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Full text of "Giornale Arcadico di Scienze / Lettere ed Arti"

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GIORNALE 


DI  SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 


Voi.  427  428  429 


ROMA 

Tipografia  delle  Belle  Arti 

1856 

Piazza  Poli  man.  91. 


GIORNALE 


DI 

SCIE1\ZE,  LETTERE  ED  ARTI 

VOLUME  CXLIII 
APRILE,  MAGGIO  E  GIUGNO 
1856 


ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE   BELLE   ARTI 
1856 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI. 

r—  —  •  » 

Intorno  alV  iscrizione  ardealina 
di  Mario  Massimo. 

abate  Matranga  di  chiarissima  ricordanza  Del- 
l'aprile  del  1854  fra  altre  lapidi  venute  fuori  da 
recenti  scavi  operati  in  Ardea  trovò  una  base  ono- 
raria d' illustre  personaggio  romano,  ch'ebbe  la  cor- 
tesia di  tosto  farmi  conoscere,  confessando  di  averla 
trascritta  con  grave  stento  ,  ed  anzi  di  non  essere 
riuscito  a  leggerla  interamente  a  motivo  delle  ma- 
nifeste ingiurie,  che  aveva  sofferte  dall'età.  Poco  ap- 
presso mi  scriveva  di  essere  tornato  sul  luogo  per 
usarle  le  seconde  cure  ,  le  quali  gli  avevano  frut- 
tato di  migliorarne  la  lezione,  e  di  completare  quella 
della  settima  riga:  ma  che  la  sesta  aveva  continuato 
a  mostrarsi  ritrosa  alle  sue  diligenze,  non  avendogli 
permesso  di  ricavarne  se  non  che  sole  due  lettere, 
mentre  nell'ultima  gli  era  stato  negato  di  ben  di- 
stinguerne alcuna.  Conchiudeva  col  commettermi  di 
tenerla  segreta,  avendo  in  animo  d' illustrarla  :  ma 
r  immatura  sua  morte  gli  vietò  di  adempiere  il  suo 
proposito.  Sono  decorsi  oltre  due  anni  da  che  que- 
sta lapide  fu  rinvenuta,  né  da  alcuno  è  stata  pro- 
dotta ,  forse  perchè  a  niun  altro  venne  da  lui  co- 
municata. Per  lo  che  trovandomi  essere  il  deposi- 
tario di  questa  sua  scoperta  ,  credo  un  dovere  di 
giustizia  verso  la  memoria  dell'estinto  amico  di  as- 


4 

sicui'argliene  il  merito:  al  quale  effetto  qui  la  sot- 
topongo giusta  la  seconda  copia  che  da  lui  mi  pro- 
venne. 

L  .  MARIO  .  MAXIMO 
PERPETVO  .  AVRELIANO 

C  .  V  .  PRAEF  .  VRBI  .  PROCOS 

PROVINCIAE  .  ASIAE  .  ET  .  PRO 

5        COS  .  PROVINCIAE    .  AFRICAE  .  COS  .   iT 

CURA 

TORI  .  COLONIAE 
ARDEATIVM 
DIGNISSIMO 
10  . , 

Questo  Mario  Massimo  fu  presso  che  ignoto  ai 
nostri  antichi  eruditi ,  non  essendosi  salvata  altra 
commemorazione  di  lui  presso  gli  scrittori,  se  non 
che  nei  frammenti  del  L.  LXXVIII  di  Dione  rin- 
venuti dall'Orsini.  Primo  a  metterlo  in  onore  è  stato 
il  Noris  nell'epistola  consolare,  dopo  che  la  celebre 
tavola  canosina  (Mommsen  J.  N.  365)  ritornata  alla 
luce  nel  1675,  che  porta  la  data  L.  M4RI0  MA- 
XIMO .  Il  .  L  .  ROSCIO  .  AELIANO  .  COS ,  gli 
ebbe  insegnato  che  occupò  per  la  seconda  volta  il 
consolato  ordinario  nel  976  varroniano  ,  o  sia  nel 
223  dell'era  nostra.  Abbondano  al  contrario  le  sue 
memorie  epigrafiche,  che  sarà  opportuno  di  qui  rac- 
cogliere, alcuna  delle  quali  non  era  stata  prima  av- 
vertita, mentre  le  più  sono  state  dissotterrate  dap- 
poi? e  dal  loro  numero  argomentandosi  quello  delle 
statue,  che  gli  furono  dedicate,  se  ne  deduce  age- 
volmente a  quale  alto  grado  di  riputazione  doveva 
essere  pervenuto.  Queste  sue  lapidi  ponno  comoda- 
mente  dividersi  in  due  classi,  l'una  anteriore,  l'ai- 


5 

tra  posteriore  al  suo  gemino  consolato.  Spetta  alla 
prima  la  gran  base  disseppellita  nel  1708  sul  monte 
Cello  nella  villa  Fonseca,  che  primeggia  sopra  tutte 
le  altre,  perchè  contenendo  un  cronologico  ed  ac- 
curato sommario  delle  sue  dignità  e  delle  sue  ge- 
ste,  cominciando  dal  principio  della  sua  carriera  fino 
al  declinare  del  principato  di  Settimio  Severo,  com- 
pensa il  silenzio  che  se  n'  incontra  nella  digiuna  isto- 
ria di  quell'età.  Fu  pubblicata  dal  Muratori  (p.397. 
4.)  che  1'  ebbe  da  Apostolo  Zeno,  e  che  sulle  prime 
contro  ogni  ragione  l'aveva  attribuita  all'Aureliano 
prefetto  del  pretorio  d'Oriente,  collega  di  Stilicone 
nel  consolato  del  400,  ma  che  poscia  se  ne  ritrattò 
(  p.  202.  t.  5).  Come  a  suo  luogo  sarà  avvertito  , 
discorda  in  un  punto  importante  dalla  copia  che  si 
ha  da  preferire  datane  dal  Bimard  (Pmefa^.  ad  t.  1. 
Murat.  p.  146)  e  dal  Maffei  (Ver.  ili.  L.  V.  n.  V), 
il  quale  la  trasse  dalle  schede  originali  del  Bianchi-' 
ni,  che  l'aveva  veduta. 

N.  1. 

L  .  MARIO  .  L  .  F  .   QVIR 
MAXIMO  .  PERPETVO 
AVRELIANO  .  COS 
SACEROTI .  FETIALI  .  LEG  .  AVGG  .  PR  .  PR 
PROVINCIAE  .  SYRIAE  .  COELAE  .  LEG  .  AVGG  PR  PR 
PROVINO.  GERMAMAE  .  INFEiìIORIS  .  ITEM 
PROVINC  .  BELGICAE  .  DVCl  .  EXERCITV     MYSI\ 
CI  .  APVT.  BYZANTIVM  .  ET  .  APVT  .  LVGDVNVM 
LEG.  LEG  .  I  .ITALIC.  CVR  .  VIAE.  LATINAE 
ITEM  .  RE!P  .  FAVENTINORVM  .  ALLECTO     IN 
TER  .  PRAETORIOS  .  TRIB  .  PLEB  .  CANDID \TO 
QVAESTORI  .  VRBANO  .  TRIB  .  LATICL      LEG 
XXII  .  PRIMIC  .  ITE,\I  .  Ili  .  ITALICAE 
UH      V  .  VIARVM  .  CVRAND\RVM 
M      IVLIVS^  ARTEMIDORVS  .  7 

LEG      \\\  .  CVRENAiCAE 


6 
Dalla  stessa  villa  Fonseca  si  ebbe  pure  quest' 
altra,  che  ora  si  serba  nella  villa  Aldobrandini.  Fa 
confrontata  dal  Kellermann  (Vìg.  n.  288)  ,  ed  era 
già  stata  edita  dal  Maffei  (Ver.  illusts.  1.  XV  n.  VI), 
dal  Muratori  (p.  719.  1)  e  dal  Donati  (p.  76.  6). 
N.  2. 

L  .  MARIO  .  MAXIMO 

PERPETVO 

AVREl.IANO  .  C  .  V 

PRAESIDI  .  PROVINC 

GERMANIAE  .  INFER 

A  .  POMPEI  .  ALEXANDRl 

P  .  P  .  QVI  .  SVB  .  EO  .  MILITAVER 

A  .  POMPEIVS  .  SACERDOS 

FILIVS  .  ET  .  HERES 

POiNENDAM  .  CVRAVIT 

Anche  la  terza  si  pone  sul  monte  Celio:  dal  che 
potrebbe  originarsi  un  sospetto,  che  Mario  avesse  ivi 
la  sua  abitazione.  L'  ho  trovata  ripetuta  due  volte 
nel  codice  manuzziano  della  biblioteca  vaticana  (n. 
6035  pag.  57,  e  pag.  60),  e  fu  divulgata  dal  Mu- 
ratori (p.  354.  4). 

N.  3. 

L  .  MARIO  .    MAXIMO 
V.C.  PRAEF  .  VRB  .  COS 
Q  .  ATTIVS  .  Q  .  F  .  SABINVS 
OB  .  MER 

Dovrebbe  qui  aggiungersene  una  quarta  princi- 
piante da  lOVl  .   0  .  M  .  ET  .  FIDEI  .  CAND  . 

che  lo  Spon  [Misceli,  secl.  IH-  n.  97)  pone  ad  ae- 
dem  lovis  Slaloris ,  essendo  stata  ammessa  anche 
dal  Noris  nella  seconda  epistola  consolare  f.  258, 
il  quale  ne  assunse  in  parto  la  difesa.  Con  tutto  ciò 
dispiacque  al  Maffei  (A.  C.  L.  col.  427),  e  veramente 


7 
non  si  tace  dallo  Spoii  di  averla  desunta  dalle  so- 
spette schede  Barberine.  Il  fatto  sta  che  sì  questa 
come  una  quinta,  che  dicevasi  esistente  nella  vigna 
di  Roberto  Strozzi  ,  ambedue  le  quali  il  Muratori 
(p.  354.  5,  e  p.  719.  1)  confessa  di  aver  ricevute 
direttamente  dal  Ligorio,  non  sono  che  due  diversi 
supplementi  immaginati  da  quel  falsario  del  seguente 
miserabilissimo  frammento,  che  il  codice  vaticano 
5237  colloca  presso  uno  scarpellino  a  porta  del  po- 
polo ,  e  coir  ultima  riga  allungata,  non  so  quanto 
giustamente,  in  SVFFRAGAT  non  restò  ignoto  al 
medesimo  Muratori  (p.  2023.  6). 

N.  4-. 

MARI  .  MAXI 

PRAEF  .  V 

PROCOS 

SVFFRAG 

Passando  alla  seconda  classe,  meriterà  la  pre- 
ferenza per  ragione  di  età  una  pietra  di  Velletri 
spezzata  pel  lungo  ,  che  dal  Feoli  trasse  il  Cardi- 
nali nelle  sue  iscrizioni  veliterne  n.  XXXV  ,  ripro- 
dotta con  alcune  mie  osservazioni  nel  t.  XXII  di 
questo  nostro  giornale  p.  115,  e  che  dal  Labus  così 
è  stata  supplita  a  pag.  24  de'suoi  marmi  bresciani, 
da  lui  con  universale  rincrescimento  lasciati  imper- 
fetti. 


8 

N.  5.      . 

L  .  MArjo 

L  .  FIL 

MAXtwio 

AVRELt  ano 

YETiali 
BIS  .  COs 
ASIoe .  il 

PROCos 

VRB  .  PKaef 

PATRono 

Sebbene  pel  confronto  col  numero  susseguente 
non  possa  negarsi  che  appartenga  al  medesimo  sog- 
getto anche  questo  briciolo  di  marmo  trovato  egual- 
mente a  Velletri ,  e  riferito  dallo  stesso  Cardinali 
n-  XXXVIll,  nulla  tuttavia  può  ricavarsi  da  lui,  se 
non  che  invece  di  VD  vi  si  aveva  piobabilmente 
da  leggere  VRA. 

N.  6. 


ASloe.  .  . 

PROCos  . 

AFRI  cae 

VD 


Ho  poi  veduta  io  medesimo  nel  museo  capito- 
lino la  seguente  romana  già  nota  da  un  pezzo  ,  e 
recata  scorrettamente  dal  Begero  [Spicil  Antiq.f.92), 
e  dal  principe  di  Torremozza  {Inscr.  Siciil  p.  52. 
26) ,  ma  con  maggior  fedeltà  dal  solito  Muratori 
(p.  2023.5)  e  dal  Guasco  (T.  1-  p.  121). 


9 

N.  7. 

L  .  MARIO  .  MAXIMO 

PERPETVO  .  AVRELIANO 

C  .  V  .  PRAEF  .  VRBIS 

PRO  .  CONSVLI  .  PROVINO 

ASIAE  .  ITERVM 
PROCONSVLl  .  PROVINC 

AFRICAE 

M  .  IVLIVS  .   CEREALIS 

MATERNVS  .  EX  .  CIVITATE 

FORO  .  IVLIENSIVM 

PATRONO  .  OPTiMO 


Infine  la  raccolta  dei  marmi  fin  qui  conosciuti 
di  Mai'io  Massimo  si  chiuderà  dal  nuovo  del  Matranga 
spettante  anch'esso,  come  il  superiore,  agli  ultimi 
anni  della  sua  vita,  e  che  ha  il  merito  di  offrirci 
una  serie  alquanto  più  completa  degli  onori  da  lui 
conseguiti  dopo  la  prefettura  di  Roma. 

Volendo  condurre  ad  effetto  le  intenzioni  del  Ma- 
tranga,  e  profittare  dei  materiali  qui  sopra  appre- 
stati per  ordinare  le  memorie  di  questo  console,  si 
dovrebbe  premettere  d' ignorare  totalmente  l'origine 
della  sua  famiglia  ,  se  anche  da  questa  parte  non 
venisse  in  nostro  soccorso  l'epigrafia-  Fra  le  iscri- 
zioni di  Lione  il  sig.  de  Boissieu  p.  263  sommi- 
nistra la  sottoposta,  che  per  l'esatta  corrispondenza 
dei  nomi,  della  tribù  ed  anche  dell'  apparente  sua 
età,  a  giudizio  pure  del  eh.  Mommsen  (Annali  Ar- 
eheol.  T.  XXV  p.  66)  devesi  assegnare  a  suo  pa- 
dre: ed  io  aggiungerò  al  padre  egualmente  di  suo 
fratello  L.  Mario  Perpetuo  consolare  delle  tre  Dacie, 
di  cui  sarò  per  dire  in  appresso- 


10 

L  .  MARIO  .  L  .  F  .  QVIR  .  PERPETVO 

PONFIFICI 
PROCVRATORl  .  PROVINCIARVM 
LVGDVNENSIS  .  ET  .  AQVITANICAE 
PROCVRATORl  .  STATIOINIS  .  HEREDITAT 
PROCVRATORl  .  XX  .  HERÉDITATIVM 
PROCVRATORl  .  PATRIMONI 
PROCVRATORl .  MONETAE 
PROMAGISTRO  .  HERÉDITATIVM 
Q  .  MARCIVS  .  DONATIANVS    .    EQVES 
CORNICVLARIVS  .  ElVS 

Quantunque  di  una  casa  non  senatoria,  se  Mario 
nacque  da  uno  dei  principali  dell'ordine  equestre  , 
ch'esercitò  le  piiì  illustri  procurazioni,  non  sarà  me- 
raviglia se  ottenne    fino  da  principio   due  tribunati 
colle  insegne  del  lato  davo  ,  e    se  fu    destinato  di 
buon'ora  a  battere  la  strada  degli  onori.  Egli  vi  die 
il  primo  passo  partendo  al  solito  dal  vigintivirato, 
in  cui  fu  uno  dei   quattro  sovrastanti  alle  strade   di 
Roma,  e  la  percorse  regolarmente  sotto  Commodo 
fino  alla  cura    pretoria  della  via  latina.  Dopo  que- 
sta si  nota  che  fu    legato  nella  legione  prima  ita- 
lica, e  quindi  dux  exercitus  mysiaci    apud    Byzan- 
thim    et    apud  Liigdunum.  h  manifesto    che  qui  si 
tratta  del  notissimo  assedio  di  Bisanzio  nella  guerra 
contro    Pescenio  ,  fatto  intraprendere  da    Settimio 
Severo  sulla  fine  del  946  ,  mentr'  egli  tragittava  1' 
l'Ellesponto  inseguendo  l'esercito  del  rivale,  che  fu 
disfatto  alla  giornata  di  Cizico.  Lo  che  essendo,  è  da 
ricordarsi  che  la  legione  prima  italica  fu  tra  le  prime 
a  concorrere  all'esaltazione  di  quell'  imperatore:  del 
che  fa  fede  la  sua  medaglia  presso  l'Eckhel  (T.  VFI 
p-  178),  e  ch'ella  appunto  stanziava  nella  Mesia  in- 


11 

feriore,  secondo  Dione  (L.  55  e.  24),  o  poco  lontano 
nella  Tracia  medesima  in  cui  era  posto  Bisanzio  » 
secondo  un'  iscrizione  trovala  a  Tivoli  ai  nostri  gior- 
ni: VAL  .  SVEDIO  .  MILITI  .  LEG  .  1  .  ITAL  . 
PROVINGIAE.TRACIAE  .  Sta  bene  pertanto  che  al 
suo  legato  fosse  commessa  l'espugnazione  di  quella 
vicina  città,  e  che  a  tale  effetto  si  aggiungessero  sotto 
i  suoi  ordini  le  altre  milizie  raccolte  dalle  due  Me- 
sie  ,  dandosegli  la  qualifica  di  Dux.  xVlcuno  aveva 
creduto  di  poter  ricavare  da  questo  titolo,  che  Ma- 
rio fosse  in  allora  o  divenisse  poco  dopo  legato  con- 
solare di  alcuna  di  quelle  due  provincie.  Ma  il  Bi- 
mard  [Praef.  ad  Marat,  p.  145)  a  proposito  appunto 
dell'  iscrizione  di  cui  parliamo  ha  dottamente  av- 
vertito, che  fino  dai  giorni  di  Adriano  la  voce  ge- 
nerica i)«j;  aveva  cominciato  ad  acquistare  la  signi- 
ficazione particolare  di  generale,  a  cui  era  affidato 
il  comando  di  una  data  spedizione  ,  il  quale  però 
non  aveva  giurisdizione  se  non  che  sui  propri  sol- 
dati a  difforenza  del  Legalus  Angusti  prò  praetore, 
che  l'estendeva  eziandio  sopra  una  provincia.  Con- 
seguentemente egli  osserva  che  Spartiano  (Sev.c.lO) 
e  Capitolino  (Alb.  8  e  9) ,  non  danno  altra  deno- 
minazione ai  generali  che  Severo  inviò  contro  Al- 
bino: e  poteva  anche  aggiungere  che  la  distinzione 
in  questi  tempi  fra  Dux  e  Legalus  apparisce  mani- 
festissima da  un  altro  luogo  dello  stesso  Spartiano 
nella  vita  di  Pescenio  (e.  6),  ove  ci  dice:  fuit  Niger 
miles  optimus,  tribunus  singularis  ,  dux  praecipuus  , 
legatus  severissimus,  consul  insignis.  Vero  è  che  io 
non  mi  ricordo  di  averne  incontrato  esempio  nel  lin- 
guaggio ufficiale    delle    iscrizioni  di   Adriano  e    di 


12 

M.  Aurelio  ,  nelle  quali  anche  questi  legati  spedi- 
zionari  seguitano  a  chiamarsi  legati  di  Augusto,  come 
Lollio  Urbico  in  un  nuovo  sasso  dell'Algeria,  di  cui 
aspettiamo  la  pubblicazione  dal  sig.  Kenier,  LEG  . 
LEG  .  I  .  MIN  .    LEGATO  .   IMP  .  HADRIANI  . 
IN  .  EXPEDITIONE  .  IVDAICA  ;  e  in  un  altro  presso 
il  C.  /.  Graec.  5366  di  Geminio  Marciano  sotto  gli 
augusti  fratelli  LEG  •  AVG  .  LEG  .  X  .  GEMINAE  . 
LEG  .  AVG  .  SVper    .    VEXILLATIONES  .  IN  . 
CAPPAdoCIA  .  Ma  è  vero  altresì,  che  il  nuovo  ti- 
tolo si  trova  introdotto  anche  sui    marmi  fino  dal 
principio  di  Settimio  Severo:  onde  Claudio  Candido 
uno  dei  suoi  primitivi  condottieri  si  annunzia  DVX. 
EXERCITVS.  ILLYRICL  EXPEDITIONE  .  ASIANA. 
ITEM  .  PARTHICA  .  ITEM  .  GALLICA   (Grut  p. 
389.  2) ,  e  Fabio  Cilone  DVX  .  VEXILL  .  PER  . 
ITALIAM  .  EXERCITVS  .  IMP  .  SEVERI  (Marini, 
Iscr.  Albane  p.  50).  Per  lo  che  senza  allargare  la 
pedcstà  di  Mario  sopra  alcuna  delle  Mesie,  che  nel- 
r  inferiore  gli  verrebbe  in  questi  anni    contrastata 
dai  legati  Gentiano,  Aurelio,  Appiano  e  Pollenio  Au- 
spice delle  medaglie  di  Marcianopoli  e  di  Nicopoli, 
e  nella  superiore,  dall'anzidetto  Cilone,  ci  contente- 
remo di  esser  obbligati  a  questa  base  di  averci  con- 
servato il  nome  invidiatoci   dalla  storia  di  chi  co- 
mandò   quel  celebre  assedio,  durato  ostinatamente 
tre  anni  ,    e  terminato    finalmente  colla    dedizione 
degli     assediati     nella    primavera    del   949.    Dopo 
di  che  apprendiamo  dalla  medesima  base,  che  il  no- 
.  stro  Mario  insieme  col  suo  corpo  di  esercito  seguì 
Severo  alla  nuova    guerra  contro    Albino  finita  tra 
breve  colla  vittoria  di  Lione  dei  19    febbraio  del- 


13 

l'anno  seguente.  Successivamente  la  slessa  lapide  , 
che  ci  serve  di  guida  ,  gli  conferisce  la  legazione 
della  Germania  inferiore  ,  che  sarà  la  prima  delle 
Provincie  consolari  da  lui  amministrate  dopo  che  se 
gli  è  superiormente  rifiutata  una  delle  Mesie. 

È  questo  pertanto  l' intervallo,  a  cui  dovrà  re- 
stituirsi il  suo  primo  consolato  qui  messo  aperta- 
mente fuori  di  luogo  ,  per  seguire  il  .più  frequente 
costume  di  collocarlo  alla  testa  dell'  iscrizione  a  mo- 
tivo della  supremazia  di  quella  dignità,  mentre  qual- 
che altra  volta  per  la  stessa  ragione  segnossi  da 
ultimo,  come  in  questa  del  Matranga,  specialmente 
quando  la  lapide  con  ordine  retto  dalle  cariche  più 
antiche  discendeva  alle  più  recenti.  E  un  perditempo 
il  ricordare  le  opinioni  dei  vecchi  antiquari,  i  quali 
credevano  che  tutti  i  consolati  si  avessero  da  tro- 
vare nei  fasti  che  ci  sono  rimasti  ,  come  sarebbe 
nel  nostro  caso  quella  del  Demadeno  nel  Delectiis 
script,  ter.  neapolit.  p.  751,  che  lo  tenne  pel  Mas- 
simo uno  degli  ordinari  del  925  mentovati  nella 
gruteriana  p.  1014.  1.  e.  p.  1072.  3.  Ma  la  nostra 
lapide  rifiuta  decisamente  di  rimandarlo  cotanto  in- 
dietro, e  dall'  ultima  riga  del  secondo  frammento 
dei  fasti  dei  Salii  Palatini  (Marini  Arv.  p.  166)  si 
è  ricavato,  che  quel  Massimo  appartenne  alla  cono- 
sciuta casa  dei  Quintili:  senza  dire  che  in  tutto  il 
decimo  secolo  di  Roma  non  si  ha  alcun  esempio 
di  un  privato,  che  abbia  tenuto  ripetutamente  i  fa- 
sci ordir^ari.  Piuttosto  non  è  da  tacersi  che  il  Cor- 
sini {de  Praef.  Urbis  p.  119),  attribuendo  a  Mario 
Massimo  ciò  che  il  Reimaro  aveva  avvisato  per  Oc- 
latinio  Advento  ,   fu  di  sentimento  che    questo  suo 


14 
consolato  fosse  di  semplice  tìtolo,  o  sia  che  ne  con- 
seguisse soltanto  gli  ornamenti:  alla  qual  sentenza 
pure  molte  ragioni  si  oppongono.  Primieramente  si 
è  già  veduto  che  nella  medesima  lapide  in  discor- 
so egli  fu  detto  ADLECTVS  .  INTER  .  PRAETO- 
RIOS.  Perchè  adunque  nello  stesso  caso  non  si  sa- 
rebbe scritto  egualmente  ADLECTVS  .  INTER  CON- 
SVLARES  ?  Dipoi  nel  terzo  dei  marmi  sopra  rife- 
riti si  torna  ad  asserire  che  fu  PRAEFec/««  VRRi 
CO«Sm/.  Dione  (L.  78  e.  14),  che  indirizza  tanti  rim- 
proveri a  Macrino  per  aver  data  la  prefettura  ur- 
bana prima  del  consolato  ad  Advento,  che  ne  aveva 
già  ricevuto  gli  ornamenti,  come  non  glie  li  avrebbe 
raddoppiati  se  avesse  fatto  altrettanto  con  Mario  di 
lui  successore,  del  quale  parla  nel  medesimo  luogo? 
Infine  ciò  che  decide  la  questione  si  è,  che  Mario 
in  grazia  di  aver  seduto  iteratamente  sulla  maggiore 
curule  ottenne  due  volte,  come  vedremo,  una  delle 
Provincie  consolari  senatorie,  cioè  prima  1'  Asia,  e 
poi  l'Affrica.  Ora  le  provincie  consolari  di  sua  sfjet- 
tanza,  finché  gli  durò  questo  diritto,  non  furono  mai 
date  dal  senato  se  non  a  chi  aveva  trattalo  real- 
mente i  fasci.  Fu  dunque  il  suo  un  consolato  ef- 
fettivo, benché  suffetto.  Non  potrà  però  anticipar- 
segli  innanzi  la  vittoria  sopra  ^libino,  pritna  della 
quale  é  dimostrata  la  sua  continuata  assenza  da 
Roma  senza  aver  avuto  campo  di  ritornarvi  per  oc- 
cuparlo :  oltre  di  che  è  ben  da  supporsi,  che  non 
gli  fosse  concesso  il  premio  dell'  espugnazione  di 
Bisanzio  se  non  dopo  averla  ottenuta.  Siamo  dun- 
que al  950  aperto  con  Cuspio  Rufino  da  Sestio  La- 
terano  (Orelli  2325),  uno  anch'esso  dei  generali  spe- 


15 

dizionari  nella  guerra  contro  Pescenio,  e  nelle  suc- 
cessive di  oriente  (Dione  L.  75  e.  2).  Dovremmo 
fermarci  agli  ultimi  mesi  di  quest'anno  per  appre- 
stargli una  nicchia  nella  serie  consolare,  se  si  avesse 
da  credere  al  Muratori  (p.  397.  4),  che  lo  manda 
nella  Germania  col  titolo  di  LEGalus  WGiisli,  cioè 
del  solo  Severo:  il  che  vorrebbe  dire  che  fosse  già 
in  possesso  di  quella  provincia  innanzi  che  quel 
principe  si  associasse  il  suo  primogenito  all'  impero 
nel  seguente  anno  951,  secondo  i  giusti  calcoli  dell'E- 
ckhel  T, Vili. p. 4-24  confermati  da  una  nuova  lapide  di 
Lambesa  (Reoier.  Inscr.  de  l'Alger.  n.56),  e  dall'orel- 
liana  3687,  in  cui  ai  19  settembre  di  quell'anno  Cara- 
calla  già  dicesi  augusto.  Niun  lume  su  di  ciò  ci 
viene  somministrato  dalla  nostra  lapide  n  2,  che  si 
contenta  di  appellarlo  con  espressione  generica 
PRAESES  .  PROVINC  .  GERMANlAE  .  INFERIO- 
RIS.  Ma  ho  notato  poco  fa  che  nella  trascrizione 
di  queir  epigrafe  muratoriana  merita  maggior  fede 
la  concorde  lezione  del  Bimard  e  del  Maffei  ,  che 
ne  trassero  LEO  .  ASGGustorum:  il  che  sembra  an- 
che pili  conveniente  per  dare  la  dovuta  estensione 
al  governo  del  suo  antecessore  Valerio  Pudente,  il 
quale  per  attestato  di  un  celebre  marmo  di  Olanda, 
riferito  tra  gli  ultimi  dal  solito  Orelli  3586,  vi  era 
legato  di  augusto  propretore  mentre  Severo  era  an- 
cora il  solo  imperatore,  e  Caracalla  già  cesare  ,  o 
sia  dopo  che  questi  a  Viminacio  era  stato  elevato 
alla  dignità  cesarea,  trascorsa  la  prima  metà  del 
949.  Laonde  senza  stringermi  entro  cancelli  cosi 
angusti  sarò  pago  di  stabilire,  che  dopo  la  fine  della 
guerra  gallica  non  s'  indugiasse  molto  nel  concedere 


16 

a  Mario  la  meritata  promozione,  seguita  tra  breve, 
ma  non  prima  del  952 ,  dalla  consolare  legazione 
della  Germania  inferiore  ampliata  coli'  annessione 
della  Belgica.  Non  si  sa  quanto  durasse  nel  loro 
reggimento  ,  e  né  meno  quando  sotto  i  medesimi 
augusti  passasse  all'  altro  della  Siria  ,  essendo  egli 
l'unico  preside  di  quella  provincia,  di  cui  ci  sia  per- 
venuta contezza  durante  il  regno  di  Severo.  Ella 
per  differenziarsi  richiamò  1'  antica  appellazione  di 
Cele,  invece  della  quale  usò  talvolta  l'altra  di  mag- 
giore, quando  lo  stesso  Severo  dopo  l'uccisione  di 
Pescenio,  irritato  contro  gli  antiocheni  pel  favore  da 
essi  prestato  al  suo  emulo,  ne  staccò  la  Siria  Fe- 
nicia per  crearne  un'altra  provincia:  divisione  ch'era 
già  consumata  nel  951,  come  più  largamente  mo- 
strai nel  mio  Burbuleio  p.  60. 

E  qui  termina  l'elenco  dei  suoi  onori  registrati 
nella  prima  delle  sue  lapidi,  dopo  la  quale  le  altre 
ce  ne  offrono  la  continuazione,  cominciando  concor- 
demente dalla  prefettura  urbana.  Il  n.  3  ci  ha  di- 
mostrato ch'egli  r  ottenne  prima  del  secondo  con- 
solato: il  che  pienamente  corrisponde  a  quanto  ri- 
cavasi da  Dione  (L.78  e.  14).  Narra  egli  che  dopo 
l'uccisione  di  Caracalla,  seguita  agli  8  di  aprile  del 
970,  Macrino  subentrato  in  suo  luogo  elevò  alla 
prefettura  di  Roma  Oclatinio  Advento  già  suo  col- 
lega in  quella  dei  pretoriani  ;  ma  che  dopo,  attesa 
la  sua  vecchiezza  e  la  sua  incapacità,  fu  costretto 
a  dargli  un  successore  nella  persona  di  Mario  Mas- 
simo. Durò  questi  certamente  nella  carica  finché 
durò  nel  potere  chi  glie  l'aveva  conferita  (id.  1.78 
e.  36.  e.  1.  79  e.  2),  il  quale  fu  vinto  presso  An- 


17 

liochia  agli  8  di  giugno  del  971,  emesso  a  motte 
non  molto  di  poi.  Ma  è  presumibile,  che  la  conser- 
vasse qualche  altro  tempo  ancora,  e  per  lo  meno 
fino  all'arrivo  di  Valerio  Comazonte  che  Io  surrogò 
(id.  1.  79  e.  4  e  e.  21)  ,  uno  dei  primi  ministri  e 
prefetto  del  pretorio  di  Elagabalo,  il  quale  preve- 
nendo la  venuta  del  nuovo  prencipe,  che  svernò  a 
Nicomedia  ,  è  difficile  che  potesse  essere  a  Roma 
prima  del  cadere  dell'  anno,  affine  di  assumervi  il 
successivo  consolato  ordinario. 

La  quinta  delle  nostre  lapidi  interpone  a  Mario 
tra  la  prefettura  e  i  secondi  fasci  il  proconsolato 
dell'  Asia:  il  che  mi  fa  nascere  il  sospetto  che  per 
ottenere  quest'ultimo  abbandonasse,  o  se  gli  facesse 
abbandonare  la  prima.  La  congettura  si  fonda  sul- 
l'avere osservato,  che  presso  a  poco  in  questo  inter- 
vallo gli  sarebbe  competuto  il  diritto  di  conseguirlo, 
per  la  ragione  da  una  parte  dell'anzianità,  e  seguendo 
dall'altra  le  norme  della  pratica  contemporanea,  in- 
torno la  quale  è  notabile  un  luogo  di  Dione  (1.  78 
e.  22  ).  Apprendiamo  da  lui  che  Macrino  nel  970 
fece  accettare  a  Giulio  Aspro  il  proconsolato  del- 
l' Asia  non  ostante  la  rinunzia  da  lui  datane  negli 
ultimi  giorni  di  Caracalla,  ma  che  tra  breve  per  so- 
pravvenuti disgusti  glie  lo  tolse  mentre  era  già  in 
viaggio  per  recarvisi,  dandolo  in  vece  ad  Anicio  Pe- 
sto, ch'era  stato  preferito  nell'estrazione  a  sorte  delle 
Provincie.  E  poiché  era  vicina  la  scadenza  dell'anno 
prefisso  alla  sua  amministrazione,  glie  la  prolungò 
anche  per  l'anno  veniente  in  sostituzione  ad  Autì- 
dio  Frontone  ,  benché  avesse  a  questo  promesso  1' 
Asia  in  cambio  dell'Aff'iica,  che  gli  era  toccata  nella 
G.A.T.CXLIII.  2 


18 

sortizione:  per  cui  finì  che  non  ebbe  nò  Tun:»  né  V 
altra.  Nulla  può  precisarsi  sul  conto  di  Giulio  Aspro, 
che  durante  la  prefettura  urbana   ebbe    il    secondo 
consolato  nel  965  ,  chiaro  essendo  che  in  virtìi  di 
esso  niuna  pretesa  poteva  muovere  sopra  alcuna  delle 
Provincie  senatorie,  troppo  mancandogli  al  decennio 
per  lo  meno    d'  interstizio  prescritto  dalle    antiche 
leggi:  onde  conviene  ammettere,  che  il  diritto  glie 
ne  provenisse  dai  primi   fasci  ,  che  non    sappiamo 
quando  ottenesse.  All'  opposto  Aufidio    Frontone  è 
indubitatamente  il  console    ordinario  del  952.  Ri- 
guardo poi  ad  Anicio  Festo    è  da  osservarsi  ,  che 
fra  le  due  varianti  del  testo  dioneo  Festo  e  Fausto 
(Reimaro  pag.  1.330  nota  2)  i  suoi   editori    mala- 
mente   hanno  preferito  la  prima  senza   badare  che 
egli  sarebbe  un  uomo  ignotissimo;  e  che  ignoto  sa- 
rebbe pure  quel  cognome  nella  gente  Anicia,   men- 
tre poscia  fu  celebre  in  essa  quello  di  Fausto.  Molto 
meno  si  sono  risovvenuti  che  quel  personaggio  chia- 
mato   Q.  Anicio  Fausto  ,  il  quale  era  stato  legato 
di  Settimio  Severo  nella  Mesia,  era  già  cognito  fi- 
no dai  tempi  dello  Spon  (Misceli.,  sect.   V  jn  fine). 
Ora  poi  dalle  iscrizioni  algerine  del  Renier  n.  56  e 
63  si  è  saputo  di  più  ,  che  nel  951   era  designato 
console,  naturalmente  suffetto,  o  per  la  fine  di  quel- 
l'anno 0  per  l'anno  successivo ,  come  lo  fu  difatti, 
in  un  altro  di  quei  marmi  intitolandosi  apertamente 
COS.  Da  tutto  ciò  sembra  adunque  raccogliersi  che 
l'intervallo  fra  il  consolato  e  il  proconsolato  ,  che 
fino  ai  giorni  di  M.  Aurelio  fu  di  tredici  anni  all'  in- 
circa, a  quelli  di  Macrino  si  fosse  elevato  ai  dician- 
nove e  ai  venti:  del  che  non  sarà  difficile   di  tro- 


19 

vare  la  ragione  nell'accrescimento  dei  candidati  ori- 
ginato dall'esuberanza  dei  fasci  prodigati  da  Com- 
modo, e  anche  in  parte  dai  successori.  Quindi  es- 
sendosi mostrato  di  sopia,  che  anche  Mario  Massimo 
dev'essere  divenuto  consolare  circa  il  951  ,  potrà 
credersi  non  senza  apparenza  di  verità  ,  che  venti 
anni  dopo  ha  succeduto  ad  Anicio  Fausto  nella  ret- 
toria dell'Asia.  La  nuova  lapide  del  Matranga,  e  1' 
altra  n.  7  lo  dicono  Pvoconsul  ilerum  :  per  cui  ttii 
sono  creduto  in  dovere  di  aggiungere  Vilerum  al  sup- 
plemento che  del  n.  5  erasi  fatto  dal  Labus.  Non 
per  questo  si  avrà  da  tenere,  ch'egli  sia  stato  man- 
dato due  volle  in  quella  provincia  ,  ma  solo  che  l' 
amministrò  per  due  anni  consecutivi:  del  che  senza 
cercarne  altro  esempio  facile  a  rinvenirsi,  l'abbiamo 
già  avuto  prontissimo  nell'antecessore. 

Succede  secondo  la  progressione  dei  tempi  il 
consolato,  a  cui  fu  assunto  replicatamente  nel  976 
in  compagnia  di  L.  Roscio  Eliano.  Quantunque,  a  ri- 
serva del  solo  Idatio,  le  altre  vecchie  collezioni  di 
fasti,  solite  a  curarsi  poco  del  precedente  onore  sur- 
rogato, preteriscono  di  chiamarlo  secondo:  basta  però 
ad  assicurarlo  per  tale  l'autorità  della  precitata  ta- 
vola canosina,  suffragata  da  una  pietra  di  Bonna 
edita  più  correttamente  dal  Lersch  (Central  museum 
t.  II  n.  14).  Da  un  pezzo  i  prefetti  di  Roma  erano 
in  possesso  di  raddoppiare  i  fasci  consolari  durante 
la  loro  magistratura,  o  poco  dopo  che  ne  avevano 
cessato:  ond'  è  probabile  che  Alessandro  sul  princi- 
cipio  del  suo  impero  non  avesse  altra  vista  nel  dar- 
glieli se  non  quella  di  riparare  all'  ommissione  del 
suo  predecessore. 


20 

Resta  per  ultimo  il  proconsolato  affricano  sfug- 
gito al  Morcelli,  talché  indarno  se  ne  fa  ricerca  nella 
serie  da  lui  datane  nel  t.  1  dell'  Affrica  Cristiana. 
L'allegato  n.  5,  che  dopo  quello  dell'  Asia  nota  la 
rinnovazione  dei  suoi  fasci  senza  far  cenno  di  que- 
st'altro ,  mette  fuori  di  controversia  che  fu  a  loro 
posteriore.  Infatti  ho  già  avvertito,  che  solo  colla  ri- 
petizione del  consolato  potè  acquistare  il  gius  di 
ottare  alla  ripetizione  della  provincia.  Il  lungo  spa- 
zio di  tempo  richiesto  dal  raddoppiato  intervallo  , 
che  pei'ciò  si  doveva  subire,  rende  ragione  della  som- 
ma rarità  di  chi  abbia  preseduto  ad  ambedue  le 
provincia  consolari:  di  modo  che  dopo  la  loro  isti- 
tuzione sotto  Augusto  nel  727  non  ne  conosco  che 
un  altro  solo  esempio  nell'  imperator  Balbino  recato 
da  Capitolino  {Max.  et  Balb.  e.  7).  E  questa  ragiono 
obbligherebbe  noi  pure  a  procrastinarlo  di  soverchio, 
se  non  fossimo  già  pervenuti  al  principato  di  Ales- 
sandro Severo.  È  innegabile,  e  l'esperienza  ce  lo  fa 
vedere  ogni  giorno,  ch'egli  fu  autore  di  molte  ri- 
forme nell'amministrazione  interna  dell'impero,  ben- 
ché finora  siano  state  poco  avvertite  dagli  eruditi, 
e  sebbene  relativamente  alle  provincie  non-  se  ne 
abbia  che  un  semplice  cenno  da  Lampridio  [Alex. 
e.  24.  );  Proviìicias  legatorias  praesidiales  plurimas 
fecitf  proconsulares  ex  senatus  auctoritale  ordinavit. 
Due  di  queste  innovazioni  sono  importanti  nel  no- 
stro caso.  Da  prima  l'Affrica  e  l'Asia  si  cavavano  a 
sorte  dai  consolari  secondo  l'anzianità  del  tempo  in 
cui  avevano  prestato  il  loro  nome  ai  fasti,  e  secondo 
la  lista  degli  ammessi  alla  sortizione  data  dagl'  im- 
peratori, i  quali  ne  escludevano  quelli  che  loro  non 


21 

talentavano.  Alessandro  invece  le  lascio  alla  libera 
collazione   del  senato  ,  ristretta  però    sempre  fra  i 
consolari.  Infoiti  riguardo  ad  esse  non  sì  sente  più 
a  parlare    di  sortizione  ,  ma  vi  si  trovano  in  vece 
proconsoli  missi  ex  senatus  consulto  (Capito!.  Gord. 
tres  e.  2).  Da  Vopisco  (Aurei,  e.   40)  ci  si  dice  che 
nei  sei  mesi  dopo  l'uccisione  di  Aureliano  restarono 
al  loro  posto  tutti  i  quindici,  quos  aut  Aurelianus , 
aut  senatus  dclegerat,nisi  quod proconsulem Asiae  Fai- 
tonium  Probum  in  locum  Aurelii  Fusci  senatus  dele- 
gii.  Ed  anzi  lo  stesso  Capitolino  [Gord.  tres  e.   5) 
ci  ha  conservata  l'epistola  ipsius  Alexandria  qua  se- 
natiti  (jratias  egit,  quod  Gordianum  in  Africam  prò- 
considem  destinaverat.  L'altra  riforma,  venuta  di  con- 
seguenza alla  prima,  dev'essere  stata  quella  di  aver 
soppressa  l'antica  prescrizione  dell'  intervallo  fra  il 
consolato  e  il  proconsolato:  quantunque  sia  difficile 
di  addurne    prove  contemporanee  in  un  secolo  ri- 
coperto di  tanta  caligine  quanto  è  quello  che  suc- 
cede, nel  quale  oltre  la  carestia  delle  notizie,  l'uso 
frequentissimo  di  i-icordare  le  persone  con  un  nome 
soltanto  fa  riuscire  assai  malagevole  di  poterne  di- 
mostrare r  identità.  Se  ne  ha  tuttavolta  qualche  ar- 
gomento in  tempi  poco  lontani,  ed  anteriori  ai  nuovi 
cambiamenti  operati  da  Costaatino  dopo  che  per  la 
vittoria  sopra  Massenzio    nel  1065  si  fu  impadro- 
nito di  Roma,  in  seguito  dei  quali  i  consolari  per- 
dettero l'esclusivo  diritto  di  reggere  le  due  Provin- 
cie, ch'erano  loro  riservate:   cambiamenti    avvenuti 
prima  del  1068,  in  cui  il  proconsolato  dellAffrica 
trovasi  conferito  al  conosciuto  Petronio  Probiano  , 
che  non  fu  ascritto  ai  fa&ti  se  non  che   nel   1075. 


Jntatito,  preferendone  qualche  altro  meno  sicuro,  si 
può  citare  Cassio  Dione  console  nel  1014,  procon- 
sole d'Affrica  nel  1048  (Ruinart  negli  atti  di  S.  Mas- 
similiano) e  prefetto  urbano  nell'anno  seguente:  non 
che  Annio  Andino  console  nel  1048,  ivi  proconsole 
pel  1056  (idem  negli  atti  di  S.  Felice),  e  prefetto 
anch'egli  nel  1059.  Sarebbe  inutile  di  cercarne  al- 
tre prove,  se  potesse  farsi  maggior  capitale  dell'evi- 
dentissima somministrata  dallo  stesso  Capitolino 
(Goni,  tres  e.  2)  nel  raccontarci  che  Gordiano  affri- 
oano  ex  consulalu,  quem  egerat  cum  Alexandro,  ad 
proconsulatum  Africae  missus  est  ex  senalus  considlo: 
ripetendo  poco  dopo  (e.  4)  post  consulalum  procon- 
ml  Africae  facius  est.  Ma  egli  ci  ha  detto  altresì 
(e,  4)  che  quel  Gordiano  consulalum  primum  iniit 
cum  Antonino  Caracalla,  secwidum  ctim  Alexandre: 
e  questo  secondo  consolato  viene  poi  formalmente 
snfientito  da  una  testimonianza  superiore  ad  ogni 
eccezione,  qual'  è  quella  della  sua  medaglia  coU'epi- 
grafe  P  .  M  .  TR  .  P  .  COS  .  P  .  P  .  ,  la  quale 
certifica  che  anche  dopo  la  sua  elevazione  all'  im- 
pero non  ne  contava  che  un  solo,  lo  pure,  che  nel 
mentre  che  scrivo  ho  questo  nummo  conservatissimo 
innanzi  gli  occhi,  posso  attestare  che  non  è  possi- 
bile di  scambiare  la  sua  faccia  con  quella  del  figlio, 
come  da  prima  fu  supposto  dall'Eckhel  (D.  N-v.  t. 
VII  p.  301)  per  non  dare  una  mentita  al  biografo. 
Che  che  pertanto  si  abbia  da  giudicare  dei  suoi  detti, 
tolta  che  sia  per  altra  parte  l'opposizione  dell'  in- 
tervallo ,  io  collocherò  volentieri  questo  proconso- 
lato del  nostro  Mario  sotto  Alessandro  Severo  in- 
nanzi quello  del  lodato  Gordiano,  sembrandomi  so- 


23 

vercliio  r  indugio  se  si  avesse  da  differire  dopo  la  di 
lui  morte,  e  la  successiva  occupazione  di  Gapelliano, 
ed  anzi  dopo  i  pritni  anni  di  Gordiano  Pio  impe- 
diti da  Sabiniano.  Con  esso  avranno  fine  i  suoi  onori, 
giacché  la  posizione  del  COS  .  II  ,  con  cui  la  la- 
pide del  Matranga  ne  chiude  l'elenco,  non  perchè  il 
posteriore  di  tempo,  ma  perchè  il  maggiore  di  tutti 
in  dignità,  dimostra  abbastanza  che  alcun  altro  non 
le  rimaneva  da  ricordare.  In  conseguenza  ritengo 
che  la  susseguente  laguna  sarà  convenientemente  ri- 
empita supplendo  Patrono  et  CjiRATORl  .  COLO- 
NIAE  .  ARDEATIVM  .  DIGNISSIMO  :  mentre  non 
è  dubbioso  che  l'estrema  riga,  riconsciuta  non  leg- 
gibile, doveva  contenere  V  indicazione  di  chi  fece  in- 
nalzare la  statua  coli'  iscrizione.  Nuovo  merito  della 
seconda  sarà  poi  quello  di  aver  fatto  menzione  della 
colonia  di  Ardea,  e  di  aver  così  prolungate  di  un 
secolo  le  memorie  di  quelT  antichissima  città.  Il 
Nibby  (Analisi  della  carta  t.  I.  p-  237)  confessò  di 
non  averne  più  trovato  sentore  dopo  l'avviso  rice- 
vuto dal  libro  Coloniarum  I,  che  l'imperatore  Adriano 
la  sottopose  a  nuovo  censimento. 

Non  si  ha  da  dissimulare  ,  che  le  cose  fin  qui 
discorse  cadrebbero  a  voto,  se  reggesse  1'  opinione 
del  Corsini  (  De  praef.  urb.  p.  107  e  p.  118)  ,  il 
quale  divise  Mario  Massimo  in  due  diversi  pei'sonaggi. 
Attribuì  al  primo  le  tre  iscrizioni  che  ho  trascritte 
ai  n.  1,  %  7,  e  trovando  mentovata  nell'ultima  la 
prefettura  urbana,  s'immaginò  di  assegnargliela  circa 
il  953.  Quattro  altre  ne  riferì  al  secondo  ,  che  in 
sostanza  si  riducono  a  due,  vale  a  dire  al  n.  3  delle 
nostre,  e  al  frammento  n.  4:  giacché  le  rimanenti 


24 

non  sono,  come  ho  detto,  che  due  diversi  supple- 
menti di  quel  frammento  usciti  dal  cervello  del  Li- 
gorio.  Ammise  che  questi  fosse  il  console  del  976 
e  il  memorato  da  Dione:  onde  a  lui  confermò  l'al- 
tra prefettura  del  971-  Su  due  ragioni  stabili  que- 
sta sua  distinzione.  Desunta  la  prima  assai  debole 
dalla  differenza  dei  nomi,  adducendo  che  il  più  an- 
tico si  disse  L.  Mario  Massimo  Perpetuo  Aureliano, 
e  pretendendo  che  il  secondo  si  chiamasse  soltanto 
L.  Mario  Massimo.  L'altra,,  dedotta  dalla  diversità 
delle  cariche,  allorquando  la  propose  era  falsa,  per- 
chè le  dignità  di  console  e  di  prefetto,  che  sono  le 
sole  indicate  nei  marmi  da  lui  concessi  a  chi  ebbe 
y\  governo  di  Roma  nel  971,  ricorrono  egualmente 
negli  attribuiti  al  suo  prefetto  del  953.  A  snervare 
il  primo  dei  suoi  argomenti  sarebbe  bastato  di  op- 
porre la  ridicolezza  della  pretesa  ,  che  i  polionomi 
si   avessero  sempre  da  memorare  collo  strascico  di 
tutti  i  loro  nomi.  Chi  asserirà,  per  esempio,  che  il 
Sosio  Prisco  dellorelliana  2625,  perchè  non  ne  porta 
che  due,  sia  differente  del  console  del  922,  che  in 
un  suo  cippo    onorario  di  Tivoli  ne    infilza   fino  a 
trentaquattro?  Ma  quest'argomento  fu  poi  maggior- 
mente infirmato  dal  n.  5  del  Cardinali,  da    cui    si 
apprese,  che  il  console  del  976  ebbe  anche  il  co- 
gnome di  Aureliano  provenutogli  probjibilmente,  se- 
condo un  uso  allora  assai  comune,  dalla   madre.  E 
viene  ora   interamente    abbattuto  dalla  nuova  sco- 
perta del  Matranga,  che  gli  aggiunge  altresì  il  co- 
gnome paterno  di  Perpetuo,  mentre  col  titolo  COS. 
Il  toglie  ogni  dubbio  esser. egli  la  medesima  persona 
che  nella  data  della  tavola  canosina  si  disse   sem- 


25 
plicemente  L  .  MARIO  .  MAXIMO  .  II  .  La  nuova 
pietra  ci  fa  inoltre  vedere,  che  a  torto  dal  Corsini  si 
era  di  soverchio  anticipata  1'  incisione  dell'altra  qui 
descritta  sotto  il  n.7,  quando  V  identità  degli  onori 
mentovati  in  ambedue  ci  convince,  ch'esser  debbono 
quasi  contemporanee.  Vero  e  che  così  verrebbe  ad 
acquistare  qualche  forza  la  seconda  delle  sue  ra- 
gioni: ma  è  vero  altresì,  eh'  è  facile  di  spiegare  con 
tutta  naturalezza  questa  diversità  d' impieghi  avver- 
vertita  nelle  lapidi  di  Mario,  ripetendola  dalle  di- 
versità del  tempo  ,  in  cui  furono  incise.  La  base 
n.  1  registra  generalmente  tutti  quelli  ch'egli  ebbe, 
cominciando  dalla  prima  gioventù  tino  al  giorno  in 
cui  fu  scolpita  prima  della  morte  di  Settimio  Seve- 
ro. Gli  altri  numeri  al  contrario,  dedicatigli  piiì  tardi 
sotto  Alessandro,  per  non  farne  così  lunga  enume- 
razione non  curarono  le  cariche  degli  anni  più  flo- 
ridi, e  si  contentarono  di  citare  soltanto  le  coperte 
da  lui  in  età  più  matura,  ed  anche  in  vecchiezza. 
Per  tal  modo  verrà  esclusa  non  solo  la  supposta  di- 
visione in  due  di  questo  personaggio,  ma  con  una 
migliore  ordinazione  dei  suoi  monumenti  sarà  an- 
che dimostrata  l' insussistenza  della  prima  sua  prc 
fettura  nel  953,  ch'era  già  stata  negata  dal  Cardi- 
nali (Lett.  sui  prefetti  p.  12).  A  cacciarla  dall'anno 
assegnatole  sarebbe  stato  sufficiente  il  più  volte  ci- 
tato n.  1,  che  non  ne  fa  motto,  quantunque  poste- 
riore non  di  poco,  siccome  si  fa  chiaro  dal  triennio 
ordinariamente  richiesto  per  la  durata  di  ciascuna 
delle  legazioni  della  Germania  e  della  Siria  soste- 
nute ambedue  dopo  che  Caracalla  era  stato  asso- 
ciato   all'impero  nel  951.    Ma    le    sarà  tolto  ogni 


26 

fondamento  coll'essersi  in  oggi  veduto  che  il  pre- 
detto n.  7,  su  cui  unicamente  fondavasi,  a  motivo 
della  menzione  che  fa  dei  suoi  due  proconsolati  deve 
nportarsi  a  tempi  successivi  a  quello,  in  cui  real- 
mente cccupavala  nel  970  e  nel  971.  Ed  è  poi  certo 
ch'egli  non  Tebhe  se  non  che  una  volta  soltanto  , 
negandosele  la  nota  della  ripetizione  da  quei  marmi 
medesimi,  che  l'aggiungono  al  suo  consolato,  e  al 
suo  proconsolato  dell'Asia. 

Alcuno  sulle  tracce  del  Casaubono,  come  ve- 
dremo, potrebbe  opporre,  che  coU'accumulare  sopra 
una  testa  sola  tutte  le  notizie  superstiti  di  Mario. 
Massimo  si  viene  a  prolungare  la  sua  vita  oltre  i 
termini  convenevoli-  Vediamo  pertanto  ciò  che  può 
essere  di  vero  in  questa  obbiezione:  tanto  pili  che 
una  tale  indagine  ci  gioverà  nell'ultima  questione  a 
luì  relativa,  che  ci  resta  da  trattare.  L'unico  dato 
che  abbiamo  per  giudicare  presso  a  poco  della  sua 
età  proviene  dalla  legazione  legionaria  che  sosteneva 
al  tempo  dell'assedio  di  Bisanzio  incominciato  sulla 
fine  del  946.  Si  conosce  che  ai  primi  tempi  dopo  l'i- 
stituzione fattane  da  Augusto  bastava  essere  di  già 
senatore  per  ottenerla,  ma  che  col  progredirà  del- 
l' impero  non  fu  più  data  che  dopo  la  pretura.  E  si 
conosce  pure  che  perdevasi,  come  ogni  altro  uffi- 
cio, coll'essere  promoss^o  al  consolato:  per  cui  noi 
durava  ordinariamente  pili  di  due  o  tre  anni.  No- 
tissimo è  poi  che  in  seguito  della  legge  annale  del 
medesimo  Augusto,  a  meno  che  non  intervenisse  una 
rarissima  dispensa  del  principe,  non  si  diveniva  pre- 
tore se  non  che  a  ventinove  anni  compiti,  né  con  - 
sole  se    non    dopo  un  triennio.  Anche   Mario  ebbe 


27 

prima  regolarmente  la  pretm-a:  non  però  effettiva  , 
ma  codicillate,  datagli  per  quanto  pare  ad  oggetto 
che  potesse  assumere  la  cura  della  via  latina,  che 
era  una  carica  anch'essa  pretoria.  Nulla  dunque  im- 
pedisce di  poter  stabilire  ,  che  possa  essere  stato 
ascritto  fra  i  pretorii  da  Commodo  nel  945,  e  che 
nel  susseguente  946  possa  aver  ricevuta  la  legazione 
da  Pertinace, quando  aveva  già  finito  il  suo  trentesimo 
anno  di  età.  Così  sarebbe  stato  prefetto  di  54  nel 
970,  nuovamente  console  di  60  nel  976,  e  ne  avreb- 
be contato  72  quando  Alessandro  fu  ucciso  nel  marzo 
dal  988.  Sebbene  ne  restasse  favorito  il  mio  assun- 
to, io  provo  tuttavia  qualche  ripugnanza  nell'  am- 
mettere col  Morcelli,  che  Gordiano  affricano,  da  me 
reputato  di  sopra  il  suo  successore,  sia  stato  inviato 
rettore  dell'Affrica  nel  983,  avendo  già  addotto  le 
difficoltà  che  incontra  il  passo  di  Capitolino  (Cord. 
e.  5)  da  lui  invocato,  e  troppo  straordinario,  anzi  i- 
naudito  del  tutto,  sembrandomi  un  proconsolato  di 
otto  anni ,  quanto  avrebbe  durato  quello  di  Gor- 
diano che  si  privò  di  vita  nel  991.  Il  più  lungo  che 
sìa  noto, e  che  si  cita  come  una  stranezza,  essendoché 
il  proconsolato  fu  annuo  di  sua  natura,  è  l'antico  di 
Giunio  Silano  protratto  ad  un  sessennio  al  finire  del- 
l' impero  di  Tiberio.  Da  tutto  ciò  ne  consegue,  che 
quand'anche  si  togliessero  due  o  Ire  anni  a  Gor- 
diano, resterebbe  sempre  vero  che  Mario  non  sa- 
rebbe stato  il  suo  antecessore,  se  non  che  a  set- 
tant'anni  all'  incirca:  età  non  disconveniente  ad  un 
proconsole,  e  che  sarebbe  sempre  ampiamente  difesa 
dall'esempio  dello  stesso  Gordiano,  che  per  comune 
consenso  morì  ottuagenario  in  quella  provincia  dopo 
un  principato  che  non  giunse  a  due  mesi'. 


28 
La  questione  che  ho  accennata  verte  su  questo, 
se  il  Mai-io  ,  di  cui  si  ò  ragionato  finora,  sia  quel 
inedesiino  che  scrisse  le  vite  di  molli  imperatori. 
Il  Vossio,  quando  trattò  del  secondo  nella  sua  opera 
De  hisloricis  latiniSi  mostrò  di  non  essergli  nò  meno 
passato  per  mente.  Chi  primo  portò  l'opinione  del- 
l' identità  dello  storico  e  del  prefetto  di  Roma  è 
stato  il  Valesio  nelle  note  al  L.  XXVIII.  4.  14  di 
Ammiano  Marcellino,  sulla  quale  il  Noris  nell'epi- 
stola consolare  ,  e  il  Tillemont  (  art.  XXVI  sopra 
Alesssndro)  sospesero  di  pronunziare  il  loro  giudi- 
zio. I  moderni  hanno  generalmente  inclinato  a  fa- 
vorirla: ma  ninno,  che  sappia,  l'ha  presa  partico- 
larmente in  esame.  Tutti  convengono  che  le  sue  vite 
cominciavano  da  Traiano,  e  finivano  con  Alessan- 
dro Severo.  Né  può  dubitarsi  che  questa  sia  stata 
l'ultima»  niun'altra  ricordandosene  di  seguito:  tal- 
ché se  viene  anche  citato  da  chi  tenne  discorsa  de' 
principi  posteriori,  come  sarebbe  Vopisco  (in  Probo 
e  2,  e  in  Fi  rmo  e-  1),  non  lo  fa  che  per  annove- 
rarlo fra  gii  storici  trapassati.  Degno  però  di  spe- 
ciale attenzione  è  il  silenzio  di  Capitolino,  il  quale 
dopo  essersi  a  lui  riportato  più  volte  nelle  sue  vite 
di  Antonino  Pio  (e.  11),  di  Pertinace  (  e.  2),  e  di 
Albino  (e  3,  e.  9,  e  10),  non  ne  ta  più  ricordo  nelle 
successive  di  Massimino,  dei  Gordiani,  di  Balbino  e 
di  Pupieno:  segno  non  equivoco  che  quella  sua  scorta 
gli  era  poscia  mancata.  Intanto  è  notabile  che  fra 
i  moltiplici  scrittori  ,  i  quali  hanno  parlato  di  lui, 
giacché  ai  soprannominati  si  hanno  da  aggiungere 
Lampridio,  Spartiano,  Volcatio,  Ammiano  Marcel- 
lino e  lo  scoliaste  di  Giovenale  (Sat.  IV,  v-    53), 


29 

ninno  ci  abbia  dato  alcun  lume  sulla  sua  persona  e 
sull'età  precisa,  in  cui  visse.  Io  non  ho  potuto  tro- 
varne se  non  che  un  leggiero  cenno  in  Lampridio 
(Coni.  e.  13),  ove  ci  dice  :  Versus  in  Commodum 
multi  facti  simty  de  quibus  etiam  in  opere  suo  Ma- 
riiis  Maximus  gloriatur.  11  Casaubono,  sentenziando 
arbitrariamente  che  Mario  appartenne  a  tempi  più 
bassi,  appose  a  questo  luogo  la  chiosa  seguente:  Nun 
quod  illos  vei'sus  fecisset,  ne  erres,  iunior  enim  Ma- 
rius  Maximus  fuit,  sed  quod  diligenler  coUegissef.  Ma 
con  buona  pace  di  un  critico  così  solenne  ,  tutti 
comprendono  che  alcuno  possa  gloriarsi  dei  versi 
propri,  mentre  assai  pochi  sapranno  vedere  qual  glo- 
ria si  acquisti  col  ricopiare  gli  altrui.  Fermo  adun- 
que che  lo  storico  qui  si  vanta  di  versi  suoi,  io  os- 
serverò che  da  questo  passo  si  schiarisce  non  poco 
la  nostra  questione.  Abbiamo  già  veduto  che  al  prin- 
cipio del  regno  di  Settimio  il  prefetto  doveva  nu- 
merare circa  trent'anni,  e  che  quindi  condusse  sotto 
Commodo  la  sua  più  fresca  gioventù  ,  vale  a  dire 
l'età  più  propria  per  dare  opera  alla  poesia.  Arrogo 
che  non  gli  mancò  ne  meno  1'  occasione  di  appli- 
carla alle  satire  contro  quell'  imperatore  ,  avendo 
passata  in  Roma  l'ultima  metà  dell'  impero  di  lui, 
come  consta  dalla  natura  degli  uffici  che  vi  occupò. 
Di  più  se  fu  uno  dei  compagni  di  Settimio,  ed  anzi 
uno  dei  suoi  generali  nella  guerra  contro  Albino,  si 
spiegherà  facilmente  come  potesse  esser  conscio  dei 
segreti  pensieri  del  primo  riguardo  al  secondo,  quale 
lo  storico  si  manifesta  (Capit.  Alb.c.  3)  quando  ri- 
feriva che  queir  imperatore  da  prima  aveva  avuto 
nell'uniitio,  se  fosse  venuto  a  mancare,  di  lasciare 


30 

l'altro  suo  successore  nel  trono.  Infine  quantunque 
non  si  voglia  procrastinare  il  suo  proconsolato  del- 
l'Affrica fin  dopo  la  morte  del  primo  Goidiano,  si 
dimostrerà  almeno  da  esso,  che  giunse  ben  avanti 
neir  impero  di  Alessandro;  e  si  è  anche  notato  che 
quando  questi  fu  ucciso  nel  988  ,  Mario  forse  non 
oltrepassava  i  settantadue  anni.  (]osa  vi  è  dunque 
di  strano,  che  gli  bastasse  tanto  la  vita  per  compiere 
la  sua  opera  ,  conducendo  a  termine  la  storia  di 
queir  augusto?  Per  lo  che  oltre  la  somiglianza  dei 
nomi  risultando  eziandio  dal  fin  qui  detto  un'esatta 
corrispondenza  fra  l'età  dello  storico,  e  quella  del 
prefetto,  ne  resterà  grandemente  avvaloralo  il  sen- 
timento del  Valesio,  che  riconobbe  in  essi  una  stessa 
persona. 

Una  qualche  conferma  di  ciò  potrebbe  anche  ri- 
trarsi dal  non  conoscersi  posteriormente  alcun  altro 
coi  medesimi  nomi,  ne  mono  nella  sua  casa-  Quelli 
che  porta  in  un  marmo  di  Bonna  (  Lersch  Oentr. 
mus.  Un.  16)  Q.  Venidio  Rufo  Mario  Massimo 
Calviniano  ,  il  quale  fu  poscia  legato  della  Fenicia 
nel  sesto  anno  di  Settimio  Severo,  non  furono  evi- 
dentetnente  i  suoi  propri,  ma  pel  luogo  in  cui  si 
scorgono  collocati  si  confessano  da  loro  stessi  per 
nomi  di  parentela,  siccome  si  ratifica  dal  confronto 
con  altre  sue  lapidi  presso  l'Orelli  905,  e  presso  il 
Donati  p.  464-  4.  Non  sarebbe  infatti  difficile,  né 
alieno  dagli  usi  di  questi  secoli  in  cui  le  persone 
pili  non  si  distinguevano  colla  diversità  del  preno- 
me, ma  con  quella  del  cognome,  non  sarebbe,  dico, 
diffìcile  che  il  padre  di  L.Mario  Perpetuo  procuratore 
della  Lionese,  di  cui  si  è  favellato  di  sopra,  si  fosse 


31 

chiamato  L.  Mario  Massimo,  da  una  figlia  del  quale 
fosse  nato  Venidio:  mentre  da  questo  suo  nome  pa- 
terno il  nostro  Mario  avrebbe  ereditata  l'appellazione 
di  Massimo,  Ma  propriamente  della  sua  famiglia  non 
conosco  alcun  altro,  fuori  che  il  memorato  in  que- 
sta iscrizione  di  Carlsburg  riportata  con  non  poco 
dissenso  fra  loro  dall'Hoenhauseu  p.  137,  dal  Sei- 
vert  p.  57,  e  dal  Neigebaur  p.  128  n.  18  ep.l55 
n.  232.  Dal  paragone  delle  loro  varianti  se  ne  re- 
stituisce in  parecchi  luoghi  la  retta  lezione,  senza 
toglierne  però  tutti  gli  errori:  poiché  nella  settima 
riga  si  avrà  per  esempio  da  riporre  VRBISALv/en- 
sium  ET,  in  cambio  di  VRBIS  ,  IM  :  e  così  pure 
nella  decima  o  QVAES,  o  PRAET,  invece  di  OAES: 
restando  poi  sempre  da  emendare  i  titoli  delle  le- 
gioni: il  che  non  può  farsi  senza  ricorrere  a  degli 
arbitrii. 

L  .  MARIO  .  PER 

PETVO  .  CoS  .  DAC 

iTl  .  LEG  .  AVG    PRO 

PR  .  PROVINCIAE 
«       MOESIAE  .  SVPEft 

CVRAT  .  RERVM  .  PV 

BUCAR  .  VRBIS  .   IM 

TVSCVLANOR  .  PRE 

SIDI  .  PROV  .  ARABIA  E 
10       LEG  .  LEG  .   XIV  .  FIOAES 

CANDID  .AVO  .  TRIB 

LATICE.  LEG  .  HlfXVP  .  PRAES 

iVSTISS  _M  .  VLP  .  CATVS 

7.LEG  .   Ili  .  ITAL  .  ANTONINI 
43  ANAE  . 

Le  tre  Dacie  sono  conosciute  fino  dai  tempi  di 
M.  Aurelio,  e  un  altro  COS  .  DAC  •  HI  sotto  Se- 


32 

vero  ci  è  stalo  dato  in  L.  Pomp.  Liberale  dal  eh. 
cav.  Aineth  (Baschreibung  etc.  Wicn  1853).  Questa 
lapide  invece  viene  circoscritta    entro    V  impero  di 
Caracalla  dal  ricordarvisi  un  solo  augusto  ,  e  dal- 
Tappellarsi  antoniniana  la  legione  III  italica.  Impe- 
rocché non  sembra  che  possa   avervi    diritto    Ela- 
gabalo  ,  por  la  ragione  che  in  tal  caso  questa  de- 
nominazione ,  come  altre  volte  ,  sarebbe  stata  poi 
cancellata.  Ora  se  l'onorato  da  Ulpio  Cato  fu  con- 
sole prima  almeno  del  970,  in  cui  fu  messo  a  morte 
Caracalla  ,  ed  anzi  alcuni  anni  più    presto  ,  atteso 
che  anche  la  Mesia  superiore  fu  provincia  consolare, 
difficilmente  potrebbe  essere  un  figlio  di  chi  fu  con- 
sole circa  il  951,  ma  si  avrà  piuttosto  da  reputare 
un  suo  fratello  :   nella  qual  credenza  si  troverebbe 
anche  il  motivo,  per  cui  quest'altro,  a  fine  di  di- 
stinguersi da  lui,  avesse  prescelto  di  chiamarsi  più 
comunemente  Massimo.  Del  resto  ponendo  mente  alla 
rarità  dal  cognome  Perpetuo,  si  potrà  tutto  al   più 
concepire  un  sospetto,  che  da  uno  di  questi  due  fra- 
telli sia  nato  il  Perpetuo  collega  di  Pomponio  Cor- 
neliano  nel  consolato  ordinario  del  990,  del  quale 
s'  ignora  il  gentilizio.  Per  un  pezzo    nei   fasti  si  è 
continuato  a  seguire  il  Panvinio,  che  gli  aveva  at- 
tribuita una  mal  copiata  iscrizione  ripetuta  dal  Gru- 
tero  (p.  474.  3),  e  dedicata  P  .  TITIO  .  PERPE- 
TVO  .V.C.  CONSVLARI  .    TVSCIAE  .  ET    . 
VMBRIAE.  Ma  il  eh.  cav.  De  Rossi  nella  sua  di- 
samina delle  prime  raccolte    di    antiche    iscrizioni 
p.    164  n.  168,  inserita  nel   t.   CXXVIII  di  questo 
giornale,  dopo  aver  corretto  BETITIO  nel  suo  nome, 
ha  rimandalo  decisamente  costui  quasi  un  secolo  e 


33 

Tijezzo  più  tardi  ,  per  l' invincibile  ragione  che  la 
Tuscia  e  l'Umbria,  rette  da  prima  da  un  correttore, 
non  cominciarono  ad  avere  il  consolare  se  non  che 
verso  il  370  dell'era  nostra,  o  sia  il  1123  di  Roma. 

AGGIUNTA 

L' iscrizione  ardeatina,  che  forma  il  soggetto  del 
mio  discorso,  essendo  stata  traspostata  a  Roma  tro- 
vasi in  possesso  del  sig.  cav.  Giambattista  Guidi , 
che  la  conserva  nel  magazzino  di  cose  antiche  per 
la  strada  di  porta  s.  Sebastiano,  presso  la  chiesa 
di  s.  Sisto.  11  sig.  Carlo  Lodovico  Visconti,  degno 
erede  di  un  cognome  così  illustre  nei  fasti  dell'ar- 
cheologia, che  ha  potuto  esaminarla  a  suo  bell'agio, 
informato  che  io  aveva  in  animo  di  ragionarne,  ha 
avuto  la  cortesia  di  farmi  parte  spontaneamente  della 
fedeHssima  copia  che  con  diligente  studio  è  riuscito 
ad  estrarre  da  questo  marmo  parte  corroso,  parte 
malconcio  dal  ferro.  Ma  la  sua  comunicazione  non 
mi  è  pervenuta  se  non  dopo  avere  spedito  alla  stampa 
il  mio  articolo:  per  cui  ho  preso  il  consiglio  di  sog- 
giungergli la  presente  postilla,  sì  per  rendere  a  lui 
solenni  grazie  della  sua  gentilezza  ,  come  per  non 
defraudare  gli  eruditi  di  una  più  completa  lezione 
di  questa  lapide. 


G.A.T.CXLIII. 


34 

L  .  MARIO  .  MAXIMO 
PERPETVO  .  AVRELiANO 
C.V.PRAEF.VRUI  .  PRO.COS 
PROVlNCIAEASIAE.lT.PIUì 
COS  PROV.AFRlCAE.COS.lT 
FETIALI.PATRON.ET.CVRA 
TORI  .  COLONIAE 

ARDEATIVM 
DIGNISSIMO 

i    I    I    |B|    I    I    I    I    I    I 

Due  novità  qui  s'incontrano  facendone  confronto 
colla  descrizione  del  Matranga.  Sta  la  prima  nel- 
l'aggiunta alla  sesta  riga  del  FETIALI,  notato  altresì 
nel  cippo  superiormente  riferito  al  n.2.  Questa  giunta 
è  per  me  importantissima,  perchè  all'identità  di  tutti 
i  nomi  da  me  opposta  accrescendosi  ora  quella  pure 
del  sacerdozio,  si  viene  a  darmi  del  tutto  vinta  la 
causa  contro  il  Corsini,  che,  come  ho  esposto,  pre- 
tendeva di  dividere  questo  Mario  Massimo  in  due 
distinte  persone.  L'altra  è  la  lacuna  avvertita  dopo 
COLONIAE  ,  non  capace  di  piià  di  tre  o  quattro 
lettere,  niuna  delle  quali  è  al  presente  riconoscibi- 
le. Dal  luogo,  in  cui  è  posta,  giustamente  arguisce 
il  sig.  Visconti,  che  doveva  contenere  un  cognome 
di  quella  colonia:  per  cui  si  potrebbe  supplirvi  IVLme, 
supponendo  che  Ardea,  oltre  1'  antichissima  dedu- 
zione nell'anno  varroniano  312,  sull'esempio  di  molte 
altre  città  delle  vicinanze  di  Roma  fosse  coloniz- 
zatì^  dì  nuovo  dai  soldati  dei  triumviri  dopo  la  morte 


35 

di  Cesare.  Ma  si  potrebbe  ugualmente  prediligere 
da  altri  di  riporvi  AELme  in  memoria  di  Adriano, 
ricordando  il  detto  del  Liber  colonianim  (pag.231, 
edizione  del  Lachmann):  Ardea  oppidum.  Imperalor 
Hadrianus  censuit. 

B.  Borghesi. 


36 


Bibliografia  della  Dalmazia  e  del  Montenegro.  Sag- 
gio di  Giuseppe  Valentinelli  ,  membro  della  so- 
cietà slavo-meridionale  ecc.  Zagabria  1855,  voi. 
1.  in  8  di  facce  339. 

wuesta  bibliografia  è  stata  messa  a  stampa  per 
cura  della  società  slavo-meridionale  ,  la  quale  ha 
per  tal  modo  inteso  di  giovare  a  quegli  studi  e  a 
quelle  ricerche  ,  che  sono  principalmente  lo  scopo 
della  sua  riunione.  Il  sig.  G.  Valentinelli  aveva  già 
nell'anno  1842  mandato  in  luce  lo  Specimen  de  Dal- 
malia  et  agro  labeatium  ,  che  fu  come  il  primo 
tentativo  di  questo  lavoro  ,  che  ha  poi  accre- 
sciuto e  ordinato  come  oggi  sì  vede.  Ma  i  libri  di 
questa  specie,  che  danno  un  aiuto  non  mediocre  ai 
cultori  delle  lettere,  sono  in  verità  quasi  senza  li- 
mite per  la  propria  loro  indole.  Fatica  e  diligenza 
non  bastano.  Lodiamo  quindi  l'A.  d'aver  dato  al  suo 
volume  il  modesto  titolo  di  saggio  :  e  lo  lodiamo 
similmente  d'aver  confessato  ingenuamente,  che  gli 
è  stato  giuoco  forza  di  lasciare  indietro  una  parie  im- 
portante e  preziosa  della  sua  bibliografìa,  per  non  avere 
nessuna  conoscenza  della  lingua  illirica:  invocando 
per  ciò  l'opera  d'alcuno  fra  i  letterati  di  quella  pa- 
tria, che  voglia  recar  sopra  di  se  la  parte  di  lavo- 
ro, che  rimane  come  intatta. 

Intanto  un  tei  tratto  dì  via  si  è  percorso.  E  se 
il  libro  avrà  le  nuove  cure,  che  l'A.  stesso  reclama, 
altre  forse  ne  saprà  aggiungere  anch'egli.  Perchè  ci 
è  sembrato,  all'  infuori  ancora  delle  cose  scritte  in 


37 

illirico,  esservi  qui  e  colà  qualche  opera  da  dovere 
essere  aggiunta.  Vedemmo,  per  darne  un  esempio, 
esser  ricordato  a  carte  89  Io  scritto  di  Sebastiano 
Dolci,  col  quale  difese  l'opinione  sua  intorno  all'an- 
tichità  e  alla  diffusione  della  lingua  illirica  contro 
le  affermazioni  contrarie  di  Girolamo  Francesco  Zan- 
netti  (Ferrariae  1754);  ma  invano  ricercammo  il  ti- 
tolo della  dissertazione  ch'esso  Dolci  aveva  nel  me- 
desimo anno  1754  fatto  stampare  in    Venezia  ap- 
punto sull'argomento  posto  in  quistione,  ed  è  la  se- 
guente: Dolci  Seb.  De   ilhjricae  linguae  vetustate  et 
amplitudine,  disserlalio.   Veneliis  1754.  ,  4.  Anche  i 
due  libri  seguenti    sembra  a  noi   che  si  sarebbero 
trovati  al  loro  luogo  in  questa  bibliografia. 

Bellosztenecz.  Gazofilacium  latino-illyricorum 
onomatum.  Zagabriae  1740.  4. 

Papenk  Gè.  De  regno  regibusque  slavorum,  et  de 
statu  civili  et  ecclesiastico  gentis  slavae.  Quinque-ec- 
clesiis  1780.  4. 

Nicoli  NI  Gio.  Giorgio.  Spalato  sostenuto  Vanno 
1657.  Venezia  1665  voi.  1.  12. 

Diario  delV armata  veneta  nelle  vicinanze  di  Le- 
sina, nel  1617.  Venezia  1618.  12. 

Della  Monaca  Andrea.  Discorso  politico  e  cri- 
stiano, nel  quale  si  toccano  le  parli  piìi  principali 
appartenenti  al  buon  governo  degli  stali,  recitato  alV 
Illma  ed  Eccma  repubblica  di  Ragusa.  Lecce  1657, 
nella  stampa  di  Pietro  Micheli.  4. 

P.   E.  VlSCONT/, 


38 


Gita  da  Roma  a  Porto  cV  Anzio 
a  Nettuno  e  ad  Aslura. 


CAPITOLO  I. 

Da  porta  S.  GrovANNi  a  porto  d'Anzio. 


E 


ra  il  dì  17  luglio  del  corrente  1856,  ed  un  omni- 
bus (1)  traeva  me  e  nove  altri  viaggianti  fuor  di  porta 
s.  Giovanni.  Il  punto  di  vista,  che  ci  colpiva,  for- 
mavano da  ogni  lato  non  solo  ubertose  praterie 
sparse  di  torri,  ma  pure  la  catena  de'monti  albani 
e  tusculani  che  azzurreggia  a  levante.  I  monumenti 
della  prossima  via  appia  schieravansi  sotto  il  guardo 
in  lunga  fila,  cominciando  dal  sepolcro  di  Cecilia 
Metella,  in  sembianza  di  città  desolata  ,  degno  al- 
bergo di  potenti  estinti.  Si  vede  piegare  la  via  me- 
desima dalla  linea  retta  verso  sinistra  in  rispetto 
de'  due  tumuli  terragni  degli  Orazi  e  Curiazi.  Le 
ruine  di  Roma  vecchia^  ossìa  della  villa  de'Quintili, 
rassembrano  ad  un  castello  diruto  de'  bassi  tempi. 
Fatti  uccidere  idue  fratelli  Quintili  Condino  e  Massimo 
r  imp.  Commodo  se  ne  impossessò ,  e  vennevi  a 
tripudiare.  A  quella  volta  dirige  gli  archi  spezzati 
e  tortuosi  un  acquedotto.  E  mentre  s'  indirizzava 
la  vista  a  rimirare  Casal  rotondo,  ossia  l'area  sparsa 
di  olivi  e  di  un  casale,  area  del  più  grande  sepol- 


(1)  F-,'ofEcio  degli  Omnibus  h  in  via  Bocca  di  Leone. 


39 

oro  lungo  l'appia  che  si  conosca,  e   Torre  selce  an- 
ch'essa sepolcro  costretto  a  sostenere  una  torre  com- 
posta nel  medio  evo  con  selci  ;  un  grido  unanime 
di:  tcco  il  vapore  -  rivolse  la  nostra  attenzione  sulla 
strada  ferrata  di  Frascati  a  guardarvi  messo  in  opera 
•I  più  stupendo  ed  utile  ritrovato  moderno.  La  lo- 
comotiva e    i  vagoni  poteano  dirsi  da  un  poeta  il 
candido  carro,   su  cui  Giove  Laziale  volava  ad  as- 
sistere all'annuale  sacrifizio  sul  prediletto  suo  monte 
Giunto  il  vapore  alla  stazione,  si  fermarono  gli  oc 
chi  sull'ampia  Aia  di  Troi,  ove  le  bionde  figlie  de' 
solchi  cadute  recise    aveano   ingombra  di  manipoli 
tutta  la  campagna  {per  usar  l'espressione  del  Monti, 
iliade  hb.  XI).  Dopoché  si  rimarcò  sull'Appia  il   Tor- 
raccio  o  Palombaro  (cosi  detto  perchè  ricetto  di  pa- 
lombelle), un  tumulo  grandissimo  sopra  basamento 
quadrangolare  di  pietra  albana,  e  sotto  un  clivo  una 
grandiosa  mole  rotomla,  e  mentre  i  seguenti  sepolcri 
avvicinando  si  andavano  alla  strada  postale  di  Al- 
bano, VOsteria  delle  Frallocchie  e'  indicò  un  divei- 
ticolo  a  destra,  pel  quale  si  vedeano  giacer  sui  campi 
Il  circo,  un  sacrario,  ed  il  teatro  apud  Bovi llas  città 
fondata  da  Latino  Silvio  (1),  la  quale  trasse  nome 
da  un  bove  che  ferito  dal  sacerdote  nel  monte  Al- 
bano,  m  vece  di  umiliare  le  dorate  corna,  rotti  i 
sacri    canapi  e  spaventati  i  ministri    fu^gì    per  la 
china   sino  alla  detta    città    trascinando  ^gl' intesti- 
ni (2).  Uopo  averia  messa  Coriolano  a  sacco,  a  ferro 

(1)  Vittore,  Origo  gentis  romanae  e.  XVII 

«rJ«  ^""•'^  ^^'-'^'^"^  ^-  ^^ffillas  intestina  veteres  esse  dixerml- 
unae  Bovtlla  oppiaum  in  Italia,  guoé  eobos  intestina  vulnere  Tra 


40 

e  a  fuoco,  risorse  come  prima  stazione  dell'  Appia,  e 
come  diporto  de'  nobili  romani  sotto  gì*  imperato- 
ri  (1). 

Gli  oliveti,  dove  poi  entrammo  ,  non  eran  per 
noi  tanto  attraenti,  come  verso  il  XIII m.  a  destra  Ta- 
spetto  delle  torri  smantellate  di  Castelluzza,  forte  nel 
1347  presidiato  da  Rinaldo  e  Giordano  Orsini  con- 
tro le  truppe  romane  condotte  dal  tribuno  Cola  di 
Rienzo,  il  quale  (secondo  si  narra  al  cap.  31  della 
contemporanea  di  lui  biografìa  )  «  una  dimane  per 
tempo  levò  '1  campo  e  andò  sopra  la  Gastelluzza , 
poco  di  lunga  da  Marino:  subito  la  prese  e  in  quello 
istante  furo  dati  per  terra  i  muri  intorno-  Già  vo- 
leva combattere  la  rocca  e  la  torre  rotonda,  dove 
si  era  ridotta  la  fanteria  :  e  per  espugnare  quella 
torre  fece  fare  due  castella  di  legname,  le  quali  si 
voltavano  sopra  rote,  avea  scale  ed  artificii  di  le- 
gname (mai  non  vedesti  sì  belli  ingegni),  apparec- 
chiava picconi  ed  altri  instrumenli.  Molte  'mbasciate 
recepèo  il  quel  loco.  Correa  di  là  un'acquicella,  in 
quell'acquicella  bagnò  due  cani,  e  disse  che  erano 
Rinaldo  e  Giordano  ,  cani  cavalieri.  Poi  guastò  la 
mola,  poi  mosse  sua  oste  e  tornò  a  Roma  [2])).  Castel 


hens  advenerit.  —  E  lo  Scoliaste  Ui  Persio  al  v.  55  della  sat.  VI — 
Bovillae  sunt  vicus  ad  undecimum  lapidem  appiae  viae:  quia  ali- 
quando  in  Albano  monte  ab  ara  fugiens  taurus  ,  iam  consecratus, 
ibi  comprehensus  est.  Inde  Bovillae  diclae. 

(1)  Tacito  Annal.  lib.  II.  e.  41.  e  lib.  XV:  e.  23.  Pei  monu- 
menti e  l'istoria  della  Via  Appia  dalla  Porta  Capena  a  Boville 
consultisi  l'opera  del  eh.  commendator  Luigi  Canina.  T.  2.  in  fol. 
Roma,Tìp.  di  G.  A.  Ber  tinelli   1853. 

(2)  fila  di  Cola  di  Rienzo  scritta  da  incerto  autore  nel  se- 
colo decìmoquarlOy  ridotta  a  migliore  lezione  ed  illustrata  con  note 
ed  osservazioni  storico  critiche  da  Zefrino  Re.  Forlì  presso  Bor- 
dandini    i828. 


41 

Savellotva  gli  arbusti  e  l'ellera sopra  un  colle  a  sinistra 
mostrava  il  suo  lecinto  di  peperino,  e  le  sue  case 
deserte  per  la  mancanza  d'acqua  fin  dal   1640. 

Si  succedettero  la  Cecchina  colla  sua  torre  al 
17  m:,  al  18,  passalo  un  laghetto,  il  casale  Monta- 
guano  donato  da  Clemente  VII  al  suo  fautore  Gior- 
dano Orsini,  e  l'osteria  Fontana  di  Papa  così  chia- 
mata dalla  fontana  costruitavi  da  Innocenzo  XII.  Qui 
si  fece  una  fermata:  ma  dopo  pochi  minuti  si  cor- 
reva dentro  la  Macchiarella  di  Civita.  E  questa  tanto 
diradata,  che  dentro  essa  seguita  a  vedersi  Albano, 
il  ponte  delV Ariccia  simile  a  vasto  palazzo  che  due 
colli  unisce,  e  Civita  Lavina  ossìa  Civitas  Lamivinat 
ove  un  drago  si  venerava  spavento  delle  vergini  (1). 
Se  fosse  vero,  come  è  incerto,  che  a  Monte  Giove 
stava  la  metropoli  de'volsci  Corioli,  bene  per  espu- 
gnarla, saccheggiarla  ed  arderla  fu  necessario  il  va- 
lore di  Caio  Marcio  ,  essendo  in  luogo  sublime  e 
forte.  La  denominazione  però  di  Monte  Giove  induce 
a  credere  che  non  sito  di  città  fosse,  bensì  di  tem- 
pio secondario  o  d'ara  sacra  a  Giove  in  quella  punta 
sporgente  del  monte  laziale. 

Verso  il  XXV  m.  si  allunga  Valle  lata  ,  nome 
proprio  a  significarne  l'estensione.  Sul  morbido  tap- 
peto della  sua  tenuta  Carroccelo  a  giacere  invita  il 
casale,  cui  la  magnificenza  del  principe  M.  Antonia 
Borghese  ai  21  aprile  1698  versò  in  due  apparta- 
menti ,  con  al  primo  piano  fuga  di  camere  parate 
a  damaschi  cremisi  trinati  d'oro,  ad  arazzi  di  Fian- 


(1)  Eliano,  [storia  deffU  animali  Hb  X  e.  i6:  e  Properzio  lib.  ly 
eleg.  8. 


42 

(Ira  istoriati,  e  con  tre  sale  al  piano  superiore  pa- 
rate di  bianco  con  baldacchino  e  trono  ricamati  di 
oro.  Mirabile  fu  la  ricchezza  e  sontuosità  del  ser- 
vizio o  delle  tavole  consistente  in  più  credenze  d' 
argenti,  ed  alcuni  piatii  grandi  indorati^  gran  bacili 
rilevati  a  cisello,  molta  piattaria  di  cristallo  di  rocca, 
altra  di  porcellana  con  diversi  piatti  contornati  di'fi- 
lagranate,  o  d'oro,  o  d'argento,  ed  alcuni  con  inca- 
stri di  torchino  ed  altri  di  corallo,  ed  in  molti  trionfi 
di  statue  d'argento  massiccio,  che  in  mano  tenevano 
vari  fiori  e  frutti,  o  di  piegatura,  o  di  zuccaro,  o  di 
seta  di  fattura  singolare,  che  nel  ritorno  del  papa 
furono  mutati  con  diversa  apparenza ,  non  inferiore 
alla  meravigliosa  maestria  delle  prime.  Intorno  all' 
improvvisato  palazzo  un  anfiteatro  girava  con  quat- 
tro alloggiamenti  de'  cavalleggeri  ,  de'  svizzeri , 
de'  servitori ,  de'cortigiani  ,  e  de'  vetturini  ed  al- 
tra gente  avventizia  ,  pei  quali  tutti  fu  corte  ban- 
dita. In  fondo  all'anfiteatro  innanzi  a  cinque  monti 
di  fieno  si  apriano  le  mangiatoie  per  600  cavalli,  che 
per  l'abbondanza  del  nutrimento  e  la  numerosa  com- 
pagnia lietamente  scalpicciavano,  annitriavano.  Ora  a 
guardar  la  nudità  di  queste  campagne  li  si  fa  pa- 
lese come  il  papa  rimanesse  abbagliato  in  credere 
permanente  ciò  che  era  provvisorio:  poiché  in  una 
dispensa  matrimoniale  per  donna  Caterina  della 
Cerda,  sorella  del  duca  di  Medina  viceré  di  Napoli, 
vi  appose  la  data  -  In  villa  burghesiana  Curroceti  (1). 


(1)  V.  La  relazione  di  un  anonimo  del  viaggio  di  N.  S.  PP. 
Innocenzo  XII  fatto  a  Nettuno  per  ristaurare  il  porto  d'Anzio  il 
di  21  aprile  1698,  esistente  in  un  codice  della  brblioteca  chigiana 
e  riportata  dal  cav.  Giov.  Battista  Rasi  al  num.  V  del  sommario  at 


43 

Lungo  la  via  ho  osservato  frequenti  strisce  di 
grossi  e  lunghi  rettili  chiamati  dai  contadini  regine. 
Il  gran  numero  di  essi,  che  vanno  ivi  brulicando,  ha 
indotti  gli  antiquari  a  credere,  esser  questo  campo 
il  Solonium  nel  territorio  lanuvino,  ove  racconta  Ci- 
cerone (de  divinatione  lib-  II.  e.  31),  ad  focum  an- 
gues  nundinari  (1)  solent. 

Penetrati  nella  macchia,  si  crederebbe  di  trovarvi 
refrigerio  al  caldo  meridiano:  ma  troncandosi  ogni 
otto  o  nove  anni  e  sterpandosi  continuamente,  niun 
rezzo  può  spandere  sulla  via  ,  la  quale  rimane  in 
preda  della  sabbia  fìtta  e  polverosa.  Ottima  cosa  sa- 
rebbe di  non  permettere  il  taglio  delle  due  ultime 
file:  si  gioverebbero  così  dell'ombra  i  viandanti,  e 
la  rarezza  e  taglio  delie  piante  rimanenti  li  segui- 
rebbe a  rendere  sicuri  dagli  assassini.  Per  quanto  ò 
lunga  la  selva  -  Sol  la  cicala  con  noioso  metro  -  Fra 
i  densi  rami  del  fronzuto  stelo  -  Le  valli,  e  i  monti 
assorda,  e  '1  mare  ,  e '1  cielo.  -  Ho  detto  anche  il 
marcy  poiché  dove  rareggian  gli  alberi  si  affacciava 
a  noi  di  tanto  in  tanto  la  liquida  superficie  simi- 
gliante  ad  azzurra  linea  di  montagne.  Amenissimo 
ed  incantevole  fu  l'apparire  del  Tirreno  (2)  in  tutta 
la  sua  pienezza  appiè  di  Porto  d'  Anzo  ,  ove  bat- 
teva con  violenza  i  flutti ,  mentre  il  sole  di  luglio 


suo  discorso  istotieo  sul   porto  e    Urritorio    di    Anzio  —  Pesaro 
1832-33   dalla  tipografia  Nobili. 

(1)  Quanto  è  laconico  quel  nundinari  (  Esprime  il  concorso 
de'serpentì  ai  casolari,  come  di  gente  al  mercato,  quanto  a  dire  in 
folla. 

(2)  Esser  questo  il  Tirreno  sì  prova  colia  testimonianza  di  Vir- 
gilio, Aen.  lib.  l,ch€  descrivendo  la  navigazione  ^i  Enea  dalla  Si- 


44 

verso  le  11  pomeridiane  mettea  nella  massima  di- 
scordia i  candidi  casamenti  del  paese  col  cilestro 
colore  marino. 

CAPITOLO  II. 

PORTO  d'anzio  e  contorni. 

Bramoso  di  rimirare  il  porto  che  tanta  fama 
procacciò  a  questa  spiaggia,  m'  indirizzai  tosto  alla 
lingua  del  paese  che  dentro  mare  avanza  la  darse- 
na, il  fortino  e  la  lanterna.  Pervenuto  all'estremità, 
mi  posi  ad  osservare  il  porto  costrutto  dal  ponte- 
fice Innocenzo  XII,  Senza  discorrere  il  fine,  Alessan- 
dro Zinaghi  lo  serrò  coi  moli  e  gli  rivolse  la  bocca 
a  levante  in  un  largo  seno,  dove  la  corrente  a  suo 
bell'agio  potendo  aggirarsi  dall'est  all'ovest ,  solito 
moto  del  Mediterraneo  (1),  non  vi  fermava  molto  le 
arene  che  riversano  da  tutto  il  littorale  i  fiumi,  i 
torrenti  e  le  ripe.  Appena  formato  questo  porto  che 
cosa  avvenne?  Il  mare  abbattendosi  al  cantone  che  fa 


cilia  al  capo  Circeo  sino  al  Tevere  fa  dire  a  Giunone:  Gens  inimica 
mihi  tyrrhenutn  navigai  aequor.  Livio  lib.  V  porge  la  ragione  di 
t«l  nome:  Tuscorum  ante  romanum  imperium  late  terra  marique 
opes  paluere  .  .  ■  Mari  supero  inferoque,  quibus  Italia  insulae  modo 
cingilur,  quantum  potuerinl, nomina  sunl  argumento:  quod  alterum 
tuscum  communi  vocabulo  gentis  ,  alterum  adriaticum  mare  ab 
Adria  tuscorum  colonia  vocavere  Italiae  gentes  :  —  e  Tolomeo  : 
Italia  termina  a  mezzogiorno  colla  spiaggia  del  mar  Ligustico  e 
Tirreno  —  V.  pure  Plinio  lib.  III.  cap.  3.  Strabone,  e  Polibio 
lib.  II. 

(1)  Mar escha], Relazione  sul  porto  d'Anzio: riportata  nel  detto 
sommario  del  Rasi:  Luigo  le  nostre  coste  del  Mediterraneo  vi  è 
«Ita  corrente  regolata  dall'est  alCovest. 


45 

ìi  molo  orientale  vi  depositava  un  monte  di  arene, 
allungando  così  sempre  la  riva  :  indi  nel  trapasso 
che  faceva  all'  imboccatura,  traeva  seco  altri  muc- 
chi, i  quali,  essendo  il  porto  chiuso,  doveano  colà 
per  necessaria  conseguenza  stagnare.  Nulla  valse  il 
votarlo  con  macchine,  l'allungare  la  punta  orien- 
tale (1),  il  piantarvi  un  altro  molettotchè  anzi  fu  giuoco 
forza  distruggerlo.  Perciò  dagl'intendenti  si  ritenne 
e  tuttora  si  ritiene  per  la  sua  posizione,  chiusura, 
e  riflusso  delle  ondate,  non  già  porto,  ma  vero  ser- 
bafoio  di  arenCf  per  le  quali  è  giunto  a  pescar  soli 
dieci  piedi  d'acqua.  E  che  cosa  è  questo  miserabile  re- 
cinto a  paragone  del  porto  cui  s'  appoggia  ,  e  che 
Nerone  faceva  verso  il  60  dell'era  volgare  ? 

Scendesi  dietro  la  lanterna  in  una  vallata  anch' 
essa  già  parte  del  porto,  ricolma  con  un  monte  di 
arene  pescate  nel  porto  nuovo.  Tranne  questa  parte, 
il  porto  ha  sino  un  fondo  di  trentaquattro  piedi:  una 
bocca  larga  centonovanta  braccia:  uno  spazio  doppio 
del  porto  nuovo  tuttora  sgombro,  dove  l'ancora  o 
pili  ancore  porrebbero  tosto  al  sicuro  anche  nello 
stato  presente  qualche  legno  (non  escluse  le  navi  da 
guerra)  che  si  trovasse  ivi  soqquadrato  ed  in  peri- 
coloj  giacché  i  frangenti  del  mare  sui  moli  diruti  ne 
scoprono  con  sicurezza  la  bocca  franca  (2). 


(1)  Mareschal,  ivi  — •  Il  nuovo  molo  fu  protratto  da  trenta  canne 
colf  idea  di  guadagnale  un  fondo  maggiore.  Ma  il  rimedio  non 
avendo  avuto  altro  effetto  che  di  portare  il  molo  un  poco  più  lon^ 
tano,  si  formarono  li  medesimi  depositi  di  arena  tanto  n«l  porto, 
quanto  nella  sua  imboccatura. 

(2)  Rasi  loc.  cit. 


46 

Ora  veniamone  alla  descrizione  parziale.  L'in- 
cognito architetto  servendosi  dell'acro/en'o,  ossia  pro- 
montorio, v'  innestò  il  braccio  del  molo  destro  col- 
Tavvertenza  di  pria  curvarlo,  e  poi  prolungarlo  quasi 
in  linea  retta  contro  i  venti  di  traversia  ostro  e  li- 
beccio. Allato,  e  non  in  mezzo  alla  bocca,  le  covine 
sott'  acqua  mostrarono  a  Nibby  ed  a  Rasi  I'  imba- 
samento dell'  isola.  Alzava  questa  la  sua  torre  a 
guisa  de'palchi  eretti  nel  campo  Marzio  pel  funere 
de'principi  imperiali,  cioè  molto  adorni,  ad  ingressi 
aperti,  ma  restringentisi  quanto  più  si  avvicinavano 
al  minimo,  dove  il  faro  nottetempo  la  sua  face  ad- 
ditava ai  naviganti,  e  rischiarava  l'interno  del  porto. 
Il  braccio  poi  del  molo  sinistro,  benché  lo  attac- 
casse alla  terra  fin  presso  la  Caserma,  Io  protrasse 
però  meno,  gli  fece  descrivere  una  curva  a  greco, 
a  levante ,  e  ad  ostro  libeccio.  Al  Mareschal  rac- 
contò un  vecchio  marinaio,  che  si  vedea  questo  brac- 
cio munito  di  quattro  bocchette  turate  nella  costru- 
zion  del  porto  nuovo,  le  quali  eran  trafori  arcuati 
a  fior  d'acqua  schiusi  ad  impedire  il  ristagno  delle 
arene.  All'angolo  occidentale  si  scopre  un  avanzo 
rivestito  di  opera  reticolata,  ma  laterizia  nelle  fa- 
sce, tutto  coperto  d'astraco:  avanzo  che  ci  dà  l'idea 
della  cortina  mancante.  Una  commissione  di  anti- 
quari, preseduta  dall'  avv.  Carlo  Fea,  in  bella  gior- 
nattty  essendo  il  mare  quieto  e  'Z  fondo  chiaro,  os- 
servò che  una  scogliera  unita  e  slabile  fermava  il 
fondo  del  porto  e  la  base  de'moli,  anzi  sorprese  una 
scafacela  che,  sotto  protesto  di  caricar  gli  scogli  ro- 
tolati dal  mare,  vandalicamente  spezzava  la  scoglie- 
ra. Neil'  interno  un  muro  retto  compouea  sul  brac- 


47 

ciò  sinistro  una  divisione,  che  Cailo  Fontana  qua- 
lificò per  darsena  unitamente  ad  altro  muro  circo- 
lante verso  il  molo  dritto. 

Per  queste  ed  altre  ragioni  progettò  il  eh.  Rasi 
al  §.  130,  di  renderlo  comunemente  praticabile  a 
belVagio  senza  clamorosi  artifizi  -  se  si  riportasse  ad 
una  giusta  elevazione t  e  si  guarnisse  con  anelli  di 
ferroy  onde  legarvi  le  gomene,  il  tratto  di  molo  dal 
castello  fino  alla  bocca,  e  un  buon  tratto  delV  altro 
molo  dalla  bocca  al  promontorio,  affine  di  rendere  co- 
spicua ai  naviganti  ed  accessibile  la  bocca;-  progettò  - 
senza  scossa  del  governo  di  usare  del  non  lieve  nw- 
mero  de^galeotti  che  ivi  ritrovansi  .  .  La  pozzolana, 
la  pietra  calcarea  ,  e  i  sassi  si  hanno  in  poca  di- 
stanza. -  L'unica  opposizione  ragionata  fatta  al  ri- 
pristinamento  del  porto  consiste  in  un  documento 
da  me  letto  in  originale  a  Roma  all'officio  del  pro- 
to-notaio Damiani,  via  della  Pedacchia  n.  24..  Di- 
chiarano con  esso  22  padroni  di  paranzelle  da  pe- 
sca, 19  padroni  di  legni  mercantili,  e  21  capitani  di 
bastimenti  mercantili  -  che  quante  volte  si  ricostruisse 
il  porto  neroniano,  i  bastimenti  di  qualunque  porta- 
ta ..  ,  nei  tempi  di  mare  agitato  .  .  .  preferireb- 
bero sempre  il  porto  innocenziano,  se  fosse  profondo. 
E  ciò  perchè  in  continuazione  del  capo  d'  Anzio  - 
si  avanza  in  mare  sotC  acqua  una  platea  di  fortiere 
sino  alla  distanza  di  oltre  un  miglio:  nelle  mareg- 
giate, quantunque  non  fortissime,  le  onde  provenienti 
dalValto  mare  con  i  venti  di  fuori  incontrando  que- 
sta specie  di  scalinone^  s' innalzano  istantaneamente 
in  guisa  da  perdere  il  loro  equilibrio  e  cadere  fran- 
gendosi .  .  .  le  dette  onde  così  sconvolte  proseguendo 


48 
il  loro  viaggio  verno  il  Udo,  sono  miovamenle  frante^ 
sparlile  e  riversale  dalla  risacca  prodotta  dalle  onde 
antecedenti,  le  quali  avendo  urtalo  il  capo  che  sporge 
in  fuori  e  nei  ruderi  del  porlo  neroniano,  tornano  in- 
dietro. -  Questo  documeuto  per  qualche  tempo  ini 
è  parso  decisivo  contro  la  rinnovazione  del  porto  ; 
ma  avendovi  ben  riflettuto  sopra,  mi  sembra  che  in 
vece  di  nuocere  giovi.  Imperocché  quel  fortiere  fa 
fede  della  sapienza  degli  antichi  in  fondare  il  porto 
nell'unico  silo  stabile  della  riviera,  e  spiega  per  qual 
cagione  non  siasi  dopo  tanti  secoli  interrato  :  che 
l'arene  andandosi  a  posare  nelle  ripe  quiete,  sdruc- 
ciolano su  quella  platea,  e  gli  urti  del  mare  le  bal- 
zano a  ponente  de'moli  e  del  capo.  E  perchè,  io  dico, 
gli  antichi  alla  bocca  del  porto  alzavan  V  isola  ? 
Perchè  questa  colle  smisurate  moli  e  pile  che  ne 
formavan  l'aggere:  —  impaclos  fluclus  in  immensum 
elidit  et  lollil.  Vastus  illic  fragor,  canumque  circa  ma- 
re ■-  come  prescrive  Plinio  lib.  VI.  ep.  31.  Ora  non 
era  necessario  il  venirci  una  turba  di  piloti  ad  am- 
monire del  pericolo  de'  legni  -  fra  quegli  dannosis- 
simi urti.  -  Poteano  invece  studiare  il  sito  ,  dove 
entravano  nelle  fauci  le  navi  romane,  e  dove  se  il 
porto  si  ricostruirà  dovrebbero  entrar  le  nostre. 
Lo  insegna  loro  l' ispettor  direttore  Linotte  al  rium. 
33  del  Somm.  del  discorso  di  Rasi:  -  Quando  non 
esisteva  Vattuale  braccio  del  molo  innocenziano,  pote- 
vano i  bastimenti  a  remi  o  a  vela  in  un  tempo  an- 
che burrascoso  venire  con  la  bordala  nel  seno  di  mare 
che  ora  forma  il  porlo  moderno,  ove  trovavano  la 
calma,  e  così  con  ogni  sicurezza  introdursi  per  la 
bocca  del  porto  antico.  -  Sarebbe  indispensabile  di- 


49 

struggere  i  moli  dell'  innocenziano,  giudicati  sem- 
pre all'altro  dannosi.  Inoltre  il  Rasi  ci  ha  lasciata  me- 
moria di  un  fatto,  cioè  che  -  nei  giorni  3  e  à-  di 
novembre  (1825)  vi  si  rifugiarono  effettivamente,  piiU- 
tostochè  nel  porto  nuovo,  cinque  feluche  napolilane  a 
cagione  di  un  fortunale  di  libeccio. 

Descritto  il  porto,  è  conveniente  esaminarne  gli 
accessorii  oltre  ogni  dire  magnifici.  Vedesi  il  porto 
appoggiato  all'  acroterio.  Essendo  questo  un  masso 
di  macco,  sorta  di  pietra  arenaria  fragilissima  ,  ne 
trasse  l'architetto  partito,  vi  aprì  inferiormente  tutte 
critte,  le  quali  munì  co'sussi  estratti  uniti  ai  mat- 
toni. Inoltre  vi  fabbricò  portici  con  colonne,  emicicli 
per  riposarsi,  scalee  per  scendere,  celle  con  bagna- 
role, fabbriche  tutte  che,  oltre  una  profonda  cloaca, 
si  ravvisano  a  colpo  d'occhio  da  qualunque  pratico. 
Sono  specialmente  osservabili  alla  punta  occidentale 
tre  androni  detti  Arco  Muto  per  la  luce  ivi  tacente: 
il  medio,  ora  interrotto,  girava  intorno  al  vasto  seno 
dietro  il  promontorio.  Finalmente  a  maggior  sicu- 
rezza su  tutto  il  fabbricato  venne  murata  una  cre- 
pidine. Alcune  colonne  e  capitelli  giacciono  presso 
la  batteria.  In  questa  spianata  esistono  varie  tracce 
di  fabbriche:  un  canale,  le  nicchie,  i  resti  dell'  a- 
straco  che  le  copriva,  le  qualificano  per  bagni.  In 
una  forra  di  colle  verso  occidente  scendesi  ad  un 
copioso  fontanile  ;  non  lungi  alla  Torre  di  Caldano 
vide  Ligorio  (1)  un  acquedotto  diretto  all'  acque 
caldane,  così  dal  loro  calore  denominate:  e  tornando 
indietro  presso  la  batteria  segue  un  muiaglione  di 


(1)  Lig.  V.  Caldane- 

G.A.T.CXLIII. 


50 

acquedotto.  Indizi  sicuri  son  questi  della  gran  quan- 
tità d'acqua  raccolta  ad  uso  del  porto  e  della  villa  (1). 
Sceso  verso  la  strada  romana,  ho  osservato  alcuni 
massi  di  sostmzione,  detti  ciclopei.  Presso  la  caserma 
alcune  ruine  da  monsig.  Bianchini  (2),  che  le  vide  in 
più  buon  essere,  e  da  Nibby  furono  stimate  com- 
ponenti un  teatro:  altri  le  credono  avanzi  di  un  cir- 
co. Alla  villa  fatta  costruire  nel  174-3  dal  card.  Ne- 
reo Corsini  nipote  di  Clemente  XII  ,  e  nel  1820 
venduta  al  cav.  Mencacci,  ravvisai  tra  i  ruderi  un 
beiremiciclo  ove  gli  antichi  si  assideano  a  discor- 
rere, meditare,  leggere  ,  o  a  numerar  i  flutti.  Su- 
perato un  clivo  erboso  mi  sono  avanzato  alla  dire- 
zione delle  vicjnacce;  e  ben  presto  mi  si  sono  af- 
facciati gli  archi  di  un  acquedotto  dividersi  in  due 
rami,  all'est,  ossia  alla  direzione  delle  ville  Albani, 
Aldobrandini  e  Borghese  ,  ed  al  sud  ossia  verso  il 
porto.  Più  a  basso  quattro  celle  aperte  nel  masso, 


(1)  La  moltìplicità  di  questi  scoli,  il  rivo  Cacamele  e  due  altri 
per  la  via  di  Nettuno  ad  Astura  provenienti  tutti  dalla  catena 
delle  pendici  Albane,  mi  rendono  perplesso  a  quale  debbasi  attri- 
buire il  nome  di  Loracina  menzionato  da  Livio  lib.  XLllI,  sapen- 
dosi che  i  latini  come  i  greci  chiamavan  fiume  ogni  ruscello  che 
pérenne  fluisse,  senza  riguardo  al  maggiore  o  minor  volume.  Il 
passo  di  Livio  è  '1  seguente,  degno  di  non  venire  ignorato  anche 
per  la  notizia  di  un  insigne  acquedotto  che  non  si  riconosce,  e  dei 
fano  di  Esculapio:  Lucrctium  tribuni  plebis  ab^entem  concionibus 
adsiduis  lacerabant,  quvm  reipublicae  causa  abesse  excusarelur. 
Sed  eum  adeo  vicina  etìam  inexplorata  erant,  ut  is  eo  tempore  in 
agro  suo  antiati  esset:  aquamque  ex  manubiis  Jntium  ex  flumine 
Loracinae  ducerei.  Id  opus  CXXX  mìllibus  aereis  locasse  dicitur. 
Tabulis  quoque  pictis  ex  praeda  fanum  Jesculapii  exornavit. 

(2)  Camera  ed  iscrizioni  sepolcrali  de'Uberti  ecc.  della  casa  di 
Augusto.  Roma,  Salvioni  1727. 


51 

intonacnte  fi  con  tinte  di  colori,  hanno  1'  idea  d'un 
sepolcro.  Un  contadino  mi  ha  condotto  per  viottoli 
tracciati  evidentemente  sopra  vie  antiche  alla  con- 
trada s.  Biagio,  che  serba  vestigie  di  grandi  mura: 
indi  più  di  un  miglio  lungi  da  Nettuno  al  nord  ad 
un'  imponente  reliquia  d'insigne  sepolcro  nominato 
per  la  sua  figura  il  Torrazzo.  Di  ritorno  siamo  usciti 
alla  via  romana  allato  ad  una  voragine  cavata  nella 
rupe  e  tutta  di  frondi  rivestita.  Siccome  vi  si  è  ri- 
conosciuto un  canale  che  guidava  al  mare  le  acquee; 
perciò  si  crede  un  vivaio,  in  cui  la  ghiottornia  dei 
romani  manteneva  i  più  delicati  pesci.  Salito  alla 
villa  Borghese  Aldobrandini,  ne  ho  ammirato  il  bello 
aspetto  e  la  magnificenza.  Oh  come  in  quelle  ore 
brucianti  mi  arrecavano  refrigerio  e  freschezza  le 
ombre  secolari  del  bosco!  Questa  villa  è  degno  al- 
bergo de'principi  che  dal  1831  sono  possessori  di 
Anzio  e  Nettuno  per  compra  fattane  dalla  R.  C.  A. 
Si  compone  oggidì  delle  due  ville  Coslaguti  e  Doria 
Pamfili.  Gli  scavi  han  date  prove  evidenti  che  da 
questo  lato  ricchi  e  nobili  edifizi  accoglievano  una 
lussureggiante  e  numerosa  popolazione.  Sotto  strada 
emerge  la  rupe  tagliata  a  picco  qual  muro  turrito 
di  città:  numerose  cloache  là  sboccavano. 

Verificate  le  ruine  per  la  circonferenza  di  circa 
dieci  miglia,  includendovi  il  porto,  la  lunga  gita,  i 
latrati  dello  stomaco  e  più  gli  ardori  del  sole  mi 
hanno  persuaso  a  tornare  ad  Anzo.  Le  c;ise  di  questo 
paese  si  vanno  in  vaga  mostra  allineando  lungo  la 
spiaggia  del  porto  nuovo.  Una  magnifica  fontana 
attesta  che  Innocenzo  XIl  fu  -  De  naviganlium  in- 
colnmitate  sellicitus  -  arce  condita  porta  extructo:  - 


52 

aquis  per  ardua  deducth  -  fonte  excitato.  Il  palazzo 
Albani  è  di  buona  architettura,  ed  ha  annessa  la  villa. 
Un  palazzo  appartiene  alla  R.  camera  apostolica. 
La  nuova  chiesa  de'ss-  Antonio  e  Pio  V  sì  deve  alla 
munificenza  del  regnante  pontefice.  Allorché  in  que- 
st'anno Sua  Santità  vennevi  a  celebrar  messa  la  prima 
volta,  assistevano  alla  funzione  il  sovrano  delle  due 
Sicilie  Ferdinando  II  co*  tre  reali  suoi  figli,  l'Emo 
Antonelli  segretario  di  stato,  l'Emo  Roberti  presi- 
dente di  Roma  e  Comarca,  e  monsig.  Milesi  mini- 
stro del  commercio  e  de'lavori  pubblici  Ad  acco- 
gliere la  folla  de'  forestieri,  che  vengono  a  giovarsi 
dell'  acque  marine  ,  compariscono  locande  novelle  ; 
caffè  e  bigliardi  vi  spesseggiano;  in  somma  questo 
comune  cammina  per  le  vie  della  grandezza  a  gran 
passi.  Cosa  fosse  primachè  i  papi  gli  volgessero  l'at- 
tenzione si  apprende  gettando  gli  occhi  alle  fosche 
capanne  che  dietro  le  case  s'aggruppano.  Che  riot- 
tenga in  avvenire  il  nome  di  città,  ce  lo  assicura 
il  porto  da  ripristinarsi,  il  fascino  irresistibile  ch'e- 
sercita su  chiunque  Io  visiti,  la  vicinanza  alla  ca- 
pitale, e  l'aria  ottima  che  vi  si  respira  fuor  del  mese 
di  ottobre,  quando  la  inumidiscono  l'acque  autun- 
nali e  l'esalazioni  de'prati  circostanti. 

Mi  diedi  a  riflettere  sulle  vedute  cose,  facendo 
a  me  stesso  le  seguenti  interrogazioni: 

1.  Dov'era  Anzio  oppido  ,  città  opulentissima, 
tra  i  volsci  primaria,  indi  colonia  romana  ? 

Dalle  autorità  accumulate  in  nota  si  fa  evidente, 
che  la  città  propriamente  detta  era  in  sito  elevato, 


53 

rim[>osta  sulle  rupi  (1),  cinta  di  muia  (2),    ed   un 
poco  distante  dal  porto,  benché  lungo  il  mare  (3). 
Esaminando  i  luoghi  nella  periferia  di  circa  10  miglia, 
li  ho  rinvenuti  in  piano  interrotto  da  spesse  altuie, 
delle  quali  i  punti  culminanti  sono  il  promontorio, 
il  casino  Mencacci,  e  la  villa  Borghese.    La    molti- 
plicità  delle  cloache  dirette  al  mare  ,  il  sito    emi- 
nente dove  a  poca  profondità  di    suolo  fende  colle 
radici  degli  alberi  la  rupe,  il  non  stare  sul  porto, 
mi  hanno  indotto  a  congetturare    nella    villa    Bor- 
ghese il  sito  dell'oppido  primitivo.  Siccome  però  la 
colonia  romana  era  grandissima,  abbracciando  la  reg- 
gia ove  sarà  nato  Caligola  e  Nerone  (4)  ,  il  foro  , 
la  biblioteca  (5),  i  portici   pubblici  che   un  liberto 
di  Nerone  dando  il  dono  {munus)  de'gladiatori  rive- 
stì di  pitture  rappresentanti  le  vere  immagini  de'"-la- 
diatori  e  di  tutti  i  ministri  (6),  e  i  molti  edifici    men- 


(1)  Strabone  ,  Geogr  lib.  V.  Segue  Anzio  città  anch' essa 
importuosa,  rimpasta  sulle  rupi,  distante  da  Ostia  stadii  circa  .... 
del  resto  dedicata  all'ozio  de'principi  e  vacanza  dalle  civili  occu- 
pazioni: perciò  di  magnifici  e  splendidi  edifici  e  piena  a  riceverli, 
quando  vi  si  ritirano. 

(2)  Tit.  Liv.  lib.  VI.  Animus  ducis  rei  maiori  ,  Anito  im- 
minebat;  id  caput  volscorum-.  sed  nisi  magno  adparatu,  tormentis 
machinisqne  tam  valida  urbs  capi  non  poterai.  E  Svet.  in  Ner. 
lieversus  (Nero)  e  Graecia  Neapolim  ,  quod  in  ea  primum  artem 
protulcrat,  alhis  equis  introni,  disiect  parte  muri,  ut  mos  hieroni- 
carum  est.  Similiter  adiit  Antium,  inde  Albanum,  inde  Romam. 

(3)  Filostrato-,  Vita  di  Apollonio.  È  Anzio  una  città  d'Ita- 
lia, lungo  il  mare  posta  Liv.  Lib.  V.  Jntium  propinquam  ,  op- 
portunam  et  mantimam  urbem. 

('*)  V.  Svet.   in  Caligol.   e  in   Ner.,  e  Tacit.  Annal.   \h.    XV. 

(5)  Cic.  lib.  2.  epist.  ad  Atlic-  -  Itaque  ani  libris  me  de- 
lecto,  quorum  habco  Antii  feslivam  copiam. 

(6)  Pliii.  Hist.  Nat.  lib.  XXXV  e.  33. 


54 

zionati  da  Strabene  ,  finche  non  sì  facciano  scavi 
regolari  nemmeno  le  sorti  anziatine  ne  scoprireb- 
bero il  circuito. 

2.  A  proposito  delle  sorti  anziatine,  ov'era,  do- 
mandavo a  me  stesso,  il  Tempio  della  Fortuna  ?  Gli 
scrittori  noi  pongono  Anlii,  ma  apnd  Anliuin  (i).  Lo 
eresse  adunque  fuor  delle  porte  il  devoto  popolo  che 
si  arricchiva  colla  pirateria  e  col  commercio,  di  cui 
fei  dice:  Fortuna  e  dormi:  e  che  se  scampava  dalle 
procelle,  anche  Io  attribuiva  a  quella  comoda  dea 
in  antiche  lapidi  appellata  Reduce^  in  altre  qui  sca- 
vate Felice f  Forte  (2),  a  seconda  de'casi  occorsi  ai 
votanti.  Tacito,  Annal.  lib.  IH  ci  dà  la  notizia  che 
la  chiamavano  equestre.  La  convenienza,  per  esser 
il  sito  visibile  in  allo  mare:  una  moneta  con  due  fi- 
gure scoperta  sul  Porlo  Neroniaiio  coH'iscrizione  (3): 
Q.  RVS TIVS  FORTVNAE  ANTLVT:  e  nel  rovescio: 
CAESARl  AVGVSTO  EX  SC  :  ma  più  di  tutto  le 
crepidini,  e  le  colonne  e  capitelli  ivi  giacenti,  han- 
no persuaso,  che  il  tempio  elevarsi  dovea  presso  al- 
la Batteria^  proprio  in  vetta  del  promontorio.  Che 
vi  potesse  essere  e  che  forse  convenisse  il  luogo,  noi 
nego;  che  poi  vi  fosse,  noi  so,  ne  senza  rivelazione 
altri  può  giurarlo.  Egli  è  però  certo  che  fu  scava- 
to ne'dintorni  un  marmo  con  iscrizione:  FORTVNIS 
ANTiATlRVS  -  M.  ANTONIVS  RVFVS  AXIVS  - 
DAMASCO  -  SENATVS  DECRETO    DICAYiT  (4): 

(1)  Tacil.  Annal.  lib.  III.  Macrob.  Saturn.  lib.  I.  cap.   13 

(2)  Ligor.  V.  Phagone,  e  Fabretti  Inscript.   p:  632. 

(3)  Griiler.  Inscript.   p.  72. 

(4)  Horat.  lib.  I.  Od.  XXXV.  O  diva,  graluvi  quae  regis 
^ntium. 


55 

che  era  il  tempio  primario  d'Anzio  (1):  che  gli  ap- 
parteneva un  tesoro  preso  ad  imprestito  e  profana- 
to da'  Augusto  erogandolo  in  guerre  civili  (2).  Con- 
sultata la  gemina  Fortuna,  rispondea  o  per  oracula 
uscenti  dalla  bocca  de'simulacri  (3),  o  per  sortes  quae 
Fortimae  monilu  pueri  mcuiu  miscentur  atque  ducuti' 
tur. 

Sulla  cima  del  promontorio,  su  cui  poi  sorse 
una  villa  rorfiana,  esser  dovea  Cenone,  giacché  es- 
sendo stato  un  Oppidulo  MariUimo  posto  alla  dif»;- 
sa  dell'  arsenale  e  aulico  porto  della  flotta  Anzia- 
te  (4)  ,  non  pò  tèa  stare  altrove  se  non  sul  Capo 
cui  appoggiò  il  suo  porto  Nerone  ,  Capo  che  solo 
fino  al  Circeo  nalurahnenle  si  prestava  al  ricovero 
delle  grosse  navi  ossia  ad  un  vero  porto. 

3.  Che  diremo  fuialinente  del  celebre  tempietto 
sacro  ad  esculapio  ?  L'autore  De  viris  Illuslribus  nar- 
ra ,  che  i  romani  in  tempo  di  peste  ad  Esculapio 
in  Epidauro  mandaron  legati.  1  quali  essendo  là  ve- 
nuti, e  mirando  al  grande  simulacro,  un  serpente, 
saltato  dalla  sua  sede,  venerabile  non  orribile  per 
mezzo  alla  città  con  ammirazione  di  tutti  strisciò 
alla  nave  de'  Romani.  I  legati  trasportando  il  dio 
pervennero  ad  Anzio  ove  per  la  mollezza  del  mare 


(1)  Appian.  Civil.  Bell.  lib.  V.  Cicsar  e  templis  penunias  mu- 
tuo accipiehat:  ut  liomae  ex  cnpit.tUo,  tum  Anlii,  Lanuvii,  Ne- 
more,  Tibure;  in  quibus  oppidis  hodie  quoque  sunt  copioni  thesauvi 
sacrarum  pecuniarum. 

(2)  Macrob.  Satiiriialior.  lib.  1.  e.  23  Ut  videmus  apud 
Antium  promoveri  simulacra  fortunarum  ad  dpinda  responso. 

("ì)  Cic.   lib.  2  de  divinai 

(4)  Leggasi  in  Dionisio  Alic.  il  racconto  delia  presa  di  Ce- 
none al  lib.    Vili. 


I 


5G 

corse  il!  prossimo  [ano  di  Esculaino:  e  dopo  pochi 
giorni  ritorno  aila  nave.  Valerio  Massimo  ,  lib.  1 
cap.  8,  vi  aggiunge  la  circostanza,  che  guizzato  nel 
vestibolo  del  tempietto  di  Esculapio  diffuso  di  mirto 
e  rami  frequenti,  s'avviticchiò  alla  palma  sopremi- 
nente e  d'eccelsa  altezza,  e  per  tre  giorni  non  ci- 
bossi  a  gran  tirtiore  de'  legati  che  non  volesse  re- 
stituirsi alla  trireme  ,  come  poi  fece  per  navigare, 
sino  all'isola  tiberina.  Queste  notizie* e  '1  verso  di 
Ovidio,  Metani,  lib.  XV,  Tempia  parenlis  {\)  init  (la- 
vnm  tangentia  lilus,  additano  l'edicola  di  Esculapio 
sul  maie  jirossimo  al    porto. 

La  confusione,  in  cui  si  trovano  gli  antiquari 
per  la  topografìa  degli  edifici  anziati,  fa  sperare  che 
il  nostro  governo  terminati  gli  scavi  d'Ostia  rivol- 
gfiialli  a  queste  contrade.  Lo  scoprimento  della  piii 
beila  sfama  deW antichità,  L'APOLLO  DI  BELVEDE- 
RE ;  del  GLADIATORE  BORGHESLXNO  ora  esi- 
stente a  Pai'igi;  e  quelle,  che  arricchirono  il  museo 
del  card.  Alessandro  Albani,  rappresentanti  Giove  , 
Pallade;  le  altre  di  Cibele,  di  Berenice,  di  un  pa- 
store, raccolte  nella  sua  villa  fuor  di  porta  s.  Pan- 
crazie  dai  pamfìii ,  due  busti  superbi  di  Adriano  e 
Settimio  Severo,  la  celebre  lapide  amiate  (2),  il    nu- 


(1)  Qui  non  so  come  Ovidio  la  cliiaini  ili  A])oHo  contro  la 
verità  storica. 

(2)  Ada  la  serie  de'maestri  de'  ludi.  V.  Bianchini  Ice.  cit. 
Non  è  da  confondersi  «luesla  lapirle  coli' altra  di  cui  parla  il  me- 
desimo Bianchini  TH'ìVEpistola  de  lapide  antiati  (  Romae  de  Ru- 
beis  16'.>S).  Fu  quest'ultima  scoperta  da  scavatori  nel  decembre 
del  1697  (iiiaiido  distruggevano  antiqua  rudera  ,  quae  ex  ruinis 
aedificiorum  congeruniur,  ut  in  materiam  cedant  pilarum,  ac  na- 


57 
mero  di  Q.  Ruscio  (1),  e  cenlo  {tltie  scoperte,  e  più 
Ja  certezza  di  essere  stata  questa  spiaggia  il  paradiso 
degV  imperatori  da  x4ugusto  e  Costantino,  ci  assicu- 
rano che  le  viscere  del  suolo  dal  porto  alle  ville 
Mencacci,  Albani,  Aldohrandini  e  Borghese,  la  con- 
trada s.  Biagio  e  i  prati  che  menano  alle  vignaeco, 
sono  gravide   di    monumenti  e  capolavori   d'arte. 


valis  illius,  guod  principis  providenda  restitvtt  {  Bianchini,  ivi  ) , 
Consisteva  in  un  IVammento  di  giallo  antico  impiegato  nel  pavi- 
mento di  splendida  opera  ,  erto  circa  tre  once  e  colia  suj^erficie 
diligentemente  levigata.  ÌNel  rovescio  era  rozza,  ma  segnata  con 
due  lacune  impiombate.  In  una  si  trovò  scolpita  la  testa  di  Adria- 
no in  età  giovanile,  come  si  rilevò  dall'  iscrizione  in  giro  dispo- 
sta: HADRIANVS  ARGVSTVS.  Nell'altra  si  leggea  L."cOC.  Se 
Bianchini  seguendo  il  costume  degli  altri  Scrittori  di  Anzio  non 
CI  avesse  defraudala  la  conoscenza  del  sito  ove  si  rinvenne,  tate 
marmo,  e  non  si  fosse  spiegalo  colle  parole  troppo  generiche  li, 
Porlu  Anliati  ,  avressimo  potuto  il  sito  precisare  della  Reggia  e 
villa  tanto  prediletta  ne'primi  anni  del  sno  regno  da  quell'  impe- 
ratore, il  quale  al  dire  di  Sparziano  n.  19  ,  Cum  opera  nbiqiic 
infinita  fecisset  ,  nimquam  Ipse,  nisi  in  Traiani  patris  tempio  , 
«ornen  &UMm  scripsit  «.  Perciò  il  lodato  monsignor  Bianchini  opi- 
nava che  un  Lucio  Cocceio  architetto  per  eternare  il  nome  pio 
prio  (use  di  soppiatto  1'  immagine  di  Adriano  e  quelle  porlie  let- 
tere  nascondendole  sotto  il  pavimento. 

(1)  Questo  nummo  argenteo  è  pregevolissimo.  Ha  in  fronte 
il  gemino  ritratto  della  fortuna  coli'  iscrizione  in  giro  O  RV 
STIVS  FORTVNAE  ANTIAT,  e  nel  rovescio  CAESARI  AVGNSTO 
EX  se.  Nel  mezzo  ha  scritto  FORRE  ossia  FORTVNAE  RFDVCr. 
Le  quali  parole  ci  danno  a  conoscere  essere  stato  battuto  o  (|uando 
Augusto  determinò  di  partire  contro  i  Britanni,  per  la  qua!  cir- 
costanza usci  il  beli'  inno  di  Orazio  lib.  I.  Od.  35  O  Diva  eie, 
o  più  probabilmente  quando  il  senato  e  '1  popolo  facea  v<.(i  e 
iibamenti  pel  ritorno  dell'imperatore  dalle  Galiie,  come  eaulò  lo 
stesso   poeta  all'Ode   V.  lib,  IV.    Dicis   or  te  bonis. 


58 
CAPITOLO  III. 

Passeggiata  in  Mare,  e  Memorie. 

Nel  silenzio  della  notte  meditavo  assiso  sul  molo, 
allorché  vogare  vidi  una  barchetta  alla  mia  volta, 
chiamato  il  barcaruolo,  presso  mia  richiesta  entrar 
mi  fece  nel  battello,  o  coi  retni  nelle  incallite  mani 
volse  la  faccia  abbronzata  verso  di  me,  aspettando 
un  cenno  per  dove  io  aggirar  mi  volea.  Ordinato- 
gli di  seguitare  a  rilento  le  punte  e  'I  seno  deirantico 
porto,  si  diede  subito  a  scagliar  i  remi  a  regolari 
battute.  D'una  pienissima  luna  ogni  stella  gelosa  di 
scomparire  al  paragone,  abbandonati  le  avea  i  de- 
serti del  cielo;  ed  ella  riverberava  in  liste  l'argento 
del  suo  carro  sul  Tirreno  che  inci-espato  dal  soffio 
di  Favonio  mettea  frizzi  e  brilli  di  luce.  Ma  i  miei 
pensieri  non  eran  quella  sera  diretti  alla  pompa  del 
firmamento,  né  all'  imponente  spettacolo  della  ma- 
rina, sì  bene  alle  memorie  che  la  vista  de'  ruderi, 
e  della  spiaggia  mi  ridestava. 

Anlium  era  città  dei  volsci,  fondata,  secondo  Ze- 
nagora,  da  Av^su  od  Avzziot  figlio  di  Circe  ed  Ulis- 
se (1),  ossia,  come  io  spiego,  da  una  colonia  greca, 
e  dagli  abitanti  del  promontorio  Circeo.  E  ben  quel 
promonlorio  oggi  detto  di  s.  Felice  al  chiaro  di  luna 
mi  era  additato  dal  barcaruolo  cadere  grosso  e  ri- 
ciso  nel  mare.  Allora  sembrommi  vedervi  assisa  sul 
più  alto  ciglione  la  figlia  del  sole  aprir  le  labbra  a 


(1)  Dioiiis.  lih.  I,  cap.  72, 


59 

voluttuoso  canto,  mentre  di  ninfe  una  turba  accen- 
dea  per  la  scogliera  l'odoroso  cedro,  felice  inganno 
ai  naviganti, «  Hinc  exaudiri  gemitus  iraeque  leonuin, 
Vincla  recusantum,  et  sera  sub  nocte  rudentum,  - 
Setigerique  sues,  atque  in  praesepibus  ursi  -  Sae- 
vire,  ac  formae  magnorurn  ululare  luporuìn,  -  Quos 
hoininum  ex  facie  dea  saeva  potentibus  herbis  -  In- 
duerat  Circe  in  vultus  ac  terga  ferarum   (1)   ». 

Stagioni  di  lungo  e  ricco  commercio,  ovvero  di 
fortunata  pirateria  sulle  coste  siculo  e  greche  (2), 
passar  dovettero  per  Anzio  prima  che  Roma  sotto 
1'  ultimo  Tarquinio  rompesse  ai  volsci  una  guerra 
duratura  per  due  secoli.  In  questo  periodo  coriolano 
suir  imbrunir  della  sera  in  volgare  arnese,  taciturno 
e  intrepido,  andò  a  sedersi  al  focolare  di  Tulio  Au- 
fidio,  personaggio  ohe  per  ricchezza,  per  valore  e  per 
cospicui  natali  era  come  re  fra  tulli  i  volsci  lenu- 
to  (3).  Al  quale  aperto  l'esule  il  disegno  d'  ire  ad 
assediare  Roma  ,  non  solo  da  quel  suo  più  crudo 
nemico  ottenne  amistà,  ma  divennegli  collega  nel 
capitanar  l'esercito.  Tutto  cadde  in  potere  de'volsci 
da  sì  egregio  duce  diretti  :  e  se.  le  preghiere  della 
madre  noi  vinceano,  il  pellegrino  mirando  le  ruine 
di  Roma  detto  avrebbe:  -  Città  distrutta  da  un  of- 
feso cittadino  !  -  Invece  ricondotto  da  Coriolano  ad 
Anzio  l'esercito,  chi  sa  quanti  rammarichi  egli  sof- 
frì ai  rimproveri  fatti  dai  volsci  di  non  essere  stato 
buon    cittadino  né  della  prima  nò  della  nuova  pa- 


(1)  Virg.  Aeneid.  lib.  V. 

(2)  V.  Dionis.  e  Strab. 

(3)  Plutarco   in   Coriol.   traci,  del  Pompei. 


()0 
tria;  avendole  danneggiate  ambedue.  E  chi  sa  quante 
volte  il  prode  avrà  errato  sul  lito  desiando  la  morte, 
che  si  dice  da  Plutarco  fosse  violenta  !  Ma  de'grandi 
uomini  le  debolezze  dopo  morte  scusa  e  deplora 
il  popolo  :  onde  non  fa  meraviglia  se  i  volsci  lo 
piansero  ben  tosto  concorrendo  dalle  città  al  di  lui 
cadavere,  seppellendolo  orrevolmente,  e  adornandone 
la  sepoltura  di  armi  e  di  spoglie,  siccome  quella  di 
un  combattente  e  capitano  di  sommo  valore  (1). 

Nel  287  di  R.  il  console  Tito  Numicio  Prisco, 
rotti  i  volsci,  s'  impadronì  di  Cenone,  porto  arse- 
nale e  piccolo  oppido  degli  anziati,  distrusse  le  mura 
e  i  ricettacoli  delle  navi  (2).  L'anno  seguente  An- 
zio stesso  fu  preso  dal  console  Tito  Quinzio.  Pii- 
bellalosi  nel  371,  il  380  lo  costrinse  alla  resa.  Nel 
412  fu  centro  della  famosa  lega  latina.  Ioga  di  la- 
tini, volsci  e  sanniti,  popoli  bellicosi  e  schivi,  sde- 
gnanti il  nome  di  servi  romani.  Ma  non  tutte  le 
nobili  intraprese  sortono  lieto  fine.  Infatti  dopo  la 
disfatta  tutte  le  navi  furon  portate  nelTarsenale  di 
Roma,  alcune  incendiale  dopo  averne  tolti  i  rostri 
posti,  ad  eterna  ignominia,  all'arringo  del  foro  ;  fu 
dedotta  ad  Anzio  una  colonia,  della  quale  fecero  per 
somma  grazia  parte  i  volsci  ;  la  comune  [)roprietà 
dal  mare  s'  interdisse  agli  anziati  (3). 

Dopoché  le  bande  sannitiche  (i)  di  Mario  sac- 
cheggiarono Anzio,  una  nuova  erasi  schiuse  per  que- 


(1)  Plularco   ivi. 

(2)  Dioiiis.   hb.   Vili. 
(:5)  Liv.   lib.   IV. 

CO  Sn-:iL.  lib.  V    .\|ìj>i.iii.  lib.  -1. 


61 

sta  spiaggia,  era  di  feste  ,  lusso,  lascivie  e  puzzie. 
Si  convertì  il  territorio  in   ville  splendidissime,  ove 
Augusto  dimorava  quando l'adulazionelo intitolò  padre 
della  patria  (1):  ove  nato  Caligola  tanto  ne  amava  il 
soggiorno,  che  dichiararlo  volea  sede  delì'impero  (2), 
ed  in  riconoscenza  le  sorti  anziatine  indarno  lo  am- 
monirono che  si  guardasse  da  Cassio  (Cherea)   (3). 
Natovi  Nerone  vi  costruì  un  porto  operis  sumplito- 
sissimi{i),  \ì  rusticava  quando  le  fiamme  arsero  la 
capitale:  gettata  a  terra  parte  delle  mura,  entrò  in 
Anzio  colla  pompa    ieronica    su  cocchio    tirato  da 
candidi  cavalli;  vi  dedusse  una  nuova  colonia  di  ve- 
terani (5).  Qui  certo  fu  '1  teatro  delle  turpitudini  di 
Agrippina  sua  madre  che  a  ritenere  il  fuggente  fa- 
vore non  vergognavasi,  adorna  e   parata  all'incesto, 
offrirsi  a  lui,  riscaldato  dal  vino  e  dalle  vivande  dal 
meriggio  a  mezza  notte  !  Qui  d'indicibile  gaudio  Io 
ricolmava  la  nascita  della  figlia  di  Poppea",  onde  il 
senato  decretò  che  si  dessero    apud    Anlium  i  liidi 
circensi:  ma  dentro  il  quarto  mese  la  morte  cessò  i 
noiosi  vagiti  della  bambina  idolatrata  (6).  Non  ces- 
sarono però  mai  le  -splendidezze  e  i  divertimenti,  i 
lupanari  d' illustri  femmine  ripieni,  i  conviti  su  navi 


(1)  Svet.  in  Octav.  Aug. 

(2)  Svet.  in  Calig.  Praesertìm  cum  Caius  Antium,  omnibus 
semper  locis  atque  secessibus  praelatum  ,  non  aliter  quam  natale 
solum  dilexerih  tradaturque  etìam  sedem  ac  domicilium  impeni  tac- 
dio  urbis  transferre  eo  destinasse 

(3)  II  medesimo,  ivi. 

(4)  Il  medesiino  in  Ner. 

(o)  Tacito.  Annal,   lib.  XIV,  e.  2". 
(6)  Tacit    lib.   XV.  e.  23. 


62 

d'  oro  e  avorio  distinte;  quando  le  tenebre  cadeano, 
la  reggia,  i  boschi,  e  i  giardini  brillavan  sempre  di 
lumi;  all'  innocente  gorgheggio  degli  uccelli  da  terre 
diverse  raccolti  rispondean  sempre  osceni  canti  (I). 

Scontate'  Nerone  col  suo  sangue  cotesto  igno- 
minie, si  legge  che  Domiziano  si  divertiva  ad  im- 
boccare i  simulacri  della  Fortuna  (2),  e  che  l'otti- 
mo Adriano  prediligeva  Anzio  più  d'ogni  altra  cit- 
tà d'Italia.  In  quel  tempo  i  filosofi  seguaci  di  A- 
pollonio  Tianeo  eran  venuti  a  stabilirsi  in  Anzio,  che 
resero  celebre  per  avervi  sospeso  un  libercolo  au- 
tografo dello  stesso  maestro  (3).  Antonino  Pio  for- 
nì Anzio  di  un  acquedotto  (4).  Settimio  Severo  lo  fre- 
quentava coi   figli  (5). 

Dal  secolo  HI  al  VI  dell'E.  V.  sappiamo  ,  es- 
sersi qui  propagata  la  rehgion  cristiana  ,  alla  cu- 
ra de'fedeli  vegliava  un  vescovo  che  trasferì  poi  la 
sede  in  Albano.  Quando  nel  537  Viiige  s'impadroniva 
di  Porto,  le  navide'romani  gettavan  l'ancora  presso 
Anzio  (6).  Se  in  quell'epoca  l'ingordigia  de'goti,  il 
che  non  mi  par  verosimile,  non  distrusse  la  città  e 
saccheggiò  le  fìorentissime  ville,  non  scampò  certa- 
mente da' saraceni  che  infestarono  la  spiaggia  ro- 
mana  dal  secolo  IX  al  X.    È  verosimile  che  oltre 


(1)  Tacit.  lib.   XV.  e.  37. 

(2)  Marziale   lib.   V.  epigp    1,   .   Si'u  tua  faliclicac    discunl  re- 
sponsa  sorores  Plana  snburbani  qua  cubàt   untla  freti    •. 

(3)  Filostr-   in  Apoilon.  e.    J2  e  20. 

(4)  Capìlolino  in  Anton,  e.  8. 

(5)  Erodiano  lib.  III.  e.   d  3. 

(6)  Prooopio,  Guerra  gotica  lib.  I.  e    26. 


63 
all'abbandono  e  all'  ira  degli  elementi  siasi  aggiunta 
l'opera  degl'indigeni  prima  di  ripararsi  ai  monti  in 
demolire  il  porto,  onde  non  invitasse  i  barbari  ad 
annidarvisi.  Il  popolo  di  Nettuno,  di  cui  non  si  co- 
nosce se  l'origine  sia  volsca  ,  greca,  o  saracena  , 
dovette  sempre  nutrire  una  grande  rassegnazione  , 
dissimulando  e  bravando  il  timore  de'pirati  e  tur- 
chi: timore  durato  sino  a  giorni  nostri. 

Sanguinosa  scena  di  guerra  civile  nel  1378  qui 
aprirono  i  veneziani  e  i  genovesi,  che  de'mari  la  ti- 
rannia per  tanto  volger  di  secoli  si  disputarono;  e 
benché  il  Tirreno  stesso  inorridisse  ,  e  col  fracasso 
e  sconvolgimento  de' flutti  tentasse  disgiungere  i  na- 
vigli, nondin)eno  impedire  non  potò  che  guerrieri 
d'una  medesima  lingua  e  d'  una  medesima  terra  si 
trucidassero  con  siffatto  ardore,  che  sprezzanti  il  fu- 
riar dell'onjde,  si  vennero  in  alto  ad  azzuffare,  sic- 
ché le  galere  perdenti  trovatesi  lungi  dal  porto  e 
pressate  dalle  nemiche  e  dalla  tempesta  andarono 
a  rompere  sulla  spiaggia.  Così  nella  semplice  fa- 
vella delle  cronache  racconta  le  circostanze  Daniele 
Chinazzo  (l):«Genovesi,  avendo  armate  in  quel  tempo 
dieci  galere,  gli  diedero  per  capitano  Luigi  del  Fie- 
sco,  e  portavano  gente  e  danari  per  fornir  le  loro 
galere  che  erano  a  Costantinopoli,  che  avevano  pa- 
tito gran  danno.  Et  inteso  i  danni  che  faceva  il 
Pisani  in  quella  riviera,  vedendosi  haver  gente  assai, 
si  risolse  di  combatter  con  lui;  e  trovatisi  in  spiag- 
gia romana  a  capo  d'Anzo,  seguì  tra  loro  un  hor- 


(i)  Guerra  di  Chioza  edita  dal  Muratori.  Rer.    Italie-  Script- 
Tom.  XF.  pag.  714. 


64 

l'ibile  battaglia;  e  perchè  era  gran  pioggia  e  for- 
tuna di  mare,  si  ritrovaiono  aver  solamente  nove 
galere  per  parte.  E  dopo  vario  successo  restò  su- 
periore il  Pisani ,  avendo  preso  cinque  galere  ge- 
novesi con  tutte  le  ciurme  insieme  col  capitano  , 
et  un  altra  galera  diede  a  terra  :  ma  salvatisi  gli 
huomini,  restò  in  mano  deVeneziani,  la  quale  con 
l'altre  prese  furono  brugiate,  eccetto  quella  del  ca- 
pitano, la  qual  fu  mandata  a  Venezia  con  lui  e  con 
li  gentilhuomini  genovesi,  e  quattro  galere  per 
scorta.  E  questo  conflitto  seguì  nel  mese  di  luglio 
1378.  Morirono  de'  genovesi  500  persone,  et  anco 
molti  veneziani,  tra  quali  Zaccharia  Ghisi  patron  di 
galera  ,  e  furono  trovati  nelle  galere  de'  genovesi 
molti  argenti,  e  danari  assai   ». 

Nel  1481  questa  spiaggia  vide  la  fuga  del  fiero 
duca  di  Calabria  sconfitto  dal  Malatesta  nella  vicina 
tenuta  ch'ebbe  allora  il  nome  di  Campo  morto. 
))  El  papa  (così  narra  Antonio  de  Herrera  (1)  a  pag. 
157  anno  1481)  avia  recebido  por  general  de  su 
esercito  contra  el  duque  de  Calabria  Roberto  Ma- 
latesta senor  de  Rimini.  Y  aviendo  ydo  a  buscar  al 
duque,  que  era  muy  inferior  en  fuer^as,  se  toparon 
junto  a  Netuno  en  Campana  de  Roma.  Y  avia  pe- 
dido  el  duque  a  su  padre,  que  le  embiasse  gente 
para  reforoar  el  esercito  que  era  muy  inferior.  Y 
viendo  que  le  avian  da  tornar    los  pasos  ,  con  so- 


li) Comenlarios  de  los  hechos  de  los  espanoles,  franceses  ,  y 
veuecianos  en  Italia,  y  de  otras  republicas,  polentados,  principe* 
y  capltanos  famosos  ilalianos  desde  el  ano  de  1281  basta  el  de 
1539.   Madrid  por  Juan  Del^jado   ano   1624. 


f 


65 

brado  animo  dio  la  batalla,  y  la  perdio,  aviendo  he- 
cho  prueva  de  gran  capitan,  y  quedàra  preso  sino 
le  salvàran  los  turcos  que  tenia  en  su  campo.  Y 
presto  murio  Malatesta  del  trabajo  de  la  batalla  ». 

Lo  stesso  autore  nel  1556  riferisce:  «  Los  fran- 
ceses  con  algunas  galeras  fueron  à  ganar  à  Netuno, 
lugar  en  la  marina  de  Marcantonio  CoIona,  porque 
importava  mucho:   pero  no  le  pudieron  tomar  «. 

Finalmente  gì'  inglesi  nel  1811  si  divertirono 
ad  abbattere  la  torre  d'Anzo  difesa  da  pochi  sì  ma 
ardili  cannonieri.  Innocenzo  X  1'  avea  posta  dov'  è 
ora  la  batteria,  in  guardia  delle  coste  contro  i  pi- 
rati e  per  tutela  contro  la  peste:  niente  valeva  per 
fortificazioni  militari. 

Ruminato  per  la  mente  quest'  ultimo  fatto  ,  il 
barcaruolo  era  rientrato  nel  porto  nuovo,  e  mi  rac- 
contava la  festa  fatta  a  dì  30  giugno  e  1  luglio 
prossimo  passato  al  regnante  sommo  pontefice  Pio  IX, 
quando  vi  ha  avuto  un  convegno  col  sovrano  delle 
due  Sicilie  Ferdinando  II.  Il  popolo  de'dintorni  per- 
suaso della  brillante  fortuna  che  gli  apparecchie- 
rebbe  un  porto  sicuro,  della  necessità  di  questo  pei 
naviganti  (1),  e  delle  produzioni  del  suolo  in  cereali, 


(1)  Linotte  loc.  cit.  §.  2:  I  bastimenti  che  trovansi  fra  lo 
shocco  del'Tevere  ed  il  capo  Circeo  e  nelle  alture  di  capo  d^ Anzio, 
difficilmente  possono  reggersi  al  sopravv<!nto,e  sostener  la  deriva  per 
rifugiarsi  nel  porto  di  Civitavecchia  (circa  80  miglia  di  mare  di- 
stante) senza  essere  trasportati  in  secco  sulla  spiaggia  romana  con 
sicuro  naufragio  ,  e  tanto  meno  possono  superare  il  capo  Circeo 
per  rifugiarsi  nel  porto  di  Gaeta,  per  cui  tante  volte  sono  periti 
i  legni  anche  nella  spiaggia  fra  Nettuno  e  Asturu,  sebbene  vi  sia 
il  moderno  porlo  innoccnziano  di  Anzio. 

(J  A.T  CXLIII.  5 


66 

vino,  ed  in  legname  da  costriizione  navale,  legname 
da  fusli  di  botti,  legna  da  fuoco  e  caibone,  di  cui 
fassi  continuo  commeicio  con  Napoli,  accalcato  sulle 
live  un  grido  unanime  airaiiioioso^  principe  alzava 
a  domandargli  :  S.    P.    UN    PORTO.   Ed  il    pon- 
tefice con  dolce  sorriso  accondiscendeva  all'utile  ri- 
chiesta, assicurando  la  moltitudine  che  tale  speranza 
non  andrebbe  fallita,  e  che  ne'  suoi  pensieri  avea  de- 
cretata la  felicità  di  Anzio,  cui  ad  arra  di  tal  pro- 
messa erigeva  in    comune,  diversificandolo  da  Net- 
tuno. Gli  annunzi  non  ha  guari  pubblicati  nella  parte 
officiale  dal  giornale  di  Roma  provarono,  che  il  no- 
stro sovrano  attiene  più  di  quello  che  gli  si  chiede. 
Accordò  infatti  alla  società  anonima  della  strada  fer- 
rata da  Roma  a  Frascati  di  poter  continuare  la  li- 
nea a  guide  di  ferro  da  Frascati  a  porto    d'z\nzo  , 
e  di  presentar  disegni  per  la  rinnovazione  del  porto. 
In  questo  modo  quando  la  società  Casavaldés  e  com- 
pagni avrà  attivata  la  strada  ferrata  da  Civitavec- 
chia a  Roma,  Ancona,  e  Bologna,  fra  non  molti  anni 
potrem  vedere  la  nostia  patria  Roma  divenuta  non 
solo  regina,  ma  per  quattro  porli  e  due  mari  Yum- 
bilico  della  terra.  La  natura,  che  di  ubertoso  terri- 
torio e  di  centrale  situazione  le  fé   dono,  non  mi- 
rerà   più   i  suoi  tesori  negletti    dal  commercio  ,  e 
preferiti  siti  ingrati  e  fuor  di  mano  al  vero    Eden 
e  centro  d' Italia 


67 
CAPITOLO  JV. 

Navigazione  ad  Astura,  e  ritorno   per  terra 
A  Nettuno. 

Sonavan  le  quattro  del  mattino,  quando  il  ma- 
rinaio della  passata  sera  venne  a  destarmi  ;  che  al 
porto  mi  attendeano  quattro  compagni.  Ma  non  so 
per  qual  fatalità  pesava  sul  mare  una  fittissima  neb- 
bia, togliendoci  la  vista  di  ogni  minima  lontananza, 
tanto  che  non  ostante  gli  sforzi  e  l'abilità  di  4  re- 
matori allungammo  di  circa  un'ora  il  viaggio.  Di- 
radatisi i  vapori:  ci  apparve  la  costa  di  Nettuno 
come  piena  di  bastimenti  a  vela:  talmente  sfilavano 
e  si  curvavan  le  colonne  della  nebbia.  Schiarita  pei 
crescenti  calori  la  costa  ,  sì  tornò  a  largo:  le  onde 
venian  grosse  contro  il  battello  ,  ma  sdrucciolava 
questo  sopra  loro,  appoggiandolo  senza  posa  i  ro- 
busti remi.  E  si  gi-ande  era  in  noi  il  desio  di  toc- 
car terra,  che  scopertasi  la  torre  d'  Astura  promi- 
nente sull'acqua,  noi  l'acclamammo  come  Gerusa- 
lemme i  pellegrini.  Appena  sulla  sponda,  un  canno- 
niere venne  a  salutarci ,  e  a  prender  l'attestato  di 
nostra  partenza  da  porto  d'Anzo  per  soddisfare  alle 
leggi  di  sanità. 

Dove  sbarcammo  cominciano  i  fondamenti  di 
antiche  terme  composti  di  due  parti  rettangolari,  la 
prima  più  fuori,  l'altra  più  dentro  mare,  e  dell'opera 
stessa  reticolata  mista  talvolta  a  laterizia  come  le 
ftibbriche  del  porto  neroniano.  Formava  quest'edifi- 
cio co'suoi  muraglioni  un  riparo  al  molo  occiden- 


68 
tale  deWuìKjiporlo  o  stazione  piratica  (1).  Il  cav.  Ca- 
nina alla  tav.  CXLIII  dell'architett.  roman.,  dando 
il  ristauro  di  queste  terme,  V  incomincia  nella  parte 
pili  lanciata  in  mare  ora  coperta  dall'arena  con  un 
grande  peristilio;  indi  un  vestibulo  ed  una  sala  met- 
tevano alle  celle  de'bagni  differenti;  alle  piscine  di- 
metteano  i  corpi  esinaniti  pel  molto  sudore.  È  in- 
credibile la  quantità  de'marmi  greci,  di  porfido,  ala- 
bastro, e  specialmente  rosso  antico,  che  rigetta  colle 
conchiglie  il  mare,  o  vengono  a  luce  al  minimo  sco- 
primento di  suolo.  In  somma  i  ruderi  di  queste 
terme  ci  dimostran  la  verità  di  ciò  che  Seneca  ep. 
86  su  tal  oggetto  scrivea:  «  A  tal  grado  di  delizie 
giungemmo  da  non  voler  calcare  altro  che  gemme  » 
e  nell'epist.  122:  «  Non  vive  contro  natura  chi  fa  in 
mare  i  fondamenti  delle  terme  ,  nò  delicatamente 
notar  gli  sembra  se  i  caldi  stagni  il  flutto  e  la 
tempesta  non  ferisca  ?  »  Questi  fondamenti  termali 
erano  in  quell'  istante  veramente  feriti  dal  flutto  , 
poiché  lo  scirocco  gonfiava  quel  mare  tanto  delicato^ 


(1)  Si  ponga  mielite  alla  differenza  tra  porto  t  stazione:  —  Por- 
(ws  autetn  locus  est  ab  accessu  ventorum  retnotus,  ubi  hiberna  ap- 
ponere  solent.  Et  portus  dictus  a  deportandis  commerciis  (  Isid. 
Orig.  lib.  XIV  e.  8).  —  Siationes  dicimus  a  slatuendo,  velut  qui- 
dam aia  a  stando.  Is  igilur  locus  demonstratur,  ubicumqne  naves 
stare  posstint  (Ulpian.  dig.  lib.  45  tit.  12.  1).  La  stazione  poi  si 
cUiamava  pure  Angiporto  ,  eo  quod  sit  angustus  portus  >  id  est 
aditus  in  portum  (Pesto  v.  Angiportus  ).  Strabene  poi  dice  Pirà- 
tica la  stazione  di  Astura,  non  già  perchè  vi  slessero  i  legni  dei 
pirati,  raa  bensì  i  legni  dei  romani  contro  i  pirati  che  aveano  ogni 
agio  di  annidarsi  nelle  macchie  di  Nettuno  e  Sermoncta,  macchie, 
nelle  quali  sempre  sonosi  rifuggiti  i  ladri.  In  tal  modo  io  vado  a 
spiegare  un  altro  passo  di  Strabene  affermante  che  i  romani  sfor- 
zavano gli  anziati  ad  abbandonar  lo  studio  della  pirateria. 


69 

il  quale  airicciavasi  e  frangeasi  sulle  mine.  Noi  in- 
tanto ci  gettammo  a  bagnarci  ne'bacini,  e  con  no- 
stra sorpresa  li  trovammo  adatti  secondo  la  mag- 
giore o  minor  profondità  a  bagni  meno  o  più  tie- 
pidi; sicché  potrebbero  essere  a  stabilimento  ridotti 
con  leggiero  dispendio. 

Terminato  il  bagno,  si  seguitò  lungo  la  riva  ad 
ammirare  i  ruderi  di  nobile  villa  dell'età  imperiale 
sino  al  fiumicello  Cavata  ,  del  quale  alla  foce  sta 
apposto  un  muraglione  per  condotto  che  d'  acqua 
dolce  forniva  la  villa,  le  terme  e  la  stazione.  Ci  fu 
detto  che  il  Cavata  piiì  sopra  chiamasi  Astura  ,  e 
proviene  dalla  prossima  tenuta  di  Campo  morto. 

Tornati  ad  Astura,  si  entrò  alla  torre  sopra  un 
ponte  moderno  di  materiale.  La  torre  ha  nella  fronte 
lo  stemnia  de'Colonna  ,  segno  che  quella  famiglia 
la  fabbricò.  Una  scorta  di  cannonieri  la  guarda  ,  e 
si  piace  dell'ottima  aria  e  dell'aperto  orizzonte.  Un 
buon  cannocchiale  dell'officiale  ci  avvicinò  la  mirabile 
veduta.  All' est,  lungo  le  coste  per  Torre  verde,  sal- 
gono i  monti  di  Sermoneta  e  Norma  ;  dietro  essi 
spicca  la  cima  di  quei  di  Gaeta  ;  verso  sud-est,  a 
guisa  d' isola  il  monte  Circeo  orrido  appare  -Col  capo 
in  cielo,  e  con  le  piante  in  mare  (1);  al  sud  la  di- 
stesa dell'elemento  infido  sembra  possedere  un'  at- 
trazione potentissima  per  l'uomo;  all'ovest  la  spiaggia 
d'x\nzio  torce  alle  foci  tiberine. 

Esplorati  i  luoghi  ,  leggemmo  l'articolo  Astnra 
del  non  mai  lodato  abbastanza  Antonio  Nibby,  onde 
rammentarci  le  memorie  della  contrada.  La  prima 


(.1)  Tassoni,  Secchia   rapita,  canto  X,  stanza   24. 


70 
cosa  che  mi  ferì  fu  il  passo  di  Plinio  lib.  HI  e.  5: 
Aslura  flnmen  et  insula.  -  Che  Cavata  fosse  il  fiume 
Aslura  è  manifesto,  essendo  l'unico  rivo  perenne  di 
questi  luoghi;  ma  tutti  credono  Astura  non  già  isola, 
ma  piuttosto  penisola,  essendoché  ne' lati  della  lin- 
gua, formata  dall'  intelaratura  delle  terme  a  fiore,  e 
non  sott'acqua,  in  due  seni  spandesi  il  mare.  Ac- 
cresceva difficoltà  il  leggere  in  un  istromento  del 
987,  edito  dal  Nicolai,  donati  al  monastero  di  s- 
Alessio  dal  conte  Dcnedctto  i  terreni  in  loco  qui 
dicitur  Astura  cum  parictinis  suis,  in  quo  olim  fuit 
ecclesia  s.  Mariae  ...  c/e  insula  suprascripti  mond- 
sterii  vestri  .  .  insta  porlum  Aslurae  -  e  in  due  do- 
cumenti riportati  dal  Nerini,  uno  del  1163,  ove  si 
nomina  in  possesso  de'conti  tusculani  -  insulam  de 
Asluria-  e  in  una  bolla  del  1220,  in  cui  al  mo- 
nastero di  s.  Alessio  si  conferma  Totum  quod  ve- 
stro  monasterio  perlinet  in  Astiiria,  et  in  insula  Astu- 
rie cum  piscationibus,  venationibus,  naiifragiis. 

Per  deciferare  la  questione  seguitossi  a  leggere 
come  nel  417  di  R.  Caio  Menio,  scontrato  l'eserci- 
to volsco  ad  Astura,  lo  sconfìsse  ponendo  fine  alla 
guerra  latina  (1).  Cicerone  si  dilettava  moltissimo 
dimorarvi,  e  ne' libri  XII.  XIII.  XIV  e  XV  epist. 
ad  Alticum,  usa  un  modo  da  nominare  Astura  da 
far  credere,  che  era  non  solo  come  scrisse  all'epist. 
20  del  lib:  XII:  Est  heic  locus  amoenus  et  in  mari 
ipso,  qui  et  Antio  et  Circaeis  aspici  possiti  ma  an- 


(1)  Liv.  lib.  Vili.  e.    10     —    Caesi  ad    Pedum    Jsturamque 
exercitus  hosiium. 


71 

che  un  oppido,  ponendone  sempre  il  nome  in  geni- 
tivo ne' verbi  di  riposo,  e  in  accusativo  senza  pre- 
posizione ne'verbi  di  moto.  Lo  stesso  modo  usa  Pli- 
nio lib  XXXII  e.  l,e  Svetonio  in  Augusto  e.  97. 
Lo  conferma  Servio,  che  nel  comentario  al  lib.  VII 
Aeneid.  chiama  Astura  oppido  e  fiume,  come  pure 
Stefano  tra  le  città  nominò  Astura,  che  si  trova  nei 
greci  travolta  in  Astijra  per  corruzione  o  allunga- 
mento del  V. 

Plutarco  nella  vita  di  Cicerone  racconta,  come 
questi  fuggendo  la  proscrizion  triumvirale  determinò 
-  di  passare  ad  Astira,  che  un  luogo  era  mariuimo 
pur  di  Cicerone  -  e  che  -  trovala  avendovi  in  pronto 
una  nave,  tosto  imharcossi,  e  navirjò  con  vento  favo- 
revole sino  al  Circeo.  -  Quindi  dopo  lungo  tentennare 
si  fé  condurre  alla  sua  villa  di  Gaeta,  ove  raggiun- 
tolo Erennio  centurione,  mentre  i  servi  lo  trafuga- 
vano verso  il  mare,  prima  lo  scannò  e  poi  gli  re- 
cise   il  collo  che  steso  avca  fuor  della  lettiga. 

Svetonio  in  Aug.  e.  98  riferisce  che  Cesare  Au- 
gusto, notte  tempo  ad  Astura  navigando,  contrasse 
uno  scioglimento  di  ventre  che  '1  condusse  alla  tom- 
ba. II  medesimo  asserisce  di  Tiberio,  che  venuto  dalla 
Campania  in  Astura  cadde  nell'ultima  malattia  di 
languore.  Plinio  lib.  XXXII  e.  1  menziona  1'  au- 
spicio tratto  del  vicino  assassinio  di  Caligola  da  una 
remora  che  fermò  la  nave,  sulla  quale  il  tiranno  da 
Astura  ad  Anzio  remigava. 

Dopo  scorse  queste  ed  altre  meno  rilevanti  me- 
morie, che  si  possono  trovare  in  Nibby,  si  tentò 
sciogliere  la  questione  del  come  Astura  fosse  anti- 
camente isola.  Si  osservava  che  se   attualmente  la 


72 

torre  coli'  intelarature  sopr'acqua  non  forma  isola  , 
vieppiù  non  la  formavano  le  terme  che  alte  alzavan 
di  certo  le  mura:  che  non  era  probabile,  in  sì  an- 
gusto   spazio  esistesse  oppido  e  ville    de'  romani  , 
!  poderi  del    conte    Benedetto  nel  987  ,  e  oltre  le 
piscationes  anche   le  venaliones  spettanti    al   mona- 
stero di  s.  Alessio  nel  1220:  e  che  pure  attualmente 
Cavata  ha  il  nome  di  Astura  piiì  sopra  della  foce. 
Si  ricorse  perciò   alla  carta  topografica  ,  in    cui  si 
vede  il  mare  battere  Astui-a  al  sud,  all'est  la  divi- 
de il  fiume  Cavata,  al  nord  i  mille  rivi  che  taglian 
la  tenuta  di  Campo  morto,  e  finalmente  all'ovest  un 
altro  rivo  perenno  isolano  un  tratto  di    continente 
proporzionato  ad  un  oppido,  alle  ville  di  Cicerone  e 
de'  Cesari.  Questa    conclusione  però  soggiacque   ad 
una  difficoltà»,  qual  è  quella  che  nella  donazione  del 
conte  Benedetto  de'terreni  in  loco  qui  dicilur  Astu- 
ruy  si  nomina  come  confine  e  già  propria  del  mo- 
nastero r  isola  -  de  insula  suprascripù  monasterii  ve- 
stri:  -  il  che  denota  differenza   della   tenuta    Astura 
dall'  isola  di  Astura,  come  più  chiaramente  emerge 
dalla  bolla  del  1220  -   Totum  qnad  v estro  monasle- 
rio  pertinet  IN  ASWRIA,  et  IN  INSULA  ASTU- 
RIE cnm piscaiionibusjnavigalionibiis,  tiaufragiis-Tale 
osservazione    conchiudeva  :   1°  che  Astura  pur  nel 
medio  evo  era  isola:  2"  che  la  Cavata^  nome  dato 
al  fiume  per  indicarne  gì'  inalveamenti,  si  dovea  di- 
ramare nel  suo  rivo,  di  cui  tuttora  si  può  tracciare 
il  letto,  in  un  cavo  di  terra  vicin  dell'acquedotto  , 
alle  altre    fabbriche  a  ponente  ,  che    vedremo   per 
lungo  tratto  girare  in  siti  aridi.  Comunque  però  la 
cosa  fosse,  il  eerto  si  è  che  adesso  il  luogo  detto 


73 

Astura  è  penisola,"  come    ai    tempi  di  Pirro  Ligo- 
rio  (1). 

Mentre  sede-vasi  a  mensa ,  cadde  naturalmente 
il  discorso  sopra  il  celebre  fatto,  origine  de'vespri 
siciliani.  Corradino,  pretendente  al  reame  di  Napoli 
e  Sicilia,  dopo  la  sfortunata  battaglia  di  Tagliacozzo 
nel  1267  ,  persuaso  dai  ghibellini  ,  e  udito  che  i 
guelfi  avean  preso  e  condotto  a  Carlo  d'  Angiò  il 
figlio  del  conte  Gerardo  da  Pisa,  suo  compagno,  fuggì 
di  Koma,  insieme  al  figlio  del  duca  d'  Austria,  di 
conte  Galvano  e  al  figlio  di  lui,  e  inviò  un  messo 
ad  Astura  a  procurarsi  una  saettia  a  qualunque  prezzo 
per  tornarsi  a  Pavia,  oppure  secondo  Riccobaldo  , 
Hist.  Imperai.,  al  regno  che  insorgeva  nella  massima 
pai  te  contro  il  suo  rivale.  Era  feudatario  del  ca- 
stello, che  sorgea  piiì  dentro  terra  verso  la  chie- 
suola deir Annunziata,  Giovanni  Frangipane,  il  quale 
avvisato  da  Carlo  (2)  e  vago  d'alzar  fortuna  con  una 
buona  presa,  armò  di  soldati  un'altra  saettia,  diessi 
ad  inseguire  e  l'aggiunse. i  fuggitivi.  Questi,  fuor  del 
conte  Galvano,  eran  tutti  giovanetti  affaticati  dal 
viaggio  e  pochi:  inoltre  nel  carattere  di  Corradino 
si  mescolava  all'audacia  una  fanciullesca  debolezza 
o  paura;  laonde  al  castellano  si  ai-resero  di  leggeri, 
e  gli  svelarono  chi  erano.  Non  giovò  al  disgraziato 
principe  prometter  mari  e  monti  se  '1  rilasciasse  , 


(1)  Ligor.  V.  Astiira. 

(2)  Bart.  de  Neocaslro  Hisloria  sicula  al  tomo  XII.  Rer.  ital. 
script,  di  Muratori  eap.  CUI  »  lacobus  (così  ei  lo  chiama)  Fra- 
gapanis  romanus  Astorae  dominus  litus  custodii,  requisitus  a  Ca- 
rolo, quod  Conradinus,  qui  hello  sepullus  reperiri  non  polerat,  non 
effugerel  manus  suas. 


74 
ne  umilini'si  fino  a  proferirglisi  per  genero  (3).  Tem- 
pellava  il  Frangipane  tra  '1  restituirlo  a  libertà  colla 
promessa  di  largo  compenso  e  tra  '1  condurlo  a 
Carlo  colla  certezza  di  grandi  ricchezze  ed  onori. 
Intanto  una  tempesta,  o  piuttosto  la  nuova  della  fa- 
mosa cattura,  spingca  alla  spiaggia  Roberto  di  La- 
vena  colle  galere  de'  provenzali.  Chiese  il  capitano 
la  consegna  del  prigioniero;  ma  veduto  ancor  dub- 
bioso il  Frangipane  ,  sbarcate  le  ciurme  ,  assediò 
strettamente  il  castello.  Allora  Giovanni,  allettato  dal 
timore  e  dalle  promesse,  restituì  la  preda  non  pro- 
pia  ai  cacciatori  cacciantì  la  sua  preda  (2). E  noto  che 
poco  dopo  Carlo  mandò  al  taglio  della  testa  Cor- 
radino  e  i  compagni. 


(1)  Bartol.  De  Neocastro  —  Qui  (Corradi nus)  cum  caperelur 
ab  eis  cum  sociis,  rogat,  ut  si  ipsum  abire  permitteret,  fiiiam  suam 
ducerei  in  uxorein. 

(2)  Sallae  sive  Sabac  Malaspinae  rerum  sicularum  libri  FI, 
ab  an.  chr.  1230  ad  an.  1276,  fra  i  Rer.  ilalic.  script,  del  Mura- 
tori tom.  Fin.  pag.  830.  Questo  autore  coevo  e  mollo  circostan- 
zialo sembra  essersi  trovato  ai  fatti  che  racconta.  E  qui  non  vo- 
glio tralasciar  di  notare,  che  non  so  capire  come  Andrea  Dei  nella 
cronica  sanese  ed  altri  accusino  di  tradimento  quel  diavolo  di 
Frangipane.  Stando  a  qualunque  relazione,  questi  non  era  seguace 
o  suddito  di  Corradino:  era  romano  e  perciò  dovea  essergli  con- 
trario coll'universale  de'suoi  concittadini,  che  dopo  la  giornata  di 
Tagliacozzo  aveansi  eletto  Carlo  a  senatore  (V.  Chronicon  Cavense 
tom.  VII.  rer.  italic.  script,  p  929):  noi  prese  con  lusinghe,  ma 
armata  mano;  noi  consegnò  volontariamente,  ma  a  viva  forza.  Che 
ci  entra  adunque  il  tradimento  ?  Lo  dica  pur  1'  istoria  avaro  e 
cupido  di  onori  ;  deplori  la  risoluzione  non  cavalleresca  fallagli 
prendere  dalla  cupidigia,  ma  non  infligga  la  taccia  di  traditore  ad 
un  principe  romano.  U  piacere  di  qualunque  scrittore  {■  togliere 
dalle  persone,  di  cui  parla  ,  le  macchie  addossategli  senza  rifles- 
sione: e  troppo  grande  essendo  sempre  stato  il  numero  de'  tradi- 
tori,  non  accresca  il  vitupero  dell'umanità. 


75 

Pochi  anni  dopo  un  cronista  (I)  riscaldato  «dal 
sole  di  Sicilia  sclamava  con  enfasi  in  latino:  -  Bada, 
Astura,  che  l'aquila  occidentale  volando  contro  le 
ecco  s'avventa,  la  quale  distruggendo  il  tuo  nido  , 
i  polli  tuoi  divorerà,  strappandoti  le  penne,  perchè 
macchiasti  le  arene  di  Napoli  Lacedemone  col  san- 
gue del  pollo  dell'aquila  orientale.  -  Infatti  nel  1286 
ai  4  settembre  Bernardo  di  Sairiano  da  12  galere 
mise  in  barche  ì  suoi  soldati  panormitani,  e  di  buon 
mattino  in  giorno  di  domenica  assaltò,  prese,  de- 
predò Astura,  e  in  gran  parte  la  diede  alle  fiamme. 
Vi  rimase  con  altri  morto  di  lanciata  il  figlio  di 
Giovanni  Frangipane.  Tanto  i  siciliani  erano  infa- 
tuati della  memoria  di  Corradino! 

Dopo  pranzo,  annoiali  dall'uniformità  del  mare, 
andammo  a  Nettuno,  non  già  per  la  strada  carroz- 
zabile che  traversa  la  macchia  (2),  ma  sulla  riva,  la 
quale  essendo  troppo  sabbiosa,  stanca:  perciò  si  cer- 
cava sempre  calpestar  l'orlo  del  lito  bagnato  dai 
regolari  v ah eìii  deW onde.  11  sole;  ripercosso  dall'ac- 
que e  dalla  bianca  sabbia,  stampavaci  in  fronte  un 
marchio  di  fuoco.  Diversivo  nelle  faticose  nove  mi- 
glia fino  a  Nettuno,  fu  poco  lungi  una  fabbrica  che 
a  guisa  di  piscina  e  di  punla  sta  in  mare,  ove  co- 


fi)  De  Neocastro  cap.  CU. 

(2)  Questa  macchia  essendo  grandissima  e  folta  è  '1  richiamo 
de'cacciatori,  i  quali  hannovì  abbondanza  di  cinghiali,  capri  e  le- 
pri. La  maggior  copia  di  essi  però  \i  coucorre  nel  maggio,  quando 
ripassando  le  quaglie  in  compagnia  delle  rondini  d'  oltre  mare 
in  Italia,  per  circa  cinque  miglia  si  copre  il  lito  di  reti,  e  le  sem- 
plicette schiere  affaticate  dal  lungo  tragitto  vi  cascano.  Dice  il 
Biondi  che  al  suo  tempo  entro  un  sol  mese  vi  furono  giorni,  in 
ciascuno  dc'quali  st  presero  centomila  uccelli  ! 


76 
mlnciava  a  riparare  dai  venti  di  ponente  la  stazione 
d'Astura-  Seguirono  altre  due  ruine  di  sostruzioni  e 
appoggi  di  villa,  delle  quali  1' ultima  gli  elementi 
riuscirono  a  staccare  dalla  tenera  rupe  del  littorale, 
precipitandola  abbasso.  Passai  il  rivo  perenne,  che 
probabilmente  di  videa  all'ovest  dal  continente  1'  isola 
Astura,  sopra  un  ponticello  antico. 

Giunti  a  Nettuno,  siccome  era  giorno  di  festa  , 
mirammo  le  donne  in  gonna  ì^ossa  e  col  turbante  in 
testa  (1),  ossia  nel  costume  che  ne'  giorni  dì  car- 


(d)  A  spiegazione  di  questo  verso  del  Tassoni  Secchia  rapita 
canto  X-  s<.  24,  ed  affinciiè  tanti  curiosi  e  pittori  che  traggono  di 
festa  a  veder  le  nettuncsi,  abbiano  prima  un'idea  del  loro  costume 
arcipiltoresco,  crediamo  indispensabile  di  riprodurne  1'  esatta  de 
scrizione  dal  P.  D.  Agostino  Maria  Sonsis  somasco  diretta  al  Ba- 
rolti.  Egli  così  scrivea:  —  Del  vestir  delle  donne  di  Nettuno  io 
posso  darne  contezza,  perchè  <iui  ih  Roma  se  ne  vanno  vedendo, 
ed  io  sono  stato  anche  in  Nettuno  medesimo  una  volta.  Usano 
queste  il  vestir  di  rosso  più  di  qualunque  altro  colore:  e  il  ve- 
stito è  di  tal  forma,  che  qui  suol  dirsi  che  vestono  alla  turchesca; 
Parlando  delle  più  benestanti,  il  fondo  o  sia  lembo  della  gonna  è 
trinato  d'oro  a  più  d'un  giro,  e  talvolta  con  andamento  d'intrec- 
ciatura bizzarra,  quasi  direi  a  guisa  di  quelle  trinature,  che  ye- 
donsi  ne'teatri  sopra  gli  abiti  asiatici.  Il  turbante  poi  del  Tassoni, 
altro  non  è,  che  una  fascia  di  pannolino  che  portano  intorno  alla 
testa.  Forse  la  denomina  egli  turbante  relativamente  a  quelle  fa- 
sce bianche,  che  i  turchi  avvolgono  e  intrecciano  a'ioro  turbanti: 
o  fors'anche  perchè  appunto  si  dice  dalla  gente,  che  vestono  alla 
turca,  egli  ha  notato  l' ornamento  del  capo  con  nome  turchesco. 
Si  cingono  queste  donne  intorno  alla  testa  la  suddetta  fascia 
bianca,  la  quale  a  sommo  della  fronte  aggruppano,  e  li  due.  capi 
pendono  dall'  una  parte  e  dall'altra  sopra  l'orecchie  ed  a'  conBni 
del  collo  con  caduta  bizzarra,  che  dà  aria  di  ornamento  barbarico, 
massimamente  confondendosi  co'non  piccoli  orecchini  d'  oro.  Non 
portano  busto  con  ossa  di  baleno  all'uso  dell'altre  donne,  ma  ve- 
stono una  camicioletta  corta  di  panno,  molte  volte  rosso,  con  ma- 
niche strette  simili  a  coteste    delle    ferrarese  ,  che  dal  polso    sii» 


•         ■■  '77      • 
nevale  tanta  grazia  aggiunge  alla  beltà  romana.  Tal 
vestiario  distingue  zitelle,  vedove  e  maritate.  Di  loro 
parlando  il  Pazza.  (1)  riferisce:  u  E  perchè  usavano 
ornamenti  ancora  propri    degl'  imperatori,  del  papa, 
e  vescovi,  come  i  sandali,  la  porpora  ed  altro,  durò 
fatica  Gregorio  XIII  a  ridurli  ad  un  abito  antico  sì, 
ma    comunale  -.  con  la  spesa  della  camera  ,  per  la 
prima  volta  ».  Nettuno  che  nel  1600  dava  i  natali  al 
celebre  pittore  Andrea  Sacchi,  e  nel  1624  a  Paolo 
Segneri  principe  dell'  eloquenza  sacra  ,  è    diviso  in 
moderno  o  borgo,  e  in  vecchio.  Al  vecchio  pone  un 
solo  ingresso,  è  in  salita,  bastioni  e  torri  lo  difen- 
dono. \  vista  del  palazzo  Doria  Pamfili  ripensai  alla 
dimora  fattavi  da  Innocenzo  XII,  il  quale  «   lo  vide 
tanto  sontuosamente  ornato  alla  regia,  che  confessò 
non  aver  visto  eguale  ad  alcun  sovrano-    Li  parati 


verso  al  gomito  hanno  un'apertura  che  si  abbottona  ,  ed  è  guer- 
nita  colla  sua  trina  Cotesta  camicioletta  non  si  ciiiude  tutta  da- 
vanti, ma  solo  al  sito  della  cintura,  alzandosi  l'apertura  d'essa  in 
guisa  che  sempre  più  si  dilata  quanto  più  s'avvicina  a  sommo  il 
peKo:  onde  non  si  stringe  alla  vita  se  non  se  solo  sopra  il  fiancj, 
ov'è  chiusa.  Il  petto  poi  resta  coperto  da  una  pettorina  larga  in 
cima  e  stretta  in  fondo  ,  così  che  cuopre  il  sito  non  chiuso  dalla 
camicioletta  e  provvede  alla  modestia,  non  però  in  maniera  tale, 
che  per  essa  le  don.ie  perdano  i  loro  vantaggi.  La  detta  pettorina 
si  suole  ornare  anch'essa  di  trine  d'oro  in  vaga  forma.  Ma  l'or- 
namento del  capo  è  ciò,  che  più  d'  ogni  cosa  fa  parer  turche  le 
nettunesi.  Per  altro  è  una  curiosità  singolare  per  chi  viaggia  , 
cominciando  dall'Umbria  e  camminando  fin  dentro  il  regno,  il  ve 
derc  che  in  ogni  terra  o  borgo  le  donne  variano  l'ornamento  del 
capo,  acconciandosi  i  loro  veli  tutte  in  diversa  forma:  talché  alle 
nettunesi  quel  velo,  che  altre  portano  più  disteso  sulla  testa  ,  è 
piaciuto  di  stringerlo;  e  Cattane  una  fascia  cingersene  le  tempia  -. 
(1)  (jtrarchia  cardinalizia.  Roma,  stamperia  Bernabò  1703 
pag-  :J14 


78 
ricchissimi  e  quasi  tutti  ricamati  d'oro  con  letti  no- 
bilissimi quasi  tutti  di  ricamo  ,  e  specialmente  li 
parati  ed  il  letto  del  papa  nel  proprio  appartamento. 
In  ogni  stanza  ci  era  gran  magnificenza  per  orna- 
mento e  per  uso  con  lampadari  ,  bragieri  ,  vasi  , 
colonnette,  e  statue  d'argento  (1)  »•  Fuor  del  borgo 
sta  la  fortezza  guardala  da  un  cannone.  Fra  '1  paese 
e  la  fortezza  una  via  mette  in  seno  di  mare  ,  nel 
quale  escono  a  fior  d'  acqua  i  segni  de'  moli  d'  un 
secondo  angiporto.  Qui  ancora  si  vedono  le  ripe 
convalidate  da  sostruzioni  e  grotte  che  seguono 
fino  a  porto  d'  Anzo.  Siffatta  esperienza  mi  portò 
alla  conclusione,  che  gli  antichi  romani  usavan  della 
magnificenza  per  1'  utilità  pubblica.  Imperocché  è 
ad  ogni  marinaio  manifesto,  come  lo  era  ai  tempi 
di  Strabone,  essere  tanto  infelice  la  natura  di  que- 
sto litlorale  pel  continuo  ristagno  delle  arene  tra- 
scinate dall'ordinaria  corrente  dall'est  all'ovest,  che  si 
dichiarava  comunemente  importuoso.  Cosa  effettua- 
rono i  romani  ?  Anche  più  oltre  di  Astura,  come 
si  afferma,  arginai'ono  con  muraglioni  le  ripe  onde 
non  le  minasse  il  mare.  Ne'seni,  ove  naturalmente 
va  sempre  a  fermarsi  un  po'  di  arena  ,  protesero 
punte  a  scagliarla  in  alto,  e  stazioni  che  allineavano 
le  rive  e  quasi  del  tutto  manteneano  il  giro  naturale 
alla  corrente  per  una  specie  di  spaggia  non  inter- 
rotta. L'  arena  poi,  che  o  le  tempeste  o  le  solite 
ondate  insaccavano  nelle  stazioni  e  nel  poito  ,  o 
fermavasi  avanti  ai  muri,  la  ingoiavano  mille  spe- 


(1)  V.  d.3  relazione  del   viag.  d'Innocenzo  XII   a  Nettuno. 


I 


79 
lonche  artefatte,  in  cui  si  riposava  la  gente  ne'gian 
calori,  e  dove  la  trascinavano  per  gettarla  poi  lon- 
tano coll'altra  le  nazioni  de'servi  imperiali.  Le  rima- 
nenti, che  seco  portava  ripa  ripala  corrente,  il  for- 
tiere in  proseguimento  del  capo  anziate  balestrava 
a  ponente  del  promontorio. 

Il  nome  del  paese,  la  stazione,  il  vicino  porlo, 
r  inclinazione  degli  anziati  al  commercio,  ed  una 
lapide  riferita  dal  Fabretti  (1)  »  e  secondo  Ligorio 
trovata  ne'contorni,  prestano  quasi  certezza,  che  a 
Netliino  sorgesse  un  tempio  di  NeUuno  reduce  ,  al 
quale  i  naufraghi  sospendeano  tavolette  votive  e 
bagnate  vestimenta  (2). 

Fabio  Cori. 


(1)  Fabretti  Inscript.  pag.  405  -NEPTVNO  REDVCI-SACRVM- 
Q.  MAMLIVS  Q.  F.  PAL-VI  VIR  AVGVSTALIS  ET  FLAM  Tl- 
TIAL-VOTVM  SOLVIT  LIBENS  MERITO. 

(2)  Hor.  lib-   I.  Od,  5. 


80 


Libro  primo  degli  annali  di  C-  Cornelio  Tacito.  I  se- 
condi XX  paragrafi-  Esperimento  di  versione  ita- 
liana per  Giuseppe  Bustelli. 

(Vedi  il  tomo  CXL|1  del  giornale  arcadico) 

XXI.  lloi'um  adventu  redintegratur  seditìo,  et  vagi 
circumiecta  populabantur.  Blaseus  paucos,  maxime 
praedà  onustos,  ad  terrorem  celerorum,  affici  ver- 
beribus,  claudi  carcere  iubel;  nam  etiam  tum  legato 
a  centuiionibus  ,  et  optimo  quoque  manipularium, 
parebatur.  Illi  obniti  trahentibus,  prensare  circum- 
stantium  genua  ,  ciere  modo  nomina  singulorum  , 
modo  centuriam  quìsque  ,  cuius  manipularis  erat  , 
cohortem,  legionem  «  eadem  omnibus  imminere  w 
clamitantes:  simul  probra  in  legalum  cumulant;  coe- 
lum  ac  deos  obtestantur:  nihil  reliqui  fociunt  quo- 
minus  invidiam,  misericordiam,  metum  et  iras  pio- 
moverent.Adcurritur  ab  universis, et,  carcere  effracto. 
solvunt  vincula;  desertoresque  ac  rerum  capitalium 
damnatos  sibi  iam  miscent. 

XXII.  Flagrantior  inde  vis,  plures  seditioni  du- 
cis:  et  Vibulenus  quidam  giegarius  miles,  ante  tri- 
bunal Blaesi  adlevatus  circumstantium  humeris,  apud 
turba tos  et  quid  pararet  intentos  :  «  Vos  quidcm  , 
»  inquit ,  bis  innocentibus  et  miserrimis  lucem  et 
»  spiritum  reddidistis:  sed  quis  fratri  meo  vitam, 
»  quis  fratrem  mihi  reddit  ?  quem  missum  ad  vos 
»  a  germanico  exercitu  de  communibus  commodis, 
))  nocte  proximà  iugulavit  per  gladiatores  suos,  quos 
»  in  exitium  militum  habet  atque  armat.  Responde, 


81 


XXI.  L^ostoi'o  sorgiunti,  rinfiammano  i  sollevati;  e 
sbandati  manomettono  le  circostanze.  Bleso  per  at- 
terrirgli, obbedendogli  tuttavia  i  centurioni  e  il  fior 
de'  soldati,  alcuni  de'più  rapaci  flagella  o  imprigio- 
na. Quegli  stravolti,  pontavano,  serravansi  alle  gi- 
nocchia di  quanti  scontrassero;  ciascuno  i  compagni, 
la  propria  centuria,  coorte  e  legione  invocavano  per 
nome,  gridando;  «  Altrettanto  avrete  tutti  !  »  E  il 
legato  vituperavano,  gli  dei  scongiuravano;  conci- 
tando a  lor  potere  esecrazione,  pietà,  terrore,  furore. 
Tutti  si  sfienano;  sforzano  il  carcere  ,  sferrano  di- 
sertori e  rei  capitali,  e  ne  ingrossano. 


XXII.  Di  che  raccendimento,  e  più  capi  alla  ri- 
bellione. Un  Vibuleno,  fante  comunale,  d' in  su  gli 
omeri  degli  astanti,  stupiti  e  attesi  a  che  riuscisse, 
surse  di  fronte  al  tribunale  di  Bleso:  «  Voi  torna- 
))  ste  in  vita  questi  infelicissimi  ed  innocenti:  ma  chi, 
»  chi  rende  al  mio  fratello  la  vita,  a  me  il  fratel- 
»  Io  ?  Il  quale  mandato  a  voi  ,  per  nostro  prò, 
»  dalle  niilizie  germaniche,  questa  notte  sgozzarono 
«  i  costui  sgherri,  mantenuti  in  arme  per  macel- 
»  larci.  Dove  n'  hai  gettato,  o  Bleso,  il  cadavere  ? 
G.A.T.CXLIII.  a 


82 
\)  Blaese,  ubi  cada  ver  abiecieris  ?  ne  hostes  quidem 
»  sepulturae  invident  :  cum  osculis  ,  cum  laciytnis 
»  dolorem  meum  impleveto  ,  ine  quoque  trucidari 
»  iube;  dum  inteifectos  nulluin  ob  scelus,  sed  quia 
»  utilità  ti  legionum  consulebamus,  hi  sepeliant  «. 

XXIII.  Incendebat  haec  fletu  ,  et  pectus  atque 
OS  manibus  verberans:  mox  disleclis  quorum  per  hu- 
meros  sustinebatur,  praeceps  et  singulorum  pedibus 
advolutus,  tantum  consternationis  invidiaeque  con- 
civit,  ut  pars  militum  gladiatores  qui  e  servitio  Blaesi 
erant,  pars  ceteram  eiusdem  familiam  vincirent,  alii 
ad  quaerendum  corpus  effunderentur.  Ac  ni  propere, 
neque  corpus  ullum  reperiri  ,  et  servos  ,  adhibitis 
cruciatibus,  abnuere  caedam,  neque  illi  fuisse  unquam 
fratrem,  pernotuisset,  haud  multum  ab  exitio  legati 
aberant.  Tribunos  tamen  ac  praefectum  castrorum 
extrusere.  Sarcinae  fugientium  direptae,  et  cenlurio 
Lucillius  interficitur  ,  cui  militaribus  facetiis  voca- 
bulum  ((  Cedo  alteram  »  indidcrant:  quia  fracta  vite 
in  tergo  militis,  alteram  darà  voce,  ac  rursus  aliam 
poscebat.  Ceteros  latebrae  texere,  uno  retento  Cle- 
mente lulio,  qui  perferendis  militum  mandatis  ha- 
bebatur  idoneus,  ob  promptum  ingenium.  Quin  ipsae 
inter  se  legiones  ,  octava  et  quintadecima  ,  ferrum 
parabant:  dum  centurionem,  cognomento  Sirpicum, 
illa  morti  deposcit,  quintadecumani  tuentur;  ni  miles 
nonanus  preces,  et  adversum  aspernantes  minas,  in- 
teriecisset. 

XXIV.  Haec  audita,  quanquam  abstrusum  et  tri- 
stissima quaeque  maxime  occultantem  ,  Tiberium 
perpulere,  ut  Drusum  filium  cum  primoribus  civita- 
lis,  duabusque  praetoriis  cohortibus  mitteret,  nullis 


83 
»  Nemtnanco  i  niinici  frodano  la  sepoltura  !  Che  io 
»  disacerbi,  baciando  e  Jaciimando,  ir  mio  dolore: 
»  poi  sbranati  me  ancora:  purché,  non  per  misfare 
»  ma  per  procacciar  bene  all'  esercito  colpevoli  e 
»  trucidati,  costoro  ne  seppelliscano  ». 

XXIII.  Il  pianto  e  il  picchiar  delle  pugna  sul 
petto  e  la  faccia,  rincalzavano  i  detti:  quando,  ral- 
largatisi  gli  omeri  che  il  sopportavano  ,  rovesciò  e 
rotolò  fra'  coloro  piedi,  tanta  ira  e  turbamento  sve- 
gliando, che  i  soldati  parte  legarono  gli  sgherri,  parte 
i  famigli  di  Bleso,  parte  all' inchiesta  del  cadavere 
si  sparpagliarono.  Se  tosto  non  chiarivasi  non  si  tro- 
var cadavere,  e  i  servi,  torturati,  negare  il  misfatto 
né  mai  Vibulano  aver  avuto  fratello,  per  poco  uc- 
cidevano il  legato.  Pure,  discacciano  i  tribuni  e  il 
mastro  di  campo,  e  gli  rubano  fuggenti,  delle  ba- 
gaglie  ,  e  ammazzano  Lucilio  centurione  ,  sopran- 
nomato,  con  soldatesca  arguzia,  un'altra:  perciocché, 
tiaccata  in  sulla  schiena  del  soldato  una  verga,  un' 
altra  e  poi  un'altra  a  gran  voce  chiedevane.  Gli  al- 
tri s'acquattarono:  non  però  Giulio  Clemente,  abile 
rapportatore,  per  veloce  ingegno  ,  delle  soldatesche 
ambasciate.  Che  se  la  nona  legione  ,  pregando  e  i 
resistenti  minacciando,  non  si  traponeva,  la  ottava 
e  la  quintadecima,  quella  per  voler  morto  ,  questa 
salvo,  Sirpico  centurióne,  appiccavano  mischia. 


XXIV.  Saputo  questo  Tiberio,  cupo  quantunque 
e  destrissimo  a  nascondere  i  peggior  danni,  fu  stretto 
di  spedirvi  il  fìgl/o  Druso  con  due  coorti  pretoriane; 


84 
satis  certis  mandatis;  ex  re  consulturum.  Et  cohortes 
delecto  milite  supra  solilum  firmatae.  Additar  magna 
pars  praetoriani  equitis,  et  robora  germanorum,  qui 
tum  eustodes  imperatori  aderant  :  simul  praetorii 
praefectus  ,  Aelius  Seianus  ,  collega  Straboni  patri 
suo  datus,  magna  apud  Tiberium  auctoritate,  rector 
iuveni,  et  ceteris  periculorum  praemiorumque  osten- 
tator.  Druso  propinquanti,  quasi  per  officium,  obviae 
fuere  legiones:  non  laetae,  ut  assolet ,  neque  insì- 
gnibus  fulgentes,  sed  illuvie  deformi,  et  vultu,  quan- 
quam  raoestitiam  imitarentur  ,  contumaciae  pro- 
piores. 

XXV.  Postquam  valium  introiit ,  portas  statio- 
nibus  firmant ,  globos  armatorum  certis  castrorum 
loci  opperiri  iubent:  celeri  tribunal  ingenti  agmine 
circumveniunt.  Stabat  Drusus  silentium  manu  po- 
scens.  UH  quoties  oculos  ad  multitudinem  retule- 
l'ant,  vocibus  truculentis  strepere;  rursum,  viso  Cae- 
sare,  trepidare:  murmur  incertum,  atrox  clamor,  et 
repente  quies:  diversis  anim^rum  motibus,  pavebant, 
terrebantque.  Tandem,  interrupto  tumultu,  litteras 
patris  recitat,  in  quis  praescrlptum  erat:«  Praecipuam 
»  ipsi  fortissimarumlegionum  curam,quibuscum  plu- 
»  rima  bella  toleravisset:  ubi  primum  a  luctu  re- 
»  quiesset  animus,  acturum  apud  patres  de  postu- 
»  latis  eorum:  raisisse  interim  filium,  ut  sine  cun- 
»  ctationc  concederei  que  slalìm  tribui  possent;  ce- 
»  tera  sena  lui  servanda;  quem  neque  gratiae  neque 
»  severitatis  espertem.  haberi  par  esset  ». 

XXVI.  Responsum  est  a  conclone,  mandata  Cle- 
menti centurioni  quae  perferret.  ìs  orditur  «  De  mis- 
»  sione  a  sexdecim  annis:  de  praemiis  fìnitae  mi- 


85 
rifornite  fuor  del  consueto  di  scelti  militi,  e  i  pri- 
mai  cittadini,  con  niun  ordine  fermo,  ma  avvisassero 
il  destro.  V  arrose  assai  cavalli  del  pretorio  ,  e  il 
meglio  de'germani,  custodi  allora  del  principe:  e  in- 
sieme Elio  Sciano,  prefetto  del  pretorio,  da  lui  fa- 
voritissimo, e  il  suo  padre  Strabone  deputò  reggi- 
tori al  giovane  ,  e  agli  altri  di  pene  e  premi  pro- 
mettitori. Appressando  Druso  le  legioni,  per  osser- 
vanza, gli  furono  incontro,  non  coll'usata  festività  e 
splendor  di  vessilli,  ma  sformatamente  immonde,  e 
dal  piglio,  composto  a  tristezza,  spiranti  arroganza. 

XXV.  Come  fu  nello  steccato,  assiepano  di  guar- 
die le  porte,  di  drappelli  armati  le  porte,  gli  altri 
in  gran  calca  serrano  il  tribunale.  Surto  Druso,  chie- 
deva con  mano  udienza:  quelli  se  la  moltitudine  sguar- 
davano oi'ribilmente  vociferavano:  se  Cesare,  trepi- 
davano: con  murmurc  confuso,  bramivano,  di  subito 
quietavano:  con  varia  tenzone  di  affetti,  tremanti  o 
tramendi.  Racchetatigli  alfine,  legge  la  paterna  let-- 
tera,  di  questo  tenore:  a  Come  il  mio  dolore  il  com- 
»  porti  ,  tratterò  co'padri  delle  domande  di  queste 
»  legioni  fortissime,  statemi  in  tante  guerre  com- 
»  pagne,  e  di  tutte  a  me  carissime:  mando  intanto 
»  il  figlio,  che  incontanente,  qiianto  ora  si  possa, 
))  conceda  ;  il  resto  al  senato  ,  che  ,  graziando  o 
»  punendo,  non  si  vuol  forchiudere  )). 


XXVI.  A  questo   là  turba:  «  Risponda   per  noi 
»•  Clemente  centurione  ».    Costui  chiese  :  concsedo 


86 
»  litiac:  ut  denariiis  diurnum  stipcndium  forct,  ne 
V  veterani  sub  vexillo  habeientur  «.  x\d  ea  Drusus, 
cum  arbilrium  senatus  et  patris  obstendeiet,  clannore 
turbatur:  «  Cui*  venisset ,  neque  augendis  militum 
))  stipendiis  ,  neque  allevandis  laboribus  ,  denique 
»  nulla  benefaoiendi  licentià  ?  At  heicule  verbera 
))  et  necem  eunclis  pemiitti!  Tiberium  olim  no- 
))  mine  Augusti  desideria  legionum  frustari  solitum; 
))  easdem  artes  Drusum  retulisse  :  numquamne  ad 
))  se  nisi  filius  familiarum  venturas?  Novum  id  piane, 
»  quod  imperator  sola  militis  commoda  ad  senatum 
))  reiiciat:  eumdem  ergo  senatum  consulendum,  quo- 
))  lies  supplicia  aut  praelia  indicantur?  an  praemia 
))  sub  dominis,  poenas  sine  arbitro  esse  ?  » 

XXVII.  Postremo  deserunt  tribunal:  ut  quìs  prae- 
torianorum  militum  amicorumve  Caesaris  occurreret, 
manus  intentantes,  causam  discordiae  et  initium  ar- 
morum,  maxime  infensi  Cn.  Lentulo,  quod  is  ante 
alios  aetate  et  gloria  belli,  firmare  Diusum  crede- 
batur,  et  illa  mililiac  flagitìa  primus  aspernari.  Nec 
multo  post  digredientem  cum.  Caesare,  ac  provisu 
periculi  hiberna  castra  repentem,  circumsistunt,  ro- 
gitantes  «  Quo  pergeret:  ad  imperatorem,  an  ad  pa- 
))  tres,  ut  illic  quoque  commodis  legionum  adver- 
»  saretur  ?  »  Simul  ingruunt,  sane  iaciunt:  iamque 
lapidis  ictu  cruentus  et  exitii  certus,  accursu  mul- 
titudinis,  quae  cum  Druso  advenerat,  protectus  est, 

XXVIII.  Noctem  minacem  et  in  scelus  eruptu- 
ram  fors  Icnivit;  nam  luna  claro  repente  caelo  visa 
languescere.  Id  miles,  rationis  ignarus,  omen  prae-  • 
sentium  accepit,  ac  suis  laboribus  defectionem  sideris 
assimilans,  prosperequc   cessura  quae  pergerent,  si 


87 
dopo  i  sedici  anni;  il  ben  servito:  un  danaio  il  giorno, 
tolti  ai  vessilli  i  veterani-  E  protestando  Druso  il 
voler  del  senato  e  del  padre,  fu  uno  scalpore.  «  Senza 
»  facoltà  di  crescerne  paga  o  sminuirne  fatica  o  gio- 
»  varne  comechessia,  a  che  venistù  ?  Ma  il  batterci, 
»  l'ucciderci,  per  Dio,  cui  si  vieta  ?  Far  vano,  in 
))  nome  d'Augusto,  ogni  piacer  nostro,  usò  già  Ti- 
»  berlo  :  ora  medesimamente  Druso.  Altri  non  ci 
))  spedirà  che  figli  di  famiglia  ?  Vedete  giustizia  ! 
»  Solo  il  nostro  utile  1'  imperadore  rimanda  al  se- 
»  nato:  perchè  non  ancora  i  gastighi  e  le  battaglie 
»  che  ne  s' impongono  ?  Adunque  il  guiderdone  a 
»  rigore,  e  la  pena  a  libito  ? 

XXVII.  Sgombrato  infine  il  tribunale,  ogni  pre- 
toriano 0  amico  di  Cesare  che  riscontrino,  per  ap- 
picco ai  corrucci  e  al  sangue,  percuotono,  fierissimi 
a  Gn.  Lentulo,  stimato,  per  età  e  gloria  guerriera, 
il  più  efficace  consigliere  di  Druso,  e  primo  ripren- 
ditore di  quel  disordinar  di  milizia.  Poco  stante  di- 
lungandosi con  Cesare,  per  campare  quel  rischio, 
verso  i  quartieri  d' inverno,  lo  cingono  e  gli  chie- 
dono: «  Dove  vai?  all'imperatore  o  al  senato  per 
»  quivi  ancora  osteggiare  il  nostro  meglio  ?»  e  in- 
sieme gli  piombano  sopra  co'sassi  :  sanguinoso  da 
quel  tempestare,  periva,  se  la  moltitudine  soprav- 
venuta con  Druso  noi  campava, 

XXVIII.  Fortuna  stornò  i  mali  che  la  notte  ne 
sovrastavano:  perciocché  la  luna,  a  ciel  sereno,  parve 
a  un  tratto  scolorare:  e  del  perchè  ignaro  il  soldato, 
rassomigliando  ai  propri  travagli  il  mancar  di  quella, 
ne  presagì  che  bene  la  presente  impresa  gli  succe- 


88 
fulgor  et  claritudo  deae  redderetur.  Igitur  aeris  sono, 
tubiu-um  cornuumque  concentu  strepere;  prout  splen- 
didior  obscuriorve,  laetari  aul  moerere;  et  postquam 
ortae  nubes  offecere  visui  crcditurnque  conditam  te- 
nebris,  ut  sunt  mobiles  ad  superstitionem  perculsae 
semel  meotes,  sibi  aeternum  laborem  portondi,  sua 
facinora  aversari  deos  lamentantur.  Vtendu,nri  in- 
clinatione  eà  Cassar,  et  quae  casus  obtulerat  in  sa- 
pientiam  vertenfla  ratus  ,  circumiri  tentoria  iubet. 
Accitur  centuno  Clcmens  ,  et  si  alii  bonis  artibus 
grati  in.  vulgus:  ii  vigiliis,  stationibus,  custodiis  por- 
LTrum  se  inferunt,  spem  ofFerunt,  metum  intendunt. 
»  Qaosque  filìum  imperatoris  obsidebimus  ?  quis 
»  certaminum  finis  ?  Perccnnione  et  Vibuleno  sa- 
»  cramentuni  dicturi  sumus  ?  Pcrcennius  et  Vibu- 
»  lenus  stipendia  railitibus,  agros  cmeritis  largìen- 
»  tur  ?  denique,  prò  Neronibus  et  Drusis,  imperiuni 
»  populi  romani  capessent  ?  Quin  potius,  ut  liovis- 
))  simi  in  culpam,  ita  primi  ad  poenitentiam  sumus  ? 
»  Tarda  sunt  quae  in  commune  expostulantur;  pri- 
»  vatam  gratiam  statim  niercare,  statim  recipias.  » 
Gommotis  per  haec  mentibus  et  in  ter  so  suspectis, 
tironem  a  veterano,  legionem  a  legione  dissociant. 
Tum  redire  paullatim  amor  obscquii:  omittunt  por- 
tas;  signa,  unum  in  locum  principio  seditionis  con- 
gregata, suas  in  sedes  referunt. 

XXIX.  Drusus  ,  orto  die  ,  et  vocatà  conciono  , 
quamquam  rudis  dicendi,  nobilitate  ingenita,  incusat 
priora,  probat  praesentia:  negat  «  se  tci'rore  et  minis 
»  vinci;  flexos  ad  modestiam  si  videat,  si  supplices 
»  audiat  ,  scripturum  patri  ,  ut  placatus  legionum 
»  preces^exqiperetw.  Orantibus:  rursum  idem  Blaesus 


89 
derebbe,  se  la  dea  rischiarasse.  E  qui  intronavano 
con  suono  di  bronzi  e  tronnbe  e  corni  :  com'  ella 
Fallumava  o  rannugolava,  rallegravano  o  rammari- 
cavano; e  poiché  le  nubi,  distese  innanzi  alla  veduta, 
le  intenebrarono,  come  la  fantasia  spaurita  volge  alla 
superstizione  ,  si  pronosticano  perpetue  sciagure , 
lamentano  che  per  loro  fallire  gli  dei  gì'  inimicasi 
sero.  Cesare  parutogli  da  corre  quel  destro  e  il  caso 
volgare  in  consiglio,  fé  accerchiare  le  tende,  e  trat- 
tovi Clemente  centurione  e  se  altri  careggiando  si 
era  il  volgo  gratificato,  gì'  inframmette  alle  scolte, 
alle  poste,  alle  guardie  delle  porte,  a  meschiare  lu- 
singhe e  minacce.  «  Quando  sprigioneremo  il  figlio 
»,  dell'  imperadore  ?  quando  poseremo  ?  0  vorremo 
»  giurar  fede  a  Percennio  e  a  Vibuleno  ?  Costoro 
))  daranno  stipendio  ai  soldati,  terreno  ai  congedati, 
))  e  in  breve  governo,  in  cambio  dei  Neroni  e  dei 
»  Drusi,  al  popolo  romano  ?  0  meglio  non  doman- 
»  deremo  perdono  ,  a  quelli  e  primi  gli  ultimi  a 
»  ribellare  ?  Grazia  in  comune  ,  tardi  s' impe- 
»  tra  :  grazia  privata,  appena  meritata,  consegui». 
Di  che  smossi,  e  l'uno  dell'altro  adombrati,  novi- 
zio da  veterano,  legione  da  legioiie  scompagnana.Rin- 
voglìano  a  poco  a  poco  dell'obbedienza;  sgombrano 
le  porte  ;  le  insegne,  in  sul  primo  bollire  insieme 
raggruppate,  rendono  alle  antiche  sedi. 

XXiX.  Alla  dimane  Druso,  rozzo  parlatore,  ma 
nobile  animo,  raguna  il  parlamento;  riprende  il  prin- 
cipio, loda  la  fine:  «  Me  non  ispaurano  minacce:  se 
»  tornate  sommessi  e  supplichevoli,  alle  vostre  pre- 
»  ghiere  propizierò  per  lettera  il  padre  ».  Per  loro 
dimanda,  nuovamente  fur  mandati  a  Tiberio  Bleso 


90 

et  L.  Apronius,  cqiies  romanus  e  cohoite  Drusi,  lu- 
stusque  Catonius,  [)i'iiiii  ordinis  centuno,  ad  Tibe- 
rium  mittuntui-.  Certatum  inde  senlentiis,  quuin  alii 
»  opperiendos  legalos,  atque  interim  comitale  per- 
))  mulcendum  militem  »  censerent;  alii  «  fortioribus 
»  remediis  agendum:  nihil  in  vulgo  modicum:  ter- 
»  reie,  ni  paveant;  ubi  pertimuerint,  impune  con- 
))  temni:  dum  superstitio  urgeat,  adiicendos  ex  duce 
»  metus,  sublatis  seditionis  auctoi'ibus.  »  Promptum 
ad  asperiora  ingenium  Druso  erat:  vocatos  Vibulc- 
num  et  Peicennium  interfici  iubet.  Tradunt  pleii- 
que  intra  tabernaculum  ducis  obrutos,  alii  corpora 
extra  valium  abiecta  ostentui. 

XXX.  Tum,  ut  quisque  praecipuus  turbator,  con- 
quisiti: et  pars  extra  castra  palantes,  a  centurionibus 
aut  praetoriarum  cohorfcium  militibus  caesi;  quos- 
dam  ipsi  manipuli  ,  docnmentum  fidci  ,  tradidere. 
Auxerat  militum  curas  praematura  hiems,  imbribus 
continuis,  adeoque  saevis,  ut  non  egiedi  tentoria, 
congregari  inter  se,  vix  tutari  signa  possent,  quae 
turbine  atque  unda  raptabantur.  Durabat  et  formido 
coelestis  irae:  «  Nec  frustra  adversus  impios  hebe- 
»  scere  sidera,  ruere  tempestates  ;  non  aliud  ma- 
))  lorum  levamentum,  quam  si  linquerent  castra  in- 
»  fausta  temerataque,  et  soluti  piaculo,  suis  quisque 
))  hibernis  redderentur  «.  Primum  octava,  dein  quin- 
tadecima legio,  rediere.  Nonanus  opperiendas  Tiberii 
epistolas  clamitaverat:  mox,  desolatus  aliorum  di- 
scessione, imminentem  necessitatem  sponte  praeve- 
nìt:  et  Drusus,  non  exspcctato  legatorum  regressu, 
quia  praesentia  satis  consederant,  in  urbem  rediit. 


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e  L.  Apronio  cavaliere  romano  della  coorte  di 
Druso,  e  Giusto  Catonio,  centurione  di  primo  or- 
dine. Di  poi  fu  quistione,  se  fosse  da  attendere  i 
messi,  e  trattante  careggiare  il  soldato,  o  rìcisi  par- 
titi adoperare.  «  Il  volgo  non  tiene  mezzo;  tremante 
»  0  tremendo:  tremante,  lo  schernirebbe  un  fan- 
»  ciullo.  Ringagliardi  il  capitano,  spegnendo  i  Ca- 
porioni, lo  sgomento  della  superstizione  ».  Druso, 
da  natura  crudele,  chiamati  Vibuleno  e  Percennio, 
fé  ucciderli:  e  al  dire  dei  più,  seppellire  nella  sua 
tenda:  di  altri,  prostendere  da  vedere  fuor  della  ba- 
stita. 

XXX.  Cercati  allora  i  più  sommovitori ,  quali , 
disgregati  fuor  del  vallo,  furono  trucidati  dai  cen- 
turioni e  dai  pretoriani,  e  alcuni,  quasi  arra  di  fede, 
per  gli  stessi  manipoli  rassegnati.  Raggravò  il  patir 
dei  soldati  il  verno  precoce,  per  continovo  e  sì  di- 
rotto piovere  che  non  gli  lasciava  uscir  dei  padi- 
glioni ,  ne  raccozzare  insieme  ,  né  quasi  dispiegare 
le  insegne,  sbattute  dal  turbine  e  dall'acqua:  né  lo 
spavento  dei  numi  ristava.  «  Mal  per  noi,  sciagurati, 
))  questo  oscurar  di  stelle  e  infuriar  di  procelle;  ne 
»  altramente  camperemo,  se  usciti  di  questo  chiuso 
»  malaurioso  e  contaminato,  e  purgati  con  sacrifi- 
»  zi ,  non  ci  rendiamo  ciascuno  alla  sua  stanza  d' 
»  inverno  ».  Da  prima  vi  tornò  1'  ottava  legione  , 
indi  la  decimaquinta.  Gridava  la  nona,  si  aspettas- 
sero le  lettere  di  Tiberio;  poi,  trovatasi  sola,  precorse 
spontanea  la  pressante  necessità;  e  Druso,  posata  a 
bastanza  la  sedizione,  non  attese  i  messaggi,  e  si 
raddusse  a  Roma. 


92 

XXXI.  lisdein  ferme  dicbiis,  iisdcrn  caussis,  ger- 
manicae  legiones  turbatac,  quanto  plures,  tanto  vio- 
lentius  :  et  magna  spe  fere  ut  Germanicus  Caesar 
imperium  altei'ius  pati  nequiret,  daretque  se  legio- 
nibus,  vi  sua  cuneta  tracturis.  Duo  apud  lipam  Rheni 
exercitus  crant:  cui  nomen  superiori,  sub  C.  Silio 
le^to  ;  inferiorem  A.  Caecina  curabat.  Regimen 
summae  rei  penes  Germanicum,  agendo  Galliarum 
censui  tum  intentum.  Sed  ,  quibus  Silìus  modera- 
batur ,  mente  ambigua  fortunam  seditionis  alienae 
speculabantur:  inferiovis  exercitus  miles  in  rabiem 
prolapsus  est,  orto  ab  unaetvicesimanis  quintanisque 
initio,  et  tractis  prima  quoque  ac  viccsimà  legioni- 
busjr  nam  iisdem  aestivis  in  fìnibus  Ubiorum  habe- 
baotur,  per  otium  aut  levia  munia.  Igitur,  audito 
fwie  Augusti,  vernacula  multitudo  nupcr  acto  in.  urbe 
delectu,  lasciviae  suela,  laborum  intolerans,  imple- 
re  (1)  ceterorum  rudes  animos:  (c  Venisse  tempus, 
»  quo  veterani  maturam  missionem  ,  iu\:enes  lar- 
»  giora  stipendia,  cuncti  modum  miseriarum  expo- 
))  scerent,  saevitiamque  centurionum  ulciscerentur». 
Non  unus  baec,  ut  pannonicas  inter  legiones  Per- 
ccnnius,  noe  apud  trepidas  militum  aurcs,  alios  va- 
lidiores  exercitus  respicientium,  sed  multa  seditionis 
ora  vocesque:  «  Sua  in  manu  sitam  rem  romanam; 
))  suis  victoriis  augeri  rempublicam  :  in  suum  co- 
»  gnomentum  adscisci  imperatores  ». 

XXXII.  Nec  legatus  obviam  ibat  :  quippe  plu- 
rium  vecordia  constantiara  exemerat.  Repente  lym- 
phati,  destrictis  gladiis,  in  centuiiones  invadunt  (ea 


(1)  A!,  impellere. 


93 

XXXI.  Quasi  di  quei  dì,  pei'  ugual  cagione,  tu- 
multuarono (e  quanto  più  fiere  quanto  più  copiose) 
le  legioni  di  Germania,  con  gran  fiducia  che  Ger- 
manico Cesare  non  comportasse  la  signoria  dell'al- 
tro, e  si  desse  alle  legioni,  da  venir  arbitre  di  tutto. 
Stanziavano  al  R^no  due  eserciti:  quello  detto  su- 
periore, conduceva  C.  Silio;  1'  inferiore  A.  Cecina. 
Capo  di  tutti  Germanico,  che  di  presente  traeva  1' 
imposte  dalle  Gallie.  Ma  que' di  Silio  ,  dubitosi,  al 
riuscimento  dell'altrui  sedizione  risguardavano;  l'e- 
sercito inferiore  infellonì,  natane  origine  dalle  le- 
gioni ventunesima  e  quinta,  che  traportarono  altresì 
la  prima  e  la  ventesima  ,  aqquartierata  insieme  ai 
confini  degli  ubii  e  quasi  che  oziose.  Ora,  saputo 
morto  Augusto,  una  bruzzaglia  vernacola,  raccozzata 
di  poco  in  Roma,  sollazzevole,  fuggifatica,  prese  a 
sobbillare  i  più  quieti.  «  Tempo  è  venuto  che  pronto 
»  congedo  ai  vecchi,  più  larga  paga  ai  giovani  ,  a 
»  tutti  misura  de'patimenti  si  conceda,  e  vendetta 
»  de'soprusi  de'centurioni  ».  Non  uno,  come  frale 
pannoniche  legioni  Percennio,  né  fra  soldati  trepi- 
danti di  contro  a  più  forti  eserciti,  ma  molte  guise 
e  voci  di  sedizione:  «  Roma  è  in  nostra  balia:  per 
»  nostre  vittorie  prospera  la  repubblica  :  da  noi  il 
»  cognome  agi'  imperatori  ». 


XXXII.  Né  il  legato,  scorato  per  l' imbizzarrire 
di  tanti,  fronteggiava.  Fossennati,  a  un  tratto,  col 
ferro  in  pugno  ,  assalgono  i  centurioni  (odiosissimi 


94 
venustissima  militaribus  odiis  materies,  et  sacviendi 
prìncipium),  prostratos  verberibus  rnulcant,  sexageni 
singulos  ,  ut  numerum  eenturionuin  adaequarent. 
Tum  convulsos  laniatosque  ,  et  partitn  exanimos  , 
ante  valium  aut  in  amnem  Rhenum  proiiciunt.  Se- 
ptimius,  quum  peifugisset  ad  tribunal,  pedibusque 
Caecinae  advolveretur,  eo  usque  flagitatus  est,  do- 
nQC  ad  exitium  dederetur.  Cassius  Chaerea  ,  mox 
caede  C.  Caesaris  memoriam  apud  posteros  adeptus, 
tum  adolescens  et  animi  ferox,  intei*  obstantes  et  ar- 
matos  ferro  viam  patefecit.  Non  tribunus  ultra,  non 
eastrorum  praefectus  ius  obtinuil:  vigilias  ,  statio- 
nes,  et  si  qua  alia  praesens  usus  indixerat,  ipsi  par- 
tiebantur.  Id  militares  animos  altius  coniectantibus 
praccipuum  indicium  magni  atque  implacabilis  mo- 
tus,  quod  ncque  disiceli,  uee  paucorum  instinctu  , 
sed  pariter  ardescercnt,  pariter  silerent  :  tanta  ae- 
qualitate  et  constantia  ut  regi  crederes.  Interea  Ger- 
manico, per  Gallias,  ut  diximus,  census  accipienti , 
excessisse  Augustum  adfertur. 

XXXIH.  Neptem  cius  Agrippinam  in  matrimo- 
nio, plurcsque  ex  eà  liberos  habebat.  Ipso  Druso  > 
fratrc  Tiberii,  genitus,  Augustae  nepos:  scd  anxius 
occultis  in  se  patrui  aviaeque  odiis,  quorum  caus- 
sae  acriores  quia  iniquae.  Quippe  Drusi  magna  apud 
populum  romanum  memoria,  credebaturque,  si  re- 
rum potitus  foret,  libertatem  redditurus  ;  unde  in 
Gcrmanicum  favor  et  spes  eadem.  Nam  iuveni  ci- 
vile ingenium  ,  mira  comitas ,  et  diversa  a  Tiberii 
sermone,  vultu,  adrogantibus  et  obscuris.  Accedebant 
muliebres  offensiones,  novcrcalibus  Liviae  in  Agrip- 
pinam stimulis,  atquc  ipsa  Agrippina    paullo  com- 


95 
ab  antico  ai  soldati,  e  primo  segno  alle  vendette), 
e  gii  stramazzano  e  maleonciano,  ogni  sessanta  uno, 
per  uguagliarne  11  numero.  Poi  sformati,  dilacerati, 
e  parte  esanimi,  gli  arrandellano  fuor  lo  steccato  o 
in  Reno.  Settimio  riparò  al  tribunale,  avvinghiossi 
ai  pie  di   Cecina:  pur  bisognò  lasciarlo  spacciare  ; 
per  modo   lo  chiesero.  Cassio  Cherea  ,  feroce  gai-- 
zone  (il  futuro  immortale   uccisore  di  C.  Cesare)  si 
sgombrò  la  via,  tra  le  opposte  armi,  col  ferro-  Tri- 
buno né  maestro  di  campo  più  non  ascoltarono:  le 
scolte,  le  poste,  e  se  altro  ufficio  nacque  in  quella 
stretta,  fra  sé  scompartivano.  Grande  argomento  a 
chi  vedea  addentro  negli  umori  soldateschi,  di  larga 
e  infrenabile  rivoltura  ,  fu  che  non  ismembrati  né 
poco  volenterosi  ,  ma  di  conserto  sobbollivano  ,  di 
conserto  rabbonivano. 


XXXIII.  Trattanto  Germanico,  in  sul  catastare, 
come  dissi,  le  Gallio,  seppe  d'Augusto  morto,  la  cui 
nipote  Agrippina  avea  per  moglie,  e  di  lei  più  fi- 
gliuoli. Nato  di  Druso  (fratel  di  Tiberio),  nipote  di 
Augusta,  Iravagliavalo  il  segreto  e  ingiusto  (e  però 
più  furioso)  odio  del  zio  e  dell'avola;  portatogli  per 
la  calda  memoria  e  opinione  di  Druso  mantenuta 
da'romani,  ch'egli,  se  di  Roma  insignorisse,  risto- 
rerebbe la  libertà;  donde  ugual  favore  e  fidanza  in 
Germanico;  giovane  di  cittadinesco  ingegno,  di  fare 
cortesissimo,  diversissimo  da  Tiberio,  tracotante  di 
piglio,  ambiguo  di  parlare.  S'arrogevano  i  femmi- 
neschi rancori:  Livia  da  madrigna  astiava  Agrippi- 


96 

motior;  nisi  quod  castitate  et  meriti  amore  quam- 
vis  indomitum,   ariimum  in  bonum  vertebat. 

XXXIV.  Sed  Germanicus,  quanto  summae  spai 
pi'oprioi",  tanto  impensius  prò  Tiberio  niti.  Sequanos 
proximos  et  belgarum  civitates  in  verba  eius  adigit. 
Dehinc,  andito  legionum  tumultu,  raptim  profectus, 
obvias  extra  castra  habuit,  deiectis  in  terram  ocu- 
b's,  velut  penitentià.  Postquam  valium  iniit,  dissoni 
questus  audiri  coepere:  et  quidam,  prensà  manu  eius, 
per  speciem  osculandi,  inseruerunt  digitos,  ut  vacua 
dentibus  ora  contingeret:  alia  curvata  senio  mem- 
bra ostendebant.  Assistentem  concionem,  quia  per- 
mixta  videbatur,  «  Discedere  in  manipulos  »  iubet; 
»  sic  melius  audituros  responsum:  vexilla  praeferri, 
»  ut  id  saltem  discerneret  cohortes:  »  tarde  oblem- 
peravere.  Tunc  a  veneratione  Augusti  orsus  ,  flexit 
ab  victorias  triumphosque  Tiberii,  praecipuis  laudi- 
bus  celebrans  quae  apud  Germanias  ,  illis  cum  le- 
gionibus,  pulcherrima  fecisset.  Itaiiae  inde  consen- 
sum  Galliarum  fidem  extollit;  nil  usquam  turbidura 
aut  discors.  Silentio  haec  vel  murmurc  modico  au- 
dita sunt. 

XXXV.  Ut  seditionem  attigit,  ubi  modestia  mi- 
litaris,  ubi  veteris  discipiinae  decus,  quonam  tribu- 
nos,  quo  centuriones  exegissent,  rogitans  ;  nudant 
universi  corpora ,  cicatrices  ex  vulneribus ,  ver- 
berum  notas  exprobrant  ;  mox  ,  indiscretis  vocibus 
pretia  vacationum,  angustias  stipendii,  duritiam  ope- 
rum,  ac  propriis  nominibus  incusant  valium  ,  fos- 
sas,  pabuli,  materiae,  lignorum  adgestus,  et  si  qua 
alia  ex  necessitate  aut  adversus  otium  castrorum 
quaeruntur.  Atrocissimus  veteranorum  clamor  orie- 


I 


97 

na:  costei  era  un  pò  viva,  se  non  che  pudore  e  carità 
di  moglie  bene  indirizzavano  quella  caldezza. 

XXXIV.  Ma  Germanico,  come  più  il  principato 
se  gli  offeriva,  e  più  forte  brigava  per  Tiberio.  Re- 
cogli in  divozione  i  vicini  sequani  e  le  città  belge: 
e  volò,  udito  che  subbollivano,  alle  legioni,  venu- 
tegli incontro  fuor  del  campo,  con  gli  occhi  a  terra, 
come  pentite.  Entrato  nel  campo,  sursero  discor- 
danti querele;  e  quale  strettogli  la  mano,  come  da 
baciare,  se  ne  inframmette  per  le  gengie  sdentate  i 
diti  che  le  tastassero;  e  chi  porgeva  il  dorso  da  vec- 
chiezza incurvato.  Parutagli  disordinata  quella  turba, 
fé  tornarla,  per  meglio  udirlo,  nelle  compagnie  :  e 
perchè  le  coorti  si  scernessero,  co'  vessilli  innanzi. 
A  malincuore  obbedirono.  Qui,  lodato  in  prima  A\i- 
gusto,  calò  alle  vittorie  e  ai  trionfi  di  Tiberio,  levò 
a  cielo  le  costui  prove  stupendissime,  con  quelle 
legioni,  in  Germania:  indi  il  consentire  d'  Italia,  la 
fede  di  Gallia;  la  quiete  e  concordia  finallora  uni- 
versale. 


XXXV.  Poco  o  nulla,  fin  qui,  mormorarono.  Toc- 
cata la  sedizione,  e  chiesto:  «  Dove  l'ubbidienza  mi- 
litare ?  dove  l'orrevole  antica  disciplina  ?  dove  cac- 
ciaste i  tribuni,  i  centurioni  ?  »  tutti  s'  ignudano: 
bestemmiano  le  cicatrici  delle  ferite,  il  lividore  delle 
battiture;  poi,  con  discorde  vociferare,  il  prezzo  dei 
riposi,  la  strettezza  degli  stipendi  ,  l'acerbità  de'ia- 
vori,  e  nomatamente  lo  steccato,  i  fossi,  il  trasporto 
de'fieni  e  legnami,  e  checche  altro  bisogna  o  cessa 
ozio  in  campo.  I  veterani,  noverando  trenta  o  piiì 
G.A.T.CXLIIl.  7 


98 
batur;  qui,  tricena  aut  supra  stipendia  numerantes, 
»  mederetui"  fessis,  neu  mortem  in  iisdetn   labori- 
»  bus,  sed  finem  tam  exercitae  militiae,  neque  ino- 
»  pem  requiem   »  orabant:  fuere  etiam  qui  legatam 
a  divo    Augusto  pecuniam  reposeerent  ,   faustis    in 
Gennanicum  ominibus,  et,  si  vellet  imperium,  prom- 
ptos  ostentavere.  Tum  vero,  quasi  scelere  contami- 
naretui',  praeceps  tribunali  desiluit:  opposuerunt  ab- 
eunti  arma,  minitantes,  ni  regrederetur.  At  ille,  mori- 
turum  potius,  quam  fidem  exueret  clamitans,ferrum  a 
latere  diripuit,  elatumque  deferebat  in  pectus,  ni  pro- 
ximi  prensam  dextram  vi  attinuissent  :  extrema   et 
conglobata  inter  se  pars   concionis  ,  ac  ,  vix  credi- 
bile dictu,  quidam  singuli,  propius  incedentes,   fe- 
riret,  hortabantur:  et  miles  nomine  Calusidius:  stric- 
tum    obtulit  gladium,  addito,  acutiorem  esse.  Sae- 
vum  id  malique  moris,  etiam  furentibus,  visum:  ac 
spatium  fuit,  quo  Caesar  ab  amicis  in  tabernaculum 
ra  pere  tur. 

XXXVI.  Consultatum  ibi  de  remedio.  Etenim 
nunciabatur:  «  Parari  legatos,  qui  superiorem  exer- 
»  citam  ad  caussam  eandem  traherent:  destinatum 
»  excidio  ubiorum  oppidum  :  imbutasqne  praedà 
»  manus,  in  direptionem  Galliarum  erupturas  )).  Au- 
gebat  metum  gnarus  romanae  seditionis,  et,  si  o- 
mitteretur  ripa  ,  invasurus  hostis  ;  at  si  auxilia  et 
socii  adversum  abscedentes  legiones  armarentur,  ci- 
vile bellum  suscipi  :  periculosa  severitas:  flagitiosa 
largitio;  seu  nihil  militi,  sive  omnia  concederentur 
in  ancipiti  respublica.  Igitur,  volutatis  inter  se  ra- 
tionibus,  piaci  tum  ,  ut  epistolae,  nomine  principis, 
scriberentur:  «  Missionem  dari  vicena  stipendia  me- 
»  ritis;  exauctorari,  qui  senadena  tecissent,  ac  re- 


99 
anni  di  soldo,  urlando  fieiissimi,  imploravano  «  in- 
»  nanzi  che  morte  ve  gì'  incolga,  Une  agli  stenti  e 
))  a  sì  travagliosa  milizia,  riposo  e  da  vivere  »:  ta- 
luni anco  chiesero  a  Germanico  il  legato  del  divo 
Augusto,  bene  augurandogli;  e  proffei-irongli,  volen- 
dolo ,  r  impero.  Rabbrividito  a  tanta  nefandità  ,  si 
lanciò  giù  dal  tribunale,  e  partiva;  ma,  colle  armi 
nel  viso,  minacciaronlo  se  non  tornasse.  Quegli  gri- 
dando: -  Prima  morto  che  disleale  ;  -  dinudato  e 
levato  il  ferro,  si  passava  il  cuore,  se  i  vicini  la  de- 
stra non  gì'  imprigionavano.  Ma  la  più  rimota  udienza 
si  raggruppa,  e  alcuni  pochi  (quasi  incredibile  !)  gli 
si  ravvicinano,  e  lo  confortano  :  a  Ferisciti:  «  e  un 
Calusidio,  soldato,  brandì  un  pugnale  e  per  più  ta- 
gliente glie  r  offerse.  Crudo  alto  parve  e  peggiore 
esempio  eziandio  a  quelle  fiere  :  e  diede  agio  agli 
amici  di  trasportar  Cesare  nel  padiglione. 

XXXVI.  Dove  si  consultò:  uditosi  che  «  appa- 
»  recchiano  di  farsi  partigiano,  per  messi,  l'esercito 
»  superiore,  disertar  il  borgo  degli  ubii,  e  abbottinati, 
»  gittarsi  a  rubar  le  Calile  ».  Crescea  spavento  il 
nimico,  che,  accorto  della  ribellione,  occuperebbe  la 
ripa,  se  la  sgombravamo:  ma  se  approntiamo  gente 
e  alleati  contro  i  ribelli,  arderà  guerra  civile.  Ri- 
schio il  negare,  l'accordare  onta;  o  tutto  concedasi 
0  nulla,  la  repubblica  in  ponte.  Ventilato  i  partiti, 
piacque  scriver  lettere  in  nome  del  principe:  «  Chi 
servì  vent'anni,  sia  congedato;  chi  sedici,  disobhli- 


JOO 
))  tineri  sub  vcxirio  ,  ceterorum  iminuncs,  nisi  prò- 
))  pulsandi  liostis  :  legata,  quae  petiverant,  exsolvi 
»   duplicai'ique  ». 

XXXVII.  Sensit  miles,  In  tempus  confìcta,  sta- 
timque  flagitavit.  Missio  per  tribunos  maturatur:  lar- 
gitio  diffeiebatur  in  hiberna  cuiusque.  Non  abscessere 
quintani  iinaetvicesimanique,  donec  iisdenm  in  aesti- 
vis,  contrada  ex  viatico  amicorum  ipsiusque  Cae- 
sai'is,  pecunia  persolveretur.  Primam  ac  vicesìmam 
legiones  Caecina  legatus  in  civitatem  ubiomm  re- 
duxit,  turpi  agmine,  cum  fìsci  de  imperatore  rapti 
Inter  signa  interque  aquilas  veherentur.  Germanicus 
superiorem  ad  exercltum  profectus,  secundam  et  tei- 
tiamdecimam  et  sextamdeclnfiam  legiones,  nihil  cun- 
ctatas,  sacramento  adlgit.  Quartadecuinani  paullum 
dubitaverant:  pecunia  et  missio,  quamvis  non  flagl- 
tantibus,  oblata  est. 

XXXVIII.  At  in  chaucis  captavere  seditionem 
praesidium  agitantes  vexillarii  discordium  leglonum, 
et  praesenti  duorum  militum  supplicio  paullum  re- 
pressi sunt.  lusserat  id  Mennius  ,  castrorum  prae- 
fectus,  bono  magis  exemplo,  quam  concesso  Iure  : 
delnde,  intumesconte  niotu,  profugus,  repertusque, 
postquam  intutae  latebrae  ,  praesidium  ab  audacia 
mutuatur:  «  Non  praefectum  ab  iis,  sed  Germanicum 
»  ducem,  sed  Tiberium  imperatorem  violari  »  ;  si- 
inul  exleiritis,  qui  obstiterant,  raptum  vexillum  ad 
ripam  voitit,  et  si  quis  agmine  decessisset  prò  de- 
seriore fore,  clamitans,  reduxit  in  hiberna  turbidos 
et  nihil  ausos. 

XXXIX.  Inlerea  legati,  ab  senatu,  regressum  iam 
apud  araiu  ubioi'um  Germanicum  adeunt.  Duae  Ibi 


101 

gato,  ma  ritenuto  all'  insegne,  per   sola   difensione; 
il  chiesto  lascito,  doppiato  e  pagato  ». 

XXXVII.  Avvisò  il  soldato  il  balocco  ,  e  pres- 
sava. Pubblicossi  pe'  tribuni  il  congedo;  indugiandosi 
il  pagamento  al  tornar  ne'  quartieri  d'  inverno.  La 
quinta  né  la  ventunesima  legione  non  dipartirono  , 
prima  non  ebbero  quivi  stesso  il  danaro,  racimolato 
dal  viatico  di  Cesare  e  degli  amici.  Cecina  legato 
raccolse  nella  città  degli  ubii  la  prima  e  la  ven- 
tesima legione,  carreggianti  in  vituperosa  frotta,  fra 
le  insegne  e  l'aquila,  il  contante  tolto  all'imperadore. 
Germanico,  ito  all'esercito  superiore,  recò,  non  re- 
pugnanti, al  giuramento  la  seconda  e  la  decimaterza 
e  la  decimasesta  legione;  e,  un  pò  restia,  la  deci- 
maquinta ;  proffertosi  ,  non  pur  chiesti  ,  danaro  e 
congedo. 

XXXVIII.  Ma  nei  cauci  ribellava  la  guarnigione, 
stigata  dai  veterani  delle  discordi  legioni;  e  un  poco 
la  tenne  Mennio,  mastro  del  campo,  col  supplizio 
(  meglio  esemplare  che  legittimo)  di  due  soldati. 
Ma  ribollendo  il  tumulto,  si  trafugò:  scovato  da  mal- 
sicuro nascondiglio,  cercò  dall'  ardire  salute:  «  Voi 
»  non  isforzate  Mennio,  ma  il  capuano  Germanico, 
»  ma  Tiberio  imperatore  w  ;  e  sbigottiti  i  contra- 
stanti, ghermì  e  trasse  alla  ripa  l'insegna,  e  bandendo 
disertore  qualunque  si  dischierasse,  gli  rendè  bruschi 
e  scorati  ai  quartieri  d'inverno. 


ì 


XXXIX.  Tornano  intanto  i  messi,  e  s'accontano 
air  ara  degli  ubii  con  Germanico  ,    già    tornatovi. 


102 

leglones,  prima  v^tque  vicesima,  veteranique  nuper 
missi  sub  vexillo  hiemabant.  Pavidos  et  conscientia 
vecordes  intrat  metus  ,  venisse  patrum  iussu  ,  qui 
irrita  facerent  ,  quae  per  seditionem  expresserant  : 
utque  mos  vulgo  ,  quamvis  falsi  ,  reum  subdere  , 
Munatiuin  Plancum,  consulatu  functum,  principem 
legationis,  auctorem  senatusconsulti  incusant:  et  no- 
cte  coneubià  vexillum  in  domo  Germanici  situm  , 
flagitare  occipiunt  :  concursuque  ad  ianuam  facto  , 
moliuntur  fores;  extractum  cubili  Cae sarem,  tradere 
vexillum,  intento  mortis  metu,  subigunt.  Mox,  vagi 
per  vias,  obvios  babucre  legatos,  audita  consterna- 
tione,  ad  Germanicum  tcndentes.  Ingerunt  contu- 
melias:  caedem  parant:  Fianco  maxime,  quem  di- 
gnitas  fuga  impediverat;  ncque  aliud  periclitanti  sub- 
sìdium  ,  quam  castra  primae  legionis.  lllic  ,  signa 
et  aquilam  amplexus,  religione  sese  tutabatur  :  ac 
ni  aquilifer  Calpurnius  vim  extremam  arcuisset,  ra- 
rum  etiam  inter  bostes,  legatus  populi  romani,  ro- 
manis  in  castris,  sanguine  suo  altaria  deum  comma- 
culavisset.  Luce  demum,  postquam  dux  et  miles  et 
facta  noscebantur,  ingressus  castra  Germanicus,  per- 
duci  ad  se  Plancum  imperat  ,  recipitque  in  tribu- 
nal. Tum  fatalem  increpans  rabiem  ,  ncque  mi- 
litum,  sed  deùm  irà  resurgere,  cur  venerint  legati, 
aperit:  ius  legationis  atque  ipsius  Planci  gravem  et 
immeritum  casum,  simul  quantum  dedecoris  adie- 
rit  legio,  facunde  miseratur;  attonitàque  magis  quam 
quieta  concione;  legatos,  praesidio  auxiliarium  equi- 
tum,  dimittit. 


103 

Quivi  la  prima  e  la  ventesima  legione  e  i  veterani, 
di  poco  sotto  alle  insegne,  invernavano.  Incodarditi 
da  rimordimento,  temettero  non  i  padri  mandassero 
a  ricovrare  quanto  la  ribellione   carpì  ;  e    come  il 
volgo,  fantasticata  una  coJpa,  v'appicca    un  colpe- 
vole ,  accagionano  del  decreto  il  capo    dell'  amba- 
sciata Munazio  Fianco  (stato  console  );  e  di    prima 
notte  ,    chieggono  con  ressa  lo    stendardo  ,  custo- 
dito da  Germanico;  la  cui  casa  assiepano,  sforzano 
le  imposte,  e  lui,  svelto  di  letto,  stringono  co'  ferri 
levati    di    rassegnarlo.  Dipoi     dispergendosi,  scon- 
trando i  legati  ,  tratti  dalla  fama  del  trambusto  a 
Germanico,  gli  proverbiano;  presti  a  spacciarli,  mas- 
sime Fianco,  cui  vergogna  vietò  la  fuga;  né,  tranne  i 
quartieri  della  prima  legione,  gli  restò  scampo.  Colà, 
avvinghiato  ai  vessilli  e  all'aquile,  lo  francheggiò  la 
religione  ;    e  se  Galpurnio   aquilifero  non    tenea  la 
puntaglia,  un  legato  romano,  nel  campo  romano, 
insanguinava  (raro  anco  fra'  nimici)  l'are  degli  dei. 
Raggiornato,  e  conosciutosi  il  capitano,  i  soldati  e 
i  fatti,  venne  Germanico  in  campo,  e  fattosi  condurre 
e  allogare  nel  suo  tribunale  Fianco;  esecrando  quel 
furore  fatale,  e  per  ira,  non  de'  soldati,  ma  de  numi 
risorgente;  palesato  perchè  venuti  i    messi,  il  pro- 
fanato diritto  dell'ambasciata,  il  fiero  e  indegno  ri- 
schio di  Fianco  ,  il  fresco  vituperio  della   legione  , 
eloquentemente    deplora.  Gli  sbalordì  ,  non   li  rac- 
quetò:  e  licenziò,  accompagnandoli  di  estrani  cava- 
lieri, i  messi. 


104 

XL.  Eo  in  metu  arguere  Germaiiicum  omnes, 
))  quod  non  ad  superiorem  exercitum  pergeret,  ubi 
»  obsequia,  et  contra  lebelles  auxilium:  satis  su- 
»  perque  missione  et  pecunia  et  mollibus  consultis 
»  peccatum:  vel,  si  vilis  jpsi  salus,  cui*  filium  par- 
))  vulum,  cui*  gravidani  coniugem,  inter  furentes  ,  et 
))  omnis  hunfiani  iuris  violatores,  haberet  ?  illos  sal- 
))  tem  avo  et  reipublicae  redderet  ».  Diu  cunctatus, 
adspernantem  uxorem,  cum  se  divo  Augusto  ortam, 
ncque  degenerem  ad  pericula  testaretur,  postremo, 
uterum  eius  et  communem  fìbum  multo  cum  fletu 
complexus,  ut  abiret  perpulit.  Incedebat  muliebre  et 
miserabile  agmen  ,  profuga  ducis  uxor  ,  parvulum 
sinu  filium  gerens:  lamentantes  circum  amicorum 
coniuges  ,  quae  simul  trahebantur  ;  nec  minus  tri- 
stes  qui  manebant. 


105 
XL.  Tutti  in  quella  stretta  accusano  Germanico: 
»  Perchè  al  fedele  esercito  soprano  non  chiede 
»  schermo  dai  ribelli  ?  Troppo  s'  è  largheggiato  di 
»  congedi,  paghe  e  blandimenti.  Di  sé  non  gli  cale  ? 
»  Almanco  il  piccoletto  figliuolo  e  la  mogliera  in- 
»  cinta,  a  quelle  fiere,  d'ogni  mnano  diritto  concul- 
»  catrici,  ritolti,  renda  all'avo  e  alla  patria  ».  So- 
prastato un  pezzo,  smosse  alfine,  con  molto  pian- 
gere e  abbracciare  le  ginocchia  e  '1  seno  di  lei  , 
Agrippina;  che  vantandosi  originare  dal  divo  Angusto, 
e  ne'  rischi  non  tralignare  ,  disdegnava  partii-e.  Si 
trafugavano,  miseranda  frotta  di  femmine,  la  donna 
del  generale  ,  col  bambino  al  petto  ,  e  dattorno  , 
conforti  di  fuga,  le  mogli  degli  amici:  e  le  fuggi- 
tive e  i  rimanenti  di  paro  lagrimavano. 


106 


Idee  cosmologiche  e  cosmogoniche.  Nola  del  prof.  Fran- 
cesco Orioli,  mandala  e  Iella  alVIsiitulo  di  Bo- 
logna, il  1  maggio  1859. 


K 


Colleghi  chiarissimi 


lon  prenderei  la  penna  per  qui  mettere  in  carta 
alquante  parole  da  leggere  innanzi  a  voi  sulla  di- 
sputa sorta,  già  è  qualche  tempo  ,  in  Inghilterra  , 
tra  il  celebre  fisico  Faraday  e  il  non  men  celebre 
matematico  Airy,  se  neirargomonto  di  quella  non 
mi  trovassi  mescolato  di  diritto  ,  comechò  il  mio 
nome  non  vi  appaia. 

Le  novelle  dottrine  del  Faraday  sulla  natura  della 
materia  nella  sostanziale  lor  parte  ,  per  quanto  è 
accessibile  a  conghiettura,  son  mie,  sia  da  quando 
professava  io  fìsica,  non  pur  dirò  in  Corfù,  ma  in 
codesta  Bologna  madre  degli  studi;  ed  esse,  in  quel- 
r  altra  lor  parte  in  che  non  son  mie  ,  danno  alle 
opposizioni  del  matematico  Airy  ,  una  opportunità 
che  le  mie  non  danno. 

Potrebbe  ciò  che  in  primo  luogo  affermo,  parer 
men  vero  a  que'  che  non  sono  stati  miei  discepoli, 
e  che  non  hanno  udito  da  me  spiegare  in  iscuola 
gl'insegnamenti  miei  sopra  sì  fatto  proposito,  o  sì 
veramente  che  li  han  dimenticati.  Ne  dà  però  te- 
stimonianza esplicita  ed  opportuna,  l'opera,  Spighe 
e  Paglie,  dove  nel  quaderno  d'aprile  1844,  alla  pagi- 
na 145  e  seguenti,  brevemente  io  spiegava  il  mio  si- 
stema in  termini  di  poco  varianti  da  quo'  del  Faraday. 


I 


107 

Il  Faraday  manifestava  su  ciò  in  Londra  le  pro- 
prie idee  in  aprile  1846,  e  le  pubblicava  nel  phi- 
losophical  Mayazine  del  susseguente  iMaggio  (V.  Ar- 
chives  des  sciences  physiques  et  naturelles.  Decem- 
bre  1846,  n-  XI,  pag.  244  et  suiv.),  dicendo  ch'ei 
non  ammette  atomi  di  dimensioni  sensibili ,  man- 
tenuti in  equilibrio  da  forze  di  diversa  natura  ,  e 
separati  da  spazi  vuoti.  Ma  sostituisce  in  luogo  loro, 
semplici  centri  di  forze  la  cui  riunione,  in  vario  e 
determinato  numero,  e  con  variabile  densità,  costi- 
tuisce i  corpi,  e  considera  ogni  atomo  come  pre- 
sente da  per  tutto  dove  1'  azione  che  esso  esercita 
si  fa  sentire,  e,  perchè  si  fa  sentire  su  tutto  l'uni- 
verso, egli  ammette  coesteso  l'atomo  all'universo. 
Or  tali  appunto  sono  le  idee  ch'io,  più  distesamente, 
pubblicava  dal  mio  lato,  nel  citato  libro,  due  anni 
prima  di  lui,  come  ciascuno  può  conoscere  leggendo. 

Senza  dubbio,  il  Faraday  ed  io,  in  alcune  parti 
del  sistema  nostro ,  siamo  stati  prevenuti  dai  così 
detti  dinamisti,  alla  cui  testa,  un  secolo  e  mezzo 
fa,  si  collocarono  i  Leibniziani  e  il  padre  Boscovich; 
ma  non  credo  che  alcuno  abbia  offerto  il  comune 
nostro  concetto  nella  forma  particolare,  sotto  la  quale 
noi  due  lo  presentammo. 

Airy  non  mi  par  che  si  sia  fatta  una  idea  chiara 
del  valor  della  propria  obbiezione,  allorquando  fassi 
ad  opporre,  nello  stesso  philosophical  Magazine  (2.° 
supplemento  del  1846)  che  la  materia  deve  esser 
conceputa,  non  come  una  forza,  od  una  riunione  di 
forze,  ma  come  qualche  cosa,  in  cui  queste  forze  ri- 
siedono ,  in  una  parola  ,  come  una  sostanza  distinta 
dalle  sue  proprietà.   Che  cangia  ciò  nell'  intrinseco 


108 
del  sistema  nostro  ?  Ci  sia  pur  questo  agente  arcano, 
dal  quale  le  forze  procedono,  ed  in  cui  sono  infìsse 
in  qualche  modo  (ed  io  per  mia  parte  non  lo  ira- 
pugno,  nò  veggo  elle  possa  sul  serio  impugnarsi  da 
chicchesia  ,  indipendentemente  dalla  idea  che  cia- 
scuno può  formarsi  intorno  al  valore  della  parola 
sostanzialità)  ;  ma  siccome  non  si  rivela  all'  uomo 
siffatto  agente  in  altro  modo  che  appunto  per  le 
sole  sue  forze,  così,  quanto  al  fisico,  esso  agente 
non  entra  nel  computo  ;  e  ,  nel  luogo  di  esso  ,  il 
fisico  ha  tutto  il  diritto  di  non  considerare  che  le  forze 
dalle  quali  l'agente  è  rappresentato,  e  che  ad  esse 
equivalgono,  sopra  la  qual  cosa  dee  leggersi  quanto 
nella  detta  mia  opera  stampava  al  citato  luogo  , 
pag.  147,  e  seg.,  e  voi.  3."  pag.  244  e  seg. 

Airy  aggiunge  una  opposizione  tratta  dalla  iner- 
zia ,  cioè  dalla  relativa  quantità  ,  per  esempio  ,  di 
forza  estrinseca,  la  quale  ogni  corpo  richiede  per 
esser  messo  in  un  dato  movimento,  ciocché  fa  sup- 
porre nel  corpo  una  resistenza  da  vincere  ,  la  cui 
misura  poi  denotiamo  col  nome  di  massa,  e  par  pro- 
cedere da  una  forza  conservatrice  del  proprio  stato, 
forza  inerente  alla  materia^  e  propria  dell'  essenza 
del  suo  subslratum  come  usan  molti  chiamarlo.  Qui 
ancora  però  il  detto  matematico  non  sembra  essersi 
fatta  una  chiara  idea  del  veio  valore  della  sua  dif- 
ficoltà. Ciò  vorrà  dire  che  a  quello  eh'  io  nomino, 
non  atomo  (perchè  riservo  questa  denominazione  a 
que'  primi  composti  che  dai  fisici  son  detti  mole- 
lecole  primiiive  ed  atomi  chimici),  ma  con  Leibnitz 
e  Boscovich,  monade,  bisognerà  oltre  alle  altre  forze, 
al  pili  aggiungere  la  forza  speciale  d'inerzia;  ciocché 


109 

non  cangiei'à  nulla  nel  nostro  dinamico  modo  di  con- 
cepirne l'essenza,  quale  almeno  è  lecito  considerarla 
dal  suo  lato  pratico  ed  unicamente  accessibile  al- 
l'uòmo. Se  non  che  Vinerzia  è  per  me  una  condizione 
dell'azion  delle  forze,  o  una  delle  leggi  del  loro  modo 
d'esercitarsi  ,  piuttosto  che  una  forza  a  parte  ,  od 
una  forza  propriamente  detta  ,  poiché  per  se  me- 
desima, essa  non  produce  cangiamenti,  ma  governa 
le  lec:2;i  de'  cangiamenti.  Ora  l'idea  che  ci  sogliamo 
formare  della  forza,  nell'ordine  fisico,  è  l'idea  d'una 
attività  motrice,  o  modificatrice  delle  posizioni,  della 
quale  può  ben  far  parte  non  separata  la  suboi'di- 
nazione  a  certe  condizioni  governatrici  dell'  effetto 
che  la  forza  dee  produrre. 

Ed  io  vo  immaginando  così  proceder  le  cose.  — 
La  massa  è  rappresentata  dalla  quantità  di  forza 
originariamente  costitutiva  della  monade,  proporzio- 
natamente alla  qual  quantità,  ed  analogamente  alla 
cui  natura,  ogni  monade  tende  nell'  ordine  fisico,  o 
a  rispinger  dal  proprio  centro  d'azione  ,  o  a  tirar 
verso  quello,  il  centro  delle  altre  m.onadi.  Oltre  alla 
quantità  delle  forze  d'ogni  dato  genere  impartita  alle 
monadi,  o  vogliasi  dire  alla  incensila,  e  la  stessa  per 
tutte  iu  uno  stesso  genere  di  forze  ;  chiaro  è  che 
tutt€  le  monadi  avranno  a  concepirsi  come  posse- 
denti massa  uguale  rispetto  ad  ognuna  delle  dette 
forze:  e  poiché  queste,  secondo  il  nostro  modo  di 
vedere,  coegualmente  ed  uniformemente  si  spandano 
a  mò  di  sfera  in  ogni  direzione  e  a  qualunque  pro- 
fondità ,  e  manifestano  tante  volte  la  loro  azione 
tutto  intorno,  quanti  sono  i  centri  monadici  che  in- 
contrano (salvo  il  pili  0  il  meno  d'energia,  secondo 


110 

la  nota  legge,  modificata  dal  più  o  meri  di  distanza);e 
poiché,  inoltre,  i  corpi  son,  per  noi  condensazioni, 
a  vario  grado,  di  centri  di  più  monadi  ,  e  somme 
di  questi  centri  legati  in  un  tutto  ,  o  in  una  col- 
lettiva unità,  così  è  chiaro,  che  supposte  uguali  le 
masse  delle  monadi ,  non  saranno  poro  uguali  le 
masse  de'corpi,  e  non  saranno  uguali,  supposte  an- 
che l'uguaglianze  nel  resto,  le  azioni  corrispettive, 
da  ognuna  di  esse  masse  composte  e  collettive  , 
esercitate  e  patite  ,  e  quindi  gli  effetti  risentiti  o 
prodotti;  e  non  saranno  quantitativamente  uguali  le 
loro  inerzie  ,  cioè  le  impressioni  di  moto  ,  le  im- 
pressionabilità al  moto,  0  quelle  che  noi  chiamiamo 
le  resistenze  alla  recezione  di  questo. 

Se  non  che  un'  altra  fonte  potrà  esservi  di  di- 
suguaglianza nelle  masse,  e  quindi  nelle  inerzie,  ed 
essa  ,  non  più  ne'  corpi  in  quanto  composti  dalla 
somma  di  più  o  men  centri  insieme  legati  in  un 
sistema  unico,  ma  nelle  monadi  stesse  elementari, 
ove  s'ammettano,  come  io  penso,  disiiguagHanze  ori- 
ginarie nelle  quantità  di  forza  originariamente  im- 
partite alle  diverse  monadi.  Perchè  ,  se  vogliano 
concepirsi,  per  cagion  d'  esempio,  monadi,  suppo- 
niamo, di  due  categorie  (  quelle  stesse  che  comu- 
nemente, quantunque  molto  impropriamente,  si  son 
dette  fino  al  giorno  d'o'^^ì  ponderabili  ed  imponde- 
rabili, come  dire  con  forza  attrattiva  ,  e  con  forza 
ripulsiva,  una  maggiore,  e  l'altra  minore,  secondo 
una  data  misura  costante,  e  che  io  chiamerei  più 
volentieri  materiali  ed  eteree,  ma  siffattamente  or- 
dinate tra  loro,  come  le  ordina  la  ipotesi  del  Mas- 
sotti,  una  delle  molte,  le  quali  posson  farsi,  o  qua- 


Ili 

lunque  altra  ipotesi  che  potrebbe  all'uopo  immagi- 
narsi), allora  è  chiaro  che  ne'vari  aggregati  de'due 
ordini  di  monadi,  variabili  per  quantità  reciproca  di 
monadi,  e  per  densità,  degli  aggregati,  non  risulte- 
rebbero eguali  le  masse  e  le  inerzie.  Ed  intanto  , 
ammessi  questi  modi  di  vedere,  non  tiovo  che  l' idea 
d'  inerzia  ci  costringa  ad  immaginare  una  forza  terza 
la  quale  nelle  due  forze  fìsiche,  attrattiva  e  repul- 
siva,  non  sia  inclusa. 

Resterebbe  a  parlare  della  terza  difficoltà  che 
Airy  muove  al  Faraday,  e  la  deduce  dalla  impos- 
sibilità di  spiegare  la  diffrazione  della  luce  nell'  ipo- 
tesi dell'assenza  d'un  mezzo  etereo.  Ma  sarà  questa 
una  difficoltà  per  Faraday  ,  che  non  sembra,  per 
quanto  io  mi  sappia,  nell'  ipotesi  qual  egli  comuni- 
cavala  al  pubblico,  ammetter  centri  di  forze  tra  loro 
repulsive  diffusi  nello  spazio  in  guisa  da  rappresen- 
tarvi l'etere  universale  colle  sue  svariate  rarefazioni 
e  condensazioni.  Per  me,  che,  col  Mossettì  e  coi  piiì, 
tutte  queste  cose  ammetto,  la  difficoltà  d'Airy  non 
può  aver  luogo. 


112 


Saggi  filosofici  di  G.  B.  Pianciani  D.  C.  D.  G. 
Professore  ec.  Roma  1855. 


1 


1  celebre  Padre  G.  B.  Prof.  Pianciani ,  della  cui 
stimabile  amicizia  da  circa  40  anni  m'onoro,  a  tutti 
è  noto  come  uno  de'nostri  fisici  più  illustri.  Forse 
non  è  ugualmente  conosciuto  come  un  profondo  me- 
tafisico. Non  pertanto  in  questo  genere  si  hanno  la- 
vori di  lui,  stampati  e  manoscritti,  che  lo  raccoman- 
dano, a  quanti  si  piacciano  di  siffatti  studi ,  quale 
uno  de'piiì  acuti  filosofanti;  e  n'è  ultimo  documen- 
to, tra  gli  altri,  l'opera  qui  sopra  mentovata,  cori- 
tenente,  a  forma  di  molte  antiche  scritture,  4  sag- 
gi (alcuno  a  maniera  di  dialogo):  il  1.  intorno  alle 
verità  prime,  il  2.  della  combinazione  dell'anima  col 
corpo;  il  3  sull'analogia  tra  le  leggi  fìsiche  e  le  leg- 
gi morali  ;  il  4  intorno  ai  sentimenti  del  corpo  e 
dello  spirito.  -  Dove  questi  ardui  argomenti  assume 
a  subbietto  di  nuove  e  pellegrine  licerche,  e  li  tratta 
con  piano  e  dilettevole  stilo,  per  quanto  è  ciò  sop- 
portato dalla  naturale  astrusità  de'temi-  Né  io  mi 
propongo,  di  opera  sì  grave  ed  importante,  dare  un 
esame  completo  :  fatica  la  quale  spaventerebbe  mag- 
gior filosofo  che  io  non  sono.  Pur  alcuna  cosa  verrò 
delibandone,  tornandovi  sopra  forse  più  volte,  at- 
tratto, e  quasi  invescato,  da  dottrine  per  le  quali 
ebbi  sempre  amor  sommo.  In  che  accadrà  per  av- 
ventura, ch'io  mi  trovi,  a  volta  a  volta,  contrad- 
dicente  a  quanto  egli  scrive,  ma  non  mai  con  tale 
audacia,  o  per  tal  modo,    che  mi   tenga  più  sicuro 


113 

deiropinai'  mio  che  del  suo.  Gli  uomini,  come  il  P. 
Pianciani,  son  di  quelli  a'quali  è  duopo  appressarsi 
€on  riverenza,  diffidando  di  sé  medesimo  più  che 
di  loro,  massime  allorché  si  spinge  l'ingegno  a  que- 
stioni tanto  sublimi,  e  tanto  incerte  per  natura.  Ai 
quale  io  mi  permetterò,  per  esempio,  di  sottomet- 
tere oggi  alcune  considerazioni,  o  piuttosto  dubita- 
zioni, sul  secondo  saggio,  uno  de'più  importanti,  col 
fine  ch'egli,  anziché  si  creda  da  me  giudicato ,  me 
giudichi,  e  meglio  illumini  il  mio  intelletto,  se  tut- 
tavia ne  vale  la  pena. 

Comincia  il  dotto  autore  dallo  spiegare  quel  che 
intenda  per  combinazione  dell'anima  col  corpo',  dov* 
egli  avverte  voler  significare  la  unione  di  due  cose, 
una  semplice  {Vanima),  l'altra  composta  (il  corpo), 
dotate  ognuna  di  proprietà  tanto  diverse  ,  quanto 
appunto  lo  sono,  anima,  e  corpo  :  la  quale  unione 
dimanda,  se  mostri  qualche  analogia,  colle  unioni 
che  chiamiamo  chimiche  di  più  eterogenei  in  un 
composto  unico,  in  cui  si  ecclissano,  e  divengono 
latenti  o  dissimulate  le  proprietà  particolari  di  cia- 
scuno degli  eterogenei  ,  e  il  composto  unificato  si 
trasforma  al  nostro  senso  in  un  intero  ,  con  pro- 
prietà nuove  e  differenti  dalle  prime,  e  quanto  all' 
insieme  risultante,  e  quanto  a'singoli  punti,  di  esso 
insieme  (questione  eh'  io  non  dimenticava  di  svol- 
gere agli  uditori  miei  nell'università  corcirese,  come 
promossa  specialmente  dai  materialisti  contro  agli 
spiritualisti,  pretendendo  essi,  che,  se  ne'  composti 
chimici  il  composto  può  operare  come  semplice,  a 
dispetto  della  composizione,  potrebbe  anche  l'anima 
esser  composta,  e  perciò  corporea,  e  ciò  non  ostan- 
G.A.T.GXLUL  8 


lU 

te  unificare  in  se  tutte  le  parti  componenti  ,  qual 
se  fosseio  annullate,  e  confuse,  e  raccolte  in  un  solo 
tutto). 

L'A.  crede  che  l'analogia  può  in  qualche  modo 
difendersi.  Perchè  ,  nel  composto  chimico,  per  lui 
non  può  assegnarsi  il  più  menomo  spazietto^  ove  sia 
un  elemento  (componente),  e  non  Valtro  {e  il  raggio 
stesso  del  sole.,  a  cosi  dire.,  non  li  distingue  passando 
per  essi  come  ne' corpi  semplici),  e  così  non  può  de- 
terminarsi parte  del  corpo  animato  e  sensitivo,  che 
non  mostri  la  combinazione  dello  spirilo  col  corpo  ecc. 
(199).  Ma  io  confesso  che  mi  formo  altra  idea  del 
modo  della  composizione  chimica.  Per  me,  non  solo 
è  vero,  che  non  è  menomo  spazietto  ove  non  siano 
presenzialmente  i  due  o  più  componenti  d'un  com- 
posto chimico;  ma,  non  è  menomo  spazzietto  ove 
non  siano  presenzialmente  tutte  le  particelle  pon- 
derabili 0  imponderabili  dell'universo.  Perchè  la  pre- 
senza in  luogo,  e  l'occupazione  di  luogo,  è  dichia-^ 
rata  fenomenalmente  dalla  sola  presenza  dell'azione. 
Dove  è  Vazione  è  l'attività  che  la  produce.  Dove  è 
l'attività  è  l'agente.  Ma  l'agente  colla  sua  attività  è 
sempre  per  lutto.  Dunque  ogni  agente  (materiale  o 
immateriale)  è  per  tutto  e  sempre.  Questo  opinar 
mio  già  da  me  professato  da  che  dovei  parlare  pub- 
blicamente su  tale  argomento,  fu  senza  saperlo,  pub- 
bhcato  e  professato  pure  dal  celebre  Faraday.  Ma, 
se  tutta  la  materia,  che  ne'composti  chimici  entra, 
e  che  non  c'entra,  è  sempre  da  per  tutto,  non  v'è 
sempre  collo  stesso  grado  d'  attività  e  collo  stesso 
modo  d'azione.  Perchè  ogni  particella  semplice  di 
materia  non  può  essere  in  ogni  luogo  ,  senza  che 


115 

abbia  poi,  (separato  ed  inconfuso)  un  suo  luogo  spe- 
ciale ed  esclusivo,  che  è  il  suo  proprio  centro  d'at- 
tività. Così,  quando  si  dice  che  nel  composto  i  com- 
ponenti s'unificano,  ciò  non  vuol  dire  che  non  con- 
servano inconfusa  la  propria  individualità,  e  l'indi- 
viduale grado  d'azione,  il  quale,  o  nelle  somme,  o 
nelle  sottrazioni  a  cui  concorre,  può  bene  uniftcar- 
si,  rispetto  aH'etfetto  -  uno,  estrinsecamente  prodot- 
to, che  si  chiama  la  risultante  delle  azioni,  ma  non 
così,  che  le  forze  e  i  loro  gradi,  dai  distinti  cen- 
tri donde  emanano  ,  spariscano.  Sebbene  è  giusto 
notare,  che,  limitando  11  discorso  ai  composti  chi- 
mici, in  essi  le  particelle  di  diverso  ordine,  secondo 
che  mutano  più  o  meno  le  loro  distanze  insensibi- 
li, e  le  loro  posizioni  relative,  possono  bene  in  que- 
sto giuoco  reciproco  esser  mutate  in  guisa,  che  nel 
composto,  non  le  loro  attività  primitive,  ma  certe 
proprietà  secondali  e,  s'annullino,  e  si  facciano  iden- 
tiche, e  rimangano  tali  finche  durano  le  circostanze 
medesime,  di  guisa  che  l'eterogeneità  temporaria- 
mente  s'abolisca,  almeno  sotto  (juesto  aspetto,  e  1' 
unificazione  non  sia,  in  siffatto  limitato  senso,  non 
veramente  una  perfetta  unificazione,  ma  una  specie 
d'identificazione  di  ciascuna  di  esse  particelle,  non 
perchè  confuse,  ma  perchè,  serbata  sempre  l'indi- 
vidualità e  la  distinzione  ,  ognuno  operi  lo  stesso 
genere  d'effetto  intorno  a  se,  nell'ordine  e  dentro  la 
distanza,  delle  pure  azioni  chimiche.  Perciò  in  ogni 
ipotesi  sarebbe  vero,  che  non  si  tratterebbe  d'uni- 
ficazione di  composti  chimici  da  potersi  paragonare 
colla  unificazione  psichica,  la  quale  bisognerebbe  in 
subjecla  materia. 


116 

E  qui  debbo  avvertire  una  cora.  L'autore  ,  ed 
io  non  consideriamo  questo  punto  da  uno  stessa  la- 
to. Io  lo  considero,  ripeto,  come  una  difficoltà  op- 
posta allo  spiritualismo.  L'A.  piuttosto  come  un'al- 
tra difficoltà  opposta  alia  possibilità  del  fatto  in- 
trinseco della  combinazione  di  due  cose,  sì  tra  loro 
disparate,  quanto  il  corpo  composto  e  materiale  del- 
l'uomo, e  l'anima  o  lo  spirito  semplice.  Egli  sup- 
pone ammessa  l'esistenza  dello  spirito  e  della  ma- 
teria, come  intrinsecamente  eterogenei ,  io  disputo 
con  quei  che  la  negano  o  la  mettono  in  dubbio. 
Partendo  dunque  ambidue  dal  fatto  dell'  esistenza 
non  controversa  delle  azioni  chimiche,  io  dico  che 
han  torto  i  materialisti  quando  pretendono  che,  se 
in  esse  si  fa  di  molte  particelle  un  tutto  operante 
come  uno  e  semplice,  dunque  d'un  corpo  può  ri- 
sultare l'anima  che  paia  semplice  nei  fenomeni  psi- 
chici, benché  sia  moltiplico  ne'fenomeni  fisici.  L'A. 
invece,  non  pensando  almeno  a  questa  difficoltà,  e 
ponendo  come  lemma  la  diversità  radicale  e  incon- 
ciliabile d'anima  e  di  materia,  s' occupa  solo  del 
modo  di  concepire  la  combinazione  ,  come  egli  la 
chiama,  di  due  cose  tanto  apparentemente  contrad- 
ditorie nelle  loro  proprietà. 

Ma  io  che  la  questione  omessa  dal  P.  Pianciani 
non  voglio  omettere,  principiando  da  questa,  e  fon- 
dandomi su  quanto  ho  discorso  di  sopra,  nego  es- 
ser di  qualche  valore  la  difficoltà.  Inflitti ,  da  che 
la  riduzione  a  uno  nel  composto  chimico  è  relativa 
e  non  assoluta  ed  intrinseca,  rispondo,  che  l'unità 
generata  e  fenomenale  sarà  per  rispetto  agli  effetti 
operati  sopra  gli  altri  corpi  posti  al  di  fuori,  e  nelle 


117 

distanze  delle  azioni  chimiche;  ma,  entro  se  stesso, 
e  nelle  altre  azioni,  il  composto  resta  sempre  di- 
stinto in  parti  separate  e  moltiplici  come  prima,  ed 
ogni  parte,  ogni  azione,  ogni  attività,  resta  distinta 
numericamente  in  tante  quante  pur  sono,  di  ma- 
niera che,  se -il  composto  chimico  avesse  mia  co- 
scienza, cioè  un  sentimento  delle  azioni  esercitate 
e  sofferte,  ogni  sua  parte  avrebbe  una  coscienza  sua 
di  quel  che  essa  individualmente  agisce  e  patisce,  e 
del  proprio  centro  d'attività,  e  della  direzione  della 
propria  forza,  non  delle  altre;  e  perciò  vi  sarebber 
coscienze,  e  quindi  sentimenti  psichici,  o  anime  se- 
parate, quante  son  parti. 

Sebbene  anche  il  famoso  esemplo  del  triangolo 
e  dei  suoi  tre  lati  ed  angoli,  da  percepire  da  un'ani- 
ma supposta  non  originariamente  semplice,  che  nelle 
scuole  s'usa  a  provare  la  semplicità,  è  dugli  spiri- 
tualisti scelto  male  a  proposito,  e  tutta  l'argomen- 
tazione che  intorno  ad  esso  s'aggira  prò  e  contra, 
non  fa  né  prò,  né  contra.  Perchè  non  è  giusto,  sup- 
porre presente  all'intelletto,  semplice  o  composto  eh' 
ei  siasi,  ciascuno  de'lati  o  degli  angoli,  e  insieme 
il  loro  aggregato  mentre  pensa,  ma  la  mente  pro- 
cede in  ciò  per  atti  successivi  e  continuati.  Quando 
penso  al  triangolo,  fuori  dello  spirito,  e  nella  specie 
cerebrale,  è  la  figura  composta  del  triangolo  intero 
e  perfetto  in  una  immagine  tutta  fìsica,  ciò  che  non 
vuol  dire  nella  idea  spirituale.  Acciocché  la  figura 
diventi  tale  idea,  l'anima  bisogna  che,  per  atti  sin- 
golari uno  dopo  l'altro,  rapidamente  e  senza  discon- 
tinuità, si  determini  alla  percezione  di  ciascheduna 
di  queste  parti,  e  finalmente  della  loro  somma,  ed 


118 

a  ciascuna  di  queste  cose  alla  sua  volta,  attenda  con 
atto  percettivo  unico  ed  indivisibile,  finita  la  qual 
rivista  psichica,  l'idea  risulta  completa,  per  una  pro- 
prietà dello  spirito  di  raccogliere  in  un  fatto  com- 
posto considerato  come  semplice,  quel  che  conce- 
pisce un  momento  prima,  con  quel  che  un  momento 
dopo,  in  virtù  di  attenzione  persistente  nel  passag- 
gio dall'uno  all'altro.  E  così  è  una  realtà  che  a  cia- 
scun istante  diverso  l'atto  animale  è  semplice,  men- 
tre la  sintesi  risultante  che  va  creando,  o  l'analisi  che 
va  tramettendo,  è  sopra  un  composto  oggettivamente 
materiale  e  composto,  soggettivamente  spirituale  ed 
uno.  Per  esempio,  nel  nostro  caso,  la  psiche  conce- 
pisce, un  dopo  l'altro,  per  atti  sempHci  e  continuati, 
prima  il  lato  a,  poi  il  b,  poi  il  e,  poi  l'angolo  «, 
poi  il  /3,  poi  il  7,  poi  il  suo  passaggio  alternativo 
dall'  uno  all'  altro  ,  e  ogni  mutazione  di  concetto  , 
somma  in  una  concezione  unica  ed  indivisa,,  finche 
{a-\-b-ir-c-\-a-^^-+-y)  =  ^  cioè  l'idea  del  trian- 
golo intero  0  separata  o  riunita,  torna  sempre  sem- 
plice, e  oscuramente  è  conceputa  come  composta, 
in  quanto  la  specie  cerebrale  sempre  presente  dura 
nel  cervello  per  ricordare  la  composizione  ,  e  nel- 
l'anima che  resta  identica  a  se,  in  tutta  la  succes- 
siva perlustrazione  de'  mentovati  atti  psichici,  con- 
nettesi  in  un  atto  unificato. 

Ma,  tornando  alla  maniera  di  vedere  del  dotto 
autore,  in  essa  egli  è  condotto  ad  occuparsi  inci- 
dentemente sulla  questione  del  modo  di  nesso  ,  e 
della  sede  della  combinazione  qui  discorsa ,  se  sia 
congiunzione  dell'anima  con  tutto  il  corpo  umano, 
con  tutto  il  sistema  nervoso  sensitivo,  col  solo  en- 


119 

cefalo,  od  altrove.  —  Io  intorno  a  ciò  ho  manife- 
stato più  volte  il  mio  sentimento.  —  Dalla  qual  di- 
sputa passa  all'altra,  se  lo  spirito  sia  esteso  e  mo- 
bile, e  in  che  consista  l'estensione  e  il  movimento. 
E  parla  di  quel  che  appartiene  all'anima  in  quanto 
solo  incorporata,  e  in  quanto  le  si  conviene  quando 
e  finché  si  trovi  senza  corpo. 

Senza  tener  dietro  al  P.  Pianciani  in  siffatte  sot-^ 
tili  disquisizioni,  esporrò  candidamente  il  mio  pa- 
rere. Non  v'  è  ragione  alcuna  perchè  l'anima  spiri-^ 
tuale  debba  esser  creduta  da  meno  che  la  materia. 
Se  ogni  particella  di  materia,  secondo  me,  abbraccia 
colla  sua  attività  ed  efficienza  lo  spazio  intero,  cioè 
l'estensione  universale,  l'anima  ,  come  le  legge  di 
analogia,  e  della  maggior  sua  dignità,  consiglia,  non 
dovrebbe  in  ciò  avere  una  sfera  minore  a  lei  de- 
stinata. Una  particella  materiale  però  non  opera  e 
patisce,  colla  stessa  intensità,  in  ogni  luogo.  Ha  un 
centro  d'azione  diverso  da  tutte  le  altre,  doride  ir- 
*raggià  intorno  le  sue  attività,  ed  al  quale  chiama^ 
o  dal  quale  ripelle  ,  con  direzioni  sempre  diverse 
(secondo  che  si  mula  il  luogo  del  suo  centro)  le 
altre  particelle.  Quindi  è  che  in  realtà,  mentre,  in 
quanto  è  materia  empie  l'estensione  intera  del  mondo 
con  azione  digradata  ,  si  localizza  però  nei  centri 
della  sua  massima  azione.  Dello  spirito  al  contra- 
jio  non  possiamo  dire  rigorosamente  altrettanto. 
Certo,  per  non  supporlo  men  vantaggiosamente  do- 
tato della  materia  per  questo  riguardo  ,  deve  esso 
potenzialmente,  colle  sue  attività  del  grado  che  gli 
son  concesse  ab  origine^  (  modificate  però  da  altre 
leggi  ignote  dalla  creazione)  coestendersi  alla  esten- 


120 

sione  universale,  ma  non  esser  soggetto  alla  stessa 
legge  dì  localizzazione,  e  per  conseguenza  di  mo- 
bilità, e  del  bisogno  d'un  suo  centro  speciale  di  re- 
sidenza. Esso  è  sempre  e  per  tutto,  colla  sua  en- 
tità, presente,  ma  attivo  o  dissimulato,  secondo  con- 
dizioni ignote  ed  irrivelate  ,  che  governano  sia  il 
suo  attuarsi  e  mostrarsi  in  un  luogo  sì  e  in  un  al- 
tro no,  0  per  contrapposto  il  suo  dissimularsi;  ne 
ha  bisogno,  per  far  l'una  o  Taltra  cosa,  andarvi  o 
partirne,  perchè  già  v'è,  e,  senza  necessità  di  par- 
tirne, s'  occulta  colla  cessazion  dall'  azione.  Invero 
questo  non  ci  fa  gran  fatto  capire  tal  mirabile  pro- 
prietà. Ma  intendiamo  forse  piiì  chiarameute  il  fatto 
della  presenza  universale  delle  attività  reciproche 
d'ogni  particella  materiale,  che  nessuno  nega  ?  Per 
fermo,  anche  a  discernere  spirito  da  spirito,  agente 
o  paziente,  è  forza  dire  che  una  particolar  legge  di 
localizzazione  esista  per  gli  esseri  spirituali,  cosic- 
ché, ogni  volta,  rispetto  a  spazio,  possa  ben  distin- 
guersi la  direzion  dell'azioni,  e  la  sedo  della  pas-* 
sione  ,  quanto  a  ogni  spirilo.  Bisogna  dunque  che 
esista  una  specie  d' impenctralnlUà ,  per  così  spie- 
garmi, negli  spiriti  per  la  quale,  quel  che  opera  l'uno, 
non  si  confonda  con  quel  che  opera  l'altro,  e,  al- 
meno siiggellivamenle,  quel  che  un  soffre  non  si  con- 
fonda con  quel  che  1'  altro  soffre.  A  rigor  di  ter- 
mine si  può  concepire  nelle  anime  la  penelrabililàj 
ossia  la  coesistenza  simultanea  di  due  o  piij  anime 
nello  stesso  luogo,  coesistenti  colla  non  confusione 
delle  loro  rispettive  individualità,  cosicché  le  azioni 
delle  diverse  anime  una  colTaltra  restino  snggeltiva- 
w..cntc  distinte  una  dall'altia,  quando  anche  in  realtà 


121 

vengano  o  partano  dagli  stessi  punti  ,  agli  stessi 
punti  dello  spazio,  o  con  diversa,  o  colla  stessa  in- 
tensità. Tuttavia  è  forse  in  questi  casi,  una  ripu- 
gnanza morale,  analoga  alle  impenetrabilità  fisiche, 
a  non  darsi  reciprocamente  un  luogo  medesimo  , 
quanto,  massime,  alle  azioni  fisiche.  Questo  è  un 
punto  eh'  io  tocco  appena  ,  e  che  vorrebbe  essere 
approfondito,  ahneno  colla  congettura  e  colla  ipotesi. 

Sarebbe  un  altro  punto,  a  che  imi)orterebbe  ac- 
costarsi, ed  è,  se  più  spiriti,  che  dicemmo  presenti 
ovunque  e  sempre  (sebbene,  colle  limitazioni  sco- 
nosciute, cui  regola  il  loro  malnoto  modo  d'essere) 
possano  contemporaneamente  esercitare  la  loro  at- 
tività ,  0  patire  le  altrui  ,  sentendole  dislintamente 
ognuna.  Per  fermo  quanto  alle  oggettive  può  acca- 
dere il  medesimo  che  per  le  forze  fisiche,  le  quali, 
per  quanto  semplici  ed  operate  da  un  semplice  , 
possono  simultaneamente  suddividersi  e  spaitirsi 
sulle  altre  cose,  come  e  quanto  si  vuole.  Così,  una 
monade  attraente,  può  dirigere  la  sua  attrazione  a 
tutte  le  monadi,  quant'elle  sono,  diffuse  nello  spazio. 
Ma  rispetto  alla  possibilità  suggettiva  di  sentirle,  cioè 
d'averne  coscienza  distinta  e  simultanea,  par  chiaro 
che  noti  possa  darsi.  Potrà  bene  per  atti  di  atten- 
zione alternata  o  successiva,  accorgersi  l'anima  di 
queste  azioni  esercitate  o  sofferte.  Ma  ad  ogni  istante 
non  potrà  che  averne  sentimenti  più  o  men  collet- 
tivi, raccogliendo  in  una  spezie  di  risultante  unica 
le  azioni  che   esercita  e  che  si  esercitano  su  lei. 

E  fin  qui  abbiamo  deviato  dalle  dimando  del 
chiarissimo  A.  Abbiamo  però  prepaiata  la  strada  a 
rispondervi.  E  manifesto  che  nell'anima  umanata  ,, 


122 

l'assoggettamento  al  vincolo  del  corpo,  modifica  in 
modo  le  proprietà  spirituali,  ch'essa,  nelle  vie  al- 
meno ordinarie  ,  ha  ristretto  ,  temporaneamente  , 
l'esercizio  delle  sue  attività  e  passibilità  al  solo  pe- 
rimetro del  suo  corpo,  ed  è  quivi  forzatamente  lo- 
calizzato colle  leggi  che  ho  cercato  d'esporre  nel- 
l'opuscolo Fisiologia  della  sensaziane  ecc.;  anzi  nem- 
meno al  perimetro  del  solo  corpo,  ma  apparente- 
mente al  solo  centro  encefalico.  E  questa  localiz- 
zazione non  ripugna  che  s' intenda  come  una  vera 
compenetrazione  unilaterale  ,  cioè  dello  spirito  nel 
composto  encefalico  considerato  tutto  d'  un  pezzo 
quale  una  estensione  non  discontinua  .  .   . 

Dopo  di  ciò  ,  se  l'anima  dorma  o  no  ,  quando 
il  corpo  dorme,  è  una  questione  a  cui  non  può 
esser  difficile  dare  risposta.  L'  operare  dell'  anima 
umanata  è  moltiplice.  Uno  riguarda  le  azioni  e  pas- 
sioni del  genere-  delle  intellettive  ,  un  altro  quelle 
del  genere  delle  motrici  e  volontarie,  un  terzo  quello 
delle  forze  che  possono  chiamarsi  non  sentite  ed 
istintive.  Rispetto  al  primo  ,  si  direbbe  ,  a  primo 
aspetto,  che,  dormendo,  il  corpo  l'anima  pur  debba 
dormire  ,  cioè  stare  inattiva  ,  perchè  necessaria- 
mente ogni  Operare  di  questa  categoria  è  accom- 
pagnato per  natura  da  accorgimento  o  consapevo- 
lezza, che  è  atto  psichico,  il  quale  non  può  esser 
fatto  né  patito  nell'  inerzia  di  stato  rappresentato 
dal  sonno.  Ma  per  potere  affermar  così  ,  bisogne- 
rebbe non  aver  mai,  durante  il  dormire  del  corpo, 
fatto  0  patito  atti  intellettuali ,  di  cui  poscia  sve- 
gliati abbiam  perduta  la  memoria.  Ora  molti  fatti 
del  sonnambulismo  che  offrono  i  casi  detti  magne- 


12a 
tici  (da  troppi  ohe  l'ammettono),  sembra  che  s'ac- 
compagnino abituahnente  con  atti  di  questo  ordine, 
e  colla  perfetta  loto  obblivione  al  cessare  del  sonno 
magnetico.  Si  potrebbe  però  domandare,  se  in  casi 
di  eccezione  ne'  quali  ciò  succeda,  è  perfetto  sonno 
del  corpo,  e  non  piuttosto  un  modo  speciale  di  ve- 
glia; e  altrettanto  può  dirsi  d'  ogni  altra  induzione 
cavata  dai  fatti  analoghi  di  dormienti,  che  non  la- 
sciano memoria.  Da  un  'altra  parte  ,  le  operazioni 
intellettive  supposte,  osi  mostrano  allora  nella  parte 
corporea  per  qualche  indizio  che  le  accompagna  e 
le  seguita,  o  no.  Se  si  dice  il  primo,  dunque  suc- 
cedono elle  allo  stato  di  semi  veglia  ,  non  di  vero 
sonno:  se  il  secondo,  qual  prova  può  darsi  che  real- 
mente succedano  ?  A  priori  si  può  conchiudere,  che, 
a  rigor  di  termine,  per  la  legge  di  legame,  quando 
l'animo  comunque  opera,  dee  nesessariamente  trarre 
a  consenso  il  corpo,  e  se  il  corpo  non  può  essere 
tratto  a  ciò,  ella  stessa  si  paralizzi.  Dunque  il  con- 
trario non  può  accadere,  se  pur  non  suppongasi,  che, 
addormentato  completamente  il  corpo  in  quella  parte 
che  serve  all'anima,  riacquisti  non  pertanto  questa  la 
più  o  men  piena  libertà,  e  possa  quindi  agire  o 
patire,  cioè  vegliare,  a  modo  di  spirito  sciolto. 

Rispetto  alla  seconda  guisa  di  operare  —  gli 
atti  volontarii  altri  riguardano  il  muovere  il  corpo, 
altri  il  modificare  lo  spirito  puro  che  comanda  a  se 
stesso.  Ora  è  chiaro  che  que'che  servono  a  muovere 
il  corpo,  soppongono  in  esso  la  facoltà  di  esser  fi- 
sicamente mosso  dalla  forza  spirituale,  dunque  sono 
necessariamente  accompagnati  dallo  svegliamento  , 
e  impossibili  senza  esso.  A  que'poi  che  riguardano 


Ii4 

lo    spinto    puro,  è  applicabile  il  ragionamento    nel 
quale  ci  trattenemmo  nel  precedente  paragrafo. 

Rispetto  alla  terza  categoria,  la  scienza  fisiolo- 
gica ogni  giorno  piiì  s'  accosta  a  una  piena  dimo- 
strazione ,  che  la  vita  corporea  gangliare  è  pura- 
mente organica  per  se  medesima,e  indipendente  dallo 
spirito  ,  per  fino  in  tutti  quegli  atti  che  si  chia- 
mano della  vita  di  relazione  o  riflessi  istintivamente 
rispondenti  a  certe  irritazioni  fìsiche^  che  non  è  ma- 
nifesto essere  accompagnati  da  alcuna  operazione 
psichica  almen  patente, 

L'ultima  quistione  di  cui  dirò  ancora  poche  pa- 
role, riguarderà,  per  quanto  è  lecito  congetturarne 
il  modo,  1*  influsso  durante  la  vita  terrena  che  re- 
gola il  commercio  dell'anima  col  corpo.  In  vari  miei 
precedenti  lavori,  qua  e  là,  intorno  a  ciò  dichiarava 
il  qual  che  siasi  mio  parere.  L'  anima  par  le- 
gata (  e  ho  svolto  ciò  recentemente  ,  con  un 
pò  più  d'  ampiezza  nella  citata  disertazione  sul- 
la fisiologia  ec.  )  colla  somma  del  etere  inte- 
ratomico ,  cioè  ritenuto  entro  ciascun  atomo  ner- 
veo,  di  que'  che  servono  mirabilmente  al  meccani- 
smo del  senso  e  del  moto  volontario.  Dove  la  po- 
tenza spirituale  sembra,  che  limiti  il  suo  officio  ad 
una  propria  energia,  in  virtù  della  quale,  esso  etere 
è  organicamente  disposto  dalla  parte  del  senso  ,  a 
compiere  l'operazioni  varie  che  ho  cercato  spiegare 
altrove.  Rispetto  poi  al  moto  volontario  sembra  che 
da  essa  anima  parta  una  non  so  qnale  attività  che 
•certi  nervi  trasforma  in  una  specie  di  pile  elettri- 
che, le  cui  scariche  sotto  il  dominio  di  lei  ;  pro- 
ducono il  moto  muscolare.   Certo  più  di  così  non  è 


125 

lecito  di  vedere,  ncmmen  por  congettura  ,  1'  indole 
intima  di  questa  energia.  Lo  spirito  da  questa  parte, 
in  quanto  ciò  riguarda,  ha  potestà  d'agire  sulla  ma- 
teria con  una  forza  simile  alla  fisica,  benché  psi- 
chica. Ciò  però,  per  molto  che  sia  inconcepibile,  è 
un  fatto  che  non  può  esser  negato  se  non  da  chi 
creda  all'  assurdo  della  perfetta  impossibilità  che 
siavi  alcun  influsso  diretto  tra  il  mondo  materiale 
e  lo  spirituale;  come  se  qualche  ragione  intrinseca 
proibito  avesse  a  Dio  di  comunicare  agli  esseri  di 
natura  immateriale  una  facoltà  ibrida  che  ci  met- 
tesse in  rapporto  cogli  esseri  materiali,  e  rendesse 
gli  uni  attivi  sugli  altri  con  qualche  artifìcio,  il  qual 
per  essere  ignoto  a  noi,  non  è  dimostrato  esser  di 
sua  natura  impossibile. 


120 


Intorno  ad  alcune  voci  che   si  stimano  erronee 
nella  lingua  italiana,  e  tali  non  sono. 

i\lcuni  nostri  filologi,  nobilmente  teneri  della  pa- 
tria e  della  dignità  della  sua  favella  ,  hanno  pub- 
blicato importantissime  opere  intorno  alle  parole  ed 
ai  modi  errati  che  sono  fra  noi  comunemente  in 
uso.  Di  che  non  possono  esser  maggiori  gli  obbli- 
ghi che  loro  ne  debbono  le  lettere  e  le  scienze  ita- 
liane :  anzi  ne  dee  l'italiana  civiltà.  Siccome  però 
alcuni  di  essi,  per  quanto  ci  sembra,  sonosi  lasciati 
vincere  da  troppo  rigore,  non  avendo  più  quasi  avuto 
considerazione  né  al  privilegio  delle  lingue  vive,  nò 
all'autorità  che  assolutamente  non  può  negarsi  all'uso 
del  popolo;  così  abbiamo  osato  di  compilare  anche 
noi  un  piccol  catalogo  di  voci,  che  si  stimano  er- 
rate, e  tali  non  sono,  non  solo  per  il  detto  uso  del 
popolo,  principalmente  toscano,  ina  per  trovarsene 
una  gran  parte  nelle  opere  di  scrittori  (molti  de'  quali 
insigni)  ammessi  dall'accademia  della  crusca  meri- 
tamente a  far  testo. 

Certo  di  alcune  parole  o  moderne,  o  tali  repu- 
tate, non  può  farsi  a  meno  chi  vuol  precisione  e 
chiarezza  di  favellare:  altro  essendo  lo  scrivere  fa- 
miliare ,  ed  altro  il  nobile  de' poeti,  degli  storici, 
degli  oratori:  i  quali  talora  possono  senza  afTetta- 
zione  0  noia  de'  lettori  adoperare  alcune  circonlo- 
cuzióni e  antiche  parole,  che  già  non  possono  i  par- 
lanti e  scriventi  familiarmente.  Se  a  tutti  si  con- 
viene certa  proprietà  nazionale,  non  a  tutti  sta  bene 


127 

una  squisita  eleganza.  E  già  Cicerone  stesso,  così 
pieno  di  zelo  pel  gentile  parlar  latino,  diceva  d'usare 
nelle  sue  lettere  incomparabili  le  voci,  non  de'libri 
di  Catone,  di  Antonio  e  di  Crasso,  ma  sì  del  po- 
polo ,  0  meglio  della  plebe.  Vernntamen  ,  scriveva 
egli  a  Peto  (lib.  IX,  epist.  21),  quid  libi  ego  in  epi- 
stolis  videor  ?  Nonne  plebeio  sermone  agere  tecitm  ? 
E  poi:  Epislolas  vero  quotidianis  verhis  lexere  sole- 
miis.  Il  quale  avviso  vediamo  aver  pure  avuto  i  no- 
stri buoni  italiani  de' migliori  secoli,  come  sa  chi 
legge  le  lettere  anche  de'  più  puri  e  forbiti. 

Nel  presente  breve  lavoro  non  abbiamo  consul- 
tato altro  vocabolario,  da  quello  in  fuori  della  crusca 
(solo  codice  della  lingua  che  riputiamo  autorevole, 
specialmente  per  le  parole  d'uso)  con  le  Giunte  Ve- 
ronesi del  Cesari  e  le  Giunte  Torinesi  del  Somis. 
Sicché  forse  le  voci,  che  rechiamo,  saranno  state 
già  registrate  in  altvi  più  moderni:  de'  quali  non 
abbiamo  uso  o  notizia.  Certo  è  che  da  noi  furono 
tratte  principalmente  dagli  scrittori  stessi,  delle  cui 
opere  in  tutta  la  vita  ci  siamo  fatti  delizia,  spesso 
per  le  cose,  sempre  per  le  parole:  le  quali  non  man- 
cammo notare  per  privato  ammaestramento  ne'mar- 
gini  qua  e  là  del  nostro  vocabolario. 


ABBORDARE  e  ABBORDO.  Dopo  gli  esempi 
classici,  che  gli  accademici  della  crusca  ne  hanno 
recato  nell'ultima  ristampa  del  loro  vocabolario  (che 
tutti  desideriamo  veder  compiuto) ,  non  vuoisi  piiì 
porre  in  dubbio  il  valore  di  nessuno  de'  significati 
di  abbordare  e  di   abbordo. 


128 

ABBRACCIO.  Abbracciamento.  Essendo  errato 
V  esempio  del  Boccaccio  ,  il  più  antico  sarà  forse 
quello  (non  avvertito)  di  Giampietro  Maffei,  scrittor 
famoso  del  secolo  XVI  ,  nella  vita  di  S.  Martino 
cap.  12:  «  Con  molti  abbracci  e  cortesie  ricevè  co- 
lui, che  dianzi  non  soffriva   di  vedere  ». 

ABBRUTIRE,  ABBRUTITO,  ABBRUTIMENTO. 
La  crusca  nel  nuovo  vocabolario  le  registra  come 
voci,  quali  sono  veramente,  dell'uso  comune. 

ABERRARE  e  ABERRAZIONE.  Registrate  giu- 
stamente come  voci  d'uso,  e  non  ignobile,  nel  nuovo 
vocabolario  della  crusca. 

ABILITARE  e  ABILITARSI.  Voci  anch'  esse , 
fuor  dell'uso  legale,  registrate  dalla  crusca  nel  nuovo 
vocabolario  cogli  esempi  dei  Caro,  del  Bartoli,  del 
Segneri  e  d'altri. 

ABILITAZIONE.  Si  dirà,  secondo  il  nuovo  vo- 
cabolario della  crusca,  come  termine  di  legisti. 

ABITUDINE.  Abito.  Oltre  agli  esempi  dei  Botta, 
che  reca  il  nuovo  vocabolario  della  crusca  ,  ec- 
conc  anche  altri,  Bentivoglio,  Stor,  par.  1.  lib.  1: 
«  Ogni  corpo  umano  aver  la  sua  particolare  abitu- 
dine ,  e  così  ogni  nazione  il  proprio  suo  naturale 
temperamento».  —  Perticari,  Scrittori  del  trecento 
lib.  1  ,  cap.  7:  «  Perchè  già  tutti  quegli  europei  , 
benché  sciolti  dal  nostro  giogo,  avranno  avuto  sem- 
pre l'occhio  air  Italia,  per  la  memoria,  per  l'abitu- 
dine ,  ed  anco  per  la  paura  della  passata  lunghis- 
sima schiavitù.  ))  —  Laonde  poi  1'  egregio  Parenti 
non  dubitò  usare  la  medesima  voce  nelle  sue  an- 
notazioni al  vocabolario  di  Bologna,  art.  Libertino: 
«   Voce  dell'  uso  (egli  dice)  derivata  probabilmente 


129 
dalle  abitudini  licenziose  di  quelli  affrancati,  che  pro- 
priamente chiamavansi  libertini  ». 

ABIURA  e  ABIURAZIONE.  Sono  voci  ammesse 
con  esempi  nel  nuovo  vocabolario  della  crusca.  Ol- 
treché debbono  reputarsi  voci  dell'uso  generale. 

ABNEGARE  e  ABNEGAZIONE.  Potrà  scriversi 
anche,  secondo  che  alcuni  vogliono,  annegare  e  an- 
negazione.  Ma  abnegare  e  abnegazione  si  trovano  in 
ottimi  scrittori  del  trecento  e  del  cinquecento,  come 
c'insegna  il  nuovo  vocabolario  della  crusca. 

ABORTIVO.'  In  senso  figm-ato  e  metaforico.  Re- 
gistrato con  esempi  nel  nuovo  vocabolario  della  crusca. 

ACCADEMICAMENTE.  Si  dirà  per  uso  familiare 
(  secondo  il  nuovo  vocabolario  della  crusca  )  «  coi 
verbi  dire,  parlare  e  simili,  e  varrà  parlare  di  chi- 
chessia  senza  determinato  proposito  ,  ed  anco  per 
solo  trattenimento.  » 

ACCAMPIONARE.  Lo  diremo  per  l'autorità  della 
crusca,  che  registra  questo  verbo  nel  nuovo  voca- 
bolario. 

ACCAPARRARE  e  ACCAPARRAMENTO.  Voce 
d'uso  ,  registrata  ora  dalla  crusca  nel  nuovo  voca- 
bolario. 

ACCENTRARE.  Concentrare,  ritirare  nel  centro. 
Lo  registra  la  crusca  nel  nuovo  vocabolario  ,  dove 
reca  di  Accentrato  un  esempio  del  Bembo. 

ACCIACCARE.  Indebolire,  infiacchire.  È  voce  re- 
gistrata pure  dalla  crusca  nel  nuovo  vocabolario,  che 
d'Acciaccato  in  tal  significato  ha  un  esempio  di  fra 
lacopone. 

ACCIACCO.  Danno  sofferto  nella  sanità.  Ammesso 
G.A.T.CXLIII.  9 


130 

nel  nuovo  vocabolario  della   crusca  con  esempi   del 
Redi,  del  Magalotti  e  del  Salvini. 

ACCIDENTATO.  Trovandosi  detto  Accidente  per 
Appoplesia  dal  Guicciardini  ,  dal  Cellini ,  dal  Segni 
e  da  altri,  ha  perciò  la  crusca  nel  nuovo  vocabo- 
lario registrato  come  voce  d'uso  anche  Accidentato. 

ACCOMODAMENTO.  Conciliazione.  Ammesso  al- 
tresì dalla  crusca  nel  nuovo  vocabolario  con  esempi 
del  Bentivoglio,  del  Buondelmonti  e  del  Botta. 

ACCOMODAMENTO.  Acconciamento  ,  Vaccomo- 
darCy  il  ridurre  in  buono  stato.  11  nuovo  vocabolario 
della  crusca  ne  reca  esempi  del  Galilei ,  del  Segni 
e  d'altri. 

ACCORDABILE.  Veggasi  il  nuovo  codice  della 
favella. 

ACCOSTANTE.  Persuasivo  ,  efficace-  In  esso 
nuovo  codice  ha  l'esempio  di  Albertano. 

ACCREDITARE.  Addebitare  ,  far  debitore  d'al- 
cuna somma.  Voce  dell'  uso  mercantesco  registrata 
dalla  crusca  nel  nuovo  vocabolario. 

"  ACCUCCIARE.  Neutr.  Pass.  Detto  del  coricarsi 
de'  cani.  Voce  d'uso  registrata  dalla  crusca  nel  nuovo 
vocabolario. 

ACQUISIRE.  Voce  d'uso  ammessa  dalla  crusca 
nel  nuovo  vocabolario. 

ACQUISITORE.  La  crusca  nel  nuovo  vocabo- 
lario registra  questa  voce  coH'esempio  degli  statuti 
de'  cavalieri  di  santo  Stefano. 

ACUMINARE  e  ACUMINATO.  Voci  ammesse  nel 
nuovo  vocabolario  della  crusca. 

ADDAZIARE  e  ADDAZIATO.  Ammesse  corno 
sopra. 


131 

ADDEBITARE.  Far  debUore.  Perchè  ,  secondo 
alcuni,  non  può  dirsi  in  buona  tavella  ?  Veggasi  il 
nuovo  vocabolario   della  crusca. 

ADDIZIONALE.  Add.  Registrato  come  voce  d'uso 
dalla  crusca  nel  nuovo  vocabolario,  dove  sono  eseiB^i 
classicissimi  di  Addizione. 

ADDIRIZZARE.  Ha  tanti  buoni  esempi  d'  ogni 
secolo,  che  forse  non  ne  ha  altrettanti  indirizzare^  che 
da  qualche  filologo  vorrebbe  ad  esso  sostituirsi. 

ADERENZA.  Unione  ad  una  parte  ,  ad  una  fa- 
zione. Beoti  voglio,  Stoi'.  par.  I,  lib.  5:  «  In  Alema- 
gna  non  cessare  1'  Oranges  di  usare  anch'  egli  ogni 
studio  coi  principi  suoi  amici  e  cogli  altri  di  sua 
aderenza.  »   E  così  altre  volte. 

ADESIONE.  Potremo  usarlo  anche  per  acconsetir- 
timenlOi  aìinuenza,  avendolo  registrato  la  crusca  nel 
nuovo  vocabolario. 

ADESSO.  Il  Facciolati  la  dice  voce  da  non  usarsi 
in  grave  componimento.  Noi  staremo  invece  colla 
crusca  ,  che  nel  nuovo  vocabolario  ne  reca  esempi 
gravissimi  di  prosa  e  di  verso  d'ogni  secolo. 

ADIRE  UN'  EREDITA.  È  bello  e  antico  modo 
legale,  ammesso  nel  nuovo  vocabolario  della  crusca 
anche  con  un  esempio  di  Giovanni  dalle  Celle.  Come 
pure  Adire  il  tribunale,  il  giudice,  è  ivi  registrato 
come  voce  del  buon  uso  toscano. 

AD  ONTA.  Non  ostante.  È  registrato  nel  nuovo 
vocabolario  della  crusca. 

ADOTTARE.  Approvare  ,  ammettere.  Oltre  agli 
esempi  del  Salvini  e  di  altri,  che  si  hanno  per  in- 
fetti di  francesismo  ,  eccone  uno  pur  del  Giordani 
nella  lettera  al  Boucheron  (Nuove  prose.  Milano,  Sii- 


132 
vestri  1839)  pag.  33  :  «  Si   adottarono  i  tipi  pro- 
posti :  ma  le  parole  italiane  furono   intollerabili  ai 
nostri  latinissimi.  « 

AFFARE.  Combattimento.  Registrato  nel  nuovo 
vocabolario  della  crusca  coll'esempio  dell'Alamanni 
nel  Girone  XV.  53.  Ma  noi  non  l'useremmo  giammai. 

AFFERRARE.  Non  istà  metaforicamente  colla 
sola  voce  punto,  perciocché  il  Galilei  disse  afferrare 
la  brevità,  Marcello  Adriani  afferrare  il  fatto,  il  Caro 
afferrare  l'occasione^  come  si  ha  nel  nuovo  vocabo-^ 
lario  della  crusca. 

AFFETTATEZZA.  Affettazione.  Il  nuovo  voca- 
bolario della  crusca  ne  reca  l'esempio  del  Fioretti. 

AFFETTO  DI  MALATTIA.  Lo  dicano  i  medici: 
ma  non  si  vieti  di  dirlo  anche  a  noi  per  l'esempio 
del  Caro  recato  nel  nuovo  vocabolario  della  crusca. 
E  cosi  useranno  bene  i  giureconsulti,  per  gli  esempi 
che  ne  reca  esso  vocabolario  ,  la  voce  affetto  :  la 
quale,  dice  l'accademia,  parlandosi  di  patrimonio, 
di  possessioni,  di  capitali  e  simili,  vale  obbligato, 
soggetto,  {gravato,  ec. 

AFFETTUOSITÀ'.  È  voce  del  trecento,  ringio- 
vanita dal  Salvini,  e  registrata  nel  nuovo  vocabo- 
lario della  crusca. 

AFFEZIONE.  Termine  de'medici,  ammesso  dalla 
crusca  nel  nuovo  vocabolario  con  esempi  nobilissimi 
fin  del  trecento. 

AFFIATARSI  CON  UNO.  È  voce  d'uso  toscano, 
registrata  pur  dalla  crusca  nel  nuovo  vocabolario. 

AFFILIARE.  Voce  altresì  dell'  uso  registrata 
come  sopra. 

AFFISSARE,  Affiggere.  Coll'esempio  del  Ricciarr. 


133 

detto  è  stato  ammesso  dalla  crusca  come  sopra.  E 
v'  è  pure  Affisso  qual  voce  d'uso. 

AFFITTARE.  È  in  tutti  i  vocabolari,  in  tutti 
i  significati ,  e  cogli  esempi  di  Vincenzo  Martelli  , 
del  Caro  e  del  Varchi.  Potremo  aggiungerne  noi  an- 
che un  altro  del  trecento  ,  cioè  di  Donato  da  Ca- 
sentino nel  volgarizzamento  del  Trattato  delle  donne 
illustri  del  Boccaccio  pag.  227:  «  Ma  Cleopatra  non 
avendo  sua  intenzione,  quasi  come  s'  ella  fosse  in- 
dugiata per  quelle,  affittò  la  vendita  di  Gericonte 
dove  nasceva  il  balsamo  ». 

AFFITTO.  Chi  ne  desiderasse  un  esempio  del 
trecento,  eccplo  nel  testamento  di  Lemmo  di  Bal- 
duccio  n.°  53:  «  E  i  beni  d'essa  eredità,  dovunque 
e  in  qualunque  luogo  si  sieno,  intra  e  per  lo  detto 
tempo  de'detti  tre  anni  allogare  a  mezzo  affitto  e 
mezzo  lavorio  ec.  « 

AFFITTUARIO.  Nelle  antiche  leggi  toscane  T. 
23  trovasi  questa  voce  d'uso  :  «  Affittandosi  detto 
lago,  sarà  ancora  lecito  all'affittuario  di  potere  ec.» 

AGGIUSTAR  FEDE.  Non  piace  ad  alcuni  filo- 
logi: e  per  verità  non  piace  neppure  a  noi.  Certo  può 
farsene  a  meno.  Ma  non  è  vero  che  l'abbia  usato 
solo  il  Giambullari:  perchè  il  Segni,  suo  contempo- 
raneo, l'usò  parimente,  Stor.  lib.  7:  «Solimano,  ab- 
battuto da  questo  caso  infelice,  abbandonò  l' impresa: 
ed  aggiustata  piiì  fede  agli  ammonimenti  della  ma-* 
dre,  con  segreto  sdegno  conceputo  contro  ad  Abitai m 
se  ne  tornò  a  Costantinopoli  ». 

AGGREDIRE.  Boccaccio,  Amor.  vis.  e.  34.  a  Or 
mira  a  pie  della  città  depressa,  —  E  vedi  que'  che 
già  ne  fu  signore. —  Quando  da' greci  fu  con  forza 


134 

aggtessa  ».  —  Ed  il  Segneri,  come  hanno  i  voca- 
bolari, usò  Aggressione. 

AGGREGANZA.  Giacomini  ,  Orazioni  pag.  21: 
«  L'obbedienza  alla  ragione  e  alle  vere  leggi,  veri 
parti  della  retta  ragione,  è  un'  aggreganza  di  tutte 
le  virtù  ». 

AGIBILE.  Maffei,  vita  di  S.  Antonio  da  Padova 
cap.  4:  «  Appresso  tutto  il  capitolo  rimase  in  opi- 
nione di  uomo  semplice  e  idiota,  e  poco  atto  né 
alla  sottigliezza  delle  discipline  speculative  ,  nò  al 
maneggio  delle  cose  agibili   ». 

AGITAZIONE  Sollevazione,  lumullo.  Ben  ti  voglio 
Stor.  par.  1.  lib.  3:  «  Così  cessato  il  terrore  nei 
popoli,  cesserà  l'agitazione  nel  paese  ». 

ALIENAZIONE.  Ce  ne  dà  la  spiegazione  il  Caro 
nel  Volgarizzamento  della  rettorica  di  Aristotile  lib. 
1  cap.  5:  (i  E  chiamo  alienazione  la  donazione  e  la 
vendizione.  »  —  Ed  infatti  per  vendizione  V  usa  il 
Giacomini,  Orazioni  p.  88:  »  In  quelle  legazioni  in 
nome  de  la  provincia  al  clero  ,  qual  crediamo  che 
fosse  il  dolore  dell'animo  suo,  mentre  udiva  trat- 
tarsi e  per  minore  male  determinarsi  1'  alienazione 
de'beni  ecclesiastici  per  pascer  quelle  armi  ec.  ?  » 

ALL'UNISONO.  Galilei,  Saggiatore  §.  15:  «  Io 
domando  al  Sarsi,  onde  avvenga  che  le  canne  del- 
l'organo non  suonan  tutte  all'unisono,  ma  altre  ren- 
dono il  tuono  più  grave,  ed  altre  meno?» 

A  MISURA.  Non  direi  di  bassa  ilalianilà,  come 
alcun  dice  ,  una  voce  usata  dal  Bentivoglio  e  dal 
Segneri.  Perciocché  il  primo,  Stor.  par.  2.  lib.  1  , 
scrive:  «  A  misura  che  i  regii  procuravano  d'allog- 
giarsi dentro  ;  facevano  questi  ogni  più  viva  oppo- 


135 

sizione  per  iscacciainieli  fuori.  »  —  Ed  il  secondo, 
Cristian.  Istruii.  1.6.  7:  «  Quell'aiuto  di  grazia,  che 
avevano  già  ottenuto,  verrà  a  languire  a  misura  del 
languore  che  fanno  le  loro  suppliche.  » 

AMNISTIA.  È  termine  derivato  dal  greco  ,  che 
non  può  tradursi  neir  italiano  perdono:  valendo  pro- 
priamente il  messo  in  dimenticanza  ogni  colpa  del- 
l'Adriani, Stor.  lib.   15.  cap.  l   in  principio. 

AMPOLLOSITÀ'.  È  ammessa  come  voce  d'uso 
non  solo  nel  vocabolario  dell'  illustre  e  benemerito 
Manuzzi,  ma  nella  crusca. 

ANALIZZARE.  E  voce  d'uso,  come  ò  il  greci- 
smo Analisi.  Avvei'tasi  inoltre  che  Analitica,  sustan- 
tivo  ,  abbiamo  nel  Caro  ,  Volgarizz.  della  rettóricu 
d'Aristotile  lib.  2.  cap.  25:  »  Perchè  abbiamo  già 
veduto  nell'Analitica,  clie  nessun  segno  fa  sillogis- 
mo. »  —  E  Analitico,  addiettivo,  ivi  lib.  1.  cap.  4: 
tt  Perché  vero  è  quello  che  ci  trovamo  aver  detto, 
che  la  rettorica  è  fatta  de  la  scienza  analitica  ,  e 
de  là  civile  che  tratta  de'costumi  ». 

APPARTAMENTO.  È  voce  di  buon  uso  non  solò 
per  gli  esempi  del  Salviati  (non  Salvini)  e  del  Bor- 
ghini,  ma  per  quello  del  Caro  in  nobilissima  poe- 
sia, cioè  nella  traduzione  dell'Rheide  lib.  2:  «  Cin- 
quanta maritali  appartamenti  —  Eran  nel  suo  ser- 
raglio. »  —  Laonde  Paolo  Costa,  elegante  scrittore 
ed  ammesso  novellamente  dalla  crusc;i  a  far  testo  in 
lingua  ,  credette  di  poter  ben  dire  nel  Laocoonte  : 
«  Ecco  fra  tanti  italici  ornamenti  —  Laocoonte,  che 
Tito  si  tenne  —  A  pompa  de'regali  appartamenti». 

APPOGGLVRE.  Affidare  ,  commettere.  Bentivo- 
glio,  Stor.  par.  1.  lib.  9  :  «  Appoggiavasi  a  Mon- 
dragone  la   cura  principale  dell'assedio  ». 


136 

APPOSTO.  Accusa.  Celliiii,  Vita  (ediz.  di  Colo- 
nia) p.  119:  «  Io  ero  innocente  di  quel  falso  ap- 
posto per  questa  causa   ». 

APPRENDERE.  Insegnare.  Questo  antico  verbo 
fu  ringiovanito  dall'Alamanni,  Egloga  Vili:  «  E  ben 
ti  donerei  piiì  d'un  capretto,  —  Se  mi  apprendessi 
pur  due  mesi  almeno.  » 

ARMATA.  Esercito.  Non  solo  se  ne  hanno  esempi 
in  verso  del  Morgante  e  del  Ricciardetto,  come  no- 
tano alcuni  filologi,  ma  sì  (cosa  che  non  ci  pare  av- 
vertita) in  prosa  dell'aureo  Dino  Compagni,  Stor.  lib. 
2:  «  Il  marchese  disfece  l'armata  (presso  la  nostra 
Bologna)  e  i  neri  partirono.  »  —  Rechiamo  però  que- 
st'esempio, non  perchè  crediamo  bello  il  dire  armata 
VesercitOy  ma  per  iscusare  chi  pur  lo   dice. 

ARRE^^TO.  Decreto,  Sentenza.  L'usò  molto  pri- 
ma del  Magalotti  lo  Speroni,  Orazioni  (ediz.  di  Ve- 
nezia 1596)  pag.  91:  «  Però  avvenne  che  nella  corte 
des  pers  de  France  negli  anni  1203  contro  Giovanni 
re  d'  Inghilterra,  sendo  citato  e  non  comparendo  , 
nacque  un  arresto  definitivo  che  confiscava  il  suo 
stato.  »  —  E  pag.  98:  «  Essendo  stato  in  un  par- 
lamento fermato  arresto  contro  Roberto  d'Artoisec.» 
—  Ha  però  gran  ragione,  ci  pare,  chi  se  ne  mostra 
schivo. 

ARROLAMENTO.  Non  ci  sembra  tanto  fuori 
della  buona  lingua  questa  voce  d'uso,  essendovi  Ar- 
rotare nel  Salvini,  Volgarizz.  d'Anacreonte  in  rima, 
ode  50:  «  Arrolar  ne'suoi  misteri  -  Volle  1'  uomo 
novizio  -  E  dal  ciel  scese  leggieri  -  A  precipizio  - 
Bacco  il  gran  divo.  )>  -  E  arrolar  soldati  in  Marcello 
Adriani,  Voi?,  della  vita  di  Focione  scritta  da  Più- 


137 

laico  (ediz.  romana  del  1852)  pag.21:  «  Ma  nel  tempo 
dell'arrolare  i  soldati  veniva  fuori  appoggiato  al  ba- 
stone con  una  gamba  fasciata  »  -  E  arrolarsi  soldato 
nel  Fortiguerri,  Trad.  dell'  Heautontim.  di  Teren- 
zio atto  1.  se.  1:  «  Fuggissi  in  Asia,  e  s'arrolò  sol- 
dato- ))  -  Oltre  r  arrolaio  del  Davanzali  registrato 
dalla  crusca. 

ARTICOLO.  Soggetto,  materia.  Caro,  Lett.  ined, 
pubblicate  dal  Mazzucchelli  t.  1.  pag.  212:  «  Ma  io 
mi  confido  ne  la  prudenza  di  V.  S.,  e  a  lei  e  a  mon- 
sig.  vice-legato  mi  rimetto  del  tutto  ,  il  quale  mi 
scrive  sopra  questo  aiticelo  in  un  certo  modo  che 
mostra  non  diffidar  di  conseguirlo.    » 

ASCENDENTE.  Superiorità,  potenza  morale  che 
uno  esercita  sopra  alcuno.  Bentivoglio,  Stor.  par.  1. 
lib.  1:  «Riconoscere  quelle  province  per  suo  principal 
patrimonio,  e  da  loro  quell'ascendente  che  poi  aveva 
portato  il  suo  sangue  alla  successione  di  tanti  re- 
gni  )). 

ASSEVERANTEMENTE.  Lo  diremo  bene  per 
gli  esempi  del  Galilei  e  del  Segneri  recati  dalla  cru- 
sca: e  per  quello  che  aggiungiamo  del  Pallavicino, 
Stor.  del  concilio  hb.  L  cap.  3:  «  E  pur  egli  in 
una  scrittura  ec,  pose  asseverantemente,  non  tro- 
varsi la  presupposta  donazione  in  alcun  di  que'  li- 
bri, » 

ATTACCARSL  Affezionarsi,  prendere  affezione. 
Segneri,  Manna,  nov.  22-  23:  «  Vedi  tu  come  facea 
la  regina  Ester  per  non  attaccarsi  a  quel  diadema, 
che  le  circondava  la  fronte  ?  Lo  abbominava.   » 

ATTESA.  Non  si  ha  solo  nelle  rime  antiche,  ma 
sì  anche  in  prosa  nello  Speroni,  Apologia  delle  Ca- 


138 

nace  (etiiz.  di  Venezia  1597)  pag.  150:  a  Questa 
dunque  fu  la  cagione  ond'io  feci  sì  lunga  attesa  di 
scrivere.  « 

ATTILLATO  e  ATTILLATURA.  Vuoisi  che 
queste  sole  sieno  le  voci  ammesse  dal  vocabola- 
rio. Aggiungasi  Attillalamenle,  ch'è  senza  l'esempio, 
e  lo  avrà  nel  Castiglione,  Corlig.  lib.  2.  cap.  21  : 
«  li  <|ual  fu  tanto  ben  divisato  di  panni  ed  accon- 
cio così  atlillatanjente,  che  avvegnaché  fosse  usato 
solamente  a  guardar  buoi  ec.  )>  -  Osservisi  altresì, 
che  allillato  è  graziosamente  avverbio  nel  Caro  , 
Relt.  d'Arist.  lib.  2.  ".ap.  24:  »  E  perché  veste  at- 
tillato, e  va  di  notte,  è  adultero.  » 

AUGURARSI.  V'ha  chi  afferma  che  non  possa 
dirsi  mi  aiujuro,  in  vece  di  desidero,  spero  ec.  Ma 
gli  stanno  contro  e  il  Caro  ,  Lett.  ined.  pubb.  dal 
Mazzucch.  t.  1.  pag.  166:  «  Di  questa  Vostra  gita 
m'auguro  qualche  cosa  di  buono:  »  -  E  lì  Sialvini, 
Prose  toscane  L  393:  »  Io  per  me  nella  mia  età  ornai 
in  ver  Poccaso  inclinata  gioisco  dentro  dal  cuore 
augurandomi  che  voi  i  vostri  passati  gloriosi  ram- 
mentandovi ec.   « 

AVULSO.  Caro,  Eneid.  lib.  XII:  u  Ed  ambi  i 
capi  da  i  lor  tronchi  avulsi,  -  Sì  come  eran  di  pol- 
vere e  di  sangue  -  Stillanti  e  lordi,  per  le  chiome 
appesi  -  Anzi  al  carro  si  pose.  » 

AZZARDARE.  Lo  registra  il  Cesari  nelle  sue 
giunte  con  esempi  poetici  del  Menzini:  non  poten- 
dosi far  conto  della  storia  della  guerra  di  Semifonte 
reputata  apocrifa.  In  prosa  usò  questa  voce  il  Cru- 
deli, Rime  e  prose  (ediz.  di  Parigi  1805)  p.  155: 
«  Non  azzardare  il  tuo  credito  ad  una  sola  prova.» 


139 
B. 


BATTERE  L'INIMICO.  Agli  esempi  attivi  del 
Bembo  e  del  Guicciardini,  recali  nel  vocabolario  , 
aggiungerei  questo  passivo  dei  Machiavelli,  Discorsi 
2.  16  :  «  La  seconda  schiera  de'principi,  perchè  non 
era  la  prima  a  combattere  ,  ma  bene  le  conveniva 
accorrere  alla  prima  quando  fosse  battuta,  o  urtata, 
non  la  facevano  stretta.   » 

BELLO  SPIRITO.  Segni,  Stor.  lib.  7:  «  Il  car- 
dinale, che  per  la  destrezza  dell'ingegno  conveniva 
assai  col  bello  spirito  di  Filippo,  sorridendo,  e  lo- 
dandolo del  suo  ragionamento,  lo  prese  con  gran  fe- 
sta per  mano.  r> 

BEN  ESSERE.  Non  solo  ha  esempi  illustri  nei 
cinquecento  ;  ma  ne  ha  uno  altresì  nel  trecento:  ed 
è  di  fra  Girolamo  da  Siena,  Adiutorio  p-  130:  «  Lo 
primo  bene  essere  si  riceve  in  questa  vita,  in  quel 
modo  lo  quale  è  detto  ,  e  questo  con  speranza  di 
meglio.  » 

BENE  YISO.  L'Ariosto  disse  Ben  veduto  :  e  la 
crusca  lo  registrerà  certo  nel  suo  vocabolario.  Ori. 
Fur.  XXXI.  26  :  «  Ma  servito,  onorato,  e  ben  ve- 
duto —  Quanto  in  loco  ove  mai  forse  venuto.  »  — 
E  così  anche  l'Adriani,  Stor.  lib.  16.  cap.  5:  «  Vo- 
leva (il  re)  che  in  Roma  e  per  tutto  fossero  dai  suoi 
ministri  difesi,  e  dagli  altri  ben  veduti  ed  avuti  in 
rispetto.  )) 

BERSAGLIATO.  Crudeli,  Rime  e  prose  (ediz.  di 
Parigi  1805)  pag.  129:  «  Smarrivansi  i  sembianti - 
De'bersagliati  amanti.   » 


BIMESTRE.  Non  è  vero  che  manchi  al  vocabo- 
lario della  crusca. 

BOLZETTA.  Il  Caro  disse  bolgetta  nelle  Lettere 
Farnesiane,  il  cui  esempio  ci  è  recato  dal  dottissimo 
conte  Somis  di  Chiavrie  nelle  sue  Giunte  Torinesi  al 
vocabolario  della  crusca:  libro  troppo  immeritamente 
obliato,  come  pare,  dai  nostri  filologi.  L'esempio  è 
il  seguente  :  «  Ordinate  che  sia  portata  da  un  fida- 
to, e  che  si  taccia  dare  la  bolgetta,  che  si  dimanda, 
perchè  vi  sono  scritture  d'importanza  a  riscontrare 
le  cose  dette.   » 

C. 

CADERE  IN  DISCORSO  SOPRA  UNA  COSA. 
Ha  un  valente  che  dice  non  esser  modo  molto  felice. 
Poco  diverso  però  è  quello  del  Lasca,  Cena  2,  nov. 
4  :  «  E  poiché  essi  ebbero  mangiato  le  frutte,  fat- 
tone andare  le  donne  in  camera,  caddero  sopra  il 
ragionamento  di  Gian  Simone  e  del  suo  amore.  »  - 
E  del  Casa  nel  discorso  al  cardinale  Caraffa:  «  Pro- 
ponesse a  questi  ministri  imperiali,  che  sarebbe  ben 
fatto  di  fermare  N.  S.  e  V.  S.  Illma  con  il  conce- 
der loro  qualche  stato  ,  e  finalmente  cader  sopra 
quello  di  Siena,  offrendo  anco  loro  fino  a  2000  tal- 
leri.  )> 

CALCOLO  0  CALCOLO.  Giudizio.  È  registrato 
dal  Somis  nelle  Giunte  Torinesi  con  un  esempio  del 
Caro. 

CALDARROSTA  e  CALDALLESSA.  Mauro  , 
Capii,  della  bugia:  «  Tal  che  fu  già  pizzicaruolo  o 
oste  ,  —  Or  è  gentile  ,  e  tal  che  già  poch'  anni  — 
Gridava  :  Calde  allesse  e  calde  arroste.  »  —  Ed  il 


U1 

Tassoni,  Secchia  IV.  35:  «  L'un  nemicizia  avea  col 
sol  d'agosto  :  -  E  l'altro  lincaiia  le  calde  arrosto.  » 

CALESSE  e  CALESSO.  Carro  a  due  ruote  e  ad 
un  cavallo.  x\dimari,  Satira  contra  le  donne:  «  Stan 
pili  lettighe  in  punto  al  suo  partire  ,  —  Calessi  e 
mute,  ove  il  terren  sia  piano.  »  —  E  poi  alquanto 
madornale  l' errore  di  chi  ha  scritto  aversi  di  que- 
sta voce  esempio  nell'Ariosto.  11  buon  filologo  non 
ha  neppur  dubitato,  che  Co/esse  nell'Ori.  Fur.  Vili.  27 
stia  per  la  città  di  Calais  in  Francia. 

CALMARE-  Se  vuol  dire  Abbonacciare,  secondo 
la  crusca,  non  parmi  dover  essere  errore  lo  scrivere: 
«  La  voce  di  Nettuno  calmò  il  mare.  »  Anzi  cre- 
diamo aver  ben  detto  il  Crudeli,  Rime  e  prose  (ediz. 
di  Parigi  1805)  pag,  4:  «  M  calmato  Oceano  in- 
dora il  seno.   )) 

CANNONEGGIARE.  Se  vi  è  cannone ,  deve  es- 
servi cannonata.  Ed  infatti  si  ha  nel  Benlivoglio  , 
Stor.  par.  1.  lib.  6:  «  A  questo  fine  infestava  quasi 
di  continuo  il  campo  regio  con  fiere  tempeste  di 
cannonate.  «  E  se  v'è  cannonata,  dev'esservi  anche 
cannoneggiare  e  cannoniero,  voci  d'uso  omai  gene- 
rale in  Italia. 

CANONIZZARE,  Oltre  al  «acro  senso  cattolico  di 
ascrivere  alcuno  nel  numero  de'santi,  eccone  un  altro 
datogli  dal  Caro  nel  Volg.  dell'oraz.  prima  di  s.  Gre- 
gorio nazianzeno  :  «  E  per  cattivi  e  per  buoni  ca- 
nonizziamo gli  uomini,  non  secondo  i  costumi  loro, 
ma  secondo  l'amistà  o  la  nimicizia  che  abbiamo  con 
essi.  » 

CAPEZZA,  Cavezza.  Caro,  Rett.  d'Aristot.  lib.  3. 
cap.  10  ;  «  Disse  che  si  studiava  che  li  fusse  rive- 


142 

duto  allora,  perchè  avea  la  capezza  ne  la  gola  al  po- 
polo. ))  -  Capezza  inoltre  disse  il  Machiavelli,  Lett. 
Famil.  n.  80.  «  Lo  darai  (il  mulettino)  a  Vangelo, 
e  dirai  che  lo  meni  in  Montepugliano  ,  e  di  poi  gli 
cavi  la  briglia  e  il  capezzo.   » 

CAPITALE.  V'ha  chi  dice  egregiaiioente  in  sua 
vece,  come  altresì  il  Bentivoglio,  cklà  principale  il  Ma- 
chiavelli disse  cà/9o,  Discorsi  1.  1:  <(  E  per  non  avere 
queste  cittadi  la  loro  origine  libera,  rade  volte  occorre 
che  le  faccino  progressi  grandi,  e  possinsi  tra  i  capi 
de'regni  numerare.   » 

CASUALITÀ'.  Già mba lista  Strozzi,  Orazioni  e  al- 
tre prose  pag.  5  :  «  Pare  a  noi,  che  non  veggianio 
altro  che'l  presente,  che  sia  casualità  o  errore  quel 
che  molte  volte  è  indizio,  benché  oscuro  ,  di  quel 
voler  che  non  erra,  e  che'l  tutto  cagiona.  » 

CEMENTO.  Caro,  Lett.  ined.  pubbl.  dal  Maz- 
zucch.  t.  1.  pag.  146:  «Voglio  più  tosto  aver  pa- 
zienza, che  condur  la  cosa  a  certi  cementi  che  po- 
trebbero dar  cattivo  saggio  di  questo  negozio.   » 

CENNARE.  Alcun  valente  lo  ha  in  dispetto,  non 
ostante  l'esempio  dell'Ariosto  ,  che  veramente  solo 
ne  reca  la  crusca.  Ma  gli  si  farà  grazia,  speriamo,  per 
questi  altri  di  scrittori  non  meno  eleganti  che  au- 
torevoli, i  quali  non  l'ebbero  certo  per  un  ridicolo 
mozzicone.  Alamanni,  Girone  VII.  158:  «  Galealto 
Giron  mirando  liso,  -  Che  rispondesse  a  lui,  cenno 
col  viso.  »  -  Lasca,  Egloga  4:  «  Tirsi,  quasi  ridendo, 
a  Galatea  -  Volto,  cenno  che  tosto  incominciasse.»  - 
Caro,  Long.  Sof.  ragion.  4:  «  A  questo  parlare  era 
presente  la  Cleariste,  la  quale,  desiderosa  di  vederne 
la  pruova,  comandò  che  Dafni  sonasse,  e  cennasse 
loro  come  soleva.  » 


143 

CIRCOLARE.  Andare  inlorno.  Lo  registrerà  la 
crusca  nel  nuovo  suo  vocabolario  con  questo  esem- 
pio del  Crudeli,  Rime  e  prose  (ediz.  di  Parigi  1805) 
pag.  53  :  «  Circolava  una  scrittura  -  Da  sua  lione- 
sca  maestà  firmata.   » 

CIRCOSTANZA"  Bisogna,  alcun  termine  di  vivere 
ec.  Cocchi,  Disc,  del  vitto  pittagorico  :  «  E  benché 
il  suo  fato  lo  portasse  a  perdere  la  vita  in  una  se- 
dizione popolare,  come  molti  affermano,  o  come  è 
opinione  d'altri,  le  sue  circostanze  l'inducessero  a  fi- 
nire con  volontaria  inedia  la  sua  languida  e  decre- 
pita vecchiezza,  certo  è  ec.  )>  -  Giordani,  Lett.  all' 
accad.  della  crusca  :  «  Le  mie  circostanze  ,  conti- 
nuamente piene  di  tristezze,  non  mi  lasciano  la  quie- 
te e  il  vigore  che  (specialmente  ad  una  complessio- 
ne fragilissima)  son  tanto  necessarie  per  iscrivere. 
Ma  anche  in  circostanze  lietissime  non  oserei  intra- 
prendere la  vita  del  Monti.   » 

COERENZA.  Non  è  sempre  termine  delle  scuo- 
le. Cocchi,  Disc,  del  vitto  pìttagor:  «  Se  noi  potes- 
simo sapere  le  circostanze,  nelle  quali  ei  si  trova- 
va, s'intenderebbe  molto  meglio  la  coo-en/.a  di  que- 
sto suo  contegno  colla  sua  saviezza.  »  -  Né  solo  in 
questo  significato  usò  Coerenza^  ma  anche  Coerenle. 
Ivi  :  ((  0  bisogna  intenderla  con  senso  coerente  a 
questi  concetti  si  forti  e  sì  fecondi,  o  supporlo  at- 
tribuite ed  aliene.   » 

COGNIZIONE.  Scienza,  perizia,  pratica.  Machia- 
velli, Disc.  lib.  1.  cap.  47:  «  E  veduto  come  i  tem- 
pi e  gli  uomini  causavano  il  disordine  ,  diventava 
subito  d'un  altro  animo  e  d'un'altra  fatta  :  perchè 
la  cognizione  delle  cose  particolari  gli  toglieva   via 


144 

quell'inganno.  »  -  Dati,  Oraz.  per  Cassiano  dal  Poz- 
zo :  «  Peregrinò  a  Bologna  per  arricchirsi  di  quelle 
amene  cognizioni,  che  appresso  di  noi  sortirono  il 
nome  di  belle  arti.» 

COLLUVIE.  Bentivogllo,  Stor.  par.  1.  lib.  2: 
«  Colluvie  di  molti  settari.  »  E  nella  lettera  16: 
«  Colluvie  d'ogni  setta.  » 

COLPA.  Coll'articolo  le.  Perticar!,  Scrittori  del 
trecento  lib.  2  cap.  6  :  «  Colpa  le  innumerabili  co- 
pie che  se  ne  fecero.  » 

COLTIVARE  L'AMICIZIA.  Caro,  Lett.  ined.  pub- 
blicate dal  Mazzuch.  t.  1-  pag.  172:  «  Ma  mi  siete 
anco  migliore  amico,  poiché  senza  scrivere  coltivate 
l'amicizia  con  l'amorevolezza  e  con  gli  buoni  officii 
ec.  »  —  E  il  Tasso  ha  coltivar  gli  animi,  nell'Ora- 
zione all'accademia  ferrarese:  «Se  a' mezzi  s'avrà 
riguardo,  parimenti  giovevoli  e  morali  si  troveranno: 
qui  non  si  aspira  e  non  si  attende  ad  altro  che  a 
coltivar  gli  animi.  « 

COMENT  ARIO.  Comento,  chiosa.  Sarà,  crediamo, 
detto  bene  in  italiano  anche  in  questo  significato  , 
come  si  disse  bene  in  latino,  e  specialmente  da  Gel- 
ilo addotto  dal  Porcellini. 

COMPARITO.  Chi  afferma  che  non  possa  dirsi 
per  comparso,  ne  legga  nella  crusca  due  esempi  di 
prosa,  l'uno  della  Vita  di  s.  Antonio,  l'altro  del  Se- 
gni- Noi  aggiungeremo  i  due  seguenti  autorevoli  di 
poesia.  Pulci,  Morg.  VII.  52  :  «  Dall'altra  parte  Or- 
lando è  comparito.  »  -  Ariosto,  Ori.  Fur.  XXXIII. 
33:  «  Così  dicendo,  mostragli  il  marchese  -  Alfonsa 
di  Pescara,  e  dice  dopò,  -  Che  costui  comparito  in 
mille  imprese  -  Sarà  più  risplendente  che  piropo.  » 


U5 
-  E  XLV.  97:  «  Se  tu'l  sapessi,  io  so  che  compa- 
rito -  Nessun  altro  saria  di  te  più  tosto.   » 

COMPARTIRE.  Vuole  il  Cesari,  che  debba  sem- 
pre congiungersi  con  la  particella  tra,  e  non  con  a. 
Nondimeno  abbiamo  nel  Machiavelli,  Mandrag.  1.  I: 
«^Avendo  compartito  il  tempo  parte  alli  studia  parte 
a'  piaceri,  e  parte  alle  faccende.  «  —  E  nel  Tasso, 
Graz.  all'Accademia  ferrarese,  poco  dopo  il  princi- 
pio: «  Sono  con   tutto  ciò  molte  volte  cagione,  che 
l'anima  ,  richiamando  a  se  quella  virtù  ,  che  suole 
ministrare  e  compartire  ai  sensi  ,   si  divide   affatto 
dalle  perturbazioni  e  dagli  affetti  terreni.  )>  ~~  E  coii 
la  particella  con  l'accompagna  pure  il  Tasso,  Gerus. 
IV.  23:  «  Questa  a  se   chiama,  e  seco  i  suoi  con- 
sigli —  Comparte,  e  vuol  che  cura  ella  ne  pigli.  « 
COMPENDIO.  Intero,  unione.  Salvini,  Prose  to- 
scane I.  20:   «  Aveva  in  somma  un  così  erudito  raf- 
finato gusto  d'  ogni  galanteria  ,  ed  una  scelta  così 
giudiciosa  d'ogni  più  eccellente  artifìcio,   ch'ella  hen 
sembrava  lo  splendore  del  senno  ,  il  compendio  di 
tutte  le  grazie.  )> 

COMPENSO,  nipartimento.  Caro,  Eneid.  I:  «  E 
con  egual  compenso  —  L'opre  distribuisce  e  le  fati- 
che. »  E  nel  medesimo  significato  è,  ci  sembra,  com- 
pensare nell'Alemanni,  Giron.  XX.  20:  «  E  saggia- 
mente compensando  l'ore,  —  Non  si  promette  mai 
gran  cose  invano.  « 

COMPLESSO.  Tocci,  Della  voce  Occorrenza  pag. 
22:  «  Ma  per  quello  che  riguarda  entimema,  come 
SI  può  egli  concepir  mai  per  errore  di  stampa  un 
complesso  di  tante  voci  ,  e  tutte  disparatissime  da 
quelle  che  v'andrebbero  ?  »  —  Oltre  a  questo  signi- 
G.A.T.GXLIIL  10 


146 
fìcato  la  crusca  registrerà  anche  complesso,  almeno 
pel  verso,  in  quello  di  abbracciamento,  citando  l'Ario» 
sto  Ori.  Fur.  XXIII.  24- 

CONDOTTA.  Conlegno,  governo,  maniera  di  go- 
vernarsi. Se  l'esempio  di  Dante  sembra,  come  alcun 
dice,  tirato  colle  funi,  ci  pare  che  chiaro  debba  esser 
questo  dell'Adriani,  Stor.  lib.  IV,  cap.  4:  u  Peroc- 
ché il  disordine  avvenuto  si  stimava  essere  per  la 
mala  condotta  d'esso,  essendosi  coll'esercito  messo 
in  luogo  ,  dove  era  stato  forzato  combattere  con 
r  esercito  suo  minore  e  peggiore  del  nemico  e 
stracco.  » 

CONDURRE.  Prendere  in  affato,  t.  registrato  dalla 
crusca  con  un  esempio  del  Buti.  Ma  vorrei  che  si 
facesse  anche  buon  viso  a  conducitore,  o  conduttore, 
per  fittaiuolo  in  grazia  di  questo  esempio  dell'Adriani, 
Stor.  lib.  3.  cap.  4  :  «  Essendo  costume  de'  condu- 
citori  di  quella  rendita  di  convenire  per  i  tempi  pas- 
sati con  Ferrante.  » 

CONOSCENZA.  Non  vuoisi  ammettere  da  qual- 
che filologo  per  amicizia.  Eppure  si  ha  conoscente 
per  amico  ,  se  non  nella  crusca  ,  certo  nell'  antico 
Volgarizzamento  del  libro  di  Catone  pag.  28  (ediz. 
milanese  dello  Stella  1829):  «  Contra  lo  tuo  conO' 
scente  non  contendere  di  parole.  » 

CONSEGUENZA.  Importanza.  Bentivoglio,  Stor. 
part.  I.  lib.  9:  «  Nella  terra  di  Lira,  luogo  di  gran 
conseguenza  dentro  al  cuor  del  Brabante.  »  E  par.  I, 
lib.  10  :  «  Ma  tutti  erano  successi  però  di  debole 
conseguenza  ,  rispetto  al  disegno  principale  che  si 
erano  proposto.  » 

CONSIDERAZIONE.  Rispetto,  buona  opinione.  Il 


m 

Somis  nelle  Giunte  Torinesi  ha  recalo  un  esempio 
del  Caro  ,  in  cui  considerazione  sta  per  buona  opi- 
nione. Eccone  un  ajtro  del  Borghini,  in  cui  sta  per 
rispetto.  Discorsi  t.  4  (ediz.  milanese  de'  classici  ita- 
liani) pag.  29:  «  Quello  può  arrecare  maraviglia,  che 
mancato  il  regno  de'  franceschi,  e  che  quel  rispetto, 
0  considerazione,  piìi  non  c'era,  si  mantennero  puro 
in  queste  nostre  parti  gran  tempo.  » 

CONSULTARE.  Non  è  sempre  neutro  passivo. 
Caro,  Lett.  ined.  volgarizz.  dal  Mazzucch.  t.  1-  p.64: 
«  In  fino  a  qui  la  cosa  è  passata  con  onor  nostro: 
volendo  proceder  più  avanti,  bisogna  consultarla  me- 
glio. »  —  Segni,  Stor.  lib.  XI:  «  Egli  la  prima  cosa 
avendo  atteso  a'  divini  offizi,  spediva  poi  in  segreto 
tutte  le  fiiccende  militari,  udendo  i  capitani,  e  con- 
sultando le  cose  importanti  della  guerra.  »  —  Adriani, 
Stor.  lib.  IX.  cap.  3:  u  Perocché  con  buone  ragioni 
si  era  sempre  opposto  al  duca  d'Alva  e  ad  altri  si- 
gnori, che  avessero  consultala  l'impresa  di  Mets.»  — 
Oltre  al  Salvini,  che  nelle  Prose  toscane  I.  183  lia 
consultare  le  edizioni. 

CONTESTARE.  Caro,  Lett.  ined.  pubbl.  dal  Maz- 
zucch. t.  3.  pag.  36:  «  Per  modo  ch'io  n'ho  sen- 
tito non  una  sola,  ma  parecchie  più  di  quelle  che 
si  dicono  le  sette  allegrezze,  le  quali  tutte  mi  sono 
stato  contestate  dalla  profession  ch'ella  fa  d'esser  , 
secondo  la  sottoscrizione  d'una  sua  lettera,  il  car- 
dinale del  cardinale  Farnese-  » 

CONTINENTE.  Terra  ferma.  Bentivoglio,  Stor. 
par.  1.  lib.  8  :  «  Da  questo  ramo  vengono  derivali 
neir  istessa  terra  tanti  canali  per  varie  parti  ,  che 
quasi  maggiore  vi  si  trova    dentro  lo   spazio  inter- 


148 

rotto  dell'isole,  die  l'unito  del  continente.  «  E  par.  l. 
lib.  9:  «  Fra  diverse  isole  ,  che  si  staccano  ivi  dal 
continente,  una  ve  n'ha  molto  angusta  di  giro  ec.  » 

CONTO  [sul).  Intorno.  L'Adriani,  con  poca  va- 
rietà, ha  per  conto.  Stor.  lib.  I.  e.  1  :  a  E  però  ve- 
dendosi non  senza  qualche  sospetto  dell'animo  del- 
l'imperadore  e  de'  suoi  ministri,  non  vedendo  i  suoi 
legati,  i  quali  per  conto  della  pace  aveva  mandati, 
esser  molto  pregiati,  mandò  a  Piacenza  Giambatista 
Savcllo.  »  E  ivi  cap.  2  :  «  Ingegnandosi  intanto  il 
papa  in  apparenza  di  voler  fare  quanto  all'impera- 
dore  piacesse  e  per  conto  del  concilio  di  Trento  e 
d'altro,  come  dicevamo.  » 

CONTRIBUZIONE.  Carico  ,  balzello.  Non  parci 
vero  che  questa  voce  manchi  nel  vocabolario  della 
crusca,  essendovene  un  esempio  del  Guicciardini. 

CONVENUTO.  Convenzione  ,  accordo.  Adriani  , 
Stor.  lib.  5.  cap.  2:  «  Il  re  di  Francia,  desideroso 
che  gli  fosse  osservato  il  convenuto,  e  per  onor  suo 
e  per  grandezza  di  sua  casa  ec.  ))  E  lib.  12.  cap.  4: 
«  Offerendo  pure  per  osservanza  del  convenuto  e  si- 
curtà de'  vicini  quelle  terre  e  fortezze,  che  non  ave- 
vano in  lor  potere,  in  mano  dei  tre  potentati  detti.» 

COSPIRARE.  Intendere.  Non  fu  primo  il  Salvini 
a  dillo:  ma  un  secolo  innanzi  l'abbiamo  nel  Benti- 
voglio,  Stor.  par.  2.  lib.  2:  «  Tutti  a  gran  gara  co- 
spiriamo alla  vostra  grandezza.  » 


D. 


DA  SE  A  S>v  D'Ambra,  Bernard.  2.  7:  «  E  la- 
Rciare'  lo  incorrer  nella  trappola  —  Da  se  a  se.  » 


149 

DECADERE.  Bentivoglio,  Stoi-.  par.  3.  lib.  4  : 
«  A  tutte  le  quali  condizioni  mancandosi,  tornassero 
a  decader  nuovamente  quei  paesi  alla  corona  di  Spa- 
gna.  » 

DECEZIONE.  Inganno.  Ne  reca  la  crusca  gli  esem- 
pi del  Cavalca  e  del  Volgarizzamento  della  Città  di 
Dio  di  s.  Agostino.  Aggiungasi  deceltorio  per  ingan- 
narCy  addiettivo,  coll'esempio  del  detto  Volgarizza- 
mento lib.  Vili.  cap.  23:  «  Queste  cose  vane,  de- 
cettorie,  pericolose.  »  E  anche  lib.  X.  cap.  27. 

DECORSO.  Sust.  Spazio,  termine.  E  nel  vocabo- 
lario della  crusca,  edizione  del  Cesari,  con  un  bel- 
Tesempio  del  Segneri. 

DECORSO.  Add.  Caro  ,  Lett.  ined.  pubbl.  dal 
Mazzucch.  t.  1.  pag.  194:  «Onde  non  avendo  piiì 
quel  modo  che  m'  aveano  dato  per  ricompensarvi  , 
io  vi  prometto  che  senza  aspettare  altro,  io  vi  ri- 
metterei nei  vostri  termini,  e  vi  restituirei  il  prio- 
rato, reintegrandovi  delle  pensioni  decorse.  »  —  Ben- 
tivoglio,  Stor.  par.  1.  lib.  7:  «  Onde  col  mezzo  suo 
raddolciti  gli  animi,  si  contentarono  gli  ammutinati 
di  ricevere  un  donativo  di  quattro  paghe,  e  di  piìi 
qualche  danaro  a  conto  delle  decorse.  »  —  Né  solo 
in  questo  significato  v'  è  addiettivo,  ma  anche  su- 
stantivo.  Bentivoglio,  Stor.  par.  3.  lib.  6  :  «  Fece 
muover  pratica  di  sborsar  loro  tutto  il  decorso  delle 
loro  paghe.  » 

DELIBERATIVO  {Volo).  Adriani  ,  Stor.  lib.  8. 
cap.  2;  «Potesse  ciascuno  andarvi,  starvi,  e  tor- 
narsene securamente,  ed  avere  il  voto  deliberativo.» 

DEPOPULARE.  Guido  da  Pisa  ,  Fatti  di  Enea 
lib.  1.  cap.  13:  «  Noi  non  siamo  qua  venuti  a  de- 
populare  con  ferro  queste  contrade.  » 


150 
DEPOItRE.  Altcfilare,  far  tcslimonianza.  Eccone 
\\n  secondo  esempio.  Bentivoglio,  Stor.  par.  2.  lib.  2: 
«  Con  ogni  più  atroce  tormento  si  procurò,  ch'egli 
deponesse  la  verità  sincera  del  fatto.  » 

DEPUTAZIONE.  Al  solo  esempio  che  ne  reca  il 
Manuzzi,  aggiungansi  questi  altri  due.  Caro,  Lettere 
scritte  a  nome  del  card.  Farnese  n."  170  (Ed.  pado- 
vana del  Cornino  voi.  secondo)  :  «  Questa  deputa- 
zione ,  ancora  che  non  si  possa  riprendere  per  la 
qualità  delle  persone  ec,  ha  causato  da  ogni  parte 
qualche  alterazione-  ))  Bentivoglio,  Stor.  par.  1.  lib.  2: 
«  Che  nondimeno  per  non  accumulare  tutta  la  mole 
de'  negozi  nel  solo  consiglio  di  stato,  si  sarebbe  po- 
tuto fare  una  deputazione  d'alcuni  inferiori  ministri.» 
DESOLATO.  Angustialo.  Farmi  che  abbia  que- 
sto significato  l'esempio  di  fra  Jacopone  recato  dalla 
crusca:  «  Cristo  beato,  —  Di  me  desolato  —  Aggi 
pietanza.  » 

DESTINARE.  Determinare^  far  proposito.  Attivo 
e  passivo.  Derni ,  Ori.  Inn.  2.  23.  17.  «  Onde  di- 
spensi ciascuno  e  destina  —  Di  non  parer  di  suo 
cugin  minore-  »  —  Ariosto  ,  Ori.  Fur.  XXXIX.  33  : 
«  Presto  al  sepolcro  una  torre  alta  vuole,  —  Ch'abi- 
tarvi alcun  tempo  si  destina.  » 

DETENERE.  Ditenere.  Machiavelli,  Stor.  lib.  8: 
«  Ma  non  ò  già  1'  uffizio  dei  principi  secolari  dete- 
nere i  cardinali,   impiccare  i  vescovi  ec.  » 

DETENIMENTO.  Arrestamcnto.  Testam.  di  Lem- 
mo  di  Balduccio  n.°  92:  «  Con  questo  e  con  questa 
condizione,  cioè,  si  ed  in  quanto  esso  Giovanni  pa- 
gando la  detta  quantità  di  fiorini  centocinquanta  , 
da  esse  prigioni  e  da  ogni  detenimento  fritto  di  lui 
possa  essere  libei-nto.  » 


151 

DETENUTO.  Trallenulo.  Caro  ,  Long.  Sof.  ra- 
gion. 4:  «  E,  lui  detenuto,  sagrificarono  a  Giove  sal- 
vatore. » 

DEVIAMENTO  e  DEVIAZIONE.  Galilei  ,  Sagg. 
§.  28  :  «  Poiché  dove  quello  dice  ,  che  o  bisogna 
rimuovere  il  moto  retto  attribuito  alla  cometa  ,  o 
vero  ritenendolo  aggiungere  qualche  altra  cagione  del- 
l'apparente deviazione,  al  Sarsi  ec.»  Ed  anche  §.  29.  — 
Pallavicino,  Trattato  dello  stile  cap.  38.  %.  7:  «  Ab- 
biamo di  ciò  l'esempio  nella  Georgica  di  Virgilio  , 
nella  quale  per  altro  sarebbono  incomportabili  tanti 
e  sì  lunghi  deviamenti.  « 

DEVOLUZIONE.  Bentivoglio,  Stor.  par.  3.  lib.  4: 
«  Molti  anni  prima  che  seguisse  la  devoluzione  del 
Portogallo  era  uscito  di  quel  regno  il  Moura.  »  E 
poi  :  ((  Succeduta  poi  la  devoluzione,  il  re  non  aveva 
adoperato  alcun  altro  più  che  il  Moura  ec.  » 

DIFFERTO.  Differito.  Alamanni,  Giron.  V.  48: 
«  Lassa  Laco  la  donna,  e  se  ne  accora, —  Che'I  me- 
narne il  suo  ben  gli  sia  differto.  » 

DISDORO.  Non  sarebbe  forse  dispiaciuta  questa 
voce  al  Chiabrera,  che  usò  il  verbo  disdorare,  Can- 
zonetta XIV,  strofe  1:  «  Bella  guancia,  che  disdori  — 
Gli  almi  onori  —  Che  sul  viso  ha  l'alma  Aurora.  » 

DISINVOLTAMENTE.  Bentivoglio,  Stor.  par.  1. 
lib.  10:  «  Fece  chiamare  a  se  il  castellano,  e  di- 
sinvoltamente con  libertà  del  paese  gli  diede  la  mano.» 

DISORGANIZZARE.  Si  usa  ancora  figuratamente. 
Soldani,  Sat.  IV:  «  Già  non  per  questo  si  disorga- 
nizza —  Lassù  nessuno  ingegno.  )> 

DISUMAZIONE.  Usa  il  Boccaccio  la  voce  itma- 
lione  (benché  non  recata  ne'  vocabolari,  ch'io  sappia} 


\r>'2 

nel  Coniento  a  Diinte  t.  1.  png.  135  doU' edizione 
fiorentina  del  Fraticelli:  «  E  Postumo  fu  chiamato, 
ixncioccliè  dopo  la  umazione  del  padre  era  nato.  » 
Nen  vonemmo  perciò  condannato  di  lesa  proprietà  di 
favella  chi  dicesse  anche  disumazione. 

DIVERSIONE.  Distrazione  di  animo.  L'usa  il  Gior- 
dani in  uno  scritto  elaboratissimo  ,  cioè  nel  Pane- 
girico del  Canova  pag.  175  dell'  edizione  milanese 
del  Silvestri  :  «  Perciocché  l'amore  felice  né  desi- 
dera nò  gusta  più  nessuna  cosa  :  e  manca  all'aite- 
fice  il  bisogno  di  farsi  coi  lavori  diversione  da  in- 
teriore tormento.  » 

DOVEROSO.  Salvini,  Prose  toscane  1.  16  :  «  l 
cuori  d'  una  giusta  ammirazione  e  d'  una  doverosa 
stima  prontissimi  tributari,  w 


E. 


ECONOMIA.  L'esempio  si  ha  nel  Soldani,  Sat.  IV: 
0  Egli  è  quel  maiordomo  che  rigira  —  L'economia 
del  mondo.  »  —  E  nel  Pallavicino,  Stor  del  conci- 
lio lib'  1.  cap;  3:  «  Ma  come  spesso  accade  che  i 
principi  di  mala  economia,  com'egli  era,  convertono 
in  qualche  uso  meno  importante  i  danari  deputati 
alla  guerra  ec.  »  —  Figuratamente  1'  usa  il  Tocci , 
Della  voce  Occorrenza  p.  12:  «  Voi,  dice  l'opponi- 
tore,  per  salvare  che  il  vocabolario  abbia  detto  Oc- 
correnza, bisogna,  mostrate  che  in  definir  1'  Occor- 
renza abbia  egli  voluto  star  sull'economia  de'  ter- 
mini. ))  E  pag.  13:  «  Adunque  o  non  è  vero  che 
si  governi  il  vocabolario  nelle  definizioni  de'  nomi 


153 

con  quella  econoiìiin,  o  non  è  vero  che  Occorrenza 
sia  il  sinonimo  di  bisogna.   » 

ECONOMICO.  Sustant.  Tasso,  Dial.  il  padre  di 
famiglia:  «  Vero  dee  essere  in  conseguenza,  che  il 
buon  economico  non  meno  sappia  governare  la  fa- 
miglia di  un  principe,  che  la   privata.  » 

EFFUSIONE  DI  CUORE,  DI  AMORE.  È  modo, 
a  noi  sembra,  di  uso  nobilissimo,  siccome  derivante 
dalla  onoranda  nostra  madre,  cioè  dalla  lingua  la- 
tina, cha  hn  cffusio  animi  in  ìaetitia,  effnsus  in  amo- 
rem,  effuse  amare,  amplexus  effusissimns. 

EMISSIONE.  Si  dice  anche  bene  de^voti,  per  uno 
che  fa  la  professione  religiosa.  Maffei,  vita  di  S.  An- 
selmo cap.  4-.  «  Secondariamente  (l'aveva  accusato} 
di  quelli  che  dopo  1'  ingresso  del  monasterio  avea 
fatto  innanzi  la  emissione  de' voti.    « 

ENTRANTE.  V'ha  chi  noi  vorrebbe  aggiunto  né 
ad  anno,  né  a  mese.  Nondimeno  dice  l'Adriani,  St. 
lib.  17  cap.  3:  «  Il  principe  di  Firenze  in  questo 
tempo,  entrante  giugno  del  1562,  si  mise  con  quat- 
tro galee  a  trapassare  in  Ispagna.  » 

ESECUZIONE.  Supplizio.  Oltre  agli  esempi  che 
reca  la  crusca  di  esecuzione  per  effetto  di  punizio- 
ne, eccone  assolutamente  in  significato  di  supplizio, 
punizione  di  morte.  Bentivoglio- Stor.  par.  l.lib.  4: 
«  Prima  di  questa  esecuzione  furono  giustiziati  in 
pubblico  nella  medesima  città  ,  similmente  ribelli, 
diciotto  eh'  erano  di  condizione  men  rilevata.  »  E 
poco  dopo:  «  Furono  fatte  al  medesimo  tempo  altre 
esecuzioni  in  diversi  luoghi,  e  con  tanto  terrore  e  spa- 
vento de'popoli,  che  non  s'  udivano  né  sì  vedevano 
se  non  sospiri,  gemiti  e  pianti  per  ogni  parte-  » 


154 

ESEMPf.ARE.  Copia.  Reca  la  crusca  anche  un 
esempio  del  Segneri.  Non  fu  solo  dunque  a  dirlo  il 
Redi. 

ESPRESSO.  Speciale,  a  posta.  Addictt.  Bentivo- 
glio,  Stor.  par.  1.  lib.  9.  «  Fu  inviato  da  lui  final- 
mente un  ambasciatore  espresso  a  fermare  in  Fian- 
dra la  trattazione:  »  Ed  ivi:  a  Al  primo  invito  cia- 
scuna provincia  (trattane  quella  di  Lucemburgo,  se- 
condo che  accennammo  di  sopra)  o  con  deputati  e- 
spressi  ,  o  con  manifesto  consentimento,  si  mostrò 
inclinata  a  ridursi  in  questa  generale  ragunanza.  » 

ESPROPRIARE.  Non  è  solo  vocabolo  legale,  co- 
mò alcun  vuole.  Bclcari,  Volgarizz.  del  primo  trat- 
tato di  lacopone  da  Todi  (ediz.  romana  del  1843) 
pag.  55  :  «  Qualunque  vuole  alla  cognizione  della 
verità  con  brieve  e  con  diritta  via  pervenire,  e  la  pace 
profondamente  dell'  anima  possedere ,  conviene  che 
totalmente  se  espropri i  dell'amore  d'  ogni  creatura.» 
E  pag.  65:  «  Adunque  molto  utilissimo  e  saluber- 
rimo ò  che  tutti  i  mezzi  noi  gittiamo  ed  espropria- 
mo da  noi,  e  moriamo  a  tutte  le  cose  create.» 

ESTERNO.  Straniero.  Machiavelli,  Stor.  lib.  1: 
«  Questo  Clefi  fa  in  modo  crudele  non  solo  cen- 
tra gli  esterni,  ma  ancora  centra  i  suoi  longobardi, 
che  quelli  sbigottiti  della  potestà  regia  non  vollono 
rifare  più  re.  »  — Il  medesimo,  Discorsi  lib.  1.  cap. 
14:  «  La  qual  cosa  fu  non  solamente  usata  dai  ro- 
mani, ma  dagli  esterni.  »  —  Castiglione,  Tirsi  St. 
17:  ))  Misero  me,  che  fia  ?  Se  ben  discerno  — Que- 
sto all'abito  par  pastore  esterno.  »  —  Ariosto,  Ori. 
Fur.  XIV.  15:  «  Malzarise  e  Morgan  te ,  ch'una 
sorte  —  Avea  fatto  abitar  paese  esterno. «E  XVn.97, 


155 
ESTRINSECO  {in).  In  apparenza.  Bartoli,  Asia, 
lib.  IV  cap.  69:  «  E  veramente  in  così  gran  ntiol- 
titudine  ,  e  per  le  strane  maniere  che  si  adopera- 
vano a  sovvertirli,  non  ne  mancaron  de'fiacchi  che 
fecero  in  estrinseco  mostra  di  rendersi.  » 


F. 


FIDUCIALMENTE.  Ci  pare  buona  voce  italiana 
per  gli  aurei  esempi  che  ne  reca  la  crusca. 

FIRMA.  Sottoscrizione.  Nel  Caro  abbiamo  firma- 
zione,  Lett.  ined  pubbl.  dal  Mazzucch.  t.  1.  p.227: 
«  Imperò,  volendo  pur  temporeggiarla,  è  bene  che 
si  avvertisca,  o  che  la  fìrmazion  dc'capitoli  si  dif- 
ferisca, 0  che  la  data  sia  di  pò  che  si  sarà  chie- 
sta la  licenza  al  papa.  »  —  Abbiamo  anche  firmato 
in  Donato  Giannotti  nella  vita  di  Girolamo  Savor- 
gnano:  «  1  quali  titoli  s'acquistò  così  per  molte  sue 
egregie  operazioni ,  come  per  essere  stato  in  gran 
parte  autore  della  pace  firmata  in  Torino  1'  anno 
1531 .  »  —  Abbiamo  in  fine  firmare  nell'  esempio 
del  Crudeli  da  noi  recato  alla  voce  Circolare.  — 
11  Varchi  ha  però  fermatOy  Stor.  lib.  V:  «  E  quanto 
che  voi  dite  che  io  ho  la  vostra  fede  ,  voi  dite  il 
vero:  intendendo  però  quella  che  voi  mi  deste  nella 
capitolazione  di  Madrille,  siccome  appare  per  scrit- 
ture fermate  di  vostra  mano.  »  —  E  fermate  ha  pure 
il  Caro  in  altro  luogo  delle  lettere  suddette  ,  cioè 
t.  1.  pag.  253:  «Dicono  che  sua  maestà  stava  as- 
sai meglio,  e  che  don  Diego  ha  ricevuto  uno  spac- 
cio tutto  fermato  di  sua  mano.   » 


156 

FITTABII.E.  Filiamolo.  Caro,  Leti.  inod.  publ.l. 
dal  Mazzucch.  t.  2.  pag-  308:  «  La  riducono  a  ter- 
mine (la  commenda)  che  il  nuovo  fittabile.  secondo 
il  conto  che  mi  si  fa,  non  la  può  mettere  in  essere 
senza  molte  centinaia  di  scudi.  «  E  pag.  309:  «  Ora 
vedendo  come  le  cose  sono  passate,  e  dicendomisi 
che  '1  cavalier  Tiburzio  è  parente  del  fittabile,  che 
v'  è  dentro,  mi  sono  avveduto  che  l'ha  voluto  ser- 
vire. »  —  Non  v'ha  dubbio  però  che  non  sia  un 
lombardismo. 

FLOTTA.  Osservisi  questo  beiresempio  dell'A- 
driani, dove  abbiamo  Holla  di  naju'.Stor.lib-  4.  cap.  2: 
«  Avvenne  inoltre  in  questo  medesimo  tempo  che 
l'armata  spagnuola,  che  l'impeiadore  teneva  in  Bi- 
scaia,  avendo  udito  che  una  flotta  di  navi  francesi, 
le  quali  venivano  in  Bretagna  cariche  di  munizio- 
ni ec.  » 

FOFiAGGIERO.  Tasso  ,  Lettere  poetiche  p.  82 
(ediz.  veneta  del  1587):  «  Perchè,  come  per  l'altra 
mia  scrissi  di  voler  fare,  fìngo  che  Polifemo  ecc.  , 
avessero  disposti  prima  gli  agguati  per  far  rap- 
j)resaglia  dei  foraggieri  ec.  »  —  Bentivoglio,  Stor. 
par.  3.  lib.  2:  «  Onde  anch'egli  volendo  con  1'  in- 
ganno deluder  l' inganno,  rinforzate  prima  le  scolte 
de'  foraggieri  ,  fece  collocare  in  un  bosco  diverse 
compagnie  di  cavalli.   » 

FORTUNA.  Avere,  Sostanze.  Il  Somis  nelle  Giunte 
Torinesi  ne  reca  un  esempio  del  Bembo.  Eccone  un 
altro  del  Machiavelli  nella  Novella:  «  Nelle  quali 
cose  dispensò  la  maggior  parte  delle  sue  fortune.» 
—  Ed  un  altro  pure  del  Bentivoglio,  Stor.  par.  1. 
lib.  3:   «   Involgere  sempre  più  fra  le  turbolenze  il 


157 

^>aese,  e  ftu  i  mali  pubblici  far  maggiori  le  fortune 
loro  private.))  —  E  un  terzo  di  Paolo  Costa  nel  Trat- 
tato dell'elocuzione  (oggi  meritamente  testo  di  lin- 
gua) sul  principio:  <(  Per  questa  (arte  di  gentilmente 
parlare)  ci  è  aperta  la  via  alle  dignità,  alle  fortune 
e  alla  fama.   )) 

FORZOSO.  Forzato.  Salvini  ,  Prose  toscane  I. 
302  :  «  Ora  a  chi  con  volontaria  morte  così  erasi 
alla  necessaria  e  forzosa  preparato,  questa  soprav- 
vegnendo,  non  gli   fu  nuova.  » 

FRUTTI,  per  frutley  frulla.  V'ha  chi  ne  ha  re- 
cato un  esempio  del  Boccaccio.  Eccone  un  altro  pur 
autorevole  dell'Ariosto,  Ori.  Fur.  XXXXI.  5D:((Den- 
tro  la  cella  il  vecchio  accese  il  foco  —  E  la  mensa 
ingombrò  di  vari  frutti.   )) 

FUNZIONE.  Qirico,  peso,  obbligo.  Se  ne  reca  un 
solo  esempio  del  Salvini.  Ma  lo  aveva  detto  assai 
prima  il  Pallavicino,  Tratt.  dello  stile  cap.  1.  g.  5: 
«  Non  è  lungi ,  per  mio  avviso  ,  dalla  vostra  me- 
moria, che  gli  anni  addietro  con  atto  di  modesta  e 
confidente  amistà  mi  cercaste  d'udire  alcuni  vostri 
componimenti  scritti  sopra  varie  funzioni  del  ve- 
scovo. » 


G. 


GABINETTO.  Si  è  detto  che  primo  fra'  nobili 
scrittori  a  dar  corso  a  questa  voce,  resa  oggi  sì  ne- 
cessaria, sia  stato  il  Segneri.  Nulla  v'ha  di  più  falso: 
come  dimostrano  i  seguenti  esempi  di  autori  che 
pubblicarono  le  loro  opere  prima  di  quelle  *<del  fa- 
moso gesuita.  Guarini,  Della  libertà  politica  p.161 


158 

(ediz.  veneta  del  Gondoliere  1839):  «  Queir  arcan- 
gelo per  mia  fé,  che  la  persona  del  suo  prencipc 
ha  in  guardia,  quand'altri  crede  d'esser  più  chiuso 
e  ritirato,  entra  non  solo  ne'  gabinetti,  ma  penetra 
ancor  ne'cuori.  «  —  Davila,  Stor.  lib-  IX:  »  Licen- 
ziò tutti  i  familiari,  e  restarono  soli  nel  gabinetto, 
prima  chiamati  da  lui,  il  segretario  di  stato  RevoI, 
il  colonnello  Alfonso  corso  ec.»  —  Tassoni,  Secchia 
II.  40:  »  Dispensavale  poscia  a  due  pitali,  —  Che 
ne'suoi  gabinetti  il  padre  aveva.  «  —  Né  so  se  pri- 
ma, 0  nel  tempo  stesso  che  scriveva  il  Segneri,  an- 
che Carlo  Dati  diceva  nell'orazione  per  Cassiano  dal 
Pozzo  :  »  Nò  meno  starò  a  numerar  le  statue  ,  le 
pitture,  le  anticaglie  e  le  rarità  che  mercè  della  libe- 
ralità di  lui  si  veggono  e  si  ammirano  ne'gabinetti 
e  nelle  più  celebri  gallerie  de'personaggi  grandi  del- 
l'Europa. » 

GENTILIGIA.  Oltre  alla  cronaca  d' Amaretto, 
citata  nel  vocabolario  della  crusca,  usò  questa  voce 
per  nobillà  il  Machiavelli,  Stor.  lib.  8:  «  E  per  gua- 
dagnarselo più,  sendo  ito  il  conte  Girolamo  a  Vi- 
negia,  fu  da  loro  onoratissimamente  ricevuto  e  do- 
natogli la  città  e  gentiligia  loro,  segno  sempre  di 
onore  grandissimo  a  qualunque  la  danno.  »  —  Così 
pure  ha  il  vocabolario  gentilezza  per  nohillà  con  al- 
tro esempio  della  Cronaca  d'Amaretto.  Ond'  è  che 
non  errano,  ci  pare,  coloro  che  dicono  gentilizio 
(addiettivo)  in  vece  di  nobile. 

GIORNALIERO.  Giornaliere.  Maffei,  vita  di  S. 
Malachia  cap.7.«  Sì  che  il  giornaliero  si  levò  su- 
bito liato  e  gagliardo.  «  Così  ha  l'edizione  napole- 
tana del  diligentissimo  Puoti. 


159 

GRATUITAMENTE.  Senza  ragione,  senza  perchè. 
Crudeli,  Rime,  e  prose  (  ediz.  parigina  del  1805)  , 
pag.  158:  «  Così  segue  fra  gli  uomini  ,  che  altri 
gratuitamente  si  odiano  ,  e  naturalmente  altri  si 
amano.  » 

GRAZIE  (azione  di).  Chi  non  vuole  usare  que- 
sto latinismo  ,  di  cui  neppur  noi  abbiamo  alle 
mani  alcun  esem[  io  di  buono  scrittore  ,  dica  o 
rendimento  di  grazie,  ammesso  dalla  crusca ,  o  re- 
lazione di  grazie,  come  ha  l'Ariosto  Ori.  Fur.  XXV 
20:  «  Né  la  relazion  di  grazie  è  quella  —  Ch'  ella 
usar  debba  al  suo  fedele  amante.  »  —  E  se  vuoi- 
sene un  esempio  anche  più  antico,  eccolo  nel  Por- 
cari, Oraz.  IX:  «  Supplico  dunque  la  vostra  inetTa- 
bile  clemenza,  che  quelle  relazioni  di  grazie  infinite 
ed  immortali,  alle  quali  né  la  lingua,  né  lo  intel- 
letto mi  possono  bastare  ec.  » 


I. 


IMPEGNx\RE.  Obbligare.  Attivo  e  neutro  passivo. 
Non  ha  solo  l'autorità  del  Metastasi©  (com'  è  chi 
dice),  ma  sì  1'  ha  del  Caro  ,  del  Buonarroti,  e  del 
Segneri,  secondo  che  può  vedersi  nelle  Giunte  To- 
rinesi del  benemerito  conte  Somis. 

IMPREVEDUTO.  Ne  reca  il  Somis  un  bell'esem- 
pio dell'antico  volgarizzamento  delle  omelie  di  san 
Gregorio. 

IMPROBO.  Non  è  usato  solo  da  qualche  tre- 
centista, ma  dal  Machiavelli  nel  capitolo  della  For- 
tuna: u  Spesso  costei  i  buon  sotto  i  pie  tiene  ,  — 
GÌ'  improbi  innalza.  »  —  Aggiungasi  Improbamente, 


160 

per  malvagiamente,  avvalorato  puie  dal  Soiiiis  coti 
un  esempio  del  volgarizzamento  delle  omelie  di  san 
Gregorio.  Al  quale  aggiungeremo  quest'altro  di  fra 
Girolamo  da  Siena,  Adiutorio  pag.  35:  «  Ma  non  fa 
così  questa  fraudolenta:  anco  improbamente  si  glo- 
ria de  la  confusione  de  la  vita  sua.  » 

INANIMARE.  Dare  o  prender  coraggio.  Ha  tali 
esempi  classici  d'ogni  secolo,  che  non  sembraci  ra- 
gionevole la  sentenza  di  chi  vuol  anzi  preferirgli  ina- 
nimire. La  crusca  ne  reca  del  Compagni,  di  G.  Vil- 
lani e  del  Casa.  Noi  aggiungeremo  i  poetici  dell'A- 
riosto, Ori.  Fur.  XVI.  38:  «  Ma  quando  ancor  nes- 
suno onor,  nessuno  —  Util  v'  inanimasse  a  questa 
impresa.  «  —  E  del  Caro,  Eneid.  X  :  «  Da  questa 
parte  sta  Fallante  ,  e  Lauro  —  Da  quella  ,  i  suoi 
ciascuno  inanimando,  —  Spingendo  e  combattendo.» 

INCAPACE.  Detto  assolutamente  per  inetto.  Guic- 
ciardini, Stor.  lib.  V.  cap.  3:»  Ma  perchè  la  città 
quasi  tutta  abborriva  la  tirannide  .  e  alla  moltitu- 
dine era  sospettissima  l'autorità  degli  ottimati,  no  era 
possibile  ordinare  con  una  medesima  deliberazione 
la  forma  perfetta  del  governo,  non  si  potendo  con- 
vincere gli  uomini  incapaci  solamente  con  le  ra- 
gioni, fu  deliberato  d' introdurre  per  allora  di  nuovo 
una  cosa  sola  ec.   » 

INCENDIARE.  Salvini,  Trad.  di  Senof.  Efes. 
lib.  IV  in  principio:  «  Incendiavano  i  villaggi,  e  uo- 
mini scannavano  assai.  » 

INCLUSIONE.  Guicciardini,  Stor.  lib.  V.  cap.  I: 
«  Perchè  se  bene  l'anno  dinanzi  avesse  ottenuta  la 
tregua  da  Massimiliano  cesare  con  inclusione  dello 
stato  di  Milano,  nondimeno  quel  re  ec.»  —  E  potre- 


161 

mo  anche  dire  inchiusione  col  Varchi,  Stor.  lih.IX: 
«  Avevano  mandato  Bartolomeo  Cavalcanti  alla  corte 
del  cristianissimo,  che  vedesse  di  ritirare  quello  che 
quivi  quanto  all'  inchiusione  ed  esclusione  dei  col- 
legati si  dicesse  o  sperasse.   )> 

INCOLUMITÀ'.  Porcari,  Graz.  II:  «  Sempre  deb- 
b'essere  negli  animi  nostri  impresso  il  dolce  e  ve- 
nerando suo  nome,  sempre  dobbiamo  nella  salute  e 
neir  incolumità  pubblica  fìssi  tenere  i  pensieri  no- 
stri. » 

INCONSEGUENZA.  Incongruenza,  non  corrispon- 
denza. Trovasi  certo  a  carte  68  della  traduzione  dì 
Demetrio  Falereo  fatta  da  Piero  Segni,!  ediz.  fior, 
del  1602  citata  dagli  accademici.  Ma  non  avendo 
ora  alle  mani  il  libro,  non  possiamo  trascrivere  qui 
l'esempio. 

INCONTRARE.  Piacere,  essere  gradito.  Crudeli, 
Rime  e  prose  (ediz.  parig.  1805)  p.  163:  «  11  vero 
modo  d' incontrare  con  lei  egli  è  di  mostrarsi  forte, 
robusto,  invincibile.  »  E  pag.  166:  «  Per  incontrare 
con  le  donne  ritenute,  e  che  voglion  passare  per 
moderate  e  aliene  dal  conversare,  tornerà  bene  farsi 
il  credito  di  uomo  d'  inviolabil  segreto.    » 

INDECENZA.  Pallavicino,  Tratt.  dello  stile  cap. 
38.  §  4-:((  E  così  elle  ,  ove  per  altro  sian  dilette- 
voli, non  recheranno  mista  la  noia  all'  indedenza.» 
—  Né  solo  è  buona  voce  indecenza,  ma  anche  in- 
decentemente ,  benché  non  registrata  dalla  crusca 
(che  pur  ci  dà  1'  indecentissimamente  del  Salvini  ) , 
trovandosi  nel  Boccaccio,  Cemento  a  Dante  cap. 15 
(ediz.  fiorentina  del  Fraticelli  t.  3.  pag.  207):  »  E 
chiama  qui  Fiorenza  nido  di  malizia  tanta:  e  questa 
C.A.T.CXLIU.  11 


162 

non  indecentemente,  avendo  riguardo  a'vizi,  de'quali 
ne  mostra  esser  maculata.  »  —  Non  credasi  inol- 
tre che  indecente  sìa  voce  solo  del  Segneri  :  ma  ò 
del  Galilei,  più  antico  di  lui,  che  l'ha  nella  postilla  1 
al  Saggiatore. 

INDOSSARE.  Notisi  di  grazia  questo  esempio 
del  Davanzati,  Tacit.  Stor.  lib.  V.  cap.  25  :  «  La 
rabbia  di  Civile  aver  loro  indossate  le  armi:  »  e  poi 
si  condanni,  se  si  può,  Tuso  così  oggi  comune  del 
verbo  indossare,  che  trovasi  anche  nell'  Iliade  tra- 
dotta sì  nobilmente  dal  Monti. 

INDUBBIO.  L'Alamanni  usò  il  verbo  indubbiarsi, 
Eleg.  3  del  lib.  2:  «  Oh  come  oggi  a  schivar  do- 
glia e  fatica  —  Esser  vorrei  tra  l'onde  eterno  sco- 
glio, —  Ove  pili  '1  navicar  s'  indubbia  e'ntrica  !» 

INSORGERE.  Sollevarsi,  far  sedizione.  Bentivo^ 
glio,  Stor.  par.  1  lib.  4:  «  Il  fine  loro  più  princi- 
pale era  di  muovere  l'armi  e  portarle  in  Fiandra  , 
con  ferma  speranza  che  al  primo  comparir  dell'e- 
sterne fossero  per  insorger  subito  quelle  ancor  del 
paese.  »  —  E  par.  1  lib.  10:  «  Aveva  egli  vedute 
insorger  nel  regno  ed  aggrandirsi  sempre  più  le  fa- 
zioni. «  —  Menzini,  Accad.  Tuscul.  prosa  seconda: 
«  E  tu  dunque  contro  di  Amore  insorgi  col  biasi- 
mo ?»  —  Cosa  poi  da  considerarsi  si  è,  che  lo  stesso 
chiarissimo  Ugolini  nel  suo  Vocabolario  di  parole  e 
di  modi  errati,  ove  condanna  appunto  la  voce  insor- 
gere ,  se  ne  serve  (  tanto  è  la  forza  dell'  uso  co- 
mune) all'articolo  Brigante  così:  «  Il  Giordani  chia- 
mò briganti  que'caiqpagnoli  bolognesi  che  insorsero 
contro  il  governo  del  regno  italico.  » 

INTERESSANTE.  Oltre  al  Salvini  l'usò   anche 


163 

il  Cocchi  nel  Discorso  del  vitto  pittagorico:  «  Ma 
ella  ha  avuto  almeno  il  pregio  d' introdurre  la  prima 
nelle  scuole  de'  filosofi  i  semi  della  tanto  interres- 
sante  dottrina  dell'  immortalità.  » 

INTERMEZZO.  Sust.  Ariosto,  Ori.  Pur.  XXXI. 
22:  «  Né  riposato,  o  fatto  altro  intermezzo  —  Aveano 
alle  percosse  furibonde  —  Questi  guerrier*  » 

INVADERE.  Bentivoglio ,  Stor.  par.  2.  lib.  4  : 
«  E  vi  si  unirà  ancora  tutto  il  settentrione  da  ogni 
altra  parte,  quando  vedrà  questo  nuovo  disegno  che 
seuoprono  gli  spagnuoli  di  voler  invadere  V  Inghil- 
terra. )) 

IRRESISTIBILE.  All'esempio  del  Salvini,  recato 
dal  Manuzzi  ,  aggiungeremo  questo  del  Perticari  , 
Trat.  degli  scritt.  del  trecento  lib.  2.  cap.  9:  «  Onde 
non  potendosi  udire  giammai  cosa  alcuna  spontanea, 
calda,  irresistibile,  quando  tutto  è  squisitamente  lon- 
tano dal  dir  comune,  veggiamo  ec.  w 

IRROGARE.  Fr.  Girolamo  da  Siena  ,  Adiutori© 
pag.  65:  «  Chi  disse  che  Cristo  cacciava  li  demoni 
ne  la  virtù  di  Belzebub  ,  irrogava  verbo  aspero  di 
bestemmia.  » 


LATITANTE.  Abbiamo  Latitare  nel  Cello  del 
CiambuUari:  a  Chiamò  (Saturno)  Lazio  quel  paese, 
ove  egli  sicuramente  latitando  visse-  » 

LIBERTINO.  Amatore  di  libertà.  È  voce  usata 
non  solo  dal  Segni,  ma  sì  dal  Varchi,  Stor.  lib. XI: 
«  Lodovico  prese  per  suo  compagno  Dante  di  Guido 
da  Castiglione,  il  quale  solo  si  mise  a  cotal  rischio 


164 

veramente  per  amor  della  patria,  come  quegli  che 
era  libertino  e  di  gran  coraggio  »  —  E  dal  Pitti,  St. 
lib.  2:  ((  E  rimessi  di  nuovo  a  partito,  restò  supe- 
riore il  Capponi  :  con  tanto  dispiacere  de'  libertini 
(così  chiamati  volgarmente  i  più  sviscerati  di  quella 
forma),  quanto  ne  esultarono  gli  ottimati.  » 

LUSINGA.  Tanto  è  vero  che  non  è  speranza  , 
che  nel  Tasso  abbiamo  lusingato  dalle  speranze.  Ge- 
rus.  VI  78:  ((  Da'  tai  speranze  lusingata  (  ahi  stolr 
ta  !)  —  Somma  felicitate  a  se  figura:  » 


M. 


MALGRADO.  Che  si  riferisca  sempre  a  cosa  ani- 
mata, come  pretendono  alcuni  filologi,  non  ci  sem- 
bra esser  regola  molto  fondata  di  lingua.  Certo  è  che 
questa  regola  non  fu  nota  all'Ariosto,  che  volle  dir 
bene  Ori.  Fur.  XXXII.  73:  «  Che  mal  grado  de'nu- 
goli  lo  spande  —  E  fa  veder  ,  benché  la  pioggia  è 
grande.  »  —  Non  fu  nota  al  Bartoli,  che  disse  nel- 
l'Asia lib.  IV.  cap.  66:  «  Poi  disser  loro  che  male 
s'apponevano  al  vero  ,  immaginando  che  i  giappo- 
nesi fosser  di  così  poca  veduta  ,  che  non  sapesser 
discernere  le  ambascerie  che  venivan  d'Europa,  da 
quelle  che  sol  quattro  passi  lontano,  com'  è  Luzon 
(  che  sono  le  Filippine  )  ordite  da  quel  governo  a 
suggestione  de'  religiosi  che  vorrebbono  libero  il  na- 
vigar di  colà  al  Giappone  a  portarvi  la  legge  no- 
stra, che  il  Xongun,  malgrado  delle  Filippine  e  del- 
l'Europa e  di  tutto  il  mondo,  non  ve  la  vuole.»  — 
Né  la  sapeva  il  toscano  Cocchi,  il  quale  nel  Discorso 
del  vitto  pittagorico  ha:   «  In  tutte  le  pestilenze,  e 


165 

specialmente  nell'ultima  nostra,  fu  riconosciuta  gran- 
dissima l'efficacia  dell'aceto,  malgrado  dell'incomoda 
mescolanza  che  allora  usava  di  un  gran  numero  d'al- 
tri medicamenti  di  contraria  natura.  » 

MATURATO.  Terminato,  Compiuto.  Caro ,  Lett. 
ined.  pubbl.  dal  Mazzucch  t.  3.  pag.  101:  «  11  dover 
vuole  che  mi  paghiate  il  semestre  già  maturato.  )> 

MOBILIA  e  MOBIGLIA.  Non  solo  è  parola  viva 
in  Toscana,  come  alcuno  osserva,  ma  è  usata  da  uno 
scrittore  ammesso  dalla  crusca  a  far  testo  di  lingua, 
cioè  dal  toscano  Crudeli,  Rime  e  prose  (ediz.  pari- 
gina 1805)  p.  162:  «Piacerà  alla  donna  di  sentire 
che  egli  convita  gli  amici  ,  si  distingue  con  nobile 
mobiglia,  ed  il  suo  vestire  è  vario  e  decente.  » 

MONTARE.  Valere,  costare.  L'Adriani  lo  con- 
giunge colla  particella  in.  Stor.  lib.  XII.  cap.  2:  «  Il 
grano  era  montato  in  gran  prezzo.  » 


N. 


NOMINARE.  Creare,  eleggere.  Non  solo  dì  nomi- 
nare ,  ma  di  nominazione  e  di  nominatore  abbiamo 
esempi  classici ,  benché  non  registrati  fin  qui  dalla 
crusca.  •^—  Di  nominare,  per  creare,  eleggere,  eccolo 
del  Machiavelli,  Disc.  lib.  III.  cap.  47:  «  Ed  essendo 
necessario  che  il  dittatore  fosse  nominato  da  Fabio, 
il  quale  era  con  gli  eserciti  in  Toscana,  e  dubitando 
per  essergli  nimico  che  non  volesse  nominarlo,  gli 
mandarono  i  senatori  due  ambasciatori  a  pregarlo 
che  posti  da  parte  gli  privati  odi  dovesse  per  be- 
nefizio pubblico  nominarlo.  »  —  E  del  Davanzati,  An- 
nal.  II.   36:  «  Volendo  che  gli  uffici  si  dessero  per 


106 

cinque  anni:  o  che  ogni  legato  di  legione  s'  inten- 
desse allora  fatto  pretore:  e  che  il  principe  ne  nomi- 
lì.isse  dodici  duraturi  cinque  anni.  »  —  Di  nomina- 
zione, per  elezione,  creazione,  eccolo  pure  del  Machia- 
velli. Ivi:  «  Il  che  Fabio  fece  nìosso  dalla  carità  della 
patria,  ancorché  col  tacere  e  con  altri  modi  facesse 
segno  che  la  nominazione  non  gli  piacesse.  »  —  E 
del  Varchi,  Stor.  lib.  Ili:  «  Elessero  primieramente 
per  via  di  nominazione,  come  innanzi  al  dodici,  gli 
scambi  degli  otto  della  guardia  e  balìa.  »  — ■  E  del 
Maffei,  vita  di  sant'Otone  cap.  I  :  «  Con  occhiate  e 
con  cenni  e  con  bassa  voce  cominciarono  ad  attiz- 
zar i  bnmbergesl  a  mostrarsi  mal  soddisfatti  di  tale 
nominazione  ,  e  risoluti  di  non  accettarla  in  modo 
veruno.  «  —  Di  nominatore,  per  elettore,  clezionariot 
(eccolo  altresì  del  Varchi,  Stor.  lib.  Ili:  «  Le  borse, 
onde  s'avevano  a  trarre  gli  elezionari,  o  vero  nomi- 
natori, non  erano  in  ordine,  w  —  E  del  Pallavicino, 
Stor.  del  Concilio  lib.  XIV  cap.  10:  «  l  nominatori 
(al  papato)  del  Queva  rimasero  col  diciassette.  » 

NOMINATAMENTE.  Perchè  da  un  valente  filo- 
logo non  credesi  buona  voce,  essendo  registrata  nel 
vocabolario  della  crusca  con  esempi  del   trecento  ? 

NOTAMENTO.  Nota.  Caro  ,  Lett.  ined.  pubbl. 
dal  Mazzucch.  t.  I.  pag.  149:  n  II  notamento,  che 
avete  mandato  de  gli  stati  de  l'illustrissimo  signor 
marchese  di  Pescara  si  spedirà  questa  mattina  per 
Roma.  )) 

NULLAMENTE.  Invalidamente.  È  certo  nel  Pal- 
lavicino ,  Stor.  del  Concilio.  Ma  nelle  nostre  note 
abbiamo  errata  la  citazione  della  pagina,  né  ora  pos- 
siamo trovarla. 


167 
0. 


OCCUPATO.  Add.  Col  secondo  caso.  Volgai-izz. 
delle  collaz.  dei  ss.  padii  I.  17:  «  Che  la  mente  non 
sia  occupata  di  pensieri  è  impossibile  cosa.  »  —  Non- 
dimeno sarà  meglio,  ci  pare,  seguir  il  buon  uso  de- 
gli altri  classici  accompagnandolo  colle  particelle  a 
od  in. 

OGGI  (IN).  Machiavelli,  Stor.  lib.  I:  «  Occupa- 
rono quel  paese  ,  il  quale  in  oggi  da  loro  è  detto 
Normandia.  »  —  Adimari,  Satira  contra  le  donne  : 
«  Lo  stesso  in  oggi  di  continuo  accade.  »  —  Tocci, 
Della  voce  Occorrenza  p.  67:  «  In  oggi  appresso  il 
popolo  Onorare  dice  un  atto  di  cortesia  del  mag- 
giore  verso  il  minore.  » 

OGNI  VOLTA.  V'ha  chi  afferma  che  non  possa 
dirsi:  Ogni  volta  che  penso  al  pericolo  che  ho  passalo: 
e  debba  invece  dirsi  quando.  Nondimeno  la  crusca 
ne  dà  ,  se  non  erriamo  ,  un  esempio  del  Varchi. 
Eccone  altri  dell'Adriani,  Stor.  lib.  3-  cap.  1  :  «  E 
commisse  (T  imperadore)  a  don  Giovanni  di  Luna 
castellano,  che  in  suo  nome,  ogni  volta  che  dal  duca 
ne  fosse  richiesto,  tenesse  al  sacro  fonte  il  figliuolo 
quando  solennemmente  si  battezzasse.  »  E  lib.  3. 
cap.  2:  «  Volendo  averli  presti  il  marchese  del  Gua- 
sto in  Lombardia  ogni  volta  bisogno  ne  avesse.  »  È 
lib.  3.  cap.  3:  ((  Avevasi  in  oltre  provveduti  molti 
capitani  di  fanteria  forestieri  di  credito  a  suo  soldo 
per  potere,  ognivoltachè  il  bisogno  venisse,  condurre 
buon  numero  di  fanti  di  fuori  dello  stato.  »  —  Certo 
che  qui  ogni  volta  e  ognivoltachè  hanno  valore  di 
quando.  * 


168 

ORDINE  (IN).  Rispetto  a  una  cpsa.  Bontivoglio, 
Stor.  par.  3.  lib.  8:  «  Ma  grandi  erano  le  difficol- 
tà che  s'incontrarono  dalla  parte  di  Francia  in  ordine 
alle  cose  di  Fiandra.  »  —  Pallavicino,  Tratt.  dello 
stile  cap.  8.  §.  I:  «  Tutto  quel  che  avviene  in  loro 
è  fuor  di  proposilo  in  ordine  al  provare  gli  effetti 
delle  lagrime  verso  lo  sdegno.  »  —  Bartoli  ,  Asia 
lib.  lY  cap.  58  :  «  Or  quando  al  suo  viver  privato 
in  ordine  a  se  stesso ,  egli  era  di  maniere  diritta- 
mente opposte  a  quelle  che  usava  con  altrui.  )>  — 
Segneri,  Manna,  nov.  XXVI.  4  :  «  Perchè  Sansone 
stesso,  che  solo  in  ordine  alla  debellazione  de'  filistei 
consegui  da  Dio  forze  sì  prodigiose,  si  dice  tuttavia 
che  da  fanciulletto  die  nel  suo  popolo  non  lievi  saggi 
di  futuro  valore.  »  E  die.  IX.  I:  «  Ora  in  ordine  a 
chi  fonda  le  sue  speranze  su  la  lor  fedeltà,  dice  qui 
il  profeta  ec.  » 

OSCITANZA.  Indifferenza.  Lo  registra  il  Somis 
nelle  (Giunte  Torinesi  con  un  esempio  del  Caro. 

OTTEMPERARE.  Usò  il  solo  Machiavelli  ,  di- 
cono alcuni,  questo  latinismo:  e  noi  veramente  non 
sapremmo  additarne  altro  esempio  classico.  Avver- 
tiamo però  che  sì  fatti  vocaboli  giovano  alcuna  volta 
a  dare  una  gravità  maggiore  al  periodo.  Sono  cose 
non  accattate  dagli  stranieri,  ma  trovate  in  casa,  e 
dateci  dalla  nostra  madre.  Perciò  anche  il  Tasso  usò 
la  voce  Obtrettatore  nella  sua  lezione  sopra  un  so- 
netto del  Casa.  —  Intanto  non  andrà  solo  nel  vo- 
cabolario della  crusca  il  verbo  Ottemperare,  ma  gli 
farà  compagnia  l'avverbio  Ottemperantemente ,  eh'  è 
nel  Volgarizzamento  della  Città  di  Dio  lib.  16  cap. 
25:  «  0  uomo  virilmente  usante  le  femmine,  la  mo- 


169 
glie  temperatamente,rancilla  ottemperantemente,cioè 
obbedientemente,   e  nulla  intemperantemente:  «  nel 
qual  esempio  quel    cioè  obbedientemente  è  forse  un 
a;lossema. 


PANIFICIO.  Cocchi,  Del  vitto  pittagorico:  «  E 
si  tralasceranno  tutti  i  frutti  secchi  ,  e  i  semi  ar- 
borei, e  degli  erbacei  tutti  i  pili  duri ,  ammetten- 
dosi i  cereali  solamente  che  servono  al  panificio.  » 

PARADOSSALE.  Si  dee  scrivere,  dicesi,  para- 
dossico.  Il  Caro  nell'Apologia  usò  anche  paradossa- 
stico,  pag.  161  dell'edizione  napoletana  del  Puoti  : 
«  Con  certe  vostre  alchimie  cabalistiche,  con  certe 
opinioni  paradossastiche,  con  certe  allegazioni  fan- 
tastiche di  Tretz  ec.  » 

PARTICOLARE.  Persona^  uomo  privato.  Salviati, 
Spina  2.  2:  «  Goz.  Oltre  che  vi  pubblichereste  per 
ladro.  Ghib.  Che  dì  tu  ?  Che  pazzie  parli  tu  ?  Goz. 
E  per  usurpatore  e  frodatore  de'  particolari  e  del 
fìsco.  ))  —  Adriani,  Stor.  lib:  1  cap.  4;  «  Il  papa  sì 
scusava  affermando,  che  alla  dignità  sua  e  alla  li- 
bertà ecclesiastica  non  si  conveniva  negare  la  stanza 
delle  terre  sue  a  ninno  particolare.  »  E  lib  7  cap. 
1:  «  Senzachè  il  frate  confessore  metteva  a  carico 
di  coscienza  gravissimo  a  cesare  il  torre  ad  un  par- 
ticolare per  dare  ad  un  altro  particolare.  » 

PARTITO.  Parte ,  Fazione.  Se  vuoisene  altri 
esempi,  eccoli  dell'Ariosto  ne'cinque  canti  aggiunti 
al  Furioso,  III.  61:  «  Che  ben  deve  pensar  ch'ella 
il  partito  —  Piglierà  del  fratello  e  del  marito.     » 


170 

— -  E  del  Bartoli,  Asia  lib.  3.  cap.  1:  «  Parte  come  (si- 
gnore) supremo  ne  consentì  a'capitani,  stati  seco  in 
battaglia  fedeli  al  suo  partito,  e  ne  fece  re  tribu- 
tari. » 

PASSIONE.  Preoccupazione.  Oltre  all'  esempio 
del  Machiavelli  abbiasi  pur  questo  del  Salviati  nel 
prologo  primo  del  Granchio:  «  Ma  la  farà  da  quel 
giudizio,  -  Che  nefaran  coloro  che  con  occhio  -  Be- 
nigno, e  con  discreta  orecchia  guardano  —  Ed  a- 
scoltan  le  cose,  e  senza  punto  —  Di  passion  ne  giu- 
dicano, w 

PAVIGIJONE.  Per  bandiera^  vessillOf  è  certo  il 
marcio  francesisino.  L'Alamanni  l'usò  i^ev  padiglione ^ 
Giron.  XXI,  22:  «  Distende  il  guardo,  e  lì  poco  di- 
viso —  Vede  un  gran  paviglion  lungo  la  via  ,  — 
D'ond'esce  un  suono-  » 

PENETRAZIONE.  Perspicacia.  Cocchi,  Disc,  del 
vitto  pittagorico  :  «  Ma  1'  istessa  intrinseca  bontà 
de*  pareri  medici  di  Pittagora  darà  sempre  ai  fini 
conoscitori  una  grande  idea  della  sua  penetrazione 
sulla  natura  del  corpo    umano.  » 

PENSATIVO.  Machiavelli,  Andria  li.  4-:  «  E'  ne 
vieno  pensa tivo  di  qualche  luogo  solitario,  w 

PERDONO.  Scusa.  All'unico  esempio,  che  se  ne 
dà  del  Tasso,  vuole  aggiungersi  questo  del  Giordani 
nella  famosa  lettera  a  monsignor  Giustiniani:  «  E 
per  fine  ,  chiedendole  perdono  di  questo  mio  scri- 
vere troppo  lungo  ,  e  forse  troppo  alla  semplice  , 
m'  inchino  e  bacio  umilmente  la  mano.  » 

POSTERIORE.  Seguente^  susseguente.  Città  di  Dio 
lib.  XV  cap.  9:  Ma,  come  io  ho  detto,  l'ossa  tro- 
vate spesse  volte,  però  che  sono  durate  già   molto 


171 

tPinpo,  mostrano  alli  secoli  posteriori  la  grandezza 
de'  corpi  antichi.  »  —  Si  ha  pure  in  significato  di 
postero.  Speroni,  Dial.  delle  lingue:  «  Noi  altri  po- 
steriori abbiamo  fatto  dell'  altrui  forza  nostra  vir- 
tù. »  —  Ed  anche  di  ghiniore.  Varchi,  Ragion,  del- 
l' invidia:  «  Chi  visse  .  .  .  più  virtuoso  d'  Affricano 
posteriore  ?  » 

POSTO.  Ufficio,  carica,  dignità.  Segneri,  Manna, 
febbr.  10,  2:  «  Contese  che  s'intraprendono  per  ar- 
ricchire ,  per  avvantaggiarsi ,  per  giungere  ad  alto 
posto.  »  E  febbr.  12,  1  :  «  Quello  che  presso  gli 
uomini  si  chiama  altezza  di  posto,  grandezza  di  glo- 
ria, dinanzi  a  Dio  che  cosa  è  ?  È  abbominazione.» 

POTENZA.  Potentato,  gran  sovrano.  Adriani,  In- 
troduz.  alla  sua  storia:  «  L'una  delle  quali  teneva 
con  Carlo  V  imperadore,  e  l'altra  con  la  corona  di 
Francia,  che  queste  due  potenze  con  tutte  le  forze 
e  membra  loro  e  di  loro  parte,  a  guisa  di  due  for- 
tissimi campioni,  infra  se  contendendo  ec.  m  E  lib. 
14  cap.  1:  «  Onde  conveniva  ,  trovandosi  lo  stato 
della  chiesa  cinto  intorno  da  potenze  grandi  e  da 
armi  buone  ....  che  vivessero  con  rispetto.» 

PRECISAMENTE.  Per  Vappunlo.  Caro,  Apologia 
p.  100  dell'edizione  napoletana  del  Puoti:  «  Per  aver 
detto  qui  Virgilio  così,  non  segue  di  necessità  che 
'I  Caro  dovesse  dire  nel  medesimo  modo  precisa- 
mente. »  —  Bartoli,  Asia  lib.  VI  cap.  71:  «  Altri 
due  più  illustri  quivi  medesimo  in  Morioca  (non  ne 
sappiamo  precisamente  il  quando,  ma  solo  che  pur 
di  quest'anno  e  di  state  ),  glorificarono  Iddio  nella 
lor   passione.  » 

PRECISARE.  Dichiarare,  insegnare  per  Vappunlo. 


172 

Cavalca,  Spoc.  de'peccati  cap.  XI:  «  E  all'uomo  ab- 
biamo mostrate  le  condizioni  che  si  richieggono  a 
bene  confessare,  e  precisi  gì'  impedimenti  della  pe- 
nitenza, e  mostrati  li  suoi  segni  ed  effetti.  » 

PREGIUDIZIO.  Falso  giudizio  ,  erroneo  parere. 
Se  non  basta  1'  esempio  del  Magalotti,  ecco  quello 
del  Cocchi  nel  Discorso  del  vitto  pitlagorico:  «  E  in 
alcune  private  persone  ricche  e  non  ignoranti,  ma 
capaci  di  pregiudizi  e  degli  eruditi  errori,  s' incon- 
tra spesso  ec.  « — E  più  del  purissimo  Cesari,  Lett. 
t.  2  pag.  26:  «  I  pregiudizi  sovvertono  il  giudizio 
eziandio  de'migliori.  )> 

PREPARATIVO.  Sust.  Caro,  Lett.  ined.  pubbl. 
dal  Mazzucch.  t.  1.  pag.  175:  «  Spero  che  le  cose 
andranno  bene  ,  perchè  avemo  di  già  fatti  di  gran 
preparativi  centra  l'ostinazione  del  gran  cancelliero.» 
Ed  ivi  pag.  182:  «  Il  mezzo  era  d'ottener  prima  una 
riserva  del  reverendissimo  Sant'  Angelo  ,  come  un 
preparativo  di  quella  di  N.   S.  » 

PRESIDIARE.  Segni,  Stor.  lib.  X:  «  Ma  di  poi 
avendo  egli  presidiato  tutto  lo  stato  ,  ed  assoldate 
nuove  genti,  riprese  bene  dodici  terre  possedute  da' 
francesi.  »  —  Benti voglio,  Stor.  par.  2.  lib.  3:  «  Ri- 
tenevansi  dagli  avversari  diversi  luoghi  intorno  alle 
mura,  e  gli  avevano  presidiati.  » 

PRESSOCHÉ-  Quasi.  Non  sappiamo  come  alcuno 
il  condanni,  non  ostante  il  vocabolario  della  crusca  al 
§  1  di  Pressoy  e  gli  esempi  che  ivi  reca  del  Boc- 
caccio e  del  Firenzuola. 

PROCESSO.  Esame,  ricercamenlo.  E  nelle  giunte 
del  Cesari  al  vocabolario  della  crusca  con  un  esem- 
pio di  fra  Giordano  che  dice:  «  Processo  sopra  il 
credo  in  Deo.  » 


173 

PROCLAMA.  L'usò  il  Botta,  e  assai  prima  del 
Botta  il  Bentivoglio,  Stor.  par.  1.  lib.  4:  «  Alche 
si  aggiunse  un  orribile  proclama  contro  quelli  che 
erano  fuggiti.  » 

PRODOTTO.  Recato  ,  addotto.  Galilei,  Saggiat. 
§.  37:  «  Soggiungete  poi,  come  per  prova  prodotta 
dall'  avversario  in  un  discorso  fabbricato  a  vostro 
modo  e  di  facile  discioglimento.  »  ec.  -  E  notisi  an- 
che Prodotto,  sustantivo,  in  un  significato  che  oggi 
non  si  vorrebbe  in  tutto  approvare  da  alcuni  tilo- 
logi.  Machiavelli,  Asin.  8:  «  La  nostra  specie  altro 
cibar  non  cura  —  Che  il  prodotto  dal  ciel  senz' 
arte.   » 

PROSTITUTA.  Se  ne  avrà  un  esempio  classico 
nell'Adimari,  Satira  contra  le  donne  :  «  Non  teme 
prostituta  da'  lenoni  —  Stringer  l'amato,  e  1'  erba 
aver  per  letto.  » 

PR0TEST4RSL  Oltre  all'  esempio  del  Davan- 
zati,  che  ci  reca  il  Bartoli  al  n.  XCVT  del  Torto  e 
diritto  del  non  si  può,  eccone  altri  del  Bentivoglio, 
Stor.  par.  2.  lib.  6:  «  E  in  altre  (istanze)  si  pro- 
testò apertamente  che  se  per  tutto  il  20  d'  aprile 
ciò  non  seguiva,  egli  sarebbe  costretto  a  rendere  la 
città.  »  E  par.  3.  lib.  7.  »  E  di  ciò  si  era  prote- 
stato liberamente   il  governatore.  » 

PROVVISIONALE.  Temporaneo.  Bentivoglio,  St. 
par.  1.  lib.  9:  <(  Fu  approvata  dal  re  la  determi- 
nazione provvisionale  che  aveva  presa  il  consiglio.» 

PUBBLICO.  Comune.  Sitst.  All'esempio  del  Bor- 
ghini  aggiungasi  questo  dell'Adriani ,  Stor.  lib.  12. 
cap.  3:  «  Confortò  i  cittadini,  che  avevano  grano  , 
a  guardarsene  per  loro  uso  per  tutto  febbraio,  e  T 


174 

altro  ,  ricevendone  il  prezzo,  consegniirlo  ni  pub- 
blico per  allungarne  1'  assedio-  »  —  E  quest'  altro 
del  Tocci  ,  Della  voce  Occorrenza  p.  30  ;  «  E  così 
annoveravalo  esso  nella  lezione  tra  gli  uomini  stati 
liberali  al  pubblico.  » 


Q. 


QUESTUOSO.  Avvi  chi  chiede  d' onde  venga 
questo  vocabolo.  Da  Giovanni  delle  Celle,  rispon- 
diamo noi  ,  in  un  esempio  recato  dal  Somis  nelle 
Giunte  Torinesi,  che  è  questo:  «  Non  intendono  gli 
uomini  com'  è  grande  l'entrata  della  temperata  vi- 
ta- Vengo  alli  sontuosi  ,  e  lascio  stare  questo  que- 
stuoso,  » 


R. 


RAPPORTO.  Aueìienza,  dipendenza.  All'eseuipio 
autorevolissimo  del  Salviati  può  aggiungersi  questo 
d'un  altro  toscano,  cioè  del  Crudeli,  Ritne  e  prose 
(ediz.  parig.  1805)  p.  159  :  «  Non  possono  deter- 
minarsi i  rapporti  che  hanno  insieme  i  diversi  ge- 
ncH  di  questa  generale  tendenza.  » 

RAPPRESENTANZA.  Ricorso.  V  usa  la  crusca 
alla  voce  Ricorso.  Sicché  è  d'uso  toscano  e  buona. 

RAVVISARE-  Reputare,  credere.  Sacchetti,  Nov. 
90  :  «  Quando  il  calzolaio  udì  questo  ,  ravvisò  che 
con  le  dette  forme  il  dovesse  fare  uccidere.  » 

RAVVISARE.  Scorgere.  E  avvalorato  dal  Somis 
nelle  Giunte  Torinesi  con  due  esempi  del  Segneri. 

RECEDERE.  È  un  latinismo  divenuto  italianis- 


175 

simo  non  solo  per  l'esempio  del  Segneri,  recato  dalla 
crusca;  e  per  aver  detto  il  Pulci,  Morg.  XXV.  71: 
«  L'anima  ornai,  Signor,  recede  :  »  e  il  Cocchi,  noi 
Disc,  del  vitto  pittagorico:  «  Dall'esattezza  di  questo 
vitto  poteva  recedersi  talora  alquanto  ,  secondo  le 
occasioni:  »  ma  per  essere  d'uso  quasi  comune. 

REDARGUENTE.  Ha  chi  dice  che  dobbiamo  solo 
contentarci  di  redarguire.  Domandiamo  però  grazia 
almeno  per  redarguente,  ch'è  del  trecento.  Fiore  d'Ita<» 
lìa  ,  rubr.  54  :  «  E  nota  che  questa  interrogazione 
non  fu  domanda  d'ignorante  (che  Dio  sapeva  bene 
donde  venia),  ma  fu  voce  d'increpante  e  redarguente 
la  malizia  del  dimonio.  » 

REGOLARIZZAZIONE.  È  voce  veramente  orrida, 
com'è  regolarizzare.  Lo  Speroni  usò  regolazione  nelle 
Lezioni  in  difesa  della  Canace  (ediz.  veneta  1597) 
pag.  24-9):  «  Dico  appresso  che  la  varietà  de'  versi 
e  delle  rime  or  vicine  ed  or  lontane  è  numero  piiì 
tragico,  che  non  è  la  semplicità  del  verso,  e  la  re- 
golazione ed  uniformità  della  rima.  » 

RELATIVO.  Non  è  solo  termine  grammaticale. 
Davanzati,  Notizia  de'  cambi:  «  A  duo  pagamenti  se^ 
guono  di  necessità  quattro  persone,  perchè  uno  non 
può  pagare,  se  un  altro  non  riceve:  per  esser  que- 
sti atti  verso  se  relativi.  » 

RENDITORE.  Portatore  di  una  lettera.  Lo  ha  il 
Sonjis  nelle  Giunte  Torinesi  con  un  esempio  del 
Bembo. 

RETROGRADARE.  Il  Perticari,  le  cui  opere  sono 
state  meritamente  ammesse  dalla  crusca  a  far  testo 
di  lingua,  allargò  il  dominio  di  questo  verbo,  e  daU 
Y  usarsi  solo  in  cose  astronomiche  il  trasse  anche 


176 

fìà  altro  in  una  delle  scritture  sue  più  forbite,  cioè 
nel  Trattato  degli  scrittori  del  trecento  lib.  2.  cap. 
13:  «  Stendendo  le  sue  ragioni  eterne  sovra  gì'  in- 
crementi delle  scienze,  dell'arti,  delle  scoverte,  de'  co- 
stumi e  de'  tempi  senza  retrogradare  gl'intelletti  ed 
offendere  il  corso  della  natura.  »  Altrettanto  per  la 
voce  Retrogrado  avevano  già  fatto  il  Galilei,  il  Buo- 
narroti e  il  Segneri  addotti  dalla  crusca  :  a'  quali 
aggiungeremo  il  Bartoli  nell'Uomo  di  lettere  lib.  1. 
cap.  1:  «  Retrogradi  trovano  tutti  i  favori,  fuori  di 
casa  tutti  i  benefìcii,  » 

RETROSCRITTO.  Add.  Se  n'ha  l'esempio  nelle 
Lettere  del  Davanzati  pubblicate  dall'onorando  amico 
nostro  ab.  Manuzzi  n.  20;  «  Non  mi  potendo  dar  pace 
di  quella  sentenza  della  parte,  vorrei  tentar  la  re- 
visione, come  per  la  retroscritta  boza  di  supplica.» 

RICEVUTO.  Approvalo^  ammesso  Si  recano  nel 
vocabolario  due  esempi  di  ricevutissimo  in  questo  si- 
gnificato :  l'uno  del  Segneri,  l'altro  del  Bellini.  Ed 
intanto  non  se  ne  reca  alcuno  di  ricevuto.  Eccolo 
del  Galilei  ,  Sagg.  §.  37  :  «  Simula  di  non  vedere 
quello  che  piiJ  volte  e  molto  apertamente  v'è  scritto, 
cioè  che  noi  non  ammettiamo  quella  sin  qui  ricevuta 
multiplicità  d'orbi  solidi.  » 

RICONVENIRE.  Accusare.  Non  è  del  solo  Ma- 
galotti, conie  alcun  dice,  ma  è  anche  del  Segneri, 
Crist.  istruit.  1.  24.  9:  «E  non  vedete  che  fin  la 
vostra  esperienza  vi  riconviene  ?»  —  E  del  Tocci, 
Voce  Occorenza  p.  15  :  «  Quindi  mi  conforto  che 
non  sieno  essi  qui  per  riconvenirmi  dì  mancamento 
di  riverenza-  » 

RIMONTATO.    Rabbellito  ,    ornato  di  nuovo.    Se 


177 

ne  ha  un  solo  esempio,  crediamo,  nell'Alamanni,  Gi- 
rone XX.  80:  «  Poi  rimontato  il  ciel  d'oro  e  ver- 
miglio, —  Giron  d'andarne  alfm  licenza  chiede-  »  Ma 
sarà  forse  bene  di  lasciarlo  stare  dov'è. 

RINCARIRE.  Rincarare.  Tassoni,  Secchia  IV.  35: 
«  L'un  nemicizia  avea  col  sol  d'agosto:  —  E  l'altro 
rincarìa  le  calde  arrosto.  » 

RIVOLTA.  Sedizione,  ribellione.  Agli  esempi  del 
Segneri  e  del  Magalotti  si  aggiungano  questi  altri 
più  antichi.  Segni,  Stor.  lib.  2  :  «  Erano  in  mani- 
festa discordia  condotti  i  cittadini  grandi,  e  da  te- 
merne qualche  rivolta  perniziosa  alla  patria.»  —  Ben- 
ti voglio,  Stor.  par.  1.  Hb.  3:  «  Concitò  gran  rivolta 
in  Anversa  questo  successo  ,  e  si  stette  per  venire 
alle  armi  dentro  della  città.  »  E  ivi:  «  In  luogo  dì 
una  città  avete  in  rivolta  tutto  il  paese.  »  E  così 
altre  volte. 

RIVOLTARSI.  Ribellarsi.  Alamanni,  Giron.  XXIV. 
156:  «  Or  già  che  morto  il  fero  re  si  vede,  —  Tutti 
quei  che  famìglia  e  che  case  hanno  —  Nel  terren  di 
Narbone,  e  gli  eran  cari,  —  Si  sono  in  un  sol  punto 
rivoltati.  )) 

ROLLO.  Maffei,  vita  di  san  Martino  e.  1:  «  Si 
aggiunse  poi  al  disturbo  de'  suoi  santi  disegni  anco 
la  nuova  scelta,  che  allora  si  faceva,  di  gente  mi- 
litare, con  ordine  espresso  che  tutti  i  figliuoli  de'  ve- 
terani fossero  posti  in  rollo  ,  e  condotti  alla  guer- 
ra. »  —  Né  ciò  solo:  ma  abbiamo  anche  rolato,  per 
posto  in  roloi  o  rollo,  nel  Bentivoglio,  Stor.  par.  3. 
lib.  4  :  «  E  benché  fosse  grande  il  numero  de'  cit- 
tadini rolati  all'  insegne ,  non  corrispondeva  in  essi 
però  di  gran  lunga  né  la  disciplina  ec.  » 
G.A.T.CXLIII  12 


178 
RONFARE.  Russare.  Tasso,  Sette  giorn.  V.  §.  18: 
K  Ma  ronfar  già  dormendo  ancora  uditi,  —  E  dormir 
son  veduti  umidi  pesci.  »  —  MafFei,  Vita  di  san  Ber- 
nardo e.  2:  «  Onde,  s'egli  vedeva  un  religioso  dor- 
mire mal  composto,  o  ronfando,  non  lo  poteva  quasi 
patire.  » 

S. 

SAGACIA.  Vincenzo  Martelli,  Rime  (ediz.  bolo- 
gnese del  1829)  pag.  55:  «  E  sovra  ogni  sagacia  ap- 
provo e  lodo  —  (Se  bisogna)  il  giurar,  perch'altri  il 
creda.  »  —  Coccbi,  Del  vitto  pittagorico  :  «  Ella  s'in- 
trodusse per  tutta  Europa  verso  la  metà  del  secolo 
passato  per  la  sagacia  ed  esperienza  di  un  medico 
gottoso  di  Parigi.  » 

SALCICCIA.  Vuoisi  che  debba  dirsi  salsiccia.  Ma 
il  Caro  non  pronunciava  così,  scrivendo  salcicciolto 
nelle  Lett.  ined.  pubbl.  dal  Mazzucchelli  t.  1.  pag.  198: 
«  Io  penserò  che  in  vece  vostra  sieno  venuti  quei 
salcicciotti  che  m'avete  mandati.  »  —  Salciccia  inol- 
tre disse  il  Tassoni  (secondo  tutte  le  edizioni  che 
ho  vedute)  nella  Secchia  I.  31  :  «  Si  riscontrò  con 
Sabatin  Brunello,  —  Primo  inventor  della  salciccia 
fina,  —  Che  gli  tagliò  quella  testaccia  riccia  - —  Con 
una  pestarola  da  salciccia.  » 

SANTOLO  Patrino.  Lo  ha  registrato  il  Somis 
nelle  Giunte  Torinesi  con  un  esempio  del  Pecorone. 

SECCATORE.  Se  la  crusca  ammette  seccaggine, 
per  fastidio  i  importunità:  e  seccatrice,  per  fastidiosa 
ed  importuna:  dovevasi  dunque  aspettare  che  il  Sal- 
vini dicesse  seccatore  per  registrare  questa  voce  nel 
vocabolario  della  lingua  ? 


179 

SIMILARE.  Non  è  voce  solo  del  Magalotti,  ma 
del  Guarirli  ,  che  visse  assai  prima  del  Magalotti. 
Della  libertà  politica  (  ediz.  veneta  del  Gondoliere  ) 
p.  140:  «  Questa  termina  gli  elementi,  questa  tem- 
pera il  calor  naturale,  questa  trasforrna  il  cibo  nelle 
sostanze  delle  parti  corporee  similari  e  dissimilari.» 

SOCIALE.  V'ha  chi  non  vuol  dargli  altro  signi- 
ficato che  di  sociabile,  compagnevole,  che  ama  com- 
pagnia. Dunque  non  potrà  dirsi  guerra  sociale  ?  Lo 
ha  detto  però,  senza  tema  d'errore,  il  Volgarizza- 
tore della  Città  di  Dio  XIX.  7  :  «  Nondimeno  essa 
larghezza  dell'imperio  ha  generate  guerre  di  piggior 
maniera,  cioè  sociali  e  civili.  » 

SOGGETTO  0  SOGGETTO.  V'ha  pur  chi  vuole 
che  l'aggettivo  soggetto  non  possa  accompagnarsi  che 
colla  voce  materia.  Nondimeno  il  Tasso  non  dubitò 
di  cantare,  Gerus.  IX.  93:  u  E  quindi  d'alto  -r—  Mi- 
rava il  pian  soggetto.  » 

SORTE  CHE  (DI).  Veggasi  il  vocabolario  della 
crusca  alla  voce  Di  sorte  che,  e  se  ne  troveranno  gli 
esempi  del  Firenzuola  e  del  Varchi. 

SOSTITUIRE.  Può  esset"  talvolta  anche  passivo. 
Cocchi,  Disc,  del  vitto  pittagorico:  «  Così  escluden- 
dosi tutti  gli  aromi,  si  sostituiscono  in  loro  vece  le 
verdi  cime  d'erbe  odorifere  e  grate,  » 

SPONGA.  Alle  autorità  del  Castiglione  e  del  To- 
lomei  addotte  da  un  filologo  contra  un  altro  filolo- 
go per  sostenere  ben  detto  sponga  per  spugna,  ag- 
giungeremo quella  del  Caro,  se  però  è  veramente  del 
Caro  il  volgarizzamento  di  alcune  lettere  di  Seneca 
3:  24:  «  Quel  legno  con  una  sponga  attaccata  ,  e 
posto  per  nettar  le  parti  oscene,  tutto  si  cacciò  nella 


180 

gola.  »  Inoltre  il  Tasso  disse  spongioso  (pronunciando 
forse  spongia),  e  non  spugnoso^  nelle  Sette  Giornale, 
V.  §.  12:  «  Perchè '1  pulmon  ne  la  sinistra  parte - 
Fra  le  viscere  nostre  ha  il  proprio  sito  -  Spongioso 
e  raro.  » 

SPUDORATO.  Faremo  miglior  viso  a  questa  voce, 
che  proviene  dal  bellissimo  expudoratus  di  Petronio 
Arbitro. 

STABILIRSI.  Porre  la  sede,  la  dimora.  Vincenzo 
Martelli,  Rime  (  ediz.  bolognese  del  1829)  p.  44: 
«  Ben  vide  il  glorioso  augel  di  Giove,  -  Che  senza 
voi  si  stabiliva  indarno  -  Fra  gl'italici  campi,  ov'or 
s'annida.  « 

STIPARE.  Ammucchiare.  Oltre  a'due  esempi  an- 
tichi di  Dante,  che  ne  reca  la  crusca,  e  che  dovrebbe- 
ro pur  essere  autorevolissimi,  eccone  un  altro  di  gen- 
tilissimo scrittore  del  bel  cinquecento,  cioè  del  Ru- 
cellai  nelle  Api  v.  516:  «  Stipano  il  puro  mal  den^ 
tro  alle  celle.  » 

STORA.  Stuoia.  Lo  dice  il  Caro,  Rett.  d'Aristot. 
lib.  II.  cap.  7  :  «  Come  fu  quello  di  colui,  che  in 
Liceo  servì  l'amico  di  una  stora.  »  Così  nell'edizione 
veneta  (che  è  la  prima)  al  segno  della  Salamandra 
1570. 

STRANIERO.  Add.  Estraneo,  alieno.  Volg.  della 
Città  di  Dio  2.  21:  «  Straniera  (cosa)  da  ogni  scru- 
polo di  dubitazione.  »  E  9.  23  :  «  Non  è  adunque 
molto  da  disputare  del  nome,  quando  essa  cosa  è 
tanto  chiava,  che  è  straniera  da  ogni  scrupolo  di  du- 
bitazione.  )) 

SUBORDINARE.  Rassegnare,  assoggettare.  Benti- 
voglio,  Slor.  par.  1.  lib.  10  :  u  Non  usciva  ordine 


181 

alcuno  da  lui,  che  non  bisognasse,   subordinarlo  al 
consiglio  di  stato.  » 

SUSURRO.  Ha  diversi  altri  significati  da  regi- 
strarsi pure  nel  vocabolario.  Per  esempio  :  Susuiro 
del  vento.  Tasso,  Gerus.  XVI.  13  :  «  Tacquero  gli 
altri  ad  ascoltarlo  intenti,  -  E  fermaro  i  susurri  in 
aria  i  venti.  »  -  Susurro  delle  onde.  Chiabrera,  Ser- 
mon.  24-  :  «  Che  dirò  di  Castello  ?  I  cui  cipressi  - 
Ogni  più  fresca  Naiade  trascorre  -  Altercando  co.' 
fischi  delle  fronde  -  I  suoi  non  men  dolcissimi  su- 
surri ?»  -  E  seminar  susurri^  è  audace  e  bel  modo 
del  Caro,  Eneid.  2  :  «  E  quinci  de'suoi  falli  e  del 
mio  duolo  -  Consapevole  Ulisse,  a  spaventarmi,  -  A 
travagliarmi,  a  seminar  susurri  -  Si  diènei  volgo.)) 


T. 


TALENTO.  Ingegno.  Alcuni  lo  hanno  creduto 
mal  detto.  Agli  esempi  addotti  per  difenderlo  ag- 
giungeremo i  seguenti.  Maffei,  Vita  di  s.  Tommaso 
e.  2  :  «  Quindi,  spesso  trovandosi  alle  dispute  e  a' 
ragionamenti  di  lui  e  di  altri  della  stessa  famiglia, 
venne  pian  piano  ad  affezionarsi  all'instituto  loro  , 
parendogli  non  poter  meglio  impiegare  il  talento  da- 
togli dal  Signore.  »  E  vita  di  s.  Antonio  di  Padova 
«.  5  :  «  Assai  tosto  apparve  com'  egli  era  in  gran 
maniera  sufficiente  per  le  confessioni,  e  insieme  atto 
anche  alle  dispute  contra  gli  eretici,  e  per  la  catte- 
dra delle  scuole,  e  per  iscrivere  libri  utili  a  tutta  la 
posterità  :  e  (cosa  che  malagevolmente  con  simili  ta- 
lenti si  accoppia)  mostrò  eziandio  non  piccola  peri- 
zia e  destrezza  nel  governare-  »  -  Chiabrera,  Elogio 


182 

di  Giambatista  Strozzi:  «  Giovinetti  di  buon  talento 
egli  raccolsesi  in  casa,  e  procacciò  che  si  formassero 
di  dottrina,  ed  alcuni  chiarissimi  ne  son  divenuti.  «  - 
Bartoli  ,  Uomo  di  lettere  par.  2.  pag.  158.  (ediz. 
Veneta  1678):  «  Ma  quando  pur  vi  fosse  toccata  una 
musa  meretrice,  con  quello  che  voi  chiamate  ge- 
nio, 0  talento  di  poetar  lascivo,  io  vi  dirò  ec.  »  — 
Menzini  ,  Accad.  Tuscul.  prosa  VII  :  «  Io  ,  rispos' 
egli,  non  sono,  come  ben  sapete  ,  dovizioso  di  ta- 
lento poetico.  »  -  Salvini,  Prose  Tose  I.  12  :  «  I 
quali  studi  ben  volentieri  con  quello  delle  toscane 
cose  congiungo,  ed  altri  di  maggior  talento  e  dot- 
trina dotati,  che  io  non  sono,  quanto  piiì  posso  con- 
forto a  congiungere.   » 

TEATRO.  Figuratamente.  Bartoli,  Uomo  di  let- 
tere par.  1.  pag.  (ediz.  veneta  del  1678):  u  E  que- 
sti sono  i  meriti,  queste  le  mercedi  de'  figli  dell'igno- 
ranza quando  cercano  teatro  e  mendicano  applausi.» 

TENER  DISCORSO.  Non  piace  ad  alcuno.  Il  Chia- 
brera  però,  che  disse  Tener  sermone,  certo  avrebbe 
anche  detto  Tener  discorso.  Sermone  IX  :  «  E  tro- 
verassi  chi  terrà  sermone  -  De'sublimi  pensier  del 
Galilei.  » 

TOCCANTE-  Commovente,  attraente  ,  allettativo. 
Chi  volesse  usarlo  (noi  certo  non  1'  useremo  mai), 
all'unico  esempio  che  si  ha  del  Salvini  nel  vocabo» 
la  rio,  aggiungerà  questo  del  Crudeli,  Rime  e  prose 
(ediz.  parigin.  1805)  pag.  147  :  «  I  piaceri  del  cuore 
son  toccanti  e  ci  dilettano,  w 

TOCCATO.  Non  solo  abbiamo  nel  vocabolario 
toccare  per  sonare,  contra  chi  dice  che  non  si  possa 
scrìvere  stromento  ben  toccato}  ma  sì  toccatore  i^ev 


183 

sonatore  nel  Caro,  Long.  Sof.  ragion.  2:  u  E  si  van- 
tavano chi  d'essece  ....  un  grande  ammazzator  di 
lupi,  chi  il  primo  cantore  e*l  primo  toccator  di  sam- 
pogna  che  fosse  da  Pane  in  fuori.   » 

TRANSITARE.  Bentivoglio,  Stor.  par.  2.  lib.  5: 
«  E  coi  passaporti  si  permetteva  di  qua  e  di  là  che 
per  quella  riviei-a  transitasse  qualche  barca  di  mer- 
canzia.  )) 

TRATTAMENTO.  Convito,  banchetto.  Adimari, 
Satira  contra  le  donne:  «  S'inventan  nuovi  applausi 
e  nuovi  onori,  -  Si  preparan  gl'incontri  e  i  tratta- 
menti -  Con  dispendio  profuso  e  dentro,  e  fuori.  » 

TRIENNIO.  Oltre  ad  essere  voce  d'uso,  è  avva- 
lorata anche  dall'  esempio  classico  del  Caro  ,  Lett. 
ined.  pubbl.  dal  Mazzuch.  tom.  2.  pag.  310  ;  «  E 
però  la  prego  che  si  voglia  contentare,  che  nel  con- 
tratto che  le  faremo,  le  si  permetta  la  continuazione 
del  primo  triennio.  »  -  E  così  da  esso  Caro  si  avrà 
pure  il  sustantivo  triennale,  Eneid.  IV:  «  Quale  ai  not- 
turni  -  Gridi  di  Citeron  tiade,  allora  -  Che  il  trien- 
nal  di  Bacco  si  rinnova.  »  -  Oltre  al  trienne  del 
Salvini,  Trad.  d'Oppiano  pag.  3  :  «  Non  voglio  che 
tu  or  canti  il  trienne  -  Montano  Bacco.   » 

TROPPO.  Fanno  mal  viso  alcuni  valenti  filologi 
a  troppo  invece  di  molto.  E  pure  ve  n'ha  esempi  e 
e  di  prosatori  e  di  poeti  assai  autorevoli  nel  voca- 
bolario della  crusca  al  §.  I  della  voce  Troppo  av- 
verbio. Perciò  non  sappiamo  che  error  sia  (e  ce  ne 
scusi  l'onoranda  memoria  di  Paolo  Costa  )  il  dire  : 
E  ricercandola  il  marito,  se  stesse  bene  :  Non  troppo^ 
ella  rispose-  -  Cioè  non  molto. 


184 
TRUPPA.  V'ha  chi  ha  scritto  in  un  vocabolario, 
che  (li  questa  voce,  né  bella  ne  necessaria,  in  signi- 
ficato militare  trovasi  esempio  nel  Davanzati.  Non  si 
è  ricordato  il  buon  filologo  che  il  supplemento  del 
lib.  IX  degli  Annali  di  Tacito  è  del  Brotier,  e  per- 
ciò non  tradotto  dal  Davanzati,  ma  sì  da  colui  che 
ha  voluto  fare  malamente  la  scimia  allo  stile  del 
sommo  fiorentino. 


U. 


UFFICIOSAMENTE.  Maffei,  vita  di  s.  Antonio 
ab.  cap.  5:  «  Fra  tali  discorsi  passata  la  sera,  men- 
tre intorno  al  corpo  se  ne  stanno  con  molti  lumi, 
ufficiosamente  aspettando  l'esequie,  pian  piano,  come 
avviene,  si  addormentarono.   » 

UMANITÀ'.  Genere  umano.  Bambagiuoli,  Virtiì 
morali,  capo  della  Fortezza  :  «  Però  giudica  mal  l'u- 
manitade,  -  Credendo  danno  ov'è  l'utilitade.  »  -  Coc- 
chi, Del  vitto  pittagorico:  «Pittagora,  primo  inven- 
tore del  vitto  fresco  vegetabile,  era  grandissimo  fisico 
e  medico,  e  non  punto  alieno  dall'umanità  più  eulta 
e  pili  discreta.  » 

UMAZIONE,  v.  DISUMAZIONE, 


V. 


VAGHEGGINO-  Erra  chi  dice  che  non  è  nella 
crusca.  Veggasi  nel  suo  vocabolario  con  un  esempio 
del  Firenzuola. 

VERSARE.  Notisi  questo  significato,  che  alcuni 
filologi  non  vogliono  ammettere  perchè  non  trovato 


185 

nel  vocabolario  della  crusca.  Speroni,  Lezioni  di  di- 
fesa alla  Canace  (ediz.  veneta  1597)  pag.  166;  «  Vuol 
dunque  Aristotele  per  queste  parole,  ^he  versando 
la  tragedia  d'intorno  alle  cose  mirabili  e  terribili  , 
non  si  faccia  ec.   » 

B 


186 


Baijni  minreali  presso  Tivoli. 

ifleravigliando  taluni  che  non  si  fossero  per  me 
date  avvertenze  nella  pratica  di  cotesti  bagni:  di- 
versamente, dicevano,  niun  infortunio  sarebbe  colà 
avvenato,  sono  io  rimasto  stupito  di  siffatto  oblio. 
Imperocché  sembra  che  erano  a  costoro  noti  i  miei 
lavori  intorno  le  acque  albule,  ciò  nulla  ostante  ab- 
bian  dimenticati  gli  avvertimenti  ed  i  regolamenti 
pubblicati  nell'uso  delle  medesime. 

Fin  dall'agosto  1824  leggendo  in  due  separate 
sessioni  all'accademia  de'  Lincei  il  Saggio  sopra  la 
topografia  fisica  del  suolo  di  Tivoli,  pubblicato  ripe- 
tutamente nello  stesso  anno  pei  tipi  del  Bouhaler, 
davo  pur  cenno  delle  acque  albule  colle  seguenti  pa- 
role: Che  nel  riservaimi  in  altro  argomento  di  par- 
lare della  loro  temperatura,  delle  virtù  medicinali, 
delle  elastiche  esalazioni  venefiche  ec-,  di  presente  ca- 
deva solo  in  acconcio  dimostrare  le  utili  loro  de- 
posizioni (travertino)  (1). 

(1)  Saggio  sulla  topografìa  fisica  del  suolo  di  Tivoli  pag.  38y 
e  Giorn.  Arcadico  tomo  XXIII  pag.  137  e  257.  —  Non  fia  di- 
scaro il  rammentare  che  questo  Saggio  risvegliò  1'  attenzione  di 
molti  dotti  :  talchi  un  celebratissimo  compilatore  della  Biblioteca 
Italiana  dopo  averne  dato  lungo  analitico  ragionamento  (tomo  38 
pag.  86  e  seg.),  nel  rendiconto  annuale  di  quel  dotto  giornale  (t.  41 
pag.  185 — 6)  dice:  «  Da  tutto  ciò  che  detto  abbiamo  sulle  scienze 
economiche  e  statistiche  risulta,  che  il  progresso  è  massimo  nel  re- 
gno  Lombardo-veneto:  medio  nel  regno  delle  due  Sicilie  :  minore 
nella  Toscana:  zero  negli  altri  stati  italiani,  salva  l'eccezione  a  fa- 
vore dello  Stato  romano:  e  gli  dobbiamo  lode  pel  Saggio  sulla  to- 
pografia fisica  del  suolo  di  Tivoli  di  Agostino  Cappello  (Roma  1824), 


187 

Inoltre  nella  terza  edizione  di  questo  Saggio  pei 
tipi  del  Perego  Salvioni  (1830)  rilevai,  che  gittando 
pietre  nel  lago  ,  suscitasi  poco  dopo  una  piccofe 
tempesta  dovuta  a  una  gran  copia  di  gas  che  svol- 
gesi  dal  fondo.  Si  scorge  che  nella  linea  di  pas- 
saggio del  gas  r  acqua  acquista  una  limpidità  ,  la 
quale  si  dee  alla  dissoluzione  del  calcano  in  virtù 
del  gas  acido  carbonico  che  si  sviluppa  (1). 

11  qual  fenomeno  fu  ripetuto  eziandio  nei  ra- 
gionamenti per  la  restaurazione  de'  bagni  minerali 
presso  Tivoli.  Inoltre  nel  2."  ragionamento  leggesi, 
che  cotest'acqua  contiene  in  soluzione  una  quantità 
di  gas  acido  carbonico  superióre  al  suo  proprio  vo- 
lume (2):  e  colle  pagine  appresso  (nell'istituirsi  in- 
sieme col  chiarissimo  professor  Peretti  l'analisi  chi- 
mica) dopo  aver  accennato  la  temperatura,  il  co- 
lore ed  il  sapore  dell'acqua,  si  osserva  che  dibat- 
tuta svolgesi  immediatamente  gas  acido  carbonico 
con  poca  quantità  di  gas  solfo-idrico. 

Finalmente  in  fine  del  terzo  ragionamento  si 
danno  i  regolamenti  nell'uso  di  questi  bagni  :  no- 
tando che  il  gas  acido  carbonico  è  la  sostanza  più 


del  quale  in  più  opportuno  luogo  notammo  i  pregi  ed  i  pochis- 
simi nei.  e  l'abbiamo  riconosciuto  commendevole  pei  fatti  ed  osser- 
vazioni che  attestano  l'ingegno  e  la  studiosa  diligenza  dell'autore  ». 

In  che  vuoisi  notare,  che  non  cadde  in  pensiero  all'insubre 
compilatore,  che  in  detto  Saggio  mostravasi  con  argomenti  geogno- 
sticij  idraulici,  fisico-chimici  e  storici  la  non  lontana  rotta  dell'Aniene 
due  anni  dopo  avvenuta  (16  novembre  4826);  e  più  volte  indarno 
avvertita,  inclusive  ad  illustri  professori  d'idraulica  architettura. 

(/  compilatori  dell'Arcadico) 

(1)  Opuscoli  scelti  scientifici  pag.  770. 

(2)  Pag.  17,  e  Giorn.  Arcadico  pag.  276,  tomo  LXXX. 


188 
abbondevole  nelle  acque  albule  :  onde  deve  atten- 
dersi di  non  mettere  il  viso  nelT  acqua  per  non 
andare  incontro  ad  asfissia.  Conchindevo  da  ultimo, 
che  non  avviene  la  medesima  pel  gas  solfo-idrico: 
siccome  avevo  supposto  in  una  nota  dell'ultima  pa- 
gina del  primo  ragionamento  pubblicato  nel  1837: 
ma  bensì  pel  detto  gas  acido  ,  come  chiaramente 
risultava  dall'anzidetta  analisi  chimica  djel  1839  (1). 
Dopo  ciò,  ognun  vede  se  eransi  per  me  date  le  de- 
bite avvertenze.  Che  se  per  un  solo  attimo,  e  senza 
replicare,  possa  tuffarsi  la  testa  nell'acqua  senza  pe- 
ricolo, questo  non  suol  mancare  col  dibatterla,  spe- 
cialmente col  nuoto.  Imperciocché  non  si  tratta  di 
acque  marine,  di  fiume,  o  di  lago,  non  sprigionanti 
gas  deleteri  ,  come  è  il  gas  acido  carbonico  :  il 
quale  se  nella  sua  soluzione  nell'acqua  albula,  e  chi- 
mica combinazione  colle  altre  minerali  sostanze  fisse, 
e  gazosa  (siccome  è  il  gas  solfo-idrico),  è  uno  degli 
ottimi  presidii  pel  bagno  e  per  la  bevanda,  diviene 
micidiale  nel  respirarlo  ;  giacché  col  nuoto  princi- 
palmente si  svolge  con  tanta  intensità,  per  cui  si 
soggiace  all'asfissia,  conseguentemente  alla  morte  : 
mentre  l'individuo  cola  a  fondo  senza  potergli  som- 
ministrare soccorso.  Laonde  dopo  due  funesti  casi 
pel  nuoto  appunto  accaduti  in  persone  non  volgari, 
è  indispensabile  di  prevenirne  la  gente  idiota  che 
si  porta  a  que'bagni  :  e  mettere  affissi  a  stampa  sul 
luogo  non  solo  per  evitare  quel  sinistro,  ma  aggiu- 


(1)  Terzo  ragionamento  per  la  restaurazione  de' bagni  presso 
Tivoli  pag.  27,  e  Giornale  Arcadico  tomo  LXXXV  pag.  59.  (1840). 


189 
gnervi  ancora  le  altre  regole  nell'  uso  delle  acque 
albule  (1). 

Né  vuoisi  omettere  che  per  la  pubblicazione  de- 
gli accennati  ragionamenti,  e  per  avvisi  al  pubblico 
nella  stagione  de'bagni  per  me  più  volte  compilati, 
si  accrebbero  non  poco  gl'individui  risanati  da  gravi 
morbi,  o  migliorati  nella  loro  salute.  Il  che  ricor- 
davo nell'occasione  che  il  dottissimo  Giuseppe  Frank, 
desideroso  di  visitar  meco  questo  ricchissimo  fonte 
minerale,  siccome  avvenne,  meravigliava  come  non  si 
pensasse  a  farvi  uno  stabilimento  se  non  coli'  antica 
magnificenza,  agiatamente  almeno  per  bagnarsi  (2). 
Cotesto  fortunato  avvenimento  sarà  certo  per 
accadere  :  dacché  il  sommo  regnante  Pontefice  PIO 
IX  volse  benignamente  lo  sguardo  ai  voti  di  piiì  sa- 
pienti per  una  sì  salutevole  restaurazione  (3).  Difat- 


(1)  I  tre  ragionamenti  furono  letti  prima  della  stampa  all'ac- 
cademia de'  Lincei  :  il  1.°  nel  dì  7  agosto  1837,  il  2°  nel  di  30 
settembre   1839,  ed  il  3.°  nel  dì  28  settembre   1840. 

(2)  Id.  pag.  4,  e  Giorn.  Arcadico  id.  pag.  36. 

(3)  La  Santità  di  Nostro  Signore  intenta  a  promuovere  lutto- 
ciò  che  torna  a  pubblica  utilità  ,  si  è  benignamente  degnata  di 
annuire  ai  desidcrii  a  lei  umiliati  sulla  ripristinazione  dei  bagni 
minerali  delle  acque  albule,  che  scaturiscono  fra  il  territorio  ti- 
burtino  e  l'agro  romano.  A  tal  fine  ha  stabilita  una  commissione, 
la  quale  presieduta  da  sua  Eminenza  Reverendissima  il  signor  Car- 
dinal Presidente  di  Roma  e  Comarca,  faccia  un  piano  relativo  da 
presentarsi   poscia  alla  stessa  Santità  sua. 

Formano  parte  della  suddetta  commissione  i  signori  cav.  D. 
Vincenzo  Colonna  ff.  da  senatore  di  Roma  come  vice-presidente: 
dottor  Agostino  cav.  Cappello  ,  dottor  Pietro  cav.  Carpi  ,  medici: 
dottor  Giuseppe  Costantini,  dottor  Lorenzo  Bartoli  chirurghi;  com- 
meiidator  Clemente  Folchi  ingegnere  ,  gonfaloniere  prò  tempore 
di  Tivoli,  dottor  Renedetto  cav.  VialePrelà  medico,  e  comraendator 
Luigi   Canina   architetto. 

Questi  ultimi  esercitano  le  funzioni  di  segretari.  Giornale  di 
Roma  6  maggio  1836. 


190 

to  annunziato  appena  il  sovrano  intendimento,  di 
gran  lunga  maggiore  che  nei  passati  anni  è  stata 
Taffluenza  de'bagnanti  :  e  prodigiosi  sono  stati  ì  ri- 
sultamenti  da  non  pochi  dei  medesimi  conseguiti. 

I  progressi  ognor  crescenti  nella  chimica  scienza 
diedero  in  questi  ultimi  anni  agio  ai  chiarissimi  pro- 
fessori Benedetto  cav.  Viale-Prelà,  e  Vincenzo  La- 
tini d'istituire  accurata  analisi  chimica  delle  acque 
albulc)  che  furono  arricchite  di  altre  minerali  so- 
stanze per  essi  rinvenute.  Il  lodato  professor  Viale 
in  un'accademica  sessione  lincèa  del  corrente  anno 
lesse  dotta  dissertazione  sulle  medesime,  che  quanto 
prima  sarà  fatta  di  pubblica  ragione  con  utili  ed  im- 
portanti osservazioni. 

Né  minor  lode  si  debbe  all'illustre  architetto 
commendator  Canina,  il  quale  per  aver  riportato  gio- 
vamento non  lieve  da  queste  acque  alla  sua  salute, 
ha  molto  contribuito,  e  contribuirà  non  poco  alla 
bramata  restaurazione,  in  ispecie  co'suoi  profondi  ar- 
chitettonici lavori.  Con  ragione  quindi  la  Santità  di 
N.  S-  degnavasi  nomirare  il  Viale  ed  il  Canina  se- 
gretari della  commissione  per  la  ripristinazione  de'ba- 
gni  minerali  delle  acque  albule. 
Roma  28  agosto  1856. 

AfiosTiNo  Cappello.. 


191 

Raccolta  degli  scritti  editi  ed  inediti 
del  cav.  Domenico  Morichini. 

(Continuazione  e  fine.) 

La  XXXVII  Memoria  è  sidla  rappresentanza  del 
comune  di  Marsciano  neW  Umbria. 


u, 


na  supplica  avanzata  dagli  abitanti  di  Marsciano, 
nella  quale  si  domanda,  che  sia  vietala  V  uccisione 
delle  rondini  come  causa  deteriorante  Varia  di  quella 
terra. 

Due  sono  le  ragioni,  colle  quali  sostengono  il  loro 
assunto  i  zelanti  di  Marsciano.  La  prima  è,  che  le 
rondini  ci  cibano  dei  piccoli  insetti  volanti,  incomodi 
all'uomo  ed  agli  animali  nell'estate.  La  seconda  poi, 
che  col  loro  volo  rapido  eccitano  nell'aria  una  pia- 
cevole ventilazione  che  la  depura.  L'  una  e  1'  altra 
delle  due   ragioni  addotte  dai  zelanti  ha  un  doppio 

.  valore,  l'uno  di  comodo,  e  l'altro  di  sanità. 

Le  rondini  si  pascono  di  insetti  volanti,  che  mol- 
tiplicano dapertutto,  in  ispecie  nei  luoghi  umidi  e 

-  bassi,  comprovato  ciò  dai  naturalisti,  che  sonosi  oc- 
cupati di  conoscere  le  abitudini  di  questi  augelletti. 
Non  v'ha  dunque  dubbio  che  le  rondini  contribui- 
scano a  scemare  il  numero  degli  insetti  alati,  i  quali 
colle  pinzecchiature  accrescono  agli  u<^mini  ed  agli 
animali  le  molestie  dei  calori  estivi.  Il  dubbio  è  se 
evvi  proporzione  sensibile  fra  le    immense    schiere 

.  degli  insetti  volanti,  ed  il  numero  dello  rondini.  Se 
si  considera  r  incalcolabile    fecondità    degli  inselli 


192 

estivi,  è  forza  dire,  che  sebbene  le  rondini  vivano 
d'insetti  volanti,  il  numero  di  questi  supera  di  molto 
la  forza  sterminatrice  di  quelle.  Spallanzani  asseri- 
sce, che  nei  primi  mesi  di  autunno,  quando  le  ron- 
dini hanno  già  emigrato  dalle  nostre  contrade  ,  o 
fatto  ritorno  in  Affrica,  gl'insetti  volanti  si  rendono 
più  molesti  e  piti  numerosi  anche  nelle  abitazioni. 
Né  è  assurdo  il  credere  che  la  mancanza  delle  ron- 
dini contribuisca  all'aumento  effettivo  del  numero 
degli  insetti. 

11  prof,  conclude,  che  1'  uccisione  delle  rondini 
debba  essere  affatto  vietata.  Parla  dei  loro  figli  che 
pesano  più  dei  genitori,  per  il  grasso  che  è  fra  la 
cute  ed  i  muscoli.  Parla  ancora  che  è  uno  squisito 
cibo  e  dt  lusso.  Ed  oltre  ai  rondinini  da  nido,  an- 
che le  adulte  rondini  sono  un  grato  cibo  a  molti- 
La  seconda  richiesta  è  la  persuasione,  che  il  loro 
volo  frequente  ecciti  neWaria  una  ventilazione  che  la 
depura.  Che  le  rondini  possano  col  loro  volo  dare 
un  certo  sviluppo  agli  strati  dell'aria,  e  che  rompano 
quella  stagnazione  opprimente,  che  in  estate  ha  luo- 
go in  un'  aria,  o  bassa  pianura  ,  ciò  non  ammette 
dubbio.  Diftìtti  non  eccita  una  ventilazione,  ma  una 
semplice  dislocazione  di  una  piccola  massa  d'aria  , 
senza  che  alcun  movimento  si  propaghi  alle  grandi 
colonne  dell'atmosfera. 

Riassume  dunque  l'A.:  Gli  abitanti  di  Marsciano 
hanno  ragione  di  vietare  l' uccisione  delle  ron- 
dini ,  perchè  quelli  che  distruggono  i  nidi  sotto  i 
ietti  delle  altrui  case,  e  quelli  che  uccidono  rondini, 
lo  fanno  per  bizzarria,  e  non  per  uso  dì  vitto. 


193 
La  XXXVI II  Memoria  è  una  proposta  dhin  regola- 
mento di  polizia  sanitaria  per  la  città  di  Roma. 

Tutti  i  governi  ,  in  ispecie  quello  de'  pontefici 
romani ,  ebbero  speciale  cura  di  porr«  in  salvo  la 
pubblica  salute. 

È  lungo  tempo  che  si  desidera  un  codice  di  sa- 
nità mediterranea,  che  regoli  i  sistemi  della  polizia 
d^lle  case,  strade,  sepolcri,  cimiteri,  acque  pubbli- 
che, arti  fetide,  sostanze  alimentari  ed  annonarie. 

Uno  degli  oggetti  che  si  riferisce  alla  salute  del 
popolo  è  l'esercizio  di  tutte  le  arti  salutari.  In  Ro- 
ma non  si  è  trascurato  mai  di  vegliare  a  ciò  che 
questo  esercizio  fosse  il  piiì  acconcio  per  la  salute 
pubblica. 

Il  prof,  incomincia  il  primo  Regolamento.  Le 
grandi  riunioni  nelle  città  popolose,  se  favoriscono 
lo  sviluppo  delle  facoltà  morali  ,  degradano  quelle 
fìsiche,  come  si  prova  nelle  tavole  necrologiche  delle 
città,  le  quali  danno  una  mortalità  media  di  5  in- 
dividui sopra  100  ,  mentre  questo  stesso  rapporto 
nelle  campagne  e  nei  piccoli  popoli  non  giunge 
mai  al  due  e  mezzo  per  cento.  Così  la  Provvidenza 
volle  bilanciare  la  sorte  dei  colti  abitanti  di  una 
gran  città,  e  dei  rozzi  coltivatori  delle  campagne, 
retribuendo  a  questi  la  prosperità  fìsica,  ciò  che  non 
potevano  conseguire  in  godimenti  di  spirito,  e  vi- 
ceversa. 

Le  migliori  leggi  perdono  la  forza  morale    col 
tempo,  e  se  incorrotti  magistrati  destinati  a  vegliare 
alla  loro  esecuzione  non  ne  ravvivano  l'osservanza 
G.A.T.CXLllI.  13 


19i 

con  rigoiosi  esempi,  finiscono  colTandare  in  oblìo. 
Koma  città  ampia,  e  per  la  vastità  del  suo  perime- 
tro, non  dapertutto  fornita  di  case  e  di  selciati,  ha 
una  debole  popolazione  in  confronto  della  sua  esten- 
sione :  e  questa  raccolta  sopra  una  sola  dell'  area 
compresa  nel  suo  recinto  ,  rimanendo  ii  resto  col- 
tivato ad  orti,  vigne,  giardini,  traversata  da  uno  de' 
maggiori  fiumi  d'Italia,  è  posta  in  una  pianura  nota 
per  la  sua  nativa  insalubrità.  -  Polizia  sanitaria  delle 
case.  Ogni  casa  avrà  un  luogo  comodo,  chiuso  e  se- 
gregato dalle  camere  abitabili.  Così  pure  le  cucine 
saranno  fornite  di  uno  sciacquatoio.  I  luoghi  como- 
di ed  i  sciacquatoi  dovranno  con  condotti  coperti 
mettere  foce  nella  cloaca  pubblica  la  più  vicina.  Non 
si  getteranno  dalle  finestre  nelle  pubbliche  strade 
sostanze  escrementizie  o  avanzi  di  cucina.  Le  stalle 
dei  cavalli,  muli  o  asini  dovranno  essere  tenute  nella 
maggior  nettezza.  Niente  si  deve  accumulare  alle 
porte  delle  stalle.  Lo  stabbio  deve  essere  rimosso 
tre  volte  la  settimana  dal  maggio  a  tutto  ottobre. 
Le  case  ristorate  di  nuovo  ,  o  fabbricate,  non  po- 
tranno affittarsi  che  decorso  un  anno  dal  compimen- 
to della  fabbrica. 

L'articolo  li  forma  la  Polizia  sanitaria  delle  stra- 
de e  piazze.  Sarà  cura  del  governo  di  far  rimuovere 
le  immondezze  della  città:  e  si  obbligheranno  i  pro- 
prietari delle  case  e  botteghe  di  spazzare  ogni  mat- 
tina innanzi  le  loro  case.  Queste  immondezze  si  tra- 
sporteranno alle  nitriere  artificiali:  il  dippiù  si  tra- 
sporterà alle  vigne,  prati,  orti  e  giardini  della  città. 
Le  piazze  verranno  spazzate  come  le  strade.  La  net- 
tezza della  piazza  Navona,  della  Rotonda,  e  s.  Eu- 


195 

stachio,  e  delle  due  pescherie  saranno  a  carico  di 
quelli  che  vi  trafficano.  È  vietato  a  tutti  di  gettare 
nelle  pubbliche  strade  animali  morti.  I  cadaveri  di 
questi,  prima  della  putrescenza,  debbono  interrarsi 
sei  0  setti  palmi. 

L'articolo  III  è  La  polizia  sanitaria  delle  chiese, 
teatri,  ed  altri  luoghi  pubblici . 

Quando  il  prof,  scriveva  questi  regolamenti  non 
era  stato  fabbricato  il  vasto  cimiterio  al  campo  ve- 
lano- Lo  spurgo  delle  chiese  rurali  devesi  far  di 
notte  ,  e  la  combustione  delle  casse  mortuarie  in 
luoghi  lontani  dalle  abitazioni.  Le  chiese  devono  es- 
ser ventilate  in  tali  ore  opportune.  1  teatri  avranno 
dei  ventilatori ,  nei  quali  è  mefitismo  per  la  folla 
degli  spettatori,  e  per  i  lumi  che  vi  ardono.  I  fuochi, 
le  illuminazioni,  e  gl'incendi  che  fanno  parte  delle 
decorazioni  della  scena,  ponendosi  in  uso  l'arsenico, 
l'antimonio,  il  zolfo,  che  sono  sostanze  che  emanano 
vapori  venefici,  e  soffocativi ,  devonsi  eseguire  in 
vasi  di  vetro,  dirigendo  anche  le  correnti  di  aria  in 
modo  che  dalla  scena  non  vengano  portate  nella 
sala  degli  spettatori.  Gli  anfiteatri  ed  altri  luoghi 
di  pubblici  spettacoli,  ove  gli  spettatori  siedono  in 
sedili  scoperti  ,  o  dovrebbonsi  vietare  in  tempo  di 
pioggie,  o  coprirsi  con  tappeti,  o  stuoie. 

L'articolo  IV  è  La  polizia  delle  acque  potabili.  1 
magistrati  devono  vegliare  sopra  la  conservazione 
delle  acque.  Per  le  acque  delle  fontane  basta  la  vi- 
gilanza dei  loro  condotti:  acciò  non  sia  alterata  la 
purezza  e  bontà,  converrà  sempre  ripulirli  dai  rot- 
tami, terre,  immondezze,  o  aoiinali  che  sianvi  ca- 
duti dentro.  I  pozzi  devono  essere  aperti  a  comodo 


196 

di  più  inquilini  che  vi  attingono  l'acqua:  hi  diligen- 
za dev'essere  maggiore  nel  mantenerli  netti.  Sovente 
si  ripuliranno  i  pozzi  per  le  sostanze  in  corruzione, 
che  possono  esservi,  e  per  la  continua  deposizione 
del  pulviscolo  che  si  accumula  nel  fondo.  Devono 
ripulirsi  due  volte  l'anno,  cioè  in  primavera  ed  au- 
tunno. I  bacini  delle  pubbliche  fontane  sono  lava- 
cri di  erbe,  e  ricettacoli  d'immondezze  d'ogni  ge- 
nere; perciò  si  può  ordinare  ai  pubblici  scopatori  di 
ripulire  periodicamente  questi  bacini,  acciò  non  di-^ 
vengano  centri  di  putrefazione  e  di  mefitismo. 

L'articolo  V  è  La  polizia  sanitaria  delle  cloache. 
Le  pubbliche  cloache  destinate  a  ricevere  non  solo 
le  acque  piovane,  ma  quelle  degl'interni  lavatoi  delle 
case,  le  materie  escrementizie  dei  luoghi  comodi, 
sono  uno  dei  mezzi  più  provvidi  ritrovati  per  ga- 
ranzia della  salute  pubblica  nelle  grandi  città.  Ma 
le  cloache,  a  cui  sono  destinate  debbono,  essere  co- 
struite in  modo  che  facile  ne  sia  l'accesso  ,  quante 
volte  abbisogni  di  risarcirle.  Che  lo  scolo  delle  ma- 
terie solide  e  fluide,  che  trascinano,  sia  facile,  e  per 
il  declivio,  e  per  l'abbondanza  d'acqua  che  deve  di- 
luirle. Che  le  loro  aperture  siano  poco  superiori  al 
livello  delle  acque  medie  del  Tevere,  nel  quale  sboc- 
cono.  Si  vieterà  di  gettare  spoglie  di  insetti ,  carni 
e  pesci  putridi,  ed  ogni  sorta  di  materie  animali 
putresQ'Jìili  nelle  aperture  delle  cloache  pubbliche  e 
piazze  della  città.  Di  tutto  il  sistema  poi  di  cloache 
pubbliche  e  private  converrebbe  far  ledigere  una 
carta  topografica  dagl'ingegneri  pontifìcii  per  ripa- 
rarne i  danni  ,  e  per  allontanarne  i  condotti  dalle 
acque  potabili  e  dalle  fontane  pubbliche- 


197 

L'articolo  VI  è  La  polizia  sanitaria  delle  ripe  del 
Tevere.  Le  ripe  del  Tevere  devono  esser  tenute  a 
piceo,  e  fiancheggiate  da  muri,  perchè  così  le  sue 
acque  hene  incassate  non  lascerebbero  sulle  ripe  dei 
seni,  ove  il  moto  è  quasi  nullo,  ed  ove  svolgendosi 
dei  gas  nocivi,  come  quei  delle  paludi,  si  conoscono 
sotto  il  nome  di  gas  infiammabile  del  Tevere. 

Si  dovrebbero  vietare  i  così  detti  scarichi  sul 
Tevere,  tanto  delle  immondezze,  quanto  dei  calci- 
nacci e  materie  solide. 

Si  devono  mantenere  in  vigore  i  regolamenti  sul 
modo  di  bagnarsi  nel  Tevere,  e  finalmente  la  proi- 
bizione di  uccidere  il  pesce  colle  paste,  o  altre  so- 
stanze avvelenate  ,  il  che  getta  sulle  rive  un  gran 
numero  di  cadaveri,  e  tende  a  sottrarre  una  sor- 
gente di  alimenti  salubri  per  il  popolo. 

L'articolo  VII  è  La  polizia  per  le  arti  infette  L' 
odierna  civiltà  ha  dato  origine  a  molte  arti,  fra  le 
quali  alcune  generano  vapori  venefici,  altre  putridi 
e  fetidi.  La  polizia  sanitaria  deve  contemplare  gli 
effetti,  che  queste  diverse  possono  produrre  sulla  sa- 
lute pubblica. 

Le  arti  che  producono  i  vapori  venefici  sono 
quelle  che  lavorano  i  metalli.  Quindi  gli  affinatori 
dell'argento,  i  doratori,  i  fonditori  di  piombo,  rame, 
stagno  e  zinco ,  e  tutte  quelle  arti  che  producono 
vapori  di  piombo,  mercurio,  rame,  arsenico,  antimo- 
nio, debbono  essere  sorvegliate  dalla  polizia,  la  quale 
deve  ordinare  che  fossero  raccolte  in  istrade  sepa- 
rate, e  di  più  che  ciascuna  officina  fosse  munita  di 
fornello  con  ampia  cappa,  terminante  in  un  cammina 
aperto  sopra  il  tetto.  Questa  disposizione  per  il  peso 


198 
dei  vapori  metallici,  che  ricadono  sul   tornello,  o  si 
agglutinano  alle  pareti  della  cappa  e  del  cammino,  era 
già  un  ottima  garanzia  della  salute  dei  vicini. 

Quelle  arti  che  producono  vapori  putiidi,  come 
fonditori  di  sevo,  di  amidaio,  fabbricatori  di  corde 
armoniche  ,  i  magazzinieri  di  unghie  e  corna  per 
concime  delle  terre,  quelli  di  formaggi,  carni  e  pe- 
sci salati,  meritano  di  essere  rilegati  in  parti  re- 
mote della  città.  Le  arti  che  danno  effluvii  fetidi , 
come  sono  le  concerie  delle  pelli  colla  vallonea  , 
sommacco,  scotano,  mortella,  le  macellerie,  le  far- 
macie, le  distillerie,  le  saponerie,  le  profumerie,  le 
botteghe  dei  pettinai  e  dei  maniscalchi,  i  verniciai, 
i  luoghi  di  suola,  vacchetta,  le  cererie,  esigono  la 
sorveglianza  in  un  ben  regolato  sistema  di  polizia 
sanitaria. 

I  macelli,  le  conce  ed  i  locali  per  dar  le  ver- 
nici devono  affatto  rivolgersi  in  luoghi  lontani  dal 
centro  della  città.  Le  conce  sono  quasi  tutte  nel 
rione  della  Regola.  Riguardo  ai  macelli,  ora  si  è  sta- 
bilito il  grandioso  locale  della  mattazione,  mercè  la 
munificenza  di  Leone  XII,  allontanandosi  dalla  città 
il  puzzo,  e  tutti  i  depositi  di  sangue,  e  sevo  che 
sono  inerenti  al  pubblico  macello. 

La  vigilanza  sopra  la  salubrità  o  insalubrità  delle 
sostanze  alimentari,  come  carni,  pesci,  erbaggi,  frut- 
te, latte,  formaggi,  funghi,  salumi,  olii  e  vini,  per- 
chè posta  sotto  la  direzione  di  un  tribunale  specia- 
le, dovrebbe  far  parte  della  polizia  sanitaria. 


199 

La  XXXIX  Memoria  è  la  formazione  dei  cimiteri 
fuori  di  Roma. 

Il  pontefice  Gregorio  XVI  nel  1833  fece  ordi- 
nare un  cimitero  vasto  nel  Campo  Verano.  Vi  pose 
la  prima  croce,  e  fu  aperto  dall'  inclito  porporato, 
vicario  di  S.  Santità,  cardinale  Odescalchi  con  ap- 
provazione di  tutta  Roma. 

Il  cosi  detto  Campo,  Verano  fuori  porta  s.  Lo- 
renzo, era  già  nel  piano  formato  dal  nostro  illustre 
professore. 

La  XL  Memoria  è  sopra  i  candelottai,  saponai  e 
sopra  la  liquefazione  del  sevo  in  commercio. 

Il  celebre  Frank  consiglia  di  rilegare  lontano 
dalls  città  le  arti  fetide  ,  come  uno  dei  provvedi- 
menti utili  per  la  salate  dei  cittadini.  Gl'imperatori 
romani  aveano  disposto  su  quest'oggetto  la  posizio- 
ne e  la  nomenclatura  di  varie  contrade  di  Roma  , 
e  mostravasi  conveniente  d'isolare  tutte  le  arti  fe- 
tide: e  gli  statuti  di  queste  arti,  sanzionati  dai  se- 
natori di  Roma  e  dai  pontefici,  contengono  utili  pre- 
cetti, provvedendo  ancora  al  decoro  della  città,  alia 
pubblica  salute,  ed  a  quella  degli  artefici  che  le  eser- 
citavano. Queste  arti  hanno  abbandonato  le  contra- 
de, e  sonosi  sparse  nei  luoghi  più  splendidi  della 
città. 

Fra  le  arti  le  più  fetide  e  le  più  malsane  sono 
la  liquefazione  del  sevo  in  carniccio,  la  fabbricazione 
delle  candele  di  sevo  e  quella  dei  saponi.  Si  rifletta 
che  il  sevo  in    carniccio  è  una    sostanza    animale 


200 
grassa,  ed  ha  umori  putrescibili.  Questo  inviluppo 
di  sostanze  dà  luogo  alla  decomposizione  putrida 
delle  membrane,  e  degli  umori  mescolati  col  gras- 
so. I  prodotti  volatili  della  putrefazione  animale  si 
formano  in  copia,  spargendo  un  gas  ammoniacale, 
ed  infettando  di  odor  cadaverico  il  vicinato.  I  pro- 
dotti di  questa  operazione  sono  quelli  di  un  cada- 
vere in  putrefazione,  pericolosi  nell'estate,  e  perni- 
ciosi all'umana  salute. 

L'impiego  del  sevo,  anche  depurato  dal  carnic- 
cio putrido,  ha  il  medesimo  fetore,  quale  si  impiega 
nella  preparazione  delle  candele  di  sevo  e  dei  sa- 
poni. Le  leggi  prescrivono  che  la  prima  delle  due 
arti  in  questione  si  eserciti  in  giorni  fissi  di  notte, 
acciò  siano  chiuse  tutte  le  porte  e  finestre  :  e  per 
la  seconda  esige  il  regolamento,  che  le  caldaie  siano 
munite  di  una  cappa  con  cammino  aperto  nel  tetto, 
e  che  i  resti  dell'operazione  siano  trasportati  fuori 
dell'abitato. 

La  XLI  Memoria  è  sopra  le  vaccinazioni  eseguite 

negli  stati  pontificii  dal  giugno  1823 

al  giugno  1824. 

L'eruditissima  relazione,  che  dà  il  nostro  profes- 
sore alPeminentissimo  cardinale  segretario  di  stato 
Della  Somaglia  sopra  la  vaccinazione  ,  merita  una 
seria  considerazione. 

A  provar  questa  tesi  l'A.  adduce  dei  fatti?  che 
l'antiche  storie  ci  hanno  trasmessi  sopra  la  lebbra 
e  l'elefantiasi,  malattie  terribili  e  sordidissime,  che 
leggi  savie  sopra  la  scelta  dogli  alimenti ,  e  sopra 


201 

l'impiego  di  salutari  abluzioni,  hanno  folto  scompa- 
rire dalla  terra. 

La  scoperta  del  nuovo  modo  spande  sull'antico 
un  male  terribile,  che  avvelenando  la  sorgente  della 
propagazione  della  specie,  ne  fa  temere  la  distru- 
zione: e  poco  dopo  questa  stessa  scoperta  versa  in 
Europa  una  droga,  che  la  fa  sicura  da  un  micidial 
flagello  delle  febbri  periodiche.  Le  invasioni  degli 
arabi  avevano  spopolate  le  più  belle  contrade  dell' 
Europa  meridionale  meno  colla  barbarie  ,  che  col 
propagarvi  la  peste  variolica. 

Un  medico  inglese  verso  la  fine  del  secolo  pas- 
sato scopre  l'antidoto  per  estinguere  questo  conta- 
gio. Jenner  coli*  innesto  di  una  innocente  malattia 
presa  da  uno  degli  animali  piiì  utili  agli  uomini  , 
rese  il  servigio  il  piiì  segnalato,  che  vantino  gli  an- 
nali del  mondo-  Nobile  destino  riserbato  dalla  Prov- 
videnza ad  un  uomo,  cui  è  dato  di  fare  al  genere 
umano  un  tanto  dono.  Né  recherà  maraviglia  che 
la  felice  scoperta  penetrasse  colla  rapidità  della  luce 
non  solo  fra  tutte  'le  nazioni  incivilite,  ma  per  sino 
fra  i  popoli  i  piij  barbari  dell'Asia,  dell'Affrica,  presso 
i  selvaggi  dell'Oceanica  e  quelli  dell'America.  L'A. 
essendo  presidente  del  comitato  di  vaccinazione  ren- 
de conto  de'suoi  lavori  ,  e  fa  conoscere  con  quale 
impegno  avesse  soddisfatto  ai  doveri  imposti  alle 
commissioni  provinciali.  Il  numero  di  88,788  vac- 
cinati nel  primo  semestre,  ebbe  luogo  col  concorso 
favorevole  di  tutti  i  medici  e  chirurgi  degli  stati 
pontificii.  Il  vistoso  numero  di  sessanta  medaglie  di 
argento  e  cinque  d'oro,  si  trovò  scarso  a  ricompen- 
sare tutt'i  meritevoli  di  premio. 


202 

Il  prof,  fa  risultare  dai  calcoli  più  moderati  dei 
medici  europei,  che  il  terzo  almeno  di  quelli  che  sof- 
frono il  vaiuolo  arabo,  ne  periscono,  e- ne  contraggo- 
no deformità  o  malattie  incurabili.  Più  di  60  mila 
fanciulli  nello  spazio  di  due  anni  furono  nei  domini! 
pontificii,  o  conservati  in  vita,  o  preservati  dalle  de- 
formità prodotte  dal  vaiuolo  arabo. 

La  XLII  Memoria  è  sul  gaz  infiammabile  del  Tevere. 

L'A.  dirige  una  lettera  al  dottissimo  Brocchi,  in 
cui  gli  dice,  che  esso  preparasi  a  dare  una  carta 
geologica  ,  e  ricca  di  belle  ricerche  precisamente 
nel  luogo  chiamato  Riva  della  penna)  dando  conto 
di  molte  polle  di  gaz  di  natura  infiammabile. 

L'  A.  assistito  dai  professori  Barlocci  e  Conti 
volle  ricercare  il  fenomeno. 

Riva  destra.  La  prima  polla  di  gaz  si  trova  vi- 
cino al  ponte  Molle,  scendendo  verso  Roma,  ed  è 
assai  voluminosa.  Altre  più  piccole,  seguendo  la  stes- 
sa riva,  se  ne  trovano  al  dì  là*  del  praticello.  Pro- 
gredendo più  oltre,  un'  altra  polla  di  gaz  si  trova 
dentro  la  città  sotto  il  bastione  di  Castel  s.  Angelo 
vicino  alla  legnava.  Una  quarta  fra  Vangolo  del  muro 
del  giardino  della  Farnesina  e  porta  settimiana;  e  fi- 
nalmente due  miglia  aldi  fuori  della  porta  portuen- 
se.  Si  notò  che  queste  sorgenti  di  gaz ,  meno  la 
prima  a  ponte  Molle,  non  sono  perenni,  ma  ad  in- 
tervalli più  o  meno  lunghi,  non  maggiori  d'un  quar- 
to d'ora. 

Riva  sinistra.  Vicino  al  fonte  dell'acqua  acetosa 
sorgono  polle  di  gaz,  parte  sotto  l'acqua  del  fiume, 


203 

e  parte  sulla  sponda  contigua.  Né  deve  sorprendere, 
essendo  il  punto  pel  quale  confluisce  al  Tevere  il 
gaz  che  estingue  i  lumi,  imbianca  l'acqua  di  calce, 
avendo  i  caratteri  del  gaz  acido  carbonico.  Furono 
vedute  altre  polle  alla  spiaggia  della  pemitty  all'arco 
di  Parma,  a  s.  Giovanni  de' fiorentini:  più  deboli  e 
pili  languide  sotto  il  cimiterio  della  morte  ,  rione 
Regola,  ghetto,  a  porta  Leone,  ed  infine  alla  salava. 
11  gaz  raccolto  fu  quello  nella  riva  della  Penna. 
Quando  fu  raccolto  aveva  un  odore  sensibile  di  pe- 
trolio; avvicinando  una  fiammella  alla  bocca  del  va- 
so si  accendeva  ,  ed  ardeva  con  fiamma  debole  e 
turchiniccia.  Due  misure  di  gaz  ed  una  di  ossigeno 
non  detonavano  nell'endiometro  di  Volta  colla  scin- 
tilla elettrica  formando  gran  quantità  di  gas  acido- 
carbonico.  Una  misura  di  gaz  ed  una  di  dorino,  me- 
scolato in  un  vaso  ampio  di  vetro  sull'  acqua ,  ed 
esposto  alla  luce  solare,  si  combinavano  con  un  leg- 
giero fremito,  e  si  deponeva  sulle  pareti  del  vaso 
una  polvere  nera  finissima,  ch'era  puro  carbonio.  Si 
formava  nel  tempo  stesso  una  piccola  quantità  di 
sostanza  grassa  soprannotante  all'acqua:  e  tanto  la 
boccia  che  conteneva  i  gaz,  quanto  il  vaso  ripieno 
d'acqua  ,  nel  quale  era  tuffato  il  collo  di  quella  , 
spargevano  un  odore  di  nafta.  Il  peso  specifico  del 
gaz  ridotto  a  0°  di  temperatura,  ed  alla  pressione 
di  70  centimetri,  si  trovò  con  una  esperienza  =  0, 
920,  63.  Il  calcolo,  secondo  le  proporzioni  di  diversi 
fluidi  elastici  che  Io  compongono,  darebbe  un  peso 
specifico  =  0,  923;  differenza  compresa  nei  limiti 
degli  errori  inevitabili  in  una  esperienza  diretta.  Il 
peso  assoluto  di  100  pollici  cubici  dello  stesso  gaz, 


204: 

ridotto  alla  tempcraitui-a  e  pressione,  fa  ttovato  egua- 
le a  grani  36,  75  della  libbra  romana.  Queste  espe- 
rienze indicavano  già,  che  il  gaz  del  Tevere  era  un 
gaz  infiammabile  composto,  analogo,  ma  non  però 
affatto  simile  a  quello  che  si  conosce  sotto  il  nome 
di  gaz  infiammabile  delle  paludi.  Molti  chimici  aven- 
do avanzato,  che  nel  gaz  infiammabile  delle  paludi 
si  trova  qualche  volta  del  gas  ossigeno;  si  rinchiu- 
sero certe  misure  di  gaz  del  Tevere  in  un  endio- 
metro  a  fosforo,  e  non  essendosi  dopo  24  ore  os- 
servato alcun  assorbimento  in  una  temperatura  egua- 
le a  quelle  del  principio  deiresperienza,  se  ne  de- 
dusse essere  il  gaz  del  Tevere  scevro  da  qualsivo- 
glia proporzione  di  gas  ossigeno. 

I  risultati  di  queste  esperienze  si  vedono  rac- 
colti in  un  quadro  a  scanzo  di  prolissità.  Nella  pri- 
ma esperienza  scomparvero  153  parti  d'ossigeno,  e 
75  del  gaz  infiammabile,  e  lassorbimento  totale  fu 
di  228  parti  sopra  400  del  miscuglio  fatto  nell'en- 
diometro.  Se  le  75  parti  di  gaz  infiammabile  fos- 
sero state  interamente  del  gaz  idrogeno  carbonato 
semplice,  l'ossigeno  assorbito  dovendo  essere  in  dop- 
pia quantità,  non  avrebbe  dovuto  ammontare  che  a 
150  parti,  e  l'assorbimento  totale  avrebbe  dovuto 
essere  225-  Vi  furono  adunque  7ioo  ^^  ossigeno  as- 
sorbito in  eccesso:  il  che  indica  nel  gaz  sottoposto 
alla  esperienza  una  quantità  di  gaz  oleifico  eguale  a 
questo   eccesso. 

Nella  seconda  esperienza  l'ossigeno  assorbito  fu 
di  150  parti,  e  pertanto  il  gas  infiammabile  scom- 
parso fu  di  76  partì,  le  quali  se  fossero  state  com- 
poste di  gaz  idrogeno  carburato  ,  avrebbero  dovuto' 
assorbire  152  d'ossigeno  e  non  150- 


205 

Finalmente  nella  terza  es^x^rienza  l'ossigeno  con- 
sumato fu  di  parti  159,  che  sottratte  dairassorbi- 
mento  totale  236,  lasciano  77  di  gaz  infiammabile. 
Ma  se  le  77  fossero  state  formate  di  gaz  idrogeno 
carburato,  non  avrebbe  assorbito  che  154  d'  ossì- 
geno; dunque  vi  si  trovavano  5  parti  di  gaz  oleifi- 
eo.  Dal  che  si  vede  che  il  gaz  del  Tevere  non  è 
perfettamente  identico,  e  di  una  costante  propor- 
zione ne'suoi  principii  infiammabili. 

I  risultati  del  prof,  sono  d'  accordo  con  quelli 
di  Berthollet,  Thenard  e   Dolton. 

II  celebre  Fran/^lin  scrisse  la  prima  notizia  al 
dott.  Priestley  il  10  aprile  1774-  sull'invenzione  dei 
gaz  infiammabili  naturali.  Franklin  visitò  il  paese,  e 
sperimentò  il  fenomeno  nel  1764. 

L'illustre  Volta  dodici  anni  dopo,  ossia  nel  1776, 
scoprì  l'aria  infiammabile  delle  paludi.  Dal  che  si 
vede  che  non  è  piccolo  il  merito  dovuti  ai  fisici 
italiani  per  le  loro  ricerche  sopra  i  gaz  hfiammabili 
pesanti^  e  di  rinvenire  l'origine  del  gaz  Jel  Tevere, 

La  XLIII  Memoria  è  sullo  stato  delU  tintone 
di  Roma. 

Tingere  i  drappi  che  servono  all'abbigliatura  de- 
gli uomini,  0  a  decorare  con  tappezzerie  vario-co- 
lorate i  loro  domicili,  o  a  rendere  spbndidi  gli  or- 
nati delle  loro  mobilie,  fu  sempre  rigjardato  come 
prova  di  magnificenza  nei  privati,  e  d'ndustria  e  ci-, 
viltà  nelle  nazioni. 

Dopo  il  rinascimento  delle  arti,  i  popoli  di  Eu- 
ropa fecero  a  gara  per  riconquistaie  il  perfeziona- 


206 

mento  della  tintura.  Le  lane  e  le  sete  non  furono 
le  sole  materie,  sulle  quali  cercarono  di  fissare  i 
colori:  vi  si  aggiunsero  il  cotone,  il  lino  e  le  cana- 
pe. L'emulazione  produsse  risultamenti  sliaordinari 
nell'arte  di  tingere,  ma  tutto  era  involto  nel  segreto. 
Hellot,  Macquer,  Bergman,  Paerner,  Gubliche,  e 
finalmente  Berthollet,  portarono  la  loro  attenzione 
sopra  la  tintura  delle  stoffe:  ed  i  segreti  di  queste 
arte  sono  venuti  sotto  il  deminio  della  scienza,  con- 
tribuendo a  questi  risultati  i  lavori  recenti  di  Roard, 
Raymond,  Vitalis  e  Branckorft. 

L'  accademia  dei  lincei  incaricò  il  nostro  pro- 
fessore di  esporre  lo  stato,  in  cui  trovansi  presso  di 
noi  i  lanificii,  cominciando  dalla  qualità  delle  lane 
indigene,  fino  alla  tintura  dei  drappi  formati  colle 
medesime 

L'illustre  chimico  cominciò  le  ricerche  dal  nu- 
mero delle  tintorie  in  lana  esistenti  nella  città  ,  e 
che  s'impiegano  alla  tintura  in  grande  delle  stoffe: 
e  rinvenne,  che  esse  non  ammontano  che  a  15  o 
16,  delle  qiali  dieci  annesse  a  fabbriche  di  panni 
in  lana,  e  h  rimanenti  staccate  dai  lanifici,  e  che 
si  occupano  promiscuamente  di  tingere  non  solo  in 
lana,  ma  bei  anche  in  seta  ed  in  cotone.  Qui  enu- 
mera le  15  ìiibbriche  delle  tintorie  romane:  ma  sic- 
come per  le  tinte  fine  e  solide  in  verde,  in  blu,  in 
nero  ed  in  bruno  si  richiede  il  tino  in  rame  o  in 
legno,  come  oer  la  tinta  vera  di  scarlatto  si  richie- 
de la  caldaia  ii  stagno  ,  o  di  rame  ben  stagnato  , 
portò  l'attenzione  sopra  di  ciò,  e  trovò  che  quanto 
al  tino,  esso  t  posseduto  dai  primi  otto  de'nomi- 
nati  tintoli,  e  quanto  alla  caldaia  di  stagno  per  lo 


207 

scarlatto  non  si  trova  che  nelle  officine  dei  primi 
quattro.  Le  fabbriche  di  panno  prive  di  tino  e  di 
caldaia  di  stagno,  quante  volte  vogliono  tingere  in- 
fino  ai  colori  sopra  indicati,  inviano  i  loro  drappi 
alle  officine  fornite  di  questi  mezzi,  e  con  una  retri- 
buzione fissa  che  pongano  ad  esse,  forniscono  i  loro 
spacci  di  panni  a  tinte  solide-  L'A.  incomincia  dalla 
tinta  rossa,  quindi  passa  al  blij,  al  giallo,  ai  colori 
falsi,  bruni  e  neri,  ed  infine  termina  coi  colori  mi- 
sti, ed  in  ispecie  colla  tinta  verde. 

La  tinta  in  rosso,  che  dicesi  allo  scarlatto,  esige 
due  operazioni,  l'una  col  bollore,  l'altra  colV arrossa- 
mento. Si  versano  in  una  caldaia  di  stagno  ,  o  di 
rame  stagnato,  otto  o  novecento  libbre  di  acqua, 
e  sei  e  mezzo  di  cremor  di  tartaro.  Si  dà  il  fuoco 
alla  caldaia,  e  quando  è  al  40."  di  Reamur  si  agita 
con  pale  di  legno  per  accelerare  la  soluzione  del 
cremor  di  tartaro:  si  aggiungono  due  libbre  e  mezza 
di  cocciniglia  in  polvere:  e  poco  dopo  sei  libbre  e 
mezzo  di  soluzione  limpida  di  stagno.  Subito  si  tuffa 
il  drappo  nel  bagno:  e  si  fa  circolale  presto  in  esso 
due  0  tre  volte,  si  rallenta  questo  movimento,  si 
porta  il  bagno  ad  un  calore  vicino  alla  ebollizione, 
e  vi  si  tiene  il  drappo  immerso  per  due  ore  ,  poi 
si  estrae  ,  si  sventa  all'aria,  si  lava  all'acqua  cor- 
rente e  si  procede  alla  seconda  parte  del  processo. 
Si  versa  nella  caldaia  la  stessa  quantità  cU  acqua 
che  fu  adoperata  nell'operazione  precedente,  si  fa 
bollire  e  vi  s'infondono  due  libbre  e  tre  quarti  di 
cocciniglia  in  polvere  fina,  agitando  il  bagno  ed  ag- 
giungendovi dopo  mezz'ora  tre  libbre  di  soluzione 
di    stagno.  Si  fa   allora   cadere  la  temperatura  del 


108 
bagno  a  qualche  grado  sotto  l'ebollizione,  e  vi  si 
tuffa  il  drappo  facendolo  circolare  come  prima 
per  una  mezz'  ora  o  finché  il  drappo  abbia  preso 
quel  tono  di  colore  che  si  desidera  e  che  si  giu- 
dica al  paragone  di  altro  panno  scarlatto  bagnato 
messo  accanto  a  quello  che  attualmente  si  tinge. 
Dopo  questo  si  sventa  e  si  asciuga. 

L'A.  asserisce  che  i  descritti  processi  coincidono 
con  quello  dei  tintori  stranieri  e  degli  scrittori  francesi. 

L'indaco  solo  somministra  sulla  lana  i  blu  so- 
lidi :  ma  il  guado  ed  il  campeggio  ,  benché  diano 
isolatamente  tinte  poco  stabili,  sono  però  utili  come 
ausiliari  deirindaco.  Il  blu  di  Prussia,  chiamato  oggi 
idro-cianato  di  potassa,  è  stato  introdotto  nella  tin- 
tura, ma  solo  si  è  perfezionato  sulla  seta.  L'indaco 
dunque,  ch'è  la  base  delle  tinte  blu  solide,  si  ado- 
pera in  due  maniere:  o  sciolto  in  acido  solforico, 
ed  allora  le  stoffe  di  lana  debbono  essere  alluminate, 
o  aver  ricevuto  il  mordente;  ovvero  in  semplice  so- 
luzione acquosa,  ed  allora  la  stoffa  non  esige  alcuna 
preparazione  ,  e  questa  è  propriamente  la  tinta  al 
tino. 

Varie  sono  \&  maniere  di  adoperare  il  tino:  1.' 
col  pastello,  o  sia  guado  e  calce:  2."  coll'indaco  ed 
un  alcali  in  vece  della  calce:  3.°  senza  pastello  con 
calce  è  il  più  comune.  L'A.  descrive  la  preparazione 
dei  tini,' ed  in  fine  il  tino  d'  India,  o  volante,  non 
praticato  dai  nostri  tintori,  e  quello  a  freddo,  o  al 
vetriuolo  per  fare  il  bagno  di  vetriuolo  verde,  calce 
e  potassa,  o  calce  e  soda.  Le  piccole  tinte  sono  ben 
eseguite  nelle  nostre  tintorie. 

Il  color  giallo  più  solido   per  le  lane  è  1'  erba 


209 

ruzza  :  tutta  la  pianta  meno  lu  radice,  si  adopera 
alla  tintura.  Il  vclriuolo  imbrunisce,  e  la  dissolu- 
zione di  stagno  gli  communica  il  bel  colore  detto 
giallo  di  canario.  I  pili  usitati  sono  il  bagno  di  rob- 
bia  per  dare  al  drappo  il  giallo  dorato,  il  bagno  di 
scorza  di  noce  per  avere  un  giallo  bruno,  e  questa 
chiamasi  brunitura. 

Dopo  Terba  ruzza,  il  giallo  più  solido  si  ottiene 
dal  legno  giallo  di  Tobago  nelle  Antille,  per  farlo 
tendere  al  giallo-arancio.  Tutti  gli  altri  gialli  danno 
colori  scuri  e  di  poca  solidità. 

Il  sommaco  somministra  i  colori  falsi  senza  mor- 
dente. La  tintura  in  falso  è  la  piiì  facile,  e  si  ottiene 
dalla  scorza  di  noce,  radice  di  nocciuolo,  scorza  di 
nino,  ed  il  so.mmacco-  Il  santalo  rosso  è  il  solo  che 
viene  dalle  Indie  ,  e  serve  per  i  colori  caffè  e  cioc- 
colatte.  La  fuligine  è  impiegata  più  alla  tintura  della 
seta  che  delia  lana.  Il  nero  è  privo  di  ogni  colore: 
si  ottiene  colorando  prima  la  stoffa  in  blu  al  tino, 
^e  poi  tenendola  per  due  ore  in  un  bagno  bollente 
di  noce  ,  galla  e  legno  di  campeggio.  La  stoffa  si 
rileva,  e  vi  si  aggiunge  al  bagno  un  dodicesimo  del 
I  suo  peso  di  solfato  di  ferro  rosso  o  di  piroglignato 
di  ferro.  L'operazione  è  come  le  altre. 

Mescolando  il  rosso  e  blu  si  ottengono  i  colori 
di  tutte  le  gradazioni,  da  quello  cioè  di  viola  mam- 

I  mola,  al  color  di  porpora,  lilas,  fior  di  malva,  fino 
a  quello  di  pesco. 

Risulta  dunque  che  le  pratiche  adoperate  dai  no- 
i|  stri  tintori  per  ottenere  i  colori  solidi  sono  iden- 
;|  ticamente  le  stesse  di  quelle  delle  più  famose  offi- 

II  cine  d'Europa. 
G.A.T.CXLIII.  14 


210 
La  XLIV  memoria  è  sopra  alcune  riflessioni 
di  rianimare  il  commercio  delle  lane 
e  la  fabbricazione  dei  panni. 

11  prof,  ha  raccolto  un  numero  di  fatti  nella  se- 
zione Agricoliura  della  Biblioteca  universale  in  ri- 
guardo al  governo  della  razza  merina  del  gregge  la- 
nuto e  sopra  i  modi  di  conservare  ,  mantenere  e 
migliorare  la  lana  fina.  11  governo  gli  propose  il  pro- 
blema di  esaminare  e  proporre  i  mezzi  per  far  ri- 
sorgere fra  noi  1'  industria  della  fabbricazione  dei 
panni,  introducendosi  delle  macchine  inglesi  e  fran- 
cesi, e  migliorare  Parte  di  tingere  i  drappi  di  lana 
in  tinte  fine  e  solide. 

A  rendere  ragione  delle  vicende  che  la  sperienza 
insegnò,  che  la  razza  merina  non  prospera  che  nei 
climi  nò  caldi  né  tutti  settentrionali,  è  un  problema 
rimasto  ancora  da  sciogliersi,  11  suolo  arido  e  leg- 
gero produce  pascoli  magri,  delicati  e  poco  nutri- 
tivi e  che  favoriscono  la  finezza  delle  lane;  mentre 
i  pascoli  pìngui  e  concimati  delle  pianure  d'Inghil- 
terra, di  Fiandra  e  di  Olanda  si  trovano  poco  pro- 
pri a  mantenere  questa  finezza,  ed  esigeranno  le  più 
grandi  cure  di  rinnovamento  annuale  di  giovani  mon- 
t;oni  di  razza  primitiva  per  ovviare  all'ingrossamento 
successivo  delle  lane. 

I  panni  inglesi  ed  olandesi,  rimarchevoli  per  la 
solidità  dei  loro  tessuti,  erano  riputati  inferiori  ai 
panni  francesi  ,  morbidi  e  fini  egualmente  stimati 
per  la  bontà  delle  loro  tinte.  Oggi  (1826)  che  gl'in- 
glesi traggono  iaimense  provvisioni  di  lane  fine  dalle 
rnandre  merino  di  Russia  e  della  Nuova  Olanda   e 


211 

queste  a  vili  prezzi,  le  loro  fabbriche  hanno  acqui- 
stato sopra  le  fabbriche  francesi  un  maggior  pre- 
gio. È  da  riflettere  che  V  introduzione  della  razza 
spagnuola  incorse  presto,  e  per  la  ragione  dei  pa- 
scoli pingui  e  sugosi,  suiringrossamento  delle  lane, 
dappoiché  era  per  questa  razza  poco  opportuna  la 
collocazione  nelle  maremme,  e  per  manteneie  la 
bontà  delle  lane  convenne  ricorrere  alla  rinnovazione 
de'montoni  di  razza  primitiva,  il  che  arrecava  dispen 
dio  e  non  incoraggi  alcuno  ad  imitare  l'esempio  dei 
primi  introduttori  della  razza  mcrina. 

I  montoni  merini  comunicarono  un  grado  di 
finezza  nelle  lane  ignoto  a  quel  punto:  prosperarono 
le  fabbriche  dei  borgognoni:  s'introdussero  delle  mac- 
chine per  l'impiego  e  perfezione  dei  colori  fini  si- 
mili ai  drappi  inglesi  e  francesi.  La  fabbrica  è  ca- 
duta, meno  quella  delle  lane  bigie.  Le  lano  restano 
invendute  e  lo  scoiaggiamento  è  al  colmo. 

L'  A.  vede  difficile  di  rianimare  il  commercio 
delle  nostre  lane  e  la  prosperità  delle  fabbriche  di 
tessuti  di  lane.  Concludesi  ,  che  manca  tia  noi  lo 
spirito  di  associazione,  che  attenua  per  ogni  socio 
proprietaria  di  una  frazione  piccola  della  mandra 
le  spese  di  governo  ,  di  tosatura  ,  di  trasporti  ,  di 
pascoli  ec.  I  pascoli  spaziosi  in  pianura  sono  nella 
nostra  regione  umidi  ,  acquastrini  ,  feraci  di  erbe 
palustri  ,  poco  adattati  al  regime  del  gregge  me- 
rino, ed  alla  produzione  di  lana  fina.  Per  una  greg- 
gia di  dieci  mila  individui,  alcuni  montoni  di  razza 
primitiva  comprati  annualmente  non  rincariscono  di 
molto  le  spese  comuni  ad  una  greggia  sì  numerosa: 
laddove  questa  spesa  diverrebbe  ben  gravosa  per  un 
piccolo  proprietario  isolato. 


212 

La  XL  V  Memoria  è  sopra  Viiso  medico 
delVolio  di  Croton-Tilii. 

Questa  si  può  chiamare  una  lettera  direta  al 
prof.  Folchi,  annunziandogli  le  esperienze  eseguite 
in  Inghilterra,  in  Francia,  in  Italia,  che  sono  ben 
numerose,  per  assicurare  a  quest'olio  la  riputazione 
del  drastico  il  più  energico  che  si  conosca. 

II  doti.  Monchini  indirizza  al  lodato  Folchi  due 
osservazioni  sull'uso  dell'olio  di  Croton,  e  lo  assog- 
getta alle  sue  luminose  indagini.  Generalmente  però 
non  si  conviene  sopra  il  tipo  d'azione  che  esercita 
questo  farmaco  nella  economia  animale  per  pro- 
durre i  violenti  effetti  drastici  che  gli  sono  propri. 
Per  questa  ragione  non  è  inutile  di  raccogliere  an- 
cora nuove  osservazioni,  dalle  quali  possa  trarsi  lume 
in  pratica  e  determinare  con  sicurezza  le  condizioni 
patologiche  le  più  favorevoli  al  suo  uso  e  le  più 
acconce  a  renderlo  vantaggioso  nelle  malattie.  Il 
prof,  descrive  con  sagace  pratica  le  malattie  curate 
in  vari  individui  coll'indìcato  olio  di  Croton-Tilii  e 
tutte  riuscite  felicemente- 

La  XLVI  Memoria  è  la  necrologia  del  p,  Gandolfì 
delle  scuole  pie. 

Il  sunto  di  questa  necrologia  ritrovasi  nell'Album 
di  Roma  1835.  Questo  dottissimo  fisico  era  di  Ter- 
ria,  terra  del  principato  d'Oneglia;  nacque  nel  1753. 
Fece  il  noviziato  ,  e  gli  studi  filosofici  in  Ancona; 
poi  chiamato  in  Roma  come  lettore  di  filosofia  e 
matematica    nel  collegio  Nazareno-  La  sua  riputa-^ 


213 

/Jone  Io  fece  presciegliere  nell'  anno  1792  a  suc- 
cessore del  p.  Fonda  lettore  di  fisica  sperimentale, 
comunicando  il  primo   alla    romana  gioventù  le  più 
brillanti  dottrine  e  scoperte  di  fisica  sperimentale. 
A  questo  celebre  fisico  dobbiamo  le  ingegnose  viste 
del  conte  di  Kumford  sul  calorico  e  le  costruzioni 
di  ogni  sorta  di  fornaci,  fornelli  e  focolari.  Il  me- 
nto del  p.  Gandolfi  era  sommo,  insegnando  la  scienza 
fisico-chimica  con    indicibile    ardore.    La  memoria 
di  questo  uomo   è  da   onorarsi.    La  sua  vita  civile 
e  morale  fu  irreprensibile  :  amico  della  gioventù  , 
franco  e  leale  nei  suoi  modi,  riscosse  la  stima  uni- 
versale dei  sapienti  e  di  tutte  le  accademie  scien- 
tifiche: ai  10  giugno  passò  a  miglior  vita. 

Le  opere  pubblicate  sono  :  Memorie  sopra  la  ca- 
gione del  iremuoto.  -  Lettere  al  principe  Boria  sulla 
falsa  ardesia.  -  Sopra  gli  olivi.  -  Sulla  maniera  di 
costruire  cammini.  -  Appendice  a  questa  memoria. - 
Acque  termali  del  bagno  di  Canino.  -  Dissertazione 
sopra  le  condizioni  necessarie  perchè  una  machina 
elettrica  sia  capace  del  massimo  effetto.  -  Lettera  al 
dott.  Morichini  sull'ottima  costruzione  delle  macchine 
elettriche. 

La  XLVII  Memoria  è  la    necrologia   del  p.  Carlo 
Giuseppe  Gismondi  delle  scuole  pie. 

Una  nuova  e  più  deplorabile  perdita  strinse  il 
prof.  Morichini  a  compiere  un  egual  dovere  con  dare 
un  tributo  di  lodi  al  suo  maestro  ed  auiieo  ,  qual 
fu  il  p.  Gismondi,  lettore  di  mineralogia  dell'archi- 
ginnasio  romano.  Nato  in  Mentono  nel  principato  éi 


2)4 

Monofio  nel  1762;  vestì  l'abito  religioso  delle  scuole 
pie  in  RoiTia  nel  novembre  del  1779.  In  questo 
tempo  intraprese  un  museo  mineralogico  ,  strinse 
amicizia  co'celebri  mineralogi  inglesi  Hamilton  e 
Thompson,  col  francese  Dolomien:  e  pe'larghi  doni 
dell'imperatore  Giuseppe  II  e  di  Pio  VI, questo  museo 
in  breve  giunse  a  tale  da  potersi  riguardare  come  uno 
de'più  ricchi  e  completi  d'Italia.  Amava  il  Gismondi 
d'insegnare  le  scienze  naturali  per  passione,  più  che 
per  dovere.  Acquistò  un  museo  mineralogico  per 
l'università,  per  la  generosa  bontà  di  cuore  di  mon- 
signor Lante,  tesoriere  di  Pio  VII,  aperto  nel  1805 
per  la  studiosa  gioventiì.  Scopiì  la  laziaìile  e  Vabra- 
zile,  che  furono  le  prime  scoiterle  che  illustrarono 
il  suo  nome,  e  lo  resero  noto  ai  mineralogi  d'oltre- 
nionti  ed  italiani,  eccitò  l'attenzione  del  Gismondi 
la  singolare  collina  di  Monte  Mario  per  l'immenso 
deposito  di  conchiglie  fossili  che  vi  si  ritrovano,  e 
per  gli  alternati  strati  di  prodotti  vulcanici  marini 
e  fluviatili  che  si  osservano  verso  Tor  di  Quinto. 
Il  re  di  Napoli  1'  invitò  a  coprire  la  cattedra  di 
mineralogia  nell'università  ,  ma  non  lo  permise  la 
sua  salute  :  accettò  1'  incarico  ,  ma  per  per  breve 
tempo,  lasciando  la  cattedra  di  Roma  all'incompa- 
rabile suo  allievo  professore  Pietro  Carpi  ,  la  cui 
fama  presente  è  conosciuta  di  qua  e  di  là  dalle 
alpi. 

Il  p.  Gismondi  lesse  una  erudita  memoria  all' 
accademia  de'lincei  nel  1816  col  titolo:  Osservazioni 
sopra  alcuni  minerali  de^conlorni  di  Roma  . 

Tre  furono  i  minerali  che  prese  ad  esame  il  no- 
stro mineralogo.    Il  primo  rinvenuto  nelle  roce  di 


215 

Albano,  il  secondo  nella  lava  di  Capo  di  Bove,  che 
chiamò  abrazite,  e  che  il  professore  a  Heildelbuifg 
volle  chiamare  Gismondina. 

II  terzo  è  la  pietra  alluminosa  della  Tolfa. 

A  questo  insigne  scienziato  è  dovnta  la  scoperta 
d'una  nuova  sostanza  rinvenuta  da  esso  sul  monte 
Lazialey  chiamata  Lazialite,  annunziando  questa  sco- 
perta nel  1803  ali  accademia  dei  Lincei,  rendendone 
conto  ancora  al  danese  Braun-Neergand,  all'istituto 
di  Francia  ,  e  a  tutte  le  accademie  di  Europa 

Vullima  memoria,  che  è  la  XLVIH,  è  V orazione 
degli  studi  recitala  ai  25  di  novembre  1802. 

Un'aurea  latinità,  associata  a  robustezza  di  ar- 
gomenti per  l'incremento  e  nobiltà  di  tutte  le  scienze 
che  si  professano  nell'archiginnasio  della  Sapienza 
di  Roma,  forma  l'orazione  inaugurale  del  professor 
Monchini. 

Egli  dopo  aver  fatto  conoscere  quanto  incivi- 
limento rechino  le  scienze  alle  nazioni  ,  scende  a 
trattare  con  un  eloquio  sublime  tutte  le  piiì  splen- 
dide scoperte  che  in  queste  scienze  rifulsero- 

Progredendo  colla  sua  penna  eloquente  ad  enu- 
merare i  vantaggi,  che  alla  società  ed  a  tutti  i  po- 
poli le  scienze  naturali  somministrono  ,  invoca  il 
braccio  potente  dell'  inclito  e  generoso  pontefice 
Pio  VU,  acciò  protegga,  e  renda  solido  il  suo  pa- 
trocinio per  l'incoraggiamento  alla  studiosa  gioven- 
tù, e  per  renderne  decoro  e  magnificenza  alla  città 
di  Roma  ed  alla  università   degli  studi, 

B.  Chimenz. 


216 

1.     R.     ISTITIÌTO    VF.iNKTO    DI    SClENZIv,    LETTERE    ED    ARTI. 

RAPPORTO 

intorno  alla  Memoria  del  signor  commendator  Cialdi 
che  ha  per  titolo  «  Cenni  sul  molo  ondoso  del  mare 
e  sulle  correnti  di  esso.  )>  • 

Commissari   Ing.  Casoni  ,  professor  Minich 
e  professor  Tu  razza  [relatore). 

Il  chiarissimo  commendator  Cialdi,  esperto  marino, 
e  noto  scrittore  di  idrografia,  presentò  nell'anno  or 
ora  decorso  a  questo  1.  R.  Istituto  una  sua  Memo- 
ria manoscritta,  intorno  al  moto  ondoso  del  mare 
ed  alla  sua  influenza  ,  specialmente  allo  scopo  di 
stabilire  le  regole  che  devonsi  seguire  per  la  più 
sicura  costruzione  dei  porti.  Commesso  ai  sotto- 
scritti il  carico  di  riferire  intorno  a  questa  memo- 
ria ,  essi  non  possono  a  meno  di  non  riconoscere 
la  grande  importanza  del  soggetto  propostosi  dall'au- 
tore, e  di  lodare  l'erudito  e  diligente  metodo  se- 
guito dal  medesimo  nel  tentare  una  soluzione  di 
questo  arduo  problema,  intorno  a  cui  si  adopera- 
rono con  maggiore  o  minore  successo  i  più  chiari 
nomi  non  solo  che  maggiormente  illustrano  le  idrau- 
liche cose,  ma  quelli  eziandio  che  o  per  pratica  di 
mare,  o  per  lungo  esercizio  di  costruzioni  marittime, 
ebbero  più  che  altri  occasione  di  mettere  ogni  loro 
studio  neir  esame  di  questo  complesso  ed  impor- 
tante problema. 

L'autore  comincia  con  una  esposizione  delle  varie 


2Ì7 

opinioni  portate  dalla  maggior  parte  di  quegli  scrit- 
tori che  0  direttamente  o  indirettamente  ebbero  a 
considerare  un  tale  fenomeno;  nella  quale  esposi- 
zione è  veramente  mirabile  la  sua  vasta  erudizione, 
e  solo  forse  si  potrebbe  desiderare,  che  lasciate  al- 
cune di  quelle  opinioni  come  meno  concludenti,  si 
fosse  maggiormente  sotfermato  ad  analizzare  le  ipo- 
tesi, 0  teorie  che  dire  si  vogliano,  di  quegli  autori 
che  trattarono  ex  professo  di  una  tale  questione  : 
parendo  ai  sottoscritti  esser  egli  passato  talora  troppo 
leggermente  sopra  alle  stesse,  in  modo  di  non  schi- 
vare alcuna  fiata  una  qualche  incertezza  circa  ad 
alcuni  fenomeni  essenzialmente  separati:  locchè  però 
è  qui  detto  più  in  riguardo  de'  leggitori  che  del- 
l'autore, al  quale  si  scorge  ben  essere  tutte  quelle 
questioni  e  quelle  teorie  assai  famigliari. 

Né  una  tale  analisi  è  qui  posta  dall'autore  per 
puro  lusso  di  erudizione,  ma  serve  a  mostrare  quanto 
varie  e  discordanti  ancora  sieno  le  opinioni  soste- 
nute in  proposito  anche  dai  piiì  celebri  maestri  di 
idraulica,  e  quindi  quanto  sia  necessario  di  prendere 
di  nuovo  in  accurato  esame  il  problema  medesimo, 
per  cercare,  mediante  la  discussione  dei  fatti  i  più 
avverati,  di  porre  le  basi  ad  una  soluzione,  la  quale 
riesca  applicabile  alle  varie  questioni  che  possono 
sorgere  in  proposito.  P]d  è  appunto  ciò  che  con  ar- 
dire veramente  commendevole  si  propone  di  fare 
l'autore,  nei  due  articoli  ne'  quali  è  partita  questa 
sua  Memoria,  e  che  hanno  per  iscopo  di  analizzare 
nel  primo  le  circostanze,  i  fenomeni,  le  leggi  del- 
l'onda ,  e  de'  suoi  effetti  così  in  alto  mare  ,  come 
ia  prossimità  del  lido  :  di  paragonare  nel  secondo 


218 

gli  effetti  ehe  possono  produrre  le  correnti  a  quelli 
generati  dai  flutti  ,  per  dedurre  a  quale  delle  due 
cause  devesi  principalmente  riferire  la  distruzione 
delle  opere  marittime  e  l'interrimento  de'  porti. 

Nel  primo  articolo,  dopo  una  diffusa  enumera- 
zione di  svariatissimi  fatti  così  riferiti  dai  varii  au- 
tori, come  ancora  presentatisi  allo  stesso  scrittore 
nelle  sue  molte  e  lunghe  navigazioni,  reputa  di  po- 
ter porre  fuor  d'ogni  dubbio  il  fatto  seguente,  che 
crediamo  qui  opportuno  di  riportare  colle  medesime 
parole  dell'autore;  cioè: 

«  Nelle  grandi  tempeste,  mentre  regna  vento  fu- 
»  rioso,  i  marosi  avere  moto  di  vibrazione  in  tutta 
»  la  massa  fluttuante  e  di  trasporto  nella  parte  su- 
»  periore;  e  questo  secondo  moto  essere  molto  più 
»  sensibile  presso  il  lido  che  in  alto  mare,  e  con- 
))  ferirsi  a  tutta  la  massa  quando  lo  sviluppo  in- 
»  feriore  del  maroso  trova  inciampo,  conservandosi 
»  però  anche  quello  di  vibrazione  sino  a  che  si  frange 
))  sul  lido. 

))  Avere  i  flutti  nei  casi  di  vento  ordinario  moto 
»  apparente,  quasi  per  intero,  in  alto  mare;  ad  evi- 
))  denza  reale  presso  il  lido,  più  o  meno  in  ragione 
»  della  profondità  dell'acqua,  della  natura  e  forma 
))  del  fondo,  e  della  forza  e  durata  del  vento  ». 

Noi  non  entreremo  qui  in  una  minuta  discus- 
sione dei  varii  fatti  che  condussero  1'  autore  nella 
sentenza  ora  esposta;  ma  trattandosi  di  un  teorema 
idraulico  della  massima  importanza,  non  possiamo 
passare  sotto  silenzio  alcuni  dubbi  che  sorsero  in 
noi  intorno  alle  interpretazioni  ed  alle  deduzioni  che 
l'autore  trova  di  dover  inferire  dai  medesimi.  Con- 


219 

veniamo  di  buon  grado  coli'  autore  nell'  accordare 
un  piccolo  moto  reale  di  trasporto  alla  parte  su- 
periore dell'acqua  allorché  soffi  il  vento  assai  ga- 
gliardo e  duri  per  molto  tempo  nella  medesima  di- 
rezione; imperocché  questo  fatto  é  nettamante  di- 
mostrato dalle  correnti  che  durante  l'azione  del  vento, 
e  al  cessar  della  stessa,  sì  riscontrano  alla  superfi- 
cie dell'acqua;  dal  ffitlo  osservato  nei  nostri  laghi 
del  cosidetto  dislivello  dopo  forte  e  prolungato  vento; 
non  che  da  molti  altri  fatti  recati  in  campo  dall'au- 
tore; ma  però,  a  voler  dare  a  questo  fatto  il  suo 
giusto  valore,  ci  parrebbe  necessario  primieramente 
di  escludere  quelli,  nei  quali  il  corpo  galleggiante 
essendo  in  presa  col  vento  non  si  può  con  sicurezza 
dedurre  dal  moto  di  questo,  quello  della  massa  li- 
quida; bisognerebbe  escludere  il  caso  del  mar  Rosso, 
avendo  le  attuali  livellazioni  mostrato  essere  il  li- 
vello medio  del  mar  Rosso  e  del  Mediterraneo  pres- 
soché eguale,  ed  anche  perchè  se  questo  non  fosse 
si  dovrebbe  ciò  ripetere  da  una  causa  essenzialmente 
differente.  Così  pure  nasce  assai  spesso  il  dubbio 
che  ,  avendo  in  altro  luogo  mostrato  1'  autore  che 
l'influenza  del  fondo  si  può  hv  sentire  anche,  come 
egli  assicura,  per  profondità  di  oltre  200"',  se  quel 
moto  dì  trasporto  fu  veramente  avvertito  ,  non  si 
dovesse  ascrivere  piuttosto  fra  i  fatti  che  si  ripor- 
tano alla  influenza  del  fondo  ed  alla  vicinanza  al  lido. 
E  tale  moto  di  trasporto  che,  nel  caso  di  vento 
gagliardo,  crede  1'  autore  esistere  sempre  anche  al 
largo  e  a  grandi  profondità  del  fondo  ,  vuole  poi 
che  sia  indubitato  in  vicinanza  del  lido,  dove  cioè 
il  fondo  può  reagire  sopra  la  massa  oscillante.  Molti 


220 

fatti  reca  egli  pei*  dimostrare  un  tale  moto  di  tras- 
porto in  prossimità  del  lido:  per  es:  l'impossibilità 
di  allontanarsi  da  terra,  anche  bordeggiando,  in  alcuni 
l)araggi  ,  come  asserisce  avere  esperimenlato  egli 
stesso:  l'osservazione  dei  marini  che  in  alcune  coste, 
per  es:  del  Mediterraneo  e  della  Sicilia  nel  caso 
di  forte  maroso,  si  è  quasi  tirati  verso  il  lido;  alcuni 
celebri  naufràgi,  ad  es:  nel  golfo  di  Catania,  quello 
di  un  convoglio  inglese  sopra  la  spiaggia  di  Porto- 
gallo presso  Mondégo  ecc:  finalmente,  a  tacer  d'al- 
tri, l'essere  portati  alla  spiaggia  gli  arredi  di  pesca 
gettati  molto  lungi  dal  lido;  se  nonché,  lasciando 
pure  da  parte  che  alcuni  autori  darebbero  di  questi 
fatti  una  spiegazione  indipendentemente  dal  moto 
di  trasporto  della  massa  liquida,  resterebbe  ancora 
a  chiedersi  come  avendo  tutta  1'  acqua  moto  con- 
tinuo di  trasporto  verso  il  lido  ,  non  innondi  e  il 
lido  e  i  terreni;  e  poi,  qui  pure  bisognerebbe  tro-' 
vare  l'enorme  .forza  che  sarebbe  mestieri  a  mante- 
nete una  differenza  di  livello  alcun  poco  notabile. 
I  sottoscritti  pongono  questi  dubbi  unicamente 
perchè  dal  chiarissimo  autore  possa  venir  maggior- 
mente dilucidata  la  questione;  nò  vogliono  con  ciò 
contraddire  alle  sue  conclusioni,  ma  accennare  sol- 
tanto ad  un  desiderio,  che  1'  importantissimo  pro- 
blema venga  discusso  con  ogni  rigore,  e  prendendo 
in  accurato  esame  gli  elementi  tutti  che  possono 
avervi  una  qualche  influenza:  ben  persuasi  che  l'au- 
tore, il  quale  ha  mostrato  di  volere  e  di  saper  fare, 
potià  anche  ben  facilmente  togliere  i  detti  dubbi, 
che  però  non  possono  a  meno  di  non  presentarsi 
spontanei  nella  lettura  di  questo  suo  dotto  lavoro. 


221 

Dopo  ciò  si  propone  di  rintracciare  fino  a  quale 
profondità  si  comunichi  l'azione  dell'onde,  ed  espo- 
ste le  varie  opinioni  in  proposito,  si  fa  ad  esami- 
nare alcuni  fatti  i  quali  comproverebbero  estendersi 
la  detta  azione  moltissimo  piiì  in  là  di  quanto  co- 
munemente si  opina.  I  principali  di  questi  fatti,  li- 
mitandoci noi  alle  profondità  massime, sarebbero  l'as- 
serzione di  La  Coudraye  essere  sensibile  ai  basti- 
menti la  reazione  dell'onda  sul  banco  di  Terra-nuova 
profondo  da  100  a  160  metri;  le  osservazioni  di  Siau 
all'isola  di  Borbone,  ove  l'azione  dell'onde  nella  baia 
s.  Paolo  a  188  metri  di  profondità  è  tale  da  for- 
mare delle  zone  ondulate  sopra  un  fondo  di  sabbia 
e  ghiaie  di  basalto;  l'asserzione  in  fine  di  P.  Mon- 
nier,  che  al  capo  di  Buona-speranza  i  bastimenti 
sono  esposti  a  dei  colpi  di  mare  passando  a  200 
metri  sopra  il  banco  delle  Agullas.  Dai  quali  fatti 
è  condotto  l'autore  a  conchiudere,  che  l'azione  delle 
onde  stesse  debba  estendersi  fino  ad  oltre  200  me- 
tri di  profondità. 

Finalmente  termina  questo  primo  articolo  mo- 
strando quanto  sia  grande  la  potenza  dei  flutti  sia 
per  sommuovere  i  fondi^  sia  per  trasportare  e  di- 
struggere grandi  massi  sotto  marini  ,  riportando  i 
fatti  pili  rimarchevoli  che  le  osservazioni  hanno  ac- 
certati fin  qui. 

Nel  secondo  articolo,  dopo  osservato  che  nulla 
avrebbe  egli  da  aggiungere  ai  grandi  lavori  idro- 
grafici del  Maury  ,  dello  Smyth  e  di  altri  intorno 
alle  correnti  marine  per  quella  parte  che  spetta  alla 
navigazione,  si  fa  a  considerare  unicamente  l'effetto 
delle  dette  correnti,  in  quanto  possono  le  stesse  con- 


222 

tribuii'o  a  produrre  gì'  interrimenti  dei  porti  e  gli 
aumenti  o  le  diminuzioni  dei  lidi. 

La  maggior  parte  degli  idraulici  nostri  ed  an- 
che stranieri  tiene  1'  opinione  del  Montanari  ,  che 
cioè  i  flutti  smuovano  i  fondi  e  portino  e  tengano 
le  materie  smosse  mescolate  coll'acqua  in  istato  di 
ondulazione,  e  che  dalle  correnti  vengano  assieme 
coll'acqua  trascinate  oltre  nel  loro  corso,  e  depo- 
sitate là  dove  speciali  cause  diminuiscano  l'inten- 
sità della  fluttuazione  e  della  corrente,  e  con  essa 
le  possibilità  di  tenere  in  sospeso  le  dette  materie; 
cosicché  nella  detta  teoria  la  causa  degl'interrimenti 
e  degli  aumenti  o  diminuizioni  dei  liti  si  ripete  dalla 
corrente  non  solo  ,  ma  ancora  dai  flutti  ,  essendo 
questi  la  cagione  del  sommovimento  dei  fondi,  quelle 
la  causa  dei  trasporti. 

L'autore  ripete  principalmente  il  fenomeno  dai 
flutti,  e  poco  o  nessun  peso  sembra  dare  alle  cor- 
renti ,  fondandosi  sulla  poca  o  nessuna  forza  delle 
correnti  a  smuovere  i  fondi,  ed  a  tenere  in  sospeso 
le  materie  pesanti;  osservando  in  specialità  che  le 
dette  correnti  diminuiscono  di  velocità  verso  il  lito, 
e  dalla  superficie  verso  il  fondo  ,  laddove  l'azione 
dei  flutti  segue  legge  diametralmente  opposta.  A 
questa  ragione  aggiunge  l'altra;  che  il  fondo  delle 
spiagge  sottili  di  lieve  pendio  è  sempre  ondulato 
in  direzione  perpendicolare  al  vento  dominante;  che 
i  materiali,  le  arene,  le  sabbie  ecc.  lungo  il  litorale 
nostro,  così  dell'Adriatico  come  del  Mediterraneo, 
sono  sempre  addossati  ai  guardiani  dei  porti  ed  agli 
ostacoli  materiali  che  s'incontrano  dalla  parte  ove 
si  sviluppano  i  venti  dominanti;  e  finalmente  dal- 


223 

r  osservare  che  nell'  Adriatico  il  porto  di  Ancona 
aperto  alla  corrente  litorale  ,  mn  difeso  dai  venti 
che  più  dominano  in  quel  mare  ,  si  è  mantenuto 
anche  attraverso  i  secoli  di  barbarie  ;  laddove  nel 
Mediterraneo  quello  d'Anzio,  aperto  ai  venti  che  più 
dominano  in  quei  paraggi,  ebbe  breve  durata  e  fu 
ben  presto  ricolmo  d'  arena.  Noi  siamo  ben  lungi 
dal  non  voler  accordare,  insieme  coll'autore,  anche 
una  influenza  all'azione  dei  flutti  nel  trasportare  i 
materiali  del  fondo  verso  del  lido;  ma  ci  pare  che 
in  fine  anche  i  fautori  della  spiegazione  data  dal 
Montanari  non  escludano  l'azione  de'  flutti  ,  e  che 
non  pretendano  di  attribuire  alla  sola  corrente  tutto 
il  fenomeno;  che  anzi  danno  ai  flutti  la  facoltà  di 
smuovere  ,  riservando  alla  corrente  quella  di  tra- 
sportare; allora  una  tale  ipotesi  sfugge  certo  a  molti 
dei  dubbi  levati  contro  alla  stessa  dal  chiarissimo 
autore.  Aggiungeremo  a  questo,  che  il  celebre  Ven- 
turoli  nella  sua  memeria  sul  porto  d'  Anzio  rende 
di  quell'interrimento  una  plausibile  spiegazione,  fon- 
dandosi appunto  sulla  corrente  litorale,  combinata 
coH'azione  dei  flutti;  e  in  base  a  ciò  propone  i  ri- 
medi ch'egli  riterrebbe  essere  quelli*  di  maggior  ef- 
ficacia. Ad  ogni  modo  le  prove  e  i  fatti  raccolti  qui 
dall'autore  ci  sembrano  meritare  attenzione,  e  non 
escludere  interamente  1'  idea  di  un  reale  moto  di 
trasporto  dei  materiali  del  fondo  ,  dovuto  soltanto 
ai  flutti;  il  quale  fenomeno  sembra  pur  constatato 
dalle  osservazioni  fatte  da  altri  esperimentatori  in 
varii  porti  de'  nostri  mari. 

Esposto  cosi  sommariamente  lo  scopo  e  le  con- 
seguenze della  memoria,  della  quale  fu  a  noi  com- 


224 

messo  l'esame,  se  ancora  non  ci  sia  sembrato  che 
il  problema  propostosi  nella  stessa  sia  definitiva- 
mente risolto;  pure  non  resta  per  ciò  che  non  deb- 
basi  dare  molta  lode  all'autore  pei  svariati  fatti  ivi 
raccolti,  per  la  grande  sua  erudizione  in  proposito, 
e  specialmente  per  aver  recati  in  mezzo  i  risulta- 
menti  di  lunga,  accurata,  e  studiosa  pratica  di  una 
vita  di  mare  ,  così  operosamente  impiegata  anche 
a  profitto  della  scienza.  Egli  è  perciò  che  crediamo 
di  proporre  che  l'I.  R.  Istituto  voglia  votare  all'au- 
tore i  suoi  ringraziamenti  per  la  fatta  comunica- 
zione, e  gli  elogi  dovuti  ad  un  lavoro  che  potrà  ve- 
nire consultato  con  vantaggio  da  ognuno,  il  quale 
voglia  porre  l'opera  e  Io  studio  in  questo  complesso 
fenomeno  d'idraulica  pratica. 

Venezia  27  gennaio  1856. 


fe'^ 


Adunanza  del  28  gennaio  1856. 

L'I.  R.  Istituto  ha  approvato  la  proposta  della 
Commissione. 

Il  M-  E.  e  Segretario  dell'I.  R.  Istituto 
D.  Giacinto  Namias 


» 


225 


SCHIARIMENTI    DEL    CIALDI 
all'  illustre     1.   R.  ISTITUTO    VENETO. 

Letto  colla  debita  ponderazione  il  rapporto  pre- 
sentato air  I.  R.  Istituto  Veneto  dalla  Coinaiissione 
eletta  a  prendere  ad  esame  i  Cenni  sul  molo  ondoso 
del  mare  e  sulle  correnti  di  esso,  lo,  corrispondendo 
anche  al  desiderio  dalla  suUodata  Commissione  for- 
malmente esternato,  ho  l'onore  di  sottoporre  alcuni 
schiarimenti  in  analogìa  ai  dubbi  insorti  nell'animo 
di  essa  e  partitamente  esposti  nel  sui'riferito  suo 
rapporto  del  27  gennaio  1856. 

Prima  però  di  entrare  nell'argomento  in  discorso 
reputo  pure  mio  preciso  dovere  di  professarmi  pro- 
fondamente grato  alla  dottissima  Commissione,  non 
solo  pel  fastidio  cagionatole  dall'esame  di  quei  Cenni, 
ma  puranche  pei  benevoli  sentimenti  espressi  verso 
di  me  che  sento  purtroppo  le  mie  deboli  fatiche 
immeritevoli   degli  elogi  graziosamente  impartitimi. 

1.°  Il  quadro  delle  diverse  teorie  o  ipotesi  sul 
moto  ondoso  e  sugli  effetti  da  esso  prodotti,  è  stata 
per  me  la  parte  più  difficile  e  la  più  faticosa  della 
mia  scrittura.  Pur  troppo  vi  è  incertezza  circa  ad 
alcuni  fenomeni  essenzialmente  separali  !  Ma  gli  han 
separati  e  resi  chiari  gli  autori  da  me  compendiati  ? 
Se  essi  non  l'han  fatto  io  non  doveva  farlo,  ne  farlo 
notare,  perchè  ho  promesso  in  detto  quadro  di  non 
emettere  in  esso  la  mia  opinione  (pag.  2  (*)  ),  ma  di 
esporre  bensì  semplicemente  le  opinioni  altrui.  Con- 


(*)   Vedi   il  Tom.  CXXXVIII  di   questo  giornale,  a  cui     richia- 
mano  le  oilazionì. 

C.A.TCXLIII.  15 


22G 
vengo  che  sopra  alcuni  autori,  quelli  cioè  clic  lian 
trattato  exprofesso  una  tale  questione  ,  poteva  io 
maggiormente  soffermarmi  ;  ma  siccome  nel  corso 
del  mio  lavoro  sono  tornato  a  parlar  lungamente  di 
loro  con  adottare  o  confutare  le  loro  dottrine,  mi 
è  sembrato  che  una  più  estesa  analisi  delle  opere 
loro  nel  quadro  avrebbe  dato  luogo  a  ripetizioni. 

2.°  La  chiarissima  Commissione  concede  di  buon 
grado  un  piccoh  molo  reale  di  trasporlo  alla  parie  su- 
periore deir  acqua  allorché  soffia  il  vento  assai  ga- 
gliardo. Ma  stando  ai  fatti,  io  debbo  avvertire  che 
ciò  non  basta.  Noi  dobbiamo  dare  spiegazione  a 
trasporti  stravaganti  che  sorprendono  ,  inquietano  ,  e 
tal  volta  comprometlono  la  navigazione  (  pag.  46):  a 
trasporti  cioè  non  di  rado  superiori  a  due  miglia  V 
ora  (idem),  come,  purtroppo  !  spesso  si  verificano. 
Quindi  pare  a  me,  che  siffatti  trasporti  non  pos-- 
sano  essere  qualificati  per  piccoli  moti. 

La  Commissione  conviene  in  alcuni  de'fenomeni 
prodotti  dal  vento,  e  dai^  quali  può  desumersi  quel 
trasporto:  altri  però  ne  esclude. 

Essa  esclude; 

Primieramente  quelli  nei  quali  il  corpo  galleg- 
giante essendo  in  presa  col  vento  non  si  può  con  si- 
curezza dedurre  dal  moto  di  questo  quello  della  massa 
liquida.  Il  bastimento  è  sempre  esposto  all'  impul- 
sione del  vento  ed  agli  urti  delle  onde;  ma  1'  ef- 
fetto di  quella  impulsione  e  di  quell'urto  sul  corpo 
de'  bastimenti  è  cosa  cbe  entra  nei  calcoli  consueti 
dei  marini;  se  ciò  npn  fosse,  la  navigazione  sarebbe 
molto  più  imperfetta  di  quello  che  è.  Dalla  scia  che 
lascia  dietro  di  se  un  bastimento  si  deduce  con  molta 
facilità  e  sufficiente  esattezza  quest'  effetto  (pag.  51 


in  noia,  e  57  noi  testo  e  nota).  Dunque,  ammesso 
che  il  capitano  sappia  l'arte  sua  ,  non  può  essere 
confuso  questo  moto  con  quello  della  massa  liquida. 
Del  primo  ha  gli  elementi  per  valutarlo  ;  non  così 
però  del  secondo.  E  se  in  alcune  complicatissime 
vicissitudini  della  navigazione  una  conveniente  di- 
stinzione de'  due  moti  potrà  sfuggire  alla  vigilanza 
ed  alla  perspicacia  del  capitano,  questa  eccezione 
però  non  deve  distruggere  la  mia  proposizione  ,  la 
quale  per  essere  ammessa  basta  che  abbracci  i  casi 
di  tempeste  ordinarie  che  sono  mollo  più  numerosi. 

Esclude  secondariamente  il  caso  del  mar  Rosso 
avendo  ec.  Io  ho  ridotto  la  misura  di  Huot  a 
quella  di  Bourdaloue  (pag.  38).  Ora,  la  misura  ot- 
tenuta da  questi  nel  1847  fu  di  2'"  ,  61;  e  l'ul- 
tima trovata  nel  1853  da  Linant-Bey  e  da  Mougel- 
Bey  è  di  2"*,  43.  Dunque,  tenendo  anche  questa 
minore  per  la  più  esatta  ,  mi  pare  di  non  essermi 
male  apposto  nel  dire  che  la  differenza  di  livello 
prodotta  dal  vento  resterà  sempre  sensibile.  Ma  la 
menzionata  Commissione  avverte  inoltre,  che  se  e- 
sistesse  una  qualunque  differen/.a  di  livello  si  dovreb- 
be ciò  ripetere  da  una  causa  essenzialmente  diffe- 
rente. 

lo  confesso  d' ignorare  quale  possa  essere  questa 
causa  essenzialmente  differente,  avendo  il  mar  Rosso 
il  suo  asse  principale  diretto  pressoché  al  nord  ed  al 
sud;  e  siccome  non  fo  la  questione  del  confronto  de' 
due  livelli, ma  sibbene  indago  la  causa  del  fatto  isolato, 
cioè  del  fenomeno  che  verificasi  nel  mar  Rosso  per 
causa  del  vento,  così  mi  permetterò  sottoporre  alla 
Commissione  un'  autorità  più  speciale  di  quelle  da 
me  già  citate,  la  quale  conferma  con  fitti  ineccezio- 


228 
nabili  la  causa  del  fenomeno  indicata  da  Huol  e  da 
me  abbracciata. 

«  C'est  un  fait  bien  constate,  qiie  l'effet  des  grands 
vents  de  S.  pendant  les  mois  de  décembre  ,  janvier, 
fevrier  et  mars  ,  est  d'  éléver  le  niveau  de  la  mer 
Rouge  dans  sa  panie  septentrionale,  et  quau  contraire, 
ce  niveau  s'abaisse  de  plusieurs  pieds  en  juillet,  aoùt 
et  septembre  sous  Vinfluence  des  grands  vents  de  N.N. 
0.  qui  enfìlent  le  délroit.  Une  preuve  de  ce  phéno- 
mène,  e  est  que  le  banc  Durable  ,  quoique  situé  au 
milieu  de  la  mer,  est,  à  une  certaine  epoque,  assez 
à  sec  polir  que  l  ''on  piasse  y  planter  une  tente,  tandis 
qii  il  est,  à  une  autre  epoque,  recouvert  par  les  eanx. 
On  peut  encore  observer  cette  différence  de  niveau 
sur  les  récifs  de  corail,  près  le  Jddah.  (  Stafford-Bet. 
tesworth  Haines:  Description  des  còtes  méridionales 
d'  Arabie.  Traduzione  dall'  inglese  di  J.  de  la  Vais- 
sière.  Ann.  hydrographiques  tom.  1.  pag.  357)  ».  Io 
potrei  inoltre  citare  altre  autorità,  ma  a  che  prò? 
La  Commissione  sa  che  ripetesi  giornalmente  lo  stesso 
fenomeno  in  tutte  le  nostre  coste  ed  in  quelle  del- 
l'Oceano. Sa  che  il  mar  Rosso  per  la  sua  topogra- 
fica costituzione  si  presta  più  d' ogni  altro  a  ri- 
sentir gli  effetti  di  un  vento  forte  e  continuato  nella 
direzione  del  suo  massimo  asse;  quindi  mi  è  lecito 
credere  che  la  sola  esagerata  misura  dell'Huot  abbia 
suggerito  alla  eccelsa  Commissione  la  totale  esclu- 
sione del  caso  del  mar  Rosso. 

In  terzo  luogo:  all'ossequiata  Commissione  assai 
spesso  nasce  il  dubbio  che  l'effetto  del  trasporto,  di 
cui  mi  occupo,  possa  essere  quello  stesso  che  si  ve- 


229 

iifica  nelle  profondità  minori  di  200  metri,  il  (jiiale 
è  influenzato  dalla  reazione  del  fondo. 

Io  posso  assicurare  la  Commissione,  che  in  que- 
sta parte  del  mio  discorso  ho  inteso  parlar  sempre 
di  quel  trasporto  che  risentiamo  in  alto  mare,  os- 
sia ove  nessuna  influenza  non  può  avervi  il  fondo.  E 
siccome  lo  Stevenson  nel  raccontare  i  fatti  di  trasporto 
a  lui  accaduti,  non  ha  fatto  la  distinzione  rilevata 
dalla  Commissione,  così  io  ne  ho  avvertito  il  let- 
tore alle  pag.  54  e  55,  ed  ho  situato  quei  fatti  al 
loro  posto  (pag.  67  e  68). 

A  maggior  conferma  della  mia  proposizione  sot- 
topongo al  savio  giudizio  della  Commissione  due 
tra  i  tanti  esempi  che  abbiamo  sul  trasporto  in  al- 
tissimo mare  dovuto  soltanto  al  moto  di  massa  nei 
marosi.  Il  vascello  di  S.  M.  britannica  il  Winchester, 
leggo  nell'opera  di  Eugenio  Rodriguez  ,  dopo  forti 
venti  da  ponente  .  .  .  burrascosi  di  SO.  che  soffia-^ 
rono  per  piìi  giorni.  .  .  ,e  nel  10  luglio  con  venti 
varianti  dal  N.  alI'O.  ,  osservò  che  la  corrente  nel 
periodo  di  24  ore  lo  aveva  trasportato  per  130  mi- 
glia a  levante.  Il  Winchester  trovàvasi  a  7°  di  la- 
titudine N.  ,  ed  a  26°  di  longitudine  0.  di  Green- 
wich.  «  In  questo  paraggio ,  soggiungerò  con  lo 
stesso  Rodriguez,  il  generale  risultamento  delle  os- 
servazioni, comunque  non  raggiunga  una  grande  pre- 
cisione, pure  &i  accorda  nel  medio  a  dar  gli  eff'etti 
di  7  a  9  miglia  al  giorno  di  trasporto  alla  corrente 
procedendo  alV  ouest  ».  Ninno  potrà  dubitare  ,  dirò 
ora  io,  che  a  bordo  di  quel  gran  bastimento  da 
guerra  tutti  gli  elementi  di  stima  non  fossero  te- 
nuti a  calcolo  colla  maggior  precisione  possibile^e 


230 

j'he  porciò  le  130  miglia  fli  anomalìa  non  si  deb- 
l)on()  accagionare  a  difetto  di  buona  stima  dello  sca- 
loccio,  nò  a  quello  di  accuratezza  sul  cammino  de- 
dotto dal  solcometro  ,  nò  a  negligentata  imperfe- 
zione della  bussola,  e  nò  a  disattenzione  del  timo- 
niere. In  una  parola  tutto  mi  fa  credere  che  quel 
trasporto  fu  principalmente  dovuto  ad  un  movimento 
speciale  di  massa  alla  superfìcie  dell'acqua.  Ora  come 
si  può  spiegare  per  corrente  propriamente  detta  tutto 
quel  tiasporto  in  sì  breve  tempo  ?  Se  C.  Philippe 
de  Kcrhallet  notava,  parlando  della  corrente  di  Mo- 
sambicco  la  cui  velocità  è  fra  18  e  28  miglia  in 
ventiquattro  ore,  «na  da  alcuni  capitani  Irouvée  de 
139  milles,  dans  des  circonslances  parliculièrcs,  notava 
dico,  che  il  ny  a  pas  d'exemple  d'ime  pareilìe  vi- 
t<;ss€  de  couranl^  si  ce  nesl  patir  le  maximum  de  vi- 
lesse  ohservé  dans  le  Gulf-slream,  quanto  più  nota- 
bile, 0  per  dir  meglio  stravagante,  sarebbe  il  fatto 
del  Winchefitev  accagionandolo  a  corrente  ove  la 
corrente  regnante  ha  direzione  opposta  a  quella  del 
trasporto  da  lui  sperimentato  ?  Prima  di  trarre 
conseguenza  da  questo  fatto  passiamo  all'altro,  che 
una  sola  conclusione  li  abbraccia  entrambi. 

Dal  de  Tessan  si  deduce  che  la  fregata  la  Ve- 
nere il  giorno  10  aprile  1837  essendo  nella  latitu- 
dine 4-9"  46'  S.  e  nella  longitudine  di  80°46'  0.  di 
Parigi,  si  trovò  trasportata  di  miglia  30,7  nella  di- 
rezione di  S.  80°  E.  in  24  ore.  Niun  dubbio  al  certo 
si  può  avere  che  ,  come  a  bordo  del  vascello  in- 
glese, così  a  bordo  della  fregata  francese,  non  siasi 
tenuto  scrupoloso  calcolo  de'soliti  elementi  di  sti- 
ma. Anzi  è  da  ritenersi  che  il  trasporto  totale  della 


231 

fregata  sia  slato  di  miglia  47,  5;  dal  quale  dedotti 
sette  decimi  di  miglio  l'ora  per  il  trasporto  dovuto 
al  maroso  ,  dal  de  Tcssan  ammessi  in  simili  casi 
di  vento  forte,  è  restato  quello  di  30,7  classificato  da 
lui  per  corrente.  Da  speciali  e  convenienti  esperimenti 
fatti  dalla  fregata  stessa  si  deduce  che  in  quel  parag- 
gio  la  corrente  costante  va  verso  il  nord.  Difatti  il 
4  aprile  nella  latitudine  57''16'  S.  e  longitudine  84°35' 
0.  il  de  Tessan  riferisce,  che  in  un  tempo  perfetta- 
mente calmo,  mentre  il  bastimento  non  aveva  au- 
cun  mouvement  par  rapport  à  Veau  de  la  surface,  fu 
gittato  il  piombino  sino  a  3720  metri  di  profon- 
dità, e  la  ligne  est  restée  parfaitemenl  à  pie,  ma  il 
bastimento  élait  alors  ernporté  vers  le  N.  2°  E.  avec 
une  vitesse  de  un  demi-mille  à  Vheure;  quindi  egli 
ne  dedusse  una  corrente  di  12  miglia  in  24  ore  in 
quella  direzione,  e  si  persuase  che  ce  courant  est  un 
courant  de  masse  ,  per  lo  meno  fino  a  quella  pro- 
fondità partendo  dalla  superficie  del  mare.  Il  16  ed 
il  24  dello  stesso  mese  nelle  latitudini  di  43  e  di  34 
gradi  sud  furono  ripetuti  gli  scandagli  a  profondità 
di  1780  e  290  metri;  e  sempre  la  ligne  est  restée 
parfailement  verticale,  qtioìque  le  bàtiment  fùt,  sans 
aucun  dante,  porte  vers  le  nord,  comme  dans  les  jo- 
iirs  précédents  .  .  .  avec  une  vitesse  d'un  mille  à  V 
heure  environ:  ce  qui  prouve  encore  que  ce  courant 
est  un  courant  de  masse  et  non  pas  uniquement  im 
courant  superficiel.  Questi  esperimenti  di  corrente, 
fatti  con  un  metodo  preferibile  ad  ogni  altro  ,  in 
circostanze  le  piiì  favorevoli  e  poco  prima  e  poco 
dopo  il  10  aprile,  mi  provano  adunque  che  il  ba- 
stimento, nel  giorno  in  cui  cade  la  mia  ricerca,  si 


232 

trovava  in  una  corrente  di  grande  altezza  dalla  su- 
perficie a  basso,  dimodoché  non  può  étre  considéré, 
come  osserva  Arago,  comme  une  simple  rivière  su- 
perficielle  d'  eau  froide  ,  nna  si  deve  ritenere  come 
prodotta  par  une  section  considérable  des  mers  po~ 
ìaires,marchant  majeslueiisement  du  sud  au  nord.  Dopo 
ciò,  come  poter  spiegare  per  corrente,  e  porla  fra 
le  altre  che  realmente  sono  tali,  quel  trasporto  in 
24  ore  di  31  miglio  al  S.  80°  E.  ,  cioè  in  dire- 
zione normale  alla  dominante  corrente,  la  quale  in- 
oltre per  essere  di  acqua  fredda  e  di  gran  massa 
non  facilmente  cede  all'  azione  del  vento  ?  Ma  se 
passo  a  consultare  lo  stato  del  maie  e  la  direzione 
del  vento  nel  giorno  preso  ad  esame  ed  in  quelli 
antecedenti  ad  esso  prossimi,  io  trovo  per  me  una 
evidente  causa  a  quel  fenomeno.  11  mare  fu  houìeuse 
e  grosse  ed  il  vento  nella  media  dilezione  di  ouest, 
in  generale  honne  hrise  ,  [rais  e  grond-frais.  Cosi 
essendo,  i  fluiti,  in  questa  accidentale  combinazione 
di  grosso  mare  e  forte  vento,  animati  di  trasporto 
di  massa  alla  superficie,  trasportarono  il  bastimento 
nella  loro  direzione  nella  totalità  di  miglia  47,5,  e 
non  di  16,8  come  il  de  Tessan  ammetterebbe. 

Egli  è  però  che  io  concludo  per  questo  e  per 
l'altro  fatto  del  Winchester  qui  registrato,  e  per  la 
lunga  serie  degli  altri  eguali  o  simili,  che  conve- 
niente spiegazione  al  fenomeno  in  discorso  può  solo 
trovarsi  nelTammettere  rilevante  moto  di  massa  alla 
superfìcie  de'marosi,  ed  in  questi  casi,  anche  dove 
la  profondità  del  mare  permette  ad  essi  libero  svi- 
luppo per  ogni  verso. 


233 

3."  Passa  poi  la  Commissione  a  quel  fenomeno 
che  io  chiamo  fluito-corrente,  cioè  a  quel  trasporto 
che  ha  luogo  presso  il  lido,  ossia  quando  non  è  più 
libero  lo  sviluppo  inferiore  dell'onda.  —  Fenomeno 
da  tutti  ammesso  per  Vonda-marea  ,  la  quale  non 
può  negarsi  che  abbia  una  grande  analogìa  coU'onda 
del  vento  (pag.  63  a  67)  — ,  Ai  fatti  che  io  adduco 
in  proposito  la  Commissione  osserva,  che  alcuni  autori 
danno  di  essi  una  spiegazione  indipendente  dal  moto  di 
trasporto  della  massa  liquida;  il  che  è  vero  ,  epper-ò 
io  nella  pagina  71  ho  avvertito  le  diverse  cause  che 
possono  aver  parte  in  questo  trasporto,  ma  in  fine 
ho  dovuto  convincermi  che  esse  non  basterebbero 
nella  maggior  parte  de' casi  a  cagionare  la  perdita 
di  bastimenti  bene  provveduti  e  ben  comandati,  e 
quindi  ho  concluso  che  nelle  spiagge  sottili  anche 
a  piii  miglia  lontano  dalla  riva,  l'onda  non  ha  piìi  molo 
apparente  e  di  percussione  soltanto,  ma  benanche  di 
trasporto  progressivo  in  massa.  Ma  la  Commissione 
non  sembra  punto  persuasa  di  questa  mia  conclu- 
sione e  però  si  fa  a  chiedere  come,  aveìido  tutta 
Vacqua  moto  continuo  di  trasporto  verso  il  lido,  non 
inondi  e  il  lido  e  i  terreni,  e  poi  qui  pure  bisogne- 
rebbe trovare  Venorme  forza  che  sarebbe  mestieri  a 
mantenere  una  differenza  di  livello  alcun  poco  no- 
tabile. 

È  un  fatto  ben  noto  alla  Commissione  che  ap- 
pena il  tempo  sente  di  fuori  le  acque  nel  littorale 
si  empiono  ,  e  quando  il  vento  scende  ed  il  mare 
s'ingrossa,  queste  acque  sono  più  elevate  del  livello 
ordinario  in  qualunque  stato   della   marea  di  circa 


m 

0,"'50  nel  Tineno,  <li  l,"'0()  nell'Adriatico.  Questo 
fatto  non  potendo  essere  posto  in  dubbio,  dobbiamo 
convenire  che  la  forza  necessaria  per  produrlo  esista. 
QuelTalzamento  di  livello,  che  è  non  di  rado  mag- 
giore ancora  del  qui  indicato,  inonda  in  fatti  in  pro- 
porzione della  sua  altezza;  e  se  in  tempo  di  mas- 
sima marea  vi  ha  burrasca  prodoUa  da  venti  austra- 
li ....  le  strade  e  le  piazze  della  città  di  Venezia 
sono  inondate  (Marieni  pag.  2).  Ma  ammettendo  io 
nell'acqua  un  moto  continuato  di  trasporto,  il  quale 
può  avere  più  giorni  di  durata  ,  ò  duopo  rendere 
ragione  dell'  esito  di  questa  grande  massa  liquida. 
Dalle  mie  esperienze  e  da  quelle  altrui  io  ho  tro- 
vato che  quell'altezza  di  livello  premuta  dalla  sovra- 
incumbente  massa  di  acqua  proveniente  dal  punto 
ove  lo  sviluppo  inferiore  del  flutto  incontra  rea- 
zione noi  fondo  del  mare,  definisce  con  corrente  pa- 
ralella  alla  costa  piìi  o  meno  radente  o  veloce  se- 
condo la  direzione  e  potenza  de'  flutti,  perchè  alVim- 
peto  di  questi  è  dovuta  (pag.  70  e  71).  Ed  è  que- 
sta stessa  massa  di  acqua  in  moto  che  produce  non 
solo  il  trasporto  de'  bastimenti,  degli  arredi  da  pe- 
sca ec.  (pag.  67  a  75),  ma  puranco  tutti  gli  insab- 
biamenti da  me  registrati  dalla  pag.  118  alla  124. 
Se  i  fatti  sono  veri,  e  se  questi  ultimi  sono  indu- 
bitatamente prodotti  dai  flutti ,  ne  scende  necessa- 
ria conseguenza  che  la  massa  ondulante  componente 
il  flutto,  giunta  al  punto  della  reazione  del  fondo 
si  trasforma  in  corrente  ,  come  accade  nell'  onda 
marea  ,  tanto  più  vegeta  quanto  più  si  accosta  al 
lido  ,  e  quindi  quantunque  la  causa  del  trasporto 
degli  oggetti  compresi  nei   primi  fatti  non  si  pre- 


235 
senti  diiaramente  ai  nostri  sensi  quanto  quella  de- 
gli ultimi,  a  me  non  resta  dubbio  alcuno  che  co- 
testi eguali  effetti  non  siano  prodotti  dalla  stessa 
causa.  Le  lunghe  serie  di  fatti  da  me  ivi  raccolte 
potrebbero  essere  aumentate  ancora  ;  ma  io  spero 
che  dalla  Commissione  siano  ritenute  per  sufficienti 
in  uno  scritto  che  porta  il  titolo  di  Cenni. 

4.°  Entra  poi  la  Commissione  a  fare  delle  osser- 
vazioni nella  seconda  parte  del  mio  lavoro.  Dallo 
studio  dell'opera  del  Montanari  e  di  tutte  quelle  de- 
gli altri  autori  che  hanno  abbracciato  la  dottrina 
di  lui  ,  mi  sono  convinto  che  questa  dottrina  non 
ammette  che  i  flutti  smuovano  i  fondi  e  porlino  e 
tengano  ecc.,  ma  soltanto  che  smuovono  ed  intorbi- 
dano l'acqua.  11  portare  è,  per  il  Montanari  e  suoi 
seguaci  ,  devoluto  alla  corrente  littorale  ,  ed  il 
tenere  le  materie  smosse  è  appropriato  ai  flutti 
(pag.  100  e  101).  Quindi  il  fenomeno  del  traspor- 
to de'  materiali,  da  cui  dipendono  gl'insabbiamenti, 
viene  da  essi  attribuito  interamente  alla  sola  cor- 
rente ;  ninna  parte  vi  ha  il  flutto.  Questo  è  il 
punto  cardinale  della  questione  ,  questo  è  per  me 
il  difetto  di  quella  dottrina,  e  questo  è  quello  che 
ho  preso  a  confutare.  Sullo  smuovere  io  sono  con 
loro  ,  e  ,  come  era  mio  dovere  ,  ho  notalo  che  il 
Montanari  ammette  ai  flutti  una  tale  azione  (pag. 
101)  :  solo  diversifico  da  loro  nel  credere  che  i 
flutti  possano  smuovere  a  profondità  di  acqua  an- 
che cinquanta  volte  maggiore  di  quella  creduta  dal 
Montanari. 

Quello  che  io  ammetto   e  quel    che  io  escludo 
della  sua  dottrina,  è  per  me  una  convinzione  per- 


236 

fetta  ,  quinfli  spero  che  non  din  luogo  né  a  pochi 
nò  a  moki  dubbi,  da  parte  mia.  Anzi  niuna  teoria 
è  tanto  chiaramente  descritta  quanto  quella  del  Mon- 
tanari. E  chiarissimi  sono  nel  loro  (lire  anche  i  fau- 
tori di  quella,  ed  il  Venturoli  pel  primo  in  chiarezza 
ed  in  convinzione  di  quello  che  egli  sostiene.  Quindi 
il  fatto  di  questo  grande  idraulico  riferito  dalla  Com- 
missione non  mi  pare  che  possa  in  modo  alcuno 
inferire  nella  mia  proposizione.  Il  Venturoli  se  in 
Anzio  dava  nel  segno  ,  non  era  già  merito  della 
teoria  da  lui  sostenuta,  ma  sibbene  perchè  in  Anzio 
la  direzione  de'  venti  regnanti  è  quella  stessa  della 
corrente.  La  Commissione  m'insegna  che  per  veder 
bene  il  Venturoli,  bisogna  studiarlo  nell'Adriatico,  a 
Fano  per  esempio.  E  poi  non  è  egli  forse  che  ha  detto 
e  voluto  dimostrare,  che  i  materiali  sono  obbligati  ad 
avanzare  a  seconda  della  corrente  anche  in  tempo  di 
burrasca  qualunque  sia  la  direzione  del  vento  ?  Se 
questa  sentenza  da  me  riportata  (pag.  101)  si  legge 
veramente  neU'  opera  sua  ,  tutto  il  resto  non  può 
meritare  seria  trattazione  ,  perchè  egli  si  trova  in 
perfetta  opposizione  con  quel  che  io  asserisco;  men- 
tre egli  manda  i  materiali  a  sola  balìa  di  corrente 
anche  contro  la  violenza  de'  flutti,  io  all'  incontro 
ammetto  oltre  ai  trasporti  che  le  correnti  fanno  , 
anche  quelli  procedenti  a  seconda  de'  flutti,  e  questi 
prevalenti  a  quelli  delle  correnti  anche  in  direzione 
opposta  ad  esse. 

In  questa  breve  esposizione  niun'  altra  cosa  ho 
avuto  innanzi  allo  sguardo  se  non  il  debito  che  m'in- 
combe di  corrispondere  all'incarico  della  dotta  ed 


237 

erudita  Commissione,  alla  quale  ,  siccome  conosco 
con  quanta  amorevolezza  essa  ricerchi  e  favorisca  Io 
studio  dei  fenomeni  delia  natura,  così  stimo  far  cosa 
grata  partecipando  quel  poco  che  di  essi  fenomeni 
ho  potuto  intendere  nell'esercizio  dell'arte  mia. 

Homa  18  febbraio  1856. 

A.    ClALDI. 


238 


1.     II.     ISTITUTO    VliNI'TO    iJl    SCIENZE    LETTEIJE    EU    AllTl. 

RAPPORTO  SECOrSDO. 

Di  una  Memoria  del  Commendator  Cialdi  intorno  al 
molo  ondoso  del  mare  ed  alle  sue  correnti. 


Commissari  signori  ingegner  Casoni 
professor  Mimch  e  professor  Tuuazza  {rclalorc). 


N. 


I  eli 'adunanza  del  28  Gennaio  del  corrente  anno 
la  sottoscritta  Commissione  riferiva  a  questo  i.  r. 
Istituto  intorno  ad  una  memoria  del  Commenda- 
tore Cialdi  sul  moto  ondoso  del  mare  e  sulle  sue 
correnti  in  base  ad  un  manuscritto  inviato  dal  mede- 
simo Autore  a  questo  nostro  Istituto. 

Tributando  al  eh:'""  iVutore  quella  lode  che  ben 
meritavano  l'importanza  e  la  difficoltà  de'suoi  stu- 
dii,  la  molta  erudizione  largamente  sparsa  per  entro 
a  tutta  la  memoria,  e  i  notevoli  risultamenti  della 
lunga  e  sperimentata  sua  pratica,  la  Commissione 
però  non  potè  tacere  alcuni  dubbi  che  le  si  pre- 
sentarono nello  scorrere  questo  pregevolissimo  lavoro, 
mostrando  in  essi  il  suo  desiderio  di  vedere  viep- 
più illustrata  la  quistione  intorno  ad  alcuni  punti 
che   non  le  parvero  abbastanza  chiariti. 

Comunicato  il  voto  della  Commissione  al  chia- 
ris."'"  Autore,  volle  egli  tenere  gentilmente  l'invito 
inviando  all'Istituto  stesso  alcuni  suoi  cenni  a  dilu- 
cidazione maggiore  dell'  argomento  ,  non  che  un 
esemplare  della  memoria  già  stampala,  ma  non  resa 


I 


239 

poi  ancoia  di  pubblico  diritto,  e  nella  quale  ebbe 
la  vostra  Commissione  a  riscontrare  non  poche  e 
rilevanti  aggiunte  fatte  a  quel  primo  lavoro,  sul  quale 
eransi  allora  fermate  le  sue  osservazioni. 

Egli  è  per  corrispondere  alle  replicate  prove  di 
gentilezza  del  sig.  Commendator  Cialdi,  che  la  Com- 
missione ritorna  volentieri  sul  proprio  voto,  e  anche 
perchè  scorgendo  aver  egli  voluto  dare  talora  al 
voto  medesimo  quasi  un  senso  di  opposizione  più 
che  altro,  non  ha  creduto  opportuno  che  per  manco 
di  chiarezza  i  suoi  pensamenti  potessero  essere  fra- 
intesi, o  spinti  più  in  là  di  quel  segno  al  quale  la 
stessa  aveva  voluto  arrestarli. 

Che  se  la  Commissione  riputò  che  si  avessero 
dovuto  porre  in  maggior  lume  le  opinioni  emesse 
da  quelli  autori  che  per  essersi  exprofesso  occu- 
pati della  questione  meritano  anche  un  peso  nota- 
bilmente maggiore,  non  ha  voluto  di  ciò  dar  carico 
all'Autore,  non  era  questo  che  un  desiderio  piovo- 
cato  dalla  stessa  copia  di  erudizione  con  cui  egli 
illustra  questa  prima  parte  del  suo  lavoro;  né  volle 
per  certo  riputare  ciò  indispensabile  alla  retta  espo- 
sizione dei  pensamenti  dell'Autore. 

Così  pure  la  Commissione  non  poteva  negare, 
né  il  fece  ,  1'  azione  perturbatrice  del  vento  ,  e  la 
facoltà  d'imprimere  anche  in  alto  mare  un  propor- 
zionato moto  di  trasporto  alla  massa  liquida;  avvertì 
solo  che  il  trasporto  della  massa  liquida  per  l'azione 
del  vento  potrebbe  non  aver  sempre  per  misura  il 
cammino  percorso  dal  galleggiante,  e  dichiarò  che 
per  quanto  spetta  ai  fatti  recati  in  campo  dalfAu- 
tore  essa  si  riporta  ben  volentieri  al  suo   giudizio, 


240 

mostrandosi  egli  così  versato  specialmente  nella  pra- 
tica ,  da  cui  solo  si  devono  ripetere  i  dati  ,  onde 
accertare  il  quanto  d'una  stima  resa  cosi  difficile 
da  tante  e  svariatissime  circostanze. 

Se  nella  vicinanza  del  lido  la  Commissione  accennò 
ad  altre  spiegazioni  del  moto  di  trasporto  degli 
oggetti  indipendentemente  da  quello  della  massa 
liquida  ,  non  volle  con  ciò  impugnare  1'  opportu- 
nità della  spiegazione  data  dal  dottissimo  autore  ; 
e  se  chiedeva  ragione  del  non  accumularsi  dell'ac- 
qua alla  riva,  egli  era  perchè  reputa  la  stessa  che 
molti  fatti  si  spieghino  per  1'  azione  dei  venti  nel 
tenere  in  collo  1'  acqua  più  che  coli'  accordare  un 
reale  moto  di  trasporto  all'acqua  medesima;  e  nel 
mar  Rosso  fece  l'imarcare  che  il  livello  medio  ò 
eguale  a  quello  del  Mediterraneo  ,  e  che  la  diffe- 
renza fra  le  alte  e  basse  maree  è  dovuta  a  causa 
essenzialmente  diversa  da  quella  accennata  in  quel 
luogo  dall'autore;  accordando  qui  pure  pei  casi  ec- 
cezionali che  il  vento  tenga  in  collo  l'acqua  come 
nell'Adriatico  allo   spirare  dei  venti  del  Sud. 

In  quanto  al  trasporto  delle  materie  operato  dai 
flutti  ,  la  Commissione  si  trovò  indotta  dai  fatti 
recati  dall'  Autore  ad  accordarlo  ,  e  rese  la  dovuta 
lode  alla  cura  posta  dall'Autore  stesso  nella  ricerca 
di  questi  fatti;  il  che  ripete  ora  tanto  più  che  ri- 
scontrò questa  parte  del  suo  lavoro  specialmente  di 
molto  accresciuta  e  perfezionata;  solo  gli  parve  non 
abbastanza  chiarito  quello  che  si  deve  alle  correnti, 
ed  è  lieta  di  vedere  nello  stampato  che  1'  Autore 
ubbia  modificato  quel    passo    relativo    ad    un'opi- 


2U 

nione  del  Ventinoli  sul  porto  d'Anzio  avverlito  dalla 
stessa.  (*). 

La  Commissione  ha  creduto  suo  debito  di  por- 
gere queste  semplici  osservazioni  per  rispondere  essa 
pure  alla  cortesia  dimostratale  dall'Autore,  al  quale 
le  è  di  somma  compiacenza  il  poter  ripetere  quanto 
aveva  avuto  l'onore  di  dire  altra  volta  nel  suo  primo 
rapporto,  che  cioè  riconosce  il  lavoro  del  sig.  Com- 
mendatore Cialdi  meritevole  di  moltissima  lode  per 
la  vasta  sua  erudizione  ,  per  gì'  importantissimi  e 
svariati  fatti  in  esso  raccolti,  per  le  notevoli  osser- 
vazioni dovute  specialmente  alla  sua  lunga  e  dotta 
pratica,  per  gli  utili  ammaestramenti  che  se  ne  pos- 
sono trarre,  e  perchè  finalmente  non  potrà  a  meno 
di  non  essere  utilmente  consultato  da  chi  vorrà  in 
seguito  ritentare  un  tanto  arduo  problema. 

Letto  ed  approvato  nell'adunanza  del  17  agosto 
1856. 

II  S  egretario 

Namias. 

(*)  Spero  che  l'illustre  Relatore  mi  terrà  per  iscusato  se  dichiaro 
esser  egli  quivi  incorso  iii  equivoco,  o  che  io  mi  sia  male  spiegato. 
Il  Venturoli  in  tal  questione  è  tanto  lucido  che  veruno  avrebbe  mai 
potuto  scorgere  in  lui  altro  convincimento  se  non  quello,  che  j  (lutti 
non  hanno  mai  moto  di  trasporto,  e  che  la  corrente  è  il  solo  vei- 
colo di  trasporto  regolante  gl'insabbiamenti,  tanto  in  Anzio  quanto 
in  Fano,-  sebbene  la  direzione  della  corrente  sia  nel  verso  istesso 
nei  due  porti,  e  i  materiali  camminino  in  verso  opposto:  al  qiial 
convincimento  io  ho  inteso  sempre  di  oppormi. 


GA.T.CXLllL  16 


242 


Cenni  sul  molo  ondoso  del  mare 

e  sulle  correnti  di  esso. 
Del  comm.  Alessandro  Cialdi  (*). 

APPENDICE 

DOTTRINA  DEL  PALEOCAPA  SUL  PROTENDIMENTO  DELLE  SPIAGGE  — 
CONTRARIA  ALLA  MIA:  —  PROPOSIZIONI  DI  LUI  —  FATTI  CHE  LE 
CONTRADDICONO.  —  SUO  GIUDIZIO  PER  DIFENDERE  DAGL'  INSAD- 
BIAMENTI  UN  PORTO  NEL  GOLFO  DI  PELUSIO. —  PERCHÈ,  PARTENDO 
DA  OPPOSTI  PRINCIPI,  CI  TROVIAMO  QUIVI  DACCORDO.  —  PRO- 
POSTA DI  NUOVO  ESPEDIENTE  PER  RITARDARE  NOTARILMENTE  I 
NOCIVI    EFFETTI   DELLE   SABBIE. 


A 


compimento  del  quadro  degli  autori  che  hanno 
pubblicato  le  idee  loro  sul  moto  ondoso  del  mare 
e  sulle  correnti  di  esso,  io  desiderava  di  registrare 
i  nomi  di  P.  Paleocapa  e  di  G.  Ponzi. 

Nel  corso  della  stampa  del  mio  lavoro,  il  Ponzi 
fece  di  pubblica  ragione  il  risultamento  de'suoi  studi 
sull'argomento  medesimo,  ed  io  ne  feci  tesoro;  ma 
non  ebbi  la  stessa  sorte  riguardo  al  Paleocapa 
circa  alle  sue  Considerazioni  sid  protendimento  delle 
spiagge  e  siilV  insablfiamento  dei  poni  deW Adria- 
tico applicate  allo  stabilimento  di  un  porto  nella 
rada  di  Pelusio  ;  dappoiché  ,  pubblicate  esse  in 
Torino  nel  giugno  di  quest'anno  1856,  non  pote- 
rono giungere  a  mia  cognizione    se  non  quando  la 


(*)  Si  veda  il  Volume  CXXXIII  di  questo  Giornale. 


243 

stampa  del  mio  lavoro  era  già  da  qualche  mese 
ultimata.  Se  mi  giovai  adunque  delle  osservazioni 
del  Ponzi  favorevoli  al  mio  intento,  crederei  ora  di 
mancare  al  rispetto  dovuto  ad  una  autorità  meri- 
tamente tanto  celebre  quanto  è  quella  del  Paleo- 
capa ,  passando  sotto  silenzio  lo  scritto  di  lui  ,  il 
quale  contraddice  le  due  principali  proposizioni  che 
servono  di  base  a  quasi  tutto  l'edificio  da  me  inal- 
zato. Egli  è  perciò  ,  che  con  questa  breve  appen- 
dice intendo  di  pagare  un  debito  di  riverenza,  e  di 
soddisfare  insieme  all'esigenze  della  scienza. 

Il  professor  Paleocapa  ,  uno  di  quei  rari  inge- 
gni che  onorevolmente  continuano  la  catena  degli 
idraulici  italiani,  maestri  di  color  che  sanno,  nel  suo 
grave  ed  aureo  scritto  di  sopra  annunziato  crede  an- 
cora causa  principale  degl'  insabbiamenti  de'  porti 
e  de'  lidi  del  nostro  mare  la  corrente  del  Montanari, 
e  spiega  la  direzione  delle  foci  in  mare  colla  me- 
desima teorìa  dettata  da  questo  distinto  astrono- 
mo (*).  Che  se  egli,  il  Paleocapa,  ammette  come 
causa  efficiente  le  onde  marine  in  quel  lavorìo  , 
stabilisce  però  questa  causa  come  secondaria  e  come 
conseguenza  della  prima,  cioè  della  corrente.  Io  adun- 
que credo  e  sostengo  precisamente  l'opposto  di  quel 


(*)  Il  trattato  del  mare  Adriatico  e  sua  corrente  fu  licitato  in 
due  lettere  dirette  al  cardinale  Basadoiina  nel  1684,  ma  non  fu 
pubblicato  la  prima  volta  che  nel  1715,  come  opera  postuma  per- 
chè il  Montanari  morì  nel  1687.  Se  il  dotto  autore  della  troppo 
celebrata  teorìa  contenuta  in  quel  trattato,  avesse  vissuto  pili  lun- 
gamente ,  io  inclino  a  credere  ctie  egli  1'  avrebbe  abbandonata  o 
almeno  notevolmente  modilicata.  F^ui  vivente  mi  pare  che  non  sa 
rebbc  stata  pubblicata  come  egli   la  scrisse. 


2i4 

che  creJe  e  sostiene  il  suddetto  illustre  pro- 
fessore, e  perciò  trasandando  le  proteste  sulla  gra- 
vità dell'assunto  di  cui  sono  pur  troppo  penetrato, 
mi  linniterò  solo  a  dilucidare  quei  fatti  che  mi  con-^ 
fermano  nel  mio  contrario  convincimento. 

Dice  ir  Paleocapa  che  sui  lidi  veneti,  ove  la  cor- 
rente litorale  fa  osservata  e  studiata  ne'  suoi  effetti 
con  grande  accuratezza  fino  dalla  metà  del  sec.  XV!, 
cioè  tre  secoli  fa,  non  meno  che  sui  lidi  delle  Lega- 
zioni pontifìcie  ,  si  è  giudicato  ,  che  ove  non  sia  nò 
contrariata,  nò  favorita  dai  venti  o  dalle  maree,  essa 
possa  ritenersi  dai  sei  agli  otto  chilometri  al  giorno. 
Dice,  che  furono  anche  fatte  osservazioni  replicate  sulla 
profondità  a  cui  essa  agisce,  e  parve  potersi  stabilire 
che  a  mare  tranquillo  essa  cessi  di  avere  azione  sol- 
tanto a  sette  od  otto  metri  sotto  la  superficie  delle 
acque.  Io  sono  interamente  d'accordo  con  lui  sulla 
velocità  e  sulla  profondità  cui  giunge  l'azione  di  detta 
corrente  nel  lido  in  discorso  (p.  110);  ma  non  posso 
con  lui  convenire  che  gli  effetti  di  essa  siano  poi 
tanto  rimarchevoli  ed  evidenti  sul  movimento  e  tra- 
sporto delle  alluvioni,  in  guisa  che  quel  grande  avan- 
zarsi della  costa  settentrionale  ed  occidentale  deWA- 
driatico  non  limitatamente  ai  punti  dove  sboccano  i 
fiumi,  ma  su  lutto  il  suo  sviluppo,  debbasi  indubita- 
tamente attribuire  alla  corrente  litorale;  che  le  lame 
di  fondo  traversino,  ma  non  interrompano  la  detta  cor- 
rente di  modo  che  essa  col  suo  molo  continuo  tra- 
scini seco  di  porlo  in  porto  le  sollevate  materie;  che 
/'  efficacia  della  slessa  corrente,  nel  far  avanzare  la 
spiaggia  colle  sabbie  che  essa  trascina,  sia  maggiore 
di  quella  che  abbiano  le  onde  col  sollevai'  dal  mare 


245 

le  sabbie  medesime'^  in  una  parola  che  la  ripetuta  cor- 
rente produca  la  crescente  estenzione  della  costa  nel 
suo  giro  continuato  intorno  all'Adriatico,  mentre  le 
lame  di  fondo  non  vi  prendano  parte  che  come  causa 
secondaria  e  meno  efficace. 

Se  il  mio  contrario  avviso  fosse  stato  basato 
sopra  un'opinione  mia  ,  o  anche  d'  altrui ,  io  non 
avrei  esitato  un  momento  ad  abbracciarele  proposizio- 
ni di  un'autorità  così  meritamente  celebre  comeèquella 
del  commendator  Paleocapa,  ma  esso  poggia  sopra 
fatti  e  tali  che  non  mi  permettono  in  verun  modo  di 
transigere.  Potrei  contentarmi  di  citare  in  mio  so- 
stegno la  Seconda  Parie  di  questa  scrittura,  e  più 
specialmente  quanto  in  essa  ho  raccolto  dalla  p. 
110  a  127.  Tuttavia  a  maggiore  schiarimento  del- 
l'accennato alla  pag.  121  tornerò  qui  sull'argomento 
dell'uso  degli  speroni  o  guardiani  e  su  gli  effetti  loro. 
L'effetto  e  l'  uso  di  questi  ripari  praticati  dai  ve- 
neziani per  opporsi  al  progresso  dello  scanno  che 
minacciava  di  ostruire  il  porto  di  Malamocco,  con- 
frontato con  l'effetto  e  V  uso  de'ripari  stessi  prati- 
cati dai  pontifici  per  difendere  i  porti  loro,  è  con- 
cludentissimo  paragone  per  dedurre  la  vera  precipua 
causa  degl'  insabbiamenti.  —  11  mare  Adriatico,  che 
fu  culla  all'  ingegnosa  dottrina  del  Montanari,  si  pre- 
sta quanto  ogni  altro  mare,  e  pili  ancora  degli  al- 
tri, per  darle  tomba — . 

I  suddetti  guardiani  o  speroni  nel  littorale  ve- 
neto ed  in  quello  pontificio  sono  usati,  sia  come  ar- 
mature de'  porti-canali,  sia  come  ripari  avanzati  , 
per  difender  dai  materiali  ostruttivi  quei  porti  stessi. 
Noi  abbiamo  per  fatto  certo  cinque  cose: 


246 

1."  che  la  corrente  del  Montanari  costeggia  sulla 
spiaggia  veneta  e  su  quella  pontifìcia  da  sinistra  a 
destra,  guardando  il  mare; 

2."  che  la  detta  corrente  ha  eguale  velocità  nelle 
due  spiagge,  cioè  dal  capo  Sdobba  a  Sinigaglia; 

3."  che  de'  fiumi  torbidi  scaricano  a  monte  dei 
porti  veneti  e  de'porti   pontifici; 

4."  che  le  dighe  più  protratte  nel  veneto,  e  gli 
speroni  colà  costruiti,  sono  dalla  sinistra  de'porti  , 
e  gli  speroni  e  le  dighe  più  protratte  nel  pontificio 
sono  dalla  destra  de'suoi  porti; 

5."  finalmente  che  i  guardiani  lungo  il  lido  ve- 
neto accumulano  molla  più  sabbia  a  monte  ,  cioè 
dalla  sinistra,  che  a  valle,  e  quelli  lungo  il  lido  pon- 
tificio accumulano  molte  più  sabbie  ed  altri  mate- 
riali a  valle,  cioè  dalla  destra,  che  a  monte. 

Ora,  come  è  che  gl'insabbiamenti,  ossiano  le  mag- 
giori protrazioni  della  spiaggia,  si  verificano  nei  guar- 
diani veneti  dalla  sinistra  di  essi  ed  in  quelli  ponti- 
fici dalla  destra  loro  ?  Se  la  corrente  radente  fosse 
l'artefice  principale  di  quegli  accumulamenti,  essi  do- 
vrebbero essere  tutti  dalla  sinistra  degli  ostacoli  , 
perchè  la  ripetuta  corrente,  non  avendo  che  uguale 
direzione  e  velocità  su  tutto  il  littorale  preso  ad  e- 
same,  non  può  produrre  che  eguale  effetto.  Dunque 
un'altra  deve  essere  la  causa  di  siffatta  differenza 
d'  insabbiamenti;  e  questa  è  il  moto  ondoso.  Vedia- 
molo, partendo  dai  guardiani  veneti. 

Il  sud-est ,  vento  regnante  nel  golfo  Adriatico , 
batte  normalmente  il  lido  veneto;  dunque  i  flutti  di 
questo  vento  non  possono  produrre  che  eguale  ac- 
cumulamento di  materiali  dai  due  lati  di  quei  guar- 


247 

diani  piantati  perpendicolarmente  a  quel  lido.  II  vento 
dominante  nello  stesso  lido  è  il  Bora,  cioè  il  vento 
che  soffia  da  nord-est  ,  ossia  da  sinistra  di  detti 
guardiani;  dunque  da  questa  parte  dovrebb'  essere 
l'accumulamento  maggiore  se  il  moto  ondoso  lo  pro- 
ducesse; e  precisamente  da  questa  parte  esso  esiste. 
Veniamo  al  lido  pontificio. 

Il  vento  dominante  e  di  traversìa  in  questo  lido 
è  il  nord-est;  dunque  i  flutti  di  questo  vento,  scen- 
dendo nella  direzione  perpendicolare  al  lido  ponti- 
ficio non  possono  che  produrre  eguale  insabbiamento 
dai  due  lati  di  quei  guardiani  che  sono  normali  ad 
esso  lido.  I  regnanti  sciroccali  (  che  abbracciano 
da  est  a  sud-est  )  soffiano  da  destra  a  sinistra  di 
questi  guardiani;  dunque  l'accumulamento  maggiore 
delle  sabbie  o  di  altri  materiali  dovrebbe  essere  dalla 
destra  di  essi  ;  e  precisamente  dalla  destra  di  essi 
si  trova,  quantunque  la  corrente  littorale  quivi  cam  - 
mini  da  sinistra  a  destra. 

Nello  scorso  maggio  io  ebbi  l'onore  di  prender 
parte  coli'  illustre  ispettor  emerito  cav.  Maurizio 
Brighenti  alla  visita  del  porto-canale  di  Pesaro  gran- 
demente danneggiato  da  due  straordinarie  piene  del- 
l' Isauro,  con  lo  scopo  di  proporre,  egli  per  il  go- 
verno ed  io  per  la  magistratura,  quei  provvedimenti 
che  meglio  convenissero  per  porre  sostanziale  ri- 
medio ai  sofferti  danni. 

Nei  nostri  studi  avemmo  occasione  di  avvertire 
che  l'armatura,  ossia  le  dighe,  di  detto  porto  da  oltre 
due  secoli  non  era  stata  protratta;  mentre  in  Rimini, 
in  Cesenatico,  in  Ravenna  eccetera  si  era  reso  necessa- 
rio ogni  venti  o  trenta  anni  un  prolungamento  delle 


248 
loro  dighe.  Egli  è  vero  che  presso  Pcsai'o  la  spiag- 
gia cammina  meno  che  lungo  il  littorale  delle  so- 
pra notate  città;  ma  non  pertanto,  calcolato  il  nor- 
male progredimento  della  spiaggia  nel  lido  pesarese, 
si  trovò  che  le  dighe  di  quel  porto  avrebbero  do- 
vuto essere  state  protratte  almeno  di  sessanta 
metri  in  quel  periodo  di  tempo  per  camminare  di 
pari  passo  coli'  accrescimento  della  spiaggia,  e,  ri- 
cercata la  cagione  di  questo  tralasciamento  nelle 
adiacenze  del  porto,  la  si  trovò  facilmente,  perchè 
fu  veduto  che  in  luogo  di  prolungare  le  dighe  erano 
stati  prolungati  alcuni  guardiani  o  speroni  che  tro- 
vansi  a  destra  di  quel  porto.  Ed  ecco  i  fatti. 

Dalle  dotte  Memorie  del  porto  di  Pesaro  di  An- 
nibale degli  Abati  Olivieri-Giordani  (*)  e  dalle  cro- 
nache municipali  si  rileva,  che  l'antica  foce  navi- 
gabile era  prima  al  Vaccarile,  cioè  2800  metri  a 
destra  del  presente  porto,  ove  ora  esiste  un  guar- 
diano che  vi  si  è  sempre  mantenuto'  e  si  mantiene 
lungo  metri  62  nella  parte  interamente  scoperta, ed  ha 
altri  metri  30  visibili  in  alcuni  punti  ed  il  di  più 
sepolti  sotto  la  sabbia.  Di  poi  fu  quella  foce  traslocata 
a  metri  1850  verso  sinistra  di  quel  riparo,  cioè  ove 
ora  è  il  guardiano  di  Porta-sale,  presentemente  im- 
merso nell'acqua  per  la  lunghezza  di  67  metri,  e, 
per  quanto  può  scorgersi,  metri  28  circa  interrato: 
finalmente  nel  1614,  ove  la  si  trova  attualmente. 
Questi  guardiani  o  ripari  si  sono  per  regola  man- 
tenuti e  prolungati  nei  tempi  passati,  ed  hanno  essi 
fatto  l'opera  de'  prolungamenti  che    sarebbero  oc- 

n  Pesaro   1774. 


•249 
corsi  ai  due  moli  della  foce  presente,  arrestando  i 
materiali  che  i  venti  regnanti,  cioè  di  destra, portano 
verso  maestro,  come  accade  lungo  la  spiaggia  pon- 
tificia. Ne  questo  effetto,  essendo  costante  (dicevamo 
col  Brighenti),  può  dar  luogo  ad  alcun  dubbio.  Ep- 
però  deplorammo  che  il  guardiano  di  Porta- sale 
fosse  stato  accorciato  di  25  metri  non  sono  molti 
anni,  siccome  ci  fu  concordemente  asserito. 

Non  fa  mestieri  l'avvertire  che  i  sopra  due  no- 
minati guardiani  essendo  a  destra  del  porto  di  Pe- 
saro ,  e  rattenendo  i  materiali  che  provengono  da 
destra,  in  guisa  che  la  spiaggia  da  questa  parte  dei 
guardiani  è  più  protratta  di  quella  a  sinistra  di  circa 
35  metri,  confermano  quanto  io  ho  detto  sull'uso  e 
suH'efPetto  di  queste  opere  di  difesa. 

Dunque  non  può  porsi  in  dubbio  che  il  molo 
ondoso  abbia  la  maggiore  azione  nel  produrre  o  nel 
disporre  gì'  insabbiamenti  in  discorso,  e  che  li  pro- 
duca più  estesi  di  quelli  prodotti  dalla  corrente  lit- 
torale,  anche  ove  la  direzione  di  questa  è  contraria 
alla  direzione  di  quel  moto.  Dunque  per  questi  fatti 
e  per  i  tanti  altri  raccolti  nella  scrittura  mia  ,  non 
può  non  ammettersi  che  i  flutti  siano  la  causa  prin- 
cipale degl'  insabbiamenti  de'lidi  e  de'porti. 

11  disaccordo  mio  coli'  illustre  professor  Paleo- 
capa verte  anche  sul  determinare  la  profondità  fino 
alla  quale  l'azione  delle  onde  è  veramente  attiva. 

Egli  dopo  di  avere  più  volte  ripetuto  in  genere 
che  le  onde  non  agiscono  sulle  grandi  profondità,  ma 
solo  sulle  spiagge  basse  e  dolcemente  inclinale,  dice  poi 
in  i specie  che  ripetute  osservazioni  hanno  provato  che 
la  corrente  litorale  agisce  sino    alla  profondità  di  7 


250 

od  8  metri,  cioè  a  profondità  maff^iore  di  quella  a 
cui  hanno  azione  efficace  le  onde  del  mare  sotto  la 
sua  superficie.  Dunque,  secondo  lui,  l'azione  efficace 
delle  onde  cesserebbe  quando  la  profondità  dell'ac- 
qua oltrepassa  i  sei  metri.  E  perchè  la  voce  efficace 
potrebbe  lasciar  dubbio  sulla  potenza  attribuita  dal 
nostro  autore  alle  onde  di  fronte  alla  qualità  de'ma- 
teriali  sottoposti  alla  loro  azione,  debbo  notare  che 
ei  parla  di  spiagge  di  sabbia,  poco  ^irofonde  e  dol- 
cemente inclinale,  e  che  solo  ove  verificansi  queste 
condizioni  dà  alle  onde  potente  azione  di  sollevare 
le  materie  e  gettarle  contro  la  costa;  concedendo  con 
questo  secondo  effetto  un  trasporto  nelle  onde  non 
avvertito  dal  Montanari.  Ma  se  sono  veri  i  fatti  da 
me  riuniti  dalla  p.  79,  alla  87,  è  vero  ancora  che 
io  mi  trovo  dalla  parte  della  ragione. 

Se  è  vero  che  nell'Oceano  a  200  metri  di  pro- 
fondità le  onde  hanno  efficacia  d' intorbidare  1'  ac- 
qua sino  alla  superficie,  e  per  l'urto  dato  nel  sot- 
toposto banco  di  rendersi  notabilmente  moleste  ai 
naviganti  (p.  85)  ;  se  nello  stesso  mare  in  34  me- 
tri di  fondo  di  acqua  si  frangono  (p.  84)  ;  se  nel 
Tirreno  bisogna  scendere  a  45  metri  di  profondità 
perchè  gli  arredi  da  pesca  non  siano  dalle  onde  in- 
franti 0  dispersi  (p.  82);  se  nello  stesso  mare  col- 
r  agitarsi  le  acque  s'  intorbidano  a  piiì  miglia  lungi 
dalla  spiaggia,  e  i  bastimenti  del  piii  alto  bordo  ri- 
cevono sopra  coperta  de'marosi  pregni  di  sabbia  pas- 
sando sopra  banchi  giacenti  a  23  metri  sotto  la 
superfìcie  (pag-  81);  se  nel  mare  Libico  nei  fondi 
di  12  metri  le  onde  non  solo  muovono  il  fondo  , 
ma  scalzano  le  àncore  (p.  61);  se    alla  stessa  prò- 


251 

fonililà  si  frangono  (p.  100);  finalmente,  se  nell'A- 
di'iatico,  mare  in  cui  1'  illustre  autore  più  special- 
mente ha  dirette  le  sue  investigazioni,  le  onde  ove 
incontrino  fondi  di  20  metri  si  rendono  più  corte, 
più  frequenti  e  recano  gran  travaglio  ai  navigli  (p. 
61);  e  se  nello  stesso  mare  si  frangono  a  10  e  più 
metri  (p.  100);  io  per  verità  non  posso  convenire 
che  nell'Adriatico,  ed  anche  nel  mare  Libico,  le  onde 
nelle  spiagge  di  oltre  sei  o  sette  metri  di  profon- 
dità di  acqua  non  abbiano  più  efficacia  di  sollevare 
e  trasportare  le  sabbie. 

In  questi  mari,  cioè    italiano  ed  egiziano,  per- 
chè le  teste  delle  dighe  non  fossero  sotto  1'  influenza 
di  minuti  materiali  smossi  dai  flutti  nella  direzione 
di  fuori  verso  terra,  bisognerebbe  che  s'inoltrassero 
in  una    profondità  otto  o  dieci   volte    maggiore  di 
quella  in  cui  il  Paleocapa  crede  che  cessi  l'azione 
efficace  per  ismuovere  e  trasportare  le  sabbie.  Ma  è 
d'avvertire  che  per  i   materiali  provenienti  dai  lati 
delle  dighe,  quanto  più  queste  saranno  lunghe,  tanto 
più  sarà  alterata  la  naturale  indole  del  lido,  e  tanto 
più  vasta  massa  di    materie  si  accumulerà   a  collo 
di  esse,  ed  empito  il  bacino  traboccherà.  11  fatto  di 
quel  fondo  di  acqua  di  metri  8,  50  circa  che  si  a- 
veva  alla  punta  della  diga  di  Malamocco  quando  la 
gettata  fu  incominciata,  ed  aumentato  fin  a  12  e  13 
metri  dopo  compiuta  la  diga,  può  aversi  come  un' 
altra  prova  che  a  questa   profondità  i  flutti  hanno 
avuto  efficacia  di  zappare  e    torre  via    quelle  sab- 
bie, le  quali  saranno  però  surrogate  da  altre,  quando 
sarà  più  inoltrato  in  mare  quell'  accumulamento  di 
sabbie  prodottosi  a  sopravvento  nell'angolo  formato 


252 
dalla  lunghezza  della  diga  stessa  colla  spiaggia  ove 
vi  si  sono  già  accumulale  in  gran  copia,  di  modo 
che  una  notevole  parte  di  essa  diga  è  fin  da  ora 
tiilla  sepolta  denti''  esse  anche  dove  erari  profondità 
di  cinque  a  sei,  e  fin  nove  metri. 

Ma,  dunque,  tutto  quello  che  il  Paleocapa  dice 
sugi'  insabbiamenti  futuri  al  nuovo  porto  proposto 
nel  golfo  di  Pelusio  non  regge?  S\,  regge  benissimo, 
e  sarà  saggio  partito  attenersi  ai  consigli  di  lui  ; 
perchè  in  quel  lido  la  corrente  littorale  ed  i  flutti 
regnanti  agiscono  nella  medesima  direzione,  cioè  da 
sinistra  a  destra.  Ivi  il  Paleocapa  ben  dice  ,  come 
ben  diceva  il  Venturoli  parlando  de'  rimedi  per  di- 
fendere il  porto  Innocenziano  in  Anzio.  Egli  si  tro'- 
verebbe  in  contraddizione  con  i  fatti  se,  basandosi 
sulla  sua  teoria,  proponesse  ripari  ai  porti  pontifici 
nell'Adriatico  ,  come  precisamente  mal  si  apponeva 
il  Venturoli  quando  cercava  di  provvedere  ai  difetti 
del  porto  di  Fano  (*);  perchè  anche  questo  grande 
idraulico  ,  basato  come  il  Paleocapa  sulla  erronea 
dottrina  del  Montanari,  proponeva  di  difendersi  dalla 
corrente  e  non  dai  flutti,  e  siccome  colà  i  flutti 
hanno  direzione  opposta  alla  corrente,  così  egli,  non 
più  favorito  dal  caso,  come  in  Anzio,  lasciava  indi- 
feso il    porto  dalla  parte  onde  veniva   il  nemico. 

Quello  che  accaderà  in  Pelusio,  secondo  la  mia 
opinione,  è  un  accumulamento  di  sabbia  a  collo  alla 
diga  occidentale  pili  sollecito  e  piìi  generale  di 
quello  che  crede   il  Paleocapa  ;  ma  ciò  non   potrà 


(*)  Parere  sulla  riabilitazianc  del  porlo  di  Fano  (Esprcitazioui 
agrarie  ilell'Accad.  di   Pesaro,  anno  XI,  seni.  1). 


253 

cagionare  che  il  bisogno  nìeno  tardo  di  protrarre 
detta  diga;  bisogno  largamente  però  sempre  com- 
pensato dall'utile  sommo  che  senza  dubbio  produr 
deve  quella  umanitaria,  commerciale  e  non  mai  ab- 
bastanza lodata  opera  del  taglio  dell'  istmo  di 
Suez  efficacemente  ravvivata  dall'  illustre  signor  di 
Lesseps  sotto  gli  auspici  di  S.  A,  il  Viceré  di  Egitto, 
principe  fautor  sommo  d'ogni  progresso  di  civiltà. 
Anche  a  questa  grande  opera  può  applicarsi  la  senten- 
za che  il  Paleocapaha  pronunciata peralcuni altri  porti 
cioè:  «  Che  non  conviene  però  conchiudere  che  un 
porto  artificiale  possa  mai  sulle  spiagge  d'alluvione 
dell'  Adriatico  stabilirsi  in  guisa  che  non  abbia  a 
richiedere  diligenti  e  continue  cure  per  conservarlo, 
ma  che  si  può  riuscire  a  rendere  i  lavori  e  le  spese 
di  manutenzione  moderate  e  laì^gamenle  compensate 
dalla  utilità  del  porto  )) . 

A  ritardare  di  molto  quell'  accumulamento  da 
me  prognosticato  alla  diga  occidentale,  ad  ottenere 
assai  pili  tardo  il  cattivo  effetto  che  esso  produr- 
rebbe ,  e  per  1'  uno  e  l'  altro  beneticio  rendere  di 
gran  lunga  più  utile  1'  ultima  parte  della  sentenza 
del  Paleocapa,  mi  fo  lecito  proporre  quattro  prov- 
vedimenti. 

Il  primo,  già  manifestato  dal  Paleocapa,  è  quello 
di  portare  piij  verso  oriente  lo  sbocco  nel  Medi- 
terraneo del  canale  di  congfunzione  de'  due  mari, 
trovando  un  punto  che  ,  senza  mettere  in  condi-- 
zioni  troppo  gravi  1'  esecuzione  del  detto  canale  , 
offra  una  maggiore  facilità  di  stabilirvi  e  conser- 
varvi un  buon  porto  ;  perchè  a  maggior  distanza 
dal  !Silo  si  sarà  meno  incomodati  dagli  scarichi  de' 


254 

materiali  che  esso  convoglia  al  mare,  e  perchè  ad 
una  tal  maggior  distanza  la  spiaggia  subacquea  sarà 
forse  meno  estesa  ,  e  quindi  si  potrà  raggiungere 
la  necessaria  profondità  di  acqua  con  una  diga  oc- 
cidentale molto  meno  lunga,  ed  in  proporzione  si 
potrà  diminuire  anche  l'altra  piìi  breve  diga  orien- 
tale e  rendere  meno  costoso  lo  scavamento  del  porto 
e  più  facile   la  sua  conservazione. 

Il  secondo  ,  quando  dagli  studi  locali  risultas- 
sero gravi  difficoltà  per  il  conseguimento  del  primo, 
io  mi  atterrei  al  giudizio  già  pronunciato  dalla  dotta 
ed  erudita  Commissione  scientifica  internazionale  pel 
canale  di  Suez,  cioè  costruire  il  porto  a  ventotto 
chilometri  circa  a  nord-ouest  della  baia  di    Tineh. 

Il  terzo  è  quello  di  spiccare  dalla  spiaggia  degli 
speroni  a  sinistra  del  porto,  cioè  dalla  parte  occi- 
dentale di  esso. 

Il  quarto  in  fine  sarebbe  quello  di  praticare  l'e- 
spediente da  me  proposto  per  il  nuovo  porto  di  Pe- 
saro; espediente  che  venne  abbracciato  dal  profes- 
sor Brighenti  ,  e  dall'  eccelso  Consiglio  di  arte  in 
Roma  approvato.  Ecco  in  che  consiste.  Il  bisogno 
del  commercio  richiede  9  o  10  metri  di  acqua  alla 
bocca  del  canale  del  nuovo  porlo  egiziano.  Or  bene: 
posto  p.  es.,  che  per  avere  il  suddetto  fondo  la  lun- 
ghezza da  darsi  alla  maggiore  diga,  cioè  quella  occi- 
dentale, sia  di  duemila  seicento  metri;  e  posto  an- 
cora che  essa  sia  diretta  in  guisa  che  la  bocca  del 
canale  sia  coperta  dai  venti  regnanti  e  dai  dominanti, 
come  è  di  pratica:  io  farei  in  modo  che  essa  diga 
occidentale,  cioè  quella  a  sopravvento,  avesse  2000 
metri  di  lunghezza,  e  quella  orientale,  cioè  di  sot- 


255 
to vento  1200.  Nello  stesso  andamento  della  dì^n 
occidentale,  come  se  fosse  una  continuazione  della 
diga  stessa,  alla  distanza  di  quattrocento  metri  io 
partirei  con  una  protrazione  o  diga  isolata  della  lun- 
ghezza di.  metri  600;  cosicché  la  testata  più  fuori  in 
mare  di  questo  tratto  di  diga  si  troverebbe  distante 
dalla  riva  come  se  l'intera  diga  fosse  di  metri  3000, 
mentre  in  realtà  il  manufatto  di  essa  non  sarebbe  che 
di  2600.  Preterirei  nelle  dighe  la  linea  di  dolce 
curva  alla  retta. 

Nella  testata  della  diga  occidentale,  cioè  a  2000 
metri  dalla  riva,  innesterei  un  braccio  che,  quasi  pa- 
rallelamente alla  riva  stessa,  si  dirigesse  verso  occi- 
dente per  la  lunghezza  di  tre  a  quattrocento    metri. 


25G 

La  proposta  diga  isolata,  guadagnando  un  fondo 
di  acqua  maggiore  di  quello  che  si  otterrebbe  con  una 
diga  non  interiotta  di  2600  metri,  e  formando  una 
rada  di  ricovero  coperta  dai  venti  più  nocivi,  farà 
risparmiare  il  molo  o  antemurale  di  450  a  500 
metri  ,  proposto  innanzi  alla  bocca  del  porto  per 
servire  di  rifugio  alle  navi  nei  cattivi  tempi  (*).  Ma 
non  è  questo  il  solo  beneficio  che  produrrebbe  il 
progettato  espediente  ,  che  allora  sarebbe  per  la 
spesa  una  economìa  poco  notevole. 

Due  sono  i  benefìci  che  io  credo  possano  meri- 
tare considerazione: 

1.°  La  proposta  diga  isolata  essendo  nello  stesso 
andamento  di  quella  occidentale,  trovasi  naturalmente 
sulla  linea  di  prolungamento  che  in  avvenire  possa 
essere  necessario  di  dare  alle  due  dighe  che  costi- 
tuiscono il  porto-canale,  mentre  l'antemurale,  o  mo- 
lo, che  venne  proposto  innanzi  alla  bocca  di  detto 
porto  sbarrerebbe  il  canale,  quando  queste  due  di- 
ghe dovranno  essere  protratte  per  riconquistare  il 
perduto  fondo  di  acqua; 

y."  Colla  diga  isolata  si  avrebbe  una  apertura  di 
400  metri  fra  il  piede  di  questa  diga  e  la  testa  di 
quella  occidentale,  la  quale  apertura  produrrebbe,  a 
mio  avviso,  rilevanti  vantaggi  se  non  fosse  minore 
di  400  metri  per  le  seguenti  riflessioni; 

a.  Si  otterrebbe  colla  diga  isolata  un  utile  fondo 
di  acqua  con  la  minima  spesa  possibile; 

b.  i  materiali  convogliati  fuori  del  canale  in 
forza  della  proposta  chiusa  di  scarico,  o  per  il  giuoco 
delle  maree  che  si  può  con  arte  stabilir  notabile 
nella  uscita  dal  canale,  non  giungerebbero  a  deposi  taisi 
a   ridosso  delia   protrazione  isolata; 


(*)  Si  veda,  noli'  nlilissima  raccoMa  ili  Memorie  e  documenti 
sulCaperlura  e  canalizzazione  delClsimo  di  Suez  compilata  e  volta 
in  noslra  lingua  il.il  chiarissimo  prolessor  Ugo  Caliiidri,  il  dolio 
ed  elaboralo  progetto  Linant-Mougel.  Torino  1856  pag.   107. 


257 

e.  11  mare  potrebbe  libeiamenle  spazzare  quelli 
che  si  dcpositassei'o  innanzi  o  prossimi  alla  bocca 
del  porto-canale; 

d.  Il  flutto-corrente  sviluppato  dalle  onde  di  si- 
nistra, aggiunto  alla  corrente  radente  che  nella  stessa 
direzione  cammina,  non  avrebbe  soverchia  velocità, 
e  r  urto  de'  flutti  fra  loro  non  incomoderebbe  di 
troppo  l'entrata  dei  bastimenti  nei  porto-canale; 

e.  Si  acquisterebbe  una  comoda  bocca  per  1' 
approdo  e  la  partenza  de'  legni  col  maggior  nu- 
mero possibile  de'  rombi  di  vento; 

/'.  Che  se  infine  dall'esperienza  venisse  dimostrata 
più  utile  una  minor  larghezza  a  detta  apertura,  fa- 
cile cosa  sarebbe  il  ristringerla  ,  e  senza  verun  in- 
conveniente, perchè  la  proposta  diga  isolata  è  nella 
stessa  direzione  della  diga  principale  (*). 

Credo  poi  che  non  converi'ebbe  lasciare  più  larga 
di  400  metri  la  proposta  apertura,  onde  usare  con 
vantaggio  delle  forze  che  la  natura  sviluppa  nelle 
vicinanze  di  quelle  dighe,  in  guisa  da  spazzare  e  con- 
vogliare verso  destra,  ossia  all'est,  i  materiali  os- 
truttivi che  impedirebbero  di  avere  a  2000  metri 
dalla  riva  il  voluto  fondo  di  acqua  di  nove  metri. 
A  vie  meglio  raggiungere  questo  scopo,  tende  poi  il 
proposto  braccio  dalla  parte  occidentale  del  porto- 
canale  di  sopra  descritto. 

1  venti  legnanti  e  dominanti  in  quel  lido  sono 
da  ouest  al  nord-est,  ed  è  da  essi  che  deve  esser 


(*)  É  facile  il  vi'dere  che  questo  ristringimenlo  può  essere 
ottenuto  o  col  prDliiiifjare  la  di[;a  occidentale  vrrso  la  isolala  o 
questa  verso  quella^  come  anche  è  facile  scorfjere  che  se  per  avere 
una  più  vasta  rada,  e  p  r  meglio  coprire  la  hocca  del  porto  canale 
fosse  utile  prohniiJar  pure  verso  l'alto  mare  la  stessa  diga  isola- 
ta ,  potrà  praticarsi  qualunque  prolungamento  senza  verun  pre 
giudizio.  Così  il  braccio  se  sarà  una  metà  più  lungo,  di  quello  pro- 
posto, produrra  doppio  utile  ed'etto. 

G.A.T.CXLIII.  17 


258 
coperta  la  bocca  del  porto-canale.  Il  ripetuto  brac- 
cio ,  t'ormando  fluiti  riflessi,  dovrà  non  poco  con- 
tribuire nel  trasporto  a  destra  degli  infesti  mate- 
riali, prendendo  parte  all'azione  de'  flutti  diretti  che 
s'  imboccherebbero  nell'apertuia  fra  la  punta  della 
gran  diga  e  quella  della  diga  isolata.  Nei  fortunali, 
il  braccio  e  la  diga  isolata  devono  obbligare  le  linee 
de'  flutti,  compresi  nella  cinta  di  questi  due  ripari, 
a  passare  per  1'  apertura  e  sviluppare  una  corrente 
capace  a  scavare  e  non  permettere  la  formazione 
o  la  consolidazione  de'  soliti  banchi  che  coronano  i 
porti-canali  anche  di  acque  chiare. 

Il  braccio  stesso  servirebbe  ancora  a  formare 
una  vasta  sentina,  o  ricettacolo,  di  materiali;  i  quali 
se  dal  medesimo  non  venissero  trattenuti,  sormon- 
terebbero in  molto  minor  tempo,  e  senza  dubbio,  la 
testata  della  grande  diga  occidentale,  ed  assalirebbero 
la  bocca  del  porto-canale:  ivi  racchiusi  potrebbero  es- 
sere estratti,  volendo  ,  con  minore  spesa  e  minore 
incomodo  che  altrove. 

Termino  su  questo  importantissimo  oggetto,  per- 
chè esso  è  stato  magistralmente  trattato  in  tutte  le 
parti  principali  dai  chiarissin)i  ingegneri  Linant-Bey 
e  Mougel-Bey,  e  dalla  Commissione  e  dal  Paleocapa, 
restando  solo  da  risolversi  alcune  questioni  affatto  se- 
condarie, come  saggiamente  avverte  quest'ultimo,  fra 
le  quali  potrebbero  entrare,  secondochò  a  me  pare, 
i  provvedimenti  di  sopra  accennati. 

Di  Livorno  29  settembre  1856. 

A.    ClALDI. 


259 


Di  alcuni  suicidi  ultimamenle   avvenuti 
in  Roma. 


c, 


ihe  nelle  grandi  città  frequenti  di  popolo,  floride 
di  commercio,  strepitose  di  avvenimenti,  abbonde- 
voli  di  morbidezze,  di  piaceri,  di  lusinghe;  che  dove 
il  senso  aguzzato  continuamente  per  sempre  nuove 
impressioni,  da  una  insaziabile  avidità  trapassa  pre- 
sto alla  satollanza  di  ogni  bene;  dove  le  grandi  mi- 
serie sono  irritate  dallo  spettacolo  del  crescente 
lusso,  dove  i  desiderii  preponderano  sui  mezzi  di 
soddisfacimento,  dove  una  istruzione  svariata  e  leg- 
giera tien  luogo  di  soda  educazione:  che  in  mezzo 
ai  disinganni  delle  ambiziose  speranze,  ai  rapidi  ro- 
vesci della  fortuna,  al  bollore  incessante  delle  pas- 
sioni, l'uomo  giunga  a  infastidirsi  della  vita  in  modo 
che  postergata  la  ragione  ,  e  dimentico  affatto  de' 
suoi  doveri,  corra  volontariamente  in  braccio  alla 
morte,  non  è  fenomeno  da  maravigliarsene.  Ciò  av- 
viene perchè  le  cose  di  fuori  ci  signoreggiano  ,  e 
dentro  di  noi  non  è  più  chi  comandi  ,  ma  ci  -la- 
sciamo traportare  come  la  pula  al  vento  sull'  aia.. 
Né  meno  è  da  fare  le  meraviglie  se  questa  cala- 
mità morale  rendesi  ogni  dì  più  frequente  pel  di- 
latarsi appunto  r  impero  dei  surriferiti  elementi,  e 
per  la  nota  forza  di  imitazione.  Così  a  Parigi  nel 
1817  vi  furono  285  suicidi,  nel  1826  se  ne  anno- 
verarono 357,  e  477  ne  vide  Tanno  1835.  Così  pure 
a  Berlino  si  notò  che  nel  1827  vi  furono  sei  volte 


260 
più  di  morii  volontarie  che  noi  1821.  «  Jamais 
(così  scrive  la  gazzetta  di  Berlino  del  decorso  anno) 
il  n'  y  a  eu  autant  de  suicides  qu'  à  présent,  et  par 
suite  on  n'  à  jamais  trouvé  plus  de  cadavres  aban- 
donnés.  On  attribue  ces  suicides  à  l'extreme  chertc 
des  vivres,  et  aussi  aux  chaleurs  extraordinaires  de 
réte.  Les  agents  specialement  chargés  des  enter- 
rements,  qui  se  font  par  ordre  de  la  police,  sont  si 
occupés,  qu'  ils  peuvent  a  peine  sufiìre  à  leur  bc- 
sogne  ». 

Avremmo  bensì  motivo  di  maravigliarci,  se  mi- 
nacciasse di  rendersi  piiì  frequente  il  suicidio  fra 
noi  che  solchiamo  un  mare  men  tempestoso,  a  cui 
non  abbondano  le  occasioni  di  aggrandire  la  sfera 
della  sensitività  e  affinarne  i  poteri  per  copia  di 
diletti,  per  varietà  di  occupazioni,  per  frequenza  di 
circoli,  per  lettura  di  giornali  ,  per  novità  di  im- 
prese, per  delicatezza  di  comodi,  per  dovizia  di  spet- 
tacoli, per  fantasticheria  di  romanzi,  per  prodigi  d' 
industria,  e  a  cui  ogni  pratica,  ogni  consuetudine, 
ogni  istituzione  rammenta  i  doveri  morali  e  leli- 
giosi.  Se  non  che  ne  conforta  il  pensare  che  i  cin- 
que suicidi  qui  seguiti  (*)  in  breve  intervallo  di 
tempo  riconobbero  cagioni  affatto  diverse,  di  maniera 
che  questo  per  noi  insolito  numero  dei  medesimi 
non  accenni  ad  una  morale  epidemia,  ma  rappre- 
senti un  avvenimento  del  tutto  fortuito.  Ed  infatti 
in  uno  di  questi  casi  trattasi  di  subitanea  pertur- 
bazione dellanimo  per  esito  infelice  di  un    esame. 


(*)  Uno  ili  questi  non  actadJc  in  Roma,  ma  in  una  terra  vi- 
cina. 


261 

11  giovane,  in  cui  la  fantasia  prevaleva  alla  rifles- 
sione, si  crede  disonorato  da  questo  fatto:  ei  si  ad- 
duce alla  bollente  immaginazione  i  rimprocci  dei  pa- 
renti, gli  scherni  dei  compagni  ,  la  perdita  di  un 
impiego;  vede  falliti  i  suoi  disegni  ,  deluse  le  sue 
speranze,  umiliato  il  suo  amor  proprio;  gli  si  an- 
nebbia r  intelletto  in  mezzo  a  questi  pensieri,  perde 
la  signoria  di  se  stesso  e  gettasi  in  Tevere.  Un  se- 
condo, soprappreso  da  traversie,  mal  provveduto  di 
averi,  travagliato  da  infermità,  reso  impotente  ad 
esercitare  la  professione  onde  sustentava  sé  e  la 
famiglia,  abbuiatasi  la  mente  dalle  fuligìni  dì  atra 
malinconia,  si  abbandona  alla  disperazione,  e  si  av- 
velena con  sei  grani  di  stricnina.  Un  terzo,  poveris- 
simo di  consiglio,  amator  non  riamato,  perde  il  sen- 
no all'ultimo  niego,  e  corso  senza  resta  alla  far- 
macia vi  trova  a  caso  sullo  scaffale  il  residuo  di 
preparazione  del  liquore  anodino  e  lo  inghiotte  di  un 
tratto,  in  questi  esempi  ravvisiamo  le  solite  cause 
che  più  0  meno  in  ogni  tempo  hanno  valso  a  pro- 
vocare il  suicidio,  cioè  veementi  passioni  atte  a  so- 
spendere l'esercizio  della  libertà  morale:  niuno  però 
di  essi  accenna  a  quel  tedio  della  vita,  che  a  Lon- 
dra, a  Parigi ,  a  Berlino  conduce  tanti  a  distrug- 
gerla con  le  proprie  mani* 

Non  può  dirsi  lo  stesso  del  suicidio  perpetrato 

congiuntamente  da    Augusto e  Marianna 

la  mattina  del  22  luglio,  di  cui  im- 
prendiamo la  narrazione.  Questi  sconsigliati  amanti, 
che  di  poco  avean  superato  il  terzo  lustro  di  vita, 
sicuri  ornai  di  non  poter  vincere  gli  ostacoli  che 
opponevansi  alla  desiderata  unione,  deliberarono  di 


262 

morire  insieme  di  veleno.  Riunito  Augusto  nella 
^asa  di  Marianna,  e  seduti  a  desco  di  rimpetto  l'uno 
all'altra  ,  votarono  in  due  eguali  bicchieri  la  pozione 
venefica,  contenuta  in  una  fiaschetta,  che  avean  po- 
sto in  mezzo,  e  la  tracannaron  d'un  sorso  ,  lascia- 
tane appena  nel  fondo  dei  vasi  una  traccia  ,  che 
facesse  testimonianza  delhi  natura  del  liquido  con- 
tenutovi. Dopo  dieci  o  dodici  minuti  la  coppia  ar- 
dita era  già  preda  di  morte:  e  il  genere  di  questa 
fu  certamente  apopletico.  Il  signor  N.  N.  che  li  vide 
dopo  brevi  istanti,  tuttora  in  vita,  potò  quantunque 
non  medico  verificare  la  mancanza  totale  dei  sensi, 
della  conoscenza  e  del  moto,  superstite  la  respira- 
zione che  gli  sembrò  sterlerosa.  Il  volto  era  di- 
pinto in  ambedue  di  un  palloie  mortale,  e  le  labbra 
apparivano  di  un  livido  assai  carico.  II  chirurgo  sig. 
Scalsi,  che  giunse  appena  una  mezz'ora  dopo  l'av- 
venimento ,  trovò  due  cadaveri  :  ma  questi  in  tali 
condizioni  delle  membra  e  del  volto,  da  indicare  una 
morte  placida,  e  non  preceduta  affatto  da  movimenti 
convulsi.  Pertanto  non  avendo  egli  potuto  eserci- 
tare il  ministero  di  curante,  adempì  all'ufficio  legale, 
procacciando  con  le  note  cautele,  che  si  conservas- 
sero i  vasi,  e  gli  avanzi  della  sostanza  venefica,  per 
servire  in  appresso  alle  osservazioni  fiscali.  Sul  mez- 
zodì del  giorno  seguente,  cioè  26  ore  dopo  la  morte, 
procedevasi  alia  sezione  giuridica  dei  cadaveri,  nei 
quali  cominciò  a  notarsi  uno  stato  di  insolita  con- 
servazione, a  malgrado  della  elevata  temperatura.  Il 
corpo  della  donna  era  illeso  da  qualunque  segno  i- 
niziale  di  putrefazione,  e  in  quello  dell'uomo  scor- 
gevasi  appena  qualche  macchia  verdognola  nelle  re- 


263 
gioni  inguinali:  ambedue  furono  aperti  e  ricercati 
per  ogni  dove,  spnza  che  gli  astanti  ne  fossero  punto 
infastiditi.  Niun  odore  esalava  da  quei  cadaveri:  de- 
bole ne  ora  la  rigidità,  seppure  potea  chiamarsi  tale, 
specialmente  nella  donna  :  nell'  uno  e  nell'  altra  le 
mani  erano  raccolte  in  pugno,  livide  le  unghie  e  le 
estremità  delle  dita;  qualche  macchia  di  color  ro- 
seo slavato  mostravasi  qua  e  colà  nei  due  corpi  , 
anche  in  parti  non  declivi,  e  di  color  roseo  diluto 
eran  pure  i  suggellamenti  cadaverici  delle  regioni 
posteriori.  Aperta  la  cavità  del  cranio  ,  nel  distac- 
carne la  parte  superiore  trapelava  molto  sangue  dai 
vasi  lacerati  della  dura  madre,  e  molto  ne  conte- 
nevano i  seni,  e  iniettata  erane  la  pia  madre:  e  que- 
sto sangue,  al  pari  che  quello  di  tutto  il  corpo,  mo- 
stravasi scorrevole  più  che  non  suole,  e  del  colore 
e  lucentezza  della  pece.  1  ventricoli  rasciutti,  e  niuna 
alterazione  nella  massa  cerebrale.  Nulla  di  rimar- 
chevole nella  cavità  della  bocca.  Quella  del  torace 
ne  mostrava  i  polmoni  discretamente  ingorgati,  ma 
non  in  modo  da  empire  perfettamente  la  cavità.  An- 
tiche aderenze  univan  le  pleure  nella  parte  poste- 
riore del  polmone  sinistro  dell'uomo.  Il  cuore  in  am- 
bedue esibiva  voti  gli  atrii  sinistri,  ed  il  destro  ven- 
tricolo contenente  sangue  appena  aggrumato,ma  senza 
traccia  alcuna  di  concrezioni  fibrinose.  Il  cuore  del- 
l'uomo era  in  tutto  assai  più  voluminoso  dell'ordi- 
nario e  sproporzionato  affatto  alla  grandezza  del 
corpo.  Incisa  la  cavità  addominale,  apparve  subito 
un  vivo  rubore  in  tutto  il  tratto  dell'  intestino  te- 
nue, e  strisce  dello  stesso  colore  notavansi  anche 
nella  superficie  dello  stomaco.    Procedevasi    allora 


264 

alle;  solite  legature:  e  tratto  fuora  il  ventricolo,  e 
votatone  in  opportuno  vase  il  contenuto,  se  ne  pra- 
ticava la  sezione  lungo  il  suo  arco  maggiore:  e  messa 
così  allo  scoperto  la  sua  interna  faccia,  notavasene 
il  color  rosso  carico  ,  egualmente  diffuso  in  ogni 
punto  di  questo  sacco,  colore  che  non  ismorzavasi 
per  lavande.  Le  dense  rughe  della  mucosa  e  V 
aspetto  mamellonato  della  medesima  sembravano  ac- 
cennare ad  una  contrazione  della  tunica  muscolare: 
lubrica  al  tatlo  offerivasi  questa  mucosa  dello  sto- 
maco, ma  non  ammollita  o  gelatinizzata.  Le  mate- 
rie contenutevi,  e  che  ii[)onevansi  in  o|)portuno  vase 
per  le  ricerche  analitiche,  consistevano  in  una  pol- 
tiglia di  color  nerastro,  alla  quale  nelTuomo  erano 
frammiste  particelle  di  materie  alimentari  e  lunghi 
ascaridi  lombricoidi.  L'odore  che  esalava  da  queste 
sostanze  ,  come  pure  dalla  superfìcie  interna  dello 
stomaco,  a  prima  giunta  non  era  distinto;  ma  appli- 
candovi più  a  lungo  il  senso,  offerivasi  ammonia- 
cale, e  poco  dopo  vi  si  rendeva  leggermente  sen- 
sibile il  noto  effluvio  delle  mandorle  amare.  Per- 
altro questo  secondo  sentore  non  era  si  netto,  che 
tutti  gli  astanti  Io  avvertissero  e  ne  convenissero. 
L'  intestino  tenue  offriva  più  copiosa  la  inie- 
zion  vascolare  nella  tonaca  sierosa  che  nella  mucosa, 
sebbene  anche  questa  non  ne  andasse  esente;  il  tubo 
non  conteneva  altro  che  muco  e  bile.  Niente  di 
rimanchevole  in  tutti  i  visceri,  ad  eccezione  di  un' 
anomalia  ,  e  una  condizione  morbosa  estranea  all' 
avvelenamento;  un  lungo  diverticolo  cioè  nell'intes- 
tino ileo  dell'uomo,  e  una  grossa  cisti  sierosa  ade- 
rente air  ovaio  destro  della  donna.   L'  analisi  chi- 


2G5 

mica,  condotta  dai  periti  fiscali  dott.  Francesco  Ratti 
professore  di  chimica,  e  sig.  Vincenzo  Latini  far- 
macista collegiale,  non  dovè  battere  la  lunga  via 
delle  esplorazioni,  ma  potè  procedere  franca  e  spe- 
dita :  poiché  fra  il  genere  di  morte  ,  e  i  resultati 
della  sezione  che  accennavano  ad  un  composto  di 
cianogeno,  e  fra  le  notizie  pervenute  al  fìsco,  poteva 
credersi  fondatamente  che  si  trattasse  di  ciamuro 
di  potassio.  Risultava  anzi  da  un  documento,  che 
a  questo  veleno  ne  fosse  stato  mescolato  un  altro, 
cioè  il  hi  -  ossalato  di  potassa.  E  senza  qui  rife- 
rire per  filo  e  per  segno  tutti  i  processi  adope- 
rati dai  valenti  chimici,  basterà  annunziare  che  il 
risultato  dei  medesimi  fu  pienamente  conforme  alla 
presunzione  avutane;  cioè  che  la  pozione  venefica, 
onde  si  tolser  la  vita  que'sciagurati,  fosse  un  mi- 
scuglio di  cianuro  potassico  di  commercio  e  di 
bi-ossalato  di  potassa.  Ed  infatti  non  solo  nel  resi- 
duo lasciato  al  fondo  dei  bicchieri,  onde  s'impa- 
dronì il  fisco,  e  nelle  materie  contenute  negli  sto- 
machi e  nelle  loro  pareti  ,  potè  accertarsi  la  pre- 
senza del  cianogeno  ,  dimostrando  colle  note  rea- 
zioni quelladell'a.  idrocianico  costituitovi  ad  arte  coli' 
aggiunta  di  un  acido;  ma  dai  diversi  precipitati  otte- 
ti  col  trattamento  del  nitrato  di  argento  potè  anche 
ripristinarsi  il  cianogeno,  e  mostrarlo  per  la  sua 
fiamma  di  color  porporino,  infiammandolo  nell'uscire 
dall'affìnato  tubetto.  Cosi  pure  il  pricipitato  giallo 
di  seta  col  bicloruro  di  platino  indicava  la  pre- 
senza della  potassa,  e  la  sua  abbondanza  escludeva 
il  sospetto  che  avesse  fatto  parte  delle  materie  orga- 
niche. Finalmente  l'intorbidamento  opalino  coU'aqua 


266 

di  calce  indiiceva  il  sospetto  della  esistenza  dell' 
acido  ossalico  o  di  un  ossalato  acido,  e  la  perma- 
nenza deirintorbidamento  coli'  aggiunta  dell'  acido 
acetico  eliminava  il  dubbio  che  tale  reazione  appar- 
tenesse all'  acido  carbonico.  In  appresso  la  cristal- 
lizzazione dell'acido  ossalico  ottenuta  col  metodo  di 
Christison  dalle  materie  organiche  confermava  piena- 
mente la  presenza  dell'ossalato. 

Qual  fu  la  dose  dei  due  veleni  ?  Sarebbe  stato 
impossibile  stabilirlo  con  esattezza,  essendo  man- 
cato un  saggio  di  loro  dissoluzione  bastante  ad  eser- 
citarvi l'analisi  quantitativa:  tuttavia  calcolando  la 
capacità  della  fiaschetta  fino  all'  altezza,  in  cui  il 
diverso  colore  indicava  1'  ascension  del  liquido,  ed 
il  maggior  grado  di  saturazione  ,  onde  1'  acqua  è 
capace  di  tenere  sciolto  il  cianuro,  si  può  arguire 
che  questo  non  fosse  più  di  otto  grammi.  La  quan- 
tità del  sale  di  acetosella  dovè  essere  un  poco  mi- 
nore ,  se  possiam  giudicarne  dalle  men  forti  rea- 
zioni atte  a  dimostrar  l'ossalato,  e  dall'essersi  otte- 
nuto a  stento  e  in  tenuissime  tracce  l'a.  ossalico 
cristallizzato  col  processo  di  Christison.  Gli  è  vero 
però  che  questo  fu  tentato  col  solutum  dello  sto- 
maco, non  colle  materie  che  vi  erano  contenute. 

Si  potrebbe  qui  domandare:  Posto  che  non  si 
fossero  avuti  precedentemente  indizi  sulla  natura  di 
questa  mescolanza  venefica,  si  sarebbe  egli  venuto 
a  capo  della  verità  ?  La  novità  del  caso  (poiché  a 
nostra  saputa  è  questo  il  primo  esempio  che  il  sale 
di  acetosella  sia  stato  unito  al  cianuro  di  potassio 
per  consumare  un  veneficio)  avrebbe  ritardato  cer- 
tamente il  corso    delle    chimiche    operazioni  ,  ma 


267 
infine  la  scienza  avrebbe  trionfato  delle  difficoltà, 
Del  resto  la  dimostrazione  del  cianuro  avrebbe  bas- 
tato a  spiegare  la  causa  di  morte:  e  quando  pure 
l'altro  sale  fosse  sfuggito  alle  analitiche  ricerche,  sa- 
rebbe stato  provveduto  abbastanza  ai  bisogni  fiscali. 

Sollevasi  anche  un  dubbio  sulle  condizioni  dello 
stomaco  e  dell'  intestino  tenue  ,  ed  è  il  seguente  : 
Quel  vivo  rubore  che  vi  apparve  era  esso  per  sem- 
plice imbibizione,  o  per  iscioglimento  del  sangue,  ov- 
vero rappresentava  un  fenomeno  di  vera  infiamma- 
zione ?  La  iniezione  minutissima  dei  vasi  occupanti 
tutta  la  spessezza  dei  tessuti  ,  la  esistenza  di  essa 
anche  in  parti  non  declivi,  il  non  essersi  cancellata 
per  lavande  e  per  lunghe  infusioni  ,  la  mancanza 
di  tal  rubore  nell'intestino  crasso;  tutto  ne  induce 
a  pensare  che  si  trattasse  di  flogosi,  o  almeno  di 
congestione  attiva.  Potè  dunque  un  tal  processo  ini- 
ziarsi nel  breve  corso  di  dieci  o  dodici  minuti  !  E 
a  quale  poi  dei  due  veleni  dovrà  esso  attribuirsi  ? 
Le  osservazioni  sull'uomo,  e  le  esperienze  sugli  ani- 
mali, non  insegnan  che  il  cianuro  potassico  siasi  fatto 
cagion  di  flogosi  nello  stomaco,  e  appena  in  qual- 
che caso  si  parla  di  macchia  color  di  rosa  nel  suo 
fondo  splenico.  Convien  dunque  nel  caso  nostro  cer- 
car altrove  la  causa  della  gastro-enterite:  cioè  nel 
sale  di  acetosella  capacissimo  a  produrre  tale  effetto. 

Rimangono  ad  investigarsi  le  cause  del  deplo- 
rabile avvenimento.  Augusto  e  Marianna  non  furono 
certo  spinti  al  suicidio  da  moto  violento  e  subita- 
neo di  affetti:  le  lettere  rinvenute,  e  le  notizie  rac- 
colte, mostran  chiaro  che  la  funesta  risoluzione  pro- 
.  cede  da  perverso  consiglio  lentamente  maturato  nel- 


268 
Kiiniino.  Sgomlìi'alo  già  da  qualche  tempo  ogni  tì- 
moi'  della  inoi'lc,  e  delle  conseguenze  di  essa,  ave- 
vano essi  scelto  [jensataniente  i  mezzi  più  elficaci 
da  condurre  al  fine  propostosi,  e  con  animo  ripo- 
sato spiavano  il  momento  di  conseguirlo.  Non  ine-' 
liriati  da  li(pioi'i,  non  ismarriti  di  sensi,  non  info- 
cati nello  sdegno  ,  non  abbattuti  dal  dolore  ,  non 
ispaventati  da  pericoli,  ma  nella  piena  coscienza  di 
se  medesimi  imperturbati,  anzi  ilari,  inghiottivano 
il  veleno.  In  aduncjue  tortura  d'intelletto,  fu  sre- 
gofalezza  di  volontà  ,  non  impeto  primo  primo  , 
non  alienazione  di  mente.  Perciò  se  fosse  stato  sven- 
tato il  loro  disegno,  salvandoli  da  morte,  sarebbero 
stali  imputabili  di  un'azione  vietata  anche  dalla  vi- 
gente legge  criminale;  e  quanto  alle  conseguenze  ci- 
vili, se  fossero  stati  maggiori,  e  poco  innanzi  di  to- 
gliersi la  vita  avessero  scritto  atti  inler  livos  et  causa 
morùs,  non  avrebbe  potuto  impugnarsene  la  validità. 
Nò  gioverebbe  alla  contraria  opinione  invocare 
l'autorità  di  quegli  scrittori  che  sostennero,  il  suicidio 
essere  sempre  provocato  da  qualche  segreto  senti- 
mento del  corpo  ,  e  doversi  però  riguardare  qual 
necessità  di  natura,  piiì  che  atto  contingente  dr  li- 
bero arbitrio;  e  appoggiandosi  nel  caso  attuale  ad 
alcune  morbose  condizioni  rinvenute  nei  corpi  dei 
due  suicidi  :  in  Augusto  cioè  le  antiche  adei'enze 
delle  pleure,  e  la  insolita  mole  del  cuore,  in  Ma- 
rianna la  cisti  del  destro  ovaio,  esprimente  un  pro- 
cesso morboso  in  quell'organo.  Noi  ci  sappiamo  come 
l'animo  e  il  corpo  con  nodi  di  tanta  armonia  siano 
congiunti ,  che  l'uno  dei  beni  e  dei  mali  ,  e  delle 
noie  e  delle  allegrezze  dell'altro  partecipi:  onde  al- 


269 
l'infermare  del  corpo  l'animo,  bcnehè  forte,  sia  ne- 
cessitato in  alcun  modo  di  compatire:  ma  sappiamo 
altresì  che  le  fisiche  imperfezioni  sono  retaggio  del- 
l'umana natura:  che  pochi  sono  i  cadaveri,  nei  quali 
non  incontrisi  qualche  asimetria  organica,  o  alcun 
vestigio  di  antichi  processi  morbosi;  e  intanto  il  sui- 
cidio è  un  fatto  sì  vero,  che  nella  stessa  Berlino  (città 
tristamente  famosa  pel  numero  delle  morti  volon- 
tarie) se  ne  conti  appena  uno  su  cento  casi  di  morte. 
Dall'  altro  lato  non  vanno  certamente  immuni  da 
processi  morbosi  e  da  patimenti  del  corpo  i  turchi, 
i  persiani,  gli  egiziani  e  tanti  altri  popoli,  presso  i 
quali  è  raro  fenomeno  il  suicidio.  È  notissimo  a 
tutti  come  le  malattie  del  corpo  si  facciano  cagioni 
di  uccision  di  se  stesso:  ma  è  noto  egualmente  come 
fra  il  guasto  corporeo  e  l'atto  estremo  del  privarsi 
di  vita  vi  si  interponga  l'alienazione  di  mente.  L'epi- 
lessia, l'ipocondriasi,  la  pellagra,  le  nevralgie  pro- 
lungate possono  provocare  il  suicidio:  ma  cominciano 
prima  dall'alterare  l'armonia  delle  facoltà  intellet- 
tuali e  morali. 

Toi'nando  or  là  onde  ci  han  dilungati  la  naria- 
zione  del  fatto,  e  la  etiologia  del  medesimo,  cioè 
alla  frequenza  del  suicidio  in  Roma,  diremo  fran- 
camente che  come  la  uccision  volontaria  di  una  gio- 
vane e  del  suo  amante  ,  accaduta  non  è  molto  in 
Finlandia,  e  fatta  argomento  di  una  ballata  di  Bcrnd- 
stOH,  non  basterebbe  a  smentire  il  fatto  della  estrema 
rarità  del  suicidio  in  quelle  contrade  ,  desunto  da 
lunghissima  osservazione  ;  così  pure  l'avvenimento 
di  Augusto  e  Marianna   non  è   sufficiente  a  dima- 


270 

strare  che  il  suicidio  ricorra  oggi  fra  noi  più  spesso 
di  quel  che  solesse  per  lo  passato. 

Finalmente  nell'  interesse  della  statistica  sarà 
utile  di  annotare,  come  di  cinque  suicidi  ben  quat- 
tro siano  avvenuti  nella  stagione  estiva,  nella  età  gio- 
vanile, nel  sesso  piiì  forte,  e  per  mezzo  di  veleno: 
risultamenti  che  corrispondono  in  gran  parte  alle 
osservazioni  di  tutti  i  luoghi  e  di  tutti  i  tempi. 

C.  Maggiorasi 


271 


Inni  ecclesiastici  secondo  V ordine  del  breviario  ro- 
mano, volgarizzali  da  Giuseppe  Gioacchino  Belli. 
Roma,  tipografia  della  R.  C.  A.  1855.  [voi.  1.  in 
8  di  pag.  552). 


G 


'  italiani  aver  tradotto  prima  ,  più  e  meglio  di 
ogni  altra  nazione  ,  affermò  Scipione  Maffei.  Né  lo 
affermò  solamente.  Lo  provò  ancora  pubblicando  la 
notizia  de'volgarizzamenti  d'antichi  sì  latini  e  sì  greci 
fatti  dai  nostri,  quanti  al  suo  tempo  n'erano  in  luce, 
e  quanti  potè  egli  vederne.  E  veramente  fu  quella 
una  dimostrazione  ben  ampia  della  ricchezza,  che 
abbiamo  anche  in  questa  parte,  non  ultima  al  certo, 
della  letteratura.  Quantunque  s'  andasse  poi  accre- 
scendo il  numero  degli  scrittori  dal  Maffei  ricordati, 
chi  l'uno  c»chi  l'altro  nuovamente  rammentandone. 
E  ne  ho  esempio  nel  libro  stesso  de'traduttori,  che 
adesso  è  di  mio  uso,  e  fu  già  del  cavaliere  F.  Ve- 
nuti. 11  quale  a  carte  23  (ediz.  di  Venezia  del  1720) 
aggiunse  la  Traduzione  delle  opere  di  S.  Giovanni 
Climaco  del  liOO  ,  come  esistente  nella  domestica 
sua  biblioteca  in  Cortona  :  e  poi  ,  a  carte  68,  un 
bellissimo  volgarizzamento  delle  Eroidi  in  prosa,  senza 
nota  d'anno  o  di  stampa,  conservato  nella  biblio- 
teca  medesima. 

Quella  lode  degl'  italiani  s'  è  poi  andata  sem- 
pre accrescendo.  Tante  sono  state  le  bellissime  tra- 
duzioni messe  a  stampa  dopo  il  Maffei.  E  vengono 
in  parte  di  quel  vanto  questi  nostri  tempi  medesi- 


272 

mi.  Da  che  in  essi  abbiamo  veduto  stupende  prove 
ne'volgarizzainenti  più  ardui,  cominciando  dai  due 
massimi  poemi  d'Omero,  inseparabili  omai  dalla  glo- 
ria e  dal  nome  del  Monti  e  del  Pindemonte,  che  as- 
sai pili  nostri  li  resero  ,  che  mai  per  i'  addietro 
non  furono,  e  tolsero  ad  ogni  moderno  idioma  la 
palma  di  traslazioni  siffatte. 

Pensò  il  Maffei  di  trattare  una  questione  assai 
grav«,  colla  occasione  che  gliene  porgeva  V  argo- 
mento medesimo  del  suo  libro.  Dico  quella  di  pren- 
dere in  esame  il  quasi  doppio  genio,  che  corre  nel 
tradurre,  e  le  due  diverse  idee,  che  in  certo  modo 
distinguono  i  traduttori.  Perchè  (scrisse  egli)  altri 
poco  altro  cura,  se  non  di  fare  un  libro  ,  che  da 
ogni  sorte  di  persone  della  sua  nazione  con  piacere 
e  senza  difficoltà  si  legga:  onde  a  questo  accomoda 
il  suo  stile,  e  non  ha  punto  di  riguardo  a  mutar  co- 
lore, e  né  pure"  a  render  vocaboli  e  nomi  con  voci 
odierne,  che  non  corrispondono,  o  che  impropria - 
mente  ad  antichi  autori  s'attribuiscono.  Altri  all'  in- 
contro si  studia  d'  insister  sempre  nel  suo  testo,  e 
non  solamente  di  rappresentar  fedelmente  i  concet- 
ti, ma  le  parole  ancora  ,  e  la  misura  e  1'  aria  del 
dire,  e  l' indole  del  suo  autore.  Generalmente  par- 
lando, inclinano  alla  [)rima  strada  i  francesi,  e  ab- 
bracciano gl'italiani  la  seconda:  in  che  veramente 
pare  che  questi  debbano  anteporsi,  poiché  dalla  fe- 
deltà, dall'  inerenza,  e  dall'esattezza  trae  suo  pregio 
più  essenziale  un  interprete:  e  chi  fa  una  traslazione 
non  par  che  debba  studiarsi  di  lavorare  una  bella 
figura,  ma  un  bel  ritratto.  Queste  però  son  del  nu- 
mero di  quelle  dispute,  che  fatte  in  universale  non 


273 

riescono  mai  a  termine  alcuno:  perchè  chi  tiene  per 
il  tradur  libero,  reca  tosto  esempi,  e  modi  del  te- 
stuale, che  danno  neirecjcesso,  e  a  forza  di  star  at- 
taccati diventan  ridicoli;  e  chi  sta  per  l'altra  parte, 
altri  ne  mette  fuori,  ne'  quali  per  parlar  con  gra- 
zia, anche  il  sentimento  dell'originale  interamente 
abbandonasi.  Io  aveva  in  animo  d'  andar  rintrac- 
ciando se  per  via  d'esempi  si  potesse  quasi  fissare 
i  contini  dell'  una  e  dell'altra  strada:  accennando  le 
sconvenevolezze  e  gli  errori  ,  ne'  quali  per  seguire 
troppo  o  questa  o  quella  urtar  si  può;  ma  basterà 
per  ora  aver  soltanto  accennato.  Sin  qui  il  Maffei, 
che  rimase  contento  all'aver  additato  dove  fosse  il 
nodo  della  proposta  dilTicoltà,  e  come  forse  potesse 
andare  disciolto,  senza   passare  più  oltre. 

Avendo  a  render  conto  del  nuovo  volgarizza- 
mento degl'  inni  ecclesiastici  secondo  1'  ordine  del 
breviario  romano,  per  la  quale  si  conferma  e  s'ac- 
cresce la  bella  fama,  che  già  possiede  nell'  italiana 
poesia,  il  eh.  signor  Giuseppe  Gioacchino  Belli  ,  ci 
avverrà  di  dover  fare  appunto  quel  paragone  che  il 
Maffei  voleva  tentare.  In  questo  caso  però,  e  in  al- 
tri ancora  non  pochi,  si  avrà  a  conchiudere  diver- 
samente da  quanto  quel  sommo  valentuomo  mo- 
strò, nelle  parole  riferite  di  sopra,  d'  aver  per  ca- 
rattere dell'ottima  traduzione. 

Spesso  per  dare  una  adeguata  idea  del  testo  che 
si  traduce,  egli  è  giuoco  forza  di  ricoi'rere  a  più 
larghezza  di  modi,  a  più  dovizia  di  elocuzione  ,  a 
maggior  rapidità,  o  a  maggior  veemenza  di  parole. 
Artifizi  tutti,  senza  de'quali  s'avrebbe  inanimato  il 
ritratto  ,  mentre  si  guarda  a  renderlo  somiglian/e. 
G.A.T.CXTJIl.  18 


274 
Anzi  s'avrebbe  aneora  dissimile.  Molto  ò  dti  consi- 
derare ancora  l' indole  della  lingua  e  molto  l'indole 
del  componimento.  Spesso  nel  latino,  che  adesso  ci 
conviene  solamente  d'avere  in  mira,  una  voce,  una 
frase  sono  tutta  maestà  ,  che  non  dicono  nel  vol- 
gare il  medesimo,  se  d'alcun  epiteto  non  s'accom- 
pagnino ,  se  di  qualche  modo  con  industria  non  si 
sollevino  e  nobilitino. Chi  usa  tnli  artifizi  alla  opportu- 
nità, e  con  discernimento,  opera  con  magistero  del- 
l'arte, e  si  mostra  assai  miglior  traduttore  di  quello, 
che  inleso  a  trasportare  l'una  nell'altra  parola,  non 
bada  all'  infelice  risultamento  che  vien  formato  poi 
dall'  insieme  ;  donde  torna  quella  fedeltà  sua  infe- 
delissima e  dall'originale  lontana  quanto  più  intende  , 
di  rimanere  ad  esso  aderente.  Mentre  che  l'altro  con 
quel  suo  precedere  più  libero,  così  alto  ti  leva  co- 
me l'autore  suo  ebbe  forza  levarsi  ;  così  ti  com- 
muove come  quello  intese  commuoverti:  e  se  aggiunge 
vivezza  al  colore,  evidenza  alla  locuzione,  chiarezza 
ai  pensieri,  così  lo  fa  come  quello  scrittore,  se  usato 
avesse  il  nuovo  idioma,  credibile  è  che  fatto  lo  a- 
vrebbe  egli  stesso.  E  questo  pure  è  da  aggiungere, 
che  se  spinto  dall'argomento,  che  già  tratta  quasi  suo 
proprio,  accresce  all'originale  alcun  tratto,  ciò  ese- 
guisce appunto  come  talvolta  nelle  composizioni  di 
musica  vien  praticato:  prendendo  il  motivo  dal  te- 
ma ,  poco  uscendo  da  quello  ,  e  in  quello  sempre 
tornando. 

Dissi  che  a  paragone  di  questo   volgarizzamento 
del  Belli  avrei  posto  un  altro    volgarizzamento  de-  1 
gì'  inni    medesimi.  Comunque  vi  abbia  più    d'  uno 
fatto  sua  prova,  scelgo  di  preferenza  la   traduzione, 


275 

che  ne  compose  Giuseppe  Ferdinando  Bilancini  vi- 
terbese. Fu  questa  stampata  qui  in  Roma  (1726  pel 
Komarek  in  12).  e  dedicata  a  Benedetto  XIII,  al 
quale  dice  esso  Bilancini  d'  offerirla:  Si  perchè  la 
composizione  ebbe  origine  e  progresso  nelle  antica- 
mere di  Sua  Beatitudine,  essendosi  servito  del  tempo 
della  continua  permanenza  in  esse  per  tenervi  impie- 
gata la  mente:  e  sì  ancora,  per  lo  compiacimento  e 
stimolo  dato  e  mostrato  perchè  l'operetta  venisse  pu— 
blicata  colle  stampe  (*).  Dalle  quali  cose  viene  ma- 
nifesto quanto  alla  premura  di  Benedetto  XIII  sia 
stato  conforme  il  pensiero  di  Pio  IX  ,  felicemente 
regnante, il  quale  intento  sempre  a  promuovere  tutto 
ciò  che  riguarda  il  culto  divino  e  il  fervore  della  di- 
vozione de' fedeli,  ha  concesso  che  in  fronte  delli- 
bro  si  leggesse  l'augusto  suo  nome,  e  ha  giovato  la 
pubblicazione  dell'  opera;  e  quando  l'autore  venne 
a  tributarla  al  suo  trono,  si  compiacque  accompa- 
re  le  sue  parole  d'encomio  col  dono  della  medaglia 
in  oro  battuta  nell'anno  XI  del  suo  glorioso  pon- 
tificato. 


(')  Di  Giuseppe  Ferdinaiulo  Bilancini  non  m'  è  venuto  fallo 
d'  aver  notizie,  all'  infuori  di  quelle  che  sono  in  questo  suo  li- 
bretto. Si  confessa  egli  onoralo  in  eccesso  dalla  clemenza  di  Bene- 
detto Xlll,  nelle  anticamere  del  quale  faceva  continua  permanenza 
per  tributare  quegli  atti  d'ossequio  da'  quali  non  poteva  mai  esser 
lontana  la  sua  gratitudine-.  DaUe  quali  parole  sembra  che  s'abbia 
ad  intendere,  ch'ef;li  non  avesse  ufficio  di  corte,  che  a  ciò  lo  chia- 
masse Dalla  pr(.fazioue  si  conosce  ch'egli  conobbe  molto  il  cardi- 
nale Giuseppe  Maria  Tommasi  ,  tanto  illustre  per  dottrina  e  per 
santilày  aflermàndo  che  non  solamente  n'ebbe  impulso  alla  sua  tra- 
duzione, ma  fu  da  lui  altresì  per  più  anni  e  in/ino  alia  morte  in 
[amiliari  colloqui  praticato  e  ossequialo.  Per  ultimo  nel  bi'evedel 
privilegio  della  stampa  è  detto  dal  poiitelic.e  nobile  viterbese 
e  dottore  d'ambe  leggi. 


276 

Ma  già  è  da  venire  al  confronto  promesso.  Si 
sceglie  a  questo  uno  degl'inni,  ch'essendo  più  fa- 
cilmente alla  mente,  renda  soverchio  il  ristampare 
il  testo  latino  :  tale  certamente  è  quello  sul  mi- 
stero eucaristico. 

Tradotto  dal  Bilancini,  suona  cosi  : 

Spiega,  o  lingua,  del  glorioso 

Corpo  il  gran  misterio, 

E  del  sangue  prezioso. 

Prezzo  e  refrigerio, 

Ch'il  re  spinse  generoso 

Ch'ha  del  mondo  imperio. 
A  noi  dato,  per  noi  nato 

Dall'intatta  Vergine  : 

E  dop'esser  con  noi  stato, 

Chiuder  volle  il  termine, 

Al  soggiorno,  destinato 

Con  mirabil  ordine. 
Nella  sua  superna  cena 

Siede  con  gli  apostoli  : 

Fatta  qui  la  legge  piena 

Co'  legali  pascoli, 

Dà  se  stesso  alla   duodena 

Turba  de'  discepoli. 
Carne  ha  il  Verbo:  e  '1  pane  vero 

In  carne  trasformasi  : 

E  di  Cristo  al  grande  impero 

Vino  in  sangue  mutasi  : 

Senza  il  senso,  il  cor  sincero 
Sol  per  fede  fermasi. 


277 

Quindi  un  tanto  sacramento 

S'adora,  e  si  venera  : 

E  l'antico  insegnannento 

Dal  nuovo  si  supera  : 

Dia  la  fede  il  supplemento, 

Che'l  senso  desidera. 
Al  gran  Figlio  e  al  Genitore 

Sian  giubilo  e  laudi  : 

Ognun,  lor  virtude  e  onore, 

Benedica  e  laudi  : 

E  d'entrambi  il  santo  Amore 

Del  pari  collaudi. 

Certo  qui  fedeltà  non  manca,  quando  si  trovano 
seguite  a  parola  le  voci  del  testo.  Ben  1'  onda  vi 
manca,  e  l'aura,  e  certa  nobil  grandezza,  che  ,  in 
quella  sua  stessa  latinità,  accompagnano  l'originale. 
Si  vegga  adesso  come  sia  stato  dal  Belli  fatto  volgare. 

Canta,  o  lingua,  il  gran  misterio 
Di  quel  corpo  glorioso, 
Di  quel  sangue  prezioso 
Che  del  mondo  il  re  versò. 

Nato  a  noi' d'intatta  vergine 

Al  compir  de'  fissi  tempi. 

Con  parole  e  con  esempi 

Cristo  il  mondo  addottrinò. 
Al  dì  estremo  nel  cenacolo 
Spezzò  il  pane  a'  suoi  fratelli, 
E  nel  pan,  che  porse  a  quelli, 
Volle  pascerli  di  sé. 

Pane  e  vin  per  lui  diventano 


278 
Vera  carne  e  vero  sangue  : 
Se  al  prodigio  il  senso  langue. 
Basta  in  noi  la  sola  fé. 

Veneriamo  adunque  il  massimo 

Sacramento  a  noi  largito, 

E  l'antico  al  nuovo  rito 

Ceda  in  granzia  e  santità. 
Onoriam  Teterna  Triade 
Che,  a  lavar  la  colpa  nostra, 
In  quel  corpo  ci  dimostra 
Tanto  ardor  di  carità. 

Sarà  giudice  ciascuno  della  diversità,  colla  quale 
fu  r  inno  trasportato  nella  nostra  lingua  dall'  uno 
autore  e  dall'altro.  Volle  il  primo,  con  modi  ade- 
renti in  tutto  al  latino,  tradurlo  in  ciascuno  de'  versi; 
bastò  all'altro,  che  le  più  sostairziali  cose  e  le  me- 
glio espresse  fossero  presentate  nel  suo  volgarizza- 
mento: e  quelle,  che  mal  potevano,  e  solo  con  du- 
rissimi suoni,  esser  tratte  nella  nostra  poesia  (come 
la  strofa  ultima  dell'inno)  interamente  lasciò  da  parte. 
Quanto  a  me,  io  biasimo  l'esattezza  quando  al  sog- 
getto toglie  maestà,  e  in  questo  caso  ancora  stimo 
grande  l'autorità  d'Orazio  dove  consiglia  :  aversi  a 
lasciare  da  banda  quel  che  non  si  può,  trattandolo, 
di  chiarezza  adornare. 

Ma  già  è  da  passare  a  nuovo  paragone.  E  qui 
mi  piace  ripetere  ancora  il  testo  latino,  perchè  egli 
è  in  vero  di  tanta  eleganza  e  soavità,  da  formare 
una  delle  più  elette  gemme  del  sacro  Parnaso.  Dico 
dell'inno  de'  ss.  innocenti,  ch'è  tale  : 


279 

Salvete,  flores  martyram, 
Quos  lucis  ipso  in  limine 
Christi  insecutor  sustulit, 
Ceu  tuibo  nascentes  rosas. 
Vos  prima  Christi  victima, 
Gl'ex  immolatorum  tener, 
Aram  sub  ipsam  simplices 
Palma  et  coronis  Indite, 
'esu,  tibi  sit  gloria, 

Qui  natus  es  de  Virgine, 
Cum  Patre  et  almo  Spiritn, 
In  sempiterna  saccaia. 

stio  il  Bilancmi,. secondo  che  qui  segue: 

Lodiamo  i  fior  de'  martiri, 
Che  nel  maltin  de]  vivere 
Erode  svelse  barbaro, 
Come  le  rose  il  turbine. 

Prime  di  Cristo  vittime, 
Che  semplicette  e  tenere 
Presso  l'ara  medesima 
Con  le  Jor  palme  scherzano. 

Gesù,  ne  sia  a  te  gloria 
Che  nato  sei  di  Verdine, 
E  al  Padre,  e  all'almo  Spirito 
Ne' sempiterni  secoli. 

Ecco  poi  come  furono  tradotti  dal  Belli  : 

Salyète,  o  fior  de' martiri, 
Che  al  primo  albor  la  vita 


Vedeste  a  voi  rapita 

Del  nato  re  del  cielo 

Il  reo  pcrsecutor, 

Vi  lacerò  lo  stelo 

E  guasti  al  suol  vi  pose. 

Come  nascenti  rose 

Del   turbine  il  furor. 
Prime  di  Cristo  vittime, 
Ostie  del  divo  agnello, 
Foste  immolate   a  quello  : 

E  semplici  e  innocenti 

Sovra  lo  stesso  aitar 

Vi  rimirar  le  genti 

Fra  i  ferri  del  ladrone 

Le  palme  e  le  corone 

Ridendo  brancicar. 
Al  nato  d'una  Vergine 
Al  re  della  vittoria, 
Sia  sempiterna  gloria  : 

Sia  gloria  al  Genitore 

Che  in  terra  lo  mandò, 

E  gloria  al  primo  Amore 

Per  cui  virtù  il  Messia 

Nel  grembo  di  Maria 

Discese  e  s'incarnò. 

Abbiamo  negli  addotti  due  esempi  il  modo,  col 
quale  il  Belli  ha  in  diversi  di  questi  inni  condotto 
il  suo  volgarizzamento  ,  ora  con  farne  poesia  piìi 
breve,  ora  con  ampliarne  il  concetto-  Sia  qui  ag- 
giunto ancora  un  saggio  della  traduzione,  che  tiene 
il  metro  e  il  numero  dei  versi  deiroriginale,  com'è 
nell'inno  IV  ; 


281 
Ecce  iam  noclis  lenuaiur  umbra  eie. 

Già  della  notte  si  dirada  il  velo,. 

Già  veggon  gli  astri  rosseggiar  l'aurora  : 
Su,  al  re  leviamo,  c'ha  suo  trono  in  cielo, 
Prece  canora  ; 
Perchè  dai  servi  del  tiranno  inferno 
Fughi  ogni  ambascia  dell'error  seguace, 
Dia  lor  salute,  lor  dia  poi  Teterno 

Premio  di  pace. 
Il  Padre  e  il  Figlio  col  lor  santo  Amore, 
Per  cui  fu  l'alvo  di  Maria  fecondo, 
Ci  sian  benigni,  quanto  han  gloria  e  onore 
Per  tutto  il  mondo. 

Stimiamo  che  per  tali  saggi  e  per  tali  confronti 
s'abbia  manifesto  il  merito  di  questa  egregia  fatica 
del  eh.  traduttore.  Il  quale  aveva  già  fatto  cono- 
scere quanto  valesse  anche  in  questa  difficile  ma- 
niera di  poetare,  portando  in  terza  rima  le  litanie 
della  Beata  Vergine,  congiuntamente  alle  preghiere 
che  le  incominciano  e  le  finiscono  (Roma,  Salviuc- 
ci  1853).  Prova  in  vero  ben  ardua  e  con  rara  fe- 
licità eseguita,  legando  insieme  le  invocazioni  suc- 
cessive di  quella  serie  tanto  piena  di  belle  immagini 
e  di  begli  atTetti  ,  divisi  però  fra  loro  ciascuno,  e 
come  finiti  in  se.  E  questo  con  sì  piano  e  facile 
modo,  quanto  è  ne'  versi  seguenti. 

Lucidissimo  specchio  di  giustizia. 
Sede  di  sapienza,  in  cui  Tuoni  pone 
La  vera  causa  della   sua  letizia; 


282 

Vaso  sfdi'itual  d'elezione, 

Vaso  d'onòie,  a  chi   d'onoi'  ti  veste, 
Vaso  insigne  d'insigne  devozione  : 

Mistica  rosa  del  giardin  celeste, 

Torre  eburnea  di  David  per  coloro, 
Che  fuggon  l'armi  del  nemico  infeste: 

0  di  Dio  sacro  albergo,  o  casa  d'oro, 
Arca  nova  di  pace  e  d'alleanza. 
Porla  alla  reggia  del  superno  coro. 

Ben  si  scorge  per  queste  cose  tutte,  e  nel  li- 
bro, che  ci  fu  cagione  a  tenerne  proposito,  chia- 
ramente sì  trova  e  conosce,  quello,  di  che  Francesco 
Spada  meritamente,  con  sua  lettera  mandata  a  stampa 
(Roma,  Salviucci  1856),  lodò  fra  molti  altri  encomi 
l'amico  suo  Belli.  Dico  il  pregio  d'un  intimo  affetto 
e  pensiero  religioso  ,  che  dall'animo  delI'A.  venne 
trasfuso  ne'  suoi  versi.  E  fu  religiosa  ed  utile  in- 
sieme la  sua  opera,  rendendo  così  chiari  e  aperti 
alla  intelligenza  di  ciascuno  i  concetti  di  questi  inni. 
Lieve  cosa  è  poi  l'argomentare  quanto  l'impresa  ma- 
lagevole debba  essere  stata  ad  eseguire  ,  e  quanto 
diffìcile  quella  facilità,  che  fa  sembrare  di  sì  libero  e 
spontaneo  andamento  quello  ch'è  dall' A.  tradotto. Gli 
eccellenti  volgarizzatori  nostri,  e  generalmente  tutti 
che  in  loro  linguaggio  trassero  le  opere  altrui,  se- 
guendo una  spontanea  elezione,  si.  volsero  a  quegli 
scrittori,  che  più  all'indole  loro  trovarono  esser  con- 
formi. E  qui,  pare  a  me,  essere  una  delle  princi- 
pali cagioni  dell'ottima  riuscita  di  que'layori,  e  di 
quella  maniera  sì  propria  dell'originale,  da  metter 
dubbio,  se  il  primo  dottato  o  il  secondo  meglio  espri- 


283 
ma  il  pensiero.  Anzi  da  rendere  sicuri,  che  l'autore 
antico  in  quel  nuovo  idioma  scrivendo,  né  altre  pa- 
role usato  avrebbe,  né  frasi,  nò  andamento  di  stile, 
che  fossero  diversi.  Crebbe  al  Belli  difficoltà  l'avere 
a  ricalcare  le  vestìgie  di  molti,  piuttosto  che  seguire 
il  sentiero  da  un  solo  percorso.  Sicché  col  suo  solo 
ingegno  gli  fu  giuoco  forza  esprimere  le  fantasie  e  i 
modi  d'ingegni  diversi,  e  quando  vincere  la  oscurità 
di  certe  locuzioni,  quando  la  negletta  maniera  di  certe 
altre  rialzare.  Gli  bisognò  ancora  addoperare  ora  que- 
sto, ora  quell'artifizio,  per  esprimere  con  eleganza  de- 
gna del  religioso  concetto  talune  cose,  che  passavano 
assai  facilmente  sotto  le  forme  d'una  favella  già 
morta;  madie  trasportate  in  altra  vivente,  avreb- 
bero fatto  ben  diversa  comparsa.  Industrie  tutte  , 
che  si  rimangono  occulte  a  chi  non  consideri  lo 
svantaggio  grande  eh'  ebbe  il  traduttore,  e  guarda 
solo  alla  padronanza  che  seppe  acquistarsi  sul  testo, 
rendendolo  così  piano  e  agevole,  da  far  pensare  ad 
ognuno,  che  avrebbe  egli  spiegato  e  scritto  a  quel 
modo.  Se  non  che  in  quella  persuasione  medesima 
sta  il  massimo  della  lode  ,  alla  quale  il  traduttore 
possa  aspirare,  e  che  ha  l'A.  nostro  conseguito.  Ma 
perchè  non  sembri  che  la  stima  e  l'affetto,  che  ci 
pregiamo  avere  per  il  sig.  Belli  ,  ne  tragga  solo 
all'encomio  della  sua  opera,  vogliamo  avvertirlo  qui 
d'  una  cosa  ,  che  già  un  conoscitore  sommo  della 
nostra  lingua  fece  osservare  ad  un  sommo  nostro 
poeta  ;  ed  é  in  proposito  d'  avere  usato,  nell'innor 
XCIX  per  santa  Teresa,  la  voce  colombella^  come 
diminutivo  di  colomba^  dal  latino: 


284 
Haec  est  dies  qua,  candidae 
Instar  columbae,  caelitutn 
Ad  sacra  tempia  spiritus 
Se  transtulit  Teresiae, 

volgarizzando. 

Questo  è  il  giorno  in  cui,  qual  candida 
Colombella  innamorata, 
Di  Teresa  al  ciel  chiamata 
La  bell'anima  volò. 

Ma  che  colombella  renda  altra  immagine  al  pen- 
siero di  quella  che  l'A,  volle  destarvi,  eccolo  detto 
già  nell'incontro  sopra  accennato,  secondo  lo  narrò 
il  Dati  (Prefazione  generale  alle  prose  fiorentine)  , 
colle  parole  del  quale  mi  è  in  grado  di  porre  fine 
a  questo  articolo. 

«  Mi  sovviene  ancora,  che  Gabriello  Chiabrera, 
a  cui  il  parnaso  toscano  dee  la  poesia  pindarica  e 
l'anacrentica,  considerando  le  maniere  tenute  dalla 
nostra  lingua  per  formare  i  suoi  tanti  e  si  diversi 
diminutivi,  pensò  che  da  colomba  fosse  benissimo 
derivato  colombella  :  e  per  esprimere  in  una  sua 
canzone  in  lode  della  Beatissima  Vergine  quel  luogo 
della  cantica:  Qnam  pulchra  es,  amica  mea,  quam 
pulchra  es  !  Oculi  lui  columbanim,  ahsque  eo  qiiod 
intrinseciis  laici:  dolcemente  cantò: 

Come  sei  bella,  o  del  mio  core  amica, 
0  come  amica  del  mio  cor  sei  bella  ! 
Gli  occhi  di  colombella. 
Acciocché  dell'interno  altro  io  non  dica. 


285 
Ma  non  s'accorse,  se  non  dopo  esserne  avvertito 
daireruditissimo  Gio.  Batista  Strozzi,  che  colombella 
propriamente  era  una  specie  di  colomba  salvatiea, 
e  che  in  una  poesia  tanto  elegante,  e  si  nobile,  fa- 
ceva un  brutto  sentire.  » 

P.    E.     Vl-jCOiVTl. 


286 


La  pellagra  nei  suoi  rapporti  medici  e  sociali. 

Studi  del  D^  Carlo  Morelli.  8"  Firenze  pe'tipi 

alle  Murate  ÌS^ò.  [Un  voi  di  pag.21^). 

Ili  divisa  lalo  opera  in  otto  capitoli,  previa  la  de- 
dica e  la  prefazione.  Si  parla  nel  primo  dell'etimo- 
logìa, sinonimìa  e  sintomi  della  pellagra.  Nel  se- 
condo del  temperamento,  età  ,  sesso,  distinzione  e 
divisioni  del  morbo  medesimo.  Nel  terzo  deli'etio- 
loe;ìa  in  generale  e  delle  cause  di  tale  infermità. 
Nel  quarto  dell'  anatomìa  patologica  dell'  anzidetta 
malattia,  e  degli  studi  chimici  sui  suoi  prodotti  mor- 
bosi. Nel  quinto  della  sua  terapeutica.  Nel  sesto 
delie  opinioni  patologiche,  e  della  patologìa  ad  esso 
morbo  relativa.  Nel  settimo  della  storia,  della  ori- 
gine, e  della  diffusione  di  detta  malattia  in  Toscana 
ed  altrove;  Nell'ottavo  infine  delle  congruenze  spe- 
ciali e  delle  successioni  ed  effetti  di  sì  infrenabile 
morbo:  dei  compensi  profilattici  e  sociali  per  i  me- 
desimi. 

Ove  si  volesse  dare  un'esatta  idea  di  tutto  ciò 
che  con  tanta  sensatezza  e  profondità  di  sapere  è 
slato  scritto  in  questo  libro  dal  suo  dotto  autore  , 
converrebbe  al  certo  impiegai'e  il  doppio  di  quello 
che  da  lui  si  scrisse.  È  un  libro  che  onora  la  no- 
stra Italia  per  i  sentimenti  espressi  a  favore  della 
languente  umanità  ,  ed  il  nostro  secolo  per  i  veri 
progressi  dell'arte  salutare.  È  un  libro  che  si  rac- 
comanda specialmente  agli  odierni  pubblicisti ,  che 


287 
uniti  ai  medici  debbono  eoopenue  a  mandare  in  atto 
quanto  dal  dotto  autore  si  propone,  ed  a  quelli  a 
cui  la  Provvidenza  ha  atìidato  la  salute  dei  popoli, 
onde  allontanarli  da  un  infortunio  peggiore  forse 
della  morte  stessa.  Che  se  a  tanti  mali,  che  afflig- 
gono l'umana  famiglia,  si  rendono  inutili  i  soccorsi 
della  scienza  perchè  al  primo  ordimento  di  essi  prin- 
cipia la  disorganizzazione  delle  parti  dal  morbo  at- 
taccate, che  è  quanto  dire  la  morte;  l'arte  peral- 
tro salutare  può  con  profilattiche  istituzioni  tenerli 
lontani  o  farli  per  sempre  scomparire  fra  gli  elementi 
di  distruzione.  I  sui»ii;erimeuti  che  dà  il  nostro  chia- 
rissimo  autore  per  raggiungere  lo  scopo  prefissosi 
circa  il  nuovo  micidial  morbo,  onde  perderlo  per 
sempre,  come  accadde  della  lebbra  ,  ove  siano  da 
chi  presieda  alla  pubblica  incolumità  mandati  ad 
effetto,  si  potrebbe  esser  sicuri  del  piiì  certo  risul- 
tato. Lode  sia  resa  al  nostro  illustre  autore,  che 
con  la  sagacia  la  piij  profonda  ha  saputo  trattare  il 
suo  argomento  in  modo  da  non  lasciare  altro  a  de- 
siderare. 

DtJTT.     GlUÌCJORlO     RlCCAUOI. 


288 


Odi  di  Achille  Monti.  8"  Firenze,   tipografia 
Le  Mounier  1856.  (Un  voi.  di  pag.  121). 

Xn  questi  mesi  è  stata  Roma  diremo  quasi  inon- 
data da  un  diluvio  di  poesie  ,  stampate  qui  ed  in 
Firenze,  da  far  vergognare,  salvo  non  molte  eccezioni, 
chiunque  ha  sentimento  di  un  poco  di  buon  gusto 
e  di  dignità  italiana.  Sicché  se  la  cosa  andasse  più 
oltre  ,  certo  avverrebbe  quello  che  già  ebbe  a  dire 
il  Giordani  nel  proemio  al  Peplo  del  marchese  di 
Montrone:  nulla  di  più  peregrino  potersi  omai  re- 
care air  Italia,  che  il  suo  proprio  stile  italiano.  Né 
lo  stile  solo,  ma  sì  le  splendide  e  leggiadre  forme 
deir  italiana  mente.  E  ciò  non  per  altro  che  per 
viltà,  checché  ne  mentiscano,  di  parer  nati  in  altra 
regione  che  in  questa  patria  :  e  per  vaghezza  stu- 
pida d'essere  chiamati  scimie,  e  di  correr  dietro  a 
non  so  quali  larve,  che  loro  si  mostrano  melanco- 
niche ed  irte,  e  spesso  co'  veleni  e  co'  pugnali  in 
mano,  fra  i  popoli  di  là  da'  monti.  Veramente  nuo- 
vissima scuola  per  noi:  la  quale  ci  fa  essere  ad  un 
tratto  orridamente  lutt'altri  da  quelli  che  la  Prov- 
videnza ha  voluto  che  siamo  sotto  così  bel  cielo.  Nulla 
infatti  hanno  di  più  caro  e  nuovo  i  nostri  poetu- 
coli  d'oggidì,  che  di  mostrarsi  nelle  loro  cantilene 
sempre  non  solo  mal  contenti,  ma  sospirosi,  lagri- 
mosi  ,  anzi  disperati  di  tutto  :  disperati  delle  cose 
domestiche,  disperati  delle  passioni  d'amore,  dispe- 
rati de'fatti  politici;  disperati  se  ci  si  porgono  pas- 


289 
seggianti  in  un  giardino,  dispeialì  se  dicono  di  tro- 
varsi a  una  festa,  disperati  in  fine  non  meno  se  dor- 
mono e  sognano,  che  se  vegliano  :  insomma  tali  , 
ripetiamo,  in  tutti  gli  atti  della  loro  vita.  Sicché 
credereste  proprio  ad  udirli  ,  che  la  sera  stessa  o 
dovessero  avvolgersi  un  laccio  alla  gola  ,  o  fossero 
per  gittarsi  capovolti  in  Tevere.  Non  temete  però  di 
nulla:  anzi  là  vedeteli  ai  teatri,  ai  caffè,  ad  ogni  ri- 
trovo spassarsi  allegrissimi  co'loro  compagni,  e  ga- 
vazzare, e  bere,  e  far  bel  tempo:  ridendosi  delle  not- 
turne strigi,  e  de'gufi  compagni  ,  e  delle  solitarie 
lande,  e  de'cimiteri  dove  cantano  essere  la  loro  più 
grata  dimora  (già  si  sa)  a  lume  di  luna.  Non  è  dun- 
que nell'animo  loro  questa  nera  melanconia  e  dispe- 
razione: come  non  fu  mai  cosa  degl'  italiani  se  non 
usciti  d' intelletto  o  misantropi:  ma  è  nelle  dottrine 
della  nuova  scuola  poetica.  Bella  scuola  in  vero,  e 
da  doverne  avanzare  la  civiltà  de'  popoli,  e  il  bene, 
la  pace  e  la  letizia  delle  famiglie  e  delle  città  ! 

Dal  volgo  di  cotesti  novelli  imbrattacarte  vuoisi 
però  sceverare  un  giovane  d'  anni,  ma  di  mente  ma- 
turo. Achille  Monti  romano:  il  quale  educato  alla 
classica  scuola,  alla  grande  cioè  e  magnifica  scuola, 
e  solo  in  essa  trovando  italiano  ogni  ragione  ed 
ogni  delizia,  mostrasi  degno  per  nobile  fantasia  di 
quel  sommo  Vincenzo  Monti,  che  gli  fu  prozio.  Di 
che  non  sapremmo  dire  qual  sia  la  nostra  allegrez- 
za: essendoché  speriamo  che  l'egregia  prova  ch'egli 
ha  fatto  e  fa  della  sua  immaginazione  possa  trarre 
altri  giovani  a  rinsavire,  e  a  tornare  sulla  via  eter- 
namente vera  e  famosa  de'padri,  sia  latini,  sia  ita- 
liani :  le  maggiori  menti  poetiche  (  insieme  con  le 
G.A.T.CXLIH.  19 


290 

greche  incomparabili)  che  siano  sorte  ad  ingentilire 
l'umana  generazione.  Oltreché  già  egli  stesso  ci  pro- 
mette in  se,  quando  bene  perseveri,  una  nuova  glo- 
ria del  nostro  Parnaso. 

La  musa  del  giovane  Monti  è  generalmente  grave 
e  severa,  sempre  religiosa  e  casta:  cioè  lontana  al 
tutto  così  dalle  vote  ciance,  come  dalle  turpitudini, 
irreligiosità  ed  orridezze  che  oggi  infamano  tante 
carte.  Sgrida  egli  il  secolo  colla  voce  del  savio,  non 
del  temerario  ,  in  ciò  che  il  secolo  ha  di  merite- 
vole d'essere  riprovato  :  ma  non  tace  i  beni  ,  che 
non  lievi  pur  sono  in  tanta  luce  di  ragione  e  di 
civiltà.  Propostosi  principalmente  a  modelli  del  suo 
verseggiare  Dante,  il  Parini,  il  Leopardi,  e  Vincenzo 
suo,  talor  dileggia  e  schernisce,  talor  folgora  e  tuona: 
ma  sempre  tu  sei  in  questa  Italia,  ed  italiano  e  il  cielo 
sotto  cui  ti  ritrovi  anche  in  mezzo  al  sonare  della 
procella,  non  fra  i  geli,  i  venti  e  le  nebbie  del  set- 
tentrione. Aggiungasi  che  nostrali  altresì,  oltre  ai 
concetti,  sono  la  lingua  e  lo  stile;  tersa  Y  una  e 
senz'affettazione,  l'altro  gentile  e  scevro  dalle  gon- 
fiezze e  dalle  ridicole  e  sformale  metafore,  che  danno 
in  questi  tempi  così  gran  segno  dell'ebrità  roman- 
tica. 

Venti  sono  queste  odi,  e  cantano  (oltre  alla  proe- 
miale) il  Vero,  la  Gloria,  la  Viriù,  la  Nolte,  la  Pa- 
tria, il  Lusso,  la  Solitudine,  la  Felicità,  le  Arti,  la 
Vita  campestre,  la  Speranza,  la  Poesia,  la  Lingua, 
la  Pace,  la  Sapienza,  il  Passeggio,  il  Teatro,  VEdu- 
cazione,  la  Lode,  il  Silenzio.  Chi  ne  desiderasse  un 
saggio,  abbialo  nel  seguente. 


291 
LE  ARTI. 


In  questa  sacra  e  generosa  terra, 

Cui  fu  cortese  il  ciel  d'eterna  gloria, 
Ogni  gleba,  ogni  sasso  in  grembo  serra 
Degna  memoria. 
Qui  lo  stranier  maravigliato  affisa 
Gli  anfiteatri,  le  colonne,  i  templi, 
E  sculto  in  essi  lo  splendor  ravvisa 
De'prischi  esempli. 
Invan  ne  irride,  e  con  beffardo  ghigno 
Dice  cadute  le  virtù  degli  avi; 
Invan  ne  chiama,  insultator  maligno, 
Codardi  e  pravi. 
Grandi  siam  sempre:  Timmortal  favilla 
In  noi  spenta  non  è;  di  nube  oscura 
Fortuna  indarno  la  copria;  scintilla 
Nella  sventura. 
Qui  dell'arti  il  gentile,   il  grande,  il  bello 
Fin  dall'età  remote  han  posto  il  nido: 
Con  la  cetra,  co'marmi  e  col  pennello 
Levammo  il    grido. 
Ma  chi,  dolce  mia  terra,  oh  !  chi  ti  spoglia 
E  le  dovizie  antiche  a  noi  contende  ? 
Chi  tuo  retaggio  per  ingorda  voglia 
Disperde  e  vende  ? 
Tanto  può  nostra  cupidigia  ?  I  petti 
Più  non  stringe  l'amor  del  natio  loco  ? 
Già  langue  in  noi  de'più  soavi  affetti 
Il  santo  foco  ? 


292 
Cij^olan  cani,  e  sul  ceruleo  piano 
Spiegan  agile  il  volo  estranie  prue... 
Italia,  e  che  ?  Cedi  a  nemica  mano 
Le  glorie  lue  ? 
Dunque  i  sacri  tuoi  pegni  a  te  rapiti 
Saran  per  sempre,  e  dell'indegne  prede 
Superbo  andrà  ne'  più  lontani  lidi 
Barbaro  erede  ? 
Dunque,  patria  infelice,  or   più  non  prezzi 
Le  tue  memorie?  Oh  vitupero!  Oh  scorno! 
Eppur  tuoi  figli  a  tanta  ignavia  avvezzi 
Non  furo  un  giorno  ! 
Giugneano  a  te  da  le  suggette   prode 
Del  felice  oriente  ampi  tesori: 
Non  pur  fecondi  di  guerriera  lode 
T'eran  gli  allori. 
Deposto  il  brando,  in  te  dell'arti  in  regno 
Surse,  e  del  nome  l'universo  empisti; 
Mille  prodigi  dell'ausonio  ingegno 
In  te  fur  visti. 
A  te  correan  come  a  maestra  e  donna 
I  popoli  devoti,  e  salutata 
Del  ballo  eri  e  del  ver  salda  colonna, 
Madre  beata. 
Tornò  la  gloria  in  onta;  e  tu,  smarrita 
Del  corso  tuo,  segui  ingannevol  lume: 
Risorgi,  al  mondo  le  tue  leggi  addita, 
E  'I  tuo  costume. 
Ma  tu,  folle,  non  m'odi;  a  ben  fiillace 
La  mano,  usata  alle  vittorie,  stendi  ? 
Via,  se  ricchezza  più  che  onor  ti  piace, 
Te  stessa  vendi  ! 


293 
LA  POESIA. 

Se  nobile  disdegno 

Te  non  rattien,  se  schiva 

Non  sei  d'un  plettro  indegno, 

Spirami  l'aura  tua  che  l'estro  avviva, 

Fa  che  la  voce  mia 

Alto  di  te  favelli,  o  Poesia. 
So  che  scacciata  in  bando 

Dal  tuo  diletto  nido, 

Spettacol  miserando, 

Erri  deserta  per  l'ausonio  lido; 

Ma  non  però  men  bella 

Splende  sul  capo  tuo  l'antica  stella. 
Il  tuo  manto  regale 

Lacero  in  ver  si   mostra; 

Ma  non  ti  tarpa  l'ale. 

Te  non  fa  schiva  la  vergogna  nostra  ; 

Nelle  tue  luci  meste 

Si  pare  ancor  l'origine  celeste. 
Nata  con  l'uomo,  accesa 

Ne'  cantici  divini, 

La  fiamma  tua  sorpresa 

Non  fu  da  nebbia,  e  non  trovò  confini  ; 

Sol  per  l'acheo  terreno 

Folgoreggiava  di  maggior  baleno. 
Poi  fra  quest'aure  molli 

Apristi  '1  dolce  riso, 

E  su  i  latini   colli 

Si  mostrò  più  leggiadro  il  tuo  bel  viso, 

Quando  nell'idioma 

Sonasti,  0  dea,  della   vitlrice  Roma. 


294 

Al  fin  del  sì  gentile 

Vaga  la  lingua  nacque  : 

Tu  non  l'avesti  a  vile, 

Anzi  cotanto  sua  beltà  ti  piacque, 

Che  desti  '1  primo  vanto 

DeirAlighieri  e  del  Petrarca  al   canto. 
Allor  maestra  e  donna 

Surse  l'itala  terra, 

Ch'or  neghittosa  assonna, 

0  sconoscente  le  sue  glorie  atterra; 

E  'n  tanto  onor  levossi, 

Che  il  mondo  innanzi  a  lei  muto  inchinossi. 
S'udia  per  piagge  amene 

Il  canto  de'  pastori, 

E  le  rustiche  avene 

Colsero  guiderdon  di  mirti  e  allori; 

Rideva  il  mar  vicino 

Delle  sirene  al  modular  divino. 
Altri  l'epica  tromba 

Sonò  degna  d'eroi, 

Così  che  ancor  rimbomba 

Fatto  immortale  il  nome  suo  fra  noi, 

E,  di  Torquato  altero, 

L'italo  suolo  non  invidia  Omero. 
Ma  come  della  valle 

Vapor  sorge  repente, 

E  su  le  apriche  spalle 

Posa  de'  verdi  poggi  un  verno  algente, 

Così  del  fango  sorta 

Boreal  nebbia  nostre  glorie  ammorta. 
Non  più  di  lauri  e  rose 

Ti  fai  corona  al  crine, 


295 

Ma  un  serto  ti  compose 

L'età  novella  d'irti  bronchi  e  spine; 

Sotto  limpido  cielo 

Ti  fanno  ingombro  orride  nubi  e  gelo. 
Ma  non  temer  :  celata 

Sotto  barbara  vesta 

Sarai  per  poco  ;  ornata 

Di  tua  bellezza  levarai  la  testa  : 

Vero  valor  non  cade, 

E  tue  son  pur  quest'itale  contrade. 
Deh  !  non  fuggirti,  o  dea. 

Da  queste  vaghe  sponde  : 

Di  tua  dolcezza  bea 

Qualche  gentil  ch'ai  tuo  chiamar  risponde: 

Sorridi  a  chi  t'onora, 

E  del  nuovo  trionfo  aspetta  l'ora. 

L'EDUCAZIONE. 

Invan  sorride,  invano 

Largo  il  cielo  a'  mortali:  ove  non  giunga 
Saggia  e  pietosa  mano 
Che  tempri  i  caldi  affetti,  i  tardi  punga, 
Inutile  è  il  suo  dono,  e  tosto  in  seno 
La  cara  pianta  di  virtù  vien   meno. 
^Oimè  !  del  senno  antico 

Miro  negletti  i  fonti,  e  l'età  nuova 
Non  mostra  il  volto  amico 
All'esempio  degli  avi  !  Or  sol  ne  giova 
Stolti  seguir  quel  che  in  estrania  riva 
Nasce,  e  aspettato  a'  nostri  lidi  arrìva  f 

Del  latino  idioma. 
Grato  a  non  guaste  orecchie,  or  più  non  s'ode 


296 

Il  maschio  suon;  di  Roma, 

D'Atene  è  spenta  la  gentil  melode  ; 

L'itala  poesia  già  mozzo  ha  il  crine, 

E  si  veste  di  fogge  pellegrine. 
Nell'aule  de'  potenti, 

Che  in  braccio  a  faticoso  ozio  mai  sempre 

Traggono  i  dì,  non  senti 

Un  italico  detto  :  in  aspre  tempre 

Suonan  barbare  lingue,  ed  obliata 

De'  padri  è  la  favella  intemerata. 
Del  ver  la  voce  santa 

Rado  là  dentro  ascolti,  e  di  sue  fole 

Vago  mastro  l'ammanta. 

Leve  testor  di  galliche  parole; 

Onde  Sofìa,  non  più  reina,  tresca 

In  corta  gonna  quasi  vii  fantesca. 
Di  perigliosi  balli 

Ivi  l'arte  s'impara,  e  guidar  cocchi, 

Ed  infrenar  cavalli, 

E  atteggiar  la  persona,  e  volger  gli   occhia 

E  fingere  il  pudor  là  dove  è  morto, 

E  scaltro  riso  e  favellare  accorto. 
0  prischi  itali  petti, 

0  romane  incorrotte  alme  sdegnose, 

Sacri  felici  tetti. 

Culla  a  forti  guerrieri,  a  fide  spose, 

Ove  ne  andaste  ?  Perchè   a'  rei  nipoti 

Son  di  gloria,  d'onore,  i  nomi  ignoti  ? 
Il  cittadin  ch'estolle 

Ai  grandi  il  guardo,  e  a  se  di  lor  fa  speglio, 

Apprende  il  viver  molle, 

A!  peggio  inchina  e  chiude  gli  occhi  al  meglio; 


297 

II  fasto  inerte,  il  viver  empio  imita» 

E  improvido  alla  colpa  i  figli  invita. 
Quindi  ogni  legge  vana, 

Smodate  voglie,  ambizion  crudele  : 

Quindi  la  plebe  insana. 

Ch'empie  tutto  di  furti  e  di  querele  ; 

Quindi  i  patti  disciolti, 

Le  man  sanguigne,  impalliditi    i  volti. 
0  patria  mia,  d'armati 

Scese  dall'Alpe  un  dì  torbido  fiume, 

Che  i  tuoi  campi   beati 

Devastò,  spense  il  mite  aureo  costume  ', 

Ma  pur  ti  rimanean  ne  la  sventura 

Intelletto  non  servo  e  lingua  pura. 
Or  più  malvagia  peste, 

0  sciagurata,  le  tue  terre  inonda  ; 

Furia  in  sembianze  oneste 

Archi  non  tende,  non  brandisce  spade. 

Ma  dolcemente  di  venen  t'infetta.... 

E  tu,  cieca,  non  sorgi  alla  vendetta  ? 
Padre  del  ciel,  deh  purga 

Dalla  lue  maledetta  il  mio  bel  nido  ; 

Fa  che  Italia   risurga 

In  sua  grandezza;  a  me  rafforza  il  grido. 

Sì  ch'io  svegli  costei  che  neghittosa 

11  capo   stanco  su  le  coltri  posa  ! 


298 


Lettere  inedite  del  marchese  Luigi  Biondi 
e  di  monsig.   Pellegrino  Fariui. 


AL    CHIARISSIMO    CAVALIERE 

SALVATORE  BETTI 

Prof,  e  Segretario  perpetuo  dell'accademia 
di  S.  Luca. 


liei  volume  85  di  questo  giornale  apparve  già  un 
Saggio  di  lettere  famigliari  del  march.  Luigi  Biondi, 
che  si  ebbe  le  più  liete  accoglienze  dal  pubblico  , 
che  le  trovò  pulite  assai  e  di  elegante  naturalezza. 
Per  questo  appunto,  e  per  l'amicizia  che  vi  strinse 
a  quel  valentuomo  ,  essendomi  venute  a  mano  al- 
quante lettere  di  esso  non  più  stampate,  ho  voluto 
indirizzarle  a  voi  ,  sicuro  di  non  dispiacervi  :  e  le 
ho  congiunte  ad  alcune  altre  comprese  in  vari  li- 
bri ,  ma  non  contenute  né  nel  Saggio  che  ne  die 
l'Arcadico,  nò  in  un  manipolo  che  ne  pubblicò  il 
dott.  Enrico  Castreca  Brunetti  (I). 

E  perchè  questa  sarebbe  piccola  messe,  sarete 
contento  la  faccia  seguire  da  poche  lettere  di  mons. 
Pellegrino  Farini  che  sfuggirono  nella  raccolta  che 
io  ne  feci  in  Bologna  nel  1851   (2);  raccolta  ,  che 


(1)  Lettere  inedite  d' illustri  italiani.  Roma,  tip.  Gismondi   1846. 

(2)  Lettere  di  monsig.  Pellegrino  Farini.  Bologna  ,  Società  ti- 
pografica 1851.  É  preceduta  da  un  eloquente  elogio  del  prof.  G. 
I.  Montanari,  e  dalle  notizie  di  monsig.  Farini  scritte  da  me  ,  e 
seguite  dall'elenco  delle  sue  opere. 


299 

senza  neppur  nominaini  venne  riprodotta    in  Bolo- 
gna stessa  non  guari  dopo  (1). 

La  benevolenza  che  mi  portate,  e  la  rinomanza 
degli  autori  di  questi  scritti,  che  furono  degli  amici 
vostri  i  più  cari,  mi  rende  ceito  che  vorrete  fare 
buon  viso  alla  mia  offerta  ,  e  continuare  a  farmi 
parte  delle  vostre  grazie:  di  che  pregandovi  stret- 
tamente, mi  vi  professo 

Devmo  e  affmo  ser.  ed  amico 
G.  F.  Rambelli- 
Persiceto  13  settembre  1856. 


Al  prof.  GAETANO  LENzi.  Bologna. 

Roma  2  aprile   1839. 

Ebbi,  sebbene  in  ritardo,  il  prospetto  dell'opera 
che  ella  intende  a  publicare,  unitamente  alla  let- 
tera sua  cortesissima.  A  me  piace  la  distribuzione 
de'capitoli  onde  l'opera  sarà  formata:  ma  vorrei  che 
grande  cura  fosse  posta  nella  eletta  degli  autori,  dai 
quali  saranno  tolti  tutti  gli  esempi  del  bello  scri- 
vere: imperocché  nell'elenco  di  lei  mancano  i  nomi 
di  taluni,  che  non  dovevano  essere  dimenticati,  men- 
tre se  ne  ha  qualcuno  (non  parlo  della  dottrina)  che 
non  può  darsi  a  modello  di  purezza  di  stile.  E  guai 
se  ai  giovani  si  dessero  scorte  poco  sicure  !  Doni 
alla  mia  schiettezza  la  hbertà  con  cui  le  parlo  ,  e 
mi  abbia  per  suo  ec. 

Luigi  Biondi. 


(1)  Lettere   di  monsig.  Farini,  precedute  ec.  Bologna,  tipogr. 
Sassi   1883. 


m) 


ALLO    STESSO. 

Roma  20  aprile  1839. 

Le  mie  molle  faccende  non  mi  concedono  di 
darle  un'  esatta  notizia  degli  scrittori  italiani  da  non 
essere  tralasciati  nell'opera  da  lei  immaginata.  Parlo 
dei  defunti,  perchè  sui  viventi  non  darei  mai  giu- 
dizio. Le  dirò  solo  in  poche  parole  ,  che  special- 
mente si  affidi  ai  trecentisti.  Tra  i  primi  non  può 
essere  dimenticato  l'Alighieri  che  ha  squarci  d'elo- 
quenza grandiosa,  né  il  Passavanti  che  nella  parte 
narrativa  è  maraviglioso,  né  tanti  e  tanti  altri:  tra 
gli  altri  scelga  fra  le  lettere  dei  XIX  autori  stam- 
pate nel  500,  e  schivi  quelli  che  hanno  fraseggiare 
contorto  :  vizio  di  molti  in  quel  secolo.  Non  mi 
dilungo,  perché  il  tempo  mi  manca.  Mi  creda  con 
particolare  stima  suo  ec. 

L.  Biondi. 

ALLO    STESSO. 

Roma  11  maggio  1839. 

La  ringrazio  della  gentile  offerta  dei  primi  vo- 
lumi della  sua  collezione.  Ma  già  io  aveva  procu- 
rato di  averli,  e  ne  farò  lettura  alla  campagna,  dove 
andrò  a  soggiornare  primachè  si  termini  questo  mese. 
Mi  comandi  ella  in  qualche  cosa,  e  tribuisca  la  bre- 
vità e  la  fretta  dello  scrivere  alle  moltissime  bri- 
ghe onde  sono  circondato.  Mi  abbia  non  pertanto 
per  suo  ec.  L.  Biondi. 

Veggo  di  avere  scritto  in  mezzo  foglio,  e  le  ne 
faccio  scusa. 


301 

ALLO     STESSO. 

Ruffinella  29  luglio  1839. 

Sono  da  più  d'un  mese  in  questa  villa,  ove  non  ho 
ricevuto  notizia  alcuna  della  sua  collezione.  Forse  i 
primi  volumi  saranno  in  Roma:  ma  ninno  finora  me 
ne  ha  dato  cenno.  Cercherò  nondimeno  di  averne 
contezza.  Intanto  ringaziando  V.  S.  della  premura 
che  ha  degnato  di  prendere  a  mio  riguardo  ,  ho  il 
bene  di  rassegnarmi  con  sincera  stima  suo  ec. 

L.    Biondi. 

AL    CONTE  GIOVANNI    MARCHETTI.    Bologna. 

Roma  23  dicemb,  1827. 

Temo  non  forse  la  S.  V.  chiarissima  mi  abbia 
tenuto  per  iscortese  da  che  sì  lungo  tempo  ho  in- 
dugiato a  renderle  grazie  dell'avermi  stimato  degno 
di  quelle  sue  belle  prose,  e  di  quelle  sue  care  poe- 
sie, le  quali  hanno  un  suono  dolcissimo  petrarche- 
sco, che  piace  all'orecchio,  e  si  fa  sentire  nell'ani- 
ma. Ora  adunque  le  dirò,  che  quando  mi  giunse  il 
dono,  io  era  in  letto  con  febbre:  e  più  le  dico  che 
que'  suoi  versi  e  quelle  sue  prose  hanno  giovato  la 
mia  convalescenza:  perocché  ne'giorni  che  sono  tra 
la  infermità  e  la  guarigione  ,  può  chiamarsi  fortu- 
nato chi  fra  le  molte  cose,  che  gli  danno  noia,  una 
ne  trova,  quasi  giunta  improvvisa  che  lo  diletta.  Ed 
io  diletto  grandissimo  ho  trovato  nella  lettura  delle 
sue  opere,  che  tengono  dell'oro  antico.  Veramente 
Bologna  è  privilegiata  dal  cielo.  Costi    la    via   del 


302 
bello  non  e  smarrita,  nìercè  della  voce  e  doiresein- 
pio  di  quel  grande  ingegno  che  è  il  Costa,  e  di  co- 
loro che  gli  sì  sono  fotti  compagni.  Saluti  di  gra- 
zia in  mio  nome  i  comuni  amici,  e  mi  tenga  per 
suo  ec. 

Biondi. 

ALI.O    STESSO. 

Roma  1  aprile   1834. 

Ringrazio  la  S.  V.  eh.  del  sollievo  che  ha  vo- 
luto dare  all'animo  mio  indirizzandomi  il  bellissi- 
mo volgarizzamento  della  lettera  e  versi  di  Fran- 
cesco Petrarca  e  Filippo  vescovo  di  Sabina  e  car- 
dinale. Dico  sollievo:  perchè  piovendo  tutto  giorno 
sul  mio  scrittoio  noiosa  copia  di  romanzi  e  di  versi 
spogliati  d'ogni  leggiadro  ornamento  ,  non  poteva 
non  ricrearmi  questo  scritto  di  lei,  che  tutto  risplen- 
de nell'oro  de'buoni  antichi.  Nò  io  saprei  che  cosa 
dovessi  pili  commendare,  se  la  prosa  ,  od  i  versi  : 
perchè  sì  l'una  e  sì  gli  altri  hanno  eloquenza  senza 
pedanteria,  e  ben  si  convengono  a  quel  grande  che 
ne  fu  autore  nella  latina  favella.  Adunque  io  prego 
lei,  che  voglia  presentarmi  de'suoi  lavori.  Nella  pre- 
sente deturpazione  d'ogni  bellezza  i  pochi  immaco- 
lati debbono  venire  in  campo  ed  opporsi  ai  detur- 
patori. E  desidero  che  questo  stesso  sia  pur  detto 
al  mio  carissimo  Costa,  il  quale  non  dee  lasciare 
inoperose  le  sue  forze,  che  veracemente  dir  si  pos- 
sono erculee.  Me  lo  saluti  e  mi  ami. 

Biondi. 


303 

all'avv.  luigi  fornacuri.    Lucca. 

Roma  2  luglio  1839. 

Oh  quante  e  quanto  grandi  sono  le  grazie  che 
vi  debbo  riferire  ,  mio  ottimo  e  caro  amico  !  Voi 
mi  avete  fatto  avere  la  conoscenza  della  duchessa 
Melzi,  e  del  fratello  di  lei,  persone  di  tanta  ama- 
bilità e  coltura  d' ingegno  che  si  darebbe  fatica  a 
trovare  chi  lor  somigli.  Voi  vi  siete  compiaciuto 
di  scrivere  quel  beli'  articolo  sul  mio  Tibullo,  pel 
quale  io  mi  esalto  in  me  stesso,  e  ne  verrei  in  su- 
perbia ,  se  non  sapessi  quanta  è  grande  la  vostra 
amicizia,  da  cui  le  mie  piccole  cose  hanno  avuto 
ingrandimento.  Voi  vi  proponete  di  favellare  del 
mio  Dame  in  Ravenna,  che  appunto  ha  bisogno  del 
vostro  aiuto  e  della  vostra  autorità  ora  che  il  secolo 
par  disposto  a  corruzione  e  a  rovina,  e  non  piacciono 
che  le  scritture  che  io  appellerei  mostruose,  lascian- 
do che  altri  le  appellino  romantiche,  o  nordiche,  o 
angle,  o  alemanne.  Abbiatevi  dunque,  caro  amico, 
i  miei  ringraziamenti  per  tante  vostre  amorevolez- 
ze, e  siate  certo  che  io  sono  e  sarò  sempre  tutto 
vostro  L.  Biondi. 

AL    PROF.   GAETANO  LENZl.  BologUa. 

Bologna  21    dicembre  18i4. 

La  ringrazio  degli  auguri  di  felicità  che  ha  pur 
voluto  farmi  nell'avvicinarsi  delle  s.  feste  natalizie. 
IVIi  sono  carissimi,  perchè  so  che  vengono  dal  cuore. 


304 
Di  tutto  CUOIO  io  pure  auguro  a  lei  ogni  bene  de- 
siderabile, e  prego  Iddio    che    ascolti  i  miei    voti. 
Ella  li  aggradisca  ,  e  mi    creda    sempre  quale  con 
piena  stima  e  con  tutta  Taffezione  mi  dico  ec. 

D.  Pellegrino  Farini. 

ALLO    STESSO. 

Russi  li   I-i  febbraro  1845. 

Pili  volte  ho  scritto  a'  miei  amici  di  Ravenna 
pe  avere  una  qualche  difesa  forense  dell'avv-  Maz- 
zolani:  so  che  que'miei  amici  sono  stati  diligenti  a 
cercarne  ,  ma  non  ne  hanno  potuto  avere  alcuna. 
Rinnoverò  di  qua  ad  essi  le  preghiere  ,  acciocché 
essi  ne  rinnovino  le  ricerche  ;  ma  temo  che  sarà 
difficile  poterne  avere,  perchè  non  so,  se  e  quante 
ne  siano  state  pubblicate  colle  stampe.  Per  parte  mia 
abbia  per  certo  quello  che  le  prometto:  giacché  sa- 
rebbe per  me  cosa  grata  il  poterle  mostrare  quanto 
ella  mi  ha  obbligato,  e  mi  obbliga  colle  sue  gen- 
tilezze ,  e  com'  è  grande  la  stima  con  la  quale  mi 
professo  ec.  P.  Farini. 

ALLO    STESSO. 

Bologna   1   del  1845. 

In  questi  giorni  il  mio  amico  di  Ravenna  mi 
ha  risposto  che  ancora  non  è  riescito  ad  avere  al- 
cuna delle  difese  criminali  fatte  dal  sig.  avv.  Maz- 
zolani,  e  che  seguiterà  nelle  ricerche.  Io  nel  rispon- 
dergli lo  pregherò,  che  lo  faccia  con  ogni  premu- 
ra. Ed  io  stesso,  se  fra  non  molto  mi  troverò,  come 


305 

credo,  per  qualche  giorno  in  Ravenna,  gliene  rinno-- 
vero  caldamente  le  preghiere.  La  ringrazio  degli 
auguri  d'ogni  felicità:  ed  io  pure  di  tutto  cuore  au- 
guro a  lei,  che  quest'anno  le  porti  ogni  maniera  di 
felicità  ,  e  che  sia  così  tutta  la  vita  sua,  che  lun- 
ghissima le  desidero.  Con  singolare  stima  mi  pro- 
fesso ec.  P.  Farini. 

A    GIANFRANCESCO    RAMBELLl.    Persiccto. 

Bagnacavallo  23  gennaio  1839. 

Mi  dispiace  fuor  di  modo,  che  ne  a  lei,  ne  al 
sig.  Pederzini  siano  ancora  pervenuti  gli  esemplari 
del  primo  volumetto  del  mio  Compendio.  È  più  d'un 
mese,  che  ne  raccomandai  al  Melandri  V  involto  a 
lei  diretto.  Due  settimane  dopo,  avendo  saputo  dal 
Melandri,  che  di  mandarglielo  da  Lugo  direttamente 
non  vi  era  modo  ,  Io  pregai  che  lo  mandasse  al 
prof.  .Camillo  Minarelli  a  Bologna:  e  io  scrissi  al  Mi- 
narelli,  che  trovasse  modo  di  mandarlo  a  lei.  Non 
dubitando  che  a  Bologna  non  vi  sia  ogni  giorno 
occasione  per  costà  ,  aveva  per  certo  ,  che  già  le 
fosse  stato  portato  :  nò  piiì  ci  ho  posto  pensiero. 
Ora  che  dalla  sua  carissima  vedo,  che  insino  al  dì  15 
non  lo  aveva  ricevuto,  scriverò  prima  al  Melandri, 
poi  al  Minarelli:  ed  ella  voglia  farne  ricerca  al  Mi- 
narelli, se  per  sorte  l'avesse  ricevuto.  Quando  poi 
sarà  venuto  alle  sue  mani,  voglia  ella  scrivermelo 
per  togliermi  di  pena.  Quando  rivedrà  il  sig.  capi- 
tano Pederzini,  gli  faccia  di  tutto  cuore  i  miei  con- 
venevoli :  e  di  tutto  cuore  e  con  tutta  la  stima  a 
lei  mi  professo  ec.  P.  Farini. 

G.A.T.CXLIII.  20 


306 

ALLO    STESSO. 

Bagnacavallo  10  marzo   1839. 

Finnlnienle  sono  giunti  alle  sue  mani  gli  esem- 
plari del  primo  volumetto  del  mio  Compendio  ec., 
dopo  due  buoni  mesi  che  io  glieli  aveva  inviati;  ne 
sia  ringraziato  Iddio.  Mandi  pure  al  sig.  Pederzini 
quegli  esemplari  che  le  domanda,  ed  io  ne  manderò 
a  lei  quanti  altri  se  ne  vorranno,  e  il  mezzo  sarà 
spedito.  Al  medesimo  sig.  Pederzini,  che  mi  ha  ri- 
chiesto del  modo  di  mandarmi  i  danari,  ho  rispo- 
sto che  li  mandi  e  lei:  e  quando  avrà  danari  per 
me  ,  me  li  mandi  per  la  posta.  Le  sono  grato  e 
tenuto  di  quanto  ella  ha  fatto  e  fa  in  bene  di  que- 
sta mia  scritturetta  ,  e  con  affezionatissimo  cuore 
mi  professo  ec. 

Le  raccomando  l'inclusa. 

P.  Farini. 

ALLO    STESSO. 

Bagnacavallo  28  novembre  1839. 

Oggi  invio  al  sig.  prof.  Camillo  Minarelli  in  Bo- 
logna un  involto  a  lei  diretto  ,  il  quale  contiene 
quattro  esemplari  dei  due  primi  volumetti  del  nìio 
Compendio  di  storia  romana,  chiestimi  del  sig.  For- 
tunato Cavazzoni  Pederzini  di  Modena.  Sono  certo 
che  il  sig.  prof.  Minarelli  li  manderà  a  lei  ;  ed  io 
prego  lei  che  voglia  mandarli  al  sig.  Cavazzoni,  e 
mi  tengo  per  certo  di  questo  favore.  Poteva  il  terzo 
volumetto  essere  già  uscito,  se  il  Melandri  non  fosse 


307 
andato  tanto  lento  nella  stampa  :  non  lasceiò  di 
pungerlo  ,  acciò  che  possa  uscire  in  dicembre.  Mi 
conservi  la  sua  affezione,  a  aggradisca  che  di  tutto 
cuore  me  le  offera,  e  pieno  di  gratitudine  e  di  stima 
mi  professi  ec. 

P.  Farini. 

ALLO    STESSO. 

Bagnacavallo  19  ottobre    1840. 

Mio  pregiatissimo  sig.  professore.  Ebbi  ieri  dal 
sig.  Bazzoni  colla  carissima  sua  se.  5,  25  prezzo 
del  terzo  volume  della  mia  Storia  rontiana,  e  assais- 
simo ne  la  ringrazio.  La  stampa  dell'ultimo  va  lenta: 
vorrei  non  ostante  che  uscisse  in  novembre.  Io  ho 
moltissime  obbligazioni  con  lei  ;  e  vorrei  che  ella 
non  lo  dimenticasse,  e  che  qualche  volta  mi  desse 
modo  di  farle  conoscere  :  che  non  potrò  mai  per- 
derne la  memoria,  ne  la  gratitudine.  In  questi  giorni 
avrò  occasione  di  scrivere  al  sig.  Pederzini  ;  non 
ostante  scrìvendogli  ella,  o  vedendolo,  gli  porga  gli 
affezionati  miei  convenevoli:  ed  ella  mi  creda  quale 
con  tutta  la  stima  e  con  tutto  il  cuore  mi  dico  ec. 

P.  Farini. 

A    LORENZO    BASSI- 

Bagnacavallo  31  marzo  1838. 

Il  fattore  di  questo  orfanatrofio  mi  ha  chiesto 
i  frutti  scaduti  in  favore  del  pio  luogo;  ed  io  l'av- 
viso della  richiesta.  Forse  fra  non  molto  sarò  costì  a 
parlarne  con  lei.  Sono  sempre  con  lealtà  di  cuore  ec. 

P.  Farini. 


308 

AL    CAV.    AVV.    L,    C.     FERRUCCI.    LugO. 

Ravenna  28  aprile  1835. 

Amico  pregiatissimo.  Eccovi  schietto  e  leale  il 
mio  parere  sopra  la  vostra  seconda  Cantica,  senza 
però  presumere   di  non    ingannarmi.    Mi  pare  che 
siate  poeta  di  vena;  e  che  Io  mostriate  specialmente 
quando  trattate  di  cose  morali  e  politiche;  sebbene 
in  nessun  luogo  io  abbia  veduto  segno  di   povertà 
o  di  stento,  ma  invece  sempre  dovizia.   Anche  gli 
affetti  mi  paiono  da  voi  commossi  in  tutte  le  guise, 
e  le  descrizioni  sempre  felici.  Non  vorrei  però  che 
delle  particolarità  in  ogni  genere  di  sapere  ne  fos- 
sero troppe:  e  quindi  per  questa  parte  non  sareste  da 
lodare,  perchè  sempre  il  belio  torna  in  fastidio,  e  per- 
chè parrebbe  una  pompa  che  vorreste  fare  di  voi, 
ponendo  per  pretesto  quello  che  dovrebb'esser  fine, 
e  avendo  per  fine  quello  che  non  dovrebbe  essere 
se  non  se  un  aiuto  a  conseguirlo.  Bisognerebbe  per- 
tanto che  voi  riformaste  qua  e  colà  le  cose  che  spet- 
tano alle  similitudini  e  all'immaginazione,  disponendo 
il  tutto  con  sobrietà.  Se  questo  mio  giudizio  vi  par 
vero,  fatevi  animo  e  riformate  dove  bisogna;  affin- 
chè le  molte  e  molte  commendevolissime  cose  del 
vostro   Memoriale   non  abbiano  a  perder  bellezza  , 
lode,  e  frutto.  Se  poi  il   mio   giudizio  è  falso,  la- 
sciate stare  :  ed  io  sono  contentissimo  di  avervelo 
significato  lealmente.  E  con  tutto  il  cuore  mi  vi  dico 
affezionatissimo 

P.  Farini. 


309 

ALLO    STESSO. 

Bagnaca vallo  19  novembre  1840. 

Mio  pregiatissimo  e  carissimo  signore.  Ecco  le 
mie  osservazioni  sopra  l'ultima  parte  del  suo  Me- 
moriale. Non  ho  esposta  la  cagione,  se  non  di  po- 
chissime, credendo  che  basti  il  metterle  sotto  certi 
titoli:  con  che,  se  vi  ha  quella  ragione  che  è  parso 
a  me,  ella  la  vedrà  certamente;  e  se  non  la  vede, 
è  segno  certo  che  non  vi  ha.  Per  conclusione  di 
tutto  però  la  prego  ad  aver  per  niente  il  mio  giu- 
dizio, bensì  per  grande  la  mia  volontà  in  ogni  cosa 
che  sia  di  suo  piacere:  il  che  proviene  dalla  vera 
afifazione  che  le  porto,  e  dalla  stima  grandissima  che 
ho  concepito  del  suo  insigne  lavoro. 

P.  Farini. 

AL    CO.    COMMEND.    GfO.    MARCHETTI.    BologUa. 

Ieri  solamente  ebbi  qui  la  sua  pregiatissima  , 
sebbene  quasi  ogni  giorno  vi  sia  chi  da  Padova  mi 
porta  le  lettere  che  vi  giungono  per  me.  Ho  voluto 
dirle  questo  per  non  avere  dinanzi  alla  S.  V.  P.  la 
colpa  di  negligente  a  risponderle.  Insino  ad  ora  non 
ho  ricevuta  la  sua  traduzione  della  Dies  irae  ,  la 
quale,  perchè  sua,  sono  certo  che  sarà  bellissima, 
e  perciò  l'aspetto  con  desidero,  e  intanto  le  ne  rendo 
somme  grazie.  Grazie  le  rendo  egualmente  dell'ac- 
coglienza che  ha  fatto  a'  miei  discorsi,  ai  difetti  na- 
tivi dei  quali,  altri  né  piccoli,  né  pochi,  ne  ha  ag- 
giunto lo  stampatore.  Mi  offero  di  cuor  vero  alla 
S.  V.  P.  per  quanto  è  nella  tenue  facoltà  mia,  e  le 
rassegno  la  piena  mia  stima  P.  Farini. 


310 


Ispezione  scienlifica  e  tecnica  sull'acquidoUo  da  cos- 
truirsi nella  città  di  Sezze,  di  Romolo  Burri,  archi- 
tetto ingegnere  romano. 


NOZIONI  PRELIMINARI 

Nihil  esse  praeter  aeris  puritatem  pertinem  ad 
sanitalem,  quam  aquarum   salubritatem. 
Rhasìs  lib.  1.  de  Reg.  Pria.  e.  2. 


L 


1.  Lj  ncqiiii  è  un  composto  d'ossigeno  e  d'idro- 
geno ;  non  mai  però  in  natiii'a  si  trova  in  questo 
stato  di  purezza.  Essa  può  consideraisi  come  lunga 
soluzione  d'una  infinità  di  sali,  di  sostanze  orga- 
niche, commista  ad  una  certa  quantità  di  aria  atmo- 
sferica. Questi  elementi  talora  rendono  l'acqua  piti 
o  meno  salubre.  Essa  è  il  pii!i  importante  per  l'uomo 
.fra  tutti  i  liquidi,  è  la  sua  piiì  naturale  bevanda, 
che  unendosi  agli  elementi  ne  facilita  la  divisione  , 
e  contribuisce  alla  formazione  del  chimo  e  del  chilo, 
non  meno  che  allo  sviluppo  delle  diverse  parti  del 
corpo.  È  di  più  mezzo,  in  cui  solo  può  vivere  una 
immensa  classe  di  animali,  onde  la  terra  e  l'atmo- 
sfera si  popolano.  L'  acqua  è  adunque  un  agente 
necessario  per  manterfere  l'economia  animale  nello 
stato  naturale  e  sano,  e  non  è  meno  propria  a  ris- 
tabilirla allorché  è  alterata  dalle  malattie.  È  appunto 
in  vista  degli  importanti  servigi  che  l'acqua  presta 
all'uomo, che  gl'indiani  rendono  onori  divini  al  Gange, 
ed  i  greci  e  romani  onoravano  in  ogni  fiume  ed  in 


311 

ogni  sorgente  una  qualche  divinità  particolare.  Ma 
quanto  l'acqua  pura  contribuisce  al  ben  essere  della 
vita,  altrettanto  è  nociva,  e  diviene  causa  di  malat- 
tie, allorché  racchiude  sostanze  non  salubri.  Ippo- 
cratc  e  tanti  altri  sommi  dell'  arte  salutare  nota- 
rono una  lunga  serie  di  malattie  che  derivano  dal- 
l'uso dell'acque  insalubri. 

2.  In  vista  pertanto  delle  prefate  generali  rifles- 
sioni ,  più  volte  nella  città  di  Sezze  furono  fatti 
tentativi  per  costruire  la  linea  di  condotta  dell'ac- 
qua S.  Angelo,  che  sorge  al  nord  di  quella  città 
presso  la  vetta  del  burrone  della  medesima  deno- 
minazione. Sfortunatamente  per  diversi  accidenti  non 
ebbe  effetto  ,  e  la  città  restò  sempre  difettosa  di 
una  quantità  d'  acqua  potabile  per  la  sua  popola- 
zione di  circa  8000  abitanti,  i  quali  sono  costretti 
a  comperare  l'acqua  viziata  e  malsana  delle  cis- 
terne de'privati  cittadini  ,  e  ad  incontrarne  i  tristi 
effetti  che  ne  derivano  all'economia  della  loro  salute. 
A  soddisfare  finalmente  il  voto  della  popolazione  , 
e  togliere  un  elemento  ai  miserabili  malori  ,  che 
tanto  imperversano  contro  il  ben  essere  della  vita 
de'  cittadini  affiettandone  la  morte  ,  il  vescovo  di 
Sezze  monsignor  Bedini,  non  che  V  attuale  gonfa- 
loniere signor  conte  Cerroni,  iniziarono  l'operazione 
della  costruzione  della  linea  di  condotta  dell'indi- 
cata acqua:  e  la  munificenza  del  regnante  Sommo 
Pontefice  PIO  IX  ha  disposto,  che  dalla  cassa  del 
ricco  patrimonio  De-Magistris  sia  tolta  1'  ingente 
somma  di  scudi  26000,  onde  erogarla  a  total  bene- 
ficio della  città  per  la  costruzione  del  tanto  desi- 
derato e  troppo  necessario  acquidotto,  per  provve- 
dere   d'acqua  potabile  la  popolazione. 


312 

3.  Il  signor  Cerroni  inoltre  ci  invitava  in  Sozze 
a  prendere  le  generali  nozioni  dell'  operazione,  per 
quindi  esibire  un  progetto,  o  sia  una  ragionata  pro- 
posta, che  suol  premettersi  in  imprese  d'importanza, 
prima  di  venire  a  tutti  gli  studi  del  piano  d'esecu- 
zione ,  e  a  compiere  mentalmente  il  disegno  dell' 
opera.  Nel  prefato  progetto  esibito  al  gonfaloniere 
furono  sviluppate  diverse  ipotesi ,  risguardanti  la 
maniera  di  eseguire  l'operazione  :  esse  son  dirette 
a  dimostiare  la  corrispondenza  dell'opera  che  si  pro- 
pone con  lo  scopo  desideralo  :  non  che  ravvisare 
per  mezzo  d'  opportuni  calcoli  comparativi  il  van- 
taggio economico  risultante  dal  prescegliere  una 
piuttosto  che  un'altra  di  quelle  ipotesi.  Questi  pre- 
liminari studi  fecero  concepire  le  più  liete  spe- 
ranze, e  promettono  un  felice  e  glorioso  risultato^ 
sia  nella  parte  tecnica,  sia  in  quella  economica. 

4.  Alle  mosse  d'incominciare  le  operazioni  geo- 
detiche per  il  piano  di  esecuzione,  le  felici  e  liete 
speranze  della  città  si  cambiarono  in  una  generale 
e  dolorosa  sfiducia  per  la  riuscita  dell'  operazione. 
Alcuni  ingegneri  nel  passato  aprile  si  condussero  in 
Sezze  a  prendere  appunti  estimativi  di  agronomia, 
onde  operare  per  cose  di  governo.  Richiesti  della 
opinion  loro  in  rapporto  alla  costruzione  della  pre- 
fata linea  di  condotta  dell'acqua  s.  Angelo,  rispo- 
sero come  cosa  ineseguibile,  sia  nella  parte  tecnica 
per  le  difficoltà  insormontabili  che  s'incontrerebbero 
per  fare  ascendere  quell'  acque  sino  alla  vetta  del 
monte  di  Sezze  ove  è  la  città;  sia  ancora  nella  parte 
economica  per  l'ingente  spesa  forse  di  scudi  100000. 
L'operazione  fu  rigettata  qual  chimera,  a  discapito 


313 

del  ben  essere  della  vita  della  popolazione  di  Sezze, 
e  senz'effetto  delle  benefiche  cure  del  sommo  pon- 
tefice a  vantaggio  della  città. 

5.  Quali  adunque  non  sarebbero  state  le  oppo- 
sizioni se  si  fosse  progettata  un'  operazione  rivale 
alle  tante  che  onorano  la  nostra  età?  L'architetto 
aiutato  dalle  scienze  diviene  un  enorme  colosso,  la 
cui  testa  audace  e  superba  si  estolle ,  e  va  a  leg- 
gere nei  cieli;  le  cui  mani  giungono  a  scandagliare 
la  profondità  della  terra;  l'industria  sua  muove  mille 
braccia  per  iscavare  o  forare  montagne,  per  colmar 
vaUi,  asciugare  paludi,  o  distornar  fiumi  :  domina- 
tore de'mari,  ne  percorre  la  estensione  sopra  gal- 
leggianti cittadelle;  frena  e  comprime  le  acque,  a 
suo  piacere  le  dirige  e  solleva,  del  pari  che  a'  suoi 
piedi  pone  la  cresta  orgogliosa  dei  monti.  Fattosi 
rivale  degli  abitatori  dell'aria  colle  recenti  scoperte 
della  fisica  ,  chiama  e  respinge  le  procelle  cui  va 
a  sfidare  sino  lassiì  nelle  nubi;  il  suo  pensiero  co- 
munica per  via  de'  segni  ,  e  fa  colla  rapidità  del 
lampo  volare  la  sua  parola  telegrafica  dall'uno  all'al- 
tro emisfero;  fissa  gli  oggetti  ed  i  tempi,  prevede, 
annuncia  l'avvenire  ;  e  seguendo  nell'orbita  loro  il 
corso  dei  pianeti,  sembra  che  ad  essi  lo  prescriva, 
e  non  potendo  conseguire  1'  immortalità,  la  dà  al 
suo  nome,  la  dà  eziandio  alle  opere  sue. 

6.  E  però  che  l'uomo  addetto  all'esercizio  della 
professione  architettonica,  esercita  uua  specie  di  sa- 
cerdozio: ad  esso  sono  confidati  gravi  interessi  d'in- 
tere popolazioni  ,  dai  quali  può  dipendere  la  loro 
prosperità  pel  presente  e  per  l'avvenire  :  quindi  la 
capacità  e  la  moralità  sono   certificati  troppo    ne- 


3U 

cessar!  per  ispirare  al  pubblico  una  confidenza  ,  e 
affinchè  non  sia  impedita  una  carriera  che  è  il  fine 
della  sua  vita,  de'  suoi  studi,  e  la  speranza  della  sua 
famiglia.  Ninno  però  qual  si  fosse  può  cosi  arbitra- 
riamente deprimere  la  convenienza  di  un  giovane, 
senza  articoli  motivali,  senza  difesa,  sanza  giustifi- 
cazione, e  senza  appello. 

7.  Pur  troppo,  come  è  sempre  stato,  per  moltis- 
simi la  capacità  e  la  dottrina  non  è  che  affare  di 
opinione  e  di  apparenza!  Quando  nel  1407  in  Firenze 
si  dovea  innalzale  la  cupola  di  s.  Maria  del  Fiore, 
il  progetto  del  giovane  Brunelleschi  fu  rigettato  qual 
Miopia  ,  perchè  non  consono  a  tanti  altri  proposti 
da  certi  architetti,  pieni  d' albagia  e  dì  soverchia 
slima  di  se  stessi,  e  del  poco  conto  in  cui  tenevan 
gli  altri.  In  fine  però  tutti  i  sistemi  proposti  si  ri- 
conobbero insufficienti  ad  eseguirsi  per  la  grande 
spesa  delle  ridicole  armature  ,  e  perchè  non  per- 
mettevano di  raggiungere  lo  scopo  desiderato;  ma 
si  ebbe  a  conoscere  e  lamentare  la  meschinità  de'  loro 
ingegni.  Non  rimaneva  che  far  prova  del  sistema 
Brunelleschi:  e  s'invitò  ad  innalzare  la  gran  cupola, 
e  innalzolla  con  tanta  gloria,  che  il  suo  nome  scritto 
dalla  fama  su  tanto  monumento  non  morrà.  La  verità 
non  può  starsi  nascosta:  essa  si  fa  conoscere  e  ben 
presto  è  proclamata. 

E  questo  fia  suggel  ch'ogni  uomo  sganni. 

Dante. 

8.  Il  desiderio  di  rendermi  utile  a  migliorare  il 
ben  essere  della  popolazione  setina,  e  il  timore  che 


3!5 

non  abbiano  effotto  le  sapienti  e  benefiche  dispo- 
sizioni del  sommo  pontefice  con  proclamare  diffi- 
coltà che  punto  non  esistono,  hanno  adunque  dato 
motivo  a  dettare  questo  breve  scritto  sul  prefato 
acquidotto.  Egli  è  come  un  appendice  all'altro  mio 
sull'istesso  argomento,  e  le  ulteriori  indagini  lo  fa- 
ranno essere  più  circostanziato.  Parlerò  pertanto  del- 
l'altimetrìa  del  paese,  ove  dovrebbe  passare  la  linea 
di  condotta,  e  della  sua  natura  e  struttura  geologica: 
della  quantità  dell'acqua  s.  Angelo,  e  delle  sue  qua- 
lità ;  dimostrerò  inoltre  con  tutto  il  rigore  della 
scienza  idraulica,  la  sicurezza  della  riuscita  dell'ope- 
razione, per  condurre  quell'acqua  al  punto  più  cul- 
minante della  città  di  Sezze.  Finalmente  una  com- 
pendiosa dimostrazione  sulla  spesa  presuntiva  per 
l'esecuzione  della  medesima,  farà  conoscere  la  con- 
venienza dell'opera  proposta  sotto  ogni  singolo  ed 
essenziale  rapporto  tecnico  ed  economico. 

Altimetrìa  e  struttura  geologica  del  paese,  ove  deve 

passare  la  linea  di  condotta.  Quantità    e  qualità 

deWacqua.  Sicurezza   tecnica  deW operazione.   Ri- 
flessioni sulla  medesima. 

9.  La  distanza  dalla  città  di  Sezze  alla  sorgente 
delle  nostr'acque  è  di  8  chilometri.  Presso  il  ver- 
tice d'una  montagna,  dal  versante  in  verso  la  città, 
sorgono  quell'acque  ,  e  la  città  s'  innalza  sopra  il 
culmine  di  un  monte.  Quella  montagna  fa  parte  della 
catena  dei  monti  Lepini,  i  quali  si  estendono  dal- 
l' occidente  all'  oi'ienle.  Il  monte  di  Sezze  poi  fa 
parte  d'  una  subalterna  diramazione  dei   Lepini  ,  i 


31(5 
quali  nell'insieme  hanno  la  stessa  direzione  dei  primi. 
La  vallata  interposta  alle  due  catene  dei  prefati 
monti  è  una  superfìcie  curva  più  o  meno  risentita, 
ascendente  dal  piede  del  monte  della  città  sino  alla 
base  della  montagna  :  essa  ha  circa  tre  chilometri 
di  larghezza.  La  fertilità  delle  terre  e  indizi  di  an- 
tichi monumenti  ricordano  la  celebrità  di  queste 
contrade. 

10.  Per  una  sfortunata  accidentalità  ì  barome- 
tri, che  arricchivano  il  gabinetto  fisico  di  Sezze  , 
erano  slati  tolti:  lo  che  m'impedì  eseguire  la  livel- 
lazione barometrica  di  qualche  punto  del  paese  ove 
approssimativamente  dovrebbe  passare  la  linea  di 
condotta.  Pure  per  farsi  una  generica  idea  del  pro- 
filo di  livellazione  del  paese  slesso,  faremo  capitale 
dell'altezza  barometrica  della  sommità  del  campa- 
nile delia  chiesa  di  s.  Pietro  di  Sezze,  misurata  da- 
gli officiali  del  genio  austrìaco  ,  nella  formazione 
della  nuova  carta  militare  d'Italia:  la  quale  altezza 
fu  da  essi  rinvenuta  di  metri  341,848  sul  livello 
del  mare;  il  piano  della  piazza  della  detta  chiesa 
sarà  sul  livello  di  esso  mare  di  metri  300,  che  è  il 
punto  più  culminante  della  città.  La  china  del  monte 
di  Sezze  dalla  parte  del  nord  si  estende  sino  al  suo 
piede  di  un  chilometro,  con  una  pendenza  media  ed 
approssimativa  del  15  per  100;  questo  é  il  punto 
più  depresso  della  campagna  ,  ed  è  sul  livello  del 
mare  di  un  150  metri.  Dal  qual  punto  sino  alla  base 
della  montagna  s.  Angelo  havvì  la  distanza  di  quat- 
tro chilometri:  il  paese  s'innalza  gradatamente  con 
una  pendenza  approssimativa  del  6  per  100  :  quindi 
la  prefata  base  è    sul  livello  del  mare  di  metri  390. 


317 
Finalmente,  per  pervenire  al  punto  ove  sorgono  le 
acque,  si  ascende  una  linea  estesa  tre  chilometri  , 
che  ha  una  pendenza  media  ed  approssimativa  del 
15  per  100  :  quell'acque  adunque  sorgono  sopra  il 
livello  del  mare  metri  840.  Dunque  avvi  l'enorme 
dìsiivello  di  circa  540  metri  fra  la  sorgente  e  il 
punto  più  culminante  della  città.  Tanto  basta  all' 
uopo  nostro. 

11.  Da  quello  che  abbiamo  fatto  genericamente 
conoscere  sull'altimetrìa  della  campagna  deduciamo, 
che  il  sistema  d'architettare  un  acquidotto  sarebbe 
eccessivamente  dispendioso:  avegnachè  dovendo  ave- 
re una  pendenza  uniforme  almeno  più  che  sia  pos- 
sibile, accadrebbe  che  dovendo  traversare  dei  ter- 
reni elevati  e  dei  depressi,  dovrebbe  per  necessità 
talvolta  esser  sepolto  dentro  terra,  e  taTaltra  essere 
rialzato  sopra  il  suolo  naturale  della  campagna  sos- 
tenuto con  delle  arcate,  che  in  qualche  punto  biso- 
gnerebbe moltiplicare  a  più  ranghi  uno  l'sopra  l'al- 
tro detertninati  dalla  livellazione  dei  punti  ove  1' 
acquidotto  dovrebbe  passare:  e  tal  ripiego  sarebbe 
economicamente  impraticabile  nel  punto  piùdepresso, 
perchè  1'  acquidotto  converrebbe  innalzarlo  sino  a 
metri  150  sopra  il  suolo:  o  pure  bisognerebbe  svi- 
luppare la  linea  di  condotta  con  farla  passare  in 
altri  punti  meno  depressi.  11  qual  temperamento  è 
ancora  inammissibile  attese  le  circostanze  altimetri- 
che  della  campagna;  l'acquidotto  diverrebbe  di  una 
enorme  lunghezza  ,  e  non  si  toglici  ebbe  1'  incon- 
venienza d'incontrare  punti  molto  depressi. 

12.  Esclusa  pertanto  l'idea  della  costruzione  di 
un  acquidotto,  dobbiamo  appigliarci  necessariamente 


318 

a  quella  d'aichiteMaie  un  sistema  di  coiidottura  for- 
mala con  tubi.  In  questo  caso  quelli  di  Ghisa  meri- 
tano la  preferenza  agli  altri  di  diverso  metallo,  sia 
per  mire  economiche,  sia  per  stabilità:  quindi  è  che 
questo  metallo  prende  un  posto  sempre  più  dis- 
tinto nelle  costruzioni  architettoniche,  e  nelle  con- 
dotture  specialmente  soggette  a  grandi  carichi,  come 
la  nostra. 

Ui.  Abbiamo  accennato  (9)  il  parallelisjno  della 
catena  dei  monti  Lepini  con  V  altra  ove  in  uno 
di  essi  è  posta  la  città  di  Sezze;  ora  accenneremo 
la  struttura  geologica  dei  medesimi  ,  in  seno  dei 
(juali  si  raccolgono  e  corrono  le  acque  s.  Angelo. 
Quei  monti  fan  parte  dell'  Apennino  ,  che  è  com- 
posto di  varie  catene  di  montagne  parallele  V  una 
all'altra,  al  mudo  de'solchi  d'  uno  stesso  campo.  I 
nostri  monti  formano  tante  masse  calcaree  in  strali 
quasi  orizzontali.  Le  forme  delle  loro  superlicie  sono 
alterate  dall' actiue  piovane,  che  e  l'agente  princi- 
[)ale  delle  modificazioni  delle  forme  delle  montagne, 
oltre  tante  altie  azioni  meccaniche,  fisiche  e  chi- 
miche :  sono  frastagliati  da  grandiosi  dirupi  for- 
mati da  quelle  acque,  che  raccolte  in  torrenti  vanno 
poi  a  terminare  nella  valie  interposta  ,  ove  depo- 
sitano le  terre  commiste  all'acqua  e  formano  la  fer- 
tilità di  quella  vallata.  Il  suolo  superficiale  di  questa 
vallata  è  sovente  composto  di  frantumi  di  rocce 
calcaree  ,  frammisti  alle  terre  ,  accumulati  senza 
verun  ordine  ,  come  lo  sarebbero  materiali  gittati 
alla  rinfusa  in  uno  scavo  che  si  volesse  colmare. 
Questo  terreno  superficiale  appartiene  alla  classe  di 
quelli  conosciuti  sotto  il  nome  di  terreni  di  tras- 
porlo. 


319 

14.  L;i  ori/cmlalilà  degli  sli-ali  di  pietra  calca- 
rea, che  formano  i  nostri  monti,  dimostra  che  essi 
son  formati  per  sedimento  all'  istessa  guisa  che  fanno 
i  fiumi  nel  depositare  al  mare  le  loro  materie  se- 
dimentarie. Questi  sedimenti  calcarei  son  composti 
per  intiero  di  frantumi  di  conchiglie  e  di  polipai  , 
riuniti  da  un  cemento  calcareo  più  o  meno  abbon- 
dante, che  forma  una  tessitura  compatta  di  gi'ana 
finissima,  che  sarebbe  eccellente  a  fare  pietre  lito- 
graficlie.  Di  questo  calcare  compatto  sono  formati 
gli  A  pennini  dello  stato  romano.  I  suoi  generali  ca- 
ratteri sono  di  fare  effervescenza  cogli  acidi  ,  e  di 
ridursi  in  calce  per  l'azione  del  fuoco. 

15.  L'esperimento  della  misura  dell'acqua  lo  fa- 
cemmo il  giorno  9  marzo  1855:  quindi  è  d'uopo 
ripeterlo  in  tempo  della  più  grande  magrezza  delle 
vene.  1/  ac(|ua  fu  raccolta  entro  un  recipiente  che 
conteneva  il  volume  di  metri  cubi  0,0827,  il  quale 
fu  pieno  nel  tempo  di  7  secondi;  per  conseguenza 
nel  giro  delle  24  ore  del  giorno  ,  la  quantità  del- 
l'acqua che  sorge  sarà  della  quantità  di  metri  cubi 
1020,75.  La  portata  dell'oncia  dell'acqua  Paola  o 
Felice  in  Roma  è  di  metri  cubi  20,21  por  ogni 
24  ore:  perciò  il  numero  dell'oncie  della  nostr'ac- 
qua  sarà  di  50,50. 

16.  In  quanto  ai  caratteri  fisici  della  nostr'ac- 
qua,  le  osservazioni  da  me  fatte  alla  sorgente  per 
determinare  le  qualità  sensibili,  mi  fecero  conosce- 
re ,  non  avere  una  limpidità  perfetta  ;  si  rinvenne 
però  senza  alcun  odore  e  sapore,  la  sua  tempera- 
tura di  gradi  9''R.,  e  quella  dell'  aria  di  10"R.  nel 
medesimo  tempo. 


320 

17.  Pei'  esplorare  quindi  il  suo  peso  specifico  a- 
dottai  il  seguente  metodo.  Una  caraffa  fu  empita  d' 
acqua  distillata:  il  peso  del  liquido  alla  temperatura 
di  gradi  12''R.  risultò  di  oncie  17  ,  ottave  1  ,  e 
grani  62.  Indi  la  medesima  caraffa  fu  ripiena  del- 
l'acqua S.  Angelo  nello  stato  naturale,  avente  Tistessa 
temperatura  dell'altra:  ed  il  suo  peso  risultò  di  on- 
cie 17,  ottave  2,  e  grani  10.  Supponendo  1  il  peso 
specifico  dell'acqua  distillata  ,  il  peso  specifico  che 
si  cerca  sarà  di  1,002;  prossimamente  eguale  alla 
gravijtà  specifica  dell'acqua  Felice  in  Roma. 

18.  Le  qualitcà  dell'acqua  sono  molto  più  dalla 
chimica  che  dai  sensi  rivelate  e  determinate;  quindi 
l'analisi  chimica  è  il  sicuro  mezzo  onde  conoscere 
tutti  i  caratteri  chimici  della  prefata  acqua,  la  na- 
tura dei  principii  che  tiene  in  soluzione  ,  e  le  loro 
proporzioni.  Non  esibiamo  quest'analisi,  perchè  non 
lutti  possono  far  capitale  di  un  laboratorio  chimi- 
co, e  di  tutti  i  mezzi  che  vi  si  richiedono  per  una 
operazione  delicata  e    d'  importanza. 

19.  L'obiezione  (4)  che  1'  acqua  corrente  entro 
il  tubo  di  condotta  non  possa  ascendere  sino  alla 
vetta  del  monte  di  Sezzc  ,  dell'  inferior  livello  di 
circa  metri  540  (10)  dall'origine  della  sorgei..,e,  cade 
da  per  se  stessa  con  la  sola  enunciazione  del  pre- 
fato  dislivello,  qualora  il  tubo  sia  architettato  se- 
condo i  principii  che  insegna  la  scienza  dell'equi- 
librio e  del  moto  dell'acque.  Finché  i  corpi  obbedi- 
scono alla  legge  di  gravità,  1'  acqua  corrente  entro 
il  nostro  tubo  deve  ascendere  sino  al  punto  più 
culminante  della  città  ,  e  ,  se  vuoisi  ,  sino  ad  una 
ulteriore  altezza  j)ari  a  quella  della  sorgente.  Non 
sappiamo  a  qual  debol  filo  quella  obiezione  si  ap- 


321 

piglia,  per  poco  che  sussistesse  non  sarebbe  più  vera 
la  legge  di  equilibrio  dei  liquidi  e  tutti  i  fenomeni 
che  ne  dipendono:  non  più  vero  sarebbe  il  princi- 
pio, del  quale  alcuni  idraulici  si  sono  valsi  per  sta- 
bilire generalmente  l'equazione  del  moto  dell'acqua 
nei  tubi,  cioè  la  velocità  dell'  efflusso  è  dovuta  al- 
l'altezza assoluta  dell'acqua  sopra  la  luce  dello  sgor- 
go, meno  quella  funzione  dei  tre  elementi,  velocità 
dell'acqua  pel  tubo,  raggio  medio,  e  lunghezza  del 
tubo  che  esprime  la  total  resistenza  ;  che  secondo 
l'obiezione  la  velocità  allo  sbocco  del  tubo  nostro 
sarebbe  nulla,  perchè  1'  acqua  non  vi  arriverebbe  , 
e  secondo  il  teorema  è  dovuta  all'altezza  di  metri 
540,  meno  la  prefata  funzione:  alla  quale  altezza  il 
getto  dell'acqua  arriverebbe  se  non  1'  impedisse  la 
resistenza  dell'  aria  ,  e  il  ricader  delle  gocciole  su 
quelle  che  ascendono.  Non  sarebbe  più  vera  la  ce- 
lebre regola  idraulico-statica  proposta  la  prima  volta 
da  Daniello  BernouUi  ;  non  vera  la  teoria  de'  vasi 
comunicanti,  e  tutto  il  sublime  edificio  della  scienza 
idraulica  cadrebbe,  non  meno  che  quello  della  mec- 
canica: perchè  i  principii  della  scienza  dell'  equili- 
brio e  del  moto  de'  liquidi  derivano  da  quelli  della 
scienza  dell'equilibrio  e  del  moto  de'  solidi. 

20.  Che  l'acqua  della  sorgente  s.  Angelo  possa 
architettarsi  di  maniera  da  condurla  alla  città  dì 
Sezze,  ella  è  questa  una  verità  che  può  dirsi  evi- 
dente per  la  semplice  ragion  naturale.  Le  molecole 
dell'acqua,  considerandole  isolate  ,  sono  sottomesse 
alle  stesse  leggi  del  moto  che  l'egolano  l'altre  mo- 
lecole pesanti;  ma  le  parti  d'una  massa  liquida  sono 
incomparabilmente  più  mobili  di  quelle  di  un  soli- 
G.A.T.CXLIII.  21 


322 

do.  Una  molecola  di  questi  dee  cedere  alla  più  pic- 
cola forza,  che  la  solleciti  a  muoversi  nella  sua  di- 
rezione: dunque  incanalata  1'  acqua  entro  il  braccio 
del  tubo  discendente  mantenuto  costantemente  pieno 
per  afflusso  di  nuova  acqua  della  sorgente  ,  dovrà 
moversi  entro  il  medesimo  per  l'azione  della  gra- 
vità, ed  ascender  entro  il  braccio  saliente  del  tubo 
sino  a  risalire  al  livello  della  bocca  dell'altro  ramo 
del  tubo,  per  la  legge  di  equilibrio  ,  e  delle  pres- 
sioni dei  liquidi,  che  dipende  dalla  stessa  legge  di 
gravità:  avvegnaché  una  molecola  qualunque  del  li- 
quido in  moto,  in  qualsiasi  punto  del  tubo,  è  pre- 
muta normalmente,  secondo  1'  andamento  del  tu- 
bo, in  direzioni  opposte;  la  pressione  spingente  in 
avanti  è  sempre  maggiore  dell'altra  opposta  ,  sino 
che  la  molecola  è  pervenuta  all'altezza,  dalla  quale 
è  partita.  Allora  le  due  pressioni  che  sollecitano  la 
molecola  sono  eguali,  si  annullano,  e  la  molecola  ò 
in  equilibrio.  Estendendo  il  discorso  a  tutta  la  massa 
liquida  che  corre  entro  il  tubo,  ne  deduciamo,  che 
l'acqua  della  sorgente  s.  Angelo  può  elevarsi  sino 
all'altezza  enorme  di  metri  540,  sopra  il  punto  piij 
elevato  della  città  di  Sezze. 

21.  Sopra  l'esposta  legge  è  per  l'appunto  fon- 
dato l'uso  de'  condotti,  pe'quali  l'acqua  discesa  dalla 
sorgente  sino  a  qualsiasi  profondità,  si  fa  quindi  ri- 
salire a  luogo  del  pari  elevato  entro  le  città  con 
immenso  comodo  e  profitto  del  ben  essere  della 
vita  d'  intere  popolazioni.  Non  è  da  maravigliarsi 
adunque  se  due  laghi  in  elevati  luoghi  ,  comechè 
divisi  da  colli  e  vallate,  ponno  aver  l'acque  ad  e- 


323 

guale  livello:  conciossiachè  canali  e  vene  solteiTa- 
nee,  che  mantengono  la  comunicazione  tra  loro,  ba- 
stino per  darne  ragione.  Né  da  diversi  principii  di- 
scende lo  elevarsi  di  getti  d'acqua  nei  pozzi  trivel- 
lati, 0  modanesi,  detti  ancora  artesiani.  Similmente 
le  bolli  sotterranee^  per  volgare  a  salto  di  gatto,  onde 
le  acque  d'  un  canale  fannosi  come  piegare  entro 
terra  per  sottopassare  strade,  o  correnti,  o  altri  o- 
slacolì,  a  risalire  poi  al  livello  anteriore. 

22.  Né  altrimenti  dalle  stesse  leggi  d'equilibrio 
e  delle  pressioni  de'  liquidi  si  può  render  ragione 
di  certi  vortici ,  sovente  fatali ,  che  s'  incontrano 
nelle  grandi  riviere,  ove  l'acqua  precipitandosi  en- 
tro terra  a  grandi  profondità,  risalisce  quindi  in  al- 
tri punti  ,  vomitando  quello  che  avea  inghiot- 
tito. Or  l'acqua,  e  tutto  ciò  che  cade  in  quelle  fauci 
pericolose,  si  aggira  e  si  travolve  per  l'appunto  co- 
me in  un  tubo.  Così  fa  presso  Grein  il  Danubio 
nell'Austria  superiore  ,  dove  i  gironi  nascenti  dalle 
fesse  rupi  che  bevono  1' acqua  ,  fanno  impallidire  i 
piij  esperti  navicellai.  Così  fa  il  Rodano  nelle  mon- 
tagne, per  cui  passa,  e  dov'è  in  parte  assorbito  dalle 
crepature  degli  scogli.  Forse  anche  nello  stretto  di 
Messina  quel  vortice  famoso,  assai  piiì  peraltro  te- 
muto dagli  antichi  che  da  noi,  procede  dalla  stessa 
cagione,  se  vero  è,  che  lungi  da  esso,  sulle  coste 
australi  della  Sic'Iia,  si  veggono  ricomparir  vomi- 
tati i  flutti  e  i  rottami  de'  navigli,  che  la  Carridi 
ha  travolti   ed  ingoiati. 

23.  Atteso  il  forte  dislivello  fra  l'  origine  della 
sorgente  e  il  più  elevato  punto  della  città,  ove  vuoisi 
condurre  l'acqua,  non  è  mestieri  che  il   tubo   dal- 


324 
l'uno  all'altro  putito  sia  tutto  continualo:  è  giove- 
vole che  nella  parte  superiore  sia  interrotto  di  tratto 
in  tratto  da  pozzi,  i  quali  facciano  l'officio  di  pe- 
scine  affinchè  l'acqua  entri  nel  tubo  depurata  dalle 
materie  che  può  per  avventura  trascinar  seco:  e  af- 
finchè per  r  indicato  temperamento  sia  diminuita  la 
pressione  che  il  fluido  esercita  contro  le  pareti  del 
tubo  in  tutta  la  sua  estensione  ,  e  quindi  poter 
diminuire  la  grossezza  a  vantaggio  economico  del- 
l'operazione  e  della  sua  stabilità.  La  quantità,  e  i 
punti,  ove  devono  esser  posti  i  prefati  pozzi,  come 
ancora  la  giacitura  del  tubo,  non  che  le  risvolte  sì 
orizzontali  che  verticali,  sono  determinate  dagli  studi 
geodetici,  e  dalle  ricerche  e  calcoli  idraulici  in  rap- 
porto alla  portata,  alla  velocità  dell'acqua  entro  il 
tubo,  alla  larghezza  del  medesimo,  e  alla  pressione, 
che  soffrir  deve  da  punto  a  punto  in  tutta  la  sua 
estensione:  il  qual  elemento,  per  la  stabilità  e  du-r 
rata  dell'opera,  e  per  viste  economiche,  devesi  pro-^ 
curar  che  riesca  il  più  piccolo  possibile  ,  con  in- 
clinare opportunamente  il  tubo  alla  verticale  sotto  date 
condizioni  architettoniche,  e  dalla  ricerca  dei  pre- 
fati elementi.  Ed  è  appunto  in  ciò,  ove  il  criterio 
e  la  scienza  dell'  ingegnere  deve  emergere,  onde  co- 
ordinare ed  ottenere  il  massimo  possibile  vantaggio 
conseguibile  con  la  minima  possibile  spesa  ,  con  il 
saper  scegliere  la  linea  della  massima  solidità  ,  e 
della  massima  economia  ad  un  tempo,  per  condurre 
un  fluido  così  comune,  ma  insieme  così  volubile  ne' 
suoi  movimenti:  e  così  restìo  nel  lasciar  conoscere 
J)ene  le  leggi,  dalle  quali  è  dalla  natura  governato, 


io 


Lunrjhezza  della  condottura,  cavi  pel  suo  collocamen- 
to, sfiatatoi,  'chiavi  scaricatrici,  pescine  ,  quantità 
d'acqua  necessaria  alla  popolazione  di  Sezze  :  dia- 
metro del  tubo  di  condotta,  grossezza  media,  prezzi 
elementari,  sommario  conteggio  deW operazione:  epi- 
logo. 

24.  Facciamoci  a  rinvenire  gli  elementi ,  per 
fare  una  compendiosa  e  generica  dimostrazione,  sul- 
la spesa  presuntiva,  per  l'esecuzione  dell'operazione 
di  condurre  in  Sezze  una  giusta  quantità  dell'acqua 
s.  Angelo,  per  l'uso  delle  famiglie,  delle  quali  è  com- 
posta la  popolazione  della  prefata  città.  Però  espor- 
remo sommariamente  i  quantitativi  delle  diverse 
parti  dell'  opera  :  il  prezzo  elementare  di  ciascuna 
parte  :  finalmente  il  ristretto  estimativo  delle  diverse 
parti  dell'opera,  e  la  somma  di  esse  che  è  il  prezzo 
della  medesima. 

25.  La  total  lunghezza  del  tubo  di  Ghisa  è  di 
8  chilometri;  estensione  approssimativa  della  linea, 
che  dalla  città  conduce  alla  sorgente  dell'acqua  s. 
Angelo  (9). 

26.  Il  nostro  tubo  per  inevitabili  combinazioni 
altimetriche  dovrà  percorrere  una  linea  sinuosa  : 
quindi  si  dovrà  curare  con  ogni  studio,  tracciare  le 
risvolte  ,  siano  esse  orizzontali  o  verticali ,  sopra 
una  dolce  e  regoldre  curvatura  ;  però  assegneremo 
pel  collocamento  dei  tubi  una  profondità  media  di 
metri  1,50,  Questi  cavi  avranno  la  larghezza  di  me- 
tri 0,  50  :  quindi  il  volume  dello  sterro  per  collo- 
care il  tubo  di  condotta  sarà  di  metri  cubi  6000. 
Della  stessa  quantità  sarà  il  volume  di  terra  per  riem- 
pire  i  cavi  predetti,  dopo  il  collocamento  dei  tubi. 


326 

27.  L  mestieri  lasciare  nel  tubo  di  tratto  in 
tratto  delle  aperture,  ossia  sfiatatoi;  per  esalare  1' 
aria  interna  ingrossata  da  quella  che  sempre  l'acqua 
line  seco,  e  sprigionata  nel  suo  correre,  come  pm-e 
dalla  incessante  evaporazione  dell'acqua  stessa  ;  essi 
consistono  in  tubi  verticali  di  piombo  che  spiccano 
dal  tubo  di  condotta,  e  salgono  a  tanta  altezza  che 
equivalga  l'altezza  della  conserva  da  cui  viene  ali- 
mentato il  condotto.  Se  per  qualcuno,  attesa  la  so- 
verchia altezza,  si  trovasse  molto  opportuno  1'  uso 
degli  sfiatatoi  a  valvola  ,  detti  anche  galleggianti , 
sarà  sufficiente  metterne  uno  ad  ogni  300  metri 
circa  :  quindi  saranno  in  numero  di  26,666.  Fare- 
mo l'un  per  l'altro  lunghi  metri  20  :  però  la  lun- 
ghezza di  tutti  sommata  sarà  di  metri  533,32. 

28.  Per  reggere  sopra  il  suolo  i  predetti  sfia- 
tatoi occorrono  dei  torrini  di  muro  di  pietrame;  la 
profondità  delloro  fondamento  sarà  di  metri  1,50; 
e  s'alzeranno  sopra  il  suolo  metri  4.  Il  rimanente 
del  tubo  potrà  essere  legato  ad  un  palo  che  puossi 
elevare  sopra  il  torrino:  o  pure  se  la  circostanza  lo 
permette,  puossi  il  tubo  stesso  raccomandare  a  qual- 
che albero,  come  per  viste  economiche  è  stato  in 
qualche  caso  praticato.  I  predetti  toi'Hni  avranno  la 
forma  di  cono  tronco  :  il  raggio  della  base  inferiore 
faremo  metri  0,70  ;  e  quello  della  base  superiore 
metri  0,30.  Quindi  la  solidità  di  ciascuno  di  questi 
tronchi  di  cono  sarà  metri  cubi  4,547  :  e  la  soli- 
dità dì  tutti  somma  a  metri  cubi   121, -25. 

29.  È  ancora  necessario  di  tratto  in  tratto  lungo 
il  tubo  mettervi  delle  chiavi  scaricatrici,  all'uopo  di 
espurgare  il  tubo  stesso,  come  per  riconoscere  alla 


327 
circostanza  qualche  lesione,  che  possa  essere  avve- 
nuta in  tutto  il  sistema  della  condottura.  Delle  quali 
sarà  sufficiente  porne  una  ad  ogni  400  metri  ;  quin- 
di il  loro  numero  sarà  di  20. 

30.  È  mestieri  ad  ogni  punto  del  tubo,  ove  cor- 
risponde ciascuna  chiave  scariratrice,  fabbricare  un 
relativo  chiusino  dì  muro  di  pietrame,  chiuso  con 
coperchio  di  pietra  locale  ,  con  telaro  ,  battente  e 
controbattente.  Questi  chiusini  avranno  la  base  di 
forma  quadrata  di  lato  metri  0,60  :  saranno  pro- 
fondi metri  1,50;  le  loro  sponde  saranno  grosse 
metri  0,40  :  quindi  il  volume  del  muro  di  ciascuno 
sarà  di  metri  cubi  1,44,  e  il  volume  di  tutti  som- 
ma a  metri  cubi  28,80.  I  predetti  coperchi  di  pie- 
tra saranno  di  n.  20. 

31.  Abbiamo  accennato  (23),  che  il  tubo  può  e 
dev'  essere  interrotto  nella  sua  parte  superiore  di 
tratto  in  tratto  da  pozzi,  i  quali  devon  fare  l'officio 
di  pescine,  e  affinchè  per  l'indicato  temperamento  sia 
diminuita  la  pressione,  che  l'acqua  esercita  contro 
le  pareti  del  tubo.  Di  questi  pozzi  ne  assegneremo 
n.  10.  Avranno  la  forma  quadrata  ,  di  lato  metri 
1,50;  profondi  metri  2  :  i  muri  faremo  della  gros- 
sezza di  metri  0,40  composti  di  calcina  con  pietre 
locali,  coperti  a  volta  fabbricata  con  l'istessa  qua- 
lità di  muro.  Il  volume  dello  sterro  per  la  costru- 
zione dei  prefati  pozzi  *=arà  di  metri  cubi  72,20. 
Il  volume  del  murò  di  pietrame,  che  occorre  per 
la  fabbrica  dei  medesimi,  sarà  di  metri  cubi  66,  com- 
presevi le  platee  e  le  relative  volte. 

32.  I  predetti  pozzi  dovranno  essere  impermea- 
bili all'acqua  :  dovranno  adunque  avere    le  interne 


328 
facoe  arricciale- fralazzate;  quindi  si  dovranno  spal- 
mare con  uno  strato  di  calcina  e  di  cocci  in  pol- 
vere ,  della  grossezza  di  metri  0,04  :  la  total  su- 
perficie del  prefato  intonaco  sarà  di  metri  quadrati 
142,50. 

33.  Di  tutte  l'esposte  partite  di  lavori,  quali  di 
ferro,  quali  di  terra,  quali  di  piombo,  quali  di  me- 
tallo, quali  di  pietra,  e  finalmente  di  muro,  ci  fa- 
lerno ora  a  rinvenire  per  via  approssimativa  il  prez- 
zo elementare  di  ciascuna  partita  .  Incominceremo 
pertanto  a  tiovare  il  prezzo  elementare  del  tubo  di 
condotta:  e  però  è  d'  uopo  conoscere  la  grossezza 
media,  e  la  sua  ampiezza;  perciò  dobbiamo  trovare 
la  quantità  d'acqua  necessaria  all'uso  della  popola- 
zione della  città  di  Sezze. 

34.  La  predetta  popolazione  è  composta  di  8000 
individui  (2):  quindi,  secondo  i  calcoli  di  economia 
politica,  la  città  sarebbe  formata  di  1600  famiglie, 
ciascuna  di  cinque  individui.  Ognuna  pel  proprio  uso 
consuma  all'  incirca  metri  cubi  0,06  d'  acqua  per 
ogni  giorno  :  dunque  l'intera  popolazione  consume- 
rebbe metri  cubi  96  d'  acqua.  Pertanto  una  pub- 
blica fontana,  cbe  nel  giro  delle  24  ore  del  giorno 
erogasse  la  prefata  quantità  d'acqua,  sarebbe  suffi- 
ciente al  consumo  della  popolazione  della  città  di 
Sezze. 

35.  Abbiamo  tacitamente  supposto,  che  le  pre- 
dette famiglie  si  portino  successivamente  ad  attin- 
ger acqua  in  tutte  le  24  ore  della  giornata,  onde  è 
d'uopo  sottrarvi  le  ore  della  notte,  quale  faremo  di 
12  ore:  quindi  è  che  si  deve  duplicare  la  trovata 
quantità  d'acqua  sgorgante  dalla  fonte,  che  sarà  di 


329 
metri  cubi  192.  La  poitala  dell'oncia  dell'acqua 
Paola  0  Felice  in  Roma  è  di  metri  cubi  20,21  (15) 
per  ogni  24  ore  :  cosicché  il  numero  delle  dette 
once  della  fontana  Setina  saranno  9,  50  :  quali  noi 
faremo  di  once  10,  ed  avremo  un  avanzo  che  può 
servire  alla  costruzione  de'pubblici  lavatoli. 

36.  Intraprendiamo  ora  la  ricerca  approssimati- 
va dell'ampiezza  del  tubo  di  condotta  per  l'accen- 
nata quantità  d'acqua.  Essa  dipende  dalla  lunghezza 
del  tubo,  dal  carico  dell'acqua,  da  cui  dipende  la 
velocità  sua  e  dalla  portata  .  Noi  non  conosciamo 
che  l'ultimo  di  questi  elementi,  gli  altri  essendo  ap- 
prossimativi. A  quest'effetto  presa  la  seguente  rela- 
tiva equazione  idrometrica  (*): 

2/SLQ      ,  Q  2«LQ2 


=  0 


7:{a-\-b)  2(jn^  {a  -+-  b)  n^  {a  -f-  b) 

che  ha  una  radice  reale  ,  e  positiva  per  ogni  sin- 
golo caso.  Sia  adunque  nel  caso  nostro: 

L  =  6000 

essendo  una  parte  della  lunghezza  del  tubo  inter- 
rotta dai  pozzi: 

«-^6=10        Q  =  0,0025 

il  primo  essendo  il  valore  del  carico  dell'  acqua  , 
ed  il  secondo  la  portata  nell'  unità  di  tempo  ,  che 
è  il  minuto  secondo: 

a  =  0,000229    /S  =  0,000060 

coefficienti  costanti  per  ogni   singolo  caso: 

7:  =  3,U 

(*)  Sereni,  TraUato  d'idrometria  iv.  266. 


330 

valore  del   rapporto  della  circonferenza  al  diametro: 
g  =  9,80539 

valore  della  gravità  per  la  nostra  latitudine.  Intro- 
ducendo lutti  i  riferiti  valori  nella  formola,  si  tro- 
verà: 

r»  —  (0,0001177)r2  —(0,0000000037)/' 
—  0,0000003  =  0 
ponendo 

r  =  0,03 
risulta 
0,0000000243  —  0,0000004060  =-0,000000381 7: 

la  qual  differenza,  non  essendo  che  di  tèe  diecimilio- 
nesime  parti  del  metro,  non  è  sicuramente  apprez- 
zabile ;  e  quindi  il  diametro  da  assegnarsi  al  tubo 
di  condotta  sarebbe  di  6  centimetri.  È  peraltro  da 
aversi  riguardo  alla  grande  lunghezza  del  tubo  ,  e 
alle  sinuosità  del  medesimo,  per  accrescere  di  qual- 
che cosa  il  trovato  diametro  :  perchè  lo  fisseremo 
a  7  centimetri. 

37.  La  determinazione  della  grossezza,  che  aver 
deve  il  prefato  tubo,  dipende  dalla  pressione  ,  che 
l'acqua  esercita  nelle  pareti  del  medesimo  da  punto 
a  punto.  Noi  non  la  possiamo  valutare  esattamente 
perchè  manchiamo  del  profilo  di  livellazione  della 
linea  di  condotta,  che  è  V  elemento  principale  del 
piano  d'esecuzione.  Quindi  ci  contenteremo  calco- 
larla approssimativamente,  come  abbiamo  fatto  dell' 
ampiezza  del  tubo  stesso.  La  formola  pertanto,  che 
serve  a  determinare  la  grossezza  delle    pareti    dei 


331 

tubi  idraulici  corrispondentemente  a  qualsivoglia 
calicò  ipotetico,  è  la  seguente  (*) 

1000.  10.  n 

e  = r 

k 

nella  quale  il  coefficiente  k  per  i  tubi  di  ferro  ha 
il  valore  di  (**) 

k  =  28000000 

la  r  esprime  il  viaggio  del  tubo  ,  nel  caso  nostro 
è  eguale  a  metri  0,035  (36):  n  esprime  il  numero 
dell'atmosfere,  e  noi  le  faremo  eguali  al  massimo 
numero,  che  saranno  15  (10):  introducendo  i  detti 
valori  nella  formola  troveremo 

6  =  0,00018. 

38.  li  qua]  valore  della  grossezza  media  ,  che 
dovrebbe  avere  il  nostro  tubo,  è  inammissibile  per 
essere  soverchiamente  tenue.  Come  mai  si  potreb- 
bero lavorare  dei  tubi  di  tanta  sottigliezza?  E  come 
mai  delle  macchine  così  esili  potrebbero  reggere  al 
trasporto  e  al  maneggio,  cui  van  soggetti  per  esser 
messi  in  opera  ?  Oltre  di  che  la  prefata  grossezza 
è  quella  di  puro  equilibrio,  mentre  non  basta  che 
la  resistenza  del  tubo  sia  in  grado  di  opporsi  alla 
forza  dell'acqua  ,  in  modo  che  non  accada  imme- 
diatamente la  loro  rottura.  Essa  dev'  essere  neces- 
sariamente tale  da  far  obice  ali'  azione  continuata 
dell'acqua,  cosicché  non  accadano  delle  alterazioni, 
che  col  tempo  potessero  fare  dei  progressi  e  cagio- 

(*)  Sereni,  Trattato  d'idrometria  n.  353. 
(**J  Sproni,  Trattato  d'idrometria  n.  550. 


332 
nare  la  distruzione  della  condoltura.  Dobbiamo  ancora 
procurare  di  fissare  la  grossezza  delle  pareli  del 
tubo  in  modo  di  provvedere  al  deperimento  ,  che 
dipender  può  dalle  azioni  chimiche  ,  a  cui  è  sog- 
getto. Per  esempio,  è  attaccato  dalla  ruggine,  dalla 
quale  è  alterato.  Lasceremo  adunque  il  risultato 
della  formola,  e  con  tutta  ragionevolezza  ci  unifor- 
meremo alle  misure  della  pratica  di  Parigi,  pei  con- 
dotti di  ferro  fuso.  Secondo  la  predetta  pratica  il 
nostro  tubo  dovrebbe  avere  la  media  grossezza  di 
metri  0,013,  cosicché  il  diametro  esterno  sarà  di 
metri  0,096. 

39.  Adunque  la  superficie  della  sezion  traversale 
del   nostro  tubo  di  Ghisa  è  di  metri  quadrati 

0,00335666 

quindi  il  suo  volume  per  ogni  unità  lineare  è  di 
metri  cubi 

0,00335666 

il  quale  moltiplicato  per  la  gravità  specifica  della 
<ihisa,  che  è  di  chilogrammi  7251,  avremo  il  peso 
per  ogni  unità  lineare  del  nostro  condotto,  espresso 
in  chilogrammi 

24,33914166 

che  corrispondono  a  libre  romane  73,017,  compre- 
sivi i  rigonfiamenti  per  gì'  innesti  di  tubo  a  tubo. 

40.  II  prezzo  di  questi  tubi  è  per  approssima- 
zione di  scudi  38  per  ogni  mille  libbre  romane  : 
onde  per  ogni  libra  ,  il  prezzo  è  di  bai:  3,8.  A 
questo  prezzo  i  fabbricatori  romani  dei^tubi  di  Ghisa 
si  obbligano   metterli  in  opera;  quindi  il  prezzo  eie- 


333 

meritare  del  nostro  tubo  messo  in  opera  sarà  di 
scudi  2,774-  Si  aggiunge  bai:  10,95  pel  loro  tras- 
porto da  Roma  al  luogo  della  condottura  di  mi- 
glia 60  fatto  con  barrozze  tirate  da  buoi  :  final- 
mente avremo  il  prezzo  elementare  del  nostro  tubo 
trasportato  al  luogo  della  costruzione  e  messo  in 
opera  espresso  in  scudi  2,883. 

41.  Per  la  rompitura  del  terreno  pietroso,  onde 
collocare  i  tubi  (26)  ,  avuto  riguardo  alle  diverse 
qualità  e  tenacità  del  medesimo,  possiamo  con  bas- 
tante approssimazione  ritenere,  che  ciaschedun  metro 
cubo  di  sterro,  dovendosi  cavare  la  terra  per  mezzo 
di  uno  sbraccio,  del  costo  di  bai:  22^/2:  come  ancor 
il  costo  del  movimento  della  terra  per  riempire  i 
cavi  di  bai:   10  per  ogni  metro  cubo. 

42.  Il  diametro  dei  tubi  di  piombo,  che  servir 
devono  per  gli  sfiatatoi  (27)  è  sufficiente  di  metri 
0,015:  la  loro  grossezza  di  metri  0,005.  Adunque  la 
sezion  traversale  sarà  di  metri  quadrati 

0,00078186, 
Con  questo  numero  è  ancora  rappresentato  il  volume 
del  tubo  stesso  per  ogni  metro  lineare.  Il  peso  spe- 
cifico del  piombo  essendo  espresso  da  chilogrammi 
11352,  avremo  il  peso  di  questi  tubi  espresso  dai 
chilogrammi  8,874:  pari  a  libre  romane  25,734:  che 
valutate  a  bai:  6,5  la  libra  importano  scudi  1,672 
per  metro  lineare,  aggiungiamo  bai:  6  pel  porto  e 
mettitura  in  opera:  avremo  finalmente  il  costo  degli 
sfiatatoi  espresso  in  scudi  1,732  per  metro  lineare. 

43.  Il  prezzo  di  ciascheduna  chiave  scaricatrice 
di  metallo  (29)  è  approssimativamente  di  scudi    6. 

44.  Il  costo  di  ciaschedun  metro  cubo  di  muro 
di  pietrame,  che  servir  deve  alia  costruzione  dei  tor- 


334 

l'ini  (28),  dei  chiusini  (30)  e  dei  pozzi  (31),  vero- 
similmente lo  valuteremo  a  scudi  2,20.  Il  valore 
poi  di  ogni  metro  cubo  di  sterro  per  la  costruzione 
dei  prefati  pozzi  riterremo  quello  che  abbiamo  as- 
segnato (il)  per  il  collocamento  dei  tubi.  E  il  prezzo 
di  ciascun  coperchio  di  pietra  locale  per  i  chiusini 
(30)  ,  muniti  del  relativo  telaro  dell'istessa  pietra, 
sarà  di  scudi  3,60. 

45.  Il  prezzo  e  fattura  di  ciaschedun  metro  qua- 
drato d'  intonaco  per  i  pozzi  arricciato- fralazzato  , 
e  quindi  uno  strato  di  calcina  e  di  cocci  in  polvere 
(32),  lo  valuteremo  sommariamente  a  scudi  0,225. 

46.  Ristringiamo  «ora  il  nostro  computo  per  ve- 
nire all'approssimativa  conoscenza  dell'  importo  to- 
tale dell'operazione  di  condurre  in  Sezze  una  giusta 
quantità  d'acqua  per  l'uso  della  popolazione. 

Lunghezza  della  condottura,  metri 
8000  (25),  che  calcolati  al  prezzo  ele- 
mentare di  scudi  2,88  (40),  importa  se.  2306 i,  000 

Sterro  per  collocare  la  condottura, 
metri  cubi  6000  (26),  che  calcolati  al 
prezzo  elementare  di  scudi  0,225  il 
metro  cubo  (41),  importa  se.  1350,  000 

Terra  da  muoversi  per  riempire  i 
cavi,  metri  cubi  6000  (  26)  ,  valu- 
tati al  prezzo  elementare  di  scudi  0,10 
(40)"  il  metro  cubo,  importa  se.       600,  000 

Lunghezza  del  tubo  di  piombo  per 
gli  sfiatatoi,  metri  533,320  (27),  che  cal- 
colati al  prezzo  elementare  di  se.  1,732 
(42),  importa  se.       923,  710 


Somma  se.  25937,  71(* 


335 

Somma  riportata  se.  25937,  710 

Muro  di  pietrame  per  la  costru- 
zione dei  torrini  (28),  metri  cubi  121, 
25:  che  valutati  al  prezzo  elementare 
di  se.  2,20  (44),  importa  se.       266, 750 

Chiavi  scaricatrici  n.  20  (29),  cal- 
colate a  scudi  6  r  uno  (43)  ,  impor- 
tano se.       120,000 

Muro  di  pietrame  per  la  costruzione 
dei  chiusini  (30),  metri  cubi  28,80  : 
che  calcolati  al  prezzo  elementare  di 
scudi  2,20  (44),  importa  se.         63, 360 

Coperchi  di  pietra  per  i  chiusini 
n.  20  (30)  :  che  valutati  al  prezzo  di 
scudi  3,60  l'uno  (44),  importa  se.         72,  000 

Sterro  per  la  formazione  dei  pozzi, 
metri  cubi  72,20  (31),  che  valutati  al 
prezzo  elementare  di  scudi  0,225(41), 
importano  se.         16,245 

Muro  di  pietrame  per  la  costruzione 
dei  prefati  pozzi,  metri  cubi  66  (31), 
che  valutali  al  prezzo  elementare  di 
scudi  2,20  (44),  importa  se.       145,  200 

Metri  quadrati  142,50  d'intonaco, 
impermeabile  all'acqua  per  i  medesimi 
pozzi  (32),  che  valutati  al  prezzo  ele- 
mentare di  scudi  0,225  (45)  ,  impor- 
tano se.         32, 062 


Somma  totale  se.  26653,  327 


336 

Adunque  il  costo  finale  presuntivo  dell'  intera 
operazione  è  di  scudi  ventiseimila,  seicento  cinquan- 
tatrè,  trentadue  baiocchi  e  sette  decimi. 

47.  Epilogando  tutto  quello  che  abbiamo  detto 
fin  qui,  ripeteremo  brevemente,  che  lo  studio  sul- 
Taltimetna  del  paese,  ove  deve  passare  la  linea  di 
condotta,  ha  fatto  conoscere  ,  che  è  inammissibile 
qualunque  temperamento  per  architettare  un  ordi- 
nario acquidotto,  e  ci  siamo  dovuti  necessariamente 
appigliare  per  ragioni  di  economia  all'idea  d'architet- 
tare un  sistema  dicondottura,e  i  tubi  di  Ghisa  abbiam 
veduto  che  sotto  ogni  rapporto  meritano  la  prefe- 
renza agli  altri.  Abbiamo  quindi  creduto  molto  op- 
portunamente di  parlare  della  struttura  geologica 
dei  monti,  ove  si  raccolgono  le  acque  s.  Angelo,  e 
della  campagna  che  percorrerebbe  la  condottura.  Lo 
sperimento  della  misura  di  quell'acque  fece  cono- 
scere l'abbondante  quantità  delle  medesime.  In  quan- 
to poi  alle  sue  qualità,  e  ai  caratteri  fisici  che  le 
distinguono ,  furono  rinvenute  di  ottima  tempra. 
Siamo  finalmente  venuti  a  fare  la  dimostrazione  i- 
draulica  della  sicurezza  tecnica,  con  cui  quelle  ac- 
que possonsi  condurre  sino  al  punto  più  culminante 
della  città  di  Sezze,  ed  abbiamo  quindi  riportati  di- 
versi esempi  naturali  ed  artificiali,  a  maggior  evi- 
denza della  verità  che  volevasi  far  conoscere.  Per 
fare  la  generica  dimostrazione  della  somma  presun- 
tiva occorrente  all'esecuzione  dell'  operazione  ,  do- 
vemmo venire  alla  ricerca  della  quantità  d'  acqua 
necessaria  agli  usi  della  vita  della  popolazione  di 
Sezze  ,  per  quindi  trovare  il  diametro  del  tubo  di 
condotta.  La  cognizione  della  grossezza  media  del 
prefato    tubo  ,  e    tutti  gli  altri  elementi  estimativi 


337 

messi  a  calcolo  ,  ci  dettero  il  risultato  di  scudi 
26653,327  per  costo  finale  presuntivo  dell'  intera 
operazione.  Il  qual  conteggio  però  non  è  che  ge- 
nerico corrispondente  al  generico  e  preliminare  stu- 
dio che  abbiam  fatto  dell'operazione.  È  quindi  ne- 
cessario fare  tutti  i  relativi  e  singoli  studi  per  la 
prefata  esecuzione  dell'opera  ,  e  compiere  mental- 
mente il  disegno  dettagliato  della  medesima  ,  per 
venire  alla  sua  giusta  valutazione,  che  non  può  di- 
verger molto  dalla  trovata  per  via  di  approssima- 
zione. 

48.  Possa  questa  mia  ispezione  scientifica  e 
tecnica  sull'  acquidotto  da  costruirsi  nella  città  di 
Sezze  non  essere  totalmente  spi'ezzata  !  Se  per  po- 
vertà d'  ingegno  non  ho  soddisfatto  al  diffìcile  ar- 
gomento di  dimostrare  la  convenienza  tecnica  ed 
economica  deiroperazione,  onde  renderla  alla  fidu- 
cia dell'ottima  e  gloriosa  final  riuscita,  che  impru- 
denti dicerie  avevano  per  momento  tolta,  mi  sia 
fatta  indulgenza:  e  valga  il  mio  buon  volere  ,  che 
nella  costruzione  dell'  acquidotto  setino  altra  mira 
non  ho,  se  non  di  vedere  effettuate  le  benefiche  e 
sapienti  disposizioni  del  sommo  pontefice  pel  bene 
della  popolazione  di  quella  città  in  tanta  interes- 
santissima operazione,  della  quale  il  comune,  la  fa- 
miglia, r  individuo,  ne  sono  egualmente  interessati 
pel  presen-te  e  pel  futuro,  onde  togliere  l'uso  del- 
l' acque  insalubri,  e  porre  conseguentemente  freno 
ai  miserabili  malori,  contro  il  ben  essere  della  vita 
de'  cittadini,  con  provvedere  la  città  di  buon'  acqua, 
che  è  uno  dei  primi  agenti  per  mantenere  recono- 
mia  anin)ale  nello  stato  naturale  e  sano. 
G.A.T.CXLIII.  22 


338 


Delle  dipinture  più  celebri  esistenti  in  Fano. 

Descrizioni  di  Stefano  Tomani  Amiani. 

Fano  1856  (Di  pag.  30  in  8.°) 


I 


conte  Stefano  Amiani  è  uno  di  que'  gentili,  che 
onorano  la  provincia  di  Pesaro  ,  ed  uno  dei  pochi 
rimasti  di  quella  eletta  schiera,  che  facevano  risplen- 
dere di  bella  luce  letteraria  quella  illustre  parte  d' 
Italia.  Egli  si  accinse  alla  difficile  e  brigosa  impresa 
di  una  Guida  storico-artistica  di  Fano,  cui  non  man- 
cano che  poche  linee  pel  suo  compimento:  lavoro 
lodatissimo  ,  e  da  non  mettersi  in  un  fascio  colle 
altre  guide,  ma  da  tenersi  in  sommo  pregio  per  1' 
accuratezza  e  la  gran  copia  di  notizie  inedite  rela- 
tive alla  storia  e  alle  arti  della  sua  patria.  Ed  a  niun 
altro  megho  che  all'Amiani  si  poteva  affidare  un  si- 
mile assunto,  perchè  elegante  e  dotto  scrittore,  di- 
ligente ed  esatto  indagatore  delle  cose  patrie. 

Noi  vorremmo  che  ogni  città  d'Italia  avesse  di 
siffiitte  guide:  che  contenendosi  in  esse  le  virtù  e  le 
gemme  cittadine,  formerebbero  grandi  e  sicuri  ma- 
teriali ad  una  più  splendida  e  magnifica  storia  dell' 
italiana  civiltà.  La  vorremmo  maggiormente  oggi;per- 
chè  giungendo  fino  a'  giorni  nostri,  servirebbero  a 
rintuzzare  e  a  far  retrocedere  nella  gola  le  matte 
espressioni  di  alcuni  stranieri,  dimostrando  ad  evi- 
denza che  ognor  vive  fra  noi,  e  grande  ancora  splen- 
de, il  genio  delle  arti  e  delle  lettere.  Certamente 
gì'  italiani  non  sono  cianciatori,  né  ampollosi  lo- 
datori di  se  stessi,  e  delle  opere  sublimi,  di  che  va 


339 

pur  sempre  arricchendosi  questo  classico  suolo  bene- 
detto dal  cielo  e  dalla  terra.  D'  indole  più  grave  o 
severa  ,  essi  fanno  e  non  cicalano.  Del  resto  noi 
facciamo  voti  perchè  questa  guida  venga  alla  luce, 
potendosi  predire,  che  sarà  sommamente  gradita  e 
lodata  da  tutti  i  sapienti  e  zelatori  della  gloria  ita- 
liana: che  veramente  ogni  nostra  città  è  sì  ricca  di 
pregi  e  di  grandezze,  che  sola  potrebbe  onorare  qua- 
lunque altra  nazione. 

I  nostri  lettori  potranno  avere  un  saggio  del 
senno  e  della  perfezione,  con  cui  è  compilata  que- 
sta Guida  di  Fano,  dall'opuscolo  dell' Amiani  che  ab- 
biamo indicato  di  sopra.  Esso  contiene  le  descri- 
zioni delle  più  celebri  pitture  di  Fano,  fra  le  quali 
in  grandi  tavole  figurano  le  opere  del  Perugino,  di 
Simon  da  Pesaro,  del  Domenichino,  del  Guercino  , 
di  Guido  ,  e  quelle  non  comuni,  anzi  rare,  di  Gio- 
vanni Sanzio  padre  di  Raffaello,  e  di  Giuliano  Per- 
siuti  da  Fano.  L'Amiani  ha  estratte  dalla  sua  Guida 
inedita  le  lodate  descrizioni  in  occasione  delle  nozze 
della  contessa  Anna  Bracci  con  Lodovico  Baccarini, 
giovani  di  belle  virtù,  e  le  ha  indirizzate  con  sa- 
via lettera  al  conte  Filippo  Bracci,  fiore  della  fanese 
nobiltà  e  genitore  della  sposa. 

L.  P. 


cs^pj'. 


340 


Bolleuino  deW  istillilo  medico  valenzìano. 
Anno  XV.  Tomo  XV. 

Mese  di  gennaio  e  febbraio  1856, 


PRESERVATIVO    CONTRO    LA     FEBBRE    GIALLA. 


E. 


Igli  è  poco  che  comparve  nelV  Avana  uno  stra- 
niero chiamato  Humboldt,  il  quale  diceva  di  aver 
ritrovato  il  preservativo  della  febbre  gialla.  La  cre- 
dulità del  volgo  accolse  con  entusiasmo  questa  idea, 
intanto  che  gli  uomini  pensatori  aspettarono  i  fatti 
per  dare  il  proprio  giudizio  sulla  inoculazione  della 
putrillagine  risultante  dalla  corruzione  del  fegato  di 
una  pecora,  che  dicevasi  morsicata  da  una  vipera, 
di  cui  s' ignora  ancora  la  scientifica  denominazio- 
ne. Questa  inoculazione,  di  cui  i  maravigliosi  effetti 
si  credevano  di  tanto  felici  risultanze,  si  può  oggi 
giudicare  dai  fatti.  «  Abbiam  sott'occhio,  dice  il  Si- 
glo medico,  varie  lettere,  e  fra  le  altre  una  del  si- 
gnoe  Lletor  Castroverde  degno  decano  della  facoltà 
{Tjedica  dell'Avana,  e  per  esse  conosciamo  che  i  ri- 
sultati ottenuti  nell'anno  scorso  nei  malati  di  febbre 
gialla  nell'ospedal  militare  di  s.  Ambrogio,  sono  i 
seguenti.  Sono  stati  attaccati  dopo  l' inoculazione 
n.  115  individui;  di  questi  ne  sono  morti  44',  ossia 
^^/loo  '  verificandosi  che  di  175  individui,  che  non 
avevano  sofferta  1'  inoculazione,  ne  sono  morti  so- 
lamente 66,  ossia  ^*/jo(,. 


34f 

Bollettino  medesimo. 
Alese  di  aprile.  Anno  conente. 


CfiONACA    BIBLIOGRAFICA. 

Igiene  industriale  del  dottor  D.  Pietro  Filippo 
Monlau  [Memoria  premiata  dalV  accademia  medico- 
chirurgica di  Barcellona,  corrispondentemente  al  pro- 
gramma emesso  daW accademia  stessa  il  24  gennaio 
delV  anno  1855). 

Il  ben  essere  della  umanità,  e  sopra  tutto  della 
classe  laboratoria,  è  il  gran  problema  che  occupa 
di  preferenza  le  società  moderne.  Filosofi  e  politici 
si  affannano  assiduamente  per  rinvenirne  Io  scio- 
glimento desiderato.  Mossero  di  qui  quelle  spiri- 
tose ed  abbaglianti  teorie,  que'sistemi  fantastici  ed 
illusorii,  che  fino  ad  ara  hanno  prodotto  risultanze 
contrarie  al  fine,  il  quale  i  loro  autori  si  avevano 
proposto. 

Ma  mentre  queste  intelligenze  esauriscono  i  lor 
mezzi  per  procurare  una  fortuna  caduca  a  queste 
classi,  altri  uomini  di  condizione  modesta,  ma  pieni 
di  coraggio  e  di  filantropia,  si  consacrano  in  mezza 
al  disprezzo  ed  alla  ingratitudine  ad  assidue  fati- 
che per  facilitare  la  più  stimabile  delle  felicità  che 
esister  possa  in  questa  terra  di  sventure,  la  salute. 
E  questa  la  missione  dei  medici  dal  tempo  che  si 
conosce  la  loro  istituzione  divina:  questa  adempiono 


342 

in  ogni  occasione ,  movendo  sempre  innanzi  alle 
grandi  migliorìe:  ed  essa  li  porta  nell'epoca  attuale 
di  agitazione  e  positivismo  a  slanciarsi  con  fervo- 
roso zelo  a  salvare  i  propri  fiatelli  dai  mali 
terribili  che  li  minacciano. 

In  prova  di  ciò  veggasi  come  nei  paesi  stranieri 
abbondano  le  pubblicazioni  di  opere  su  pubblica  e 
privata  igiene  :  mentre  fuor  di  dubbio  è  questo  1' 
unico  ramo  della  medicina  che  può  salvare  la  so- 
società  da  grandi  calamità,  e  procurare  beni  senza 
fine  ai  governi  ed  agi'  individui.  CiOsì  la  intesero  i 
reggitori  di  quelle  nazioni  eulte;  ed  a  tal  fine  hanno 
protetto  Io  studio  della  igiene,  hanno  chiamato  gli 
uomini  sommi  in  questa  scienza,  fomentate  le  isti- 
tuzioni che  si  proponevano  di  coltivarla,  per  intro- 
durre nei  loro  paesi  quei  positivi  miglioramenti  che 
formano  l'ammirazione  dei  viaggiatori,  e  non  ten- 
dono solamente  all'ornato  ,  ma  sibene  anche  all'a- 
gevolamento di  benefizi  reali  pe'cittadini. 

Nel  nostro  disgraziato  paesediSpagna,non  ostante 
l'abbandono  in  diesi  lasciano  le  mediche  società, e  non 
ostante  il  disprezzo  con  che  si  guarda  il  talento  , 
vediam  con  piacere  il  costante  impegno  della  illu- 
stre accademia  medico-chiruigìca  di  Bai'cellona  per 
fomentare  lo  studio  e  stimolare  ali  applicazione  i 
medici  spagnuoli,  offerendo  premi  annuì  agli  autori 
dei  migliori  scritti  che  si  presentino  sopra  i  temi 
che  essa  prefìgge. 

Questa  dotta  corporazione,  conoscendo  i  mali  che 
affliggono  la  classe  laboriosa  che  bolle  agitata  nella 
città  feudale,  propose  a  tema:  «  Quali  misure  igie- 
niche può  il  governo  dettare  a  vantaggio  della  classe 


343 

laboriosa  ?  »  Una  proposizione  tanto  importante, 
quanto  trascendentale,  richiedeva  per  essere  trattata 
debitamente  talenti  superiori,  grandi  conoscenze,  e- 
rudizione  vasta,  e  studio  profondo  della  classe  ope- 
raia. Niuno  poteva  riunire  doti  tanto  speciali  me-^ 
glio  del  valente  igienista  D.  Pier  Filippo  Monlau, 
a  cui  l'accademia  medico-chirurgica  di  Barcellona 
die  il  premio  di  una  medaglia  d'oro  per  la  filoso- 
fica istruttiva  ed  erudita  memoria  assoggettala  al 
suo  giudizio,  e  della  quale  ci  spiace  non  poterci 
a  di  lungo  occupare  ,  per  essere  ella  un'  impresa 
superiore  alla  capacità  nostra,  e  d'altronde  pure  in- 
compatibile coi  limiti  di  una  periodica  pubblicazio^ 
ne;  non  ostante,  perchè  i  nostri  lettori  possano  ap- 
prezzare il  pensiero  che  muove  l'autore  a  scrivere 
l'igiene  industriale,  vogliamo  riportare  le  righe  che 
seguono  ,  nelle  quali   riassume  le  sue  idee. 

(i  L'  opei'aio  è  povero  :  soccorretelo  ,  aiutatelo. 
L'operaio  è  ignorante:  istruitelo,  educatelo.  L'ope- 
raio ha  cattive  inclinazioni:    moralizzatelo. 

({  Soccorretelo,  perchè  lo  comanda  la  religione, 
lo  detta  l'umanità,  e  1'  interesse  istesso  delle  classi 
agiate  lo  consiglia.  Strappatelo  alla  miseria,  perchè 
allora  maggiore  sarà  la  sua  robustezza  ,  resisterà 
con  più  gagliardia  alle  cagioni  di  distruzione  e  di 
morte  che  lo  assediano,  vivià  pili  lungamente  e  più 
gioconda  sarà  la  sua  vita.  Fate  innalzare  un  poco  il  li- 
vello del  suo  attuale  ben  essere  fisico,  e  libererete 
la  società  dallo  spettacolo  delle  grandi  miserie  ed 
infortuni  lamentevoli. 

«  Istruitelo  !  coltivate  la  sua  intelligenza  nell'a- 
dequata  misura  !  e  capirà  i  suoi  doveri,  e  non  ma- 


344 

ledirà  la  sua    condizione,  e  rispettcìà  T  ordine  ge- 
rarcliico  della  società. 

«  Moralizzatelo  !  e  questo  sarà  ben  facile  dal 
momento  ,  che  abbiate  rimediato  alla  sua  mise- 
ria fisica  ed  alla  sua  miseria  intellettuale  (alla  sua 
ignoranza).  Soccorrete  ed  istruite  1'  operaio  :  e  lo 
vedrete  togliersi  di  certo  dalla  spensieratezza,  dal- 
la poltroneria  ,  dallo  spirito  di  ribellione  e  dalle 
altre  brutte  passioni  ed  abitudini  cattive,  che  si  os- 
servano nella  classe  sociale  a  cui  appartiene.  Soc- 
correte ed  istruite  1'  operaio,  ed  avrete  spedita  la 
via  a  renderlo  morigerato  e  religioso.  E  .conta 
pure  che  la  morale  e  la  religione  sono  i  due  poli 
dell'asse,  sul  quale  ogn'umana  società  si  ravvolge. 
Non  ci  sorprenda  adunque  quello  che  accade  in  va- 
rie nazioni  ,  né  maraviglia  ne  arrechi  se  piovono 
sventure  sopra  sventure  su  popoli  rilassati  e 
miscredenti:  perchè  quello  ohe  manca  oggi  all'ope- 
raio, come  quasi  ad  ogni  altra  classe,  è  l'elemento 
morale,  il  quale  costituisce  il  nerbo  della  società,  ed 
assicura  il  ben  essere  di  ciascuno  de'loro  membri; 
ciò  che  manca  è  una  convinzione  religiosa,  sincera 
e  profonda  ,  senza  la  quale  1'  uomo  vacilla  senza 
posa,  e  non  indovina  a  dare  un  passo  nel  sentiero 
che  tiene  tracciato  a  se  dinanzi  ;  ciò  che  manca 
finalmente  è  una  fede  robusta  per  risvegliare  ed 
alimentare  nel  cuor  suo  un  sentimento  energico  del 
dovere.  Ella  è  questa  fede  che  spiana  i  monti,  ella 
è  questa  che  sotto  tal  o  tal  altra  forma  tante  me- 
raviglie operò  nelle  società  antiche  ed  in  quelle  del- 
l'età di  mezzo;  ed  il  difetto  di  questa  fede  è  il  can- 
cro roditore  dell'età  moderna.    Per  questo  tutto  il 


345 

mondo  si  lagna,  poveri  e  ricchi,  operai  e  fabbricanti: 
nessuno  è  conlento.  E  la  causa  di  questo  dolore 
universale  si  rinviene  nei  costumi.  E  leso  il  cuore 
della  società.  Se  la  moralità  dei  popoli  non  di- 
pende interamente  dai  progressi  della  loro  istru- 
zione, per  disgrazia  nostra  la  moralità  e  1'  istruzione 
si  possono  sviluppare,  e  troppo  di  frequente  si  svi- 
luppano, parallelamente  e  contraddittoriamente.  La 
istruzione  non  può  supplire  sempre  alla  moralità,  e 
molto  meno  nelle  classi  laboriose  ed  illetterate:  la 
alleanza  dei  due  elementi  e  la  loro  aggiustata, 
armonia  sarebbero  la  miglior  prova,  e  la  più  g!o 
riosa  conquista  di  una  ben  intesa  civiltà  ec.  » 

Dopo  di  questa  lettura,  che  potremo  fare  di  me- 
glio che  consigliare  lo  studio  della  Igiene  indu- 
striale? Troverà  in  essa  il  medico  una  sorgente  fe- 
conda di  dottrina  per  risolvere  questioni  impor- 
tanti ,  tanto  nella  particolare  sua  pratica  ,  quanto 
nei  casi  in  che  sarà  consultato  dalle  autorità. Piacesse 
al  cielo  che  queste  ed  il  governo  leggessero  tali 
pagine  istruttive  per  vantaggio  della  classe  operaia 
e  della  società  !  Non  chiuderemo  queste  mal  ac- 
cozzate righe  senza  rallegrarci  con  il  sig.  Monlau 
per  il  trionfo  che  ha  conseguito  nel  certame  ac- 
cademico di  Barcellona  :  e  nutriamo  speranza  che 
sarà  per  ottenere  assai  di  più,  se  continua  con  tanta 
valentìa  a  percorrere,  come  ha  praticato  fin  qui,  il 
glorioso  sentiero  dello  studio. 

R.  H.  P. 


34f) 


Al  chiarissimo  signor 
prof.  Gianfrancesco  RamhelU. 


H 


[o  letto  nel  nostro  Album  dei  27  settembre  la 
lettera  di  V.  S.  Illma  datata  da  Persicelo  17  giu- 
gno di  quest'  anno  e  diretta  al  eh.  sig.  professore 
cav.  Betti  ;  e  siccome  in  quella  si  parla  di  me  e 
della  mia  seconda  lettera  sulle  Liburne  rotale  del 
21  novembre  1855,  inserita  nel  tomo  CXL  dell'Ar- 
cadico; così  senza  indugiar  molto  vi  rispondo,  seb- 
bene avea  promesso  a  me  stesso  di  non  tornar  più 
sopra  simile  argomento.  Mi  prendo  poi  la  libertà  di 
dirigere  a  lei  queste  mie  parole,  valendomi  dei- 
esempio;  imperocché  ella  stessa  dieci  anni  or  sono 
ebbe  la  gentilezza  d'  indirizzarmi  uno  scritto  ,  del 
quale  credei,  nella  franchezza  del  mio  carattere,  di 
non  mostrarmele  grato. 

In  questa  sua  nuova  lettera  poi,  primieramente 
noto  la  seguente  frase:  «  Voi  sapete  ,  Betti  caris- 
»  simo,  come  io  stampai  già  nell' i4/6i»n  (18  marzo 
»  18i6)  una  lettera  sulle  Liburne  rotate,  ove  cre- 
))  detti  poter  mostrare  cosa  nostra  la  invenzione 
»  delle  navi  a  ruote.  ìl  che  non  talentando  al  sig. 
))  cav.  Camillo  Ravioli,  esci  spontaneo  in  campo  e 
))  diresse  a  celebre  prelato  un  suo  scritto,  in  cui 
))  ribatteva  quanto  io  sulla  fede  delFlsnardi  aveva 
))  asserito  ec.  »  Con  queste  parole  ella  allude  al 
mio  primo  scritto  del  21  aprile  1846.  Ora  con  tutto 


347 

il  rispetto  le  fo  osservare,  che  io  in  quello  non  ho 
mai  avuto  in  animo  di  negare  o  di  dare  esclusiva- 
mente air  Italia  questa  gloria;  imperocché  mi  pro- 
posi soltanto  di  dimostrare: 

«  1"  Che  l'uso  poetico,  pittoresco  e  meccanico 
»  delle  ruote  ai  carri  marini  e  alle  navi  è  antichis- 
»  simo  e  d'ogni  tempo: 

«  2°  Che  le  navi  liburne  erano  a  remi  e  a  vele 
»  soltanto,  0  accidentalmente  rotale  (per  non  con- 
»  Iraddire  alla  prima,  gratuita  e  sola  testimonianza 
))  deWiucerlo  autore  [incerto  auctohe  de  rebus  bel- 
»  Licis): 

»  3"  Che  il  nome  di  questo  incerto  autore  sem- 
»  pre  sarà  incognito:  ma  esiste  il  suo  libro  De  re- 
»  bus  bellicis,  ove  si  rinvengono  le  parole  che  Go- 
»  descalco  fedelmente  trascrive: 

»  4°  Che  è  nulla  l'autorità  di  quest'autore  in- 
»  certo  De  rebus  bellicis: 

»  5°  In  qual  modo  si  può  aver  credenza  al  fatto 
»  registrato  dall'  incerto  autore  ,  indipendentemente 
»  dalla  sua  autorità  ». 

Dalle  quali  proposizioni  concludendo  io  dedussi: 
Le  navi  a  ruote  sono  uso  antichissimo  e  modernissimo  , 
nostrano  e  straniero.  Le  navi  a  ruote,  e  le  liburne  a  ruote 
mosse  da  buoi,  sono  prodotte  e  lodate  da  due  senza  nome: 
monumenti  e  autori  tacciono  di  loro.  Il  criterio  e  il  cal- 
colo ci  obbligano  a  smentire  la  utilità  e  la  potenza  delle 
liburne  rotate',  non  mai  a  negare  le  esperienze  che  si 
possono  esser  fatte  (1).  Per  quel  che  concerne  lo 
scopo  del  mio  secondo  scritto  del  21    nov.  1855, 

(1)  Giornale  Arcadico  tomo  CVlll  p.  120,  e  p.  144. 


348 

per  tutta  conclusione  dimostrai,  che  In  testimonianza 
di  Vegezio,  allegata  dall'  Isnardi  e  sostenuta  da  lei, 
è  male  applicata  alle  liburne  rotate.  Avvegnaché 
Vegezio  parla  delle  liburne  ,  e  non  delle  liburne 
rotate,  che  sono  non  il  genere,  ma  la  specie.  Que- 
ste liburne  rotale  rimanendo  per  tal  via  solamente 
lodate  ab  incerlo  alidore  de  rebus  beUicis  ,  il  quale 
non  le  attribuisce  a  nessun  popolo  o  inventore  : 
dunque ,  restiamo  per  questo  lato  ancora  in  per- 
fetta oscurità  di  loro  origine:  sfidando  l'articolista 
sig.  C.  A.  dell'  Enciclopedia  italiana  e  dizionario  della 
conversazione  (1),  del  primo  inventore  occulto  ed 
incognito,  e  perciò  senza  nome,  a  dirci  la  patria  , 
come  si  volle  pretendere  (2). 

Ella  passa  di  poi  nella  sua  lettera  a  dolersi  del- 
l'avverbio sordamente  da  me  usato  nella  frase:  «  Per- 
»  che  il  celebre  autore  delle  Lettere  intorno  inven- 
))  zioni  e  scoperte  italiane  adirarsi  sordamente  con 
»  me,  che  vidi  il  vero  P  E  perchè,  me  avversan- 
))  do,  patrocinar  la  causa  vacillante  delTIsnardi  che 
))  cadde  in  abbaglio  ?  » 

Potrei  trovar  modo  di  provare  che  quella  mo- 
dificazione ha  senso  diverso  da  quello  che  V.  S.  le 
attribuisce:  pure  voglio  dirlo  un  mio  fallo,  perchè 
con  un  semplice  avverbio  non  ottenni  1'  intento  pre- 
fìssomi, di  accennare  cioè,  ch'ella  con  tutta  urbanità 
nella  lettera  da  lei  a  me  diretta  volesse  pungertni. 
Convengo  adunque  che  sia  meglio  toglierlo:  cosi  di- 


(1)  Venezia  1847  art.  Liburne  rotate. 

(2)  Giornale  Arcadico  Tomo  CXL. 


349 

struuffo  una  delle  due  mie  inconsiderazioni  ,  come 
ella  con  molta  discretezza  le  chiama. 

Intorno  però  alla  mia  seconda  inconsideratezza 
non  convengo.  Il  chiarissimo  sig.  cav.  Betti  nella 
classica  sua  opera  Vllliislre  Italia,  come  anche  ella 
avverte,  parlando  del  Branca  dice:  «  Imperocché  fu 
«  egli  che  tra'  primissimi  tentò  la  grave  esperien-- 
))  za  di  applicare  siccome  forza  motrice  la  potenza 
))   del  vapore  dell'acqua  all'uso  della  meccanica  ». 

Ed  appunto  il  Branca  fu  tra  i  primissimi  ad  ap- 
plicare l'eolipila  rammentata  da  Vitruyio  e  nota  alla 
scuola  alessandrina,  come  forza  motrice  di  un  con- 
gegno atto  a  pistar  le  polveri.  Ed  ella  m' insegna 
che  il  dire  tra'  primissimi  è  cosa  assai  diversa  che 
dire  //  primo.  Quindi  la  cauta  frase  del  sig.  cav. 
Botti  non  si  trova  in  opposizione  co'  fatti  e  col  vero; 
e  siccome  io  ho  cercato  di  esporre  que'  fatti  e  quelle 
verità  medesime  intorno  al  'vapore  acquoso  ed  alle 
applicazioni  della  sua  forza  motrice;  così  neppure  io 
mi  son  trovato  a  contraddire  il  eh.  professore  sud- 
detto, verso  il  quale  ogni  dì  piiì  s'aumenta  la  mia 
venerazione  ad  un  tempo  e  l'ammirazione  sincera, 
conoscendo  meglio  il  tesoro  delle  auree  doti  dell' 
animo  suo  e  l'estinsione  delle  cognizioni  che  alta- 
ijiente  possiede. 

INon  credetti  poi  di  dovere  indagare  scrupolo- 
samente se  la  ristampa  della  sua  opera  Intorno  in- 
venzioni e  scoperte  italiane,  fatta  in  Modena  nel  1844, 
aveva  o  nò  aggiunte  o  correzioni,  le  quali  si  fanno, 
vivo  l'autore,  quasi  ogni  volta  che  s' intraprende  una 
nuova  edizione  di  un  libro.  D'altra  parte  io  mi  sono 
trovato  talora  a  dovere  confrontar  codici  o  edizioni 


350 

di  classici  latini  ed  italiani  ,  per  le  varianti  o  pei' 
tutt'altra  ragione;  ma  nelle  opere  moderne  ho  cer- 
cato di  consultare  la  edizione  ultima  fatta  vivente 
l'autore,  perchè  riputata  sempre  o  quasi  sempre  mi- 
gliore. V.  S.  lllma  mi  avverte  che  la  sua  sesta  edi- 
zione di  Modena  18i4,  come  tutte  le  altre,  non  gode 
di  questo  benefìcio  nella  lettera  XIX  sulle  macchine 
a  vapore.  Non  ho  che  rispondere  :  basta  a  me  eh' 
essa,  in  caso  di  pazienti  cure,  eh'  ella  avesse  avuto 
o  tempo  o  volontà  di  fare,  abbia  potuto  ammettere 
varianti  ed  addizioni.  Ciò,  spero,  non  mi  potrà  mai 
negare  :  poiché  1'  indicazione  del  passo  del  Palin- 
genio  fu  pubblicata  in  Roma  nel  1843  ,  e  la  sua 
opera  ristampata  nel  184-4.  D'altronde  le  sue  dotte 
aderenze  in  Roma  glielo  avrebbero  facilmente  o 
additato  o  comunicato  al  primo  suo  dubbio  che  il 
Branca  non  potesse  essere  stato  il  primo  ad  appli- 
care l'eolipila  foggiata  a  testa  di  metallo.  Ma  tal 
dubbio  non  poteva  in  lei  certamente  sorgere,  se  non 
dopo  fatta  lettura  del  testo  del  Branca:  la  qual  let- 
tura ella  onìise  di  fare,  perchè  non  le  fu  comuni- 
cato il  testo,  ma  semplicemente  il  frontispizio  del 
libro  intitolato  Le  machine,  stampato  dal  Branca  in 
Roma  nel  1629. 

Ella  poi  mi  fa  molto  pedissequo  ai  precetti  di 
Orazio,  quand'ei  consiglia  a  limare  un'  opera  per 
nove  anni.  Questo  sarebbe  stato  per  me  un  vanto 
da  cui  ritrarrei  grande  estimazione:  ma  deggio  farle  \ 
osservare  rispettosamente,  che  la  mia  non  fu  che 
una  lettera  ,  la  quale  non  costommi  altro  tempo  , 
che  quello  necessario  a  distenderla  currenli  calamo^ 
La  prego  a  rileggere  il  brano  che  mette  in  chiaro 


351 

questo  punto:  io  posso  assicurarla,  che  ivi,  come  al- 
trove, non  era  luogo  a  tradirsi  da  me  la  verità. 
»  Neir  aprile  1846  scrissi  la  mia  infausta  lettera 
»  sulle  liburne  rotate:  il  oh.  sig.  Rambelli  rispose 
»  neir  ottobre  dello  stesso  anno;  il  Dizionario  del 
»  Tasso  porta  la  data  del  1847.  Io  lessi  in  esso 
))  l'articolo  del  sig.  C.  A.  nel  1848:  lo  disprezzai, 
»  imperocché  lo  lessi  con  poca  riflessione.  Nel  1853 
»  mi  fu  fatto  notare  da  persona  amica:  lo  tornai  a 
))  leggere,  vidi  la  necessità  di  difendermi.  Nel  lu- 
»  glio  del  1854  gittai  sulla  carta  queste  osserva- 
»  zioni,  quando  credea  ancor  vivente  1'  Isnaidi:  ora 
))  finalmente,  fatte  molte  recisioni  per  amor  di  pace 
»  e  di  brevità,  dopo  9  anni  mi  son  deciso  a  rompere 
»  il  silenzio,   che  omai  mi  pesava  sul  cuore  ». 

Mi  permetta  ancora  un'altra  annotazione.  Io  leggo 
sempre  nella  sua  lettera  ultima,  del  18  giugno  p. 
p.  inserita  nelV  Album  «  ....  e  quando  le  cose 
))  che  dissi  in  quella  (lettera  dell'ottobre  1846)  sono 
»  esposte  con  tutta  l'urbanità  e  la  moderatezza,  che 
»  anche  in  discrepanza  di  opinione  è  a  usarsi  fra  le 
))  oneste  e  civili  persone.  »  Quasi  che  la  nostra 
quistione  consista  in  dissentimento  di  opinione:  Non 
posso  né  debbo  volere  che  V.  S.  lllma  la  chiami 
altrimenti;  dalla  mia  parte  però  protesto  altamente. 
Finché  gU  studi  storici  non  si  avvalorarono  di  fatti, 
di  prove  e  d'  interpretazioni  non  dubbie  ,  opinione 
si  disse  il  disparere  sulla  priorità  della  civiltà  etru- 
sca  o  greca:  fino  a  Galileo  opinione  fu  l' immobilità 
della  terra  o  del  sole:  fino  a  Colombo  opinione  l'e- 
sistenza delle  terre  al  di  là  d'Abila  e  Calpe  e  del- 
l'ultima Tuie:  e  sempre  saranno  opinioni  le  discre- 


352 

panze  in  materia  filosotìca  delle  varie  sette  degli 
stoici,  de'  peripatetici,  degli  epicurei  ec.  La  base  della 
mia  quislione  intorno  alle  liburne  rotale  è  tutta  pog- 
giata nelle  cinque  proposizioni  da  me  sopra  enun- 
ciate, e  provate  nella  mia  prima  lettera  e  documen- 
tate o  con  verità  e  date  storiche,  o  col  calcolo,  e 
non  dichiarate  finora  false  da  nessuno  per  mezzo  di 
nuove  prove  che  quelle  distruggano  e  me  confon- 
dano. Per  quel  che  riguarda  all'origine  della  quistione 
da  me  promossa  nella  prima  lettera  e  di  nuovo  a- 
gitata  nella  seconda  -  Se  i  ìsnardi  è  caduto  in  al- 
cuno eirore  e  dove  ?  -  avendo  io  dimostrato  che  sìy 
per  ismentirmi  è  d'uopo  contrappormi  argomento  e 
prove  di  logica,  che  dicano  che  no.  Il  resto  non  ò 
che  un  cumulo  di  parole,  alle  quali  se  se  ne  aggiun- 
gessero di  nuove  e  da  lei  e  da  me  ci  farebbero 
torto. 

Quindi  è  che  se  i  chiarissimi  uomini,  a  cui  ella 
si  appella,  quali  sono  il  Betti,  l'Orioli  ed  il  Ferruc- 
ci, a  giusto  titolo  de'  più  venerati  e  saputi  che  ab- 
bia r  Italia,  trovino  lo  stato  della  quistione  non  in- 
degno del  loro  esame,  io  fo  preghiera  che  essi  sì 
compiacciano  di  prendere  in  considerazione  le  pro- 
posizioni da  me  dichiarate  in  questa  mia  terza  let- 
tera, epilogo  delle  altre  due.  Il  vasto  sapere,  di  che 
eglino  sono  oltre  misura  forniti,  ben  additerà  loro 
che  qualunque  altro  punto  di  vista  ,  da  cui  puossi 
mirare  l'oggetto,  mi  è  estraneo  totalmente. 

Prenda  infine  la  S.  V.  Illma  queste  mie  parole 
come  un  atto,  che  mal  nn'o  grado  l'onor  mio  e- 
sigeva  che  io  compiessi.  Altre  volte  eranvi  alcune 
vie  arrisicate  di  proposta  e  di  risposta,  diverse  dalla« 


9f 


353 

moderata  polemica  da  noi  intrapresa.  Sia  lode  a  Dio, 
la  civiltà  moderna  alla  spada  sostituì  la  parola,  al 
campo  i  fogli  periodici:  più  nobile  arena  al  certo. 
La  S.  V.  mi  ha  trovato  sempre  pronto  ed  animoso 
in  questa  nuova  palestra:  e,  n'abbia  la  mia  fede,  sem- 
pre mi  ci  troverà.  Ma  la  S.V.  stessa  saggiamente  os- 
serva che  la  qulslione  non  ha  in  se  importanza  nes  - 
suna;  quindi  il  nostro  tempo,  io  mi  avviso,  può  es- 
sere meglio  adoperato  in  altre  faccende,  senza  che 
urbanamente  e  moderatamente  facciam  trapelare  da 
ambe  le  parti  qualche  cosa,  che  ornai  non  ritiene 
molto  della  virtù.  Mi  creda  sempre 

Della  S.   V.  Illma 

Di  Roma  ai  3  di  ottobre  1856. 

Devotissimo  Servitore 
Camillo  Ravioli. 


GA.T.CXLlll  23 


354 
VARIETÀ' 

Scrini  vari  di  Salvatore  Beiti.  S."  Firenze  tipografia 
di  Emilio  Torelli  1856.  {Un  voi.  di  pag.  448). 

Non  sono  comprese  in  questo  volume  né  V  Il- 
lustre Italia,  ne  le  Prose  scelte  pubblicate  dal  Sil- 
vestri in  Milano  nel  1827.  Sappiamo  dall'autore,  che 
l'edizione  è  offesa  qua  e  là  di  ben  gravi  errori  di 
stampa  :  non  avendo  potuto  curarla  egli  col  con- 
dursi a  Firenze. 


Vita  di  s.  Filippo  Neri  novellamente  descritta  in  com- 
pendio da  Giuseppe  Ignazio  Montanari.  S."  Bologna, 
tipografia  al  Sole  1856.  (Un  voi.  di  pag.  226.) 

Osiamo  dire,  che  se  i  libri  di  cristiana  edifica- 
zione saranno  scritti  com'è  questa  vita  di  s.  Filippo 
Neri,  andranno  essi  maggiormente  fra  le  mani  d'ogni 
condizione  di  fedeli ,  i  quali  ne  trarranno  profìtto 
insieme  e  diletto.  Quanta  nettezza  di  favella!  Quan- 
ta grazia,  semplicità  ed  efficacia  di  stile  !  Quanto 
magistero  di  narrazione  !  Ne  siano  lodi  grandi  all' 
esimio  professor  Montanari,  che  ora  ci  porge  ad  am- 
mirare ed  amare  le  sante  virlù  del  Neri,  come  già 
fece  di  quelle  di  s.  Giuseppe  da  Copertino. 


Alcune  prose  di  Gaetano   Gihelli.  8."  Bologna  tipo- 
grafia all'Ancora   1856.  (Un  voi.  di  pag.  176.) 

Sono  qui  di  questo  scrittore  elegantissimo,  e  più 
volte  da  noi  meritamente  lodato,  la  Vita  del  conte 
Giovanni  Marchetti,  le  Considerazioni  sopra  la  moda 


355 

e  sopra  tre  sonetti  del  Petrarca,  ed  una  Lettera  al 
conte  Francesco  Salina  intorno  alle  famose  unità  di 
Aristotele,  ch'egli  filosofìcarnante  e  virilmente  pro- 
pugna. 


Elogio  del  conte  Domenico  Paoli  fatto  dal  marchese 
Francesco  Baldassini  per  commissione  del  muni- 
cipio di  Pesaro.  8°  Pesaro,  tipografia  di  Annesio 
Nobili  1856.  (Sono  pag.  43.) 

Del  conte  Paoli,  una  delle  glorie  pesaresi  di  que- 
sto secolo,  si  aveva  già  un  bell'elogio  pubblicato  dal 
P.  Serpieri  delle  scuole  pie,  professore  di  fisica  nelT 
università  di  Urbino.  Ma  il  municipio  di  Pesaro  ha 
desiderato  che  anche  in  patria  si  celebrassero  la  vir- 
tù e  la  dottrina  dell'esimio  cittadino  che  tanto  fece 
per  essa  e  per  le  scienze  soprattutto  fìsiche  e  geo- 
logiche :  ed  ecco  quest'  altro  nobile  scritto  uscito 
della  penna  d'uno  de'nostri  veterani  onorandi  delle 
scienze,  cioè  del  marchese  Francesco  Baldassini,  il 
quale  al  Paoli  fu  congiunto  di  studi  e  di  afifetto- 
L'elogio  è  veramente  degno  del  lodato  e  del  loda- 
tore: ed  oltre  al  piacere  che  debbono  provarne  i  pe- 
saresi, ce  ne  congratuliamo  anche  noi,  che  all'uno 
già  fummo,  ed  all'altro  siamo  stretti  di  singolare 
amicizia. 

Il  marchese  Baldassini  ha  inoltre  pubblicato  in 
Pesaro,  di  questi  mesi,  quest'altre  sue  opere  : 

Intorno  alVanalisi  ragionata  dei  lavori  di  G.  Cuvier^ 

preceduta  dal  suo  elogio  fatto  da  P.  Flourens. 
Intorno  al  potere  attribuito  al  mollusco  del  genere  Cy- 


356 
praea  di  coslriiiie  una  nuova  conchiglia  allorché  per 
V accrescimento  deW animale  si  è  resa  di  troppo  an- 
gusta la  prima. 

Sul  modo  con  cui  si  suppone  che  i  molluschi  lilofagi 
perforino  le  rocce. 

Intorno  alle  facoltà  che  hanno  le  sanguisughe,  e  spe- 
cialmente /'hyrudo  medicinalis,  di  succhiare  il  san- 
gue. 

Intorno  alVopera  del  conte  Giuseppe  Zinanni  di  Ra- 
vemia  sulle  uova  e  nidi  degli  uccelli,  e  intorno  la 
sua  anteriorità  a  M.  Gay  neW antivederne  Vimpor- 
tanzfi. 


Lettere  del  conte  Giulio  Perlicari  mancanti  in  tutte 
le  edizioni  delle  sue  opere.  8."  Faenza  dalla  tipo- 
grafia di  Pietro  Conti  1856.  (Sono  pag.  38.) 

Rende  gran  servigio  all'Italia  ed  alla  gentilezza 
delle  sua  favella  chi  pubblica  alcuna  cosa  d'oro  del 
Perticari  :  che  già  non  altro  che  oro  menava  quella 
sua  penna.  Le  lettere,  che  qui  annunziamo,  e  che 
trovansi  sparse  qua  e  là  in  diverse  opere  ,  saranno 
a  tutti  preziose;  specialmente  una  di  esse  lunghis- 
sima e  dottissima  al  celebre  Paolo  Costa  intorno 
a  que'versi  della  Divina  Commedia  : 

J]^  la  notte  de'passi,  con  che  sale, 
Fatti  avea  due  nel  loco  avveravamo  : 

lettera  che  ha  una  pur  lunga  aggiunta  in  fine,  pa- 
rimente intorno  ad  essi  versi,  dell'illustre  consorte 
del  Perticari  Costanza  Monti. 


357 

/  primi  XXI  vescovi  della  chiesa  ripana,  ceUni  sto- 
rici del  sacerdote  prof.  Alessandro  Alti.  12."  Ri- 
patransone,  tip.  di  Corrado  e  Guido  laffei  1856. 
(Sono  pag.  198}. 

Diamo  al  sig.  prof.  ab.  Atti,  rettore  del  semi- 
nario di  Segni,  la  lode  che  ben  si  merita  per  qaesta 
opera, la  quale  eruditamente  illustra  non  solo  la  storia 
della  chiesa  ripana, ma  l'universale  ecclesiastica:  oltre 
alle  notizie  critiche  che  vi  si  contengono  delle  an- 
tiche città  di  Cupra  Marittima  e  di  Truento,  le  qua- 
li, già  vescovili  ne  primi  secoli  della  nostra  fede  , 
sursero  nella  presente  diocesi  di  Ripatransone,  che 
non  ottenne  la  sua  cattedra  vescovile  se  non  nel 
1571   da  san  Pio  V. 

La  prima  e  la  seconda  patria.  Picciol  dono  affettuoso 
offerto  agli  amici  delVuna  e  delValtra  da  Alessan^ 
dro  Baldassini.  8."  Pesaro,  tipografia  di  Annesio 
Nobili  1856.  (Sono  pag.  61.) 

La  Simiglia  Baldassini  di  Pesaro  non  è  men 
chiara  per  lettere,  che  per  cortesia.  Abbiamo  par- 
lato or  ora  del  venerando  marchese  Francesco  :  or 
ecco  il  suo  degno  figliuolo  marchese  Alessandro  dar 
opera  in  questi  versi  ad  onorare  i  più  insigni  suoi 
amici  e  concittadini  di  essa  città  di  Pesaro  e  di  Bo- 
logna, quella  chiamata  prima,  e  questa  seconda  sua 
patria.  Gentile  il  pensiero  dell'  egregio^  signore  :  e 
lodevole  l'esecusione  di  esso:  perciocché  ne'suoi  versi 
ben  si  ravvisa  un  seguace  delle  scuole  sì  pesarese 
e  sì  bolognese  ,  famosa  quella  pel  Perticari  e  pel 
Cassi,  questa  pel  Costa,  pel  Marchetti,  per  l'Ange- 


358 
lellì ,  tenutisi  cost.antemente  lontani  da  ogni   stra- 
nezza e  corruzione  moderna. 


Vita  del  giovane  marchese  Girolamo  Morici  di  Fermo 
scritta  dal  prete  Antonio  Donati.  12."  Fermo^  tip. 
Paccasassi  1856.  (Sono  pag.  119  coi  ritratto  del 
Morici). 

Non  poteva  scriversi,  a  noi  pare,  più  soave- 
mente la  vita  di  un  giovinetto  patrizio,  che  fu  tutto 
cosa  di  Dio,  e  che  nato  il  2  di  maggio  1833  si  ri- 
posò nel  Signore  il  27  di  agosto  1855.  Quando  si 
hanno  alle  mani,  come  ben  mostra  d'averli  il  sig. 
ab.  Donati,  i  libri  incomparabili  che  intorno  a  que- 
ste cose  ci  lasciarono  principalmente  il  Cavalca,  l'au- 
tore de'Fioretti  di  s- Francesco,  il  Belcari,il  MafFei,  il 
Cesari,  non  può  non  farsi  opera  anche  bellissima  per 
la  schietta  eleganza  della  favella. 


Precetti  ed  esempi  di  lettere  italiane  proposti  ai  gio- 
vanetti da  Girolamo  Bertozzi  maestro  del  ginnasio 
di  Cesena.  12.°  Ravenna,  tipografia  del  ven.  semi- 
nario àrciv.  1855.  (Sono  pag.  191.) 

Dopo  le  debite  lodi  che  ci  sembra  meritare  il 
retto  giudizio  del  sig.  Bertozzi,  non  possiamo  che 
assai  raccomandare  questo  elegante  libretto  ai  no 
stri  maestri  ,  sicché  noi  facciano  ignorare  ai  loro 
giovani,  i  quali  vi  troveranno  esempi  bellissimi  di 
scriver  lettere,  la  maggior  parte  inediti  e  usciti  del- 
la penna  di  molti  de'più  chiaj-i  e  forbiti  scrittori , 
che  hanno  illustrato  o  illustrano  viventi  l'Italia. 


ì 


ì 


359 

Lettera  del  sommo  pontefice  Benedetto  XIV  a  mon- 
signor Niccola  Mancinforte  circa  il  dover  riassu- 
mere e  ritenere  il    titolo  di  vescovo  di   Ancona  e 
di  Umana.  Si  aggiungono  annotazioni  ed  illustra- 
zioni e  documenti  inediti  sulla  serie  de'  vescovi  e 
sulle  antichità  numanati.  8."  Ancona  per   Sartori 
Cherubini  1856.  (Un  voi.  di  pag.  142  e  XXX). 
11  grande  pontefice  Benedetto  XIV,  stato  già  ve- 
scovo d'Ancona,  prese  in  questa  dottissima   lettera 
a  far  quasi  la  storia  dell'antica  città  di  Umana,  la 
quale  da  Martino  V  nel  1422  fu  unita  alla  cattedra 
anconitana.  Ma  i  vescovi  amarono  poi  meglio  chia- 
marsi conti  di  Umana  :  il  che  per  ragioni  storiche 
non  sembrando  bene  al  pontefice,  ordinò  a  monsi- 
gnor Manciforte,  che  secondo  la  bolla  di  papa  Mar- 
tino dovesse  riprendere  il  titolo  di  vescovo  di  An- 
cona e  di  Umana. 

A  questa  lunga  ed  importante  lettera  di  sì  gran 
papa  ha  fatto  nella  presente  opera  eruditissime  note 
un  dotto  prelato,  monsignor  Lorenzo  Barili  primi- 
cerio della  cattedrale  di  Ancona  ,  ed  ora  inviato 
straordinario  della  Santa  Sede  alla  Nuova  Granata. 
Noi  reputiamo  il  suo  scritto  essere  de'piij  diligenti 
e  critici  che  mai  possano  desiderarsi  nella  presente 
luce  di  studi  storici  :  perciocché  non  v'ha  forse  co- 
se intorno  ad  Umana,  detta  pur  Numana,  che  vi  sia 
o  ignorata  o  dimenticata  :  così  quanto  alle  sue  vi- 
cende civili,  come  quanto  alle  ecclesiastiche,  e  so- 
prattutto a'suoi  vescovi  particolari,  de'  quali  si  dà 
più  corretta  la  serie.  È  poi  prezioso  il  libro  per 
tanti  documenti  che,  tratti  dagli  archivi,  or  veggono 
la  prima  volta  la  pubblica  luce. 


360 

Egloga  nona  di  Virgilio  recata  in  italiano  dal  mar- 
chese  di  Montrone,  e  pubblicata  per  le  nozze  Ra~ 
nnzzi-De^ Bianchi.  8."  Bologna^  tipografìa  alV Anco- 
ra 1856. 

Ne  dobbiamo  la  prima  pubblicazione  alle  cure 
di  quel  caro  e  candido  scrittore  ch'è  l'avv.  Enrico 
Sassoli.  Si  sa  ora  dunque  cbe  il  celebre  marchese 
di  Montrone  aveva  pur  tradotta  l'intera  Bucolica  di 
Virgilio  :  lavoro  però  ,  che  non  essendo  stato  mai 
ricordato  da  lui,  ne  pure  a'suoì  più  stretti  amici , 
pare  che  debba  stimarsi  condotto  in  gioventù.  E 
veramente  benché  mostri  lampi  qua  e  là  di  quel 
bello  stile  ,  già  sì  lodato  dal  Giordani  e  da  altri  , 
osiamo  dire  che  non  ci  sembra  cosa  da  crescer  fama 
all'insigne  poeta,  il  quale  di  tante  nobilissime  opere 
arricchì  il  nostro  Parnaso  ,  e  principalmente  della, 
più  italiana  traduzione  di  Giovenale. 


Programma  del  grande  concorso  dementino  e  del  pre- 
mio pittorico  Pellegrini  che  si  giudicheranno  nel 
MDCCCLVII  dalV  insigne  e  pontificia  accademia 
romana  delle  belle  arti  denominata  di  san  Luca. 

insigne  e  pontifìcia  accademia  ha  determinato 
di  pubblicare  il  grande  concorso  dementino  ed 
insieme  il  premio  di  pittura  fondato  dalla  eh.  mem. 
del  prof.  Domenico  Pellegrini. 

PITTURA 

PRIMA   CLASSE 

David  schiva  il  colpo  di  Saal ,  la    cui    lancia  ,. 


361 

senza  offendere  l'innocente  e  odiato  giovane,  va  a 
percuotere  la  parete.  -  V.  Il  primo  libro  dei  re  cap. 
XIX  V.  10. 

Quadro  ad  olio  in  tela,  lungo  palmi  cinque  archi- 
tettonici romani,  cioè  metro  1,115;  alto  palmi  quatt 
Irò,  cioè  metro  0,892. 

SECONDA    CLASSE 

N.  S.  Gesù  Cristo  è  servito  a  mensa  dagli  angeli 
dopo  le  tentazioni  del  demonio  nel  deserto.  -  V 
San  Matteo,  Evang.  cap.   Fw.  11. 

Disegno  in  figura,  in  foglio  lungo  tre  palmi  romani 
0  sia  metro  0,670;  alto  due  palmi,  o  sia  metro,  0, 
445,  non  compreso  il  margine. 

SCULTURA 

j 

PRIMA    CLASSE 

Il  figliuol  prodigo,  pentito  de'suoi  falli,  presen- 
tasi al  padre  che  amorosamente  lo  accoglie  fra  le 
sue  braccia.  -  V.  San  Luca,  Evang.  cap.  XV 

Gruppo  di  tutto  rilievo,  in  gesso  o  in  terra  cotta, 
Cleti  altezza  di  tre  palmi  romani:  cioè  metro  0,670 
non  compreso  lo  zoccolo. 

SECONDA    CLASSE 

Il  giudizio  di  Salomone  sulla  questione  del  figli- 
uolo disputato  dalle  due  donne.  -  F.  //  libro  III 
dei  re  cap.   Ili 


:ìG2 

Bassorilievo  in  gesso  o  in  terra  cotta,  lungo  palmi 
romani  cinque,  cioè  metro  1,115;  allo  palmi  tre  , 
cioè  metro  0,670. 

ARCHITETTURA 

PUflUA    CLASSE 

Un'  accademia  ecclesiastica  ,  o  collegio  per  le 
scienze  ecclesiastiche  superiori  atto  a  contenere  ses- 
santa alunni,  il  quale  oltre  alla  loro  abitazione  in 
camere  separate,  dovrà  contenere  anche  quelle  de' 
professori.  Formeranno  parte  principale  dell'edificio 
una  gran  chiesa  accessibile  al  pubblico,  e  una  pic- 
cola chiesa,  od  oi'atorio  ,  per  gli  esercizi  spirituali 
giornalieri-  Dovranno  essere  opportunamente  e  co- 
modamente distribuite  nell'edificio  le  scuole  co'ri- 
spettivi  gabinetti  di  scienze  fìsiche  e  naturali,  le  sale 
per  le  esercitazioni  private  degli  alunni,  per  le  dis- 
sertazioni e  conclusioni  pubbliche,  e  per  la  biblio- 
teca. Dovrà  l'edificio  inoltre  avere  un  appartamento 
pel  supremo  direttore,  vari  luoghi  per  l'interna  am- 
ministrazione, il  refettorio,  le  cucine,  la  farmacia, 
i  magazzini  ed  altri  accessoria 

Tutto  il  composto  dovrà  rappresentarsi  in  due 
piante,  in  un  prospetto  e  in  due  sezioni,  oltre  ad  un 
foglio  di  particolari  più  in  grande. 

La  scala  sarà  di  due  millimetri  a  metro  per  le 
piante,  e  di  quattro  millimetri  per  le  alzate  :  usando 
a  tal  uopo  fogli  hmghi  palmi  2  ^1^^  ,  o  sia  metro 
0,  840;  largo  palmi  2  '/j^,  ,  o  sia  metro  0,  576. 


363 

SECONDA    CLASSE 

Un  edifìcio  pel  convitto  ed  ammaestramento  dei 
sordo-muti.  Vi  saranno,  oltre  agli  ambienti  neces- 
sari per  quaranta  maschi  e  quaranta  femmine,  di- 
sposti colla  debita  separazione  dei  sessi,  quelli  per 
Tistruzione,  un  oratorio,  una  sala  per  gli  esami  pub- 
blici, e  le  abitazioni  per  il  direttore,  per  la  diret- 
trice e  per  gli  inservienti  necessari. 

Il  progetto  sarà  dimostrato  colle  piante  di  ciascun 
piano,  prospetto  e  sezione.  I  fogli  avranno  la  mede- 
sima dimensione  di  quelli  prescritti  per  la  prima  classe. 


PREMIO    PITTORICO  PELLEGRINI. 

11  giovane  Daniele  difende  l'innocenza  di  Susan- 
na mentre  è  condotta  ad  essere  lapidata.  -  V.  Il  li- 
bro di  Daniele  capo  XIII. 

Quadro  ad  olio,  alto  palmi  sei  romani  aì'chitet^ 
tonici,  0  sia  metro  1,  345;  largo  palmi  otto  romani 
architettonici,  o  sia  metro  1,  780. 

ORDINE  DEL  CONCORSO 

Il  giorno  della  solenne  distribuzione  de'  premi 
verrà  determinato  con  particolare  avviso. 

Ogni  artista,  di  qualsiasi  nazione,  potrà  fare  espe- 
rimento del  suo  valore  in  quella  classe,  ove  non  ab- 
bia ottenuto  mai  premio  in  alcuno  de'grandi  con- 
corsi capitolini. 

Le  opere  saranno  consegnate  al  professore  se- 
gretario perpetuo    dell'  accademia  ,  nella  residenza 


364 

delle  scuole  accademiche  a  Ripetta,  il  giorno  21  di 
maggio  1857. 

Ogni  opera  da  presentarsi  al  concorso  avrà  scrit- 
ta una  epigrafe,  e  sarà  accompagnata  da  una  let- 
tera sigillata,  che  contenga  il  nome  dell'autore,  la 
patria  e  l'abitazione,  ed  abbia  di  fuori  ripetuta  l'e- 
pigrafe medesima,  ond'ò  notata  l'opera. 

Ne'giorni  23  e  24  di  esso  mese  i  concorrenti 
saranno  sottoposti  a  prove  estemporanee  sopra  temi 
tratti  a  sorte. 

Queste  prove,  affinchè  bastino  a  far  conoscere  se 
l'opera  presentata  sia  dell'autore  che  la  presenta  ^ 
consisteranno  negli  esper. menti  che  qui  seguono  . 

Per  la  pittura,  nella  prima  classe  e  nel  concorso 
al  premio  Pellegrini,  si  farà  un  bozzetto  d'  inven- 
zione nel  primo  giorno  e  nel  termine  di  sei  ore  , 
alto  un  palmo  e  due  once,  cioè  metro  0,268:  largo 
un  palmo  e  mezzo,  cioè  metro  0,  335.  Nel  secon- 
do giorno,  entro  il  medesimo  spazio  di  tempo  ,  si 
dipingerà  una  mezza  figura  dal  nudo  (nella  misura 
così  detta  di  Sassoferrato)  a  fine  di  avere  le  prove 
dell'esecuzione. 

Il  medesimo,  quanto  a'modelii,  si  userà  per  la 

prima  classe  della  scultura. 

Nella  seconda  classe  poi  della  pittura  si  eseguirà 
un  soggetto  in  disegno  :  e  nella  seconda  classe  della 
scultura  un  altro  soggetto  in  bassorilievo:  e  ciò  nel 
primo  giorno.  Nel  secondo  giorne  si  disegnerà  da' 
pittori,  e  si  modellerà  dagli  scultori,  una  parte  daF 
vero. 

Nell'architettura,  quelli  che  concorreranno  alla 
prima  classe  dovranno  ne!  primo  giorno  eseguire  la. 


365 

pianta,  l'elevazione  e  lo  spaccato  di  un  piccolo  edi- 
ficio, in  fogli  lunghi  tre  palmi  e  un  dodicesimo,  cioè 
metro  0,  688  ;  larghi  due  palmi  e  cinque  dodice- 
simi, cioè  metro  0,539.  I  concorrenti  alla  seconda 
classe  saranno  sperimentati  sopra  un  soggetto  più 
facile,  in  fogli  lunghi  palmi  due  e  dieci  dodicesimi, 
cioè  metro  0,  633;  larghi  palmi  due  e  un  dodice- 
simo, cioè  metro  0,  4-64. 

Nel  secondo  giorno  essi  concorrenti  della  prima 
classe  faranno  una  descrizione  della  fabbrica  ope- 
rata estemporaneamente  nel  gioino  innanzi  :  indi- 
cando il  metodo  di  costruzione  ,  e  dando  qualche 
particolare  in  grande  di  una  parte  di  essa  fabbrica. 
E  così  faranno  in  proporzione  quelli  della  seconda 
classe. 

Le  opere  de'  concorrenti  colle  rispettive  prove 
saranno  esposte  al  pubblico  nelle  sale  accademiche 
per  otto  giorni,  prima  del  giudizio  dell'accademia: 
e  per  altri  otto  giorni,  dopo  esso  giudizio. 

L'accademia  giudicherà  le  opere  de'concorrenti 
inappellabilmente,  ed  in  tutto  secondo  le  disposi- 
zioni del  cap.  IV  de'suoi  pontifici  statuti. 

Le  opere  premiate  rimarranno  in  proprietà  dell' 
accademia  ,  perchè  siano  collocate  nelle  sue  sale 
co'nomi  degli  autori. 

11  premio  dementino,  per  le  opere  della  prima 
classe  della  pittura,  della  scultura  e  dell'architettura, 
sarà  d' una  medaglia  del  valore  di  scudi  romani 
centotrenla 

II  premio  per  le  opere  delle  seconde  classi  sarà 
d'una  medaglia  del  valore  di  scudi  romani  settanta. 

Il  premio  pittorico  Pellegrini  sarà  di  una  meda- 
glia di  scudi  romani  quattrocento. 


366 
Dato  in  Roma  dalle  stanze  accademiche  questo 
dì  21  di  maggio  1856. 

//  conte  Palatino 
Professore  Presidente  deW  Accademia 
COMMEND.  PIETRO  TENERANl 


//  Professore  Segretario  Perpetuo. 
CAV.  SALVATORE  BETTI. 


Errata — Corrige- 
Nel  ragionamento  del  nostro  celebre  cav.  Borghesi  Intorno  alViscri- 
zione  ardeatina  di  Mario  Massimo,  ch'è  il  primo  di  questo  to- 
mo, debbono  a  carte  17  lin  9  essere  tolte  le  parole,  affine  di  as- 
sumervi il  successivo  consolato  ordinario. 


367 
INDICE 

Borghesi^  Intorno  alV iscrizione  ardeatina  di  Ma- 
rio Massimo pag.       3 

Valenlinelli,  Bibliografia  della   Dalmazia   e  del 

Monteìiegro.      .     , »     36 

Gori,  Gita  da  Boma  a  Porto    d'Anzio,  a  Net- 
tuno e  ad  Astiira »     38 

Biistellif  Esperimento  d'una  versione  italiana  di 

Tacito  {continuazione) »     80 

Orioli,  Idee  cosmologiche  e  cosmogoniche.        »   106 

Pianciani,  Saggi  filosofici »  112 

Intorno  ad  alcune   voci  che   si  stimano  erronee 

nella  Ugna  italiana,  e  tali  non  sono.  .  »  126 
Cappello,  Bagni  minerali  di  Tivoli.  .  .  »  186 
Mori  chini.  Scritti  editi  ed  inediti  (  continuazione 

e  fine) «   191 

Bapporti  delVistituto  veneto  intorno  ai  Cenni  sul 
moto  ondoso  del    mare    del    commendatore 

Cialdi,  e  schiarimenti  di  questo »  216 

Cialdi,  Appendice  all'opera  sua  sul  Moto  ondoso 

del  mare  ec »   242 

Maggiorani,  Di  alami  suicidi  ultimamente  avve- 
nuti in  Boma. »  259 

Belli,  Inni  ecclesiastici  tradotti.    .     ,     .     .     »  271 
Morelli,  La  pellagra  ne'  suoi  rapporti  medici  e 

sociali .     »  286 

Monti,  Odi:     .     .  "  .     .     .     .     .     .     .     .     »  288 

Lettere   inedite    di    Luigi   Biondi  e  Pellegrino 
Farini .:....»  298 


368 
Burri,  Ispezione  scientifica  e  tecnica  siiWacqui- 

(lotto  da  costruir&i  nella  città  di  Sezze.       »  310 
Tomani  Amiani,  Delle  dipinture  più  celebri  esi- 
stenti in  Fano »  338 

Preservativo  contro  la  febbre  gialla.       .     .     »  340 

Monlau,  Igiene  industriale »  341 

Ravioli,  Lettera  al  prof.  Rambelli.    ...»  346 

Varietà »  354 

Programma  delVaccademia  di  s.  Luca-       .     »  360 


IMPRIMATUR 

Fr.  Th.  M.  Larco  0.  P.  S.  P.  A.  M.  Socius 

IMPRIMATUR 

Fr.  A.  Ligi  Russi  Ord.  Min.  Conv.  Archiep.  Icon. 
Vicesserens. 


Nel  giornale  si  dà  il  sunto,  o  viene  inse- 
rito l'annunzio,  delle  opere  presentate  in  dop- 
pio esemplare  alla  direzione.  Se  queste  opere 
vengono  dall'estero,  debbono  essere  inviate 
franche  d'ogni  spesa  di  porto  e  dazio. 

Le  notizie  di  scienze,  di  lettere,  e  di  belle 
arti,  quelle  di  scoperte  utili  per  l'agricolfvra, 
industria  ec,  come  anche  i  programmi  de' con- 
corsi accademici,  dovranno  similmente  esser 
mandati  franchi  di  posta  alla  direzione. 


Chi  si  associa  per  dieci  copie,  o  ne  garan- 
tisce la  vendita,  avrà  l'undecima  gratis. 


^ 


GIORNALE 


DI  SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 

Voi.  4-30  431   432 


ROMA 
Tipografia  delle  Belle  Arti 

1856 


Piazza  Poli  num.  91. 


GIORNALE 


DI 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 

VOLUME  CXLIV 

LUGLIO,  AGOSTO  E  SETTEMBRE 
1856 


ì^ 


ROMA 

TIPOGRAFIA   DELLE    BELLE   ARTI 
1856 


SCIEIXZE,  LETTERE  ED  ARTI 


Antiche  lapidi  rinvemite  in  varie  escavazioni  dal  cav. 
G.  B.  Guidi,  pubblicale  da  Carlo  Lodovico  Visconti 
socio  ordinario  soprannumero  della  poniilìcia  acca- 
demia romana  di  archeologia. 


I 


I  cav.  Giambattista  Guidi,  ispettore  onorario  de- 
gli scavi  ,  sagace  non  meno  che  fortunato  ricer- 
catore d'antichi  monumenti,  avendo,  non  ha  guari, 
adunato  nel  suo  nuovo  magazzino,  in  via  di  porta 
s.  Sebastiano,  presso  la  chiesa  di  s.  Sisto,  una  mol- 
titudine di  cose  antiche,  infra  le  quali  non  poche 
iscrizioni,  fuori  d'una  o  due  tutte  inedite  e  talune 
pregevolissime,  ho  divisato  di  farle  conoscere  agli  eru- 
diti, colla  mira  principalmente  d'ovviare  al  pericolo, 
che  troppo  indugiandosi  a  pubblicarle,  per  alcuna  di 
quelle  tante  vicende,  cui  vanno  del  continuo  sotto- 
poste le  cose  umane,  non  avesse  a  rimanere  in  parte 
od  in  tutto  privata  la  scienza  di  suppellettile  sì  pre- 
ziosa. Ondechè  fattane  parola  e  chiestane  la  per- 
missione al  suUodato  inventore  e  possessore  delle 
medesime,  questi  non  pure  me  l'  accordò  pronta- 
mente, ma,  caldissimo  fautore,  com'egli  è,  di  quanto 
può  ridondare  in  utilità  della  scienza,  aggiunse  an- 
cora stimoli  al  mio  desiderio  ,  e  di  poi  con  ogni 
maniera  di  cortesie  si  compiacque  facilitare  l'opera 
mia  ,  dimostrandomi  co'  fatti  quanto  egli  avesse  a 
caro  che    tah  suoi  marmi  fossero  divuli^ati.  Eccoli 


4- 

portanto  venire  in  luce  su  questo  giornale,  insieme 
con  qualche  mia  breve  osservazione,  dove  m'è  parso 
che  ne  meritassero  alcuna;  le  quali  del  resto  [sot- 
topongo interamente  al  giudizio  degli  eruditi,  d'al- 
tro non  potendo  assicurarli ,  se  non  che  della  mia 
diligenza  ed  accuratezza  in  farne  gli  apografi,  e  dello 
studio  posto  in  provvedere  che  fossero  riprodotti  fe- 
delmente e  senza  mende,  anzi  con  la  maggiore  pos- 
sibile imitazione  dei  monumenti  originali. 

De'  rimanenti  oggetti  che  si  conservano  in  detto 
luogo  ,  e  ne  formami  quasiché  un  picciolo  museo  , 
come  vasi,  bronzi,  bassorilievi,  monete,  utensili  do- 
mestici ed  altro,  io  non  avrò  punto  ad  occuparmi 
limitandomi  alle  sole  iscrizioni.  A  queste  verrò  tal- 
volta inserendone  alcuna  rinvenuta  di  prossimo  dal 
cav.  Guidi,  come  che  non  si  trovi  in  quel  magaz- 
zino :  e  massime  certe  lapidi  pagane  estratte  dal 
cimiterio  di  s.  Alessandro,  ov'erano  state  adoperate 
da  que' fedeli  all'uopo  di  chiudere  i  loculi  sepolcra- 
li; lo  che  si  vede  anche  altrove  aver  fiitto  piìi  volte. 
Ancorché  detti  marmi,  che  non  hanno  veruno  essen- 
ziale riferimento  a  quel  cimiterio,  credo  siano  stati 
posti  in  appendice  alla  illustrazione  di  quell'insigne  e 
venerabile  monumento,  dettata  dal  Commissario  delle 
Antichità,  commend.  P.  E.  Visconti,  mio  zio,  omai 
prossima  ad  uscire  in  luce. 

La  più  gran  parte  delle  iscrizioni  che  siamo  per 
publicare  son  sepolcrali  ,  e  provengono  da  colom- 
bai posti  lungo  le  vie  Appia  e  Latina,  talune  dalla 
famosa  villa  de'  Quintili ,  pochissime  d'  altre  parti. 
Lo  che  si  conoscerà  dalle  indicazioni  topografiche, 
di  cui  non  mancheremo  di  corredarle  ,   ogni    volta 


5 

cl»e  ne  siano  state  fornite  dal  prelodato  cav.  Gui- 
<ir,  che  quanto  ad  alcune  gli  fallì  Ja  n^emoria 

dei    nomi   ,    respingendo    in    ultimo    quelle    no.ho 
che  non  ne  offi-ono  alcuno  ,  sia  per  la  e      lità   d 
Hìonumento,  sia  per  la  frattura  del  marmo 


D  M 

AELIAE    .    EVHODlAE    .    FEC 

C  .  IVLIVS  .  EVTYCnvS  .  COWiVGl 

sanctissIaue  .  B  .  M  . 

ET    .    IVLIA    .    MARIA    .    MATRl  . 
DVLCISS/MAE   •  ET    .   PlIsSlMAE 
QV.AO.  XXIX.D.Xlin. 


^J^ùolo  ..invenuto  s„l,a    via    Appia ,  presso    To, 


6 
11. 


D  M 

P  AEL      CLEKVCHo 

AVG  LIB  I  L  RODO 

PE  CONIVGI  BENE 

MEREN TI  FECIT 


La  presente  iscrizione  non  è  fra  quelle  posse- 
dute dal  cav.  Guidi.  La  copiai  da  un  cinerario  di 
bella  maniera  portato  in  giro  da  un  contadino  ,  il 
quale  dicea  d'averlo  rinvenuto  nelle  vicinanze  di  s. 
Vito,  e  cercava  disfarsene  al  maggior  prezzo  pos- 
sibile. Sarà  slato  forse  in  quei  luoghi  un  qualche 
vico,  0  pago,  dipendente  da  Anania,  o  da  Praeneste. 
Yi  notai  che  i  caratteri  n'erano  assai  cattivi  e  molto 
alieni  da  quelli  del  tempo  di  Adriano  e  dal  buono 
stile  del  vaso.  E  quindi  probabile  che  detto  cine- 
rario fosse  acquistato  in  Roma  bello  e  fatto  da  que- 
sto Clerucone  ,  il  quale  dipoi  vi  facesse  incidere  1' 
iscrizione  da  qualche  mal  pratico  scarpellino  del 
luogo,  che  fu  patria,  o  domicilio  della  defunta.  Volli 
pertanto  inserire  l'epigrafe  surriferita  in  questa  rac- 
colta ,  ond'  ella  non  avesse  a  rimanere  occulta  in- 
sieme col  vaso,  il  quale  ornai  Dio  sa  dove  sarà  ca- 
pitato ? 


7 

m. 


FORT  .  .  .  . 

TVTELA  .... 

P  .  AELIVS  .  I 

P.P.. 

AEDEM  .  CV 

A  SOLO  .  R 


Fortimae  Aug.  et  Tutelae  huius  loci,  era  scritto 
probabilmente  nelle  prime  linee  di  questo  marmo, 
posto  forse  anticamente  nella  fronte  di  qualche  tem- 
pietto, entro  una  villa.  Fu  rinvenuto  nella  tenuta 
detta  Lucrezia  Romana. 

IV. 


D  M 

AGATHAMGELO 

NAIS 
MATER    .    FILIO 

Piissimo 
Stera,  Villa  dei  Quintili. 
V. 

D  M 

AEMILIAE 

M  .  F 
BASSILLAE 

Cippo. 


8 
VI. 


CINERIBVS 
ALEXANDRI 


Lapidetta  con  foro   per  libazioni ,  trovata  nella 
villa  dei  Quintili. 

VII. 


ANTHVS  MANDATI 

LVCI  F  SER  VICAR 

ASCLEPIAE  CONS  SVAE 

Titoletto  rinvenuto  presso  i  ruderi  detti  Roma 
Vecchia.  Credo  vi  si  debba  leggere:  Anthus  Mandati 
Ludi  Fila  Servus  Vicarius  ec.  Dov'  è  da  notare  , 
che  questo  Mandato  ,  di  cui  Anto  si  dice  vicario  , 
fu  ingenuo  ,  venendo  citato  il  nome  di  Lucio  suo 
padre.  Lo  che  non  so  quanto  piacerebbe  al  Fab- 
bretti,  il  quale  rimproverò  al  Reinesio  d'aver  dato 
un  vicario,  non  che  ad  un  ingenuo,  ad  un  liberto, 
sostenendo  egli:  Servos  vicarios  in  alterius  servi  pe- 
culio fuissc  (  I.  D.  cap.  IV.,  302  ).  Di  che  viene  con* 
buone  ragioni  contraddetto  dal  Muratori  (883  ,6). 

VIII. 


APOLLONIA 
SVAVISSIMA 

Stera  di  travertino.  Via  latina. 


9 

IX. 

D             M 

ARRIO 

EVARISTO 

ARRIA.HELPIS 

B     .     M     .     F 

^^ia  Appia.  Tor  Carbone. 

X. 

ATEI  A.'J.L.LEPIDA.FECIT 

SIBI.ET.GAVIAE.C.L.STASIMEN 

FILIAE 

Ossuario  quadrato  mancante  del  coperchio.  Via 
latina.  Nella  seconda  linea  è  mancato  il  marmo  per 
terminarvi  il  nome. 

XI. 


AVR  •   AVGG  •  LIB      BONITAS 

EX  •  EMERITIS 

{Sic) 

M  •  AVRAVGGI  B  •  AVRELIA 

NVS 

EXCOMMRAT  •  KASTR 
MATN     DVLOISSAME 

{Sic)  {Sic) 

Grande  sarcofago  di  marmo  senza  alcuno  orna- 
mento, rinvenuto  nella  villa  dei  Quintili.  Ha  qui  lo 


10 

scappellino  corrotto  in  più  luoghi  l' iscrizione  ,  la 
quale,  s'io  non  erro,  deve  leggersi  così: 

Aiirelia  Aiigg.  Lih.  Bonitas, 
Ex  Emerilis 

M.  Aurelius  Au(jg.  Lih.  Aurelianus 
Ex  Commentariensibus  Rationis  Kastrensis, 
Mairi         Diilcissimae. 

Appartiene  ai  tempi  degl'  imperatori  Marco  Aure- 
lio e  Lucio  Vero.  Emeritus  in  altro  senso  che  mi- 
litare, e  massime  applicato  ad  una  donna,  non  credo 
siasi  ancora  veduto  :  che  nella  muratoriana  802.  3 
sta  evidentemente  in  luogo  di  cognome,  come  avverte 
rOrelli.  E  però  senza  dubbio  una  qualifica  nel  nostro 
marmo,  e  sembra  potersene  congetturare,  che  que- 
sta donna  avesse  da  giovine  esercitato  un  qual- 
che ufficio  nella  casa  Augusta,  dal  quale  dispensata 
poi  per  la  vecchiaia  ,  od  altra  qualsiasi  cagione  , 
avesse  preso  il  titolo  di  emerita,  come  lo  prende- 
vano i  soldati  sciolti  dalla  milizia  per  onesta  mis- 
sione. 

Nella  terza  linea  ha  omesso  lo  scarpellino  parte 
della  L  e  tutta  intera  la  l  nella  parola  LIB.  Quanto 
al  commentariensis  rationis  kastrensis,  non  m'era  que- 
sto ufficio  peranco  occorso  nei  marmi  ,  avendovi 
però  trovato  A  tabulario  castr.  (Grut,  584.1);  Prae- 
posilo  tabular,  rationis  castrensis  (Reines.  9.  XXVIII 
Donat.  311.  5).  lab.  caslrens  (Murat.  899.6);  Arfàt/. 
labili,  castr.  (Id.  900.  1).  Ed  anche  Ser.  Disp.  Fi- 
sci castrensis  (Id.  892.  5.  Donat.  308-8).  A  suppell. 


11 

castrensi  (Doni  -  VII,  202.  Murat.  889.  1)  ec.  L'of- 
ficio di  questo  Aureliano    sarà  stato  simile  a  quello 
di  scrivano  nell'anfinninistrazione  militare-  Strani  sono 
gli  errori  dell'ultima  linea. 

XII. 


.  .  avreliasdeFv 

.    .    NOSQYADRAGl 
SITA   '   Hi  •  ID   •  APR 


Frammento  d'  epitafio  cristiano  rinvenuto  non 
lungi  dai  ruderi  conosciuti  sotto  il  nome  di  Roma 
Vecchia. 

XIII. 


D 

MAVRELIVSAV  . 
VILICDOMVSAV 
"ITAELIAEDI^ 


Frammento  rinvenuto  suH'Appia  nella  vigna  Mo- 
linari,  e  pubblicato  già  dal  Matianga  di  eh.  mem. 
nel  Bullettino  di  corrispondenza  archeologica  (150- 
179-20). 


12 

XIV. 

D         M 

BAEBIAE  •  SEVERAE  •  FECIT 

QBAEBIVSARISTION 

CONIVGIDVLCISSIMAE 

(Sic) 
ET.PONTIA  AGVRINAFILIA 

MATER. INFELICISSIMA.  RECEPII. FILIAM.S.S.AN'XVll 
DIERVM.XV 

Lapide  rinvenuta  nella  via  latina  presso  la  porta. 
Le  due  ultime  linee,  scolpite  in  caratteri  più  minuti 
ed  anco  diversi,  vi  saranno,  io  credo,  state  aggiunte 
dopo  la  morte  di  Ponzia  Augurìna,  la  quale  insie- 
me col  padre  suo.  Quinto  Bebio  Aristione  ,  si  dice 
aver  posto  quel  monumento  alla  genitrice.  Ond'  è 
che  questa  nel  sepolcro  recepii  filiam  supva  seri-- 
plam,  ec. 

XV. 


OSSA 

CAECILIAE 

VACCAENAE 

Stera  di  travertino.  Vacca  fu  città  della  Spa- 
gna Lusilanica:  Vaccaei  si  dissero  alcuni  popoli  della 
Tarraconense.  E  poi  notissimo,  come  sovente  il  pa- 
tronimico prenda  il  posto  del  cognome.  Quindi  può 
darsi  che  questa  Cecilia  indicasse  la  sua  origine 
mediante  il  cognome. 


13 
XVI. 


CAKLIA  •  ASELLA  •  INNOCENT.  .  . 

QVEVIXIT    •    ANN    •    XII  •    M  .  .  . 

DEPOSITA  •  Vili  •  KL  •  SEPTEM  .  .  . 

IN  PACE 

Frammento  d'  epitafio  cristiano  rinvenuto  sulla 
via  Ialina.  È  noto  1'  uso  degli  antichi  fedeli  di  as- 
sumere per  umiltà  nomi  di  animali.  Questo  di  A- 
sella,  eh'  è  certo  dei  più  modesti,  occorre  più  volte 
nella  epigrafìa  cristiana  ,  del  pari  che  i  consimili 
Asinhis,  Asellicus  ec. 

XVII. 


QCARNIVS 
CRHESIMVS 
.       CONIVGI 

BEN  •  M  •  FEC 

Frammento  di  Stera. 
XVIII. 


CLAVDIAML 
DAPHNE 

Frammento  di  cinerario. 
XIX. 


Tt.CLAVDIVS  ATFA. SALVIA 

ACHORIsTvS        I        AOHORISTI 

Ossuario.   Via  latina. 


14 

XX. 

TI    CLAVDIO  A 

AMIANTHOS    . 

.  .  • 

VIXIT  ANNXX. 

.  .  • 

EROS.ET.NATALISFRA  • 

FRATRI 

FECERV 

Via  Appia. 
XXI. 


.  AVDIO  .    tI  .  F 

.  REXTRO 

.  RI  .ITERVM 

.  AED        .        l'L 

.  NN     .    XXVll 

.  VS  .   SCOMBUIO 

.  PTIMO    .    F 


Via  Appia,  vigna  Molinari. 
XXII. 


D     •     M 
TI  •  CLAVDIO  •  STEFANO 
BENEMERENTI    •    FECIT 
CARA  CONIVNX 

Lapide  rinvenuta  sulla  via  latina,  presso  il  set- 
timo miglio. 


15 

XXIII. 

M  •  COCCEIVS 
HILARVS  . 

OFFlcls  .  Svis  .  HIC  .   IN    HOR 

REIS  .  NERVAE   .  AMOREM 

HABVIT    MAXVMVM 

LICINIA  •  LIBAS 
CONIVX 

Iscrizione  interessantissima  per  la  topografica  in- 
dicazione ch'ella  presenta,  emergendone  per  la  prima 
volta  i  granai  di  Nerva,  sconosciuti  fin'ora,  ed  in- 
clusi forse  dai  regionari  fra  gli  altri  moltissimi  della 
città.  Fu  pubblicata  dal  eh.  Matranga  (mancato  non 
ha  guari  e  prematuramente  alle  lettere)  nel  ballet- 
tino dell'  istituto  archeologico  (1850,  pag.  179,  n. 
20),  dov'egli  tuttavia  errò  scrivendola  trovata  nella 
vigna  Molinari:  lo  che  non  è  vero,  e  toglie  la  paetà 
del  pregio  a  questo  epitafio  ,  eh'  è  quello  appunto 
d' indicare  il  luogo  preciso,  dove  furono  anticamente 
gli  anzidetti  granai.  Infatti,  com'era  egli  possibile, 
che  sull'Appìa,  ed  in  un  luogo  tutto  pieno  di  se- 
polcri, si  fosse  trovato  un  edifizio  di  quel  ge- 
nere ,  che  pure  d'altronde  si  dice  apertamente 
nell'epitafio  là  essere  stato,  dove  fu  posto  il  defun- 
to ?  Trascrisse  il  Matranga  questo  marmo  nei  ma- 
gazzini del  cav.  Guidi,  e  confondendo  poi  le  ubi- 
cazioni fornitegli  dal  medesimo,  assegnò  alla  vigna 
Molinari  un  monumento  ,  che  ,  tranne  per  qualche 
strana  vicenda,  non  poteva  spettarle. 


16 

Mi  assicnra  invece  il  possessore  dì  averlo  rinve- 
nuto in  una  escavazione  ch'egli  fece  in  sui    campi 
entro  il  secondo  miglio  fra  la  via  Appia  e  l'Ostien- 
se, molto  pili  presso  a  quella  che  a  questa,  e  pre- 
cisamente vicino  alla  chiesa  detta  della  Nimziatella. 
Dov'egli  trovò  molte  vestigie  d'un  antico  edifìzio,e,  ciò 
che  più  lo  sorprese,  un  gran  numero  di  doUi  smi- 
surati, disposti  ordinatamente  in  più  file,  e  che  sem- 
bravano   d'  essere  stati  messi  fin  da  principio  sot- 
terra con  tutto  il  corpo,  restandone  fuori  soltanto 
la  bocca  del  vaso.  Egli  n'estrasse  due  o  tre  de'me- 
glio  conservati  e  feceli  trasportare  nel  giardino  dei 
PP.  Francescani  a  s.  Sebastiano,  ove  trovansi  al  pre- 
sente e  può  chi  vuole  osservarli.  Quivi    presso    a- 
dunque  fu  rinvenuto    molto  opportunamente  il  no- 
stro marmo,  da  cui,  s'  io  non  erro,  s' impara  l'an- 
tica destinazione  di  quella  fabbrica,  ed  insieme  co' 
granai  di  Nerva,  il  luogo  ch'essi   occupavano  fuori 
la  porta  Capena  e  non  molto  lungi  dalla  via  Ostiense, 
per  la  quale  passavano  tutte  le  vettovaglie  che  ve- 
nissero d'  oltremare.  Se  poi  quel    gran    numero  di 
vasi  enormi  fosse  destinato  a  contenere  i  grani,   o 
le  farine,  ciò  lasciamo  ch'altri  1'  indaghi,  se  vuole: 
bastando  a  noi  l'avere  indicato  questo  nuovo  punto 
topografico,  ed  esposto  ciò  che  in  quella  occasione 
fu  cavalo  fuori  dal  suolo.  Singolarissimo  è  pure  que- 
sto epitafio  per  l'elogio  che  vi  si  fa  al  defunto,  di- 
cendo ch'egli  esercitò  con  grandissimo  amore  il  suo 
impiego  ne'granai  di  Nerva:  il  qual  genere  di  elogi 
parziali  non  è  punto  frequente  presso  gli  antichi.  La 
piociolezza   e    povertà  del  suo  titolo  sepolciale     fa 
supporre  che  M.  Cocceio  Ilaro    esercitasse  uno  de' 


17 

più  bassi  uffici  in  quello  stabilimento  :  sarà  slato 
forse  un  mensor  fvumentarhis  ,  o  semplicemente  un 
horrearins. 

Questa  bella  iscrizione  è  stata  ancora  inserita  dal 
eh.  sig.  dott.  G.  Henzen  (cui  fu  comunicata  dal 
Matr  anga)  nelle  sue  dottissime  aggiunte  all'Orelli, 
che  formano  il  terzo  tomo  di  quell'opera  ,  dianzi 
uscite  in  luce  con  somma  soddisfazione  degli  eruditi, 
e  singolare  vantaggio  degli  epigrafici  studi  (7233)  (1). 
XXIV. 


D-  M 

LCODONIOFRYCTO 
BENEMERENTI- 
CODONIAFELICITAS 
FRATRI INCONPA 
RABILISSIMO  QVl 
VIXITANNIS 
XXIII 

Quésto  home  m'è  occorso  un'altra  volta  soltanto  in 
Fabbretti  (IX.  137).  La  presente  iscrizione  fu  tro- 
vata nella  temila  presso  la  via  Nomentana,  in  voca- 
bolo le  Vittorie,  o  Casal  VecchiOf  di  proprietà  dei 
RiTii  canonici  regolari  di  s.  Pietro  in  Vincola.  Un 
diverticolo  si  diparte  dall'  indicata  via  dopo  l'ottavo 
miglio,  torcendo  a  dritta;  chi  batte  il  medesimo  per 


(1)  Inscriptionum  latinarnfn  seleclarum  amplissima  colleclio  , 
ad  illustrandam  romdnae  antiquitalis  disciplinaìn  accomodala  ec. 
—  Turici,  typis  Orellii,  Fuesslini  et  sociorum,  1856. —  Prostat  Ro- 
mae  apud  losephum  Spilhòver^  in  platea  Hispanica,  n.  53.  .56. 

G.A.T.CXLIV.   *  2 


18 
mezzo  miglio  all'  incirca  e  saie  quindi  sui  campi  a 
sinistra,  si  trova  nel  lenimento  indicato.  Fu  rinve- 
nuto questo  marmo  nella  occasione  che  si  fecero  in 
detto  fondo  alcune  escavazioni,  per  conto  dei   sigg. 
fratelli  Rossi,  in  compagnia  e  sotto  la  direzione  del 
cav.  Guidi,  Tornarono  in  luce  molti  avanzi  di  an- 
tiche fabbriche  di  buon  tempo,  e  fra  gli  altri  una 
grandiosa  porta,  che  sembra  di  villa,  formata  da  una 
gran  soglia  di  travertino,  sopra  cui  posano  due  co- 
lonne scanalate  di  tufa.  Vari  frammenti  di  statue  e 
bassorilievi  ,  ed  in  ispecie  alcune  teste    di  animali 
con  la  gola  forata,  per  ammettere  il  tubo  di  piom- 
bo, ad  uso  di  fontane  ,    dimostravano  essere  stata 
quivi  una  delle  tante  ville  ,  delle  quali    era    pieno 
tutto  il  suburbano  di  Roma.  Ed  affinchè  non  igno- 
rassimo a  chi   probabilmente  appartenessero  quelle 
delizie,  molto  opportunamente    emersero  là  presso 
dal  suolo  alcuni  pezzi  di  fìstole,  segnate,  com'  era 
d'uso,  col  nome  del  proprietario  del  fondo.  Queste 
sono  in  potere  dei    sullodati  sigg.  fratelli  Rossi  ,  i 
quali  capacissimi,  come  sono,  di  apprezzare   simili 
erudite  curiosità,  le  conservano  presso  di  loro.  Egli- 
no cortesemente  mi  permisero  di  trascriverle  e  pub- 
blicarle. 

Appartennero  le  medesime  a  due    diversi  con- 
dotti. Si  legge   in  una  1'  iscrizione  seguente: 

Q  SERVILI  PVDENTIS 

e  nel  prolungamento: 

TICLAVDIVSPHOENIXFEC 

Quinto    Servilio  Pudente  resse    i   fasci  ordinari 


19 

nell'anno  vanoniano  della  città  918,  insieme  con  Lu- 
cio P'ufidio  Poilione.  C  è  un  bel  marmo  dello  Spon 
[Misceli  artic.  VII,  pag.  33)  ed  uno  del  Muratori 
(336.  2)  segnati  con  detti  consoli.  Questo  perso- 
naggio dovette  essere  nipote,  o  pronipote,  di  quel 
Servilio  Pudente,  di  cui  ha  ricordo  in  Plinio  nella 
lettera  X  del  libro  X,  indirizzata  a  Traiano:  Servi- 
lius  Pudens,  legatus,  domine,  Nicomediam  venit,  me- 
qiie  longae  expectationis  soliciludine  liberavit.  Rammen- 
tando che  Plinio  amministrò  il  Ponto  e  la  Bitinìa 
come  legato  propretore  di  Cesare,  e  ch'egli  atten- 
deva Servilio  Pudente  nella  capitale  d'essa  Bitinia, 
è  facile  conghietturarne  che  il  medesimo  fosse  uno 
di  que'  legati,  che  si  davano  ai  presidi  delle  Provin- 
cie, affinchè  li  aiutassero  in  iure  dicundo.  Fra  la  le- 
gazione dell'  un  Servilio  ed  il  consolato  dell'  altro 
corsero  circa  sessant'  anni.  Ma  che  il  console  sud- 
detto possedesse  una  villa  nelle  vicinanze  defluogo 
indicato  è  cosa  molto  probabile  ,  considerati  mas- 
simamente i  caratteri  della  iscrizione  ,  i  quali  mi 
sembrano  accennare  al  tempo  degli  Antonini.  Né  ciò 
trova  opposizione  nei  nomi  dell'artefice:  che  di  si- 
mili ne  occorrono  anco  più  tardi. 
it'     Nell'altro  tubo  si  legge: 

B  L  FVNISVVETTONIANI 

Ludi  Funisidani  Veltoniani,  che  fu  molto  ragguar- 
devole personaggio.  Tacito  lo  narra  legato  della 
quarta  legione  scitica,  sotto  Nerone,  l'anno  di  G.C. 
62  [Annal.  Uh.  XV.  VII).  Sotto  Domiziano  conseguì 
tutti  gli  onori  militari  nella  guerra  dacica.  Ebbe 
1   ancora  un  consolato  suffetto  e  fu  legato  di  Cesare 


20 

nella  Dalmazia,  Pannonia  e  Mesia  superiore.  Tutto- 
ciò  si  ricava  da  una  sua  bella  lapide  scoperta  in 
Croazia  nel  1771  ed  illustrata  dal  eh.  sig.  cav.  B. 
Borghesi  in  questo  giornale  {voi.  8.  pag.  61), 
dove  anche  rettifica  la  lezione  d'  alcuni  frammenti 
d'altro  marmo  spettante  a  quel  personaggio,  dati  ma- 
lamente dal  Muratori  (435.  6).  La  suddetta  lapide 
di  Croazia  si  trova  ancora  pubblicata  dal  Cardinali 
{Dipi.  n.  586),  dall'  Arneth  {Dipi,  milil.  11.  12)  e 
dal  eh.  sig.  Dott.  G.  Henzen  nell'opera,  di  cui  so- 
pra, abbiamo  toccato  (5430  31). 

1  sigg.  Rossi  intendono  di  ripigliare  quanto  pri- 
ma l'escavazioni  nel  fondo  indicato  insieme  col  cav. 
Guidi,  ed  io  confido  che  vi  faranno  buon  frutto.  Ad 
ogni  modo  la  meriterebbe  quell'amore  scevro  da  ogni 
mira  interessata  ,  ch'eglino  portano  a  questi  nobili 

avanzi  di  nostre  antiche  grandezze. 

« 

XXV. 


D  M  S 

CONSIDIA  .   TROPHIME  .  eT  .  IISACHI   .  IIORKEARIO 
THESMVS   .   VELARIVS  .  B  .  M   .  DE   .  SVO  .  FECERVNT 

Coperchio  di  cinerario  trovato  suH'  Appia  , 
incontro  alla  vigna  Molinari.  L'iscrizione,  divisa  in 
due  righe,  gira  intorno  l'orlo  d'esso  coperchio.  Sem- 
bra però  che  lo  scarpellino  ne  abbia  invertito  l'or- 
dine, dovendosi  invece  leggervi  per  cavarne  il  co- 
strutto: /«oc/u'  horreario  Considia  Trophime  et  Thes- 
miis  vclarius,    ec. 


21 
XXVI. 


EY^rxi 

ETAPECTE 
ETCJN  •  lÈ 


Cippetto.  Via  latina.  Nel  marmo  gli  E  sono  lunati. 

xxvir. 


MEMORIAEVGENIORVM 
MAVRELIPHILVMENIETAN 
NIAE  FELICVLAE  CONIVGIET- 
AVRELIARVM  CALLISTES  PHILV 
MENES  ETDOMNJNAE  FILIARV- 

I.NFRONTEPED.XXXVJIIS.INTRORSVS.PE.XLIUIS 

Lapide  rinvenuta  sull'Appia  presso  Tor  Carbone. 
E  alquanto  strano  e  sembra  superfluo  V Eugeniorum 
della  prima  linea,  atteso  che  ciascuno  dei  defunti 
ha  il  proprio  nome  e  cognome;  lo  che  farebbe  sospet- 
tare che  fosse  quella  piuttosto  una  qualifica  {Bvyivr.g): 
Nella  seconda  linea  V  incisore  avendo  scritto  er- 
roneamente Aurelio  ,  avvertito  poi  V  errore  tolse 
via  r  O.  Ha  dimostrato  il  Fabbretti  con  molti  esem- 
pì, che  nelle  iscrizioni  sepolcrali  inlrorsiis  vale  il 
medesimo  che  in  agro  :  eccone  una  novella  prova 
nel  nostro  marmo. 


22 
XXVIll. 


DIS 

MANIbVS 

EVTYCHETIS 

FECIT 

PINARIVS 

PROCLVS 

FILIOKARISN 

{Sic) 

Lapide  trovata  nel  cimiterio  di  s.  Alessandro  , 
ov'ella  era  servita  a  chiudere  un  loculo  sepolcrale. 
I  caratteri  sono  pessimi  ed  in  qualche  lettera  s'ac- 
costano al  corsivo. 

XXIX. 


0  K 

.  $HAIKinAlAI 
rAYKYTATCJ 

0  0PE¥AC-iUiX 

.        [Sic] 

Felici  piiero  dulcissimo;  qui  eiim  aluit  mensibus 
decem,  sottintendendosi  javvj/jivjv  «ve'Svjxsv,  od  altra  cosa 
simile.  Colui  che  lo  nutrì  per  dieci  mesi  (tace  però 
il  suo  nome)  pose  al  suo  alunno  quel  titoletto.  Non  so 
se  il  doppio  5  della  terza  linea  debba  attribuirsi  ad  un 


2Ò 
fallo  del  quadratario,  o  s'abbia  l'uno  a  tenere  pel  3  fe- 
rale, che  però  sembra  inutile  in  questo  caso.  Le 
note  numerali  latine  occorrono  talvolta  nei  monu- 
menti greci,  come  in  questo  nostro  epitafio;  vi  a- 
vranno  ricorso  per  farsi  comprendere  più  facilmente. 
Questa  lapide  fu  trovata  non  molto  lungi  dalla 
chiesa  di  s.  Sebastiano  ,  e  precisamente  nel  luogo 
detto   Tor  Marancio. 

XXX. 


D         M 
FELICIONI 
VIX  ANN  XXII 
FECIT 

Ionis.conIvgi 

B       •       M  ::    i.r, 

Lapide  con  fastigio.  Villa  dei  Quintili. 
XXXI. 


FLAVIVS 
•VLIANVS 
FOHTVNATAE 
CONLACTIAE 
BENEMERENTI 
FECIT 
VIXAN  XVI  DIEB  VI 
VIRGINI 

Lapide  con    fastigio    rinvenuta  presso  i    ruderi 
detti  Roma  Vecchia.  Non  volle  questo  Flavio  Giù- 


24 

llano  tacere  nell'epitafio  della  sua  sorella  di  latte  il 
pregio  della  virginità  :  lo  che  non  è  molto  rara 
neppure  nei  monumenti,  come  questo,  pagani.  Vedi 
Grut.  655,  1.099,  14.  717,  2-..  E  Fabretti  cap.  Ili 
pag.  144,  N.  163,  164,  165,  166,  167,  168. 

XXXII. 


D     •     M     •     S 

FOUTVNATAE  VIX 

ANNISXXII 

THREPTVSCONIVGI 

SVAE  BENE  MERENl 

FECIT 

Lapide  con  molte  fratture    rinvenuta    sulla  via 
latina,  molto  presso  alla  porta. 

XXXlll. 


TFRENNIO 

BARBARO 
SEXTILIA. MARCIA 

CONIVGI 
B  •  M  •  F 


Via  latina. 


25 
XXXIV. 


MANIBVS 
FVLFIDIAE 

[Fori  per  libazioni). 
PRIMIGENIAE 

Via  Appia.  Non  è  questo  il  primo  esempio  di 
epilafio  in  cui  leggasi  Mamèws  taciuto  il  D^s.  Si  vede 
il  medesimo  nel  Fabbretti  (Pag.  80,  n.  98) ,  e  nel 
Museo  Veronese  (pag.  149  e  306,  3). 

XXXV. 


D         M 

TGELLIO 

TRHEPTO 

GELLIAICONE 

GOLLIBERTO 

BENEMERENI 
FECIT 


Via  Appia. 


26 
XXXVI. 


DISMANIB 

GRAPTE 

EGNATIAEMA 

XIMILLAE' 

AMANV 

CONIVGI  KARIS- 

SIMAECEGN 

ATIVSAROGVS- 


Lapide  rinvenuta  sulla  via  latina.  Ella  presenta 
un'  iscrizione  molto  pregevole-  Questa  Egnazia  Mas- 
similla, cui  Grapte  appartenne,  sembra  essere  stata 
la  nobile  e  ricchissima  donna,  moglie  di  quel  Gli- 
zio  Gallo,  che  fu  implicato  nella  famosa  congiura, 
ordita  contro  Nerone,  in  favore  di  C.  Calpurnio  Pi- 
sone,  l'anno  di  Roma  817,  narrata  diffusamente  da 
Tacito.  La  qual  congiura  scoperta  innanzi  eh'  ella 
scoppiasse  ,  e  puniti  con  atrocissime  morti  i  con- 
giurati, Glizio  Gallo  insieme  con  Nonio  Prisco  ed  An- 
nio  Pollione,  per  mancanza  di  autentiche  prove,  fu- 
rono condannati  solamente  all'  esilio.  «  Priscum 
Antonia  Flaccilla  coniux  comUata  est;  Gallum  Egnn- 
tia  Maximilla  ,  magnis  primum  et  integris  opibus  , 
post  ademptìs:  quae  iitraquc  gloriam  eius  aiixere  » 
(Tacit.  Annal.  lib.  XV.  LXXl).  I  caratteri  e  l'orto- 
grafia della  iscrizione  accennano  appunto  alla  se- 
conda metà  del  primo  secolo  dell'  impero.  Non  mi 


27 
sovviene  di  aver  veduto  il  nome  di  Egnazia    Mas- 
similla in  altro  marmo  conosciuto.  L' indicato  con- 
fronto aggiugne  molto  pregio  alla  nostra  iscrizione. 

XXXVII 


DÉPOSSIOHIIAMSQVE 
VIXlTANNViiVIbM-VNO.-r 

.iiiDEposiTA  mMwms 


TRlqoj^EDEETccfARCOSNS 


Titolo  cristiano  spettante  all'anno  dell'E.  V.  384, 
d'  incerta  provenienza.  È  di  quelli  che  soglionsi 
chiamare  cimiteriali,  cioè  provenienti  da  un  loculo 
incavato  nella  parete  di  un  ambulacro  di  cimitero 
sotterraneo. 

Tutti  i  caratteri,  ch'esibisce  questo  marmo,  ac- 
cennano chiaramente  ai  tempi  cui  esso  appartiene, 


28 
ìli  guisa  che,  mossa  ancora  in  disparte  la  nota  con- 
solare, se  ne  potrebbe  con  sicurezza  fissare,  se  nori 
l'anno,  1'  età.  Le  parole  deposilio,  deposila,  furonoi 
quasiché  solenni  nei  titoli  sepolcrali  del  quarto  e 
quinto  secolo  della  chiesa.  Né  il  manogramma  suole 
fregiare  gli  api  taf  ì  che  siano  anteriori  ai  tempi  di 
Costantino.  La  forma  poi  delle  lettere ,  1'  insieme 
della  scrittura  e  l'ortografia, sono  tali  appunto,  quali 
ce  li  offrono  i  monumenti  cristiani  dal  secolo  IV  , 
quelli  cioè  che  fossero  lavorati  da  persona  dell'ar- 
te: che  quanto  agli  altri  non  è  possibile  di  stabi- 
lirne alcuna  regola  generale,  né  formarne  alcun  cri- 
terio cronologico.  Quanto  al  simbolo  della  colomba, 
che  qui  si  trova  isolato  e  senza  il  ramoscello  di  olivo, 
è  da  vedere  ciò  che  ne  scrive  il  eh.  sig.  cav.  Giam- 
battista De  Rossi  nell'eruditissima  epistola:  De  chris- 
iianis  monumenlis  IX0YN  exhiheniihus  ,  stampata  a 
Parigi  nel  1855,  licca  di  nuove  e  pellegrine  noti- 
zie intorno  la  simbolografia  degli  antichi  cristia- 
ni. Non  so  se  detto  simbolo  si  trovi  nel  nostro 
epitafio  collocato  sopra  l'ultima  sillaba  del  nome  di 
Clearco  ,  per  esser  q^uella  il  principio  della  parola. 
columba. 


29 


XXXVIII. 


D  M 

lANVARIACARA- 
COIYX  AGATONI- 
COCOIVGIVENE- 
{Sic)  MENTIFECIT- 
[Sic)  QVN-QVN-VI 
XI  ANNISXXV 


Cippo.  Cum  quem  si  è  voluto  scrivere  nella  pe- 
nultima linea,  cioè  in  luogo  di  cum  quo, 

XXXIX 


{Sic) 

Dls.MANNlBVS.kMO 


PRIMO 


VIXIT  ANNIS 

vnu 


Via  Appia.  Vi    leggo  Ikmo    Primo  ,  Icmone    a 
Primo. 


30 
XL. 


IPHILVOLVSSI 
CVBICLARIOCARPOS 

QVIFVITL  FILI 

AVONCVLO  SVO  ET 

ANATOLECONTV 

BERNALES.EIVS 

{Sic) 


Lapide  con  ornamenti  gratili  rinvenuta  SuU'Ap- 
pia,  presso  la  vigna  Molinari.  Conlubernalis  richie- 
derebbe la  retta  sintassi.  Anatole  è  scritto  sopra  un 
altro  nome  che  fu  cancellalo. 


XLI 


I)  M        • 

1VLL\ECF1>RISCILLAE- 
CONIVGI  INCOMPARABILI 
SEX  HEREMIVS  ...LAVS 
ANNISXXXV 


Via  latina. 


31 
XLIl. 


M  I\  NIVS 

SILANIL 

NEDYMVS 


Titoletto.  C  insegnano  i  marmi  come  talvolta  i 
liberti  de'  più  cospicui  personaggi  costumassero  di 
citare  il  cognome  in  cambio  del  prenome  de'  loro 
patroni,  onde  pienamente  indicare  coloro,  cui  si  glo- 
riavano di  appartenere.  Intorno  la  famiglia  dei  Giu- 
nii  Silani  è  da  vedere  la  dottissima  dissertazione 
del  eh.  cav.  Borghesi  (Bull. di  corrisp.  archeol.  1849). 


XLIII. 


D.        M. 
LAELIA  FELICIS 
SIMA  LAELIAE  MAR 
CELLAE  VERNAE- 
B  M  FECl'rylXIT- 

ANNISVÌÌI  MvTidY- 


Lapide    trovala  sulla    via    latina  presso   il  VII 
uiiulio. 


32 
XXIV. 


DBCISSIT 


Epitafio  cristiano  rinvenuto  nella  vigna  Moli- 
nari  sull'Appia,  insieme  con  altri  marini  cristiamì  e 
cimiteriali.  Mi  assicura  il  eh.  cav.  De  Rossi  essere 
quivi  stato  nn  cimitero  sotterraneo,  cioè  le  ultime 
diramazioni  di  quello  amplissimo  e  celeberrimo,  eh' 
era  a  sinistra  dell'Appia,  e  che  oggi  non  può  met- 
tersi in  dubbio  essere  stato  veramente  quello  che 
avea  nome  di  Pretestato. 

Descissit  è  scritto  erroneamente  in  luogo  di 
discessil ,  formola  equivalente  al  decessit  o  recessil, 
che  sovente  si  trovano  nei  più  antichi  titoli  ,  ed 
esprimono  la  partenza  dell'anima  cristiana  verso  gli 
eterni  riposi  :  VX  invece  di  XV  ,  inversione  quasi 
frequente  negli  epita  fi  ,  specialmente  cristiani,  come 
ha  notalo  il  Maiini  ,  e  causata  dal  pronunziarsi  as- 
sai  volle,  rpùnlodecimo  ,  sexludecimo  ec.  ,   in  luogo 


33 

di  decimoqitinlo  e  decimosexto.  Decimoquinto  knlendas 
iulias,  die  Veneris,  dorè  si  omette  il  NE;  Annorum 
XXIIS ,  cioè  Semis,  teneva  io  si  dovesse  leggere  in 
quelle  note  numerali,  vedendo  un  fallo  dell'  incisore 
nella  S  posta  nel  mezzo  anziché  nel  fine  delle  note 
medesime-  Ma  tolsemi  da  questa  opinione  il  prelo- 
dato eh.  cav.  De  Rossi,  il  quale  da  me  consultatone 
per  lettera  ,  così  mi  rispose  intorno  questo  punto, 
pregiandomi  di  riportare  le  sue  stesse  parole:  «  In 
quanto  alla  S  inserita  alla  nota  numerale  XXSII, 
mi  parrebbe  assai  strano  che  potesse  significare  il 
Semis,  essendo  quella  maniera  classica  di  segnare  i 
mezzi  omai  quasi  al  tutto  ignota  all'  epigrafia  cri- 
stiana. Pili  semplice  e  piana  è  l' interpretazione  di 
chi  volesse  leggervi  XXVIII,  cioè  XXcj-II,  essendo  la 
forma  della  S  assai  simile  all'  kn'in-^ixov  r*,  e  piii  di 
una  volta  adoperato  negli  epitaffi  in  luogo  di  questo 
segno  del  numero  senario  ». 

XLY. 


M.VALERIO.ASIA... 

M.LIVlVS.M.F-FAL.MAr., 

nvri.eovjllien.... 
avgvstalita't.... 
sva  e.et.faeni.... 
in.hknc  .  ann.... 

....IT»0.... 


Brano  di  sottile  lamina  di  bronzo  rinvenuta    a 
Boville,  la  qual  contenne,  come  sembra,  un  decreto 
G.A.T.CXLIV  3 


34 

di  quei  decurioni  accordante  un  qualche  privilegio 
a  questo  M.  Livio  Massimo.  Quanto  alla  nota  con- 
solare, ond'  è  corredata  in  principio,  si  potrebbe  a 
prima  vista  esitare  alquanto,  se  debba  riferiisi  a  quel 
Valerio  Asiatico,  che  fu  console  per  la  seconda  volta 
nell'anno  varroniano  della  città798,insieme  con  Marco 
lunio  Silano;  ovvero  a  Marco  Lollio  Paulino  Valerio 
Asiatico  Saturnino,  il  quale  resse  i  fasci  nell'anno  846, 
insiemeconCaioAntioIulioQuadrato, ambedue  suffetti. 
Del  quale  M.  Lollio  erroneamente  si  fecero  due  consoli 
dallo  Stampa,  e  del  suo  collega  due  dall'Almeloveno; 
opponendovisi,  come  avverte  il  Sanclemente,  quanto 
al  primo  la  gruteriana  574.  5  (  nel  Donati  160), 
quanto  al  secondo  la  sponiana  a  pag.  313  delle 
Miscellanee.  Però,  se  si  trattasse  di  quest'ultimo, 
parrebbe,  che  volendosi  per  brevità  tacere  alcuno 
de'suoi  nomi  ,  lo  si  sarebbe  dovuto  chiamare  M. 
Lollio  Paulino,  anziché  M.  Valerio  Asiatico;  e  così 
Io  chiama  il  Marini  negli  atti  degli  Arvali  (pag. 
736)  :  dovendosi  credere,  che  Lollio  fosse  il  suo 
primo  e  vero  gentilizio,  il  qual  d'ordinario  si  trova 
precedere  gli  altri,  che  per  adozione  od  altra  causa 
venivano  assunti  dipoi.  Egli  è  perciò  eh'  io  inclino 
a  restituire  quella  nota  consolare  a  questo  modo  : 
M.  Valerio  Asiatico,  M.  lunio  Silano  Coss.  Nel  qual 
caso  la  nostra  lamina  avrebbe  il  merito  di  produrre 
il  prenome  di  quel  personaggio  che  Tacito  e  Dione 
chiamano  semplicemente  Valerio  Asiatico,  com'è  pure 
notato  nei  fasti. 


35 
XLVI. 


LOLLIA  VRBANAAEDITVA 

MINISTRA 

VIX  •  ANN     XXX 

FELICIO  •  F  •  FECIT 


Rarissimo  è  nelle  donne  l'ufficio  di  Aedìttia:  par- 
mi  non  ve  ne  sia  più  d'uno,  o  due  esempì. 

XLVII. 


....IVO.... 
....lA.... 

....Q  LVCaSECVNDI 

11  VIR 

..MIVNIANNIANI  n  ET... 

....QIVLIANTONINI 


Frammento  di  grande  iscrizione  trovato  in  Ardea. 


8(ì 
XLVIIl. 


D  MMARCIAEGAE 

LMARCIVSSTATIVS 

ET  PEDVCLANIAEPICTESIS 

VERNE  SVAE  KARISSIM 
ET  PEDYCLANIA  PRIMTIVA 

{Sic) 

COLLIBERTA  FECERVN 
QVAEVAlDXVnU 

Lapide  con  protome  muliebre.  Monte  Mario. 

XLIX. 


L.  MA  RIO- MAXIMO 
PERPETVOAVRELIANO 
C  V  PRAEFVRBIPRO  COS 
PROVINCIAEASIAE  IT  PRO 

COS-PROV  AFRICAECOS  II- 
FETIALl  PATRONO  ETCVRA 

TORICOLONIAE 

ARDEATIVM 
DIGN  I  S  S  I  MO 
1  1 1 1 1 IB 1 1 1 1 1  1 1 1 1 1 1  1 


Base  di  statua  rinvenuta  in    Ardea.    Ella    è  in 
tal  modo  corrosa  dal  tempo  e  malconcia  dal  ferro, 


37 

che  m'  è  tornato  assai  malagevole  a  leggervi  l' is- 
crizione importantissima  ch'ella  presenta,  intorno  la 
quale  è  da  vedere  nel  volume  precedente  di  que- 
sto giornale  la  magistrale  illustrazione  dettata- 
ne dal  eh.  sig.  cav.  B.  Borghesi.  Si  ha  quindi 
una  piena  notizia  della  istoria  del  personaggio 
onorato  e  la  soluzione  delle  difficoltà  che  of- 
fre questo  marmo,  come  pure  la  confutazione  delle 
sentenze  del  Corsini  e  del  Casaubono,  che  vollero 
di  questo  Mario  Massimo  fare  due  persone  diverse. 
Le  due  ultime  linee  della  base  non  sono  affatto  leg- 
gibili, per  non  restarne  che  scarsi  e  tenuissimi 
vestigi. 

Essendo  data  inesattamente  dal  Muratori  la  bella 
iscrizione  onoraria  di  Mario  Massimo,  397.4,  da  lui 
anche  omessa  nell'indice  dei  nomi;  nò  mancando 
di  qualche  menda  la  copia  molto  migliore  del  Bian- 
chini, di  cui  si  vale  il  eh.  Borghesi  nello  scritto  in- 
dicato, parmi  opportuno  di  pubblicarla  nuovamente, 
secondo  l'apografo  da  me  fattone,  in  compagnia  del 
eh.  sig.  dott.  Henzen,  sul  marmo  originale,  che  rin- 
venimmo nella  vigna  Fonseca  sul  Celio  ,  in  via  di 
santo  Stefano  Rotondo  n.  3.,  ora  di  proprietà  dei 
sigg.  fratelli  Cantoni  ,  dai  quali  con  ogni  cortesia 
ne  fu  permesso  di  osservare  e  trascrivere  quel  mo- 
numento importantissimo. 


38 


L  •  MARIO  L  •  F  .  QVIR  • 
MAXIMO    •    PERPETVO 
AVRELIANO  •  COS    • 

sacerdoti.fetiall.leg.avgg  pr.pr. 

provinc.sYriaecoelaeleg.avgg.pr.pr 

provinc.germaniaeinferioris.iTem. 

provincbelgicaedvci.exerciti.mYsia 

ci.apvt.byteantivm.etapvt.lvgvdvnvm. 

leg.leg.i.italic.cvr.viae.latinae. 

item.reipfaventinorvm.allectoin. 

ter.praetorios.trlb.plebcandidato. 

qvaestori.vrbano.trib.laticl.lég. 


XXII  .  PRIMIG  .  ITEM  .  Ili  .  ITALICAE  . 
mi    .    VIARVM   .    CVRANDARVM    . 

MIVLIVSARTEMIDORYS  T 
LEG  •  Iff-  CYNERAICAE  • 


Eserciti  si  legge  veramente  nel  marmo,  come 
pure  Byzeantiiim  con  1'  E  connessa  alla  Z.  Non 
vi  potemmo  però  rinvenire  1'  altra  base  di  quel 
personaggio  (719.2)  che  pone  ugualmente  il  Mu- 
ratori nella  vigna  Fonseca.  Né  il  sullodato  signor 
Cantoni  ce  ne  seppe  dare  indizio  veruno  ,  dicen- 
done anzi  di  non  aver  mai  conosciuto  che  vi  ab- 
bia esistito.  Però  è  certo  che  vi  fosse  una  volta  ;  e 
Tessersi  colà  trovati  due  monumenti  onorari  di  Ma- 


39 

rio  Massimo,  fa  sospettare  con  assai  fondamento,  che 
quivi  stesse  anticamente  la  di  lui  casa,  come  avverte 
li  eh.  Borghesi  nello  scritto  indicato.  E  realmente 
molti  avanzi  di  fabbriche  di  buon  tempo  vi  si  os- 
servano ancora,  insieme  con  molti  frammenti  mar- 
morei di  membrature  architettoniche:  e  de^-na  era 
dell'uomo  nobilissimo  quella  egregia  situazione.  ^ 

Ne  manca  pure  dì  qualche  inesattezza,  rispetto  al 
monumento  originale,  Taltra  base  di  Mario  Massimo 
data  pure  dal  Muratori  (2023-5)  che  trovasi  ora  nel 
museo  capitolino,  nel  veMiholo,a  dritta.  Eccola  quale 
s»  legge  nel   marmo: 


L-  M  A  R  1 0  •  M  A  X  I M  0 
PERPETVOAVRELIANO 
CVPRAEF-  VRRIS 

PROCOrVSVLIPROVIIVC- 
ASIAE-  ITERVM- 

PROCONSVLIPROVIIVC- 

AFRICAE- 
M-  IVUVS  •  CEREALI  S• 
MATER]VVS•EX•CIVITAT• 
FOROIVLIENSIVM- 
PATRONOOPTIMO 


L. 

•  D  •  M  • 

TFMERC.PATER 

EF-  EVHODIAF- 

{Sic} 

SPETIPIENTIS 
SIMAE  •  BMF- 


Lapide  rinvenuta  nella  villa  dei  Quintili.  Vi  si 
legga:  Titus  Flavius  Mercurius  Pater,  et  Flavia  E- 
vhodia  Filia  eie.  Pessimi  caratteri. 


LI. 

MMODIVS- 
MLIBMAXSiM 
VSFECIT  SlBl  • 

AEDICVLAM 

Titoletto.  Via  latina. 
LIL 


D    M 
MYSTICO 

Stera.  Villa  dei  Quintili 


41 
LUI. 


D        M 
CNVMISIO 
CLVSINONV 
MISIAHELPIS 
MATERFILIO 
PJENTISSIMO 


Marmo  servito  a  chiudere  un  loculo  nel    cimi- 
terio  di  s.  Alessandro. 


LIV. 


•  D    •     M  • 

OCTAVIVS  HERMES- 

CHRYSIONI  VERNAE 

SVOBENEMERENTI- 

FECIT 


Lapide  in  forma  di  edicola. 


42 
LV. 


r 

DIS  • 
MANIB  • 

ORIGANI 
ONI 

VIXIT 

ANN-  LI 


Lapide  con  fastigio.  Vìa  appia,  vigna  Molinari. 
LVI. 


POMPEI  VE 

HELPIUI 

VEKNAESVAE 

FECIT 
POMPEIATYCHE 


Via  latina. 


i3 
LYII. 


DISSACRVM 
SEXPOMPEIO 
SATVRNINO 
^EypOMPElvs 


Frammento  di  cippo.  In  questa  iscrizione  si  o- 
mette  il  Manibns  ,  mentre  nell'  altra  n.  XXXIV  si 
omise  il  Dìs.  Però  tanto  V  una  che  1'  altra  parola 
bastano  di  per  se  sole  per  indicare  quelle  funeste 
divinità.  Non  mi  sovviene  di  aver  veduto  altra  la- 
pide in  cui  elle  siano  invocate  mediante  la  sola  pa- 
rola DIS. 

LVIII. 


oilX ri!.ivb 

AMPLIaTVS 

FILIOPIOET 

SEXPOMPEI\... 

SABINVS 
.RATRl  SAN 

TISSIMO 


44 
LIX. 


•   POMPONI 

L.L.PHILARGVRVS 


Stera  di  travertino.  Nella  prima  linea  non  è  ba- 
stato il  niarnio  per  terminarvi  Pomponius. 


LX. 


dIs.manibvs 

c.popilli.nychi 

c.popillivs.heracla 

patri     .     svo 

.....  rissimo  et 

....merenti.des 

. SVIT 

LXI. 


RIMIGENIA 

VIX.ANN.XXII 

SCANTHVS.NOìMENcLaT 

ariae.eT.conivgi 

E.MERENTI.FECIT 


Vìa   Appia. 


45 
LXII. 


ì'aih: 

Nl.BENEFlCIO  SIBI.eT 

....ME.LIBERTAE.SVAE.EIDEMCONIVG 
.ROXIMILLAE.         F  ET 

.ROXIMO.F.ET.MARTIALI.FILIO 

Via  latina. 
LXH. 


D        M 
PVPIEMAE 
RVFINAE 
FILIAE 
PVPIEN.MAXIM 

Parte  anteriore  di  grande  sarcofago  ornato  di 
bassorilievi ,  d'un'  arte  molto  inchinata  alla  deca- 
denza. Fu  rinvenuto  non  lungi  dai  ruderi  più  volte 
indicati,  conosciuti  sotto  il  nome  di  Roma  vecchia. 
11  gentilizio  di  questa  defunta  emerse  la  prima  volta 
da  un  frammento  di  fasti  sacerdotali,  trovato  nella 
basilica  Giulia  l' anno  1849,  ed  illustrato  dal  eh. 
sig.  dott.  Henzen  nel  Bullettino  di  corrispondenza 
archeologica  (1849.  pag.  132).  Era  questi  Pupienio 
Affricano,  console  nell'anno  di  Roma  989. 


46 
LXIV. 


D     •    M    •     S 
P  PVPIENOJVIA 
XIMOPATRI 
PYPENRYFINAE 


Altro  frammento  di  sarcofago  simile  al  prece- 
dente. Appartenne  a  quello  stesso  Publio  Pupie- 
nio  Massimo,  che  nel  precedente  (sebbene  taciuto  il 
prenome)  si  dice  aver  posto  quel  monumento  alla 
figlia.  Ha  però  qui  errato  due  volte  1'  incisore,  scri- 
vendo Pupieno  in  luogo  di  Pupienio  ,  e  Pupen  in 
luogo  di  Piipien.  Dovette  esser  questa  una  famiglia 
molto  ragguardevole  e  facoltosa;  giacche  i  detti  sar- 
cofagi, similissimi  fi-a  loro,  sebbene  accennino  alla 
decadenza  dell'arte,  sono  tuttavia  molto  grandiosi, 
e  condotti  senza  risparmio  di  lavoro.  In  uno  dei 
bassorilievi  (che  son  tutti  mutilati  ed  infranti)  m'è 
parso  di  riconoscere  il  ratto  d'Elena.  Per  certo  que- 
sto defunto  amò  molto  la  figlia,  o  molto  si  tenne 
da  lei  onorato,  se  nel  suo  titolo  sepolcrale  si  fece 
annunziare  come  padre  di  Pupienia  Rufìna. 


47 
LXV. 


0  K 

EN0AAEPO 

KEIMAIYn.... 

TYMBIOCa 

ECOPATE^.... 
EACGEIC-^ .... 

NOMQCQ 

POAONIAPI 

NON  ZHC^ 

TECCEPETHF 

CMACIMOIPIAI 

Frammento  di  lapide  sepolcrale  trovato  sulla  Via 
latina.  Lasciando  ad  altri  la  cura  di  effettuarne  la 
restituzione,  ci  limiteremo  ad  osservare  essere  slata 
questa  lapide  posta  ad  una  donna, per  nomePOAONIA, 
Rhodoììia  ,  come  si  vede  in  parte  nella  prima  riga 
ed  interamente  nella  settima.  Credo  però  sarebbesi 
dovuto  scrivere  piuttosto  POAQNIA. 

LXVI. 


SAVFEIVS 

CONlVGi 

B     .     M     .     F 


È  noto  che  la  gente  Saufeia  fu  prenestina.  Un 
sepolcro  spettante  ad  una  famiglia  dei  medesimi  fu 
rinvenuto,  non  ha  molti  anni  ,  presso  il  terzo  mi- 
glio delia  Via  Labicana,  nella  vigna  Belardi ,  dove 
1  avea  di  già  trovato  il  Fabbretti. 


48 
LXVII. 

..BIANVS-P-F  SEIVSFLAM.. 

....GVSTAL-  iT  VIRQVARTFECIT..  . 

Frammento  di  grande  lapide  trovata   in  Ardea. 
Caratteri  assai  belli. 

LXVIII. 


.     D         M     . 

Setoniae.omfale 

pientissimae  f 

benemerenti 

encolpv     s 

PATER  .  F . 
VIXIT 


ANNIS  XVI  MEN  xi 
DIEBVS   V 

Lapide  con  fastigio.  Questo  gentilizio,  per  quanto 
io  mi  sappia,  emerge  Ora  per  la  prima  volta  dal 
nostio  marmo. 


19 
LXIX. 


D     •     M 

PSTRABONIVS 

PRIMIGENIVS 

FVIPSANIAE 

GLYPTE    ET 

PSTRABONIO 

EVTYCHOPET 

PETMVNIAE 

TROPHIMES  SYIS 

PQEORVM 

LPV  LATPIII 


Lapide  con  fastigio  trovata  sulla  via  latina  presso 
il  VII  miglio.  Non  è  facile  dare  acconcia  spiega- 
zione al  P.  della  settima  linea. 


ì 


LXX. 
DM 

Ltitio  aghi 
lleogoivgbm 
manteniaielpis 
memoriaecavsa 


Lapide  rinvenuta  nel  cimiterio  s.  Alessandro. 
G.A.T.CXLIV  4 


50 
LXLI. 

[Fori  per  libazioni) 

MVALERl 

ANICETI  AVCTl  LIBE 

Villa  dei  Quintili. 
LXXIi. 


0EOICKATAX0ONI 
OIC  •  r  •  OYAAEPIO' 
AAPIOC     OYAAE 
PIfìAlOrENIA 
NQ  •  TQ  •  rATKY 
TATQMNHMHC 
XAPIN  .  ETQN    B  • 
MHN  •  lA  •  ET^rXI 
TEKNON  • 

Cioè:  Dts  Manibns.  C.  Valerius  Darius  ,  Valerio 
Diogeniano  filio  dulcissimo,  memoriae  caussa.  Ann.  Ily 
Mens.  XI.  Siiavis  fili.  Via  latina. 

LXXIII. 


D        M 

QVEHILl  i 

TROPHIMI  i 

Titolelto  rinvenuto  nel  cimitero  di  s.  Alessan- 
dro, ov'era  servito  all'uso  più  volte  indicato  di  ot- 
turare  un  loculo.  Bei  caratteri.  i 


51 
LXXIV. 


D.  M . 
VEIENO 
CICERONI 

Titoletto  rinvenuto  nel  medesimo  luogo. 
LXXV. 


VIBIA  FELICLAETMCOC 
CEIVSZMARAGDVSF 

COCCEIAE.ZMARAGDINI.FILIAE 
ET.D.NOVIVS.TELESPHOR.ET.VIBIA 
DONATA.NEPTI.VIX.A.I.M.VI.D.XX 
SIBl.       P.       Q.       EORVM 
Via  latina. 
LXXVI. 


DM 
VLPIO 
NOTHO 
FECIT 
SALVIA 
ATTICE 

Cippetto  dell'altezza  di  un  palmo,  largo  appena 
un  quarto  dell'altezza.  Sembra  fatto  per  esser  col- 
locato entro  un  loculo  di  colombaio.  Fu  rinvenuto 
sulla  via  latina. 


52 
LXXVII. 


DM 
MVLPIVSEVTROPVS     ET 
FLAVIAVICTORINA     FEC 
M  VLPIOEVTROPOFIL-  DYLC 
ET  SIBl  ET  LIB.LIBERTABVSQ 
POST     EORVM 

Marmo  servito  a  chiudere  un  loculo   nel   citni- 
lero  di  s.  Alessandro. 

LXXVIII. 


VOLVSIAE.STRATONICE 

L.VOLVSI.L.F.SATVRNINl 

PONI.F.NVTR[CI.L.VOLVSIVS 

ZOSIMVS.F.MATRI.SVAE.PIISSI 

MAE.FECIT.ET.L.VOLVSIO.ZOSI 

MO.L.VOLVSI.PATRYI.COL 

LACT  [O.TAMPIA.PRISCILLA 

CONIVGI.SVO.PIISSIMO.ET.SAN 

TISSIMO.FECIT.ET.SIBI 

Ossuario  semicircolare  trovato  sull'  Appia  nella 
vigna  Molinari,  dalla  quale  avemmo  parecchi  novelli 
monumenti  dei  Volusii  II  PONI  •  F  •  della  terza 
linea  imbroglia  talmente  il  senso  da  non  potersene 
per  avventura  comprendere  il  significato.  Mentro- 
chè  limpidissimo  correrebbe  ti  alasciando  quelle  due 
parole. 


53 
LXXIX. 


L  VOLVSIOCRISPINO 
Q-  VOL  VSI VSTHEODOT  VS 
B.MFECIT 

Via  Appia,   insieme  colla    precedente. 
LXXX. 


D       M 
XENOFON 
TIFONTINVS 
(Sto)  SFRATERF 

Lapidetla.  Villa  dei  Quintili. 
LXXXI. 


IDIOTA     f  I    LEVATE 


DALVSO    ;  s  RILOCV 


Fi-ammento  di  tavola  lusoria  consimile  alle  al- 
tre già  conosciute.  {Orel.  4315).  Ne  tratta  alquanto 
il  P.  Lupi  neW Epilafìo  di  s.  Severa.  (Cap.  Vili.  p. 
59).  Fu  rinvenuto  sull'Appia  presso  Tor  Carbone. 


54 

Lxxxir. 


....ARIBYS  •  A.. 
vici    BO. 


Frammento  di  lapide  convertita  più  tardi  in  base 
di  colonna.  Fu  rinvenuto  a  Boville.  Prima  di  Vicir 
non  esisteva  altra  parola.  E  quindi  chiaro  che  que- 
sta iscrizione  devesi  restituire  così. 

LARIBVS.AVGVSTIS 
vIcI.BOVILLENSES 

Trattandosi  probabilmente  di  alcuna  edicola,  o  tem- 
pietto dedicato  in  comune  da  tutti  i  vici  di  quella 
città. 

LXXXIII. 


MAI. 

ZHCA KTKAOYCni 

CTPa ABANTQN 

KAIMHNHC  ir-rnCESEni 

TOICIKYKAOYC  . 
AAAETINHniAXOlVMETYXH 

KATE0HKATOMHTHP 
TQIAENIAAìNEQiTYMBQIME 
rAlJENGOCEXOYCA  . 

Frammento  d'iscrizione  sepolcrale  metrica,  rinvenuto 
sulla  Via  latina. il  primo  verso  probabilmente  avrà  ter- 
minato con  le  parole  h^x^i  xsltxat,  offrendo  in  prin- 


55 
cìpio  ì  nomi  del  defunto.  La  doppia  lacuna  del  se- 
condo verso,  causata  dalla  frattura  del  marmo,  può 
restituirsi  nel  primo    luogo    probabilmente  nel  se- 
condo sicuramente  a  questo  modo: 

ZHCAg    zv^vnTcm  KTKAOYCni 
CYPcov  Xux  ABANTQN 

Ey  ^vijToTaj  m'  è  sembrato  una  delle  acconce  resti- 
tuzioni, perchè  credo  vi  si  debba  far  breve  la  prima 
sillaba  della  parola  kYKAOYC,  abbreviandola  questo 
poeta  pure  nel  terzo  verso.  Nella  parola  infranta 
dopo  MHNHC,  è  facilissimo  leggere  lEPHC»  in  luogo 
di  ^£pà?,  forma  ionica  molto  conveniente  a  questi 
versi.  11  senso  quindi  dell'epitafìo,  siccome  ognuno 
vede,  sarebbe  questo: 

hic  iaceo 

Qui.  vixi  inter  mortaìes  quatuor  annoium  orbesy 
Et  sacrae  limae  sex  insuper  orbes. 
At  qiiamvis  infantem  Tijche  ma  ter  me  deposuit 
In  lapideo  sepidcro,  magnum  habens  luctum. 

Visse  cioè  quattro  anni  e  sei  mesi,  venendo  i  mesi 
indicati  mediante  le  lunazioni  da  cui  son  generati. 
E  strano  di  vedere  in  questi  versi  un  pentametro, 
cioè  il  terzo,  fra  quattro  esametri. 


56 
LXXXIV. 


....PONUAl 

i^AlQMAAlOICIXL 

)rNOMAKEKAOM 

...MAIMOCIAEKEAN-I........ 

....nAWOAEITOCOMOY.... 

....  DCnANeiIAECkOCTNAIMOC 

...COMOYCTONAXAIC  È  TOOICE 

..AAKPYONXEONOrrAPEAQ 

....  DNOYKEPATOTCeAAA 
C 

Frammento  d'iscrizione  sepolcrale  metrica,  tro- 
vato sellila  Via  latina. 

LXXXV. 


....MANIE 

...HPHKIO 

....MA$IAQ 

....nTOAEii 

YSENAMHTHIQ... 

EYNHEENEKEN 


Occorre  più  d'una  volta  di  trovare  in  titoli  greci 
l'invocazione  agli  Dei  Mani  latinamente  espressa  me- 


57 
diante  le  sigle  D  •  M  •  Di  che  rende  ragione  il 
Zaccaria  nella  istituzione  lapidaria  (cap.  VII.  p.  206). 
Scritta  però  così  alla  distesa,  come  nel  presente 
frammento,  non  mi  sovviene  di  averla  altrove  ve- 
duta: e  tuttavia  deriva  ciò  probabilmeule  dalla  stessa 
cagione  allegata  dal  Zaccaria,  dall'essersi  cioè  fatto 
incidere  l'elogio  sopra  una  lapide  presa  già  bella  e 
preparata  dallo  scarpellino,  con  quella  invocazione 
solenne.  Ma  potrebbe  anche  darsi  che  un  qualche 
greco  non  si  fosse  curato  di  tradurre  nella  propria 
lingua  una  formola  di  rito  meramente  romano.  Ella 
infatti  non  si  è  mai  veduta  negli  epitafì  rinvenuti 
nelle  città  della  Grecia,  sebbene  quelli  che  vivevano 
in  Roma  1'  avessero  adottata  per  conformarsi  alla 
religione  dei  loro  signori. 

Queste  sono  le  antiche  iscrizioni  chefregìano  il  de- 
scritto magazzino  del  cav.  Giambattista  Guidi.  Egli  ne 
possiede  ancora  parecchie  altre,sparse  in  altri  suoi  de- 
positi di  antichità,  non  che  un'assai  ragguardevole  colle- 
zione di  bolli  di  mattoni  e  di  lucerne  ed  altri  simili  mo- 
numenti scritti,  lo  non  dubito  punto  che  nel  modo 
istesso  ch'egli  ha  consentito  alla  pubblicazione  di  que- 
sti marmi,  non  voglia  ugualmente  concedere  a  me, 
0  ad  altri,  di  dare  in  luce  ancora  le  rimanenti  sue 
ricchezze  antiquarie,  proseguendo  sempre,  com'egli 
fa,  a  rendersi  benemerito  dell'archeologia. 


58 


La  commedia  ilaliana  nel  secolo    XVII 
per  Ignazio  Ciampi. 

CAPITOLO  PRIMO. 


\T1' italiani  nel  cinquecento  non  recarono  la  com- 
media, anzi  l'arte  drammatica,  a  quell'altezza,  che 
raggiunsero  in  molte  altre  discipline  letterarie  ed  ar- 
tistiche. Della  qual  cosa  si  allegano  molte  e  varie 
cagioni  dagli  scrittori,  che  hanno  guardato  al  na- 
scere e  al  procedere  della  nostra  letteratura.  Ma 
forse  men  volgare  e  più  vera  si  è  la  sentenza  di 
coloro,  che  ne  chiamano  in  colpa  la  imitazione  troppo 
servile  degli  antichi  modelli:  come  quella  che  matu- 
rando l'arte  precocemente,  le  tolse  di  attingere  la 
perfezione  ,  la  quale  non  si  lascia  cogliere  che  da 
chi  la  giunga  passo  passo  con  la  propria  esperienza. 
Il  teatro  dunque  non  si  trasse,  o  per  dir  meglio  , 
non  ti  sviluppò  a  mano  a  mano  dai  misteri  o  feste 
o  esempi  o  moralità,  che  in  sé  contenevano  i  ger- 
mi della  tragedia  ,  commedia  e  farsa  ;  ne  si  valse 
della  novella,  che  pure  in  m.ezzo  a  ridicole  beffe 
dava  più  vivo  il  secolo  e  argomento  di  sublime  e 
di  patetico,  e  di  comico.  E  vaglia  il  vero,  chi  non 
meraviglierà  pensando  che  quel  fiore  della  Giulietta 
e  Romeo,  novella  narrataci  da  Luigi  Da  Porto,  fosse 
lasciato  cogliere  ai  forastieri  (1)  ?  Ma  i  tesori  let- 
terari ed  artistici  dell'antichità,  disotterrati  in  quel- 
l'erudito secolo,   trassero  a  loi'o  di  soverchio  gli  oc- 


59 

chi  e  la  mente  de'nostri  padri  :  i  quali  ,  abbagliati 
dalla  bellezza  di  quelle  forme,  quasi  perderono  di 
memoria  il  presente,  e  piuttosto  di  studiare  ad  e- 
sjirimere  i  propri  pensieri  con  quella  proporzione  , 
grandezza  e  semplicità  con  cui  disponevano  e  figu- 
ravano gli  antichi,  si  sforzarono  di  tradurli  intieri 
nelle  opere  loro,  e  starei  per  dire,  di  contraffarsi  a 
greci  e  a  romani  nel  bel  tempo  del  Savonarola  e 
del  Valentino.  Per  la  qual  cosa  perderono  da  due 
parti:  perchè  non  colorirono  le  proprie  invenzioni  , 
e  come  avviene  a  chi  ripete  le  altrui,  riuscirono  di 
ghiaccio.  E  nella  commedia  se  prima  delle  altre 
nazioni  presso  a  noi  si  raggiunse  la  regolarità  della 
forma  e  dell'azione,  d'altra  parte  si  credette  di  toc- 
car la  cima  col  mutar  lievemente  o  ripetere  o  cu- 
cire i  brani  delle  commedie  di  Plauto  e  di  Teren- 
zio. In  tal  modo  i  cinquecentisti  né  parlarono  ai 
contemporanei,  né  ci  diedero  dipinto  il  lor  secolo 
(come  fece  de'veneziani  e  del  settecento  il  Goldoni), 
e  ci  lasciarono  invece  una  pallida  copia  de'costumi 
antichi,  sotto  de'quali  il  lor  tempo  trasparisce  come 
d'  un  velo  e  a  malgrado  degli  stessi  scrittori.  Da 
che,  per  quanto  si  voglia,  non  si  può  uscire  all'  in- 
tutto del  tempo  in  che  ognuno  si  vive:  e  que'  bar- 
gelli e  quegli  spagnuoli  bravi  e  ciarlieri  ,  e  quegli 
ebrei  venuti  di  Spagna,  che  spacciano  alchimie  e  fan 
truffe,  sono  pur  troppo  ritratti  di  gente  viva  ;  ma 
essi  sono  ridotti  ad  un  solo  aspetto  ,  siccome  i  re 
e  i  fanti  delle  carte  da  giuoco  ,  che  son  sempre  i 
medesimi,  sebbene  combinati  diversamente. 

Aggiungi  a  questo  il  farnetico  della    lingua  lati- 
na, che  prese  quel  secolo  insieme  con  le  idee  pò- 


(ìO 
litiche  attinte  da  Lucano  e  da  Tacito  (2).  Che  se  oggi 
è  da  piangere,  che  a  questa  lingua  si  attenda  meno 
che  non  converrebbe  a  noi  viventi    nella  terra  ove 
visse  qnel  popolo  meraviglioso,  e  che  almeno  non  la 
si  adoperi  nella  scrittura  delle  opere  dotte;  dall'al- 
tra parte  dobbiam  lodarci  d'esser  giunti  a  tale,  che 
si  stimerebbe  pazzo  chi  pur  s'attentasse  a  dire,  che 
ella  sarebbe  buona  per  cose,  che  appunto  son  buone, 
quando  tutti  o  la  maggior  parte  degli  uomini  le  in- 
tendono. Eppure  dopo  che  Dante  avea,  non  che  tolta 
di  balia  ma  fatta  matura  la  nostra  lingua,  v'ebbero 
di  quelli,  che  scrissero  commedie  e  tragedie  in  la- 
tino. Sovvengaci    Albertino  Mussato  ,  che  pure  era 
tale  da  farci  ammirare  il  suo  Ezzellino  s'egli  l'aves- 
se scritto  in  italiano,  e  Leon  Battista  Alberti  e  Gre- 
gorio Corrari,  i  quali  diedero  a  bere  agli  eruditi  che 
le  lor  tragedie  fossero  antiche  (o).  Ma  fa  sdegno  e 
compassione  di  noi  medesimi  l'udire  il    Bibbiena  , 
che  nel  prologo  della  Calandra    poco  meno  che  si 
scusa  dell'averla  dettala  in  lingua    volgare  (4):  per 
non  dire  della  sfacciatezza  di  Romolo  Amaseo,  che 
innanzi  al  papa  e  all'imperatore  a  Bologna  sostenne 
che  la  lingua  italiana  era  da  lasciarsi  ai  trecconi  ed 
al  volgo  (5). 

Ma  sia  che  queste  fossero  od  altre  piìi  potenti 
cagioni;  egli  è  certo  che  fuoi-i  della  Mandragola  del 
Machiavelli  ed  alcune  delle  commedie  dell'  Aretino 
(lascive,  sfrenate  quanto  si  voglia,  ma  pur  cercale 
fra  gli  uomini  e  gli  usi  viventi),  le  altre  di  quel  se- 
colo, benché  non  manchino  di  pregi  in  ispecie  nel 
grazioso  dialogo,  nello  spirito  dei  motti,  nella  fa- 
vella sempre  schietta,  propria,  elegante  ;    non  sono 


Gì 

che  copie  delle  antiche,  e  con  l'artitìcio  e  le  fila  , 
che  si  raggruppano,  non  finiscono  che  a  burle  e  a 
figli  ritrovati  e  a  riconoscimenti  :  per  guisa  che  , 
lettene  di  molte,  non  ti  rimane  idea  distinta  di  al- 
cuna e  di  tutte  ti  dimentichi  facilmente.  La  Man- 
dragola di  Machiavelli,  dico,  fu  quella  che  si  levò 
al  disopra  delle  altre  e  diede  una  immagine  di  quelle 
commedie,  che  diconsi  di  carattere.  Ma  essa  fu  la- 
sciata là  e  quasi  dimenticata,  non  dico  dal  popolo 
e  dai  commedianti  (che  fu  bene  per  la  dissoluta  fa- 
cezia che  la  informa),  ma  anche  dagli  scrittori,  che 
doveano,  sceverando  il  bene  dal  male,  imitare  e  svol- 
gere e  fecondare  quell'unico  esempio.  All'  incontro  si 
andò  per  la  battuta:  anzi  si  peggiorò  non  poco.  Impe- 
rocché in  sullo  scorcio  del  secolo  sopravvennei'o 
gr  imitatori  degl'  imitatori:  cioè  coloro  ,  che  senza 
r  ingegno  urbano  dell'Ariosto,  la  festività  e  la  ele- 
ganza del  Caro  e  del  Cecchi  e  il  satirico  di  Pietro 
Aretino,  empirono  le  scene  di  commedie,  non  che 
fredde,  intirizzite:  tanto  che  il  popolo  ,  lasciandole 
alle  sale  degli  accademici  ,  si  piacque  piuttosto  di 
composizioni,  che  a  scapito  della  regolarità  ,  aves- 
ser  qualche  cosa  di  vivo,  di  curioso,  di  fantastico, 
che  potesse  recargli  diletto.  Allora  gavazzarono  la 
commedia  dell'  arte  e  le  maschere  e  il  teatro  spa- 
gnuolo  :  il  quale,  unitosi  a'due  elementi  suddetti  , 
partorì  di  stranissime  -cose. 

'  A  quel  tempo  gli  spagnuoli  faceano  da  padroni. 
E  come  avviene  per  lo  più  ,  che  qual  signoreggia 
con  la  spada,  dà  a  credere  ai  popoli  ch'egli  è  va- 
lente (perchè  si  crede  alla  forza);  perciò  essi  erano 
tenuti  in  gran  conto,  e  imitati  dalle  nazioni  d'Eu- 


62 

ropa,  guastavano  le  arti  e  le  lettere  di  tutti.  Molti 
s'  accendono  a  disputare  a  quale  de'  due  popoli  si 
debba  dar  colpa  della  corruzione  dell'altro,  lo  dirò 
soltanto  che  tra  noi  non  fiorirono  come  setta  let- 
teraria e  Gongora  e  quegli  scrittori  che  si  chia- 
marono colti  {in  ispagnuolo  cuhos)  (6)  :  noi  aveva- 
mo già  due  secoli  di  alta  letteratura,  quand'essi  gu- 
starono per  la  prima  volta  quel  bello  che  riluce 
nelle  carte  del  Poliziano  e  dell'Ariosto:  noi  non  si 
eravamo  giammai  dimostri  sì  passionati  del  magni- 
fico stile  :  né  gli  arabi  ci  avean  dominato,  ne  la- 
sciato retaggio  del  lor  gusto  bizzarro  e  fantastico. 
Ma  ciò  tralasciando,  che  ci  porterebbe  troppo  lungi 
del  nostro  proposito;  io  non  niego  che  il  teatro  spa- 
gnuolo  non  fosse  tale  da  insuperbirsene  qualsivo- 
glia nazione.  Almeno  era  nato  e  cresciuto  in  Ispa- 
gna,  e  gli  davan  continuimente  vita,  vigore  e  sog- 
getto le  tradizioni  arabe,  le  pruove  della  cavalleria, 
i  fatti  degli  ebrei  e  del  cristianesimo,  la  generosa 
guerra  coi  mori,  le  corti  castigliane,  gli  avventurie- 
ri del  nuovo  mondo,  gli  avvenimenti  contempora- 
nei. Vario  per  costumi,  per  intrecci  e  per  caratteri: 
vivace,  appassionato,  cavalleresco:  esso  nasceva  quan- 
do era  potente  e  rigogliosa  la  nazione:  che  versava 
la  sua  vita  nel  dramma,  come  nel  po^ma  la  versa- 
rono i  greci  e  gT  italiani.  Ma  venuto  in  Italia,  tentò 
di  farsi  italiano  e  tralignò  ,  come  avviet)e  di  qua- 
lunque pianta  portata  in  clima  strani  ero.  E  per  farlo 
peggiore  vi  si  aggiunsero  la  commedia  a  soggetto  e 
le  maschere  ,  che  in  luogo  dei  regolati  componi- 
menti aveano  invaso  la  scena.  Forse  se  la  nostra 
vita  letteraria  fosse  stata  men  vecchia,  e  se  non  a- 


63 

vessimo  avuti  già  tanti  uomini  sommi  da  Dante  in- 
sino  a  Torquato;  avremmo  potuto  resistere  alla  piena, 
che  ci  annegava,  e  far  come  in  Francia  adoperavano 
il  Molière  e  gli  altri  grandi  del  secolo  di  Luigi  deci- 
moquarto. Ma  noi  già  avevamo  dato  all'ammirazione 
del  mondo  ingegni  terribili  e  insuperali  nelle  arti  e 
nelle  lettere,  ed  allora  eravamo  <^ome  uomini  stan- 
chi, e  quel  ch'è  peggio,  in  altrui  signorìa. 

Que'  portenti,  che  succederono  alle  regolari  com- 
medie, si  chiamavano  opere  tragiche, opere  regie,  opere 
tragicocomiche,  opere  tragicosatiricocomiche  e  così  via 
discorrendo.  Si  tornò  di  netto  alla  confusione  dei 
misteri  ,  onde  già  prima  dovea  prender  mossa  il 
nostro  teatro.  La  vita  è  un  sogno.  Sansone,  il  Con- 
vitato di  pietra  ed  altre  furono  le  nuove  delizie,  alle 
quali  applaudivano  le  corti  degl'  idalghi  spagnuolì, 
che  ci  pioveano  in  copia  nel  ducato  di  Milano  e 
ne'reami  di  Napoli  e  di  Sicilia. 

Ancora  il  cangiarsi  dei  costumi  ebbe  parte  al  de- 
cadimento della  buona  commedia.  La  quale  vuol  es- 
sere urbana,  festevole,  schietta:  quindi  non  può  al- 
lignare che  tra  i  popoli  dove  1'  ingegno  e  T  usan- 
za tiene  appunto  di  tali  qualità.  E  perciò  il  Bal- 
zac  diceva,  che  le  commedie  dell'Ariosto  non  avreb- 
ber  piaciuto  gran  fatto  alla  corte  di  Francia  del  suo 
tempo:  da  che  per  piacersi  di  quelle,  era  uopo  sve- 
stirsi dell'abito  cortigiano  e  prender  quello  del  cit- 
tadino: ossia  essere  avvezzi  piuttosto  alla  vita  do- 
mestica e  civile  delle  città  italiane,  che  alla  squi- 
sitezza e  magnificenza  della  corte  a  Paiigi  (7).  Ma 
a  qnel  tempo  i  nostri  costumi,  se  non  affatto  nella 
felice  Firenze,  al  certo  nelle    altre  parti   d'  Italia  , 


()4 
e  specialmente  nella  Lombardia,  erano  diventati  me- 
sti ,  cupi  e  ipocritamente  feroci.  Insomma  la  na- 
zione era  imbastardita  per  quelle  cause  ,  che  son 
note  a  chiunque  si  conosce  pur  un  poco  della  sto- 
ria nostra.  Le  solazzevoli  compagnie,  le  brigate,  le 
consorterìe  delle  arti,  che  erano  sì  polenti  a  spargere 
il  gusto  del  bello  anche  nelle  infime  classi  del  popolo, 
s'eran  come  rannicchiate  o  ridotte  a  cerimonie  e 
sorvegliate  con  sospetto.  Alle  ricchezze,  alla  libe- 
ralità ,  alla  magnificenza  d'  animo  e  di  vita  erano 
succedute  la  grettezza,  e,  secondo  la  viva  espressione 
d'un  moderno,  le  allumacature,  che  inargentavano 
la  squallida  ossatura  d'  ogni  cosa.  Dimenticato  lo 
schietto  e  libero  conversare,  si  tolse  un  Cotal  sus- 
siego spagnolesco,  che  dispiacque  al  Caro  in  sullo 
scorcio  del  secolo  decimosesto  e  crebbe  a  dismisura 
nel  secolo  appresso.  Le  donne  del  piiì  civile  e  no- 
bil  grado  si  stavan  nascoste  nelle  lor  case:  donde  non 
uscivano  che  difese  dal  guardinfante  e  da  un  nu- 
golo di  cerimonie.  Si  gridò  al  miracolo  quando  un 
viceré  a  Milano  diede  modo  che  nella  sua  villa  sì 
tenesse  piiì  aperto  e  libero  conversare  (8).  Il  gon- 
fio avea  preso  il  loco  del  grande.  Basti  ricordare 
i  barocchi  per  dedurne,  che  siccome  a  quelle  menti 
invasate  doveano  parer  misere  cose  e  Giotto  e  il 
Beato  Angelico  e  Donatello  e  le  porte  del  Ghi- 
berti  in  comparazione  a  que'loro  giganti  e  monti  di 
pietra  ;  così  agli  autori  ed  al  popolo  dovea  sapere 
di  meschino  e  d'  insulso  quanto  si  teneva  alla  pit- 
tura della  vita  verace,  ossia  ch'ella  passeggiasse  all'a- 
perto 0  si  rinchiudesse  fra  le  domestiche  pareti.  E 
però  le  turbe  stupìano  e  si  deliziavano  dei  Sansoni, 
dei  Don  Giovanni  e  d'altre  fantasime. 


65 

Né  vuoisi  tacere  che  altre  cagioni  esterne  con- 
corsero a  quest'  effetto.  Siccome  il  teatro  nel  suo 
nascere  sfoggiava  in  grandi  pompe  nelle  feste  dei  prin- 
cipi; cosi  sul  finire  del  secolo  sedicesimo  gì'  inter- 
medi (di  cui  si  lamenta  il  Grazzini  nel  prologo  della 
Strega)  offuscavano  con  le  rappresentanze  di  ninfe 
e  di  amori  le  semplici  e  casalinghe  bellezze  della 
commedia  (9).  La  quale  venne  in  peggior  condi- 
zione a  petto  del  dramma  pastorale,  che  convertito 
nel  dramma  musicale  per  opera  del  Peri  e  del  Ri- 
nuccini,  nacque  e  grandeggiò  appunto  allorché  il  tea- 
tro era  divenuto  amore  e  bisogno  di  tutti  gli  or- 
dini dei  cittadini. 

Adunque  per  queste  ed  altre  cagioni  avvenne 
l'intristirsi  della  buona  commedia.  Le  imitazioni  e 
le  traduzioni  spagnuole  si  mescolarono  alle  maschere, 
che  s'accompagnavano  di  lor  natura  alla  commedia 
a  braccio  e  così  detta  dell'arte.  E  di  questa  e  delle 
maschere  ,  quantunque  le  une  non  potesseio  star 
senza  dell'altra,  sarà  bene  discorrere  partitamente  , 
perchè  sia  chiara  e  la  loro  diversa  origine  e  le  ca- 
gioni del  gran  successo,  ch'elle  ottennero  sì  dentro 
come  fuori  d'Italia. 


G.A,T.CXL1\. 


66 

CAPITOLO  SECONDO 

Molti  eruditi  affermano  che  la  commedia  dell'arte 
avesse  origine  dalle  antiche  favole  dette  atellane  da 
Atella  città  osca  della  Campania  (1).  Imperocché 
sembra  certo  che  que'  liberi  giovani  romani  e  non 
istrioni  mercenari,  che  le  recitavano,  improvvisas- 
sero come  i  commedianti  moderni:  la  qual  cosa  non 
parrà  impossibile  chi  pensi  la  innata  facilità,  che 
hanno  gl'italiani  a  quest'effetto  (2).  Allorché  soprav- 
venne il  dramma  greco,  queste  atellane  si  cangia- 
rono in  una  specie  di  favola,  che  si  chiamava  to- 
gata, perchè  rappresentava  usanze  e  soggetti  romani. 
Dappoi  si  cominciarono  a  scriveie  come  le  pal- 
liate, ed  ebbero  dà  T.  Pomponio  bolognese,  che  assai 
ne  scrisse,  una  forma  più  elegante  senza  punto  per- 
dere della  loro  impronta  originale  e  veramente  ita- 
lica. E  questo  fu  verso  la  metà  del  secolo  settimo, 
ossia  intorno  all'anno  secentosessanta  di  Roma.  Dap- 
prima però  si  assomigliarono  a  farsa  contadinesca  a 
modo  delle  commedie  rusticali  fiorentine:  quindi  si 
diedero  anche  a  rappresentare  la  vita  urbana  sem- 
pre alla  foggia  buffonesca  con  maschere  ossia  carat- 
teri determinati,  confornie  si  può  conoscere  da  alcuni 
titoli  delle  composizioni  di  Pomponio,  e  per  esempio 
il  Bucco  adottato,  i  Macchi  gemelli:  i  quali  per- 
sonaggi si  dicono  gli  avi  del  Pulcinella  e  degli  Zanni 
moderni,  come  si  dirà  in  appresso  (3).  Ne  guari  di- 
verse furono  le  saturae,  che  poi  ebbero  il  nome  di 
exodia  ,  ch'erano  forse  improvvisate  di  vario   sog- 


67 

getto,  senza  vera  unità  diarnin;itica,  non  meno  rozze 
e  imperfette  delle  atellane  (4). 

Ma  sin  dai  tempi  di  Cicerone  le  atellane  furono 
avversate  dai  mimi ,  che  giunsero  ad  oscurarle, 
anzi  ad  abbatterle  (5).  Eppure  si  rifecer  vive,  seb- 
bene timidamente,  sotto  l'impero  d'Augusto:  ma  du- 
raron  poco  e  ben  presto  si  mescolarono  ai  mimi  ed 
ai  pantomimi,  i  quali  nacquero  nel  cadere  della  li- 
bertà romana.  Essi  facevan  dapprima  favole  sfac- 
ciate nella  lingua  del  volgo  e  ornate  di  espressiva 
e  vivace  gesticolazione.  In  processo  di  tempo  furono 
meglio  regolate  e  aggradirono  al  popolo  per  la  sferza 
che  menavano  contro  i  vizi  de'grandi.  Ma  in  quella 
che  cresceva  la  lor  licenza  ,  la  tirannide  pure  in- 
grandiva. Perciò  si  chiusero  in  bocca  la  parola  di- 
venuta pericolosa  a  chi  l'adoperava  alla  libera,  e  di- 
vennero una  rappresentazione  di  cose  per  via  di  gesti 
e  movimenti  della  persona  ,  misurati  e  rallegrati 
dalla  musica  e  dalla  danza.  Allora  furono  chiamate 
pantomime  e  padroneggiarono  il  teatro.  In  sostanza 
esse  erano  buffonesche  e  vi  primeggiavano  perso- 
naggi vestiti  d'un  determinato  carattere,  come  le  ma- 
schere della  commedia  italiana. 

Aggiungono  gli  eruditi  che  questa  farsa  o  pan- 
tomima ,  a  poco  a  poco  ricupei-ando  la  voce ,  si 
mantenne  viva  e  nel  decadimento  dell'  impero  ro- 
mano e  durante  le  invasioni  dei'  barbari,  e  che  con 
gli  stessi  caratteri,  aggiuntevi  la  novità  datele  dal 
mutare  de'tempi,  trapassò  i  secoli  di  mezzo  insino 
ai  moderni.  Ai  quali  ritornando,  io  dico  che  la  com- 
media dell'arte,  quantunque  oscura  e  plebea,  vivea 
nel  secolo  decimososto  a  malgrado  di  quanto  s'ado- 


68 
pelasse  da'poeti  anche  di  vaglia  per  rinnovare  il  di- 
letto di  più  regolate  rappresentazioni.  Ma  siccome 
a  quel  tempo  il  teatro  non  era  costume,  ma  mero 
sollazzo  e  infrequente;  avveniva  che  queste  regolate 
commedie  si  recitassero  nelle  case  private  e  per 
feste  pubbliche  ed  elezioni  e  incoronazioni  di  prin- 
cipi nei  palagi  reali  o  nelle  accademie  innanzi  a  re, 
a  letterati,  a  cortigiani.  Laonde  il  popolo  escluso 
da  tali  adunanze  non  avea  modo  a  ingentilirsi, 
e  quantunque  più  tardi  vi  fosse  accolto  ,  sic- 
come quello  che  non  aveva  punto  d'erudizione  onde 
potesse  sollazzarsi  di  quelle  commedie  antiche  ve- 
stite all'usanza  moderna,  tornava  senza  più  a  quelle 
favole,  che  pascevano  il  suo  gusto  men  delicato.  E 
perciò  durante  il  sedicesimoe  sul  principio  del  seguen- 
te secolo,  erano  in  piedi,  per  dir  così, due  teatri:  l'uno 
pel  volgo,  l'altro  per  gli  accademici:  l'uno  per  le 
incolte,  l'altro  per  le  erudite  persone:  quivi  gli  zanni 
e  le  loro  facezie;  colà  le  reminiscenze  di  Monandro, 
di  Plauto  e  di  Terenzio.  Da  un  lato  si  recitavano 
dagli  attori  mercenari  le  commedie  all'improvviso: 
dall'altro  gli  accademici  atteggiavano  le  loro  com- 
medie, che  ben  di  raro  passavano  al  teatro  del  po- 
polo. Del  che  ci  fa  fede  il  Grazzini,  che  pur  com- 
poneva commedie  e  che  in  un  canto  carnescialesco  « 
fa  dire  agli  zanni  queste  parole  (6): 

Facendo  il  bergamasco  e  il  veneziano 
N'  andiamo  in  ogni  parte: 
E  il  recitar  commedie  è  la  nostr'arte. 

Noi  ch'oggi  per  Firenze  intorno  andiamo, 
Come  vedete,  messer  benedetti, 


69 
E  zanni  tutti,  siamo 
Recitatori  eccellenti  e  perfetti. 
Gli  altri  strioni  eletti 
Amanti,  donne,  romiti  e  soldati, 
Alla  stanza  per  guardia  son  restati. 
Questi  vostri  dappochi  commediai 
Certe  lor  filastroccole  vi  fanno 
Lunghe  e  piene  di  guai. 
Che  rider  poco  e  manco  piacer  danno. 
Tanto  che  per  l'affanno 
Non  solamente  agli  uomini  e  alle  donne, 
Ma  verrebbero  a  noia  alle  colonne. 

Adunque  quésti  dappochi  commediai  non  poteano 
metter  freno  alla  commedia  dell'arte,  che  nel  secolo 
decimosettimo  visse  una  splendida  vita,  anzi  fu  al 
colmo  di  quella  perfezione,  di  cui  eli'  era  capace. 
Questa  si  componeva  dapprima  di  antichi  sce- 
nari ,  che  diceansi  venuti  per  tradizione  insino  a  quel 
tempo  che  la  barbarie  non  dava  che  vi  fosse  com- 
media scritta.  Il  Goldoni  ci  assicura  di  aver  posse- 
duto un  manoscritto  del  secolo  decimoquinto  molto 
ben  conservato  e  legato  in  pergamena,  il  quale  con- 
teneva centoventi  soggetti  o  abbozzi  di  commedie, 
in  cui  lo  scherzo  s'aggira  intorno  ai  personaggi  del 
Pantalone  ,  del  Dottore  e  delle  due  maschere  da 
Bergamo.  Parimenti  il  Riccoboni  ne  ha  visti  degli  an- 
tichissimi, l'un  de'qual̀on  ilrescritto  di  san  Carlo 
Borromeo,  che  ne  permetteva  la  recita.  Ancora  può 
vedersi  il  modo,  col  quale  si  ordinavano  queste  com- 
medie a  soggetto  nel  libro  di  Flaminio  Scala  com- 
mediante e  capo  d'una  compagnia.   In  questo  libro, 


70 

che  fu  stampato  nel  1611  col  titolo//  teatro  delle 
favole  rappresentative  ,  sono  di  molte  commedie  in 
semplici  scenari  ,  in  cui  è  notato  ciò  che  1'  attore 
viene  a  fare,  ciò  che  deve  dire  e  nuH'altro  (7).  Quanto 
alla  costruzione  delle  favole,  queste  dello  Scala  sa- 
ranno state  forse  meglio  pensate  di  quelle  che  usa- 
vano: non  cessano  però  di  esser  fiacche  e  talvolta 
pessime  :  quasi  sempre  disoneste.  E  ciò  sia  detto 
con  pace  di  Claudio  Achillini,  che  imbranca  il  suo 
sonetto  con  gli  altri,  che  lodano  questa  hell'  opera 
in  capo  di  essa.  Stile  del  tempo:  appicavansi  i  versi 
in  lode  dell'eccellente  e  divino  autore  anche  ai  grossi 
volumi  de'  legulei. 

Del  rimanente  la  commedia  dell'arte  prendea  ma- 
teria ed  alimento  da  tutto  ciò,  che  trovava  a  sé  con- 
veniente nel  teatro  comico  universale.  L'antico  ,  lo 
spagnuolo,  quello  del  cinquecento  e  del  secento,  il 
già  scritto  o  l'inventato  di  nuovo,  davan  soggetto  a 
quelle  orditure  chiamate  scenari ,  che  appesi  dietro 
alle  quinte  avvisavano  gli  attori  di  ciò  che  avessero 
a  fare  e  a  dire  nell'entrar  della  scena.  Da  tre  o  quat- 
trocento informi  soggetti,  ne'  quali  erano  le  più 
forti  circostanze  teatrali  e  la  scelta  delle  beffe  e  dei 
giuochi  meglio  provati  in  lunghissimo  tempo,  si  com- 
ponevano, si  scomponevano,  s'aggiungevano  insieme 
secondo  il  capriccio  o  la  valentia  degli  attori,  e  da- 
vano alimento,  almeno  in  apparenza,  al  naturale  ap- 
petito di  novità. 

Egli  è  agevole  l'immaginarsi  i  difetti  insuperabili 
in  cotal  genere  di  commedia.  Innanzi  a  tutto  ella  non 
polca  farsi  a  dipingere  i  caratteri,  e  specialmente 
quelli  ove  fosse  alcuna  riposta  e  squisita    bellezza 


71 

0  lidicolosità:  imperocché  questi  per  esser  ben  ri- 
tratti hanno  bisogno  della  meditazione  e  di  quel 
senso  delicato,  che  si  acquista  con  lunga  e  minuta 
osservazione,  oltre  all'ingegno,  che  sa  coglierli  pro- 
prio in  quel  punto,  che  produce  effetto  o  mirabile 
o  ridicolo  in  sulla  scena.  Queste  cose  non  poleano 
aversi  negli  attori:  che  per  quanto  fossero  ingegnosi 
non  avean  modo,  parlando  improvviso,  d'entrare  in 
minuti  accorgimenti  e  aver  la  mente  e  la  parola  così 
sicure  da  non  dire  o  far  cosa,  che  s'opponesse  più  o 
meno  a  quel  carattere,  che  stavano  rappresentando. 
Egli  è  perciò  che  alla  commedia  dell'arte  erano  ne- 
cessarie le  maschere,  sotto  alle  quali  potea  dirsi  tutto, 
purcl  è  fosse  piccante,  grazioso,  piacevole.  Gli  zanni 
tenean  dell'acuto  e  del  balordo:  il  Pantalone  dell'ac- 
corto e  del  semplice:  il  Dottore  sapea  di  scienziato 
e  d' ignorante  ad  un  tempo,  e  cosi  via  discorrendo: 
tanto  che  il  correr  della  lingua  a  un  motto  ridevole 
dopo  una  grave  sentenza,  a  un  piacevole  frizzo  in 
mezzo  a  una  scena  compassionevole,  non  era  scon- 
veniente a  quelle  caricature  d'uomini  e  non  recava 
danno  all'azione  principale.  Ma  per  quanto  fosse  li- 
bero il  campo,  era  pur  necessario,  che  gh  attori  s'in- 
trinsecassero in  que'costumì,e  guardassero  piiì  o  meno 
al  fine,  a  cui  intendeva  la  favola  intera.  Né  bastava 
che  ciascuno  di  per  sé  facesse  quanto  gli  suggeriva  il 
soggetto;  ma  era  uopo  che  avesse  l'occhio  pure  agli 
altri  personaggi  e  desse  loro  campo  a  dipingere  la 
propria  parte.  Imperocché  tutti  intendessero  alla 
interpretazione  di  un'  opera  sola  ,  allo  svolgimento 
d'una  tela  medesima.  Ma  ciò  poteva  piuttosto  desi- 
derarsi che  aversi  in  effetto.  Che  se  nella  commedia 


72 
scritta  noi  vediamo  ben  di  raro  quella  fusione  o  ba- 
gnatura (siccome  dicono  gli  artisti),  che  si  richiede 
all'uopo,  ancorché  tutti  gli  attori  sappiano  bene  a 
mente  la  propria  parte;  quanto  piti  rara  doveva  es- 
sere questa  bellezza  là  dove  ognun  d'  essi  potea 
lentar  la  briglia  ali  ingegno  e  al  talento  di  pri- 
meggiare !  Inoltre  chi  pensi  che  i  valenti  attori 
erano  senza  dubbio  in  minor  numero  degl'  inetti  , 
potrà  intendere  di  leggieri  che  non  sempre  era  rag- 
giunta la  varietà,  di  cui  menava  vanto  tal  sorta  di 
commedie.  Da  che ,  siccome  porta  la  natura  degli 
uomini,  i  mediocri  e  i  pessimi  attori  contraffaceano 
i  buoni,  e  ripetevano  i  gesti,  le  facezie  e  le  senten- 
ze, che  questi  aveano  fatto  o  pronunciato.  Così  nel 
decadere  della  commedia  dell'arte  erano  venute  in 
uggia  alcune  consuetudini,  che  passate  di  padre  in 
figlio,  davano  aspetto  uniforme  a  tutti  i  componi- 
menti. II  pubblico  sapeva  che  1'  argomento  era  di- 
chiarato nella  prima  scena  dal  Pantalone  col  Dot- 
tore, dal  padrone  col  servo,  dalla  donna  colla  came- 
riera, I  dialoghi  finivano  in  un  canzoncino  spiccato 
così  d' improvviso  dall'attore  ,  che  di  presente  di- 
ventava poeta.  E  così  a  mano  a  mano,  ch'era  una 
noia  mortale  (8). 

A  malgrado  di  questi  difetti,  che  si  palesarono 
specialmente  nel  suo  decadere,  essa  però  non  do- 
vea  mancare  di  molte  bellezze,  perchè  avesse  quel 
grande  successo  per  oltre  due  secoli.  Ho  già  detto 
ch'ella  era  composta  di  tutte  le  più  ingegnose  com- 
binazioni e  degli  equivoci  e  de'giuochi ,  in  somma 
di  tutti  quelli  che  oggi  chiamano  colpi  di  scena,  pro- 
vati di  siculo  effetto  per  lunga  esperienza.  Oltrac- 


73 

ciò  gli  antichi  soggetti  ringiovanivano  per  la  di- 
versa disposizione  delle  scene,  che  in  tal  modo  rin- 
novavano le  bellezze  al  dialogo.  Un  nuovo  attore 
cresceva  la  curiosità  e  il  pregio  all'antica  comnrìe- 
dia.  1  costumi  grossi,  evidenti  e  gagliardi  e  che  du- 
ran  di  più,  erano  più  facilmente  intesi  dall'attore  e 
dal  popolo.  Le  voci,  i  modi  di  dire,  i  proverbi,  in 
quell'entusiasmo  dell'  improvvisare,  eran  portati  così 
caldi  sulla  scena  senza  gelarsi  sullo  scrittoio  del  let- 
terato. Non  deve  dunque  recar  maraviglia,  che  vec- 
chi scenari,  quali  erano  a  mò  d'  esempio  la  donna 
custode  d'  un  segreto,  V  inganno  fortunato,  il  dissolu- 
to, il  carceriere  carcerato,  ancora  si  leggessero  nel 
settecento,  e  che  l'Andria  di  Terenzio  data  dal  mar- 
chese Pedemonti  di  Verona  piacesse  al  popolo  per- 
chè ammodernata  e  fatta  viva  dal  linguaggio  ,  dai 
lazzi  e  dalle  facezie  de'  comici.  Ma  due  pregi  sin- 
golari rendevano  cara  agi'  italiani  la  commedia  del- 
l'arte. La  piima  cosa,  ch'ella  era  propriamente  ita- 
liana e  però  antica  quanto  la  stessa  nazione  :  e  di 
ciò  abbiamo  già  fatto  cenno.  In  secondo  luogo,  molti 
buoni  ingegni  l'aveano  coltivata  per  diletto  e  attori 
di  gran  vaglia  le  aveano  dato  grandissima  fama  non 
solo  in  Italia,  ma  in  tutta  l'Europa. 


74 
CAPITOLO  TERZO. 

E  qui  c'incontra  subito  di  mentovare  quel  biz- 
zarro e  acuto  spirito  di  Salvator  Rosa.  Al  quale 
un  giorno  saltò  in  capo  di  chiamare  a  sé  1'  atten- 
zione de'romani  con  qualche  bel  tratto.  Perciò  ap- 
parve in  pubblico  sotto  la  maschera  di  Pascariello, 
e  facendosi  chiamare  Formica,  si  diede  a  recitare 
coi  lazzi  e  il  ridevole  dialetto  della  plebe  napoletana. 
E  poi  ch'ebbe  radunato  un  buon  numero  di  giovani 
di  bel  tempo,  recitava  insieme  con  essi  all'improv- 
viso sopra  un  palco  eretto  nello  spazzo,  ch'era  al 
primo  ingresso  della  villa  Mignanelli  fuori  dì  porta 
al  Popolo.  Un  certo  Nicolò  Musso  era  direttore  di 
queste  farse:  le  quali,  più  somiglianti  alle  mordaci 
commedie  ateniesi  che  alle  urbane  di  Terenzio,  s'ag- 
giravano intorno  ad  avvenimenti  e  costumi  del  giorno, 
e  davan  la  baia,  anzi  sferzavano  a  sangue,  uomini 
conosciuti  e  autorevoli.  A  tal  modo  si  provocavano 
e  gare  e  risse  e  satire.  E  intanto  che  il  Rosa  l'ac- 
coccava al  Remino  e  ad  Ottaviano  Castelli  ;  cos- 
toro, che  pur  faceano  recitare  in  Rorgo  alcune  loro 
commedie  mordaci,  fìngeano  nel  prologo  di  una  di 
esse  un  chiromante  o  fìsonomista,  che  vòlto  a  ri- 
guardare un  personaggio,  ch'era  il  Formica  spiccato, 
gl'indovinava  la  vita  ch'avea  condotto,  e  apertamente 
diceva  infamie  del  Rosa  (1). 

Anche  nelle  case  principali  delle  più  colte  città 
s'usava  la  commedia  dell'arte,  e  più  che  altro  nelle 
villeggiature-  Presso  Ugo  e  Giulio  Maffei  di  Volterra 
lo  stesso  Salvator  Rosa  atteggiava  la  parte  di  P.a- 


75 
tacca  servo  astuto  (2).  A   Bologna  molti  e  di  vaglia 
la  coltivavano.  E  sei  seppe  il  Goldoni,  allorché  cos- 
toro si  levarono  a  furia  contro  a  lui  come  reo  di  vo- 
lere abbattere  la  lor  diletta  commedia  (3). 

Ma  per  la  gran  copia  di  attori  eccellenti  ,  che 
allora  fiorirono,  il  secento  fu  proprio  il  secolo  d'oro 
di  queste  farse.  Va  nominalo  innanzi  a  tutti  Ti- 
berio Fiorini  detto  Scaramuccia  ,  che  fu  a  Parigi 
»  la  gemma  del  teatro  italiano.  Costui  fu  di  Napoli  e 
nacque  d'un  capitano  di  cavalleria.  A  diciotto  anni 
cacciato  di  casa,  si  diede  al  venturiero,  e  adoprò  assai 
sottili  scaltrezze  e  ribalderie  per  vivere  la  sua  vita 
raminga.  Le  divisa  punto  per  punto  Angelo  Costan- 
tini, che  scrisse  la  vita  di  Scaramuccia  così  a  mi- 
nuto come  egli  avesse  per  le  mani  le  geste  d'  un 
qualche  eroe  (4).  Per  verità  Tiberio,  che  mostrava 
d'  esser  tristo  d'  avanzo,  se  ne  andava  disteso  alla 
forca,  dove  il  caso  non  gli  avesse  dato  modo  a  co- 
noscere la  qualità  del  proprio  ingegno.  Dopo  aver 
lungamente  peregrinato  vivendo  a  scrocco,  s'avvenne 
in  Fano  a  una  compagnia  di  commedianti.  Gli  parve 
d'  esser  chiamato  a  quel  mestiere  ;  e  detto  fatto  si 
presentò  a  quelli,  e  si  proferi  ad  atteggiare  lo  Sca- 
ramuccia ,  eh'  era  una  caricatura  del  soldato  spa- 
gnuolo,  ossia  un  misto  di-  poltronaggine  e  di  mil- 
lanteria E  volle  subito  recitare  //  convitato  di  pietra: 
commedia  (dice  l'esatto  scrittore),  per  la  quale  egli 
si  sentiva  una  cotal  tenerezza,  perchè  ci  si  man- 
giava più  d'  una  volta.  In  breve  questo  furfantello 
salì  a  tale  celebrità,  che  fu  richiesto  da  Alessandro 
Farnese,  dalla  corte  dell'  imperatore  e  dal  Mazza- 
rino. Scaramuccia  elesse  la  Francia.  Ed  ivi  egli  visse 


per  trent'anni  famoso  e  traricchito.  Le  dame  e  i  si- 
gnori volevano  avere  il  suo  ritrailo  inciso  e  scol- 
pito nei  loro  gabinetti  :  la  corte  e  il  popolo  ripe- 
leva  le  sue  argute  sentenze  :  le  quali  si  raccoglie- 
vano in  libri  intitolati  Le  scaramucciane:  insomma  fu 
per  lui  una  festa  e  un  macinare  a  due  palmenti  (5). 
Tutto  ciò  pariebbe  un  nonnulla  ai  cantori  del  no- 
stro tempo:  ma  è  pur  da  notare,  che  sin  d'  allora 
venne  il  costume  di  queste  grandi  adulazioni  a  gente  ^ 
che  pur  merita  qualcosa,  ma  non  tanto,  che  si  versi 
sopr'essa  a  piene  mani  ciò  che  ad  altri  più  meri- 
tevoli si  concede  e  di  rado  e  avaramente.  Intanto 
Scaramuccia,  morto  nel  1694,  lasciò  de'suoi  avanzi 
agli  eredi  una  sostanza  di  centomila  scudi.  0  Tas- 
so !  0  Galileo  ! 

Egli  avea  voce  bassa  :  sordo    d'  una  orecchia  : 
smunta  una   spalla.    Era    di    gran  ventre  :  ma  sul 
teatro    agile  e  pronto    più  di  qualsivoglia   istrione. 
Né  àvea  gran  copia  e  facilità  di  favella:  ma  coi  gè-     | 
sti  e  le  smorfie  e  gli  atteggiamenti    dipingeva    più 
che  non  dicesse,  tanto  che  il  Molière  ne  facea  grande 
slima  e  diceva  di  aver  da  lui  quant'egli  sapea  del- 
l'azione. 11  Costantini  lo  chiama  il  principe  dei  pan- 
tomimi: e  con  ciò  vuol  dire  che  più  facea  di  quello    i 
che  non  dicesse:  e  aggiunge  che  in  lui  parlavano  le    ! 
mani,  i  piedi  ,  la    testa,  e  che  ogni  gesto,  per  dir    ! 
così,  ragionava  (6). 

Prima    dello    Scaramuccia  fu  pur    celebre  Pier    ' 
Maria  Cecchini  ,  che  fu  ingegnoso  e  letterato.  Egli    j 
facea  le  parli  d'Arlecchino  e  fu  ascritto  fra  i  nobili     ' 
dal    re  Mattia    e  fu  protetto  e  beneficalo  da  Luigi 
XIII  (7).  E  della  protezione  e  beneficenza    di  que- 


77 
sto  re  mena  pur  vanto  Nicolò  Barbieri  detto  Bel- 
trame nel  suo  libro  intitolato  la  Supplica,  che  è  un 
trattato  sulle  commedie  (8).  Né  vuoisi  tacere  d'una 
famiglia  ,  che  diede  alle  lettere  buoni  cultori  e  al 
teatro  attori  eccellenti.  E  fu  quella  degli  Andreini. 
Francesco  Andreini  pistoiese  appartenne  alla  com- 
pagnia de'  Gelosi  ,  così  chiamata  alla  usanza  delle 
accademie  (9);  la  quale  per  privilegio  di  Arrigo  III 
ebbe  facoltà  nel  1577  di  aprire  il  teatro  italiano  a 
Parigi  (10).  Questi  fece  la  parte  di  negromante  e 
di  capitano  Spavento:  sotto  il  qual  nome  spavente- 
vole dettò  un  libro  di  dialoghi  (11).  Era  dì  gran 
memoria  e  parlava  più  lingue.  Allorché  la  compa- 
gnia de'Gelosi  scadde  di  ftima  per  la  morte  di  sua 
moglie  ,  egli  si  ricovrò  a  Mantova  e  si  diede  tutto 
allo  scrivere.  Vogliono  ch'ei  morisse  nel   1624. 

Ma  la  sua  moglie  Isabella  e  il  suo  figlio  Gio- 
vanni Battista  lo  avanzarono  di  celebrità.  Isabella, 
padovana,  fu  singolare  per  bellezza  e  per  costume; 
attrice  valente,  nel  cantare  e  nel  sonare  abilissi- 
ma, applicò  l'ingegno  persino  alla  filosofia.  Da  gio- 
vinetta scrisse  la  Mirtilla,  favola  boschereccia  :  nel 
qual  genere  di  poesia  si  levò  al  di  sopra  della  ti- 
midità delle  pastorali:  e  n'  ebbe  di  molti  applausi, 
quantunque  il  suo  lavoro  non  fosse  approvato  pie- 
namente dai  giusti  estimatori  di  quella  età.  Ella  morì 
a  Lione  di  anni  quarantadue  nel  1604.  Il  comune 
della  città  onorò  il  corteggio  funebre  di  mazzieri  e 
d'insegne,  e  tutto  il  corpo  dei  mercanti  l'accom- 
pagnò con  doppieri  (12i^;  Fu  chiamata  decoro  delle 
muse  e  oinarnento  de'  teatri:  fu  onorata  ,  mentre 
visse,   da  Arrigo  IV  e  fu  lodata  da  Enrico  Putcuno. 


78 
E  il  celebre  cavalier  Marino  nel  sonetto  che  inco- 
mincia: Piangete  orbi  teatri:  nel  quale  deplora  la  morte 
di  lei,  la  fa  recitare  ne  Vempirea  scena,  che  d'  an- 
gelici lumi  è  tutta  piena.  Dal  che  s' impara  che  le 
pazzie  letterarie  del  secento  erano  più  allegre  delle 
nostre. 

Giovanni  Battista  Andréìni  detto  Lelio,  cioè  l'a- 
moroso, fu  quegli  che  compose  1'  Adamo  ,  da  cui 
vuoisi  che  il  Milton  prendesse  1'  idea  del  suo  poe- 
ma. Ed  è  certo  che  da  quella  tragedia  piena  d'ar- 
dimento, in  cui  prendono  parte  e  cielo  e  terra  e  in- 
ferno, dovea  ispirarsi  la  fantasia  dell'  inglese,  s'egli 
è  vero  che  Dio  e  un  poeta  si  vogliono  a  suscitare 
un  gran  poeta.  Chiamato  in  Francia  con  la  sua  com- 
pagnia, che  stava  al  servizio  del  duca  di  Mantova, 
visse  colà  amato  molto  da  Luigi  XIll  sino  al  1625, 
e  pare  che  nel  1652  si  morisse.  Egli  avea  scritto, 
oltre  l'Adamo,  di  molte  commedie  e  poemi  e  com- 
posizioni, nelle  quali  non  è  al  certo  copia  di  buon 
gusto  e  perciò   meritamente  dimenticate. 

Al  tempo  dello  Scaramuccia  recitò  insieme  con 
lui  Domenico  Biancolelli  conosciuto  col  nome  di  Do- 
menico bolognese,  che  facea  le  parti  d'Arlecchino. 
Costui  fu  veduto  a  Parigi  dal  Gemelli  (viaggiatore 
celebre  e  sfortunato)  nel  1686.  Allora  egli  era  in 
tal  grazia  della  corte,  che  potea  tenere  gran  vita  , 
non  avendo  meno  di  seimila  scudi  l'anno  di  stipendio. 
Anche  i  suoi  detti  si  raccoglievano  e  andavano  in 
giro  col  titolodi  Arlequiniana.  (13).  E  fu  pure  ce- 
lebrato Angelo  Costantini  d«  Verona  soprannomato 
Mezzetino,  perchè  facea  le  parti  di  Brighella  o  di 
Scapino.  Egli  recitò  insino  a  che  il  vecchio  teatro 


79 

italiano  fu  chiuso  a  Parigi  sulla  fine  del  secolo 
decimosettimo.  Scrisse  ,  come  abbiamo  detto  ,  la 
vita  di  Scaramuccia  e  la  stampò  nel  1695  dedican- 
dola a  Madama  Altezza  Reale.  Chiuso  il  teatro  italiano, 
si  mise  al  servigio  del  re  di  Polonia.  Ma  e'  volle 
guardar  troppo  all'insìi,  e  posto  l'occhio  a  una  ganza 
del  re,  le  discoprì  il  suo  amore.  Ne  fu  a  rischio  di 
perder  la  vita  e  stette  vent'anni  dove  il  sole  si  vede 
a  scacchi.  Uscito  di  prigione,  ricomparve  nel  1729 
a  Parigi  quando  lo  si  ccedea  beli'  e  spacciato.  Fu 
gran  folla  ad  udirlo.  Ma  egli  era  accasciato  e  il  pub- 
blico era  dissuefatto  da  quel  vecchio  modo  di  recitare. 
Laonde  egli  si  ritrasse  dalla  scena  e  morì  in  Italia  di 
settantacinque  anni.  E  anche  è  da  nominarsi  Giu- 
seppe Barioletti  messinese,  che  atteggiava  il  Pasca- 
riello  e  che  fu  pure  in  Inghilterra,  ove  ebbe  graziosi 
donativi  da  Carlo  secondo. 

E  basti,  se  pur  non  è  troppo,  di  questi  attori 
del  seicento:  de'quali  non  accade  nominare  quella 
chiassata  di  buffoni,  che  passeggiava  l'Eluropa  e  che 
fu  eternata  dal  bulino  del  Callo t  (14).  Infelice  con- 
dizione dell'Italia,  che  avea  pur  dato  a  tutte  le  na- 
zioni gran  copia  di  guerrieri  e  di  politici  e  di  let- 
terati e  d'artisti  ! 

Nel  secolo  diciassettesimo  (passandoci  del  Ric- 
coboni,  che  fu  nemico  della  commedia  dell'  arte  e 
fece  a  suo  potere  per  mettere  in  onore  l'antica  e  la 
nuova  commedia  scritta)  sono  da  noniinarsi  Rauzini 
napoletano,  Benozzi  veneziano.  Caudini  che  fece  quasi 
rivivere  il  Fiorilli  ,  Antonio  Mattiuzzi  da  Vicenza 
detto  Collalto,  Carlo  Bertinazzi  detto  Carlino:  i  quali 
furono,  e  ^ultimo  in  ispecie,  gli  astri    della  com- 


80 
media  italiana  a  Parigi  finché  fu  del  tutto  abolita. 
In  Italia  poi  furono  famosi  al  tempo  del  Goldoni 
il  Vitalba,  il  Darbes  Pantalone,  e  innanzi  a  tutti  An- 
tonio Sacchi.  Questi,  che  si  nominava  Truffaldino, 
alle  grazie  naturali  del  suo  recitare  giocoso  e  ridi- 
colo, a"giun2;eva  un  ordinato  studio  sull'arte  comica 
e  sopra  i  diversi  teatri  dell'Europa.  Immaginoso,  ar- 
guto, tutto  inteso  alla  generale  orditura  della  com- 
media, avea  per  le  mani  facezie  e  sentenze,  non  ti- 
rate dai  comici  e  dal  volgo,  ma  dai  poeti,  dagli  ora- 
tori e  dai  filosofi,  delle  quali  avea  fatto  fardello.  Nelle 
sue  arguzie  si  ravvisavano  i  pensieri  di  Seneca  ,  di 
Cicerone,  di  Montaigne:  e  si  bene  le  cementava  alla 
semplicità  del  balordo,  che  dove  in  quelli  s'ammi- 
rano, faccano  in  sua  bocca  ridere  piacevolmente. 

Di  tal  fatta  erano  gli  attori,  che  recitavano  la 
cotn media  dell'arte.  Non  fa  dunque  meraviglia,  che 
(juesta  venisse  amata  sì  forte.  Molti  italiani  la  le- 
vavano a  cielo  siccome  cosa  nazionale,  e  il  Goldoni 
stesso  non  volea  che  recisamente  si  bandisse.  Egli 
volea  signora  della  scena  la  commedia  scritta:  e- 
sortava  però  i  suoi  concittadini  a  tenersi  nel  pos- 
sesso di  ciò  ,  che  nessun'altra  nazione  avea  ardito. 
Chiamava  temerità  negi'  ignoranti  comici  il  dire 
improvviso;  virtù  ne'  valenti ,  che  a  grande  onore 
dell'  Italia. e  dell'arte  improvvisavano  con  non  mi- 
nore eleganza  di  quella  che  un  poeta  scrivesse.  Gli 
stranieri  pur  ammii'avano  ed  amavano  la  commedia 
a  soggetto,  e  v'ha  di  quelli,  che  ci  hanno  fatto  rim- 
provero d'averla  abbandonata.  Ma  questo  non  mica 


81 

per  amor  nostro,  ma  soltanto  per  dirci,  che  noi  non 
eravamo  buoni  alla  commedia  ch'essi  dicono  di  Mo- 
lière ,  come  noi  non  avessimo  avuto  ,  e  prima  e 
dopo  di  Molière  ,  un  Nicolò  Machiavelli  e  un  Carlo 
Goldoni. 


G.A.T.CXLIV. 


82 
CAPITOLO  QUARTO 

Qual  finge  il  vecchio,  che  con  man  la  negra 

Sopra  le  grandi  porporine  brache 

ireste  raccoglie,  e  rubicondo  il  naso 

Di  grave  stizza,  alto  minaccia  e  grida 

L'aguzza  barba  dimenando.   Quale 

Finge  colui  che  con  la  gobba  enorme 

E  il  naso  enorme  e  la  forchetta  enorme 

Le  cadenti  lasagne  avido  ingoia. 

Quale  il  multicolor  Zanni  leggiadro, 

Che  col  pugno  posato  al  fesso  legno, 

Sopra  la  punta  delVun  pie  s'inoltra, 

E  la  succinta  natica  rotando. 

Altrui  volge  (aceto  il  nero  cefìo. 

Pari  ni  -  La  notte 

Le  nostre  maschere  teatrali  non  sono  le  antiche 
larve.  Le  larve  (  larvae  ),  chiamate  anche  persona, 
erano  una  copertura,  che  nascondea  la  testa  dell'at- 
tore, chi  vuole  per  ingrandire  la  voce,  chi  per  dare 
agli  eroi  apparenze  più  che  umane,  chi  per  l'effetto  ne- 
cessario a  ottenersi  nelle  rappresentazioni  diurne  (1), 
Le  nostre  sono  invece  personaggi  vestiti  sempre 
d'uno  stesso  abito  e  d'uno  stesso  carattere.  Larve 
oggi  potrebbero  dirsi  le  maschere  del  carnevale  : 
maschere  teatrali  sono  Arlecchino  ed  anche  Stente- 
rello, quantunque  questi  non  usi  di  coprirsi  il  viso. 
È  il  vero  che  pure  nelle  commedie  antiche  erano 
alcuni  personaggi,  che  dovevano  aver  caratteri  fissi. 
Il  pedagogo,  il  cuoco  ed  altri  personaggi  della  com- 
media greca  doveano  assomigliarsi  in  qualche  parte 
per  esempio  al  Dottore  e  al  Brighella.  Ma  più  stretta 
parentela  debbono  avere  le  nostre  maschere  con  que- 


83 
gli  antichi  buffoni,  che  s'aggiravano  por  le  coiti  e  per 
le  piazze  tra  il  popolo. Ebber  fama  svergojjnala  Giulio 
Peligno  e  V^atinio:  il  primo  de'quali  fu  fatto  da  Clau- 
dio governatore  di  Cappodocia,  perchè  gli  aveva  fatto 
più    volte  passar    mattana  con  visi  da  far  ridere  : 
l'altro,  allievo  d'un   sarto  e   gobbo,  fu  a  tempo  di 
Nerone  un  ridicolo,  che  fece  piangere  calunniando  i 
buoni  ed   avanzando  i  tristi  (2).  E   da  credere  che 
altri  buffoni  man  cortigiani  e  più  graziosi  all'univer- 
sale passassero  tra  i  mimi  e  col  loro  esempio  des- 
sero vita  e  durata  a  una  certa  foggia  di  maschere: 
come  vediamo  anche  ne' tempi  nostri,  dove  chi  trovi 
un    qualche  espediente  a  far   ridere,  vestendosi  d'un 
certo  abito  e  d'un  certo  carattere,  viene  dai^'poste- 
riori  imitato,  che  si  prendono  quella  foggia  e  con- 
traffanno quel  carattere  non  sempre  felicemente  come 
avviene  a  coloro  che  imitano.  Quindi  possiamo  di- 
scretamente asserire,  che  alcune    delle   nostre  ma- 
schere sien  nobili  di  vecchio  sangue,  ossia  che  di- 
scendano dagli  antichi:  il  che  non  è  meraviglia  chi 
pensi  quanto  ci  rimanga  de'  vecchi  costumi  a  mal- 
grado   di   questa  civiltà  ,  che  mesce    e    pareggia  le 
w,    usanze  di  tutti  i  popoli.  Per  certo  chi  si  credesse  aver 
v    trovato   l'Arlecchino  in  questo  e  quell'altro  buffone, 
■     che  usò  del  vestito  screziato,  egli  s'ingannerebbe  a 
partito.   Imperocché  1'  usar  di  questi  abiti  sia  stato 
sempre  vezzo  di  chi  guarda  a  far  ridere.  11  moltiplice, 
il  confuso  è  proprio  del  ridicolo:  unire  gli  elementi 
d'  idee  disparate  è   come   il   mesceie  colori  diversi  : 
e  r  una  cosa  e  l'altra    sogliono   esser  fonti  di    riso. 
Così   i   giocolieri  greci  portavano  il  pallio   vaiato   o 
panierino  (3)  :  e  dagli  ambasciatori  bisantini  fu  vi- 


84 
sto  presso  ad  Attila  un   negro  ,    buffone  ,   vestilo   a 
colori  diversi  che  si  sai-ebbe  pututo  dire  un  Arlec- 
chino (4).  Piuttosto  non  parrebbe  discostarsi  troppo 
dal  vero  il  Riccoboni  quando  dice  nato  l'Arlecchino 
da  que'mimi,  che  si  chiamavano  planipedes^  perchè 
uscivano  sulla  scena  a  pie  nudo.  Questi  mimi  aveano 
!a  teste  rasa:  la  veste  a  pili  colori  chiamata    cen- 
tunciihis:  tingeansi  il  viso  di  fuliggine.  Però  potea- 
no  assomigliarsi  al  nostro  Arlecchino,  che  si  veste 
di  pezze  di  vario  colore  ed  ha  la  testa  rasa  e  ap- 
pena coperta  da  un  piccolo  cappello,  e  la  maschera 
forata  di  due  piccoli  fori  per  isfogo  della  veduta,  e 
piccole  scarpe  senza  tacchi ,  che  fan  tanto  rumore 
quanto  se  i  piedi  fossero  ignudi  (5).  Io  lascio  vo- 
lentieri al  Riccoboni  ch'ei  si  lodi    e    si  difenda  di 
tale  esatta  riconoscenza:  però  non  mi  sembra  do- 
verlo riprendere,  in  quanto  che  tra  que'  buffoni,  che 
divertivano  i  grandi  e  il  popoletto,  se  ne  descrivono 
altri,  che  per  la  loro  nascita  in  questo  o  in  quell'al- 
tro paese,  e  per  i  nomi  che  ce  ne  sono  rimasti,  mi 
hanno  l'aria  d'essere  i  nonni  delle    maschere  mo- 
derne. Tra  i  buffoni   urbani,  cioè    del  volgo  e  non 
mica  dei  grandi,  eranvi  i  sidicini,  che  venivano  ap- 
punto da  Sidicino  oggidì  Teano  della  Puglia,  paese 
ove  nacque  il  Pulcinella  d'Acerra  (6).   Eranvi  pure 
i  sannioni  {samniones)^  i  quali  ci  han  dato  la  voce 
di  Zanni,  che  designa  Brighella  ed  Arlecchino  chia- 
mati appunto  così,  checché  se  ne  voglia  dire  il  Me- 
nagio,  il  quale  volea  originata  la  voce  di  Zanni  dal 
lombardo  Giovanni.  Ma  chi  pensi    che  il  Varchi  e 
il  Davanzali  ed  altri,  che  in  fatto  di  lingua  avean 
gli  occhi  di  lince  ,  adoperarono  la   voce   di   Zanni 


85 
senza  mutarla  in  Giovanni,  sarà  persuaso,  che  an- 
che quegli  scrittori  fossero  di  parere,  che  tale  pa- 
rola avesse  origine  più  antica  e  più  legittima  per 
dovere  essere  ammessa,  così  com'ella  era,  nel  pa- 
trimonio della  lingua  italiana  (7).  Che  più  ?  Nei  vasi 
antichi  della  Puglia  e  della  Basilicata  e  negli  orna- 
menti d'oro  di  quel  paese  si  trova  il  Macco  colla 
gobba  e  col  naso  adunco,  che  non  perde  un  pelo 
del  Pulcinella  (8). 

Queste  maschere  dunque  erano  una  cosa  nazio- 
nale, e  malgrado  le  tempeste,  che  misero  sossopra  il 
nostro  paese,  furono  conservate  dai  mimi,  dai  panto- 
mini, dai  saltimbanchi  nelle  pubbliche  piazze.  I  mimi 
ed  i  pantomini,  ancor  vivi  nei  secoli  mediani,  reci- 
tavano le  azioni  sacre,  le  feste  degl'innocenti,  i  mi- 
steri: nelle  quali  recarono  l'antico  lor  vezzo  di  far 
ridere  e  si  mescolarono  ai  buffoni  ed  ai  giullari. 
Laonde  si  vede  la  ragione,  onde  l'arcivescovo  sant'An- 
tonino vietasse  di  rappresentare  quelle  azioni,  che 
sì  recavan  sin  dentro  alle  chiese. 

Da  questa  mescolanza  de'  mimi  coi  buffoni  e  coi 
giullari  veniva  di  per  sé  che  le  antiche  maschere,  col 
cangiarsi  de'  costumi,  prendessero  nuove  forme.  Il 
buffone  era  arnese  necessario  sì  nel  palazzo  del  com- 
mune,  come  ne'  manieri,  nelle  assemblee,  nelle  nozze 
e  nelle  corti.  Si  vestivano  a  diversi  colori:  portavano 
campanelli  alle  vesti  e  al  cappello,  bastoni  a  testa 
d'asino  ed  altre  bizzarrie.  V'erano  buffoni  gentiluo- 
mini ed  arguti  :  ve  n'eran  di  plebei,  maligni,  adu- 
latori e  codardi.  Il  Varillas  ricorda  un  Farganaccia  , 
popolano,  buffone,  che  stava  alla  domestica  coi  più 
grandi  di  Firenze  e  che  fu  stromento  di  libertà  a  Co- 


80 
simo  il  vecchio  quando  fti  caicerato,  e  il  Cellini  ci 
dipinge  Bernardo  Baldini,  detto  Bernardone,che  dava 
sollazzo  a  Cosimo  primo  col  gonfiare  le  gote  e  far- 
sele sgonfiare  a  suono  di  schiaffi  (9).  In  somma,  pas- 
sandomi della  storia  dei  buff'oni  ,  cominciando  da 
Tersile  giù  giù  sino  al  Gonnella  e  al  Fagiuoli  ;  io 
dico  che  costoro  o  mescolandosi  agi'  istrioni  o  in- 
spirando loro  nuovi  modi  a  far  ridere,  doveano  cer- 
tamente crear  nuove  fogge  e  nuove  maschere  più 
accomodate  agli  usi  ed  ai  tempi  che  correvano. 
Ancora  il  medesimo  effetto  dovean  partorire  i  car- 
nevali, dove  spiegavasi  apertamente  l'arguzia  popo- 
lare: que'baccanali  ,  che  a  Venezia  furon  sì  lieti  e 
sì  liberi,  e  che  a  Firenze  furono  portati  alla  magnifi- 
cenza de'trionfi,  per  i  quali  non  {sdegnarono  operare 
famosi  artisti  ,  come  Leonardo,  Baldassar  Peruz/i, 
Bastiano  Aristotile,  e  scrivere  vivaci  canzoni  un  Lo- 
renzo de' Medici,  un  Poliziano,  un  Pulci  ,  un  Ma- 
chiavelli. 

Che  se  vogliasi  ricercare  quali  maschere  nasces- 
sero nel  medio  evo  e  il  come  e  il  quando;  questo 
ancora  è  campo  dove  corrono  molte  e  varie  opinio' 
ni.  E  lasciando  alcune  fanciullesche  origini  (10)  , 
io  mi  fermerò  sopra  due  specialmente  :  una  delle 
quali  è  foggiata  dal  nostro  Goldoni,  che  se  era  sommo 
nell'arte  comica,  dicono  che  in  erudizione  non  fosse 
una  cima.  Egli  asseriva  che  la  commedia  fosse  ben 
morta  in  Italia  sotto  le  ruine  dell'impero:  ma  che 
al  primo  rinascere  della  civiltà,  quelli  che  sapevano 
di  lettere,  trovando  quasi  sempre  nelle  commedie 
di  Plauto  e  di  Terenzio  padri  ingannati,  figli  disso- 
luti, servi  bricconi,  percorressero  le  varie  parti  d'Italia 


87 
e  a  Venezia  e  a  Bologna  (non  so  perchè)  si  piglias- 
sero i  padri  ossia  il  Pantalone  e  il  Dottore,  a  Ber- 
gamo i  servi,  negli  stali  di  Roma  e  della  Toscana 
le  servette  e  gl'innamorati.  La  seconda  opinione  è 
quella  di  coloro,  che  voglion  nate  le  maschere  per 
le  ire  municipali  delle  città  italiane:  le  quali  al  modo 
stesso  che  l'una  chiamava  i  cittadini  dell'altra  con 
nomi  beffardi  e  ingiuriosi,  così,  essi  dicono  ,  crea- 
rono queste  maschere  come  ritratto  ridicolo  del  co- 
stume e  delle  sembianze  dei  popoli  vicini. 

A  me  non  quadra  nessuna  delle  due  opinioni.  Il 
Goldoni  crede  frutto  d'un  ragionamento  e  ricerca 
di  più  0  meno  dotti  ciò  eh 'è  nato  spontaneo  tra  il 
volgo  e  dal  volgo.  Egli  suppone  le  maschere  copia 
0  parodìa  dei  personnaggi  della  commedia  antica  , 
mentre  che  i  Pantaloni  e  gli  Arlecchini  sono  cosi 
distanti  da  quelli  ,  come  la  sbrigliata  commedia  a 
soggetto  dalle  eleganti  e  gastigaté  opere  di  Terenzio. 
Quanto  alla  seconda  opinione,  ch'è  più  divulgata  , 
io  non  niego  che  le  maschere  sieno  il  ritratto  ri- 
dicolo del  costume  e  della  sembianza  d'un  popolo: 
anzi  più  me  ne  confermo  nel  vedere  ,  che  uscite 
dal  paese  natale,  tralignano,  siccome  avvenne  dell'Ar- 
lecchino, che  portato  in  Francia,  di  vispo  e  gras- 
soccio si  fece  gobbo  innanzi  e  indietro  ,  fece  il 
mento  largo  e  strinse  e  allungò  fuor  di  modo  la 
faccia.  E  chi  vorrebbe  affermare  che  Stenterello  , 
maschera  più  recente  ,  non  sia  la  caricatura  della 
parsimonia  dei  fiorentini  ?  Quella  specie  di  lista 
nera,  che  gli  circonda  gli  occhi  e  s'appunta  tra  le 
ciglia  in  sul  nascere  del  naso,  forma  appunto  quel- 
l'emme, che  leggeva  Dante  sul  viso  degli  smunti: 


88 


Parean  le  occhiaie  anella  senza  gemme: 
Chi  nel  viso  degli  uomini  legge  omo. 
Ben  avrìa  quivi  conosciuto  Vemme. 

{Purgatorio  e.  XX III). 

Ma  io  niego  ricisamente  che  le  maschere  sieno 
nate  dairira  e  dallo  scherno  delle  città  nemiche.  Im- 
perocché sì  nei  secoli  andati,  come  nel  presente,  si 
vede  una  maschera  colà  più  gradita,  dove  rappre- 
senta il  costume,  il  carattere,  la  fìsonomia  del  paese: 
il  che  non  sarebbe  dove  fossero  state  inventate  a 
scherno  da  un  qualche  nemico.  Che  anzi  ,  eccetto 
quelle  che  sono  chiamate  le  quattro  maschere  della 
commedia  italiana,  le  quali  han  corso  la  penisola 
e  si  sono  recate  in  paesi  forastieri;  alcune  altre  o 
men  felici  o  men  gradevoli  o  perchè  rappresentate 
da  attori  meno  valenti,  non  hanno  trapassato  il  con- 
fine del  paese  ove  nacquero,  e  colà  morirono  o  ri- 
mangono ancora.  11  Pulcinella  non  si  può  dire  uscito 
dell'  Italia  meridionale:  anzi  il  Goldoni  si  meravi- 
gliò di  trovarlo  in  Roma  a  Tordinona  (11).  E  il 
Rugantino,  che  sferza  l'arroganza  della  plebe  romana, 
non  semba  essersi  discostato  di  molte  migliai  dal 
cerchio  della  sua  città.  Adunque  mi  par  chiaro  che 
ogni  maschera  sia  nata  appunto  nel  paese,  ch'ella 
rappresenta,  e  perciò  cara  al  popolo,  che  vede  in 
essa  la  propria  immagine  e  ride  piacevolmente  dei 
suoi  propri  difetti.  Nel  che  è  da  osservare  la  natura 
degli  uomini  e  in  ispecie  de'potenti.  1  quali,  mentre 
non  soffrono  di  sentire  contraddizione  o  verità  alcuna 
da  chi  glie  ne  porge  in  tuono  magistrale;  d'altra  parte 


89 
se  la  bevono  volentieri  se  vien  pòrta  piacevolmente 
da  persona  gradita.  I  baroni  e  i  re  talvolta  udivano 
ridendo  dai  buffoni  quelle  verità,  che  non  avrebbero 
sopportato  nella  bocca  d'un  consiglerò  :  il  popolo 
ateniese,  ch'era  pure  potente,  rideva  e  prendeva  in 
buona  parte  i  dileggi,  le  baie,  le  sferzate  del  poeta, 
che  gli  rinfacciava  nel  teatro  i  suoi  vizi. 

Pantalone  non  può  non  esser  nato  nelle  lagune. 
Ce  ne  fanno  fede  la  sua  professione  di  mercante  e 
le  sue  vesti  alla  foggia  de'vecchi  veneziani.  II  far- 
setto, i  calzoni,  le  calze  e  le  pantoffole  rosse  erano 
il  vestimento  de'vecchi  abitatori  delle  isole:  la  ve- 
ste nera  e  la  berretta  di  lana  usavano  ancora  a  Ve- 
nezia sulla  fine  del  seicento.  In  quanto  alla  barba, 
ella  ci  pare  nutrita  e  pettinata  a  modo  dei  bisan- 
tini,  da  cui  i  veneziani  tolsero  assai  fogge:  ornamento 
degli  uomini  gravi  del  buon  tempo  antico,  avuta  in  or- 
rore nel  passato  secolo,  ell'ha  nel  nostro  acquistata  una 
importanza,  di  cui  non  si  credeva  capace.  Il  Dottore 
ricorda  il  fiorire  della  università  di  Bologna,  e  si  veste 
d'un  abito  conforme  all'antico  costume  del  foro  bolo- 
gnese. Alcuni  vogliono  che  quel  viso  macchiato  di  nero 
sulla  fronte  e  sul  naso  fosse  copia  del  ceffo  di  un  giu- 
reconsulto a'tempi  d'  Irnerio.  E  v'  ha  dei  maligni,  i 
quali  dicono,  che  presa  o  non  presa  dal  vero,  quella 
maschera  era  proprio  conveniente  a'dottori  in  iitroqiie 
dopo  che  due  di  quella  razza,  cioè  Bulgaro  e  Mar- 
tino, avean  disputato  innanzi  all'imperatore  se  il  mon- 
do gli  appartenesse  a  titolo  di  proprietà  o  d'  usu- 
frutto. E  aggiungono  che  ci  volea  una  maschera  con 
la  fronte  nera,  il  naso  nero  e  le  guance  rosse,  che 
osasse  dar  fiato  a  simili  enormità.  Ma  tralasciando' 


90 
tali  baie,  io  dico  clie  queste  due  maschere  rappre- 
sentavano la  scienza  e  il  commercio:  e  che  intanto 
che  figuravano  burlescamente  il  giureconsulto  e  il 
mercante ,  faceano  onore  alle  due  città ,  che  in 
mezzo  alla  barbarie  dell'  Europa  poneano  i  fonda- 
menti della  società  moderna. 

Le  fisonomie  e  le  vesti  degli  Zanni  sono  più  fan- 
tastiche, e  sarebbe  diftìcile  il  congetturare  con  qual- 
che apparenza  di  ragione  a  qual  popolo  d'  Italia  si 
appartengano.  Quantunque  il  Goldoni  ci  dica  che  la 
maschera  dell'Arlecchino  rappresenti  il  color  bruno 
degli  abitatori  delle  montagne  bergamasche  ,  e  che 
le  sue  vesti  sieno  i  cenci  raggranellati  d'un  mendico; 
egli  è  certo  che  tali  dati  son  troppo  generali  per 
poter  conchiudere  a  questo  modo.  Il  color  bruno 
non  è  proprio  de'  soli  alpigiani  di  Bergamo  :  ogni 
mendico  fa  dei  cenci  una  veste.  Del  resto  Arlec- 
chino non  ha  de'bergamaschi  che  la  favella  (che  pur 
dal  Goldoni  fu  mutata  nella  veneziana)  e  la  coda  di 
volpe,  di  cui  ancora  nel  secolo  passato  ornavano 
il  cappello  i  contadini  di  quel  paese.  Par  dunque 
più  ragionevole  ch'esso  ci  venga  dagli  antichi,  e  che 
nell'andar  dei  secoli  cangiasse  di  nome. 

Oltre  a  queste,  dette  per  eccellenza  le  quattro  ma- 
schere, ve  ne  furono  altre  moltissime,  ch'ebbero  poca 
vita  e  morirono  dove  nacquero.  Un  proverbio  an- 
tico diceva:  Sicilia  dà  i  Covelli,  Francolino  i  Ora- 
ziani, Bergamo  gli  Zanni,  Venezia  i  Pantaloni,  e  Man- 
tova i  buffoni.  E  si  dà  a  Mantova  questa  gloria  forse 
pel  Gonnella  ,  che  fu  il  più  bel  buffone  di  quanti 
furono  e  sono  al  presente.  Napoli  diede  anche  lo 
Scaramuccia  e  il  dottor  Fastidio,  che  dicesi  inven- 


91 

tato  dal  Cerlone  setaiuolo,  Calabria  il  Giangurgolo  , 
Bologna  il  Narcisino  Dessevedo  de  Mal  Albergo,  la 
Romagna  Gabaii  da  Berzighella,  Milano  un  Beltrame, 
Firenze  il  Beco  trovato  da  Franeesco  Mochi.  A'tempi 
nostri  Gianduia  in  Piemonte,  Stenterello  a  Firenze, 
Pasquino  a  Palermo,  Cassandro  a  Roma. 

iNon  accade  il  cercare  quale  autore  od  attore 
abbia  fatto  parlare  le  maschere  nell'uno  o  nell'altro 
dialetto.  Imperocché  quando  si  creda  che  una  ma- 
schera sia  nata  in  una  certa  città,  bisogneià  pur  dire 
che  la  favella  di  lei  fosse  quale  si  parlava  nel  luogo 
nativo.  Pantalone  ,  nato  nelle  lagune  ,  non  dovea 
certamente  parlare  altra  lingua  che  la  veneziana,  men 
discosta  dalla  comune  italiana  e  sì  dolce  e  pie- 
ghevole da  meravigliar  gli  stranieri,  che  ella  stesse 
in  bocca  di  quella  gente  gagliarda,  che  sì  lunga- 
mente resisteva  alla  formidabile  alleanza  di  Cambrai. 
E  di  vero  egli  era  ben  giusto,  che  quando  l'aver  dia- 
letto proprio  era  bel  vanto  d'ogni  municipio,  sonasse 
ne'teatri  italiani  quello,  che  usava  parlarsi  nel  foro 
e  nel  senato  della  repubblica,  e  che  senza  il  pas- 
saggio del  Capo  e  la  lega  di  Cambrai  si  aspettava 
conquisti  maggiori.  Quindi  mi  pare  che  si  dia  più 
onore  che  non  si  merita  ad  Angelo  Beolco  pado- 
vano, chiamato  il  Ruzzante  (il  quale  fiorì  nella  pri- 
ma metà  del  secolo  decimesesto),  affermando  ch'egli 
fosse  il  primo  ,  che  stabilisse  la  favella  delle  ma- 
schere principali.  Che  s'egli  fosse  stato  lodato  di 
aver  fatto  parlare  i  due  Zanni  piiì  a  un  modo  che 
a  un  altro,  la  cosa  avrebbe  avuto  piìi  apparenza  di 
vero.  Imperocché  gli  Zanni,  maschere  pili  fantasti- 
che e  men  certe  di  patria,  potevan  farsi  parlare  a 


92 
quel  modo  che  fosse  meglio  piaciuto  ad  un  autore 
0  ad  un  commediante.  Quindi  verrebbe  ,  che  per 
lunga  consuetudine  sì  fosse  per  errore  creduta  pa- 
tria di  questi  la  terra,  da  cui  s'erano  fatti  impre- 
stare il  dialetto.  La  qual  cosa  darebbe  maggior  forza 
alla  opinione  già  espressa:  cioè  che  i  due  Zanni  non 
nascessero  nei  tempi  moderni,  ma  ci  venissero  da- 
gli antichi  direttamente. 


93 
CAPITOLO  QUINTO. 

Frattanto  non  si  cessava  di  scrivere:  anzi  non  v'è 
slato  secolo  più  fecondo  di  opere  teatrali.  Attenen- 
doci alla  fede  del  Riccoboni,  noi  sappiamo  che  dal 
1500  al  1560  ne  fu  stampata  gran  copia  (1).  La 
raccolta  della  biblioteca  vaticana  conteneva  (o  con- 
tiene) ducentotrentacinque  tragedie  profane,  cinque- 
cento commedie,  ducentotrentasette  pastorali,  cen- 
toventi tragicommedie  e  quattrocentocinque  trage- 
die sacre  o  morali,  senza  contar  quelle  dateci  nel 
catalogo  di  Leone  Allacci  siccome  manoscritte,  e  le 
altre  sconosciute  :  le  quali  tutte  aspettano  la  pa- 
zienza d'  un  erudito,  che  ce  ne  dia  il  titolo,  se  non 
qualche  piiì  curiosa  notizia.  Del  rimanente,  sicco- 
me esse  non  furono  recitate  o  almeno  diffuse,  e  per- 
ciò non  goderono  della  vita  necessaria  a  tali  opere 
letterarie,  noi  ce  ne  passeremo  volentieri,  e  ci  fer- 
meremo piuttosto  sopra  quelle,  ch'ebbero  successo 
allora  e  nominanza  dapoi. 

Chi  voglia  aver  sapore  del  gusto,  che  correva  a 
quel  tempo,  vegga  le  Rivolle  di  Parnaso  di  Scipione 
Errico  messinese,  con  cui  egli  mette  in  ridicolo  quel 
misto  di  buffonesco  e  di  tragico  ,  di  storico  e  di 
romanzesco  portatoci  dagli  spagnuoli;  ovveramente 
gì'  Intrichi  d'amore  di  Torquato  Tasso  ,  commedia 
rappresentata  dopo  la  morte  di  lui  nel  1597  a  Ca- 
prarola  e  stampata  a  Viterbo  nel  1604.  Alcuno  rav- 
visa in  essa  la  più  graziosa  parodìa  del  genere  ro- 
mantico: (  ma  nota  che  allora  non  si  sognava  nep- 
pure   alla   guerra  guerreggiata  nel  secolo   decimo- 


94 

nono).  11  Goldoni  la  dice  una  commedia  se  non  ec- 
cellente, almen  tale,  che  fa  ravvisare  quello  stupendo 
ingegno  che  la  componeva.  Ma  comunque  sia,  ella  è 
un  atto  che  racchiude  un  viluppo  di  piiì  azioni,  il 
quale  dà  immagine  di  quanto  si  adoperava  in  quasi 
tutte  le  opere  teatrali  di  quel  tempo. 

Però  Giambattista  Porta  napolitano,  che  visse  a 
cavaliere  de'due  secoli,  mantenne  ancor  viva,  ma  per 
poco,  la  maniera  de'cinquecentisti.  Anzi  laddove  que- 
sti non  isceneggiavano  quasi  che  farse,  egli  fa  scelta 
(per  esempio  nella  Furiosa,  nella  Chilia,  neVlue  Fra- 
telli rivali,  nella  Sorella  e  nel  Moro)  di  argomenti 
pili  nobili  e  generosi:  dà  all'azione  piiì  forza  e  ra- 
pidità: nel  dialogo  è  men  fiacco  e  men  prolisso  de 
suoi  antecessori.  Ma  la  varietà  dei  caratteri  non  è 
pari  a  quella  degli  avvenimenti:  e  i  suoi  personaggi 
son  sempre  gli  stessi  rigidi  vecchi,  gli  astuti  servi, 
i  soldati  millantatori,  che  si  veggono  negli  antichi, 
con  la  giunta  dei  vezzi  correnti,  cioè  l'affettata  favella 
ei  concetti  piiì  che  squisiti.  Oltre  a  questo  se  l'azione 
è  varia,  non  cessa  di  essere  intricata  siffattamente 
da  fornire  de'buoni  scenari  alle  commedie  dell'arte: 
le  quali  appunto  avean  bisogno  di  questa  mecca- 
nica qualità  per  tenersi  su  i  piedi.  Aggiungi  a  que- 
sto un  maggior  peccato:  che  lo  scherzo  non  è  tem- 
perato dalla  modestia.  Laonde  non  sono  da  biasi- 
marsi coloro,  che  affermano,  il  Porta  aver  fatto  più 
male  che  bene  al  teatro  ,  aggiungendo  alla  corru- 
zione, che  andava  al  peggio,  l'esempio  della  sua  au- 
torità. Imperocché  questo  buono  ingegno  era  tenuto 
in  gran  conto  per  la  sua  scienza  nelle  cose  naturali, 
e  fu  il  primo  che  fondasse  in  Napoli  un'accademia 


95 
a  spei'imeiJto  delle  cose  naturali.  E  si   licordi  a  suo 
onore,  che  dopo  aver  dato  opeca  alla   scienza  nella 
sua  gioventù,  il  far  commedie  fu  per  lui  un  riposo 
alla  onorata  vecchiezza. 

L'  accademia  degl'  Intronali  di  Siena,  emula  di 
quella  de'Rozzi,  conservò  una  languida  ricordanza 
dell'antica  commedia.  E  molte  ne  pubblicò:  alcuna 
delle  quali  forse  si  meriterebbe  una  qualche  men- 
zione, se  avesse  lasciato  una  traccia  nel  secolo  in 
cui  fu  composta.  Si  vanno  ancora  ricordando  quelle 
dello  Stellati,  dell'Altani,  del  duca  Caetani  ,  e  pili 
specialmente  alcune  di  Carlo  Maggi  milanese  ,  che 
fu  in  patria  segretario  del  senato  e  professore  di 
lingua  greca.  Ma  le  composizioni  di  costoro  non 
uscirono  delle  accademie  o  delle  città  in  cui  nac- 
quero, o  furon  si  fiacche  e  di  sì  poco  grido  da  non 
poter  sopraffare  anche  un  momento  le  maschere  e 
la  commedia    dell'arte. 

Furono  però  famosi  ed  applauditi  i  due  Cico- 
gnini. Iacopo,  il  vecchio,  nella  prima  giovinezza  s'era 
tenuto  sulle  orme  della  vecchia  commedia.  Se  non 
che  la  fama  di  Lope  de  Vega  ,  le  cui  lettere  l'e- 
sortavano a  rompere  il  freno  dell'arte,  lo  invasò  di 
modo,  che  messi  da  parte  gli  antichi,  si  pose  in- 
nanzi agli  occhi  le  composizioni  di  quel!'  autore  e 
tutto  si  diede  ad  imitarlo.  E  gli  avvenne  come  a 
lutti  gl'imitatori  di  que'grandi,  i  quali  portati  dall'in- 
gegno potente  ,  conducono  l'arte  a  quel  pendìo  , 
donde  per  un  altro  passo  è  certo  il  minare.  Per- 
tanto il  Cicognini  non  colse  alcuna  delle  bellezze  di 
Lope,  e  se  ne  prese  tutti  i  difetti.  Si  guardi  al  suo 
Z)fw/f/,dove  l'argomento  eroico  è  travestito  alla  plebea, 


96 

e  si  paragoni  ai  Dolori  di  Giacobbe  del  poeta  spa- 
gnuolo,  e  si  vedrà  quanto  quegli  sia  da  meno  di 
questo  nella  pittura  delle  scene  bibliche.  Gli  è  vero 
che  gli  ebrei  di  Lope  si  paiono  piuttosto  gli  ebrei 
spagnuoli  del  secolo  decimosetlimo,  che  quelli  del- 
l'anno del  mondo  duemilatrecento,  i  quali  al  certo 
avrebbero  strabiliato  di  vedersi  sulla  scena  con 
le  cappe  e  le  corazze  e  gli  sproni.  Ma  vi  ha  pure 
una  grandezza,  una  semplicità  ,  un  non  so  che  di 
antico,  che  fanno  perdonare  quella  innocenza  di  forme 
esterne,  quale  incontra  ne'principii  d'ogni  arte.  Così 
i  primi  pittori  italiani  vestivano  i  personaggi  del 
vecchio  e  del  nuovo  testamento  e  i  greci  e  i  ro- 
mani coi  lucchi  e  con  le  armature  e  con  le  zazzere 
del  quattrocento.  Ella  è  una  semplicità  che  si  con- 
viene ai  giovani:  pei  vecchi  è  ridevole  affettazione: 
sono  i  panni  d'Isabella  in  dosso  alia  rugosa  Gabrina. 
E  questo  convien  dire  anche  a  certi  letterati  e  pittori 
dell'età  nostra,  che  ci  fanno  i  bambini  e  i  semplici 
con  questo  carico  d'anni,  che  abbiam  sulla  schiena. 
Adunque  ciò  che  par  bello  in  Lope  è  brutto  e  sconcio 
nel  Cicognini.  Del  quale  basti  il  leggere  la  scena 
di  Trisansone  millantatore  col  suo  servo  Ventura 
(dataci  dall'Emiliani  Giudici  nella  sua  storia  della 
letteratura  italiana)  per  accorgersi  dello  strazio  che 
fa  costui  di  quelle  narrrazioni  sublimi  (2). 

Giacinto  vinse  il  padre  in  ogni  sfrenatezza.  E 
fu  più  gonfio,  più  confuso,  pili  avviluppato.  Ciò  non- 
dimeno diede  movimento  all'azione  e  fuoco  di  passione 
al  dialogo.  E  di  costui  al  certo  disse  il  Goldoni  (da 
che  ce  ne  tace  il  nome  di  battesimo),  che  nelle 
commedie  quantunque  gruppose  e  miste  di  patetico 


97 
e  di  comico,  di  lacrimevole  e  di  plebeo,  sa[iea  jsui' 
Tai'te  di  maneggiare  la  sospensione    e   piacere  con 
lo  sviluppo. 

Codesti  Luca  fa priesto  óe]\i\  commedia  si  sci'oc- 
carono  grandissima  fama.  Carlo  Gozzi  ne  parla  come 
di  gente  ch'ebbe  assai  favore  dal  popolo:  ma  ciò  per 
inferirne  che  non  era  da  far  meraviglia  il  plauso 
concesso  al  Goldoni,  da  che  nomini  sì  poco  degni 
ne  avean  goduto  a  macca.  Questo  era  un  pensiero 
maligno  dell'autore  delle  tìab.\  Era  da  rispondergli 
che  se  il  popolo  applaudiva  il  Goldoni,  se  ne  dovea 
conchiudere,  che  non  sempre  i  contemporanei  sono 
avari  verso  gli  spiriti  sommi,  se  non  di  pane,  al- 
meno di  lode  (2). 

Dopo  di  questi  non  accade  nominare  altri  e  spe- 
cialmente attori,  che  si  diedero  a  fabbricar  di  com- 
medie. Che  se  vien  detto  talvolta  di  Giambattista 
Andreini,  questo  si  fa  pel  suo  iVdamo  (di  cui  ab- 
biamo parlato)  e  non  per  le  altre  sue  opere  comiche. 
Piuttosto  non  sono  da  tacere  le  commedie  cosi  dette 
rusticali  :  le  quali  ,  sebbene  da  alcuni  si  mettano 
fra  i  drammi  pastorali  ,  veramente  vogliono  esser 
poste  tra  le  com-medie.  Non  sono  i  peisonaggi 
che  vengono  sulla  scena,  i  quali  stabiliscano  la  specie 
della  composizione:  sì  bene  la  passione,  lo  scopo  e 
lo  spirito  che  la  informa.  Il  dramma  pastorale,  che 
par  venuto  in  fantasia  a  qualcuno  che  fosse  stanco 
della  vita  vera  che  si  menava  nel  mondo  ,  è  fuori 
della  natura  e  vaga  per  campagne  bellissime  lutto 
pieno  d'amore  e  d' innocenza  celeste.  Esso  si  può 
dir  venuto  dall'egloga  non  piij  risti'etta  a  semplici 
dialoghi,  ma  distesa  negli  avvenimenti  del  dramma, 
G.A.T.CXLIV.  ^  7 


Al  contralio  la  commedia  ruslicalc  si  studia  d'imi- 
tare i  costumi  dei  contadini,  quali  essi  s'ono,  e  ti 
porta  nelle  campagne  e  nei  castelli  della  Toscana 
o  di  Napoli  come  qnalimque  altra  commedia  nelle 
stanze,  ne'convegni  e  nelle  piazze  della  città  Quindi 
essa  non  può  fare  un  genere  a  parie:  ovvero  do- 
vrebbe dirsi  dramma  pastorale  anche  il  Feudatario 
del  Goldoni,  perchè  quivi  dipinge  principalmente  i  co- 
stumi villerecci. 

1  Rozzi  e  gr//?/ro)?a/?  composero  dapprima  molte 
commedie  rusticali  nel  dialetto  sanese:  molte  poscia 
i  fioienlini  e  i  napoletani.  Celebrate  assai  furono  la 
Bom  (W  Giulio  Cesare  Cortese  da  Napoli,  e  la  Tancia 
di  Michelangelo  Buonarroti  il  giovane.  Esse  han  pregio 
di  bontà,  principalmente  per  esser  prese  dal  vero  più 
che  le  altre  commedie.  E  perciò  non  sono  [tiene 
d'accidenti  impensati,  nò  sono  scritte  con  quella  cer- 
cata orditui'a  e  nello  stile  allor  detto  magnifico.  AI 
contralio  si  va  per  la  piana  e  forse  troppo:  tanto 
che  tu  vedi  i  soliti  amoi-i  e  le  solite  gelosie  e  le 
solite  smanie  de'drammi  pastorali,  ma  più  veri  e  più 
confoimi  a  quella  gente,  che  se  ne  fìnge  invasata. 
Specialmente  la  Tancia  (con  grinlermedi  cantati  e 
ballati)  è  ben  condotta  ,  naturale  e  tutta  piena  di 
quel  vezzo  e  sapore  ,  che  ha  il  dialetto  fiorentino 
anche  in  bocca  dei  campagnuoli. 

Io  non  so  poi  a  quale  specie  voglia  assegnarsi 
la  commedia  pur  del  Buonarroti  intitolata  la  Fiera. 
E  in  verità  ch'ella  non  potrebbe  dirsi  commedia  , 
ma  piuttosto  una  lunga  e  vaiiata  rappresentazione 
di  cose,  fatta  forse  a  due  fini.  Il  primo  per  dar  co[)ia 
al  vocabolario    della  ci-usca   (che    allora  si  compo- 


99 

neva)  di  voci  e  modi  di  dire  presi  dalla  lingua  to- 
scana: il  secondo  forse  pei'  eccitare  i  fiorentini  a 
qiie'commeici,  dai  quali  un  giorno  cavarono  tanta 
gloria  e  ricchezza.  E  questa  intenzione,  poco  avver- 
tita, mi  par  che  si  tolga  dal  discorso  dell'Introdu- 
zione, che  fa  il  Commercio.  Il  quale  dopo  aver  re- 
citate le  proprie  lodi,  soggiunge: 

Benché  né  più  pregiato  né  gradito, 

Com'io  fu'  già  gran  tempo,  o  fiorentini. 
Quando  d'ogni  quantunque  ultimo  lito 
Portavi  a  casa  di  molti  quattrini. 
Mi  v'appresento,  e  qui  presso  v'invito, 
Perché  vo'abbiate  i  negozi  vicini, 
Se  lontana  é  Messina  e  Francoforte, 
A  una  fiera  dentro  a  queste  porte. 

E  bene  egli  avea  ragione  di  credersi  né  pregiato 
né  gradito,  quando  vedea  que'signori  cosi  gonfiati 
dalla  vanità  spagnuola  da  stimarsi  avviliti  ove  do- 
vesser  maneggiare  quel  passetto,  con  cui  già  aveano 
misurato  il  mondo.  Ma  tornando  alla  Fiera,  io  dico 
ch'ella  è  divisa  in  venticinque  atti  e  cinque  parti 
da  potersi  recitare  a  cinque  atti  per  volta.  Fu  rap- 
presentata in  cinque  giorni  nel  carnevale  del  1618 
nel  teatro  della  gran  sala  degli  Uffizi,  luogo  capa- 
cissimo per  macchine  e  comparse.  Vi  si  veggono 
ogni  sorta  di  persone:  soldati,  mercanti,  bottegai, 
sensali,  marinai,  potestà,    gentiluomini:  si  compra, 


100 

si  vende,  si  baratta.  La  Mercatura  si  dà  gran  fac- 
cenda: le  Fatiche  guadagnano:  il  Sonno  dà  la  berta 
agli  sciocchi:  la  Bugìa  va  saltellando  a  prova.  E  queste 
non  sono  parole:  ma  personaggi  in  carne  e  in  ossa, 
che  dicono  al  popolo  a  chiare  note  la  loro  ragione. 
Questa  fu  la  commedia  del  seicento.  Quando 
poi  sul  finire  di  questo  e  il  cominciare  dell'  altro 
secolo,  la  letteratura  italiana  diede  segno  di  vo- 
ler rilevarsi;  vi  ebbero  alcuni  scrittori  ,  i  quali 
dieder  opera  al  teatro,  e  a  renderlo  migliore  o  ri- 
suscitarono le  commedie  del  cincjuecento,  o  sci-is- 
sero  con  intenzione  del  buono,  o  imitarono  o  vol- 
sero nella  nostra  favella  le  miglioi'i  cose  francesi. 
Nicolò  Amenta  napoletano  scrisse  commedie  a  modo 
dei  Gì-azzini  e  dei  Cecchi  senza  la  grazia  e  la  ele- 
ganza di  essi.  Pur  non  fu  poco  che  alcuno  si  ricor- 
dasse delle  masserizie  di  casa  nostra.  Girolamo  Gigli 
sanese  imitò  il  Molière  nel  Don  Pilone. GlMpocriti  (che 
ve  ne  avea  di  molti)  fecero  storie  e  romori  grandis- 
simi, e  non  appi'odarono  che  a  crescer  fama  all'au- 
tore. Il  quale  per  verità  non  aveva  aggiunto  che  po- 
chissimo alla  bella  opera  del  francese  voltata  nelle 
grazie  della  lingua  toscana.  Egli  tradusse  anche  i 
Litigami  del  Racine  ed  altre  commedie,  non  lasciando 
di  suo  che  la  Sorellina  di  Don  Pilone,  con  cui  volle 
mordere,  né  il  fece  troppo  felicemente,  la  moglie 
avara  e  la  serva  che  si  struggea  di  marito.  Anche 
Pier  Iacopo  Martelli  per  trent'anni  attese  a  com- 
porre un  teatro  compito  dalla  tragedia  alla  farsa  dei 
burattini:  a  cui  pose  il  nome  di  Bambocciata.  E  tale 
è  lo  Slermilo  cVt^rcole,  in  cui  finge  i    pigmei    che 


101 

pailimo  in  versi  corti  come  i  lor  corpi.  Ma  egli  che 
non  riuscì  molto  a  far  piangere,  molto  meno  fé  ri- 
dere: e  se  ne  doleva  al  Muratori  scrivendogli:  Oh 
quanto,  prevosto  mio,  è  più  difficile  il  provocare  al 
riso  die  al  pianto  ! 

Nò  voglionsi  tacere  i  nomi  di  due  attori  ,  che 
fecero  a  lor  potere  per  rilevare  il  teatro.  L'uno  fu 
Pietro  Cotta  romano,  che  rimise  in  iscena  l'Aminta 
e  il  Pastor  lido  e  tragedie  nostre  e  francesi,  masi 
male  risposto  dagli  attori  e  dal  pubblico,  che  dispe- 
rato dell'impresa  lasciò  il  teatro.  L'altro  fu  Luigi 
Riccoboni  da  Modena:  il  quale,  rappresentando  tra- 
gedie antiche  italiane,  traducendone  dal  francese,  e 
alle  commedie  del  Molière  innestando  le  maschere, 
sperò  per  il  buon  successo  avutone  di  potere  ardire 
di  più,  e  a  Venezia  avventurò  la  Scolastica  dell'Ariosto. 
In  verità  ch'egli  era  un  voler  troppo  dal  popolo 
d'allora  male  avvezzo  a  tristi  spettacoli.  Al  quarto 
atto  bisognò  chiuder  la  tela:  ed  egli  se  ne  crucciò 
di  sorla,  che  invitato  dal  duca  d'Orleans  a  passare 
in  Francia,  non  tentennò  un  momento,  e  andò  colà 
a  sostenere  l'onore  del  teatro  italiano  (a.    1716). 

Ma  di  questi  principii  del  risorgere  sarebbe  da 
dire  diffusamente,  ove  si  volesse  discorrere  della  com- 
media del  settecento,  nel  quale  essa  fu  restaurata 
da  Carlo  Goldoni.  Qui  non  s'è  fatto  che  darne  un 
cenno:  quanto  basta  per  intendere  che  negli  uomini 
colti  del  nostro  paese  era  venuta  una  spasimata  voglia 
di  levarsi  la  vergogna  di  non  avere  un  teatro  nostro 
e  conforme  al  secolo.  Bisognava  che  a  mano  a  mano 
questo  desiderio  entrasse  nella  nazione  insieme  con 


102 

la  civiltà,  e  che  un  sommo  ingegno  sapesse  soddi- 
sfarlo senza  portare  al  forasliero  o  all'anlico.  Intanto 
era  buono  di  aprire  il  camtnino.  Che  se  i  rimedi  messi 
in  opera  da  coloro  che  abbìam  detto,  furono  fiacchi 
e  non  convenienti  a  togliere  il  male;  essi  però  eran 
tali,  quali  doveano  aspettarsi  in  una  nazione  traviata 
miseramente  dal  buono  e  dal  bello.  Imperocché  al- 
lora noi  eravamo  come  uon)ini,  che  lasciati  da  quel- 
l'ardore febbrile,  che  li  fa  delirare,  cominciano  ad 
avere  più  lucido  il  discorso  della  ragione  senza  quella 
possa  che  valga  ad  opera  perfetta. 


103 
NOTE.. 

CAPITOLO  PRIMO. 

(4)  Lo  Sliakspeare  non  solo  tolse  dalk  novelle  italiane  qtiesM^ 
ma  anche  altre  commedie.  La  commedia  E  tutto  bene  ciò  che  a  ben 
riesce,  è  tratta  dalla  novella  XXIX  del  Boccaccio  e  dalla  Vir^jinia 
di  Bern;irdo  Accolti.  Il  molto  fnicanso  per  un  nonnulla  è  traila 
dalla  novella  prima,  parte  prima  ,  delle  novelle  del  Bandello.  E  i 
pili  giudiziosi  critici  inglesi  vogliono  ch'egli  attingesse  largamente 
anche  dalle  produzioni  del  teatro  italiano.  (V.  Colker,  Farther  par- 
ticulars  regarding  Shakspeare  and  his  workt). 

(2)  Veggasi  nn  leggiadro  0|»Jscolo  di  Alessandro  Pagliese  in- 
titolato: Delle  disgrazie  della  lingua  italiana  {Napoli  1834)  :  ove 
si  annovera  tra  gì'  infortuni  anche  la  rabbia  della  lingua  latina  sotlo 
il  pretesto  dell'  impero  romano:  quella  idea  d'  imperio  che  travolse 
gì'  ingegni  di  tanti  sommi  italiani  ,  finché  non  fu  permesso  nem- 
meno di  favellarne. 

(3)  La  tragedia  del  Teren,  pubblicata  dall'Heerkens  come  opera 
di  Varo,  era  stata  composta  da  Gregorio  Corrari  e  venne  a  luce 
nel  secolo  XV'I.  Fu  ristampata  negl'  Icones  pubblicati  a  Parigi  nel 
1788  e  a  Utrecht  nel  1789.  Nel  1338  era  stata  stampata  a  Venezia 
col  titolo  di  Progne  tragedia  nu\ic  primum  edita  in  academia  ve- 
neta. Il  Morelli  scoperse  la  frode  e  ne  diede  avviso  con  due  let- 
tere al  Villoison.  (lac.  Morelli  epistolae  septem  variae  eruditionis. 
Patavii  1819.  8°). 

Leon  Battista  Alberti  fece  il  Philodoxeos,  commedia  per  due 
lustri  stimata  di  antico   poeta. 

(4)  11  Bibbiena  nel  sno  prologo  dice: 

»  Non  è  Ialina  (la  commedia)   perchè  dovendosi  recitare  ad  infiniti, 

1)  che  dotti   non  sono,  lo  autore  che  di  piacervi  sommamente  cerca, 

•  ha  voluto  farla  volgare,  a  fiue  che,   da  ognuno  intesa,  a  ciascuno 

»  parimenti  diletti   ». 


lOi 

(5)  Romolo  Amasco  si  sfiatò  tre  giorni  per  provare  questo 
bell'assunto.   Il  Muzio  gli  scrisse  contro. 

(6)  Luigi  de  Gongora,  nato  dove  nacque  Seneca  ,  cominciò  a 
scrivere  in  quello  stile,  che  senz'allre  parole  noi  cliiainiaino  il  sei- 
cento. I  suoi  seguaci  si  chiamarono  cultos,  cioè  colti  ,  raffinati.  A 
nessun'  italiano  era  saltato  in  mente  di  fare  dì  questo  stile  una  in- 
segna letteraria. 

(7)  Les  oeuvres  de  mvnsicur  de  Balzac,  a  Paris  M.  De.  LXV. 

hesponse  a  deux  questions  ou  de  charactere  et  de  V  instruction 

de  la  cotnedie.  Dis.  I. 

(8)  V.  il  Custodi   nella  storia  di  Milano.  Firenze  1851. 

(9)  Erano  gì'  intermedi  sì  magnifici,  che  meritavano  d'essere  in- 
cisi. Così  abbiamo  del  Callot  gì'  intermedi  della  Veglia  rappresen- 
tati a  Firenze  nel   1616  (Baldinucci,  Fila  di  Iacopo  Callot). 

CAPITOLO  SECONDO. 


(1)  Diomed.  IIL  '■<■  Tertia  spccies  est  fabularuin,  quae  a  civi- 
tate  oscorum  Alella,  in  qua  primum  coeptae,  Atellanae  dictae  sunt, 
argumentis  dictisque  ioculnribus  similes  satyricis  graecis  «. 

Munii,  De  fabulis  aellanis  ec.  Lipsiae  1840.  —  Vincenzo  De 
Muro,  Ricerche  sieriche  sulla  origine  ,  vicende  e  ruine  di  Atella. 
Napoli  1840. 

(2)  Liv.  VII.  2.  —  Valer.  Max.  I.  e.  IV.  §.4  —  Sarebbe  un 
di  più  recare  i  passi  di  questi  autori,  che  stanno  o  dovrebbero 
stare  per  le  mani  di  tutti. 

(3)  Molte  delle  commedie  di  Pomponio  sono  citate  da  Nonio 
Marcello  De  proprietate  sermonis.  E  vedi  pur  molti  titoli  di  esse 
nell'elenco  degli  autori  citati  da  esso  Marcello  nella  edizione  di 
Parigi  M.  LO.  XXCIIL  —  Il  Macco  e  il  Bucco  erano  personaggi 
cari  alle  ateilane.  Pomponio  intitola  alcune  (avole  bucconem  ado- 
ptatum,  maccos geminos.  —  Mnnk,  De  T.  Pomponio  bononiensi  atell- 
poeta.  Glogaviae  1826.  8." 

(4)  Le  saturae  vcnivan  dagli  etruschi.  Liv.  VII.  2.  —  Exodia. 
V.  Sveton.   Tibcr.  45.  Domit.   10.  —  Giovenale  VL  21. 


105 

(5)  De'inimi  vedi  Sveionio  Tiber.  43,  73,  Calig.  27,  Neron.  39. 
Galba  13.  —  Che  le  atellaac  durassero  ai  tempi  di  Cicerone  ne 
abbiamo  argomento  dal  seguente  passo:  Non  enim  te  puto  graecos 
aut  oscos  ludos  desiderasse  ,  praesertim  cum  oscos  ludos  vel  in  se- 
natu  nostro  spedare  possis  (Ad  fumil.  lib.  FU.  an.  698).  E  che  i 
mimi  fossero  comparsi:  Nunc  venia  ad  iocationes  tuas,  quum  tu  , 
secundum  Aenomaum  Aedi,  non,  ut  olim  solebat,  Atellanum,  sed 
ut  nunc  p,l,  Mimum  introduxisti  (Papirio  Paeto.  Ad  famil.  IX.  16 
a.  707).  Rimprovera  Peto  d'aver  fatto  uso  non  del  parlare  mode- 
rato dell'  istrione  atellano,  ma  della  maldicenza  <lel  Mimo.  E  allude 
airEnomao,  tragedia  di  Accio. 

(6)  Canti  Carnascialeschi.  Firenze.  Torrentino  1339. 

(7)  Il  teatro  delle  favole  rappresentative,  ovvero  la  ricreatione 
comica,  boscareccia  e  tragica,  divisa  in  cinquanta  giornate,  compo- 
ste da  Flaminio  Scala  detto  Flavio  comico  del  Sereniss.  Sig.  Duca 
di  Mantova.  Venetia  1611  in  4.° 

Ogni  giornata,  cosi  detta  all'uso  spagnuolo  (ch'ella  non  è  inven 
zione  de'francesi  d'oggidì)  è  una  commedia  o  tragedia.  Ognuna  ha 
in  fronte  scritti  i  personaggi  e  la  roba  da  usarsi,  tra  cui  è  rac 
comandato  specialmente  il  bastone  da  bastonare,  arnese  troppo  ne- 
cessario  per   l'antica   commedia. 

Cerlone,  setaiuolo  napolitano,  compose  moltissime  Selve  di  com- 
medie a  braccio  con  trasformazioni  ,  scannamenti  e  simili  ingre- 
dienti. Il  Cantù  lo  dice  inventore  delle  maschere  del  dottor  Fa- 
slidio  è  del  Pulcinella.  Del  Fastidio  passi:  ma  del  Pulcinella  sono 
sicuro  che  no.  (Cantù  —  Storia  universale.  Ep.XVII.c.31.  ed.VII). 

Vedi  nelle  opere  di  Carlo  Gozzi,  la  selva  o  lo  scenario  (  in 
'  francese  caneras)  dei  Contratti  rotti. 

(8)  Goldoni:  Il  teatro  comico-  A.  I.  se.  2. — I.  7  —  HI.  2. 

CAPITOLO  TERZO. 

(1)  Passeri,  ^j/e  dei  pittori.  Roma  1772  e.  418  —  Dominici, 
>yite  di  pittori  napoletani  1742.  voi.  I.  e.  217. 

(2)  Baldinucci,  Fila  di  Salvator  Rosa  con  aggiunte-  Venezia 
'1830.  §.  XV. 


(3)  Goldoni,  Memorie. 

(4)  z  La  vie  de  Scaramouche  par  le  siciir  Angelo  Costantini 
comèdien  ordinaire  du  fìoy  dans  la  troupe  italien7ie  sur  le  nom  de 
Mezelin.  A  Paris  1693.   8. 

(5)  »  Il  eut  le  plaisir  de  se  volt  bien-lot  grave  et  mis  en  mar 
bre.  On  paroit  les  cheminées  et  les  gabinets  de  son  buste  et  de  sa 
figure:  en  un  mot  la  cour  et  la  ville  ne  pouvoit  se  lajscr  de  le  voir. 
(Costantini.   Ch.  XXIV). 

(6)  Constant.  C.   XXVIII. 

(7)  Pier  Maria  Cecchini  compose  nel  1616  un  discorso  sulla 
commedia  e   lo   dedicò  al  cardinal   Borghese. 

(8)  Supplica  ricorretta  ed  ampliala  intorno  alle  commedie  mer- 
cenarie. Bologna  1626.  8." 

(9)  La  compagnia  de'  gelosi  avea  per  insegna  un  Giano  con 
due  facce  e  il  motto:  Virtù,  fama  e  onoT  ne  fé  gelosi. 

(10)  Bettinelli,   Risorg.   d'Italia.   P.   2.   C.   3. 

(11)  Le  bravure  del  capitano  Spavento  divise  in  molti  ragio- 
namenti in  forma  di  dialogo  —  Venezia  1669  —  Sono  baggianate 
zeppe  di   mitologia. 

(12)  Questa  è  1'  iscrizione  incisa  in  bronzo  sul  sepolcro  d' 
Isabella. 

D.  0.  M. 

ISABELLA  ANDREINA  PATAVINA,  UOLIER  MAGNA  VIATUTE  PRAEUITA,  BO- 
NESTATIS  ORNAIUENXCIU,  MARIXALISQUE  PUDICITIAE  UECUS,  ORB  FACONDA, 
MENTE  FOECCNDA,  RELIGIOSA,  PIA,  MUSIS  AMICA,  ET  AHTIS  SCENICAE  CA- 
VKT,    HIC    RESCBRECTIONEM    EXPECTAT.    OH    ABORTCM    OBIIT. 

IV    IDU  S  lUNII    MDCIV    ANNUM    AG3NS    XLII. 

Delle  poesie  fatte  nella  morte  di  lei  il  figlio  fece  una  raccolta  in- 
titolata all'uso  del   tempo:  Pianto  d' Apollo. 

(lo)  Giro  del  tnonrfo  del  dot.  Francesco  Gemelli,  Venezia  1719. 
Tomo  VII-  Viaggio  per  l'Europa.  Lettera  di  Parigi  1   mag.   1686. 

(14)  ,,  Veggonsi  poi  ventiquattro  pezzi  intitolati  Balli  di  Sfes- 
„  sania  di  lacomo  Callot,  in  ciascheduno  de'  quali  in  figure  pic- 
,,  cole,  in  atti,  moti   e  gesti  ridicolosi,  soii   rappresentati    tutti  gì' 


107 

,,  istrioni,  che  in  que'  suoi  tempi  camminavano  per  l'Europa  ,  e- 
„  sercitando  per  lo  più  l'arte  buffonesca,  e  tali  furono  il  capitano 
,,  Cerimonia,  Ricciulina,  Franceschina,  la  signora  Lavinia  ,  la  si- 
,,    gnora  Lucia,  Mezzettino^  Gianfarina,  Trastullo,   Cuccubà,   il  ca- 

,,   pilano  Malagamba ,,  Né  mi  dà  il  cuore  di   trascrivere 

questi  cento  nomi.  Vedili  nella  vita  di  Iacopo  Callot  del  Baldi- 
nucci  (T.  VI.  Cominciamento  e  progresso  ddCarte  dell'  intugliare  in 
rame). 

CAPITOLO  QUARTO. 

(1)  Circa  alle  antiche  maschere  vedi  e  il  Winkelmann  e  il  Vi- 
sconti e  il  Ficoroni  {Le  maschere  sceniche  e  le  figure  comiche.  Bo- 
ma  1736),  e  l'edizione  di  Terenzio  del  Fortiguerri  e  cento  altri. 
Circa  allo  scopo  dell'  ingrandire  la  voce  ella  è  opinione,  che  non 
ha  più  peso:  imperocché  nel  teatro  di  Sagunlo  furono  recitate  delle 
commedie  spagnuole  innanzi  a  4000  persone,  e  tutti  udivano  be- 
nissimo gli  attori.  (  lournal  de  Paris.  20  Novemb.  1785).  E  vedi 
Ampère,  La  poesia  greca  in  Grecia  J.  (4.  Firenze  1855). 

(2)  Tacito,  Annal  XIL  49— XV.  34. 

(3)  Vedi  un  monumento  dato  da  Edmondo  Chisciullo  e  inse- 
rito poi  nel  museo  britannico.  (De  nummo  Kvwn-i  inscripto). 

(4)  Vedi  l'ambascerìa  di  Teodosio  il  giovane  ad  Attila  nell'anno 
449  tratta  dal  volume  I,  Byzantinae  historiae  scriptores  ,  col  ti- 
tolo Ex  Tvjs  lOTopia?  TTptaxou  pmopoi;  xai  (rouiartìi.  (Cantù.  Storia  uni- 
vessale.  Lib.  VII-  Schiar.  D).        '  ' 

(3)  Histoiredu  theatre  italien  ec.  par  Louis  Riccoboni.  Chap.IV. 
Quid  enim  si  choragium  thimelicum  possiderem  ?  Num  ex  eo  argu- 
mentarere  eliam  uti  me  consuesse  tragoèhi  sirmate  ,  hislrionis  ero 
cola,  mimi  centunculo  ?  (Apuleius  in  Apologia).  —  Mimi  .  .  ,  •  . 
(uligine  faciem  obducti  —  Sanniones  mimum  agebant  rasis  capiti- 
bus.  (Vos.  In.stif.  poet.L.'l.  §.  1 .  e.  32),  —  Planipes  graece  di- 
citur  mimus,  ideo  autem  latine  planipes,  quod  actores  planis  pedi- 
bus  proscenium  introirent  (Diomed.  lib.  III). 

(6)  Tra  i  buffoni  de'magnati  eranvi  i  copm  (Svet.  Tib.  e.  VI), 
«  cinedi,  ì  crepi,  i  parasiti,  i  stercorarii  ec.  e  i  balatrones  (Hor^t 
Sat.  1.  22).  —  De'Sidicini  parla  Giulio  Capitolino  in  Aelio    P'ero. 


108 

(7)  Davanzali  nella  postilla  del  §.  XIV.  lib.  IV.  degli  Annali. 
(Firenze  1853)  —  Varchi,  Ercolano.  —  Che  poi  lo  Zanni  (almeno 
il  nome)  fosse  antico  l'abbiamo  dal  Cornuto  o  pseudoconiuto  sco- 
liaste di  Persio  alla  sat.  I.  v.  72: ,,  Sanna  dicitur  os  distorlum  cum 
vultu,  quoO.  facimus  cum  alios  deridemus,  ideo  Sanniones  dicti,  quia 
non  rectum  vuUum  habeant  «. 

(8)  Il  Micali  vuole  che  non  solo  il  Macco  sia  il  Pulcinella, 
ma  anche  il  Bucco  sia  lo  Zanni  moderno  {Storia  d'  Italia  avanti 
il  dominio  dei  romani.  P.  I.  e.  28). 

(9)  Varilla»,  Les  anecdotes  de  Florence  ou  thistoire  scerete  de 
la  maison  de  Medicis.  A  la  Ilaye   1C87.  —  Ccllini,  Vita  lib.  I.  §.  4. 

(10)  Arlecchino  da  un  valletto  del  presidente  Achille  d'Har- 
lai  a  tempo  di  Enrico  ì\\  {Dictionnaire  des  anedoctes,  Poris  1768), 
Pulcinella  da  Paolo  Cinelii,   Pantalone   da  Pianta  leone  ec. 

(11)  Memorie  li.   3fi. 

CAPITOLO  QULNTO. 

(1)  Fìeflcxions  sur  lesdiffercns  lheati-es  ds  l'Europe.  Paris  1738. 

(2)  Emiliani  Giudici,  storia  delle  t>e Ile  lettere  in  Italia.  Firenze 
1847.  Sez.  XVI n. 

(3)  Ragionamento  ingenuo  e  storia  sincera  dell'origine  delle  mie 
fiabe  teatrali.  Opere  di  Carlo  Gozzi  (Venezia   1801)  T.  I. 


109 


Sul  porlo  di  Pesaro.  Al  sig.  Paolo  Giorgi  f.  f.  di 
gonfaloniere.  Lettera  di  Alessandro  Cialdi;  com- 
mendatore di  più  ordini,  socio  di  piìi  accademie. 

Illmo  Signore. 

Vfuando  nei  primi  giorni  dello  scorso  aprile  il  eh. 
sig.ing.  Fedele  Salvatori,  direttore  generale  dell'ufficio 
de'  telegrafi  in  Roma  ,  mi  domandava  se  accettato 
avessi  r  invito  che  i  signori  marchese  Carlo  Bal- 
dassini  e  Giovanni  Marsetti  a  nome  della  magistra- 
tura di  Pesaro  mi  avrebbero  fatto  ,  quello  cioè  di 
accedere  sul  luogo  per  quivi  esaminare  i  progetti  a 
questo  poi'to  relativi  e  proporre  ciò  che  meglio  cre- 
dessi in  proposito,  io  ringraziava  dell'onore  che  la 
sullodata  magistratura  voleva  compartirmi,  allegando 
essere  mia  convinzione  che  il  professor  Brighenti  , 
già  dal  Governo  a  tal  uopo  destinato,  avrebbe  sug- 
gerito quanto  di  meglio  poteva  farsi:  e  questo  mio 
convincimento  io  esternava  di  persona  allo  stesso 
marchese  Baldassini  in  casa  ed  alla  presenza  del- 
l'esimio professore  Salvatore  cav.  Betti.  Tuttavia  non 
ho  poscia  pili  creduto  rinunciare  a  tanta  distinzione 
allorquando  con  officio  del  3  corrente  il  più  volle 
nominato  marchese,  ripetendomi  l'invito,  aggiungeva 
che  interpellato  in  oggetto  il  Brighenti,  si  era  mo- 
strato sinceramente  lieto  di  avermi  a  compagno  e 
come  portatore  della  parola  degli  interessati.  Ma 
non  pertanto  mi  credetti  in  dovere  di  scrivere  nella 


no 

mia  lettera  di  accettamento  la  seguente    dichiara- 
zione. 

«  lo  mi  reputo  molto  onorato  dell'  incarico 
che  l'ossequiata  magistratura  per  mezzo  della  sig. 
vra.  illma,  mi  affida,  e  mi  duole  che  scarse  siano  le 
mie  cognizioni  per  corrispondere  adequatamente  al 
grave  oggetto  di  dare  alla  cilfà  di  Pesaro  un  porlo 
in  qualsiasi  forma  che  veramente  corrisponda  ai  bi- 
sogni commerciali,  ed  alle  diverse  navigazioni  che  av- 
vengono in  queste  acque  deW Adriatico.  Nulla  di  meno 
il  magistrato  di  detta  illustre  città  raggiugnerà  com- 
pletamente lo  scopo  che  ha  in  mente,  perchè  dal- 
Toculatissimo  nostro  ministro  de'  lavori  pubblici  è 
stato  preventivamente  affidato  un  tale  incarico  al 
chiarissimo  ispettor  cav.  Maurizio  Brighenti,  a  niuno 
secondo  nella  scienza  e  nel  governo  delle  torbide 
acque  e  delle  chiare  ». 

«  A  me  poi  di  pai-ticolare  istruzione  sarà  l'ac- 
compagnare.nell'esame  de'diversi  titoli,  che  condur 
dovranno  alla  soluzione  del  problema,  il  sullodato 
professor  Brighenti:  e  però  anche  per  questo  io  debbo 
essere  grato  al  municipio  di  Pesai'o   «. 

Ciò  premesso,  passo  colla  massima  brevità  pos- 
sibile, ad  esporle  quali  sieno  le  fonti  da  cui  ho  at- 
tinto le  idee,  e  quali  sieno  i  fatti  da  cui  ho  de- 
dotto le  ragioni  che  mi  hanno  dettato  il  progetto, 
siccome  appaiisce    nell'annessa   pianta  idrografica. 

Io  non  mi  fermerò  a  narrare  la  lagrimevole  storia 
de'gravissimi  danni  sotferti  nelle  due  inondazioni  del 
passato  autunno  da  questa  città  e  da  ([uesto  porto, 
né  estenderò  il  mio  dire  sulla  iniporlante  situazione 


Ili 

ireogratica  che  occupa  questo  punto  commerciale  , 
né  sulla  necessità  di  ridonare  la  vita  od  un  [>oi'to  da 
cui  dipende  il  ben  essere  di  questo  territorio  e  la  sal- 
vezza di  quei  navigli  che  navigano  da  Venezia  ad  x\n- 
cona  e  viciversa,  corrispondendo  esso  prossimamente 
alla  metà  del  cammino.  Io  per  ora  restringerò  il  mio 
discoi'so  alla   pai-te  artistica   soltanto. 

Dalle  dotte  Memorie  del  porlo  di  Pesaro  di  An- 
nibale degli  Abati  Olivieri-Giordani  risulta  che  la 
foce  dell'Isauro,  detto  volgarmente  Foglia,  abbia  sog- 
giaciuto a  tre  differenti  direzioni.  Dalla  prima  alle 
susseguenti  si  è  sem[)re  condotta  più  a  sinistra 
guardando  il  mare,  e  quella  che  attualmente  pos- 
siede, aperta  il  9  ottobre  1614,  si  dirige  al  nord- 
nord-est. 

Ella  sa  che  la  posizione,  la  direzione  e  la  forma 
de'moli  guardiani,  od  armature  delle  foci,  dipendono 
dai  venti  regnanti,  dalle  correnti,  ma  più  d'ogni  altro 
dalla  direzione  de'  flutti,  i  quali  a  parer  mio  ijover- 
nano  gl'insabbiamenti.  Ninno  ignora  che  i  venti  do- 
minanti e  regnanti  in  questo  litlorale  dell'Adriatico 
sono  quelli  compresi  dal  nord-noi-d-est  al  sud-est:  e 
ninno  può  dubitare  che  i  fiumi,  armati  o  no,  hanno 
la  fossa  mutabile  secondo  la  direzione  della  traversìa 
0  del  moto  ondoso  delle  burrasche,  come  dopo  ri- 
petute ed  accurate  ricerche  dettava  il  Brighenti:  il 
che  vuol  dire  che  i  porti-canali  del  detto  littorale 
perché  sieno  meglio  difesi,  e  perchè  più  facilmente 
permettino  lo  scarico  delle  acque  dei  fiumi  che  li 
costituiscono,  debbono  indirizzarsi  a  sinistra  dell'ul- 
timo rombo  dei  suddetti  venti.  Questa  verità  quanto 
più  è  stata  sentita,  tanto  più  ha  indotto  i  nostri  an- 


112 

teccssoi'i  a  condurre  da  destra  a  iDanca  la  foce  del- 
l' Isauro  ;  ma  fino  ad  ora  non  quanto  basta  ,  e  la 
rotta  dell'ultima  piena  ne  potrebbe  essere  anche  una 
prova.  E  però  la  fossa,  o  canale  navigabile  fuori  de' 
moli,  si  trova  sempre  più  a  sinistra  della  direzione 
di  essi,  e  ne  difficulta  l'entiala  ai  bastimenti. 

Così  pure,  per  causa  della  difettosa  direzione  del 
presente  canale,  quando  i  bastimenti  sono  in  porto 
non  cessa  il  loro  tiavaglio,  il  loro  softrire.  Una  parte 
del  moto  ondoso,  che  direttamente  s'introduce  lun- 
ghesso il  canale,  danneggia  molto  ed  anche  spezza 
gli  ormeggi;  produce  avaree  nelle  abbozzature  dei 
medesimi,  nei  loro  incrociamenti,  nei  punti  di  ap- 
poggio sopra  i  navigli.  Questi  poi  soffrono  danni  ben 
maggiori;  ti-atti  con  violenza  por  un  verso  e  tosto 
pel  verso  contrario,  tessono  ed  urtano  fortemente 
contro  i  moli  e  fra  loro  stessi,  e  da  ciò  quel  fe- 
rale cigolìo  che  sloga  la  chioda zione,  apre  i  com- 
menti delle  carene,  allarga  le  commisure  delle  bitte, 
delle  latte,  degli  scalmi,  e  rende  questa  stalìa  più 
cattiva  di  quella  che  posseggono  i  porli  di  Seni- 
gallia, di  Fano,  di  Rimino  ed  altri,  perchè  questi 
hanno  la  bocca  voltata  più  a  sinistra. 

Inoltre  è  di  grande  interesse  il  ben  detenriinare 
la  direzione  da  darsi  alla  foce  di  un  fiume,  onde  fa- 
cilitare l'ingresso  ed  il  regresso  de'  bastimenti  che 
vi  debbono  passare,  e,  pi-incipalmente,  per  conservare 
il  fondo  necessaiio  all'entrala.  Ed  invero  la  man- 
canza di  profondità  è  un  gravissimo  male  perma- 
nente, il  quale  pregiudicando  in  ogni  tempo  tutti  i  na- 
viganti, termina  per  annullare  la  pj-ospeiità  del  com- 
mercio in  un  [)orlo  e  nelle  coste  limilrofe.il  decaduto 


113 
stato  commerciale  di  Pesaro  pur  troppo  ci  conferma 
la  verità  della  suesposta  massima! 

Né  ciò  è  tutto.  La  direzione  di  uno  sbocco  in 
mare  può  essere  causa  di  maggiore  o  di  minore  ritardo 
nello  scarico  delle  acque  del  fiume,  specialmente  nel- 
l'ultimo tronco  di  esso.  Egli  è  vero  che  i  torrenti 
istantanei,  come  il  nostro,  non  rispettano  le  leggi 
della  scienza;  ma  io  credo  che  il  miglior  regime  di 
essi  ,  come  di  ogni  altro  fiume,  dipenda  precipua- 
mente dalla  facilità  del  loro  sbocco.  A  tale  effetto 
per  quelle  foci,  ove  l'arte  ha  posto  le  mani,  è  sta- 
bilita la  massima  di  seguire  la  disposizione  naturale 
dello  sbocco,  correggendone  il  piij  possibile  una  vi- 
ziosa inclinazione  col  difenderlo  dagli  infesti  venti  di 
traversia  e  dalle  cause  che  possono  concorrere  ad 
interrirlo. 

Non  può  dubitarsi  che  il  mare  quando  sente  di 
fuori  s'inalza  in  modo  notabile  lungo  il  lido,  e  sino 
ad  un  certo  limite  si  tiene  ad  eguale  livello  a  destra, 
di  fronte  ed  a  sinistra  della  foce;  e  perciò  qualunque 
sia  la  direzione  di  questa,  uguale  sarà  lo  scarico 
delle  acque  del  fiume;  ma  quando  poi  i  venti  in- 
vadono il  httorale  ed  il  mare  scende  e  vi  si  frange 
queir  accumulazione  di  acqua  marina  ha  d'uopo  di 
defluire  dal  lato  ove  trova  minor  resistenza,  che 
su  questo  lido  è  da  sinistra.  Così  è  per  me  ugual- 
mente certo  che  il  moto  ondulatorio  del  mare  divenga 
moto  di  reale  trasporto  di  massa  liquida  quando 
il  vento  è  assai  forte,  molto  più  quando  l'onda  non 
trova  libero  sviluppo  per  l'assottigliarsi  del  fondo, 
e  molto  pili  ancora  quando  essa  si  frange.  Nei  qua- 
li casi  r  onda  si  trasforma  in  parte  in  fluUo-cor~ 
G.A.T.CXIV.  8 


114 

rente.  Questa  corrente  e  quella  del  tiunie  può  sem- 
brare che  s'immedesimino,  ma  in  realtà  si  riflettono 
ed  indietro  balzano,  perchè  impossibile  è  che  due  corpi 
passino  Viino  per  Valtro  come  notò  Leonardo  da  vinci; 
come  Lartigue  dai  suoi  studi  sopra  i  fenomeni  delle 
correnti  marine  ha  dedotto,  e  come  de  T.aligny  con 
recenti  esperienze  ha  confermato.  Inoltre  lo  stesso 
Leonardo  ci  ha  detto:  Le  onde  rompono  contro  il 
corso  del  fiume,  e  non  mai  per  il  verso  del  suo  coì^so; 
e  subito  dopo  ha  soggiunto:  Uonda  del  mare  rompe 
contro  Vacqua  che  rifugge  dal  lido  ove  è  percossa,  e 
non  contro  al  vento  che  la  spinge.  Emy  ,  Reìbell 
e  Rodriguez  hanno  pur  eglino  notati  simili  fenomeni. 
Cosicché  r  incontro  delle  succennate  due  correnti  , 
quella  de'  flutti  e  quella  del  fiume,  quanto  meno  sarà 
di  fronte,  cioè  quanto  l'angolo  formato  nel  punto  di 
riunione  sarà  più  acuto,  tanto  meno  sarà  ritardato 
lo  scarico  dell'Isauro  ed  interrita  la  sua  foce. 

Lo  Zendrini  ed  il  Manfredi  richieggono  per  una 
delle  principali  condizioni  di  un  porto  della  natura 
del  nostro  «  che  sia  munita  la  bocca  con  oppor- 
tune palificate,  0  moli,  stabilito  che  sia  che  valgano 
con  la  loro  lunghezza  a  coprirla  dai  venti  nocevoli 
e  lasciare  ai  favorevoli  di  potere  coadiuare  allo 
spurgo  delle  materie  che  potessero  essersi  deposte  «. 

Ma  se  è  vero  che  la  direzione  dello  sbocco  ha 
molta  influenza  sulla  navigazione,non  che  vsullo  scarico 
delle  acque, sono  però  altrettanto  vere  le  difficoltà  che 
s'incontrano  nello  stabilire  quale  sia  la  più  conve- 
niente da  preferirsi.  Questo  scopo  non  può  esser  rag- 
giunto che  col  far  precedere  uno  studio  speciale 
de'  venti  regnanti  e  di  quelli  dominanti  ,  della  co- 


115 

stituzione  fisica  del  fondo  del  mare,  di  quella  delle 
spiagge  adiacenti  ,  della  indole  del  fiume,  de'  bi- 
sogni e  de'  comodi  assoluti  ed  utili  ai  bastimenti. 
Nella  direzione  della  bocca  il  parere  degli  uomini 
di  mare  deve  avere  gran  peso  ;  anzi  nella  scuola 
francese  è  riconosciuto  che  celle  quesUon  est  du  res- 
sort  des  marina. 

Dopo  una  particolareggiata  visita  sul  luogo  , 
nella  quale  ho  avuto  la  fortuna  di  accompagnare  il 
sullodato  professor  Brighenti  in  tutti  i  giorni  che 
si  è  qui  trattenuto;  dopo  l'esame  degli  uomini  più 
pratici  di  esso,  e  dopo  mature  riflessioni  sul  va- 
lore che  può  meritare  la  conservazione  dell'esistente 
canale,  è  mio  subordinato  parere  che  la  direzione 
ricercata  possa  esser  quella  che  si  vede  tracciata 
nella  citata  pianta,  lettera  A:  molto  più  che  essa  colli- 
ma con  quella  data  agli  altri  porti-canali  lungo  questo 
littorale,  come  ho  già  ricordato;  che  essa  incontra 
maggiori  fondali  (circostanza  la  più  favorevole  alla 
bontà  di  uno  sbocco),  e  molto  più  ancora  che,appro- 
fittando  io  della  bontà  constantemente  mostratami 
dall'ispettor  Brighenti,  sottoposi  al  giudizio  di  lui  una 
tal  direzione,  e  fu  trovato  essere  questa  conforme  al 
suo  desiderio  e  corrispondente  alla  massima  già  da 
lui  esternata  ai  superiori  (I). 

L'andamento  curvilineo  ivi  preferito  al  rettili- 
neo mi  è  stato  suggerito  dal  riflesso  di  piegare 
quanto  è  necessario  verso  sinistra  lo  sbocco    sen- 


(1)  Vari  congressi  ed  abboccamenti   io  tenni  in    proposito  con 
j    i  capitani  Righetti,  Giuseppe  Cavalieri.  Melchiorre  Mazzuccati,  Se- 
bastiano Sponza  e  coll'assislenle  del  porlo  Luigi  Giuliani;  ed  eglino 
me^  convennero. 


116 

za  molto  allontanare  il  nuovo  canale  dai  fabbri- 
cati esistenti  presso  il  vecchio  ,  e  approfittare  del 
vasto  e  lungo  cavo  fornnato  dalla  rotta.  Un  tale 
andamento,  quantunque  più  lungo  del  rettilineo  che 
congiunge  i  suoi  estremi,  ma  non  di  quello  del  pre- 
sente canale,  si  crede  preferibile  ancora,  dopo  aver 
ridotto  l'ampiezza  del  canale  come  dirò  fra  poco  , 
perchè  «  in  canale  curvilineo,  come  osserva  il  Bo- 
scovich,  la  forza  stessa  d'inerzia,  che  richiede  sem- 
pre la  continuazione  del  moto  rettilineo,  costringe 
il  filone  ad  accostarsi  alla  parte  cava  e  rasentar- 
la continuamente,  mentre  nel  rettilineo  ogni  pic- 
cola disuguaglianza  di  resistenza  fa  torcere  il  cor- 
po ora  verso  una  parte,  ora  verso  l'altra  ,  e  così, 
malgrado  della  maggiore  brevità  del  canale  retti- 
lineo, può  in  esso  divenir  la  via  delle  acque  più 
lunga  che  nel  curvilineo  ,  benché  più  lungo.  Nel 
medesimo  caso  l'acqua,  per  la  forza  centrifuga  con 
cui  spinge  la  sponda  curvilinea,  vi  si  alza  e  cor- 
rode anche  il  fondo,  e  lo  incava  ;  onde  può  cresce- 
re alquanto  la  sua  velocità  attuale  col  peso,  e  sce- 
mare la  resistenza  nel  fondo  con  farsi  una  specie 
di  letto  di  quella  che  chiamasi  acqua  morta  )>.  Il 
medesimo  partito  vedesi  consigliato  dal  Cavalieri  , 
il  quale  risolve  ancora  la  questione,  se  le  palafitte 
debbano  protrarsi  ad  eguale  lunghezza,  o  se  l'una, 
e  quale  di  esse,  debba  superar  l'altra;  ricerca  che 
pure  era  bene  di  fare  nel  caso  nostro.  «  Le  di- 
ghe ,  egli  dice,  debbono  essere  avanzate  in  mare 
finché  si  trovi  in  questo  il  fondo  necessario  per  te- 
nere a  galla  i  bastimenti,  ai  quali  il  porto  è  de- 
stinato. Giova  poi  di  prolungare  alcun  poco  più  del- 


117 

Tallra  quella  che  è  dalla  parte  del  vento  più  po- 
tente di  ogni  altro  a  spingere  l'arena  verso  lo  sboc- 
co del  canale.  È  utile  di  stabilire  le  dighe  in  li- 
nea curva,  rivolgendone  la  convessità  verso  quella 
parte,  da  cui  sarebbero  spinte  le  sabbie  ad  inva- 
dere la  foce.  Cotesta  disposizione  tende  a  ripara- 
re l'interno  del  porto  dai  venti  di  mare,  e  ad  im- 
pedire che  si  formi  un'alluvione  o  un  dosso  di  sab- 
bia plesso  la  estremità  interna  della  diga  più  spor- 
gente, pel  rallentamento  che  ivi  avverrebbe  nel  cor- 
so dell'acqua,  se  le  dighe  fossero  stabilite  in  linea 
retta  ».  Laonde  lo  stesso  andamento,  riparando  l'in- 
terno del  porto,  conserverà  tranquilla  la  stallìa  con 
i  mari  di  fuori,  in  oggi  così  molesta  ai  bastimen- 
ti, come  ho  già  notato,  ed  impedirà  che  si  for- 
mino alluvioni  nell'interno  del  canale,  in  oggi  co- 
sì dannose  alle  barche  ed  al  facile  smaltimento 
delle  acque  del  fiume,  come  fra  poco  noterò. 

Anche  sulla  larghezza  del  canale  io  credo  ne- 
cessario proporre  una  modificazione.  Per  la  navi- 
gazione e  per  lo  scarico  delle  acque  del  fiume,  que- 
sta questione  è  tanto  grave  quanto  quella  della  di- 
rezione da  darsi  allo  sbocco.  La  larghezza  dell'at- 
tuale canale  fra  i  due  guardiani  presso  la  foce  è 
di  4-0  metri;  a  250  dalla  foce  stessa  è  di  38;  più 
internamente,  cioè  a  550  metri,  è  di  35;  e  final- 
mente presso  il  ponte  è  di  metri  28.  Queste  lar- 
ghezze a  foggia  di  ventaglio,  dalla  superficie  fino  al 
fondo,  mi  pare  che  debbano  molto  diminuire  alla  cor- 
rente del  fiume  la  forza  di  mantenere  aperta  la  fossa 
in  mare  e  conservare  spurgato  il  canale  interno. 
La  teorica  ed  i  fatti  appoggiano  questo  parere. 


118 

L'Isauro,  per  quanto  ho  potuto  sapere  e  ve- 
dere, presenta  caratteri  meno  sfrenati  degli  al- 
tri fiumi  torrenticci  che,  come  esso,  discendendo 
dall'Apennino  scorrono  tortuosamente  e  con  rile- 
vante pendenza  frammezzo  all'altipiano  inclinato  ver- 
so il  mare,  a  cui  vanno  a  tributare  le  loro  acque. 
Copioso  quasi  sempre  di  torbide,  ne  è  poi  copiosissi- 
mo in  ogni  escrescenza,  e  convoglia  anche  ghiaie 
nelle  maggiori  ;  ma  atteso  il  tortuosissimo  corso 
che  esso  ha,  pochi  di  questi  ultimi  materiali  sca- 
rica sino  al  mare,  eccettuati  i  casi  di  escrescenze 
straordinarie.  Nel  canale  che  costituisce  il  porto, 
vi  giunge  adunque  sempre  carico  di  sabbia  e  ter^ 
ra,  e  di  rado  con  materiali  più  grossi.  Nelle  escre- 
scenze mezzane,  che  sono  certo  le  più  frequenti  , 
le  sue  acque  rimangono  incassate,  e  solo  è  toccato 
il  ciglio  delle  ripe  in  quelle  maggiori.  Ma  se  il  ma- 
re sente  di  fuori,  o  è  soltanto  un  poco  agitato  , 
anche  nelle  piene  mezzane  il  fiume  si  alza  molto 
di  pelo,  e,  rallentata  quindi  notabilmente  la  sua 
velocità,  deposita  il  carico  producendo  sensibilissi- 
mo interrimento  lunghesso  il  canale  :  interrimento 
che,  diminuendo  la  pendenza  e  la  sezione,  contri- 
buisce anch'esso  a  forzare  il  fiume  ad  elevarsi,  ad 
estendersi,  a  traboccare.  Questi  effetti  spiegano  co- 
me nel  maggior  numero  delle  piene  mezzanamen- 
te gonfie  l'incisione  dello  scanno  in  mare  è  appe- 
na indicata,  e  la  stallìa  è  soverchiamente  colma- 
ta ;  e  come  le  sole  piene  ben  vigorose  possano 
spurgare  il  canale  e  convenientemente  rendere  de- 
pressa la  soglia  di  scarico  delle  acque  dell'Isauro: 
dannoso  effetto  che  non  verificasi   con  eguale   fre- 


119 
quenza  ed  intensità  in  altri  porti-canali  di    questo 
littorale,  perchè  essi,  per  essere  piìi    stretti  e    piiì 
piegati  alla  sinistra,  ottengono  benefìcio  anche  dal- 
le mezze  piene  de'  loro  fiumi. 

La  portata  dell'Isauro,  propriamente  parlando, 
fino  ad  ora  non  è  stata  calcolata.  In  un  manoscrit- 
to >  dell'  ing.  cav.  Pompeo  Mancini  si  legge  che 
la  sezione  naturale  che  in  più  incontri  si  è  verifi- 
cala nel  detto  fiume,  specialmente  ne^  suoi  pochi  e 
brevi  tronchi  rettilineij  si  è  trovata  della  larghezza 
al  fondo  di  metri  40  ai  50.  L'altezza  delle  massime 
piene  sale  dai  metri  3,50  ai  metri  4,00  sopra  il 
pelo  magro  (1).  Dall'esperienza  di  un  ottennio  sul- 
le diverse  portate  del  canale  di  derivazione  che  ali- 


(1)  Credo  pregio  dell'opera  riportare  ciò  che  dice  il  pro- 
fessor Briglienti  del  bacino  idraulico  di  cui  parlo.  Queste  notizie, 
quantunque  generali,  potranno  somministrare  conveniente  idea  del- 
la indole  del   nostro  Isauro,  detto  Foglia,   e  della  sua  portata. 

"  Piovono  sulla  nostra  provincia,  dice  il  Brighenti,  metri  cu- 
bi 2100  millioni  d'acqua  ogni  anno,  de' quali  un  terzo  secondo  le 
ipotesi  dei  fisici  viene  assorbito  dal  suolo,  un  terzo  evapora,  l'al- 
tro terzo  700  millioni  si  disperde  in  mare.  Se  quest'ultima  por- 
zione si  riduce  in  forza  motrice,  come  ha  fatto  il  sig.  Dupin  per 
la  Francia,  troviamo  che  equivale  alla  forza  di  4  millioni  di  brac- 
cianti, ciofe  a  venti  volte  la  nostra  popolazione  in  continuo  lavo- 
ro tutto  l'anno.  Ma  questa  enorme  forza  motrice  profitta  ben  po- 
co alla  nostra  prosperità,  perchè  attese  le  forti  pendenze  del  suo- 
lo quel  tesoro  d'acque  si  dissipa  quasi  in  un  subito  al  mare 
per  l'alveo  di  otto  rapidissimi  torrenti  :  sono  la  Marecchia  ,  la 
Conca,  il  Tavullo,  la  Foglia,  l'Arzilla,  il  Metauro,  il  Cesano  ed  il 
Misa.  I  quali  corrono  strabocchevoli  in  un  baleno,  poi  magrissi- 
mi,  o  restano  asciutti  la  maggior  parte  dell'anno.  La  Marecchia  nel- 
le grosse  piene  corre  sei  miglia  all'ora,  e  porta  metri  cubi  390  d'ac- 
qua in  un  minuto  secondo  ;  in  dieci  piene  annuali  di  dodici  ore 
ognuna  dissipa  metri  cubi  168  millioni  e  mezzo  d'acqua.  Altrettua" 
la  io  penso  del  Melauro,  che  mi  par  similissimo  per  lunghezza  di 


120 

menta  i  molini  di  Pesaro,  fatte  dal  slg.  dott.  Lui- 
gi Guidi,  risulta  che  nei  mesi  di  luglio    ed   agosto 


corso,  larghezza  d'alveo,  e  peso  dalle  materie  trasportate  allo  sboc- 
co ;  e  la  somma  dì  questi  due  gli  altri  sei  presi  insieme.  Onde 
in  cinque  giorni  vanno  al  mare  670  millioni  metri  cubi  d'acqua, 
e  ne  restano  30,  che  è  la  venliqiialtresima  parte  dique'  700  pel 
rimanente  dell'anno  da  distribuirsi  in  otto  torrenti,  e  alle  piene 
dei  piccoli  corsi  d'acqua  che  abbiam  trascurato.  Per  le  quali  con- 
siderazioni si  fa  maiiiii'Sto  come  Intla  In  nosira  navigazione  si  ri- 
duca di  necessità  alia  sotti!  costa  Adriatica,  che  bagna  il  fianco 
della  provincia  volto  a  tramontana. 

i"  La  nostra  industria  ha  nondimeno  profittato  della  (orza 
delle  acque  per  mantenere  escavate  le  foci  in  mare  d'alcuni  di 
questi  torrenti  principali,  e  costringendo  fra  ripe  artificiali  mura- 
te il  corpo  d'acqua  che  vi  passa  in  piena,  ha  costituito  dei  ca- 
nali navigabili  lunghi  circa  un  miglio  a  Rimìni,  a  Pesaro  e  a  Se- 
nigallia. Non  è  qui  luogo  a  discorrere,  e  ognuno  sa  per  propria 
osservazione  le  variazioni  del  fondo  di  questi  canali,  e  come  sia- 
no esattamente  proporzionali  al  numero,  e  alia  qualità  delle  pie- 
ne annuali  ;  i  limili  minimo  e  massimo  sono  fra  metri  1,  e  metri 
3  d'altezza  d'acqua,  onde  talora  stcntanvi  le  barche  di  CO  tonnel- 
late, talora  potrebbero  portarne  anche  di  120.  Sono  tuttavia  pre- 
ziosi al  commercio  de'nostri  generi  coll'estero,  e  alla  pesca  di  ma- 
niera, che  la  cura  del  governo  per  conservarli  non  sarà  mai  so- 
verchia. Se  non  che  la  durata  loro  non  è  di  natura  perpetua  per 
l'annuale  allontanamento  delle  foci  cagionato  dalle  ghiaie,  e  dalle 
terre  che  ivi  trascinano  le  piene  dei  lorrenli,  da  cui  sono  ali- 
mentati. Vario  è  questo  incremento  delle  spiagge  dipendente  dal- 
la situazione  loro  rispetto  alla  direzione  del  moto  ondoso  delle 
burrasche,  e  più  dagli  sbocchi  de'torrenti  vicini  a  sopravvento. 
A  Rimini,  tenendosi  alle  antiche  memorie,  può  valutarsi  di  circa 
un  metro  ogni  anno  ;  a  Pesaro  molto  meno  per  que'  monti  a  de- 
stra e  a  sinistra,  che  mandan  le  acque  a  ritroso,  ed  hanno  la  ba- 
se non  corrodibile,  per  le  meno  torbide  e  veementi  piene  della 
tortuosissima  Foglia,  e  pel  lontano  sbocco  del  Mctauro  le  cui  ma- 
terie sono  in  gran  parte  trattenute  intorno  a  Fano.  Onde  presso 
a  questa  città  torna  a  dilatarsi  l'avanzamento  del  lido,  e  dura  pel 
Cesano  e  pel  Misa  fino  a  Senigallia,  ove  di  nuovo  si  raccorcia, 
finché  comincia  a  sentire   i  depositi  dei  torrenti  su]>eriori. 


121 

il  fiume  può  dirsi  in  completa  siccità,  giacché  il 
canale  stesso,  che  raccoglie  anche  le  minime  ac- 
que del  fiume,  non  ne  fornisce  se  non  la  quantità 
necessaria  a  mettere  in  moto  le  tre  macine  del 
molino  superiore  per  giorni  quattro  e  mezzo  di  ore 
24  in  ciascuno  de'  suddetti  mesi  ;  quantità  che  di- 
visa per  un  intero  mese  darebbe  per  il  fiume  la 
defluenza  di  metri  cubi  0,361  al  secondo  di  tem- 
po ;  e  nei  mesi  di  giugno,  settembre    e    dicembre 


t  Nel  giorno  29  dicembre  182  {  sperimentai  con  un  galleg- 
giante la  velocità  superficiale  della  Marecchia  sopra  una  lunghez- 
za di  metri  444.  Era  l'aria  quieta,  e  il  torrente  assai  gonfio,  aven- 
do il  pelo  d'acqua  soli  metri  0.50  sotto  la  chiave  dell'arcata  mez- 
zana del  ponte  d'Augusto.  Trovai  il  molo  del  filone  sensibilmen- 
te uniforme,  e  la  velocità  di  metri  2.60  per  1."  Nella  sezione  di 
contro  alia  Capitania  del  porto,  la  cui  quadratura  era  di  metri 
quadrati  ISO,  passavan  dunque  metri  cubi  390  d  acque  in  1.",  te- 
nendo per  media  la  velocità  superfiùiale  ;  nel  che  alt>'sa  la  rapida 
cadente  del  fiume,  e  lo  stato  basso  del  mare  di  quel  giorno,  non 
sarà  forse  un  grande  eccesso.  La  piena  del  23  dicembre  prece- 
dente fu  metri  i.lO  più  alta  di  quella  del  29,  e  non  può  restar 
dubbio  che  in  quella  si  verificasse  una  portata  anche  maggiore  di 
metri  cubi   390  per   ì." 

«■  La  pendenza  del  pelo  magro  della  Marecchia  sopra  una  lun- 
ghezza di  metri  3763  dalla  foce  in  su  è  di  metri  4.394,  l'area  del- 
la predelta  sezione  alla  Capitania  diviene  in  questo  «tato  d'acque 
metri  quadrati  11.00,  il  raggio  medio  risulta  di  metro  0.20,  il  co- 
seno dell'inclinazione  di  metri  0,001676;  onde  la  velocità  media 
secondo  la  formola  del  sig.  Eylelvein  di  metri  0.925.  per  1.",  e 
la  portata  di  metri  cubi  10.175.  Sicché  il  rapporto  fra  le  piene 
grosse  e  il  corso  magro  riesce  nel  nostro  torrente  prossimamente 
di  1.39;  ciò  avvalora  iu  qualche  modo  i  risultamenti  sopra  discor- 
si comunque  derivati  da  elementi  puramente  probabili  •,-,.  (Eser- 
Ciiazicm  agj arie  dell'Accad.  di  Pesaro  1829  anno  I,  sem.  I  pag.  20 
al  23.) 

Essendo  l'Isauro  di  molto  minor  portata  della  Marecchia,  e 
meno  torbide  e  veementi  essendo  le  sue  piene,  esso  la  cede  adun- 
que  di  gran  lunga  a  quella  in   isfrenatezza. 


122 

lo  stato  del  fiiitne  può  considerarsi  come  nella  ma- 
gra massima. 

Se,  come  ho  accennato,  nelle  mezzane  piene 
l'attuale  larghezza  e  direzione  del  canale  non  per- 
mettono alla  corrente  d'incidere  abbastanza  lo  scan- 
no e  dare  una  conveniente  fossa  alla  navigazione  ; 
se  nelle  stesse  circostanze  il  canale  o  porto  si  os- 
truisce invece  di  espurgarsi,  che  cosa  può  attendersi 
nelle  magre  ?  Questo  commercio  marittimo  per 
non  soffrire  pregiudicievoli  ritardi  ha  bisogno  di 
poter  disporre  di  due  metri  di  fondo:  ma  nelle 
siccità  e  nelle  massime  magre,  cioè  nel  lungo  pe- 
riodo dedotto  dalla  media  di  sopra  indicata  di  cin- 
que mesi  ogni  anno^  non  si  hanno  dai  ripetuti 
scandagli  fatti  nel  canale  del  porto,  che  settanta 
centimetri  nel  tratto  di  massimo  fondo,  cioè  dal- 
la lanterna  all'ufficio  di  Sanità  ;  e  ciò  neppure  è 
costante.  Quasi  ogni  anno,  e  più  volte  nell'anno 
stesso,  si  verifica  un  banco  di  sabbia  presso  la  fo- 
ce, il  quale  partendo  da  poco  in  dentro  alla 
punta  del  molo  di  levante  traversa  il  canale  fino 
alla  punta  dell'altro  molo,  obbligando  le  barche  di 
piccolo  cabotaggio  a  scaricare  l'intero  carico  e  par- 
te de'loro  attrezzi  sopra  la  testata  del  detto  molo 
di  levante,  e  cosi  ridotte  entrare  poi  nel  porto 
trascinate  sul  fondo  dalla  forza  degli  uomini  e 
de'  bovi. 

Egli  è  in  vero  brutto  spettacolo  il  vedere  una 
ed  anche  più  barche  contemporaneamente  scaricar- 
si 0  caricarsi  attorno  la  punta  di  un  molo  col  di- 
sordine e  con  l'ansietà  inevitabili  in  bastimentie  spo- 
sti senza  verun  ricovero  ad  istantanei  ed  impetuosi 


123 

venti,  e  ad  un  mare  facile  ad  agitarsi  e  frangere  ! 
Nel  marzo  1833,  per  togliere  un  cosiffatto  inconve- 
niente si  dispose  dall'emo.  Albani,  legato  della 
provincia,  che  da  Ancona  qui  venisse  una  macchi- 
netta a  cucchiaia,  ed  il  14  del  sudetto  mese  si  pose 
mano  allo  spurgo.  Ma  siccome  in  ogni  piccola  ma- 
retta si  riempiva  in  poche  ore  lo  scavo  fatto  dal- 
la macchina,  il  28  maggio  dello  stesso  anno  si  ab- 
bandonò il  lavoro.  Nel  maggio  1845  un  banco  di 
43  metri  lungo,  di  25  largo  e  scoperto  nella  bas- 
sa mai'ea,  si  piantò  di  contro  la  bocca  a  80  me- 
tri in  mare  dai  moli.  E  per  finirla  rammenterò 
soltanto  ancora  un  fatto.  Nel  febbraio  1854  si  for- 
mò fra  i  moli  tale  un  banco  che  sbarrò  l'intero 
canale  per  la  lunghezza  di  67  metri,  e  superò  di 
oltre  sessanta  centimetri  l'altezza  del  mare  basso; 
tanto  che  si  dovette  aprire  a  pala  un  canaletto 
presso  il  molo  di  ponente,  siccome  quello  ove  il  ban- 
co era  meno  elevato,  onde  far  passare  i  gnocchet- 
tii  piccole  barche  da  pesca. 

Questi  fatti,  l'autenticità  dei  quali  disgraziata- 
mente non  può  in  verun  modo  porsi  in  dubbio, 
accadevano  quando  il  canale  era  nel  suo  perfetto 
stato  di  sistemazione,  cioè  quando  le  sponde  era- 
no non  di  terra  in  corrosione  o  di  palafitte,  ma  di 
regolare  e  non  interrotto  muro  per  il  lungo  trat- 
to complessivo  di  metri  1494.  Gli  stessi  fatti  sono, 
a  parer  mio,  una  grave  risposta  a  quelle  idee  o  a 
quei  progetti  che  tendono  ad  avere  un  porto  a  ba- 
cino, 0  qualche  cosa  di  simile,  in  questo  punto 
di  lido;  sia  che  in  esso  porto  s'introduca  l'intera 
massa  dell'acqua    convogliata    dall'Isauro,  sia    che 


124 

la  massa  in  due  rami  si  divida  ,  o  sia  in  fine 
che  la  massa  stessa  dal  poito  si  allontani.  Senza 
l'Isauro  non  può  quivi  aveisi  porto  ;  e  senza  che 
l'arte  stabilito  abbia  un  canale  il  più  conveniente- 
mente rivolto  e  largo,  l'Isauro  non  può  dare  con- 
gruo porto. 

Prese  adunque  in  serio  esame  quelle  nozioni 
che  abbiamo  sulla  portata  di  questo  fiume  ;  consi- 
derati i  bisogni  ed  i  comodi  necessari  ed  utili  al- 
la navigazione  ;  fatto  confronto  con  la  larghezza 
che  hanno  gli  altri  porti-canali  della  natura  del 
nostro,  io  mi  sono  convinto  che  la  larghezza  uni- 
forme dal  ponte  al  mare  di  metri  trenta  sia  quel- 
la che  meglio  convenga.  Tuttavia  per  utilità  della 
cosa  e  per  istruzione  mia,  anche  su  questa  im- 
portante parte  del  mio  progetto  ho  tenuto  proposi- 
to col  ripetuto  professor  Brighenti;  ed  egli,  dopo 
avermi  fatto  osservare  che,  atteso  le  ai-te  e  furio- 
se fiumane  cui  va  soggetto  l'Isauro,  e  le  basse  e 
lente  magre  di  esso,  non  era  pos!MÌ)ile  appigliarsi 
convenientemente  ad  uno  stato  del  fiume  senza  al- 
lontanarsi di  molto  dallo  stato  opposto  ,  ha  infine 
convenuto  in  siffatta  larghezza  come  media  com- 
portabile ;  e  perciò  la  larghezza  di  '30  metri  è 
quella  che  vedesi  tracciata  nel  nuovo  canale  (1). 

Questa  misura  è,  raggungliatamente,  di  5  me- 
tri minore  di  quella  che  ha  il  presente  canale; 
quindi  può    credersi  di    poca,     o  ninna     influenza 


(i)  La  larghezza  del  porto  canale  di  Fiumicino  è  di  23  metri, 
quella  di  Sinigaglia  dì  21,  quella  di  Fano  20  e  quella  di  Rimini 
30  alla  metà  circa  del  porto. 


125 

sulla  migliore  sistemazione  che  si  dimostra  abbi- 
sognare il  fondo  del  porto-canale  costituito  dall'Isau- 
ro. Ma  se  Ella  si  compiacerà  di  por  mente  alla  di- 
versa direzione  data  allo  sbocco  ,  e  più  alla  cur- 
vatura stabilita  nel  nuovo  canale  ,  vedrà  chiara- 
mente che  come  questi  cinque  metri  in  meno 
nulla  lasciano  relativamente  a  temere  nelle  piene 
der  fiume,  così  molto  lasciano  a  sperare  nelle  ma- 
gre di  esso.  In  questo  andamento  J'azione  della 
corrente  essendo  piiì  energica  nella  riva  concava 
che  sull'altra  convessa,  come  ho  avuto  occasione 
di  ricordare,  determinar  deve  lungo^  prima  «un  uti- 
le fondo,  nel  mentre  che  sulla  SBoInda  crea  un 
banco  disposto  a  spalto.  Da  questi  due  opposti  ef- 
fetti risulta  la  formazione  di  una  sezione  ài  figura 
a  trapezio,  la  quale  sarà  .molto  benefica  alla  navi- 
gazione, anche  nelle  massime  magre  dell'Isauro. 
Risultamanti  che,  a  mia  credenza,  non  potrebbero 
mai  ottenersi  conservando  il  presente  canale,  qua- 
lunque lavoro  si  faccia  per  esso  fuori  alla  foce. 

Credo  poi  proporre  un  espediente  che  da  qual- 
che tempo  io  andava  maturando  per  accennarlo 
alla  prima  occasione,  il  quale,  sottoposto  al  savio 
giudizio  del  più  volte  nominato  ispettor  Brighenti, 
ha  incontrato  la  sua  approvazione.  Nelle  viste  di 
dare  un  ricovero  in  casi  di  mare  grosso  a  quei  ba- 
stimenti che  esercitano  il  commercio  in  questo 
canale  ,  e  per  quelli  che  lo  esercitano  lunghes- 
so questo  sottile  littorale,  senza  incorrere  nel  bi- 
sogno di  una  lunga  protrazione  di  ambo  i  moli , 
la  quale  oltre  alla  maggiore  spesa  produce  ancora 
più  sollecita  protrazione  del  lido  ed    innalzamento 


126 

del  letto  del  fiume,  mi  tb  a  proporre  una  pro- 
trazione isolata  di  duecento  metri  nello  stesso  an- 
damento del  molo  destro,  lettera  B.  La  distanza 
più  conveniente  dalla  punta  del  molo  di  levante 
alla  punta  piiì  prossima  di  quella  protrazione,  cre- 
do che  possa  essere  non  meno  di  centocinquanta 
metri  per  le  seguenti  considerazioni; 

1."  Per  avere  un  utile  fondo  di  acqua  colla  mi- 
nor possibile  spesa  ; 

2."  Perchè  i  materiali  convogliati  dal  fiume  non 
giungano  a  depositarsi  a  ridosso  di  quel  molo 
isolato  ; 

3."  Perchè  il  mare  possa  liberamente  spazzar 
quelli  che  si  depositeranno  dinanzi  o  prossimi 
alla  foce  ; 

4-.°  Perchè  la  corrente  prodotta  dai  flutti  di  de- 
stra non  abbia  soverchia  velocità,  e  perchè  l'urto 
de'  medesimi  flutti  fra  loro  non  abbia  soverchia- 
mente ad  incomodare  e  forse  anche  impedire  l'en- 
trata de'  bastimenti  nel  canale  ; 

5.°  Per  avere  una  comoda  bocca  per  l'approdo 
e  la  partenza  de'  legni  col  maggior  numero  possi- 
bile de'  rombi  di  vento; 

6.°  E  perchè  se  dall'esperienza  venisse  prova- 
to più  conveniente  una  minor  larghezza  a  detta 
bocca,  facil  cosa  sarebbe  il  restringerla,  e  senza 
verun  inconveniente,  perchè  la  proposta  protrazio- 
ne isolata  è  nella  stessa  direzione  de'moli. 

Il  presente  molo  di  levante  sarà  utilissimo 
guardiano  alla  nuova  foce  senza  bisogno  di  protrar- 
re quelli  che  esistono  alla  destra  della  foce  di 
oggi. 


127 

L'intervallo  compreso  fra  le  due  foci  ritengo 
che  sia  cosa  utilissima  di  difenderlo  con  isco- 
gliera,  lettera  C.  Gli  scandagli  in  mare  a  sinistra 
del  porto,  l'esame  personale  del  lido  e  le  notizie 
raccolte  da  altri  dimostrano  che  da  questa  parte 
la  spiaggia  non  progredisce  che  molto  lentamente; 
anzi  ad  una  distanza  di  metri  1500  è  in  corrosio- 
ne, ed  è  certo  che  essa  s'ingrossa  quanto  più  si 
allontana  a  sinistra  della  foce  :  i  fondali  alla  stes- 
sa distanza  dal  lido  vanno  crescendo  da  destra  a 
sinistra  in  guisa  che  sulla  punta  degli  schiavi  a  so- 
li metri  100  da  terra  si  scandagliano  4  metri  di 
acqua.  Questa  fortunata  costituzione  del  luogo  mi 
avrebbe  suggerito  la  idea  di  usare  le  forze  che  la 
natura  sviluppa  in  queste  vicinanze  in  guisa  da  con- 
vogliare e  spandere  i  materiali  ostruttivi  quanto 
più  si  può  sulla  sinistra.  A  tale  effetto  la  propo- 
sta scogliera  di  difesa  aderente  al  lido,  formando 
flutti  riflessi,  dovrà  non  poco  contribuire  nel  tra- 
sporto a  sinistra  e  prender  parte  all'azione  dei 
flutti  diretti  che  si  imboccheranno  nell'apertura 
fra  la  punta  del  destro  molo  e  la  protrazione  iso- 
lata. Nei  fortunali,  il  braccio  formato  dalla  ri- 
petuta scogliera  e  l'altro  costituito  da  quella  pro- 
trazione isolata  devono  obbligare  le  linee  de'  flut- 
ti comprese  fra  i  punti  a  b  a  passare  per;;ila  det- 
ta apertura  e  sviluppare  una  corrente  capace  a 
non  permettere  la  formazione  o  la  conservazione 
del  solito  banco  che  corona  la  foce  e,  dando 
celere  moto  verso  sinistra  all'acqua  del  mare  che 
si  para  innanzi  ad  essa  foce  ,  capace  per  l'uno 
e    per     l'altro    fatto    ad    aumentare    notabilmen- 


128 

te  l'effetto  della  chiamata  allo  sbocco;  il  che  tor- 
na ad  importante  comodo  della  navigazione,  ed 
a   più   facile    sfogo   delle  piene. 

Pare  adunque  che  con  questo  progetto  verrà, 
nel  miglior  modo  che  da  me  potevasi,  ed  all'in- 
circa  nei  limiti  della  preconcetta  spesa,  provvedu- 
to alle  due  principali  esigenze  tanto  raccomandate 
dai  rappresentanti  della  città  e  del  commercio  di 
Pesaro ,  anche  con  suppliche  umiliate  al  Sovrano 
e  dal  medesimo  benignamente  accolte  ;  cioè  di 
ridonare  un  porto  veramente  utile  al  commercio  , 
e  di  diminuire,  se  non  quanto  è  desiderabile  quanto 
ahneno  è  possibile  ,  la  gravità  delle  inonda- 
zioni rese  così  facili  ad  incomodare  e  danneggia- 
re in  questi    ultimi  tempi. 

Qui  avrebbe  termine  il  mio  dire,  perchè  qui  si 
troverebbe  esaurito  il  mandato  da  Lei  favoritomi 
colla  sua  del  3  corrente.  Ma  il  giorno  12  dello 
stesso  mese  sua  eccel.  reveren.  monsig.  Pasquale 
Badia  pro-legato  apostolico  di  questa  provincia 
avendo  disposto  che,  alla  presenza  di  lui  e  di 
quella  del  sig.  Giovanni  Marsetti  deputato  per 
l'affare  del  porto  da  questa  magistratura,  il  pro- 
fessor Brighenti  ed  io  presentato  avessimo  i  ri- 
sultamenti  de'  studi  nostri,  il  mio  mandato  è  sta- 
to  esteso. 

Dopo  molte  osservazioni  su  i  diversi  progetti 
già  presentati  sull'argomento  in  discorso,  si  è  creduto 
dai  sopra  nominati  che  quello  da  me  tracciato  sia 
più  di  ogni  altro  idoneo  al  caso;  soggiungendo  in 
proposito  il  professor  Brighenti  che  egli  lo  trovava 
conforme  alle  sue  viste  ,  e  se  egli  non    proponeva 


129 

eguale  concetto  eia  solo  perchè  avrebbe  ecceduto 
il  mandato;  riservandosi  però  di  trasmetterlo  a  Ro- 
ma ,  unitamente  al  suo  ,  con  ispeciale  menzio- 
ne (1).  Quindi  eglino  espressero  unanime  avviso 
che  io  corredassi  il  progetto  in  discorso  delio  scan- 
daglio per  la  spesa  corrispondente;  e  però  in  virtù 
di  questo  ossequiato  divisamento  Ella  tioverà  unito 
in  Allegato  il  richiestomi  lavoro. 

Ciò  nondimeno  non  mi  è  sembrato  di  poter  qui 
omettere  un  confronto  fra  la  spesa  necessaria  ad  ef- 
fettuare il  piano  di  cui  tengo  proposito,  e  quella  che 
abbisognerebbe  a  ritornare  il  vizioso  canale  nella  pri- 
mitiva  sua  sistemazione. 

Dalla  Relazione  sul  progetto  del  nuovo  porto  di 
Pesaro  compilata  dall'ing.  in  capo  Luigi  Buffalìni  il  9 
febbraio  1856,  e  sottoposta  a  sua  eccellenza  mons. 
ministro  de'  lavori  pubblici,  risulta  che  a  rimettere  il 
porto  canale  nello  stato  in  cui  trovavasi  prima  delle 
alluvioni  richiederehbesi  la  spesa  di  se.  99000.  Inoltre 
è  da  avvertire  che,  visitati  i  tratti  di  sponda  non  ca- 
duti perle  passate  inondazioni,  e  però  non  compresi 
nella  perizia  del  menzionato  ingegnere,  si  fa  oggi  ma- 
nifesto il  bisogno  in  essi  di  piìi  profondi  e  solidi  fonda- 
menti se  si  vogliano  conservare.  11  perchè  si  crede  es- 
sere necessaria  una  ulteriore  spesa  di  circa  se.  20000 
da  aggiungersi  a  quella  già  calcolata;  cosicché  l'intera 
somma  per  il  ristauro  del  presente  canale  ascende- 
rebbe a   scudi  119  mila. 


(I)  Promessa  che  dal  Brighenti  è  stata  scrupolosamente  man- 
tenuta, e  nel  modo  il  più  onorevole  per  me.  Ecco  il  vantaggio 
del  trattare  con  uomini  superiori,  nei  quali  la  dottrina  va  sempre 
unita  ad  imparziale  liberalità. 

G.A.T.CXIV.  9 


130 

Dallo  scandaglio  della  spesa  occoiTente  per  la 
esecuzione  de'  lavori  da  me  progettati,  secondo  l'an- 
nessa pianta  e  relativi  Allegati,  si  ha,  è  vero,  che  oc- 
correrebbe la  somma  di  scudi  1 32068. 14|,  e  perciò 
maggiore  dell'altra  di  scudi  13068. 14|;  ma  questo 
aumento  di  spesa  compensato  a  parer  mio  ad  esu- 
beranza dal  vantaggio  che  si  trarrà  dal  nuovo  por- 
to, sembra  poter  inspirare  fondata  speranza  sulla 
superiore  approvazione;  quante  volte  il  progetto  fosse 
ammesso   dall'eccelso  consiglio   d'arte  (1). 


(1)  Ecco  il  rescrilto  di  sua  eccellenza  monsignor  ministro  dei 
lavori  pubblici  in  relazione  al  giudizio  clell'ossci^u.iato  consiglio  d' 
arte. 

»  9  Luglio  1856.  n".  8806. 

M  Fisto  che  il  Consiglio  d'arte,  uniformandosi  col  suo  voto  al 
rapporto  delV  ispettor  emerilo  sig.  prof.  Brighenli,  dichiara  prefe- 
ribile il  progetto  del  canale  curvilineo  ideato  dal  sig.  comm.  Cialdi, 
purché  la  relativa  spesa  non  ecceda  di  troppo  la  somma  indicata 
7iello,  scandaglio; 

»  Si  diano  le  occorrenti  iatruzioni  alla  delegazione  apostolica 
di  Urbino  e  Pesaro  affinchè  il  progetto  islesso  venga,  senza  più  , 
ridotto  a  piano  di  esecuzione  a  cura  degV  ingegneri  della  provin- 
cia pesarese:  e  di  questa  disposizione  si  dia  la  dovuta  partecipa- 
sione  al  consiglio. 

Il  Ministro 

MlLESI 

Compito  l'ordinato  piano  di  esecuzione,  la  somma  risiillata  da 
questa  più  particolareggiata  analisi  ascende  a  scudi  138726.  60  , 
cioè  soltanto  maggiore  a  quella  da  me  preavvisala  di  se.  6638.43  , 
e  però  dentro  il  limite  ammesso.  Anzi,  in  virtù  di  alcune  modifi- 
cazioni fatte  al  detto  piano  dal  consiglio  d'arte,  la  somma  ricono- 
sciuta necessaria  all'eseguimento  del  mio  progetto  riducasi  a  se. 
129750.04  :  cioè  minore  di  scudi  2318.10.^,  di  quella  da  me  po- 
sta in  preventivo. 


.     13Ì 

Prima  di  dai*  fine  torna  opportuno  ed  anche  con- 
venevole che  io  le  ponga  sott'occhio  l'efticace  coo- 
perazione avuta  dal  signor  Alessandro  Scalcucci,  in- 
gegnere di  questa  provincia  ,  che  il  menzionato 
egregio  sig.  Marzetti  destinò  ad  assistermi.  La  pianta 
è  opera  sua ,  e  sua  ò  la  compilazione  dell'ammon- 
tare delle  analoghe  spese  ,  essendo  egli  ben  più 
esperto  di  me  nei  prezzi  e  nelle  pratiche  locali. 
Credo  soltanto  di  far  notare  che,  se  il  progetto  ve- 
nisse in  massima  approvato  dall'ossequiato  consiglio 
d*  arte  ,  ho  in  mente  di  stendere  e  di  sottoporre  un 
paralello  fra  talune  maniere  di  costruzione  special- 
mente per  la  protrazione  isolata;  perchè  opino  do- 
versi preferire  un  sistema  più  conveniente  e  più  utile 
di  quello  dell'uso  delle  palafitte  posto  in   perizia. 

Evaso  in  tal  modo,  per  quanto  lo  hanno  per- 
messo le  mie  deboli  forze,  l'onorevole  incarico  che 
cotesta  esimia  magistiatura  ebbe  la  degnazione  di 
affidarmi,  approfitto  di  questa  favorevole  occasione 
per  confermarmi  col  più  distinto  ossequio 

Pesaro  24  maggio  1856. 

Della  sig.  vra.  illma. 

Devino,  ed  Oblino,  servitore 
Alessa,m)ko  (,'-ialdi. 


P.  S. 


132    . 

P.  S. 

La  necessità  di  avere  il  maggior  possibile  fondo 
alla  bocca  di  un  porto-canale  e  nello  scanno  che 
la  corona,  consiglia  la  pratica  di  armar  le  foci  del 
fiumi  con  robuste  palafitte  o  moli;  e  questa  pratica 
è  a  tutt'oggi  in  pieno  vigore  in  Italia  ed  altrove.  Sif- 
fatto sistema  però  ha  in  se  dei  difetti,  e  due  gra- 
vissimi ,  quello  di  stringer  troppo  la  sezione  dello 
sbocco,  e  l'altro  di  produrre  più  rapido  avanza- 
mento della  spiaggia  ,  e  quindi  notabile  prolunga- 
mento della  linea  mediante  le  ripetute  protrazioni 
de'moli:  stringin)ento  contrario  al  sollecito  deflusso 
delle  acque  in  piena,  e  prolungamento  contrario  al 
buon  regolamento  interno  del  fiume,  e  molto  nocivo 
alla  navigazione.  //  prolungamento  delVullimo  tronco 
dei  ìioslri  canali,  ci  diceva  nell'  anno  1829  il  Bri- 
ghenti,  sarà  cagione  di  tale  rallenlamenlo  del  moto 
delle  piene,  che  le  renda  inabili  a  sostenere  le  ma- 
terie pili  grosse,  e  queste  depositale  sul  fondo  n'al- 
zeranno il  letto  assottigliando  r acqua  occorrente  alla 
navigazione.  Questo  effetto  quando  che  sia  non  può 
mancare,  e  però  dee  impedirsi,  o  rilardarsi  quanto  è 
possibile  (1).  Con  lo  stabilire  de' guardiani  normali 
alla  spiaggia  sopravvento  alla  foce,  più  o  meno  da 
essa  distanti,  può  essere  ritardato  il  bisogno  delle 
protrazioni  de'moli,  purché  questo  ritardo  non  ecceda 
un  certo  limite;  ma  siffatto  provvedimento  può  dirsi 
che  in  nulla  giova  al  primo  difetto. 


(1;  0[)era  citata  pag.  22. 


133 

Il  desiderio  di  eliminare  nel  sistemale  accennate 
principali  parti  difettose,  mi  suggerì  l'espediente  di 
staccare  la  solita  protrazione  maggiore  del  molo  dal 
lato  de' venti  regnanti  e  dominanti  per  ben  150  me- 
ti'i,  e  di  guarnire  di  scogliera  la  sponda  della  spiag- 
gia compresa  fra  la  proposta  foce  e  quella  esistente 
(lettera  C)  ;  ma  non  mi  lusingo  che  questo  espe- 
diente provveda  interamente  a  tutto. 

Un  sistema  molto  più  semplice  ed  economico  dei 
sopra  indicati  si  ha  in  quello  delle  palificate  som- 
merse a  traforo  facenti  officio  di  sponde  ,  dovuto  al 
benemerito  commendator  Afan  de  Rivera,  e  da  lui 
praticato  con  felice  successo  nel  regno  di  Napoli. 

Questo  sistema  noto  per  la  particolareggiata  de- 
scrizione che  ne  ha  lasciato  il  suo  inventore  (1);  per 
quella  non  meno  ordinata  e  lucida  che  ha  dettato  il 
chiarissimo  architetto  Vincenzo  Antonio  Rossi,  ese- 
cutore del  sistema  stesso,  nel  magistrale  suo  libro 
sul  Definitivo  bonificamento  della  campagna  vicana  (2), 
e  nell'altra  sua  pili  recente  scrittura  ,  ove  soltanto 
di  detto  sistema  ragiona  (3);  per  la  lode  che  ne  fa 
il  Lombardini  nel  suo  aureo  trattato  Della  natura 
dei  laghi  (4)  e  nell'altro  non  meno  dotto  Sulla  stati- 
stica dei  fiumi  (5);  è  finalmente  pel  favorevole  rap- 
porto fattone  a  s.  e.  il  ministro  de'lavori  pubblici  in 


(1)  Del  bonificamento  del  lago  Salpi  ec.  Napoli  1845. 

(2)  Napoli  1843   pag.  137-  e  seguenti. 

(3J  Di  una  efficacissima  pratica    per    stabilire    la  sussistenza 
dello  sbocco  dei  fiumi  in  mare. 

(4)  Milano  1846  pag.  104. 

(5)  Milano  edizione   del   1854  pag.  11  e   12. 


134 

Francia  dall'  ing.  in  capo  sig.  Baumgarten  (1);  que- 
sto sistema,  dico,  ha  richiamato  la  mia  attenzione 
nell'occasione  di  proporre  l'armatura  per  la  nuova 
foce  dell   Isauro. 

Avendo  in  mente  che  si  voleva  dal  municipio  e 
dalla  camera  di  commercio  di  Pesaro  un  porto  che  , 
mentre  si  prestasse  ad  una  attiva  navigazione,  la- 
sciasse pure  facile  scarico  alle  fiumane,  mi  sono  oc- 
cupato di  rinvenire  il  modo  per  restringere  le  sponde 
senza  fare  ostacolo  al  sollecito  smaltimento  delle  ac- 
que nel  mare;  il  che  inferiva  doversi  fìancheijgiare  la 
foce  con  opere  sommergibili,  adottando  così  la  prima 
parte  della  idea  del  de  Rivera,  e  fare  traforate  cotesle 
opere,  ciò  che  compie  la  idea  stessa;  ma  la  effettua- 
zione di  essa  non  soddisfaceva  ai  bisogni  della  navi- 
gazione: il  che  mi  accingo  a  dimostrare. 

Nei  colloqui  tenuti  col  Brighenli  non  ho  man- 
cato di  far  parola  di  questa  nuova  pratica;  ma  per 
Tesperiraento  che  egli,  come  commissario  pontifìcio 
della  libera  navigazione  del  Po,  aveva  avuto  non  ha 
guari  occasione  di  fare  di  essa  nel  Porto-di-levan- 
te, non  l'ho  trovato  disposto  ad  approvarne  I'  uso 
senza  ulteriori  prove  della  sua  buona  riuscita.  Il 
giorno  21  maggio  nel  suo  tranquillo  casino  ,  Cà- 
Ristoro,  situato  sull'amena  collina  la  Carlelta  ,  ove 
si  domina  la  sottoposta  città  di  Rimini  e  1'  occhio 
ijiunge  a  vedere  Tuna  e  l'altra  sponda  dell' Adriati- 


(1)  Annales  des  ponls  et  chans(^es.  Paris  1833; ed  Annali  delle 
opere  pubbliche  e  dell'architettura,  opera  periodica  compilata  a  cura 
di  Giov.  Rossi,  N.  De  Rosa,  e  L.  Corrieri  ingegneri  del  corpo  di 
aeque  e  strade.  Napoli  1833,  pag.  192. 


135 

co  ,  mi  dettava  in  proposito  al  trovato  del   Rivera 
quanto  appresso. 

«  Nel  canale  bianco,  antico  ramo  del  Po,  ove  ri- 
capitano tutte  le  acque  chiare  del  Polesine  di  Rovigo 
e  superiori,  chiamato  Porto-di-Levante,  ed  ove  la 
velocità  media  di  riflusso  misurata  è  di  0"™,  40  per* 
secondo,  erano  state  battute  le  palafitte  a  giorno 
per  la  lunghezza  complessiva  di  entrambi  i  bracci  di 
metri  1700.  Il  destro  braccio  sporge  in  mare  sul 
sinistro  metri  30,  attesa  la  forma  del  lido:  cani- 
minano  essi  dall'acqua  sottile  metri  500  entro  mare 
nella  direzione  di  levante;  vanno  a  trovare  un  fondo 
di  metri  3  sotto  il  comune  marino  ,  e  formano 
un  canale  di  metri  40  di  larghezza.  La  testa  dei 
pali  è  alta  l"",  60  sul  detto  comune;  il  diametro  di 
0"",  33  circa  (ossia  del  perimetro  di  un  metro)  di- 
stanti 0'",  80  da  centro  a  centro  ,  e  però  lasciano 
un  lume  fra  loro  di  circa  0'",  50.  Poco  sotto  alla 
testa  dei  pali  (0"',  40  circa)  lungo  la  linea  del  ca- 
nale, corre  una  pedana  di  tavoloni  appoggiati  da  ca- 
tena a  catena,  la  quale  pedana  serve  di  praticabile 
ai  piloti  in  tempo  di  burrasca,  e  sempre  a  tutti.  In 
somma  i  guardiani  del  Porto-di-levante  sono  in  tutto 
simili  ai  comuni,  salvo  che,  invece  di  avere  i  pe- 
rimetri dei  pali  a  contatto,  gli  hanno  distanti  0™,  50 
l'uno  dall'altro.  La  esperienza  fece  immediatamente 
conoscere  il  bisogno  di  riempire  quelle  luci  fino 
poco  sopra  al  pelo  ordinario,  perchè  in  tempo  di  bur- 
rasca, specialmente  dalla  parte  di  greco,  succedeva 
ima  forte  irruzione  di  sabbia  nell'interno,  che  avrebbe 
in  breve  tempo  ostruito  il  canale.  Empiti  i  bracci, 
si  ottenne  immediato  eccellente  successo  ». 


1.% 

Da  ([inasto  fallo  adunque  si  dovrebbe  desumerò 
un  risul lamento  contrario  a  quello  ottenuto  dagl'in- 
gegneri napoletani.  È  desso  dovuto  alla  differente  si- 
tuazione, ovvero  al  non  eguale  ordinamento  dell'ar- 
matura della  foce  ?  Lo  scopo  di  quel  lavoro  nella 
"Venezia  era  la  creazione  di  un  porto  per  uso  della 
navigazione  a  vapore  del  Lloyd  austriaco;  quindi 
quei  moli  ebbero  in  costruzione  un  carattere  simile 
ni  comuni,  anzi  eguali  a  questi  nella  parte  superiore. 
Stando  però  al  dettato  de'suddetti  ingegneii,  le  file 
dei  pali  debbono  essere  battute  sino  al  pelo  basso  del 
mare  perchè  giacciano  sommersi,  e  niuna  pedana  o 
praticabile  si  vede  da  loro  usata.  Secondo  il  Bri- 
ghenti  questa  pedana  o  tavolato  nulla  influisce  sulle 
acque,  ne  sulla  stabilità  dell'armatura;  io  invece  opino 
che  essa,  non  che  1'  altezza  de'  pali  fuor  d'  acqua, 
la  troppa  larghezza  del  canale  in  relazione  alla  sua 
portala  e  la  rilevante  lunghezza  dei  bracci  per  giun- 
gere a  3  metri  di  profondità,  possano  essere  siale 
di  ostacolo  principale  alla  efficacia  del  trovato  Ri- 
vera adottato  al  Porto-di-levanle. 

Ecco  come  il  menzionato  Rossi,  testimonio  ocu- 
lare, ci  descrive  l'effetto  dei  flutti  nel  suddetto  tro- 
vato. 

«  Le  burrasche  coli'  infuriare  dei  venti  e  dei  ca- 
valloni zappano  il  fondo  del  mare  ,  ne  rompono  i 
bassi  fondi,  e  spingono  al  lido  le  sabbie;  onde  poi 
si  formano  le  alte  spiagge  e  le  dune;  ed  ove  que- 
ste sono  interrotte  per  lo  sbocco  di  acque  in  mare, 
vi  formano  gli  scanni  e  tutte  quelle  radunate  di  sab- 
bia 0  rene  che  ne  impediscono  lo  scarico.  Quan- 
do allo  sbocco  siavi  una  palificata  sommersa  a  tia- 


foro,  il  procelloso  moto  delle  onde  verso    ÌI  lido  , 
sarà  rotto  dai  pali  isolali  che  la  compongono;  e  quel 
moto  procelloso  si  comporrà  in  un  moto   eminen- 
temente vorticoso;  ed  i  grandi  coni  verticali  rove- 
sci del^  sistema  di  tutti  questi    vortici  ,  scaveranno 
potentemente  il  fondo  nello  spazio  interposto  ad  essi 
pali  e  nel  circostante:  e  così  l' impedimento  che  h 
burrasca  getta  contro   lo  sbocco  ne  è  istantemente 
rimosso  da  quel  simultaneo  movimento  di  vortici  • 
ed  air  istante  medesimo  che  la  corrente  è  per  es- 
sere impedita  si  h  strada  con  notevole  velocità  per 
gh   trafori  delle  palificate,  e  quindi,  allargandosi  per 
tutta  la  sezione  tra  le  palificate  medesime,  librando 
le  sabbie  spintevi  contro  dai  cavalloni  e  quindi  ri- 
portandole al  largo.  E  se  1'  impeto  della  burrasca  , 
e  1  imperversar  dei  venti  infilerà  lo  sbocco,  l'esca- 
vazioni  con  eguale  potenza  vorticosa  si  faranno  dai 
due  lati;  e  se  obbliquamente,  le  escavazioni  si  fa- 
ranno maggiori  dal  lato  più  battuto  dai  cavalloni  , 
e  di    qui    SI    determinerà    il    filone  della  corrente, 
guindi  e,  come  io  poneva,  che  per  questa  parte,  le 
forze    che    tenderebbero  ad  impedire    lo   sbocco   il 
iacihtano:  anzi  il  provocano;  perciocché  se  alcuna 
radunata  d.  rena  già  si  trovasse  d'alcun  Iato  dello 
sbocco,  al  pnmo  sopravvenire  di  burrasca  da    quel 
iato,  sarà  rotta,  rimossa,  e  portata  via  (1)  ». 

Ora,  soggiungerò  io,  se  i  pali  sono  più  alti  del 
pelo  ordinario  del  mare,  e,  peggio  ancora,  se  sopra 
di  essi  SI  costruisce  un  tavolato  o  praticabile,  i  flutti 
non^posso    più  bberamente    agire    per    ogni  parte. 

(1)  Di  ma  egicacimma  pratica,  opera  già  citala  pag.  8  e  9. 


138 

Quel  tavolato  ricevendo  sopra  di  se  i  colpi  dei 
marosi  ne  disperde  in  mille  direzioni  la  forza;  e  così 
non  generale,  non  completa  sarà  l'azione  vorticosa 
intorno  ai  pali  e  di  trasporto  a  traverso  il  canale, 
specialmente  ove  la  corrente  di  questo  non  sia  molto 
vegeta  :  azione  che  sarà  intera  soltanto  ,  quando  i 
flutti  si  accavallino  sulle  teste  dei  pali  isolati,  e  gli 
urtino  per  ogni  verso  coi  minori  ostacoli  possibili. 

Per  me  credo  essere  necessario  di  uniformarsi 
interamente  al  dettato  degl'  ingegneri  napoletani  se 
si  vogliono  ricavare  i  benefici  dalla  pratica  di  esso 
guarentiti;  ed  in  questa  necessità  appunto  ho  ravvi- 
sato un  difetto  che  rni  ha  completamente  distolto 
dal  preferire  quel  dettato  ai  moli  comuni,  nelle  viste 
di  dare  un  conveniente  porto-canale  a  Pesaro- 
Quel  bisogno  di  lunghe  file  di  pali  isolati,  bat- 
tuti tanto  che  si  trovino  tutti  sommersi,  alla  distanza 
di  circa  un  metro  Vuno  daWallro,  e  Vampiezza  dello 
sbocco  alquanto  minore  della  larghezza  del  letto  del 
fiume  nel  tronco  immediatamente  superiore,  avrebbe 
dato  a  Pesaro  una  lunga  e  stretta  bocca  di  porto 
seminata  di  pericoli.  Difatti  nei  soli  casi  di  mare  cal- 
mo, di  vento  favorevole  e  di  poca  velocità  nel  fiu- 
me, i  bastimenti  avrebbero  potuto  entrare  ed  uscire 
dal  porto  con  la  voluta  sicurezza.  Negli  altri  casi , 
molto  più  comuni  e  molto  pliì  urgenti  per  approfittare 
del  porto  ,  non  potendosi  spesse  volte  evitare  gli 
sviamenti  nella  direzione  de'  bastimenti,  questi  sa- 
rebbero sospinti  ad  investire  sulle  teste  sommerse 
de'pali,  e  ricevere  sempre  grandi  avarie  ,  e  spesso 
funeste.  Ne,  a  parer  mio,  bastar  potrebbe  ,  per  e- 
vitare  quei  pericoli,  porre  in  essi  delle  mce,  ossia 


139 

indicatori,  perchè  spesso  vediamo  i  bastimenti  ob- 
bligati ,  loro  malgrado,  ad  urtare  nelle  alte  palate 
presentemente  in  uso;  urto  al  certo  non  mai  utile 
al  sistema  del  bastimento  ,  ma  neppure  nocivo  in 
modo  da  impedire  di  riprendere  la  retta  via  e  giun- 
gere a  salvamento.  Quei  disviamenti  devono  poi  es- 
sere molto  più  frequenti  e  molto  più  difficili  a  pre- 
venirsi in  un  canale,  ove  niun  riparo  pone  freno  al 
contrasto  delle  frante  onde  con  se  stesse  e  con  la 
corrente  del  fiume.  Finalmente  i  praticabili  sugli  at- 
tuali moli  sono  spesso  un  prezioso  comodo  per  som- 
ministrare aiuto  ai  bastimenti,  e  sarebbe  sempre  un 
grave  difetto  se  non  vi  fossero.  Questi  riflessi  mi  hanno 
consigliato  a  preferire  l'antico  sistema, colle  modifica- 
zioni però  proposte  nel  corpo  della  lettera,  avendo  così 
molto  migliorato  in  esso  quanto  vi  è  di  più  difettoso. 
Il  trovato  di  Afan  de  Rivera  è  per  me  da  pre- 
scegliersi sopra  ogni  altro  quando  trattasi  di  fissare 
una  voluta  direzione  alla  foce  e  facilitare  Io  sca- 
rico delle  acque  in  piena,  ma  non  quando  si  vuole 
avere  un  porto  propriamente  detto:  il  beneficio  del 
porto  in  quel  trovato  non  può  essere  che  seconda- 
rio, cioè  da  usarsi  soltanto  nelle  occasioni  di  buon 
vento,  di  mare  calmo  e  di  giorno.  Guidato  da  que- 
sto convincimento  ,  nella  onorevole  circostanza 
che  sua  eccel.  don  Scipione  Borghese  duca  Salviati 
mi  commise  di  studiare  l'ultimo  tronco  del  Ser- 
ehio  ed  esporre  il  mio  avviso  per  sistemare  la  foce 
di  quel  fiume,  non  ho  esitato  un  momento  ad  an- 
teporre il  trovato  Rivera  all'altro  in  uso,  perchè  lo 
scopo  principale,  anzi  unico,  da  raggiungersi  in  que- 
sto caso  ,  è  quello  di  stabilire   la  foce,  e    di   ren- 


uo 

della  atta  a  permettere  il  più  libero  e  pronto  de- 
flusso delle  piene.  In  Pesaro  questo  utile  scopo 
deve  cedere  in  parte  il  posto  a  quello  più  vitale 
del  porto,  principale  bisogno  di  quella  città  e  di 
quella  provincia.  I  cattivi  effetti  delle  straordinarie 
piene  sono  invero  tristissimi,  ma  sono  secolari,  né 
l'arte  potria  annullarli  con  la  sola  sistemazione  del- 
l'ultimo tronco  del  fiume:  quelli  dell'attuale  porto 
sono  meno  tristi,  ma  sono  giornalieri,  e  l'arte  può 
evitarli  con  correggere  soltanto  la  direzione  del  ca- 
nale e  con  usare  a  benefìcio  di  esso  la  potenza  de' 
flutti:  correzione  ed  espediente  che  debbono  inoltre 
influire  molto  utilmente  anche  nelle  ordinarie  piene 
ed  in  parte  in  quelle  straordinarie. 

Concludo:  La  preferenza  data  dal  nostro  Consiglio 
d'arte  al  concetto  mio,  e  le  suaccennate  considerazio- 
ni, mi  mettono  nell'animo  la  persuasione  che  esso  sia 
da  prescegliersi  ad  ogni  altro  per  un  porto-canale. 

Con  la  intenzione  di  facilitare  sempreppiù  lo 
scorrimento  delle  fiumane  presso  la  foce,  voleva  pro- 
porre nel  nuovo  porto  di  Pesaro  un  altro  espediente, 
se  la  spesa  per  esso  non  fosse  stata  notabile,  ov- 
vero se  il  beneficio  da  ritrarsene  poteva  ora  essere 
da  me  dimostrato  meritevole  dell'occorrente  dispen- 
dio. Io  pensava  di  proporre,  che  la  sponda  sinistra  del 
canale  potesse  essere  sommergibile,  cioè  avere  la  sua 
altezza  limitata  a  quella  delle  maggiori  maree,  e  la 
rimanente  altezza  della  detta  sponda  sino  al  piano 
stradale,  staccarsi  dall'altra  di  destra  quel  tanto  e 
nella  direzione  che  vedesi  nella  unita  pianta,  figura  I 
linea  tratteggiata.  Questa  più  ampia  sezione  nella  su- 
perficie del  canale  non  avrebbe  in  verun  modo  pre- 


Ul 

giudicuto  la  navigazione,  perchè  Talte/za  della  ripa 
sommergibile  non  essendo  inferiore  al  pelo  delle  pili 
ardite  maree,  avrebbe  sempre  conservato,  nello  sta- 
bilito concavo  canale  di    trenta  metri  di  lunghezza, 
un  corpo  di  acqua  bastante  a  mantenere  scavato  il 
fondo  e  depressa  la  soglia  di  scarico  in  mare,  an- 
che nei    casi    che  il  flutto-corrente  non    vi  avesse 
preso  parte  :  anzi  detta  sezione  avrebbe   permesso 
alle  acque  di  estendere  gran  parte  delle  torbide,  di 
cui  sono  cariche  coleste  grosse  piene  anche  alla  su- 
perficie, in  un  vasto  tratto  di  mare,  e  fuori  e  sot- 
tovento del  canale  navigabile.  Non  è  necessario  av- 
vertire che  questa  orizzontale  golena  dovrebbe  es- 
sere tutta  solida  e  giungere  sino  alla  battiggia  del 
mare,  ove    dovrebbe  con  muro    far    fronte  "al  flutti 
tramontanesi.    L'ultimo  tratto  di  metri    150  della 
sponda   sinistra,  che  s'inoltra  in  mare,  per  sicurezza 
e  per  comodo  della  navigazione  dovrebbe   lasciarsi 
di  altezza  eguale  alla  sponda  destra,  cioè  non  do- 
vrebbe esser  sommergibile.  Quella  specie  di  golena 
avrebbe  inoltre  bisogno-di  essere  ogni  volta  spurgata 
dalle  materie  che  le  acque  vi  lascerebbero  nel  ritirarsi; 
materie  che,  se  ad  altro  uso  non  servissero,  potreb- 
bero esser  gittate  dinanzi  al  muro  di  battiggia,  ove 
dalla  piima  mareggiata  sarebbero  spazzate  ben  lungi 
da  quest'ostacolo  pressoché  verticale    e    resistente. 
Esso  darebbe  la  mano  al  destro  braccio  di  sco£(Iiera 
per    non    permettere  che  a    destra,  a  sinistrammo  di 
fronte  alla  foce  si  trattenessero  materiali   ostruttivi. 
Qualche  cosa  di  simile  al  Porto-di-levante  si  è  an- 
che praticato  nel  porto-canale  Corsini  presso    Ra- 
venna. A  metri  70  dalla  punta  del  molo  di  destra, 


1i2 

cioè  del  più  inoltrato  in  mare  e  che  dal  lido  si  a- 
vanza  per  metri  67,  si  è  costruita  una  palata  iso- 
lata a  traforo  di  metri  50  nel  modo  istesso  di  quella 
del  Porto-di-levante  ;  e  parallelamente  ad  essa  un* 
altra  palata  di  egual  lunghezza  a  metii  40  da  si- 
nistra, formandosi  così  da  entrambe  le  palate  un 
tratto  di  canale  lungo  50  e  lavgo  40  metri.  (Si  veda 
l'unita  pianta  fìg.   II). 

Questo  isolato  lavoro  ,  come  ognun  vede  ,  non 
è  la  ripetizione  di  quello  del  Porto-di-levante  in 
ogni  sua  parte,  e  tanto  meno  del  trovato  Rivera  ; 
ed  esso  sostanzialmente  diversifica  pure  dal  mio 
espediente.  La  palata  di  sinistra  praticata  in  Ra- 
venna toglie  a  quella  di  destra  ,  a  cagione  della 
prossimità  della  prima,  l'utile  ufficio  di  formare  una 
libera  rada  coperta  dai  venti  regnanti  e  dai  dominanti 
di  quel  paraggio,  come  si  presta  la  protrazione  iso- 
lata da  me  proposta  nel  paraggio  di  Pesaro  (1).  La 


(1)  Questa  protrazione  isolata  e  laterale,  die  non  può  dirsi  ante- 
murale, perchè  non  ripara  Jaogni  parte  la  bocca  costituita  dai  due 
iiioli,e  perchè  se  tale  fosse  risulterebbe  presto  e  {gravemente  nocivo  al 
porlo  ove  le  spiagge  camminano,  questa  protrazione  ,  dico,  darà 
prezioso  ricovero  nei  fortunali,  come  già  ho  accennato.  Il  mare 
facilmente  frange  ben  oltre  fuori  delle  palate  o  moli  nel  littorale 
pontificio  dell'Adriatico;  e  quando  i  frangenti  si  moltiplicano,  molto 
pericoloso,  e  spesso  funesto,  si  rende  l'approdo  in  quei  porti-ca- 
nali; quindi  i  bastimenti  sono  obbligati  a  battere  il  mare,  o  cor- 
rere altrove,  e  peggio  ancora. 

Dai  marini  del  porto  Corsini  si  vorrebbe  chiusa  1'  apertura 
formata  dal  tratto  del  sopra  descritto  canale  isolato  e  da  quello  unito 
alla  riva,  perchè  gli  reca  molestia  nell'entrata  del  porto.  Io  credo 
che  abbian  ragione,  dappoiché  quelle  corte  palate  isolate  e  trafo- 
rate non  somministrano  loro  ricovero  né  come  canale,nè  come  rada. 
Essi,  se  vogliono  star  sicuri,  sono  obbligati  a  traversar  quell'aper- 
tura ed  entrare  nel  porlo;  inconveniente  che  non  accadrà  colla  prò- 


US 

telale  mancanza  del  braccio  di  scogliera,  da  me  in- 
nestato al  molo  destro  in  Pesaro,  priva  il  porto  Cor- 
sini di  quei  benefìci  etTetti  che  le  onde  urtando  in 
questo  ostacolo  debbono  dare,  e  quella  palata  es- 
sendo a  traforo  non  può  prendere  veruna  parte  a 
quegli  effetti.  Quel  braccio  è  parte  integrale  del 
mio  espediente:  senza  di  esso  non  si  otterrebbe  o 
non  si  conserverebbe  il  regolare  utile  spurgo  da 
me  pronosticato  ,  e  tanto  necessario  alla  bocca  di 
un  porto;  dappoiché  il  giuoco  de'  flutti,  ossìa  l'ef- 
fetto delle  risacche  sopra  e  sotto-marine,  prodotto 
dalle  sole  testate  delle  due  dighe  che  costituiscono 
la  proposta  apertura,  si  limiterebbe  a  scavare  delle 
profonde  fosse  alla  base  di  dette  testate;  e  nel  mezzo 
dell'  apertura  ,  ed  ivi  presso,  lascerebbe  de'  banchi 
nocivi  alla  libera  navigazione,  come  è  accaduto  nei 
passi  formati  dalle  opere  avanzate  ed  isolate  del 
porto  di  Cette,  ed  in  quelli  di  altri  porti  situati  in 
spiagge  sottili  quando  i  passi  sono  della  larghezza 
conveniente  ai  bisogni  delle  manovre  de'bastimenti 
in  ogni  circostanza.  Ora  sento  che  si  studia  per  to- 
gliere al  porto  Corsini  quei  difetti  che  dall'  eseguito 
lavoro  si  sono  manifestati. 

Io  sottopongo  queste  importanti  questioni  al  sa- 
vio   giudizio   degli    uomini  più  esperti  di   me,    fra' 


trazione  isolata  in  Pesaro,  perchè  in  questa,  quaiulo  il  mare  sarà 
tale  (la  rendere  molto  incomoda  la  traversata  dell'apertura  da  me 
proposta,  i  bastimenti  troveranno  facile  accesso  e  sicura  dimora: 
godendo  poi  nei  tempi  maneggevoli  del  generoso  fondo  di  acqua 
prodotto  da  quell'apertura.  Così  avranno  un  comodo  ed  utile  porto 
nel  maggior  numero  de'  casi  ,  ed  un  sufficiente  ricovero  nei  casi 
di   grosso  mare. 


Ui 

quali  mi  giova  annoveiare  il  citato  esimio  professor 
Vincenzo  Antonio  Rossi.  Egli  sviluppando  delle  giu- 
ste idee  generali  su  i  tristi  effetti  delle  rapide  pro- 
trazioni di  spiaggia  cagionate  dai  materiali  scari- 
cati in  mare  dai  fiumi  e  lasciati  vicino  alle  loro 
foci,  così  conclude  :  «  Onde  è  che  commendevolis- 
simo  trovato  sarebbe  quello,  per  cui  si  riuscisse  alla 
migliore  distribuzione  di  alluvioni  lungo  le  coste  , 
ed  al  più  grande  possibile  allontanamento  di  esse 
dal  luogo  dello  sbocco  de^  fiumi  in  mare  (1)  «.  Or 
bene,  lo  studio  e  la  esperienza  che  egli  possiede  de- 
gli effetti  prodotti  dai  diversi  sistemi  di  armature 
delle  foci,  la  sana  critica  che  egli  è  capace  di  hve  sul 
mal'esito  del  trovato  Rivera  nel  Porto-di-levante  ed 
in  quello  Corsini,  non  che  sulle  mie  riflessioni  rela- 
tive a  coteste  opere  e  sul  sistema  da  me  proposto, 
che  appunto  ha  por  iscopo  principale  quello  di  allon- 
tanare dalle  foci  i  materiali  che  le  ostruiscono  o  ca- 
gionano la  rapida  loro  protrazione  ,  possono  som- 
ministrare lumi  utilissimi. 

Roma  20  ottobre  1856 


(1)  Hdyionimcnlo  sulla  sistemazione  finale   delle  acque  di  Val- 
dichiana  ec.  Annali  delle  opere  pubbliche  citati,   1853  pag.  33. 


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La  Scala  è  nel  rapporto  di  ia  4OOO . 


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Firf.Il. 


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145 

Monografia  della  febbre  miliare. 

Morbum  nihii  esse  alluci,  quam  naiurae  cona- 
men materiae  morbiHcae  exterminationem  ,  in 
aegri  sahitem  omni  ope  molienlis. 

Sydenham. 

CAPITOLO  I. 

Cenno  storico  e  carattere  della  miliare. 


N. 


el  novero  delle  malattie  esantematiche  mostrasi 
la  miliare  d'indole  versatile,  spesso  associata  a  dif- 
^ferenti  morbi,  che  ne  rendono  irregolare  l'anda- 
mento, ed  alterata  in  guisa  la  forma  patologica  da 
muovere  gravissimi  dubbi  sulla  essenza  e  carattere. 
E  di  non  lieve  interesse  pel  clinico  esercizio  lo  studio 
accurato  di  questo  particolare  morbo  eruttivo,  che 
assume  d'ordinario  il  genio  epidemico,  per  cui  aper- 
tamente infierisce,  o  sotto  l'aspetto  di  fraudolente 
mansuetudine  insidia  la  vita.  Per  siffatti  rimarchi 
richiamava  appositamente  le  cure  di  solerti  e  di- 
ligenti osservatori,  che  ne  fecero  obbietto  di  scien- 
tifiche ricerche,  a  fine  di  procurarne  gli  opportuni 
schiarimenti.  Si  mostrarono  pertanto  sì  discordigli 
opinamenti  degli  scrittori  su  tale  argomento,  da  schiu- 
dere largo  campo  a  mediche  disquisizioni.  Infatti  si  è 
dubitato:  1°  della  antica  origine,  riputandola  taluni 
malattia  del  tutto  nuova  comparsa  solo  in  Europa 
da  circa  due  secoli:  2"  si  è  lungamente  discusso  se 
G.A.T.CXLIV.  ^  iO 


146 

debba  ritenersi  morbo  essenziale,  secondario,  o 
sintomatico:  3"  in  fine  se  si  diffonde  con  principio 
contagioso,  o  sì  genera  sotto  qualunque  epidermide 
con  sterile  seminìo.  Nell'esporre  la  storia  di  questa 
particolare  affezione,  uopo  è  tornare  sulle  medesime 
discussioni  di  massimo  rilievo  per  la  pratica  medica, 
che  malgrado  l'eseguite  indagini,  sembrano  tuttora 
suscettive  di  essere  chiarite  da  imparziali  ed  ulteriori 
cliniche  osservazioni.  Unica  base  della  medicina  non 
contaminata  da  prestigi  di  sistematiche  dottrine.  Le 
opere  di  esperti  clinici,  che  partono  da  ragionamenti 
ed  induzioni,  dedotte  da  una  sana  patalogia,  mi  sa- 
ranno di  scorta  in  questa  monografia.  Non  tralascerò 
in  pari  tempo  d'inserirvi  le  proprie  riflessioni,  qua- 
lunque esse  siano,  risultato  di  lungo  esercizio,  e  di 
casi  particolari  di  miliari  occorsimi  nella  pratica.  Al- 
cuni di  essi  di  esito  infausto  vi  saranno  fedelmente 
descritti  a  preferenza,  come  piij  idonei  a  svelare  il 
carattere  di  questo  pericoloso  esantema. 

11  morbo  miliare  prende  la  sua  denominazione 
dalla  eruzione  alla  cute  di  papule,  per  la  forma  e 
grandezza  non  dissimili  dal  seme  di  miglio:  ben  di 
rado  ne  sorpassano  il  volume,  or  rossastre,  or  bianche 
o  cristalline,  talora  miste  piene  in  principio  di  un 
umore  diafano,  indi  puriforme,  per  lo  più  discrete, 
talvolta  confluenti:  il  collo,  l'interno  delle  braccia, 
il  petto,  i  lombi,  sono  le  regioni  le  pili  esposte  alla 
efflorescenza,  che  non  effettuasi  quasi  mai  con  una 
sola  esplosione:  cessata  di  apparire  l'eruzione  in  un 
punto  ,  altra  svolgesene  in  parte  diversa  ,  passato 
breve  intervallo.  Queste  piccole  pustule  vescicolari 
all'apice,  ed  acuminate,  dopo  il  quinto  o  sesto  giorno 


147 

della  loro  manifestazione  si  rompono,  si   disseccano 
e  cadono  in  squame  a  modo  di  forfora. 

Distinti  scrittori  opinarono  che  la  miliare  fosse 
del  tutto  ignota  e  sconosciuta  agli  antichi  medici; 
la  giudicarono  essi  comparsa  la  prima  volta  nel  1652 
nella  Sassonia,  diffusa  in  seguito  nel  resto  dell'Eu- 
ropa. Fu  chiamato  nuovo  morbo  da  Welsch,  nuova 
febbre  da  Sydenham:  Tissot  professò  la  stessa  mas- 
sima, percui  scrisse:  «  A  meno  che  non  si  voglia  ri- 
vocare  in  dubbio  la  parte  storica  della  medicina  , 
la  più  autenticamente  attestata,  si  è  obbligato  dì 
convenire  che  la  febbre  miliare,  cominciò  a  com- 
parire verso  la  metà  dell'ultimo  secolo:  (conchiude 
Tillustre  clinico)  questa  malattia  dunque  ,  come  il 
vaiuolo,  ha  un'epoca  di  origine  fìssa,  e  nota  ».  Non 
mancarono  diligenti  ed  accurati  autori,  che  sosten- 
nero l'opposta  sentenza,  trovandone  tracce  in  Tu- 
cidide nella  descrizione  della  peste  ateniese.  Fan- 
toni  (1)  dottamente  dimostrò  ch'essa  fu  conosciuta 
e  descritta  da  Ippocrate  (2),  Aezio,  (3)  e  da  altri  me- 
dici anteriori  all'epoca  stabilita  da  Welsch:  le  addotte 
ragioni  basano  sull'autenticità  dei  fatti,  da  escludere 


(1)  De  antiq.  et  progressii  febr.   miliar,   pajj.  73. 

(2)  Circa  septimum,  octavum,  et  nonum  diem  (febris  cuiusclam 
epidetnicae)  aspredines  quaedam  miliareae,  culicutn  morsibub  fere 
similes,  quae  tamen  non  admodum  priiriebant,  in  sumnaa  cute  sub- 
nascebantur,  et  ad  iudicationem  usque  perdural)ant .  Ac  ne  eae  qui 
dem  inasculorum  ulli  eruperunt.  Mulier  vero,  cui  talia  fierent,  nulla 
mortua  est:  hebetiore  tamen  erant  auditu,  et  soporosae,  quamvis 
antea  non  admodum  soporosae  esseut,  qnibus  ista  evenire  debebant. 
Hipp.  de  epid.  lib.  2.   sect.   3. 

(3)  Telrabibl.  2  sect.  2  cap.  129, 


U8 

ogni  dubbio  sull'antica  origine,  e  cognizione  di  questo 
esantema. 

Se  l'antica  medicina  delineò  brevemente  e  con 
semplicità  il  morbo  miliare,  devesi  però  ai  secoli 
posteriori,  precisamente  al  decimo  settimo,  il  me- 
rito di  aver  portato  un  nuovo  esame  sopra  questa 
particolare  affezione.  L'epidemia  miliare  di  Lipsia 
descritta  da  Welsch  (1)  diede  impulso  a'  dotti  cul- 
tori della  scienza  di  studiare  meglio  l'indole  di  questo 
malore,  che  incominciò  nell'epoca  accennata  ad  infie- 
rire contro  le  puerpeie;  né  sesso,  nò  età  furono  rispet- 
ta ti  in  seguito.  Videsi  ogni  giorno  estendere  il  suo  do- 
minio sopra  vaste  provincie  germaniche:  l'Inghilterra 
laFrancia,la  Svizzera  rimasero  successivamente  attac- 
cate. Non  tardò  guari  ad  esserne  afflitta  l'Italia  setten- 
trionale, quindi  scrissero  sulla  malattia  con  molta  dot- 
trina Anioni, de  Agostini, Fantoni,  ed  il  sommo  clinico 
Borsieri.  Il  trattato  della  miliare  di  questo  classico 
scrittore,  esposto  con  profonda  erudizione,  acume,  e 
spirito  di  osservazione,  dovrà  ritenersicome  un  codice 
della  scienza  per  esser  sempre  consultato  con  profitto, 
in  una  malattia  cotanto  grave  e  funesta.  Col  diffon- 
dersi la  miliare  in  vari  luoghi  della  nostra  penisola, 
molti  scienziati  nell'ultima  epoca,  ne  fecero  sog- 
getto di  profondi  studi  ed  accurate  indagini:  ed  ap- 
parvero nel  breve  periodo  di  pochi  anni  le  dotte 
memorie  di  Strambio,  Berti,Pollini,  Secondi,  Peno^ 
lazzi,  Beroaldi  e  non  pochi  altri, 


(I)  Historia  medica  novum    puerperarum    morbum  contìnens. 
Disput.  1653. 


149 

Richiamata  còri  maggior  calore  l'attenzione  dei 
pratici  sopra  un  punto  sì  importante  di  patologia 
speciale,  mercè  delle  opere  di  distinti  medici  italia- 
ni, contemporaneamente  esimi  scrittori  di  altre  in- 
civilite nazioni  si  affaticarono  colF  istituire  nuove 
ricerche,  pel  genio  epidemico  che  spesso  assumeva 
la  malattia  nelle  diverse  contrade  di  Europa.  Sor- 
sero le  memorie  di  Gastellier ,  Hamilton,  Gmlin  , 
Salzman  ec.  Dotta  e  di  molto  interesse  è  la  storia 
dell'epidemia  osservata  a  Wittemberg,  descritta  da 
Kreyssing,  in  fine  Rayer,  Alibert,  Simon  nosologi 
di  mali  cutanei,  descrissero  dietro  le  loro  osserva- 
zioni questo  difficile  ed  irregolare  esantema. 

Quantunque  dalla  maggior  parte  degli  scrittori 
non  si  ardisse  negare  alla  miliare  un'epoca  remota, 
trovandone  luminose  tracce  presso  quelli  stessi  au- 
tori, che  vissero  molti  secoli  prima  deirepidemia 
di  Lipsia,  si  asserì  non  esser  mai  morbo  essenziale, 
sempre  secondario  ,  or  sintomatico  ,  or  critico.  Per 
la  medesima  ragione,  aggiungesi,  non  trovasi  accu- 
ratamente delineata  dagli  antichi,  poiché  quelle  affe- 
zioni particolari,  al  dir  di  Cullen  (1),  le  quali  si  ri- 
guardavano ordinariamente  come  accidentalità  sin- 
tomatiche ,  venivano  comunemente  neglette  ,  e  si 
confondevano  l'una  coll'altra,  sotto  una  stessa  ge- 
nerica nomenclatura. 

È  di  grande  utilità  per  l'argomento,  che  ci  oc- 
cupa, esaminare  e  discutere  con  accuratezza  questa 
parte  di  medica  controversia,  che  ha  diviso  le  opi- 
nione dei  più  dotti  medici,  non  senza  danno  della 


(1)  Element.  di  medici n.  prat.  voi.  2  cap.  VII.  trad.  Venez.  1788. 


150 

scienza.  Varie  obbiezioni  insorsero  investigandola  na- 
tura ed  il  carattere  della  nniliare,  irregolare  talvolta 
nel  suo  corso,  fino  al  grado  da  illudere  gli  osservato- 
ri i  pili  attenti  nella  pratica.  Fu  riputata  da  taluni 
sempre  morbo  secondario,  sintomatico,  come  essen- 
ziale ,  idiopatico  all'opposto  da  altri  considerato  e 
descritto.  Prima  di  ogni  altro  esame  è  necessario 
premettere  il  quadro  nosologico  dell'esantema,  scevro 
da  qualunque  complicazione,  e  da  anomalie:  circostan- 
ze rimarchevoli  per  non  cadere  nella  confusione,  che 
trovasi  sovente  in  molti  autori,  che  trattarono  que- 
sta stessa  materia  ,  senza  distinzione  veruna. 

Sebbene  l'eruzione  non  è  preceduta  e  seguita  , 
secondo  alcuni  pratici,  da  segni  prodromi,  e  con- 
comitanti ,  costanti  e  caratteristici ,  percorre  ciò 
non  ostante  i  periodi  comuni  agli  altri  morbi 
esantematici.  Ciascun  individuo  minacciato  da  im- 
minente sviluppo  della  malattia  lagnasi  di  un  sen- 
so di  mal  essere  e  lassezza  ,  che  lo  aliena  dalle 
ordinarie  occupazioni:  la  traspirazione  cutanea  di- 
viene più  sensibile  ,  spesso  la  pelle  copresi  di  su- 
dore, il  polso  appena  si  allontana  dal  suo  stato 
naturale.  In  questo  primo  periodo  il  morale  ha  già 
subito  dei  cambiamenti:  melanconia,  inquietudini, 
sonno  turbato  ed  interrotto,  timore  ec.  agitano  lo 
spirito.  A  siffatti  forieri  morbosi,  altri  fenomeni 
succedono,  cioè  brividi  seguiti  da  calore,  prostra- 
zione di  forze,  lingua  coperta  di  uno  strato  bianco- 
giallastro,  anoressia  ,  dolore  pungente  ora  in  un 
punto  ,  ora  nell'altro  del  corpo  ,  sudore,  copioso  , 
viscido  di  un  odore  particolare  ,  disaggradevole  , 
non  critico,  poiché  non  porta  alleviamento,  oppres- 


151 

sione  di  petto  con  stringimento  ai  precoi-di,  respi- 
razione difficile,  irregolare,  ansietà,  sospiri,  abbat- 
timento di  spirito.  Febbre  mite  in  principio,  ma  a 
misura  che  il  male  inoltrasi  diviene  più    intensa  • 
si  manifesta  facilmente  il  delirio,  congiunto  a  sus- 
sulto di  tendini:  polso  duro,  ed  intermittente,  senso 
di  stupore  pungitivo  nelle  dita,  o  invece    crampi  , 
tosse  secca  e  molesta,  eritema  alle  fauci,  degluti- 
zione incomoda,  massima  agitazione  di  spirito  dei 
malati  ,  i  quali  temono  di  un  esito  infausto    della 
malattia.  Con  tal  treno  sintomatico,  tra  l'orgasmo 
in  CUI  vedesi  l'infermo,  e  la  titubanza  del  medico,' 
per  non  potere  sempre  assegnare  una    sicura    dia- 
gnosi   al    morbo  ,  in    specie   se   attacca    in    modo 
sporadico,  dopo  un  tempo  più   o    meno    protratto, 
mcomincia  ad  apparire    una  leggiera    efflorescenza 
in  alcuni  punti  della  cute,   talora  in  forma  di    pic- 
cole macchie,  che  indi  si  elevano,  protuberano  ,   e 
prendono  l'aspetto  dei  semi  di   miglio:  oppure,  ciò 
che  più  di  frequente  accade.  la  pelle  diviene  aspra  al 
tatto,   anserina,  ed  osservata  con    diligenza    distin- 
guesi  l'eruzione  miliare,  ch'esclude  ogni  dubbio  sul 
carattere  del  male. 

Manifestato  alla  cute  il  virus  esantematico  con 
una  completa  eruzione,  la  fierezza  dei  sintomi  am- 
mansisce,  il  sistema  nervoso  turbato  da  spasmodie, 
crampi,  moti  convulsivi  ec.  ritorna  nella  calma,  la 
febbre  diviene  mite,  la  dispnea  e  l'ansietà  cessano, 
le  orine  da  limpide  acquistano  un  sedimento,  dimi- 
nuisce lì  sudore,  cede  l'orgasmo,  il  malato  diviene 
più   tranquillo. 


152 

L'eruzione  si  mostra  in  qualunque  punto  della  pe-» 
riferia  del  corpo,  non  rispetta  in  alcuni  casi  la  stessa 
membrana  gaslro-pulmonica.  Le  regioni  le  più  sog- 
gette sono  le  parti  laterali  del  collo,  il  petto,  l'in- 
terno delle  braccia  ,  l'addome  :  sono  le  papule  ta- 
lora si  poco  prominenti  e  minute,  che  sfuggono 
alla  vista:  per  distinguerle  conviene  guardare  la  cute 
obbliquamente,  o  ricorrere  al  tatto.  Non  mancano 
esempi,  in  cui  si  sono  vedute  acquistare  la  gran- 
dezza del  vainolo:  però  il  loro  volume  ordinario 
eguaglia  i  grani  di  miglio  ,  ripiene  di  un  umore 
bianco,  diafano,  che  dopo  pochi  giorni  passa  in 
giallognolo,  finiscono  coll'appassire ,  scomparendo 
coll'ordine  successivo  della  loro  comparsa,  con  di- 
stacco di  cuticola.  In  fine  di  male  il  ventre  si  apre, 
le  deiezioni  sono  fetide  e  biliose,  le  orine  torbide, 
accompagnate  da  sedimento,  nello  spazio  di  circa 
due  settenari,  l'esantema  miliare  semphce  e  nor- 
male trovasi  ordinariamente  giudicato. 

Pertanto  ben  diverso  è  il  corso,  e  sovente  fa- 
tale l'esito  della  miliare  complicata,  ed  anomala  , 
come  in  seguito  sì  avrà  campo  di  osservare.  As- 
sociasi con  facilità  a  malattie  anche  di  natura  e 
d'indole  opposta,  risultandone  delle  complicazioni 
morbose  con  sintomi  sì  svariati,  da  spargere  non 
pochi  dubbi,  se  debba  ritenersi  moi'bo  primario, 
indipendente  ,  ovvero  secondario.  Clinici  dotti  e 
sperimentati,  non  che  distinti  scrittori,  adottarono 
principii  diversi.  Borsieri,  Stork,  Allioni,  Tissot,  Vo- 
gel,  Aliberl,  Rayer,  Valentini  ec.  sostennero  essere 
affezione  essenziale  sui  generis;  Gullen,  de  Haen,  P. 


153 

Frank,  Chomel  ec.  la  giudicarono  sempre  secondaria, 
sintomatica. 

Colóro  che  la  credono  secondaria  con  asseveranza 
affermano,  che  la  così  detta  febbre  miliare  non  essendo 
rappresentata  da  un  complesso  di  segni  caratteristici, 
come  la  febbre  scarlattina,  la  febbre  vaiolosa  ec,  dover- 
si considerare  l'eruzione  un  semplice  epifenomeno  di 
altro  morbo  febbrile.  La  sintomatologia  stessa  espo- 
sta da  molti  scrittori  con  sì  gran  confusione,  ed  os- 
servata in  varie  epidemie,  d'attribuirsi  piuttosto  alla 
febbre,  che  alla  efflorescenza  miliare.  Si  è  veduta 
in  talune  costituzioni  epidemiche  apparire  in  tutti 
gl'infermi,  attaccati  da  morbi  acuti  :  de  Haen  l'os- 
servò unita  a  malattie  adinamiche  ed  atassiche  ; 
Bouteille  vide  delle  papule  miliari  manifestarsi 
nelle  esacerbazioni  febbrili,  sostenute  da  impegno 
organico  ;  Gastellier  spesso  nelle  puerpere  con  i 
sintomi  ordinari  della  febbre  lattea  ;  Cullen  nelle 
febbri  puti-ide  ;  P.  Frank  nelle  febbri  nervose,  ga- 
striche, infiammatorie  ;  accompagna  la  scarlattina  , 
il  vainolo,  il  morbillo,  il  tifo,  e  non  poche  altre 
primarie  patologiche  alterazioni.  Altri  marcati  ca- 
ratteri, soggiungono,  fanno  differire  questa  eruzione 
da  tutti  gii  altri  esantemi  essenziali:  non  si  sviluppa 
in  alcun  tempo  determinato  della  malattia:  il  periodo 
della  sua  durata  non  è  costante:  successive  eruzioni 
veggonsi  apparire,  durante  il  corso  della  medesima 
febbre:  lo  stesso  individuo  può  esserne  affetto  più 
volte  durante  la  vita.  Dai  quali  fatti  risulta,  sono 
parole  di  Chemel  (1)  :   1."  che  non  esiste  un  male 


(1)  Diz.  delle  .scienze  mediche  art.  Miliar. 


154 

peculiare,  cui  debbasi  nominare  febbre  miliare  :  2." 
che  il  medico  deve  limitarsi  a  studiare  la  eruzione 
di  questo  nome,  sotto  l'aspetto  delle  condizioni  , 
nelle  quali  essa  sopraggiunge,  delle  cause  che  la 
provocano  ,  delle  forme  ch'essa  presenta  ,  del  suo 
corso  ,  della  sua  durata  ,  dei  suoi  esiti,  dei  segni 
prognostici,  e  delle  indicazioni  terapeutiche,  che  può 
somministrare. 

Non  così  ragionarono  altri  celebri  scrittori ,  i 
quali  mentre  asseriscono  di  aver  osservato  spesso 
nel  piatico  esercizio  la  miliare  complicata  a  morbi 
differenti,  sostengono,  avendo  un  numero  troppo 
grande  di  fatti  in  appoggio,  essere  esantema  essen- 
ziale ,  perchè  costituita  ,  quando  non  è  associata 
ad  altro  male,  da  una  sintomatologia  propria,  ha 
un  corso  conforme  ad  altre  malattie  primarie  esan- 
tematiche, in  fine  trovasi  ordinariamente  giudicata 
dietro  alcune  critiche  evacuazioni.  I  segni  prodromi 
furono  sovente  di  scorta  a  medici  distinti  per  pre- 
sagire l'eruzione  «  in  aegros  incidi  (scrisse  Borsieri  (1) 
in  quibus  ex  consuetis  signis  miliarem  morbum  pme- 
dixi,  et  reapse  paido  post  miliaris  eruptio  contigit  ». 
I  sintomi  caratteristici,  che  comunemente  precedono 
e  costituiscono  la  miliare,  si  riducono  ad  una  grande 
ansietà  ,  oppressione  ai  precordi ,  fìtte  dolorose  e 
pungenti  alla  cute ,  seguite  da  copioso  sudore , 
ch'emana  un  odore  ingrato,  abbattimento  morale, 
ed  al  dir  d'Allioni,  un  senso  di  stupore  pungitivo 
nelle  dita. 


(1)  Insili  med.  pract.  voi.  IV.  cap.  XI  de  morb.  miliar.  §.  383. 
Yen.   1788. 


155 

Percorre  l'efflorescenza  miliare  gli  stadi  comuni  ad 
ogni  esantema.  Apparisce  sotto  l'aspetto  di  macchie,  o 
noduli,  che  formano  il  periodo  di  eruzione;  si  elevano 
in  vescichette  ripiene  di  un  umore  diafano,  che  dopo 
qualche  giorno  s'intorbida,  e  passa  in  giallognolo,  o 
puriforme,  stadio  di  maturazione,  succede  il  dissec- 
camento e  la  desquamazione.  Accaduta  l'eruzione 
vi  è  cedenza  di  sintomi,  diminuzione  di  febbre , 
indizi  che  un  virus  particolare,  ha  abbandonato 
gl'interni  organici  tessuti  ,  si  è  determinato  alla 
cute. 

La  retrocessione  istantanea,  se  non  sempre  è  le- 
tale, cagiona  spesso  malattie  croniche  ed  incurabili. 
Assisto  attualmente  una  malata,  scriveva  Tissot  (1), 
afflitta  da  due  anni  da  tosse,  che  contrasse  in  Ale- 
magna  dopo  una  miliare,  che  sparì  troppo  presto: 
poco  dopo,  soggiunge,  fui  consultato  per  una  dama 
assalita  da  idrope  di  petto,  il  di  cui  male  cominciò 
con  una  tosse  violenta,  dopo  una  miliare  retropulsa. 
Il  facile  passaggio  del  fomite  esantematico  dalla  ester- 
na periferia  ai  visceri,  palesa  i  rapporti,  che  ha  col 
vaiuolo,  morbillo  ec.  poiché  l'abbassamento  repentino 
delle  pustule  in  questi  ultijni  morbi  induce  malattie 
analoghe  alle  suindicate.  Se  tardi  comparve  la  milia- 
re, osservarono  de  Haen.  (2)  ed  Andrai  apparire  il  va- 
iuolo dopo  alcune  settimane:  la  miliare  se  associasi  fa- 
cilmente ad  altri  mali,  vide  lo  stesso  de  Haen  (3)  mani- 


fi)  Leltr.  à  M.  Hirzel. 

(2)  Ibid.  pag.   106. 

(3)  Ratio  medendi  lom.  2.  pag.    H8. 


150 

festarsi  il  vajuolo  nel  decimottavo  giorno  in  un  in- 
fermo assalito  da  peripneanionia,  dalla  porpora,  dalla 
disenteria.  L'aver  veduto  in  alcune  epidemie  mosti  ar- 
si l'eruzione  miliare  in  tutt'i  malati  presi  da  morbi 
acuti,  nulla  toglie  al  suo  carattere  essenziale,  os- 
servandosi altrettanto  accadere  in  qualsivoglia  co^ 
stituzione  epidemica.  Rimarca  in  proposito  Massa 
che  tutte  le  malattie  intercorrenti  assumono  il  ca- 
rattere della  peste,  allorché  essa  epidemicamente 
infierisce:  lo  stesso  abbiamo  noi  costantemente  ve- 
rificato nelle  diverse  ricorrenze  dell'indiana  lue. 

E  occorso  di  vedere  riprodotto  dopo  brevissimo 
intervallo  l'esantema  con  tutto  l'apparato  sintoma- 
tico, che  lo  distingue:  la  qual  cosa  sicuramente  si 
avvera,  tostochè  trovasi  sospeso,  non  distrutto,  il 
processo  di  operazione  chimico-vitale  del  contagio. 
Il  male  sembra  in  apparenza  cessato  ,  quando  in 
effetto  non  è  che  interrotto  il  suo  corso  ordinario; 
quindi  è  che  deve  di  nuovo  insorgere,  tolti  gli  o- 
stacoli,  che  si  opponevano  al  regolare  suo  anda- 
mento. Perciò  fuor  di  proposito  credesi  assalito  una 
seconda  volta  lo  stesso  soggetto,  mentre  nel  mede- 
simo altro  non  avvenne  che  la  recrudescenza  della 
malattia.  Né  queste  anomalie  sono  proprie  del  solo 
morbo  miliare:  osservansi  bensì  in  tutt'i  mali  acuti 
d'indole  contagiosa.  Il  Ch.  Valli  (1)  parlando,  an- 
ch'egli,  della  peste,  di  cui  fu  vittima  per  soverchio 
zelo  della  scienza,  fa  riflettere  che  prendere  si  possono 
su  tal  rapporto  abbagli  significanti:  che  se  il  nuovo  as- 
salto succede,  appena  superato  il  primo,  dovrà  essere 


(I)  Brera.  Sui  contagi.  §.   175 


h 


157 

considerato  siccome  continuazione  di  uno  stesso  cor- 
so di  malattia.  Se  poi  invade  la  seconda  volta  dopo 
lungo  spazio  di  tempo,  devesi  alla  riprodotta  indi- 
viduale predisposizione,  che  rende  suscettiva  la  mac- 
china a  risentire  di  nuovo  indistintamente  l'azione  di 
qualunque  potenza  contagiosa:  la  qual  cosa  ha  luogo 
in  specie,  se  la  prima  infezione  non  fu  violenta. 

Videro,  non  v'ha  dubbio,  i  pratici  delle  papule 
migliarose  in  differenti  ed  opposte  malattie,  donde 
trassero  motivo  per  credere  sempre  l'eruzione  sinto- 
matica. Gravissimo  errore  ch'ebbe  origine,  e  si  so- 
stenne, per  non  avere  distinta  la  miliare  essenziale, 
rappresentata  da  caratteri  fisico-anatomici  propri  ed 
esclusivi,  dalla  efflorescenza  miliariforme,  la  quale 
apparisce  talvolta  in  morbi  sì  acuti,  che  cronici.  Era 
riservato  questo  studio  analitico  ai  moderni  pato- 
logi, i  quali  con  ogni  maniera  di  sperimenti  si  re- 
sero benemeriti  della  scienza,  col  portare  degli  schia^ 
rimenti  in  una  questione  si  diffìcile  ed  interessante 
per  la  pratica,  mercè  un  attento  esame  sui  caratteri 
differenziali  fisico-anatomici,  che  separano  le  due 
distinte  affezioni,  come  meglio  si  dismostrerà  in 
seguito  ,  dietro  la  scorta  e  le  investigazioni  di  e- 
sperti  clinici. 

La  miliare  ricorre  ordinariamente  epidemica:  lo 
stesso  genio  hanno  il  vaiuolo,  la  rosolia,  il  morbillo 
ec.  Le  anomalie  più  frequenti  in  essa,  che  negli  al- 
tri esantemi ,  coi  quali  si  è  paragonata  ,  indicano 
che  ciascun  morbo  deve  necessariamente  presen- 
tare delle  particolarità,  per  cui  da  ogni  altro  tro- 
vasi separato  e  distinto.  Queste  due  affezioni,  scri- 
veva Tissot  (  miliare,  e  vaiuolo  ) ,  hanno  dei  ca- 


158 
ratteri  comuni,  egualmente  frequenti  in  amendue  , 
e  ne  hanno  degli  altri  parimenti  comuni ,  ma  più 
frequenti  nell'una ,  che  nell'altra  :  ognuna  ne  ha 
dei  particolarissimi,  e  si  è  ben  in  diritto  di  con- 
chìudere,  che  l'una  è  malattia  del  tutto  così  pri- 
mitiva ed  essenziale,  come  l'altra.  Andrai  (1)  nel 
descrivere  accuratamente  un  caso  di  febbre  eruttiva, 
che  mostrava  i  segni  caratteristici  della  miliare  es- 
senziale, conchiude  :  «  Così  rilevante  questo  genere 
di  eruzione  ,  non  può  guari  esser  riguardato  qual 
semplice  risultato  meccanico  di  una  traspirazione 
cutanea  copiosissima,  sembra  che  debbasi  ritenere 
come  affezione  particolare  della  cute.  Infatti  molte 
volte  noi  abbiamo  osservati  sudori  non  meno  co- 
piosi, né  meno  prolungati  in  individui,  la  cui  pelle 
non  erasi  mai  coperta  di  papule  miliari.   » 

Complessivamente  riguardata  la  miliare,  prece- 
duta cioè  e  seguila  in  tutto  il  suo  andamento  da  par- 
ticolari fenomeni,  che  la  distinguono,  a  misura  che 
scaturisce  l'eruzione,  scorgesi  diminuzione  di  feb- 
bre ed  alleviamento  di  sintomi,  vedesi  in  fine  per- 
correre i  periodi  comuni  ad  altri  essenziali  esantemi: 
uopo  è  convenire  della  sua  natura  idiopatica,  e  sta- 
bilire contro  la  massima  di  Chomel  :  1.°  ch'esiste 
un'affezione  primaria,  chiamata  febbre  miliare:  2.° 
che  il  medico  è  tenuto  a  studiarne  l'etiologìa,  l'in- 
dole, il  corso,  l'esito,  e  le  indicazioni  terapeutiche, 
non  col  giudicare  l'eruzione  un  semplice  epifenomeno 
di  altra  malattia,  o  effetto  di  accidentalità  sintoma- 
ca,  ma  come  morbo  a  se,  ed  indipendente. 


(1)  Clinica  med.  osservazione  63  voi.  3  p.  266  traci.  Milano  1832. 


159 
CAPITOLO  II. 

Divisioni  che  si  fecero  della  miliare  ,  e  caratteri 
particolari,  che  servono  a  distinguere  la  miliare 
essenziale  dalla  eruzione  miliariforme. 

Diversi  nomi  si  assegnarono  a  questa  particolare 
affezione.  Pietro  de  Castro  la  chiamò  febris  culica- 
m,  Hoffmann  febris  alba  miliaris,  si  disse  febris  es- 
serosa  da  Zacuto  Lusitano,  purpiira  alba  da  Salzman, 
miliare  lattea  da  Puzos.  Ludwig ,  Gastellier  ,  Ha- 
milton, Sydenham,  Juncker  ec.  la  descrissero  sotto 
differenti  denominazioni:  la  qual  cosa  è  di  poco,  o 
niun  rilievo  per  la  scienza.  I  pratici,  per  meglio 
conoscerne  la  natura  e  l'indole,  divisero  la  miliare 
in  febbrile  ,  apiretica  ,  cronica  ,  in  discreta  e  con- 
fluente ,  in  bianca  ,  rossa  ,  cristallina  ,  in  critica  e 
sintomatica,  in  benigna  e  maligna  ec.  Distinzioni  ba- 
sate sugli  estrinseci  caratteri,  più  che  nell'essenza 
della  malattia,  non  corrisposero  allo  scopo.  11  eh. 
Allioni  (1)  nella  sua  insigne  monografia  della  miliare 
la  divise  in  semplicissima,  semplice,  e  complicata. 
Chiamò  febbre  miliare  semplicissima,  quando  l'esan- 
tema non  è  congiunto  a  verun  altro  morbo  :  feb- 
bre miliare  semplice,  allorché  il  suo  primo  periodo 
è  larvato  :  febbre  miliare  complicata,  se  si  presenta, 
come  un  fenomeno  spontaneo  in  una  malattia  dif- 


(1)  Tractatio  de  miliarum    origine,  progressi!,  natura,    et  cu- 
ratione.  Aiigustae  Taiiriiionim  1758. 


160 
ferente.  Alibert  (1)  la  distingue  in  miliare  normale 
(miliaria  genuina,  vel  simplex)  che  ha  periodo  fisso 
con  andamento  ne  celere,  né  lento,  va  esente  da 
ogni  complicazione,  ed  è  spesso  sporadica.  In  mir 
liare  anormale  (miliaria  anorrnis)  presenta  fenomeni 
insoliti,  e  di  frequente  adduce  gcavi  accidenti,  dopo 
di  aver  principiato  con  sembianze  lusinghiere  ;  alle 
volte  i  suoi  preludi  sono  spaventevoli:  in  certi  casi 
si  complica  con  sintomi  inflammatorii  di  molta  im- 
portanza. Hamilton  ne  fece  due  categorie,  cioè  sem- 
plice e  complicata  :  considerò  si  l'una,  che  l'altra 
d'indole  maligna,  non  ritenne  per  esantema  miliare 
che  l'eruzione  bianca.  Piacque  a  Gerik  di  dividerla 
in  idiopatica,  sintomatica,  e  complicata.  Scrittori 
che  osservarono  delle  costituzioni  epidemiche,  che 
infierirono  con  sintomi  perniciosissimi,  e  per  lo  più 
letali,  convennero  che  non  dovevasi  considerare  per 
morbo  miliare  ,  che  la  sola  specie  maligna  ;  quei 
casi,  in  cui  l'eruzione  non  era  unita  a  febbre,  ov- 
vero mite  con  andamento  regolare,  li  giudicarono 
appartenere  ad  altra  sezione  di  morbi  eruttivi. 
Opinarono  altri  che  fosse  affezione  propria  ed  e- 
sclusiva  delle  paurpere,  come  non  si  è  mancato  di 
esporre  che  la  miliare  puerperale  dovesse  credersi 
differente  dal  morbo  miliare  epidemico.  In  fine  si 
asserì  che  fosse  l'effetto  di  regime  e  cura  cale- 
faciente, mossa  da  cause  estrinseche,  perciò  morbo 
fattizio,  che  poteva  evitarsi,  ed  anche  negligersi 
l'eruzione   senza    temerne  verun    danno. 


(1)  Trattato  delle  malaUie  della  pelle  pag.  121  trad.  Ven.  1835. 


l 


161 

Lafebbrenon  si  associacostanlemente  alla  miliare: 
segue  questo  morbo  il  genio  degli  altri  acuti  esan- 
temi: allorché  è  d' indole  benigna  può  essere  api- 
retica. Fantoni  (1)  sostenne  che  la  miliare  senza 
febbre  è  comune  quasi  a  tutte  le  nazioni,  corri- 
sponde a  quell'affezione  che  Ippocrate  e  gli  altri  scrit- 
tori greci  chiamarono  idroa,  i  latini  sudamina.  Fo- 
resto, Fernelio,  Allioni,  Damilani,  Borsieri,  profes- 
sarono la  medesima  opinione;  ritennero  che  l'efflo- 
rescenza cutanea  detta  idroa  dai  greci  ,  sudamina 
dai  latini,  non  dovesse  valutarsi  in  alcun  modo  di- 
versa dalla  miliare  esantematica.  Lo  stesso  Bor- 
sieri, che  osservò  in  varie  malattie  acute  ,  e  nelle 
stesse  febbri  intermittenti  una  eruzione  pustulare  di 
aspetto  analogo  alla  miliare  ,  la  disse  secondaria , 
sintomatica.  » 

L'avere  distinta  la  pustulazione  mìliariforme,  os- 
sia l'idroa,  dalla  vera  eruzione  miliare,  procurando  di 
assegnarne  i  caratteri  speciali ,  che  separano  1'  un 
morbo  dall'  altro ,  è  opera  dei  moderni  patologi. 
Quali  elogi  essi  meritano,  se  saldi  rimangono  gl'in- 
trapresi  sperimenti,  ogni  medico  pratico  ben  lo  vede, 
per  gli  schiarimenti  che  riceverebbe  una  questione 
sì  interessante  e  difficile  ,  per  cui  divise  furono  le 
opinioni  dei  più  distinti  clinici.  C-onoscendo  d'  al- 
tronde di  quanta  utilità  sia  per  la  medicina  speri- 
mentale, e  per  l'argomento  che  si  discute,  pi'ofìt- 
tare  dei  nuovi  lumi  somministrati  da  molti  dotti  e 
diligenti  osservatori,  li  seguiremo  fedelmente   nelle 


(I)  Oper.  citat. 

G^\.T.CXL1V.  11 


162 

loro  investigazioni    anatomico-patologiche  ,  che  ri- 
guardano le  accennate   eruzioni. 

Sebbene  non  sia  difficile  distinguere  alcune  for- 
me morbose  cutanee,  che  hanno  una  qualche  appa- 
rente somiglianza  colla  miliare  esantematica,  come 
sono  l'erpete  pustoloso  miliare  di  Rayer,  che  sce- 
slie  le  regioni  temporali,  non  vi  è  desquamazione, 
ed  è  molto  mite:  l'erpete  flittenoide  di  Willan,  for- 
ma delle  bolle  disposte  a  corona,  ed  è  fugace  :  la 
formica  miliaria  di  Avicenna,  sono  pustule  ambula- 
tive:  l'eczema  miliario  rosseggiante  è  di  brevissima 
durata:  il  penfigo  ,  il  varo  miliare,  l'erpete  milia- 
rico  di  Sennerto  ,  non  possono  affatto  confondersi 
colla  miliare  essenziale,  per  i  loro  distintivi  carat- 
teri. Non  così  avviene  dell'  idroa  ,  o  sudamina  ,  e 
dell'olophlvctie  hydroica  di  Alibert.  Queste  affezioni 
della  pelle  (che  in  concreto  non  sono,  che  1'  idroa 
dei  greci)  hanno  tanta  analogia  colla  miliare  esan- 
tematica, che  molti  autori  invece  di  occupars.  dei 
criteri  diagnostici,  per  ben  distinguerle  e  separar- 
le, conosciuta  la  somma  difficoltà,  amarono  meglio 
confonderle  e  riunirle  in  una  sola  categoria,  sotto  il 
generico  concetto  di  eruzione  miliare.  Recentissimi 
scrittoli,  che  trattarono  l'argomento  ,  distinsero  la 
miliare  essenziale,  idiopatica,  dall'eruzione  miliari- 
forme,  0  idroa,  sovente  epifenomeno  di  altro  mor- 
bo. Se  con  esame  analitico,  ed  esatto  confronto  dei 
sintomi  patognomonici  di  queste  particolari  affezio- 
ni, di  accordo  coi  caratteri  differenziali  anatomico- 
patologici  ,  che  presenta  ciascuna  eruzione ,  si  po- 
tesse sempre  giungere  a  distinguere  l' una  forma 
morbosa    dall'altra ,    un  gran    servigio    si    sarebbe 


163 

reso  alla  scienza,  e  tolti  i  pratici  dal  penoso  bivio, 
che  li  rende  spesso  incerti  e  sospesi  nella  diagnosi 
di  sì  grave  ed  irregolare  malattia. 

Ammesso  il  principio  che  un  virus  particolare, 
come  ben  si  dimostrerà  in  seguito,  è  la  causa  pa- 
togenica  della  miliare  esantematica,  tutt'  i  fenomeni 
che  appariscono  nel  suo  decorso  ,  per  quanto  sia 
blanda  la  malattia,  sono  sempre  in  stretto  rapporto 
coir  elemento  eterogeneo,  o  fomite  contagioso  ,  da 
cui  vennero  suscitati.  Questo  morbo  eruttivo,  a  so- 
miglianza degli  altri  esantemi,  ha  sintomi  propri  e 
caratteristici,  massime  quando  è  semplice  ,  e  sce- 
vro da  accidentali  complicazioni.  Ove  però  vi  si  as- 
socia una  profonda  condizione  patologica  a  carico 
di  qualche  viscere,  cioè  forma  congestiva,  processo 
flogistico,  oppure  elmintiasi,  apparato  gastrico  ,  in- 
normalità nel  sistema  nervoso,  si  smarriscono  e  si 
perdono  il  tipo,  gli  stadi,  l'andamento,  confusa  ed 
irregolare  mostrasi  la  stessa  sintomalogia.  In  mezzo 
al  novero  dei  sintomi  accidentali,  a  varietà  di  for- 
me, ed  a  periodi  misti,  non  può  conservare  il  male 
una  certa  essenzialità  di  corso  ,  che  possa  servire 
di  norma  ad  un  attento  osservatore  per  assegnare  le 
demarcazioni,  e  fissare  i  distintivi  caratteri,  che  se- 
parano questo  esantema  dall'eruzione  fortuita  mi- 
liariforme,  che  talvolta  manifestasi  in  alcune  ma- 
lattie febbrili,  prodotte  da  comuni  cause  nocive. 

Distinti  pratici,  come  Andrai,  Luis,  Barbier,  Pe- 
nolazzi,  si  occuparono  particolarmente  dei  caratteri 
fisici  delle  vescicule  miliariformi.  Riconobbero  che 
esse  compariscono  in  modo  subitaneo,  senza  infiam- 
mazione visibile,  senza  prurito,  o  bruciore:  si  man- 


164 

tengono  in  tutta  la  loro  durata  globose  ,  limpide  , 
cristalline:  laceransi  facilmente,  senza  lasciare  trac- 
cia sul  derma:  non  vi  è  regolarità  di  stadi,  né  de^ 
squamazione.  I  preaccennati  caratteri  possono  senza 
dubbio  somministrare  non  pochi  lumi  al  medico  cli- 
nico, allorquando  la  fioritura  cutanea  miliariforme 
è  semplice,  e  procede  disgiunta  da  accidentali  eve- 
nienze :  ma  se  invece  mostrasi  una  eruzione  ve- 
scicolare in  una  malattia  complicata,  a  periodo  i- 
noltrato  con  sintomi  di  grave  processo  patologico 
in  un  organo  interessante  alla  vita,  o  centro  del  si- 
stema nervoso  ,  accompagnata  da  generale  e  pro- 
fuso sudore,  allora  è  cosa  ben  difficile  distinguere 
la  miliariforme  dalla  vera  eruzione  miliare,  in  par- 
ticolare, se  cristallina,  essendo  molto  affini  gli  este- 
riori caratteri  delle  papule  nelle  indicate  affezioni. 
Videro  perciò  i  pratici  che  non  erano  sufficienti  la 
forma  estrinseca,  ed  i  caratteri  fisici  dell'  eruzione 
per  la  soluzione  del  quesito.  Seguendo  le  orme  del- 
l'illustre  Cotugno  (1)  che  con  dotte  ed  accurate 
ricerche  anatomico-patologiche  stabili  la  sede  del 
vaiuolo,  rivolsero  anch'essi  in  questi  ultimi  anni  i  loro 
studi  agli  elementi  anatomici  delle  pustule  ,  onde 
acquistare  un  più  sicuro  criterio  per  meglio  discer- 
nere e  classificare  in  alcuni  casi  particolari  siffatte 
incerte  ed  equivoche  cutanee  manifestazioni. 

Scienziati  e  dotti  alemanni,  come  Simon,  Henle, 
Krause  ,  Kòlliker  ,  Seitz  attesero  con  laboriose  ed 
utili  indagini  microscopiche  ad  estendere  sempre  pili 
i  confini  della  scienza  anatomica  con    nuove    scor. 

(t)  De  sedibus  variolarum.  Neap'   1773. 


165 

perle.  Giunsero  pertanto  con  pazientissimi  sperimen- 
ti ad  osservare  e  descrivere  gli  stami  della  più  fina 
organica  tessitura.  Né  si  limitarono  questi  diligenti 
osservatori  alla  sola  parte  anatomica:  applicarono  alla 
patologia  gli  stessi  studi,  e  non  poco  vantaggio  ne 
ritrassero  le  malattie  cutanee,  come  lo  prova  l'opera 
esimia  di  Simon  Delle  malattie  della  cute,  ricondotte 
ai  loro  elementi  anatomici.  Seguendo  dunque  i  det- 
tami di  scrittori  sì  benemeriti  ,  a  cui  debbonsi  le 
ultime  scoperte  anatomico-patologiche  dell'  organo 
cutaneo,  desunte  dalle  osservazioni  microscopiche, 
profitteiremo  delle  loro  interessanti  ed  utili  cogni- 
zioni, ad  oggetto  di  stabilire  delle  differenze  carat- 
teristiche tra  la  miliare  esantematica  e  l'eruzione 
miliariforme.  Per  raggiungere  l'importantissimo  sco- 
po, è  indispensabile  premettere,  a  norma  dei  nuovi 
principii  microscopici,  la  descrizione  anatomico-fisio- 
logica del  sistema  dermico,  qual  sede  della  malattia. 
La  cute  non  e  costituita  semplicemente  di  tre 
diversi  strati,  siccome  crede  vasi  dai  passati  anato- 
mici, cioè  epidermide,  reticolo  malpichiano,  derma, 
0  corion:  inorganici  i  primi  due,  vascolare  e  ner-- 
voso  il  terzo,  disseminata  soltanto  di  vasi  inalanti 
di  glandolo  sebacee,  e  balbi  di  peli.  Nuove  scoperte 
dovute  agli  strumenti  ottici  hanno  dimostrato  che 
essa  racchiude  un'  ordine  particolare  di  glandole  , 
dette  sudorifere  dalla  funzione  che  compiono.  L'e- 
pidermide non  è  di  un  solo  strato  formata  ,  quale 
apparisce  ad  occhio  nudo,  ma  è  il  risultato  di  pie-* 
cole  e  sottilissime  lamine  le  une  alle  altre  sotto- 
poste e  congiunte.  Avvi  un  lasso  tessuto  cellulare, 
chiamato    unitivo      nelle     cui    cellule  trovasi    rac- 


166 

colto  dell'adipe:  esso  ha  per  officio  di  connettere  la 
cute  colle  parti  vicine.  Negli  strati  profondi  del  co- 
rion osservansi  delle  fibrillo  ,  che  appartengono  al 
tessuto  musculare  descritte  da  Henle,  sotto  il  nome 
di  fibre  nucleari.  Veggonsi  delle  piccole  prominenze 
coniche  sparse  in  tutta  la  superficie  del  derma:  sono 
queste  le  papille  cutanee,  o  nervee.  Le  esili  rami- 
ficazioni del  sistema  irrigatore,  che  recano  il  san- 
gue all'organo  periferico,  dopo  di  avere  attraversato 
il  tessuto  unitivo  sottocutaneo  s'  intrecciano  a  fog- 
gia di  rete,  circondano  i  bulbi  de'peli,  le  cripte  a- 
dipose,  le  glandolo  sudorifere.  Giunti  questi  vasi  san- 
guigni alla  superficie  del  corion,  si  dividono  in  più 
minuti  canali  ,  formando  mirabilissima  rete  capil- 
lare a  maglie  ristrette,  da  cui  partono  delle  anse, 
che  penetrano  nelle  papille  cutanee.  1  nervi  for- 
mano nella  cute  anch'essi  un  plesso  retiforme  ,  le 
loro  estremità  libere  unite  coi  vasi  minimi  sangui- 
gni costituiscono  le  papille  del  sènso  tattile.  L'  e- 
pidermide  composta  di  laminette,  o  squame  dispo- 
ste in  modo  da  risultarne  delle  cellule  in  diversi 
strati  ordinate,  varie  di  volume,  e  di  forma  in  parte 
poligone  ,  in  parte  rotonde  ,  e  schiacciate  in  vari 
sensi.  Le  cellule  superficiali  ,  che  si  perdono  nell' 
esercizio  della  vita  ,  vengono  tosto  sostituite  da- 
gli strati  inferiori.  Le  glandole  sudorifere  poste  nella 
superficie  del  derma,  vicino  alle  glandole  sebacee  , 
Sono  piccoli  gomitoli  rotondi  od  ovali  di  tessuto  tu- 
bulare:  a  ciascuna  glandola  appartiene  un  condotto 
escretore  ,  che  nel  tragitto  forma  diversi  giri  spi- 
rali,  e  termina  all'epidermide  con  un'apertura  im- 
butiforme. 


j 


107 

Ci  asterremo  di  esporre  ulteriormente  i  dotti  la- 
vori e  le  scoperte  di  Kòlliker  e  Kraiise  nelle  più 
minute  ricerche  della  fina  anatomia  del  sistema,  per 
non  entrare  nei  particolari  dettagli  delle  fibrille  fu- 
siformi e  cilindriche,  dell'  intima  tessitura  dei  fol- 
licoli e  cripte  sebacee,  del  diametro  e  numero  delle 
glandole  sudorifere,  e  di  non  poche  altre  utili  in- 
vestigazioni che  l'occhio  armato  di  lente  ha  saputo 
rinvenire,  che  volentieri  ora  tralasceremo,  siccome 
nozioni  non  assolutamente  necessarie  allo  scopo.  Per 
cui  ci  siamo  limitati  a  considerare  semplicemente 
quei  punti  della  cute  ,  che  hanno  una  stretta  atti- 
nenza coll'esantema.  La  cute  umana  involucro  ge- 
nerale di  tutto  il  corpo  è  l'organo  del  tatto,  che  ri- 
siede esclusivamente  nel  derma,  ed  è  esteso  a  tutta 
r  intiera  superficie.  Per  la  delicata  struttura,  pei* 
l'eminente  suscettibilità  nervosa  e  simpatia  che  ha 
con  molti  visceri,  è  sede  di  un  numero  rilevante  di 
malattie,  sì  acute  ,  che  croniche.  Pel  loro  svolgi- 
mento, oltre  di  un  germe  proprio  ed  esclusivo  a 
ciascuna  cutanea  affezione  ,  vi  ha  molta  influenza 
l'età,  il  sesso,  il  temperamento,  il  clima,  il  genere 
di  vita,  la  forza  di  assimilazione  organica,  le  pro- 
porzioni vitali  della  fibra:  circostanze,  che  modifi- 
cano le  condizioni  particolari  di  uno  stesso  morbo, 
così  sono  pure  da  considerarsi  per  altrettanti  mez- 
zi, capaci  di  modificare  la  potenza  dei  diversi  prin- 
cipii  morbiferi,  da  cui  emanano  le  dermatosi. 

A  queste  leggi  di  economia  animale  nello  stato 
patologico  veggonsi  sottoposti  in  specie  gli  acuti 
esantemi.  Quantunque  ignota  ci  rimane  tuttora  V 
essenza  dei  principii  virulenti  dei  sìngoli  contagi  , 


168 
non  si  è  trasandato  pertanto  dai  nosologi  lo  studia 
delle  cause  secondai-ie  ed  occasionali ,  che  favori- 
scono lo  sviluppo  delle  niaiatlie  esantematiche,  ed 
approfondita  nello  stesso  tempo  la  natura  del  pro- 
cesso morboso  locale,  cagionato  da  un  principio  e- 
terogeneo,  ed  inafllnc  all'organismo,  cioè  dal  virus, 
che  una  volta  assorbito  da  macchina  predisposta,  si 
riproduce  identico,  con  atto  chimico-vitale,  che  as- 
salisce  epidemicamente  sotto  generali,  locali,  ed  in- 
dividuali favorevoli  condizioni,  e  che  in  fine  la  na- 
tura con  sforzi,  benefìci  cerca  di  eliminare  per  mezzo- 
dell'organo  cutaneo,  con  eruttive  manifestazioni. 

Se  sfugge  all'analisi  chimica  la  natura  di  ogni 
principio  contagioso  esantematico,  chiara  però  ap- 
parisce all'occhio  del  medico  clinico  l'azione  irrita- 
tiva che  il  medesimo  esercita  sul  sistema  dermoideo, 
da  elevare  questo  incipiente  processo  morboso  nel  se- 
guito della  malattia  al  grado  di  flogosi.  In  tutti  gli 
esantemi  febbrili  indistintamente  ,  incominciando 
dalla  più  minuta  e  quasi  impercettibile  pustula- 
zione  con  macchie  rosse  ed  estese,  come  nella  scar- 
lattina ;  passando  alle  papule,  o  noduli  ,  dove  la 
cute  è  fatta  scabra  per  morbosi  rigonfiamenti  delle 
papille  cutanee  ,  come  vedesi  nella  rosolia  e  nel 
morbillo,  o  si  presenta  l'eruìiione  sotto  forma  di 
vescichette  ripiene  di  un  umore  siero-albuminoso, 
come  nella  miliare,  o  finalmente  a  forma  di  pu- 
stule,  come  nel  vainolo,  benché  diversa  sia  la  na- 
tura dei  principii  ,  da  cui  hanno  origine  ,  la  der- 
malile  è  il  processo  morboso  costante  e  comune 
a  siffatti  esantemi.  Per  esserne  convinto,  basta  se-^ 
guire  l'andamento  delle  vaiie  malattie    csantcmati- 


169 

che,  osservando  con  accuratezza  i  particolari  ca- 
ratteri, ed  i  cambiamenti  che  la  stessa  cute  pre- 
senta. II  piimo  fenomeno  consiste  nello  stato  ipe- 
remico  della  pelle,  proveniente  dalla  sua  tessitura 
eminentemente  vascolare:  il  sangue  fluisce  in  maggior 
copia  verso  le  parti  malate,  per  l'accresciuta  sensi- 
bilità nei  nervi  cutanei.  Il  calibro  dei  vasi  capillari, 
siccome  provò  Hunter,  aumenta  pel  fenomeno  della 
infiammazione,  e  lasciansi  essi  da  ogni  parte  pene- 
trare. Né  vi  è  bisogno  di  microscopio  per  sorpren- 
dere questo  atto  della  natura.  Il  calore  cutaneo 
negli  esantemi  diviene  sensibilissimo  al  tatto,  vi  è 
turgore,  tensione,  e  leggiero  arrossimento  in  parte, 
o  in  tutto  il  sistema,  secondo  che  l'eruzione  è  meno 
0  più  diffusa. 

Offre  la  miliaie  essenziale  gli  accennati  caratteri 
della  dermatite.  Osservasi  fin  dai  primi  giorni  della 
malattia  la  forma  congestiva  sanguigna  nei  vasi  cu- 
tanei, cresce  il  calore,  una  leggiera  tinta  rossastra, 
accompagnata  da  turgore,  copre  la  cute:  quindi  ap- 
parisce l'eruzione  sotto  l'aspetto  di  minutissime 
papule  rosse,  e  se  talvolta  cristalline,  non  lasciano 
di  avere  nella  base  areole  infiammatorie.  Dal  centro 
di  ciascuna  papula  elevasi  gradatamente  una  vesci- 
chetta, ripiena  di  un  umore  diafano,  che  dopo  qual- 
che giorno  s'intorbida  e  passa  al  giallognolo,  accade 
il  disseccamento,  la  cuticola  si  separa,  e  cade  in 
squame.  Dai  marcati  cambiamenti  della  cute  e 
caratteri  dell'  eruzione  non  può  non  riconoscersi 
nella  miliare,  in  comune  cogli  altri  esantemi  es- 
senziali, un  processo  flogìstico  cutaneo,  da  potenza 
irritativa  generato  per  espellere  il  fomite  inassimi- 


170 

labile,  causa  primitiva  della  malattia,  e  di  tutt'i  fe- 
nomeni patologici,  che  svolgonsi  nel  suo  corso. 

La  forma  eruttiva  miliariforme,  che  apparisce 
in  talune  malattie  in  tempo  più  o  meno  avanzato, 
non  induce  le  stesse  morbose  alterazioni  sul  tessuto 
cutaneo,  come  nella  miliare  essenziale.  In  questa 
le  papule  occupano  una  sede  diversa  negli  strati 
della  cute,  subiscono  varie  fasi  nel  loro  sviluppo 
ed  andamento,  il  liquido  ch'esse  contengono  diffe- 
risce dall'umore  delle  vescicule  sudaminali,  per  i 
principii  componenti.  Sorge  dal  centro  di  ciascuna 
papula  miliare  primitiva  una  vescichetta  diafana  , 
minutissima,  che  aumenta  insensibilmente,  e  giunge 
alla  grandezza  di  un  grano  di  miglio,  o  ad  un  vo- 
lume maggiore.  Essa  offre  una  resistenza  notabile 
al  tatto,  ne  un  leggiero  attrito  è  sufficiente  per  la- 
cerarla e  distruggerla.  La  sede  su  cui  è  basata 
l'eruzione  miliare  essenziale  è,  senza  dubbio,  la  su-, 
perficie  del  derma  :  quivi  ha  origine,  e  compiesi, 
siccome  sopra  si  è  dimostrato  ,  il  processo  della 
dermatite  esantematica.  In  forza  della  stessa  pato- 
logica condizione  accade  l'effusione  dell'umore  sie- 
roso, che  raccolto  in  tanti  piccoli  punti  sottoepi- 
dermici, prendono  in  fine  la  forma  pustulare.  Le 
vescicule  sul  principio  racchiudono  un  liquido  lim- 
pidissimo :  dopo  il  secondo  o  terzo  giorno  s'intor- 
bida, e  prende  l'aspetto  sieroso:  passati  pochi  altri 
giorni,  precisamente  fra  il  quinto  ed  il  sesto  ,  ac- 
quista un  colore  perlaceo,  o  giallognolo,  e  non  di 
rado  puriforme. 

Non  può  ritenersi  Tumore    delle    papule    delle 
miliare  essenziale    qual  semplice  risultato  di  avan- 


171 

zata  e  raccolta  traspirazione  cutanea  ,  giacché  le 
glandola  sudorifere  destinate  a  quest'officio  non 
possono  segregare  un  liquido  siero-albuminoso  ,  che 
subisce  tali  cambiamenti  nel  decorso  dell'eruzione, 
fin  da  attingere  le  proprietà  di  sostanza  puriforme. 
Seitz  sottopose  all'analisi  chimica  il  '  liquido  della 
miliare  esantematica,  ed  asserisce  di  non  avere  giam- 
mai osservato  in  esso  reazioni  acide  ;  all'opposto 
vide  nell'umore  delle  bolle  miliariformi  reazione 
acida  marcatissima.  Lo  stesso  conferma  Beroaldi  , 
dietro  la  scorta  delle  proprie  osservazioni. 

Non  obliava  Seitz  l'esame  microscopico  del  li- 
quido delle  pustule  miliari,  ed  avvidesi  ben  presto 
che  quello  estratto  dalle  vescicule,  appena  formate, 
era  limpido,  e  tale  conservavasì  per  qualche  tempo. 
Portata  eguale  indagine  sul  medesimo  in  punto  un 
poco  più  avanzato  dell'esantema,  lasciava  scorgere 
sospesi  dei  piccoli  nuclei,  o  delle  cellule  ,  simili  a 
quelle  degli  ordinari  globuli  purulenti  :  se  l'etìlo- 
rescenza  toccava  il  periodo  di  maturazione  ,  il  li- 
quido era  meno  scorrevole,  ed  il  numero  delle  cel- 
lule maggiore.  Accaduta  la  disquamazione ,  appa- 
riva la  superfìcie  sottoposta  lucente  ,  leggiermente 
rossa  ed  ineguale,  con  sensazione  di  prurigiue  iu 
quel  tratto  della  cute,  che  fu  sede  dell'eruzione. 

Esposti  i  caratteri  fisico-anatomici  delle  papule 
della  mifiare  essenziale  ,  conviene  ora  analizzare 
quelli  che  alle  bolle  sudaminali  appartengono.  Pre- 
messo che  la  cute  in  questa  efflorescenza  non  offre 
alcun  indizio  di  congestione,  o  turgore  (cambia- 
mento che  si  è  rimarcato  nell'esantema  essenziale); 
conservando  essa  sempre  il  suo  colore  ordinario,  e 


J72 

la  sua  temperatura.  Si  veggono  apparire  le  vescicole 
niiliariformi  in  modo  subitaneo,  senza  presentare  quel 
graduato  incremento,  ch'ò  proprio  delle  papule  miliari. 
I  punti,  donde  emergono,  non  vengono  preceduti  da 
macchie  rosse,  né  da  noduli,  nò  le  bollicine  sono 
circoscritte  da  arcole  infiammatorie:  sono  minute  , 
diafane,  globose,  quasi  mai  confluenti,  separate  cioè 
da  marcate  distanze.  Appena  aperte  perdesi  di  esse 
ogni  traccia,  non  vi  è  disquamazione,  ed  osservata 
la  cute  con  lente  microscopica,  non  mostra  l'epi- 
dermide la  minima  lesione.  II  liquido  contenuto  si 
mantiene  limpido  in  tutto  il  tempo  della  eruzione, 
né  l'occhio  armato  vi  scorge  cellule,  o  nuclei  pu- 
rulenti, né  sostanze  organiche.  Assoggettato  ai  chi- 
mici reagenti  secondo  Seitz  e  Baerensprung .  da- 
rebbe sempre  reazione  acida.  Barbier  all'opposto 
crede  che  quest'umore  non  sia  della  stessa  natu- 
ra del  sudore,  e  asserisce  che  non  arrossa  la  tin- 
tura di  laccamuffa.  Simon  confessa  di  non  aveF 
trovato  sempre  i  medesimi  risultati  nei  suoi  spe- 
rimenti ,  mentre  in  alcuni  malati  di  miliare  tifoi- 
de avrebbe  dato  reazione  acida  ,  in  altri  individui 
affetti  da  mali  febbrili  ,  accompagnali  da  idroa , 
sarebbesi  mostrato  neutro.  Assicura  Beroaldi  che 
tanto  il  sudore,  che  il  fluido  della  miliariforme  chi- 
micamente esplorati ,  gli  diedero  costantemente 
una  reazione  acida:  non  così  il  liquido,  delle  pustule 
miliari.  Alibert  opina  che  l'umore  racchiuso  sia  il 
risultato  dell'  accumolo  della  materia  traspirabile 
sotto  la  epidermide,  di  natura  affatto  acquosa  ,  nel 
quale    non  si  rinviene  alcun  sapore. 


173 

Fra  le  diverse  opinioni  sul  modo  di  formazione 
delle  bolle  sudaminali ,  quella  emessa  da  Baeren- 
sprung,  convalidata  da  Simon,  sembra  la  più  ac- 
concia ,  perchè  basala  sugli  elementi  anatomico- 
fisiologici  del  sistema  dermoideo.  Le  osservazioni 
microscopiche  dunque  hanno  fatto  conoscere  al 
sullodato  autore,  che  il  sudore  nella  miliariforme 
si  raccoghe  fra  due  lamine  della  epidermide  :  ed 
ecco  come  ingegnosamente  egli  n'espone  la  teoria. 

»  Che  il  liquido  infatti  si  trovi  racchiuso  fra  due 
delle  molte  laminette,  onde  l'epidermide  è  stratifi- 
cata, si  può  con  certezza  dedurre  dal  fatto,  che  le 
pareti  della  vescichetta  non  sono  formate  dalla  epi- 
dermide sollevata  in  massa  dalla  cute.  Sono  desse 
esilissime,  e  più  sottili  assai  di  quelle  delle  pustule 
miliari:  lacerandole  trovasi  al  di  sotto  la  epidermide 
ancora  integra,  piana,  e  levigata.  Non  prestandosi 
allo  sbocco  di  un  profuso  sudore  i  condotti  escre- 
tori delle  glandcle  sudorifere,  esso  trapela  ,  e  per 
esosmosi  si  infiltra  fra  le  cellule  epidermiche,  ed  ivi 
accumulandosi  eleva  la  laminetta  sovrastante  in 
forma  di  piccola  bollicina  dalla  stessa  cellula  cir- 
coscritta.  )) 

Gl'indicati  fiisico-anatomici  caratteri,  propri  a 
ciascuna  delle  descritte  malattie  cutanee,  compara- 
tivamente considerati,  possono  nei  casi  dubbi  som- 
ministrare un  giusto  criterio  per  la  diagnosi  ditfe- 
renziale,  tanto  più  apprezzabile,  perchè  basato  sui 
sensi.  Né  ad  invalidarlo  basta  l'avere  rimarcata  una 
qualche  differenza  di  pareri  nella  parte  chimica. 
Ulteriori  sperimenti,  tentati  con  spirito  imparziale, 
metteranno  ben  presto  fuori  di  dubbio   anche  que- 


174 

sto  punto  di  controversia,  per  assicurare  al  medico 
clinico  un  altro  carattere  fisico ,  niolto  valevole 
per  lo  schiarimento  della  questione.  Questi  pazien- 
tissimi ed  utili  travagli  sostenuti  pel  progresso 
della  scienza,  e  desiderio  di  giovare  all'uomo  nello 
stato  di  malattia,  meritano  la  sanzione  e  la  rico- 
noscenza dei  veraci  osservatori,  stante  che  non  mi- 
rano a  stabilire  idee  speculative  ed  astratte  ,  ma 
bensì  principii  sodi  e  positivi  da  cui  solo  la 
medicina  può  attendere  solido  e  stabile  avanza- 
mento. Biera  (1)  aveva  conosciuto,  ed  apprezzato 
già  il  valore  di  questi  sperimenti,  allorché  scrisse: 
))  Fin  a  tanto  che  la  chimica  animale,  e  massime 
quella  parte,  che  ha  relazione  colla  patologia,  non 
avrà  sparsa  di  qualche  luce  la  tuttora  oscura  es- 
senza delle  condizioni  patologiche,  che  avvengono 
nell'organismo  ammalato,  non  potremo  che  partire 
dalla  sola  induzione,  nel  determinare  la  vera  natura 
dei  singoli  processi  di  operazione  irritativa  e  fisico- 
chimica, nelle  diverse  malattie  contagiose.  » 


(i)  Sui  Contagi  §§.  169. 


175 
CAPITOLO  III. 

Descrizione,  ed  andamento  della  miliare. 

La  miliare  al  pari  degli  altri  esantejni,  quando  è 
mitissima,  mostrasi  talvolta  apiretica:  ciò  osservasi 
pili  di  frequente,  allorché  principia  a  decrescere  l'epi- 
demia ed  infievolire  la  forza  del  contagio.  I  fenomeni, 
che  la  costituiscono,  sono  lassezza,  leggieri  brividi, 
frequenza  di  polso  ,  sudore  copioso  ,  che  diffonde 
un  odore  che  Rayer  paragona  alla  paglia  muffata  , 
tristezza,  oppressione  ai  precordi,  sonno  interrotto, 
lingua  coperta  di  uno  strato  biancastro,  poca  sete, 
appetito  ,  ventre  chiuso  ,  orine  naturali.  A  questi 
preludi  succede  una  discreta  efflorescenza  miliare, 
che  percorre  regolarmente  i  suoi  stadi  ,  lasciando 
l'infermo  in  un  grande  abbattimento  di  forze,  che 
ben  tosto  ricupera.  Vogel,  Hoffmann,  Ludwig,  Junker 
videro  la  miliare  apiretica,  come  anche  l'osservò 
Damilani  (1).  Ebbe  a  curare  più  volte  Borsieri  la 
miliare  senza  febbre.  L'efflorescenza  era  preceduta 
da  molestie,  diminuzione  di  forze,  ed  ansietà  ;  se 
durante  l'eruzione  accadeva  l'istantanea  retrocessione, 
apparivano  immediatamente  ambasce  ,  convulsioni , 
delirio  ec.  Player  che  osservò    e  descrisse  l'epide- 

(1)  Vidi  pustulas  miliares  exortas  in  cute,  frequentes,  etninen- 
tes,  discretas,  et  crystallinas,  sudore  faetidissimo  cotnitatas,  in  fae- 
mina  quadam  popnlari  mea,  quin  ullum  unquam  ,  vel  minimum 
indicium  febris  habuerit.  Sudabat  quidem  universo  corpore,  et  pul- 
8um  habebat  apprime  mollem  et  aoipluni]  sed  tardissimum.  Bor- 
sieri op.  citat.  §§.  383. 


176 

!Y)ia  miliare  del  dipartimento  di  Oise,  ad  esempio 
della  benignità  del  male  in  alcune  persone,  che  ne 
furono  blandemente  attaccate,  novera  dei  casi  di 
miliare  apiretica. 

Se  l'esantema  si  è  veduto  in  qualche  individuo 
correre  apiretico,  ordinariamente  è  unito  alla  febbre: 
perciò  da  molti  scrittori  fu  chiamata  febbre  miliare, 
o  morbo  miliare  febbrile.  La  piressia  che  precede, 
ed  accompagna  l'eruzione,  non  ha  tipo,  nò  carattere 
stabile  :  ora  si  presenta  sotto  l'aspetto  di  anfìme- 
rina,  ora  mentisce  una  intermittente ,  si  manifesta 
con  i  sintomi  della  febbre  reumatica,  o  infiamma- 
toria, non  di  rado  con  l'apparato  di  febbre  tifoidea: 
essa  se(*ue  fedelmente  l'indole  e  la  natura  dell'esan- 
tema, di  cui  è  suddita.  Questa  notabile  differenza 
di  carattere  nella  febbre,  che  sovente  rimarcasi  , 
non  solo  nelle  varie  costituzioni  epidemiche  ,  ma 
ben  anche  nella  ricorrenza  di  una  stessa  epidemia 
miliare,  costituisce  la  massima  difficoltà  nell'esercizio 
clinico  ,  e  la  opposizione  delle  mediche  opinioni  , 
rapporto  alla  natura,  e  trattamento  curativo  della 
malattia. 

La  miliare  apiretica  ha  un  corso  regolare,  per- 
corre i  suoi  stadi  senza  compromettere  la  vita 
dell'infermo,  se  è  prudentemente  curata.  Non  così 
avviene  della  febbrile,  la  quale  presenta  fenomeni 
sì  svariati  ed  insoliti,  congiunti  a  gravissimo  pe- 
ricolo, che  impone  al  clinico  il  più  esercitato  ,  ed 
elude  bene  spesso  gli  sforzi  del  più  esatto  e  .  ra- 
gionato metodo  curativo.  Comunemente  non  si  ap- 
palesa, né  svolgesi  senza  essere  preceduta  da  segni 
anamnestici,  che  fanno  presagire  prossimo    il    suo 


177 

sviluppo.  Precedono  malessere  ,  dolori  articolari  , 
calore  alla  cute  notabilmente  accresciuto  ,  che  si 
alterna  con  dei  leggieri  brividi,  dolor  di  capo  gra- 
vativo ,  sonno  turbato  ed  interrotto  ,  oppressione 
fugace  ai  precordi,  tristezza,  inquietudini,  timore  , 
anoressia,  orine  limpide,  acquose,  polso  in  taluno 
frequente  ,  contratto  ,  duro;  in  altri  molle  ,  quasi 
naturale,  tosse  secca,  irritativa,  sensibile  traspira- 
zione cutanea  ,  con  grande  proclività  al  sudore. 
Questi  prodromi  si  sostengono  per  qualche  giorno, 
quindi  sopraggiunge  la  febbre  preceduta  da  freddo 
all'estremità,  o  ai  lombi  ;  il  grado,  e  la  durata  di 
esso  è  proporzionato  alla  intensità  della  piressia  , 
e  questa  è  in  rapporto  colla  copia  del  fomite,  tem- 
peramento ,  età ,  stagione  ,  sesso  ,  complicazioni 
morbose  ec.  Il  vigore  della  febbre  varia  ,  come 
differente  è  il  suo  tipo,  mite  in  principio  con  polso 
depresso  ,  orine  naturali  ,  poca  sete  ,  dopo  24  ore 
circa  offre  larga  remissione ,  seguita  da  copioso 
sudore,  che  fa  dubitare  di  effimera  reumatica.  Pas- 
sato brevissimo  intervallo  di  tempo,  nelle  ore  po- 
meridiane, accade  nuova  esacerbazione  ,  preceduta 
anche  da  freddo  ,  polso  più  sviluppato  ,  maggior 
calore,  sete,  sudore  quasi  continuo,  profuso,  viscido, 
che  diffonde  odore  caratteristico  ;  segue  la  perfetta 
declinazione,  accompagnata  da  orine  crocee  ,  late- 
rizie, cessazione  di  tutti  gli  altri  segni  concomitanti, 
da  far  credere  la  febbre  di  tipo  intermittente.  Che 
sia  larva  di  periodo,  lo  prova  il  fatto,  poiché  non 
solo  non  cede,  ma  esacerba  sotto  l'uso  del  febbri- 
fugo. Non  tarda  molto  ad  apparire  nuovo  parosismo 
febbrile  con  maggiore  imponenza  di  sintomi  ,  cioè 
G.A.T.CXLIV.  12 


178 
polso  duro,  vibrato,  orine  acquose,  dispnea,  sospiri, 
moli  convulsivi  ,  senso  di  stupore  pungitivo  nelle 
dita,  fitte  dolorose  alla  cute,  sudore  continuo,  pro- 
fuso ed  incomodo,  il  suo  odore  particolare  diviene 
sempre  piiì  marcato  ,  leggiero  sussulto  di  tendini , 
alterazione  delle  facoltà  mentali.  Nei  primi  giorni 
dell'invasione  della  febbre  il  freddo  si  alterna  col 
calore  ,  e  questo  è  seguito  da  sudore  :  in  alcune 
ore  determinate  ,  l'apparente  periodo  cessa  :  a  mi- 
sura che  il  male  si  avanza,  il  sudore  si  fa  piiì  co- 
pioso, il  freddo  rinnovasi  più  volte  al  giorno,  e  senza 
ordine,  la  pelle  diviene  sensibilissima  ad  ogni  mi- 
nima impressione,  ed  il  più  piccolo  movimento  della 
macchina  cagiona  nuovi  brividi,  per  cui  gli  stessi  ma- 
lati,  quando  non  vi  è  delirio,  cercano  di  stare  ben 
chiusi  e  coperti.  La  febbre  miliare  talvolta  prende 
l'impronta  di  febbre  reumatico-catarrale,  ed  anche 
di  pleuropneumonia,  annunciata  da  dolore  puntorio 
intercostale,  tosse,  affanno,  sputo  striato  di  sangue, 
per  lo  più  letale,  come  fu  rimarcato  da  Walthier  (1) 
parlando  della  miliare  germanica. 

La  piressia  nei  primi  giorni  è  apparentemente 
moderata  ,  con  poco  calore  ,  pochissima  reazione 
vascolare,  da  illudere  anche  il  medico  clinico  il  più 
avveduto  e  sperimentato  ,  se  giudicasse  dell'indole 
ed  esito  della  malattia  dai  suoi  primordi.  Abban- 
dona talora  essa  di  repente  l'aspetto  lusinghiero 
ed  ingannevole  ,  per  indi  prendere  le  minacce  di 
grave  affezione.  Ciò  ch'è  degno  di  rimarco  in  questo 
stadio  si  è,  che  il  solo  malato,  quando    tutto    era 


(1)  Saiivages,  Nosolog.  tom.   1.  pag.  233.  Venez.  1772. 


179 

calma,  presagiva  coi  suoi  timori  prossima  la  ma- 
nifestazione di  gravissimi  sintomi  ;  per  la  ragione 
forse  che  ne  assegna  il  sommo  Borsieri  (1  ):  Ipse  so- 
liis  anxius  (aegrotus)  et  sollicitiis  sibi  timet,  et  omnia 
tristia  ominatur  ,  sensorio  fortasse  communi ,  nervo- 
rumque  origine  a  fomite  miliari  iam  affectis,  et  clan- 
culum  perlnrbatis.  Il  polso  accuratamente  esplora- 
to somministra  il  primo  indizio  del  totale  cam- 
biamento, che  si  prepara  nel  seguito  della  malattia: 
infatti  da  molle,  eguale,  espanso,  e  regolare,  passa 
ad  essere  angioitico,  ineguale,  contratto,  irregolare; 
offre  delle  alternative  dopo  breve  istante  ,  da  fre- 
quente diviene  raro,  da  tardo,  celere,  da  grande  e 
sviluppato,  piccolo  e  depresso,  non  lascia  in  molti 
casi  di  apparire  regolarmente  intermittente,  dopo  la 
nona,  l'undecima,  la  decimasesta  pulsazione,  secondo 
i  rimarchi  di  Gastellier. 

Siffatte  repentine  mutazioni  nel  polso  indicano  lo 
stato  di  spasmodia,  in  cui  trovasi  il  sistema  ner- 
voso, irritato  da  un  principio  inaffme,  che  ne  altera 
sensibilmente  le  funzioni. 

11  calore  febbrile  varia  in  modo  notabile,  ora  è 
appena  sensibile  al  tatto,  ora  urente:  alcuni  infermi 
sono  presi  da  lipiria.  Lo  stato  dinamico  differisce 
anch'esso;  vi  ha  dei  malati,  che  cadono  in  una  grande 
prostrazione  di  forze,  e  veggonsi  minacciati  spesso 
da  lipotimie,  mentre  altri  conservano  un  vigore  che 
poco  si  allontana  dallo  stato  ordinario  ;  quasi  tutti 
indistintamente  si  lagnano  di  oppressione  al  petto, 
con  senso  di  stringimento  nella  regione  dello  sterno, 


(1)  Op,  cit.  §§    391. 


180 

specialmente  nel  lato  sinistro,  che  porta  molestia  , 
dispnea,  sospiri:  il  sonno  è  turbato  da  scosse  con- 
vulsive, da  sogni  tetri,  dalla  tosse  talora  mite  ,  or 
sì  veemente  ch'emula  la  tosse  ferina.  Alcuni  infermi 
cadono  nel  sopore,  o  coma  vigile  con  continuo  va- 
niloquio, altri  rimangono  insonni,  assaliti  da  delirio, 
crampi  in  particolare  alle  mani,  alle  dita,  sussulto 
di  tendini.  L'apparato  digestivo  presenta  anch'esso 
delle  anomalie  :  sete  ardente  con  lingua  umida  ,  o 
invece  manca  la  sete,  e  la  lingua  è  arida:  vi  sono 
dei  malati  che,  sebbene  molestati  da  grande  arsura,  si 
astengono  di  bere,  per  non  aggravare  maggiormente 
lo  stomaco  oppresso  da  colluvie  gastrica,  o  biliosa, 
che  si  annuncia  con  lingua  sordida,  bocca  amara  , 
nausea,  vomito,  come  non  di  rado  accade  di  vedere 
il  vomito,  o  vomiturizione  senza  impurità  gastrica, 
per  semplice  irritazione  nervosa,  suscitata  dall'acre 
miliare.  In  taluni  casi  rarissimi,  secondo  Allioni,  non 
solo  manca  la  sete,  ma  sviluppasi  la  stessa  idrofobia 
con  il  suo  treno  imponente  ,  convulsioni  alla  sola 
vista  dei  liquidi,  furore,  tendenza  irresistibile  di  ag- 
gredire e  di  mordere  ,  con  il  seguito  dei  sintomi 
orribili,  che  svolgonsi  nell'atto  della  rabbia  canina. 
Non  vogliamo  impugnare  che  in  qualche  caso  ec- 
cezionale di  miliare  anomala  possa  presentarsi  il  raro 
fenomeno  della  idrofobia  spontanea  nell'uomo,  come 
avviene  talvolta  nelle  febbri  atassiche;  ma  questa  av- 
versione ai  liquidi  dipende  da  ben  differente  prin- 
cipio, cioè  da  spasmodia,  o  eritema  delle  fauci,  per 
cui  la  deglutizione  non  solo  dei  liquidi,  ma  ancora 
dei  solidi,  diviene  molesta  e  dolorosa,  i  malati  muo- 
iono però  tranquilli  e  comatosi.  Ippocrate  stesso  aveva 


181 

già  rimarcata  una  specie  di  febbre  emitritea,  avente 
r idrofobia  per  sintonia  concomitante:  leggesi  in 
Pietro  Salio  Diverso  l'osservazione  di  una  idrofobia 
spontanea,  sviluppatasi  in  una  donna  di  36  anni  , 
in  seguito  di  febbre  pestilenziale,  nella  quale  il  fe- 
nomeno di  avversione  ai  liquidi  era  spinto  a  segno, 
che  imperiosamente  esigeva  che  non  si  bevesse  in 
sua  presenza.  Mancano  certamente  in  questi  casi 
morbosi  il  furore,  la  smania  di  mordere,  di  aggre- 
dire, e  ciò  che  piiì  monta  la  forza  contagiosa,  sic- 
come è  stato  provato  ad  evidenza,  contro  l'opinio- 
ne di  Dumas  ,  con  reiterati  e  decisivi  sperimenti. 
Riuscì  del  tutto  impossibile  di  vedere  riprodotta  la 
malattia  in  numerosi  cani  ,  ai  quali  fu  inoculata  la 
saliva,  presa  da  uomini  tormentati  dalla  idrofobia 
spontanea.  Il  contagio  è  caratteristica  della  idrofo- 
bia comunicata  ,  nella  quale  veggonsi  i  malati  ces- 
sare di  vivere  nel  delirio    e  nella  convulsione. 

Prima  che  si  stabilisca  alla  cute  l'eruzione  ,  vi 
è  notabile  esacerbaziene  di  sintomi  :  la  febbre  di- 
viene più  intensa,  cresce  la  dispnea,  l'ansietà,  l'op- 
pressione ai  precordi,  vi  è  maggiore  abbattimento 
di  spirito.  Le  persone  proclivi  alla  congestione  ce- 
rebrale cadono  nel  sopore:  all'opposto  gì'  individui 
di  temperamento  mobile  ,  nervoso  ,  veggonsi  sog- 
getti a  scosse  convulsive  ,  quasi  tetaniche  ,  lingua 
tremula  ,  sussulto  di  tendini ,  la  fìsonomia  appari- 
sce più  animata  ,  gli  occhi  scintillanti  ,  s'  infiam- 
mano le  fauci  ,  la  mucosa  della  bocca  copresi  di 
papule  simili  a  quelle,  che  si  determinano  alla  cu- 
te, 0  invece  di  afte,  mordicazione  maggiore  alla  pelle, 
finalmente  efflorescenza  miliare. 


182 
CAPITOLO  IV. 

Del  contagio  miliare  (1),  e  stadi  della  malattia. 

Olire,  le  cause  ordinarie,  capaci  di  suscitare  ma- 
lattie semplici  e  complicate,  o  locali  infiammazioni, 
altre  potenze  disaffini  al  sentire  fisiologico  della  fibra 
animale,  morbifìche,  conosciute  sotto  il  nome  di  con- 
tagi ,  cagionar  possono  nell'economia  organica  una 
serie  di  fenomeni  patologici  ,  particolari ,  e  distinti, 
donde  emergono  le  malattie  contagiose,  fornite  del- 
l'attitudine di  trasmettersi  e  riprodursi  in  altri  indi- 
vidui, sotto  identiche    e  determinate  forme. 

La  miliare  essenziale  pi'esenta  tutti  quelli  attri- 
buiti ,  che  distinguono  questa  categoria  di  morbi  : 
perciò  malattia  anch'essa  contagiosa.  y\utori  rispet- 
tabili ,  come  Cullcn,  P.  Frank  ,  Chomel,  che  a;iu- 


(1)  Se  osservasi  oggidì  negare  da  taluni  il  contagio  dei  morbi 
pestilenziali,  con  danno  incalcolabile  della  pubblica  incolumilàj  non 
dovrà  recare  meraviglia  se  dubbi  si  affacciano  sul  contagio  mi- 
liare. Sono  queste  le  vigenti  dottrine  straniere  messe  in  campo 
per  distruggere,  quanto  l'antica  medicina  italiana  aveva  sapiente- 
mente escogilato  per  far  argine  ad  una  delle  più  grandi  sciagure, 
che  possa  accadere  ai  popoli,  le  pestilenze.  Ci  duole  però  (  nii 
possiamo  dissimularlo)  che  sitt'alte  dottrine,  sotto  i  nomi  speciosi 
di  miasmi  e  miasmizzazione  volevano  farsi  strada  in  Italia.  Dobbia- 
mo a  valenti  e  benemeriti  nostri  scrittori  la  confutazione  di  sì  strane 
teorie:  fra  questi  dotti  si  distinsero  gì'  illustri  professori  Cappel- 
lo e  Betti,  ambedue  medici  rappresentanti  i  rispettivi  loro  governi 
nel  sanitario  congresso  internazionale  tenuto  a  Parigi,  dove  da  illu- 
minali clinici  difesero  virilmente  la  causa  dell'umanità  ,  col  so- 
stenere i  giusti  e  savi  prìncipi!  della  scienza  ,  rapporto  ai  con- 
tagi. 


183 
dicarono  l'eruzione  un  epifenomeno,  o  nulla  più  che 
una  accidentale  sintomatica  appariscenza,  associata 
a  malattie  d'indole  diversa,  esclusero  nella  miliare 
ogni  idea  di  contagio.  Asserirono  che  apparve  essa 
trasmissibile,  quante  volte  regnò  epidemicamente  , 
o  qualora  mostrossi  insieme  con  qualche  male  con- 
tagioso. Nel. primo  caso  si  potè  di  leggieri  supporre 
la  trasmissione  ,  laddove  eravi  soltanto  esposizione 
comune  a  cause  generali:  se  poi  si  è  veduta  unita 
col  tifo,  scarlattina,  morbillo  ec,  il  contagio  appar- 
tiene evidentemente  a  questi  morbi,  e  non  alla  mi- 
liare. Avvertono  inoltre  che  l'analogia  indusse  a  cre- 
dere l'eruzione  contagiosa,  come  in  genere  lo  sono 
le  febbri  eruttive,  colle  quali  parve  essa  avere  qualche 
rassomiglianza;  ma  esiste  tra  loro  tanta  differenza, 
che  siffatto  confronto  non  può  riuscire  di  veruna  im- 
portanza. Questi  ed  altri  argomenti  non  dissimili 
si  fecero  valere,  per  escludere  la  miliare  dal  novero 
delle  malattie  contagiose.  In  epoca  a  noi  vicinissima 
alcuni  dotti  sperimentatori  si  lusingarono  di  aver  tolta 
ogni  incertezza,  dopo  eseguita  la  inoculazione  deir 
umore  miliare,  senza  vedere  riprodotta  la  malattia. 

Siccome  si  è  stabilito  con  fatti  inconcussi  ap- 
partenere agli  esantemi  essenziali,  così  non  potrà  du- 
bitarsi che  un  fomite  particolare  e  riproduttivo  ne 
sia  la  causa  efiBciente,  essendo  caratteristica  di  cia- 
scun morbo  esantematico  svolgersi  e  riprodursi  uni- 
camente dietro  l'assorbimento  di  un  principio  con- 
tagioso. Benché  oscura  ci  rimane  tuttora  la  genesi 
e  la  natura  speciale  dei  contagi,  non  ci  si  nasconde 
pertanto  la  deleteria  loro  azione  sulla  fibra,  che  si 
appalesa  con  un  complesso  di  sintomi  particolaris- 


184 

simi  ,  i  quali  nella  loro  appaiizìone  e  nel  decorso 
marcano  alcune  determinate  fasi. 

L'avere  semplicemente  asserito  che  la  miliare 
può  assumere  il  genio  epidemico,  per  la  sola  espo- 
sizione comune  a  cause  generali,  prova  quanto  poco 
si  è  valutata  la  massima  fissata  dai  nosologi,  cioè 
essere  proprietà  dei  soli  contagi  mostrare  una  pa- 
tologica condizione  sul  tessuto  cutaneo  e  nella  con- 
tinuata interna  membrana  mucosa  con  una  qualche 
eruzione ,  come  avviene  appunto  nella  miliare  e 
negli  altri  morbi  esantematici.  Questo  carattere 
manca  del  tutto  negli  epidemici  morbi,  o  se  talora 
accade  è  meramente  fortuito.  Nelle  ricorrenze  epi- 
demiche si  è  attribuito  il  contagio,  non  alla  miliare 
ma  bensì  ad  altri  mali,  coi  quali  videsi  associata^ 
cioè  scarlattina,  morbillo,  petecchia  ec.  Non  essendo 
constantemente  il  morbo  miliare  riunito  a  queste 
particolari  affezioni,  peicorrendo  il  piiì  delle  volte 
il  suo  corso  senza  verima  complicazione,  anche  senza 
abbandonare  la  sua  forma  morbosa  ed  il  genio  epi- 
demico, è  d'uopo  convenire  che  la  forza  diffusiva 
risieda  in  un  germe  proprio  dell'esantema. 

La  maggiore  obbiezione  contro  il  contagio  sembra 
la  inoculazione,  praticata,  secondo  alcuni,  senza  ve- 
dere riprodotta  una  identica  malattia;  saldi  nel  prin- 
cipio ch'esso  non  esiste,  quando  non  vi  è  materia 
virulenta  capace  di  riprodursi.  Si  fa  riflettere:  1°  che 
i  pratici  non  sono  pienamente  di  accordo, che  il  fomite 
contagioso  miliare  si  determini  sempre  ed  esclusi- 
vamente nell'umore  delle  papule,  più  che  in  qua- 
lunque altro  punto  del  misto  organico.  Non  si  può 
al  certo  negare  la  forza  contagiosa  del  vaiuolo,  della 


185 
sifilide,  deiridi'ofobia,  della  morva,  della  scabbia  oc. 
Nessuno  ignora  pertanto  che  siffatte  malattie  hanno 
tutte  un  modo  diverso  di  riprodurre  il  virus  nei  dif- 
ferenti tessuti  organici,  su  di  cui  va  a  deporsi:  il 
vainolo  lo  elabora  nell'umore  delle  pustule  alla  cute: 
la  sifilide  in  quello  di  un  ulcere,  o  nella  secrezione 
della  muccosa  uretrale,  o  vaginale:  l' idrofobia  nelle 
glandolo  salivali:  la  morva  nel  muco-pus  della  mem- 
brana pituitaria:  la  scabbia  in  forza  di  un  acaro  nel 
sistema  dermico.  Dietro  i  quali  fatti  possiamo  quindi 
azzai'dare  di  conchiudere  ,  senza  timore  di  andare 
lungi  dal  vero  ,,che  i  modi  di  riproduzione  e  di 
diffusione  dei  singoli  contagi,  differiscono  a  norma 
delle  diverse  malattie  contagiose,  siano  esse  febbrili, 
o  apiretiche.  2°  Che  non  furono  dati  precisi  schiari- 
menti delle  cautele  usate  nella  inoculazione,  ed  in 
quale  periodo  dell'efflorescenza  fosse  praticata, menti-e 
si  conosce  che  il  vainolo,  che  ha  una  virulenza  posi- 
tivamente maggiore  della  miliare  ,  la  materia  va- 
iuolosa  acquista  il  caratteie  contagioso,  come  ha  di- 
mostrato Camper,  unicamente  allorquando  diviene  fe- 
tida la  traspirazione  dell'infermo.  Siamo  sampi-e  più 
autorizzati  a  dubitare  dell'esatezza  degli  addotti  spe- 
rimenti, in  quanto  che  la  inoculazione  non  rimase 
sempre  pi-iva  di  effetto,  come  vide  Tilkistre  Bally  (1). 
Questo  distinto  medico  nella  epidemia  miliare  dei 
dipartimenti  di  Oise  e  diSeine-Oise,  onde  assicurarsi 
della  forza  trasmissibile  della  malattia  ricorse  alla  ino- 


li)  Documents  et  mt'Ian-jes  publìés  a  l'occasioii   do   l;i   maladie 
asiatiqiip  par  Bally  §.   92   pag.  192.   Paris   1835. 


Ì86 
culazione, scegliendo  una  località, dove  la  miliare  erasi 
mostrata  benigna.  Lo  sperimento  cadde  sopra  un  gio- 
vane robusto,  offertosi  spontaneamente  per  questo 
saggio,  coir  affrontarne  coraggiosamente  i  pericoli. 
Furono  praticate  tre  incisioni  per  ciascun  braccio, 
inoculandovi  la  materia  delle  vescicule  miliari:  dopo 
il  terzo  giorno  d'  incubazione  apparve  un  leggiero 
movimento  febbrile ,  accompagnato  da  sudore  ed 
eruzione  miliare  del  tutto  simile  a  quella  degli  altri 
infermi:  l' inoculato  non  videsi  nella  necessità  di  stare 
in  letto,  durante  il  corso  dell'esantema,  tanto  esso  fu 
mite.  3."  In  fine  che  la  inoculazione  del  morbillo 
e  della  rosolia  restò  parimenti  in  alcuni  casi  priva 
di  successo  ,  senza  che  si  volesse  negare  a  queste 
malattie  una  forza  contagiosa.  Si  commise  dunque 
un  grande  errore  nel  dare  ai  primi  sperimenti  una 
validità  generale  ed  assoluta  ,  mentre  non  la  po- 
tevano avere  ,  che  condizionata,  e  sotto  particolari 
circostanze. 

I  caratteri  distintivi ,  l'andamento,  i  diversi  pe- 
riodi del  tutto  conformi  ad  altre  malattie  esantema- 
tiche, dimostrano  l'indole  sua  contagiosa  :  lo  con- 
valida l'esperienza  di  molte  epidemie  miliari ,  non 
che  l'osservazione  di  espertissimi  pratici  ,  AUioni , 
Borsieri,  Stork,  Tissot ,  Vogel  ,  Molinari ,  Quarin  , 
i  quali  l'osservarono  sempre  diffondersi  per  contatto. 
Anioni  prova  con  buone  ragioni,  che  la  propaga- 
gazione  in  Europa  della  febbre  miliare  è  stata  opera 
del  commercio,  mezzo  ordinario  di  diffusione  di  tutti 
gli  esotici  contagi.  Mead,  che  molto  aveva  appro- 
fondita la  dottrina  dei  morbi  esantematici,  dichiara 
che  propri  e  privativi  sono  i   contagi  della  scarlat- 


187 
lina,  del  vaiuolo,  del  morbillo,  della  petecchia,  e  della 
miliare,  i  quali  ultimi  due  contagi  sembrano  esser 
pur  quelli,  die  costituiscono  le  così  dette  febbri  ti- 
fico-contagiose,  tanto  diversamente  esposte,  rimar- 
cate e  descritte,  anco  dal  massimo  numero  dei  mo- 
derni medici  scrittori.  Alla  qual  sentenza  sembra  esat- 
tamente corrispondere  l'opinione  del  celebre  Hilde- 
brand  (1).  11  tifo  contagioso  ,  egli  scrisse  ,  è  una 
febbre  essenziale ,  il  cui  corso  offre  una  costante 
uniformità.  A  motivo  di  un'esantema,  ch'è  ad  essa 
particolare,  appartiene  alla  fomiglia  delle  febbri  esan- 
tematiche, fra  le  quali  si  collocano  ordinariamente 
le  febbri  contagiose. 

Apparve  la  miliare  epidemico-contagiosa  verso  la 
fine  del  penultimo  secolo  in  Piccardia,  Linguadoca, 
Normandia,  Berrì,  Alsazia:  venne  in  quell'epoca  de- 
scritta sotto  il  nome  di  sudore  di  Piccardia,  o  febbre 
sudorifera  per  la  grande  analogia  col  sudore  an- 
glicano, di  cui  sembra  una  modificazione.  Nella  ef- 
fimera malignissima  rimarcaronsi  i  sintomi  costitu- 
tivi delle  febbre  miliare,  ina  con  maggior  violenza, 
per  cui  rapidissimo  n'era  il  corso,  ed  ordinariamente 
letale  l'esito.  Se  poi  il  malato  non  soccombeva  alla 
prima  invasione  del  male,  incominciava  ad  accorgersi 
del  suo  miglioramento  in  capo  alle  24  ore,  conti- 
nuando il  sudore  per  vari  giorni  successivi,  nel  qual 
tempo  sviluppavasi  talvolta  la  miliare  ,  che  com- 
piva la  guarigione.  Rayer  ne  riconobbe  la  forza 
diffusiva,  ed  asserì  che  l'esantema    consiste   in  una 


(1)  Brera,  Giornale  di  medicina  pratica,  primo  semestre   1814^ 
pag.   18" 


188 
infiammazione  acuta  e  contagiosa,  che  prende  ad  un 
tempo  la  membrana  mucosa  gastro  enterica  e  la  cute. 
Costantemente  tale  si  è  mantenuta  nell'Italia  setten- 
trionale, dove  la  malattia  è  resa  endemica,  ed  oggidì 
spiega  lo  stesso  carattere  nelle  province  centrali  : 
tutto  dunque  porta  a  dover  credere  la  miliare  morbo 
contagioso,  principio  basato  sull'  osservazione  e  sul 
raziocinio,  precipui  cardini  della  medicina.  L'assor- 
bimento del  germe  accade,  come  negli  altri  contagi 
acuti,  per  opera  dei  comuni  tegumenti,  delle  vie  della 
respirazione, o dell'apparato  gastro-enterico, seguendo 
il  cammino  dei  linfiitici,  la  linfa  slessa  n'è  il  veicolo. 
La  sintomatologia  fa  evidentemente  conoscere, 
cheil  contagio  una  volta  assorbito  da  macchina  pre- 
disposta, per  leggi  organiche,  vi  si  riproduce  iden- 
tico. L'atto  della  riproduzione  è  annunciato  da  un 
movimento  febbrile  del  tutto  essenziale,  diverso  da 
quello  che  si  manifesta  per  semplice  effetto  irrita- 
tivo. Durante  lo  svolgimento  febbrile  cresce  la  po- 
tenza contagiosa,  ed  esacerba  contemporaneamente 
la  febbre:  il  virus  riprodotto  esterna  la  sua  forma 
morbosa  sotto  l'aspetto  di  macchie  o  pustule,  che 
debbono  percorrere  particolari  stadi.  L'eruzione  è  l'ef- 
fetto di  reazione  organica  colla  mira  di  allontanare 
il  fomite  inaffine,  e  nemico  alla  vita.  Non  sempre 
però  accade  che  la  crisi  si  compie  per  mezzo  della 
cute:  avviene  talvolta  un  riassorbimento  della  materia 
depositata,  e  ricondotta  in  circolo  per  esser  decom- 
posta ed  eliminata  per  orine,  per  l'alvo,  o  per  altri 
emuntori.  A  misura  ciie  si  effettuano  queste  critiche 
evacuazioni,  diminuisco  la  febbre,  finalmente  cessa: 
la  qual  cosa  non  manca  di  accadere    in  un  tempo 


189 
determinato.  Siffatte  operazioni  della  natura  ,  con- 
dotte a  termine  con  regolarità  e  costanza  ,  malgrado 
l'uso  dei  rimedi  i  piìi  energici,  provano  ad  evidenza 
che  le  malattie  esantematiche,  come  tutti'morbi  feb- 
brili contagiosi,  una  volta  incominciate,  anche  trat- 
tate con  energia  debbano  percorrere  i  loro  periodi 
naturali  e  necessari  ,  ed  inabbreviabile  diviene  il 
loro  corso. 

Questo  principio  di  medicina  pratica, rapporto  alle 
malattie  di  contagio,  generalmente  adottato,  ha  tro- 
vato, secondo  Hut'eland  ed  Etmuller  ,  una  eccezione 
in  alcuni  esantemi,  e  nella  stessa  petecchiale,  secondo 
Currle  e  Giannini.  Lo  scrittore  italiano  è  di  avviso 
che  le  febbri  contagiose,  quelle  cioè  che  non  possono 
esser  condotte  a  guarigione  senza  1'  espulsione  del- 
la materia  morbifìca  ,  non  solo  possono  avere  un 
periodo  affatto  indeterminato  per  evacuarla  ,  ma 
essere  distornale  dal  riprodurla  ,  e  non  avere  pe- 
riodo di  sorta.  Una  più  estesa  e  consumata  pra- 
tica avrebbe  forse  dimosti'ato  al  dotto  autore,  i-a- 
pito  all'onore  dell'  Italia  ed  al  progresso  della  scienza 
da  immatura  morte,  che  per  quanto  sia  giusta  e 
vera  la  seconda  parte  del  suo  ragionamento  ,  cioè 
potersi  eliminare  il  fomite,  ed  impedirne  la  lipro- 
duzione  prima  dello  sviluppo  del  male,  altrettanto 
è  difficile  a  concepirsi  che  malattie  a  fondo  speci- 
fico ,  come  sono  i  morbi  contagiosi,  in  particolare 
gli  esantematici,  possono  essere  arrestati  nella  car- 
l'iera  e  nei  loro  stadi,  quando  già  un  processo  mor- 
boso si  è  pronunziato  e  stabilito:  se  ciò  accade  per 
improvvida  cura,  o  per  interna  predisposizione  fìsica, 
ordinariamente  letale  è  l'esito  della  malattia.  AH'op- 


190 

posto  i  morbi  che  hanno  origine  da  cause  nocive 
ordinarie,  a  qualunque  diatesi  appartengano  ,  se- 
gnano due  soli  periodi:  il  primo  d'  incremento  che 
procede  fino  al  acrnen  del  male:  1'  altro  che  suc- 
cede di  decremento,  termina  colla  malattia  stessa  : 
abbreviato  può  esserne  il  corso,  dietro  conveniente, 
attivo  ,  e  proporzionato  metodo  curativo.  Le  ma- 
lattie organiche  non  hanno  alcun  periodo  fìiso. 

Offre  la  miliare,  al  pari  degli  altri  acuti  esan- 
temi ,  diversi  distinti  periodi  ,  che  le  sole  com- 
plicazioni rendono  oscuri  ;  esaminandone  però  con 
tutta  accuratezza  l'andamento  si  giunge  a  di- 
stinguerli, giacché  veggonsi  rappresentati  da  parti- 
colari sintomi.  Si  dissero  stadi  d'  invasione  ,  eru- 
zione, maturazione,  e  disseccamento,  ossia  di  eli- 
minazione del  principio  inassimilabile,  atto  ad  in- 
durre e  mantenere  profonde  alterazioni  patologiche 
nei  diversi  apparati  organici,  con  lederne  le  rispet- 
tive funzioni. 

Lo  stadio  d'invasione  è  costituito  dal  periodo  che 
passa  tra  l'assorbimento  della  materia  contagiosa,  ed 
il  deposito  di  essa  in  quelli  oigani,  o  tessuti,  forniti 
dell'opportunità  a  risentirne  l'azione  deleteria,  ed  en- 
trare col  seminio  contagioso  in  un  processo  di  ope- 
razione chimico-vitale.  Forse  non  vi  ha  esantema , 
in  cui  lo  svolgimento  di  questo  stadio  è  così  incerto, 
come  nella  miliare.  Secondo  Allioni  dura  talvolta  a 
lungo  nel  corpo  sano  la  ricevuta  infezione  senza  ma- 
nifestarsi ,  e  senza  nemmeno  alterare  le  condizioni 
meglio  marcate  della  salute.  Non  sembra  però  am- 
missibile, né  possiamo  essere  persuasi,  che  il  principio 
miliare  si  occulti  lungamente  nella  macchina,   e   si 


191 

manifesti  soltanto  in  alcune  particolari  circostanae. 
Si  è  preteso  paragonarlo  per  la  delitescenza  al  con- 
tagio idrofobico,  col  quale  non  mostra  al  certo  avere 
alcun  rapporto.  Ciò  che  vi  ha  di  positivo  si  è,  che 
la  incubazione  di  questo  germe  varia  in  ragione  della 
sensibilità  del  sistema  linfatico  ,  e  della  maggiore 
o  minore  virulenza  della  materia  contagiosa  di  già 
assorbita,  ma  non  oltrepassa  sicuramente  il  termine 
di  alcune  settimane. 

Lo  stadio  d'invasione  non  ha  sintomi  particolari: 
tutt'i  cambiamenti  che  si  avvertono  sono  risultato 
di  semplice  condizione  irritativa.  Infatti  se  non  havvi 
predisposione  individuale,  o  mancano  le  cause  no- 
cive occasionali,  tutto  si  riduce  ad  una  alterazione 
delle  proprietà  vitali,  a  semplice  malessere,  inquie- 
tudine, polso  frequente,  nervoso.  Questo  stato  in- 
normale di  salute  termina  dopo  qualche  giorno,  re- 
stando eliminato  e  distrutto  l'assorbito  contagio  dalle 
sole  forze  della  natura.  All'opposto  se  la  macchina 
trovasi  nelle  condizioni  favorevoli  allo  sviluppo  del 
germe,  nuovi  sintomi  si  pronunziano,  che  sono  in 
rapporto  immediato  colle  vie  che  il  contagio  ha  per- 
corse ,  ed  in  attinenza  col  sistema  organico  di  già 
invaso.  Ragione  potissima,  per  cui  la  medesima  ma- 
lattia contagiosa  presenta  talora  una  sintomatologia 
sì  varia  ed  opposta  nei  diversi  individui,  da  imporre 
a  chi  non  ha  bene  approfondite  queste  leggi  dei  con- 
tagi, col  far  credere  differenti  quelle  malattie,  che 
hanno  un'origine  comune  ,  e  curabili  generalmente 
con  eguali  sussidi  terapeutici. 

Allorché  il  fomite  miliare  assalisce  l'apparato  di- 
gestivo, la  nausea  ed  il  vomito  sono  i  primi  sintomi 


192 

ad  insorgere,  effetto  del  convellimcnto  delle  fibre  niii- 
sculari  dello  stomaco,  che  muove  in  consenso  il  dia- 
framma ed  i  musciili  addominali,  contrazioni  pro- 
dotte dal  principio  disaffine  a  carico  di  una  mem- 
brana dotata  di  grande  sensibilità,  qual'è  la  mucosa 
gastro-enterica.  Seguono  un  senso  di  oppressione 
alla  regione  epigastrica,  ch'estendesi  allo  scrobicolo 
del  cuore,  tormini  ventrali,  movimento  febbrile  con 
polso  piccolo,  contratto,  aridezza  di  lingua  e  delle 
fauci,  sete,  cardialgìa,  cui  può  tener  dietro  in  se- 
guito l'infiammazione  dello  stomaco,  che  irradiasi  in 
taluni  casi  ai  visceri  contigui,  in  particolare  al  fe- 
gato, couje  lo  provano  i  segni  caratteristici  di  queste 
particolari  affezioni,  e  non  di  rado  la  stessa  necro- 
scopìa  lo  conferma,  con  delle  macchie  nere  e  gan- 
grenose  sopia  parti  infiammate.  Tralasceremo  per- 
tanto di  enumerare  tutti  gli  altii  fenomeni,  che  ac- 
compagnano questo  stadio,  perchè  già  altrove  espo- 
sti. Solo  si  potrà  soggiungere  che  la  via  dello  sto- 
maco è  la  più  frequentemente  tenuta  dal  contagio 
per  la  sua  introduzione  nell'organismo. 

Sebbene  con  minor  frequenza  ,  pure  rimarcasi 
scegliere  l'acre  miliare  le  vie  della  respirazione  per 
insinuarsi  nella  econamia  animale.  La  fenomenologia 
che  apparisce  mostra  chiaro  il  sentiero  che  il  con- 
tagio ha  percorso,  ed  i  visceri  che  trovansi  minac- 
ciati. Ordinariamente  ne  danno  indizio  la  tosse  vio- 
lenta, irritativa,  l'eritema  delle  fauci,  quindi  oppres- 
sione ai  precordi  ,  dispnea,  sospiri,  ambasce,  lipo- 
timie.  Se  la  materia  contagiosa  per  l'indole  e  la 
copia  è  tale  da  cagionare  una  profonda  impressione 
sui  punti,  dove  si  è  stabilita,  un  processo  irritativo- 


193 

flogistico  non  tarda  a  manifestarsi:  ed  è  perciò  che 
la  pleuritide,  la  peripneumonia,  la  pericardite  ap- 
pariscono con  il  loro  treno  sintomatico:  infiamma- 
zioni resipelacee  pericolosissime  per  le  tendenze  alla 
degenerazione  gangrenosa,  né  curabili  con  quclPat- 
livissimo  metodo  depletorio,  tanto  utile  e  necessario 
nelle  squisite  infiammazioni  parenchimatose.  Non  reg- 
ge la  fibra  alla  insistenza  di  energico  trattamento 
antiflogistico,  nelle  flogosi  prodotte  e  sostenute  da 
principio  contagioso.  Molto  più  imbarazzante  è  la 
condizione,  allorché  il  contagio  miliare  percorre  le  due 
strade  enunciate  simultaneamente  ,  imprimendo  su 
di  loro  la  sua  azione  perniciosa.  Una  maggiore  com- 
plicazione di  sintomi  necessariamente  si  appalesa 
che  somministra  sicuri  indizi,  quali  visceri  sono  at- 
taccati, ed  in  quali  pericoli  la  malattia  si  avvolge. 
Si  deduce  introdotto  il  virus  per  mezzo  del  siste- 
ma cutaneo  ,  dalla  mancanza  dei  segni  che  ab- 
biamo rimarcati  dichiararsi  ,  allorquando  l'assorbi- 
mento effettuasi  per  le  vie  aeree  ,  o  per  l'esofago. 
La  cute  medesima  offre  tracce  d'irritazione,  o  senso 
di  prurito,  i  brividi  e  le  orripilazioni,  che  ad  ogni 
tratto  si  fanno  sentire,  annunziano  lo  slato  conge- 
stivo della  pelle:  fenomeni  che  all'apparire  di  ogni 
male  contagioso  debbonsi  attribuire  a  questa  sor- 
gente, più  che  ad  un  semplice  sconcerto  della  fun- 
zione del  traspiro. 

Accaduta  la  riproduzione  del  principio  miliare 
negli  opportuni  tessuti  organici,  la  forza  espansiva 
acquistata  dagli  elaborati  elementi  contagiosi  tende 
a  manifestarli,  sotto  una  particolar  forma  sulla  cute: 
ed  è  questo  il  momento  ,  in  cui  la  malattia  dallo 
G.A.T.CXLIV.  13 


194 

stadio  d'invasione  passa  a  quello  di  eruzione,  che 
marca  il  carattere  specifico  dell'esantema.  Questo 
atto  di  separazione,  operato  da  una  forza  interna, 
automatica,  è  preceduto  da  sintomi  paiticolari.  Feb- 
bre intensa,  sudore  copioso,  senso  di  mordicazione 
alla  pelle  ,  ansietà  ,  anomalie  nervose  ,  condizione 
sommamente  irritativa  dei  polsi,  delirio,  finalmente 
esplosione  eruttiva  di  piccole  macchie,  o  noduli  alle 
parti  laterali  del  collo,  o  al  petto,  che  ben  tosto  si 
generalizza,  ed  acquista  un'estensione  corrispondente 
e  proporzionata  all'indole  e  forza  del  contagio,  ri- 
spettando l'efflorescenza  miliare  quasi  sempre  la  fac- 
cia. Incomincia  dalle  parti  superiori  del  corpo,  dove 
talvolta  si  arresta,  ma  per  lo  piiì  si  diffonde  suc- 
cessivamente alle  inferiori,  corso  ordinario  delle  eru- 
zioni esantematiche.  Non  mancano  dei  casi  di  mi- 
liare, in  cui  si  è  veduta  la  manifestazione  delle  pa- 
pale seguire  un  ordine  inverso. 

Un  fenomeno  degno  di  rimarco  nella  miliare,  che 
la  distingue  dagli  altri  acuti  morbi  eruttivi,  si  è  il 
modo  di  presentarsi  delle  papule,  che  accade  in  ta- 
lune circostanze  a  riprese,  o  ad  intervallo,  per  cui 
prolungato  vedesi  il  corso  della  malattia,  ed  irre- 
golarmente compiersi.  Osservasi  anche  in  alcuni  casi 
rarissimi  terminare  completamente  l'esantema,  dopo 
di  aver  percorso  con  regolarità  i  suoi  periodi ,  ri- 
cuperando l'infermo  il  suo  stato  ordinario  di  saluto; 
ma  passato  qualche  mese  avviene  una  seconda  in- 
vasione, torna  la  miliare  a  fare  una  nuova  com- 
parsa. Quest'anomalia  forse  indusse  Allioni  ad  am- 
mettere, che  non  restasse  sempre  del  tutto  eliminato 
il  germe  esantematico  in  un  primo  attacco,  rima- 


195 

nendo  parte  di  esso  celato  ed  occulto,  finché  par- 
ticolari impulsi  non  dessero  campo  allo  sviluppo  del 
fomite  latente  superstite;  donde  poi  stabilì  la  mas- 
sima che  il  contagio  miliare  può  rimanere  lunga- 
mente nello  stato  di  delitescenza  senza  dare  indizio 
di  se,  e  senza  alterare  il  grado  meglio  marcato  della 
salute.  Non  sarebbe  forse  più  consentaneo  ai  prin- 
cipii  della  scienza,  ed  alla  analogia  con  gli  altri  esan- 
temi ,  (sebbene  in  questi  piiì  raramente  ,  ed  a  pili 
lunghi  intervalli)  ritenere  il  nuovo  assalto  qual  ri- 
sultato di  un  novello  assorbimento  del  virus  ,  e  di 
rigenerata  individuale  predisposizione? 

L'intiero  organismo  esterna  nello  stadio  di  eru- 
zione una  serie  di  sintomi,  proporzionati  all'azione 
del  contagio,  ed  alla  concorrenza  di  altre  cause  ca- 
paci di  destare  e  mantenere  un  vero  processo  dia- 
tesico ,  poiché  rendonsi  generali  i  perniciosi  effetti 
della  materia  contagiosa  riprodotta;  si  passa,  secondo 
il  linguaggio  dei  patologi,  dalla  semplice  condizione 
patologica  alla  diatesi.  Rimarcasi  l'effetto  mor- 
boso locale  precedere  l'effetto  morboso  universale. 
Lo  stadio  di  eruzione  non  può  essere  considerato 
di  azione  puramente  irritativa  ,  siccome  opinava 
Rubini,  poiché  oltre  la  lesione  particolare  prodot- 
ta dalla  natura  inaffme  ed  eterogenea  del  con- 
tagio ,  interessa  i  sistemi  irrigatore  sanguigno  e 
linfatico  ,  imprimendo  bene  spesso  tracce  profonde 
sui  plessi  nervosi.  Abbiamo  rimarcati  gli  stessi  ap- 
parati gastro-enterico  e  pulmonale  disposti  a  subire 
delle  alterazioni  immediate  e  dirette,  o  per  effetto 
di  antagonismo:  ed  è  provato  che  ogni  malattia  lo- 


196 
cale  febbrile  col  crescere  ed  estendersi  acquista    il 
carattere  e  l'aspetto  di  malattia  universale. 

Accaduta  la  completa  manifestazione  dell'esan- 
tema, la  febbre  diminuisce,  o  esacesba,  se  meno  o 
più  sensibili  si  affacciano  le  complicazioni,  cioè  se- 
condo lo  stato  delle  prime  vie,  degl'organi  della  re- 
spirezione,  e  del  sensorio.  La  febbre  che  accompagna 
l'eruzione,  anche  quando  la  malattia  è  semplice,  non 
ha  tipo  stabile,  ora  prende  le  minacce  di  continua 
continente,  ora  di  remittente,  né  lascia  di  apparire  con 
larva  di  febbre  accessionale.  I  segni  che  comparvero 
sul  principio  dell'eruzione  a  guisa  di  piccole  mac- 
chie, o  punti  protuberanti,  osservansi  gradatamente 
aumentare  ,  e  giungere  alla  grandezza  dei  grani  di 
miglio.  Dal  centro  di  ciascuna  papula  elevasi  una 
vescichetta  sferica,  resistente  ad  un  leggiero  attrito 
senza  rompersi,  ripiena  di  un'umore  pellucido,  che 
si  mantiene  tale  per  lo  spazio  di  due,  o  tre  giorni, 
segnando  l'eruzione  il  punto  di  massimo  incremento» 
Allorché  tutto  il  fomite  scaturisse  alla  cute  con  una 
sola  separazione,  vi  è  perfetta,  e  completa  eruzione; 
all'opposto  se  parte  del  principio  morbifero  si  porta 
alla  periferia,  l'eruzione  è  parziale,  ed  incompleta, 
percorre  ciò  non  ostante  i  suoi  stadi,  però  nel  pe- 
riodo del  disseccamento  mostrasi  una  nuova  efflore- 
scenza in  punti  diversi,  preceduta  da  esacerbaziene 
febbrile,  e  dagl'altri  sintomi  concomitanti.  Possono 
ripetersi  anche  più  volte  queste  recrudescenze,  fin 
a  tanto  che  il  virus  trovasi  del  tutto  depositato  alla 
cute.  Quando  ciò  accade  irregolarissimo  è  il  corso 
dell'esantema. 


197 

Segue  lo  stadio  di  maturazione,  ch'è  il  periodo 
marcato  dal  cambiamento  che  subisce  l'umore  delle 
papule,  che  da  diafano  fassi  torbido,  indi  passa  al 
colore  parlaceo  ,  in  fine  acquista  i  caratteri  della 
materia  puriforme,  che  si  dissecca,  e  cade  coll'epi-^ 
demide  in  minutissimi  frammenti.  Nei  casi,  in  cui 
gli  stadi  si  compiono  con  regolarità,  incominciato 
appena  il  periodo  di  maturazione,  la  febbre  diviene 
mite,  il  polso  molle  ed  espanso,  calmansi  tutti  gl'altri 
sintomi,  il  sudore  apparisce  più  moderato,  le  orine 
cariche  di  sedimento,  apresi  il  ventre  con  deiezioni 
di  materie  fetide  ,  e  biliose  ,  cessa  in  fine  intiera- 
mente la  malattia,  lasciando  per  qualche  tempo  un 
senso  pruriginoso  nella  cute. 

Non  sempre  avviene  che  tutto  il  virus  è  portato 
alla  periferia,  talora  porzione  di  esso  per  inoppor- 
tuno metodo  di  cura,  per  colpa  del  malato,  o  anche 
per  interna  predisposizione  della  machina  assalisce 
i  visceri,  o  plessi  nervosi,  esacerba  immediatamente 
la  febbre,  si  sopprime  il  sudore,  la  pelle  diviene 
arida,  la  respirazione  lesa,  l'ansietà  ,  il  sussulto  dì 
tendini,  il  delirio,  la  convulsione  non  tardano  a  com- 
parire, con  esito  ordinariamente  letale.  I  medesimi 
sintomi,  e  gli  stessi  pericoli  sorgono,  se  l'umore  esan- 
tematico condotto  già  intieramente  alla  cute,  retro- 
cede all'istante  pur  soverchio  calore  esterno,  per  fred- 
do, patemi  di  animo,  o  qualunque  altra  causa.  In 
questi  casi  le  sole  critiche  evacuazioni  possono  al- 
lontanare i  gravissimi  sconcerti,  che  minacciano  la 
vita. 

Il  fomite  miliare  retropulso  cagiona  una  sinto- 
matologia diversa,  secondo  il  viscere,  su  cui  impri- 


198 
me  la  sua  azione.  Se  prende  il  capo  induce  delirio, 
afFezione  comatosa,  od  apoplessia;  se  attacca  gl'or- 
gani della  respirazione,  oppressione,  dispnea,  sofFoca- 
ziane;  se  l'apparato  chilopoietico,  cardialgia,  vomito, 
singhiozzo,  diarrea  colliquativa;  alle  puerpere  si  ar- 
restano i  lochii,  cessa  la  secrezione  lattea,  il  ventre 
s'inarca,  si  fa  dolente  sotto  la  pressione,  assume  la 
malattia  il  carattere  della  vera  febbre  puerperale. 
Né  mancano  osservazioni  di  miliare  confluente  ,  in 
cui  si  rimarcano  tutt'i  descritti  cambiamenti,  senza 
poterne  incolpare  una  interna  metastasi,  restando  le 
papule  prominenti,  e  ripiene  del  proprio  umore,  l'ec- 
cessiva copia  della  materia  morbifica  è  la  causa 
delle  patologiche  alterazioni.  Non  essendo  la  sola 
cute  atta  a  ricevere  tutto  il  fomite,  è  mestieri  che 
rifluisca  a  carico  degli  organi  interni,  ed  allora  la  feb- 
bre si  mostra  piii  intensa,  con  polso  valido,  fisono- 
mia  animata,  occhi  scintillanti,  la  mente  si  altera, 
il  malato  esterna  i  suoi  timori,  sopraggiunge  il  de- 
lirio e  la  convulsione,  in  cui  ordinariamente  cessa 
di  vivere.  In  fine  l'enunciate  lesioni  possono  acca- 
dere per  la  prava  indole  del  principio  miliare,  che 
altera  sensibilmente  la  fibra  motrice,  col  prediligere 
in  specie  il  sistema  nervoso  cerebro-spinale,  di  cui 
sconcerta  e  distrugge  rapidamente  le  funzioni  e  la 
vita. 


199 

CAPITOLO  V. 

Divisione,  segni  diagnostici,  e  cause 
predisponenti  della  miliare. 

Varie  obbiezioni  si  sono  dovute  rimuovere  per 
assegnare  alla  miliare  il  posto  nosologico  fra  i  morbi 
esantematici  essenziali  ,  d'indole  perciò  contagiosa. 
Osservammo  parimenti  non  essere  sì  facile  scegliere 
ed  adottare  fra  le  molte  divisioni,  che  si  fecero  di 
questo  esantema  ,  quella  che  si  trovasse  giusta  e 
corrispondente  in  tutt'i  casi ,  e  nelle  varie  compli- 
cazioni ,  che  sovente  occorre  di  vedere  nel  pratico 
esercizio.  La  divisione  in  benigna,  maligna,  e  com- 
plicata, seguita  da  Borsieri,  si  avvicina  più  di  ogni 
altra  alla  natura  dell'esantema;  ma  non  comprende 
quei  casi  gravi,  in  cui  fin  da  principio  la  malattia 
apertamente  mostra  la  sua  indole,  e  fa  conoscerne 
i  pericoli.  Né  può  dirsi  allora  maligna,  poiché  me- 
rita unicamente  questo  nome,  quando  percorre  in- 
sidiosamente i  primi  suoi  periodi,  con  cambiamenti 
appena  sensibili  nel  polso,  nel  calore,  nelle  funzioni, 
tutto  però  ad  un  tratto  apparisce  sommamente  grave 
e  pericolosa.  La  divisione,  che  meglio  sembra  cor- 
rispondere in  pratica,  è  di  miliare  mite,  grave,  lar- 
vata ,  e  complicata.  Quanto  sia  essa  utile,  lo  rile- 
veremo seguendo  l'esantema  in  tutte  le  sue  vicis- 
situdini. 

Dalla  storia  che  fin  qui  si  è  esposta  di  questa 
particolare  eruzione  emerge,  che  se  attentamente  si 
esaminano  i  segni  anamnestici   e  concomitanti,  tanto 


200 

comuni,  che  propri  della  malattia,  non  sarà  (lifflcilc 
(li  stabilire  una  giusta  diagnosi.  I  sintomi  i  piiì  co- 
stanti sono  i  brividi  e  le  ornpilazioni,  che  si  alter- 
nano col  calore  nei  primordi  del  male  :  segue  un 
sudore  copioso,  viscido,  ch'emana  un  odore  partico- 
laie,  non  critico,  ed  è  ritenuto  sintonia  patognomo- 
nico:  quindi  senso  di  oppressione  al  petto,  con  strin- 
gimento ai  precordi,  da  cui  partono  le  ambasce,  la 
dispnea,  l'ansietà,  le  veglie,  la  prostrazione  morale, 
l'orgasmo  dell'infermo.  Mite,  variabile,  proteiforme 
è  la  febbre  nel  suo  esordire,  accompagnata  ordina- 
riamente da  delirio  ,  tremore,  sussulto  di  tendini  , 
abbattimento  di  forze,  con  polso  debole,  frequente, 
nervoso,  ordinatamente  intermittente,  stupore  pun- 
gitivo  nelle  dita,  crampi  alle  mani,  o  alle  estremità 
inferiori  ,  fìtte  dolorose  alla  cute  ,  tosse  irritativa  , 
ora  mite,  ora  violenta,  eritema  alle  fauci,  degluti- 
zione incomoda,  difficile,  scosse  convulsive  improvvise 
e  subitanee  in  tutto  il  sistema,  con  tremito  e  spa- 
vento, allorché  l'infermo  si  dispone  al  sonno.  Se  a 
questi  segni  vi  si  unisce  la  costituzione  epidemica, 
ó  il  sospetto  di  aver  contratto  il  germe  miliare,  vi 
ha  maggior  probabilità  per  presagire  l'esantema,  pre- 
ceduto e  seguito  in  parte,  o  in  tutto,  dagli  esposti 
sintomi. 

Secondo  la  stabilita  divisione,  può  chiamarsi  mite 
la  malattia,  quando  in  tutto  il  suo  corso  è  disgiunta 
da  gravi  sintomi,  percorre  i  suoi  stadi  regolarmente 
senza  inostrare  alcuna  abberrazione  :  abbraccia  la 
miliare  apiretica,  e  la  febbrile  semplice.  L'apiretica 
è  annunziata  dai  caratteri,  che  sono  propri  di  questa 
affezione,  proporzionati  alla  natura  benigna  del  male. 


201 

cioè  leggerissimi  brividi,  lassezza,  sudore  profuso, 
polso  frequente,  contratto,  poca  sete,  appetito,  eru- 
zione discreta  di  papule  ,  che  offrono  un  graduato 
aumento,  maluiano,  e  si  disseccano  in  tempo  op- 
portuno, senza  molto  turbare  le  funzioni  dell'econo- 
mia animale.  Borsieri,  Damilani,  Bayer  videro  del- 
gl'individui  attaccali  dalla  miliare  apiretica  in  un 
modo  sì  blando,  senza  esser  costretti  di  abbandonare 
le  loro  ordinarie  occupazioni;  il  solo  sintoma  costante 
ed  incomodo  era  il  copioso  sudore.  La  miliare  feb- 
brile semplice  è  preceduta  dai  medesimi  segni  del- 
l'apiretica. Trascorsi  alcuni  giorni  si  sviluppala  febbre, 
seguita  da  sete,  anoressia,  il  malato  diviene  rattri- 
stato, timoroso,  senza  presentare  sintomi  gravi;  lieve 
è  l'oppressione  ai  precordi,  e  fugace,  crampi  lungo 
le  dita,  sonno  interrotto,  sudore  profuso,  eruzione 
miliare  completa,  che  solleva  e  calma  la  febbre,  con 
corso  regolare,  mentre  apparisce  nell'epoca  conve- 
niente ,  la  durata  non  eccede  il  tempo  ordinario-: 
l'incremento  delle  papule,  la  maturazione,  ed  il  dis- 
seccamento non  mostrasi  troppo  sollecito,  né  ritar- 
dato, né  protratto:  nulla  in  fine  presenta  la  malattia 
di  straordinario  ed  insolito. 

Diccsi  grave  l'esantema,  quante. volte  si  allontana 
dal  corso  regolare,  distinto  da  imponente  apparato 
sintomatico  ,  che  fa  chiaramente  conoscere  fin  dal 
primo  suo  apparire  l'indole  pericolosa.  La  febbre  è 
veemente,  grande  l'ansietà,  sete  ardente,  oppressione 
di  petto  quasi  soffocante,  sudoi'e  copioso,  generale, 
crampi,  scosse  convulsive,  sussulto  di  tendini,  deli- 
rio, o  affezione  comatosa,  eruzione  miliare  confluente, 
eomplota  ,  talvolta  imperfetta  ,  e  ad  intervallo.  Né 


202 

il  carattere  di  questo  morbo  dipende  sempre  dalla 
eccessiva  quantità  delle  papule,  poiché  osservasi  ta- 
lora il  medesimo  apparato  con  una  discreta  etBo- 
rescenza.  L'eruzione  in  questi  casi  scaturisce  in  tem- 
po indeterminato,  protratto  anche  ad  alcune  setti- 
mane ,  senza  arrecare  il  più  piccolo  alleviamento. 
Altri  sintomi  sopraggiungono,  che  aggravano  mag- 
giormente il  fondo  della  malattia.  La  febbre  esacerba 
più  volte  al  giorno,  h  lingua  diviene  rossa,  secca, 
tremula,  moti  convulsivi,  celere  abbassamento  delle 
pustule,  polso  ineguale,  contratto,  nervoso,  tremori 
nelle  mani,  tinnito  alle  orecchie,  sbalordimento,  gra- 
vedine  di  capo,  ottusità  dei  sensi,  carfologia.  Dalla 
esposta  sindrome  rilevasi  che  il  fomite  ha  invaso  il 
sistema  nervoso,  dando  luogo  allo  sviluppo  del  tifo 
miliare  ;  casi  ovvi  nelle  ricorrenze  epidemiche  di 
questo  esantema,  per  cui  con  tutta  ragione  Mead  so- 
stenne, che  i  tifi  contagiosi  ripetono  la  loro  origine 
dalla  miliare  e  dalla  petecchia,  malattie  sommamente 
affini. 

Non  sono  infrequenti  i  casi  ,  in  cui  la  miliare 
si  presenta  in  principio  sotto  l'apparenza  di  qualun- 
que altro  morbo,  ossia  larvata.  Essendo  essa  spo- 
radica difficile  ed  oscura  offresi  allora  la  diagnosi, 
né  havvi  medico  clinico,  per  quanto  sia  avveduto 
ed  esperto,  che  non  possa  restarne  illuso:  solo  ac- 
cade di  riconoscere,  ed  avvedersi  dell'inganno,  subito 
che  incomincia  ad  apparire  l'eruzione.  Le  malattie, 
che  di  ordinario  occultano  questo  esantema  ,  sono 
le  febbri  catarrali,  le  reumatiche  ,  le  gastriche  ,  le 
intermittenti,  oppure  la  pleuritide,  la  peripneumonia, 
l'artritide,  l'eresipela,  l'affezione  comatosa  ec.  In  tali 


203 

avvenimenti  il  principio  esantematico  prima  di  ma- 
nifestarsi alla  cute,  occupa  questo  o  quell'interno 
tessuto,  predisposto  a  riceverne  l'impressione,  e  ri- 
sentirne l'azione,  per  cui  spiegasi  una  sintomatologia, 
ch'è  propria  di  una  qualche  particolare  malattia,  e 
che  indica  nello  stesso  tempo  un  dato  sistema  or- 
ganico già  affetto.  Merita  pertanto  il  nome  di  lar- 
vata, allorché  incomincia  sotto  l'aspetto  di  un  mor- 
bo, che  riconosce  la  sua  origine  dal  virus  miliare, 
a  differenza  della  complicata,  che  sebbene  associata 
anch'essa  ad  altro  male,  questa  complicazione  è  su- 
scitata e  mantenuta  da  causa  diversa. 

Se  diffìcile,  come  abbiamo  rimarcato,  è  la  dia- 
gnosi della  miliare  larvata,  non  è  però  affatto  im- 
possibile di  sospettare  della  sua  prossima  manifesta- 
zione, esaminando  accuratamente  le  anomalie  ,  che 
precedono  e  seguono  l'intiero  suo  corso  prima  del- 
l'eruzione. La  malattia,  sotto  la  cui  larva  è  nascosto 
l'esantema,  palesa  sempre  qualche  sintoma,  che  non 
è  proprio  della  sua  vera  natura  ,  o  mostrasi  priva 
di  alcuni  caratteri  consueti  ad  annunciarla:  gU  stessi 
rimedi,  utili  quando  è  legittima,  divengono  in  que- 
ste circostanze  inerti  ,  e  non  di  rado  dannosi.  Il 
morbo  miliare,  benché  larvato,  non  si  spoglia  del 
tutto  dei  segni  caratteristici  ,  che  lo  distinguono. 
Non  mancano  perciò  il  sudore  copioso  ,  continuo  , 
fetido,  l'oppressione  ai  precordi,  la  dispnea,  i  crampi, 
il  polso  duro,  ineguale,  contratto,  il  sonno  interrotto, 
le  ambasce  ,  il  delirio.  Accaduta  la  completa  eru- 
zione cessano  i  segni  della  malattia,  che  occultava 
l'esantema,  proseguendo  questo  l'ordinario  suo  an- 
damento. Se  poi  imperfetta  apparisce  l'efflorescenza. 


204 

i)  trop[Jo  ritardata  ,  una  profonda  alterazione  pato- 
logica si  stabilisce  a  carico  del  viscere  primitiva^ 
mente  offeso,  che  associata  alla  miliare,  non  lascia 
di  turbarne  il  corso,  ed  accrescerne  i  pericoli. 

Un  esempio  di  miliare  sotto  un  aspetto  apparen- 
temente mite  ,  e  di  esito  infausto  ,  che  occorse  di 
osservare  nel  pratico  esercizio,  merita  di  essere  qui 
inserito.  N.  C.  abitante  in  via  Agonale,  dell'età  di 
trentadue  anni,  di  condizione  civile,  di  temperamento 
nervoso,  maritata,  madre  di  quattro  figli,  non  fu  mai 
soggetta  a  gravi  malattie:  qualche  leggiero  gastri- 
cismo era  l'incommodo,  al  quale  vedevasi  facilmente 
sottoposta,  malgrado  la  sobrietà  nel  vitto.  Nel  set- 
tembre del  1848,  trovandosi  nel  quarto  mese  di  gra- 
vidanza, incominciò  a  risentire  un  senso  di  malessere, 
dolore  fugace,  ma  che  si  rinnovava  ad  intervallo  nella 
regione  lombare  ,  delle  macchie  di  sangue  fluirono 
dalla  vagina,  indi  aborto,  ad  onta  dei  presidii  del- 
l'arte adoperati  per  allontanarne  le  minacce  ,  non 
escluso  il  salasso.  La  perdita  consecutiva  sanguigna 
dall'utero  fu  sensibile:  non  tardò  però  molto  a  ce- 
dere, trovandosi  presto  sostituita  da  moderato  flusso 
lochiale.  Nel  ((uinto  giorno  apparve  leggerissima  feb- 
bre, preceduta  da  brividi,  che  declinò  il  giorno  se- 
guente con  sudore  parziale  ,  orine  quasi  naturali  , 
diminuzione  di  lochii.  Dopo  poche  ore  di  remissione 
avvenne  nuova  esacerba/ione  febbrile,  annunciata  da 
freddo,  sete,  anoi-essia,  il  flusso  vaginale  diminuito, 
ma  non  affatto  cessato  ,  ventre  molle  ,  né  dolente 
sotto  la  pressione  ,  res|)i razione  naturale.  Si  pre- 
scrisse un  blando  purgativo  ,  che  procurò  diverse 
scariche  alvine,  deci  inazione  della  febbre  all'indomani, 


205 

seguita  da  sudore  generale,  copioso,  orine  rossastre, 
senza  sedimento.  Nelle  ore  pomeridiane,  previo  un 
freddo  intenso,  ebbe  luogo  l'aumento  della  febbre, 
cbe  fu  discreto  né  proporzionato  al  grado  di  freddo, 
l'utero  poco  più  gemeva,  ventre  teso,  cefalalgia  fron- 
tale: si  fecero  applicare  dieci  sanguisughe  alle  pu- 
dende, che  resero  di  nuovo  il  ventre  trattabile,  di- 
minuì il  dolor  di  capo,  il  sudore  comparve  copio- 
sissimo di  odore  nauseoso.  Essendo  apparsa  la  febbre 
sempre  moderata  con  leggiere  esacerbazioni,  seguite 
da  profuso  sudore,  non  impegno  apparente  di  visceri, 
ne  sintonia  grave  che  imponesse,  si  giudicò  la  ma- 
lattia per  una  febbre  irritativa,  che  faceva  sperare 
un  esito  favorevole.  In  mezzo  ad  una  calma  lusinghiera 
la  sola  malata  cominciò  nel  decimo  giorno  del  male" 
a  disperare  della  sua  guarigione.  Sorsero  l'abbatti- 
mento morale,  l'ambascia,  il  polso  si  mostrò  duro 
e  contratto,  la  pupilla  dilatata.  Consultato  nel  duo- 
decimo giorno  l'esimio  professore dando  egli 

molto  peso  alla  località,  stagione,  e  sintomatologia, 
non  esitò  a  caratterizzarla  per  febbre  accessionale, 
proponendo  l'amministrazione  sollecita  dell'antifeb- 
brile. Esibito  il  rimedio  in  dose  conveniente  ,  non 
tardò  la  febbre  a  farsi  pili  ardita,  venne  il  delirio, 
la  dispnea,  l'ansietà  :  nel  giorno  seguente,  ossia  de- 
cimoquarto, videsi  con  sorpresa,  in  mezzo  a  piofuso 
sudore,  apparire  l'eruzione  miliare  al  collo,  alle  biac- 
cia,  al  petto,  minutissima,  bianca,  senza  portare  al- 
cun alleviamento:  si  diffuse  quindi  ai  lombi,  all'ad- 
dome, ma  irregolare  fu  il  suo  corso,  la  lingua  divenne 
rossa  ed  arida,  il  delirio  continuo,  sussulto  di  ten- 
dini, polso  frequente  ed  ineguale,   peggiorando  ogni 


206 
giorno  sempre  più  la  malata,  e  fatta  comatosa,  nel 
vigesimo  cessò  di  vivere. 

Assume  il  nome  di  miliare  complicata,  quando  l'e- 
santema è  congiunto  ad  altro  morbo,  proveniente  que- 
sto da  causa  diversa,  a  differenza  della  larvata,  nella 
quale  la  complicazione  ha  origine,  come  si  è  esposto, 
dallo  stesso  principio  esantematico,  per  cui  indebita- 
mente alcuni  scrittori  vorrebbero  riunire,  non  senza 
danno  della  medicina  pratica,  le  due  specie  in  sola  cate- 
goria. I  caratteri  che  distinguono  la  complicata  dalla 
larvata  sono,  che  nella  prima  la  perfetta  e  completa 
eruzione  non  tronca  il  corso  della  malattia,  con  cui 
trovasi  associata:  il  che  sovente  avviene  nella  lar- 
vata, dove  cede  facilmente  ogni  complicazione  all'ap- 
parire dell'  esantema.  Distinguesi  anche  la  miliare 
complicata,  perchè  mostra  essa  fin  da  principio  tutta 
la  imponenza  ed  il  pericolo  ;  la  larvata  all'opposto 
può  presentarsi  a  foggia  delle  malattie  maligne,  mite 
nel  nascere,  indi  spiegare  la  sua  ferocia,  l  morbi , 
che  si  osservano  con  più  frequenza  unirsi  alla  miliare, 
sono  la  petecchia,  il  morbillo,  il  vainolo,  la  scar- 
lattina, la  pleuritide,  la  peripreumonia,  la  metritide, 
la  gastro-biliosa  ec. 

Secondo  la  massima  dei  patologi  che  l'azione  già 
stabilita  di  un  contagio  è  di  ostacolo  allo  sviluppo 
simultaneo  di  altro  seminio  contagioso,  la  presenza 
e  l'andamento  della  miliare  sembrerebbe  escludere 
in  complicazione  la  petecchia,  il  vainolo,  il  morbillo 
ec.  se  i  fatti  e  le  osservazioni  in  opposizione  al  prin- 
cipio non  dimostrassero  apertamente  non  esser  raro 
il  connubio  di  questi  morbi  contagiosi.  Rimarcansi 
pertanto  nella  serie  dei  contagi  delle  anomalie,  che 


207 

meritano  tutta  la  riflessione  del  clinico,  per  non  ca- 
dere in  gravi  abbagli,  convinti  che  a  lato  di  ogni 
regola  generale  in  medicina  esistono  numerose  ec- 
cezioni, che  ora  in  proposito  fa  d'uopo  richiamare 
brevemente  ad  esame.  Sospeso  vedesi  talune  volte 
ad  un  tratto  il  corso  di  un  male  contagioso  ,  per 
l'assorbimento  di  altro  germe  riproduttivo.  Brewer 
scrisse  che  ad  una  bambina  di  dieciotto  mesi, alla  qua- 
le fu  inoculato  il  vainolo,  dopo  due  giorni  la  piccola 
ferita  cicatrizzò  perfettamente,  restarono  sospesi  tem- 
poraneamente gl'effetti  della  inoculazione,  per  la  so- 
pravvenienza della  pertosse,  ch'ebbe  la  durata  di  se- 
dici giorni,  indi  vide  di  nuovo  infiammarsi  la  parte 
inoculata,  ed  apparire  il  vainolo,  che  mostrossi  d'in- 
dole benigna.  Non  sempre  l'assorbimento  di  un  se- 
condo contagio  ha  forza  di  sospendere  il  processo 
patologico  di  altro  morbo  contagioso,  ma  può  in- 
vece diminuirne  la  virulenza:  esempio  ne  sia  la  vac- 
cinazione praticata  nell'atto,  in  cui  il  vaiuolo  sta  per 
manifestarsi  :  se  non  prevale  l'azione  del  vaccino  , 
moditicata  resta  la  potenza  vaiuolosa,  e  blando  dovrà 
essere  il  vaiuolo  che  svolgesi.  Vi  sono  dei  mali  con- 
tagiosi, che  non  si  escludono  vicendevolmente  nel 
periodo  di  una  stessa  malattia  ,  ma  confusi  e  tur- 
bati mostransì  i  loro  stadi,  ed  alterata  la  loro  forma 
morbosa,  come  avviene  infatti  alla  miliare,  allorché 
trovasi  complicata  al  morbillo,  petecchia,  vaiuolo  ec. 
La  petecchia  e  la  miliare  ,  scrisse  Biera,  sono  fe- 
nomeni non  ordinari  ,  che  ho  potuto  insieme  osser- 
vare nelle  epidemie  petecchiali  degli  an.tSlO  el817.  I 
tifi  contagiosi, di  cui  parla  Borsiori,  offrono  parimenti 
l'esempio  della  simultanea  comparsa  di  queste  due 


208 
erazioni.  Dalle  accennate  osservazioni  sembra  po- 
terne ragionevolmente  dedurre,  che  vi  sono  dei  con- 
tagi, che  mostrano  un'azione  esclusiva  e  continuata  ; 
altri  hanno  forza  d' interrompere  ed  arrestare  dei 
mali  contagiosi  già  incominciati,  oppure  di  mino- 
rarne l'impeto:  come  non  mancano  dei  contagi,  che 
non  si  escludono  scambievolmente,  essendo  in  alcuni 
casi  contemporenea  la  loro  azione  ed  il  loro 
svolgimento  ,  complicata  però  apparisce  allora 
la  fenomenologia,  non  che  confuso  e  turbato  il  co- 
mune andamento.  La  presenza  dunque  e  manife- 
stazione di  due  contagi  in  un  corso  di  malattia  è 
sanzionatala  dai  fatti  e  dalla  costante  esperienza  : 
ciò  che  potrà  esser  solo  negato  da  tutt'i  buoni  os- 
servatori si  è  l'integrità  di  forma,  e  la  regolarità 
di  stadi,  come  vedremo  accadere  alla  miliare,  al- 
lorquando è  associata  alla  petecchia,  vainolo,  mor- 
billo ec. 

Non  è  difficile  di  osservare  1'  esantema  miliare 
unito  alla  petecchia,  quando  assume  il  genio  epide- 
mico: ben  di  rado  ciò  rimarcasi,  se  si  presenta  spo- 
radico. Le  diverse  epidemie  miliari  complicate  a 
petecchie,  descritte  da  Pietro  de  Castro,  P.  Sulio  Di- 
verso, Asti,  Borsieri,  Brera,  lo  dimostrano  ad  evi- 
denza. L'eruzione  miliare  ora  precede,  ora  è  pre- 
ceduta dalla  petecchia,  non  essendo  cosa  facile  di 
vederle  comparire  simultaneamente  con  un  solo  atto 
di  separazione.  Determinate  però  alla  cute,  continuano 
il  loro  andamento,  quantunque  irregolare.  Non  man- 
cano numerose  osservazioni,  in  cui  le  macchie  pe- 
tecchiali si  pronunziarono  nel  massimo  incremento 
dell'efflorescenza  miliare,  ovvero  quando  questa  era 


ì 


209 

nella  declinazione.  Alle  stesse  ftisi  è  soggetta  la  mi- 
liare, se  comparve  prima  l'eruzione  petecchiale.  Nel 
1758  Vienna  fu  assalita  nello  stesso  tempo  dai  due 
contagi:  in  taluni  malati  videsi  la  petecchia,  in  altri 
la  miliare,  in  molti  associati  i  due  esantemi.  I  sin- 
tomi, che  caratterizzano  ciascuna  delle  enunciate  af- 
fezioni cutanee,  sono  più  o  meno  manifesti  secondo 
la  prevalenza  del  principio  contagioso.  Appalesan- 
dosi la  miliare  allorché  la  petecchia  è  già  in  fine, 
il  prossimo  sviluppo  è  preceduto  da  notabile  cam- 
biamento. Le  orine  da  torbide  e  sedimentose  diven- 
gono limpide,  si  avverte  lo  stupore  pungitivo  nelle 
dita,  la  sordità  si  cambia  in  tinnito,  il  sopore  in  ve- 
glia, 0  coma  vigile,  cessa  la  prostrazione  delle  forze, 
il  polso  si  eleva,  diviene  più  frequente,  sorge  il  de- 
lirio ,  finalmente  se  intempestiva  si  affaccia  l'eru- 
zione, sopraggiunge  la  convulsione,  che  può  esser 
letale. 

Non  di  rado  accade  di  osservare,  dopo  l'eruzione 
petecchiale,  ammansire  i  sintomi,  sperimentando  il 
malato  per  alcuni  giorni  una  calma  lusinghiera;  scor- 
gesi  però  in  un  tratto  esacerbare  di  nuovo  la  febbre, 
torna  l'oppressione  ai  precordi,  la  mente  si  turba,  si 
altera  il  sonno,  nell'undecimo,  decimoquarto,  deci- 
mosesto giorno,  o  più  tardi  apparisce  la  miliare,  che 
seda  gl'insorti  fenomeni,  e  spesso  giudica  la  malattia. 
Stork  osservò  in  un  corso  di  febbre  petecchiale,  ch'era 
accompagnata  da  pertinace  singhiozzo,  cessare  questo 
sintonia  pericoloso  nel  decimoquarto  giorno  ,  dopo 
copiosissima  efflorescenza  miliare.  Nella  costituzione 
epidemica  di  Vienna  ,  di  cui  si  è  fatta  menzione  , 
allorché  l'esantema  miliare  sopraggiungeva  alla  pe- 
G.A.T.CXLIV.  ^  U 


210 

tecchia,  precedevano  leggiere  orripilazioni,  senso  di 
oppressione  al  petto,  ansietà,  profuso  sudore,  quindi 
copiosa  manifestazione  di  papule  miliari,  con  alle- 
viamento di  sintomi.  Se  ai  segni  anamnestici  e  pa- 
tognomonici  non  succedeva  l'eruzione,  le  orine  acqui- 
stavano un  gran  sedimento  ,  o  invece  appariva  un 
moderato  flusso  di  ventre,  che  costituiva  la  crisi  della 
malattia.  La  miliare,  quando  è  complicata  colla  pe- 
técchia, presenta  maggiori  pericoli,  o  ne  protrae  la 
durata:  d'ordinario  l'esito  dipende  dalla  natura  be- 
nigna, 0  maligna  dell'ultimo  esantema,  che  si  deter- 
mina alla  cute,  né  la  celere  o  ritardata  comparsa 
dell'eruzione  può  essere  di  norma  al  medico  per  una 
esatta  prognosi. 

Non  è  cosa  facile  presagire  la  miliare  prima  del- 
l'eruzione ,  quando  si  unisce  al  vaiuolo  ,  morbillo , 
scarlattina  ec.  L'indole  maligna  di  questi  morbi,  o 
la  regnante  costituzione  epidemica  possano  sommi- 
nestrare  dei  lumi  per  dubitare  del  suo  prossimo 
svolgersi..  Allioni  in  alcuni  casi  di  vaiuolo  compli- 
cato alla  miliare  osservò  prima  un  dolore  acerbis- 
simo ai  lombi,  che  precedeva  il  vaiuolo,  indi  appa- 
riva la  miliare.  L'eruzione  vaiuolosa  non  portava  di- 
minuzione di  febbre,  ed  il  polso  invece  di  farsi  molle 
e  sviluppato,  si  manteneva  duro  e  contratto,  seguiva 
Tefflorescenza  di  papule  miliari,  ch'era  di  ostacolo 
all'incremento  delle  pustole  vaiuolose  ,  sussulto  di 
tendini,  acuta  cefalalgia,  nel  sesto  o  settimo  giorno 
in  mezzo  al  delirio  i  malati  perivano.  Haller  (1)  os- 
servò il  vuiuolo  maligno,  complicato  colla  miliare. 


[1)  0|JU!)C.  pathol.  pag,  120. 


i 


211 

Non  sempre  letale  è  l'esito  di  questi  esantemi  al- 
lorché ti'ovansi  congiunti.  Camerario  narra  dei  casi 
di  vaiuolo  ,  a  cui  nella  piena  suppurazione  soprag- 
giunse la  miliare  con  favorevole  successo.  Tosto  che 
la  miliare  si  unisce  al  morbillo,  l'eruzione  è  prece- 
duta da  bruciore  agli  occhi,  infiammazione  alle  fauci, 
tosse  irritativa,  calore  urente  alla  cute.  Parimenti 
la  complicazione  colla  scarlattina  è  annunziata  da 
alcuni  caratteri,  che  sono  propri  della  porpora. 

Si  è  rimarcato  in  questa  sezione  il  morbo  mi- 
liare complicato  ad  altre  malattie  esantematiche.  Non 
si  è  tralasciato  in  pari  tempo  di  fare  osservare  quanto 
sia  allora  difficile  la  diagnosi,  e  come  alterata  mo- 
strasi la  forma  morbosa.  Conviene  aggiungere  che 
non  minori  sono  le  difficoltà  ed  i  pericoli  che  la 
miliare  presenta,  allorché  è  associata  a  genuine  e 
profonde  infiammazioni  organiche,  come  la  pleuritide, 
la  peripneumonia,  la  metritide,  la  peritonitide,  ec. 
malattie  che  riconoscono  la  loro  origine  dalle  stesse 
cagioni,  che  le  suscitano,  quando  sono  scevre  da  ogni 
complicazione:  a  differenza  della  miliare  larvata  che 
può  mentire  siffatte  affezioni,  prodotte  però  e  soste- 
nute dal  fomite  esantematico.  Le  cause  ordinarie  delle 
accennate  flemmasie  sono  la  stagione  favorevole  al 
loro  sviluppo:  nelle  partorienti  il  parto  laborioso,  il 
soccorso  intempestivo  della  mano  ostetrica:  nelle  puer- 
pere la  metastasi  lattea,  la  soppressione  de'lochi,  ov- 
vero le  ricorrenze  epidemiche  simultanee  di  malattie 
flogistiche,  in  specie  toraciche,  e  di  miliare.  Questi 
stessi  morbi,  che  rendono  talora  complicato  l'esan- 
tema, si  mostrano  con  tutto  l'apparato  sintomatico 
che  li  distingue ,  come  nel  caso    che  segue.  C.  B. 


212 

abitante  in  via  dei  Giubbonaii,  di  anni  25,  di  fibra 
delicata,  di  temperamento  nervoso,  maritata,  madre  di 
tre  figli,  fin  da  qualche  anno  andava  soggetta  ad  in- 
tervallo a  dispnea  ,  spesso  i  suoi  sputi  apparivano 
striati  di  sangue:  due  sorelle  erano  già  perite  di  tisi 
pulmonare  costituzionale,  non  essendovi  germe  gen- 
tilizio, mentre  vivono  tuttora  i  genitori  in  uno  stato 
conveniente  di  salute.  La  madre,  di  robusta  costi- 
tuzione, fin  dalla  giovinezza  videsi  alquanto  detur- 
pata nella  faccia  dalla  eruzione  cutanea,  che  viene 
sotto  il  nome  di  varo  gotta-rosea,  principio  acre,  che 
trasmesso  alla  prole,  benché  non  comparso  alla  cute, 
forse  fu  la  cagione  della  disorganizzazione  pulmo- 
nica,  alla  quale  soggiacquero  le  prime  due  figlie,  e 
che  minacciava  anche  la  terza,  se  acuta  malattia,  di 
cui  ci  occupiamo,  non  avesse  abbreviato  il  corso  della 
sua  vita.  Nel  luglio  1848,  trovandosi  la  giovane  a 
termine  della  quarta  gestazione,  partorì  felicemente, 
ebbesi  moderata  perdita  di  sangue  dall'utero,  i  lochi 
incominciarono  a  fluire  regolarmente.  Nel  secondo 
giorno  del  parto  un  leggiero  movimento  febbrile  an- 
nunziava la  funzione  delle  glandole  mammarie:  ma 
apparve  sì  scarsa  la  secrezione  lattea,  che  fu  me- 
stieri affidare  in  parte  la  bambina  ad  una  nutrice. 
Passò  la  puerpera  alcuni  giorni  in  uno  stato  di  per- 
fetta calma,  nel  nono  incominciò  ad  essere  molestata 
dalla  tosse,  la  respirazione  non  era  più  naturale.  Nelle 
ore  pomeridiane  delle  stesso  giorno,  previo  un  senso 
di  freddo,  si  manifestò  la  febbre  con  polso  sviluppato, 
tosse  violenta,  affanno,  dolore  al  petto,  sputo  san- 
guigno, decubito  laterale  diffìcile.  Questo  treno  sin- 
tematico  indusse  a  giudicare  attaccato  l'organo  pul- 


213 

monare  da  profonda  infiammazione:  malattia,  alla 
quale  vedovasi  la  nostra  inferma  sommamente  pre- 
disposta. Si  prescrisse  un  generoso  salasso  nella  sera 
stessa:  il  sangue  si  mostrò  tenace,  e  coperto  di  leg- 
giera cotenna.  Nel  secondo  giorno  la  tenuissima  se- 
crezione di  latte  ,  che  si  ebbe  cura  di  mantenere  , 
per  allontanare  una  pericolosa  metastasi,  interamente 
sparì,  diminuirono  i  lochi,  continuarono  i  sintomi  ad 
infierire,  esacerbò  la  febbre:  si  ricorse  nuovamente 
al  salasso,  il  sangue  presentò  la  sua  cotenna,  non  eb- 
desi  alleviamento  di  sorta.  Nel  terzo  giorno  fu  ria- 
perta la  vena,  il  sangue  apparve  meno  infiammato, 
la  parte  sierosa  più  rilevante,  il  dolore  meno  sensi- 
bile, sputo  glutinoso,  polso  non  pili  vibrato,  ma  fre- 
quente ed  irregolare,  affanno.  Nel  quarto  giorno,  sop- 
presso del  tutto  il  flusso  lochìale,  si  passò  all'appli- 
cazione di  dodici  sunghisughe  alle  pudende,  ed  em- 
pìastro  di  linseme  all'ipogastrio,  un  clistiere  emol- 
liente procurò  degli  scarichi.  Nel  quinto  sorge  un  nuo- 
vo apparato  sintomatico,  il  polso  diviene  duro  e  con- 
tratto, la  mente  non  più  serena,  un  sudore  profuso 
e  disaggradevole  cuopre  la  pelle,  crampi  all'estremità, 
ambascia,  veglia  protratta.  Dubitando  di  vicina  eru- 
zione miliare,  malattia  che  fu  fatale  a  molte  puer- 
pere in  questa  stessa  stagione  ,  ed  avendo  richie- 
sto un  consulto,  intervenne  il  professor  Folchi  ,  il 
quale  pienamente  sanzionò  ciò  che  si  era  pratica- 
to ,  per  far  argine  a  violenta  malattia  infiamma- 
toria ;  soggiunse  che  vedeva  giusti  i  timori  di 
prossimo  svolgimento  di  morbo  eruttivo, ammaestrato, 
diceva  ,  da  casi  consimili  occorsegli  in  quell'epoca 
liJl'esercizio  clinico.  Infatti  nel  settimo,  esacerbando 


214 

sempre  più  il  male,  apparve  l'efflorescenza  miliare 
al  collo  in  forma  di  piccolissimi  noduli,  che  nei  giorni 
successivi  si  estese  alle  parti  superiori  del  petto,  ed 
alle  braccia  ,  senza  arrecare  sollievo  :  videsi  invece 
ogni  giorno  aumentare  la  febbre,  crebbero  l'affanno 
e  la  tosse ,  scarsa  si  mantenne  1'  espettorazione  ad 
onta  dei  preparati  antimoniali,  e  l'applicazione  dei  ru- 
befacienti,  la  malata  divenuta  ortopnoica  nel  deci- 
moquarto giorno  spirò.  Ventisei  ore  dopo  la  morte 
si  venne  all'autopsia  cadaverica,  che  fu  limitata  ai 
soli  visceri  della  cavità  del  torace,  per  l'avanzata  pu- 
trefazione, verificandosi  ciò  che  aveva  rimarcato  Fan- 
toni,  cioè  che  i  cadaveri  delle  pueipere,  morte  in 
forza  della  miliare,  si  putrefanno  ed  intumidiscono 
prontamente.  Nessuna  aderenza  vi  era  fra  il  polmone 
e  la  pleura,  il  pericardio  conteneva  circa  tre  once  di 
fluido  di  colore  cedrino  ,  il  cuore  ed  i  grandi  vasi 
non  presentarono  la  minima  alterazione  organica  , 
turgidi  di  sangue  piceo  apparvero  i  grossi  tronchi 
venosi  e  1'  orecchietta  destra  ,  quasi  vuoti  i  grandi 
vasi  arteriosi,  ed  il  cuore  sinistro:  la  membrana  mu- 
cosa dei  bronchi  seguita  nelle  diramazioni  era  molto 
rossa  ed  iniettata,  ma  piiì  visibile  nel  polmone  destro, 
di  cui  videsi  perfettamente  epatizzato  il  lobo  inferiore. 
Tutta  la  sostanza  pulmonare  era  disseminata  di  corpi 
grigi  e  duri,  della  grandezza  dei  grani  di  senapa;  pro- 
duzioni morbose  ,  che  sembrano  corrispondere  alle 
granulazioni  polmonari,  sì  ben  descritte  da  Bayle  (1) 
sotto    il    rapporto    della    loro    forma    esterna,    che 


(1)  Recberclies  sur  la  phtìhsie   pulnionaire.  Paris  1801. 


215 
Leannec  (1)  in  questi  ultimi  tempi  ritenne  come  il  pri- 
mo grado  dei  tubercoli.Opinione  alla  quale  incliniamo, 
quantunque  ne  dissentono  due  grandi  scrittori  mo- 
derni di  anatomia  patologica  Andrai  e  Cruveilhier. 
Le  puerpere  veggonsi  sommamente  predisposte 
al  morbo  miliare,  e  la  così  detta  febbre  puerperale 
non  essendo  una  malattia  sui  generis,  od  una  reale 
peritonitide,  devesi  ritenere  identica  colla  febbre  mi- 
liare. Nella  febbre  puerperale  si  affaciano  nel  primo 
periodo  i  fenomeni  d'  irritazione  e  di  flogosi;  nel 
secondo  quelli  di  sconcerto  nervoso,  vale  a  dire  so- 
pore, delirio,  meteorismo,  decubito  supino,  sussulto 
di  tendini,  lingua  tremula  ec.;apparisce  in  fine  il  segno 
caratteristico  alla  cute,  cioè  l'efflorescenza  miliare,  che 
rare  volte  manca,  senza  escludere  la  malattia,  la  qual 
cosa  avviene  anche  al  vaiuolo,  al  morbillo,  alla  pe- 
tecchia ec.  presentando  talvolta  codesti  morbi  erut- 
tivi tutto  l'apparato  sintomatico,  che  gli  è  proprio, 
meno  l'eruzione.  Possono  le  puerpere  andare  soggette 
ad  ogni  sorta  di  malattia,  ma  non  ogni  male  costitui- 
sce la  vera  febbre  puerperale,  ossia  miliare.  La  sola 
che  merita  di  essere  distinta  con  questo  nome  è  quella 
che  ha  particolari  e  gravi  sintomi,  già  in  parte  accen- 
nati, e  sì  ben  descritta  da  Strother,  Leake,  Borsieri, 
Ottaviani  ec.  Alcuni  pratici  cercarono  di  rintracciare 
le  cause,  che  predispongono  le  puerpere  a  risentire 
con  tanta  facilità  il  pernicioso  influsso  del  virus  mi- 
liare. Taluno  ha  dato  molto  peso  ai  travagli  del  parto: 
il  sullodato  Borsieri  riconobbe  esser  questa  una  causa 
remota,  non  sempre  necessaria  per  contrarre  co  tal 


(1)  Trallato  dell'ascoltazione  mediata  dalle  malattie  dei  polmoni 
e  del  cuore.  Voi.  2  cap.  I  pag.  152,  Trad.  Livorno  1834. 


216 

febbre.  Cullen  ne  addebita  le  smodate  perdite  di 
sangue,  per  cui  crede  che  le  puerpere  siano  per  tal 
motivo  più  soggette  di  ogni  altro  individuo  alla  eru- 
zione miliare.  La  soppressione  de'lochi,  la  retroces- 
sione del  latte  furono  giustamente  annoverate  fra  le 
eause  occasionali  delia  malattia. 

Quando  la  miliare  si  associa  alla  febbre  gastrica, 
è  caratterizzata  questa  dai  fenomeni,  che  la  distin- 
guono. Non  ci  occuperemo  delia  miliare  chiamata 
cronica  da  alcuni  scrittori  (I),  efflorescenza  cutanea  fa- 
cile ad  osservarsi  negl'individui,  presi  da  diatesi  scor- 
butica, o  affetti  da  altre  inveterate  discrasie,  non  es- 
sendo che  una  semplice  eruzione  miliariforme  ,  di 
cui  si  è  lungamente  discusso,  ed  anche  dimostrato 
di  non  avere  essa  altro  in  comune  coll'esantema  mi- 
liare, che  alcuni  caratteri  apparentemente  somiglianti 
nella  pustulazione  (2). 


(1)  Intorno  alla    miliare    osservata    in    Cotignola    negli    anni 
1853 — 54 — 55.  Bull,  delle  scienze  mediche  dì  Bologna.  OUobre  1856. 

Lettera  intorno  al  morbo  miliare  cronico, Finali,  Giornale  Ve- 
neto di  scieiize  mediche.  Scr.  II.  Tom.   3. 

(2)  Le  citate  memorie,  su  questo  stesso  argomento,  parlano  di 
miliare  cronica,  come  di  fatto  inconcusso,  e   sanzionato  da  cliniche 

osservazioni.  Esaminando  però  bene  la  materia  veggo  nella  prima 
memoria  una  sola  storia  di  malattia  lunga,  ed  irregolare  in  tutto 
il  suo  corso,  accaduta  in  soggetto  preso  da  labe  scorbutica , 
che  si  volle  chiamare  miliare  cronica,  perchè  presentava  al- 
cuni caratteri  precursori  del  morbo  miliare:  ma  1'  esantema  non 
comparve  giammai  alla  cute.  Questo  fatto  isolato,  e  sì  dubbio,  non 
sembra  che  possa  avere  tanta  forza  in  medicina  per  stabilire  un 
principio.  Confesso  di  non  avere  avuto  sott'  occhio  1'  altro  opu- 
scolo ,  per  esternarne  un  giudizio:  rilevo  però  in  una  nota  inserita 
nel  citato  primo  lavoro  ,  che  1'  autore  non  ha  distinta  la  miliare 
dalla  porpora:  malattie  cutanee  per  indole,  carattere,  ed  andamento 
fra  loro  difierentissime,  per  cui  pott  facilmente  esser  tratto  in  er- 
rore. La  miliare  l'abbiamo  veduta  procedere  irregolare  ,  bizzarra. 


217 

Le  cause  remote,  che  predispongono  Torgauismo 
a  risentire  1'  azione  del  contagio  miliare  ,  sono  un 
vitto  pravo,  la  bevanda  acquosa  scarsa  ed  impura, 
l'aria  umida  e  malsana  ,  la  traspirazione  cutanea 
negletta,  le  smodate  perdite  sanguigne,  la  soppres- 
sione di  alcune  critiche  esacuazioni,i  patemi  di  animo, 
le  veglie  protratte,  la  vita  oziosa  ed  inerte,  la  mi- 
seria, l'eccessiva  fatica,  la  costituzione  delicata  e 
debole,  l'età  giovanile,  il  temperamento  sanguigno. 
Le  donne  veggonsi  piiì  soggette  degli  uomini  a  questo 
esantema,  in  specie  durante  l'epoca  del  puerperio, 
dopo  la  violenta  estrazione  della  placenta,  le  metror- 
ragie,  la  soppressione  de'lochi,  la  retrocessione  del 
latte.  Sogliono  precedere  l'epidemia  miliare  i  venti 
australi,  continuati  ed  irregolari,  le  inondazioni,  la 
costituzione  atmosferica.  Le  stagioni  più  favorevoli 
alla  sua  manifestazione  sono  1'  estate  e  l' autunno  ; 
anche  il  clima  può  molto  influire,  senza  però  scen- 
dere all'opinione  di  Rayer,  il  quale  crede  che  la  ma- 
lattia non  si  mostri,  che  fra  il  grado  quarantesimo 
terzo,  ed  il  cinquantesimo  nono  di  latitudine  boreale. 
Né  si  debbono  trasandare  le  condizioni  locali,  cioè 
il  terreno  uliginoso,  il  suolo  basso  e  paludoso  che 
racchiude  molte  sostanze  organiche  in  avanzata  de- 
composizione. 


tanlo  febbrile,  che  apiretica,  mostrarsi  a  riprese,  avere  spesso  delle 
recrudescenze  ,  e  talvolta  assalire  lo  stesso  soggetto  ,  dopo  breve 
intervallo.  Per  questo  suo  modo  particolare  di  manifestarsi 
ha  potuto  imporre  ai  sullodati  clinici,  col  dar  campo  a  stabi- 
lire una  miliare  cronica,  ciò  ch'è  proprio  della  miliariforme,  come 
sopra  si  è  esposto.  Aggiungo  inoltre  che  non  avendo  io  osservata 
finora  la  malattia  sopra  una  estesissima  scala^  sarò  sempre  pronto 
a  ricredermi,  quante  volte  mi  accadesse  di  vedere  nel  pratico  eser- 
cizio il  contrario  di  quanto  esposi,  oppure  mi  si  presentassero  dai 
colleghi  tali  fatti  ,  registrati  senza  prevenzione,  per  non  più  du- 
bitarne: il  vero  è  il  fatto. 


218 

CAPITOLO  VI. 

Esame  particolare  di  alcuni  segni 
pronostici  della  miliare. 

Non  vi  ha  forse  malattia,  anche  per  sentimento 
di  espertissimi  pratici,  più  difficile  a  presagirne  l'esito, 
qiianto  questa  che  attualmente  ci  occupa.  La  sua 
indole  versatile  fece  dire  al  sommo  Borsieri  :  Ego 
equidem  non  novi  for tasse  morbiim  isto  fallaciorem  » 
ac  magis  infidum:  in  seguito  aggiunge,  che  non  vi- 
desi  mai  tanto  agitato  ed  incerto,  che  quando  do- 
veva combatterla.  Ciascun  medico  nel  proprio  eser- 
cizio ha  dovuto  sperimentare  con  quanta  verità  il 
clinico  italiano  esponeva  i  timori  e  la  incertezza  , 
rapporto  all'esito  di  un  morbo  sì  ingannevole  ,  da 
dubitare  fortemente  del  suo  carattere,  anche  quando 
apparisce  sotto  un  aspetto  blandissimo. 

Della  miliare  mite,  allorché  percorre  regolarmente 
i  propri  stadi,  ed  è  prudentemente  curata,  il  termine 
è  d'ordinario  favorevole.  L'esantema  sia  grave,  lar- 
vato, complicato,  offre  sempre  i  più  grandi  pericoli. 
I  criteri,  che  possono  servire  di  norma  per  la  pro- 
gnosi, sono  la  forma  morbosa,  la  costituzione  fisica 
del  malato,  il  genio  della  regnante  epidemia.  L'in- 
tiera forma  morbosa  è  costituita  dal  complesso  dei 
sintomi,  tanto  caratteristici  della  malattia,  che  ac- 
cidentali: quanto  più  essi  sono  violenti,  e  più  per- 
tinaci ,  quanto  più  di  un  viscere  è  profondamente 
affetto,  e  più  nobile,  tanto  maggiori  sono  i  pericoli 
che  includono  :  quindi  se  il  principio  contagioso  as- 


219 

sale  il  sistema  cerebrale  ,  o  plessi  nervosi ,  da  cui 
partono  la  cefalalgia,  il  delirio,  la  convulsione,  la 
veglia,  il  sussulto  di  tendini,  più  temibile  è  il  male, 
che  se  ingombrasse  le  prime  vie  ,  annuciato  dalla 
nausea,  dal  vomito  ;  quasi  sempre  mortale  se  offende 
i  visceri  del  petto  ,  eccettuato  il  caso  ,  in  cui  ef- 
fettuasi una  sollecita  e  copiosa  eruzione  ,  che  non 
solo  allevia,  ma  libera  ben  anche  dal  fomite  le  parti 
interne,  che  n'erano  assalite. 

Non  somministra  alcuno  indizio  per   una  giusta 
prognosi  la  precoce,  o  ritardata  apparescenza  del- 
l'eruzione. Si  può  generalmente  asserire  che  la  celere 
comparsa  è  di  peggiore  annunzio  della  serotina,   o 
protrae  molto  a  lungo  il  corso  della  malattia,  senza 
però  seguire  gli  opinamenti  di  coloro,  che  ritengono 
sicura  la  guaiigione  ,  allorché  tardi  si  dichiara  ,  in 
specie  se  questo  ultimo  periodo  si  estende  alla  se- 
conda, 0  terza  settimana.  L'abbiamo  osservata  mo- 
strarsi non  di  rado  ben  tardi  nella  miliare  gravissima 
e  letale,  come  all'opposto  apparire   sollecita    nella 
miliare  mite,  e  di  esito  fortunato.  Il  rapido  corso 
degli  stadi,  fino  a  quello  d'incremento  specifico,    e 
questo  poscia  protratto  più  del  consueto,  con  febbre 
continua,  versipelle,  pletora  parziale,  sfinimento    di 
forze,  convulsione,  delirio,  lipotimie,  annunziano  gra- 
vissimo pericolo. 

Più  che  la  copia,  la  prava  indole  del  principio 
riproduttivo,  accresce  i  pericoli  dell'esantema.  I  fatti 
hanno  mostrato  che  una  piena  e  completa  efflore- 
scenza ,  purché  la  quantità  del  virus  non  sorpassi 
la  capacità  della  periferia  cutanea,  e  vi  si  mantenga 
costante  in  tutto  il  tempo  della  malattia  ,    include 


220 
minori  pericoli  dell'eruzione  parziale  ed  interrotta, 
che  a  stento  la  natura  connpie,  dietro  ripetuti  conati. 
Però  la  copiosa  e  piena  eruzione  se  non  jilievia  i 
sintomi,  cioè  se  i  polsi  non  divengono  molli  ed  am- 
pli, se  non  cede  lo  stato  convulsivo,  non  diminuisce 
la  febbre,  le  pustule  non  appariscono  della  grandezza 
ordinaria,  esiziale  è  per  lo  piiì  l'esantema. 

Non  si  è  trascurato  dai  medici  il  colore  delle 
papule,  per  meglio  basare  il  pronostico  della  miliare. 
Taluni  reputano  l'eruzione  rossa  di  miglior  annunzio 
della  bianca,  o  cristallina:  altri  credono  quest'ultima 
di  minore  pericolo.  Senza  dubbio  le  papule,  o  mac- 
chie rosseggianti,  annunziano  maggiori  speranze,  t:mto 
più  se  florida  si  mantiene  la  frapposta  circonferenza 
della  pelle  da  esse  non  occupata.  Per  lo  contrario 
allorché  divengono  pallide,  livescenti  le  areole,  ede- 
matoso e  subcinereo  l'aspetto  della  frapposta  cute, 
le  pustule  appassite,  coUapse,  pi'ive  alla  base  di  areola 
infiammatoria,  la  perdita  del  malato  sembra  irrepa- 
rabile. Il  colore  delle  macchie,  o  papule,  è  da  aversi 
in  somma  considerazione,  giacché  una  lunga  espe- 
rienza, avvalorata  dal  consenso  universale,  ha  dimo- 
strato che  un  aspetto  animato  dell'eruzione,  anche 
nei  casi  gravissimi,  indica  minore  pericolo  j  all'op- 
posto il  colore  delle  areole  pallido  ,  nerastro  ,  con 
gU  altri  sintomi  miti,  se  il  fine  della  malattia  non 
si  mostra  assolutamente  infausto,  non  mancano  per 
lo  meno  morbi  di  successione. 

L'istantanea  retrocessione,  e  l'abbassamento  re- 
pentino delle  pustule  nel  colmo  della  eruzione,  sono 
fenomeni  di  pessimo  indizio;  né  vi  ha  esantema  tanto 
facile  alla  retropulsione,  quanto  il  miliare.  Si  affac- 


221 

ciano  immediatamente  gravissimi  sintomi ,  relativi 
alle  parti  interne  offese  ,  che  minacciano  da  vicino 
la  vita,  se  con  forza  di  reazione  organico-vitale  non 
venga  dalla  macchina  eliminata  la  niateria  morbifìca 
retropulsa  per  mezzo  di  un  qualche  emuntorio,  cioè 
orine  copiose  e  torbide,  deiezioni  ventrali ,  sudore 
critico. 

Il  morale  abbattimento,  in  cui  cade  facilmente 
l'infermo,  o  il  solo  timore  che  gl'incute  il  morbo, 
è  talora  sufficiente  a  muovere  il  delirio  e  la  con- 
vulsione ,  che  uccidono  in  breve  tempo.  Non  mai 
dimenticherò  l'effetto  terribile  dello  spavento  ,  che 
fu  fatale  ad  una  giovane  puerpera  in  line  di  febbre 
miliare.  Trovandosi  costei  nel  decimosettimo  giorno 
della  malattia,  che  aveva  percorso  con  regolarità  i 
suoi  stadi,  toccando  già  l'eruzione  il  disseccamento 
e  la  desquamazione,  il  polso  di  poco  si  allontanava 
dal  suo  stato  naturale,  così  le  altre  funzioni,  poteva 
considerarsi  in  ultima  analisi  la  malata  in  fine  di 
male;  quando  ad  un  tratto,  in  mezzo  ad  un  impe- 
tuoso uragano,  cadde  un  fulmine  in  luogo  vicinissimo 
all'abitazione  dell'inferma,  ch'essa  immaginò  scoppiato 
nella  propria  camera.  Fu  tale  in  lei  il  terrore,  per 
cui  si  accese  di  nuovo  la  febbre,  sorsero  il  delirio, 
la  convulsione,  il  sussulto  di  tendini,  seguirono  fre- 
quenti lipotimie,  il  polso  divenne  piccolo,  ineguale, 
intermittente:  la  malata  nel  vigesimo  secondo  giorno, 
ossia  quinto  dopo  il  disgrazialo  avvenimento,  cessò 
di  vivere. 

11  sudore,  sintoma  capitale  e  diagnostico  dell'esan- 
tema, quanto  più  è  profuso  a  malattia  incipiente,  con 
polso  sommamente  contratto,  tanto  più  è  da  temersi; 


222 

se  poi  cessa  uU'appariie  dell'eruzione,  lasciando  la 
cute  arida,  secca,  urente,  maggiore  è  il  pericolo.  Un 
moderato  sudore  prima  dell'eruzione,  che  prosegue 
anche  dopo,  continuato,  eguale,  caldo,  generale,  con 
polso  molle  ed  espanso  fa  presagire  favorevolmente 
della  malattia.  Né  disprezzabili,  come  taluni  credono, 
sono  i  segni  pronostici,  che  traggonsi  dalle  orine, 
senza  però  adottare  la  massima  di  alcuni  antichi 
medici,  che  ne  portarono  l'esame  fino  alla  dialettica 
sottigliezza. 

11  cambiamento  istantaneo  dal  colore  cedrino , 
ad  un'orina  pallida  ed  acquosa  ,  è  di  cattivo  pre- 
ludio ;  l'aspetto  costantemente  limpido  e  chiaro  di 
questo  umore  escrementizio  ,  anche  dopo  accaduta 
l'eruzione  ,  fa  temere  una  metastasi  pericolosa.  Le 
orine  copiose,  ipostatiche,  continuate  per  alcuni  giorni 
possono  ritenersi  come  critica  evacuazione. 

Non  minore  studio  si  pose  nell'osservare  le  qua- 
lità dei  polsi  nella  miliare.  Si  è  rimarcato  che  un 
polso  molto  contratto,  quanto  più  è  debole  ed  in- 
eguale, oppure  intermittente,  tanto  piiì  annunzia  gravi 
pericoli.  Secondo  Allioni,  se  il  polso  dopo  l'eruzione 
si  mostra  contratto,  celere,  teso,  non  tarda  molto 
ad  apparire  la  convulsione,  che  porta  gravi  rischi. 
In  generale  il  polso  debole,  piccolo,  contratto,  ce- 
lere, è  di  pessimo  indizio  ;  all'opposto  s'è  vigoroso, 
pieno,  espanso,  molle,  sviluppato,  fa  sperare  bene 
dell'esito.  Così  un  moderato  flusso  di  ventre  di  ma- 
terie concotte  giova  nella  miliare,  specialmente  s'è 
complicata  a  colluvie  gastrica,  o  biliosa:  a  reprimere 
imprudentemente  questo  benefico  moto  della  natura, 
aggravasi  la  malattia.  Le  deiezioni  alvine    miste   a 


223 

sangue  sciolto,  fanno  disperare  affatto  della  guari- 
gione, secondo  Gastellier.  Non  meno  dannosa  è  la 
diarrea  colliquativa  ,  che  si  oppone  all'eruzione  ,  o 
abbassa  le  pustule  prima  che  compiano  l'ordinaria 
carriera.  Le  puerpere  ne  risentono  a  preferenza  i 
tristi  effetti  con  la  totale  soppressione  dei  lochi. 
L'epistassi  è  stata  osservata  salutare  da  Vogel,  de 
Agostini,  Baraldi,col  vincere  la  congestione  cerebrale, 
diminuire  la  febbre,  in  fine  coH'ammansire  i  gravis- 
simi sintomi,  che  corteggiano  la  miliare.  Se  poi  l'emor- 
ragia parte  dall'atonia  di  tutto  il  sistema,  da  sangue 
sciolto  e  povero  di  fibrina,  polsi  depressi,  poco  ca- 
lore, pochissima  reazione  vascolare,  è  allora  di  cat- 
tivo presagio. 

Non  basta  di  avere  esaminato  particolarmente 
il  valore  di  alcuni  sintomi  prevalenti  della  malattia, 
per  formarne  una  retta  e  giusta  prognosi.  Onde  es- 
sere meno  illuso  da  questo  morbo  proteiforme,  è  ne- 
cessario indagarne  la  natura,  l'indole,  le  tendenze  , 
studiarne  complessivamente  i  fenomeni,  che  lo  ca- 
ratterizzano, e  le  morbose  complicazioni,  ossia  at- 
tendere alla  intiera  forma  patologica.  I  segni  collet- 
tivi, che  fanno  sperare  bene,  sono  la  febbre  mode- 
rata dal  principio  sino  al  termine  dell'esantema,  la 
respirazione  facile,  le  forze  non  abbattute,  le  secre- 
zioni ed  escrezioni  libere,  non  eccessive,  ma  blando, 
che  non  debihtano  ,  ma  alleviano  ,  il  polso  molle, 
spazioso,  eguale,  l'eruzione  accompagnata  da  sudore 
moderato,  continuato,  generale,  le  orine  proporzionate 
alla  bevanda  con  sedimento:  il  dolore  di  capo,  l'an- 
sietà, l'oppressione  ai  precordi,  la  sete,  sintomi  con- 
comitanti, non  molto  intensi,  nò  pertinaci,  i  nervi 


224 

nello  stato  di  calma,  la  mente  seiena,  il  sonno  che 
ristora. 

La  sindrome  morbosa  che  annuncia  il  massimo 
pericolo,  si  appalesa  con  febbre  vigorosa,  ardente, 
respirazione  lesa  ,  o  invece  somma  prostrazione  di 
forze,  grande  oppressione  allo  scrobicolo  del  cuore, 
lipotimie,  erazione  parziale,  interrotta  di  papale  pic- 
cole, minute,  cristalline,  orina  tenue,  pallida,  veglia 
l^rotratta,  o  sonno  letargico,  sussulto  di  tendini,  de- 
lirio, convulsione,  lingua  rossa,  arida,  tremula,  su- 
dore profuso,  freddo,  prematuro,  dolore  puntorio  in- 
tercostale, tosse  secca,  frequente,  molesta,  polso  pic- 
colo, ineguale,  contratto  ,  intermittente  ,  vomito  di 
materie  crude,  eruginose;  cute  arida  con  calore  mor- 
dace, ventre  inarcato,  teso,  indolente,  timpanitico, 
abbattimento  di  spirito,  singhiozzo.  Non  è  necessario 
pertanto  il  complesso  di  tutti  gl'enunciati  sintomi, 
per  rendere  pericoloso,  o  letale  la  miliare,  bastano 
alcuni  di  essi  per  giudicarne  ordinariamente  infausto 
il  fine.     . 

La  costituzione  fisica  del  malato  è  l'altro  crite- 
rio, su  cui  basa  il  pronostico  della  maiattia.  Un  in- 
divìduo sano,  e  robusto  naturalmente  può  resistere 
all'impeto  del  morbo  ,  pili  che  un'altro  delicato  e 
malsano,  che  con  facilità  vi  soccombe.  Però  è  da 
rimarcarsi  che  la  così  detta  forza  di  resistenza  vi- 
tale, non  si  argomenta  sempre  a  rigore  dallo  svi- 
luppo del  sistema  musculare  ,  essa  è  assai  meglio 
rappresentata  dall'attività  del  sistema  nervoso;  atti- 
vità ch'è  bene  spesso  in  ragione  inversa  dell'appa- 
rente energia  del  sistema  locomotore. 


< 


225 

11  genio  della  regnante  epidemia  somministra  al 
medico  clinico  non  poca  luce  per  una  giusta  pro- 
gnosi. Vi  sono  delle  costituzioni  epidemiche  ,  nelle 
quali  le  malattie  popolari  spiegano  tanta  ferocia , 
che  uccidono  irreparabilmente  in  breve  tempo,  qua- 
lunque sia  il  trattamento  curativo:  mentre  altre  fiate, 
sotto  condizioni  atmosferiche  diverse,  lo  stesso  morbo 
mostrasi  meno  micidiale.  Le  malattie  epidemico- 
contagiose  non  sono  sempre  attaccale  alla  stessa  dia- 
tesi; se  regna  la  costituzione  infiammatoria,  iperste- 
nico  è  il  processo  diatesico  delle  medesime  :  se  la 
costituzione  è  nervosa,  dissolutiva  apparisce  la  dia- 
tesi, per  cui  sovrastano  allora  maggiori  pericoli. 

CAPITOLO  VIL 

Cura  della  miliare. 

Il  trattamento  curativo  seguì  le  vicissitudini  delle 
teoriche  pei  seguaci  di  esclusive  dottrine.  Lo  studio 
delle  diatesi  fu  ad  essi  di  guida  indistintamente  per 
la  cura  nelle  costituzioni  epidemiche  di  morbo  mi- 
liare, senza  dare  alcun  peso  al  processo  locale  pa- 
tologico, ai  temperamenti,  ed  idiosincrasie  diverse, 
età,  complicazioni  morbose,  stadio  della  malattia,  e 
non  poche  altre  particolari  evenienze  ,  che  spesso 
obbligano  il  medico,  non  lìgio  a  sistemi,  di  modi- 
ficare non  solo  il  metodo  curativo,  ma  seguire  ben 
anche  un  opposto  sentiero.  Perla  facilità  che  hanno 
gli  uomini  di  correre  agl'estremi,  si  passò  dai  ri- 
medi stimolanti,  incendiari,  ad  un  sistema  di  cura 
affatto  contrario.  Videsi  trattata  la  miliare  in  questi 
G.A.T.CXLIV.  15 


226 
ultimi  tempi  dai  seguaci  della  dottrina  del  contro- 
stimolo, con  attivo,  pronto,  ed  energico  metodo  an- 
tiflogistico. Pratica  che  unicamente  può  convenire 
a  profonde  e  genuine  infiammazioni  viscerali,  ma- 
lintesa pertanto  per  un  morbo  esantematico,  qual'è 
il  miliare,  che  spesso  prende  l'aspetto  tifoideo,  do- 
vendo rispettare  in  esso  un  grado  di  reazione,  pur 
troppo  necessario,  affinchè  Tesantema  compia  rego- 
larmente i  suoi  stadi,  e  non  si  aggravi  il  fondo  della 
malattia.  1  primi  giudicarono  ipostenica  sempre  la 
diatesi  del  tifo  miliare:  questi  ultimi  la  vollero  co- 
stantemente d'indole  inflammatoria,  perciò  domabile 
soltanto  con  rimedi  antiflogistici  ,  deprimenti.  In 
mezzo  a  vortici  sistematici,  in  cui  si  è  cercato  da 
alcune  menti  preoccupate  involgere  la  medicina  , 
adescando  i  meno  cauti  con  una  facile  terapia,  non 
mancarono  poderosi  ingegni,  che  ne  riprovarono  so- 
lennemente i  principia  Guidati  da'più  sodi  argomenti, 
avvalorati  dalla  sana  esperienza,  dimostrarono  la  fal- 
lacia delle  scolastiche  e  speculative  dottrine  in  me- 
dicina, insegnando  fin  dove  è  lecito  ragionare  al  letto 
degl'  infermi  senza  nuocere ,  fin  dove  è  possibile 
sottomettere  ad  una  savia  induzione  i  fenomeni  e 
le  cagioni  delle  malattie,  le  indicazioni  curative,  e 
l'uso  dei  rimedi.  Si  convenne  che  lo  è  solamente  , 
dietro  la  scorta  di  una  sobria  patologia.  Queste  ul- 
time parole,  che  racchiudono  precetti  di  medica  filo- 
sofia, appartengono  al  dottissimo  Tornassini  (1),  seb- 
bene dal  medesimo  non  sempre  accuratamente  os- 


(1  Raccolta  completa  delle  opere  mediche  del  Pro(.  Tornassini 
a.  discorso  preliminare  Bologna,   1833. 


227 

servati:  provano  però  ad  evidenza  che  alcune  grandi 
verità  pratiche  si  fauno  sentire  anche  da  colow  , 
che  veggonsi  affiiscinati  da  sistemi,  e  che  cercano 
una  celebrità  investigando  astratte  e  nuove  dottrine. 
Le  malattie  acute,  che  partono  da  fomite  con- 
tagioso, come  appunto  è  la  miliare,  offrono  al  me- 
dico clinico,  sotto  l'aspetto  terapeutico,  due  distinti 
periodi.  Il  primo  chiamato  d'invasione,  rappreseti  tato 
da  fenoFneni  semplicemente  irritativi,  solo  osserva- 
bile, quando  la  miliare  regna  epidemicamente,  che 
sfugge  con  facilità  ad  ogni  indagine,  se  si  presenta 
sporadica.  È  questa  l'epoca,  in  cui  può  essere  tron- 
cato il  corso  alla  malattia,  con  eliminare  il  germe 
contagioso,  prima  della  sua  riproduzione,  con  adat- 
tata terapia.  L'illustre  G.  P.  Fràhk,  come  viene  ri- 
ferito da  Brera  (1)  ,  praticando  la  medicina  nella 
città  di  Bruchsal  in  tempo  di  epidemia  petecchiale, 
dopo  di  avere  per  il  seguito  di  alcuni  giorni  visitato 
numerosi  infermi,  venne  una  sera  assalito  da  straor- 
dinaria debolezza,  da  malinconia,  da  veglia,  da  fre- 
quenti conati  al  vomito,  da  tremore  agli  arti,  e  da 
sommo  dolor  di  testa,  per  cui  ragionevolmente  giu- 
dicò di  avere  contratto  il  predominante  contagio. 
Postosi  quindi  ben  coperto  in  letto,  bevve  in  poche 
riprese  una  intiera  bottiglia  di  scelto  vino  di  Bor- 
gogna, bentosto  si  addormentò,  e  non  si  risvegliò 
che  sul  fare  del  giorno  sussequente,  tutto  inondato 
di  copioso  sudore,  e  talmente  ristabilito  nelle  forze, 
che  potè  uscire  di  casa,  e  livedere  i  suoi  infermi. 


(1)  Sui  eonlagi    ^§.   252. 


228 

Quando  vi  è  l'indicazione  di  eccitare  il  traspiro 
per  allontanare  la  materia  morbifica,  prinna  che  spieghi 
la  intera  sua  azione  sulla  fibra,  la  scelta  dei  rimedi 
diaforetici  dovrà  essere  sempre  corrispondente  alle 
condizioni  dinamiche.  Se  lo  stomaco  è  il  primo 
viscere  assalito  dal  contagio  ,  annunziato  da  nau- 
sea, o  vomito,  la  sollecita  e  pronta  am ministrazio-' 
ne  dell'emetico  potrà  essere  efficacissima  ad  es- 
pellere direttamente  il  principio  contagioso.  Nella 
peste  di  Alais,  descritta  da  Gibert,  gli  emetici  tron* 
cavano  l'infezione.  Hildebrand  (1),  dietro  molte  os- 
servazioni, assicura  che  un  emetico  ben  indicato,  ed 
amministrato  in  principio,  imprime  al  tifo  per  tutto 
il  rimanente  del  suo  corso  un  carattere  benigno , 
previene  le  anomalie  ,  e  dispone  il  corpo  alle  crisi 
le  più  favorevoli.  Pratica  convalidata  dalle  osserva- 
zioni di  Pringle  e  Stoll.  Poche  risorse  ha  la  medi- 
cina in  questo  periodo:  allorché  il  contagio  ha  per- 
corse le  vie  della  respirazione,  sogliono  consigliare 
i  pratici  l'inspirazione  dei  vapori  acquosi,  ma  sembra 
un  deboh'ssimo  presidio.  Se  inosservato  trascorre  que- 
sto primo  istante,  oppure  infruttuoso  rimanga  ogni 
tentativo  praticato  per  estinguere  la  malattia  nei 
suoi  primordi,  prosegue  allora  la  miliare  a  percor- 
rere i  suoi  stadi,  necessario  ed  inabbreviabile  di- 
viene il  suo  corso. 

La  cura  di  questo  esantema  presenta  non  poche 
difficoltà  all'occhio  stesso  del  clinico  il  piiì  dotto 
ed  esercitato.  Essa  differisce  secondo  i  periodi    del 


(1)  Del  tifo  contagioso  ec.  nnova  versione  italiana    <Jei    dott. 
G,  Allhiiminer,  e  G.  Berti.   Verona  1317. 


229 
morbo,  e  la  diversa  sua  indole.  La  miliare  mite  sia 
apiretica,  o  semplice  febbrile  coi  caratteri  teste  de- 
scritti, non  ha  bisogno  di  molti  rimedi  per  cssei© 
condotta  a  buon  fine.  Per  raggiungere  lo  scopo  ba- 
stano le  sole  forze  della  natura,  coadiuvata  dal  riposo^ 
dai  diluenti,  e  da  un  esatto  regime  dietetico. 

La  miliare  grave  caratterizzata  da  segni,  che  an- 
nunziano leso  il  sistema  nervoso  cerebro-spinale  , 
costi tusce  il  vero  tifo  miliare,  ed  è  la  forma  mor- 
bosa la  più  comune  ,  che  assume  l'esantema.  Non 
avendo  una  dialesi  costante  ed  uniforme  in  tutt'i 
casi,  e  nelle  varie  costituzioni  epidemiche,  la  diffe- 
renza dei  temperamenti  ,  il  complesso  più  o  meno 
esteso  dei  sintomi  ,  che  spiega  il  male  ,  la  inten- 
sità di  essi,  la  qualità  della  febbre,  e  non  poche 
altre  particolari  anomalie,  che  possono  solo  calcolarsi 
al  letto  dell'infermo,  debbono  rendere  il  medico  cir- 
cospetto, per  non  abbracciare  regole  fisse  ed  esclu- 
sive nella  cura  del  tifo  miliare.  Nelle  indicazioni  ge- 
nerali da  seguire  la  febbre  s'è  moderata,  non  deve 
essere  accresciuta,  nò  diminuita:  quando  vi  è  grande 
abbattimento  di  foi-ze,  febbre  languida,  polso  debole, 
poca  reazione  in  tutto  il  sistema,  fa  d'uopo  con  pru- 
denza ricorrere  a  rimedi  eccitanti.  Le  condizioni  op- 
poste, cioè  la  febbre  vigorosa  con  polso  pieno,  vi- 
brato, calore  eccessivo,  fisonomia  animata,  orgasmo 
ec.  richieggono  l'uso  del  metodo  temperante.  Si  spe- 
rimentarono sempre  nocivi  i  remedi  cardiaci,  gli  ale*- 
sifarmaci:  utili  i  blandi  diaforetici,  che  mantengono 
libero  il  traspiro,  e  favoriscono  l'eruzione. 

Da  questi  generali  principi  terapeutici  ,  desunti 
dà  una  pratica  ecclettica,  è  necessario  per  la  cura 


230 
speciale  della  miliare  grave,  o  tifo  miliare,  scendere 
all'amministrazione  di  quei  particolari  rimedi  ,  che 
una  lunga  esperienza  ha  dimostrato  profìcui,  e  ri- 
chiesti ben  anche  dalle  varie  indicazioni.  Quindi  se 
si  tratta  di  apparecchio  esantematico  in  un  individuo 
di  sana  e  robusta  costituzione  ,  in  età  florida  ,  dì 
temperamento  eccitabile  ,  con  febbre  valida  ,  polso 
duro,  contratto,  calore  sensibilissimo  alla  cute,  sub- 
delirio ec.  purché  non  vi  sia  congestione,  o  infiam- 
mazione di  visceri,  né  profuso  sudore,  si  sperimen- 
tarono utili  le  fredde  affusioni,  praticate  prima  che 
accada  l'eruzione,  onde  diminuire  la  forza  riprodut- 
tiva del  contagio  ,  e  scemare  l'impeto  di  morbosa 
reazione  organica.  Gli  antichi  medici  nelle  febbri  ar- 
dienti,.  da  essi  chiamate  maligne,  solevano  prescrivere 
l'uso  delle  acque  freddissime  ;  metodo  impiegato  da 
Ippocrate  in  quella  specie  di  febbre,  cui  dava  il  no- 
me di  tifo.  Raccomanda  anche  Celso  questa  pratica 
salutare,  abbracciata  in  seguito  dai  più  distinti  cli- 
nici. Aezio  scrisse  sull'uso  dell'acqua  fredda  nei  tifi 
contagiosi,  inculcando  di  non  prescriverla  sul  prin- 
cipio, né  sul  declinare  di  tali  malattie.  Hahn,  in  oc- 
casione di  tifo  epidemico  ,  ricorse  con  molto  suc- 
cesso a  questo  semplicissimo  rimedio:  ad  esso  venne 
accordato  il  merito  delle  straordinarie  guarigioni  che 
si  ottennero.  Cirillo  curava  le  febbri  ardenti  con- 
tagiose coll'uso  generoso  dell'acqua  diacciata.  Currie 
in  Inghilterra,  Giannini  in  Italia,  ed  i  loro  proseliti, 
si  occuparono  dei  bagni  freddi  nella  cura  di  alcuni 
morbi  esantematici.  Essi  non  ne  limitarono  però  la 
pratica,  come  era  necessario,  al  solo  periodo  d'in- 
vasione, ma  vollero  che  se  ne  continuasse  l'applica- 


231 

zlone,  anche  accaduta  la  completa  eruzione,  per  tron- 
care il  corso  della  malattia. 

1  pericoli  che  include  questo  metodo  ardito  di 
trattare  bruscamente  i  morbi  eruttivi  febbrili,  senza 
dare  alcun  peso  alle  interne  metastasi  che  ordina- 
riamente ne  avvengono  ,  debbono  persuadere  ogni 
medico  prudente  ed  espei'io,  a  non  seguire  per  in- 
tero siffatte  dottrine,  la  di  cui  applicazione  nell'eser- 
cizio clinico  espone  a  gravi  cimenti  la  vita  degl'in- 
fermi. La  esperienza  ha  insegnato  che  le  fredde  af- 
fusioni,  per  quanto  siano  vantaggiose,  ed  indicate 
nell'avanzato  periodo  d'invasione  ,  allorché  il  male 
presenta  i  già  descritti  caratteri  ,  altrettanto  sono 
nocive,  e  da  bandirsi,  determinato  alla  cute  l'esan- 
tema. La  temperatura  del  bsigno  dovrà  essere  pro- 
porzionata alla  costituzione  del  malato,  alla  sua  sen- 
sibilità, ed  alla  violenza  dei  sintomi:  d'ordinario  la 
più  bassa  si  è  stabilita  circa  x8R.  la  massima  x  18R. 
Non  mancarono  dei  medici ,  che  non  ebbero  diffi- 
coltà di  ricorrere  alle  stesse  frizioni  di  ghiaccio,  in 
vece  dei  bagni  freddi,  come  si  è  tentato  in  questi 
ultimi  tempi  con  qualche  successo  nella  epidemia 
miliare  della  Toscana.  Metodo  sperimentato  utile  da 
insigni  pratici  in  altre  malattie  contagiose  ,  stante 
che  si  è  costantemente  osservato,  che  sotto  una  bas- 
sissima temperatura  ogni  seminio  contagioso  piiò 
essere  distrutto,  prima  che  venga  riprodotto  per  leg- 
gi organiche  ,  o  per  lo  meno  attenuata  ne  rimane 
la  potenza,  per  cui  meno  violento  mostrasi  il  corso 
della  malattia.  Samoilowitz  nella  peste  di  Mosca  si 
avvalse  delle  frizioni  di  ghiaccio,  per  vincere  o  mi- 
norare la  ferocia  del  contagio  pestilenziale  ,  il  piiì 


232 

terribile  e  micidiale  che  s'abbia  la  specie  umana. 
Hildebrand  nella  opera  classica  sul  tifo  contagioso 
raccomanda  ai  pratici  di  ricorrere  ai  bagni  freddi, 
o  alle  fregagioni  di  neve  ,  appena  che  appariscono 
segni  precursori  della  malattia,  onde  distruggere  la 
materia  contagiosa.  Tanto  le  immersioni,  che  le  fred- 
de affusioni,  debbono  essere  praticate  più  volte  nelle 
esacerba/ioni  febbrili,  tostochè  gl'infermi  si  veggono 
molestati  da  intenso  ardore  e  da  grande  ambascia. 
Saranno  le  medesime  sempre  controindicate,  laddove 
la  miliare  grave  trovasi  associata  a  locale  infiamma- 
zione, o  tendenza  a  congestioni  inflammatorie,  nel 
puerperio,  nelle  macchine  delicate  e  malsane,  nel- 
l'età avanzata,  nei  temperamenti  linfatici,  quando 
la  febbre  è  mite,  con  polso  debole,  minuto,  frequente,, 
poco  calore,  prostrazione  di  forze. 

Non  minori  indagini  i-ichiede  il  salasso  nella  cura 
della  miliare,  non  essendo  certamente  in  tutt'i  casi 
indicato.  Conviene  ricorrere  a  questo  valido  pre- 
sidio dell'arte  ,  quante  volte  la  malattia  si  mostra 
con  quell'apparato  fenomenologico,  che  fa  conoscere 
la  prevalenza  del  processo  irritativo-flogistico,  an- 
nunziato da  febbre  vigorosa  ed  ardente,  con  polso 
grande,  duro,  vibrato,  sete,  fisonomia  accesa,  dolor 
di  capo,  affanno,  oppressione  ai  precordi:  se  a  questi 
sintomi  vi  si  aggiungono  la  costituzione  epidemica, 
con  diatesi  infiammatoria,  l'età  vegeta,  iì  tempera- 
mento pletorico,  non  devesi  differire  il  salasso,  prima 
dell'eruzione:  ripeterlo  anche,  se  costante  persiste 
ta  violenza  dei  morbosi  fenomeni,  che  costituiscono 
la  malattia.  Né  si  creda  che  la  flebotomia  arresti 
lo  sviluppo  dell'esantema,  giacche  si  è  rimarcato  che 


23H 

piuttosto  la  soprabbondanza  del  sangue  forma  un'o- 
stacolo aireruzione.  La  verità  di  questa  asserzione 
viene  confermata  da  non  pochi  esempi,  e  dalPau- 
torità  di  rispettabili  clinici.  Nell'epidemia  miliare  di 
Novara  del  1755  fu  tale  la  diatesi  infiammatoria  , 
come  osservò  de  Agostini  (1),  che  nessuno  dei  ma- 
lati scampava  dalla  ferocia  del  morbo  ,  se  non  si 
apriva  più  volte  la  vena.  Lo  stesso  Allioni  consiglia 
il  salasso  nella  miliare  grave,  e  di  ripeterlo,  se  la 
imponenza  dei  sintomi  lo  esige,  sempre  colla  scorta 
dei  polsi. 

Non  v'  ha  dubbio,  che  molte  debbono  essere  le 
cautele  d'aversi  nel  prescrivere  questo  grande  sus- 
sidio terapeutico,  e  non  limitarsi  alle  sole  apparenze 
sintomatiche:  è  mestieri  altresì  di  non  perdere  di 
vista  la  natura  esantematica  del  morbo,  e  la  facilità 
che  ha  esso  di  assumere  il  carattere  nervoso  ,  per 
non  eccedere  nel  metodo  depletorio,  utile  d'altronde 
se  moderatamente  istituito  dietro  giuste  indicazioni: 
dannoso,  non  che  fatale  all'opposto,  quante  volle  la 
cura  della  miliare  si  volesse  intieramente  commet- 
tere ai  ripetuti  e  larghi  salassi.  Havvi  dei  casi  di 
miliare  larvata,  oppure  complicata  a  gravissime  e 
squisite  infiammazioni  organiche,  in  cui  si  rendono 
indispensabili  le  reiterate  emissioni  di  sangue  ,  per 
abbattere  il  processo  flogistico,  che  minaccia  di  al- 
terare profondamente  l'intima  tessitura,  e  disorga- 
nizzare il  viscere  attaccato  di  flogosi.  Nella  febbre 
miliare  associata  a  metritide,  o  peritonitide  con  sop- 


ii) Osservazioni  medico-pratiche  intorno  alle  febbri  oiigliari. 
Novara   1755. 


234 
pressione  di  lochi,  giovano  le  sottrazioni  sanguigne 
generali  e  locali  convenientemente  praticate,  in  rap- 
porto cioè  al  grado  della  infiammazione  e  costitu- 
zione della  malata,  senza  trasandare  nel  medesimo 
tempo  l'uso  degli  altri  rimedi  antiflogistici. 

Si  è  sempre  agitata  grave  questione  fra  i  pratici, 
se  l'emissione  di  sangue  può  aver  luogo  dopo  ac- 
caduta l'eruzione,  se  sperimentansi  costantemente  i 
tristi  effetti  della  retropulsione  esantematica,  quante 
volte  viene  praticata ,  ed  in  quali  imperiose  circo- 
stanze conviene  ricorrervi,  quantunque  la  cute  tro- 
vasi coperta  di  numerose  papule.  La  esperienza  ha 
fatto  conoscere,  che  non  deve  essere  sempre  escluso 
il  salasso  in  tutt'i  casi,  anche  nello  stadio  di  com- 
pleta eruzione,  né  temere  la  retrocessione  dell'esan- 
tema ,  quando  la  prescrizione  del  rimedio  poggia 
sopra  giuste  indicazioni.  In  conferma  di  siffatto  prin- 
cipio non  mi  sembra  inopportuno  ricordare  una  epi- 
demia di  febbre  petecchiale,  che  infestò  la  Lombar- 
dia nel  1587  descritta  da  Andrea  Treviso;  opera 
di  cui  Haller  fece  un  sunto  bastevole  per  ecci- 
tarne l'attenzione.  Leggesi  in  essa  che  la  fleboto- 
mia giovò  perfino  nel  quindicesimo  giorno:  ricom- 
parvero anche  allora  le  petecchie  :  osservazione 
assai  interessante,  con  cui  cootraddicevasi  agli  antichi, 
i  quali  credettero  indispensabile  il  circoscrivere  la 
suddetta  operazione  a  certi  giorni,  e  ad  alcuni  dati 
periodi  nelle  malattie  eruttive.  Malgrado  questi  fa- 
vorevoli successi  richiede  il  salasso  la  massima  cir- 
cospezione e  prudenza  per  parte  del  medico  ^  du- 
rante l'eruzione.  Non  dovrà  prescriversi, se  non  quando 
una  profonda  infiammazione  di  qualche  viscere  si  è 


235 
già  associata  alla  miliare,  sostenuta  da  febbre  intensa, 
polso  vigoroso,  calore  cutaneo  eccessivo.  Le  sottra- 
zioni sanguigne  locali  si  riconobbero  non  solo  utili, 
ma  divengono  necessarie  in  queste  emergenze,  in  cui 
bisogna  usare  del  salasso  generale  con  mano  sospesa. 
Nella  febbre  puerperale  con  infian)mazione  di  utero, 
o  dipendenze,  diminuzione  di  lochi,  riuscì  profìcua 
l'applicazione  di  sanguisughe  alle  pudende ,  oppure 
alle  vene  emorroidali  negl'individui  soggetti  perio- 
dicamente a  questo  flusso  sanguigno,  e  da  qualche 
tempo  soppresso  ,  in  particolare  se  la  congestione 
infiammatoria  è  a  carico  del  sistema  gastro-epatico, 
0  splenico.  Se  idiopaticamente  attaccale  si  videro  le 
meningi,  o  l'encefalo,  continuato  il  delirio  ,  non  si 
astennero  ì  pratici  di  ricorrere  all'applicazione  della 
coppa  magna  all'occipite  con  scarificazioni.  Rimedio 
utile  nei  primi  periodi  della  malattia  ,  infruttuoso 
allorché  la  congestione  cerebrale  è  fatta. completa, 
per  mancanza  di  reazione  vascolare.  Il  sanguisugio 
alla  regione  temporale,  o  mastoidea,  corrisponde  alla 
stessa  indicazione. 

Sebbene  frequente  osservasi  nella  miliare  la  con- 
dizione flogistica,  che  richiede  apposito  e  circospetto 
trattamento  curativo,  pur  non  di  rado  in  mezzo  alla 
stessa  epidemica  costituzione  infiammatoria  accade 
di  rimarcare  sintomi  nervosi  in  questo  esantema,  ed 
anche  trasmigrazione  di  diatesi:  allora  la  malattia 
esige  una  cura  eccitante,  proporzionata  al  grado  di 
depressione  delle  forze  vitali,  all'apparato  sintoma- 
tico, e  periodo  del  morbo.  I  temperamenti  linfatici, 
le  macchine  esauste  da  emorragie  e  da  altre  ecces- 
sive evacuazioni,  da  patemi  di  animo  deprimenti  ec. 


sono  maggiormente  esposte  alla  diatesi  dissola-' 
tiva,  distinta  dallo  stato  adinamico,  cioè  febbre  con 
polso  debole,  esile,  poco  calore,  occhio  languido, 
fisonomia  abbattuta,  lingua  umida,  ricoperta  di  muco 
biancastro,  pochissima  sete,  eruzione  miliare  ritar- 
data, parziale,  di  minute  papule,  ed  anomala.  Quante 
volte  apparisce  questo  complesso  di  sintomi,  la  cura 
deve  essere  del  tutto  opposta  a  quella  della  miliare, 
che  presenta  sintomi  infiammatori,  per  cui  le  be- 
vande fredde,  i  bagni,  il  salasso,  utilissimi  rimedi 
allorché  l'esantema  è  preceduto  ed  accompagnato 
da  febbre  vigorosa,  con  polso  duro,  vibrato,  calore 
sensibile,  sarebbero  al  certo  perniciosi  praticati  in 
momenti,  in  cui  la  malattia  offre  delle  condizioni 
ben  diverse.  Ogni  qual  volta  che  languida  mostrasi 
la  reazione  del  cuore  e  delle  arterie,  le  forze  de- 
presse, l'indicazione  è  di  eccitare  la  fibra  con  pro- 
porzionati, stimoli  a  reagire  in  modo,  che  possa  com- 
piersi il  processo  esantematico  ,  col  percorrere  la 
miliare  regolarmente  i  propri  stadi.  Incominciando 
dalla  bevanda  ,  deve  essere  calda,  leggiermente 
eccitante:  il  malato  resterà  sufficientemente  coperto, 
l'aria  della  camera  di  una  media  temperatura,  l'estre- 
mità inferiori  ben  difese,  e  riscaldate  dalle  lane  o 
fomentazioni.  È  efficace  in  questo  periodo  l'uso  del- 
l'acetato ammoniacale  diluto,  come  rimedio  atto  a 
disporre  e  portare  alla  cute  il  fomite  miliare,  col 
favorire  l'eruzione. 

Se  ad  onta  di  sì  semplice  e  blando  metodo  cu-) 
ralivo,  qual  si  conviene  a  male  incipiente,  continuasse 
la  fisica  inerzia,  la  prostrazione  delle  forze,  sempre 
più  oscillante  apparisse  il  sistema  de'nervi,  il  polso 


237 

pìccolo,  depresso,  è  indispensabile    allora  ricoireie 
a  mezzi  terapeutici  piìi  energici,  e  di    sperimentata 
azione  corroborante.  La  corteccia  peruviana  è  senza 
dubbio  in  questi  casi  farmaco  validissimo,  ammi- 
nistrata in  decozione  satura,  in  estratto,  o  in  pol- 
vere come  praticarono  Borsieri,  Baraldi,  Gastellier 
con  favorevole  successo:  poicbè  videro  i  citati  scrit- 
tori   sotto    r  uso  di  sì   grande   rimedio   eiigersi   le 
forze,  rinvigoriti  i  polsi,  promossa  l'eruzione  ,  con 
esito  fortunato.  Fummo  noi  stessi  spettatori,  sono 
ormai  venti  anni,  dei  buoni  effetti  della  china  in  un 
caso  straordinario  di  miliare.  Trovandoci   in   quel- 
Tepoca  sotto  la  direzione  di  espertissimo  clinico,  ci 
accadde  di  osservare  il  corso  di  una 'febbre  miliare 
puerperalé,  in  una  giovane  primipera,  di  delicata  co- 
stituzione con  prevalente  diatesi  nervosa.  L'eruzione 
apparve  nel  decimoquarto  giorno  della  malattia,  li- 
mitata al  collo,  al  petto,  di  minutissime  papule  cri- 
stalline, massima  depressione  di  forze  ,  sussulto  di 
tendini,  polso  esile,  frequente,  subdelirio.  Nel  deci- 
mosesto aggravarono  i  sintomi  ad  un  grado,  che  s'in- 
cominciava a  disperare  della  vita  dell'inferma.  In  tale 
stato  di  cose,  si  passò  immantinente  all'amministra- 
zione dell'estratto  di  china   e    valeriana   silvestre  a 
dose  generosa,  per  cui  videsi  il  movimento   vitale 
gradatamente  aumentale,  risorgere  i  polsi,  estendersi 
l'eruzione  alle  braccia,  al  dorso,  ai  lombi,  infine  dopo 
lunga  malattia  si  ottenne  perfetta  e    completa  gua- 
rigione.  •       ' 

Nel  novero  dei  medicamenti  raccomandati  da 
esperti  medici  per  la  cura  della  miliare  tifoidea,  la 
canfora  si  tenne  in  conto   di   valido   eccitante  ,   da 


238 
prescriversi  quando  prevale  lo  stato  adinamico,  fre- 
quenti deliqui  ,  convulsione  ,  delirio  ,  polso  piccolo 
e  debole,  stentata  e  parziale  eruzione.  Hìldebrand 
la  giudicò  un  eccellente  rimedio  nell'epoca  ner- 
vosa del  tifo  ;  in  simili  occorrenze  si  è  sempre 
amministrata  con  qualche  successo.  Può  unirsi  alla 
china,  alla  valeriana  per  accrescerne  l'azione,  variane 
done  le  dosi,  secondo  l'idiosincrasia  del  malato,  e  la 
tolleranza  dello  stomaco.  Agisce  potentemente  sui 
nervi,  spiegando  forza  eccitante  diffusiva,  atta  perciò 
a  promuovere  la  diaforesi,  mantenere  alla  cute  l'eru- 
zione, 0  accelerarla  se  tarda  ad  apparire:  calma  in 
fine  alcuni  sconcerti  nervosi,  alleviando  i  sintomi  più 
gravi  della  malattia.  Non  si  è  trascurato  in  medicina, 
come  rimedio  stimolante,  l'uso  del  vino  generoso  a 
dose  tenuissima,  se  vi  è  atonia,  per  eccitare  la  fìbi-a 
a  modorata  reazione,  ed  aiutare  la  natura,  che  minac- 
cia di  soccombere  oppressa  dalla  potenza  del  morbo. 
Per  accrescere  l'energia  vitale  i  medici  nelle  loro 
cliniche  ricerche  non  si  limitarono  ai  soli  rimedi 
interni,  riconobbero  essi  utili  taluni  presidi  esterni, 
cioè  i  rubefacienti,  i  vescicatori,  gli  epispastici  in  ge- 
nere (non  mai  da  applicarsi  in  principio  di  male)  per 
sollecitare  la  ritardata  ed  imperfetta  eruzione  ,  o 
richiamare  alla  pelle  l'esantema,  se  vi  è  stato  de- 
viamento, quando  vi  è  coma,  letargo,  affezione  ca- 
tarrale, flusso  di  ventre,  fenomeni  patologici  sostenuti 
il  più  delle  volte  da  metastasi  miliare,  a  carico  di  uno 
o  più  visceri,  di  cui  .si  osservano  lese  le  funzioni. 
Secondo  le  dottrine  che  si  professano,  i  vescicatori 
agiscono  primieramente  come  forti  stimolanti,  pro- 
pagando dalle  esterne  alle  interne  parti  dell'economia 


239 
animale  un  grado  di  eccitamento,  proporzionato  al 
particolar  temperamento  del  malato,  ed  alla  assorbita 
quantità  del  principio  medicamentoso,  ed  è  questa 
l'azione  generale  delle  cantaridi.  Segue  il  processo 
locale,  effetto  di  azione  topica,  controirritante,  di- 
retta a  condurre,  o  richiamare  all'esterno  il  principio 
esantematico  ,  per  cui  viene  scemato  ,  o  tolto  del 
tutto  in  alcuni  casi  speciali  quel  complesso  di  sin- 
tomi, che  costituiva  una  malattia  interna.  Dietro  le 
accennate  proprietà,  desunte  da  dati  scientifici,  e 
da  imparziali  osservazioni,  vedesi  chiaro  di  quanta, 
utilità  può  essere  l'uso  di  questo  efficacissimo  agente 
terapeutico  nelle  mani  di  prudente  ed  esperto  clinico, 
tutte  le  volte  che  l'esantema  si  appalesa  con  grave 
prostrazione  di  forze,  e  languida  eruzione  cutanea. 
Un  rimedio  ,  di  cui  forse  con  troppa  frequenza 
si  avvalsero  gli  antichi  medici,  e  che  oggidì  alcuni 
sistematici  vorrebbero  proscrivere  dalla  medicina,  è 
l'oppio.  Scrittori  distinti  non  sono  di  comune  accordo 
sulla  pratica  di  questo  medicamento  nella  miliare. 
Anioni,  de  Agostini  lo  credono  non  solo  sospetto, 
ma  dannoso.  Non  così  opinarono  Molinari  e  Bor- 
sieri,  i  quali  non  lo  esclusero  onninamente  in  tutte 
le  eventualità  dell'esantema.  I  primi  che  giudicarono 
la  miliare  associata  sempre  alla  diatesi  infiammatoria 
con  proclività  a  congestioni,  o  flogosi  viscenli,  febbre 
vigorosa,  polso  pieno,  duro,  sviluppato  ec,  stimarono 
perniciosa  l'amministrazione  di  tal  farmaco.  Quante 
volte  la  malattia  è  caratterizzata  dagli  esposti  sin- 
tomi, controindicato  certamente  è  l'oppio.  De  Ago- 
stini consiglia  in  vece  l'emulsione  di  semi  di  papa- 
vero, allorché  vi  è  bisogno  di  conciliare   il  sonno  , 


240 

sedare  lo  spasmo,  il  delirio,  la  convulsione.  Gli  altri 
eitati  scrittori  all'opposto,  appoggiati  alle  proprie  os- 
servazioni, non  disprezzarono  l'uso  degli  oppiati  nella 
stessa  rniliare  complicata  alla  pleuritide  acutissima, 
od  altre  infiammazioni,  amministi-ati  dopo  i  ripetuti 
salassi  e  i  diluenti,  domata  cioè  la  flogosi,  perso- 
pire  in  parte  l'accresciuta  sensibilità  ,  o  vincere  lo 
spasmo;  epifenomeni  sostenuti  sovente  dall'acre  mi- 
liare che  irrita  i  nervi,  piìi  che  dal  processo  inflam- 
matorio.  Hildebrand  riguarda  l'oppio  nel  tifo  gene- 
ralmente nocivo:  nei  soli  casi  di  delirio  furioso,  di 
dissenteria,  di  diarrea  debilitante,  lo  crede  indispen- 
sabile. Conviene  astenersi  di  propinarlo  nella  miliare 
puerperale  ,  per  non  sopprimere  il  flusso  lochiale  , 
essendo  proprietà  dell'accennato  medicamento  arre- 
stare qualunque  evacuazione,  meno  la  diaforesi.  La 
convulsione  che  parte  dallo  stato  adinamico,  ed  il 
singhiozzo  per  spasmodia,  possano  reclamare  l'uso 
di  qualche  sedativo. 

Rimane  a  far  cenno  dei  rimedi  emeto-catartici. 
Abbiamo  già  altrove  esposto  che  V  emetico  ammi- 
nistTato  nel  periodo  d'invasione  è  valevole  talora  a 
troncare  il  corso  della  malattia,  eliminando  colle  ma- 
terie del  vomito  il  principio  contagioso.  Vi  sarà  tutta 
la  indicazione  di  prescriverlo,  se  si  manifesteranno 
segni  di  colluvie  gastrica,  che  opprime  lo  stomaco: 
essendo  l' emetico  il  rimedio  il  più  conveniente  e 
diretto,  per  vincere  siffatta  complicazione.  Epicratica- 
mente  amministrato»  meglio  corrisponde,  ed  è  pjìi  si- 
curo nei  suoi  effetti,  di  quel  che  sarebbe  tragugiato  in 
una  sola  dose.  Il  tartaro  emetico,,  a  modo  di  tutte 
le  altre  preparazioni  antimoniali ,  promuove  spesso 


241 

profuso  sudore  ,  e  serve  a  determinare  l'eruzione. 
Se  l'impurità  è  nelle  seconde  vie,  l'alvo  chiuso,  o 
scarse  le  deiezioni,  vedendo  che  le  sole  forze  della 
natura  non  sono  bastanti  ad  espellere  le  materie, 
che  ristagnano  negl'intestini,  è  mestieri  ricorrere  ai 
blandi  lassativi.  Sotto  l'uso  di  essi  apresi  modera- 
tamente il  ventre  ,  vengono  in  tal  modo  eliminati 
quei  materiali  eterogenei  ed  irritanti,  che  fanno  spes- 
so la  miliare  complicata:  spontanea,  facile  allora  ap- 
parisce r  esantema.  Gli  oleosi  debbono  essere  pre- 
scelti ,  perchè  pienamente  soddisfano  alle  richieste 
indicazioni.  I  preparati  mercuriali  non  furono  negletti, 
ed  il  protocloruro  si  preferì  ad  ogni  altra  prepara- 
zione, in  particolare  se  apparvero  indizi  di  vermi- 
nazione.  I  clislieri  convengono  in  tutti  gli  stadi,  uti- 
lissimi quando  è  accaduta  l'efflorescenza,  per  evitare 
ogni  altro  medicamento,  sospetto  in  questo  periodo. 
Accaduto  il  disseccamento  delle  papule,  non  devesi 
ulteriormente  differire  qualche  leggiero  minorativo, 
ad  oggetto  di  tenere  lontani  i  morbi  di  successione, 
non  difficile  ad  osservarsi,  terminato  il  corso  della 
miliare,  massime  se  la  convalescenza  si  mostra  ir- 
regolare e  protratta. 

Trattandosi  della  cura  di  un  morbo  versatile  , 
con  marcate  tendenze  ad  associarsi  a  varie  ed  op- 
poste malattie,  era  ben  difficile  seguirlo  in  tutte  le 
sue  vicissitudini,  senza  timore  di  oltrepassare  i  con- 
tini di  una  succinta  memoria:  ed  è  perciò  che  ci  sia- 
mo ristretti  alla  miliare  pretta,  semplice,  e  ad  al- 
cune complicazioni  più  frequenti  a  rimarcarsi  nel 
pratico  esercizio.  Nulla  potendosi  stabilire  intorno  al 
metodo  curativo  della  compHcata  ed  anomala,  men- 
G.A.T.CXLIV.  16 


242 

tre  dovrà  variare  ,  o  essere  modificato,  secondo  la 
natura  e  l'indole  del  morbo,  che  si  affaccia  in  com- 
plicazione, senza  perdere  di  vista  in  pari  tempo  l'af- 
fezione esantematica,  adottando  una  cura  mista  ra- 
zionale, conveniente  sì  all'una,  che  all'altra  malattia, 
che  nell'atto  clinico  il  solo  criterio  medico  potrà 
suggerire. 

Seguendo  i  sani  precetti  di  medici  esercitati,  e 
distinti,  un  metodo  innocuo  di  cura  vale  a  dire  i 
rimedi  temperanti,  i  diluenti,  il  regime  dietetico  ben 
inteso,  utile  nei  morbi  acuti  in  genere,  rendesi  in- 
dispensabile nei  mali  esantematici,  di  cui  spesso  la 
natura  sa  trionfare  ,  con  l'aiuto  di  blandi  sussidi  : 
come  all'opposto  rimane  il  più  delle  volte  attraver- 
sata nelle  sue  mire  dalla  intemperanza  dei  medica- 
menti. E  necessario  dunque  investigare  colla  mag- 
giore accuratezza  nel  primo  periodo  del  morbo  mi- 
liare, s'  è  indicato  il  salasso  ,  l'emetico  ,  o  qualche 
leggiero  eccoprottico  ,  per  ricorrere  prontamente  a 
siffatti  presidi  dell'arte,  e  quindi  affidare  il  resto  della 
cura  ai  diluenti,  ed  alla  forza  medicatrice.  Quante 
volte  però  nel  corso  dell'esantema  insorgono  dei  gravi 
sintomi,  o  delle  morbose  complicazioni,  che  richieg- 
gono più  energico  trattamento,  fa  d'uopo  allora  av- 
valersi di  tutti  quei  mezzi,  di  cui  si  è  già  abbastanza 
trattato,  e  che  una  lunga  esperienza  ha- sanzionati: 
mentre  dall'analisi  dei  fatti,  dal  confronto  delle  os- 
servazioni, e  dalle  induzioni  che  ne  derivano  ,  trae 
la  medicina  i  veri  suoi  fondamenti  e  le  giuste  in- 
dicazioni (1). 

(1)  Il  non  aver  fatto  parola  della  parte  profilattica  nella  cura 
dì  un  morbo  contagioso,  sembra  aggiungere  una  non  piccola  lacuna, 


243 

a  tante  altre,  di  cui  J^  piena  forse  questa  monografia:  giacché  non 
posso  ignorare  che  uno  dei  primi  e  grandi  servigi,  che  la  medi- 
cina può  rendere  alia  società  ,  si  è  di  prevenire  i  mali,  in  specie 
contagiosi.  E  precetto  del  gran  Boerahave:  Morbos,  ut  in  semine  la- 
tentes,  praecavere.  Ma  ho  creduto  potermi  astenere  di  entrare  in 
siffatta  materia,  senza  commettere  grave  mancamento,  per  il  riflesso 
.che  il  morbo  miliare  è  soggetto  alle  leggi  generali  sanitarie,  co- 
muni a  tulli  gli  altri  contagi  ,  argomento  trattalo  eo"  profe^fo  in 
opere  classiche  di  medica  polizia,  e  pubblica  igiene.  Convieiij ag- 
giungere, che  reso  già  il  contagio  miliare  da  secoli  indigeno  in  Eu- 
ropa, non  resta,  nello,  stato  attuale  della  scienza,  ai  medici  ed  a  chi 
presiede  alla  somma  delle  cose,  che  di  essere  ben  guardinghi  col  cer- 
care di  soffocarne  i  primi  germi,  che  si  sviluppano,  distruggendo 
ogni  centro  d"  infezione,  con  pronte  ed  energiche  misure  sanita- 
rie, relative  all'isolamento-  mentre  se  l'adagio  divìde,  et  impera,  è 
principio  vero  in  politica,  diviene  l'ancora  sacra  in  medicina,  trat- 
Lindosi  di  malattie  contagiose. 

Pio  Belloni. 


244 


Esposizione  dei  drappi  di  lana  e  seta  fatta  in  Boma 
nelle  sale  del  Campidoglio  dal  giorno  15  aZ  25 
di  settembre  1856. 


I 


1  municipio  l'omano  recavasi  a  pregio  di  porre  a 
disposizione  del  ministero  del  commercio  e  lavori 
pubblici  le  vaste  sale  del  palazzo  senatorio  al  Cam- 
pidoglio, affincbè  col  dovuto  splendore  si  effettuasse 
la  esposizione  dei  panni  di  lana,  delle  sete  grezze, 
e  dei  tessuti  di  seta  nostrali  ,  la  quale  ebbe  luogo 
con  pubblica  soddisfazione  e  numeroso  concorso  dal 
giorno  15  al  25  del  passato  settembre. 

Il  ministero  anzidetto  bone  avvisando  il  gran- 
dissimo utile  cbe  ne  ritrae  lo  stato  quando  siano  in 
fiore  le  manifatture  e  quando  gli  altieri,  che  vi  danno 
opera  si  tengono  nelle  continue  emulazioni,  reputò 
opportuno  far  collocare  in  vaj^a  ordinanza  nelle  splen- 
dide sale  enunciate  quei  tre  diversi  generi  di  mani- 
fatture. Quindi  volle  chiamare  i  più  valenti  periti  a 
pronunciare  il  loro  giudizio  sulla  qualità,  perfezione 
e  bellezza  de'lavori  ad  effetto  di  rimunerare  conde- 
gnamente quei  fabbricatori  che  si  erano  più  distinti: 
prudentissimo  pensiero,  poiché  dal  loro  esempio  sa- 
ranno mossi  anche  gli  altri  a  segnalarsi  nella  nobile 
gara  che  si  ammira  in  oggi  fra  i  nostri  prodotti  con 
quelli  stranieri. 

E  qui  giova  osservare  a  lode  del  vero  come  i 
panni  di  lana,  posti  all'esposizione,  hanno  pienamente 
corrisposto  alla  pubblica  espettazione  ,  essendosene 
fatte  encomio  sì  per  la  sottigliezza  ed   ugualissimo 


245 

filato,  si  per  l'orditura  de'tessuti  pure  ugualissimj, 
come  per  la  vivacità  de'colori  e  per  la  sicura  loro 
durata;  tal  che  da  persone  intelligenti  si  afferma  che 
tali  manifatture  progrediscono  nella  loro  fabbricazione 
ed  offrono  di  giorno  in  giorno  un  apparecchio,secondo 
che  chiede  il  gusto  attuale  e  l'uso  de'tempi.  L'es- 
sersene poi  accresciute  molte  fabbriche,  mentre  di- 
mostra che  di  questi  drappi  si  aumenta  il  consumo, 
ci  porge  pure  una  prova  non  dubbia  della  loro  per- 
fezione e  bellezza. 

In  secondo  luogo  facevano  bella  mostra  di  se  nelle 
sale  ridette  ben  quarantasette  campioni  di  seta  grezza, 
sebbene  fosse  questa  la  prima  esposizione.  È  inutile 
qui  richiamare  alla  memòria  quanto  la  industria  della 
seta  sia  stata  coltivata  nelle  primarie  città  d'Italia, 
essendosene  fatto  onorevole  menzione  nel  giornale 
di  Roma  degli  11  ottobre  passato  ,  dal  quale  ab- 
biamo tratto  queste  notizie.  Né  certo  vi  può  essere 
industria  che  esiga  opera  maggiore  d'  uomini,  e  più 
maniere  di  lavori, quanto  quella  della  coltivazione  della 
seta.  Prende  essa  principio  dalla  coltura  de'mori  gelsi, 
quindi  passa  all'educazione  dei  bachi,  poscia  viene 
all'attivazione  delle  filande;  inflne  siffatta  industra  si 
associa  convenientemente  all'agricoltura,  gira  pres- 
soché in  tutte  le  case,  e  vi  porta  la  ricchezza  e  la 
vita. 

Anche  nello  stato  pontificio,  come  si  è  annu- 
ciato  opportunamente  nel  ricordato  giornale  di  Ro- 
ma, la  industria  della  seta  si  è  eslesa  felicemente  nella 
Marca  e  nella  Romagna.  Nei  grandi  mercati  di  Europa 
ha  figurato  da  molto  tempo  tra  le  prime  la  seta  di 
Fossombrone  ;  Osimo  e  Meldola  non  hanno  ceduto  a 


246 

nessuno  nel  paragone.  Quindi  la  industria  dilatandosi 
dalle  Provincie  superiori  dello  stato,  si  va  propagando 
nelle  contermini  di  Roma.  Ed  è  a  sperarsi  che  questa 
doviziosa  industria  rispondendo  agVimpidsi  del  governoy 
ingrandisca  le  sue  proporzioni,  e  possa  un  giorno  ga- 
reggiare con  quella  del  Piemonte  e  della  Lombardia. 

Da  ultimo  si  videro  esposti  i  tessuti  di  seta,  e 
vari  drappi  operati,  de'  quali  si  ammirò  così  l'ugua- 
glianza del  lavoro  come  la  bellezza  del  tessuto  e  la 
vivezza  delle  tinte,  niente  meno  lodati  di  quei  tes- 
suti fabbricati  in  Lione  e  in  Torino;  e  giova  spe- 
rare che  i  fabbricatori  proseguendo  con  impegno  e 
costanza  in  questo  ramo  d' industria  che  torna  sì 
vantaggioso  e  onorevole  allo  stato,  recheranno  sem- 
pre pili  a  perfezione  i  loro  lavori  ,  e  corrisponde- 
ranno in  tal  modo  alla  protezione  pubblica  ed  efficace 
che  il  ministero  del   commercio  loro  accorda. 

Ora  classificando  i  lavori,  de'  quali  si  è  finora 
parlato,  colla  scala  di  merito  determinata  dal  mini- 
stero del  commercio  e  lavori  pubblici  secondo  il  giu- 
dizio imparziale  pronunciato  dai  periti,  sulle  basi  della 
notificazione  del  21  agosto  1835;  riporteremo  a 
cagion  di  onore  i  nomi  di  quegli  industrianti  e  fab- 
bricatori, a'quali  vennero  retribuiti  premi  ed  elogi, 
tenendo  l'ordine  che  segue. 

Drappi  di  lana. 

Si  riportano  i  nomi  dei  fabbricatori,  i  quali  in 
questo  anno  esposero  i  loro  drappi  alla  pubblica  vi- 
sta, e  de'quali  è  dovere  serbare  grata  memoria.  So- 
no essi  : 


247 

March.  Gio:  Batta  Guglielmi. 

Michel  Angelo  Tavani. 

Ignazio  Magliocchetti  e  Francesco  De-Vecchis  e 

compagni. 
Filippo  Manservisi  e  compagni. 
Luigi  Pasquini  q.  Giuseppe,  e  Giovanni. 
Maria  Matteuzzi  di  Bologna. 
Domenico  Zuccarelli  di  Spoleto. 
Fratelli  Benucci  di  Perugia. 
Francesco  Castagnucci,  Giovanni  Pomella. 
Francesco  Lepidi  e  Sisto  Di  Stefano  di  Alatri. 
Alessandro  Amandolini. 
Agostino  Angelucci,  Andrea  Belardini. 
Filippo  Giacobelli,  Felice  Biagio  Mori 
Gio:  Battista  Tonnarelli  ed  Antonio  Pettinelli    di 

Matelica. 

Prima  classe. 

Si  è  data  la  prima  ed  amplìssima  lode  al  Gu- 
glielmi di  Roma  per  un  satin  nero,  un  panno  ama- 
rante, ed  un  paonazzo  di  molta  bellezza  e  splendore. 
Lode  eguale  si  è  data  al  Manservisi  per  due  satin: 
uno  bleu  nel  dritto?  e  nero  uel  rovescio;  l'altro  tutto 
nero;  e  per  due  panni:  il  primo  nero  ed  il  secondo 
bianco,  da  superare  per  la  sua  qualità  ed  eccellenza 
ogni  altro  lavoro. 

Seconda  classe. 

Si  è  fatto  encomio  del  Zuccarelli  di  Spoleto  per 
la  bellezza  di  due  pezze  di  panno  :  l'una  bleu,  l'al- 
tra bronzina. 


248 

Terza  classe. 

Ha  riportato  elogio  la  Mattcuzzi  di  Bologna  e  il 
Zuccarelli:  la  prima  per  due  panni  neri,  ed  il  secondo 
per  due  panni:  Tono  bleu  e  l'altro  verde. 

Quarta  classe. 

Ha  meritato  parimenti  encomio  il  Manservisi  per 
un  tiberien  misto  rena  d'oro,  tessuto  di  finissima  lana 
e  di  sorprendente  lavoro,  non  che  per  altre  due  pezze 
di  tiberien  misto.  Quindi  furono  reputati  pur  degni 
di  lode  quattro  tiberien  misti  moda  del  Guglielmi, 
un  panno  rena  d'oro  della  Matteuzzi,  tre  panni  bleu 
verde  e  nero  dello  Zuccarelli  ,  un  panno  nero  del 
Magliocchetti  ,  ed  un  panno  nero  ed  un  bleu  del 
Bonucci. 

Finalmente  furono  pur  lodati    i    fabbricatori    di 
Àlatri  e  di  Matelica  por  le  loro  manifatture  di  panni 
grevi  e  di  forza  ad  uso  de'  manovali  ed   artieri.  S 
ò  poi  in  ispecial  modo  distinto  il   Manservisi  per 
suoi  quattro    cachemir  coloretti,  fuori  classe,  tutti 
di  bella  lana,  di  buon  tessuto  e  di  eccellente  colore 
tra  i  quali  il  solo  quadrigliato  fu  giudicalo  bastante 
a  porlo  in  fama  di  valente  fabbricatore. 

Campioni  di  seta  grezza. 

Albano  Marchese  Luigi  Colucci 

Amandola  Saverio  Sereni 

Ancona  Daniele  Berretta 


Ancona 

Ascoli 

Bologna 

Bologna 

Bologna 

Bologna 

Brisighella 

Caldai'ola 

Canierino 

Casolavalsenio 

Città  di  Castello 

Fano 

Fano 

Forlì 

Fossombrone 

Fossombrone 

Fossombrone 

Fossombrone 

Fossombrone 

Fossombrone 

Foligno 

Grottamare 

Imola 

Masaccio 

Meldola 

Meldola 

Osimo 

Osimo 

Osimo 

Osimo 

Perugia 

Pesaro 


249 

Vincenzo  Morlacchi 

Silvestri  e  Tranquilli 

Ercole  Calza 

Giulio  Sabatini 

Giuseppe  Oppi 

Ulisse  Melloni 

Michele  Lega 

Gaetano  Mariotti 

Francesco  Sarti 

Coniugi  Tosi 

Giosuè  Palazzeschi 

Coniugi  Masetti 

Piale  e  Masetti 

Leopoldo  Gregorini 

Aldegonda  Mariani 

Corrado  Hoz 

Giuseppe  Oberolther 

Luigi  conte  Buffoni 

Mattia  Ghetti 

Pasquale  Bacchi 

Domenico  Salari 
.  Carlo  Fenili 

Francesco  Maria  Massa 

Giovanni  Manganelli 

Principe  Doria 

Marianna  Mazzi  ved.  Ricci 

Benedetto  Lardinelh 

Fratelli  Briganti 

Gaetano  Mancini 

Pricipe  Simonetti 

Luigi  Baldini 

Domenico  e  Amato  Giovannelli 


Pesaro 

Pesaro 

Pieve  di  Cento 

Rieti 

Rimini 

Ripi 

Roma 

Ronciglione 

Sanginesio 

Sassocorbaro 

Terni 

Veroli 


250 

Gaetano  Venerandi 
Luigi  Vallazzi 
Gesti  e  Rizzoli 
Orfanotrofio 
Luigi  Cardini 
Giovanni  Tracchia 
Egidio  Raggi 
Maria  Speranza 
Grifi  e  Mazzabuli 
Andrea  Canti 
Maria  Faraglia 
Domenico  Brocchi 


Sebbene  tutte  le  sete  esposte  siano  state  repu- 
putate  pregevoli,  nondimeno  avendo  superato  ogni 
paragone  quelle  del  Pardinelli  e  del  principe  Doria, 
così  le  due  ripromesse  medaglie  in  oro  furono  ag- 
giudicate: la  prima  al  Lardinelli,  l'altra  al  principe 
Doria.  A  ciascuno  poi  dei  susseguenti  espositori  venne 
accordata  una  medaglia  in  argento  di  grande  di- 
mensione per  la  bellezza  e  bontà  de'  loro  campioni: 
e  si  riportano  i  loro  nomi  con  quell'  ordine  stesso 
con  cui  vennero  indicati  nel  Giornale  Romano,  e  colla 
dichiarazione  che  tutti  diedero  prova  non  dubbia  al- 
l'esperimento del  pregio  dei  loro  lavori.  Sono  essi 
alcuni  dei  soprannomati,  cioè:  Venerandi,  Giovannelli, 
Fratelli  Briganti,  Bellini,  Bacchi,  Manganelli,  Oppi, 
Coniugi  Tosi,  Colucci,  Ved.  Ricci,  Fenili,  Morlacchi, 
Baldini,  Gregorini,  Salari,  Hoz,  Coniugi  Masetti,  Man- 
cini, Lega,  Palazzeschi,  Silvestri  e  Tranquilli,  e  Ma- 
ria Faiaglia. 


251 

Alcuni  altri  poi  dei  sopraddetti,  che  si  riportano 
qui  appresso,  ebbero  già  un  vanto  nelle  grandi  espo- 
sizioni all'estero  ,  e  venne  loro  accordato  il  terzo 
premio  della  medaglia  in  argento  di  seconda  dimen- 
sione. Sono  essi:  Gesti  e  Rizzoli,  Oberolther,  Sereni, 
Ghetti,  Melloni,  Mariotti,  Raggi,  Maria  Massa,  conte 
Buffoni,  Calza,  Grifi  e  Mazzabuli,  Canti,  Cardini,  Viali, 
Teresa  Masetti,  Sarti,  Maria  Speranza,  Orfanotrofio 
di  Rieti,  Brocchi,  Tracchia  e  Sabatini. 

Tessuti  di  seta 

Riportiamo  con  compiacenza  i  nomi  di  coloro  che 
hanno  esposto  le  loro  manifatture,  e  sono:  Giuseppe 
Arvolti ,  e  Salvaggi  e  Romanini  di  Roma,  la  ditta 
Melloni  di  Bologna,  Silvestro  Vannucci  e  Francesco  Sarti 
di  Camerino,  e  Domenico  Brocchi  di  Veroli. 

Fu  però  aggiudicata  la  medaglia  ad  Ulisse  Melloni 
per  la  sua  pezza  lampas  a  tre  colori,  e  per  i  suoi 
drappi,  i  quali  per  la  vaghezza  del  lavoro  e  per  l'ugua- 
glianza del  tessuto  possono  paragonarsi  a  quelli  di 
Lione  e  di  Torino. 

Fu  aggiudicato  il  secondo  premio  in  una  medaglia 
di  argento  di  grande  dimensione  al  Salvaggi  ed  al 
Romanini,  non  che  all'Arvolti  e  alla  ditta  Melloni; 
al  Selvaggi  e  Romanini  per  i  bellissimi  broccati  in 
oro,  i  quali  furono  reputati  del  pregio  medesimo  di 
quelli  dell'estero,  ed  hanno  superalo  le  manifatture 
di  tal  genere  che  si  offrivano  un  tempo  alla  classe 
agiata  e  doviziosa;  all'Arvolti  per  le  sue  sciarpe  dì 
bellissimi  colori,  ed  in  special  modo  per  quella  tes- 
suta in  oro;  quindi  alla  ditta  Melloni,  alla  quale  fu 


252 

data  eziandio  molta  lode  dai  periti  per  una  pezza  di 
gros  tessuta  a  quadri  bianchi  e  cilestri ,  senza  dir 
nulla  del  raso  nero,  e  delle  altre  stoffe. 

Da  ultimo  venne  accordato  il  terzo  premio  di  una 
medaglia  pure  in  argento  di  seconda  dimensione  al 
Brocchi  per  i  suoi  veli,  lavoro  pregevole  e  di  diffi- 
cile esecuzione:  non  che  al  Vannucci  ed  al  Sarti  pei 
loro  taffettani  di  più  colori,  reputati  pur  meritevoli 
di  molta  lode- 
fi  qui  vogliamo  riferire  non  poche  grazie  al  varie 
volte  lodato  ministero  del  commercio  e  lavori  pub- 
blici, il  quale  ha  saputo  con  grave  senno  e  prudenza 
promuovere  questo  ramo  di  vita  industriale,  conce- 
dendo premi  ed  onori  ai  più  benemeriti  operatori , 
e  ponendo  così  un  acuto  stimolo  negli  animi  degli 
altri  ad  imitarne  l'esempio  col  portare  a  perfezione 
i  loro  lavori;  i  quali  quanto  più  si  moltiplicheranno, 
tanto  più  grande  sarà  l'utilità  che  potrà  ritrarne  la 
classe  volenterosamente  laboriosa  non  solo,  ma  sì  bene 
lo  stato,  che  per  via  dell'industria  e  del  commercio 
può  risentire  i  vantaggi  della  vera  e  non  effimera  ric- 
chezza. 

P.    BlOLCniN! 


253 


Dimostrazioni  dei  principii  fondamentali  della  pato- 
logia e  della  terapia,  di  Francesco  Ladelci  dottore 
in  medicina.  Roma  1854. 

Medicina  omeopatica  domestica  del'  dott.  C.  Hering. 
Roma  1854. 

Patologia  pratica,  ovvero  elementi  di  clinica  omeo- 
patica, di  Giuseppe  Migneco.  Roma  1855. 

Sulla  medicina  pratica  discorsi  di  Giuseppe  Migneco. 
Roma  1855. 


A> 


il  veder  qui  annunziate  tante  scritture  risguardanti 
la  medicina  dei  sinnili,  e  fatte  di  pubblico  diritto  fra 
noi  in  breve  intervallo  di  tempo,  ognun  si  accorge 
come  porgasi  essa  operosa,  e  in  atto  di  battagliare 
con  chiunque  osasse  recarle  offesa,  o  attaccarvi  bri- 
ghe :  dal  che  noi  vorremmo  tenerci  quanto  più  si 
possa  lontani.  Il  mondo  è  ornai  sazio  di  contese  me- 
diche, e  aspetta  il  giudizio  definitivo  del  tempo,  sag- 
giatore spertissimo  in  diseernere  il  vero  dal  falso. 
Perciò  indossando  la  sua  divisa,  non  sapremmo  in- 
tanto lodare  il  contegno  del  Pradieri  (1),  che  in  una 
sua  memoria  ha  ripicchiato  or  ora  questo  punto  , 
del  quale  non  è  da  sperare  alcun  sodo  profitto  alla 
medicina,  né  alcuna  sincera  conciliazione  tra' medici. 
Ed  infatti  o  vi  dirigete  ai  curanti,  ed  è  stoltezza  il 
presumere  che  dopo  aver  disertato   apertamente    il 


(1)  Stranezze  ed  assurdità  della  omeopatia.   Bologna   tipografìa 
dell'Ancora  1856. 


254 

campo  della  medicina  universale  vogliano  ora  can- 
tare la  palinodia,  e  darsi  convinti  ;  o  volgete  il  di- 
scorso ai  clienti,  e  questi  o  non  vi  ascoltano,  o  non 
v'  intendono.  L'umana  gente  quale  difettosa  di  edu- 
cazione letteraria,  quale  aggravata  dalle  fatiche,  e 
quale  distemperata  nei  piaceri,  è  scarsa  di  savi  par- 
titi, e  non  ha  critica  che  basti  a  premunirsi  dalle 
lusinghe  dei  larghi  promettitori  di  guarigioni  pronte, 
sicure  e  senza  incomodi.  E  come  poi  maneggiar  la 
polemica  coi  proseliti  del  riformatore  alemanno  ? 
Non  par  lecito  usare  lo  scherno  in  dispute  che  rì- 
ferisconsi  alla  vita  degli  uomini  ;  e  poi  le  sue  pun- 
ture aspreggiando  gli  animi,li  recano  a  incaponirsi  piiì 
forte  nel  loro  proponimento.  Se  invocate  la  solenne 
testimonianza  dei  secoli,  vi  rispondono  che  per  l'arte 
salutare  furono  tutti  favolosi  ,  e  mettono  al  niente 
tutto  in  un'  ora  le  fatiche  passate.  Vi  munite  del- 
l'autorità de'  grandi  scrittori:  e  gli  adepti  all'omeo- 
patia, eredi  della  tracotanza  del  loro  maestro,  li  con- 
dannano tutti  allo  stesso  dispregio.  Quei  maravigliosi 
intelletti  di  Sydenam,  di  Boerhaave,  di  Van-Swieten, 
di  De  Haen,  di  Hoffman,  di  Stoll  e  mille  altri  di  egual 
polso  non  sono  eccettuati  dalla  taccia  di  aver  edifi- 
cato un  met'o  nulla  in  tutte  le  sue  parti,  una  com- 
passionevole illusione  a  bella  posta  intesa  ad  arrischiai^ 
la  vita  umana  in  mezzo  a  cieche  incongrue  cure  (Hahn.). 
Vi  provate  a  usare  il  ragionamento  Intorno  i  prin- 
cipii  generali  della  patologia:  ed  essi  vi  rompono  le 
parole  in  bocca  esclamando,  che  neWarte  di  guarire 
la  ragione  specidatrice  non  ha  voto  alcuno  {id.) 

Rinunziando  però  al  progetto  di  rinnovare  le  dis- 
pute intorno  la  dottrina  di  Hahnemann,  non  vorremo 


255 

privare  affatto  i  nostri  lettori  di  qualche  notizia  delle 
opere  messe  in  fronte  di  questo  articolo,  come  è  ap- 
punto il  debito  dei  giornali.  E  cominciando  dalla  prima, 
non  sappiamo  dissimular  la  sorpresa  leggendone  il  ti- 
tolo: Dimostrazioni,  cioè,  dei  principii  fondamenlali 
della  patologia  e  della  terapia.  Ed  invero  può  egli  darsi 
patologia  in  una  scuola,  il  cui  antesignano  sostiene 
che  ogni  caso  di  malattia  sol  una  volta  avvenga,  e  che 
ogni  infermo  patisca  singoiar  malore  (id.  org.  §.87), 
e  che  il  medico  non  altro  rileva  in  ogni  malattia  tranne 
le  esterne  mutazioni  che  riconosconsi  pei  sensi  ? 

Tali  principii  tendono  nullameno  che  a  scardinare 
l'edifizio  della  medicina,  e  sono  incompatibili  affatto 
colla  esistenza  di  una  vera  patologia.  Questo  voca- 
bolo suona  scienza  di  comunanze  e  di  differenze  mor- 
bose, scienza  della  genesi,  della  natura,  degli  esiti 
delle  malattie,  scienza  dei  rapporti  e  delle  succes- 
sioni delle  medesime.  Il  patologo  assume  qual  lemma, 
che  la  malattia  sia  costituita  da  una  serie  di  cam- 
biamenti operanlisi  nell'intimo  dell'organismo;  a  que- 
sti ei  rivolge  la  sua  attenzione  ;  di  questi  ei  procaccia 
di  studiare  le  somiglianze  e  dissomiglianze,  le  cause 
e  gli  effetti,  le  origini  e  le  terminazioni.  La  scienza 
non  consiste  nell'appuntare  ogni  varietà,  ogni  acci- 
dente dei  fenomeni,  ma  nel  considerarne  i  caratteri 
essenziali,  senza  i  quali  essi  non  potrebbero  mani- 
festarsi. Chi  non  pesca  mai  nel  fondo,  chi  delle  ma- 
lattie non  considera  che  la  scorza,  fermandosi  alle 
esterne  apparenze,  chi  nelle  forme  morbose  che  offre 
un  individuo  non  legge  e  non  si  cura  di  leggere  al- 
cun rapporto  con  quelle  degli  altri  individui  passati 
e  presenti,  non  può  aspirare  al  possesso  di  una  pa- 


256 
tologia,  se  pria  non  confondansi  i  significati  dei  vo- 
caboli e  l'arte  scambisi  colia  scienza.  Lo  stesso  di- 
cesi della  terapia  :  se  non  vi  sono  comunanze  di  ma- 
lattie, se  non  si  ammettono  condizioni  morbose  da 
considerarsi  in  cumulo,  come  potrà  egli  parlarsi  di 
indicazioni  e  contro  indicazioni,  di  metodi  curativi, 
di  mezzi  generali  atti  a  favorire  le   tendenze  della 
natura,  ad  espellere  le  materie  morbose,  e  rimuovere 
gli  ostacoli  che  vi  si  oppongono?  Non  vi  è  adunque 
patologia,  non  vi  è  terapia  generale  possibile  nella 
medicina  dei  «simili,  anzi  non  vi  è  possibilità  nem- 
meno di  nominare  le  malattie,  come  il  maestro  stesso 
dichiara,  insegnando  come  ogni  infermo  patisce  sin- 
goiar malore  non  suscettivo  di  ricever  nome^  mai  più 
comparso  quale  mostrasi  in  quel  caso  ecc:  (id.  §.  87). 
Noi  non  disputiamo  qui  del  valore   dell'  omeopatia 
quale  arte  di  curare,  ma  sosteniamo  che  questo  si- 
stema, tal  quale  lo  ha  promulgato  Hahnemann,  ri- 
pugna con  qualunque  fondamento  scientifico.  E  come 
dunque  il  signor  Bering  ha  potuto  darci  una  Medi- 
cina omeopatica,  in  cui  parlasi  di  congestioni,  di  in- 
fiammazioni, di  spasmodie,  vocaboli  tutti  che  accen- 
nano ad  interni  cambiamenti  dell'organismo,  noq  a 
pure  immagini  hahnemaniane  ?  E  come  pure  l'autore 
delle  Dimostrazioni  poteva  offerirci  un  rendiconto  di 
malattie  indicate  collo  stesso  nome  di  pleuritidi   e 
pneumoniti,  e  curate  spesso  cogli  stessi  rimedi,  quan- 
tunque in  individui  differenti  per  età,  per  sesso,  per 
genere  di  vita,  per  stato  anamnestico,  per  condizione? 
Od  eran  malattie  simili,  e  vacilla  il  principio  della 
singolarità  :  od  eran  diverse  ,  e  come  vincersi  con 
gli  stessi  rimedi  ? 


257 

Ma  più  che  il  titolo  in  cui  si  parla  di  patologia 
e  di  terapia  che  non  vi  sono,  e  non  si  nomina  la 
dottrina  omeopatica  che  vi  è,  ne  ha  dato  occasione 
di  meraviglia  la  dedica  dell'opera.  Essa  e  diretta  ai 
Sapientissimi  preceltori  quale  attestato  di  quella  pro- 
fonda stima  e  riconoscenza  che  per  esso  loro  ha  sem- 
pre nutrito.  Un  libro  che  da  capo  a  fondo  ripete  , 
interpreta,  parafrasa,  adorna  il  pensiero  del  rifor- 
matore tedesco:  cioè  che  la  medicina  è  stata  finora 
una  favola^  si  intitola  a  quelli  medesimi  che  l'hanno 
insegnata  all'  autore  e  che  continuavano  a  dettarle 
nel  momento  in  cui  le  Dimostrazioni  vedean  la  luce. 
Senza  le  vostre  dottrine  ,  egli  dice  ,  ninno  giammai 
potrà  certamente  esser  medico:  e  non  pensa  che  nella 
seconda  parte  avrebbe  accusati  anche  essi  precettori 
del  classico  errore,  che  tutti  gli  autori  di  sistemi  me- 
dici sonosi  successivamente  trasmesso  come  una  mor- 
bosa eredità:  e  non  riflette  che  avrebbe  coronato  il 
libro  con  una  parenesi  ai  giovani  medici  di  seguire 
la  bandiera  di  Hahnemann,  ossia  disertare  la  scuola 
dei  sapientissimi  maestri  che  insegnano  una  patologiai 
una  terapia,  una  materia  medica,  che  trovasi  fino  ad 
Hahnemann  così  bambina  come  Ippocrate  la  lasciò. 
(P.  64.) 

Lungi  da  noi  il  sospetto  che  l'A.  volesse  usare 
una  derisione  verso  gli  antichi  maestri,  e  siamo  anzi 
di  credere,  che  egli  abbia  inteso  con  dolci  e  cortesi 
parole  indorar  loro  le  pillole  che  Hahnemann  volea 
far  inghiottire  a  tutti  i  medici  nella  sua  piena  ama- 
rezza. Non  sapremmo  però  mandarlo  assolto  dall'aver 
tradita  la  verità  storica  inabissando  gli  scrittori  tutti 
di  patologia,  di  terapia,  di  materia  medica  da  Ip- 
G.A.T.GXLIV.  17 


258 
pocrate  fino  all'autore  dell' Omeopatia.  Le  testimo- 
nianze in  contrario  sono  troppo  sfavillanti  per  non 
credere  che  quella  proposizione  uscì  involontaria- 
mente di  penna  all' A.  in  un  momento  di  bolloi*  si- 
stematico. Svolgete,©  cortesi  lettori, le  opere  genuine 
ed  anche  le  spurie  d'Ippocrate,  e  diteci  se  all'infuori 
di  alcune  considerazioni  sugli  epidemici,  e  sui  rap- 
porti delle  malattie  al  sesso,  all'età,  alle  stagioni,  ai 
climi  ;  e  tranne  pure  la  dottrina  della  materia  mor- 
bosa, della  cozione,  della  crisi,  e  dei  giorni  critici, 
vi  si  trovi  altro  di  patologia  generale.  Aprite  ora  di 
contro  un  corso  anche  elementare  di  questa  scienza, 
quale  insegnasi  nelle  università  di  tutti  i  paesi  in- 
civiliti ,  e  giudicate  se  essa  sia  rimasta  così  bam- 
bina da  doverne  reggere  i  passi  con  mani  caritative, 
0  se  piuttosto  sianle  già  spuntati  i  denti  della  sa- 
pienza. Vi  troverete  le  differenze  essenziali  delle  ma- 
lattie, e  i  sommi  generi  delle  medesime,  il  discorso 
dei  morbi  stromentali ,  e  le  leggi  che  governano  i 
dinamici,  i  vizi  diversi  degli  umori  e  la  loro  origine, 
la  dottrina  dei  contagi,  dei  miasmi,  dei  veleni  e  pa- 
recchi altri  argomenti  non  toccati  dal  vecchio  di  Coo. 
Se  non  che  l'A  confessa  che  le  prime  due  di  queste 
scienze  non  mancavano  di  generali  principii  ma  questi 
non  erano  slati  né  dimostrati  ne  applicati  al  clinico 
esercizio.  Pazienza.  Ne  si  concedesse  almeno  che  la 
materia  medica  dai  greci  in  poi  si  è  arricchita  di 
molti  medicamenti.  Noi  potremmo  annoverare  ben 
cento  droghe  ignote  ad  Ippocrate,  alle  quali  non  pre- 
concette teorìe  ma  genuine  e  ripetute  osservazioni 
banno  attribuite  e  confermate  virtù  medicinali.  Usasi 
con  profitto  ogni  giorno  lo  stramonio  nell'eretismo 


259 

cerebrale,  l'arnica  e  la  noce  vomica  nelle  paralisi,  la 
valeriana  e  il  sedum  acre  nelle  convulsioni  isteriche 
e  nelle  epilettiche,  la  pulsatilla  e  la  bella  donna  nelle 
affezioni  dolorose  degli  occhi,  la  digitale  e  il  tasso 
baccato  nelle  palpitazioni,  il  lichene  ed  il  fellandrio 
nel  catarro  polmonale,  il  colombio  e  il  magistero  di 
bismuto  nella  atonia  o  nella  soverchia  irritabilità  dello 
stomaco,  il  rabarbaro  e  il  calomelano  nelle  viziose 
secrezioni  della  bile  ,  i  marziali  nell'ingrandimento 
della  milza,  l'aloe  e  la  gomma  gotta  a  stimolare  la 
mucosa  intestinale  ,  l'uva  orsina  nel  catarro  della 
vescica,  la  canfora  per  sedare  l'orgasmo  dell'appa- 
rato genito-urinario,  il  coppaive  ed  il  cubebe  contro 
i  flussi  uretrali,  la  sabina  e  le  secala  a  determinare 
le  contrazioni  dell'utero,  i  tamarindi  a  temperare  le 
irritazioni  delle  mucose,  e  poi  il  colchico  nella  gotta, 
la  coclearia  nello  scorbuto, la  dulcamara  nella  scabbia, 
la  bardana  nel  reumatismo,  i  preparati  di  ferro  nella 
clorosi,  il  santonico  e  la  corallina  contro  i  lombrici, 
la  corteccia  della  radice  di  granato  e  lo  stagno  contro 
la  tenia.  Or  di  questi  (e  ci  siaai  limitati  ai  più  noti) 
rimedi  non  ebbe  cognizione  Ippocrate,  come  non  potea 
averla  di  tutti  gli  altri  derivatici  dal  nuovo  mondo: 
cioè  il  guaiaco,  la  salsapariglia,  la  scialappa,  la  ca- 
scavilla,  l'ipecacuana,  la  contraierva,  la  poligala,  e  la 
prodigiosa  china:  farmachi  che  adoperiamo  continua- 
mente, e  i  cui  benefìci  effetti  nelle  speciali  circostanze 
non  sono  più  dubbiosi.  Or  venga  l'A.  che  avendo  in- 
segnato materia  medica  ha  dovuto  promulgar  dalla 
cattedra  questi  fatti,  e  lacto  pectore  dichiari  solen- 
nemente di  essersi  ingannato,  e  addenti  la  riputa- 
zione di  tutti  i  medici  che  pubblicarono  le  guarigioni 


260 

ottenute  con  questi  farmachi,  nel  modo  della  comun 
medicina,  e  derida  la  credulità  di  tutti  gii  altri,  che 
accolsero  quelle  tradizioni,  e  concluda  che  da  Ippo- 
crate  fino  ad  Hahnemann  non  fu  più  sanata  una  ma- 
lattia con  mezzi  ignoti  a  quel  sommo.  Una  favilla 
di  critica  basta  a  mostrare  la  temerità  di  tal  sen- 
tenza e  a  chiarirne  che  se  tali  farmachi  resisterono 
alle  vicende  dei  sistemi,  alle  rivalità  dei  medici,  alle 
vertigini  della  moda,  dovevano  avere  operato  guari- 
gioni numerose  ed  irrepugnabili.  La  verità  storica  è 
stata  dunque  bruttamente  tradita  dicendo  che  Hah- 
nemann trovava  la  materia  medica  così  bambina  come 
Jppocrale  In  lasciò.  La  prima  parte  dell'opera  è  in- 
lesa tutta  a  dimostrare,  come  ogni  malattia  che  al 
medico  si  presenta  deve  essere  da  esso  riguardata  non 
solo  come  di  specifica  natura  ,  ma  ancora  come  in- 
dividuale e  distinta  perciò  da  ogni  altra  infermità.  E 
qui  o  noi  andiamo  errati,  o  il  discepolo  non  ha  rap- 
presentato con  rigorosa  esattezza  l'idea  del  maestro. 
Il  vocabolo  specifico  viene  da  specie,  e  ognun  sa  che 
la  specie  comprende  sotto  di  se  molti  individui.  Dire 
adunque  che  ogni  infermità  è  specifica  ed  individuale 
equivale  a  dire  che  sia  al  tempo  istesso  una  e  mul- 
tipla. Allorché  noi  diciamo  cause  specifiche,  rimedio 
specifico,  non  intendiamo  causa  o  rimedio  atti  a  pro- 
durre o  guarire  la  malattia  di  un  individuo,  ma  una 
specie  di  malattia.  Il  miasma  palustre  è  causa  spe- 
cifica di  quelle  infermità  che  comprendiamo  sotto 
la  specie  di  febbri  periodiche;  lo  zolfo  non  è  rimedio 
alla  scabbia  di  Tizio  o  all'erpete  di  Caio,  ma  è  me- 
dicamento atto  a  combattere  le  specie  morbose  er- 
pete e  scabbia.  Che  poi  ogni    umana  infermità  sia 


%1 

individuale  e  chi  il  niega?  La  pleuritide  di  Sempronio 
ella  è  deirindividiio  Sempronio,  e  non  di  alcun  altro 
individuo  :  la  questione  versa  nel  sapere  se  le  pleu- 
ritidi  dei  diversi  individui  abbiano  tanta  somiglianza 
fra  loro  nei  caratteri  essenziali  da  costituire  una  specie: 
in  modo  che  pronunziando  il  vocabolo  pleuritide,  non 
intendesi  più  la  malattia  di  un  individuo, ma  una  spe- 
cie di  malattie  simili. 

Il  genuino  concetto  di  Hahnemann  si  è  che.  ogni 
malattia  risulti  di  un  gruppo  singoiar  di  fenomeni, 
non  mai  comparso  nel  regno  delle  esistenze,  e  che 
non  comparirà  più  mai.  E  l'A.  delle  Dimostrazioni 
imprende  a  confortar  questa  tesi  coi  triti  argomenti 
della  pluralità  delle  cause  morbifere  e  delle  loro  sva- 
riate combinazioni,  come  pure  col  noto  fatto  inse- 
gnato nelle  scuole,  che  gli  agenti  esteriori  o  igienici 
o  patogenici  o  terapeutici,  oltre  l'azion  dinamica  sul- 
l'universale, spiegano  quasi  tutti  una  predilezione  per 
qualche  tessuto,  per  qualche  organo,  per  qualche  ap- 
parato organico.  Peraltro  e  la  pluralità  delle  cause, 
e  la  facoltà  elettiva  degli  agenti  esterni  non  bastano 
a  dimostrare  la  singolarità  di  ogni  morbo.  Moltiplici 
cagioni  posson  turbare  gli  umani  affetti,  e  pure  il 
catalogo  delle  passioni  non  si  accresce  ogni  giorno, 
e  non  varia  ;  perocché  i  modi  di  perturbarsi  dell'ani- 
mo sono  determinati  dalla  natura  morale  dell'uomo, 
e  non  dal  numero  delle  cause  perturbatrici.  Potran- 
no esservi  complicanze,  cioè  più  passioni  riunite  e 
talora  insieme  discordanti,  ma  si  tratterà  sempre  di 
amore,  di  ambizione,  di  avarizia,  di  vendetta,  e  così 
di  seguito.  Per  numerose  cagioni  si  altera  pure  la 
sanità  della  mente:  nò  per  questo  gli  alienisti    haa 


262 

mai  pensato  a  moltiplicare  le  vesanie  in  ragion  delle 
origini  :  ma  sono  stati  concordi  nello  stabilire  un 
limitato  numero  di  aberrazioni:  e  questi  limiti  gli  sono 
imposti  dalla  natura  intellettuale  dell'uomo,  la  quale 
determina  essa  stessa  i  modi  diversi  del  trasviare, 
e  non  ammette  che  si  accrescano  all'infinito.  E  così 
pure  nell'ordine  fisico  quantunque  siano  le  cause  di 
turbamento, limitato  è  però  il  numero  delle  condizioni 
morbose  ,  perchè  limitati  sono  i  modi  di  alterarsi 
del  principio  vitale,  del  chimismo  organico  e  della 
grossa  fabbrica  del  corpo. 

E  come  non  vedere  che  abbracciato  il  principio 
delle  singolarità  morbose,  non  vi  è  più  alcuna  pos- 
sibilità di  tradizione  ,  non  vi  è  più  regola,  non  vi 
è  più  filo  che  ne  guidi  nella  cognizione  e  nella  cura 
delle  malattie  ?  II  medico  allevato  in  questo  sistema 
dee  aspettarsi  in  ogni  sua  visita  un  male  mai  più 
comparso  quale  mostrasi  in  quel  caso,  in  quella  per-- 
sona ,  in  mezzo  a  quelle  circostanze  ,  né  tale  da  ri- 
comparire mai  lo  stesso  (Hahn.  §.  87).  Ora  in  questa 
novità  e  oscurità  o  dirige  il  suo  giudizio  su  casi  con- 
simili, ed  eccolo,  suo  mal  grado,  recato  a  formare 
le  specie  ;  o  è  un  esempio  dissimile  affatto  da  tutti 
gli  altri,  e  sarà  egli  cèrto  che  frugando  nella  ma- 
teria medica  pura  troverà  una  copia  conforme  per 
applicarvi  il  rimedio  ?  E  bene  accadrà  spesso  che 
non  la  trovi,  se  come  il  fondatore  lo  assicura  ogni  me- 
dicamento pronuncia  singolari  effetti  sid  corporea  alcuni 
sintomi  sogliono  i  rimedi  pili  spesso  provocare,  ossia  in 
più  corpi,  altri  più  di  rado,  ossia  in  piii  pochi  uomini; 
alcuni  altri  in  pochissimi  (id.  §.  121).  Indefinito  sarà 
adunque  il  numero  dei  morbi  artificiali  ,  ossia  dei 


263 

gruppi  sintomatici  suscitati  dai  medicamenti:  e  quan- 
do nel  pelago  di  queste  immagini  avrete  pescato  quella 
che  meglio  si  accomoda  al  caso  attuale,  rimanete 
anche  incerti  se  il  rimedio  produrrà  in  quel  corpo 
la  stessa  sindrome  di  fenomeni. 

Un  altra  incongruità,  in  cui  ci  sembra  cadere  l'A. 
nella  seconda  parte  del  libro,  si  è  quella  di  voler  di- 
mostrare il  principio  dei  simili  col  precetto  insegnato 
anche  dagli  antichi  medici  di  applicare  i  rimedi  gra- 
dualmente. E  chi  non  vede  quanto  sia  inopportuno 
l'argomento,  e  quanto  i  due  principi!  distin  fra  loro? 
Così  nell'ordine  fisico  come  nel  morale  ogni  feno- 
meno ha  i  suoi  periodi,  e  dee  necessariamente  per- 
correre alcuni  stadi:  volerlo  troncare  ricisamente,  è 
contrario  a  natura.  Se  ad  un  uomo  acceso  di  sde- 
gno occorri  con  beffe  e  con  sghignazzate  ,  tu  non 
forai  che  rinfocolarvelo;  se  ad  una  madre  che  si  strug- 
ge di  dolore  per  la  perdita  di  un  figlio  ti  presenti 
danzando  o  col  tripudio  sul  viso,  ne  addoppierai  il 
cordoglio;  al  modo  stesso  che  non  potresti  tuffare 
nell'acqua  gelida  uom  cui  si  die  una  febbre  gagliarda, 
ne  trattar  colla  calda  un  assiderato.  Nel  primo  caso 
dovrai  permettere  alla  bile  di  svaporare  un  momento, 
e  poi  molcere  l'animo  con  dolci  modi  e  cortesi  pa- 
role, e  alla  donna  lasciare  il  benefico  sfogo  del  pianto, 
entrare  a  parte  del  suo  dolore,  e  poi  lenirlo  col  bal- 
samo delle  consolazioni  morali,  E  così  l'effervescenza 
del  sangue,  e  l'intirizzimento  delie  membra  correg^ 
gerai  con  acconcia  applicazione  di  mezzi,  che  non 
subitamente  ma  a  poco  a  poco  riconducano  il  ca- 
lore animale  alla  sua  giusta  temperie.  Or  nulla  vi  è 
in  tutto  questo  che  favoreggi  il  concetto  dei  simili. 


264 

Non  trattasi  infatti  di  indirizzare  all'  irato  acerbe  pa^ 
role  che  lo  facciano  scoppiar  di  dispetto,  né  di  ag^ 
giungere  dolore  a  dolore  nella  contristata:  nemmeno 
di  elevare  la  temperatura  del  febbricitante,  o  di  pre- 
parare una  miscela  frigorifica  in  cui  immergere  l'as- 
siderato, come  pur  converrebbe  fare  seguitando  la 
dottrina  di  Habnemann:  la  cura  è  sibben  di  contrari, 
ma  applicata  con  tal  misura,  che  né  il  morale  né  il 
fisico  abbiano  a  soffrirne.  Così  amministriamo  be- 
vande rinfrescanti  al  febbricitante,  ma  di  giusto  ca- 
lore, e  da  prendersi  un  poco  alla  volta:  e  immer- 
giamo l'asfìttico  per  freddo  in  acqua  ad  un  grado 
di  temperatura  un  pò  superiore  allo  zero  in  cui  tro- 
vasi l'assiderato:  ricorriamo  dopo  alla  tepida,  e  quindi 
alla  calda.  In  somma  convien  riarmonizzare  la  cetera 
distemperata  stendendo  le  corde  troppo  tese,  e  ca- 
ricandole troppo  lente,  non  all'impazzata,  ma  con 
discrezione  e  misura. 

Molto  poi  sarebbe  a  dirsi  sulla  viziosa  interpre- 
tazione che  l'A.  ha  data  ai  passi  di  Ippocrate  e  sul 
gravissimo  errore  da  cui  è  stato  offeso  nell'averlo 
offerto  come  il  precursore  di  Habnemann.  Chiunque 
si  conosca  un  poco  della  dottrina  ippocratica  sa  bene 
come  in  essa  a  principio  terapeutico  non  si  assuma 
né  il  contrario,  né  il  simile,  né  il  diverso,  ma  si 
inculchi  sempre  al  medico  di  studiare  le  tendenze 
della  natura  e  favorirle  prudentemente:  perciò  or  di^ 
latare  or  coarctare  ;  or  succi  expellendi ,  or  exsic- 
candi  o  inserendi;  altre  volte  corpus,  cutem,  carnes 
extenuareyincrasso.re  aporlel,o\veì'0  lenire,  exasperare, 
indurare,  emollire;  dove  il  convenga,  excitare  o  tor- 
porem  inducere  ;  in  altri  casi  derivatione  uli  oportet 


265 

ubi  revulsioni  confestim  aliquid  concesseris  ecc.(Epid. 
1.  IV.  S.  2.  tiad.  Foes.).  E  questo  pure  insegna  Ip- 
pociate  nel  passo  citato  dall'A.,  ove  rispondendo  agli 
innovatori  de'tempi  suoi,  che  volevano  ridurre  la  me- 
dicina a  più  semplici  principii,  concorre  nella  opi- 
nione che  siqiiidem  est  calidum,  aiit  frigidiim  ,  atU 
siccum,  aut  hiimidum  qtiod  hominem  laedit,  et  eum, 
qui  recte  mederi  volct,  oportet  calido  per  frigidum  , 
frigido  per  calidiim,  sicco  per  humidum,  et  hiimido 
per  siccum  opilidari  (De  prisc.  med.):  ma  riflette  poi 
che  di  questi  soli  elementi  non  si  compone  la  me- 
dicina: poiché  se,  a  c.igion  di  esempio,  un  individuo 
sia  gravato  da  cibo  inaffme,  e  di  difficile  concozione, 
né  il  male  potrebbe  riferirsi  a  predominio  di  quelli, 
né  potrebbe  correggersi  coi  contrari,  ma  farebbe  d'uopo 
mutare  alimento.  Che  se  però  abbisognassero  pro- 
ve della  adesione  di  Ippocrate  alla  terapia  degli  op- 
posti, se  ne  potrebbero  addurre  fino  alla  sazietà,  e 
il  solo  sesto  libro  degli  Epidemici  ce  ne  fornirebbe 
parecchi.  Così  non  solo  ivi  si  biasima  Erodico  per- 
ché laborem  labore  curabal,  ma  vi  si  dice  espressa- 
samente  che  contraria  paulatim  inducere  oportet  et 
interquiescere;  e  poco  dopo:  Medicatio  est  obluctantem 
esse  ncque  consentientem  affectui.  Sic  frigidum  et  au- 
xilio  est,  et  qiiae  a  calido  simt  tollit:  e  nel  fine  della 
stessa  sezione  aggiunge:  Impensae  calido  corpori  cibo 
interna  refrigeratio,  comparatur  sole,  igne  vestitu  ae- 
stivo  tempore,  exlerna  noxa.  Contrario  vero  sic  con- 
traria conveniunt. 

Così  pure  chiunque  abbia  compresa  la  mente  del 
padre  della  medicina  si  accorgerà  di  quanto  l'A.  l'ab" 
bia  falsata  attribuendogli  l'opinione  che  le  forze  vi- 


266 
tali  non  sìeno  sufficienti  a  curare  le  malattie.  La  fer- 
ma credenza  nell'autocrazia  della  natura  durante  il 
processo  patologico  è  il  principio  dominatore  della 
medicina  d'ippocrate:  in  ogni  pagina  delle  sue  opere 
se  ne  consacra  il  culto,  e  al  medico  non  si  affida 
altro  carico  che  di  interpretarla  e  obbedirla.  Mo/'èis 
nattirae  medentur.  Natura  ipsa  sili  per  se  non  ex  Con- 
silio moiiones  ad  actionis  obeundas  invenit A  nullo 

qiiidem  edocla  natura  cilraque  disciplinam  ea  quae 
conveniunt  efficit  (Epid.  d.  VI.  S.  5.).  Né  punto  di- 
sdice questa  sentenza  il  passo  allegato  dall'autore 
in  sostegno  della  sua  asserzione.  Ed  infatti  nel  li- 
bro De  arte  (non  in  quello  De  diaeta)  procacciando 
Ippocrate  di  sostenere  il  valore  e  l'importanza  della 
medicina  contro  i  suoi  detrattori  ammette  che  possa 
conseguirsi  talora  la  guarigione  anche  senza  i  con- 
sigli e  l'opera  del  medico,  ma  sempre  facendo  o  pre- 
termettendo alcune  cose  come  detta  l'istinto.  Am- 
mette insomma  che  l'uso  opportuno  dei  mezzi  igie- 
nici suggerito  dalla  natura  possa  trionfare  del  male, 
senza  amministrazione  di  farmachi,  e  perciò  col  solo 
aiuto  delle  forze  vitali.  Ecco  il  testo.  Obiiciet  nobis 
adversarius,  multos  iam  aegros  etiam  citra  medici  opem 
sanilati  restitutos:  quod  equidem  non  di/Jileor.  Ac  fieri 
milii  pone  videtury  ut  qui  medicum  non  adliibent  iis 
ex  arte  maedica  feliciter  succedali  ncque  tamen  in- 
telligant  rectumne  quid  in  ea,  parumque  insit,  sed 
quod  per  se  curatisi  eadem  quae  si  medicis  adhibitis 
curati  fuissent  contigemint.  Quod  ipsum  sane  magnum 
est  artis  existenlis  argumentumy  et  quod  inter  prae- 
claras  habenda  sit,  quando  qui  ne  eam  quideni  esse 
exislimant  eiusope servati  conspiciuntur.  Quienim  etiam 


267 

non  adhihitis  medicisex  morbis  convaluerunt,  ut  intellì- 
gant  omnino  necesse  est,  se  quod  aliqilid  vel  fecerint, 
vel  non  fecerint  ,  idcirco  sanitalem  esse  consecnios. 
Aul  enim  inediam,  aiit  copiosiorem  cibiim  et  potnm, 
atit  sitim,  aut  balnea,  aut  eoriim  abslinenliam..,  aut 
ìabores,  aiit  quieterà,  aut  somnum,  aul  vigiliam  , .  aut 
eorum  omnium  promiscuum  usum  adhibentes,  sanita- 
tem  consecuti  sunt  (De  art.).  E  cliiaio  come  queste 
guarigioni  ottengansi  per  la  sola  virtù  medicatrice 
della  natura,  suggeritrice  ella  stessa  di  quegli  atti 
che  l'arte  provocherebbe,  ove  ne  fosse  invocato  l'aiu- 
to. La  qual  dottrina  ippicratica  (1)  quanto  poco  ar- 
rida ai  seguaci  del  riformatore  alemanno,  e  quanto 
sia  repugnante  coi  loro  piincipii,  ognuno  sei  vede. 
Il  libro  del  D.  Bering  insegna  il  modo  di  cu- 
rarsi da  se  stesso,  sia  con  mezzi  domestici  innocui  , 
sia  con  rimedi  omeopatici  che  non  pregiudicano  mai 
(e  se  fossero  amministrati  fuori  di  luogo?  I  rimedi 
in  senso  di  Hahnemann  non  sono  eglino  potenze  mor- 
bificanti  ?  e  se  il  morbo  artificiale  che  producono 
non  coprisse  il  naturale,  sarebbero  poi  innocui  ?  )  e 
sono  sempre  utili  quando  vengono  convenientemente 
amministrati  (notate  il  sempre).  E  poco  dopo  av- 
verte: Chi  è  stato  testimonio  una  sola  volta  degli  ef- 
fetti di  questi  rimedi  eviterà  le  sanguigne,  le  coppe, 
i  vescicanti,  gli  empiastri  di  ogni  specie,  cose  tutte  che 
fanno  POCO  BENE:  (e  qui  o  il  traduttore  è  stato 
infedele  o  l'A.  si  mostra  troppo  più  indulgente  che 
non  convenga  ad  un  seguace  di  Hahnemann.  Ed  in- 


(i)  Del  potersi  sciogliere  le  malattie  anche  senza  il  presidio 
del  medico. 


268 
fatti  il  poco  e  limitazione  di  quantità  non  assoluta 
negazion  della  cosa;  le  sanguigne  adunque  fan  poco 
bene,  ma  pur  ne  fanno:  sia  benedetto  iddio!). 

Segue  il  modo  di  servirsi  dei  rimedi.  Nulla  di 
pili  facile:  interrogate  gli  organi,  notate  i  sintomi, 
cercate  questi  nell'indice,  il  quale  vi  rimanderà  alla 
pagina  ove  sono  registrati  i  medicamenti  opportuni. 
Né  dovete  darvi  molta  briga  se  mai  non  cogliete 
nel  segno:  poiché  dando  un  l'imedio  che  non  corri- 
sponde alla  malattia,  gli  è  certo  che  non  ne  seguirà 
alcun  miglioramento,  ma  è  certo  egualmente  che  nulla 
di  fastidioso  ne  verrà  alV  infermo.  Il  metodo  omeo- 
patico è  cosi  fatto,  che  giova  se  bene  applicato,  e  non 
nuoce  essenzialmente  se  applicato  male  (Introd.  p.  4-). 
Oh  medicum  suavem,  esclamerebbe  qui  Marco  Tullio, 
meque  docilem  ad  hanc  disciplinami  Con  pochi  glo- 
buli di  aconito  voi  sostenete  di  combattere  una  pleu- 
ritide  :  domandate  alla  scuola  come  ciò  avvenga,  e 
vi  risponderà  che  dipende  da  legge  terapeutica  della 
natura,  per  cui  nelVuomo  vivente  ima  piìi  debole  affe- 
zione dinamica  rimane  durevolmente  annichilata  mercè 
altra  che  d'assai  Vassomigli,  ma  più  forte  e  sol  nella  sua 
essenza  dissaccor dante  (  Hahn.  org.  §.  20).  E  poco 
dopo:  Le  medicine  rendono  sofferente  Vuomo  con  mag- 
giore intensità  e  certezza  che  le  naturali  cagioni  ec- 
citatrici del  morbo  (id  org.  §.  24-27).  Dunque  i  vo- 
stri globuli  hanno  dovuto  suscitare  un  turbamento 
più  forte  nel  dinamismo,  che  non  quello  istesso  della 
pleuritide  naturale:  e  se  vi  fu  errore  nell'ammihi- 
strazione,  cioè  se  furono  dati  senza  che  esistesse  una 
vera  pleuritide,  che  ne  avverrà?  nulla  affatto.  Dob- 


269 

biamo  confessare  che  questa  medicina  è  assai  co- 
moda. 

Procede  l'autore  ad  esporre  il  modo  di  adope- 
rare i  medicamenti  per  fiuto,  in  globetti,  in  soluzione^ 
in  frizioni  e  in  bagnoli,  e  quindi  accenna  il  regime 
da  usarsi  durante  la  cura  omeopatica:  regime  assai 
men  severo  di  quello  che  credasi  comunemente,  con- 
cedendovisi  perfino  il  fumare  tabacco  purché  si  usi 
il  bocchino.  Intanto  si  avverte  che  i  rimedi  debbono 
prendersi  in  un  luogo  luminoso,  fresco  ed  asciulto,  li- 
bero da  ogni  odore.  In  un'alcova  o  in  una  piccola  ca- 
mera; dove  V  aria  non  è  pura,  non  è  rinnovata, 
i  rimedi  pendono  la  loro  efficacia  (  pagina  12)  :  a 
tal  patto  nove  decimi  del  genere  umano  dovrebbero 
rinunziare  ai  benefìzi  dell'omeopatia.  Eppure  il  D. 
Hering  sembra  occuparsi  specialmente  del  popolo,  e 
fra  i  cibi  vietati  registra  il  burro  rancido,  il  lardo, 
il  maiale  grasso  ,  gli  agli ,  le  cipolle  ,  Volio  rancido 
ecc:  cibi  e  condimenti  da  cui  suol  essere  schifa  la 
classe  civile. 

L'introduzione  ha  termine  con  la  scelta  del  me- 
dico. Come  tutte  le  cose,  egli  scrive,  così  gli  omeo- 
patici si  dividono  in  differenti  specie.  Essi  si  divi- 
dono in  omeopatici  puri  ed  interi^  ed  in  semi-omeo- 
patici. Fra  i  puri  avvene  di  buoni  e  di  cattivi  (vi  son 
dunque  medici  puri  cattivi!)  fra  i  buoni  se  ne  con- 
tano ancora  tre  specie Nuovo  in- 
ciampo per  abbracciare  l'omeopatia,  poiché  fra  tante 
schiere  diverse  come  dirigere  la  scelta?  A  buon  conto 
anche  fra  i  puri  e  buoni  ve  ne  hanno  alcuni  che  al 
dir  dell'autore  imitano  il  primo  stile  di  Hahn.,  cioè 
I  fino  al   1820:  dopo  il  qual  tempo  sembra  ai  loro  occhi 


270 

che  abbia  avuto  nn  eccesso  di  innocente  pazzia:  altri 
poi  prendono  per  norma  ciò  che  ei  faceva  negli  u/- 
timi  dieci  anni  di  vita.  In  mezzo  a  tanta  varietà  come 
sceverano  il  buono  dal  mediocre  e  il  mediocre  dall'i- 
netto? L'autore  ha  sentita  tutta  la  difficoltà  di  questa 
scelta  paragonandola  a  quella  di  una  moglie  :  ed  ac- 
corgendosi poi  di  avere  avviluppato  il  nodo  piiì  che 
strigarlo,  lo  taglia  ricisamente  esclamando  :  Scelga 
adunque  ognuno  il  suo  medico  come  Vintenda:  ciocché 
per  verità  sparge  moltissima  luce  in  qualunque  caso 
di  dubbio- 

Del  resto  non  è  da  biasimare  1'  autore  se  ha 
corso  così  leggermente  il  tema  della  scelta  del  me- 
dico quando  offriva  ai  lettori  un  libro  coH'aiuto  del 
quale  raramente  se  ne  ha  bisogno,  come  rare  sono 
le  grandi  malattie  in  cui  il  prefato  A.  consiglia  di 
ricorrervi.  Dal  che  si  apprende  quanto  debba  esser  co- 
moda un'  opera  di  tal  fatta:  tanto  pili  che  vi  si  in- 
segna non  solo  a  curare  le  infermità  già  sviluppate, 
ma  anche  le  possibili  a  nascere:  così  in  caso  di  spa* 
vento  ordinario  prodotto  da  un  rumore  improvviso  date 
subito  op. .Se  allo  spavento  va  unito  un  sen- 
timento di  paura  op.  (1) Nelle  pene  d^a- 

more  date  prima  ign.  e  qualche  giorno    dopo    acid. 

fosf. La  collera,  che,  scoppia  in  individuiy 

di  temperamento  violento  richiede  nux.  vom 

Sorge  un  dubbio.  La,  collera  l'amore,  la  contrarietà, 
la  paura,  lo  spavento  sono  tutte  cause  atte  a  tur- 
bare la  macchina,  ma  non  malattie  già  esistenti:  or 
se  la  medesima  causa  può  indurre  effetti  differen- 

(1)  Se  lo  spavento  è  seguito  da  contrarietà,  conviene  acon. 


271 

lissimi  sopra  i  diversi  individui,  come  potrassi  ap- 
plicare il  rimedio  innanzi  che  siasi  offerta  l'imma- 
gine morbosa?  Vediam  sovente  come  la  stessa  emo- 
zione faccia  a  tale  montare  i  rossori  sul  viso,  e  a  tale 
altro  tinga  il  volto  di  pallore  mortale,  un  terzo  non 
ne  sarà  punto  commosso,  e  ad  altro  si  paleseranno  mo- 
vimenti convulsi  ed  anche  smarrimenti  di  idee.  Voi, 
che  dovreste  coprire  i  sintomi,  come  farete  ad  anti- 
vederli ? 

L'altro  dubbio  che  si  affaccia  riguarda  la  plu- 
ralità dei  rimedi  nello  stesso  male  senza  un  consi- 
glio di  sorte  riguardo  alla  scelta.  Siele  disposto  ai 
raffreddori?  eccovi  i  rimedi  coff.,  beli.,  mix  vom.,  chin.y 
dulc.  e  sopraltuUo  silic,  carb.  veg-  cale.  carb.  a  lun- 
ghi intervalli.  Nei  raffreddori  durante  la  primavera 
si  dà  veret.  alb.,  rhust.  toxic.  e  carb.  veg.;  in  estate 
beli.,  bry.f  carb.  veg.;  in  autunno  verat.  alb.,  mere, 
viv.  0  rust,  oxic;  durante  l'inverno  se  è  secco,  acon., 
0  hel.,  bri.  nux.  vom.,  camom.  o  sidf.,  qualche  volta 
epec,  se  è  umido  dulc,  verat.  alb.,  carb.  reg.  .  .  . 
Ma  di  grazia,  signor  dottore,  questi  rimedi  hanno  o 
no  la  stessa  virtù  di  combattere  il  raffreddore  ?  Se 
è  la  medesima,  ha  sbagliato  Hahnemann;  se  è  diversa, 
e  a  che  mi  servirà  la  vostra  guida  se  non  mi  ad- 
dita chiaramente  la  via  da  seguire?  E  questo  mezzo 
di  recare  in  mezzo  molti  rimedi  per  lo  stesso  male, 
p  almeno  per  un  male  indicato  con  lo  stesso  nome 
senza  alcun  criterio  per  la  scelta,  domina  tutta  la 
Medicina  domestica.  L'autore  scarica  alla  rinfusa  la 
sua  soma  e  par  che  dica:  Prendete  quel  che  più  vi 
aggrada.  E  men  male  per  i  lievi  incomodi:  ma  in 
una  grave  infermità  vi  è  di  che  tribolarsene.  Siete 
in  campagna,  e  vi  accade  di  sputar  sangue  :  ricor- 


272 
rete  presto  al  manuale,  trovate  la  pagina  in  cui  è 
registrata  questa  malattia,  e  vi  leggete  beli,  mere. 
viv.,  carb.  reg.  puh.,  brij.,  chin.,  ami.,  dille,  slaph., 
silic.  e  lach.  Pensate,  o  lettori,  in  qual  ansia  si  ri- 
troverà il  pover'uomo  fra  l'afflizione  del  sapersi  emot- 
toico  e  l'angustia  del  non  saper  dare  la  prelazione 
ad  uno  degli  undici  medicamenti  nominati  nel  libro. 
La  perplessità  dell'infermo  non  farà  che  accrescersi 
leggendovi  poco  dopo:  Si  starà  in  guardia  e  si  saprà 
resistere  alla  mania  delle  sanguigne.  Questo  metodo 
è  generalmente  cattivo,  perchè  accresce  sempre  e  senza 
eccezione  il  pericolo  che  si  vuol  prevenire.  Si  può  in- 
tanto nel  caso  estremo  praticare  una  sanguigna,  quando 
non  si  ha  pronto  un  medico  (p.  219).  Che  ne  pare? 
11  salasso  nel  emottisi  è  una  manìa,  accesce  senza 
eccezione  il  pericolo,  ma  è  permesso  di  praticarlo 
nel  caso  estremo  :  cioè  vi  è  e  non  vi  è  eccezione; 
e  a  quali  segni  riconosceremo  il  caso  estremo?  Se 
con  tale  espressione  s' intende  l'esaurimento  dell'in- 
fermo per  emorragie  ripetute  ,  sarebbe  il  caso  di 
risparmiare  il  salasso.  Vedete  che  un  Vade  mecum 
di  questa  fatta  vi  lascia  dormir  tranquilli  ,  soddi- 
sfacendo pienamente  alla  promessa  fatta  nel  pream- 
bolo di  consigliare  i  rimedi  in  modo  così  preciso,  con 
tanto  rigore  e  semplicità  di  analisi,  che  non  può  mai 
alcun  dubbio  portare  su  ciò  imbarazzo  (pref.  VIH). 
Ad  ogni  modo  noi  abbiam  qui  un  buon  punto 
alle  mani,  ed  è  la  concessione  della  sanguigna  :  e 
se  questa  può  essere  lecita,  talora  nella  pneumor- 
ragìa,  perchè  non  lo  sarà  nella  pneumonite  in  cui 
vi  è  pure  trasudamento  sanguigno  ,  e  di  più  pro- 
fonda infiammazione  del    parenchima    polmonale  ? 


273 

Ma  non  è  la  sola  sottrazione  di  sangue  che  si  con- 
ceda dall'autore  :  altri  rimedi  ripugnanti  affatto  agli 
insegnamenti  diHahnemann  si  ammettono  nello  sputo 
di  sangue,  e  sono  le  legature  delle  membra,  le  cop- 
pette secche  alla  base  del  petto,  il  sai  di  cucina  in 
polvere  ,  e  perfino  la  flagellazione  al  dorso  ed  alle 
natiche  nelTavvelenamento  peroppio,rinunziando  così 
al  requisito  del  iucunde  tanto  vagheggiato  dai  se- 
guaci del  riformatore  alemanno.  Nenimen  si  mostra 
omeopatico  puro  l'A.  ovdinando  la  polpetta  di  mollica 
di  pane  e  tabacco  da  naso  da  imporsi  nella  lingua 
del  malato  per  provocare  il  vomito  negli  avvelenati, 
e  l'insufflamento  di  fumo  di  tabacco  nel  retto  per 
iscuotere  i  medesimi. 

Percorrendo  la  Medicina  domestica  si  viene  nella 
persuasione  che  il  D.  Bering  attribuisca  e  alle  pa- 
role e  alle  cose  un  valore  affatto  diverso  da  quello 
accordato  loro  universalmente.  Cosi  la  voce  asfissia 
nel  linguaggio  comune  equivale  a  morte  apparente, 
e  parrebbe  che  lo  stesso  A.  la  prendesse  in  tal  senso 
avendo  scritto  che  si  richiamano  prontamente  in  vita 
gli  asfittici  di  questo  genere  (per  arie  mefitiche)  espo- 
nendoli sidV istante  alVaria  libera,  aspergendoli  di  ac- 
qua fresca  e  facendo  inghiottire  ad  essi  caffè  puro  [\). 
E  come  dunque  avviene  che  poco  dopo  soggiunga. 
Se  Vasfiltico  trovasi  in  uno  stato  di  eccitamento  ,  di 
loquacità  con  molta  vivezza,  se  lagnasi  di  dolori  vaghi 
ed  ha  vertigini  giacendo  ecc.  (pag.  100)?  Un  morto 
in  apparenza,  che  parlasse  con  vivezza^  non  sarebbe 
egli  un  curioso  fenomeno  ?  E  stato  sempre  creduto 

(!)   (pag.   98). 

G.A.T.CXLIV.  18 


274 
che  l'attitudine  a  vivere  non  si  conservi  che  per 
breve  spazio  di  tempo  negli  asfitticiper  annegamento; 
ma  l'A.  assicura  che  la  vita  non  si  spegne  general- 
mente che  al  terzo  giorno  (pag.  405)  !  Ni  uno  ha 
mai  temuto  la  vicinanza  dei  funghi,  ancorché  vele- 
nosi, parificandone  l'influenza  a  quella  dei  gas  de- 
leteri che  svolgonsi  dalla  combuslion  del  carbone: 
eppure  l'A,  la  teme  in  guisa  che  in  suo  pensiero 
il  nascervi  intorno  il  gallinaccio  (1)  sarebbe  ragione 
0  di  lasciar  questa  casa  o  di  rifabbricarla  !  !  (pag.  100). 
E  chi  credeva  mai  che  dalle  lucertole  e  dalle  rane 
schizzasse  veleno  ?  pure  anche  questo  assicura  l'A. 
e  consiglia  in  aiuto  una  cucchiaiata  da  caffè  di  car- 
bone pesto  mescolato  con  latte  ed  olio,  rimedio  che 
non  ha  certo  sapore  omeopatico.  Era  stato  sempre 
insegnato,  che  il  veleno  dei  serpenti  ingerito  nello 
stomaco  è  affatto  innocuo,  e  non  ispiega  i  suoi  ef- 
fetti tossici  che  per  via  di  inoculazione;  sembrava 
che  le  numerose  esperienze  di  Redi,  e  le  numero- 
sissime di  Fontana,  avessero  messo  fuor  di  dubbiezza 
questo  fatto  che  del  resto  era  già  noto  agli  antichi: 

Noxia  serpentum  est  admixto  sanguine  pestis  ; 
Morsu  virus  habent  et  fatum  dente  minantur  ; 
Pocula  morte  carent. 

(Lucan.) 


(1)  Cantarellus  cibarins  Fries  (agaricus  canlharellus)  L. Galletto, 
gallinaccio  frequens  apud  nos,  et  passim  veiialis  in  urbis  foro.  «  Se- 
nex  vomitum,  tormina  et  colicas  gignit  »  Poli.  Fior.  Veron.  Gli  è 
adunque  un  fungo  sospetto,  ma  tinche  giovane  non  solo  non  ispan- 
de  maligni  eflluvi,  ma  è  anche  esculento- 


275 

Ma  Taatore  non  presta  fede  a  questa  verità,  rac- 
contando che  due  uomini  dopo  aver  bevuto  in  una 
osteria  caddero  morti  quasi  immediatamente.  L'oste' 
per  discolparsi  credette  non  poter  fare  di  meglio  che 
bevere  dello  stesso  vino,  e  morì  egualmente.  Dopo  tutte 
le  ricerche  fatte  si  trovò  nel  barile  una  vipera  che  vi 
era  penetrata  innanzi  di  riempirlo.  Hai  tu,  o  lettore, 
un  sacco  in  cui  mettere  questi  granchi  ? 

Tutte  queste  erano  cose  piccole  e  per  avventura 
da  tacere  se  non  ci  avesse  vinti  il  desiderio  di  mo- 
strare al  mondo  di  che  squisita  dottrina  siano  for- 
niti cotesti  riformatori  dell'arte  medica,  ai  quali  ornai 
tarda  il  nostro  indugio  nel  seguirne  le  insegne,  e  che 
ci  accusano  aspramente  di  accostarci  tuttora  devoti 
agli  squallidi  altari  della  vecchia  medicina  (pref.  VII).- 
Con  questa  nettezza  d' idee,  e  con  tal  consonanza 
di  principi!  essi  vorrebbero  indurci  a  rifiutare  le 
tradizioni  dei  secoli,  rinnegare  il  buon  senso,  e  man- 
dar falliti  gli  insegnamenti  dei  padri  nostri.  Ma  noi 
non  andrem  presi  così  tosto  alle  grida,  e  finche  avrem 
lena  esclameremo:  Fugite  hinc,  latet  anguis  in  herba. 
Diremo  che  sono  funesti  i  consigli  della  Medicina  do- 
mestica, di  evitare  il  salasso  dopo  le  gravi  cadute 
e  le  percosse  al  petto,  nella  pleurìtide,  nella  angina, 
nella  asfissia  per  affogamento  e  per  appiccamento; 
funesto  l'ammaestramento  di  riputare  inutile  l'eme- 
tico nel  veneficio  per  oppio  ,  e  tale  pur  quello  di 
amministrare  acqua  fredda  invece  di  tiepida  per  pro- 
vocare il  vomito  nell'avvelenamento  per  funghi  e  per 
narcotici  ....  Ma  di  questa  erba  è  troppo  pieno  il 
volume,  perchè  noi  possiamo  metterla  tutta  alla  falce. 


276 

Veniamo  ora  alle  operette  del  sig.  Migneco.  Il  suo 
opuscolo  che  nel  titolo  di  Patalogia  pratica  non  è  che 
un  programnna  o  manualetto,  come  lo  chiama  l'A.,  in- 
teso a  far  pregustare  un'opera,  che  sarà  divisa  in  tre 
parti:  cioè  1"  Farmacopea,  2° Disordini  del  dinamismo 
generale:  ^^ Affezioni  diverse;  e  il  capitolo  delle  affe- 
zioni tratterà  non  solo  le  cagioni,  i  sintomi,  e  la  dia- 
gnosi, ma  anche  la  natura  della  malattia;  dal  che  ap- 
prendiamo che  il  sig.  Migneco  non  è  omeopatico  puro, 
tralignando  dagli  insegnamenti  del  maestro.  Per  le 
pure  esperienze,  scriveva  questi,  chiarisconsi  gli  obbietti 
della  medicina,  né  osi  trascendere  ella  di  un  sol  passo 
i  limiti  del  puro  sperimentare  dove  sfuggir  voglia  di  ad- 
divenire un  nulla  (Hahn.  org.  introd.).  Ora  investigare 
la  natura  delle  malattie  è  a  nostro  credere  un  vero 
trascendere  i  limili  delle  pure  esperienze. 

Un'  opera  di  tanta  mole  (scrive  così  l'A.  nell'av- 
vertimento) ed  importanza  disegnata  sopra  un'idea  così 

estesa domanda  il  concorso  del  maggior  wm- 

mero  dei  professori  delle  scienze:  perciò  invita  i  col- 
leghi tutti  ad  aiutarlo  nella  impresa. 

Sul  bel  principio  della  introduzione  non  persuaso 
il  Migneco  che  Cicerone  uscisse  grande  non  tanto 
dalle  officine  dei  retori  quanto  dagli  spazi  dell'  ac- 
cademia, si  lamenta  che  la  rettorica  non  abbia  fino- 
ra esteso  il  suo  dominio  sui  trattali  di  patologia  clinica. 
Negli  allopatici,  ei  dice,  non  incontri  che  lusso  di  eru- 
dizione, prolissità  e  lunqhetie  che  stancano,  minuziose 
descrizioni  patologiche:  dolcissime  riprensioni,  e  quasi 
diremmo  paterni  avvisi,  se  si  confrontano  coi  severi 
rimbrotti  che  subito  appresso  scarica  ai  condiscepoli 
di  Hahnemann.  Negli  omeopatici,  air  inverso,  manca: 


277 

1.°  U  esposizione  delle  conoscenze  fisiologiche  e  pa- 
tologiche, e  non  ritrovi  la  guida  degli  esempi  clinici. 

2."  Non  incontri  che  confusione;  la  quale  risulta 
da  ciò  che  gli  scrittori  han  creduto  necessario  segui" 
re  troppo  da  vicino  gli  esperimenti  patogeneticiy  ed  han 
supposto  troppa  importanza  a  tutte  le  minute  differenze 
de""  sintomi  periferici,  senza  indicare  la  corrispondenza 
col  centro  morboso.  E  non  é  a  dire  quanto  male  ri- 
sponda ai  bisogni  del  pratico  V ordine  alfabetico  pre^ 
ferito  allo  scientifico. 

3.°  Non  ritrovi  che  un  numero  di  farmachi  trop" 
pò  ristretti,  se  hai  riguardo  ai  bisogni  dell'egra  urna-- 
nità 

4.°  Non  ritrovi  indicala  V  affinità  e  la  successio- 
ne dei  rimedi ,  secondo  il  caso  speciale. 

5."  Non  ritrovi  V  indicazione  del  valore  compara- 
tivo de''  farmachi,  perchè  si  possa  scegliere  imo  piut- 
tosto che  un  altro  riìnedio  nella  cura  di  ogni  caso  in- 
dividuale. 

6.°  L'  uNiTAs  REMEDii  troppo  male  intesa  e  da 
nessuno  praticata- 

1.°  Non  ritrovi  indicata  V  attenuazione  necessaria  per 
curare  ciascuna  forma  patologica  speciale;  circostan- 
ze interamente  trascurate  da  tutti  i  trattatisti,  poiché 
han  supposto  esser  sufficiente  in  tutti  i  casi  Vattenua- 
zione  usata  in  generale,  e  non  hanno  avvertito  che  la 
riuscita  della  cura  sta  poggiata  più.,  starei  per  dire, 
alla  scelta  delV  attenuazione  che  alla  scelta  del  rimedio. 

8.°  Non  ritrovi  indicato  il  modo  preferibile  di  am- 
ministrare il  farmaco,  se  a  secco  o  diluto  neWacquat 
di  sera  o  di  mattino,  se  una,  due,  tre,  qua  ttro,  a  più, 
volle  in  un  giorno. 


278 

9.°  Non  ritrovi  indicata  la  durata  di  azione  del 
farmaco  relativa  al  caso  patologico  individuale. 

E  dopo  aver  annoverato  le  migliori  opere  di  omeo- 
patia torna  ai  rimproveri  affermando  che  nelle  sud- 
dette opere,  con  tutti  i  loro  meriti,  il  pratico  non  ri- 
trova molti  farmachi  necessari  per  la  cura  di  un  gran 
numero  di  morbi:  osserva  da  per  tutto  non  lieve  con- 
fusione, cagionata  dalla  servile  enumerazione  de""  sin- 
tomi periferici,  e  dallo  aver  trascurato  affatto  le  in- 
dicazioni detrazione  elettiva  del  farmaco  verso  il  cen- 
tro morboso.  La  qual  confusione  risulta  specialmente 
in  dlcuni  a,rticoli,  dove  per  lo  minor  male,  sono  iuu- 
tili  specificazioni',  le  varie  condizioni  de'  sintomi  e  le 
loro  circostanze  accessorie;  come  a  dire,  se  il  tal  sin- 
tomo si  avanza  o  minora  nella  taV  ora,  in  camera  o 
fuori,  al  cantare,  al  mangiare,  al  caminare  ecc.  ecc. 
i  sintomi  incomitanti  di  ogni  gruppo  di  fenomeni;  la 
specie  di  alcuni  sintomi,  come  dolori  incisivi,  taglienti, 
saltellanti,  pulsanti  ecc.  ecc.  Le  quali  cose  producono 
un  bel  caos,  in  cui  il  critico  è  costretto  a  perdersi. 

Che  ne  dici,  lettore  cortese?  Tu  esci  del  secolo 
in  veder  tanto  strazio  della  medicina  dei  simili  per 
opera  di  un  omeopatico  ,  e  se  appartieni  a  questa 
schiera  dovranno  montarti  i  rossori  sul  viso  in  leg- 
gendo note  cosi  dolenti.  È  ben  altro  cotesto  che  ar- 
ricchir la  materia  di  qualche  erudizioncella,  o  allar- 
garla un  poco  troppo,  e  tritarne  le  circostanze;  sa- 
ranno questi  difetti,  se  cosi  volete,  ma  non  tali  da 
macchiare  il  sostrato  clinico.  Negli  omeopatici  invece 
sono  mancamenti  essenziali;  non  cognizioni,  non  or- 
dine ,  non  quantità  di  farmachi  che  basti  all'uopo, 
non  opportunità,  non  unità  del  rimedio,  non  cono- 


279 
scenza  dell'  attenuazione  opportuna,  del  modo  di  am- 
ministrare il  rimedio  e  della  durata  di  sua  azione  : 
insomma  confusione,  servilità,  e  un  bel  caos.  Rassi- 
curati però  che  l'A.  dopo  tante  lamentazioni  racco- 
glierà il  molto  che  di  utile  e  veramente  positivo  tro- 
vasi nelle  opere  succennate  per  farne  tesoro  nella  sua 
clinica. 

Le  pochissime  pagine  dell'opuscolo,  che  non  so- 
no indici  di  medicamenti,  intendono  a  ricuocere  l'idea 
dell'  immortale  maestro,  che  1'  umana  gente  è  tutta 
pili  0  meno  rognosa.  Tutte  le  malattie  croniche,  così 
l'A.,  sono  cagionate  costantemente  da  un  miasma  che 
invade  e  disordina  il  dinamismo  generale.  E  poco  dopo: 
Un  tal  miasma  cagione  prima  delle  affezioni  croniche 
è  la  rogna,  da  cui  il  paziente  è  stato  affetto  per  lo 
innanzi,  sia  durante  la  sua  vita,  sia  che  V  abbia  ere- 
ditato  da'  genitori,  Taccia  adunque  il  Morgagni  e  con 
lui  gli  scrittori  tutti  di  anatomia  patologica,  i  quali 
colle  osservazioni  alle  mani  han  creduto  mostrare 
che  molte  croniche  infermità  ebbero  la  radice  in  mor- 
bi acuti  0  trascurati ,  o  ribelli  alla  cura.  Tacciano 
i  medici  che  altri  cronici  malori  attribuiscono  al  ge- 
nio reumatico  ,  a  viziosa  proporzione  dei  materiali 
del  sangue,  ad  esagerata  mobilità  del  sistema  nervoso, 
e  ad  altre  cause  siffatte.  Tutto èrogna  in  mente  dell'A. 
il  quale  però,  come  fosse  pentito  della  troppo  gene- 
rale proposizione,  se  ne  corregge  in  altra  pagina  scri- 
vendo che  tutte  le  forme  morbose,  eccettuate  soltan- 
to quelle  prodotte  da  miasmi  speciali ,  o  da  veleni , 
sono  dovuti  alla  psora ,  latente  o  sviluppata  ,  o  varia- 
mente modificata.  E  poi  siegue  a  dire:  Questo  miasma 
cronico  (che  le  malattie  si  dividessero  in  acute  e  ero- 


280 
niche,  sapevamcelo:  ma  che  anche  i  miasmi  potes- 
sero così  dividersi  e  che  la  rogna  fosse  un  miasma, 
confessiamo  di  averlo  finora  ignorato  )  ,  allorché  è 
originato  dalla  scabbia,  si  distingue  specialmente  col 
nome  di  psora-  Ossia  quando  la  psora  è  originata 
dalla  scabbia  si  chiama  psora.  Non  pare  che  TA.  ab- 
bia qui  fatto  uso  di  quella  precisione  e  chiarezza  che 
nelle  prime  linee  della  introduzione  invoca  ad  ele- 
menti necessari  per  conseguire  il  bello  ideale  di  ogni 
trattato  di  clinica. 

Seguono  le  regole  generali  nel  trattamento  delle 
malattie  croniche  ,  ove  comincia  dallo  stabilire  che 
quahnqiie  sia  la  forma  o  la  varietà  dei  sintomi,  la 
malattia  è  sempre  una  :  proposizione  affatto  contra- 
ria ai  principi!  di  Hahnemann,  secondo  i  quali  innanzi 
al  medico  la  malattia  vale  semplicemente  insieme  di 
sintomi  (org.  §  7);  variando  adunque  la  forma  varia 
anche  la  malattia. 

In  esse  pure  si  insegna  che  per  Vuso  de'  cauteri 
il  medico  non  merita  alcuna  scusa  ;  esso  non  fa  che 
spossare  le  forze.  Eppure  non  vi  è  medico  che  ab- 
bia incanutito  nell'esercizio  dell'arte,  e  che  non  sia 
stato  ringraziato  le  cento  volte  per  salute  ricupe- 
rata, o  alleggerita  infermità,  in  seguito  dell' emunto- 
rio.  Il  capitolo  viene  poi  conchiuso  nel  seguente  modo: 
Risulta  da  questi  principii  che  tutte  le  malattie,  sieno 
endemiche  o  sporadiche,  come  il  morbillo,  il  vainolo,  la 
scarlattina  (e  di  qual  regione  sono  endemiche  tali  ma- 
lattie ?);  sieno  epidemiche  o  prodotte  dalla  varia  con- 
dizione dei  climi,  come  le  febbri  intermittenti,  il  co- 
lera, la  febbre  petecchiale  (e  quale  è  il  clima  che  si 
offre  allo  svolgimento  del  colera  ?);  sieno  contagiose, 


281 

come  il  tifo,  la  febbre  gialla,  la  febbre  nera,  la  pe- 
ste bubonica  (e  perchè  separare  dalle  contagiose  il 
morbillo,  il  vaiuolo,  la  scarlattina  come  se  non  fos- 
sero tali  ?)  ;  sieiio  miasmatiche,  come  la  psora,  la  si- 
fitide,  la  sicosi  (  la  sifìtide  un  miasma  :  si  è  mai  udito 
uno  strafalcione  simile  ?);  ossiano  prodotte  da  causa 
occasionale,  come  lo  spavento,  i  disagi  del  viaggio,  Vin- 
flnenza  delle  esalazioni  marine,  la  lontananza  dalla  pa» 
tria  (  l'ordine  del  discorso  porterebbe  che  lo  spavento, 
i  disagi  ecc.  siano  altrettante  infermità  e  non  cause 
di  esse:  ma  forse  l'A.  nello  scrivere  questo  periodo 
non  è  stato  assistito  dalla  sua  prediletta  rettorica  ); 
tutte  possono  prevenitesi  [che  scQ-pevln  !  anche  un  fan- 
ciullo ti  saprebbe  dire,  che  si  possono  prevenire  i  di- 
sagi del  viaggio  rimanendo  in  casa  ,  il  moto  della 
vettura  andando  a  piedi,  l'influenza  delle  esalazioni 
marine  abitando  la  terra,  la  lontananza  dalla  patria 
non  abbandonandola  mai)  nello  stesso  modo  che  pos- 
sono curarsi  allorché  sono  sviluppate.  (  Ma  come  si 
curano?  Non  avendo  parlato  finora  che  della  scab- 
bia, e  avendo  sostenuto  che  tutte  le  malattie  sca- 
turiscono da  questa,  converrebbe  credere  che  la  cura 
antipsorica  fosse  il  rimedio  universale.  Ma  la  incre- 
dibile fecondità  di  medicamenti  spiegata  nel  rima- 
nente dell'opuscolo  convince  del  contrario- 
Saltata  quindi  a  pie  pari  la  Farmacopea,  promessa 
nel  metodo,  intraprende  a  svolgere  la  prima  sezione, 
cioè  i  disordini  del  dinamismo  generale,  fra  ì  quali 
figurano  in  prima  schiera  i  temperamenti  nel  modo 
che  segue. 


282 
Temperamenti  o  idiosincrasie. 

1 .   Temperamento  bilioso. 

Il  miglior  rimedio  che  conviene  agV  individui  di 
temperamento  qualunque,  è  lo 

Zincum  sulphuricum   100." '^  ogni  dose  gocce  ij. 

Si  possono  pure  consultare 

Benzoin   1 00."  '^ 

Bryonia  100/ "" 

Garbo  veg.  lOO."*  '""' 

Cyperus  36."  '^ 

Ferr.  Sulph.   100."  ""' 

Gurgitelli  6"  "" 

Jacaranda  caroba   100"  "* 

Kali  chloricum   IS."*** 

Lepidium  latifolium  36"  "*  ecc.  ecc. 

Fra  questi  sono  da  preferirsi  quelli  indicati  con  le 
più.  alte  attenuazioni.  Tutti  gli  altri  rimedi  hanno  azione 
particolare  sopra  i  temperamenti.  Si  possono  indiffe- 
rentemente adoperare.  Chi  ne  intende  sillabii  ?  Tempe- 
ramenti e  idiosincrasie  si  dan  per  sinonimi,  e  sono 
disordini  del  dinamismo  ;  si  comincia  col  bilioso,  e 
quando  vi  aspettate  i  rimedi  per  questo  tempera- 
mento, ve  ne  scarica  una  filza  per  gli  individui  di 
temperamento  qualunque,  ossia  per  tutta  la  specie 
umana:  dal  che  può  dedursi  che  volendo  stare  in  sa- 
lute dobbiamo  far  uso  mattina  e  sera  di  quei  rimedi: 
vero  è  che  basta  di  consultarli  !  Non  sareste  tentati 
a  credere  che  il  signor  Migneco  abbia  voluto  pren- 
dersi la  berta  de'  suoi  lettori,  o  che  abbia  scritto  so- 
gnando ?  Ma  basta  ornai  della  patologia  pratica. 


283 

Intanto  che  si  raccolgono  materiali  per  edificare 
Vopera  di  tanta  mole,  il  signor  Migneco  non  volendo 
privar  d'ogni  pascolo  i  suoi  ammiratori  interpone  un 
altro  lavoro  col  titolo  di  Discorsi  sulla  medicina  pra- 
tica. Di  questi  non  abbiamo  finora  che  otto  fogli  di 
stampa,  nei  quali  invece  di  argomenti  medico-pratici 
troviamo  piuttosto  una  lunga  diceria  sulle  obbiezioni 
promosse  al  sistema  omeopatico.  Alla  medicina  pra- 
tica si  riferisce  però  il  preambolo  che  è  il  seguente: 
Esercitai  la  clinica  medica.  E  siccome  V  unico  og- 
getto del  medico  è  di  curare  le  malattie  con  mezzi 
terapeutici  (gli  altri  medici  usano  anche  gli  igienici 
e  chirurgici,  ma  all'A.  bastano  i  primi),  rivolsi  ogni 
mio  studio  a  ricercare  per  li  vari  morbi  rimedi  atti 
a  superarli.  Usai  di  farmaci  ;  ottenni  felici  risultamenti 
in  cq^i  disperati  (  non  si  potea  far  mostra  di  mag- 
gior modestia),  ma  non  seppi  mai  ritrovare  alcuna  ra- 
gione soddisfacente  di  essi  (e  che  importa  ?  non  ha 
egli  l'Hahnemann  condannata  qualunque  indagine  sul- 
la ragione  de'morbi?).  Notai  alcune  osservazioni  .  .  .  . 
ed  eccole.  Nell'aprile  IS^i  una  giovanetla  di  anni  do- 
diciy  dopo  scorsi  alquanti  giorni  da  che  era  stata  af- 
fetta dalla  cerebritide,  nel  corso  di  essa  presentò  i  se- 
guenti sintomi  :  delirio  giocondo  ;  ella  cantava,  chiac- 
chierava mollo,  metteva  in  caricatura  le  persone  con 
uti  apparente  apatia. 

Il  polso  era  lentissimo,  batteva  a  tempo  diseguale, 

or  largo  or  stretto,  or  si  fermava  per  due  o  tre  secondi 

senza  pulsazione. 

2.  Nel  maggio  un  contadino  di  anni  sedici  languiva 
da  \%  mesi  affetto  da  tetano  cronico,  dieiro  la  cere- 
britide sofferta.  Dopo  aver  messo  a  prova,  e  inutilmente^ 


284 
V acido  idrocianico,  la  bella-donna^ilgiiisquiamoja  mor- 
(ina,  la  canfora,  il  muschio  ecc.  riusci  così  efficace  una 
dose  di  tartaro  emelico,  che  quantunque  indotta  ad  1  /24 
di  grano  {  È  questa  una  dose  omeopatica  ?  )  produsse 
vomiti  ed  evacuazioni  violente,  orine  cariche  di  fecce 
mucose  bianchicce  ;  e  in  meno  di  due  mesi  la  guari- 
gione. Il  medicare  omeopatico  è  presto,  disse  Hahne- 
mann  (  org.  §  156  ),  e  la  riferita  storia  ne  dà  una 
prova.  3.  Nel  novembre  dello  stesso  anno,  una  donna 
di  anni  cinquanta,  affetta  di  catalessia,  dopo  trentotto 
giorni  di  vari  tentativi ,  fu  guarita  a  vista  d'  occhio 
mercè  V  uso  di  sciroppo  di  zafferano  ,  ed  indi  dalla 
pomata  di  stramonio-  (Sciroppi  e  pomate  da  un  omeo- 
patico ?)• 

Scorgesi  ora  il  perchè  1'  A.  biasimasse  tanto  le 
lungherie  degli  allopatici,  aV'  ndo  egli  stesso  trovato  il 
modo  piano  e  facile  di  ridurne  ai  minimi  termini  una 
storia  di  malattia  :  non  cause,  non  costituzione  epi- 
demica, non  temperamento,  non  prodromi,  non  in- 
vasione e  corso  del  morbo,  non  distinzione  di  sin- 
tomi, non  specificazione  dei  presidii  terapeutici,  quan- 
to all'ordine  di  loro  amministrazione,  non  cenno  al- 
cuno sui  modi  dell'esito  e  sulla  durata  della  conva- 
lescenza. Si  nomina  la  malattia  senza  giustificare  la 
diagnosi ,  si  nomina  il  rimedio  senza  dir  perchè  e 
quando  e  quante  volte  fu  usato,  non  si  parla  di  fe- 
nomeni morbosi,  o  se  ne  accenna  soltanto  qualcuno 
dei  men  concludenti  :  ecco  un  modello  di  osserva- 
zioni mediche. 

Noi  non  seguiremo  1'  A.  operoso  e  sudante  in- 
torno il  carico  di  contrascrivere  risposte  già  date  ad 
obbiezioni  già  note,  né  moveremo  lamento  su  la  ine- 


285 
Battezza  dei  fatti  allegati,  e  sulla  poca  decenza  delle 
espressioni,  onde  egli  dal  disputare  passa  al  conten- 
dere, e  dalle  contese  alle  contumelie.  Non  vogliamo 
però  privare  i  nostri  lettori  di  così  stupenda  ipoti- 
posi,  onde  il  Migneco  non  mosso  certamente  da  ar- 
tificio rettorico,  ma  rapito  da  certo  spìrito  Hahnema- 
niano,  imprende  a  dipingere  l'operato  delle  due  scuole 
al  letto  dell'ammalato.  Data  una  pleiirilide,  egli  dice, 
anche  violenta  ,  Vomeopalico  scioylie  quattro  ad  otto 
globuli  di  aconito  dentro  un  poco  di  acqua  fresca,  e 
V  amministra  alV  infermo  ,  gli  permette  le  bevande  a 
temperatura  d" atmosfera,  un  poco  di  brodo,  coverte  leg- 
giere ;  nel  termine  di  24  o  48  ore  tutto  e  finito. 
(  Pleuritidi  violente  finite  in  24  ore  con  quattio  glo- 
buli d'acconito  e  l'acqua  fresca  !  !  !  0  Raglivi,  eri  ben 
stolto  ad  esclamare:  Oh  quam  difficile  est  curare  mor- 
bos  pulmonum  !  ma  tu  vivevi  in  secolo  tenebroso  ; 
oggi  è  altro  fare).  Vallopalico  al  contrario,  comincia 
dal  tastare  i  polsi,  dal  percuotere  il  petto,  e  pronun- 
zia gravemente,  che  trattasi  di  una  polmonia  ;  e  te- 
me fondatamente  dell'esito.  Mano  però  ai  guastatori  ; 
si  distrugga  V  imboscata  del  nemico.  Salassi,  mignatte, 
coppette  ;  stanze  chiuse  ;  fuori  le  persone  estranee  alla 
famiglia  ;  lungi  anche  il  fumo  del  brodo,  e  il  calore 
della  cucina  ;  sudoriferi,  espettoranti,  vescicanti,  sena- 
pismi, embroccazioni  revulsive  e  antiflogistiche,  tartaro 
stibiato,  olio  di  ricini  e  tutte  le  potenze  lenitive  del- 
Varie,  accorrete  in  sussidio,  e  in  distruzione  del  morbo 
e  delV  infermo.  Oimè  ;  è  in  pericolo  la  vita  del  pa- 
ziente !  Notaro,  confessori,  assistenti,  acccorete  a  fa- 
cilitare lo  stento  dell*  agonia  ad  un  anima  cristiana. 
Ma  venga  anche  il  medico,  per   operare  un  prodigio 


286 
delVarle;  si  scongiuri,  perchè  metta  tutta  la  sua  po- 
tenza a  fermare  la  vita  fuggitiva  di  un  suo  sim,ile. 
Eccolo.  Egli  pensa,  si  agita,  sembra  animato  da  una 
luce  celeste.  Il  Dio  ecco  il  Dio,  direbbe  Virgilio.  Gli 
è  venuta  una  ispirazione. 

Fategli  quattro  clisteri  ;  indi  otto  senapismi  ;  be- 
vanda di  soluzione  di  gomma  arabica  ;  date  epicra- 
ticamente. 

Epicraticamente  !  che  ha  egli  detto  ?  Oh  parola 
da  vero  dottore  ! 

Dategliene  un  sorso  ogni  mezz'  ora  :  ma  badate , 
ogni  mezz'ora  ! 

Ebbene  ;  dopo  quindici,  venti,  trenta  ed  anche  più 
giorni,  il  malato  è  guarito  ;  la  difficile  e  penosa  con- 
valescenza è  il  trofeo  del  medico  ,  che  seppe  curare 
una  tanta  infermità. 

E  se  il  paziente  fosse  perito  sotto  la  violenza  del 
trattamento  ?  Oh  anche  allora  il  medico  sarebbe  trion- 
fante ;  già  s'  intende  !  egli  sin  da  principio  seppe  dia- 
gnosticare la  malattia,  e  ne  predisse  V esito  funesto; 
per  altro  fece  tutto  quello  che  doveva  e  poteva  ;  non 
rimase  al  povero  malato  né  una  goccia  di  sangue 
nelle  vene,  né  una  linea  di  pelle  intatta  ;  non  ci  era 
altro  da  fare  :  egli  era  morto  pili  di  im  mese  in- 
nanzi di  manifestarsi  la  tremenda  malattia  {\). 

Mi  rifugge  Vanimo  da  tanto  triste  spettacolo  !  .  .  . 
e  a  noi  da  simili  gaglioffaggini. 


(1)  pag.  82. 


287 


Istorico  riassunto  sopra  il  cholèra  indiano. 

Di 

Agostino  Cappello. 

k^e  meritate  lodi  furor»  per  me  date  ai  dotti  me- 
dici di  Genova  per  la  decisiva  loro  opposizione  col- 
legialmente risoluta  nell'agosto  1852  sull'operato  del 
congresso  sanitario  internazionale  tenuto  a  Parigi  dal 
luglio  1851  al  gennaio  1852,  debbonsi  loro  mag- 
giori per  la  conferma  ampiamente  estesa  relativa  al 
cholera  morbus  del  1854-5  colle  diverse  memorie 
comprovanti  sempre  più  i  fondamenti  dell'  italiana 
dottrina  sopra  i  contagiosi  morbi  (1).  Né  pochi  sono 
stati  gli  opuscoli,  e  libri  di  altre  cospicue  italiane 
Città  ,  e  di  alcune  ancora  di  oltremonti.  Molti  poi 
quei  dei  pontificii  dominii,  che  hanno  questa  dot- 
trina lummosamente  raffermata.  Distinte  grazie  per 
me  si  rendono  ai  chiarissimi  autori,  che  mi  furono  cor- 
tesi dei  doni  delle  utili  loro  produzioni:  ed  infinite 
le  professo  verso  il  comitato  ligure  pel  bel  regalo 
della  magnifica  sua  opera.  La  quale  ha  meritamente 
riscossi  elogi  non  mai  più  perituri  dall'uno  all'altro 
canto  della  nostra  penisola,  ed  appo  lo  straniero  e- 
ziandio:  a  enumerarli  partilamente  richiederebbonsi 
molte  pagine.  Vuoisi  per  me  solo  ripetere  in  iscor- 
cio  quanto  un  dotto  mio  collega  (Giuseppe  Ferra- 
i-io presidente  onorario  perpetuo  dell'accademia  fìsio- 


(1)  Giornale  Arcadico  lomo  126  pag    329-32. 


288 
medico-statistica  di  Milano)  riferiva  in  piena  ragu- 
nanza  di  quest'illustre  accademia. 

Un  eccellente  libro  (egli  dicev  a)  viene  a  con- 
fermare ognor  pili  le  osservazioni,  gl'insegnamenti 
della  scuola  medica  lombarda  (e  di  quante  esse  sono 
in  Italia  )  intorno  alla  riconosciuta  conlagiosUà  del 
cholèra  epidemico.  Desso  lavoro  interessantissimo  è 
frutto  di  apposita  commissione,  la  quale  fondò  le 
proprie  ricerche  sopra  1Q5  documenli  che  riguardano 
complessivamente  138  località,  e  merita  i  più  sinceri 
encomi.  La  relazione  è  illustrata  da  uno  Specchio 
sinottico  desunto  dai  referti  medici  sul  cholèra  in- 
diano che  regnò  nella  Liguria  ed  in  alcune  altre 
Provincie  degli  stati  sardi  nell'anno  1854,edhavvi 
aggiunta  anco  una  Carta  topogra/lca  per  servire  di 
guida  agli  studi  del  cholèra  nei  detti  paesi. 

Invitiamo  i  medici  anticontagionisti,  particolar- 
mente di  oltremonti  e  d'oltremare,  ad  istruirsi  dei 
nudi  fatti  e  delle  savie  deduzioni  riferite  in  quest'utile 
lavoro  degno  dell'italiana  sapienza. 

Fra  le  gravissime  considerazioni,  di  cui  è  piena 
quella  relazione  ,  è  notevole  «  che  da  essa  vuoisi 
respingere  la  turpe  idea  che  uomini  della  scienza 
abbiano  potuto  degradarsi  per  farsi /je»isammen/e stru- 
mento alla  rovina  delia  scienza  stessa  e  sgabello  agli 
errori  di  un'insana  e  snaturata  pratica,  mettendo  in 
dubbio  le  verità  meglio  constatate,  eccitando  per  tal 
modo  contro  dei  filosofi  i  sofisti,  ì  quali  anziché  an- 
tesignani piaggiatori  del  secolo  assumono  l'incarico 
di  formulare  i  miovi  errori  ». 

La  commissione  conchiude  che  il  cholèra  indico 
è  malattia  contagiosa,  avendo  dimostrato  «  che  non 


289 
deesi  riconoscere  la  causa  efficiente  del  cholèra  in- 
dico nell'igiene  disordinata,  la  quale,  se  vuoisi  am- 
mettere ragione  favorente,  non  può  esserne  ragione 
assoluta  e  creatrice. 

Che  non  è  ammisibile  il  preteso  fatto  di  una  co- 
stituzione morbosa  preepidemica,  ossia  precorritrice 
del  cholèra  indico,  la  quale  starebbe  con  esso  come 
causa  ad  effetto. 

Che  il  cholèra  indico  non  dipende  da  alcun  modo 
né  da  alcun  genere  d'infezione,  tranne  che  per  essa 
non  s'intenda  quel  genere  d'infezione  costituito  dal- 
l'atmosfera contagioso  ambiente  l'infermo,  e  quel  mo- 
do di  contatto  che  fassi  per  essa  atmosfera  fra  l'in- 
fermo ed  il  sano. 

Che  il  cholèra  indico  nel  suo  modo  di  diffusione 
così  da  un  paese  all'altro  ,  come  dall'uno  all'altro 
individuo,  diversifica  da  quello  delle  più  comuni  ed 
osservate  malattie  costituzionali. 

Che  il  cholèra  indico  si  importa. 

Che  il  cholèra  indico  si  trasmette. 

Che  se  penetrata  da  questa  verità  di  fatto  la  com- 
missione ligure  conchii^de,  essere  il  cholèra  indico 
prodotto  da  un  contagio  specifico,  non  intende  signi- 
ficare con  questa  parola  un  ente  morboso  che  non 
abbia  una  forma  e  modi  propri  e  speciali  e  leggi 
proprie  e  dissimili  dagli  altri  contagi,  ma  solo  che 
venga  come  questo  governato  da  una  legge  comune, 
quella  cioè  della  trasmissibilità,  riproducibilità,  im- 
portabilità e  coercibilità  )). 

L'onorevole  relatore,  Carmine  Elena,  così  fini- 
sce il  suo  dottissimo  rapporto  al  congresso  di  300 
medici. 
G.A.T.CXLIV.  19 


290 

»  La  vostra  voce  sia  fatta  potente  dalla  con- 
cordia ,  sia  fatta  concorde  dalla  severa  parola 
de'  fatti  positivi,  completi,  incontrastabili.  E  que- 
sta voce  concorde  e  potente  sarà  intesa  ;  peroc- 
ché lo  meritino  l'opera,  le  sollecitudini ,  i  sacrifici 
de'  medici,  e  quella  gratitudine  che  deesi  sentire  pei 
grandi  servigi  renduti  da  uomini  ad  uoìnini:  lo  do- 
mandino le  tante  vittime  mietute  dall'indica  peste: 
lo  voglia  la  salute  de'  popoli  che  è  legge  suprema: 
lo  reclamino  quelle  stesse  esigenze  commerciali,  che 
un  calcolo  mal  inteso  e  snaturato  vedrebbe  com- 
promesso da  provvide  leggi  sanitarie,  ma  che  un  giu- 
dizio più  retto,  solo  ponendo  mente  all'eccidio  di 
tanti  cittadini  operosi,  alla  desolazione  di  tante  fa- 
miglio  smembrate,  a  traffichi  sospesi,  alle  comuni- 
cazioni interrotte,  alle  moltitudini  emigranti,  alle 
enormi  spese  di  governi  e  municipii,  obbligali  ad 
esaurire  in  breve  tempo  le  riserve  di  molti  anni  ed 
a  supplire  a  rovinosi  dispendi  con  nuove  imposte 
e  straordinari  balzelli  vedrà  certo  più  profonda- 
mente manomesse  dall'immane  flagello,  dono  tristis* 
simo  dell'odierno  progresso   (1).  » 

Molto  valutabile  a  me  pare  che  in  questi  giorni 
il  governo  del  regno  lombardo-veneto  abbia  pel  cho- 
lera  morbus  trasferito  il  potere  alle  commissioni 
sanitarie:  siccome  rilevasi  dalla  relazione  del  Da  Pon-' 
tCf  valente  medico  di  Brescia,  pel  cholèra  domi'nato 
in  questa  città  nell'anno  1855.  Cotesta  relazione  è 
indritta  alla  suddetta  milanese  accademia,  e  vonno 

(1)  Atti  della  accademia  fisio-medico-statistica  di  Milano  l8S6 
fog.  113—15. 


291 

qui  riportarsi  per  V  indicato  obbietto  i  due  ultimi 
paragrafi. 

»  IiTipertanlo  è  debito,  e  sta  bene  anche  in  po- 
tere delle  autorità  municipali  e  deputazioni  comu- 
nali mercè  l'appoggio  delle  magistrature  provinciali, 
d'isolare  e  distruggere  V indiano  cìiolera  per  impedirne 
la  diffusione  epidemica,  causa  d'infinite  sciagure. 

»  L'isolamento  è  tanto  più  indispensabile,  per- 
chè ad  epidemia  dominante  non  vale  presidio  di  sorta, 
e  le  facoltà  ora  concesse  alle  commissioni  sanitarie 
hanno  trasferito  dal  potere  governativo  al  municipale 
la  responsabilità  delle  sue  conseguenze  (1).  » 

Di  grave  momento  si  è  pure  la  risoluzione  del 
governo  toscano,  che  avendo  aderito  rispetto  al  cho- 
lòra  morbus  alle  mezzane  o  nulle  misure  del  con- 
gresso parigino  ,  oggi  ha  stabilito  una  contumacia 
di  dieci  dì  per  cotesto  morbo:  siccome  se  ne  diede 
cenno  nella  congregazione  sanitaria  del  dì  1  del  pros- 
simo passato  settembre. 

Mi  credo  poi  in  dovere  di  ripoitare  un'officiale 
relazione  in  seguito  di  supplichevole  istanza  del  dì  1 
del  prossimo-passato  aprile  della  camera  di  commer- 
cio, arti  e  manifatture  di  Bologna  umiliata  a  S.  E. 
Riìia  monsignor  ministro  del  commercio  e  lavori  pub- 
blici. Piimessa  quindi  alla  congregazione  speciale  sa- 
nitaria, mi  si  diede  in  data  de'  14  maggio  prossimo 
passato  l'onorevole  incarico  per  1'  esame  e  medico 
parere  sulla  medesima.  Il  che  sembrami  opportu- 
no :  giacché  l'essenziale  di  cotest'istanza  è  inserito 
dalla  società   medico-chirurgica  di  Bologna  nel  bol- 

(1)  Atti  citati.  Mijano  i836  pag.  231—2. 


292 

lettino  di  maggio  1836  e  pubblicato  sotto  il  dì  1 
del  seguente  giugno  (1). 

Congre«iazione  speciale  sanitaria. 
Roma  21   maggio  1856. 

«  La  camera  di  commercio,  arti  e  manifatture  di 
Bologna  in  un  supplichevole  indirizzo  umiliato  a  S. 
E.  Rma  monsignor  ministro  del  commercio  e  de  la- 
vori pubblici  descrive  la  catastrofe,  in  cui  il  cho- 
lèra  morbus  ha  ridotte  famiglie  desolate  e  derelitte, 
al  cui  soccorso  non  è  bastevole  la  carità  cittadina. 
Ricorda  l'antica  sapienza  tendente  più  a  prevenire 
che  a  ristorare  i  danni  infiniti  delle  pestilenze.  Di 
che  accenna  manifeste  prove  più  volte  avvenute  con- 
tro il  cholèra  morbus,  quando  energiche  ed  avve- 
dute cautele  furono  messe  in  pratica.  Narransi  le 
stragi  di  questi  ultimi  tempi,  che  hanno  vieppiù  sem- 
pre confermata  la  contagiosità  dell'asiatico  morbo, 
Opina  che  il  trattato  sanitario  internazionale  di  Pa- 
rigi è  stato  un  vero  tradimento  all'incolumità  pub- 
blica per  materiali  interessi.  Si  accennano  quindi  i 
gretti  consigli,  e  le  viltà  di  animo  prevalenti  all'utile 
pubblico.  Suppone  la  camera  di  commercio  che  appo 
noi  sia  stata  distrutta  la  patente  sospetta,  e  sup- 
plica calorosamente  perchè  sia  ripristinata:  mentre 
per  essa  fatti  oggidì  avvertiti  per  mezzo  della  te- 
legrafia, si  ha  sollecito  campo  a  garantirsi  dalle  vero 
0  sospette  contagiose  importazioni.  Avvisa  che  pel 
predominio  di  quei  materiali  interessi  è  calpestata 

(i)  Bollettino  delle  scienze  mediche  pag.  262 — 6 


293 
la  morale,  essendo  di  gran  lunga  maggiore  gl'inte- 
ressi che  riclamano  la  pubblica  salute:  giacché  son 
care  al  principe  le  vite  de'  cittadini  e  la  tranquil- 
lità delle  famiglie.  D'altronde  espone  che  all'aspetto 
miserando  delle  stragi  langue  e  muore  il  decantato 
commercio.  Ricorda  la  generosità  e  sapienza  italiana, 
perchè  appunto  quando  prosperavano  quasi  per  l'e- 
sclusivo commercio  floridissimo  Venezia  e  Genova, 
furon  per  esse  istituite  sanitarie  norme  che  fruttarono 
per  secoli  ai  popoli  inciviliti  reali  vantaggi  in  prò 
dell'incolumità  pubblica.  Supplica  la  camera  bolo- 
gnese, che  quando  ancora  per  gravissime  circostanze 
non  potessero  attuarsi  le  pili  rigide  sanitarie  cautele, 
venga  praticato  il  meglio  possibile:  onde  non  sfidare 
la  potenza  mortifera  del  morbo.  Fa  supplichevole 
voto  perchè  il  governo  si  svincoli  dal  citato  con- 
gresso parigino;  riassumendo  la  sanitaria  costumanza 
in  ispecie  per  le  vie  di  mare:  d'onde  narra  essere 
slato  due  volte  importato  il  cholera:  mentre  per  le 
vie  di  terra  pel  lungo  viaggio  sciorinansi  alquanto 
le  merci,  e  scema  in  qualche  modo  il  pericolo  del- 
l'importazione. Aggiugne  che  non  potendosi  raffidare 
sulle  patenti  rilasciate  dalle  straniere  autorità  sanita- 
rie,debba  inculcarsi  ai  consoli  e  vice-consoli  pontifici 
che  le  medesime  sieno  munite  delle  loro  firme.  Chiu- 
de la  camera  la  sua  supplica  col  voto  riclamato  dalla 
pubblica  prosperità  e  dall'umanità  travagliata. 

«  Al  voto  della  camera  è  annesso  quello  da  essa 
richiesto  alla  società  medico-chirurgica  di  Bologna. 
Il  voto  puossi  dire  diviso  in  12  articoli  ,  in  cui 
non  solo  si  conferma  la  manifesta  contagiosità  del 
cholera  morbus,  ma  la  necessità  eziandio  di  opporre 


294 

le  pM  rigide  sanitarie  precauzioni,  inclusive  i  sani- 
tari cordoni  per  terra,  ove  si  potesse  sperare  per- 
fetta l'attuazione.  La  società  medico-chirurgica  chiu- 
de il  suo  voto  con  questo  paragrafo.  Oh  !  /  mag- 
giori governi  tornassero  ad  ammettere  il  cotitagio  del 
cholèra,  e  prescrivessero  i  mezzi  comprovati  dalV espe- 
rienza i  più  utili  contro  il  medesimo:  che  Vumanità 
potrebbe  essere  una  volta  tutelata  da  sì  fiero  e  mor- 
talissimo  malore. 

))  Il  sottoscritto  non  può  che  far  plauso  al  voto  del- 
la camera  di  commercio  di  Bologna,  e  a  quello  della 
dottissima  società  medico-chirurgica.  Peraltro  dal 
lato  del  nostro  governo  crede  che  non  sia  stato  mai 
riconosciuto  il  trattato  parigino.  Imperocché  il  sot- 
toscritto non  dimenticherà  mai,  che  allorquando  per 
lettera  di  potentissimo  ministro  straniero  si  richiede- 
va nel  1835  dal  Sommo  Pontefice  l'abolizione  de'sa- 
tari  cordoni,  egli  si  protestò  virilmente  di  ritirarsi 
all'istante  da  questo  supremo  consesso,  il  quale  for- 
mò subito  una  commissione  presa  dal  suo  seno  com- 
pilando supplichevole  memoria  sulla  necessità  de'cor- 
doni  sanitari  al  Santo  Padre  ,  che  secondò  il  voto 
di  questa  speciale  congregazione  (1).  La  quale  non 
deviò  mai  dal  canto  suo  dalle  norme  prescritte  dal 
sanitario  codice  pontificio.  Solo  semplici  modifica- 
zioni, dietro  le  più  minute  indagini,  furono  praticate 
nel  1846:  allorquando  l'accademia  di  medicina  di  Pa- 
rigi rovesciava  apertamente  le  massime  le  più  ri- 


(1)  Memorie  istoriche  di  Agostino  Cappello    (  1848  )    pagine 
125-2. 


295 

conosciute  avverso  i  contagiosi  morbi  (1).  Sopra  dun- 
que quelle  basi  questa  congregazione  formulò  l'istru- 
zioni pel  medico  che  doveva  rappresentare  il  governo 
della  santa  sede  nel  congresso  sanitario  internazionale» 
La  commissione  essendo  stata  affidata  al  sottoscritto 
egli  sostenne  di  proposito  quanto  aveva  sempre  pro- 
fessato in  conformità  delle  stabilite  norme  e  della 
sagace  dottrina  medica  italiana  confermata  colla  pro- 
pria esperienza  di  più  lustri. 

«  Se  non  che  (siccome  fin  dal  principio  del  cor-- 
rente  anno  piiì  volte  il  sottoscritto  espresse  a  questo 
supremo  magistrato)  il  cholèra  morbus  farebbe  tre- 
gua stante  Tuniversale  epidemico  dominio  degli  anni 
1854 — 5.  Il  quale  avviso,  basato  sull'andamento  di 
tutti  i  contagiosi  morbi  febbrili, pel  cholèra  fu  avvera* 
to  dopo  il  1837. Inoltre  l'attuale  fu  di  nuovo  importato 
dal  paese  natale  nell848(2). Peraltro  per  mancamento 
di  indispensabili  purificazioni,  si  rimase  sporadico,  e 
riassunse  l'epidemico  genio  per  notissime  cagioni  (3). 
Non  ostante  la  tregua^  il  cholèra  all'opportunità  fa- 
vorevole pili  presto,  o  pili  tardi,  tornerà  a  flagellare: 
quindi  come  appunto  avvisa  la  camera  di  commer- 
cio, se  per  gravissime  circostanze  non  possano  at- 
tuarsi le  più  rigide  sanitarie  prescrizioni,  si  farà  il 
meglio  possibile  ,  senza  punto  valutare  le  sentenze 
straniere  più  volte  pronunziate  ad  alta  voce  dai  de- 


(1)  Cappello,  Considerazioni   in   prò  delia  pubblica  incolumità 

1846  e  47,  e  Giornale  arcadico  tomo  CVIII  pag.  lS5.Icl.  Conside- 
razioni ulteriori  relative  alla  peste  bubonica,  e  alla    febbre    gialla 

1847  (1 — 78),  e  Giornale  arcadico  tom.  CIX  pag.  169. 

(2)  Memorie  is<oriche  di  Agostino  Cappello  pag.  VI. 

(3)  Giornale  arcadico  tom.  GXXXVl  pag.  337—8. 


296 

legati  inglesi  e  francesi,  che  ogni  vecchia  sanitaria 
misura  si  rendeva  nulla  per  le  rapide  comunicazioni 
di  terra  e  di  mare.  Ma  la  Dio  mercè  cotesto  rapi- 
dità sono  oggi  di  gran  lunga  soperchiate  per  l'aria 
dall'azione  inconcepibile  dell'elettrico,  siccome  sa- 
viamente avvei'te  la  camera  di  commercio,  manifat- 
ture ed  arti  di  Bologna. 

«  Agostino  Cappello 
«  Consigliere  emerito  della  congregazione  speciale  sanitaria. 

Chiuderò  questo  istorico  riassunto  con  pochi  cen- 
ni desunti  da  una  fondata  e  lunga  esperienza  sopra 
i  contagiosi  morbi. 

Nei  primordi  del  libero  medico  esercizio  di  non 
lieve  pratica  istruzione  mi  furono  due  epidemie  di 
vainolo  asiatico  ,  e  di  varie  di  morbillo  ,  scarlatti- 
na etc. 

Nel  maggio  1810  imbattutomi  in  un  cane  idro- 
fobo, dappresso  le  più  accurate  indagini,  affetto  di 
spontanea  rabbia,  ne  laccolsi  la  saliva.  La  quale  in- 
nestata nel  dì  istesso  in  un  gatto,  e  nel  dì  vegnente  in 
un  cane,  si  riprodusse  nei  medesimi.  Colla  saliva  di 
questi  procurati  nuovi  innesti,  colla  prova  di  tentare 
alcun  decantato  rimedio  nei  prodromi  del  mortai 
morbo,  non  apparve  alcun  sentore  di  rabbia.  Circa 
tre  anni  dopo  ripetuti  gli  stessi  esperimenti,  eguali 
furono  i  risultamenti.  Quindi  dopo  essere  col  mag- 
giore studio  possibile  riandato  a  contemplare  la  dot- 
trina de'contagi,  e  dopo  aver  consultato  quanto  era 
stato  scritto  dagli  antichi  e  moderni  autori  sopra  la 
rabbia  canina  ,  ne  rilevai  incessanti  contraddizioni. 


Laonde  pe'  fatti  sopra  narrati  mi  parve  ragionevole 
cancellare  dal  novero  de' contagi  propriamente  detti 
cotesto  morbo,  e  riporlo  piuttosto  nella  classe  de've- 
leni.  Moltiplicate  osservazioni  han  convalidato  il  mio 
asserto  :  vale  a  dire,  che  la  sola  rabbia  spontanea 
del  genere  canis  et  felis  si  riproduce  anche  nell'uo- 
mo col  morso  senza  propagazione  di  sorta  inclusive 
coll'innesto  e  col  morso  negli  stessi  animali  bruti. 

D'altronde  due  anni  circa  di  medica  pratica  qua 
e  là  fatta  pel  tifo  in  un  esteso  distretto,  per  onorato 
incarico  della  sacra  consulta,  mi  porsero  occasione 
di  acquistare  ulteriori  nozioni  intorno  i  contagiosi 
morbi  febbrili. 

Sviluppato  fatalmente  in  Tivoli  nel  gennaio  1818 
l'antrace  pestilenziale  nella  scuderia  de'  carabinieri 
in  un  cavallo  del  capitan  Ronconi  in  que'dì  acquistato 
colla  bardatura  completa  da  soldati  ungheresi  reduci 
di  Napoli:  per  un  irresistibile  istinto  senz'obbligo  e 
senza  invito  sezionai  tre  cavalli:  imperocché  mori- 
rono tutti  quelli  che  erano  stati  in  comunicazione. 
Per  inavvertenza  m'  inoculai  il  mortai  morbo  nel 
ferirmi  col  bistorino.  L'  antrace  era  costantemente 
circoscritto  nell'intestino  colon  :  in  me,  per  la  di- 
versità forse  dell'  organizzazione,  non  si  riprodusse 
colla  mortai  sua  forma,  ma  fu  cagione  di  tempo  in 
tempo  d'indicibili  mali  tuttor  duraturi  (1).  Colle  più 
rigide  sanitarie  cautele  l'antrace  sembrò  totalmente 
distrutto.  Ma  l'officiale,  che  ivi  comandava,  con  frode 


(1)  Memorie  istoriche  di  Agostino  Cappello  pag.  18  27,  e  59- 
61-2:  o  pag.  66-68.  E  giornale  arcadico  tom.  CXXXVI  1854  pag. 
333-4  nota  2. 


298 
nascose  la  sella  del  suo  cavallo,  che  appariva  bru- 
ciata nel  processo  verbale.  Rinnovati  i  cavalli  dopo 
tre  mesi  andati  (aprile),  e  rindossata  la  nascosa  sella, 
si  riprodusse  il  male  colla  stessa  ferocia  ammazzando 
quanti  furono  in  comunicazione,  inclusive  una  capra 
momentaneamente  stata  presso  la  scuderia  con- 
vertita in  lazzaretto.  Per  sanitaria  trasgressione  inol- 
tre di  un  maresciallo  di  quel  corpo  il  morbo  fu  im- 
portato in  Abruzzo:  ma  mercè  della  massima  mia 
vigilanza  fu  anche  ivi  isolato  e  distrutto  (1). 

Dall'andamento  di  cotesto  morbo  veggano  i  mi- 
scredenti del  contagio,  quanto  talvolta  si  prolunghi 
il  morboso  seminio  ne'  passivi  conduttori. 

Da  questi  brevi  cenni  il  cortese  lettore  desumerà, 
se  chiare  cognizioni  abbia  potuto  io  acquistare  in- 
terno i  febbrili  contagiosi  morbi.  Perlochè  apparso 
appena  il  cholèra  dell'  Indie  importato  per  incon- 
sueto commerc^o  in  Astrachan  ,  non  dubitai  punto 
di  seguire  le  massime  d'illustri  autori,  che  il  novel- 
lo malore  serbava  1'  andamento  de'  più  contagiosi 
morbi  pestilenziali  (2).  Il  che  sarebbe  di  poco  mo- 
mento ,  se  la  missione  in  Francia  pel  cholèra  del 
1832  non  mi  avesse  somministrati  numerosi  officiali 
documenti,  oltre  le  proprie  osservazioni,  convincenti 
pienamente  la  cholerica  contagione  :  dimodoché  la 
commissione  sanitaria  romana  colà  inviata  fin  da'suoi 
primi  rapporti  alla  sacra  consulta  faceva  voti,  per- 
chè tutte  le  più  rigide  sanitarie  cautele    venissero 


(1)  Memorie  citate  pag.   18  27. 

(2)  Del  cholèra  morbus  pestilenziale  di  Agostino  Cappello.  Ro- 
«na  i831,  e  Giornale  arcadico  tom.  XLIX.  e  1. 


299 

praticate  per  preservarne  la  nostra  penisola.  Quanto 
qui  si  assevera  ,  ognuno  può  riscontrare  nell'opera 
sul  cholera  di  Parigi  del  1832  pubblicata  per  or- 
dine del  governo  pontifìcio  (1). 

Chiamato  poscia  nel  1835  per  sovrano  connando 
a  far  parte  integrante  della  congregazione  speciale 
sanitaria  statuita  dal  Sommo  Pontefice,  come  su- 
premo magistrato  di  sanità,  nel  luglio  1834,  ebbi 
campo  larghissimo  di  conoscere  quanto  avveniva  fuori 
e  dentro  Italia  di  questo  rio  malore:  come  di  ogni 
altro  argomento  appartenente  al  sanitario  ministero, 
ed  alla  medica  polizia. 

Penetrato  il  cholèra  nel  1835  in  Italia,  la  con- 
gregazione speciale  sanitaria  attivò  tutte  le  piìi  ri- 
gide sanitarie  cautele  per  mare  e  per  terra,  inclusive  i 
cordoni  sanitari,  come  si  è  superiormente  accennato: 
due  mesi  dopo  la  congregazione, contro  il  mio  parere, 
decretava  mezzane  misure  per  la  rinnovazione  della 
guarnigioue  austriaca  in  Ferrara  proveniente  da'luoghi 
infetti.  Perlochè  con  apposito  scritto  mostrai  che 
indubbiamente  avrebbe  scoppiato  il  cholèra  in  detta 
città.  Lo  scritto  umiliossi  dall'emo  card,  presidente 
alla  santità  di  N.  S.,  che  lo  rimise  all'ambasciatore 
austriaco  col  desiderio  che  rimanesse  la  vecchia  guar- 
nigione: e  così  fu  (2).  Immuni  dal  tutto  dal  cholèra 
furono  i  pontifìcii  dominii  nel  1835:  benché  fossero 
limitrofi  alla  Toscana  ed  al  regno  lombardo-veneto 
affetti  dal  quel  morbo.  Ivi  infierendo  maggiormente 
nel  1836,  la  malattia  si  manifestò  con  due  casi  al 
nostro  lazzaretto  di  Francolino,  isviluppati  in  reclute 
svizzere  attraversanti  l'infetta  Lombardia:  desse  fu- 


(ì)  Storia  medica  del  cholera  indiano.  Roma  1833. 
(2)  Memorie  isteriche  citate  pag.  126-29. 


300 
rono  rimesse  in  comunicazione  dopo  la  debita  con- 
tumacia :  fu  ancora  importata  per  contrabbando  in 
Ferrara  e  nel  Cesenatico:  e  per  attivissima  solerzia 
di  quelle  autorità  governative  e  sanitarie  fu  tantosto 
isolata  e  distrutta  (1). 

Fra  le  vigilantissime  cure  del  supremo  sanitario 
magistrato  vi  fu  quella  del  divieto  delle  fiere  in  tutti  i 
luoghi  prossimi  0  poco  lontani  dai  paesi  aifetti  dall'in- 
diano malore.  Ma  la  fiera  di  Sinigaglia  incontrò  tali 
e  tanti  ostacoli,  che  fu  trasportata  contro  il  mio  avvi- 
so in  Ancona:  ove  importato  il  male  dalle  convicine 
Provincie  del  regno  Lombardo-Veneto  e  di  Trieste, 
si  svolsero  vari  casi  nel  porto  fin  dalla  fine  della 
prima  settimana  di  agosto.  Un  tal  Leoni  maliscente 
che  stava  a  passare  acque  presso  il  porto,  tornato 
a  Campo  Lumbi  suo  paese,  frazione  di  Avenale  f)resso 
Cingoli,  morì  di  cholèra,  che  si  propagò  in  più  per- 
sone del  villaggio.  Ma  per  l'attività  massima  dei  me- 
dici di  Cingoli  secondata  dal  supremo  governo,  mercè 
di  apposito  cordone  sanitario,  si  circoscrisse  e  di- 
strusse il  rio' malore.  Altrettanto  (isolato  e  distrutto) 
avvenne  in  Monte  Fano,  dove  per  manifesto  contrab- 
bando di  Ancona  fu  importato  il  cholèra  nei  primi 
dì  di  settembre.  L'esimio  dottor  Venturi,  dopo  aver 
verificato  il  cholèia  di  Campo  Lumbi ,  andato  per 
ordine  superiore  a  Monte  Fano  confermò  la  presenza 
di  cotesto  morbo,  di  cui  rimase  vitima  compianta 
in  tutto  il  Piceno  (2). 

Se  memorandi  sono  i  sopraccennati  fatti,  e  piiì 
ancora  questi  dì  Campo  Lumbi  e   di  Monte  Fano, 


(1)  Id.  pag.   136—7. 

(2)  III.  pag.  222—5. 


301 
di  gran  lunga  maggiore  furono  quelli  di  una  {ìopolosa 
città  marittima  con  porto  franco,  come  Ancona,  ove 
il  cholèra  fu  del  pari  circoscritto  e  distrutto.  Nes- 
sunissimo caso  fuori  degli  accennali  mai  più  avveìine 
nel  Piceno  (1836)  a  gloria  perenne  del  supremo  sa- 
nitario magistrato  romano.  Imperocché,  a  seconda  del- 
le sue  leggi,  Ancona  fu  circondata  prima  da  convicine 
guardie  cittadine,  indi  da  regolar  cordone  militare. 
Tutti  gli  officiali  documenti  veggonsi  per  me  pub- 
blicati nelle  citate  memorie.  La  contumacia  in  An- 
cona durò  qualche  settimana  di  più  pei  continui  re- 
clami in  Roma  delle  vicine  e  lontane  città  del  Pi- 
ceno, perchè  esponevano  che  non  del  tutto  esegui- 
vansi  talune  sanitarie  prescrizioni.  La  qual  cosa  era 
falsa:  mentre  da  non  pochi  giorni  nulla  si  era  tra- 
scurato per  r  esatto  adempimento  delle  mede- 
sime. Per  la  fiducia  sopra  me  riposta  dal  card, 
presidente  della  speciale  congregazione  ,  potei  con 
una  mia  responsiva  dimostrargli,  che  già  da  mol- 
ti giorni  meritava  Ancona  di  esser  messa  in  li- 
bera comunicazione  per  mare  e  per  terra.  Piiì  volte 
dovetti  invocare  dal  lodato  porporato  il  mio  richia- 
mo, perchè  dopo  il  grave  cholèra  preso  il  giorno 
appresso  alla  massima  strage,  incessanti  tribolazioni, 
e  pericoli  di  vita  non  rifinivano  mai  (l).Ogni  dì  era- 
no affissi  cartelli  con  caratteri  cubitali  di  mia  con- 
danna di  morte  decretata  dal    tribunale  della  ra- 


(1)  Ecco  le  parole  fieli'  Emo  Gamberini  in  una  sua  respon- 
siva. Piacerebbe  anche  a  me  ed  a  tutta  la  congregazione  che  ella 
si  restituisse  fra  noi;  ma  non  posso  non  pregarla  a  trattenersi  tut- 
tora costà  fino  a  che  non  sia  compito,  vedendo  in  tutti  gii  aspetti 
utile  la  continuazione  di  sua  presenza    in  codesta  città,  perchè  è 


302 

gione  !  !  !  Imperocché  sopra  di  me,  come  diretto- 
re sanitario,  si  faceva  cadere  l'odio  popolare,  e  sor- 
bii fino  all'  ultima  goccia  il  calice  amaro:  ma  de 
hoc  satis  (1).  Imperlante  i  pontifici  dominii  furono 
immuni  nel  1836  dalf  asiatico  flagello,  che  conti- 
nuò nel  regno  lombardo-veneto:  e  dall'  adriatiche 
spiagge  importato  in  Puglia  si  propagò  in  Napoli 
ed  ivi  si  rinnovò  nell' anno  seguente  1837.  Propa- 
gatosi il  cholèra  alla  terra  di  Lavoro  sino  al  confi- 
ne romano  (  delegazione  di  Prosinone  )  s'  infranse 
il  cordone  sanitario  da  alcune  guardie  :  e  mentre 
gì'  infrattori  erano  sotto  processo  ,  si  svolsero  in 
pochi  dì  casi  dalla  linea  di  Ceprano  sino  a  Colli  e 
Monte  S.  Giovanni  ;  ivi  per  altrui  presunzione  si 
sequestrò  una  sola  casa.  Per  siffatta  negligenza 
rivelai  in  piena  sanitaria  adunanza  nel  di  5  luglio 
(1837),  che  Roma  non  era  più  al  sicuro  :  e  nel 
dì  vegnente  lo  scrissi  a  più  medici  nazionali  e 
stranieri,  ed  al  magistrato  d'Ancona.  La  congrega- 
zione m' incaricò  dell'  istruzione  perchè  tantosto  si 
sequestrassero  quegli  infetti  paesi:  ma  due  giorni 
prima  dell'  avvenuto  sequestro  era  stato  importa- 
to il  cholerico  seme  in  questa  capitale:  ove  si  com- 
misero errori  di  ogni  sorta  officialmente  registrati 
(2).  11  cholera  si  manifestò  nel  dì  23  luglio  e  fece 
non  poca  strage    sino    alla    metà  di  settembre.  Il 


quella  persona  su  cui  si  ripone  molta  fiducia  in  argomento  si  in- 
teressante. Roma  12  novembre  1836  {*). 

(1)  Id.  Pag.   153  sino  a  232  e  pag.    356-01, 

(2)  1(1.  pag.  223,  e  327,  e  pag.  499,  e  339, 

(*)   Memorie  storiche  di  Agostino  Cappello  pag.  1S7. 


303 
comune  di  Ganzano  tenne  fermo  con  maschiariso- 
luzione  pel  cordone  sanitario:  e  nel  salvarsi  dal  mor- 
bo, mise  al  coperto  del  medesimo  la  legazione  di 
Velletri,  e  delegazione  di  Prosinone,  eccetti  i  sud- 
detti paesi  sequestrati  con  sanitario  cordone  (1). 
L'  asiatico  flagello  disparve  per  lustri  dall'  Europa, 
ove  fu  nuovamente  importato  dall'  Indie  nel  1848. 
Slimai  quindi  opportuno  ampliare  di  ulteriori  offi- 
ciali documenti  quella  dilucidazione  (2).  La  malat- 
tia fece  nuove  stragi  oltremonti  e  nell'Italia  supe- 
riore: ma  air  estero  per  mancanza  di  disinfezioni 
rimase  sporadico.  Comparve  pure  in  alcun  luogo 
delle  pontificie  settentrionali  provincie.  In  Bologna 
nel  1850  fu  isolato  e  distrutto.  Nel  1853  per  quella 
sporadicità  il  male  a  poco  a  poco  riprese  il  genio 
epidemico  con  stragi  universali.  In  Roma  fu  nel 
mese  di  maggio  1854  importato  da  Marsiglia  da  sol- 
dati surroganti  quelli  che  erano  stati  messi  in  con- 
gedo. Vista  la  massima  difficoltà  dei  cordoni  sani- 
tarii,  la  congregazione  adottò  le  piiì  possibili  sani- 
tarie prescrizioni  ,  come  può  rilevarsi  dall'  officiale 
relazione  per  me  compilata ,  e  responsiva  ad  una 
circolare  inglese  (3).  Quasi  tutte  le  provincie  ro- 
mane furono  piiì  o  meno  flagellate  dal  rio  malore, 
che  sviluppossi  sempre  dappresso  le  piti  manife- 
ste importazioni.  (  1854-5  ) 


(1)  Dilucidazione  slorica  del  choRra.  Roma  pei    tipi  del  Pere- 
go  Salvioni   1847. 

(2)  MeiTiOrie    storiche    citate  pag;    237 — fino  a  317  e  pag.  496 
sino  a  557. 

(3)  FiliatreSabezio,  febbraio  183Spag.  123;  Giorn.  arcadico  tomo 
CXXXIII   fyg.  321-SO. 


304 

Da  quanto  si  è  in  questo  istorico  riassunto  ac- 
cennato, emerge  luminosamente  la  dottrina  de'più 
assennati  medici  della  penisola  italiana.  Che  se  ir- 
refragabili sono  i  fatti  per  essi  mostrati ,  irrefra- 
gabilissimi sono  quei  de'  pontitìci  dominii.  Im- 
perocché per  gli  uni  e  per  gli  altii  risulta  aper- 
tamente, che  il  cholèra  delle  indie  non  solo  è  con- 
tagioso, ma  soprattutto  che  con  attivissima  ener- 
gia e  medica    avvedutezza  puossi  isolare  e  distrug- 


gere. 


Tocca  dunque  ai  supremi  governi  di  Europa 
(che  a  buon  dritto  dicesi  incivilita)  di  allontanare 
dall'  europee    contrade    un  cotanto  esotico  morbo- 

QLOU    FAXIT     DEUS. 

Roma  5  Ottobre  1856. 


305 


Discorso  sul  risloramenlo  delV  emissario  di  Claudio. 
Letto  da  A.  Coppi  neW adunanza  deW accademia  Ti- 
berina il  di  22.  Settembre  1856. 

1  r\nnunziando  un  discorso  economico  mi  limitai 
ad  un  tema  generico,  e  quindi  riflettei  se  doveva 
trattare  di  agricoltura  o  di  finanze.  In  fine  risol- 
vetti di  sceglierne  un  altro  totalmente  diverso  ,  ed 
è  sul  ristoramento  dell'emissario  che  l'imperatore 
Claudio  scavò  tra  il  lago  Fucino  ed  il  fiume  Liri. 

2.  Quest'  opera  grandiosa  fu  ed  è  tuttora  l'og- 
getto di  molte  discussioni.  Si  disputa,  se  per  esso 
un  tempo  siano  scolate  le  acque  ,  quando  e  come 
siasi  ostruito,  se  sia  possibile  ed  infine  utile  il  ri- 
staurarlo.  Non  è  mio  intendimento  l'entrare  in  tali 
e  tante  questioni;  ma  essendo  stato  varie  volte  ad 
osservare  quel  magnifico  monumento  della  romana 
grandezza  e  qual  antiquario  campestre  avendone 
pubblicato  qualche  articolo  nei  giornali  di  Roma 
(1),  continuai  a  raccoglierne  le  notizie  per  compi- 
larne col  tempo  un  paragrafo  negli  Annali  d'Italia, 
0  lasciare  i  materiali  ad   un  mio  continuatore. 

3.  È  noto  che  Federigo  II  nel  secolo  XIII ,  Al- 
fonso nel  XV    i  Colonnesi  nel  XVII  e    Ferdinando 


(1)  Notizie  del  Giorno  1824, 
N.  i8. 

1530    N    26    e  27. 
1832.  Diario. 
1832.   Niiin":   96.   suppl. 

G.A.TCXLIV.  20 


306 
IV  nel  XVUl    fecero  qualche  tentativo  pei   ripulire 
queir  emissario,  e  poi  per  varie  circostanze  ne  ab- 
bandonarono la  intrapresa  (2). 

4-  Carlo  Afan  di  Rivera,  direttore  del  deposito 
della  guerra,  esaminate  tutte  le  memorie  relative  a 
quest'  oggetto  nel  1  823  pubblicò  alcune  considera- 
zioni sul  progetto  di  prosciugare  il  lago  Fucino.  No- 
minato nell'anno  seguente  direttore  generale  de'ponti 
e  delle  strade,  delle  acque  e  foreste  e  della  caccia, 
nel  1825  dopo  diligente  esame  delle  parti  accessi- 
bili dell  emissario  propose  a  Francesco  I  di  accor- 
dare la  somma  di  diecimila  ducati  per  intrapren- 
dere lavori,  come  sperimento  di  ciò  che  dovevasi 
eseguire  per  la  ristaurazione.  Approvata  la  propo- 
sizione, stabilì  col  cavaliere  Giura  ,  ispettore  di  acque 
e  strade,  il  piano  dei  lavori  da  eseguirsi:  e  nel  1826 
mise  mano  all'  opera. 

5.  Si  principiò  dalla  parte  dello  sbocco,  e  nella 
primavera  del  1829  lo  spurgamento  fu  protratto  al- 
la terza  parte  dell'  emissario.  Ma  ai  17  di  aprile  di 
quell'anno  crollò  una  porzione  del  cielo  dello  spe- 
co nel  sito  del  lavoro,  e  si  manifestò  una  spaven- 
tevole frana  per  1'  altezza  di  palmi  320  ,  sino  alla 
superfìcie  della  campagna,  e  la  pressione  della  terra 
spinse  argilla  e  ghiaie  per  la  lunghezza  di  palmi 
412  nel  tratto  spurgato:  nel  tempo  stesso  nella 
campagna  sopra  il  sito  rovinato  si  foimò  una  vo- 
ragine [irofonda  40  palmi,  huga  80,  e  piena  di  ac- 


(i)  Afan  di  Rivera  Progetto    delln    ristaurazione    dell'  emissario 
di    Claudio,  cap    11    e   111.   («;;.   69,   80. 


307 
qua  sino  all'altezza  di  30.  Forlunatamente  in  quelja 
disgrazia  non  si  ebbe  a  compiangere  la  perdita  di 
alcun  uomo  (1).  Con  un  continuo  lavoro  di  giorno 
e  di  notte  si  tolse  quell'  ostacolo,  si  aprì  un  pas- 
saggio a  traverso  della  frana  ,  si  puntellò  provvi- 
soriamente il  cunicolo  in  quel  sito  con  robusti  te- 
lai di  travi,  e  si  proseguì  lo  spurgamento.  Il  go- 
verno auraefltò  la  tenue  somma  che  da  principio 
aveva  assegnata  per  titolo  di  sperimento.  Ferdinan- 
do II  nel  1832  si  recò  ad  osservare  quei  lavori  , 
ne  rimase  soddisfatto  e  li  promosse  ,  e  finalmente 
nel  1835  tutto  l'emissario  fu  spurgato,  e  di  più  si 
cavò  la  prima  vasca  dell'incise,  cioè  dell'imbocca- 
tura (2).  »  I  lavori  della  spurgazione  dell'  intiero 
»  emissario  ,  scrisse  Afan  Rivera  ,  e  quelli  del  ca- 
))  vamento  della  vasca  dell'incile,  sono  costati  me- 
»  no  di  sessantamila  ducati,  compresa  la  spesa  del- 
»  la  macchine  ,  degli  apparecchi  e  degli  utensili  : 
»  all'  incontro  si  è  elevata  al  di  là  di  quarantamila 
»  ducati  la  spesa  per  superare  tutte  le  difficoltà  (3).  « 
6.  Sgombrato  intieramente  l'emissario,  se  ne  po- 
tè levcre  la  pianta  ed  eseguire  la  livellazione.  Si 
conobbe  che  la  lunghezza  è  di  palmi  napolitani 
21,395  (metri  5630.  20),  cioè  poco  più  di  tre  mi- 
glia di  60  a  grado.  Costrutto  ad  una  profondità  non 
mai  minore  di  300  palmi  sotto  i  campi  Paleptini 


(1)  Giornale  del  Regno  delle  Due  Sicilie  1829  Num.  230. 
Diario  di  Roma   1829  N.  103. 

(2)  Giorna'.c  del  Regno  delle  Due  Sicilie  1835  N.  321.  Alan  do 
Ri  vera,  Progetto  della  restaurazione  «Icireniissario  di  Claudio,  caji. 
111.   pag.   7S-114: 

(3)  Ivi    pay,  111. 


308 
ed  il  monte  Stilviano  ,  si  scavarono  sopra  di  esso 
32  trombini,  o  pozzi,  per  poter  lavorare  nel  tem- 
po stesso  in  molti  siti-  La  differenza  del  livello  fra 
la  soglia  dell'  incile  e  quella  dello  sbocco  si  trovò 
di  palmi  27  5:  e  quivi  Afan  di  Rivera  osservò 
che  sebbene  gli  antichi  fossero  privi  dell'aiuto  del- 
la bussola,  e  non  conoscessero  l'applicazione  della 
trigonomatrìa  ai  lavori  sotterranei,  nondimeno  col- 
la sola  geometrìa  di  Euclide,  1'  operazione  fu  feli- 
cemente eseguita  nei  luoghi  che  appunto  presenta- 
vano difficoltà  grandissime.  »  Dobbiamo,  egli  scris- 
))  se,  essere  compresi  da  meraviglia  nel  rilevare  dal- 
»  la  pianta  che  gli  assi  delli  due  rami  dell'emissa- 
))  rio,  che  procedendo  da  passi  22  e  23,  s'  incon- 
»  trano  sotto  il  monte  (Salviano),  si  trovano  esat- 
»  tamente  nel  medesimo  piano  verticale,  il  primo 
»  per  la  lunghezza  di  867  palmi,  ed  il  secondo  per 
»  quella  di  664.  Anche  questi  fatti  rendono  lumi- 
»  uosa  testimonianza  che  i  romani  nei  tempi  fìo- 
»  renti  della  loro  civiltà  avevano  perfezionato  tutti 
»  i  rami  attenenti  alle  costruzioni,  e  sapevano  ben 
»  applicare  la  geometria  alle  operazioni  sotterranee 
»  per  ottenere  quella  medesima  esattezza  alla  quale 
))  i  moderni  giungono  col  soccorso  della  bussola 
»  e  di  perfezionati  strumenti  geodetici.    .  .  .  (1). 

7.  Prosegue  poscia  lo  scrittoio.  «  Dopo  di  ave- 
))  re  ammirato  la  sapienza  degli  architetti  nelle  ope- 
»  razioni  geodetiche  e  nella  esecuzione  dell'  opera 
»  dove  si  presentavano  gravissime  difficoltà,  dobbia- 
»  mo  essere  oltremodo  dolenti  nell'osservare  nota- 


li) Pioyetlo  7.   Gap.   I!.  pn;;.   42.   43, 


309 
»  bili  difetli  negli  altri  tratti,  ne'quali  le  difficoltà 
»  erano  molto  minori.  Le  più  frequenti  tortuosità 
))  ed  i  più  considerabili  deviamenti  sì  veggono  nel 
»  tratto  dell'  emissario,  della  lunghezza  di  palmi 
))  3779  ,  che  si  comprende  tra  i  pozzi  20  e  17. 
»  Quindi  l'opera  ritorna  alla  direzione  {!)  »  Osserva 
»  poscia  »  Per  dirigere  molte  migliaia  di  artefici 
»  ed  operai  che  coi  lumi  dovevano  lavorare  in  un 
»  profondo  speco,  era  necessario  che  fossero  stati 
»  molti  gli  architetti  direttori,  ed  in  molto  maggior 
))  numero  i  soprastanti.  In  così  gran  trambusto  non 
»  è  da  meravigliare  se  le  norme  dell'architetto  in 
»  capo  non  fossero  state  sempre  osservate,  e  si  fos- 
»  sero  commessi  alcuni  errori  dagli  architetti  di- 
»  rettori,  da'  soprastantì  e  da'  ti'avagliatori  (2)   » 

8.  Le  rovine  principali  dell'  emissario  si  sono 
trovate  tra  i  pozzi  20  e  21  ad  occidente,  e  28  e  30 
a  levante  del  Salviano  (3).  Scrive  Afan  de  Rivera  , 
che  tranne  questi  due  tratti,  le  cui  degradazioni 
si  sono  operate  nel  corso  di  diciotto  secoli,  anche 
oggi  lo  stato  dell'emissario  sarebbe  atto  allo  scolo. 
Difatti  nella  stagione  oltremodo  piovosa  del  novem- 
bre 1835  al  maggio  1836,  vi  scorreva  e  si  scari- 
cava nel  Liri  un  ruscello  dell'  altezza  di  oltre  due 
palmi  di  acqua.  Sostiene  che  lo  stato  attuale  esi- 
bisce irrefragabili  prove  del  lungo  scorrere  delle  ac- 
que per  esso.  Fra  queste  annovera  caverne  esistenti 
ad  una  certa  altezza  dei  piò  dritti  del  cunicolo,  ed 
una  ben  grande  differenza  tra  la  superfìcie  dei  me- 
li) Ivi  -  pag.  44. 

(2)  Ivi  -  pag.   48. 

(3)  Ivi  -  Gap.  III.  pag.   103-    107.    108, 


310 

desimi  pie  diiltl  e  quella  del  cielo,  in  nitri  siti.  Nei 
primi  la  roccia  sembra  brecciosa  e  scavandosi  si 
sgretola  in  breccie  angolari,  mentre  quella  del  cielo 
sembra  consistere  in  grandi  pezzi  di  molto  maggiore 
saldezza  (1). 

9.  Si  formò  eziandio  una  pianta  del  Iago  diviso 
in  cinque  perimetri,  rappresentanti  cinque  diversi 
piani  orizzontali.  II  primo  circoscrive  la  superfìcie 
che  il  lago  aveva  nel  1816  nello  stato  della  sua 
massima  elevazione.  11  secondo  indica  i  limiti  delle 
possessioni  che  avevano  per  confine  il  Iago  giusta  i  ca- 
tasti. II  terzo  presenta  il  contorno  nello  stato  della 
massima  depressione  nell'  ottobre  1835.  II  quarto 
il  ristrirtgimento  che  avrebbe  qualora  la  superfìcie  si 
abbasasse  di  palmi  18  al  di  sotto  di  quella  che  aveva 
ih  ottobre  1835.  L'ultimo,  il  contorno  che  avrebbe 
se  l'abbassaiiiénto  dalla  superfìcie  giungesse  a  palmi 
23.  La  quadlatura  delki  superficie  rinchiusa  nel  pe- 
rimetro della  massima  escrescenza  del  1816  era  di 
miglia  quadrate  48.  Quella  del  massimo  abbassamen- 
to nel  1835  era,di  rtiiglia  38:  e  quella  che  avrebbe  se 

si  deprimesse  a  palmi  23,  sarebbe  di  miglia  quadrate 
21  (2).  La  profondità  massima  uel  1835  era  di  palmi 
39.  La  soglia  dell'incile  era  sottoposta  paUnì  52  alla 
superficie  delle  acque,  e  13  al  fondo  più  deprèsso  (3). 

10.  Conósciuti  e  descritti  i  guasti  dell'  emissa- 
rio, Afan  de  Rivera  indicò  le  opere  da  eseguirsi 
per  restaurarlo  e  per  eseguire  e  regolare    lo  scolo 


(1)  Ivi  -  Oap.  II.  pag.  64.   69. 

(2)  Ivi   -  Cad.  IV.   pag.   115-119 

(3)  Ivi  -  Cap.   I.  paj.   54,  e    Gap.   V.  pag.  200. 


311 

delle  acque,  ora  queste  vi  è  la  rettificazione  dei  trat- 
ti tortuosi  esistenti  fra  i  pozzi  16  e  21,  della  lun- 
ghezza di  palmi  3431.  5.  (1).  Gl'ingegneri  Campa- 
nile e  Giambelli  compilarono  uno  stato  estimativo 
delle  nuove  costruzioni,  delle  restaurazioni  e  delle 
correzioni  da  eseguirsi,  e  ne  calcolarono  la  spesa  a 
ducati  312,000  (2).  GÌ'  ingegneri  Rossetti  e  Guer- 
rieri ne  formarono  un  altro  delle  spese  bisognevoli 
nei  lavori  per  regolare  lo  scolo  delle  acque  e  ridur- 
re la  superfìcie  del  lago  a  21  miglia  quadrale  e  que- 
ste si  calcolarono  in  ducati  168,000  (3).  Quindi  la 
spesa  totale  ascenderebbe  a  ducali  480,000. 

11.  Riducendo  il  lago  a  21  miglia  quadrate  si 
acquisterebbero  21,619  moggia  (circa  3936  rubbia, 
pari  a  7212  ettare  )  di  terreni:  valutandone  il  prez- 
zo alla  ragione  di  60  ducati  a  moggio,  se  ne  ot- 
terrebbe la  somma  di  1,297,140  ducati  (4).  Quindi 
un  lucro  superiore  alla  spesa  di  ducati  827,140: 

12.  Tutte  queste  cose  Carlo  Afan  di  Rivera  pub- 
blicò in  un  volume,  col  titolo  di  »  Progetto  della 
»  restaurazione  dell'emissario  di  Claudio  e  dello  sco- 
»  lo  del  Fucino  (5).  « 

12.  Ferdinando  li  con  risoluzione  presa  nel  con- 
siglio ordinario  di  stato  ai  26  aprile  1852  accordò 
ad  Augusto  Thomas  d'Agiout  una  promessa  di  con- 
cessione per  la  restaurazione  dell'emissario  di  Clau- 
dio e  pel  prosciugamento  del  lago  Fucino  con  va- 


li) Cap.  IV.   pag.    151-160. 

(2)  Cap.  VI.  pag.  345-330. 

(3)  Ivi  -  pag.  351-350. 

(4)  Cap.  V.  pag.  204.  205,  248-249. 

(5)  Napoli.  Slamperia  del  Fibreno  1836. 


312 

rie  condizioni.  Fra  queste,  che  formasse  una  società 
anonima  napolitana  di  capitalisti  per  tale  intrapresa: 
che  tutti  i  terreni  i  quali  per  effetto  dello  scolo  delle 
acque  del  lago  per  l'emissario  rimarranno  prosciu- 
gati, saranno  di  proprietà  de'  concessionari. 

14.  Nell'anno  1853  si  formò  la  compagnia  e 
se  ne  compilò  lo  statuto.  Questo  fu  poscia  in  par- 
te modificato:  ed  in  sostanza  si  stabilì: 

))  I.  Istituirsi  una  società  anonima  avente  per  og- 
»  getto  il  prosciugamento  del  lago  Fucino,  la  bo- 
))  nifìcazione  dei  terreni  che  saranno  sottratti  alla 
»  sommersione  e  continuata  innondazione  delle  ac- 
))  que  del  lago,  e  finalmente  l'amministrazione  e  la 
»  vendita  di  siffatti  terreni  bonificati  e  resi  acconci 
«  ad  ogni  maniera  di  coltivazione. 

»  II.  La  società  prendesse  il  nome  di  compagnia 
))  napolitana  pel  prosciugamento  del  lago  Fucino  e 
))  per  la  restaurazione  dell'  emissario  di  Claudio. 

»  III.  11  capitale  sociale  fosse  di  1,200,000  du- 
»  cati,  ovvero  franchi  5280000  diviso  in  dodici  mila 
»  azioni  di  ducati  cento  l'una. 

))  IV.  D'xAgiout,  in  prezzo  e  premio  del  conferi- 
))  mento  della  concessionesovrana  fatta  alla  società, 
5>  avesse  2,500  azioni. 

»  V.  Di  più  durante  il  tempo  che  si  eseguono  le 
»  opere  ed  i  lavori  di  nettamento  dell'  emissario  e 
))  di  derivazione  e  scolo  delle  acque  del  lago  ,  la 
»  compagnia  per  Io  spazio  di  quattro  anni  avesse 
))  nella  di  lui  persona  un  agente  generale  coll'emo  - 
«  lamento  fìsso  di  anni  2,500  ducati.  Rodolfo  Tor- 
»   torà  fu  nominato  direttore  della  compagnia. 


313 

15.  Messe  le  azioni  in  commercio,  sedici  indivi- 
dui ne  acquistarono  cinquanta  per  ciascuno;  2,200  ne 
prese  la  casa  bancaria  napolitana  Degas  e  3,000 
allora,  ne  comprò  il  principe    Alessandro  Torlonia. 

16.  Adì  21  luglio  1853,  la  compagnia  stipulò 
col  governo  un  istromento,  nel  quale  fra  gli  altri 
patti  si  convenne: 

«  La  compagnia  assume  l'impresa  di  compiere 
«  in  tatte  le  sue  parti  l'opera  del  prosciugamento 
»  del  lago  Fucino  nella  intiera  sua  estensione,  e  del- 
»  la  restaurazione  dell'emissario  di  Claudio  con  l'ob- 
»  bligo  delle  corrispondenti  bonificazioni  dei  ter- 
»  reni  prosciugati,  focendo  all'uopo  tutti  i  lavori  e 
))  costruzioni  necessarie  per  1'  innondamento  delle 
»  acque  e  pel  regolare  e  proporzionato  loro  sbocco 
»  al  di  là  dell'emissario  di  Claudio  e  l'ulteriore  cor- 
so delle  medesime  (  art.  1°.  ). 

))  La  compagnia  si  obbliga  di  presentare  all'ap- 
))  provazione  preventiva  del  R.  Governo  il  progetto 
«  generale  dei  lavori  da  eseguirsi,  con  le  analoghe 
»  spiegazioni  di  arte,  con  la  designazione  di  quel- 
))  la  parte  del  lago,  la  cui  conservazione  potrà  per 
»  avventura  essere  giudicata  necessaria,  come  mez- 
»  zo  0  condizione  indispensabile  di  arte,  per  rag- 
»  giungere  il  fine  del  prolungamento  del  medesimo 
))  e  della  manutenzione  delle  opere  relativo.  Tutti 
»  i  lavori  necessari  al  definitivo  ed  intiero  consegui- 
))  mento  dello  scopo  delia  intrapresa  dovranno  es- 
))  sere  intieramente  compiuti  nel  termine  improro- 
»  gabile  di  anni  otto  (art.  3.)  (1). 


(J)  Istromento  pes  gli  atti  di  Ferdinando  Cacace  notaio   napoli- 
tano dei  21  luglio  1853. 


3U 

17.  Nel  1854- s'incominciarono  i  lavori  (secondo 
un  piano  in  varie  parti  diverso  da  quello  di  Afan  de 
Rivera):  ed  il  primo  fu  la  costruzione  di  una  diga 
attorno  l'incile  per  contenere  le  onde  del  lago  nei 
tempi  burrascosi,  e  scavare  comodamente  alla^sciut- 
to  il  canale  di  derivazione. 

i8.  Secondo  le  ultime  notizie  si  lavora  attual- 
mente neir  emissario  a  istaurarlo  e  rettificarlo  nel 
tratto  dove  trovavansi  i  guasti  mai?siori,  cioè  fra  i 
pozzi   18  e  21. 

19.  La  direzione  dei  lavori  fu  da  principio  af- 
fidata agli  ingegneri  inglesi  Parkes  e  Gregoy,  e  po- 
scia al  francese  Montricher. 

20.  I  lavoranti  di  ogni  specie  sono  circa  1000. 

21.  Tali  sono  i  fatti  che  potei  raccogliere.  Non 
faccio  prognostici,  ma  bensì  voti  ardentissimi  che 
riesca  felicemente  una  intrapresa  cosi  grandiosa. 


315 


Lezione  XVllI  sulla  divina    Commedia    riguardante 
feeder igo  di  Sicilia-  Del  prof-  Filippo  Mercuri. 

Iacopo  e  Federico  hanno  i  reami: 
Del  retaggio  miglior  nessun  pos.siede. 
Piirg-  C.   VII. 


R. 


Le  Pietro  d'Aragona  marito  di  Costanza,  tìglia  di 
Manfredi,  udita  la  morte  di  Carlo  I  d'  Angiò  re  di 
Puglia  e  conte  di  Provenza,  che  fu  nel  J284  in 
Foggia  due  anni  dopo  il  famoso  vespro,  possessore 
pacifico  della  Sicilia,  mandò  il  famoso  Ruggero  di 
Loria  suo  ammiraglio  con  l'armata  in  Calabria,  il 
quale  con  la  solita  virtù  e  fortuna  mise  in  terra  le 
genti,  pigliò  Terra-nuova  e  l'altre  sue  castella  pa- 
terne, delle  quali  re  Carlo  l  l'avea  spogliato,  e  poi 
passò  avanti  e  pigliò  in  nome  di  re  Pietro  Cotrona 
e  Catanzaro  e  alcuni  altri  luoghi  di  quella  provin- 
cia: ma  dall'altra  parte  Martino  IV,  che  naturalmente 
e  poi  per  un  certo  obbligo  amava  la  casa  di  re 
Carlo  I  vedendola  rimasta  sola  per  la  captività  di 
Carlo  II  il  Ciotto,  che  era  rimasto  schiavo  in  Ca- 
talogna, ed  era  quello  che  dovea  succedere  al  re- 
gno, mandò  subito  Geraldo  Cardinal  di  Parma  le- 
gato apostolico,  che  avesse  cura  insieme  con  la  prin- 
cipessa di  Salerno  Maria  moglie  di  Carlo  II,  e  con 
Carlo  Martello  primogenito  del  principe  ch'era  al- 
lora all'  età  di  tredici  anni,  d'intervenire  al  gover- 
no del  regnoi  e  Filippo  re  di  Francia,  dolorosissimo 


816 

della  morte  del  re  suo  zio,  mandò  Roberto  conte 
d'  Artois  ad  assistere  al  governo  della  casa  e  dello 
slato  del  prìncipe  suo  cugino,  ed  egli  con  grandis- 
simo esercito  andò  all'acquisto  del  regno  d'i\ragona 
per  acquistarlo  a  Carlo  suo  figlio  secondogenito  che 
ne  aveva  avuto  il  titolo  e  l'investitura  dalla  chiesa 
romana,  e  prese  Perpignano,  Girona  e  molte  altre 
terre  di  quel  paese.  E  senza  dubbio  la  fortuna  fa- 
vori molto  re  Pietro  con  far  succedere  in  quel  punto 
la  morte  di  re  Carlo:  ch'egli  era  in  pericolo  gran- 
dissimo di  perdere  non  solo  Sicilia,  ma  ancora  i  suoi 
regni  paterni;  perchè  era  impossibile,  per  molto  che 
fosse  virtuoso  e  valente,  che  avesse  potuto  resistere 
a  tante  forze  d'  eserciti  terrestri  e  armate  marit- 
time. Perciò  vedendosi  per  la  morte  di  re  Carlo  si- 
curo del  regno  di  Sicilia,  subito  con  parte  delle 
forze  dei  siciliani  andò  ad  opporsi  al  vittorioso  re 
di  Francia:  e  benché  si  ritrovasse  con  forze  assai 
dispari,  per  lo  grandissimo  ardir  suo  naturale  ac- 
cresciuto dal  favore  della  fortuna  fino  a  quel  dì,  vol- 
le uscire  per  fare  fatto  d'armi,  e  fu  rotto  e  feri- 
to e  a  gran  pena  si  salvò  ritirandosi  a  Villafranca 
dove  di  là  a  pochi  giorni  morì. 

Di  lui  rimasero  quattro  figliuoli  maschi.  Alfonso, 
Iacopo,  Federigo,  e  Pietro,  e  due  femmine  Isabella  e 
Violante:  e  fu  certo  re  degnissimo  di  lode  e  di  me- 
moria eterna,  poiché  con  pochissime  forze  e  con 
r  arte  e  con  1'  industria  sola  difese  da  due  re  po- 
tentissimi, quali  erano  Carlo  I  d'Angiò  re  di  Na- 
poli ,  e  Filippo  re  di  Francia  di  lui  nepote  ,  che 
andò  con  grandissimo  esercito  all'acquisto  del  re- 
gno d'  Aragona  per  acquistarlo  a  Carlo    suo  figlio 


317 

secondogenito,  che  ne  avea  avuto  il  titolo  e  l'in- 
vestitura dalla  chiesa  romana,  e  da  un  papa  infen- 
so nemico;  difese,  dissi,  due  regni  tanto  distanti 
l'uno  dall'altro,  trovandosi  sempre  con  la  persona 
ove  il  bisogno  richiedeva  che  fosse.  E  vero  è  ciò 
certo  che  scrivono  molti  autori,  che  il  regno  d'Ara- 
gona per  la  morte  di  re  Pietro  sarebbe  venuto  in 
mano  de'  francesi,  se  non  l'avesse  salvato  da  una 
parte  una  gravissima  pestilenza,  che  venne  all'  eser- 
cito del  re  di  Francia,  e  dall'altra  la  gran  virtù  di 
Ruggero  di  Loria,  il  quale  fin  dentro  il  porto  di  Ro- 
ses  andò  a  bruciare  1'  armata  francese:  dopo  l'in- 
cendio della  quale  fu  costretto  re  Filippo  di  ritro- 
varsi a  Perpignano  per  aver  perduta  la  comodità 
delle  vettovaglie,  che  gli  somministrava  l'armata  e 
infermato  in  Perpignano  passò  da  questa  vita  il  me- 
desimo anno  a'  dì  sei  ottobre  dell'anno  1285,  e  po- 
co dopo  morì  papa  Martino  IV,  e  fu  creato  Ono- 
rio IV. 

Ma  se  grande  fu  la  virtù  di  Pietro  ,  non  mi- 
nore fu  quella  di  Alfonso,  di  Iacopo,  e  di  Federigo. 
Grande  certamente  fu  quella  del  primogenito  Alfon- 
so, più  grande  ancora  fu  quella  di  Iacopo  suo  se- 
condogenito, come  quello  che  difese  con  poche  for- 
ze e  con  moltissimo  valore  due  regni,  la  Spagna  cioè  e 
aiutato  dalla  virtù  di  Ruggieri  di  Loria  la  Sicilia  che 
Roberto  conte  d'Artois,  ch'era  già  arrivato  a  napoli, 
come  intese  la  morte  di  re  Pietro,  e  che  per  testamen- 
to avea  lasciato  divisi  i  regni,  era  venuto  in  gran- 
dissima speranza  di  ricoverare. 

Né  prima  aderì  alla  pace,  che  fu  conclusa  nel- 
r  anno  1295,  che  conoscesse  non  essere  più  abile 


318 

a  sostenere  tante  guerre  quante  fino  allora  ne  avea 
sostenuto. 

Le  condizioni  della  qual  pace  furono,  che  ve  Gia- 
como consegnasse  l'isola  di  Sicilia  a  re  Carlo  così 
intera  come  l'avea  posseduta  re  Carlo  primo  avanti 
la  rivoluzione:  che  restituisse  tutte  le  terre,  fortez- 
ze e  castella  che  i  suoi  capitani  teneano  in  Calabria, 
Basilicata  e  Principato:  e  dall'altra  parte  re  Carlo 
collocasse  in  matrimonio  con  Giacomo  Bianca  sua 
figlia  secondogenita  con  dote  di  centomila  marche 
d'argento,  e  che  si  facesse  amplissima,  restituzione 
e  indulto  de'beni  e  delle  persone  di  quei  che  ave- 
vano servito  r  una  parte  o  1'  altra:  e  il  papa  do- 
nasse la  benedizione  e  ricevesse  in  grazia  re  Gia- 
como e  tutti  i  suoi  sudditi  e  aderenti,  togliendo 
l'interdetto  ecclesiastico  e  assolvendoli  da  ogni  cen- 
sura; e  gli  ambasciatori  di  Francia  entrarono  nella  pa- 
ce per  il  re  loro  e  si  obbligarono  ancora  di  farvi 
entrare  il  re  di  Castiglia . 

Questa  pace  diede  gran  meraviglia  per  tutto  il 
mondo,  perchè  pareva  cosa  impossibile  che  re  Gia- 
como, che  avea  mantenuto  molti  anni  quel  regno 
con  le  forze  sole  di  Sicilia,  accresciuto:  poi  da  due 
altri  regni  e  di  tant'  altre  signorie  che  aveva  in 
Spagna  fosse  avvilito  e  facesse  una  pace  vile.  Ma  vo- 
gliono i  pili  eh'  egli  avesse  fatto  saviamente:  per- 
chè con  quelli  regni  gli  era  venuta  ancora  l'impos- 
sibilità di  poterli  difender  tutti,  e  gli  sarebbe  stata 
una  eredità  di  molto  piii  peso,  che  frutto,  avendo 
a  guerreggiare  nei  regni  di  Spagna  col  re  di  Casti- 
glia e  col  re  di  Francia,  e  in  Sicilia  col  re  Carlo: 
onde  gli  avrebbe  bisognato  mantenere   tre  eserciti 


319 

ed  essere  in  un  tempo  in  tre  luoghi,  il  che  era  pa- 
rimente impossibile;  oltre  l'inimicizia  del  papa,  la 
quale  gli  faceva  non  meno  guerra  dell'altre:  e  di- 
cono ancora  che  s' inchinò  alla  pace  per  una  pro- 
messa che  gli  fece  il  papa  d'  investirlo  del  regno 
di  Sardegna  e  di  farlo  aiutare  da  re  Carlo  suo  suo- 
cero all'  acquisto  di  quell'  isola  e  ancora  dell'  isola 
di  Corsica. 

Ma  più  grande  ancora  della  virtù  di  Alfonso  e  di 
Giacomo  fu    quella  di  Federigo. 

E  per  trattenerci  più  particolarmente  di  lui  che 
forma  il  soggetto  del  presente  discorso,  dirò  che 
alla  fama  di  questa  pace  che  giunse  subito  in  Sicilia, 
Federico  che  si  trovava  luogotenente  del  fratelK», 
come  era  giovine  di  gran  cuore  e  inclinato  alla 
guerra,  cominciò  ad  aspirare  al  dominio  di  quel  re- 
gno. 

Intanto  re  Carlo  li,  arrivato  ad  Anagni  ove  era 
il  papa  Bonifazio,  e  inteso  quel  che  avea  trattato 
con  re  Federigo,  supplicò  Sua  Santità  che  avesse 
mandato  un  legato  apostolico  insieme  col  vescovo 
d'Urgel  e  Giovanni  Perez  di  Navales  ambasciatore 
di  re  Giacomo  ad  ordinare  ai  siciliani  che  s'aves- 
sero a  dare  alla  chiesa;  e  il  appa  vi  mandò  Boni- 
facio Calamandra  uomo  appresso  lui  di  molta  au- 
torità. I  quali  giunti  a  Messina  fecero  intendere  a 
quella  città,  come  venivano  mandati  da  re  Giaco- 
mo con  nuove  di  grande  allegrezza  e  di  quiete,  e 
che  teneano  potestà  di  concederle  tutte  immunità 
e  privilegi.  Ma  vane  furono  le  promesse:  che  fu  ri- 
sposto agli  ambasciatori  che  quella  città  e  tutta 
l'isola  era  di  Federico  re  d'Aragona.  Gli  ambascia- 


320 

tori  insieme  col  legato  sbigottiti  se  ne  tornarono 
prima  a  Napoli  a  trovare  il  re  e  poi  ad  Anagni 
al  papa,  e  all'uno  e  all'altro  fecero  relazione  di  quel 
che  era  passato.  Parve  al  re  Carlo  ,  eh'  era  lea- 
lissimo  di  natura,  cosa  molto  inaspettata;  ma  non 
parve  così  al  papa,  che  da  che  avea  visto  Fede- 
rigo, considerando  gli  andamenti  suoi  sempre,  l'avea 
avuto  sospetto.  Però  il  re  mandò  ambasciadori  e  il 
papa  un  legato  apostolico  esortando  re  Giacomo,  che 
per  onor  suo  e  per  mantenersi  nell'obbedienza  della 
chiesa  e  nell'  amore  del  suocero  ,  volesse  pigliare 
impresa  che  con  effetto  V  isola  si  rendesse,  e  che 
non  restassero  delusi  da  lui,  almeno  nell'  opinione 
delle  genti,  la  sede  apostolica,  né  Carlo  e  il  re  di 
Francia  e  il  re  di  Castigha  ,  che  a  questo  effetto 
aveano  fatto  la  pace,  che  l'isola  si  rendesse:  seguen- 
do poi ,  che  s'  esso  in  soddisfazione  di  tutti  quei 
principi  non  avesse  operato  che  fosse  con  effetto 
resa,  il  papa  avrebbe  legittimamente  concitato  tutti  a 
fargli  asprissima  guerra,  oltre  il  proceder  suo  con 
le  armi  ecclesiastiche. 

E  qui  incominciarono  le  guerre  di  Federigo:  poi- 
ché mentre  il  legato  e  gli  ambasciatori  andarono  in 
Ispagna,  re  Carlo  con  consiglio  del  papa  e  de'suoi 
più  savi  baroni ,  per  non  aspettare  in  tutto  che  re 
Federigo  pigliasse  più  forza  e  per  non  stayi  in  tut- 
to appoggiato  nella  speranza  di  re  Giacomo,  deli- 
berò muovergli  guerra;  e  mandò  subito  Giovanni  di 
Monforte  con  alquanti  cavali  e  fanti  sopra  la  rocca  Im- 
periale che  si  tenea  sotto  le  bandiere  di  re  Fede- 
rigo, perchè  quella  terra  e  le  molte  altre  terre  di  Cala- 
bria, che  si  tencano  con  le  bandiere  di  re  Giacomo  da 


321 

alcuni  personaggi  catalani  ,  credevan  certo  che 
re  Federico  avesse  occupata  1'  isola  con  intelli- 
genza di  re  Giacomo  suo  fratello  ,  e  però  avea- 
no  alzate  tutte  le  bandiere  di  re  Federico.  Ma 
arrivato  che  fu  Giovanni  alla  rocca  imperiale,  ebbe 
subito  la  terra.  Intanto  come  in  Sicilia  re  Federico 
seppe  la  perdita  della  rocca  imperiale  e  intese  anco 
che  re  Carlo  convocava  da  tutte  le  parti  del  regno 
soldati  per  porre  in  ordine  un  buon  esercito,  e  rico- 
verate tutte  le  terre  di  Calabria,  passare  in  Sicilia, 
deliberò  non  aspettare  la  guerra  in  casa,  pei-chè  du- 
bitava che  mandando  il  re  Giacomo  ordine  ai  cata- 
lani, che  teneano  le  terre,  che  le  rendessero,  l'avreb- 
bero certo  rese:  e  col  maggiore  sforzo  che  fu  pos- 
possibile  passò  a  Reggio  e  di  là  inviò  Ruggero  di 
Loria  con  V  armata  ad  infestare  le  marine. 

La  prima  impresa  di  Ruggiero  fu  sopra  Squillace; 
segui  r  impresa  di  Catanzaro:  e  Ruggero  di  Loria  , 
resa  che  fu  Squillace,  andò  per  soccorrere  il  castello 
della  rocca  imperiale  che  stava  in  bisogno  di  gente 
e  di  vettovaglie. 

Uscì  re  Federico  di  Reggio,  e  andato  con  tutto 
r  esercito  a  Santa  Severino,  benché  fosse  città  di 
sito  inespugnabile  ,  la  ricevè  senza  niuna  fatica  ,  e 
andò  per  espugnare  Cotrone.  Espugnò  Cotrone  e 
lo  saccheggiò.  Prese  quindi  per  opera  di  Ruggiero 
e  saccheggiò  Lecce,  ebbe  e  fortificò  Otranto  e  poi 
discese  a  Brindisi,  ove  pose  il   campo  vicino  alla  città. 

Il  papa  avendo  avviso  di  questi    felici    successi 
di  re  Federico,  e  che  re  Carlo  colle  forze  che  ave- 
va allora  appena  basterebbe  a   difendere  il  regno  di 
Napoli,  e  che  la  ricoverazione    di    Sicilia    andereb- 
G.A.T.CXLIV.  21 


322 

be  a  lungo  ,  se  non  se  gli  fossero  aggiunte  forze  , 
parte  per  1'  autorità  della  sede  apostolica,  la  quale 
egli  come  uomo  di  grandissimo  animo  era  delibera- 
to inalzare  ,  quanto  potea ,  parte  per  1'  amore,  che 
portava  a  re  Carlo,  lasciò  la  cura  di  tutte  l'altre  cose 
e  si  voltò  solo  a  questa  impresa,  e  per  obbligare 
re  Giacomo,  che  avesse  da  pigliar  punto  di  fare  re^ 
stituire  in  ogni  modo  la  Sicilia,  com'era  stato  pro- 
messo nella  pace,  gli  mandò  l'investitura  del  regno 
di  Sardegna,  e  lo  creò  gonfaloniero  della  santa  chie- 
sa e  capitan  generale  di  tutti  i  cristiani,  che  guer^ 
reggiavano  contro  infedeli:  e  mandò  a  pregarlo  che 
con  ogni  studio  avesse  atteso  a  compire  quanto  avea 
promesso,  poiché  solo  richiamando  gli  aragonesi,  che 
militavano  sotto  re  Federico,  quel  re  povero,  e  ab-r 
bandonato  dai  più  valorosi  e  fedeli  soldati,  si  sarchi 
be  rimesso  e  tornato  all'  obbedienza  sua  e  della 
chiesa. 

Re  Giacomo  vedendosi  oltre  l'obbligo  della  ca-^ 
pitolazione  obbligato  al  papa,  ordinò  nei  regni  suoi 
che  si  facesse  grande  apparato  d'armata,  e  venne  a 
Roma  ad  iscolparsi  e  giurare  innanzi  al  papa,  che 
non  era  ne  consapevole,  nò  partecipe  in  modo  al- 
cuno della  contumacia  e  della  colpa  del  fratello,  e 
usò  con  Federico  ogni  mezzo  per  ritrarlo  dall'  im-^ 
presa;  ma  non  potè  neppure  da  lui  ottenere  che  seco 
venisse  a  parlamento.  Fu  intanto  per  ordine  di  re 
Giacomo  condotta  la  sua  madre  Costanza  a  Roma, 
e  l'infante  donna  Violante  dove  re  Giacomo  l'aspet- 
tava; e  avendo  Giacomo  detto  alla  madre,  come  per 
mezzo  del  papa  avea  promessa  la  sorella  a  Roberto 
duca  di  Calabria,  il  quale  s'aspettava  il   giorno  se- 


323 

guente  ,  dinanzi  al  papa  ,  dopo  V  arrivo  di  Roberto 
e  del  padre  re  Carlo  in  Roma,  ne  fu  celebrato  lo 
sposalizio. 

Seguì  la  disfatta  di  Ruggiero  di  Loria,  che  pas- 
sò ai  servizi  di  re  Carlo,  e  di  Giacomo,  che  con 
apparato  di  grandissima  armata  partito  di  Barcello- 
na venne  a  Civitavecchia  e  poi  a  Roma:  ed  andan- 
do ad  unirla  con  quella  del  re  Carlo,  in  pochi  dì 
giunse  a  Napoli,  ove  trovò  il  duca  di  Calabria  suo 
cognato  con  trentasei  galee  e  maggior  numero  di 
navi  da  combattere  e  da  carico,  talché  l'armata  ca- 
talana giunta  con  quella  di  re  Carlo  faceano  il  nu- 
mero di  ottanta  galee  grosse  bene  in  punto  e  più  di 
novanta  navi,  oltre  ai  navigli  minori  che  usavano  a 
quel  tempo,  parte  chiamati  uscieri  e  parte  trite. 

E  quantunque  Ruggero  andasse  a  dare  a  terra 
nella  marina  di  Patti,  che  sta  dalla  riviera  di  tra- 
montana quaranta  miglia  discosto  da  Messina,  la  qua- 
le senza  aspettare  assalto  si  rendè  subito,  e  vennero 
poi  a  rendersi  Melasso,  Nucara,  Monteforte  e'I  ca- 
stello di  S.  Pietro  e  molti  altri  luoghi  di  quella  val- 
le; pure  dall'altra  parte  re  Federico  non  mancò  né 
d'animo  né  d'  ogni  diligenza  e  fece  capitan  gene- 
rale dell'armata  di  mare  Corrado  Doria  genovese;  e 
risoluto  che  far  non  potea  resistenza  per  terra  nella 
campagna  ,  mise  ogni  studio  nel  fortificare  tutti  i 
luoghi  più  importanti,  e  più  atti  a  vietare  It  vetto- 
vaglie al  campo  nemico,  perchè  vedeva  che  sì  gros- 
so esercito  sarebbesi  dissoluto  da  se  stesso,  col  man- 
camento delle  paghe  e  delle  cose  necessarie  al  vi- 
vere. E  già  non  s'ingannò  di  giudizio:  perchè  re 
Giacomo  vedendo  che  il  tempo  non  era  molto  avan- 


324 

ti,  essendo  egli  partito  da  Napoli  ai  24  d'agosto,  e 
che  avea  consumali  cinquanta  dì  dell'autunno  dap- 
poiché era  giunto  in  Sicilia  ,  per  non  avventurare 
così  grande  armata  in  quella  marina  mal  sicura  al- 
lo spirare  di  tramontana,  fu  costretto  a  mutar  di- 
segno lasciando  la  certezza  di  quella  vittoria  ,  che 
gli  potea  dare  1'  autorità  sua  e  la  moltitudine  e  il 
valor  de'soldati,  così  bene  in  punto  e  hiamosi  di  com- 
battere. Laonde  munita  ogni  terra  di  quelle  che  gli 
si  erano  vendute,  andò  all'assedio  di  Siracusa;  ma 
mantenendosi  gagliardamente  Siracusa,  l'esercito  di 
re  Giacomo  perdeva  di  giorno  in  giorno  di  ripu- 
tazione; e  indotti  da  questo  i  cittadini  di  Putti  alza- 
rono le  bandiere  di  re  Federico,  e  posero  l'assedio 
al  castello,  dove  s'erano  ritirati  quelli  che  re  Gia- 
como avea  lasciati  per  lo  presidio  della  città.  1  mes- 
sinesi e  i  catanesi  mandarono  genti  delle  loro  or- 
dinanze a  Patti  in  aiuto  di  Federico,  e  fecero  pri- 
gione Giovanni  di  Loria  nipote  di  Ruggiero,  e  pi- 
gliarono insieme  con  la  galea  capitana  alcune  altre. 
E  come  questa  vittoria  diede  a  re  Federico  e  a  tut- 
ti i  suoi  partigiani  grandissima  allegrezza,  così  per 
contrario  fu  di  grandissimo  dispiacere  e  abbattimen- 
to a  re  Giacomo  e  a*  partegiani  suoi;  e  quindi  fu 
che  re  Giacomo  vedendo  1'  esercito  in  gran  parte 
infermo  per  incomodità  sofferte  nell'assedio,  e  du- 
bitando che  l'audacia  crescesse  tanto  ai  nemici  che 
venissero  ad  accamparsi  all'  incontro  di  lui  ,  levò 
r  assedio  di  Siracusa  e  navigò  in  verso  Napoli  con 
molto  pili  sdegno  che  onore,  e  con  animo  di  ritor- 
nare quanto  prima  a  far  guerra  maggiore:  ma  una 
crudelissima  tempesta,  che    Io  sopraggiunse    sopra 


325 

l'isola  di  Lipari  e  disperse  la  maggior  parte  di  sue 
galee  e  navi,  fece  sì  che  a  gran  fatica  col  resto  si 
ridusse  salvo  a  Napoli. 

Così  re  Federico,  liberato  da  questo  primo  in- 
sulto, pieno  d'animo  e  di  valore  attese  a  ricoverare 
quelle  terre  e  castella,  eh'  erano  rimaste  sotto  la 
bandiera  del  re  d'Aragona;  e  portato  l'assedio  sopra 
Pietra  Perzia  ed  altre  terre  del  Barese,  alfine  a  lui 
si  renderono  per  mancamento  di  vettovaglie,  e  po- 
co da  poi  tutte  1'  altre  terre,  che  teneano  la  parte 
di  re  Giacomo  con  esempio  loro  si  diedero  a  re 
Federico.  Re  Giacomo  giunto  in  Napoli  fu  subito 
assalito  da  una  gravissima  infermità  di  corpo  e  d'ani- 
mo contratta  non  meno  per  le  incomodità  sofferte 
nella  guerra  e  nel  naufragio,  che  per  lo  dispiacere 
dell'impresa  così  mal  felice  con  tanto  perdimento  di 
spesa:  e  dopo  essere  stato  gran  tempo  in  pericolo 
della  vita,  alfine  confortato  dall'  allegrezza  perchè 
la  regina  Bianca  sua  moglie  gli  aveva  in  Napoli  par- 
torito un  figliuolo,  navigò  con  lei  verso  Spagna  al 
fine  di  quell'estate  e  consumò  tutto  quel  verno  nel 
preparare  le  cose  necessarie  a  rinnovare  al  principio 
dell'  altro  anno  con  maggior  forza  la  guerra,  e  per 
potere  essere  piìi  presto  ad  assaltare  l'isola  veden- 
do quanto  l'anno  passato  gli  fu  dannosa  la  tardan- 
za. Dall'  altra  parte  re  Carlo  in  Napoli  ,  sollecitato 
dai  figli  suoi  giovani  e  bellicosi,  con  simile  atten- 
zione pose  in  ordine  la  parte  dell'armata  che  toc- 
cava a  lui:  talché  giunto  re  Giacomo  a  Napoli  con 
lo  sforzo  dell'armata  sua  all'ultimo  d'aprile,  ai  ven- 
tiquattro del  seguente  maggio  furono  in  punto  le 
galee  e  le  navi  apparecchiate    in    Napoli  e  cariche 


326 
di  cavalieri  e  di  pedoni,  quel  dì  medesimo  fecero 
vela  per  la  Sicilia.  Roberto  duca  di  Calabria  e  Fi- 
lippo principe  di  Taranto,  figli  di  re  Carlo,  di  comun 
voto  con  re  Giacomo  fecero  generale  dell'una  e  del- 
l' altra   armata  Ruggiero  di  Loria. 

La  battaglia  di  Capo  Orlando  decise  della  na- 
vale potenza,  ma  non  dell'  onore  della  Sicilia.  Per 
questa  così  memorabile  rotta  seguita  con  tanta  glo- 
ria di  Ruggiero  rimasero  tanto  afflitte  le  cose  de' 
siciliani,  cbe  non  fu  persona  a  que'  tempi  che  non 
giudicasse  che  Sicilia  tra  pochi  dì  avesse  a  venire 
in  mano  di  re  Giacomo  e  di  re  Carlo  IL  Ma  seguì 
effetto  al  tutto  contravio,  che  dimostrò  quanto  sia- 
no incerti  g!i  effetti  delle  cose  umane  contro  il  giu- 
dizio e  r  opinione  universale;  perchè  re  Giacomo 
credendo  d'aver  tanto  abbassato  e  consumato  le  for- 
ze di  Federico  ,  che  le  genti  di  re  Carlo  sotto  il 
governo  di  Ruggieri  di  Loria  non  avessero  a  fare 
altro,  che  fra  pochi  giorni  pigliare  la  possessione 
dell'  isola,  non  volle  procedere  più  oltre,  parendo- 
gli d'  aver  soddisfatto  al  mondo,  al  papa  e  a  re  Car- 
lo, avendo  in  due  guerre  tanto  speso  e  posto  in  pe- 
ricolo la  persona  sua  nella  prima  con  1'  infermità, 
ed  in  questa  battaglia  con  una  ferita,  che  nulla  ri- 
manesse più  a  fare  in  vantaggio  di  re  Carlo.  Ed  in 
fatti  essendo  venuti  Roberto  duca  di  Calabria  e  Fi- 
lippo principe  di  Taranto  e  Ruggiero  a  visitarlo  , 
dappoiché  fu  medicata  la  ferita  ,  egli  parlò  loro  in 
questo  modo:  «  Poiché  ha  piaciuto  alla  clemenza 
»  e  alla  giustizia  di  Dio  darmi  comodità  con  sì  no- 
))  tabile  vittoria  d'  adempire  quanto  io  alla  sede 
»  apostolica    e  alla    maestà  di    re  Carlo    per  virtù 


327 

))  dei  patti  della  pace  dovea  ,  né  resta  altro  che 
»  pigliar  la  possessione  di  Sicilia:  poiché  voi  signori 
»  avete  visto  che  Federico  mio  fratello  in  questa 
»  battaglia  navale  ha  perduto  le  forze  di  mare  e  di 
»  terra,  e  l'isola  si  ritrova  tanto  esausta,  e  consu- 
))  mata  eh'  è  impossibile  a  poter  mai  piiì  levar  la 
»  testa  :  mi  par  tempo  di  ritornare  in  Ispagna  ai 
»  regni  miei  ,  per  disponere  le  cose  in  modo  che 
»  quei  popoli,  impoveriti  per  le  gravezze  sostenute 
))  in  questa  guerra,  vengano  a  rifarsi  col  fine  de'dan- 
»  ni  presenti  e  con  la  sicurtà  di  quelli,  che  da  loro 
»  si  temono  per  l'avvenire.  Però,  sig.  duca  di  Ca- 
»  labria  ,  io  vi  lascio  1'  ammirante  Ruggiero  ,  con 
»  la  virtù  del  quale  non  solo  in  questi  tempi,  che 
»  i  nemici  sono  in  tanta  ruina  ,  ma  quando  fosse 
»  alcuna  difficoltà  nel  fine  della  guerra  si  potrebbe 
»  aspettare  certa  vittoria;  e  quando  per  alcuno  ac- 
»  cidente  il  fine  dell'impresa  tardasse,  io  non  mau- 
j>  cherò  d'  essere  il  medesimo  che  sono  stato  sino 
»  a  questo  dì  con  la  persona  e  con  le  forze  de'  re- 
»  gni  miei.  »  11  duca  di  Calabria,  ch'era  giovane  di 
ventitré  anni  ed  avidissimo  di  gloria,  accettando  per 
vero  tutto  quello  che  il  re  dicea,  e  rendendogli  in- 
sieme lodi  e  grazie  a  nome  di  re  Carlo  suo  padre 
di  quanto  avea  fatto,  pregò  Iddio  che  gli  desse  pro- 
spero felice  viaggio:  e  cosi  pai-tendo  il  re  con  mol- 
ta amorevolezza  mostrata  a  lui  e  al  fratello,  rimase 
allegro  di  questa  partita,  credendosi  che  resterebbe 
a  lui  r  onore  di  quello  eh'  era  fatto  con  le  forze 
altrui:  e  molto  più  rimase  allegro  Ruggiero,  giudi-- 
caudo  che  siccome  era  stata  sua  la  gloria  della  vit- 


328 
toria,  tale  ancor  sarebbe  l'onore  di  quello  che  ave- 
va  a  succedere. 

Tra  questo  mezzo  riavutosi  Federico  e  giunto 
con  dodici  galee  in  Messina  ,  trovò  che  in  quella 
città  si  era  intesala  rotta  con  la  morte  sua;  e  quei 
cittadini  vedendolo  vivo  fecero  tanta  allegrezza  e 
festa  quanta  avrebbero  fatto  se  fosse  ritornato 
con  la  vittoria.  In  quel  medesimo  tempo  intese 
che  il  duca  di  Calabria  e  Ruggiero  aveano  messo 
l'esercito  a  terra  e  posto  campo  a  Randazzo;  e  es- 
sendo vennto  avviso  a  Messina  che  re  Giacomo  era 
partito,  convocò  parlamento  generale,  e  dissimulan- 
do la  malinconia  con  generoso  parlare  essortò  tutti 
che  stessero  di  buon  animo  ,  perchè  sebbene  egli 
avea  perduta  la  giornata,  i  nemici  aveano  perduto 
più  di  lui  essendo  scompagnati  dalle  forze  di  re 
Giacomo  che  s'  era  partito,  e  che  le  altre  forze  ri- 
maste non  era  possibile  che  non  fossero  diminuite 
molto  per  quei  valenti  uomini  eh'  erano  morti  nel- 
la battaglia:  onde  era  agevol  cosa  di  contrastar  loro 
e  di  proibirli  per  quell'  anno  d'  ogni  effetto  impor- 
tante. Intanto  raccolse  nuovo  esercito  e  andò  a  por- 
si con  tutto  il  suo  sforzo  a  Castrogiovanni,  luogo 
di  natura  fortissimo  e  opportuno  a  soccorrere  ovun- 
que il  bisogno  lo  chiamasse.  Il  duca  di  Calabria  non 
avendo  potuto  ottenere  Randazzo,  andò  sopra  Ador- 
no, Castiglione,  la  Roeella  ,  mosse  contro  Paterno, 
Bucchiero,  e  alcune  altre  castella  che  tutte  a  lui  si 
resero.  Prese  e  saccheggiò  Chiaramonte,  dove  tro- 
vò molta  resislenza. 

Seguì  la  resa  di  Catania,  la  battaglia  alla  Fal- 
conara, e  la  battaglia  navale  di  Ruggiero  di  Loria 


329 

e  di  Corrado  Doria,  dove  le  galee  siciliane  combat- 
terono con  tanto  valore,  quanto  si  potea;  ma  non 
poterono  durare  contro  a  quelle  di  Ruggiero  ,  che 
erano  di  maggior  numero  ;  la  galea  di  Corrado  , 
che  facea  maraviglie,  e  che  non  potendo  altri- 
menti superarsi  ,  Ruggiero  avea  comandato  che 
vi  fosse  appiccato  il  fuoco  ,  avendo  incomincialo 
ad  ardere  ,  basso   lo  stendardo  reale  e  si  rendè. 

Seguì  r  assedio  di  Messina,  dove  Federico  per- 
de il  valoroso  Blasco  d'Alagona,  che  morì  per  gran 
fatica  d'  anima  e  di  corpo  in  conservare  quella  cit- 
tà: nel  qual  tempo  ridottasi  tutta  l'isola  in  estrema 
penuria  ,  Federico  andò  a  Siracusa  e  col  mezzo  di 
Violante  duchessa  di  Calabria,  eh'  era  sua  sorella  , 
incominciò  a  trattare  di  tregua  ,  che  fu  conchiusa 
per  sei  mesi. 

Fra  questi  sei  mesi  papa  Bonifazio  pensò  in  fa- 
vore di  re  Carlo  favori  ed  aiuti  nuovi  con  bella 
occasione:  perchè  essendo  morta  a  Carlo  di  Valois 
fratello  del  re  di  Francia  la  prima  moglie  eh'  era 
figlia  di  re  Carlo,  il  Valois  pigliò  una  figlia  di  Fi- 
lippo figlio  dell'  ultimo  Balduino  imperator  di  Co- 
stantinopoli, erede  di  molti  luoghi  in  Grecia  e  del 
titolo  e  della  ragione  dell'impero,  ch'era  slato  oc- 
cupato dal  Paleologo;  e  con  aiuto  del  re  di  Fran- 
cia e  del  papa  voleva  andare  all'in^presa  di  Costan- 
tinopoli. Ed  essendo  nel  viaggio  ,  il  papa  1'  istigò 
che  si  fermasse  a  Fiorenza  per  comporre  con  1'  au- 
torità sua  alcune  discordie,  eh'  erano  in  quella  cit- 
tà; ed  essendovisi  fermato  con  intenzione  d'opera- 
re qualche  buon'  effetto  e  d'  avere    dal  comune  di 


330 

Fiorenza  qualche  aiuto  per  l'impresa  sua,  non  pe- 
rò seguì  la  pace  ;  perchè  essendo  egli  persona 
militare  ed  istruito  piti  di  guerra  che  di  pace  e 
di  cose  politiche,  piìi  tosto  cagionò  discordie ,  che 
alcuna  sorte  di  pace.  Ma  non  finirono  qui  i  fa- 
vori di  Bonifazio  Vili,  che  saldo  nella  massima  di 
avversare  i  discendenti  dalla  stirpe  Sveva  persuase  al 
Valois,  giunto  in  Roma,  che  l'impresa  di  Costanti- 
nopoli sarebbe  stata  più  agevole  aiutando  egli  re 
Carlo  a  fornir  l' impresa  di  Sicilia,  perchè  avrebbe 
egli  avuto  da  re  Carlo  più  pronti  e  più  comodi 
soccorsi  ,  che  non  avrebbe  avuti  dal  re  Carlo  suo 
fratello.  Accettò  il  consiglio  il  Valois,  e  venne  a  Na- 
poli con  poderosissimo  esercito  in  quel  tempo  che 
Federico  avea  preso  per  forza  Aidone:  e  non  è 
dubbio  che  vedendosi  tanto  numero  di  nemici  nel- 
r  isola  ognuno  giudicava  le  cose  di  Federico  dispe- 
rate, perchè  non  si  vedeva  né  s'  aspettava  in  esso 
facoltà  di  riparare  a  tanto  sforzo  di  mare  e  di  ter- 
ra. Pur  vedendosi  che  dopo  aver  preso  Termine  il 
Valois  perde  molti  giorni  senza  fare  altro,  il  re  Fé-- 
dorico  con  quel  vigor  d'animo  ch'era  suo  naturale, 
e  con  quella  prudenza  in  che  superò  ciascun  re  del 
suo  tempo  ,  andò  compartendo  le  genti  sue  poche 
a'  luoghi  maggiori  d'importanza,  e  raccomandandogli 
ad  uomini  fedeli  e  valenti  operò  per  modo  che  così 
aspettando  il  tempo  diminuisse  la  forza  dei  nemici 
ed  aumentasse  la  sua. 

Né  prima  cominciò  a  pensare  alla  pace  ,  che 
vedesse  impossibile  resistere  a  sì  grande  esercito. 

Intanto  il  re  Federigo,  persistendo  nel  suo  pro- 
posito, non  comparve  mai  in  campagna,  sol  miran- 


331 

do  a  guardar  le  terre:  perchè  vedea  che  un  sì  gran- 
de esercito  ,  come  era  il  nemico  ,  non  potea  non 
dissolversi  presto  o  per  mancamento  o  di  paghe  di 
vettovaglie.  Pur  non  mancava  con  la  solita  destrez- 
za, e  con  r  aiuto  d-e'  cavalieri  siciliani,  che  gli  ser- 
virono mirabilmente,  di  trovarsi  dov'era  il  bisogno, 
ed  assaliva  le  scorte  che  conducevano  vettovaglio: 
finché  dopo  brevi  dì  nel  campo  cominciarono  a  sen- 
tir penuria,  ed  infermando  gran  quantità  di  soldati, 
incominciò  il  Valois  a  dare  orecchio  a  parole  di 
pace;  e  furono  fermati  i  capitoli  della  pace. 

Questi  furono  che  re  Federico  in  vita  fosse  re 
di  Sicilia  e  poi  ritornasse  liberamente  a  re  Carlo 
ed  a'  suoi  eredi:  eh'  ei  s'intitolasse  non  re  di  Sicilia 
ma  re  di  Trinacria:  e  che  a  lui  si  tornasse  in  ter- 
mine di  quindici  dì  ogni  terra  che  in  Sicilia  si  te- 
nea  per  lo  re  Carlo,  e  al  medesimo  termine  egli  resti- 
tuisse ogni  terra  ed  ogni  fortezza  che  in  (Calabria 
teneano  bandiera  sua:  che  dall'una  e  dall'altra  parte  si 
liberassero  i  prigioni  senza  pagar  taglia:  che  re  Fede- 
rico pigliasse  Eleonora  figlia  terza-genita  di  re  Carlo 
per  moglie;  che  re  Carlo  procurasse  che  il  papa  avesse 
a  ratificar  la  pace  e  così  ad  investirlo  o  di  Sardegna  o 
di  Cipri:  dove  poi  rimanessero  i  figliuoli,  che  nasce- 
vano da  questo  matrimonio,  ed  acquistando  re  Fe^ 
derico  di  quei  regni  o  l' imo  o  1'  altro,  che  andas- 
se a  regnarvi  restituendo  subito  a  re  Carlo  il  re- 
gno di  Sicilia;  pagandogli  a  conto  di  sua  dote  cen- 
tomila onze  d'  oro.  E  qui  terminò  la  guerra  di  Si- 
cilia; e  questa  pace  per  tutta  l'Europa  si  giudicò  mol- 
to vantaggiosa  ed  onorata  per  lo  re  Federico,  e  fino 
al  cielo  esaltarono  la  virtù  sua,  che  con  deboli  for- 


332 

ze  d'  un  poco  regno ,  ei  solo  erasi  mantenuto  e 
difeso  da  molti  avversari  poderosi;  e  quantunque 
la  condizione  eh'  egli  fosse  re  in  vita  parea  ono- 
rata per  1'  altro,  niente  di  meno  chi  era  giudizioso 
mirava,  che  dopo  sua  morte  s'  avrebbe  ad  entrare 
all'  esecuzione  della  pace  piuttosto  con  1'  arme  che 
con  la  carta  de'capitoli;  laddove  si  tenne  poco  ono- 
rata per  Carlo  di  Valois:  e  da  Giovan  Villani  è  scrit- 
to che  '1  motteggiarono  per  Italia  ,  eh'  era  andato 
in  Fiorenza  a  ponervi  pace,  e  vi  lasciò  nuova  guer- 
ra: e  eh'  era  andato  in  Sicilia  a  far  guerra,  e  par- 
tivane  con  disonorata  pace. 

Così  declinarono  in  un  istante  le  cose  delia  Si- 
cilia ,  e  Bonifazio  approvò  que'  patti  che  ne  ca- 
gionarono la  rovina. 

Né  per  quanto  onorati  fossero  quei  patti  coi  qua- 
li fu  resa  la  Sicilia  ,  erano  però  da  lodare  in  Fe- 
derico la  condiscendenza,  colla  quale  aveva  accon* 
sentito  al  matrimonio  d'  Eleonora:  e  una  tal  con- 
discendenza verso  gli  Angioini  aveva  fatto  oltraggio 
allo  svevo  ed  aragonese  nome  ed  alla  dignità  me- 
desima della  Sicilia. 

Già  la  bella  Trinacria,  quell'  isola  che  i  poeti  fìn- 
sero essere  stata  data  in  dote  allo  stesso  Giove,  era 
irreparabilmente  caduta  sotto  il  giogo  degli  Angioini. 

Ahi!  quanto  erasi  mutata  la  corte  di  Sicilia  do- 
po le  malaugurate  nozze  Angioine! 

Non  più  a  giostre,  a  torneamenti,  e  gualdane, 
a  caroselli,  come  per  lo  addietro  vi  si  attendeva, 
ma  sì  bene  a  cacce,  a  conviti,  a  serenate  ed  a  balli. 
Le  grazie,  le  ricompense  non  piìi  erano  l'appannag- 


333 

gio  degli  ottimi,  ma  degli  adulatori  e  dei  giullari; 
ed  un  Minuccio  d'  Arezzo  più  festeggiato  vedevasi 
nella  reggia,  che  i  prodi  di  Capo  Orlando,  di  Fal- 
conarla, di  Gagliano,  e  di  Ponza.  Quel  trono,  ove 
con  tanta  gloria  teste  sedeva  il  fìgliuol  di  Pietro 
d'Aragona,  il  nipote  di  Manfredi,  or  deturpato  pa- 
reva da  un  volgare  principe  ,  immerso  in  asiati- 
che morbidezze  ,  e  da  pravissimi  uomini  cinto  ed 
ingannato.  Federico  in  somma  tanto  grande  nel 
campo,  altrettanto  dappoco  nel  soglio,  era  il  ludi- 
brìo  dei  suoi  nemici:  ed  obbliando  che  non  mai  un 
parentado  estinse  le  gare  di  regno,  ogni  giorno  più 
inviluppavasi  ne'loro  lacci,  senza  neppur  sospettare 
da  chi  gli  fossero  tesi.  Imperocché  sua  moglie  Eleo- 
nora, sebbene  fosse  di  costumi  severi  e  tenerissima 
del  consorte,  pur  nata  come  ell'era  al  tempo  che 
più  infuriava  la  guerra  tra  gli  Angioini  e  la  Sicilia, 
cioè  soli  sette  anni  dopo  il  vespro,  ed  allevata  in 
una  corte  che  sol  pascevasi  d'odio  e  vendetta  con- 
tro i  siciliani,  questi  s«^ntimenti  da  lei  succhiati  col 
latte  ella  pur  conservava  tenacemente:  e  se  il  con- 
iugale affetto  comandavale  un'eccezione  per  Federico, 
gl'isolani  però  e  soprattutto  coloro,  che  avevan  pri- 
meggiato nella  sommossa,  o  contro  l'armi  Angioine, 
più  0  men  palesemente  ella  detestava.  Così  Fede- 
rico inaridir  faceva  gli  allori  sul  suo  capo,  obbliava 
le  sue  prodezze  passate  e  tradiva  l'onor  della  Sici- 
lia. E  l'esule  fiorentino,  l'Alighieri,  che  dedicar  vo- 
leva a  Federico  la  sua  cantica  del  Paradiso,  come 
ad  un  dei  tre  soli  magnanimi  di  quelfetà,  quasi  ob- 


334 

bliando  le  sue  virtù,  ora  Io  detestava  come    dege- 
nere figlio  di  Pietro  d'Aragona: 

E  se  re  dopo  lui  fosse  rimaso 
Lo  giovinetto  che  retro  a  lui  siede, 
Ben  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso. 

Ora  tacciavalo  di  dappocaggine,  di  viltà  e  d'avarizia, 

Vedrassi  l'avarizia  e  la  viltate 

Di  quel  che  guarda  Pisola  del  fuoco 
Ove  Anchise  finì  la  lunga  etate. 

Eh  dare  ad  intender  quanto  è  poco. 
La  sua  scrittura  fien  lettere  mozze 
Che  noteranno  molto  in  parvo  loco. 

Ora  facevalo  pianger  vivo  dalla  Sicilia: 

E  quel  che  vedi  nell'arco  declivo 
Guglielmo  fu,   cui  quella  terra  plora 
Che  piange  Carlo  e  Federico  vivo. 

Niun  comentatore  della  Divina  Commedia,  per 
quanto  è  a  mia  notizia,  ha  fatto  il  menomo  cenno 
intorno  all'origine  dell'odio  e  dello  spregio  di  Dante 
pel  re  Federico  di  Sicilia  ,  cui  nella  seconda  e 
terza  cantica  ricopre  di  siffatte  contumelie.  E  tanto 
più  questi  dispregi  del  poeta  avrebbero  bisogno  di 
spiegazione,  in  quanto  che  singolarmente  si  oppon- 
gono all'anunirazione  che  Federico  avea  destata  non 


335 

solo  in  tutti  i  suoi  contemporanei,  ma  nel  mede- 
simo Alighieri:  perciocché  se  dobbiamo  credere  al- 
l'apocrifo Boccaccio  ed  alla  lettera  scritta  da  frate 
Ilario  del  Corvo  ad  Uguccione  della  Faggiuola,  che 
conservasi  nella  Laurenziana,  la  quale  ancora  io  sti- 
mo apocrifa  e  che  il  Troya  trascrive  nel  suo  Veltio 
Allegorico,  Dante  dedicar  voleva,  come  dicemmo,  a 
Federico  la  sua  cantica  del  Paradiso. 

Potentissimo  adunque  dovette  essere  il  motivo, 
che  rivolger  dovette  il  suo  affetto  in  isdegno  ,  la 
sua  ammirazione  in  disprezzo,  per  cui  quegli  stesso 
che  poco  prima  avea  chiamato  i  due  fratelli  Fede- 
rico e  Iacopo  onor  di  Sicilia  e  d'Aragona,  poscia 
con  parole  di  così  amaro  disprezzo  si  rivolgesse  verso 
quel  monarca  Federico. 

Ne  posso  io  col  Balbi  e  col  Troya  ritrovare  le 
ragioni  di  questo  cambiamento  nel  rifiuto  fatto  dal- 
l'aragonese della  signoria  di  Pisa  e  così  dell'ufficio 
di  capo  ghibellino  in  Toscana. 

E  molto  meno  posso  ritrovarle  nella  natura  della 
pace  fatta  da  Federico,  nel  mediator  di  questa  pace, 
il  cardinal  Niccola  da  Prato  che  fu  poi  il  persecutor 
dei  bianchi  di  Fiorenza,  e  nella  condotta  di  quel  re 
verso  ^i  Roma  ,  a  cui  restituì  tutte  le  chiese  ,  di 
cui  era  in  possesso  prima  che  si  rivoltassero  contro 
re  Carlo,  come  appare  dalla  formola  del  giuramento 
che  Corrado  Doria  in  nome  del  re  Federico  diede" 
a  Benedetto  XI,  che  trovasi  nel  Rainaldi  alla  rubrica 
del  1303,  parag.  50, 

Ed  ancorché  ciò  volesse  farsi,  bisognerebbe  as-^ 


336 

segnare  a  questo  cambiamenlo  una  data  anteriore 
al  1308. 

Ma  il  Troya  slesso  dimostra  con  validi  argomenti 
che  la  lettera  del  fiate  Ilario  fu  scritta  nel  1308,  e 
che  la  seconda  e  la  terza  cantica  furon  dopo  quel- 
l'anno composte  dal  poeta.  E  siccome  in  queste  due 
cantiche  leggonsi  soltanto  i  motti  di  lui  contro  Fe- 
derico, così  non  prima  del  1308  dovette  l'aninio 
di  Dante  cambiarsi  contro  di  lui. 

/  pisani,  dice  il  Troya,  offrirono  al  re  di  Sici^ 
Ha  la  signoria  della  .oro  ciltcr,  ma  il  suo  rifiuto  ina^ 
cerbi  la  loro  sciagura  e  contro  esso  accrebbe  i  dis~ 
degni  dell'Alighieri. 

Ove  però  ad  accurata  disamina  soggiaccia  questa 
opinione,  si  troverà  del  tutto  priva  di  fondamento; 
1."  perchè  il  Mussato,  il  Ferretti,  lo  Speciale,  tutti 
autori  sincroni, affermano  che  Federico  venne  in  Pisa, 
dopo  aver  saputo  la  morte  dell'imperator  Arrigo  di 
Lucemburgo,  e  che  vi  venne  con  fermo  proposito 
di  surrogarlo  nel  capitanato  dei  ghibellini  italici;  2." 
perchè  il  suo  rifiuto  della  signoria  pisana  e  la  sua 
partenza  da  Pisa  accaddero  dopo  che  i  duci  tede- 
schi venuti  con  Arrigo  furonsi  ritirati  in  Germania 
abbandonando  gl'itali  ghibellini,  e  dopoché  i  pisani 
ebbero  cominciato  pratiche  di  pace  coi  lucchesi  e 
con  re  Roberto;  3.°  perchè  non  era  Dante  irragio- 
gionevole  in  modo  da  pretendere  che  Federico,  la- 
sciando il  suo  regno  esposto  agli  assalti  Angioini, 
dovesse  consacrarsi  alla  difesa  di  Pisa  e  dei  fuo- 
rusciti di  Firenza;  ne  era  tanto  ingiusto  da  incolpare 
quel  re  dell'abbandono  de'suoi  amici,  mentre  costoro 
in  vece  Federico  stesso  abbandonavano. 


337 

M;i  sussista  anche  l'opinione  del  Troya:  egli  però 
non  dice  che  il  rifiuto  della  signoria  pisana  cagionò 
ì  disdegni  di  Dante,  ma  che  gli  accrebbe.  E  in  vero 
se  tai  disdegni  fossero  surtì  soltanto  dopo  la  morte 
di  Arrigo  VII.;  cioè  in  novembre  del  1313;  non  li 
avrebbe  Dante  potuti  significare,  che  nella  terza  can- 
tica ,  cominciata  senza  dubbio,  come  ben  prova  il 
il  Troya  stesso,  dopo  quell'anno.  Ma  noi  Ji  vediamo 
in  vece  la  prima  volta  espressi  nel  canto  VII  della 
seconda  composta  fra  il  1308  ed  il  1313,  segno 
infallibile  che  in  questo  mezzo  tempo  dovetter  sor- 
gere. 

Or  se  nel  1308  Dante  diceva  nell'  apocrifa  let- 
tera al  frate  Ilario  di  reputare  re  Federico  uno  de' tre 
soli  magnanimi  di  quell'età:  se  nel  1313,  secondo  il 
Troya,  il  rifiuto  della  signoria  pisana  fatto  da  quel 
re  accrebbe  i  disdegni  dell'Alighieri  contro  di  lui , 
ben'altra  adunque  dovette  esser  la  prima  cagione  di 
tai  disdegni. 

Potentissimo  adunque  io  dissi,  e  forse  particolare 
dovette  essere  il  motivo  che  rivolger  dovette  l'affetto 
dell'Alighieri  in  isdegno,  e  la  sua  ammirazione  in  al- 
tissimo disprezzo. 

E  dove  è  mai  più  naturale  il  cercarlo  e  pili  facile 
il  ritrovarlo  che  nella  tristissima  condizione  dell'esule 
illustre? 

Dimandò  questi  forse  a  Federico  un  asilo,  e  forse 
da  Federico  gli  venne  rifiutato. 

L'apocrifo  Boccaccio, dopoaverdettodella  dimoradi 
Dante  inParigicontinua  a  narrareche«  sentendo  Arrigo 
della  Magna  partirsi  per  soggiogare  Italia  alla  sua  mae- 
stà in  parte  ribella,  e  già  con  potentissimo  braccio 
tenere  Brescia  assediata,  avvisando  lui  per  molte  ra- 
G.A.T.CXLIV.  22 


338 

gioni  dover  essere  vincitore,  prese  speranza  colla  sua 
forza  e  colla  sua  giustizia  di  potere  tornare  in  Fi- 
renze, comecché  a  lui  la  sentisse  contraria.  Perchè 
ripassate  le  Alpi  con  molti  nemici  de'  fiorentini,  e 
di  lor  parte  congiuntosi,  e  con  ambascerìe  e  con  lettere 
s'insegnarono  di  trarre  lo  imperatore  dall'assedio  di 
Brescia,  acciocché  a  Fiorenza  il  ponesse,  siccome  a 
principal  membro  de'  suoi  nemici;  mostrandogli  che 
superata  quella,  ninna  fatioa  gli  restava,  o  piccola, 
ad  aver  libera  ed  espedita  la  possessione  e  il  dominio 
di  tutta  Italia    ». 

Così  l'apocrifo  scrittore  della  vita  di  Dante  che 
pone  il  ritorno  di  Dante  al  tempo  dell'assedio  di  Bre- 
scia: il  che  non  p^iò  essere,  a  parere  del  Balbo,  poi- 
ché questi  già  scriveva  dai  fonti  d'Arno  addì  16  aprile 
1311,  quando  appena  Arrigo  si  partiva  di  Pavia.  Ma 
si  può  quindi  probabilmente  inferire,  ch'ei  fosse  poco 
prima  tornato;  che  in  una  delle  città  del  Piemonte 
o  di  Lombardia,  fin  d'allora  visitate  da  Arrigo,  egli 
il  vedesse  e  si  congiungesse  co'suoi  compagni  d'esilio, 
come  apparisce  dalla  famosa  lettera  scritta  nell'ori- 
ginale latino,  della  quale  tanto  nell'originale  che  in 
un  antico  volgarizzamento  la  direzione  é  così:  «  Al 
gloriosissimo  e  felicissimo  trionfatore  e  singolare  si- 
gnore messer  Arrigo,  per  la  divina  provvidenza  re  de 
romani  e  sempre  accresci tore,  i  suoi  devotissimi  Dante 
Alighieri  fiorentino  e  non  meritamente  sbandito,  e 
tutti  i  toscani  universalmente  che  pace  desiderano, 
mandano  baci  alla  terra  dinanzi  a'  vostri  piedi  ». 

A  Dante,  movitor  qui  di  principe  straniero  contro 
la  propria  città,  io  non  saprei  scusa  che  valga:  do- 
gliamoci  0  passiamo. 


339 

Fatto  è  che  Ari'igo,  passata  la  pasqua  in  Pavia 
addì  17  aprile  1311,  la  dimane  della  lettera  di  Dante 
partì  e  compose  tutte  le  minori  sollevazioni. 

Ma  contro  Brescia  gli  fu  forzii  venire  a  campo 
ed  aprir  guerra.  Incominciò  a  maggio,  durò  quattro 
mesi  e  vi  s'inferocì.  Così  doveva  succedere,  fondan- 
dosi i  tedeschi  sul  diritto  d'imperio ,  gì'  italiani  su 
quello  di  libertà  egualmente  incontestabili  a  senno 
di  ciascuno:  e  così  accusandosi  questi  da  quelli  d'in- 
fedeltà, quelli  da  questi  d'oppressione. 

Di  Brescia  per  Cremona,  Piacenza  e  Pavia  e  Tor- 
tona venne  Arriso  a  Gevova  in  sul  novembre  avviato 
a  Toscana.  E  qui  Roberto  re  di  Napoli  mandava  gente, 
sollevava  città.  Bologna,  Firenze  s'apparecchiavano 
apertamente  ,  e  Siena  ,  per  dir  la  parola  dantesca  , 
barcheggiava. 

Gli  ambasciatori  d'Arrigo,  che  non  avean  potuto 
entrare  in  Firenze  né  in  Bologna,  si  raccolsero  prima 
nei  castelli  dei  conti  Guidi,  e  quindi  per  mezzo  di 
altri  signori  ghibellini  meno  scoperti  ivan  citando 
i  signori  in  persona  e  le  città  per  sindaci  o  com- 
missari, a  comparire  dinanzi  al  re  de'  romani.  I  meno 
ardili  dimandavano  dilazione  fino  a  che  ei  fosse  in 
Pisa. 

I  più  andarono  a  Genova,  e  fra  questi  Uguccion 
della  Faggiuola. 

Di  Dante  si  vuol  dire  che  parte  di  quest'  anno 
1311  ei  passasse  a  Forlì,  se  abbiamo  a  credere  a 
Pellegrino  Calvi,  che  dice  aver  copiato  un'epistola 
di  lui  di  là  scritta  in  nome  degli  esuli  fiorentini  a 
Cane  della  Scala,  dove  era  narrato  l'infelice  successo 
degli  ambasciatori  d'Arrigo  ai  fiorentini.  Di  là  poi 


340 

pare  che  venisse  con  gli  altri  fuorusciti  e  con  Uguc- 
cione  a  Genova. 

Poco  durò  in  Italia  e  invitaTinvano  buone  e  prode 
imperatore  dopo  le  sue  vergogne  di  Roma  e  di  Fi- 
renze, e  dopo  aver  mandato  di  Pisa,  o  poco  prima, 
suo  vicario  a  Genova  quell'Uguccione  della  Faggiuola 
che  l'avea  seguito,  come  pare,  da  un  anno,  e  certo 
all'assedio  di  Firenze,  attese  agli  apparecchi  contro 
Roberto  re  di  Puglia,  dichiarato  da  lui  nemico  del-, 
l'imperio,  e  fatto  da  Firenze  e  Lucca  signore  loro 
per  cinque  anni. 

Federico  Aragonese  aiutava  l'imperatore  con  un' 
armata  di  mare,  e  i  ghibellini  aiutavano  pure,  ma 
poco,  pressato  ch'era  ciascuno  dai  guelfi  vicini.  Ma 
Arrigo  avviatosi  per  la  Maremma  toscana  addi  5  ago- 
sto 1313,  e  inoltratosi  fino  a  Buonconvento  presso 
a  Siena,  la  solita  infermità  degli  eserciti  settentrio- 
nali ,  che  avea  mietuto  già  parecchie  di  sue  genti 
e  teneva  lui  malconcio  da  alcun  tempo  ,  inasprita 
probabilmente  da  quelle  arie  cattive,  lo  spense  addì 
24  dello  stesso  mese. 

Il  corpo  trasportato  per  le  deserte  maremme  dal 
desolato  e  disperso  esercito  ghibellino  fu  recato  a 
Pisa.  Accorsevi  approdando  re  Federico  di  Sicilia. 
1  pisani  gli  offersero  la  signoria  di  lor  città:  ma  egli 
se  ne  trasse  indietro,  ed  essi  diederla  ad  Uguccione, 
che  se  ne  fé  centro  per  poco  tempo  a  maggior  for- 
tuna. 

Dante,  di  cui  non  è  traccia  da  Genova  in  qua, 
era  probabilmente  venuto  a  Pisa  a  un  tempo  che 
l'imperatore,  ed  ivi  o  presso  ai  Malaspina  nella  Lu- 
nigiana  era  dimorato  nell'anno  che  Arrigo  correva 


341 

a  Koma  ,  intorno  a  Firenze  ,  a  Pisa  ,  a  Buoncon- 
vento. 

In  Pisa  potè  Dante  conoscere  Federico  Arago- 
nese, a  cui  intendeva  dedicare  la  terza  cantica. 

E  in  Pisa  fra  l'agosto  1313,  e  novembre  1314, 
ritroviamo  Dante,  dove  probabilmente  compiè  o  fece 
gran  parte  della  Monarchia  e  del  Purgatorio  sotto 
la  protezione  di  Uguccione  della  Faggiuola,  signore 
di  quella  città  dopo  il  misero  rifiuto  del  re  di  Sicilia. 

Quindi  Lucca  fu  signoreggiata  da  Pisa,  e  Lucca 
e  Pisa  da  Uguccione.  E  sotto  lo  schermo  deiramico 
potè  quindi  senza  pericolo  entrar  Dante  in  Lucca, 
quantunque  da  lui  ingiuriata  nell'Inferno.  E  termi- 
nando poco  appresso  ,  anzi  appunto  nel  restante  di 
quell'anno  1314,  la  cantica  del  Purgatorio  v'intro- 
duce va  quel  Bonaggiunta  da  Lucca.  Che  come  il  canto 
XXIV,  ove  è  menzione  del  soggiorno  di  Lucca,  non 
potè  esser  fatto  prima  del  giugno,  così  il  XXXI 11  ed 
ultimo  non  potè  esser  fatto  dopo  il  novembre  1314; 
poiché  dal  trovar  Filippo  il  Bello  re  di  Francia,  un  al- 
tro dei  più  grandi  avversari  di  Dante,  menzionato 
ancora  e  minacciato  come  vivente  nell'ultimo  canto 
del  Purgatorio,  si  trae  la  data  più  certa  che  sia  della 
composizione  di  qualunque  parte  della   commedia. 

E  già  caduto  Uguccione  nel  1315,  ignorasi  se 
poi  Dante  restasse  in  Lucca  col  nuovo  signore  Ca- 
struccio  (che  è  possibile  essendo  questi  ghibellino) 
0  se  seguitasse  i  Faggiuolani  presso  ai  Malaspina  co- 
muni amici  e  poi  in  Romagna.  Certo  verso  questi 
tempi  trovasi  anch'esso  a  nuovo  rifugio  in  Verona 
appresso  a  Can  Grande  della  Scala;  che  a  tal  si  - 
gnore  di  gran  potenza  e  fortuna  venne  come  capi- 


U2 

tano  di  luì  Ugiu'cione  nel  J316,  e  intorno  al  me- 
desimo tempo  come  esule  il  nostro  Dante. 

Ma  a  qual  tempo  vorrò  io  riporre  il  rifiuto  da 
Federico  fatto  all'esule  fiorentino,  che  lo  addiman- 
dava  di  ricovero,  se  non  circa  a  questo  tempo;  cioè 
circa  il  1313  e  il  1316,  prima  cioè  del  suo  arrivo 
in   corte  di  Can  Grande  ? 

E  amplissima  testimonianza  a  me  ne  porge  una 
lettera  di  lui,  seguente  probabilmente  di  poco  il  suo 
arrivo  plesso  a  Can  Grande;  la  lettera  con  che  ri- 
volgeva a  questo,  tolta  a  Federico  di  Sicilia,  la  de- 
dica del  Paradiso  non  finito ,  anzi  nemmeno  inol- 
trato. 

Certo  è  che  il  Boccaccio  parlando  di  quella  de- 
dica delle  tre  cantiche  ai  tre  Uguccione,  Moroello 
Malaspina,  e  Federico  di  Sicilia,  ed  aggiungendo  «  al- 
cuni vogliono  dire  lui  averlo  tutto  titolato  a  messer 
Cane  »  reca  in  mezzo  due  voci  pubbliche  sorte  al- 
lora dal  non  sapersi  la  sostituzione  fatta  di  Cane 
in   luogo  di  Federico. 

Ad  ogni  modo,  dì  tali  superbie  altrui  e  disin- 
ganni di  lui  se  grandissimo  argomento  non  ne  aves- 
simo in  questa  lettera,  ne  abbiamo  non  poche  me- 
morie in  altre  occorrenze  della  sua  vita.  E  per  ri- 
trovarne un'altra  nello  stesso  Cane,  la  storia,  le  tra- 
dizioni, le  date,  i  casi  posteriori  di  Dante,  il  non 
avere  esso  mandati  a  Cane  gli  ultimi  tredici  canti 
del  Paradiso»  tutto  prova  una  rottura,  se  non  ini- 
micizia, una  mala  intelligenza  tra  il  superbo  pro- 
tetto e  il  magnifico  proteggitore. 

E  perchè  furono  da  lui  vituperati  i  genovesi  in 
su  quel  fine  delflnferni),  dove  ci  raddoppiava  le  in- 


343 

vcttive  contro  le  città  d'Italia,  e  fra  i  genovesi  Branca 
Doria,  allora  potentissimo  e  quasi  signore  della  città, 
v'  era  stato  vituperato  con  quell'  invenzione  (la  più 
atroce  forse  fra  quante  ne  partorì  l' ira  di  Dante  ) 
per  cui  vivo  quello  e  potente,  era  pure  stato  messo 
dal  poeta  nel  piìi  profondo  baratro  dell'Inferno,  la 
Tolommea,  tra  i  traditori  del  proprio  sangue,  per 
avere,  dicevasi,  ucciso  il  proprio  suocero  Michel  Zan- 
che ? 

Perchè,  io  dico,  furono  da  lui  vituperati  i  geno- 
vesi ed  il  Boria,  se  non  pei'  gravi  oltraggi  dal  mor- 
dace poeta  ricevuti  in  un  soggiorno  di  lui  nella  loro 
città:  che:  se  fu,  dovette  essere  allora,  quando  è  pro- 
babile v'andasse  con  gli  altin  fuorusciti  fiorentini  e 
coll'antico  anciico  Uguceione  ? 

Personale  adunque  e  non  politico  dovette  essere 
il  motivo  che  indusse  l'esule  fiorentino  a  maledire 
la  memoria  di  Federico.  E  in  niuna  altra  cosa  è  più 
naturale  il  ricercarlo,  che  nella  condizione  dell'esule 
infelicissimo. 

Né  dovrà  piìi  recarne  maraviglia,  se  dopo  non 
aver  avuto  da  lui  ricovero  nella  sua  corte  (e  certo 
una  prova  negativa  sempre  ne  abbiamo  ancora  in 
questo,  che  non  esiste  memoria,  eh'  egli  sia  stato 
mai  presso  di  lui  )  Dante  ne  detestò  Vavarizia ,  la 
dappocaggine  e  la  viltate  ;  e  dovremo  credere  o  che 
fosse  Dante  da  Federico  disprezzato  o  apertamente 
rifiutato. 

Questa  adunque  e  non  altra  dovette  essere  la  pri- 
ma cagione  dei  suoi  disdegni. 

E  tanto  più  ciò  dovrà  sembrar  verisimile,  se  pon- 
gasi mente,  che  Dante,  fermato  il  piano  dell'immor- 


844 

tale  poema,  tutto  ciò  che  vi  diceva  delle  persone, 
che  incontrava  nel  viaggio  dei  tre  regni,  era  l'opera 
dei  tempi  e  delle  occasioni,  e  quindi  dovea  essere 
da  lui  fatto  e  pubblicato  a  seconda  di  quelli  e  di 
queste;  cioè  per  piacere  ai  suoi  protettori  od  ai  suoi 
amici,  0  per  maledire  ni  suoi  nemici  e  ai  suoi  per- 
secutori. 

Né  taceremo  perciò  quel  grande  italiano  di  vo- 
lubilità e  di  basso  e  personale  risentimento.  Nella 
pubblica  vita  può  talvolta  l'uomo  fare  e  dir  cose  che 
attribuirsi  possono  all'impero  de'  tempi  e  delle  cir- 
costanze; ma  nella  privata  tutto  ciò  ch'ei  fa  e  dice 
la  sua  indole  di  rado  cela. 

Quindi  potea  Dante  concedere  alla  pericolosa  po- 
sizione di  F'ederico  il  salvare  a  qualunque  prezzo  la 
sua  corona  e.  il  suo  popolo;  ma  perdonargli  non  po- 
teva un  fallo  senza  scusa,  il  qual  manifestava  pie- 
namente la  durezza,  l'avarizia,  e  la  dappocaggine  del 
suo  animo. 

Così  quell'esule  fiorentino,  che  avea  prima  de- 
plorato la  condizione  della  Sicilia  per  bocca  di  Carlo 
Martello  nell'  Vili  del  Paradiso  in  quei  versi: 

E  la  bella  Trinacria  che  caliga 

Tra  Pachino  e  Peloro  sopra  '1  golfo 
Che  liceve  da  Euro  maggior  briga, 

Non  per  Tifeo,  ma  per  nascente  zolfo, 
Attesi  avrebbe  li  suoi  regi  ancora 
Nati  per  me  di  Carlo  e  di  Ridolfo; 

ne  deplorò  quindi  la  condizione  per  la  mollezza  , 
avarizia,  villate,  e  dappocarjgine  di  Federico. 


345 

Così  quell'esule  fiorentino,  che  fu  cortesemente 
ricevuto  la  prima  volta  presso  Bartolomeo  figlio  d'Al- 
berto della  Scala,  ove  ebbe  il  suo  primo  refugio  il 
primo  ostello,  in  Verona,  presso  Moroello  Malaspina 
in  Lunigiana,  presso  Uguccione  in  Pisa  ed  in  Lucca, 
presso  Can  della  Scala,  fratello  di  Bartolomeo  e  di 
Alboino  e  figli;  di  Alberto  in  Verona,  presso  Pagano 
della  Torre  in  Udine,  presso  i  Polentani  in  Bavenna, 
per  non  avere  avuto  ricovero  o  essere  stato  non  cu- 
rato o  disprezzalo  o  non  aiutato  di  alcun  sussidio 
da  Federico  d'Aragona,  ne  biasimò  forse  nelle  sue 
eterne  pagine  l'avarizia  e  la  viltà,  e  dovette  venire 
ai  dispregi  di  lui  e  vendicarsi  a  suo  modo,  toglien- 
dogli l'onor  della  dedica  e  forse  aggiungendo  i  vi- 
tuperi che  si  trovano  nel  Convito. 

Prof.  Filippo  Mercuri. 


346 


Discorso    intorno  alla  vita  ed  alle  opere    di  Miehele 
Colombo  ,  scritto  dal  professore  Gaetano  Cibelli. 


D. 


'ei  molti  e  grandi  letterati,  di  che  lallegrossi  l'Ita- 
lia dalla  metà  del  secolo  decimottavo  a  mezzo  il 
secolo  appresso,  Michele  Colombo  fu  per  comune 
sentenza  appellato  il  Nestore,  sì  per  la  gravità  del 
senno,  sì  per  la  lunghezza  del  tempo,  eh'  egli  vis- 
se. Di  questo  preclarissimo  uomo,  con  tutta  sem- 
plicità e  chiarezza,  secondo  che  porta  la  poca  mia 
sufficienza  ,  entro  a  contare  le  cose  più  principali, 
sì  in  ordine  alla  vita,  *  si  in  ordine  alle  opere  let- 
terarie. 

Di  Iacopo  Colombo  e  di  Francesca  Carbonere 
nacque  Michele  in  Campo  di  Piera  (villaggio  a  ven- 
ticinque miglia  da  Venezia  e  a  quindici  da  Trevi- 
gi)  neir  aprile  dell'  anno  1747.  11  padre  di  lui,  te- 
nerissimo com'era  del  bene  de'suoi  figliuoli,  si  die- 
de assai  per  tempo  pensiero  di  procacciare  al  fan- 
ciullo la  migliore  istruzione  ,  che  per  lui  si  potes- 
se; e  a  questo  fine,  non  altro  consentendogli  la  sua 
non  troppo  agiata  condizione,  il  venne  raccoman- 
dando ad  un  pio  sacerdote  del  villaggio.  Questi,  se- 
condo il  modo  della  sua  possibilità,  lo  ammaestrò 
nelle  prime  lettere  ,  e  appresso  nella   grammatica. 

*  Chi  desidara  più  particolari  notizie  della  vita  del  Colombo 
legga  —  Alquanti  cenni  intorno  alla  vita  di  Michele  Colombo  — 
messi  in  luce  dal  eh.  cavaliere  Angelo  Pezzana  bibliotecario  della 
insigne  libreria  di  Parma, 


347 

Michele,  ehe  sebbene  garzoncello  non  provava  altro 
diletto  che  imparare,  non  si  stette  contento  a  quel 
termine,  a  cui  il  buon  sacerdote  lo  ebbe  condotto, 
ma  s' ingegnò  tutto  da  se  di  procedere  più  là.  11 
profitto  pelò  era  assai  da  meno  del  sno  ingegno  : 
imperciocché  ,  lasciando  stare  altre  cagioni,  i  libri 
di  letteratura  ,  che  i  primi  gli  vennero  alle  mani  , 
furono  il  romanzo  di  don  Chisciotte  della  Mancia 
tradotto  dal  Franciosini,  le  rime  di  fra  Ciro  di  Pers, 
e  la  Lira  del  cav.  Marino.  Per  sua  buona  ventura 
però  un  giovinetto  ,  che  in  quel  villaggio  si  con- 
dusse, avvenutosi  in  lui,  come  prima  si  avvide  de' 
libri  che  avea  fra  mano  ,  il  venne  confortando  di 
volerli  gittare  luogi  da  se,  e  gli  mise  in  amoi-e  le 
ventotto  novelle  del  Boccaccio,  il  Galateo  del  Casa, 
il  Petrarca  ed  il  Tasso.  Michele  non  penò  punto  a 
mettere  in  opera  il  consiglio  ;  e  datosi  a  studiare 
in  quei  libri,  gli  sì  rischiarò  di  presente  quella  ar- 
chetipa idea  del  bello,  della  quale  era  maraviglio- 
samente impressa  1'  anima  sua.  Comecché  1'  accu- 
rata proprietà  de'  vocaboli  e  de'  modi  del  favellare, 
de'  quali  è  mirabile  il  Certaldese,  oltremodo  gli  an- 
dasse all'animo,  pure  non  poteva  acconciare  la  sua 
mente  a  quei  numerosi  periodi  e  a  quei  trasponi- 
menti  di  parole,  in  virtù  de'  quali  quello  acccUen- 
tissimo  ingegno  intese  di  levare  la  lingua  italiana 
alla  maestà  ed  altezza  della  latina.  Quel  diritto  giu- 
dicio,  che  Michele  avea  sortito  dalla  natura,  gli  da- 
va che  alla  lingua  nostra  si  affacesse  maniera  più 
schietta,  più  semplice  e  sincera.  In  processo  di  tem- 
po, attesamente  studiando  alle  opere  del  Cavalca  , 
del  Passavanti,  de' Villani,  e  degli  altri  gloriosi  che 


348 

fiorirono  nelP  aureo  secolo  della  lingua  nostra  ,  si 
confermò  nella  sua  opinione  :  ed  avvegnaché  aves- 
se il  Boccaccio  pel  più  eloquente  degli  scrittori  ita- 
liani, tenea  che  nel  fatto  dello  stile  non  fossr  pun- 
to da  dovere  imitare. 

Infino  all'  anno  diciassettesimo  dell'  €tà  sua  di- 
morò Michele  nella  paterna  casa  ;  nel  1761  s'  eb- 
be vestiti  gli  abili  chericali,  e  si  condusse  nel  se- 
minario di  Ceneda  ad  appararvi  umanità  e  retori- 
ca. Si  chiamò  per  contento  assai  del  maestro  Gian- 
nandra  Galiari  vicentino  ,  il  quale  dipartendosi  dal 
modo  degli  altri ,  anziché  opprimere  col  peso  di 
stucchevoli  precetti  la  mente  de'  giovani,  accurata- 
mente mirava  a  governare  il  giudicio  ,  ad  avvalo- 
rarne r  ingegno  ,  ad  ingentilirne  gli  affetti.  Intese 
per  prova  il  Colombo  che  la  natura  non  gli  era  sta- 
ta cortese  di  quella  fervida  immaginativa  ,  che  a 
vero  poeta  si  conviene;  ondechè  drizzò  tutto  1'  ani- 
mo alla  prosa  ,  e  in  particolare  a  quella  maniera 
di  stile,  che  più  si  accordava  alla  naturale  qualità 
del  suo  ingegno.  Infra  gli  scrittori  ,  ne'  quali  ave- 
va posto  grande  amore,  carissimi  gli  erano  il  Se- 
gneri  ed  il  Redi. 

Quindi  a  due  anni  prese  a  studiare  filosofia  ; 
alla  quale,  a  voler  dire  il  veso  ,  non  si  diede  con 
quell'applicatezza,  che  alla  dignità  di  cosiffatta  scien- 
za si  conviene:  colpa  forse  della  disamabile  e  gret- 
ta maniera  che  teneva  l' insegnatore.  Il  giovanetto 
Michele  non  potea  farsi  capace  della  utilità  del  si- 
sillogismo  ;  gli  era  avviso  che  il  volere  ragionare 
sillogizzando  fosse  proprio  un  mettersi  le  pastoie  ; 
né  restava  di  venir  graziosamente  scherzando  intor- 


349 

no  r  ergoizzare  de'  disputanti.  Qui  mette  bene  no- 
tare che  il  Colombo  avea  da  natura  una  felice  at- 
titudine ai  festeveli  motti  ed  arguti;  alcune  sue  ope- 
rette fanno  assai  chiara  fede  di  siffatta  naturale  di- 
sposizione, la  quale,  per  mio  avviso,  tanto  meno  e 
invidiabile  quanto  più  è  perigliosa.  Ma  lasciando 
ciò  da  parte,  io  mi  penso  che  molto  sia  a  dolere 
eh'  egli  liberalmente  non  usasse  nelle  filosofiche  ma- 
terie r  acutezza  e  perspicacia  del  suo  intelletto  ; 
che  di  molta  dottrina  si  sarebbe  di  leggieri  ravva- 
lorata la  mente,  ed  avrebbe  un  più  largo  e  prezio- 
so benefìzio  arrecato  alla  civil  comunanza.  E  mol- 
to parimente  è  a  dolere  che  soli  due  anni  studias- 
se in  divinità  ;  imperciocché  gli  sarebbe  agevolmen- 
te venuto  fatto  di  entrare  innanzi  a  moltissimi  nel- 
la scienza  della  polemica  ;  tanto  era  egli  singolare 
dagli  altri  per  acume  di  mente  e  verità  di  giudi- 
ciò!  Nel  tempo  eh"  egli  così  era  inteso  alle  filoso- 
fiche e  teologiche  scienze  ,  avea  pressoché  per  le 
mani  i  più  illustri  scrittori  italiani,  e  ne  venia  sot- 
tilmente investigando  le  peculiari  bellezze  quanto 
a  lingua  ed  a  stile  ;  era  pure  solleci/o  ricercatore 
delle  più  antiche  ed  autorevoli  impressioni  de'  no- 
stri classici  ,  e  con  tale  accuratezza  che  mai  la 
maggiore  ne  avvisava  tutte  ad  una  ad  una  le  pro- 
prietà fino  alle  più  sfuggevoli. 

Immacolato,  com'  era  di  costumi  ,  e  adorno  di 
bellissime  virtù,  fu  levato  alla  sacerdotale  dignità:  e 
tutto  impresso  di  quella  celestiale  letizia  ,  che  si 
conveniva  al  novello  suo  stato  ,  si  ricondusse  alla 
paterna  casa  ,  e  consolò  di  sua  cara  presenza  gli 
amati  genitori. 


350 

Ivi  però  a  pochi  mesi  si  dipartì  della  terra  na- 
tia, perchè  il  conte  Folco  Lioni  di  Ceneda,  il  qua- 
le ben  sapea  quanto  avanti  sentisse  il  Colombo  nel- 
la difficile  arte  di  entrar  nell'  animo  de'  giovanetti 
e  di  recarli  soavemente  air  amore  della  religione 
e  delle  lettere  ,  lo  invitò  ad  istruire  i  suoi  cinque 
figliuoli.  Di  buon  grado  Michele,  usando  il  benefizio 
dell'  occasione,  entrò  all'  officio  propostogli;  e  ve- 
duto che  a  doverlo  convenevolmente  adempiere  gli 
era  mestieri  la  cognizione  delle  matematiche,  esso, 
facendo  forza  a  se  medesimo,  si  diede  intentamen- 
te a  siffatto  studio;  e  ciò  con  tale  felicità  di  suc- 
cesso, eh'  egli  non  si  sarebbe  mai  creduto  da  tan- 
to. Per  ben  undici  anni  ,  non  senza  comune  sod- 
disfazione, intese  a  questo  suo  officio  ;  fornito  che 
r  ebbe  ,  di  psescnte  mosse  a  Conegliano  ,  ove  il 
conte  Pietro  Caronelli  avealo  scelto  ad  educatore 
d'  un  suo  figlioletto.  Il  fanciullo  tenea  del  sempli- 
ce, anzi  del  pazzo;  se  ne  addiede  di  tratto  di  Co- 
lombo, e  per  non  contristare  il  conte,  a  cui  il  pa- 
terno amore  facea  di  se  velo  alla  mente,  sotto  co- 
lore che  r  aria  di  Conegliano  non  facesse  per  lui  , 
uscì  di  colà  lasciandovi  non  bassi  esmpi  dì  sua 
pazienza. 

Pochi  mesi  appresso  fu  per  dolce  e  caro  modo 
invitato  a  Venezia  ad  ammaestrare  due  figliuoli  del 
patrizio  Giovanni  Battista  da  Riva.  Michele,  eh'  era 
giusto  estimatore  delle  persone,  si  recò  ad  onore 
siffatto  invito,  e  di  buona  voglia  il  tenne.  Del  ca- 
rico impostosi  fu  oltremodo  contento,  siccome  co- 
lui che  vedea  a'  suoi  lodevoli  desideri  conseguita- 
re r  un  dì  più  ehe  1'  altro    intero   1'  effetto.    Avea 


351 
il  Da  Riva  una  assai  bella  libreria,  fornita  massima- 
mente di  autori  inglesi;  ciò  fu  cagione  al  Colombo 
d'  inestimabili  beni,  essendoché  potendo  a  sua  po- 
sta giovarsi  d'  ogni  maniera  di  libri  ,  seppe  trarne 
prezioso  tesoro  di  cognizioni.  In  Venezia  si  strinse 
di  amicizia  al  conte  Carlo  Gozzi  e  ad  Angelo  Dai- 
ni istro  ;  conobbe  il  celebre  abate  Spallanzani  ,  col 
quale  ebbe  alquanti  ragionamenti  sopra  i  polipi  a 
mazzetto  chiamati  dallo  Spallanzani  alheretti  animali. 
E  qui,  così  per  transito,  non  fia  disutile  di  notare 
che  il  Colombo  fu  studiosissimo  di  alcune  parti  del- 
le scienze  naturali  ,  e  che  in  particolare  fu  vago 
quanto  altri  mai  di  osservare  le  proprietà  maravi- 
gliose  de' polipi  d'ogni  maniera.  In  Venezia  ebbe 
pure  la  bramata  contentezza  di  più  volte  tenero 
sermone  col  Canova,  maraviglia  dell'arte  scultoria. 
Essendo  stato  il  Da  Riva  eletto  dalla  sua  re- 
pubblica a  podestà  e  capitano  di  Padova  ,  colà  si 
condusse,  e  con  lui  Michele  e  i  figliuoli.  Quivi  gli 
uomini  che  erano  di  gran  voce  si  raccoglievano 
insieme  in  letteraria  ragunanza  appellata  inglesemen- 
te club  ;  ad  essa  appartenevano  infra  gli  altri  Si- 
mone Stratico,  Melchior  Cesarotti  ,  Clemente  Sibi- 
lato professori  eh'  erano  di  quella  illustre  univer- 
sità. Michele  vi  fu  intromesso;  davanti  a  tutti  tro- 
vò grazia  ,  e  tutti  lo  ebbero  per  carissimo  e  per 
da  molto.  Tre  anni  o  in  quel  torno  il  Colombo 
dimorò  in  Padova  ;  di  là  tornato  a  Venezia,  stette 
in  casa  il  patrizio  Da  Riva  infinattantoché  il  mag- 
giore de'  suoi  alunni  menò  moglie  ,  e  il  minore  si 
fu  ito  col  balio  Vendramini  a  Costantinopoli. 


352 

Tornò  Michele  alla  paterna  casa  ,  donde  poco 
stante  si  condusse  a  Parma  a  dover  crescere  nelle 
lettere  e  ne'  buoni  costumi  un  giovanetto  d' indole 
bellissima  ed  egregia,  il  cavaliere  Giovanni  Bona- 
ventura Porta.  Era  1'  agosto  del  1796  ,  quando  il 
Colombo  tutto  lieto  di  speranze  ,  che  non  torna- 
rono fallaci,  mise  mano  al  suo  officio.  Appresso  a 
forse  due  anni  ,  nel  quale  spazio  alla  sollecitudine 
dell'  eccellente  maestro  non  fu  punto  disuguale  la 
diligenza  dell'  ottimo  discepolo  ,  il  Porta  col  suo 
dilettissimo,  non  so  se  io  mi  dica,  amico  o  precet- 
toee ,  intraprese  i  suoi  viaggi  sì  a  beneficio  di  sa- 
lute ,  sì  ad  opportunità  di  svariale  condizioni.  Da 
prima  il  Porta  si  ristrinse  a  visitare  la  Toscana  ; 
ivi  egli  e  il  Colombo  a  loro  beli'  agio  vennero  ac- 
curatamente avvisando  tutto,  che  in  quel  felice  pae- 
se ,  vera  sede  dell'  urbanità  e  gentilezza  ,  è  degno 
di  considerazione;  ed  ivi  il  Colombo  ebbe  il  destro 
di  farsi  amici  il  canonico  Bandini,  1'  abate  Fonta- 
ni, il  canonico  Moreni,  1'  abate  Fiacchi,  e  il  cava- 
lier  Baldellì.  Conobbe  pure  Vittorio  Alfieri  ;  e  co- 
mechò  questi  di  quel  tempo  si  sottraesse  quasi  ad 
ogni  persona  ,  siccome  colui  che  temeva  non  forse 
qualche  francese  ardisse  di  presentarsi  a  lui  (  ed 
egli  autore  del  Misogallo  di  tutta  forza  avea  in  odio 
i  francesi  o  almeno  ne  facea  vista  )  ,  tuttavia  al 
Colombo  venne  fatto  di  renderselo  cortese  ;  e  il 
disdegnoso  astigiano  ,  vinto  alla  gentilezza  di  lui  , 
ordinò  al  suo  cameriere  che  all'  abate  Colombo  non 
fosse  mai  tenuta  1'  entrata.  Conobbe  ancora  il  con- 
te D'  Elei,  il  quale  ,  uomo  unico  anziché  raro  nel 
fatto  della  greca  e  latina  letterattu'a,  possedeva  una 


353 

veramente  insigne  libreria  fornita  a  meraviglia  della 
pili  antica  impressione  degli  autori  classici  greci  e 
latini.  II  Colombo,  che  quanto  altri  mai  traea  d'ogni 
cosa  profitto,  per  minuto  ponea  mente  a  quelle  ra- 
re gioie,  e  più  ricco  divenne   di  cognizioni. 

Ivi  a  due  anni  i  solerti  viaggiatori  fecero  ritor- 
no a  Parma,  ove  soggiornarono  un  anno  senza  più. 
Indi  s'  avviarono  alla  volta  di  Brescia  e  di  Berga- 
mo, osservando,  secondo  loro  usato,  ogni  cosa  che 
meritasse  il  pregio  della  loro  attenzione.  Godea  l'ani- 
mo al  Colombo  veggendo  che  il  giovane  a  lui  com- 
messo venia  1'  un  dì  più  che  V  altro  acquistando  di 
belle  cognizioni;  e,  così  lieto  com'  era,  s'  indirizzò 
col  suo  alunno  a  Milano  e  poscia  a  Torino.  Dopo 
non  guari  spazio  si  trasferiiono  in  Francia,  poi  di 
Francia  in  Ispagna  ,  poi  d' Ispagna  in  Inghilterra. 
Più  volte,  non  senza  diletto  e  meraviglia,  rividero 
la  Francia,  più  volte  la  Spagna,  né  mai  alcuna  co- 
sa ragguardevole  passarono  inosservata.  Nel  tempo, 
che  il  Colombo  trovavasi  a  Parigi,  avea  per  costu- 
me d'intervenire  alle  pubbliche  vendite  di  cospicue 
librerie  ;  di  che  gli  venne  fatto  di  rendere  più  co- 
piosa e  pregevole  la  eletta  ,  che  si  venia  formando 
di  buoni  libri. 

Dipartendosi  il  Colombo  di  Parigi  per  alla  volta 
di  Parma  ,  entrò  in  pensiero  di  visitare  la  patria 
del  Bousseau  ,  quella  dell'  Alfieri  e  quella  del  Bo- 
doni  ;  ed  il  suo  pensiero  mandò  ad  esecuzione.  Non 
molto  appresso  col  Porta,  che  n'  era  vago,  misesi 
in  cammino  per  le  province  orientali  e  settentrio- 
nali   della    già  spenta    repubblica  veneziana  ,  e  da 

G.A.T.CXLIV.  23 


354 

ultimo  tutti  e  due,  chiamandosi  contenti  assai   dei 
loro  viaggi,  a  Parma  fecero  ritorno. 

Poco  stante  ,  cioè  nell'  anno  1817  ,  il  cavalier 
Porta  sposò  a  moglie  1'  egregia  Elena  Buigarini,  ap- 
partenente ad  una  delle  piiì  nobili  ed  illustri  famì- 
glie di  Siena.  Ivi  a  due  anni  la  lietezza  di  questo 
connubio  tornò  in  lutto;  che  il  cielo  si  ritolse  1'  ani- 
ma bellissima  di  Elena,  e  ben  era  cosa  da  lui.  Do- 
lente il  consorte  oltre  ogni  possibile  immaginare  , 
partì  alla  volta  di  Siena,  e  di  colà  verso  Roma,  ove 
raggiunse  1'  incomparabile  suo  amico  il  Colombo. 
Comecché  assiduamente  vagheggiasse  le  meraviglie 
dell'  arte  ,  ond'  è  prestantissima  quella  città  ,  she 
ben  si  pare  la  dominatrice  del  mondo  ,  pure  non 
potè  Michele  adempiere  a  mezzo  il  desiderio  ,  nel 
quale  s'  era  acceso,  di  contemplare  quelle  sovrane 
bellezze;  tanto  ogni  cosa  gli  parca  superiore  ad  ogni 
più  intensa  ammirazione  !  Ivi  di  amichevole  nodo 
81  strinse  a  Guglielmo  Manzi  bibliotecario  della  Bar- 
berina ,  il  quale  si  tenne  avventurato  di  poter  flirgli 
dono  di  un  rarissimo  libriccino  contenente  la  tra- 
duzione ftitta  dall'  Anguillara  del  secondo  libro  del- 
l' Eneide.  Dopo  parecchi  mesi  Michele  si  ricondus- 
se a  Parma,  ove  onorato,  riverito,  careggiato  finché 
gli  bastò  la  vita,  rimase  in  casa  del  cavalier  Porta 
che  fu  di  lui  amantissimo  ed  ossequioso  al  possi- 
bile. 

Mettendo  ora  mano  alle  opere  letterarie  del  Co- 
lombo, picciolo  di  mole,  non  di  valore  ,  tanto  più 
mi  ristringerò  a  brevità  quanto  più  chiara  di  esse 
Suona  meritevolmente  la  fama.  Aveva  il  Colombo 
sortito  un  intelletto  acuto,  una  inente  considerativa 


355 

e  ordinalissima  ,  un  sottile  discernimento  di  tutto 
che  giova  o  che  nuoce  alhì  perfezione  ,  un'  imma- 
ginativa aggiustatamente  temperata;  e  datosi  fin  da' 
teneri  anni  allo  studio  della  hella  letteratura,  pose 
r  ingegno,  quando  fu  tempo  da  ciò,  a  scrivere  le- 
zioni ,  ragionamenti ,  discorsi ,  considerazioni ,  che 
dovessero  tornare  a  profittevole  documento  de'  gio- 
vani amanti  delle  lettere;  e,  cosa  malagevole  assai, 
riuscì  perfettamente  all'  inteso  fine- 

Le  sue  Lezioni  sopra  le  doti  di  una  eolla  favella 
sono  tali,  per  mio  avviso,  che  trapassano  ogni  più 
alto  segno  di  lode.  In  esse  risplendono  verità  di 
principii,  evidenza  di  discorso,  aggiustatezza  di  cri- 
tica, bellezza  di  concetti,  e  sensatissime  osservazio- 
ni, che  tengono  dei  nuovo  e  del  mirahile.  Nelle  sue 
lezioni  mira  egli  con  senno  veramente  filosofico  per 
entro  il  segreto  magis  tero  dell'  arte,  e  consideran- 
do opportunamente  quando  la  natura  delle  intellet- 
tuali facoltà  dell'  uomo,  quando  le  ingenite  propen- 
sioni del  medesimo  ,  non  che  le  varie  condizioni 
dell'  anima  umana  secondochè  è  composta  o  per- 
turbata di  affetti,  reca  per  1'  appunto  la  ragione  di 
quelle  leggi  ,  che  appartengono  all'  essenza  della 
elocuzione.  Senzadio  tutto  ivi  e  maravigliosamente 
chiaro,  perspicuo,  ordinato;  tutto  impresso  d' inge- 
nua urbanità  e  decoro;  tutto  atteggiato  d'  inimita- 
bile delicatissima  grazia.  E  quale  è  mai  fra  i  trat- 
tati di  elocuzione,  che  pur  vanno  per  la  maggiore, 
che  possa  di  pregio  vincere  o  pareggiare  le  lezio- 
ni del  Colombo  so{)ra  la  chiarezza,  la  forza,  la  gra- 
zia ?  Il  perchè  non  è  da  maravigliarsi  se  1'  Italia 
con  suo  altero  vanto  accolse  cosiffatte  lezioni,  e  se 


356 

all'  egregio  autore  fu  larga  di  lodi;  nò  ò  da  mera- 
vigliarsi se  i  dotti  accademici  delia  crusca  ,  teneri 
dell'  integrità  della  bellissima  nostra  lingua,  le  re- 
putassero ben  meritevoli  di  corona.  E  qui  si  vuol 
considerare  che  di  quel  tempo  le  forme  del  dire 
più  stravaganti  ed  improprie,  le  immagini  piii  am- 
pollose ed  entusiastiche  si  accoglievano  a  furia  nel- 
le scritture;  di  che  si  adulterava  turpemente  la  ca- 
stissima nostra  favella. 

Alle  tre  lezioni  sopraccennate  ,  dopo  il  volgere 
di  non  forse  breve  tempo,  ne  aggiunse  il  Colombo 
un'  altra  parimente  giudiziosa  e  perfetta  Dello  siile 
che  deve  usare  oggidì  un  pulito  scriltore.  Per  essa 
intese  egli  a  ragionevolmente  temperare  la  senten- 
za del  padre  Antonio  Cesari  (  uomo  al  cui  merito 
ogni  lode  è  poca  ),  il  quale  avvisava  che  la  gioven- 
tù quanto  a  lingua  ed  a  stile  dovesse  dai  soli  scrit- 
tori del  trecento  fare  ritratto.  Quale  fosse  la  nor- 
ma che  ai  giovani  veniva  proponendo  il  Colombo, 
si  pare  alle  seguenti  parole.  ~  Studiate  (  così  egli  ) 
diIÌ2;entemente  ed  assiduamente  nelle  carte  di  tutti 
coloro,  che  meglio  scrissero  nell'  Italia.  Studiate  in 
quelle  de'  trecentisti  ,  ed  apprendete  da  quei  padri 
e  maestri  del  dire  elegante  e  puro  una  graziosa 
semplicità  ,  che  non  così  facilmente  voi  potreste 
trovare  in  chi  scrisse  dappoi.  Studiate  in  quelle  de- 
gli, autori  del  cinquecento,  ed  apprendete  da  quegli 
egregi  ristoratori  delia  favella  un  certo  decoro,  una 
certa  giustezza  ,  una  certa  maestria  nel  comporre  , 
la  quale  non  era  sì  ben  conosciuta  dagli  scrittori 
che  gli  avean  preceduti.  Studiate  finalmente  in  quel- 
le di  questi  ultimi  tempi;  ed  apprendete  dagli  scien- 


357 

zìati  scrittori  de'  nostri  tempi;  ed  apprendete  dagli 
scienziati  scrittori  de'  nostri  dì  un  miglior  metodo 
neir  ordinare  le  idee,  una  maggior  precisione  nel- 
r  esporre  i  pensamenti,  una  maggior  perizia  ed  in- 
telligenza neir  assestare  il  compimento.  — 

Queste  sue  lezioni,  comecché  bellissime  ed  in- 
gegnose, avea  egli,  modesto  così  com'  era,  per  cosa 
appena  mediocre,  secondochè  e'  dice  in  una  lettera 
indiritta  ad  Angelo  Dalmistro  ;  e  per  cosa  appena 
appena  mediocre  avea  l'altra  lezione  (  bella  di  uti- 
lissimi avvertimenti  )  che  appresso  venne  scrivendo 
Intorno  al  favellare  e  scrivere  con  proprietà.  Anzi 
tale  era  il  giudizio  ,  che  di  questa  egli  portava  , 
che  si  era  già  posto  in  cuore,  anziché  di  metterla 
in  luce,  di  darla  alle  fiamme;  e  ciò  indubitatamen- 
te avrebbe  fatto  ,  se  il  suo  cj\ndido  amico,  il  cav. 
Angelo  Pezzana  non  ne  lo  avesse  stornato.  Ed  oh! 
fosse  stato  piacere  di  Dio,  che  un  amico  (  il  qua- 
le di  certo  molto  avrebbe  meritato  dell'  italiana  let- 
teratura )  avesse  potuto  contendergli  di  ardere  le 
ventiquattro  lezioni  del  Blair ,  eh'  egli  avea  re- 
cate neir  italiana  ftìvella!  E  qui  é  da  sapere  che  il 
Colombo,  avuto  sentore  che  il  padre  Soave  era  pro- 
ceduto molto  innanzi  nella  traduzione  del  Blair , 
ebbe  per  inutile  la  sua,  e  di  presente  V  arse;  tanto 
di  se  bassamente  sentiva,  e  tanto  onorato  concetto 
avea  preso  di  quel  padre  Soave! 
-  È  da  grande  filologo  la  lezione  Bel  modo  di  mag- 
giormente arricchire  la  lingua  senza  guastarne  la  pu- 
rità. Io  per  me  vorrei  che  tutti  i  nostri  novelli  let- 
terati con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro  ,  come 
appunto  dice  1'  Alighieri,  ponessero  ben   mente  alle 


358 
iȓiiste  norme  che  ivi  con  assennatezza  e  discrezione 
al  tutto  maravigliosa  reca  innanzi  il  Colombo;  vor- 
rei che  ben  si  facessero  capaci  degli  aforismi  ch'egli 
stabilisce  come  rimedio  preservativo  contro  al  gua- 
stamento  della  favella  ;  e  in  particolare  vorrei  che 
intensissimamente  rivolgessero  fra  se  questi  due:  - 
Non  isperi  di  potere  mai  essei'e  buono  scrittore  chi 
non  ha  per  molti  anni  e  molti  voltate  a  rivoltate  e 
dì  e  notte  le  carte  degli  autori,  e  massime  de'  piiì 
accreditati,  e  in  ispeziellà  di  quelli  de'migli ori  tem- 
pi. -  I  jnodi  impropi'i  del  favellare  corrompono  la 
lingua  pili  ancora  che  i  vocaboli  difettosi.  Però  so- 
pra tutto  nella  formazione  dei  modi  di  favellare  deb- 
l)onsi  usar  precauzioni  grandissime.  - 

È  da  savio  ed  erudito  filosofo  la  lezione  Sopra 
ciò  che  compete  alV  inlelletlo  ,  e  ciò  che  aW  imma- 
ginativa nelle  diverse  produzioni  delV  ingegno.  E  chi 
lasciando  stare  altre  cose  assai  belle  ,  che  fanno 
chiara  fede  d'  un  intelletto  perspicacissimo  e  forte, 
chi  non  applaude  agli  esempli  che  reca  a  far  ve- 
dere come  i  filosofi  Irasviano  quanto  incautamente 
allentano  il  freno  alla  loro  immaginativa  ?  -  Parto 
d'una  vivace  immaginativa  (  die' egli  )  sono  quelle 
monadi,  con  le  quali  il  Leibnizio  pretese  di  spiega- 
re la  formazione  dell'  universo,  e  tutto  ciò  che  in 
esso  si  fa;  parto  d'  una  vivace  immaginativa  quegli 
atomi  uncinati,  coi  quali  il  Gassendo  imprese  a  spie- 
gare la  discesa  dei  corpi  verso  il  centro  della  ter- 
ra ;  parto  d'  una  vivace  immaginativa  quelle  fibre 
del  cerebro,  altre  vergini  ed  altre  no,  con  le  quali 
il  Bonnet  si  sforzò  di  mostrare  in  che  la  remini- 
scenza differisce  dalla  semplice  percezione.  Che  di- 


359 

rò  poi  di  questi  spirili  animali,  pel  cui  ministero  , 
secondo  1'  avviso  del  Melabranche,  s'  operan  tante 
cose  nel  nostro  cervello  ?  -  E  chi  è  che  al  tutto 
non  consenta  a  ciò  eh'  egli  dice  a  dover  mostrare 
quanto  neccia  alla  vera  bellezza  della  poesia  il  so- 
verchio predominio  che  sulla  scelta  de'  pensieri  usur- 
pasi l' intelletto  ?  E  chi  è  tanto  dissennato  o  siffat- 
tamente preso  de'  deliri  oltremontani,  che  non  me- 
ni buone  le  sue  considerazioni  sopra  il  modo  da 
tenere  nel  valersi  della  mitologia  ? 

Bello  medesimamente  si  è  il  suo  Ragionamento 
intorno  alV  eloquenza  de'  prosatori  italiani.  Bellissimi 
e  oUremodo  cari  e  persuasivi  que'  suoi  brevi  discorsi 
che  hanno  stretta  attenenza  colle  sopraccennate  le- 
zioni. Non  credo  che  uom  potrà  mai  adeguatamente 
lodare  quella  sua  Diceria  in  difesa  dello  scrìvere  con 
purezza,  eh'  egli  dall'  orlo  del    sepolcro,  dove  nella 
grave  sua  età  di  presso  che  ottantaquatlramii  sede- 
va, mandò  al  can.  Moreni.  Ho  per  giustissime  e  bel- 
le e  gentili  le  Osservazioni  intorno    alV  episodio    di 
Sofronia  ed  Olindo,  non  che  le  Considerazioni  sopra 
mia  delle  censure  fatte  dal    Galilei  alla  Gerusalem- 
me Liberata.  E  a  chi  non  piace  quel  breve  discorso 
Della  difficoltà  de  tradurre  e  del  modo   da  dovervisi 
tenere  più  che  si  può  ?  Io  qui  mi  passo,  per  iscri- 
ver breve,  di   parecchie  sue  operette,  tutte  mirabil- 
mente giudiziose  e  venuste,  che    tornano  a  grande 
profitto  degli  studiosi;  non  posso  però  passarmi  del- 
le note,  di  che  illustrò  ben  molti  e  molti  passi  del 
Decamerone,  delle  Cento  Novelle,  e  della  Gerusalem- 
me Liberata.  Gosiffiute  annotazioni,  che  sono  argo- 
mento apertissimo  della  dirittura  della  sua   mente, 


300 

(Iella  perfetta  conoscenza  ,  che  avea  ,  de'  classici 
scrittori,  non  che  di  quel  criterio  ,  che  a  pochi  il 
cielo  in  sua  larghezza  destina,  hanno  tanto  valore, 
che  io  per  poco  ne  disgrado  tutte  le  grammatiche 
ragionale  e  tutti  i  filologici  trattati. 

E  qui  da  che  la  materia,  a  cui  ho  messo  ma- 
no, m'invita  a  parlare  del  Colombo,  in  quanto  e' 
fu  grande  bibliografo  ,  ed  io  entrerò  a  dirne  qual- 
che cosa.  Procacciossi  egli  fama  e  autorità  di  dot- 
tissimo ed  accurato  filologo  col  Catalogo  di  alciuie 
opere  attinenti  alle  scienze,  alle  arti  e  ad  altri  biso- 
gni delV  uomo.  Quest'  opera  effetto  di  lunghi  studi, 
di  molta  dottrina,  di  perfetto  discernimento  ,  recò 
alla  letteraria  repubblica  inestimabile  bene  ;  essen- 
doché dtì  essa  illustri  scrittori  trassero  cagione  di 
por  mano  ad  opere  utilissime  ,  per  le  quali  si  fa 
via  più  ricco  e  prezioso  il  patrimonio  della  lingua 
nostra.  E  lasciando  stare  siffatto  catalogo  ,  chi  è 
che  leggendo  e  il  Ragionamento  sopra  im  luogo  del- 
l' Asino  d'  oro  di  Nicolò  Machiavelli  ,  e  1'  Articolo 
pertinente  alle  varie  edizioni  della  Testina  delle  ope- 
re del  Machiavelli  medesimo,  e  le  Lettere  al  Moreni 
sopra  due  luoghi  del  Decamerone  del  Baccaccio  ,  e 
la  Lettera  intorno  alla  prima  edizione  delle  cose  vol- 
gari del  Poliziano,  e  la  Relazione  dalla  Polinnia  Co^ 
miniana,  e  la  Lettera  ad  Angelo  Sicca  ed  altre  co- 
se di  questo  genere  ,  chi  è  che  non  abbia  il  Co- 
lombo per  filologo  Cìruditissimo  e  perfetto  ?  E  in 
questo  luogo  mi  giova  notare  eh'  egli  erasi  forma- 
to un  alto  concetto  della  scienza,  dell'  accuratezza 
e  della  fede  del  bibliografo  ,  e  che  all'  idea  della 
sua  mente  accordò  mai  sempre  le  opere  sue.  Mi  si 


361 

consenta  che  io  rechi  quelle  sentenze  ,  colle  quali 
egli  apre  il  suo  dotto  ragionamento  sopra  un  luo- 
go deir  Asino  d'oro:  -  Qualunque  alterazione,  che 
nel  testo  d'  un  libro  sia  fatta,  o  per  trascuraggine 
o  per  ignoranza,  è  una  violazione  della  fede  dovuta 
all'autore  ed  al  lettor  tutt'  insieme  ,  e  giusta  ca- 
gione avrebbero  entranibi  di  rimproveraine  agra- 
mente colui  che  la  fa  ,  il  primo  con  dirgli:  Tu 
falsifichi  la  mia  merce:  ed  il  secondo:  Tu  mi 
dai  moneta  falsificata  per  buona.  E  non  vale  il  di- 
re che  queste  alterazioni  non  sono  di  gran  conto 
per  la  più  parte;  o  piccole  o  grandi  esse  sono  bia- 
simevoli sempre  ;  prima  perchè  non  lasciano  per 
piccolezza  di  essere  macchie  che  alla  scrittura  si 
fanno,  con  togliere  a  questa  la  sua  nativa  purezza: 
ed  appresso  perchè  ciò  che  leggiero  è  per  un  ver- 
so, può  per  un  altro  essere  grave.  E  certo  è  ,  per 
cagione  d'  esempio  ,  che  in  un  libro  d' istoria  ,  il 
qual  fosse  autorevol  anche  nel  fatto  della  lingua  , 
infiniti  cangiamenti  potrebbero  aver  luogo  poco  no- 
cevoli  0  nulla  alla  istorica  verità,  e  molto  alla  pu- 
rità e  vaghezza  della  favella.  -  Per  siffatte  parole  si 
comprende  quanto  era  sublime  il  segno  a  che  egli 
mirava  ;  segno  veramente  altissimo  ed  arduo  ,  al 
quale  non  è  da  far  maraviglia  se  talvolta  non  pon- 
no  levarsi  i  moderni  editori.  A  dover  però  pren- 
dere un  adeguato  e  pieno  concetto  del  valore  del 
nostro  filologo  ,  sono  anche  da  ben  ponderare  le 
dotte,  ingenue  e  per  ogni  rispetto  carissime  lettere, 
le  quali  da  buon  tempo  desiderate  indarno  ,  oia  , 
la  mercè  di  Dio,  son  messe  a  luce.  Leggansi  quel- 
le eh'  egli  indirizza  ad  illustri  bibliografi  e  lettera- 


362 

li,  e  massime  quelle  eh'  egli  scrisse  a  Bartolomeo 
Gamba,  e  si  comprenderà  che  nel  fatto  de'  filolo- 
gici studi  Michele  fu  non  secondo  a  nessuno,  a  mol- 
tissimi primo. 

Quanto  egli  si  conoscesse  dell'  indole  de'  giova- 
netti e  delle  loro  intellettuali  attitudini  e  disposi- 
zioni ,  e  quanto  acutamente  mirasse  per  entro  le 
attenenze  che  hanno  fra  se  gli  studi  delle  lettere 
e  delle  scienze,  il  mostrò  nella  giudiziosissima  Lettera 
intorno  al  regolamento  degli  studi  di  un  giovanetto  di 
buona  nascita.  Di  questo  suo  componimento  scri- 
vendo egli  al  Dalniistro  disse:  -  lo  trovo  appena 
mediocri  quelle  mie  lezioni,  e  giudico  alquanto  mi- 
gliore la  lettera  intorno  al  metodo  degli  studi.  Le 
considerazioni,  che  io  fo  là  dentro,  sono  ben  d'  al- 
tra importanza  che  le  osservazioni  contenute  nelle 
lezioni.  -  Sarebbe  da  desiderare  che  coloro  i  quali 
presiedono  e  coloro  che  intendono  alla  educazione 
de' giovanetti  bennati,  non  avessero  a  schifo  di  ben 
addentrarsi  nelle  considerazioni  del  Colombo:  che 
elle  sono  di  tale  natura  ,  che  ben  meritano  di  es- 
sere altamente  apprezzate.  Scrisse  pui-e  un  Discorso 
intorno  alV  ammaestramento  che  più  conviene  ai  fan- 
ciulli,  ben  conoscendo  egli  che  quanto  più  stretto 
è  il  bisogno  che  V  uomo  ha  dell'  altrui  soccorso  , 
tanto  maggiore  è  il  benefìzio  che  gli  fa  chi  si  ado- 
pera in  prò  di  lui.  A  questo  discorso  appartengono 
quattordici  novellette  con  a  pie  di  ciascuna  giudi- 
ziose osservazioni.  Siffatte  novelle  sono  ,  a  detta 
dell'  autore,  invenuste  e  mal  acconce  all'inteso  fine: 
tuttavia  e'  volle  recarle  in  luce  ad  intendimento  di 
eccitare  più  valenti  letterati  a  scriverne    altre  mi- 


363 

glioi'i  ;  sapendo  egli  (  sono  sue  parole  )  che  V  ec- 
cellente e  r  ottimo  e  d'  oi'dinai'io  preceduto  dall'  in- 
fimo e  dal  mediocre. 

Mal  si  opporrebbe  chi  si  desse  a  credere  che  sola- 
mente nello  stile  o  carattere  insegnativo  fosse  stato  va- 
lentissimo il  Colombo:  valentissimo  e'  fu  parimente  e 
nell'encomiastico,  e  nell'epigrammatico  e  nel  narrati- 
vo. L'Elogio,  ch'egli  scrisse,  di  Elena  Porla  naia  Bui- 
garini  è  per  ogni  rispetto  bellissimo,  nobile,  e  vera- 
mente degno  di  esser  posto  in  esempio  a  chiunque 
abbia  vaghezza  di  venire  in  fama  nel  genere  lodativo. 
A  far  apprezzare  il  merito  ed  il  valore  dì  quell'ani- 
ma eletta,  discorre  egli  di  quattro  cose:  in  primo 
luogo  dei  doni  che  furono  a  lei  largiti  dalla  natu- 
ra nel  nascer  suo;  appresso,  dello  svolgimento  del- 
le facoltà  e  intellettuali  e  morali  che  in  lei  seguì 
nella  prima  sua  educazione,  cioè  in  quella  che  al- 
tri le  diede;  in  terzo  luogo  del  perfezionamento  che 
queste  facoltà  ricevettero  nella  seconda  sua  educa- 
zione, vale  a  dire  in  quella  che  died'  ella  a  se  stes- 
sa; e  per  ultimo  dell'  uso  che  delle  medesime  ella 
fece  nella  vita  civile.  Queste  quattro  parti  sono  trat- 
tate con  assennatezza  ,  con  dignità,  con  abbonde- 
volezza,  e  con  mirabile  magisterio.  Senza  tema  di 
errare  io  dico,  che  coloro  i  quali  si  conoscono  del- 
la vera  eloquenza,  reputeranno  questo  elogio  degnis- 
simo di  ogni  lode,  ed  avranno  in  ispezieltà  per  da 
più  d'ogni  lode  quello  stile  acconciamente  suasivo, 
onde  si  valse  l'autore  a  volere  incitare  altrui  a  ben 
fare.  Piacesse  a  Dio  che  coloro  ,  ai  quali  è  com- 
messa r  educazione  dì  agiate  e  nobili  giovanette  , 
ben  comprendessero  e  mettessero  in  opera  i  doveri 


364 

elle  porta  il  loro  oflicio!  Doveri,  de'  quali  egrogia- 
mente  parla  il  Colombo.  Meno  tristo  di  certo  sa- 
rebbe il  mondo,  se  gli  educatori  intendessero  a  ben 
coltivare  la  mente  de'  loro  alunni  e  ad  arricchirla 
di  utili  cognizioni,  massime  di  quelle  che  apparten- 
gono alla  religione  ;  se  intendessero  a  risvegliare 
nobili  e  sublimi  sentimenti  nel  cuore  de'medcsimi, 
a  governarne  le  voglie,  a  tenerle  in  tutto  alla  ragio- 
ne sottomesse.  Nò  dovrebbero  perciò  porre  in  non 
caie  di  procurare  alla  persona  de'  loro  allievi  gli 
opportuni  avvantaggi,  di  crescerli  nella  debita  gra^ 
zia  e  nel  convenevol  decoro.  Che  tutte  le  cose,  la 
musica,  la  danza,  la  coltura  esteriore,  le  conversa- 
zioni, usate  con  modo,  secondo  che  vuole  ragione, 
e  a  lodevole  fine  indirizzate,  possono  tornare  assai 
profittevoli.  Leggasi  attesamente  ciò  che  intorno  a 
questa  materia  dice  con  mirabile  discrezione  e  ve- 
nustà il  Colombo  ;  e  non  pure  gli  educatori  e  le 
educatrici  avranno  di  che  esser  lieti  della  loro  let- 
tura ,  ma  i  giovani  e  le  giovani  bennate  potranno 
agevolmente  coglierne  eccellenti  e  copiosi  frutti  di 
virtù. 

Del  valore  dol  Colombo  nello  stile  epigramma- 
tico fanno  chiaro  dimostramento  i  Trattatelli  eh'  egli 
scherzosamente  disse  essere  stati  tradotti  dalla  lin- 
gua malabarica  nell'  italiana  favella.  Riescono  ad 
essi  caro  ammaestramento  que'  suoi  detti  brevi,  per- 
spicui ed  acuti,  facili  per  la  loro  chiarezza  a  com- 
prendersi, per  r  acutezza  ad  imprimersi  ,  e  per  la 
verità  a  tenersi  a  mente.  E  chi  non  ammira  in  es- 
si quella,  dirò  così,  difficile  facilità  procedente  dal- 
la sembianza    semplice    ed  ingenua  d'  un  concetto 


365 

spiritoso  ed  arguto  ?  Vammi  per  la  memoria  ciò 
che  ne  disse  un  illustre  letterato:  alcune  di  quelle 
sentenze  malabariche  sono  cosi  venuste,  che  le  gra- 
zie non  sarebbero  da  tanto  di  farle  più  graziose. 
Questo  giudizio  è  ,  per  mio  avviso,  tutta  verità. 

Dello  stile  narrativo  diede  pure  il  Colombo  no- 
bilissimo esempio  togliendo  a  scriverò  alcune  no- 
velle, col  lodevole  intendimento  di  alleviare  altrui 
gli  affanni  e  le  noie  di  questa  faticosa  vita  mortale. 
Tre  *  egli  ne  recò  al  pubblico  belle  e  perfette  per 
lo  stile  in  ordine  al  quale  gli  venne  fatto,  se  mal 
non  mi  oppongo,  di  aggiugnere  alla  eccellenza  de' 
più  celebri  cinquecentisti-  Volendo  egli  tentare  il 
giudizio  de'  letterati  del  suo  tempo  fece  correr  vo- 
ce che  la  prima  di  cosiffatte  novelle  ,  cioè  quella 
intorno  a  Franceschino  da  No  venta,  fosse  opera  del- 
l'Amalteo;  e  per  cosa  appunto  degnissima  dell'Amal- 
teo  fu  ricevuta  e  lodata  a  cielo.  Mi  giova  di  re- 
care qui  una  lettera  indirizzata  dal  Colombo  a  per- 
sona ,  che  lo  avea  richiesto  dal  manoscritto  del- 
l' Amalteo.  -  Voi  mi  chiedete  una  cosa,  della  qua- 
le non  è  in  poter  mio  il  compiacervi  ;  e  can  ciò 
m'  inducete  a  palesarvi  un  secreto  che  io  non  avea 
intenzione  di  manifestare  a  nessuno.  Io  lo  fo  con 
patto  che  rimanga  la  cosa  tra  voi  e  me.  Il  procu- 
rare d'  aver  qualche  traccia  del  MS.  originale  del- 
la novelletta  dell'  Amalteo  è  il  cercare  una  cosa  im- 
possibile! La  detta  novella  non  è  altrimenti  di  quei 


*  Rispetto  al  numero  delle  novelle,  e  in  generale,  rispetto  alle 
opere  del  Colombo  leggasene  il  catalogo,  che  trovasi  alla  fine 
de'  Centìi  del  cav.  Pezzana.  Sì  noti  però  che  ivi  non  si  fa  men* 
jidne  di  tutte  le  opere  del  Colombo 


366 
letterato  ;  essa  fu  scritta  da  me ,  ed^  ecco  ciò  che 
me  ne  diede  1'  occasione-  Il  sig.  co.  Antonio  Maria 
Borromeo  raccoglie  avidamente  non  solo  i  libri 
stampati  di  novellatori  italiani,  ma  ancora  novelle 
inedite.  Io,  che  gli  professo  non  poche  obbligazio- 
ni per  le  grandi  amorevolezze  che  quel  buon  ca- 
valiere mi  usa,  procurai  di  ripescargli  ancor  io  qual- 
che cosa  in  questo  genere:  ma  non  mi  venne  mai 
fatto  di  rinvenirci  nulla.  Un  giorno  mi  cadde  in 
pensiero  di  provarmi  se  io  fossi  più  in  istato  di 
scrivere  in  sul  gusto  dei  cinquecentisti  ,  come  io 
avea  fatto  parecchie  volte  così  per  capriccio  in  tem- 
po di  gioventù  quando  io  studiava  retorica  ,  e  di- 
stesi quella  piccola  novelluzza.  Parendomi  che  lo 
stile  non  si  scostasse  molto  dal  fare  degli  scrittori 
di  quel  secolo  ,  mi  arrischiai  a  farla  passare  per 
«osa  del  cinquecento  ,  ed  a  lui  ne  feci  dono.  Per 
renderne  più  facile  1'  impostura,  ebbi  V  avvertenza 
di  attribuirla  ad  un  autore,  del  quale  non  si  aves- 
se nessuno  scritto  in  prosa  italiana,  con  cui  poter 
confrontarla.  In  oltre,  a  fine  di  gabbar  più  facilmen- 
te i  lettori,  vi  aggiunsi  la  piccola  lettera  che  ci  fu 
stampata  in  fine;  ne  citai  un  Ms.  ideale  ond'io  fìnsi 
di  aver  tratta  la  mia  copia.  Col  mezzo  di  tal  arti- 
ficio ho  avuta  la  compiacenza  di  vedere  i  nostri 
letterati  beersi  bonariamente  questa  bugia,  ed  ave- 
re la  novella  per  cosa  dell'  Amalteo;  il  che  mi  ha 
fatto  credere  che  non  abbia  imitato  male  lo  scri- 
vere di  que'  tempi,  e  mi  ha  quindi  animato  di  esten- 
derne un'  altra  a  un  dipresso  del  medesimo  gusto. 
Io  ve  la  trasmetto  acciocché,  scorsa  che  1'  avrete  , 
me  ne  diciate    il    parer    vostro.    Neil'  intioduzione 


367 

prendo  di  mira  il  giornalita  di  Pisa  ,  il  quale  par- 
lando della  novella  attribuita  all'  Amaldeo,  ne  di- 
sapprovò r  argomento,  siccome  quello  che  non  con- 
tiene nessuna  istruziene;  come  se  gli  altri  novella- 
tori si  fossero  prefìssi  di  trattenere  i  loro  lettori 
in  argomenti  importanti  ed  istruttivi.  Penso,  s'  ella 
non  vi  dispiace,  di  dar  fuori  anche  questa.  La  farò 
uscir  sotto  il  nome  di  M.  Agnolo  Piccione  .  .  .  .  - 
Di  queste  novelle  bella  per  la  invenzione  e  per  Io 
stile  è  la  prima;  bellissima  per  ogni  rispetto  è  la 
seconda,  cioè  quella  nella  quale  si  canta  come  Giac- 
carello  condannato  dal  marchese  di  Saluzzo  alla 
forca,  trova  modo  di  fuggirsi  dalla  prigione;  la  terza, 
quanto  al  subbietto,  fa  chiara  fede  che  gli  uomini 
anche  più  prudenti  ed  assennati  non  sempre  si  pon- 
gono mente  in  ogni  cosa. 

Al  genere  narrativo  o  descrittivo  appartiene  pu- 
re la  Breve  relazione  della  repubblica  dei  Cadmiti  , 
che  il  Colombo  ad  innocente  sollazzo  venne  det- 
tando. Questo  ghiribizzo  (  che  così  1'  intitola  1'  au- 
tore )  è  nella  sua  apparente  semplicità  ingegnosis- 
simo ,  maestrevolmente  condotto  ,  e  ben  chiaro 
dimostra  quanto  1'  autore  fosse  valente  in  quel- 
r  arte  che  ad  arte  cela  se  stessa.  Ad  alcuni  che 
stanno  in  sul  severo,  è  avviso  che  parecchi  luoghi 
qua  e  colà  sappiano  troppo  del  satirico;  siffatta  opi- 
nione è  rigida  anzi  che  no  ;  e  credo  che  coloro,  i 
quali  hanno  titolo  di  moderati  e  discreti ,  concor- 
rono nel  mio  giudizio.  Censurato  1'  anzidetto  ghi- 
ribizzo dalla  Biblioteca  italiana,  il  Colombo  scrisse 
una  gentilissima  lettera  all'  autore  della  censura,  e 
cordialmente  ringraziatolo  de'  consigli  che  gli  ave- 


368 

va  dato,  volle  in  segno  di  riconoscenza  intitolargli 
il  (lotto  e  grave  Earjionamento  intorno  alle  discordie 
letterarie.  Oh  quanto  e  più  tranquilla  e  lieta  e  fe- 
lice sarebbe  la  letteraria  repubblica  ,  se  il  modo 
tenuto  dal  Colombo  verso  il  suo  censore  non  fos- 
se, com'  è,  una  vana  ricordanza  senza  più! 

Appartiene  medesimamente  al  carattere  narrati- 
vo r  Istoria  compendiosa  della  introduzione  del  tam- 
buro e  delle  campane  in  Parnaso.  Intorno  a  questa 
ingegnosa  operetta,  e  veramente  singolare  per  la 
poetica  inventiva  ,  1'  autore  dico  queste  parole:  - 
Mia  intenzione  unicamente  si  fu  di  lasciar  correrò 
la  penna  per  puro  divertimento  dove  la  trasporta- 
va la  fantasia  ,  e  non  già  dì  mettere  in  canzone 
scrittori  illustri,  le  cui  produzioni  sono  tenute  an- 
che da  me  in  grandissima  stima,  e  davanti  a' quali 
io  starei  colla  berretta  in  mano.  -  lo  son  di  cre- 
dere che  de'  cento  lettori  ben  novantanove  saran- 
no non  troppo  disposti  a  dar  fede  a  cosiffatta  pro- 
testazione. Checché  ne  sia,  passando  sotto  silenzio 
i  concelti  graziosissimi  ed  arguti  (  che  non  poco 
san  di  sale),  i  quali  con  semplicità  quasi  direi  co- 
lombina e'  viene  sponendo,  porrò  fine  alla  enume- 
razione delle  principali  opere  del  Colombo  dicendo, 
che  chi  leggerà  a ppensa lamento  tutte  le  opere  di 
questo  preclarissimo  filologo  non  penerà  a  vedere 
che  in  lui  ad  una  perspicacia  d'intelletto  e  ad  una 
verità  di  giudizio  al  tutto  ine  omparabile  si  rag- 
giunse una  felicissima  altitudine  a  cotale  maniera 
di  satireggiare,  la  quale  tanto  più  acuta  riesce  quan- 
to si  nasconde  più  sotto  abito  semplice  e  modesto. 
E  tengo  per  indubitato  che  coloro,  i  quali  avranno 


369 

accuratamente  ponderate  le  opere  di  lui,  non  si  ren- 
deranno malagevoli  di  meco  convenire  in  quaste 
due  sentenze.  La  prima  delle  quali  si  è,  che  se  il 
Colombo  non  fosse  stato  rattenuto  da  troppo  basso 
concetto  di  sé  medesimo  (  che  quantunque  valesse 
assaissimo  ,  si  teneva  da  poco  e  quasi  da  nulla  ) 
avrebbe  fatto  prezioso  dono  all'  Italia  di  molte  e 
molto  più  gravi  opere  letterarie;  essendoché  il  non 
poco  che  fece  è  quasi  niente  alla  potenza  ond'  era 
fornito.  La  seconda  si  é,  che  se  non  avesse  reli- 
giovamente  fatto  forza  a  sé  medesimo  colla  grande 
sua  virtù  ,  sarebbe  egli  nello  scrivere  satirico  en- 
trato per  avventura  innanzi  a  tutti. 

E  qui  toccando  ornai  della  fine,  non  posso  preter- 
mettere di  notare  che  il  Colombo  fa  sacerdote  in- 
tegerrimo, esemplarmente  pio,  tenero  quanto  altri 
mai  del  perfetto  adempimento  d'  ogni  suo  officio  ; 
amante  della  virtù  in  cui  che  si  fosse;  non  curan- 
te de'  beni  di  quaggiù  ;  misericordioso  co'  poveri  , 
de'  quali,  secondo  sua  possibilità,  fu  largo  soccor- 
ritore. Officioso  cogli  amici,  abborrente  dalle  discor- 
die, portatore  pazientissimo  delle  malattie,  che  mol- 
te e  gravi  lo  assalirono  ;  in  ogni  avversità  fermo 
della  mente  e  imperturbabile,  siccome  colui  che  al- 
tamente sentiva  della  divina  provvidenza.  Tenjpe- 
rato  nelle  prosperità,  in  tutte  cose  ordinato,  discre- 
to né  mai  grave  a  chicchessia;  il  suo  eloquio  non 
fu  copioso  gran  fatto,  ma  sempre  chiaro  ,  pulito  , 
venusto  e  ad  ora  ad  ora  festevole  ;  quanto  a  per- 
sona, non  di  molta  appariscenza  ,  senza  però  alcu- 
na deformità;  di  guardatura  vivacissima  e  penetran- 
te; di  statura  più  che  mezzana;  di  vestimento  tra 
C.A.T.CXLIII  24 


370 
convenevole  e  negletto;  in  sua  giovinezza  prese  dì- 
letto  della  caccia  ,    nella    matura    età   del  giocare 
agli  scacchi  ,  sempre    dell'  amichevole    conversare. 
Tale  si  fu  1'  abate  Michele    Colombo    appellato    il 
Nestore  de'  letterati;  visse  novantun'  anno,  due  mesi 
e  undici  o  dodici  giorni;  la  sua  morte  fu  tranquil- 
la, quale  appunto  si  conveniva  ad  uomo  ,  a  cui  la 
cattolica  religione  sia  stata  ferma  norma  e  costan- 
te. Di  lui  le  più  illustri  accademie  non  che  quella 
della  crusca  si  onorarono;  di  lui  i  più  celebri  let- 
terati furono  solenni  ammiratori,  per  forma  che  il 
Monti    ebbe  a  dire  *:  -  GÌ'  italiani  non  diventano 
classici  che  dopo  morte,  il  Colombo  è  classico  vi- 
vente. -  Di  lui  durerà  per  sempre  la  fama,  se  pu- 
re r  Italia  non  porrà  vergognosamente  in  non   cale 
il  decoro  e  la  gloria  della  bellissima  sua  letteratura. 


*  V.  Elogio  di  Michele  Colombo  deito  alla  R-  Jccad  ernia  Luc- 
chese da  Ferdinando  Maestri. 


371 
VARIETÀ' 

Ellogium  Ioannis  de  Andrea  eqiiitis    torquati  ordinis 
hierosolymarii.  8."  Romae  1856. 

Chi  sia  stato  il  marchese  Giovanni  d'  Andrea  lo 
sanno  bene  i  lettori  di  questo  giornale,  i  quali  ne 
hanno  letto  parecchi  elogi.  Or  cccone  un  altro  , 
scritto  veramente  con  aurea  penna  latina  dall'  esimio 
P.  Antonio  Angelini  della  compagnia  di  Gesù. 


Alcuni  scritti  di  Michele  Melga.  8."  Napoli  dalla 
stamperia  del  Vaglio  1856.  (  Un  voi.  di  pag.  246.) 

Michele  Melga  è  fra  que'  giovani  scrittori  na- 
poletani che  più  mantengono  in  fiore  le  buone  let- 
tere, e  soprattutto  hanno  cura  di  serbare  in  onore 
il  patrimonio  dell'  eleganza  nella  favella.  Questa 
scelta  de'  suoi  scritti  assai  lo  dimostra:  nella  quale 
non  sapremmo  dire  se  piiì  ci  piacciano  le  belle  cose 
0  le  belle  parole. 

Appendice  al  libretto  La  prima  e  la  seconda  patria, 
ossiatio  due  altre  righe  di  prosa  ,  di  verso  e  di 
epigrafitty  per  Alessandro  Baldassini.  8."  Pesaro 
presso  Annesio  Nobili  1856.  (  Sono  pag.  35.  ) 

Segue  il  sig.  marchese  Alessandro  Baldassini  ad 
illustrare  la  cara  e  gentile  sua  Pesaro:  ed  ecco  qui 


372 


un'  orazione  recitata  da  lui  nelle  esequie  rinnovate 
della  marchesa  D.  Barbara  Anguissola  Mosca:  ora- 
zione piena  di  affetto  e  di  belle  sentenze  e  notizie: 
due  sonetti:  ed  una  elegante  e  tenera  iscrizione  ita- 
liana al  sepolcro  della  piissima  sua  genitrice  mar- 
chesa Margherita  Mosca  Baldassini. 


373 
INDICE 


Visconti ,  Antiche  lapidi  rinvenute  dal  cavalier 
Guidi pag.       3 

Ciampiy  La  comm.  ital.  nel  secolo  XVII    .     »     58 

Cialdif  Del  porto  di  Pesaro  (  con  litografia  )     »   109 

Belloniy  Monografia  della  febbre  miliare.     .     h   14-5 

Biolchiniy  Esposizione  dei  drappi  di  lana  e  seta 
fatta  in  Roma  nel  1856 «  244 

Considerazioni  intorno,  alcune  opere  mediche  del 
Ladelciy  delV  Heringe  e  del  Migneco.      .     »  253 

Cappello,  Istorico  riassunto  sopra  il  cholèra  in- 
diano  »  287 

Coppi,  Discorso  sul  ristoramento  delV  emissario 
di  Claudio. »  305 

Mercuri,  Lezione  XVIII  sulla  Divina  Commedia 
riguardante  Federico  di  Sicilia.     .     .     .     »  314- 

Gibelli,  Discorso  intorno  alla  vita  ed  alle  opere 
di  Michele  Colombo »  346 

Vaiietà :     »  371 


Pag. 

lin. 

FRRORl 

COKREZIOiNI 

148 

13 

Provincie 

province 

id. 

25 

ed  apparvero 

apparvero 

153 

30 

Chemel 

Chomel 

157 

10 

sintematica 

sintomatica 

158 

29 

sintomaca 

sintomatica 

160 

23 

paurpera 

puerpera 

163 

18 

sintomalogia 

sintomatologia 

172 

18 

e   asserisce 

asserisce 

178 

8 

da  sudore: 

da  sudore 

id. 

9 

periodo  cessa: 

periodo  cessa. 

189 

4 

tutti  ' 

tutt'  i 

191 

1 

circostanae 

circostanze 

196 

20 

scaturisse 

scaturisce 

206 

9 

in  sola 

in  una  sola 

208 

22 

Pietro  Sulia 

Pietro  Salio 

212 

32 

sintematico 

sintomatico 

214 

nota 

phtìhsie 

plithisie 

218 

nota 

dalle  malattie 

delle  malattie 

id. 

9 

affaciano 

affacciano 

217 

6 

esacuazioni 

evacuazioni 

222 

30 

a  reprimere 

reprimere 

IMPRIMATUR 

Fr.  Th.  M.  Larco  Ord.  Praed.  S.  P.  Ap.  Mag.  Socius 

IMPRIMÀTUR 

Vr.  Ani.  Ligi  Archiep.  Vicesgercns 


» 


Nel  giornale  si  dà  il  sunto,  o  \icnc  inse- 
rito l'annunzio,  delle  opere  prcscnlate  in  dop-    Q^g> 
pio  esemplare  alla  direzione.  Se  queste  opere    ^^g) 
vengono  dall'estero,  debbono  essere  inviate    |^^ 
franche  d'ogni  spesa  di  porto  e  dazio. 


Le  notizie  di  scienze,  di  lettere,  e  di  belle 
arti,  quelle  di  scoperte  utili  per  l'agricoltura, 
industria  ec,  come  anche  i  programmi  de' con- 
corsi accademici,  dovranno  similmente  esser 
mandati  franchi  di  posta  alla  direzione. 


Chi  si  associa  per  dieci  copie,  o  ne  garan- 
tisce la  vendita,  avrà  l'undecima  (jrulis. 


^  iX^^  WW  W^>^S!^^^^ 


GIORNALE 


DI  SCIEIVZE,  LETTERE  ED  ARTI       ^@> 

Voi.  433  434  435 


ROMA 
Tlpografla  delle  Belle  Arti 

1856 


GIORNALE 


DI 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 

VOLUME    CXLV 

OTTOBRE,  NOVEMBRE  E  DICEMBRE 
1856 


ROMA 

TIPOGRAFIA   DELLE   BELLE   AKTI 

1856 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 


Numismatica  ascolana,  ossia  dichiarazione  delle  mo- 
nete antiche  di  Ascoli  nel  Piceno.  Deiravvocato 
Gaetano  Deminicis  ,  membro  della  commissione 
ausiliare  di  belle  arti  e  antichità  nella  provin- 
cia di  Fermo  ;  socio  della  pontificia  accademia 
romana  di  archeologia  ;  deW  istituto  romano  di 
corrispondenza  archeologica;  delle  accademie  reale 
ercolanese  e  pontaniana  di  Napoli  ;  della  società 
archeologica  di  Madrid  ;  della  colombaria  di  Fi- 
renze; della  etrusca  cortonese  ecc. 


jja  scienza  delle  monete  è  ogglmai  considerata 
come  uno  de'  principali  fondamenti  della  certezza 
della  storia;  perciocché  le  monete  sono  monumenti 
figurati  e  scritti  o,  come  dicono,  parlanti,  per  mezzo 
de'  quali  si  manifestano  e  perpetuamente  conser- 
vansi  gli  storici  fasti  e  gli  avvenimenti  militari 
e  religiosi,  civili  e  politici  più  importanti  e  segna- 
lati di  tutti  i  tempi  e  di  tutte  le  nazioni.  E  nel 
vero  il  diritto  della  impressione  della  moneta  dal- 
le romane  leggi  si  ascrisse  fra  i  primi  e  più  gran- 
di diritti  di  regalia,  come  quello  che  sin  dal  prin- 
cipio al  solo  capo  dell'  imperio  era  riservato,  e  dal 
medesimo  anche  raramente  altrui  conceduto.  Il 
qual  diritto  si  giudicò  altresì  in  ogni  tempo  qual 
segno  di  autonomia  o  di  potestà  suprema,  e  quin- 
di della  primitiva  grandezza  di  una  città.  Conside- 
randosi perciò  dai  dotti,  che  la  pubblicazione  delle 


k 

monete  de'  vari  stali  italiani  del  medio  evo  avreb- 
be recato  grandissima  utilità  alla  storia  (1)  per  co- 
noscere qual  fosse  l'Italia  ne'  suoi  conti,  marchesi, 
tiranni,  duchi,  re  e  pontefici,  nelle  sue  repubbliche, 
città  e  terre  ,  vuoi  ne'  tempi  tenebrosi  e  remoti  , 
vuoi  ne'  men  lontani  e  vicini;  molte  opere  nel  pas- 
sato secolo  e  nel  presente  si  pubblicarono  intorno 
9  ciò,  fra  le  quali  la  dissertazione  XXVIl  del  Mu- 
ratori, le  opere  dell'Argelati,  del  Carli,  del  Bellini, 
e  la  grande  raccolta  del  Zanetti,  tralasciando  d' in- 
dicare quelle  che  si  limitarono  ad  illustrare  moltis- 
sime zecche  delle  città  e  provincie  italiane  (2). 
Ascoli  però  ancor  mancava  della  sua  storia  numis- 
matica ,  benché  di  alcune  monete  vari  scrittori 
avesser  brevemente  discorso.  Laonde  stimammo  di 
ricogliere  tutto  ciò  che  ragguardasse  le  monete 
storiche  ascolane,  ed  insieme  con  alcune  nostre  con- 
siderazioni presentarlo  alla  pubblica  luce  (3). 

Ascoli  del  Piceno  (4),  città  nobilissima  e  forte 
di  natura  e  di  arte  ,  fu  capo  e  sede  degl'  Italiani 
che  reclamavano  giustamente  a  Roma  i  diritti  della 
loro  cittadinanza,  e  tra  gli  altri  quello  de'suffragi 
ne'  pubblici  comizi  (5).  Quivi  nella  terribile  guerra 
sociale  furono  vinti  il  proconsole  Servilio  ,  e  gli 
esploratori  e  messaggeri  romani;  da  essa  città  usci- 
rono tre  duci  principalissimi  della  guerra  ,  e  nel 
luogo  stesso  ebbero  termine  le  ostinate  ed  acerbe 
battaglie  tra  i  romani  e  i  popoli  italici  (6).  Era 
duopo  pertanto  ricercare  primamente  ,  se  questa 
città  di  tante  rimembranze  gloriosa  ,  potesse  mo- 
strare a  suo  maggior  vanto  d'  aver  arricchita  1'  an- 
tica numismatica  de'  popoli  doli'  Italia  media,  come 


5 

altre  città  e  popolazioni  sue  vicine.  Vi  fu  qualche 
numografo  che  dubitò  non  forse  dovesse  attiibuiisi 
ad  Ascoli  del  Piceno  una  moneta  di  bronzo  con 
leggenda  greca  AYCKaA  [Aijscla)  [Eckhel,  Addenda 
p.  li  ).  Se  non  che  il  eh.  Cavedoni  osserva  ,  che 
tale  moneta  non  ad  Ascoli  del  Piceno  debba  aspet-- 
tare,  sì  ad  Ascoli  dell' Apulia  ,  una  delle  città  ri- 
bellanti al  tempo  della  guerra  italica  ;  il  cui  agro 
fu  devastato  dall'  esercito  romano  guidato  da  Go- 
sconio  ,  di  cui  parla  Appiano  (7).  Il  Millingen  (8) 
riporta  due  monete  con  la  stessa  greca  leggenda 
ripetuta,  di  diverso  tipo,  cioè  AYh 'y/£.KAI ,  o 
AY£KAir2N,  ed  opina  che  le  due  città  omoni- 
me del  Piceno  e  dell'  Apulia  sieno  state  designate 
differentemente  ,  ma  che  la  seconda  pili  sovente 
siasi  appellata  A£KAON,  o  Ascidum:  per  cui  l'at- 
tribuisce egli  ad  Ascoli  di  Apulia.  Giova  ascoltare 
le  sue  parole  medesime  (9):  -  H  y  avait  deux  vil- 
les  du  nom  d'Asculum,  une  dans  le  Picenura,  l'au- 
tre  dans  1'  Apulie,  beaucoup  plus  considerale ,  et 
à  la  quelle  appartiennent  ces  monnaies.  Cette  ville 
est  ordinairement  appelée  A^KAON,  ou  Asculum; 
mais  dans  Frontinus  on  lit  Ausculum,  et  dans  Pline 
seculani  (  Hist.  Nat.  lìb.  IH  cap.  XVI  ).  Anche  il 
eh.  T.  Mommsen  in  una  lettera  indirittaci  da  Roma 
il  17  marzo  1846  dichiara  essere  dello  stesso  parere 
del  dotto  inglese  Millingen  ,  attribuendo  con  cer- 
tezza tali  monete  ad  Asculum  Apuliim,  e  con  lui 
conviene  anche  il  eh.  Giulio  Friedlaenter  (Die  Oskis- 
chen  Munzen  ,  p.  54-56).  Ed  in  vero  le  monete 
de' piceni  o  de' popoli  adriatici  (  salvo  quelle  d'An- 
cona )  non  furono  improntate  di  greche  leggende, 


6 

ed  in  osse  non  solo  i  simboli  son  latini,  ma  altresì 
i  caratteri  della  lingua  parlata;  il  perchè  non  ci  è 
dato  porre  nel  novero  delle  monete  dell'Ascoli  pice- 
na cotesti  nummi. 

Fu  del  pari  attribuita  alla  nostra  Ascoli  un'an- 
tichissima moneta  ,  senz'  altro  tipo  che  H  da  un 
lato,  ed  fi^  dall'altro,  dal  cardinal  Zelada  (10),  dal 
Delfico  (11),  dal  Cavedoni  (12),  da  Carlo  Strozzi  (13), 
dal  MilHngen  (14) ,  qual  moneta  di  concordia  o 
confederazione  fra  Ascoli  ed  Atri,  poiché  dicevano 
essi,  esprimersi  coli'  H  la  iniziale  di  Ha  tri,  e  con 
A^  quelle  di  Ascoli  (15).  GÌ'  illustratori  poi  del- 
l' Aes  Grave  del  museo  kircheriano  furono  i  pri- 
mi, che  togliendo  ad  Ascoli  questa  moneta  ,  solo 
ad  Atri  1'  attribuirono,  osservando  che  1'  H  e  1'  A 
in  ambedue  i  lati  erano  le  due  prime  lettere  di 
HAtri  ,  e  che  gli  atriani  da'  latini  copiassero  la  S 
arcaica  per  indicare  la  semoncia  (16).  Ma  poiché 
in  cosa  di  tanta  importanza  non  sembravano  bastanti 
i  brevi  cenni  che  se  ne  addussero  nel  loro  ragio- 
namento dai  dottissimi  p.  Giuseppe  Marchi  e  Pie- 
tro Tessieri  ,  così  noi  nelF  imprendere  a  dettare 
questa  qualunque  siasi  memoria  credemmo  con- 
venevole di  consultare  novamente  uno  de'  medesi- 
mi, cioè  il  p.  Marchi,  il  quale  a' 2  novembre  1843 
confermava  la  già  manifestata  opinione  in  una  let- 
tera a  noi  indiritta.  »  Eccole  (  egli  ci  scriveva  ) 
»  il  perchè  sarebbe  contra  il  fatto  riconoscere  il 
»  semiobolo  di  Atri  come  moneta  d'  Ascoli,  e  peg- 
»  gio  come  moneta  di  confederazione  fra  Ascoli 
»  stesso  ed  Atri  -  Gli  unici  popoli,  che,  per  quanto 
«  finora  da'  monumenti  ci  vien  dimostrato,  lungo 


7 

»  il  littorale  adriatico  ebbero  moneta  primitiva  di 

»  getto,  sono  que'  di  Rimini,  di  Fermo,  di  Atri, 

»  di  Lucerà,  di  Venosa,  ed  i  Vestini.  Rimini,  Atri, 

»  e  Lucerà  ,  perchè  n'  ebbero  in  maggior  copia  , 

»  ne  hanno  fatto    infin    d'  ora  conoscere    tutte  le 

»  loro  varietà.  Di  Fermo  non  conosciamo  che  il  trio- 

»  bolo  e  il  diobolo  (17);  de'vestini  il  diobolo,  l'obolo 

»  e  il  semiobolo;  di  Venosa  il  triobolo  col  diobolo. 

»  Sono  cosi  conosciuti  quattro  semioboli  adriatici, 

»  il  riminese  e  il  lucerese  che  mancano  del  segno 

»  del  proprio  valore  ,    1'  atriano    e  il  vestino  che 

»  fortunatamente  portano  il  valore  rilevato  sul  cam- 

»  pò.  I  due  primi  ,  quantunque  mancanti  di  quel 

«  segno,  si  riconoscono  per  semioboli,  perchè  oltre 

j)  r  obolo  conosciutissimo  di  Rimini  abbiamo  una 

))  monetina  ,  che  è  appunto  nella  misura  la  metà 

»  dell'  obolo,  ed  ha  nel  diritto,  come  tutta  la  se- 

»  rie  di  quella  zecca,  la  testa  nuda  col  torque  al 

ì)  collo;  talché  quella  monetina  costituisce  indubi- 

»  tatamente  1'  ultimo  anello  dì  quella  serie.  Cosi 

))  la  monetina ,  che  è  la  metà  dell'  obolo  lucerese 

))  porta  stampata  sopra  una  delle  sue  facce    la  ^ 

ì)  che  è  la  nota  comune  a  tutte  le  monete  di  quel- 

»  la  serie.  Gli  atriani  ed  i  vestini  che  prendevano 

))  il  proprio    semiobolo  dalla    semoncia  de'  popoli 

»  latini,  a'  quali  geograficamente  più  che  a'  rimi- 

))  nesi  e  luceresi  eran  vicini,  tolsero  per  segno  del 

»  semiobolo  il   segno  medesimo  di  quella  semon- 

»  eia,  che  è  la  ^  o  J  ,  o     ,  arcaica  di  tutti  gl'italiani. 

»  La  semoncia  de'  vestini  porta  questa  ^  ;  quella 

))  degli  atriani  quest'  altra    3  .  Aggiungasi  che  i  ve- 

»  stini,  che  scrissero  le  tre  prime  lettere  del  loro 


8 
»  nome  su  tutte  le  loro    monete  ,  mostiarono   di 
»  ben  conoscere  la  nuova  forma  della  S,  mercechè 
»  non  scrisser  già  YEZ  ,  ma  VES.  E  gli  atriani  , 
»  scrivendo  quel  loro  HAT  con  forma  tale  di  let- 
»  tere,  che  nell'  età  d'  Augusto  non  sarebbesi  fatto 
»  meglio,  anch'  essi  ci  dimostrarono,  che  segnavano 
»   moneta  in  un  tempo  in  cui  1'  alfabeto  avea  già 
))  ottenuti  tutti  i  suoi  miglioramenti  e  perfeziona- 
»   menti.  Perciò    se    fosse  vero  che    il    semiobolo 
»  d'  Atri  fosse  moneta  sociale  d'  Ascoli,  non  Iro- 
»   verebbesi  già  scritto  A  3  >  iif^a  AS.  Oltrediciò  , 
»  come  ordinerebbesi  la  serie  d'  Atri ,  togliendole 
»   il  semiobolo,  mentre  le  altre  officine  adriatiche 
»   r  hanno  tutte?  Come  giustificherebbesi   la  pro- 
»   venienza  di  quella  moneta  da  Atri,  e  mai  o  qua- 
»  si  mai  da  Ascoli  ,  per    quanto  conosco    io   che 
»   in  questi  fatti    studio  da    anni    ed  anni  ?  Dove 
))  metterebbesi  l'  onore  d'  Ascoli  ,  che    mentre    le 
«   città  e  i  popoli  vicini    segnavano    una    serie  di 
))  sette  monete  ,  non  avrebbe  segnato  che  questo 
»  mostruoso  J^?  Come  vorrebbesi  leggere  1'  H,  che 
))  è  nel  diritto  di  questa  moneta  e  che  non  è  né 
»   vocale  ne  consonante,  e  quindi  non  può  aver  va- 
»  lore  come  segno  puro  di  aspirazione  ,  senz'  ap- 
»  poggiarla  alla  vocale  A  del  rovescio,  e  leggen- 
))  do  almeno  HA  ?  Ella,  signor  avvocato,  continui 
»  il  ragionamento,  chèla  perspicacia  non  le  man- 
))  ca:  e  non  tema  d'  offendere  1'  onore  d'  una  città 
))   onoratissima  per  tant'  altri  titoli  ,  distruggendo 
»  un  pregiudizio  che  quanto  in  se  è  assurdo  e  fal- 
))  so,  altrettanto  è  insufficiente  all'  intento  per  cui 
))  da  chi  non  vuol    ragionare  si  vuol    pur    tenere 


9 

)>  in  piedi.  »  Per  conoscere  se  il  p.  Marchi  era  an- 
cor fermo  nel  manifestato  parere,  ci  femmo  a  ri- 
chiedernelo  di  nuovo,  potendo  essere  avvenuto  che 
col  volgere  degli  anni  ,  e  per  altri  ritrovamenti  e 
confronti,  avesse  cangiato  d'  avviso;  ed  egli  rispose 
confortando  di  nuove  ragioni  la  stessa  sentenza 
(18).  La  quale  venendo  da  giudice  competente  qual'è 
il  Marchi  ,  sì  per  esser  egli  di  molta  critica  for- 
nito e  di  grande  intelligenza  nella  numismatica  primi- 
tiva italica  ,  e  sì  per  i  confronti,  che  potò  farne 
nella  gran  collezione  kircheriana,  la  più  ricca  che  si 
conosca  di  siffatte  monete,  noi  non  ci  ciediamo  ca- 
paci di  continuare  il  ragionamento,  ed  attendiamo 
ch'egli  ed  il  suo  dotto  collega  Tessieri,  nella  nuo- 
va edizione  della  rinomata  opera,  manifestino  più 
ampiamente  le  ragioni  ,  per  le  quali  debba  ripu- 
tarsi la  controversa  moneta  per  semoncia  o  semio- 
bolo di  Atri.  Diciamo  solo  ,  che  chiunque  anche 
privo  di  pratica  in  tali  studi ,  all'  osservare  la  se- 
rie delle  monete  atriane  dall'  asse  al  semiobolo  , 
ne  rimarrà  convinto  per  la  conformità  dello  stile 
nei  simboli  e  nella  foggia  delle  lettere.  Né  potrebbe 
dirsi  appartenente  ad  Asculum  del  Piceno,  né  ad 
Asculum  dell'  Apulia  la  moneta  con  A  da  una  parte 
e  caduceo  dall'altra  (Zelada,  Num.  une.  tab.  1.  4; 
Carelli  tab.  XXVII  ,  7  „  e  1'  Aes  grave  del  museo 
kircheriano  classe  IV  tav.  II  num.  8);  poiché  colla 
nuova  pubblicazione  dell'  opera  »  La  stipe  tribu- 
tata alle  divinità  delle  acque  apollinari  scoperta  al 
cominciare  del  185^2,  di  G.  M.  d.  C.  d.  G  (Roma 
tip.  delle  belle  arti  1852  )  »  vien  tolta  ogni  dubbiez- 
za che  non  potesse  appartenere  a  popoli  adriatici. 


10 

Imperocché  i  eh- Marchi  e Tessieri  (questi  ora  direttore 
del  medagliere  della  biblioteca  vaticana)  allorquando 
pubblicarono  insieme  quella  loro  opera  stimarono  es- 
ser quella  moneta  il  quarto  dell'oncia  delle  monete 
di  Atri  {  ivi  p.  32  ),  non  per  indizio  che  ne  aves- 
sero qualunque  del  suo  esser  atriano  ,  ma  indotti 
dall'  apparenza  di  quell'  A,  e  dal  non  saper  trovare 
un'  altra  serie,  alla  quale  attribuirlo.  Il  tempo,  che 
tante  cose  ci  svela ,  ha  obbligato  il  eh.  p.  Marchi 
a  riportare  quella  monéta  al  di  là  dell'  Apennino. 
Egli  a  pag.  11  della  Stipe  pubblicò  essersi  rinve- 
nute nelle  acque  apollinari  ventisette  once  con  A 
nel  diritto  e  nel  riverso  il  caduceo,  e  quattordici 
di  quelle  once  con  A  e  campo  liscio  nel  riverso. 
Or  se  tali  acque  contavano  ben  41  di  queste  mo- 
nete; se  niuna  moneta  delle  città  poste  oltre  1'  A- 
pennino  si  è  rinvenuta  nelle  acque  apollinari  , 
si  è  obbligati  a  tenere  anche  queste  41  come  ap- 
partenenti a  città  poste  verso  il  mare  superiore. 
In  tal  modo  è  vie  più  dimostrato  ,  che  alle  due 
omonime  città  di  Ascoli  non  potesse  appartenere 
quella  moneta.  Lasceremo  adunque  tale  argomento 
alle  disquisizioni  de'  coltivatori  della  nobilissima 
scienza  delle  antiche  monete  :  e  per  conoscere  se 
Ascoli  abbia  avuto  le  gravi,  1'  attenderemo  dal  tem- 
po, al  cui  volgersi,  uscendo  fuori  del  terreno  clas- 
sici monumenti,  questi  o  conforteranno  le  esposte 
opinioni,  se  fossero  giuste,  o  le  respingeranno,  se 
riposassero  sopra  ragioni  arbitrarie  o  mal  fondate 
congetture. 


11 

Che  se  ad  Ascoli  del  Piceno  non  possiam  noi 
attribuire  con  certezza  le  monete  sopra  riferite , 
terremo  ora  proposito  di  due  rarissimi  nummi,  i 
quali,  se  non  furono  coniati  in  quel!'  antica  ed  il- 
lustre città  ,  hanno  però  impressi  i  nomi  di  due 
celebri  suoi  cittadini.  Al  che  è  da  premettere  co- 
me r  esimio  archeologo  Francesco  Capranesi  nel- 
r  anno  1839  pubblicò  una  moneta  spettante  a  Ti- 
berio Veturio  Barro,  la  quale  offre  nel  diritto  la 
testa  di  Ercole  coperta  della  spoglia  leonina,  dietro 
cui  la  nota  del  quadrante,  e  nel  riverso  TI.  VET. 
B.  -  Tiberius  Veturius  Barnis  (  le  tre  lettere  del 
nome  sono  in  nesso  ).  Strigile  e  vasetto  da  olio 
collegati  con  una  cordella:  dalla  parte  opposta  RO- 
MA (19). 

Egli,  nell'annunciare  questa  moneta  da  lui  pos- 
seduta, ci  dice  esser  la  quarta  che  viene  alla  luce 
con  questo  nome  ,  sendo  stata  la  prima  edita  dal 
Ramus  nel  catalogo  del  museo  di  Danimarca,  por- 
tante l'epigrafe  TI.  VET.  colle  tre  lettere  del  nome 
in  nesso,  e  ROMA;  la  seconda  similissìma  conser- 
varsi nella  incomparabile  raccolta  del  conte  Barto- 
lomeo Borghesi,  principe  de'  numismatici;  la  ter- 
za essergli  stata  fatta  vedere  da  noi. 

»  II  celebre  Morelli  (  segue  il  Capranesi  )  par- 
»  landò  a  lungo  della  gente  Veturia,  disse  che  la 
»  moneta  d'argento  coli'  epigrafe  TI.  VET.  spettas- 
»  se  a  Tiberio  Veturio  Barro  triumviro  monetale  e 
»  questore  urbano  nel  tempo  di  Siila:  e  in  prova 
»  di  ciò  tra  le  altre  cose  avverte  di  un  difetto  nel 
»  presente  passo  di  Cicerone:  Omnium  aiitem  elo- 
»  quentissimiis  extra  hanc  urbem  T.  Betucius  Barrus 


12 

»  asculanus,  cuius  siint  aliquol  orationes  Asculi  ìiabi-' 
))  tae.  Illa  Rotnae  cantra  Caepionem  ,  nobilis  sane: 
))  cui  orationi  Caepionis  ore  respodil  Aelius;  qui  scrì^ 
»  ptitavit  orationes  multa s  orator,  ipse  nunquam  fuit. 
»   (  De  claris   oratoribus    liber  ,  qui   dicitur    Brutus 
))  cap.  XLVI).    Che  provenisse  da    una  svanitura 
))  dello  scritto  ,  ovvero  da  un  errore  del  copista  , 
»  giustamente  si  avvide  il  Morelli,  che  quel  Betu- 
»  cius  dovesse  restituirsi  in  Belurius  o   Veturius,  e 
»  leggersi  correttamente   Tiberius   Veturius  Barrus, 
V  Ora  dopo  circa  un  secolo  ,  da  quanto  così  ret- 
»   tamente    quel!'   antiquario    pensò  ,    ci    soprav- 
»  venne  questo  compiuto  quadrante,  il  quale  prova 
»   mirabilmente  quanto  egli  disse.  «  Continua  po- 
scia   r  erudito    illustratore  a    dichiarare    il    signi- 
ficato del    rovescio  ,  e  1'  uso  di  questi  quadranti  : 
e  quindi  sull'  appoggio  del  tipo  di  questa  moneta, 
e  di  Giovenale  (F/,  447  ),  di  Orazio  (  Sat.  /,  3, 
137),  di  Seneca  (  ep.  LXXXIV ,  29  ),  e  di  Cice- 
rone [Pro  Coel.  26)  ,  i  quali  ci  attestano  che  pa- 
gavasi  un  quadrante  al  balneator  ,  capo  o  custode 
del  bagno  ,  conchiude  che  la  tassa  imposta   sopra 
i  bagni  ebbe  principio  al  tempo  di  Siila,  allorché 
ad  essi  presedeva    Tiberio  Veturio  Barro  triumviro 
monetale  o  questore  urbano  ;  della    qual  legge  si 
volle  segnare  la  memoria    sopra    alcuni    quadranti 
coir  insolita  rappresentazione  dello  strigile  e  del  va- 
setto da  olio   (20). 

Altra  moneta,  eh'  è  la  quinta  tra  esse,  fu  an- 
nunziata in  appresso  dal  eh.  Giulio  Minervini  di 
Napoli  come  esistente  nella  sua  raccolta  (21).  Sif- 
fatta pubblicazione  del    Capranesi    di  una   moneta 


13 

inedita  diede  occasione  (  siccome  avviene  allorquan- 
do si  pongono  in  luce  monete  od  altri  monumenti 
inedili,  che  servono  di  fondamento  alla  storia  )  a 
due  valentissimi  archeologi  Celestino    Cavedoni  di 
Modena  ,  ed  allo  stesso  Minervini  ,  di  manifestare 
intorno  a  questo    importantissimo  nummo  la  opi- 
nione loro.    Noi  crediamo    di  riferire   brevemente 
ciò  eh'  essi  dottamente  ne  scrissero,  perchè  possa 
dedursi  quanto  le  loro  osservazioni    sieno    fondate 
sul  vero.   Al  primo  sembrò  assai  ingegnosa  la  con- 
gettura del  Capranesi  ,  il  quale    nello  strigile  ,  da 
cui  pende  appeso  il  vaso  dell'  olio,  ravvisa  un'  al- 
lusione al  quadrante  su  cui  è  ritratto  quel  tipo  in 
riguardo  alla  tassa    de'  bagni   qiiadranlaria  ,  eh'  ei 
suppone  invalsa  a'  tempi  di  Siila.    «  Pure   ne  du- 
bito assai  (  sono  sue  parole  )  tra  perchè  non  v'  ha 
iorse  altro  esempio  di  tipo  allusivo  al  valore  del- 
la moneta  su    cui    è  inciso  ,  e    perchè  le  monete 
di  Ti.  Veturio  ,    in  riguardo    all'  asse    onciale  ed 
al  denario  ,    che  non    mancava   nel    ripostiglio    di 
Romagna  nascosto  a'  tempi  di  Siila  ,   voglionsi  ri- 
putare alquanto  più  antiche  di  quello  che  parvero 
al  lodato  sig.  Capranesi.  Io  sospettai  da  prima,  che 
lo  strigile  col  vaso  dell'olio,  essendo  simbolo  mani- 
festo di  bagni  o  terme,  potesse  alludere  al  cogno- 
me Barrus  di  Ti.  Veturio,  avendosi  da  Servio  {ad 
Georg,  i,  109)  che  «  scrutatorcs,  vel  repertores  aqua- 
rum,  aquilices  dicuntur ,  barimdas  dixerunt  ».  Ora 
però  vedendo  che  tra  pe'riscontri  addotti  dall'  Aver 
campio,  e  per  la  moneta  edita  dal  Capranesi,  sem- 
bra ornai  certo  che  questo  Ti.  Veturio  si  cognomi- 
nasse BARRL'S,  e  fosse  oriundo  da  Ascoli   del  Pi- 


u 

ceno,  parmi  assai  meglio  riferire  Io  strigile  alle 
terme  ascolane  che  furono  assai  celebri  e  frequen- 
tate [v-  Cluver.  Ital.  ant.  p.  742;  Colucci^  Antichità 
pie.  t.  Xyj,  p.  233  248  ).  Il  vaso  dell'  olio,  oltre- 
ché va  di  sua  natura  congiunto  allo  strigile,  può 
eziandio  riferirsi  alla  bontà  e  copia  dell'  olio  del 
Piceno  {  Plin.  XF  ,  4).  Ancora  que' due  simboli 
de'  bagni  possono  connettersi  con  la  testa  di  Ercole, 
al  quale  erano  sacre  tutte  le  terme,  come  ne  attesta 
Ateneo  {XII,  p.  512):  t«  dcpixòc  Xcurfià  ra  ©arvo/^sva 
£X  rvjg  yr.g  yravrs; "HpaxXsoug  (puah  upd  uvxi  [cf.  Eckel 
T.  1,  p.  214,  T.  Vlly  p.  213  )  »  (22). 

L'opinione  del  Cavedoni  intorno  al  simbolo  del 
vaso  non  andò  in  grado  all'autore  dell'articolo  in- 
serito nel  Tiberino  an.  VI  pag.  205,  specialmente 
perchè  «  nuova  gli  viene  la  celebrità  delle  terme 
ascolane  »  alle  quali  si  riferisce  lo  strigile  col  vaso 
dell'olio:  ed  altresì  perchè  «  non  è  punto  naturale 
»  la  proposta  allusione  all'olio  piceno,  non  avendo 
»  potuto  mai  quella  provincia  in  tal  punto  garég- 
»  giare  con  la  Sabina  e  con  l'Umbria  ».  Noi  non 
crediamo  entrar  giudici  in  tal  questione;  faremo  os- 
servare senza  più,  che  celebratissime  furono  le  acque 
termali  esistenti  presso  Ascoli  sin  dalla  più  remota 
antichità;  il  che  conforta  l'  opinione  del  detto  ar- 
cheologo modenese  sulla  significazione  del  simbolo 
posto  dall'  ascolano  Beturio  nel  quadrante  di  che 
parlasi. 

Ed  in  vero;  nella  tavola  peutingeriana,  delinean- 
dosi il  corso  della  via  salaria  che  da  Roma  pro- 
grediva sino  al  Piceno,  si  nomina  fra  gli  altri  luoghi 
ASCLO  PICENO  AD  AQUAS  IX.  Il  vico  Ad  aqms 


15 

è  l'odierna  Acquasanta,  distante  da  Ascoli  un  dieci 
miglia.  Questo  nome  si  ebbe  dalla  sorgente  di  acque 
minerali  e  sulfuree  assai  salutifere.  Marsilio  da  Pa- 
dova (23)  parlando  de' bagni  d'Italia  dice:  -  Sim/ ef 
Asculi  aquae  salubres,  quondam  eliam  celebres,  qiias 
romani  freqnentabant.  Cn.  Plancus  consul  sanitalem 
cum  recuperasse^  quam  non  invenerat  in  Thuscia,  va- 
cavit  qentem  asculanam  incognilam  morti,  cum  vitam 
in  aquis  servarci.  -  Oltre  i  bagni  nel  vico  ad  aquas, 
presso  Castel  Trosino  ve  n'eiano  altri  di  acque  mi- 
nerali dette  salmacine:  ed  il  Vannozzi,  parlando  dì 
queste,  ne  fa  fede  che  era  tanta  la  loro  celebrità, 
che  ad  esse  concorrevano  frequenti  non  solo  i  pi- 
ceni e  i  sanniti,  ma  altresì  i  popoli  più  remoti,  e 
massime  i  romani  ,  e  per  sino  i  consoli  (24). 

Acpennammo  superiormente,  che  il  eh.  Minervini 
nel  far  noto  che  ancor  egli  possedeva  il  quadrante  della 
famiglia  Veturia,  pubblicato  dal  sig.  Capranesi,  espone 
alcune  osservazioni  intorno  al  tipo  di  quella  nuova 
moneta,  e  dimostra  che  il  trovarsi  insieme  lo  stri- 
gile  e  l'ampolla  olearia  porgesse  un  simbolo  ado- 
perato dagli  antichi  a  denotare  i  bagni,  e  ciò  col- 
r  autorità  di  Giorgio  Fabricio  nella  descrizione  di 
Roma:  -  In  clivo  quirinali,  ubi  nunc  monaslerium  est, 
quod  corrupta  romanorum  lingua.  Bagna  Poli  quasi 
Balnee  Pauli  dicitiir.  Prope  has  in  proieclo  lapide  , 
formam  strigilis  et  ampullae  vidimus  exsculplam  -. 
Poscia  sostiene  ,  che  il  quadrante  fosse  il  prezzo 
del  bagno  sull'autorità  di  Orazio,  di  Giovenale,  di 
Seneca,  di  Plutarco,  di  Quintiliano,  e  di  altri  antichi 
scrittori:  e  manifesta  il  suo  parere,  che  a'  tempi  di 
Siila,  essendo  triumviro  monetale  o  questore  urbano 


16 

Ti.  Vetui'io  Bario,  dovè  stabilirsi  il  tenue  prezzo  del 
quadrante  ,  perchè  veniva  quella  spesa  a  ricadere 
soltanto  sul  popolo,  mentre  i  piiì  ricchi  aveano  in 
casa  loro  i  bagni  privati.  Quindi  egli  congettura  che 
Veturio  Barro  volle  forse  denotare  sul  quadrante  , 
che  avrebbe  dovuto  pagarsi  quella  moneta  pe'  bagni 
de'  popolani  (25). 

Avevamo  noi  compiuta  questa  monografia  , 
quando  il  dottissimo  conte  Borghesi  ci  scrisse, 
che  un  altro  quadrante  di  Veturio  Barro  gli  era 
capitato,  ma  meno  conservato.  »  In  quello  eh'  io 
aveva  leggesi  chiaramente  TI.  VE.  B,  onde  se  ne 
conchiude  che  n'  esistono  due  varietà;  se  non  che 
più  stimabile  sarà  quello  da  lei  posseduto  con 
VETV ,  perchè  esclude  che  possa  assegnarsi  alla 
Vettia,  alla  Vetilia,  o  ad  altra  gente,  che  incominci 
il  nome  da  quella  sillaba  ,  e  ne  assicura  l'attribu- 
zione alla  Veturia.  »  (Lettera  del  30  agosto  1853). 

Noi  ci  siam  forse  trattenuti  con  troppe  parole 
intorno  a  questa  rarissima  moneta,  della  quale  sin 
qui  si  conoscono  soli  sei  esemplari  ;  ma  abbiamo 
creduto  di  presentare  riunite  le  varie  disquisizioni 
degli  archeologi,  perchè  ciascuno  possa  intorno  alle 
medesime  dar  suo  giudizio.  Pubblichiamo  il  nostro 
quadrante  colle  lettere  VETV,  in  cui  non  appari- 
scono chiare  le  lettere  del  prenome  TI ,  e  manca 
la  iniziale  B  del  cognome  Barro  [Vedasi  nella  ta- 
vola I  delle  monete  n.  1)  (26). 

L'altra  moneta,  benché  non  sia  uscita  da  offi- 
cina ascolana  ,  pure  appartiene  anch'  essa  ad  altro 
più  celebre  concittadino,  voglio  dire  a  quel  P.  Ven- 
tidio  Basso,  che  da  vii  condizione  pervenne  al  mas- 
simo degli  onori,  cioè  al  consolato.  Questo  rarissi- 


17 

mo    mimo    niosti'a  da  una    parte  la  testa  nuda  di 
M.  Antonio  coi  lituo  dietro  la  nuca,  e  con  la  leggenda 
M.  ANT.  IMP.  111.  V.  R.  P.  C,  e  dall'altro  canto 
le  lettere  intorno  P.  VENTIDl.  PONT.  IMP.,  e  fi- 
gura virile  nuda  in  piedi  di  fronte  con  clamide  but- 
tata suir  omero  sinistro  ;    si   appoggia  colla  destra 
all'  asta  ,  e  nella  sinistra    tiene    un  ramo    di  olivo 
[Tav.  I  delle  monete  n.  2)-    Per  riferire  alcun  che 
intorno  alle  geste  di  cotesto  ascolano,  rammente- 
remo che  ottenne  Ventidio  la  pretura  nel  711;  che 
nata  intanto  la  guerra  modenese    si  ritirò  nel  Pi- 
ceno, ove  raccolse  tre  legioni  ;    che    Ottaviano  gli 
permise  di  andare  ad  unirsi  con  M.    Antonio    che 
fuggiva  nella  Gallia  ,  ragione  per  cui    fu  in  Roma 
dichiarato  nemico  pubblico;  che  dopo  il  famoso  tri- 
umvirato di  Lepido  ,  Antonio  e  Ottaviano    fu   egli 
nominato  pontefice,  e  negli  anni  712  e  713,  attri- 
buita a  M.  Antonio  la  Gallia  ,   governolla  in  nome 
di  lui;  che  poscia  agli  8  di  giugno  del  716  riportò 
r  ultima  e  la  piiì  celebre  delle  sue  vittorie  ne'campi 
cirrestici,  in  cui  non  solo  fu  sconfitto  l'esercito  de' 
parti ,  ma  vi  rimase  estinto  altresì  il  supremo  lor 
duce  Pacoro  figlio  del  re  Orode:   pel  quale  segna- 
lato valore  ebbe  titolo  d'  imperatore,  e  il  28  no- 
vembre dello  stesso  anno  716    entrò    trionfante  a 
Roma  (Dione  L  49  e.  21).  Questa  medaglia  adun- 
que dell'  ascolano  Ventidio    deve   essere  posteriore 
al  luglio  del  716,  ed  essere  stata  certamente  bat- 
tuta in  quel  torno  ,    perchè  Antonio    sopravvenuto 
nella  Siria  ricondusse  in  Grecia  Ventidio    alla  fine 
di  quella  campagna  ,  come   dimostrò   il  dottissimo 
conte   Rartolomeo   Borghesi   (27).  La  figura  che  si 
G.A.T.CXLV.  2 


18 
ravvisa  nel  rovescio  è  dello  stesso  Antonio  in  co- 
stume eroico,  e  però  nudo  con  in  mano  1'  olivo  in 
aria  di  pacificatore,  alludendosi  all'  accordo  di  lui 
con  Antioco  re  di  Comagene,  allorché  fu  assediata 
da  Antonio  la  città  di  Samosata. 

Abbiamo  reputato  dire  alcuna  cosa  su  queste 
due  monete  per  rammentare  que'  due  celebri  asco- 
lani Tiberio  Veturio  Barro  e  Publio  Ventidio  Bas- 
so, che  formano  la  gloria  de'  vetusti  tempi  di  quella 
città  (28).  Ma  poiché  ci  siam  prefisso  trattare  prin- 
cipalmente delle  monete  de'  secoli  di  mezzo  ,  così 
passiamo  ora  a  discorrer  brevemente  sulla  origine 
della  zecca  ascolana,  per  dichiarar  quindi  le  mo- 
nete che  alla  medesima  si  appartengono. 

Istituzione  e  coìiferme  della  zecca  ascolana. 

Varie  sono  le  opinioni  degli  storici  intorno  il 
tempo  in  che  fosse  istituita  la  zecca  ascolana.  Il 
Bellini  (29)  sull'  appoggio  dell'  Ughelli  (30)  ne  sta- 
bilisce la  istituzione  per  privilegio  conceduto  dal- 
l' imperatore  Ottone  ad  Adamo  vescovo  di  Ascoli 
nell'anno  996.  11  Peruzzi  nelle  dissertazioni  anco- 
nitane (31)  segue  la  opinione  dell'  Ughelli  e  del 
Bellini,  ed  aggiunge  che  le  monete  ascolane  sono 
pili  antiche  delle  anconitane.  Però  lo  storico  An- 
dreantonelli  (32)  ,  e  dopo  lui  il  Carli  (33)  ,  asse- 
gnano Ja  istituzione  della  zecca  di  Ascoli  a'  tempi 
dell'  imp.  Corrado  li  ,  il  quale  con  diploma  dato 
nel  1037  concesse  a  Bernardo  I  vescovo  di  essa 
città  il  diritto  di  batter  monete  d'  ogni  sorta  ,  le 
quali  liberamente  e  sicuramente  potessero  correre 
in  tutto  il  suo  regno    {Documento  A).  11  suo  sue- 


19 

cessore  Enrico  IH  ncll'  anno  1045  concesse  lo  stes- 
so privilegio  (  Documento  B  ),  che  poscia  confermò 
nel  1056  ne' vescovi,  i  quali  potevano  usarne  [Do- 
cumento C  ).  Fecero  altrettanto  l' imperatore  Lot- 
tario  III  nel  1137  (  Documento  Z>  ),  Corrado  II  re 
de'  romani  nel  1150  [Documento  E),  e  finalmente 
Federigo  Barbarossa  nel  1185,  il  quale  estese  que- 
sto diritto  a  tutta  la  episcopale  giurisdizione  [Do- 
cumento F).  E  l'imperatore  Arrigo  VI  figlio  di  Fe- 
derigo cenfermò  con  quattro  diplomi  del  1185, 
1191  e  1193  tutti  i  privilegi  e  diritti  da'  suoi  an- 
tecessori conceduti  alla  chiesa  ascolana. 

Non  può  asserirsi  con  sicurezza  se  dappresso  le 
imperiali  concessioni,  di  cui  parlammo,  si  conias- 
sero monete  dai  vescovi  ,  ai  quali  il  privilegio  fu 
accordato:  ma  fra  le  monete  riferite  dai  numografi 
e  quelle  per  noi  raccolte,  se  ne  veggono  battute 
in  argento  colla  leggenda  in  lettere  gotiche  S.  EMI- 
DIUS  ed  effigie  di  esso  santo  vescovo  ,  e  nel  ri- 
verso una  croce  con  le  parole  DE  ESCVLO,  ESCLO, 
ed  anche  A.SCVLO.  Noi  però  non  trovammo  rife- 
rite da  alcuno,  ne  ci  fu  dato  vedere  giammai,  mo- 
nete con  la  leggenda  del  capitolo  ascolano,  CAP. 
ASCVLANI,  come  da  taluno  si  è  asserito  (34). 

E  qui  crediamo  conveniente  osservare  ,  come 
non  sembra  siasi  dall'  imperatore  Ottone  accordato 
il  diritto  di  coniar  moneta  ad  Adamo  vescovo  di 
Ascoli  neir  anno  995  ,  o  in  quel  torno,  conforme 
si  pare  voglia  inferire  1'  Ughelli  da  un  diploma 
eh'  ei  riferisce  (35)  ;  poiché  ,  oltre  il  non  leggersi 
espressamente  conceduta  in  esso  tale  facoltà,  non 
è  a  presumersi  ,  che  in  quel  secolo  ,  in  cui  altre 


20 

più  illustri  città  italiane  non  coniavano  monete  , 
fosse  stato  conceduto  siffatto  diritto  ad  Ascoli  ; 
né  tampoco  ci  adagieierno  così  facilmente  al  Mar- 
cucci  (36),  il  quale  è  di  avviso,  che  dopo  la  con- 
fermazione che  ne  fece  1'  imperatore  Corrado  II 
neir  anno  1037  al  vescovo  Bernardo  I,  si  facesse 
uso  di  tal  diritto  ,  indicandone  anche  le  prime 
monete  eh'  ei  chiama  vescovili  ,  le  quali  hanno  il 
tipo  con  r  immagine  di  s.  Emidio  ,  ed  intorno  le 
parole  S.  Emidius  PP,  e  nel  rovescio  una  specie 
di  dalmatica  col  motto  De  Esculo. 

1  papi,  riacquistato  avendo  in  appresso  il  do- 
minio di  quella  città,  concessero  anch'  essi  o  con- 
fermarono il  privilegio  della  zecca,  che  dagl'  impe- 
ratori era  stato  accordato;  imperocché  ne'  pontifi- 
cati di  Martino  V,  di  Eugenio  IV,  di  Sisto  IV  e  di 
Alessandro  VI  si  coniarono  in  Ascoli  monete  coi 
tipi  recanti  i  loro  nomi  e  le  chiavi  incrociate  ;  e 
taluna  volta  gli  slemmi  gentilizi  di  essi  papi  ,  e 
r  arme  della  città  ,  come  in  appresso  a'  suoi  luo- 
ghi indicheremo. 

Monete  con  la  immagine  di  S.  Emidio. 

Sin  dal  nono  secolo  le  città  italiche  comincia- 
rono a  venerare  alcun  santo  sotto  il  titolo  di  loro 
protettore  {Cf.  Ughelli  [tal.  &acr.  tom.  4  e.  533)  ; 
nel  duodecimo  poi  ogni  città  adottato  aveva  in  pa- 
trono quel  santo,  o  martire  o  confessore,  del  quale 
pili  degli  altri  parlavano  le  memorie  averla  illus- 
trata colle  virtù  ,  colle  beneficenze  e  con  i  mira- 
coli. Furono  quindi  per  costante  consuetudine  sulle 


21 

monete,  coniate  dopo  questo  tempo,  impresse  le  im- 
magini dei  santi  protettori  delle  città  (37);  con  che 
oltre  lo  stabilirsene  il  culto  e  il  far  onore  al  nome 
di  essi ,  marcando  un  distinto  contrassegno  di  sé 
medesime,  non  pochi  articoli  s' illustrarono  di  ec- 
clesiastica erudizione,  com'è  a  vedere  nelle  dottis- 
sime dissertazioni  del  Bellini  [Oper.  cit.  V.  il  Bi- 
emmi  Slor.  di  Brescia  p..  244  e  seg  ).  Or  benché 
non  si  conosca  il  tempo  preciso ,  in  cui  furono  eoa 
niate  in  Ascoli  le  monete  colla  effìgie  di  s.  Emidio, 
certa  cosa  é  che  nel  secolo  xn  era  da  essa  città 
venerato  per  suo  protettore  (38). 

E  poiché  i  diligenti  numografì  non  lasciano  nelle 
loro  raccolte  di  darci  le  notizie  di  que'  santi,  i  cui 
nomi  leggiamo  nelle  monete,  perché  del  tutto  alla 
curiosità  del  leggitore  si  satisfaccia;  così  farem  noi 
riguardo  a  vescovo  di  tanta  celebrità,  ma  in  brevi 
tratti,  secondoché  a  questa  fatta  scritture  si  addice, 
spezialmente  per  essere  state  le  memorie  di  lui  già 
pubblicale  per  molti  agiografi  ;  e  senza  entrare  in 
polemiche  sulle  varie  opinioni  manifestate  intorno 
a  tal  santo  (39) ,  seguiremo  ciò  che  ne  dissero  i 
Bollandisti  (  tomo  xxxiv  al  dì  5  agosto  )  ,  le  leg- 
gende rinvenute  in  un  cod.  ms.°  della  biblioteca 
vallicelliana  di  Roma,  la  vita  del  santo  del  p.  Ap- 
piani, ed  altri  più  recenti  storici  sacri. 

Emidio  ebbe  suoi  natali  in  Treveri,  città  prin- 
cipale della  Gallia  belgica,  1'  anno  dell'  era  cristia- 
na 279.  Essendo  egli  d' ingegno  assai  desto,  attese 
alacremente  agli  studi,  e  si  convertì  alla  fede  cri- 
stiana aiutato  da  s.  Materno  primo  vescovo  trevi- 
rese.  Per  cessarsi  dalle  persecuzioni  ehe  contro  gli 


22 

furono  mosse,  si  allontanò  dalla  patria  dirigendosi 
verso  r  Italia.  Giunto  a  Milano,  viene  ordinato  sa- 
cerdote, e  si  fa  banditore  del  divino  eloquio;  ma, 
fortemente  trava}»liato  ,  è  costretto  fuggirne.  Ren- 
desi  in  Pioma,  e  quivi  nell'  isola  tiberina  operò  se- 
gnalate conversioni  e  distrusse  nel  tempio  di  Escu- 
lapio  il  simulacro  di  questa  falsa  divinità.  Di  che 
nuove  e  fierissime  persecuzioni  ebbe  a  sostenere  , 
dalle  quali  a  salvarlo,  da  papa  s.  Marcello  fu  elet- 
to vescovo  di  Ascoli,  e  tantosto  insieme  con  i  suoi 
discepoli,  che  avea  convertito  alla  fede,  mosse  per 
quella  città  ;  ma  temendo,  non  forse  Massenzio  lo 
avesse  quivi  a  turbare,  trasse  alle  vicine  terre  del 
Pretuzio,  a  cui  fece  similmente  raggiar  la  luce  del- 
l' evangelio.  Potè  dappoi  far  ritorno  ad  Ascoli,  ove 
subitamente  infranti  gì'  idoli  e  le  divinità  pagane 
ridusse  colle  sue  predicazioni  la  città  stessa  ed  al- 
tre terre  alla  religion  cristiana:  e  benché  oppresso 
da  infiniti  travagli,  vi  fondò  la  sua  chiesa.  Ma  viep- 
piiì  crescendo  contro  di  lui  le  molestie,  venne  a 
Fermo  a  confortar  nella  fede  i  credenti  e  ad  ac- 
crescerne il  numero  (40),  come  altresì  in  vari  luo- 
ghi della  regione  picena.  Ma  la  sua  chiesa  ascola- 
na a  sé  il  richiamava  :  ed  egli  tornatovi  ,  reca  al 
battesimo  quei  che  rimanevano  ancora  nell'idolatria, 
fra  cui  Polisia  figlia  del  prefetto  Polimio,  il  quale 
di  ciò  sdegnato  ,  deliberò  che  il  s.  vescovo  si  de- 
collasse. Difatti  ragunate  le  schiere  de'  pretoriani 
militi  ,  il  fé'  a  poca  distanza  della  città  in  loro 
presenza  decapitare,  in  quella  eh'  ci  non  ristavasi, 
comechè  negli  ultimi  istanti  della  vita,  dall'  esor- 
tare il  suo  gregge  a   mantenersi    fermo  nella  ere- 


23 

denza  di  Cristo.  Seguì  il  martirio  di  s.  Emidio  il 
giorno  quinto  di  agosto  dell'  anno  309  dell'  e.  v., 
à:"  dell'  impero  di  Costantino,  e  6."  ed  ultimo  del 
pontefice  s.  Marcello.  Fu  egli  il  proto-vescovo  di 
Ascoli  e  r  apostolo  del  Piceno,  e  per  tale  è  rico- 
nosciuto dall'  Ughelli,  dall'  Andreantonelli,  dall'  Ap- 
piani,  ed  anche  dai  Bollandisti  nel  comento  agli 
atti  di  lui  n."  1  (41).  Fu  dagli  ascolani  fin  dai  pri- 
mordi della  loro  chiesa  il  culto  di  questo  santo 
costantemente  osservato,  con  averlo  eletto  in  pro- 
tettore e  titolare ,  e  con  celebrare  il  dì  quinto  di 
agosto  siccome  sacro  alla  memoria  del  martirio  di 
Ili:  conciossiachò  le  antiche  leggi  municipali  o  sta- 
tutarie di  essa  città,  riconfermate  nell'  anno  1387 
(42),  ordinavano,  oltre  le  sacre  festività,  anche  le 
popolari,  fra  le  quali  V  armeggiare,  far  torneamenti 
e  correr  giostre  (  Appiani  Vita  di  s.  Emidio  cap. 
8,  /.  3  ).  Ad  onorare  pertanto  questo  s.  vescovo  fu 
stabilito  che  s'  improntassero  le  monete  con  la  sua 
effigie. 

Quattro  sono  fra  esse,  che  a  parer  nostro  si 
coniarono  primamente  nella  città  di  Ascoli  dopo  la 
ottenuta  concessione  della  zecca.  Hanno  nel  campo 
la  figura  in  piedi  di  s.  Emidio  con  mitra,  aureola 
e  dalmatica,  in  atto  di  benedire  con  la  destra,  te- 
nendo il  pastorale  nella  sinistra;  leggesi  in  giro  PP. 
S.  EMIDIUS  (43)  ;  il  riverso  ha  nel  campo  una 
croce  patente  con  le  lettere  intorno  DE  ESCVLO 
(  Vedi  il  prospetto  cronologico  mini'  3  4  5  e  6  ,  e 
tav.  I  numeri  3  4  5  e  6  )•  Sono  di  argento,  e  po- 
co fra  loro  dissimiglianti.  Non  è  agevol  cosa  il  de- 
terminare se  tali  monete    appartengano    al   secolo 


24 

XIII  o  al  XIV  ;  ma  se  si  ponga  mente  allo  stile , 
alla  forma  e  disposizione  delle  lettere,  noi  crediamo 
che  le  due  prime  spettino  al  XIII  e  le  altre  al  XIV, 
poiché  la  foggia  ,  onde  sono  condotte  ,  è  al  tutto 
simile  a  quella  che  vedesi  nelle  monete  ,  che  di 
que'  tempi  si  coniavano  nelle  zecche  di  Ancona,  di 
Ravenna  e  di  altre  città  sì  per  la  figura  della  mi- 
tra, sì  per  la  movenza  del  santo  vescovo. 

Poniamo  qui  una  moneta  d'  ai'gento,  che  avem- 
mo in  sorte  di  acquistare,  dopo  la  incisione  delle 
tavole,  la  quale  differisce  dalle  precedenti,  ed  è  al 
tutto  nuova  ed  inedita.  Nel  diritto  ha  S.  EMIDIVS; 
busto  del  s.  vescovo  in  piviale  con  fermaglio  o  bot- 
tone ;  mitra  o  infula  puntuta  ,  ornata  di  pietre,  e 
colle  due  fasce  pendenti  sugli  omeri;  al  di  sopra 
due  rosette.  Nel  riverso  DE  ESGVLO  all'  intorno; 
neir  area  A  grande  con  quattro  rosette  ne'  lati;  nel 
margine  superiore  ima  piccola  croce  fra  due  ro- 
sette (44). 


Dalle  monete  di  tempo  incerto,  e  che  noi  re- 
putiamo coniate  a'  tempi  dell'  autocrazia  ascolana, 
in  cui  non  avvi  alcun  segno  del  secolo  nel  quale 
furono  battute  (45),  veniamo  a  parlare  con  ordine 
cronologico  di  quelle  che  presentano  i  nomi  de'si- 
gnori,  che  tennero  il  governo  della  città,  e  de'  pon- 
tefici dai  quali  furon  o  ordinate. 


25 

Uno  stato  assai  infelice  delle  nostre  città  nel 
corso  de'  secoli  XIV  e  XV  ci  presentano  le  storie 
municipali  della  marchiana  provincia.  Agitazioni 
universali,  lotte  cittadine,  orgogli  di  patriziato  avi- 
do di  titoli  e  di  dominare  i  luoghi  vicini  con  usur- 
parne il  possesso,  fazioni  guelfe  e  ghibelline,  mire 
ambiziose  di  signorotti  che  intendevano  di  padro- 
neggiare le  città  col  pretesto  di  ritornarle  a  libero 
stato  e  a  più  sicuri  privilegi  e  franchigie:  tal  è 
il  carattere  dello  spirito  politico  italiano  di  que'  se- 
coli. Non  ispetta  a  noi  dare  una  particolare  narra- 
zione di  quanto  avvenne  nella  città  ascolana  ;  ma 
poiché  la  storia  monetaria  non  mai  si  scompagna 
dalla  civile  e  politica,  che  anzi  le  è  di  grande  sus- 
sidio, così,  nel  descrivere  ciascuna  moneta  ,  brevi 
cenni  faremo  di  que'  fatti  che  si  collegano  con  la 
medesima. 

Il  reggimento  di  Ascoli  durante  il  secolo  XV  fu 
tenuto  da  più  potenti  signori,  i  quali,  non  già  le- 
gittimi padroni  di  essa,  ma  ne  furono  violenti  in- 
vasori. Coloro  che  ,  per  dar  maggior  vista  di  do- 
minio ,  fecero  improntare  del  loro  nome  le  mo- 
nete ascolane,  sono  Andrea  Matteo  duca  d'Atri,  il 
re  Ladislao,  Conte  di  Carrara  e  da  ultimo  France- 
sco Sforza. 

Moneta  del  duca  d'Atri. 

Sulla  metà  del  secolo  XIV  l'Italia  cominciò  ad 
esser  feconda  di  capitani  venturieri ,  e  pressoché 
niuna  città,  niun  paese  di  essi  era  privo.  Dall'Um- 
bria massimamente  uscirono  uomini  ch'ebbero  fama 


26 

di  assai  valorosi  ,  fra'  quali  è  da  noverare  Biordo 
Michelotti  perugino.  Costui  si  trasferì  a  guerreg- 
giare nella  Marca,  dove  ruppe  le  genti  della  chie- 
sa, fece  prigione  Andrea  Tomacelli  fratello  di  papa 
Bonifazio  IX  in  Macerata  ,  la  quale  ad  allontanar 
Biordo  dalle  sue  mura  gli  diede  mille  ducati  [Murat. 
Rer.  italic.  script,.  XVI,  1154).  Poscia  continuando 
le  sue  scorrerie,  giunse  sotto  le  mura  di  Ascoli  con 
tremila  cavalli  e  buona  quantità  di  fanti  ,  e  vi  si 
pose  improvviso  ad  assedio.  La  città  tra  pel  valore 
de'cittadini,  e  per  essere  munita  e  forte,  si  liberò 
da  questo  capitano  di  ventura  col  pagamento  di 
tremila  ducati  (46).  Ma  ciò  non  valse  a  rappaciare 
le  due  fazioni  che  bollivano  in  quella;  che  anzi  vie 
più  si  resero  balde  ed  avide  di  bottino  e  di  san- 
gue. I  capi  del  partito  ghibellino  insorsero  con  du- 
genlo  uomini  nel  novembre  dell'anno  1395  per  ren- 
dersi padroni  non  solo  dei  fortilizi  urbani ,  ma  di 
tutta  quanta  la  città.  Si  mosse  allora  il  popolo  asco- 
lano, e  con  la  direzione  de'capi  guelli  si  preparò  a 
difendere  la  patria.  Si  combattè  sanguinosamente; 
furon  respinti  i  ghibellini  e  cacciali.  A  tale  condi- 
zione trovandosi  i  fuorusciti ,  si  ripararono  negli 
stati  di  Andrea  Matteo  di  Acquaviva ,  successore 
ad  Antonio  suo  padre  nel  ducato  d'Atri,  nella  si- 
gnoria di  Teramo  e  nella  contea  di  s.  Flaviano,  of- 
ferendogli di  farlo  signore  di  Ascoli;  impresa,  essi 
dicevano  ,  non  ardua  aiutata  dalle  loro  armi  e  da 
quelle  di  lui.  Egli  che  mire  ambiziose  volgeva  in 
mente  ,  e  appetiva  di  ampliare  la  sua  potenza  ,  di 
buon  grado  accettò  la  offerta:  e  senza  por  tempo  in 
mezzo,  si  mosse  per  questa  città  con  seiciento  lance 


27 
ch'egli  teneva  al  suo  soldo,  e  con  tutti  que'fuoru- 
sciti  ghibellini  ascolani.  Pertanto  la  notte  del  20 
novembre  1395  fu  il  duca  sotto  le  mura  della  cit- 
tà (47) ,  e  come  pratici  del  luogo  i  fuorusciti  si 
accinsero  a  scalare  le  mura:  il  che  eseguito,  apri- 
ronsi  ad  esso  ed  alla  sua  gente  le  porte  di  s.  Pietro 
in  castello  ;  ed  entrativi  e  colti  all'  impensata  gli 
abitatori  ,  accadde  un  trambusto  e  una  lotta  cosi 
sanguinosa  ,  che  vi  rimasepo  spenti  due  capi  de' 
guelfi.  Il  duca  che  credeva  poter  impadronirsi  di 
Ascoli  senza  colpo  ferire,  veggendo  l'arduezza  della 
impresa  per  la  resistenza  che  incontrava,  e  svanite 
le  promesse  de'  ghibellini,  si  fortificò  sul  coll(^  pe- 
lasgico  ,  facendo  assapere  agli  ascolani  eh'  egli  ri- 
cercando sicurezza  in  quel  luogo  ,  rivolte  avrebbe 
le  sue  armi  contro  i  fuorusciti;  il  che  essendo  av- 
venuto, si  ripararono  essi  in  Arquata  ,  ove  battuti 
dalle  armi  unite  degli  ascolani  e  atriani ,  tornò  il 
duca  ad  Ascoli  vittorioso  ,  e  se  ne  fece  padrone  , 
rimanendovi  come  tale  per  alquanti  mesi,  fino  cioè 
alla  metà  di  febbraio  del  1396.  Ma  stanchi  ornai 
gli  ascolani  di  lui,  si  posero  nuovamente  in  armi, 
e  lo  discacciarono  con  le  truppe  a  se  addette:  e  la 
città  ritornò  sotto  il  dominio  di  Bonifazio  IX,  che 
la  fece  subito  con  forte  nerbo  di  militi  presidiare 
da  Mostarda  da  Forlì.  Il  duca,  benché  lontano,  non 
cessava  di  manifestare  i  suoi  diritti  sulla  città;  dap- 
poiché in  un  diploma  di  privilegio  dato  in  Teramo 
il  24  aprile  1396,  e  spedito  a  favore  Viri  nobilis 
Odoardi  Cicchi  de  Esculo  amici  nostri  carissimi^  ei 
chiamava  Ascoli  nostra  civitas  et  curia  (48)' 


28 
Ora  nel  tempo  che  corse  dal  novembre  del  1395 
al  febbraio  ,  o  poco  più  oltre,  del  1396  ,  il  duca 
reso  padrone  di  Ascoli  >  volendo  vie  pili  mostrare 
d'aver  acquistato  de'  diritti  sulla  città,  fece  coniare 
una  moneta,  che  col  suo  nome  e  coti  quello  di  S. 
Emidio  suggellasse  la  sua  dominazione.  Quest'unica 
monetina  importantissima  (perchè  conferma  il  fatto 
sopra  narrato)  è  al  tutto  inedita  e  non  conosciuta 
da  alcun  numografo.  Noi  la  diamo  qui  incisa  la  pri- 
ma volta  nella  Tav-  I.  n.  7.  Essa  è  di  mistura;  ha 
impresso  in  un  lato  le  parole  intorno  S.  EMIDIUS 
EPI,  in  mezzo  PVS  {Episcopiis)  ;  nella  sommità  del 
margine  avvi  una  crocetta.  Dall'altro  lato  la  croce 
nel  campo  con  rami  di  fioretti  ai  due  angoli  della 
medesima,  e  )>^  DUX  ATRIAN.  Per  quanto  non  vi 
si  legga  De  Esculo^  pure  egli  è  certo  che  appartenga 
a  questa  città,  poiché  non  si  sa  che  altra  ve  n'ab- 
bia, la  quale  riconosca  in  protettore  questo  s.  ve- 
scovo. Siffatta  moneta  fu  rinvenuta  per  le  non  in- 
terrotte ricerche  da  noi  fatte  ;  ed  altra  poscia  ne 
venne  fra  mani  :  amendue  fra  loro  si  suppliscono 
per  una  piti  certa  leggenda  (F.  in  fine  il  Prospetto 
cronologico  num.  8)  (49). 

Moneta  del  re  Ladislao. 

Rimase  AscoH  per  alcuni  anni  sotto  il  dominio 
di  Bonifacio  IX,  e  quindi  del  suo  successore  Inno- 
cenzo VII,  il  quale  con  bolla  de'  13  gennaio  del  14-06 
concesse  per  tre  anni  la  infeudazione  di  questa  città 
a  Ladislao  re  di  Napoli  ,  che  1'  accettò  ,  conten- 
tandosi d'intitolarsene  protector  et  gubernator  (50): 


29 

e  ciò  a  patto  che  riscattar  dovesse  le  castella  oc- 
cupate da  alcuni  signorotti  di  que'  tempi  ,   render 
conto  dell'amministrazione,  e  il  tutto    restituir  poi 
alla  S.  Sede.  Saputosi  ciò  da  Andrea  Matteo  duca 
di  Atri,  potè  ottenere  dal  re,  che  a  lui  si  desse  l'in- 
carico di  prenderne  il  possesso  ,  ricordevole  della 
cacciata  da  essa  città  un  dieci  anni  innanzi  e  siti- 
bondo di  vendetta.  Difatti  si  condusse  quivi  con  buon 
nerbo  di  armati  ,  e  nel  nome  del  re  s' impossessò 
della  città.  Non  è  a  dire  qual  fosse  la  costernazione 
de'  cittadini  ;  e  di  vero  il  duca  commise  molte  ro- 
vine, stragi  e  altre  miserie  ;  il  perchè  Innocenzo  con 
altra  bolla  dei  20  giugno  dello  stesso  anno    1406 
revocò  la  concessa  infeudazione  [Arch.  secr.  anzian. 
ascol.  )  .  Fu  in  questo  anno  creato  marchese  della 
Marca  e  capitano  generale  delle  armi  potiflcie  Lo- 
dovico Migliorati,  nipote  di  quel  pontefice;  mancato 
però  di  vita,  e  succedutogli  Gregorio  XII,  il  privò 
del  governo  marchiano.  Ricorse  il  Migliorati  a  La- 
dislao, il  quale  sdegnato  della  revoca,  fece  occupare 
«olle  suo  armi  Ascoli  e  Fermo»  E  mostrando  voler 
fare  la  restituzione  di  Ascoli,  la  cede  il  dì  5  agosto 
1407  al  re  Ladislao  {Saggio  cit.  p.  309.).  A  lui  mos- 
se il  pontefice    gravi  lagnanze  di  sì  fatto    indegno 
procedere,  rimproverandolo  del  tiadimento  e  della 
mancata  fede;  ma  da  esso  si  posero  innanzi  de'pre- 
testi  per  ritenere  la  città  {Vedi  Anlonii  Nicolai,  An- 
noi. Firm.).  Ed  afììinchè  potesse  egli  rimaner  tran- 
quillo in  questo  possedimento,  cercò  ogni  mezzo  per 
rendersi  affezionati  gli  animi  degli  ascolani.  Sappiam 
difatti  {Arch.  secr.  anzianale) ,  che  ai    15    di  set- 
tembre del  1407  Ladislao  concesse  in  perpetuo  la 


30  ^ 

fiera  di  agosto  con  assai  franchigie  ,  raffermate 
poi  da  lui  stesso  nel  1 408  ;  che  scemò  le  gabelle, 
riunì  alla  città  alcuni  luoghi  o  borghi,  dichiarò  che 
la  terra  di  Ancarano  dovesse  continuare  ad  appar- 
tenere al  distretto  di  Ascoli,  concesse  il  permesso 
di  estrarre  bestiame  dal  regno  napolitano,  e  per  ani- 
mare e  far  rifiorire  il  commercio,  accordò  la  estra- 
zione di  talune  merci,  e  specialmente  del  ferro,  dal 
suo  porto  di  S.  Flaviano  senz'ajcun  dazio.  Né  ciò 
fu  bastante  :  perciocché  in  sul  declinare  dell'  anno 
1409  Ladislao  stesso  si  trasferì  di  persona  alla  città 
di  Ascoh,  continuando  anche  dopo  la  sua  partenza 
nell'esser  largo  de'suoi  favori  verso  di  quella  ;  poi- 
ché nel  1410  accordò  un  perpetuo  privilegio  di  en- 
trare liberamente  senza  gravame  di  tassa,  e  cosi  pu- 
re di  estrarre  liberamente  animali  e  robe  sino  al 
valore  di  50  ducati.  Nel  1412  Ladislao  venne  a  con- 
cordia con  papa  Giovanni  XXllI  ,  obbligandosi  di 
rendere  alla  sedia  apostolica  i  dominii  ad  essa  per- 
tinenti ;  ed  avendo  tenuto  Ascoli  sino  all'anno  1413, 
ne  investì  Conte  di  Carrara  e  i  suoi  figli  Obizo  e 
Ardizone.  Durante  il  suo  reggimento  fra  le  altre  cure 
ch'ebbe  re  Ladislao,  vi  fu  quella  di  coniare  moneta. 
Quatti'o  simili  ne  possediamo  non  pubblicate  da  al- 
cuno: hanno  nel  diritto  REX.  LADIS  nel  giro,  le 
ultime  quattro  lettere  LAVS  nel  campo  disposte  ia 
croce,  e  nel  margine  crocetta.  Dall'  altro  lato  leg- 
gesi  DE.  ESCVLO  all'intorrio,  e  croce  patente  nel 
mezzo,  con  due  rosette  a'  due  angoli  della  croce  (51). 
[Tav.  I.  niim.  8.  Prospetto  cronologico  num.  9). 

Egli  è  vero  che  sin  qui  non    sonosi    rinvenute 
memorie,  le  quali  ci  dicano,  che  fra  le  altre  con- 


31 

cessioni,  che  si  fecero  da  quel  principe,  vi  fosse  an- 
cora il  gius  di  batter  moneta  ;  tuttavolta  non  dee 
ciò  recar  meraviglia,  perciocché  appare  dalle  leggen- 
de poste  nelle  monete  che  conserviamo,  ch'egli  non 
al  comune  di  Ascoli  accordar  volle  codesto  privile- 
gio, ma  il  riservasse  per  sé,  profittando  del  diritto 
d'infeudazione,  che  avea  ottenuto  dal  pontefice.  E 
difatti  non  sono  indicati  in  essa  moneta  che  la  città 
e  il  nome  di  quel  monarca  che  ne  ordinava  la  co- 
niazione ;  di  che  sembra  certo,  ch'egli  stesso  volesse 
improntare  tal  moneta  col  proprio  nome  per  aggiun- 
gere all'esercizio  delle  altre  sue  prerogative  quello 
sopra  tutte  eminente  della  zecca  ;  ovvero  potrebbe 
congetturarsi,  che  la  coniassero  gli  ascolani  in  be- 
nemerenza e  memoria  delle  concessioni  e  de' privi- 
legi da  lui  ricevuti.  Non  può  recarsi  in  dubbio  che 
questa  moneta  appartenga  al  nostro  Ascoli,  e  non 
a  quello  di  Puglia:  poiché  questo,  a  quanto  noi  sap- 
piamo, non  si  chiamò  Escidum,  come  leggesi  nella 
nostra  moneta  (52). 

Monete  dei  Carraresi. 

E  procedendo  coU'ordine  cronologico  riferiremo 
ora  le  monete,  che  si  appartengono  ai  Carraresi  , 
narrando  in  qual  modo  i  medesimi  prendessero  la 
signoria  di  Ascoli.  Conte  di  Carrara  figliuolo  di  Fran- 
cesco il  vecchio,  e  fratello  a  Francesco,  ultimo  che 
abbia  avuto  il  dominio  di  Padova  (53)  ,  seguendo 
le  vestigìe  de'  suoi  maggiori  a  tutt'uomo  si  die  al- 
l'arte della  guerra  per  ambizione  di  gloria,  e  col  ti- 
tolo di  capitano  si  pose  a'  servigi    di  papa  Bonifa- 


32 

ciò  IX  l'anno  1393.  Bell'onore  si  procacciò  quando 
mandato  a  Perugia  ,  eh'  erasi  tolta  alla  soggezione 
del  pontefice ,  con  eque  condizioni  tornolla  all'os- 
sequio verso  la  sedia  romana.  Mancato  però  di  vita 
Bonifacio,  il  Carrarese,  cupido  forse  di  gloria  mag- 
giore, passò  sotto  le  insegne  di  Ladislao  re  di  Na- 
poli che  annbiva  il  dominio  di  Roma.  Ma  sorte 
in  questo  tempo  forti  contese  fra  Innocenzo  VII , 
succeduto  a  Bonifacio ,  e  il  popolo  romano ,  e 
condottisi  undici  de'  principali  ghibellini  al  papa 
come  ambasciadori  per  comporre  le  differenze  , 
questi ,  comechè  ricevuti  benignamente  ,  dopo  es- 
sersi congedati  ,  dal  nipote  del  pontefice  ,  Lodo- 
vico Migliorati  ,  furono  fatti  prendere  ed  uccide- 
re crudelmente ,  senzachè  il  zio  nulla  sapesse  di 
questo  fatto.  Da  ciò  derivò  un  moto  nel  popolo 
romano:  per  che  volendo  papa  Innocenzo  provve-r 
dere  alla  propria  salvezza,  partì  di  Roma  e  rico- 
vrossi  prima  a  Sutri,  poscia  a  Viterbo.  Di  sì  fatto 
avvenimento  renduto  consapevole  Ladislao  dai  Co- 
lonnesi  e  dai  Savelli  ,  si  affrettò  egli  a  muovere 
tosto  sopra  Roma  con  poderoso  esercito  comandato 
dal  Carrara  e  dal  conte  di  Troia  [Murai,  anno  1406), 
e  il  2  settembre  1405  entrò  in  quella  capitale.  Se- 
nonchè  i  romani  mal  comportando  quest'  arditissi- 
ma impresa,  si  venne  a  fiero  combattimento,  e  per 
più  ore  con  pari  impeto  si  pugnò,  sebbene  la  vit- 
toria per  ninna  delle  parti  si  decidesse.  E  volendo 
il  re  trarre  in  sicuro  la  sua  persona  e  V  armata  , 
accampossi  nel  sobborgo  a  S.  Pietro,  fortificandosi 
il  meglio  che  poteva.  Quivi  rimastosi  un  venti  dì, 
e  saputo  dirigersi  Paolo  Orsino  col  pontificio  eser- 
cito a  Roma  ,  levò  il  campo  e  andossene. 


33 

Passati  due  anni ,  ed  insorta  grave  contesa  fra 
Lodovico  Migliorati  già  signore  di  Fermo,  e  il  pon- 
tefice Gregorio  XII,  il  (carrarese  fu  in  aiuto  di  quel- 
lo per  ordine  di  re  Ladislao  con  seicento  cavalli: 
ed  essendo  rimasto  ucciso  il  Migliorali,  mosse  colle 
sue  armi  contro  i  Vai'ani  dominatori  di  Camerino 
ed  alleati  del  pontefice,  mettendo  a  ferro,  fuoco  e 
rapina  l' intera  dizion  loro.  Alla  perfine,  stanchi  di 
tante  guerre  i  belligeranti,  fu  da  prima  stabilito  un 
armistizio  per  tre  mesi,  e  poscia  sul  principio  del- 
l'anno 1407  fu  firmata  la  pace  e  si  die  termine  ad 
ogni  discordia.  Senonchè  Ladislao  non  cessando  dal 
desiderio  di  rendersi  padrone  di  Roma  ,  in  que- 
st' anno  medesimo  con  un  esercito  di  ben  23  mila 
armati  si  volse  a  quella  città,  e  con  oro  e  larghe 
impromesse  fatto  venire  alla  sua  parte  Paolo  Orsini, 
cui  era  stata  commessa  la  difesa  di  Roma  ,  nel- 
l'aprile del  1408  trionfalmicnte  da' romani  fu  rice- 
vuto. E  poiché  pel  valore  del  Carrara  riportò  quel 
principe  tal  trionfo,  volle  dargli  un  segno  del  suo 
grato  animo  ,  e  il  nominò  primamente  vice  re  di 
Puglia  ,  quindi  nel  1413  assegnogli  il  dominio  di 
Ascoli.  Durò  due  lustri  nel  governo  di  essa  città  : 
€  mancato  di  vita  nell'  anno  1421  (54)  ,  lasciò  la 
signoria  di  Ascoli  ad  Obizo  ,  terzo  suo  figliuolo  , 
il  quale  prese  la  somma  delle  cose  sì  politiche  co- 
me civili  (55).  Ma  papa  Martino  V,  volendo  riac- 
quistare Ascoli  col  suo  contado,  introdusse  pratiche 
col  mezzo  della  regina  Giovanna  II,  perchè  ella  in- 
ducesse Obizo  a  rendere  la  città;  però  ricusando- 
ne egli  la  restituzione,  diede  ordine  al  rettore  del- 
la Marca  Pietro  Colonna  suo  nipote  ,  e  al  geue- 
G.A.T.CXLV.  3 


3i 

rale  Giacobuzzo  Caldorio  ,  forte  di  1500  cavalli  e 
3  mila  fanti,  a  fine  movessero  per  Ascoli:  i  quali 
dopo  aver  occupato  alcuni  luoghi  vicini,  posero  il 
campo  in  Parignano.  Assediata  la  città,  i  suoi  abi- 
tanti si  diedero  al  pontefice  il  dì  8  d'  agosto  del 
1426,  e  dopo  pochi  dì  ebbero  la  rocca  da  cui  ap- 
pena potè  uscire  Obizo  ,  il  quale  si  volse  per  a 
Milano,  ov'  era  Ardizone  suo  fratello  a'  servigi  del 
Visconti  (56). 

Nel  reggimento  pertanto  dei  Carraresi  ben  cin- 
que monete  si  coniarono  da  essi,  di  cui  tre  in  ar- 
gento ,  e  due  in  bronzo  o  bassa  lega  ,  nelle  quali 
si  legge  il  nome  di  Conte  di  Carrara  COmes  de 
CARARIA;  nel  margine  comparisce  lo  stemma  della 
famiglia,  cioè  un  carro  con  quattro  ruote;  nel  ro- 
vescio S.  EMID.  D.  ESCVLO;  al  di  sopra  V  arme 
o  stemma  della  città  di  Ascoli.  Poco  esse  fra  di  sé 
differiscono,  benché  sieno  tutte  di  conio  diverso;  e 
soltanto  è  da  osservarsi  ,  che  in  una  di  bronzo  è 
una  sola  ruota  di  carro,  e  in  altra  é  questo  con  le 
quattro  ruote,  e  COMES  intero  (57).  {V.  la  tav.  I 
dal  n.  9  al  12»  e  il  Prosp.  dai  n.   10  aM4  ). 

Or  veggendosi  la  prima  volta  in  questa  moneta 
figurato  lo  stemma  ,  di  cui  anche  al  presente  usa 
la  città  di  Ascoli,  egli  è  a  ricordare,  che  gli  stem- 
mi non  s' introdussero  anteriormente  all'  XI  secolo 
e  massime  in  occasione  delle  crociate;  dopo  le  qua- 
li dai  comuni  ed  altri  corpi  morali  s'  impetrò  la 
facoltà  di  assumerli  con  diversa  rappresentanza  nel- 
r  impronta  ,  con  inquartature  e  varietà  di  stabiliti 
colori,  quali  segni  di  dominio  o  di  nobiltà;  e  lun- 
ghi litigi  si  fecero    ancora  per    conservarne  1'  uso. 


35 

Imperocché  ciascun  comune  richiedeva  un  simbolo 
o  impresa  che  potesse  dedursi  da  qualche  somi- 
glianza col  nome  della  propria  città  o  da  locali  cir- 
costanze. Ascoli  dunque  essendo  città  munitissima, 
non  solo  per  una  rocca  (  detta  il  Cassero  ed  ora 
Fortezza  Pia  ),  ma  per  alte  e  solide  mura  fomite 
di  spesse  torri  (  eh'  eran  più  di  200,  tantoché  da- 
gli storici  si  appella  civitas  turrita  ),  e  posta  in  fra 
due  fiumi  (  il  Tronto  e  il  Castellano  )  ,  a  valicare 
i  quali  è  d'uopo  di  ponti,  che  dì  arditissima  co- 
struzione ,  opere  di  età  diverse  ,.  veggonsi  tuttora 
quasi  in  ciascuna  porta  della  città  ,  può  ragione- 
volmente congetturarsi  che  prendesse  per  suo  stem- 
ma ed  emblema  un  ponte  su  cui  sorgono  due  tori'i, 
e  che  questo  stesso  emblema  volesse  scolpito  nelle 
sue  monete,  come  si  scorge  in  quelle  ai  nn.  9  10 
11  13  14  e  16  della  tavola  I  ,  e  ai  nn.  17  al  29 
inclus.  e  31   e  32  della  tavola  II. 

Variamente  sentirono  gli  scrittori  delle  storie 
ascolane  nell'  interpretar  quali  simboli  si  rappresen- 
tassero nello  stemma  di  Ascoli.  11  Fioravanti  pensò 
che  vi  si  esprimesse  il  prospetto  di  una  porta  del- 
la città  [Antiq.  roman.  ponti f.  denarii  p.  156  )  , 
il  Bellini  [Dissert.  4  op.  cit.)  ,  e  il  Marcucci  {Op. 
cit.  p,  152  e  153  )  vi  riconobbero  una  rocca  o  for- 
tino ;  il  Muratori  ne  fu  incerto,  dicendo  essere  o 
prospetto  di  porta  o  un  ponte  o  qualche  turrito 
edifizio.  Sono  poi  di  conforto  alla  nostra  opinione 
lo  Scilla  (  Monete  poni.  p.  330  )  ,  e  il  Gradenigo 
{in  Zanetti  op.  cit.  t.  2  p.  74  )  ,  i  quali  nel  rife- 
rire il  quattrino  di  Alessandro  VI  (  Vedi  tav.  Un. 
32  )  niegano  che  lo  stemma  impressovi  sia  una  por- 


36 

la  di  città  ,  ma  sì  bene  un  ponte.  E  nel  vero:  si 
ponga  mente  da  prima  non  paier  verisimile  ,  che 
Ascoli  volesse  prendere  per  insegna  della  città  una 
rocca,  un  turrito  edifìzio  o  una  porta  ;  perciocché 
in  que'  tempi  di  continue  guerre  civili  e  di  fazioni 
tutti  i  comuni,  anche  piiì  piccioli  ,  aveano  le  loro 
acropoli,  rocche  o  fortilizi.  Quindi  questa  insegna 
od  emblema  non  era  proprio  e  adatto  solo  ad  Asco- 
li ,  ma  a  tutte  quante  1q  terre  e  castella:  d'  altra 
parte  dai  ponti  e  dalle  torri  potevasi  trarre  un  sim- 
bolo tutto  peculiare  di  quella  città. 

Arroge,  che  l' edifìzio  colle  torri  è  sostenuto  da 
due  archi;  ne  può  immaginarsi,  che  una  rocca  aves- 
se a  piantarsi  sopra  arcuazioni ,  lasciando  i  sotto- 
posti vacui  0  terrapieni  ,  ove  facilmente  il  nemico 
avrebbe  potuto  ricovrarsi  o  ascondersi,  introdiicen- 
dosi  per  entro  ai  medesimi  ,  e  così  incendiare  il 
fortino  e  impedire  la  sortila  alle  milizie.  Le  due 
torri  poste  a'  capi  o  teste  del  ponte  sono  di  archi- 
tettura e  forma  diversa:  cioè  quella  a  diritta,  pii!i 
alta,  ha  la  cima  munita  di  merli;  e  con  cupolino 
a  punta  V  altra  a  sinistra;  sono  merlati  anco  i  pa- 
rapetti o  spallette  del  ponte  (58).  Le  tre  pile  ne 
formano  i  due  archi,  e  sopra  di  quelle  sono  alcuni 
occhi  circolari,  donde  potesser  più  liberamente  flui- 
re le  acque  nelle  piene  del  fiume. 

Il  Marcucci  fa  parola  di  un  teschio  di  cavallo 
con  due  serpi  ed  una  fascia  svolazzante  col  motto 
Utrumqne  Nobis,  che  trovasi  anche  al  presente  nel- 
lo stemma  della  città  ;  ma  questi  emblemi  non  si 
veggono  in  alcuna  delle  monete  ascolane,  né  pote- 
vano osservi  ,  poiché  di  colali  inipiesc    con  molti 


37 

simbolici  s'  incominciò  a  far  uso  sulla  fine  del  de- 
cimosesto secolo,  mentiechè  la  moneta  di  Alessan- 
dro VI ,  che  è  r  ultima  nella  serie  delle  antiche 
{Tav.  IL  n.  32),  non  può  essere  stata  coniata  do- 
po r  anno  1503  ,  che  fu  V  ultimo  di  quel  ponte- 
fice. 

Monete  di  papa  Martino   V. 

Tornato  Ascoli  al  pontificale  dominio  ,  merco 
della  espulsione  di  Obizo  di  Carrara  ordinata  da 
papa  Martino  V  Colonna,  dieci  monete  furono  co- 
niate, che  si  riferiscono  al  medesimo,  avendo  im- 
presso 0  il  nome  di  lui  o  lo  stemma  della  cele- 
bratissima  sua  famiglia.  Descriviamo  qui  brevemen- 
te le  tre  recate  nella  tav.  I  ai  nn.  13  14  15.  La 
prima  d'  argento  ha  nel  diritto  MARTIN.  PAP,  in 
mezzo  A;  nel  giro  due  chiavette  decussate;  nel  ri- 
verso S.  EMID.  D.  ESCULO,  e  nell'  area  le  ulti- 
me quattro  lettere  sono  disposte  in  croce  ;  nella 
sommità  del  margine  vedesi  il  ponte  con  torri,  ar- 
ma della  città  [Prosp.  cron.  n.   15). 

La  seconda,  pure  d'argento,  ha  la  stessa  leggen- 
da nel  diritto  ;  però  evvi  la  colonnetta  coronata  , 
stemma  dei  Colonnesi,  nella  superior  parte  ;  il  ri- 
verso presenta  le  stesse  lettere  e  simboli  (  Prosp. 
cron.  n.  16). 
La  terza  è  di  rame;  ha  nel  diritto  S.  EMIND,  e 
colonnetta  coronata  nel  giro  ;  IVS  in  mezzo  ;  nel 
riverso  altra  simile  colonnetta  con  croce  gigliata 
in  mezzo,  e  leggenda  DE  ESCVLO  all'intorno  {Prosp. 
cron.  ».  17). 


38 
Le  altre  monete  sono  riportate  più  innanzi  nel 
Prospello  cronoìocjico  dal  n-  18  a/  2i  inclusivamenle. 

Monete  di  Francesco  Sforza. 

Mancato  di  vita  papa  Martino  l'anno  1431,  e  suc- 
cessivamente eletto  Eugenio  IV  Condulmero  veneto, 
il  conte  Francesco  Sforza  colle  sue  armi  occupò 
prossochiè  tutta  la  Marca  nel  1433.  Quel  pontefice 
lo  innalzò  alla  dignità  di  gonfaloniere  di  s.  chiesa 
e  marchese  della  Marca,  e  ai  30  dicembre  di  quel- 
l'anno, mediante  convenzione  col  castellano,  il  fratel 
suo  Alessandro  prese  possesso  del  girone  fermano; 
dappresso  il  conte  Francesco  si  condusse  ad  asse- 
diare la  città  di  Ascoli  ,  la  quale  stimando  che  il 
far  opposizione  alle  poderose  forze  di  lui  sarebbe 
stato  vano  consiglio,  mandò  innanzi  due  ambascia- 
dori  per  venire  a  patti  cogli  assedianti;  il  che  non 
si  ricusò  dal  conte.  Egli  pertanto  resosi  padrone  di 
Ascoli  ,  vi  lasciò  a  governarla  Giovanni  altro  suo 
fiatello  con  molti  fanti  e  cavali,  partendosi  di  colà 
col  resto  delle  sue  genti  per  la  conquista  di  altre 
città  e  terre  marchiane.  Colla  investitura  della  Marca 
concedutagli  da  Eugenio  IV  in  lui  vennero  tutti  quei 
privilegi  che  a  tale  splendido  grado  si  addicevano, 
fra  cui  era  quello  di  monetare  col  suo  nome  {Baij' 
naldi  Ann.  eccl.  ad  ami-  1434,  nostri  Cenni  storici 
di  Fermo  p.  82).  Noti  sono  per  tutti  gli  storici  ed 
i  cronisti  i  fatti  che  intervennero  dal  1433  fino  al 
1445:  laonde  ad  essi  rimandiamo  quei  che  fossero 
vaghi  conoscer  le  geste  di  quest'uomo  tanto  cele- 
bre nelle  storie,  e  di  cui  al  dire  del  Muratori  {Ani 


39 

(Vllal.  anno  1466),  da  molti  secoli  forse  non  ora 
sorto  in  Italia  chi  più  fosse  vaioloso  e  assennato 
{Cenni  suddetti  dalla  pag.  65  alla  86,  e  Giornale  Ar- 
cadico tom.  81).  La  dominazione  sforzesca  ebbe  fine 
l'anno  1445,  quando  collegatisi  papa  Eugenio,  Al- 
fonso re  di  Napoli  e  Filippo  duca  di  Milano,  comin- 
ciarono muover  guerra  al  conte  Francesco  Sforza; 
il  quale  vedendo  non  poter  resistere  a  tanto  impe- 
to, vie  pili  perchè  gli  ascolani  non  solo  eransi  tolti 
dalla  sua  divozione  e  datisi  al  re  Alfonso,  ma  al- 
tresì avevano  ucciso  Rinaldo  fratello  uterino  di  lui 
che  tenea  in  custodia  quella  città  (59),  ne  fece  par- 
tir le  sue  genti,  e  venute  a  Fermo,  munirono  di  forte 
presidio  la  rocca,  da  cui  poscia  furono  costrette  fug- 
gire. 

Le  monete  battute,  dominante  lo  Sforza,  sono 
di  argento,  di  rame  e  di  mistura.  Nella  prima  di 
argento  [Tav- 1.  n-  16)  leggesi  F.  SFORTI  nel  campo 
A  ,  nella  sommità  del  margine  il  leone  rampante, 
stemma  dello  Sforza;  nel  rovescio  S.  EMID.  DESCV- 
LO  colle  ultime  quattro  lettere  nel  campo  in  forma 
di  croce;  al  di  sopra  il  ponte  con  torri ,  arme  di 
Ascoli.  La  seconda  di  argento  ha  la  stessa  leggenda, 
però  è  di  conio  diverso  [Tav.  II.  n.  17).  La  terza 
parimente  non  differisce  che  dal  leone  sforzesco  che 
non  mostrasi  rampante  (7ar.  //.  n.  18).  Nella  quarta 
si  ravvisa  alla  sommità  del  circolo  il  leone  saliente 
che  tiene  il  pomo  cidonio,  o  cotogno  {Tav.  II.  w,  19). 
Nella  quinta  di  rame  è  nel  campo  il  leone  saliente 
col  ramo  del  cotogno,  e  con  le  lettere  F.  SFORTIA 
in  giro;  e  nel  riverso  la  croce  in  mezzo,  enei  giro 
DE  ESGVLO  coll'arme  della  città  {Tav.  Un.  20). 
Vedi  il  Prospetto  dal  n.  25  sino  al  n.  29  inclusiv§h. 


40 
Allorcht;  pubblicammo  un  breve  discorso  intorno 
alla  scultura  di  un  leone  disotterrato  in  Fermo  nel 
settembre  del  1835,  osservammo  che  nelle  monete 
dagli  Sforza  coniale  in  Fermo  non  trovasi  mai  rap- 
presentato il  leone,  ma  la  biscia  viscontea,  mentre- 
che  in  quelle  di  Ascoli  il  leone  è  sempre  posto  per 
insegna  dello  Sforza,  e  non  mai  vi  è  figurata  la  serpe 
tortuosa  con  il  fanciullo  ignudo  ,  se  già   vera  non 
fosse  la  opinione  del  Bellini  che  or  ora  riferiremo. 
Notammo  altresì,    non  vedersi  aggiunto  mai  il  co- 
gnome  Vicecomes  allo  Sforila  nelle  monete  di  Asco- 
li: laddove  nelle  sette  fermane  pubblicate  dal  Cata- 
lani, e  in  due  da  noi  (60),  trovasi  sempre  il  Vice- 
comes ,  salvo  in  una  [Catalani  n.   17),   ove  leggesi 
F   Sfortia  senza  più.  Da  quali  ragioni  però  derivi 
questa  diversità  di  simboli  e  di  conii  in  due  zecche 
marchiane  pertinenti  al  medesimo  signore,  non  sa- 
premmo dirlo  convalidofondamento. Congetturammo 
dapprima,  che  tutte  le  monete  ascolane  col  cognome 
di  SFORTIA  fossero  state  coniate  innanzi  che  se- 
guissero le  nozze  del  conte  Francesco   con  Bianca 
figliuola  di  Filippomaria  duca  di  Milano,  e  còsi  an- 
che quella  sola  di  Fermo  che  sopra  è  nominata.  Ma 
come  poteva  esser  vero  ciò,  tostochè  Fermo  ed  A- 
scoli  quasi  ad  un  tempo  furono  sottoposti  alla  si- 
gnoria dello  Sforza?  Come  supporre  che  non  cele- 
brate peranco  le  nozze  del  conte  ,   in  Fermo    una 
sola  moneta  col  suo  proprio  nome,  e  varie  in  Ascoli 
se  ne  coniassero?  Come  si  potrà  credere,  che  dal  i 
1438  al  1441,  in  cui  si  strinse  il  maritaggio,  non  , 
battesse  lo  Sforza  in  Fermo  che  una  sola  moneta?  ! 
Trovossi  in  tale  imbarazzo  anche  il  Catalani  nelle  j 


41 

memorie  della  zecca  feimana  {pcig.  47)  ,  ed  egli 
tribuì  questa  diversità  dello  stampo  ascolano  dal  fer- 
mano ad  un  arbitrio  o  piuttosto  all'  ignoranza  del 
monetiere,  non  sapendo  egli  forse  l'adozione  dello 
Sforza  fatta  dal  Visconti  e  i  diritti  che  questo  seco 
recava.  Noi  non  tenemmo  per  buona  questa  opi- 
nione del  dottissimo  archeologo  fermano  nel  citato 
nostro  scritto  del  1836  (61):  ed  esponemmo  invece, 
che  avendo  Francesco  Sforza  stabilito  la  sede  prin- 
cipale del  governo  marchiano  in  Fermo,  perchè  qui 
era  una  fortissima  rocca  da  potervisi  riparare  e 
difendere  dalle  nemiche  incursioni  e  così  conser- 
varsi in  quella  dominazione  ;  dopo  aver  assegnato 
la  prefettura  di  Ascoli  a  Rinaldo  suo  fratello,  avrà 
creduto  dover  usare  il  simbolo  della  biscia  de' Vi- 
sconti nelle  monete  di  Fermo  ,  ove  condusse  sua 
sposa  Bianca  di  quella  famiglia,  e  valersi  del  solo 
primitivo  stemma ,  cioè  del  leone  ,  nelle  monete 
ascolane.  Imperocché  ci  narra  il  Decembri  nella 
vita  di  Francesco  Sforza  (62),  che  sin  dal  1431  fu 
Bianca  Maria  Visconti  fidanzata  a  lui,  il  quale  co- 
minciò fin  d'allora  ad  usare  le  insegne  del  suocero, 
che  avealo  destinato  suo  successore  nel  milanese 
ducato.  Adoperando  tuttavia  lo  stemma  Visconteo, 
non  avea  per  questo  rinunziato  nò  al  cognome,  né 
alle  insegne  della  onorevolissima  sua  casa,  cioè  al 
cotogno  degli  Attendoli,  ed  al  leone  palatino  con- 
cedutogli dall'  imperatore  Roberto  (63)  ;  il  perchè 
or  r  uno  ,  or  V  altro  di  essi  incideva  nelle  jnonete 
o  nei  sigilli  dei  diplomi,  specialmente  sino  all'an- 
no 1430,  vivente  ancora  Filippomaria  Visconti  duca 
di  Milano  (64). 


42 

Poniamo  qui  tre  altre  monete  che  il  Bellini  nella 
descrizione  delie  monete  itaiiclie  del  medio  evo  at- 
tribuisce a  Francesco  Sforza,  credendole  coniate  sotto 
il  governo  di    lui  (65);  alla  quale  opinione  si  con- 
forma anche  il  Zanetti  (67).  La  prima  ci  reca  la  so- 
lita leggenda  PP  S  EMDIIUS    con  croce  patente  , 
e  quattro    fioretti    negli    angoli  ;    nel    rovescio   DE 
ASCHOLO;  con  il  solito  stemma  della  città,  e  so- 
pravi un  serpe  o  biscione  che  vibra  la  lingua  verso 
una  piccola  croce  [Tav.  Il  n.2\).  Le  due  rimanenti 
monete,  che  si  osservano  nella  d.  tav.  nn.  22  e  23, 
poco  differiscono  dalla  precedente;  sono  però  di  co- 
nio diverso,  poiché  vi  si  scorgono  alcune  rosette,  e 
il  serpe  è  in  altra  giacitura;  essendo  in  una  con  la 
bocca  aperta  d'  appresso  a  una  torre  ,  e  nelT  altra 
pur  con  la  bocca  aperta,   ma  più  aggomitolato.  Si 
osserva  altresì  che  la  parola  ASCHOLO  ha  la  giunta 
della  lettera  h  in  carattere   minuscolo  ,  mentre  in 
tutte  le    precedenti    questa  lettera    non   si    scorge 
{Prosp.   cron-  nn.  30  31   e  32).  Ecco  le  parole  del 
Bellini:    »  Angiiis  porro  aedificio  supcreminens  \ice- 
»  comiliim  genlililiimi  sculum  est.  »  Egli  allega  per 
fondamento  della  sua  opinione ,  come  a  Francesco 
Sforza  famoso  conte  di  Cotignola,  e  già  celebre  per 
imprese  di  guerra  e  per  riportati   trionfi  ,  essendo 
stata  promessa    in  isposa  da  Filippomaria  duca  di 
Milano  la  sua  figliuola  Bianca  in  età  di  sette  anni, 
fosse  egli  ricevuto  e  adottato  nella  viscontea  fami- 
glia ,  e  ne  assumesse    perciò  la  insegna    gentilizia. 
Per  quanto  sieno  rispettabili  i  pareri  di  così  illu- 
stri scrittori,  pur  tuttavolta  non  potremmo  noi  tanto 
facilmente  ai  medesimi  accostarci  ;  ed  ecco  le  ra- 


43 

gioni  che  ne  inducono  a  dubitare.  Primamente  non 
leggesi  il  nome  di  F-  Sforila  in  queste  monete  , 
come  nelle  cinque  sopra  riferite;  non  si  appose  l'al- 
tro cognome  Vicecomes  in  veruna  delle  ascolane,  sì 
bene  nelle  fermane;  il  serpe  non  è  foggiato  nel  modo 
in  cui  vedesi  nello  stemma  della  famiglia  Visconti, 
ove  è  rappresentata  una  biscia  di  azzurro  nello 
scudo  di  argento  serpeggiante  o  attortigliata  in  pa- 
lo, coronata  d'oro,  con  un  fanciullo  di  color  rosso 
uscente  dalle  sue  fauci,  com'è  descritto  dal  Ginanni 
(67),  e  trovasi  nel  monumento  di  Giovanni  Oleg- 
gio  Visconti  nell'atrio  della  metropolitana  di  Fer- 
mo, e  nello  stemma  dipinto,  che  non  ha  guari  si 
è  discoperto  sopra  porta  a  S.  Giuliano  della  stessa 
città:  memoria  certa  che  tuttora  qui  rimane  della 
signoria  sforzesca;  e  facciam  voti  che  con  ogni  cura 
sia  conservata.  D' altra  parte  sì  pel  confronto  di 
queste  monete  con  altre  del  XV  secolo,  e  special- 
mente per  lo  stile  de'conii,  e  sì  per  la  forma  delle 
lettere,  abbiam  creduto  di  porle  dopo  le  cinque  che 
certamente  appartengono  allo  Sforza. 

Monete  di  Eugenio  IV. 

Dappresso  la  partenza  degli  sforzeschi,  Eugenio 
IV  riacquistato  avendo  il  legittimo  dominio  sulla 
città  di  Ascoli,  fece  quivi  con  diversi  conii  batter 
monete.  Noi  dubitammo  se  queste  dovessero  collo- 
carsi prima  o  dopo  la  dominazione  del  conte  Fran- 
cesco, poiché  Eugenio  fu  creato  pontefice  1'  anno 
1431:  lo  Sforza  venne  al  possesso  della  Marca  nel 
1433  j  e  papa    Eugenio  sopravvisse  un  anno  circa 


44 

alla  partenza  di  quello  avvenuta  nel  1446.  Or  dun- 
que 0  dal  1431   al  1433,  o  dal  1446  al  1447  deb- 
bono essere  state  coniate  le  monete  che  ora  descri- 
veremo (68). 

Sono  dodici  le  monete  di  Eugenio  IV  che  ad 
Ascoli  si  riferiscono.  Tre  di  esse  veggonsi  nella  ta- 
vola li,  e  sono  due  di  argento,  ed  una  di  mistura. 
La  prima  ci  dà  il  nome  di  EVGENIV.  PAPA,  re- 
stando l'A  pili  grande  delle  altre  lettere  nel  campo 
fra  quattro  punti  aperti;  nel  margine  compariscono 
le  due  chiavi  incrocicchiate:  nel  rovescio  S.  EMID. 
DESCVLO,  e  nell'area  le  ultime  quattro  lettere;  al 
di  sopra  il  ponte  con  due  torri,  stemma  ascolano  (69). 
[Tav.  II.  n.  24.) 

La  seconda  varia  dalla  prima  per  la  mancanza 
della  lettera  E,  leggendovisi  VGENIV.,  che  dal  Bel- 
lini {op.  eli.  diss.  IV)  è  attribuito  ad  imperizia  o 
a  sbaglio  deirincisore,  che  altro  ne  fece  occorrere 
nel  rovescio,  facendo  INID.  in  luogo  di  EMID.  {Tav^ 
II  n.  25.) 

La  terza  è  di  mistura  ,  e  varia  nella  giacitura 
delle  parole  dalle  precedenti  ;  poiché  vi  si  trova 
PAPA  VGEiSIV,  croce  in  mezzo,  e  nella  sommità 
del  margine  le  chiavi  incrocicchiate;  nel  riverso  S. 
MID.  DESCULO;  e  al  di  sopra  1'  arme  della  città. 
Reputiamo  inedita  questa  moneta  ,  che  da  noi  sì 
conserva,  poiché  non  ci  venne  fatto  di  osservarla 
in  alcuno  scrittore  [Tav.  //,  n.  26,  Prospetto  ai  nn. 
33  34  e  35).  Le  altre  nove  ,  colle  loro  variazioni 
di  conii,  sono  descritte  nel  Prospetto  cronologico 
dal  n.  36  al  n.  44  inclusivamente. 


^o 


Moìiete  (V  incerti  pontefici. 

Seguitano  altre  tredici  monete  che  debhonsi  no- 
verare fra  quelle  del  secolo  XV,  e  vennero  coniate 
dopoché  fu  ristaurato  il  reggimento  pontificale;  per- 
ciocché tutte  hanno  un  segno  od  emblema  che  per 
tali  le  fa  riconoscere.  Due  soltanto  ne  diamo  ai  nn. 
27  e  28  della  tav.  II  (  Prosp.  cron-  n.  4-5  e  46). 
La  prima  ha  sul  diritto  l'immagine  di  S.  Emidio, 
patrono  di  Ascoli,  in  mitra  e  pastorale,  con  alta  la 
mano  in  atto  di  benedire,  e  le  parole  S.  EMIDIVS: 
sul  rovescio  AS.  CVLO  in  giro,  nel  campo  il  so- 
lito slemma  ascolano,  e  sopravi  il  triregno  con  le 
chiavi  incrociate.  E  di  rame  pari  a  un  quattrino,  ed 
inedita  trovasi  presso  di  noi.  L'altra  é  un  picciolo; 
porta  nel  diritto  S.  EMIDIVS  in  giro,  croce  gigliata  in 
mezzo:  nel  rovescio  DE  ASCVLO,  e  chiavette  decus- 
sate in  giro;  e  nel  mezzo  l'arme  della  città.  Le  altre 
undici  vengono  descritte  nel  Prospetto  cronol.  dal  n. 
4-7  al  57  inclus.  Né  bassi  a  far  maraviglia  di  tanta  va- 
rietà di  conii,  conciossiachè  questi  venivano  cambiati 
frequentemente  in  quel  secolo  nelle  monete  di  città 
italiche. 

Monete  di  tempo  incerto. 

Ne  rechiamo  ora  tre  che  non  hanno  alcun  segno 
papale,  e  quindi  debbono  tenersi  di  tempo  incerto: 
ma  per  riscontri  fatti  colle  altre  del  secolo  XV,  sem- 
bra che  possano  a  questo  riportarsi.  Due  di  esse  veg- 
gonsi  nella  tav-  U  ai  nn.  20  e  30.  Nel  diritto  della 


46 

prima  una  croce  patente,  da'cul  angoli  escono  quat- 
tro rami  di  fioretti,  occupa  il  campo;  in  giro  la  leg- 
genda PP.  S.  ENIIDIVS,  e  nel  margine  crocetta  fra 
due  stelle:  al  riverso  DE  ASCHOLO  in  giro,  e  nel 
campo  lo  stemma  della  città.  Si  legge  nel  diritto  del- 
l'altra S.  EMID  EPCO  nel  giro,  PUS  nel  mezzo,  con 
crocetta  fra  due  punti:  al  rovescio  DE  ASCHOLO  in 
giro  con  crocetta;  nel  campo  croce  patente  con  due 
fioretti  in  due  angoli  opposti.  La  terza  ha  nel  diritto 
S.  ENNIDIVS,  le  tre  ultime  lettere  in  mezzo;  nel  ri- 
verso DE.  ESCVLO  in  giro,  e  croce  nel  campo  {V. 
Prospetto  cronol.  ai  nn.  58  59  60). 

Non  ci  fu  dato  vedere  nessuna  moneta,  che  dai 
successori  di  Eugenio  IV  si  coniasse  con  la  impronta 
de'  loro  nomi.  Or  passat  di  vita  quel  papa,  ed  es- 
sendo venuta  grande  scarsezza  di  danari  ,  special- 
mente per  le  minute  conti-attazioni,  gli  ascolani  si 
volsero  al  pontefice  Pio  II,  affinchè  volesse  conce- 
der loro  facoltà  di  poter  coniare  nuovamente  i  pic- 
cioli ed  i  quattrini.  Egli  con  breve  del  dì  30  apri- 
le 1461  concedè  il  permesso  per  un  anno  di  far 
battere  dette  monete  sino  alla  quantità  di  ottocento 
fiorini  d'oro  di  camera  [Documento  G).  Ma  non  sap- 
piamo se  si  facesse  uso  di  questo  pei'messo,  con- 
ciossiachè  ninna  moneta  col  nome  di  quel  pontefice 
apparve  fin  qui.  La  qual  cosa  sembra  tanto  più 
piobabile,  quantochè  per  la  moltiplicità  delle  zecche, 
per  la  troppa  quantità  de'  piccioli,  da  cui  i  mone- 
tieri  traevano  maggior  lucro,  e  per  l'adulterazione 
de'  bolognini  nella  mistura  de'  metalli  (70),  essendosi 
accresciuti  i  disordini  nel  sistema  monetario  delle 
città  della  Marca  e  fors'  anco  dell'  Umbria,  il  pon- 


47 

fice  Pio  II  divisò  di  recarvi  rimedio,  ordinando    che 
le  città  tutte  ,  le  quali   godevano    del  diritto  della 
zecca,  dovessero  entro  il  mese  di  gennaio  del  1462 
spedire  a  Roma    i    loro    deputati    per  prendere  le 
opportune  disposizioni,  come  si  legge  nel  breve  del  1 
gennaio   1462  diretto  alla  città  di  Fermo,  da  cui  si 
fa  chiaro  essere  stata  comune   tale  determinazione  . 
con  le  altre  città  della  Marca    e    dell'  Umbria  ,  le 
quali  godevano  pure  del  privilegio  della  zecca  (Do- 
cumenfo  H)  (71).    Ci  è  al  tutto  ignoto  quali  prov- 
videnze si  prendessero  dall'adunanza  de'deputati  mar- 
chiani; ma  quanto  a  Fermo  sappiamo  dal  Catalani, 
che  fu  mandato  Giacomo  Brancadoro,  il  quale  riferì 
volere  il  papa  tutte  le  monete  fossero    di  lega  ed 
uniformi,  togliendo  alle  città  il  diritto  di  farne  cia- 
scuna a  suo  modo.  Egli  è  certo   però,  che  il  dì  16 
gennaio  del  seguente  anno  1465  esso  pontefice,  per 
impedire    che  alcuni  signori  continuassero  ad  usur- 
parsi il  diritto  di  monetare,  proibì  sotto  gravissime 
pene  si  coniasse  moneta  di  qualunque   sorta  senza 
peculiare  facoltà  della  s.  Sede  (72).  Dappresso  co- 
testa  generale  proibizione,  che  increbbe  assaissimo 
alle  città  marchiane,  alcune  di  queste    divisarono 
di  tener  chiusa  lor  zecca  ,   altre    si  fecero  a  chie- 
dere nuova  licenza  ,  e  spedirono  oratori  a  Roma  , 
dimandando    che  il  battere    le    monete  provinciali 
fosse  sospeso  per  tre  anni,  e  frattanto  le  già  co- 
niate avessero  il  loro  corso  come    per  lo  innanzi  ; 
che  scorso  questo  termine,  i  bolognini  nuòvi  si  co- 
niassero in  provincia  del  peso   e  lega  prescritti  ;  e 
qualora  ciò  non  si  ottenesse  ,   si  offeriva  un  com- 
penso alla  camera  pontificia     per    quanto    perdeva 


48 
risc<)t(?:n(lo  i  tributi  in  moneta  inferiore.  Gli  ora- 
tori fermani  e  recanatesi,  accompagnati  da  lettere 
credenziali  di  Macerata,  Fabriano,  Tolentino,  San- 
severino,  Jesi  ,  Osimo  ed  Ascoli  ,  tornarono  il  10 
luglio  senza  che  le  loro  preghiere  venissero  ac- 
colte (73).  Se  poi  ad  altre  città  si  concedesse  que- 
sto favore  da  papa  Pio,  da  noi  al  tutto  s'  ignora. 
Crescevano  però  sempre  più  i  disordini  del  mo- 
netare: il  perche  Paolo  II,  a  lui  succeduto,  pubblicò 
mia  costituzione  il  dì  13  gennaio  del  1465,  in  cui 
considerando  che  nelle  provincie  della  Marca  anco- 
nitana, nel  ducato  di  Spoleli,  nel  Patrimonio,  ed  in 
molte  terre  e  luoghi  dello  stato  circolavano  varie 
adulterine  e  malvage  monete,  chiamate  volgarmente 
bolognini,  non  solo  rinnovò  la  proibizione  di  coniar 
più  nell'avvenire  qualsivoglia  sorta  di  monete,  ma 
insicm.e  comandò,  che  si  servissero  soltanto  di  quelle 
che  si  coniavano  nella  zecca  di  Roma  ;  ed  inoltre 
che  dovessero  le  già  fatte  dissolversi  (74).  Ma  non 
ostante  questa  legge  ,  il  pontefice  a'  4  di  febbraio 
dell'  anno  1471  accordò  nuovamente  alla  città  di 
Fermo  il  permesso  di  battere  monete  di  argento  e 
di  rame  soltanto,  al  saggio  della  zecca  romana,  e 
coll'obbligo  di  sottoporle  in  ogni  tratta  all'esame 
del  governatore  della  Marca  (75)  :  e  deve  credersi 
con  tutto  fondamento,  che  con  altri  brevi  si  con- 
cedessero eguali  privilegi  alle  altre  città,  nelle  quali 
esisteva  la  zecca,  cioè  Ancona  ,  Ascoli  ,  Macerata, 
Camerino,  Recanati  (76).  Fu  perciò  che  quelle  città, 
volendo  recare  ad  effetto  tale  sovrana  concessione, 
concordemente  spedirono  in  Macerata  i  loro  depu- 
tali.   Vi    andarono   t!;li  oratori  di  Ancona  ,  Ascoli  , 


49 

Fermo,  Recanati  e  Camerino,  e  fu  convenuto,  che 
nella  nuova  battitura  de'  bolognini  tutte  le  zecche 
uniformar  si  dovessero  al  peso  e  alla  libbra  della 
zecca  romana;  che  la  tenuta  fosse  la  solita  di  once 
9  ^Ij,  ;  che  in  ciascun'  oncia  si  contenessero  bolo- 
gnini 40  '^1^;  e  che  62  di  questi  bolognini  formas- 
sero il  ducato  veneto ,  come  si  raccoglie  da  un 
istromento  del  2  giugno  1472,  regnando  il  ponte- 
fice Sisto  IV  (77). 

Monete  di  Sisto  IV. 

EvSsendo  in  tali  condizioni  il  sistema  mone- 
tario rispetto  ai  bolognini  ,  non  si  ristava  la  città 
di  Ascoli  dal  supplicare  lo  stesso  papa  Sisto,  per- 
chè si  degnasse  concederle  il  permesso  di  battere 
le  piccole  monete  ,  di  che  vi  era  grande  penuria. 
Un  messer  Lodovico  di  Piero  in  questo  tempo  aveva 
offerta  a  tal  fine  l'opera  sua  al  consiglio  ,  obbli- 
gandosi di  battere  moneta  di  ogni  sorta  a  suo  conto; 
la  quale  offerta  fu  accettata:  ma  essendosi  frapposti 
alcuni  ostacoli  per  parte  del  tesoriere  locale,  la  città 
mandò  al  pontefice  per  oratore  straordinario  Gian 
Giacomo  Caucci ,  il  quale  potè  ottenere  un  breve 
segnato  il  22  dicembre  1472  {  Arch.  segr.  e  libr. 
de'  consigl.  ascoi),  con  cui  si  permise  di  coniare  i 
piccioli  per  un  anno  ,  e  sino  alla  somma  di  mille 
ducati  (^Documento  I)  (78).  Giovaronsi  tantosto  gli 
ascolani  del  conceduto  permesso,  e  batterono  i  pic- 
cioli con  conii  che  variano  fra  loro  alcun  poco. 

Quattro  ne  conosciamo  ,  uno  de'quali  è  quello 
che  diamo  al  n.  ol   tav.  II.  Avendoli  noi  mostrati 
G.A.T.CXLV.  4 


50 

al  dottor  Angelo  Cinagli ,  li  pubblicò  nell'  opera 
Le  monete  de'papi  descritte  in  tavole  sinottiche  (Fer- 
moy  1848,  Paccasassi)  (79).  Essi  hanno  sul  diritto 
la  scritta  S.  EMIDIVS,  ed  in  mezzo  una  croce,  nel 
margine  superiore  le  chiavi  decussate;  nel  rovescio 
DE  ASCVLO  in  giro,  nel  campo  lo  stemma  di  Ascoli, 
e  sopra  di  esso  quello  dei  Della  Rovere  {V.  il  Prosp. 
cronol.  ainum.^ì  62  63  64).  Crediamo  con  fonda- 
mento, che  gli  ascolani  a  dimostrare  la  loro  rico- 
noscenza pel  breve  ottenuto,  facessero  apporre  in 
queste  monete  lo  stemma  di  papa  Sisto  IV  con  le 
chiavi ,  oltre  quello  della  loro  città.  Dubitammo  in 
sulle  prime,  se  questa  moneta,  che  da  nessun  nu- 
mografo  era  stata  pubblicata  innanzi  il  1848,  po- 
tesse appartenere  a  quel  pontefice  discendente  dal- 
la famiglia  Della  Rovere:  ovvero  a  Giulio  il  altro 
pontefice  della  stessa  famiglia  ;  posto  mente  però, 
che  neir  arme  di  Giulio  II,  oltre  la  rovere,  sonvi 
corone  inquartate  (80),  eh'  è  manifesta  la  sua  mag- 
gior vetustà,  e  che  Sisto  concedè  il  riferito  breve, 
crediamo  fuor  d'  ogni  dubbio  ,  che  a  lui  e  non  a 
Giulio  debbano  riferirsi. 

Monete  di  Alessandro   VI. 

Dall'anno  1472  sino  alla  creazione  a  pontefice 
di  Alessandro  VI  Lenzuoli  Borgia  di  Valenza,  av- 
venuta nel  1492  ,  non  apparisce  che  fossero  bat-^ 
tute  altre  monete  (81).  Ma  nel  pontificato  di  lui 
furono  coniati  in  Ascoli  i  quattrini  (82),  ne' quali 
sul  diritto  leggesi  all'intorno  ALEXA.  VI.  PO  MA, 
nel  campo  lo  stemma  Borgiano    con  sopra   il  tri- 


51 

regno  e  le  l'hiavi  decussate;  nel  rovescio  DE  AS- 
CVLO,  ed  il  ponte  con  le  due  torri,  solito  stem- 
ma della  città;  nel  cui  mezzo  è  una  stella  con  sei 
raggi,  e  al  disopra  una  rosa  [Tav.  Il  n.  32).  Que^ 
sta  moneta  è  assai  comune,  e  fu  pubblicata  dal  Fio- 
ravanti, dallo  Scilla  ,  dal  Bellini  ,  dal  Gradenigo  , 
dall'  Argelati,  e  da  coloro  che  trattarono  delle  mo- 
nete delle  città  italiane.  Ve  ne  sono  altre  sei  con 
variazioni  di  conio,  e  tutte  sono  descritte  nel  Pro- 
spetto cronologico  dal  n.  65  al  71. 

E  questa  è  T  ultima  moneta  coniata  nella  zecca 
ascolana,  la  quale  con  quasi  tutte  le  altre  del  nostro 
stato  (  tranne  poche  città  che  forse  ebbero  in  ap- 
presso particolari  concessioni)  restò  soppressa  per 
ordine  di  Leone  X  (83).  Imperocché  avendo  egli 
presa  in  considerazione  la  eccedente  quantità  delle 
monete  di  rame  che  in  molte  città  si  coniavano  ; 
la  discrepanza  del  peso  e  della  lega,  e  più  la  di- 
versità fra  le  monete  municipali  ,  e  quelle  della 
città  capitale;  e  volendo  riparare  a  tali  danni  così 
pubblici  come  privati,  soppresse  perpetuamente  tutte 
le  zecche  eh'  eransi  riaperte  a'  tempi  de'suoi  pre- 
decessori, e  nello  stesso  suo  pontificato,  revocando 
ogni  licenza,  uso,  privilegio  e  consuetudine,  come 
apparisce  dal  breve  del  dì  2  febbraio  1518  (84): 
per  il  che  teniamo  per  fermo  che  quella  d'  Ascoli 
rimanesse  chiusa  ,  vie  pili  che  non  ci  venne  fatto 
vedere  moneta  alcuna  coniata  di  poi. 

Monete  di  Pio  VI. 

Ben  quasi  tre  secoli  eran  corsi  che  Ascoli  non 
•   avea  più  la  zecca,  ed  era  stato  tolto  il  corso  alle 


52 
sue  monete;  cui  eransi  sostituite  quelle  della  zecca 
romana;  quando  sul  cadere  del  decimottavo  secolo, 
per  le  politiche  vicende  essendo  cresciute  le  urgenze 
del  pubblico  erario,  per  darvi  rimedio  Pio  Yl  ac- 
cordò il  permesso  di  batter  monete  di  rame  a 
molte  città  dello  stato,  fra  le  quali  fu  Ascoli  (85). 
A  Carlo  Lenti,  in  vigore  di  un  chirografo  pontifi- 
cio del  1797  ,  fu  conceduto  il  diritto  di  aprire 
1'  officina  monetaria:  ed  egli  nel  maggio  del  detto 
anno  mandò  un  Salvatore  Fiorentini  a  Livorno  per 
provvedere  il  rame  grezzo  da  ridursi  a  moneta  nella 
nuova  zecca.  In  essa  negli  anni  1797  e  1798  ven- 
nero coniate  monete  di  baiocchi  cinque,  di  due  e 
mezzo  ,  di  un  baiocco  (86),  di  mezzo  baiocco  ,  e 
di  un  quattrino  ,  che  sì  descrivono  nel  prospetto 
cronologico  dal  n.  72  all'  82  inclusivamente. 

Avvenne  poscia  1'  invasione  francese  nello  stato 
del  pontefice  :  ed  altre  dieci  monete  uscirono  da 
questa  zecca,  colle  insegne  della  repubblica  romana, 
di  due  baiocchi  ,  di  mezzo  baiocco  e  di  un  quat- 
trino, negli  anni  1798  e  1799  (87),  che  sono  ri- 
ferite nel  detto  Prospetto  dal  n.  83  al  n.  92  in- 
clusivamente. 

In  seguito  tutte  le  monete  delle  zecche  dello 
stato  romano,  istituite  sul  finire  del  secolo  XVIII, 
forono  soggette  a  diminuzioni  e  riduzioni  gravis- 
sime ,  e  finalmente  ad  una  totale  abolizione  nei 
primi  anni  del  pontificato  di  Pio  VII,  il  quale  ri- 
formando r  ordinamento  delle  monete,  già  da  lun- 
ghi anni  grandemente  desiderato,  provvide  alla  co- 
modità e  all'  utile  dell'  universale  in  questa  parte 
così  importante  di  pubblica  amministrazione. 


53 
ANiNOTAZIGNi 


(1)  Chi  fosse  vago  di  conoscere  la  utilità  che 
dagli  studi  delle  antiche  monete  si  ritrae  ,  sì  pei 
progressi  fatti  con  V  aiuto  delle  medesime  nelle 
storie  dei  re,  dei  popoli  e  degli  imperatori,  e  sì  per 
gli  stadi  sacri  ,  vegga  il  Zanetti,  Monete  e  zecche 
(T  Italia  tom.  Ili  p.  135  in  nota,  ove  sono  indicati 
vari  scrittori  che  hanno  trattato  questo  argomento; 
a'  quali  noi  aggiugnercmo  lo  Spanhemio,  De  usti  et 
praestantia  numismatum  antiquorum  ,  Amslelodami , 
Elzevir  1621:  1'  Heinecio,  De  usuet  praestantia  nu- 
mismatum in  iurisprudentia,  Neapoli  1773,  Campii 
tom.  7:  lo  Schiassi  ,  Ragionamenti  sulla  utilità  e 
diletto  degli  studi  archeologici,  e  singolarmente  della 
numismatica,  Bologna,  Lucchesini  1810:  l'Ackerman, 
Archaeol.  Uhi.,  Viennae  1836:  1'  ah.  Glaire,  Intro- 
duction  à  V  ecriture  sainte  t.  II ,  Paris  1843:  il  p. 
Calmet,  Dissertazione  sopra  Vantichità  della  moneta 
coniata ,  riprodotta  nella  Sacra  Bibbia  di  Vence 
stampata  in  Milano  :  ed  il  eh.  Daniele  Schimko  , 
Commentationes  de  numis  biblicis,  ptfhT)licate  in  Vi- 
enna nel  1835,  1838.  Ma  più  ampiamente  e  dot- 
tamente il  chiarissimo  D.  Celestino  Cavedoni  di 
Modena  ha  dimostrato  la  grande  e  singolare  utilità, 
che  dal  riscontro  e  dallo  studio  delle  monete  an- 
tiche, sì  giudaiche,  come  peregrine,  che  un  tempo 
ebbero  corso  nella  Palestina,  si  ritrae  per  illustrare 
e  difendere  i  libri  santi  che  le  ricordano,  nella  sua 


54 

opera  -  Numismatica  biblica,  o  sia  dichiarazione  delle 
monete  antiche  memorate  nelle  sante  scritture  -  Mo- 
dena ,  Soliani  1850,  con  tav.  Per  la  quale,  e  per 
l'altra  -  Francisci  Carellii  Nurnmorum  Italiae  veteris 
tabidae  CCII  ec.  -  dall'  accademia  delle  iscrizioni  e 
belle  lettere  di  Parigi  nella  sua  seduta  del  22  ago- 
sto 1851  gli  fu  conferito  il  premio  di  numismatica. 

(2)  Rechiamo  i  titoli  di  esse  opere,  poiché  oc- 
correndoci di  citarle  in  appresso  ,  s' intende  che 
sieno  queste  medesime.  -  Muratori  ,  Antiquii.  hai. 
med.  aevii  dissert.  XXVII  -  Argelati ,  De  monetis 
Iialiae  etc.  Mediolani  1750  -  Carli  Rubbi  Gianri- 
naldo,  DelVorigine  e  commercio  della  moneta,  e  deh 
l'istituzione  delle  zecche  d'Italia,  Aia  [Venezia)  1751, 
e  Milano  1784  -  Bellini  Vincentii  ,  De  monetis  Italiae 
meda  aevi,  Ferrariae  1755  al  1779  -  Zanetti  Gui- 
d'  Antonio  ,  Nuova  raccolta  delle  monete  e  zecche 
d'' Italia,  che  può  servire  di  parte  nona  in  continua- 
zione deW Anjelati,  tomi  cinque,  Bologna,  dalla  Volpe. 
Furono  pubblicate  le  storie  delle  zecche  del  nostro 
stato,  cioè  di  Ancona  dal  Peruzzi,  di  Benevento  dal 
Borgia,  di  Bologna  dallo  Schiassi,  di  Castro  da  un 
anonimo,  di  Faenza  dal  Zanetti  ,  di  Fabriano  dal 
Ramelli,  di  Fermo  dal  Catalani  e  da  noi,  di  Fer- 
rara dal  Bellini  ,  di  Forlì  dal  Zanetti  ,  di  Fuligno 
dal  Mengozzi,  di  Gubbio  dal  Reposati,  di  Macerata 
dal  Compngnoni,  di  Perugia  dal  Vermiglioli,  di  Pe- 
saro dall'Olivieri,  di  Ravenna  dal  Pinzi,  di  Recanati 
dal  Leopardi,  di  Rimini  dal  Zanetti,  per  tacere  di 
altre. 

(3)  Stimiamo  innanzi  tutto  esser  nostro  debito 
rerder  sincera  testimonianza  di  gratitudine    all'in- 


55 

signe  letterato  sig.  Giacinto  Cantala  messa  Carboni 
patrizio  e  segretario  del  comune  di  Ascoli.  Egli  fu 
che,  oltre  d'averci  dato  incitamento  a  scrivere  in- 
torno le  monete  di  quella  città ,  da  noi  già  rac- 
colte, ci  fornì  le  copie  di  alcuni  documenti  riguar- 
danti la  zecca  della  sua  patria,  confortandoci  altresì 
a  pubblicare  il  nostro  lavoro.  Il  quale  non  potendosi 
tenere  compiuto,  poiché  non  avemmo  agio  di  visitare 
gli  ascolani  archivi  pubblici  e  privati,  come  sarebbe 
stato  di  mestieri,  per  rinvenire  antichi  manoscritti, 
e  più  ordinatamente  tessere  la  storia  di  quella  zecca, 
potrà  facilmente  ciò  eseguire  lo  stesso  esimio  e 
chiarissimo  sig.Cantalamessa;  imperciocché,  com'egli 
con  molti  scritti  storici  e  letterari  ha  onorato  la 
illustre  sua  patria,  così,  dettandone  la  intera  storia 
civile  e  politica,  saprà  con  maggior  ampiezza  trat- 
iare questa  importantissima  parte  di  essa. 

(4)  Si  appone  al  nostro  Asculmn  Taddito  Picenum 
0  Piceni  per  distinguerlo  da  Ascidum  Apulum  o 
Apuliae  Dauniae,  essendovi  negli  antichi  tempi  molte 
città  omonime.  Vari  scrittori  hanno  ricercato  1'  eti- 
mologia di  questo  nome.  Il  celebre  ellenista  Giro- 
lamo Amati  dopo  aver  osservato  «  che  tra  le  pro- 
»  vincie  dell'  Italia  superiore  non  havvene  alcuna, 
»  la  quale  gareggiar  possa  col  Piceno  pel  numero 
»  di  città,  che  dalla  più  manifesta  etimologia  de'loro 
»  nomi  attestano  ancora  la  greca  fondazione:  »  e 
indicate  le  città  di  Aiiximum,  Pisaurum  ,  Aesium  , 
Ostra,  Cupra,  soggiunge,  che  ■v.vÀsculum  ,  ksclon  , 
))  mostra  il  diminutivo  di  ascos,  otre  ,  o  proviene 
»  dal  vero  tema  asceo,  asco,  exerceo  ì>  [Arcadico 
tom.  XII  p.  354  deìVanno  1821).   Il  Mazzocchi  al- 


56 
r  incontro  opina,  che  Ascoli  derivasse  il  nonre  dalla 
parola  ebrea  Escoi,  denotante  il  grappolo  dell'uva 
{  Saggi  di  dissertazioni  accad.  tom.  III.)  Ad  altri, 
è  sembrato  ,  che  siasi  detto  Aescidum  dall'  eschio 
o  ischio  detto  dai  latini  [Virg.  2  G.  291,  Horat.  3 
Od.  10  17  )  escliis  o  aesculus,  di  cui  erano  rico- 
perti i  monti  air  intorno.  Veggasi  sul  nome  della 
città  di  Ascoli  il  Colucci,  Anlichilà  picene  tom.  XIV 
diss.  Ily  ove  fa  congetture  sulla  cagione  dello  scambio 
della  prima  lettera  A  in  E.  Forse  i  longobardi,  per 
distinguerla  da  quella  di  Puglia,  la  dissero  Esculiim. 

(5)  Fior.  Hist.  Rom.  -  //  Freinsemio,  Supplem. 
livian.  Uh.  V  in  locum  lib.  XV  cap.  10  :  «  Caput 
gentis  Ascidum  ,  silu  murisque  tuiissimus  locus.  - 
Stratone  lib.  V:  »  hi  mediterranea  vero  est  Asculum 
picenum.  Locus  munimine  praevalidus  ,  cui  et  murm 
et  circumslanteis  montes  superemìnent,  nidlis  penetra- 
biles  exercitibus.  »  -  Plin.  H.  N.  lib.  Ili  e.  13:  » 
Asculum  Piceni  nobilissima  intus  w.  Sulla  interpre- 
tazione di  questo  luogo  di  Plinio  leggasi  il  Bran- 
dimarle,  Plinio  illustralo,  Roma  1815,  Mordacchini; 
il  marchese  Antaldi,  Sulla  emendazione  proposta  dal 
p.  Brandimarte,  Pesaro,  Nobili  1 823  ;  e  la  lettera 
del  Brandimarte  in  risposta  all'Antaldi,  Roma,  Mor- 
dacchini 1824. 

(6)  Appiano,  De  bel.  civ.  lib.  I:  «  Parte  alia  circa 
Falerinum  montem,  ludacilius  et  T.  Afranius  et  P. 
Ventidius  coniunctis  copiis  exercitum  Cn.  Pompeii  fu- 
sum  fugatumque  intra  Firmum  compellunt  ».  Erano 
ascolani  que'tre  comandanti  dell'esercito  de'cellegati 
nel  Piceno  ,  a'  quali  era  affidata  la  celebre  guerra 
sociale  o  italica,  e  che  sconfissero  Pompeo  Strabone, 


57 

Orosio,  De  bello  sociali  lib.  V  cap.  18  e  19.  Non  sarà 
inopportuno  il  rammentare  come  avendo  noi  dichia- 
rato le  ghiande  missili  inscritte  ,  che  si  riferivano 
alla  guerra  sociale,  in  una  dissertazione  letta  nella 
pontificia  accademia  romana  di  archeologia  il  30 
novembre  1839  ,  e  quindi  stampata  in  Roma  tip. 
della  R.  C.  A.  1844,  nella  pag.  27  descrivemmo 
una  ghianda  con  leggenda  ASCLANORON,  conget- 
turando potersi  attribuire  ad  Ascoli  Piceno,  sì  perchè 
trovata  ne' suoi  dintorni,  e  si  perchè  ci  parve  di 
vedervi  con  ogni  probabilità  il  suo  nome.  Pubbli- 
cammo altresì  il  disegno  di  un  bassorilievo  esistente 
in  Ascoli  rappresentante  cinque  frombolieri,  i  quali 
si  recano  nella  destra  la  fionda  ,  e  ,  tenendo  alcun 
poco  elevato  un  lembo  della  loro  veste  succinta  , 
fanno  di  essa  il  sacculo  delle  ghiande.  Ivi  pag.  10 
e  11,  tav.  I. 

(7)  Bell.  civ.I^p.  381  E.  Vedi  ciò  che  ilCavedoni 
disse  intorno  a  tale  moneta  nel  Giornale  arcadico, 
tom.  79  p.  227  e  secj.,  e  nel  BuUettino  delV itisi,  di 
corr.  ardi,  per  Vanno  1844  p.   149. 

(9)  Considerations  sur  la  numismatique  de  Van- 
cienne  Italie,  Florence,  Molini  1841,  p.  154;  e  Siip- 
plement  aux  considerations  etc.  par  James  Millingen, 
Florence  1844. 

(9)  Considerations  cit.  pag.   155. 

(10)  De  numis  aliquot  aereis  uncìalihus  epistola, 
Romae,  Salomoni  1778.  Autore  del  libro  è  il  car- 
dinale de  Zelada  ,  e  l'opera  sua  vi  prestò  Pietro 
Borghesi  di  Savignano  ,  padre  al  conte  Bartolomeo 
Borghesi  numismatico  celebratissimo.  Fu  ristampata 
quest'opera  in  Roma  col  titolo  -  Numi  aliquot  aerei 


58 
tmciales  ci.  card.  Zeladae   in  museum  kircherianum 
coli.  rom.  illalif  tab.  I  n.  3. 

(11)  DeWantica  numismatica  delia  cillà  di  Atri 
nel  Piceno,  Napoli  1826  Traili,  p.  35. 

(12)  Giornale  arcadico  t.  79  del  1839  p.  232, 
e  ragguaglio  dell'opera  intitolata  -  Francisci  Carellii 
Numorum  Italiae  veteris  lahulae  CCII  p.  15,  estratto 
dal  tomo  XII  della  serie  terza  delle  Memorie  di  re- 
ligione ec.  di  Modena.,  ivi  Soliani  1851:  e  Carellii 
tab.  XXVI, XXVII,  Hatria.W  eh.  Cavedoni  vei-atnente 
non  attribuisce  con  asseveranza  ad  Asculurn  Picenum 
la  moneta,  di  cui  trattasi,  ma  egli  lascia  la  cosa  ìa 
dubbio,  e  propende  per  l'avviso  del  cav.  Avellino. 

(13)  Quadro  di  geografia  numismatica  da  servire 
alla  classificazione  geografica  delle  collezioni  con  un 
catalogo  generale  delle  città,  delle  quali  si  conoscono 
le  monete:   Firenze,  Bencini  1836,  p.   7. 

(M)  Considerations  etc.  op-  cit.  p-^  222.  -  Asculurn 
in  Piceno.  On  possedè  de  monnaies  de  V  aes  grave , 
qui  indiquent  une  concorde  entre  cette  ville  ,  et  celle 
d'Adria  située  dans  la  méme  contrée.  Ces  monnaies, 
qui  soni  sans  types,  portent  dans  le  champ  d'un  còte 
AS,  et  de  Vautre  H,  initiale  d'  Hadria. 

(15)  Il  cav.Avellino,^  di  sempre  chiara  ricordanza, 
opinò  che  queste  monete  appartengano  ad  Ascoli 
nella  Daunia  (ora  Puglia),  perchè  ricevute  dalla  Dau- 
nia,  le  ha  ritenute  sempre  per  danne,  come  si  legge 
nel  Bullettino  archeologico  napolitano,  anno  II  pag. 
36  e  37. 

(16)  V  aes  grave  del  musèo  kircheriano  ,  ovvero 
le  monete  primitive  de' popoli  dell'  Italia  media  or- 
dinate e  descritte  ec-  Roma,  Puccinelli  1839  p.  112- 


59 

Vedi  la  tav.  II  della  classe  IV  n.  7,  ov'  è  disegnata 
questa  moneta. 

(17)  Queste  due  antichissime  monete  furono  da 
noi  restituite  a  Fermo  ,  come  da  lettera  indiritta 
air  avv.  Gennarelli,  e  inserita  nel  giornale  artistico 
e  letterario  il  Tiberino  ,  anno  VI  n.  34-  del  1841, 
Roma  pe'  tipi  Puccinelliy  la  quale  dal  medesimo  fu 
riprodotta  dalla  sua  dissertazione  premiata  dall'  ac- 
cademia romana  di  archeologia  col  titolo  -  La  mo- 
neta primitiva  e  i  monumenti  deW  Italia  antica,  Ro» 
ma  1843  tip.  della  R.  Cam.  Apost.  p.  50  e  seg.  Cf. 
Millimjen,  Considerations  op.  cit.  etc.  p.  221.  Ci  pro- 
poniamo tornare  su  questo  argomento  in  altro  la- 
voro che  stiam  prepaiando. 

(18)  È  questa  la  sua  risposta,  v  Roma  31  die. 
1852.  Se  ella  vuole  che  io  le  dia  oggi  le  ragioni, 
per  cui  nella  serie  delle  monete  di  Atri,  quella  che 
ha  r  H  nel  diritto,  1'  A  nel  rovescio  ,  io  la  tengo 
per  semoncia  d'  Atri  e  nulla  piià,  eccomi  pronto  a 
satisfarla.  Atri  ha  già  il  suo  asse,  il  quincunce,  le 
quattro ,  le  tre,  le  due,  e  1'  una  oncia.  Ma  oltre  a 
queste  ne  ha  un'  altra  ,  che  pareggia  la  metà  del 
peso  dell'  oncia,  e  che  per  1'  analogia  colle  semon- 
cie  latine  io  chiamo  semoncia.  Non  ha  impronta, 
ma  presenta  nel  diritto  un'  H,  nel  rovescio  un'  A, 
che  riunite  formano  la  prima  sillaba  della  voce  HA- 
TRI.  Ha  di  più  nel  rovescio  la  sigla  della  semon- 
cia, ossia  una  S  arcaica,  al  modo  medesimo  delle 
semoncìe  latine.  Questa  forma  di  E  non  è  già  che 
si  adoperi  da'  latini,  perchè  non  ne  abbiano  un'al- 
tra migliore  ,  ma  perchè  adoperata  questa  miglior 
forma  nel  semisse,  non  rimaneva  che  la  E  per  con- 


60 

tradistinguere  la  semoncia.  Per  opposto  quelli  di 
Atri  nel  loio  semisse  aveano  adoperato  i  cinque  glo- 
betti  a  distinguerlo,  e  non  avevano  la  S  nelle  let- 
tere usate  a  significare  la  loro  città.  Conviene  dun- 
que che  diciamo  ,  avere  gli  atriani  fatto  uso  della 
S  arcaica  per  ricopiare  in  tutto  la  semoncia  latina. 
Coloro  che  credettero,  che  1'  A  della  buona  paleo- 
grafia latina  potesse  fare  buona  compagnia  alla  E, 
la  congiunsero  coli'  A  ,  e  lessero  ASCLVM.  Ma 
non  si  avvidero  anche  alla  posizione ,  che  avea  la 
E  sulla  moneta,  che  le  due  lettere  non  ei'ano  appa- 
iate, ma  che  l'A  teneva  il  mezzo  del  campo,  e  la 
E  era  di  proporzioni  minori,  e  gittata  quasi  fuori, 
all'orlo  cioè  del  campo  medesimo.  Leggendo  ASCLVM 
disgiunsero  1'  H  dall'  A  ,  all'  H  dietro  1'  HATRl  , 
air  As  r  AS  CLVM,  e  immaginarono  un'  alleanza 
tra  Atri  ed  Ascoli.  Questa  però  rimane  esclusa  dal- 
l' analogia  delle  rimanenti  sei  monete.  Quando  vi 
fosse  stata  1'  alleanza  ,  non  avrebbero  aspettato  la 
semoncia  per  esprimerla,  ma  1'  avrebbero  incomin- 
ciata a  far  vedere  infin  dall'  asse  ,  e  1'  avrebbero 
continuata  a  significare  nel  quincunce,  e  così  nelle 
rimanenti ,  dove  il  campo  prestavasi  mirabilmente 
a  ricevere  non  due,  ma  anche  tre  delle  lettere  ASC.» 

(19)  Vedi  gli  Annali  deW  insl-  di  corrisp.  archeol. 
voi  XJ,  Roma  1839,/).  382,  tav.  d'  agg.  5  n.  10. 

(20)  Annali  cit.  p.  183  e  284.  11  Capranesi  pub- 
blicò a  parte  il  suo  lavoro  col  titolo  di  Medaglie 
inedite  ,  Roma  1840  co'  tipi  delV  istituto.  Veturia 
p.  33. 

(21)  Bidletlino  delV  imlituto  di  corrisp.  archeo- 
logica per  Vanno  1841,  Roma,  p.  27. 


61 

(22)  BulleUino  cil.  per  V  anno  1840  p.  167.  Il 
eh.  Cavedoni  ci  fece  dappoi  osservare,  che  le  me- 
daglie della  Veturia,  per  ragione  dell'  asse  onciale, 
sono  anteriori  al  665  varroniano  ;  e  quindi  non 
ponno  più  riportarsi  a' tempi  della  dittatura  di  Siila. 

(23)  Comment.  super  Oribasio  lib.  7  cap.  9.  Tut- 
ti gli  scrittori,  che  riferirono  questo  brano  ,  erra- 
rono nel!'  indicare  il  nome  dell'  autore  di  essi  com- 
mentari; poiché  chi  ha  scritto  il  nome  di  Livio  pa- 
dovano, chi  di  Silvio  padovano.  Il  vero  nome  però 
è  Marsilio  padovano,  ossia  Marsilio  Santa  Sofìa  di 
Padova.  Questi  insegnò  lungamente  le  scienze  ,  le 
lettere  e  la  teologia  in  Parigi  ,  ove  fu  rettore  di 
quella  università,  e  quindi  si  applicò  alla  medicina, 
a  tal  che  fu  dichiarato  monarca  e  principe  di  tutti 
i  medici  del  suo  tempo.  Visse  sino  al  1405.  (Vedom, 
Scrittori  padovani  ).  Oribasio  da  Pergamo  fu  ce- 
lebre medico  e  archiatro  di  Giuliano  1'  apostata  , 
che  lo  fece  questore  di  Costantinopoli. 

(24)  Vannotius  F.  M-  De  acqua  minerali  salma-' 
dna,  Romae  1642.  Molti  scrissero  sulle  acque  ter- 
mali dei  dintorni  di  Ascoli,  di  cui  le  più  rinomate 
per  la  loro  salubrità  sono  quelle  di  Acquasanta  ; 
del  che  ci  rendono  certi  e  la  frequenza  ad  esse 
fino  dai  remoti  tempi,  e  gli  antichi  acquedotti  dis- 
sotterrati neir  anno  1826.  Di  quelle  di  Castel  Tro- 
sino  si  veggono  tuttora  le  tracce  negli  avanzi  de- 
gli acquedotti  che  recavano  le  acque  in  due  piscine 
ornate  di  varie  sculture,  le  quali  andarono  perdute 
per  lo  scoscendimento  del  terreno  (  Relazione  di 
mons.  Grassellim  a  S-  S.  papa  Pio  [X.  su  la  ese- 
guila revisione  delV  estimo  rustico  delle  provincie  di 
Fermo  e  di  Ascoli,  pacj.  80  ). 


62 

Intorno  a  dette  terme,  oltre  a  quanto  si  legge 
nella  rara  opera  di  Gio:  Michele  Savonarola  -  De 
balneis  et  thermis  naturalibus  omnibus  Ilaliae ,  Fer- 
rariae  1545;  e  nell'altra  famosa  r-  De  balneis  omnia 
qiiae  extant  apud  graecosy  lalinos  et  arabos  ,  in  cui 
havvi  il  trattato  dell'  Ugolini  De  balneo  asculano  eie. 
Venetiis  1553  apud  luntas  -  accenneremo  vari  scrit- 
tori, cioè  Andrea  Baeci  De  thermis  Ub.  4  cap.  13- 
Andreantonelli  Ascul-  histor.  lib.ìpag.  614  426- 
Niccolantonio  Cattani  ,  che  due  volte  stampò  un 
opuscolo  intorno  le  virtù  medicinali  delle  suddette 
acque,  Ascoli  1751  Valenti  ,  e  ivi  1787  Cardi  - 
Gregorio  Mucci,  Ascoli  1805  Cardia  Antonio  Egidi, 
Ascoli  1826  Cardi.  Recentemente  ne  parlarono  Be- 
nedetto Ambrosi  nel  Giornale  ascolano  per  V  anno 
1824,  Ascoli,  Galanti:  -  Carlo  Arduini  neìVOsser- 
servatore  dorico  del  22  luglio  1843  n.  29,  e  quindi 
neir  Album  di  Roma  voi.  XIV  pag.  90  e  seg.  con 
due  tavole:  il  dott.  Pietro  Gamberini  nella  Idrolo- 
gia minerale  medica  dello  slato  romano  ,  Bologna 
1850,  Monti,  in  cui  fa  cenno  anche  di  varie  scatu- 
rigini di  acque  minerali,  che  sono  in  diversi  altri 
luoghi  della  provincia  ascolana:  e  da  ultimo  il  dot- 
tor Baldassare  Corsini  ,  il  quale,  trovandosi  diiet- 
tore  del  termale  stabilimento  ,  pubblicò  nel  1851 
intorno  alle  terme  stesse  per  le  stampa  del  Puc- 
cinelli  di  Roma  un  volume  in  8."  con  tavole  e  pro- 
spetti chimici  e  medici,  dove  alla  descrizione  sto- 
rica e  topografica  di  Acquasanta,  e  ad  un  suo  la- 
voro di  terapia,  in  cui  indica  i  risultati  ottenuti 
per  pili  di, un  lustro  sopra  circa  tremila  individui, 
ha  riunito  alcuni  cenni  geologici  del    eh.   Antonio 


63 

Orsini  ,  e  1'  analisi  chimica  di  quelle  acque  fatta 
dal  eh.  professore  Gaetano  Sgarzi;  del  qual  lavoi-o 
ha  dato  un  sunto  il  eh.  A.  Cappello  nel  Giornale 
arcadico  voi.  CXXII  pag.  230  e  seg. 

(25)  Vedi  il  Bullettino  arch.  cit.  per  V  anno 
1841. 

(26)  Il  eh.  Gennaro  Riccio  nella  sua  opera  - 
Le  monete  delle  antiche  famiglie  di  Roma,  seconda 
edizione  ,  Napoli  1 843  ijag.  233  ,  Veturia  -  ricorda 
questa  quadrante  come  esistente  presso  Borghesi  , 
De  Minicis,  Capranesi  e  Ramus:  tav:  LXVI.  11  Ric- 
cio per  tale  opera  ebbe  il  premio  di  numismatica 
dair  istituto  d'  iscrizioni  e  belle  lettere  di  Parigi. 

(27)  Decad.  numism.  XII.  Osserv.  V.  Nel  Gior- 
nale arcadico  T.  XXV  del  1825.  Chi  avesse  vaghez- 
za di  conoscere  per  singulo  le  gesto  di  P.  Venti- 
dio  legga  in  essa  Decade  del  Borghesi,  dettata  con 
meravigliosa  erudizione  e  dottrina  ;  poiché  non  fu 
a  noi  permesso  dalla  qualità  di  questa  memoria 
l'intrattenerci  più  distesamente  sul  celebre  console 
ascolano. 

(28)  Oltre  i  suddetti  due  celebri  ascolani,  de'quali 
il  Colucci,  Antich.  picene  tom.  XIV,  parla  ampia- 
mente ,  si  noverano  Tito  ludacilio  o  Giudaciho  , 
Tito  Afranio  e  Publio  Ventidio  ,  che  si  segnala- 
rono nella  guerra  italica,  L.  Tarlo  Rufo  ,  L.  Mal- 
li© Torquato  ;  e  fra  i  moderni  Nic<,'olò  IV  papa  , 
Francesco  Stabili  detto  Cecco  d'  Ascoli  ,  di  cui  il 
p.  Appiani  scrìsse  la  vita  e  1'  apologia  ,  Pacifico 
Massimo,  ed  altri  ipolti  che  possono  vedersi  nelle 
Memorie  intorno  i  letterati  e  gli  artisti  della  città 
di  Ascoli  nel  Piceno  scritte  da  Giacinto  Cantalamessa 


64 

Carboni  ,  Ascoli  Cardi  1830  ,  opera  lodatissima  e 
giustamente  celebrata  per  1'  ordine  cronologico,  per 
la  biografica  diligenza,  per  la  buona  lingua  e  per 
la  sana  critica,  come  si  legge  nel  tom.  XLI  del 
Giornale  arcadico  p.  241. 

(29)  De  monetis  Italiae  op.  cit.y  Ferrariae  1767, 
p.  13. 

(30)  hai.  Sacra.,  tom.  l  p.  U^-òy  Venetiisy  Coleli 
1717. 

(31)  Bologna  1818,  Nobili,  p.  80. 

(32)  De  asculana  eccl.  p.  268. 

(33)  Dell'istituzione  delle  zecche  d^Italia^  Milano 
1784,  tom.  2  p.  125. 

(34)  Ristretto  delV  istoria  ascolana  di  Sebastiano 
Andreantonelli  data  in  luce  dai  fratelli  Antonio  e  Carlo 
Cedonio  Andreantonelli  -  Ascoli  1676  ,  Salvioni.  Il 
capitolo  di  Ascoli  ebbe  già  la  temporale  giurisdi- 
zione sul  castello  di  Maltignano,  e  il  diritto  di  bat- 
ter ivi  monete  di  argento,  che  non  sappiano  se  abbia 
esercitato. 

(35)  Italia  sacra  tom.  1  p.  445  edit.  cit. 

(36)  Saggio  delle  cose  ascolane,  e  de'  vescovi  di 
Ascoli  nel  Piceno,  pubblicato  da  im  abate  ascolano , 
Teramo  1766  p.  218  n.  5.  L'  autore  anonimo  di 
questa  opera  è  monsignor  Francesco  Antonio  Mar- 
cucci  già  vicegerente  di  Roma,  poscia  patriarca  di 
Costantinopoli  ,  e  amministratore  della  chiesa  di 
Montalto. 

(37)  Delle  monete,  che  portano  immagini  de'san- 
ti  trattarono  Gio.  Cristoforo  Oleario  nel  Prodromo 
Hagiologiae  numismalicae  ,  Arnostadii  1700:  -  Gio. 
Michele  Weienrichio  in  una  lettera  stampata  in  Er- 


65 

fordio  lo  stesso  anno:  -  T.  David  Koelero  in  Deliciis 
nnmmariis:  -  il  teologo  Giovanni  Molano,  De  hisloria 
ss.  imaginum,  Lovanio  1594  lib.  2  cap-  63  cart.  98- 
Cf.  il  Bellini,  De  monel.  hai.  op.  cit. 

(38)  Vedi  Andreantonelli  nella  Historia  ascid;  e  Ap- 
piani, Vita  di  s.  Emidio,  Ascoli  1831,  e  tutti  gli  altri 
storici  di  quella  città. 

(39)  \j' Appiani,  op.  cil.,  dubita,  non  forse  s.  Emi- 
dio sia  stato  il  primo  vescovo  di  Ascoli,  e  che  sieno 
incogniti  gli  antecessori  di  lui-  11  Colucci  sostiene, 
che  non  estero,  ma  italiano  di  nascita,  anzi  ascolano 
egli  fosse.   Antich.  picene  tom.  XIV  pag.  322  e  seg. 

(40)  Catalani,  De  eceles.  Firm-  commenl.p.  h-.Nec 
longe  alia  mihi  sedei  opinio  de  sanclo  Emygdio  mar- 
tyre  et  asculanonim  episcopo,  qiiem  nempe  firmum  ac- 
cessisse,  ut,  qui  reliquus  foret,  idolorum  cultiim  fugaret, 
exploratum  habeo.    V.  pag.  93  94  op.  cit. 

(41)  Son  queste  le  loro  parole:  Debethaec  (eccle- 
sia asculana)  primordia  sua  s.  Emygdio  {quem  alii 
Migdium  ,  Emidium,  Emicidium  nuncupanl)  ;  ut  qui 
eam  a  romano  pontifice  missus  colligendam  forman- 
damque  susceperil;  nec  doctrina  tantum  et  miraculis 
vivens,  sed  et  moriens  sanguine  et  reliquiis  ac  singu- 
lari  praèsidio  defunctus  ad  nostrani  usque  aetatem  il- 
lustraril.  llaqne  eadem  illum  ab  ornni  retro  memoria, 
ut  aposlolum  smim  ac  primum  antistitem  praesidemque 
tutelarem  eximia  ì^eligione  constanter  est  prosecuta. 
Acta  ss.  augusti,  tom.  II p.  16  h,  Venetiisìlòì,  Coleti 
et  Albrizzi. 

(42)  Statuì,  ascul.  rubric.  5  6  ef   12  /.  2. 

(43)  Le  sigle  o  lettere  singolari  PP.  sono  state 
G.iV.T.CXLV.  5 


66 
interpretate  in  diverso  modo  da'nunioi!;rafì.  Il  Bellini, 
Op.  cit.  disserl.  I,  le  interpreta  PERPETUO  PATRO- 
NUS;  e  poscia  nel  diss.  5,  PAPA  S.  EMIDIUS.  U 
Peruzzi  poi,  La  chiesa  anconitana  p.  66,  le  spiega  PA- 
TRONUS  PRINCIPALIS,  o  PROTECTOR  PRINCI- 
PALIS:  alla  quale  opinione  ci  uniformiamo- 

(44)  Questa  moneta  differisce  dalle  altre,  perchè 
non  vi  si  vede  la  intera  figura,  come  nelle  quattro 
innanzi  sconosciute,  ma  solo  il  busto:  il  santo  non 
è  vestito  di  dalmatica,  ma  di  piviale.  Il  march.  F. 
Raffaelli  mi  annuncia  posseder  egli  altra  monetina 
a  questa  simigliante-  Il  Colucci,  Antich.  pie-  t.  XIV 
p.  309,  fa  menzione  delle  monete  che  dopo  il  mille 
si  coniarono  in  Ascoli  col  nome  del  santo  protettore, 
riferendo  le  parole  dei  Bollandisti  loc-  cit.pag.  18  d: 
Nam  ut  cultiim  eiiis  ac  religionem  (asculani)  tota  sua 
ditione  diffunderent  ,  varias  ipsi  per  illam  ecclesias 
erexere,  ut  assidue  in  omnium  quodammodo  oculis  et 
manibus*  versarelur,  dum  sui  iuris  fuere,  propriamque 
cadere  pecuniam,  huic  sancii  Emygdii  sui  effigiem  im- 
pressam  esse  voluerunt. 

(45)  Benché,  come  dicemmo,  le  prime  conces- 
sioni di  batter  monete  venissero  dagli  imperatori , 
pure  ben  poche  italiane  città  posero  in  esse  i  nomi 
o  simboli  imperiali:  e  quindi  crediamo  che  la  co- 
niazione avvenisse  in  tempo  dell'autocrazia  delle  città 
ch'ebbero  officina  monetaria.  V.  fra  gli  altri  il  Porri., 
Cenni  sulla  zecca  sanese,  Siena  1844. 

(46)  Annal.  Ant.  Nicolai:  ,,  MCCCXCV die  Siunii 
Biordus  de  Perusia  cum  2500  eqnitibus  intravit  Mar- 
chiani .  ...  et  incaepit  redimere  Ascidum  prò  3[m  du- 


67 

calis.,,  -  Saggio  cit.p.  303  -  v.  la  Biografia  di  Biordo 
MìcheloUi  scrina  ed  illustrala  da  Ariodante  Fahretti 
nella  sua  erudita  opera  -  Biografie  dei  capitani  ven- 
turieri deir  Umbria^  nel  voi.  /,  Montepulciano  1842, 
Fumi  -.  Il  Compagnoni^  Beggia  picena  lib.  Y  p.  262, 
riporta  la  capitolazione  firmata  da  Biordo  nel  1393 
con  varie  città  della  Marca  ,  fra  cui  è  compreso 
Ascoli-  Incomincia  :  In  Dei  nomine  amen-  Questi  e 
patti  e  convenzioni,  quali  si  fanno  in  fra  li  magnifici 
comuni  d'Ancona  ,  Fermo  ,  Ascoli  con  tutte  le  loro 
terre  eie- 

(  47  )  Annales  firmani  Antonii  Nicolai  : 
»  MCCCLXXXXV  die  sabati  XX  mensis  novembris 
vocatus  venit  in  civitate  Esculi  fdius  Antonii  de  Ac- 
quaviva  ,  qui  vocabatur  dux  Adrie  ,  et  fuit  factus 
capilaneus,  et  recurrit  dictam  civitatem  prò  se  ». 

(48)  Saggio,  op.  cit.  pag.  304  n.  1 50.  -  Il  Bar- 
tolomei, Sulla  famiglia  degli  Acquaviva  ,  ora  duchi 
d'  Atri  etc  Cenno  storico,  Ascoli  1 840,  Cardi  pag. 
29,  dice,  che  il  diploma  a  prò  di  Odoardo  di  Cecco 
fu  dell'  aprile  1397. 

(49)  Sulla  origine  della  nobilissima  famiglia  degli 
Acquaviva  gli  storici  tennero  diverse  opinioni.  Al- 
cuni dedussero  il  cognome  Acquaviva  da  vari  luo- 
ghi o  castella  di  tal  nome,  di  cui  uno  esiste  nella 
Puglia  ,  altro  nelT  Abruzzo  presso  s.  Omero  ,  e  il 
terzo  nella  Marca,  una  volta  soggetto  alla  gim'is- 
dizione  di  Fermo.  Non  intendiamo  qui  di  esaminare 
simile  questione.  Solo  diciamo  che  dagli  storici  fer- 
knnni  si  asserisce  fosse  questa  illuslre  famiglia  oriunda 
da  Fermo,  e  padrona  del  castello  di  Acquaviva  nel 


k 


68 
contado  dì  questa  città,  che  da  esso  abbia  tratto  il 
suo  nome,  e  che  poscia  si  stabilisse  nel  regno  di  Na- 
poli, Vedi  ]&  Storia  della  famiglia  Acquaviva  di  Bal- 
dassare  Storace,  Roma  1738  Bernabò.  -  11  Bartolomei 
op.  cit.  —  li  conte  Pomjìeo  Litla,  Fami(jlie  celebri  ita- 
liane, famiglia  Acquaviva  di  Napoli,  Milano,  Ferra- 
rio  1843.  -  11  cav.  Gaetano  Moroni  nella  sua  cele- 
bratissima  opera  Dizionario  di  erudizione  storico-ec- 
clesiastica, voi.  1  3  e  58.  -  11  march.  Filippo  Bruti 
Liberati  in  vari  suoi  opuscoli  storici  impressi  in  Ri- 
patransone. 

(50)  Raynaldi,  Ann.  eccl.  tom.  17;  Marcncci,  Saggio 
delle  cose  ascol.  p.  308;  Appian.  Op.  cit.  seconda  edi- 
zione p.  131;  Pandolf'o  CoUenuccio,  Compendio  delle 
istorie  del  regno  di  Napoli  ,  Venezia  1552  lib-  V 
p.  150. 

(51)  Allorquando  e'  incontrò  di  trovare,  fra  le 
tante  ricerche  che  facemmo  delle  monete  ascolane 
del  medio  evo,  le  due  eguali  del  duca  atriano  ,  e 
le  quattro  del  re  Ladislao  ,  sconosciute  fin  qua  a 
tutti  i  numografi,  pensammo  che  dovesse  anteporsi 
questa  di  Ladislao  all'altra  del  duca  d'Atri;  e  che, 
avendo  egli  tenuto  la  signoria  della  città  per  inca- 
rico di  quel  re  ,  facesse  imprimere  la  moneta  col 
nome  di  Ascoli.  Posto  mente  però  sapersi  dalle  sto- 
rie,  che  il  duca  timoneggiasse  il  governo  di  per  sé 
alquanti  mesi  del  1395  e  1396,  ci  sembrò  più  con- 
forme a  ragione,  che  la  sua  moneta  dovesse  pre- 
cedere quella  di  Ladislao.  Giudicheranno  gì'  inten- 
denti se  siamo  andati  lungi  dal  vero  o  se  abbiamo 
colpito  nel  segno. 


69 

(52)  Di  essa  si  conoscono  da  noi  sei  esemplari: 
uno  è  nel  museo  kircheriano,  altro  nel  vaticano,  due 
trovansi  presso  particolari  numoflli  di  Roma,  e  due 
se  ne  conservano  da  noi. 

(53)  Questa  famiglia  tenne  il  governo  di  Padova 
cento  e  più  anni.  Vedi  nel  Zanetti  Op.  cit.  tom.  Ili, 
in  cui  si  riportano  le  monete  padovane  dei  Carra- 
resi. 11  Carli  ,  Ist.  delle  zecche  d'Italia^  e  il  Grade- 
nigo  dicono  che  Conte  da  Carrara  signore  di  Ascoli 
era  figlio  naturale  di  Francesco  VI,  settimo  principe 
di  Padova;  e  che  nacque  di  Giustina  Maconia  nobile 
padovana. 

(54)  Cribelliiis  in  vita  Sfortiae  tom.  XIX  Rer.  ita  - 
licar.  pag.  101  ■  „  Per  eam  hyemem  Comes  carrariensis 
sub  spem  ducendi  in  hybenta  milites  sui  ad  oppidum 
Esculum  in  Picenis,  quod  tum  duplici  valida  muni- 

tum  arce,  ipsius  iuris  erat intra  paucos  dies 

febri  correpius  vita  deserilur.  At  initio  insequentis  an- 
ni, qui  fuit  primus  supra  mille  quadringentos  et  vi- 
ginti  eie.  ,, 

(55)  Il  Brunacci ,  De  re  nummaria  patavinorum, 
Venetis  1744,  e  in  Argelaii,  Mediolaiii  1750,  ci  reca 
una  lettera  di  Obizo  del  7  aprile  1426  indiritta  ai 
governatori  e  al  capitano  del  popolo  della  città  di 
Siena,  segnata  in  Ascoli,  in  cui  egli  si  appella  si- 
gnore di  Ascoli. 

(56)  Eodem  millesimo  MCCCCXXVI  et  die  octava 
augusti  homines  civilalis  Esculi  prò  maiori  parte  mi- 
serunt  ecclesiam  romanam  in  dictam  civitatem,  postea 
per  aliquos  dies  habuit  cassaros,  et  vix  evasit  Obizo 
dominus  diete  civilatis.  Così  Nicolai,  Ann.  cit. 


70 

(57)  Trattano  delle  monete  dei  Cairaresi  signori 
di  Ascoli  il  Bellini  L  e.  diss.  lì  III  e  IV,  e  ne  ri- 
poi'la  quattro;  il  Carli  l.  e.  fa  menzione  di  una  mo- 
neta di  Ascoli  col  carro  e  col  nome  di  (ìonte  di  Car- 
rara, e  afferma  trovarsene  una  presso  il  senatore  di 
Venezia  conte  Antonio  Savorgnano,  ed  è  la  prima 
sopra  riferita  ,  aggiungendo  essere  rarissima  e  non 
più  stampata.  11  Brunacd.,  De  re  nummaria  pcitav. 
p.  134,  congettura  ,  che  in  gi'azia  del  dominio  del 
suddetto  Conte  e  del  diritto  della  città  di  Ascoli , 
avesse  egli  quivi  battuto  moneta  propria  ,  ed  anzi 
in  una  sua  lettera  al  Costadoni  stampata  nel  1751 
al  torà.  46  della  RaceoUa  calo<jeriana,  e  quindi  an- 
che nel  Zanetti  toni-  2  p.  72,  leca  la  leggenda  della 
moneta  ascolana  d'argento  COMES  DE  CARRARIA 
a  lui  per  T  innanzi  ignota.  Ed  Agostino  Gradenigo, 
Indice  delle  monete  nella  raccolta  del  Zanetti  tom.  II 
p.  71,  parlando  delle  monete  di  Ascoli,  legge  nel  di- 
ritto della  moneta  CARARIA,  ma  dubita  se  la  prima 
lettera  sìa  un  C  ovvero  un  0  ,  nel  qual  caso  egli 
opina  che  bisognerebbe  leggere  Opizo.  Noi  crediamo 
pei'ò  sia  questo  un  abbaglio,  poiché  l'essere  diviso 
il  C  dall'  0,  con  il  carro  in  mezzo,  avrà  fatto  cre- 
dere, che  l'iniziale  C  significasse  Comes,  e  l'O  Opizo. 
Si  ponga  mente  in  fatti  che  leggendo,  come  il  Gra- 
denigo,  0.  D.  CARAR.  C,  ovvero  CARARl  C,  la 
grande  A  nell'area  non  si  unirebbe  più  con  CARARl, 
essendovi  di  mezzo  il  C,  11  Zanetti  nel  tom.  2p.  73 
ci  dice,  che  il  Gradenigo  cominciando  a  leggere  al 
lato  sinistro  del  carro,  come  è  solito  farsi,  inter- 
preta le  lettere  0.  D.  CARAR.  C.  per  Opizo  de  Ca- 
vana Comes:  la  quale  spiegazione  è  stata  ammessa 


71 

da  altri  ancora,  quantunque  vi  sia  pivi  di  un  esempio 
in  contrario,  e  fra  questi  nelle  monete  di  Fermo  di 
Francesco  Sforza,  in  cui  si  legge  CO.  F.  VICECO- 
MES  (Vedi  Catalani,  Zecca  fermana  n.  11  12  e  13 
in  Zanetti  l.  e.  tom.  3). 

(58)  Usavano  gli  antichi  far  merli  sulle  mura 
delle  città,  o  sopra  la  parte  più  alta  delle  torri  o 
palazzi,  non  tanto  per  ornamento,  quanto  per  for- 
tificazione. La  diversa  forma  di  quelli  indicava  di 
qual  fazione  o  partito  fosse  la  città  o  il  signore  del 
palazzo:  perciocché  i  merli  a  coda  di  rondine,  ov- 
vero costrutti  con  incavo  in  mezzo  ,  a  guisa  della 
lettera  M,  erano  distintivo  usato  dai  ghibellini  ,  e 
quelli  parallelepipedi  dai  guelfi  {V.  Agostino  Ade- 
mollo,  Firenze  al  tempo  deWassedio,  ivi  1841,  p.  I 
e.  18;  e  Filippo  Moise,  Illustrazione  del  palazzo  dei 
priori  di  Firenze,  ivi.  Ricordi  1743).  Or  ci  sembra, 
che  i  merli  della  torre  ,  coronata  da  una  linea  di 
essi,  sieno  guelfi,  come  pure  quelli  della  spalletta 
o  parapetto  del  ponte;  e  si  sa  appunto  per  le  storie, 
che  Ascoli  fosse  il  più  spesso  di  parte  guelfa. 

(59)  Annales  fìrmani  Antonii  Nicolai:  ,,  Diclo  mil- 
lesimo (1445),  et  die  martis  X  mensis  Augusti  hora 
duodecima,  populus  exculanus  rebellavit  se  cantra  co- 
mitem  Franciscum,  et  traduxit  se  ecclesiae  rom.,  et 
Balduinus  de  Tolentino,  qui  erat  sub  stipendio  comi- 
tis,  per  duos  dies  ante  receperat  a  comite  ducat.  4213,  '' 
rebellavit  se  cantra  comitern  et  in  favorem  ecclesiae 
gridavit  (sic):  Viva  la  chiesa:  et  inlerfecit  dominum 
Raijnaldum  fralrem  comilis,  et  24  cives  de  dieta  ci- 
vitate  cum  tribus  famiilis  d.  D.  Raijnaldi,  de  quibus 
fiierunt  duo  firmani.  „  -  V.  Cronica  di  Rimini,  tom.  XV 


72 

Rer.  italtc.  script.;  Muratori,  Annal.  un.  1445;  e  Si- 
smoìuìi,  Slor.  delle  repiib-  ilal.  toni-  9  cap-  71-  Intorno 
all'assedio  dellia  rocca  di  Fernno  tenuta  da  Alessan- 
dro altro  fratello  del  conte  Francesco,  e  alla  par- 
tenza degli  Sforzeschi,  noi  discorremmo  nella  Eletta 
dei  monumenti  di  Fermo,  Roma,  tip.  delle  belle  arti 
1841  p.  24  e  seg. 

(60)  Cenni  suddetti  p.  85. 

(61)  V.  una  lettera  al  cav.  Vermiglioli  sopra  una 
scultura  rappresentante  un  leone,  scoperta  in  Fermo. 
Giorn.  letterario  di  Perugia    n.   28  deW  anno   1836. 

(62)  Cap.  XIX,  Muratori,  Rer-  ilal.  script,  tom.  XX 
col.  103. 

(63)  Giovio,  Vita  del  m.  Sforza;  Nostri  cenni  stor. 
e  numism.  di  Fermo  p.  84. 

(64)  Il  Muratori,  Ani.  il.  diss.,  nel  riferire  le  po- 
che monete  ascolane  che  gli  erano  note,  dice  es- 
servene  una  presso  l'abate  Fioravanti  avente  R. 
SFORTIA,  cioè  Roberto  Sforza  signore  di  Ascoli,  e 
nel  rovescio  S.  EMIDIVS  DE  ESCVLO.  Ci  sembra 
questo  un  abbaglio  di  quel  dottissimo  scrittore,  il 
quale  sarà  stato  forse  alla  relazione  del  Fioravanti 
o  di  altri  nel  leggere  R  in  vece  di  F  senn'gotica. 
E  di  fatti  osservando  le  originali  monete  ,  la  cifra 
sembra  un  R  in  vece  di  ,un  F  ;  ma  considerando, 
che  il  solo  Francesco  fu  signore  di  questa  città,  e 
che  Rinaldo  la  reggeva  per  lui ,  non  è  a  stimare, 
che  s'  improntassero  le  monete  col  nome  di  un  sem- 
plice governatore.  Lo  stesso  abbaglio  fu  preso  da 
poi  dal  dottor  Giulio  Ferrarlo  [Costume  antico  e  mo- 
derno, Livorno  1836  tom.  XXII  p.  520),  ed  anche 
dal  Gradenigo  [Indice  delle  monete  d'Italia),  ma  fu 


73 

con-etto  dal  Zanetti ,   Nuova    raccolta   delle  monete 
toni.  2  pag.  73  nota  6. 

(65)  Vincentii  Bellini  ferrariensis.  De  monetis  Ita- 
liae  meda  aevi  qiiae  in  hiio  miisaeo  servanlur  disser- 
tatioy  Ferrariae  1755,  Pomatelli.  La  set'ie  delle  mo- 
nete raccolte  dal  Bellini  passò  l'anno  1758  al  pa- 
lazzo deir  università  di  Ferrara,  in  cui  si  potè  aprire 
un  museo,  dove  il  suo  raccoglitore,  prepostovi  alla 
custodia  e  direzione,  potè  dar  lezioni  utili  ed  eru- 
dite agli  amatori  della  scienza  numaria.  Ora  ,  per 
cura  e  studio  dei  chiariss.  monsig.  can.  Giuseppe  An- 
tonelli  e  sig.  Giuseppe  Boschini  ,  di  tal  serie  di 
numismatica  si  è  fatta  la  riordinazione  secondo  i 
sistemi  generalmente  approvati  dalle  più  cospicue 
università,  come  si  legge  nelTarticolo  Riapertura  del 
museo  ferrarese  pubblicato  dal  eh.  Luigi  Napoleone 
Cittadella  nella  gazzetta  di  Ferrara  n  4  e  5  :  18 
e  21  gennaio  1853,  o  nella  erudita  orazione  De  almo 
(jijmnasio  ferrariensi  del  rev.  p.  Luigi  Nannerini  fer- 
mano, retore  nel  collegio  d.  C.  d.  G.  di  essa  città, 
lettavi  il  6  novembre  1852,   p.  145   e    nota   153. 

(66)  Nuova  raccolta  delle  monete  d'Italia,  tom.  3, 
Bologna  1783. 

(67)  L'arte  del  blasone,  pag .  187  n.  77,  Venezia^ 
Zerletti  1756. 

(68)  II  Catalani  nelle  Memorie  della  zecca  fer- 
manap.  50  crede,  che  dopo  la  partenza  dello  Sforza, 
anziché  prima,  o  in  tempo  del  suo  dominio,  cioè 
nell'anno  1446,  o  nel  principio  del  seguente,  si  bat- 
tessero le  due  monete  d'argento  di  Eugenio  IV;  alla 
cui   opinione  noi  ci  conformiamo. 


74 

(69)  Questa  moneta  è  riferita  dallo  Scilla,  Mo- 
nete poni,  p.  21,  che  la  qualifica  per  un  mezzo  grosso; 
dal  Muratori  l.  cit.;  dal  Grandenigo  l.  e;  ed  il  Fio' 
ravanliy  Antiq.  rom.  pontif.  denarii,  ne  reca  il  disegno 
a  pag.  107  num.  7. 

(70)  Per  bolognini  della  Marca  si  devono  inten- 
dere tutti  quelli  che  si  coniavano  nelle  zecche  esi- 
stenti in  detta  provincia,  cioè  in  Ancona,  Macerata, 
Ascoli,  Fermo,  Camerino  e  Recanali,  per  essere  di 
eguale  intrinseco.    V.  Zanetti  tom.  2  p.  332. 

(71)  Si  conserva  neWarchivio  segr.  di  Fermo  n- 
1517.  -  V.  Catalani,  Zecca,   opera  cit.  p.  60. 

(72)  Vedi  il  tenore  di  tal  divieto  nel  tom.  Il p.  3i4 
del  Zanetti. 

(73)  11  eh.  prof.  Cammillo  Ramelli  xìq  Cenni  sto- 
rici della  zecca  fabrianesc,  Fabriano  1838,  Crocetti 
p.  5,  sull'appoggio  di  documenti  rinvenuti  nelfar- 
chivio  comunale,  narra,  che  «  i  fabrianesi,  non  pa- 
»  ghi  di  essersi  collegati  con  le  altre  città  marche- 
»  giane,  inviarono  a  Roma  in  loro  particolare  oratore 
))  Guerriero  di  Piero,  quale  tornando  vittorioso  si 
»  presentò  nel  3  aprile  del  1464  al  consiglio  di  cre- 
»  denza  con  tre  br-evi  pontificii,  uno  de'quali  il  pri- 
))  vilegio  possenti  (sic)  ciidi  in  terra  Fabriani  piccolos 
»  usque  ad  quantitatem  quinqitecentorum  duca:  anr: 
»  conteneva   ». 

(74)  È  riferita    dal  Zanetti  tom.  li  pag.  484  e 

seg.    ))   Cam ad  nostrum  notitium  deveneril  in 

provinciis  nostris  Marchie  anconitane,  ducalus  Spole- 
tani,  Palrimonii,  et  aliis  lerris  atque  locis  nobis  et 
romanae  ecclesiae  mediate  et  immediate  snbiectis  va- 
rias  adulterinas  et  reprobas  confictas  monetas  argen- 


75 

teas fabricatas  ,  multiplkatas  esse  et  impune 

cìirsum  et  valorem  hahere  eie;  idcirco  volentes  super 
ìiiis  providere,  ne  subditi  romane  ecclesie,  ex  multi - 
plicalione  et  cursu  similium  monetarum,  quas  BONO- 
NENOS  vulgariter  appellante  cuiuscumque  cunei  de 
presenti  currentis,  ulterius  gravioribus  afficiantur  in- 

commodisy  hoc  presenti  decreto  omnibus  et  singulis 

etiamsi  apostolica,  vel  quavis  alia  auctoritate,  sive  con- 
cessione, aut  privilegio  eis  quomodoUbet  concesso  mo- 
nelas  cudere  antea  licuisset,  ne  ulterius  per  se  ,  vel 
alias  cudere,  aut  cudi  facere  liceat  etc.  » 

(75)  Questo  documento  estratto  dal  registro  dei 
brevi  di  detto  papa,  tom.  XII  p.  170,  è  riportato 
dal  Zanetti,  Monet.  d'hai,  tom.  3  p.  487. 

(76)  Cf.  Leopardi ,  Zecca  e  monete  recanatesi  ; 
Peruzzi,  Stor.  d'' Ancona,  Pesaro  1835,  Nobili  p.  347. 

(77)  Questo  istromento  si  conserva  neWarch.  seg. 
di  Macerata,  cap.  4  H;  cf.  il  Zanetti  tom.  3  p.  326, 
ove  si  riporta  per  intero. 

(78)  Questo  breve,  insieme  coll'altro  di  Pio  II, 
ci  fu  cortesemente  comunicato  dal  eh.  sig.  Giacinto 
Cantalamessa;  e  noi  li  repuliamo  entrambi  inediti. 

(79)  Crediamo  convenevole  il  dire  alcune  parole 
intorno  al  merito  dell'  opera  del  dottor  Cinagli  ;  e 
perchè  si  conosca  più  chiaramente  quanto  impor- 
tante sia,  riferiremo  ciò  che  ne  scrisse  V  insigne  ar- 
cheologo romano  p.  Giuseppe  Marchi,  quando  glie 
ne  fu  chiesto  il  parer  suo.  Egli  scriveva  dal  museo 
del  collegio  romano  il  15  aprile  1850,  che  gli  go- 
deva l'animo  di  veder  recata  al  suo  giusto  termine 
la  serie  delle  monete  pontificie  descritta  e  corredata 
di  note  opportune  dall'  illuetre  signor  dottor  Cinagli; 


7() 

esser  ferinamente  persuaso,  che  la  storia  del  pon- 
tificato romano  abbia  ad  emergere  da  questi  auto- 
revolissimi documenti  sempie  più  splendida  ed  ir- 
repugnabile ;  l'autore  con  questa  scrittura  di  lunga 
lena  e  di  studi  fastidiosissimi  acquistarsi  un  merito 
singolare  presso  i  dotti  e  letterati,  massime  presso 
quelli  che  più  di  proposito  studiano  nella  giu- 
risprudenza ,  nella  storia  ,  e  nella  critica  sacra  ed 
ecclesiastica.  Ed  in  vero  assaissime  ricerche  fannosì 
di  questa  opera  si  in  Italia  che  oltre  monti,  e  spe- 
cialmente in  Germania,  ove  molti  giornali  letterari 
la  lodarono  grandemente  ,  perocché  dagli  amatori 
della  numismatica  erasi  trovata  assai  ricca  ed  esatta. 
Abbiamo  un  foglio  di  nuove  giunte  e  correzioni  pre- 
parate per  quest'opera  dall'esimio  autore,  amico  no- 
stro ,  troppo  acerbamente  mancato  a'  vivi  il  dì  4 
giugno  del  1851  ,  le  quali  da  noi  si  manderanno 
alla  pubblica  luce. 

(80)  V.  gli  storici  di  esso  papa. 

(81)  In  Fermo  la  zecca  continuò  a  rimaner  chiusa 
per  tutto  il  pontificato  di  Sisto  IV,  e  de'suoi  suc- 
cessori Innocenzo  Vili ,  Alessandro  VI ,  e  Pio  III. 
V.  Calalani,   Della  zecca  di  Fermo. 

(82)  Il  quattrino  forse  fu  così  detto,  perchè  prima 
del  1501  era  la  quarta  parte  dal  baiocco;  e  presso 
gli  antichi  romani  una  moneta  di  rame  o  di  bronzo 
del  peso  di  tre  once,  la  quale  per  essere  la  quarta 
parte  dell'asse,  veniva  chiamata  quadrante.  In  Roma 
poi  e  nella  Marca  la  riduzione  del  giulio  ai  50  quat- 
trini, e  del  baioccco  a'  5  quattrini ,  seguì  in  detto 
anno  1591  d'ordine  di  Gregorio  XIV.  -  Zanelli,  Mon. 
toni.  I  p.  143. 


77 

(83)  Opina  il  Catalani^  Memorie  della  zecca  fer- 
mana  pag.  73,  che  Fermo  coniasse  monete  regnando 
Leone  X ,  dal  quale  ottenuto  aveva  tal  privilegio  , 
servendosi  di  qualunque  stampo;  e  di  esse  egli  in- 
dica un  quattrino  del  peso  di  grani  13  per  avere 
due  once  circa  di  argento  legato  col  rame.  -  Ben 
si  apprende  dalla  descrizione  delle  monete  ascolane, 
che  in  quella  zecca  non  se  ne  coniò  alcuna  d'oro, 
e  picciola  quantità  di  argento:  a  tal  che  quelle  ivi 
coniate  non  poteano  bastare  al  commercio  e  alle 
pubbliche  e  private  contrattazioni.  Quindi  è  da  con- 
getturare che  si  permettesse  di  spendere  anche  al- 
cune monete  straniere:  e  come  ciò  avveniva  in  Fermo, 
in  cui  erano  accettate  le  monete  pavesi,  lucchesi  , 
ravennati,  bolognesi  e  d'altre  zecche  [Catalani  op. 
cit.p.  77  e  seg.  N.  Cenni  stor.  e  numism.  cìt.  p.  104), 
così  è  a  credere  che  in  Ascoli  fosse  altrettanto. 

(84)  Vedilo  nel  Zanetti  op.  cit.  tom.  3  pag.  339 
nota  (322). 

(85)  Nei  nostri  Cenni  storici  e  mimismalici  di 
Fermo  pag.  107  si  accennò,  che  il  Monitore  di  Bo- 
logna del  1797  annunciava  essersi  battute  monete 
in  ventiquattro  zecche  dello  stato  pontificio.  Noi  però 
non  conosciamo  che  le  seguenti: 

1  Ancona:  sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo, 
2  baiocchi,  baiocco:  -  2  Ascoli:  madonnina  da  ba- 
iocchi 5,  sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo  ,  ba- 
iocco, mezzo  baiocco,  quattrino:  -  3  Bologna:  doppie, 
zecchini,  scudi,  mezzi  scudi,  ec.  ec.  -  4  Civitavec- 
chia: madonnina  da  baiocchi  5,  sampietrino  da  ba- 
ioccchi  2  e  mezzo:  -  5  Fano:  madonnina  da  baiocchi 
5,  sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo:  -  6  Fermo: 


78 
pezza  da  baiocchi  60  ,  madonnina  da  baiocchi  5  , 
sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo,  mezzo  baiocco:- 
7  Fuligno:  madonnina  da  baiocchi  5  ,  sampietrino 
da  baiocchi  2  e  mezzo,  2  baiocchi,  baiocco,  mezzo 
baiocco,  quattrino:  -  8  Gubbio:  madonnina  da  baioc- 
chi 5  ,  sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo,  2  ba- 
iocchi, baiocco,  mezzo  baiocco:  -  9  Macerata:  pezza 
da  baiocchi  60,  madonnina  da  baiocchi  5:  -  10  Ma- 
idica :  madonnina  da  baiocchi  5  ,  sampietrino  da 
baiocchi  2  e  mezzo,  quattrino:  -  11  Montalto:  ma- 
donnina da  baiocchi  5  ,  sampietrino  da  baiocchi  2 
e  mezzo:  -  12  Pergola:  madonnina  da  baiocchi  5, 
sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo,  baiocco:  -  13 
Perugia:  muraiola  da  baiocchi  8,  6,  4,  2,  madon- 
nina da  baiocchi  5  ,  sampietrino  da  baiocchi  2  e 
mezzo,  2  baiocchi,  baiocco,  mezzo  baiocco  :  -  14 
Roma:  doppie,  zecchini  ,  scudi ,  mezzi  scudi  ec.  - 
15  Ronciglione:  madonnina  da  baiocchi  3:  -  16  S. 
Severino:  madonnina  da  baiocchi  5,  sampietrino  da 
baiocchi  2  e  mezzo  ,  mezzo  baiocco  ,  quattrino:  - 
17  Spoleto:  muraiola  da  baiocchi  6,  madonnina  da 
baiocchi  5:  -  18  Terni:  muraiola  da  8  e  6  baiocchi, 
madonnina  da  baiocchi  5:  -  19  Tivoli  :  madonnina 
da  baiocchi  5:  -  20  Viterbo:  madonnina  da  baiocchi 
5,  sampietrino  da  baiocchi  2  e  mezzo,  mezzo  ba- 
iocco: -  21  Umbria:  madonnina  da  baiocchi  5.  -  Le 
città  di  Fabriano,  Filottrano,  Loreto  e  Tolentino  eb- 
bero i  chirografi  ,  ma  non  fu  in  esse  posta  in  eser- 
cizio la  officina  monetale. 

(86)  Non  concordano  i  numografi  sulla  etimo- 
logia della  voce  baiocco.  Il  Muratori  nella  dissert.  33 
dell'origine  delle  voci  italiane  dice»  Baiocco  specie 


79 

di  hassa  moneta  di  rame.  Nome  specialmente  usato 
in  Roma  e  Bologna  ».  Dal  color  baio  lo  trasse  il 
Menagio,  ed  altri  da  Rayeux,  città  della  Francia  , 
ove  battevansi  tali  monete.  Nella  Storia  della  Cor- 
sica scritta  da  Pietro  Cijrneo  circa  il  1490  si  fa 
menzione  di  monete  appellate  baiocas.  11  primo  tra 
i  pontefici  che  facesse  battere  di  puro  rame  il  ba- 
iocco fu  Benedetto  XIll,  in  Gubbio  nel  1726,  e  po- 
scia fu  imitato  da'ferraresi  nel  1744.  lì  Zanetti  t.  1 
p.  70,  e  tom.  5p.  365  op.  cit.,  crede  che  provenga  dal 
regno  di  Napoli  o  Sicilia,  ove  questo  nome  di  baiocco, 
preso  dalla  moneta  di  Napoli,  si  dà  oggi  in  Sicilia 
al  pezzo  di  grana  due  di  rame.  V.  il  Du  Gange  , 
Glossariiim  etc.  verb.  Baiocchiis. 

(87)  Le  monete  di  due  baiocchi  si  coniarono  in 
quantità  non  tenue,  e  per  conto  del  governo  di  quel 
tempo  che  fornì  gli  occorrenti  metalli  di  bronzo  e 
di  rame.  Non  fu  però  coniato  il  baiocco;  di  che  igno- 
rasi la  cagione. 


80 

PROSPETTO  CRONOLOGICO  O  SERIE 
DELLE  MONETE  DI  ASCOLI 

Testa  di  Ercole  coperta  dalla  spoglia  leonina  a 
destra;  dietro  tre  globetti. 

TJ.  YETV.  B.  Tiherius  Veturius  Darrus.  Striglie 
e  vasétto  da  olio  collegali  con  una  cordella; 
dalla  parte  opposta  ROMA.  Quadrante  della 
ftinmiglia  Veturia.  Esiste  nel  museo  di  Dani- 
marca ,  e  nelle  collezioni  del  conte  Bartolo- 
meo Borghesi,  di  Francesco  Capranesi,  di  Giulio 
Mincrvini,  e  deirautore.  Fu  edita  dal  Ranius 
nel  catalogo  del  suddetto  museo,  dal  Capra- 
nesi [Annali  deWinslituto  archeologico  l.  XI  p. 
282),  dal  Riccio  [Le  monete  delle  auliche  fa- 
miglie di  Roma  ,  Napoli ,  slamp.  del  Fibreno 
1843  p.  '233  tav.  66)  ,  e  dal  conte  iMilano 
[Tariffa  sid  prezzo  imposto  alle  medaglie  delle 
antiche  famiglie  dette  consolari,  Napoli,  Vir- 
gilio ,  1847  p.  146).  È  incisa  nella  tavola  I 
delle  monete  n.   1. 

M.  ANT.  (in  nesso)  IMP.  III.  V.  R.  P.  G.  Testa 
di  Maico  Antonio  nuda  ,  a  destra  ,  col  lituo 
dietro  la  nuca. 

P.  VENTIDI.  PONT.  IMP.  Uomo  nudo  in  piedi, 
con  piccola  clamide  sull'omero  sinistro,  il  quale 
colla  destra  si  appoggia  all'asta,  ed  ha  nella 
manca  un  ramo  di  olivo. 

Denario  unico  della  famiglia  Ventidia.  Fu  pubbli- 
cato dal  Borghesi  [Giornale  arcadico  l.  XXV 


81 
p.  88  e  secj.),  dal  Fontana  [Descrizione  della 
serie  consolare  del  suo  museo,  Firenze,  Piatti, 
1827  p.  130  e  tav.  Un.  9),  dal  Riccio  (0. 
C.  p.  231),  dal  Milano  (0.  C.  p.  U5)  e  dal 
Mionnet  (De  la  rareté  et  duprix  des  medaiUes 
romaines  t.  I,  Paris,  1827  p.  94),  il  quale  però 
la  lifeiisce  con  VENTI  invece  di  VENTIDI. 
La  pubblicarono  anche  il  Vaillant,  il  Morelli, 
l'Avercampio  e  l'Eckhel:  ma  essi  poco  si  cu- 
rarono di  darci  la  spiegazione  del  suo  love- 
scio,  come  osserva  il  Borghesi  1.  e.  Vedi  la 
tavola  I  n.  2. 

ì  PP  S.  EMIDIVS  in  giro;  nel  campo  la  figura  in 
piedi  di  s.  Emidio  con  mitra,  aureola  e  dal- 
matica, pastorale  nella  sinistra,  e  colla  destra 
in  atto  di  benedire. 

DE.  ESCVLO  nel  giro;  croce  patente  nel  campo, 
e  piccola  croce  nel  margine  sui»eriore  fra  due 
rosette. 

Argento:  del  peso  di  grani  20.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'autore.  La  pubblicò  il  Gradenigo 
in  Zanetti  [Nuova  raccolta  delle  monete  e  zecche 
d'Italia  t.  II  p.  71  n.  1).  Si  vegga  nella  tav.  1 
num.  3. 

^     P.  P  S.  EMIDIVS.  La  figura  del  santo  differisce 

nel  pluviale,  mitra  e  pastorale  dalla  precedente. 

DE.  ESCVLO.  Simile  all'antecedente. 

Argento.  È  riferita  dal  Bellini  [De  monetis  Italiae 

meda  aevi  hactenus   non    evulgatis,  dissertatio 

altera,  p.  1 14  n.  2).  Tav.  1  n.  4.  Una  moneta 

G.A.T.CXLV.  6 


82 
a  questa  simigliante  esiste  nel  museo  del  co- 
mune di  Ascoli  formato  con  oggetti  raccolti 
in  Perugia  da  monsignor  Alessandro  Odoardi 
allorché  era  vescovo  di  quella  città,  e  poscia 
donato  alla  sua  patria. 

P  P  S.  EMIDIV.  Differisce  negl'  indumenti  epi- 
scopali dalle  due  antecedenti. 

DE  ASCOLO.  La  epigrafe  e  i  due  piccoli  astri 
ai  Iati  della  crocetta  la  fanno  ravvisare  di  conio 
diverso  dall'antecedente.  Argento.  Esiste  nel 
museo  kircheriano,  e  ci  fu  comunicata  dal  eh. 
Pietro  Tessieri,  Tav.  I  n.  5. 

PP  S.  EMIDIV.  Differisce  dalla  precedente  nei 
sacri  indumenti  ,   nella   mitra  e  nell'  aureola. 

DE  ASCOLO.  Con  qualche  piccola  varietà  dal- 
l'antecedente. 

Argento,  Ci  fu  comunicata  dal  cav,  dottor  Vin- 
cenzo De  Paolis.  È  inedita  per  quanto  cono- 
sciamo. Tav.  I  n.  6. 

S.  EMIDIVS.  Busto  del  santo  in  pluviale  con 
fermaglio,  mitra  o  infula  puntuta  e  ornata  di 
pietre  colle  due  fasce  pendenti  sugli  omeri; 
e  nella  parte  superiore  due  rosette. 

DE  ESCVLO.  Neil'  area  A  grande  con  quattro 
rosette  ai  lati;  nel  margine  superiore  picciola 
croce  fra  altre  due  rosette.  Argento:  del  peso 
di  grani  22.  È  inedita,  e  sì  possiede  dall'au- 
tore. Si  vegga  impressa  a  pag.  24. 


83 

8  S.  EMIDIVS  EPI  nel  giro;  nel  mezzo  le  tre  let- 

tere PVS;  e  crocetta  nella  sommità  del  mar- 
gine. 
DVX  ATRIAN  nel  giro.  Croce  nell'area  con  fio- 
retti ai  due  angoli.  Mistura:  del  peso  di  gra- 
ni 10.  È  inedita,  e  due  n'esistono  nella  col- 
lezione dell'A.  Furono  coniate  dal  novembre 
1395  al  febbraio  1396,  o  in  quel  torno.  Si 
osservi,  che  la  M  nel  diritto  è  formata  da  tre 
aste  disgiunte,  e  la  N  nel  riverso  da  due;  e 
che  la  prima  lettera  di  Episcopiis  ha  la  forma 
dell'O.  Vedi  tav.  I  n.  7,  ove  forse  il  diritto 
è  scambiato  col  riverso. 

9  REX.  LADIS  nel  giro;  LAVS  in  croce  nel  campo; 

e  crocetta  nel  margine  superiore. 
DE.ESCVLO  all'intorno;  croce  patente  nel  mezzo, 

due  rosette  a'due  angoli  di  questa,  e  crocetta 

nella  parte  superiore. 
Rame:  del  peso  di  grani   11.   È  inedita.  Esiste 

nei  musei  vaticano   e  kircberiuno,  presso  due 

numofili  in  Roma   e  nella   collezione    dell'A. 

Può  ritenersi  coniata  dall'anno  1406  al  1413, 

in  cui  morì  Ladislao.  Tav.  I  n.  8. 

10  CO.  D  CARARI.,  in  mezzo  A,  nel  margine  un 

carro  con  quattro  ruote  (arme  de'Carrara)  posto 
fra  il  C  e  l'O. 
S  EMID.  0.  ESCVLO.  Le  ultime  quattro  lettere 
nell'area  in  croce;  sopra  lo  stemma  della  città, 
cioè  un  ponte  con  torri. 


84 
Argento:    del  peso  di  grani  22.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A.    La    pubblicò  il  Gradenigo   in 
Zanetti  (0,  G.   T.  Il  p.  71  n.  3) ,  il  Bellini 
(0.  C.  p.  U  n.  4).  Tav.  1  n.  9. 

11  CO.  D.  CARAR.,  nel  campo  A,  e  superiormente 

nel  giro  un  piccolo  carro  a  quattro  ruote. 

S.  EMID.  D.  SCVLO.  Qualche  diversità  nella  po- 
stura delle  lettere ,  nella  configurazione  del 
ponte  e  nella  leggenda  ce  la  fa  ravvisare  di 
altro  conio. 

Argento.  Fu  pubblicata  dal  Bellini  (0.  C.  p.  14 
n.  5).  Tav.  I  n.  10. 

12  CO.  D.  CARAR.  Come  la  precedente,  ma  di  co- 

nio diverso. 
S.  EMID.  DE.  SCVLO.  Alcun  poco  differisce  Io 

stemma  della  città. 
Argento.  La  pubblicò  il  Bellini   (0.  C.  Disserl. 

postrema  p.    IO  n.  1).  Tav.  I  n.  11. 

13  COMES.  D.  CAR.  nel  giro;  nel  campo  le  quattro 

lettere  ARIA  incrociate;  sopra  una  sola  ruota 
da  carro. 

DE  ESCVLO  in  giro;  croce  nel  campo,  nel  mar- 
gine è  ripetuta  la  ruota  da  carro. 

Rame:  del  peso  di  grani  13.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A.  La  pubblicò  il  Bellini  (0.  C. 
Disserl.  novissima  p.  12  n,  1).  Tav.  1  n.  12. 

14  COMES  D.  CAR.  nel  giro;  nel  campo  le  quattro 

lettere  ARIA  incrociate;  sopra  un  picciol  carro 
con  quattro  ruote. 


85 

DE.  ESCVLO  in  giro;  croce  nel  campo;  nel  mar- 
gine è  ripetuto  il  carro  con  quattro  ruote. 

Di  lega  :  del  peso  dì  grani  12.  È  inedita  ,  ed 
esiste  nella  collezione  dell'A.  Le  cinque  mo- 
nete sopra  riferite  pertinenti  a  Conte  di  Car- 
rara possono  credersi  coniate  dall'anno  1413 
al  1421  in  cui  mancò  di  vita;  e  se  volesse 
dirsi  che  alcuna  ne  spettasse  ad  Obizo  ,  po- 
trebbe esser  coniata  dal  1421  all'agosto  del 
1426,  in  cui  gli  fu  tolto  il  dominio  di  Ascoli. 
E  qui  si  avverta  che  alcuni  storici  affermano 
fosse  il  Carrara  investito  di  Ascoli  nel  14! 0, 
fra  i  quali  il  Bellini,  Diss.  II  p.  14:  Tandem 
anno  MCCCCX  urbs  AscuU  ad  Comiiem  Car- 
rariae  devenit  ,,  ;  e  il  conferma  nella  Disserl. 
Ili  p.  \0,  e  nella  Dis.IVp.  12,  ed  altri  nel 
1418.  In  questa  difformità  di  opinioni  ci  pare 
che  possano  conciliarsi  i  tempi,  dicendo  che 
nel  1410  Ladislao  assegnasse  al  Carrara  il  do- 
minio di  Ascoli,  e  che  ne  lo  investisse  di  fatto 
nel   1413. 

15  MARTIN.  PAP  all'intorno;  nel  mezzo  A,  e  su- 
periormente chiavi  decussate. 

S.  EMID.  D.  ESCVLO.  Nel  campo  le  ultime  quat- 
tro lettere  a  forma  di  croce,  in  cima  l'arme 
della  cittì». 

Mezzo  grosso.  Ricordato  dallo  Scilla  [Breve  no- 
tizia delle  monete  pontificie  ,  Roma  ,  Gonzaga 
1715  p.  20  e  208)  ,  dal  Muratori  in  Arge- 
lati  [De  monetis  Ilaliae  T-  I  p.  53  n.  3  Tav. 
XLII  n-  3)  ,    dal  dottor  Angelo  Cinagli    [Le 


86 
monete  dei  papi  descritte  in  tavole   sinottiche, 
Fermo,  Paecasassi  1848  p.  44-  n,  27).    Tav. 
I  n.  13. 

16  MARTIN.  PAP  in  giro:  nel  mezzo  A;  sopra  una 
colonna  coronata. 

S.  EMID.  D.ESCVLO.  Nel  campo  le  ultime  quat- 
tro lettere  a  forma  di  croce  ;  sopra  1'  arme 
della  città. 

Mezzo  grossoi  del  peso  di  un  danaro.  É  descritta 
dallo  Scilla  (0  C.  p-  208) ,  dal  Fioravanti 
{Antiqui  romanorum  pontificum  denarii,  Roma, 
Bernabò  1738  p.  106),  e  dal  Ginagli  (0.  C 
p.  44  n.  24).  Esiste  nella  collezione  dell'A. 
Tav.  I  n.  14. 


17  S  EMIND  in  gìrorlVSnel  mezzo;  e  superiormente 

nel  margine  colonna  con  corona  "radiata. 

DE.  ESCVLO.  Croce  gigliata  in  mezzo,  colonna 
come  nel  dritto. 

Mistura:  del  peso  di  grani  10.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'  A.  e  viene  ricordata  dal  Bellini 
(0.  C.  Dissertatio  p.  6«.  1),  e  dal  (binagli  (0. 
C.  p.  44  n.  28).  Tav.  1  n.  15. 

18  MARTIN.  PAPA.  L'ultima  lettera  è  nel  campo: 

colonna  coronata  come  nella  precedente. 
S.  EMMD.  D.  AS.  CVLO.  In  mezzo  a  forma  di 

croce  le  ultime  quattro  lettere:  in  cima  l'arme 

dì  Ascoli. 
Mezzo  grosso.  Si  descrive  dallo  Scilla  (  0.  C.  p. 

44  n.  25  ). 


87 

19  MARTIN V.  PA  A.  Differisce  dall'antecedente  nel- 

la leggenda. 

S.  EMID.  D.  ES  CVLO.  In  mezzo  le  ultime  quat- 
tro lettere,  in  cima  Tarme  suddetta. 

Mezzo  grosso:  del  peso  di  grani  23.  È  nella  colle- 
zione dell'A,  e  viene  riferita  dal  Cinagll  (0. 
a  p.  H  n.  26). 

20  S.  EMIND.  IVS,  in  mezzo  le  ultime  tre  Ietterei 

colonnetta  nel  giro. 
DE  ESCOLO.  Croce  gigliata  nel  campo. 
Mistura:  del  peso  di  grani  8.  È  appresso  dell'A- 

Fu  pubblicata  dal  Cinagli  (0.  C.  p.  H  n.  29)- 

21  S.  EMIND.  IVS.  Simile  alla  precedente. 

DE.  ESCVLO.  Differisce  dalla  precedente  nella 

leggenda- 
Mistura:  del  peso  di  grani  12.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A. 
È  riferita  dal  Cinagli  (0.  C.  p.  44  n.  30). 

22  S  ENNIND  nel  giro:  IVS  nel  mezzo. 

DE.  ESCVLO.  Croce  gigliata  in  mezzo:  colonna 

coronata  nel  giro. 
Rame.  Fu  descritta  dal  Cinagli    (  0.  C.  p.  44- 

n.  32  ).         .  . 

23  S.  EMMID.  EP.  PVS-  Nel  mezzo  le  ultime  tre 

lettere. 
DEESCOLO.  Croce  tricuspidala  nell'area:  colon- 
netta coronala  nel  giro. 


88 
Mistura:  del  peso  di  grani  8.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A.  Fu  pubblicata  dal  Cinagli  (0. 
C.  p.  44  n.  31). 

24  S  EMIDIVS.  Croce  nell'area. 

DE.  ASCVLO.  L'arme  della  città  nel  campo,  due 

chiavette  decussale  nel  giro. 
Rame.  Fu  descritta  dal  Muratori  in  Argelati  (0. 

C.  t.  Hip.  11  n.  2),  e  dal  Cinagli  (0.  C.  p.  44 

n.  33). 
Le  sopra  riferite  dieci  monete  furono  coniate  dal 

novembre  dell'anno  1417  al  20  febbraio  1431. 

25  F.  SFORTI  in  giro,  nel  campo  A  ,  sulla  som- 

mità del  margine  il  leone  rampante  (stemma 
di  Sforza). 

S.  EMID.  DES  CVLO.  Le  ultime  quattro  lettere 
in  croce  nel  campo  ;  superiormente  l' armo 
della  città. 

Argento:  del  peso  di  grani  22.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A  ,  ed  è  inedita.    Tav.  L  n.  16. 

26  F.  SFORTI    nel  mezzo  A  :    al  disopra  il  leone 

saliente  sforzesco. 

S.  EMID.  DES  CVLO.  Lo  stesso  tipo  con  qual- 
che piccola  varietà  nella  forma  delle  lettere. 

Argento:  del  peso  di  grani  21.  Esiste  nella  col- 
lezione dell'A.  ed  è  inedita,    Tav.  II    rf.   17. 

27  F.  SFORTI  A  nel  campo  fra  quattro  globetti  : 

nel  maigine  superiore  il  leone  sforzesco. 


89 
S.  EMID  DE  S  CVLO.   Simile   all' ■anleccdenle. 
Argento:  del  peso  di  un  danaro.  Si  possiede  dal- 

l'A.  Fu  edita  dal  Muratori  in  Argelati  {0.  C. 

lom.  I  p.  54  n.  4-  e  tav.  XLII  ».  4).  Tav.  If 

n.   18. 

28  F.  SFORTI  ,  nel  mezzo  A  fra  quattro  globelti, 

e  superiormente  il  leone  sforzesco  rampante 
che  sostiene  il  cotogno  pendente  dal  suo  gambo. 

S.  EMID.  DES.,  nel  campo  CVLO,  superiormente 
il  solito  stemma  di  Ascoli. 

Argento:  del  pes'o  di  grani  18.  Esiste  nella  col- 
lezione deJl'A.  La  pubblicarono  il  Bellini  (0. 
C  Disserlalio  altera  p,  15  n.  6)  ed  il  Grade- 
nigo  in  Zanetti  (0.  C.  toni.  II  p.  73).  Tav  II 
n.^19. 

29  F.  SFOPiTIA.    Leone  rampante    a    sinistra  con 

cotogno  e  suo  gambo. 

DE.  ESCVLO.  Croce  gigliata  nel  campo,  e  su- 
periormente il  solito  stemma  ascolano. 

Rame  o  bassa  lega  del  peso  di  grani  13.  E  ap- 
presso dell'A.  Fu  edita  dal  Bellini  (0.  C  Dis- 
sert.  novissima  p.   14  n.  3).   T.  II  n.  20. 

30  PP  S  EMDIIVS.  Croce  patente  con  quattro  fio- 

retti negli  angoli. 
DE  ASCHOLO.  11  solito  slemma  della  città  nel 
mezzo,  sopravi  un  serpe  o  biscione  che  vibra 
la  lingua  verso  una  piccola  croce.  Quattrino: 
del  peso  di  un  danaro.  Esiste  appresso  del- 
l'A. ed  è  inedito.  Tav.  II  n.  21. 


90 

31  PP.  S.  EMIDIVS.  Diversifica  dal  precedente  nel- 

la leggenda. 
DE  ASCHOLO.  Come  il  precedente  ,  salvo  che 

il  serpe  ha  la  testa  con  bocca  aperta  vicino 

ad  una  torre  dello  stemma. 
Quattrino:  del  peso  di  giani  20.  È  appresso  dell' 

A.  Fu  edito  dal  Bellini  (0.  C.  Dissertatio  p. 

6  n.  3).  Tav.  II  n.  22. 

32  PP.  S.  ExMIDlVS.  Croce  equilatera  nel  mezzo  del 

campo,  con  quattro  fiori  fra  i  raggi. 
De  ASCCOLO.  Ponte  con  due  torri  disuguali  e 

due  archi;  sopra  un  biscione  con  la  testa  in 

alto. 
Rame  :  del  peso  di  grani  20.  Si  conserva  dall' 

A.  ed  è  inedita.  Tav.  II  n.  23. 
Le  otto  monete   sopra  descritte  furono  coniate 

dall'  anno  U33  al   1445. 

33  EVGENIV.  PAP,  in  mezzo  A  fra  quattro  globetti; 

nel  giro  due  chiavette  decussate. 

S.  EMID.  D  ES  CVLO,  in  mezzo  a  foggia  di  cro- 
ce le  quattro  ultime  lettere;  superiormente  lo 
stemma  della  città. 

Mezzo  grosso:  pesa  grani  21-  Si  conserva  dall' 
A.  Lo  pubblicarono  Io  Scilla  (p.  21  e  209), 
ed  il  Cinagli  {p.  46  n.  25).  Tav  II  n.  24. 

34  VG^NIV.  (sic)  PAP,  nel  campo  A,  e  superior- 

mente nel  giro  due  chiavi  decussate. 
S.   INID.   D.  ES  CVLO,    nel  mezzo   le  ultime 


91 

quattro  lettere  ;  nel  giro  superiore  il  solito 
ponte. 
Mezzo  grosso.  Lo  descrive  lo  Scilla  p.  209,  il 
Fioravanti  p.  112  ,  il  Bellini  [Noviss.  dissert. 
p.  ìi  n.  2),  il  Gradenigo  in  Zanetti  tom.  Il 
p:  73,  ed  il  Cinagli  {p.  47  n.  32).  Tav.  II 
n.  25.  * 

35  PAPA.  VGENIV.  Croce  intersecata  da  due  fio- 

rellini terminanti  in  tre  bocciuoli  ;  chiavette 
nel  margine. 

S.  MID.  D.  ES  CVLO.  Lo  stemma  ascolano  nella 
sommità  del  margine,  in  mezzo  le  quattro  let- 
tere finali. 

Mistura  :  del  peso  di  grani  12.  Esiste  nella  col- 
lezione deir  A.  Fu  già  detto  da  noi  che 
questa  moneta  era  inedita,  e  tal  era  quando 
dettavamo  questa  memoria.  Essendosi  però 
da  noi  mostrata  al  Cinagli,  come  si  fece  di 
tutte  le  monete  ascolane  pontificie  edite  ed  ine- 
dite, egli  la  riferì  nella  sua  opera  a  pag.  47 
n.  40.  Tav.  II  n.  26. 

36  EVGENIVS  PAP,  nel  campo  A;  sopra  due  chia- 

vette. 
S.  EMMID.  D.  AS  CVLO,  in  mezzo  a  forma  di 

croce  le  ultime  quattro  lettere;  in  cima  l'arme 

della  città. 
Mezzo  grosso.  Vedi  Scilla  {p.  21),  e  Cinagli  (0. 

C.  p.  46  n.  26). 

37  EVGNIV  {sic)  PAP  A,  in  mezzo  la  lettera  finale. 


92 

S.  EMMl).  DES  CYLO,  in  mezzo  le  ultime  quat- 
tro lettele;  sopra  lo  stemma  di  Ascoli. 

Mezzo  grosso.  Fu  pubblicato  dal  Cinagli  (p.  46 
n.  27). 

38  EVGENIV.  PAP,  in  mezzoja  lettera  A. 

S.  EMMI.  D.  ESCYLO;  nel  campo  a  forma  di 

croce  le  ultime  quattro  lettere. 
Mezzo  grosso.  È  descritto  dal  Muratori  in  Ar- 

gelati  [tom.I p.  54),  e  dal  Cinagli  {/3.46  n.  28). 

39  EVGENIVS  PAP,  in  mezzo  A;  due  chiavette  nella 

sommità  del  giro. 
S.  EMID.  D.  ESCYLO.  Differisce  nella  leggenda 
dalla  precedente.  Mezzo  grosso.  Fu  pubblicato 
dal  Fioravanti  pAÌ%  e  dal  Cinagli  {p.  46  n.29)- 

40  EYGENIYS  PAPA,  in  mezzo  la  lettera  finale  fra 

quattro  circolelti  o  globelti;  nel  giro  due  chiavi 
decussale. 

S.  ENNID.  D.  ES  CYLO.  Le  quattro  finali  let- 
tere in  mezzo  a  foggia  di  croce  ;  superior- 
mente il  ponte  con  torri. 

Mezzo  grosso.  E  descritto  dal  Gradenigo  in  Za- 
netti [lom.  II p.  73  n.  5),  e  dal  Cinagli  {p.  Aiì 
n.  30). 

41  EYGENIY.  PAPA.  Differisce  dalla  precedente  in 

una  lettera. 
S.  ENNID.  DSCYLO.  Differisce  come  sopra. 
Mezzo  grosso.  Lo  descrivono  lo  Scilla,  (p.  330); 

il  Gradenigo  in  Zanetti,  [tom.  II  p.  73/?.  6); 

ed  il  Cinagli,  [p.  46  n.  31). 


93 
4-2  VGENIV  PAPA.  Croce  traversata  in  due  angoli 
da   due  fiorellini  o  bocce  ;    chiavi    decussate 
nel  giro. 
S.  EMID.  D  ESGVLO:  differisce  dall'antecedente 

nelle  lettere- 
Mezzo  grosso  del  pesso  di  grani  23.  Si  conserva 
dall' A.  Fu  edito  dal  Cinaglì  (p.  47  n.  33). 

4-3  PAPA  VGENV  con  chiavette  decussate  nel  giro; 
neir  area  croce  intersecata  da  due  fiorellini 
terminanti  in  tre  boccinoli. 
S.  MID.  D.  ES  CVLO,  nel  campo  le  ultime  quat- 
tro lettere  ;  lo  stemma  di  Ascoli  nella  som- 
mità del  margine. 
Mistura:  del  peso  di  grani  10.  Si  possiede  dall'A. 
È  descritta  dal  Cinagli  {p.  48  n.  49). 

44  EVGENIVS.  PA.  A.,  in  mezzo  la  lettera  finale. 
S.  EMMIN.  D.  ES.  CVLO,  nel  campo  le  quattro 

ultime  lettere. 

Mezzo  grosso.  Fu  pubblicato  dal  Reichel  nel- 
l'opera intitolata  Die  Reichelsche  Miinzsammlung 
in  St.Petersburg.  NemlerTheiL  1843,  73-493; 
(Collezione  delle  monete  del  Reichel  in  Pie- 
troburgo. Nona  parte-  1843),  e  dal  Cinagli 
{p.  449  u.  27). 

Queste  monete  sono  state  coniate  o  dal  marzo 
dell'anno  1431  al  1433,  o  dal  1446  al  22 
febbraio  1447. 

45  S.  EMIDIVS.    Figura  del  santo    con  indumenti 


94 

episcopali,  mitra  e  pastorale  alla  sinistra;  la 
destra  in  atto  di  benedire. 

AS.  CVLO,  nel  campo  lo  stemma  della  città,  e 
superiormente  ad  esso  le  chiavi  decussate  con 
il  triregno. 

Quattrino:  del  peso  di  grani  22.  Anche  questa 
moneta  era  inedita  prima  che  da  noi  fosse 
mostrata  al  Cinagli,  il  quale  la  pubblicò  nel- 
rO.  C.  p.  428  n.  38  come  posseduta  da  noi. 
Però  egli  vi  aggiunse  nel  riverso  le  lettere  DE 
che  non  sono  nell'originale.  Tav.  II  n.  27. 

46  S-  EMINDIVS.  Croce  gigliata  in  mezzo. 

DE  ASCVLO  nel  giro:  nel  campo  l'arme  della 
città,  e  chiavette  decussate  nel  margine  su- 
periore. 

Picciolo:  del  peso  di  grani  11.  Si  conserva  dal- 
l'A.  È  descritto  dal  Bellini  [Dissert.  postrema 
p.  11  n.  2,  lav  II  n.  2),  e  dal  Cinagli  (p-  428 
n.  29).  Tav.   11  n.  28. 

47  S.  EMIND.  in  mezzo  IVS  ;  chiavette  decussate 

nel  giro. 
DE.  ASCVLO  e.  s.,  croce  gigliata  in  mezzo,  e 

crocetta  nel  margine. 
Picciolo:  del  peso  di  grani  9.  E  appresso  del- 

l'A.  Cinagli,  {p.  428  n.  28). 

48  S.  EMINDIVS,  chiavette  decussate  nel  giro:  croce 

gigliata  in  mezzo. 
DE,  ASCVLO,  chiavette  decussate  nel  giro:  un 
ponte  nel  campo. 


95 

Mistura:  del  peso  di  grani    15.  È  appresso  del- 
l'A.  Cinagli  {p.  428.  n.  30).  . 

49  S.  EMINDIVS  e  chiavette  decussate  nel  giro;  nel 

campo  croce  biforcata  sulle  punte. 

DE.  ASCVLO  come  ranlecedente. 

Picciolo:  pesa  grani  9.   Si  conserva  dall'A.  Ci- 
nagli (;).  428  n.  31). 

50  S.  EMINDIVS  in  giro;  nel  mezzo  croce  tricuspi- 

data  sulle  punte. 
DE.  ASCVLO    e    chiavette  decusate    nel  giro  : 

un  ponte  nel  campo. 
Hame:  pesa  grani  14.  È  appresso  dell'A.  Cinagli 

{p,  428  n.  32). 

51  S-  EMINDEVS  e  chiavette  decussate   nel  giro: 

croce  biforcata  in  mezzo. 

DE-  ASCVLO  come  l'antecedente. 

Rame:  pesa  grani  15.  Si  conserva  dall'^.  Cina- 
gli (p.  428  n,  33). 

52  S.  EMINDEV  nel  giro;  croce  gigliata  in  mezzo. 
DE,  ASCVLO  come  l'antecedente. 

Mistura:  pesa  grani   15.  È  appresso  delI'A.  Ci- 
nagli {p.  428  n.  34). 

53  S.  EMINDVS,  differisce   dalla  precedente    nella 

leggenda. 
DE.  x\SCVLO  come  l'antecedente. 
Quattrino:   del  peso  di  grani  21.    Si    conserva 

dall'A.  Cinagli  {p.  428  n.  35). 


96 

54  S.  EMMIDIYS  all'intorno;  croce  tricuspldau  in 

mezzo. 
DE.  ASCVLO  come  l'antecedente. 
Picciolo:  del  peso  di  grani  10.  È  appresso  del- 

l'A.  Cinagli  (/).  428  n.  37). 

55  S.  EMMIDIVS    all'  intorno,  croce    biforcata    in 

mezzo. 

DE.  ASCVLO  come  l'antecedente. 

Picciolo:  pesa  grani  8.  È  appresso  dell'A.  Ci- 
nagli (p.  428  n.  37). 

56  S-  EMIDIVS.  Figura  di  s.  Emidio  con  mitra  e 

pastorale  ed  in  atto  di  benedire. 

DE.  ASCVLO  nel  giro;  in  mezzo  chiavi  decus- 
sate con  sopravi  il  triregno»  e  sotto  scudetto 
in  cui  un  ponte. 

Quattrino  :  del  peso  di  grani  20.  Si  conserva 
dall'A.  Cinagli  (p.  429  n.  39). 

57  S.  EMIDIVS  all'intorno:  croce  gigliata  in  mezzo. 
DE  ASCVLO,  ponte  nell'area;  chiavette  decus- 
sate nel  giro. 

Picciolo:  del  peso  di  grani  9.   È  appresso  del-     Il 
l'A.  Cinagli  (/).  429  n.  40).  ' 

58  PP.  S.  ENIDIIVS  nel  giro;  nel  campo  croce  pa- 

tente, da'  cui  angoli  escono  quattro  rami  di 
fioretti,  e  crocetta  nel  margine  fra  due  stelle. 
DE  ASCHOLO  in  giro,  e  nel  mezzo  lo  stemma 
della  città  di  Ascoli;  sopra  crocetta  fra  due 
stelle. 


97 

Moneta  di  bassa  lega  o  misLura  del  peso  di  un 
danaro  e  grani  4.  Esiste  nella  collezione  del- 
TA.  È  riportata  dal  Bellini  (0.  C.  Dissert. 
altera  p.  14  n.  3).  II  Muratori  in  Argelati 
(0.  C.  tom.  I  p.  54  n.  1,  lav.  XLIl  ìi.  l)  ne 
pubblicò  una  consimile,  la  quale  però  manca 
di  leifiienda  nel  diritto.  Tav.  II  n.  29. 


3S^ 


59  S.  EMID.  EPCO  in  giro,  PVS  nel  mezzo,  e  cro- 

cetta fra  due  punti  nel  margine. 

DE.  ASCHOLO  in  giro  con  crocetta;  nel  campo 
croce  patente  con  due  fioretti  sorgenti  dagli 
angoli  di  essa. 

Mistura:  pesa  grani  12.  Esiste  nella  collezione 
dell'A.  Viene  ricordata  dal  Gradenigo  in  Za- 
netti (0.  C.  t.  II  p:  71  11.  2)  e  dal  Bellini 
(0.  C.  Dissertaiio  p.  6.  n.  2).  Tav-  II  n.  30. 

60  S.  ENNIDIVS.  Le  ultime  tre  lettere  nel  mezzo: 

croce  nel  margine  superiore. 
DE.  ESCYLO  in  giro;  croce  nel  campo,  e  altra 

piccola  nel  margine  fra  due  punti. 
Mistura:  del  peso  di  grani  15.    Esiste  appresso 

dell' A.    Viene  ricordata  dal  Bellini,    [Dissert. 

altera  p.  14  n.  1);  ma  è  frusta,  mancando  le 

due  ultime  lettere. 

61  S.  EMIDIVS.  Due   chiavette  decussale  nel  giro: 

croce  gigliata  in  mezzo. 
DE  ASCYLO  all'  intorno,  nel  campo  lo  stemma 
Robureo  entro  uno  scudetto,  e   sotto  di  esso 
l'arme  della  città  di  Ascoli. 
G.A.T.CXLV.  7 


98 
Picciolo:  pesa  grani  14.  È  nella  collezione  dell' A. 
da  cui  avendola  avuta  il  Cinagli,  la  pubblicò 
pel  primo  come  inedita  a  p,  63  n.  51.  Tav, 
li  n.  31. 

62  S.  EMINDIYS,  Due  chiavette  decussate  nel  giro: 

croce  a  fogliami  in  mezzo. 
DE  ASCVL.    Nella  parte  superiore  una  rovere, 

sotto  cui  lo  stemma  ascolano. 
Picciolo:  del  peso  di  grani  14.  È  appresso  dell'A. 

Cinagli  {p,  63  n,  50). 

63  S.  EMMIDIVS.    Chiavette    decussate    nel   giro  : 

croce  gigliata  in  mezzo. 
DE   ASCVLO.    Differisce  dall'antecedente  nella 

leggenda. 
Picciolo:  pesa  grani  13.  È  appresso  dell'A.  Ci^ 

nagli  (/}.  63  n.  52). 

64  S.  EMMIDIV,    Differisce  dalla  precedente  nella 

leggenda, 
DE  ASCVLO  con  chiavette  decussate  nel  giro: 

croce  tricuspidata  in  mezzo. 
Picciolo:  del  peso  di  grani  9.  E  appresso  dell'A, 

Cinagli  p.  63  n.  53. 
Queste  quattro    monete  furono  battute    dal  22 

dicembre  1472  al  13  agosto  1484, 

65  ALEXA.  VI  PO  MA  nel  giro;  nel  campo  stemma 

gentilizio  del  pontefice  con  triregno  e  chiavi 
superiormente. 


99 

DE.  ASCVLO  all'  inloriio:  nel  campo  ponte  con 
due  torri,  arme  della  città  di  Ascoli,  una  stella 
fra  le  due  torri  e  sopravi  una  rosa. 

Quattiino:  del  peso  di  danari  2.  Esiste  nel  mu- 
seo della  città  di  Ascoli,  e  nella  collezione  del- 
l'autore sonvene  quattro  simili. 

Lo  pubblicarono  lo  Scilla  {p.  159),  il  Fioravanti 
(p.  156),  il  Gradfinigo  in  Zanetti  [T.  II  p.  73), 
ed  il  Cinagli  {p.  68  «.  29).  Tav.  Il  n.  32. 

Si  è  già  detto  che  il  Bellini  avesse  riferito  il  quat- 
trino ascolano  di  Alessandro  VI.  Correggiamo 
questa  inavvertenza  ,  dicendo  ch'egli  escluse 
dalle  sue  dissertazioni  queste  comuni  monete 
come  non  confaeenti  al  suo  scopo. 

66  ALEXA-  VI  PO.  MA.  Arme  come  sopra. 

DE  ASCVLO  FANO.  Lo  stennna  medesimo  ,  e 

sul  ponte  Fano. 
Quattrino.  È  riferito  dallo  Scilla  (/>.  159  e  325), 

e  dal  Cinagli  [p.  68  n-  oO). 

67  ALEXA.  VREX  MA.  Arme  come  sopra. 

DE  AEQ  VITAS  SCVLO.  Detto  stemma,  ed  una 
stella. 

Quattrino.  È  appresso  delI'A.  È  riferito  dal  Ci- 
nagli {p.  68  n.  32). 

68  ALEXA.  .  .  .  Arme  come  sopra. 

DE  AQUIT  SCVLO.  Ponte  come  sopra. 
Quattrino:  del  peso  di  grani  19.  È  appresso  del- 
I'A. ed  ò  inedito. 


100 

69  A  •  .  .  .  VI  PO.  MA.  NPVS  Anne  come  sopra. 
A  GREGN  SCVLO.  Come  l'antecedente. 
Quattrino:  del  peso  di  danaro  1    e  grani  16.  È 

appresso  dell'A.  Fu  edito  dal  Cinagli  (p.  68 
n.  33). 

70  ALEXA.  VI  PO SRE.  Arme  come  sopra. 

DE  ...  .  ERRA.  .  .  .  Ponte  con  due  torri  ed  una 

stelletta. 

Quattrino:  del  peso  di  danaro  1  e  grani  2.  E- 
siste  nella  collezione  dell'A.  Fu  edito  dal  Ci- 
nagli [p.  68  n-  31). 

Le  cinque  monete  indicate  nei  nn.  66,  67,  68, 
69  e  70  sono  errate  nelle  leggende  ;  poiché 
quella  al  n.  66  lo  Scilla  (0.  C.  Errori  nelle 
monete  p.  325)  crede  siasi  battuta  sopra  un' 
altra  moneta  di  Fano;  la  seconda  ,  n.  67,  il 
Cinagli  la  reputa  battuta  sopra  un  quattrino 
del  re  di  Napoli,  come  l'altra  n.  68,  inedita, 
parimente  battuta  sopra  simile  quattrino;  il  n. 
69  sopra  un  quattrino  di  Bologna  ;  il  n.  70 
sopra  altro  di  Ferrara. 

71  ALEXANDER.  VI.  P.  M.  Stemma  Borgia,  con 

triregno  e  chiavi. 

DE  ASGVLO.  Arme  della  città  di  Ascoli  e  due 
stelle. 

Quattrino.  È  riferito  dal  Cinagli  {p.  68  n.  29) 
citando  l'Argelati  (T.  /  p.  53  tav.  XLII  h.  2); 
ma  però  è  da  osservarsi  che  le  ultime  quat- 
tro lettere  sono  accennate  con  puntini  ,  per 
cui  crediamo  che  il  supplemento    sia  errato. 


101 

Il  nostro  eh.  amico  signor  G.  Boschini,  or  ninn- 
cato  a'vivi,  ci  comunicò  un  quattrino  esistente 
nel  museo  di  Ferrara,  in  cui  leggesi  ALEXAN 
colla  giunta  di  una  N,  che  non  vedesi  in  quelli 
sopraindicati. 

Le  sette  monete  di  papa  Alessandro  furono  bat- 
tute dagli  11  agosto  1492  al  18  agosto  1503. 

72  PIVS  PAPA  SEXTVS  ANNOXXilI  1797  nel  nì- 

ro  ;  BAIOC  CINQVE  ASCOLI  in  mezzo  c^on 
una  stelletta. 

SANCTA  DEI  GENITRIX.  Busto  della  Beata  Ver- 
gine con  nimbo. 

Rame-  E  appresso  dell'A.Cinagli  [p.  388  n-  384). 

73  PIVS  PAPA  SEXTVS  ANNO  XXIII  1797  all'in- 

torno; BAIOC  CINQVE  ASCOLI  nell'area  con 

una  stella. 
SANCTA  DEI  GENITRIX  t.  m.  (ossia  Tommaso 

Mercandetti  incisore).  Busto  della  B.  Vergine 

con  nimbo,  nel  campo- 
Rame-  È  appresso  dell'A-  Cinagli  {p.  388  n-  385). 

74  PIVS  PAPA  SEXTVS  ANNO  XXIII  1797  nel  giro, 

BAIOC  CINQVE  ASCOLI  nel  campo- 
SANCTA  DEI  GENITRIX,  come  l'antecedente- 
Lega.  È  appresso  dell'A.  Cinagli  {p.  388  n.  386). 

75  S.  P.  APOSTOLORVM  PRINC.  t.  m.  (cifra  del 

delto  incisore).  Busto  di  san  Pietro  con  chiavi 
in  mano. 
BAIOCCHI  DVE  E  MEZZO  ASCOLI  1797.  Tre 
stellette. 


102 

Rame.  È  appresso  dell'A.  Cinngli  {p.  392  n.  443). 

76  S.  P.  APOSTOLORVM  PRINCEPS.  t.  m.  (cifra 

suddetta).  Rusto  di  s.  Pietro  con  chiavi  in  mano. 
RAIOCCHI  DVE  E  MEZZO  ASCOLI  1797.  Tre 

stellette. 
Rame.  È  appresso  deirA-  Cinagli  [p.  393  n.  444). 

77  PIVS  SEXT.  P.  M.  A.  XXIIL  Arme  del  ponte- 

fice. 
VN  RAIOCCHO  (sic)  ASCOLI  1797- 
Rame.  Questa  moneta  è  piccola  come  il  mezzo 

baiocco.    È  appresso  dell'A.  Cinagli  [p.  397 

n.  559). 

78  PIVS  SEXT.  P.  M.  A.  XXIII  nel  giro;  nell'area 

lo  stemma  del  pontefice 
VN  RAIOCCO    1797  nel  campo  in  quattro  righe. 
Rame-  Si  conserva  dall'A.  ed  è  inedito- 

79  PIVS  SEXT.  P.  M.  A.  XXIII.  Arme  del  pontefice. 
VN  RAIOCCO  ASCOLI.   Una   stelletta   senza  il 

millesimo. 
Rame.  È  appresso  dell'A-  Cinagli  (p-397  n-  560). 

80  PIVS  SEXT.  P.  M.  A.  XXIII.  Arme  e.  s. 
MEZZO  RAIOCCO  ASCOLI  1797.  Tre  stellette. 
Rame.  È  appresso  dell'A.  Cinagli  Q?.  399  n.  599). 

81  PIVS.  SEXT.  P.  M.  A.  XXIII.  Arme  e.  s. 
VN  QVATRINO  ASCOLI  1797.  Tre  stellette. 
Rame.  È  appresso  dell'A.  Cinagli  {p-  401  n.  640). 


103 

82  PIVS  PAPA  SEXTVS  ANNO  XXIH  1798  airin* 

torno;  BAIOC  CINQVE  ASCOLI  nel  campo- 
SANCTA  DEI  GENITRIX.  Busto  della  B.  Ver- 
gine coti  ninfibo. 
Lega.  È  appresso  dell'Ai  Cinagli  [p*  389  n.  387). 

83  REPVBBLICA  ROMANA  airintorno.  Fasci  con 

scure  e  pileo  nel  campo* 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  in  una  corona  d'alloro. 
Rame.  È  riferita  dal  Cinagli  {p.  4-04  n-  40). 

84  REPVBBLICA  ROMANA.  Come  l'antecedente. 
DVE  BAIOCCHI   ASCOLI  in  una  corona  dì  rose. 
E  descritto  dall'  ab.  Antonio    Salvaggi  nel    suo 

manoscritto  (già  posseduto  dal  cav.  Carlo  De 
Kolb  i  da  cui  passò  a  Demetrio  Diamilla  di 
Roma)  a  pag.  149  n.  35  ,  come  riferisce  il 
Cinagli  (/).  404  n.  41). 

85  REPVBBLICA  ROMANA.    Come  l'antecedente. 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  scritto  in  quattro  righe 

con  una  stelletta,  fra  due  rami  d'alloro. 
Rame.  È  appresso  dell'A.  Cinagli  [p.  404  n.  42). 

86  REPVBLiCA  ROMANA.  Come  l'antecedente. 

DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  scritto  in  tre  righe 
con  una  stelletta  sopra,  ed  una  rosetta  sotto^ 
fra  due  rami  d'alloro. 
Rame.  Cinagli  {p.  404  n-  43). 

87  REPVBLICA  ROMANA.  Come  l'antecedente. 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  in  ghirlanda  d'alloro; 

due  stellette. 


104 

Rame.  È  appresso  dell'A.  Ginagli  {p.  404  n.  44). 

88  REPVBLICA  ROMANA.  Come  l'antecedente. 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  scritto  in  quatro  ri- 
ghe e  stelletta  sotto  ,  fra  due  rami  d'alloro. 

Rame.    Fu  pubblicato  dal  Salvaggi    [M.  S.  cit. 
p.   149  n.  32)  e  dal  Cinagli  [p.  404  n.  45). 

89  REPVBLICA  ROMANA.  Come  la  precedente. 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  in  tre  righe  entr  )  una 

corona  di  rose. 
Rame.  Salvaggi  (loc.  cit.  p.  149  n.  33),  Cinagli 
{f.  404  11.  46). 

90  REPVBLICA  ROMANA.  Come  la  precedente. 
DVE  BAIOCCHI  ASCOLI  in  tre  righe,  fra  due    ' 

rami  d'alloro. 
Rame.  Salvaggi  (I.  e.  p.   149  n.  34),  e  Cinagli 

{p.  404  n.^  47). 

91  R.  R.   {repubblica  romana).    Fasci    con    scure  e 

pileo  nel  campo. 

MEZZO  BAIOCCO  ASCOLI.  Una  stelletta  supe- 
riormente. 

È  appresso  dell'A.  Cinagli  [p.  406  n.  100). 

92  R.  R.  Come  1'  antecedente  ;  il  tutto  entro  una 

corona  d'alloro. 
ASCOLI    in  due  righe  con  una  stelletta    entro 

una  corona  e.  s. 
Quattrino.  Esìste  nella  raccolta  dell'A.   Cinagli 
(p.  406  n.  111). 


105 

Le  dieci  monete  soprai'iferite  furono  coniate  "la! 
febbraio  de!   1798  al  giugno  del   1799. 

RIASSUNTO  DELLE  MONETE 


1 

Monete  romane  antiche  spettanti  a  ( 

Jue  ce- 

lebri  ascolani 

.     n. 

2 

2- 

» 

colla  effigie  di  s.  Emidio  e  coniate  in 

tempo  dell'autonomia.     . 

)) 

5 

3 

)) 

del  duca  d'Atri      .     .     . 

)) 

1 

4 

)) 

del  re  Ladislao       .     .     . 

)) 

1 

5 

» 

dei  Carraresi     .     .     .     . 

)) 

5 

6 

» 

di  pa[)a  Martino  V 

» 

10 

7 

» 

di  Francesco  Sforza    .     . 

» 

8 

8 

» 

di  papa  Eugenio  IV    .     .     . 

» 

12 

9 

» 

di  pontefici  incerti      .     . 

)) 

13 

10 

)) 

d' incerto  tempo    .     .     . 

» 

3 

11 

» 

di  papa  Sisto  IV   .     .     . 

» 

4 

12 

)) 

di  papa  Alessandro  VI    . 

)) 

7 

13 

» 

di  papa  Pio  VI      .     .     . 

)) 

11 

14 

)) 

coniate  nell'  interregno    dcg 

li    anni 

• 

1798  e  1799 

10 

Totale  n.     92 

Di  queste  monete  sono 

Inedite n.     12 

Comunicate  dall'autore  al  dot- 
tor Cinagli  e  da  lui  pub- 
blicate  »      40 

Edite  da  vari  numografì  .      «     40 


n.     92 
Appresso  dell'autore  n'esistono  65. 


106 
DOCUMENTI 


DOCUMENTO  A. 

An.  103Y.  Conservasi  l'originale  nell'archivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancte  et  indiviJuae  Trinitaiiis. 

Chonradus,  divina  favente  clemeniia,  romanorum  imperator  aU- 
{juslus.  Omnium  sancte  Dei  ecclesie  iiostrisque  fìdelium  ,  presen- 
lium  scilicet  et  futuroriim  noverit  industria,  qualiter  tìdeiis  noster 
asciilanils  episcoptis  ,  nomine  Bernardiis  ,  conspectui  nostro  pre- 
ceptum  quoddam  proliilit,  in  quo  continebatnr,  quomodo  anteces- 
sor  noster  bo:  me:  Otto  imperator,  prò  Dei  nomine  ac  prò  remedio 
anime  sue,  eiusdem  sancte  asculane  ecclesie  presuli,  nomine  Adam, 
eiusque  successoribus  donavit  et  per  preceptum  sue  confìrmationis 
corroboravit  omnem  terram  sui  episcopii ,  tara  ad  matricem  eccle- 
siam  perlinentem  infra  et  extra  civitatem  suam ,  quam  ad  ceteras 
capellas  sive  monasteria  ad  predictam  ecclesiam  respicientia  ,  quo- 
rum vocabula  hec  sunt Monetam  etiam  in  civitate 

construere  ad  componendos  nummos  cuiuscumque  generis  asculana, 
videlicet  sui  episcopi,  ac  libere  et  sccure  currentia  per  fotum  no- 
strum regnum  et  quicquid  ad  regiam  censuram  et  potestatem  no- 
stram  pertinet  ,  trasfunderemus  in  eius  et  successorum  illius  ius 
et  dominium  per  preceptum  nostre  contìrmalionis  roborare  et  do 
nare  et  confirmare  dignaremur.  linde  vero  et  nos  pia  facta  ante- 
cessoris  nostri  ad  memoriam  revocantes    per    interventum  et  peti- 

tionem  dilecte  contetalis  nostre Gille   imperatricis  et  Pili- 

grini  archiepiscopi  ac  Brunonis  archicancellarii  eidem  episcopo 
Bernardo  suisque  successoribus  omnia  predicta  donavimus  et  per 


107 

huius  nostri  precepti  approbalionem  corroboravimus,  eo  ordine  ut 
nullus  dux,  marchio,  archiepiscopus,  episcopus,  comes,  vicecomes, 
scuUarins,  castaldus,  aiit  publice  rei  exactor  magna  parvaque  no- 
stri regni  persona  disvestire,  molestare,  inquietare  predictum  Ber- 
narduni  asculane  ecclesie  episcopum  eiusqiie  successore»  ab  omni- 
bus suprascriplis  aut  a  nostris  predecessoribus  iraperatoribus  sive 
regibus  concessis  et  a  nobis  modo  per  hoc  preceptum  conHrmalis 
et  datis  unquam  interponere  presumat,  videlicet,  lam  de  mobilibus 
quam  de  immobilibus  rebus,  scrvis  et  ancillis,  liberis  etiam  homi- 
nibus  mercatis,  moneta  quam  donavimus,  piscatiouil)us,  portubus, 
aquis  aquarumqtie  duclibus,  molendinis,  cultis  et  incullis  ,  sylvis, 
foreslis  et  omnia  que  dici  vel  nominar!  possunt  ,  civitatem  et  ca- 
stella, et  si  inventus  fuerit,  qui  contra  hoc  nostrum  preceptum 
facere  tentaverit,  sciat  se  compositurum,  velie,  nolle,  mille  libras 
auri  optimi  medietatem  nostre  kamere ,  medietatem  quidem  sepe 
nominato  Bernardo  epìscopo  suisque  successoribus.  Quod  ut  verius 
credatur  ,  diligentiusque  observetur,  manu  propria  subter  confir- 
mantes  sigilli  nostri  impressione    iussimus  insignir]. 

Signum  domini  Cbonradi  romanorum  imperatoris  augusti. 

Bruno  cancellarius,  vice  Pelligrini  archicancellarii  recognovi. 
Dutum  anno  dom.  incarn.  MXXXVII,  indìct.V,  anno  autem  D.Chon- 
radi   II   regnante  XI,   imperante  IX.  Aclum  Podelbrannen.  feliciter. 

DOCUMENTO  B. 

An.  1045  -  Esiste  Voriginale  nalC archivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancte  et  individue  Trinitatis. 

Henricus,  divina  l'avente  clementia  rex.  Omnium  sancte  Dei 
ecclesie  nostrique  Hdelium,  presentium  scilicet  et  i'uturorum,  no- 
verit  industria,  qualiter  fidelis  noster  asculanus  episcopus  Bernar- 
lus  secundus  conspectui  nostro  preceptum  quoddam  protulit ,  in 
juo  conlinebatur,  quod  beale  memorie  pater  meus  imperator  Cbon- 


108 

radus,  prò  Dei  nomine  ac  prò  remedio  anime  sue  eiusdem  ascula- 
ne  ecclesie  presuli,  nomine  Bernardo  eiusque  successoribus  dona- 
vit  per  preceptum  sue  confìrmationis  corroboravit,  terram  sui  epi- 
scopi! tam  ad  matricem  ecclesiam  pertinentem,  quam  etiam  ari  cele- 
ras  ecclesias  maiores  et    minores,  infra  el  extra  civitatem  suam,  vi- 

delicet  plebes,  capellas,  sive  ec Monetam  etiam  in  civitate 

construere  ad  componendos  nummos  cuiuscumque  generis,  libere  ae 
licite  currendos  per  totum  regnum  et  quidquid  ad  regiam  censuram 
el  potestatem  pertinere  visum  est.  Unde  ergo  et  nos  pia  Cacta  ge- 
nitoris  nostri  ad  mcmoriam  revocante»,  prò  intuita  et  petitione  d  i- 
lecte  contectaiis  nostre  Agnetis  regine  et  Herimandi  archiepiscopi 
et  Humfredi  nostri  canccllarii,  eidem  episcopo  Bernardo  suisque 
successoribus  omnia  supradicla  donavimus^  et  in  huius  nostri  pre- 
cepti  revocatione  corroboravimus,  eo  tenore  ut  nullus  dux,  mar- 
chio, archiepiscopus,  episcopus,  comes,  vicecomes,  sculdallus,  ga- 
staldus,  vel  ulla  nostri  regni  magna  parvaque  persona  disvestire  , 
vel  inquietare  presumal  predictum  episcopum  Bernardum  eiusque 
successores  de  omnibus  supradictis  ab  antecessoribus  nostris  im- 
peraloribus  et  regibus  concessisi  et  a  nobis  modo  per  hoc  prece- 
ptum corroboralis  et  datis.  Si  quis  autem  hoc  nostrum  preceptum 
in  aliquo  infrigerit  ,  sciat  se  ...  .  medietatem  nostre  kamere  et 
medietatem  predicto  episcopo  Bernardo  suisque  successoribus.  Quod 
ut  verius  crcdatur  et  diligentissime  ab  omnibus  in  perpetuum  in- 
concussum  conscrvetur,  manu  propria  subtus  firmavimus  et  sigillo 
nostro   insigniri   voluimus. 

Signum  >j^  Henrìci  regis  III 

romanorum  ^  invictissimi 

Humfredus  cancellarius  ,  vice  Herimani  archicancellarii  reco- 
gnovit. 

Datnm  III  idus  iulii,  indictione  XIII,  anno  dominice  incarna- 
tionis  MXLV,  anno  autem  D.Henrici  regis  XXXXIl,  regni  vero  VII. 
Actum  Colonie  in  Dei  nomine  feliciter.  Amen. 


109 

DOCUMENTO  C 

An.  1036  -  L'originale  conservasi  neWarchivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancle  et  individue  Trinilatis. 

Henricus,  divina  fa  venie  clenientia  romanorum  augustus. Omnium 
sancte  Dei  Ecclesie  nostrique  fìdelium,  presenlium  scilicet,  et  futu- 
rorum,  noverit  industria  ,  qualiter  Bernardus  II ,  sancte  esculane 
ecclesie  episcopus,  que  extructa  est  in  honorem  sancte  Dei  geni- 
tricìs  Marie,  et  in  qua  requievit  corpus  sancii  Emigdii,  intervent» 
domini  Victoris  p.  p.  ac  petitione  dilecle  contectalis  nostre  Agnetis 
imperatricis  et  Gebehardi  ratisponensis  episcopi  et  Guntheri  no- 
stri cancellarii  et  a  secretis  nostris,  adiens  prefatus  episcopus  im- 
perialem  excellentiam  petiit  ,  quatenus  prò  Domino,  et  anime  bo: 
me;  Chonradi  patres  nostri  remedio,  tam  ipsi  quam  sue  Ecclesie, 
res  omnes  esculano  episcopio  quolibet  iure  pertinentes,  a  suisque 
etiam  predecessoribus  ante  acquisitas  nostre  preceptalisauthoritale 
prout  iuste  et  legaliter  possumus  cum  omnibus  mobilibus  et  immo 
bilibus,  superioribus  vel  inferioribus,  vel  etiam  cum  omnibus  per- 
tinentiis  et  adiacentìis  suis,  secundum  precepta  antecessorum  impe- 
ratorum  ,  aut  regum  confirmare,  et  corroborare  dignaremur.  Cu- 

ius  dignis  petitionibus  aurem  accomodantes Monetam 

etiam  in  civitate  construere  ad  componendos  nummos  cuiusvis  ge- 
neris ,  asculan.  vidclicet  episcopi  ,  libere  et  secure  currendos  per 
totum  nostrum  regnum  et  quicquid  ad  regiam  censuram  et  pote- 
statem  nostram  pertinet,  in  eius  transfundere .et  successorum  eius 
ius  et  dcminium  per  preceptum  nostre  confirmati onis  donamus  et 
corroboramus,  co  ordine,  ut  nullus  dux,  marchio,  archiepiscopus, 
episcopus,  Comes,  vicecomes,  scultalius,  gastaldus,  aut  publice  rei 
exactor,  magna  parvaque  nostri  regni  persona  disvestire,  molesta- 
re, inquietare  predictum  Bernardum  II  asculanum  episcopum  eiusque 
successore»  de  omnibus    suprascriplis  a  nostris    predecessoribus  , 


no 

sive  regibus  concessis  aut  a  nohis  modo  per  hoc  preceptum  coti- 
fìrmatis  et  dalis  iinqtiam  in  tempore  presuntat  ,  videlieet  tam  de 
noobilibus  ,  quam  de  imniobilibus  rebus,  servis  et  ancillis,  liberis 
etiam  hominibiis.  Mercalus,  monetam,  fodrum,  et  placitum,  qiie  ei 
donavimus,  piscatioiies  cum  portibus,  aquis,  aquarura  deciirsibus, 
molendinis,  pratis,  pasculis,  cultis  et  incnltis,  silvis,  cervorum  ce- 
terarumque  ferarum  Corestis,  armentis  ,  gregibus  ,  et  omnia  qua 
dici  vel  nominari  possunt,  eidem  iusle  faventibus.  Si  qiiis  igilur, 
quod  minime  credimus,  huius  nostre  confirmalionis  prccepti  leme- 
rarius  violator  aliquando  extiterit  ,  sciai  se  compositurum  aiiri 
optimi  libras  mille,  medietatem  kamere  nostre  et  medietalem  Ber- 
nardo Il  episc.  eiusque  successoribus,  quibus  violenlia  illata  fue- 
rit;  quod  ut  verius  credatur,  firmiusqiie  ab  omnibus  observetur, 
manu   propria  roborantes  nostro  sigillo   iussimus  insjgniri. 

Signum  domini  Henriei  III  S  romanorum  imperatoris  au- 
gusti. 

Gunlnerus  cancell.  vice  Hermandi  archiepiscopi  et  archican- 
cellarii  recognovi.  Datum  HI  kal.  iunii  ann.  dominice  incarna- 
tionis  MLVI,  indict.  IX.  Anno  domini  Henriei  III  ordinat.  eius 
XXVIII,  regni  vero  XIV^  imper.  II.  Actnm  Florcntie  in  Dei  no- 
mine feliciler.  Amen. 

DOCUMENTO  B. 

An.  H37  -  Esiste  ^originale  nelV archivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancte  et  individue  Trinilatis. 

Lotharius ,  divina  favente  clementia  ,  romanorum  imperator 
"augustus.  Justum  est  et  omnio  imperialem  decet  magnificentiam  , 
Inter  ceteras  ecclesias  ,  eas  potissimum  amplectì  ,  que  de  imperio 
sunt  et  ad  nostram  specialiter  spectant  def'ensionem.  Proinde 
omnium  fìdelium  nostrorunn  tam  futurorum  quam  presentium  in- 
duiilriam  nosse  volumus  ;  qualiter  nos  instinctu  consortis  nostre 
Richìnle^    annuente  fidali    nostro  Henrico  ralisponensi     episcopo 


IH 

et  archicancellario  nostro  esciilane  eoclosie  omnem  sue  tligni- 
tatis  integritatem  conservare  necessarinm  duximus,  Ad  quod  et 
exemplo  anlecessorum  nostrorum  regum  et  imperatorum  infor- 
mamur  et  non  oiinus  devotio  et  servilium  eiusdem  ecclesie  ven. 
episcopi  Presbiteri  nomine  ad  id  nos  accendit.  Quem  impe- 
riali liberalitate  per  omnia  amplectentes  confirmamus  ipsi  suisque 
successoribus  et  donamus  comìlatum  esculanum  ex  integro  omnes- 
que  pertinentias,  quas  vel  modo  tenet,  vel  iure  tenere  debet.  Con- 
firmamus  et  donamus  ei  suisque  successoribus  esculanam  civltatem 

cum  omnj  dìstrictu   imperiali Mercatura  quoque  ublcumque 

in  toto  suo  episcopatu  voluerit,  infra  et  extra  civitatem  episcopii 
diete  civitatis  liceat  sine  contradictione  alicuius,  monetam  quoque 
ubi  voluerint  habeant  et  faciant.  Horum  omnium  supradictorum  ius 
et  dominium  eidem  ecclesie  auctoritate  privilegii  nostri  eo  ordine 
confirmamus,  ut  nullus  archiepiscopus  ,  episcopus,  dux,  marchio, 
coraes,  vicecomes,  nulla  denique  magna  parvaque  persona  in  bis 
omnibus  supradictis  prefatam  ecclesiam  molestare  ,  disvestire,  aut 
inquietare  presumat.  Si  quis  vero  conlra  hoc  ,  quod  non  credi- 
mus,  presumere  poterli,  centum  libras  auri  camere  nostre  et  to- 
lidem  ipsi  componant  ecclesie.  Quod  ut  verius  credatur  et  ab 
omnibus  diligentius  custodiatur  presentem  inde  cartam  sigillo  no- 
stro insigniri  iussimus. 

Signum  D.  Lotharii   IK    romanorum    imperatoris  invictissimì. 

Ego  Ricardus  ,  vice  Henrici    archicancellari    recognovi.    Data 

anno  inearnationis  dominice  MCXXXVII  ,    ìndictione  XX  ,  kalend. 

decembris,  anno  vero  regni  regìs  Lotharii  XII,  imperii  VI.  Actum 

Salerni  in  Christi  nomine  feliciter.  Amen. 

DOCUMENTO  E. 

An.  ìì^Q- Esiste  Voriginale  neW archivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancte  et  individue  Trinilatis. 

Chonradiis  ,  divina  favente  clementia  ,  romanorum  rex  II    ac 
semper    augustus.    J)ecet  imperialem  magnificentiam    eas   ecclesias 


112 

poLissimum  fovere  et  amplecti,  que  de  imperio  sunt  et  specialiter 
ad  nostrani  defensionem  spedare  dignoscuntur.  Quo  circa  iìdelium 
nostrorum  omnium  tam  presentium  ,  qiiam  futurorum  noverit  in- 
dustria, qualiter  nos  principum  nostrorum  precibus,  suadente  quo- 
que Wibaldo  abbate  compagense,  ecclesie  esculane  omnem  digni- 
tatis  sue  integrilatem  conservare  dignum  duximus.  Esemplo  quo- 
que antecessorum  nostrorum,  regum  et  imperatorum  instruimur 
et  informamur;  et  nihilominus  magna  devotio,  magnumque  servi 
tium  eiusdem  ecclesie  venerabilis  episcopi,  nomine  Presbiteri,  ve- 
nientis  ad  nos  in  Alemaniam,  ad  id  nos  accendit  et  invitat.  Qnem 
honestissime  recipimus  cumque  de  regalibus  investientes  in  con- 
sortium  principum  nostrorum  suscepimus;  cui  etiam  omnia  bona 
sue  ecclesie  omniaque  ecclesie  sue  iura,  que  vei  tempore  suo  suo- 
rumque  predecessorum  amissa  sunt ,  per  corporalem  investituram 

reddidimus  et  alia,  que  a  nobis  petiit;  videlicet habere  mo- 

netam  quoque,  ubi  voluerint,  faciant  et  habeant.  Auctoritate  nostri 
privilegii  confirmamus  ius  et  dominium  supranominate  ecclesie 
horum  supradictorum  omnium,  eo  ordine:  ut  nuUus  dux,  archie- 
piscopus,  episcopus  ,  marchio  ,  comes  ,  viceconies  ,  nulla  denique 
maglia  persona  sive  parva,  prefatam  ecclesiam  in  bis  omnibus  pre- 
dictis  inquietare,  disvestire  aut  molestare  audeat.  Si  quis  vero, 
quod  non  credimus,  contra  hoc  presumpserit  ,  centum  libras  auri 
camere  nostre,  et  eidem  ecclesie  totidem  componat.  Quod  ut  verius 
credatur,  et  ab  omnibus  diligentius  custodiatur  ,  presentem  inde 
cartam  sigillo  nostro   iussimus  insignir!. 

Signum  D.  Cbonradi  regis  romanorum  secundi. 

Ego  Arnaldus  cancellarius,  vice  llenrici    magunlini  archiepi- 
scopi ci  archicancellarii  recognovi. 

Data   pridie  idus  marlii,   indict.   X  ,   anno    domiuice    incarna- 
tionis  MCL. 

Regnante  Chonrado    rege    sccundo  romanorum  ,    anno  .  regni 
eius  XIII. 

Aclum  Nurimbergh  in  Chrisli  nomine  fcliciler.  Amen. 


113 

DOCUMENTO  F. 

An.  1183  -  Si  conserva  l'originale  nell'archivio  capitolare 
di  Ascoli. 

In  nomine  sancte  et  individue  Trinilatis. 

Fridericus,  divina  favente    clemcntia  ,    imperator  romanornm 
augustus.  Inter  varia  humane  comlilionis  vota  et  opera  ,   hoc  po- 
lissimiim  fore  censemns    ad    salulem  animarum    si  ecclesiis  Dei   el 
ecclesiasticìs  personis  solertie  nostre  studium  efficaciter  impenden 
tes  eas  non  solum   in   iure  suo  conservamus,  verum  etiam  dispersa 
recolligenda  ,  fracta  reconsoiidanda    et  que  in  presentiarum  possi- 
dentur  feliciter  augenda   imperiali   virtute  fovemus  ac  d.fensamus. 
Stndentes  ergo  laudum  titulo  probatamque  honeslatera  venerabilis 
esculane  ecclesie  ,    que  licei  prope  fines  imperii  nostri   longe  siia 
sii,  tamen  liicem  bone  opinionis  sue  nobi>;  cominus  effunditriiben- 
ter  etiam  annuen.es  preoibus  dilecti   nostri  Raynaldi    eiusdera  ec- 
clesie episcopi,  ad  exemplum  predecessorum  nostrorum,  diversorum 
regum  et  impcratorum,    Henrici   III  et  Lotliariì  IH  et  regis  Cbon. 
rad.  II  palris  nostri  ,   notum  facimus    tam  successive  posteritati  , 
quam  presentium   industrie  ,  quod  nos  prescripte  ecclesie  «t  pre- 
nominatum  episcopum  et  congregalionem    eius    in    perpetuum    et 
successores  eoru.n  et  omnia    ipsorum  bona,  mobilia  el    immobilia 
que  nunc  habent  vel  in  posterum,   prestante  Deo  ,  iuste  poterunt 
ad.pisci,  sub  protectione  defensionis  nostre  suscepimus  et  ex  mera 
liberalitale  atque  conscientia  concedimus    eis    atque    donamus    el 
imperiali  auctorilate  confirmamus  omnia  iura  ecclesie  sue,  que  vel 
nunc  habent  vel  tempore  suo,  vcl  predecessorum  suorum  neglecta. 

**""*• ^^  ubicumque  volueril  in  loto  episcopatu  suo,  intra 

civitalem  el  extra,  liceal  ei  constiluere  mercatum  et  ubi  volueril 
tnfra  hos  terminos,  cudere  monetam,  salva  in  omnibus  bis  supra- 
numeralis  dignilale  imperialis  excellentie.  Staluimus  ergo  et  im- 
periali àuctoritate  sancimus  ,  ut  nullus  poutifex,  n«llus"archiepi- 
'7?  "'"^r.^P"^'  """"«  J»"^  """"^  marchio,  ncque  comes. 


114 

ncque  vieecomes.  neque  capitaneus,  nulla  civitas,  n  ti  II  ti  m  comune, 
nullave  poteslas.  nulla  denique  persona  humilis  vel  alta,  secularis 
vel  ecclesiaslica,  hoc  maiestatis  nostre  privilegium  audeat  violare, 
seu  esculanam  ecclesiam  et  episcopum  eius  et  canonicos  in  pos- 
sessione, iure  et  dominio  predictarum  rerum,  omnìumque  bonorum 
suorum,  presentium  et  futurorum  aliqiiìbiis  inìuriis  calumniarum, 
sive  damnis  presumat  attentare.  Quod  qui  f'ecerit,  in  ultionem  te- 
meritatis  sue  centum  libras  auri  componat  ,  dimidium  imperiali 
camere,  et  reliquum  ìuiuriam  passis. 

Signum  mei  Federici  romanorum  imperatoria  invictissimi. 
Ego  Gotefridus  imperiali»  aule  cancellarius,  vice  Pbilippi    co- 
loniensis  archiepiscopi  et  Italie  archicancellarii  recognovi. 

Acta  sunt  hec  anno  dominice  incarnationis  MCLXXXV,  indict.lV, 
regnante  d.  Friderico  romanorum  imperatore  gloriosissimo  ,  anno 
regni  eius  XXXIV,  imperii  vero  XXXII.  Datum  apud  Cucurionem 
in  territorio  spoltlano  in  nomine  Domini,  Xllll  kal.  octobris. 

DOCUMENTO  G. 

An.  -  1461.  V originale  si  conserva  nell'archivio  anzianale 
di  Ascoli. 

Ditectis  flliis  antianis  et  communi  civitalis  nostre  Asculi. 

Pius  pp.  II. 

Dilecli  filli  salutem  et  apostolicam  benedictionem- 

Exposuerunt  nobis  vestro  nomine  dilectì  tìlii  oratores  vestri 
proxime  ad  nos  missi,  vos  propter  peiiuriam  monete  que  viget  in 
illa  nostra  civitate  de  presenti  plurimum  cupere  licenliam  vobis 
concedi  picciolos  et  quatrinos  fabricari  et  elidi  faciendi.  Quare 
nos  vestris  supplicationibus  inclinati  ac  paterna  caritate  vos  pro- 
sequi  volentes  vobis  infra  unum  annum  a  datis  presentium  com- 
putandum  fabricari  et  cudi  faciendi    diclos  picciolos  et  quatrinos 


115 

in  dieta  civitate  ex  m.-iteria  alias  consueta  usque  ad  quantitatem 
octiugentoruui  florcnorum  aiiri  de  camera  tantum  facta  tamen 
prius  debila  solutione  camere  aposlolice  liceutiam  et  f'acultatem 
concedimus  per  presentes.  Volumus  preterea  quod  ex  quantìtate 
diete  monete  ut  prefertur  fabricande  thesaurarius  diete  nostre  ci- 
vitatis  debilum  computum  et  rationem  teneat. 

Datum  Rome  apud  sanctum  Petrum  sub  annulo  piscatoris  die 
ultima  aprilis  MCCCCLXI,  pontificatus  nostri  anno  tertio. 

C.  de  Piccolomìnis. 

DOCUMENTO  H. 

An.  ii%2  -  L'originale  si  conserva  nelCarchivio  segreto 
di  Fermo  num.  1S17. 

Dilectis  filiis  antianis  et  communi  civitatis  nostre  firmane 

Pius  pp.  II, 

Dilecti  fìlii  salutem  et  apostolicam  beuedietionem. 

Quoniam  propter  monetam  que  impresentiarum  currit  in  pro- 
vincia nostra  Marchie  Anconitane  intelligimus  non  parva  incommoda 
in  ipsam  nostram  provinciam  et  subditos  nostros  redundare  ac 
propterea  et  ex  aliis  bonis  respectibus  inlendimus  superinde  opor- 
tune  providere  monetamque  ipsam  in  melius  Tacere  mutari  et  re- 
formari.  Eapropter  mandamus  vobis  (juatenus  per  totum  mensem 
ìanuarii  presentem  ad  nos  miltatis  oratores  vestros  cura  plenis 
instructionibus  et  mandatis  ad  concludendnm  super  hac  provisione 
quam  facere  inlendimus  omni  excusatione  et  contradictìone  ces- 
sante. Datum  Rome  apud  sanctum  Petrum  sub  annulo  piscatoris 
primo  ianuarii  MCGCCLXIl,  pontilicatus  nostri  anno  quarto. 


116 

DOCUMENTO  I. 

An.  i472  -Si  conserva  l'originale  nelC archivio  anzianale 
di  Ascoli. 

DilecUs  filiis  antianis  et  communi  civitatis  nostre  Asculi 

Sixtus  pp.  ini. 

Dilecti  filli  salutetn  et  apostolicam  benedictionem. 

Que  ad  publicam  utilitatem  vobis  cedere  cognoscuntur  paterna 
caritate  libenter  concediinus  ut  quo  benignius  a  nobis  conspexeriti» 
vos  traclari  constanlius  in  solita  fide  et  devotione  perseverelis. 
Ut  igìtur  parve  monete  copiam  in  civitate  ista  nostra  sicut  comu- 
nis  utilitas  exigit  haberc  possitis  vestris  in  hac  parte  suppiica- 
tionibus  inclinati  harum  serie  indulgemus  vobis  alque  concediinus 
licentiam  et  facultatem  cudi  faciendi  prò  uno  anno  usque  ad  siim- 
mam  mille  ducatorum  in  moneta  picciuloriim.  Confisi  propterea 
de  veslra  singulari  fide  atque  devotione  presenlium  tenore  de— 
cernimus  quod  possit  a  vobis  eligi  odo  cives  fide  et  facultate 
idonei  ad  custodiam.  Turris  Murri,  et  postea  quod  unus  ex  electis 
per  ipsum  legatura  confirmari  dcbuat  et  deputari  ad  diete  Turris 
custodiam  accepla  idonea  cautioue  extra  civitatcm  asculanam  de  ea 
fideliter  custodiendo  alque  restituendo.  Volumus  insuper  manda- 
mus  ac  declaramus  quod  index  maleficiorum  provincie  nostre  Mar- 
chie  nec  possit  nec  debeat  contra  vos  et  cives  vestros  procedere 
aut  aliquando  vos  iacjuietare  occasione  demolitionis  domoruin  Rubei 
magistri  Bettoni  per  vos  lacte  attento  quod  sicut  asseritis  dum 
dilHdatur  inetiam  oratores  vestros  ad  nostrum  legatuin  profici- 
scentes  impetum  fecit.  Volumus  tamen  quod  domus  fratris  ipsius 
Rubei  demolita  qui  extra  noxam  est  per  vos  prima  reparelur  et 
ipse  omnino  reddalur  indemnis. 


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117 

Postremo  desiderantes  pacem  et  iuslitie  recliludiucm  in  ipsaf 
nostra  ci  vitale  vigere  concedimus  presentem  et  indulgemiis  quod 
presidente  locumtenente  dicti  nostri  legati  possint  eligi  per  vos 
dummodo  ab  eodem  locumtenente  confirmentur  quinquaginta  cives 
qui  habeant  poteslatem  dandi  auxilium  et  favorem  officialibùs  no- 
stris  et  sacre  romane  ecclesie  ad  iustitiam  dirigendam  prout  rerum 
et  temporum  qualitas  postulabit  quibuscumque  in  contrarinm  fa- 
cientibus  non  obstantibus.  Datum  Rome  apud  sanctum  Petrum 
sub  annulo  piscatoris  die  XXII  decembris  MCCCCLXXII,  pont.  no- 
stri anno  secundo. 

L.  Grifus- 


118 


Discorso  archeologico-artislko  in  encomio  del  defonlo 
commendatore  Luigi  Canina.  Letto  nelV  adunanza 
dell'accademia  di  archeologia  in  Roma  li  8  gen- 
naio 1857,  dal  commendatore  Clemente  Folcili, 

\faa\e  fu  nell'  arte  V  onorando  commendatore  Lui- 
gi Canina,  quali  cose  operò  e  quali  memorie  ci  la- 
sciò a  ricordarlo  meritamente  nella  nostra  accade- 
mia, è  il  tema  di  queste  mie  parole,  ed  è  l'elogio 
che  si  addice  al  collega  ,  che  tutti  laméhtiamo  a 
noi  rapito  dalla  morte  nel  giorno  17  dell'  otto- 
bre 1856. 

Buon  per  me  che  nell'  abbondanza  delle  cose 
dal  medesimq  scritte,  incise,  ed  eseguite,  non  avrò 
molto  a  ricercare,  o  a  dimostrare,  per  dirlo  uomo 
di  estesissima  conoscenza  d'  ogni  oggetto  di  arte, 
specialmente  di  quelli  che  all'  antichità  appartengo- 
no; artista  di  genio  fecondo;  interprete  sicuro  dei  ri- 
trovati nelle  ricerche  archeologiche,  e  pronto  in  ogni 
intrapresa  ad  illustrare  monumenti, sia  conia  stampa, 
sia  co'disegni,  sia  con  gli  scritti,  a  modo  che  se  de- 
gli uomini  illustri  1'  elogio  maggiore  è  la  manife- 
stazione delle  opere  stesse,  per  questo  ,  che  oggi 
facciamo  al  nostro  collega,  saranno  sufficienti  al  cer- 
to i  pochi  ricordi  che  ne  farò,  sebbene  con  disador- 
no stile  ,  e  con  languidi  colori  ,  quali  aspettar  si 
possono  dalla  età  e  dalla  debolezza  delle  mie  forze. 


119 

Nella  copia  pertanto  delle  cose  lasciateci  dal  Ca- 
nina mi  circoscrivo  nella  parte  architettonica  dal 
medesimo  estesamente  trattata  ;  ed  all'  arte  atte- 
nendomi, a  voi,  chiarissimi  e  scienziati  accademici, 
spetterà  il  riconoscere  quanto  egli  ne  disse  a  spie- 
gazione delle  sue  idee  su  i  luoghi,  sull'uso  e  sul- 
le epoche  dei  momenti,  e  che  egli  convalidò  col- 
r  autorità  degli  scrittori  antichi  e  colle  senten- 
ze che  questi  ci  hanno  tramandate  nei  loro  classici 
prodotti  di  ogni  letteratura. 

Dopo  qualche  anno  dalla  sua  venuta  in  Roma 
(che  fu  nel  1818)  e  dopo  intrapreso  l'esercizio  archi- 
tettonico presso  la  eccellentissima  casa  Borghese,  e 
nella  magnifica  villa  dì  tanto  signore  (della  quale 
poscia  ne  diede  una  illustrazione)  uno  de'suoi  pri- 
mari lavori,  detti  di  studio,  si  fu  la  grandiosa  ope- 
ra di  Architettura  antica  descritta  e  dimostrata  coi 
monumenti  ,  distribuita  in  tre  sezioni  ,  egiziana  , 
greca  ,  e  romana  ,  in' sei  volumi  in  foglio  con  n. 
700  e  più  tavole.  È  veramente  mirabile  con  quan- 
ta cura  e  ricercatezza  abbia  egli  raccolte  tutte  le 
piiì  remote  notizie  e  disegni  delle  arti  dei  piiì  an- 
tichi popoli  e  con  quanta  lucidezza  di  dimostrazio- 
ni grafiche  le  abbia  esposte. 

Incominciando  dall'  architettura  egiziana  come 
base  alla  greca  e  romana,  e  compendiando  quan- 
to fecero  i  fenìci,  i  babilonesi,  gli  assiri,  i  persiani 
ed  indiani  in  generale,  sviluppa  la  distinta  cogni- 
zione dell'  arte  di  edificare  dei  diversi  popoli  lo 
che  ,  dimostra  nelle  diverse  opere  le  pili  note 
e  conservate,  o  dedotte  dalle  ruine  superstiti  o  de- 
scritte dagli  antichi  atte  a  far  conoscere  le  maniere 


120 

proprie  di  ciascun  paese.  Tali  edificazioni  caralte- 
risliche  le  considera  specialmente  nei  grandi  edifizi 
dì  Karnac,  di  Louqsor  (1),  nei  gran  tempii  a  Moroc, 
a  Tentcris ,  nella  reggia  e  nei  sepolcri  di  Belo 
e  di  Seiiiiiamide  in  Babilonia  ,  in  quelli  tebani  e 
fenici,  e  nelT  interno  delle  grandi  piramidi  di  Men- 
tì, di  Meroe  e  di  Assur  ;  nel  tempio  di  Gerusalem- 
me (  del  quale  ha  trattato  separatamente  con  ri- 
cerche ■suirar<;hitettura  degli  antichi  giudei),  in  fi- 
ne nella  casa  di  Salomone,  nelle  costruzioni  della 
Frigia,  della  Persia,  e  delle  Indie,  nelle  quali  regio- 
ni tutte  si  riconoscono  i  principii  ed  il  tipQ  ,  che 
poi  si  adottò  neir  architettura  greca  specialmente 
dell'  ordine  dorico  ,  e  delle  diverse  costruzioni  del- 
le muraglie,  sia  ad  opera  incerta,  sia  a  pietre  re- 
golarmente tagliate  ,  e  poste  a  filari  orizzontali,  o 
delle  diverse  aperture  delle  porte,  o  ad  arco  pia- 
no ad  un  sol  blocco,  o  arcate  in  tondo,  o  a  cuspi- 
de, oppur  della  decorazione  interna  oltremodo  ric- 
ca con  portici ,  e  sostegni  di  colonne  dipinte  o 
stiriate. 

Su  questi  tipi  sembra  si  conformassero  le  deco- 
razioni di  Grecia,  la  quale  spinta  dalla  sua  fervida 
fantasia,  e  guidata  dalla  sua  ingenita  filosofia,  la  qua- 
le fu  introdotta  anche  nelle  arti  ,  compose  e  mi- 
gliorò gli  ordini  architettonici  a  suo  modo,  ragio- 
nando suir  officio  a  cui  possono  destinarsi  ;    sulle 


(1)  Le  denominazioni  di  tutti  i  monumenti  citati  in  questo  scrit- 
to sono  state  da  me  riportate  coi  nomi  segnati  dall'  autore,  non 
avendo  qui  luogo  alcuna  opinione  ,  o  quistione  su  di  essi:  come 
pure  niun  riguardo  ho  avuto  alla  serie  cronologica  delle  produ- 
zioni del  Canina,  che  tutte  considero  nella  sua  vita. 


121 

proporzioni  che  possono  loro  competere  a  caratteriz- 
zare la  dedicazione  dell'opera;  e  studiandosi  sempre 
a  rendere  nobili  ed  eleganti  le  parti  tutte  costitutive 
i  monumenti,  giunse  a  quel  grado  di  soddisfazione 
che  in  seguito  provarono  anche  tutte  le  altre  nazioni, 
le  quali  ne  accettarono  le  leggi ,  e  si  attennero  a 
queste  in  ogni  specie  di  fabbricato  pubblico  e  privato. 
Questa  sezione  dell'opera  comprende  l'Asia  mi- 
nore, la  Sicilia,  e  l'Italia.  Ivi  si  addita  come  ebbe 
principio,  e  come  si  sviluppò  l'arte  in  Grecia,  dopo 
la  guerra  di  Troia,  quale  dalle  prime  olimpiadi  in 
poi  fu  impiegata  nei  grandi  edifizi,  e  come  si  per- 
fezionò dopo  le  invasioni  persiane  fino  alla  conquista 
dei  macedoni.  Dei  monumenti  disegnati  furono  pre- 
scelti i  più  stimati  per  le  proporzioni  e  belle  si- 
metrie,  che  presentano  una  qualche  particolarità  per 
istabilire  una  idea  generale  dell'architettura  dei  greci 
la  più  conforme  alle  cognizioni  tramandate  dagli 
antichi.  Oltre  a  ciò  moltiplico  e  multiforme  fu  la  scel- 
ta che  fece  il  Canina  su  i  tempii,  pei  quali  i  greci  si 
occupavano  sempre  a  renderli  nobili  e  dignitosi.  Tal 
si  rappresentano  quelli  di  ordine  dorico  di  Teseo: 
di  Diana  in  Eleusi;  di  Giove  Olimpico  in  Elide;  i 
propilei  di  Atene  e  di  altre  città  di  Grecia;  il  Par- 
tenone in  Atene,  e  i  tempii  di  Cerere  e  Proserpi- 
na  in  Eleusi:  d'  ordine  ionico  ,  quelli  di  Minerva 
Pohade,  di  Apollo  a  Didimi ,  di  Giunone  a  Samo, 
di  Diana  ad  Efeso  ed  a  Magnesia  :  e  d'ordine  co- 
rintio il  gran  tempio  di  Giove  Olimpico  ed  il  tem- 
pio di  Didimi  ;  inoltre  le  Cariatidi  ,  i  Telamoni  , 
i  teatri,  palestre  ,  e  ginnasi  corrispondenti  ai  pre- 
cetti dati  da  Vitruvio  ,  che  nella    Grecia   formò  il 


122 

suo  codice  per  dar  norma  e  regole  ai  monumenti 
romani. 

Ognuno  sa  come  dalla  Grecia  venissero  poi  le 
arti  belle  in  Roma  ,  che  fino  allora  erasi  giovata 
delle  indigene  arti  etrusche  ,  o  italiche  che  fosse- 
ro; con  quanta  avidità  si  ricevessero  nella  capitale 
dell'  impero;  e  con  quanta  profusione  e  sontuosità 
si  commettessero  le  riproduzioni  delle  piiì  superbe 
moli  nelle  loro  più  belle  forme,  e  coi  più  squisiti 
intagli  ,  onde  e  pel  numero  ,  e  per  la  grandezza 
Roma  dimostrò  quanto  essa  fosse,  e  quale  impero 
tenesse  nel  mondo. 

Qui  si  aprì  tutto  il  campo  pel  nostro  Canina  a 
studiare,  tracciare  ,  e  disegnare  ,  non  solo  quanto 
vediamo  di  antico,  ma  ben  anche  quanto  alla  no- 
stra vista  abbiamo  di  ascoso  ,  furatoci  dal  tempo 
e  dalle  ingiurie  dell'  uomo. 

I  monumenti  tutti  si  vedono  delineati  nel  loro 
essere  nella  parte  terza  dell'Antichità  romana ,  da 
cui  si  apprende  lo  stile  dell'  arte,  e  come  fu  im- 
piegata nelle  differenti  specie  di  edifici  a  seconda 
(  come  si  è  detto  )  degli  insegnamenti  di  Vilruvio. 

Incominciando  il  Canina  dai  metodi  di  costru- 
zione 0  in  laterizio,  o  in  pietre  squadrate  a  bugne, 
0  incerte,  arcuate  in  piano,  o  a  cunei,  passa  pro- 
gredendo agli  ordini,  e  prima  ai  tempii  dorici  del- 
la Pietà,  di  Cerere,  e  di  Quirino,  e  quindi  alli  io- 
nici della  Fortuna  virile,  della  Speranza,  e  di  Ma- 
tuta:  ed  in  maggior  copia  e  bellezza  ai  corintii  di 
Giove  Tonante,  di  Faustina;  del  portico  di  Ottavia  e 
del  Panteon.  Procede  poi  al  gran  tempio  di  Giove 
capitolino,  a  quello  di  Venere  e  Roma  e  del  Sole 


123 

sul  Quirinale  col  suo  superbo  cornicione  ,  quindi 
ai  fori  di  Cesare,  di  Augusto,  di  Nerva,  e  di  Tra- 
iano disegnati  e  descritti  per  intero  ,  come  intera- 
mente disegnati  sono  i  teatri  di  Pompeo,  di  Mar- 
cello, quello  doppio  di  Curione  ,  non  che  gli  anfi- 
teatri Flavio  e  di  Statilio  Tauro,  quelli  di  Capua, 
di  Verona  e  di  Pola;  e  del  circo  massimo,  e  quelli 
di  Romolo  ,  e  di  Boville  ,  e  i  bagni  di  Astura  ,  e 
le  terme  di  Tito,  di  Traiano,  ed  i  grandiosi  avanzi 
di  Caracalla,  di  Diocleziano  ,  e  gli  acquedotti  del- 
l' Aniene  vecchio  e  nuovo  ,  della  Claudia  ,  della 
Giulia,  Tepula,  e  Marcia,  e  i  ninfei,  e  gli  emissari, 
e  i  porti,  e  i  ponti,  e  gli  archi  di  trionfo,  i  trofei, 
e  le  colonne  storiche  ,  e  i  mausolei  di  Augusto  e 
di  Adriano,  e  i  sepolcri  di  Cecilia  e  de'  Plauzi,  e 
gl'ipogei  degli  Scipioni,  e  la  casa  di  Augusto  nel  Pa- 
latino, e  le  grandi  ville,  e  i  tanti  altri  monumenti 
che  non  nominai,  e  tanti  dettagli,  e  tante  decora- 
zioni, che  rendono  questa  parte  un  magazzino  ine- 
sauribile per  r  artista  ,  che  ivi  può  ritrovare  ogni 
studio  per  qualunque  intrapresa  e  progetto.  E  sono 
così  nitidamente  incisi  quei  contorni,  profili  e  sa- 
gome ,  che  sebbene  non  siano  muniti  dei  numeri 
di  misure,  come  fece  Desgodetz,  pure  col  sussidio 
della  scala  proporzionale  nella  loro  precisione  quei 
disegni  sono  sufficienti  a  chiunque  voglia  farne  i 
rapporti  sul  vero. 

È  però  da  osservarsi  che  in  questa  generale  ope- 
ra del  Canina  si  tratta  di  dimostrai-e  1'  architettura 
monumentale  nella  sua  prima  fase  nell'Egitto,  quin- 
di nel  suo  crescere  in  Grecia,  e  poscia  nel  suo  pie- 
no in  Italia,  quale  si  rappresenta  in  Mentì,  Alene  , 


124 

e  Roma.  Invece  V  opera  del  celebre  Desgodetz;  in- 
tende allo  studio  preciso  dei  monumenti  romani,  e 
di  questi  vuol  dimostrare  le  proporzioni  e  i  rap- 
porti simmetrici  costituenti  la  grandezza,  la  forma, 
e  l'ordine;  per  il  che  vedonsi  con  tutta  precisione 
segnate  le  misure  d'  ogni  più  minuta  parte  e  mem- 
bratura. In  appresso  il  Canina  stesso  allorché  si  trat- 
tò di  compire  l'opera  dell'insigne  Desgotetz  (che  gli 
fu  commessa  e  che  si  stampò  nel  1844)  si  fece  ob- 
bligo di  seguire  un  tal  metodo  nella  prima  parte 
dei  supplementi  in  que'  monumenti  nei  quali  più 
importava  un  particolare  dettaglio,  ove  riportò  le 
dimensioni  in  numeri  e  linee.  Nella  seconda  parte 
dei  monumenti  aggiunti  riassunse  il  metodo  dei 
contorni  e  vedute  geometriche  segnate  con  quella 
precisione  che  mediante  la  scala  di  proporzione 
può  supplirsi,  come  dissi,  al  numero  della  misura. 
E  questa  aggiunta  in  sei  capitoli  comprende  i  tre 
tempii  nel  Foro  Olitorio  {della  Pietà,  di  Matuta,  e 
della  Speranza)  quello  di  Venere  e  Roma,  il  Foro 
Traiano  ,  il  monumento  dell'  acqua  Claudia  ed 
Aniene  nuovo,  col  sepolcro  di  VirgilioE  urisace,  le 
terme  di  Tito  e  quelle    di  Caracalla. 

Dopo  queste  classiche  produzioni,  che  tutta  riu- 
niscono la  serie  dei  monumenti  egizi,  greci,  e  ro- 
mani dalla  loro  prima  epoca  all'ultima  del  loro  splen- 
dore ,  sembrava  adempito  il  grande  scopo  di  por- 
tare a  colpo  d'  occhio  alla  conoscenza  degli  artisti 
tutti  i  processi  e  tutti  i  modi  adoprati  dagli  an- 
tichi per  giungere  a  quel  bello,  che  tutti  facciamo 
opera  di  conseguire,  senza  il  bisogno  o  di  accorre- 
re su  i  luoghi  per  misurarli,  o  di  ricercare  le  spar- 


125 

se  opere  che  ne  somministrano  le  notizie  e  le  imma- 
gini ;  ma  ciò  non  bastava  alla  mente  sempre  pen- 
sante ,  ed  al  genio  operativo  del  Canina  ,  il  quale 
concepì  e  risolse  di  dare  luce  alle  altre  cognizioni 
da  lui  acquistate  sulle  antichità  che  tutto  di  gli  si 
presentavano  nella  dimora  di  questa  classica  terra, 
che  egli  prescelse  a  miniera  delle  sue  ricerche  e 
de'  suoi  studi. 

Percorse  a  tale  uopo  i  porti  marittimi,  che  ser- 
virono alla  stazione  delle  navi  ,  al  commercio  ed 
alle  relazioni  della  grande  Roma  con  le  altre  parti 
del  vasto  impero;  e  quindi  ci  lesse  in  più  adunan- 
ze in  quest'  aula  la  esposizione  delle  sue  idee  sul 
porto  d'  Anzio  ,  sul  porto  Neroniano  ,  su  quel  pa- 
lazzo imperiale  ,  e  quindi  ci  descrisse  la  città  dì 
Ostia  col  porto  e  suoi  empori  sul  Tevere  allo  sboc- 
co in  mare  (siccome  approdo  il  più  vicino  alla  cit- 
tà), a  cui  Claudio  alla  destra  del  fiume  aggiunse  il 
suo  maraviglioso  porto  più  escavato  in  terra,  che 
protratto  in  mare,  non  che  le  due  fosse  per  la  co- 
municazione col  Tevere  e  a  smaltimento  delle  ac- 
que di  questo  a  sollievo  delle  inondazioni  di  Ro- 
ma. Ma  Traiano,  avvedutosi  del  danno  più  che  del 
benefìzio  cagionato  al  porto  di  Claudio,  aggiunse  il 
suo  porto  chiuso  alle  fosse  :  ed  invece  aprì  la  più 
ampia  diretta  al  mare,  quale  oggi  vediamo,  e  di- 
ciamo Canale  di  Fiumicino. 

Due  più  estese  e  separate  relazioni  munite  di 
molte  tàvole  produsse  egh,  l'una  sulla  antica  Cere,  e 
l'altra  sulla  città  di  Veio  all'occasione  delle  due  in- 
signi scoperte  (che  furono  inserite  nell'opera  «L'Etru- 
ria  antica  marittima  nella  dizione  pontificia»),  la  pri- 


126 

ma  della  tomba  pelasgica  di  Cere  ritrovata  dal  ge- 
nerale Calassi  ed  arciprete  Regolini,  e  di  cui  tanto 
eruditamente  scrisse  e  stampò  poscia  1'  egregio 
cav.  Criti  nel  1841,  ed  in  ispecial  modo  sugli  og- 
getti che  adornano  il  museo  etrusco  gregoriano  ; 
e  la  seconda  della  conservata  tomba,  e  piiì  abbon- 
dante di  oggetti  curiosi,  e  forse  di  più  lontana  an- 
tichità, in  Veio  discoperta  dal  benemerito  sig.  mar- 
chese commendatore  Campana  nostro  attuale  meri- 
tissimo  presidente.  E  queste  illustrazioni  arricchite 
di  tanta  copia  di  ogni  erudizione  e  dimostrazioni 
riscossero  tal  generale  plauso  ,  che  ne  sono  man- 
cate le  copie  alle  ricerche  che  continuamente  ne 
fanno  i  professori  ed  amatori  di  simili  ritrovati. 
Né  dissimile  incontro  ebbe  l' altro  tanto  esteso , 
erudito,  e  pregevole  tomo  del  Tusculo  antico  sulle 
discoperte  fatte  dal  Biondi ,  e  sulle  altre  fatte  dal 
medesimo  Canina  negli  scavi  eseguiti  dall'uno  e  dal- 
l'altro zelantissimi  operatori,  a  sodisfazione  del  fa- 
vorevole consenso  e  dispendio  di  S.  M.  la  regina 
vedova  di  Sardegna  Maria  Cristina:  e  tale  si  fu  la  co- 
mune allegrezza  per  tanti  ritrovati,  che,  presidente 
il  marchese  Biondi,  entro  il  teatro  sotto  l'acropoli 
e  mura  dell'antico  Tusculo  si  festeggiò  la  genero- 
sità di  S.  M.  con  un  convito  ed  adunanza  poetica 
tusculana,  usando  delle  acque  della  conservata  antica 
fontana  lungo  la  via  labicana  che  passava  in  vici- 
nanza della  porta  tuttora  esistente  della  città  e  del- 
le ville  tusculane,  non  che  delle  altre  ville  di  Tibe- 
rio e  di  Lucullo  ivi  contigue,  o  vicine  ,  e  celebri 
per  sontuosità  e  grandezza. 


127 

Intanto  si  reclamava  in  Roma  l' attenzione  e 
l'opera  di  sì  illustre  antiquario  non  men  che  arti- 
sta, dal  quale  si  ottenne  che  in  poco  tempo  si  com- 
pilasse e  pubblicasse  la  pianta  della  città  antica 
comprovata  coi  frammenti  marmorei  ritrovati  pres- 
so il  foro  ,  ed  ora  esistenti  nel  Campidoglio,  che 
graficamente  fu  applicata  sulla  pianta  di  Roma  mo- 
derna divisa  nelle  quattordici  antiche  regioni,  e  nei 
confini,  secondo  quanto  ne  determinarono  i  regio- 
nari ed  ogni  altro  scrittore  di  Roma  antica.  Di  que- 
sta si  fecero  piìi  edizioni  con  aggiunte  e  pettificazioni 
che  la  rendono  pregevole  ed  opportunamente  como- 
da pel  confronto  delle  località  indicate  nella  storia. 

A  sì  eccellente  lavoro  di  topografia  il  Canina 
andava  all'  occasione  e  di  mano  in  mano  aggiun- 
gendo le  dimostrazioni  parziali,  sia  nella  planime- 
tria ,  sia  negli  alzati  di  que'  monumenti  o  che 
mancavano  di  una  ijluslrazione  propria,  o  che  re- 
stavano oscure  ed  incerte  nel  conflitto  delle  opinioni, 
alle  quali  egli  di  preferenza  si  applicava. 

■  Con  tale  disposizione,  e  datasi  occasione,  intra- 
prese in  appresso  a  determinare  per  via  di  ricerche 
la  grandezza,  disposizione  ,  e  direzione  del  teatro 
di  Pompeo,  che  a  preferenza  di  quelli  di  Marcello 
e  Balbo  veniva  celebrato  anche  sotto  la  impronta 
di  tempio  dedicato  a  Venere  Vincitrice:  vi  determinò 
le  grandiose  fabbriche  che  lo  recingevano,  i  passeggi 
non  che  la  curia  ove  si  raunava  il  senato  e  ove 
Cesare  ritrovò  la  fatale  sua  giornata  a  piò  della  statua 
di  Pompeo.  Simili  ricerche  ed  esposizioni  ci  esibì 
dol  circo  di  Adriano  istituito  precipuamente  a  ce- 
lebrar con  giuochi  il  natale  di  Roma ,    servendosi 


128 
air  uopo  della  erudita  relazione  del  Revill:is  fatta 
a  Clemente  XIV,  e  giovandosi  delle  indicazioni  lo- 
cali dategli  dai  vicini  abitanti.  Sebbene  pochi  ne 
fossero  gli  indizi  ed  i  ruderi,  su  questi  il  Canina  di- 
segnò tutta  la  forma  ed  ampiezza  del  circo,  che 
collocò  a  contatto  della  mole  Adriana  nella  parte 
settentrionale,  e  sceverò  cosi  i  dubbi  sulla  gran- 
dezza e  località  del  medesimo. 

Passò  in  seguito  all'emenda  di  alcune  opinioui 
sul  clivo  e  tempio  di  Giove  Capitolino,  su  i  rostri 
del  foro  romano,  e  sugli  antichi  edifìzi  già  esistenti 
nel  luogo  occupato  dalla  chiesa  di  s.  Martina. 

Questi  studi  gli  somministrarono  quelle  cogni- 
zioni maggiori  che  esigeva  la  sua  illustrazione  del 
foro  romano  e  suoi  contorni.  Die  impulso  a  que- 
sto interessante  lavoro  la  questione  che  da  gran 
tempo  si  agita  fra'  topografi  e  letterati  sulla  posi- 
zione del  foro  romano;  se  cioè  fosse  diretto  verso  il 
Velabro,  o  verso  l'arco  di  Tito. 

Partegiarono  fra  i  rinomati  per  il  Velabro  Nar- 
(lini ,  Piianesi  ,  Venuti  ,  Fea  ,  e  Nibby  :  opinavano 
per  l'arco  di  Tito  Bufalini,  Marliani,  Lucio  Fauno, 
Camucci,  Donati,  Guattani,  Viale.  Lo  studio  e  l'ana- 
lisi dei  monumenti,  de' quali  molti  avanzi  significanti 
esistono  ivi  e  nei  contorni;ed  il  confronto  colle  descri- 
zioni lasciateci  dal  Mazzocchi,  dalPanvinio,  dall'Orsino, 
da  Sante  Bartoli,  dal  Bianchini,  dal  De  Rossi,  dal  Pira- 
nesi,  dal  Nolli,  dal  Bellori  ed  altri  filologi  e  descrii  tori 
acculati  lo  determinarono  a  riconoscere  il  foro  romano 
rivolto  verso  l'arco  di  Tito:  sulla  quale  posizione  e 
nei  limiti  che  ne  circoscrivono  l'area  ritrovò  le  sin- 
gole fabbriche  che  dovevano  racchiuderlo,  dando  luogo 


129 

a  quelle  che  poteva  contenere  la  parte  verso  M  Ve- 
labro  e  suoi  contorni.  Ciò  posto,  rivolse  tutta  la 
sua  occupazione  a  soddisfare  la  brama  degli  artisti 
colle  descrizioni,  ragguagli  ed  elevazioni  dei  monu- 
menti del  foro. 

Pubblicava  nel  1845  la  Descrizione  storica  del 
foro  romano  e  sue  adiacenze,  lieto  di  confermare 
nella  scoperta  della  ubicazione  della  basilica  Giu- 
lia quanto  aveva  esso  su  questa  presagito  e  segnato, 
e  quale  in  appresso  col  concorso  della  commissio- 
ne speciale  delle  antichità,  e  col  soccorso  del  go- 
verno, fu  meglio  indicata. 

Le  num."  14  grandi  tavole,  che  fanno  corredo 
a  questa  edizione,  ci  danno  una  esatta  e  comples- 
siva idea  non  solo  dell'aspetto  del  foro  in  generale, 
ma  delle  singole  parti,  e  monumenti,  che  lo  riem- 
piono e  lo  adornano,  dimostranti  sempre  la  con- 
centrazione che  in  quel  recinto  si  ritrovava  del  piiì 
magnifico  e  del  più  bello,  che  Roma  reale,  repub- 
blicana, imperiale,  sia  di  provenienza  estranea,  sia 
con  l'opera  de'  primi  artisti  ,  o  greci  o  romani  di 
quei  tempi,  vi  aveva  riunito. 

Sarebbe  un  ripetere  quanto  ne  ha  compilato  il 
Canina  il  voler  dare  di  ciò  anche  un  succinto  ri- 
scontro. Solo  permettetemi  che  v'  inviti  ad  osservare 
la  tav.  IX,  la  quale  non  so  se  sia  quella,  che  il  Canina 
asserisce  avere  il  suo  amico  Cockerell  preso  a  di- 
mostrare, cioè  l'aspetto  prospettivo  del  foro,  e  del 
sovrastante  colle  capitolino.  Sono  indicate  nella  ci- 
tata tavola  in  un  sol  quadro  le  fabbriche  inalzate 
intorno  al  foro  romano,  che  si  vedevano  al  tempo 
del  governo  imperiale. 
G.A.TCXLV.  9 


130 

Yeggonsi  in  chiara  e  precisa  delineazione  gli 
editìzi  dell'arce  Capitolina,  il  tempio  di  Giove  To- 
nante ,  il  tempio  di  Saturno  ,  l'arco  di  Tiberio  ,  la 
basilica  Giulia,  il  Tabulario,  il  tempio  di  Vespasia- 
no ,  e  quello  della  Concordia  ;  i  rostri  propri  del 
foro,  l'arco  di  Settimio  Severo,  la  colonna  di  Foca, 
il  cavallo  di  Domiziano  ,  il  carcere  Mamertino  ,  la 
basilica  Emilia,  il  gran  tempio  di  Giove  Capitolino, 
ed  altri  edilìzi,  che  si  aggruppano  nel  loro  insieme 
con  artificio  pittorico. 

Questa  veduta  presa  dal  tempio  del  Divo  Giulio, 
ossia  dai  rostri  giuli,  non  presenta,  è  vero,  quella 
scena  animata  che  il  Rossini  incise  ne'  suoi  archi 
di  trionfo;  infonde  però  quella  soddisfazione  quieta 
e  persuadente  della  verità  degli  oggetti,  del  carat- 
tere e  regolarità  degli  oidini  ,  ricchi  di  materia  e 
di  lavoro,  che  tutta  manifestano  la  maestà  del  luo- 
go. Sovrasta  con  orgoglio  e  sovrasta  con  dignità 
dall'  alto  del  Campidoglio  il  tempio  di  Giove  Ca- 
pitolino, che  vedesi  nella  parte  settentrionale  cinto 
da  portici  con  prospetto  esastilo,  e  con  quel  super- 
bo frontone  che  sorregge  la  quadriga  dell'  Alto-To- 
nante, veneralo  arbitro  dei  destini  del  grande  Im- 
pero. 

Per  tante  fatiche  lasso  e  consunto  sembrava 
dovesse  il  nostro  collega  fermarsi,  se  non  del  tutto, 
almeno  nelle  intraprese  che  esigevano  azione  per- 
sonale ,  e  disagi  di  salute  ;  ma  era  sempre  vivida 
la  brama  di  produrre  nuove  cose,  ed  insinuarsi  nel- 
le grandezze  di  quella  Roma,  che  egli  diceva  sua 
terra:  irresistibile  era  1'  ardore  di  cercare  ,  inter- 
pretare, e  conformare  alla  probabile  primitiva  esis- 


131 

lenza  i  pochi  resti  che  abbiamo  delle  antichità  mo- 
numentali; ed  in  questi  più  s' impegnava  che  nelle 
cose  conservate  :  perchè  delle  cose  oscure  o 
dubbie,  soggiangea,  fa  duopo  occuparsi  per  giun- 
gere alla  generale  conoscenza  di  nostra  antica 
grandezza.  Ed  eccolo  di  nuovo  avvolgersi  fra 
gli  edilìzi  di  Roma  antica,  e  riprodursi  con  n."  sei 
tomi  di  essi,  quattro  dei  quali  l'isguardano  gli  edi- 
lìzi della  città,  e  due  quelle  reliquie  della  campagna 
riportate  nella  loro  intera  architettura.  Dopo  pubbli- 
cata la  prima  sezione  della  città  restavagli  a  com- 
pimento quella  della  campagna  differita  appunto  per- 
chè importava  attitudine  e  viaggi  per  il  confronto 
e  ricerche  degli  avanzi  esistenti  al  di  là  di  Roma. 

Difatti  nel  1855,  trovandosi  in  sufficiente  stato 
le  "sue  forze  fisiche,  prese  a  trattare  la  sezione  ti- 
burtina  in  occasione  che  in  Trivoli  s'  intratteneva 
a  prendere  i  bagni  delle  acque  Albule,  che  esperi- 
mentò benefiche  secondo  che  avevano  già  proclama- 
to con  dotte  stampe  due  illustri  fisici,  Racci  e  Cap- 
pello. Ivi  si  occupò  nei  rilievi  per  proporre  la  pos- 
sibile restaurazione  di  quella  antica  fabbrica  augu- 
stale,  in  parte  ingoiata,  in  parte  «nolto  deperita,  ed 
in  parte  residuata  in  muri  significativi  le  forme  e 
gli  usi.  La  proposta  venne  benignamente  accolta  da 
Sua  Santità,  Pio  IX,  a  cui  fu  presentata  dall'  emo 
Roberti  presidente  della  Comarca  in  un  colla  com- 
missione nominata  dalla  stessa  Santità  Sua  per  la 
ripristinazione  dei  bagni  rieonosciuti  utili  ed  effi- 
caci per  la  guarigione  di  molte  malattie. 

Di  qui  prese  le  mosse  il  Canina  :  ed  in  tutta 
quella  stagione  estiva,  ed  autunnale  in  parte,  pe- 


132 

regrinò  nei  contorni  di  Tivoli,  cercando,  e  descri- 
vendo ,  e  disegnando  quanto  in  tutto  il  territorio 
evvi  di  curioso,  di  considerevole  e  di  grande, 
quali  sono  quelle  storiche  ville  ,  e  principalmente 
la  celebre  Adriana  (  di  cui  divisava  dare  un  det- 
taglio separato),  quella  di  Mecenate,  di  Quintilio  , 
di  Orazio  ,  il  tenfipio  di  Ercole  ,  quelli  di  Vesta  e 
della  Sibilla,  gli  acquedotti  dell'  Aniene  vecchio  e 
nuovo,  di  Claudio,  e  della  Marcia,  non  che  la  fonie 
di  Blandusia,  il  monumento  de'  Plauzì  e  tanti  sepol- 
cri e  basiliche  e  bagni,  onde  si  fa  evidente  che  dopo 
Roma  Tivoli  e  suoi  dintorni  siano  i  più  ricchi  di  mo- 
numenti, ed  ove  l'archeologo  e  l'artista  possono  ri- 
trarre nuove  cognizioni  aggiunte  a  quanto  Roma  e 
la  storia  gli  abbiano  presentato. 

Questa  parte  degli  edifìzi  dei  contorni  di  Roma 
composta  delle  sezioni ,  vie  Appia,  Latina,  Prene- 
stina,  Valeria  e  Sublacense,  Salaria  e  Flaminia,  e 
spiaggia  marittima,  trovavasi  già  stampata  all'epoca 
della  giustamente  compianta  sua  morte. 

Oltre  che  il  nostro  collega  fu  nominato  a  far 
parte  nella  commissione  delle  Albule,  esercitava  al- 
tresì r  officio  di  consigliere  nella  commissione  del- 
le antichità  e  belle  arti,  con  la  quale  e  per  la  quale 
molto  operò  in  iscavi  e  restauri,  a  cui  dà  impul- 
so ed  assegno  continuo  il  nostro  governo  medi- 
ante il  ministero  di  antichità  e  belle  arti  ,  sicché 
veggonsi  non  solo  sgombri  e  dati  alla  luce  tutti  i 
monumenti  e  ruderi  antichi  esistenti  in  Roma  e 
fuori ,  ma  sibbene  in  parte  riordinati  ,  e  restituiti 
alle  antiche  forme  ,  con  laterizi ,  marmi  ,  ed  ogni 
materiale  competente  :  onde    vedemmo    aperta    la 


133 

basilica  Giulia  ;  riformata  una  parte  del  Colossèo 
air  antica  ambulazione  ed  accessi  interni,  fino  al- 
l' alto;  sgombrate  dalle  terre  le  terme  di  Caracalla; 
poste  in  vista  le  colonne  e  soffitto  del  tempio  di 
Marte  Ultore;  scoperta  nella  parte  orientale  la  cella 
del  Panteon  ;  descritto  e  segnato  il  ritrovamento 
delle  mura  di  Servio  ;  ed  ogni  altro  monumento  » 
ove  abbisognava  l' opera  della  commissione  e  la 
mano  del  governo. 

Tra  tanti  riordinati  monumenti  quello,  la  cui 
rivendicazione  a'  giorni  nostri  esaltò  più  gli  spiriti^ 
ed  entusiasmò  gli  animi ,  fu  lo  scoprimento  e  lo 
sgombro  della  tanto  celebre  via  Appia  regina  delle 
vie  romane  :  di  che  la  commissione  ed  il  minis- 
tero, inteso  r  erudito  e  pregevolissimo  rapporto  del 
chiarissimo  professore  commendatore  P,  E.  Visconti 
commissario  delle  antichità,  e  concertate  le  massi- 
me di  restaurazione  ,  diedero  speciale  incarico  al 
nostro  Canina,  che  vi  riuscì  nel  modo  che  ognuno  vide 
e  commendò:  e  questi  non  tardò  ad  illustrarne  la 
parte  dalla  porta  Capena  a  Boville,  divisa  nelle  sue 
stazioni  e  miglia  antiche  con  la  disegnazione  e  de- 
scrizione e  restauro  immaginato  d'ogni  monumento, 
aggiuntavi  la  gran  pianta  topografica  rilevata  dal- 
l'accuratissimo sig.  Pietro  Rosa.  Fu  poi  questa  ar- 
ricchita della  designazione  delle  piante  e  luoghi  delle 
principali  ville  adiacenti,  che  sono  quelle  di  Quin- 
tilio,  di  Clodio,  di  Domiziano,  non  che  delle  piante 
di  Albano  e  della  vetusta  Aricia,  alla  cui  stazione 
al  16  miglio  dà  termine  questa  aggiunta,  la  quale 
servì  a  corredo  della  esposizione  che  il  Canina  ne  fece 
all'Istituto  di  corrispondenza  archeologica,  di  cui  era 


13i 

assiduo  collaboratore.  Sono  notabili  per  la  parte  ar- 
chitettonica i  rapporti  e  che  ivi  andava  facendo,  e  che 
vedonsi  stampati  negli  Annali  di  quell'archeologico 
istituto,  fra'  quali  la  esposizione  del  castello  di  Pirgi 
degli  Agillei  e  Ceriti,  ed  altre  molte 

Finalmente  una  delle  più  belle  opere,  che  ci  la- 
sciò il  Canina  in  un  voluminoso  tomo  di  n.  145  tav. 
è  certamente  quella  dei  tempii  cristiani,  le  cui  ri- 
cerche furono  dal  medesimo  basate  sulle  primitive 
istituzioni  ecclesiastiche  e  dimostrate  co'  pili  in- 
signi vetusti  edifizi  sacri,  escludendo  tutti  i  sistemi 
dei  diversi  tempi,  e  specialmente  del  medio  evo  e 
dell'invalso  gusto  gotico.  Dalla  serie  delle  osserva- 
zioni dal  medesimo  fatte  ne  deduce,  che  la  forma 
primitivamente  assunta  fu  quella  ove  ne'  tempi  an- 
tichi si  amministrava  la  giustizia,  cioè  la  basilica 
romana,  che  fu  poi  adottata  nei  piìi  cospicui  edifizi 
sacri  nei  primi  secoli  dell'  era  cristiana.  Con  que- 
sto tipo  procede  all'  ap[)licazione  in  num.  4-  progetti 
di  basiliche  cattoliche,  compresa  quella  per  la  cat- 
tedrale di  Torino.  Sopra  tutte  ne  sviluppò  il  siste- 
ma con  molti  disegni  in  quello  pel  santuario  di  N. 
Signora  di  Oropa  ordinatigli  da  S.  M.  la  regina 
M.  Cristina  di  Sardegna  (il  cui  bellissimo  modello 
vedemmo  nella  galleria  Borghese  in  Roma).  È  desso 
a  tre  navi  a  due  file  di  colonne  ioniche,  coperto  a 
volta  con  prospetto  a  portico  colonnato  dello  stesso 
ordine,  e  con  la  parte  superiore  con  ornati  e  figure  in 
musaico,  come  nelle  antiche  nostre  basiliche.  La  sua 
lunghezza  interna  dalla  porta  all'abside  è  di  m.  65  la 
larghezza  di  m.  45,  e  l'altezza  dal  piano  alla  volta 
in.20.  In  tutto  a' poca  differenza  nelle  misure  generali 


135 

come  la  Chiesa  del  Gesù  io  Roma.  Il  monumento 
trovasi  in  costiuzione  avanzata,  la  quale  il  Ca- 
nina visitò  neir  ultimo  viaggio  che  spinse  fino 
air  Inghilterra  pei'  ispezionare  l'altra  fabbrica  di  suo 
disegno  del  restauro  del  castello  ad  Alnwick  per  il 
duca  di  Nortumberland,  ed  in  particolare  le  deco- 
razioni interne  delle  sale  ad  uso  romano  con  molti 
rilievi  e  dorature  e  grandi  camini  di  marmo  con  in- 
taglio e  figure  d'altezza  al  naturale. 

Quanta  celebrità  si  acquistasse  il  commenda- 
tore ,  e  quali  e  quanti  onori  gli  fruttassero  sì  nu- 
merosi, sì  interessanti,  e  si  cospicui  lavori,  può  ognu- 
no immaginarlo.  Solo  accennerò  che  oltre  all'apparte- 
nere a  questa  romana  accademia  d'  archeologia  e 
a  quella  di  S.  Luca,  fu  aggregato  al  collegio  filosofi- 
co, alla  commissione  di  antichità  e  belle  arti,  alla 
congi'egazione  del  Panteon,  agli  istituti  di  Londra 
e  di  Francia,  e  fu  socio  di  molte  altre  accademie 
italiane  ed  estere  di  archeologia  e  di  arti,  che  an- 
darono liete  di  fregiare  del  suo  nome  il  loro  albo. 
Fu  commendatore  degli  ordini  del  Leon  di  Baden, 
di  S.  Salvatore  di  Grecia,  e  di  S.  Giuseppe  di  To- 
scana ,  e  cavaliere  di  non  meno  18  diversi  ordini 
europei. 

Una  gran  medaglia  di  oro  ottenne  per  premio 
dal  reale  istituto  degli  architetti  di  Londra,  che  il 
Canina  offrì  e  lasciò  nel  medagliere  della  accademia 
di  S.  Luca. 

Altre  simili  ebbe  in  premio  dalla  Francia,  dalla 
Prussia:  e  da  altri  sovrani  altri  doni  di  valore. 

Il  maggiore  di  tutti  gli  onori  in  vita  egli  otten- 
ne nel  1855,  allorché  il  municipio  romano  lo    a- 


136 

scrisse  alla  nobiltà  romana,  e  lo  nominò  prosiJenlP 
del  museo  capitolino.  Altre  onorificenze  e  consocia- 
zioni artistiche  ed  archeologiche  incontrò  nel  su» 
viaggio  ultimo  fino  a  Londra.  Nel  ritornare  verso 
Roma  giunto  in  Casale  sua  patria,  quel  municipio  li 
8  del  passato  ottobre  decretò  che  la  contrada  dei 
Giardini  venisse  chiamala  contrada  Canina. 

In  Firenze,  ove  di  anni  GÌ  compì  il  corso  della 
vita ,  ebbe  funerali  decorosi  con  concorso  di  arti- 
sti e  letterati,  ed  ora  gli  eredi  preparano  un  con- 
veniente monumento  da  collocarsi  coi  debiti  permessi 
in  S.  Croce  di  Firenze. 

Il  numero  delle  opere  può  contarsi  negli  elenchi 
stampati,  e  specialmentein  quello  estesissimo  dell'egre- 
gio collega  sigi  abate  Coppi,  riportato  con  tutta  preci- 
sione nel  Giornale  di  Roma  n.  291,  ann.  1856.  Quelle 
che  io  ho  accennate,  mi  sembrarono  di  preferenza 
bastevoli  a  dimostrare  con  quanta  ragione  possiamo 
affermare,  essere  stato  il  commendatore  Canina,  quan- 
to dotto  di  ogni  ramo  di  arte,  altrettanto  indefesso 
operatore  ad  illustrarla,  per  il  che  meritamente  si 
acquistò  la  distinzione  di  esimio  architetto  ed  archeo- 
logo, quale  noi  lo  abbiamo  commendato. 

FoLCIll. 


137 


Lo  Stato   Pontificio,  e  l'Istmo  di   Suez. 
Parole  dì    E.   F-ScarpeUini 

Roma    20  dicembre  1856. 

I.  • 

La  strada  ferrata  da  Roma  ad  Ancona  e  Bologna. 

Jua  scienza  ,  lo  ripeteremo  ancora  una  volta  ,  è 
l'elemento  primo  dell'attuale  progresso  civile:  l'alta 
sua  influenza  sul  ben'  essere  dei  popoli  manifestata 
neir  epoca  presente  è  il  più  gran  fatto  storico  che 
caratterizzerà  Io  spirito  del  secolo  XIX:  la  scien- 
za dopo  essersi  involata  dai  tuguri  dei  filosoti  , 
dai  portici  delle  scuole,  dall'  aule  delie  accademie, 
invase  le  masse  delle  nazioni,  s'impossessò  dei  prin- 
cipi del  loro  commercio,  delle  loro  industrie,  de'le 
arti  loro;  si  mutò  in  altra  forma,  e  dopo  aver  dato 
loro  un  posto  sublimissimo  per  le  cose  sociali,  co- 
minciò e  tuttora  prosegue  a  primeggiare  tutti  gli 
elementi  dell*  attuale  umana  perfettibilità  ed  a 
farsene  signora. 

Quantunque  1'  influenza  scientifica  abbia  pro- 
dotto su  i  destini  delle  nazioni  disastri  e  vantaggi, 
nondimeno  essa  ha  chiamato  velocemente  tutte  !e 
classi  sociali  a  studiare  a  fondo  il  fatto  del  grande 
avvenire;  e  può  dirsi  perciò  a  ragione,  che  1'  ap- 
plicazione delle  scienze  alle  opere  sociali  è  la  leggo 
e  la   norma  del  loro  perfezionamento. 


138 

Avvi  una  prova  evidente  dì  questa  faccenda  nel- 
l'apidicazione  dei  principi  scientifici  ali*  arte  loco- 
motrice. E  di  fatto: 

Le  strade  di  ferro,  questa  sintesi  dei  progressi 
delle  scienze  fisiche,  sono  l'attrazione  materiale  che 
formerà  il  concentramento  di  tutte  le  popolazioni. 

Le  strade  di  ferro,  concatenando  i  differenti  po- 
poli fra  loro,  hanno  unificato  i  loro  interessi,  allon- 
tanato lo  spirito  di  rivalità,  e  reso  accessibilissimo 
lo  studio  e  r  estensione  del  progresso  delle  diffe- 
renti nazioni. 

Le  strade  di  ferro  ruppero  le  barriere  fra  le 
Provincie  delle  nazioni,  e  formarono  delle  Provin- 
cie tanti  sobborghi  delle  città  capitali;  e  di  queste 
tanti  siti  concentrici,  ove  gli  uomini  di  tutti  gli  an- 
goli della  terra  si  dipartiscono  per  sviluppare  le  loro 
idee,  e  scambiare  i  prodotti  industriali  ed  agricoli. 

La  strade  di  ferro  hanno  fuso  gì'  interessi  ,  e 
r  attività  dei  proprietari,  dei  finanzieri,  degli  scien- 
ziati, e  delle  masse  laboriose. 

I  prodotti  delle  strade  ferrate  da  ultimo  sve- 
glieranno  sempre  nei  capitalisti  lo  spirito  di  altre 
intrapi'ese,  e  le  differenti  classi  si  associarono  per 
un  medesimo  scopo. 

Resta  dimostrato  per  tutto  ciò  abbastanza,  che 
le  strade  ferrate  danno  latitudine  allo  ingrandimento 
del  commercio,  della  industria,  dell'  incivilimento. 

Conciossiachè  è  facile  per  noi  valutare  oggi- 
giorno tutta  la  importanza  sulle  utili  e  premurose 
disposizioni  prese  suH'  argomento,  di  cui  è  parola, 
dai  governati  e  dai  governanti:  che,  a  ben  compren- 


139 

dere  la  forza  di  queste  ragioni,  dobbiamo  conside- 
rare, che  non  appena  la  robusta  mente  dell'  AUGU- 
STO PONTEFICE  ebbe  dato  luogo  alle  discussioni, 
agli  studi,  ed  alle  associazioni  relative  ad  uno  dei 
più  importanti  rami  della  pubblica  economia  ,  a 
quello  cioè  risguardante  la  rete  delle  nostre  strade 
ferrate  per  aprire  alla  forza  viaggiatrice  del  vapore 
questa  bella  parte  centrale  della  Italia  ,  e  di  age- 
volare il  trapasso  dall'  uno  all'  altro  dei  mari,  che 
circondano  la  penisola,  e  moltiplicare  col  moto  le 
nostre  potenze  industriali  e  commerciali,  ed  acce- 
lerare quindi  la  circolazione  dei  capitali,  improvvi- 
samente giugnemmoa  questo  grandioso  avvenimento 
perchè  nel  maggio  1856  (1)  ci  veniva  officialmente 
annunziato  da  S.  E.  Rina  mgr.  Giuseppe  Milesi , 
Ministro  del  commercio  e  dei  lavori  pubblici  la  con- 
cessione della  grande  linea  ferrata  da  Roma  ad 
Ancona  e  Bologna  (2):  il  quale  con  rara  intelligenza, 
e  fermezza  cooperò  su  tutto  ciò  che  poteva  con- 
ferire al  buon  successo  onde  recare  in  alto  la  mag- 
giore impresa  assegnata  da  Dio  all'attività  umana 
nella  presente  generazione,  e  che  il  nome  del  Pon- 
tefice si  trovasse  ancora  una  volta  unito  a  tutte  le 
reti  delle  strade  ferrate  in  Italia.  Rallegriamoci  adun- 
que, ed  al  nostro  giubilo  uniamo  un  sentimento 
di  orgoglio  per  il  nostro  prossimo  risorgimento 
commerciale,  considerando,  che  dove  si   parla  una 


(1)  Giornale  di  Roma,  21  maggio.  - 

(2)  L'  esecuzione  e  !'  esercizio  è  dato  alla  società  Casalvadès  e 
C.  rappresentata  dai  sigg.  Felice  Valdès  de  Los.Rios  ,  marchese 
de  Casalvadès,  e  Luigi  Maria  Manzi ,  eh'  è  la  medesima^  la  quale 
si  ebbe  la  concessione  della  via  ferrata  da  Roma  a  Civitavecchia. 


uo 

medesima  lingua  ,  dove  le  abitudini  e  le  simpatìe 
sono  conformi,  è  necessità  di  un  commercio  esteso 
senza  vincoli,  rapido,  unico,  e  solo. 


II. 


L'  Italia  circondata  dalle  Alpi  e  dal  mare,  divisa 
dall'  Apennino  con  un  immenso  sviluppo  dì  coste, 
con  lunghe  valli  che  versano  al  Mediterraneo  ed 
air  Adriatico  le  acque  de'  loro  fiumi;  locata  dì  rim- 
petto  alla  Grecia  ed  alle  provincie  slave  da  una 
parte;  di  rimpetto  alle  rive  dell'Affrica  e  dell'Asia 
minore  dall'altra,  gittando  il  capo  nella  Germania, 
neir  Elvezia,  e  nella  Gallia,  essa  è  come  il  ponte 
che  raggiunge  1'  Oriente  all'  Occidente  ,  ed  acquista 
ogni  giorno  maggiore  importanza  principalmente  per 
la  sua  situazione  mirabile  in  mezzo  a  quel  Medi- 
terraneo ov'è  ricondotto  il  commercio  europeo-asia- 
tico. 

Ma  la  forma  tutta  propria  della  penisola  italiana 
e  la  sua  grande  lunghezza  ,  e  i  gioghi  dell'  Apen- 
nino che  s'  innalzano  come  per  separare  un  mare 
dall'  altro,  renderebbero  quei  mari  e  quei  porti  as- 
sai lontani  se  non  si  fosse  cercato  con  ogni  sforzo 
di  aprire  infra  di  essi  altre  vie  di  comunicazioni: 
e  già  le  strade  feirate  piemontesi ,  e  lombarde  ,  e 
toscane  progrediscono  sempre,  e  tendono  a  ranno- 
darsi fra  loro  ;  le  nostre  da  Roma  ad  Ancona  (1) 
e  Bologna,  non  che  quelle  da  Roma  a  Civitavecchia 


(1)  eh'  è  la  chiave  dell'Italia  centrale,  la  prima  fortezza  dello 
stato  pontificio  ,  il  primo  porto,  la  prima  piazza  dì  commercio,  la 
più  da  antico  tempo  rinomata. 


141 

(in  via  di  esecuzione),  e  l'altra  da  Roma  fino  alla 
vicina  Frascati  (  già  in  attività  )  come  parte  inte- 
grale di  quella  maggior  linea  conducente  al  confine 
di  Napoli  ;  le  altre  di  questo  regno  ,  quella  cioè 
delle  Puglie  ,  quella  degli  Abruzzi  pei  confini  del 
nostro  stato,  non  sono  che  il  compimento  di  questa 
rete  di  comunicazioni  ,  e  che  perciò  i  traffici  ,  le 
negoziazioni ,  gli  scambi,  i  mercati  ,  i  viaggi ,  gli 
affari  in  sómma  e  la  trasposizione  delle  cose  e  delle 
persone  di  ogni  maniera  da  stato  a  stato,  da  città 
a  città ,  da  mercato  a  mercato,  dal  monte  al  piano, 
dai  porti  alle  città,  crescerà  in  maggior  mole  il  va- 
lore alle  produzioni  di  tutti  gli  stati  italiani. 

Lo  stato  pontificio  però,  trovandosi  geografica- 
mente locato  al  centro  d'Italia,  può  aspirare  per  la 
sua  positura  piià  di  ogni  altro  stato  della  penisola 
a  vantaggi  generali  di  nuova  e  maggiore  infiuenza 
commerciale:  perchè  questa  celere  trasposizione  di 
cose  e  di  persone  di  ogni  maniera  che  andrà  a 
congiungere  una  capitale  come  Roma,  ricca,  popo- 
losa, insigne  per  monumenti  di  arte,  con  Rologna 
città  considerevolissima  e  punto  di  comunicazione 
coll'alta  e  bassa  Italia  e  con  la  Toscana,  diverrà  il 
recapito,  il  convegno,  il  centro  del  movimento  com- 
merciale interno  coli'  esterno  dello  stato,  con  reci- 
proco vantaggio  dei  produttori  ,  dei  consumatori  , 
dei  commercianti  ;  e  come  patrimonio  d'  incivili- 
mento, di  scienze,  di  lettere,  di  arti,  e  diremo  an- 
cora di  concordia. 

Onde  deriva,  che,  Roma  essendo  pur  centro  al- 
l' orbe  intero  pel  primato  della  religione  sostenuto 
dal  Sommo  Pio  IX.,  l'importanza  delle  vie  ferrato 


142 

pontificie  è  non  che  italiana  ed  europea,  ma  uni- 
versale. 

III. 

Planisferio  del  commendatore   Girolamo    Pelri. 

Il  Planisferio  del  distintissimo  sig.'  commenda- 
tore avv.  Girolamo  Petri  ,  testé  da  esso  delineato 
con  molto  intendimento(l), serve  mirabilmente  per  i 
nostri  lettori  a  conoscere,  a  confermare,  come  in  Italia 
e  precipuamente  nella  nostra  Roma,  oltre  la  centra- 
lità religiosa,  compiremo  l'aspettata  prosperità  cui 
ha  posto  mano  il  PRINCIPE  di  tutti  i  Principi  , 
che  per  nostra  ventura  Iddio  pose  in  tanta  emi- 
nenza di  seggio. 

Ognuno  poi  plaudirà  l'idea  del  Petri  per  avere 
locata  a  destra  della  carta  le  Americhe,  anziché  a 
sinistra:  conciossiachè  egli  prese  a  centro  del 
globo  il  mar  Mediterraneo,  perchè  presso  a  que- 
sto (  neir  Asia  minore  bagnata  dal  Mediterraneo  ) 
Iddio  mostrò  la  sua  onnipotenza  e  la  sua  sapienza 
creando  1'  uomo ,  il  quale  dotato  per  la  divina 
impronta  delle  più  sublimi  facoltà  ,  die  comincia- 
mento  alla  storia  dei  tempi,  alla  sua  civiltà,  ai  suoi 
rapporti  ,  e  peichè  ivi  ebbe    culla  la  nostra    Teli- 


li) Noi  avemmo  l'  allo  onore  di  esser  primi  a  pubblicarlo  nel 
Bulletlino*  della  corrispondenza  scientifica  in  Roma,  e  nnovamenle 
1'  offeriamo  agli  onorevoli  leggitori  di  questo  giornale  con  gra- 
zioso e  generoso  permesso  del  Petri  ,  che  il  tien  pronto  pel  suo 
nuovo  Atlante  Ecclesiastico  ,  proponendosi  di  darlo  in  luce  col 
titolo  di  ORBE  CATTOLICO. 


US 

gione  ssina  ,  e  sì  ancora  perchè  il  Mediterraneo 
non  perde  mai  questa  centralità.  -  In  vero,  se  l'uomo 
piiì  estendeva  le  sue  scopei'te  nell'  Asia  ,  scopriva 
in  appresso  dall'altro  l'America;  se  più  si  avvicinava 
all'artico  boreale  non  istava  molto  ad  estendersi  al- 
l'antartico od  australe:  e  così  il  Mediterraneo,  e  con 
esso  r  Italia  che  lo  fende  nel  mezzo,  conserva  tut- 
tora ,  come  si  vede  ,  la  sua  posizione  centrale  del 
mondo  incivilito,  e  commerciale. 

IV. 

L' istmo  di  Suez. 

Né  meno  grandi  saranno  poi  i  vantaggi  inter- 
nazionali che  le  nostre  strade  di  t'erro  unite  alle  altre 
daranno  alla  Italia.  —  Lo  sviluppo  imnienso  ,  che 
la  civiltà  riprende  in  Oriente  ,  1'  estensione  della 
colonizzazione  francese  in  Affrica,  la  prossima  e  sor- 
prendente comunicazione  del  mar  Rosso  col  Mediter- 
raneo per  l'apertura  dell'  istmo  di  Suez  daranno  mai 
sempre  un  movimento  stiaordinario  fra  l'Oriente  e 
l'Occidente;  ma  pur  sarà  senza  confronto  il  mezzo 
più  energico  a  produrre:  1°,  l'accrescimento  cioè  delle 
nazioni  crisiiane,  e  l'incivilimento  d'una  parte  consi- 
derevole della  umanità  divisa  e  guidata  da  religioni 
diverse:  2%  certamente,  diceva  poco  fa  la  onorevole 
compilazione  del  Bullellino  deW  istmo  di  Suez  ,  il 
collegio  dì  Propaganda  penserà  a  questa  provvidenza, 
e  il  Sommo  Pontefice  che  è  principe  in  Italia,  e 
tiene  la  mano  sulle  due  acque  dalla  penisola,  vorrà 
considerare  il  vantaggio  materiale  e  morale  che    sta 


in  sua  mano  di  procacciare  per  sua  gran  parie  e  al- 
l'Italia  e  all'Affrica  e  all'Asia  (1). 


1  navigli  per  il  taglio  di  Suez,  che  sarà  una  delle 
più  splendide  glorie  della  industria  moderna  (2),  non 
gireranno  più  intorno  all'Affrica  per  venire  in  Europa, 
né  per  passare  dall'  Europa  all'Asia  ed  all'Oceania; 
il  mar  Rosso  ed  il  Mediterraneo  saranno  i  mari  fre- 
quentatissimi ,  ed  i  porti  della  Grecia,  le  isole  del 
Mediterraneo,  i  porti  della  Sicilia,  Napoli,  Civitavec- 
chia, porto  d'Anzio,  Livorno,  Ancona,  Genova,  Marsi- 
glia assumerebbero  una  importanza  straordinaria  ma- 
rittima e  commerciale. 

Noi  non  enumereremo  le  conseguenze  quando 
l'Inghilterra,  la  Francia,  la  Germania  per  ragione  di 
brevità  di  tempo  dovrà  traversare  l'Italia  e  toccare 
i  suoi  porti,  perchè  saranno  bene  sviluppate  da  coloro 
che  dediti  interamente  al  commercio  si  sono  già  in- 
terpellati reciprocamente  e  sono  intenti  a  rispondere 
al  quesito  propostosi:  «  Quali  saranno  i  vantaggi  che  lo 
stalo  pontificio  trarrà  dal  taglio  delV  istmo  di  Suez  ?  » 
solamente  diamo  un  rapido  cenno  di  alcune  idee  ge- 
nerali suggeriteci  in  proposito  da  una  mente  peri- 
tissima in  simili  materie. 

Roma  per  mezzo  dei  nostri  porti  d'Anzio  e  Ci- 
vitavecchia, non  che  della  unione  dei  due  mari  per 


(1)  Torino   1836;  num.  2,  31   luglio. 

(2)  La  Corrispondenza  scientifica  in  ^omo  si  vanta  oggidì  averla 
preconizzata  lìii  dal  setlembrc  del   1847. 


145 

le  nostre  vie  ferrate  convergenti  poi  in  grandi  centri 
e  confinanti  con  le  migliori  linee  degli  stati  limitrofi, 
come  ogni  altro  paese  di  primo  scalo  avrebbe  il 
primo  deposito  di  una  parte  dei  cotoni  ,  dei  catfò, 
i  pepi  di  Sumatra  e  Java  ,  i  sevi,  le  lane,  i  cuoi 
dell'Australia,  e  la  scala  prolungatissima  dei  medici- 
nali i  pili  costosi  e  ricercati;  o  sarebbe  il  mezzo  di 
transito  ad  una  grande  quantità  di  altri  prodotti  , 
che  0  si  consumano  nello  stato,  o  che  dallo  stato 
si  diramerebbero  per  1'  Italia  centrale,  come  sopra 
annotammo. 

Air  attuale  nostra  raffineria  seguirebbero  pron- 
ta mente  molte  raffinerie  per  zuccari  moscavati  , 
che  direttamente  giugnerebbero  dalle  Filippine  : 
mentre  per  quanto  nuovi  fossero  i  nostri  stabili- 
menti offrirebbero  sempre  gran  convenienza  sopra  i 
prodotti  che  ora  consumiamo  dell'Olanda  e  dellTn- 
ghilterra,  una  volta  che  le  materie  grezze  ci  sareb- 
bero tanto  vicine. 

Quante  jnercanzie  non  potrebbero  le  nostre  navi 
portare  nell'Abissinia,  il  cui  commercio  si  limita  al 
cambio  primitivo  in  alcune  popolazioni  dell'interno 
dell'Affrica?  Di  quanta  utilità  sarà  per  noi  se  si  sta- 
biliranno delle  relazioni  col  Yemen,  e  precipuamente 
colla  città  di  Moka,  gran  mercato  di  caffè,  di  gomma, 
d' incenso;  colla  città  commerciale  di  Beit-el-Jakih, 
dove  i  persiani  ed  i  turchi  vanno  a  comperare  il  caffè 
e  che  resta  un  tre  miglia  discosta  dal  mare;  nell'Ara- 
bia-petrea,  sulle  cui  coste  sono  numerosissime  rocche 
di  coralli;  a  Dehidda,  che  può  considerarsi  come  il 
porto  della  Mecca  e  città  mercantile  ,  frequentata 
dalle  navi  indiane  ed  egiziane  ,  e  dalle  grandi  ca- 
G.A.T.CXLV.  10^ 


U6 

ravane  di  pellegrini  che  vengono  dalla  Turchia,  dal- 
l'Egitto, da  tutta  Affrica  settentrionale,  dalla  Persia, 
dall'  Indostan  e  dall'Arabia  per  visitare  la  Kaaba,  e 
bere  l'acqua  sacra  del  rivoletto  Zemsen,  mostrala 
miracolosamente  ad  Agar  per  dissetare  il  morente 
Ismaele,  ma  stessamente  per  comperarvi  e  per  ven- 
dere ? 

Sarà  poi  cosa  stupenda  per  noi  il  commercio  delle 
sete  grezze  cinesi,  bengalesi  e  persiane,  che  potrebbe 
piantarsi  nel  nostro  stato  e  farsi  presso  noi  quello 
che  si  fa  in  Inghilterra.  11  commercio  delle  séte  è 
di  carattere  tutto  italiano.  Lo  stato  pontificio  fa  passi 
progressivi  in  questo  ramo  d'industria  in  senso  agri- 
colo, e  come  manifatturiero  la  filatura  della  seta 
comincia  a  rivalizzare  con  altri  luoghi  di  famigerata 
produzione,  mercè  anche  l'incoraggiamento  che  ne 
dà  il  governo. 

Oggi  r  Inghilterra,  e  il  Nord-Ovest  del  continente 
europeo  assorbono  tutto  il  commercio  della  Porsia, 
di  tutte  le  terre  australi:  ciascuno  dai  propri  e  dagli 
altrui  possedimenti  o  dagli  stessi  regni  e  governi 
asiatici  ed  oceanici  importa  a  casa  propria,  da  dove 
poi  diramano  i  prodotti  di  quelle  terre  lontane  per 
tutta  Europa  centrale  e  meridionale  aumentati  dei 
valori  primitivi  in  ragione  dei  nuovi  trasporti,  e  del 
passaggio  di  due  e  taloi-a  tre  o  quattro  gradi  di 
commercianti,  i  quali,  com'  è  ben  naturale,  tutti  uti- 
lizzano sulle  merci ,  e  ne  fanno  progressivamente 
aumentare  il  valore. 

Tutti  sanno  come  il  sig.  Lesseps  ha  bene  di- 
mostrato quanto  debba  avvantaggiarsi  su  questa  im' 


Ji7 

presa  destinata  ad  accorciare    di  quasi    a   metà  la 
distanza  che  separa  TOccidente  dall'Orienle. 

La  seguente  tavola  però  servirà  a  dare  una  idea 
più  chiara,  coll'aiuto  sempre  del  pregevole  Planisferio 
del  Petri,  prendendo  per  punto  di  arrivo  Bombay,  e 
per  direzione  l'istmo  di  Suez,  paragonato  a  quello 
dell'  Atlantico: 

Distanza  fra  i  porli  BOMBAY 

di  Europa  e  di 
America,  e  per  Suez:  per  l'Atlantico:  Differenza. 


Marsiglia   .  . 

.  .     2,374 

5,650 

3,276 

Costantinopoli 

.      1,800 

6,100 

4,300 

Trieste   .  .  . 

.  .     3,340 

5,960 

3,610 

Sicilia    .  .  . 

•     2,068 

5,806 

3,744 

Cadice   .  .  . 

.     2,224 

5,200 

2,976 

Lisbona  .  .  . 

.  .     2,500 

5,350 

2.850 

Londra  .  .  . 

.     3,100 

5,950 

2,850 

Liverpool  .  .  . 

.     3,050 

5,900 

2,850 

Amsterdam  . 

.     3,100 

5,950 

2,850 

Pietroburgo 

.     3,700 

6,550 

2,850 

Nuova  York 

.     3,761 

6,200 

2,489 

Nuova  Orleans 

j  .     3,724 

6,460 

2,726 

Leghe  di  4  kilomelri 


Mostreremo  ancora  il  seguente  prospetto  per  far 
conoscere  in  che  proporzioni  i  vari  stati  d' Italia 
sono  a  portata  di  trarre  profitto  di  questo  gran 
mutamento  che  si  prepara. 


U8 
MARINA  MERCANTILE  ITALIANA 

Navi  Tonnellate  Marini 

Nopoli M03)9„4  166,524)213  ,93  'i'^fr^h^M 

Sicilia 2,371)  46,674)  12,208) 

Stati  Sardi     .  .  3,173  177,822  30,250 

Venezia  ....  1,810  31,741  7,000 

Stati  PontiEcii    1,846  31,167  9,789 

Toscana  ....      911  37,507  10,000 


Totale  16,914  491,435  109,553 

Vorranno  dunque  e  sapranno  i  navigatori  e 
commercianti  italiani,  e  quelli  particolarmente  dello 
stato  pontificio,  profittare  di  questa  brillante  occa- 
sione che  offre  loro  fortuna.  E  bisogna  fare  que- 
sto ragionamento,  che  la  più  parte  dei  vasti  e  po- 
polosi paesi,  ai  quali  noi  ci  troveremo  di  tanto  spa- 
zio e  tempo  ravvicinati,  sono  per  lo  più  felici  per 
la  fertilità  della  terra;  e  particolarmente  con  taluni 
abitatori  semplicissimi  di  costumi,  i  quali  non  han- 
M)  nò  notizia  di  scienze  ,  ne  perizia  di  artificii  , 
non  industria,,  né  alcuna  comodità  della  vita:  onde 
sarebbe  cosa  agevolissima  a  noi  portarvi  i  prodotti 
delle  nostre  industrie  anche  più  volgari  senza  te- 
mere la  concorrenza  di  altre  nazioni.  Perciocché 
là  dove  tutto  manca,  ogni  cosa  acquista  gran  pre- 
gio: tutto  sta  neir  essere  primi  a  giungere,  ed  a 
recarsi  in  mano  quei  traffichi. 


149 
VI. 

Società  ^Jontificia  di  navigazione  a    vapore 

A  for  quindi  conoscere  come  in  Roma  siasi  bene 
inteso  il  novello  prodigioso  taglio  dell'istmo  di  Suez, 
e  come  si  dispone  a  prendere  il  più  prontamente 
possibile  la  sua  parte  legittima  per  il  nostro  mag- 
gior progi'esso,  diremo,  che  oltre  al  segnare  una  rete 
di  strade  ferrate  ,  il  SANTO  PADRE  considerando 
sempre  i  grandi  mutamenti  che  dovrà  subire  la  na- 
vigazione, e  le  varie  intraprese  commerciali,  e  non  vo- 
lendo lasciare  isolato  lo  spirito  di  previdenza  cittadina, 
si  è  pur  degnata  di  permettere  la  formazione  di  una 
società  anonima  col  titolo  di  società  pontificia  di  na- 
vigazione a  vapore,  la  quale  (1)  si  propone  di  met- 
tere in  diretta  e  regolare  comunicazione  fra  di  loro 
i  vari  porli  e  luoghi  commeiciali  sulle  rive  dell'A- 
driatico, e  del  Mediterraneo,  e  promuovere  in  tal  modo 
vieppiìi  le  scambievoli  relazioni,  facili,  pronte,  e  men 
costose,  onde  crescendo  i  rispettivi  concambi  pos- 
sibili, la  prosperità  delle  uno  frutti  eziandìo  alle  al- 
tre (2). 


(1)  Ideata,  e  promossa  dal  sig.  Giovanni  Contedini,  minutante  del 
ministero  del  commercio. 

(2)  Ad  incoraggiare  poi  la  società  ,  Sua  Beatitudine  si  è  pure 
degnata  di  accordare  alia  medesima  per  dieci  anni  il  privilegio 
esclusivo  per  lo  esercizio  di  questa  navigazione;  cosicché  durante 
questo  tempo,  nessun  altro  possa  attivarne  una  simile  nello  stato 
pontificio  :  a  condizione  peraltro,  che  la  società,  dentro  un'anno 
dal  giorno  della  partecipazione  del  relativo  decreto  ,  siasi  legal- 
mente costituita  ed  abbia  presentato  l'atto  di  sua  costituzione  e  di- 
mostrato di  avere  a  disposizione  i  mezzi  necessari  alla  buona  riu- 
scita della  impresa.  (Giornale  di  Roma  del  29  luglio  1856  n.   172). 


150 

VII. 

Coirispondenza  diurna 
meleorologica-telefjrafica  ponlilkia. 

Nel  valutare  i  vantaggi  delle  soviaccennate  con- 
cessioni ci  è  grato  il  poter  anche  qi>i  citare  la  no- 
stra applicazione  del  telecjrafo  elettrico  alle  meteoro- 
logia, perchè  Roma  fu  la  prima  di  ogni  altro  stato 
di  Europa  e  di  America  a  segnalare  questo  studio: 
che  nessuno  ignora  come  si  attenda  il  suo  maggior 
sviluppo  dalla  discussione  delle  osservazioni  a  tra- 
smissione telegrafica,  fatte  simultaneamente  in  punti 
distanti  fra  loro;  e  quindi  far  comprendere  la  sua 
utilità  per  la  navigazione  sulle  due  nostre  coste  ma- 
rittime separale. 

Sono  parole  della  compilazione  del  torinese  Bui- 
lettino  dell'istmo  di  Suez,  che  noi  poniamo  sott'  oc- 
chio dei  nostri  lettori: 

))  L'Italia  intera  e  le  altre  nazioni  (1)  trove- 
ranno pure  in  Roma  istituita  una  corrispondenza  me- 
teorologica-telegrafìca  diurna,  che  ora  volge  nel  suo 
secondo  anno,  per  mezzo  della  quale  dopo  un  pe- 
riodo di  osservazioni  e  sperimenti  si  andrà  a  cono- 
scere quale  andamento  terranno  le  tempeste  nel  pro- 
pagarsi da  paese  in  paese,  dall'Adriatico  al  Medi- 
terraneo e  viceversa.  Quanti  naufragi  cosi  non  sa- 
ranno evitati  o  col  richiamare  in  porto    mercè  dei 


(1)  Discorrendo  su   i  nostri  vantaggi  per  la    canalizzazione  del- 
l'istmo  di  Suez.  -- N.  5,    16  settembre  1836. 


151 

segnali  i  bastimenti  vicini  alle  coste  pericolose  ,  o 
col  fare  differire  Tuscita  ai  legni  in  caso  di  vicina 
burrasca?  In  fotti  da  precedenti  osservazioni  già  sap- 
piamo come  tanti  uragani  formatisi  in  terra  vadano 
a  sfogarsi  in  mare,  e  centinaia  di  bastimenti  sor- 
presi all'imprevista,  periscono.  —  Pochi  anni  fa  sa- 
rebbe stato  una  chimera  il  dirlo;  ma  ora  che  il  te- 
legrafo elettrico  è  là,  si  possono  salvare  migliaia  di 
vite  e  di  capitali  in  pochi  secondi,  e  far  arrivare  l'av- 
viso anche  molte  ore  prima  che  l'aria  cominci  ad 
intorbidirsi  nel  luogo  ove  fra  non  molto  passerà  la 
tempesta. 

))  I  naviganti  ed  i  commercianti  pertanto  del  vec- 
chio e  nuovo  mondo  non  rimarranno  iudifterenti  alla 
importanza  della  novella  istituzione,  e  comprende- 
ranno che  Roma  offre  loro  un  mezzo  sicuro  di  met- 
tersi in  guardia,  prima  di  esporsi  a  mare  aperto  ad 
affrontare  perigli  «. 

Accanto  a  questi  pronostici  diretti  ed  immediati 
sulle  romane  osservazioni  telegrafate,  è  necessario 
ricordare  anche  le  relazioni  che  legano  strettamente 
questa  scienza  e  alla  geografìa  botanica,  e  alle  bran- 
che diverse  della  tìsica  del  globo,  e  da  ultimo  le  sue 
applicazioni  alla  igiene  ,  e  per  conseguenza  la  sua 
influenza  sul  ben  essere  e  la  sanità  delle  popolazioni. 
L'  agrigoltura,  la  medicina,  V  ingegnere,  il  geologo 
e  il  naturalista  verranno  a  mano  a  mano  ad  attin- 
gere a  questa  sorgente  di  già  feconda  in  preziosi 
risultamenti,  e  dalla  quale  l'avvenire  ne  promette  an- 
cor più  brillanti  ,  mercè  di  quegli  incoraggiamenti 
che  non  gli  mancheranno  dall'  eccelso  Ministero 
del   commercio  e  dei  lavori  pubblici. 


152 
Vili. 

Provvidenze  agricole  nello  sialo  jmntificio. 

Due  opposte  scuole  economiche  nel  secolo  de- 
cimo-ottavo si  quistionarono  il  privilegio  di  presie- 
dere al  reggimento  della  cosa  pubblica  e  di  dettare 
le  norme,  secondo  le  quali  deve  amministrarsi  uno 
stato  perchè  prosperi  e  superi  gli  altri  in  possanza 
e  ricchezza.  -  11  Colbert  (1)  e  i  suoi  seguaci  affer- 
mavano essere  utile  promuovere  le  manifatture  in- 
digene ed  il  commercio  anche  a  costo  di  grandi  sa- 
grifici  e  con  detrimento  della  produzione  territoriale. 
I  discepoli  del  Quesnay  all'  incontro  proclamavano 
l'agricoltura  unica  sorgente  di  vera  ricchezza;  utile 
e  legittimo  ogni  favore  che  le  si  accordasse.  Gli  uni 
militavano  a  prò  delle  classi  medie  e  degli  abitanti 
della  città, e  traevano  argomento  dalla  prodigiosa  opu- 
lenza di  taluni  paesi  manifattori  e  commercianti;  lad- 
dove gli  altri  invocavano  le  massime  della  sapienza 
antica,  e  sposavano  la  causa  dei  proprietari  e  dei 
contadini. 

Non  andò  guari  però,  che  riformatosi  mano  mano 
l'ordine  civile,  un  esame  più  profondo  della  econo- 
mia della  società  rese  manifesti  i  vizi  dell'una  e  del- 
l'altra dottrina;  e  sulle  norme  dell'autore  della  Ric- 
chezza delle  nazioni,  che  fu  l'onorevole  Smith,  si  pose 
le  basi  di  una  dottrina  più  ragionevole  e  progressiva 
proclamando  esso  1'  agricoltura  essere  sorgente  di 


(1)  Associazione  agraria  degli  slati  sardi. 


153 

ricchezza  ,  o  meglio  ,  per  usare  il  linguaggio  della 
scuola,  di  utilità  creata.  Però  inveterati  pregiudizi  fu- 
rono d'inciaaipo  ai  migliori  economisti  di  questo  secolo 
nella  loro  pratica  attuazione  professando  quella  verità 
dallo  Smith  proclamata:  ma  la  società  tutta  essendo 
convinta  che  il  pubblico  ben  essere  dipende  dal  mi- 
glioramento dell'agricoltura,  si  vide  come  si  vede  al 
presente  l'attenzione  universale  rivolta  su  questo  im- 
portantissimo argomento.  Quindi  instituti,  scuole  agra- 
rie, poderi  modelli,  banche  di  credito  agrario. 

La  stampa  periodica  oggidì  non  cessa  dal  solle- 
citare i  governi  italiani  ad  emettere  più  efficaci  prov- 
vedimenti a  vantaggio  dell'agricoltura  per  dare  ad 
essa  quello  slancio  che  ha  preso  in  contrade  meno 
produttive,  indicando  i  mezzi  da  porre  in  opera,  e  pre- 
pararsi utilmente  al  grande  cangiamento  nel  com- 
mercio del  mondo  sull'apertura  dell'istmo  di  Suez. 

Ebbene;  i  nostri  onorevoli  lettori  già  sanno  che 
lo  stato  pontificio  si  distingue  sopra  tutti  gli  altri 
stati  italiani  per  il  numero  delle  scuole  ed  istitu- 
zioni agrarie;  e  che  V insegnamento  non  solo  trovasi 
instituito  nelle  principali  città,  incominciando  da  Ro- 
ma, ma  si  va  estendendo  anche  nelle  città  minori, 
ottenendone  pure  ancora  tutto  il  favore  della  s. 
Congregazione  degli  studi,  e  quindi  per  i  spessi  in- 
coraggiamenti del  Ministero  del  commercio. 

Per  addimostrare  ora  come  il  S.  Padre  ed  il  suo 
governo  s' interessino  al  prosperamento  della  nostra 
agricoltura,  prosperamento  che  ha  base  negli  studi 
e  nei  lavori  delle  istituzioni  agrarie  per  il  suo  mag- 
giore sviluppo,  sempre  in  riflesso  delle  conseguenze 
del  taglio  àelVistmo  di  Suez,  diamo  qui  conto  di  una 


154 

recente  circolare,  sapientemente  sviluppata,  di  S.  E, 
Rma  monsignor  Mertel  Ministro  deirinterno,  la  quale 
tende  a  somministrarci  elementi  di  grandezza,  e  più 
reali  vantaggi  dal  felice  successo  dei  nostri  sforzi. 

Per  tutti  questi  titoli  Roma  merita  certamente 
la  speciale  attenzione  della  pubblica  opinione,  per- 
chè fin  dal  10  giugno  1856  prese  prima  di  ogni  al- 
tro paese  italiano  l'iniziativa  onde  dare  alla  nostra 
agricoltura  quello  sviluppo  tanto  desiderato,  e  contri- 
buire per  la  sua  parte  al  successo  di  una  bella  ed 
utile  intrapresa. 

Rechiamo  in  sunto  la  circolare  medesima: 

»  Il  Ministero  deirinterno,  dice  il  Ministro,  ri- 
conoscendo, che  1'  agricoltura  nello  stato  pontifìcio  è 
suscettibile  in  alcune  parti  di  aumento  e  di  miglio- 
rìe, agli  eccitamenti  che  fu  mai  sempre  premuroso 
di  dare  al  maggiore  sviluppo  dell' agricoltura,  è  ora 
in  speciale  dovere  d'interessarsi  in  ciò  con  tanto  più 
intenso  impegno,  perchè  ritenutosi  come  uno  dei  modi 
efficaci  a  raggiungere  il  bramato  intento  quello  de- 
gli studi  dell'accademie  agricole,  la  Santità  di  No- 
stro Signore,  nell'applaudire  e  proteggere  simili  be- 
nemeriti insti  luti,  ama  ch'eglino  siano  aumentati  tanto 
generalmente  quanto  la  possibilità  de'migiioramenli 
richieggono. 

»  Volendo  dare  novello  impulso  alla  parte  pra- 
tica e  più  alla  scienza,  la  Santità  Sua  non  solo  ha 
degnato  disporre  che  siano  incoraggiati  gli  attuali 
instituti  agrari  al  pioseguimento  de'Ioro  lavori,  e  in- 
vitati a  comunicare  quei  risultamenti  che  possono 
impegnare  la  considerazione  del  governo,  ma  inca- 


155 

rica  il  Minist<n'0  a  promuovere  simili  iuslituzioni  mer- 
cè l'impegno  de'  presidi  delle  pioviiicie  ove  ancora 
non  sono  costituite. 

))  11  MinisLero  impegna  la  zelante  cooperazione 
dei  presidi  per  procurare  l'effetto  delle  benefiche  in- 
tenzioni del  Santo  Padre  sulla  erezione  di  nuovi  in- 
stituti  agrari,  il  cui  vantaggio  è  ben  singolare  spe- 
cialmente in  quelle  città  e  provincie  dello  stato,  che 
sfornite  per  la  loro  posizione  di  modi  contribuenti 
all'attività  del  commercio,  e  che  riconoscendo  la  loro 
sussistenza  dal  solo  prodotto  della  terra,  hanno  d'uopo 
di  maggiori  lumi  sulla  forza  produttrice  di  questo 
elemento  e  sul  modo  di  renderlo  fecondo,  introdu- 
cendo nelle  coltivazioni  i  miglioramenti  opportuni 
per  la  più  prospera  fertilità  della  terra,  e  per  le 
più  vantaggiose  conseguenze  al  commercio  dello 
stato  ec.   )) 

E  qui  non  dobbiamo  omettere,  che  l' eccellenza 
di  monsignor  Ministro  del  commercio,  sempre  lau- 
dabilmente secondando  le  generose  disposizioni  del 
Pontefice,  con  un  dispaccio  del  25  giugno  pure  di  que- 
sto anno  esprimeva  con  molto  accorgimento  il  de- 
siderio di  formare  annualmente  un  prospetto  slati- 
stico  delle  basi,  sulle  quali  sono  fondali  gl'instituti 
agrari  e  le  accademie  sociali,  e  il  loro  relativo  svi- 
luppo, onde  ,  ove  occorra,  promuovere  vieppiù  no- 
velli incoraggiamenti. 

Finalmente  l'eccitamento  ed  il  vivo  interesse  che 
ha  destato  nello  slato  pontificio  la  speranza  di  ve- 
dere aperta  alle  navigazione  l'istmo  di  Suez  sono  con- 
fermati, oltre  gl'incoraggiamenti  governativi,  dal  ve- 


156 

dere  comparire  non  solo  una  società  già  sopra  no- 
minata, il  cui  scopo  è  di  porre  in  navigazione  quattro 
navi  ad  elice,  o  sistema  misto  di  più  che  1000  ton- 
nellate ciascuna,  ma  capitalisti  anconitani  scorgendo 
il  ben  essere  ,  al  quale  potrà  aspiiare  la  loro  patria  , 
coraggiosamente  fanno  costrurre  in  quel  can- 
tiere due  navi,  nientedimeno  della  portata  di  1000 
e  piii  tonnellate,  le  quali  attireranno  l'ammirazione 
ed  il  plauso  dei  marini  i  piiì  eruditi;  e  che  locate 
le  une  e  le  altre  rinipetto  alle  ferrovie  saranno  va- 
levolissime ad  aumentare  viemaggiormente  il  pro- 
prio traffico  nella  nuova  via  commerciale- 

Roma  perciò  prevede  e  provvede,  perchè  già  le 
camere  di  commercio  di  Ancona  e  di  Civitavecchia 
sono  state  interpellate  dal  Ministero  del  com- 
mercio per  istudiare  ,  proporre  provvedimenti  da 
attivarsi,  onde  ottenere  dall'apertura  di  Suez  il  no- 
stro maggior  possibile  vantaggio  e  profitto  che  da 
esso  ne  deriverà:  e  ciò  dimostra  1'  intelligente  spi- 
rito che  guida  il  Ministro. 

La  nuova  via  di  commercio  adunque  sarà  tutta 
attraverso  l'Italia  ;  né  le  nazioni  potranno  percor- 
rerla senza  servirsi  dei  nostri  porti,  delle  nostre  strade 
ferrate:  e  i  nostii  lettori  saranno  pur  grati  al  signor 
commendatore  Petri  che  con  il  suo  Planisferio  ci 
ha  dato  un  chiaro  intendimento  per  non  farci  ri- 
manere neghittosi  ed  incerti  in  un  momento  di  mas- 
sime giavità. 

Commercianti  e  capitalisti  dello  stato  pontificio, 
la  esecuzione  della  impresa  del  Lesseps  acquista  ogni 
giorno  in  probabilità;  essa  è  destinata  ad  aprirci  un 


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157 

vasto  campo  alla    operosità  ;    le    condizioni  nostre 
sono  favorevoli,  non  resta  che  volere  !  (1) 

Erasmo  Fabri-Scarpellini 


(1)  Vuole  giustizia,  che  i  nostri  lettori  abbiano  conoscenza  come 
il  oh.  sig.  commendatore  Luciano  Milaiita,  console  ^en.  pontificio 
in  Odessa,  attualmente  in  Roma,  uomo  di  vastissime  cognizioni 
per  tutto  ciò  che  riguarda  commercio  e  marina,  in  vari  ragiona- 
tissimi  rapporti  all'eccelso  ministero  del  commercio  ,  francamente 
assicurava  i  sommi  vantaggi,  che  avrà  Roma  dinanzi  all'istmo  che 
sta   per  aprirsi  alla   umana  attività. 


158 


Sulla  filosofia  deWarle.  Ragionamento  primo  ,  lello 
da  Giovanni  Torlonia,  socio  ordinario  delVacca- 
demia  di  archeologia,  nelVadunanza  degli  Arcadi 
il  \^  settembre   1856  (1). 

»  Ovy.avv  imt^'h  "^a^rj  T«g  x«{  ccXJ.vjv 

»  xe)(yy)V  Yjyrtvovv,  ò  ocùrò;  xponòg 
»  vr^g  axéipscjg  taxi  nzpì  ùnaaw  toov 

»    TS^^VflOV  ». 

Ma  sé  prendi  a  considerare  per  intero  sia  la  poe- 
tica, sia  (jiialiin(|ue  altra  arte,  la  ragione  dello 
esalile  e  per  tulle  sempre  la  medesima. 

Platone,  nel  dialogo  intorno  alla 
poesia^  sul  principio. 


Di 


'io  si  manifesta  nel  mondo  sensibile  e  in  quel 
mondo  intelligibile  delle  idee,  cbe  lo  spirito  umano, 
fatto  ad  immagine  dello  spirito  divino  ,  di  nuovo 
pensa  e  svolge  in  sé  medesimo.  I/arte  ha  l'uffizio 
di  riprodurre,  per  quanto  è  possibile,  questo  duplice 
mondo  della  natura  e  del  pensiero;  onde  a  ragione  il 
Tasso,  nel  primo  discorso  sul  poema  eroico,  definisce 
la  poesia,  cbe  è  la  pili  perfetta  delle  arti,  imitazione 
delle  cose  divine  ed  umane;  ma  questa  riproduzione 
od  imitazione  deve  esser  fatta  in  una  forma  tale  cbe 
perfettamente  ed  armonicamente  manifesti  l'Idea:  ed 
in  questo  proprio  consiste  l'eccellenza  dell'arte. 

L'arte  è  dunque  una  riproduzione  dell'Idea  del- 
l'universo, ed  in  questa  definizione  si  comprende  la 
copia  servile  della  natura;  ma  l'arte  nel  senso  più 


159 

alto  di  questo  nome,  la  veia  arte  in  cui  riluce  la 
scintilla  dell'  ingegno,  è  quella  che  riproduce  la  vita 
della  natura  e  dello  spirito,  secondo  che  essa  vien 
trasfigurata  nella  mente  dell'artista.  Il  quale  vive, 
nel  seno  della  umanità  e  della  natura,  riceve  dall'una 
e  dall'altra  le  idee,  gli  affetti,  e  le  immagini;  ma 
poi,  raccogliendosi  nel  silenzio  fecondatore  della  pro- 
pria intelligenza,  crea  un'opera  nuova  che  cori*i- 
sponde  al  tipo  ideale  ch'esso  porta  in  mente  e  all'in- 
dole particolare  della  sua  età  e  del  suo  ingegno  ; 
allora  solamente  l'arte  è  un'operazione  della  facoltà 
produttrice  della  mente  umana,  e  l'artista  è  vera- 
mente degno  del  nome  di  poeta.  Poeta  in  greco  si- 
gnifica propriamente  fattore:  gli  antichi  tedeschi  Io 
chiamavano  con  lo  stesso  nome  di  fattore,  o  creatore, 
scuof,  schópfer,  e  i  provenzali  col  titolo  di  trobaire, 
in  italiano  trovatore  ,  quasi  inventore  di  nuove  cose. 
Sì,  quella  stessa  facoltà  che  fu  chiamata  imma- 
ginazione o  fantasia  ,  la  quale  viene  esercitata  da 
ogni  uomo  nelle  circostanze  più  comuni  della  vita, 
si  solleva  nell'artista  a  potenza  maggiore,  e  viene 
da  lui  esercitata  in  tutto  il  vastissimo  campo  delle 
idee  eh'  esso  riveste  di  forme  sensihili.  Il  che  egli 
può  fare  per  quattro  modi  diversi.  Primieramente, 
avendo  la  mente  fissa  con  assidua  attenzione  a  tutti 
gli  oggetti  naturali,  può  figurare  quelli  tra  essi,  nei 
quali  meno  imperfettamente  che  negli  altri  si  mo- 
stra una  determinata  idea.  La  natura  è  inesauribile 
nelle  sue  manifestazioni,  e  l'artista  dee  tutte  osser- 
varle con  sollecitudine  amorosa  ,  non  dee  lasciarsi 
sfuggire  alcuna  delle  sue  bellezze,  alcuna  delle  sue 
aiinonic.  Talvolta  certe  belle  figure  nelle  opere  di 


160 
pittura,  certe  movenze  vigorose  o  leggiadre,  certi 
volti  animati  da  un  carattere  peculiare  sono  copie 
di  modelli  viventi,  e  di  atteggiamenti  naturali  presi 
dal  popolo:  e  fu  il  genio  dell'artista  che  seppe  sce- 
glier quelli  fra  molti  perchè  più  si  avvicinavano  al 
tipo  ideale.  Il  nostro  Pinelli  tolse  i  suoi  stupendi 
disegni  dalle  scene  della  vita  popolare  di  Roma,  e  il 
Rossini  prese  una  delle  melodie  piiì  gentili  del  suo 
Barbiere  da  una  canzone  che  un  monello  andava  can- 
terellando di  sua  fantasia  perle  strade  della  città.  Edi- 
fatti  se  questo  studio  della  natura  è  profittevole  in  ogni 
paese,  lo  è  tanto  più  in  questa  Italia,  in  cui  le  cose  na- 
turali sono  sì  varie,  e  sì  vicine  all'ideale  del  sublime  e 
del  bello.  Quale  artista  non  s'inspira  in  quest'aere  lim- 
pido e  uminoso,in  questo  vivo  azzurro  del  nostro  cie- 
lo, nelle  forme  graziose  de'nostri  colli,  nella  vista 
incantevole  de'nostri  golfi  inghirlandati  di  giardini  e 
di  villaggi,  nel  maestoso  o  terribile  aspetto  del  no- 
stro A  pennino  ?  Nessun  popolo  ha  come  il  nostro 
tanta  naturale  maestà  e  gentilezza  nel  portamento, 
e  un  carattere  sì  vigoroso  e  tanta  bellezza  nel  volto 
siccome  il  nostro. 

In  secondo  luogo  l'artista  non  rinvenendo  in  un 
solo  individuo  tutti  gli  elementi  necessari  ad  espri- 
mere il  suo  concetto,  li  va  raccogliendo  da'vari  og- 
getti del  mondo  reale,  ed  in  questo  esso  opera  per 
la  virtù  sintetica  del  suo  intelletto.  A  questo  pro- 
posito scriveva  ottimamente  il  Giraldi  sul  finire  del 
secolo  XVI:  «  Giova  al  poeta  far  quello  che  solea  fare 
Leonardo  da  Vinci  eccellentissimo  dipintore.  Questi 
qualora  voleva  dipingere  qualche  figura,  considerava 
prima  la  sua  qualità  e  la  sua  natura,  cioè  se  do- 
veva essa  esser  nobile  o  plebea,  gioiosa  o  severa, 


161 

turbata  o  lieta,  vecchia  o  giovane,  irata  o  di  animo 
tranquillo,  buona  o  malvagia;  e  poi  conosciuto  l'esser 
suo,  se  n'andava  ove  egli  sapeva  che  si  ragunassero 
persone  di  tal  qualità,  e  osservava  diligentemente  i 
lor  visi,  le  lor  maniere,  gli  abiti  e  i  movimenti  del 
corpo  :  e  trovata  cosa  che  gli  paresse  atta  a  quel 
far  voleva,  la  riponeva  collo  stile  al  suo  libriccino 
che  sempre  egli  teneva  a  cintola.  E  fatto  ciò  molte 
volle  e  molte,  poiché  tanto  raccolto  egli  aveva,  quanto 
gli  pareva  bastare  a  quella  immagine  che  egli  voleva 
dipingere  ,  si  dava  a  formarla  e  la  faceva  riuscire 
maravigliosa  ».  Quello  che  Leonardo  era  solito  di 
fare  per  divenire  esperto  pittore,  i  grandi  poeti  dram- 
matici lo  usavano  per  divenir  perfetti  nell'arte  loro 
per  via  dell'  intima  conoscenza  de'  costumi  umani. 
A  cagion  d'esempio  il  Machiavelli,  narrando  la  sua 
vita  in  villa  in  una  lettera  a  Francesco  Vettori,  così 
scriveva:  »  Io  mi  levo  col  sole,  e  vommi  in  un  mio 
bosco  che  io  fo  tagliare,  dove  sto  due  ore  a  riveder 
l'opere  del  giorno  passato,  ed  a  passar  tempo  con 
quei  tagliatori,  che  hanno  sempre  qualche  sciagura 
alle  mani,  o  fra  loro  o  co'vicini.  Trasferiscomi  poi  in 
sulla  strada  nell'osteria,  parlo  con  quelli  che  passano, 
domando  delle  nuove  de'paesi  loro,  intendo  varie  cose 
e  nolo  vari  gusti  e  diverse  fantasie  dì  uomini  ».. 

Ma  tal  volta  gii  elementi  reali,  che  l'esperienza 
porge  all'artista,  non  sono  baste  voli  ad  esprimere  il 
concetto  che  esso  porta  in  mente:  ed  allora  egli  Io  mo- 
difica, od  aggiunge  loro  degli  elementi  nuovi  prodotti 
dalla  propria  immaginazione:  ed  in  questo  esso  opera 
per  analogia  e  per  induzione  sollevandosi  dal  cognito 
all'incognito,  sicché  ne  risulta  un'immagine  in  parte 
G.A.T.CLXV.  11 


162 

imitata,  in  parte  fantastica:  la  quale  immagine  rende 
sensibile  il  concetto  dell'artetìce  ,  ma  spesso  però 
non  raggiunge  il  tipo  perfetto  di  una  determinata 
idea. 

Finalmente  l'artista  e  collo  studio  assiduo  della 
natura,  e  colle  pi'oduzioni  della  sua  fantasia,  può  per- 
venire fino  a  creare  un'opera,  in  cui  tutto  intero  si 
figuri  quel  tipo  ideale  che  gli  risplende  nella  mente. 
Ma  onde  si  deriva  questo  tipo  ideale  che  è  la  norma 
suprema  de'suoi  lavori,  onde  viene  nell'artista  questa 
virtù  creatrice  che  ad  incarnare  il  suo  concetto  dà 
vita  ad  opere  originali?  E  che  cosa  è  questa  luce 
dell'  ideale,  (;he  cosa  è  questa  virtìi  creatrice,  se  non 
Torma  della  Divinità  impressa  nel  genio?  L'Idea  stessa, 
che  si  manifesta  obiettivamente  nell'universo,  su- 
biettivamente  vive  nello  spirito  umano;  laonde  questo 
non  solo  ha  la  facoltà  di  ripensare  l'Idea  così  com'ella 
gli  appare  nel  cerchio  finito  delle  sue  cognizioni  e  di 
riprodurla  in  quelli  oggetti  in  cui  ella  imperfettamente 
riluce,  ma  eziandio  ha  la  facoltà  di  esprimerla  co- 
m'ella è  in  se  stessa,  quando  le  cose  naturali,  ch'esso 
conosce,  non  valgono  a  figurarla  tutta  intera.  Le 
idee  ,  0  siano  i  tipi  delle  cose  sensibili,  risplen- 
dono nella  mente  dell'artista,  e,  come  per  la  virtù 
creatrice  del  pensiero  divino  si  rivestono  delle  for- 
me a  loro  convenienti  nelle  opere  della  natura,  così 
nelle  opere  dell'arte  si  manifestano  nella  forma  per 
la  virtù  dell'umano  pensiero.  Così  l'arte  si  può  dire 
per  verità  una  imitazione  della  natura ,  giacché 
quella  stessa  Idea  che  splende  nella  natura,  vive  ed 
opera  nella  mente  e  nel  lavoro  dell'artista.  Questi 
è  necessariamente  inconsapevole  del  modo,  col  quale 


163 

in  lui  si  originano  i  tipi  ideali  ,  e  come  in  lui  si 
vengon  generando  i  nuovi  concetti ,  le  nuove  im- 
magini, le  nuove  armonie;  perchè  se  esso  prende, 
per  così  dire  ,  le  mosse  dalle  cose  reali  per  solle- 
varsi oltre  di  esse,  le  forme  novelle  gli  vengono  pre- 
sentate non  da  una  serie  di  raziocini,  ma  dalla  sua 
produttrice  immaginazione.  11  quale  stato  inconsa- 
pevole proprio  dell'artista  fu  bene  espresso  da  Dante 
in  quei  versi: 

....  io  mi  son  «m  che  quando 
Amore  spira  noto,  ed  a  quel  modo 
Ch'ei  detta  dentro,  vo  significando. 

Qui  consiste  la  inspirazione  dell'arte  che  i  Greci  sim- 
boleggiarono con  la  favola  delle  Muse:  essi  credei 
tero  ancora  che  le  arti  fossero  state  insegnate  a 
popoli  primitivi  da  uomini  divini,  odagl'istessi  iddii. 
Finsero  che  Dedalo  li  avesse  ammaestrati  nella  scul- 
tura, ed  Apollo  stesso  avesse  dato  il  ritmo  della  poe- 
sia, la  quale  per  questo  fu  particolarmente  onorata 
come  cosa  sacra.  La  presenza  dell'Idea  nel  genio  ge- 
nera in  lui  quel  moto  particolare  dell'anima,  che  a 
ragione  i  Greci  chiamarono  enlasiasmo,  per  mostrare 
che  nei  solenni  momenti  dell'inspirazione  Dio  è  pre- 
sente nell'anima.  Vi  piace  forse  di  avere  una  prova 
sensibile  di  questa  virtù  creatrice  che  si  agita  nel- 
l'artista ?  Mirate  il  volto  del  vero  poeta.  Una  luce 
viva  e  serena  sfavilla  dagli  occhi  suoi,  e  par  ch'esso 
gli  affissi  ad  un  oggetto  che  è  invisibile  a  tutti  fuori 
che  a  lui:  le  cose  reali  che  lo  circondano  talvolta 
lo  commuovono  fortemente,  talvolta  egli  è  così  as- 


164 

sorto  nel  vagheggiare  i  suoi  pensieri  che  nulla  sente, 
nulla  ascolta  e  nulla  vede:  quando  poi  esso  discio- 
glie il  canto,  un  lieve  tremito  percorre  le  sue  mem- 
bra ,  e  la  luce  de'suoi  sguardi  si  fa  più  viva:  egli 
sente  nel  suo  intelletto  la  perfetta  manifestazione 
dell'Idea,  e  quell'arcana  e  meravigliosa  armonia  per 
la  quale  essa  spontaneamente  si  disposa  alla  forma, 
e  r  anima  sua  è  rapita  da  un'  estasi  tale  che  dal 
suo  volto  sfavilla  una  gioia  sovrumana.  Dalla  me- 
desima cagione  deriva  ancora  che  nelle  opere  del 
vero  genio  non  appare  alcun  artifìcio,  alcuno  sforzo, 
ma  sono  spontanee  come  le  opere  della  natura; 
esse  non  sono  un  accozzamento  di  vari  elementi 
reali  uniti  insieme  da  un  vincolo  solamente  este- 
riore, perchè  l'artista  dopo  aver  elaborato  nella  sua 
mente  quelli  elementi  che  gli  porge  la  esperienza, 
genera  un  concetto  ,  il  quale  pervade  tutta  intera 
l'opeia  sua:  quindi  avviene  che  in  questa  le  parti 
si  corrispondono  fra  di  loro,  e  sono  ordinate  ad  un 
fine,  come  nei  corpi  organici.  11  genio  è  creatore, 
e  perciò  esso  mai  non  si  ricopia,  ed  è  sempre  ori- 
ginale come  la  natura  ,  ed  inesauribile  nelle  sue 
varie  manifestazioni.  Sì,  lo  ripeto,  come  ogni  opera 
della  natura  è  la  attuazione  di  una  idea  divina  , 
così  ogni  opera  dell'  arte  è  la  attuazione  di  una 
idea  dell'artista.  Talvolta,  già  lo  abbiam  detto,  il 
suo  lavoro,  tuttoché  in  parte  fantastico,  non  giunge 
a  manifestare  tutto  intero  il  tipo  ideale  ,  e  quindi 
per  questa  parte  non  si  distingue  dalle  opere  della 
natura:  talvolta  invece  le  supera,  non  già  in  quanto 
alla  vita  che  gli  manca,  ma  bensì  perchè  esso  esprime 
più  perfettamente  una  determinata  idea.  Allora  l'arte 


165 

si  solleva  all'ideale,  che  è  la  intera  manifestazione 
di  un  concetto  nella  forma.  Converrebbe  percorrerò 
tutti  i  secoli,  e  tutte  le  regioni  della  terra  per  racco- 
gliere dalle  virtiì  e  bellezze  sparse  la  virtiì  e  la  bel-* 
lezza  ideale;  ma  a  Dante  questo  non  fu  necessario, 
e  s'  egli  inspirossi  negli  esempi  reali  che  ne  avea 
intorno  a  sé,  li  modificò  per  la  forza  creatrice  del 
suo  genio,  sicché  ne  risultò  l'immagine  sovrumana 
di  Beatrice.  Similmente  il  divino  poeta  raccolse  dai 
fenomeni  e  dalle  scene  pili  spaventose  della  natura 
gli  elementi  necessari  a  concepire  l'idea  dell' inferno.' 
ma  l'ideale  compiuto  del  terribile  e  del  deforme  gli 
venne  suggerito  dalla  sua  potente  fantasia.  Fu  questa 
forza  del  genio  che  dallo  studio  della  natura  sollevò 
il  pittore  di  Fiesole,  il  Ghirlandaio  e  il  Botticelli  ai 
tipi  ideali  nel  dipingere  quelle  loro  stupende  figure 
di  angioli.  Raffaello  nel  dipingere  i  filosofi  antichi 
ed  i  padri  della  chiesa  riprodusse  in  quelle  figure 
gli  elementi  che  la  storia  gli  porgeva  per  immagi- 
narle; ma,  impadronitosi  del  concetto  che  dominava 
ognuno  di  quegl'individui,  lo  modificò,  lo  trasfigurò, 
e  rinvenne  quella  forma  che  fosse  più  atta  ad  espri- 
merlo. Il  Tasso  nel  concepir  la  Gerusalemme  si  diede 
(com'esso  stesso  narra  nelle  sue  lettere)  alla  ricerca 
di  tutte  quelle  nozioni  che  la  storia  e  la  natura  gli 
porgevano  per  ordir  la  gran  tela,  e  delineare  i  ca- 
ratteri del  suo  poema;  ma  ciò  non  ostante  egli  at- 
tribuì la  miglior  parte  del  suo  lavoro  alla  inspira- 
zione del  suo  genio  tutelare.  E  fu  veramente  per 
un'interiore  inspirazione  ch'esso,  sollevandosi  oltre  gli 
esempli  reali  che  conosceva,  potè  concepire  gli  stu- 
pendi caratteri  di  Sofronia,  di  Erminia  e  di  Tancredi. 


166 

Michelangelo  avea  speso  molti  anni  nello  studio  della 
natura,  ma  pure  stimava  che  questo  non  gli  bastasse 
ad  immaginare  un'opera  perfetta  dell'arte,  e  perciò 
scriveva  nel   sonetto  secondo,  parlando   dell'anima: 

Spiegando  ond'ella  scese  in  alto  l'ale 
Guarda  non  puie  al  bel  che  agli  occhi  piacct 
Ma  perdi' è  troppo  debile  e  fallace 
Trascende  inver  la  forma  universale. 

Similmente  Raffaello  scriveva  a  BaldassarCastiglione, 
parlando  della  sua  Galalea:  «  Per  dipingere  una  bella 
mi  bisognerebbe  veder  più  belle.  Ma  essendo  ca- 
restia e  di  buoni  giudici  e  di  belle  donne ,  io 
mi  servo  di  un'idea  che  mi  viene  nella  mente  ». 
Leonardo  da  Vinci,  il  più  attento  osservatore  della 
natura,  pur,  come  dice  Lomazzo,  «  rimirava  continua- 
mente nella  divinità».  Nel  dipingere  la  cena  egli  rac- 
colse bensì  da  esempli  reali  le  figure  degli  apostoli, 
ina  quando  venne  alla  figura  del  Cristo  esso  attese 
luDgo  tempo,  perchè  diceva  di  volerla  trovare  in  cielo, 
e,  come  dice  il  succitato  scrittore,  mai  non  credette 
di  aver  compiuta  interamente  quella  santa  faccia  , 
sebbene  ella  fosse  singolarissima  per  la  bellezza  ; 
cercando  sempre  nella  sua  fantasia  nuove  forme  per 
esprimere  con  esse  più  efficacemente  il  suo  con- 
cetto. —  Mi  valga  l'autorità  di  questi  grandi  mae- 
stri dell'arte,  e  specialmente  dell'ultimo,  per  difen- 
dermi contro  la  scuola  naturalista,  che  niega  al  genio 
dell'artista  quella  virtù  creatrice  che  manifesta  m  lui 
la  vivente  operazione  della  mente  divina,  e  trascen- 
dendo i  limiti  delle  cose  naturali  figura  nelle  opere 


167 

sue  tutta  intera  l'Idea  deiruniverso.  Il  vero  artista, 
il  vero  poeta  vive  nel  mondo  reale,  e  gode  delle  sue 
bellezze  ,  ma  porta  in  sé  slesso  un  nuovo  mondo 
ideale,  assai  più  bello:  questo  esso  contempla,  ([uesto 
vagheggia,  ed  a  questo  dà  una  vita  esteriore  nelle 
opere  sue. 

Ma  ciò  che  ho  detto  >  non  vale  soltanto  *  per 
l'Ideale  del  bello,  ma  per  tutte  le  altre  maniere  in 
che  l'idvasi  manifesta:  giacché  l'artista,  avendone  la 
immagine  intera  nella  mente,  può  tutte  perfettamente 
esprimerle  nelle  opere  sue.  Escirei  dai  limiti  di  questo 
ragionamento,  se  io  venissi  a  parlare  distintamente  di 
ciascuna  di  esse,  ossia  dei  Bello,  del  Brutto,  del  Su- 
blime e  del  Ridicolo.  Questo  sarà  forse  l'argomento 
di  un  altro  mio  discorso  su  questa  materia,  se  la 
provvidenza  vorrà  ridonarmi  quella  vigoria  giovanile 
degli  occhi,  che  ora  ho  quasi  interamente  perduta, 
e  che  è  necessario  stromento  negli  studi  estetici  e 
critici- 

Ma  qual  è  la  forma,  nella  quale  si  figura  l'idea? 
Ogni  artista  sceglie  quella  a  cui  esso  è  condotto  sia 
per  l'indole  particolare  della  sua  fantasia, sia  perla  sua 
educazione.  A  pochissimi  è  dato  di  [)Oler  esprimere 
V  idea  in  tutte  le  forme  dell'aite.  Questi  spiriti  pre- 
diletti del  cielo,  ai  cui  concetti  serve  tutto  il  mondo 
sensibile,  sono  unica  gloria  della  nostra  Italia.  Mi- 
chelangelo fu  architetto,  scultore,  pittore  e  poeta, 
e  Leonardo  da  Vinci  congiunse  l'esercizio  della  mu- 
sica alle  altre  arti  sorelle:  perfezionò  egli  medesi- 
mo la  sua  lira  d'argento  ,  e  su  di  essa  improvvi- 
sando de'  versi  ,  si  prendeva  diletto  d'  interrom- 
pere così  l'assiduo  lavoro  delle  sue  dipinture.  Parve 


168 

eho  il  Gonio  dolTarte,  che  avea  posto  il  suo  trono 
in  questa  terra  beata,  in  lui  s' incarnasse  per  mostrare 
in  un  solo  individuo  come  l' idea,  che  vive  neli'  in- 
telletto dell'artista  ,  si  foccia  signora  della  forma  , 
e  tutta  intera  in  essa  per  varie  guise  risplenda. 

Se  lo  scopo  supremo  ,  a  cui  l'arte  intende  ,  è 
quello  di  riprodurre  l' Idea ,  le  singole  arti  non 
vi  possono  giungere  se  non  parzialmente  ,  cioè  in 
quel  circolo,  determinato  dai  limiti  della  forma  eh'  è 
propria  d'ogni  arte  in  particolare*  Se  per  esempio 
Je  arti  del  disegno  possono  esprimere  l' Idea  co- 
m'essa si  manifesta  nell'elemento  dello  spazio,  non 
possono  però  esprimerla  nell'elemento  del  tempo,  o 
in  altri  termini;  se  possono  render  sensibili  le  idee, 
e  rappresentare  la  natura  pel  senso  della  vista,  non 
Io  possono  pel  senso  dell'udito  ;  e  così  vicevèrsa 
quello  che  possono  le  arti  del  suono,  non  lo  pos- 
sono le  arti  del  disegno.  Laonde  la  partizione  del- 
l'arte in  queste  due  famiglie  diverse  è  evidentissima- 
Y'  è  poi  tra  le  varie  arti  un  progresso  ascendente 
dall'una  all'altra  ,  in  cui  ciascuna  viene  a  supplire 
alle  mancanze  delle  compagne:  ed  è  concesso  sol- 
tanto alla  riunione  di  tutte  l'attuare  quello  che  ab- 
biamo veduto  essere  lo  scopo  supremo  dell'arte. 

L'architettura  ha  molte  volte  solamente  un  fine 
di  propria  utilità  ne'suoi  lavori,  e  quindi  non  si  leva 
sovente  al  fine  estetico  dell'arte.  Non  pertanto  or- 
dinando le  parti  dell'edificio  tutte  ad  un  fine,  e  nel- 
l'armonia delle  proporzioni,  non  fa  che  riprodurre  il 
principio  fondamentale  dell'universo,  l'ordine,  e  mo- 
difica la  materia  informe  facendola  servire  a  questa 
idea.    Facendo  un    passo  ancora    più  oltre  l'archi- 


169 
lettura  può  manifestare  il  fine  a  cui  V  edifìcio  è 
ordinato ,  sia  ooll'apparenza  esteriore  della  massa 
dell'edifìcio  stesso,  sia  cogli  ornati  acconciamente  di- 
stribuiti. Allora  la  fabbrica  è  un  simbolo  nel  quale  si 
figura  r  idea  che  ne  ha  diretta  la  esecuzione.  Cosi 
l'architettura  dei  templi  persiani  ed  egizi  ci  mostra 
con  la  larghezzza  del  piano,  con  la  gravità  delle  co- 
lonne, colla  mole  dei  recinti  che  il  mistero,  il  su- 
blime, r  idea  dell'Infinito  era  il  concetto  dominante 
di  quei  culti.  Il  tempio  greco  con  le  svelte  sue  co- 
lonne che  lo  ricingono  quasi  leggiadra  corona,  fa- 
cendo entrare  liberamente  e  l'aria  e  la  luce,  co'suoi 
gentili  e  svariati  ornamenti,  coi  timpani  destinati  ad 
accogliere  le  statue,  ci  palesa  chiaramente  di  esser 
fatto  pel  culto  religioso  di  quel  popolo  ,  il  quale 
cercava  in  ogni  cosa  il  bello  che  soddisfa  i  sensi , 
e  serena  lo  spirito  ,  per  quel  culto  che  tentava  di 
riconciliare  nella  vita  terrena  lo  spirito  colla  natura. 
Certamente  la  forma  della  tenda  presso  gli  Orientah', 
e  quella  della  capanna  presso  i  greci  dettero  ori- 
gine a  queste  diverse  figure  dell'architettura;  ma  è 
vero  ancora  che  l'arte  fece  sue  queste  forme  sug- 
gerite dai  bisogni  naturali,  perchè  elleno  servissero 
come  simboli  ad  esprimere  l' idea  dominante  del 
culto  popolare.  La  cattedrale  gotica  è  però  l'edifi- 
cio dove  il  simbolo  domina  più  che  in  qualunque 
altro:  essa  è  come  un  corpo  organico  ordinato  a  far 
sensibile  il  pensiero  cristiano.  I  pilastri  ,  le  colon- 
nette e  gli  archi  si  slanciano  arditamente  nell'alto, 
simboleggiando  così  lo  slancio  delle  anime  innamo- 
rate verso  l'Infinito:  il  piano  della  chiesa  ha  la  forma 
di  una  croce,  simbolo  della  redenzione:  l'altare,  come 


170 

contro  del  culto,  sorge  solo  sublime  sopra  molti  gradi 
nel  centro  dell'abside,  sicché  tutti  gli  sguardi  come 
tutti  i  pensieri  si  dirigono  a  lui,  ma  spesso  un  muro 
di  separazione  (jubé)  si  frappone  tra  esso  e  le  navate 
per  modo  che  il  popolo  intenda  all'oggetto  supremo 
del  culto,  ma  si  arresti  riverente  all'ineffabile  mistero 
che  lo  circonda.  La  rosa  di  vetri  coloriti,  che,  posta 
sulla  porta  principale,  effonde  la  luce  nella  navata 
maggiore,  è  simbolo  del  divino  Spirilo,  che  illumina 
ed  avviva  la  chiesa:  la  luce  incerta  che  si  diffonde  per 
le  navate  e  per  l'abside  è  simbolo  di  quello  stato 
doloroso,  di  quel  mistero,  ch'è  proprio  della  vita 
terrena  ma  le  torri  ornate  di  sante  immagini  e  di  fiori 
scolpiti  si  elevano  altissime  nell'aria  libera  elumìnosa 
a  simboleggiare  quella  vita  novella,  a  cui  sospira  la 
chiesa  militante.  Perfino  le  più  piccole  particolarità 
dell'edificio  servono  alla  manifestazione  dell'  idea;  i 
capitelli  si  mutano  in  vaghissimi  fiori,  la  luce  entra  a 
traverso  le  dipinte  immagini  dei  santi,  e  l'occhio  non 
può  affissarla  senza  riguardare  le  celesti  effigie  dei 
seguaci  di  Cristo:  i  demoni  e  le  bestie  deformi  della 
natura  servono  a  sostenere  il  peso  del  tetto,  espri- 
mendo cosi  l'alta  idea  provvidenziale  che  nell'ordine 
del  mondo  il  male  dee  servire  al  trionfo  del  bene. 
Ma  se  il  cristianesimo  conducendo  il  pensiero  umano 
al  massimo  suo  svolgimento  portò  Tarchitettura  sim- 
bolica a  tanta  potenza  nello  esprimere  l' Idea,  essa 
però  si  dee  rimanere  nel  manifestarne  indistintamente 
alcuni  concetti  generali,  la  natura  e  la  vita  degl'in- 
dividui non  possono  da  essa  venir  figurate  sensi- 
bilmente.—  E  qui  incomincia  l'uffìzio  della  scultura 
e  della  pittura. 


171 

La  scultura  rappresenta  l' individuo  della  natura 
sensibile,  e  Supratlutto  dell'uomo,  e  rappresentando 
r  uomo  esprime  in  esso  un  momento  determi- 
nato di  un  fatto  o  il  simbolo  di  una  idea:  nella 
statua  il  carattere  dell'individuo  apparisce  non  solo 
nel  volto,  ma  in  tutte  le  movenze  delle  membra. 
Lo  scultore  può  andare  ancora  più  oltre,  e  nelPag- 
gruppare  diverse  statue,  o  diverse  figure  rilevate, 
può  mostrarci  il  rapporto  fra  diversi  individui  ed 
un  fatto  in  cui  più  individui  abbiano  parte.  Così 
avviene  nei  bassorilievi,  e  meglio  ancora  nei  gruppi 
fatti  per  adornare  una  sala  ,  o  il  frontone  di  un 
tempio.  Vi  rammenterò,  a  cagion  d'esetnpio,  il  Lao- 
coonte  ,  i  due  lottatori  di  Canova  ,  i  frontoni  del 
Partenone  e  del  tempio  di  Egina  ,  e  le  moderne 
opere  di  Schwanthaler  sui  due  prospetti  del  Walhal- 
la.  —  Ma  se  la  scultura  esprime  la  vita  e  le  idee 
degl'individui  umani  nell'elemento  dello  spazio,  non 
può  esprimerli  interamente  ,  e  convien  poi  die  ri- 
nunci a  rappresentare  la  vita  della  natura:  le  sue 
opere  hanno  il  rilievo,  ma  non  hanno  il  colore,  pel 
quale  e  specialmente  per  la  luce  degli  occhi  si  palesa 
il  profondo  sentimento  dell'anima.  La  pittura  se  per  . 
una  parte  manca  del  rilievo,  può  per  l'altra  supplire 
a  questo  difetto  colla  varietà  delle  tinte  ,  e  si  av- 
vantaggia inoltre  per  tre  capi  sulla  scultura;  giacché 
primieramente  può  rappresentare  tutta  la  natura  ,  e 
mosti-are  in  alcune  immagini  la  sua  vita,  in  secondo 
luogo  ha  facoltà  di  aggruppare  liberamente  molte  fi- 
gure, più  assai  che  non  possa  la  scultura,  e  finalmente 
può  mettere  in  rapporto  le  figure  con  una  scena  deter- 
minala, ciò  che  la  scultura  non  può;  e  così  giunge  a 


172 

figurare  dei  fatti  o  delle  idee  più  complesse,  come 
avviene  nei  quadri  storici  ,  nei  quali  le  due  specie 
diverse  di  pittura,  il  paese  e  la  figura,  si  congiun- 
gono insieme,  e  danno  l'opera  più  compiuta  di  que- 
sta forma  dell'arte.  Uno  de'nostri  più  valenti  poeti 
vi  ridirà  tra  poco  ,  meglio  assai  di  quello  che  io  il 
possa,  le  meraviglie  della  pittura  (2):  ella  è  inesauribile 
come  la  natura  nelle  sue  creazioni  ,  ed  or  ci  mo- 
stra le  scene  più  sublimi,  ora  ci  offre  la  grande  va- 
rietà della  vita  vegetale,  or  quella  ancor  maggiore 
della  vita  animale,  e  finalmente  giugne  al  sommo 
della  sua  potenza  facendo  rivivere  sulla  tela  le  sem- 
bianze umane,  sicché  in  esse  si  palesi  il  moto  degli 
affetti,  e  la  luce  dell'  intelligenza  immortale.  Allora 
essa  ci  rende  sensibili  in  alcune  figure  tutti  i  con- 
cetti morali,  e  ci  porge  in  una  serie  di  quadri  i  mo- 
menti più  segnalati  della  storia  dell'umanità. 

Ma  la  scultura  e  la  pittura  non  escendo  dal- 
l'elemento dello  spazio,  non  possono  rappresentare 
r  Idea,  se  non  in  quanto  essa  apparisce  alla  vista, 
e  quindi  soltanto  in  uno  o  più  determinati  momenti. 
La  successione  varia  e  continua  delle  idee  e  degli 
affetti,  quello  che  propriamente  constituisce  la  vita 
dello  spirito,  non  può  mai  manifestarsi  nell'elemento 
dello  spazio,  ma  solo  per  la  successione  dei  suoni 
nell'elemento  del  tempo -La  musica  allora  è  il  primo 
passo  che  l'arte  fa  per  riprodurre  sotto  forma  sen- 
sibile la  vita  dello  spirito  umano.  Essa  espri- 
me il  vario  moto  degl'  intimi  affetti  coll'alternarsi 
dei  tuoni  or  alti  or  bassi,  ora  più  lunghi  ed  or  più 
brevi;  ora  il  sospiro  dell'anima  amante,  ora  il  la- 
mento del  dolore,  ora  la  calma  ed  or  la  tempesta 


173 

del  cuore,  ora  l' incertezza  del  dubbio,  ora  l'entu- 
siasmo della  gioia.  I  diversi  istromenti  esprimono 
diversi  affetti,  ed  è  concesso  solo  all'arpa,  all'organo, 
al  cembalo,  ma  soprattutto  alla  voce  umana,  il  ri- 
velare con  egual  forza  tutti  gli  affetti.  La  voce  umana 
non  solo  si  piega  meglio  di  ogni  strumento  alla 
varietà  dei  suoni,  ma  li  esprime  con  un  tuono  che 
pili  profondamente  commuove  l'anima:  anzi  la  mu- 
sica istrumentale  tanto  meglio  è  interprete  degli 
umani  affetti,  quanto  più  si  avvicina  colla  imitazione 
alla  voce  umana.  La  unione  di  pili  voci  in  un  coro, 
0  di  più  istrumenti  in  una  sinfonia,  manifesta  la 
unione  di  più  affetti  in  un  affetto  solo;  e  quando  il 
coro  segue  dietro  all'intonazione  di  un  individuo  ci 
mostra  mirabilmente  il  convenire  di  quello  nel  pen- 
siero e  negli  affetti  di  questo,  come  avviene  sovente 
nella  musica  religiosa  ,  e  specialmente  sul  principio 
del  Gloria  e  del  Te  Deum.  Se  la  melodia  rende  sen- 
sibile la  successione  degli  affetti,  l'armonia  ci  fa  sen- 
tire eziandio  l' intrecciarsi  di  vari  affetti  nello  stesso 
tempo.  Nel  quartetto  del  Viscardello  ,  nell'  armo- 
nia delle  quattro  voci  si  congiungono  i  quattro 
diversi  affetti  degli  attori ,  come  quattro  rivi  che 
mantengono  le  loro  onde  distinte,  ancorché  scor- 
rano uniti  a  formare  un  sol  fiume.  Gli  uditori  an- 
cora senza  il  sussidio  delle  parole  sentono  ad  un 
tempo  il  carattere  spensierato  della  ostessa,  l'amore 
ironico  del  duca,  l'affannosa  gelosia  di  Gilda,  e  l'ira 
mal  repressa  di  Viscardello.  Però  con  tutto  questo 
la  musica  non  può  se  non  esprimere  indetermina- 
tamente e  vagamente  gli  affetti,  non  può  mostrarne 
le  particolari  varietà  ,  e  svolgergli  in  tutta  la  loro 


m 


174 

pienezza;  non  può  poi  assolutamente  levarsi  ad  espri- 
mere sotto  forma  sensibile  i  concetti  dell'  intelli- 
genza ,  e  conviene  che  rinuoci  quasi  interamente 
alla  rappresentazione  della  natura.  Dico  quasi  in- 
teramente perchè  può  figurarne  una  parte  imitan- 
done i  suoni:  e  come  esempi  più  pefetti  di  questa 
imitazione  citerò  le  belle  armonie  imitative  della 
Creazione  di  Haydn  e  quella  di  Blumenthal  ,  nella 
quale  esso  tentò  di  riprodurre  il  suono  sempre 
vario  di  una  sorgente  che  gorgoglia ,  e  frangen- 
dosi in  mille  modi  diversi  in  mezzo  ai  sassi  si 
muta  in  un  placido  rivo.  Abbiam  così  veduto  come 
imperfettamente  la  musica  adempia  in  sé  lo  scopo 
supremo  dell'  arte.  —  Là  dove  finiscono  le  sue  fa- 
coltà, s'inizia  l'ufficio  della  poesia. 

La  poesia  esprime  l'Idea  non  più  con  suoni  inde- 
terminati, ma  con  suoni  i  quali  esprimono  determina- 
tamente tutta  la  varietà  dei  pensieri  e  degli  affetti,  e 
che  valgono  ancora  come  segni  perfigurare  avanti  alla 
fantasia  tutti  gli  oggetti  e  tutti  i  fenomeni  della  natura. 
Le  parole  armonicamente  disposte  costituiscono  quel- 
la forma  maravigliosa,  nella  quale  Io  spirito  umano 
rende  sensibile  a  sé  medesimo  tutto  il  mondo  in- 
telligibile, e  riproduce  in  una  vivente  rappresenta- 
zione tutta  quanta  la  natura.  Così  la  poesia  se  nel 
palesare  lo  svolgimento  della  vita  dello  spirito  com- 
pie quello  che  la  musica  tentava  e  non  riusciva  a 
fare,  si  sforza  ancora  di  esprimere  al  vivo  1'  imma- 
gine della  natura  e  dell'  individuo  ,  rappresentan- 
dola se  non  nel  rilievo  e  nel  colorito,  come  le  arti 
de!  diségno,  almeno,  come  già  ho  detto,  con  quei 
segni  che  riconducono  avanti  alla  fantasia  le  viventi 


175 

figure  delle  cose  sensibili.  Nelle  varie  specie  del- 
l'arte, che  abbiamo  fin  qui  discorse,  noi  vedemmo 
come  r  Idea  di  grado  in  grado  si  andasse  sempre 
più  manifestando  per  mezzo  di  esse  ,  tentando  di 
pervenire  a  figurarsi  tutta  intera  nella  forma.  Ella 
giugno  a  questo  scopo  nella  poesia,  la  quale  si  può 
chiamare  l'arte  per  eccellenza:  in  essa  finalmente  lo 
spirito  umano  rinviene  la  forma  acconcia  ad  espri- 
mer tutti  i  suoi  concotti:  ella  è  quello  specchio  im- 
macolato, in  cui  si  riflette  intera  V  Idea  dell'universo. 
Qui,  peramordi  brevità,  son  costretto  a  interrom- 
pere il  mio  ragionamento:  un'altra  volta  continuandolo 
vi  mostrerò,  come  la  poesia  accolga  in  se,  e  adempia 
gli  uffici  delle  altre  arti  sorelle,  e  considererò  parti- 
tamente  la  sua  virtù  pittorica  e  la  sua  virtù  musicale. 
Dirò  come  l'idea  si  manifesti  diversamente  ne'  tre 
divei'si  generi  ni  poesia,  e  come  nel  teatro  sì  congiun- 
gano insieme  tutte  le  varie  forme  dell'arte.  Discor- 
rerò poi  dell'armonia  esteriore  della  forma,  e  final- 
mente ragionando  del  fine  supremo  dell'arte,  di  grado 
in  grado  ascendendo  noi  vedremo  come  in  essa  ri- 
splenda tutta  la  luce  dell'idea,  perchè,  come  scriveva 
Platone  sulla  fine  del  Convito:  «  La  bellezza  sensibile 
è  scala  alla  bellezza  dell'  anima  ,  e  questa  ci  con- 
duce alla  contemplazione  della  Bellezza  Assoluta,  la 
quale  costituisce  la  vita  vera  dello  spirito  umano  ». 


(1)  Questo  ragionamenlo,  come  i  due  altri  che  lo  seguiranno, 
non  sono  per  verità  se  non  frammenti  di  un'opera  più  compiuta  sulla 
filosofia  dell'arte.  I  miei  studi  su  questo  soggetto  sono  ancora  troppo 
immaturi  perchè  io  speri  di  poter  dare  tra  breve  un  lavoro  meno 
imperfetto  su  questo  importante    argouieato.    A  questo    scopo  su- 


li  letleraii,  e  fin  da  ora  ne  lac- 
,re.o  però  -^-'^^""^A/^^l^rieUori  ,  pregandoU  a  compatire 
ciò  la  promessa    a>  me  zetetica. 


177 


Osservazioni  ozonomelricìie  islituile  in  Roma  neW ago- 
sto 1856  da  Caterina  Scarpellini  aW altezza  di  me- 
tri 60,  i3  sul  livello  dal  m.are. 

'  F>a  ricerca  delle  cause,  più  che  le  allre,  fu 
«  suggello  di  indagini,  argumeiilo  di  ipotesi, 
»  palestra  di  conlese  infinite:  indagini  che  sono 
»  ben  lontane  dall'essere  esaurite  con  tutto  il 
»  rigore  scienlifico  in  oggi  voluto;  ipolesi  che 
»  non  sempre  discendono  legillime  dalle  no- 
»  zioni  comechesia  aquisite;  conlesc  che  non 
»  di  rado  falliscono  al  vero,  perchè  troppo 
»  spesso  passionate,  irte  di  equivoci  nel  con- 
»  cello  e  nel  linguaggio,  o  mosse  da  principi 
»  maldetìnti  o  malfermi  d. 
Sull'Ozono  atmosferico.  —  Sper lenze  e  considera- 
•  zioni  del  dott.  G.  Strambio  di  Milano. 

'ifferenli  sono  gli  o|jiiiamenti  intorno  alla  natura 
dell'ozono.  —  Però  è  noto  ch'esso  sì  bene  intra- 
veduto dall'olandese  Van-Marum  infin  dal  1785 , 
non  venne  notiziato  al  magisterio  delle  scienze  che 
nel  1840  dal  sapiente  di  Basilea  prof.  Schònbein 
rinventore  del  cotone  fulminante  (1).  —  Primamen- 
te presupposto  uno  degli  ingredienti  dell'azoto  (2); 
poi  un  composto  binario  azotato  (3);  quindi  un  bi- 
ossido,   od   un  tritossido    d' idrogeno  (4),   un  acido 


(1)  In  Italia  furono  pronunciate  le  prime  parole  su  questo  corpo 
particolare  dallo  Schònbein  stesso  al  congresso  scientifico  in  Mi- 
lano nella  sezione  di  tìsica,  presedula  dalla  eh.  me.  del  prof.  F. 
Orioli. 

(2)  Ozonido  d'idrogeno,  Schonbfin. 

(3)  Schònbein. 

(4)  JMarignac,  Schònbein. 

G..\.T.CLXV.  12 


178 
idi'ogenoso  (1),  un  fosfuro  d' idi'Ogeno  (2),  e  final- 
meute  dopo  gli  studi  di  Marignac,  de  La  Rive,  e  dello 
stesso  Schonbein  tenuto  come  una  sennplice  modi- 
ficazione dell'ossigeno,  come  uno  stato  isomerico  od 
allotropico  di  questo  gas  (3)  ,  ed  in  seguito  dato 
anche  il  nome  di  ossigeno  ozonato  (4),  di  ossigeno 
elettrizzato  (5)  ,  e  di  ossigeno  nascente  (6)  ,  senza 
che  i  nuovi  nomi  facessero  obliare  l'antico.  È  noto 
ugualmente  «  come  l'azione  che  l'ozono  esercita  sul 
ioduro  potassico,  e  '1  iodio  sull'amido  venisse  resa 
utile  per  la  confezione  di  cartoline  esploratrici,  le 
quali  palesarono  che  la  elettricità  meteorologica  ha 
virtiì  di  ozonizzare  l'ossigeno  nell'atmosfera;  è  noto 
da  ultimo  che  le  cartoline  esploratrici  ,  od  ozono- 
scopiche,  sono  preparate  con  soluzioni  di  ioduro  po- 
tassico e  di  amido  ;  che  l'ozono  decomponendo  lo 
ioduro  potassico  per  produrre  un  ossido  di  potassio, 
e  liberare  lo  iodio,  dà  luogo  ad  un  ioduro  di  amido 
tanto  più  abbondante  quanto  la  sua  azione  è  più 
energica;  e  che  la  quantità  dell'ozono  atmosferico 
misurasi  sulla  varia  intensità  della  colorazione  vio- 
laceo-turchina  del  ioduro  di  amido  formatosi  sulle 
cartoline  di  cui  è  parola  »  esposte  all'aria  libera  , 
difese  dalla  pioggia,  dal  sole,  e  non  influenzate  da 
esalazioni  mefitiche. 

Conciossiachè,   chiamata   dalla   lusinghiera  con- 


(1)  BaumcTt. 

(2)  Forni. 

(3)  Berzeliiis,  Faraday. 

(4)  Schonbein. 

(o)  Bequerel,  Fremy. 
(6)  Auzeau. 


179 

fìdenza  di  alcuni  sperìiiientatori  ozonoscopisti  ad  in- 
traprendere in  Uoma  metodiche  osservazioni  su  que- 
sto nuovo  agente  meteorologico,  assunsi  l'onorevole 
officio  con  quello  slancio  volenteroso  che  seppe  in- 
spirarmi la  bella  vista  della  eminente  utilità,  e  la 
immutabile  convinzione  di  trovare  nei  distintissimi 
collaboratori  della  Romana  con'ispondenza  scientifica 
quei  cortesi  e  savi  consigli,  necessari  a  farne  uscire 
alla  fin  fine  uo  criterio  non  incerto,  ma  franco  per 
mirar  sempre  al  supremo  scopo  di  raccogliere  ele- 
menti valevoli  ed  immutabili.- Sebbene  non  sia  pre- 
sumibile che  da  ben  ordinate  osservazioni  di  un 
mese  (1)  che  ora  do  conoscenza,  non  possano  co- 
statarsi risultàmenti  a  chiarire  in  qualche  modo  le 
già  fatte  ricerche  ed  ipotesi  «  che  non  sempre  di- 
scendono legittime  dalle  nozioni  comecchesia  acqui- 
site: ))  pure  dalle  scrupolose  osservazioni  psicro- 
metriche,  dalle  llultuazioni  ozoniche,  fra  queste,  e 
le  variazioni  termometriche ,  a  me  sembra  potere 
notiziare,  che  la  curva  delle  variazioni  ozoniche  in 
Roma  segue  un  cammino  pressoché  inverso  a  quello 
della  temperatura,  e  queste  variazioni  sono  in  ra- 
gione pt)co  meno  che  dirette  della  umidità  relativa. 
A  questo  opinamento,  discusso  per  l'espressione 
grafica  delle  cifre  contenute  nel  quadro  mensuale, 
le  mie  osservazioni  darebbero  una  piena  conferma  a 
quelle  praticate  dai  sigg.  (1  Bequerel  e  Fremy,  ed 
a  quelle  di  Berigny  e    Richard  testé  fatte  all'ospe- 


(1)  Ho  pure  registrato  ititerrottaitiente  altre  osservazioni  nei  mesi 
di  marzo  luglio  del  correulc  auno  che  mi  servirono  anche  di  guida. 


Ì80 

dille  mililaro  di  Versailles  (1):  colla  differenza  però, 
che  le  cavtoline  di  questi  erano  locate  negli  an- 
goli del  cortile  al  sud  ,  e  le  mie  trovansi  all'  aria 
libera,  pura,  e  ardirei  dire  illimitata  ,  e  precisa- 
mente dalla  parte  nord  all'  altezza  di  metri  60,43 
sul  livello  del  mare,  avente  la  stessa  posizione  il 
psicrometro  ed  il  termometro  (2):  e  perciò  sarà 
argomento  di  ulteriori  investisazioni  fra  le  osser- 
vazioni  di  Roma  e  di  Parigi  per  produrre  sempre 
nuovi  dati  importanti. 

Risultamenti  positivi  mi  hanno  dato  per  i  tem- 
porali sull'abbondanza  dell'ozono  come  il  prof.  Schòn- 
bein  ha  annunciato  (sempre  però  nei  limili  di  queste 
poche  osservazioni):  e  di  fatto,  nel  temporale  della 
sera  5  agosto  con  tuoni  e  lampi  nelle  vicinanze  di 
Roma  dalla  parte  di  S.  E.  e  di  S.  S.  E.  la  mattina 
del  6  trovai  abbondanza  di  ozono;  e  devo  pur  qui 
avvertire  che  nel  mio  registro  del  31  luglio  p.  p. 
trovo  che  l'ozóno  giungeva  sino  al  decimo  grado 
per  un  gran  temporale  avvenuto  in  Roma  alle  ore  2 
pomeridiane,  -  Aumento  di  ozono  parimenti  si  ebbe 
pel  temporale  del  19  agosto  alle  ore  3  ant. 

11  quadro  mensiiale  che  p4'esento  (*)  sei'Virà  per 
richiamare  vieppiù  l'attenzione  su  questo  agente  mi- 
sterioso, che  non  sembrami  trascurabile,  pel  quale 
si  faranno  commenti  negativi  o  positivi  a  fonda- 
mento delle  deduzioni  di  altri  rispettabilissimi  ozot 
noscopisti. 


(1)  Nel  mese  di  agosto  1855  alle  ore  6  del  mattino,  a  mezzodì, 
alle  6  della  sera,  ed  a  mezzanotte. 

(2)  Il  barometro  trovasi  nello  inl^'ruo  della  camera  già  prove- 
duta di  lutti  quegli  istriimenti  necessari  onde  esattamcnlc  adem- 
piere alla  onorevole  incumhenza. 


181 

Ora  da  questo  quadro  risulta,  dio  la  minima  quair* 
tità.  di  ozono  è  4  ,  la  massima  9  ,  la  media  delle 
ore  24  è  5;  che  ve  n' è  quasi  più  di  notte  che  di 
giorno,  perchè  probabilmente  il  giorno  avvi  la  luce 
che  disozonizza  l'aria  vitale.  -  La  media  mensualc 
però  è  massima  pel  giorno  che  per  la  notte,  lo  stesso 
è  per  l'umidità  relativa. 

Con  la  continuazione  delle  mie  osservazioni  avrò 
dei  dati  tutti  valevoli  per  confrontare  ciocché  scri- 
veva il  eh,  prof.  Orioli  nel  Florilegio  medico  ,  che 
«  l'ozono  è  massimo  in  primavera,  quando  la  ve-* 
getazione  attiva  là  produzione  dell'ossigeno  nascente 
e  i  fenomeni  elettrici,  e  in  generale  le  naturali  ope- 
razioni cosmiche  d'ordine  chimico,  al  risvegliarsi  del- 
l'anno, han  più  giuoco;  minore  nel  verno,  e  piiì  nella 
estate,  seguendo,  secondo  tutte  le  apparenze,  le  fasi 
della  vegetazione  e  della  influenza  dell'  insolazione; 
minima  nell'autunno  al  primo  spogliarsi  degli  alberi, 
e  illanguidirsi  delle  grandi  operazioni  chimiche  ». 
Però  a  me  sembra,  sarebbe  di  alto  interesse,  che 
tali  osservazioni  ozonometriche  ripetendosi  od  esten- 
dendosi in  tutta  la  nostra  penisola  venissero  intra- 
prese con  modi  uniformi ,  onde  riescire  a  confron- 
tare le  risultanze  finali ,  tanto  perciò  che  toccale 
quistioni  meteorologiche,  quanto  per  ciò  che  inte- 
ressa la  fisica  generale  e  l'etiologia.  -  Io  mi  valgo 
della  carta  ozonometrica  dello  stesso  Schònbein,  e 
m'attengo  alla  scala  da  lui  tracciata.  Credo,  così 
scriveva  l'eccellentissimo  sig.  dot.GaetanoStrambio  al 
direttore  della  Corrispondenza  scientifica  di  Roma  (l)v 

(1)    10  febbraio   185G. 


182 

«  che  l'uniformità  nei  mezzi  di  esplorazione  ozo- 
nica e  di  misurazione  sia  indispensabile  a  compren- 
derci reciprocamente  ,  e  riprovo  quell'anarchia  che 
ogni  osservatore  tenta  d' introdurre  sia  nella  prepa- 
razione della  carta  ,  come  nella  graduazione  delle 
scale  )).  Fra  Roma  e  Milano  esistendo  adunque  una 
uniformità  (1),  potranno  essere  confrontate  le  mie  os- 
servazioni, come  saranno  confrontale  dagli  esteri  os- 
servatori che  tengono  lo  stesso  sistema. 

Concludo  finalmente  con  questa  mia  brevissima 
nota,  che  le  conseguenze  della  importanza  di  siffatte 
ricerche,  la  spiegazione  e  le  più  intime  relazioni  di 
questo  fenomeno,  la  ricognizione  di  altre  anche  più 
interessanti  (2),  e  certe  specialità  più  caratteristiche, 
dovranno  avere  per  saldo  appoggio  numerose  osserva- 
zioni comparate,  uniformi:  ed  io,  soltanto  col  buon 
volere,  coopererò  ai  migliori  e  più  rapidi  progressi 
di  una  scienza  tanto  utile  e  bella,  quanto  disagevole 
e  misteriosa,  per  la  quale  vanno  esercitandosi  a  gara 
i  fisici  ed  i  medici,  i  meteoristi  ed  i  loimografi. 

A  dì  15  settembre  1856 

Caterina  Scarpellini 


(i)  Sperimentando  gli  eccellentissimi  dottori  Gaetano  Strarobio  e 
Giovanni  Polli. 

(2)  Ho  pure  desiderio  di  estendere  le  mie  ricerche  sulla  elet- 
tricità atmosferica,  onde  confrontare  le  mutazioni  dello  stato  elet- 
trico con  quello  ozonoscopico  estese  anche  alle   anemoscopiche- 


183 

(*)  Quadro  mensuale  dcìle  osservazioni  ozonometriche, 
psicrometriche,  termomclriche,  harometrichc,  e  slato 
del  cielo. 


Ozono 

Media 

Um 

dita 

St 

alo 

Agosto 

atmosferico 

ozonica 

rela 

tiva 

del 

cielo 

1856 

— ~i— ^_-^~ 

giorna- 

-—«.^ 

. 

'v.--— >. 

1 

7  m. 
6°0 

7ser. 

liera. 
6  25 

7  m. 
68 

7ser. 

7  mat. 

7  sera 

6''0 

70 

Nuvolo 

IN 

2 

7   0 

6  0 

6     3 

69 

68 

Velato 

V 

3 

S   0 

4  5 

3     0 

61 

66 

Nuv.sp. 

s 

4 

6   5 

6  0 

6  25 

61 

67 

Sereno 

s 

5 

7  S 

5  5 

7     0 

62 

72 

s 

V 

6 

9  0 

6  5 

7  25 

77 

68 

N 

N 

7 

6  0 

4  S 

5     3 

62 

63 

V 

s 

8 

7   0 

3  0 

3     5 

62 

63 

N 

s 

9 

5  5 

6   5 

6     0 

73 

64 

S 

N 

10 

7  0 

6  0 

6     3 

61 

SI 

V 

s 

n 

6  0 

6   5 

6   25 

60 

57 

s 

s 

12 

6  0 

5  0 

3     3 

57 

36 

s 

s 

13 

5  3 

6  0 

6     0 

50 

36 

s 

s 

U 

5   0 

4  3 

3     0 

58 

62 

s 

s 

15 

4  3 

6   5 

3     3 

60 

73 

s 

N 

16 

6   3 

6   5 

6      0 

67 

70 

Nebbia 

s 

17 

7   0 

6  0 

6      5 

60 

55 

Neb. 

s 

18 

6  0 

7   0 

7     0 

48 

60 

N 

N 

19 

7  3 

7  0 

7     0 

50 

61 

N 

N 

20 

5   0 

8  0 

5     0 

73 

75 

S 

S 

21 

6   0 

4   5 

3   23 

48 

68 

N 

s 

22 

4  0 

6   3 

5  23 

68 

65 

S 

N 

23 

7  0 

6  3 

7     0 

74 

77 

Nebbia 

Nebbios 

0 

24 

4   5 

6   5 

5     5 

83 

68 

S 

N 

23 

5  5 

3   3 

5     0 

50 

38 

V 

N 

26 

6  0 

6  5 

7     0 

56 

38 

N 

S 

27 

3  5 

6   0 

6     0 

58 

66 

S 

s 

28 

6  3 

7   0 

7     0 

73 

66 

N.  sp. 

N 

29 

7  0 

7   0 

7"  0 

72 

76 

Nebbioso 

Nebbios 

0 

30 

4   5 

6   b 

6     0 

78 

73 

V 

S 

31 

5  5 

7   3 

6     5 

SO 

69 

s 

S 

Med. 

5,8 

6,0 

63,i 

66,0 

mens. 

N.  B.  L'osservazione  notturna  figura  nella  cifra  del  maltino,  e  la 
diurna   nella  cifra  della  sera. 


184 


Terinomft. 

Baromet.  in  niil 

ini 

centigr. 

ridotto  a  0' 

Osservazioni 

Tm. 

20°  0 

7ser. 
21   0 

7  mat. 
750"""  90 

7  sera 

752 

65 

23  0 

26  0 

753        40 

752 

89 

22  0 

24  0 

753        49 

753 

55 

22  0 

25  0 

753       68 

752 

77 

21    0 

22   0 

751        65 

751 

55 

Temporale  alle  ore  9  pom. 

24   0 

22  0 

750        61 

750 

70 

25  4 

25  0 

750       32 

750 

53 

21   0 

24  5 

755       99 

732 

33 

Pioggia  ore  11  40  antim. 

24  0 

25  0 

752       74 

752 

74 

Piccola  pioggia 

21   0 

25  0 

752        90 

752 

97 

26  0 

24  0 

752        74 

753 

44 

27   5 

28   0 

756        45 

746 

35 

27  0 

28  0 

753       06 

753 

17 

28  5 

28  5 

753       74 

753 

85 

25  5 

28  5 

754        42 

753 

50 

25  0 

28  0 

754       07 

754 

18 

28  0 

28  0 

753        62 

748 

02 

30  0 

25  0 

745        19 

745 

48 

28  0 

27  5 

745        47 

746 

21 

Temporale  ore  3  ant. 

27  0 

27   0 

746       22 

748 

39 

23   5 

27  0 

751        22 

750 

95 

27  5 

27  0 

750       28 

748 

92 

27   5 

26   5 

748        47 

749 

37 

20  0 

26  2 

751        10 

751 

08 

19  2 

24  « 

752       80 

750 

86 

18  5 

22   0 

751        11 

75i 

66 

19  0 

23  0 

751        22 

751 

43 

29  0 

22  0 

752        90 

752 

78 

21  0 

24   0 

7  54       68 

753 

19 

23   0 

26  0 

753        65 

751 

54 

21   0 

26   0 

753       09 

753 

06 

23,7 

25,3 

751,      97 

751, 

29 

185 

Sopra  wi' odore  particolare  emanantesi  dalle  cartoline 
ozonizzate  notato  dalla  sig.  Caterina  Scarpellini  nel 
settembre  p.  p. 

Lettera  del  sia:.  Paolo  Peretti  alla  medesima. 

Signora, 

L'esattezza  con  la  quale  eseguiste  le  osservazioni 
ozonoscopiche,  e  la  chiarezza  con  la  quale  le  ripor- 
taste, meritano,  o  signora,  di  essere  altamente  prese 
in  considerazione,  poiché  forniscono  sempre  maggiori 
prove  dell'amore  che  nutrite  perla  fisica  scienza.  E 
tanto  più  con  voi  mi  congratulo  perchè  siete  prima 
ad  intraprendere  in  Roma  un  lavoro,  che  basato  sulla 
esatta  e  periodica  osservazione  sarà  ben  presto  in 
grado  di  dare  soluzione  ad  un  problema  che  ora  è 
soggetto  di  gravi  disquisizioni. 

Ed  in  fatti  non  potea  sfuggire  alla  vostra  accor- 
tezza quell'odore  particolare  emesso  dalle  cartoline 
ozonizzate,  allorché  sono  bagnate  con  acqua  distil- 
lata. Questo  odore  che,  per  le  cartoline  da  voi  ri- 
messemi ,  ebbi  campo  di  notare  più  volle  ,  mi  si 
manifestò  così  palesemente  da  non  dubitare  di  ri- 
conoscerlo, e  ben'esso  mi  rammentava  una  chimica 
preparazione  non  ha  guari  eseguita  da  mio  padre, 
lo  iodoformo  ,  composto  che  ha  Vodore  analogo  a 
quello  delle  cartoline  ozonizzate.  —  Questa  ossei'va- 
zione,  che  giudicai  interessantissima,  m' indusse  a 
praticare  una  serie  di  sperienze,  delle  quali  eccovi  il 
risultato. 

Secondo  1'  opinione  di  molti  chimici  non  solo 
l'ozono  esercita  la  sua  virtù  sopra  la  carta  amido- 
iodurata,  ma  ancora  altri  principi  che  possono  esi- 


186 
Steve  nell'  aria  atmosferica  ,  come  dei  vapori  acidi 
rutilanti,  degli  olii  essenziali  volatili  emanantisi  da 
certi  vegetabili,  ed  anche  semplicemente  l' influenza 
combinata  dell'  aria  umida  e  dei  raggi  solari  (1). 
In  vero  le  cartoline  ozonoscopiche,  che  voi  mi  ri- 
metteste, subito  si  colorarono,  e  segnarono  fedel- 
mente la  medesima  reazione  ozonoscopica  esposte 
alla  semplice  azione  dei  vapori  dell'acido  nitrico  , 
idroclorico,  cloronitrico;  ed  il  medesimo  effetto  si 
produsse  con  i  vapori  di  cloio,  biomo,  iodo,  e  con 
il  gas  ossigeno  mescolato  a  gran  copia  di  aria  atuio- 
sferica  resa  umida.  —  Tutto  ciò  distruggerebbe  il  va- 
lore della  carta  amido-iodurala  considerata  quale  re- 
attivo ozonoscopico  ,  se  l'osservazione  da  voi  fatta 
circa  l'odore  emesso  dalle  cartoline  ozonizzate  non 
dovesse  richiamare  l'attenzione  generale  dei  chimici 
sopra  questo  nuovo  fatto.  —  Qualunque  agente  os- 
sidante è  capace  di  esercitare  1'  influenza  ozonosco- 
pica sopra  la  carta  amido-iodurata;  ma  questi  agenti, 
per  poco  0  molto  che  manifestino  questa  reazione, 
non  somministrano  in  alcun  modo  quell'odore  par- 
ticolare di  iodoformo,  riconosciuto  da  me  e  da  mio 
padre,  emesso  dalle  cartoline  ozonizzate  quando  sono 
bagnate  con  acqua  distillata.  Una  tale  differenza  può 
essere  sutliciente  a  fare  rilevare  l'esistenza  del  mi- 
sterioso agente  nell'aria  atmosferica  avente  delle  pro- 
prietà ossidanti  e  decomponenti  sui  generis.  —  E 
qui  è  bene  da  considerarsi  l'azione  del  nuovo  corpo 
sopra  la  carta  amido-iodurata  con  l'emanazione  di 
quell'odore  particolare  di  sopra  caratterizzato. 


(1)  Rapporto  del  sig.  Gloez  letto  all'accacleniia  delle  scienze  del- 
l' imperiale  iaalituto  di  Francia:  seduta  del  7  luglio  1836. 


187 

Alcune  sostanze  organiohe,  come  Talcool,  lo  zuc- 
caio,  la  fecola  ecc.  sottomesse  all'azione  di  agenti  . 
ossidanti  danno  luogo  alla  formazione  dell'acido  for- 
mico. L'acido  formico  (C^HO^-i-20)  perdendo  il  suo 
ossigeno  si  combina  allo  iodo  e  forma  lo  iodoformo 
(C^HjlO^),  e  l'acqua  favorisce  considerevolmente  que- 
sta combinazione.  Ora  le  caitoline  ozonoscopiche  ri- 
tengono dell'amido  e  del  ioduro  di  potassio;  esposte 
all'influenza  dell'aria  atmosferica  subiscono  in  uno 
spazio  conveniente  di  tempo  una  reazione  cbe  si  ma- 
nifesta dal  coloramento  della  carta  amido-iodurata, 
in  cui  per  forza  catalitica  del  misterioso  agente  può 
avvenire  formazione  di  acido  formico,  per  la  decom- 
posizione in  parte  dell'amido.  In  questo  caso  la  pre- 
senza dell'acqua,  di  cui  si  bagnano  le  cartoline  ozo- 
nizzate, determinerebbe  la  combinazione  dell'acido 
formico  con  il  iodo,  lo  iodoformo,  a  cui  si  può  at- 
tribuire quell'odore  particolare  emesso  dalle  cartoline 
ozonizzate. 

Questo  nuovo  fallo,  che  io  ho  inteso  spiegare  nel 
modo  indicato,  imprime  si.  mio  credere  un  nuovo  vi- 
gore alla  opinione  relativa  alla  esistenza  dell'ozono, 
sopra  il  quale  spero  rivolta  1'  intiera  attenzione  dei 
chimici ,  al  cui  giudizio  intendo  sottomettere  quel 
poco  che  qui  brevemente  vi  accennai,  riserbandomi, 
e  per  l'ulteriori  vostre  osservazioni  ,  e  per  quanto 
sarà  da  me  in  seguito  praticato  ,  di  ritornare  più 
fondatamente  sopra  un  argomento  di  sì  alto  interesse 
per  la  scienza  chimica. 

Credetemi  ecc. 

Addì  8  ottobre  1856. 

Obligatissimo  servo 
Paolo  Peretti 


188 


Storia  di  fulminazione. 

M-JO  sgomento  nel  quale  incorsero  improvvisanniente 
verso  le  5  pomeridiane  del  24  maggio  p.  p.  gli  abi- 
tanti della  parte  più  elevata  della  città  di  Norcia, 
e  r  orrore  misto  a  grave  pena  patita  dagli  altri 
cittadini,  furono  da  non  [)Otersi  ridire.  Il  suono  alla 
distesa  delle  molte  e  grosse  campane  delle  chiese 
che  scongiuravano  gli  elementi  infuriati;  la  pioggia 
dirotta;  il  balenare,  il  romoreggiare  continuo,  avreb- 
be richiesto  che  ognuno  ad  uscio  e  finestre  chiuse 
avesse  atteso  in  casa  la  dissoluzione  del  turbine, 
se  la  curiosità  di  osservare  qual  parte  di  territorio 
verrebbe  devastata  dalla  grandine,  che  pur  minuta 
cadea,  non  avesse  invitato  sulla  porta  che  mette  in 
città  dal  lato  di  levante. 

L' ingresso  è  maestoso  quanto  è  solida  1'  arcata 
superiore,  la  qua'e  per  intiero  costruita  di  grossi 
e  ben  connessi  macigui  forma  nell'  interno  un  ricor 
vero  di  30  piedi  in  quadro.  Là  erano  convenuti 
circa  30  individui,  e  là  la  folgore  portò  lo  spavento 
e  la  morte. 

L' ammasso  d' elettrico  che  si  partiva  dalla  nu- 
be nel  perct)rrei'e  V  atmosfera  produsse  un  fragore 
spaventevole.  Urtò  in  prima  alquanto  a  destra  del 
comignolo  del  tettarello  che  soprastà  almeno  45 
piedi  dal  suolo,  rovesciando  insieme  alla  copertura 
di  terra  cotta  molti  cementi  del  muro;  e  senza 
lasciar  traccia  lungo  la  discesa,  sempre  a  destra 
in   linea    molto    obbliqua,    a  sedici  palmi   almeno 


189 
scavò    sul  mino  una  fossa  senza  riescila,  lunga  un 
piede  e    più,   larga    quattro    pollici   ed    altrettanto 
profonda,  con  stritolamento  dell'urtato  macigno. 

In  linea  orizontale  retta,  a  quattro  piedi  di  di- 
stanza dall'apertura  descritta,  la  folgore  si  introdusse 
nel  muro  un  piede  e  mezzo  sopja  la  volta  della  porta 
con  uno  squarcio  all'  estremo  lungo  tre  pollici,  ne 
percorse  l' interno  per  circa  quattro  piedi  fra  maci- 
gno e  macigno,  e  sortì  sotto  V  arco  esterno  poco  a 
destra  del  suo  centro,  fra  due  durissime  pietre  che 
scalfì    largamente. 

Il  portone,  che  per  un  terzo  nella  parte  superiore 
sta  fisso  al  muro,  non  chiude  interamente  in  alto: 
ed  appunto  per  tale  spazio,  porzione  dell'  eletti-ico 
si  le  strada  verso  l' interno  della  città,  riducendo  a 
molte  schegge  una  slecca  massiccia  di  legno,  lunga 
quattro  piedi,  che  dall'  alto  al  basso  ben  chiodata 
stava  a  tener  commesso  un  tavolone  coli'  altro. 
L' intiero  portone  ha  in  ogni  palmo  quadralo  grossi 
bolloni  di  ferro,  che  rimasero  illesi. 

I  muri  laterali,  che  coi  gangheri  tengono  la  porta, 
sono  di  durissimo  sasso,  e  nel  luogo  ove  la  porzio- 
ne di  porta  fissa  s'  unisce  alla  porzione  che  s'  apre, 
il  sasso  protubera  maggiormente.  Sulla  porzione  di 
protuberanza  che  guarda  l' interno  della  porla  urtò 
la  folgore;  ne  schiantò  un  pezzo,  e  forse  perchè  la 
resistenza  fu  maggiore  dell'  impeto,  il  masso  d'  elet- 
trico non  andò  a  piombo,  ma  si  diresse  tra  la  porta 
socchiusa  ed  il  muro  a  quattro  piedi  nell'  interno 
del  ricovero  formato  dall'  arco. 

Quivi  stavano  dieci  individui  ragionando,  alcuni 
ritti  sul  muro,  altri  sostenuti  dalla  porta  semiaperta 
altri  in  piedi  nello  spazio  frammezzo. 


190 

Uno  d'  anni  66  erasi  ranniochiato  in  vicinanza 
dei  gangiieri,  e  dall'  urto  dell'  elettrico  non  ebbe  a 
soffrire  che  un  senso  di  bruciore,  e  forte  intormen- 
timento nel  bi'accio  sinistro.  Altro  lagazzo  d'  anni 
13  stavagli  d'appresso  ritto  sul  muro,  e  questo  ebbe 
a  sperimentare  un  urto  forte  in  tutta  la  persona, 
seguito  da  bruciore  e  prostrazione  di  forze.  Non 
cadde  a  terra. 

Per  terzo,  appoggiato  al  muro,  v'  era  un  giovi- 
netto d'anni  15  che  rimase  ucciso  all' istante.  Ri- 
portò i  capelli  della  parte  posteriore  del  capo  bruciati, 
ed  una  escoriazione,  per  scottatura,  vicina  alla  mam- 
mella sinistra.  I  bottoni  di  ferro  fuso  del  di  dietro 
dei  calzoni  scomparvero. 

Stava  prossimo  a  quest'  infelice  un  ragazzo  di 
anni  12,  il  quale  ebbe  bruciati  i  capelli  del  di  dietro 
dèlia  testa  con  piccole  flittene  sul  lato  destro  del 
collo  e  tiammezzo  alle  scapole-  Stette  4  o  5  minuti, 
nelle  apparenze  di  morte,  e  dopo  mezz'  ora  vomitò 
il  cibo;  fu  preso  da  forte  agitazione  per  pochi  minuti, 
e  lagnossi  fin  dal  principio  d' un  senso  di  bruciore 
in  tutto  il   corpo. 

Un  giovine  di  anni  20,  che  gli  stava  vicino,  restò 
morto  sul  momento.  Gli  fu  rinvenuto  il  cappello  di 
lana  aperto  con  due  piccoli  fori,  i  capelli  bruciati, 
una  escoriazione  sull'  ipocondrio  sinistro,  ed  altre 
tre  escoriazioni  sul  dorso,  resistenti  al  tatto. 

A  pochissima  distanza  da  quest'  ucciso  si  trova- 
vano tre  individui.  Uno,  che  conta  30  anni  d'  età, 
cadde  a  terra,  perchè  sentì  come  d'  aver  fratturata 
la  gamba  destra  ed  il  braccio;  nel  cadere  si  fratturò 


191 

tre  denti,  ma  dopo   pochi    istanti    appoggialo  potè 
tornare  a  casa. 

Un  altro  di  anni  35  stramazzò  a  terra  persuaso  di 
aver  fratturate  le  cosce  e  le  gambe.  Fu  poitato  nella 
propria  abitazione;  ma  tranne  un  senso  di  scottatura 
forte  (4ie  sulle  parti  offese  soffriva,  nient'altro  indica- 
va die  potessero  tornare  servibili.  Quasi  tre  ore  pas- 
sarono priachò  riacquistassero  un  moto  limitatissimo. 

Il  terzo  di  anni  75,  eh'  ebbe  bruciato  il  cappello 
e  fu  percosso  sulla  fronte,  cadde  a  terra  colle  sem- 
bianze di  morte.  Tra  dieci  minuti  potè  esser  con- 
dotto appoggiato  a  casa. 

Altro  vecchio  d'  oltre  60  anni  soffri  forte  movi- 
mento, ma  barcollando  tornossene  a  casa  che  distava 
20   passi. 

Un  giovane  d'  anni  28  cadde  a  terra  come  morto, 
ed  in  tale  slato  si  mantenne  per  dieci  minuti  al- 
meno. 

Poggiato  al  di  fuori  dello  stipite  della  porta 
stava  ritto  un  giovane  di  anni  20,  al  quale  parve 
d'  essere  stato  investito  da  una  fiamma,  e  nuli'  altro 
soffiì. 

Nel  lato  sinistro  del  ricovero  dentro  la  porla  v'e- 
rano altre  venti  persone  almeno,  e  nessuno  pali  l'ef- 
fetto dell'  elettrico;  solo  una  fanciulla  di  anni  9,  che 
stava  colla  madre  isolate  nel  centro,  si  sentì  op- 
pressa e  come  scottato  il  braccio  destro. 

Quasi  colla  rapidità  dell'  infortunio  le  grida  si 
diffusero  di  vicinato  in  vicinato:  ed  ecco  un  accor- 
rere, altri  per  chieder  del  figlio,  altre  dello  sposo. 
Ma  qual  non  fu  l'orrore  di  tutti  allorché  giungendo 
mirarono  a  teira  come  morti  tanti  individui? 


192 

Alcuni  l'obusli  ed  animosi  presero  gli  sbalorditi 
sulle  braccia  e  li  portarono  nelle  rispettive  case; 
altri  si  diedero  a  togliere  dal  sito  funesto  e  i 
morti  e  i  creduti  morti  introducendoli  in  una  vici- 
na camera  ad  uso  di  stalla:  ed  in  tanto  io  ve- 
niva chiamato  ad  accorre  in  aiuto  di  loro.  Gia- 
ceva ancora  sul  luogo  della  disgrazia  il  più  piccolo 
degli  uccìsi,  quand'  io  giungea;  il  feci  tosto  portare 
a  casa,  e  lo  denudai  con  cautela,  e  poscia  impresi 
a  lavargli  la  faccia  ed  il  capo  con  acqua  ed  aceto 
freddo,  e  ad  appressargli  aceto  puro  alle  narici.  E 
nel  tempo  istesso  eh'  altri  operavano  strofinamenti 
suir  esrremilà,  e  sul  resto  del  corpo,  io  procurava 
con  dolci  pressioni  suir  epigastrio  di  mett.ere  in 
movimento  il  diafiamma,  il  cuore  ed  i  polmoni;  ma 
perchè  tali  cose  non  conducevano  alcun  vantaggio, 
colla  sonda  da  donna  cercai  d' introdurre  dell'  aria 
pei  polmoni,  e  di  badare  che  l'aria  stessa  ne  sortisse 
mediante  pressione  sul  ventre  ed  ai  Iati  del  petto; 
e  ciò  accadeva  regolarmente. 

Altrettali  aiuti  si  venivano  apprestando  all'infe- 
lice dal  dottor  collega  Adeodato  Settimj;  e  siccome 
senza  vantaggio  fu  tentato  ancora  il  salasso  dal 
braccio,  corsi  a  munirmi  dell'  alcali  volatile,  della 
cannula  da  esofago  e  del  tubo  laringeo  di  Chaussier. 
Ma  né  1'  appressare  I'  ammoniaca  alle  narici,  né  la 
respirazione  eccitata  col  tubo  e  più  volte  ripetuta,  né 
r  introduzione  pel  retto  e  sullo  slomoco  di  poche 
gocce  d' alcali  diluite  nell'  acqua,  valsero  a  ridestare 
quella  vita  che  s'  era  spenta  nel  momento  dell'  in- 
fortunio. 

Le  fregagioni  secche  fui'ono  praticate  finche  la 


193 

rigidezza  non  s  impossessò  dei  cadaveri. 

Gli  altri,  che  furono  colpiti  dalla  folgore,  non 
abbisognarono  che  di  poco  vino  da  bere,  di  lavature 
sulle  parti  tocche,  e  di  bagni  con  posca  fredda.  Al 
terzo  giorno  tutti  erano  fuori  di  letto. 

Un  giovane  di  anni  28,  che   per   dieci    minuti 
rimase  nelle  sembianze  di  morte,  ha  molto   debole 
la  memoria;  ed  il  vecchio  d'  anni  75,  colpito  sulla 
fronte,  conserva  alquanta  ottusità  di  capo. 
Di  Norcia  nel  giugno   1855. 

Silvestro  Massetti  chir.    prim. 

Segue  un  brano  di  lettera  che  lo  stesso  sig.  Mas- 
setti dirigeva  al  sig.  prof.  Maggiorani  a  schiarimento 
del  citato  racconto. 

Gentilissimo  sig.  professore, 

L' istoria  di  fulminazione  eh'  ebbe,  sig.  profes- 
sore, or  sono  alcuni  mesi,  non  potea  star  fornita 
di  tutte  le  particolarità,  perchè  messa  insieme  dopo 
trascorso  non  poco  tempo  dall'  avvenimento  e  senza 
i  necessari  minuti  appunti.  E  giacche  col  graditis- 
simo foglio  de'  20  ottobre  scorso,  qui  giunto  dopo 
12  giorni,  mi  porge  la  favorevole  occasione  di  ripa- 
rare alle  omissioni,  di  buon  grado  mi  chiamo  in 
debito  di  farlo,  sebbene  dubito  che  non  varrà,  ciò 
che  dico,  allo  scopo  cui  mirasi.  Ed  intorno  alle  pic- 
cole ustioni,  ustioni  che  non  eccedono  il  pollice  in 
lunghezza  e  tre  linee  in  larghezza,  nulla  saprei  ag- 
giungere a  dilucidazione  ;  solo  posso  dichiarare, 
G.  A.  GXLV.  13 


l9i 

che  la  pelle  denudata  di  cuticola  sentiasi  sotto  il 
tatto  prosciugata,  e  perciò  resistente,  senza  che 
potesse  accagionarsene  l' impressione  dell'  aria:  per- 
chè r  aria  in  così  breve  tempo  non  avrebbe  potuto 
indurre  simile  durezza.  E  per  dirla  schietta,  io  cre- 
detti che  il  disseccamento  fosse  nato  per  la  grande 
quantità  di  calorico,  il  quale  collo  scalfire  1'  epider- 
mide avesse  attratta  V  umidità  della  pelle;  ed  a  que- 
sto modo  s'acconciava  meglio  l'intelletto,  se  con- 
sideravo che  nel  ragazzo  prossimo  agli  uccisi  minor 
somma  di  calorico  non  indusse  che  piccole  flettene 
sparse  pel  destro  lato  del  collo  e  frammezzo  alle 
scapole. 

Ella  è  cosa  indubitata  che  la  sclerotica  in  am- 
bedue i  fulminati  mostravasi  piiì  visibile,  per  quasi 
una  linea  all'  intorno;  ma  non  potrei  sostenere  se 
per  protuberanza  degli  occhi  o  per  paralisi  delle 
palpebre. 

Le  congiuntive  non  aveano  vasi  sanguigni  tur-r 
gidi. 

Non  offrirono  apparenze,  da  farne  soggetto  di 
rimarco,  le  poche  gocce  di  sangue  che  s' ebbero 
dall'  apertura   nelle  vene  brachiali. 

La  rigidezza  delle  membra  e  della  mascella  in^ 
feriore  era  ben  pronunciata  cinque  ore  dopo  l' infor- 
tunio. 

E  per  dire  ancora  della  putrefazione,  basterà 
riferire  il  seguente  annedoto.  I  cadaveri  di  buon 
mattino  furono  trasportati  in  chiesa:  ivi  si  ritennero 
fin  quasi  a  sera,  e  giunta  l'  ora  della  tumulazione 
parve  ad  alcuni  astanti  accorsi  a  lucrare  indulgenze 
che  ancora  vivessero.  Ben  presto  dall'  uno  all'  altro 


195 

tutti  ne  sanno,  molti  acorrono  a  mirare  il  prodigio; 
ma  ingannevole  apparenza!  la  morte   sussìsteva  in 
fatto.  Dopo  altre   ore  furono  seppelliti  per  coman' 
damento  del  parroco.  Ciò   dimostra,  che   la  putre- 
fazione si  fece  attendere  piuttosto  che  no;  e  che  la 
faccia  e  parte  superiore  del  tronco,  investiti    certo 
dalla  colonna  elettrica,  non  cangiarono  colore.  Inu- 
tili   sarebbero    riuscite  le  premure    impiegate    per 
ottenere  dai  parenti  il  permesso  di  fare  1'  autopsia. 


Unità  della  specie  umana. 

I.  il  on  solo  per  la  venerazione,  che  gli  eruditi  han- 
no al  mosaico  Pentateuco,  ma  ancora  per  chiarire  la 
verità  e  maggiormente  diffonderla,  noi  discorriamo 
gli  argomenti  fisici,  che  V  unità  della  specie  umana 
dimostrano.  Col  sacro  libro  alla  mano  non  havvi 
difficoltà  a  risolversi;  e  renderebbesi  inutile  la  polo-- 
mica,  se  noi  non  mirassimo  a  stabilire  che  le  fisiche 
nozioni  non  sono  vere,  se  alla  divina  e  rivelata  sci^ 
enza  non  si  conformano. 

2.  Furono  già,  e  sono  tutt'  ora,  tra  gli  etcrolo- 
ghi innovatori  dei  zoologi  che  senza  darsi  la  briga  di 
leggere  il  Pentateuco;  e  molto  meno  il  fastidio  pren- 
dersi di  consultare  i  profondi  storici  della  natura; 
hanno  vaghezza  di  orservare  le  varietà  della  specie 
umana;e  su  queste  basandosi,  stabiliscono  delle  specie 
e  dalla  specie.  E  dalle  varietà  che  osservano  esservi  tra 
l'uno  e  l'altro  uomo,  e  tra  quegli  che  in  diversi  luoghi 
vivono,  fanno  della  specie  umana  ciò  che  altri  fanno 
di  un  regno,  di  una  classe,  di    un  ordine  e  di  un  gè- 


196 
nere.  Ed  in  vece  di  dire  la  varietà,  che  il  clima  de- 
termina negli  animali,  che  il  cosmo  popolano:  dicono 
la  razza  caucasica  umana,  la  mongola,  1'  etiopica, 
]'  americana  e  la  malese.  Ed  un  senniano  moderno 
baione,  poco  o  nulla  intelligente  delle  sacre  e  delle 
cose  fisiche,  vuole  eziandio  sostenere  essere  stata 
quintupla  la  primordiale  generazione  dell'  umana 
specie.  E  la  specie  diviene  per  costui  un  genere,  e 
poco  mancavi  che  non  l' innalzi  ad  un  ordine,  ad 
una  classe;  o  che  ne  faccia  un  regno  senza  vassalli. 
3.  Carattere  essenziale  del  regno,  della  classe, 
dell*  ordine,  del  genere  e  della  specie  è  quello  che 
non  si  cambia  e  che  di  sua  natura  è  invariabile.  Così 
il  minerale  naturalmente  cresce:  il  vegetabile  cresce  e 
vegeta:  e  l'animale  cresce,  vegeta  e  sente.  I  mammali 
allattano,  i  bimani  stanno  ritti  su  due  piedi,  ed  i  qua- 
drupedi con  quattro  gambe  si  muovono.  E  non  si  è 
mai  veduto,  per  modo  di  esempio,  l'aquatico  ani- 
male cambiarsi  in  terrestre,  ed  il  terrestre  in  aqua- 
tico, ed  il  volatile  o  in  aquatico  o  in  terrestre;  né 
il  vegetabile  in  animale,  e  1'  animale  in  vegetabile; 
ne  il  bimane  in  quadrupede,  ed  il  quadrupede  in  bi- 
mane. Non  valgono  a  contraddire  questa  universale 
proposizione  ì  permutamenti  che  naturalmente  subi- 
scono i  diversi  organici  prodotti:  verbigrazia,  che  il 
baco  da  seta  metta  le  ali,  ed  altri  animali  varia- 
mente si  metamorfizzino.  Mentre  sono  le  condizio- 
ni essenziali  del  loro  organico  svolgimento.  Come 
i  mutamenti  che  naturalmente  compionsi  nel  corso 
della  vita  umana  (1).  Gli    essenziali    caratteri   non 


(1)  Nat.  storia  della  vita  proposta  comfi  nuovo  organo  della  scienza 
clinica.  G.  A.  T.  CXXl.  CXXII. 


197 

mutansi,  senza  che  si  distrugga  il  regno,  la  classe, 
l'ordine,  il  genere  e  la  specie.  Solo  si  variano  all'  in- 
finito gli  accidentali:  verbigrazìa,  il  colorilo  della 
pelle,  la  grandezza,  la  vivacità,  la  robustezza.  Permu- 
tamenti, che  si  possono  determinare  a  piacimento. 
Porta  nella  penisola  o  itaUca  o  iberica  ed  in  altri 
luoghi,  delle  negre  famiglie,  e  tra  loro  accoppiale; 
e  in  capo  a  poche  generazioni  dai  negri  avrai  dei 
bianchi.  E  porta  i  bianchi  ove  sono  naturalmente  i 
negri, e  vedrai  nelle  successive  generazioni  annerarsi 
la  pelle,  e  dai  bianchi  nascere  i  negri.  AH'  incontro 
r  essenzialità  della  specie  umana  rimanesi  costante- 
mente la  medesima.  Percorri  ovunque  la  superfìcie 
del  cosmo:  ed  in  ogni  Uiogo,  ove  sono  gli  uomini, 
troverai  che  sono  mammiferi,  bimani,  ragionevoli, 
e  che  hanno  il  dono  della  favella-  Non  vale  a  con- 
traddire questa  generale  proposizione  l'osservazione 
dei  goldoniani  viaggiatori,  che  spesso  asseriscono 
ciò  che  non  hanno  veduto;  ma  quanto  hanno  o  im- 
maginato 0  sognato.  Sia  pure,  che  in  alcuni  luoghi 
abbiano  costoro  veduto  degli  uomini  erranti  per  li 
boschi,  che  a  guisa  degli  animali  si  movevano  e 
vivevano.  Imperocché,  oltre,  l'essere  cosa  singolare 
e  non  generale,  noi  domandiamo  a  costoro,  se  gli 
uomini  erranti  avevano  la  conformazione  dei  bimani 
o  dei  quadrupedi;  e  se  avevano  1'  attitudine  alla  lo- 
quela ed  al  ragionamento.  E  costoro  dovranno  ri- 
sponderci, che  erano  essenzialmente  mammiferi,  bi- 
mani, ragionovoli  ed  eloquenti.  Così  i  caratteri  es- 
senziali in  costoro  non  mancavano;  e  le  sole  acci- 
dentalità gli  facevano  vivere  alla  maniera  degli  altri 
animali.    Come  tu  potrai  attuare,  errando  solo  nei 


198 
boschi,  un  mutuo  linguaggio?  E  come  potrai  ragio- 
nare tra  gli  esseri  irragionevoli?  All'  incontro  gli 
accidentali  caratteri,  su  cui  si  basano  dagli  etcro- 
loghi innovatori  le  varie  specie  della  specie  umana, 
nel  traslocarsi  gli  uomini  variano  e  si  dileguono; 
e  sono  accidentalità  ,  che  le  varie  località  deter- 
minano; non  sono  i  permanenti  contrassegni,  da 
cui  ricavansi  gli  essenziali  caratteri  che  stabiliscono 
i  regni,  le  classi,  gli  ordini,  i  generi,  e  le  specie, 
e  che  sostengono  V  unitaria  aboiigenca  creazione 
della  specie   umana. 

V.  Catalani 


Relazione  della  commissione  deputata  alV  esame 
delle  opere  teatrali  concorrenti  al  premio,  diretta  a  sua 
eccellenza  reverendissima  monsignor  Teodolfo  Mertel 
ministro  dell"  interno. 

Eccellenza  Reverendissima 

X  ra  i  mezzi  più  efficaci  a  rendere  i  popoli  fiorenti 
per  buona  morale  e  per  cittadine  virtù,  non  ultima 
è  la  coltura  di  quella  istituzione  d'  antica  sapienza, 
la  quale  ammonendo  e  correggendo,  o  con  la  pietà 
o  col  terrore,  o  col  diletto  o  con  lo  stesso  ridicolo, 
ritragga  dal  vizio  lo  spettatore,  che  vide  nella  com- 
media lo  specchio  di  se  stesso.  Questa  verità,  rico- 
nosciuta dai  savi  e  generalmente  applaudita,  è  stata 
da  lungo  tempo  soffocata  tra  le  prepotenti  illusioni 


199 
onde  si  amò  da  molti  scrittori  adornare  il  perverso 
disegno  che  si  eran  prefìsso,  quello  di  solleticare  le 
più  malvage  passioni  popolari  col  mezzo  del  tea- 
tro. Ecco  pertanto  deviata  1'  istituzione  dal  suo 
scopo:  eccola  spinta  per  tutt'  altra  strada  da  quella 
all' infuori  che  le  fu  da  principio  assegnata,  d'  istruire 
dilettand  )  a  farne  migliori. 

Il  governo  di  Sua  Santità. vide  il  riprovevole  scon- 
cio, ed  avvisò  al  rimedio;  e  V.  E.  Rma,  fattasi  inter- 
prete della  sovrana  sapienza,  in  data  dei  30  settem- 
bre inviò  la  circolare  N.  75042  ai  presidi  delle 
province  su  questo  importante  oggetto.  In  essa, 
ricordato  lo  scopo  del  teatro  e  la  necessità  di  richia- 
marvelo,  invitava  quei  magistrali  ad  aprire  un  con- 
corso fra  tutti  ì  letterati  che  del  teatro  stesso  aveva- 
no fatto  studio  speciale,  eccitandoli  «  a  scrivere  pro- 
«  duzioni  teatrali,  per  le  quali  venisse  inculcata  la 
«  morale  e  reso  evidente  il  trionfo  della  virtìi(l).)) 
E  siccome  non  v' ha  sprone  più  potente  alla  emu- 
lazione che  il  premio  o  la  speranza  di  conseguirlo, 
così  r  E.  V.  Rma  accertava,  che  quante  volte  si 
fossero  presentati  componimenti  drammatici,  che 
dal  lato  dell'  arte  e  da  quello  della  morale  fossero 
commendevoli,  ne  sarebbe  stato  l'autore  rimeritato 
con  premio  da  decretarsi,  consultato  su  ciò  il  giu- 
dizio di  una  commissione. 

Questa  saggia  disposizione  fu  al  pubblico  con- 
fermata coir  oi'gano  ufficiale  del  Giornale  di  Roma 
ai  5  di  dicembre  dello   stesso    anno    1853  (2);  ed 


(1)  V.  Allegato  N.  1. 

(2)  V.  Allegato  N.  2. 


200 
umiliata  alla  Santità  di  Nostro  Signore  la  proposta 
di  una  commissione,  V  E.  V.  Rnria  con  dispacci  del 
12  gennaio  1854  diramò  le  nomine  al  presidente 
ed  ai  singoli  membri,  che  furono  di  sì  benigna  fidu- 
cia sommamente  onorati. 

Nominati  membri  della  commissione,  oltre  al 
sottoscritto  presidente  vescovo  (V  Eritrea,  furono 
monsig-  Slefano  Rossi,  i  signori  D.  Giovanni  de'' prin- 
cipi Chigi,  cav.  prof.  Salvatore  Betti,  avv.  Candido 
Tosi  (3),  ed  il  segretario  qui  appiè  firmato  Vincenzo 
Prinzivalli. 

In  adempimento  pertanto  del  nobile  incarico 
affidato  loro  da  V.  E.  Rma,  fino  dal  20  di  gennaio 
del  1854  i  membri  della  commissione  deputata 
air  esame  dell'  opere  teatrali  concorrenti  al  premio 
incominciarono  le  loro  sessioni,  le  quali  si  rinnova- 
rono ogni  volta  che  TE-V.  Rma  ebbe  ad  essi  inviate 
le  nuove  produzioni  teatrali,  che  successivamente 
vennero  presentate. 

Cinquanta  componimenti  drammatici,  compre- 
sevi tragedie,  melodrammi,  drammi,  commedie  e 
farse,  sono  state  fin  qui  T  oggetto  degli  studi  della 
commissione,  la  quale  adottò  a  tal  fine  un  suo  in- 
terno regolamento,  a  cui  piacque  all'  E.  V.  Rma 
apporre  autorevole  sazione.  I  principali  articoli 
del  regolamento  provvedevano  alle  basi,  sulle  quali 
la  commissione  avrebbe  fondato  il  proprio  opina- 
mento:  e  però  stabiliva  che  ciascuna  delle  produ- 
zioni sarebbe  stata  esaminata  circa  la  morale,  la  con- 


(3)  L'  avv.  Tosi    sventuratamente  fu  dopo    poco    tempo   rapito 
da   morte  ai  lavori  del    concorso. 


201 

dotta  della  favola,  la  verisimile  imitazione  dei  ca- 
ratteri e  dei  costumi,  la  sentenza,  lo  stile  e  la  lingua. 
Inoltre,  previstasi  la  graduazione  possibile  nel  merito 
di  tutti  i  componimenti,  si  divise  il  concorso  nelle 
tre  categorie:  1.  di  quelli  degni  di  premio;  2.  di 
quelli  meritevoli  di  una  medaglia  d'incoraggiamento; 
3,  di  quelli  plausibili  con  una  considerazione  di  lode: 
la  qual  classe  si  suddivise  in  seguito,  secondo  un 
merito  riconosciuto  maggiore.  Si  lasciarono  in  una 
quarta  categoria  tutte  quelle  produzioni,  che  non 
contenessero  elementi  atti  ad  occupare  nessuna  delle 
tre  categorie  summentovate. 

Riconobbe  inoltre  per  suoi  canoni  la  commis- 
sione di  non  ammettere  all'  esame  se  non  le  opere 
inedite  in  qualunque  tempo  scritte;  di  accettarle 
dai  soli  sudditi  dello  stato  pontificio;  di  discutere 
collegialmente  i  voti,  già  distesi  dai  singoli  membri. 
A  questi  principii  fu  trovato  necessario  aggiungei'ne 
pure  altri.  Imperocché  essendo  piaciuto  all'  E.  V. 
Rma  d' interpellare  la  commissione,  se  fosse  conve- 
niente ammettere  al  concorso  le  traduzioni  teatrali 
dalle  lingue  estere,  la  commissione  stessa  si  permise 
fare  osservare  a  V.  E.  Rma,  doversi  il  guasto  princi- 
pale del  nostro  teatro  ripetere  appunto  dalle  tradu- 
nioni  che  lo  hanno  ammorbato;  e  la  morale,  prima 
qualità  d'  aversi  a  cuore  ne'  componimenti ,  non 
esser  da  attribuire  a  merito  o  colpa  del  traduttore. 
E  però  fu  opinato  di  escluder  siffatto  genere  di 
lavori  drammatici  dal  concorso.  Siccome  poi  avven- 
ne, durante  1'  esame,  che  la  commissione  si  credè  in 
obbligo  di  avvertire  alcuno  degli  autori  del  modo 
onde  avrebbe  potuto  emendare  da  lievi  difetti  quelle 


202 

produzioni,  ricche  d'altronde  di  vari  pregi,  così  fu 
determinato  di  riammettere  al  concorso  quelle  opere, 
i  cui  autori  consentissero  di  sottostare  alle  accen- 
nate condizioni. 

L'È.  V.  Rma  credette  opportuno  di  sanzionare 
tutto  ciò  che  la  commissione  avea  proposto,  facendo 
solo  straordinariamente  un'  eccezione  nell'  articolo 
risguardante  la  patria  degli  scrittori,  ammettendovi 
pure  due  drammaturghi  toscani.  E  su  questi  fonda- 
menti coloro,  che  furono  dalla  E.V.Rma  onorati  della 
confidenza  del  giudizio,  eseguirono  colla  maggiore 
diligenza  possibile,  con  1'  impegno  il  più  volente- 
roso, con  la  più  scrupolosa  analisi  il  proprio  man- 
dato. La  commissione  poi  brevemente  le  umilia  un 
sunto  de'  suoi  lavori,  giunta  com'  è  a  poter  presen- 
tare un  tutto  compiuto  nelle  singole  parti:  ciò  che 
fino  al  presente  non  le  era  stato   concesso. 

Per  incominciare  dalla  classe  più  numerosa,  a 
cui  si  è  ridotto  il  concorso,  due  tragedie,  un  melo- 
dramma, otto  drammi,  tredici  commedie,  due  farse 
non  furono  dalla  commissione  riputate  degne  di 
essere  considerate.  E  a  questo  giudizio  fu  condot- 
ta la  commissione  da  cause  diverse.  Imperocché 
quale  mostrossi  ignaro  affatto  delle  più  ovvie  ra- 
gioni dell'  arte  comica:  quale ,  bastevolmente  in 
queste  iniziato,  non  fu  cauto  qua  e  là  nelle  cose 
importantissime  della  morale:  quale  al  poco  inte- 
resse congiunse  il  difetto  di  una  lingua  sommamente 
scorretta.  Sicché  con  rammarico  la  commissione 
pronunziò  su  qualcheduna  di  queste  produzioni  una 
severa  censura,  abbenchè  a  qualche  prestigio  di 
vivace  dialogo  unissero  talvolta  regolarità  d' intrec- 


203 

ciò  e  svolgimento  artistico  non  indegno  al  tutto  di 
soggetto  migliore. 

Alla  terza  classe  appartengono  tutti  que'  com- 
ponimenti, pe'  quali  la  commissione  rassegnò  al- 
l' E,  \.  Rma  1'  opinamento  per  mia  considerazione 
di  lode.  —  La  tragedia  lirica  del  sig.  Francesco  Ca- 
pozzi  di  Lugo,  Teodorico,  fu  dalla  cojnmissione  ri- 
tenuta meritevole  di  una  semplice  considerazione, 
perciocché  non  avendo  lati  riprovevoli,  ne  possedeva 
uno  di  molto  commendévole,  quello  dello  stile  e 
della  lingua.  —  Un  grado  presso  a  poco  uguale  fu 
dalla  commissione  scorto  nel  melodramma,  il  Ca- 
stello delle  24  ore,  del  sig.  Gabriele  Fronduti  d'Ar- 
cevia.  Semplicità  nella  condotta  e  nello  stile,  morale 
sentenza  specchiata  sono  i  pregi  di  questo  melo- 
dramma, nel  quale  nondimeno  si  desidera  alcuna 
condizione  piii  artistica  nei  caratteri  e  nella  sce- 
nica conoscenza.  V  è  però  degno  di  speciale  ri- 
lievo lo  aver  tentato  di  porre  in  iscena  uno  splen- 
dilo sacrifizio  della  vita  a  testimonianza  della  re- 
ligione. 

Si  apre  la  2  serie  di  questa  classe  da  altro 
dramma  lirico  presentato  dal  sig.  Pio  Severa,  gover- 
natore di  Veroli,  intolato  Wanda.  In  genere  notò 
la  commissione,  non  aver  questo  dramma  le  qualità 
richieste  nel  moderno  stile,  a  musicare  un'  opera; 
ma  siccome  la  condotta  n'  è  ragionevole,  verisi- 
mile la  pittura  dei  caratteri,  non  mancando  1'  A. 
di  poetica  fantasia,  né  osando  ancora  di  pronun- 
ziare come  canone  contrario  alla  bontà  di  un  dram- 
ma il  suicidio,  la  commissione  rassegnò  a  V.  E. 
Rma,  per   riguardo   alla    Wanda,  V  opinamento  di 


204 

una  più  speciale  considerazione  di  lode.  La  quale, 
con  onorevole  dispaccio  ministeriale,  fu  all'  autore 
manifestata  per  mezzo  d'  Una  medaglia  d'  argento 
di  grande  dimensione  coli'  epigrafe    Benemerenti. 

La  medesima  considerazione ,  espressa  nella 
stessa  guisa,  con  dispaccio  di  V.  E.  Urna  ottenne 
il  sig.  dott.  Dario  cav.  Calisti  romano,  il  quale  aveva 
recato  all'  esame  un  suo  dramma  in  cinque  atti, 
col  titolo  Emma  ,  ovvero  Un  esempio  alle  figlie. 
L'È.  V.  Rma  fu  così  benevola,  come  sempre,  verso 
la  commissione,  che  nel  partecipare  al  cav.  Calisti 
questo  attestato  di  onore,  gli  comunicò  pure  1'  opi- 
namento,  concepito  ne'  termini  seguenti:  «  La  com- 
«  missione,  nell'  esaminare  gli  scritti  del  cav.  Ca- 
«  listi,  ha  riputato  meritevole  di  commendazione 
»  Io  zelo  veramente  sincero  e  continuato  di  pro- 
«  muovere  nel  pubblico  la  buona  morale;  e  perciò, 
«  lasciando  assolutamente  di  encomiare  o  di  ap- 
«  provare  le  teorie  adoperate  dal  suddetto  circa  le 
«  principali  norme  dell'  arte  comica,  opina  d'  in- 
«  coraggiare  il  suddetto  cav.  Calisti  con  una  meda- 
«  glia  di  argento  pel  solo  primo  titolo,  non  di- 
«  sgiunto  dall'  altro  di  avere  avuto  in  vista  i  sani 
«  principii  di  una  politica  di  buona  e  fedele  sud- 
((  ditanza.   »   (  Così  nel  rapporto  n.  IL) 

L'  E.  V.  Rma  si  degnò  pure  accordare  una  me- 
daglia di  argento  alla  commedia  in  tre  atti  Né  troppo 
ne  poco  del  sig.  conte  Luigi  Flamini  di  Roma,  a 
cui  dalla  commissione  fu  attribuita  una  particolare 
considerazione,  essendoché  il  buon  fine  propostosi 
dall'  autore,  la  disinvoltura  delle  parti,  i  caratteri 
bastantemente   sostenuti  la  costituiscano   un  prege- 


205 

vole  lavoro,  sebbene  in  sostanza  non  ci   porga  im- 
magini al  tutto  nuove. 

Al  presidente  della  commissione  fu  partecipato 
dalla  E.  V.  Rma,  che  all'articolo  VI  del  regolamento, 
ove  il  concorso  si  limitava  a'sudditi  dello  stato  pon- 
tifìcio ,  avrebbe  fatta  un'  eccezione  in  favore  del 
sig.  Tito  Cesare  Merli  di  Lucca,  il  quale  n'  aveva 
presentata  perciò  un'  istanza,  insieme  con  dodici  sue 
produzioni  teatrali.  E  la  commissione,  sollecita  di 
prestarsi  ai  venerati  ordini  di  V.  E.  Rma,  pronun- 
ziò vari  giudizi  sulle  commedie  intitolate:  Onore  e 
miseria  —  Il  buon  diavolo  —  //  matrimonio  fra  due 
uomini  —  La  congiura  degli  ungheresi  —  Un  barile 
di  Tokai  —  Gaudeman  de  Bekingcìch  —  Ernesto  di 
Brianza  —  Premio  e  pena  —  //  perdono  —  U usciere 
ed  il  copista  ~  Una  notte  di  sangue  —  /  due  avvo- 
cati.— E  sommati  i  diversi  opinamenti,  sceverando 
il  buono  dal  suo  opposto,  si  potè  scorgere  di  quanto 
ingegno  drammatico  fosse  fornito  il  sig.  Merli,  e 
come,  rispettando  scrupolosamente  la  buona  mora- 
le, potesse  giovare  al  teatro  italiano.  Il  perchè  av- 
visò la  commissione,  poterglisi  appalesare  dall'  E. 
V.  Revma  un  contrassegno  di  benevolenza  ed  in- 
coraggiamento. E  r  ottenne,  essendoglisi  da  codesto 
ministero  indirizzato  un  dispaccio  con  una  medaglia 
di  argento. 

Ma  degli  autori  fin  qui  nominati  un  posto  mag- 
giore ottenne  il  sig.  Rigoberto  Montautti  di  An- 
cona pel  suo  dramma  in  tre  atti:  Senza  maschera. 
Il  nobile  fine  di  smascherare  un  astutissimo  ingan- 
natore e  punirlo  al  cospetto  di  quella  società,  in- 
nanzi a  cui  si  era  imposto  il  carattere  di  giusto,  è 


206 

di  per  se  stesso  un  pregio  del  lavoro.  Aggiuntisi  a 
ciò  ricchezza  di  episodi,  vivacità  di  dialogo,  succes- 
sione di  ragionevoli  colpi  di  scena,  non  può  che 
prodursi  eflfetto  sicuro  all'  animo  dello  spettatore. 
E  questo  è  certo  nell'  opera  del  signoi-  Montautti, 
malgrado  di  alcunché  di  troppo  caricato  nelle  tinte 
e  di  troppo  maraviglioso  nello  sviluppo:  che  unito 
ad  una  lingua  alquanto  negletta,  ha  fatto  sì  che  la 
commissione  siasi  astenuta  di  concedere  al  giovane 
scrittore  nella  scala  di  merito  un  grado  più  alto,  a 
cui  avrebbe  potuto  per  molte  doti  artistiche  aspi- 
rare. L'  E.  V.  Rma,  considerato  il  parere  suddetto, 
si  compiacque  inviare  al  sig.  Montautti  una  meda- 
glia di  argento  accompagnata  da  onorifico  dispaccio. 

Giovane  di  liete  speranze  per  il  teatro  italiano 
è  il  sig.  Lodovico  Antonio  Muratori  romano.  Due 
delle  sue  produzioni  comiche,  presentate  all'È.  V. 
Rma  e  rimesse  al  giudizio  della  commissione,  otten- 
nero favorevole  voto.  Furon  esse:  Le  memorie  di 
una  giovane  donna^  commedia  in  tre  atti:  e  La  ve- 
dova e  Io  studente,  commedia  di  un  atto.  La  prima 
fu  stimata  giustamente  goldoniana,  secondo  la  bella 
scuola  d'  Italia;  i  caratteri  ed  i  costumi  sono  ben 
dipinti;  lo  stile  è  buono,  quanto  alla  morale  non 
havvi  cosa  da  doverglìsi  rimproverare.  Altrettanto 
è  della  seconda  commediola,  vivace  e  gaia  abba- 
stanza per  potere  nel  suo  genere  ottenere  un  grado 
considerevole.  La  commissione  opinò  unanimem^'J" 
te,  che  al  sig.  Muratori  si  concedesse  una  medaglia 
d'incoraggiamento. 

L' ingiusto  esilio  sofferto  da  Dante    Alighieri  e 
le  discordie  cittadinesche  onde  Firenze  fu  lacerata 


207 

nel  secolo  medesimo,  che  in  essa  appunto  si  fon- 
dava la  lingua  e  la  letteratura  italiana,  inspirarono 
al  sig.  Francesco  Massi,  prof,  di  eloquenza  nella 
università  romana,  il  generoso  pensiero  di  porre 
sulla  scena  un  periodo  di  quell'  età,  e  compose  la 
tragedia  Coì^so  Donati.  Essa  fu  trovata  un  erudito 
lavoro;  la  sentenza  e  la  morale  esposte  senza  mac- 
chia; lo  stile  caldo,  dignitoso,  egregiamente  poetico: 
la  lingua  trattata  da  buon  maestro.  E  certamente 
per  questa  parte,  pur  tanto  considerabile  per  la 
trascuratezza  a  cui  si  abbandonano  gli  scrittori  tea- 
trali, la  tragedia  del  prof.  Massi  è  il  miglior  com- 
ponimento che  siasi  presentato  al  concorso.  Affine 
adunque  di  promuovere  ancor  in  ciò  le  migliorìe 
necessarie  alla  buona  riforma,  la  commissione  sup- 
plicò l'È.  V.  Rma  a  farsi  che  al  prof.  Massi  si  con- 
cedesse in  premio  una  medaglia  d'oro  ad  attestargli 
la  più  alta  commendazione. 

Detto  delle  varie  classi  di  opere  teatrali  su  cui 
la  commissione  è  stata  chiamata  a  pronunciare  il 
suo  giudizio,  resta  a  dire  di  ciò  che  essa  con  grande 
amore  e  diligenza  ha  cercato  di  poter  conseguire: 
cioè  proporre  a  V.  E.  Rma  di  concedere  un  premio 
assoluto  con  la  medaglia  d'  oro.  E  ciò  a  chiudere 
questo  primo  periodo  del  concorso,  sapientemente 
iniziato  dalla  Santità  di  Nostro  Signore,  e  della  E.V. 
Rma  con  tanto  zelo  posto  in  atto. 

Tre  commedie  furono  porte  all'  esame  della 
commissione,  i  titoli  delle  quali  erano:  //  sistema 
di  Giorgio,  V  anello  della  madre  ,  Un  viaggio  per 
istruzione,  composte  dal  signor  avvocato  Tommaso 
Gherardi    Del    Testa    toscano,  ancor  egli  ammesso 


208 
al  concorso  per  benevola  eccezione  di  V.  E.  Rma. 
La  commissione  considerò  coscenziosamante  le 
tre  dette  commedie,  alcuna  delle  quali,  già  rappre- 
sentata sulle    scene,  aveva  all'  autore  dato  una  illu- 
stre riputazione,  come  gliene  avevano  data  altret- 
tanta Le  scimie,  Cogli  uomini  non  si  scherza,  ed  altre 
sempre  applaudite.  Sarebbe    pertanto  vano  riassu- 
mere le  lodi  del  Sistema  di  Giorgio,  commedia  d' in- 
treccio sì  regolare  nella  condotta,  sì  sociale  nei  ca- 
ratteri, sì  viva  nel    dialogo,  sì  efficace    nella    per- 
suasione, da   doversi  stimare  una  delle  migliori  del 
moderno  teatro   italiano.  Un  severo    moralista  po- 
trebbe  ivi  appuntare   il  miglioramento  delle  donne 
prodotto  anzi  da  disinganno,  che  da  principio  vir- 
tuoso: ma  chi  considererà  la  morale  siccome  ogget- 
tiva, non  potrà  non  esserne   soddisfatto. 

Neil'  altra  commedia,  L'anello  della  madre,  bavvi 
chi  scorge  una  riproduzione  in  moltissimo  meglio 
della  comm.edia  francese  Ce  qiie  (emme  veut,  veut: 
poiché  sono  fondate  egualmente  e  questa  e  quella 
sull'agnizione  di  un  soccorritore  a  una  pericolante 
onestà.  La  italiana  però  è  più  seria  d'  assai  e  con- 
tiene il  castigo  morale  de'  perversi:  cosa  di  cui 
manca  la  francese. 

La  terza.  Un  viaggio  per  istruzione,  ha  un'  in- 
gegnosa condotta,  felicemente  intrecciata  nel  pro- 
lungamento di  equivoci  e  di  nodi,  a  tener  sospeso 
r  uditore  sino  allo  scioglimento.  I  caratteri,  punto 
non  esagerati,  sono  de'  nostri  tempi;  la  morale  ha 
un  trionfo  compiuto;  lo  stile  e  la  lingua,  tutti  gli 
accessori  dell'  arte,  sono  quali  sa  trattarli  il  Ghe- 
rardi  Del  Testa. 


209 

La  commissione,  considerate  le  tre  commedie 
suddette  come  le  migliori  fra  tutte  le  presentate; 
considerato  inoltre  il  gran  merito  dovuto  al  sig. 
avv.  Gherardi  del  Testa  per  essersi  adoperato,  as- 
sieme ad  altri  pochi  egregi,  con  1'  ingegno  e  con 
r  arte  ad  elevare  il  teatro  italiano  dalla  umiliazione 
a  cui  i  cattivi  scrittori  e  gli  amanti  delle  stram- 
berie romanzesche  lo  avevano  condotto;  conside- 
rato finalmente  1'  unanime  plauso,  con  cui  per  ogni 
città  d'  Italia  furono  accolte  le  sue  commedie;  ha 
opinato  di  concedere  a  questo  esimio  autore  la  me- 
daglia del  premio  assoluto.  E  parve  miglior  partito 
alla  commissione  di  proporre  a  V.E.Rma  di  premiare 
l'autore,  anziché  1'  opera,  e  perchè  quegli  si  con- 
forti del  ricevuto  onore,  e  perchè  a  queste  rimanga 
sempre  libero  il  campo  di  avere  dalla  stessa  mano, 
che  le  formò,  quegli  ultimi  tocchi,  che  possano  ren- 
derle e  dal  lato  della  morale  e  da  quello  dell'  arte 
sempre  piiì  perfette. 

Spera  la  commissione  d'  aver  potuto  compiere 
fin  qui,  come  meglio  era  da  essa,  ma  certo  con 
alacrità  e  coscienza,  l'onorevole  incarico  che  le  è 
stato  commesso  da  V.  E.  Rma,  riassumendo  nel 
seguente  modo  i  suoi  giudizi  rassegnati  a  cotesto 
ministero. 

Premio  drammatico  assoluto 

Sig.  avv.  Tommaso    Gherardi   Del  Testa. 

Premio 

Sig.  prof.  Francesco  Massi. 
G.A.T.CXLV.  14 


210 

Ai  quali   fu  inviata    una    ima    medacjUa  d'oro^ 
espressamente  coniata,  coli' epigrafe: 

PRAEMIVM 

PRAESTANTIORIBVS 

AD  .  DRAMATA  .  CONCINNANDA 

STVDIO  .  CIVILIS  .  MORIS 

COMMENDATIONE 

VIRTVTIS 

Premio  o  medaglia  d' incoragoimenlo 

Sig.  Lodovico  Antonio  Muratori. 

Considerazione  di  lode  con  medaglie 

Sigg.  Rigoberto  Moiitautti,  Tito  Cesare  Merli, 
conte  Luigi  Flamini ,  Dario  jcav.  Caiisti, 
Pio  Severa. 

Considerazione  di  lode 

Sigg.  Gebriele  Fronduti,  Francesco    Gapozzi. 

Possano  questi  atti  di  magnanimità  adoperati 
dalla  Santità  di  Nostro  Signore  a  prò  del  teatro 
italiano  produrre  felici  risultamenti,  e  siano  di  spro- 
ne a  lavori  sempre  piiì  utili  e  degni  di  considera- 
zione! Si  solleva  così  1'  arte  nel  vedersi  onorata  nei 
suoi  cultori,  e  si  dà  occasione  a  nuovi  lavori  tanto 
bramati  per  contrapporli  all'  affluenza  oltramontana. 
Quando  però  il  concorso  avrà    assunto  piìi    splen- 


I 


211 

dide  forme,  e  si  potrà  agli  studi  della  commissione 
aggiungere  1'  effetto  pratico  di  una  convenevole  sce- 
na, sarà,  come  in  ogni  tempo  è  avvenuto,  derivato 
da  Roma  il  primo  e  nobile  esempio  di  verace 
riforma. 

Gradisca  1'  E.  V.  Rma  la  conferma  di  quel  ri- 
spetto, con  che  il  sottoscritto,  a  nome  ancora  della 
commissione  cui  ha  1'  onore  di  presiedere,  passa  a 
dichiararsi, 

20  novembre  1856, 

Umilissimo  e  Devotissimo  Servitore 
GIO.  BATT.  ROSANI  VESCOVO  D'ERITREA,  Pres. 

Vincenzo  Prinzivalli,  Segretario  relatore. 
ALLEGATO  N.  1. 

Circolare  del  ministero  deW  interno  diretta  ai  presidi 
delle  Provincie  il  di  30  settembre  1853.  N.  75042. 


Se  il  vero  fine  di  qualsiasi  specie  delle  rap- 
presentazioni teatrali  si  è  quello  d' istruire  e  di 
dilettare,  e  vieppiù  di  ottenere  il  miglioramento 
morale  e  civile  della  società,  come  si  devono  usare 
tutti  i  modi  onde  conseguire  tale  importante  scopo, 
così  è  obbligo  preciso  di  porre  un  argine ,  e  di 
troncare  tutte  quell'  arti  inique,  che  cospirano  a 
ridurre  i  leciti  e  giovevoli  divertimenti,  e  spettacoli 
teatrali,  a  scuole  di  ferocia  e  di  libertinaggio,  d' im- 
moralità e  di    miscredenza. 


212 

Perchè  adunque  di  fatto  il  teatro  serva  ad 
ammaestramento  ,  e  nello  stesso  tempo  ad  onesta 
ricreazione,  io  debbo  richiamarvi  tutta  1'  attenzione 
di  V.  S.  lllma  e  Rma,  la  quale  sarà  per  adottare  a  ciò 
le  disposizioni  che  reputerà  piiì  opportune,  sia  per 
la  circostanza  dei  tempi  presenti,  sia  per  1'  indole 
di  cotesti  suoi  amministrati,  andando  di  pieno  ac- 
cordo colle  autorità  ecclesistiche  per  la  giurisdi- 
zione che  loro  accordano  le  leggi,  e  chiamando  a 
concorso  eziandio  (se  lo  crederà  vantaggioso)  le  auto- 
rità municipali,  per  la  parte  che  hanno  nella  dire- 
zione e  soprintendenza  de'  pubblici  spettacoli  nel 
rispettivo   comune. 

E  siccome  gioverebbe  anche  a  raggiungere  la 
meta  desiderata  1'  incoraggiare  quegl'  ingegni  che 
sono  ben  disposti  a  tale  genere  di  letteratura,  e 
fanno  sperare  di  loro  ogni  prospero  successo,  così 
dovrebbero  eglino  essere  eccitati  a  scrivere  produ- 
zioni teatrali,  per  le  quali  venisse  inculcata  la  morale 
e  reso  evidente  il  trionfo  della  virtù. 

E  tutte  le  volte  che  queste  produzioni  fossero 
commendevolì  anche  dal  lato  dell'arte  drammatica, 
il  governo  non  lascerebbe  di  rimeritarne  1'  egregio 
autore  con  un  premio  :  per  cui  se  gli  eccitamenti 
di  V.  S.  lllma  e  Rma  producessero  il  bramato  ef- 
fetto ,  ella  dovrebbe  compiacersi  e  d'inviare  a  me 
le  produzioni  teatrali  presentatele,  o  significare  all'au- 
tore stesso  che  me  le  rimetta  direttamente,  giacché 
sarebbero  sopra  ciò  consultate  persone  specchiate  ed 
intelligenti. 

In  questa  intesa,  ecc- 

Firmato — T.  Mertel 


213 

ALLEGATO  N.   2. 

ilicolo  del  giornale  di  Roma  del  5  dicembr  e  185. 
iV.  276. 

I  teatri  ,  che  1'  utile  associando  al  dilettevole  , 
dovrebbero  essere  un  continuo  ammaestramento  al 
bene,  nell'atto  che  sollevano  V  animo,  e  colle  loro 
rappresentazioni  eccitare  all'amore  della  virtù  e  al- 
l'abborrimento  del  vizio,  a'dì  nostri  sembrano  per  Io 
più  divenuti  una  scuola  di  immoralità,  per  il  mal 
vezzo  introdotto  di  continuamente  presentare  sulle 
scene  italiane  opere  dove  assai  spesso  trionfa  il  vi- 
zio e  rimane  oppressa  la  virtù,  e  non  sempre  viene 
rispettata,  come  si  conviene,  la  morale  e  la  pudi- 
cizia. La  qual  cosa  nella  sua  sapienza  considerando 
la  Santità  di  Nostro  Signore  il  regnante  Pontefice, 
ordinava  al  suo  ministro  dell'  interno  monsignore 
Mertel,  di  spedire  «a  tutti  i  delegati  delle  provincie 
dello  stato  pontificio  una  circolare  ,  con  che  trac- 
ciando lo  scopo  vero  delle  teatrali  rappresentazioni, 
esortasse  ad  impedire  che  siano  messe  sulle  scene 
azioni  drammatiche,  contrarie  anche  in  modo  il  più 
remoto  alla  morale,  al  costume  e  al  decoro. 

E  siccome  una  cattiva  scuola  ha  sventuratamente 
educato  la  più  parte  degli  scrittori  a  seguire  nelle 
loro  opere  una  via  falsa  e  perniciosa,  il  sommo  pon- 
tefice, per  richiamarela  drammatica  al  suo  vero  scopo, 
ha  ordinato  che  i  delegati  eccitino  gli  ingegni  a  col- 
tivare questo  genere  sì  importante  di  letteratura,  a 
scrivere  opere  teatrali  sia  in  prosa,  sia  in  verso,  ed 


2i4 

a  proporre  premi,  tutte  volte  che  le  produzioni  fos- 
sero commendevoli  e  dal  Iato  drammatico,  e  dal  Iato 
morale  e  sociale. 

Ond'  è  che  monsignor  Mertel,  interprete  dell'ora- 
colo di  Sua  Santità,  incaricava  i  delegati  ad  inviare 
accompagnate  da  proprie  osservazioni  le  opere  che 
fossero  loro  presentate,  o  ad  avvertire  ^li  autori  di 
spedirle  direttamente  al  ministero  dellinterno,  ove 
da  persone  idonee  appositamente  destinate  verreb- 
bero esaminate. 

Nutriamo  la  maggior  fiducia  che  tale  sovrana  di- 
sposizione conseguisca  il  pieno  suo  effetto,  che  sia 
di  nobile  eccitamento  agli  onesti  ingegni,  e  serva  a 
ricondurre  al  vero  suo  fine  la  drammatica,  conside- 
lata  come  diletto  e  come  ammaestramento. 


215 


Saggio  di  alcune  poesie  italiane  del 
prof.  Cesare  Monlalti  cesenate. 

iVvendo  io  in  questo  giornale  al  tomo  CXLII  par- 
lato con  assai  lode,  e  meritamente,  a  quanto  parmi, 
del  valore  poetico  del  prof.  Cesare  MonlaUi;  piacemi 
oggi  convalidare  con  le  prove  di  fatto  il  mio  detto 
presentando  senz'altro  ai  lettori  un  saggio,  benché 
piccolo,  di  sue  produzioni,  non  comportandone  un 
più  ricco  ed  abbondante  la  ragione  stessa  del  gior- 
nale. Dissi  senz'altro,  perchè  la  buona  poesia,  come 
la  buona  pittura  ,  non  ha  mestieri  di  noiosi  addi- 
mostratori,  che  ti  sciorinino  ad  ogni  tratto,  con  bo- 
ria e  seccaggine  eterna  di  parole,  ciascheduna  sua 
bellezza  ,  che  gli  intelligenti  sentono  e  gustano  di 
per  se  stessi.  E  poiché  in  latino  delle  di  lui  com- 
posizioni o  versioni  insieme  raccolte  veggonsi  a 
stampa  alcuni  saggi,  che  l'Italia  conosce;  così  volli 
qui  soltanto  recare  in  mezzo  questi  pochi  versi  nel 
dolcissimo  nostro  idioma,  che  per  essere  slati  pub- 
blicati in  fogli  volanti  possono  quasi  dirsi  inediti  , 
almeno  per  la  maggior  parte  degli  italiani.  E  mi 
gode  l'animo  in  pensando  che  senza  dubbio  verranno 
accetti  e  graditi  agli  intelligenti  ,  al  cui  senno  e 
buon  valere  li  desidero  in  ispecial  modo  raccoman- 
dati; onde  a'giovani,  che  a'nostri  dì  corrono  mise- 
ramente dietro  ad  una  falsa  e  stia na  maniera  di  fog- 
giare e  vestire  i  loro  concetti,  li  mettino  invoglia 
ed  in  amore,  predicandone  le  debite  lodi,  e  facendo 
ad  essi  por  mente  che  il  suo  autore  fornito  di  un  ec- 


216 

celiente  ingegno,  ma  reso  più  esperto  ,  vigoroso  e 
fermo  alla  famosa  palestra  de'classici  scrittori  greci, 
latini  e  nostrali,  meriterà  quando  che  sia  di  essere 
avuto  di  loro  immortai  numero. 

GIUSEPPE    BELLUCCI 


/•  Per  messa  nuova. 

SOLETTO 

Sei  tu  quel  Dio,  che  ad  Israel  l'asciutto 
Senlier  per  l'onde  aperse  al  gran  tragitto  ? 
Che  il  diviso  serrò  vindice  flutto 
Sui  carri  e  l'armi  e  i  cavalier  d'Egitto  ? 

Sei  tu  quel  Dio,   che  in  femminil  conflitto 
Terse  sul  ciglio  di  Betulia  il  lutto  ? 
Che  a  Giosuè  sostenne  il  braccio  invitto. 
Onde  fu  il  nerbo  d'Amalèc  distrutto  ? 

Ma  dove  il  tuo,  dov'  è,  fulmineo  brando, 

Che  gli  empi  atterra,  i  monti  incende  e  sface 
Ministro  al  cenno  del  sovran  comando  ? 

Voce  mortai,  che  a  me  mcdesmo  impera. 
Qui  mi  tragge,  ei  risponde,  ostia  di  pace, 
E  pace  avrà  chi  in  me  si  affida  e  spera. 

II.  Per  laurea  in  legge. 

SONETTO 

0  volte  a  ignobil  segno  itale  genti, 

Poiché  l'oprar  codardo  e  il  viver  molle. 


217 

Mal'esca  al  tralignar  del  secol  folle, 
Disviato  dal  vero  hanno  le  menti, 

Vergognando  mirate  a  qual  s'attenti 
Voi  sublime  costui,  che  Temi  estolle 
In  parte,  ove  buon  frutto  alfìn  si  tolle 
Di  austeri  studi  e  d'onorati  stenti. 

Io  lui  veggendo  piij  che  gemme  ed  auro 
Preziosa  fra  pochi  incliti   spirti 
Ghirlanda  al  giovin  crin  cinger  di  lauro. 

Grido:  E  tu  il  vedi ,  Italia:  e  sol  di  mirti 
Neghittosa  ti  piaci  ?  a  qual  tesauro 
Di  gloria  il  ciel  ti  serbi,  io  non  so  dirti  ! 

///.  Per   canlalrice    cesenate. 

SONETTO 

Il  Sospiro 

Aura  gentil,  che  sul  mattin  ridente 
Dal  grembo  uscita  della  molle  aurora 
Scherzi  del  rio  sul  margo,  e  dolcemente 
Baci  lo  stelo  ai  fior,  cui  l'onda  irrora. 

Prendi,  auretta,  un  sospir  del  foco  ardente, 
Che  Fille  ne  destò,  caldo  tuttora: 
E  a  quella  il  chiudi  in  sen  rosa  nascente. 
Che  mezzo  aperta  si  nasconde  ancora. 

Quando  a  coglier  verrà  la  bella  il  fiore, 
Soave  sibilando   allor  tu  dille: 
Pegno  il  sospir  ti  sia  di  patrio  amore. 

Che  al  modular  delle  celesti,  o  Fille, 
Tue  care  note  hai  fatto  ad  ogni  core 
Quel  ch'io  far  soglio  a  mille  fiori  e  mille. 


218 

IV-    Sonetto  pastorale. 

Questa  che  già  su  la  materna  spina 
Sboccia  al  caldo  alitar  del  zeffiretto, 
Rosa  ancor  molle  di  notturna  brina, 
Cura  di  ninfe  e  di  pastor  diletto, 

Questa,  o  gran  diva,  a  te  Filen  destina 

.   In  umil  pegno  di  devoto  affetto. 
Pria  che  d'ogni  altro  fior  non  più  reina 
Di  sparse  foglie  in  ostri  il  pian  soggetto, 

Altri  sull'ara  tua  piiì  ricco  svene 
Un'agnelletta  prime  corna,  ed  arda 
Con  maschio  incenso  a  te  pingui  vermene: 

Unica  mia  dovizia,  un  fior  ti  dono: 

Tu   il  dono  accogli,  e  tu  propizia   guarda 
Ognor,   gran  diva,  il  donatore  e  il  dono. 

V.  Al  dott.   Turci  cesellate. 

SONETTO 

Se  a  te  regge  maestra  arte  la  mano 
Che  di  morbo  crudel  l'impeto   atterra. 
Perchè  sterile  sol  premio  di  vano 
Grido,  perchè  d'invidia  avrai  tu  guerra  ? 

Del  ver  già  schivo  il  secolo  profano 

Vedi  che  invecchia,  peggiorando,  ed  erra, 
Onde  a  segno  d'onor  si  aderge  invano 
Chi  più  sublime  in  petto  alma  rinserra. 

Giorno,  Turci,  verrà,  che  il  mal  ch'io  piango 
Ragione  emendi,  e  volga  età  serena 
A  virtù  che  si  giace  egra  nel  fango; 


219 
Mentre  Tarche  d'argentò  e  d'oro  gravi 
Emunge  il  canto  di  venal  sirena 
Agl'itali  nepoti,  onta  degli  avi. 

VI.  Per  celebre  cantalrice. 

SONETTO 

Se  il  pie  ti  lego,  o  caro  usignoletto, 
D'  indiscreto  fanciullo  in  man  non  sei; 
Invan  dì  me  ti  prende  ira  e  dispetto, 
Non  vuò  tarparti  i  vanni  agili  e  bei, 

Se  il  pie   ti  lego,  già  non  l'hai  sì  stretto 
Che  ti  deggia  doler  de'nodi  miei; 
Prigioniero  gentile,  io  t' imprometto 
Che  sciolto  in  breve  d'ogni  freno  ir  dei. 

Canore  note  modular  non  senti 

Adele  ?  Or  or  le  andrai  libero  accanto. 
Onde  seco  alternar  molti  concenti. 

A  che  dunque  agitarti,  ed  a  che  tanto 
Dibatter  le  bell'ali  ?  Ah  tu  paventi 
Il  laccio  no,  ma  il  paragon  del  canto  ! 

VII.   A  Venere. 
Inno  di  Omero  volgarizzato. 

Venere,  santa  diva. 
Dal  crine  profumato 
D'ambra,  vogl'io  cantar. 
Che  della  cipria  riva 
Dai  sen  del  patrio  mar 
Governa  il  fato. 


220 

Scotea  le  calde  piume 

Per  l'acque   aura  feconda, 

E  il  mare  inturgidì, 

E  sulle  molli  spume 

La  pargoletta  uscì 

Di  mezzo  all'onde. 
Lei  raccogliendo  intanto 

L'Ore  cortesi  e   pronte, 

11  corpo  alabastrin 

Velar  d'azzurro  ammanto, 

E  di  serto   divin 

L'eterna  fronte. 
Poi  di  finissim'oro 

Sull'orecchio  gentile 

Ponean  raggio  seren; 

E  d'immoital  lavoro 

Al  aiveo   collo  e  al  sen 

Cingean  monile: 
Quel  bel  monile  stesso, 

Che  allora  ornar  le  suole. 

Quando  movono  il  pie 

Nell'immortal    consesso, 

E  innanzi  al  sommo  re 

Tesson  carole. 
Bella  così  di  vesti 

L'addussero  alle  case 

Dell'alto  genitor; 

E  il  coro  de'celesti 

D'insolito  stupor 

Muto  rimase. 
Ciascun  l'almo  sembiante. 

Che  meraviglia  elice. 


221 

Devoto  salutò, 

Ciascun  le  membra    sante 

Di  toccar  desiò 

Sposo  felice. 
Salve  dagli  occhi  neri  , 

Dal  dir  che  scende  all'alma, 

Olimpica  beltà  ! 

Fra  i  vati  più  sinceri 

Se  dato  a  me  sarà 

Coglier  la  palma, 
Te  fra  i  più  cari  oggetti 

Dolcissimo   mi  fia, 

Amabil  dea,  membrar: 

Te  ognor  con  inni  eletti 

Codia  di  celebrar 

La  musa  mia. 


222 


Descrizione  di  pezzi  patologici  ed  anatomici  preparati  e 
collocati  nel  museo  del  ven.  ed  apostolico  arcispe- 
dale di  Santo  Spirito  in  Sassia  dal  dottore  Eugenio 
Rinaldi  Bucci. 

JU  insigne  Bartolomeo  Eustachio,  stato  lettore  di 
medicina  nell'archiginnasio  romano  della  sapienza  , 
fu  quegli  che  introdusse  negli  spedali  le  pubbliche 
dimostrazioni  di  anatomia,  le  quali  servirono  nel  na- 
scer loro  come  di  lume  ai  cultori  dell'arte  salutare 
per  rinvenire  la  via,  onde  giungere  al  discoprimento 
della  fabbrica  maravigliosa  del  corpo  umano  (1). 

L' anatomia  invero  per  essere  una  cognizione 
utile  vuol  ricavarsi  dal  fatto.  Questo  studio,  essendo 
la  scienza  della  oiganizzazione  e  composizione  del- 
l'uomo, su  cui  cadono  le  interne  ed  esterne  malattie, 
è  stata  sempre  la  principale  occupazione  degli  stu- 
diosi di  quelle  due  scienze  coeve  all'  uomo  ,  della 
medicina  ,  volea  dire  ,  e  della  chirurgia  in  tutto  il 
tempo  di  loro  dimora  negli  spedali. 

L'accostarsi  al  cadavere,  familiarizzarsi  con  lui, 
osservare  i  fenomeni  tutti  dell'  uomo  con  minuto 
esame,  e  confrontarli  senza  risparmio  di  fatica  con 
la  struttura  de'suoi  organi,  fa  sì  che  sì  divenga  pe- 
rito conoscitore  deiruomo  tisico  sano,  dei  mali  che 


(I)  Pelrioli,  fiiftcssioni  anatomiche  eoe.  nella  lettera  dedicatoria 
all'emineiilissimo  Pier  Luigi  Carafa. 


223 

lo  assalgono  (1),  de' loro  rimedi,  e  perfettamente 
addestrato  nell'operazione  della  mano. 

Nel  ven.  ed  apostolico  arcispedale  di  Santo  Spi- 
rito in  Sassia  ,  che  ha  sempre  ahhondato  di  eccel- 
lenti anatomisti,  hanno  tuttora  luogo  le  anatomiche 
dimostrazioni  sul  cadavere,  le  quali  fino  a  pochi  anni 
addietro  servivano  di  grande  emulazione  ai  nume- 
rosi studenti  di  medicina  e  di  chirurgia  che  vi  di- 
moravano in  servizio  degli  infermi  ,  e  per  la  loro 
pratica  istruzione. 

Essendo  io  stato  ben  fortunato  di  percorrere  nello 
spazio  di  soli  cinque  anni  la  mia  carriera  pratica 
di  chirurgia  in  questo  pio  stabilimento,  allorché  era 
in  vigore  il  non  mai  abbastanza  commendevole  ordi- 
namento interno  (2),  da  semplice  giovane  studente 
tìno  all'esercizio  dell'onorevole  carica  di  chirurgo  so- 
stituto, ed  avendovi  avuto  a.  pubblico  e  privato  mae- 
stro il  mio  zio  prof-  cav.  Francesco  Bucci  di  eh. 
me.  massime  nell'anatomia,  la  quale  fin  da'  suoi  più 
verdi  anni  formò  sempre  la  principale  e  prediletta 
sua  occupazione,  si  aprì  vasto  il  campo  di  eserci- 


(1)  Dalla  sezione  p  e.  frequente  dei  cadaveri,  di  cui  per  orrore 
poco  usavano  gli  antichi,  si  conobl^e  che  molle  morti  improvvise 
erano  cagionate  da  interni  aneurismi  o  da  varici.  «  Enim  vero  , 
w  cosi  il  Lancisi  i?e  subitaneis  mortibus  ,  postquam  frequenliora 
»  reddita  sunt  humanorum  corporum  exlispioia  ,  qiiibus  antiqui  ^ 
»  prae  horrore,  parcius  utebanlur,  nobis  elare  innoluit,  muitos, 
»  qui  exlempore  moriuntur,  internis  aneurysmatibus,  aut  varicibus 
»  laborasse.  «  Lib.  1.  cap.  XIX.  pag.  77.  Romae  lypi.s  Jo:  Hranci- 
sci  Buagni  MDCCVIl. 

(2)  Regole  da  osservarsi  nel  sacro  ed  apostolico  archiospedale 
di  Santo  Spirito  in  Sassia-  Roaia  RIDCCLI.  appresso  Niccolò  e  Marco 
Pagliarini. 


224 

tarmi  nelle  giornaliere  sezioni  dei  cadaveri,  e  neil'in- 
dagare  le  cagioni  de'  morbi  e  nel  preparare  i  pezzi 
della  fabbrica  dell'uomo  per  le  lezioni  di  anatomia 
teorico-pratica,  e  per  le  pubbliche  dissertazioni  ana- 
tomico fisiologico-chirurgiche,  che  in  ogni  anno  nel 
tempo  di  quaresima  leggevansi  dai  giovani  studenti 
di  Santo  Spirito  nel  teatro  anatomico. 

Queste  sezioni  furono  quelle  che  mi  diedero  luogo 
a  preparare  alcuni  pezzi  patologici  ed  anatomici  che 
ho  collocati  nel  maestoso  museo  del  sullodato  VQn. 
ed  apostolico  arcispedale,  quali  ora  rendo  di  pub- 
blico diritto,  convinto  come  sono  che  lo  studio  del- 
l'anatomia patologica  è  della  massima  importanza 
per  chi  professa  l'arte  salutare.  Ed  invero  per  mezzo 
dell'anatomia  patologica  si  rettificano  le  idee  acqui- 
state al  letto  degli  infermi  tanto  nelle  sale  cliniche 
di  medicina  interna  che  esterna. 

Al  criterio  però  e  alla  mano  degli  esercenti  la 
esterna  medicina  sono  dovute  le  migliori  osserva- 
zioni e  dell'anatomia  patologica,  e  della  fisiologia  an- 
cora. A  provar  ciò  si  percorrano  i  diversi  musei  che 
esistono  presso  nazioni  civilizzate  ,  e  si  vedranno 
pezzi  patologici  testimoni  delle  immense  ricerche  e 
fjitiche  dei  chirurgi.  Quindi  bene  a  ragione  i  buoni 
e  dotti  medici  non  solo  riguardano  il  chirurgo  come 
un  loro  vero  compagno,  perchè  educati  alla  mede- 
sima fonte,  ed  eguale  in  tutto  a  loro,  che  anzi  so- 
stengono doversi  riconoscere  nel  chirurgo  una  terza 
parte  dello  scibile  medico,  vale  a  dire  una  mano  ope- 
ratrice, come  diceva  Celso  :  terliam  esse  medicinae 
parlem,  qiiae  marni  curai  (1).  Il  chirurgo  in  una  pa- 
li) Lib.  VII.  in  princip.  * 


225 

rola  impugna  1'  anatomico  coltello  ,  cercando  nelle 
fredde  spoglie  de'nostri  simili  non  solamente  l'intima 
oi'ganizzazione ,  ma  le  cause  altresì  che  hanno  di- 
strutta questa  nostra  frale  esistenza. 

Brevi  cenni  intorno  alV aneurisma. 

Nel  presentare  ai  cultori  dell'arte  salutare  le  no- 
tizie di  alcuni  pezzi  patologici  risguardanti  diversi 
aneurismi,  mi  lusingo  non  sia  per  essere  disgrade- 
vole che  io  mi  faccia  a  premettere  pochi  cenni  in- 
torno all'aneurisma. 

L'aneurisma,  aneurisma,  «vsypuafza:  («va  ,  assai  , 
£upu?  largo)  è  un  tumore  formato  dal  sangue  arte- 
rioso in  seguito  alla  dilatazione,  alla  rottura,  o  alla 
divisione  dell'arteria,  o  del  cuore. 

Secondo  questa  definizione  l'aneurisma  è  di  due 
generi,  il  primo  de'  quali  dicesi  vero;  spurio  o  falso 
il  secondo.  Alcuni  però  dei  moderni  autori ,  fra' 
quali  il  dottore  G.  Hunter,  vollero  aggiungere  un' 
altra  forma  di  aneurismi,  che  denominarono  aneu- 
risma interno  misto.  Questo  dicono  accadere  quando, 
essendo  offesa  la  tonica  esterna  di  un'  arteria  per 
ingiuria  meccanica  ,  o  per  malattia  ,  la  tonica  in- 
terna esce  dalla  tonica  esterna  a  formare  un  tu- 
more rigonfio  di  sangue.  Questa  specie  però  di  a- 
neurisma  non  fu  ammessa  universalmente. 

Riconoscono  gli  aneurismi  la  loro  origine  tanto 
da  interne  che  da  esterne  cagioni.  Le  interne  dipen- 
dono da  una  depravata  qualità  di  umori  predomi- 
nanti nella  massa  del  sangue ,  come  lo  scorbuto  , 
l'umore  scrofoloso  e  venereo.  Fra  le  cagioni  esterne 

G.A.T.CXLV.  15 


226 
poi  si  considerano  le  percosse,  che  producono  con- 
tusione nelle  arterie,  le  ferite,  le  lacerazioni  in  oc- 
casione di  fratture,  e  qualsivoglia  altro  violento  e 
continuato  moto  tanto  accidentale,  quanto  per  ob- 
bligo di  professione. 

Il  dottissimo  Lancisi,  archiatro  pontificio,  fu  il 
primo  a  somministrare  la  vera  e  chiara  idea  degli 
aneurismi  interni  in  particolare,  ed  il  celebre  Guat- 
tani  quella  degli  esterni.  11  primo  colf  aver  fatta 
di  pubblico  diritto  l'opera  —  De  molu  cordis  ,  et 
aneurysmatibus.  Il  secondo  coll'opera  —  De  exler- 
nis  aneurysmatibus. 

L'esimio  ed  erudito  professore  Giuseppe  Flaiaiii 
fu  quegli  che  consolidò  le  dottrine  esposte  dal  suo 
precettore  Guattani. 

Egli  è  fuori  d'ogni  dubbio  che  ,  avanti  la  sco- 
perta della  circolazione  del  sangue,  non  si  potè  aver 
nessuna  idea  esatta  delle  malattie  che  ora  vengono 
sotto  il  nome  di  aneurisma.  La  prima  cognizione  di 
questa  malattia  da  alcuni  autori  viene  attribuita  ad 
Ippocrate  (1):  il  che  negasi  da  non  pochi  scrittori 
di  chirurgia,  fra'  quali  contasi  il  Dujardin  (2).  L' 
isterico  Peyriihe  (3)  prova  con  Aezio,  che  prima  di 
ogni  altro  siffatta  malattia  fosse  conosciuta  e  de- 
scritta  da  Rufo  da  Efeso. 

Galeno  opinò  che  tutti  i  tumori  aneurismatici 
fossero   prodotti  o  da  anastomosi,  o  da  rottura. 


(1)  De  Vigiliis  Bibliotheca  chirurgie,  tom.  1  —  Testa  oe  ex- 
tcrnis  aneurysmatibus.  Epist.  VII. 

(2)  Histoire  de  la  chirurgie  tom.  1" 

(3)  Histoire  de  la  chirurgie  lom.  II. 


227 

Vesalio  ,  il  pritno  ad  applicare  alla  investiga- 
zione delle  malattie,  descrisse  un  aneurisma  origi- 
nato da  rottura  dell'aorta  dilatata  (1). 

Nuck  poi  fu  quegli,  che  diede  notizie  pili  par- 
ticolari della  combinazione  della  dilatazione  dell'ar- 
teria colla  sua  rottura  (2). 

Fernelio  per  il  primio  disse  esser  sempre  l'aneu- 
risma una  dilatazione  di  arteria  (3).  Molti  adotta- 
rono questa  opinione  ,  fra  i  quali  è  da  annoverarsi 
il  Forresto  e  il  Diemerbroek.  Colle  osservazioni  però 
del  Lancisi,  Friend,  Guattani  e  Morgagni  rilevossi  , 
come  dimostrò  Hodgson  (4),  che  l'aneurisma  poteva 
esser  prodotto  tanto  dalla  rottura,  quanto  dalla  di- 
latazione delle  toniche  di  un'arteria  ,  come  ancora 
dalla  combinazione  d'ambedue  queste  circostanze  , 
essendo  la  rottura  preceduta  dalla  dilatazione. 

L'ammettere  l'aneurisma  per  dilatazione,  e  l'a- 
neurisma per  rottura  delle  toniche  di  un'  arteria  in- 
sieme alla  combinazione  frequente  d'ambedue  que- 
ste circostanze,  fu  la  dottrina  comunemente  inse- 
gnata nelle  scuole  tutte  di  chirurgia.  Lo  Scarpa  (5) 
fu  il  primo  a  richiamare  in  quistione  1'  esattezza 
della  opinione  comune  intorno  alla  dilatazione  delle 
toniche  arteriose.  Le  accurate  disamine  però  isti- 
tuite sul  primo  proposito  dal  Morgagni,  e  da  altri 
eminenti  scrittori,  possono  riguardarsi  come  supe- 
riori ad  ogni  eccezione. 


(1)  Bonetus  sepulchret.  anatomie,  lib.  4.  sect.  2.  pag.  288  eri. 
Genevae  M.  DCCC 

(2)  Oper.  chirurq.  Lugtl.  10)92. 

(3)  Univ.  Medie,  de  externa  carpar,   affect.  lih.  7.cap.  3. 

(4)  On   ihe  Diseases  ol"  art.  etc  8".  Loiid.   1815. 

(5)  Tract.  de  aneury  smali  bus. 


228 
I. 


Aneurisma  deWarleria  innominala  con  ipertrofia  del 
cuore,  con  dilatamento  dell'arco  dell'aorta  ,  e  con 
carie  completa  della  prima  costa  vera  corrispon- 
dente, e  della  clavicola  dello  stesso  lato. 

Stanza  II.    Credenza  VII. 

Pasquale  Silvani,  maccheronaio,  di  anni  62,  il  di 
20  settembre  1851  ebbe  ricovero  nell'arcispedale  di 
Santo  Spirito  per  esservi  curato  di  una  palpitazione 
che  accusava  al  cuore.  Collocato  nel  quartiere  di- 
retto dal  medico  primario  oh.  sig.  dottore  Pietro 
Galli,  questi  dopo  le  più  accurate  indagini  fatte  sul- 
l'infermo ,  rinvenne  a  destra  e  parte  superiore  del 
petto  un  voluminoso  tumore,  il  quale,  dall'assieme  dei 
sintomi  che  presentava,  giudicò  per  aneurisma.  Ap- 
prestogli  immantinente  tutti  que'  soccorsi  che  l'arte 
medica  suole  suggerire  per  debellare  codesta  malat- 
tia, ma  riuscirono  del  tutto  frustranei,  ed  il  paziente 
cessò  di  vivere  il  giorno  22  del    suindicato  mese. 

Invitato  io  dal  sullodato  sig.  dottor  Galli  a  fare 
la  preparazione  della  parte,  in  cui  avea  sede  il  tu- 
more aneurismatico,  di  buon  grado  vi  acconsentii. 
Difatti  dopo  averne  eseguita  la  iniezione,  allorché  mi 
feci  a  dissecare  le  parti  per  rintracciare  l'origine  del 
morbo,  trovai  essere  l'aneurisma  a  carico  dell'arte- 
ria innominata,  appena  dessa  parte  dall'arco  dell'aorta 
accompagnala  da  ipertrofia  del  cuore,  da  dilatamento 
dell'arco  deli'aorla,  e  da  carie  completa  della  prima 


229 

costa  vera  corrispondente,  non  che  della  clavicola 
dello  stesso  lato. 

II. 

Aneurisma  delVarco  dell'aorta  con  carie  completa  della 
parte  media  dello  sterno. 

Stanza  H.  Credenza  VII. 

Un  sonatore  di  tromba  fu  accolto  nell'arcispe- 
dale di  Santo  Spirito  per  esser  curato  di  un  grande 
tumore  esistente  nel  mezzo  dello  sterno.  Il  medico 
primario  ,  alla  cui  cura  venne  il  paziente  affidato  , 
nell  esaminarlo  si  avvide  che  era  pulsatile,  e  conse- 
guentemente fu  di  avviso,  che  quel  tumore  fosse  un 
aneurisma.  Mise  perciò  in  pratica  il  più  acconcio  me- 
todo curativo  per  vincere  la  pronosticata  malattia. 
Ma  a  nulla  valsero  gli  apprestati  soccorsi:  imperocché, 
dopo  alcuni  giorni  di  cura,  il  malato  passò  all'altra 
vita. 

Fattane  l'anatomica  preparazione,  rinvennesi  che 
J  aneurisma  era  a  carico  dell'arco  dell'aorta  con  ca- 
ne completa  della  parte  media  dello  sterno. 

III. 

Aneurisma  deWarco  deWaorta  con  dilatamento  con- 
siderevole delVarteria  carotide  sinistra,  associata  a 
carte  nel  lato  destro  della  2'"  3^'^  e  4'%  vertebra, 
e  delle  teste  articolari  delle  rispettive  coste. 

Stanza  II.  Cred«nza  V. 

Avendo  io  eseguita  l'iniezione    arteriosa  su  di 
un  individuo  morto  in  uno  dei  quartieri  medici  del- 


230 

r  arcispedale  di  Santo  Spirito,  a  fine  di  preparare 
per  la  scuola  di  anatomia  teorico-pratica  le  dira- 
mazioni che  partono  dall'arco  dell'aorta,  e  le  loro 
propagini,  mi  venne  fatto  nell'aprire  la  cavità  del 
torace,  e  nel  rimuovere  i  polmoni,  di  rinvenire  a 
destra,  e  a  ridosso  della  colonna  vertebrale,  un  tu- 
more che  credutolo  un  estravaso  della  iniezione,  lo 
amportai  per  intero  ,  e  così  mi  avvidi  della  carie 
di  alcune  delle  vertebre,  non  che  delle  teste  arti- 
colate delle  rispettive  coste.  Fattomi  quindi  a  dis- 
secare con  tutta  diligenza  i  vasi  che  partono  dal 
cuore,  osservai  l'arco  dell'aorta  enormemente  dila- 
tato: il  che  mi  die  a  conoscere  l'esistenza  dell'aneu- 
sisma  a  carico  di  detta  arteria  colle  accennate  carie. 

Portata  più  oltre  la  sezione,  e  discoperte  le  ar- 
terie fino  alla  testa,  rinvenni  puranco  dilatata  l'ar- 
teria carotide    sinistra. 

Sebbene  mi  sia  ignota  la  malattia  che  condusse 
alla  tomba  l'individuo  in  discorso,  può  nondimeno 
ritenersi  dalla  descritta  sezione  cadaverica  essere 
stato  vittima  senza  dubbio  dell'  affezione  morbosa 
rinvenuta  coll'anatomico  coltello  nel  di  lui  cadavere. 


IV. 


Rene  destro  di  ordinaria  grandezza,  da  cui  partono 
due  ureteri  con  con  due  distinte  pelvi. 

Stanza  li.  Credenza  V. 

Sebbene  dai  cultori  dell'  arte  salutare  parecchi 
casi  si  contino ,  nei  quali  hanno  riconosciuto    uno 


•    231 

dei  reni  più  piccolo,  pur  tuttavia  non  molti  di  nu- 
mero se  ne  riferiscono  di  que',  nei  quali  veruna  trac- 
cia abbiano  riscontrato  di  uno  di  questi  organi  (1). 
Un  caso  di  simil  fatta  venne  presentato  da  un  in- 
dividuo morto  nell'arcispedale  di  Santo  Spirito.  Man- 
cava in  questo  il  rene  sinistro,  di  cui  non  eravi  ve- 
stigio di  sorta.  Il  destro  rene  peraltro,  come  vedesi 
nel  pezzo  preparato  e  collocato  nel  museo  del  men- 
zionato arcispedale  ,  presentava  la  sua  ordinaria 
grandezza.  Nel  mezzo  delia  sua  faccia  posteriore 
però  scorgesi  una  incavatura  trasversale,  la  quale  dà 
a  conoscere  ,  che  il  menzionato  reno  destro  possa 
esser  foi'mata  dalla  riunione  di  due  reni.  Difatti  tanto 
nella  parte  superiore  che  inferiore  del  rene  ,  non 
solo  veggonsi  partire  distinte  pelvi,  ma  ammiransi 
altresì  vasi  e  arteriosi  e  venosi,  come  avviene  or- 
dinariamente, guardando  i  reni  nella  loro  rispettiva 
situazione.  Dalle  pelvi  poi  hanno  origine  due  ure- 
terijche  vanno  ad  aprirsi  ai  lati  della  vescica  (2). 


(1)  Klein  riferisce  di  un  caso  ,  in  cui  dice  aver  osservalo  la 
mancanza  completa  dei  due  reni.-  Andrai,  Compendio  di  anatomia 
patologica  pag.  484.  -  Livorno  presso  la  libreria  Gamba  tipogralia 
Volpi    1839   —  Versione  del  dottor  C.migiani. 

(2)  Il  prof.  cav.  Francesco  Bucci  di  eh.  me.  dà  conto  di  uu 
rene,  il  sinistro,  che  vedesi  nel  suddetto  museo  di  Santo  Spirito 
(Stanza  IV.  Credenza  XI.  N.  312),  ancor  essodi  naturale  grandezza, 
il  quale  offre  due  pelvi  renali  coi  rispettivi  ureteri,  i  quali  poscia 
riunisconsi  fra,  di  loro.  —  Notizie  di  pezzi  patologici  pag.  15  — 
Roma  tipografia  Boulzaler   1835. 

Del  tutto  nuovo  pi-rò  sembra  il  caso  che  il  prelodato  prof. 
Bucci  ci  presenta  nel  pezzo  patologico  (stanza  IV. Credenza  I.N.302) 
in  cui  veggonsi  dai  reni  prolungare  doppie  pelvi  con  doppi  ure- 
teri aventi  le  corrispondenti  aperture  alla  base  del  trigono  ve- 
scicalc.  Op.  cit.  pag.   15. 


232 

)ta  mi  è  la  caus 
dividilo. 


Ignota  mi  è  la  causa  che  menò  alla  tomba  1'  in- 


Cuore  di  straordinaria  grandezza. 
Stanza  HI.  Credenza  VI. 

Il  dover  io  preparare  nell'  anno  1849  le  parti 
sessuali  della  donna  per  essere  dimostrate  dal  prof, 
cav.  Francesco  Bucci  nella  scuola  di  anatomia  teo- 
rico-pratica nell'arcispedale  di  Santo  Spirito,  mi  die 
occasione  di  rinvenire  questo  cuore  di  non  comune 
grandezza.  Il  cadavere  della  donna,  a  cui  desso  ap- 
parteneva, veniva  trasportato  dall'ospedale  di  s.  Gio- 
vanni presso  il  Laterano  a  quello  di  Santo  Spirito, 
per  r  indicato  oggetto. 

Non  mi  fu  possibile  di  risapere,  come  avrei  pur 
desiderato,  la  malattia  a  cui  la  donna  soggiacque. 

VI. 

Preparazione  anatomica. 

Stanza  IV.  Credenza  V. 

In  questa  preparazione  anatomica  vedesi  la  co- 
lonna vertebrale,  porzione  delfe  coste  ohe  con  essa 
si  articolano,  parte  dell'osso  occipitale,  e  delle  os- 
sa della  pelvi.  Vi  si  osserva  altresì  il  sistema  ner- 
voso tanto  della  vita  organica  che  animale  ,  ed  il 
sistema  arterioso  fino  alla  metà  tanto  delle  estre- 
mità superiori,  che  inferiori. 


233 
VII. 


Alira  preparazione  anatomica. 

Stanza  I.    Denominata 

TEATRO  ANATOMICO. 

Questa  preparazione  anatomica  ,  detta  volgar- 
mente mascherino  dalla  sua  forma,  fa  vedere  il  si- 
stema arterioso  e  venoso,  che  con  Je  sue  vaghe  di- 
ramazioni circondano  la  testa  sì  nella  sua  faccia 
esterna,  che  interna,  non  che  il  collo,  la  clavicola, 
parte  delle  coste,  e  delle  estremità  superiori. 


234 


Elocjio  deir  eminentissimo  e  reverendissimo  principe 
signor  cardinale  Giovanni  Soglia  Ceroni  vescovo  di 
Osimo  e  Cingoli  ,  letto  nel  terzo  giorno  delle  so-^ 
lenni  sue  esequie  14  agosto  1856,  nella  chiesa  cal- 
terale  di  Osimo,  da  Giuseppe  Ignazio  Montanari. 

Perirdnsit  benefaeiendo. 
Ad.  Ap.  e.  10.  V.  38. 

XJhe  debbo  dirvi  o  di  che  parlarvi  ?  Tempo  è  que- 
sto di  pianto  non  di  parole,  di  affanno  non  di  ra- 
gionamenti, di  preghiera  non  di  consigli.  Il  nostro 
buon  padre  ci  ha  abbandonati  ,  il  benefattore  si  è 
da  noi  dipartito,  l'angelo  di  questa  chiesa  ha  spie- 
gato il  volo  al  cielo,  e  ci  ha  lasciati  in  desolazione. 
Siamo  figliuoli  orfani ,  greggia  diserta  di  pastore  , 
viatori  senza  guida,  naviganti  senza  lume  di  stella. 
Oimè  !  oimè  !  lo  squallore  di  questo  tempio,  le  me^ 
lodie  di  questi  canti,  il  popolo  in  atto  di  lagrimevole, 
i  sacerdoti  in  gramaglia,  mi  turbano  la  mente  e  mi 
feriscono  il  cuore.  L'aspetto  di  questa  fredda  e  ve-^ 
nerabile  salma  mi  arresta  la  parola  sul  labbro  ,  e 
mi  costringe  ai  sospiri  e  alle  lagrime.  Che  posso 
dirvi  ?  come  consolarvi  ?  quale  argomento  recare 
a  conforto  del  mio  e  del  vostro  cordoglio  ?  E  voi 
vi  aspettate  un  elogio  da  me,  da  me  che  ho  l'anima 
sino  al  fondo  trafitta  ,  e  la  mente  combattuta  da 
una  tempesta  di  dolorosi  pensieri  ?  Io  non  potrò  al- 
tro darvi,  che  in  disadorne  ed  interrotte  parole  po- 
chi cenni  della  virtuosa  ed  intemerata  sua  vita,  non 


235 

potrò  che  toccare  di  alcune  sue  opere  ,  nelle  quali 
veggiate  in  iscoicio  quelle  sue  sovrane  bontà  ,  che 
tanto  bene  a  noi  fruttarono:  conciossiachè  tutte  ad 
una  colorirle  e  lodarle  vada  sopra  il  potere  di  ogni 
eloquenza.  Ed  io  in  vero  tante  virtù,  tante  bontà, 
quante  in  un  sol  punto  peidemmo,  non  saprei  né 
potrei  annoverare  se  avessi  tranquillo  il  cuore,  se- 
rena la  niente:  mostrare  poi  la  grandezza  del  danno 
comune,  rimasi  privati  di  tanto  bene  ,  non  saprei 
né  vorrei,  per  non  accrescere  dolore  al  dolore,  tor- 
mento al  tormento.  Questo  fia  il  solo  conforto,  que- 
sta l'unica  consolazione  che  io  mi  studierò  di  por- 
gervi: ogni  altra  non  è  da  me:  tanto  più  che  ogni 
copia  di  dire,  ogni  color  di  favella,  ogni  altezza  d' 
ingegno  mancherebbe  ove  si  togliesse  a  ragionarne 
per  disteso.  Faremo  adunque  come  coloro  che  divisi 
per  lungo  tratto  di  mondo  dalle  peisone,  le  quali  più 
amano,  non  potendo  più  in  esse  gli  occhi  desiosi 
sbramare,  fan  inganno  a  se  stessi  affissando  qualche 
immagine  dipinta  che  ne  richiama  l'aria  del  volto, o  la 
dolcezza  degli  sguardi;  e  mentre  ogni  parte  ne  ricer- 
cano ,  raffigurando  le  conte  fattezze  se  ne  conten- 
tano, e  quasi  con  esse  benché  lontane  ragionando  , 
le  hanno  come  presenti  in  ispirito  ,  ed  il  cuore  e 
se  stessi  con  dolcissima  frode  racquetano.  Ben  co- 
nosco che  pure  in  ciò  mi  verrà  meno  la  lena,  e  non 
basterò  ad  adeguare  il  vostro  desiderio  e  il  mio 
concetto:  ma  o  sia  che  il  mio  dire  raggiunga  la  meta 
a  cui  tendo,  o  di  molto  indietro  si  rimanga,  come 
dee  per  forza  avvenire  a  chi  voglia  con  debole  prora 
percorrere  un  pelago  immensurato  ,  pure  non  sarà 
senza  effetto  di  bene:  e  se  non  altro  si  parrà  a  voi 


236 

più  chiaro  il  mio  buon  volere ,  e  a  quella  grande 
anima  l'affettuosa  mia  divozione.  Laonde  io  mi  ab- 
bandonerò all'  impeto  dell'affetto,  e  cercherò  di  re- 
carvi fedelmente  sotto  gli  occhi  alcuna  cosa  della 
vita  di  questo  angelico  spirito,  che  ahi  !  troppo  per 
breve  ora  a  noi  fu  concesso,  affinchè  provassimo  gli 
effetti  della  sua  paterna  beneficenza.  Che  in  vero  il 
cardinale  Giovanni  Soglia  Ceroni,  il  quale  soli  di- 
ciassette anni  e  quattro  mesi  fu  nostro  vescovo,  visse 
soltanto  per  beneficare,  e  tanti  sono  i  giorni  del  suo 
mortale  pellegrinaggio,  quanti  i  beneficii  che  a  noi 
e  a  tutti  ebbe  compartito:  cotalchè  si  possano  con 
ragione  a  lui  applicare  le  parole  che  si  leggono 
negli  Atti  degli  apostoli  —  Passò  beneficando  —  Per- 
transil  bene f adendo.  Mi  aiuti  la  vostra  pietà,  o  si- 
gnori, e  al  basso  mio  ingegno  soccorra  :  e  se  av- 
venga che  alcuna  cosa  qui  degnamente  non  si  re- 
gistri, non  me  lo  rechi  a  colpa,  ma  al  mio  dolore 
compatisca.  E  tu,  anima  benedetta  del  nostro  ca- 
rissimo e  venerando  pastore,  riguarda  dal  cielo  que- 
sta tua  greggia,  cui  tanto  amasti,  e  a  me  perdona 
se  in  mezzo  a  tanta  commozione  mi  perdo  ,  e  se 
del  molto  che  dovrei  dire  in  tua  lode  appena  al- 
cuna parte  saprò  leggermente  accennare. 

La  vita  umana,  o  signori ,  non  è  altro  che  un 
pellegrinaggio  breve  e  faticoso  dall'  esilio  alla  pa- 
tria, dalla  terra  al  cielo  ,  nel  quale  Iddio  pone  i 
mortali  acciocché  fra  i  travagli  e  le  malagevolezze 
attraversando  questo  suolo  seminato  di  spine  e  di 
triboli,  abbiano  di  che  acquistarsi  merito  ad  entra- 
re, quando  vi  siano  chiamati,  nella  celeste  Gerusa- 
lemme, dov'  è  solo  il  fine  agli  affanni,  e  quella  vita 


237 

verace  che  non  conosce  tramonto.  E  coloro  che 
reputano  potersi  in  godimenti  e  in  gioie,  in  mol- 
lezze ed  in  pompe,  trapassare  questa  valle  tenebrosa 
ed  oscura,  sono  d'assai  male  avvisati  e  perduti,  per- 
chè fanno  dell'esilio  patria,  della  vanità  ricchezza, 
della  viltà  gloria  ,  e  il  celeste  redaggio  tramutano 
in  false  e  caduche  dilettanze.  Ma  quelli  che  aspi- 
rano al  vero  bene,  e  intendono  che  noi  nel  mondo 
non  siamo  se  non  peregrini,  si  lastricano  per  mezzo 
al  deserto  la  strada  alla  terra  di  promissione  con 
opere  virtuose,  e  facendo  bene  agli  altri,  a  se  stessi 
durevole  fama  e  corona  immortale  procacciano.  Così 
fece  Giovanni  Soglia  Ceroni  (1),  il  quale  fin  dai  primi 
anni  della  sua  giovinezza  diede  a  vedere  quale  sa- 
rebbe divenuto  in  appresso.  Nato  di  antica  prosa- 
pia assai  famosa  nelle  storie  (2),  avevalo  dotato  la 
provvidenza  di  beli'  ingegno,  di  tenero  cuore,  di  care 
sembianze,  e  postogli  sulle  labbra  un  sorriso  ,  che 
a  chi  lo  riguardava  pareva  dicesse:  Io  sono  naia  a  ben 
fare.  Giovane  piìi  avvenevole,  più  ingegnoso,  e  più 
ben  composto  di  persona  e  di  animo  forse  a'  suoi 
tempi  non  v'ebbe.  Educato  in  Casola  Valsenio  sua 
patria,  castello  della  Romagna  nella  diocesi  d'Imola, 
sotto  la  disciplina  di  savi  e  religiosi  parenti,  ammae- 
strato da  buoni  precettori,  essendo  ancora  garzone, 
prendeva  gli  animi  di  tutti  colle  sue  rare  bontà,  ed 
era  posto  ad  esempio  degli  altri.  Obbediente,  do- 
cile, cordialissimo,  rispettava  i  da  più  ,  amava  gli 
uguali ,  studiavasi  di  giovare  gl'inferiori.  Devoto  a 
Dio  e  in  lui  timorato  ,  amante  dello  studio  ,  non 
era  perciò  meno  gioviale  e  compagnevole.  Compita 
la  prima  carriera  delle  lettere  latine  con  molta  sua 


238 
lode,  fu  chiamnto  in  Imola  da  Giacomo  Braga  sa- 
cerdote assai  degno  e  suo  zio  mateino,  il  quale  stava 
a'servigi  dell'eminentissimo  vescovo  Gregorio  Barna- 
ba Chiaramonti  in  otììcio  di  segretario  :  e  in  quel 
seminario  potò  con  agio  e  proHlto  grande  appren- 
dere la  rettorica.  Di  là  fu  posto  in  Bologna  ad  im- 
parare filosofia,  dove  sopra  molti  si  segnalò.  In  que- 
sto mezzo,  passato  di  vita  il  magnanimo  pontefice 
Pio  VI,  Iddio  chiamò  a  succedergli  sulla  cattedra  di 
Pietro  il  cardinale  Chiaramonti  ,  il  quale  doveva 
mostrare  al  mondo  quanto  prevalga  la  divina  alla 
umana  potenza,  e  come  verso  quella  sieno  polvere 
ed  ombra  gli  eserciti  de'conquistatori,  i  regni  e  gli 
imperi  della  terra. 

Non  si  tosto  di  Venezia,  ove  si  tenne  il  concla- 
ve, fu  giunto  a  Roma  Pio  VII,  mosignor  Braga  ebbe 
a  sé  il  nipote,  e  fattolo  prima  studiare  in  divinità, 
perchè  il  giovane  aveva  dichiarato  volersi  rendere 
uomo  di  chiesa,  poi  nell'una  legge  e  nell'altra  ,  lo 
mise  nelle  grazie  del  pontefice,  che  gli  diede  di  en- 
trare a  corte  ,  e  dell'  opera  sua  cominciò  a  valersi 
con  molta  soddisfazione.  Ma  in  quella  che  il  gio- 
vane studiavasi  corrispondere  alle  cure  paterne  di 
luì,  e  porgersi  degno  ogni  dì  piiì  della  sua  stima  e 
del  suo  affetto,  ecco  di  nuovo  in  fiamme  di  guerra 
r  Italia  e  1'  Europa  ;  armi  straniere  occupare  i 
dominii  della  santa  Sede  ;  e  Pio  VII  ,  fermo  a 
mantenerne  inviolati  i  diritti,  essere  violentemente 
strappato  dal  Vaticano,  e  condotto  prigioniero  sotto 
strette  guardie  oltre  I'  alpi  (3).  Dio  immortale  !  A 
quale  dura  prova  fu  posta  la  religione  e  il  vicario 
di  Cristo  !  quale  strazio  fu  fatto  della  chiesa  nel  suo 


239 

supremo  gerarca  assalito  nella  sua  reggia,  imprigio- 
nai to,  strascinato  in  lontano  esilio  !  La  grande  ani- 
ma di  Pio  si  rassegnò  ai  voleri  del  cielo,  ne  adorò 
i  disegni  ,  ne  aspettò  il  soccorso  ,  e  prigioniero  si 
lasciò  condurre  in  Savona,  ove  alcun  tempo  rimase. 
Ma  chi  gli  sarà  compagno  negli  affanni  e  nelle  ama- 
rezze della  prigionia  ?  Chi  avrà  a'  suoi  servigi  di  sì 
splendida  corte  ?  Quale  a  lui  sarà  concesso  o  servo 
od  aiutatore  ?  Dirò  vero;  molti  spasimavano  di  se- 
guirlo ,  reputavansi  a  gloria  dividere  con  lui  peri- 
eoli  e  carcere:  a  pochi  fu  concesso,  e  fra  questi  (4) 
a  D.  Giovanni  Soglia,  caro  sopra  molti  al  pontefice, 
perchè  con  affetto  e  fedeltà  grande  il  serviva  ,  e 
della  mano  di  lui  sovente  valevasi  a  scrivere  lettere, 
dispense,  istruzioni  e  cose  somiglianti.  Le  quali  scrit- 
ture venute  a  mano  de'  suoi  avversari,  fecero  mon- 
tare in  isdegno  V  imperatore  dei  francesi,  il  quale 
ordinò  si  scrutassero  diligentemente  i  fogli  de'ser- 
vitori  del  papa:  e  fu  fatto.  Onde  nacque  che  il  So- 
glia dopo  diciotto  mesi  fu  diviso  dal  pontefice  ,  e 
condotto  prigioniero  a  Fenestrelle  (5).  Di  che  gli  dolse 
all'anima,  non  pei  patimenti  che  si  vedeva  innanzi, 
i  quali  tutti  con  forte  animo  sfidava,  ma  perchè  non 
poteva  più  giovare  di  aiuto,  consolare,  e  della  per- 
sona sovvenire  al  suo  glorioso  e  sventurato  signore. 
Quante  volte  nella  tacita  solitudine  del  suo  carcere 
ebbe  lagrimosi  gli  occhi,  e  gli  vennero  alle  labbra 
dolorosi  sospiri  pensando  in  che  abbandono  lo  aveva 
lasciato,  e  in  che  scaduta  salute  !  Quante  volte  le- 
vava al  cielo  le  mani  e  la  voce,  implorando  sopra 
di  lui  e  sulla  chiesa  deserta  le  divine  misericordie  ! 
Nulla  di  se  pensoso,  e  sicuro  sotto  l'usbergo  della 


240 

buona  coscienza,  sì  stava  tranquillo  nel  suo  carcere, 
e  tutte  le  ore  del  giorno  e  molte  della  notte  spen- 
deva orando    e    studiando.  In  quel  tempo  dettò  in 
elegante  latino  la  Concordia  evangelica  colle   parole 
medesime  de'quattro  santi  evangelisti,  opera  che  so- 
vente anche  negli  anni  appresso  si  recava  a  mano, 
ma  non  pubblicò,  e  lasciò  ne'  manoscritti  (6).  An- 
cora scriveva  orazioni  di  vote  ,  pii    propositi  e  sa- 
pienti massime,  allora  a  sua  consolazione  e  per  con- 
fortare l'animo  in  mezzo  alle  tribolazioni,  ora  rima- 
ste a  testimonio  della  sua  pietà  e  della  sua  cristiana 
sapienza.  Dopo  un  lungo  avvicendare  di  sofferenze, 
di  processi  e  di  vessazioni,  finalmente  la  fatale  porta 
di  Fenestrelle  gli  fu  aperta  ,    e  comandatogli    tor- 
narsene a  casa.  Stesse  cento  leghe  lontano  da  Sa- 
vona, partisse  tosto,  e  badasse  a  non  guardare  indie- 
tro. Questa  sentenza  gli    seppe  più  amara    che    la 
stessa  prigionìa:  non  però  di  meno  piegò  il    capo; 
pieno  di  sconforto  si  ritornò  al  luogo  nativo,  e  get- 
tatosi   tutto  in  Dio,  da  lui  aspettò    quella  vittoria 
che  senno    umano    non    avrebbe     potuto  a  que'dì 
nemmeno  immaginare.  Visse  tranquillo  e  obbediente 
alle  leggi  del  novello  stato,  non  s'immischiò  in  fa- 
zioni, non  cospirò;  umiliato  sotto  la  potente  mano 
di  Dio ,  in  ogni  atto,  in  ogni  parola  die  segno  di 
quella  mansuetudine,  che  buon  cristiano  dee  ritrarre 
dagli  esempi  del    divino    Maestro.  Molto  di  tempo 
dava  al  suo  ministero  di  sacerdote,  molto  orava,  e 
con  molta  divozione:  occupavasi  ne'suoi  cari  studi, 
e  in  essi  facevasi  scorta  ad  alcun  ecclesiastico  che 
a  lui  si  fosse  rivolto  per  imparare.  Nel  resto  sem- 
pre sereno,  sempre  piacevole,  sovente  in  compagnia 


241 

di  specchiati  amici  conduceva  la  vita  per  forma  da 
i'iuscire  caro  e  pregiato  agli  occhi  di  quegli  stessi, 
che  scrupolosamente  ne  spiavano  i  passi  e  le  parole, 
e  in  ogni  tempo  invegliavanlo. 

Ma  Iddio  alfine  nella  sua  misericordia  aveva  udito 
i  gemiti  della  sposa  di  Cristo:  e  veduto  che  la  pro- 
cella combatteva  il  mare,  e  minacciava  soverchiare 
la  navicella  di  Pietro,  se  ne  commosse,  e  comandò 
di    tratto  ai  venti  ed  al  mar  di  posare  ,    cotalchè 
alle  furie  della  tempesta  seguì   la  bonaccia  e  la  cal- 
ma. Pio  VII,  uscito  vittorioso    alla  prova  di  tanta 
persecuzione  ,  sulle  braccia  di  tutta    l'  Europa    con 
inaudito  trionfo  veniva  ricondotto  in  mezzo  ai  fe- 
stanti suoi  popoli  all'  antica  sua  sede,  e  colle  dol- 
cezze del  presente,  e  le  speranze  dell'avvenire,  ri- 
compensava le  amarezze  e  i  travagli  affannosi   del 
passato.  Giunta  appena  la  lieta  novella  a  don  Gio- 
vanni, si  prostrò  con  tutta  l'effusione  dell'anima  a 
ringraziare  Iddio  della  singoiar  grazia  fatta  alla  chiesa 
e  al  suo  vicario:  poi  senza  mettere  tempo  in  mezzo 
od  indugio  frapporre ,   corse  difilato  ad  incontrarlo 
oltre  i  confini  del  modenese,  e  gettossegli  ai  piedi: 
e  quanti  fossero  gli  affettuosi  baci  che  vi  stampò  , 
quante  le  lagrime  di  consolazione  con  cui  li  bagnava, 
non  è  da  me  poter  dire.  Lo  accolse  amorevolmente 
il  padre  de'credcnti,  l'abbracciò  stringendolo  al  seno, 
e  più  che  al  seno  al  cuore  ,  e  allora  credo  io  gli 
parve  pieno  e  solenne  il  suo  trionfo.  Oh  !  come  a 
lui  dovette  esser  caro  vedersi  accanto  nel    suo  ri- 
torno quegli  stessi  che  avevanlo  seguito  fedelinente 
negli  amari  passi  dell'esilio  ,  e  nella  cattività  !  Oh 
come  ad  essi  dovè  riuscire  soave  poter  dire:  Ecco 
G.A.T.CXLY.  16 


242 

noi  abbiamo  colto  il  frutto  delle  nostre  fatiche,  dei 
nostri  affanni  sì  lunghi  e  penosi  !  Certo  ò  che  il 
gran  Pio  volle  che  il  Soglia  in  officio  di  crocifero 
il  precedesse  quando  di  nuovo  mise  il  piede  ne'suoi 
stali  ,  e  sino  a  Roma  quasi  guidasse  la  pompa  di 
quella  sua  trionfale  andata.  Poi  venuto  nella  metro- 
poli del  mondo  cattolico,  dopo  le  grandi  ed  iterate 
accogliente  di  quel  popolo,  che  solo  dalla  sedia  a- 
poslolica  si  ebbe  tenere  sugli  altri  una  seconda  volta 
il  primato,  a  sé  più  che  mai  lo  restrinse  ,  lo  fece 
suo  intimo  famigliare  ,  e  suo  segretario  ed  agente 
particolare,  né  cosa  volle  o  fece  senza  di  lui.  Non 
era  affare  di  rilievo  che  egli  avesse  a  trattare,  e  non 
vi  adoperasse  il  Soglia:  non  aveva  prelato  a  cui  vo- 
lesse mostrar  favore,  e  non  gli  offerisse  la  compa- 
gnia del  Soglia:  non  capitava  persona  ch'egli  avesse 
cara  per  fama  di  sapere  e  per  dignità  ,  e  non  la 
mettesse  nelle  mani  del  Soglia.  Fidavasi  di  molti  , 
di  niuno  più  che  di  lui:  amava  molti,  ninno  più  che 
lui.  Mandavalo  in  suo  luogo  a  visitare  augusti  per- 
sonaggi che  in  Roma  venivano  a  baciare  i  piedi  al 
vincitore  del  vincitor  dell'  Europa  ,  a  benedirne  la 
mensa  ,  a  recar  loro  le  sue  parole.  Monsignor  So- 
glia era  studiosamente  cercato  e  corteggiato  da  tutti, 
e  pareva  gran  mercè  ,  anzi  un  avere  acquistata  la 
grazia  del  sovrano,  a  chi  pure  potesse  parlargli,  o 
jTiostrargli  riverenza.  Inoltre  il  pontefice,  conoscendo 
la  dottrina  e  il  sapere  di  lui,  lo  nominò  professore 
di  ragion  canonica  pell'archiginnasio  romano  ,  uffi- 
cio ch'ei  tenne  con  grande  onore  e  altrui  profìtto  , 
dappoiché  quanti  oggi  in  Roma  hanno  grido  di  va- 
ienti in  giure  canonico  ebbero  avviamento  alla  scien- 


243 

za  da  lui,  fortunato  di  poter  annoverare  fra'suoi  di- 
scepoli prelati  e  cardinali  di  gran  nome.  E  quanto 
in  siffatti  studi  fosse  profondo,  lo  mostrarono  poi  i 
libri  che  vecchio  pubblicò.  Del  favore  però  e  della 
grazia  del  principe  non  si  valse  egli  per  se,  ma  prin- 
cipalmente in  servigio  di  quelli  che  sapeva  biso- 
gnosi di  conforto  e  di  ristoro  ai  danni  sofferti.  Ai 
religiosi  che  dispersi  dal  turbine  cercavano  di  nuovo 
tornare  alle  proprie  stanze,  agli  ecclesiastici  spo- 
gliati di  ogni  loro  avere  ,  ai  laici  di  ogni  genere  , 
ai  ricchi,  ai  poveri,  si  porse  ugualmente  benigno,  e 
die  mano  ad  aiutarli  ;  nò  mai  nel  beneficare  anti- 
pose l'amico  stato  al  nemico,  anzi  coi  nemici  allargò 
la  mano  di  più,  e  fece  loro  mite  e  benevolo  il  cuore 
del  pontefice. 

Che  r  indole  mansueta  e  la  benigna  natura  del 
Soglia  avvalorata  dalla  cristiana  carità  non  tenne 
mai  memoria  delle  offese  ricevute,  e  le  conobbe  solo 
per  perdonarle,  e  seppellirle  nell'oblìo;  di  che  forse 
taluni  presero  poi  baldanza,  e  ai  beneficii  corrispo- 
sero indegnamente  coli'  ingratitudine.  Alla  sua  terra 
natale  ancora  ,  alla  quale  buon  cittadino  più  volle 
di  Roma,  poi  di  Osimo  si  condusse,  e  sino  all'estre- 
mo respiro  ebbe  affetto,  delle  grazie  che  a  lui  la  ma- 
no del  re-sacerdote  largheggiava  fece  parte  ,  e  ot- 
tenne che  il  territorio  casolano  fosse  ampliato,  fatte 
strade  più  agevoli  per  accedervi  ,  dati  privilegi  e 
preminenze.  Perchè  poi  sopra  ogni  cosa  gli  stava  a 
petto  la  religione,  unica  e  vera  sorgente  d'ogni  bene 
alle  genti,  murò  a  sue  spese  un  convento  ai  pove- 
relli del  serafino  d'Assisi  (7),  ricevutone  in  dono  un 
tratto  di  terreno  da  alquanti  principali  del  luogo  , 


244 

i  quali  per  edificarvi  un  teatro  avevanlo  acquistato, 
e  vi  fé  inoltre  costruire  una  devota  e  maestosa 
chiesa  (8),  e  d'  ogni  maniera  di  ornamenti  la  fre-- 
gìò:  begli  altari,  bei  dipinti,  bei  paramenti  e  sup- 
pellettili in  copia.  La  qual  cosa  riuscì  molto  cara 
e  di  grande  prò  a  tutti:  conciossiachè  ì  padri  cap- 
puccini sono  de'  meglio  e  più  aitanti  operai  della 
vigna  del  Signore.  Né  a  tanto  egli  tennesi  pago  ; 
perchè  fin  d'allora  concepì  il  pensiero  di  provvedere 
alla  educazione  delle  fanciulle,  alle  quali  negli  anni 
appresso  aperse  del  proprio  una  scuola;  e  acciò  non 
mancasse  ,  pose  e  dotò  un  monistero  di  religiose 
donne,  le  quali  si  avessero  in  perpetuo  questo  pio 
e  caritatevole  incarico.  Oltre  a  ciò  volle  coH'opera 
delle  stampe  raccomandare  alle  lettere  alcune  me- 
morie gloriose  della  sua  terra  natale,  e  fece  impri- 
mere in  Roma  un  elegantissimo  commentario  latino 
di  Domenico  Mita  suo  conterraneo,  che  fiorì  al  prin^- 
cipio  del  secolo  XVII  ,  nel  quale  lasciò  registrati 
alquanti  monumenti  antichi  della  genite  Ceroni  (9)  : 
lavoro  assai  encomiato  dai  dotti,  e  riputato  degno 
di  essere  posto  fra  gli  scrittori  delle  cose  italiche, 
raccolti  e  pubblicati  dall'  immortale  Lodovico  Mu^ 
ratori.  Poi  dettò  egli  stesso  assai  latinamente  la  vita 
di  Giambattista  da  san  Bernardo  monaco  fuliense  (10) 
nato  della  famiglia  Ridolfi  in  Casola  nel  1588  ,  e 
morto  trentatrè  anni  appresso  in  grande  odore  di  san» 
tità.  In  fine  mise  alla  luce  alcuni  versi  latini  ine- 
diti di  Antonio  Linguerri  casolano  (11),  stato  suo 
maestro  ,  sacerdote  di  molte  lettere.,  e  nelle  cose 
della  filosofia  e  della  teologia  dotto  assai,  i  quali 
dedicò  a  quel  lume  della  romana  porpora  che  è  1' 


245 

eminentissimo  signor  cardinale  Gaetano  Baliiffi,  ar- 
civescovo vescovo  d'  Imola,  quando  fu  pronnosso  a 
quel  vescovato  :  con  che  mise  sotto  gli  occhi  del 
mondo  non  solo  la  sua  ossequiosa  stima  ai  meriti 
e  alla  dottrina  del  porporato  principe  ,  ma  la  sua 
immanchevole  gratitudine  al  Suo  savio  educatore. 
Ancora  osserverò  qui  eh*  egli  non  pose  in  fronte  a 
queste  opere  il  proprio  nome  ,  ma  innominate  le 
mandò  per  lo  mondo  a  raccogliere  il  libero  voto 
dei  lettori,  dai  quali  però  non  ebbe  che  encomi  : 
bel  esempio  di  letteraria  modestia,  e  poco  a'  dì  no- 
stri imitato.  Ma  è  tempo  che  io  mi  ritorni  onde  mi 
sono  dipartito,  e  rappicchi  il  filo  del  mio  ragiona- 
mento. 

La  salute  del  pontefice  da  qualche  tempo  era 
scaduta,  V  età  di  oltre  ottant'anni  aggravavalo  ,  le 
sventure  e  i  trionfi,  la  carcere  e  il  regno  ne  avevano 
omai  consumato  ogni  vigore.  Appressava  l'ora  su- 
prema, e  il  cielo  r  invitava  a  raccogliere  alfine  il 
meritato  guiderdone.  Mentre  fu  infermo  ninna  per^ 
sona  meglio  piacevagli  avere  intorno  a  se  che  il  So- 
glia: e  per  mostrargli  sino  all'ultimo  quanta  fiducia 
in  lui  aveva  posto  ,  essendogli  dato  a  sottoscrivere 
il  proprio  testamento,  non  volle,  finche  egli  non  lo 
avesse  letto,  e  lui  affidato  di  poter  sottoscriverlo. 
Dopo  alquanti  giorni  passò  di  questa  vitale  a  mon- 
signor Giovanni  non  rimase  che  il  dolore  di  averlo 
perduto,  e  la  ricordanza  delle  sue  segnalate  virtù, 
delle  quali  non  solo  in  tanti  anni  aveva  fatto  te- 
soro nella  memoria,  ma  ben  anche  fece  poscia  ri- 
tratto, quando  a  maggiore  stato  pervenne:  concios- 
siachè  il  modo  di  condurre  i  negozi  più  gravi,   di 


246 
trattare  co'soggettì,  di  tenersi  presto  ad  ogni  fortu- 
na, compose  sempre  allo  specchio  di  quell'immor- 
tale e  glorioso  principe,  il  nome  del  quale  non  pro- 
nunziava mai  senza  manifesti  segni  di  commozio- 
ne, di  affetto,  e  di  riverenza. 

Succedutogli  nella  cattedra  apostolica  il  cardi- 
nale Annibale  della  Genga  con  nome  di  Leone  XII, 
papa  che  fu  nobilissimo,  il  quale  aveva  in  capo  va- 
sti e  generosi  disegni,  cui  la  difficoltà  dei  tempi 
e  la  morte  troppo  presta  interruppero,  l'ebbe  caro 
non  meno  che  il  suo  antecessore  :  anzi  quasi  egli 
volesse  rimeritarlo  di  quanto  aveva  fatto  per  lui  , 
lo  sollevò  a  maggiori  offici,  e  il  tenne  in  gran  conto. 
Lo  nominò  in  prima  suo  coppiere  ,  poi  cameriere 
segreto.  Appresso  volendo  rimettere  in  onore  e  dar 
legge  e  norma  nello  stato  pontifìcio  agli  studi,  fat- 
tane parola  con  lui  ,  e  richiestolo  dell'  avviso  suo, 
egli  proposegli,  e  con  buone  ragioni  mostrò  che  sa- 
rebbe stato  assai  bene,  e  di  grande  onore  a  Sua  Bea- 
titudine, creare  appositamente  una  congregazione  di 
cardinali,  col  titolo  di  sacra  congregazione  degli  stu- 
di, la  quale  con  certe  leggi  li  governasse  per  tutti 
gli  stati  della  chiesa.  Piacque  la  proposta  al  gene- 
roso pontefice,  e  a  lui  diede  incumbenza  di  presen- 
targli in  iscritto  le  leggi  che  crederebbe  da  ciò  ; 
perlochè  il  prelato  si  fece  poi  a  compilare  quel  vo- 
lume che  ancora  è  il  codice  della  pubblica  istru- 
zione, e  il  papa  in  appresso  pubblicò  con  quella  bolla 
che  incomincia  Quod  divina  sapienti  a.  Inoltre  dopo 
avere  messo  a  capo  di  quella  sacra  congregazione  il 
dottissimo  cardinale  Francesco  Bertazzoli  ,  nominò 
segretario  della  medesima  il  Soglia,  che  con   tutto 


247 

lo  zelo  fin  dalle  prime  incominciò  a  proteggere  le 
buone  lettere  ed  i  cultori  delle  scienze,  e  a  ritor- 
nare in  onore  la  lingua  latina,  di  cui  era  teneris- 
simo e  profondo  conoscitele,  la  quale  allora  minac- 
ciava scadere.  Non  istette  gran  tempo,  che  avendolo 
sperimentato  e  conosciuto  alla  prova  destro,  leale, 
abilissimo  in  ogni  bisogno^  cominciò  a  valersi  di  lui 
negli  offici  pili  delicati,  e  in  quelle  segrete  opere  di 
carità  che  sono  tutte  proprie  del  sacerdozio  catto- 
lico e  del  pontificato.  E  corrispondendo  sempre  più 
all'aspettazione,  anzi  superandola,  per  dargli  un  nuovo 
segDQ  della  sua  soddisfazione  lo  nominò  suo  elemo- 
siniere segreto  ,  avvisando  che  niuno  più  di  lui  a- 
vrebbe  giustamente  distribuito  le  sue  larghezze  ai 
poveri,  niuno  meglio  di  lui  avrebbe  alla  natia  gene- 
rosità sua  soddisfatto.  Così  avvenne  appunto  ;  ed 
erano  ad  una  voce  benedetti  dai  poveri  e  il  ponte- 
fice e  il  suo  limosiniere,  il  quale  non  lasciava  par- 
tire da  se  persona  senza  averla  in  prima  consolata. 
Ancora  Io  fece  arcivescovo  di  Effeso  nelle  parti  do- 
gi' infedeli:  e  più  onore  gli  avrebbe  fatto  se  la  morte 
non  avesse  posto  fine  alla  sua  vita  e  al  suo  regno. 
Saliva  al  pontificato  massimo  Francesco  Saverio 
Castiglioni  che  prese  nome  di  Pio  Vili,  il  quale  per- 
chè l'invidia  usando  sue  male  arti  aveva  tentato  co- 
lorirgli sinistramente  l'arcivescovo  d'Efeso  ,  in  sulle 
prime  gli  fece  brusche  accoglienze;  ma  poi  veduto 
alla  prova  de'fatti  qual  uomo  egli  era,  di  quanta  in- 
tegrità e  dottrina,  lo  ebbe  assai  presto  in  grazia,  per 
modo  che  non  riusi  a  lui  meno  accetto  che  al  Chia- 
ramonti  e  al  Genga.  Tuttavia  non  potè  innalzarlo 
a  maggioi'i  onorificenze,  perchè  il  suo  regno  fu  breve 


248 
e  non  lieto.  Un  improviso  turbine  scrollava  l'antico 
trono  dei  Borboni,  e  dalla  Francia,  come  dal  cuore 
per  tutto  il  corpo  ,  si  diffondevano  forti  agitazioni 
nell'Europa.  L' Italia  per  suo  mal  destino  usata  ad 
illudersi  sempre,  e  sempre  lasciarsi  ingannare,  ago- 
gnava novità  pericolose,  e  le  provincie  dello  stato 
pontificale  lasciavansi  sconvolgere.  Pio  Vili  fu  ben 
avventurato  di  non  vedere  i  suoi  popoli  levare  il 
capo,  perchè  Iddio  lo  chiamò  a  se  al  primo  inco- 
minciare della  tempesta. 

La  quale  mentre  mostrava  ingrossare,  fu  posto 
suir  apostolica  sedia  Mauro  Cappellari  che  si  tolse 
nome  di  Gregorio  XYI,  e  in  pochi  giorni  bastò  a  di- 
leguare e  comprimere  gli  umori  ,  e  ricondurre  la 
tranquillità  negli  stati  della  chiesa.  Era  egli  da  gran 
tempo  legato  di  amicizia  al  Soglia,  delle  rare  bontà 
del  quale  aveva  piena  contezza;  per  lo  che  a  lui  si 
tenne  ristretto  e  fidato.  Desiderando  poi  di  fargli  ve- 
duto che  quella  cima  di  altissima  dignità  non  can- 
cellava in  lui,  come  suole,  la  memoria  dell'antica  di- 
mestichezza ,  né  punto  cessavano  l'affetto  ,  lo  fece 
tosto  canonico  della  basilica  vaticana  ,  e  gli  diede 
titolo  di  patriarca  di  Costantinopoli.  Indi  volendolo 
innalzare  a  grado  più  degno,  dalla  congregazione  de- 
gli studi  lo  recò  a  quella  dei  vescovi  e  regolari  , 
onde  agevole  è  il  passo  al  cardinalato.  Fatto  adunque 
segretario  di  questa  congregazione,  non  è  a  dire  con 
quanto  studio  adoperasse  al  ben  andare  della  me- 
desima, e  quanti  per  mezzo  suo  fossero  beneficati. 
Pareva  sua  natura  il  ben  fare  altrui,  e  mentre  per 
se  nulla  cercava  ,  per  gli  altri  spendevasi  a  tutto 
potere,  né  cosa  al  mondo  gli  gustava  più  che  col 


249 

favore  e  i  benefìci!  amicar  gente  alla  sedia  aposto- 
lica. Si  può  con  sicurezza  e  senza  tema  di  errore 
affermare  ,  che  ei  teneva  le  chiavi  del  cuore 
del  pontefice,  e  per  la  sua  paragonata  fede  avreb- 
bele  potute  volgere  a  suo  talento.  Tutta  Roma  sei 
vedeva  e  contentavasene  assai,  ed  io  stesso  soventi 
volte  ho  udito  dire  che  il  patriarca  di  Constanti- 
nopoli  aveva  nelle  mani  quante  grazie  poteva  fare 
il  pontefice,  il  quale  richiesto,  nulla  avrebbe  saputo 
negargli.  Tuttavia  egli  ne  usò  con  quei  riguardi  che 
buon  ministro  deve,  e  con  quella  rettitudine  di  cos- 
cienza che  era  da  lui:  anzi  quell'anima  angelica  non 
volle  valersene  se  non  quando  occorresse  beneficare 
ed  onorare  il  merito.  Oh  !  quanti  in  tanto  splendore 
di  corte,  in  tanta  grazia  del  principe,  con  faina  meno 
bella  ed  integra,  con  potenza  tanto  men  salda  quanto 
men  fondata  sulla  rettitudine  e  sul  ben  fare,  avreb- 
bero cercato  mostrarsi  al  mondo  in  pieno  lume  , 
menarne  pompa,  fare  ricchezze;  ma  il  patriarca  di 
Costantinopoli,  l'amico  del  ponteficcl'idolo  di  Roma, 
lenevasi  nell'usata  modestia,  sobrio  ,  frugale,  ospi- 
tale, benigno  a  tutti,  e  piiì  che  agli  altri  ai  più  bi- 
sognosi. Dalla  corte  prese  la  grandezza  dell'animo 
non  il  fasto,  la  cortesia  non  la  mollezza:  sincero  , 
leale,  affabile,  non  volle  altra  luce  che  lo  splendore 
delle  proprie  virtiì,  coperte  sempre  dal  velo  dell'u- 
miltà. La  quale  in  lui  ebbe  tanta  balìa,  che  men- 
ti'e  era  sempre  inteso  a  beneficare  ,  volle  e  cercò 
sempre  i  suoi  stessi  benefizi  nascondere  o  meno- 
mare colle  parole:  e  di  ciò  fece  ancora  più  forte  ma- 
ravigliare quanti  il  conoscevano.  Molli  di  lui  par- 
lavano, molti  a  lui  avevano  ricorso  ,  moltissimi  in 


250 

lui  solo  e  nelle  sue  mani  sì  mettevano  :  vedevalo 
Gregorio  XVI,  e  in  suo  segreto  godevane.  Erano  ornai 
trascorsi  trentanove  anni  che  monsignor  Soglia  fa- 
ticava in  servigio  della  chiesa  e  del  suo  capo  visi- 
bile, ed  oltre  gli  uffici  che  ho  detto,  altri  pure  ne 
aveva  sostenuti  di  non  pìcciol  rilievo,  e  con  grande 
suo  onore.  Era  stato  consultore  della  sacra  congre- 
gazione che  tratta  gli  affari  straordinari  ecclesiastici, 
di  quella  chiamata  dell'indice,  la  quale  nota  i  libri 
nocevoli  al  costume  ed  alla  religione  ,  e  di  quella 
ancora  del  sant'  officio,  cui  spetta  combattere  l'e- 
retica pravità  e  sventarne  le  insidiose  dottrine.  Inol- 
tre era  stato  esaminatore  non  solamente  del  clero 
romano,  ma  di  quelli  altresì  che  venivano  promossi 
alla  dignità  episcopale;  carichi  tutti  onoi-evolissimi  e 
laboriosi.  Tempo  era  di  concedergli  un  premio  pari 
a  tanto  merito,  e  però  Gregorio  lo  disegnò  cardi- 
nale nel  concistoro  del  12  febbriaio  1838  e  sei  ri- 
serbò  in  petto;  nò  lo  pubblicò  che  in  quello  del  18 
febbraio  nell'anno  appresso  ,  conferendogli  il  titolo 
dei  santi  quattro  coronati  nell'ordine  dei  preti.  La 
sua  promozione  fu  con  grande  consentimento  del 
sacro  collegio  dei  padri  porporati,  e  accompagnata 
dalle  congratulazioni  di  tutta  Roma;  fu  festeggiata 
dalla  Romagna,  della  quale  egli  era  bellissimo  lume, 
e  la  sua  patria  in  mezzo  ai  plausi  ed  al  canto  dei 
poeti  la  scrisse  ne  suoi  fasti  come  il  più  bel  mo- 
numento delle  sue  glorie.  Non  fu  pa^o  il  generoso 
pontefice  di  ornarlo  della  porpora  de'  cardinali;  ma 
essendo  rimaste  senza  pastore  per  la  morte  dell'e- 
minentissiino  cardinale  Giovanni  Antonio  Benvenuti 
le  chiese  unite  di  Osimo  e  Cingoli,  a  lui  le  offerse 


251 

nel  medesimo  concistoro:  ed  egli  le  accettò  non  come 
fine  alle  fatiche,  ma  come  nuovo  campo  in  cui  a- 
vrebbe  da  esercitare  le  sue  virtù  ,  e  seminare  più 
grandi  e  sfolgorate  beneficenze.  Io  credo  che  non 
senza  lagrime  da  lui  si  dividesse  il  pontefice,  tanto 
gli  pativa  il  cuore  nel  distaccarsene:  so  certo  che 
tutta  la  corte  e  Roma  ne  provarono  rammarico,  per- 
chè a  quella  parca  perdere  uno  specchio  di  probità 
rara  nel  mondo,  a  questa  un  bellissimo  e  non  co- 
mune ornamento.  Maraviglieranno  al  certo  i  posteri 
ch'egli  sotto  quattro  pontificati  fosse  mai  sempre 
in  istato,  sempre  in  grazia,  né  la  diversa  indole  dei 
principi,  né  le  vicissitudini  dei  tempi,  né  il  costante 
variare  della  cieca  fortuna,  né  le  arti  o  le  invidie 
cortigianesche  potessero  mai  abbassarlo,  o  farlo  pur 
di  poco  scadere:  nel  che  in  vero  è  la  prova  più  ma- 
nifesta della  sua  rettitudine,  della  sua  bontà,  del  suo 
ingegno  e  della  sua  prudenza;  ma  sopra  tutto  del- 
l'incolpabile sua  vita  ,  e  del  suo  disinteresse  ,  che 
Io  portava  a  cercar  sempre  non  il  proprio,  ma  l'al- 
trui bene. 

Dopo  avere  inviata  al  clero  e  al  popolo  di  Osimo 
e  Cingoli  una  lettera  pastorale  (12)  piena  di  affetto, 
di  dottrina  e  pietà,  veniva  egli  di  Roma  il  25  di 
marzo  1839  nella  domenica  delle  palme,  giorno  che 
per  questa  città  sarà  sempre  memorando  e  soave: 
e  voi  lieti  in  festa,  come  que'che  eravate  conoscenti 
appieno  delle  sue  virtù,  vi  facevate  in  calca  ad  in- 
contrarlo ,  signori  osimani ,  e  come  fidata  greggia 
al  pastore  ,  o  figliuoli  amorosi,  intorno  al  padre 
vostro  vi  stringevate.  Erano  addobbate  le  case,  in- 
fiorate le  strade,  ingiardinate  le  piazze:  l'allegrezza 


252 

del  cuore  traspariva  in  ogni  volto:  il  popolo  come 
è  usato  applaudiva,  e  si  contendeva  l'onore  di  ap- 
pressarsi al  cocchio  e  inchinarlo.  Ed  egli  benedi- 
cendovi vi  confortava  con  amichevole  sorriso,  men- 
tre gli  spuntavano  sugli  occhi  soavissime  lagrime. 
0  dolci  memorie,  o  care  allegrezze,  quanto  non  ren- 
dete voi  oggi  più  misera  e  più  lagrimevole  la  no- 
stra luttuosa  condizione!  Giunto  a  questo  luogo,  con- 
fesso, 0  signori,  che  volentieri  porrei  fine  al  mio 
dire,  perchè  ninno  meglio  di  voi  può  conoscere 
quanto  in  servigio  vostro  egli  fece,  quanto  vi  amò, 
quanto  voi  e  la  città  vostra  seppe  beneficare;  e  le 
mie  parole  non  potranno  forse  che  adombrare  ciò 
che  voi  chiaramente  avete  veduto.  Ma  perchè  vi  ho 
promesso  mostrare  che  tutta  la  vita  di  lui  non  fu 
che  un  passare  continuato  da  bene  a  bene,  una  ca- 
tena di  beneficii  non  interrotta  ,  mi  conviene  pur 
innanzi  seguire,  quantunque  1'  animo  solo  della  ri- 
cordanza si  risenta  e  resti  trafitto.  Incorare  e 
soccorrere,  ammonire  e  dolcemente  correggere,  ri- 
cercare le  radici  del  male,  e  a  poco  a  poco  dissec- 
carle, mettere  semi  di  bontà,  di  concordia,  di  pace, 
di  riverenza  alla  religione  ,  di  amore  agli  studi,  fu 
suo  primo  e  solenne  pensiero.  Infatti  poco  stante 
dalla  sua  venula  aperse  la  sacra  visita  pastorale,  e 
con  decreto  ordinò  fosse  messa  a  sindacato  l'ammi- 
nistrazione de'luoghi  pii  (13)  ;  richiamati  in  vigore 
i  savi  regolamenti  del  suo  predecessore  monsignor 
Timoteo  Ascensi  vescovo  stato  di  gran  mente  e 
dottrina  :  inoltre  si  osservasse  se  gli  obblighi  delle 
messe  erano  debitamente  adempiti  ,  e  la  volontà 
de'pii  testatori  soddisfatta.  Poi   si  volse  a  procurare 


253 

che  il  popolo  fosse  bene  ammaestrato  della  dot- 
trina cristiana,  in  che  sta  il  fondamento  e  la  norma 
del  vivere  onesto  e  civile  ,  e  di  ciò  fece  coscienza 
a  quanti  hanno  cura  di  anime  :  indi  diede  a  stam- 
pare un  libretto  da  ciò  (14),  premettendovi  un  editto 
latino  con  versione  italiana  da  Iato,  nel  quale  sono 
prescritte  le  regole  e  il  modo  dell'  insegnamento. 
Questi  furono  i  primi  suoi  passi  nell'episcopato,  dai 
quali  abbastanza  si  pare  quanto  avesse  animo  al 
bene  ,  e  quanto  desiderasse  vantaggiare  la  condi- 
zione della  doppia  sua  diocesi. 

Ma  considerando  che  «  non  vi  ha  parte  del  pa- 
«  storale  officio  (15),  che  dimandi  vigilanza  e  di- 
te ligenza  accorta,  quanto  lo  scegliere  quei  che  deb- 
«  bono  essere  ministri  della  chiesa,  e  sacerdoti  ;  e 
«  ponendo  mente  quanto  importi  al  culto  di  Dio  e 
«  alla  salute  delle  anime  non  inalzare  a  cotanta 
«  dignità  persona,  la  quale  non  sia  stata  a  lungo 
«  in  prima  frugata  ,  e  non  si  porga  adorna  delle 
«  doti  necessarie,  dappoiché  fu  detto  con  tutta  ve- 
«  rità  da  san  Gregorio  Magno,  che  la  cagione  della 
«  ruina  del  popolo  sono  i  cattivi  sacerdoti  )>:  egli  con 
una  lettera  pastorale  latinissima  ,  e  degna  dei  mi- 
gliori tempi  della  chiesa,  si  volge  al  clero  dell'una 
e  dell'altra  diocesi,  e  mostra  quanto  si  convenga  in 
prima  esaminare  la  vocazione  di  quelli  che  chieg- 
gono entrare  al  santuario,  quanta  scienza  e  dottri- 
na convenga  loro  avere,  e  quale  specchiata  e  santa 
vita.  Affinchè  poi  potesse  agevolmente  formarsi  un 
dotto  e  disciplinato  clero,  a  somiglianza  di  perito 
agricoltore,  che  vuole  di  utili  piante  vestire  i  suoi 
campi,  mise  ogni  opera  a  rifiorire  il  seminario-col- 


254 

legio  Campana  ,  cercò  provvederlo  di  valenti  pro- 
fessori, dirigerne  con  opportune  leggi  gli  studi  (16), 
e  ritornargli  quel  grido  e  quello  splendore  in  che 
prima  era  salito.  Ad  agevolare  lo  studio  della  la- 
tinità, della  quale  era  tenerissimo,  e  avrebbe  voluto 
vederla  in  oro  come  nel  secolo  di  Leone  X,  si  fece 
a  comporre  e  diede  alle  stampe  una  grammatica, 
che  poi  per  molte  edizioni  largamente  si  diffuse  (17). 
Quindi  per  mettere  in  tutti  più  forte  amore  delle 
buone  lettere  ridestò  a  vita  novella  l'accademia  dei 
Risorgenti,  antichissima  e  molto  lodata  del  luogo,  e 
colle  proprie  larghezze  l'alimentò,  colla  protezione 
la  fece  prosperare,  e  fu  lieto  di  vederla  rifiorita  di 
fama  per  tutta  l'Italia  e  fuori.  Non  istette  molto  che 
pubblicò  un  aureo  libro  d'istituzioni  di  diritto  pub- 
blico ecclesiastico  in  uso  degli  alunni  del  semina- 
rio-collegio (18)  ,  con  cui  mirabilmente  facilita  la 
strada  agli  studiosi,  e  quasi  per  mano  li  guida  den- 
tro le  più  segrete  parti  della  scienza  canonica.  Trovi 
dovunque  precisione  e  chiarezza  di  concetti,  brevi 
ma  accurate  analisi,  lucido  ordine  d'idee,  diligente 
ed  imparziale  esposizione  delle  svariate  sentenze,  ag- 
giustatezza di  criterio  nello  scegliere  le  più  fondate, 
niuna  acerbità  nel  ributtare  le  contrarie  ,  grande 
senno  nel  rimandare  in  ogni  argomento  ai  più  repu- 
tati scrittori,  infine  un  dettato  terso  senza  lisci,  ele- 
gante senza  affettazione,  quale  a  siffatte  trattazioni 
si  addice.  Ecco  il  giudizio  che  i  sapienti  portarono 
di  quest'opera  (19).  Ne  qui  si  arrestò  egli,  ma  in- 
corato dall'approvazione  universale  e  dalle  lodi  ri- 
portate ,  die  mano  a  scrivere  un  altro  volume  in- 
torno la  ragione  privata  ecclesiastica  (20),  il  quale 


255 
in  breve  fu  da  lui  posto  in  luce  colle  stampe,  e  al 
pari  del  primo  ottenne  encomi.  Quantunque  a  lui 
parve  che  fosse  di  alcune  cose  mancante,  e  vi  ri- 
mise le  mani  a  fine  di  ripulirlo  ed  ampiarlo,  tanto 
più  che  l'editore  parigino  ,  il  quale  prima  1'  aveva 
riprodotto  sulla  edizione  di  Loreto,  glie  lo  chiedeva 
istantemente  per  ristamparlo,  e  gli  faceva  pressa  ; 
ma  non  potè  compiere  sventuratamente  il  lavoro, 
da  cui  tolse  la  mano  il  dì  stesso  in  cui  gli  soprav- 
venne quella  violenta  infermità  ,  che  in  tre  giorni 
nella  sua  villa  di  Casenove  Io  spense.  Ad  ogni  modo 
anche  senza  le  novelle  correzioni  ed  aggiunte  ch'ei 
preparava,  il  libro  è  riputato  molto  acconcio  a  spia- 
nare la  malagevolezza  degli  studi  canonici  alla  gio- 
ventù, ed  a  quest'ora  è  introdotto  in  molte  scuole. 
Con  queste  sue  onorate  fotiche,  che  io  dirò  senili, 
giovò  d'assai  agli  studiosi  ed  alla  chiesa,  e  fece  no- 
bilissima risposta  a  coloro  che  negli  ultimi  anni  lo 
credevano  e  spacciavano  svigorito  della  mente.  An- 
cora alle  fanciulle  rivolse  il  suo  pensiero  ,  e  loro 
volle  aperte  scuole  nella  città  e  nel  borgo:  più  tardi 
fece  opera  che  le  reverende  madri  Clarisse  di  santa 
Rosa  da  Viterbo  pur  esse  ,  come  era  lor  debito  , 
ammaestrassero  in  scelta  scuola  le  figliuole  dei  pa- 
trizi; e  perchè  non  potevano  per  manco  di  luogo  , 
egli  a  proprie  spese  lo  acquistò,  e  loro  liberalmente 
ne  fece  dono,  non  senza  prima  averlo  ridotto  a  tale 
uso,  e  fatto  ripulire.  La  chiesa  cattedrale,  alquanto 
sparuta  e  per  I'  antichezza  e  per  gli  svariati  modi 
in  che  fu  riformata  in  diversi  tempi,  senza  troppo 
badare  alla  primiera  architettura,  cercò  di  ristorare 
e  pavimentandola  a  lastre  rinettarla;  facendovi  ino!- 


256 

tre  quel  meglio  che  seppe  collo  spendervi  di  parec- 
chie migliaia;  e  quello  che  vivo  compiere  non  potè, 
ordinò  che  lui  morto  fosse  compito  (21):  un  altare 
di  marmo  al  santissimo  Sagra  mento  nella  cappella 
da  lui  fatta  murare  a  santa  Tecla,  nella  quale  è  ti- 
tolata la  chiesa  osimana.  E  avrebbe  ancora  voluto 
rimettere  in  istato  il  magnifico  dipinto,  in  cui  l'Al- 
bano con  tutte  le  grazie  del  suo  leggiadro  pennello 
colorì  questa  benedetta  vergine  protomartire  con  san- 
t'Agnese, togliendone  cred'io  le  sembianze  dal  pa- 
radiso, come  prima  lo  aveva  sottratto  alla  dimen- 
ticanza e  alla    polvere. 

Benefìzi  sono  questi  da  svegliare  la  gratitudine 
in  ogni  petto:  ma  di  maggiori  ancora  debbo  dire. 
La  ducale  casa  di  Leuchtenberg  vendeva  al  governo 
pontificio  i  suoi  ricchi  possedimenti  in  Italia,  divisi 
in  distretti  o  agenzie,  ed  erano  poscia  acquistati  da 
una  società  di  principi  e  cavalieri  romani,  la  quale 
in  appresso  ponevali  di  nuovo  in  vendita.  Fu  mo- 
strato al  cardinale  vescovo  il  danno  che  riceverebbe 
la  città,  se  le  terre  che  erano  nel  distretto  esimano 
cadessero  nelle  mani  di  possessori  forestieri,  e  come 
agevolmente  si  potrebbe  provvedere  perchè  non  vi 
avessero  a  cascare.  La  cosa  gli  entrò,  e  volle  gli  si 
proponesse  modo  da  tenere  per  riuscire  nell'impresa. 
Allora  un  onesto  sacerdote  amministratoi-e  dei  beni 
del  vescovado  osi  mano  (22)  fecegli  vedere  come  si 
conveniva  ch'egli  lutto  comprasse  il  distre/to  (era 
di  un  valore  di  più  che  quattrocento  mila  scudi),  poi 
con  particolari  vendite  lo  ripartisse  fra  i  cittadini 
che  vorrebl)ero  farne  l'acquisto.  L'affare  era  di  gran 
rilievo  ;  ebbe  adunque  a  se  alcuni,  coi  quali  soleva 


257 
consigliarsi  talvolta,  e  questi  gii  confermarono  il  di- 
segno proposto  essere  utilissimo  alla  città.  Così  ras- 
sicurato abbracciò  il  partito  messogli  innanzi,  e  poi 
con  equità  e  disinteresse  da  non  dire  quelle  pos- 
^sessioni  furono  rimesse  nelle  mani  de'  nostrali  ;  e 
quale  prò  ne  avessero  molti  luoghi  pii  e  la  città  , 
lascio  ad  altri  considerare.  Ma  non  posso  e  non  debbo 
trapassare  sotto  silenzio,  com'egli,  il  quale  da  gran 
tempo  spasimava  collocare  in  miglior  casa  gì'  in- 
fermi, che  in  picciola  si  stavano  molto  alle  strette, 
colse  questa  occasione,  e  acquistò  in  servigio  loro 
lo  spazioso  e  ben  posto  edifìcio  in  cui  era  stanziata 
l'agenzia,  e  per  tale  guisa  con  grande  sua  allegrezza, 
e  consolazione  di  tutti,  venne  a  capo  del  suo  lungo 
e  pio  desiderio.  Non  si  stette  paga  a  tanto  la  sua 
carità,  e  più  innanzi  ancora  si  spinse.  La  società 
romana,  che  ho  nominato,  contenta  del  fatto,  ge- 
nerosamente offerse  all'  eminentissimo  principe  due 
mila  scudi:  ed  egli  tosto  mille  ne  diede  al  venera- 
bile seminario,  perchè  dovesse  in  perpetuo  mante- 
nere fra'  suoi  alunni  un  povero  cherico  :  mille  allo 
stesso  spedale  ,  perchè  dovesse  in  quel  luogo  dare 
ricovero  ai  poveri  cronici  ,  ai  quali  ebbe  sempre 
specialissimo  affetto.  Mi  commuove  ancora  la  me- 
moria del  giorno  25  settembre  1854,  in  cui  egli  si 
condusse  a  visitare  il  nuovo  spedale  ,  che  oggi  è 
monumento  della  osimana  civiltà,  messo  in  punto 
per  collocarvi  i  malati,  e  la  consolazione  che  ne  provò 
trovandolo  di  ogni  cosa  provveduto,  e  sì  ben  dis- 
posto e  ordinato,  che  meglio  non  si  sarebbe  potuto 
aspettare;  e  veggendo  quelle  ariose  sale,  quei  puliti 
arnesi,  quelle  forbite  pareti,  e  soprattutto  quella  sa- 
G.A.T.CXLV.  17 


258 
lubre  postura.  Ben  mi  penso,  nò  credo  appormi  al 
vero  ,  che  chiunque  entrerà  o  per  vaghezza  o  per 
bisogno  a  questo  luogo  di  carità,  dovrà  sempre  ri- 
cordare in  benedizione  V  illustre  porporato,  per  opera 
del  quale  fu  acquistato  e  messo  ad  uso  degli  infer- 
mi: e  si  dovrà  mollo  lodare  de'  signori  che  ne  hanno 
il  governo,  i  quali,  a  testimoniare  ai  posteri  la  gra- 
titudine loro,  in  onore  di  lui  vi  collocarono  quasi 
air  ingresso    un'  epigrafe  (23). 

Né  posso  tacere  per  alcun  modo  i  pensieri  che 
egli  distese  alle  campagne  della  mensa  vescovile  , 
le  spese  che  intorno  vi  fece,  e  la  larghezza  con  cui 
gli  agricoltori  e  l'agricoltura  beneficò.  Procurò  che 
le  entrate  vantaggiassero  sempre  per  avere  di  che 
pili  lai-gamente  soccorrere  i  poveri:  alcune  rendite, 
come  dicono  consolidate  ,  tramutandole  in  pingui 
terreni  raddoppiò  e  rese  piiì  sicure  :  ristorò  case  , 
alquante  dalle  fondamenta  ne  murò,  arricchì  i  sopra 
suoli ,  migliorò  i  fondi.  Fede  mettere  vivai  di  al- 
beri di  ogni  specie,  e  a  molte  migliaia:  far  pian- 
tagioni alla  riva  de'fossali  e  de'flumi,  anche  per  con- 
tenerne la  piena  e  salvare  i  campi,  i  quali  a  chiun- 
que oggi  li  vegga  danno  aspetto  di  bellissimi,  e  di- 
rei quasi  di  giardini.  Né  creda  alcuno  che  egli  fa- 
cesse per  se  tanto  spendio.  Sapeva  anni  che  gli  pe- 
savano sulle  spalle  ,  e  chiaramente  conosceva  che 
delle  sue  fatiche  altri  raccoglierebbe  il  frutto  :  ciò 
non  di  meno  mirando  sempre  al  bene  dei  poveri  , 
piacevagli,  che  lui  morto,  chi  verrebbe  nel  luogo  suo 
avesse  ogni  giorno  piiì  di  che  largheggiare.  Quanto 
a  se,  delle  ricchezze  del  vescovado  poco  o  nulla  usò: 
nel  pili  viveva  del  proprio.  Contento  a  vita  mode- 


259 

sta  e  frugale  non  altrimenti  che  semplice  sacerdote 
fosse,  recavasi  a  coscienza  spendere  anche  piccola 
cosa;  e  ove  gli  si  parlasse  di  provvedere  alcun  che 
in  suo  servigio  o  comodo  :  No  ,  rispondeva  ,  non 
posso,  perchè  io  non  sono  che  il  custode  delV  avere 
de'  poveri. 

Cosa  meravigliosa  !  Era  vivuto  tant'anni  a  corte, 
era  principe  della  chiesa,  era  in  queir  età  che  do- 
manda agiatezza  e  ristoro,  eppure  non  volle  punto 
nulla  dipartirsi  mai  da  quella  innaturata  semplicità, 
né  principe  mostrarsi  se  non  alla  prova  de'benefì- 
zi:  anzi  lo  stesso  splendore  della  porpora,  che  gli 
accresceva  maestà  nelle  sacre  cerimonie  ,  le  quali 
mai  non  intramise  sino  all'ultimo  ,  e  nelle  pompe 
solenni,  quasi  dileguavasi  nella  vita  privata  airom- 
bra  di  una  amabile  modestia  ,  colla  quale  affidava 
di  leggieri  chiunque  gli  si  facesse  innanzi  a  richie- 
derlo di  alcuna  cosa.  Con  modi  cortesi  e  quasi  di 
affabile  domestichezza  accoglieva  ogni  maniera  di 
persone,  e  di  un  benevolo  sorriso  le  confortava.  Se 
alcuno  si  conduceva  da  lui  per  bisogno  di  soccorso, 
precorreva  alla  domanda,  rassicuravalo,  davagli  :  e 
non  domandava  in  grazia  riconoscenza,  ma  segre- 
tezza. E  tanto  il  suo  cuore  era  tenero,  tanto  dolci 
e  delicati  i  suoi  modi  ,  che  non  fu  mai  chi  a  lui 
ricorresse,  e  ne  ritornasse  sconsolato,  o  colle  mani 
vote.  Rade  volte  si  metteva  a  severità  :  cercava 
piuttosto  colla  prudenza  prevenire,  che  punir  dopo 
il  fatto.  Che  la  prudenza  di  lui  fu  molto  grande  : 
questa  lo  rendeva  nell'operare  assai  cauto  ,  e  agli 
occhi  de'poco  veggenti  dubbioso  e  lento.  Ma  quello 
che  mostrava  lentezza,  in  lui  era  effetto  della  prò- 


260 
fonda  conoscenza  che  aveva  degli  uomini  e  dei 
tempi:  per  cui  andava  sempre  i-attenuto  e  in  guar- 
dia, e  voleva  meglio  lasciar  cori'cre  le  cose  ,  che 
mettendovi  mano  non  riusciie  a  ridurle  a  segno. 
Novità  non  gli  piacevano;  era  tagliato  all'antica  :  e 
forse  se  fosse  stato  in  suo  potere,  avrebbe  deside- 
ralo che  nulla  si  rimutasse;  ma  conoscendo  che  il 
progredire  del  mondo  è  un  fatto,  e  non  si  può  per 
forza  arrestare,  ed  è  fatale  necessità  delle  cose  umane 
correre  sempre  e  non  posare,  accettava  quelle  novità 
che  parevangli  più  sicure  e  adatte,  le  altre  avver- 
sava. Ma  pure  in  quelle  che  accoglieva  pìacevagli 
avanzare  per  gradi,  non  di  salto,  perchè  diceva  che 
per  camminare  con  sicurezza  si  conviene  prima  pian- 
tar bene  il  piede,  e  muovere  poi  passo  passo.  Nato 
nelle  convinzioni  pacilìche  del  secolo  passato,  devoto 
all'  impero  dei  pontefici ,  cresciuto  alla  scuola  del- 
l' immortale  Pio  VII,  ammaestrato  dai  pericoli  e  dalla 
sventura,  portava  in  se  quegli  affetti  primi,  quei  tem- 
pi, e  quelle  opinioni,  le  quali  sempre  più  forti  ave- 
vano gittato  in  lui  le  radici.  Ma  perchè  degli  studi 
e  del  progresso  loro  era  tenerissimo,  i  veri  avan- 
zamenti della  scienza  e  della  civiltà  non  solo  non 
ricusava,  ma  di  buon  grado  abbracciava:  nel  resto 
ove  poteva  rifiutavasi.  Diceva  talvolta  le  cose  antiche 
essere  da  preferire  alle  nuove,  perchè  quelle  portano 
il  suggello  dell'esperienza,  queste  ne  mancano:  i  vec- 
chi edilìzi  doversi  più  che  sia  possibile  conservare 
quali  sono,  non  come  fanno  a'  dì  nostri  gli  scioc- 
chi ammodernandoli  guastarli.  Delle  prerogative  ec- 
clesiastiche era  sopra  ogni  credere  geloso  ,  voleva 
mantenerle  nella  pienezza  loro,  ma  rigettavane  l'a- 


261 

buso.  Perciò  fin  dai  primi  anni  del  suo  episcopato 
a\^eva  designato  fare  un  nuovo  sinodo  ,  e  a  questo 
fine  andava  intorno  a  se  ragunando  il  suo  clero  , 
studiava,  scriveva;  ma  la  morte  gì'  interruppe  que- 
st'  opera  ,  la  quale  sarebbe  riuscita  stupenda  non 
meno  che  utilissima.  La  dolcezza  reputava  più  pro- 
fittevole e  meglio  adattata  che  la  rigidezza:  amava 
anzi  con  piacevoli  modi,  che  con  severi  e  tempe- 
stosi, comandare.  Acconciarsi  poi  con  rassegnazione 
ai  tempi  ,  ove  non  ci  patisse  né  la  religione  né  il 
principato,  credeva  virtù  :  e  giudicava  doversi  fare 
di  grandi  sacrificii  per  mantenere  la  concordia  e  la 
pace  tra  il  popolo  e  il  clero.  Mezzo  da  ciò  avvisava 
essere  il  buon  esempio,  e  lo  voleva  dai  sacerdoti  , 
di  sé  Io   porgeva. 

Quantunque  ciò  che  gli  uomini  vedevano  di  lui, 
ancorché  fosse  molto  e  di  grande  edificazione,  pure 
era  il  meno:  coneiossiaché  quasi  direi  con  bell'arte 
egli  ne  ricopriva  il  meglio,  e  gli  atti  della  sua  cri- 
stiana pietà  velava  col  manto  di  una  mirabile  di- 
sinvoltura. Conveniva  spingere  lo  sguardo  nelle  se- 
grete sue  stanze,  osservarne  ad  una  ad  una  le  pra  - 
tiche  ,  le  mortificazioni ,  gli  atti  occulti  ,  e  in  essi 
specchiarsi.  Era  a  vederlo  di  buon  mattino  innanzi 
l'alba  levarsi  dal  suo  letticciuolo,  in  cui  non  posò 
mai  più  che  sei  ore,  e  prostrarsi  a  pregare  e  a  me- 
ditare per  non  hreve  spazio:  poi  recitate  le  ore  ca- 
noniche minori  con  raccoglimento  e  devozione  an- 
gelica, prepararsi  alla  celebrazione  dei  divini  misteri: 
prima  di  che  non  pativa  né  persona  ricevere,  né  di 
affare  ,  e  fosse  pur  di  rilievo  ,  parlare.  Conveniva 
vederlo  quando  doveva  venire  a  qualche   grave  ri- 


362 

soluzione  ,  o  soscrivere  qualche  lettera  di  coscien- 
ziosi negozi,  0  mettersi  a  qualche  opera  d'  impor- 
tanza, gittaisi  ai  piedi  del  crocifisso,  o  innanzi  al- 
l'altare della  sua  privata  cappella;  ancora  piij  spesso, 
ove  potesse  farlo  inosservato,  ritiiarsi  nel  suo  co- 
retto davanti  il  santissimo  Sagramento,  di  cui  era 
soprammodo  devoto,  e  con  fervoiose  preghiere  e 
colle  lagrime  implorare  aiuto  e  lume  da  Dio.  Né 
per  tempo  che  spendesse  in  orare  temeva  gli  man- 
cherebbe tempo  ad  operare:  anzi  usava  sovente  ri- 
petere, che  chi  ruba  tempo  alle  necessarie  devozioni 
per  impiegarlo  negli  affari  e  nelle  cose  del  mondo, 
finisce  per  riuscire  a  nulla  ,  e  guasta  ciò  stesso  a 
cui  mette  le  mani-  Conveniva  udirlo  sovente  ricor- 
dare a  se  stesso  i  suoi  doveri  e  i  suoi  proponimenti: 
talora  trascriverli  in  carta  di  sua  mano  ,  pronun- 
ziare con  affetto  e  riverenza  i  nomi  santissimi  di 
Gesù  e  di  Maria  ,  e  mille  care  ed  infocate  giacu- 
latorie, colle  quali  sovente  alimentava  la  sua  pietà, 
e  direi  quasi  conversava  con  Dio.  Allora  ciascuno  di- 
rebbe con  me  ch'egli  rendeva  immagine  di  san  Carlo 
Borromeo,  e  del  suo  prediletto  san  Francesco  di  Sa- 
les,  del  quale  sovente  leggeva  la  vita  e  le  opere  , 
studiandosi  di  comporre  se  stesso  allo  specchio  di 
tanta  santità. 

Non  ignoro  che  taluni,  i  quali  vorrebbero  tutte  cose 
perfette,  e  nel  modo  che  va  loro  per  lo  capo,  avreb- 
bero forse  altre  cose  desideiato  da  lui;  di  alcune  non 
sì  tenevano  soddisfatti  abbastanza:  ma  se  questi  po- 
nessero mente  che  non  sempre  le  più  rette  inten- 
zioni al  buon  volere  rispondono,  e  che  i  principi,  i 
quali  ben  possono  da  se  concepire,  ma  non  mettere 


263 

ad  effetto  i  loro  pensieri  se  non  coll'opera  altrui , 
son  soggetti  ad  essere  appuntati  dell'altrui  come  di 
proprio  difetto  ;  se  vorranno  porre  mente  che  non 
tutto  in  tutti  i  tempi,  e  da  tutti  gli  uomini  si  può 
domandare,  spero  che  dovranno  quietare,  e  conce- 
dermi, che  se  alcuna  cosa  non  fece,  certo  del  non 
farla  ebbe  di  buone  ragioni;  se  alcuna  ne  fece  che 
loro  pienamente  non  contenta,  la  cagione  forse  non 
è  in  lui,  sì  in  lui  è  la  rettitudine  dell'intenzione. 
Sebbene  chi  oserebbe  apertamente  appuntarlo  ?  Chi 
saprebbe  trovare  un  pastore  più  amico  del  bene  , 
più  studioso  di  pace  e  di  concordia,  più  compas- 
sionevole degli  altrui  tnali,  più  presto  a  soccorrerli  ? 
Gli  editti  pieni  di  sapienza  e  di  pietà  da  lui  pub- 
blicati rendono  fede  di  quanto  fosse  sollecito  della 
sua  greggia,  e  della  dolcezza  con  che  la  guidava.  0 
si  tratti  d'infrenare  il  brutale  vizio  della  bestemmia, 
0  di  promuovere  la  pietà,  o  d'illuminare  le  menti  e 
scoprire  émpie  e  scellerate  dottrine,  egli,  come  pa- 
dre a'fìgliuoli,  si  porge  con  una  tenerezza  che  si  ap- 
piglia al  cuore  ,  e  piega  la  volontà.  Oh  quanto  si 
commoveva  se  non  vedeva  accalorata  la  devozione 
e  santificate  le  feste  !  Quanto  spiacevagli  ogni  mac- 
chia del  costume,  ogni  freddezza  in  tatto  di  reli- 
gione, ogni  poca  osservanza  delle  leggi  divine  !  Se 
ne  accendeva  come  Mosè,  ma  il  suo  cuore  non  pa- 
tiva che  mettesse  mano  al  gastigo;  cercava  in  quella 
vece  colle  sue  preghiere  placare  il  Signore,  colle  sue 
amorevoli  parole  vincere  gli  animi.  E  quantunque 
detestasse  le  male  arti,  con  che  i  tristi  tentano  se- 
durre i  buoni  e  distaccarli  dalla  fede  ,  pure  com- 
pativa di  cuore  gl'ingannati  e  i  sedotti.  La  sua  bontà 


264 

poi  non  gli  lasciava  per  poco  credere  che  alcuno 
fosse  malvagio;  e  se  altri  avesse  voluto  di  ciò  per- 
suaderlo, non  si  acconciava  che  ai  fatti  toccati  con 
mano.  Ma  che  me  nfì  vo  qui  in  parole  a  ritrarre 
quell'anima  grande  ?  Non  le  parole  ,  ma  i  fatti, 
i  suoi  sfolgorati  fatti,  la  denno  ritrarre.  Quando  nel 
1845  occulti  attentati  tenevano  lo  stalo  in  agita- 
zione, i  popoli  in  timore,  e  giudizi  straordinari  met- 
tevano dovunque  spavento  ed  affanno,  la  diocesi  di 
Osimo,  a  cui  si  avvicinavano,  stava  in  angustie  non 
lievi.  Ed  ecco  il  buon  vescovo  levarsi  a  rassicurare 
le  sue  pecorelle,  farsi  per  esse  mallevadore  al  prin- 
cipe, dar  fede  di  lor  fedeltà,  domandare  grazia  per 
esse,  ed  ottenere  che  nò  giudice  nò  inquisitore  vi 
si  potesse  appressare.  E  mentre  di  qua  si  udivano 
lamentare  i  vicini,  qui  tutto  era  pace  e  tranquilhlà: 
beneficio  a  lui  solo  dovuto. 

Del  che  invero  la  città  di  Osimo  gli  fu  rico- 
noscente: e  nella  memoria  degli  uomini  vivrà  sem- 
pre la  ricordanza  di  quel  giorno  in  cui  tutta  uscì 
delle  nìura  per  farsi  incontro  a  lui,  che  tornava  di 
Roma  dopo  il  conclave  ,  che  ne  diede  a  pontefice 
l'augusto  Pio  IX.  Mi  pare  ancora  di  udire  i  discorsi 
che  nelle  piazze  e  per  le  strade  ,  nelle  case  e  nei 
circoli  si  facevano;  mi  par  di  vedere  ancora  dipinta 
in  ogni  volto  la  gioia  del  cuore  ;  mi  suonano  an- 
cora negli  orecchi  gl'inni  ,  e  le  festevoli  armonie, 
e  le  grida,  e  le  acclamazioni  ,  e  gli  applausi,  che 
dai  confini  della  diocesi  sino  al  suo  palagio  l'accom- 
pagnarono. Io  vidi  al  venerando  vecchio  gli  occhi  ba- 
gnati di  lagrime;  intesi  e  conobbi  quanto  gli  anda- 
va al  cuore  la  vostra,  benché  da  lui  meritata,  ri- 


265 
conoscenza.  La  quale  poi  parve  più  sfolgorata  in 
appresso,  quando  dal  terribile  uragano,  che  tutta  fé 
risentire  l'Europa,  costretto  a  fuggire  dalla  sua  sede 
il  pontefice,  egli  segretario  di  stato  (  carico  il  quale 
solo  per  forza  di  obbedienza  si  era  lasciato  addos- 
sare) trovandosi  in  Roma  a  ripentaglio  della  vita  , 
con  pochi  amici,  in  mezzo  ad  un  popolo  in  rivolta, 
risolse  voler  correre  una  stessa  fortuna  col  suo  gregge, 
e  venne  a  riparare  nel  seno  de'suoi  figliuoli.  Dopo  un 
penato  ed  inquieto  viaggio  egli  giungeva  alla  sua 
villa  di  Casenuove  quasi  di  furto.  Voi  vel  sapeste, 
buoni  osimani:  e  non  appena  inteso  che  ivi  il  pa- 
stor  vostro,  il  vostro  padre  si  stava,  correste  ab- 
bracciarlo, e  ricondurlo  alla  sua  chiesa.  Andarono 
ad  invitarlo  i  magistrati  e  il  reverendo  capitolo; 
accorse  ogni  ordine  di  cittadini,  nessuno  si  rimase, 
tutti  intorno  a  lui  si  accalcarono.  Gli  applausi  e 
le  grida  con  che  si  manifesta  la  gioia  dei  cuore 
l'accompagnarono  al  suo  palazzo,  e  gli  diedero  a  di- 
vedere (juanto  si  era  ben  fidato  fidando  nell'amore 
de'suoi,  che  in  questo  gU  fece  dimenticare  i  corsi 
pericoli  ,  e  le  lunghe  agonie  del  passato.  Infuriò 
maggiormente  la  tempesta,  ed  egli  tranquillo  si  stette 
senz'  altra  difesa  che  il  petto  de'suoi  osimani,  e  la 
forza  de'  suoi  benefici-  Oh  bella  e  nobile  gara,  de- 
gna che  tutto  il  mondo  la  sappia  e  la  celebri  !  Voi 
da  hii  salvati,  lui  salvaste,  da  lui  beneficati  gli  ren- 
deste il  contraccambio  colla  vostra  fedeltà,  pronti  a 
lasciarvi  piuttosto  morire,  che  permettere  che  a  lui 
fosse  fatto  il  minimo  oltraggio. 

E  qui  potrei  molle  cose  aggiungere  che  la  rai'a 
bontà  di  quell'anima  eccelsa  dimostrano:  ma  perchè 


266 

le  sono  conosciute  volentieri  me  ne  passerò.  Una 
cosa  sola  saputa  da  pochissimi ,  ed  a  me  special- 
mente avvenuta,  nella  quale,  se  io  non  erro,  cam- 
peggia meglio  che  altrove  la  sua  carità  evangelica, 
e  la  perfezione  a  cui  era  salito  ,  non  mi  soffre  il 
cuore  di  tacere.  Il  vostro  buon  vescovo  non  solo 
perdonò  le  offese,  ma  seppe  beneficare  gli  offensori. 
Tornavano  vinti  ,  laceri  ,  e  pieni  dì  timori  coloro 
che  a  Roma  avevano  combattuto  con  male  augu- 
rate armi,  prima  il  principe,  poi  le  francesi  falangi. 
Or  bene  ,  ad  alcuni  di  cotesti  il  cardinale  mandò 
soccorsi  e  larghi,  e  noi  tenne  la  memoria  de'pas- 
sati  pericoli,  non  lo  sdegno  della  vittoria.  Li  disse 
sventurati  e  non  più:  in  essi  non  vide  dei  nemici, 
ma  degli  ingannati:  n'  ebbe  compassione,  e  disten- 
dendo la  destra  al  soccorso,  esercitò  con  essi  la  su- 
blime virtù,  del  beneficare  i  nemici.  Sebbene  di  que- 
sta virtù,  tanto  rara  nel  mondo,  non  questo  esem- 
pio solo  potrei  recare:  altri  ben'altri  ve  ne  ha  che 
debbo  tacere,  e  forse  volendoli  io  palesare,  egli  da 
quel  feretro  me  ne  farebbe  divieto.  Mi  volgerò  adun- 
que ad  altro,  e  narrerò  come  nella  grave  carestia 
del  1853,  tanto  penosa  al  solo  ricordarla,  egli  stu- 
diò modo  di  scemare  i  patimenti  alla  plebe,  e  alleg- 
gerire il  peso  del  tremendo  flagello.  Aperse  i  ma- 
gazzini del  vescovado,  a  soccorso  de'poveri  die  tutto; 
avrebbe  dato  anche  la  vita  per  non  vederli  patire. 
Né  ciò  soltanto,  ma  si  prese  cura  che  tutti  que'che 
potevano  dovessero  dare;  nel  che  veramente  trovò 
animi  così  bene  disposti,  che  non  v'ebbe  mestieri 
di  sprone  ,  ma  tutti  volenterosi  si  unirono  al  loro 
pastore  per  sovvenire  alla  comune  miseria.  E  allor- 


287 

che  il  pestilenziale  morbo  del  cholèra,  che  imper- 
versava nelle  città  vicine,  fé'  qui  pure,  benché  leg- 
germente, sentire  i  suoi  mortiferi  effetti,  che  cosa 
non  fece  egli  ?  Quanto  non  si  adoperò,  quanto  non 
allargò  la  mano  alla  beneficenza,  il  cuore  alla  pietà  ? 
Ditelo  voi  che  ne  foste  testimoni,  ditelo  voi  che  ne 
provaste  le  larghezze  ,  ditelo  voi  che  il  vedeste  e 
l'udiste.  Per  me  dirò  solo,  passò  beneficando,  per- 
transiit  benefaciendo  ,  e  in  due  parole  avi'ò  piena- 
mente offerto  l'epilogo  della  vita  di  questo  santis- 
simo vescovo,  e  datane  in  due  tratti  l'intera  e  più 
perfetta  immagine. 

Ma  da  qualche  tempo  la  salute  del  vescovo  car- 
dinale mostrava  tracollare,  essendo  già  stemperata 
non  poco  per  le  fatiche  e  i  pericoli  e  le  paure  che 
in  Roma,  in  que'miseri  giorni  in  cui  era  segretario 
di  stato,  lo  avevano  del  continuo  combattuto.  Ogni 
giorno  pareva  venir  meno,  e  quantunque  di  quando 
in  quando  alcun  poco  sembrasse  rinvigorire  ,  pure 
venivasi  dentro  consumando,  e  pareva  anche  di  fuo- 
ri. Tuttavolta  l'usata  serenità  e  limpidezza  di  mente 
non  iscemava.  Fu  anche  minacciato  d'  apoplessia  : 
non  ostante  riavutosi ,  lasciava  ancora  sperare  che 
avrebbe  vivuto  a  lunga  età.  Ma  egli  perchè  gli  ve- 
nissero meno  le  forze,  e  gli  crescessei'o  incomodi, 
non  voleva  a  se  concedere  riposo  ,  né  distorsi  dal 
modo  suo  usato  di  vita:  le  stesse  pratiche  divote, 
le  stesse  cure,  le  stesse  fatiche,  gli  stessi  pensieri. 
E  quelle  cure  e  quei  pensieri  erano  pei  poverelli, 
cui  riguardava  come  la  parte  più  preziosa  dell'ovile 
affidatogli.  E  se  negli  estremi  suoi  momenti  ebbe 
cosa  che  lo  pungesse,  non  fu  già  di  dovere  abban- 


268 
clonare  il  mondo,  a  cui  da  gran  tempo  aveva  dato 
le  spalle,  non  consentendo  giammai  di  sue  lusinghe 
godere:  fu  il  timore  che  ai  bisogni  de'poveri  man- 
casse con  lui  il  necessario  soccorso.  Leggete  l'ulti- 
ma sua  volontà  (25),  la  quale  lasciò  scritta  mentre 
era  ancora  sano,  e  vi  si  farà  manifesto  che  i  poveri 
gli  erano  nel  cuore.  Dopo  avere  offerto  in  legato 
alla  santità  dell'augusto  pontefice  Pio  IX  ,  a  segno 
di  profonda  ed  affettuosa  venerazione,  un'immagine 
in  avorio  di  Gesù  crocifisso  ,  pregevolissiuìa  per 
grandezza  e  per  arte,  più  ancora  perchè  stata  del 
magnanimo  Clemente  XIV;  e  lasciati  alcuni  ricchi 
ricordi  alle  sue  chiese  di  Osimo  e  Cingoli,  ed  altri 
pii  legali,  fra  i  quali  un'altra  immagine  del  Reden- 
tore pur  essa  in  avorio,  stata  già  dell'invitto  Pio 
VII,  al  suo  successore  ,  quasi  per  raccomandargli 
in  quell'effigie  di  Cristo  ignudo  i  suoi  diletti  pove- 
relli, che  oi^dina  egli  ?  L.CmIA  EREDITA'  SIA  DEI 
POVERI  CR0NICI,AFF1NCHÈ PREGHINO  PER  ME 
E  MI  ACQUISTINO  GRAZIA  NEL  COSPETTO  DEL 
SIGNORE. 

Ah  !  ben  l'acquisteranno,  anzi  l'avranno  acijui- 
stala.  In  paradiso  si  parla  di  tante  elemosine:  esse 
stanno  innanzi  al  trono  di  Dio  come  un  esercito  di 
serafini,  portate  dai  sospiri  e  dai  prieghi,  e  accom- 
pagnate dalle  angosciose  cordialissime  lagrime  di  un 
popolo  b<;neficalo.  Infatti  non  appena  andò  il  grido 
che  il  cardinale  vescovo  era  infermato  a  morte,  tutti 
corsero  appiè  degli  altari  a  pregare  per  la  vita  di 
lui:  e  quando  alle  due  ore  di  notte  del  giorno  un- 
dici di  agosto,  sempre  acerbo  ed  infausto  (27),  la 
torre  della  cattedrale  in  suona  di  doloro  annunziava 


269 
ch'egli  era  nell'ultima  lotta  fra  la  vita  e  la  morte, 
fra  la  terra  e  il  cielo,  oh  !  quanto  fu  pietoso  ve- 
dere riempiersi  di  tratto  il  maggior  tempio,  e  sino 
alla  fine  starsi  la  gente  compunta  adorando  Gesù 
in  sacramento,  e  domandandogli  in  voce  di  cordo- 
glio e  di  affanno  la  vita  del  buon  padre,  dell'amo- 
roso pastore.  Io  noi  dirò,  perchè  me  ne  trema  il 
cuore  al  pensarlo,  e  quasi  m'impedisce  la  parola  ; 
soltanto  accennerò  i  gemiti  e  i  lamenti  del  popolo 
al  risapere  ch'egli  era  passato,  e  le  dolorose  escla- 
mazioni, e  le  preghiere  di  requie.  Ho  dinanzi  dagli 
occhi,  nò  per  lungo  andare  di  anni  si  cancellerà,  la 
memoria  di  quella  sera,  nella  quale  il  venerato  ca- 
davere era  portato  di  Casenuove  in  città  e  al  pa- 
lazzo vescovile;  mi  sta  davanti  allo  sguardo,  quasi 
ancora  la  vegga,  una  calca  che  spontanea  si  divide  in 
drappelli,  e  giovani  e  vecchi  ,  donne  co'fanciulli  e 
co'mariti  atteggiati  a  dolore  muovere  ad  incontrarlo 
per  buon  tratto  di  strada»  e  sommessamente  pre- 
gare. Chi  ha  ordinato  quelle  pietose  schiere  ?  Chi 
detto  loro,  pregate  ?  Chi  le  ha  messe  a  tal'ora  tarda 
a  sì  lagrimoso  cammino  ?  Il  cuore,  o  signori,  il  cuore 
che  in  quell'istante  sentiva  tutta  la  forza  de'  lice- 
vuti  benefizi  ,  tutto  il  debito  della  riconoscenza  , 
tutto  l'affanno  di  una  perdita  irreparabile;  e  non  po- 
tendo dargli  altro  merito,  non  potendo  trovare  al- 
tro refrigerio  all'ambascia  affannosa,  pregava,  pian- 
geva, accompagnavane  la  fredda  spoglia,  si  prostrava 
appiè  del  feretro,  e  non  sa[)ea  distaccarsene-  Altri 
avranno  avuto  pompa  di  esequie  più  splendide;  più 
affezionate  nim  credo  io  ve  ne  siano  state  giammai 
(2(^).   Ed   ora  egli  di  tanto  affetto  già  raccoglie  il  me- 


270 

rilato  guiderdone,  già  si  asside  nel  coro  de'pontefici 
in  mezzo  al  Galamini  e  al  Calcagnini  suoi  illustri 
antecessori  (29)  e  quasi  concittadini,  di  cui  in  se 
rinnovellò  la   pietà  e  la  beneficenza;  già  si  cinge  al 
capo    la  corona  dei  beati.  Io  ti  veggo  cogli  occhi 
della  mente,  o  benedetto  spirito,  e  nel  tuo  trionfo 
il  mio  dolore  ritrova  un  conforto.  Oh  !  arrivino  a 
te  le  mie  deboli  parole,  oh  !   possa  io  farti  inten- 
dere quanto  ancora    ti  ama,  quanto  in  te  spera  il 
tuo  gl•e^ge  diletto.  E  se  per  la  pochezza  loro  non 
bastano^  sormontare  tanta  altezza;  volgi  tu  dal  glo- 
rioso  tuo  se£;iìio  uno  sguardo  pietoso,  e  dal  cielo 
consola  ed  affida  il  tuo  popolo    Tu  gli  impetra  dal 
donator  d'ogni  bene  un  pastore  (30)    che    abbia  il 
petto  infiammato  di  carità  come  il  tuo,  che  1  ami 
quanto  tu  l'hai  amato    (31);  e  distendi  la  mano  a 
benedire  questa  città,  la  quale  ti  ricorderà  sempre 
in  benedizione:  e  narrando  le  tue  lodi  ai  nipoti,  per- 
chè le   tramandino  ai  più  tardi  futuri,  ripeterà  con 
voce  di  riverente  affetto:  «  Ei    passò  beneficando  » 
Perlransiil  benefaciendo. 


271 
NOTE 

(1)  Nacque  in  Casola  Valsenio,  terra  di  Roma- 
gna nella  diocesi  d'Imola,  li  11  ottobre  dell' anno 
1779. 

(2)  Veggasi  il  commentario  di  Domenico  Mita 
Gentis  Ceroniae  in  Aemilìa  vetusta  aliquol  monumenta. 
Romae  excudebant  Philippus  et  Nicolaus  De-Roma- 
nis  anno  1827. 

(3)  V.  Storia  d'  Italia  di  Carlo  Botta  lib.  24. 
(1809) 

(4-)  V.  Botta  Storia  citata  lib.  25. 

(5)  V.  Botta  St.  cit.  lib.  25,  e  le  Memorie  del 
card.  Bartolomeo  Pacca.  —  Parte  2.  cap.  4. 

(6)  Questi  manoscritti  ed  altri  molti  oggi  sono 
nella  biblioteca  del  v-  seminario  e  nobìl  collegio  Cam- 
pana, al  quale  per  testamento  l'eminentissimo  ve- 
scovo ha  lasciato  la  sua  libreria. 

(7)  Il  19  di  aprile  del  1820  fu  posta  la  prima 
pietra  del  nuovo  convento. 

(8)  Il  giorno  1  dell'agosto  1823  fn  benedetta 
la  chiesa,  e  con  grande  pompa  e  solennità  vi  cele- 
brò la  prima  messa  l'arciprete  D.  Francesco  Ron- 
chi vecchio  di  85  anni. 

(9)  V.  la  nota  2  antecedente. 

(10)  De  vita  Ioannis  Baptistae  a  s.  Bernardo 
monachi  fuliensis  commentarius.  Romae  1831-  Lau- 
reti 1841  e  1844,  con  la  traduzione  italiana  di  G. 
1.  M. 

(11)  Antoni  Linguerri  latina  carmina.  —  Lau- 
reti 1846. 


272 

(12)  Epistola  pastoralis  ad  cleruni  et  populum 
auximanum  et  cingulanum  —  Dat.  Romae  extia 
pollanti  Flaminiam  kal.  martiis  an.  MDCCCXXXIX — 
Romae  ex  tipographia  Petri  Aureli. 

(13)  »  Decretum  —  Res  et  bona  divino  cultui 
«  et  piis  usibus  addicta  peccatomi  pretium  ,  et 
«  Christi  ac  pauperum  patrimonium  in  sacris  canoni- 
((  bus  nuncupantur  ,  ideoque  quam  maxime  opor- 
«  tet,  ut  summa  religione,  iutegritate,  et  diligentia 
«  administrentur.  Nostri  igitur  muneris  non  postre- 
tt  mas  partes  esse  duximus  in  id  sedulo  diligen- 
(t  terque  incumbere ,  ut  loca  pia  nullum  ex  piae- 
((  posterà  administratione  detrimentum  capiant  , 
({  et  fundatorum  voluntas  non  minus  accurate,  quam 
«  religiose  adimpleatur  etc.  —  Datum  Auximi  in 
«  actu  S.  visitationis  hac  die  1  martii  1840.  I. 
«  card,  episcopus  ». 

(14)  Dottrina  cristiana  composta  dal  cardinale 
Bellarmino  e  ristampata  ad  uso  delle  città  e  dio- 
cesi di  Osimo  e  Cingoli  —  Ancona  tipografia  dì 
Giuseppe  Aureli  1843.  IOANNES  Ululi  SS.  Qua- 
luor  Coronatorum  S-  R.  E.  presbiter  cardinalis  So- 
glia Ceroniiis  eie.  —  Munus  tradendae  doctrinae 
chrislianae  etc.  —  Dalum  Auximi  in  actu  S.  visi- 
tationis hac  die  13  novembris  1840. 

(16)  Litterae  pastorales  ad  clerum  auximanum 
et  cingulanum  —  Laureti  ex  typographeo  Rossio- 
rum  1841.  —  Ioaunes  etc.  «  Nulla  est  pastoralis 
((  officii  pars,  quae  tam  acrem  vigilantiam  diligen- 
«  liamque  desideret,  quam  delectus  eorum,  qui  ec- 
«  clesiae  ministri  et  sacerdoles  futuri  sunt.  Enim 
«   vero  ad  cultum  Dei  et  animarum  salutem  perma- 


273 

«  gni  interest,  neminem  ad  tantam  dignitatem  pio- 
«  vehere,  nisi  diu  multumque  exploratuin,  et  neces- 
«  sariis  dotibus  praeditum;  cum  a  S.  Gregorio  Ma- 
te gno  lib.  17.  ep.  110,  veiissime  dictum  fuerit  : 
«  Causa  ruinae  populi  snnt  sacerdotes  mali  eie  ».  Da- 
tum  Auximi  die  14  api'ilis  184-1. 

(16)  Studiis  alumnoium  ven.  seminarii  et  nob. 
collegi  Campana  Auximi  regundis  leges  datae  .  .  . 
Auximi  pi'idie  nonas  sextil.  1844.  I.  card,  episco- 
pus.  —   Laureti  typis  Rossiorum. 

(17)  Grammatica  della  lingua  latina  ad  uso  dei 
seminari  di  Osimo  e  Cingoli.  Loreto  ,  pei  fratelli 
Rossi   1840.  Ancona  1850,  ediz.  3.  Macerata  ecc. 

(18)  Ioannis  cardinalis  Soglia  episcopi  auximani 
et  cingnlani  instilutiomim  iuris  publici  ecclesiastici. 
Tomus  primus  complectens  praenotiones  in  ius  eccle- 
siasticum,  editio  quarta  ab  auctore  r ecognita  et  au~ 
età.  —  Institutionum  iuris  ecclesiastici  tomus  secun- 
dus.  —  Quest'opera  fu  stampata  tre  volte,  e  sempre 
con  ampliazioni,  in  Loreto.  Si  cita  la  quarta  edizione, 
perchè  dopo  la  seconda  loretana  ne  usci  una  terza 
modanese  presso  Zaochelli  e  Calderini  1850:  poi  la 
quarta,  fatta  dai  fratelli  Rossi  in  Loreto  1850.  Ne 
uscì  appresso  una  quinta  ,  sebbene  detta  quarta  , 
Matritii  ex  officina  D.  Eusebii  ab  Aguado  1854,  in 
Ispagna.  Mi  si  dice  che  di  quest'  opera  siasi  fatta 
anche  un  edizione  in  Germania  :  ma  io  non  posso 
darne  precisa  contezza  ,  perchè  mai  non  mi  venne 
innanzi.  Nella  prinia  edizione  non  è  manifesto  il 
nome  dell'autore. 

(19)  E  degno  di  essere  Ietto  negli  Annali  delle 
scienze    religiose  pubblicali  in  Roma  il   ragguaglio 

G.A.T.CXLV.  18 


274 
analitico  di  quest'opera  scritto  dal  P.  Giacomo  Mazio 
d.  C.  d.  G.  professore  di  diritto  canonico  nel  col- 
legio romano,  e  inserito  nel  fascicolo  4.  1846  della 
seconda  serie.  Io  ne  ho  voluto  quasi  riferire  le  pa- 
role, tanto  mi  parvero  giuste  e  bene  appropriate. 

(20)  loannis  cardinalis  Soglia  episcopi  auximanì 
et  cingulani  —  Institutionum  iuris  privati  ecclesia- 
stici libri  ties  ■^—  Edilio  prima  —  Anconae  ex  ty- 
pis  Aureli  Josephi  et  soc.  1854.  Instilutioniirn  iuris 
privati  ecclesiastici  libri  III  loannis  cardinalis  So" 
glia  episcopi  auximani  et  cingulani  —  Edilio  secwi" 
da. —  Prima  parisiensis  ab  ipso  auclore  r^ecognitaet 
ancia  —  Paris  librairie  religieuse  de  A.  Courcier  , 
editeur  ec.  Rue  Hautefilie  ,  ec.  In  questa  edizione 
l'editore  premette  un  breve  sunto  dell'opera,  ed  al- 
cuni cenni  biografici  non  abbastanza  esatti  :  di  che 
mi  piace  avvertire  i  lettori. 

(21)  V.  più  sotto  la  nota  24. 

(22)  Il  R.  sig,  D.  Giovanni  Fuina,  al  quale  la  città 
deve  particolarmente  se  in  tale  occasione  i  beni  del 
ex  appannaggio,  come  dicono,  sono  rimasti  in  pos- 
sesso degli  osimani,  e  sono  stati  con  equità  distri- 
buiti. A  lui  pure  si  debbono  i  miglioramenti  grandi 
portati  nelle  possessioni  della  mensa  vescovile.  Non 
posso  dire  di  tutte  le  persone,  colle  quali  il  signor 
cardinale  si  consigliò:  nominerò  una  sola,  che  egli 
soleva  sovente  domandare  in  tai  fatti,  e  in  altri  an- 
cora, il  nobil  uomo  signor  Andrea  Ronfigli  cava- 
liere di  più  ordini,  e  consultore  di  legazione  ,  nel 
quale  quanta  fiducia  avesse  fu  mostrato  da  questo, 
ch'egli  nell'ultima  sua  volontà  insieme  coH'anzidetto 
sacerdote  ,  e  V  illustrissimo  e  reverendissimo  mon- 


275 

signor  Francesco  Paternesi  arcidiacono  cano.iìco  pe- 
nitenziere e  vicario  capitolare,  Io  nominò  suo  ese- 
cutore testamentario. 
(23)  Ecco  l'epigrafe- 

GIOVANNI  SOGLIA  CERONI 

CARDINALE  VESCOVO 

FECE  ACQUISTARE  E  RIDURRE 

AD  USO  DEGLI  INFERMI  QUESTO  LUOGO 

TOGLIENDOLI  DI  SQUALLIDO  ED  INSALUBRE 

CON  CHE  LASCIO'  NOBILE  ESEMPIO 

DI  PASTORALE  CARITÀ' 

E  CREBBE  ALLA  CITTA'  NOSTRA  DECORO 

LO  APERSE  CON  GIOIA  UNIVERSALE 

IL    25    SETTEMBRE    DELL'ANNO    1854^ 

ESSENDO  PRESIDENTE  IL  CAVALIERE 

GIOVANNI   SINIBALDI    FOLENGHI 

ZELATORE  DI  SI'  BELL'OPERA 

INSIEME 

COLLA  COMMISSIONE  AMMINISTRATRICE 

CHE    VOLLE    PORRE    QUESTA   MEMORIA 

PERCHÈ 

ANCHE  I  POSTERI 

GLIE  NE  SIANO  GRATI. 

(24)  Mi  piace  registrare  qui  l'orario  ch'egli  sem- 
pre sino  all'ultimo  osservò  ,  il  quale  tolgo  da  una 
carta  scritta  di  sua  mano.  —  Ore  canoniche  ■ — 
Mattutino   e  laudi   - —  nella    sera   ante  omnia.  Ore 


276 
minori  la  mattina  ante  missam.  Vespro    e  compie- 
ta —  nel  giorno  ante  prandiurriy  o  la  sera.  —  Me- 
ditazione- La    mattina    et    ante  omnia    per  horam. 
Messa  —  subito  dopo  la  meditazione. 

1.  Osserverò  il  suddetto  ordine,  e  prenderò  nella 
seia  antecedente  le  debite  misure  per  averne  il  tempo 
opportuno,  allorcbè  preveda  cbe  nella  seguente  mat- 
tina dovrò  attendere  a  qualche  opera  straordinaria. 

2.  V  impiegherò  il  tempo  necessario  e  deter- 
minato, e  non  avrò  timore  che  mi  manchi  per  gli 
altri  impieghi.  Dio  permette  che  chi  ruba  il  tempo 
alle  opere  di  pietà  per  darlo  ad  altri  affari  non  fac- 
cia né  bene  né  in  tempo  e  le  une  e  gli  altri. 

Biposo:  alle  11,  sempre  in  letto:  alle  5  sempre 
alzato.  Pranzo  all'  una  pomeridiana.  Passeggio^  due 
ore  e  mezzo  prima  dell'  ave  maria  ,  ma  visitando 
prima  il  santissimo  sagramento  per  mezz'ora. 

1 .  Non  parlate  mai  del  vostro  prossimo  se  non 
in  bene.  Di  voi  e  delle  cose  vostre  né  in  bene  nò 
in  male.  (Ricordo  che  aveva  sempre  in  bocca  e  scru- 
polosamente metteva  in  pratica). 

2.  Parlate  con  ogni  carità  e  mansuetudine  an- 
che coi  più  indiscreti,  fastidiosi,  insolenti- 

3.  Non  vi  trattenete  mai  in  alcun  luogo  a  con- 
versare senza  una  vera  necessità,  utilità  ,  e  conve- 
nienza. 

4.  Non  fate  inviti  se  la  carità  o  la  convenienza 
noi  richiedono. 

5.  Le  virtù  che  ci  convengono  sono,  CARITÀ', 
AMOREVOLEZZA,  DILIGENZA  SOMMA,  RASSE- 
GNAZIONE, SILENZIO. 

6.  Quanliis  qidsqiie  est  in  oratione,  tantus  est  in 


277 
perfectione.  Questi  ed  altri  molti  ricordi  si  travarta 
scritti  di  proprio  pugno  in  pili  quaderni. 

(25)  Troppo  Inngo  sarebbe  riepilogare  il  testa- 
mento del  cardinale  Soglia:  tuttavia  ne  dirò  alcuna 
cosa.  Lasciò  al  sommo  pontefice  una  bella  immagine 
in  avorio  di  Cristo  crocifisso  di  molta  grandezza 
e  pregio  d'arte;  basti  dirla  cosa  del  cavaliere  Ber- 
nino  ,  già  posseduta  dal  pontefice  Clemente  XIV  : 
un'altra  più  piccola  al  suo  successore:  alla  chiesa 
di  Oslmo  tutti  gli  argenti  dorati  ad  uso  ecclesia- 
stico ,  a  quella  di  Cingoli  tutti  gli  argenti  bianchi 
ed  un  magnifico  canone  a  lui  donato  dalla  S.  M. 
di  Gregorio  XVI.  La  sua  croce  vescovile  d'oro  con 
catena  pur  d'oro,  ed  un'  altra  croce  di  cristallo  dì 
monte  con  piccioli  rubini,  e  scudi  ducente  lasciò 
perchè  si  faccia  un  altare  di  marmo  nella  cappella 
del  ss-  Sagramento  dedicata  a  santa  Tecla  protomar- 
tire, titolare  di  essa  chiesa.  La  sua  libreria  e  tutti 
i  suoi  manoscritti  lasciò  al  venerabile  seminario  dì 
Osimo,  tranne  poche  opere  lasciate  al  venerabile  se- 
minario di  Cingoli,  e  ai  RR.  PP.  minori  osservanti. 
I  suoi  beni  liberi  posseduti  in  Casola  Valsenio  la- 
sco in  usufrutto  alla  sua  sorella  Annunziata  Soglia 
vedova  Bona,  e  lei  morta  lasciò  la  proprietà  ai  ni- 
poti da  dividersi  in  stirpes.  (Ed  è  da  notare  la  de- 
licatezza di  quella  benedetta  anima,  che  delle  cose 
dì  chiesa  non  dispose  se  non  in  servigio  della  chiesa 
e  dei  poveri.)  Inoltre  lasciò  alle  reverende  madri 
cappuccine  interne  dell'  Addolorata  mille  scudi  ,  e 
mille  allo  spedale  degl'infermi  di  Cìngoli:  poi  du- 
cento  scudi  da  distribuirsi  ai  poveri  in  Osimo:  cento 
venti  da  distribuirsi  ai  poveri  in  Cingoli.  Infine  tutta 


278 
l'eredità  sua,  che  andrà  oltre  ventimila  scudi,  la- 
sciò ai  poveri  cronici  della  città  di  Osimo,  la  quale 
a  segno  di  gratitudine  nominerà  quel  pio  luogo  dal 
nome  del  benefattore,  e  lo  dirà  OSPEDALE  SOGLIA. 
Queste  sono  le  principali  sue  disposizioni  testamen- 
tarie: dell'altre  come  di  minore  importanza  mi  passo 
per  brevità. 

(26)  La  santità  di  N.  S,  Papa  Pio  IX  felicemente 
regnante  accogliendo  coll'usata  sua  benignità  l'im- 
magine in  avorio  di  Gesù  in  croce  d'ebano  con  pie- 
distallo, della  quale  si  è  detto,  fattagli  presentare 
dagl'illustrissimi  signori  esecutori  testamentari,  come 
il  defunto  emineiitissimo  Soglia  aveva  ordinato  nel 
suo  testamento,  inviò  ai  medesimi  la  seguente  let- 
tera in  forma  di  breve  apostolico  sottoscritta  di  pro- 
pria mano,  nella  quale  l'espressioni  stesse  bastano 
a  manifestare  la  grandezza  del  suo  cuore  sovrano. 

Dilectis    fìliis 

Archidiacono  Francisco  Paternesi, 

Joanni  Fuina,  et  equili  Andreae  Doufigli 

Plus  PP.  IX.  . 

Dilecti  fila  ,  salulem  et  aposlolicam  benediclionenì' 

Libenti  gratoque  animo  Jesu  redentoris  cruci- 
fixi  simulacrum  ex  ebore  accepimns,  quod  dalis  ad 
nos  litteris  obsequentissimis  ex  praescripto  cardina- 
lis  Joannis  Baptistae  Soglia  auximani  et  cingulani 
episcopi  mox  defuncti  nobis,  dilecti  filii ,  obtulistis. 
Quo  de  officio  cum  vobis  meritas  persolvimus  gra- 


279 
tias,  preces  una  simul  supplicationesque  benignis- 
simo  humani  generis  Redemptori  offerre  non  inter- 
mìttimus  ,  quo  defuncto  eidem  aeternae  beatitatis 
requiem  indulgeat,  ac  vobis  omnibus  prospera  quae- 
que  tribuat  et  salutaria.  Pignus  autem  patema  ca- 
ritatis  nostrae  sit  apostolica  benedictio,  quam  vobis, 
dilecti  filii,  effuso  cordis  affectu  amanter  impertimur. 

Datura  Romae  apud  S.  Mariam  Maiorem  die 
8  octobris  1856. 

Pontificaliis  Nostri  anno    Xt. 

Plus  P.  IX. 

(27)Infermò  nella  sua  villa  di  Casenuove,distant0 
un  sette  miglia  da  Osimo,  il  9  di  agosto,  e  morì 
la  notte  dell'  11  al  12  ad  un'  ora  e  mezzo  dopo 
la  mezzanotte  in  età  di  anni  76  e  10  mesi.  Era 
stato  in  Osimo  il  giorno  30  luglio  in  occasione  di 
ricevere  mille  e  due  scudi  e  quarantadue  baiocchi 
in  tante  doppie  d'  oro  ,  che  il  generoso  pontefice 
Pio  IX  aveva  a  lui  mandati  per  mezzo  di  monsi- 
gnor Antonio  Cenni  suo  caudatario  ,  il  quale  non 
avendo  trovato  in  città  V  eminentissirao  vesco- 
vo ,  il  dì  innanzi  li  aveva  lasciati  nelle  mani 
di  monsignor  Francesco  Innocenzi  canonico,  e  suo 
vicario  generale  per  la  diocesi  osimana.  Pareva  sano 
e  meglio  in  istato  che  mai  ;  certo  era  assai  lieto 
della  sovrana  beneficenza,  colla  quale  si  offeriva  uri 
sollievo  ai  poveri  disertati  dalla  gragnuola.  Parti- 
vasi  promettendo  di  ritornare  a  mezzo  agosto:  vi  ri- 


280 
tornava,  oh  incertezza  della   vita    umana  !   nja  so- 
pra un  feretro. 

(28)  I  particolari  dell'esequie  furono  narrati  nella 
gazzetta  bolognese  al  numero  189  del  1856,  della 
quale  rechiamo  le  parole.  —  u  Espostone  il  cada- 
vere nella  sala  della  sua  casa  di  campagna  il  giorno 
12,  lutto  il  contado  vi  accorse,  e  stavano  inginoc- 
chioni  e  lagrimando  da  piò  del  letto  funebre.  Por- 
tato in  città,  e  messo  la  mattina  del  13  nella  sala 
del  suo  palazzo  ,  la  calca  del  popolo  fu  maravi- 
gliosa:  e  l'elogio  più  bello  si  udiva  dalla  bocca  d'o- 
gni povero  e  d'ogni  cittadino.  Diceva  la  povera  gente: 
«  E  morto  il  nostro  buon  cardinale,  che  al  partire 
ci  aveva  promesso  soccorrerci  nell'inverno,  e  ci  aveva 
detto  <(  Tutto  il  formentone  è  per  voi  !  w  Ora  come 
restiamo  ?  Chi  ci  soccorrerà  ?  Chi  ci  scamperà  que- 
st'anno ?  Oh  !  perchè  quell'angelo  ci  ha  abbando- 
nato ?»  E  le  lagrime  piovevano  ad  ogni  parola.  II 
giorno  14,  alle  ore  nove  della  mattina,  fu  portalo 
il  sacro  cadavere  pontificalmente  vestito  in  proces- 
sione per  la  città.  Tutte  le  compagnie,  tutti  gli  ordini 
religiosi,  tutto  il  clero  precedevano  la  pompa  funerale: 
seguiva  col  magistrato  municipale  l'illustrissimo  go- 
vernatore, e  tutti  gli  impiegati,  e  tutti  i  convittori 
del  nobile  collegio  Campana  ,  poi  calca  di  popolo 
in  lutto.  Ricondotto  indi  alla  chiesa  cattedrale,  fu 
posto  sovra  un  grande  catafalco.  Sulla  porta  mag- 
giore del  tempio  era  una  iscrizione  latina,  una  ap- 
piè del  letto  funerale,  nelle  quali  si  ricordavano  i 
meriti  e  la  vita  dell'eminentissirno  defunto:  intorno 
alla  mole  si  leggevano  quattro  molti  scritturali.  Dopo 
cantata  la  messa  solenne  il  doti-  Giuseppe  Ignazio 


281 

Montanari,  professore  nel  ven.  seminario  e  nob.  col- 
legio Campana,  lesse  un  commovente  elogio.  Dopo 
l'elogio  e  le  assoluzioni  di  rito  rimase  la  spoglia 
mortale  del  buon  vescovo  esposta  alla  venerazione 
del  popolo  sino  all'ora  di  notte,  dopo  la  quale  alla 
presenza  dei  reverendi  canonici,  delle  autorità  del 
luogo  ,  e  del  fiore  della  nobiltà  fu  tolto  dal  letto 
funebre,  spogliato  degli  abiti  pontificali  e  rivestito 
secondo  la  pratica  :  poi  messo  nella  triplice  cassa 
con  pubblico  rogito,e  chiuso  nella  catacomba  dei  ve- 
scovi. Così  fu  tolto  dagli  occhi  del  popolo:  ma  non 
sarà  mai  tolta  dal  cuore  degli  osimani  e  di  tutta 
la  diocesi  la  memoria  delle  singolari  sue  virtù,  e 
delle  beneficenze  che  ha  largheggiato  nei  diciassette 
anni  del  suo  episcopato  ,  e  in  tutto  il  corso  della 
santa  ed  onorata  sua  vita   ». 

(29)  Questi  due  eminentissimi  vescovi  della 
chiesa  osimana  e  cingolana,  nati  come  il  cardinale 
Soglia  nella  Romagna,  si  segnalarono  specialmente 
per  la  pietà  e  la  beneficenza  ,  e  lasciarono  di  se 
bellissimi  e  durevoli  monumenti;  come  si  può  ve- 
dere nella  continuazione  alle  memorie  istorico-cri- 
tiche  della  chiesa  dei  vescovi  di  Osimo  raccolte  ed 
illustrate  da  monsignor  Pompeo  Compagnoni  vescovo 
della  medesima  città,  tom.  4  (in  Roma  1783  dalla 
stamperia  Zempel). 

(30)  Sono  state  esaudite  le  preghiere  nostre  e  dell' 
eminentissimo  trapassato,  dappoiché  iddio  ha  ispirato 
al  sommo  pontefice  Pio  IX  di  nominare  vescovo  di 
Osimo  e  Cingoli  1'  eminentissimo  e  reverendissimo 
signor  cardinale  GIOVANNI  BRUNELLI  ,  il  quale 
come  porla  il  nome,  così  pure   porta  in  sé  la  dot- 


V 


282 
trina  e  la  virtù  del  suo  compianto  antecessore,  del 
quale  è  ancora  stato  discepolo  e  successore  nell'ar- 
chiginnasio romano  alla  cattedra  di  diritto  canonico. 
(31)  La  brevità  di  quest'elogio  non  ha  permesso 
di  registrare  tutte  le  beneficenze  dell'eminentissimo 
defunto,  e  solo  vi  sono  notate  le  più  conosciute.  Pure 
quante  ve  ne  ha  scerete  che  starebbe  assai  bene 
mettere  alla  luce  !  Quantunque  oggi  le  manifesta 
il  pianto  e  lo  squallore  di  molte  famiglie,  che  oc- 
cultamente da  lui  sovvenute,  oggi  ne  invocano  e 
benedicono  il  nome  ! 


283 
INSCRIPTIONES 

Supra  portam  templi   maximi 
^        PARENTALIA        ^ 

lOANNIS  .  SOGLIAE  .  CERONI 

EPISCOPI  .  EMINENTISSIMI 

AVXIMANORVM  .  ET  .  CINGVLANORVM 

QVI  .  VIXIT  .  AN  .  LXXVI  .  MENS  .  X. 

DECESSI!  .  PRID .  ID  .  SEXTIL  .  AN  .  MDCCCLVI 

HVC  .  AGITE  .  FREQVENTES  .  CIVES 

A  .  DEO  .  OPTIMO  .  MAXIMO 

SEMPITERNI  .  AEVI   .  BEATITATEM 

PRECIBVS  .  ET  .  LACRYMIS  .    ADPRECATVRI 

PONTIFICI.VESTRO.MAGISTRO.PIETATIS.OMNIS 

ALTORI  .   PAVPERVM  .  PARENTI  .  PVBLICO 

In  mole  funebri 

I 

PERTRANSIIT  .  BENEFACIENDO 

Act.  Ap.  e.  10  V.  38. 

II 

INTELLEXIT  .  SVPER  .  EGENVM  .  ET  .  PAVPEREM 
Psal.  40.  V.  1. 


284 

III 

SAPIENTIAM  .  EIVS.  ENARRABVNT   .  GENTES 

Eoclesiastic.  e.  39.  v.   14. 

IV. 

IN  .  OMNIBVS  .  SE  .  IPSVM  .  PRAEBVIT 
EXEMPLVM 

Paul,  ad  Tit.  e.  2.  v.  7. 


In  tempio  maxima. 

IOANNES.  SOGLIA  .  CERONI 

EPISCOPVS  .  EMINENTISSIMVS 

AVXIMANOR  .  ET  .  CINGVLANOR 

IS  .  CASVLAE  .  VALLIS  .  SENI! 
CIBARISSIMO  .  GENERE  .  ORTVM  .  DVXIT 
FORI  .  CORNELII  .  LITTERIS  .  BONONIAE 
DISCIPLINIS  .  PHILOSOPHICIS  .  ROMaE 
THEOLOGICIS  .  AC  .  VTRIVSQVE  .  IVRIS  . 
SCIEI>ìTIAE  .  IN  .  MAGNO  .  l.YCEO  .  LEONIANO 
VBI  .  POSTEA  .  ANTECESSOR  .  PVBL  .  SACR 
CANONVM  .  FVIT  .  OPERAM  .  NAVAVIT. 

PII  .  Vir.  P  .  M  .  LABORVM  .  ET  .  ITINERVM 
COMES  .  IN  .  CAPTIVITATE  .  SOCIVS  .  A  •  CVIVS 
LATERE  .  POST  .  MENSES  .  DVODEVIGINTI 
AVVLSVS  .  IN  .  FENESTRELLARVM  .  ARCEM 
CONIEGTVS  .  EST 


285 
HOSTIBVS  .  DIVINITVS  .  PROFLIGATIS 
PACE  .  REDDITA  .  ORBI  .  CATHOLICO 
PONTIFEX  .  IN  .  PRISTINAM  .  LIBERTATEM 
VINDICATVS  .  ET  .  AD  .  SEDEM  .  HONORIS 
SVI  .  E  .  GALLIIS  .  REGRESSVS  .  FAMILIAREM 
INTIMVM  .  SIRI  .  QVE  .  AB  .  EPISTOLIS  .  AC 
NEGOTIIS  .  PRIVATIS  .  ADLEGIT 

LEO  .  XTl  .  P  .  M  .  A.  CYATHO.A.SECRETIORE 
CVBICVLO  .  ET  .  MAGISTRVM  .  LARGITIONVM 
IN  .  SOLATIVM  .  EGENTIVM  .  ARCHIEPISCOPVM 
EPHESIOR  .  ADIVTOREM  .  SACRI  .  CONSILII 
STVDIIS  .  INSTAVRANDIS  .  AC  .  MODERANDIS 
ESSE  .  IVSSIT 

GREGORIVS  .  XVi  ,  P  .  M  .  CANONICVM 
VATICAN  .  PRTRIARCHAM  .  CONSTANTINOPOL 
ET  .  AB  .  ACTIS  .  SACRI  .  CONSILII  .  AD 
NEGOTIA  .  EPISCOPOR  .  ET  .  SODALIVM 
RELIGIOSOR  .  DIXIT 

RERVM  .  ECCLESIASTICAR  .  NOBILIS 
AVCTOR  .  ET  .  CONSVLTVS  .  SCRIPTOR 
ADLECTVS  .  IN  .  SACR  .  CONSILIVM  .  AD 
NEGOTIA  .  EXTRAORDINARIA  .  ECCLESIAE 
REGVNDA  .  IVDEX  .  LIBRORVM  .  NOTANDOR 
IVDEX  .  CONTRA  .  HAERESIM  .  ITEM 
KLERICIS  .  ROMANIS  .  AC  .  EPISCOPIS 
PROBANDIS  .  OB  .  INSIGNIA  .  ElVS  .  MERITA 
IN  .  COLLEGIVM  .  PATRVM  .  PVRPVRATORVM 
COOPTATVS  .  ET  .  SACRIS  .  AVXIMANOR  .  ET 
CINGVLANOR    .    PRAEFECTVS     .    EST    .    XTl 


KAL  .  MART  .  A      MDCCCXXXIX 


286 
OMISIBVS  .  MVNERIS  .  SVI  .  PARTIBVS 
OFFICHS  QVE  .  ADSIDVE  .  ATQVE  .  IN 
EXEMPLVM  .  PERFVNCTVS  .  GENTES  .  SIBI 
CREDITAS  .  CHVRITATE  .  PRVDENTIA 
INTEGRI!  ATE  .  DEVINXIT  .  HOSPITALIS 
BENIGNVS  .  SOBRIYS  .  IVSTVS  .  EFFVSVS 
IN  PAVPERES  .  COMIS  .  IN  .  OMNES  .  PER 
AN  XVll  .  MENS  .  IV  .  DIFFICILLIMIS 
TEMPORIBVS.APOSTOLICAE  .  MANSVETVDÌNIS 
SPECIMEN  .    PRAEBVIT 

OMNEM  .  SVBSTANTIAM  .  SVAM 
GERONTOCOMIO  .  AVXIMENSI  .  IN  •  SVBSIDIVM 
SENVM  .  EGENORVM  .  TESTAMENTO 
TRANSMISIT  .  NATVS  .  AN  .  MDCCLXXIX 
V  .  ID  .  OCTOBR  .  DECESSIT  .  PRID  .  li) 
SEXTIL  .  AN  .  MCCCCEvi  .  MAGNO  .  OMNIVM 
MOERORE  .  AC  .  LVCTV 

AVE   .  PASTOR   .  OPTIME 

PARENS  .  DESIDERATISSIME 

ESTO  .  MEMOR  .    TVORVM 

ET  .    VALE  .  IN  .  PACE  1 


287 


Raro  esempio  di  rapida  parziale  putrefazione.  Viso 
reperto  dei  periti  fiscali,  e  volo  medico-legale  del 
collegio  medico  ^chirurgico  di  Roma. 


Viso  reperto. 


R 


eìV  interno  di  una  folta  boscaglia  ,  e  precisa- 
mente fra  il  tronco  di  una  piccola  quercia  ed  al- 
cuni rami  di  crognale,  si  è  ritrovato  un  cadavere  col 
dorso  rivolto  verso  il  cielo,  avente  il  capo  distac- 
cato dal  busto,  e  divenuto  perfettamente  un  teschio, 
e  tramandante  un  odore  nauseoso  ed  intollerabile. 
Da  un  lato  del  cadavere  si  è  veduto  esistere  per 
terra  un  cappello  di  feltro  negro  con  cupola  bassa 
e  falde  larghe,  e  poco  appresso  una  sciarpa  di  lana 
rossa  e  turchina  alquanto  lacera  con  molti  capelli 
di  color  castagno  sparsi  al  suolo  ,  verisimilmente 
caduti  dalla  testa  col  distacco  della  pelle  ,  e  della 
corrispondente  cuffia  aponeurotica.  Attesa  1'  angu- 
stia del  luogo,  e  1'  impossibilitcà  di  poter  quivi  ese- 
guire ogni  necessaria  operazione,  si  ordinò  che  detto 
cadavere  fosse  rimosso,  e  trasportato  nell'adiacente 
campo:  e  così  con  ogni  diligenza  venne  eseguito  col 
mezzo  di  una  scala  di  legno. 

Tale  cadavere  si  è  riconosciuto  di  sesso  masco- 
lino, di  ordinaria  statura  e  corporatura,  vestito  con 
giacchetta  di  velluto  negro  tendente  al  lossigno  per 
cagione  di  consumo  ,  camicia  di  mussolo  bianco  , 
corpetto  di  cotone  oscuro,  calzoni  di  tela  grossa  di 


288 
un  rosso  tendente  al  bruno,  calzette  bianche  di  co- 
tone, scarponcini  di  vacchetta  bianca;  il  qual  cada- 
vere, come  si  osservò,  manca  della  testa  e  del  collo 
perchè  corrosi  e  distrutti  da  putrefazione  che  si  es- 
tende altresì  nella  cavila  del  petto  con  abbondante 
quantità  di  vermi. 

Fatto  quindi  denudare  dalle  descritte  vcstimenta, 
ed  osservato  per  ogni  parte  il  cadavere,  non  si  è 
rinvenuto  nel  medesimo  alcuna  traccia  di  lesione  , 
ferita  o  frattura,  tranne  una  irregolare  impressione 
nella  base  del  costato  laterale  sinistro,  del  diame- 
tro di  mezzo  pollice  tegumentalmente  escoriata  con 
disseccamento  della  sua  superfice.  Si  è  parimente 
osservata  la  palma  della  mano  destra  lorda  di  san- 
gue disseccato,  e  così  pur  la  sinistra,  del  qual  san- 
gue si  sono  parimente  trovate  asperse  le  maniche 
quasi  per  tutta  la  loro  lunghezza  fin  verso  il  collo 
della  giacchetta.  Nel  ginocchio  destro  si  è  inoltre 
osservata  una  superficiale  escoriazione  di  non  recente 
data.  Ispezionati  i  panni,  non  si  sono  riscontrate 
altre  tracce  óltre  le  suindicate,  e  solo  nel  descritto 
cappello  si  è  vista  una  piccola  lacerazione  di  poche 
linee  sull'alto  della  cupola  che  sembra  avvenuta  per 
causa  naturale. 

Fatta  poi  interpellazione  ai  testimoni  sulPindi- 
duo  ora  fatto  cadavere,  essi  risposero  essere  ben 
difficile  di  riconoscerlo  positivamente  perchè  man- 
cante della  testa:  però  F.  e  B.  aggiunsero  che  dal 
vestiario  e  dal  complesso  della  statura  e  corpora- 
tura del  cadavere  potrebbero  ritenere  con  ogni  pro- 
babilità che  sia  quello  di  P.  S.  sopracchiamato  B. 
della  età  di  circa  25  anni,  contadino  abitante  la  vi- 


289 

cma  parrocchia  ,  accreditando  questa  loro  ricogni- 
zione col  non  averlo  veduto  da  più  giorni  e  coll'es- 
sersi    pubblicamente  detto  che  era  rimasto  ucciso. 

«  Ciò  premesso,  invitati  i  signori  periti  a  proce- 
dere alle  operazioni  dell'arte  sul  detto  cadavere  per 
quindi  emettere  l'analogo  giudizio  sulla  vera  causa 
-della  morte  del  suddetto  individuo,  i  medesimi,  pre- 
vio il  giuramento,  riferirono  quanto  segue. 

tt  Avendo  noidiligentemente osservato  quest'uomo 
divenuto  cadavere  dichiariamo  che  dai  piedi  fin  verso 
la  sommità  del  torace  non  iscorgesi  lesione  alcuna, 
tranne  la  escoriazione  tegumentale  del  costato  sini- 
stro indicata  di  sopra. 

«  Si  ò  pure  veduta  la  faccia  palmare  della  mano 
destra  cospersa  di  sangue  disseccato;  il  dorso  di  que- 
sta e  il  suo  caipo  licoperti  di  vermi  e  in  piccola 
parte  corrosi.  Parimenti  l'altra  mano  nella  sua  vola 
e  nel  dorso  si  ravvisano  lordi  di  sangue  rappreso. 
Nel  ginocchio  destro  rilevasi  una  escoriazione  nella 
sua  parte  callosa,  cagionata  da  attrito  di  corpo  con- 
tundente; e  sì  questa  come  la  suggella/Jone  del  co- 
stato sinistro  giudichiamo  essere  stale  di  nessun 
per̀olo. 

«  Osserviamo  inoltre  la  parte  superiore  del  tronco, 
ossia  quella  porzione  compresa  tra  la  regione  sotto 
clavicolare  all'innanzi,  la  sopra  scapolare  in  addie- 
tro, le  teste  degli  omeri  lati,  e  la  sommità  del  collo, 
spoglie  del  tutto  di  parti  molli  già  in  preda  a  pu- 
trido e  vei'minoso  disfacimento  ,  e  per  conse- 
guenza rimaste  a  nudo  le  semplici  ossa,  alcune  delle 
quali  portate  fuori  dei  loro  naturali  rapporti. 

«  Osserviamo  il  cadavere  privo  della  testa,  ed  in- 

G.A.T.CXLV.  19 


290 

vece  al  lato  del  medesimo  troviamo  un  capo  umano 
voto  del  cervello  ,  destituito  affatto  di  parti  molli, 
e  ridotto  perciò  ad  un  puro  teschio,  che  esaminato 
con  ogni  accuratezza  non  ci  ha  offerto  alcuna  le- 
sione. Vediamo  infine  la  prima  vertebra  cervicale 
staccata  dal  suo  posto  e  come  le  altre  di  questa 
regione  completamente  spolpate. 

«  Il  cadavere  è  di  uomo  sul  quinto  lustro  circa 
dì  sua  età,  divenuto  tale  da  circa  otto  giorni  a  que- 
sta parte. 

«  Dalle  premesse  osservazioni  non  dubitiamo  di 
giudicare,  che  la  rimarcata  distruzione  sia  stata  opera 
di  putrido  verminoso  corrodimento  ,  mentre  tutte 
le  aUie  osservazioni  praticate  sul  ridetto  cadavere 
non  ci  pongono  in  grado  di  poter  emettere  il  no- 
stro giudizio  sulla  vera  causa  della  morte  ». 

Voto  del  collegio  medico-cliirurgico. 

In  mezzo  alla  oscurità  che  circonda  la  causa  di 
morte  di  P.  D.  ritrovato  dal  fìsco  in  tale  stato  di 
mutilazione  e  deformità  non  solo  da  non  potervi 
dimostrare  alcuna  lesione  letifera  ,  ma  di  ricono- 
scerne appena  la  identità  per  mezzo  delle  vesti,  due 
fatti  solenni  richiamavano  l'attenzione  del  collegio, 
e  sembravangli  abbastanza  luminosi  da  rischiarare 
la  via  delle  indagini    e  raggiungere    la    verità. 

I  due  fatti  sono:  1.  la  presenza  del  sangue  nelle 
mani  del  cadavere,  non  che  lungo  le  maniche  del 
vestito, e  sullo  stesso  colletto  del  medesimo:  2.  l'enor- 
me differenza  dei  fenomeni  cadaverici  fra  alcune 
parti  del  corpo  quasi  totalmente  distrutte,  ed  altre 


^291 

quasi  perfettanlente  consei'vate.  E  un  fatto  solenne 
la  presenza  del  sangue,  perchè  accenna  ad  una  ferita 
come  effetto  invariabile  alla  sua  causa.  Se  P.  D.  era 
lordo  di  sangue,  convien  dire  ch'egli  fosse  stato  fe- 
rito. Possono  infatti  eliminarsi  facilmente  nel  caso 
attuale  tutte  le  altre  possibili  origini  di  questo  fatto. 
Non  trattasi  qui  di  un  chirurgo  o  di  un  ostetiico 
che  avessero  potuto  macchiarsi  di  sangue  in  una  ope- 
razione cruenta.  Non  può  supporsi  che  questo  san- 
gue procedesse  dalla  uccisione  di  un  animale;  non 
saprebbe  intendersi  ,in  tal  caso  come  il  sangue  im- 
brattasse il  colletto  dell'abito,  piuttosto  che  le  ve- 
stimenta  inferiori  del  corpo.  Non  può  ammettersi 
che  derivasse  da  ferita  inflitta  ad  altri  da  P.D.,  dalla 
quale  poi  ne  spicciasse  sangue  che  lo  imbrattasse. 
In  tal  caso  il  sangue  si  sarebbe  mostrato  a  spruzzi 
in  varie  parti  del  corpo,  non  in  tracce  continuate 
dalle  mani  fino  all'alto  delle  estremità  superiori.  Ri- 
pugna finalmente  che  P.  D.  fatto  cadavi^re  per  morte 
fortuita  fosse  cruentato  da  lacerazioni  di  animali  ra- 
paci; poco  è  il  sangue  che  scaturisce  da  un  cada- 
vere, non  è  tale  ohe  possa  rapprendersi  sulla  cute 
e  sulle  vesti,  né  saprebbe  allora  spiegarsi  la  inte- 
grità delle  mani.  Non  rimane  adunque  altra  spiega- 
zione alla  origine  di  questo  sangue,  che  una  ferita 
inflitta  a  P-  D.,  della  quale  non  essendo  vestigio  al- 
cuno nelle  parti  superstiti  del  cadavere,  convien  cer- 
care la  sede  nelle  distrutte  e  precisamente  nel  collo, 
come  quello  che  ricco  di  vasi  è  preso  pili  spesso  di 
mira  dagli  assassini. 

Se  non  che  questa  distrazione   delle  parti  molli 
del  collo  e  della  testa,  restando  quasi  illeso  il  ri- 


292 

manente  del  corpo,  fornisce  un  altro  argomento  va- 
levolissimo a  dimostrare  che  appunto  in  quelle  parti, 
che  una  rapida  putrefazione  facea  scomparire,  dovè 
esercitarsi  1'  istromento  vulnerante.  Ella  è  materia 
di  fatto  confermata  da  ripetute  osservazioni  e  atte- 
stata da  scrittori,  che  le  parti  vulnerate  entrano  più 
prontamente  in  putrefazione  e  ne  sperimentano  le  fasi 
con  una  rapidità  straordinaria.  La  ragione  ne  è  chiara 
sì  nella  soluzione  dei  tessuti  cutanei  che  servono 
grandemente  a  proteggere  le  parti  interne  dal  con- 
tatto dell'aria  atmosferica,  la  cui  presenza  è  condi- 
zione principalissima  a  favorire  il  movimento  putre- 
fattivo;  e  sì  nell'incominciato  disordine  e  disunione 
degli  slami  oiganici,  che  parimenti  agevola  il  sud- 
detto movimento.  Ed  infatti  non  solo  la  ferita  pro- 
priamente detta,  ma  la  contusione,  l'ammaccatura, 
quantunque  non  dividano  la  pelle,  acquistano  pure 
alle  parli  offese  maggior  proclività  alla  putrefazione. 
Il  collegio  adunque,  a  spiegare  la  enorme  disparità 
de'fenomeni  cadaverici  fra  le  parti  superiori  al  petto 
e  le  inferiori  al  medesimo,  non  poteva  rimaner  sod- 
disfatto alla  semplice  condizione  dell'esser  nude  le 
prime  e  ricoperte  le  seconde  da  vesti.  Si  veggono 
ogni  giorno  cadaveri  di  individui  tuttora  vestiti,  né 
perciò  le  parti  nude  presentano  quel  disfacimento 
che  offriva  il  cadavere  di  P.  D.  Le  aperture  delle 
narici,  degli  occhi,  della  bocca  ,  comuni  a  tutti  i 
cadaveri,  non  ispiegano  neppure  la  più  sollecita  pu- 
trefazione, la  quale  non  può  interpretarsi  in  altro 
modo  che  col  riferirla  a  profonde  offese  dirette  a 
quelle  parti,  in  cui  si  effettuava  il  ridelto  disfaci- 
mento. E  perchè  la  teca  ossea  non  mostrava  alcuna 


293 

offesa,  e  la  perizia  non  fa  motto  alcuno  di  lesioni 
delle  vertebre,  così  è  nelle  regioni  anteriori  o  late- 
rali del  eolio  che  convien  stabilire  la  sede  delle  vio- 
lenze. Ma  partendo  anche  dal  principio  che  le  parti 
vulnerate  si  putrefanno  più  prontamente,  potrebbe 
a  taluno  rimaner  dubbioso  come  questa  putrefa- 
zione sia  giunta  in  pochi  giorni  a  sì  alto  grado  da 
distruggere  totalmente  le  parti  molli  del  capo,  del 
colio,  della  sommità  toracica  e  da  votare  persino 
il  cranio  :  ma  di  questi  sì  celeri  disfacimenti  non 
mancano  esempi  negli  annali  dell'arte,  e  nel  caso 
attuale  abbiamo  sufficienti  ragioni  nel  concorso  di 
tutte  le  condizioni  le  più  favorevoli  al  movimento 
putrefattivo.  Ed  infatti  l'esposizione  all'aria,  la  sta- 
gione autunnale,  lo  spirare  del  vento  di  mezzogiorno, 
la  condizione  caldo-umida  dell'atmosfera,  il  tempo 
pioviginoso,erano  tutte  circostanze  grandemente  atte 
a  sollecitare  il  disfacimento  della  materia  organica. 
E  quando  rammentisi  che  durante  il  processo  chi- 
mico della  putrefazione  svolgesi  in  gran  copia  am- 
moniaca, capace  di  ammollire  ì  più  resistenti  tes- 
suti, e  che  si  genera  persino  l'acido  nitrico  poten- 
tissitno  a  corroderli,  non  dovrà  recai*  maraviglia  se 
in  breve  tempo  sia  scomparsa  tanta  parte  del  ca- 
davere di  P.  D.  Aggiungasi  la  copiosa  produzione 
di  vermi  verificatasi  in  tal  congiuntura,  e  che  poteva 
pure  contribuire  alla  suddetta  distruzione.  Del  resto 
non  sembra  sufficientemente  dimostrato  che  la  te- 
sta fosse  separata  dal  busto  fin  dal  momento,  in  cui 
fu  cognita  la  esistenza  del  cadavere  in  quel  macchione: 
ricavandosi  da  alcuni  testimoni  che  aderisse  tuttavia 
al  busto,  ed  essendo  molto  probabile  che  il  distacco  ac- 
cadesse nei  successivi  movimenti  impressi  al  cadavere. 


294 

Adunque  questi  due  fatti,  la  esistenza  cioè  del 
sangue  disseccato  sulle  nnani  del  cadavere,  sulle  ma- 
niche e  sul  colletto  del  vestito  che  lo  copriva,  e  la 
rapida  putrefazione  del  collo  e  sue  parti  adiacenti, 
furono  giudicate  dal  collegio  come  prove  bastanti 
a  dimostrar  l'omicidio.  Non  mancano  negli  atti  pro- 
cessuali altri  indizi  tendenti  a  piovare  la  morte  vio- 
lenta di  P.  D.  Si  potrebbero  citare  le  grida  udite 
da  più  testim^ìni:  grida  che  si  andavano  successi- 
vamente affievolendo  e  che  sembravan  partire  dal 
teatro  dell'avvenimento;  si  potrebbero  rammentare 
r  impressione  irregolare  del  costato  destro  e  la  es- 
coriazione del  ginocchio  corrispondente,  che  sem- 
brano pure  accennare  ad  una  colluttazione;  potreb- 
bero citarsi  le  zolle  di  terra  intrise  di  sangne  in  luogo 
sospetto;  potrebbe  parlarsi  infine  della  cravattia  di- 
visa in  due  brani  trovata  presso  il  cadavere,  e  così 
dichiarata  da  alcuni  testimoni,  e  che  non  potrebbe 
attribuirsi  alla  putrefazione,  ma  indica  piuttosto  I' 
opera  di  un  islromento  vulnerante  ,  o  di  una  vio- 
lenza: tutti  questi  indizi  di  pertinenza  fìsica  potreb- 
bero essere  invocati  a  corroborare  il  giudizio  ,  ma 
non  basterebbero  a  stabilirlo,  perchè  non  esenti  da 
eccezioni. 

Pertanto  il  parere  del  collegio,  che  la  morte  di 
P.D.  sia  derivata  da  ferimenti  ex  scelere,  riposa  prin- 
cipalmente sulle  due  prove  esposte  di  sopra.  Sarebbe 
poi  entrare  nel  campo  delle  ipotesi  il  volere  asse- 
gnare con  precisione  le  modalità  tutte  del  feri- 
mento, mancando  i  dati  necessari  a  simil  giudizio. 
Potrebbe  però  asserirsi  con  piena  sicurezza,  che  il 
luogo,  ove  fu  rinvenuto  il  cadavere  non  fu  quello 
ìh  cui  avvenne  la  morte. 


\ 


295 


Sulla  pallia  del  poeta  comico  Terenzio.  Ragionamento 
recitato  alla  pontificia  accademia  romana  di  ar- 
cheologia dal  cavaliere  Salvatore  Betti  socio  ordi- 
nario e  censore. 

1.  JLie  poche  ed  incerte  notizie,  che  ci  hanno  tra- 
mandato gli  antichi  intorno  a  molti  scrittori  di  fama 
illustre,  sono  state  cagione  di  non  lievi  controver- 
sie nelle  storie  delle  varie  letterature:  gareggiando 
città  e  nazioni  nel  trarre  a  se,  per  quante  ragioni 
e  congetture  mai  possano  ,  il  vanto  de'  loro  natali. 
Non  può  infatti  un  paese,  che  pregisi  di  civiltà  , 
aver  vanto  maggiore  di  quello  d'  essere  stato  culla 
di  alcun  grande  che  più  abbia  onorato  l'umano  in- 
telletto. Chi  non  sa  le  contese  di  sette  città  d'Asia 
e  di  Grecia  per  la  gloria  d'esser  salutate  patria  d' 
Omero?  Chi  non  sa  le  altre  che  vegliano  tuttavia 
fra  parecchi  eruditi  e  noi  rispetto  al  luogo  ove  nac- 
que Pittagora  ?  Pittagora  ,  dico  ,  cui  ed  Aristotile 
ed  Aristosseno  e  Teopompo  e  Aristarco  fino  da'loro 
secoli  reputarono  italiano:  certo  considerando  che 
qua  ebbe  la  famiglia  e  la  stanza,  qua  la  scuola,  qua 
la  civile  grandezza  con  tanta  dimostrazione  d'acceso 
amor  patrio,  qua  la  filosofia  che  si  chiamò  italica: 
oltre  ad  essere  stata  nella  Lucania  anche  una  città 
denominata  Samo,  che  perciò  (lasciamo  stare  le  gre- 
che favole  )  dee  stimarsi  la  vera  terra  natale  del 
gran  sapiente.  Nota  è  altresì  la  quistione  che  a' 
passati  anni  promosse  Pietro  Giordani  intorno  alla 


296 
patria  di  Vilmvio,  consentendogli,  coni'  egli  affer- 
mò ,  il  Mezzofanti.  Perciocché  lo  stile  inculto  e  le 
voci  qua  e  là  prette  greche,  ch'usa  il  celebrato  ar- 
chitetto, non  parvero  a'due  valentissimi  cosa  d'uomo 
latino  fiorito  all'  età  di  Augusto  :  e  proposero  che 
fosse  slato  anzi  uno  schiavo  greco  fatto  poi  libero 
da  Yitruvio  Pollione.  Se  non  che  a  tale  sentenza 
fu  chi  contrappose,  che  là  dove  parla  Yitruvio  di  se, 
non  dice  mai  d'essere  nato  greco;  che  anzi  avvi  un 
passo  nel  libro  settimo,  nel  quale  egli  chiama  an- 
tichi nostri  i  romani:  e  che  in  fine  il  suo  stile,  poco 
veramente  culto,  ed  i  suoi  spessi  grecismi  non  deb- 
bono far  maraviglia  :  essendoché  anche  nel  secolo 
di  Augusto  potesse  un  nostro  artefice  non  solo  scri- 
vere senza  proprietà  ed  eleganza,  ma  con  molti  greci 
vocaboli,  molte  cose  avendo  pur  dovuto  traslatare 
dal  greco.  11  che  parmi  saviamente  opposto.  Non 
veggo  però  che  siasi  toccala  forse  la  maggior  ra- 
gione, ch'esclude  affatto  in  Yitruvio,  se  io  non  erro, 
la  qualità  di  liberto  greco,  ed  assicura  all'  Italia  1' 
onore  della  sua  nascita:  la  ragione  cioè  de'suoi  no- 
mi. Perchè  ninno  ignora,  che  tutti  gli  affrancati  appo 
i  romani  dovevano  avere  invariabilmente  prenome, 
nome  a  cognome.  Il  prenome  ed  il  nome,  com'è 
noto,  toglievano  dal  padrone  stesso  ncH'alto  che  loro 
concedeva  la  libertà:  ed  il  proprio  nome  servile  po- 
nevano per  cognome.  Ora  se  il  padrone  di  Yitru- 
vio architetto  chiamavasi  Yitruvio  Pollione ,  qual 
era  dunque  il  nome  del  servo  ?  Pollione  anch'esso? 
Ciò  non  par  possibile:  anche  perchè  Pollione  è  voce 
singolarmente  propria  del  Lazio  ,  dove  fra  le  altre 
cose  a  notarsi  era  la   tribù    Pollia.     Alcuni   storici 


\ 


297 

delle  arti,  e  con  essi  il  Milizia,  stimarono  pur  li- 
berto l'altro  architetto  C.  Postumio  Pollione.  Ma  una 
iscrizione  trovata  in  Terracina  ne  rivelò  Te  noie:  che 
ivi  Postumio  Pollione  mostrasi  chiaramente  latino 
ingenuo,  dicendo  l' iscrizione: 

C  .  POSTVMIVS  .  C  .  F  .  POLLIO  .  ARCIllTECTVS 

II.  Ciò  che  il  Giordani  ed  il  Mezzofanti  indusse 
a  dubitare  della  patria  latina  di  Vitruvio,  ciò  stesso 
ha  indotto  anche  me  a  dubitare  della  patria  affri- 
cana  del  poeta  comico  Terenzio.  Come  (ho  io  detto 
più  volte  tra  me)  come  in  un  servo  barbaro,e  nel  fiore 
degli  anni,  una  sì  rilucente  candidezza  e  venustà  di 
scrivere,  anzi  una  potenza  di  elocuzione  urbanissima, 
che  al  tutto  cambiò,  può  dirsi,  l'antico  latino,  e  die 
principio  al  vero  secolo  d'oro  della  favella  ?  Quale 
differenza  infatti  da  esso  a  Nevio  che  usò  V  orri- 
dezza de!  numero  saturnio,  e  a  Pacuvio  e  a  Cecilio 
scrittori,  giudice  1'  ai-pìnate,  di  riprovata  latinità  ? 
Qual  differenza  pure  da  lui  ad  Ennio  e  ad  Accio, 
i  versi  de'quali  menano  ancora  tanta  vecchia  sco- 
ria di  lingua  ?  Anzi  da  lui  al  gran  Plauto  ,  le  cui 
grazie  vanno  si  spesso  accattando  voci  e  frasi  scon- 
cissime dal  bordello  e  dall'  infimo  trivio?  Né  mi  si 
opponga  l'esempio  di  Fedro,  servo  tracio  :  perchè 
egli  visse  all'età  di  Angusto,  di  Tiberio,  di  Caio  e 
fors'anche  di  Claudio  ,  in  cui  fra  le  mani  di  tutti 
già  erano  i  nitidi  esemplari  del  dir  latino  :  sicché 
niun  debba  maravigliare  se  dopo  molti  anni  di  stu- 
dio nelle  opere  di  Terenzio,  di  Laberio,  di  Catullo, 
di  Calvo,  di  Lucrezio  ,  di   Virgilio  ,  di  Orazio  e  di 


298 
altri  poeti  elegantissimi,  potè  sorgere  anche  un  bar- 
baro ad  alcuna  lode  di  gentilezza  romana,  trattan- 
dosi specialmente  di  brevi  componimenti,  come  sono 
appunto  le  favolette  del  vecchio  Fedro.  Lungamente 
ho  perciò  pensato,  o  signori,  se  mai  per  alcun  modo 
potevasi  da  me  dimostrare  che  la  patria  di  Teren- 
zio Afro  non  sia  stata  veramente  che  Roma  ,  li- 
brando con  equa  bilancia  le  cose  favorevoli  o  con- 
trarie che  ce  ne  lasciarono  scritte  gli  antichi.  E  ben- 
ché io  non  sia  tale  presuntuoso  da  credere  per  me 
dimostrato  pienamente  il  fatto,  non  posso  con  tutto 
ciò  negare  d'essermi  dopo  molte  ricerche  sempre 
più  fondato  nella  mia  opinione,  e  d'aver  anche  in- 
dotto in  alcuni  eruditi  amici  una  probabilità  che 
tanto  uomo  fosse  non  pure  della  nostra  nazione  , 
ma  nato  romano.  Nel  che  però  non  saprei  affer- 
mare se  per  avventura  non  mi  abbia  prevenuto  al- 
cuno, principalmente  di  là  da'  monti:  ciò  solo  po- 
tendo assicurare,  di  non  averne  trovato  né  pur  so- 
spetto in  quanti  autori  m'  è  occorso  leggere  intorno 
a  Terenzio,  soprattutto  alemanni,  i  quali  sagacissi- 
mi in  siffatti  studi  di  critica,  in  cui  i  moderni  avan- 
zano di  tanto  gli  antichi,  mostrano  d'aver  serbato, 
forse  più  riverentemente  dei  dotti  d'ogni  altra  na- 
zione ,  il  loro  culto  agli  scrittori  immortali  della 
Grecia  e  del  Lazio.,  Ora  a  quale  autorità  meglio  che 
alla  vostra,  o  signori,  sottoporrei  la  mia  opinione  ? 
Chi  meglio  di  voi  invocherei  miei  giudici  ?  Fate 
dunque  coH'usata  benignità  di  prestarmi  udienza,  e 
compiacetevi  poi  di  decidere. 

in.  Di  Terenzio  va  intorno  una  vita  sotto  il  nome 
del  grammatico  Elio  Donato,  che    visse  nel  quarto 


299 

secolo  d&U'era  cristiana.  Niun  dotto  crede  però  che 
sia  opera  in  tutto  sua,  ma  sì  la  vuole  piuttosto  Un 
accozzamento  di  notizie  prese  a  brani  qua  eia  senz'or- 
dine e  critica  da  Fenestella,  da  Svctonio  (a  cui  tante 
vite  d'uomini  illustri  furono  falsamente  attribuite), 
da  esso  Donato  e  da  altri:  benché  alcune  sieno  forse 
vere,  come  si  usa  ne'romanzi,  dice  il  Pallavicino  : 
poca  istoria  e  molta  favola.  E  fra  le  favole,  e  le  più 
certe,  io  pongo,  l'aver  detto  che  gli  edili  inviarono 
il  giovane  Terenzio  nel  587  a  legger  l'Andria  a  Ce- 
cilio,  il  quale  si  sa  esser  morto  nel  585.  Non  ignoro 
che  il  Pighio,  il  Vossio,  e  con  essi  Ennio  Quirino 
Visconti,  senza  l'autorità  di  niun  codice  hanno  vo- 
luto emendare  Cecilia  in  Acilio,  solo  per  essere  Stato 
Manio  Acilio  Clabrione  uno  dei  due  edili  curuli  in 
quell'anno.  Ma  io  non  so  persuadermi  come  Teren- 
zio dovesse  dagli  edili  esser  mandato  ad  Acilio,  eh' 
era  appunto  uno  di  essi. Sembra  però  che  il  falso  Do- 
nato traesse  questa  notizia  coH'usata  inconsiderazione 
dalla  cronica  eusebiana  continuata  da  s.  Girolamo, 
dove  narrasi  la  cosa  in  modo  che  non  par  possibile 
d'attribuirla  ad  altri  che  a  Cecilio:  perciocché  scri- 
vesi  che  Terenzio  primam  Andriam,  ante  quanti  ae- 
dilihus  venderei  ,  Caecilio  muUiim  se  miranti  legit. 
Vuoisi  prova  ,  se  non  erro  ,  più  chiara  di  questa, 
che  in  ambedue  gli  autori  dee  leggersi  Caecilio  e 
non  Acilio  ?  Tanto  più  che  cosi  stampò  anche  il  Mai 
nell'edizione  romana  della  cronica  di  Eusebio  fatta 
latina  dal  dottor  massimo:  e  si  l'illustre  porporato 
aveva  veduti,  com'egli  nota,  ben  venti  autorevolis- 
simi codici  vaticani. 

IV.  Ora  in  siffatto  libro,  o  signori,  si  dà  contezza 


300 

che  P.  Terenzio  Afro  en  nato  schiavo  cartaginese, 
e  che  condotto  fanciullo  in  -Roma  fu  fatto  educare 
dal  suo  signore  Terenzio  Lucano  senatore,  e  poi  nia- 
nomesso.  Questa  notizia  non  travasi  registrata  nella 
detta  cronica  eusebiana  restituitaci  felicemente  in- 
tera per  una  versione  armena  dal  Mai  e  dal  Zohrab. 
Fu  dunque  tratta  da  altro  fonte  ,  e  probabilmente 
da  s.  Girolamo  ,  il  quale  nella  traduzione  latina  e 
continuazione  della  cronica  afferma  di  aver  fatto  non 
poche  giunte  ad  Eusebio,  togliendole  da  vari  autori 
con  opera,  egli  dice,  tumultuaria.  Obsecro  (così  scrive 
a'  suoi  amici  Vincenzo  e  Gallieno)  ut  quidquid  hoc 
tumultuarii  operis  est,  amicorum,  non  iudicum,  animo 
relegalis.  Ma  coH'ossequio,  che  avrò  sempre  altissimo 
a  sì  gran  dottore,  non  sarò  reputato  ardito  asserendo 
ch'egli  ,  spinto  dalla  fretta  ,  lasciò  forse  in  alcuna 
cosa  condursi  all'opinione  volgare  de'grammatici,  i 
quali  nello  scorcio  del  suo  quarto  secolo  ricanta- 
vano con  intera  confidenza  tante  fole  dfi  collegio  in 
fatto  d'antiche  istorie:  perchè  non  è  chi  non  sappia 
quanti  trascorsi  d'ogni  maniera  abbiano  i  critici  do- 
vuto correggere  nella  sua  cronica.  Si  è  testé  veduto 
ciò  che  anch'egli  scrisse  di  Cecilio  improbabilmente: 
ed  aggiungerò,  che  in  un  libro  ove  trattai  di  Quin- 
tiliano ebbi  anche  a  notarlo  col  Tiraboschi  d'  aver 
narrato  che  quel  retore  fu  condotto  di  Spagna  in 
Roma  da  Galba  nel  68  dell'  era  volgare  :  quando 
si  sa  di  certo  per  le  opere  stesse  di  Quintiliano, 
ch'egli  nacque  d'un  padre  ch'era  in  Roma  difensore 
di  cause:  che  qua  fanciullo  aveva  udito  levare  le  lodi 
grandi  di  Domizio  Afro,  di  Passieno  e  di  Decimo  Le- 
lio per  le  aringhe  in  difesa  di   Volusieno  Caluio:  e 


301 

ch'ei'iisi  perciò  reso  sco/are  di  esso  Doinizio,  il  quale 
secondo  Tacito  morì  nel  56,  cioè  dodici  anni  prima 
del  ritorno  di  Galba  (1).  Sicché  ho  per  probabilissimo 
che  quel  sì  romano  scrittore  nascesse  in  Roma,  e 
che  ciò  fosse  la  ragione  per  cui  non  potè  essere  da 
Marziale  annoverato  un  uomo  tanto  famoso  e  con- 
solare fra  gli  spagnuoli  illustri  dell'età  sua. 

V.  Doveva  però  il  falso  Denato  (o  colui  ch'egli 
copiò)andarsommamente  cauto  nell'assegnar  l'Affrica 
per  patria  a  Terenzio  :  perciocché  su  quel  princi- 
pio della  sua  compilazione,  così  di  leggieri  potuto 
ascriversi  a  Svetonio  ,  egli  ci  avverte  non  [liccola 
cosa:  che  cioè  L.  Fenestella  (contraddicendo  forse 
ad  alcuno,  che  anche  al  suo  tempo  per  la  voce 
Afer  reputava  il  poeta  un  servo  affricano)  già  ebbe 
ad  osservare,  essere  impossibile  che  Terenzio  fosse 
stato  preso  schiavo  nell'Affrica:  o  sia,  come  allora 
sonava  la  voce  Affrica,  nella  provincia  di  Cartagine: 
essendoché  dopo  la  seconda  guerra  punica,  in  cui 
nacque  indubitatamente  il  nostro  comico  ,  e  prima 
della  terza  ,  in  cui  morì  ,  sia  fuor  d'  ogni  credere 
che  nessun  cartaginese  si  facesse  schiavo  da'  ro- 
mani: a  ciò  repugnando  i  solenni  patti  di  pace  e 
di  alleanza  fra  le  due  nazioni.  Questa  osservazione 
fondata  così  sulle  nornje  della  ragion  delle  genti  , 
come  sulla  certa  autorità  della  storia,  da  tale  repu- 
latissimo  critico  e  storico  del  secolo  di  Augusto  , 
qual  fu  Fenestella,  cui  Lattanzio  chiamò  assai  dili- 
gente, basterebbe  per  se  sola  a  risolvere  affatto  in 
contrario  la  quistione    sulla  nascita   servile  di  Te- 


li) Lib.   I.   epigr.  62. 


302 

renzio  in  Cartagine.  Ma  v'  ha  pure  altra  cosa  non 
meno  essenziale  a  doveisi  in  ciò  considerare  chi  brut- 
tamente non  vuol  errare  ne'  primi  rudimenti  delle 
antichità  romane:  cosa  da  me  toccata  or  ora  par- 
lando di  Vitruvio.  Se  Afro  nel  nostro  comico  vo- 
leva indicar  la  patria,  qual  nome  adunque  egli  avea 
nella  sua  servitù  ?  Terenzio  Lucano  suo  signoie  gii 
avrà  dato  senza  dubbio  il  proprio  prenome  e  nome, 
ma  lesciatogli  per  cognome,  secondo  l'uso  immuta- 
bile, il  nome  servile.  Or  Afro  avrà  dovuto  di  ne- 
cessità chiamarsi  il  servo;  e  perciò  Afro  sarà  cer- 
tissimamente un  cognome,  e  non  mai  un  pretto  de- 
rivativo di  patria.  Del  qual  cognome  tratteremo  più 
oltre. 

VI.  Quanto  al  prenome  Publio  accade  però,  al 
nostro  proposilo  una  cosa  curiosa:  ed  è  che  di  tutti 
i  Terenzi  Lucani,  de'quali  ci  sia  rimasa  notizia,  nes- 
suno ha  esso  prenome.  Caio  si  disse  quel  Teren- 
zio Lucano  ,  di  cui  ne'  tesori  abbiamo  alcune  mo- 
nete ;  personaggio  che  il  Riccio  con  probabili  ra- 
gioni vuol  esser  fiorito  poco  dopo  la  battaglia  di 
Canne,  che  fu  combattuta  nel  537.  Caio  si  chiamò 
pure  quell'altro,  di  cui  ci  parla  Plinio  il  vecchio  (I): 
e  Caio  dovette  chiamarsi  altresì  l'avo  di  lui,  da  chi, 
secondo  esso  Plinio,  fu  adottato:  e  Caio  si  sarà  chia- 
mato anche  suo  padre,  se  fu  primogenito  e  nacque 
dopo  il  514,  quando  per  una  legge  dataci  da  Mas- 
simo Planude  e  poi  dal  Mai  ne'frammenti  di  Dione, 
e  dottissimamente  al  suo  solito  interpretata  dal  mae- 
stro sommo  di  queste  dottrine  Bartolomeo  Borghe- 


(1)  Lib.  XXXV  cap.  7. 


303 

si  (I)  ,  fu  ordinato  che  i  padri  dovessero  sempre 
imporre  a'Ioro  primogeniti  il  proprio  prenome.  Disse 
il  Pighio  negli  Annali  d'aver  trovato  in  un  suo  co- 
dice della  vita  scritta  dal  falso  Donato,  codice  non 
sappiamo  di  qual'età,  chiamarsi  Publio  chi  affrancò 
Terenzio  comico.  Certo  se  fosse  vera  la  libertà  da 
lui  conseguita,  il  padrone  che  glie  la  dio  non  poteva 
che  avere  il  prenome  Publio.  Ma  ciò  non  si  è  ve- 
rificato finora  per  nessuna  testimonianza  nò  di  scrit- 
tore antico,  né  di  moneta,  né  di  altro  manoscritto 
dell'anzidetta  vita:  ed  aggiungasi,  né  pur  di  quella 
che  da  un  codice  ambrosiano  del  secolo  nono  ci  diede 
il  Mai.  Non  dee  dunque  aversi  che  per  una  dotta 
illazione.  Ed  anche  domanderei  ad  esso  Pighio  se 
egli  crede  da  senno,  che  il  padrone  del  comico  dovesse 
solo  nel  576  ,  com'egli  avverte  pure  negli  Annali  , 
aver  ottenuto  la  questura:  ufficio  da  giovane  di  circa 
ventisette  anni,  secondo  ch'era  determinato  per  la 
legge  Villia  stanziata  due  anni  avanti  :  perchè  non 
potendo  Terenzio  Lucano,  prima  delle  ordinazioni  di 
Siila,  essere  stato  senatore  che  dop  o  quella  dignità 
per  elezione  censoria,  tale  dunque  non  era  né  quando 
si  dice  aver  comprato  il  fanciullo  schiavo  affricano, 
che  vuoisi  nato  verso  il  559:  nò  quando  si  affer- 
ma avergli  dato  assai  per  tempo  la  libertà.  Dissi  non 
essersi  verificato  il  prenome  Publio  nò  pure  per  ve- 
vun-d  moneta:  perché  è  ben  vero  che  Publio  Teren- 
zio credesi  leggere  in  un  asse  pubblicato  dall'Eckhel, 
e  in  un  piccolo  bronzo  posseduto  dal  Borghési,  ma 
non  avendo  il  cognome  Lucano  ,  non  fa  punto   al 


(1)   Giornale  arcadico,  gennaio    1829. 


304 

caso  nostro:  tanto  più  che  ninno  sa  chi  egli  vera- 
mente si  fosse:  ed  anzi  essendo  e  nell'asse  e  nel 
bronzo  il  TE  in  nionogramma,  può  leggersi  in  di- 
versi modi,  osserva  TEckhel,  e  a  diverse  genti  as- 
segnarsi. 

VII.  Il  vocabolo  Afer,  aggiunto  al  nome  di  Te- 
renzio, è  stato  certamente  cagione  che  alcuni,  sen- 
z'altro considerare,  abbiano  creduto  il  comico  es- 
sere affricano.  Il  che  non  è  a  maravigliare  nel  pre- 
teso Donato  e  ne'  suoi  pari:  ma  doveva  ,  come  di 
volgarissimo  abbaglio,  far  ridere  Fenestella  impugna- 
tore fino  dal  secolo  augusteo,  secondo  che  si  è  ve- 
duto, della  servitù  di  Terenzio  :  quel  Fenestella,  il 
quale  ben  sapeva  che  Afer  era  fra' latini  un  puro 
cognome,  non  altrimenti  che  tanti  altri,  dì  cui  ora 
nessuno  saprebbe  render  certa  ragione:  quando  non 
volesse  stimarsi  della  condizione  di  quelli  che  ven- 
nero tratti  da  alcun  colore,  come  Albus,  Candidii'i, 
Flavits,  Piuber,  Rufus,  Fusciis,  A7j/er,  Pnllus,  cogno- 
mi altresì  in  tanta  usanza  fra'  nostri.  La  qual  cosa 
parve  anche  verisimile  al  celebre  F.  Labbè(l):che 
però  sembra  non  essersi  ricordalo  di  un  passo  di 
Sparziano  (2),  dove  assolutamente  d'  un  color  afro 
intese  colui,  che  in  nome  di  Apollo  Delfico  scherzò 
intorno  a  Pescennio  Nigro,  a  Settimio  Severo  e  ad 
Albino,  i  quali  si  disputavano  V  impero:  Opthnus  est 
fuscus,  bonus  afer,  pessimus  albus.  Infatti  doveaFe- 


(1)  Le$  etitnologies  de  plusieurs  mots  francais,  arlic.  Afreux. 
<i  le  le  ferois  bien  plutost  venir  des  moms  latìns  jifer ,  Africus  , 
Africanus,  pour  signifier  un  more,  basann«?,  elhiopien.  Et  cui  per 
mediam  nolis  occurrere  noctetn  n. 

(2)  la  Pescennio. 


305 

neslL'Ilii  aver  conosciuto  quel  Tedio  Afro,  di  cui  ci 
palla  SveU-nio  come  di  consolo  disegnalo  da  Augu- 
sto: uomo  di  stirpe  certameulti  Ialina,  e  forse  della 
città  di  (]oii,  dove  si  ha,  recata  nel  tesoro  mura- 
toriano,  una  Ia[)ide  sepolcrale  de'suoi  liberti.  Non 
altrimenti  che  latino  di  stirpe  diremo  senza  dubbio 
il  consolo  Senecione  Menimio  Afro,  del  quale  abbia- 
mo una  bella  iscrizione  in  Tivoli  postagli  dal  figliuolo 
L.  Memmiu  Tuscillo.  E  non  si  sa  inoltre,  per  testimo- 
nianza IneCragabile  di  Tacito,  che  il  famoso  oratore 
Domrzio  Afro  era  nativo  di  Nimes  nella  Gallia  Narbo- 
nese:  che  d'  Italica  nella  Betica,  secondo  che  rendono 
fede  Sparziano  e  Xifilino,  era  il  pretore  Elio  Adriano 
Afro  padre  dell'  imperatore  Adriano:  e  che  ingenuo,  e 
figliuolo  di  un  Publio  della  tribi"i  Voltinia,  era  il  tri- 
buno e  flamine  auguslale  C.  Fasserio  Afro  ,  di  cui 
abbiamo  mernoria  ne' diplomi  imperiali  del  Cardi- 
nali ?  Afro  inolile  fu  anche  nome  in  Ispagria,  co- 
me si  ha  da  un'  iscrizione  di  Ruanes  nella  Galizia 
riferita  dal  Masdeu  (1)  e  da  altri  ,  nella  quale  si 
legge  AFER  .  Al.BiNI  .  F  .  TVROLYS  .  Cosa  ridicola 
e  affatto  da  novelli  in  queste  nostre  dottrine  del- 
l'antichità ò  il  far  caso  de'  nomi  e  cognomi  a  de- 
terminare la  patria  di  alcuno:  perciocché,  per  tacere 
innumerabili  esempi,  era  di  Saintes  l'oratore  Giulio 
Affricano,  di  cui  parlano  Tacito  e  Quintiliano;   era 


(1)  Storia  critica  della  Spagna,  tomo  secontlo  ,  parte  prima, 
pag.  38.  Sembra  da  ciò  pure,  o  io  m'  inganno,  inferirsi  che  afro 
era  agli  antichi  anche  un  colore,  e  che  forse  il  padre  spagnnolo 
di  Afro  Turolo  intese  nel  nome  di  lui  scherzar  di  parole:  percioc- 
ché chiamandosi  egli  bianchina,  volle  probabilmente  per  capriccio 
chiamar  nero,  o  morato,  il  Hgliuolo. 

G.A.T.CXLV.  20 


306 

di  Bi'escello  Tallro  Giulio  Affricano,  del  quale  ab- 
biamo ricordo  negli  antichi  marmi  modenesi  del 
Cavedoni:  di  Vienna  nelle  Gallie  il  consolo  P.  Va- 
lerio Asiatico,  secondo  l'autorità  d'esso  Tacito:  di 
Tivoli  il  celebre  grammatito  Q.  Cecilio  Epirota,  di 
chi  scrisse  la  vita  Svetonio:  del  paese  de'marsi  Vi- 
l'idia  Faentina  notaci  per  un  marmo  muratoriano  : 
di  Saldi  nella  Mauritania  C.  Petronio  Fiorentino  no- 
toci  pure  per  un  marmo  gruteriano:  di  Verona  ,  e 
figliuolo  ingenuo  di  un  decurione,  P.  Ostilio  Cam- 
pano, di  cui  ci  reca  una  lapide  il  Maffei  nel  museo 
veronese-  Che  piii  ?  Era  nostra  ingenua  la  giovinetta 
di  dieci  anni  Terenzia  Asiatica,  sulla  cui  morte  ab- 
biamo così  affettuosi  versi  in  una  iscrizione  della 
villa  Albani.  Chi  volesse  fondarsi  in  fine  sopra  un 
vago  cognome,  dovrebbe  pur  credere  che  dal  paese 
de'cimbri  ci  venissero  e  lo  storico  latino  Annio  Cim- 
bro e  quel  Tillio  Cimbro  che  fu  uno  degli  uccisori 
di  Cesare,  dal  paese  de'galli  l'oratore  Asinio  Gallo, 
ed  il  poeta  Anneo  Lucano  dalla  Lucania. 

Vili.  Arroge  che  siccome  non  ho  per  vero  che 
niun  uomo  della  Grecia,  altro  che  per  una  partico- 
lare stranezza,  siasi  per  nome  proprio  chiamato  Gre- 
co od  Elleno,e  niun  uomo  della  Bitinia, delia  Numidia, 
della  Gallia,  della  Spagna  chiamato  Bitino,  Numida, 
Gallo  ed  Ispano,  così  non  ho  che  niun  uomo  della 
provincia  d'  Affrica  siasi  appellato  spezialmente 
Afro  e  Affricano.  Chi  tal  si  chiama,  appartenne  o 
al  numero  de'  servi  pubblici j  se  ha  alcun  nome  di 
municipio,  o  a  quello  dei  verne,  o  sia  de'  servi  nati 
in  casa,  ai  quali  il  padrone  imponeva  il  nome  che 
meglio  piacevagli,  traendolo  talvolta  dalla  patria  o 


307 

dalla  nazione  di  chi  gli  avea  generati.  Nel  che  m' 
incresce  di  non  [joter  consentire  così  coi  Panvinio 
e  coirOrsato,  come  co'dotti  amici  Girolamo  Amati 
e  Giuseppe  Melchiorri  (1):  i  quali  stimando  che  P. 
Elio  Affricano,  liberto  dell'  imperatore  Adriano,  senza 
più  fosse  di  nascila  aflVicano  ,  e  non  recasse  quel- 
l'aggiunto al  nome  come  un  mero  cognome  (chi  sa 
da  che  derivatogli),  giudicarono  che  un  busto  tro- 
vato presso  il  sepolcro  posto  da  esso  Elio  Affricano 
all'altro  liberto  M.  Ulpio  Cantone  rappresentasse  il 
poeta  Terenzio.  Ma  io  ardisco  negarlo  senza  quasi 
niun  dubbio,  benché  coli'  ossequio  debito  alla  me- 
moria dei  due  nostri  onorandi  colleghi:  essendoché 
il  busto  ,  che  poi  il  Melchiorri  collocò  nel  museo 
capitolino,  rechi  sul  petto  la  maschera  tragica,  an- 
ziché la  comica:  e  quel  ch'è  più  ,  non  abbia  raso 
il  mento,  secondo  che  all'età  di  Terenzio  era  1'  uso 
costantissimo  così  de'liberti  come  degl'  ingenui:  né 
ha  esempio  infetti  nelle  altre  antiche  immagini  più 
probabili  che  del  comico  ci  dà  il  Visconti  nell'  ico- 
nografia romana.  Tanto  che  io  stimo,  esser  quella  l' 
effigie  di  qualche  attor  tragico  de'tempi  di  Adriano, 
e  forse  del  medesimo  Ulpio  Caritone:  sapendosi  che 
i  romani  ,  salvo  alcuni  che  atfettavano  rigida  filo- 
sofìa, non  cominciarono  di  nuovo  a  lasciarsi  crescer 
la  barba,  se  non  regnante  Adi'iano,  per  adulare  a  quel 


(1)  Amati,  Giorn.  arcadico  tomo  XXXIII  pag.  109  11.0.  = 
Melchiorri,  Cenni  intorno  ad  uiifanlico  busto  del  museo  capitolino 
creduto  rappresentare  il  ritrailo  del  poeta  comico  latino  P.  Te- 
renzio Affricano.  Negli  Annali  nell'  istituto  di  corrispondenza  ar- 
cheologica voi.  XII. 


308 

principe,  il  quale  a  cagione  di  caria  sua  sconcezza 
del  viso  costumò  portarla. 

IX.  11  fatto  è,  0  signori,  che  salvo  L.  Fenestella, 
il  quale  fino  dai  tempi  di  Augusto,  giova  ripeterlo, 
negò  in  Terenzio  la  possibilità  d'essere  stato  schiavo 
alfricano,  niuno,  per  quanto  sicuramente  si  sa,  de- 
gli antichi  che  fiorirono  prima  del  quarto  secolo  dei- 
Pera  volgare  ci  ha  parlato  mai  della  straniera  sua 
patria,  e  molto  meno  ce  lo  ha  detto  servo  o  liberto: 
non  essendo  noto  quando  vivesse  quel  Mezio  (  ri- 
ferito dal  falso  Donato),  il  quale  però  lo  volea  non 
liberto,  ma  libertino,  o  sia,  come  in  antico  signifi- 
cava questo  vocabolo,  figliuolo  di  liberto.  E  sì  Cice- 
rone fra  gli  altri  lo  ricorda  più  volte:  né  mai  dà 
sentore  di  reputarlo  se  non  romano  e  nato  libero. 
Inoltre  Terenzio  stesso  nomina  sé  ne'suoi  prologhi: 
e  si  consideri  in  qual  modo  usa  farlo  conveniente 
in  tutto  ad  ingenuo.  Perciocché  essendo  egli  fami- 
liarissimo  nelle  case  degli  Scipioni  e  dei  Leli  ,  e 
conversando  perciò  co'principali  della  repubblica, non 
chiamò  quei  nobilissimi  personaggi,  nel  Punitore  di 
se  stesso,  con  altro  titolo  che  di  amici,  come  suoi 
aiutatori  che  si  dicevano  a  comporre  le  commedie: 
Amicum  ingenio  frelum.  Il  qual  titolo  così  pubblica- 
mente dato  ad  uomini  di  tale  nobiltà  e  grado 
quanto  possa  convenirsi  all'ossequio  di  un  liberto  in 
quel  secolo,  lascio  giudicarlo  ad  altri:  di  un  liberto  che 
standosi  ancora  fra  la  feccia  della  plebe  nelle  tri- 
bij  urbane  ,  era  non  solo  escluso  da  ogni  ufficio 
dello  stato,  ma  perfin  soggetto  alla  viltà  delle  pub- 
bliche battiture,  e  vietatogli  perciò  di  congiungersi 
con  una  ingenua  e  d'esser  descritto  nell'onorata  mi- 


309 

lizia  (Ifìlle  legioni.  Non  eh'  io  creda  vero  che  aiiilnlori 
e  compagni  a  scrivere  le  sue  opei'e  gli  fossero  stali 
principalmente  Scipione  Emiliano  e  Lelio:  comecliò 
fii  Lelio  ci  affermino    Cicerone  e  Cornelio    Nipote 
esser  fama:  e  di  Scipione  l'abbiano  creduto  Q.  Mem- 
mio,  Valgio  e  Quintiliano.  Ma  seguirò  meglio  il   pa- 
rere di  chi  considera,  essere  stati  allora  assai  giovani 
sì  Scipione  e  sì  Lelio  pe.-ehè  da'  romani  potessero 
stnnarsi  valenti  a  tanta  bontà  d'arte  non  solo  di  stile, 
ma  di  opere  così  gentilmente  imitate  dalle  più  per- 
fette greche  di  Menandro  e  di  Apollodoro.  Se  infatti 
Scipione  nacque  nel  .568  ,  aveva  egli  dunque  solo 
diciannove  anni  quando  nel  587   Terenzio  ponea  sul 
teatro  la  sua  prima  commedia,  l'Audria:  e  pochi  più 
anni  doveva  aver  Lelio,  che  da  Cicerone  nel  primo 
della   Repubblica  ci  è  detto  maggiore  di  età  del  suo 
magnanimo    amico.    Oltreché  se  in   Lelio  fu  vera- 
mente indole  gaia  e  faceta  ,  secondo  esso  Cicerone 
ne'hbri  degli  UfHci  e   dell'Oratore,  e<l  avrebbe  po- 
tuto bene  in  cose  comiche  aiutare  Terenzio  ,   Sci- 
pione all'incontro  non   pare  che  a  ciò  fosse  idoneo, 
come  quegli  che  grave  di  natura,  non  altrimenti  che 
il  vecchio  Catone  suo  maestro,  era  anche  inchine- 
vole alla  tristezza  per  testimonianza  pure  dell'arpi- 
nate  nel  primo  degli  Uffici    Certo  è  che  nò  dell'un 
giovane  nò  dell'altro,  preclarissimi  sì,  ma  non  eletti 
ancora  a  veruna  dignità  ,  poteva  Terenzio  vantarsi 
nel  prologo  degli  Adelfi  d'avere  la  compagnia  e  V 
amto  a  scrivere,  se  così  ci-edevano  i  suoi  malevoli: 

Nam  qnod  isti  dicuM  malevoli,    homines   nobiles 
Elmi  adhilare,  assidueijiie  una  scribere: 


310 

Quod  ìlli  maìediclìnn  vchemens  existimant, 

Enrn  Inndem  hic  ducit  maximam:  cum  illis  placet, 

Qui  vohis  universis  et  populo  piacenti 

Quorum  opera  in  bello,  in  olio,  in  negolio. 

Suo  quisque  tempore,  usus  est  sine  superbia. 

Il  perchè  Santra  antico  critico  e  autore,  forse  al- 
l'età di  Cesare,  d'un'  opera  sugli  uomini  illustri,  cre- 
dette che  tali  persone  di  sì  gran  governo  in  pace  ed 
in  guerra  dovessero  anzi  essere  C  Sulpicio  Gallo, 
Q.  Fabio  Laheone  e  M.  Popillio,  letterati  che  allora 
fiorivano  e  consolari,  e  i  due  ultimi  anche  poeti. 
Veggasi  adunque  con  quali  uomini  praticava  insieme 
Terenzio  domesticamente  in  tempo  che  ancora  la  no- 
biltà romana  tenevasi  in  dignità  e  grandigia  ,  e  i 
servi  affrancali  non  erano  peianco  usciti  dell'umiltà 
e  modestia  della  lor  condizione.  Né  praticava  solo  con 
essi,  ma  in  pieno  po[)olo,  come  ho  detto,  nominava!! 
amici:  non  altrimenti  che  amico  appresso  Cicerone 
nel  libro  dell'Amicizia  lo  chiama  Lelio  il  sapiente, 
già  stato  consolo,  dandogli  quel  nobile  titolo  di  fa- 
miliaris  meus  ,  cui  dà  in  altri  luoghi  allo  stesso 
Em.iliàno. 

X.  Io  non  so  d'onde  il  falso  Donato  abbia  tratto 
la  notizia  della  figliuola  di  Terenzio  sposatasi  ad 
un  cavaliere  romano-  Quando  vera  fosse  la  cosa, 
proverebbe  ella  ognor  più  che  Terenzio  fu  ingenuo 
d'origine  e  non  servo-  Certo  non  mi  è  noto  che  d'al- 
tro tal  matrimonio  si  abbia  esempio  in  quel  tempo. 
Se  le  nozze  fra  gl'ingenui  e  le  liberto  erano  seve- 
ramente ancor  vietate,  e  solo  per  un  rarissimo  pri- 
vilegio, e  per  un  senatusconsulto,  ci  dice  Livio  che 


311 

furono  concedute  nel  567  fra  P.  Ebuzio  ed  Ipsala 
Fecennia  in  premio  d'aver  rivelato  le  infamie  de'bac- 
canaii;  non.  ha  dubbio  che  anche  quelle  con  la  fi- 
gliuola di  un  liberto  dovevano  aversi  per  mal  con- 
venevoli a  famiglia  equestre,  potendo  dare  a  coloro 
che  di  esse  nascevano,  senatori  o  magistrati  curuli, 
siffatta  madre  ed  un  avo  servo  manomesso.  Dirò  anzi 
che  ciò  stimavasi  al  tutto  disonorevole  fìtio  nell'età 
licenziosa  degli  ultimi  anni  della  repubblica:  quando 
Cicerone  nella  secoda  filippica  rimproverò  M.  An- 
tonio, benché  di  gente  plebea  nò  asceso  ancora  alle 
sotnme  dignità  dello  stato,  d'aver  contratto  matri- 
monio con  Fulvia  nata  del  liberto  Q.  Fadio  Bam- 
balione:  non  reputando  ignominia,  grida  l'eloquente 
oratore,  che  i  suoi  figliuoli  dovessero  chiamarsi  ni- 
poti di  un   Q.  Fadio  liberto. 

XI.  Ma  v'  ha  di  più.  S.  Agostino  fu  affricano  , 
e  dottissimo  delle  cose  romane,  secondo  che  fanno 
fede  i  suoi  scritti  ,  e  principalmente  la  immortale 
opera  della  Città  di  Dio,  tesoro  inesausto  di  sapien- 
za e  di  erudizione  latina.  Oso  an/j  dire  che  nes- 
suno fra'  padri  ebbe  più  di  lui  alle  mani  i  nostri 
scrittori  e  meglio  conobbe  le  romane  antichità.  Or 
egli  appunto  in  un  luogo  della  Città  di  Dio  (1)  no- 
mina Terenzio,  e  volgendo  il  discorso  a'romani  Io 
chiama  TereiiUus  vester.  Permettete,  o  signori,  che 
qui  vi  reciti  il  passo  importantissimo:  Indignum  vi-- 
delicei  fuit  ut  Plaulus  aut  Nàeviiis  Publio  et  Cneo 
Scipioni,  ani  Caecilius  Marco  Catoni  melediceret,  et 
dignum  fuit  ut    Terenlius  vefiler,  flagitio  lovis  optimi 

(1)  Lib.  11  cap.  12. 


312 

maximì,  adolesccnlium  vequiliam  coìicitarcl?Ho  detto 
iinpoitnntissiino  questo  passo:  e  vorrò  mantenerlo. 
Imperocché  qual  fu  la  cagione  per  cui  S.  Agostino 
disse  vesler  ai  romani  il  solo  Teienzio,  o  tale  non 
disse  Plauto,  Nevio  e  Cecilio  ?  Forse  non  fiu'ono  la- 
tini anche  (juesli  poeti  ?  S\  furono  :  ma  niuuo  dei 
tre  uscì  di  stirpe  romana:  essendo  sialo  Plauto  na- 
tivo diSarsina,  Nevio  delia  Campania,  Cecilio  delle 
parti  d'Insubria.  Perciò  non  par  dubbio,  che  l'insi- 
gne vescovo  d'Ippona  nel  dir  vostro  ai  romani  Teren- 
zio ben  mostrasse  sapere  eh'  egli  non  era  suo  na- 
zionale d'Affrica:  nò  lo  reputava  tale.  Si  vorrà  forse 
che  usi  quell'espressione  perchè  Terenzio  in  Pioma 
fiorì?  Ma  non  ci  fiorirono  anche  Plauto,  Nevio  e  Ce- 
cilio ?  Fiorirono  in  Francia  ,  e  per  legge  vennero 
scritti  fra  que'nazionali,  i  nostri  Gian-Domenico  Cas- 
sini, Luigi  Lagrangia,  Ennio  Quirino  Visconti,  Pelle- 
grinoRossi.E  nondimeno  nessun  italiano,  e  sia  pure  il 
men  tenero  della  patria,  parlando  ai  fiancesi  dirà  mai 
il  vostro  Cassini,  il  vostro  Lagrangia,  il  vostro  Vi- 
sconti, il  vostro  Rossi. 

XIL  Sicché  per  le  cose  esposte  a  me  non  pare 
alieno  da  grande  probabilità,  se  non  pare  anzi  cer- 
tezza, che  la  parola  afer  aggiunta  al  nome  di  Teren- 
zio non  sia  che  un  puro  cognome  ,  senza  nessuna 
attenenza  coll'Affrica,  come  abbiamo  veduto  negli 
esempi  di  Tedio  Afro,  di  Senecione  Memmio  Afro, 
di  Domizio  Afro,  d'Elio  x\driano  Afro,  di  Passerio 
Afro  :  e  che  perciò  quando  Volcazio  appo  il  falso 
Donato  disse: 

Sed  ni  Afer  sex  popuìo  edidil  comoedias: 


313 

non  debba  credersi  che  A/er  voglia  significare  altro 
ch'esso  cognome  di  Terenzio:  alla  guisa  stessa  che 
Afer  senza  più  fu  detto  il  gallo  Domizìo  Afro  da 
Plinio  il  giovane  (1):  Sed  liacc  quoque  herediias  Afri, 
ut  reliqua  cum  fratre  quaesita,  trasmiltenda  eral  filiae 
fratris:  e  da  Quintiliano  (2):  Sic  Afer  cum  ageret  con- 
tra  lìberlum  Claudii  caesaris. 

Tali  sono,  o  signori,  le  cose  che  intorno  alla  pa- 
tria del  poeta  comico  Terenzio,  la  quale  io  stimo 
essere  la  nostra  Roma  ,  ho  voluto  soltomellere  al 
vostro  grave  giudizio:  a  cui  avrò  sempre  grandis- 
sima riverenza  ,  nulla  di  me  piesumendo  ,  né  uso 
giammai  ad  esser  caparbio  in  alcuna  letteraria  opi- 
nione. 


(1)  Lib.  Vili    epist.  18 

(2)  Iiislit.  oralor.   lib.  VI  cap.3. 


314 

Sulle  pitture  del  cav .  Francesco  Co(jhelti  da  Bergamo 
Lettera. 
Di  Roma,  addi  30  dicembre  1856. 

Non  e  impresa  da  pigliare  a  gabbo  il  poter  sod- 
disfare al  tuo  desiderio  ,  eh' io  poi  ti  cioè  giudizio 
intorno  alle  opere  del  pittore  Francesco  Coglietti  da 
Bergamo  ,  e  te  ne  scriva  un  elenco.  Tu  sai  quale 
svantaggio  abbiano  le  arti  che  tolgono  ad  imitare 
la  natura,  volendo  tutti  su  quelle  squadrarti  i  loro 
giudizi.  Pur  troppo  siffatti  maestri  del  bello,  i  quali 
sputano  sentenze  dai  loro  tripodi  (talvolta  misera- 
bili trespoli),  si  trovano  a  dovizia!  Ma  io  mi  ricordo 
del  detto  d'Apelle  ,  né  voglio  essere  mandato  a 
mazzo  colle  scarpe  ,  né  intendo  pormi  al  mestiere 
di  lodatore  o  di  censore.  Non  vi  furono  dei  tristi, 
i  quali  anteposero  un  Marini  ad  un  Alighieri ,  un 
Borromini  ad  un  Bramante,  un  Le  Brun  ad  un  Buo- 
narroti, e  fino  un  Le  Sueur  ad  un  Raffaello  ?  E  non 
vediamo  lodare  ad  ogni  piò  sospinto  le  opere  più 
goffe,  deformi  e  sconce  ? 

Digiuno  qual  io  mi  sono  delle  discipline  dell'arte 
mi  ristringerò  a  desciivcrti  1'  ultimo  quadro  con- 
dotto dal  Coghetti,  aggiungendo  in  fine  un  breve 
compendio  de' suoi  lavori. 

Questo  valente  artefice  ha  operato  non  poco  nel- 
l'alta Italia:  quindi  tu  stesso  potiai  chiarirti  del  suo 
merito,  e  portarne  più  competente  giudizio. 


315 

La  tela  che  ammirasi  oggi  nello  studio  di  que- 
sto esimio  e  modesto  pittore,  da  porsi  nella  chiesa 
parrocchiale  di  Ranica,  paesello  vicin  di  Bergamo, 
rappresenta  il  martirio  dei  sette  figliuoli  di  santa  Fe- 
licita. Già  quattro  di  cotesti  valorosi  campioni  della 
fede  conseguirono  la  palma,  e  tu  gli  vedi  giacere 
in  terra  quali  sull'innanzi  del  quadro  in  bellissimo 
scorcio,  e  con  le  loro  tinte  livide  dar  maggior  ri- 
salto alle  altre  figure:  quali  alquanto  più  Indietro. 
Dalla  parte  destra  il  pretore  romano  sceso  dal  suo 
seggio,  non  volendo  che  una  debole  femmina  e  quat- 
tro suoi  figliuoli  possano  farsi  beffe  del  suo  idolo  di 
Marte,  che  poco  lontano  si  scorge  coH'ara  fumante, 
si  fa  innanzi  e  pone  ogni  studio  a  persuadere  la 
forte  donna  che  abbia  insieme  coi  figliuoli  super- 
stiti ad  adorare  il  nume  se  non  ama  di  essere  in- 
teramente orbata. 

Santa  Felicita  è  posta  ginocchioni  sur  un  pia- 
nerottolo della  scala  che  conduce  al  tempietto  del 
falso  nume,  apre  le  braccia,  e  volge  con  magna- 
nima rassegnazione  e  fortezza  il  capo  e  gli  occhi  al 
cielo  pregando  che  piova  su  tutti  loro  il  divino  aiuto 
a  meritare  l'eterna  corona,  che  già  già  si  vede  pen- 
derle sul  capo  per  mano  di  un  angelo. 

La  scena  rappresenta  quell'ansia  degli  animi  che 
in  siffatto  momento  è  propria  della  natura.  Tutti 
pendono  dal  labbro  della  santa.  Due  figliuoli  sono 
tuttora  in  compagnia  della  madre,  dei  quali  uno  le 
si  avvinghia  al  collo  e  vuoisi  strappare  da  un  car- 
nefice, mentre  l'altro  è  a'suoi  piedi  stringendosi  for- 
temente al  fratello,  e  facendosi  velo  di  esso  abbassa 
il  capo  per  non  vedere  due  leste  mozzate  ai  mar- 


316 

tirizzati  suoi  fratelli,  le  quali  due  mnnigoldi  levano 
alto  con  tutto  il  braccio  sì  per  atlerirc  i  su[terstiti 
e  si  per  indurli  in  un  colla  madre  a  rinnegar  Cri- 
sto. Mentre  comnriuovono  gli  animi  di  tutti  a  que- 
sto speltacolo  ,  sul  dinanzi  del  quadro  havvi  un  fi- 
gliuolo di  più  provetta  età,  che  dispregiando  le  blan- 
dizie de'suoi  seduttori  e  certo  che  la  arrazia  divina 
trionferà  in  tutta  la  Simigliti,  posto  ginocchioni,  colle 
mani  avvinle  dietro  e  dinudato  nella  schiena,  aspetta 
che  il  carnetlce,  che  già  lo  ha  afferrato  per  le  chiome 
colla  mano  sinistra  ,  gli  mozzi  colla  scimitarra  il 
collo  dal  busto,  nò  punto  si  lascia  svolgere  alle  lu- 
singhe e  agi'  incitamenti  che  vorrebbero  togliergli 
di  mano  il  celeste  guiderdone.  A  sì  mirabile  fer- 
Mìczza  della  santa  famiglia  nppare  sdegnato  il  sacer- 
dote, il  quale  vestito  di  bianchi  lini  ,  al({uanto  in- 
dietio  nel  mezzo  del  quadro,  facendo  spiccare  per 
iscuro  le  altre  ligure,  si  allontana  fremente  e  dispet- 
toso da  un  luogo  ove  le  arti  sue  tornarono  vane. 
Compie  poi  il  fondo  dalla  [larte  sinistra  una  specie 
di  loggiato,  su  cui  veggonsi  alcuni  spettatori  in  suH' 
aito  che  assistono  con  vari  affetti  a  quel  tremendo 
ed  insieme  sublime  spettacolo. 

Le  figure  sono  maggiori  che  il  naturale-  Ogni 
cosa  vi  è  condotta  con  sapere  ,  diligenza  e  giusta 
armonia  delle  tinte,  che  sono  anche  a  tempo  e  luogo 
gagliarde,  risentite  e  delicate.  È  bene  intesa  la  di- 
sposizione de'Iumi  e  dell'ombre:  e  tanta  ne  è  la  mae- 
stria, che  le  figure  rilevano  a  maraviglia  dal  campo. 
In  somma  il  quadro  mostra  benissimo,  è  veramente 
bello,  e  degno  di  un  professore  che  leva  sì  meritata 
fama  nel  bel  paese. 


Eccoti  qui  in  succinto  il  catalogo  delle  princi- 
pali opere  ch'egli  condusse  sì  a  olio  come  a  fresco. 

Pillwe  a  olio. 

[•  Per  la  regina  Maria  Cristina  di  Sardegna  ; 
Eugenio  III  papa  che  veste  1'  ahito  di  crociato  ad 
Amedeo  III  di  Savoia;  figure  condotte  un  terzo  del 
natuiale. 

2.  Nella  chiesa  di  s.  Michele  nella  parte  alta 
della  città  di  Bergamo  dipinse  s.  Michele  con  vari 
santi  grandi  (pjanto  il  vivo. 

3.  Per  s.  Paolo  in  Roma:  santo  Stefano  cacciato 
dal  sinedrio,  figure  maggioì-i  che  il  naturale;  quadro 
allogato  nella  cappella  dedicata  al  medesimo  santo. 

4-.  Alla  stassa  hasilica  fece  pure  il  martirio  di 
s.  Lorenzo,  tela  posta  nella  cappella  utHciata  dai  mo- 
naci; le  figure  sono  poco  maggiori  del  vivo. 

5.  Una  scena  del  diluvio  per  l'accademia  del  Mes- 
sico, di  grandezza  natuiale. 

6.  Per  Calcinate  vicin  di  Bergamo  condus'se 
un'  Assunta  con  figui-e  maggiori  del  vivo. 

7.  II  cardinale  Brignole,  ritratto  al  naturale. 
Tralascerò  una  moltidudine  di  altri  quadretti  e 

ritratti  per  non  essere  infinito. 

PiUure  a  fresco 

8.  A  Portomaurizio  l'ascensione  di  N-  S.  Gesiì 
Cristo,  figure  maggiori  del  vivo. 

9.  Ritrasse  in  figure  maggiori  del  naturale  nel 
duomo  di  Savona  la  vita  della  Beatissima  Vergine. 


318 

Sulla  porta  è  Cristo  che    caccia  i  profanatori    dal 
tempio. 

Nel  presbiterio  delia  stessa  chiesa  sono  due  grandi 
affreschi  rappresentanti  Giulio  11  clie  pone  la  prima 
pietra  della  basilica  vaticana,  e  Sisto  IV  benedicendo 
da  una  galea  veneta  i  crociati  che  fanno  passaggio. 

10.  Apoteosi  di  s.  Alessandro  e  di  tutti  i  santi 
venerati  nella  provincia,  con  una  infinità  di  figure 
ed  angeli  maggiori  del  naturale  ,  nella  cupola  del 
duomo  di  Bergamo. 

11.  Fece  al  duca  Scotti  nella  chiesa  di  sua 
villa  a  Oreno  vicin  di  Monza  un' Assunta  cogli  apo- 
stoli quanto  il  vivo. 

12.  A  Roma  nella  villa  del  principe  D.  Alessan- 
dro Torlonia  evvi  una  sala  di  forma  elit-tica  colle 
storie  d'Alessandro  il  macedone,  d'un  terzo  del  na- 
turale. Al  pian  terreno  condusse  il  Parnaso  e  due 
lunette  colle  Grazie  che  spargono  fiori,  e  le  Ore 
che  van  leggiadramente  danzando  ,  grandi  quanto 
il  vivo. 

13.  Nel  palazzo  dello  stesso  principe,  che  tro- 
vasi in  Roma  sulla  piazza  di  Venezia,  dipinse,  nella 
medesima  sala  ove  trovasi  l'Ercole  e  Lica  dell'im- 
mortale Canova,  l'apoteosi  ed  altri  quadri  analoghi 
al  medesimo  semideo.  Al  secondo  piano  nobile  con- 
dusse la  favola  d'Amore  e  Psiche.  Alcune  di  que- 
ste opere  sono  maggiori  del  vivo,  altre  un   terzo. 

14.  D.  Carlo  Torlonia  nella  sua  villa  di  Castel- 
gandolfo  fece  effigiare  in  due  grandi  lunette  i  quat- 
tro elementi  con  figure  al  naturale,  e  due  bassi  ri^ 
lievi  di  chiaroscuro  sull'andare  di  Polidoro  da  Ca- 
ravaggio. 


319 

15.  Prometeo  che  invola  la  scintilla  celeste  al 
carro  del  sole  ,  di  grandezza  naturale  ,  e  quattro 
scompartimenti  con  favole  dello  stesso  Prometeo  in 
piccolo;  affreschi  condotti  nelle  sale  adiacenti  al  tea- 
tro Tordinona,  di  proprietà  del  principe  D.  Alessan- 
dro Torlonia. 

Goda  pure  e  meni  vanto  la  città  di  Bergamo  , 
tanto  amica  della  gloria  d'Italia  ,  che  uno  de' suoi 
figli  mieta  applausi  e  corone:  ed  io  mi  reputo  for- 
tunato di  aver  potuto  almeno  in  parte  rendere  pa- 
ghi i  tuoi  desiderii. 

•  C.  S. 


320 

3  N  D  I  C  E. 

Deminicis,  Numismatica  ascolana  (con  due  ra- 
mi)       pag.       3 

Falchi,  Discorso  in  encomio  di  Luigi  Canina  »  118 
Fabri  Scarpellini,  Lo  stalo  pontificio  e  V istmo  di 

Suez  (con  litografia) «   137 

Torlonia,  Sulla  filosofia  dell'aite  (i-agìonamento 

primo) »   158 

Scarpellini ,  Osservazioni   ozonometriche  istituite 

in  Roma  nelV agosto   185{) »   177 

Peretti,    Sopra  im  odore  particolare  emanantesi 

dalle  cartoline  ozonizzate »   185 

Massetti,  Storia  di  fulminazione    .     .     .     .      »   188 
Catalani,  Unità  della  specie  umana  .     .     .     »   195 
Rosani  ,   Relazione  della  commissione  deputala  al- 
l'esame  delle    opere  teatrali   concorrenti  al  pre- 
mio      »   198 

Montalii,  Saggio  di  poesie  italiane  .  .  .  ))  215 
Rinaldi  Bucci,  Descrizione  di  pezzi  patologici  ed 

anatomici  ec ,....))  222 

Montanari,  Elogio  del  card.  Soglia  Ceroni  .  «  238 
Raro  esempio  di  rapida  parziale  putrefazione  »  287 
Belli,  Della  patria  del  poeta  comico  Terenzio  »  295 
Pitture  del  cav.  Francesco  Coghetti  .     .     .     w  314 


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