimarrà ad
onta di ciò sconosciuto V ordine, che i nervi ten-
gono neir operare quei cambiamenti, quelle trasfor-
mazioni, che air atto della esaltata immaginazione
materna sussieguono. Con\fintissimo quindi io so-
no, che gli esposti raziocinj non abbiano squar-
ciato il velo, che cuopre il mistero di siffatte opera-
zioni; ma si potrà almeno dire intanto con maggior
fondamento, che in virtù di una violenta emozio-
ne deir animo di una donna incinta avvengano real-
mente certe mostruose alterazioni, alcuni difettosi
cangiamenti nella organica struttura e sviluppi dei
feti. E se per lo innanzi vi era una insormontabile
difiicoltà a concepirli avvenuti, sol perchè a igno-
ravano le vie di reciproco rapporto della madre col
feto; or che io fra gli esposti documenti ho pro-
Jfittato il primo delle anatomiche osservazioni del
sig. Mondini, sembrami ( se mal non mi appongo )
di aver potuto additare la strada di comunicazione
fra la madre ed il feto , onde conoscere la produ-
zione del fenomeno. Fatto un passo nella scienza',
havvi tutta la probabilità, che rinvenir si possa il
sentiero da battersi per progredire innanzi, sol che
si vadano a proseguire ulteriori indagini con inces-
santi fatiche- Non ad un tratto si toglie lo stupore
dell' animo alla contemplazione di certi arcani. Ed
in vero quanti sono, di grazia, i fatti che colpii
scono di maraviglia il patologo nella teoria delle ma-
lattie nervose? Si è mai data soddisfacente e cer-
4*
52 Scienze
tissimà é[)icgazione dol pcrch;'; p. e. il snono deli'
organo lichiamiss» 1 accesso di una rcbbrc terzana
a queir uomo conosciuto da Michel? Del perchè la
donna, di cui fa menzione Felice Plaler, venisse
posta in terribili convulsioni alla sola vista dell' ac-
qua^ do|30chè alla riva di un finine venne abban-
donata dalle sue compagne? Del perchè il soldato,
di cui parla Fabrizio Hilduno, al vedere un dì il
suo nemico, da cui ricevuto avea in duello una fe-
rita, morisse in breve tempo vittima di ribelle
emorragia dalla piaga, che già cicatrizzata riaprissi
alla vista del vincitore/ Sì dice, che la potenza
nervosa ha una certa disposizione naturale a ripro-
durre delle sensazioni vive, che lo hanno una vol-
ta agitato : ma e con ciò abbiam penetrato la se-
greta maniera di agire delia potenza nervosa? Quan-
ti sono ancora gli esempj di persone attaccate da
convulsioni nel momento in cui ne resta un indi-
"viduo sorpreso? Un assai memorabile fatto ne ab-
biamo nel morbo convulsivo propagatosi per la so-
la forza d immaginazione nella casa dei poveri di
Harlem, che ci riferisse Boeraave. Il riso, lo sba-
diglio, le lagrime, ed altri movimenti di tal fatta
entrano pure nel medesimo ruolo. Del terrore , dell'
aramirazioTie, del coraggio, del disprezzo s' investe
ad un tratto una numerosa schiera di persone agi-
tate da' medesimi patemi. Dei quali effetti se rin-
tracciar vorremo la spiegazione; ci verrà soggiun-
to, eh è grande il potere della imitazione negli atti
delia-potenza nervosa; clie per questo magico po-
tere della sensibilità imilaliva tendono tutt i siste-
mi nervosi a porsi ali unisono: ma e con silfatta
spiegazione .abbiam conosciuto Y intima maniera di
prodursi tai fenomeni? Così finalmonle ( e qui chiu-
derò le mie riflessioni onde non rendermi so ver-
Feto mostruoso 53
chiamente prolisso ) se della osservazione di Wer-
Ihoof, il quale vide vari€ donne dopo i parti ialsi
soffrire nel nono mese evacuazioni copiose ed aven-
ti qualche rapporto con i lochj; o se della osser-
vazione di Alibert, il quale vide una signora sog-
giacere ad una specie di travaglio dì colica nel dì
dell'anno, ch'era anniversario di quest'accidente,
si vorrà ricercare una ragione: sentiremo risuonar-
ci air orecchio, che 1' abitudine ha un singolare im-
pero sul sistema nervoso . Ma e da ciò qual idea
ci formiamo di quel processo morboso, che vor-
remmo sapere in qual maniera si eseguisce? Or
quanto più si va ciò ad avverare nel complesso
dei fenomeni tutti risguardanti la generazione, per-
chè ( come avverte fra gli altri Roose ) (s) la cau^
sa generatrice è superiore alle nostre medesime co-
gnizioni! TONELLI.
(s) Raccolta di opere mediche co: Tom. XXIX. „ Fondamenti
della dottrina concernente la energia della Vi7« " J= VenezU iSoa.
54
LETTERATURA
Opere di Orazio Fiacco recate in versi italiani
da Tommaso Gargallo
Tentavit quoque rem si digne vertere posset
Hor. ep. i. l. 2. V. 164.
In Napoli ^ nella stamperia reale 1820.
ì^ono già nove anni decorsi da che il sig, D.
Tommaso Gargallo pubblicò in tre vokimi la tradu-
zione delle odi di Orazio , od il suo lavoro riu-
nì i suffragii della lettrerattira in sua lode. Da
quell epoca si accinse a recar in versi italiani le
opere tutte del Venosino , e di queste la ora do-
no alla repubblica delle lettere . Accompagna la
traduzione con giudiziose note , ed è preceduta da
un ragionato proemio , nel quale e nelle note che
vi sono riunite immensa copia s])iega di erudizione,
e la più savia manifra di ragionare.
Incomincia egli dal porre in vista i migliori
metodi di tradurre, sulle difficoltà moltìplici che
in essi s' incontrano , e lassi in una nota a porre
in ischiera la non scarsa turba dei traduttori
d'Orazio, i^spone gli oblacoli , che oppone ad un
traduttore la soverchia venerazione per T originale,
e vuole che in una specie di gara o duello stia
la traduzioTie col suo origitiale , onde il tradut-
tore come schiavo non si avvilisca , e non si p(iu-
Orazio tradotto dal Gargallo 55
ga ai piedi dei ceppi, che povero , meschino ,
tremante lo rendono . Adotta la divisione del
d' Alambert sul vario carattere degli autori , cioè
quelli che dallo stile traggono la loro eccellenza ,
quelli che per 1 loro concetti l'acquistano, quel-
li finalmente che in ambedue i prcgii riportano
la palma . Passa poscia ad osservare i tempi ne'
quali scrisse Orazio , i legami che i costumi di
queir epoca e le politiche circostanze gli poneano
d' intorno , ed avvedutamente rileva qualche lam-
po di libertà eh' egli lasciò balenare in quel se-
colo di schiavitù . Nel ponderare la disparità clie
nelle odi passa fra Pindaro e Fiacco , oserva co-
me questi abbia imitato i diversi lirici greci , e
come sia il solo lirico , che oppone alla greca
la poesia latina , la quale fino ai tempi di Au-
gusto non ebbe verun lirico , e dopo di Orazio
altro lodevole non sa proporne.
Nella nota decimiquarta ci dà il ritratto di
Orazio , e simiglianlìssimo , perchè dagli stessi
suoi scritti ne trae il disegno ed il colorito , non
avendo quel gran poeta tralasciato di dipingere il
suo corpo, il suo animo, il suo ingegno, e fino
gli stessi suoi diletti . Espone con acutissima pe-
netrazione il carattere di Orazio riguardato come
scrittore, ricavandolo dal suo modo di concepire ,
imagiuare , ed esprimere le sue idee ; e da questo
carattere fa risultare la somma difficoltà , che
porta con se la traduzione delle opere sue : ed
esamina anche con qualche rigore gli svantaggi
della nostra lingua in confronto della latina .
Nella decimasettima nota estrae da Orazio
tutti i più importanti precetti , eh' egli ha dato-^
nelle sue opere suU' ingegno che debbono posse-
dere gli scrittori , supU studii cui debbono dedi-
5C Lettì-raturì.
carsi , sul metodi che debbono seguitare , èv.ìY ele-
ganza che adattare debbono ai costumi del secolo.
Orazio quasi sempre reca se stesso ad esempio in
ciò che insegna , e dimostra che quanto vuol che
si faccia tanto fece egli stesso .
- Dopo aver osservalo il N. A. assai fondata-
mente , che talora spontanea allo scrittore si pre-
senta la traduzione dell' espressione o del concet-
to dell' originale , riconosce che lavoro di dispe-
rato esito sarebbe il tentare simile continua fedeltà
Della traduzione di un opera; ma che però se il
compenetrarsi colf originale è impossibile , 1 av-
vicinarsi ed andargli a fianco è permesso ; e leg-
giadramente adotta il detto del sig. De la Harpe , che
la musica dev' essere la stessa, ma sonata sopra
diverso stromento . Quindi , come geloso della fe-
deltà, per quanto è possibile , osserva che nelle sue
traduzioni si è ingegnato di cercare una simiglianza
di metà con quella delle o di oraziaìie .
Accenna poi con molto buon giudizio il pa-
ralello che Ira molti anlichi e moderni poeti po-
trebbe farsi, e decide che Cicerone, ed Orazio
con lui , non possono trovare fra gli italiani chi
li accoppi!. É ben naturale che parlando della sua
versione parli ancora della nostra lingua, e si pon-
ga in mezzo alle guerrieie zuffe , che su di essa
a' dì nostri si sono riaccese, e che incominciano
dal dubitare del suo nome, e contrastare se tosca-
na o italiana debba chiamarsi . Egli però entra
fra le discordie colla divisa piuttosto di media-
tore che di combattente : quindi non se la pren-
de totalmente contro coloro , che appoggiali al
gran triumviiato di Dante Ftlrarca e lioceaccio , e
difesi dai baloardi del dizionario della crusca , vo-
gliono che la lingua che parlasi di qua da le
Orazio tradotto dai, Gargallo 5^
Alpi debba nominarsi toscana , e dalla Toscana so-
la debba ricevere leggi , ed obbediente osservarle .
Air incontro poi il N. A. non volle farsi
totalmente campione di coloro che, contrastando
alla Toscana il privativo vanto di dar nome al-
la lingua , vogliono che T Italia tutta ed i tanti
dialetti che in essa si parlano abbiano diritto ad
ampliare la lingua stessa , e che la siepe del di-
zionario della crusca non sia impenetrabile a co-
loro che non bevono le acque dell Arno .
Qualche arma a favore di questo diri Ito
comune all' Italia tutta , non proprio della Toscana
sola , la somministra lo stesso Alighieri , e non
può dirsi che per mal umore contra la patria la
somministri .
Dopo il primo sommo triumvirato , che fiorì nel
secolo decimoquarto, il A\ A. ne riconosce un altro nel
secolo decimosesto nelT x4riosto , nel Tasso, e nel
Chiabrera . Il terzo triumviro prevede anch' egli
che da tutti non sarà accolto eoa lieto viso , n^a
trova in lui il pregio di aver alla nostra favel-
la nuove fonti e grecite e latine dischiuse , di
averci risparmiato ulteriore copia di lunghi la-
menti platonici , e finalmente di avere spinto in-
nanzi come promotore il verso sciolto, ed avere
usato in esso epitetare ardito , voci alla maniera
greca composte , nuovo ondeggiamento nelle frasi ,
nuovo gusto di accentuazione , ed in una parola
di aver mirabilmente aumentata la dovizia poetica.
In questo luogo spiega egli tutta la sua propen-
sione a favore dei versi sciolti , e della rima si
dichiara non dirò apertamente nimico, ma sicu-
ramente poco partigiano e fautore. Però egli molto
saviamente desidererebbe, che nelle vastissime regio-
ni poetiche si dividessero in certo modo le proviu-
58 Letteratura
eie , ed alcune se ne assegnassero alla rima, come
r anacreontica , la lirica; ed altre poi, come la di-
dascalica , 1' epistolare , V umile e pedestre sermo-
ne restassero proprii del verso sciolto. L' epica an-
cora inclina ad assoggettare al dominio dei verso
sciolto ; ma parmì che dillìcilmente otterrà il ver-
so sciolto superiorità sulle ottave, che coi sublimi
poemi deir Ariosto e del Tasso hanno acquistato
già i diritti di prescrizione in loro favore . Ancora
non abbiamo imponente esempio di poema epico
eseguito in versi sciolti , e f Italia liberata da Go-
ti ne dà uno non molto soddisfacente, se pure non
vuoisi riflettere che scritto fu quel poema prima
che tal verso fosse dal Chiahr.'ra alzato a maggioro
dignità . Egli destina Ja provincia delle traduzio-
ni al verso sciolto , e non gli si può opporre il
suo proprio esempio che così bene nelle tradu-
zioni delle odi fece uso della rima ; perchè avea
egli già concessa la provincia della rima alla lirica.
I precetti e le massime , che va TA. svilup-
pando e -nel proemio, e nelle note , chiaramente
dimostrano quanto gli è a cuore la diffusione de' buo-
ni principii nella gioventù .
IVeir annoverare i pregii del verso sciolto e di
coloro che tal modo di poetare adottarono , non
lascia di osservare che , dopo la metà dello scor-
so secolo , il Frugoni ed altri , fra' quali eminente
grado occupa il Parini , diedero esempii della no-
biltà delia vaghezza della iacilità con cui per
mezzo di esso il poeta può libc-ro dalle stretture
della rima esprimere , nobilitare , ingentilire ogni
concetto .
Per prova che ciò anche nelle tiatluzioni ac-
cade , cita la traduzione del Cesarotti e in parti-
Orazio tradotto dal Gargallo 5<)
colare quella cV Ossian , sicuramente la prima Ira
le altre di simile scrittore . Crede il N. A. simi-
le il verso sciolto ad una cera , che V impressio-
ne del modello che vuol copiarsi fedelmente
ricava .
Riconoscendo lo scrivere in verso anteriore
sempre allo scrivere in prosa , fassi a sviluppare
r influsso che ha il verso sopra la prosa , ed ispi-
ra poi agli studiosi della lingua il dissetarsi ai i'onli
greci € latini , ed a ragione argomenta che se so-
pra questi il Dante, il Boccaccio, il Petrarca forma-
rono il loro stile , aucor noi detti originali dob-
biamo prendere a nostri esemplari . Pur troppo li
perde di vista il seicento , e nelle tumide metafore
e negli acuti concetti andò ad ingollarsi ! E li
perde di vista anche il seguente secolo in buona
parte della sua età , quando si fece vanto delle
altilature francesi , senza ponderare quanto dalla
francese sia V ìudo\e della nostra lingua diversa .
Esamina il nostro autore eh' è vana scusa il cre-
dersi obbligati a ricevere esempii di semplicità ,
o concisione , di vibrazione , di energia presso gli
scrittori oltremontani , quando non vi ha foggia di
scrìvere in cui gli antichi non sieno stati eccel-
lenti ed imitabili . Finisce il proemio giovandosi
deir esempio del sommo Alighieri , che a Virgi-
lio come a fonte di ogni sapere si volse, e ben
avvedutamente lo chiamò suo maestro e precetto-
re di quello stile, che gli procacciò tanto onore.
Ci siamo ingegnati di dare una qualche idea
di questo proemio ; ma è impossibile il darne un
esatto estratto , perchè tante e tante cose racchiude
altre magistralmente trattate , altre accennate più
rapidamente , ma sempre con bravura e Tcrità ,
/
6ò Letteratura
che bisogna riraeltere i loggilori all' opera stessa.
Sì nel discorso che nelle copiose note tro\ ansi ad
ogni passo , e savii precetti , e forti argomouti ,
e belli esempii: onde ne ritrarrà certamente istru-
zione somma la gioventù , ed i dotti saranno ben
soddisfatti dei lumi e del sapere di cui sono
sparsi ,
È giusto il notare , che quanto il N. A. in
tanti e sì varii modi dice ed insegna , tutto pe-
rò si riduce ad aver relazione al suo Fiacco , e
tutte le sue idee come raggi al centro nella sua
traduzione coincidono . Lo stile con cui ò sciit-
to questo proemio è sostenuto ed elegante , sen-
za affettazione e armonioso; onde la giacitura del-
le frasi alla fecondità dei pensieri assai ben cor-
risponde , Anclie le note sono elegantemente scrit-
te, ma con un modo più fluido e più semplice,
quale si conviene a materia che deve istruire .
Ripetiamo , che poco abbiam detto in parago-
ne del molto che potea dirsi di questa prosa , che
precede la traduzione di tutte le opere del Ve-
nosmo , di cui daremo un saggio nel seguente ar-
ticolo .
( Sarà contimaito ) .
Gian Gherardo de Rossi
La corona ferrea del regno (T Italia:,^ considerata i.**
come monumento di arte^ 2." come monumento
storico, 3.'* come monumento sacro . Memoria apo-
logetica di Angelo Btllani canonico nella regia
insigne basilica di Monza ec. , Milano dalla ti'
pograjìa Girtori 1819.
\X sig- canonico, Bellani dimostra con molto suo
.onore la sciocchezza di quella volgare ' ^Opinione,
che le persone assiduamente occupate nelle sagre
salmodìe non sieno ordinariamente applicate agli
si^udj- Vero è che i corpi ecclesiastici più illustri ,
come il suo capìtolo, sono lodevolmente tenaci de'
loro privilegi e delle loro prerogative: ma è vero
ancora, che se il desiderio e lo zelo per sostener-
le è in quelli comune, non sono spesso comuni i
mezzi per difenderle scrivendo . 11 signor canoni-
co Bellani dà un esempio degno d imitazione di-
fendendo la corona ferrea, 'la cui il suo capitolo
riceve tanto splendore , con gran copia di scelta eru-
dizione, con satia critica, e con uno stile sodo, e
adattato al soggetto : nel che egli ha un doppio me-
rito, mentre egli scrive giustamente così come il
suo argomento richiedea, benché si vegga chiara in
lui r inclinazione per quelli, che il recentissimo ed
eccellente traduttore di Ciazio sig. Tommaso Gar-
gallo chiama graziosamente puritani .
Parca \ eramente , che avendo di questa co-
rona parlato sin dal secolo XV il gran Pio li,
più conosciuto sotto il nome ài Enea Jsilvio, aven-
done poi sul principio dello scorso secolo ampia*-
mente trattato il Muratori , e il Fontanini , e lo
(>2 Letteratura
stesso gran pontefice Benedetto XIV , mentre era
ancora promotore della fede , e avendo finalmen-
te la sagra congregazione de' riti sin dal 1717.
pronundato il suo oiacolo in favore del culto im-
inemorabile di essa corona , fosse ormai tempo di
tacere . Ma la iavenzione della stampa , che pur
tanto si loda , facilitandone i mezzi , ha moltipli-
cate pur troppo le occasioni di pubblicar cose inu-
tili , se non anche spesso dannose . La sola sco-
perta di un monumento sino ad ora sconosciuto,
da cui meglio si rilevasse la storia di questa co-
rona , con cui più agevolmente potesse formarse-
ne giudizio , sarebbe a parer mio capace di giu-
stificar nuovi scritti. JNulla si è scoperto di nuo-
vo , ma r autore dell' opera S Del costume an^
fico , e moderno di tutti i popoli . Milano 18 17. S
Ila creduto di accennare e di ripetere ciò , che
già cento volte era stato detto contro la corona
di ferro , eccitando così la collera del sig. cano-
nico Bellani, e facendogli scrivere il libro , di cui
ora si tratta ; nel quale per verità ammiriamo ,
come si è detto , la varia erudizione , la buona
critica , ma nulla similmente vi troviamo di nuo-
vo . Contro 1 autore del costume egli non ha ve-
ramente scritto se non che il discorso preUmina'
re , ma la sua opera la corona ferrea , di cui par-
liamo , è stata scritta in questa occasione . Il peg-
gio poi si è, che , come il sig. canonico accen-
na nel suo avvertimento (1), il sig. abate D. Giu-
lio Ferrarlo autore del cosiume ha pubblicata un'
appendice contro la corona ferrea anche prima
ciie il sig. canonico avesse terminato di scrive-
re , e peggio ancora sarà , se questo mio debole
estratto , in cui non si trovano nuovi documenti,
■ I II I I - i''
CO P. 208.
Della corona ìehuea 63
ma riflessioni nuovissime , darà inoli vo all' uno e
air altro di scrivere ulteriormente ; il che però io
bramerei , se le nuove mie congetture si trove-
ranno fondate .
Nel discorso preliminare il sig. canonico si
fa carico di osservare diverse cose del costume ,
che nulla hanno di comune colla corona ferrea .
Per esempio non approva (»3 ) che il sig. abate
D. Giulio chiami /' Europa la pia piccola della
parti ond' è composto il ^lobo terrestre , quasi che ,
dice il sig. canonico , si trattasse di niente più ,
di un granello di sabbia ; e dimanderebbe volen-
tieri, quali saranno le altre parti piccole del nostro
globo , e quali poi dovranno essere le grandi • La
picciolezza dell' Europa viene dal sig. canonico con-
siderata Jìsicamente , essendo egli assai versato nel-
le scienze fìsiche , ed essendo venuto una volta
a Roma (4) a solo oggetto di veder ripetuta Y es-
perienza del professore Morichini intorno al ma-
gnetismo de' raggi solari , e andato a Napoli per
vedere la fusione del sangue di s. Gennaro . E
certamente considerando 1' Europa in senso Jisico
egli avrebbe ragione di non ammettere , che que-
sta fosse la più piccola parte del globo , nientre al-
meno ci sarebbe per esempio Monza eh' è ancor
più piccola . Ma X autore del costume considerava
ginstamente 1' Europa secondo il suo oggetto in
senso geografico , e in questo senso essendo so-
lamente quattro le parti del globo , è una verità
manifesta , che 1' Europa è la più piccola , seppu-
re il sig, canonico per il granello di sabbia non
intende le terre australi di fresco scoperte ,
(3) P. 3.
(4) P. i85.
C)4 L 1^ 'f i' E H A T U Tl A
Ma lasciando , che il sig. canonico si di-
verta per ben venti pagine del suo discorso pre-
liminai'e col sig. ahate in simili censure , che
per niente appartengono all' argomento della coro-
na , non po'^sianio non convenire con lui degli er-
rori del sig. abate nel supporre , che le cronache
iwonzesi asseriscalo, chq, la, corona tu donata, da
s. Gregorio Magno alla regina Teodelinda , che la
corona imperiale era dalla monzese diversissima»
e nei dire altrettali cose dette già cento volte prima
eli lui , alle <juali il sig. canonico rispontle sirail-
hiente con altrettsinte cose già dette, è che noi
per non cadere in ripi'tizioni in questo stesso estrat-
to ci riserbiamo di brevemo'ute or ora esaminare,
passando ìdal discorso preliminare alla memoria
apologetica del sig. canonico .
Questa opera è divisa in tre pai '^ 7 come
promette il suo titolo; nella prima ,. in cu^ si con-
sidera la corona come monumento di arte , si dà
una diligente e minuta descrizione di essa , la
quale esaminata , tenendo sotto gli occhj 1 incisio-
ne che accompagna il frontespizio , ne (là una ba-
stante idea anche a chi non ha vedutp T origina-
le . Si maraviglia il sig. cauonicp (5) clic in uno
de' due campi quadrilunghi, ppsti all' estremità del-
la corona, non si siegua il medesimo disegno degli
altri, mentre trovandosi In tutti tre gemme, iil
questo si vede una sola gemma in nie/-zo a due
rose d' oro , e crede che iiivano si cercherebbe
d' indovinare i motivi di qubsta diversità . Non
pare peraltro così dillicile lo spiegarla , mentre p
si consideri la corona come un diadema, che do-
vea cinger la parte anteriore della IrouLe , e legar-
(5j P. 6.
Della corona ferrka C5
si nella parte posteriore del capo con fosco penden-
ti sugli omeri , coni' era proprio di tutti i dia-
demi , o si consideri come vera corona, riunite le
due estremità del diadema con una cerniera e sen-
za fasce , per mettersi o nella sommitìi del capo in
una momentanea cerimonia , o per mostrarsi al po-
polo sopra un altare, die non dovesse essere ar-
bitrario ed indifferente il porvela ora in un modo ,
ora in un altio , di modo che quella parte , die
una volta fosse posta nel Lasso , e in conlatto col
capo o coir altaie , potesse un' altra volta esser
la più alta . La diiferenza dunque di uno de' due
estremi era sempre necessaria per ottener questo
elFetto , servendo per coUocar sempre uno de' due
nel lato sinistro , 1' altro nel destro . E volendo
anche aprir la corona , non era egualmente neces-
sario un indizio per conoscere da qual parte con-
veniva tentarlo .
Trovo poi giustissime le due conseguenze (6),
che l'autore deriva dalla descrizione ; cioè i. che
in origine questa corona era un vero diadema , 2.
che questo diadema non fu in origine destinato
a contenere il circolo di ferro , e che questo cir-
colo fu adattato posteriormente al diadema , ed
è da esso indipendente. Il diadema essendo aper-
to , egli soggiunge , nella parte posteriore veniva
allacciato al capo con fibbie o con bende , e si
Vede perciò , che il circolo di ferro vi fu adat-
tato posteriormente . Ditfatti a che servivano le c^n-
niere , e che bisogno vi era di fare un civcolo
di oro gemmato che potesse aprirsi in sei parti ,
se doveva essere circoscritto da un altro circoio
di ferro tutto di un solo pezzo ?
(6) P. 9,
G.A.T.IX. 5
CG L E T T ;é R A T u n A
Riflette ancor giuslunirnte T autore (7) , die
se un rozzo pezx-o di (erro , eh' è Ira i metalli il
più ignobile , fu coperto , e custodito frali' oro
e le gemme, è lòrza supporre in esso un qualche
non comune valore. E qui il sig. canonico anche
prima di terminar la prima parie cle>iinata al mo-
numento d arte, passa (8) all' improvviso al testi-
monio di sant'Ambi ogio , che pai èva dovesse aver
luogo nella seconda desLinata al monumento storico.
Ma ciò poco importa . Aoi ci trattenemo alquan-
to sul testimonio di sant' Ambrogio , che al parer
nostro è 1 unico monumento , che merita in questa
fiialeria un profondo esame ; e ci pare in veri-
tà , che questo esame non sia stato fatto , come
si convenix a , non già solamente né dal sig. cano-
nico né dal sig. abate , ma neppure dal Murato-
ri impugnando 1' autenticità e la santità della co-
rona , e neanclie dal Fontanini , che intraprese a
difenderla .
Il santo arcivescovo di Milano nella sua ora-
zione funebre dell imperatore Teodosio , che reci-
tò in presenza di Onorio iiglio di Teodosio stes-
so , e dal padre dichiarato già imperatore di oc-
cidente , dal paragrofo 4^ ■> secondo 1 edizione de'
padri di s. Mauro, sino al § jG , cioè sino al
iine parla sempre di sant' illena, della croce del
divin Redentore da lei trovala , e piiì specialmen-
te de' chiodi di quella , e dell uso , che sant* fi-
lena e Costantino ne fecero . In somma un' in-
tiero terzo dell orazione in niente altro si aggi-
ra , che sopra questi chiodi , ricavandone bensì di
tratto in tratto delle riflessioni morali . 11 sig. ca-
(7) P- 20.
(«) P. 2-2.
Dklla coroxa terrea 67
nonico di questa orazione non riporta che un
breve estratto , appena eguale ad un solo dei sedici
paragrafi , ciie il santo impiega in parlare de'chio-
di ; ed io in gran parte lo scuso , mentre nulla di
pili avean latto il Muratori e il l'^ontanini .
10 sto scrivendo un aiticolo per il nostro gior-
nale , e non già un trattato sulla corona di t'er-
ro . Credo dunque dì esser ben dispensato dallo
scrivere un' opera suU' orazione di sant' Ambrogio.
Comunicherò solamente al sig. canonico alcune
mie idee , che approvandosi in tutto o in parte
da lui , potranno dargli occasione di rispondere all'
appendice del sig. abate e di produrre argomenti ,
che da nessuno ancora sono stati prodotti. Convie-
ne però riflettere , che non si possono aspettare in
questa materia delle piove geometriche; bisogna con-
tentarsi di una probabilità morale .
11 Muiatori , il Fontanini, e il sig. canonico si
contentano di considerare ciascuno pel loro ogget-
to il semplice cenno del fatto , e le parole col-
le quali sant' Ambrogio dice', che sant' Elena, oltre
la croce, cercò e trovò anche i chiodi, e di que-
sti chiodi , fraenos fieri praecepit , et diadema in~
texuit , unum ad decorem , alterum ad devotionem
vertit, Misit itaijue filio suo Constantino diadema gem-
mis insignitum . Misit et fraenum . Il Fontanini ,
te il sig. canonico da queste parole concludono ,
che la corona di Monza è quello stesso diadema ,
che sant' Ambrogio dice fatto da sant' Elena , e
non parlano del freno di Milano . Il Muratori poi
tacendo anch' egli sul Treno di Milano , prende ar-
gomento , come il sig. abate D. Giulio , dalla
dissomiglianza delle medaglie per concludere, che
la corona di Monza non è il diadema da sant' E-
ena mandato a Costantino .
5 '^
G8 Ij ette u a T V R A
Io domando perdono a tutti e tre , o a tilt-,
ti quattro , se mi Io ardito di sospeltarc; , che U
corona ferrea sia il vero diadema da s. Eiena man-
dato a Costantino, appoggiando però la mia conget-
tura sopra fondamenLi afl'atto nuovi , e affatto di-
versi dai loro . Dirò in appresso perchè io sia in-
timamente persuaso , che quando sant' Ambrogio
pronunziò la sua orazione , il freno e il diadema
erano già in Italia . Per ora osserverò , che non
è niente incredibile , che alla morte di Costantino
queste due preziose reliquie passassero in dominio
di Costante di lui lìgliuolo . 1 figli , che Costanti -
no lasciò , furono tre , e fra questi egli divise
r impero . Ognun sa , che F Italia toccò in sor-
te, a Costante ; ognun sa , che Costantino II in-
Tano tentò d'impadronirsi degli stati di suo Catel-
lo Costante e brevemente visse e regnò . JNessu^
no ignora del pari , che Costanzo , altro figlio di
Costantino , eh ebbe in sua porzione F oriente ,
non fu imitatore del padre ne sentimenti di religio-
ne , perseguitò sant'Atanasio , e protesse gli ariani ;
al contrario di Costante , che loro si oppose , e
difese sant' Atanasio contro il fratello , fece con-
vocare il concilio di Sardica , e procurò di estin-
guere in Africa lo scisma de donatisti. Ora io do-
mando a quc' quattro signori nominati di sopra ,
o almeno ai due vivi che possono rispondermi ,
cioè al sig. canonico e al sig. abate , a quale di
questi tre figli di Costantino è più probabile, che
fosse a cuore d impadronirsi , e di conservare i
due preziosi pegni ^ Sarà ben forza , eh' essi con-
vengano, che la probabilità è per Costante , buon
cattolico , che mai non ismentì questi suoi senti-
menti . E Costante fu padrone d' Italia , e vi por-'
lo i sagri pegni . Se F amor proprio iioii m' io-
Della, corona terrsa 69
^•ànna , non è questa cougettura da disprezzar.si .
Ma sia per vana . Facciamone un' altra .
Nulla sappiamo di que' sagri pegni sotto Giu-
liano , Gioviiìno , Valontiniauo , Vaiente , Grazia-
no , e l'altro Valentiniano , che successero nell im-
perio sino a Teodosio . Sappiamo però , che Teodo-
sio morì in Milano , dove sant Ambrogio pronunzio
l'orazione funebre; ; sappiamo , eh' egli divise il ro-
mano imperio in orientale ed occidentale , e che
quest' ultimo toccò in sorte ad Onorio ; sappiamo ,
che aggravandosi lidropisia di Teodosio, egli chiamò
a se Onorio a Milano , e fialle sue braccia mori .
Sappiamo dalla stessa orazione di sant' Ambrogio ,
che Onorio dovendo attendere al goveruo di occi-
dente, l'utilità pubblica , come dice il santo , gì im-
pediva di accompagnare il cadavere del padre a Co-
stantinopoli . Ora a chi sa tutlo questo , eh è della
più incriticabile certezza, io domando come sia pos-
sibile d'immaginare , che sant' Ambrogio impiegasse
un terzo della sua orazione , pronunziata in presen-
za di Onorio , in parlar sempre de' santi chiodi , se
questi chiodi non fossero sin d' allora in Milano ,
anzi forse nello stesso luogo ove il santo declamLi-
va , o portativi prima da Costante , o da Teodosio ,
o posteriormente da Onorio quando vi fu dal padre
chiamato ? È egli possibile di concepire , che il san-
to vescovo per sì lungo tratto del suo discorso vo-
lesse trattenere Onorio su di un fatto accaduto più
di sessant' anni prima , su de' chiodi , che o non
si sapeva dove fossero , o erano in- Costantinopoli
in tanta lontananza , e tutti gli altri ascoltatori ,
che forse di tutto questo erano ignari ?
Principium itacjue credentium imperatorum , di"
ce s. Ambrogio in un luogo non allegato dal sig. ca-
nonico né dagli altri , l'adendo allusiou© al profa-
^o Letteratura
ta Zaccaria , sanctum est quod super fraenum ; ex
ilio Jides ìtt persecutio cessarci , devotio succederet.
Mette poi in bocca ai giudei — Ecce et clavus in
honore est , et quem ad nwrtem impressimus , reme~
dium salutis est . Ferro pcduni ejiis reges inclinan-
tur , reges adorant , et photiivani di^'iiùtntem ejus
negant ? Clavum crucis ejus diademati suo praefe-
runt imperatores , et arriavi potestatem ejus im-^
ininuunt ì Sed quaero : quare sanctum super frae-
nwn^ nisi ut imperatoriam insolentiam refraenaret^
comprimeret licentiam tjrannorum , qui quasi equi
in libidines adhimdrent , quod liceret illis adulte-
ria impune covimitlere? Quae Neronum^ quae Cali-
gularum , caeterorumque probra comperimus , quihus
nonjuit sanctum super fraenum. Quid ergo egit aliud
Helenae operatio, ut fraena dirigerete nisi ut omni'
bus imperutoribus sondo dicere spiritu viderelur —
ìtolite fieri sicut eqitus et mulus , sed in fraeno et
chamo maailìas eorum comtringeret ?
Gli ultimi sedici paragrafi dell' orazione sono
tutti scritti dello stesso tenore , volendo Ibrse il
santo nello stesso discorso , in cui lodava le virti'i
del delonto padre , ammonire il figlio che T ascol-
tava , e preservarlo da qualunque pericolo potes-
se esporlo alla penitenza , che il santo stesso avea
già coraggiosamente imposto al padre per }a stra-
ge di Tessalonica . Nessuno potrà mai persuadermi,
che tutte queste morali sentenze potesse il santo
dedurle dai sagri chiedi , se questi fossero stati
mille miglia lontani , o non si sapesse dove fos-
sero . A me pare alT opposto , che tutte queste
allusioni ai sagri chiodi in sì lungo tratto del di-
scorso , possano a maraviglia concepirsi, qualoia
essi fossero in quel medesimo luogo , ove V ora-
zione si pronunziava, qualora anzi forse, doven-
Della corona, ferrea
71
do Onorio prender possesso del suo irhperio oc-
cidentale , avesse già fatto uso o dovesse farlo in
quei giorni del freno e del diad ma , e molto più qua-
lora li avesse il padre o egli stesso portati poc anzi da
Costantinopoli . Diversamente Onorio , e la numero-
sa udienza che ascoltava quella lunga perora >;ioae ,
si sarebbe assai maravigliata di tale inaspettata
digressione , allusiva a cose che specialmente il
volgo doveva affatto ignorare . E Onorio avrebbe
potuto pensare in cuor suo , che quelle ammoni-
zioni punto non lo riguardavano , perchè desunte
da due chiodi , clie egli non aveva mai avvici-
nati , e non dovea mai più vedere , non andando
a Costantinopoli : ed erano solamente applicabili
ad Arcadio suo fratello , eh' era rimasto in orien-
te , e che non ne profittò esiliando e persegui-
tando il gran Crisostomo .
Non sono io solo , che mi maraviglio della
incongruenza di que' sedici paragrafi . I padri di
s. Mauro se ne sono anch' essi maravigliati . Sed
quorsum ^ essi dicono, in Theodosii laudatione Im-
jusmodi excursio in crucis inveniionem ? La ma-
raviglia dunque par giusta , e non trovo altro
modo di escluderla se non supponendo la presen-
za de' santi chiodi . Se fosse mai possìbile , che
io avessi l'onore di divenir canonico di Monza,
vorrei fare un lungo studio per renderla assai più
probabile e forse evidente , esaminando ben minu-
tamente quanto narra la storia , prima de' tre figli
di Costantino , poi de'due figli di Teodosio , e dì
luì stesso , e forse non mancherebbero i mezzi per
appoggiar sempre meglio queste mie congetture .
Io non posso assolutamente adottare le con-
getlure altrui , ne il dono fatto da s. Gregorio
Magno a Teodelinda regina de' longobardi , e mol-
^j Letteratura
to meno quello di Foca al di lei figlio Agilulfo .
La prima di queste ipotesi , benché il sig. cauoni-
00 la dica sostenuta dalla comune tradizione , non
pare egli molto inclinato ad ammeltc^rla . Ed ò
A ero , che s. Gregorio fu inviato apocrisario a Co-
stantinopoli dal papa Pelagio II, e che ivi mol-
to bene T accolse T imp<-rator Tiberio secondo, ma
il dedurre da questa sola buona accoglienza , che
Tiberio gli donasse il diadema, mi pare in veri-
tà un sogno . Altro sogno mi pai'e , che s. Gre-
gorio innalzato al pontKicato si privasse del do-
no , e r inviasse a Teodelinda ; tanto più che nel-
le lettere, eh' egli scrive a Teodelinda, si trova
la nota delle molte reliquie che le mandò , e
non si parla mai de chiodi , che sarebbero stati
i primi a notarsi ,
Il Muratori poi dice , che s. Gregorio non
fra molto facile a privarsi delle preziose reliquie,
e negò a Gostantina augusta il sudario di s. Paolo .
E aggiunge, che il Sigonio non asserisce che s. (ìre-
gorio donò la corona a Tcod(;linda , ma che la co-
rona fu l'atta fare originalmente da questa regina .
E si crede, eh' ella fece coprire il circolo di l'er-
ro dalla lama di oro giinmata per avvertire i so-
vrani , che la corona r, un peso , che soveiJe op-
prime colui che la porla , e di cui ciò non ostan-
te il peso si dissimula per lo splendore delf orna-
mento , che abbaglia la vista . Ma se questa prin-
cipessa avesse voluto fare questo metallico epigram-
ma , giù non si tratterebbe più di alcun chiodo ,
avrebbe fatta una corona non divisa in sei pe/./i ,
e avrebbe fatto corrisponderti al buon lavoro dell*
ornamento , che non è certamente opera de' suoi
tempi , una maggior nettezza nel circolo di l'er-
ro più forbito , che al coulrario sappinmo
t)ELLA CORONA FERREA ^3 \
dal sig. canonico eli' è assai rozzo , e conserva
le vestigia del martello e della lima . Un altro
epigramma sullo stesso proposito è del famoso giu-
reconsulto Baldo 1= Quippe Daniel propheta , egli
dice , quatuor orbis regna niajora describens , ul-
timiim , quod nostri romamim esse volunt , ferro
comparavit , quoniam sicut ferrimi onuiia metalla
comminuit , sic omnia regna romanum imperium
detrivit. Ma Enea Silvio , che lo riporta , chiama
giustamente questo legale epigramma : slulta iii-
terpretatio .
L' altra ipotesi poi del dono della corona fat-
to da Foca ad Agilulfo, benché sia più gradita
al sig. canonico (9) , a me in verità piace assai
meno ; mentre Foca usurpatore, che a^evct scan-
nato Maurizio e i suoi tigli , affettando da prin-
cipio molta divozione , è improbabile die voles-
se privarsi di quel sagro diadema ; e dal caratte-
re rapace , che la storia ne fa , sarebbe forse cre-
dibile , che si fosse privato del solo chiodo , ma
non mai delle gemme che \ adornavano . E d' al-
tronde non per altro il sig. canonico inclina di più
a questa assurda ipotesi , se non perchè Paolo Dif(->
cono , che scrisse tre secoli dopo Foca , dice, eh'
egli rimandando in Italia Stabiliciano , che A^'i-
lulfo gli aveva spedito insieme co' suoi ambascia-
tori , questi : Agilulfo regi imperialia numera obtu-
lere. In queìi" imperialia mimerà, che realmente nien-
te altro significa che i co zi delt imperatore , il
sig. canonico trova il diadema .
Io non mi occuperò punto della seconda pai-
te destinata al monumento storico, mentre in que-
sta non si fa che confutare capo per capo T o-
^y; Jf. lai.
y4 -J^E TTERATURA
pera del Muratori , e dlconrlo lo stesso sig. cario*
nico (io) che poco importa , che un re o un
imperatore di più o di meno sia stato coronato con
quella corona , e in queste ricerche difTondendosi
piincipaìmente il Muratori sino al cap. i8, po-
tè a in verità sino al detto capo , che si esamina
nella terza parte, risparmiarsene la fatica . Il Mura-
tori cessa allora di parlare delle coronazioni, e par-
la della corona . A lui pare più probabile , che
sant' Elena facesse inserire il santo chiodo nelf el-
mo di Costantino piuttosto che nel diadema , co-
me dice sant' Ambrogio . Et prqfecto ^^ adhi-
hita quam par est Sniicti Amhrosii ve? bis re-
verentia , cequiiis vedebatur cassidi quam coroiice
Costantiìii clavum inserere\ ut enim singuli aneto-
res fatentuì\ covsilium Imjusmodi Helena augusta
inivit , ut (ìlium dum ade cum hoste co njligeret^
divina virtute clavis indita incolumem tueretur. E
continua poi osservando al contrario, che nella guer-
ra portandosi alia vista degT inimici ornamenti pre-
ziosi , questi accrescono il pericolo di chi li por-
ta. E il sig. canonico , per evitare X obiezione del-
la picclolezza della corona incapace di cingere una
testa adulta, si figura, colfauturìtà di qualche scrit-
tore, che Costantino non la portasse in capo, ma
sopra l'elmo, adattatavi in qualche modo . Mi pa~
re che s' ingannino ugualmente il Muratori e il
sig. canonico , mentre questi espone Costantino al
pericolo di esser più facilmente conosciuto , e più
avidamente combattuto: e il Muratori non ha ri-
flettuto, che portandosi quel sagro chiodo e quel
diadema per ottenerne niiracolosamentc la salvez-
za , era br-n IndifFtTente il portarlo nascosto nel pet-
to, e anche in tasca, piuttosto che sopra rehno.
(io; P. 72.
Della corona ferr?:a ^5
Al Muratori , che non vorrebbe assolutamen-
te che in quel diadema vi fosse il sagro chiodo,
pare impossibile che sant' Elena abbia commes-
sa r irriverenza di assoggettare un ferro così san-
to al fuoco, e al martello, e alla lima. Sant'Am-
brogio nulla trova d' indecente in questa ope-
razione , che loda molto : e il Fontanini riflotte
bene , che anche la santa croce ha dovuto sotto-
porsi ad esser divisa in tanti minuti pezzi per au-
mentare da per tutto la venerazione , e tutto gior-
no le reliquie si tagliano per moltiplicarle . T*o-
veva il Muratori piuttosto maravigliarsi de' due
tanto diversi destini de' sagri chiodi , mettendone
uno sulla testa dell' imperatore, e 1' altro nella boc-
ca di un cavallo . Bcncliè neppur questo Secondo
uso sembri indecente a sant'Ambrogio, tuttavia io
credo che ne nostri tempi non si adotterebbe ; e
dirò anch' io , cuìhihìta quam par est reverenda tan-
to a 6. Ambrogio che a sant' Elena , sospetto ,
che a questa principessa ne venisse il pensiero dal
suo antico stato ; mentre , sebbene il card. Ba-
roni© la creda figlia di un piccolo re britanno ,
sant' Ambrogio nella medesima orazion funebre di
Teodosio , in cui , come ho detto , tanto lunga-
mente si occupa di sant' Elena , dice di lei : sta-
bulariam hanc primo Julsse oderunt^ sic CGgnitam
Constantio seniori^ qui postea. reg^num adeptus est;
e molto poi discorre su questa antica condizio-
ne di sant' Elena. San Girolamo poi cementan-
do il profeta Zaccaria non chiama espressamente
indecente , che un santo chiodo fosse destinato al-
la bocca di un animale , ma sembra che lo pen-
si , non approvando 1' applicazione a quel freno del
passo di Zaccaria ^ Sanctuni est quod super J'rce-
num c elidivi a quodam , dice s. Girolamo , reni
'jti Letteratura
sensu quidem pio dictam ^ sed ridiculam^ cla^'os r/ò«
minicce crucis , e quibus Constantinus aiigùsfus
J'r<enos equo suo fecerit , sanctum domini appclla-
ri ti; Quibus verbis , osservano i maur'mi, Ambro-
sium ab eo tacite vellicari jiou ambigimus.
In somma se il sig. canonico vorrà fare una
bdlisslma opera , avendone sicuramente i talenti
opportuni , come ha mostrato in questa , dovrà
scordarsi affatto di tutti gli scrittori più moder-
ni e bruciare ancora Tristano Calco , e il Morigia,
e il Bayer, e tanti altri , e specialmente liusul-
so Dita Mundi, che taiìto spasso cita per occulto femo-
re di purismo , e far. un ostinato studio suìFo-
razione di sant' Ambrogio:, e sulle varianti lezioni
de' diversi codici in cui si trova : quindi esami-
nar minutamente la storia de' figli di Costan-
tino , e quella di Teodosio e di Onorio . Fingia-
mo per un momento, che non esìstano quegli au-
tori ignoti di sopra nominati , e neppure il gran
Muratori , né il Fontanini, eh' era anch' esso un
valent' uomo , e che ora per la prima volta in qual-
che codice rescritto , o palimpsesto , come a tor-
to sì chiama , si trovi 1 ora/ione di sant Ambro-
gio , nella quale tanto si parla del freno e del dia-
dema. Trovandosi un freno e un diadema in quel-
le stesse contrade , ove sant' Ambrogio la pronun-
ciò , potrebbe forse da alcuno dubitarsi , che non
sieno gli slessi , de' quali il santo vescovo par-
lò , e che sin d' allora nelle stesse contrade sì tro-
vassero? Non potrebbe assolutamente dubitarsene, se
tutti quelli scrittori non avessero, invece di schiarii- ||
la , oscurata affatto la questione . Io sono intima- 1
mente persuaso, che so prima dell' invenzione del-
la stampa fosse stata universalmnnle conosciul.i,
coxue io è al presente, quell' orazione, non si sa-
DòM.A CORONA FERREA ^y
rebbe giammai posla in dubbio Y iiidentità , Tau-
Ipnticità , e la santità della corona ; e Pio II ,
che morì appunto quando la stampa nacque, par-
lando della corona ferrea avrebbe senza dubbio par-
lato ancora dell' orazione -
Il Muratori stesso , che sebbene assai incli-
nato alla ruggine dell' erudizione , avea tuttavi i
wu ingegno superiore , pare che sciolto dall' im-
pegno di contraddire i monzesi, sarebbe stato della
medesima opinione che qui sì sostiene . Nel suo
cap. 2 2. dopo aver conlossato , che in tutti que-
gli epigrammi di metallo, di cui ne ho accenna-!
ti due , non vi era sale , ricerca come mai, es-
sendosi per molti secoli dimenticato il sagro chio-
do , benché si facesse menzione della corona, sia
potuta finalmente nel XYl. secolo nascere T idea,
che quel sagro chiodo fosse il medesimo circo' »
di ferro inserito nel diadema di Monza ; e ne at-
tribuisce r origine alla lettura dell' omilia di saut'
Ambrogio , non riflettendo però , che prima delia
stampa, trovata appunto nel line del secolo prece-
dente, questa lettura invece di esser generale dove-
va essere rarissima : Quod si cjuis cjucerat , egli
dice , undenam haec opinio tandem invaluerit^ con-
Jectura f orlasse non inepta ad respondeiidum utar.
Saeculo proxime elapso fonasse inquirthatur cur
modoetiensi coronae ferrus circulus insertus fu-
isset. Qiium vero in interpreiationibns , quas ad
Jinnc rem explicandam jurisperiti aliioue scripto-
r€S excogitarant , sai desideraretur , et f or san cui-
dam legenti s. Ambrosii orationem , de costan-
tiniana corona sermo occitrrisset ^facile in eam sen-
teiìtiam is abiit^ ut eandem Costantini Magni cO'-
roriam acferream esse ccnseret. Plausibilis sane opi-
mo , et cui haud aegre niodoetienses reliqui ma^
78 L E T T i, n A T U R A
num darent , qitippe qimm nostra laudantur , dui-
ce indetur falli . Bisogna notare , che questo più
grande avversario della corona chiama quell' opi-
nione plausdìde , e che se avesse pensato , che il
leggere X omilia di s. Ambrogio non fu per mol-
ti secoli prima della stampa concesso che a po-
chissimi , avrebbe confessato , che questa opinio-
ne plausibile sarebbe nata molti secoli prima sen-
za un tale impedimento .
Io non trovo altra difficoltà nelle mie nuove
idee, se non ch« il giuramento del papa Vigilio ri-
portato dal Fontanini , in cui si nominano i santi
chiodi e il freno , come se questi nell'anno 55o.
si trovassero ancora a Costantinopoli. Mi sorpren-
de, che il Fontaniai difensore, e non piuttosto il
Muratori avversario della corona e tanto più dot-
to del Fonlauini, abbia riportato questo giuramento
cavato dal Baluzio . Dubito peraltro assai delf au-
tenticità di questo giuramento, che si suppone fat-
to dal papa Vigilio ali imperator Giustiniano, pro-
mettendo il papa , il capo della Chiesa all' auto-
rità temporale, di non più aderire agli errori cono-
sciuti soito il nome de' tre capitoli . Non è del
mio istituto, né del mio tempo, il dimostrare ades-
so che quel giuramento è apocrifo . Ma sia pur
genuino. In esso non si nomina mai il diadema,
ma solamente il freno e i chiodi . Poteva il fre-
no esser rimaso a Costantinopoli, e non già il dia-
dema . Poterono farsi coi santi chiodi più freni ,
e non un solo , come lo stesso s. Ambrogio ac-
cenna colla parola fracnos , ed esserne uno in Ita-
lia , e UJi altro a Costantinopoli . Poteano final-
mente esservi in Costantinopoli altri chiodi della
croce diversi da quelli del diadema , annoverando
lo stesso Fontanini non meno di quattordici chio-
I
Della corona feurea n()
di, che si venerano anche adesso , se non come
quelli , che trafissero le mani e i piedi del di-
vin Redentore, almeno come adoperati per la co-
struzione della croce .
lo prego il sig. canonico ad occuparsi di tut-*
ti questi esami , ne quali egli riuscirà al certo fe-
licemente . Vorrei perù , che fosse più lei ice nell'
applicazione de' classici , mentre lasciando (i i) an-
cora il passo dell' aureo opuscolo di Plutarco del-
la tranquillità dell animo , eh' egli riporta a pro-
posito del dolore di testa del card, Litta guarita
col contatto del santo chiodo, dicet>da , che non
è più vero ciò che dice Plutarco , che né i ric-
chi calzari guariscono la podagra , uè un prezioso
anello il pannericcio , né il diadema il dolor di
capo, che si dice da Plutarco in senso di
morale filosofia ; i versi delia satira decima
dì Giovenale (12) sono veramente poco appli-
cabili alla corona di Federico secondo . E molto
meno alla falsa opinione , che in Milano si custo-
disse la corona di ferro , e in Motiza un altia di
paglia, viene a proposito V altro verso di Giove-
nale (i3)
Quis tam
Perditus ut dubitet Senecam praeferre JVeroni ?
seppure non intende , che Seneca era un uomo di
paglia , e Nerone un uomo di ferro .
Vero è però che il sig. canonico, avendo per
le mani il Fontanini apologista della sua corona ,
(il) P. 20».
(12) p. 99.
(x3) P. i5o.
So Letxekatuka
ha potuto facilmente esser sedolto ad imitarlo in
simili strane applicazioni , citando il Fontuniiù
Orazio a proposito delle reliquie di s. Gregorio
mandate a Teodelinda , e Tacito a proposito del-
la gara che vi è fra Milano e Monza . Si fanno
presto così de' libri sostituendo alle prove le ci-
tazioni, e alla forza degli argomenti la pompa
dell' erudizione . Gli scrittori più illustri cadono
talvolta in questa vanità , e Grozio nella stessa pa-
gina cita Omero , sant' Agostino , Esiodo, san Glo:
Crisostomo , Ovidio , e l'Alcorano . 11 sig. cano-
nico non ha però abusato nel numero , ma solo
un poco nella giustezza .
Luigi Martoreih
I) ella forza dell' eloquenza nella poesia.
L.
|a bella orazione del eh. sig. abate Girolamo Rug-
giu professore di sacra eloquenza nella università
di Bologna , inserita nel fascicolo I. de' letterarj
bolognesi opuscoli de vi poeseos in sacìam prae-
sertim elof/uentiam , mi risvegliò il pensiero di scri-
vere, quando che fosse, alcuna cosa sulla forza dell'
eloquenza nella poesia ; il che intendo ora di fare
brevissimamente per mezzo di tre esempj tolti tut-
ti dal quarto libro dell Eneide .
Al terzo pon fine il lungo e raaraviglioso di-
scorso tenuto da Enea alla regina di Cartagine, ed
ai grandi del regno intorno ai destini degli dei so-
pra di lui appresso l' eccidio di Troja .
Eloquenza nella, poesiì^ 8i
„ Sic pater Aeneas , intentis omnibus , iiniis
„ Fata renarrabat divum , cursusque docebat .
„ CoiiUcuit tandem , liactoque hic fine quievit.
Primo esempio tolto dal primo colloquio
fra la regina di Cartagine, e la sua
sorella Anna .
Enea dormiva tranquillamente ; ma la reina ve-
gliava, smaniosa della profonda ferita che il dardo
di cieco amore aperto le aveva nel petto . Da ciò
trae principio il quarto libro, dove si prosegue
la intrapresa storica nai-razione de' fasti dell' eroe ,
„ At regina, gravi jamdudum saucia cura,
„ Vulnus alit venis , et cacca carpitur igni .
La reìna , anzi che curare la piaga, le porge-
va alimento. 11 giudizioso poeta descrive qui l'a-
more di essa, qual era veracemente, fuor d'ogni mi-
sura; affinchè poi si conosca quanta parte ne asco-
se cautamenle alla sorella nel colloquio che ebbe
con esso lei. Altrimenti ottenuto non avrebbe l'inten-
to di essere consigliata alle nozze con Knea più as-
sai ( come ella desiderava ) in vista di ragioni di
slato , che di alcun'altra ; siccome vedremo in ap-
presso . Appartiene all' arte oratoria il far sì che
il virtuoso pretesto, donde ne venga laude, pre\ al-
ga neir altrui opinione alla verità donde biasimo
ne veiTebbe .
Sinché Virgilio fu Titiro pastorello, spiegò sen-
timenti umili acconci alla capanna : divenuto po-
eta epico spiegò sentimenti quali a sorrano si con-
venivano , e degni della reggia . Perciò introdus-
se la reina ad amare , non mica qual donniciuola
G.A.T.IX. G
Sa L E T T k. R A T i; R A
volgare e leggiere , colpita soltanto dall' avvonen-
7a dell' ospite e dal suo dolce favellale , ma pre-
cipuamente sorpresa dalle grandi sue virtù, e dall'
essere egli duce di popolo bellicoso , cinto di
gloria .
„ Multa viri virtus animo , multusque recursat
,, Gentis honos ; haerent infixi pectore vultus,
5, Verbaqueinec placidam membris dat cura quietem.
Scelse Virgilio avvedutamente la notte , qual
tempo più d' ogni altro opportuno a chi veglia
agitato, per meditare nei silenzio e nella solitudine su
la propria passione . Aveva già la rosea Aurora dis-
gombrate le tenebre dell umida notte, e già Febo illu-
minava co' suoi raggi la terra: quando la reina, impa-
ziente di ristare, balzò di letto in traccia della sorella,
» cui aprire il suo cuore per trarne conlorlo . Piacque
il più delle volte a' greci poeti di dare la nudri-
ce a confidente della sovrana ; ma il nostro poeta
le diede con maggior avvedimento la sorella, e
tale , da dirsi che un' anima sola l'osse ne' due cor-
pi divisa .
„ Posterà Phoebea lustrabat lampade terras,
„ Uumentemque aurora polo dimoverat umbram;
,, Quum sic unanimem adioquitur male sana sororem:
Come il poeta ebbe esposto quanto richiedevasi a
rendere il colloquio di più alto pregio ; introdus-
se a parlare la reina , la quale cominciò dal cat-
tivarsi r animo della sorella chiamandola per no-
me . Poi senza preambolo di alcuna loggia ( giacché
la passione non tolleia pieamboli), eccita in lei com-
passione ad un tempo e curiosità , manilestaudole il
Eloquenza nella poesia 83
raccapriccio end' era compresa pe' funesti sogni che
la tenevano agitata, e priva di consiglio.
,, Anna soror,quae me suspensam insomnia terreni !
Né si perde ella a raccontare i sogni ; sì per-
chè simili racconti di rado vanno scevri da leg-
gerezza ; sì perchè il focoso amore non le consente
che d' altro, parli che del nuovo ospite , ammira-
bile pel militare aspetto , pel coraggio , pel valo-
re nelle armi . ' ^^sl^
,, Quis.novus hic noslris successit sedibus hospes !
„ Quem sese ore ferens! quara forti pectore et armis!
tale insomma da non essere piii in forse eh' e' di-
scendesse dagli dei :
„ Credo equidem,nec vana fides, genus esse deorum.
Perochè siccome il timore esclude questa origine ;
cosi la convincono le sostenute fatiche , e le bat-
taglie coronate dalla vittoria :
,, Degeneres animos timor arguit . Heu , quibus ille
„ Taciatus fàclis ! quae bella exhausta eanebat ! ,-
n
È finissimo Y ingegno della reina di mette-
re in vista alla sorella i tanti e sì rari prcgj
dell'ospite per somministrarle argomenti da con*
fonarla alle sospirate nozze, precisivamente anche
dalla ragione comune ad ogni amante di seconda-
re il proprio naturale affetto . ^ • '""
La reina , innanzi di scoprire la sua inclinazio-
ne , protesta di abborrire le seconde nozze : né ^ik
0*
84 Letteratura
perchè fosse estinta in lei ogni fiamma amorosa,
di che per anche non aveva parlato ; ma perchè
ingannata una volta da amore , inoriidiva al pen-
sare di poterlo essere di nuovo .
„ Si mìlii non animo fixum jnmotumqne sederet ,
„ Ne cui me vinclo vellem sodare jugali,
„ Postquam primus amor deceptam morte fefellit t
„ Si non pertaesum Uialami taedaque fuisset ;
Che fatto avrebbe ?
„ Huic uni forsan potui succumbere culpae.
Ogni sillaba di questo verso è d' inesplica*»
lille bellezza . La reina mette in dubbio anche la
sola possibilità di soccombere •.forsan potui. Per-
chè soccombere ? Per dinotare che nel caso di
passaggio a seconde nozze , avrebbe ella a viva for-
za , e non di sua volontà, ceduto al destino. E a
qual destino ? Di accoppiarsi ad un eroe che trae-
va la sua origine dal cielo , ed era dagli dei pa-
lesemente piotetto . Perchè colpa ? Per esclude-
re qual si fosse ragione , sebbene fortissima , dì
scusa ; onde far credere alla sorella di essere per
ugual modo aliena dalle nozze con Enea , che dal
macchiarsi di colpa . Ma siccome ciò non le to-
glieva i sentimenti di afFelto verso l'ospite; co-
si ben conoscendo ella oramai che tornava inu-
tile il nascondere affatto alla sorella un amore che
da se troppo si palesava , mostra di farlene stret-
ta confidenza , sebbene con tanta riserva da in-
durla ad opinare , che ella finalmente non aves-
se pei* Knea che al più una semplice inclinazione.
Eloquenza nella poesia 85
,, Anna , fatebor enim , miseri post fata Sycliaei
„ Conjugls , et Sparsos fraterna caede penates , l
„ Solus hic inflexit sensus , animumque labantem
„ Inpulit. Adgnosco veteris vestigia flammae.
Accostandosi la reina al punto di palesare al-
quanto più la sua passione , fa di nuovo sentire
alla sorella il suo affetto chiamandola per nome,
ed aprendole il suo cuore con igenua confessio-
ne : Anna , faiehor enim . Dà all' estinto Siclieo
l'epiteto di mìsero : epiteto piiì di compassione, che
di affetto . Si riferisce ad Enea per mezzo del pro-
nome hic , benché innanzi non avesse parlato che
di Sicheo ; perchè il solo Enea tutta occupava la
sua mente in guisa, da non curare che il prono-
me fosse costretto di andare in traccia della per-
sona . Soggiunge che il solo Enea le aveva pie-
gati i sensi , adoprando le soavissime parole : so~
lus hic inflexit sensus . E poco stante confes-
sa alla fin fine con is tento di sentir pure qual-
che vestigio deir antica fiamma . Chiunque sia co-
stretto di scoprire un secreto che ferisca la pro-
pria estimazione, comincia il discorso di lontano,
quasi per prender tempo ; e da ultimo parla in
modo che altri intenda piìi di quello che egli dis-
se ; anche a fine di poter all' uopo negare di aver
detto ciò che fu inteso .
Temette non ostante la reina di aver detto
troppo ; e quasi per correggersi desidera che le
si apra la terra sotto i piedi, e Giove la colpi-
sca di fulmine , anziché violare il primo talamo^
„ Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat ,
„ Vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras,
„ Pallentes umbras Èrebi , noctemque profundam ,
,, Ante, pudor , quam te violo , aut tua jura resolvo-
86 LETTERATURA
E perchè la sorella si persuadesse che la fat-
ta imprecazione era effetto del suo amore per Y e-
stinto consorte , aggiunge :
„ Ille meos, primus qui me sibi junxit, amores
IT Abstulit ; ille habeat secum , servelque sepulcro.
Quanto affetto nella replica del pronome/7/e! quanta
decenza nella espressione qui me sibi junxit ! quanta
delicatezza dell' intero distico !
Terminato il discorso mal potè la reina rattenere
il pianto dirotto:
„ Sic effata, sinum lacrimis inplevit obortis:
pianto che sembrar potea dì tenerezza alla memoria
di Sicheo, quando lo era di tenerezza verso il nuo-
vo ospite. Ben se ne avvide la sorella , la quale
fatta accorta che il lagrimare della reina le chie-
dea quel consiglio che tacque il labbro, cominciò la
risposta là dove la reina avea compiuto il discorso.
,, Anna referet: O luce raagis dilecta sorori,
,, Solane perpetua maerens carpere juventa?
„ Nec dulccs natos, veneris nec praemia noris?
„ Id cinerem aut manes credis curare sepultos?
Corrisponde pur bene Anna alla fiducia in lei
riposta dalla sorella, mettendole innanzi la solitudi-
ne di vedova in età giovanile, la melanconia di ta-
le stato, la privazione de' figlhioli, frutti di con^
cesso amore, ed il vano sospetto che il cenere de-
gli «tinti si dolga, se le vedove ad altri sposi si
congiungano ! Poscia si fa incontro alla obbjezione
de' tanti partiti ricusati dalla reina; rispondendo che
Elo<ìuen«a nella poesia Sj
i rifiuti accaddero quando, trapassato dì corto il
manto, era sì intenso il suo dolore, da non con-
sentire eh' ella desse ascolto agT inviti di sposi sco-
nosciuti; ma che ora, ritornato l'animo alla calma
non dovea più resistere alla propria inclinazione.
„ Esto: aegram nulli quondam flexere mariti;
„ Non Ljbiae, non ante Tjro; despectns laibas,
„ Ducturesque alii, quos Africa terra triumphis
„ Dives alit: piacitene etiam pugnabis amori?
Ne tarda ( non altrimenti che accorto primo
ministro di stato ) a lame alla reina un obbligo
preciso coi rappresentarle i grandi pericoli che ^ le
sovrastano da ogni lato, dove ella non risolva di
associarsi al trono sì valoroso capitano , il quAe
le sia di scudo contro i lormidabili nemici che k
circondano.
1, Nee venit in mentem, quorum consederis arvis?
„ lime Gaetulae urbes, geaus insuperabile bello,
5, Et JYumidae infreni cingunt, et inhospita syrtis :
„ Hinc deserta siti regio, lateque furentes
,, -Barcaei. Quid bella Tyro surgentia dicam,
•), Germauique minas?
E da uno passando Anna ad altro argomento vie
più torte, attribuisce a singolare provvidenza de^li
ciii, e spezialmente di Giunone protettrice di Car-
tagine, lo sbarco de trojani ne' porti cartaginesi ,
aggiungendo così all'obbligo di stato, quello di re-
ligione per indurre la reina a dar la mano ad
Enea.
,. Dis eqnidcm auspicibus reor, et Junone secunda,
„ Hunc cursum iliacas vento touuisse carinas.
88 Letteratura
Indi, come se fosse divinamente ispirata , pre-
dice con tutta franchezza per mezzo di nobilissimi
versi r ingrandimento di Cartagine e del regno ,
stretta che siasi dalla reina V alleanza co' trojani,
Quam tu urbem, soror, hanc cernes, quae isur-
gere regna
Conjugio tali! Teucrum comitantibus armis.
Punica se quantis adtoUet gloiùa rebus !
Maraviglioso contrapposto di sciagure e di pro-
sperità! Quelle nel caso di rifiutare le nozze dagli
dei preparate; queste nel caso di acconsentirvi. Po-
teva la reina dopo ciò rimanere in l'orse? Si com-
pie dalla sorella il discorso insinuando alla reina
di placare co' sagrifizj gli dei, che ne' sogni fune-
sti le sì mostrarono sdegnati, e di proseguire a
tenersi benevolo l'ospite, sinché il mare levato ia
burrasca gì' impediva di mettersi in corso.
„ Tu modo posce deos venìam; sacrisquè Htatis
,, Indulge hospitio, caussasque innectc morandi:
„ Dum pelago desaevit hiems, et aquosus Orion,
„ Quassataeque rates, dum non tractabile coelum.
L' uomo brama ardentemente eh' ogni sua azio-
ne sia riputata laudevole: però gode dove si tro-
vino motivi che facciano velo alla sua passione. La
reina si diede vinta alle ragioni di stato; perchè
era già vinta da un amore che più non sentiva il
freno della ragione. JNon era possibile che un di-
scorso tessuto con tanta arte, con tanto ingegno, con
tanta religione, non rendesse più ardente il luoco
di che avvampava la reina Didone; la quale ab-
bandonato oramai il troppo severo contegno, passe
dal (hjLbio alia spenmx.a-
Eloquenza nella poesia ■ ^Sq
„ His dictis incensum animuni inflammavit amore,
,, Speitìque dedit dubiae menti, solvitque pudorem.
Oh forza invincibile della eloquenza ! Voleva
la reina ricevere quel consiglio, che ella era già
vicina a seguire; ma senza chiederlo. Qual miglior
mezzo a ciò , che di manifestare alla sorella un amo-
re, che dopo di aver fatto per lungo tempo la vir-
tuosa comparsa di eroico, anziché di passionato,
tradisce tutto ad un tratto se stesso, convertendo
i due occhi della reina in due copiosi fonti di lagri«
me che le innondassero il seno?
„ Sic effata, sinum lacrimis implevit ohortis.
Secondo esempio tolto dal discorso della reina
di Cartagine col duce trojano.
Avvedutasi la reina che Enea si preparava al-
la fuga, divenne furibonda al jDari di baccante.
„ Saevit inops animi, totamque incensa per urbom
,, Baccliatur; qualis conraotis excita sacrìs
,. Thjias , ubi audito stimulant trieterica Baccho
„ Orgia, nocturnusque vocat clamore Cithaeron.
Ed accesa di un furore che la trasse di sen-
no, avendo incontrato Enea , obbliò per poco il rea-
Je contegno, le tante insigni qualità del duce, eia
sua discendenza dagli dei, per trattarlo ingiuriosa-
mente qual perfido che tradiva V ospitalità e F amo-
re; che non dubitava di recar morte a lei, e dì.
metter se stesso in pericolo di naufragio scioglien-
do le vele nel tempo che il mare era procellosu;
il che fatto non avrebbe né anche, se invece di
go Lettehatura.
andare in cerca dì terre straniere ed ignote, aves-
se dovuto ritornare alla propria patria.
Dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum
Posse uefas, tacitusque moa decedere terra?
Nec te uoster amor, nec te data dextera quondam,
Nec moritura tenet crudeli funere Dido?
Quin etiam liiberno moliris sidere classem.
Et niediis properas aquilonibus ire per altum,
Crudelis? Quid? si non arva aliena domosque
Ignotas pateres, et Troja antiqua maneret,
Troja per undosum peteretur classibus aequor?
Veggendo la reiiia che Enea, avvolto in pro-
fonda meditazione, non si risentiva ai rimprove-
ri, sperò di ammolirne il cuore colla dolcezza e
con r affetto. Piange quindi, prega, gli rammenta
gF intrapresi imenei , gli rappresenta la propria di
lei desolazione, i pericoli a' quali per sua cagione
rimane esposta, il pudore da essa perduto, la vi-
cina di lei schiavitù e morte.
„ Mene fugis? Per ego has lacrimas dexteram-
qne tuam , te,
„ (Quando aliud mihi jam mlserae tiihil ipsa rcliqnì)
„ Per connuLia nostra, per inceptos hymenaeos;
„ Si bene quid de te merui, fuit aut tibi quidquam
,, Dulce meum: misercre domus labentis, et istam,
„ Oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem.
,, Te propter lib} ciae gentes Nomadumque tyranni
„ Odere; infensi tyrii; te propter eundera
,, Extinctus pudor, et, qua sola sidera adibam,
,, Fama prior. Cui me moribundam deseris,hospes?
„ Hoc solum nomen quonìam de coniuge restat.
„ Quid moror? an mea Pygmajion dum moeaia frater
„ iJestrnat, aut captam diicat Gaetulus larbas?
Eloquenza nella poesia 91
Sebbene ognuna delle portate ragioni fosse di
se atta a piegare il cuore di Enea, tuttavolta ad
ogn' altra di gran lunga prevaler dovevano gli intra-
presi imenei , come quelli che lo accusavano d' in-
gratitudine senza pari , e de' quali perciò la reiua
fa rimembranza per ben quattro volte in breve trat-
to di tempo, e sempre con tutta decenza ts JNec
„ te noster amor, nec te data dextera quondam . .
,,..,. Per cunnubia nostra, per inceptos Hime-
„ neos ... . . .Si fuit tibi quidquam dulce me-
,, um Te propter exctinctus pudor,
„ et, qua sola sidera adibam, fama priorS Quan-
ta passione esprime il verso che succede al voca-
bolo hospes ! t=; Hoc solum nonien quoniam de con-
juge restat.
Sarà continuato.
V. Berni degli Antoni
Patera etrusca inedita , descritta e spiegata
R
dal sig. Luigi f^escovali.
.eputiamo propizia sorte de' letterati e nostra ,
che il sig. Vescovali abbia voluto farne presente
Qeir annesso erudito ed esatto suo scritto . Datosi
egli nella sua giovinezza agli studi veramente ro-
mani delle antichità , promette di segnalarsi in es-
si, come già in quelli di Euclide. Che mai non
può r amore del bello e della virtù , allorché al-
ligni in animo ben fatto ! Da un pezzo di metal-
lo, che altri avrebbe gittato come inutile ( tanto
era coverto di alta e tenace ruggine) , ha egli trat-
to in luce una delle così dette patere eti usche ,
e la più bella che conosciamo. I\on contento di
,QrS ' L-E TTERATUKl.
ciò , ha Voluto produrla ornata di fedel tavola in
rame , resa più pregevole con acconcio schiarimen-
to . Mentre perciò a lui attestiamo la gratitudin
nostra , e le giuste lodi che si merita ., speria-
mo questo esempio dover essere di stimolo ad altri
studiosi giovani , onde alla impresa nostra col frut-
to delle loro cure si accostino , e questa incontri
vieppiù , come pure incontra , l' approvazion de'
sapienti , ed il favore di tutte le persone , che
amano una lettura di solida insieme e piacevole
istruzione .
I COMPILATORI.
Mi affretto a comunicare al pubblico una di
quelle finora dette patere etrusche, ossia uno di
que' dischi di metallo , che pieni da una parte
d' incisioni a contorno , tanto interessano per la
più dotta mitologia de' greci , e per l' istoria di
un popolo primitivo della nostra Italia , che poco
ancora conosciamo , non che per quella de' roma-
ni , i quali ne adottarono in ispecial modo le co-
stumanze.
Dopo ciò che ha scritto eruditamente il sig.
cav. Inghirami , seguendo il parere di alcuni va-
lentuomini , da' quali era stata proposta una tale
osservazione , credo non doversi più dubitare , che
questi dischi manubriati tenessero le veci de' nostri
specchi . Vorrei di più che non sì chiamassero
mistici , come chiamar non si debbono bacchiche
quelle ciste, o arcule, nelle quali si rinvengono
per lo più simili dischi, tra le strigili , gli aghi
crinali, ed arnesi di tal guisa cosmetici, o pa-
lestrici . E cortamente errano coloro , i quali cre-
dono , che siffatte lamine orbicolari fossero patere
da sagridzj . Imp:;rocchò nò hanno labbri rilevati.
I
Patera etrusca qS
né superficie tanto concava , che le renda capaci
di un qualunque fluido . Molti sono in vero i
marmi e le medaglie , che presentandoci o sa-
grifìzj , o cose a questi appartenenti , sempre mo-
strano le patere assai concave, senza manubrio , e
quali da Virgilio e da altri vengon descritte ;
mentre poi altrettanti ne sono, che ci offrono le
finora chiamate patere in mano di donne , le qua-
li in atto di acconciarsi , o vagheggiare loro stes-
se , non possono aver nelle mani un utensile da
sagritìzio .
Nò ometter si debbono due altre considera-
zioni . La prima è , che in parecchi de' dischi in
quistione , tra' quali anche quello di cui parlo, ed
in uno singolarmente del rriuseo Kircheriano , ve-
desi sulla parte opposta alle figure qualche avanzo
di un lucido ancor sufficiente a rifletter 1 imma-
gine . La seconda è , che i popoli orientali usano
anche a' dì nostri specchi metallici della como-
dissima forma di questi antichi .
Il nostro è stato rinvenuto nelle vicinanze di
Viterbo , malconcio da varj colpi fendenti , ri-
cevuti;; sulla parte liscia , e passati ali' altra con
qualche danno delle figure , e ricoperto di ossi-
dazioni , prodotte dai differenti metalli che lo
compongono . Il suo diametro è di un palmo ; ed
ha un picciolo avanzo del manubrio .
Il graffito è d'uno stile perfetto; e non sembra
lavoro di rozzo ed inesperto etrusco, ma di va-
lente e peritissimo greco . Tanto son belli e re-
golari i contorni , ragionati e ben disposti i musco-
li , eleganti e maestri i panneggi , graziose impo-
nenti e ben aggruppate le figure ; e naturali e
semplici le forme degli animali . Ma eccone uA
cenno più circostanziato * , ^
o4 Letteratura
Immaginate due circoli concentrici. Nel cir-
colo interno, il quale occupa quattro delle cinque
parti del raggio di tutto il disco , vcggonsi rap-
presentati cinque personaggi . NelT esterno , o per
dir meglio in quella fascia , che cinge il primo
ed il secondo cerchio , espressa si scorge una
battaglia di animali, che fieramente si azzuffano.
In ogni gruppo, uno di natura più debole vìen
assalito da due più forti . Gli assaliti son due
cavalli, un cervo , un asino, un bue , un cingliia-
le , ed un becco . Gli assalitori son cani , tigri ,
leoni , e grifi . A me pare , che questi non ab-
biano alcuna relazione col soggetto principale , ma
che siano solamente destinati a formare un orna-
to per chiudere la composizione.
JNè il manubrio manca di lavoro; essendovi
disegnato un vecchio Sileno seguace di Bacco ,
quale ce lo descrive Luciano , basso , pingue ,
panciuto, calvo, col naso schiacciato , con grandi
orecchie dritte , il quale , sebbene mancante ora di
una gamba, pur si conosce essere in atto di cor-
rere saltando, alzando colla destra una clava, da
cui pendono forse alcune di quelle strisce di cuojo,
colle quali , nelle licenze delle feste lupercali o
licee del Dio Pane, pcrcuotevansi le femmine spe-
cialmente che bramavano di essere fecondate .
Tra le cinque figure , che occupano , come
)ìO detto , il circolo interno , Apollo accompa-
H^ato dall' epigrafe Vs)1/l , involto T estremità in-
feriori nel suo pallio riccamente ornato a' lembi,
siede qual protagonista su d' un sedile , che po-
trebbe forse essere quel medesimo tripode , sul
quale dicevasi eh' egli sedendo proferisse gli ora-
coli ; dal che gli venne il cognome di vate. Ap-
poggia i piedi sopra un di que suppedanei , ©
Patera etrusca <)5
panchetti, che gli attici chiamarono 9'payoi . Stringe
eolla sinistra un lungo scettro , che termina in
fronzuto ramo di alloro , pianta a lui sacra e dilet-
ta, e da lui destinata ad essere il distintivo de'
vincitori e de' poeti ; e riposa la destra sul cor-
rispondente ginocchio, stendendone 1' indice in at-
to di favellare .
Sul suo volto egregiamente espressa si nota
quella serenità , effetto della eterna giovinezza con-
cessagli dal padre; e le sue chioma, elevate sul
vertice in doppio ciuffo, vezzosamente increspate
e raccolte da uno strofio, o cordone, proprio de'
numi e de' re , si mostrano esser quelle , che i poeti
^ dissero ondose, auree, intonse, e stillanti unguenti.
La soavità delle forme è quale conviénsi al più
bello degli Dei ; ed è lontana dalla morbidezza
di quelle di Bacco, egualmente che dalla durezza
di quelle di Ercole.
Segue in giro a destra una Dea , che io credo
essere Giunone, pel velo specialmente, che le scen-
de in maestosa foggia dal capo- Ravviso in esso
quella specie di rete, ìiixpu<pet\op , o ìipnlt^vav^ di cui
si coprivano e le vergini, e piìì pomposamente le
novelle spose; e di cui fece pur uso Giunone stessa,
allor quando, per comparir più bella, ed accender
tf amorosa fiamma a danno de' trojani il Tonante
marito sulle vette delf Ida, lavatasi, profumatasi,
acconciatesi le chiome, sulle altre vaghe vesti infe-
riori si sovrappose un velo^ bello ^ nuovo ^ e candi-
do al par del sole, (i)
(t) Homer. lliad. 2 • XIV. v. 184.
K/Dv^t/^''^ he(pij'jrtp3i xu\u^oito J/a dtàcoy .
KaKa yn-^XTe'p ' KtuKoy Ìyi'v ìiicKios èÒi ,
qG Letteratura
JVè 11 leggiadro atteggiamento di sollevar dal
petto calla destra uu' estremità dell' abito, fu po-
sto quivi senza ragione; poiché ben ò stato os-
S6r\ato, che T adoperarono gli antichi artelici in
quelle figure, alle quali volevano dar grazia e di-
gnità; ed è per ciò conveniente alla veneranda so^-
rdla e sposa del sommo Giovq, padre e sovrano
degli uomini e degli Dei.
Continuando coli' istess' ordine, vedesi al fian-
co di Giunone un altra Dea, che nuda in tutto il
resto del corpo, ha coperte le sole gambe, reggen-
do colla mano sinistra un lembo del peplo di una
terza vicina, sulla di cui spalla appoggia il braccio
destro, che ripiegato le fa ritornar sul petto la ma-
no^ nella quale tiene un ramo di mirto, pianta a
\eiiere consacrata forse per la facilita d' allignare
sulle dve. del rtiare, donde la Diva delle spume
trasse i suoi natali. Senza di ciò anche T avvenen-
za del Volto, la soavità dello sguardo, il capo dol-
cemente inclinato, le delicate membra, la molle
espressione di tutta la persona, sarebbero bastanti
^ farci ravvisare in essa la Dea delle grazie, degli
amori, e della bellezza.
La decisa passione per gli ornamenti, con som-
ma proprietà indicataci dalla collana, che le fre- |,
già U collo , assai più ricca di quella onde si
contenta la sua vicina a destra, forma un nuovo
argomento, che posto a cnmolo con gli altri distin-
tivi, toglie ogni dubbio di riconoscere in essa la
bella signora di Cipro, di Palo, di Guido , e di
Citerà.
La figura seguente, coli' epigrafe >?I](lH3Wk,
Menerva^ vestita ci si, olTre di un'ampia ricca to-
naca, alla quale è sovrapposto il vasto peplo, la-
Toro ammirabile di sua mano, e l' orrenda egida
II
Patera etrlsca oa
adorna di fibbie, nel cui mezzo sta fissa la spo-
glia del . terribile capo di Medusa, cangiate in ser-
pi le belle chiome emule delle immortali della Di-
va. Il movimento di tutta la persona, ed il volto
su cui rifulge il coraggio ed il sapere, esprimono il
carattere bellicoso e feroce della vergine guerrie-
ra , Dea del consiglio e del valore, che tanto pro-
tesse Tarmata greca nella presa di Troja ; non ri-
sparmiando di mischiarsi nelle battaglie tra le fol-
te schiere de' popoli pugnaci, giungendo persino a
ferire, e forzare ad abbandonar T attacco io stesso
Dio della guerra.
L'egida, che aggruppata in segno di pace, le
pende dal petto , i piedi non coperti di calzari
ma nudi, ed il capo ornato, non dell' alta celata,
Wa del divino diadema, ne po^:-gono indizj , chela
Dea qui sta, non accesa dal furore militare, pre-
parandosi a romper le intere squadre degli eroi,
ma tranquilla scorrendo la paterna reggia.
Ercole, tal confermato dall' epigrafe 34903 M ,
e la quinta ed ultima figura del nobil gruppo. Mo-
strasi diritto,, tenendo il pie sinistro sopra qualchq
l>aso, o sasso, che eie stato tolto dall' ossido; J|i
.guai positura fu usata dagli antichi artefici nelle
immagini de' laboriosi eroi, per depotare un ripor-
.80 degno di essi, che non avesse in tutto dei ne-
ghittoso . Appoggia la destra alla clava i eia &li]j^
stra, che si dirige .verso, il giiiocchio, non appa^
nsce abbastanza distipta. Ha' gitULa siiì collo la spo-
glia del leone nemeo, che scendendo gli cade sul-
la coscia sinistra. La folta barba, che gli veste
il mento ( sebbene gli Ercoli degli etruschi sieno-
qiiasi sempre imberbi), il carattere della fisono-
mia, eie membra di tutto il corpo giustamente
significano la velocità e la fortezza di un eroe
G.A.T.IX. ^
98 Letteratura
al quale mai sempre vincitore avean ceduto uomini
e fiere; ma che ora deificato e latta immortale, ha
lasciato gV impeti di quella gagliardìa, di cui fé'
prova sulle rive del Ladone, raggiungendo la cer-
va instancabile, fornita d auree corna e di pie di
bronzo, o traendo vivo dall' isola di Creta in Arga
il toro adultei-o di Pasifae .
Forse nella sinistra potrebbe aver tenuto que
pomi delle esperidi , sua penosissima conquista ,
che fu r ultima delle prescritte fatiche ; attestando
così con essi di aver già soddisfatto a tutte le dif-
fìcili condizioni , e dover quindi godere a buon dirit-
to del soggiorno e della vita degl" immortali - (i)
Mi par dunque , che 1' arrivo alf Olimpo del
figlio di Giove e di Alcmena riputar si debba il sog-
getto di tutta la rappresentazione . Sappiamo che
r eroe , dopo essersi posto indosso la mortifera
"veste, lorda delT avvelenato sangue di Nesso, invia^
tagli dalla gelosa moglie , stanco di sollVire , ìnvan
tentando di spogliarsene, sdegnato contro Timplaca-
bile matrigna, distesosi sul rogo Oeteo , si lasciò
consumar dalla fiamma , eh' egli stesso intrepida
accese; e dal padre Giove fu quindi ammesso nel
concilio degli I)ei , dove lieta accoglienza da tut-
ti ottenne, per le tante sue lodevoli imprese.
Le divinità , che nel nostro monumento lian-
Bosi in atto di riceverlo, non disconvengono cer-
tamente al soggetto ; perchè né Apollo è collo-
cato fuor di proposito, come quegli eh' essendo
Pio della luce , siede qual sovrano là dove risplende
(1) Secondo Diodoro, Apollodoro, e la maggior parte degli anti-
chi lavori , che ci rimangono sulla vita di Ercole .
Patera etrusca gg
un giorno eterno , e può simboleggiarci il cielo (i) :
rè Giunone dirsi vuole avversa in questa scena ;
poiché, sebbene stata contraria a quel figlio adul-
terino in tutto il corso della vita, costretta alla
fine da Giove , con esso si pacificò , e diedegli
Ebe sua figlia in isposa (2) . Venere poi qui com-
parisce opportuna , che benigna le tante volte
confortato lo avea tra le improbe sue fatiche ; e
talora ,. come se da lei sola vinto fosse , lasciar
gli fece la clava e le frecce , per torcere il fuso
lavoleggiando tra le ancelle della regina di Lidia, e
mostrare il volle minor di se stesso inverso V amata
fanciulla di Eurito. La principal parte però d' in-
tervenienza spetta giustamente a Minerva, che dal
giudizioso artista all' immediato fianco gli è stata
posta; mentr essa sola era la scorta solenne de' va-
lorosi, essa avea per ciò sempre mai protetto il
massimo fra tutti, Alcide; ed è pur noto, che a lei
sola toccò r incarico d' introdurlo alla meritata
sempiterna dimora. (3)
Così le tre Dee maggiori dell'Olimpo rimiran con-
cordemente r ospite novello , sul di cui volto eleva-
(1) Anche Seneca, nell' atto IV. dell' Ercole Oeteo, fa che il
suo protagonista , giunto suU' Olimpo vicino a Febo , ne ammiri la
chiara luce .
„ Video nitcntcm regiam clari aetJicris,
„. Phoebiquc tritam flammea zonam rota . ce.
(2) Apollodor. Biblioth. Lib. II. cap. 7. EunStf ìt rrux^f
àSAyxffletr Kctì itxWuyat H/j^twV 'fKay/it Sv^/ur^ pet HSny
i'^VUt» , Qui'idi oUenuta rit\iinortciUtù « e riconcUiuiosi con Giu-
none , la di lei Jiglia Ebe sposò .
(3) Pausatiias, Lacon. seu. Lib. Ili- cap. i5. pag. aSS, edit. Kuhnii.
ASityx ie if^ouax ìipxY.Kix au>oiy.tiaovTX xir'o toÙtov Stili .
7
100
Letteratura
to dipinta si vede la sorpresa e la maraviglia^ che
nascer gli doveano al primo aspetto delia fulgidis-
sima reggia. Egli comincia a sentirsi scorrere per
le vene il vigore della immoi taiità ; e di tanta
espressione credo che V ingegnoso Ovidio a noi dia
un tocco, preso da' greci modelli, là dove dice:
( Metamorph. lib. IX. v. 2 69. et seqq. )
„ Sic ubi mortales Tirj^nthius exuit artus,
„ Parte sui meliore viget, majorque videri
„ Coepit, et augusta fieri gravitate verendus. \
L. Vescgvali
Lettera delt ab. France&co Cancellieri al eh.
signor Sjlfatohe Betti ^ sopra la permanenza
di Federico IV ^ redi Danimarca^ in Firenze
ed in Bologna nel 1^09, e la grazia della sen-
tenza capitale da lui ottenuta al marchese Filip-
po Bejitii'oglio ad istanza di suor Teresa Maria
Maddalena Trenta lucchese ^ monaca carmelitana^
col diploma di protettore perpetuo delf accademia
volsca di Velhtri a S. M. il regnante Federico VI-
Ifuanto cari mi sono stati gli elogi tributati da'
giornali napolitani, e ripetuti al n." 90 del
diario di Roma de 6 dello scorso decembre , alle
LL; AA. BK. il Principe e la Principessa di Da-
nimarca ! Le loro singolari attrattive hanno incan-
tato gli abitatori del Sebeto , i quali, quantunque
avvezzi a veder ad approdare di continuo a quel-
le deliziose spiagge i personaggi di ogni nazione, pu-
Permanenza di Fed. IV. m Italia ioi
ì'c giustamente confessano di non averne mai am-
mirato uno più degno di rispetto e di amore: aven-
do ancora potuto la bella Partenope aver la sorte
dì vagheggiare per lungo tempo nell' avvenenza e
nelle grazie xlell adorabile di lui sposa il vivo ri-
tratto d' una delle sue tanto decantate sirene , che
•perciò sarà stata forse tentata a non creder più fa-
volose. Chi potea goderue e compiacersene p.ù di
me, che eblii dai regio console signor cav. Luigi
Chiaveri ronorevole commissione di stendere e di
■dare alla luce le notizie della cenuta in Roma di
Canuto II e di Cristiano /, re di Danimarca , ite-
gli anni 1007 e i474i ^ di- Federico If^ giunto a
Firenze con animo di venirvi nel 1709; con lu bi-
blioteca delle cose danesi! Se peiò mostrai allora
la mia esultanza, con applaudire al primo loro ri-
torno dalla stessa città, al fine dello scorso mag-
gio; voglio farla palese anche in quest' altro col
pubblicare varie annedote memorie relative a Fe-
derico IV ed alla monaca Trenta, la quale il ce-
lebre Cav. Ippolito Pindemonte finse ingegnosamen-
te che qual Eloisa novella scrivesse allo stesso re Fe-
derico una lettera la più patetica e commovente,
in leggiadrissime terze rime, inserita nel voi. VII
del parnaso degf italiani viventi p. 89. , che voi
avete avuto la bontà di prestarmi con singoiar gen-
tilezza, e col mio maggior gradimento.
Il signor Galluzzi nella storia della casa Me-
dici racconta , clic questo sovrano , mosso dall'
esempio del czar Pietro, si pose a viaggiare, e venne
nel 1709 in Italia , ov'era stato incognito \in' altra
volta nel iGyi prima di salire sul trono. Avea nel
suo primo viaggio concepita un' ardente passione
per la figlia di un gentiluomo lucchese, per cui
prolungò il suo soggiorno in Lucca, così che la gio-
102 Letteratura
vane, che molto pure lo amava, potò concepirò le
più grandi speranze. Lasciolla peraltro il re, ben-
ché con gran pianto: ed ella, che aveva prima ri-
cusato i migliori partiti di nozze, e che poi <ia qual-
che altro era stata lusingata senza veruna conclu-
sione, risolvette di chiudersi in un monastero de'
piìji osservanti di Firenze. Il re ivi la rivide, e le
fece molte visite, avendo con essa colloquj asce-
tici, e separandosi da essa con lagrime, ed espres-
sioni di parzialità pel cattolicismo.
Non contento io di essere giunto a scoprire
nel T. V. deir istoria del marchese Francesco Ma-
ria Ottieri (i), che la suddetta monaca , da tutti
gli altri scrittori sempre indicata col solo cogno-
me , aveva il nome di Maddalena , non ho cessalo
di continuare le mie istanze all' eruditissimo signor
(i) Nacque in Firenze a' 5 di luglio del i655 da Lotario, conte
di Montorio e di Sopaiio, e da Olimpia Maidalchini , e fu paggio pre-
diletto di Cosmo III G. D. di Toscana. Nel 1728 pubblicò il primo
tomo della sua storia delle guerre tn'yenuie in Europa, e pariico-
larinenie in Italici per la successione alla monarchia delle Spaiane
dui 1696 al 1726, che fu inserito nell' elenco de' libri proibiti, con
la privazione della sua carica di cavallerizzo del papa, per cui si ri-
tirò ne' suoi feudi. Tornato in Roma nel pontificato di Benedetto XIII,
vii:nperò il suo impiego coxi maggiori emolumenti; e vi fu conferma-
lo dal successore Clemente XII, che fece togliere dalT indice il sud-
detto primo volume della sua storia, che proseguì. Ma essendone ri-
masta manoscriua una buona parte, dopo la sua morte seguita a'i3
di maggio 174-i» fn poi ultimata da Lotario, unico suo figliuolo, il qua-
le nel 17C2 la pubblicò pe' torchi del Barbiellini, con la ^ ita del pa-
dre, e con r indice di tutte le materie trattate ne' IX volumi della
medesima, avendo anch' egli cessato di vivere in età d'aTini i<o a' i>r>
febbraro 17H9, ed essendo stato sepolto nella sua parrocchia di s. Ca-
terina delUi Rota.
Permanenza di Fed. IV. in Italia io3
canonico Domenico Moreni per averne "ulteriori no-
tizie; finché non mi è riuscito eli esserne pienami>n-
te informato Poiché egli con lettera, in data dei
6 dello scaduto maggio da Firenze, favorì di scri-
vermi : Quel che /inora non avea potuto ottcTiere
t ho ottenuto adesso. Morì suor Teresa Maria Mad-
dalena Trenta a 9 dicembre 1740 , in età di anni
80. mesi 4i giorni 19, essendo rimasta nel mona-
stero delle carmelitane di s. Maria Maddalena de
Pazzi ^ detto degli angeli , 4?' <^'"" •> ^i^s^<^ ^ ^ e gior-
ni G. Stette inferma mesi i5. Essendo adunque na-
ta agli 2 agosto nel iG59, avea già nel 1G91, in
cui conobbe per la prima volta in Lucca il prin-
cipe Federico, anni 32; ed essendo stata monaca
47 anni, essa ne prese l'abito nel 1G93, due an-
ni dopo la di lui partenza. Allorché poi tornò a ri-
vederlo per la seconda volta nel 1709, era già ar-
rivata all'età di 5o anni. All' incontro Federico, fi-
gliuolo di Cristiano V , essendo nato nel 1G70 , e
morto di $9 anni nel lySo dopo di essere salito
sul trono nel 1G99, andò in Lucca nel 1G91 di so-
li anni 21; e quando tornò nel 1709 ne aveva so-
li 39. Onde la monaca alle esterne convien che
unisse le più belle doti dello spirito, se potè co-
tanto interressarlo ambedue le volte, benché a lui
superiore di età di anni undici. Ma non sono rari
gli esempj di quelle donne, che anche nel loro
autunno hanno superata la freschezza della prima-
Vera di molte altre.
Questa virtuosissima monaca , come seguita a
narrare \ Otlieri , a<^>ea riconosciuta in se stessa la
vanità del mondo ^ e la fallacia delle promesse degli
uomini-, perchè il marchese Filippo^ Bentivoglio ( da
lui scambiato col conte, poi principe Filippo Erco-
lani ) essendo povero figliuolo , tavea assicurata dì
loi L-ETTilRATCRA
volerla sposare : e divenuto ricco per la morfr (Jel
padre ^ noìì soddisfece alla promessa. El'a senza
lagnarsi di lui , come altra donna avrcì.>he Jcllo ,
si rivolse con fortezza e con iLsuìnzione a chi non
le putea mancare. Pertatilo non soìo si volle con-
sagrare a Dio, Tacendosi monaca, ma, benché da
lui ingiustamente abbandonata, usò \ eroismo d' im-
pegnare il principe Federico ad. intercedere da Cle-
mente XI la grazia delia vita allo stesso marchese ,
reo di delitto capitale. Ma non essendosi spedii-
cala né da Pietro Polidori, né dal Raboiilet, scrit-
tori della vita di quel pontefice, né da veinn' altro
ìstorico, la qualità della sua colpa, io m impegnali
di farne ricerca con varie lettere scritte a Fano,
a Lucca, a Ferrara, a Bologna, a Firenze, ed a
Milano; giacché /' isloria genealogica della famiglia
' Bentivoglio scritta da Vincenzo Armanni è anteriore
a tal fatto; né avea potuto rinvenire nella storia di
Bologna del Savioli il motivo della sua condanna ,
Flsseudo percià state inutili tutte le mie ricerche,
fui costretto a divulgare le mie notizie danesi senz'
averlo potuto indicare . Ma poco dopo la pubbli-
cazione delTc i¥Krdesinie , potei addattare a me stes-
so r adagio : extra quaeris., quod intus habes. Poi-
ché mi rammentai , ma fuor di tempo , che io
stesso ne aveva rilevato la ragione in due diver-
se mie opere ; avendo prima ne' possessi pontiji-
cj p. 4o5 , e poi nel mercato p. 77 , riferito il
c( l;brc fatto , nanato in questo modo nel diario
dì Francesco Valesio . Martedì 4- settembre yro'6.
^4 n gelo Gavotti fu ucciso in un duello da Sci-
pione Santacroce in Campovacciiìo , alla presen-
za del marchese Filippo Bentn'oglio , e del mar-
chese Nereo Corsini. Mercoldì 5. // Gavotti Ju
esposto a s. Nicola di Tolentino , ove fu umaio
Permaneivza di Fed. IV. IN. Italia io5
nella cappella della Madonna di Savona . È ve-
nuto fuori il seguente madrigale :
È morto il buon Gavotti,
' Come già Cristo in croce ^
Da Scipion Santacroce
In mezzo a due assassini
^ Bentivoglio e Corsini .
In ambedue i luogìii mi ristrinsi soltanto a da-
re copiose notizie di Scipione Santacroce, e del
Corsini , processato per questo duello , perchè as-
sistè da padrino all' ucciso Govotti , dal fisco clie
stampò una scrittura avanti monsignor governato-
re, intitolata: lìomana praetensae moderationis mo-
nitora . Ma nulla dissi del Bentivoglio , che ser-
vì da padrino al Santacroce . Tutti e tre i con-
dannati però furono contumaci . Il Corsini si ri-
fugiò in Toscana ; il Santacroce a Vienna ; ed il
Bentivoglio a Venezia ; senza che per interposizio-
ne di valevoli uihij avesse luogo per lui la con-
fisca de beni . La sua consorte Camilla Caprara,
sorella del celebre maresciallo Enea Capraia che
gloriosamente si distinse nel!' assedio di Vienna ,
lo andò a trovare alla metà di dicembre del ii^oo.
Ai 24. di lebbrajo nel 1709. il senato di Bo-
logna fu avvisato dal cardinal legato Niccolò Gri-
maldi del prossimo arrivo del re Federico IV. sot-
to il nome di conte dì Oldemburgo , acciocché
sì usassero verso di lui tutte le dimostrazioni d o-
iiore e d' ossequio , e che si scegliesse uno do'
più nobili palazzi di quella città , per alloggiarvi
comodamente e decentemente quel sovrano .
Ai 35. furono perciò eletti i senatori Vin-
cenzo Bargelli ni , Antonio Bovio, ed i conti C-i-
I oG Le tteratura
nullo BologneLti e Vincenzo Ranuzzi , che come
cleputati assistessero e servissero S. M. dall' ingre5*
so nella legazione fino a' confini . Ai medesimi fu-
rono aggiunti per colleghi i conti Frangiotto e
Gio. Niccolò Tanara , Alessandro Fava , Girola-
mo Bolognetti , il marchese Paris Grassi , ed i no-
bili Orazio Bargellini, Alessandro Sampieri, e Giu-
seppe Carlo Ratta .
Ai 2'j. fu spedito a Venezia il slg. Luca Pe-
derzani , persona molto abile e manierosa , con
lettera dell' assunteria al suddetto marchese e se-
natore Filippo Bentivoglio , figliuolo del senatore
Ulisse , che ancora vi dimorava durando la sua
contumacia , affinchè appena giunto il re cercasse
d' indagare la intenzion;; di S. M. sopra la sua par-
tenza da quella città , suo viaggio , ed arrivo a
Bologna, la qualità della sua corte e famiglia, uso
di servirlo a tavola, ed i regali ricevuti da quel-
la repubblica , descritti nelle mie Notizie dane-
si p. 2 0.
Ai 5. di marzo arrivò a Bologna M. Wolff
consigliere di giustizia e medico di S. M. , dal
quale si seppe che il re sarebbe venuto per acqua.
Ónde subito furono allestite le barche , due delle
quali erano dipinte e dorate per di fuori , e co-
perte d' un padiglione vellutato. La prima era di-
visa dentro in due camere chiuse da doppie bus-
sole di cristallo . La seconda conteneva un letto
reale; ed amendue apparate di damasco, trinato
d' oro , con placche d' argento appese alle pare-
ti. I barcajoli erano vesùti con giubbone e cal-
zoni e berretta , alT uso di Venezia , di panno
turchino , trinato d' oro ; ed i cavalcanti vestita
di panno , di colore conforme .
Si ebbe avviso che ai 9. dopo la colazione ,
Permanenza di Fed. IV. in Italia 107
alle ore 18. sarebbe partito il re da Ferrara per
Malalbergo . P erciò i senatori deputati , verso Vave
Maria ^ con varie carrozze con mute a sei , ac-
compagnati dà cavalieri loro colleghi , si porta-
rono a Corticella . Ma il re pernottò a Malalbergo .
Nella domenica del io. alle ore 18. appro-
dò il re alla Corticella , ove il senator Bargelli-
ni ^ come decano , lo complimentò . Dopo che il
re montò in carrozza , ed arrivò a Bologna a ore
20. circa , andando al palazzo destinatogli del se-
natore Vincenzo Ferdinando Ranuzzi , in me2zo a
folto popolo . Arrivato al luogo dì sua dimora,
fu ricevuto dalle tre donne Ranuzzi, cioè dalla con-
tessa Maria Virginia Pucci moglie del senatore Vin-
cenzo , dalla contessa Anna Campeggi vedova del
senator Gio. Carlo Ranuzzi ^ e dalla signora Orin-
tia Ranuzzi in Ratta , ed anche dal figliuolo del
senator viveate . La Pucci diresse il complimen-
to al principe , che subito andò a pranzo - La
sera passò nel quartiere a pian terreno del pa-
lazzo , dove gli fu data una brillante e magnì-
fica festa di ballo , nella quale il re aprì la dan-
za colla contessa Maria Virginia, e vi si tratten-
ne lietamente fino alle ore cinque della notte.
Agli II. desinò co' quattro senatori deputa-
ti , come avea fatto anche il giorno jjrecedente .
Dopo andò in una stufìglia al passeggio ordinato
nella strada di Saragozza . Aveva alla sinistra il
decano Bargellìni , il Bovio occupava il terzo po-
sto , ed il quarto il generale Ravenelò . La sera
si restituì ai palazzo Ranuzzi , dove fu ripetu-
to il ballo .
Ai j2. andò a vedere il palazzo di Zola della
famiglia Albergati: ed ivi fu accolto con magni-
ficenza e con musica e rinfreschi .
.IOi8 LÈTtTEftATlJRA
Ai i3. il maresciallo di corte presentò uu
medaglione d' oro al senatore Ranuzzi ; e poi par^
ti il re per la via di s. Stefano alla volta di To-
.scana . A tre ore dopo mezzo , dì arrivò a Sca-^-
ricalasino , dove fu trattato a lauto pranzo da'pa*
dri Olivetani . Il corteggio bolognese V accompagnò
fino a Pianoro . Egli aveva 86. persone di segui-
to , 39. cavalli , e due cani . Il senato gli fece il
solito regalo di vini e comestibili . Il re lasciò di
regalo 253. ungheri .
( Sarà continuato )
Continuazione e fine delle osservazioni su la clisser--
taziofie del processore Michelangelo Lanci intor*
no gli omireui.
g. 5o. Iluella che l'importanza e il midollo dell'
opeia e la grave fatica del dotto scrit-
tore vie maggiormente palesa ; quella che può a
buon dritto chiamarsi ardimentoso tentativo del ta-
glio dciristmo : si è \i\ parte secondatili cui scen-
dendo allo scopo precipuo del suo lavoro , si po-
ne egli a provare, che omirene sono le inscrizioni
di que' codici vaticani ; e a magistralmente snoc-
ciolarne il significato . Non farò che ristringere la
serie delle sue prove , e de' principii da lui cre-
duti esserne fermissima base .
§. 5i. Dopo aver parlato quella penisola per
molto tempo uu linguaggio unitoime, si divise que-
sto in due dialetti diversi ; e ciò derivò dalla es-
pulsione che una parte del popolo del paese chia-
mato Adramauth fece delf altia partR, la quale fu
Sugli Omireni '109
obbligata rifugiarsi nell' Egiazze . I discacciatorì
che furono gì invitti purpurei omireni , portati in
seguito dal furore delie armi oltremare-^ ( cioè pri-
ma che si circoncidessero per la paura ) e fre-
quentando a motivo di commercio India Etiopia
Persia Samarcanda Fenicia Siria e Caldea : adotta-
rono fogge varie di straniera lingua ; e la propria
scostando da fonti originali^ e nuovi vocaboli so-
stituendo agli antichi: il dialello loro ibrmarono. (a)
I discacciati che furono i tamudei^ tribù di tal no-
me , non fecero altro miscuglio di linguaggio, che
conformando il proprio dialetto a quello che nelV
Egiazze parlavasi . La lingua egiazzea chiamavasi
la coraiscita , in memoria di un Corais discenden-
te da Ismaele . A costui , rappresentato dalla gene-
si quale abitatore di solitudini e saettatore (b) ,
quelle contrade chiamansi debitrici del perfeziona-
mento del loro linguaggio, e suo avvicinamento al-
le ebraiche maniere (e) .
§. 52. Che che fosse della purezza de' due dia-
letti dopo la divisione : pretende il signor Lanci,
che prima di essa, quello degli omireni fosse più
puro: per la ragione, che la civilizzazione loro pre-
cede a quella de' tamudei^ e scrissero prima di que-
sti nella propria favella ; e anche per T altra ra-
gione maggiore di tutte, che non ebbero un Ismae-
le ^ il cjuale diverso linguaggio 0^ ebraico o' caldeo
nelt arabo trapiantasse (à). Ond' è che se i filolo-
, gi più elegante il coraiscita decantano : ciò debba
intendersi de' bassi tempi , in cui l'Arabia felice
(a) P. 98.
(b) C. 21, V. 21.
(e) D. p. 98.
M) P. 99-
no Letteratura.
da principi etiopi fu dominata ; e 1' Egiazze all'
incontro di elegantissimi scrittori abbondava.
§. 53. Decidere, in che il coraiscito dall'omo-
reno dissenta, è stato finora dalla mancanza di mo-
numenti reso inpossibile. Hanno alcuni creduto,
che come all' ebraico il primo , così al siro il se-
condo si avvicinasse ; e ne Iianno preso argomen-
to dal narrarsi, che un arabo ( forse dell' Egiaz-
ze ) da certo re omireno invitato a sedere con la
parola teb^ la quale in siro significa siedi, si po-
nesse a saltare : per lo motivo che nella parte
d'Arabia dove colui soggiornava interpretavasi sal-^
ta, (a) Il signor Lanci a dir vero da tale avvi-
cinamento dissente; ma ne dà una ragione che non
persuade. Se l'omireno linguaggio era diverso dall*
arabo odierno: come può provarsi, che quello non
partecipasse continuamente del siro , solo perchè il-
secondo vocaboli contiene derivanti da ebraiche ra-
dici ? (a) Perlochè nel golfo arabico, rimpetto la
provincia di Seger , collocandosi dal geografo di
Nuhia le due isole di Cartaii e Mortori abitate da
una razza di arabi qui diversis et antiqids utuntur
linguis;. (b) e dal signor Lanci riputandosi questa
una colonia omirena , emigrata a motivo delle guer-
re e devastazioni dello lemen: (a) trovo molto giu-
sto il desiderio di lui , che qualche sagace viag-
giatore d'Europa a que' lidi approdando, torni poi
con la propria sperienza a sciogliere la questione, (b)
DigiULS vindice nodusy e dispendio bene impiegato.
(a) P. loi.
(a) P. 104.
(a) P. 101.
(1.) ivi
Sugli Omireni ih
Siccome a questa età nel clima in che viviamo dif-
ficilmente tale spedizione egli vedrebbe secondata :
chi ha zelo per la interpretazione rilevantissima di
due mezze righe di que' due codici arabi vaticani,
non può non incoraggirlo a invocare gli auspicii
per questo di alcun mecenate straniero, (a)
§. 54. In quanto a me , bastami che anche
prima del fausto ritorno e della relazione dettaglia-
ta del sagace viaggiatore , abbia il signor Lanci
deciso , che 1' antico omireno dialetto dalf odierno
comune parlare di molto si allontanava:, (a) e che
non solo soggiaceva air unione di asprissime con"
sonanti , le quali dal linguaggio de' coraisciti^ eh era
il più nobile ed elegante , e V arabo purissimo (b)
iùrono eliminate: (e) ma assai radici conteneva molto
diverse dal senso nel quale i coraisciti le usava-
no • dal che diversità ne' due dialetti nasceva, (a)
§. 55. Dal linguaggio passanda alla scrittura:
égli, come a suo loco accennossi, suppone, che
i primi omireni, per instituzione di re Saba , le
loro idee col mezzo di geroglifici propagassero : il
quale scrivere inosservato fino a lui , è stato da
esso scoperto e raccolto da pia manoscritti ara-
beschi , che sotto esteri auspicii promette render
pubblici; (a) ed è a bramarsi che le sue discussio-
ni conducano alla consueta evidenza. Dal simbolico
passò la scrittura alla composizione per elementi:- e di
essa avendo preso scuola da Salomone quella regina
(a) P. 109.
(a) P. 4 00.
(b) Lett. sul mon. cuf. f. p. 42.
(e) P. 104.
(a) P. 104.
(a) P. 109;
112 Letteratura "^
Balchis^ la quale abbiam risto cbe non potè essere
coetanea di lui: a essa e non ad altri egli vuole,
che tal cambiamento si attribuisca. Non nega egli,
da qualche arabo scrittore asserirsi , essere stato
introdotto in Arabia da un viaggiatore venuto da
rimotissime terre . Ma se da rimotissime terre egli
venne : perchè quel viaggiatore , ( dice il signor
Lanci ) esser non potrebbe quella regina medesi-
ma ? (a) Quindi dopo aver dichiarato , mostrarsi
col fatto, che le due inscrizioni omirene tutte
risentono delle forine samaritane , fenicie e assi-
rie: diasi, egli esclama, la gloria de primi ca-
ratteri tra tobbei alla gran donna di Saba e a
Salomone, (b) '
§. 56. Quest' antica scrittura agli ardui sim-
boli succeduta , i quali non eran pel volgo , non
fu pel volgo né pur essa , ma joe' primi sapienti e
per le regie famiglie ; impiegata si vide n^
grandi affari di religione , in memorie di tempi e
in regii fatti ; (e) ne si poteva apprenderla sen-^
za permesso . (d) Cercare un saggio di tali carat-
teri, fuori de' codici vaticani esaminati dal signor
Lanci, è cosa inutile totalmente. Son troppo lon-
tani da noi il secolo di Nassernem successore di
Balchis il quale scolpì caratteri omireni sul segna-
jle lasciato in Africa, per avvertire ciascuno a guar-
darsi da quella arenosa solitudine; (e) quello in
cui altjri; ne furono scolpiti su le mura di Scia-
in) P. 112.
(b) P. 11 3.
(..) Ivi
(d) P. Ili-
ce) P. ii4.
, Sugli Omireiji ii3
irpi^ramd ; (a) e quello in cui furono- incisi i se-
polctt'ali epitaffìi di Gìassan figlio ài Amr Alcali^ e
di Ta<^a ligi ia di Safar\ (b) e il tempo fu sì sol-
lecito a distruggere tali monumenti: che nessuno
di quanti ne fanno menzione può darsi vanto d a-
verli visti. Tale scrittura fu riformata da Marai\ (e)
•filologo anteriore a Maometto ; (d) e la ri l'orma con-
sistè in attaccare l'un l'altro gli alfabetici elemen-
ti, i quali nel primo antico stile, continuato fino
a quel persiano governatore Badan che maomettano
divenne, erano perfettamente isolati. Adottata allo-
ra la maravica scrittura , fu abbandonata \ oinire-
na., (e) e tanto assolwto fu \ abbandono : che è
passato finora per erudito abbastanza, chi ha det-
to , le scritture degli omlrenl esser certe; ma non
essere state da nessuno vedute, (f)
§. 5^. Che le inscrizioni, rinvenute dal signor
Lanci ne' due codici vaticani, non sieno capric-'
dose forme di bizzarro calli^rrifo , ma compo-
ste degli elementi medesimi in Arabia telice usati
prima di xVlaomeUo : egli prevede, che non debba
èssere facilmente creduto ; e die la bassa età de'
codici stessi possa agli oppositoii servir di prete-
sto, (g) Imperciochè Gemaleddin, scrittore del co-
dice lao, visse il nono secolo egirico ò sia quindi-
cesimo dell era nostra ; (h) e quegli che scris-
(n) P. li 5.
(b) P. n6.
(() P. 114.
(dj Lettera p. 44> . • •
(e) P. iiG.
(ij P. 119.
(è) P. 123.
(il) P. 120.
G.A.T.IX,. 8
ii4 Letteratura
se il codice i55 fiorì circa un secolo dopo, (a)
Kgli per altro tale difficoltà non la reputa grave.
Potrà mai dirsi fatto a capriccio quel genere di
scrittura , di cui vedonsi due inscrizioni segna-
te in manoscritti un secolo l uno dati altro discO"
sii ? (b) Poteano esser guidate due mani maestre
a notare in vario paese e in età varia due scrii-'
ti, in essenza e qualità perfettamente concordi? (e)
a, forse improbabile^ che essendo il primo codice au-^
tografo ^ fosse dal calligrafo miniata V epigrafe a
piacer delf autore ; e ehe il secondo fosse copia do»
riginaley in cui già la bella inscrizione esisteva ? (d)
Perche non poterono gli scrittori delle storie in
que codici contenute aver rinvenuto quelle epigra»
Jì in fronte e in fine di rimotissime croniche ; e
prendersi la premura di serbarle^ quantunque forse
( giudiziosissima ipotesi ! ) non le capissero ; ò alV
opposto forniti essendo di erudizione ;, e penetrane
do le cose de trapassati ^ aver voluto, per argomen-^
to della scienza e perizia loro e instruzione de pO"
steri , che fossero su que volumi vergate ? (e)
§. 58. E se in dette epigrafi le componenti
lettere non sono ne nischie cioè corsive ; ne car~
niatiche ossia impiccolite; vie cz/y^cAe ovvero ornate,
come gli amanuensi solevano in Gufa città di Me-
sopotamia; ne tamuree ^ il che vuol dire lo stessa
che cufiche : ( identità stabilita nella lettera lancèa
sul cufico sepolcrale monumento portato da Egitto
(a) P. 123.
(b) ivi.
(e) P. 124.
(A) ivi.
(e) P. 125;
StÌG-Lt Òài'hrM
lìti
in lìnma ; (a) nella prèsérite dissertazione peral-
tro dimenticata : (b) che mai esser possono fuor-
c/iè omirene^ (e) cioè di qud daratter'e,il quale, venuto
Maometto , andò in disuso, è gli si dà nome di
carattere perduto^ (A) Ed èssendo esse dipìnge di ros-
so ; e gli omirew ., come sopta' si è detto, con
tal nbnie chidnMjidosi\, ih ti/lesso delle regie ros'
se vestimenfa : chi non' rinverrà in talìé circostan-
za un sopracaiico di ragione, onde le epigrafi at-
trib(jire a quel popolo f (e) Questi sono gli argo-
nienti , da' quali il signor Lanci credesi confortato
a giudicare , che gli sberleffi segnati su que' co-
dici sono realmente inscrizioni ; e inscrizioni pre-
cisa meute o//i//'<?«<? . Noni repiito i leggitori bisogno-
si dì prolisso esamo . Si tratta di logica , le cui
operazioni sono lacilissime per chi ha sano in-
telletto .
§. 59. Ma ecco che il signor Lanci s' incam-
mina alla spiegazione del significato delle due ra-
iissime epigrafi . Seguitiamo il magnanimo viaggia-
tore , per tutto il corso dèi siio viaggio corag-
gioso .
§. Co. Egli comincia da nominare- all' ebrai-
ca i quattordici distìnti elementi dì dtìi le crede
Composte; e dice che sotiù Innied he' jod samech
copìi vau tlicth phe hétt* nuli' àdph' ddlei aiin
resch. (f) Dal nome pàsSà alla nazìonaiità e quali-
(a) Letterat p. 55^
(b) P. 127.
(e) ivi.
(d) P. 4.
(e) P. 128.
(f, P. xSi., e seguenti.
8*
tiG Letteratura
tà ; e ne riconosce dieci per samaritane^ una per
palmirena^ simile ad altra nelle epigrafi capitoline^ le
quali ci avverte che non hanno veduto ancora la
luce , ma avremo la felicità di vedervele colloca-
t e per mezzo di lui ; (a) una araba odierna , (b)
una cufica , (e) e una nischia . (d)
§. tìi. Fermiamoci alquanto. Dopo essersi det-
to, ciie queste lettere non sono nischie: (e) come
ora ne esce fuori qualcuna di lai genere? E se nel-
la prefata lettera sul sepolcrale cufico monumento^
che si dà per bussola, con cui far, vela nel pelago
della dissertazione^ (f) si dichiarano autori di tal
niodo di scrivere ò Ehn Moclia ò suo fratello, vis-
suti nel quarto secolo dopo f egira : (g) come let-
tere inventate da costoro possono essere state in-
castrate in una scrittura , la quale cessata era, ap-
pena Maometto comparve? (h)
§. 62. Dopo essersi detto altresì , che quelle
Jettere.non son cufiche : (i) come ora , per tro-
var lettere in quegli sberleffi , al carattere cufico
si ricorre? E se il carattere arabico moderno è
una riduzione posteriore alla soppressione dellow/-
rcno : come dunque inscrizioni omirene possono
qualche elemento contenerne ?
§. 6ò. Per convincermi della rassomiglianza
di que' segni co' caratteri samaritani identilici co'
(a) P. i35.
(b) r. i38.
(e) P. i4o.
(d) P. 142.
(e) P. 127.
(0 p- 137.
(g) Lettera p. 4?-
(h) P. 116. (i) ivi.
SlJGLl OmIRENI I i'j
fenica, confesso uon aver avuto tal dose di fidu-
cia da riposare su la tavola seconda , posta dal si-
gnor Lanci in fine del libro ; e aver voluto all'in-
contro la ta\>ola prima contenente le inscrizioni con-
frontare con quanti alfabeti samaritani mi è riusci-
to vedere: cioè con quelli di Samuele Bochart nel-
la celebre opera Geogiriphia sacra ; (a) di Chiuse p^
pe Scaligero nelle sue jtnimadversiones in cìiro^
ìiicon Eusebii ; (b) di Bernardo Montfaucon nella
Palaeogìaphia graeca ; (e) di Eduardo Bernard
presso Ezechiele Spanemio De praestantia et nsit
niimismatum anticjuorum\ (d) di Luigi Giuseppe Ve-
lazquez nelT Ensajo sohre los alphahetos descono-
cidos ; (e) di Arrigo TValton ne' suoi Prolegome-
jia alla famosa bibbia poliglotta di Londra ; (fj di
Edmondo Chisìiull nelle sue Antiquitatcs asiatricae-^{^^
e di alti'i ò più moderni ò meno autorevoli - Non
§o , s' io debba gloriarmi di mia diffidenza ; ov-
verameute rinfacciare a' tipografi di que' libri la
poca fedeltà con cui hanno impresso quegli alfa-
beti : i quali son forse gli stessi che i confron-
tati dal signor Lanci , e da luì rinvenuti unifor-
mi in dieci lettere ad alU'ettante delle due iii-
scrizioni di cui si tratta .
§. G4- Impcrochè di que' dieci segni negli al-
fabeti di Bochart e di Scaligero due soli co' sa-'
morii ani analoghi elementi hanno qualche rasso-
miglianza ; in quello di Chishull con tre soli ; e
(a) Chaii. L. i. e. 20.
(h) Auiiiail. p. ilo.
(e) L. 2. e. 1.
C<1) (lisscrt. 2. p. 8,
(e) T;iv-. 3. in l\u,
(0 Pfolo;-;. -1. p. 11. (e) Tali, pò t p. 24- •
Il8 LlTTERATURA
in quelli di Monifaiccon , di Bernard^ e dì WaUon
solamente con quattro .Se la residuale dissomiglian-
za sempre si verifica sopra sei di que' segni ; ed
essa sia elfetto non di tipografica inesattezza , ma
della vera figura di que' caratteri : ( il che si re-
puta più probabile : ) lascio considerare , quan-
to felicemente poss*ano interpretarsi due inscrizio-
ni composte di quattordici segni , tra cui quattro
soli si sospetta eh' esser possano lettere ; ( e di-
ciam pure che il sieno : ) e gli altri dieci ò non
son lettere in nessun conto i ò non appartengono
all'alfabeto samaritano al quale vogliono gli altri
quattro riferirsi . E uniscansi pure a queste lette-
re , con supposizione di vero significato , e la pal-
mirena e la cufica e la niscìiia e 1' araba mo-
derna . Sfido qualsivoglia a decidere , che inscri-
zioni, di cui si è supposto conoscere quattordici let-
tere , abbiano il significato medesimo , allorché si
provi , essersi equivocato sopra di sei : alcune del-
le quali essendo ripetute , rendono il numero de-
gli errori maggiore d' assai .
g. 65. l{ipren.diamo il cammino, e teniam die-
tro al signor Lanci , il quale considerando , che
il solo eseguito confronto non condurrebbe al si-
gnificato da lui voluto : trasforma que' caratteri
quattordici e i ripetuti consimili in altretanti ara-
^i corrispondenti , cioè in lam he je sin koph vaii
Ut jjhe hha min hapli dal, <jn re . Quindi questi
Mualtprdici caratteri arabi, disposti da prima nel mo-
do stesso che quelli cui gli ha surrogati , e cosi
vicini tra loro che non appaja division di parole^
in separate voci li riduce: talché una delle inscri-
zixinl mi^assicnran che dica: lahnn jàski va'hata-
pJia hanviin khlla kàsta iuìkdi ; e l'altra: lahìin
jàiki vahatapha hanvun kàpphi so k e ah vakàrri j
Sugli Omireni i 19
§, 66. La pritna dì queste imprese non è sta-
la malagevole; e poiché al signor Lanci è piaciu-
to decidere ,, che i suoi caratteri omireni somigli-
no a' samaritani , palmireni^ cufici et coetera : quan-
tunque parlando ingenuamente manchino per la mas-
sima parte della rassomiglianza che per approssimazio-
ne ha il capitello corintio con un paniere di foglie d*
acanto: poca fatica sembra aver dovuto costare il ri-
durli in caratteri arabi corrispondenti. La fatica gran-
de incomprensibile maravigliosa sembra essere stata
quella di far sì, che caratteri arabi moderni, separati
in vocaboli di lingua araba letterale moderna , ren-
dano il significato medesimo , che parole formate
Con caratteri bensì corrispondenti, ma di una lin-
gua la quale e per sostanza e per meccanismo dal
moderno comune parlare e Ietterai modo di scri-
vere assai si allontana . Se quell' antico scritto si
riduce, senza variazione di scritturai giacitura.
Si parole arabe moderne : dunque gli omireni parla-
vano Tarabo moderno. Ma essi, dice il signor Lan-
ci , parlavano lingua assai diversa: (a) dunqua
i caratteri antichi di quello scritto trasportati, sen-
za Variazione di scritturai giacitura , in caratteri
arabi moderni, non sembra che possano parole pro-
durre , le quali abbiano il significato stesso delle
parole omirene .
g. 67. Come è possibile, che le due epigrafi
scritte co' caratteri analoghi di due lingue diver-
se , rendano naturlalmente questo stesso significato 5
( poiché tale interpretazione è la gioconda meta e
il non plus ultra del signor Lanci : ) Iddio inaf-
Jìa ( ecco la prima ) e /a piovere benig'io sopra
(a) Si Tede qui sopra il §. ^iw
120 LETTERATURA
Ogni parte del mio lavoro : Iridio inaffia ( ceco
la seconda ) e fa piovere benigno : la mia /na-
no n è stata irrigata e il mio scritto altresì ^ Se
a Pitagora , esclusa antecedente premeditazione ,
fosse riiiscito tale portento : credo che inirnolito
avria l'ecatombe per questo, e non pel teorema no-
tissimo . (a) Trovare a caso la quadratura dol cer-
chio e il moto perpetuo, è qualche cosa di mr^no.
, §. 08. Facciasi una sperienza con sciiver<> in
gieci caratteri , senza separazione di vocaboli, T o-
nierico verso (b)
Tts Tup ff(pàt (fiùv ipi^t ^vvixi f^it^toSui-
e trasportisi in lettere latine corrispondenti senza
nessuno spazio . Fin qui T operazione non eccede
i limiti d' una fanciullaggine : come anche fanciul-
laggine sarà separare il verso greco in distinti vo-
caboli , e far lo stesso del copiato latino: talché
le parole gieche scritte in latino stieno sotto l'al-
tre scritte in greco ; e le greche e latine lettere
stiano a perpendicolare contatto - Da queste fan-
ciullaggini si passi in fine alla operazione virile ,
ossia interpretazione del verso. Qual signiiicalo ab-
biano le parole greche scritte ò in greco ò in la-
tino , i grecisti lo intenderanno bensì, ma riducen-
dole sempre ali idioma greco , senza che i eaiat-
.teri latini, in cui sono state trasportate, dieno al
senso la menoma variaziont;. Quelle; j):trole greche
peraltro nei latino idioma nulla sigtiitichera'nnu ; e
gì ignari di greco, lungi da intendere che il \er-
.so \ uol dire : Quis nani eos deoruni conti/ifione
^.i) Lac;i. T. ?. p. m. 217.
(b; likd. L. 1. V »,
SrOI.I OiVIIRENl 12 I
commisit ut pugtiàrentl non faranno distinzione da
que' greci vocaboli a vocaboli giapponesi e messi-
cani ; e rendeninno a noi sempre più portentosa la
ventura del signor Lanci , il quale a voci scritto
in caratteri non arabi di lingue non arabe, fa signi-
ficare lo stesso , quando scritte sieno in caratteri
arabi corrispondenti .
§. 69. Diranno, clie il greco dista ora da! latino più
di quello die distar potesse ìì samaritano dalfarabo ; e
che per conseguenza la prova non col greco e coi la-
tino ; ma esige la rettitudine che si faccia col la-
tino e coir italiano : cioè con due lingue in gra-
do più prossimo aflini , e la prima delle quali sa-
ria cecità non riconoscere per immediata e mo-
dei'na origine dell' altra . Letterati poliglotti , per-
mettetemi aderire a tale obiezione . Qual frutto ne
trarrà T oppositore ? Vediamolo per curiosità , ma
senza fìar caso di pochi , studiati, laboriosi, e tou
lunghe ripetute prove combinati rapporti , di po-
che parole latine , cui siasi procurato conservare
il senso unito alla giacitura letterale nello idioma
toscano : come sarebbero i due versi premessi da
Saverio Mattei alla sua versione dell' ujizio di no-
stra signora^ i quali tanto in latino quanto in
volgare dicou lo stesso :
hi mare irato , in subita procella ,
Invoco te , Maria benigna stella .
Un artiiiziale conato non prova mai 1' andamertlo
ordinario e invariabile della natura . Si scriva il
passo biblico latinizzato : Nihil est opertum quod
non revelabitur . (a) Il carattere latino , fuori di
due elementi greci non variati, è lo stesso che
quello de' toscani : perloehè non abbiamo la fatica
132 Letteratura
di trasmutare uno nelT altro * Ma come capirà V
italiano il senso delle suddette parole latine ? Non
in altro modo che traducendole in italiano : il che
a' detti vocaboli dee dare altra giacitura i come
potranno convincersene quelli che scriveranno in
una linea il detto latino passo ; e in altra linea
inferiore : Nulla è coperto che non si rivelerà . E
lincile le parole resteranno in suono e giacitura
latina : lifaliano ignaro di latino resterà ignaro an-
die del senso di que' latini vocaboli .
§. jo. Sarebbe pur facile il mestiere del tra-
duttore , se in altro non consistesse che in traspor-
tare per esempio. in italiani caratteri ciò che scrit-
to in arabi in greci in ebraici ; e ne risulterebbe
una lingua universale, parlata dalla baja di Baffin
alla nova Zelanda , e dal Senegal alle isole ma-
riane . Tali inconcludenti lavori lasciar dovendo
necessariamente incognito il senso della scrittura
originale : non v' è altro mezzo per dilucidarlo ,
Se non cambiare le parole dell' originale nel lin-
guaggio del traduttore ; il che darà un suono e
una giacitura diversa . Perlochè applicando tale
principio alle inscrizioni omirene del signor Lan-
ci : se esse erano veramente omirene , cioè scritte
in un linguaggio il quale non piiì in Arabia si
parla : riducendosi all' aiabo dialetto , pare che non
potessero ritenere il suono e la giacitura di pri-
ma . E nel libro del signor Lanci tale diversi-
tà non rilevandosi: quasi quasi viene la tentazio-
ne di dire , eh' egli prese nel leggerle equivoco ì
poiché neir opposto caso dovea trovar parole di
■significato diversissimo dallo immaginato da lui .
§. 'ji. Ciò mi fa ricordare di cosa narrata-
.mi da Cosmo mio bono e dotto padre t cioè d'un
antiquario , il quale rinvenuta una lastra di pie-
Siigli OMIRE^fl i23
tra irregolarmente scolpita da capo a fondo con
caratteri ignoti e strani, in ness un'altra cognita in-
scrizione occorrenti : si pose in testa che , appar-
tenessero a certa nazione di cui non ben mi sov-
viene . Per accreditare il sogno §uo , incomin-
ciò egli dal dire , che uno de' piìi saggi e dotti
di quella età , da tutta Europa veneralo , avea
riconosciuto que' caratteri per quelli eh' egli stes-
so opinava. Nessuno tuttavia credè mai, che quel
valentuomo tal giudizio formasse. Poiché attual-
mente noi possiam dire, la tale inscrizione è ara-
La, la tale è greca, la tale è latina , in forza di
averne visto più migliaja consimili. Ma come mai
può dottamente decidersi della nazionalità d'un mo-
numento , irquale essendo unico, non può porsi con
alcun altro a confronto ? Fu dunque voce pubblica,
ch'egli stesso comunicasse a quell'insigne soggetto la
sua capricciosa sentenza ; e facendo il francone , con
millantare di provarlo : si trovasse poi nell'impe-
gno , né potesse tirarsene a dietro .
§. ^2. Che fece , per riuscir nelf intento ?
Lasciando di emaciarsi nello spremere la inscri-
zione , la quale tanto meno gli si dava a capire,
quanto più la propria erudizione coartava a pe-
netrarne l'arcano : incominciò da comporre ceivel-
loticamente una sentenziosa epigrafe in volgare,;
poi proseguì a trasportar questa in un idioma di
qualche supposta alfinità con la nazione a cui vo-
leva che il sassaccio originale spettasse : badundo
bene , che il numero degli elementi formanti le
parole corrispondesse a quello de' segni sul sassac-
cio incavati . Quindi terminò con una lunga ana-
lisi di que' segni , ostinandosi a sostenere , senza
argomenti ne' morali ne fisici , ch'essi erauo le tali
h'tlcre e non le tali ; e generalmente le medesimi^
ia4 Letteratura
di cui la inscrizione aveva mestieri , por signi-
ficar qnalche cosa .
§ ^3 Alcuni forse invidiosi della gloria a cnl
poggiava il signor Lanci con la spiegazione di diKì
inscrizioni oininme quasi uniformi , le quali con-
sliluiscono IH) monumento unico in tutto il mon-
do ; ò anche sbalorditi dalla inaudita novità di vo-
caboli di dnc diverse lingue , sempre uniformi nolKi
giacitnva nel suono e nel significato : hanno conce-
pito il sospetto , che imitando egli queif antiquario ,
abbia incominciato dallo idearsi 1" epigrafe dello
inaffiamento , con qualche analogia ad altre ara-
be poesie , in cui si nomina Y acqua • (a) e poi
conciliato tutlo il resto in modo da gettar la pol-
vere agli occhi de' pochi leggitori che si è propo-
sto d' avere . Tale sospetto è intieramente maligno .
Il signor Lanci è universalmente conosciuto per esat-
tissima probità e bona fede, per ricco l'ondo dì
dottrina , per (ino criterio , per indefesso studio;
e ogtii circostanza di tal questione contribuisce a
convincen; chi per sì belle doti sì vanta di giu-
stamente apprezzarlo , che s' egli , per una di quelle
fatalità spesso comuni anche agli uomini di supe-
riore ingegno , fosse caduto in equivoco : dalla
sola ìntima e costante persuasione propria derivalo
sarebbe il vendersi da lui questo equivoco per
geometrica dimostrazione . Quindi è , che la mi-
sura della più snblime carità essendo T amor di se
stesso : non si potrebbe incolparlo d' averci indotto
fraudolentemente in errore : quando la prima vit-
tima di questo erroie fosse slato egli medesimo.
§. ^'4- Iniperochè pviiua di i'arlo credere a
noi 1 sembra certissimo, che avrà egli stesso cre-
duto 1 , po!eisi giudicare della nazionalità d' ww
nionumento uìjÌ'_'j al mondo , mir-ivantc il; cuuiron-
SUGT.I OiIlRElVI 125
to , e segnato a caratteri non più visti ; 2 , quegli
sLorleiìi de' codici arabi vaticani, essere precisamen-
te una inscrizione omirciia ; 3, essa, rassomigliare a
lettere di aliabeti conosciuti, bencliè non abbiano
co' m.^desimi la necessaria somiglianza ; 4, potersi
diro di conoscere un aliabeto, il quale avrà avuto
ventidue battere per lo meno, in l'orza della erro-
nea cognizione di sole quattordici; 5, le quattordi-
ci lettere d' un ai; theto obliterato ridotte a lettere
di alfabeto moderno , coqs ituire parole di moder-
no idioma , escluso ogni cambiamento di giacitura
e di suono ; 6 fmalmente , le supposte inscrizioni
uinireìie avere il significato da lui voluto . Glie
se egli non fosse stato il pilmo a credere queste
cose : come , onesto e probo qual è , si sarebbe sfor-
zato di liìrle credere a noi , con un libro di du-
cento e più pagine ? Così sono d' avviso, farsi la
migliore apologia e dell' autore e del libro .
§. 75. E eh' egli non abbia antecedentemente
ideato da se il significato di quelle epigrafi , risul-
ta anche dalla sciocchezza di detto significato. Se
il benigno cielo avesse fatto dirottamente piovere
sopra ogni pagina della sua dissertazione intorno
gli omireni , mentre egli stava scrivendola : come
avrebbe potuto proseguire a scriverla e ringranziarnc
Giove pluvio umilmente? Si può egli scrivere so-
pra carta bagnata , ò si è potuto ciò mai : quan-
do questa non sia una delle cose che gli antichi
sapevan liare ; e noi dimenticato ne abbiamo e mo-
do e ricetta? Se dunque il signor Lanci ideato aves-
se quel senso : concepito avrebbe, contro ogni re-
1 -àco principio , una cosa allegorica , la quale è
leLteralmente chimera . Or siccome è letteralmente
iiipossibile di scrivere sopra carta tutta inzuppata
fi pioggia; e i libri , bagnati che intieramente sie-
I aG Letteratura
no , vanno a perire : a me sembra impossibile non
mono, che un uomo, quale è certamente il signor
Lanci , non imbecille , ma savio assai , abbia in-
ventato di pianta, per intrerpretazione di quelle epi-
grafi , che lo scrittore , omireno compiacevasi del-
ia celeste benignità della pioggia .
§. jG. Senza né ingolfarmi in illustrazioni ulte-
riori, né dire liberamente ch'io creda capricci e non
altro i segni rossi di quegli arabi vaticani co-
dici , e tanto li reputi inscrizioni omirene, quanto
il signor Lanci è romano : qui aveva io risoluto dar
fine a questo forse troppo lungo articolo. Se non
che, mi è sembrato , che alcuni rigidi e anche in
discreti censori, tirandomi pel sajo , e che ? mi do-
mandino , 7iulla dir vuoi dello stile del libro ? Nul-
la delle vecchie ammuffate parole , appassite foglie
d' un albero che Placco dice rinovarsi di quando
in quandoì Nulla delle talora inintéllii^ibdi frasil Nul-
la della intralciata e confusa composizione ? Amici
miei , permeltetèrai dirlo -• avete il torto voi soli.
Primieramente il libro non è scritto sì male , co-
me qualche emolo, prima di leggerlo ed egli e voi»
forse vi ha descritto sinistramente . Il suo stile -|
mi è sembrato ' a dir vero alquanto inelastico . Pur
ne traspare molte volte T ingegno ; e non sempre
è privo di nobiltà . Poi dovete comprendere , da
nessuno negarsi, che Boccaccio Machiavello Davan-
zali Casa Caro Bembo e altri purissimi, con cui tut-
todì conversate , contribuiscano alla floridezza all'
amenità alla venustà dello scrivere . Ma un pove-
ro letterato, il quale dall' aurora alla sera ha sempre
per le mani Hariri Gcrfialcddini Caliduni Gali-
cani e altri arabi barbassori : il quale dalla cat-
tedra insegna arabo, e arabo parla, e arabo ascol-
ta-- parare ^ il quale quando di cattedra scende , si
SuGfLI OmiRENI IV'.'J
tóiccia nella biblioteca del Vaticano , e ivi è di no-
vo in conversazione eoa arabi vivi e morti , e nul-
la esamina e nulla medita che arabo non sia : co-
me pretendete , che scriva nel modo che scrivete
voi ? Egli scrive talora un po' duro difficile ara-
bizzato ; ne potrebbe diversamente succedere . Ri-
cordatevi di quel celebre scrittore latino , il quale
obbligato alla reci'a del breviario , implorò la dis-
pensa , per non corrompere il favellare tulliano ,
in cui era rigorosissimo . È ben vero , che qual-
cuno vedendo il signor Lanci soverchiamente pro-
penso a pubblicare operette , a lui potria dire : (a)
Su questo di Procuste orrido letto
Chi ti sforza a giacer ?
Ma non potrebbe forse egli rispondere : se le cose
mie non ti piacciono : e tu lascia di leggere ? Credo
dunque , che non gli si debba recare a colpa qual-
che malagevolezza di stile ; e che anzi, come egli
incoraggisce nel fine della dissertazione il chiarissima
e valoroso sig. Girolamo Amati a pubblicare la sua
tachigrafia greca , che né vaticani codici dice ino-
norata giacersi : (b) ( frase che non approvo : per-
chè inonorato non può dirsi mai ciò che conser-
vasi nella prima biblioteca del mondo ; né la cu-
stodia di Apollo palatino formava al tempo d'Au-
gusto infamia di autore alcuno : ) così non solo a
lui stesso debba inspirarsi coraggio di pubblicar*
la promessa raccolta di geroglifici omireni , (e) e
(a) Mcrzini Art. poet*
(b) p. i8i.
(e) V. sopra §. 55i
ia8 Letteratura
delle epìs^rvfi capitoline'^ (a) come: anclie la ver-
sione dell' articolo di Eben Caliduiio sali antica e
varia arte di scrivere appresso gli arabi . che non
si sa per qua] titolo ci ha dato in ajjpendice ^la
dissertazione di solo arabo linguaggio e caraftere :
ma eccitare altresì l'ottima e intraprendente sua vo-
lonlà a sollecitamente prestarvisi : acciò un conti-
nualo e indefesso studio di esotici monumenti , non
renda il suo stile viemeno gradito a gentili ama-
tori e zelatori del bel parlare ; e la relazione non
pienamente propizia de' medesimi, con lo scoraggi-
la i lettori , estenui quel pubblico profitto , a cui
teiide chi , a imitazione del virtuosissima signor
Lanci , dedica la sua vita alla illustrazione di cose
dotte .
TrOFiLo Betti .
.•«) V. sopra 5' Go.
t2Q
ARTI
BELLE ARTI
Pittura —^ Berti Giorgio ^Jiorentino^
*i buon grado ci facciamo a parlare di questo
giovine ar;e'lce,il quale ebbe le discipline della pit-
tura da uno de più valenti maestri italiani , da
quel Benvenuti che può meritamente chiamarsi splen-
dore e decoro delle belle arti toscane.
Ha il Berti tra le altre opere sue condotto di
recente un gran quadro, nel quale è rappresentato
Bacco sedente vicino ad Arianna nell'isola di Nas-
so • Le figure sono di giandezza quanto il vivo,
e operate con tanto vigore di colorire ed espressione
dì senlimento , che si può risguardare l'arletice sic-
come già pervenuto ad alto grado di valore. Una
scena di paese assai vago e grandioso torma il cam-
po a questo composto, che per la sua semplicità
e vaghezza di forme riempie f animo dello spetta-
tore. Il disegno è robusto , ed i particolari sono
toccati con assai bravura di pennello; né citeremo
tra questi che la sola pelle della tigre che serve
di vestimento a Bacco , la quale è fatta con tanta
verità e diligenza , eh' ei ti sembra di poterla toc-
care . Il modo delle pieghe è largo e maestrevo-
le, il colorire delle carni, soprattutto in Arianna,
è trasparente e armonioso . Un piccolo Amorino che
sta sulla dritta del quadro j, dietro le ligure prin-
cipali , guardandole con aria di maliziosa compia-
G.A.T.IX. ' 9
i3o Belle Arti
cenza , è il solo episodio di questo componimento :
ma è però sufficiente per se a dichiarare il trionfo
che la bellezza d* Arianna ha riportato sul cuore
di Bacco. E in ciò loderemo la sobria convenienza
dell' artefice, il quale si dimostra penetrato del prin-
cipio, che quanto più son semplici i composti tan-
to sono meglio; essendo che la moltiplicità delle
figure, allor quando non sono necessarie e volute
dalla storia, distraggono l'attenzione, e nuocono al
soggetto principale.
]Non sapremmo che incoraggiare il Berti a
proseguire animosamente la sua carriera, e a soste-
nere così ed accrescere la lama della sua patria ,
alla quale va debitrice di lanta gratitudine i Euro-
pa , per essere stata la principale e più onorata culla
delle belle arti italiane.
Pittuta di paesi — Teerlink Alessandro ^
di Dordrecht^
J2jgll è gran tempo che desideriamo parlare dì
questo valentissimo artelice, le opere del quale vani-
rò per tutta Europa lodatissime. Ond' è che im-
prendiamo a descrivere, fra gli altri lavori suoi-,
due quadri di diveise maniere e grandezze. Per-
chè troppo ci vorrebbe a tener dietro minutamente
•alle tante produzioni de' pittori di paesi operate in
questa città, e che meriterebbero singoiar menzione
nel nostro giornale, nel quale, lino dal suo co-
'ihinciamento, si dimostrò che per noi non sareb-
besi avuta ragione che, di quelle cose, che con-
tengono in se maggiori pregi che deformità. Es-
sendo troppo bassa e vile compiacenza degli scrit-
tori r adoperare \ ingegno a dichiarare i difetti
I
Bej.le Arti i3i
aUrui, nel ;mentre che il silenzio intorno le cose
tli poco pregio, è la più nobile e generosa censura
che per essi si possa seguire.
Ora dunque comincieremo dal minore de' due
quadri detti, nel quale è rappresentata una vedu-
ta delle paludi pontine tolta non lontano da Ci-
sterna. Di ,prinio tratto ti sembra vedere una scena
orientale: tanto è il .calore della tinta ganerale, eh'
è, prodotta dall' eftetto della luce del sole cadente.
Palla parte destra incomimcia una dolce catena di
colline, che discende verso il mare ripiegandosi sul
mezzo. l'ochi pini altissimi stanno sul davanti, e
incontro a loro alia destra è un abbeveratojo con
alcuni hwol e pastoii . iQuesto gentile composto è
in taut' armonia coU'ariJ»,, da non lasciar nulla a de-
siderare nella sua artificiosa semplicità, la^ quale
pcoduceil effetto voluto dalF artefice, di è di i;i-
, scaldale T animo dello spettatore. Il quadro è sta-
to condotto a richiesta della dama inglese miss
Oliver.
Il maggiore -dei detti quadri, che il Teerlink
ha operato in servigio del cav. Poublon , è tutto
di composizione, ed è di molto mcsliero, perchè in
esso è con singolare artificio rapprescmata una va-
sta scen^ mirabilmente .divisa , onde renderla piiì
grandiosa. X^ai lato destro si vede scorrere preci-
pitosa dall' alto di u]^a rupe , tutta .rivestita di bo-
schi ,, un ruscello di lin^pidissime acque a traver-
so a grossi sassi che le rompono e le rendono spu-
mose. Poco dopo si vede lo stesso ruscello corre-
re più tranquillo, e venir formando verso il mez-
zo una lama o seno d' acqua slagnante., al di so-
pra della quale s'innalza, un grosso scoglio, tutto ri-
coperto di cespugli e piante salvatiche. Alla sini-
stra parte ;mouta ,un»i stvadasuUa costa d' una mott-
iSa Belle Arti
tagna, e ìa circonda volgendosi in curva sulla sini-
stra, con una piccola cappella che posta sul ciglio
della detta strada. L' aria è tresca e ridente, e qua-
le si dimostra sulle prime ore d'un mattino di state,
e tutto il composto è animato da una greggia di
pecore e di capre, e d' alcuni buoi sparsi qua e là
con assai naturalezza, fc.d è in questa parte del di-
pingere animali che il Te.^rlink si dimostra valen-
ti >sinio, secondo il genio e valore de' pittori fiam-
minghi . E basti a noi di citare in questo quadro
quel toro , che dopo essersi abbeverato nella lama
d'acqua detta di sopra^ si ferma riposatamente in
mezzo a quella, quasi che voglia godere della fre-
scura dell acqua, che gli bagna parte delle zampe-
Questo fiero animale è con tanta verità e fini-
tezza espresso , che ben ricorda il magistero dei
Poter e dei Wovermann . Il rimanente degli ani-
mali risponde alla bellezza e al naturale del toro
per noi descritto.
Schoenberger di Vienna
Jl_j poi che abbiamo intrapreso a parlare de' va-
lenti artefici , de' quali non ha latto peranche men-
zione questo nostro giornale , ci faremo pure a ra-
gionare de' paesi del sig. Schoenberger, pittore mol-
to conosciuto in Germania , e che ora ha fermata
la sua dimora in Roma . E tra le tante ope-
re , delle quali egli ha ripiena la sua officina , ci
contenteremo di parlare soltanto di due paesi per
lui condotti bellamente e con un effetto maraviglio-
so di luce, a dimostrare la quale egli è sopra ogni
modo valentissimo . Perchè ove si volesse di tutti
i suoi lavori ragionare , noi consentirebbero i ri-
stretti limiti di questo foglio .
Belle Arti i 33
Il primo quadro è uno di que' tanti ritratti Io-
tali, che la costumanza del giorno impone disgra-
ziatamente agli artefici di eseguire a grave danno
del sublime e difficile concetto d' inventiva: ond' è
che per questa parte si vede pur troppo declinare
al basso la più nobile prerogativa dell' arte . Ma così
Yogliono le condizioni de' tempi presenti .
La veduta è tolta un poco innanzi 1' arco di
Tito, guardando inverso il Campidoglio . Sulla di-
ritta del quadro si vede quasi di profilo la porta
degli orti farnesiani ; e dopo questa la linea si pro-
lunga coi muri che chiudono le falde del Palatino
fino alle colonne di Giove statore , o del comizio .
Si presenta in faccia e nel fondo il Campidoglio, e
sulla costa di questo le poche reliquie, che tutto-
ra stanno dell' antica magnificenza. Sulla sinistra è
il viale d' alberi che dall' arco di Tito conduce a
quello di Settimio , e che mde risponde alla via
sacra , la direzione della quale stava più alla sini-
stra . Nel mezzo del quadro è la strada moderna .
L' ora del giorno è sul tramonto del sole , ond' è
che tutti gli oggetti sono tinti e colorati da un
vapore caldo , che bene si accorda col cielo ros-
seggiante, Questi composti di prospettiva rettilìnea
sono difficili ad eseguirsi senza una perfetta co-
gnizione dell' arte . E noi non potremmo dare che
grande lode all' artefice , il quale si è tratto di
questa difficoltà in modo maraviglioso , e con tan-
ta illusione, da far sembrare vastissima in poca tela
questa scena , la quale è nelle sue rovine augustis-
sima , e parla assai più alla mente , che agli oc-
chi .
Il secondo quadro è tutto opera di compo-
sizione ideale. Il qual modo è lodevolmente pre-
ferito da questo valente artefire. Rappresenta esso
i34 Belle Arti
il mare tranquillo , in una notte mal rischiarata
dalla luna, che si mostra involta da nubi, a traverso
le q uali ella mauda deboli raggi. Sulla diritta è una
selva, nel mezzo di cui vedesi acceso un gran fuo-
co. Sul davanti una pianta maestosa, e di nobi-
lissima forma, signoreggia tutta la scena. Alla [)arte
sinistra un' alta montagna si avanza nel mare, a
tale che questo si spinge verso lo spettatore a gui-
sa di seno infra le terre ove forma una lìnea curva.
Sopra alcuni sassi seggono a ragionamento tre guer-
rieri, che air abito e all'armi sembrano greci. Gli
scarsi raggi della luna . che si rifrangono nelle
onde increspate dal vento, contrastano collo splen-
dore del fuoco che arde nelf interno della Ibresta,
Il luogo solitario, e l'aria melanconica che lo cir-
conda, producono un effetto tristo e singolare a chi
lo rimira. JNel che non poca lode si deve al pitto-
re , il quale ha avuto in mente di destare questo
effetto iieir animo dello spettatore; e ciò ha prati-
cato con assai magistero e bravura di pennello. Il
che facendo, ha dimostrato che la pittura, sicco-
me la poesia, ha i suoi artificii per volgere a suo
grado le umane passioni.
Tambroni.
i-3r")
VARIETÀ'
NECROLOGIA . (i)
Annunzio ai leggitori la perdita irreparabile , che l' Italia e V Eu-
1ropa hanno fatto po::' anzi nella morte acerbissima dell' abate Stefa-
no Antonio Morcclli , principe de' latinisti ili questa età , e creato-
re immortale della difiicìiissima scienza epigrafica . Nato in Chiari ,
terra fertiie ed agiata della bresciana provincia , da Francesco e da
Gio^a^nla Rocca , di onorevole condizione il 17 gennaio lySy, e avuti
al sacro fonte i nomi di Giovanni Antonio , da lui poscia malato il
primo in quello di Stefano , per essersi da fanciullo votato a que-
sto gran santo, ebbe a maestro nei primi rudimeiili del sapere cer-
to ab. Faustini, per verità con poco frutto del vivace ingegno del
discepolo , ma con moltissimo della mente . Imperocché inviato di
quattordici anni a Brescia nel collegio de' gesuiti , gli angelici costu-
mi , la innocenza e il modesto contegno di luì unito a non comu-
ne acutezza , piacquero tanto a que' padri , che secondando la de-
cisa sua volontà. Io annuissero di 16 anni nel chiostro, e il man-
darono a Roma .
Quivi ebbe la sorte di trovar precetterò di retorica il padre
Raimondo Gunich , la cui rara dottrina e P ingenuo costume , da
quanti Io conobbero , si citano tuttora ad esemplo . Dagli ammae-
stramenti di lui quanto profitto traesse il Morcelli , basti a mostrar-
lo ciò solo , che nei 4^ anni che quel dottissimo raguseo ivi compi
r ufizio di retore , solca dire egli stesso : fra tanti discepoli , pochi
avere tanto amato, niano aver superato nel riamarlo il Morcelli .
Ne' teologici studi fu istruito dal eh. padre Favre : e se ignoro gli
(1) Quesi' articolo è stato già pubblicato nella gazzetta di Mi-
lano degli 8 gennaro ; ma senza quelle aggiunte che il eh. autore
vi ha fatte nelle seconde cure , e di cui ha voluto esserci cortese .
l36 V A R I 1 T à'
altri maestri , son però conscio , che in ogni fai^oltà fu egli vprso
ciascuna si tutto e si propriamente disposto , che parve a questa so-
la il portasse r nnato pcso dell'istinto suo naturale, dal che venne
r essere in molte riuscito per f coellenza .
E per dire di quelle sole che di proposito professò, spcdifo ad
insegnare la gramatica a Fermo, vi destò subito il più caldo amore
della incontaminata latinità . Condotto a Raglisi institutore di umane
lettere, vi fece sorgere il gusto de' greci e latini esemplari. Fatta
poi la solenne dichiarazione de' quattro voti ( 1771 ) » e prescelto
a spiegare nel col!e,",io romano la beli' arte del dire , non so come
appieno esprimere I' approvazione che dai più dotti ne riportò . Né
polca ciò tornare altrimenti: avvegnaché in questo svio magistero
si principale per l'uso di molte virtù, con tanto cuore l'ampio ca-
pilalc delle poderose sue forze impiegò, ed usò di tutte l'arti per
meglio riusciri;i, massimamente di carità, di pazienza e umiltà, che
i suoi moltissimi allievi in lui trovai-ono più presto 1' amico che il
precettore, piuttosto il compagno dei loro stndj che il moderatore di
quelli . An?i a tenerne sempre più fermo e svegliato il fervore, in-
stitui r accademia archeologica , che a giorni determinati adunavasì
nelle sale del museo Kircheriano di cui era prefetto , nella quale sì
recitarono dottissime dissertazioni, e due di queste per sagjiio fu-
rono pubblicale pochi anni sono in Milano, quattro altre tuttora ine-
dite vedranno in breve la luce .
Ma abolita nel 1770 la compagnia di Gesi'i, e fatta il Morcelli
una scorsa a Chiari, tornò presto a Roma, ove fu accolto, ricove-
rato , e protetto dal gran cardinale Alessandro Albani vero mecenate
doj;li uomini letterati . Datagli da esso in cura la sua splendida biblio-
teca , ideò la grand' opera de siilo inscripfìonuin , edita in Roma dal
Gi'inthi nel febbrajo del 1781 . Intorno a che non credo iperbolica
né ofii' Ica r espressione che udii dal Mor<:elH , cioti che avrebbe sem-
pre avuto di cIjC ringraziare quell'ottimo prin'ipe , e di rallegrarsi
fino alla tomba del favore allora impartitogli , più assai che se do-
na» o gli avesse centies sestertiuin: perchè senza 1' uso pronto e con-
tinuo dì quell'immenso deposito dell' umana ragione non mai avreb-
be potuto dettare quelle /joi/cre e^^er/ccj«oZe ( cosi soleva qualltìcar-
Ic ) ch'egli avca fatte, non già per ostentazione di sapere, che in-
Varietà' 1^7
SttfRcicTitissìmo riconoacevasi , ma per gloria maggiore del padre de'
lumi e della sna relij^ione .
Fra le quali open'cciiwle ^ userò ia sua frase) la testé ricordata
fu detta Insigne dall' ab. Marini, eccellente da Ennio Visconti, me-
ramente aurea dal La«zi , di sceltissimo gusto e piena di erudizione
non meno piacevole de recondita dal Dacier, e da tutta la còlta
Europa , prosicgue Antonioli , appro^fata e applaiutitu di cpuiHià , ut
cardinalis Garampius, termina il Caballero, i-ir eie ^antissi/nus le-
pide ajebat , neminem , cjui illum consulat , pravam inscriptinnem -,
fel si velH cjuidem, componere posse. So molto bene, che chi por-
ge facile orecchie al gracchiar d'uno stolto, crederà questo libro non
che pernicioso ma inutile . A che dettare latine iscrizioni , dice co-
stui , se tra' principi e magistrati , tra' militari e popolani, non avvi
oggidì chi conosca lo stile oscurÌ3simo lapidario? Qual affetto , qual
sentimento possono destare le venerande tabelle , che ad esprimere
la mestizia od il gaudio nelle maggiori solennità si sogliono appor-
re agli sguaidi dei cittadini? Se le scritte sono ingombre di cifre
e vocaboli tenebrosi, non è ciò ammutolire in cospetto d' ognuno !
Tristo colui, che suscita un' arte da niun coltivata, che scrive cose
che niun sa leggere, che perpetua la impostura e la idiotagine
degli arcavoli nelle città? Le quali cose, dirò col Lanzi, se nellx
Scizia o neir India si disputassero , forse di leggieri si potrebbero
comportarci ma che si dicano seriamente in Italia, ove ha seo-i^io
da venti e più secoli la lingua di Tullio e d' Orario , ove ognuno
può chiedere la spiegazione di poche ma nervose parole,nii pare strano
e veramente maraviglioso . Se i monumenti si espongono al pub-
blico nelle occasioni solenni , il pubblico che vi accorre è già com*
mosso da se dalle cose medesime , né oltre bada allo scritto sul fion-
tale del foro o della basilica: se poi si presentano per serbarne me-
moria, non si dee forse usare lo stile che meglio alla cosa coiiven'a,
e che più. onori la dotta posterità? Non] si dee forse preferire il lia-
guaggio, che stabilmente radicato nel consenso di tutt' i tempi «
di tutti i popoli, è il meglio inteso dalla gran famiglia dell' uni-
Terso ? Non parlo dell' attitudine della latina lingua', ben altri-
menti che delle moderne, per questa sorta dì componimenti. Grave,
•numerosa, breve, varia, elegante l'una, non cosi l'alfre. Ma nou
l38 V A R I E A
è del presente luogo (e men duole) il discorrere i pregi del? opera
de stilo inscr/f)lionum;ììc tampoco il parlare delle i/ixcriplirtnes com-
mentariis subjccUs (1785.), né del FlAPEPrON ( 1818 ) , con
amendue le quali opere si riducono, dirò losi, a pratica materiale
le sublimi teoriche da lui riirovate per la più elegante e pcrfetia
maniera di comporre iscrizioni . Non mi è permesso neppure di
trattenermi intorno i due libri sermotium ^( iy8o), V indicctzinnc
antiquaria di casa Albani ( 1 786 ) , il kalendariwn ecàlesicc Coii-
stantinnpolilancB, che supera, gli altri tutti in antichità, da luì volto
dal greco in latino ed illustrato ( 1788) . Toccar anche di volo tutte
queste opere adorne della più scelta eleganza e dottrina, non che
ì dièci libri greci latini e.rp'wuilione\ ccch\'ia<tticce dì s. Gregorio
vescovo di Gìrgenti ( 17891), i due 'ibri electorwn (1814)5 1' Agape-
ja (1816 ), la bolla tt oro de'' fanciulli romani ( 1816 ), Vacano
capitolino ( 1817 ) , la MIXAHAETA ( 1818 ), i tre volumetti di
cose ascetiche ( 1820 ) , e, omessi altri opuscoli , la studiatissima
ed elaboratissima Africa Christiana in tre grossi volumi in quar-
to ( j8i6 ) , mi recherebbe più oltre che i contini di una breve no-
tizia necrologica non mi concedono. Elleno, altronde, sono tra le
mani dei veri sapienti , che le applaudono e sen profittano , e i
veri sapienti per onorarne 1' autore non hanno mestiere di nuovi ap-
plausi .
Farò piuttosto un certno brevissimo delle amabili e sommamente
ammirevoli sue qualità . Pregato dalla sua patria nel 1791 , perchè
venisse a reggerla in qualità di prevosto, comecché non- se ne tro-
vasse punto contento per lo gran carico cui gli si veniva ad impor-
re , non perciò vi si è adattato di buona voglia : e qual fosse in si
dilicato e importantissimo uftzio la virtuosa sua vita , qual bene d'ogni
maniera procacciasse al suo gregge, quanti abusi sradicasse , quante
opere laudabili e pie promovesse, come insomma in trcnt'aiìni di
non interrotto prepositurato coli' esemplare adempimento de' suoi do-
veri si acquistasse la stima, V affetto e la riverenza d'o;:,ni genere
di persone , le caltllssime lagrime universali che, mentre scrivo e pian-
go io pure , si spargono da quel popolo, ne fanno apertissima testi-
monianza. Parecchi oratori, anche insigni e per pietà rinomati, mi
venne fatto di udire in mia vita, ma niuiio si copioso, si cfììcace ,
Varietà' 189
si erudito come il IVToroelli. La voce di Dio si dal pulpito e sidaif
altare era nella sua bocca la più soave, la più viva, la più giocon-
da. Pia:e\a agl'idioil ed ai dotti, oginino la intendeva, ognuno sta-
va tacito e intento, e per essa rapito da inesplicabil diletto . Eia
poi speciale sua proprietà, cosi nel parlare, come in ogni pubblica
e privata azione , mo3trarsi sempre intero e libero, sopportando mai
volentieri e con fatiraiti altrui, e detestando in se sleiso , la doppiez-
za e sopratatto V audacia e la prosunzione . Fu al suo gregge ogni co-
sa: ed ebbe, per dir cosi, tanti cuori quante furono Te sue pecore,
tanti affetti diversi quanto differenti avean elle nature , in ciò solo
a loro dissimile, circgli non altro cercava , nò ad altro colla sua in-
dustria^ colla doì e '.za e col fervido zelo intendeva , fuorché a pro-
cacciare la quiete costante al paese, alle famiglie la dome-tìoa pace,
a tutti la bramala felicita^ La carità sua verso la patria fu tale , che
quella prepone alla proprin grarnìezza ; perchè offertogli dalla repub-
LÌica di Ragusi quél pa o archiepiscopale, modestamente rispose: di
questi onori faa'/ius carco. Avuto il prezioso dono dal S. P. Pio VI
del sacro corpo della santa martire Agape, trovato nel cimitero di Ca-
listo, ne ha promosso in Chiari il culto , e vi è venerato con mei-»
tissima divozione. Radunata con tanti anni di studj e risparmi una
sceltissima libreria, ne ha fatto in vita libero dono al paese , ed
ha fondalo e provveduto tìn dove ha potuto un decente gineceo per
l'educazi'.ne gratuita delle fanciville . La sua pensione, come socio
del R. C. iiistituto , dal primo di che spontaneamente gli fu asse-
gnata lino al di cPoggi , fu da Ivti convertita in beneficio delia sua
chiesa e dei poveri » Il tempo maggiore di Chiari , la chiesa di s. Ma-
ria , r edìcoletta di s. Michele , il pubblico cepotafio , per lui fu-
rono o fondati o restaurati 0 abbelliti . Riordinò le pubbliche scuole
che ivi rigogliosamente fioriscono , ed eccitò 1' esercizio di molte pra-
tiche di pietà con solerzia osservate dal suo clero e dal popolo, da
lui ben diretto ed edificato . Fu amico benigno di tutti, né sì sa c'ie
fosse da persona richiesto , cui mancasse mai ne di consiglio nò di
opera . Delle mutazioni di stato avvenute in Italia e in Europa non;
si è mai mostrato contento : non già pèrch' egli abborrisse la savi»
e ragionevole libertà civile, che i prudenti governi e promuovono e
favoriscono; xna perchè T animo suo interiisimo e pio non poiw non
1 4o Varietà"
rimanere (conturbato , come si espresse meco più volte , dal vedere
impunemetitc cosi le regali come Tecclesiasii-he istituzioni dispre-
giate e poste in abboininio da tante ardile scritture , rotto ogni ie»-
game di giuramenti e di voti , scio.'te le professioni e i patti solenni i
vuotati i monasteri di religiosi, riempiuto il mondo di riijclli e d'apo-
stati . Ondi; i principi Io riverivano , i sapienti lo consultavano el' esal-
tavano, Roma e l'Italia tutta lo adorava. La sua maestosa presenza,
il portamento composto, le regolari e graziate forme del volto , iJ fui»
gido sguardo, e sopratatto la grave e sempre dotta sua convcrsazio^
ne, e la fama d' uomo giusto , pio , e caritatevole, che ovunque voi-»
gevasi il prccorrea, a se traevano tutti gli occhi , >: gli procacciava-
no la universale ammirazione . Perciò a Chiari da lontani paesi uo-
mini di sommo rispetto chi per nobiltà , chi per lettere , o a null'al-
trn o principalmente a questo fermaronsi, di vederlo, di conoscerlo «
d' ossequiarlo .
Mori il primo giorno del presente anno 1821., alle ore otto
pomeridiane. Le sue spoglie mortali, ottenutone preventivamente il
permesso dall'I. K. Governo, furono imbalsamate e deposte presso
il corpo di quella santa martire Agape, per la quale ebbe in vita
divotissima tenerezza . Tre giorni continui fu esposto alla pubblica
contemplazione, e al suo feretro è concorso il fiore della città e dei
. paesi circonvicini . Felice l'ingegno che si rivolge per tempo agli
studi coir animo agli onori fagaci non incliinevole , non signoreg-
giato dall' avarizia e dall' ambizione , non irritato dall' odio , né vinto
dalla paura! Costui del poco si appaga, che poco pane lo pranza,
rozza veste lo copre , umile abituro il ricovera; e libero come l'aria,
e sovrano di se medesimo , acceso solo d' amore del giusto e del ve-
ro, dalia virtù consegue il premio delle sue veglie , dalla coscienza il
ripoio della sua vita, dalla religione il conforto <!c' mali suoi, dalla
giusta e imparziale posterità gli onori ed i planai immortali .
G. Labus
Varietà* i 4 1
Saltatore Bitti al conti Fbaitciìsco Cassi
P
erchc non abbi a dir sempre, eh' io ti venga innanzi così a
mani vuote , eccoti un bel regalo , degno di te e di quanti amano
la buona epigralia : tre iscrizioni d' un celebre fiorentino e mio pre-
giatissimo amico il sig. ab. Giambatista Zannoni , segretario dell' im-
periale e reale accademia della crusca, ed antiquario di quel gran-
duca. Elle sono ta.i per niiidezza di latinità , da farci bene deside-
rare , che l'autor loro ne ponga presto alle stampe l' intera raccol-
ta : onde ajutare cosi con utili esempi uno studio , eh' é a dirsi
iiaiiaiio per eccellenza , e crescer de("Oro a quel paese nobilissimo
di Toscana , il quale siccome patria d' alti intelletti non finirò mai
d'onorare . Il che valga a toglier d' inganno tutti coloro , i quali pel
tenero amore che da tanti anni mi stringe al dottissimo conte Giu-
lio Perticari , credessero di me il contrario : perciocché ho sempre
stimato le opinioni letterarie esser libere e generose , né da mino-
rare la stima che vuoisi avere pe' sommi uomini ^ e il Perticari me-
desimo , di cui non v' ha spirito più cortese , e ne' colloquj e nelle
opere sue m' è stato sempre maestro d' usar la critica secondo il mo-
do de' savj . Non nego che circa le cose della lingua , le quali fan-
no presentemente una gran parte delle cure d' uomini valentissi-
mi , non tenga io coli' immortal pesarese . E come no , dopo aver
letta la sua difesa di Dante "^ Questo però non fa eh' io sempre non
mi ricordi , come non se n' e mai il Perticari dimenticato , che non
pur siamo tutti cittadini di questa diletta Italia , ma che alla Tosca-
na principalmente si dee quanto abbiamo avuto di sano scrivere e
ragionare, ed ora colà fioriscono tali nobili ingegni, che sono Ivtme di
questa età,e da durare lontani colla memoria della sapienza europea.
Ma tornando alle lapidi del sig. ab. Zannoni , sappi eh' elle mi sono
carissime non solo per le cose fin qui discorse , ma si per vedervi
onorato il Pederzoli , che fu uomo chiaro a' di nostri per gravità di
Lojtumi e dottrina , e specialmente pel suo grande amare il santo
iiome di patria . Gradiscile , o Cassi mio , siccome la miglior cosa
i 11' ora ti possa dare ; e bacia e saluta per me il Perticari , 1' An-
laldi, il Paoli , il Pctrucci, il Baldassini, il Ciaccki , i Mamiani »
Varietà' 142
con tutti gli altri tli quel numero eletto di gentili e dotti cavalie-
ri , che fanno bellissima la tua Pesaro . A Dio . -Di. Roma il di 24-
gennaro iS<2i .
I.
TTO-RESIAiE . WriNERBETTAE
MARCH. NICOLAI - SAjMCTIKII . LVCENSIS . VIDVAE
SOBOtiI . POSTREIVIAE . NOBILISSIMAB . GEJJTIS
qYA?E . PATB.ICIAE . HAVD . IMPAR . IKSTITVTIONI
CIVE-S . EXTEROSQVE . COMPLVRES
INGENIO. DOCTRINA. ALIAVE . LAVDE
COMIKENDATOS
SERM05VF . ALACRI. ET. COMI. SIBI. DEVIXXIT'
FA.CVLTATIBVS . SAPIEXTER. VTENS
EAS. VITAE. CVM. DIGKITATf. DEGENDAE
AMICORTM. COMMODIS. ET. PAVPERVM. LEVAIVIINI
IMPEJSDIT
RELIGIONE . ÌRECJTA
AiERVWKAS fiAEViISSlMI . MORBI. PATIBNTER. TVLIT
mortejm:. fortis. constans. oppetiit
tictoria. 5aì4ct1n1a. petri. torrigiani. march. vxor
■ST. m. ANNA. SANCTINIA
MABCU. LAVRENTIO. MONTECATIWIO. NVETA
EILIAE. ET. HEREUES
;SVPPLICAT10NE^ INDlCffA
.A..-I1É6V.., PRO. HOMINIBJJS. IMMOLA-TO
CA"PrriA. SEMPITERNAE. BEATITATIS . EXPOSCVNT
DA. REIJVIEM. HVIC, ANIMAE. DEVS. ET. MISERERE . PRECANXVDl
FAC. PAtBAT. CVNCTIS. REGIA. SANCTA . POLL
Varietà' i43
2.
lACOBO . PEEERZOT.IO . DOMO. SALODIO
V2TVSTISSIMAE.. OPTIMAEQVE. DE. PATK.1A. MERITAR
CEXTIS.. POSTREMO.
QTI . SOLLERTISlilMVM
CVM . BONITATE . NATVRAE . SORTITTS . INGENIVM
ELOQVIO. IVBICIO . DOCTRINA . xVIAXIME . INCLARVIT
OMNES. VEL. QVOS . INFENSOS. ERAT . EXPERTVS
RE . CONSILIO . AVCTORITATE . COiMSTANTER. IVVIT
lULVSTRiA. MVKERA. SEDVLO . ET . ABSTI3MENTER . GESSIT'
AMPLIORA . IN . EXEMPLVM . MODESTVS ■ RECVSAVIT
Piva. VIXIT. AN. P. M. LXVIII ..
DECESS . INTER. PVBLICAS - LACRYMAS
VII. ID. SEPTEMBR . AN , M. DCCC. XX.
AMICI. AD. QVANTVMCVMQ . DOLORI S . SOLATIVI^
TIRO . VSQVEIJVAQ . LAVDABILI . RARISSIMO . POS-
3.
SONORI
ALOISII . IiANZII . MONTVLMIENSIS
QVEM
SAPIENTISSIMA. DE. ETRVSCORVM . VETERVM . LINGVJt
ITAEICISQ . PICTORIBVS . TOLVMINA
AD. FAMAM. PERENNEM. PROTVLEI^VNT
CAIETANVS . FRATRIS . FILIVS . HERES
MARMOR. POSVIT. IN. FRONTE. AEDIVIVI
QVAS . TIR. MAGNVS
A. MAIORIBVS. ACCEPTAS , INCOLVIT
VTI. ANIMI. ERGA, TALEM. PATRVVM, GRATISSIMI
MEMORIA . IN. SBRIVS. PERMANEAT. AEVVIkl
VTIQ, POSTERI. SVI. CIVESQ .
TANTO , EXCITATI . EXEMPLO
PATRIAE. GLORIAE . EMIXIYS. STYDEAJfT. INSERVIANTQ.
; IMPRIMATUR,
Si videbitur Reverendissimo Patri Mag. Sacri Palatii
Apostolici.
C. M. Frattini Jrchiep . Philippensis Vices^.
IMPRIMATUR.
Fr. Philippus Anfossi Sac. Pai. Jpost. 3Iag.
Osservazioni Meteorologiche fatte cdla Specola del Colleg.Rom.
Osservazioni Meteorologiche faiìc alla Specola del Colleg. Rom.
Gennajo 1821-
MATTINA
GIORNO
SERA
e
Stato Eva-
Stato
Meteore
Stato
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dei por. Vento
del Piogg.
Vento
del
Vento
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Ira. I
s.p. il.
tra. 0
brin.
Volendosi da' eh. Astronomi abbondare per diligenza, pongonsi le Osservazioni |
Triplici in e
gni giorno
e volendosi da noi ristringere in pagin.i , affinchè
erdano , usiamo alcune abbreviature . Pertanto nella
meno farilm
ente si disp
colonna delle Meteore pi signilica pioggia 1 lampi t tuoni n nei)bia g gelo
b brina. E nelle colonne dello iV^ato del Ciclo s vuol dire sereno n nuvolo,
p poco. Le nltre abbreviature nelle colonne de^ venti sono per se stesse in-
telligibili. Quando segue uu ast»risco s'inteuJe gran quantità j ove trovasi
una f croce s'intende piccola quantità.
k
.4;
SCIENZE
N,
Sopra le acque fermali di Civitavecchia ,
Memoria del prof. Moriehini.
ell'antica Tuscia fra i monti Falisci e Cimini,
e fra questi ed il mar Tirreno, scaturiscono nume-
rose sorgenti di acque minerali, per la maggior
parte termali, che sembrano essere state conosciu-
te dagli antichi, come può chiaramente rilevarsi dal
seguente passo di Stratone (a) - . Thuscia quoque ,
uhi Romae est propinquior , ubertatem calidarum
habet aquarum , nec minus ahundat quam Bajae ,
quae reliquas omnes nobilitate praecellunt . Gli
antichi però non ci lasciarono alcuna descritione
esatta di queste acque, e se qualche volta ne in-
dicarono alcuna con un nome particolare, il fecero
senza quel dettaglio e precisione, che sarebbero ne-
cessarii per far concordare le antiche con le mo-
derne denominazioni.
Quindi non è che per congetture più o meno
probabili che si asserisce, essere le acque stigie de-
gli antichi lungo la via Aurelìa le moderne acque
di Stigliano, e le ceretane quelle di Cerveteri {h).
Delle vescicarie è più difficile d'indovinare la
vera ubicazione. Scribonio Largo che viveva sotto
Tiberio , e Marcello Empirico medico sotto il pri-
(a) Geogr. lib. 2.
(b) Itùìerar, Antonin,
G.A.T.IX. ?o.
i/^6 Scienze
mo Teodosio , non ci dicono altro se non clic es-
se erano distanti cinquanta miglia da Roma , sen-
za aggiungere neppure sé per la via Aurelia o Cas-
sia ; locchè ha latto credere a (iirolamo Mercu-
riale ed a Giovanni Rhodio , che le vescicarie de-
gli antichi potessero essere le acque termali di Vi-
terbo, ovvero quelle di Civitavecchia (e). Che se
poi potesse riporsi la più piccola fiducia nelle no-
zioni di Scribonio Largo e di Marcello Empirico
sopra i principii dell'acque termali della Tuscia,
eh essi chiamano vescicarie ^ perchè utili in alcuni
mali della vescica urinaria, siccome le dicono yè/*-
ratae , e non lo sono né quelle di Civitavecchia ,
rè quelle di Viterbo, potrebbe in questo caso ri-
vocars' in dubbio 1 opinione di Mercuriale e di
Bhodio.
Comunque ciò sia , le acque termali o le terme
di Civitavecchia ricevettero ancora il nome dì (ter-
me Taurine, e così trovansi per la prima volt;^
denominate da Rutilio (d^ per una ragione però pu-
(c) Torraca. Delle terme taurine, part, 2. art. 1.
(d) Itiiicr. Poet. a versu 249 «<1 Centumullas ec.
©Tosse juvat Tauri dicias de nomine thermas.
£ dopo :
Credere si dignum famae , flagranti» Taurut
Investigato fonte lavacra dcdit.
Ut solet ex.cussis pugnam proeludere glebis
Stipite cum rigido cornua prona terit.
Sive Deus faciem mentibus et ora juvenci
rtoluit ardentis dona iaterc soli.
Acque term. di Civitavecchia 147
ramente poetica . Ma siccome Plinio (e) annovera
fra i popoli della Tuscia gli Aquenses , Tauri-
ni cogiiominc , se dessi potessero supporsi abitato-
ri della contrada, ove sono poste le acque Tauri-
ne, r origine di questo nome saiebbe assai più na-
turale e ragionevole . Diffatti ai tempi di s. Gregorio
Magno esisteva tuttora in vicinanza di queste terme
una borgata cospicua chiamata Tauriana (t), ed in
tutt' i scrittori posteriori , che fanno menzione del-
le antiche terme di Gentocelle, si trovano chiama-
te col nome di Taurine (g).
Le grandiose rovine che tuttora rimangono di
queste terme, attestano nel tempo slesso la loro an-
tichità e la loro passata magnificenza. Si è con-
getturato che Trajano , il quale fece fabbricare il
porto di Gentocelle , ed ebbe in quelle vicinanze
una superba villa, 1' ornasse altresì di queste ter-
me; ma il silenzio di Plinio il giovane sopra ta-
le oggetto nella lettera 3i del sesto libro, dove par-
la e del porto e della villa, danno argomento a pen-
Qualis Ageiiorei rapturus gaudia furti
Per frcta rirgineum sollicitavit onus.
Àrdua non solos deceant miracula Grajos
Auctorem pecudem fons Heliconis habet.
Elicitns simili credamus origine lymphas,
Musarum latices ungula fodit equi.
(e) Hist. nat. lib. 3. cap. 5-
(f) Di*^. Grej. Magn. Dial. lib. IV. cap. 55.
(g) È degna di osservazione la nota di Arduino al precitato pas-
so di Plinio, s Ariolanlur ( egli dice ) i^ni Accjicapciidente in He-
fruria oppidum signari hoc loco pidunt. A CeniwncelUs hoc est Ci-
vilavecc/iia , ut diximiis, prope hctc Aquunsiuin icrirum abfuerunt. t=3
Questa e altresì l'opinione d' Holstenio, Baronio, Clucrio, Cellario ec.
citati dal Torraca sopra quest'argomento.
IO*
i/j3 S e 1 E i-i e E
sare cl:e fossero fabbricate in appresso . Ma sopra
ciò possiamo sperare più sicure notizie dalle ricer-
che che ha iiìtrapreso sul luogo il eh. sig. Manzi,
e dallo illustrazioni che promette il eel. sig. avv.
Fea . Più certa è V epoca della loro rovina ac-
caduta dall' 828 air 833 della nostra era opera dei
saraceni , che venuti all' Africa occuparono Cento-
celle , e di là mossero verso Roma, ove dettero
il guasto alla città Leonina , e ritirandosi quindi
per rimbarcarsi a Centocelle misero a ferro e a
fuoco quanto vi rimaneva ancora della villa im-
periale , le terme Taurine , e la città (h) •
Sopra la natura poi di queste acque, ed i lo-
ro usi medicinali , rare e scarse sono le notizie che
ce ne hanno trasmesse gli antichi, ed anche imo-
derni , se ne venga eccettuata V opera del dottor
Gaetano Torraca medico in Civitavecchia , pubbli-
cata in Roma l'anno l'^Gi per le stampe del Pa-
gliarini. E, per rapporto agli antichi, non è giunto
fino a noi che ciò che ne dissero Scribonio Largo
e Marcello Empirico, seppure con il nome di ve-
scicarie intesero parlare delle acque di Civitavec-
chia; e tutto si riduce alla guarigione di un' affe-
zione calcolosa sofferta dal pretore Milone Gracco,
come lo chiama Scribonio, ovvero Brocco, come
si legge in Marcello. Girolamo Mercuriale e Gio.
lìhodio, che parlarono certamente delle nostre acque,
ed il primo soprattutto che vi accompagnò un car-
dinal Farnese , non ce ne hanno trasmesse osserva-
zioni più dettagliate . L'uno le riguarda come ferru-
ginose ed inutili nei mali della vescica, e le asserisce
a tal'uopo usate a'suoi tempi; e l'altro di questi scrit-
tori (i) dice solamente, non essere queste acque uti-
(h) Torraca. Op. cit. p;irt. i. art. 11. ,■
(i) Ad Scrib. Lai'^. emciid. et uoiae in composit. i46.
Acque term. di Civitavecchia i49
iì in bevanda, ma solamente per uso esterno nei
vizii dei nervi, ulceri, torpidezza di cute e mali
di fegato, escludendo la loro convenienza nei ma-
li della vescica. Il dott. Torraca per conciliare que-
sta contraddizione , e spiegare inoltre come Pai ti! io
abbia escluso ogni odor sull'ureo e disgustoso delle
acque delle terme Taurine (1) , ed i due medi-
ci sopracitati le abbiano riguardale piuttosto come
ferruginose, cbe come soliòrose; racconta (m) che
poco prima de' suoi tempi altra sorgente eli acque
acidule trovavasi nel recintò delle terme, e che
di quella facévasi uso internamente e ilei mali del-
la vescica , ma che coli' incuria e con il tempO
dispersa questa sorgente o riunita alle acque solfu-
ree molto pii^i copiose, non sia siato più possibi-
le di riconoscere nelle moderne acque Taurine le
qualità descritte da Rutilio, e non contraddette da
Mercuriale e da Rhodio.
In mezzo a tante incertezze non reca minot
sorpresa il vedere , che Andrea Baccio nella sua
grande opera de thermis , nella quale ha rac-
colto tuttociò che si conosceva fino ai suoi tem;»!
di acque termali e terme, non abbia fatta alcuni
menzione delle acquee terme Taurine; locchò It
cedere che dopo il guasto ad esse dato , come si <)
detto, nel principio del nono secolo, la loiu cfli-
brità fosse aifatto estinta, o almeno tanto climinuitu
Adi non conservarsene più memoria che fra gli abitanti
dei luoghi più vicini.
'"
(1) Non illic gustu lacites vitiàntvir amaro,
Limphaque funiiiìco sulphure lincia calet ;
Purus odor, moUisi^ne sapor dulntarc lavaiitem
Cogit , qua melius parte petaiuur a(^w«e,
.(ili) Pfirt. a. Art. ».
IDO
Scienze
In questa oscurità si trovavano ancora le acque
Taurine, quando intraprese ad illustrarle il Torraca
con r opera citata, nella quale, oltre una vasta
erudizione , si trovano riunite tutte le nozioni che
potevano convenire a quel tempo sopra le qualità
chimiche e mediche delle medesime . Questo la-
voro aveva ridestata la loro fama, e si era accinto
a sostenerla con successo il dott. Costantino IVuccì
medico di Civitavecchia , rapito da una morte im-
matura alla sua famiglia ai suoi amici ed alla
scienza che professava con candore e con zelo.
Egli aveva incominciato da quindici anni a tenere
un registro esatto di tutti gì' infermi che andavano
a prendere i hagni termali a Civitavecchia , ed i
risultati di queste osservazioni dovevano formare
la parte medica , ossia la parte più utile di questa
memoria, la quale però non sarà perduta, se, come
è sperabile, qualcuno de' suoi amici potrà racco-
gliere ed ordinare le note che si troveranno fra le
sue carte .
Non poco ancora ha contribuito a rialzare il
credilo delle acque termali di Civitavecchia una
spiritosa lettera del chiariss. sig. cavaliere Tambioni
inserita nel quaderno 58 del giornale letterario
lo spettatore stampato in Milano il i5 agosto i8i(5,
nella quale 1' illustre autore rende conto della sua
guarigione da' molesti incomodi di gotta cronica,
ottenuta per X uso delle medesime . Dopo questo
tempo altre cure iclici operate da queste acque in
soggetti assai ragguardevoli determinarono il prov-
vido nostro governo ad ordinarne un' analisi, . ed
un piano di slaLilimeuto , che ne rendesse d'ora
in avanti 1' uso più comodo e piTi profittevo-
le. Il sig. Girolamo Scaccia, abilissimo ingegnere
idraulico , uno degl" ispettori del consìglio per la
Acque term. di Civitavecchia i5i
direzione d' acque e strade , e già noto per varii let-
terarii lavori sulle paludi ponLiue , e sul flusso e
riflusso del mare nella costa del Mediterraneo , eb-
be Tincarico della parte idraulica ed architettonica
della commissione, ed il sig. prof. Alessandro Conti
ed io quello dell analisi chimica delle acque. Ed
è di quest'ultima che io mi sono proposto di render
conto »in questa memoria , avendo già dato il suo
progetto sopra V altra parte della incombenza il
sullodato sig. Scaccia .
Le acque termali di Civitavecchia hanno tre
sorgenti distinte. La prima e più lontana dalla
città (a quattro miglia di distanza circa ) si rinviene
in un colle al di là delle terme Taurine ; e chiamasi
la sorgente di sferra-cavalli ; la s 'conda è quella che
trovasi dentro le rovine delle terme stesse , e la
terza all' occidente di queste, e si nomina 1' acqua
della ficoiìcella per una pianta di fico selvatico
che vegeta sullo scoglio, dal quale scaturisce. Le
due ultime non sono lontane dalla città più di Ire
miglia , e tutte sono poste al nord - est della me-
desima .
La sorgente dì sferra - cavalli è la più eleva-
ta fra le tre , ed essendo altresì la più lontana , non
se ne fa alcun' uso ; e perciò noi non faceftimo
sopra di questa alcun' osservazione, tanto più cho
le sue qualità sensibili sono affatto simili a quelle
delle altre due sorgenti più vicine e più usitate .
Il prof. Biiriocci, eh' ebbe la compiacenza di ac-
compagnarci in questa spedizione , e di prender
parte a tutte le sperienze che l'urono eseguite, de-
terminò l'altezza delle due sorgenti , delle ter/ne
cioè e della Jiconcella . La prima , presa dal piano
della vasca dentro cui si raccoglie 1' acqua , si
trovò elevala sul livello del mare piedi (> ?4 » ^
i5:2 SelKrrzE
— . La seconda , presa dallo scoglio donde sca-
JOO
tiirisce , piedi 564 , ed — . Il sig. prof. Mauri ,
della di cui compagnia godevamo ancora in que-
sta occasione , li'a le piante più singolari vegetan-
ti in quei contorni osservò la Brignolia pastina*
caefoUa di Bertoloni , X onobrjchis caput - galli ,
r oenanihe pimpinelloides -, la salvia lun'uiatìiodes ,
il tencrium iva , e comunissime poi d" ogn' in-
torno riirovò la pistacia levtiscus , e la scahio-
sa Transilvanica. La roccia, dalla quale sgorga
V acqua d<'!la Jiconcella ., e che si mostra a nudo
in gran pai le del monticello , sul dorso del qua-
le ritrovasi questa soigente , è una calcoìia di tran-'
sizione Lianco- grigia , della stessa specie di quella
che , scendendo dai monti della Tolla , giunge fino
al mare , e della quale si tagliano gli scogli che si
traspollano a difesa dell' antemurale del porlo di
Civitav«>cchia .
jNeir analisi di queste acque noi al)biamo se-
guito il iiìetodo di Bergman combinato a quello di
Murray , Incendo servire 1' uno di criterio all' al-
tro ; e ci siamo proposti per modelli le migliori
analisi da noi conosciute delie acque minerali sol-
lòrose, cioè quella di Fourcroy delle acque di En-
ghien , quella di Giobert delle acque di Vaudier,
e quella Hi JViojon delle acque di Vollri .
La proprietà fìsiche e chimiche delle due acque
termali di Civitavecchia sottoposte all' analisi , so-
no statte per brevità rinchiuse in un quadro sinot-
tico , non esigendo alcuna dichiarazione ; giacché
le proprietà fisiche non sono che risullali puten-
ti di sperien/e dirette , e le proprietà ehimithe ,
ossiano gli eflelti dei reagenti, sono semplici jiro-
Acque term. di Civitavecchia i53
ve indicanti il numero e la natura dei principii
mineralizzatori , die si determinano poi esattamen-
te coi processi analitici , tanto per la loio quaii-
tità , che per lo stato di combinazione , in cui
ai trovano disciolti nelle acque.
S' incominciò T analisi dal raccogliere i flui-
di elastici dalle due acque appena attinte dalle lo-
ro sorgenti ; V una e 1 altra furono rinchiuse suc-
sessivamente in un vase graduato fino alla misu-
ra di ventiquattro pollici cubici. Il rimanente del-
la capacità del vase e del sifone annesso egua-
gliava esattamente tre alìri pollici cubici . I flui-
di elastici, sviluppati e mescolali con l'aria atmo-
sferica della parte vuota del vase e del tubo , fu-
rono raccolti siil mercurio, e misurati sotto la piés-
sione barometrica di ventotto pollici, e la tempe-
ratura di 2 0. del term. di R. Dalf acqua dcììe
3
terme Taurine si raccolsero poli. cub. 1 1 ? di gas,
e da quella della Jìconcella poli. cub. 12 • L'aria
dei vasi essendo eguale a tre poli: cub: nell' una
e r altra sperienza, i fluidi elastici sviluppali dall'
acqua delle terme uguagliavano poli, cub, ^Ti e
9 quelli dell' acqua della JiC07ìcella .
L' analisi di questi gas si eseguì nel modo se-
guente . Si liscerò prima attraversare la soluzione
di nitrato di piombo , e quindi V acqua di calce
sino a che nell una e nell' altra sperienza fosse ces-
sato rintorbidiimento . Si notò dopo ciascuna ope-
razione r assorbimento del gas , riportato alla stes-
sa temperatura e pressione del principio della spe-
rienza . Il rimanente si espose all' azione del fosl'o-
10 neir eudioiiietro di Berthollet .
iNel gas dell' acqua delle terme gli assorbì-
i54 Sci e ly z e
menti furono come segue . La soluzione di piombo
assorbì un poco più di ^ dì poli : cub : di gas
idrogeno solforato ; Y acqua di calce un poco me-
no di sette poli : cub : di gas acido carbonico . Il
fosforo assorbì da uno dei quattro poli : cub : re-
sidui 7oTI ^^ g^s ossigeno, e siccome i tre poli. cub.
di aria atmosferica non ne Contenevano per ciascbe-p
duno che ^^-^ , dunque l'aria atmosferica dell' acqua
equivalente ad im poli: cub: conteneva -^ di gas
ossigeno e ^-^ di gas azoto in volume . L' aria dell*
acqua della Ficoncella conteneva in numeri roton-
di un poli: cub: di gas idrogeno solforato , uno
di aria atmosferica colle indicate proporzioni di
gas ossigeno ad -azoto , e sette di gas acido car-
bonico .
Volendo ora ridurre le misure di questi gas
a quelle corrispondenti ad una libbra medicinah; di
acqua , sì comincierà dal riflettere che un poli :
cub: di acqua alla temperatura di 20. R., ed alla
pressione ordinaria , pesa 4oo grani ; e che perciò
i 24 pollici cub : di acqua pesavano yOoo grani .
Ma la libbra medicinale pesa 6912 grani , ed occu-
pa il volume di poli : cub : ly , a8 . Se dunque 24
poli: cub: di acqua eguali a grani 9600 sommi-
nistrarono alla sorgente della Ficoncdla 9 poli:
cub: di gas , ed 8 -y in quella delle terme, una lib-
bra della prima conterrà G, 4^3 poli: cub: di gas,
e G , 29G una libbra della seconda ; e ripartendo
questa quantità di gas secondo le proporzioni in-
Acque term. di Civitavecchia i55
dìcate dalla sperienza , l'acqua della Ficoncella si
troverà contenere poli: cub: 5 , o5 di gas acido
carbonico, o, 72 di quel idrogeno solforato, e o, 72 dì
aria atmosferica a ^^ di gas ossigeno . L'acqua poi
100 ^
delle terme conterrà prossimamente poli : cub : 5
di gas acido; carbonico, o , 65 di gas idrogeno sol-
forato , e o , 04 di aria alla stessa proporzione
di ossigeno . Infine è da osservarsi , che la quanti-
tà di gas, contenuta nelle due acque di Civitavec-
chia, supera di poco il terzo del volume del li-
quido .
Si procedette quindi ad ottenere i prodotti fis-
si , svaporando in vasi di vetro cinquanta libbre di
ciascuna delle due acque , e si ebbe dall' acqua
delle terme un residuo salino-terroso pesante 899
grani , e 901 dall' acqua della Ficoncella ; locchè in-
dica il rapporto dei principii fìssi al fluido acquo-
so= 1: 383 , ossia la proporzione di dicciotto ^rani
di questi principii in una libbra medicinale di
acqua -
Il residuo salino-terroso delle due acque ave-
va un colore bianco gvigio , un sapore stdso e leg-
germente amaro , ed era privo di ogni odore . Sic-
come la svaporazione dell' acqua era stata condot-
ta a fuoco lento verso la fine , ed il sedimento era
stato disseccato al moderato calore di trenta gra-
di Pi. in una stufa , per determinare quant' acqua
di cristallizazione fosse stata ritenuta dai sali esi-
stenti in questo sedimento , cento grani del me-
desimo furono esposti ad un calore di loo*' di R. , e
perderono circa trentotto grani di acqua . Quella
che si ottenne dal deposito dell' acqua delle terme
aveva seco tratta una piccola porzione di acirlo mu-
riatico , la quale , come si vedrà dall' analisi , non
l56 SciEHZE
poteva provenire che dal rauriato di magnesia i, il
solo fra i sali contenuti nel sedimento , che potes-
se decomporsi a quel grado di calore .
Si passò quindi all' esame del sedimento dis-
seccato , come si è detto , semplicetnente alla stu-
fa , incominciando da quello dell' acqua della Ficon-
ccll'a . Cento grani del medesimo si tennero ìii di-
gestione neir alcool di una densità uguale a o , 8 <o.
Il residuo asciugato a 3o° R. e pesato , si tro\ ò ri^*
dotto a grani novantasei . - Sciolti gr: 4 •
I q6 grani indisciolti dall' alcool furono trat-
tati a varie riprese con acqua a 4^° ^- i li '^ che
questa non manifestasse più alcun sapore . Il re-
siduo, asciugato e pesato come sopra , si trovò
Uguale a quarantaquattro grani. - Sciolti gr : Sa .
I 44 grani residui furono trattati con V acido
acetico concentrato , finche fosse cessata ogni elfer-
vescenza . Ciò che rimase dopo l'asciugamento non
pesava piià che grani otto . - Sciolti gr: 36 .
Si mescolò a questo residuo il doppio di pol-
vere di carbone puro , e si sottopose ad un colpo
di fuoco di fucina in un crogiuolo . Quindi si la-»
vò con r acido debole, che sviluppò una sensibi-'
le quantità di gas idrogeno solforato . Si disseccò
ciò che rimaneva ai fuoco , e si ritrovò del peso
di tre grani *
Sopra quest' ultimo residuo si fece bollire per
qualche tempo un' oncia di acido muriatico , che
raffreddata si trovò averne sciolto -^^ di grano , he
sciando due granì e - di sabbia terruginosa o si-
licato di ferro .
Dopo queste sperienze si passò all' esame par-
ticolare di ciascuna delle soluzioni oltenute . Ln so-
Acque term. di Givita-vecchia 157
luzlone aleoolica fu svaporata , e ridisciolto il re-
siduo in acqua stillata . Questa soluzione fu divisa
in tre vasi , e trattata nel primo con V ossalato di
ammoniaca , nel secondo col nitrato di argento ,
e nel terzo con l'ammoniaca liquida perfettamente
caustica . I primi due reagenti produssero un pre-
cipitato abbondante , e niun cangiamento si otten-
ne col terzo , neppure coli' ajuto del calore : locchè
prova cbe i quattro grani discioltì dall' alcool erano
fermati di solo muriato di calce, senz'alcuna trac-
cia di muriato di magnesia .
La soluzione acquosa fu parimenti divisa e
trattata in vasi separati con i seguenti reattivi ; i°
coir acido muriatico , e non si ebbe alcuno svilup-
po di gas acido carbonico ; 2° coli' acido solforico ,
e si ebbe sviluppo sensibile di gas acido muria-
tico ; 3° col muriato di barite , e si ebbe un pre-
cipitato di solfato di barite , che proporzionato alla
quantità totale della soluzione acquea corrisponde-
va a 26 grani di solfato di barite bene asciugato
e pesato; 4° col nitrato di argento nello stesso vase,
nel quale era stato precipitato il solfato di barite .
Si ottenne un precipitato abbondante di cloruro di
argento , cbe diminuito della quantità dovuta al
muriato di barite precedentemente affuso , e quin-
di proporzionato alla quantità totale della soluzio-
ne acquosa , equivaleva al peso di 28 grani ; 5**
col carbonato neutro di potassa , che non pro-
dusse a freddo alcun' effetto , ma che somministrò
coir ajuto del calore un precipitato di magnesia, il
quale indicava grani 2 , 5 di questa terra in tutta
la soluzione acquosa ; 6° col nitro-muriato di oro
che indicò la soda con la formazione del così detto
muriato triplo . Dalle quali sperienze risulta , che la
soluzione acquosa conteneva due soli acidi , e due
i58 Scienze
sole basi , cioè gli acidi solforico e muriatico , la
soda e la magnesia . Quest' ultima base doveva es-
sere in totalità unita all' acido soHorico , perchè
se fosse stata unita anche in parte all' acido mu-
riatico , avrebbe formato il muriato magnesìaco ,
sale deliquescente , e che non sarebbe sfuggito all'
azione dell' alcool adoperato prima dell' acqua .
La soluzione acetica non conteneva che la cal-
ce combinata prima con 1' acido carbonico , che
si svolse durante 1' azione dell' acido acetico . Fu
precipitata la calce con 1' ossalalo di ammoniaca ;
ed esposto il precipitato ottenuto in un crogiuolo
di platino ad un fuoco sostenuto, se n' ebbero 20
grani di calce caustica , che aggiunti all' acido car-
bonico , necessario per la loro saturazione , rappre-
sentano 36 grani di carbonato di calce , quanti ap-
punto ne vennero disciolti dall' acido acetico .
Si è detto di sopra , che l'ultimo residuo di
otto grani fu esposto prima al fuoco con il dop-
pio del suo peso di carbone puro , e quindi trat-
tato coir acido nitrico debole , che ne svolse del
gas idrogeno solforato, e che lasciò soli tre grani
di residuo . Questa soluzione nitrica neutralizzata pri-
ma con r ammoniaca e quindi trattata con 1' ossa-
lato di ammoniaca, somministrò una quantità di
calce uguale a gl'ani 2 ed una frazione , che unito
all' acido solforico, dimostrato dall' azione del car-
bone e dallo sviluppo del gas idrogeno solfora-
to, somministrano appunto cinque grani di solfato
di caJce , che separati dal residuo per mezzo del
trattamento descritto , lo ridussero a soli 3 grani .
Questa stessa soluzione nitrica dopo la preci-
pitazione della calce, con 1' aggiunta di una solu-
zione di carbonato neutro di potassa, e col successi-
vo riscaldamento, indicò qualche traccia di magne-
AcQCE TERM. ni Civitavecchia iSq
sia. Per rendersi ragione dì questo fenomeno, con-
viene supporre che verso il fine della eviiporazio-
ne, fatta per raccogliere i principii fissi , quando
il calore si avvicina a quello della ebollizione dell
acqua, ed il fondo del vase esposto al Inoco, e
ricoperto da un strato considerabile di deposito ,
concepisce un alto grado di riscaldamento, si de-
componesse la piccola quantità di muriato di ma-
gnesia contenuta nell'acqua della Ficoncella, come
si ritrovò in quella delle terme Taurine: giacché
si sa, che questo sale abbandona a secco il suo aci-
do ad un calore anche inferiore a quello dell acqua
"bollente, e lascia la magnesia insolubile.
Finalmente ciò che Y acido muriatico potè cli-
sciogliere dell' ultimo residuo di grani tre, e che,
come si è detto, non eccedette - di grano , era un
poco di ferro precipitabile in bleu per mezzo del
prussiato o idrocianato di potassa ferruginoso, ed
6
i due ^rani e ^ quella combinazione di silice e fer-
ro, che alcuni credono una lega di silicio e di
ferro, e che altri riguardano come una combina-
zione salina, nella quale la silice fa funzione di aci-
do : e questa è la più comune opinione, che ha
fatto dare al composto il nome di silicato di fer-
ro. I chimici moderni i pii^i esatti, fra i quali ba-
sterà nominare Davy e Èerzelius , hanno osservato
che le acque minerali saline contengono quasi sem-
pre questa combinazione di silice e ferro.
A rendere completa V analisi del sedimento dell"
acqua della Ficoncella altro ora non manca , che de-
terminare il modo di combinazione che affettavano
i principii rinvenuti nella soluzione acquosa del me-
desimo , e che sono i due acidi muriatico e solfo-
' *'>o ' S e 1 E ^t T
rico, e le due basi soda e ni?jgnesla . Fu già av-
vertito di sopra , che la magnesia in questa solu-
zione non poteva trovarsi riunita coli' acido muria-
tico, perchè questa combinazione essendo delique-
scente , se ave?»' esistilo sarebbe stata disciolta
nell' alcool, la di cui azione si fa precedere a quella
cìeir acqua nel metodo di Bergrnan da noi adotta-
to. Ciò posto, tutto r acido muriatico o idroclo-
rico indicato dal cloruro di argento, si deve sup-
porre combinato con la soda. Ora , secondo le ta-
vole di Thorasom,38 di cloruro di argento conten-
gono tanto di cloro da equivalere a 7 di acido
idro-clorico, o muriatico, e queste equivalgono a 16
di muriato di soda con la sua acqua di cristalliz-
zazione. Per determinare dipoi le combinazioni dell'
acido solforico con la magnesia e con la soda , bi-
sognava conoscere prima la quantità assoluta di aci-
do solforico, e quella di una delle due basi satu-
rate da questo acido nella soluzione di cui parlia-
mo : ciò che appunto fu fatto, come si è di so-
pra esposto , precipitando tutto l'acido solforico con
il muriato di barite , e la magnesia con il bicar-
bonato di potassa a caldo . Il precipitato ottenuto
col muriato di barite pesava 26 grani , locchè de-
nota 8 , ^5 grani di acido solforico . Quello otte-
nuto col bicarbonato di potassa ugualiava grani 2 ,
.5o , Ora 2 , 5o di magnesia saturano 4 ■» ^5 di aci-
do solforico reale , cui aggiungendo 8, 2 5 di acqua ,
che ritiene il solfato di magnesia non anidro , si
avranno i5 grani o parti di solfato di magnesia .
Rimangono 4 1 ^^ f^i acido solforico , capaci di
saturare circa 3, 5o di soda , ed otto parti di
solfato di soda anidro potendo prendere undici
parti di acqua di cristallizzazione , si avranno 19
parti di solfato di soda . Ora i6-f« i5 + i9 = 5o
Acque tirm. di Civitavecchia iGi
non corrispondono esattamente ai 52 grani dì so-
stanze saline disciolte dall' acqua , locchò potreb-
be far credere che quaich errore fosse incorso
nel processo di analisi. Ma se si considera, i.° che
il sedimento dell' acqua della Ficon cella conteneva
Zìi
^g'^di acqua, come si è provato di sopra con espe-
rienza diretta, e che valutando le quantità dei tre
sali contenuti nella soluzione, come affatto privi
<ii acqua, la loro somma sarebbe i5, 6, y5 ed 8 --39,
^5, alla quale aggiungendo la proporzione di acqua
competente secondo la sperienza diretta = 19, y5,
si ha prossimamente lo stesso risultato di 5o gra-
ni di sostanze saline sciolte dall' acqua ; e 3.° che
per le numercse filtrazioni occorrenti in questo ge-
nere di sperienze, si perde e rimane aderente ai
filtri qualche porzione di sostanze saline anche di-
sciolte nell'acqua; se, ripeto, si considerano que-
ste due circostanze, si potrà rendere facilmente ra*
gione del deficit di ~—
*" 100 .
Riassumendo dunque, i cento grani del deposi-
to dell'acqua della Ficoncella svaporata sono for-
mati come siegue, ossia contengono le sostanze, se»
guenti.
Sioluzione alcoolica -^ Muriato dì calce grani 4
) Muriato di soda grani 16
Soluzione acquosa ) Solfato di soda gr. 19
) Solfato di magnesia i5
Soluzione acetica — < Carbonato di calce gr. 3G
liesiduo insolubile ) Solfato di calce gr: 5
) Silicato di ferro gì: 3
Somma - gr: — > 98
Perdita 2
»» «
G.A.T.IX. n. 100
iGa Scienze
E siccome i cento grnni del deposito dell'
acqua della Ficoncella non sono che la nona par-
te «li quello ottenuto per lo svaporamento di cin-
quanta libbre di acqua , così per avere T espres-
sione della quantità di ciascuno dei principii rin-
venuti neir intiero sedimento , basterà moltiplica-
re per 9 ciascuno dei medesimi principii , ed al-
lora i <;oo grani del sedimento si troveranno com-
posti di
, Muriato di calce — 36
di soda — i44
Solfato di soda — i^i
Solfato di magnesia — i35
Solfato di calce — 4^
Carbonato di calce > — 824
Silicato di ferro — 27
Perdita — 18
Totale — 900
E finalmente dividendo per 5o ciascuno di
questi prodotti si avrà la loro quantità propor-
zionale ad una libbra di acqua, come può veder-
si nella Tav. I.
L' analisi del sedimento delle acque delle ter-
me Taurine fu eseguita sul medesimo piano , e
con le stesse cautele, e dette i seguenti prodot-
ti sopra cento grani .
Muriato di calce — 3 Ì
di magnesia — 0*2
di soda •— 19
Solfato di soda — . 21
Acque term. di Civitavecchia iG3
di magnesia — i4
di calce — 07
Silicato di ferro — - o3
CaibonaLo di calce — 3o
Totale 98
Perdita 02
E trasportando questa valutazione sopra i 900
grani ( trascurando la piccola frazione in diletto ) di
sedimento ottenuto da libbre 5o di acqua , si avran-
no i stessi prodotti nelle seguenti proporzioni.
Muriato di calce — 3 1 7
di magnesia
di soda
Solfato di soda
di magnesia
di calce
Carbonato di calce
Silicato di ferro
Perdita
Totale -— • 900
E dividendo similmente questi prodotti per
5o , si avranno quelli cbe corrispondono ad una
libbra di acqua, come può vedersi nella Tav. I.
JNon essendo infrequente il caso di ritrovare
nelle acque sollbrose fra i principii mineralizza-
tori ancbe qualche idrosolfuro, o , come ora dice-
si idrosolfato , specialmente di calce, né mancan-
do questa base e T idrogeno solforato , o acido
idro - solforico nelle acque termali di Civitavecchia,
noi volemmo assicui'arci con la sperienza se esi-
04 1
171
189
126
63
270
^7
18
iG4 Scienze
stesse d mancasse questo composto nelle medesi-
me , ed a tale oggetto fu istituito il seguente pro-
cesso analitico.
Sì fece bollire in vasi separati una quantità
eguale di acqua della Ficoncella e delle terme Tau-
rine , tino a che Tuna e Y altra fossero ridotte al
quarto del loro peso . Quindi si lasciarono raffred-
dare , e sì separarono dai depositi di carbonato e
solfato di calce , che avevano formato , e si fe-
cero sopra ciacuna di esse le sperienze seguenti
in separati vasi di vetro . i°. Si affuserò le tinture
di viole, di alcea, e di curcuma, e non si os-
servò in esse alcun cangiamento di colore . Se
qualche idrosoliato si fosse trovat* in alcuna o
in ambedue le acque , le tinture di viola e di
alcea si sarebbero colorate in verde , ed in rosso
quella di curcuma . 2". L' acido solforico concen-
trato produsse uno sviluppo sensibile di gas aci-
do idro - dorico , e non isvolse alcuna bolla di gas
idrogeno-solforato , locchò sarebbe necessariamente
accaduto , se vi si fosse trovata qualsivoglia quan-
tità apprezzabile d' idro - solfato . 3''. Il nitrato di
argento e l' acetato di piombo produssero abbon-
danti precipitati bianchì , che tenuti al coperto del-
la luce , dopo a4 ore non avevano presa alcuna
tinta fosca o nera: locchè rende affatto complete 1«
prove esclusive della esistenza degT idrosolfati nel-
le acque termali della Ficoncella , e delle terme
Taurine.
Sopra le due acque ridotte al quarto del loro
volume per la svaporazione si fecero anche alcune
prove per verificare i risultati ottenuti nelf analisi
dei loro sedimenti. 1°. Si mescolarono le due acque
termali con le soluzioni di ammoniaca e di cal-
ce , che produssero ambedue un precipitato sola-
Acque term. di Civitavecchia i03
bile neir acido solforico , locchè somministra una
Controprofva sicura della esistenza dei sali magnesìaci,
a**. Il muriate di barite ed il nitrato di argento conti-
nuarono a dimostrar sempre gli acidi solforico e mu-
riatico. 3*. L'ossalato di ammoniaca non mancò di se^
gnare in una maniera assai sensibile la calce, la quale
non potendo essere più quella del carbonato di
calce che si era pi-ecipitato intieramente , ed es-
sendo molto più abbondante di quella che avreb-
be potuto competere a qualche atomo di solfato
di calce, che fosse ancora rimasto disciolto in quel
resto di acqua , forza è credere che appartenesse
al muriate di calce, la di cui coesistenza (in pic-
cola quantità, come nelle acque termali di Civita-
vecchia ) con i solfati solubili è perciò diretta-
mente provata contro r opinione di Bergaman e di
Fourcroy , rivocata in dubbio da Bertholìet per il
primo nelle sue memorie sopra V influenza delle
masse nelle azioni chimiche.
A compimento del nostro lavoro sopra le
acque di Civitavecchia, noi sottoponemmo all' ana-
lisi anche il deposito spontaneo delle acque del-
la Ficoncella lungo il canale che le raccoglie. I
depositi furono presi, i ^ vicino alla sorgente prin-
cipale , 2 ° air altra sorgente lontana dalla prima
circa 23o canne Romane; e 3*. quelli raccolti
più al disotto alla distanza di altre 5o canne. Tut-
ti questi depositi si trovarono per la massima parte
composti di carbonato di calce, unito a piccole
quantità dì solfato di calce e silicato di ferro . Le
quantità di queste ultime sostanze, benché sempre
tenuissime, andavano tuttavia crescendo dalla sorgen-
te principale alla maggior distanza a cui questi
depositi yeuuero presi ^ iu guisa che nei primi
lG6 S e I KOf Z B
si rinvennero —^ solamente fra solfalo di calce più
4
abbondante , e silicato di ferro più scarso, — nei
secondi, e — neijli ultimi ; loccliè si accorda bcnis-
lOO "
simo con le leggi della solubilità del solfato di calce,
eh' essendo sempre esilissima, cresce tutta\ia con la
temperatura, e scema con es.sa.
Uno dei problemi clic ci venne proposto a ri-
solvere neir adempimento della nostra commissione
sopra le acque termali di Ci\ itaveccliia, fu di esa-
minare, se una di esse, o ambeduf^, salve le loro
proprietà medicinali , si fossero potute condurre a
canale aperto o chiuso dentro la Città, ove i balneanti
avrebbero trovato comodi alloggi, e tutte le altre
cose necessarie alla vita.
L' accpia della Ficoncclla essendo la più cal-
da, e scorrendo dalla sua prima scaturigine in un
canale aperto, ma profondo angusto e bene incassa-
to per un lungo tratfo, et sembrò la più opportuna
per fare le osservazioni necessarie sopra il progressi-
vo raffreddamento dell'acqua in un canale aperto,
e sopra gli elfetti di questo raffreddamento nella
composizione chimica di queste acque termali, cioè
rapporto ai principii in esse contenuti.
E primieramente fu osservato, che a pochi piedi
lontano dalla sorgente, nel principio stesso del ca-
nale, dove l'acqua si è appena raffreddala dì un
grado, si forma alla superticie della medesimaAina
pellicola di carbonato calcare abbastanza solida per
sostenere qualche lucertola che noi vedemmo attra-
versare il cauale senza romperla, e molti licheni
di varii colori gialli e verdi, che simulavano de-
positi ocracei e vitiiuolici, ma che all'esame non
esibivano alcuna particola di ferro. Questa pellicola,
Acque tkrm. di Civitavecchia 167
giunta ad una certa spessezza, o cade per il suo
proprio peso, o vien rotta e fatta cadere dallo svi-
luppo dei gas che Irovansi nell'acqua, e si for-
mano così quei depositi al fondo, che stratiJi-
cati in forma dì spato lo rialzano tanto piiì rapi-
damente, quanto più T acqua si allontana dalla sor-
gente, e si railicdda. Quindi la necessità di ripu-
lire il canale di tempo in tempo , perchè V acqua
scorra liberamente lino ad un mulino, eh' essa mette
in movimento, riunita a quella che proviene dulie
terme Taurine e da altre sorgenti vicine .
Sembra dunque non potersi avere alcun dub-
bio sopra l'impossibilità di condurre quest'acqua
fino a Civitavecchia in canale aperto, senza che venga
affatto snaturata nei suoi principii, perdendo i suoi
gas acido carbonico ed idrogeno solforato, e depo-
nendo il suo carbonato calcare. Ma non sarebbe que-
sto il solo disordine, cui si andrebbe incontro, vo-
lendo condurre l'acqua della Ficoncella fino a Civi-
tavecchia, che n'è lontana circa tre miglia. Altro
gravissimo sconcerto s' incontrerebbe per la perdita
totale di quella quantità di calorico, che rende que-
st'acqua così eminentemente termale. A tal'uopo si fe-
.cero osservazioni termometriche di 45 in ^j canne
romane lungo il canale della Ficoncella, e queste os-
servazioni trovansi raccolte nell'annessa tavola 2. re-
datta con somma diligenza dal nostro collega sig.
Scaccia. Si rileva dalla medesima, che alla distanza di
sole canne romane ij./^S , ossia di un miglio e
^dalla sorgente, l'acqua si era ridotta alla tempe-
ratura di gradi 19, cioè di un grado più fredda dell'
atmosfera all' ombra.
E bensì verisimile che questi abbassamenti di
temperatura e questi depositi calcarci sarebbero mi-
iGS S e r E ^' z E
nori in pari tempo, conducendo l'acqua per un canale
chiuso; ma la necessità di lasciare per intervalli qual-
che comunicazione coli aria per l'uscita di quella del
canale spinta dall'acqua , rarefatta dal calorico svi-
luppato dalla medesima, ed aumentata nella sua massa
dallo svolgimento dei gas dell'acqua stessa: tutte que-
ste circostanze potrebbero ritardare, ma non annullare
gli effetti osservati nel canale aperto^ e si può sup-
porre con fondamento, che se in un canale aperto
r acqua si raffredda dalla temperatura di 44-" ^ quel-
la di 19.° per il corso di un miglio e 'J non si
raffreddarebbe meno in un canale chiuso della lun-
ghezza di tre miglia, e si troverebbe alla fine del
suo corso eh' essa avrebbe perduto verisimilmente
tutto il calorico, e tutt'i suoi principii elastici, de-
ponendo altresì in questo tempo il carbonato ed il
solfato di calce, che ostruirebbero il canale chiu-
so nella stessa guisa che ostruiscono il canale aper-
to; ed allora la necessità di ripulirlo portando se-
co quella di romperlo o di aprirlo, renderebbe per
questo solo riflesso incompatibile con ogni econo-
mia un tal sistema di condurre le acque a Civi-
tavecchia.
Finalmente non è da trascurarsi la considera-
zione , che le acque termali per calde eh' esse siano
al pari della nostra, non si amministrano in bagni
in tutta Italia e fuori, che alla sorgente stessa, do-
ve con opportuni mezzi si modera il calore dell' ac-
qua senza perdere in tutto i suoi principii elastici e
qualcuno dei fissi.
Non rimangono dunque che due soli partiti a
prendere per mettere il pubblico in istato di far uso
più comodamente delle acque termali di Givitavec-
thia. L'uno è quello che attualmente si pratica, dì
Acque term. di CiviTAyEccHiA iQcf
trasportare cioè in barili o in botti V acqua cbe at-
tinta alla sorgente della Ficoncella giunge così chiu-
sa in Civitaveccliia ancor calda di Ò5.° R.; e T altro
di formare uno stabilimento allo Ficoncella stessa, o
alle lernie Taurine, profittando degli avanzi delle
medesime. In verità tlurante la stagione estiva l'at-
mosfera di questi due luoghi non va esente da ogni
sospetto d'insalubrità ; ma le fabbriche, le piantagio-
ni di alberi verso il mezzogiorno, ed altri mezzi
d' igiene potrebbero togliere in tutto o in parte que-
sto grave disordine. Conviene però confessare che le
spese occorrenti per una intrapresa di questa natu-
ra, non potrebbero essere che grandi nella prima
erezione dello stabilimento, e questo riflesso obbliga
almeno per il momento a dare la preferenza al tra-
sporto , come ora si eseguisce , delle acque ia
città.
Ma i poveri che non sono in istato di sop-
portare le spese del trasporto , meriterebbero che
si disponessero negli avanzi delle terme Taurine tre
o quattro piccole camere con le necessarie vasche,
nelle quali potessero bagnarsi con comodo e de-
cenza . E per quest' oggetto poi , e per V altro del
trasporto delle acque , si dovrebbe condurre a ter-
mine la comoda strada già incominciata , e clie do-
vrebbe menare tanto alle terme Taurine , che al
colle della Ficoncella , e fiancheggiarla di alberi per
garantire dai colpi di sole gì' infermi che voles-
sero colà condursi a prender bagni .
Infine alla sorgente della Ficoncella, dove si va
ad attingere 1' acqua che si trasporta in Civitavec-
chia, dovrebbe puranche costruirsi un locale coper-
to con le opportune comodità per il facile riem-
pimento dei barili e delle botti , locchó si fa ora
con difficoltà Qtl allo scoperto • Ma di tutte le
ino Scienze
previdenze dì questo genere ha già dato il suo
narere a parte il nostro collega sig. Scaccia , e
confidiamo che il Governo abbraccerà il partilo dal
medesimo proposto , e manderà ad effetto le mi-
sure reclamate non solo dalla popolazione di Ci-
vitavecchia , ma dagl' infermi di tutti i paesi , a
quali potesse giungere la fama di queste acque
e nascere la speranza di trovarvi rimetlio ai loro
mali .
E qui duolci di nuovo di non potere addur-
re una serie abbastanza numerosa di latti bene os-
servati ed autentici , onde stabilire sopra le basi
della sperienza le virtù medicinali delle acque di
Civitavecchia , e somministrare così a coloro che
Terrebbero larne uso una "uìda che clixiene sicura
quando è rischiarata dall' analisi chimica. Contut-
tociò noi non vogliamo lasciare aifatto mancante
questa parte del nostro lavoro , e in difetto di più
recenti osservazioni , noi formeremo la nostra opi-
nione sopra le antiche , specialmente quando o$se
sono conformi alle analogie dedotte dall' analisi
chimica .
Le acque di Civitavecchia pertanto sono ter-
];nali , e del genere salino solforose, locchè fa pre-
sumere di già che le medesime, potranno essere utili
in tutt' i casi , nei quali si adoperano con frutto
le acque congeneri di altri paesi , come quelle d
Ischia in Aapoli, le acque Caje di Viterbo, quelle
di Abano a Padova , di Valdieri in Piemonte , di
Veltri nel Gcnovesato , e tante altre celebrate in Ita-
lia e fuori . Dilfatti nelle vecchie piaghe , negli erpe-
ti e reumatismi cronici, nei teli podagrici, nelle ostru-
iiioni di fegato e di milza , negf infarcimenti delle
glandole prodotti da umori freddi e scevri di sin-
.tomi flogistici , nelle rigidità degli articoli prodot-
Acque term. di Civitavecchia ini
te da contusioni antiche , ed accompagnate da gon-
fiezze ossee , sarcomatose , ed anche edematose , le
acque termali di Civitavecchia hanno esibite feli-
cissime guarigioni , come viene indicato dal cita-
to passo di Pihodio. come risuha «ia molte osser-
vazioni riportate nel libro dj Tonaca , e come ab-
biamo noi stessi veduto in moìte circostanze . Ed
a produrre questi eifetti, le acque termali di Civi-
tavecchia, non altrimenti che la maggior parte delle
acque congeneri d Italia, furono amministrate in ba-
gni , cioè esternamente . Ma si possono adoperare
queste acque internamente, ed in quali casi ? A
questa domanda risponde affermativamente ma trop-
po timidamente il Torraca ( part: 2, art: VI ) per
potervisi affidare con sicurezza , ed il defunto mio
amico D. Nucci mi aveva annunziato di avere am-
ministrata internamente Y acqua della Ficoncella a
pijj di un' infermo , alcune volte con vantaggio
reale , come in casi di affezioni arenulari e di ca-
tarro di vescica , e sempre senza danno .
JViuno diffatti dei principii fissi o volatili con-
tenuti nelle acque di Civitavecchia può ispi-
rare alcuna diffldenza sopra T uso interno delle me-
desime , meno il solfato di calce . Ma la sua quan-
tità è tanto esile , e si trova unito con tanti al-
tri sali solubili , ed in quantità tanta maggiore ,
che non è in v^run conto da temersi la sua jjre-
senza . Il carbonaio di calce, reso solubile dal gas
acido carbonico , rende le nostre acque in qualche
modo simili alle così dette acque mefitiche alca'
line , r utilità delle ouali nella litiasi , e nei ca-
tarri di vescica è già da lungo tempo riconosciu-
ta . Infine tutti gli altri sali perfettamente solubili
rendono le acque di cui parliamo analoglie alle
acque saline , che sono cotanto utili negf infarci-
1^3 Scienze
menti mucosi , pltuitosi , nell' inerzia della bile ,
nelle ostruzioni dei visceri addominali , e nelle ca-
cliessie in genere . Dalle quali considerazioni si ri-
leva, che r uso interno delle acque di Civitavecchia
amministrato con ponderatezza e con misura può
riuscire innocuo , anzi utile in tutt' i casi conve-
nienti , e potrebbe giustificare pienamente il nome
di f^escicarie che , come abbiam veduto , si sup-
pone dato dagli antichi alle medesime .
Infine Civitavecchia per la sua posizione ma-
rittima offre a quelli che vi accorrono per profit-
tare delle sue acque termali anche il comodo di
usare i bagni di mare , utilissimi e non di rado
necessarii per completare le cure eseguite con ogni
genere di acque minerali , e qualche volta per cor-
reggerne gli effetti sfavorevoli . Vero è che niuno
stabilimento è colà preparato per T amministrazio-
ne dei bagni di mare ; ma è da sperarsi che qual-
cuno di quei zelanti cittadini , o la città stessa ,
prenda a cuore u>n' intrapresa che sarebbe di un
utilità assai più generale di quella dei bagni ter-
mali , tanlopiù che sopra la lunga costa dei stati
pontificii sul Mediterraneo niun altro punto più fa-
vorevole potrebbe rinvenirsi ad un pari stabilimen-
to, e gli abitanti della capitale, e quelli delle pro-
vincia cis-appennine accorrerebbero in folla a pro-
fittare di un rimedio utile egualmente ai sani , ai
valetudinarij, ed agF infermi, e eh' è divenuto di
un' uso universale e veramente europeo.
73
Fatti per sennre alla storia delf oro , Memoria
del sig. Pelletier, letta ali accademia delle scien*
ze di Parigi, (a)
ESTRATTO
llnantunque molti chimici non solo antichi, ma
anche moderni, fra i quali i celebri Proust, Vau-
quelin , Oberkampft, e Ber/elius , si sieno occu-
pali a studiare le proprietà dell' oro e delle su»
combinazioni , ed abbiano arricchito la scienza di
fatti importantissimi , pur nonostante esistevano
tuttora delle lacune , che rendevano incompleta
la storia di questo metallo. S' ingnoravano infatti
le proprietà dei sali d' oro , o piuttosto si erano
descritti dei sali , che non potevano esistere , e
si erano presi per sali tripli sostanze, le quali non
erano che semplici miscugli . Si era rilevato da
molti chimici la difficoltà di precipitare 1 oro dal-
la sua soluzione nelf acqua regia per mezzo del-
le basi salificabili : si era veduto che un' eccesso
d' acido nella soluzione di questo metallo si op-
poneva alla precipitazione dell' ossido d' oro : ma
non si era spiegato in una maniera soddisfacente
come un' eccesso d' acido, che verrebbe saturato
dalle prime porzioni di basi salificabili impiegate ,
poteva opporsi alla precipitazione ulteriore dell'os-
sido, o piuttosto si era fatta una supposizione trop-
po azzardata, ammettendo in questo caso la for-
mazione d' un sale triplo indecomponibile da nuo-
(a) Annal: de ehiai: et phys: septembre et octobre 1820^
l'ji Scienze
ve quantità di basi. Finalmente non si era fatto al-
cuna distinzione nella natura dei precipitati for-
mati nel cloruro d' oro per mezzo di diverse basi
stìlificabili , ed ereno stati considerati tutti come
identici . Questi sono slati gli oggetti , dei quali
si è particolarmente occupato T A. in questa me-
moria , di cui presentiamo V estratto .
Azione degli acidi minerali sopra i cloruri
d oro .
Per meglio conoscere 1' azione degli alcali so-
pra i cloruri d' oro, TA. incomincia dall esporre
i risultati ottenuti nel trattare, con gli acidi mi-
nerali , i cloruri e gli ossidi d' oro .
Il primo acido messo in azione sopra il clo-
ruro d' oro è stato \ acido solforico concentrato.
Quest' acido non produce alcun cambiamento sul-
la soluzione di cloruro d'oro; ma esposta la me-
desima air azione del fuoco si sviluppa il cloro,
e si precipita come all' ordinario, prima il sotto
cloruro d' oro , e quindi Toro metallico, eh' è l'ul-
timo risultato dell' azione prolungata dell' acido sol-
forico .
Gli acidi fosforico , arsenico , e generalmente
tutti gli acidi minerali saturi di ossigeno e suscet-
tibili di poter essere elevati ad un'alta tempera, si
comportano sul cloruro d' oro , come 1' acido sol-
forico ,.
L' acido nitrico , e gli altri acidi volatili sa-
turi di ossigeno non hanno parimenti alcun' azio-
ne particolare sul cloruro d' oro : essi si volatiz^
.7ano per mezzo del calore, e lasciano il medesi-
mo intatto. Se però, si continui a riscaldarlo dopo
l'evaporazione dell' acido straniero , si decompone,
come air ordinario .
Storia deil' oro l'jS
Gli acidi saturati di ossigeno messi in contat-
to col sotto - cloruro d' oro presentano un' altr or-
dine di fenomr^ni . Lssi pare che agiscano in vir-
iù dell' acqua che contengono . Si sa che questo
liquido decompone il sotto - cloruro d' oro , pre-
cipita cioè una parte di oro che abbandona il suo
cloro, meni re 1 altra parte portata allo stato di
cloruro si scioglie nell' acqua . Se dunque gli aci-
di sono privati di questo liquido , come Y acido
fosforico vetroso , e V acido borico , non v' è al-
cun' azione Ira queste sostanze , ed il sotto - clo*-
ruro ; se poi contengono dell'acqua, allora ha luo-
go la medesima decomposizione, che produce que-
sto liquido , ed è tanto piià pronta, quanto è mag-
giore la sua quantità . In queste diverse circostan-
ze non si sviluppa ne' cloro , né acido idroclori-
co, e se vi si aggiunga V azione del fuoco, i fe-
nomeni sono i medesimi : solamente la decompo-
sizione è più rapida . Tali risultati provano , che
non si possono ottenere sali d' oro dall' azione
degli acidi sopra i cloruri di questo metallo , e
che il cloruro d' oro sciogliendosi nell' acqua non
passa allo stato d' idroclorato .
lezione degli acidi sult ossido d' oro.
Gli acidi che hanno Y ossigeno per principio
acidificante non possono sciogliere 1' ossido d' oro
né combinarvisi , eccettuati il nitrico ed il sol-
forico , e questi ancora non formano combinazio-
ni permanenti . Per conseguenza non ammette 1' A,
che gli acidi possano formare vere combinazio-
ni saline con 1' ossido d' oro , e le soluzioni del
medesimo negli acidi nitrico e solforico non pos-
sono neppure considerarsi come tali , Infatti sono
1^6 SciErrze
esse estremamente acide; la quantità dell'ossido che
contengono è piccolissima per rapporto alla mas-
sa del dissolvente . D' altronde non si può para-
gonare r azione delF acqua su queste soluzioni con
quella, che lo stesso liquido esercita sopra alcu-
ni sali metallici , come il nitrato di bismuto ec.
Poiché in quest' ultimo caso si forma un sale con
eccesso di base, ed un sale con eccesso d' aci-
do, e solubilissimo, ciò che non ha luogo nel-
le soluzioni d' oro . Finalmente queste medesime
soluzioni sono prive delle propri<ità che compe-
tono alle combinazioni saline , nelle quali !e pro-
porzioni di ossigeno della base sono in rapporti co-
stanti con quelle dell' acido .
Azione dei sali sopra il cloruro et oro.
Se gli acidi , dice 1' A., fossero suscettibili di
unirsi air ossido d' oro formando vere combina-
zioni saline , le circostanze più favorevoli per ot-
tenere tali combinazioni s' incontrerebbero senza
dubbio nel giuoco delle affinità doppie. Ciò non
ostante neppure con questo mezzo si può giun-
gere a formare sali d' oro. Versando egli delle so-
luzioni di solfato , e di fosfato di soda nel cloru-
ro d' oro non ha ottenuto che semplici miscugli .
Il solfato però ed il nitrato di argento versati nel
cloruro d' oro producono un precipitato d' un co-
lore giallo - brunastro; raz^ questo precipitato esa-
minato dall' A. non è altro se non un miscuglio
intimo di cloruro d' argento , e d' ossido d' oro.
Storia dell'oro \nn
Azione delle basi salificabili ( ossidi metallici )
sopra i cloruri d'oro.
Le basi salificabili cbe TA. ha messo in azio-
ne sopra il cloruro d'oro, sono state la potassa, la
soda, la barite, e la magnesia. Versando la potassa,
che però non sia in eccesso per rapporto alla quau-
tià del cloro, in una soluzione di cloniro d'oro non
si forma al momento il precipitato, ma il liquido perde
il suo colore dorato per prendere una tinta rosso-
brunaslra. Qiiest elTctto è dovuto alla saturazione
dell acido idroclorico, che contiene quasi sempie.
il cloruro d' oro. Dopo alcune ore incomincia a ma-
nifestarsi il precipitato, la di cui formazione può de-
terminarsi prontamente elevando la temperatura.
Questo precipitato è di un colore giallo-rossastro^
leggerissimo, e molto voluminoso; la sua quantità
Taria secondo alcune particolari circostanze, ma è
sempre minore dell' oro' impiegato , ed è uguale tut-
to al più ai cinque sesti.
Se venga impiegata per la precipitazione dell'
ossido d' oro una quantità di potassa in eccesso, sì
ottiene un precipitato inlinitamente minore, anzi se
1 alcali vi sia stato aggiunto a poco a poco, il pre-
cipitato formato dalle prime porzioni d' alcali sì
ridiscioglie in gran parte nelle seconde. Il precipita-
to che si ottiene in quest' ultimo caso non solo diil'e-
risce dal precedente per la sua quantità, ma anco-
ra per il suo aspetto, e per la sua natura. I liqui-
di, nei quali si sono formati i precipitati, sono anco-
ra diversi. Nel primo caso hanno un colore gial-
lo-rossastro; nel secondo un colore verde giallastro
tanto più debole, quanto maggiore è stata la quan-
tità della potassa .
Il primo precipitato ottenuto dalla potassa non
G.A,T.L\. 12
jnS Scienze
in eccesso, prova TA. eh è formato di ossido d' oro
mescolato ad un poco di cloruro d'oro o di cloruro
di potassio, che nasce dalla reazione delia potassa, e
non è un muriato d'oro con eccesso di ossido , come
ha preteso Oberkampi't. Il liquido, nel quale si è for-
mato il precipitato d ossido d'oro per mezzo della
potassa, dà coli evaporazione un miscuglio di dorare
di potassio, e di cloruro d'oro.
Allorquando si versa in una soluzione di clo-
ruro d' oro una quantità eccedente di potassa, il li-
quido, il quale da principio per le prime porzioni
d' alcali era divenuto più cupo, si scolora rapidamen-
te sopra tutto per mezzo del calore , e non conserva
che una tinta gialia-verdastra, la quale ancora spari-
sce diluita che sia coli' acqua. Mentre hanno luogo
questi cambiamenti, si precipita una polvere nera-
stra, la quale è tanto meno abbondante, quanto mag-
giore è stata la quantità dell'alcali. In tutt' i casi
non arriva mai al decimo del peso del metallo im-
piegato. Questa polvere nera è un' ossido d'oro non
idrato, che ritiene un poco di potassa. Se dunque
questo precipitato non rappresenta che la più pic-
cola parte dell' oro impiegato, bisogna necessaria-
mente, che il resto si ritrovi nella soluzione. Ma
in quale stato vi esisterà ? Vauquelin ha creduto
che vi fosse in fórma di sale triplo , che la so-
luzione cioè contenesse un muriato triplo d' oro
e di potassa ; e siccome con altre basi salificabili
lianno luogo le medesime combinazioni, per con-
seguenza le ha tutte considerate come sali tripli •
Ma r A. ha provato, che l'oro in queste soluzioni
si trova allo stato di ossido combinato con le ba-
si salificabili, e nel nostro caso con la potassa fa-
cendo le veci d'un' acido: forma cioè un aurato di
potassa ; così egli chiama una tale combinazione ,
Storia dell'oro * iy(^
come r ossido di stagno e quello di antimonio
formano stannati ed antimoniati di potassa . In-
fatti r opposizione , che presenta V ossido d' oro
ad unirsi agli acidi, non dimostra forse che tende
piuttoso a fare le funzioni di acido con Je basi
salificabili ? Ammettendo quest' ipotesi , che sem-
bra appoggiata a tanti latti da poterla considerare
come una verità dimostrata, ed ammettendo anco-
ra che ì oro nella sua soluzione nelf acqua regia
si trovi allo stato di cloruro , tutte le anomalie
operate finora realmente a questo metallo si spie-
gano con gran facilità, e rientrano nella teoria ge-
nerale . Così si spiega perchè l'addozione degli ai-
cali nelle soluzioni d' oro non precipita immedia-
tamente questo metallo allo stato di ossido , co-
me accade in quelle soluzioni saline , nelle quali
il metallo si trova allo stato di ossido . Ma nel-
la soluzione d' oro nel cloro , questo metallo non
è ossidato : bisogna dunque che 1' ossido si formi
per la presenza della base salificabile: così, nel ca-
so della potassa, l'ossigeno della medesima si por-
ta sull'oro, mentre il cloro si unisce al potassio.
Allor quando si versa poca potassa , una parte del
cloruro deve restare indecomposta, ma quando fal-
cali è in maggior quantità, tutto il cloruro d' oro
è decomposto, e feccesso di potassa si unisce all'
ossido d oro , che discioglie , meno una piccola
quantità , la quale perdendo V acqua con cui era
combinata , acquista una certa coesione , e si sot-
trae così ali azione dissolvente della potassa. La
soluzione scolorata consiste dunque in un miscu-
glio di aurato di potassa , e di cloruro di potas-
sio. Da ciò si concepisce la ragione , per cui la
medesima è decomposta, e diventa colorata versan-
dovi gli acidi : poiché al momento in cui un a-»
»2
i8o Scienze
ciclo , por quanto sia debole , si trova in contatto
deir aurato di potassa e del cloruro di potassio,
r ossigeno dell' oro deve portarsi sul potassio, au-
mentare la massa della potassa , che si combina
con r acido , mentre il cloro si unisce all' oro ri*
dotto alio stato metallico.
La soda agisce sul cloruro d' oro nello stesso
modo della potassa . La barite perù presenta qual-
che di/Fercnza, la quale consiste in un afiluità mag-
giore dell'ossido d' oro verso questa terra : alTmità
tale, che impiegando anche poca barite si trova sem-
pre una parte della medesima in combinazione coli'
ossido d' oro precipitato, benché una certa quantità
di cloruro d' oro resti nel liquido . Il precipitato
ritiene ancora ostinatamente del cloro dovuto pro-
babilmente alla presenza della barite .
Impiegando una dose eccedente di barite per
la decomposizione del cloruro d' oro , si ottiene
uira polvere nera, eh' è V ossido d'oro non idrato
con una certa quantità di barite , che si può to-
gliere per mezzo dell' acido nitrico : la soluzione ,
da cui è stato precipitato l'ossido, è senza colore ,
e contiene un miscuglio di cloruro di barium , e
di aurato di barite . Quest' ultimo gode delle me-
desime proprietà dcdl' aurato di potassa , modificate
da quelle che sono proprie della barite.
li precipitato ottenuto dal cloruro d' oro per
mezzo della barite essendo sempre più abbondante
di quello somministrato dalla potassa , i farmaci-
sti ed Oberkampf't stesso hanno indicato questo mez-
zo per prepaiare 1' ossido d' oro; ma questo proces-
so, dice 1 A., dev' essere rigettalo, poiché l'ossi-
do d' oro così ottenuto ritiene sempre della bari-
te , dalia quale è difficile di privarlo .
Quanto alla magnesia , se questa terra si faC-
Storia dell'oro i8i
eia riscaldare in una soluzione di cloruro d' oro ,
e che non sìa in una dose eccedente, si ottiene un'
ossido d'oro idrato impregnato di cloruro. Questo
precipitato ritiene sempre un poco di magnesia ; la
soluzione è di un colore gialio-brunastro , e con-
tiene del cloruro d' oro , e dell' idroclorato di ma-
gnesia (i). Versando una quantità di magnesia ec-
cedente, il precipitato è egualmente .ormato d'ossi-
do d oro idrato , e di magnesia in eccesso una par-
te della quale dev' essere combinata all' ossido. II
liquido contiene 1' idroclarato ,6 1' aurato di ma-
gnesia ; non ha per se stesso alcun colore , ma di-
venta colorato per mezzo dell' acido idi^oclofico .
Il trattamento del cloruro d' oro con la ma-
gnesia offre, secondo TA., il miglior processo per ot-
tenere r ossido d' oro. Impiegando infatti un' ecces-
so di magnesia , ì oro che resta nella soluzione è
in piccola quantità , e la magnesia che resta me-
scolata air ossido può facilmente operarsi per mez-
zo dell' acido nitrico .
Dei pretesi sali tripli d' oro.
Non potendo V ossido d' oro formare combi-
nazioni binarie con gli acidi, mentre 1' A. non con-
sidera conica tali le soluzioni del medesimo negli
acidi nitrico e solforico concentrati, egli non am-
mette neppure i sali tripli . Infatti tutti questi pre-
tesi sali tripli sono stati fatti con la soluzione d'
oro neir acqua regia .In questa soluzione Y oro è
(i) L'A. si è servito dell' espressione d' idocloralo perchè è mol-
to probabile che il cloruro di magnesivim trovisi in questo stato in
io'uzione neir acf^ua .
iSa S e 1 Jì jx z E
allo slato di cloruro; Y addizione d'.un cloruro stra*
niero , come sarebbe quello di sodio e di potassio ,
deve dar luogo solamente a' cloruri doppj . Un fo-
sfato , od un un solfato, non produce egualmente
alcun cambiamento, e non si avranno anche in que-
sto caso se non semplici miscugli .
Ma neir aggiungere un cloraro alcalino al clo-
ruro d'oro, se non si forma un sale triplo , ha al-
meno luogo una combinazione fra i due cloruri?
L'A. crede il contrario, poiché ha osservato che nell*
unione di questi cloruri non v' è alcuna proprietà ,
di cui non si possa l'endere ragione supponendoli
semplicemente mescolati , e la cristallizzazione di
questi pretesi sali tripli è sempre quella del cloru-
ro alcalino impiegato -. osservazione eh' è stata fat-
ta anche da Obeikamplt, il quale ammetteva V esi-
stenza dei sali tripli .
dizione del j'odo sult oro. Jodiiro d' oro.
Il jodo non ha un' azione molto sensibile sull'
oro : ne altera appena il suo splendore . L' acido
idriodico non ne ha alcuna; ma l'acido idriodico
jodurato al lacca e scioglie ancora 1' oro . Il mi-
glior mezzo, secondo l'A., per ottenere una tale so-
luzione consiste nel prendere 1' oro molto diviso ,
e tarlo bollire con 1' acido idriodico , al quale si
aggiunge a poco a poco nel corso dell' operazione
r acidonitrico.il liquido filtrato bollente lascia spes-
so deporre col ralìVeddamenlo il joduro d' oro d' un
colore giallo di cedro , lucenlissimo , e come cri-
stallino ; ma la maggior parte resta in soluzione nell'
acido idriodico jodurato . Per mezzo allora dell' aci-
do nitrico , che decompone 1 acido idriodico , e del
riscaldamento che separa 1' eccesso di jodo , sì prc-
Storia dell'oro i83
clplta tutto il joduro d' oro sotto forma d' una pol-
vere gialla verdastra . Con altri mezzi ancora si
può ottenere lo stesso joduro d' oro, p. e. o metten-
do l'ossido d' oro in cotatto con 1' acido idriodico,
o versando sul cloruro d' oro 1' idriodato di po-
tassa .
Il joduro d' oro preparato o in un modo o
neir altro è insolubile neil' acqua fredda ; pochissi-
mo se ne scioglie nella bollente . Gli acidi idro-clo-
rico , nitrico , e solforico a freddo non lo decom-
pongono : per mezzo dell' ebullizione con questi aci-
di concentrati , il jodo si sviluppa , e 1' oro ripren-
de la forma metallica . Esposto ad una temp. di i5q
si decompone egualmente . Gli alcali producono lo
stesso effetto ; con la potassa si ottengono il jo-
dato , e r idriodato di potassa , e 1' oro resta allo
stato metallico sotto forma polverulenta .
L' A. ha istituito molte sperienze per determi-
nare le proporzioni del joduro d' oro . I risultati so-
no stati sempre uniformi. Stabilisce dunque che il
joduro d' oro è formato di :
Jodo — 34 — 100
Oro — 66 — 194» 1176.
Dall' analisi di questo joduro, corrispondente
cioè al protossido di questo metallo, determina an-
cora le proposizioni degli ossidi d' oro, che sono
come siegue .
Protossido d' oro f «'^'§^"^ ^ ^' ^^^^'
( oro — 100.
Prossido d'oro f °''^S*^"° - io, o3.
( oro — 100.
l84 SciiiNZE
E' stata esaminata ancora dall' A. V azione ,
eh' esercitano alcune sostanze vegetali , e special-
aiiente gli acidi ed i sali vegetali sopra il cloru-
ro e 1 ossido d oro . ^Si sapeva ohe tali sostan-
ze generalmente precipitano 1 oro più o meno pron-
tamente allo stato metallico dalla sua soluzione nell'
acqua regia; ma supponendosi, che 1' oro in ta-
le soluzione fosse allo stalo di ossido, si spiega-
va la sua riduzione per mezzo dell idrogeno e
del carbonio delle sostanze vegetali . Ora che la
soluzione dell' oro nelT acqua regìa è considerata
come un cloruro, la precipitazione dell'oro si spie-
ga per 1 idrogenazione del cloro, che si fa per mez-
2o dell' idrogeno contenuto nelle sostanze organi-
che. Ma non tutti questi corpi agiscono nella stes-
sa maniera . Dalle sperìenze dell' A. risulta , che
se si eccettui i' acido ossalico , gli acidi tartari-
co, citrico , ed acetico non decompongono ( al-
meno in un dato tempo ) i cloruri d' oro : ma
ha luogo una tale decomposizione se questi aci-
di siano uniti ad una base, come accade col tar-
trato acidulo e neutro di potassa e di soda ,
con i citrati alcalini , e gli acetati, sebbene que-
sti ultimi agiscano più debolmente degli altri: in
questo caso il cloro è tolto all' oro dalla base, che
vi si combina col favore d' una parte dell' idro-
geno dell'acido vegetale; idrogeno che serve a ri-
durre la base, se si forma un cloruro alcalino»
o a portare il cloro allo stato d' acido idroclori-
co per Ibrmare un' idroclorato.
Il solo acido ossalico, decomponendo il cloru-
ro d'oro con isviluppo di gas acido carbonico, de-
ve avere, secondo l'A., una costituzione partico-
lare , e le sue spericnze confermano 1' opiuione
del sig. Dulong, il quale lo considera come for-
mato di acido carbonico o d' idroo^eno .
Storia dkll'ojio ì85
Finalmente gli acidi ossalico , citrico , tarta-
rico, ed acetico tutti decompongono l'ossido d'oro
portandolo allo stato melaliico . Con il solo aci-
do ossalico una tale decomposizione ha luogo con
jsviluppo di gas acido carbonico .
Pomona italiana ossia trattato degli alberi fruttiferi,
di Giorgio Galesio : tomo /, fascicoli due . Pisa
pel Capurro ^ 1818, infoi, con S tav. superba-
inerite miniate.
N.
on si potrebbe rendere conto di quest' opera sen-
za incominciare dal fare conoscere i pregi materiali
dell' edizione , che vince di gran lunga tutte quelle di
simil geneie che sono stale con grande splendidezza
intraprese oltramonli.L'eleganza dei caratteri e la niti-
dezza della carta sono i minori di questi pregi, venendo
l'occhio singolarmente trattenuto dalla squisitezza delle
miniature che servono di corredo al libro e che ne
sono anzi parte essenziale . Oltre all' esprimere con
evidenza e con verità gli oggetti che rappresentano,
sono eseguite con tutta quella delicatezza e, se così
possiamo esprimerci , con tutto quel lusso a cui
possa mai attingere quest' arte.
In un breve preliminare avvertimento dichiara
r A. che nelle figure e nelle descrizioni comprese in
quest' opera non si è attenuto a verun metodo, atteso
che gli fu d' uopo adattarsi all' opportunità di rin-
venire in istato di perfezione i fiori e le frutta dei
varj individui. Per la qual cosa i fascicoli conten-
gono e conterranno varietà di spezie diverse e spezie
di diverso genere insieme senza ordine mescolate.
Avverte inoltre che compiuta che sia l'opera si pò-
i86 Scienze
tra mediante un indice metodicamente distribuire
così le tavole come le pagine, nelle quali è stata per
tale oggetto ommessa V indicazione numerica.
In questi due primi fascicoli si descrivono al-
cune spezie o varietà dei quattro generi ciliegio,
pesco, susino, poro e fico; e sono il ciliegio susi-
no e napoletano; il pesco mela e poppa di venere;
il susino settembrino damaschino; il pero Allora; il
fico pissalutto e gentile. Le tavole rappresentano al
naturale un ramo fronzuto corredato di frutta matu-
re, e talvolta, come nel fico, con frutta acerbe;
indi il frutto spaccato per farne conoscere 1 interno,
e quando si riputi conveniente si esibisce il fiore co-
me vien fatto nel pero Allora.
La descrizione di ogni spezie incomincia con
quella del frutto fatta con frasi tecniche latine, ag-
giungendovi il nome vernacolo e qualche sinoni-
mo ancora. Si passa poscia ad acceonare in idioma
italiano i principali caratteri dell'albero rispetto al
tronco, alle foglie ed al fiore, indi si dà una più di-
stesa esposizione del frutto considerato così nell'ester-
no, come internamente; s'indica il luogo ove la pian-
ta alligna in Italia ed in qualche estero paese, e
succintamente si conciliano alcuni sinonimi tratti da
opere o nostrali ovvero oltramontane.
Perchè ad un'opera così splendida e di caro co-
sto non s'abbia ad apporre l'epigrafe oculos pictura
pascit inani ^ essendo assai sobria e succinta la par-
te descrittiva prometjte l'A. nel frontispizio de' fa-
scicoli che essa conterrà di mano in mano la clas-
sificazione delle frutta, gli avvertimenti sulla loro
cultura, e sarà preceduta da un trattato elementare
di pomologia. Questo trattato, a quel che sappiamo,
non è ancora comparso,- né potremmo abbastanza
esortare X A. che ne afiVetti la pubblicazione acciò
POMONA. ITALIANA l8y
die sieno meglio gustate e meglio intese le sue descri-
zioni. Senza di ciò s' ignorerà quali frutta consideri
spezie, quali varietà, e qual valore conceda a que-
sti termini allorché ne fa uso. Non saranno tampo-
co bene comprese alcune proposizioni dipendenti dal-
le sue particolari teorie. Così, per esempio, allor-
ché parlando del ciliegio susino dice che le sue for-
me sono state modiiicate dall' influenza del s Jsino,
ciò, se non erriamo, significa che quando un cilie-
gio trovasi in vicinanza di un susino la polvere
fecondati ice di quest' ultimo passando nel fiore dell'
altro induce alcune modificazioni tiel frutto; ma
questa proposizione lestamente annunziata non po-
trebbe così di leggieri essere accettala da alcuni fi-
siologi. L'agricoltore inoltre attenderà con impazien-
za questo trattato a fine di acquistare istruzioni sulle
pratiche necessarie per innestare e per educare buo-
ni alberi da frutto, e crederà che allora solo abbia
r opera compiutamente soddisiatto al titolo di Po-
mona che porta in fronte. Lo scienziato dall' altro
canto sarà ben contento di apprendere quale sia il
tipo e la genuina spezie di quelle tante varietà che
si ottengono con 1' artifizio della cultura; investiga-
zione che costituirà la parte veramente filosofica del li-
bro. Su tale proposito non possiamo astenerci dal con-
siderare che ottimo divisamento sarebbe stato se alla
descrizione delle diverse qualità di alberi fruttiferi
si avesse voluto premettere senza iudugio quella del-
la spezie salvatica quando esista; se per esempio
alla testa della serie dei peri, e dei meli fossero com-
parsi il Pjrus pjraster^ ed il Malus sjlvestris che
allignano nei boschi e che sono gli alberi della Na-
tura.
^ero è bensì che le dotte opere antecedente-
mente scritte dall' A. e (juella nominatajaiente che
1^8 S e I E N z »
porta per titolo Teoria della riproduzione vegetale
possono avviare il lettore ad intPDtlere quanto nella
presente va egli esponendo; ma poiclìè questa si mo-
stra così slarzosa, dovrebbe essere da sé stessa com-
pleta senza dipendere dai sussidj delle altre minori.
L' A. intanto ha dato un saggio della parte
scientifica coli avere pubblicato il trattato del lieo,
che quantunque stampato in l'orma di ottavo debb
essere annesso alla Pomana italiana. Egli ha raccol-
to quanto intorno a quest' albeio può dirsi, e sicco-
me tale è il disegno che sembra avere delibei'ato
di seguire ragionando di tutte le altre frutta, così
ragion vuole che ci occupiamo a porgerne un di-
steso ragguaglio.
La prima indagine che egli saggiamente -intra-
prende quella è di riconoscere quale sia il fico ti-
po da cui derivano le varietà coltivate. Egli rav-
visa per tale il caprifico ossia quella ficaja che
nasce spontaneamente ne' luoghi salvatici ( Ficus ca-
rica caprificus ); e dopo di avere descritto i suoi
particolari caratteri e la sua maniera di vegetare e
di crescere, lungamente si trattiene intorno alla frut-
tificazione. Questo albero è uni fero, vale a dire non
produce frutta che una sola volta alfanno,edin
primavera sbocciano dalle gemme situate nelle
ascelle delle foglie i piccioli fichi che acquistano
la maturità botanica al cadere della state. L A. dà
loro il nome di Grossi, nome adottato da parecchi
scrittori latini per indicare i fichi primaticci o Fio-
roni, benché alcuni altri intendano con questo vo-
cabolo i fichi caduchi i quali non maturano. Ciò
gli apre il campo a molte erudite investigazioni a
fine di stabilire il vero significato della parola.
Questi Fioroni o Crossi consistono in un ri-
cettacolo mqjnbranoso e parenchimatoso che costi*-
POMONA ITALIANA l8j)
tuisce la borsa del fico, la quale nel suo interno
racchiude gran numero di fiorellini parte maschi
e parte femmine. I primi sono posti nella parte su-
periore del concavo verso quell' apertura conosciu-
ta sotto il nome dì occhio del Jico; gli altri In mag-
gior copia sono ragunati nella parte inferiore più pros-
sima al peduncolo. I fiori maschi costano dì un
calice o perigonio diviso in tre o in cinque laci-
nie, dal cui centro sorgono gii stami in numero di uno,
e di due fino a nove, ma più sovente di quattro
o di cinque; qualche volta scorgesi nel mezzo un
corpicciuolo equivoco che senza ragione fu preso
pel ludimeuto di un pistillo abortito. I fiori fe-
minei poi sono essi medesimi corredati di calice eh»
abbraccia un ovay'o fornito di uno stilo terminato da
due stigmati ritorti e ineguali, e che racchiude un
solo seme rotondo.
Tali sono dice 1' A., i caratteri costanti del-
la fruttificazione del caprifico d' onde appare che
è una pianta spettante alla classe Monoecia , poi-
ché porta i due sessi in due fiori diversi ma riu-
niti sullo stesso individuo. Questa classificazione si
discosta da quella di Linneo che aveva riposto il
fico nella poligamia trioecia in quanto che suppo-
neva che avesse fiori maschi , fiori l'emine e fiori
ermafroditi sopra tre distinti individui . Ma 1' A,
è di avviso che osservazioni equivoche ed illusorie ab-
biano dato motivo a tale ripartizione; che i frutti con
fiori solamente maschi sieno stati veduti nelle ficajc
selvatiche in cui talvolta sono per accidente abor-
titi gli organi feminei; che gli altri con fiori femi-
ne siensi riscontrati nelle ficaje domestiche ove per
mostruosità non havvi mai maschi; e che gli erma-
froditi non esistano punto essendo stati scambiati
€ou essi certi fiori staiiiiniferi del caprifico che sem-
IQO Scienze
brano avere nel loro centro un rudimento ài pistillo .
Alcuni botanici mal paghi della classi tìcazione di
Linneo riposero il fico nella poligamia dioecia ed
altri come Persoon nella dioecia triandria; ma TA.
dopo di avere impugnato tutte queste sentenze sta-
bilisce, come abbiam detto, che la vera sua classe è
la monoecia , ed in quanto all'ordine si attiene al-
la triandria per non introdurre inutili cambiamenti,
bencliè sia molto variabile il numero degli stami
come lo mostra in un'apposita tabella. Termiua que-
sto articolo con la descrizione della specie del I^i~
cUs carica stesa in latino col metodo e coi termi-
ni della scienza .
Se il caprifico è il prototipo dei ficbi come ne
provengono tutte le varietà che si coltivano negli
orti e nelle campagne? La ficaja selvatica porta frut-
ta spugnose , asciutte , senza polpa , senza buon sa-
pore talché non sono mangiabili; la domestica ali*
opposto ne produce di succolente e di mielate clie
riescono soavi al palato. Tutto il mistero di siffat-
ti cambiamenti, soggiunge 1 A., si riduce ad un'al-
terazione che soffrono in questa gli organi della ri-
produzione, ossia, come egli si esprime, al mulismo.
Questo termine di cui abitualmente si vale allude
presso di lui a quello stato in cui trovansi le ficaje
domestiche , le quali sono incapaci di generare o di
produrre seme fecondo per mancanza o per difetto
dei sopraddetti organi: esso equivale a quello di ca-
strazione o , diremmo noi , di spadonismo se si
volesse adottare un termine di provenienza latina che
non sappiamo se sia tale da potere fare fortuna. Cer-
to è che la parola mulismo non esprime quello che
si vuole dare ad intendere e che ogni qualvolta in
queste pagine s'incontra forma sempre intoppo nel-
la mente del lettore che è necessitato di tradurla giù-
POMONA ITALIANA i^l
Sta il significato che dall' autore le viene attribuito.'
Muli chiamanslnel linguaggio comune quegli indivi-
dui che provengono dall' accoppiamento di spezie
dissimili? 1 infecondità è bensì uno de' loro attri-
buti , ma nuli dipende né da mancanza , né da di-
fetto apparente degli organi della generazione; e quell*
attributo non è la principale, né la più ovvia idea
che occorra alla mente pronunziando o udendo il
vocabolo. Perciò una donna sterile ed un uomo pri-
vo della facoltà lécondatrice e un eunuco non si
chiamerebbero muli .
Allorché adunque le parti destinate alla gene-
razione o maschili o feminee o f una e Y altra in-
sìpme sono così viziate ne' fichi che non possono
adempiere airufUzioloro,ne addiviene a senso delVA,
che quell'umore proUlico, quella soprabbondanza di
vita ditr;rmaia nel frutto una separazione straordi-
naria di sostanza per cui esso maggiormente ingros-
sa , diviene più succolento e polputo ed acqui-
sta la maturità pomologica. Questa sorta di natu-
rale castrazione può essere di due spezie; o total-
mente dispajouo i fiorì maschi e rimangono i femi-
nei ; o questi e quelli sono del pari obbliterati. Si
chiederà ora da quali cause derivino queste alte-
razioni nel sessuale organismo. L'A. dice che le fi-
caje incapaci di portare fiori perfetti nascono da*
semi del caprifico che hanno ricevuto nella conce-
zione loro i caratteri dello spadonismo . Allora quan-
do addivenga che nelle ovaje di un caprifico siavi
soprabbondanza e promiscuità d' influenza maschile
gli >embrioni in tal caso ;non giungono a perfezione,
ma combinasi , die' egli , un germe complicato , il
quale per un principio delle leggi eterne della crea-
zione é privo di sesso o lo porta imperfetto (pag.zS ).
Questa proposizione meriterebbe qualche ri-
192 S e I B N Z B
schiaramento perchè si dovessero senza titubanza
ammettere le conseguenze che ne ricava 1 \. Con
la frase di promiscuità dell in /licenza maschile inten-
de egli forse la concorrenza di molti fiori maschi o
dì molti individui della medesima spezie che disper-
dano la loro polvere prolifica per fecondare un ger-
me? Se così è come adunque addiviene che questa
promiscuità e la copia di umor seminale che pe-
netra nelle ovaje abbiano la capacità di alterare sì
fattamente i germi stessi che debbano da essi de-
rivare piante mutilate negli organi della generazio-
ne ? Noi non veggiamo in tali casi succedere nien-
te di simile negli animali; se non che sembra che
r A. «sia persuaso che i vegetabili costituiscano in-
torno a ciò una particolare eccezione a nonna del-
le esperienze da lui riferite nella Teoria della ripro^
dazione vegetale (pag. 64 ) a cui rimettiamo il let-
tore. Duriamo per altro fatica a comprendere co-
me ciò succeda per un principio, come egli si espri-
me , delle leggi eterne della creazione ; poiché non
sì conosce in natura la necessità che da un gf»rme
fecondato da soprabbondanza di seme debba prove-
nire un individuo incapace di prolificare.
Comunque ciò sia sembra almeno confermato
dalle osservazioni dei botanici che i fichi domesti-
ci sieno castrati . Essi mancano del tutto di fiori
maschili; ed i feminei sono infecondi perchè van-
no forniti di un seme coriaceo e voto, mentre la
sostanza destinata a formare la mandorla crede si che
si sviluppi in una polpa succulenta e mielata.
Ma non sono questi, seguita l'A., i soli effetti
della soppressione dei sessi. La ficaja che di sua na-
tura sarebbe unilera che, vale a dire, non produr-
rebbe frutta, che una sola volta all' anno diventa
spesso bifera cioè fruttifica due volte. I primi fi-
PoMONA ITALIANA . l()3
chi sono quelli che provengono dalla crescita e dal-
la maturazione degli embrioni appartenenti alle gem-
me fiorifere sbocciate nell antiinno dell anno ante-
cedente. Essi si fanno manifesti nella primavera del
susseguente, maturano presso noi verso luglio e so-
no que' fichi chiamati primaticci e precoci e vol-
garmente fichi-fiore o di primo fiore o fioroni. In-
tanto per un rigurgito di sostanza nutritiva prorom-
pono sulla fine di giugno altre gemine d'onde esco-,
no fichi la cui maturazione comincia in agosto e
continua per due e tre mesi , Questi sono i fichi
serotini, autunnali e settembrini. Riflette per altro
giustamente TA. che il serotino o tardivo sarebbe
propriamente quello di primavera poiché erasi già
formato nel precedente anno, mentre al settembrino
competerebbe piuttosto il nome di precoce e più ve-
ramente di abortivo . Non tutte pertanto le ficaja
producono queste due generazioni di fichi : alcune
maturano il fiorone ed abbandonano i fichi autun-
nali, come succede al così detto fico gentile; ed
altre si diportano victì-versa come vedesi nei bro-
giotti e nei dottati.
Esposte queste cosepassaTA. a svolgere più am-
piamente la storia delfico salvatico o caprifico. Esso,
come abbiamo già detto, costituisce il vero tipo ;
esso è il fico fecondo, quello a cui è affidata la con-
servazione della spezie benché sia affatto inutile all'
uso delfuomo. Nonpertanto questa pianta è soven-
te soggetta a particolari modificazioni che senza al-*
terare gli spezifici suoi caratteri ne variano i mo-
di di essere e producono insigni aborti . Ben-
ché in generale il suo frutto o veramente il suo ri-
cettacolo vada corredato di fiori maschi e femine
tutti perfetti, nondimeno talvolta i femiuei sono abor-
titi in.totaliià o in parte i ed ora gli organi delitti
Q.A.T.IX. ■ i3
194 Scienze
generazione dell' uno e dell' altro sesso sono cosi
mutilati che non vi appare distinta organizzazione.
Tutte queste fruita soao precoci o fioroni , e se al-
cuni autori dicono esservi caprilichi uniferi die pro-
ducono in cambio frutta serotine, assicuraTA. che non
gli riuscì mai di vederne.
11 caprifico è bensì anch' esso qualche volta
bifero; ma in questo caso i fichi che sbucciano in
estate e che maturano nel prossimo autunno sono
aborti che contengono soltanto fiori feminei con un
grano senza ovolo e perciò infecondi. Talvolta an-
cora invece di fiori liavvi una peluria insignifican-
te ed allora cadono avvizziti, mentre i primi sono
capaci di acquistare la maturità pomologica . Addi-
viene eziandio in alcuni paesi che simili fichi se-
rotini portano fiorì feminei perfetti e racchiudenti
un grano suscettibile di fecondazione . Tale capri-
fico è descritto dal Cavolini e dal Pontedera.
Finalmente questa pianta diviene anche trifera-
Tale razza è sconosciuta Ira noi ma alligna nelle iso-
le dell'Arcipelago, ove trovausi ficaje salvatiche che
danno tre sorta di frutta niuna delle quali è buo-
na a mangiarsi . Tournefort ce ne ha lasciato una
circostanziata descrizione . Il primo frutto chiama-
to in quel linguaggio Ornos spunta in primavera, il
secondo detto Fornites si maniliesta in agosto e du-
ra fino a novendare. Sulla fine di settembre ne com-
pare un terzo detto Cratitires che si sostiene per
tu Ito l'inverno. 11 solo Ornos è un fico perfetto cor-
redato di iiori maschili e di fiori feminei , mentre
il Pornites ed il Cratitires ne portano solamente di
questi ultimi. Osserva 1 A. che siffatto caprifico tri-
fero non potn bbe essere in rigore che un vero bi-
fero, imperocché le due ultime generazioni estive di
J^ornites e di Cratitires nascendo ambedue nel gei-
POxìIONA ITALIANA J qS.
to novello dell'albero potrebb-^o in sostanza essere
una sola generazione che continuatamente e succes-
sivamente si sviluppasse.
Per compiere Ja storia naturale del caprifico
avrebbe dovuto Y A. soddisfare a varj quesiti che,
se non erriamo, potrebbero essere proposti . i . Se
è vero , come egli crede , cliP il fico domestico ca-
strato negli organi sessuali maschili e viziato ne'
feminei produca per tal causa frutta dolci e pol-
pose , d' onde avviene che non hanno tal qualità
quelle del caprifico quando sono in esse medasime
obbl.iterati ambi i sessi , come si avvera allorché
in caniljio dei fiori mostrano una tenue ed inutile
peluria ? a . Se il fico domestico i cui fiori sono
castrati deriva dai semi di que' caprifichi che ri-
mangono fecondati da un' abbondanza di polvere
prolifica quale origine hanno le frutta serotine del
caprifico bifero clie oiTrono la stessa mostruosità ?
e perchè quest'ultima pianta produce in estate frut-
ta ermafrodite perfette , ed in autunno così muti-
late? 3 . Se la castrazione tanto influisce sull' or";a-
nismo del frutto da farlo riuscire succolento e mie-
lato , perchè i Fornltes ed i Crafidres a cui man-
cono del pari gli organi maschili sono insipidi e
caduchi ? 4 • Se le ficaje domestiche sono bifere
mercè un rigurgito di sostanza nutritiva prodotto
dalla soppressione dei sessi , perchè bifero eziandio
è il caprifico che ne' frutti primaticci è fornito di
tutti gli organi sessuali ? Noi siamo di avviso che
r A. saprebbe dare con la sua sagacità una sod-
jdisfacente risposta a tutte queste inchieste .
Dopo di avere esibito la storia del caprifico
si trattiene a più particolarmente ragionare del fico
domestico . Egli ne riconosce due varietà , Y una
perfettamente castrata, e Y altra semi-castrata ( mu,-
i3*
njG Scienze
la e semi-mula ) . La prima non isviluppa mai fio-
ri capaci di fecondazione mancando degli organi
uecessaij per darla e per riceverla , e costituisce
le diverse qualità di fichi domestici che si colti-»
vano in Italia, in Francia, in Ispagna. Questi non
portano mai fiori maschili ed i feminei che inter-
namente vestono tutto il ricettacolo non sono for-
niti che di un ovajo coriaceo e voto , poiché la
sostanza destinata a formare la mandorla si svilup-
pa invece, dice TA., in una polpa che ingrossa il
ricettacolo stesso ed i pedicelli de' fiori , ed in un
miele che gli inviluppa .
Gotal fico domestico può dividersi in due prin-
cipali classi ; in unifero cioè e bifero . L' unifero è
o precoce quando dà frutta nella stagione estiva ;
o serotino se le porge in autunno . Nel primo ca-
so è o a gemma semplice che appare in estate , si
condiziona in autunno, e perfezionata nelV inverno
fa sbocciare nella primavera dell' anno seguente i
fioroni che poi maturano in luglio ; o a gemma
doppia allorché olti'e a quella sopradescritta un'al-
tra ne caccia in primavera da cui immediatamen-
te sì schiudono fichi imperfetti che abortiscono e
sono caduchi: la fica j a unifera serotina ammette la
divisione medesima . Quella a gemma semplice è co-
mune e non poita mai che fichi autunnali ; 1' al-
tro a gemma doppia è piiì rara e produce una se-
conda volta ne' nodi delle gemme che hanno già
fruttato in autunno ; ma questa produzione è im-
perfetta e abortiva -
Quanto alla ficaja bifera essa è quella che di
àiie successioni di fichi ambe castrate , ambe ma-
turescenti ed ambe mangiabili . Essa presenta mol-
te varietà così nella forma come nel colore le quali
sono metodicamente descritte dall' A. La polpa stes-
I^OMONA ITALIANI Ifjy
sa e la forma delle foglie sono soggette a diver-
se modificazioni .
Abbiamo fatto osservare che tutti questi fichi
domestici sono per intiero castrati . Rimane ora a
parlare dei semi-castrati i quali s' incontrano nelle
isole dell' Arcipelago ed in alcuni paesi del regno
di JNapoli . Essi mancano del pari di fiori maschi-
li , ma i feminei sono perfetti e contengono un ovajo
che può essere fecondato dalf azione de' primi e
produrre veri semi . Siffatto fico non è mai né bi-
fcro , né serotino , ma sempre unifero e precoce .
Le sue gemme sono costantemente semplici , ne mai
ne ammette di quelle secondarie che immediatamen-
te si sviluppino in tanti ficolini ora maturescentì
ed ora caduchi come avviene nelle altre ficaje. Un
altro particolare carattere che lo distingue si è che
la maturazione delle sue frutta è sempre contem-
poranea, quando ne'fìchi domestici bifcrì e negli uni-
feri a gemma doppia essa è graduata e successiva. Ciò
addiviene perchè la messa che spunta in questi ul-
timi nella primavera non acquista tutta la sua lun-
ghezza che sul finire della state, nel quale corso di
tempo vansi via via formando sempre nuove gem-
me florali da cui più presto e più tardi si svi-
luppano le frutta . Nel fico semi-castrato dell' Ar-
cipelago all' incontro la messa della primavera non
fruttifica mai nell' autunno , e le sue gemme tutte
e contemporaneamente si svolgono nel seguente an-
no , perciò i fioroni nascono anche essi tutti ad
un tratto .
Il fico di cui parliamo somministra argomen-
to air A. di tessere un lungo capitolo intorno al-
la capri ficazione. È questa una curiosa pratica co-
nosciuta sino dagli antichi tempi ed accennata da
l'rodoto , da Arislolele, da TeofrastQ e, da Pli-
IQÒ Scienze
Ilio , mediante la quale le fruita di tali ficaje che
cadn-bbero dall' albero imrjiature acquistano quel
grado de maturità necessaria |3er essere mangiabi-
li . Ciò consiste nelF appiccare ai rami di questa
pianta filze di fichi salvatici tolti dal caprifico, en-
tro aiquàli annida un insetto volante simile ad un mo-
scherlno chiamato da Linneo Cjnips psenes e dell'A.
Chalcis psenes . Ora questo insetto abbandona le
frutta del caprifico e trasmigra in quelle del fico
domestico o semi - domestico , come egli lo cliia-
nia , le quali giungono per suo mezzo alla ma-
turità .
Molto è stalo quistionato dai fisici intorno al-
la causa di questo fenomeno . Pretendono alcuni
che la maturazione con tale spediente conseguita
sia r effetto della morsicatura di questi insetti me-
diante la quale producasi ne' fichi uno stravaso di
succhi. Altri, nominatamente Linneo, si avvisa-
no che sia una conseguenza della fecondazione de'
fiori feminei della fìcaja semi - domestica impre-
gnata dalla polvere prolifica de' fiori maschi del
caprifico portata dai moscherini che ne hanno in-
triso il corpo e le ali . Altri ancora , e fra que-
sti il sig. Olivier, qualificano questa pratica come
un mero pregiudizio .
L' A. si attiene alla seconda di queste sen-
tenze benché conlessi di non essere stato in pae-
si dove potesse ocularmente osservare la caprifìca-
zione , e così la va discorrendo . I fichi che so-
no prodotti da simili ficaje sono castrati negli or-
gani sessuali maschili, ma hanno fiori feminei per-
fetti racchiudenti un ovolo capace di essere fe-
condato. Questi fiori destinati a perfezionare il se-
me hanno una co litigai; ione necessaiia col ricetta-
colo su cui sono impiantati. Se la mancanza di
PoMONA ITALIANA Ì()0
fecondazione arresta la vita loro si disorganizzano
innanzi tempo , e la morte di essi seco porta per
conseguenza la morte del ricettacolo che cade avviz-
zito . Ma se potranno adempiere a quelF uffizio a
cui sono destinati dalla Natura, se rimarranno fe-
condati dalla polvere portata dai moscìierini la
loro vita sarà allora prolungata; il ricettacolo stes-
so che gli sostiene parteciperà di questo beneficio ,
avrà tempo di elaborare i succhi determinati in es-
so dalla soppressione dei maschi, ed acquisterà la ma-
turità pomologica .
Se così va la bisogna potrebbesi chiedere per-
chè le ficaje domestiche e nostrali perfettamente ca-
strate negli organi maschili e viziate ne' feminei
nulla ostante T incapacità di ottenere fecondazione
producano frutta mature, mangiabili e persistenti -
L' A. risponde che siffatte piante hanno sortito que-
sta castrazione fino dalla nascita mediante una par-
ticolare modificazione del loro organismo ; perciò
i fiori femine mostruosi in origine, abortiti, e sen-
za principio di seme non vanno soggetti a quella
morte che colpirebbe gli altri della ficaja caprifica-
bile quando mancasse T azione maschile a ricevere
la quale sono essi disposti per la loro conformazio-
no. Non succedendo per tale motivo la morte de'fio-
ri persevera in vita lo stesso ricettacolo e giunge
a maturità . Tali almeno ci sembrano essere le idee
deir A. benché non sieno con bastante estensione
sviluppate.
Ma un' altro dubbio potrebbe insorgere biso-
gnoso di rischiaramento. Se i frutti delle ficaje capri-
ficabili acquistano la maturità mediante la feconda-
zione , e se questa è veramente una condizione si-
ile qua non , come addiviene che le ficaje salvati-
che o i caprifichi ne' quali essa ha luogo no.n dan-
aod S e 1 1. ìn z E
no malgrado a ciò che fruita insulse, senza polpa
e senza succo? Benché T A. direttamente non rispon-
da a questo quesito si può dal complesso della sua
teoria argomentare che egli supponga che ciò suc-
ceda perchè oltra ai feminei essendo i caprifichi
forniti di orgaiii maschili troppo succo nutritivo si
disperde per la preparazione dell' umore prolifico,
e perciò il ricettacolo non ha campo di impinguar-
si . Queste ficaje si fecondano a spese delle pro-
prie forze ; nelle capriiicabili all' opposto la fecon-
dazione si compie mediante il sussidio di un al-
tro individuo , di un individuo maschio -
Ingegnose senza fallo e lilosoliche sono queste
induzioni . Nulladimeno impegniamo l' A. a volere
esaminare, quando l'opportunità gliel conceda, se non
fosse piuttosto possibile che la maturazione delle
frutta nelle ficaje capriiicabili rientrasse nella re-
gola generale a cui sono soggette quelle domesti-
che ; se in cambio di attribuirla alla fecondazione
fosse un effetto di completa castrazione ; se i mo-
srherini che vien supposto essere pronubi di que-
ste nozze in quanto che introducano la polvere pro-
lifica del caprifico ne' fiori femine della pianta ca-
prificabile non fossero piuttosto norcini, se così pos-
siam dire, che castrino del tutto qua' fiori o ro-
dendo la mandorla del seme , o mozzando lo sti-
lo , o in qualunque altra maniera decurtando que-
gli organi prima che abbiano conseguito T intiero
sviluppo, e sieusi messi in istalo di appetire in cer-
ta guisa r azione del maschio .
Terminando la relazione di questa parte del
libro dell' A. soggiungeremo che 1' opera della ca-
prificazione in Sicilia ove abbiamo veduto usarla ,
e nominatamente a Castel Termini , chiamasi tic-
rhiaroì^e , poiché ticchiara dicesi in quel paose il
POMOXA ITALIANA. a Oli
frutto del caprifico . A Reggio di Calabria si de-
nota col vocabolo armare . Essa viene praticata dalla
metà di giugno fino all' incominciamento di luglio
infilando le ticchiare piene di moscberini in un vì-
mine a guisa di corona (jd appendendole a molti
rami dell albero . Le ficaje caprificabili si cliiama-
no a Reggio Flcazzana , Melisa e Molignana , ma
così in questo paese come in Sicilia fummo raggua-
gliati che darebbero fichi anche senza la caprificazio-
ne benché in minor copia , e se è vero quanto ci
fu narrato molte volte sono bifere . Quelle che frut-
tificano senza questo artifizio sono le Ottate o Dot-
tate , le Catalane , le Trojane , e le Gentili . Sul
proposito di queste ultime dove f A. nella sua Po-
mona ne dà la descrizione avverte nella lista de' si-
nonimi che corrispondono alla Ficus Tihurtina di
Plinio , e parlando dell'altro fico chiamato Pissalut-
to ( o piuttosto Pizzaluto che ne dialetti delf Ita-
lia meridionale vorrebbe dire appuntilo ) indica che
è il Ficus Liviana dello stesso autore e di Go-
lumella. Ma gli scrittori latini non fanno che nomina-
re queste due razze di fichi senza menomamente
dichiararne i caratteri , per la qual cosa sarebbe
molto difficile di decidere a quali delle nostre spe-
zie appaFtengano .
All' articolo della caprificazione di cui abbia-
mo dato contezza un altro ne succede sulf Ingal-
lazione e sulla Ogliazione . Definiamo questi termi*
ni o a meglio dire esponiamo a quale oggetto si
riferiscano . Narrano i viaggiatori , ed è cosa po-
sta fuori di dubbio, che il fico di Egitto chiama-
to sicomoro ( Ficus sjcomorus ) non matura se
non che qualora venga scarificato nella buccia con
un uncino di ferro o con cdtro equivalente istrur
:i02 S e 1 E N Z E
mento . In conseguenza di ciò è stato da molti na-
turalisti inimjiginato che la maturità a cui giun-
gono i lìchi per mezzo della caprificazione sia un
effetto disile punture cagionate da que' moscbeiini
di cui abbiamo parlato . E siccome queste ferite
possono paragonarsi a quelle fatte da alcuni insetti
nella corteccia degli alberi e da cui derivano le
escrescenze conosciute sotto il nome di galle , così
l'A. dà a tale operazione eseguila nei fichi il titolo di
ingallazione . Quanto alla oliazìone, questo termine
allude ad una pratica comune ne' paesi meridionali
ove si accostuma di fare maturare i fichi ungen-
done r occhio con una gocciola d' olio .
Non è da disconvenirsi che gli effetti prodot-
ti dalla scarificazione sul sicomoro non sieno tali
che possano estenuare la teoria della caprificazione
fondata sulla fecondazione ^ poiché sembra che essi
si prestino senza di questa alla spiegazione del fe-
nomeno. Perciò VA. si va industriando di interpre-
tarli in guisa che non rechino nocumento al siste-
ma da lui adottato; ma per amore della verità ci
sia lecito il dire che questo capitolo è meno argu-
to degli altri; che leggermente si trascorre su alcu-
ne importanti obbiezioni; e quasi/^che si volesse sot-
trarle allo sguardo immediato del lettore vengono in-
sieme con le risposte confinate in una nota alla li-
ne del libro quando dovevano fare parte integrante
del testo- Prima di tutto conviene egli che i sum-
mentovati moscherini trapanino il seme del fico per
depositarvi le loro uova , ma nega che questa ope-
razione possa produrre nn risultato simile a quello
che deriva dall ovo di un insetto chiuso in un frut-
to il quale accelera la maturità di esso . Questa
maturità, die' egli, non ha luogo che dopo lo svi-
POMONA ITALIANA. 4o3
Juppo della larva la quale sola può coi suoi morsi
cagionare uno stravaso eli umori che produca nel
tessuto vegetale un intenerimento che somiglia alla
maturazione. Ma l'evo del moscherino non può svi-
lupparsi nel seme del fico se non che dopo a die-
ci o dodici giorni, mentre il fico caprificato matu-
ra prima di questo tempo. Dunque, soggiunge, la
sua maturazione precedendo l'azione della larva non
può esserne la conseguenza.
Questa induzione non ci sembra abbastanza le-
gìttima; imperocché come può egli assicurare che
im corpo estranio animato introdotto in un piccio-
lo e delicato seme non possa di botto in esso pro-
durre quelle alterazioni che indurrebbe una larva in
un grosso frutto?
Ma, prosegue l'A-, l'ovo dell' insetto è deposi-
tato nei grani racchiusi nel ricettacolo ed in que-
sti grani si sviluppa e vive la larva del moscheri-
no. Essi sono dunque i soli che possono risentirsi
della sua influenza, la quale non si può estendere
al ricettacolo stesso. E che! non ha egli esposto in
un altro luogo, come già abbiamo avvertito, che
tanta è la collegazione tra il ricettacolo ed i semi,
o il fiore di cui sono parte, che la morte di que-
sto cagiona il deperimento dell' altro? In conse-
ofuenza di ciò non sarà anche lecito di dire che un*
alterazione per cause esterne succeduta negli orga-
ni florali si possa per consenso estendere al ricet-
tacolo? Se queste nostre considerazioni potessero ave-
re qualche valore, verrebbero in sussidio dell'opinio-
ne o piuttosto del sospetto manifestato che la ma-
turazione dei fichi prodotta dai moscherini possa es-
sere un effetto della castrazione .
Quanto alfoliazione dichiara l'A. in conseguen-
2o4- Scienze
za delle osservazioni e delle esperienze da Ini fatte
che essa è inutile ne' fichi delle varietà caduche ,
e che non giova nelle altre se non che quando il
frutto è giunto ad un cetto grado di perfezione o
di sviluppo per cui sia capace di ricevere quel prin-
cipio di fermentazione indotta dall' olio. Tale ope-
razione non rende maturescenti i fichi, ma accele-
ra soltanto la maturità di quelli che di loro natura
sono fatti per acquistarla . Gonchiude perciò che
essa non ha nulla di comune con Ja caprificazione.
Gli ultimi capitoli della parte di questo trat-
tato finora pubblicata sì aggirano sulla storia natu-
rale di due insetti che vivono nel caprifico; del Chal-
cis o Cjnips Psenes e del Chalcis Centrinus o Ichneii-'
mon ficnrius del Cavolini, non che della coccini-
gia del fico , Cocus ficus caricae^ e di alcuni in-
setti che vivono nel fico in America . Il Chalcis
psenes è quello che veramente serve alla caprifica-
zione , ma l'A. si attiene in gran parte a quanto
ne è stato scritto dagli autori e particolarmente dal
Cavolini, poiché non si è trovato in luoghi ove po-
tesse esplorare tutte le abitudini di questo insetto-
Importante è 1' osservazione da lui fatta su quelli
che vivono ne' caprifichi uniferi del Finale e del ter-
ritorio di Pisa assicurando di avere verificato che
vi sono individui maschi ed altri femine, laddove
il Cavolini aveva preleso che fossero androgini .
La parie non per anche stampata di questo
trattato conterrà, come l'indice lo dimostra, un di-
scorso sulla cultura e sugli usi del iico e sulle
varietà di questa pianta in Italia . Intanto da quan-
to è stato finora pubblicato non potranno i fisici se
non che ammirare la sagacità , il genio osservatore, e
le viste originali dell' A. ed incoraggiarlo alla conti-
POMONA ITALIANA ao5
nuazione di un' intrapresa da cui tanto onore ridonda
a lui ed alla sua propria nazione, vogliamo dire all'
Italia. Se noi ci siamo fatto lecito dì arrischiare con.
filosofica libertà alcune critiche osservazioni non ab-
biamo menomamente avuto intenzione di estenuare il
pregio di un opera tanto cospicua. Se tali esse sono
che possano meritare qualche riflesso saprà egli met-
terle a calcolo nel proseguimento del suo lavoro ; ia
caso diverso saranno da lui trascurate e poste al pa^*
ro di tante altre che si spacciano ne' giornali .
3o6
■*■■ '
LETTERATURA.
^l signor marchese Gian Giacomo Trivulzio
VmcENzo Monti
X oco tempo avanti clie T onorando professor pa-
dovano Marsand ponesse mano alla magnifica sua
edizione del Petrarca, dimandandomi egli se in quel
passo del son. 80, v. 7, che fin dai tempi del Bem-
bo mise in tanta battaglia i grammatici , tornasse
bene o no l'ammettere la nuova lezione Ciò che non
è in lei^ io gli diedi liberamente il consiglio di ri-
fiutarla, e tener ferma l'antica Ciò che non e lei ;
promettendogli, nel caso che altri gliene desse bia-
simo, di pigliarne, per quanto fosse in me, le di-
fese .
So che questa lezione fa gridare alcuni dotti
allo scandalo , come quella che , per loro avviso ,
rimette nel primo stato d'accusa il Petrarca, gravan-
dolo d'un fallo grammaticale fuor di perdono; e so
che l'altra, promossa primieramente dal Manni, poi
suggellata dal celebre bibliotecario cav. Morelli , di
cui piangiamo ancora la perdita, ha trovato ultima-
inente negli atti dellT. K. accademia della Crusca
due altri insigni avrocati, Francesco Del Furia e
Luigi Fiacchi, uomini di bella riputazione e molta
dottrina . GoU'autorità adunque di nuovi testi, con-
sultati da quegli eruditi, rimanendo finalmente pur-
gato il Petrarca di quella colpa, parrebbe, dirà ta-
Verso del Petrarca difeso 207
luno , ornai tempo di oiFerire un'ecatombe ad Apol-»
lo a simiglianza di qiiplJa già di Pittagora pel ritro-
vato dell'ipolenusa. Tuttavia , trattandosi d'un sa-
crifizio di molta spesa , io fo istanza che si sospen-
da fin a tanto che combattendo il xMorelli e i due
seguaci accademici, o bene o male io liberi coU'
amico la mia promessa. Dovendosi però porre Ja
lite davanti ad un giudice d' intendimento a molte
prove sicuro, io mi affido di averlo in voi, prestan-
tissimo sig. marchese, in voi c|ie per assiduo no-
bilissimo studio ne' classici vi siete fatto, per cosi
dire, loro contemporaneo; e spendendo tesori nell*
acquistarne i codici più preziosi, e, ciò che più mon-
ta, attentamente volgendoli e confrontandoli e po-
stillandoli avete presa in essi tal pratica della lin-
gua e di quelle loro maniere, che singolari li ren-
dono dai moderni, ch'io non so chiosatore più acu-
to di voi, nò più pronto. Piacciavi adunque di se-
der giudice della contesa ; ed eccomi nell arena.
Su quali principi pretendono essi Y espulsione
della volgata Ciò che non è lei?
Quel lei primo caso , risponde il Fiacchi ( Att.
Accad. Grus. f. iGy ), fa reo il Petrarca d' un gravis-
simo solecismo che a guisa di puledra idomita senza
capestro salta a pie pari i canapi delle regole della
grammatica : e non si dovendo mai credere (soggiunge
il Del Furia, ib. f. 3o) che un così puro ^ corretto
e grave scrittore sia caduto in tal mancamento, ne-
cessità vuole e ragione che a lavare il Petrarca di
questa macchia, e a por fine a tanta letteraria contesa,
a tanta grammaticale discordia , ricorrasi ai testi €L
penna più autorevoli e fedeli. E qui , portanti la
preziosa variante C^ò che non è in lei., egli cita tre
codici Laurenziani , che uniti a quello del Recanati ,
al Riccardiano, allo Strozziano e al. Pucciano al-
2o8 Letteratura
legati dal suo valente collega, fanno sette codici in
tutto: ai quali debbonsi aggiungere tre conformi
antiche edizioni ricordate dal Morelli. Ed ecco in
ischiera dieci belle testimonianze , innanzi alle quali
o^ni contrasto men tolto , e libero pur finalmente
rimane dalla sferza di molti severi ed accigliati
Aristarchi il gentilissimo nostro poeta ^ e quel passo
dai copisti malamente ridotto così viene restituito
alla sua vera lezione:
liasciai quel eh' ìl più bramo ; ed ho sì avvezza
La mente a contemplar sola costei,
Ch' altro nou vede; e ciò che non è in lei
Già per antica usanza odia e disprezza. (Ib.f.So.)
Così gli egregi accademici dietro al Morelli, sen-
za alcun sospetto d'aver errata la strada. Lasciamo da
parte la gravissima considerazione, che dove per auto-
rità dì stampe e di testi s avesse a decidere la
quistione , sarebbe cosa da riso il pretendere che
sette di questi e tre di quelle debbano prevalere
alle centinaia per non dir le raigliaja di altri e di
altre tutti contrarj . Concediamo assai volentieri,
anzi vogliamo che mantengasi intatta come una del-
le più sante la regola grammaticale che danna il
pronome lei in caso retto y vogliamo , che nella
discordanza delle lezioni si debba sapere ricor-
rere ai testi a penna piìc autorevoli e fedeli . Ma
di questa maggiore autorità e fedeltà chi decide?
La critica . E che quella regola rimanga infranta
nella volgata , a chi spetta il farne giudicio ? Alla
grammatica. La grammatica adunque e la critica sienoi
eolie veri giudici della liter e voi, mio signoreed amico,
secondo la preghiera che ve n'ho fatta, sostenetene
la persona. Intanto comincino gii avversar] a prò-
Verso del Petrarca difeso 209
▼are che il verbo essere non ammettendo compagnia
di nome che in caso rotto , ne sogue di neccssitft
che la lezione Ciò che non è lei sia dannata . Qui
fermino le loro forze, qui badino a trincerarsi;
perchè, perduto quel nominativo, tu^to è perduto .
Or che dicono essi , che ianno a dilesa di
questo importantissimo punto? Nulla. Le buone
regole grammaticali insegnano che lei per ella non.
vuoisi usare nel caso retto , ib. f. 3o. Ecco tutto
il loro argomento oltre i salti che avete visti di
quella scapestrata puledra . Ma che in buona lor
pace sia falso che la puledra corra senza capesl. o ,
Vale a dire che lei in quel passo non è altrimenti
primo caso, ma quarto, insorgono a dimostrarlo
tanti scrittori di primo seggio , e grammatici severis-
simi , e legislatori della più corretta favella , che il
Marsand non solamente andrà bello e assoluto di
quella supposta col|>a , ma, se a Dio piace , lodato.
Imperciocché V autorità del Morelli e de suoi il-
lustri seguaci , per quanto vogliasi reverenda , io
dubito fortemente eh ella possa stare a bilancia
con quella di Dante , del Boccaccio , d' Anuibal
Caro, del Varchi e di altri sommi scrittori, cha
a tutto rigor di grammatica colla stessa stessissima
costruzione del Petrarca a bello studio dispero lei
e lui quarto caso di essere . jNè gioverà indurre
sospetto di scorretta lezione di testi , perchè cor-
rettissima la proveranno i più austeri custodi delle
dodici tavole della lingua , un Bembo , un Gastelve-
tro , un Daniele Bartoli , un Luigi Lamberti : i quali
nulla curanti il vantaggio delf immenso maggior
numero de' codici e delle stampe che parlano a
lor favore , unicamente armati di critica e di ragione
promettono di mostrare sincera elegante e diritta
come raggio di luce V antica lesioue . E a soc-
G.A.T.iJt, 14
210 Letteratura
corso di quogti , che meritamente chiameremo filosofi
della lingua, perchè non si ajutano della sola e
spesso fallace aulorità dei testi a penna , ma rigo-
rosamente ragionano , vedrete l'arsi innanzi un filo-
logo che ne vale ben molti , il parmigiano ab. Co-
lombo , cui vivo e sano (e il sia lungamente per
onore delle nostre lettere ) io citerò come antico ,
perchè mi sembra ingiustizia T attendere che la
morto renda classica T autorità degli eccellenti
scrittori.
Messa su questo piede la controversia, stiamo
un poco ad udire ciò che in prima sentenza pro-
nuncia r oracolo della grammatica .
Jl Gorticelli, 1.2. cap.4. append. prlm. , espres-
samente dice : // V. essere si trova coli' accusativo :
e cita il passo, che tra poco verremo più intima-
mente considerando , della novella 7 , g. 3 del Boc-
caccio: credendo egli eli io /ossi te. Ma perchè al
tempo eh' egli scrivea la sua grammatica accadde
ciie il Manni trasse fuori la nuova lezione , e il
Gorticelli Tammise come quella che gli parea doves-?
se terminare la disputa, perciò noi rlserbandoci di far
constare piij avanti il suo torto nell'accettarla, ci ter-
remo per ora contenti che anche ilsuifragio di questo
insigne grammatico apertamente concorra a porre
in sodo r essenziale dotlrina che in certi incontri
attribuisce al verbo essere \ accusativo : vinto il
guai punto sarà vinta tutta la lite.
Porgiamo adunque secondamente Torecchio al
grande avvocato del volgar fiorentino. Bemb. ling.
volg. 1. 3 . „ Lo avere il Petrarca posta questa vo-
„ ce lei col verbo è, non la eh' ella sia voce del
„ primo caso: perciocché ò alle volte che la lingua
„ a quel veibo il quarto caso appunto dà, e non
„ mostra che la maniera della toscana favella por-
VeUso del Petra-Rca difeso aii
., ti die gli si dia; si come non gliele diede il me-
„ desimo Boccaccio , il quale nella novella di Lo-
„ dovico disse : credendo egli eh io/ossi te^ e non
„ disse, ch'io fossi tii^ che la lingua no \ porta, ,,
E seguita con più altre belle ragioni a chiarire la
sua sentenza.
Dunque, o si dia querela al Boccaccio d'aver
violata nella più perfetta delle sue opere la soprap-
posta regola ( violazione che quei signori non ardi-
ranno pretendere, nò noi potremmo concedere ) ; o,
s'egli hanno retta coscienza, confessino che il non
e lei del Petrarca è quarto caso come il fossi te
del Boccaccio.
Questa singolare proprietà di favella, questa
incontrastabile prerogativa del verbo essere , che
collocato fra due sustantivi piglia 1 andar dei tran-
sitivi, s'illustra per tanti eserapj, che il porli tutti
in presenza sarebbe vanità troppo lunga. Faremo
perciò scelta d' alcuni , e li piglieremo da' più cor-
retti scrittori , da quelli che noi teniamo a maestri
della più purgata favella.
Nuovamente adunque il Boccaccio, g. 3. n. 7.
Marm'igliossi forte Tedaldo che alcuno in tanto il
simigliasse^ che fosse creduto lui- Al qual passo il
postillator milanese avendo apposta la noterella
Avverti lui primo caso , il filologo parmigiano con-
trappose quest'altra , a cui vuoisi far attenzione:
„ Io credo che sia quarto caso; e così han-
„ no creduto il Gastelvetro, il Bartolì e il Manni. Il
„ verbo essere , quando trovasi in me^zo a due
,, nomi sustantivi, significa ( per usare la frase del
„ Castelvetro ) trasmutazioni. Ragion vuole pertan-
,. to , che si costruisca alla foggia de' verbi tran-
„ sitivi ancor esso. Allora si considera come agen-
,1 t« la sustanza che in alcuna guisa trasmutasi, e
ir
ai2 LETTERATtRA
„ come paziente l'altra in cui , per così dir ,-7 si
,, trasmuta : ond' è che il nome della prtma dee por-
,, si nel primo caso , e il nome della seconda nel
,, quarto. A questa osservazione dà molto peso il
,, seguente esempio del Boccaccio ( G. ^. n. 7. )
,, Credendo esso c/i io Jvssì te , rrì ha con un ba~
„ stone tutto rotto. Certo nessun s' avviserà mai dì
,, dire, che nelV esempio or addotto te possa essere
„ primo caso. E perchè si dirà dunque che sia pri-
,, mo caso lui in questo luogo, se la costruzione è
,, anche qui la medesima affatto ? ,,
Dunque di nuovo quel lei del Petrarca , co-
me questo lui del Boccaccio , è accusativo. Pro-
cediamo negli esempi : e ne vedremo uscir tanta
luce, che i Morellisti non sapranno dove nasconder-
si. Dante Conv. nella canz. Le dolci rime ecc., str.
3. V. i3. Poi chi pinge figura Senon può esser lei ^
non la può porre.
Varchi , Ercol. 80. Tu mi vuoi far Calandri-
no ., e taholta il Grasso tegnajuolo , al quale fu
fatto credere eli egli ncn era lui- ma diventato un
altro. Esempio allegato dalf autorità più d ogni al-
tra inappellabile del vocabolario della Crusca ( pa-
role del sig. Del Furia ). V. Far Calandrino.
CiritF. Cai 7. 2. 43. Ma primamente ti ringrazio
assai dell esser te sì magnalmo e cortese. Esempio
similmente prodotto dalla soddetta inappellabile au-
torità. V. Magnalmo.
Morg. I. I, In principio era il Verbo appres-
so a Dio , Ed era Iddio il Verbo , e il Verbo lui.
Salv. Granch. 1. 2. Ella sapeva che^ per es-
ser lui a questo modo povero e di bassa mano, non
era mai per ottenerlo.
Ann. Caro , Lett. voi. i. pag. io3. ediz. railan.
Fece quasi credere a chi noi conosceva che egli non
Verso del Petrarca difeso aiS
fosse lui. E poco prima avea detto : Quel ( Ver-
tunno ) che è ogni altro uomo che lui.
Il med. , voi. 3. pag. 223. Accettatelo per ami-
co con tutte quelle accoglienze che vi detta la vostra
gentilezza., e che fareste a me proprio., o se iofos^
si lui.
Il med,, Apol. pag. 128 , ediz. milan. 1820.
Con ciò sia che vedendone tanti ( enimrai ) quanti
ne veggo ne vostri scritti , io vo pensando se per
avventura voi foste lei ( la sfinge ), o ella fosse voi.
K nota bene che se mai vi fu scritto in cui il Ca-
.ro ponesse tutta correzione di lingua, fu questo di
materia tutta grammaticaJe, e in risposta ad un av-
versario così sottile e diftlcile come il Gastelvetro .
Firenz. Lagrim. Che il padre el Jiglio una co-
sa medesma Sieri, riputati-^ ond' io son lui , ed egli
£ me .
Il med. , nov. 6 col verbo e/^a sottinteso. E*
non aveva mai bene se non quando era dove lei.
Il med., Lucid. 2. 2. Di sorte che io sto infra
due , se egli è lui egli., o s^ io sono me.
Allautorità di questi esempj, fortissima pel con-
senso di tanto chiari scrittori, sulle cui opere non
può cader sospetto di negligenza né ignoranza del-
le più strette regole dello scrivere, s' aggiugne la
grande ragione della consuetudine, maestra certissi-
ma del parlare., come Quintiliano l'appella, 1. i.
pag. 4- JNel raccomandare ex. gr. un carissimo ami-
co non diciamo noi tuttodì : stimerò fatto a me il
bene che a lui farete , perchè egli è un altro me
stesso? E mi parrebbe sproposito il dire: egli è un
altro io stesso. Così nella seconda persona diciamo
correttissimamente : egli è un altro te stesso , e non
mai un altro tu stesso. Così nella terza: egli è un
altro lui stesso-^ e darebbe da ridere chi dicesse:
ìli 4 Letteratura
e^li è un altro egli stesso. Né ci muova il {)oc*an2Ì
arrecato esempio del Firenzuola se egli è lui egli -.
perciocché quivi, solamente per dar più forza, l'i-
petesi la voce egli che agisce, ma niente mutasi deL
sentimento in che dapprima fu posta. Della quale ri-
petizione infiniti sono gli esempj, come i seguenti
del Boccaccio allegati pure dai Bembo, a cui inte-
ramente ci rimettiamo: e so che tu fosti desso tu:
io non ci fu io- qual donna canterà s* /' non cant'iol
Da buon filosoTo adunque parlò il Castelvetro,
allorché nella gran lite dai grammatici suscitata so-
pra qneif emistichio, acutamente osservando la par-
ticolare innegabile proprietà del v. essere di cangia-
re in accusativo il secondo dei sustantivi che talor
l'accompagnano , sciolse il nodo della quistione , e
l'ondò sopra quel verbo la sana dottrina di trasmu-
tazione poc' anzi veduta nelf osservazione dell' ab.
Colombo, e confermata prima di lui da quel som-
mo conoscitore dei più segreti arcani delta favella
il Bartoli nel torto e diritto del non si può, cap. XLV,
con queste parole:
,, Il verbo essere, singolarmente colà dove ha
,, forza di esprimere trasformazione d'uno in un al-
,, tro, accetta dopo sé il quarto caso: così doven-
„ dosi per chiarezza alla distinzione , che ragion
,, vuol che sia, fra due termini quasi per azione e
,, passione diderenti . Altrimenti, se amendue fos-
,, sero in un medesimo caso, non s'intenderebbe qual
,, di loro sia il trasmutato, e quale colui in che
,, si trasmuta. Così ne filosofa un sottile grammati-
,, co; e sia vero: che il disputarlo punto più non
,, rileva che il crederlo. ,, — • E qui dopo gli esem-
pi e di Dante e del Boccaccio poco ia n.'citati, al-
loga quel del Petrarca, e conclude che il gran ru-
more fatto sovr'esso è nato dal non sapere là pro-
prietà del verbo essere, tanto già ripetuta.
Verso dkl Petrarca difeso 3i5
Conforme a quella del BaiMoli è l'opinione del
cav. Luigi Lamberti, di cui quanta si fosse la ca-
stigatezza dello scrivere e la profonda perizia in fat-
to di lingua, a niuno , che ne conosca gli scritti,
è nascoso. Nelle sue aggiunte al Ginonio ecco coni'
egli la discorre;
„ 'Lei nel verso del Petrarca , allegato dal Gino-
,, nio , debbe sicuramente , siccome a noi pare ,
,, aversi per quarto caso , dipendente dal verbo
,, essere. Ciò che non è lei vorrà dunque sigiii-
,, ficare ciò che non forma lei , o come interprc-
,, tò il Gastelvetro : ciò che non dimostra lei . „ — ^
Indi, riportato il ragionamento che quel critico vi
fa sopra , il Lamberti soggiunge : ■•' A più chiara
,, dimostrazione di quello che dice il Gastelvetro ,
,, recheremo altri due esempj fra i moltissimi che
„ si potrebbero allegare, ne' quali il verbo essere
„ regge manifestamente il quarto caso , per espri-
„ mere sensi non punto diversi da quello che si
„ riconosce nel verso del Petrarca .Bemb.Asol. i.3.
„ Ma non perciò ne viene che non s' ami cosa che
„ noìi si desideri : perciocché se n amano molte ,
„ e non si desiderano ; e ciò sono tutte quelle cose
„ che si posseggono . Dove il ciò non può essere
„ che quarto caso - Pandolf. -yG. Coli altre donne
„ sempre diceva che io era i suoi ornamenti .
Dopo esempj sì splendidi , dopo il giudicato
d' uomini così consumati nella cognizione e nell' ar-
te della favella, non è più lecito , non è più da uo-
mo di sano intelletto il negare che , in virtù della
regola stabilita sul verbo essere situato fra due
sustantivi , quel lei del Petrarca sia un manifestis-
simo accusativo .E se le regole dello scrivere risul-
tano dall'autorità de' sommi scrittori, se nel con-
corde loro consenso fondasi la ragione di queste re-
a i G L E T T E K A T U R A
gole , qiial altra venne mai fermata e provata da
più solenni raaestn con esempj più luminosi? Noi
siamo bens] presti a concedere che la contraria au-
torità del Morelli sia grande grandissima in fatto
d' erudizione ; ma in fatto di bella lingua , nei mi-
steri dell' eleganza , nelle materie di gusto , sicco-
me la presente , in verità il suo modo di scrivere
non la mostra eh egli abbia sacrilicato troppo alle
grazie; meno ()0Ì alle muse.iNe volete una prova?
Colla nuova lezione egli ha creduto di preseivare
il Petrarca da un solecismo; e certamente la frase
Cifj che non è in lei , in quanto a grammatica , è
senza pecca; ma in quanto a frase poetica, gesum-
maria ! lilla scende sì abbasso nelF inlimo della pro-
sa , che questo solissimo Ciò che non è in lei ba-
sterebbe a rovinar un poeta : mentre nella contra-
ila Ciò che non è lei si sente un parlare diviso
dall' ordinario , e chi conosce la proprietà prc^di-
cata del verbo regolatore, ne gusta subito l'ele-
ganza . Ma egli è poco 1' aver gittato il Petrarca
nell'uliima umiltà della prosa ; il Morelli per giun-
ta ne ha depresso ancora il concetto . K qui vor-
rei che con animo riposato e ben certo eh io noa
parlo per disistima ckgii avversar] ( cui protesto
di avere in altissima riverenza ) , ma unicamente
per andare in cerca di quel medesimo vero a cui
essi stessi han dritta la mira ; qui , dico , vorrei
si ponesse ben attenzione allo spirito di quei ver-
si , onde afferrarne netto il pensiero , ed entrare ,
per modo di dire , neir anima del poeta . Egli dice
di avere la mente cosi avvezza a contemplare la
sola sua Lauta , che altro non vede clie Laura ,
e ciò chr non è dessa , ciò che non gli presenta
r immagine di questa donna adorata , gli diviene
og^'ctto d odio e di spergio . INon è questo in pa-
Verso del Petrarca difeso 2 in
role sciolte il concetto ? E si può egli aver il cuo-
re di credere, che alla passione in quel concetto rac-
colta risponda bene la frase ciò che non è in lei,
perfettamente sinonima di quest' altra ciò che in lei
non si trovo , o sia ciò che ella non possiede ?
Tale essendo lo schietto intero valore di quella
miracolosa lezione, qui è dove la critica si alEa sde-
gnosa, e querelasi che per sospet'o di una chimeri-
ca scorrezione grammaticale il delicatissimo senti-
mento del poeta sìa stato miseramente tradito , e
per ristoro strascinato nel fango di una trivialissi-
ma locuzione. E arditamente dico tradito, perchè
il caldo amatore non solamente non pensa, non cal-
cola , non esamina punto il bello che nell'amato
oggetto non è, ma né manco per ombra gliene può
supporre il difetto; e mostrerebbe di amare assai po-
co se gii avvenisse di riconoscere in altra donna
un' amabile qualità di cui fosse priva la sua. Per-
ciò colia benda su gli occhi ei tiene fisso il pen-
siero unicamente nel bello della sua amata , e que-
sto ei trova perfetto , in questo è tutta la somma
de' suoi desideri : che tale è la vera natura dell'
amorosa passione, figurarsi nella donna amata ogni
pregio e di corpo e di spirito , e non fare stima
di qual siasi altro oggetto , se non in quanto ci
rende somiglianza e figura di quello di cui siamo
presi : e dove manca la realtà supplisce la fantasia ,
la quale ognun sa che in modo maraviglioso esa-
gera tutto , massimamente in capo a' poeti . Quindi
è che r innamorato Petrarca per lunga usanza ac-
costumato a non contemplare che la sua Laura ,
non sa vedere che Laura , e gli nasce odio e
disprezzo di tutto ciò che non gli reca innanzi 1 im-
magine di questo idolo , in cui la rapita sua men-
te non solo non ravvisa , i»a non le ò possibile
:^iCk. L E T T B R A T u n A
di ravvisare alcuna mancanza . Di che segue che il
concetto racchiuso nelle parole ciò che non è m
lei , oltre T essere insensato è anche oltraggioso ,
perchè suppone in Laura il difetto di qualche ciò ,
che è quanto dire di qualche pregio , di qualche
cosa pur degna d' essere considerata ; mentre il suo
amante in lei trova tutto il desiderabile , e in tut-
ta la perfezione . Questo era per mio avviso il gran
punto da meditarsi prima di accettar ciecamente
quella lezione che agghiaccia tutto l'affetto del sen-
timento , e r estingue . Onde mi do a credere che
ne' pochi codici che la portano , i copisti abbiano
alterata la genuina per la stessa falsa persuasione
che mosse il Manni , poi il Morelli , ed ultima-
mente i due lodati accademici a seguitarla ; persua-
sione nata dall' ostinarsi a prendere per caso retto
quel lei , e dal non aver latta la debita osserva-
zione alla parti colar maniera con cui il verbo es-
sere spesse volte si costruisce . .
Vi ho schierate davanti le forze messe in cam-
po dai promotori delle due contrarie lezioni t vi ho
posti i combattenti in cospetto : da una parte il
Manni, il Morelli, il Fiacchi e il Del Furia con
gli ajuti di sette testi a penna e tre stampe: dall'
altra con molte centinaja di testi e di stampe (la-
sciate addietro per corpo di riserva ) , ed armati
soltanto di buona critica sotto le bandiere del Boc-
caccio , di Dante , del Pandolfini , degli autori del
Ciriffo Calvaneo e del Morgante , del Varchi, del
Salviati, del Firenzuola e del Caro, i sommi ana-
litici della lingua Pietro Bembo , Lodovico Castel-
vetro , Daniele Bartoli , Luigi Lamberti e V ab. Co-
lombo . Avete udito hinc inde i loro argomenti , e
la quistione parmi esaurita . Profferite or voi la
sentenza . Se uscirà contraria al mio voto , farò di
Verso del Petrarca difeso 21^
tutta questa diceria solenne ritrattazione . Se V avrò
favorevole , ripeterò il mille volte già detto , ch«
la fede cioè dei codici senza la confermazione della
critica non vai nulla , e concluderò che dietro alla
sola guida dei testi a penna ( per Io piiì opera ma-
teriale d' ignoranti copisti ) , spesse volte , creden-
do di risanarli, si storpiano gli antichi nostri scvit-
tori . State sano .
imi II II I u«»^»»'»ug'.f<iagarfngia»»
Dionigi' d' Alicarnasso^ intorno lo stile ed altri mo^
di di Tucidide. Volgarizzamento di Pietro M(Oi~
zi. Roma pel de-Romanis ,1819.
( Seconda parte. Vedi il volume XIV p. aj^.)
I l/ueslo Dionigi d'Alicarnasso fu veramente noni©
d'arditi spiriti: e mostrò colfesempio suo che
nella grande repubblica delle lettere entrano alcuna
volta cavalieri bizzarri che cercano belle brighe, e
le trovano. Donde poi traggono jjlauso non vile, quan-
tunque sfidino i campioni più valorosi. Perchè al
coraggioso che lotta col piìi possente, perfino la scon-
fitta mutasi in onore: non essendo breve parte di
gloria l'essere stato a fronte de' gagliardissimi: e
l'avere tenuto il campa- con buona prova di brac-
cia: non latrando, ma combattendo: e combatten-
do a legge di buon cavaliere, senza movere il dispet-
to, il riso o la compassione de' savii. 11 che poi sem-
pre incontra a que' miserabili, che nudi e dispera-
ti d Ogni bene, cercano fama dallo stare contro i
lodati: e sì ne hanno quella lama infelice eh' è peg-
giore della morte. Perchè venuti in ispregio anzi in
ira a ogni gente, sono poi segnati dal ditj di chipas-
►520 Letteratura.
sa, e fuggiti siccome i cani, che corrono la via col-
la rabbia e col veleno nel morso. Misera e vera-
mente cieca famiglia! cui sarebbe stato assai meglio
o il non essere mai venuta fra i vivi, o f avere sem-
pre vissuto senza conoscimento di lettere.
2. Ma Dionigi , facendosi in campo contro Tu-
cidide, ha ornata la sua disHda di sì oneste paro-
le, che scusato è per quelle dal reo titolo dell ar-
roganza.
Dopo avergli dunque renduta la debita lode, cer-
cheremo fino al termine il suo ragionamento: pro-
cacciando di riprendere il riprenditore di Tucidide
in que' luoghi soli, dove paja eh' egli abbia com-
battuto più presto colle umili insidie del sofista che
coir armi nobilissime del filosofo.
3. Al capitolo XVII la censura è intorno fuso
delle concioni: che sono que' tali arringhi cui lo sto-
rico induce nella sua narrazione, abbandonando egli,
il parlare, e attribuendolo ad alcun personaggio, se-
condo r artificio deir epopea e della tragedia. Qui
chiamasi in colpa Tucidide: e specialmente di que-
sto: che rechi egli in mezzo qualche belle orazioni:
e altre ne taccia che pur potevano riuscire bellissi-
me. Del qual peccato si leva esempio dal terzo li-
bro, dov' è discorsa la guerra de' mitilenesi: e sono
raccontati i due grandi parlamenti che tenne il po-
polo re d'Atene. Ivi Tucidide ha riferite le concio-
ni del secondo parlamento: e taciute al tutto quel-
le del primo. E fu pure nel primo che gli ateniesi,
seguendo l'impeto e l'ire de' più concitati oratori,
stanziarono quella dura legge: che i prigioni e i ^io-
vani di Mitilcne fossero tutte inorti^ e menate infer-
ri le donne co" figli loro. Ma nella seconda tornata
quel decreto fu rotto: fu il rigore ^vinto dalla pietà;
« le fiere voglie si mutarono in mansuete. Per la
Dionigi d' Alicarnasso 221
qual cosa pare a Dionigi , che Tucidide narrando
la più umana concione, dovesse pur narrare la più
crudele: essendo uflcio dello storico il rendere in-
tera la imagine delle cose, ed il vario favellare de-
gli uomini di che narransi i fatti: o sieno destri e
santi , ovvero sinistri ed iniqui.
4. Tucidide è qui adunque non d'altro accagio-
nato che di ommissione . Or veggiamo com' egli se
ne scagioni .
E posto primamente da banda il trattato di Dio-
nigi, apriamo quell'aurea storia di Tucidide al ter-
zo libro, là dov'è scritta la guerra e'I danno di Mi-
tilene. Jeri il popolo cieco dall'ira condannò a mor-
te i cittadini tutti di quella sfolgorata città. Oggi
ha sentita nel cuore una punta di misericordia: og-
gi vuole che le sue mani sieno caste dal sangue degl'
innocenti. Quindi chiede il parlamento: congregasi:
sta nella piazza: va sussurrando, che la legge di je-
ri è stolta ed inumana: non vi essendo cosa né tan-
to inumana, né tanto stolta quanto l'uccidere per
pochi ribelli tutti gli uomini d una terra. Ed ecco
sale la ringhiera Cleone figlio di Gleeneto: il seve-
rissimo degli ateniesi : e di autorità eguale al severo
suo animo. Si fa silenzio: e il rigido oratore favel-
la. Or fatti presso Dionigi, ed ascolla il parlare di
costui. Che ragiona egli? Che vuole? Forse il per-
dono? Non già. Egli é quel Cleone che jeri gridò»
che i vinti di Mitilene si uccidessero, ed oggi torna
a gridare che si uccìdano i vinti di Mitilene. Cho
se il partito de' pietosi va sopra, questo si dee al-
la concione del buon Diodoto con cui si segue, e si
risponde, e si vince. Ma intanto già tu conosci qua-
le orazione fu quella del parlamento primo , perdi*
ella ripetesi nel secondo: ed oggi ella tutte pur t'apr©
le cagioni che jeri incitarono il popolo a quella noa
3»3 Lktteratura
credibile ferità. Vana è dunque, o Dionigi , la tua
censura, siccome sarebbe stato vano a Tucidide il
riferire due volte Y arringa dell' oratore carnefice .
E che altro potea colui dire nel primo giorno, che
noh dovesse con più di veemenza ridire nel secon-
do? Anzi quella concione qui collocata mette un più
tetro lume, perchè si vede di costa all'arringa di Dio-
doto tutta soave, e quieta, e traente gli aiFetti de-
gli ascoltanti nella cara dolcezza della pietà. Ed è
perciò da conchiudere, che dove il retore di Alicar-
nasso cercò una colpa, quivi medesimo trovasi quell'
artificio finissimo, che ha nome economìa: la quale
spesso si nasconde anche agli occhi più acuti. Ma
perchè si viene per noi usando sovra Dionigi quel
severo consiglio eh' egli usò sovra Tucidide, tan-
to noi cureremo di abbondare in argomenti, quan-
to sappiamo le nostre forze inferiori a quelle di sì
Talente avversario. E perciò considereremo alcuna
parte dell'arringa di Cleone tonde il giudicio de' leggi-
tori non si appoggi nelle parole nostre, ma nel co-
noscimento dell'arte da noi svelala in Tucidide.
5. Gleone, così com' è dipinto dal greco stori-
co, rassembra quel Marco Porcio che fulminava nel
foro i tristi repubblicani di Roma. Anzi Gleone vin-
ce Marco nell ira: perciocché veggendo come la mat-
ta plebe oggi disvole quello che jeri volle, egli s'in-
fiamma contro i reggimenti popolari, e prende co-
minciamento dal bestemmiare la democrazia . Uà
oratore nato in repubblica, capo di parte plebea ,
arringante in piazza, non può adoprare più franchez-
za né ardire. Ho conosciuto (figli grida) ho co^
nosciuto die governo di popolo è cosa che non è
ferina: è cosa che non è atta a correggere la repub-
blica. Ora li veggo ^ ora da questo medesimo pentii
mmto vostro , ateniesi, per cui volete oggi vivi que
Dionigi d' Alicarnasso 233
di Metilene , cui decretaste jeri la morte . Indi se-
gue con quel libero animo suo, numerando i mali
che flagellano quelle città che si reggono a stato ^i
plebe. E l altre (egli dice ) V altre ^ le cui leggi so-
no men buone e pia forme , sono sempre meglio or-
dinate die queste che hanno buone leggio ma non
Vhan ferme. E talvolta è migliore ignoranza ch&
s' accompagni a gravità ed a modestia^ che non è il
favore colla compagnia della leggerezza e della fó-
merità. Perciò spesso i meno sapienti meglio iìif re-
nano e meglio guidano che non farebbero i sapien-
tissimi . Perchè i sapientissimi vogliono alcuna vol-
ta mostrare d essere pia prudenti che non sono le
leggi: nei parlamenti contendono a soprastare: que-
sto tengono pel miglior campo dove provisi la loro
gloria : e così crollano e diroccano f edificio della re*
pubblica. Ma intanto qué pia discreti^ che meno fi-
dano nel lor valore^ si confessano servi alla leggez
non fanno contrasto a savi dicitori : e girano diritto
il governo della città ^ perchè delle cose sono giu-
dici gravi: e astuti disputatori non sono. E grave
giudice io dunque deggio essere^ io: né farmi vento-
so per poter di parole e d'arguzie : ne nulla persua-
dere alla moltitudine^ cìi io prima non abbia bene
estimata neW animo. Sappiate or dujujue ^ che nella
sentenza di jeri io mi sto; e solo meravigliomi di
coloro^ che nuovamente si congregarono a parlare
di Mitilene. In questo ei procede agli argomenti che
deggiono persuadere la neccessità della strage: e af-
ferma e prova, che la citt^ de' mitilenesi ha fatto
ad Atene il gravissimo degli oltraggi. E tutta in que-
sto principio fondasi l'orazione. Dì che dunque la-
gnasi il buon Dionigi ? Vuol' egli udire per quali sti-
moli si movessero gli ateniesi a quella legge di mor-
^? Legga egli in questo luogo: vi conosca le arti
324 LeTTEIIÀTURA
del severo Cleone ; vi sappia le parole esterne dal-
le odierne, ed anzi oggi le vegga meglio dipinte ed
accese : e dove descrivesi la ribellione di Mitilene :
e dove si segna il gran danno che n'aspetta la patria:
e dove si chiarisce la malizia d'un popolo che per
mille ricevuti beni rende ora Tinfame prezzo del tra-
dimento. E qui r oratore tuona: e qui mostra co-
me per quegl ingrati il beneficio fu la semenza di
tante colpe: com' elll fatti orgogliosi per gran fidu-
cia^ come tutto arrogando alla potenza loro^ aveano
impresa la guerra •. credendo che fosse bello^ l an-
teporre la/orza: alla giustizia. Perciocché, non ingiu-
riati da persona d'Atene , mossero guerra ad Ate-
ne per la sola speranza del poterla vincere. E quin-
di l'oratore rammenta le cortesie usate da' suoi ver-
so que' malvagi: onde meglio s' inQammi lo sdegno
e la vendetta del popolo ; e grida: che con tale razza
sarebbe stata virtù f essere villani : perciocché l'uo-
mo naturalmente ha in ispregio chi lo carezza^ e me-
ravigliasi di chi non s' inchina . Sieno dunque pu-
niti secondo la grandezza della ingiuria loro • uè
il castigo sia già di pochi- ne il popolo sia perdo-
nato', ma se già tutti insieme furono assalitori , e
tutti insieme ora trucidati. Così Cleone: il quale poi
segue, compitando i mali che verrebbero da una scon-
sigliata clemenza per la certa ribellione degli altri
confederati; e mette sotto gli occhi il pericolo che
ogni ateniese incontrerebbe in ogni città della Gre-
cia: né vuole che si dica scusa alf errore la fralez-
za umana; avvegnacchè i ribelli non hanno olleso per
umana fralezza, ma per forte voglia, ma per aper-
to consentimento, e tutti hanno confessata la par-
te de' traditori .
Dichiarate queste ragioni , 1' oratore discende
a pregare i giudici che no» pecchino in tre cose c|^
JD IONICI »* AlICARNASSO 22?
grandissimo danno all' imperio : i.* nel muoversi
troppo a pietà : a° nel lasciarsi piendere all' esca
dell eloquenza : 3*^ nel troppo usare atti magnanimi .
Vuole che la pietà non s abbia a operare con chi
non la prezza; ed è fatto avversario dalla sventu-
ra . Vuole che gli scaltri oratori si lodino per 1' arte
loro , ma che il piacere che se ne coglie non val-
ga la ruina della città. Vuole da ultimo che i ma-
gnanimi atti sieno usali in quelli eh' esser ponno
fedeli , non in coloro , che mentre ricevono il per-
dono , si giurano inimici eterni di chi perdona .
Imperocché ognuno eh' è offeso d' offesa ingiusta ,
s' egli scampa , è più crudele nella vendetta che noa
è colui il quale per giusta offesa è nimico . Così con-
dotta a' suoi termini conchiudesi 1' orazione eoa
arte maravigliosa , ed esclamasi agli ateniesi . Su ,
decretate morte a quelli di Mitilene per non easere
ucciditori di voi medesimi . Considerate quanta era
in voi la sete del costoro sangue . Considerate den-
tro dair iinimo , che travagli e che pene vi aspet-
tavano , se eravate voi vinti . Or via contr essi os-
servate il contrapasso . Ne inteneriscavi il cuore la
presente loro sventura : né guardate al misero staio
loro; ma sì guardate a pericoli che vi stavano sul-
la testa . Rendete lor dunque il prezzo della' loro
opera ; e questo solenne esempio n abbiano gli al-
leati : eh" ei sappiano , che qualunque tradisce AtC'
ne , egli è morto . E se tutti il sapranno , voi non
dovrete pia lasciare di far guerra a nemici per guer-
reggiare gli amici .
Questo fu il sermone del figlio di Cleeneto »
uomo principale della fazione plebea .
^ noi r abbiamo esaminato a lungo , perchè
si vegga aperto T artificio di Tucidide e 1' errore
di Dionigi . Perchè Dionigi accusa Tucidide per noa
G.A.T.IX. i5
226 Letteratura
avere narrata V arringa d' alcuno degli oratori di
parte plebea : e quest' arringa di Cleone è di colui
che i'u principe di quella parte. Dionigi accusò Tu-
cidide, peicTiè nulla disse di ciò che mise negli at-^
tici la voglia del sangue di Mitilene : e Tucidide
ha propriamente qui dette quelle cose che furono
recitate per volgere gli attici a quel fiero e sangui-
noso proposto . Laonde è da credere che allorché
Dionigi slimò dì vedere questa colpa, avesse al tut-
to chiusi gli occhi deir intelletto : togliendo ragione
d' accusa , dove era materia di lode : e specialmen-
ee in quella maestra economia , senza la quale Tu-
cidide non avrebbe mai conseguita quella sua dote
mirabile della brevità .
'j. Ma basti al fine di ciò . Seguasi la comin-
ciata inchiesta : e si legga il capo diciottesimo della
censura .
Quivi si tocca dell' orazione funerale , che nel
primo anno della guerra fu detta sulle ceneri di que'
gloriosi , eh' erano morti per la patria in battaglia .
iVè in vero ci rimane per le greche storie conclo-
ne alcuna, che si mostri più alta, o, per mieglio
dire , pili tragica di questa . Così tulli credettero «
credono. Ma il solo Dionigi noi crede . E comec-
ché non possa egli negare , eh' ella non sia cosa
rarissima per la morale filosofia, e adornata d«' piiì
chiari lumi dell'eloquenza, pure il rigido .censore
cerca ogni modo per abbassarne 1' altezza . E viene
dicendo : che quel tanto panegirico era da lasciarsi
a più nobili tempi : che troppa retorica si spende
per pochi morti ed oscuri: che quelle alte parole si
convenivano meglio a que' soldati che caddero in
pilo, sterminando 1 eser ito de' lacedemoni : che que'
plebei da Tucidide celebrati non crebbero gloria né
potenza ad Aleue ; ma coloro , egli sclama , colo-
Dionigi d' Alicarnasso n^'j
ro la fecero veramente immortale , i quali si stese-
ro ai piedi que' superbi spartani , che aveano mossa
guerra alla patria: coloro i quali capitanati eia De-
mostene e da Nicla , o perirono sotto il ferro ni-
mico , o in miserabil fuga si spersero per le terre
e pei mari di tutta Grecia : ed erano pn^sso ai qua-
rantamila : e non ebbero pur la trista mercede di
dormire ne' patrii sepolcri .
8. Queste cose dice Dionigi : e n'aggiunge al-
cun' altra di simile tempera: le quali a roi. pajo-
no venute più tosto dalle scuole de' retori, clie da
quelle de' filosofanti . Perchè se entrei^emo ad esami-
nare in quali argomenti Tucidide si fondasse, quan-
do fra l'altre orazioni scelse questa soia di Pericle,
vedrassi a un tratto eli' elli furono argomenti chia-
ri, buoni, gravissimi, e tutti degni di qu/iF arguto
ingegno .
E primamente dicasi : eh' ei volle donarci dì
ima orazione del più nobile tra gli antichi autori:
di quel Pericle, di cui, per testimonio di Cicerone >
fu detto da Aristofane eh' ei seppe balenare , tico-
tiare ^ e mescere tutta Grecia' (i) di quel Pericle,
di che Plutarco afferma tanta essere stata 1' auto-
rità e r eccellenza , che gli ateniesi non dubitaro-
no di nominarlo /' Olimpio , Cuomo so\>rapposto al
segno degli altri , la vera prole di Gioue . ( i ) Or
questo sia qui notato per difendere la scelta dell'ora-
tore . Il quale non era certamente da posporsi a
que' dicitori di minor grido , che nelle seguenti guer-
re celebrarono il nome e la virtù de morti . E do-
vendosi tra le cose bufone sempre scegliere la mi-
(i) eie. de Orat. e. tj,.
(i) Plut. Vit. E«x;,
228 Letteratura
gllore , era certo da scogliere Y arringa di questo
Pericle: r scegliere quella detta in questo primo an-
no : perchè nel secondo eì tacque : e nel terzo era
morto . La quale arringa fu di tanta fanna per tutta
Grecia , che ne troviamo in Plutarco il seguente
bellissimo testimonio . Ritornato in Atene fece Pe-
ricle solenni esequie a coloro ch'erano morti nelt ar-
me : e recitò a loro laude ( come s^ usa pur anche )
una orazione funerale , per cui fu sommamente am-
mirato ì perchè , sceso lui dalla ì^inghiera , le don-
jie gli furono attorno , e gli fecero festa stringen-
dolo per mano , e incoronandolo di ghirlande e di
bende , siccome ad atleta che tornasse dalla vitto-
ria . (^i) Per grido adunque di sì degno sermone
s'era fatto debito dello scrittore il serbarne memo-
ria , e il mostrarlo come ad esempio di quanti vo-
lessero onorato di utili lodi gli eroi . E diciamo di
lodi utili , perchè Tucidide badò principalmente a
quel fine , che degno d' ogni filosofo , cioè al gio-
vare la sua cittadinanza . Quindi non solo intese a
narrare i fatti d'Atene, ma anche ad accenderne i
cittadini nelf amore della gloria : e pose quasi nel
principio de' suoi libri il grave panegirico di quella
morte, che fra i valorosi è tenuta in migliore prez-
zo che non è la vita . £ voile che i suoi leggito-
ri conoscessero , che il cittadino che muore per la
patria si fa sacro ai posteri : o muoja egli nella più
grande delie battaglie , o in un breve scontro di
pochi assalitori . Perchè la virtù si loda per se stes-
sa : né la fama de' buoni dee dipendere o dal nu-
mero de' nemici , e da quello de' morti .
(i) Plut. vit. Perici.
Dionigi d* Alicarnasso 239
Q. Ma vogliamo che questo consiglio di Tuci-
dide chiaro apparisca , cercando Lene in quel di-
scorso che si vuol condannare . Il quale non è già
una gonfiata ciancia in lode dì pochi uomini del
volgo , spenti in una piccola zuffa • ma è un parla-
re tutto nuovo , ardito , utilissimo ai cittadini vi-
vi , perchè onorino il nome de morti gloriosamen-
te , e adoprino fatti simiglianti ai loro , quando la
comune necessità lo richiegga . E in somma un ser-
mone tutto degno di quel Tucidide, che scacciato
in esilio , ne potendo più giovare la patria colla
spada , intese a farla potente e forte colle sue pa-
role . Per ciò si prende cominciaraento dal lodare
que' primi avi , i quali fondarono gli ordini civili
d' Atene : poi s' innalza il nome c\e padri , che ne
allargarono V imperio , il vigore e la libertà : se ne
descrive il bello e fiorente stato , e se ne racconta
la già compiuta grandezza.. Dalle quali cose non
solo si tiae un' alta e secreta lode a quelli che per
Atene morirono , ma si mette nel cuore degli as-
coltanti un acuto stimolo che li mova a farsene
imitatori .
IO. Quindi Pericle dice : che la sua repubblica
non imita le leggi altrui : ma che gU altri imitano
quelle di lei ; che in essa non è cittadino che ali*
altro cittadino non si pareggi : ma chi giunge alle
insegne del maestrato , vi giunge per la vera e sola
eccellenza o della mano o del senno ; che la pover-»
tà non si attraversa fra gli onori e V uomo , e non
vieta ad alcuno il giovare di se la patria ; che gli
ateniesi sono del privato avere datori allegri, e del
pubblico ministri severi ; eh' ei temono la pena
rompendo le leggi scritte : e rompendo le non iscrit-
te, temono la vergogna . E qui recita i piaceri della
città , e i teatri , e i giuochi , e le feste , e i sagrili-
iSo Letteratura
cii per tutto Tanno , e le belle pompe, e i com-
mercii , e quante sono le cose che recano il bene
e la gioja nelf animo de' mortali . Donde viene con
sottilissim arte a parlare della guerra , e delle cose
pertinenti alla guerra . E mostra come gli uomini
d' Atene non si confidano ne' grandi apprestamenti
d' arme , e nelle scerete pratiche e neile insidie ,
ma solo nella grandezza e nella l'orza diagli animi e
delle braccia ; eh' ei non chiudono la città a stra-
niero alcuno : che lo fanno comune ad ogni gene-
razione di genti , benché inimiclie ; che agli [spar-
tani, che crescono i giovinetti nella virile fortezza,
non bastò mai il cuore d' assalire Atene : ma che
gli ateniesi , soli , e senz' altri compagni , seppero
asscìlire e prendere coloro che si difendevano nel
chiuso dellp propria case . Né per ciò adoprano si-
nistrameJite la forza : ma più seguono il valore delle
leggi , che quello dello spade . Splendidamente vi-
vendo usano continenza : e sopportono povertà lie-
tamente; e le richezze spendono ne bisogni, e non
prr ventoso animo e vile . Ciascuno ha cura de'
ncgozii comuni , e de' privati : perchè quegli che
intende alle bisogne dimestiche, non per questo per-
de la scienza del governare le pubbliche . li qui ag-
giunge altre cose intorno la prudenza , e il buon
coraggio , e la cortesia , e i benefìcii , e la libera-
lità, e conchiude: che Atene è noima di tutta Gre-
cia : che la potmza sua, per tali modi acquistata ,
L'me addimostra che tutte queste lodi non si de-
rivano dalla gloria vana , ina dal solo vero . Per
che non h fanno bisogno i versi del cantore di Troja
o d' altro sacro poeta , che la renda famosa e vi-
va ; ma le basta il suo valore , che già s' ò aper-
to una via per ogni mare e per ogni terra, e v ha
lasciato la stampa de beni resi agli amici , e de'
Dionigi n' Alicarnàsso ùZì
mali fatti a'nimici, si che il popolo che non V ama,
già la paventa. E in questo luogo con una inaspet-
tata transizione 1' oratore si volge al suo subietto ,
ed esclama : per cotale città combattendo adunque
costoro sono morti da generosi : per cotale città : e
il fecero perdi' ella non gisse a ruina : e per tal fine
ognuno di voi , ognuno de' posteri dee sudare e pe-
rire. La vita degli uomiai si dimostra dalla virtù,
e confermasi dalla morte . Costoro adunque sono
stati quali loro si conveniva d' essere secondo la
dignità d una patria sì grande . E per essa hanno
acquistato una lunghissimi gloria e questi onorati
sepolcri . Ne già solo questi , in che si pongono le
ceneri e 1' ossa loro , ma quelli , onde il lor nome
si farà lontano , finche duri T imitazione e la ri-
cordanza de' buoni . Perchè ogni terra è buon sepol-
cro agli eroi - Né la virtù loro si mostra dai titoli
delle domestiche pietre , ma dalla memoria che ne
rimane per ogni loco , senza essere scritta ; e me-
glio si scolpisce ella negli animi che ne' sassi . Qui
r oratore si volge ai padri che sono presenti ; e vuo-
le , che non si dolgano , ma si rallegrino : dicen-
do : che veramente beato è 1' uomo , cui data è dal
cielo una gloriosa morte , ed un finir felice col con-
forto del pubblico pianto . Vuole che i padri ancor
giovani si consolino nella speranza de' figli che po-
tranno ancor nascere ; che il padre, il quale ha per-
duto i figliuoli per la patria , le dà migliore con*
siglio di chi non ha per lei perduto i figliuoli . Poi
que' vecchi , che non hanno più speranza di prole,
comanda che si consolino della loro gloria . Per-
ciocché la sola magnanimità non sì fa vecchia giam-
mai : e ne' tardi anni dà minor gioia il guadagno
che non ne dà la vita magnifica dell' onore . Indi
rivolto a' figli ed a' fratelli , mostra loro il diffi-
J2 3 3 L E T T E U A T U R A
cilc esempio , pcicliè pure anelino ad imitarlo , e
loro grida, eh' elli sono ancora inferiori a que' mor-
ti . E finalmente loda la virtij di quelle donue che
durano la vedovanza per la patria , e npn m'atten-
do vani lamenti , si coronono sid loro sesso - Do-
po di che conchiude Y arringo , parlando parole da
principe della città : e promc^ttcndo eh' ella nudrirà
i figliuoli de' morti in premio de' loro padri , e la
utile di tutto il popolo. Imperocché dove sono po-
sti gran premi alla virtù , ivi si trovano i valo-
rosi .
11. Questo è in breve il sermone di Pericle:
che a noi pare di tale bontà che ogni lode gli sa-
ria scarsa . E bene si conosco posto da Tucidide per
mostrai-e non pure la eloquenza di colui, ma l'intero
aspetto della sua repubblica , e le semenze di quel
valore , di che ne' seguenti libri si veggono frutti
sì copiosi e sì belli . Onde questo parlamento può
bandirsi per un vero panegirico d' Atene , e degli
ateniesi,] e della greca libertà, e dell' onor mili-
tare . Dopo ciò , se alcuno , seguendo il censore Dio-
nigi , amasse leggere un orazion funebre d' altro ge-
nere , noi senza invidia lasceremo eh' egli segua
Dionigi ; ed ami un' altra orazione , che sia posta
negli ultimi libri della storia : che ragioni ai morti
che pili non odono : che descriva alcuna battaglia
già raccontata : e che parli di poche migliaja d' uo-
mini : dimenticando il bisogno vero dell' intera re-
pubblica , e le riposte ragioni dell' arte storica . Che
dove arte non è , la quale è legge dell' opere , noi
non sappiamo pensare com' esser possa che si tro-
vi il bene o il male, e la miglior cosa discernasi
dalla peggiore .
12. Ma si passi ali altra censura, la quale si
legge al capitolo decimonono : e tratta i vi^ii del
PioNiGi d' Alicarnasso 333
Proemio in modo assai più sottile di quello , che
la ragione concede .
Dionigi vi chiama in colpa Tucidide per aver
fatto di quel proemio quasi un camentario delle co-
se deir antica Grecia , e mostrato che quelle vec-
chie geste furono di minor mole che non le mo-
derne . Poscia il buon retore insegna, che i proe-
mii sieno come indici , che brevemente tocchino
quelle sole cose, di cui hanno a ordinarsi le nar-
razioni seguenti . Aggiunge : che il greco istorico
non operò da pio cittadino svelando i rozzi prin-
cipi! della patria , e mostrando come i greci vi-
vessero in antico , senza la loro dignità . Stima che
dovesse tacersi , come al tempo della guerra di Tro-
ja ei non aveano comune neppure il nome : che per
rabbia di cibo si facevano corsari rubatori del
mare : e scesi a terra , poneano a sacco le città che
allora erano senza muro : e del pane dei rubati si
satollavano ; che è vanità il raccontare , come i
vecchi ateniesi si vestissero a pompa : e portasse-
ro le zazzere torte in anella , e le cicale d' oro sul
capo ; e come i lacedemonii si traessero i primi
le vestimenta , e nudi si ungessero nella palestra .
Non vuole in somma che lo storico narri altra co-
sa fuor questa delia guerra del Peloponneso, e delle
ragioni che la mossero . Nò pago a tanto , giunge
anche a' termini di più fino coraggio. Perchè , pre-
so lo stile, cancella una gran parte di quest' aurea
scrittura: rifa egli medesimo tutto il proemio : e non
dubita di tenere col gran Tucidide il modo , che
tiene il pedagogo co suoi fanciulli , quando per ar-
te di scarabocchi ne fa più bello il latino . La qual
follia pur vedemmo a nostri dì rinnovarsi : mentre
due grandi ingegni teneano il campo delle lette-
re : r uno de* quali volle (;jiuc«llar« i tre quarti del
234 LuTTERATUnl.
poema di Dante , per farlo tutto soave : e Y altro
empiè Omero di frasche , perdi' egli si maraviglias-
se delle frondi non sue .
i3. Ma veggasi se l'ardimento di Dionigi gli
torni a lode .
I principii de' libri deggiono essere ronsidera-
ti sempre ed esaminati con molta cura. P» rciocchè
gli errori che si cacciano dentro i proemii , quasi
mala radice posta in terreno fecondo, vanno poscia
di tale maniera crescendo e moltiplicando , che a
gran fatica si possono indi diradicare e divellere .
Diasi dunque lode a Dionigi, perchè ci richiama a
sì necessaria osservanza . Ma le mancanze e gli er-
rori eh' egli vuol trovare in questa introduzione ,
ove sono? Nella sola mente del retore. Perchè egli
si lagna che, per dir cose vane, non abbia Tucidi-
de manifestate le ragioni delia guerra. E poi scri-
ve egli stesso il nuovo proemio : e non aggiunge una
sola ragione di essa guerra , che già non fosse nel
vecchio proemio significata. Quale ingiustizia sìa que-
sta, o lettore, noi chiedere: chèqui noi si scrive.
i4- Passiamo dunque più oltie. Sì vuole, che
Tucidide abbia vituperata la patria per averla mo-
strata povera, inerme, agreste mentre fu antica. Ma
si può egli pensare più vana accusa ? Quale è quel
popolo che non sìa venuto dal misero stato nel si-
gnorile ? quale è quella città che prima d'essere di
marmo non fosse latta di sassi? Anzi di fango pri-
ma che di sassi? Dionigi dunque direbbe vitupera-
tori degli uomini que' filosofi , i quali ci segnano i
primi padri d'ogni gente nudi, tremanti, selvati-
chi, ripararsi alle caverne, e contendere sotto Telci
le ghiande cogli animali. Se v'ha popolo cotanto
folle che sì creda nato con indosso le porpore e Toro,
e posto per incanto in una città di palagi e di tem-
Dionigi d' Alicarnasso 335
pli *, egli sarà un popolo guidato da ciurmatori e
da negromanti ; né questo potrà mai credersi il po-
polo di Grecia, pieno d' alto Ingegno, e cresciuto
in tutte l'arti della civile sapienza. E sapeva egli be-
ne , come ogni cosa muove da prìncipii tenui e qua-
si non visibili ; come il lompo, gli uomini e la foi-
tuna tutto governano, allargano ed afforzano; come
le prime congreghe di poche famiglie si mutano irv
belle cittadinanze : che poi si laiino genei'ose na-
zioni ornate di città, di magistrati, d' armi e d'in-
dustrie, di virtìi civiche e di vittorie. E così esse-
re accaduto alla Grecia vedesi in questo proemio
di Tucidide: dove tutte queste cose sono dipinte e
strette in poche e brevissime note; sicché lo spec-
chio d'una lente meglio non potrebbe stringere nel
breve suo cerchio finterò aspetto d'una vasta cam-
pagna e del cielo. Perchè vi conosci gli esordii di
que' popoli , i quali poi vengono a fare di se stes-
si spettacolo ne' seguenti libri ; e vi trovi le cose
che lo storico avrebbe dovuto narrare altrove con
digressioni moleste; e vi conosci le ragioni del for-
te sito d' A.tene: e il modo con che quelle v&rie
genti si annodarono in un solo nome: e la eterna
indole di coloro , onde si raccontano le imprese e
1 danni , ed i peccati e le glorie.
( Sarà continuato.)
GlUilO PERTICARI
;i36
Canzoni inedite d' Angiolo Firenzuola ,
e 6r/o. Matteo Faetani.
à. S. K. IL SIGNOR D. PIETRO Dk' PRINCIPI ODESCALCHI
GIO. BATISTA VERMlGL,IOLI
X vecchi codici , comunque elli sieno , a prò del-
le lettere non mai si consultano in damo. Accade
poi soventemente , che da essi preziosissime gomme
si traggano, le quali per avventura se decentemente
non si collocano, e se a chi n è meritevole in pla-
usibile dono non si destinano , corrono gian risico
di perdere gran parte del pioprio valore.
Se così è , chiarissimo signore , io non saprei
a chi meglio destinare 1 otferta d una non dispre-
gevole gemma per me ripescata per entro un co-
dice del secolo XVI. Ella con si grande amore del-
le lettere , e con tanto zelo della nazione presiede
ad un assai dotto giornale , ove lodevolmente un
dignitoso posto alle cose inedite de' nostri italiani ,
anche mercè delle sue cure, si serba; penso che
debba essere preferita nel dono. Il nome oscurissi-
mo del donatore potrebbe scemar di pregio rolFer-
ta ; ma in questa circostanza ella di riguardare si
degni la sincera ambizione di lui , che da sì lun-
go tempo un attestato di doverosa stima esternarle
bramava.
Il codice pertanto, in forma di 4-" •> ^^ "on
perfetta conservazione, di qualche foglio forse man-
cante , ed esistente presso di me , contiene rime di
Bartolomeo Carli Piccolomini , di qualche accade-
mico Intronalo di Siena, di allri accademici, del
13erni , del Coppetta , del Caro , del Molza, di Raf-
Canzoni del Firenzuola e del Faetani aS^
faello Gualtieri, del Gasa, e di altri poeti meno co-
gniti , ed al foglio 7 si legge una canzone del Fi-
renzuola. Ella mi sembra non dispregevole cosa , e
non immeritevole d' ottenere nel giornale medesimo
posto distinto. Sebbene il Firenzuola sembrasse mi-
glior poeta nel burlesco che nel grave e nel serio ,
pare a me , se pure non erro , che la canzone non
sia destituita di quella nobile gravità che il sublime
argomento richiede. Ella , chiarissimo signore , già
bene e lodevolmente per lunga stagione accostumata
a gentilmente gustare le grazie dell' italiano parnas-
so , assai meglio di me potrà adequato giudizio me-
narne, mentre io le ne fo semplicemente 1' offerta,
credendola inedita, e come a lei piacque di conveni-
re. Intanto nella raccolta rarissima di sue poesie
pubbHca^a dal Giunta nel i549, ^ procurata da Lo-
renzo Scala, non si rinviene, come neppure nella
recentissima edizione che fa parte de' classici ita-
liani pubblicati in Milano, ove le poesie del Firen-
zuola furono ordinate dietro a quella stessa del i549.
JVella copiosa raccolta di rime pubblicata da Dio-
nigi Atanagi (Venezia i565 ) fra que' -yS e più ri-
matori non trovo che v'abbia posto il Firenzuola:
e sono quasi certo, che questa canzone neppur s' ab-
bia nella raccolta poetica d'Agostino Gobbi pub-
blicata in principio del secolo scorso. Così neppure
è da supporsi, eh' esso componimento sia nella rac-
colta rarissima di poesie data in luce in Venezia
al segno della speranza nel i55o, ove il Firenzuo-
la ha pur qualche cosa: imperocché la stessa rac-
colta non è che di rime sagre.
Ella è forse una di quelle composizioni di mes»
ser Angelo, di cui Lorenzo Scala nella dedica a
Francesco Miniati lo smarrimento compiange, co-
me noi d' averla felicemente ritrovata rallegrare ci
a38 Letteratura
dobbiamo. Né io sono lungi dal credere, che una
tale canzone sempre ascosa nel codice perugino ri-
manesse, e che il Firenzuola medesimo in Perugia
la travagliasse:, imperocché è da sapersi come egli
vi era stato allo studio ; notizia che ci perviene
primieramente da Pietro Aretino, ove fu suo con-
discepolo ed amico ( lett. voi. r. p. 239. aiS. ), e
quindi ripetuta dal Mannì nelle sue veglie piacevo^
li (il. 5'j. ). E per maggior sicurezza di ciò , io
le aggiungo , come in una vecchia matricola degli
scolari del perugino studio, spettante al secolo XVI,
Angiolo stesso così di propria mano sottoscritto si
trova : Angiolus Florentiolanus de Florenzia die
XXXI mnj i5i6 (Ibi. 4'-)-
Intanto al suo finissimo gusto di qualche mi-
nor pregio potrebbe sembrare una nuova poesia ,
•nnedota anch'essa, ma che la singolarissima cir-
costanza , per cui fu fatta , potrebbe rendere non
immeritevole del tutto d' ottener qualche posto in
codesto dotto giorqale. Ella è pertanto una canzone
di frate Giovanni Matteo Faetani da Rimini, in mor-
te dell' Ariosto , e indrizzata al duca Ercole Esten-
se. Del Faetani mi è ascosa ogni notizia : so per
altro non essere oscuro del tutto nella storia della
poesia italiana , imperocché egli ha rime fra quel-
le di molti altri rimatori raccolte da Giovanni Offre-
di , e pubblicate in Cremona per Vincenzo Conti
nel i5(3o, e raccolta di qualche rarità. Un nuovo
motivo di crederla inedita sembra a me eh' esser
possa il vedere che tace di essa il signor Barrufal-
di nella sua recente e diligentissima vita dell' Arió-
•sto. E siccome il dotto biografo non dimenticò
Lorenzo Frizzolio riminese, anch' esso autore d'un
elogio di Lodovico, così io penso che neppure il
Faetani avrebbe dimenticato 7 quante voltq cono-
Cannoni del Fireit^uolà i del Faetani 23^
scinto lo avesse. Che se poi non fosse stata cosa
di qualche eleganza , il Faetani non Y avrebbe in-
dirizzata al duca Ercole, come a quello ch'era be-
ne incaminato nella via delle lettere amene, e che
nudrì per V Ariosto stima ed affetto.
E perchè ella, chiarissimo signor principe, pos-
sa comprendere come io anche col. mio pochissi-
mo sarei ben disposto di contribuire all' incremen-
to di sì dotto giornale , alla di cui compilazione fui
onoratamente, ma immeritamente, chiamato; appro-*
fitto di questa circostanza onde nuova offerta umi-*
liarle, semprechè la sua approvazione possa incon-
trare. Sarebbe questa l' illustrazione d' una rara ed
annedota medaglia coniata in onore di Malatesta IV
Baglioni , soggetto ii quale nelle storie de' ponti-
ficati di Leon X e Clemente VII tiene un posto
luminoso e distinto. È pur singolare che assai, e
molti scrittori avendo parlato di lui , fu ascoso ad
ognuno un monumento, il quale per essere ezian-
dio di quel dottissimo secolo merita d' essere co-
nosciuto: e lo merita poi in un tempo in cui, nien-
te dimenticandosi che possa la storia italiana illu-
strare, con lodevole cura ed impegno si prende
eziandio a cercare studiare e sporre con dotti co-
menti la numismatica moderna non altrimenti clhe
l'antica. La mia illustrazione brevissima, tratta dal-
la vita assai copiosa che ne scrissi , 1' ho model-
lata sulla foggia della lapidaria italiana, impercioc-
ché neppur questi studi oggi si dispregiano, e le ho
dato la mtitolazìone di fasti in fronte.
Pongo fine ad uno scritto, che potrebbe averla
annojata: ma mi conforto nel pensare, ch'ella da
esso passando ai versi del Firenzuola , si ristorerà
dalla sua noja medesima; mentre io pieno di stima
f asso a nuovamente confermarle il mio rispetto,
a40 IjETTETlATtJRA
Canzone d' angiolo Firenzuola
Beir intelletto, entro del quale alberga
Sì largamente quel gran don d' Iddio,
Ch'era il lemminil ostro in quei primi anni,
Come fora mestier eh' al pensier mio
Nodosa sferza e non pietosa verga
Fella non pigri i miei timidi vanni ,
Acciò eh' insin sovra i celesti scanni,
• È d' onde s' erge il sole
E che più splender suole,
E dove han triegua i suoi più lunghi affanni,
E là 've i monti e state e primavera
Sempre han bianche le chiome.
Portasse il nome tuo mattino e sera.
Ma chi ha oggi così bello stile
Che di tant' alta impresa non paventi?
Quale isnodata lìngua ha tanto ardire.
Che presuma alle orecchie delle genti
Portare il suon dell' opre sue gentile?
Come avrò speme io mai poter venire.
Senza tema eh' io meco non m' adire,
A celebrare in carte
Di te sola una parte ?
Ma supplisca , ov' io manco , il gran desire;
E sieme almen per mio piacer concesso.
Quando eh' alcun non m' ode ,
Narrar le lode tue solo a me stesso.
£cco queir alma , che sì lungo tempo
Delle grazie del ciel stata è ricetto,
E del ben di lassù la pompa e l fregio ,
Disces* è al calle, che, ben eh' or sia stretto.
Dette la via per tutto il mondo un tempo ,
Canzoni del Firenzuola e del Faetani 24ì
E fatto ha via più chiaro il nome egregio
Dì quella, ch'entro Roma fu in tal pregio.
Che delle sue contrade
Con adirate spade
Scacciò per sì gran tempo il nome regio.
Nel cui bel seno ognor virtute nuove
Piovendo, alzano un grido:
Qui dentro è '1 nido nostro, e non altrove.
E per vietar che la terrestre gonna
Non le macchiasse il perfido tiranno ,
Che per turbar di lei la pace venne.
L'alma gentil , e per fuggirre il danno
Che mal seppe schivar Y antica donna ,
Nelle sue caste mani \ velen tenne,
E quel , per sigurtà del suo onor, fenne
Che '1 gran cartaginese
Allor che '1 nome intese
Di quei, eh' a fuggir lui bramar già penne.
Né forza ebbe '1 signor : che 1 eie! non volse ;
Oh singolare esempio !
Anzi neir empio miostro il furor volse.
Pili che mai vaga , leggiadretta , e bella
Tornò la donna poscia ; e così piacque
Anzi al cospetto del divino Amore
L' atto pudico e 1 cor là dove nacque.
Che tutto r arse con la sua facella.
Da indi in qua sol bel desìo d' onore
Si muove in essa, e d'indi a noi vien fuore
Là onde 1 dolce sguardo
Rende vii , pigro , e tardo
Qual sia rozzo pensier eh' uscir vuol fuore S
E le poche parole accorte han forza
G.A.TJX. i6
242 Letteratura
Ogni villan costume
Spegner, qual fiume picciol fuoco ammorza.
Poscia che le latine alme cortesi
Restaron , saziando le lor voglie ,
Far ricchi i templi , e de i vinti nemici
Ornar tanti trionfi, e le lor soglie
Spogliar per rivestir i lor paesi ,
JNou ebber speme mai queste pendici
Ritornar come pria liete e felici ,
JVè ristorare 1 danno
Che fea maggiore ogn' anno ,
A mal grado di noi, le sue radici:
Finché questa gentil pianta novella
Scoprìo la bella chioma ,
E te che Roma ancor spera esser bella.
Quanti ved' or per Y antico viaggio
Drizzare i passi, e girsen con costei !
Quanti s'ascoltan su per gli alti poggi
Sonare or cetre ed or cantare Orlei !
Quanti Titiri stansi , a pie d'un faggio ,
Colla sampogna lor, sonare anch' oggi
A quante piante il dolce umore appoggi !
D' Arno la bella riva ,
Ch' in un sol già fioriva ,
Veder può ognun, che a questi colli or poggi.
Come crede che Fidia e 1 grande Apelle
Dichin col viso tinto:
^' Vedi e' han vinto pur 1 opre novelle.
Non scese mai con sì celesti tempre
Anima , o di virtù sì colma unquanco.
Sorga '1 sa ella, e questi nostri regni ;
Che quando torna al cicl non ci sie almanco
Canzoni pel Firenzuola e delFaetani 243
Chi la tenghi fra noi viva mai sempre !
Destinsi adunque i più purgati ingegni,
E in stile uguale a' fatti egregi e degni.
Con dolce onesta gara.
La bella donna e rara
Farsi immortai ognun di lor s'ingegni:
E tal la mostri V incude e 1 martello
. . . •. • ; - . O
Come casto fu mai corpo sì bello.
Canzon, s' io ti vedessi
Esser più. eh' altra dar lode a costei ,
Di cui uomihi e dei
Non vider mai né vederanno anch' altra.
Forse eh' io ti direi: raddoppia '1 stile;
Ma , sendo vile assai,
JMiglior farai tacer povera e umile.
Canzone di fra Janmatteo Faetani d Arimino
nella morte dell Ariosto^ al signor
Ercole da Este.
Ercol, spietata morte oggi ne ha tolto
Il maggior uom che mai vergasse carte .
E piagato di doglia a tutti il cuore:
Io '1 posso dir, che n' ho lagrime sparte,
E sospirato le parole e 1 volto
Che del mondo stordito era V onore.
Benché, malgrado suo , vedrassi fuore
Del sepolcro ir pascendo mille ingegni ,
Che dopo lunga età vedran la terra ,
D' amor di gelosia d' arme e di guerra:
(*) M»nca un verso » e nel codice v' è il vacuo d'una riga.
l6'
a44 Letteratura.
E tra que' che quaggiù son chiari e degni
Vedrà molto più regni
Che non fé' , su V alato e bel destriero
D' Atlante, il vostro ardito e gran Ruggiero.
Da Marocco al Catai , da Borea ali* Ostro ,
Di scrittor in scrittor, di grido in grido.
Veggio 1 bel nome andar carco di piume.
E , poi che di se pieno avrà ogni lido ,
Restarne in fregio via più che 1' ostro;
]Nè fia fuoco né età che le consume;
Quasi un bel sol , eh' ogni intelleto allume ,
E scopre rose gigli e verdi fronde
Sul Po quant' è sul mezzo, o in riva d'Arno;
Talché gelo crudel tenterà indarno
Spogliar le rugiadose altiere sponde ,
E turbar le belle onde
Che del figlio del Sol bagnano 1' ossa ,
E alla nostra città fanno ampia fossa.
Onde tempo verrà , che ognun che arrivi
Sotto le mmacciate ed alte mura ,
Felice voi dirà d' un parto tale :
Che questo gran miracol di natura ,
Che sfrondò lauri , mirti , edre , ed olivi ,
Qui prese quel che in voi lasciò mortale.
Poich' ebbe agli onorati omeri 1' ale.
Che già figurò qui quel primo cigno
Che , di potente re , divenne augello ;
Quindi prese le penne , e tutto bello
Vinse r invidia e ogni rumor maligno ,
E tanto ebbe benigno
Il cielo , eh' insegnò fino a le piante
Le battaglie di Cano e d' Agramante.
Canzoni del Firenzuola k del FAETAin ^45
Talché con Tugne verdi e fuor dei balli
Corser le semplicette verginelle ,
Concie intorno le trecce a mille fiori.
Per sentire iterar tra le mirtelle ,
E fra tutte le ripe e fra i cristalli ,
Le donne i cavalier V armi gli amori.
Qua s'alzavan le gregge sopra i tori
Per udir tutto il suon , tutto il concento :
Là rotando passava il Sol più basso :
Quei senz' altro pensier pendea da un sasso ,
O appoggiavasi a un tronco , tutto intento ;
Stavausi 1' acque e 'I vento
E le fronde e gli augei , mentre s' udia
De le vostre virtù 1' alta armonìa.
Or se al mondo insensato , che mal viv«
E mal scorge virtù , piacque qui tanto
Mentre squarciò tutto a la lingua T gelo,
Qual puote esser di lui stima nel santo
Coro, ove l' inventrice delle sagre olive (i)
Ed u' Febo l'ascolta e tutto '1 cielo ?
Certo sempre desìo , sempre alto zelo
Di por fra quella turba , tanto ingorda
D' udir quel che già i vostri potè porre
Lassù dal fango , or che farà se sciorre
Vorrà quel che non fé' fra gente sorda ?•
Altro stile altra corda
A le squallide ripe d' Acheronte
Farà sentirne grido a Rodomonte.
Non fia più che di pallide viole ,
O pur di quella fronde , che da 1' ira
(i) Cosi nel codice. M* quel sa^re è fors» di più-
:ìj^Q ' Letteratura
Del fulminar di Giove ognun difende ,
I capei d' oro e la dorata lira
S'orni, (i) ma un h^ggiadro e vivo sole
Che molto più che il nostro avanza e splende .
Là si trarran quei grandi , a cui non fende
Morte la chiara fama , ancor che '1 resto
Tronchi e guasti a suo modo, e gli anni e '1 viso;
Indi su le gran stelle in paradiso,
E più vicini al nobil canto onesto
E gli atti e ogni suo gesto ,
Staran chiari ed illustri appo 1 bel raggio
Carlo, Orlando, Kuggier , Guidon Selvaggio.
Onde se meritar grido ed alloro
Quei eh' alle lor citlà dier manco fregio.
Che sarà di costui che 1 mondo inaura?
Vedrassi, in ógni luogo di più pregio
Di finissimo marmo e di fin' oro
La bella imraagin sua drizzata all' aura ,
Talché né mar di Scizia od onda Maura
Bagnerà cosa sì , superba e vaga.
E in maggior sua memoria il Po già mena
II ricco elettro e la dorata arena
Ove l'onda che frage il sito allaga,
Ferito d' aspra piaga ,
Che fu io più onor ch'i rivi d' Elicona ,
Sentendo onorar tanto Este e Dordona.
Benché non sarà mai , che fra i due colli
Suir alba al mezzo giorno e ver la sera
Non s'oda in lode sua qualche bel verso.
Che in parte allenterà la pena fera
(x) Deve dire : imi iViiii le^^iudro^
Canzoni del Firenzuola e del Faetani z^'J
Cìì entro ne rode , e fa umidi e molli
Gli occhi per la pietade a T universo.
Ond' oggi fra le lagrime è sommerso
Il piacere e le grazie e 1 rìso e 1 giuoco :
Oggi perde la terra ogni bellezza :
Oggi al fìgliuol d' Alfonso il dolor spezza
Il petto , e n' escon fuor sospir di fuoco,
E la luce e ogni luoco
Ha in odio , e pensa sol d' entrar volando
Ove ha il sangue d'Ettor con quel d'Orlando»
Anima benedetta , per quel dolce
Amor che mi portasti in vita , accetta
Tutto questo mio pianto e questi versi.
Ch'altri già in onor tuo fior gialli e persi
Al tuo sepolcro ed al tuo tempio assetta ;
Anima benedetta,
Ch' or più contenta e in miglior stanza vivi «
E malgrado di morte canti e scrivi»
Z)elle Opere di Q. Orazio Fiacco , recate in versi
italiani da Tommaso Gargallo , stampate in Na"
poli nel 1820 nella stamperia reale.
SECONDO ESTRATTO
,À,
.llorchè parlammo del proemio di questa tra-*
duzione fu accennato il metodo seguito dall' au-
tore nel tradurre , e come egli siasi studiato di tra-
sportare nella nostra lingua i versi di Orazio , schi-
vando la servilità di rendere parola a parola , e fa-
cendosi padrone del sentimento dell' originale , ondo
vestirlo di equivalenti frasi , quando il nostro idio-
a45 Letteratura
ma non ne ha corrispondenti alle latine . Egli ha
cercato allora di servirsi delle espressioni stesse di
cui avrebbe fatto uso il poeta , se in italiano aves-
se scritto .
Ha cambiato l'autore nelle odi i metri , adot-
tando a vicenda i più corrispondenti ai latini o per
la fluidità , o per V elevazione , o per la robu-
stezza .
Sono veramente ingegnosissime le sue osserva-
zioni sopra r animo di Orazio , e sui motivi che
lo costringeano , per adattarsi ai tempi ed alle cir-
costanze , di addottar modi delicali e pregevoli , e
piegarsi alquanto alia cortigianesca adulazione . La
sua sort'j dipendeva dai grandi , ed ai grandi erasi
egli dedicato per rendere ali" ombra loro felice la
sua esistenza .
Non potiemmo seguire tutte le note , di cui
egli ha ornato ogni componimento oraziano , ora
riguardanti il gusto della poesia , ora la forza dell
esprp«>si(ìne , ora l allusione al costume . Ci si per-
metta però di rilevare il pregio di alcuna di
esse .
JVeir ode 2^ del i libro , esponendo ai suoi
leggitori le antiche leggi de conviti , e 1 ordine con
cui orano forzati a bere i convitati , toglie l'epiteto
selcerò al vino di Falerno , cui era stato finora ma-
le applicato, e Io rivolge ai commensali, che se-
veri neir esecuzione della legge de' conviti forza-
vano il poeta a bere .
Nello slesso libro 1 all' ode Sa egli non fa
che cambiare Tortograiìca punteggiatura, e con ciò
rende chiarissimo quel verso che parca tanto oscu-
ro , e fa che ragionevolmente il poeta esprima alla
cetra il suo desiderio , che si accinga a cantare cose
più sublimi .
Orazio tradotto dal Gargallo sj^g
Anche r ode 35 alla Fortuna è con chiarezza
e verità al suo vero senso ridotta , e separando i
sentimenti , e distinguendo la narrazione del poeta
dair implorazione, rende tacile ad intendersi il com-
ponimento , e totalmente coerente ai senlimenti ,
che sempre trionfano ne' versi oraziani .
Nel libro 2. non è sfuggita all' annotatore 1' o-
de 7 che parla della- fuga d' Orazio , abbandonato
lo scudo . Rileva pur troppo con verità quanto sie-
no distantì fra loro il valore poetico ed il milita-
re , e poi discopre una delicata ironia nell' invito
che fa Orazio a Pompeo Grosfio , perchè venga a
riposare all' ombra dell' alloro .
Con giustissime animadversioni ha esaminato
l'ode ly , in cui Orazio con tenerezza , e con una
certa quasi confidenza , si esprime verso Mecenate
sulla durata de' loro giorni . In verità quest'ode mo-
stra r estrema finezza d' ingegno onde Orazio era for-
nito , e come sapea mescolare per piacere al suo
signore, espressioni delicate , rispettose , amichevo-
li , e proprie ad allacciare 1' animo di esso .
Ma, non volendo, troppo ci diffondiamo sopra
le parti di un lavoro che deve leggersi intero .
Terminiamo col dar saggio delle traduzioni stesse,
protestando di non aver fatto veruna scelta , e so-
lo aver preferito alcuna per la brevità .
LiB. I. Ode V.
J Pirra .
Sparso di liquide gomme odorose
Sotto fresc'antro , Pirra , qual giovint
Ti avvince tenero tra folte rose ?
Linda , ma semplice , il crine aurat©
aSo Lette RATU HA
Dell ! per chi annodi ? Ahi quante lagrime
La fé volubile , il ciel cangiato
Gli farà spargere ! Da' negri venti
Oh come a un tratto cort ciglio attonito
Vedrà sconvolgersi V onde frementi ^
Chi gode or credulo te d' auree tempere
JNè avvezzo a V aure malfide , e libera
Sempre , ed amabile te spera sempre !
Mal per que' miseri ^ cui tu sorprendi ,
JVuovo cimento , con quelle grazie ,
Onde qual folgore abbagli e accendi !
Mie vestì naufraghe mostra dal nuoto
Sul sacro muro dipinta tavola ,
Al Dio del pelago appesa in voto .
LlB. I.
Satira settima .
Qual de la tabe del proscritto Rege
Rupilio , e del velen T ibrida Persio ,
Trasse vendetta , io credo ornai che tutti
Gli scerpellati ed i baibier lo sanno .
Egli avea questo Persio , uom facoltoso ,
Gran traffichi in Clazomene , e col Rege
Moleste liti : era caparbio , e tale ,
Che nel livor lo stesso Re vincea .
Prosuntuoso inoltre , pien di se ,
Mordace si, che precedea con b'ianchi
Corsier trionfator Barri e Sisenna .
Torniamo a Re . Vistosi alfin che in nulla
Entrambi convenian ( giacche non altro
Dritto gli uomini han mai d' esser molesti ,
Che in quanto essi son forti , alior che avvenga
Ostil pugna fra lor: ne capitale
Orazio tradotto dal Gargallo :i5i
Odio , cui sol r estremo fiato estinse ,
Già per altra cagion arse fra Ettorre
A Priamo figlio , e V animoso Achille ,
Che sommo perchè in ambi era il valore.
Ma due codardi se discordia aizzi ,
O se fra due , come fra ì licio Glauco
E Tidide , non pari arda contesa ,
Del campo esce il più pigro, e sin previene '
Con doni Y avversario ) , essendo Bruto
Pretor de V Asia doviziosa , a 1' arme
Scende di Persio e Rupilo la coppia , ' ' •
Sì egual , che non poria meglio assortito *' '
Dirsi Bacchia a Biton : corrono ardenti *'^-^
In tribunal , spetlacòl fiero ! entrambi.
Persio la causa espone : un generale
S' ode ne l assemblea scroscio di rìsa .
Dà lodi a Bruto i lodi a la coorte;
Appella Bruto sol de T Asia , e appella
Tante stelle benefiche i compagni;
Toltone Re . Quel sirio cane apparso
De la terra a' cultor astro maligno ,
Traboccava il suo dir, come torrente.
Ove rara la scure i colpi addoppia .
A r avversario allor , lingua tabana
Garrula troppo , il Prenestin le ingiurie.
Quasi da la sua pergola , ritorce .
Provano egli è vendemmiatore invitto ,
Cui spesso avria ceduto il viandante.
Alto gridando sol : cuculo , canta .
Ma il greco Persio al fin , quando sentissi
Stropicciato ben ben d' italo aceto ;
Pe' sommi numi , esclama , o tu , che suoli
Esterminare i re , Bruto , ti prego :
A strozzar questo Re , che tardi ancora ?
Degn« , il evedi , d'un Bruto impresa è questa.
^5a LlTTIRÀTUHA
LIB: I.
EPISTOLA III.
A Giulio Floro.
Floro , in qual terra militi d'Augusto
Claudio privigno , io di saper anelo .
La Tracia forse , e di nevosi ceppi
Avvinto r Ebro , o il mar , che mugge stretta
Fra le vicine torri , or vi ritiene ,
O i colli d' Asia , ed i ferraci campi ?
Quai medita lavori or la coorte
Sacra a le muse ? E questo ancor mi cale.
Chi d'Augusto le gesta a scriver prende ?
Chi le guerre , e le paci al corso eterno
Regger farà degli anni ? In che si adopra
Tizio , che in breve udrà volar suo nome
Per le romulee bocche ; ei , che a gran sorsi
Ber di Pindaro al fonte , immoto in viso ,
Laghi sdegnando e aperti rivi , ardio ?
Qual ha vigor ? Qual ha di noi memoria ?
Modi adattar tebahi a latin plettro ,
Auspice Clio, s'ingegna ; o del pugnale
Di Melpomene armato infuria e tuona ?
Di che si occupa Celso , egli ammonito <,
E da ammonirsi assai , perchè si giovi
Di sue dovizie , e non toccar que' libri
Osi , che accolse il palatino Apollo ;
Onde sue piume un dì se mai 1' alato
Gregge a ripeter vien , cornacchia , ignuda
De' furtivi color , non desti il riso ?
Dove tu stesso drizzi il voi ? Intorno
A quai timi volteggi agii su l'ale ?
INon tenue e incullo ingegno, e informe ed irto
Orazio tradotto dal Gargallo a55
Sortisti . O vibri acuta lingua in foro ,
O li civil dritto a interpetrar ti accigni ,
O i carmi amor ti detta ; i serti primi
D' edera vincitrice al crin ti attendi .
Che se stracciar i gelidi fomenti
De le cure potessi ; ove t' è guida
Sofia, per Tetra batteresti il volo.
Qua accorrer , qui a sudar grandi e plebei
Amor di patria , e di noi stessi ajffretta ,
Viver se amiam cari a la patria , e a noi .
Dei rescrivermi ancor, se, qual conviensi.
Caro ornai t' è Munazio, o mal commessa
Concordia or si combacia, or si rescinde;
' E aizza voi, feroci per non doma
Cervice, o caldo sangue, o età inesperta.
Degni non mai di rompere il fraterno
Nodo, ovunque viviate, una giovenca
Pascesi al vostro ritornar votiva.
G. Gherardo de Rossi
Della forza delV eloquenza nella poesia •
( Continuazione e fine dell' estratto )
I j ultimo sorprendente sforzo dell' umana elo-
quenza è r augurarsi che fa la reina un piccola
Enea che gli scherzi d' intorno , e che al genitore
somigli; di che tale avrebbe una gioja da credersi
non al tutto abbandonata.
„ Saltem si qua mihi de te suscepta fuisset
„ Ante fugam saboles; si quis mihi parvulus aula
„ Luderet Aeneas, qui te tamen ore referret;
„ Non equidem omnino capta ac deserta viderer.
^54 I^ ^ T T fi R A T U R A
Sì diede egli vìnto Enea ad un tanto parlare?
Mai no. Dunque, diva taluno, qual forza ebbe qui
r eloquenza ? Grandissima , rispondo io , quanta
avere ne dovea a fine che trionfasse la somma pie-
tà di Enea nel sommo contrasto della passione.
Volle qui Virgilio qual filosolo morale ì^nmaestrar
l'uomo, che non v'ha ragione, non afr(4io, non
pianto che servire gli posija di scusa dall'adompiere
la volontà del cielo. Niuna mostra di se avrebbe fat-
to la virtù di Enea, se fosse §tal^ lieve l'obbedien-
za agli dei. L'eloquenza pertaiito in questo luogo
adoperata da Virgilio debbe couvincere chi ascol-
ta, o legge il discorso della reina; ma non il pio
Enea , il quale ppr non esser vinto tenne sempre
fisso il pensiero ne' comandi di Giove; soffocanda
r acerbo dolore di abbandonar la reina, e di veder-
la in tanta desolazione.
„ Dixerat. lUe lovis monitis inmota tencbat
„ Lumina, et obnixus curam sub corde premebat.
Virgilio, conoscitore perfetto del cuore umano,
non acconsentì che il suo eroe mirasse giammai in
volto la reina , o pronunciasse parola che ravvi-
var potesse r amorosa fiamma . Sì 1' una che T al-
tra cosa era piena di pericolo .
JNfon sì tosto Bidone ristossi di dire , che il
duce trojano gravemente rispose : che non porreb-
be mai in dimenticanza i reali beneficj ; eh' egli
non pensò mai a partire di nascosto ; e che non
recossi in Cartagine per contraivi nozze .
,, Tandem panca refert : Ego te , quae plurima fando
„ Enumerare vales , nunquam , reina , negabo
„ Promeritam ^ nec me meminisse pigebit Elisae ,
Eloquenza nella Poesia a55
„ Dum memor ipse mei,dum spiritus hos regit artus.
„ Prore paucaloquar. Néque ego hanc abscondere
„ furto
„ Speravi , ne finge , fugam; nec conjugis umquam
,, Praetendi taedas , aut haec in foedera veni.
E perchè la reina al tutto disperasse di averlo
consorte , le dice , che non potendo egli render pa-
go il suo desiderio di riedificare Trojà , e dovendo
approdare in Italia, questa era la Sita patria, que-
sta il sdlo oggetto dell' amor suo .
,, Me si fata nieis paterentur ducere vita ni
,, Auspiciis , et spontc mea componere curas :
„ Vrbem troianam primum dulcisque meorum
„ Reliquias colerem; Prìami tecta alta manerent ,
„ Et recidiva mano po»uissem Pergàma victis .
„ Sed nunc Italiani magnam Gryneus Apollo ,
,, Italiani lyciae iussere capessere sortes .
,, Hic amor, haec patria est.
Quanta forza ? Quanto affetto in queste ultime
espressioni ì
Prende in seguito Enea a giustifi(iare la sua
risoluzione , allegando i sogni , i comandi , le ap-
pariizioni , i doveri verso Ascanio che lo affretta-
vano a partire ,
11 Si te Garthaginis arces
„ Phoenissam , libyciaeque adspectus detinet urbis r
„ Quae tandem , Ausonia teucros considere terra ^
„ Invidia est? et nos fas extera qnaerere regna.
„ Me patris Anchisae, quoties humehtibus umbris
„ Nox operit terras , quoties astra ignea surgunt,
„ Admonet in somnis et turbida terret imago .
„ Me puer Ascanius , capitisque iniuria cari ,
a56 Letteratura
„ Quem regno Hesperiae fraudo ,et fatallbus arvis.
,. Nunc etiam interpres divom, love missus ab ipso,
,, (Tester utruraque caput) celeris mandata per aura»
„ Detulit . Ipse deum manifesto in luniine vidi
„ lutrantem muros, vocemque bis auribus bausi.
Termina Enea persuadendo la reina a non esa-
cerbare il mutuo dolore co' suoi lamenti, percbè do-
vendo egli partire non per sua volontà , ma per
quella degli dei , non meritava rimproveri .
,, Desine meque tuis incendere teque querelis ;
„ Italiam non sponte sequor
La reina , allorcbè il duce ragionava , ardeva
di sdegno ; ed ora lo guatava biecamenle , ed ora
volgeva gli ocelli irrequieti in giro per ogni dove ;
come sogliono coloro cbe reprimono la rabbia fin-
che sono costretti a tacere .
„ Talia dicentem iamdudum aversa tuetur ,
,, Huc illuc volvens oculos , totumque pererrat
„ Luminibus tacitis , et sic adcensa profatur :
Lasciato eh' ebbe Enea dì favellare , la reina ,
in cui pila assai della religione poteva V amore ,
più non pensò che a vilipenderlo ; che a rinfacciar-
gli la sua ingratitudine ; che a dinegargli ogni fe-
de ; che a scagliargli contro imprecazioni ; che a pa-
lesargli sentimenti di vendetta .
Cominciò dal contrastargli V origine umana ,
nonché la divina ; affermando eh' egli era figliuolo
del Caucaso , ed allattato dalle tigri .
Eloquenza nella. Poesia aS^
,, Nec tibi diva parens , generis nec Dardanus au-
„ ctor,
„ Perfide ; sed duris genuit te cautibiis onens
,, Caucasus, hyrcanaeque admorunt ubera tigres.
Di che rende di presente la ragione nella perfidia
di Enea , giunta al segno da non poterne essere al-
tra maggiore , che la rattenga dall' ingiuriarlo .
„ Nam quid disimulo? Autquae me ad majora re^-
,, servo?
E quasi temesse di eccedere nell' ingiuriare il
traditore, la coraggio a se stessa, considerando ch'egli
punto non si commosse ai suoi gemiti, al suo pian-
to; e parla di lui presente come di terza persona
lontana.
„ JYum fletu ingemuit nostro? Num lumina flexit ?
„ JNum lacrimas victus dedit,autmiseratus amantem
est ?
il
Poi interrompe all'improvviso il suo discorso ,
persuasa che tutte sieno eccessive le sceleratezze, e
tutte per ugual modo in odio a Giunone ed a Gio-
ve; onde non sia d'uopo di cominciare dalle mino-
ri per salire alle più detestabili.
„ Quae quibus anteferara ? Jam, jam , nec maxum?»
„ Juno ,
„ Nec Saturnius hacc oculis pater adspicit aequis.
Indi ritorna a ciò che lasciato avea per rinfac-
ciare ad Enea la tradita fede, e la sua ingratitudi^
ne ai ricevuti benefizi.
G.A.T.IX, 17
^5& Letteratura
„ Nusqiiam tuia fides. Eiectum litore, egentem
„ Excepi, et regni demeiis in parte locavi ;
,, Amissam classem, socios, a morte reduxi.
Interrompe la reina di nuovo il suo parlare,scla-»
ynando di sentirsi invasa dalle furie:
„ Heu furiis incensa feror ! , , .
Passa in seguito a mettere in novelle le appa-'
yizioni e le sorti vantate da Enea-.
„ Nunc augur Apollo,
,, Nunc lyciae sortes, nunc et Jove missus ab iO
,, Interpres divom fert horrida iussa per auras.
Sino a lasciarsi trasportare dall'impeto della passio-
ne air empietà, negando la divina provvidenza.
„ Scilicet is superis labor est: ea cura quietos
„ Sollicitat
Cadde in questa orribile empietà anche Filode-
pio ; ma Sellano , dimenticando di esser satirico «
gli chiuse la bocca da oratore e da filosofo in isti-»
le di poeta epico:
,, Vivit, io, Deus: et quamquam sis perditus amens,
„ Non tamen ex animo poteris divellere numen ,
„ Cognatum . Quodcunque vides , quodcunque mo-
„ \etur
„ Est Deus; et grandi vestitur imagine mundus.
,, Audi: quid cerio redeuntia sidera gyro,
„ Et verni flores , et laeto murmure rivi,
,, Et quaecunque virens agitatur /latibus arbor,
Eloquenza nella Poesia aSp
,, Quldnobis, muto quamvis sermone, loquuntur?
,, Si nescis, clamant: non est haec machina casus
„ Fortuiti ; aeterna sed fluxit condita mente,
„ Factorisque sui surdis niiracula narrat.
Torno in carriera. Cessa la reìna di parlare in
terza persona, e si volge ancora ad Enea per dar-
gli una mentita, per dichiararlo indegno di risposta,
per imprecargli funesta navigazione, per minacciar-
gli vendetta, per manifestargli la sua gioja quando
neir Averno avrà notizia de' disastri da lui sofferti.
„ Neque te teneo , neque dieta refello.
,, I, sequere ftaliam ventis; pete regna per undas.
„ Spero equidem mediis,si quid pianumina possunt.
( Chi spiega la mente di chi è in balia di cieca pas-
sione ? Colei che poco stante negò la Provviden-
za «— Scilicet is superis labor est ec ■ — • ora la dà
per sicura )
,, Supplicia hausurum scopulìs, et nomine Dido
„ Saepe vocaturum. Sequar alris ignibus absens ;
„ Et, quura frigida mors anima seduxerit artus ,
,, Omnibus umbra locis adero.Dabis,improbe,poenas.
„ Audiam;et haec manis_ veniet railii fama sub imos,
L'agitazione di questo discorso fa testimonian-
za dell'agitazione della reina. Quando l'animo è in
disordine egli è impossibile che il parlare sia ordi-
nato. Francesco Petrarca nella canzone — -Che deb-
„ bo far ? Che mi consigli , amore ? r — Parla pri-
ma con amore, poi col mondo, poi con se stesso,
poi alle donne che conobbero la sua Laura, poi tor-
na ad amore.
«7*
aCo Letterat ura
T^erzo esempio nel secondo colloquiojta la rein»
e la sorella Anna.
La reina , spento il furore di che arse , vide
la flotta trojana pronta alla vela. A tal vista
„ ]N e quid inexpertum frustra moritura relinquat,
lia un secondo abboccamento pieno di artifizio con
la sorella; e , per indurla a parlare in suo favore ad
Enea, afferma che il perfido lei sola rispetta , che
in lei sola tutta ripone la sua confidenza, e che es-
sa soltanto sa le vie del suo cuore, e conosce il
tempo opportuno di parlargli per impetrar grazia.
„ Solam nam perCdus ille
„ Te colere, arcanos etiam tibi credere sensus;
„ Sola viri mollis aditus, et tempora noras.
„ I, soror , atque hostem supplex adfare superburri.
La reina è convinta che Enea sia un perfido ,
ma lo ama non pertanto. Terribile slato di amante
luor di senno, che la perfidia conosce dell' oggetto
amato , e non sa disprezzarlo !
Due cose singolarmente danno coraggio a chie-
der grazia. Ciò sono, che il chieditorc non abbia al-
cun demerito presso la persona che può esaudirlo,
e che onesta sia la preghiera. Ambedue si espongo-
no dalla reina : la prima ne' versi :
„ Non ego cum danais trojanam exscindere gentem
„ Aulide iuravi, classemve ad Pergama misi,
„ iS'cc patris Anchisae cinerem manisve revelli:
^, Cur mea dieta ncgat duras demittere in auris?
Si
Eloquenza nella Poesia 361
L'altra ne' versi :
Quoruìt?extreniuin hoc miseraedet miinus amanti:
Expectet facilemque fugam, ventosque ferentis.
Non iam conili giù m antiquum, quoti prodidit, oro;
]\ec palerò ut Latio careat,regnumque relinquat:
Tempus inane peto, requiem spatiumque furori;
Bum jnea me victam doceat furtuna dolere.
L' arte oratoria è qui spinta al grado più ele-
vato . La reina commette alla sorella di domandar
^d. Enea due grazie, la prima per lo stesso Enea,
r altra per lei. Per Enea, che aspetti i venti pro-
pizj; per lei che le accordi breve tempo, che agio
le dia di cangiar il furore in affanno. Evvi pure
grande artifizio nel rammentare ad Enea la tradita
fede neir atto stesso di protestare che non lo prega
a mantenerla! Ciò che segue è diretto a risvegliare
neir animo della sorella tutta la compassione.
„ Extremum liane oro veniam ( miserere sororis ):
'4^ Quam mihi dederis cumulatam morte remittam.
Anna, udito ciò, eorse senza dir motto ad Enea,
a cui fece più volte ritorno, portando sempre la
(disgustosa risposta di nuova ripulsa.
Vr Talibus orabat, talisque miserrima fletus
91 Fertque refertque soror. Sed nuUis ille movetup
„ Fletibus, aut voces ullas tractabilis audit;
„ Fata obstant,placidasque viri deus obstruit anris.
Tanto è vero che anche i gentili tenevano per fermo
non poter V uomo operare virtuosamente, ss non
assistito da Dio. .
aGa Lettjkrat u r a
Le ripetute ripulse di Enea furono altrettanti
argomenti dell' invitta sua religione, e della sua per-
severanza nella massima di adempiere ad ogni costo
il volere degli dei : paragonato quindi nobilmente
dal poeta ad annosa quercia robusta agitata dal fu-
ribondo Borea su la vetta delle Alpi. La compara-
zione è viva in guisa, che ti sembra di udire lo spa-
ventoso sibilo prodotto dall'impetuoso vento; dì ve<-
dere una nube di frondi che , divelte da mille ra-
mi e sparse per l'aere , nascondono il sole; ed il
piegare e ripiegare de' rami stessi; rimanendo non
pertanto sempre saldo , e sempre immobile il ro-
busto tronco, sicuro nelle profonde radici che si
«distendono fino alle viscere della terra.
„ Ac vielut annoso valldam quum robore quercum
,, Alpini Borae nunc bine nunc flatibus illinc
,, Kruere inter se certant: it stridor; et alte
,, Gosternunt terranì concusso stipite frondes;
„ Ipsa baeret scopulis; et, quantum vertice ad auras
„ Aetherias, tantum radice in tartara tendit:
„ Haud secus adsiduis bine atque bine vocibus liero»
„ Tunditur, et magno persentit pectore curas.
,, Mens inmota manet; lacrimae volvuntur inanes.
Intento l'illustre poeta a far sì, che sempre
rlsplenda di chiarissima luce la eroica virtù di Enea,
ne palesò i gemiti, e le amorose ambasce per la sua
Didone, nel tempo stesso che cecamente obbediva
agli dii ^iK 'ó()ó.
„ At plus Aeneas, quamquam lenire dolcntem
„ Solando cupit, et dictis avertere curas;
„ Multa gemens,raagnoque animura labclactus amore.
„ Jussa taraen divom cxequitur , ciassemque revisit.
Eloquenza nella Poesia 263
Dov'è quel poeta che , dopo il riferito ultimo
discórso della reina, non avesse trattenuto la sorel-
la a dirle qualche parola eli conforto, ed a promet-
terle di compiacerla con ogni maniera di uffizi pres-
so Enea ? Ma Virgilio ben vide che Ogni remora
sarebbe rincresciuta all'amante reina pel tixTiore che
frattanto Enea non isciogliesse le Vele; perciò in-
dusse la reina ad esprimersi coti tanta eloquenza j
da obbligare Anna a partire nell' istante, senza aprif
Bocca.
I pochi tratti da me comentati lasciano dub-
bio se Virgilio , oltre ad essere sì gran poeta , fos-
se ancora od oratore più eloquente, o filosofo piii
profondo.
Vincenzo Bernì bEGti Anton*
Frammenti di fasti consolari e trionfali ultimamen-^
te scoperti nel foro romano e altrove , ora riuni-
ti dalt avvocato Carlo Fea^ commissario delle anti-
chità^ Roma presso Bourliè 1820. in \f * difac-*
ce i54 in tutto -^ con tavole in ramd
N.
iuno ignora quanto rumore sì menasse per l'Eu-
ropa nel mezzo secolo XVI pel ritrovamento di quel-
li antichi marmi, ne' quali efaUo scritti i magistra-
ti ed i triofatori romani. E quanto vantaggio iie ri-
cevessero i buoni studj si fa chiaro a chiunque vo-
glia confrontare la parte delle storie corrette per que*
tnonumenti, con quella che raanCa tuttora di lumi
uguali. Rinvenuti que' sassi nel foro per opera del
cardinale Alessandro Farnese, furono da questo do-
nati al senato che li allogò nel Campidoglio; d'on-
a04 Letteratura
de gii venne il nome di fasti capitolini. Quella di-
scoperta però, non saziava, aguzzava le voglie de'
letterati, perchè troppa parte ne mancava. E il ri-
trovamento di un altro pezzo delle tavole trionfali
presso alle radici delTEsquilie, avvenuto pochi an-
ni .appresso ( nel i5G3 ), bastò a nutrire la speran-
za di futura discoperta. Questa rinverdì dopo oltre
due secoli e mezzo, quando nel j8iG molti altri pez-
zi furono estratti da una cava nel foro . Il che ve-
nuto a cognizione dell' accademia archeologica , que-
sta fu sollecita a deputare il chiarissimo sig. Barto-
lomeo Borghesi s acciò prendesse cura di que' mo-
numenti , de' quali ha somma e celebrata perizia .
Ciò fu posto ad effetto senza indugio per quelfin-
defesso letterato, che lesse la sua dissertazione non
inolti giorni dopo lo scuoprimento de' marmi; ed
ognuno ha per le mani la prima parte che ne pub-
})licò in Milano sin dal 1818. Ora questi stessi fram-
menti ( preoccupata la seconda parte della illustra-
zione del Borghesi ) ha raccolti il eh. Fea nell'ope-
ra di che abbiamo tolto a ragionare. E principian-
do colle parole stesse di lui alla faccia CXXV del
libro, diremo che esso: „ È divìso in due parti, ol-
„ tre la dedica che può considerarsi come parte del-
„ la prefazione. La prefazione contiene la storia dei
,, fasti capitolini antichi e nuovi senza alcun co-
„ menlario. Vien dopo un giusto comentario a mol-
,, te iscrizioni in marmo contenenti per lo più con-
„ solati in ordine di tempo ; molte inedite ; altre
,, corrette. Sieguouo le note ed osservazioni a piiì
,, bolli di mattone che portano il consolato. La spie-
,, gazione delle quattro tavole in rame chiude que-
,, sta prima parte dell'opera \ che nella stampa por-
„ ta numerazione romana dalla pag. I alla pag.cxxv.
-, La seconda parte è numerata con cifre arabiche
Fasti consolari e trionfali 265
„ dall' I al iS. Contiene i.° i nuovi frammenti dei
„ fasti , ai quali va unito il Kircheriano : 2° il
„ frammento dei fasti colocclaiii ^ ed altre iscrizio-
,, ni edite e inedite col consolato : 3.° le figuline. Il
„ tutto interessa non solo i fasti; ma la storia an-
„ tìca romana ; e molto la topografia della città, e
„ varie delle sue più nobili fabbriche antiche. „ Noi
però non staremo contenti a così brevi parole: sti-
mando degno il lavoro di essere più minutamente
considerato. Diremo brevemente deWu prefazione-, poi
esamineremo le iscrizioni comprese nella pi ima parte
e nella seconda. Seguiteremo con alcuna osservazio-
ne suir appendice ., e suìh^ Ji gul/fie . Faremo parola
da ultimo delle rimanenti iscrizioni sparse nell'ope-
ra, e delle tavole che l'adornano- Non toccheremo
le quistioni che hanno rapporto alla topogr(ifia di
Jìoma; le quali volentieri lasciamo ad altri.
§ I. Incomincia la prefazione con la storia del-
la antica e nuova scoperta de marmi capitolini. De'
primi indica il N. A. gli editori , ed i comentarj
che se ne hanno in istampe : de' secondi narra il
modo pel quale tornarono come a nuova vita pres-
so il tempio di Castore e Polluce. E propone una
congettura circa il .luogo , in cui anticamente furo-
no allogati questi marmi. La vicinanza del tempio
de' Dioscuri lo indurrebbe a sospettare che si leg-
gessero affissi alle mura esterne di esso : ma il rac-
conto che abbiamo da Pirro Ligorio del primo ri-
trovamento, e la forma dei marmi ultimamente tro-
vati nel dissuadono. Ligorio chiaramente scrisse ap-«
partenere i l'asti ad un Giano qiiadrijronte-. ed il N.A.
avvalora quella asserzione, citando a proposito mol-
te testimonianze di antichi scrittori. Passa quindi
a ricercare l'epoca della incisione de' l'asti. France-»
SCO Bianchini, ed altri assai, li stimarono opera d$'
a66 Letteratura
tempi di Augusto. Con essi conviene il Fea , ag-
giugnendo due osservazioni che sembrano avvalo-
rare quella sentenza . I fasti giungono sino agli
ultimi anni dell'impero di Augusto: onde è da cr&-
dere che non prima di questa epoca fossero stati
sculti. E non dopo : per quelTaltra osservazione del
nominato Bianchini, convalidata dal primo illustrato-
re archeologo: cioè, che ne' luoghi ne' quali in que-
ste tavole era segnato il nome di M. Antonio , si
vede essere stato quel nome prima cancellato e poi
riscritto. L'epoca della riscrizione non è certa. È pe-
rò probabile che avvennisse sotto Claudio: il qua-
le sappiamo da Sv ctonio quanto onorasse la memo-
ria del triumviro suo avolo. Quella della cancella-
zione accadde nel 724 di Roma; quando il senato
ne promulgò decreto ad istanza del figliuolo di Ci-
cerone, che fu consolo surrogato in quest' anno. Se
dunque que' nomi furono scarpellati nel 724 -. chi
non vede che i marmi contano un' epoca anterio-
re ? Né qui si ferma il N.A. , ma cerca altri argo-
menti, desumendoli dal marmo ancirano e da Orazio-
Che se Augusto ebbe il merito d' innalzare o
restaurare questo Giano espressamente per allogarvi
i fasti, forse il progetto, secondo l'A.N. , non fu il
Suo. Certo poi si servì dell' opera altrui per com-
pilarli. Stefano Vìnando Pighio congetturò, che quel
Ibrtunato pacificatore del mondo approfittasse a que-
sto fare delle molte cognizioni di Tito Pomponio
Attico: e nella sentenza del Pighio scende volentie-
ri il eh. A., adducendo alcune testimonianze dell'
oratore arpinate, di Cornelio Nipote, e di Asconio
Pediano, per le quali si conosce quanta opera aves-
se spesa Pomponio nella compilazione degli annali,
che, a parere del sig. Fea , altro non furono se non
che i fasti de' quali teniamo discorso. Egli toUere-
Fasti consolari e trionfali 267
rà, speriamo, che per noi si tenga dubbiosa questa
sentenza . Ma siano essi opera di Attico o di aU
tri, vero è che non si conosce il perchè Livio e Dio-
nigi non li seguissero negli scritti loro. Discordano
certo que' classici dalle tavole capitoline in più cose(e
moltissimi l'osservarono ) : ma specialmente ne' pre*
nomi e spesso ancora cognomi de' magistrati. É da
credere che queste differenze provengano da errori
fatti dagli amanuensi nelle copie di quelle storie.
Queste cose; che brevemente abbiamo accenna-
te, sono a lungo discorse dal N. A. in quindici fac-
ce piene di varia erudizione . La quale omettiamo
di notare , pel non si potere restringere in poche ri-
ghe. Solo diremo di quella nota nella quale impren-
de a difendere Pirro Ligorio ( pag. xii. nota 2 ).
Ammettiamo che Pirro moltissimi fra gli innumere-
voli monumenti che lasciò ne' suoi manoscritti, co-
piasse dagli originali: e non discenderemo nella opi-
nione , che qualsiesi cosa provenga da fonte ligo-
riano sia da rigettare senza esame. Diciamo però
che quanto il JN.A., e prima di esso Lodovico An-
tonio Muratori , e più altri scrissero in difesa di
Pirro, non è di tal peso da bilanciare i fatti reca-
ti in mezzo dal cardinale de Nosis (i), da Antonio
Agostino (2), da Raffaello Fabretti (3), claGaetano Ma-
rini (4), da Annibale Olivieri (5), da Stefano Morcel-
(1) Episi. cons. ari. 836. et 900.
(2) Dial. XI.
(o) De col. Truj. cap.i.
(4) Atti de' fiatelli arvali pag. 101. n4- e spesso altrove.
(5) Negli «sami del Bronzo krplri«no , e della isg-ri/sicHe di AnH*
éio Feroce.
f
a68 Le T TIRATURA
li (G);e, per tncere di altri molti, da due concittadini
diLigorio, Jacopo Martorelli (7) ed Alessio Simmaco
Mazzocchi (8). Ezechiello Spanheim, comunque par-
tegiano di Pirro, ebbe a confessare, che incontran-
si nelle costui opere plura quae aut duhine fidei
aut confessae videntur novitatis (6) . Oud' è che
noi sempre saremo riservati nello ammettere con
facilità troppa, come nel rigettare inconsideratamente,
le merci ligoriane . Nel seguito di quest* articolo
vedranno i leggitori come a ciò ne muova più as-
sai il fatto nastro proprio, che non l'autorità di
altrui.
-h ' S II. Sette frammenti di fasti sono compresi
nella prima parte dell' opera. Cinque appartengono
a quelli che diciamo consolari • due a' trionfali .
Di questi ultimi sono il quarto ed il settimo fram-
mento.
Costa di 2 5 righe il primo frammento consola-
re^ ed abbraccia un tempo di dieci anni: dal 29^
di Roma, al 3o5. Volle la propizia fortuna che que-
sto marmo esattamente combaciasse con quello esi-
stente già nel Campidoglio: e lodevolmente il N. A.
riprodusse insieme al nuovo il già conosciuto . Lo
che fece pure pel secondo frammento anch'esso con-
solare', il quale si compone di 32 righe, e dal 349
giunge al 353 , quando i tribuni militari reggevano
la repubblica. Undici righe si leggono nel terzo; e
questo serve a correggere alcuni errori corsi ne' fa-
sti circa 1 censori del 3Gi, ed i tribuni militari dell'
(6) De siylri liKcr. pag. 11.
(7) De regia iheca ccdam. voi. 2. pag. 432.
(8) De dedlc sub ascia p. i43-
(•j) De iL\(i et pra:st. mim. Uiss. 4<
Fasti consolari e trionfali 269
anno istesso, e del seguente. Gol quarto, che è dei
trionfali , ritornano a luce nove righe, mancanti pe-
rò di principio e di fine: e forse bene vi riscontra
r A., quel trionfo che Claudio Marcello riportò con-
tro ì galli nel 35o. Vien dopo il quinto , nel qua!»
si hanno sole venti lettore : resta incerto a qual an-
no possa appartenere : ed incerto è pure se spetti
ai consolari: non sembrandoci di molto peso la con-
gettura che ne vuol trarre l'A- dalla grossezza del
marmo. Bello sopra ogni altro è il sesto frammen-
to consolare diviso in due colonne : la prima del-
le quali costa dì dieci righe, e indica i magistra-
ti dal 4^9 al 474 ì 1^ seconda di diecinove , e nota
quelli dal 6ó5 al 538. Viene da ultimo il frammen-
to trionfale già edito da Giano Grutero , da Ste-
fano Vinando Pighio , e eoa piìi esattezza da Ga-
spare Luigi Oderici nella lettera latina sulla meda-
glia di Orcitirice . Lo riproduce il Fea , perchè
bene con esso combacia un picciolo frammento, del
quale già diede notizia son pochi anni in una operet-
ta che intitolò Prodromo: appresso la quale notizia
ne vedemmo ripetuta la stampa sulla biblioteca ita-
liana. . ,
Questi nuovi tesori in ispecie per la cronolo-
gia sono aperti dal N. A. E sono schietti di note;
che attendono dalle cure del celebre Borghesi. Il qua-
le dottamente illustrando il primo frammento con
una dissertazione pubblicata in Milano Tanno i8i8,
promise al pubblico che gli altri ancora avrebbero
conseguita eguale illustrazione. In attenzione della
quale, ci restringiamo a dir qualche cosa di quel
primo frammento. Questo ci dette un consolo affat-
to sconosciuto; due ne espulse dai fasti; due alle
vere genti restituì ; discoperse sei nuovi cognomi ;
e molti prenomi corresse o raJTermò , Il Fea scris-
ìyo
Letterati; R A
sé (pag- XXIV ) di dare lezione di questo marmo in
più cose diverse e pia esatte della linora conosciu-
ta. Eccone le varianti che trovammo nel confrontare
la sua con la lezione del Borijhesi. Neil' indicare le ri-
ghe ci atteniamo all' unione del nuovo frammento
nel capitolino , che si leggono continuali in ambe-
due le opere.
Lezione del Feci
Tair. 1 riga i POPLIGOLA
2 4 MALVGINESISVR....
3 € IN.MA....
4 li SP.VERGINIV^S.A.F.M....
4 »5 CAPITO
6 i6 SABIN.
7 17 VT.D..EM.VIRI
8 18 ... . ERIO
9 19 CRASSINV
10 24 RIGILL
Lezione del Borghesi
PORLI COLA
M^LVGINES-IS.VI...
IN.M...
SP.VERGINIVS.A.F.A..
CAPITO....TICANVS
SABINVS.
VT.D....MV1RI
.... RIO
CRASSIN
RIGIL
JLa prima e la nona variante si riferiscono alle
vecchie tavole capitoline , e nulla tolgono o accre-
scono di pregio alla lezione . Lo stesso diciamo del-
le altre varianti 3. 6. 7. 8. e io : le quali, abbenchè
vertano sul nuovo frammento , nulla e' insegnano
d' nuovo. Non così della variante seconda: coronan-
do essa le fatiche del Borghesi ; ed assicurando il
secondo cognome di L. Cornelio Maluginese -. il qua-
le si disse Uritinus non Cossus , come dopo il Si-
gonio scrissero tutti i fastografi , Sulla quinta va-
riante noi staremo col Borghesi : perchè questi eb-
be a scrivere ( i oj : mi è parso leggere con bastevol
(to) Dissert. citata pag. 81^
Fasti consolari e trionfali 271
fondamento ticanus . E molto più stare-
mo col Borghesi sulla quarta . Noi sappiamo che
Spurio p^erginioTricostoCpUmontano^ consolo nel 2 98,
nacque d" Aulo f^erginio consolo anch' egli nel 260 :
sappiamo pure che quest' yéulo , secondo Dionigi
di Alicarnasso (i i), ebbe per padre un altro Aulo.
La testimonianza dell' Alicarnasseo sarebbe contraria
al vero , se si dovesse ritenere il consolo del 298
per nipote di un Marco ; come vuole la lezione
del N. A. Il quale speriamo voglia perdonarci que-
sto nostro assentire alla lezione del JBorghesi , piut-
tosto che alla sua , che pure dice pia esatta . Per-
chè essendo conosciuta ai lettori la molta diligen-
za che adopera il Borghesi in leggere gli antichi
monumenti , è da tenere che non sia questo il solo
caso nel quale egli siasi da così lodevol costume
allontanato . Alla quale osservazione se voglia unir-
si , come si deve , la testimonianza di un antico
storico, di rado o non mai colto in errore; si vedrà so-
pra quali fondamenta noi rigettammo in due soli luo-
ghi la lezione proposta dal Fea: e non saremo , è
sperabile, redarguiti di troppa sofistichezza, né di spi-
rito parteggiano,
§ III. Una collezione di 48 iscrizioni , dove si
ricorda alcun consolato , compone la seconda par"
te di quest' opera . Molte delle iscrizioni erario già
conosciute . Tra le inedite ricorderemo il frammen-
to IO. In esso si hanno i consoli di tre anni, non
già consecutivi gli uni agli altri ; ma di varj anni,
secondo portava il bisogno del collegio che lo fece
scolpire . Incomincia da L. Cornelio Sulla : il mar-
mo essendo rotto appunto laddove era segnata la
(li) Lib. VI. cap,69.
syr Letteratura ,
nota del di lui consolalo , non è certo se si rife-
risca al secondo , cioè al Gy4 di Roma : ovvero
al 66G , quando egli per l;i prima volta tenne i fa-
sci . Vengono dopo i consoli ordinar) del 714 ; e
sieguono i surrogati neir anno istesso . Da ultimo
è scritto il nome di Q. Cecilìo Cretico che pro-
cedette consolo nel 760 . Così minutamente abbia-
mo descritto questo frammento , perchè ci sembra
avere ilsig. Fea errato, scrivendo ( pag. xxxii ) com-
prendersi in esso una serie di consoli dal OyJ al G79:
quando a noi pare che appena vi si abbiano quelli
del 674 (forse del GQQ) e del 714 , e del 7G0. E
questo non annotiamo per osservazione grammati-
cale ; ma sì per osservazione cronologica : che al-
tro è dire dal G73 al 679, altro dal (Ì74 al 7G0 ,
altro finalmente ( che è il vero ) degli anni 674,714»
je 760.
Era inedita la lapida n. 12 , dalla quale rile-
viamo come Vejo fosse eretto in municipio da Au-
gusto, ed avesse a patrono M. Erennio Picente con-
sola surrogato alle calende di novembre del 720
di Roma . Quella segnata col n. i5 , ed il fram-
mento n. 18 si leggono anch' essi la prima volta;
e ci danno i consoli degli anni 22 ed 81 dell' era
volgare . Ugual pregio di novità ha un cippo con
le note indicanti l'anno io3 , che porta il n. 20:
e quella lapida n. 22 , di un L. Minucio Natale
consolo e proconsolo in Affrica regnando 1' impero
romano Trajano. A quale anno il consolato di que-
sto Minucio possa spettare non fu scritto dal N.
A; ma noi non dubitiamo di attribuirlo al ii5,
seguendo in ciò l'opinione di Gaetano Marini (12}.
(12) Fr. Arriili pag. 142-
Fasti consolari e trionfali ^n'ò
Le lapidi segnate co' numeri 26, ay, 35, e 38, era-
no inedite anch' esse ; e ci ricordano i consoli
degli anni 120, i4i,iGi,e 198 dell' era volgare.
A quest' ultimo anno scrisse il N. A. appartenere al-
tresì il marmo recato al n. 4o ( pag. lviii ) : e sti-
miamo andasse errato , perchè Late- ano e Rufino
tennero i lasci nel 197; Tanno innanzi cioè a Gallo,
e Saturnino •■ e vorremmo crederlo errore di stam-
pa , se la frase non fosse affatto diversa dall' an-
tecedente . Vien dopo un bronzo spettante all' an-
no aSy ; lo leggiamo per la prima volta , ed è se-
gnato col n. 46. Al seguente , quel marmo che fa
menzione di un Z. Ovinio Curio Proculo Modiano
Affricano , consolo non si sa in qual'anno , era pure
inedito . All' anno SyS , non come vuole il N. A.
al 397 ( pag, Lxiv ) appartiene la lapida cristiana
che porta il n. 5i: inedita così questa , come quella
al n. 55 ^ la quale si riferisce all' aano 4^< ^'^
era volgare .
Tutte le altre iscrizioni di questa seconda parte
erano già cognite . Tra le quali tiene il primo pò»»
sto il frammento conosciuto sotto nome di fasti
colocciani : che descriviamo così . Costa di due co-
lonpe : nella prima si legge il iv consolato di G.
Giulio Cesare nel 709 di Roma , e sieguc a tutto
l'anno 714- La seconda colonna incomincia da uà
Lucio Sestio consolo sulfetto nel 731 ,e giunge a
tutto il 74 a. Oud' è che non esattamente scrisse
il N. A. (pag. XXIX ) trovarsi nel marmo coloccìano
la serie de" consoli dal 708 al 742 : dove anclie
aggiunse di darne una lezione pia vera e più co-
piosa delle precedenti . Pia copiosa non pare , non
leggendosi in essa pure una riga oltre quelle che
SI leggono nella gruteriana : più vera forse , perchè
CI accade osservare che uno de' consoli surrogati
aA/f.ix. 18
Qni Letteratura
neir anno 711 è <^. Pedio , non Q. Lepido come
finora fu scritto ne' fasti . Ma perchè non si creda
volersi per noi aggravare la memoria di Giana Gru-
tero , e perchè sia palese , ambir noi piucchè ogni al-
tra amicizia r amicizia della verità , diremo a vi-
cenda , non trovarsi da noi vero quello che il N. A*
asserisce ( pag. xliu ) di dare corretta anche la
lapida N. 16. Perchè Grutero nella edizione corae-
liniana non legge nvminìo , ma nvmmio ; ( i3 ) e
se r errore sta nelle schede chigiane , noi non sap-
piamo vedere come possa dall' errore arguirsi la
csatezza delle schede stesse ; né sappiamo conoscere
il perchè il signor Fea non traesse la sua iscrizione
dalle altre schede che dice aver nvmmio , piuttosto
che trarla da quelle errate , onde poi correggerle
ed implicare neir errore Grutero : presso il quale tro-
viamo il marmo in diversa e migliore disposizio-
ne di righe ; e apprendiamo di quali sculture fosse
ornato quel monumento . In luogo di che avrem-
mo desiderato eh' ei non tacesse T anno di questo
consolato . Vie maggiormente essendogli facile l'os-
servare che nei fasti si segnano come surrogati alle
calende di luglio dell' anno 779 Q. Marcio Barea
e T. Rustio Nummio Gallo-, è più facile il cono-
scere che Gaetano Marini dubitò grandemente che
fossero ben collocati («4) •
E giacché siamo in questi confronti fra le la-
pidi pubblicate dal Grutero , e quelle ripetute in
ìsl arapa dal N. A., altre quattro osservazioni ci oc-
corre per ora di fare . Primamente la iscrizióne se-
gnata col N. 17 è senza meno quella iitessa che si
(i3) Pag, CVII, 8.
(x4) Fr. Arvali pag. 644-
Fasti copfSOLARi e trionfali 2'jS
legge nel tesoro gruteriano (i5) , ed appartiene all'
anno 81 4 di Roma. Come ne potesse egli dubita-
re, non sappiamo conoscere ;; e non troviamo 1^ tan-
te differenze che vi suppone gratuitamente . In se-
condo luogo , il marmo segnato col n. a'ò , nel qua-
le si hanno i consoli surrogali nell anno m dellera
volgare , ci sembra molto più corretto in Grute-
ro (itì) che in quest opera non sia. Può farsene
certo il Fea ogni qiial volta voglia leggerlo ijel
museo capitolino , dove noi son già pochi mesi Io
trascrivemmo . A proposito di questo sasso è d«
notare l'errore di Francesco Eugenio Guasco (17)
che lesse gerviano , quando vi sta la S marcata
a grossa linea . In terzo luogo diciamo che il fa-
moso bronzo feren tinaie ci sembra più completo in
Grutero (18), di quello che presso il N. A- che lo
diede al m. 2/^: di questo si convincerà qualsiasi uo-
mo voglia farne leggier confronto . A proposito dì
quesrto bronzo , non sembra inutile il ripetere la
osservazione di Filippo della Torre (19) : cioè che
la sintassi richiederebbe che si leggesse, decreto.
Hoc. TABVLAE. HospiTALi, INCISO, nou come sta peir
originale : tabvla . hoìspitali . incisa . in hoc . de-
creto . In ultimo la lapida n. 3i , che il N. A. co-
più dalle schede chigiane , secondo che a noi pare
è anch' essa molto più caretta nel tesoro gruteria-
ao (20) . Ed infatti chi ne indicherà chi si foss^
(i5) Pag, LXIV. 9.
(16) Pag. CLXXV. 10.
(17) mas Cap. Voi. I. p. i3g.
(18) Pag. GCCGLVI.I.
(19) Monuin . Vet . Antii
(20) Pag. XVIII. 5.
ajG Letteratura
quel p. SALL. socio nel consolato a C BelUcio Tor-
auato ? I iasti noi ricordano certo : ricordano però
un Manio Acilio Glabrione consolo nel 124 insie-
me a Torquato^ e con i fasti si accorda la lezione
grnteriana AA/. acil.
Interessante è la lapida segnata col n. 33. Que-
sta poteva considerarsi come inedita: sendo ben diffi-
cile e veramente meraviglioso che un antiquario la
ripescasse nella leonologia di un Cesare Ripa. Per
essa si assicurano i veri nomi dei consoli del iSy
èra volgare ; un solo de' quali fu pienamente co-
nosciuto da Gaetano Marini (21). Il marmo n. 34,
che ilN.A. scrisse essere stato pubblicato dal solo
Almelovenio , fu da noi letto tra le iscrizioni edite
da Raffaello Fabretti , il cui libro è per le mani di
tutti gli studiosi di questo genere di antichità (23).
S- IV. rVon sappiamo ved^^re il perchè le qua-
quaranta iscrizioni che si leggono nell' appendice ,
non siano state unite a quelle pubblicate nella ser
conda parte dell'opera. Ma qualunque ne sia il mo-
tivo , tralasciamo di ricercarlo: e come usammo
nel paragrafo precedente, così in questo vogliamo
indicare quelle lapidi che ora veggono per la pri-
ma volta la luce, senza molto soffermarci sulle altre.
Inedita pare senza dubbio la lapida n. iii, ma
ci proviene da fonte ligoriano; del che bastante-
inenle dicemmo nel primo paragrafo. In essa sì
hanno i consoli del 1 1 4 ; già cogniti per la cele-
bre base giuteriana (23), nella quale è scritto (non
sappiamo se meglio ) ninnio. Inedite erano la quin-
(21) Fr- Arvali pa^. 654
(22) Gap. 111. pa-. 128. N. ho.
(23) Pag. CCXIV^.
Fasti eojrsoLARi e trionfali iznn
ta e la 'settima; e ci danno i consolati del 177,
e del 210.
Più interessante è la nona. Per essa sappiamo
che il consolo del 234 si nomò L. Lurenio Crispino.
iVon perciò assentiamo al eh. A. (pag. lxxxviii ),
che r opinione esternata da Gaetano Marini circa i
nomi di questo consolo sia poco convincente. Scris-
se quel dotto che il consolo dei 324 ebbe nome
L. B razzio Quinzio Crispino : e noi non trovia-
mo alcuna difficoltà in ammettere cosi gli uni come
gli altri nomi in una stessa persona ; dicendo che
chiamossi (forse) L. Lo renio B razzio Quinzio dispi-
no. Sa ognuno come col mancare la romana libertà,
mancasse anche ogni regola circa i nomi e cognomi, e
come alcuni ne'monumenti adoperassero Homi diversi
da quelli che gli antichi scrittori avevano loro attri-
buiti. Sappiamo infatti che il consolo surrugato nel
69 era volgare C Arrunzio Catellio Celere fu quel-
r istesso che Tacilo chiamò Pompejo Vopisco : che
Marco Bruto fu detto talvolta Q. Cepione Bruto-.
che Z. Rosaio Eliano si nomò pure L. Mecio Celere.
Del qual costume lungamente ebbe a scrivere e dot-
tamente in più luoghi il teste nominalo Gaetano
Marini ; perchè non ci sembri bene tacciare di leg-
giera la sua opinione.
Interessante ed inedita era lapida n. x. Il con-
fronto di essa con altre corona le lati che del dot-
to scrittore àe Fratelli Jrvali (24), e rafferma i
veri consoli del 244: i quali apprendiamo, che d'ora
in appresso dovranno ne' fasti scriversi così: J. FuU
vius Jemilia?iusr,et L Armenius Peregrinus. Ven-
gon dopo le lapidi iv. xii. xin. xv. xri. xix. xxi.
(24) Pai'. 5oi.
j^8 Letteratura
XXIV, tutte pubblicate à quel che pare la prima vol-
ta; e spettanti agli anni 336. 34 1. 355. 358. 364-
3G9. e 3'ji. dellera volgare. Dal marmo ^. xxvii
ci confermiamo nella Igzione che il consolo del 38 1
avesse nome Euterio , non Eiccherio come scrisse-
ro Almelovenio e Belando. Sieguono le iscrizioni
de' N. XXX. xxxii. xxxiii. xxxiv, inedite anch' es-
se ; e si riferiscono agli anni dell' era volgare òg'j.
4oi. 4o5. e 4^0. JNotiamo approposito di quest' ut-
timo , che il JN. A. Jjeir illustrarlo ( pag. G. ) se-
guì r opinione di Tommaso Reinesio e di altri, i
quali supposero che il sigma - tau indicasse il
numero v. Non ricordò allora il N. A. quanto
scrisse a questo proposito Raffaello Fabretti (aS)
il quale restituì indubitatamente quel segno al nu-
mero VI, ne vide forse un codice presso il Mabil-
lone (2G) ; nel quale quella nota è costantemente
adoperata pel numero senario. lira inedita la lapi-
da N. xxxvi, nella quale si legge il consolato del
470: ed inedita era quella al numero xxxix; di
•consolato incerto, secondo il J\. A; a noi sembra
poterla asserire dell anno 326; quando procedero-
110 consoli r imperatore Flavio Valerio Costantino
per la settima volta, insieme a Flavio Giunio Co-
stanzo cesare .
Delle altre lapidi pubblicate in questa appen-
dice non facciamo parola, perchè già cognite. Vo"
gliaimo però osservare che la correzione che il eh. A.
ià della lapida .v. ii, portante i consoli del iiìs),
edita non esattamente da Luigi Gaspare Oderici,
era già stata fatta , e con le medesime parole da
(2 5) Inscr. dom'ist. e. Vii. n. 54o.
(26) De re diplomili, lib. II. cap. 28. N. 12.
Fasti consoiari e trionfali 27^
Gaetano Marini (27)- Che quanto il Fea scris-
se intorno la lapida n. viii per provare come L.
Roseto Eliano Meda Celere fosse consolo ordina-
rio nel 223 , non getta a terra, a creder nostro, il
ragionamento del Marini stesso (28): il quale ad-
dusse più forti' argomenti per restituirlo ad un con-
solato sufFetto negli ultimi mesi del iio. Non cono-
sciamo inoltre perchè all' anno 5 £ i , e non piutto-
sto al 428 abbia il Fea attribuito il marmo
N. XXX VII. Da ultimo domandiamo la ragione per
la quale al n. xl egli ci abbia data la sola iscri-
zione del lato sinistro di quella base di travertino
trovata in Otricoli, che intiera fu pubblicata da es-
so Marini (^9): e non vediamo che sia vero ricor-
darsi in quel marmo un consolato di anno inóerto;
avendo il Marini stesso fatto cenno in più luoghi
di quel costume degli antichi d' indicare i con-
solati con le note , preteriti i nomi de' Cesari e
degli augusti consoli : ciò che cagionò alcuni erro-
ri, e molte incertezze. Se nel nostro marmo si de-
ve leggere tertio ( o tertiiim ) et semel cos. , ciò
ne' indica a creder nostro 1' anno i4o dell'era vol-
gare.
Termina quest' appendice con altre tre iscrizio-
ni. Ai numeri xli, è xlii, sono ripetute le due notis-
sime lapidi esistenti al sepolcro de' Plauzj vicino al
ponte Lucano sotto Tivoli. Al xlih pubblica il N.A-
una iscrizione inedita, non segnata di consolato,
ma interessante, secondo lui, per la parola glvti-
MARivs ignota finora nei lessici e negli autori. Co-
noscevamo però in antichi scrittori, ed in lapidi
i.« > I >i 1 1 ' '■">
(27) tr. Arv. pag. 116. a.
(28) Fr. Arvali pag. 177. 6-
(29) Iscri/,. Aliane png. 49-
a^'o I Letteratura
ancora glutinator (3o); e molte altre derivazioni
da gluten. Quanto alle due iscrizioni de' Plauzf dice
il sig. Fea di ripeterle in istampa, perchè tutti fi-
nora le pubblicarono scorrettamente. Noi conoscen-
do da questo che il dotto A. non ha notizia di una
dissertazione di Domenico de Santls sul sepolcro
de' Plauzj ( non saremo mai della opinione di al-
cuni che sono tentali di credere il contrario ) , ab-
biamo stimato non inutile farne il confronto: dal
quale sono nate le seguenti verianti.
Le3Ìonc del Feu Lezione del De Santis
Iscr. 1 riga 8 GN CU
Iscr. li riga 3 sodal. SODALI
6 CLAVDI. CLATD
7 BRITTANNIA BRITANlA
12 PRmCIPIBVS PRIKCIPIB
2 3 SCYTHARVIVI SCYTARTM
23 ACHER03JENSI ACHERROXENSI
24 BORVST£N£IYI BORVSTHENEN
27 IN.HISPANIAM HXSI'AKIAIVI
Il De Santis altronde diligente scrittore, vide
replicate volte questi marmi , e replicate volte li tra-
scrisse: egli pel primo corresse i molti errori corsi
nelle copie degli antecedenti editori; e ne scrisse
ima dissertazione piena di scelta erudizione; nella
quale non è cosa che il ÌV. A. abbia notata di que-
ste famose epigrali, che egli pure non avesse già
notata. Dopo di che resti libero l'abbracciare la le-
zione- del Fga; la quale però senza meno è errata \
(3o) Gnu. p. DXCiV. 6.
Fasti consolari k trionfali aUt
nel principio della riga a'j (iscrizione seconda) do-
ve si lia la ripetizione dell' iiv; che non si legge
certo neir originale.
§. V. Vengono da ultimo le figuline. Di queste
il N. A. ne produce ^i, tutle segnate di conso-
lati: incominciando da cpieilo che dette nome all'
anno 107 deir era volgare; fhio a quello in cui
leggiamo i consoli del 229. Facendo attenzione al
numero de monumenti, ed agli anni che corsero dal
107 al 229, vedrà ognuno come queste figuline non
presentino una serie contmuata di consoli: nèl'A.
aveva ciò impromesso: anzi lo teniamo fino ad ora
per cosa disperata, volendosi ristringere ai soli bolli
de' mattoni. Diciamo però come ci sembrava util co-
sa il riempire alcune lacune, riproducendo bolli
già cogniti: che già non alterava il suo piano. Era
anche facile ad esso il confrontare molte altre figuline
esistenti nel Vaticano, improntate di consolati: co-
me, a cagion di esempio, quelle che spettano agli anni
ii6. 124- i3(5. 142. i47- i55. 558. 2o3. era vol-
gare; le quali tutte furono in proprietà di Gaeta-
no Marini. Eragli vieppiù facile, quando egli con-
fessa di aver consultata la raccolta manoscritta delle,
figuline, opera del lodalo Marini tnttora inedita nel-
la libreria Vaticana. Era poi utile, perchè con que--
sta ristampa saremmo stati più certi della lezione
de' monumenti ; avendo questo impromesso replica-
te volte il JN. A. ( alle pag. xxiv. xxvm. cvn. ).
Utile infine era, perchè ne pareva miglior consi-
glio, dar monumenti di consolati diversi, che non
ripeterne molti di uno stesso consolato: come egli ha
fatto per Tanno 128; del quale riporta ben l'j. te-
goli, e tutti, o quasi, già cogniti.
Si la strada il N. A. a quest'ultima parte dell'
opera, con ripetere la notissima osservazione sulla
ardi Letteratura
importanza delle figuline in ristabilire o assicu-
rare i consolati. Siegue dicendo, che Gaetano Ma-
rini ristrinse i tegoli segnati di consolato ad uno spa-
zio di ottanta anni. Noi avremmo scritto novaìita ;
perchè ci ricorda che il Marini pubblicò un tegolo
del 1 14 (3a) ed uno del 2o3 (33). Ma come si è fat-
to che il N. A. prolunghi questo Spazio sino a i23
anni; chetanti ne corsero dal 107 al 229? Si co-
nosceva presso Onofrio Panvinio ne' fasti un matto-
ne segnato con il consolato di L. Licinio Sura per
la terza volta, e C. Sosio Senecione per la quarta;
cioè dell' anno 107: in tutto simile a quello ripro-»
dotto dal Fea : ma sì sapeva pure che era sta-
to giudicato suppositizio. E perciò che ci permet-
tiamo di domandare all' A. J\: donde desunse que-
sto monumento, echi lo possegga.Fino a che egli non
dà risposta, non saremo certo redarguiti se restiamo
l'ermi nella sentenza di que' dottissimi che già giu-
dicarono il tegolo: e se diremo che questo matto-
ne merita di andare a pari con quelli del ^4^ ^^
Roma, e del 55 e 101 dell'era volgare: già rico-
nosciuti apocrifi, e sentenziati per baje ligoriane (34)-
Ugual dimanda ci sia permessa intorno all' altra fi-
gulina N.° 69 portante il consolato del 229. Di que-
sta pure il N. A. tace la provenienza: ciò che ca-
giona in molti esitanza d' ammetterla come vera;
comunque una simile se ne abbia presso Panvinio,
di cattivo fondaco perchè ligoriana. Diciamo adun-
que per amore del vero e per la convenienza di que-
sti studj, come fino a che non si provi co' monumeu-
(Sa) Lettera a Rosini pag. V.
(33) Fr. Arvali pag. 544-
to4) Marini lett. a Rosini pag. Vt>
Fasti coiysolari e trionfali aSS
ti originali, e con sode ragioni il contrario , piace
ai più di non abbandonare l'opinione del lodato Ma-
rini ; e tenere come il più antico bollo quello ii4;
e come i più a noi vicini quelli che contano l'epo-
ca dell'impero di M. Aurelio e L. Vero.
Dalla figulina n.° G si hnnno^ son parole del
JV. A. ( p. evi II ), più decisi che in altri monumen-
numenti i nomi de consoli L. yenulejo ^promano e
Q. Articulejo Pelino , cioè dell'anno 12^. Le mol-
te dispute, che vi furono a questo rapporto , cessa-
rono fin da quanto dottamente e quasi contempo-
raneamente ne scrissero Enrico Sanclemente e Gae-
tano Marini: anzi non è inutile ricordare a giusto en-
comio de' trapassati, che quest'ultimo pubblicò una.
suafigulina del tutto simile a quella data dalN.A.(35).
Ora però non si desidera più sculto in marmo quel
consolato : e ne sia prova la seguente lapida vatica-
na: che volentieri riproduciamo in istampa (si legge
nell'opera del eh. monsignorNiccolaMariaJXicolaj sulla
basilica Ostiense), perchè il N.A. non ne fece paro-
la: abbenchè per più titoli si meritasse un posto nell'
opera che abbiamo fra mani . Sei meritava perchè
corona le fatiche del Marini e del Sanclemente, e raf-
ferma un consolato tanto malmenato prima che essi
ne scrivessero: sei meritava perchè trovata nel i8i5
in una cava romana , acquistata dal principe, e da
■noi vista nel Vaticano : moltoppiù non doveva es-
sere ignorata dal N. A. che tanto lodevolmente pre-
sieìde ai pubblici scavi.
^" '■■■-■■■ ■ ■ ■■■■■■ wmmxmnm» II» i*«^wi»»» ■■*■■>■■■■■ ^ ipi iwiiw^Nfw»w«^
(35) Fr. Anali pag. ijS.
58^ < Letteratura
L . VENVLFIO . APKONIANO ^_-
Q . ARTICVLEIO . PAETIWO ^^^
MAG . ET . MINIS . FONTIS
TI.CLAVDIVS.SALVIVS.IIII
P.MARCIVS.TITHASVS.IIX
M.FTKIVS.SYMPHOR.II
G.IVLIVS.HIMBR.I.
DEDIC . V . K . AVG .
ZOSIMVS.AQVILl.il
GBRMANVS.PACTVME.l
CALLINICVS.OLAVDI.l
BaARlNVS.£VTVCHI.I
Interessante è senza meno il mattone segnato
col N.° 62, come quello che pone fine alla incortez-
za del secondo consolato di O.Giunio Rustico nel iCa
dell'era volgare, lira questa figulina conosciuta, per
averla altra volta il N. A. pubblicata: ma allora les-
se RVSTIC. ET . AQVl . COS: ora, correggendo con
lodevole sincerità se medesimo,legge KVòT . IT. ET
AQVl . COS.
Alla faccia cix leggiamo quella opinione tut-
ta del N. A., però inculcata da lui in diverse oc-
casioni ed in varie slampe : potersi cioè dai te-
goli segnati di consolalo aver prova sufficiente a
determinare V età della fabbrica nella quale i te-
goli si rinvengono . Per tal modo egli crede , che
il tempio di Roma , giacente fra la porteria di san-
ta Francesca romana e 1' arco di Tito , fosse molto
avanzato nella fabbrica \ anno i23. , perchè dai
ruderi di esso egli tolse un tegolo segnato col
consolato eli Pelino ed Aproniano . La quale opi-
nione non vediamo come la buona critica del
signor Fea trovi fondata . Imperocché ammettia-
mo che un sasso , o una figulina , o una mone-
ta , o un monumento qualunque di età certa , tro-
vato in un muro ci obblighi a confessare , che
quel muro non fu fabbricato prima dell'epoca che
conta il monumento trovato nella muraglia : ma
niuna cosa ne impedisce a poter credere quella
FAStl CCRSOLARI E TRIONFALI aSS
muraglia posteriore di gran lunga al sasso , alla
figulina , alla moneta . E questo toccammo spesse
fiate con mani : avendo trovato in fabbriche del xiv
e XV secolo alcune figuline , segnate con il con-
solato terzo di Serviano ; altre con quello di Gio-
venzio e Marcello ambi perla seconda volta; al-
tre con quello di Petino ed Jproniano : cioè de-
gli anni ia3, 129, e i34, dell' era volgare. Se
que' tegoli furono impiegali in fabbriche posteriori
alla loro data di X)ii e xiv secoli, non vediamo il
perchè non potessero essere impiegati ugualmente
in fabbriche posteriori di due o di trecento anni .
Termina questa raccolta di mattoni , dandone
due di anni incerti . Nel primo si legge kano ixt
CAMERiN COS. Uno simile ne ebbe in proprietà Gae-
tano Marini (66) , che fu pure incerto a quale
anno si appartenesse . Niuno penserà ai Camerini
consoli negli anni di Roma :ìG^. 409. ^Ga. e 788.
Forse meglio potrebbe credersi del 89 1 ( era vol-
gare i38 ) : ma di quest' anno abbiamo altri bolli
ne quali si legge ni grò bt camerin cos ; e ne' fa-
sti il collega di Sulpicio Camerino è detto Quin-
ctus Niger Magnns . Ora chi opinasse che Ne-
gro fosse cognominato anche Ka?io anderebbe forse
molto lungi dal vero? Ma queste ricerche lasciamo
al dottiss. sig. Borghesi, il quale da molti anni at-
tende alla correzione e compilazione degf interi y^^/i
consolari: egli pure dirà a quaf epoca appartenga l'ul-
timo tegolo, in cui si legge severo et arriano
COS. A noi sembra impossibile che possa dirsi
dell'anno 243 era volgere, quando tenne i i'asciC. Giu-
liano Arriano .
§ VI. Promettemmo di scrivere in ultimo luogo
delle altre lapidi pubblicate dal N. A. in que-
iZ6) Fr, Arval. p. joo.
a86 Letteratura
st' opera . Belle cinquantotto che sono , noi tra-
lasceremo, secondo il metodo adottato, dì parlare
delle conosciute : fra le quali vediamo replicata
quella in cui si legge svbiscalire ( pag. xc ) ,
parola che tanto esercitò finora V ingegno di chi
ToIIe spiegarla : e che noi vorremo interpuntare
svB 1. S.C. AURE, e leggere svb . luriS condii
tionibuS ADiRK . (**) Le inedite sono quattordici .
La prima ( pag. xvx ) è un frammento di bronzo
dei tempi di Augusto ^ in cui si discorre delle
ristorazioni fatte ai così detti Giani : vien dopo
un marmo sepolcrale di Tiberio Claudio littore ,
e capo di una decuria de' puUarj ( pag. xxxii ) .
Due se ne hanno alla faccia xxxix : appartiene
il primo air anno 794 di Roma ; il secondo ri-
corda un M. Rufino F'aleriano prefetto di Roma :
bella scoperta del N. A. che aggiunge un nome
di quella magistratura alla serie datane dal Cor-
■?■ _ ' *• ^
(*•) Non si tosto venne alla lupe questa iscréione , che in Ro-
ma seppesi dagl' intelligenti il vero significato della frase ET. RE-
POSSONE. SVBISCALIRJ^ Tropix> son conosciute tic' monumenti
le parole depossio per deposUio , compossio per composilio, perchè
non potesse dubitarsi repossonti essere lo stesso che rcpositionem , o
repositoruin , ed iscaUre pretto idiotismo italiano in vece di sca-
lare^ o scalari. Non face» quindi mestieri che altri producesse la
sovrapposta spiegazione di sforzo, né che, a premura del eh. sig.
ab. Cancellieri, sulla gazzetta Notizie delgiorao, 7. genwijo 1820.,
si pubblicasse una lettera del sig. professore Ciampi , in cui so-
stiensi come atto di donazione quella eh' è manifestissima particola
di testamento, si legge in accusativo insulain Sertorianwn^ puro
caso di stato in luogo , un' Jurclia si fa Auria , e liglia di un Ser-
torio , e le si danno dieci tabernc in vece di undici ; errore pro-
pagato dalle male copie, che il sig: Fea suol procurarsi.
( Nota de' compilatori. )
Fasti consolari e triqnpali 287
sini . Quel rnarmo ( pag. xlv ) dedicato a Giove
Ottimo Massimo Dolicheno da Sesto Procilio Pa^
piriano prefetto de' vigili nelF anno 92 dell' era
volgare , è ligoriano : e restiamo dubbiosi che sia
sincero , perchè il consolo Volusio Saturnino vi
è prenominato Marco ; non Quinto come realmente
si chiamò (37). La lapida sepolcrale di un Tra-
ce per nome Aurelio Vitusto^ soldato nella quinta
coorte pretoria, si legge alla faccia lvu : ed al-
la LXvi una lapida cristiana che conta 1' epoca
del 377. Siegue ( p. lxx ) un tubo di piombo
col nome di Sesto Mario servo di L. Nonio Aspre"
nate , Alla faccia lxxxii è riportata una iscri-
zione dedicata a Garacalla dai vigili della quinta,
coprte stazionata al monte Celio : e ci duole che
il N. A. tralasciasse di pubblicare i sopra a iioo
nomi scritti ne' lati di quel piedistallo . Un mar-
mo di Stiaccio Corano , uomo illustre così per i pre-
mj ottenuti, come per le esercitate magistrature,
si legge alla faccia lxxxv, ed alla xcix una la-
minetta di bronzo che ricorda il famoso Flavio
Stilicone . Vien dopo ( pag. ci ) un frammento
cristiano \ ed un marmo dedicato ad Adriano dal
collegio degli eliani addetti al culto di Minerà
va ( pag, ex ): e l'ultima lapida inedita ( pag. cxv )
è quella sepolcrale di Genicia Cupita •
Crediamo che già a quest' ora il N- A. , non
mancando a lui gli ajuti maggiori , de' qua-
li sa cotanto approfittare , si vada occupando
della compilazione e pubblicazione delle altre ope-
re impromesse (38) , Soffrirà però che colla inge-
(3-]) Grutero p. CCC. 1.
(38) In questa sola opera da noi esaminata , altre quattro il
N. A. ne ha promesse : Y una sul creduto tempio di Bucci nelUi vi&
agS Letteratura
nuìtà solita lo preghiamo a noti omettere cosa ,
perchè i tipografi ce le diano più corrette nelle ci-
tazioni (39) ; ed a non trascurare troppo il lucido
ordine della distribuzione, raccomandato per uno
scrittore che ad esso è carissimo , ma forse non
osservato nella presente opera de fasti . (4©)
Della quale è tempo chiudere il discorso , ri-
cordando le quattro tavole in rame che 1 adorna-
no . La prima è copia di quella che si conosceva
neir opera di Enrico Sanclemente sulla emendazio-
ne dell' era volgare . In essa si ha il prospetto della
camera capitolina, dove per cura de' conser» atori
di Roma , e d'appresso il disegno di MicherAngìoIo,
furono allogati i frammenti dei fasti. Alcuni numeri
aggiunti indicano i luoghi , ne quali dovrebbero col-
locarsi i frammenti or' ora scoperti . La pianta del
T^oìnenfana , provando che fu il sepolcro di. s- Costanza (pag. XXXI):
r altra sopra il corpo dei Vigili ( pag. LXXXIII ) : la terza sopra i
ieinpj di Roma e Venere ( pag. CX ) : V uHiina sul foro romano e
me adiacenze ( pag. CXXII ) .
(39) A cagione di esempio , sono errate le citazioni seguen-
ti-"pag. XXIX Nota 4 (doveva scriversi pag. 298. 1 )-pag. XXXVII.
nota 5 ( doveva scriversi pag. 196. 1.)- Pag. XLVII. nota 8 (doveva
scriversi p. 678, 1. ) ~ P^S- ^^' nox.?L 6 ( doveva scriversi p. 223).
Altre più ne omettiamo .
(40) Diciamo ciò perché molte iscrizioni contenenti consolati
non sono poste per ordine di tempo , come aveva promesso il St.
A. alla faccia CXXV. Terminiamo con pregarlo a volerci spiegare
■[tielle parole che si leggono alla fkccia XXVII: e ci éuva V an-
no 642 replicato dei trionfi contemporanei , anno e giorno dei due
fratelli Metelli . A noi è stato impossibile diciferarne il riposto si-
gniticatoj non meno di quelle altre alla la;cia LXX.I1I: si potrà di-
re Qhe a FmnUiia premorta dopo tre ajnni al marita imperatore ,
Fasti consolari e trionfali 289
tempio eli Castore e Polluce è data nella seconda
tavola . Un frammento di bronzo dei tempi di Au-
gusto è inciso nella terza . E nella quarta un pic-
colo frammento dei fasti trionfali . Queste tavole
sono a lungo descritte dal JV. A- alla faccia cxx e
seguenti dell' opera .
C. Cardinali
Continuazione e fine della lettera deU ah. F. Cancel-
lieri al eh. sig.S. Betti, sopra la permanenza
' di Federico IV , re di Danimarca., in Firenze e in
Bologna ec. (V. il voi. XXV. a face 100.)
N.
elle mie notizie danesi ho esattamente riferito tut-
to quello, che operò il re Federico nel suo soggiorno
in Firenze, e le visite fatte alla monaca Trenta, in
grazia di cui interpose i suoi uffizj per ottenere il
perdono al marchese Filippo Bentivoglio. Egli poi
a' 25 aprile .ritornò in Bologna, rientrandovi alla
ore i5 per la porta di s. Stefano, scortato da' ca-
valleggieri. Restituitosi al palazzo Ranuzzi, fu visi-
tato da' principi Carlo ed Alessandro Albani, che
colà si erano portati a prestargli omaggio, ed a tri-
/butargli xvii volumi in foglio atlantico, e riccamen-
te legati , di carte geograliche le più scelte, e del-
le principali antichità di Roma, acquistate dalferc-
dità della regina Cristina di Svezia, per parte del
sommo pontefice loro' zio, che aveva finallora spe-
rato di vederlo in questa capitale, dove gli avea
fatto preparare dal cardinal Pietro Ottoboni il più
magniiico alloggio nel palazzo Riario , ora Corsini,
Il re si mostrò grati&sirao a queste attenzioni e a tut-
G.A.T.IX. 19
2[)o Letteratura
ti i favori ricevuti nel suo passaggio e dimora nel-
le città dello stato pontificio; ma principalmente per
la grazia della sentenza capitale accordata al mar-
chese JBenlivoglio, il quale perciò potè in quello stes-
so anno ripatriare , ed essere ascrìtto nell' ultimo
quadrimestre dello stesso anno lyoy nel magistrato
de tribuni della plebe, I medesimi nipoti del pa-
pa , regalati di varie gioje e di preziose galanterie ,
furono amniessi alla sua tavola unitamente alle due
dame Ranuzzi, Pucci e Ratta, al gonfaloniere Alaman-
no Isolani, e a diversi cavalieri tino al numero di 33
coperte. Finito il pranzo , il re si rimise in viaggio
alle ore 19, partendo per la porta di s. Felice al-
alia volta di Modena. JVel dopo pranzo ebbe luogo
il corso con maschera per la strada di santo Ste-
fano, permessa a' soli cavalieri e cittadini, quan-
tunque fosse di già partita S. M.
Questo sovrano, d'anni ^9, era di statura me-
no che mediocre, quadrato di spalle, con petto ri-
levato, ristretto ne' fianchi, sostenuto da gambe mi-
nute, disinvolto ma grave, con volto isoscelico, di
.fronte spaziosa , di ciglio biondo , folto , e inarca-
to, d occhio grande, di pupilla cerulea, di naso aqui-
lino, con bocca ampia, con labbra sottili, dentatu-
ra bianca, mento ristretto, faccia magra, segnata di
piccioli vajuoli, guancia scavata , color chiaro , in-
carnato. Portava una parrucca bionda chiara e leg-
giera di capelli.
11 senatore conte Emilio Paolo Fantuzzi giu-
niore pubblicò in quest' occasione uno de' suoi elo-
gj colle slampe, che però non si tro va indicato neìV
elenco delle sue opere, nel t. iii, degli scrittori bo~
lo^iiesi del conte Giovanni Fantuzzi p. 299 , e fu
. distiibuilo aJlu nobiltà ed a tutti i virtuosi.
La maggior parte di queste notizie mi è stata
Venuta di Feo. IV. jn Italia jìqi
gentilmente favorita dal signor Giuseppe Guidicci-
ni bolognese , versatissimo nella storia patria , e in-
defesso raccoglitore di tutto ciò che può illustrare
e onorare la sempre dotta Bologna. Le seguenti poi
mi sono state cortesemente comunicate dall' orna-
tissimo monsignor Camillo Ranuzzi, camerier segre-
to di N, S., il quale calcando le vestigia de' due
insigni porporati Angelo Maria , e Vincenzo , della
sua nobilissima famiglia, con la ;sua savia condot-
ta e colla sua indefèssa applicazione potrà ^innovar-
ne le glorie.
A' 20 di marzo 1709 fu scritta questa let-
tera al card. Fabrizio Paolucci segretario di sta-
to dal conte Ferdinando Vincenzo Ranuzzi. Sortf
maggiore non pote^'a ricevere fUill alloggio fatto in
mia casa del re di Danimarca , richiestone da que-
sto legato , per f onore di servire Sua Beatitudine ,
verso della quale tanto devo e omne erede de sen-
timenti del già conte Annibale mio padre , e come
colmo di tante beneficenze. Supplico V. £"., che fu
sempre sì generosa per me ^ nel prostrarmi ai santis-
simi piedi ^ renderle umilissime grazie dionor così di-
stinto . E mentre mi farò gloria d impiegare i miei
giorni nel pregare il deh per la lunga vita e pro-
sperità di S. B.^ come lo/arawiQ i miei teneri Ji-
£li, re^io col supplicar lE:. V. di coaidonare l ardir
presole di comandarmi^ accio con giusto titolo pos-
sa far pompa di quella serenili , che le professo :
e prostrato le baqio la. sacra poppora.
Il signor cardinale a' 27 di marzo gli diede
questa risposta. Non poteva fare V. S. cosa più ac-
cetta a N. S. , quanto quella di concedere il suo pa-
lazzo per f alloggio del re di Danimarca ; perchè ,
siccome premeva grandemente a S. B. che si usasse^
ro verso la maestà sua tutte le maggiori dimo^tra-
19*
3QZ Letteratura
zioni di stima e di ofiore^ così è riuscito di molta sua
soddisfazione , che sia stata collocata in una abita-
zione così comoda e signorile . Può dunque V. S.
esser certa d'aver incontrato in modo distinto il gra-
dimento della S. S. , dalla quale potrà perciò spe-
rare benigni effetti nelle aperture opportune. Io in-
tanto rendendole 'vivissime grazie delle cortesi espres-
sioni , colle quali V- S. ha voluto J^avorirmi nella
sua cortesissima lettera dei 20 corrente^ ini rassegno
sempre disposto a tutte le occasioni di suo servigio,
e le auguro dal cielo copiose felicità.
Per eternare la memoria di sì grand'ospite, sot-
to un quadro del pittore GiosefFo Gambarini , che
rappresenta 1 ambasciata del senato di Bologna allo
stesso re, nel salone del palazzo , fu posta questa
iscrizione :
FRIDERICVS . IV .
DANIAE . NORVEGIAE . GOTHIAE
AC . VANDALIAE . REX
RANVTIAE . DOMVS . BIS . H0SPE«
CIDIDCCJX
In un cartello poi messo ad oro nella camera
del letto reale, dell'appartamento nobile, tra le dne
finestre che guardano il mezzo giorno , fu posta
quest' altra :
FRIDERICO . IV .
DANIAE . NORVEGIAEQVE . REGI
DOMVS . HOSPITl
QVIETIS . AC . SOMNI . LOCVS
MDCCIX
Venuta di Fed. IV. i» Italia 293
,.,,^*A ^^ ™^^^''' '7" ^^ gazzetta di Bologna
pubblicò la presentazione, la lettera, e l'accettazione
fatta da quel senato, di un diploma inviato dallo
stesso re Federico IV ai fratelli Ratta nipoti del se-
natore, col quale li creò marchesi di Mandai con
tutta la loro discendenza in infinito.
Ma essendo ereditaria ne' monarchi di Danimar-
ca la più generosa beneficenza , il regnante Federi-
co VI ne ha data nel ijgcj Ja più luminosa ripro-
va verso la eh. mem. del cardinale Stefano Borgia,
il quale essendo stato costretto in quella catastro-
fe di rifugiarsi a Padova , fu da luì soccorso con
una cambiale di cinquecento scudi, e con fassegna-
mento d' un'annua pensione di quattromila lire. Al-
la testimonianza dei cav. Millin nella notice sur la
vie du cardinal Borgia, dans le Magazin Encjclo-
ped. ami. 1807 t. I. p. 276 , da me recata nelle
Jiotizie danesi p. 3 , voglio qui aggìugner l'altra del
padre Paolino da s. Bartolommeo, carmelitano scalzo,
nella Fitne sjnopsis Stephani Borgiae S. RE. cani.
Romae i8o5 apud Antonium Fulgonium p. 17. Com^
mwiem omnium nostrum laetiiiam hisce diebus non,
parum auxit magnifica sapientissimi Daniae regis in
òtephanum card, liberalitas. Is enim, cognito huju.v
i>iri exilio, eidem mille numos ardenti, monetae Da-
niae , Pdtam annumerari curavit -. quae summa , ut
eidem etiam in posterum in singulos annos pendere-
tur, clementissimo decreto sanxit. Ratio hujus exi-^
mi benefica et tantae optimi principis in cardina-
lem benevolentiae, in ipso Stephano Borgia est quae-
renda. Nec ea cjuempiam latere potesf, qui novit.quaìi-
ta bemgnitate , quam dulci et amoena suavitate is
omnes Romae danos ad se adventantes. complexus
Juerif Judeo dicere, ampli, simum virum plerosque
ax illis vclut sHos germanos fratrcs dilexisse : /ru-
294 Letteratura
gali , sed cìeganil , sua mensa semper exceptos , mo-
dis omnibus in politiores literas^ et varia honesta-
rum artium studia pcrtraxisse . Hiijus rei luculentt
testes sunt viri omni eaceptione majores Jacohus Geor-
gius Chrlstianus Adler (i), Georgius Zoega(-2)^ Fri-
dericus Munter (5), Nicolaus Scow ^ Torkillus Ba-
den^ Georgius Pf^ad^ Fridericus Engelbret^ PJiamus,
pp^'allich , et olii.
In seguito l'accademia de' Volsci in Velletri ,
per dare un solenne e pubblico contrassegno della
sua indelebile riconoscen/a a S. M. il re Federico VI
per le indicale benelicenze usate verso il delonto car-
dinale Borgia, lo elesse a suo augustissimo protetto-
re. Quindi consegnò Tatto autentico della nomina ,
elegantemente miniato , e nitidamente stampato in
candidissima pergamena, con sigillo delTaccademia
rincbiuso in una scatola d'argento dorato , ed ap-
peso con due ricchissimi Hocchi d'oro, al eh. sig.
Federico Munter, affinchè lo spedisse a S. E. il sig.
barone di hchubarl. L'eruditissimo signor Luigi Car-
dinali, segretario assai benemerito di quell'accade-
mia , mi ha l'alto la grazia di favorirmene la seguen-
te copia, che ho il piacere di comunicarvi.
Nel giorno 1 7 d aprde 1 8o5 si unirono nella
solita sala gli accademici della società volsca , con-
vocati d ordine de censori dal segretario : e tro^
vandosi nel ìiumero prescritto dalie leggi , il ditta-
tore signor don Geraldo Macioti partecipò al ceto
accademico la gravissima perdita che avea sofferta
la società per la morte deli eminentissimo principe
(1) Biographie tles hommes vivaiits. Paris i8i6. T. I. pag. i4-
(2) V. il diario del Cracas n. 16. a' i5 febb. 1S09 , e le mie
notizie danesi pag. 3.
(o) Biographie dcs hommes vivants. T. IV p. 52g.
Venuta di Fed. IV. in Italia 39$
cardinale Stefano Borgia , vigilantissimo di lei pro-
tettore . Rappresento V impegno , col quale egli avea
procurato il decoro dell' accademia , associando alta,
medesima i più insigni letterati d' Europa , esten-
dendone la fama alle più remote nazioni . Tra cpiC'
Ste disse la danese averla fregiata d'uomini illustri^
quanto altra mai . V onoranda amicizia conceduta ,
e le regali beneficenze diffuse nella persona del
cardinale defunto da S. M. il re di Daninuirca , aver
obbligata la riconoscenza e la gratitudine di tutt(f'
il corpo accademico . 4 darne però un attestato ,
creder egli convenevole alt onore delT accademia , ac-
clamare suo protettore perpetuo il principe reale Fe-
derico di Danimarca . aggiunse il di lui amore alle
scienze ed alle lettere : /' affezione parziale dimo-
strata al defonto cardinale pi'otettore , non che la
regale benignità dell' animo suo , essere a sodi buo-
no e sodo fondamento a sperare , che avrebbe ac-
cettato di buon grado questa dimostrazione di ri-
spetto ; 7iè scffrirebbe che andassero a vuoto le spe-»
ranze meritamente concepute da essi di vedere per
luì riparata la perdita sofferta , conservato ed este"
so il nome e lo splendore dell accademia .
Fu allora a pieni voti acclamato dagli acca-
demici presenti protettore perpetuo della società vol-
sca il principe reale Federico di Danimarca , e fu
commesso al ceto degli elettori di segnarne pubbli-
co atto , di trasmetterlo al sig. prof. Munter socio ,
perchè da questi sia umiliato alla R. A. S-
Fatto ed approvato dal collegio de censori , il
dì 1 mese , ed anno , e nel luogo sopra detto .
Geraldo Macioti , arciprete della basilica veliterna^
dottore nelV uno e nell altro dritto , dittatore.
Re gistr. foglio 35.
Luigi Cardinali , bibliotecario pubblico di VeU
tetri , segretario \
agO Letteratura
Il ceto degli Elettori
DELLA società' LETTERARIA VOLSCA VELITERNA .
In vigore della risoluzione presa nelT adunan-
za generale de sodi il dì l 'j aprile 1 8o5 , nomi-
niamo il signor pro^'^essore Munter socio , perchè fac-
cia presente a S. A. lì. il principe Federico di Da-
nimarca t acclamazione fatta della R. A. S, in pro-
iettore perpetuo della società , pregandola in nome
della medesima a degnarsi d accettare questo con-
trassegno di venerazione . Dato dall' archivio della
società il di i maggio i8oL).
Luigi Martorelli , canonico della basilica vatica-
na , presidente della camera .
Calisto Marini , canonico di s. Giovanili Latera-
no , prefetto degli archivj segreti pontificii .
Domenico Attanasio , protonotario apostolico , luo-
gotenente civile del tribunale del vicariato di
Roma .
Appio Colonnesl , dottore in sacra teologia , de-*
cano della basilica veliterna , uno de cen-
sori .
Gaetano Marini , prefetto della biblioteca vatica*
na e degli archivii segreti pontificii .
Gio- Antonio Riccj , archivista della S. C di pro-
paganda fide .
Giorgio Zoega , agente di S. M. il re di Da-
nimarca , e professore di storia e antichità al
servizio del medesimo .
Egidio Carlo Giuseppe F'andervivere^ socio di varie
accademie d" Italia, e di Germania .
Micìielc Cella , cajionico della basilica veliterna ,
uno de censori .
Venuta di Fed. IV. in Italia agy
Giovanili David Àkerhlad , delV istituto di Fran-
cia .
Filippo Aurelio Visconti , accademico onorario di
belle arti in s. Luca di Roma .
Conte Cammillo Borgia , cavaliere gerosolimitano ,
ciamberlano di S. M. il re di Baviera , e con-
sigliere di legazione intimo di S. M. il re di
D(mimarca .
Conte Pietro Natale Aletliy .
La tenerissima lettera scritta a nome della mo-
naca Trenta, che vi rimando , e che ora forse po-
trete rileggere con maggior interesse, mi ha indot-
to a fare tutte queste ricerche , che perciò à ve-
run altro doveva io indrizzare fuori che a voi ,
che le avete promosse . Io ne rendo i più vivi rin-
graziamenti alla vostra singoiar bontà ed erudizio-
ne; e pieno di riconoscenza e di stima mi pregio
di dichiararmi tutto vostro .
Di casa a' 12 dicembre del 1820.
F. Cancellieri
P. S. La dilazione della stampa della 2 parte di
questa mia lettera, fino al presente, mi ha dato tempo
di ricevere, contro ogni mia aspettazione, l'albero ge-
nealogico della lamiglia Trenta^ che avea inutilmente
cercato finora. II eh. sig. march, consigliere Cesare Lue-
chesini^xìon so se più rispettabile per la somma sua
dottrina,© per la somma suaprobilà,appena giunto da
Lucca, a' 17 del corrente marzo, si è compiaciuto di
favorirmelo, onorandomi di una sua visita. Da esso
risulta, che la monaca Maddalena Trenta nacque-
in Lucca^ nella parrocchia di s. Maria ^ Jbris por-
tam ; che fu hattemata in casa dal rev. Iacopo
agS Letteratura
Baldassari il di a 2 luglio 1670 ; che ai 20 furo-
no supplite le cerimonie nella chiesa di s. Giovan-
ni :> e che fu compare il sig. Bonviso Bonvisi^ e com-
mare la sig. Cassandra , moglie del sig. Girolamo
Benassai. J\on sussistendo adunque 1' indicazione
trasmessami da Firenze della sua precisa età, da
me pubblicata alla pag. io3. del precedente volu-
me XXV di gennajo, non può più reggere il con-
to da me ivi fatto.
^Ó9
I [iiwiiiiii ■iimnni'i'iiiiwìir iwnimiamTmTiMitoi
ARTI
BELLE ARTI
Fabbriche pia cospicue di Venezia misurate illu-^
strate ed intagliate dai membri della veneta aC'-
cademia delle belle arti dal i^io al 1820 - Ve-
nezia dai torchi delt Ahnsopoli , per le cure di
Bartolonheo Gamba . Due volumi in forma atlanti-
ca^ in buona carta velina^ con 25 o tavole inta-
gliate in rame.
G
(ontribuirono all' opera indicata il presidente ed
i membri deHaccademia veneziana : però la spesa im-
mensa che venne consecrata a questo lavoro, sic-
come il piano e le dissertazioni più laboriose, furono
fatte da solo conte Gicognara celebre presidente dell'
accademia , il quale bramoso di dividere il meri-
to di quest'impresa co membri dello stabilimento da
lui presieduto , e può dirsi instituito , volle gio-
varsi de' lumi e della pratica del sig. Antonio
Selva architetto, e del N. U. Ant. Diedo segreta-
rio dell'accademia , versati ssimo nelle architettoniche
discipline; siccome vedesi al fine di ogni disserta-
zione segnata del nome di chi la estese.
Sembra incredibile che in un paese sì classico
per le produzioni della moderna architettura e tanto
dissimile dagli altri per 1 antica, non fosse ancora
venuto in pensiere ad alcuno d' illustrare almeno
i principali monumenti , prodiicendone i piani, i
3«o Belle Arti
prospetti, le parti con esattezza di contorni e dì
misure: e non può abbastanza comprendersi come
senza sussidio d' opere anteriori , e dì memorie
storiche e critiche siasi potuto nel breve periodo dì
cinque anni misurare, disegnare, intagliare , e illu-
strare un sì gran numero dì edifici, che alcuni avreb-
bero anche bramato più esteso , restandone gran
copia, che , se non per V eccellenza del gusto, per
la magnificenza certamente potrebbero aver luogo in
questa scelta. Se un tanto sagrifìcio, e il caldo ze-
lo d' un privato senza alcuna pubblica assistenza e
sussidio rilevante , venisse imitato in ognuna delle
principali città dell'Italia, s'avrebbe in poch' an-
ni una sèrie di preziosità riunite da gareggiar quasi
cogli avanzi della romana grandezza, che iu pur
sempre italiana, e presenterebbersi così onorevol-
menti i fasti dell' Italia antica e dell' l!alia moderna.
Un indice cronologico, avvedutamente posto alla
fine del secondo volume, divide quest' opera in cin-
que parti od epoche che meglio riduconsi a quattro,
e può guidarci a percorrere con ordine le materie
trattate in ambo i volumi, ove le tavole e le dis-
sertazioni progrediscono a seconda della più cen-
trale o escentrica posizione degli edifici ; di modo
che il primo tomo è conseciato agli edifici che so-
no posti nella piazza e nelle vicinanze di s. Mar-
co, e il secondo abbraccia gli edifici che stanno alla
periferia , e nei punti più lontani dell'Estuario.
L' opera è intitolata alla iM. I. e K. di Fran-
cesco I., e la dedica è seguita da un breve proemio
sulla veneta archileltura esteso dal segretario dell'
accademia.
Appartengono all' epoca prima, e sono da por-
si fra gli edifici più antichi di Venezia, tutti quelli
che innanzi al mille vennero fondati sino a tutto il
Belle Arti 3*oi
decimoqiiarto secolo. Trovansi quindi la torre di
s. Marco , la basilica , alcune parti del palazzo du-
cale, alcuni resti che veggonsi a Torcello e a Mu-
rano, il gran gran tempio de' ss. Gio. e Paolo in-
signe per la sua pianta, e alcuni privati palagi, fra'
quali singolarmente quello della Cà et oro^ e altri
monumenti, altari, are ec.
Per ciò che riguarda il palazzo ducale, ad ogni
epoca può riconoscersi appartenervi alcuna parte;
ma la prima antichissima fondazione ìhdubitatamen-
te appartenendo a questa prima , attesta la grandez-
za della nazione, non meno di quello che la basi-
lica ne attesta lo splendore irnmenso e la ric-
chezza.
Mancava del primo una storia, e viene ampia-
mente e minutamente trattato il soggetto con 3i ta-
vole accompagnate da una lunga dissertazione, ch«
formerebbe per se sola un'opera a parte. Ammirasi in
questi antichi monumenti veneti, come la primitiva
provenienza del gusto e dei materiali degli edifici
deriva direttamente dal rifugio che ebbero in que-
ste isolette sparse nelle lagune i resti delle roma-
ne colonie, dopo le distruzione diAquileja, d'Aiti-
no , d' Opitergio ; e come poi resi forti , e com-
mercianti questi popoli per le relazioni che con-
trassero colle nazioni d'Oriente, trasportarono in
Venezia il gusto arabo e bizantino , giacché i lo-
ro navigli coi tesori condotti da Alessandria, dal
Cairo, da Bagdad, da Damasco conducevano assie-
me ai marmi e ai lavori, anche lo stile, gli arti-
sti, e il gusto di quei paesi — Vi si aggiunse per lo
stesso modo anche il gusto greco non tanto puro,
che corrotto; poiché mentre traevano dal Pireo d'Ate-
ne i leoni che posero all' ingresso dell' arsenale, la-
vorarono per conto della veneta signoria anche gli
3o2 .Belle Arti
orefici» ì cesellatori, gli smaltatori allora esistenti
a Costantinopoli nella pala d' oro, incominciata fi-
no dal nono secolo; e sorgeva poi la basilica mar-
ciana, la quale più ai templi di Bisan/40 clie ad ogni
altra italica costruzione rassomigliava. Ecco i motivi
qui indicati in iscorcio, pei queli a Venezia s incon-
tra un miscuglio cosi singolare e interessante di
arabo, di greco, e di romano, di ogni secolo, col
predominio del primo, durante Tepoca del suo ori-
ginario splendore.
Non fu senza accorgimento il darsi in quest'
epoca per la prima volta delineata con iscrupolo-
sa accuratezza la pala d'oro, corredata di una lunga
dissertazione , in cui rendesi conto deile varie epo-
che in cui vi fu posta la mano per ampliarla, e re-
staurarla, producendo una copia di recondite notizie
storiche a questa relative, e rendendo conto delle
artificiose meccaniche colle quali fu costruita. Fu in
questa circostanza che vennero pubblicate e ridotte a
chiara lezione le copiose iscrizioni di cui questa è
ripiena , tanto greche che latine ; e non possiamo
non meravigliarci come questo monumento cospi-
cuo non venisse illustrato e prodotto nell'oliera sto-
sìca del conte d'Agincourt, consecrata principalmente
air epoca del basso impero cui appartiene ,
JNeir epoca seconda, che riguarda gli edifici del
XV secolo, può dirsi che in Venezia si vide il buon
gusto dell' edificare prima che nelle altre città dell'
Italia: tanta si fu la copia delle belle e ricche fab-
briche che vi costruirono Sante, Pietro, Tullio,
Antonio, Martino Lombardi, maestro Buono , Gu-
glielmo Bergamasco, il Leopardo, e taut' altri i cui
nomi quasi ignorati nella sLoria dell' arte ofiVirono
gli esempi più luminosi agli architetti dell' aureo se-
colo che succedette. Il progresso che in questa età
Belle Arti dò^
fece l'edificio veramente regio del palazzo ducale,
il tempio di S. M. dei miracoli y la cappella emilia-
na, la scuola di s. Marco, sono monumenti dì tanta
ricchezza e venustà pe' loro ornamenti, e per le lo-
ro trabeazioni, che se vogliasi riguardare anche l'ese-
cuzione delio scalpello , si vedrà come potrebbero
gareggiare co' getti della maggior purità. I palagi Fo-
scaii, Pisani a s. Paolo, Gornaro a s. Angelo , Con-
tarini a s. Luca , e a s. Samuello, e sopra tutti quello
di Vendramln Calergi sul gran canale (che è uno de'
più insigni d Italia) confermano questa verità vieppiù
dimostrata dalla preziosità , e dall'eleganza con cui
vennero ornati i monumenti sepolcrali dei Vendramin
dei Marcello, dei Suriani, dei Golleoni , molti de*
quali sono intagliati con gran diligenza, e dimo-
strano in ogni genere d' invenzioni architettoniche ,
come i fatti della scultura non andassero mai la
quella età disgiunti da quelli dell'arte edificatoria.
Quantunque possa generalmente rimproverarsi al-
le arti risorte in questo XV secolo un pò di magrezza,
nondimeno è in Venezia ov' esse mossero più che
altrove a quella larghezza di stile , che doveva por-
tarle all' eccellenza per mano di Palladio , di Sca-
mozzi , di Sammicheli , di Da Ponte, e del San-
so vino che quantunque toscano , emerse particolar-
mente in Venezia con tutta grandezza di stile , poi-
ché fu ivi ove le circostanze , sempre protettrici
degl' ingegni , diedero i veri impulsi ai voli' del
suo genio creatore . >
L' epoca terza in quest' indice cronologico ci
sembra superfluamente accennata , poiché non pre-
senta questa che un seguito della seconda , noa
come successione di tempi , ma come produzioni
degli stessi maestri che operarono in tutto il corso
del secolo decimo quinto.
3o4 Belle Arti
r -«^ Fu infatti nel XVI secolo die T arcliilettura
veneziana si presentò in tutto il suo splendore,
senza che vi si vedessero per troppa licenza pro-
fusi gli ornati , e senza che si uwùsse di troppo
dalla severità de' principii che consci var la dove-
vano a modello delle età posteriori , e d' ogni buo-
na architettonica instituzione . Gli editici pubblici
cominciarono ad ornarsi con ricchezza più elegan-
te ve le scale, le porte, gli archi, le volte slog-
giarono con tutti i tesori dell' arte , e veramente
può dirsi che allora Venezia si pose in capo la
corona di regina dell' Adriatico .
r'' Le occasioni, che, come dicemmo, mettono
« ' prova gì' ingegni, non apersero è vero a Palla-
dio I adito per grandeggiare in alcun pubblico edi-
iicio di residenza della signoria , non potendo co-
struire che la sola casa dei canonici della ca-
rità, ora reale accad- di belle arti. Un incendio ster-
minatore distrusse quasi per intero il palazzo du-
cale: ma Palladio fu impedito dal riediticarlo pel
sommo ingegno del Da Ponte , che nella statica
degli edifici eccellente , assunse il più difficil ri-
stauro cRe mai fosse operato , e il più audace ,
apponendosi alla nuova edificazione a cui però non
e strano credere lo eccitasse la gelosia di mestie-
re - Potè nondimeno Palladio isloggiare nelle chie-
se ; e a cinque pose la mano in Venezia , nelle quali
ove gì' interni , ove i prospetti variando , e sem-
pre migliorando , giunse a produrre il capo d' ope-
ra de' templi moderni , la chiesa del Redentore .
Molte altre chiese vennero costrutte dal Sansovi-
no , come s. Geminiano , s. Giorgio de' greci , l' in-
terno di s. Fantino , e più particolarmente pri-
meggiò nella biblioteca , nelle procuratie , nella zec-
ca, nel palazzo Gornaro , «ditìci lutti di tanta ma-
Belle Arti 3o5
gnificenza , che ne meritò ed ottenne dolio stesso
Palladio gli encomii più lusinghieri .
Le prigioni vennero rifabbricate con raaestà
mista a quel genei'e ài eleganza che si conviene.
a cosi solida fabbrica , e ne fu celebratissimo au-
tore quelDa Ponte più sopra nominato , che voltò
il grand' arco di Rialto - Lo Scamozzi continuò le.
opere del Sansovino, e il Sainmicheli elevò nel pa-'>
lazzo Grimani uno de' più grandiosi modelli agli
architetti di tutte le età , oltre aver murate le in-
signi opere di fortificazione , nelle quali arrivò
tant'oltre con profondità di dottrine , che non mai lo
raggiunge lo straniero ardimento, e la maestria della
tattica oltramontana . La copiosissima serie che in
queste due epoche vien presentata di pubblici e
privati edifici , di chiese , palagi , monumenti se-
polcrali , e bronzo, e marmi ,. e volte licchissi-
xne, lussureggianti per oro o per ornamenti elegan-
tissimi, tutto è riunito colla maggior solerzia del
disegno e del bulino , a render chiarissima quell'
epoca luminosa .
L' ultim' epoca non contò in Venezia opere
meno grandiose, quantunque non vi corrispose queir
aureo gusto che la distinse nel tempo anteriore -
JVon vengono prodotti che pochi monumenti di que-
sta età ; e a dire il vero i prospetti delle chiese
di s. Moisè , di s. Maria Zolenigo, di s. Salvatore ;
le chiese degli scalzi , de' gesuiti , di s. Pietro a
calstello ; i palazzi Pisani a s. Stefano , Rezzoni-
00 , Pesaro , Grani sul gran canale , quantunque
opere sfarzose e per alcuna parte rispptlabilissime,
non possono far parte d' una collezione da cui vo-
gliono gli artisti e gli amatori delle belle arti
ritirare profitto. Nondimeno, malgrado la corruzione
dei tempi , le chiese di *. Basso , della Salute ,
G.A.T.IX, 20
3oi> Belle Arti
di s. Simeone minore, dei Tolentini, della Mad-
dalena offersero argomenti per non essere confuse
colle opere sopra citate ; e Gio. Scalfarotto , il Lon-
ghena , il Tirali , il Benouì , il Temanza e il suo
allievo Antonio Selva produssero opere non vol-
gari in guest' ultima epoca : siccome anche il tea-
tro della Fenice , T idea primitiva de' pubblici giar-
dini , e la fabbrica del palazzo regio rendono ra-
gione dell' attuai modo dì costruzione in una città ,
la di cui decadenza non fu segnata che dall' ine-
sorabilità dei destini . E sembra poter concludersi
che le arti , la storia , la critica possono trar gio-
vamento da un lavoro , cui finora V Italia non può
contrapporre 1' eguale . (*)
Tambroni
(*) 1 pochi esemplari rimasti dei 3oo, che vennero impressi di
quest'opera, stanno presso l'editore o l'autor principale in Vene-
zia , che ne tiene alcuni parimente disponibili in Roma e in Fi-
renze al prezzo di franchi 600 per ciascun esemplare » come da ma-
nifesto pubblicato .
Ke vejiuero anche tirate pochissime copie in carta sottile che,
alla tipografia dove fu impressa . si rilasciano alla metà del prezzo
suddetto.
00'
VARIETÀ'
X-vssendo mancato a' vivi Bonifazio Stacchini , vecchio semdore del-
la famiglia Belzoppi di Saftitìiariho , è piaciuto al celebre Chiassi di
comporre iti onor del defonto un'aurea iscrizione, e al eh. signor
prof. d. Ignazio Belzoppi un sonetto cosi gentile da meritare la ver-
sione latina del dotto signor ab. Montalti di Cesena. Noi daremo qui
e l'iscrizione e il sonetto e la traduzione: <? porremo insitme un pa-.
ragrafo della lettera, colla quale il ptelódato signor Belzoppi ac-
compagna il tutto al suo dolce amico e nostro collega signor Salva-
tore Betti. Potefe benJìgwarvL, egli dice, cha neW attuale mia
situazione ho abbandonato quasi affatto le muse . Nondimeno essendo
fin da quasi un anno cessato dì Mvùrc Un vecchio e fede/ servo dì
mia casa , ne fid tocco tcdmcnte , che non potei conteivermi di
gittar gii't i quattordici versi chi vedrete stampati nelV accluso
figlio , e tradotti con virgiliana eleganza daW arfiico Montala, f^i
troverete puranche una bella iscrizione del fumoso Schiassi, ove sono
ed vivo e con verifct dichiarate le rare i>irtuose cfucllità del defonto ,
L''onorare cosi la meiporia d'' un povero servidore sembrerei forse cosa
ridevole a quelle anime vili, 'che credono dovuti slmilìvntaggi soltanto
ed vizio fortunato e allo sjflendore deW ora ; ma non «' saggi
che venerano il vero merito, e lodano ia virtii dovunque si trovi.
Farmi che V argomento abbia un qucdcke grado di novità , e pos-
sa somm-inistrare materia a molte filosofiche riflessioni ec. Felice U
gioventù , a cui la buona sorte comeds di «injili precettori filosofi J
30'
3o8 Varietà'
BONIFACIO . STACCHINIO
MARmiENSI
QTI . IN . FAMVLATV . ANNOR . LUI
INNOCENTIAM . VITAE
ET . FIDEM . IN . HEHOS . INVIOLATAM . PRAESTITIT
IDEM . CONTEMPTOR . LVCRI . OSOR . ASSENTATIONIS
SmCERVS . SINE . PETVLANTIA t
FACETVS . OFFICIOSVS . AEQVI . OBSERVANTISSIMVS
CVNCTORVTVl . LAVDEM , ET . BENE V OLENTI AM . MERVIT
VIXIT . A . LXXXII . M - II . D. XIV
DECESSIT . VII . K . MARTIAS . ANN . MDCCCXX
BELZOPII . FRATRES . CVM . LACHRYMIS
FAMVLO . SVPRA . EXEMPLVM .F.C
rHILIFFI SCHIASSII
SONETTO
M
erte n' ha tolto il vecchierel, eh' io m' ebbi
Fida sc^rja e custode a' più verd' anni ;
L' amico, il padre, dal cui labbro io bobbi
Oblio sovente de' terreni affanni .
Per lui del Ver, del Retto amante i' crebbi
Nemico alla menzogna ed agl'inganni :
Piansi al suo fato , ed a me stesso increbbi ;
Né valse il pianto » ristorar miei danni .
Anima pura, che de' lacci sciolta
• Spiegate hai 1' ali disiose all' etra ,
De' mici gravi sospiri il suono ascolta;
E se già carca di tuo fragii velo
Tanto mi amasti in terra , ah tu m' impetra
Che ratto io voli a rivederli in cielo .
3)1 m. IGNAZIO BELZOr»!
Varietà 3^^
IDEM LA T I ]Sr E
T
•* u (jiioqiie, scinde senex' , suprema fimeris fiora
Corriperis tenero ciistos mihi fdiis ab iino^ue.
Tu moniUs suefus , veluti pater alter ainicis
Indurisse animo uerumnosac obllvia vilae .
Crescenti interea , Veri Recfique setjuesfer
Prospexti: hinc astus, cnnunenta^ue pro^idus oili :
Niinc gras>is ipse mihi lacrymis te prosequor ; at non
Fas lacrymis reparare homini discrimina mortis .
0 qui corporea tandem compage solutus,
Coelum inhians, ni^eis traims jam nulila pmnis,
Accipe quos aegro cffimdmn Ubi pectore questus,
Qiiod si tanta, aluit fragiles dum spiritus artus.
Nostri cura libi, actulumfac, nota rev^isens
Ora, novus superis succedam sedibus hospes.
CAESARIS MOjSTTALTII CAISEWATIS
r '
3^ anonimo, che nelP antecedente volumetto ci fece dono di alcu-
ne congetture sulf i,erizione Osca di VcUetri , ha voluto questa
volta produrre un suo avnso sulla leggenda dell' elmo di Olimpia
TOIùITVPAN ' di cui favellammo nell'istesso voltimeito. E'ii si
«sprime cosi .
totl'iTvpa.i> uiroKvtins
Veteres usi sunt ^ prò $ .
*^ prò ff per rhotacismwn Doribus usitaium.
Porte ^ seu N swnptwn petperam est prò P.
iS^jm* ii^x»v . Homerus ) qu! praeliati smt apud Cumas.
iSuyHy gubeniaculuin, cursum l '''"' ^'''■■""'* "^^ Oljmpiam dire-
) cieriint a Citmis.
3io Varijsta'
J)i Cenriino Cenniiii intlkito dalla pillura^ messo in luce la prima
folta con annotazioni dal cai'. Giuseppe ' Tambroni , socio onora-
rio delV accademia di s. Luca , delt l. R. delle belle arti di Fien-
TUi , deir archeoh^ica di Roma , della R. di scienze lettere ed arti
di Farigiec. 8. Roma, co'' torchj di Paolo Salviucci,e Jiglio 1821.
\J\ quest'opera insigne, da cui primamente sappiamo le pratiche più
segrete delle antiche scuole di pittura e specialmente di quella veneran-
da di Giotto, parleremo ampiamente ne'seguenti rollimi ; siccome pure
dell' egregio lavoro fattovi sopra dal chiarissimo signor cav. Tambroni.
Sappiasi intanto che il Ccnnini ebbe a maestro Agnolo Caddi , figliuo-
lo di Taddeo lo scolare di Giotto ; e che con questo libro alla mano
si confutano per modo trionfale tutti coloro, i quali attribuiscono
a Giovanni da Bruggia l'invenzione del dipingere ad olio .
IXifcrendo a face i43 del passato volume un' iscrizione del cele-
bre signor ab. Zannoiii in onore del Ped^rzoli , fa stampato : amici
ad iiuantumciimcjue doloris solaiium; e dovea dire ad (juantu'
lumcumcjue .
Risposta al si^. F. P. che nel qiuiderno XX. del giornale arcadi-
co p, i4&. criticò la memoria sulla natura e rimedio de' carci-
nomi del Ferminelii.
Jja fredda ragione dee essere norma di ogni disputa scientifica. On-
de j] sig. F. P. censore delia mia memoria, si degni esaminare con
imparzialità le mie risposte. Da queste mi sarci astenuto, se le sue
ragioni mi avessero persuaso; mcnire ho per massima , che convie-
ne imparare da chiunque conduce a sì nobile scopo.
1. Il sig. F. P. mi dà conuo, e havcdc nella p. i46. Gior. cit.
Afferma, che io scrissi nella memoria aver detto j^lla Pagarotti quel
testo di Celso: iiielius est anccp'i, rjuam nidlvm cxperiri reine-
diiun; o che essa. forse intendente di latino fi arrese alla operazione.
Ma io nelle p. p. io. 11, narrai che la inferma aderì alla opera-
Varietà' 3 i i
zioTie in vista della sua morte vicina: dunque è evidente, che quel-
la troppo acerba critica non si tiene gentilmente alla storia de' fat-
ti ; ed ella perciò titorna sopra quel medesimo , il quale nel pri-
mo attacco non attese la verità che in tutte le cose è si necessaria.
2. Accenna, che dalla storia del fatto trassi quattro coroHarj , de" ana-
li il più nuovo é, che ne' casi in cui necessiti V operazione chi-
rurgica, la medicina è inferiore alla chirurgia.
Io non so davvero cos'egli intenda con questo. O il sig. F. P. li-
mita il suo concetto alla sola novità del corollario , o lo estende
al confronto della medicina colla chirurgia, perchè ne^ medesimo
si disse , che a questa cede quella ne' casi i più disperati. Posta
la prima proposizione del dilemma, risponda di grazia il sig- F-
P., non si usa ancora in medicina la farragine de' vantati spe-
cifici nel cancro^ e non si è forse abbastanza dimostrata l'inuti-
lità di essi nella prima parte della memoria, afhnchè con irragio-
nevoli tentativi non si procuri l'esacerbamento della malattia, o
non fugga il tempo prezioso per l'opera della mano? Il sig.
F. P. tace sulla stessa inutilità, ed ammette cosi, non volendo,
il pili nuovo de'corallarj- Ammessa poi la seconda, provi la saa
penna qviale influenza possa avere l'arte medica in que' mali , che
per la inefficacia de' medicamenti di ogni genere non possono cu-
rarsi senza la totale estirpazione, e neghi, se può, in tali casi la
superiorità , che gode la chirurgia sulla medicina.
D'altronde il sig. F. P. si persuada pure, che il controverso co-
rollario preso nel ìvlo vero senso relativamente ai carcinomi non
reca oltraggio alcuno all'arte medica; giacché deve aver letto cOm'
io dica alla p. 97. ,lìn. 10., che essa è sorella della chirurgia, la
quale è attorniata da minori incertezze. Ambedue strettamente
iinite segnarono la prima epoca fatale della loro disunione , quan-
do fecero passaggio dai greci agli arabi. Ma la loro natura non
permette mai che vadano discordi, per quanto siasi procurato , o
tuttora si procuri di tenerle svantaggiosamente separate. Si ascol-
tino le parole di Pietro Franck , che senza far torto agli altri ,
è il vero medico illuminato. „ La medica istruzione non è meno
necessaria al chirurgo di quello , che lo è al medico la chirur-
gica, in modo che male a proposito è stata falla la divisione di
ima sola scienza daunla dalP Interno n esterno fieli" nomo. ,,
3 I 2 V A R I B T a'
Farmi pertanto potersi i on.-ludcr'c, che il sig. F. P. dovea con ani-
nrto più quieto esaminare i corollari, e specialmente quello che dice
il più nuovo, onàa portarne miglior giutfi.io, e lifcrirlo (il dirò
pure) colle medesime ptvrole mie, senza ninna mulilazione.
Z. F;jli viene poi moltcggiando la prima parte del mio lavoro. Dì
che slimo opera cortese i! non far parola. Avverte però che io
volli dimostrare l'inutilità de' medicamenti. Perché non disse, che
la dimostrai con cvidciiza? Dalla natura di essi, e da quella del
cancro furono presi i più forti argomenti, ehe il sig. F. P. si è
astenuto ' dal riferire , e molto p?ù daU' analizzare . Solo bran-
colando qua eia si fa molto a discorrere sulla necessaria divisio-
ne dello s'-irro in vero e spurio. Senza poi atterrare le ragioni che
militano per distinguerlo in tal modo, stupisce come i medicamen-
ti possano essere utili jicr lo spurio, inutili pel vero, cioè ppl
cancro, perchè si disse, che in questo tace, ed in quello parla
la natura. Sembra in sostanza che il sig. F. P. non abbia voluto
conoscere la forza del discorso, e per fargli fronte si è servito
(notisi bene) di una e legittima conseguenza, che mira ad al-
tro scopo. Difatti la premessa antecedente all' argomento fu , che
se un uomo può prendere equivoco nella distinzione dello scirro
per mananza di vedute cliniche, lo può contemporaneamente
prendere nella virtù del celebrato rimedio, il quale incontra a
caso la quaiiià della malallia.
La esperienza in medicina ha fatto più volte vedere, che un infer-
mo trattato con moltissimi contrari medicamenti gxiarisce di vjn
morbo grave, e che un altro tlieiro una esatta cura eseguita se-
condo r arte muore dello stesso morbo , o di un morbo meno pe-
ricoloso. Di grazia, sig. F. P. , in questo ultimo luce la natura,
ed in quel allro parla. In chirurgia la forza medicatricc di essa
è sempre inoperosa nello scirro vero, per cui necessita l'opera-
zione locale; ma nello spurio va sicuramente d'accordo colle vir-
tù medicinali, come si rileva dai falli.
4. Asserisce, che moltiplicai gli enti senza necessità. Ma dove è la
moltiplicazione degli ciui, so due generi di tumori diversi, che
finora sono stati diitinti l'uno dall'altro co' nomi di si irri e di
rancri, furono riilotti ad un genere solo-, cioè allo scirro vero.
Varietà' 3,3
scirro stabilito, o cancro? I varj stati del tumore i#rcinomatoso
non possono costituire altri differenti tumori. Quegli stati, come si
notò nella p. SS. 1. 22. , non sono che modificazioni dello stesso
tumore , ed il sig. F. P. non può e non deve ritenerli per
altrettanti enti diversi.
5. Vuole egli, che i tre stati dello scirro, il torpido cioè, l'attivo,
il corrotto, si riducano di nuòvo a due, perchè il primo talvolta
è cosi oscuro , che appena può avvertirsi.
Da ciò risulta, che il med. sig. F. P. confessa, che talora non è
oscuro, e che talora è oscuro. Dunque talora ha i suoi proprj
caratteri distintivi. Egli sa Lene , che ove questi s' incontrano, na-
sce per necessità la distinzione ed il numero, che io proposi.
6. Vuole di più, che lo stato toi'pido del tumore porti il nome di can-
cro occulto,e gli altri duo stati, attivo e corrotto, quello di manifesto.
Il suo modo di pensare, o io m' inganno, involge patente contra-
dizioiie, e moltiplica enti senza necessità, mentre pretende che
sì debba economizzare in essi., Ma inieuda il sig. F. P. , che nel-
la vecchia divisione , la quale gli è molto a cuore , si marca un»
differenza grande tra un' ente e V alti* , vale a dire tra lo scir-
ro ed il cancro. L' uno non è dolorifico , V altro ha per compa-
gni dolori insoffribili. Quando il cancro è intero dicesi occulto,
ed allorché è aperto si chiama decisamente manifesto. Come dun-
que inerendo egli a questa impropria divisione può chiamare cccr-
cinoma occulto quello stato di torpore, che non ha senso dolo-
foso; e come può rendere comune il nome di cancro mani/èst»
agli altri due stati di attività e di corruttela, ne' quali il tumo-
re, che è sempre accompagnato da forti pungenti dolori, suole
presentarsi all'occhio tanto intei-o, quanto aperto?
7. Venendo egli alla seconda parte della stessa memoria, esclama : S'
intraprende L a confutazione delia diatesi, assicurando, che una
località morbosa possa sussistere senza alcuna alterazione,
delle parti intermedie, che inlefessano la vita ec.p. 76. Ma po-
co dopo si paragona il carcinoma ad una potenza nemica, chs
prende le posizioni le più. fiivorevoli al suo .dominio , ed in (ju(^'
ste sjìiega le sue f.n'ze ec. p. 70.
Paic che il ii^. F. V. iliiaciUicasse qui la v«ra guida doli» sana cri-
8i4 Varietà'
■ tica. La "Pt j^- n<>« viene forse pVima rìella p. 76.? In questa
! finJla apparisce di ciò, che da lui si pubblica quasi per far na-
scere un vano contradittorio. In qviella per potenza nemica non
si volle intendere il cancro, ma il miasma canceroso, che ne è
o la causa, o l'effetto, e che nell'assorbimento predilige alcune
parti colla sua innegabile affinità elettira. Del resto il sig. F. P.,
piuttostochè leggere nella p. jd. il carclnoina , voglia leggere il
micismci carcino/ìiaioso, e cosisi invccedi snervare il suo potere e
con invasione generale, che potrebbe essere abbattuta, lo riuni-
sce, e prende posto nelle parti , che sono più analoghe a se stes-
so B. Legga poi cosi nella p. 70. Js In qualunque stadio dello scir-
ro dichiarato la malattia è sempre locale in una o più parti del
corpo K. Veda inoltre come resta impresso nella medesima pagi-
• Jia quel sentimento , che egli ha cambiato , e che noti ha potu-
to rinvenire nella p. 76- Ecco le precise parole. —Sono abba-
■ stanza conosciute le metastasi, i trasporti cioè di materie morbo-
se da un sito all'altro, anche in distanze significanti senza alcu-
na alterazione delle parti intermedie , che interessano la vita. K
8. Circa la diatesi ne desume egli le prove dai fatti che la ne-
gano; ed, un poco imperioso, pretende che ai fatti medesimi non
debba cedere qualunque ragionamento. Lasciando da parte tanti
altri, prende di mira quello della Pagarotti ne' seguenti termini:
in che se mai fosse, come panni che sia, qvialchc motteggio, vo-
glia di grazia ricordarsi che i motteggi non istanno per ragione presso
nessun prudente, e dovcano sempre schivarsi in un giomal.di
cortesi com' ò 1' arcadico. In proposito della inentovata diatesi,' ci
• dica la grazia sua il sig. Giambaiista, che ultra cosa fu sonori
una diatesi promossa dall' affezione locale carcinomatosa nella in-
ferma si^. Chiara, cjuando egli vide le perdite locali , la febbre
continua, la diarrea caparbia, Vincipienta marasma ec p. n-
La sua potenza nemica si contentava allora di rimanersi ne' suoi
quartieri , o non piuttosto dava a tutta furia nelVoste, e dimen-
ticata la subordinazione poneva a soqrjuadro coni cosa?
Si risponde al sig. F. P., che nella suddetta inveterata affezione lo-
cale non vi e bisogno di una virulenta diatesi diffusa, che ab-
bracci tanto i solidi , quanto i fluidi nella loro totalità per la spie-
Varietà' 3i5".
. gazione di tatti quo' fenomeni morbosi. La PagarottJ, che vive
coJla operazione, sarebbe senza dubbio morta con essa, non esclu-
sa la diatesi generale nel njodo,in cui da me non si escluse ne-
gli ultimi periodi della vita , quando cioè agonizza la forza vitale
p. 103. I. 12,
La spiegazione de' fenomeni dee partire dal giuoco deJlQ metastasi,
che, secondo gli effetti, la esperienza fa distinguere in morbose e
salutari . Nelle prime il miasma , che è in moto e die tende a
fissarsi, forma altre località: e nelle seconde viene eliminato per
qualche emuntorio dalle forze delia natura reagente . Onde è chia-
ro , che la diatesi cancerosa anche dopo 1' assorbimento è limitati^
sempre in più tumori , ovvero Tiella sfera di uno , per cui la chi-
rurgia può occuparsi con maggior fondamento .
9. Ripiglia il sig. F. P. a vantaggio della lue universale quelle mie
parole malamente interpretate. So il carcinoma si trascuTU di
vantaggio , se si tratta con riinedj rìpercussivi , emollienti , sap-
purcaiti , se soffre qualche leggiera compressione , il veleno, ac-
cresce le sue forze , si sviluppa in maggior copia , di una qiut-
lità pii't corrossiva , va ricercando dentro e fuori tutte le parti
solide ec.p. SS. l. 12. \
Non vede il sig- F. P. che si tratta sempre di una malattia locale ,
in cui necessita V operazione , ed in cui qualunque medicatura
accresce localmente la virulenza, ia quale fa monture in forti
orgoglio il sistema nervoso , benché non parta dalla sua circoscrit-
ta sfera di attività nel processo della spuria infiammazione ? Egli
non deve ignorare, che il carcinoma nel secondo stadio, special-
mente quando viene esacerbato dall'azione de' medicamenti, svi-
luppa un miasma corrosivo , il quale o esercita la sua furia #ntro
ì limiti del tumore, e mettendo a consenso altre parti senza attac»
carie colla sua presenza , oppure esce ratto da que' limiti a pro-
durre altri parziali disordini , mediante l' affinità elettiva. Cad«
per consegvienza l' argomento più forte dei sig. F. P. ts Si é aper-
io alla Fa^arotii un fonticolo ; dunque si è dubitato, che oltre
«' solidi anche i fluidi se ne possano contaminare. S Ognuno sa,
che i fonticoli si aprono ordinariamente per liberare dei qualche
fissata acrimonia una parte, non il tutto; gincciiè se questo foie
3i6 Varietà*
-affetto quelli potrebbero essere mi::ìctia1i, come talv^olta sono sla-
tti i vescicanti. Rilegga il sig. F. P. con maggior posatezza tutto
- ciò, che si è detto dalla p. 96. alla p. ii3.
*o. Ma ecco altra accusa. Bello e pòi, dice, che incnfre il sf^.
FerininelU nera la dialesi nd cancro, il quale ha certo un
' veleno piìc diffusivo, nan ha scrupolo di ammellerla net cur"
boncello come si rileva da queste sue varale. t= É certo , che il
deuiocloritro di mercurio adisce sid carboncello in mtmiera,
che lo fissa nel luogo in cui nacque, ed impedisce cosi, che si
produca la diatesi morbosa , la quale uccide con rapidità ec, t=:
Egli però non si è avveduto che dal cancro p^ 53. ha fatto un lun-
■ go e rapido passaggio al carboncello p. 129, come se non vi fos-
se differanza alcuna tra il carcinoma e T antrace. Eppure nella
medesima p. 5o. , avrebbe potuto leggere cosi e II carbonchio, che
ha qualche rapporto colla gangrena, non lo ha sicuramente col
cancro ulcerato, o non ulcerato. Nel carbonchio i rimedj agisco-
no con valore , e nel cancro non hanno alcuna forza medicinale.
In questo il caustico , o le scarificazioni accelerano il passo len-
to colla morte. In quello arrestano i rapidi progressi colla vita e
Il sig. F. P. dovea marcare una tal differenza per conoscere, che
diverse cause devono produrre diversi fenomeni. Né so menargli
bxxono quando assai facilmente riduce ad una fisica certezza an-
che il vizio ereditario canceroso , di cui si ragionò abbastanza nel-
la p. 82. 1. 17.
11. Rapporto a quel verso di Angelo Dclci che il taglio ai cancri
è la miglior riretta, rammenti, che è troppo generico in chi-
rxirgia. Onde non può convenire colla esatta è limitata conclu-
sione di quella memoria appoggiata su i fatti.
12. Ritorna egli di nuovo al carboncello, di cui ha già detto qual-
che cosa, e pone questi due argomenti:
1. Noi, scrive, possiamo assicurare di averne veduti nella genie
della provincia di Marittima e Campayui, dove un tal morbo
può dirsi endemico in molle tdtre parti del corpo, e massiìne
sulle braccia e sidle stesse mani. Dunque in egual modo devo-
no vedersi ancora nella città di Terni, e sue adjacenze , dove il
carboncello è Jreqttente, ed è sporadico^
2. Si è tanfo decla?nato nella prima parte dcl'a sua memoria "orr^
Varietà' 3ij
irò. i secreil. Diinrjue esso propone un secreto^ quando rewde di
pubblico diritto un rimedio, che ha sjìeriineniato gioi'ei'ole.(i)
Mi scuserà se a tali cose non faccio risposta. Ne giudichi egli medesi-
mo con mente più riposata, e da savio ! Ora a me conviene se»
guirlo negli ultimi tratti della censura.
1. p. 4^. Una materia qualunque eterogenea, che non può essere
decomposta, perfettamente animalizzata, e resa utile alla sostanza
degli organi, viene talvolta da una forza centrifuga spinta in un»
parte esterna a fissare la causa prossima dello scirro estemo. Dun^
que essa è un rapido rijluto della ncitwu. |
2. p. 47- 4^- I*' ingorgo scirroso nasce dalla circolazione dcg^
umori', la quale è ritardata nelle estremità vascolari, accresciutii
ne' grossi tronchi più prossimi al centro del moto. Dunque Io scir^
ro è Jls^lio deW abuso di un meccanismo naturale
3. p. So. Si deduce dagli effetti, che la forza vitalej si modifica
seconda delle divisate modificazioni dello scirro. ,. j
4- p; 57. La malattia si assomiglia ad una fiera, perchè quanto pii
si procura assoggettarla coli' arte , tanto più si inasprisce , e ad-
diviene superiore all'applicazione de'rimèc^.;; , \
5. p. 89. Per la natura de' carcinomi giust^neritè" si "fa riflettere al sigj
F. P. essere inutili tutti i medicamenti, che finora occuparono
senza frutto la mente de' medici, e che non sono pochi; giacché
la sola mano del chirurgo può domare un morbo si fiero. }.
6. p. 5o. Torni il sig. F. P. per la spiegazione alla p. 60. num; 74
■j. p. 54- La dura massa, che a poco a poco si è formata dal cen-*
tro alla periferia non si rassomiglia al vegetare di una pietra />er
la rapidità, ma per la maniera, con cui si vedono crescere I
suoi strati morbosi. ì
' . i
8. '11 sig. F. P. conclude confortandomi ad emendare la memoria^
acciò possa almeno gareggiare col merito dell'altro mio opusco»
lo intitolato il cauto Jlebolomista~ ~ t
Gom'io sia stato riconoscente alla sua gentilezza Io può egli vedere
dalle risposte fin qui riferite. In queste se incontra cose degn«i^
di essere schiarite 0 corrette , attendo da lui nuovi lumi. l
GlAMBATISTA FERMINELLI. Ì
(0 II signor Ferminelli poteva recare più fedelmente i passi del
sig, F.P, , nò tirar da essi corollari fi suo capriccio, (nota de' compiL)
Ossen>azioni Meteorologiche fciHc alla Specola del Colleg.Roin.
Fehbrajo 1821.
MATTINA
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3Jj
Volendosi da' eh. Astronomi abbondare per diligenza, pongonsi le Osservazioni
Triplici in ogni giorno ; e volendosi da noi ristringere in pagina , affinchè
meno facilmente si disperdano, usiamo alcune abbreviature. Pertanto nella
colonna delle Meteore pi significa pioggia 1 lampi t tuoni n nebbia g gelo
b brina. E nelle colonne A^Wo Slato del Cielo s vuol dire sereno d nuvolo,
p poco. Le iltre abbreviature nelle colonne Ae^ venti sono per se stesse in-
telligibili. Quando segue uu asterisco s'intende gran quantità; ove trovasi
una f croce s'intende piccola quantità.
li ; IMPRIMATUR ,
I Si videbitur Reverendissimo Patri Mag. Sacri Palatiì
Apostolici.
H v. C.M.Frattini Archiep.Philippensis Vicesg.
IMPRIMATUR.
i FV. Philippus Aiìfossi Sop' Pai. Apost. Mag.
e
[
'pfinniìe.
Il II II imiiiu
Tav.
o idrocianaii
potassa e calce
Nessun
cambiamento
Iiiem
IN
SOLLZiOiNE
ACETICA
Carboiiato
di calce
grani 6,48
5,4o
RESIDUO INSOLUBILE
Solfato
di calce
grani o.qo
1,26
Si 1 alo
di ferro
n-ani o.54
0,54
jotaiC dei priacipj iissi in una liblna grani iS, 00
rerdita nello sperienze grani o, Su
QUADRO
Delle proprietà fisiche delle acque termali di Civitavecchia , dell' acqua cioè detta della Ficoncella e di quella delle Terme Taurine.
Tau. 1.
della
Fi.-onceUa.
A C 0 L' A
.toUe
iTin Ta\irìi
TEJIPRKATL RA
44- R-
in Luglio CilOltobrc
LniPIDlTA'
perfetta.
ODORE
di ^as idrogeno
solforalo.
SAPORE
salino- amaro-
gnolo
i ;,A' HA
U 1. 1- 0 . t 1 o
spPL-ifica
So" R.- i.ooi4
0.R.-l,OO2O.'i
spontaneo
bianco e copioso
per il
Proprietà chimiche ossiano effetti dei reagenti
A CO VA
dcUa
Ficoncella
ACyUA
delle Terni(
Con U tiniuia
di LaccamutTa.
e siroppo ai viole
Arrossamento
TliNiL LK.^
di
Curcnma
Kessun
cambiamento
IVesiun
cambiamento
Intorbidamento
grande
Intorbidamento
grande
ed a et
di bari
Intorbidamento
liilOibiùainciUo, e
cilimcnto che passa
subilo dal bianco
al grlj^io,
e poi,,! Leno.
,i..i.1ATj
di
piombo
Intorbidamento
precipitato bruno
o idrociauaii
di potassa e calce
Principi costitutivi delle acque termali in ciascuna
liììlirci delle medesime .
A C V L A
della
Ficoncella
A C 1^ L A
delie Terme
Taurine
PK1>X1FJ P.LASTia IN POLLICI CUBICI
Aria
atmosferi
0,-2
Totale
dei principi clastic
fi. 483
SOLUZIONE alcoolh;a
DEI PKIKCIPJ tlbSl
Idroclorato
di calce
grani 0.72
SOLLZIOXE ACsILOjA DEI FRIiNClW IISSI
bULl /.IONE
ACETICA
Carboiiato
di calce
grani 6.4^
RESIDLO IISSOLL'BILE
>0!a. Ltiria nlino.Jerica ol.alla dalle dm: ac/u
e „/v«cc„ -.j/ff-.f di ossigeno.
ToUie dei priucj'pj hssì in una libbra ^r
Peniita nelle sperìcnze gr
1.0
1.»
o<>,5
o°,75
©0,25
o«,5
oo,S
r Ja forte caduta.
^"isce nel canale, ed ha una temperatura di 35.°
haVchesfòT;"''/',' P'-'^^«"'l'*«'ft^ presa l'acqua
i ^'" ' '»8^"^ ^^ temperatura del canale di Si. o
Jlto
minore velocità pe* essere il canale
in pianura.
ìl:„'l'"'S'':'ì^' -""-« "«' -»«ie, ,™i„„„„.
osservata nei vaso.
IO -i , segnar» 20.»
sapore sensibile.
proveniente dalle terme Tan^;»,» j
si trovò dì ,g;.57™« Taurine e d^ altre sorgen-
Tav.
dalla sort^eiue
canne romane
45
45
46
45
45
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45
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9°
9°
90
90
90
C* y45
Miglio
TAVOLA
Delle temperature osservate neW acqua minerale della Ficoncella presso Civitavecchia li G Luglio 1819 dalla sua sorgente
Jino al Ponte di S. Antonio , occ conjluiscono nel medesimo canale altre acque.
TEMPEKATUILV
j; osservata
colla scala
di Reaumur
44.°
42.°
S6.0
34.°
3i.°
29.0
27.0
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25-°
24', 5
24."
22".5
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19.0
DEa>E]VlENTO
delle temperature iii45
canne di luugliezza
di canale
o°,5
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00,25
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00,5
DltTEREN^E
dei
decrementi
4-°
4.»
o».5
0.°
0°>25
0°,25
o',25
0'',25
0.0
OSSERVAZIONI
Temperatura alla sorgente.
In questo tratto corre l'acqua con gran velocità per la forte caduta.
In questo tratto vi è una nuova sorgente che si riunisce nel canale , ed ha una temperatura di o5.
In questo tratto non potendosi entrare nel canale per ]a sua angustia e profondità, fu presa 1 acqua
in un vaso, dove si trovò alla temperatura di 00 ——, dal che si è arguita la teroperaturadel canale dioi.
3
In questo tratto , e nei seguenti corre l'acqua con molto minore velocità pe« essere il canale in pianura.
Si continuò sempre a prendere l'acqua in un vaso per la difficoltà di scendere n«l canale , aggiungen-
do qualche frazione di grado alia temperatura osservata nel vaso.
11 termometro al" ombra noli' aria, essendo le ore 10 -i , segn»Ta 20.'
Si e quivi assaggiata l'acqua , e si è trovata senza sapore sensibile.
A questo punto si riunisce nel canale altr' acqua proveniente dalle terme Taurine e d^ altre sorgen-
ti, dopo la riunione della quale la temperatura si trovò di i8,»5.
321
SCIENZE
Exercitationes pathologicae aiictore Joanne Bapti^
sta Palletta etc. ( Art. HI. )
\_^AP. X. Di alcuni morbi congeniti . art. I. Asces~
so sanguigno del capo nei bambini . Alcuni fan-
ciulli di fresco venuti a luce , e spezialmente quelli
usciti dell' utero con parto sollecito, sono assali-
ti da un certo ascesso nel capo , vale a dire da
un tumore molle , con oscura fluttuazione , non
dolente , senza cambiamento nel colore della cute ,
ed intatta rimanendo la capellatura . Questo tu-
more zeppo di sangue occupa talvolta F uno e T al-
tro parietale , ma più spesso il parietale destro , e
non malie ossa delia fronte, dell occipitale delle
tempia ; è posto quasi traversalraente , di rado se-
condo la lunghezza del sincipite ^ poco elevato ,
ed ora agguaglia un uovo ben grande , ora la gran-
dezza di due uovi ; talvolta sin dalla nascita del
fanciullo ha già la mole di un uovo di gallina,
ma più spesso egli è picciolissimo , e cresce poi
dentro pochi giorni al volume indicato . Palpando
il tumore , e in ispecie la sua base , si sente un
cerchio osseo , il quale essendo ineguale ed alquanto
acuto fa credere che nell' aja occupata dal tumore
manchi porzione del cranio . Ne il sospetto è on-
ninamente falso , poiché 1' ispezione fatta nel ca-
davere ne ammaestra, che in questo moibo manca
una parte della lamina esterna del cranio , e che
Q.A.T.IX, 2 1
322 Scienze
i vasi del diploe versando il sangue tra la interni^
lamina ed il pericnario sollevano il tumore . Esso
è stato talvolta dissipato con fomenta aromatiche ,
ovvero col finimento volatile ; ma il modo più
sicuro di sanarlo egli è il traforarlo col setone .
Il nostro A. tenendo qiusto mietodo insegnato dall'
ili. Pietro Moscati ne ha sempre ottenuto una cura
felicissima . Aperto adunque il tumore con doppia
ferita mediante 1 ago o la lancetta , esce una buona
quantità di sangue nericcio e scorrevole che di-
stendeva la cute , continua ad uscire , in dose però
minore , il secondo ed il terxo giorno ancora : quin-
di viene fuori un umor giallognolo , che poco a
poco dalla apparenza di siero passa ad essere vera
marcia : allora l unguento digestivo dapprima , po-
scia corroborante , cui succeda il vino rosso , nel
quale siensi cotte erbe aromatiche e simili rime-
dj, sono sufficienti a compiere la cura nello spa-
zio di i5 giorni : se la lebbre , la quale suole ac-
compagnare la suppurazione , non ceda alla ammi-
nistra/Jone di blandi purganti, si potrà moderare
coir uso del decotto di china-china . Questo ar-
ticolo è corredato di quattro casi pratici .
Art. II. Del palato bifido . Qui \ A. ci pre-
senta r osservazione di un bambino , il quale morì
nel terzo giorno dalla nascita per impotenza di suc-
ciare il latte dalle poppe della madre . Egli avea
non solamente il labbro superiore , ma le ossa an-
cora mascellari e palatine divise per lo spazio di
sei linee , di maniera che nello scheletro si po-
tevano da questa lessura mirare benissimo e le
ossa turbinate , e i rivolgimenti delle cavità na-
sali . La fessura era divisa in due dal tramezzo
delle narici ; e dove questo termina , ne rimaneva
ima sola ,. la quale continuava lungo il velo pa-
EXERCITATIONES PATHOLÙGIC^ "' SsS
latino e V uvola . Casi simili hanno osservato Hal-
ler e la Faje, e siccome questi ha ottenuto di
conservare il hamhino , e fargli anche per mezzo
della sutura articolare la voce , così possiamo spe-;.
rare lo stesso in simili circostanze , senza però lu-
singarsi di una pronta e compiuta guarigione .
Art. III. Della spina bifida. Si leggono in
questo articolo cinque casi osservati dall' A. , dei
quali i due primi mostrano che la dura madre ap-
partenente al midollo spinale forma il sacco o tu-
more , dove è contenuto il siero travasato , e che
dessa apre le apofisi spinose in una parte o T al-
tra della colonna vertebrale . Il terzo mostra che
la spina bifida o idrorachitide ha origine talvolta
dair idrocefalo interno , e in questo caso T acqua
scende dal cranio nel tubo vertebrale : al qual pro-
posito ricorderemo che Bernardino Ganga ha ve-
duto un fanciullo con idrocefalo , il quale per la
suppurazione di un tubercolo in vicinanza dell'
ano ( probabilmente sul coccige ) fu libero di quel
morbo , ma restò spento in seguito della evacua-
zione del siero . Il quarto caso è di un fanciullo
di due anni che fu presentato all' A. ond essei'e
curato di un tumore , che avea sin dalla nascita
tra r ultima vertebra lombare , e le due prime
dell' osso sacro . Il tumore avea la figura di un
uovo appianato , era posto trasversalmente , non sof-
friva il toccamente , vietava al fanciullo di gia-
cere sul dorso , e quando era lungamente palpato
cagionava T evacuazione delle fecce . Alcuni so-
spettarono che avesse comunicazione coli' intestino
retto , ma un' esplorazione accurata dimostrò es-
sere falso il sospetto . La di lui madre narrava
che gli escrementi eran sempre venuti fuori con-
tro la volontà , e che il tronco mal si reggeva so-
21*
3/!4 Scienze
pra le estremità inferiori. Dopo due anni giunse
notizia della di lui morte . Il quinto caso risguar-
da un giovane , il quale dalla nascita portava um
tumore sopra le vertebre lombari , e non ostante
avea toccalo T anno xv 1 1 di sua età senz' altro
incomodo , se non che una debolezza degli arti
inferiori . Per un urto gli si lacerò la cute del tu-
more, ne venne la febbre, e per tal motivo en-
trò nell ospitale . Ivi fu osservato che inaspren-
dosi la lebbre il malato sentiva una forte disten-
sione al collo ed all' occipite , e però furono fatti
due salassi , e ministrate bibite diluenti , onde tem-
perare r interna infiammagione . Si ruppe finalmente
il tumore, e tramandò una quantità grande di sie-
ro : apparve allora un qualche miglioramento , ma
ben pieslo la febbre divenne più intensa , mag-
giore il dolor di capo , un senso di formicolìo si
destò negli arti inferiori , e l' inlérmo pallidissimo ,
esausto di forze, morì . Nel cadavere si trovarono
alcune alterazioni nel cervello , come per esempio
il ventricolo laterale sinistro pieno di un' acqua
torbida , e pili ampio del naturale . Tagliato il
tubo spinale, Ibrmato dalle meningi, apparve privo
di acqua . Tutto il guasto si notò essere nell' ul-
tima vertebra lombare, e in quelle componenti il
sacro ed il coccige ; imperocché le loro apofìsi spi-
nose erano divise , e quelle della prima e seconda
vertebra dell osso sacro lasciavano un'apertura ova-
le , nella quale si era intromessa la dura madre
in lòrma di sacco non affatto immune da siero
travasato . Queste cose dimostrarono abbastanza che
tutta la teca vertebrale avea sofferto infiammagio-
ne , e che non era andata esente da questa nep-
pure la sostanza del midollo, poiché goni] si ve-
devano quei vasellini che sono dispersi tra le ner-
Exercìtationes pathologic^ 3^5
vose filamenta . Dopo la narrazione di questi cin-
que casi si oppone l'A. all' opinione di P. Frank
che non sempre l idrorachitide sia congenita • e
poscia discute se la fenditura delle vertebre 'sia
cagionata dall' umor sieroso raccolto entro la dura
madre , e su questo particolare si appiglia al pa,
rere di Gio. Andr. Murray , il quale pensa che
Il siero SI raccolga là dove le vertebre sono mal
conformate , e non abbastanza consolidate ; e così
spiega come il tumore spunti talvolta su la cer-
vice , talaltra sul dorso , oppure su i lombi e
1' osso sacro ; Avverte infine 1' A. che l' aprire coli'
arte, e il rompersi spontaneo del tumore accele-
rano la morte dell' inlbrmo, e che illeso rimanen-
do quello , può questi giungere all' vi 1 1 , ed anco
al XV n anno di età, come il fatto ha mo-
strato .
Art. IV. Della diastasi del pube . Ha l'A. osser-
vato nel cadavere di un uomo morto all' ospitale
una massa spongiosa nell' ipogastrio , dagli angoli
della quale gemeva continuamente l' orina t avea
quella massa un' appendice lunga un dito trasverso
rappresentante il pene , ed avea ih ciaScUn lalb una
protuberanza ossea coperta di peli . Notomizzata
ia parte , trovò che gli ureteri andavano ad aprirsi
m quel corpo informe , e che desso era la ve-
scica orinaria in parte mancante , e contrafatla
la quale stava fra le spine del pube distanti tra
loro di quattro dita , e sporgenti nelle mentovate
dure prominenze . Da questa diastasi del pube ve-
niva che la cavità del bacino era più ampia del
naturale , i femori male appoggiati su Je ossa in-
nominate, distratto lo scroto, il perineo , e l' ori-
Tizio dell' ano, portati innanzi . Ha inoltre osservato
1 A. che al yìzìo medesimo di struttura van pur
32G Scienze
soggette le femmine . Fu a lui presentata una bam-
bina di ckte mesi , la quale dalla vulva sino al
luogo deir ombelico ( mentre di questo non eravi
traccia ) avea un' ulcera bislunga , ineguale nella
superGzie , e rosseggiante , con due fori , dai quali
stillava r orina , e che certamente doveano essere
gli orifizi degli ureteri, poiché il rimanente eraj la
vescica orinaria difettosa, lacerata, e aderente alla cu-
te . Ai lati deir ulcera si sentivano due tubercoli ,
i quali erano senza fallo le spine del pube per la
ragione che nel loro mezzo nulla si sentiva di duro
ed osseo ; nel basso poi dell' ulcera si scorgeva
un' apertura cinta da cerchio membranoso rappre-
sentante la vulva . La madre della bambina ben
conoscendo che a tanto difetto non poteva pre-
starsi riparo , si accontentò di chiedere un qual-
che rimedio alle molestie e dolori cagionati dallo
Stillicidio dell' orina sopra la vescica denudata. Hopo
la narrazione di questi due casi rammenta 1' A-
quelli osservati da lluxam , da G. Flajanì , e da
Gio. Walter , il quale per altr9 ha veduto le ossa
del pube distanti per lo spazio di linee 20 2 »
congiunte da un legamento invece della cartilagi-
he , Senza alrun vizio nella vescica orinaria e sue
dipendenze. Quindi si propone due quislioni ; 1.
se la diastasi del pube sia rimediabile in un feto
venuto appena alla luce; ed a questa riisponde che
isebbene con opportuna legatura possano avvici-
narsi le due ossa , pure attesa la loro resistenza ,
ed una certa solidità , e atteso ancora il difetto
dell' organo genito-urinario , che n' è ordinariamente
compagno , non possono mai perfettamente e sta-
bilmente riunirsi . La seconda quistiono si è, se
r uomo contemplato nel primo caso sarebbe stato
EXERCITATIONES PATHOLOGIC^ Zin
idoneo alla generazione ; e qui notando che per
tale funzione si richiede il getto dell' umor proli-
fico con una certa forza , e veggendo che in quello
,si laprivaoo i condotti dei'erenti nella, superlìzie su-
periore dei pene , e in conseguenza il seme mancar
tlovea del necessario impeto e direzione , giudica
che stato sarebbe inetto alla fecondazione (a) . Per
r opposito siccome nelle femmine non è indispen-
sabile la introduzione del membro virile nella va-
;gina onde rimangano fecondate , ma la sola eia-
culazione del seme in essa , siccome tanti fatti il
-provano abbastanza , però conchiude che la bam-
bina del secondo caso avrebbe potuto un gior-
no prolificare , come gravida divenne là donna ,
.di cui parla Huxam , quantunque malissimo con-
formata nei genitali .
Art. V. iJel loxavtro , colla q'ual voce greca
composta intendesi la obliquità degli articoli, o in
.senso più largo la loro direzione cangiata dallo stato
naturale. Questo vizio suol prendere le mani e i
piedi^mapiù frequentemente questi che quelle. La
mano così viziata è piegata all'indentro di maniera
che il dorso di essa è volto all' insìà, e la palma ri-
guarda il suolo ^ il pollice verge all'interno, il dito
mìgnolo tiene la parte esteriore , e la mano non
può essere liberamente sollevata : l'ulna in que-
isto caso è prolungata più innanzi verso il carpo,
il raggio è più breve , e con più ampia superfi-
.zie riceve gli ossetti del carpo: questi poi sono
(a) Ci perdoni 1' A. se noi dubitiamo di questo suo giudizio ,
poiché il solo aprii-si dei canali deferenti nella parte superiore del
pene non ci sembra ragione sufficiente per escludere la facoltà di
fecondare, e potremmo valerci dell' autornà stessa di Eistero , ch'é
tiportata nel suo art.
SaS Scienze
scomposti in una foggia ben difficile a descriver-
si . Quanto ai piedi, raro è che un solo di es-
si sia storpio, ma ordinariamente lo sono ambe-
due; sono cioè volti indentro in modo che la loro
pianta sta un poco indietro, e alquanto tratta all' insù,
il dorso in conseguenza guarda inferiormente il lato
anteriore ed esterno, e gli apici delle dita di entram-
bi i piedi convergono: talvolta il dorso è più con-
vesso per essere prominenti in esso alcune ossa del
tarso; talaltra sembra mancare il malleolo interno;
e quasi sempre tutto il corpo sembra sostentato dair
esterno margine dei piedi. Senza dilungarci nel ripor-
tare le istorie che leggonsi in questo articolo,e le ispe-
zioni sul cadavere, diremo che anche riguardo i pie-
di il vizio consiste nella cangiala posizione e con-»
nessione di alcune ossa, di quelle inspezie che com-
pongono il tarso ; e diremo inoltre che nei fanciulli di
fresco nati non è gran fatto difficile il ridurle ali*
ordine naturale, ma è bensì difficilissimo il man-
tenervele. Ciò non pertanto dovrà tentarsi la ma-
novra suggerita dalFÀ., qual' è di dirìgere alla par-
te interna il malleolo della tibia, e alla parte ester-
na sospingere dirottamente Y osso del calcagno, con
i quali movimenti le ossa che sporgono in diversi
punti del piede concorrono tra di loro al sito na-
turale. Dovrà anco tentarsi dopo Y operazione l'ap-
plicazione delle fasce, pezze, e cerotto glutinoso nel
modo eh' egli insegna, onde contenerle in sito; e
dovrà infine a\ersi in considerazione l'ingegnosa in-
venzione dell' ili. Scarpa di Tarie macchinette di-
rette a sanare i piedi storpj.
Art. vi. Della lordasi. S' intende con que-
sta voce queir affezione della spina vertebrale , per
la quale essa inclina alla parte anteriore; ma 1' A.
la usa in significato più ampio, e vi comprende le
EXARCITATIONES PATHOLOGIC^ 32<>
tieformità delle ossa tanto nella figura che nelle di-
mensioni. Prende pertanto a considerare tali defor-
mità in dettaglio, e incominciando dalle ossa del
capo scende alla colonna vertebrale, ove s' intrat-
tiene più a lungo. Novera le varie spezie di stor-
cimento, cui va soggetta la colonna delle vertebre,
e le varie cagioni produttrici, le quali egli classìfica
in interne ed esterne. Fra le interne pone i tumori
che insorgono addosso la spina , gli ascessi nel
luogo medesimo, la carie, la rachitide, i profluvi
violenti e pertinaci di ventre, infine il rammolli-
mento del corpo delle vertabre e delle intermedie
cartilagini , per il quale viene a mancare il suffi-
ciente sostegno, e Y equilibrio al tronco. Ripone tra
le cagioni estrinseche gli urti, le percosse, 1' abi-
tudine di tener piegato lungamente il tronco, gli
esercizj smodati del corpo , le allacciature, e cer-
ti macchinamenti inventati a conciliare grazia alla
persona; e vuole spezialmente intendere que' ma-
landrini busti, coi quali una volta le vergini si ado-
peravano di stringere per quanto era possibile la
pancia, e rendere prominenti le poppe e le anche,
e con i quali oggigiorno taluni scioperati giovani
si studiano imitare, e diremmo quasi mentire le for-
me muliebri . L'A. declama altamente contro que-
ste detestabili mode , compagne della depravazione
del costume, e mostra come il petto e V addome
sottoposti ad ineguale pressione vadano a soffrire nel-
la struttura, e contraggano alcune deformità che nel-
la età avanzata si fanno maggiormente visibili . De-
clama anche con ragione contro f uso di fasciare i
bambini, di tenerli lungo tempo seduti, o sospesi
per le ascelle mediante un laccio, e di portarli sul
braccio premente la regione epigastrica , siccome
fanno comunemente le nutrici; e vorrebbe che nel-
33d Scienze
la loro adolescenza badassero gì istitutori a mode-
rarne i movimenti del corpo e dello spirito , per
esempio il soveichìo saltare, il correre, lo studio
intenso , le passioni di animo, e via discorrendo.
Quanto poi alla cura medica della lordosi verte-
brale prodotta vSpezialmente «la cagioni interne,!' A.
confida molto sul vitto di buona qualità e di fa-
cile digestione, su i bagni Ireddi , su le fregagioni
lungo la spina dorsale, sul conveniente esercizio del
corpo, e .sopra T opportuna giacitura del medesimo
durante il sonno. Dopo ciò egli fa vedere come dal-
lo storcimento della colonna vertebrale nasca per
neOessità relevazione o depressione delle costole e
dello sterno; tocca di passaggio le deformità dell'
omero e della pelvi, e viene poi a parlare di quel-
le delle estremità Inferiori. Qui descrive minuta-
mente le strane fogge, nelle quali sono talvolta pie-
gati o rilevati i femori e le tibie, e noi slimiamo inu-
tile il ripeterne la descrizione, mentile tali diietti di
struttura sono notissimi a chiunque abita popolose
città. Quindi con la testimonianza di Orazio Plauto,
Marziale ed altri prova che i medesimi vizj di confor-
mazione non provenienti da esterne ingiurie si osserva-
vano in antichi tempi, nei quali né il contagio vajo-
loso e sifilitico, né la rachitide deturpavano Tuman
genere. Riferisce ed illustra le voci stesse, colle qua-
li i nòstri maggiori dinotavano gli individui deformi,
la parola valgus significante un uomo si orto , va-
ruy storpio, compernis con le ginocchia piegate ad
angolo interno 4 paetus di piccìola statura, scaurus
con i molleoli prominenti. Infine per mostrare che
le deformità proprie di ciascun osso possono tutte
concorrere io un medesimo individuo, descrive lo
scheletro mostruoso di un uomo di 34 anni, così na-
to secondo T asserzione della madre vivente alfepo*
EXERCItATIONES t»ATtìOLOGICJE 33 t
eia della di lui morte, e senza che le ossa fossero
alleiate da tofi, gomme, esostosi, o veneree pro-
tuberanze.
Art. VII. Della mancati za dei muscoli gemel-
li delle gambe. Che in una macchina Sanissima man-
chi talvolta un muscolo , come sarebbe il palmare
della mano , il plantare della gamba, il piramida-
le dell'addome ec. non è cosa ignota agli anatomi-
ci ; ma il trovarsi mancanti i muscoli gemelli del-
la gamba, egli è un latto (dice il N. A. ) forse nuo-
vo neir anatomia patologica . Una fanciulla di set-
te anni gli offerse per la prima volta questo difet-
to. Ella camminando velocemente zoppicava, e so-
vente cadeva, quasi che la gamba sinistra fosse sta-
ta inetta a sorreggere il Corpo ; piegava l'apice del
piede al di fuori ; avea il calcagno più grosso e ro-
tondo del destro, e camminando premeva con que-
sto il suolo , mentre teneva la pianta alquanto da
esso elevate. Là gamba sinistra appianata nel luo-
go del polpaccio , e più gracile verso la giuntura
del piede, manifestò la mancanza dei muscoli gemel-
li e del gran tendine di Achille , e fece compren-
dere che i muscoli flessori con la loro azione con-
traria cagionavano il descritto disordine . Dopo co-
testa fanciulla ebbe occaisione l'A. di vedere un con-
tadino con il medesimo diletto, e ne riporta il ca-
so: poi ragionando su quanto dice Alfonso Borelli
di coloro , i quali tentano reggersi e camminare sul
calcagno o 1' apice del piede , egli rende ragione
del passo stentato e vacillante de' mentovati indi-
vidui .
Art. vili. Dei deserticoli della vescica orinai
ria , e intestino ileo . Accenna 1' A. da -principio la
discrepanza di opinioni dei sommi anatomici Mor-
gagni G Sandifort intorno l' origine di coleste mor-
33^ Scienze
bose appendici; ma vi ritorna poi di proposito in
fine deirar icolo dopo avere narrato tre casi, il pri^
nio osservalo da Sassard , gli altri da lui stesso .
Vide pertanto il cliiruigo francese una vescica ori-
naria , la quale in un lato del fondo avea le fibre
muscolari separate, e tra queste insinuandosi le in-
terne membrane aveano formata una dilatazione co-
me un uo' o di gallo d India . JNulla di estraneo
trovossi in questa, né tampoco entro la cavità del-
ia vescica ; per lo che suppose il lod. cerusico che
queir individuo andasse soggetto alf iscuria , e -che
l'orina ritenuta avesse sfiancato a quel modo la pa-
ret(^ più debole del licettacolo membranoso . LA.
poi preparando gli organi orinarj per una pubblica
dimostrazione , e avendo gonfiato di aria la vesci-
ca, ha veduto m essa molte bolle, una maggiore sul
fondo nel luogo propriamente dell' uraco , una nel-
la parte laterale destra , e le altre nella posteriore-
La maggior bolla era guernita di fibre muscolari ,
come anche alcune altre, e v'erano di quelle del
tutto sguernite; è poi da notarsi che i li lamenti mu-
scolari nel luogo di comunicazione con la caviti
della vescica erano tra loro stretti e disposti quasi
a foggia di sfintere . Oltre queste bolle più rileva-
te , molte altre cellette si osservavano spaise nel-
le pareti della vescica , ma non visibili ali ester-»
no; e grossi oltre 1 ordinario si oss('rva>ano i fa-
scetti muscolari: nulla intanto si rinvenne di estra-
neo. Similm nte il N. A. apiendo il cadavere di uri
vecchio vi ha trovato una vescica orinarla di pic-
ciola mole, di forma conica , e munita nel fondo
Idi un sacchetto , il quale sembrava sorgere dalla
radice delf uraco , poiché le libre carnose che at-
torniano la radice cava di questo, cangiate in tcn-
dinose dappertutto lo rivestivano . Altri sacchcUi
EXERCITATIONES PATHOLOGICjE 333
niiiiori apparivano nella parte laterale e posteriore
della vescica , tutti internati tra le fibre carnose che
erano rilevatissime; e poi miravansi pareccliie cel-
ette non .-Itrppassanti Io strato muscoloso, e quel-
e in vicinanza del collo contenevano calcoletti del-
ia grossezza di una linea .
^ Quanto ai diverticoli delle intestina, osservali
già e descritti da Littre, Morgagni, e Van Doeveren
li nostro A. narra che notomizzando un fanciullo
di 6 mesi, ernioso in ambi i lati, ha trovato il pe-
ritonèo con due larghe aperture verso la cavità ad.
dominale; e per quella sinistra scendeva un' ap-
pendice dell intestino ilao formata dalle medesime
di lui fibre obliquamente prolungate, lunga circa
4 pollici, terminante in forma oiivare, e fermata
da una produzione del peritonèo . Sulla quale os-
servazione egli fondandosi giudica che le appendici '
intestinali tuori del naturale sono tutte connate,
mentre non è supponibile che le fecce accumulate
1 vermi, o altro corpo qualunque possa ledere in
modo una parte delle intestina da dare origine ad una
appendice costrutta come Tintestino medesimo. Pensa
m egua modo riguardo alle ernie delia vescica ori-
nana , che SI trovano nell'alto fondo , d onde nasce
1 uraco ; e solo riguardo a quelle che si scontano
nel corpo e nei lati della vescica, non abbastanza
coperti dai peritonèo, ammette che provengano dalle
interne membrane più ampie dello strato musco-
lare distese da soverchio liquido , o premute da un
solido, o in altra guisa sospinte, e così ravvicina
le discordanti opinioni di Morgagni e Sandifort da
principio accennate.
Art. IX. Del/e ostruzioni. Con questa voce vuol
esprimere A. l'ingrandimento di un viscere, o di
una gianduia , sia per esuberante nutrizione, sia per
334 Se I E N Z E
il. ristagno di un umore qualunque, sia per la de-
posizione di una materia eterogenea , o finalmente
per essersi f^ttja dura e carnosa. Egli parla in pri-
mo luogo àeìV iciroglosso , e d^ la storia di un fanciul-
lo di 2 mesi avente una ramila , la cn\ sostanza re-
ticolata era composta di grosse fibre biancastre ,
contenenti molte piccole caverne; essa prolungava-
si inferiormente sotto la membrana del palato, ed
ivi unita ad un poco di linfa stagnante ergendosi so-
spingeva in alto r apice della lingua : la gianduia
sottolinguale sinistra era voluminosa , ed avea gli
acini poco coerenti per essere rilassata la cellulare
interposta . Poi viene a parlare del b roncacele , e
narra che in un feto estratto dall' utero per i piedi
era formato dalla gianduia tiroidea gonfia, e che in
entrambi i suoi lobi racchiudeva una materia stena-
tomatosa : che in un altro feto di G mesi con la
stessa malattia era la tiroidea estesa ai lati del col-
lo , dura , incompressibile, di colore epatico , e di
tessitura carnosa: che in ultimo in un terzo fanciul-
lo parimente nato col broncocele, la tiroidea nulla
conteneva di estraneo, ma presentava un soverchio
ingrandimento e afflusso di umori , mentr era ros-
sastra , gonfia di sangue, provvista di moltissimi
vasellini , e divisa in quattro lobi discendeva ai la-
ti della trachea . Riguardo alla gianduia timo rac-
conta di averla veduta in un ragazzo di due -anni
bianca , indurata , estesa sopra i vicini vasi , e co-
me composta da tanti scirri: le glandule bronchiali
ancora appartenenti al destrp polmone gli parvero
ostruite . Delibi milza ci riferisce di averla osserva-
ta in una fanciulla bimestre lunga sette dita tra-
sverse, di buon colore , della consistenza del fega-
to , in veruna parte ostrutta , di ipaniera che egli
giudica aver conseguito cotesto accrescimento per so*^
EXERCITATIOK-ES PATHOLOGIC.E 335
la ridondante assimilazione . Parla infine delle scro-
fole^ e qui il soggetto della storia è una fanciullai
di 3 anni morta di atrofia , il cui cadavere n offer-
se una congerie numerosissima ; imperocché erano
indurate le glandule del collo, le ascelleri, il timo,
e le glandule della pelvi ; tubercoli bianchi e dì
Tarla grandezza si osservavano nel polmone , dia-
framma , fegato, milza , e mesenterio; ve n' erano
ancora lungo la spina dorsale sotto la veha cava ,
e in numero grandissimo risaltavano sopra 1 ester-
na superfizie delle intestina ; tagliati per il mezzo
mostravansi bianchissimi , e come ripieni di sevo
addensato .
Art. X. Delle ernie. Volendo FA. parlare del-
le ernie connate, premette che nel feto immaturo so-
no collocati i testicoli nella cavità dell' addome in
vicinanza dei reni, e stanno sopra una vagina cilin-
drica proveniente dal peritonèo ; che questa pro-
duzione peritoneale scende poco a poco nello scroto
con il testicolo, in modo che questi rimane al di-
fuori, come gli altri visceri del ventre, e n' ò al
tempo stesso rivestito; cheinfine la medesima produ zio
ne costituisce la tonaca vaginale dello scroto , la quale
se per avventura rimane aperta dopo la discesa del te-
sticolo, può dare adito al tubo intestinale, e cagiona-
re r ernia connata . Premesse queste nozioni, viene
a parlare AqW enterocele^ ed espone che in un' lanciul--
lo dì IO mesi morto di febbre trovò appunto aperta
la tonaca vaginale nel lato destro , ed essa riceveva
la massa intestinale composta di un ansa delf ileo ,
da tutto il cieco con la sua appendice , e da una
parte del colon : il testicolo era posto in situazione
inversa ; con una faccia giaceva nel fondo della
vaginale, con T altra era rivolto all' ileo ed alla op-
pendice vermiforme, cui era legato mediante un
336 Scienze
tenue legamento lungo nove linee circa nato dal
peritonèo . Nota altre particolarità riguardo al testi-
colo , e al rene del Iato opposto , nella cui pelvi
e uretere trovò varie calcolose concrezioni ; e quindi
passa all' om/alocele^ premettendo che il peritonèo
dà eziandio una produzione ali ombelico , la qua-
le a differenza di quelle inguinali è spinta indentro
a norma che il feto va avvicinandosi alla maturi-
tà , che i muscoli con i tegumenti vanno a forma-
re e compiere la cavità addominale : che se per
difetto di natura essi mancano , o non si stringo-
no in modo da cuoprire , e chiudere Y ombelico ,
allora è che ha luogo più facilmente Vernia ombe-
licale connata . Divide tali ernie in quelle che so-
no rivestite dalla pelle e dai muscoli , e in quel-
le altre che ne sono prive, e dice esser queste mol-
to più rare delle prime: ciò non pertanto egli ne ad-
duce varj esempj proprj ed altrui , tra i quali noi
scegliamo il seguente . Una prirqppara diede alla lu-
ce il feto , cui nel destro lato delladdome sporge-
va un'ampia borsa, o tumor molle: erano ivi man-
canti i muscoli e la pelle , la quale assottigliata
aderiva con i suoi lembi al peritonèo , e questi for-
mava il mentovato tumore. Stanziavano in esso pres-
soché tutti i visceri del ventre, lo stomaco , le in-
testina , eccettuato il retto , il mesenterio , il fe-
gato , la milza , la Cassola renale destra , e il te-
sticolo destro con la sua vagina .
Art. XI. Scirro del cervello . Non può dirsi a
rigore esser questa malattia congenita; ma essendo
rarissima, dee bensì giudicarsi degaa di essere cono-
sciuta . È perciò che il N. A. ne riporta due ca-
si, de' quali il primo è il seguente . Fu esposto un
fanciullo di un anno avente un biglietto, nel quale si
j^nnunciava il suo mal di capo: egli trasse per qual-
£XERC^TATJ0^'ES PATHOLOaiCX 33 7
che tempo una vita torpida; e poi previa la stupi-
dità , lipotimìa , e vomito cessò improvvisamente
di vivere • Aperto il cranio , la dura madre aderi-
va al parietale sinistro più fortemente di quel che
suole nei fanciulli , ed avea sotto di se non poca
linfa gelatinosa : i lobi anteriori del cervello erano
sani ; il medio sinistro, rigonfio di acqua e diaf;mo,
presentava un ammasso d' idatidi : entrambi i lobi
posteriori erano scirrosi e duri al punto , che il
midollo poteva risolversi in filamenta , anzi da que-
sto poteva con tutta facilità separarsi la parte cor-
tinaie , e ne scaturiva intanto una sanie abbondan-
te, mista ad un tritume di sostanza granellosa : la
durezza medesima sentivasi in qualche parte dei
ventricoli laterali . Del resto niuna porzione del cer-
velletto appariva offesa , né, a detta dell' A., appari-
vano segni d' infiammazione (a) : il pancreas , le
glandule soprarrenali e meseraiche erano dure , il
corpo estremamente estenuato. Il secondo caso spet-
ta ad una giovanetta di i3 anni, ornata di emi-
nenti doti di animo e di corpo , 1% quale si diede
ad una profonda tristezza dopo la morte di suo pa-
dre : quindi incominciò a querelarsi di dolore nel-
la parte anteriore del capo con vomito e sciogli-
mento di ventre , e poco a poco perdette il vigo-
re del corpo e le facoltà dell animo. In ultimo viep-
piij aggravata dal mal di capo , dimentica di tutte
le cose , immersa in continuo silenzio , con debo-
(a) Quanto a noi la presenza del siero gelatinoso sopra i visce-
ri è ttu indizio certo di precedente infiammazione. Laonde non poS--
siamo convenire col eh. autore che in questo caso maturassero se-
gni di fiogosi; anzi osiamo asserire che la descritta alterazione or-
giinica ne fosse il prodotto.
G,A.T.IX. 22
338 Scienze
le udito, e più debole vista , perì. Tolto il cranio,
e tagliata la dura madre , apparve il cervello più
duro dell' ordinario : nei ventricoli laterali legger-
mente infiammati ristagnaTa moltissima linfa: T in-
ferior parte de'talami ottici in vicinanza della gian-
duia pituitaria era dura e scirrosa, in particolare
a sinistra osservavasi di color cenericcio , corrot-
ta , e facilmente separabile dalla contigua midolla:
ai lati della sella equina varie strisce gelatinoso-pu-
rulente avvolgevano i nervi ottici, e quelli del ter-
zo e quarto pajo , e la dura madre addetta alla mi-
dolla allungata ^ra distesa da copioso umore.
( Sarà continuato )
Memoria del conte Giuseppe Mamiani di Pesaro
sulla vita e gli scritti di G. Ubaldo del Monte,
matematico del secolo decimosesto.
G>
"nido Ubaldo del Monte nacque da una delle più
cospicue famiglie d' Italia. Anzi, secondo il Baldi
(i), convien credere eh' ella discenda dalla regia
casa di Borbone: e l'Atanagi dà i più minuti det-
tagli sulla di lei origine particolare (2) . Dice egli
in fatti, che Raniero del Monte figlio di Girolamo
e d' Ipolita Sforza de' conti di santa Fiora, vedova
di Federico Farnese, fu il primo che da Perugia si
l'ecasse in Pesaro : che fu padre del gran G. Ubal-
(1) Cronica di matematici. Anno 1696. Ediz. Urbin. del 1707.
pel Monticelli,
(2) Lettere . lib. I. Venezia 1682 ( nella dedicatoria dei 28.
piarzo i66i. scritta a Raniero del Monte.)
Memorie ci G. U. del Monte 33g
do e del card. Fraocesco Maria: che nel ìS-^ì dal
ìluc^ G. Ubaldo secondo di Urbino fu investito di
l^lonte Baroccio, e nel i547 ^" ^^^^^ nobile romano,
capp delle lapcie spezzate del duca medesimo, e ge-
nerale delle battaglie del suo stato, non che gover-
natore della città di Pesaro. Egli, secondo l'Alme-
Xici (i) ( che si riporta a un foglio di memorie dei
siguori del Monte), nell' anno i544 ebbe dal du-
ca per isposa una lìglia del cav. Pianqso, che poi
nel 1545 agli 1 1 di gennajo glj, partorì Gujdo Ubal-
do, ed altri figli in appresso.
Vedesi dal fin qui detto, i ° che la famiglia di
G. Ubaldo esser non può confusa con quella dei
duchi della Rovere , conae anni sono a^ardarono
di asserire alcuni oltyaniofitani , se pure non diede
loro occasione la somiglianza del nome, e la paren-
tela in seguitp ayut^ dal duca Guid TJbaldoIl, che gli
die per moglie una sua figlia Felice (2) ; 2° che
non deyesi attendere il ]\IonlucIa (3) quando assicu-
jra essere sconosciuto ì\ teippo della di lui nasci-
ta^y e quello della di lui morte, citando Bernardino
iPaldi nelle sue croniche: mentre questi non ne par-
1^ né pHplQ né ppcq , indicando solamente gli anni
^ronolpgici de maternatici, ovvero Y epoca del lor
fiorare pel jnondo. Errò adunque il medesimo Ti-
;rabosc|ii phe in tal sentimento si unisce al citalo
I^lpntucla (4); giacche se egli stesso ci fissa pel tem-
(1) Spogli esistenti «ella biblioteca Oliveriana , siiuarcio C B.
carte 2. 8.
(2) Idem.
(5) Histoire dcs mattcmatiiivies T.L pag. 690 . Edit. Paris Ajmo VII
e precisaiii: alla pag. 709.
(4) Storia etc. T.VII. parte I. l^b, II- cap. 2. §• 0$.
22* '
340 S e ì E A' Z t
pò della sua morte il principio del secolo XVII,
e r anno prima del 1608, lochè si accorda con quan-
to ne dice lAlmerÌGi (i), si è parimente veduta da
questo assegnata V epoca felice del di lui nascimen-
to air anno i545. Prese abbaglio perciò il Bossut
se il fece nascere nel i553, e morire nel 1G17. (2)
Non si tralascerà di dire, che l'illustre suo ge-
nitore fu pure dotto e versato nelle figure sublimi ,
e eh ei diede alla luce due libri d' archittettura mi-
litare, e tre libri d' astrologia, come avverte il San-
tini ne' suoi eruditissimi elogi dei matematici del
Piceno (3). Sotto i prosperi auspicj di un valente
procuratole, e di un padre secondo tanto degno quan-
to fu G. Ubaldo II della Rovere , cominciò egli
a servire il principe Francesco Maria , con cui fa-
migliarmente convisse, e si erudì sotto la scorta dei
celebri ingegni Lodovico Corrado , Paolo Minuccia,
e fra Costanzo Porta. Andò d'anni 19 allo studio
di filosoiia in Padova, ove applicossi alle matemati-
che, ed in patria tornato le coltivò sotto il grande
Federico Cau.andino in compagnia di molti altri,
e specialmente di Torquato Tasso (4)- Conversò co'
più dotti uomini di quel tempo, quali furono Cesa-
re Benedetti vescovo di Pesaro , Federico Bonaven-
tura da Uibino , Bernardino Baldi abate di Gua-
stalla , Pier Matteo Giordani da Pesaro , Galileo
Galilei. Andò in Ungheria col Fregoso, e contro il
(1) Loc. cit.
(2) Saggio sulla storia generale delle matematiche. Ediz. pri-
ma itàlica con aggiunte di G. Fontana. Milano 1802. T. 2. pap.
ultima
(3) Ediz. Mac«rat. Anno 1779.
(4) Serassi. Vita del Tasso, pag. 90.
Memorie di G. U. del Monte 34 1
Turco col principe Francesco Maria ; ma inferma-
tosi a Messina non intervenne alla battaglia de*
Gurzolari . Fu poi nell' anno i588 fatto visitator
generale di tutte le città e fortezze del gran diica di
Toscana , e yisitolle di fatti in compagnia di Do-
nato deir Autella commissario generale in quello
stato: lo che prova che a questo ramo di matema-
tiche applicazioni pure attendeva , sebbene non ab-
biamo di lui opera alcuna che cel dimostri . Ed
ecco che oscurissimo non visse, come pretendevano
il Tiraboschi (i) ed il Montucla (2) ; e però non
prima di questo tempo sarassi ritirato nel feudo di
Monte Baroccio per meditare vie meglio e seguire
la scientifica sua carriera, come da loro si opina.
Morì il dì 9 gennajo dell'anno iCioy, e fu sepolto
nella chiesa delle monache di s. Cliiara in Pesaro,
dove leggevasi una iscrizione mortuaria, della qua-
le a' tempi nostri non resta che la copia da me
trovata nella biblioteca Oliveriana di Pesaro , cui
le ingiurie del tempo non rispettarono ; sebbene
da una altra parte fossero men crudeli verso un suo
ritratto eh' esiste nella sud. biblioteca , e che è di-
pinto sicuramente dalla celebre mano dell' urbinate
Barocci. Vedesi ìnnoltre dall' albero genealogico di
sua famiglia esistente nelle Memorie OUveriane ^ che;
r ultimo di sua prosapia Raniero sposò Giovanna
de' conti di Montelabate , e venne a mancare nclP
stnno i644- (3)
Le di lui opere coi proprj titoli sono.
I .^ Mechanicorum liber dicatus ah auctare Fraii-'
(1) Loco citato
(2) Loco citato.
(3) Tutto ncir Abnevici, spogli sninJicati.
34^ S e I r N z E '■
cisco Marine II urhinatum amplissimo duci . Pisa-
uri apiid Concòrd. 1677 ( in fog. ) . Fu il tne-
desimo tradotto ed atinotato dal Pigàfetta , dedh-
cato air illustrissimo sig. Giulio Savoi'grlano , e staiii-
pato in Venezia presso Francesco de' Franceschi sene-
se nel i58i in quarto , e presso Evangelista Deu-
chino nel i6r5.
3,** G. ribaldi e mnrcìiionihus Montis , plani-
spheriorwn wiiversalium theoria. Pisduri apud Coti-
cord >. 1679 (in 4=" )• ^'^ or
3** De ecclesiàstici kalendarii resfitiitiohe t Pi-
iaur. i58oi
4° I?i duos Archimedis ecjuiponderantiurtì li-
hros paraphrasis. Pisaur. apiid Concord. i588.
in 4** •
5° PerspectivK Uh. VI. Pisauri apud Con^
cord. 1600. in fol:*.
6° Prohlemafiim astronomicorum Uh. VII etc.
Veiictiis apud Bernardinum Tantum , et Jo. Bapt.
Ciottum 1G09 in fol.**
7** De cochlealib. IV. Venetiis apud Evang. Deu^
chinuni iGrS .
Le quali opere vengono citate anche dal San-
tini e sono in maggior parte esistenti nelle varie
biblioteche di Pesaro . Debbonsi aggiungere due ma-
noscritti in foglio appartenenti alla famiglia Gior-
dani, che portano in fronte queste parole .
i"* G. Uhaldi etc. In quintuni Euclidis elemen-
torunì libriifn commentanus .
"a° G. Ubaldi etc. De proportione composita .
Opusc.
Di queste le più comuni sono i libri delle
mncaniche , quelli della vite d' Archimede , e della
prospettiva :, opere ìniatti degne d' un più serio ri-
Memorie dì G. Ù. del Monte 3^3
guardo è per grandi citate dal Montucla (i) ^ dal
JBossut (a) , dal Tiraboschi (3) ^ dall' Andres (4)
da Millet de Chalés (5), dal Durantini (6), dal
Baldi (7) , e dà tanti altt"i che troppo tedio sarebbe il
riferire .
Riguardo ai matemateci che lo precedettero *
i primi elementari insegnamenti d' Euclide , d' Ar-
chimede , d' Apollonio ; le opere quanto estese al-i
trettaiito implicate d' Ipparctì e di Toloxnmeo i quel-
le di EudoSso , Eratostene , Possìdonio , Anassi-
mandro ili parte lasciate dalla mano del tempo , q
in parte confuSanlente raccolte e tramandate da,
quella de' posteri , erano i Soli matematici lumi
é gli esemplari più scelti per i dotti di allora .
Le fatiche di un Leonardo da Pisa , d' un Gior-
dano Flemorìano , di Purbach , Regiomontano ,
Walter , è Cardano che a lui furotì d' appresso ,
per quanto in sé stesse grandi è serti^re degne di
onorevole menzione, erano però frutto de' secoli »
meno dotti , parto de' tempi i piij infelici , e se-^
quela inevitabile di male intesi prirtcipj . Glavio e
Tartaglia, che fra i matematici di quel tempo ebber
fama d' illustri , quanto agli òcchi imparziali e dì
queste cose veggenti appajano non solo mancanti -^
ma talvolta inesatti , ognuno giudicar lo saprebbe .
Avventasi inoltre, che i di loro scritti furono con-
T^t
(i) Loc. cit. pag4 690. e 70^
(2) ìiOc. cit.
(3) Loc. cit.
(4) T. 10. pag. 320.
(5) Curs. Mathemat. ( in tract. proeminm )
(6) De Historià libri tres ( Lib 2. cap 14. pag. 73} .
(7) Croniche loc, cit-
544 ' Scienze
temporaneamente a quelli di G. Ubaldo prodotti al-
la luce ; e che di molti e molti ancora non avrà
avuto contezza quella mente sublime, che pur gran-
de in se stessa , di gran mezzi avea d' uopo per
lo scientifico perfezionamento . Federico Comandino
suo precettore era fra gli altri matematici d' al-
lora stimato moltissimo , ed è perciò eh' ebbe po-
sto fra i Muzi Giustini , gli Antoni Galli , i Ber-
nardi Capelli , i Pietri Bonaventura , i Dionigi Ata^-
nagi uomini chiari di quel secolo , ed ornamenti
ben degni della corte di Urbino . Tuttavia il Co-
mandino limitossi a molte per verità dottissime tra-
duzioni dei matematici greci , quali furono quelle
di Apollonio , Archimede , Sereno , Pappo , £u-
torio , Aristarco , Euclide , Erone Alessandrino e
Tolomeo . Che se stare vogliamo al detto ancora
di un suo contemporaneo amico e discepolo. Ber-
nardino Baldi, egli nelle sue croniche (i) ci ri-
ferisce che del Comandino, ol're alle prefate tra-
duzioni, non abbiamo del suo , che il libto del cew
tro della gravità dei solidi ; opera da essere pa--
ragonata a quella delle più nobili degli antichi .
E di Leonardo da Vinci che, come asserisce il
Venturi nelle aggiunte al 2' tomo del Montucla
( vedi r Essai sur les ouvrages phisico-mathema-
tiques de Léonard de Vinci) (2), ragionò in me-
canica secondo i veri principj sui rapporti delle
forze e dei pesi applicati obliquamente alle brac-
cia d' una leva , sui piani inclinati, e sul movi-
mento dei pendoli ; noi sappiamo con sicurezza che
le più belle idee matematiche sono state sepolte per
(i) pag. i38. an. i5;5.
(2) Paris. Ali. V. ?ti 1797.
Memorie di G. U. del Monte 3^5
Tarj secoli ne' suoi manoscritti , e che però niun
soccorso hanno potuto sommiaistrare al lodato dei
Monte .
E volendo subito favellare delle cose inedite ,
la prima è un opuscolo in foglio di 55 pagine scrit-
te dall autore medesimo, ( come si rileva dal con-
fronto latto con alcune sue lettere esistenti nella bi-
blioteca oliveriana , ) e eoi quale intende di diluci-
dare il quinto libro di Euclide,che egli stima l'ottimo
sempre fra gli scrittori di queste materie, e nel quinto
il predica prestantissimo per la chiarezza e distinzione
degli oggetti; onde asserisce che questo libro è fonda-
mento di tutta la geometria elementare , e^ clip perciò
si prefigge di non mutarne l'ordine , ma solo di ce-
mentarne i passi pii^i importanti — iieque secundum
propriam sententiam Euclidem facere^ intentia no-
stra est . f^olumus enim ut Euclides , Euclides re^
maneat — (i) E perchè i comenti di Federico Co-
mandino erano e sono tenuti per i più fedeli, chia-,
ri , ed ordinali di que' tempi, così quelli si propo-»
ne egli di seguire: e coi medesimi paragonerò io que-
sto lavoro meritevole d' ogni elogio . 11 Del-|VIpute
adunque volendo scrivere sugli elementi della geo-
metria scelse il libro di maggiore importanza, e se-
guì passo passo il suo maestro, riconoscendo in lui
pregi non comuni, o superiori a tutti gli altri ^i
quella età .
Per dare poi alla scienza qualche cosa di nuo-
vo, e specialmente per istruirne glindotti , egli di-
lucida ed amplifica sul principio le definizioni dal-
le quali dice restar appianato il restante, non per-
dendo mai di vista l'ordine e la connessione delle
(i^ Vedine i' introdaic. «Ila pagina jpvima .
44^ S è f E N Z fe
medesime i, che veramente si trova ammirabile ed
litilissiiiia. Quindi le venti dcfitiìzioni d'Euclide met-
te in chiaro lume : e dove il Comandino non ne
coraenta che alcune dì volo ed altre lascia ine-
splicate , G. Ubaldo si fa a trattare distintamente,
e Supplisce in ispecìal modo al Comandino per
quello che spetta la ottava e la nona sull'analogia,
o simiglianza di ragioni ; la duodecima sulle quan-
tità oriiologhe; la diecinovesimà sull'analogia ordi-
nata ; e la ventesima sulla perturbata. Io non ista-
rò qui a descrivere 1' esattezza con cui nota la ge-
neralità delle prime defìniziohi,dove Euclide si espri-
me col tèrmine di grandezza pel* applicarle poi a
qualsivoglia 'genere di quantità ^ la necessità di cal-
colare la forza delle equìmoltiplici ; la conoscenza
esatta della proporzione, vale a dire il mutuo stato
di due grandezze dello stesso genere : e perciò che
risguarda la quantità , escluso sempre il paragone
dì finito a infinito , il modo di distinguere quando
quattro grandezze abbiano la stessa ragione , va-
le a dire il conoscere che còsa sia proporzione ,
quali siano le gt-andezze proporzionali, quali abbia-
no fra se una uguale , maggiore , o minore propor-
zione ; la dettagliata spiegazione dell' analogia ; Id
necessità di tre termini per costituirla, la forza del-
le permutazioni , conversioni, e composizioni . Nel-
le quali materie egli raddoppia gli esempj, fa il pa-
ragone coi tìulneri , e mostra la necessità di par-
lar sempre di quantità dello stesso genere, non ri-
sparmiando di osservare come Euclide cotiservi l'or-
dine naturale delle cose , quali dati egli prenda ,
ed in quài luoghi degli altfi libri applichi le de-
finizioni di questo^ che forma la scorta e l'appog-
gio di quelli . Che se paragonare vogliamo questi
cementi con quelli del Comandino ^ io trovo che
Memorie ih G. U. del Monte 44'^
G. Ubaldo oltre ad una maggior chiarez2i« ed esten-
sione, iihièce il pregio di analizzare sempre lo spi-
rito dì Euclide , e far vedere la connessione dei
princjpj da lui dimostrati; metodo utilissimo ai
giovani e necessario a tenersi in questo libro. e':
Passando ai teoremi , egli he dilucida vetìtà^'
cinque: la vedére che qucstisoli ad Euclide àppar--
tengono , noli curandosi delle aggiunte di Apollo-
nio e di Archimede, collazionate da Pappo, ^acr^
che si propose di nulla accrescere a quanto EugIì-^
de avea scritto. Avverte qui elle il greco autore
mantiene in essi V ordine osservato nelle definizio-
ni, trattando prirrta sui multipli ed equimultipli y
poscia sulle proporzioni, e in fine sui loro diversi
stati . Palesa la distinzione che conviea fare ptìr le
quantità appartenenti a generi diversi ,1' uso della
decimaquarta proposizione che può servir di lem-
ma alla decimasesta e decimaottava; la inutilità di
Una particolar menzione latta dal Comandino sul*
la decimanona, riguardo alle ragioni Sesquiterzie ,
e vesquialtere, mentre Euclide la fece comurie a tul»-
té; Tintefpretazione del — (juae binde siiriimantilr et
in endem proportione — per T analogia ofditiatai
che, come si riporta nella decimhrtoha definizione^
sigUiGcat che ire grandezze con cdtr'e dello stesso nii-^
mero siano fi a loro in ordinata analogia ; \ appli-
cazione del teorema vigesimoprimo comt^ lemma del
vigesinio terzo ; la necessità in cui si trovò Eucli-
de di non collocarle il vigesimoquarto tra il deci-
Uno e decimoquarto teorema, dove l'avrebbe ri-
chiesto la materia , ma bensì ivi dove per la sua
intelligenza necessitava la dimostrazione del vigesi-
raosecondó ; e finalmente la chiarezza , \ ordine, la
sublimità deir autore , da Cui tutti han dovuto*
ricevere le basi dell' elementat geometria , iuvoiuta
348 Scienze
da prima , cavillosa , specialmente rispetto alla su-
blime teoria de' rapporti e delle proporzioni .
Gomentasi dal Comandino il n.*', 13.**, i4.%
i5.°, i6.°, 30,°, 22.°, 23.°, e 25.° teorema, lad-
dove G. Ubaldo tutti rischiara , ma più diffusamente
l'ottavo, il decimonono e ilvjgosimo primo, come più
interessanti e più meritevoli di un' anali(;i partico-
lare. Il Comandino varie volte si limita alla so-
la interpretazione del testo greco , e alV induzione
dì alcuni corollarj, mentre G. Ubaldo curandosi so-
lo della materia , e della materia trattata da Eucli-
de, la sviluppa, la chiarisce, e non manca pur
egli di trarne le opportune conseguenze , nelle qua-
li va dietro all'autore e fa apprezzare le ascoste veri-
tà che dalle stesse sue dimostrazioni ampiamente ri-
fluiscono. Ci si ammira la maggior precisione nel
richiamare in margine le proposizioni antecedenti,
nel mantenere le stesse indicazioni di lettere e di
numeri dall'autore adoperate, e più di tutto la mas-
sima premura affinchè il giovane conosca lo spi-
rito delle proposizioni , riassumendone opportunar
mente il filo; la qual cosa omette quasi sempre il
Comandino, ed anche allora quando il soggetto la
chiederebbe per essere o complicalo od oscuro. In
somma egli è questo un comento ragionato profi-
cuo e non comune, che in faccia ai moltissimi di
que' tempi, porta in se il carattere di uno scritto-
re matematico e di un profondo indagatore delle uti-
li verità; questi è un comento che se fosse sta-
to esteso agli altri libri del Megarcsc , otterrebbe
un'applauso generale dai dotti, darebbe un'incre-
dibile facilità d' intendere questo celebre autore : e
se venisse ora pubblicato , potrebbe forse gareggia-
fe con qualche opera elementare dei moderni . <
Ma quanto si disse circa al primo opuscolo,
Memorie di G. XJ. del Monte 349
altrettanto dobbiam ripetere e a più buon dritto
pel secondo , il quale tratta della proporzione com-
posta : opuscolo di venti pagine e del carattere del
primo, ma in varj luoghi corretto, ed ampliato con
delle annotazioni e aggiunte riportate in margine.
Ognuno conosce di quale importanza sia nella geo-
metria elementare la proporzione composta, e quan-
to su di essa abbiano scritto i greci e i latini ma-
tematici. E però un soggetto così degno non volle
trascurare G. Ubaldo , ma limitossi a trattarlo per
ciò che riguarda il senso della quinta definizione
del sesto libro di Euclide , della vigesimaterza pro-
posizione del medesimo . — Qui quidem sensus ah
omnibus praestantissimis mathematicis eodem modo
acceptus fuisse videtur (r) — Di lui scopo pertanto
è solo il dichiarare cosa intender si debba per pro-
porzione composta, e come la definizione sopraddet-
ta del sesto libro di Euclide servir debba alla ri-
gorosa dimostrazipne della vigesimaterza proposi-
zione .
( Sarà cpntinunta )
^1) Pagina piFima- .^ .. . .
Sopra atmm esperienze eletpricJ^e^ lettera del prof es-
■ ., s.or, Sayeiiu Borlocci , r// chiwis^imQ sigilo r pro-
fessor £l(im/2nico Morichini .
N.
el giornale di fisica di Parigi del sig. Blainvil-
le fu inserito ^pl mesp di maggio deiranno scorso
r articolo di upa lettera del professor Moli, mem-
3)ro deir istituto dei Paesirii^ssi, dire|;ta al j;e£l^ttore,
in cui si 4à conto di qn e^pprip]ent0 elettrico, che
a parer dell'autore sembra d^^id^^f^ h que!>]tione dì
Bufaj^ e di Franklin s.qilla eleitfvJcit^ . Voi m'in-
vitaste a ripeterlo, p4 iO', eecon,diaw4P il lodevole ze-
lo che vi aniiiia per i pc^gpe^i^i dplla scien?;.^, noi>
mancai di occuparmenie , pome or^ rilevcfete dai ri-
sultati che qi^i vi presento ideila V^iQ ricerche .
Ecco quantp 1 qijtofiB a,ccenr;ia nell i<^di<^«it'0 ar-
ticolo. ,, Situate ( egli dice ) verticalmente fra due
,, verghe di ottone isolate e terminanti in due glo-
„ bi distanti uno o due pollici ujip dftff filtro una
it foglia di stagno molto sottile , e fate passare da
,, una verga alt altra la scarica di una forte batte-
„ ria elettrica . La lamina di stagno si troverà per-
ff, forata in due punti ^ ed i labri dei due fori saran-
„ no diretti in senso inverso. Io confesso la veri-
'» <à ( egli prosiegue ) che non so comprendere co-
„ me la disposizione delle lacinie di questi duefo-
„ ri possa spiegarsi col sistema di un solo fluido ,
„ e col semplice ristabilimento alt equilibrio . Per-
„ che la esperienza riesca, conviene che la scarica
„ sia forte , e la foglia di stagno sottile : se fosse
,-, altrimenti 'non vi si formerebbero fori , ma sareb-
„ bero visibili due impronte prodotte da un urtq eserf
^, citato sulla duo faQGG, opposte della lamina -
J^SPERIENZE ELETTRICHE 35 1
,, Questa esperienza., ripetuta da Ercole Lefe-^
,, vre-Gineau , ebbe lo stesso risultato , né era a,
„ notizia di alcuno dei Jisici J'rancesi ai quali fu.
,, rappresentata., e neppure al sig. Tremerj., che pia
„ di ogni altro si occupò in questo gemre di ricer-^
,, che. Ne ha però rammentata una il sig. Lefe^^
,, vre-Gineau., che ha molta analogia colla descrit-
^, ta ., che consiste nel far passare la scarica a tia-r
„ verso un quinterno di carta , ed in questo caso nel
„ solo foro aperto dal passaggio della corrente elet-,
„ trica., gli orli si scorgono rfvplti (n due serpsi op^^
„ posti , „
Non deve per verità giunger nuovo ai fisici
elettrizzatori cjqesto fatto , e specialmente agi' ita-
liani , giacché molti anni addietro il p. Barletti,
uno dei difensori della ipotesi dei due fluidi, in una
sua memoria inserita negli opuscoli scelti di Mi-
lano , che porta per titolo Dubbj e pensieri sulle
teorie di alcuni elettrici fenqrneni , rese palese un
fenomeno consimile da lui osservato in una ban-
deruola di ferro di un campanile jn Cremo^a, che
percossa e perforata da un fulmine p^ese^tavj^ le
lacinie dei fori rivolte in sensi opposti ; dal chp
trasse egli argonientp à\ persuadersi della esistenza
delle due diverse specie di el^t^tri^jtà vitrea ,e resi-
nosa . È parimenti flotissi^ ^a psperienz^ f igprda-
ta di sopra del si^, h^{ev\^^^ì^^^^ cìpl quinterno
di carta trapassato da qp^ ?jcafiea elettnc,^, ;n4}PfHT-
te 1 afflusso di due pprr^Rli si^^iqljt^flpe §4 pppostp;
ina peraltro a pae ppi^ ^eJ^j^r^, ;?lie 4? gn^sj^i f^^i
possa desumersi ^na |>r9V?, icppvi^ce^t^ e decjsiya
in sostegno della ipotesi 4^i 4^e fìyidi . Ayeyo ftp-
che io considerato, mplte yoj^p q^fisjtq f(^Rp{^|io nel-
le sc^ricl^p elettripl^p a fraViersQ le jar^i^^ WP^aiU-
ehe , p ^tf^i 4i ^^rtp : ^ yq.1 poi^Y» ìn UW» m'V*
35a S e I E N z K
ambiguità l'in feertczza deiresperienza, presentando-
sì in alcuni casi le lacinie dei fori aperti dal pas-
saggio della corrente elettrica in una sola direzio-
ne, ed in altri in direzioni opposte. Per accertar-
mi adunque della verità del fatto, e per verifica-
re insieme le circostanze in cui accadono i due di-
versi effetti, istituii le mie esperienze nel modo che
vengo ora ad esporvi.
Disposi l'apparato destinato a presentare le la-
mine metalliche al passaggio della corrente elettri-
ca nel modo stesso che 1' autore lo descrive , in-
terponendolo air arco scaricatore di una batteria
di otto piedi quadrati dj superficie in riiodo , che
una grossa catena di ottone a varie fila poneva in
comunicazione una delle due palle, alle quali si frap-
poneva la lamina colla superficie esterna della det-
ta batteria , ed altra catena di egual lunghezza e
grossezza partendo dalla palla opposta serviva a
formare il contatto colla superficie interna nel mo-
mento della scarica . Ponendo pertanto in azione
la macchina della nostra università a disco di Sa pol-
lici , portai le cariche alla tensione di So.** dell'
elettrometro di Henly , ed in ogni scarica osser-
vai costantemente la laminetta di stagno frapposta
alle due palle di ottone, distanti 1' una dall' altra
di un pollice , trapassata nel mezzo da un foro di
circa mezza linea di diametro , le di cuf falde si
rivolgevano verso 1' armatura esterna della batteria,
ed intorno a detta apertura altri fori sottilissimi al
numero dì tre , e qualche volta anche quattro, le
di cui lacinie tendevano tutte in senso opposto a
quelle del foro principale .
Interponendo alle due palle laminette sottili
di altri metalli , gli effetti sotto la medesima ten-
sione di 5o.** si osservavano piìi o meno gli stcs-
E.sp:^Rir.\'ZE ELEiruif-HS 3r3
si; e colla sola diiTerenza di essere i fori più dila-
tali , e più spaziosi nei metalli meno at!i a con-
durre la elettricità .
Stringendo fra le due palle un quinterno di
carta , e portando la carica alla medesima tensio-
ne , neir unico foro formato dalla scarica le laci-
nie si dirigevano in due sensi opposti .
Aumentandola carica sopra i do.**, le laminet-
te metalliche restavan fuse iiiLorno ai fori aperti dal
passaggio della corrente elettrica , né somministra-
vano in questi casi alcun indizio sulla direzione
delle correnti .
Ma peraltro diminuendo la carica, e portando
la tensione non oltre i 3o.° dell'indicato elettrome-
tro , disparve ogn' indizio di contrarie correnti, e
sì nelle lamiuette metalliche , che nella carta un'
unico foro appariva, gli orli del quale sempre erau
rivolti verso larmatura esterna della batteria .
Io presentava nelle indicale esperienze nn li-
bero e spazioso transito alla coriente elettrica per
mezzo di grosse fila metalliche , di cui , come di
sopra accennai, era formato 1 arco metallico scari-
catore . Diminuendo però la capacità dì detto arco
con sostituire un sotti! ilio di ottono a quel tratto
che congiungeva uno dei due globi di ottone colT
armatura esterna della batteria , sempre visibilissi-
mi io scorgevo gì indizj di correnti opposte sotto
diverse tensioni, tanto nelle lamine metalliche chi;
nelle carte perforate dalle schariclie elettriche. Eran
poi molto più manifesti questi eifetti quando al det-
to filo metallico sostituivo dei conduttori imper-
fetti di seconda classe, come dell' acqua e dei li^
quidi ed altre sostanze , che dilticil transito pre-
sentano alla corrente elettrica .
Sembrami dunque che dalle indicate espcricu-
G.A.T.IX. -^3
334 Scienze
7e possa dedursi, che le lacinie dei fori aperti dal
pnssaggio dell'elettrico, le quali nei casi di sopra
esposti si presentano in direzioni opposte, sono pro-
dotte da un riflusso di una sola identifica corrente,
la quale quando la carica è ridondante in modo ,
che la capacità della esterna superficie delle batte-
rie non ammette tutta quella quantità di fluido elet-
trico accumulata neirinterno di esse e nel condut-
tore con cui sono a contatto, rigurgita, e reflui-
sce in direzione contraria . Ed infatti accade di
sovente , che un incauto osservatore nelle scari-
che di forti batterie risenta gli effetti di tali riflus-
si nelle commozioni che si solfrono sostenendo sem-
plicemente colle mani, senza il soccorso di manu-
brj isolanti, gli archi metallici scaricatori .
Tale rigurgito non ha luogo nelle deboli cari-
che quando l'arco scaricatore ha sufficiente gros-
sezza e capacità , perchè ha libero campo V elet-
trico di circolare, e diffondersi nella superficie ester-
na della batteria che gli presenta sufficiente capa-
cità , e le lacinie dei lori mostrano in questi casi
la direzione della corrente elettrica, che dalla inter-
na superficie si versa alla esterna nel suo ristabili-
nìento all'equilibrio ,
Quando infine 1' arco scaricatore metallico non
dà libero e spazioso passaggio alle scariche elettri-
t;he , interrotta rimanendo la circolazione o da fili
troppo sottili e di non proporzionata capacità , o
da sostanze non conduttrici dell' elettricismo , i ri-
flussi han luogo precisamente in quei tratti , ove la
libera circolazione rimane impedita; come appunto
accade allorquando un torrente turgido di acque si
scarica in un alveo inferiore che, incapace di ac-
coglierne la piena , produce dei rigurgiti in direzio-
ni opposte al filo della principale corrente .
Esperienze elettriche 355
Se dunque T ipotesi di un solo fluido soddi-
sfa anche alla spiegazione di questo fatto, su cui tan-
to si appoggiano i fautori della teoria di Dufay: per-
chè, moltiplicando enti senza necessità , vorrem noi
abbandonare la teorìa frankliuiana, che illustrata dal
Beccaria e dal Volta semplicemente ci guida al-
la spiegazione di tutti quei fenomeni , che la elet-
tricità naturale ed artificiale presenta alla conside-
razione del fisico?
Sono con parziale stima ed amicizia.
S. Barlocci
Ricerche chimiche sopra le chine-chine, di Pelle"
tier e Caventou , lette ali accademia delle scien-
ze il dì II settembre 1820. (a)
Estratto .
à^s^'^bbe difficile il poter numerare tutt' i lavori
intrapresi dai chimici sulla corteccia peruviana per
conoscerne i suoi principj costitutivi, e soprattut-
to per determinare a quale di esse fosse dovuta
la virtù febbrifuga di questa droga . Chi potrà pe-
rò tacere la grande dissertazione di Fourcroy , eh'
è stata per lungo tempo cousiderata come un mo-
dello di analisi vegetale? L' esame di i8 specie di
chine intrapreso da Vauquelin sarà ancor esso in
ogni epoca rimarchevole non solo per la sua va-
stità , ma per i risultati ancora ottenuti , avendo
arricchito la chimica vegetale d'un nuovo acido, ed
avendo dato i caratteri certi per distinguere le chi-
— — i— Il I I 1 1 I III —— 1—
(fi) Annal. de chim. et phys. Novembre 1820.
t3*
356 S e 1 E N Z K
ne veramente febbrifughe . Sopra tutti gli altri pe*
rò merita una particolare considerazione il lavoro
di Gomès di Lisbona per aver fatto conoscere nel-
la china un nuovo principio particolare , eh' egli
chiama cinconino , a cui, secondo questo chimico ,
è dovuta l'azione che ha questa corteccia sull'eco-
nomia animale . La «coperta degli alcali vegetali ,
in cui si è veduto che risiedono le virtù delle pian-
te che li contengono , avendo sparse^ molti lumi
neir analisi vegetale , Pelletier e Gaventou hanno
profittato di questi per analizzare di nuovo varie
specie di china afline di assicurarsi se il principio
attivo di Gomès fosse ancor esso di natura alca-
lina. Ecco r oggetto principale che hanno avuto in
mira questi chimici in tali ricerche . Ma nel corso
delle loro sperienze si sono avveduti, che le pro-
prietà del cinconino sono intimamente legate a quel-
le degli altri principj della china , per cui sono
stati naturalmente condotti a studiare di nuovo tut-
te queste sostan-ce; ciò che rende tanto più interes-
sante il loro lavoro .
Della china grigia ( cinchona condaminea )
lì primo scopo che hanno avuto in mira gli
A. A. è stato di procurarsi il cinconino col metodo
proposto da Gomès tal quale è riportato nel trat-
tato di chimica di Thenard . Ben presto però si
avvidero che la sostanza ottenuta in quel modo
non era pura , ma conteneva una materia grassa .
Istituirono allora un'altro processo, che è il se-
guente :
Abbiamo trattato a caldo i kilogrammi di chi-
na grigia con/usa con G kilogrammi di alcool ret-
tificato i abbiamo ripetuto quattro volte qucs£ opc"
Ricerche sulle Chine - Chine Soy
razione ; le tinture alcooliche sono sfate riunite p
distillate per riottenere tutto V ale noi . Si è astuta
la cautela di aggiungenti 2 k ilo grammi d^ acqua stil-
lata , affinchè la materia sciolta nelT alcool fosse
garantita dall' azione immediata del calorico dopo
la separazione dell alcool . Ricevuta questa sostan-
za sopra un filtro, era di un colore rossastro , dun"
apparenza resinosa . Fu kiyata sul filtro medesimo
con acqua leggermente resa alcalina con la potassa .
Il liquido^ eh era passato aitraverso d filtro^ servì per
prima acqua di lavanda avendovi aggiunto piima
nuova potassa : dopo molti giorni di lavatura , e
quando i liquidi alcalini passavano limpidi e sen^
za colore , la sostanza restata sul filtro fu lavata,
con una quantità considerabile di acqua stillata. Ave-
va essa un colore bianco-verdastro^ era fusibilissi-
ma , solubile neir alcool , e dava dei cristalli • era
questa il cinconino del D. Gomès , ed in tale sta-
to aveva alcuni caratteri delle sostanze resinose :, ma
sciogliendola in un acido diluito in moli acqiui , ab-
bandonava una quantità considerabile di materia gras-
sa d un color verde , che aveva tutt i caratteri della
sostanza verde ottenuta per la prima volta da Lau-
ber facendo agire immediatamente sulla china V ete-
re solforico :
Il liquore acido ( eli era V acido idro-dorico )
aveva un color giallo dorato : svaporato dava del
cristalli solubili nell alcool e neìl acqUa . Il suo
sapore era amarissimo ; precipitava abbondantemen-
te con le soluzioni alcaline-^ i gallati , gli ossalati al-
calini 'vi formavano precipitati solubili nelf alcool ce
Fu trattata la soluzione con la magnesia pura , ag-
giungendovi un leggero calore .
Dopo V intero raffreddamento il miscuglio fu
gettato sopra un filtro , ed il precipitato 7na^:i:Jsic«:o
358 Scienze
fu lavato con acqua . Questa sul princìpio era giai^
la , ma finì poi eoi divenire scolorata . Il precipi"
tato magnesiaco lavato sufficientemente , e dissecca-
to a bagno maria^ fu trattato a tre riprese con al-
cool a 40.°/ liquidi alcoolici leggermente giallastri^
e d un sapore amarissimo^ per mezzo delt evapora^
zione hanno dato dei cristalli aghiformi d' un color
bianco sporco . Questi cristalli disciolti di nuovo
nelf alcool , e rimessi a cristallizzare , hanno depo-
sto una sostanza cristallina bianchissima e splen-
dente , eh' è il cinconino purissimo .
Avendo riconosciuto gli AA. che questo prin-
cìpio gode di proprietà alcaline, per conservare Tar-
monia della nomenclatura hanno proposto di dar-
gli la stessa desinenza degli altri alcali vegetali , e
di chiamarlo perciò cinconino . Ecco quali sono i
caratteri di questa sostanza .
La cinconina ottenuta dalla soluzione alcooli-
ca per mezzo d' un evaporazione lenta si presenta
sotto la forma di aghi prismatici sciolti , dei qua-
li non si può determinare la forma . Per mezzo (T
un evaporazione più rapida viene deposta in forma
di lamine cristalline , traslucide , che rifoangono la
luce .
ìE" pochissimo solubile nell'acqua ; per iscioglier-
si richiede due mila cinquecento volte il suo peso
di acqua bollente : per mezzo del raffreddamento la
soluzione diviene leggermente opalina , locchè prova
che la cinconina è ancora meno solubile nelV ac-
qua fredda .
Ha un sapore amaro particolare , che tardi si
sviluppa , ed è poco intenso attesa l insolubilità
di questa sostanza . Unita però la medesima agli aci'
di , e resa perciò più solubile , è allora amatissi-
ma , ed astringente come una forte decozione di chi-
(
Ricerche sulle Chine - Chine Soq
na ; sebbene ques£ ultimo carattere sia meno inten-
so , essendo esso particolarmente dovuto nella china
ad un altro principio . La cinconina esposta alt aria
non prova alcun alterazione ; dopo molto tempo pe*-
rò assorbe dell acido carbonico , per cui se si sciol-
ga allora in un liquido acido produce una leggera
effervescenza .
Esposta alt azione del calorico in vasi chiusi
non si fonde prima di decomporsi . I prodotti che
somministra con la distillazione a fuoco nudo sono
{quelli , che danno in generale le sostanze vegetali
non ajotate . Distillata in un apparato conveniente
con lossido di rame dà de U acqua e delt acido car-
bonico . È dunque composta di ossigeno^ idrogeno,
e carbonio in una certa proporzione senza contener
re azoto . Bruciata col nitrato di ammoniaca non.
lascia alcuna traccia di sostanze minerali alcaline o
terrose.
La cinconina è solubilissima nel t alcool^ soprat-
' tutto per mezzo del calore ; una soluzione alcooli-
ca , satura alla temperatura delt ebullizione^ cristalliz-
za per mezzo del raffreddamento : queste soluzioni
alcooliche sono amarissime ; ciò che prova semprep-
pia che la poca amarezza della cinconina pura na-
sce dalla sua insolubilità .
Si scioglie la cinconina ncltetere ; è però mola-
to meno solubile in questo liquido che nelt alcool
soprattutto a freddo. Si scioglie ancora , sebbene in
piccolissima quantità., negli olii fissi o volatili , al-
meno nelt olio di trementina . Queste soluzioni sono
amare . Z' olio di trementina saturo di cinconina ad
una temperatura elevata , /' abbandona iìi gran par-
te sotto forma cristallina per mezzo del raffredda-
mento : non così accade allorché è sciolta tic^ìi olii
fissi .
óGo Scienze
Le proprietà che hanno indotto gli AA. a riguar-
dare la cinconina come una sostanza alcalina, sono
il ridonare il color blu al tornasole arrossato da
un acido , ed il Ibrniare combinazioni neutre con
lutti gli acidi anche minerali più torti senz' aver
alcun' azione sulla tintura di tornasole : finalmente
ciò che dà una prova maggiore dell alcalinità della
cinconina è, a seìitimeuto degli AA., il modo con cui
questa sostanza agisce sul jodo . Trattando la cin-
conina col jodo e coir intermezzo dell acqua , si
ottengono gli acidi jodico e idi iodico , che resta-
no combiuati con la cinconina allo stato di sai
neutro .
Dall'esame della cinconina sono passati gli AA.
a studiare le combinazioni di quest alcali con gli
acidi.
L'acido solfòrico forma con la cinconina un sai
neutro solubilissimo, che cristallizza facilmente in
prismi a 4 lati" e terminati da un faccia inclinata.
Questi cristalli sono un poco lucenti , flessibili , e
xli un sapore amaiissimo , sono solubili nel!' alcool,
mn non nell etere ; ad una temperatura poco su-
peiiore a quella dell' acqua bollente si fondono co-
me la cera ; riscaldati ad un grado maggiore si de-
compongono .
11 solfato di cinconina analizzato col metodo
esposto nella loro memoria, sulla stricnina, contiene:
Cinconina loo
Acido solforico i3 , 0210
Ovvero :
Acido solforico 100
Cinconina ■ — 7G8 , oG4G
Ricerche sllle Chine - Chine y,Gi
L'acido idroclorico sì unisce con la cinconi-
na , e forma ancor esso un sale neutro solubilissi-
mo , che può cristallizzare in aghi riuniti, di cui
è impossibile di poter determinare la forma . L'idro-
clorato di cinconina si scioglie neifalcool , e qual-
che traccia ancora nelf etere sollbrico ; si fonde ad-
una temperatura in priore a quella delf acqua bol-
lente . Qifesto sale è composto di :
Cinconina loo i
/Acido idroclorico 9, o35
I risultati del calcolo dedotto dall'analisi del sol-
fato , e che gli AA. credono più esatti , sono :
Cinconina 100
Acido idroclorico 8 , goi
Per preparare il nitrato di cinconina bisogna
far uso d' un acido nitrico molto allungato, poiché
se questo è concentrato reagisce sugli eicnienti del-
la cinconina . Allorché la soluzione è molto con-
centrata, sia a caldo sia a freddo, si separa una por-
zione del nitrato sotto forma di gocce d'un' appa-
renza oleaginosa ,' le quali ad una temperatura bas-
sa assomigliano alla cera . Questo carattere distin-
gue eminentemente la cinconina dagli altri alcali
organici. Differisce ancora dai nitrati di stricnina,
di morfina , e di brucina per la propiietà di non
divenir rosso con un eccesso d'acido nitrico.
L'analisi dirotta del nitrato di cinconina non
è stata fatta ; ma siccome questo sale è neutro ,
sono state stabilite col calcolo le proporzioni se'
gli enti .
)6a S e I E N
% S
Cinconina — •— — - loo , ooo
Acido nitrico 18 , $94
I! fosfato di cinconina è solubilissimo, e cristal-
lizza dilficilmente; ordinariamente si dissecca senza
cristallizzare, e si presenta sotto la forma di lami-
ne trasparenti .
L' acido arsenico forma con la cinconina un
sale neutro solubilissimo, che con grandissima dif-
ficoltà cristallizza. Non v'ha dubbio ch'esso sia
venefico come tutti gli arseniati .
L'acido acetico scioglie la cinconina, ma il li-
quido resta sempre acido ancorché vi si aggiunga
un eccesso di alcali , mentre questo si depone al fon-
do . Evaporando quest' acetato si ottiene una so-
stanza salina sotto forma di piccoli grani , o pa-
glietle traslucide. Questi piccoli cristralli lavati non
sono più acidi, ma sono ancora poco solubili . La
loro soluzione nell'acqua aguzzata con un poco d'aci-
do , ed evaporata lentamente somministra una mas-
sa d' un' apparenza gommosa , la quale trattata con
un poco d acqua fredda dà un acelato acido che si
scioglie , ed un acetato neutro , che resta al l'ondo
del liquido .
L acido ossalico forma con la cinconina un sai
neutro pochissimo solubile a freddo, quando non vi
sia un' eccesso d' acido . Si può ottenere facilmen-
te versando l'ossalato di ammoniaca in un sale di
cinconina neutro , e solubile . Si forma un pre-
cipitato bianco insolubile nell' acqua fredda , che
si ridiscioglic in un eccesso d' acido, solubilissi-
mo neir alcool soprattutto a caldo , dal quale
pelò in parte si precipita per mezzo del raffred-
damento .
Ricerche sulle Chine - Chine 363
Finalmente la cinconina si unisce ancora con
gli acidi tartarico e gallico, e forma con ciascu-
no di questi acidi dei sali poco solubili . Il galla-
to di cinconina si scioglie un poco più facilmente
a caldo, e la sua soluzione per mezzo del raffred-
damento s' intorbida e diviene lattiginosa. Dopo
però alcune ore ritorna ad esser trasparente , e si
trova allora il gallato di cinconina precipitato sot-
to forma di piccolissimi cristalli granulari traslu-
cidi attaccati alle pareti del vaso» .
( Sarà continuato )
364
LETTERATURA
Dionigi cC Aìicanxasso , intorno lo stile ed altri mo-
di di Tucidide ec. ( Articolo terzo . V. i volu-
mi XIV p. 257 , e XX.VI p. 219.
i.1 è qui si rimane T ulililà di questo artificioso
proemio . Peichè la storia greca essendo tutta me-
scolata con meraviglie d'eroi e di numi, Tucidide
pone ivi ogn' ingegno nel sequestrare le favole dai
fatti, affinchè la storia, ch'è la ministra della veri-
tà, non si faccia la mezzana della bugia . Dice egli
stesso : che gli uomini tengono per vera la fama del-
le cose senza punto disaminarle : e loro basta die
sieno del tempo antico . Onde il vero è stato sem-
pre cercato con assai negligenza . Ma chiunque da
segni dati da me 'vorrà giudicare delle cose da me
narrate , non potrà entrare in errore ( i ) • Per tal
modo egli laulore scuopre le ragioni del suo lavo-
ro . E , narrando di Minosso e degli oracoli e di
Troja , segna quel parti mento che divide i buoni
racconti degli antichi annali dalle istorie fantastiche
de' poeti e de gcrolanli. Dal quale accorgimento di-
scende un alto pregio in Tucidide, che fu il primo
a rischiarare alquanto una parte della vecchia sto-
ria , la quale in Erodoto in Ecateo e negli altri
era tutta piena di novellette e di sogni . E questa.
(1) Tue procin. hist.
Dionigi d' Alicarnasso 30^
e non altra, è la più nobile qualità per cui egli sia-
si fatto singolare dagli a'tri .
i5 Perchè si paragonino i tre principi della gre-
ca storia: cioè Erodoto, Senofonte, ed esso Tuci-
dide ; e si vedrà che questi in nulla cosa tanto si
lontana da quelli , quanto nell' amore del nudo e
semplice vero . Perchè Erodoto scorge in ogni vi-
cenda un suo Giove maligno , inimico dell' uman
bene , che senza ragione alza gF imperii al colmo
d'ogni gloria, e senza ragione li trabocca al fondo
d'ogni calamità . Senofonte vede la matta fortuna
che gira la sua rota: e non sa ella il perchè né del-
la sua voglia, né del suo lavoro. Ma Tucidide nel
crescere e nel dechinare delle nazioni null'altro cer-
ca né mostra che gli errori e le virtù dei re, dei
popoli e degli eserciti . In questa guisa tutto é in
Erodoto superstizione: in Senofonte è destino: e nel
solo Tucidide tutto è prudenza civile congiunta col-
la ragione delle cose. Così mentre gli altri servo-
no alle fantasie ed al volgo, egli giova coloro che
non aprono le storie per lo diletto della mente, ma
per guidar bene la repubblica, o per innalzar l'ani-
mo colfesempio de' valorosi . Per la qual cosa egli
merita tanto piiì lode, quanto più la gloria degli
autori fondasi nella utilità de leggenti: e 1' officio
di chi narra è tutto nella narrazione del vero. Per-
ché quantunque ogni arte sia fatta per conseguita-
re la verità, la quale è il polo del nostro corso :
pure l'istoria è quella che più da vicino le pertie-
ne e più la conserva, e più la spande per maggio-
re spazio così di mondo come di tempo. La poe-
sia la dipinge meschiata al falso ; la retorica la dà
a credere; la metafisica ce ne porge una cognizione
ideale : e la sola dimostrazione de' fatti ce ne fa cer-
ti; ma i latti e in certezza loro si farebbero cos^ va-
366 Letteratura.
na , dove la storia non li travasasse d'una terra in
un altra , e dall' un secolo ne' seguenti . Quindi fu-
rono per gli antichi sovra ogni cosa lodati gli an-
nali: che scritti dai sacerdoti in Egitto, e da' pon-
tefici in Roma , stavano nella custodia della reli«
gione .
Quelli , dice il filosofo , tutto liberamente par-
lavano alla patria , perdi' ella imparasse da quel
eh' è corso e passato , di conservarsi nello avve-
nire . La quale dottrina fu già si cara a' lace^e-
raoniì , che fatti accorti per prova , che in amplian-
do r imperio assai perdevano tuttavia della bontà
de' costumi , né signoreggiavano i lor vicini senza
esser servi di molti vizii : con una nobile grandez-
za d'animo, quale a Licurgo si conveniva, noume-
no allegri si liberarono di tal dominio che altri far
soglia di servitù (i) . Questi beni coglievano dalle
cronache que' savii . Ma ora s'è perduto quell'one-
sto modo , che pur durava ne' secoli del ferro : ed
anche nel buon tempo de' Villani e de' Malispi-
ni . Che se però si seguisse, non sarebbe indegno
del senno italiano : e sarebbe forse libero il mon-
do da tante storie or lusinghiere , or maligne ,
e quasi sempre presuntuose e bugiarde . E co-
sì questa usanza ottima ed antica mostrerebbe ai
tardi posteri la verità delle cose nostre : fareb-
be che i rei meno si confidassero nelle loro ar-
ti maligae : e che i buoni aspettassero il tardo e
certo premio della virtù dalla giustizia de' nepoti e
del tempo .
iG. Ma è da tornare là onde ci partimmo , e
seguire Dionigi, e conchiudere : che male si con-
(i) Spec. dict. hist. Z47>
Dionigi d' Alicarnasso 367
dannò in Tucidide quel meraviglioso proemio , iu
cui fu egli il primo fondatore della storica verità.
E se lo empiè di origini, e di fatti eroici disciol-
ti dalla oscurità e dalla menzogna , egli ne fu pu«
ve lodato; e piacque l'esempio : e gli altri storici
lo seguirono . Che nel principio delle loro storie
non iscrissero già glindici delle materie, siccome
insegna la scarsa musa di Dionigi; ma vollero de-
scrivere le origini, i luoghi , i popoli e le più na-
scoste memorie che ne restavano . E così abbia-
mo ne' latini e negli altri greci : e ne' cronisti me-
desimi de' più rozzi tempi: che le prime carte sem-
pre consumarono narrando o di Fiesole, o di Troja,
o di Roma. E per non tacere finalmente de' più
lodati, basti l'esempio del segretario fiorentino: il
quale nelle storie della sua repubblica tutto adope-
rò il primo libro nel raccontare la caduta del roma-
no impero, le incursioni de' barbari, le origini del
regno di Napoli delle crociate e de' feudi , e i tu-
multi di Roma, e i casi di tutta Italia e della più
gran parte d'Europa ; prendendo poi a parlare nel
solo secondo libro la fondazione di quella Fiienze,
ond' egli ha in animo di registrare le memorie . Ne
alcuno è sì avverso a ragione, che danni quello scrit-
tore per lordine di quel primo libro; il quale è an-
zi da tutti tenuto in conto di artificioso e bellissi-
mo . Ma finalmente diremo cosa quasi non credibi-
le, ed è: che il modo trovato da Tucidide è quel
medesimo che fu poi imitato dallo stesso Dionigi
ne' suoi libri della romana istoria . Talché si cono-
sce che in questo luogo l'affetto del censurare lo
fece dimentico non che d'altrui , ma di se stesso .
Perchè aprasi quel suo primo libro : e si vedrà che
per narrare le venture di Roma ei prende il discor-
so dagli antichissimi abitatori d'Italia: e cerca de-
303 Letteratura
'•gli enotrii, degli aborigeni e de' palasgi: e ne reci-
ta i viaggi , le venute e le fughe; e ne segna le va-
rie sedi: e vuolis che i romani sieno di ceppo gre-
co, cercando così di far bolla lusinga a' suoi citta-
dini , e m "dicare con questi unguenti la ferita el
dolore della loro schiavitù . Solo in una parte si fu
diverso a Tucidide : che questi cioè è stretto , ra-
pido, e ad ogni parola s' affretta a quel termine in
cui cominci a narrare i fatti del Peloponneso ; e
Dionigi tutto cerca sottilmente, e copiosamente, e
alla lunga, e pare che più non ricordi la sua promes-
sa del raccontare i gesti di Koma: ma solo voglia
scrivere un libro delle italiche origini e delle pe-
lasghe . A questi termini ci mona il martello e la
furia del censurare : che mentre accusiamo la pa-
glia nell'occhio del vicino, non veggiamo la trave
eh' è già entrata nel nostro .
ly. Qui terminandosi 1 una parte del trattato
di Dionigi, siamo venuti all' altra . E come quel-
la fu dintorno le cose, così questa è dintorno le
parole .
Entrando adunque il buon retore a parlare del-
lo stile , ferma primieramente quelle dottrine , che
già furono comuni a tutti i greci maestri . Le qua-
li si riducono a due principalissime: luna, che i vo-
caboli bene si scelgano: laitra, che bene si congiun-
gano . E noi pure crediamo che da questo penda
tutta la legge del dire , e la gloria degli eloquenti :
perchè le altre qualità d' una perfetta sciittura si
derivano più tosto dall'arte del pensare che da quel-
la del dire . Quindi il nostro retore ragiona alquanto
su queste due dottrine, e le divide, e le suddivi-
de , e mostra gì insegnamenti che le conseguono .
Si la pos(ùa a parlare degli antichi storici: an-
Ai di quegli antichissimi , la memoria de' quali s'«
Dionigi d' Alicarnasso 3G9
già nascosta nel tempo; ne sa dire se i libri loro
l'ossero aspri e rozzi , ovvero piani e magnifici. Ma
procedendo infino a quelli che fiorirono inanzi la
guerra del Peloponneso , ne fa quella stima che noi
l'acciamo de' nostri autori del trecento ; dicendo ,
eh' elli furono meglio lodati per l'uso de' vocaboli
che per altra bontà ; che i loro periodi erano d uno
andare schietto e soave , senza alcun fumo d arte:
la loro lingua pura, chiara , breve , sempre acco-
stata al dialelto dello scrittore: che non vedevan-
si in quelle carte le virtiì che poi furono trovate
cogli artifici! : o se pure vi si vedevano , elle erano
tenui e rare ; e quindi rare e tenui erano la gravi-
tà, la magnificenza, il sublime . Gare di concio-
ni non v'erano : non peso di sentenze : non affetti
che incitassero gli animi : non finalmente quegli spi-
riti sollevati , e fatti per la battaglia , pe' quali mo-
vesi il mirabil impeto dell' eloquenza .
1 8. Da quest' ordine di scrittori egli sotragge
Erodoto • solo : che non di meno fu simigliante agli
antichi nel difetto delle concioni ; ma in ogni altra
condizione si dipartì da quel modo stretto e digiu-
no: e delle migliori doti fu ricco più che in estre»
mo: creando una tal sua prosa così venusta e leg-
giadra, che disgradò ogni poesia la più gentile. Da
iirodoto viene il censore a Tucidide: meschiando le
lodi alle riprensioni : ma non tanto che la misura
dell'amaro non vinca quella del dolce. Specialmente
dove pone , che le parole di lui tenessero troppo dell'
antico e del pellegrino: e le loro collocazioni ne fa-
cessero l'armonia più tosto rotta e chioccia, che ro-
tonda e soave. Ma non ci lasceremo noi andare cie-
camente dietro l'autorità di Dionigi.
Diremo adunque che alcuna parola antica acqui-^
sta spesse volte assai grazia alle nobili ed alte seri t-
3to JLettera-tura
ture, speciaìmente ove sieno d' istoria. Da che sap-?
piamo che nel buon tempo <li Cesare e di Cicerone
le storie pon liticali erano scritte colle solenni e gravi
parole dell' antichità : onde la riverenza di que' vo-
caboli accrescesse la dignità di que' libri tutti pieni
di voti , di giuochi, di sacrificii, e di patrie glorie:
e perciò sovr essi il consolo e Scapitano si consi-
gliavano della guerra , della pace , e d'ogni caso del-
la repubblica. Pei quale principio si dee dire , che
alcuna maggior libertà è da concedersi allo storico :
e non è da otìfendersi per poche voci e forme, che
^Icupo eccellente abbia scrivendo rinverdite e rifio-
rite neir usQ. Perchè se buono è il rinnovare ogni
bella memoria de" latti andati , è anche buono il
rammentare talvolta! a nepoti quelle parole degli avi,
le quali essi hanno smarrite con danno della elo-
quenza, ed anche del comun favellare: dove assai
volte hanno posta 1 altrui barbarie nel luogo in che
sta vasi la loro civiltà; simigliando colui che di-
menticate le porpore ed i velluti che sono nella sua
casa, cercasse il cencio del poverello per nasconde-
re la nudità. Vero è, che in quest' uso delle paro-
le vecchie vuoisi grande parsimonia e gran senno:
senno, da che non tutte hanno la virtìi di rinascere
dopo morte : parsimonia , da che se fossero troppo
fitte , farebbero il parlare o squisito od oscuro: e
quindi gì' idioti io direbbero strano, e i filosofi pue-
rile. Ma non sappiamo credere che se Tucidide fos-
se caduto in sì enorme colpa , Demostene avrebbe
cercato d'imitarlo con sì fina cura; Demostene, di
cui Cicerone djsse: che solo egli sorpassa ogni ot"
timo in ogni genere di eloquenza.
i[). l^er le quali cose dee sospettarsi che Dioni-
gi sia caduto in lallo, anche in questa accusa del-'
le parole. Siccome certo è caduto , laddove ne «le*
Dionigi o'Alicarnasso Sti
cusa le congiunzioni come chiocce e moleste. Men-
tre Demetrio Falereo, il discepolo di Teofrasto, l'udi-
tore di Escliine e di Licurgo , Demetrio Falereo lodò
Tucidide per questa medesima condizione che daDio-
nigi è dannata. In^perocehè egli dice, che veramente
da quella moderata asprezza venne quella sua tanta
magnificenza. Così è scritto alla particella trigesima:
Tucidide sfug<^e ove puh la struttura piana &
soave : e pare uomo che spesso intoppi come chi per
via scabra va. Così quando disse — E VER^iiaEN-
TE SALVO DA TUTT ALTRI MALI QUELL ANNO
ASSAI FU — disse asprameììie. E più dolce avreb~
he detto — E veramente quell anno^ in cio^
CH ALL altre malattie s' appartiene , FU
MOLTO SANO — Ma cJù togliesse quel pò di asprez-
za^ ecco torrehbe tutta la magnijicenza . La quale
procede così dalt aspra composizione , qome dalC as-
pr^ voci. Quindi Tucidide anch' egli adoperò accen-
ti crudi ^ e pia volentieri scrisse stridore che cri»
X)o: più volentieri scisso che infranto: sempre ac-
compagnando la composizione colla voce , e la voce
calla composizione.
Ora si paragoni questa dottrina di Demetrio a
quella di Dionigi t e veggasi come sia vero ciò che
dicemmo: cioè che Dionigi di là trasse biasimo,
onde i migliori tolsero da lodare e da proporre in
esempio. Perche bellissimo è questo insegnamento
dello scegliere voci ruvide , e dell' unirle ruvida-
mente in que' luoghi dove 1 autore dee significare
cose lontane dalla mollezza e dalla soavità. E Tu-
cidide quindi finì col monosillabo quel periodo eh'
ei volle rigido. Il che bene conobbe quel sovra-
no ingegno dì Virgilio , che ancora è il maestro di
tutti coloro che sono giunti al dit'iicile segno dell*
Qttimo. Perchè ne'luoghi magnifici che richiedevano
3^2 Letteratura.
struttura aspra, terminò anch' egli per monosillabi,
seguendo la greca scuola. E se dipinse il grande
orrore della tempesta , scrisse :
Praeruptus aquae monsì
se lo sdegno divino
Asjersa Deae mens:
se il volar della notte
lìuit Oceano nox.
Né può vedersi composizione più scabra di quella,
con che dipinge Messenzio intrepido allo scontro
di Enea:
. . . manet imperterrìtiis ììle
Hostem magnanimum opperiens , et mole sua stat^
Del quale avviso fu pur Cicerone, che adira-
to contro l'avversario sclamò : ignoras haecl Men-
tre in altro luogo , schivando col suo dolce stile la
nota aspra, avrebbe detto: haec ignorasi Ma, con
queir acuto suono da ultimo , bene imitò l' acerba
voce dell' iracondo. Così il Boccaccio in Catella :
Reo e malvagio uom che tu se I Nel qual luogo que-
gli ultimi monosillabi 1' uno suU' altro ajutano mi-
rabilmente r impeto di quel grido. Ma se in vece di
reo uom che tu sé' , avesse detto tu sei malvagio ,
ecco a un tratto scemata la gagliardia per la man-
canza di queir asprezza che viene da' monosillabi
e dall'accento. E siccome rigida è la materia, co-
sì lo sono in Boccaccio le voci e i legamenti loro,
dove dice : // Rossiglione smentato con un coltello
il petto del guardastagno aprì : e con le proprie ma-
ni d cuore gli trasse. Né in meno rigide parole si
rivolse alla donna , dicendole : E sappiate di certo
eh' egli è stato desso : perciocché io con qu£ste mar
Dionigi d' Alicarnasso S^S
Hi glielo sfrappai , poco astanti cK io tornassi , dal
petto.
20' E Dante, il buono imitator di Virgilio, al-
lorché volle con noba magnifica significare Anteo ,
che si rialzò dopo averlo deposto nel più fondo in-
ferno , adoperò anch' egli I" artificio del monosillabo
di Tucidide, cantando;
Né sì chinato lì fece dimora^
Ma come albero in nave si levo^
E tanto è vero che Dante seguì questa dot-
trina del Falereo, che dopo questi vèrsi chiaramen-
te r espose. Avvegnaché disse di cercar rime aspre
e chiocce , quali si convengono a quella trista fossa
che serra Lucifero t ed ivi chiamò Tajuto delle mu-
se , perchè il dire non fosse diverso dal fatto. Che
se con questo intendimento ci volgeremo al vige-
simo ottavo canto di esso (inferno , vedrassi come
ivi r acerbità delle imagini s' accompagni a quel-
la de' vocaboli e delle armonie. Sicché quell' om-
bre smozzicate ti paiono colorite alla maniera di
Michelangelo, quando non pur dipinge, ma intaglia-
E dopo avere uditi quegli orridi vocaboli di m/-
Tjugia , di corata , di tristo sacco con quel che se-
gue ^ odi colui , che
. . . con le man s' aperse il petto
Dicendo : or vedi com' io mi dilacco *
Il qual dilacco in ogni altro luogo sarebbe vo-
ce bruttissima : ma quivi è un tocco del terribile
Buonaroti ,
Poi ti viene avanti il Mosca, sì che lo vedi :
3^4 Letteratura
Che avea ì una e f altra man mozza ,
Levando i moncherin per laura fosca
Si che 7 sangue facea la faccia sozza .
Ma non saremo infiniti. Solo non taceremo di quel
luogo del canto xxix , in cui la più misera e fie-
ra imagine è sottoposta cos-ì agli occbi della men-
te per Tartiiìcio de' suoni e delle voci , che non ve-
de meglio chi vede il vero . Si hanno a mostrare
due lebbrosi , e la loro sconcia e fastidiosa pena .
Eccoli .
Io vidi due sedere a se appoggiati ,
Come a scaldar s appoggia tegghia a tegghia»
Dal capo a' pie' di schianze maculati .
E non vidi giammai menare stregghia
A ragazzo aspettato da sigrtorso ,
Né ida colui che malvolentier vegghia :
Come oiascun menava spesso il morso
D(il' ungliie sovra se, per la gran rabbia
Del pizzicor che non ha più soccorso.
E sì traean giù Tunghie la scabbia ,
Come colte! di scardo va le scaglie ,
O d'altro pesce che più larghe Tabbia *
Noi così veramente veggiamo que' due miseri
in questi versi , che più non vi bisognano gli oc-
chi, ed il ribrezzo ce ne corre pel sangue . Ma se
ancor se ne voglia conoscere la ragione , si vedrà
chVlla è primamente riposta nella scelta de' vocaboli
di suono scabro: fegghia^ schianze^ ragazzo, signor-
so, vegghia , rabbia^ pizzicor , scabbia, unghie, coltela
scardo\> a , scaglie: e poi da' paragoni tutti scelti da
suggetti vili '. e dalla tegghia sovra la tegghia , e dal
ragazzo della sfalla , e dal coltello che trae le scu-
DiONiGi d*Alicarnasso 3«5
glie: e finalmente dal collegare quéste imagini e
queste voci cori armonie convenienti a loro . ISè
Certo si porlno udire suoni veri piÙ di questi :
' • • ' ^^ndvd spesso it morso
Dell'unghie sovrd se per* la grati rabbia
Del pizzicar .
é di questi *
E sì iraevan giù t unghie tà scabbia ,
Come cokel di scardom te scaglie.
tenesti artificii degli scrittofl afltichi sì fanno igiio-
ti, quando Tarli trabboccano iu certe leggi fanta-
stiche, tutte lontane dalla casta e difficile natura
Quindi i sonettierì della passata generazione si git-
tavano sopra Dante, e lo stracciavano siccome bar-
baro . E siccome èssi avrebbero descritta la lebbra
simigliandola alle rose ed ai fiorellini del bosco e
chiamando li zefiretti di tutt' Arcadia a temperarne' U
fiioco, così non seppero intendere né Dante né Tar-
tificio suo, che ad una cosa sovra l'altre intese col
suo grande stile, cioè : ad ajutare in tutto l'imagi-
ne col vocabolo ,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso .
Ma assai confutammo Dionigi colle dottrine del Fa-
iereo , e gli eSempj de' più celebrati maestri .
21. Udiamo accusa novella . E quale? di trop-
pa diligenza. E perchè? Perchè Tucidide ponesse
ventisett anni interi nello scrivere soli otto libri.
Oh genere d'accusa veramente novello ! Anzi così
maligno che il confutarlo snrebbe atto indegno del-
o
'jG Letteratura
la filosofica gravità . E perciò passiam oltre; ma non
senza lodare Tucidide , e in lui tutti que' diligen-
ti autori, che col timore della pubblica luce mo-
strano la loro Sapienza , e la cura della buona glo-
ria, e il desiderio di giungere* a' lor nepoti . E co-
sì il siigello di questo esempio disinganni quella
gran turba di autori, che scrivono, al modo degV
improvvisanti , ciò che loro detta il poco sapere
e il guasto ingegno: e senza molto rivoltare di car-
te si credono nati a lordare e correggere tutte le
carte dell' universo . Pel quale esempio si ragiona,
che Tucidide ponesse più tempo a scrivere un pe-
riodo , che costoro non pongono ad impiastrare un
volume. Ma chi lento sorge, lento pur cade: le co-
se in fVelta venute, in fretta pure si partono: ed
il giorno del loro nascere è spesse volte indiviso
con quello del lor morire.
22. Il nostro Alicarnasseo seguitando afferma,
che quattro belle qualità fanno a* Tucidide uno sti-
le proprio e singolare. Elle so^o: vocaboli usati e
congiunti alla poetica: varietà nelle figure: austerità
nel numero: e brevità nel significare . E quindi con
ardita metafora ei dice : che furono colori di Tuci-
dide faceibo, il denso , l'amaro , il ruvido , il ga-
gliardo, il grave, il terribile; e che l'eloquenza di
lui massiman:enle era fatta per isvegliare ne' cuori
gli affetti più meravigliosi. Per ciò conchiude, che
dove il suo potere fa pari passo col suo volere ,
egli stampa una orazione eletta , compiuta e che
può dirsi divina . Ma quando le forze poi non gli
bastano , e que' suoi nervi si stancano per la trop-
pa rapidità, allora il suo dire si fa dubbio ed oscu-
ro . JNè per questo capo ci discosteremo dal ripren-
ditore di Tucidide . Perchè quantunque la bre-
vità sia uno degli elementi della eleganza , pure
BioifiGi d' Alicarptasso 3^'2
quand'ella' è soverchia si fa elemento dell'oscurez-
za . Dicono i retori che per due modi acquistasi
essa brevità. L'uno, usando voci assai proprie; Val-
tro , adoperando lelissi , o sia il tralasciamento .
Dal che vogliamo fare una osservazione assai age-
vole a farsi , ma pur non fatta: ed è questa. Che
la brevità, la quale procede dal modo primo, non
può mai farsi viziosa: ma quella che viene dal mo-
do secondo , cioè dal tralasciamento , è di assai dif-
ficile uso . Che se le elissi sono fiori dell'eloquen-
za , elli somigliano certo a que' fiori che spuntano
suir orlo delle rupi : che non si odorano - senza ri-
schio del coglitore. <■..■■
23. Da questa seconda maniera dunque si de-
riva troppo sovente la brevità di Tucidide : e quin-
di il peccato suo . Il quale troviamo osservato da
Cicerone medesimo, nel libro che detto' è l'orato-
re : ove insegna : che Tucidide empiè alcuna nwl-
ta le carte di sì oscuie e sì riposte sentenze^ chel-'
le s intendono a ^ran fatica . (i) i^ nel giudicio di
sì grand' uomo noi ci vogh'amo acchetare : a fine che
la nostra difesa non sia più tosto governata dagli
affetti che dalla ragione . Perchè sia pur grande
l'amore che noi portiamo a Tucidide: egli non avrà,
mai forza che basti a trarci fuori del senno .
Vogliamo anzi aggiungere che il soverchio stu-
dio della brevità , quantunque non faccia sempre
oscuro il sermone . pure lo fa sempre arido , e
crea quel genere di eloquenza che da Tullio è detr
to ?ion limpido^ non isteso , non iscorrevole , ma
tenue ^ conciso, rotto, puerile e minuto . E qui si
consentono insieme Tullio , Dionigi e Demetrio Fa-
(i) eie. orat. e. 9.
il
1»
3^8 Letteratura
lereo . Il quale ha insegnato che (i) „ trattandosi
,, materie gravi è grande peccato il chiudere i pe-
„ riodi con suoni acuti , che non facciano andar
„ presto e dritto il discorso , ma sì lo tardino e
lo facciano zoppo , come disse quel greco accu-
„ sando Aristide, perchè non fosse venuto al con-
flitto di Salamina :
Ma .quivi di sito talento la stessa Cerere ■venne ^
e al nostro fianco pugnò . E Aristide nò .
^ La quale frattura di periodo è senza ragione al-
„ cuna e non ha decoro . ,, Cosi Demetrio.
24- Laoade ci par utile il ricordare agl'italia-
lian questo accorto insegnamento: da che ad alcu-
ni l'arido stile de' ducentisti , e ad altri la serva
imitazione degli stranieri hanno fatto dimenticare
quelle nobili arti , che all'italico stile acquistarono
dolcezza e copia , gravità ed armonia . Tolgasi in
esempio alcuno di que' periodi del Boccaccio, ov'
egli conservò quel vago temperamento di costru-
zione, che senza farsi latina si fece meglio italiana,
e singolare per soavità da tutte l'altre lingue viven-
ti. Odasi il caro suono di questo periodo:
Già per tutto aveva il sole recato Colia sua lu-
ce il nuovo giorno : e gli uccelli pe verdi ra-
mi , cavitando piacevoli versi ^ ne davano agli
orecchi testimonianza . Quando parimenti tut-
te le donne e i tre Giovani levatisi , né giardi-
ni se n entrarono : e le rugiadose erbe con
lento passo scalpitando , d una parte in un al"
tra , belle ghilande facendosi ^ per lungo spa-
zio diportando s'andarono . (2)
(1) Dcmctr- Falcr. par. 72»
\-ì.) Boc gior. 2. proem.
Dionigi d Alicarnasso ^y^
Non cenosclamo nota che possa dirsi vaga «
soave se non è questa . Ma ora s'ascolti, come ne
torrebbero ogni dolcezza coloro che sono fra noi
cresciuti nelle scuole degli stranieri :
Spi f rideva il sole. Era giorno. Gli ucelìi cantane
do il mostravano . Le donne e i giovani si le*
varono : passeggiarono il giardino : vi federo
ghirlande-, vi stettero un gran pezzo'.
Ecco accomodato al raaico snono moderno il bel
periodo antico. Ma ecco pure come d'un leggiadro
corpo s'è fatto un mucchio di meilibia o affatto di-
scolte, 0 non bene congiunte . E questa calpa fu bo-
tata ne* più rozzi lati-ni . Perchè in que' principii l'uo-
mo non seppe sottilmente avvisare gli artifizi! dll-
ficili della riposata giacitura e del numero . ';'
35. Ma Tucidide fiori avanti que'trovati nòVèlÀ
li . Né potè fare che Cratippo (i) non accusasse le
sue orazioni , come spesso moleste agli orecchi', e
Cicerone non dicesse, ch'ei non avrebbe saputo imi-
tarle volendo, ne f avrebbe pur voluto, sapendolo. (2)
Perciocché egli stimava che quella arguta brevità
non potesse movere mai gli affetti , né volgere la
moltitudine; e insegnava che essa brevità è lode in.
alcuna parte del dire , ma che in tutto il dire non è
mai da lodare (3). Né già lo spaventò l'autorità che
viene dalla reverenda vecchiaja : ma disse : „ di
",, somigliare colui che si piace del buon vino di
,, Falerno : non però così giovane che sia nato sot-
,, io il console del vicino anno , né così vecchio
„ che si sigilli nel nome de' consoli Anicio ed Gpi-
(1) Voas. Ret. f. 68.
(2) eie. de ci. or. cap. 83.
(3) Cic. 1. «.
38o Letteratura.
„ mìo» Questa vecchia data è rarissima : il credo.
„ Ma il troppo vecchiume non sì patisce ; né tie-
„ ne mai quella soavità che sì cerca . E il savio
„ bevitore chiede mai questo? non già. Lo cerca
„ d'età mezzana. Ed io così farò; io fuggirò que-
„ sii novelli sermoni che sanno ancor del mosto e
„ del tino : e non seguirò pur quelli di Tucidide,
„ quantunque ei sieno così eccellenti . Ma li terrò
„ come vino riposto sotto il console Anicio . Che
,, se Tucidide fosse vissuto in più tardi giorni, io
„ so ch'egli avrebbe vena meno austera e più ama-
„ bile. „
a5. Ne qui trapassi da noi l'osservare ciò che
nota Demetrio intorno il chiudere de' periodi, spe-
cialmente dove l'orazione si posa. Percliè vuole ch'iVi
/' ultimo membro sia pili lungo degli altri , e quasi li
contenga , e li circondi colle sue braccia . Perciocché
in tal m,odo il periodo acquista vera magnificenza e
decoro da quel suo finimento magnifico e decoroso -
Che se questa legge non sarà adempiuta , l orazione
si faràtronca. (i) Del qual difetto se tra gli antichi è
notato Tucidide , noi tra' moderni mal sapremmo
difenderne Vittorio Alfieri : che spesso con questa
Xhaniera di clausole stridenti e rotte si fa molesto
agli orecchi : irrita l'animo , ma noi trascina seco :
perchè gli affetti svegliati e condotti dalla parola s'ar-
restano air arrestarsi della lor guida . Di che so-
no infiniti gli esempj in quelle mirabili sue trage-
die. E veggasi in quell' Achimelecco del Saul; do-
ve coir acuto monosillabo e il finimento brevissi-
mo toglie gran parte della grandezza dì quel tremen-
do parlare profeCìco . E sonanti al vero sono que-
sti versi, e quasi battuti alle incudini orientali :
(i) Dcra. Fai. part. 19.
Dionigi d' Alicarivassq 38i
, . . Trema Saul. Già in alto
In negra nube, sovra ali dì foco ,
Veggio librarsi il fero angel di morte .
Già d'una man disnuda ei la rovente
Spada nitri ce; dell' altra il crin canuto
Ei già t'afferra dell' iniqua testa .
Dov' è la casa di Saul ? Neil' onda
Fondata ei Y ha . Già già crolla : già cade :
Già in cener torna: è nulla già. (i)
Il quale ultimo verso guasta e consuma tutta la
magnificenza de' precedenti ; e lascia freddi gli udi-
tori, e come sorpresi di quella frattura. Né saravvi
mai buon recitatore che se ne chiami contento - Né
già questo è il modo con cui mostrammo che Vir-^
gilio e Dante chiusero il periodo co' monosillabi;
ma quel nulla è già è una clausola fatta sulla so-
la norma di questa per Demetrio censurata:
Quivi di suo talento la stessa Cerere ven-
ne^ e al nostrojìanco pugnò. E Aristide nò.
Che se il Falereo non perdona all' autore di quel-
la prosa , comeckè antichissimo : non saremo noi
tacciati di rigore notandone il difetto in un mo-
derno poeta , comechè nobilissimo . Che anzi cre-
diamo questa essere sovente una delle ragioni , pei»-
cui esso tragico poche volte comraove l'animo , e
pochissime il pianto . Perchè studiando a esser bre-
ve, tiene di quella troppa aridità de' vecchi , che
qui non si loda ; e pare che in quanto allo stile
abbia scelto di farsi appellare più tosto 1' Eschilo
che il Sofocle dell' Italia . Comunque però sia , egli
(I) Alf. Saul, att. 4«
3da Letteratura
è certo, che terminandosi Torazioue per quegV in-
cisi e per que suoni acuti ,. $i rompe il cerchio
delle parole: siccome dice Tullio graziosamente: m-
frin^itur ille verborwn quasi eunlfitus . O più ve-
ramente accade quello che Aristotele con altra bel-
la imagine dichiarò nel nono della sua retorica : che
quel corto finire fa che l'ascoltante , mentre con te
cammina, tutto a un tratto s intoppi , come il cieco
che incontra il muro, (i) E qi^esto avviene , perchè
quand uno sì ha proposto nell animo di correre a di-
lunga Jìno a un termine certo ; se vi si trova esser
giunto prima che non s^era imaginato , necessaria-
mente conviene che si ritiri , e&me se avesse urtato
in cosa che lo ributtasse .
26. Disputate queste cose , Dioivigi si condu-
ce a lodare assai quella pittura , che nel settimo li-
bro Tucidide ha fatto della battaglia navale tra que'
d'Atene e quelli di Siracusa . E la pone in esem-
pio di tutte le virtù dello storico; e principalmen-
te di leggiadria , di gravità , e di magnificenza. In
questo dichiara una sua opinione , che a noi par
degno che si rammenti . Ed è : che la vera eloquen-
za dee prendere l'animo d'ogni generaziene di ascol-
tatori : siccliè a lei s'inchini l'uomo che selvaggio
di filosofia nuli' altro conosce fuor quello che gli è
molesto o giocondo; e a lei s'inchini del paro chi
è usato agli ordini di quel!' arte razionale , cha fa
distinguere la bontà d'ogni umano lavoro . Quindi
non sia voce, non figura che offenda il grosso giu-
dìcio degl' insipienti : ma né pur modo , né stile
che non trovi grazia presso que' sapien^tissimi che
l'imperito volgo dispregiano. Simile ed una sia 1«
(1) Arist, Ret. cap. ix.
PiONiGi d' Alicarxamo 383
sentenza così de' pochi , come della volgar genie ?
e i dotti e gì' indotti si consentano in quella: per-
chè degli pni e degli altri vuoisi atteso il giudicio
in tutto che s'appartiene alla squisitezza di quelle
arti, che sono latte a servigio della moltitudine. Que-
sta sia S€ntenza che disinganni coloro , i quali di-
sputando della tragedia , della musica , e del ser-
mone , stimano che possa dirsi perfetto quel lavo-
ro che si lodi per alcun solitario coltivatore dell*
arte , e che al rimanente popolo paja brutto . La fa-
miglia di costoro è già di mollo cresciuta ; a v'h^
chi si consola de'fìschj d'un intero teatro per le ma-
gre lodi d un suonatore di zufFoli vieW orchestra : e
v'ha chi non cura se la sua tragedia ha svegliate 1^
risa nel popolo, purché siavi un pietoso pedante che
jcolle sue regole provi al popolo ch'egli doveva pian-
gere dove ha riso , Ma noi con Dionigi stimia-
mo , che costoro sieno in grande errore: conciossia-
chè la bontà delle cose dee giudicarsi dall' adempi-
mento del loro fine; né la spada è buona, se eli* ^
splende di rubini , ma s'ella fora: né buono è il ca-
vallo s'egli è del colore dell' oro , ma s'egli corre.
E perciò dove il fine è il piacere a tutti , e tutti
persuadere , male a colui che a pochi piacque , e
pochi ne persuase . Né vale il rispondere che al-
cuna volta le opere non belle incontrano il favo-
re del vario popolo ; percM questo avvenne ed av-
viene pe' suoi non sani giudizii , e per le torte ima-
gini che i sapienti falsi alcuna volta gli posero nel-
la mente . Ma da ciò non iscende , che le cose ve-
ramente ottime non piacciano ai più , e sempre .
Perchè mentre quel bizzarro spirito del Borromino
architettava la scomposta faccia del palazzo di Pro-
pagaiida , pure il panteon e l'anfiteatro non cessava-
no di parere i due miracoli dell'alta Roma . E co-.
384 Letteratura.
mecliè si lodassero dal guasto mondo le statue che
l'ardito Bernino poneva nel Vaticano , pure ad una
yoce dice vasi che l'Apollo, TAntinoo, e il Laocoon-
te erano soli ancora . Può dunque la corrotta ple-
be lodare alcuna volta le cose non belle : ed ora
forse loda spesso molte sconcezze e assai mostri
nelle poesie e ne' teatri ; ma ella non può non lo-
dare le cose veramente bellissime di bellezza eter-
na . Anzi quelle opere d'arte che manchino di que-
sta lode npn si dirà che mai sieno giunte al termi-
ne dell' eccellenza . E perchè questo vero si fa
troppo invidiso specialmente negato da coloro, che
dopo enormi fatiche non hanno poi colto il frutto
del plauso popolare , noi conforteremo l'opinione di
Dionigi e la nostra coli' autorità e colla filoso-
fia di Cicerone . Il quale troviamo avere significa-
te nel Bruto queste còse medesime: e averle chia-
rite a lungo con quella sua lucidissima eloquenza .
Ivi , parlando suU' oratore , egli dice : (i) „ Dote
„ principalissima del sommo oratore è l'essere in
„ voce di sommo anche presso la minuta gente .
„ Né monta se quell' Antigenide suonatore di ti-
„ bie, e quel suo discepolo che tutti nojava col suo
„ suonare, gridò in udienza di tutti : suona a me
„ ed alla muse. Io a Bruto , mentre arringava la
„ moltitudine, gridai : o mio Bruto^ parla a me ed
„ alla m,oltitudine ; perchè la plebe sappia che co-
„ sa s'ha da fare : ed io il perchè s'ha da fare . Chi
„ ascolta crede ciò che si dice : lo stima vero :
„ approva: consente: e il discorso suo fa la sua cre-
„ denza . Or tu coU'arte che più 4iw»andi ? La mol-
„ titudine è presa all' esca del diletto , e si volge
(i) eie. Br. cap. 5o.
Dionigi d' Alicarnasso 385
„ dove vuole rarringo , ed ha Tanima, dirò così,
,, tutta infusa d una soavissima voluttà . Non acca-
„ de più il disputare . Gode ella , si duole : ride,
„ piange : odia , favoreggia : disprezza , invidia : è
„ menata a pietà, a pentimento , a vergogna: s'adi-
„ ra , si meraviglia, spera, paventa, è tutta sic-
„ come imperano le parole , le sentenze , e gii atti
„ deir oratore. Or qui che bisogno è 1' aspettare il
„ giudicio del letterato? Ciò che in questi modi ella
„ approva, sai'à dai letterati pure approvato . Que-
„ sta è una foggia di popolare giudicio, in cui la scn-
„ tenza del sapiente non si disgrega da quella dell'
„ insipiente. — Quelli che per opinione del volgo
,, vennero in voce d" eloquentissimi , furono pure
,, levati a cielo dall'universal parere dei savii. Né
„ Demostene avrebbe potuto mai dire ciò che nar-
„ rasi che dicesse il poeta Antimaco da Glaro . Il
,, quale, mentre leggeva ad una bella radunanza un
„ certo suo grande libro, vcggendosi a poco a po-
„ co abbandonare da tutti , fuorché da Platone :
„ seguirò , disse , seguirò pur anche : il solo Platone
,, mi varrà quei mille che qui non sono . E tlisse a
„ dritto . Perchè quel poema era un'alta e riposta
„ cosa : e potea starsi contenta all' approvale de'
„ pochi . i\l£^ una orazione fatta pel popolo dee gi-
„ rarsi dove il sentire del popolo lo richiegga . ,,
E a questo passo ne si conceda Tosserrare , che i
trattati di scienze e le disputazioni de' filosofi non
cadono sotto questa legge: e nò pqre vi cadono le
opere de' poeti , quando non sono fatte a piacere
9 a bene di tutto il popolo ; siccome sono i poe-
mi filosofici, e i canti lirici , dove dicono di odia-
re il volgo e i profani . Ma la dottrina dcii'Alicar-
nasseo e di Tullio si dee pienamente seguire nelle
tragedie , nelle musiche , nelle commedie, nello scol-
G.A.T.IX. 25
380 Letteratura
pire, nel pingere, ne sermoni pubblici, e in quan^
te sono le arti , delle quali è primo fine il dilet»
to o la persuasione della moltitudine. Perchè stoU
to è l'uomo che nell'opera non cura il pregio dell'
opera; e come leggiadramente conchiude Tullio: se
il suonatore soffia nella piva , ed ella non gli dà
suono, il suonatore consigliasi di gittarla. Or quel-
lo che sono le tibie per costui , sono le orecchie
del popolo per chi parla al popolo . Che se elle
non accolgono il fiato suo : se chi lo ascolta non
Tolgesi alla sua voglia, può egli por fine air inutile
suo soffiare .
2y. Da queste considerazioni il censore discende
ad osservare sottilmente alcuni vocaboli e tropi e
collegamenti eh' egli crede viziosi . De' quali or sa^.
rebbe assai diFfìcile e forse arrogante il far qui giudi-
ciò . Perchè de'nomi , dc'periodi , delle ragioni armo-
niche d'una favella che più non è , male da' posteri
si può dispulare con quelli che vìssero quand'ella fu .
E chi 'l tacesse , daiebbe segno di non essere fino
conoscitore né pure della propria lingua : ignorando
quanto sottili , e difficili a ponderarsi sieno le forze
delle voci vive, e gli usi loro, e gli accompagna-
menti, e i costrutti, e i suoni che se ne cavano, e per
che litigiosi confini si dividano i solecismi dalle ele-
ganze , le figure dagli errori , e le metafore dalle ana-
polle .
28. Finalmente abbandonata la disputazione de
suoni , degli scontri , degli apici , si fa il censore a
ragionare delle concioni . Né sappiamo quanto se ne
giovi l'ordine del suo libro . Perchè avendo egli al
cap. XVII e XVIII tenuto ragionamento sulle con-
cioni di Pericle e Diodoto , o dovea egli tutta trat-
tare allora la materia delle concioni , o riserbarne
ogni discorso per questo luogo.
I)lONIGl d' AlICARNASSO 887
Qui tornando a quell'usato partimento delle cose
dalle parole, incomincia il favellare dalle cose. E lo-
da i sermoni di Tucidide pe' trovati degli argomenti
e delle sentenze : e li dice squisiti , pellegrini , mi-
rabili . Ma intanto U condanna, perchè non li adope-
ri secondo le più ferme leggi dell' arte . E parla di
quel genere di studiosi , QÌie fanno le maraviglie
d'alcuno autore prediletto , e si prostrano ciechi a
quello , come persone invasate dallo spirito di qual-
che nume . Che se alcuno gli avvisa , e gl'insegna ,
je chiede loro il perchè d'alcuna parte o posta fuori
di luogo, o non tiene accomodata alle persone e alle
cose, o di soverchio allungata , ei n'hanno subilo mo-
lestia grave . Talché rendono imagine di coloro , cui
lungo desiderio punge dell' amore d alcuna cosa ?
ardono di vederla: il desiderio si muta in incendio.
E credono nella cosa da loro amata esser quelle tutte
quante vaghezze , onde le cose si fanno vaghe . Che
se alcuno intende a mostrarne i difetti , tosto lo fug-
gono, siccome uomo di calunnie e d'invidia . Per
simile questi idolatri d'un solo autore presi all'ingan-
no di una sola virtù , gli tribuiscono pure quellaltre
ch'egli non ebbe mai. E non è miracolo. Imperoc-
ché quelle pose ch'egli desidera in colui eh egli ama
ed ammira, quelle medesime ei facilmente in lui ve-
de, siccome vogliono meraviglia ed amore. Ma chi
non ha olfeso il giudicio , chi misura la ragione alla
norma della dritta legge , né tutto adorna di lode ,
né di tutto prende noja ed affanno . Concede il debito
onore a quelle cose che sieuo bene ritrovate e di-
sposte : e poi dove trova peccato, quivi non gitta
lode.
Né questa dottrina bellissima di Dionigi lascere-
mo noi senza onore : che anzi vogliamo ch'ella con-
forti le cose da noi già scritte intorno 1' imilazioae
2 0
38S LSTTERATUHA
degli antichi . E temperi la superstizione di coloro
che nelle pQ.che colpe de' classici autori vorrebero
troppo spesso trovare nuove eccezioni , per corrompe^
re le sane leggi della natura e dell'arte .
29. Al capitolo XXXV I si celebra assai quel luo-
go del secondo libro di Tucidide , dove è descritta
1 ambasceria che gli uomini di Platea ordinarono di
mandare ad Archidamo re , che guastava le loro ter-
re . Non può certamente leggersi narrazione più vi-»
cina al vero , né mostrata con più chiara eloquenza .
Ma dopo questa breve lode , si prende subito a censu-»
rare il quinto libro : dove è raccontata la guerra tra
Milo e Atene : e i discorsi che si tennero tra gli 1^0-
mini dell' isola e i nunzi degli ateniesi . I quali con
modo nuovo e assai bello sono posti in dialogo se-
condo lo stile de' tragici .
E benché quelle alterne parole sieno sembrate
assai nobili al comune de retori , pure a Dionigi noi
sembrano . Anzi comincia dal notarvi alcune troppo
ardite figure grammaticali , ch'egli intitola solecismi.
E, procedendo più innanzi, nota assai mende nelle ra-
gioni drammatiche di questa scena. Guardiamo nel
fatto : e conoscasi il vero .
30. Gl'isolani di Milo erano d'origine lacedemo-?
nia : e superbi del principio loro , non volevano pie-
gare il collo ad Alene . Non però erano a lei nemici :
neutrali stavano. A questo l'orgogliosa Atene non
si J'a paga : e , v inli i Medi , move ai danni di Milo .
Cleom»=de e Tisia già sono nell' isola , e le minac-
ciano li guasto . Per nascondere non di meno quella
brutta violenza sotto il santo aspetto della magnani-
mità, mandano ambasciatori a quella intrepida gente.
Ella ucu vuole riceverli nell'udienza del popolo: ma
in quella di pochi savii e de' magistrati . 11 dialogo
è dunque nei palagio d^l comune di IV^ilo fra gli ot-
l)lONIGI d' AliCARNASSO ^Sj
timi della città, ei nunzi degli ateniesi. Udiamo-
ne i sensi e le censure .
Principalmente Dionigi avvicina tra loro alcn-
ne sentenze degli ateniesi che in quel diaìogo sono
divise : e ne cava , eh elli così ragionassero . ,, Fi-
„ nora vi fummo amici : ed ora vi siamo nimici : ft
,, questo senza essere offesi da voi . Ma / pùì forti
„ mutano parole e consigli secondo il mutare de casi.
1,, In questa congrega venimmo per provvedere alla sa-
„ Iute della città , scegli 'vi pare si parli alla guisa dà
„ voi proposta ,^ . Per poco fermiamo qui la lettura : e
notiamo che Dionigi qui pone dette dagli ateniesi
queste ultime paróle : le quali noi cercando in Tu-
cidide véggiamo essére state dette da que'di Milo .
Né lo scambio è leggero : o venga egli da innocente
errore , o da malizia : perchè si fa grande variazione
nel decoro , se le cose che si dissero dall' assalito
si mettano sulle labbra dell' assalitore. Ma si segua.
Gli ateniesi ripigliano. „ Qui non è mestieri
„ lunga diceria vestita a grazie di lusinghe. Non
^, vogliamo noi garrir di ragioni. Già noi sappiamo,
„ e voi ben sapete , che si disputa della giustizia tra
^, gli uomini quando gli uomini sono eguali. Ma dovfe
non è uguaglianza , ivi non è piià giustizia; ivi i
potenti vogliono tutto , e gì' impotenti gV inchi-
„ nano. „ Questo parlare, dice il retore d Alicarnas-
so, a pena si soffrirebbe sulle labbra dì qualche bar-
baro: e non si conviene à que' greci ch'erano fio-
re di senno e di cortesia . Onde risposero pur be-
ne i valorosi di Milo in queste parole, che noi, ab-
breviando Tucidide, riferiremo.
Mil. ,, Non curate voi la giustizia? Or via pongasi.
„ r utilità nel luogo della giustizia. Sia dunque
„ nostra utilità il fermo stato della nostra rjepub-
,, blica. E voi rimanetevi da questa briga , che
»'
3C)0 LETTEhATURA
„ v' avrete pure alcun utile. Perchè se rhai voi
„ forti incontraste alcuno più forte , n' avreste
„ poscia gran pena , e 1 mondo n* avria grande
„ esempio.
Jten. „ JNoi potremmo vedere il nostro imperio di-
„ velto dalie fondamenta: e non per questo lo
,, piangeremmo estinto. Ma noi qui siamo per
,, allargare questo imperio , e dar salute alla vo-
„ stra città. Noi vogliamo essere signori di voi:
„ a vostro bene, e anche nostro.
Mil. „ E iu che modo sarà bene a noi il servire, co-
^, me a voi il dominare?
Aten. ,, Sarà meglio a voi l'obbedire che l'essere cal-
,, pestati; e a noi sarà meglio l'avervi sudditi che
,, l'uccidervi.
Mil. ,, Non vi basta se saremo aitìici ? Se staremo
,, cheti ed inermi?
Aten.^^ Non basta. Perchè non ci è di tanto danno che
,, voi ci siate nimici , quanto ci è di danno che
,, ci siate amici. La vostra amicizia sarebbe se-
,, gno dell' impotenza nostra: e l'odio vostro ci
,^ è manifesto argomento della nostra possanza.
E qui il dialogo procede con impeto , finche
giunge alla esortazione che gli ateniesi fanno a que'
di Milo: la quale è, di non si opporre a chi ha pili
forza. E que' di Milo ripigliano:
Mil. „ Noi sappiamo che la ventura della guerra è
„ incerta : ed a tutti è comune. Ma sappiamo an-
,, Cora che la vittoria non è sempre serva del mag-
„ gior numero. Sappiamo che 1' uomo die si fa
,, schiavo, non ha più, speranza di libertà: e che
,, fin eh ei resiste non perde almeno essa spetan-
„ za, l'ultimo bene degl'infelici.
Atcri. „ La speranza è il conforto ne' pericoli a chi
,, è potente: e non abbatte il forte che iu lei
Dionigi d' AlìcarnAsso 3qi
,, s' affida. Ma ella mette nel fondo della miseria
^, que' ciechi che si gittano nelle sole sue hrac-
^, eia. E la Conoscono tardi, quando si veggono
il, neir inganno. Or voi cosi infermi di vigore ,
,, voi così prossimi a tanta guerra , non vi git-
„ tate in tal perdizione. JNon imitate coloro , i
^é, quali mentre ogni strada si dischiude allo scam-
^, pO, abbandonano la loro salute f e poi si volgo-
ii no alle cose buje , cioè agi' indovini , agli ora-
„ coli , ed alle sorti , e a quante sono le cose che
i, rinfrescano la Speranza per accrescere il danno.
A questa esortazione degli ateniesi seguono al-
tre generose risposte di que' di Milo. I quali mo-
strano di Confidare nella forza e nella carità degli
spartani , che già furono loro padri , ed or saran-
no difenditori. Poi si ripetono altre cose degli attici
per torre dalle menti degli avversarii questa vana fi-
danza. E ultimamente con qualche affetto conchiu-
dono :
^ten. „ Tutte vostre fiducie si raccomandano al tem-
,* pò a venire. E il tempo or piìi non basta a
„ vincere le cose già pronte al vostro male, Sie-
^, te già stolti, se non vi consigliate slubito da pru-
„ denti. Perciocché non vi potrete scusare, né
„ cuoprir la follia col pretesto della vergogna.
„ Spesso ella precipitò le genti nelle spalancate
,, voragini. E molti, quantunque sapessero di sca-
„ gliarsi nella ruina , pure volendo fuggire la
^, bruttezza del solo nome della vergogna , sì
„ cacciarono nella miseria : e vinti da un voca-
„ bolo , trovarono maggior vergogna di quella eh'
„ essi fuggirono.
Con queste ed altre poche parole degli ate-
niesi, ed alcuna ostinata risposta degli avversarii, si
terminò quella scena. Ed anche la guerra non fu
3(^2 Letteratura,
molto lunga. Perchè ai pochi cotro i moltissimi non
bastò il larsi per disperazione sicarii. Ma dopo bre-
vi conflitti si resero alla tirrannide degli ateniesi.
I quali per quelle antiche ragioni di guerra scanna-
rono tutti gli uomini di iVlilo: e i ianciuUi e le don-
ne tutte menarono a schiavitù.
( Sarà continuato )
G. iPlRTlCARr.
Riflessioni ulteriori sulf opera intitolata - Degli
uomini illustri ci Urbino , comentario - Urbino per
P^incenzo Guerrini stampator camerale 1819.
I^drucciolare in errore , è notì rara fatalità dì chi
tramanda a'posteri laboriose produzioni d'ingegno .
Siamo nomini e tanto basta . Se libri soli di qua-
lunque equivoco scevri meritar potessero lunga vi-
ta : in vece d'immense biblioteche , pochi vedrem-
mo scaffali e angustissimi . Quindi è degna di al-
tissima lode la massima del venosino , che di scritto
il quale di molte bellezze risplenda , i leggieri di-
fetti mover non debbano a sdegno ; e si preserva
così il titolo di libro bono anche a quelli i quali
non sempre all'esattissimo vero si appongano . Egre-
gio è certamente ì\ Comentario degli uomini illustri
d Urbino , impresso in quella città il 1819 da Vin-
cenzo Guerrini . Ma è forse esente da nei ? Tor-
to farebbesi al rispettabile autore , contro chi ne-
gasse tale esenzione , capace .credendolo di conce-
pire iracondia . È' la molta stima pertanto che gli
professo quella che mi dà coraggio di rilevarne i
seguenti : i quali pare a me, che si oppongano alla
Uomini illustri d'Urbino SqS
perfezione assoluta dell' opera . Tale rilievo trasan-
dato di chi precedentemente ne ha fatto l'analisi ,
è in me per circostanze speciali divenuto anche un
obbligo .
Riflessione I.
iVe' tempi felici de Feltrii e dei della Rovere , estese
Urbino la sovranità sopra Casteldurante Santan-
gelini>ado Monlefeltro Pergola Mondnvio Mondol-
jFo Sancostanzo Gubbio Cagli Fossombrone Siniga"
glia e Pesaro . {a)
g. 1 . I signori dìMontefeltro non hanno mai avu-
to che far nulla con Pesaro . Quindi era ben ne-
cessario distìnguere ; e dire, che i tempi felici in
cui Pesaro , ugualmente che Urbino , constituiva-
no la dominazione di una stessa eccelsa famìglia ,
furon quelli del regno , non de signori di Monte-
feltro , ma bensì di quelli della Rovere .
§. 2. Poiché ingerirmi né voglio nò debbo delle
storie di ogni altra città ò terra nominata di so-
pra : mi limiterò a domandare , quando mai esten-
desse Urbino la sovranità sopita Pesaro - Forse al-
lora che i papi investiron di Pesaro i rovereschi ,
già signori di Urbino ? Ma questo non In esten-
dere la sovranità d Urbino . Quella della casa della
Rovere e non quella d'Urbino fu estesa in tal mo-
do ; e Pesaro divenne suddita , non della sovra-
na Urbino ; ma bensì della sovrana casa della Ro-
vere , dì cui suddita era e fu in seguito Urbi-
no ugualmente ,
§. 3. Acciò Pesaro potesse dirsi dipendente, per
{(i) Coment. Prefaz.
394 iLetteraturì.
qualche giorno, dàlia sovranità d' Urbino , Bisognava,
che i ghibellini urbinati , i quali tentarono inutilmen-
te due volte, il 1294 e il i3a4, invaderla e conquistar-
la, non avessero latto la prima sul momento fu-
garsene ; e trucidarsi tutti la seconda e sepellirsi
He'pozzi .
§. 4- Bisognava altresì , che Urbino lei sot-
toposto avesse alle proprie leggi ; lei gravato di
tributi , lei per me^zo de'suoi proconsoli gover-
nato i Ma tali dritti essendo stati esercitati sopra
Pesaro , non mai da Urbino ; e sol qualche tempo
dal padrone di Urbino , il quale a Urbino leggi
dettava , tributi a Urbino imponeva ; e governava
Urbino , indipendentemente da Urbino , e ugual-
mente che Pesaro , per mezzo di suoi pretori e
ministri : dunque la sovranità decantata di Urbino
sopra Pesaro ha per unicti fonte un'assertiva , im-
molante all'adulazione ogni principio teorico e pra-
tico di gius delle genti ; e riputata goffa io credo ,
da Urbino medesima , così piena di dotti incapaci
di essere illusi .
§. 5. Così Roma fu sovrana , finche dettò leg-
gi f impose tributi , e governò il mondo per mezzo
de' suoi magistrati . Ma ora , benché prima città
dello stato , gloriasi di essere , non già sovrana del-
lo stato ; ma la più nobile suddita dell' augusto capo
della chiesa .
§. G. Ne alla sovranità d' Urbino sopra Pesa-
ro giova in verun modo la riduzione in provincia
di sei rispettabilissime vescovili chiese , tutte più
antiche di quella d'Urbino ; tutte in territoriale giu-
risdizione maggiori ; e prima di essere sottoposte da
papa Pio IV al dritto metropolitico del vescovo
di Urbino dichiarato arcivescovo , tutte immedia-
tamente soggette al romano pontefice . Venero le de-
UOMIWI ILLUSTRI b'UrbINO SqS
fcisioni del Vaticano ; e non ardisco richiamare a
esame ie ragioni , per cui quelle insigni chiese , e
tra esse quella di Pesaro , così benemerita del culto
ortodosso i in tempo del greco scisma d'Acazio ^
estinto mediante lo zelo di Germano vescovo pe-
sarese , spogliate furono di antichissime esenzio-
ni e prerogative . Solo osserverò , che questo novo
regime sarebbe buffoneria nominarlo sovranità . An-
che Crema Borgosandonnino Modena Parma •Pia-
cenza e Re'ggio furono da papa Gregorio XIII sot-
toposte al novo arcivescovo di Bologna : pur Bo-
logna di quelle città suflFraganee non è certamente
sovrana .
R I F L E S S-I O N E II.
Giddantonio , ottavo Conte d" urtino , sposò in secoli-^
de nozze Caterina Colonna nipote di papà Mar-
tino- (a)
§. i . Prima di sposarèi con Caterina , non ave-
va avuto Guidantonio altra moglie legittima . Fer-
vidamente bensì innamorato aveva di donna d' igno-
ta prosapia , cui gli autori di quel tempo danno
il nome di Aura ; e da essa Federico gli nacque ,
il quale, ucciso che fu Oddantonio, divenne duca.
Di questa amasia dovè egli disfarsi, per uno de'pat-
ti di quelle nozze ; e la diede in moglie a Ber-
nardino TJbaldìni dalla Carda. Nacque da questi due
coniugi Ottaviano, il qual divenne signore di Mer-
catello , ed è nominato fratello di duca Federico .
Ciò giustamente : poiché avendo avuto la madre stes-
sa , eran fratelli uterini.
§. 2. Aura dunque non fu moglie di Guidau-
(a) Coment, p. 5.
3()6 Letteratura
tonio: altrimenti non avrebbe essa potuto, vivènte
lui, passare ad altro talamo; e Federico non saria
stato considerato per figlio illegittimo ; e perciò bi^
sognoso, onde godere i dritti signorili , che le circo-
stanze de' tempi gli riservavano, della legittimazione,
accordatagli con bolla papale da me veduta. Caterina
Colonna fu in conseguenza prima moglie e non secon-
da di Guidantonio ; e duca Federico il quale nel co-
mentario si fa quasi nascere di padre senza madre ,
nato era da Aura fuori di matrimonio. Sono in-
numerabili le autorità con cui queste cose possono
comprovarsi.
Riflessione III.
Miuscito due volte duca Valentino a far ire duca
Guidubaldo I ramingo e fuggiasco fuori del suo
dominio : trovò quello scellerato la più forte resi-
stenza alla sua tirannia neWodio de suoi (così) ur^
binati , e nella lor ostinata fede verso il legittimo
Signore . (a)
§. I. La più forte resisf.e?ii:a degli urbinati alla,
tirannia di duca Valentino , potr^^bbe far credere a
qualcuno , eh' essi a costui facessero fronte ; e con-
tribuissero ad abbattere la potenza di lui : come ì
romani la fecero a Brenno a Pirro ad Annibale , e
con generoso e costante resistere , Italia ne libera-
rono . Non credo , che il dotto Autore tanto hiatu
abbia voluto dir questo , onde svolazzasse nel suo
libro un farfallone di corpulenza eccessiva .
§. 3. Fatto è peraltro , che se anche avesse
inteso di limitare il senso di tal frase, in modo da far
(fl) Coment. P. ii.
Uomini illustri d'Urbino 3()'j
credere , che la forte resistenza degli urbinati impe-
disse i) Valentino da conquistare la patria : né pur
questa sarebbe asserzione veridica .
§, 3. JNon fuggì duca Guidubaldo due volte ?
Non prese possesso il Valentino di tutto lo stato ?
JVon fece governarlo, in tutto il tempo di sua do-
minazione , da'proprii ministri , a'quali fu prestata
da ognuno ubbidienza? Non era esule Guidubaldo,
allorché , non dagli urbinati , ma dal celebre av-
velenato fiasco fu la borgiesca potenza disrrutta ?
E distrutta che fu , a qual partito gli urbinati si
appresero ? Essi uccisero barbaramente , ( scrive il
dottissimo urbinate autore Bernardino Baldi nella
vita di detto duca Guidubaldo , (a) esistente inedita
anche nella biblioteca vaticana: ) (b) tutti i partìtanti
del Valentino . Siccome i partitanti uccisi è troppo
naturale che fossero assai meno de' non partitanti
uccisori : altrimenti non si sarebbero lasciati ucci-
dere : dunque i più , in tempo che duca Valentino
comandava , eransi fatti per la paura soprafare dai
meno .
§. 4- Ciò essendo , come si prova , che nelf
odio degli urbinati quello scellerato trovasse la più
forte resistenza alla sua tirannia ; e come si veri-
fica la ostinata fede di quel popola verso il signo-
re legittimo ?
§. 5. Se poi non mi fosse riuscito capire, che
cosa significhi la pia forte resistenza degli urbinati
idla tirannia di duca Valentino : pregherò il cortese
scrittore di benignamente spiegarmelo .
{a) L. 8. p. 177.
(è) BiLl. ivrb' vatic. cod. J012,
$()$ Letteratura
Riflessione IV.
Duca Guidiihaldo I superò certamente se stesso ,
quel di che cangiata Iq. fortuna del Valentino^ la
ebbe à, ^uoi piedi , e lo giudico pia presto degno
di perdono che di vendetta . ,(a)
§. 1. Chiedo scusa al chiarissimo autore,, ?e
inquanto a me stabilisco, esser favola quanto egU
qui asserisce e del Valentino e di Guidubaldo . Da
qual fonte ha egli attinto la umiliazione del pri-
mo e la generosità del secondo ? Non dalle storie
di Guicciardini di Giovio e di Machiavello e dsC
cronisti di que' giorni , tutti taciturni su que-
sto punto ; e né pure da Baldassarre Castiglione , il
quale nel Cortigiano ^ scritto per magnificare i fatti
delle case di Mentefeltro e della Rovere, tesse ben-
sì l'elogio di Gnidubaldo, ma osserva su tal ventu-
ra uguale silenzio. Da qual dunque? O dalla ora-»
zione funebre declamata, da Lodovico Odasio ne'
funerali di detto principe suo discepolo , pubbli-
cata da Pietro Bembo nel suo dialogo De Guido
Ubaldo et Elisabetha Urbini, ducibus ; ò dalla suc-
cennata vita che Baldi ne scrisse; ò più probabil-
mente dall' una e dall' altra .
§. 2. Il passo della orazione di Odasio è il
seguente . — Sed clementiae atque mansuetudinis fio-
bis^ cum saepissime alias , Uim eo sane tempore ve-
rissimum ac pulcherrimum testimonium reliquit , quo
Caesar Borgia valentinus omnis humani divinique
juris contemptor atque perturbator , qui ei regnuni
per amicitiae simulationem contrafas^ contra Jidem
datam^ optiine etiam àe se merito^ perque vim ma-
■HI» .. w I .1., I I I I \
(a) Coment, p. 12.
Uomini illustri d'Urbino 3gf)
lis artibua abstulerat ; saluti atcjue vitae saepenu-
mero insidias ftcerat , cum is ex magno imperio at'
cjue fortwnis dejectus^ in Juìii pontijicis maximi po^
testatem atque custodiam venisset -^ noster autem dux
ah eodem pontijice per literas atque nuncios Ro-
mam accitus , hospitio amantissime honorifìcentissi'-
meque susceptus , plurimis maximisque tractandis re-
bus praeficeretur , consiliis omnibus interassei ; ro-i
manis etiam exercitihus ejus imperio atque fidei tra"
ditis , esset dli quasi quodam fato vendicandi se de
Caesare facultas quam amplissime oblata : nihil eo-
rum in illum egit^ quae quidem ipsumfacere aequis-
simum atque justissimum fuit . Sed cum ejus ille
genibus advolutus suo rum scelerum atque perjidia^
deprecatus veniam esset: homini supplici atque miser-
rimo pepercit . Itaque qui in ejus fortunas atque
sanguinem omnia tentaverat , milita perfecerat ^ ut
s'idistis , ejusdem de liberiate atque salute^ tum cum
sumere poenas posset , nihil imminuit . Existimabat
enim^ idque dicere frequentar solebat, non iam pul-
chrum esse ulcisci iniurias quam oblivisci : illud si-
hi omnium hominum-^ perpaucorum hoCy eorunidem"
que non nisi magni animi virorwn , suorumque Jh-^
ctorum conscientia fretorum atque nitentium vi-
deri . (a)
§. 3. Non do qui ora il lungo squarcio del-
la vita di Guidubaldo scritta da Baldi , consisten-
te nella descrizione del supposto abboccamento tra
detto principe e il Valentino : perchè trascritto dall'
originale dell' opera esistente in Pesaro con le cor-
rezioni dell'autore presso il chiarissimo signor mar-
fìhese Antaldo Antaldi, si vede inserito dal chiaris-
(cf) Apvid Eem])< 1. e. p. m. 291.
4oo Letteratura
simo signor conte Giulio Perticari nella propria «o-
ta intitolata — Della vita di Guiduba/do I duca d'Ur-r
bino scritta da Bernardino Biddi — - e pubblicata in.
Milano si da Stella nel tomo IV della biblioteca italia-t
na^ (fi) che separatamente da Giovanni Pirotta.
§. 4- Qwal giudizio formare di questi due
scrittori? Amendue sono riputati di gran merito e
di molta eloquenza . Ma Odasio incastrò nella sua
orazione le favole; e Baldi non solo aderì a questo
»utor favoloso; ma nel da me riportato racconto di
lui imbastì ancora qualche favola propria .
§. 5. Provo, che Odasio nella orazione sna fa-»
voleggi . Egli narra , che duca Federico padre di
Guidubaldo, avendo avuto da sua muglia Battista
Sforza, figliuola d Alessandro signor di Pesaro, ot-r
io figliuole, e maschio nessuno il quale gli succe-
desse; e r età avanzata togliendogli la speranza di
averne: la suddetta Battista afflittissima per questo,
si diede a pregar Dio, che di maschil germe le cour
cedesse la grazia : ottenuta la quale , morta saria
volentieri . Dopo tale orazione addormenta ; e al-
lora per quietem in altissimo arboris culmine ipsa
sibi videtur avem phoenicem parere mirae pulchrir
tu-dinis , quae sex atque triginta totos dies ei arbo-r
ri cum incubuisset , caelum volatu peteret , tactoqu^
solis globo , alisjlamma combureretur , neque amplius
apparerei . Haec illa viro cum enunoiavisset , Jit
praegnans ; parit tempore puerum pulcherrimi sua-
yissimique oris : Ipsa paucis post mensibus moritur.
Puero Guidi Ubaldi nomen impositum . (b)
g. 6. Altissima pianta ; araba fenice ; tren-
(n) K.o IO. ottob. i8i6 p. 02.
(è) Aj»ud B. 1. e. p. m. 2^6,
Uomini illlstri d'Urbino 4or
tasei giorni , allusivi al numero d'anni oltre cui Gui-
dubaldo non protrasse la eita , e numerati in po-
che ore di sonno , ignorasi con qual curioso calen-
dario ; volo della fenice al cielo; suo contatto col
sole , e abbruciamento e sparire della medesima :
chi non convincono della favolosità di tal sogno,
e del suo totale impianto dopo le cose accadute?
Credo che lutti gli uomini sensati, relativamente
al medesimo, ancorché altri autori lo riferissero ,
si approprierebbero le bibliche parole — nauseai ani^
ma nostra super cibo isto levissimo : — (a) poiché
conspirazione tuttoché numerosa di testimoni i de
retata , non farà mai che a cosa assurda ò strana
fede si presti . Ma cresce qui l'argomento , per ve-
dersi narrato il sogno da Odasio soltanto; e special-
mente non travarsene menoma traccia nella orazio-
ne funebre di Battista medesima, detta il 1470 ne'
suoi funerali dal celebre Antonio Campano vescovo
di Teramo : il quale narra soltanto , che Battista ,
nato il bambino, fecene ringraziar Dio , ut piane vi-
deretur , non tam laeta esse de fillo , quam esse sol-
licita , ne aliunde acccptwn munus putaretur quam a
Deo • (b) cristiana gratitudine comune a chiunque
riceve favori speciali dal cielo . Siccome se la co-
sa fosse stata divulgata , vivente Battista, avria ri-
dondato pili in onore di lei che del tiglio ; e l'im-
pegno di scriverne esser doveva nel Campano mag-
giore che in Odasio : deduco dal silenzio del pri-
mo, che al suo tempo di tal sogno non si parla-
va; e che fu esso un capriccioso ritrovato, mor-
to Guidubaldo di anni trentasei , ò di Odasio stes-^
(«) Num. e. 21. 6.
(Jb) Campan. op. omn. p. 62, •
G.A.T.IX. 2^
.joa Letteratura
so, ò delle donniccluole di cortc,alle cui ciance quel
credulo letterato non ebbe rossore di deferire .
§. 7. Provo adesso, che Baldi aderì a que-
sto autor favoloso; e imbastì nel suo racconto dell'
abboccamento la propria favola , Della adesione sua
non voglio darne per prova la menzione anche da
lui fatta del sogno , suH' unico fondamento dell'as-
sertiva d'Odasio, ch'egli suppone aver potuto saper-
lo da coloro i quali da Battista lo avevano udito:
per lo motivo che alquanto egli men corribo di quel
parentale panegirista , procura al possibile estenuar-
ne la maraviglia . (a) Ma il perdono , eh' egli asse-
risce essersi da Guidubaldo conceduto al Valenti-
no, onde r ha preso , se non dalla stessa orazione
d'Odasio?Chi è che, letto prima il passo di detta ora-
zione da me riportato al S 2 , non riconosca aver
esso a Baldi somministrato l'idea e la maggior par-
te delle immagini, per coniare la conferenza del fel-
tresco e del Borgia ? Perlochè sorprende assai, che
il signor Perticar! a questo supposto avvenimento
dia nome in quella sua nota , di parte di storia italia-
na molto scura ^ per non dire appieno ignorata ; (6)
e convien dire, eh egli familiarizzatosi, a motivo delle
sue discussioni su la lingua nostra , con le opere to-
scane di Bembo , abbia conversato meno spesso con
le latine . Altrimenti se risovvenuto si fosse del
dialogo di lui , mentovato al g 1 : gli saria tornata in
mente la funebre orazione di Odasio , che anche
Baldi asserisce pubblicata e celebrata da Bembo; (e)
e memore,che l'avvenimento, narrato già fino dal i5o8
fi I» Il . I I 1
(et) L. 1 nel cod vatic* p. 4<
(b) 6. e. p. 57. e. 07.
(e) L. 12. cod. vatic. p. 243.
Uomini illustri d'Ukbino 4o3
in cui morì GuidubalJo , viepiù divulgossi, allor-
ché Torazione fu fatta imprimere da Bembo nella
sua latina operetta : non avrebbe attribuito lo spri-
gionamento del medesimo dalle tenebre al benefi-
zio della sua nota .
S. 8. Che al racconto d' Odasio abbia agr-
giunto Baldi qualche favola sua , è facilissimo pro-
varlo; e basta confrontare ciò che scrivono , prima
quegli e poi questi, circa il perdono che dicesi ac-
cordato da Guidubaldo al Valentino. Costui da Oda-
sio descrivesi siwricm scelerum atque perjidiae cle-
precatus veniam : (a) il che vuol dire , ch'ei fece
la spontanea e general confessione di tutti i delit-
ti che gli venivano attribuiti , ed erano stati da lui
realmente commessi . Nel dialogo di Baldi all' in-
contro egli intraprende di questi, la confessione non
già, ma bensì la difesa. Imperochè dice, che al-
tri nel caso suo sariasi comportato assai peggio ;
essere stato impossibile ch'ei rimanesse tra le gran-
dezze a guisa d'uomo di legno ò di fango ; quan-
do si ha animo grande e mezzi per dimostrarlo ,
non potersi stare ne' termini ; avergli bisognato es-
ser terribile per armarsi contro il sospetto e l'invi-
dia ; non esser lui stato usurpator dell' altrui , ma
ricuperatore del tolto alla chiesa ; avere sparso ne-
mico sangue , per assicurare sé stesso , come na-
tura consiglia , e oppresso gli altri per non esser-
lo egli medesimo ; ninno essere stato ucciso da lui
senza ragione ; e non tiranno ma pacificatore esse-
re stato lui di Romagna . (a)
§. 9. È facile da tal confronto conoscere ,
quanto il perdono che si suppone accordato al va-
(a) Apuil liemb. ]. e.
(a) L. 10 cod. vatic. p. 200.
2G'
4o4 Letteratura
lentìno rendasi più malagevole nel dialogo di Bai-,
di , che nella orazione di Odasìo . Da un ofFenso-
sore gettato a' piedi delVofFeso e implorante clemen-
za per oltraggi e danni con ingenuità confessati :
jion è strano che un cor generoso resti ammollito.
Quegli air incontro che in faccia allo insidiato ali*
oltraggiato all'oppresso al tradito fa l'audace difesa
d'insidie di oltraggi di oppressioni di tradimenti , e
quasi sen gloria; e fa con ciò presagire, che farebbe
lo stesso, ristabilito in fortuna: sia pur colui ma-
gnanimo della pietà del quale ha mestieri , inaspri-
sce il risentimento di lui , in vece di estinguerlo.
§. IO. Se si trattasse soltanto d innalzare im-
maginoso colosso d'un eroe : Odasio in tal lavo-
ro sarebbe superato da Baldi ; e il principe accor-
dante presso il primo pieno perdono al nemico in
apparenza umiliato e pentito , sarebbe di grandissi-
ma lunga meno clemente di quello , il quale presso
Baldi perdona al nemico ostinato superbo e del-
le proprie malvagità lodatore; e per sopracarico lo
benefica . So anch io , che quanto un' impresa è pia.
malagevole , tanto maggior gloria acquistasi da co-
lui che la compie . Ma qui siamo fuori del caso.
Lo storico narrar dee ciò ch'è succeduto ; e non gli
è lecito , a spese della tradita verità , ornare di fal-
si pregii i suoi personaggi . Quindi se Odasìo ,
autore non solo primo , ma unico da cui , in-
nanzi all'età di Baldi ,( il qual nacque il i553 cioè
anni quarantacinque dopo 1 orazione funebre da quel-
lo recitata , siasi parlato del perdono conceduto al
Talentino da Guidubaldo ) narra che gliel conces-
se spinto dalla confessione ingenua de' suoi misfat-
ti : era vietato a Baldi far giungere la longanimità
dell'offeso al grado, che non so quanto eroico es-
ser possa , della dabbenaggine ; e inventarsi che sen-r
tJoMiiXi iiLuSTRi d'Urbino 4^5
tissi tutto intenerire ; e perdonò il nemico suo , il
quale ponendo in luminosa mostra tutti i principi!
dei Valentino encomiato da Machiavello ; ed esal-
tando la necessità regolarità e rettitudine delle pro-
prie colpe , non pentito , ma superbo sen palesava .
JVel quale mancamento essendo Baldi caduto : dun-
que non è calunnia asserire, che oltre aver seguito
un autor favoloso , è anche reo d' avere aggiunto
al racconto di lui una favola propria i
§. II. Tornisi adesso allo scrittore del comeii-
tario ; e poiché si è detto , ch'egli il perdono conces-
so al Valentino improntò ò da Odasio ò da Baldi ^
ò più probabilmente da àmendue : ecco le conse-
guenze a mio sentimento legittime di tale impron-
to . S'egli si è fidato di Odasio: ( in fatti iion avreb-
be forse usato la frase lo ebbe a suoi piedi , se non
avesse letto in lui il genibus advolutus : ) dunque
ha preso per fondamento dell' elogio suo una ora-
zione funebre, genere di scritto , dal canto della ve-
rità e fedeltà storica , screditatissimo fino dal tem-
po di Livio; e a cui non dee la storia che una
farraggine d'imposture grossolanissirae: come provar
potrei , se non mi fosse vietato e dalla brevità pre-
scrittami , e dal rispetto che rtiviolabile professo a
rispettabili cause famiglie e persone . Se una gene-
rai massima consiglierebbe diffidare di ciò che nel-
la sua orazione dice Odasio ; e niuna fede presta-
le al perdono di cui si tratta : quanto tal diffiden-
za divien ragionevole per la favola del sogno ? Chi
non comprende , essere stato coniato , morto Gui-
dubaldo; e non ne pfende argomento da' giorni treii"
tasei^ allusivo allo stesso numero d'anni da esso vissu-
ti ? Guai alla impresa del lotto , se i sognati numeri
con tanta precisione oggidì si avverassero ! E se favo-
loso è stato Odasio in un pu«to ^ clii poUà fargli
^oQ Letteratura
malleveria, che tale non fosse negli altri: tanto piò.
che nessuno autore contemporaneo conferma quan-
to egli dice ? Esige quindi la critica, che non si
presti fede né a Odasio , né a chi in lui si è fonda-
lo , per asserir cosa solo da esso attestata .
S. 13. Se poi ha improntato il fatto da Bal-
di, cioè da chi non solo, come si è detto, ha pe-
scato notizie in elogio sospetto assai di scrittore
imico e favoloso : ma si è preso in oltre il piacere di
alterarle e trasformarle in circostanze totalmente di-
verse: non può che ripetersi conseguenza consimile
all' altra : cioè che né a Baldi può credersi , né a
chi prende lui delle proprie asserzioni per hase. Ces-
si da me che con tale giudizio io detragga al me-
rito singolare di tanto uomo, forse il massimo tra'
letterati moltissimi dalla dotta sua patria prodotti ;
e trovo air incontro molto giusta la stima eh' ebbe
per lui l'egregio pesarese Curzio Ardizio , agli au-
spicii e mediazione di cui dovè egli il proprio sta-
bile e pingue collocamento in Guastalla: nel modo
stesso , che a quelli dell altro inclito pesarese mar-
chese Guidubaldo Borbon del Monte dovè il gran
Galileo lo ìncominciamento di sue fortune . Vedo
che in tale rapporto biasimar Baldi saria lo stes-
so che biasimar Senofonte . Poiché siccome questo
prestante attico ingegno , nella sua ciropedia^ non
si propose descrivere la vera storia di Ciro, ma ( co-
me anche Platone e Tullio conobbero ) (a) forma-
re sotto nome di lui un modello di regia perfezio-
ne , per ammaestramento^ di chi dee regnare: co-
sì Baldi col libro , cui die titolo di vita di Gui-
dubaldo^ non pare che intendesse tessere storia esat-
(a) V. Diipiii bibl. univ. des hist. 1. i §. 27 p. aoo.
Uomini illustri d'Urbino 407
ta e rigorosa; ma comporre un esemplare noLilis-
simo e filosofico di ardua insolita e sublime virtù,
nel quale si specchiassero i principi del suo secolo.
§. i3. In fatti se il signor Perticari , dal cui
parere su le insigni filologiche prerogative di que-
sto libro non mi dilungo , avesse avuto occasione,
come qualche altro, di consultarlo per alcuno sto-
rico lavoro : si sarebbe accorto , quanto equivoco
sempre e spesso inutile affatto a tale oggetto si ren-
da. Ond'è che non scuta storia e anzi appieno igno-
rata avria voluto un suo racconto chiamare ; ma
fin tascena di romanzo cognito e manifesto, a imita-
zione del ciropedico sistema del figliuolo di Grillo.
§. i4- Perlochè sono persuaso ^ il perdono
che dicesi conceduto da Guidubaldo al Valentino ,
essere una specie di sogno simile a quello delia fe-
nice. Se l'urbinate qualche lusinghiero discorso tenne
col suo nemico;(il che né pure è sicuro.-) esige la pp-
denza che credasi, aver voluto con ciò, di concer-
certo con gl'interessati , facilitare la restituzione de'
contrasegni delle fortezze e preziosi oggetti fuori dì
Urbino esportati . Non si dissimula tale artifizio né
pure dall' encomiastico Baldi, (a) Che se poi si pro-
vasse , essere stato il Bolgia giudicato dal duca di-
Urbino più presto degno di perdono che di vendete
ta : siccome non è possibile purgare il duca eoa
prove sufficienti da ogni complicità almeu presunta
nel trattamento che gli si lece soffrire , in seguito
di sue restituzioni è condiscendenze: sarebbe egli sla-
to non solo traditore del Valentino ; ma traditore
di sé medesimo : tale essendo chi opera contro i
dettami della propria coscienza .
(rt) L. 10 cod. vatic. p. 2o5,
4o3 ^Letteratura
Riflessione V.
Duca Francesco Maria I ricuperò la dignità e lo
stato pel favore e le pratiche de suoi buoni urbi'-
nati . (a)
§. I. Quando fosse verità , avere i buoni ur-
binati contribuito con favore e con pratiche a ri-
stabilire questo duca : divenuti sarebbero rei di fel-
lonia ghibellina . i saggi lettori non riputeranno tale
riflessione straniera all'oggetto . Poiché papa Leo-
ne avendo solennemente detronizzato la casa della
Piovere ; a essa sostituito in tutti i dominii Lo-
renzo de' Medici ; e dopo la morte di questo ,
riunito i medesimi alf immediato governo della
chiesa : sarebbe stato ribellarsi notoriamente da
lei padrona sempre diretta , e allora anche utile
di quegli stati , richiamandovi a regnare , dopo la
morte del pontefice operatore di tali cambiamenti ,
e prima delia eie/ione possesso e deliberazione del
novo, un principe privato del trono per incolpa-
zioni gravissime .
§. 3. Ancorché i suoi delitti esser potessero
parte assoluti , parte supposti : era forse questa una
conlesa da decidersi con arbitraria sentenza della
piccola e suddita Urbino ? Se Francesco Maria dalla
chiesa nemico si riputava : come poteasi accordar-
gli favore e far pratiche , acciò il trono ricupe-
rasse ; e non ribellarsi contro la chiesa ?
§. 3. Ma rendasi a boni urbinati giustizia. Egli-
no questa volta passivamente regolandosi , e la me-
noma parte attiva non permettendosi : riconobbero
il dovere di sudditi della chiesa . Chi al favore
(rt) Coment, p. i4-
UoiaiPfi ILLUSTRI d'Urbino ^09
è alle pratiche loro attribuisce il ristabilimento di
Francesco Maria ne'perduti dominìi : paragona Ur-
bino alia esopica mosca , la quale stando sul ti-
mone del cocchio , vanta esserne guidatrice .
§. 4- Francesco Maria il quale , fino che visse
papa Leone , stette nel mantovano : appena il sep-.
pe delonto, radunò immediatamente in Ferrara ( di-
ce il grave storico Guicciardini ) («) ducento uo-
mini d arme ^ trecento cavalli e tremila fanti . I
francesi e i veneziani permisero alle loro milizie
seguirlo . Quelle de' nemici non pagate e perciò
ostinate a non moversi , non gli fecero resisten-
za ; e così non impedito Tesercito suo nella mar-
cia , arrivò felicemente alla signoria di Pesaro e
al ducato d Urbino . Chi avrebbe potuto opporsi
validamente a questo principe ardito e prode ? I
sudditi tranquillamente lo accolsero : il che se fatto
non avessero , potea con la forza obbligarli . Ec-
co il favore e le pratiche con cui fu di novo po-
sto sul trono . Bajonette e focili hanno in questi
affari molto efficace eloquenza .
§. 5. Favore e pratiche deboni urbinatii E
come fecero essi in que' rapidi momenti a conci-
liare la cosa col duca di Ferrara , con la repub-
blica di Venezia , e col re di Francia ? Essendo
che finserzione di fatto non vero nella storia , co-
me dice Luciano , (b) equivalga a porzione di cibo
ò bevanda penetrata nella trachea : si può ben dire,
che questo favore e queste pratiche formano un
corpo estraneo di tal mole , che per espellerlo è ne-
cessario uno sforzo assai violento di tosse .
(«) L. 14. p. 419.
(b) Quom. hisf;, scrib. sii. op. omn,. p. ayS.
4id Letteratura
Riflessione VI.
Duca Francesco Maria I riimì al dominio di Ur-
bino la città e contado di Pesaro . (a)
g. I. E slam qui di novo col dominio ò sia
sovranità d' Urbino . Quando mai Pesaro , prima
di duca Francesco Maria I , fu unita al dominio
d Urbino ? E se innanzi a Francesco Maria I non
vi fu unita giammai : come vi potè essere riunita
da lui? Si può forse riunire , cioè unire una secon-
da volta , ciò che non è stato unito una prima ?
§. 2. Pesaro soggetta , fino dal secolo tredice-
simo , a' Malatesti; e dalf ultimo di essi del ramo
pesarese , verso la metà del quindicesimo , venduta
agli Sforzi, non, dipendè mai da' leltreschi , e mol-
to meno da Urbino a feltreschi subordinata . Estin-
to il lamo sforzesco pesarese , fu da papa Giulio II
la signoria pesarese infeudata alla casa della Rovere
signora anche d^ Urbino ; e ciò non chiamossi riu-
nir Pesaro al dom,inio d Urbino-^ ma cumulare in
unico signore dominii diversi : talché fosse e duca
d'Urbino e signore di Pesavo ; e come duca d' Ur
bino avesse Urbino per metropoli ; e come signore
di Pesaro , Pesaro . Quindi si Francesco Maria I
che Guidubaldo II ^ presero del ducato d'Urbino e
della signoria di Pesaro investitura separata ; e ne
furono loro spedite due papali bolle distinte ^ con
obbligo di pagaie due distinti annuali censi : uno
per lo ducalo d' Urbino , F altro per la signoria
pesarese .
g, 3. Invogliatosi papa Paolo' III. di dar Vit-
toria sua nipote in moglie a detto duca Guidubal-
(o) Coment, p. i4-
Uomini illustri d'Urbino 4ii
do vedovo di Giulia Varani t tra le altre concessio-
ni che fece allo sposo , vi fu anche quella di al-
leggerire e singolaiizzare gli annuali pesi inerenti a'
•due separati dominiì ; e permettere che da unica
bolla se ne conlérisse in avvenire 1' investitura , e
un solo censo servisse di ricognizione delF dito do-
minio della chiesa su 1' uno e su V altro . Volle il
papa largheggiare cosj, per raddolcir l'animo di Gui-
dubaido , forse non pienamente pago di tale allean-
za , per la non estinta memoria delle vicende di
Camerino ;^ e incoraggirlo a sposare quella donna ,
a dir vero virtuosa e santa , pur di Pierluigi fi-
gliuola .
§. 4- Tuttavia 1' unica bolla e V unico censo
non produssero mai V effetto , che unico divenisse
il dominio. Duca Guidubaldo , anche dopo la con-
cessione , proseguì a chiamarsi nelle monete nelle
lapide e negli stemmi Urbini dux Pisauri dominuSy
nel modo medesimo fece continuamente chiamarsi
Francesco Maria II suo figliuolo e ultimo duca ; e
come Guidubaldo, seguita la morte del padre, pre-
so avea del ducato di Urbino in Urbino , e della si-
gnoria di Pesaro in Pesaro , distinto e separato pos-
sesso : così possesso distinto e separato prese de'
due stati il prefato duca Francesco Maria: il che
limpidamente apparisce dagli atti pubblici i quali
se ne conservano .
^ §. 5. Né con queste formalità il regime poli-
tico ed economico era in opposizione : essendo sta-
ta sempre governata la signoria di Pesaro con se-
parate sanzioni indipendenti dal ducato d'Urbino ;;
e avendo goduto assoluta esenzione da' dritti presunti
di quella città , senza mai riconoscerla per metro-
poli : come diffusamente si narra nella relazione della
vertenza tra Urbino e Pesaro , intorno alla visita
'4iii Letteratura
dell' urbinate protomedico , egregiamente distesa dal
dottissimo e del decoro della patria zelantissimo
pesarese gentiluomo signor Carlo Gavardìni *
§. 6. Per le quali cose la giustissima e lode-
volissima providenza del regnante papa l'^Io VII,
il quale ha dichiarato delegazione aposlolica la si-
gnoria di Pesaro , governata bensì dallo stesso
prelato ( egli è attualmeute V egregio e d' alte lodi
ben degno monsignor Lodovico Gazzolì ) cui è sot-
toposta la delegazione apostolica del ducato di Ur-
bino , ma total meote separata da questa : non può
chiamarsi cosa nova del tutto . Essa è piuttosto un
saggio ristauro del sistema , praticato sempre , fino
dalle cessioni di Carlo magno ; e ragionata restitu-
zione a Pesaro di ciò che per dritto le competeva .
Riflessione VIL
Mandati da Urbino dodici gentiluomini a duca Gui-
Guiduhaldo II. ( non quasi sempre , ma sempre
in Pesaro dimorante ) per placare lo sdegno che
avea concepito contro di essa: nove f ecene de-
capitare nella rocca di Pesaro , a molti altri con-
Jiscar beni., e molti esiliò, (a)
g. I. Se de' dodici individui spediti da Ur-
inino a placare lo sdegno di Guidubaldo , egli
ne fece nove decapitare : gli esilii e le confische
non poterono dunque da lui fulminarsi che a danno
di tre ; e tre individui in tal modo trattati come
possono dirsi molti ?
§. 2. Sia pur vero, che Guidubaldo , da Giam-
battista Passeri , a motivo dello splendore a cui Ig
(«) Coment, p. 16.
Uomini illustri d'Urbioo 4i3
pesarese città sempre a'suoi legittimi sovrani fede-
lissima , gli piacque innalzare , detto TAugusto dì
Pesaro , fosse imitatore di sì celebre principe an-
che nelle sue proscrizioni ; e altresì vera sia la
ferale condanna contro / 7iove urbinati : egli è ren-
dere troppo atroce questo ngore , dicendolo adot-
tato sopra lo scarso numero c/i dodici ; e in tal gui-
sa si cade biasimevolmente nel falso , pel fine ma-
ligno di eternare non solo , ma accrescere 1' odio
contro di un duca , il quale in Urbino anche og-
gi suol chiamarsi Baldaccio. Non dodici furono gli
sconsigliati a Pesaro in quella occasione recatisi ,
ma settanta : i quali trattati in prima tutti del pari
come gente di città ribellata , cioè con guardia di
vista , e senza permesso di uscire dal pubblico al-
bergo dove fissarono la dimora : di lì a non gua-
ri , tranne alcuni riservati a severo processo , fu-
rono rispinti liberi alla città stessa da cui eran par-
titi .
§. 3. Io che nella clemenza riconosco la più
preziosa delle qualità per cui a Dio ì regnanti so-
migliano : bramerei poter dire , che Guidubaldo ri-
sparmiò il sangue di que'miseri . Ma poiché ciò si
opporrebbe alla verità della storia : compete almeno
a un pesarese , cioè a chi appartiene a città da lui
amata teneramente, e poco prima di morire adottata
per figlia, giustificare al possibile tale insolita austerità
di questo benefico padre . Mi pregio averlo fatto diffu-
samente nelle mie memorie storiche di Pesaro , ine-
legante lavoro ma ingenuo : onde mi contenterò di
qui accennare di volo, che i tumulti ins'orti in Ur-
bino furono vera ribellione ; che tal ribellione , origi-
nata dal novo dazio di un quattrino per libbra su le
carni , (^ forte gravezza a dir vero ! ) (a) tende al ro-
'sCi) P. i6,
4i4 Letteratura
vesciamento dello stato : avendo que'clttadiui offerta
perfino la città al granduca di Toscana ; che papa
Gregorio XIII , la cui clemenza e mansuetudine è
nota , udendo vociferarsi , ch'ei quel rigore avesse
condannato , dichiarò a Guidubaldo col mezzo d'un
breve , esser falso ciò che diceasi ; che gli urbi-
nati spedirono quella tumultuaria deputazione , sen-
za averne ottenuto il permesso, e meschiarono in
essa molti de'più pertinaci ribelli , non assicurati an-
tecedentemente da salvocondotto ; che incaminati co-
storo verso Pesaro , Guidubaldo fece incontrarli da
persone autorevoli , le quali a nome di lui loro or-
dinassero retrocedere : al qual comando ricusarono
arrendersi ; che Urbino avea per ben due volte latto
strage de'proprii dominanti , e che uno degli arre-
stati ribelli era Ettore Seralini , individuo della fa-
miglia autrice della congiura contro l'infelice Od-
dantonio : perlochè da Guidubaldo si riputò neces-
sario dare questo esempio strepitoso di giusta ven-
detta ; e verificare , che sempre è de'principi sacer
nepotibus cntor, (a)
§. 4- Nel coraentario parlasi in guisa di que-
sto fatto , e con tanto artifizio se ne sopprime l'apo-
logia , da rendere , come ho detto , sempre più odio-
sa presso quel popolo la memoria di Guidubaldo .
IjO scrittore è nato in città non figliuola di lui . Ma
è forse lecito mingere in cineres non patrios ?
§. 5. Del così recatogli oltraggio è inutile compen-
so il vanto non vero , che lui duca^ continuò la corte
d Urbino ad accogliere nel suo seno gli uomini più
celebrati di quel secolo . (^) Se Guidubaldo sem-
(n) Epod. VII.
(5) Coment, p. i6.
Uomini illustri d'Urbino 4l5
pre in Pesaro dimorò : dunque la corte di Pesaro
quegli uomini celebrati accogliea , non quella d'Ur-
bino . Per esempio , forse in Urbino e non in Pe-
saro fu da Bernardo Tasso composta la maggior par-
te dell' A ma di gi?
§. G. Essendo la verità , come dice Dione Cri-
sostomo, (a) amara et injucunda stultis : ignoro se
la si possa alterare , senza fare a quelli a cui ò di
cui si parla l'enorme torto di tenerli per imbe-
cilli .
Riflessione Vili.
Francesco U gocciane Brandi (vescovo di Faenza
e poi cardinale ) ito come nunzio apostolico per
ordine di Urbano VI nella Francia e nella Spa-
gna , contrastò con quel Pietro cardinal de Luna
che poi fu antipapa ; e ne scoprì in molte emer-
genze le macchinazioni , e ne ruppe i disegni . (b)
§. I. Una delle emergenze in cui furono dal
Brandi scoperte quelle macchinazioni e rotti que dì-
segni , non fu certamente la grande adunanza dì
Medinadelcampo , alla quale provocati furono ì
due contendenti pel sommo ponteficato da Gio-
vanni re di Castiglia a spedire i proprii delegati ,
per discutervi i dritti rispettivi ; e da Urbano ri-
conosciuto per legittimo guccessor di s. Pietro nella
città primaria del cristianesimo , fu inviato detto
Brandi per tale oggetto , in compagnia di cardinale
Gualtieri Gomez. In tale emergenza a chi non è no-
(«) De GÌ. non capt. p. i5i,
(b) Coment, p. 43.
4iG Letteratura
to , che toccò soccombere a quelli die soeteneva-
no Urbano ; e che cardinal Pietro di Luna e An-
gelo Peducci deir ordine de'minorì vescovo di Pe-
saro sostenitori di Clemente ottennero piena vitto-
ria : perlochè quel sovrano, uscendo dalla neutralità
in cui re Arrigo suo padre poco prima era morto ,
riconobbe e volle che da tutto il suo regno fosse
riconosciuto Clemente per papa legittimo : come fat-
to aveva anche Carlo V re di Francia ; e ciò de-
cìse per allora della ubbidienza di tutta la Spa-
gna ? Dico di tutta , perchè Giovanni re d'Aragona
e Carlo il nobile re di Navarra eransi già dichia-
rati contro Urbano . Da niuno potrà questo chia-
marsi scoprire le macchinazioni di cardinal di Lu-
na e frastornarne i disegni .
g, 2. JVon faccio questa riflessione per de-
durne , che piti valse il Peducci in difendere la
causa cattiva e scismatica , che il Brandi f or-
todossa e la bona. La chiesa universale , dicono i
teologi , non aveva ancora pronunziato , come poi
fece nel gran concilio di Costanza , finfalllbile ora-
colo sopra l'oggetto di tali macchinazioni e dise-
gni ; e non sapendosi allora chi fosse papa legit-
timo : i cristiani , divisi rapporto alle persone , chia-
mare non si potevano aderenti allo scisma : poiché
quantunque si fossero innocentemente ingannati , non
lasciavano d'essere in perfetta relaKÌone col centro .
§. 3. Siccome dice s. Antonino , che peritis-
simos viros in sacra pagina et jiire canonico ha-
huit loto tempore ilio quo duravit schisma utraque
pars seu ohedientia , ac vere religiosissimos viros ,
et quod majus est^ etiam miraculis fulgentes : (a)
(ft) Hist. P. 3. t. 22, e. 2. in princ.
Uomini illustri d'Urbino 4 '7
saremmo ugualmente ingiusti chiamando empio il
Peducci perchè sostenne con fervido impegno Cle-
mente ; e ponendo in dubbio , a motivo di sua
soccombenza , il valore del dottissimo Brandi , po-
sto in sì chiaro lume nel comentario, e a dir vero
di eterna lode meritevole.
§. 4- Che se anche tal soccombenza conslituis-
se , come non constituisce , demerito: cesserebbe per
questo nello storico l'obbligo del dire il vero ? Non
sarebbe meglio il silenzio , che coniare false vit-
torie ?
Il resto in seguito .
Teofilo Betti
CI. Viro Achoc. Petro Ruga Antecessori Romano ,
Raphael Mecenate , salutem.
N
on dubito , quìn tibi nota sit censura de meo
Messala. Neque enim puto te non legisse, quae publi-
ci iuris flunt ut legantur a doctis et ponderen-
tur , et tu maxime legas et lance pendeas exa-
ctissima. Scire vellem propterea quid censeas. Ego
vero gratus benignilati censorum quantum peperce-
rint; quae ad bibliographiam peitiuent laudo, .pla-
citura iis , qui graviora studia non sustinentes mi-
noribus illis deliciis maxime occupautur in otio: at
coetera non possum collaudare , nempe quod non
patiantur scriptorem emergere ab ultima aetate la-
tini sermonis. Kecte enim consideres velim, an istam
sortem jure scriptorì portendant ea , quae severe
reprehendunt ne veterem, mutata licet lectione, opi-
nionem deserant. Ac primum graviorom crimina-
tionem ex lectione pag. ^5 — adversoqiie Jlumine^
G.A.T,1X. 37.
4 I 8 L E T r E n A T U K A
quod Brentensia nuncnpatur -^ quìa non ante go*
thorum adventum in Italia flumen Medoacus coe-
perit Brintia vocari. Grave quidem. Veruni si aui-
inadverlissent quam plures hujusmodi grammati-
corum explicationes ope codicis disparuerint, judi-
cium iJlud continuissent: quia torte quum legeretur
eo loco — ^ adversoque Jlumine iJ/e^oaco— paedagogus
per aetatem suam explicaverit, vel gramraaticus ad-
notaverit margini — quod Brentensia dicitur- — in-
deque corruptìo altera probabiliter libello accesserit;
retinuit enim sequior calligraphus explicationem fu-»
tilem , perinde meliorem uti suo intellectui et tem-
pori magis accomodatam, — quod Brentensia dici-
tur — praeteriens Medoaco veluti nomen arduura
et antiquato m.Seposita vero quaestione de aetate mei
codicis, notati! dignum est, hunc locnm controver^
sum collimare cum Strabone propemoduni Augusto
coevo;lib. ò. Geographiae — - Ad eam urheni (Pata-
vii ) a mari subvectio est y^n terso flumine . . . . t
Bleodoco — pag. 326. tem. i. edit. Amst. 1707.
Sic vero omnium corruptiones scriptorum, unius ad
alterum subsidio , ad veram lectionem revocandae^
videntur,
i\on erit proìnde libellus hoc crimine ad ima
subsellia denuo damnandus, vix dum emergit a cor-
ruptione, sed potius conjectura restituendus. Nam
coetera, qnibus irritantur, le via suHt, nec satis matu-
rata. Illud enim, quod legitur pag. 87. lin. 7. — et
ingens robur armatorum auxilio secum duxit — , in-
flatum nimis visum estcrilicis, cerliusque indicium
declinantis latiiiitatis. At videant ne, dum Messalam
carpunt , obliti Ciceronis videantur eadem dicendi
vi uteniis — soboles et robur milifum interiit"-^ etiam
in luimiiiori, fpist. 33. Jib. io. familiar., ne quid de
i;i|\isf e^emplis dicam stylo graviori prò Cluentio
Epìstola in Messalam Corvinum 4'1>
sect. 56. — Cajus Flav. Pusio^ Cn. Titinnius , C.
Maecenas , illa tohura populi romani ; cueterujue
hujusceniodi ordinis.
Vellicavit eliam aures delicatulas illud, quod
illìtio legitur — digneris postulatione tua --^Bixis-
sent tamen , an oilendantur veibu sculo — postula-
tiene — vel alio— ^ di gneris — f-an utroque. J\am si
hoc vile repulaiit deteiioris indicium servitiitis ,
quam sub Augusto; animadvertant primo, usitatuni
fuisse Ovidio, Tristium lib. 3. eleg. i4- vers. peuult.
Qualem cunique leges venia dignare libellum.
Ki&ìveAhwscxAo - postulatione- initautur, videant
hoc sensu adhibitum fuisse a Cicerone prò Muraena,
sect.aS.edil.Oxonii i^SS tom. 5.;adQ.Fratrem lib- 2.
epìst. IO. pag. 91. tom. 9.,Plaut. in Baceh. act. 3.
scen. 3. vers. 45., Terent, in Hecira act. i. scen. 2.
vers. io5.
Graecissat scriptoF libelli yo^fg. i4- Un-ult.^ nec
alio , quod quidem sciam , exemplo verbu sculi
f^ cosmographi — . iVon leve crimen ad demerendum
gradum Inter latinos scriptores. Sed forte scriptum
erat hoc loco — ys.oay.o-^pa.<fou — iiiterscripla enim
apud quosvis bonae aetatis scriptcìres occurrunt grae-
ca verba , queis non adbuc pntrium sermonem di-
laverai usus , quem pencs arhitrium est et jus et
nonna loqucndi. Graecnm igitur paodagogus forsi-
tan reddidit latinis literis in margine , et calligra-
phns, graece rudis, adoptavit ut latinum quod oc-
currebat in margine . i\on inde tamen plecLendus
auctor, et de meliori sede depelieudus.
Succensent praeterea anacronismo , ut ipsi qui-
dem iudicant , istius scriploiis, referentis ad annum
UC. 3oi decemvivorum depositionem abdicalio-
nemve , perinde incertus scripserit aetale admodum
posteriore. Sed yellem rccordarentur Dionysii Ua-r
27
^20 L E T T E R A T U H A
licarnassei grave dictum lib. 7. sect. i fin. — Feren-
dum esset in historicis si exiguo annoriim numero in
insù tirmporum siipputatione fallerentur , praesertim
Clini priscam et muitorum annorum historiam com-
ponunt — Tanto magis in epoca decemvirorum ,
qua-", inteimortuis consulatibus, in romana histo-
ria creavit perpetuam diJlìcuUatem supputandi an-
nos. Qui quian summae auctoritatis historicus de-
positionem decemvirorum reterai ad annum UG.So^,
Varrò ad annum 3o5, Livms ad annum 3o4- , Ine
Mossala ad annum Joi, et denique Diodorus Sic. ad
annum secundum olimpiadis LXXXIV. aut omni-
bus , aut nulli , gradus ob discrepantiam temporis
coiitenilendus, ipso Dionysio judice.
Ubinam vero legerint illud — serenissime au-
guste— r» graviter notatum, quodqiie coeteris utcum-
qne reraotis ibret argumento ultimae latìnitatis, pia-
ne non video in ipsa mea recensione. In vulgatis
qnidcm sect. 1 in fine legitur — r- accelerare ma-
turoho. serenissime Caesar Auguste — , manifesta
gi^ramatici- addillo : sed recensio ex codice de-
simi— accelerabo — , nec ultra progreditur ad il-
lud - — serenissime • —
Kevocant praeterea censoies attentionem eru-
ditorum per notulam pag.io. ad scriptoris frequen-
tem ùsum versuum Virgiiii. Sed quorsum ^ An ut
illuni Macrobio comparent vel Sex. Aurelio Victori ,
qui potius exeinpium videntur praecursoris Messa-
lae sequuti, aut denique ut reprehendanl Messalam
ipsum , quasi niliil scientem quam Virgilium ? Sed,
pace eoium , posset inde contrarium indici um su-
ini , Messalam voluisse morem gerere Augusto , qui
Aeneida, a Virgilio legata flammis, tanti habuit , ut
ed i cerei — Frangatur potius legum veneranda potè"
stas , Quam tot congestos noctesque diesque labo^
Epistola in Messalam CorvInum 421
res Hauserit una dies — Forte etiam Messala gra-
tus Virgilio ob dedicationem Ciris , depravati quon-
dam, et nunc redditi liuic libelli , blanditus clien-
iulo fuit ipsius versus passim Augusto commen-
dans .
Plautino etiam sàie cohspergunt variantem le-
Ctionem §. Sa. — ^)iùlatae f^irginiae^'— ut quam ad-
versari pùtant Livio lib. 3. cap. 4. esistitnanti m-
iemeratam . Verura si animadvertissent manus quo-
que in Vlrgìniain yiolenlas luisse injectas ad illanl
perducendam in servitutem M. Claudii , et libidi-
Jiem Appii, teste Eiodoro Sic. bibl. la.sect. i4tom. 1.
edit. Vesselingi Amst. iG^ij.-^Puellam eniin ab Uh
( Appio ) in manus traditam ut niancipiuiu suum ne-
hulo adducit' — \ piofecto temperàssenfc a loco qui-
squis scripserit-^/j(jco amico della preziosa vergini^
tà di Virginia — Etenira illud violare non semper
pertinet ad pudicitiam ; sed iu quavis injuria per
contumeliam ^ manu ^ signis ^^ ferro ^ nece ^ usurpant
optimi quique sciiptores aurei Saeculì . Accedit in-
Certitudo ^ subacta libidini Appii , per artes nec
ne fuerint Virginia, dubietatem ingerente Diony-
sio lib. IL sect. i et 2. ■ — Oh lias igitur causas vi~
Sunt est mihi persequi omnia , quce in deccm^'ira-
tus ahrogatione acciderunt ^ et quce memoratu di-
gita pufo . De illis aulem agam , initio non ab ul~
timis ducto , quos m,ultis 'videhtur sola causa liber-
iatisfuisse^ ah iis inquam , qUn: Appius amore con-
REPTUS IN yiRGINEM COMMISIT ; ìlOiO eiliui L'St
aliorum ejus facinorum appendi^ , . . in
FORMOSAS eorum uxores impie se gerebant ^
ET IN FILIAS NOBILES CON TU M ELIOS I ERANT . i
Ut ii^ quibus hcvc minime f erenda videbantur , reli^
età patria , cum conjugibus et liberis in proo'imas
urbes migrarent- — .
432 Letteratura
Coeterum duoLus aliis , et siqui ultra irrepse-
runt , erroribus operai um — prcemii — loco — premit-^
scropham — prò — scropìia — , correda decies vulga-
tae menda; numquam ab operibus sublata : eis opto
indulgeant recieati joco iesti\ issimo , qucm Michael
Fernus praefixit recognifioni corruptoriim plusquam
MILLE in editione sua elegantium operum Antonii
Campani Romae 141)5 , raiis>ima quidam cum islis
praesortim extremis loliis correctionum , sed apud
me integra : qtiippe praefixum legitur — yis ex stiil-
to demeiis ; idemqite ex demente insa?ms fieril Li-
hros primits romm imprime — corruptorum recogni-
tio millenorum — cui qnum damnatus fuerit sorti Mes-
sala meus , ut bic impiimeretur , ignoscant censo-
res , ne, dum videntur excitare — si/atti studj ^ pei
quali Roma è ben tempo , che liprenda il vanto
sopra le altre nazioin — ^acerbitate eliminent potius,
quam sollicitent.
Si quis autem sophista vel rhetor vellet su-
scipere exercitationem controversiae ; an sit libellus
I\Jcssalae Augusto coaevi , aliqua illi suppeterent ad
siiasoriam argumenla. Ac primum quod omnes noti
codices ideni nomea , eumdemque titulum praese-
ferunt (a), meo quoque meliore in hoc consentien-
te ; nisi quod codex valicanus 834, exscriptns ab
alio antiquiore (6), addit grave aliud quidpiam— •
Messala^ ora tori s disertissimi — ejus , qui coae-
vus Augusto fuit per an tonomas iam o/}v/ro/? dictus :
(«) Codex collegii LincaluicnsisaThorna Hcarno collaius in sua
^ditione Oxonii i7o3,aUcr ojini resinai Christina; ii. n. 834- tran-
slatus in bibliothccam vaticanam , alter collegii novi Oxonicnsis re-
latus in biljliolhcca biblioiliecarum Monict'avicoxiii tom. i. pag. 665.
(6) Legitur in fine libelli rubro colore scriptuu»— yf/7^'e/MS Fé-
renUnales Rubano Iprensi scripsil in Urbe unno Xp. MCCCCLFJL
Epistola in Messalam CoRviNuivt 42^
cui quidem univoco Messalae codicum consensui
accedit animadversio , quod error in libris suppo*-
sititìis numquam din viguit. Unum prò multis exem-
plis comnaemorabo . Feiebatur enim Lacii Fene-
stellce nomine libellus de potestatibus romanorum
Inter disputationes criticorum, an esset liber nomi-
ne dignus imposito , vel hoc essel appictum . Quae-
stio sublata fuit prodeunte codice Wiitsii , qui il-
lum retribuii Flocco fiorentino edit.Antuerpiae i56i.
Pulas ne contra per tot saecula latere iraposturam de
isto Messala ? Deinde argumento esse potest restitu-
ta lectio libelli, adeo ut, si forte antiquìor prodi^
ret codex , qui residuos uaevos, si qui sunt, espun-
gerei , ad aetatem Augusti retrogrado ordine libel-
lus certo calculo pervenirci . Quis enim tantae con-
fidentiae criticus ^ qui a st^ylo possit scriptorem de-
terminare , quum quisque suo etiam stylo scribat
impraesens , et antea scripserit , et sit quisque sua
lingua disertus ? ut ajebat Messala apud Senecani
eontrov* iib. 1. pag. 191. edit. Amst. iG^a ;
IJlud vero praecipuum videtur àrgumeiitum ,
quod libellus Messalae nomen praeseferens , et Au-
gusto nuncupatus , panca de ipso Augusto conti-
neat cum dignitate modesta §. 35i - Europa ad
extremos Jines per te undique pacata . i , . ^ ut
nihil te imperante superesset indomitum - Quam-
quam si confìcta Augusti panegyris vel exercita-
tio rhetoris ultimae aetatis haec esset , ut visunl
aliquibus fu4t, ampia proiécto rheloricae exercita-
tionis suppetebat seges a mutato per beila civi-
lia statu reipublicae , indeque laudandi Augustum
commutantem . Esemplarla vero non deluisse di-
cerentur rhetori , quibus se prò genio aetatis et
exercitationis conformaret , luliani ad Costahtem ,
Libanii in Basilico, Cumcnii, l^azarii , Latini Pa^
424 Letteratura
cali , Mamertini, Corrippei. Centra igitnr pauca scri-
bens de Augusto, et ad Augnstum studiose mode-
stns , Messala hic , auctorilatis argnmentum videtur
perhibere : qnippe scribens probe noscenti sua , ef-
ferre haud debebat gesta ejus, in quibus scriptor
maximani partem babnerat . Messala siquidem mi-
litari virtute scientiaqiie prudentiae civilis prae-
stans , quantum ab antifjuis scriploribus collecta ejus
vita demonstrat, scrib('bat Augusto , et de Augu-
sto in eaclcm scieutin longe praestantiore , ut qui
ex corruplione reipublicae occasionem arripuit blan-
di principatus snscipiendi , adiutus Messalae vir-
tute militali , non nihil et civili prudcntia ejus ,
et Ciluii Mecenatis . Postremo in ea scienlia utrum-
que preslantem decebat propria dissimulare , ne re-
center gestorum laudatioue invidiam mutati status
reipublicae apud dissidenles a principatu excitarent.
Sciipsissc praeterea de rebus Augusti Messalam non
anceps indiciura perhibet Svetonius in Octaviano
cap. TZ|. sect. 2, unde suspicìo, progressum ad istum
{[uoque libellum fuisse .
Non levis deniqne coniectura est versum Vir-
gilii quasi florum sparsi© per tolum libellum , ut
ante notavi, siveadulatio erga Augustum , sive blan-
ditio Virgilii , denotans Messalam bJandientem : nam
de assertoi e libei tatis factus est denique Messala au-
licus , ut eius vita demonstrat .
Interea , si non istius Messalae vitam , at il-
lius, cui me sciibendae blautlissime provocasti, Mes-
salae Augusto coaevi excipc , cui concinnandae im-
pendi otium baccanalium , a quibus scis me esse
alienissimum . Lege , corrige , et, quod invidiae de-
clinandae opoi tuiiius iorcL , flammis tradè . Sed vale •
Kx meo musaeo , nonis martiis 16:21.
4a5
Ali SIGNOR D, Pietro de' principi Odescalchi,
Vincenzo Monti;
À lusinga molto rintendere che la mia dichia-
razione iì quel pnsso del Petrarca E ciò che non è
lei ec. cagione di tanti litigi , vi sia sembrata tale
da metter fine a tutte le dispute . Ma due errori in
quel mio scritto sono trascorsi. Se la presente giu-
gne a tempo , emendateli; se già sono andati alla
stampa, pregovi di far pubblica nell' appendice del
"vostro giornale questa lettera .
Le allegazioni dell' esempio tratto dal Ciriffo
Calvaneo: Ma primamente ti ringrazio assai DeU es-
ser te sì magnalmo e cortese;^ dell'altro del Salvia-
ti nel Gianchio, Ella sapeva pur troppo bene che per
esser lui ec.sono fuor di proposito, anzi fuor di gram-
matica a dirittura: perchè il pronome te nel primo, e
lui nel secondo sono accusativi, non in forza della
regola stabilita del verbo essere posto tra due su-
stantivi , ma sì bene in forza delfinfinitivo , che di
sua natura porta laccusativo .
Questi due esempj adunque, manifestamente er-
rati e affatto superflui , sopprimeteli . E se pure vi
piace che anche 1' autorità del Salviati , clie è di
molto momento nelT animo degh accademici, oltre
quella del Boccaccio , del Varchi , del Caro , del
Firenzuola e di quelgi altri concorra a farmi ragio-
ne, sostituite al passo del Granchio quf^sto della j^pl-
na 2 5. Costui qui è un altro me: parlate si ci tram ente.
E veice sapere chi m ha tratto in errore/' Pri-
mieramente la mia propria inconsidcuatez»a cungiun-
^ùG. Letteratura
la alla fretta di far contente le vostre brame: poi
il Bartoli caduto nello stesso abbaglio nella ciLazio-
ne deir esempio di Dante se non può esser lei ec,
che cade, se non mi gabbo, sotto la stessa legge.
Ma che bisogno, in mia mal' ora , avev' io di
tante allegazioni, quando lo stesso Petrarca nel ter-
zo dialogo tra lui e s. Agostino chiarissimamente
spiega quel passo, e irrepugnabilmente conferma la
mia opinione? 11 santo esorta il poeta a tentare tut-
te le vie onde liberarsi dalla passione amorosa per
Laura . Udite la sua risposta : hoc igitur unum sci-
to me aliud amare non posse. Assuevlt animus illam
tìdamare : assue^^erunt ocu'i illam intueri ; et quid-
otcid non illa est, inamenum et /enebrosum dicunt*
2\o\\ è questa la netta ed Inter;/ traduzione latina
del sentimento espresso nellitaliano ?
Ed ho si avezza
La mente a contemplar sola costei,
dì altro non vede ; e ciò che non è tei^
Già per antica usanza odia e disprezzo,.
Se dopo quelle chiare parole quidquid non illa est.,ì
promotori della moderna lezione E ciò che non e
in lei persistono nella torta loro credenza , racco-
mandiamoli a Dio, e diciamo requiem aeternam ali
esquisito loro giudizio .
A vieppiù stabilire l'antica lezione udite di gra-
zia ciò che acutamente ne pensa il sommo filologo
sig. ab. Colombo in una lettera all' esimio nostro
Trivulzio .
„ ... . Ho poi avuta non piccola compiacen-
,, za nel trovare anche il Monti del mio stesso pa*
,, rere intorno a quel luogo del Petrarca: E ciò che
,, non è lei ec. Anche senza considerare che così
Lettera di V. Monti 427
appunto stava in quel testo di mano- del Petrar-
ca medesimo , il quale ( se dobbiam credere ad
Aldo Manuzio) era posseduto dal Bembo, basta
fare un pò d'analisi al quadernario per rilevare
la sconvenevolezza della lezione adottatasi nella
stampa di Firenze del 1748. Che avea detto il
poeta ne' primi due versi del quadernario? Ch'egli
aveva avezza la mente a contemplare , non mi-
ca le cose ch'erano in lei, ma lei propriamente,
lei medesima , sola costei . E che dice negli al-
tri due, secondo la consueta lezione? Che la sua
mente, perchè è sì avezza a contemplar /e/, di-
sprezza tutto quello che non è lei . Egli sta saldo
nel suo suggetto, ed ha sempre davanti alla men-
te Laura : dove che, secondo l'altra lezione, egli
salta di palo in frasca, e ne' due primi versi Con-
sidera lei , e ne' due altri non più lei , ma ciò
ch'è in lei : il che toglie la giustezza della con-
trapposizione, e guasta, pare a me , la bellezza
del sentimento . Ora il nostro Monti a quel pas-
so ha assicurata la^ sua vera lezione con sì con-
vincenti ragioni , con tal apparato di dottrina , e
con tanto garbo e maestria, che non potrà piiì ca-
dérne il menomo dubbio . ..
Proseguite, mio caro ed illustre amico, a ben
sostenere con gli egregi vostri compagni la ragione
e il decoro della scelta letteratura , e fate che la
dotta Italia sempre più si consoli di avere per le no-
bili vostre cure un giornale, che esercita la censu-
ra senza vituperare, e distribuisce la lode senza av-
vilirsi . State sano .
Di Milano a' 20 marzo iSsi.
'4>8
ARTI
BELLE ARTI
Idea di un teatro adattato al locale detto delle Con-
vertito nella strada del corso di Roma — Roma
dai torchi di Carlo Mordacchini 1 8a i .
JLia costruzione di un teatro, il quale alle moder-
ne costumanze e agli usi e comodi delle presenti
età riunisca in modo lodevole tutte le eleganze dell'
antica architettura greca e romana , è divenuto pro-
blema di difficile soluzione . JNè fin qui valsero a
superare tutti gli ostacoli, che si frappongono allo
scioglimento di questo nodo, le molle scritture e
stampe dfite in luce intorno T argomento de' teatri
antichi e moderni ; che anzi, per quanto siensi ado-
perati valentissimi ingegni , non siamo ancora per-
venuti a veder cosa, la quale abbia interamente l'at-
to pago il comun desiderio.
In mezzo alle diverse opinioni che risguarda-
no questa parte de' luoghi dedicati al pubblico ser-
vigio, è venuto alle stampe il progetto di un tea-
tro imagìnato dui Sangiorgi , che si è proposto per
area l'antica dimora delle Convertite, ora destina-
ta ad altri usi , e posta sulla via del corso di que-
sta capitale . Il quale progetto , fa d' uopo confes-
sarlo, Q uno de' meglio ponderati e imaginati quan-
do vogliasi seguitare il costume de' palchi divisi fra
loro da una parete » Ma ci avvisiamo essere quc-
Belle Arti 4^0
jita costumanza principallssima cagione di que' tan-
ti difetti da' quali è bruttata la scena italiana, ed
anzi r abbiamo in conto di manifesto ostacolo al
perfezionamento dell' arte drammatica . Imperoc-
ché facf^ndosi d'ogni palco una conversazione iso-
lata, nella quale la metà delle persone è costretta a
volgere le spalle alla scena ( tranne I palchi di pro-
spetto ) e due terzi sono condannati a non vedere,
ne addiviene che niuna attenzione si dia alle cose
recitate, e nascano i garruli discorsi , e le frequenti
visite , e l'aprire e il chiudere delle porte, e il giuo^
co, e tutta quella schiera de' frastuoni che distrag-
gono la platea e tolgono 1 amore dell' arte a' recita-
tori . Ma in tale disgraziata situazione di cose e
d'usanze il Sangiorgi ha certaxnente imaginato una
curava interna, che dee tenersi eccellente e favorevo-
le come pel vedere, così per l'udire: avendo essa
i rami prossimamente paralelli all'asse. Sarebbe sta-
to bensì a desiderarsi che la posizione de' tre cen-
tri fosse determinata e stabilita da qualche regola
che avesse potuto servir di norma certa a chi gli
volesse seguire .
L'ampiezza del teatro è di conveniente dimen-
sione, ne va molto diversa dalla massima adottata
e voluta dalle genti dell'arte, perchè l'onda sonora
mossa e vibrata da una voce di tempra ordinaria
possa egualmente farsi sensibile in ogni parte del
luogo. Non ci pare però che l'autore abbia ba-
stevolmente avuto a cuore di servire a' comodi
del teatro e disporre così che sotto il medesimo
tetto si potessero dipingere le scene, e tener ma-
gazzeni di tutte quelle cose che si sono fatte indi-
spensabili ne' moderni spettacoli .
Felicissima idea è stata poi quella del Sagior-
gi nel dare alla disposizione esterna della fabbricai
43o Belle Arti
la figura circolare , dalla quale sì annunzia di pri-
mo tratto r interna destinazióne . Non peraltro ci
sembrano con egual felicità ricavati gli avancorpi per
uso delle carrozze, giacché moltiplicano essi gì in-
convenienti di que' gra t'issimi sodi, e colonne an-
golari, e risalti , pe' quali nascono non lievi fasti-
dii e incomodi , e si genera una disgustosa veduta.
E qui oseremo dire non aver tratto 1 autore tutto
quel vantaggio ch'egli avrebbe potuto dall'area pro-
posta . E a provargli che non crediamo ingannarci,
gli chiederemo perdi' egli non abbia voltato ad uti-
lità del teatro que' vani che rimangono su' lati del
fabbricato , e per cagione de' quali vengono appun-
to quattro gran risalti e due inutili rientramenti .
Quanto poi alla solidità de' muri e delle volte,
non vorremmo essere tratti in errore,ma converrà che
il Sangiorgi ci permetta d intendere la volta del suo
teatro costrutta in legno e non diversamente. Perchè
ove ciò non fosse, ci pare che a distruggere la spin-
ta di quella non valessero que' muri e nella gros-
sezza e ne' piediritti .
Discendendo finalmente alla decorazione , dire-
mo ch'essa manca di uniformità. Perchè dove l'ester-
na , abbenchè tormentata di soverchie linee e fo-
ri , ha nullamsno in se molto di quel carattere di-
gnitoso che s' appartiene agli antichi monumenti i
intanto , ne si sa perchè , l'interna è di un modo
tra il gotico ed il moresco , nò più si lega all'estcr-f
na, di quello che tra loro si confaccino le stanze
del Vaticano colle bambocciate del Calot . Credia-
mo dunque poter dire al Sangiorgi esser egli cadu-
to , per questa parte , in un grave abbaglio di ra-
gionamento : e perchè tal condizione d ornamenti
non si confà col suo maschio pensiero dell'esterno:
e perchè ricondurrebbe , per altra via, il gusto biz-
Belle Arti 43 i
zarro e fantastico de' tempi andati : e perchè man-
ca di quella solidità apparente che pur vuoisi os-
servare nelle fabbriche de' teatri : e perchè infine
si opporrebbe ad uno de' principali scopi ch'è la pro-
pagazione delle onde sonore.
Né queste nostre considerazioni riescano moy
leste al giovane valoroso, il quale ci ha regalata que-
sta sua idea . Perchè contiene essa tanto di buo-
no, che con pochi mutamenti e correzioni sarà uu
bel monumento del suo ingegno e valore architet-
tonico , e potrà essere di molta utilità al pubblico.
P. S. A.
43a
VARIETÀ'
Di alcuni libri di rune italicate rari e rarissimi pubblicuti in Pe-
rugia nella me/à del secolo xvi, a S. E. il sgnor marchese D.
Giangiacoino Trimhio lettera dì^Gio. Battista l^enniglioli s '6.
Perugia i8ai presso Frcmcesco Baduel, di pag. 19.
V^uc<;ta lettera è da piacer granflcmcnte a tutti coloro , eh' amano
gli studi utilissimi della bibliografia : e può servire di seguilo
air altra opera del celebre autore , Hi che abbiamo ragionato con
lode nel voi. xxi del nostro giornale . Essa è ripiena di molte e
preziose notizie sulla tipografia perugina, e specialmente sulle per-
sone degl'illustri tipografi Girolamo Cartolari e Bianchine dal Leo-
ne: e fa dono alla storia letteraria italiana di varj nomi, che non
avevano potuto durare contro la forza del tempo . Possa il sig. Ver-
miglioli goder sempre di quella pace beata, ch'é il premio più de-
siderabile e caro de' virtuosi, onde con le opere sue onorare
per lunghi anni la patria e la nazione .
Discorso di Finccnzo Berni degli Antonj intorno alla seconda par-
te del secondo tomo degli elementi di zoologia delV ab. Camillo
Ranzani ec. - 8- Imola, pel Benacci, di pag. 20.
J. ratta il eh. A. di quella parte della zoologia del Ranzani , dove
sono analizzati i mammiferi : e il fa con tali parole da non poterne
restare offeso il dotto professor bolognese . Dove dice del leone ci sa
pieno di spirito questo passo : potrà bensì il generoso lionc esser do-
lente di trovarsi per opera de' moderni zoologi in camerata col gat-
to : ma appartenendo e$U disgraziata/nenie alla famìglia de' carni-
TOi'i,sarà costretto a fare di necessità l'irta; ed a restare co' gatti
Varietà' 433
cotne eamìvoro, e co^ sorci e col/c talpe come iHammifcro . ^/uh-à
e^ii non ostante sempre sitpeibn-'bl'e C. Plinio lo QoUocttssa suLilo
dopo Velefante innanzi che, cresciuta a "dismisura la (Quanta ci delle
bestie, si fosse in necessitò di'divld'sì'le f/i orcUdi m fatóglie in se-
zioni 0 sia tribù ( in moneto nxsiUi /na:so-ióri delie ebrav he^ in ge-
neri ed in ispeoie ec. , sidla quale dii'isione non sono già in con-
cordia fra loro i iOo.'ó'i . Bella è po| non men che verissima la
dottrina racchiusa ii quest'altro; e molti potrebbero farne senno.
■4!tìmé è'eéftotMnlouifliitd sciente haìifio fittfó in (Questi iilfìftà tempi
progressi ìkilissiipJ .. fra le qntdi la chimica, la Jìsicai la meccani^
vaec. Còsi non' può negarsi che ta/éina nhn siasi dilatata in óogni-
zioni al tutto inutili , le quali rendono ben.i fuoino maravigliosa-
mente scientifico, ina non hanno alcun Ji ne che ^'io^i :, nel modo slesso
che non Z'«v, ebbe il sapere quante gocce WaCjUu firmino il n.are,
quanti atomi nuotino nei V atmosfera^ 'luaùte sfelle risplendano m cie-
lo - A quoi sert - il de savoir comiien de temps vii une puoi ; si Ics
rayons du soleil entrent projvmle/tuint dans la iner ; d« rechorcher
si les huitres ont un ame ou non? ( VoUtiire) ^ Molte cose finaLnente
avverte intojno l'istoria de' Cam e de'^a//i, che sarebbe lungo qui
riferire .
Alle bene augurate notze de) conte Ruggero Ranieri coti quel fio-
re di cortesia la baronessa Marianna (ìav^utti hanno creijoiulo gioja
co' loro versi gli egregi signori Wiccola Brut alassi e Aiitonio Mezza-
notte, quegli professor d'eloqaeaiza e poesia, qufcsti di lettere greche
Jieir università di Perugia. Del Brucaiassi sono xxi sestine, sdruc-
ciole , tutte piene di spiriti patrii , e delle antivfae glorio della fa-
miglia Ranieri . Leviamone il saggio :
„ Ma se non ami audace il brando string.cre,
„ O in dotte carte venir macro e pallido,
„ Suir òrme avite puoi (la te rispTngere
„ L'onta che, reca il veglio edaoe e quallido,
„ Nudrendo il lauro , che in j,iardino aonio
G.A.T.U. 28
434 Varietà'
„ Pose l'amabil t«o saggio Alfeonio (*),
» Chi con dirceo valor se rende orrevole,
„ Più che di gemme ornato e d'ostro tirio, otTV5?k»b'\
„ Oltre la tomba fama ottien durevole;
„ Ma ehi tra i plausi dcir uman delirio
„ Ama nel fasto idi condurre e perdere,
„ Vede il suo nome pria del fral disperdere .
Del prof. Mezzanotte è la versione dell' inno a Venere tri-
bnito ad Omero : né altro d'essa diciamo , se non che bene accusa
la penna di lui, che ci diede il Pindaro fatto italiano. Queste sono
le ultime terzine :
„ Ivi da lunge chi accennar godea
„ Neir estasi dell' alma desiosa
„ La candida ridente Giterea ;
M E chi nudria nel sen cura amorosa
„ Di salutarla per gamelio rito
„ Fra gli amplessi fecondi amica sposa» -
„ Cosi possente e lusinghiero invito
„ Agli attoniti fea numi presenti
,. Delia belt.i di Cipri il fior gradito .
., Salve, occhi - bruna dai soavi accenti !
„ E a me d' ambiti ognor lauri vocali ;
„ Dona in agon febeo serti frequenti . J
„ Dal delfic' arco tu i volanti strali jl
„ Dirigi , o dea , che il tuo favor mi è grato ; j
„ E , memore de' tuoi pregi immortali ,
„ Un altro avrai da me cantico alato. •
L'edizione e di Pisa , fatta pe' nitidi torchi del Capurro gli
ultimi mesi del 1820.
/
(*) Costantino. Ranieri, fra gli arcadi RostiUe Alfeonio .
Varietà* 435
J^iiovì frammenfi de'' fasti consolari capitolini illustrati da Bartolo'
meo Borghe'si. Parie seconda . Milano \%j.\ dalla iipo^nifia Ma-
' nini e Rivolta, in t^ipag. 220 e una tavola.
De
'Gsiderata' Ha tutta l' Europa erudita esce finalmente alla luce la
sectìnila' parte d'un opera, ch'onora grandemente il celelire autore
e ritaiia. Ne conosce ognuno la prima parte, che comparve al pub-
blico nel 1818 \ e Sa bene qual plauso ottenesse da tutti coloro ch'ama-
no le 'memorie de' nostri avi grandissimi, e non istimano cosa vana
il rendere per arte critica alla sincera loro lezione que' venerandi
libri che primi cC le trasmiswSi . Noi n' avremo discoi'so ne'
seguenti volumi.
9^ite di diciassette confessori di Cristo del p. Giampietro Maffei della
compagnid di Gesù „ premessavi uiui lettera di Pietro Giordani
al dottor Già. Labiis, e la vita dcW autore - Milano 1821 , dalla
tipografa e calcografa Manihi e Rivolta^ tomi iv, in i6.
Jr acclamo plauso meritamente alla ristampa d'un' opera di quel pa-
dre Maffei, che per Vistorià delle Indie e la vita di s. Ignazio scritte
in latino tóeritó d' essère paragonato a' più nitidi autori del secolo
d' Ottaviano . Egli però non seppe menò le grazie della lingua italia-
na: ed a chi osasse negarlo, dee darsi a leggere (jueste vite tutte pie-
na di modi elegantissimi . Escono elle còti due nomi chiarissimi in
fronte: quelli cioè de' signori Pietro Giordani è dottoi'c Giovanni La-
bus. -La vita del Maffei, aggiunta all' ciUzione , è quella compost*
dal Serassi fatta volgare dal signor prof. Giuseppe Montani.
J_ie tre iscrizioni che qui rechiamo sono le ultime del celebre Mor-
celli . Basti questo sol titolo , perchè debbano aversi carissime , quan-
tunque sentano un poco dell'età e della salute malferma di chi le
scrisse . JJoi le dobbiamo alla gemii^zza del signor doit. Lalms ,
43^6 ';V,.lsM,B TA
PKO . ACERBO . FVNBRl
FAVSTJNI . AL . F . TAD12fl - COBI .
AD . OMXEM . IJSGENII . 5T . VIRTVTIS . LAVDEM . ADOLESCKNTIS
QV£M . PARENTES . VNIGENAM . IMPROVIDA . RVINA
BXTINCTVM . LVXERE . IKCONSOLABILITER ;
„. . LVGJiJJT . A . DIE . va - IDVS . DECEMBR . XSt . mSCCLXXXXlX
HEV . RAPTTM • SIBl , . , , ;
gVYJVI . ANKVM . AGERET . F1.0RENTIS . AEVI . aCXV .
;, . ..{^SCEPTAE . IJfSTAR • VITAE . HABETE . LOVERBKSES
S1G^"VI« . &0C . PVLCRVM . AMABILE
JMAGJfl . EQ . CAUOVAE . i\IAKV
JVITTs'IFICESTTIA . CLARISSIIVII . PRIIfCIPlS
lOAJv'NIS . GALEATil . SERBELLONII
LEGATO . AIVIPLISSIMO
ÌLATVM . SECVUDVM . VOTA . GORGONZOLIBVS • PUS . FILICIEVS
VT . PATx\lA.E . SVAE . P£RCVPIE:?ITI
TflMPLVIVI . 3VIAGNVM . AVGVSTVIVI
jr . o:\I?JI . CVLTV . EXORNATVM • IIVIPETRARENT
VTIQVE . IMPEISSA . EIVSDEM
A5PE5 . HOSPiTALES . ABQVIRERENT
IX . EGENORVM: . SVBSIDIVM
QVO . TA>'TORVIVI . POSTERIS . IVI03SVIVÌEMTVM . FORST
KA-'.EXDIS . TVWIIS . ANN . M . DCCC . VI
ALOISIA . SfiRBELLONlI . FILIA . C . F
QVVM , AySPlCALEM . LAPIDEM . PRIMA
\\0 . OPERI . EXABDH?1CAND0 . IPSA . POSVISSKT
^aL . -NOVEUIBR . ANKO . DBMVM . M . DCCC . XX.
RAROLVS . CAIETANVS . GAISRVCHIVS
Varietà* ;^3^y
BXAGNVS - ARCHIJPISCOpyS • XOSTER
INTRA . AN:NIVIVr . XIIII . PAGO . OMNI . GAVDENTE
P£RFECTVM . RITE . TEMPLVM
SOILEMNIBVS . TRÌnaE . CELEBRATIS . CAEREMòìAs
CONSECRAVIT
lOSBPHO . ANTONIO . NICOLINIO . PRAEPOSITO . ECCMSIAE . If ,
»-*-f
438
t M DICE
., DEGLI ARTICOLI CONTENUTI NEL TOiW. IX,
DEL GIORNALE ARCADICO
«ENNARO, FEBBRARO, E MARZO 182I.
SCIENZE
^Armaroli^ dissertazione storico-criti-
co-legale p. I — —
Palletta , exercitationes pathologicae
(art. 2. e 3. ) p. 6 -—Sai
Mojon ^ osservazioni sult epidermide p. 24 """* —
Fenolio^ de blenna pjodcrrag. sjphil.p. 33 — —
Tonelli , annot. sul foto mostruoso
( art. 2. ) yo 4^
Morichini , sulle acque termali di Ci-
vitavecchia yo. -— 145 —
Pelletier, storia dell' oro . . . o. — in3 < —
Gallesio , pomona italiana , . . p. — i85 —
Mamiwii , memorie di Guid' Ubaldo
del Monte ( art. i. ) . . . p. — — 828
Barlacci , esperienze elettriche , p. — — 35 o
Pelletier e Cavertou , ricerche sulle
chine-chine p. —^ — 355
LETTERATURA
Gargallo, traduzione d Orazio . /?. 54 247 —
JBellani y la corona forrea . . . p. 61 — —
439
Piaggia , eloquenza nella poesia . p. 80 253 — .
f^escovali , patera etnisca spiegata p. 91 — — .
Cancellieri , venuta di Federico IK.
in Italia . . , . . . . yo.ioo aj
Lancia degli omireni (art. 2. ) . 0.108
Monti^ dij^esa d'un verso del Petrarca p. ■ — t ao() .
Dionigi dAlicarnasso , dello stile di
Tucidide p. . — ^219 36^
Firenzuola e Faetani^ canzoni ineditep. — . aSG ■
Fea^ fasti consolari e trionfali . p. — 2 63 — .
Betti ^ riflessioni sul comentario degli '
uomini illustri d Urbino . . p. , 303
Mecenate^ epistola de suo Messala Cor-
vino p. — _ ^ly
Monti ^ lettera sulla sua difesa d un
verso del Petrarca , . . . n. — . .— , X^J
ARTI — BELLE ARTI
Pittura - Berti Giorgio ^ f or entino p.i2() — .
Teerlink Alessandro , di Dor-
,.,>/ ^^^^^ yt).i3o ►-- —
'^'^^'^Scoenherger ^ di Vienna , p.iZ^ ■ —^
Architettura - Fabbriche pia cospicue
di Venezia yo- — - 280 —
Sangiorgi , idea d' un nuovo
teatro ec p. -^ 4i8
(?t^
^- Zh'
^Oor. ■ — .c\r>".
, '\ - Al'.i \^"^vn Ai à V\V)\v)'4V'i>
1 M PRIM At U R V v.v . Aii
Si videLitur Reverendissimo Patri Mag. Sacri Palatii
Apostolici.. , . )V\ j . ...
C. M. Eratt\ni , 4rGhiep .PhiUppensis Vicesg.
IMPRIMATUR,
Fh. Philìpfìus Aìifos^i Stic. Pai. Jpost Mag.
AIv
T
Osserviaioni Meteorologiche fatte cdla Speco
la del
CoZ/e^. ilo/n.
Marzo 1821.
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Volemiosi da' (li. Astronomi abliondue per diligenza, pongonsi le Osservazioni
l'riplici in ogni giorno ; e volendosi dd noi ristringere in pagina , affinchè
meno facilmente ,si disperdami , usiamo alcune al)l)r<'viaturo . Pertanto nella
colonna delle Meteore pi significa pi(iggia 1 lampi t tuoni n nelibia g gelo
b brina. E nelle colonne dello iSiiz/o dil Citlo s vuol dire sereno n nuvolo,
p poco Le oltre abbreviature nelle colonne de' ueiiii sono per se stesse in-
telligibili. Quando segue un asterisco s'intende gran quaiililà ; ove trovasi
una "f- croce s'intende piccol i quantità.
-i-.V.
Errori interessanti occorsi nel 1. volume
del Giornale Arcadico.
ERRATA
CORRIGE.
pag.
gas-
se. 1
44. 1
1
52. 1
85. 1
effandis
evocarunt?
tamen
nescio quem
alle carra
effetto che nel
6. per il suo Me- a^^JM/i^i: S.E. il Conte Giaco=
cenate mo Mellerio d- Milano
jag. 458. Un. 17. con molto infini- con infinito rammarico,
to rammarico
pag. 265. 1
pag. 456. I
n. 12. effunderis
n. 11. erocarunt ,
n. 21. tam
n. 10. nescio, quem
5. alla carra
n. 10, effetto nel
:kr>^