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GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
Voi. 427 428 429
ROMA
Tipografia delle Belle Arti
1856
Piazza Poli man. 91.
GIORNALE
DI
SCIE1\ZE, LETTERE ED ARTI
VOLUME CXLIII
APRILE, MAGGIO E GIUGNO
1856
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1856
SCIENZE, LETTERE ED ARTI.
r— — • »
Intorno alV iscrizione ardealina
di Mario Massimo.
abate Matranga di chiarissima ricordanza Del-
l'aprile del 1854 fra altre lapidi venute fuori da
recenti scavi operati in Ardea trovò una base ono-
raria d' illustre personaggio romano, ch'ebbe la cor-
tesia di tosto farmi conoscere, confessando di averla
trascritta con grave stento , ed anzi di non essere
riuscito a leggerla interamente a motivo delle ma-
nifeste ingiurie, che aveva sofferte dall'età. Poco ap-
presso mi scriveva di essere tornato sul luogo per
usarle le seconde cure , le quali gli avevano frut-
tato di migliorarne la lezione, e di completare quella
della settima riga: ma che la sesta aveva continuato
a mostrarsi ritrosa alle sue diligenze, non avendogli
permesso di ricavarne se non che sole due lettere,
mentre nell'ultima gli era stato negato di ben di-
stinguerne alcuna. Conchiudeva col commettermi di
tenerla segreta, avendo in animo d' illustrarla : ma
r immatura sua morte gli vietò di adempiere il suo
proposito. Sono decorsi oltre due anni da che que-
sta lapide fu rinvenuta, né da alcuno è stata pro-
dotta , forse perchè a niun altro venne da lui co-
municata. Per lo che trovandomi essere il deposi-
tario di questa sua scoperta , credo un dovere di
giustizia verso la memoria dell'estinto amico di as-
4
sicui'argliene il merito: al quale effetto qui la sot-
topongo giusta la seconda copia che da lui mi pro-
venne.
L . MARIO . MAXIMO
PERPETVO . AVRELIANO
C . V . PRAEF . VRBI . PROCOS
PROVINCIAE . ASIAE . ET . PRO
5 COS . PROVINCIAE . AFRICAE . COS . iT
CURA
TORI . COLONIAE
ARDEATIVM
DIGNISSIMO
10 . ,
Questo Mario Massimo fu presso che ignoto ai
nostri antichi eruditi , non essendosi salvata altra
commemorazione di lui presso gli scrittori, se non
che nei frammenti del L. LXXVIII di Dione rin-
venuti dall'Orsini. Primo a metterlo in onore è stato
il Noris nell'epistola consolare, dopo che la celebre
tavola canosina (Mommsen J. N. 365) ritornata alla
luce nel 1675, che porta la data L. M4RI0 MA-
XIMO . Il . L . ROSCIO . AELIANO . COS , gli
ebbe insegnato che occupò per la seconda volta il
consolato ordinario nel 976 varroniano , o sia nel
223 dell'era nostra. Abbondano al contrario le sue
memorie epigrafiche, che sarà opportuno di qui rac-
cogliere, alcuna delle quali non era stata prima av-
vertita, mentre le più sono state dissotterrate dap-
poi? e dal loro numero argomentandosi quello delle
statue, che gli furono dedicate, se ne deduce age-
volmente a quale alto grado di riputazione doveva
essere pervenuto. Queste sue lapidi ponno comoda-
mente dividersi in due classi, l'una anteriore, l'ai-
5
tra posteriore al suo gemino consolato. Spetta alla
prima la gran base disseppellita nel 1708 sul monte
Cello nella villa Fonseca, che primeggia sopra tutte
le altre, perchè contenendo un cronologico ed ac-
curato sommario delle sue dignità e delle sue ge-
ste, cominciando dal principio della sua carriera fino
al declinare del principato di Settimio Severo, com-
pensa il silenzio che se n' incontra nella digiuna isto-
ria di quell'età. Fu pubblicata dal Muratori (p.397.
4.) che 1' ebbe da Apostolo Zeno, e che sulle prime
contro ogni ragione l'aveva attribuita all'Aureliano
prefetto del pretorio d'Oriente, collega di Stilicone
nel consolato del 400, ma che poscia se ne ritrattò
( p. 202. t. 5). Come a suo luogo sarà avvertito ,
discorda in un punto importante dalla copia che si
ha da preferire datane dal Bimard (Pmefa^. ad t. 1.
Murat. p. 146) e dal Maffei (Ver. ili. L. V. n. V),
il quale la trasse dalle schede originali del Bianchi-'
ni, che l'aveva veduta.
N. 1.
L . MARIO . L . F . QVIR
MAXIMO . PERPETVO
AVRELIANO . COS
SACEROTI . FETIALI . LEG . AVGG . PR . PR
PROVINCIAE . SYRIAE . COELAE . LEG . AVGG PR PR
PROVINO. GERMAMAE . INFEiìIORIS . ITEM
PROVINC . BELGICAE . DVCl . EXERCITV MYSI\
CI . APVT. BYZANTIVM . ET . APVT . LVGDVNVM
LEG. LEG . I .ITALIC. CVR . VIAE. LATINAE
ITEM . RE!P . FAVENTINORVM . ALLECTO IN
TER . PRAETORIOS . TRIB . PLEB . CANDID \TO
QVAESTORI . VRBANO . TRIB . LATICL LEG
XXII . PRIMIC . ITE,\I . Ili . ITALICAE
UH V . VIARVM . CVRAND\RVM
M IVLIVS^ ARTEMIDORVS . 7
LEG \\\ . CVRENAiCAE
6
Dalla stessa villa Fonseca si ebbe pure quest'
altra, che ora si serba nella villa Aldobrandini. Fa
confrontata dal Kellermann (Vìg. n. 288) , ed era
già stata edita dal Maffei (Ver. illusts. 1. XV n. VI),
dal Muratori (p. 719. 1) e dal Donati (p. 76. 6).
N. 2.
L . MARIO . MAXIMO
PERPETVO
AVREl.IANO . C . V
PRAESIDI . PROVINC
GERMANIAE . INFER
A . POMPEI . ALEXANDRl
P . P . QVI . SVB . EO . MILITAVER
A . POMPEIVS . SACERDOS
FILIVS . ET . HERES
POiNENDAM . CVRAVIT
Anche la terza si pone sul monte Celio: dal che
potrebbe originarsi un sospetto, che Mario avesse ivi
la sua abitazione. L' ho trovata ripetuta due volte
nel codice manuzziano della biblioteca vaticana (n.
6035 pag. 57, e pag. 60), e fu divulgata dal Mu-
ratori (p. 354. 4).
N. 3.
L . MARIO . MAXIMO
V.C. PRAEF . VRB . COS
Q . ATTIVS . Q . F . SABINVS
OB . MER
Dovrebbe qui aggiungersene una quarta princi-
piante da lOVl . 0 . M . ET . FIDEI . CAND .
che lo Spon [Misceli, secl. IH- n. 97) pone ad ae-
dem lovis Slaloris , essendo stata ammessa anche
dal Noris nella seconda epistola consolare f. 258,
il quale ne assunse in parto la difesa. Con tutto ciò
dispiacque al Maffei (A. C. L. col. 427), e veramente
7
non si tace dallo Spoii di averla desunta dalle so-
spette schede Barberine. Il fatto sta che sì questa
come una quinta, che dicevasi esistente nella vigna
di Roberto Strozzi , ambedue le quali il Muratori
(p. 354. 5, e p. 719. 1) confessa di aver ricevute
direttamente dal Ligorio, non sono che due diversi
supplementi immaginati da quel falsario del seguente
miserabilissimo frammento, che il codice vaticano
5237 colloca presso uno scarpellino a porta del po-
polo , e coir ultima riga allungata, non so quanto
giustamente, in SVFFRAGAT non restò ignoto al
medesimo Muratori (p. 2023. 6).
N. 4-.
MARI . MAXI
PRAEF . V
PROCOS
SVFFRAG
Passando alla seconda classe, meriterà la pre-
ferenza per ragione di età una pietra di Velletri
spezzata pel lungo , che dal Feoli trasse il Cardi-
nali nelle sue iscrizioni veliterne n. XXXV , ripro-
dotta con alcune mie osservazioni nel t. XXII di
questo nostro giornale p. 115, e che dal Labus così
è stata supplita a pag. 24 de'suoi marmi bresciani,
da lui con universale rincrescimento lasciati imper-
fetti.
8
N. 5. .
L . MArjo
L . FIL
MAXtwio
AVRELt ano
YETiali
BIS . COs
ASIoe . il
PROCos
VRB . PKaef
PATRono
Sebbene pel confronto col numero susseguente
non possa negarsi che appartenga al medesimo sog-
getto anche questo briciolo di marmo trovato egual-
mente a Velletri , e riferito dallo stesso Cardinali
n- XXXVIll, nulla tuttavia può ricavarsi da lui, se
non che invece di VD vi si aveva piobabilmente
da leggere VRA.
N. 6.
ASloe. . .
PROCos .
AFRI cae
VD
Ho poi veduta io medesimo nel museo capito-
lino la seguente romana già nota da un pezzo , e
recata scorrettamente dal Begero [Spicil Antiq.f.92),
e dal principe di Torremozza {Inscr. Siciil p. 52.
26) , ma con maggior fedeltà dal solito Muratori
(p. 2023.5) e dal Guasco (T. 1- p. 121).
9
N. 7.
L . MARIO . MAXIMO
PERPETVO . AVRELIANO
C . V . PRAEF . VRBIS
PRO . CONSVLI . PROVINO
ASIAE . ITERVM
PROCONSVLl . PROVINC
AFRICAE
M . IVLIVS . CEREALIS
MATERNVS . EX . CIVITATE
FORO . IVLIENSIVM
PATRONO . OPTiMO
Infine la raccolta dei marmi fin qui conosciuti
di Mai'io Massimo si chiuderà dal nuovo del Matranga
spettante anch'esso, come il superiore, agli ultimi
anni della sua vita, e che ha il merito di offrirci
una serie alquanto più completa degli onori da lui
conseguiti dopo la prefettura di Roma.
Volendo condurre ad effetto le intenzioni del Ma-
tranga, e profittare dei materiali qui sopra appre-
stati per ordinare le memorie di questo console, si
dovrebbe premettere d' ignorare totalmente l'origine
della sua famiglia , se anche da questa parte non
venisse in nostro soccorso l'epigrafia- Fra le iscri-
zioni di Lione il sig. de Boissieu p. 263 sommi-
nistra la sottoposta, che per l'esatta corrispondenza
dei nomi, della tribù ed anche dell' apparente sua
età, a giudizio pure del eh. Mommsen (Annali Ar-
eheol. T. XXV p. 66) devesi assegnare a suo pa-
dre: ed io aggiungerò al padre egualmente di suo
fratello L. Mario Perpetuo consolare delle tre Dacie,
di cui sarò per dire in appresso-
10
L . MARIO . L . F . QVIR . PERPETVO
PONFIFICI
PROCVRATORl . PROVINCIARVM
LVGDVNENSIS . ET . AQVITANICAE
PROCVRATORl . STATIOINIS . HEREDITAT
PROCVRATORl . XX . HERÉDITATIVM
PROCVRATORl . PATRIMONI
PROCVRATORl . MONETAE
PROMAGISTRO . HERÉDITATIVM
Q . MARCIVS . DONATIANVS . EQVES
CORNICVLARIVS . ElVS
Quantunque di una casa non senatoria, se Mario
nacque da uno dei principali dell'ordine equestre ,
ch'esercitò le piiì illustri procurazioni, non sarà me-
raviglia se ottenne fino da principio due tribunati
colle insegne del lato davo , e se fu destinato di
buon'ora a battere la strada degli onori. Egli vi die
il primo passo partendo al solito dal vigintivirato,
in cui fu uno dei quattro sovrastanti alle strade di
Roma, e la percorse regolarmente sotto Commodo
fino alla cura pretoria della via latina. Dopo que-
sta si nota che fu legato nella legione prima ita-
lica, e quindi dux exercitus mysiaci apud Byzan-
thim et apud Liigdunum. h manifesto che qui si
tratta del notissimo assedio di Bisanzio nella guerra
contro Pescenio , fatto intraprendere da Settimio
Severo sulla fine del 946 , mentr' egli tragittava 1'
l'Ellesponto inseguendo l'esercito del rivale, che fu
disfatto alla giornata di Cizico. Lo che essendo, è da
ricordarsi che la legione prima italica fu tra le prime
a concorrere all'esaltazione di quell' imperatore: del
che fa fede la sua medaglia presso l'Eckhel (T. VFI
p- 178), e ch'ella appunto stanziava nella Mesia in-
11
feriore, secondo Dione (L. 55 e. 24), o poco lontano
nella Tracia medesima in cui era posto Bisanzio »
secondo un' iscrizione trovala a Tivoli ai nostri gior-
ni: VAL . SVEDIO . MILITI . LEG . 1 . ITAL .
PROVINGIAE.TRACIAE . Sta bene pertanto che al
suo legato fosse commessa l'espugnazione di quella
vicina città, e che a tale effetto si aggiungessero sotto
i suoi ordini le altre milizie raccolte dalle due Me-
sie , dandosegli la qualifica di Dux. xVlcuno aveva
creduto di poter ricavare da questo titolo, che Ma-
rio fosse in allora o divenisse poco dopo legato con-
solare di alcuna di quelle due provincie. Ma il Bi-
mard [Praef. ad Marat, p. 145) a proposito appunto
dell' iscrizione di cui parliamo ha dottamente av-
vertito, che fino dai giorni di Adriano la voce ge-
nerica i)«j; aveva cominciato ad acquistare la signi-
ficazione particolare di generale, a cui era affidato
il comando di una data spedizione , il quale però
non aveva giurisdizione se non che sui propri sol-
dati a difforenza del Legalus Angusti prò praetore,
che l'estendeva eziandio sopra una provincia. Con-
seguentemente egli osserva che Spartiano (Sev.c.lO)
e Capitolino (Alb. 8 e 9) , non danno altra deno-
minazione ai generali che Severo inviò contro Al-
bino: e poteva anche aggiungere che la distinzione
in questi tempi fra Dux e Legalus apparisce mani-
festissima da un altro luogo dello stesso Spartiano
nella vita di Pescenio (e. 6), ove ci dice: fuit Niger
miles optimus, tribunus singularis , dux praecipuus ,
legatus severissimus, consul insignis. Vero è che io
non mi ricordo di averne incontrato esempio nel lin-
guaggio ufficiale delle iscrizioni di Adriano e di
12
M. Aurelio , nelle quali anche questi legati spedi-
zionari seguitano a chiamarsi legati di Augusto, come
Lollio Urbico in un nuovo sasso dell'Algeria, di cui
aspettiamo la pubblicazione dal sig. Kenier, LEG .
LEG . I . MIN . LEGATO . IMP . HADRIANI .
IN . EXPEDITIONE . IVDAICA ; e in un altro presso
il C. /. Graec. 5366 di Geminio Marciano sotto gli
augusti fratelli LEG • AVG . LEG . X . GEMINAE .
LEG . AVG . SVper . VEXILLATIONES . IN .
CAPPAdoCIA . Ma è vero altresì, che il nuovo ti-
tolo si trova introdotto anche sui marmi fino dal
principio di Settimio Severo: onde Claudio Candido
uno dei suoi primitivi condottieri si annunzia DVX.
EXERCITVS. ILLYRICL EXPEDITIONE . ASIANA.
ITEM . PARTHICA . ITEM . GALLICA (Grut p.
389. 2) , e Fabio Cilone DVX . VEXILL . PER .
ITALIAM . EXERCITVS . IMP . SEVERI (Marini,
Iscr. Albane p. 50). Per lo che senza allargare la
pedcstà di Mario sopra alcuna delle Mesie, che nel-
r inferiore gli verrebbe in questi anni contrastata
dai legati Gentiano, Aurelio, Appiano e Pollenio Au-
spice delle medaglie di Marcianopoli e di Nicopoli,
e nella superiore, dall'anzidetto Cilone, ci contente-
remo di esser obbligati a questa base di averci con-
servato il nome invidiatoci dalla storia di chi co-
mandò quel celebre assedio, durato ostinatamente
tre anni , e terminato finalmente colla dedizione
degli assediati nella primavera del 949. Dopo
di che apprendiamo dalla medesima base, che il no-
. stro Mario insieme col suo corpo di esercito seguì
Severo alla nuova guerra contro Albino finita tra
breve colla vittoria di Lione dei 19 febbraio del-
13
l'anno seguente. Successivamente la slessa lapide ,
che ci serve di guida , gli conferisce la legazione
della Germania inferiore , che sarà la prima delle
Provincie consolari da lui amministrate dopo che se
gli è superiormente rifiutata una delle Mesie.
È questo pertanto l' intervallo, a cui dovrà re-
stituirsi il suo primo consolato qui messo aperta-
mente fuori di luogo , per seguire il .più frequente
costume di collocarlo alla testa dell' iscrizione a mo-
tivo della supremazia di quella dignità, mentre qual-
che altra volta per la stessa ragione segnossi da
ultimo, come in questa del Matranga, specialmente
quando la lapide con ordine retto dalle cariche più
antiche discendeva alle più recenti. E un perditempo
il ricordare le opinioni dei vecchi antiquari, i quali
credevano che tutti i consolati si avessero da tro-
vare nei fasti che ci sono rimasti , come sarebbe
nel nostro caso quella del Demadeno nel Delectiis
script, ter. neapolit. p. 751, che lo tenne pel Mas-
simo uno degli ordinari del 925 mentovati nella
gruteriana p. 1014. 1. e. p. 1072. 3. Ma la nostra
lapide rifiuta decisamente di rimandarlo cotanto in-
dietro, e dall' ultima riga del secondo frammento
dei fasti dei Salii Palatini (Marini Arv. p. 166) si
è ricavato, che quel Massimo appartenne alla cono-
sciuta casa dei Quintili: senza dire che in tutto il
decimo secolo di Roma non si ha alcun esempio
di un privato, che abbia tenuto ripetutamente i fa-
sci ordir^ari. Piuttosto non è da tacersi che il Cor-
sini {de Praef. Urbis p. 119), attribuendo a Mario
Massimo ciò che il Reimaro aveva avvisato per Oc-
latinio Advento , fu di sentimento che questo suo
14
consolato fosse di semplice tìtolo, o sia che ne con-
seguisse soltanto gli ornamenti: alla qual sentenza
pure molte ragioni si oppongono. Primieramente si
è già veduto che nella medesima lapide in discor-
so egli fu detto ADLECTVS . INTER . PRAETO-
RIOS. Perchè adunque nello stesso caso non si sa-
rebbe scritto egualmente ADLECTVS . INTER CON-
SVLARES ? Dipoi nel terzo dei marmi sopra rife-
riti si torna ad asserire che fu PRAEFec/«« VRRi
CO«Sm/. Dione (L. 78 e. 14), che indirizza tanti rim-
proveri a Macrino per aver data la prefettura ur-
bana prima del consolato ad Advento, che ne aveva
già ricevuto gli ornamenti, come non glie li avrebbe
raddoppiati se avesse fatto altrettanto con Mario di
lui successore, del quale parla nel medesimo luogo?
Infine ciò che decide la questione si è, che Mario
in grazia di aver seduto iteratamente sulla maggiore
curule ottenne due volte, come vedremo, una delle
Provincie consolari senatorie, cioè prima 1' Asia, e
poi l'Affrica. Ora le provincie consolari di sua sfjet-
tanza, finché gli durò questo diritto, non furono mai
date dal senato se non a chi aveva trattalo real-
mente i fasci. Fu dunque il suo un consolato ef-
fettivo, benché suffetto. Non potrà però anticipar-
segli innanzi la vittoria sopra ^libino, pritna della
quale é dimostrata la sua continuata assenza da
Roma senza aver avuto campo di ritornarvi per oc-
cuparlo : oltre di che è ben da supporsi, che non
gli fosse concesso il premio dell' espugnazione di
Bisanzio se non dopo averla ottenuta. Siamo dun-
que al 950 aperto con Cuspio Rufino da Sestio La-
terano (Orelli 2325), uno anch'esso dei generali spe-
15
dizionari nella guerra contro Pescenio, e nelle suc-
cessive di oriente (Dione L. 75 e. 2). Dovremmo
fermarci agli ultimi mesi di quest'anno per appre-
stargli una nicchia nella serie consolare, se si avesse
da credere al Muratori (p. 397. 4), che lo manda
nella Germania col titolo di LEGalus WGiisli, cioè
del solo Severo: il che vorrebbe dire che fosse già
in possesso di quella provincia innanzi che quel
principe si associasse il suo primogenito all' impero
nel seguente anno 951, secondo i giusti calcoli dell'E-
ckhel T, Vili. p. 4-24 confermati da una nuova lapide di
Lambesa (Reoier. Inscr. de l'Alger. n.56), e dall'orel-
liana 3687, in cui ai 19 settembre di quell'anno Cara-
calla già dicesi augusto. Niun lume su di ciò ci
viene somministrato dalla nostra lapide n 2, che si
contenta di appellarlo con espressione generica
PRAESES . PROVINC . GERMANlAE . INFERIO-
RIS. Ma ho notato poco fa che nella trascrizione
di queir epigrafe muratoriana merita maggior fede
la concorde lezione del Bimard e del Maffei , che
ne trassero LEO . ASGGustorum: il che sembra an-
che pili conveniente per dare la dovuta estensione
al governo del suo antecessore Valerio Pudente, il
quale per attestato di un celebre marmo di Olanda,
riferito tra gli ultimi dal solito Orelli 3586, vi era
legato di augusto propretore mentre Severo era an-
cora il solo imperatore, e Caracalla già cesare , o
sia dopo che questi a Viminacio era stato elevato
alla dignità cesarea, trascorsa la prima metà del
949. Laonde senza stringermi entro cancelli cosi
angusti sarò pago di stabilire, che dopo la fine della
guerra gallica non s' indugiasse molto nel concedere
16
a Mario la meritata promozione, seguita tra breve,
ma non prima del 952 , dalla consolare legazione
della Germania inferiore ampliata coli' annessione
della Belgica. Non si sa quanto durasse nel loro
reggimento , e né meno quando sotto i medesimi
augusti passasse all' altro della Siria , essendo egli
l'unico preside di quella provincia, di cui ci sia per-
venuta contezza durante il regno di Severo. Ella
per differenziarsi richiamò 1' antica appellazione di
Cele, invece della quale usò talvolta l'altra di mag-
giore, quando lo stesso Severo dopo l'uccisione di
Pescenio, irritato contro gli antiocheni pel favore da
essi prestato al suo emulo, ne staccò la Siria Fe-
nicia per crearne un'altra provincia: divisione ch'era
già consumata nel 951, come più largamente mo-
strai nel mio Burbuleio p. 60.
E qui termina l'elenco dei suoi onori registrati
nella prima delle sue lapidi, dopo la quale le altre
ce ne offrono la continuazione, cominciando concor-
demente dalla prefettura urbana. Il n. 3 ci ha di-
mostrato ch'egli r ottenne prima del secondo con-
solato: il che pienamente corrisponde a quanto ri-
cavasi da Dione (L.78 e. 14). Narra egli che dopo
l'uccisione di Caracalla, seguita agli 8 di aprile del
970, Macrino subentrato in suo luogo elevò alla
prefettura di Roma Oclatinio Advento già suo col-
lega in quella dei pretoriani ; ma che dopo, attesa
la sua vecchiezza e la sua incapacità, fu costretto
a dargli un successore nella persona di Mario Mas-
simo. Durò questi certamente nella carica finché
durò nel potere chi glie l'aveva conferita (id. 1.78
e. 36. e. 1. 79 e. 2), il quale fu vinto presso An-
17
liochia agli 8 di giugno del 971, emesso a motte
non molto di poi. Ma è presumibile, che la conser-
vasse qualche altro tempo ancora, e per lo meno
fino all'arrivo di Valerio Comazonte che Io surrogò
(id. 1. 79 e. 4 e e. 21) , uno dei primi ministri e
prefetto del pretorio di Elagabalo, il quale preve-
nendo la venuta del nuovo prencipe, che svernò a
Nicomedia , è difficile che potesse essere a Roma
prima del cadere dell' anno, affine di assumervi il
successivo consolato ordinario.
La quinta delle nostre lapidi interpone a Mario
tra la prefettura e i secondi fasci il proconsolato
dell' Asia: il che mi fa nascere il sospetto che per
ottenere quest'ultimo abbandonasse, o se gli facesse
abbandonare la prima. La congettura si fonda sul-
l'avere osservato, che presso a poco in questo inter-
vallo gli sarebbe competuto il diritto di conseguirlo,
per la ragione da una parte dell'anzianità, e seguendo
dall'altra le norme della pratica contemporanea, in-
torno la quale è notabile un luogo di Dione (1. 78
e. 22 ). Apprendiamo da lui che Macrino nel 970
fece accettare a Giulio Aspro il proconsolato del-
l' Asia non ostante la rinunzia da lui datane negli
ultimi giorni di Caracalla, ma che tra breve per so-
pravvenuti disgusti glie lo tolse mentre era già in
viaggio per recarvisi, dandolo in vece ad Anicio Pe-
sto, ch'era stato preferito nell'estrazione a sorte delle
Provincie. E poiché era vicina la scadenza dell'anno
prefisso alla sua amministrazione, glie la prolungò
anche per l'anno veniente in sostituzione ad Autì-
dio Frontone , benché avesse a questo promesso 1'
Asia in cambio dell'Aff'iica, che gli era toccata nella
G.A.T.CXLIII. 2
18
sortizione: per cui finì che non ebbe nò Tun:» né V
altra. Nulla può precisarsi sul conto di Giulio Aspro,
che durante la prefettura urbana ebbe il secondo
consolato nel 965 , chiaro essendo che in virtìi di
esso niuna pretesa poteva muovere sopra alcuna delle
Provincie senatorie, troppo mancandogli al decennio
per lo meno d' interstizio prescritto dalle antiche
leggi: onde conviene ammettere, che il diritto glie
ne provenisse dai primi fasci , che non sappiamo
quando ottenesse. All' opposto Aufidio Frontone è
indubitatamente il console ordinario del 952. Ri-
guardo poi ad Anicio Festo è da osservarsi , che
fra le due varianti del testo dioneo Festo e Fausto
(Reimaro pag. 1.330 nota 2) i suoi editori mala-
mente hanno preferito la prima senza badare che
egli sarebbe un uomo ignotissimo; e che ignoto sa-
rebbe pure quel cognome nella gente Anicia, men-
tre poscia fu celebre in essa quello di Fausto. Molto
meno si sono risovvenuti che quel personaggio chia-
mato Q. Anicio Fausto , il quale era stato legato
di Settimio Severo nella Mesia, era già cognito fi-
no dai tempi dello Spon (Misceli., sect. V jn fine).
Ora poi dalle iscrizioni algerine del Renier n. 56 e
63 si è saputo di più , che nel 951 era designato
console, naturalmente suffetto, o per la fine di quel-
l'anno 0 per l'anno successivo , come lo fu difatti,
in un altro di quei marmi intitolandosi apertamente
COS. Da tutto ciò sembra adunque raccogliersi che
l'intervallo fra il consolato e il proconsolato , che
fino ai giorni di M. Aurelio fu di tredici anni all' in-
circa, a quelli di Macrino si fosse elevato ai dician-
nove e ai venti: del che non sarà difficile di tro-
19
vare la ragione nell'accrescimento dei candidati ori-
ginato dall'esuberanza dei fasci prodigati da Com-
modo, e anche in parte dai successori. Quindi es-
sendosi mostrato di sopia, che anche Mario Massimo
dev'essere divenuto consolare circa il 951 , potrà
credersi non senza apparenza di verità , che venti
anni dopo ha succeduto ad Anicio Fausto nella ret-
toria dell'Asia. La nuova lapide del Matranga, e 1'
altra n. 7 lo dicono Pvoconsul ilerum : per cui ttii
sono creduto in dovere di aggiungere Vilerum al sup-
plemento che del n. 5 erasi fatto dal Labus. Non
per questo si avrà da tenere, ch'egli sia stato man-
dato due volle in quella provincia , ma solo che l'
amministrò per due anni consecutivi: del che senza
cercarne altro esempio facile a rinvenirsi, l'abbiamo
già avuto prontissimo nell'antecessore.
Succede secondo la progressione dei tempi il
consolato, a cui fu assunto replicatamente nel 976
in compagnia di L. Roscio Eliano. Quantunque, a ri-
serva del solo Idatio, le altre vecchie collezioni di
fasti, solite a curarsi poco del precedente onore sur-
rogato, preteriscono di chiamarlo secondo: basta però
ad assicurarlo per tale l'autorità della precitata ta-
vola canosina, suffragata da una pietra di Bonna
edita più correttamente dal Lersch (Central museum
t. II n. 14). Da un pezzo i prefetti di Roma erano
in possesso di raddoppiare i fasci consolari durante
la loro magistratura, o poco dopo che ne avevano
cessato: ond' è probabile che Alessandro sul princi-
cipio del suo impero non avesse altra vista nel dar-
glieli se non quella di riparare all' ommissione del
suo predecessore.
20
Resta per ultimo il proconsolato affricano sfug-
gito al Morcelli, talché indarno se ne fa ricerca nella
serie da lui datane nel t. 1 dell' Affrica Cristiana.
L'allegato n. 5, che dopo quello dell' Asia nota la
rinnovazione dei suoi fasci senza far cenno di que-
st'altro , mette fuori di controversia che fu a loro
posteriore. Infatti ho già avvertito, che solo colla ri-
petizione del consolato potè acquistare il gius di
ottare alla ripetizione della provincia. Il lungo spa-
zio di tempo richiesto dal raddoppiato intervallo ,
che pei'ciò si doveva subire, rende ragione della som-
ma rarità di chi abbia preseduto ad ambedue le
provincia consolari: di modo che dopo la loro isti-
tuzione sotto Augusto nel 727 non ne conosco che
un altro solo esempio nell' imperator Balbino recato
da Capitolino {Max. et Balb. e. 7). E questa ragiono
obbligherebbe noi pure a procrastinarlo di soverchio,
se non fossimo già pervenuti al principato di Ales-
sandro Severo. È innegabile, e l'esperienza ce lo fa
vedere ogni giorno, ch'egli fu autore di molte ri-
forme nell'amministrazione interna dell'impero, ben-
ché finora siano state poco avvertite dagli eruditi,
e sebbene relativamente alle provincie non- se ne
abbia che un semplice cenno da Lampridio [Alex.
e. 24. ); Proviìicias legatorias praesidiales plurimas
fecitf proconsulares ex senatus auctoritale ordinavit.
Due di queste innovazioni sono importanti nel no-
stro caso. Da prima l'Affrica e l'Asia si cavavano a
sorte dai consolari secondo l'anzianità del tempo in
cui avevano prestato il loro nome ai fasti, e secondo
la lista degli ammessi alla sortizione data dagl' im-
peratori, i quali ne escludevano quelli che loro non
21
talentavano. Alessandro invece le lascio alla libera
collazione del senato , ristretta però sempre fra i
consolari. Infoiti riguardo ad esse non sì sente più
a parlare di sortizione , ma vi si trovano in vece
proconsoli missi ex senatus consulto (Capito!. Gord.
tres e. 2). Da Vopisco (Aurei, e. 40) ci si dice che
nei sei mesi dopo l'uccisione di Aureliano restarono
al loro posto tutti i quindici, quos aut Aurelianus ,
aut senatus dclegerat,nisi quod proconsulem Asiae Fai-
tonium Probum in locum Aurelii Fusci senatus dele-
gii. Ed anzi lo stesso Capitolino [Gord. tres e. 5)
ci ha conservata l'epistola ipsius Alexandria qua se-
natiti (jratias egit, quod Gordianum in Africam prò-
considem destinaverat. L'altra riforma, venuta di con-
seguenza alla prima, dev'essere stata quella di aver
soppressa l'antica prescrizione dell' intervallo fra il
consolato e il proconsolato: quantunque sia difficile
di addurne prove contemporanee in un secolo ri-
coperto di tanta caligine quanto è quello che suc-
cede, nel quale oltre la carestia delle notizie, l'uso
frequentissimo di i-icordare le persone con un nome
soltanto fa riuscire assai malagevole di poterne di-
mostrare r identità. Se ne ha tuttavolta qualche ar-
gomento in tempi poco lontani, ed anteriori ai nuovi
cambiamenti operati da Costaatino dopo che per la
vittoria sopra Massenzio nel 1065 si fu impadro-
nito di Roma, in seguito dei quali i consolari per-
dettero l'esclusivo diritto di reggere le due Provin-
cie, ch'erano loro riservate: cambiamenti avvenuti
prima del 1068, in cui il proconsolato dellAffrica
trovasi conferito al conosciuto Petronio Probiano ,
che non fu ascritto ai fa&ti se non che nel 1075.
Jntatito, preferendone qualche altro meno sicuro, si
può citare Cassio Dione console nel 1014, procon-
sole d'Affrica nel 1048 (Ruinart negli atti di S. Mas-
similiano) e prefetto urbano nell'anno seguente: non
che Annio Andino console nel 1048, ivi proconsole
pel 1056 (idem negli atti di S. Felice), e prefetto
anch'egli nel 1059. Sarebbe inutile di cercarne al-
tre prove, se potesse farsi maggior capitale dell'evi-
dentissima somministrata dallo stesso Capitolino
(Goni, tres e. 2) nel raccontarci che Gordiano affri-
oano ex consulalu, quem egerat cum Alexandro, ad
proconsulatum Africae missus est ex senalus considlo:
ripetendo poco dopo (e. 4) post consulalum procon-
ml Africae facius est. Ma egli ci ha detto altresì
(e, 4) che quel Gordiano consulalum primum iniit
cum Antonino Caracalla, secwidum ctim Alexandre:
e questo secondo consolato viene poi formalmente
snfientito da una testimonianza superiore ad ogni
eccezione, qual' è quella della sua medaglia coU'epi-
grafe P . M . TR . P . COS . P . P . , la quale
certifica che anche dopo la sua elevazione all' im-
pero non ne contava che un solo, lo pure, che nel
mentre che scrivo ho questo nummo conservatissimo
innanzi gli occhi, posso attestare che non è possi-
bile di scambiare la sua faccia con quella del figlio,
come da prima fu supposto dall'Eckhel (D. N-v. t.
VII p. 301) per non dare una mentita al biografo.
Che che pertanto si abbia da giudicare dei suoi detti,
tolta che sia per altra parte l'opposizione dell' in-
tervallo , io collocherò volentieri questo proconso-
lato del nostro Mario sotto Alessandro Severo in-
nanzi quello del lodato Gordiano, sembrandomi so-
23
vercliio r indugio se si avesse da differire dopo la di
lui morte, e la successiva occupazione di Gapelliano,
ed anzi dopo i pritni anni di Gordiano Pio impe-
diti da Sabiniano. Con esso avranno fine i suoi onori,
giacché la posizione del COS . II , con cui la la-
pide del Matranga ne chiude l'elenco, non perchè il
posteriore di tempo, ma perchè il maggiore di tutti
in dignità, dimostra abbastanza che alcun altro non
le rimaneva da ricordare. In conseguenza ritengo
che la susseguente laguna sarà convenientemente ri-
empita supplendo Patrono et CjiRATORl . COLO-
NIAE . ARDEATIVM . DIGNISSIMO : mentre non
è dubbioso che l'estrema riga, riconsciuta non leg-
gibile, doveva contenere V indicazione di chi fece in-
nalzare la statua coli' iscrizione. Nuovo merito della
seconda sarà poi quello di aver fatto menzione della
colonia di Ardea, e di aver così prolungate di un
secolo le memorie di quelT antichissima città. Il
Nibby (Analisi della carta t. I. p- 237) confessò di
non averne più trovato sentore dopo l'avviso rice-
vuto dal libro Coloniarum I, che l'imperatore Adriano
la sottopose a nuovo censimento.
Non si ha da dissimulare , che le cose fin qui
discorse cadrebbero a voto, se reggesse 1' opinione
del Corsini ( De praef. urb. p. 107 e p. 118) , il
quale divise Mario Massimo in due diversi pei'sonaggi.
Attribuì al primo le tre iscrizioni che ho trascritte
ai n. 1, % 7, e trovando mentovata nell'ultima la
prefettura urbana, s'immaginò di assegnargliela circa
il 953. Quattro altre ne riferì al secondo , che in
sostanza si riducono a due, vale a dire al n. 3 delle
nostre, e al frammento n. 4: giacché le rimanenti
24
non sono, come ho detto, che due diversi supple-
menti di quel frammento usciti dal cervello del Li-
gorio. Ammise che questi fosse il console del 976
e il memorato da Dione: onde a lui confermò l'al-
tra prefettura del 971- Su due ragioni stabili que-
sta sua distinzione. Desunta la prima assai debole
dalla differenza dei nomi, adducendo che il più an-
tico si disse L. Mario Massimo Perpetuo Aureliano,
e pretendendo che il secondo si chiamasse soltanto
L. Mario Massimo. L'altra,, dedotta dalla diversità
delle cariche, allorquando la propose era falsa, per-
chè le dignità di console e di prefetto, che sono le
sole indicate nei marmi da lui concessi a chi ebbe
y\ governo di Roma nel 971, ricorrono egualmente
negli attribuiti al suo prefetto del 953. A snervare
il primo dei suoi argomenti sarebbe bastato di op-
porre la ridicolezza della pretesa , che i polionomi
si avessero sempre da memorare collo strascico di
tutti i loro nomi. Chi asserirà, per esempio, che il
Sosio Prisco dellorelliana 2625, perchè non ne porta
che due, sia differente del console del 922, che in
un suo cippo onorario di Tivoli ne infilza fino a
trentaquattro? Ma quest'argomento fu poi maggior-
mente infirmato dal n. 5 del Cardinali, da cui si
apprese, che il console del 976 ebbe anche il co-
gnome di Aureliano provenutogli probjibilmente, se-
condo un uso allora assai comune, dalla madre. E
viene ora interamente abbattuto dalla nuova sco-
perta del Matranga, che gli aggiunge altresì il co-
gnome paterno di Perpetuo, mentre col titolo COS.
Il toglie ogni dubbio esser. egli la medesima persona
che nella data della tavola canosina si disse sem-
25
plicemente L . MARIO . MAXIMO . II . La nuova
pietra ci fa inoltre vedere, che a torto dal Corsini si
era di soverchio anticipata 1' incisione dell'altra qui
descritta sotto il n.7, quando V identità degli onori
mentovati in ambedue ci convince, ch'esser debbono
quasi contemporanee. Vero e che così verrebbe ad
acquistare qualche forza la seconda delle sue ra-
gioni: ma è vero altresì, eh' è facile di spiegare con
tutta naturalezza questa diversità d' impieghi avver-
vertita nelle lapidi di Mario, ripetendola dalle di-
versità del tempo , in cui furono incise. La base
n. 1 registra generalmente tutti quelli ch'egli ebbe,
cominciando dalla prima gioventù tino al giorno in
cui fu scolpita prima della morte di Settimio Seve-
ro. Gli altri numeri al contrario, dedicatigli piiì tardi
sotto Alessandro, per non farne così lunga enume-
razione non curarono le cariche degli anni più flo-
ridi, e si contentarono di citare soltanto le coperte
da lui in età più matura, ed anche in vecchiezza.
Per tal modo verrà esclusa non solo la supposta di-
visione in due di questo personaggio, ma con una
migliore ordinazione dei suoi monumenti sarà an-
che dimostrata l' insussistenza della prima sua prc
fettura nel 953, ch'era già stata negata dal Cardi-
nali (Lett. sui prefetti p. 12). A cacciarla dall'anno
assegnatole sarebbe stato sufficiente il più volte ci-
tato n. 1, che non ne fa motto, quantunque poste-
riore non di poco, siccome si fa chiaro dal triennio
ordinariamente richiesto per la durata di ciascuna
delle legazioni della Germania e della Siria soste-
nute ambedue dopo che Caracalla era stato asso-
ciato all'impero nel 951. Ma le sarà tolto ogni
26
fondamento coll'essersi in oggi veduto che il pre-
detto n. 7, su cui unicamente fondavasi, a motivo
della menzione che fa dei suoi due proconsolati deve
nportarsi a tempi successivi a quello, in cui real-
mente cccupavala nel 970 e nel 971. Ed è poi certo
ch'egli non Tebhe se non che una volta soltanto ,
negandosele la nota della ripetizione da quei marmi
medesimi, che l'aggiungono al suo consolato, e al
suo proconsolato dell'Asia.
Alcuno sulle tracce del Casaubono, come ve-
dremo, potrebbe opporre, che coU'accumulare sopra
una testa sola tutte le notizie superstiti di Mario.
Massimo si viene a prolungare la sua vita oltre i
termini convenevoli- Vediamo pertanto ciò che può
essere di vero in questa obbiezione: tanto pili che
una tale indagine ci gioverà nell'ultima questione a
luì relativa, che ci resta da trattare. L'unico dato
che abbiamo per giudicare presso a poco della sua
età proviene dalla legazione legionaria che sosteneva
al tempo dell'assedio di Bisanzio incominciato sulla
fine del 946. Si conosce che ai primi tempi dopo l'i-
stituzione fattane da Augusto bastava essere di già
senatore per ottenerla, ma che col progredirà del-
l' impero non fu più data che dopo la pretura. E si
conosce pure che perdevasi, come ogni altro uffi-
cio, coll'essere promoss^o al consolato: per cui noi
durava ordinariamente pili di due o tre anni. No-
tissimo è poi che in seguito della legge annale del
medesimo Augusto, a meno che non intervenisse una
rarissima dispensa del principe, non si diveniva pre-
tore se non che a ventinove anni compiti, né con -
sole se non dopo un triennio. Anche Mario ebbe
27
prima regolarmente la pretm-a: non però effettiva ,
ma codicillate, datagli per quanto pare ad oggetto
che potesse assumere la cura della via latina, che
era una carica anch'essa pretoria. Nulla dunque im-
pedisce di poter stabilire , che possa essere stato
ascritto fra i pretorii da Commodo nel 945, e che
nel susseguente 946 possa aver ricevuta la legazione
da Pertinace, quando aveva già finito il suo trentesimo
anno di età. Così sarebbe stato prefetto di 54 nel
970, nuovamente console di 60 nel 976, e ne avreb-
be contato 72 quando Alessandro fu ucciso nel marzo
dal 988. Sebbene ne restasse favorito il mio assun-
to, io provo tuttavia qualche ripugnanza nell' am-
mettere col Morcelli, che Gordiano affricano, da me
reputato di sopra il suo successore, sia stato inviato
rettore dell'Affrica nel 983, avendo già addotto le
difficoltà che incontra il passo di Capitolino (Cord.
e. 5) da lui invocato, e troppo straordinario, anzi i-
naudito del tutto, sembrandomi un proconsolato di
otto anni , quanto avrebbe durato quello di Gor-
diano che si privò di vita nel 991. Il più lungo che
sìa noto, e che si cita come una stranezza, essendoché
il proconsolato fu annuo di sua natura, è l'antico di
Giunio Silano protratto ad un sessennio al finire del-
l' impero di Tiberio. Da tutto ciò ne consegue, che
quand'anche si togliessero due o Ire anni a Gor-
diano, resterebbe sempre vero che Mario non sa-
rebbe stato il suo antecessore, se non che a set-
tant'anni all' incirca: età non disconveniente ad un
proconsole, e che sarebbe sempre ampiamente difesa
dall'esempio dello stesso Gordiano, che per comune
consenso morì ottuagenario in quella provincia dopo
un principato che non giunse a due mesi'.
28
La questione che ho accennata verte su questo,
se il Mai-io , di cui si ò ragionato finora, sia quel
inedesiino che scrisse le vite di molli imperatori.
Il Vossio, quando trattò del secondo nella sua opera
De hisloricis latiniSi mostrò di non essergli nò meno
passato per mente. Chi primo portò l'opinione del-
l' identità dello storico e del prefetto di Roma è
stato il Valesio nelle note al L. XXVIII. 4. 14 di
Ammiano Marcellino, sulla quale il Noris nell'epi-
stola consolare , e il Tillemont ( art. XXVI sopra
Alesssndro) sospesero di pronunziare il loro giudi-
zio. I moderni hanno generalmente inclinato a fa-
vorirla: ma ninno, che sappia, l'ha presa partico-
larmente in esame. Tutti convengono che le sue vite
cominciavano da Traiano, e finivano con Alessan-
dro Severo. Né può dubitarsi che questa sia stata
l'ultima» niun'altra ricordandosene di seguito: tal-
ché se viene anche citato da chi tenne discorsa de'
principi posteriori, come sarebbe Vopisco (in Probo
e 2, e in Fi rmo e- 1), non lo fa che per annove-
rarlo fra gii storici trapassati. Degno però di spe-
ciale attenzione è il silenzio di Capitolino, il quale
dopo essersi a lui riportato più volte nelle sue vite
di Antonino Pio (e. 11), di Pertinace ( e. 2), e di
Albino (e 3, e. 9, e 10), non ne ta più ricordo nelle
successive di Massimino, dei Gordiani, di Balbino e
di Pupieno: segno non equivoco che quella sua scorta
gli era poscia mancata. Intanto è notabile che fra
i moltiplici scrittori , i quali hanno parlato di lui,
giacché ai soprannominati si hanno da aggiungere
Lampridio, Spartiano, Volcatio, Ammiano Marcel-
lino e lo scoliaste di Giovenale (Sat. IV, v- 53),
29
ninno ci abbia dato alcun lume sulla sua persona e
sull'età precisa, in cui visse. Io non ho potuto tro-
varne se non che un leggiero cenno in Lampridio
(Coni. e. 13), ove ci dice : Versus in Commodum
multi facti simty de quibus etiam in opere suo Ma-
riiis Maximus gloriatur. 11 Casaubono, sentenziando
arbitrariamente che Mario appartenne a tempi più
bassi, appose a questo luogo la chiosa seguente: Nun
quod illos vei'sus fecisset, ne erres, iunior enim Ma-
rius Maximus fuit, sed quod diligenler coUegissef. Ma
con buona pace di un critico così solenne , tutti
comprendono che alcuno possa gloriarsi dei versi
propri, mentre assai pochi sapranno vedere qual glo-
ria si acquisti col ricopiare gli altrui. Fermo adun-
que che lo storico qui si vanta di versi suoi, io os-
serverò che da questo passo si schiarisce non poco
la nostra questione. Abbiamo già veduto che al prin-
cipio del regno di Settimio il prefetto doveva nu-
merare circa trent'anni, e che quindi condusse sotto
Commodo la sua più fresca gioventù , vale a dire
l'età più propria per dare opera alla poesia. Arrogo
che non gli mancò ne meno 1' occasione di appli-
carla alle satire contro quell' imperatore , avendo
passata in Roma l'ultima metà dell' impero di lui,
come consta dalla natura degli uffici che vi occupò.
Di più se fu uno dei compagni di Settimio, ed anzi
uno dei suoi generali nella guerra contro Albino, si
spiegherà facilmente come potesse esser conscio dei
segreti pensieri del primo riguardo al secondo, quale
lo storico si manifesta (Capit. Alb.c. 3) quando ri-
feriva che queir imperatore da prima aveva avuto
nell'uniitio, se fosse venuto a mancare, di lasciare
30
l'altro suo successore nel trono. Infine quantunque
non si voglia procrastinare il suo proconsolato del-
l'Affrica fin dopo la morte del primo Goidiano, si
dimostrerà almeno da esso, che giunse ben avanti
neir impero di Alessandro; e si è anche notato che
quando questi fu ucciso nel 988 , Mario forse non
oltrepassava i settantadue anni. (]osa vi è dunque
di strano, che gli bastasse tanto la vita per compiere
la sua opera , conducendo a termine la storia di
queir augusto? Per lo che oltre la somiglianza dei
nomi risultando eziandio dal fin qui detto un'esatta
corrispondenza fra l'età dello storico, e quella del
prefetto, ne resterà grandemente avvaloralo il sen-
timento del Valesio, che riconobbe in essi una stessa
persona.
Una qualche conferma di ciò potrebbe anche ri-
trarsi dal non conoscersi posteriormente alcun altro
coi medesimi nomi, ne mono nella sua casa- Quelli
che porta in un marmo di Bonna ( Lersch Oentr.
mus. Un. 16) Q. Venidio Rufo Mario Massimo
Calviniano , il quale fu poscia legato della Fenicia
nel sesto anno di Settimio Severo, non furono evi-
dentetnente i suoi propri, ma pel luogo in cui si
scorgono collocati si confessano da loro stessi per
nomi di parentela, siccome si ratifica dal confronto
con altre sue lapidi presso l'Orelli 905, e presso il
Donati p. 464- 4. Non sarebbe infatti difficile, né
alieno dagli usi di questi secoli in cui le persone
pili non si distinguevano colla diversità del preno-
me, ma con quella del cognome, non sarebbe, dico,
diffìcile che il padre di L.Mario Perpetuo procuratore
della Lionese, di cui si è favellato di sopra, si fosse
31
chiamato L. Mario Massimo, da una figlia del quale
fosse nato Venidio: mentre da questo suo nome pa-
terno il nostro Mario avrebbe ereditata l'appellazione
di Massimo, Ma propriamente della sua famiglia non
conosco alcun altro, fuori che il memorato in que-
sta iscrizione di Carlsburg riportata con non poco
dissenso fra loro dall'Hoenhauseu p. 137, dal Sei-
vert p. 57, e dal Neigebaur p. 128 n. 18 ep.l55
n. 232. Dal paragone delle loro varianti se ne re-
stituisce in parecchi luoghi la retta lezione, senza
toglierne però tutti gli errori: poiché nella settima
riga si avrà per esempio da riporre VRBISALv/en-
sium ET, in cambio di VRBIS , IM : e così pure
nella decima o QVAES, o PRAET, invece di OAES:
restando poi sempre da emendare i titoli delle le-
gioni: il che non può farsi senza ricorrere a degli
arbitrii.
L . MARIO . PER
PETVO . CoS . DAC
iTl . LEG . AVG PRO
PR . PROVINCIAE
« MOESIAE . SVPEft
CVRAT . RERVM . PV
BUCAR . VRBIS . IM
TVSCVLANOR . PRE
SIDI . PROV . ARABIA E
10 LEG . LEG . XIV . FIOAES
CANDID .AVO . TRIB
LATICE. LEG . HlfXVP . PRAES
iVSTISS _M . VLP . CATVS
7.LEG . Ili . ITAL . ANTONINI
43 ANAE .
Le tre Dacie sono conosciute fino dai tempi di
M. Aurelio, e un altro COS . DAC • HI sotto Se-
32
vero ci è stalo dato in L. Pomp. Liberale dal eh.
cav. Aineth (Baschreibung etc. Wicn 1853). Questa
lapide invece viene circoscritta entro V impero di
Caracalla dal ricordarvisi un solo augusto , e dal-
Tappellarsi antoniniana la legione III italica. Impe-
rocché non sembra che possa avervi diritto Ela-
gabalo , por la ragione che in tal caso questa de-
nominazione , come altre volte , sarebbe stata poi
cancellata. Ora se l'onorato da Ulpio Cato fu con-
sole prima almeno del 970, in cui fu messo a morte
Caracalla , ed anzi alcuni anni più presto , atteso
che anche la Mesia superiore fu provincia consolare,
difficilmente potrebbe essere un figlio di chi fu con-
sole circa il 951, ma si avrà piuttosto da reputare
un suo fratello : nella qual credenza si troverebbe
anche il motivo, per cui quest'altro, a fine di di-
stinguersi da lui, avesse prescelto di chiamarsi più
comunemente Massimo. Del resto ponendo mente alla
rarità dal cognome Perpetuo, si potrà tutto al più
concepire un sospetto, che da uno di questi due fra-
telli sia nato il Perpetuo collega di Pomponio Cor-
neliano nel consolato ordinario del 990, del quale
s' ignora il gentilizio. Per un pezzo nei fasti si è
continuato a seguire il Panvinio, che gli aveva at-
tribuita una mal copiata iscrizione ripetuta dal Gru-
tero (p. 474. 3), e dedicata P . TITIO . PERPE-
TVO .V.C. CONSVLARI . TVSCIAE . ET .
VMBRIAE. Ma il eh. cav. De Rossi nella sua di-
samina delle prime raccolte di antiche iscrizioni
p. 164 n. 168, inserita nel t. CXXVIII di questo
giornale, dopo aver corretto BETITIO nel suo nome,
ha rimandalo decisamente costui quasi un secolo e
33
Tijezzo più tardi , per l' invincibile ragione che la
Tuscia e l'Umbria, rette da prima da un correttore,
non cominciarono ad avere il consolare se non che
verso il 370 dell'era nostra, o sia il 1123 di Roma.
AGGIUNTA
L' iscrizione ardeatina, che forma il soggetto del
mio discorso, essendo stata traspostata a Roma tro-
vasi in possesso del sig. cav. Giambattista Guidi ,
che la conserva nel magazzino di cose antiche per
la strada di porta s. Sebastiano, presso la chiesa
di s. Sisto. 11 sig. Carlo Lodovico Visconti, degno
erede di un cognome così illustre nei fasti dell'ar-
cheologia, che ha potuto esaminarla a suo bell'agio,
informato che io aveva in animo di ragionarne, ha
avuto la cortesia di farmi parte spontaneamente della
fedeHssima copia che con diligente studio è riuscito
ad estrarre da questo marmo parte corroso, parte
malconcio dal ferro. Ma la sua comunicazione non
mi è pervenuta se non dopo avere spedito alla stampa
il mio articolo: per cui ho preso il consiglio di sog-
giungergli la presente postilla, sì per rendere a lui
solenni grazie della sua gentilezza , come per non
defraudare gli eruditi di una più completa lezione
di questa lapide.
G.A.T.CXLIII.
34
L . MARIO . MAXIMO
PERPETVO . AVRELiANO
C.V.PRAEF.VRUI . PRO.COS
PROVlNCIAEASIAE.lT.PIUì
COS PROV.AFRlCAE.COS.lT
FETIALI.PATRON.ET.CVRA
TORI . COLONIAE
ARDEATIVM
DIGNISSIMO
i I I |B| I I I I I I
Due novità qui s'incontrano facendone confronto
colla descrizione del Matranga. Sta la prima nel-
l'aggiunta alla sesta riga del FETIALI, notato altresì
nel cippo superiormente riferito al n.2. Questa giunta
è per me importantissima, perchè all'identità di tutti
i nomi da me opposta accrescendosi ora quella pure
del sacerdozio, si viene a darmi del tutto vinta la
causa contro il Corsini, che, come ho esposto, pre-
tendeva di dividere questo Mario Massimo in due
distinte persone. L'altra è la lacuna avvertita dopo
COLONIAE , non capace di piià di tre o quattro
lettere, niuna delle quali è al presente riconoscibi-
le. Dal luogo, in cui è posta, giustamente arguisce
il sig. Visconti, che doveva contenere un cognome
di quella colonia: per cui si potrebbe supplirvi IVLme,
supponendo che Ardea, oltre 1' antichissima dedu-
zione nell'anno varroniano 312, sull'esempio di molte
altre città delle vicinanze di Roma fosse coloniz-
zatì^ dì nuovo dai soldati dei triumviri dopo la morte
35
di Cesare. Ma si potrebbe ugualmente prediligere
da altri di riporvi AELme in memoria di Adriano,
ricordando il detto del Liber colonianim (pag.231,
edizione del Lachmann): Ardea oppidum. Imperalor
Hadrianus censuit.
B. Borghesi.
36
Bibliografia della Dalmazia e del Montenegro. Sag-
gio di Giuseppe Valentinelli , membro della so-
cietà slavo-meridionale ecc. Zagabria 1855, voi.
1. in 8 di facce 339.
wuesta bibliografia è stata messa a stampa per
cura della società slavo-meridionale , la quale ha
per tal modo inteso di giovare a quegli studi e a
quelle ricerche , che sono principalmente lo scopo
della sua riunione. Il sig. G. Valentinelli aveva già
nell'anno 1842 mandato in luce lo Specimen de Dal-
malia et agro labeatium , che fu come il primo
tentativo di questo lavoro , che ha poi accre-
sciuto e ordinato come oggi sì vede. Ma i libri di
questa specie, che danno un aiuto non mediocre ai
cultori delle lettere, sono in verità quasi senza li-
mite per la propria loro indole. Fatica e diligenza
non bastano. Lodiamo quindi l'A. d'aver dato al suo
volume il modesto titolo di saggio : e lo lodiamo
similmente d'aver confessato ingenuamente, che gli
è stato giuoco forza di lasciare indietro una parie im-
portante e preziosa della sua bibliografìa, per non avere
nessuna conoscenza della lingua illirica: invocando
per ciò l'opera d'alcuno fra i letterati di quella pa-
tria, che voglia recar sopra di se la parte di lavo-
ro, che rimane come intatta.
Intanto un tei tratto dì via si è percorso. E se
il libro avrà le nuove cure, che l'A. stesso reclama,
altre forse ne saprà aggiungere anch'egli. Perchè ci
è sembrato, all' infuori ancora delle cose scritte in
37
illirico, esservi qui e colà qualche opera da dovere
essere aggiunta. Vedemmo, per darne un esempio,
esser ricordato a carte 89 Io scritto di Sebastiano
Dolci, col quale difese l'opinione sua intorno all'an-
tichità e alla diffusione della lingua illirica contro
le affermazioni contrarie di Girolamo Francesco Zan-
netti (Ferrariae 1754); ma invano ricercammo il ti-
tolo della dissertazione ch'esso Dolci aveva nel me-
desimo anno 1754 fatto stampare in Venezia ap-
punto sull'argomento posto in quistione, ed è la se-
guente: Dolci Seb. De ilhjricae linguae vetustate et
amplitudine, disserlalio. Veneliis 1754. , 4. Anche i
due libri seguenti sembra a noi che si sarebbero
trovati al loro luogo in questa bibliografia.
Bellosztenecz. Gazofilacium latino-illyricorum
onomatum. Zagabriae 1740. 4.
Papenk Gè. De regno regibusque slavorum, et de
statu civili et ecclesiastico gentis slavae. Quinque-ec-
clesiis 1780. 4.
Nicoli NI Gio. Giorgio. Spalato sostenuto Vanno
1657. Venezia 1665 voi. 1. 12.
Diario delV armata veneta nelle vicinanze di Le-
sina, nel 1617. Venezia 1618. 12.
Della Monaca Andrea. Discorso politico e cri-
stiano, nel quale si toccano le parli piìi principali
appartenenti al buon governo degli stali, recitato alV
Illma ed Eccma repubblica di Ragusa. Lecce 1657,
nella stampa di Pietro Micheli. 4.
P. E. VlSCONT/,
38
Gita da Roma a Porto cV Anzio
a Nettuno e ad Aslura.
CAPITOLO I.
Da porta S. GrovANNi a porto d'Anzio.
E
ra il dì 17 luglio del corrente 1856, ed un omni-
bus (1) traeva me e nove altri viaggianti fuor di porta
s. Giovanni. Il punto di vista, che ci colpiva, for-
mavano da ogni lato non solo ubertose praterie
sparse di torri, ma pure la catena de'monti albani
e tusculani che azzurreggia a levante. I monumenti
della prossima via appia schieravansi sotto il guardo
in lunga fila, cominciando dal sepolcro di Cecilia
Metella, in sembianza di città desolata , degno al-
bergo di potenti estinti. Si vede piegare la via me-
desima dalla linea retta verso sinistra in rispetto
de' due tumuli terragni degli Orazi e Curiazi. Le
ruine di Roma vecchia^ ossìa della villa de'Quintili,
rassembrano ad un castello diruto de' bassi tempi.
Fatti uccidere idue fratelli Quintili Condino e Massimo
r imp. Commodo se ne impossessò , e vennevi a
tripudiare. A quella volta dirige gli archi spezzati
e tortuosi un acquedotto. E mentre s' indirizzava
la vista a rimirare Casal rotondo, ossia l'area sparsa
di olivi e di un casale, area del più grande sepol-
(1) F-,'ofEcio degli Omnibus h in via Bocca di Leone.
39
oro lungo l'appia che si conosca, e Torre selce an-
ch'essa sepolcro costretto a sostenere una torre com-
posta nel medio evo con selci ; un grido unanime
di: tcco il vapore - rivolse la nostra attenzione sulla
strada ferrata di Frascati a guardarvi messo in opera
•I più stupendo ed utile ritrovato moderno. La lo-
comotiva e i vagoni poteano dirsi da un poeta il
candido carro, su cui Giove Laziale volava ad as-
sistere all'annuale sacrifizio sul prediletto suo monte
Giunto il vapore alla stazione, si fermarono gli oc
chi sull'ampia Aia di Troi, ove le bionde figlie de'
solchi cadute recise aveano ingombra di manipoli
tutta la campagna {per usar l'espressione del Monti,
iliade hb. XI). Dopoché si rimarcò sull'Appia il Tor-
raccio o Palombaro (cosi detto perchè ricetto di pa-
lombelle), un tumulo grandissimo sopra basamento
quadrangolare di pietra albana, e sotto un clivo una
grandiosa mole rotomla, e mentre i seguenti sepolcri
avvicinando si andavano alla strada postale di Al-
bano, VOsteria delle Frallocchie e' indicò un divei-
ticolo a destra, pel quale si vedeano giacer sui campi
Il circo, un sacrario, ed il teatro apud Bovi llas città
fondata da Latino Silvio (1), la quale trasse nome
da un bove che ferito dal sacerdote nel monte Al-
bano, m vece di umiliare le dorate corna, rotti i
sacri canapi e spaventati i ministri fu^gì per la
china sino alla detta città trascinando ^gl' intesti-
ni (2). Uopo averia messa Coriolano a sacco, a ferro
(1) Vittore, Origo gentis romanae e. XVII
«rJ« ^""•'^ ^^'-'^'^"^ ^- ^^ffillas intestina veteres esse dixerml-
unae Bovtlla oppiaum in Italia, guoé eobos intestina vulnere Tra
40
e a fuoco, risorse come prima stazione dell' Appia, e
come diporto de' nobili romani sotto gì* imperato-
ri (1).
Gli oliveti, dove poi entrammo , non eran per
noi tanto attraenti, come verso il XIII m. a destra Ta-
spetto delle torri smantellate di Castelluzza, forte nel
1347 presidiato da Rinaldo e Giordano Orsini con-
tro le truppe romane condotte dal tribuno Cola di
Rienzo, il quale (secondo si narra al cap. 31 della
contemporanea di lui biografìa ) « una dimane per
tempo levò '1 campo e andò sopra la Gastelluzza ,
poco di lunga da Marino: subito la prese e in quello
istante furo dati per terra i muri intorno- Già vo-
leva combattere la rocca e la torre rotonda, dove
si era ridotta la fanteria : e per espugnare quella
torre fece fare due castella di legname, le quali si
voltavano sopra rote, avea scale ed artificii di le-
gname (mai non vedesti sì belli ingegni), apparec-
chiava picconi ed altri instrumenli. Molte 'mbasciate
recepèo il quel loco. Correa di là un'acquicella, in
quell'acquicella bagnò due cani, e disse che erano
Rinaldo e Giordano , cani cavalieri. Poi guastò la
mola, poi mosse sua oste e tornò a Roma [2])). Castel
hens advenerit. — E lo Scoliaste Ui Persio al v. 55 della sat. VI —
Bovillae sunt vicus ad undecimum lapidem appiae viae: quia ali-
quando in Albano monte ab ara fugiens taurus , iam consecratus,
ibi comprehensus est. Inde Bovillae diclae.
(1) Tacito Annal. lib. II. e. 41. e lib. XV: e. 23. Pei monu-
menti e l'istoria della Via Appia dalla Porta Capena a Boville
consultisi l'opera del eh. commendator Luigi Canina. T. 2. in fol.
Roma,Tìp. di G. A. Ber tinelli 1853.
(2) fila di Cola di Rienzo scritta da incerto autore nel se-
colo decìmoquarlOy ridotta a migliore lezione ed illustrata con note
ed osservazioni storico critiche da Zefrino Re. Forlì presso Bor-
dandini i828.
41
Savellotva gli arbusti e l'ellera sopra un colle a sinistra
mostrava il suo lecinto di peperino, e le sue case
deserte per la mancanza d'acqua fin dal 1640.
Si succedettero la Cecchina colla sua torre al
17 m:, al 18, passalo un laghetto, il casale Monta-
guano donato da Clemente VII al suo fautore Gior-
dano Orsini, e l'osteria Fontana di Papa così chia-
mata dalla fontana costruitavi da Innocenzo XII. Qui
si fece una fermata: ma dopo pochi minuti si cor-
reva dentro la Macchiarella di Civita. E questa tanto
diradata, che dentro essa seguita a vedersi Albano,
il ponte delV Ariccia simile a vasto palazzo che due
colli unisce, e Civita Lavina ossìa Civitas Lamivinat
ove un drago si venerava spavento delle vergini (1).
Se fosse vero, come è incerto, che a Monte Giove
stava la metropoli de'volsci Corioli, bene per espu-
gnarla, saccheggiarla ed arderla fu necessario il va-
lore di Caio Marcio , essendo in luogo sublime e
forte. La denominazione però di Monte Giove induce
a credere che non sito di città fosse, bensì di tem-
pio secondario o d'ara sacra a Giove in quella punta
sporgente del monte laziale.
Verso il XXV m. si allunga Valle lata , nome
proprio a significarne l'estensione. Sul morbido tap-
peto della sua tenuta Carroccelo a giacere invita il
casale, cui la magnificenza del principe M. Antonia
Borghese ai 21 aprile 1698 versò in due apparta-
menti , con al primo piano fuga di camere parate
a damaschi cremisi trinati d'oro, ad arazzi di Fian-
(1) Eliano, [storia deffU animali Hb X e. i6: e Properzio lib. ly
eleg. 8.
42
(Ira istoriati, e con tre sale al piano superiore pa-
rate di bianco con baldacchino e trono ricamati di
oro. Mirabile fu la ricchezza e sontuosità del ser-
vizio o delle tavole consistente in più credenze d'
argenti, ed alcuni piatii grandi indorati^ gran bacili
rilevati a cisello, molta piattaria di cristallo di rocca,
altra di porcellana con diversi piatti contornati di'fi-
lagranate, o d'oro, o d'argento, ed alcuni con inca-
stri di torchino ed altri di corallo, ed in molti trionfi
di statue d'argento massiccio, che in mano tenevano
vari fiori e frutti, o di piegatura, o di zuccaro, o di
seta di fattura singolare, che nel ritorno del papa
furono mutati con diversa apparenza , non inferiore
alla meravigliosa maestria delle prime. Intorno all'
improvvisato palazzo un anfiteatro girava con quat-
tro alloggiamenti de' cavalleggeri , de' svizzeri ,
de' servitori , de'cortigiani , e de' vetturini ed al-
tra gente avventizia , pei quali tutti fu corte ban-
dita. In fondo all'anfiteatro innanzi a cinque monti
di fieno si apriano le mangiatoie per 600 cavalli, che
per l'abbondanza del nutrimento e la numerosa com-
pagnia lietamente scalpicciavano, annitriavano. Ora a
guardar la nudità di queste campagne li si fa pa-
lese come il papa rimanesse abbagliato in credere
permanente ciò che era provvisorio: poiché in una
dispensa matrimoniale per donna Caterina della
Cerda, sorella del duca di Medina viceré di Napoli,
vi appose la data - In villa burghesiana Curroceti (1).
(1) V. La relazione di un anonimo del viaggio di N. S. PP.
Innocenzo XII fatto a Nettuno per ristaurare il porto d'Anzio il
di 21 aprile 1698, esistente in un codice della brblioteca chigiana
e riportata dal cav. Giov. Battista Rasi al num. V del sommario at
43
Lungo la via ho osservato frequenti strisce di
grossi e lunghi rettili chiamati dai contadini regine.
Il gran numero di essi, che vanno ivi brulicando, ha
indotti gli antiquari a credere, esser questo campo
il Solonium nel territorio lanuvino, ove racconta Ci-
cerone (de divinatione lib- II. e. 31), ad focum an-
gues nundinari (1) solent.
Penetrati nella macchia, si crederebbe di trovarvi
refrigerio al caldo meridiano: ma troncandosi ogni
otto o nove anni e sterpandosi continuamente, niun
rezzo può spandere sulla via , la quale rimane in
preda della sabbia fìtta e polverosa. Ottima cosa sa-
rebbe di non permettere il taglio delle due ultime
file: si gioverebbero così dell'ombra i viandanti, e
la rarezza e taglio delie piante rimanenti li segui-
rebbe a rendere sicuri dagli assassini. Per quanto ò
lunga la selva - Sol la cicala con noioso metro - Fra
i densi rami del fronzuto stelo - Le valli, e i monti
assorda, e '1 mare , e '1 cielo. - Ho detto anche il
marcy poiché dove rareggian gli alberi si affacciava
a noi di tanto in tanto la liquida superficie simi-
gliante ad azzurra linea di montagne. Amenissimo
ed incantevole fu l'apparire del Tirreno (2) in tutta
la sua pienezza appiè di Porto d' Anzo , ove bat-
teva con violenza i flutti , mentre il sole di luglio
suo discorso istotieo sul porto e Urritorio di Anzio — Pesaro
1832-33 dalla tipografia Nobili.
(1) Quanto è laconico quel nundinari ( Esprime il concorso
de'serpentì ai casolari, come di gente al mercato, quanto a dire in
folla.
(2) Esser questo il Tirreno sì prova colia testimonianza di Vir-
gilio, Aen. lib. l,ch€ descrivendo la navigazione ^i Enea dalla Si-
44
verso le 11 pomeridiane mettea nella massima di-
scordia i candidi casamenti del paese col cilestro
colore marino.
CAPITOLO II.
PORTO d'anzio e contorni.
Bramoso di rimirare il porto che tanta fama
procacciò a questa spiaggia, m' indirizzai tosto alla
lingua del paese che dentro mare avanza la darse-
na, il fortino e la lanterna. Pervenuto all'estremità,
mi posi ad osservare il porto costrutto dal ponte-
fice Innocenzo XII, Senza discorrere il fine, Alessan-
dro Zinaghi lo serrò coi moli e gli rivolse la bocca
a levante in un largo seno, dove la corrente a suo
bell'agio potendo aggirarsi dall'est all'ovest , solito
moto del Mediterraneo (1), non vi fermava molto le
arene che riversano da tutto il littorale i fiumi, i
torrenti e le ripe. Appena formato questo porto che
cosa avvenne? Il mare abbattendosi al cantone che fa
cilia al capo Circeo sino al Tevere fa dire a Giunone: Gens inimica
mihi tyrrhenutn navigai aequor. Livio lib. V porge la ragione di
t«l nome: Tuscorum ante romanum imperium late terra marique
opes paluere . . ■ Mari supero inferoque, quibus Italia insulae modo
cingilur, quantum potuerinl, nomina sunl argumento: quod alterum
tuscum communi vocabulo gentis , alterum adriaticum mare ab
Adria tuscorum colonia vocavere Italiae gentes : — e Tolomeo :
Italia termina a mezzogiorno colla spiaggia del mar Ligustico e
Tirreno — V. pure Plinio lib. III. cap. 3. Strabone, e Polibio
lib. II.
(1) Mar escha], Relazione sul porto d'Anzio: riportata nel detto
sommario del Rasi: Luigo le nostre coste del Mediterraneo vi è
«Ita corrente regolata dall'est alCovest.
45
ìi molo orientale vi depositava un monte di arene,
allungando così sempre la riva : indi nel trapasso
che faceva all' imboccatura, traeva seco altri muc-
chi, i quali, essendo il porto chiuso, doveano colà
per necessaria conseguenza stagnare. Nulla valse il
votarlo con macchine, l'allungare la punta orien-
tale (1), il piantarvi un altro molettotchè anzi fu giuoco
forza distruggerlo. Perciò dagl'intendenti si ritenne
e tuttora si ritiene per la sua posizione, chiusura,
e riflusso delle ondate, non già porto, ma vero ser-
bafoio di arenCf per le quali è giunto a pescar soli
dieci piedi d'acqua. E che cosa è questo miserabile re-
cinto a paragone del porto cui s' appoggia , e che
Nerone faceva verso il 60 dell'era volgare ?
Scendesi dietro la lanterna in una vallata anch'
essa già parte del porto, ricolma con un monte di
arene pescate nel porto nuovo. Tranne questa parte,
il porto ha sino un fondo di trentaquattro piedi: una
bocca larga centonovanta braccia: uno spazio doppio
del porto nuovo tuttora sgombro, dove l'ancora o
pili ancore porrebbero tosto al sicuro anche nello
stato presente qualche legno (non escluse le navi da
guerra) che si trovasse ivi soqquadrato ed in peri-
coloj giacché i frangenti del mare sui moli diruti ne
scoprono con sicurezza la bocca franca (2).
(1) Mareschal, ivi — • Il nuovo molo fu protratto da trenta canne
colf idea di guadagnale un fondo maggiore. Ma il rimedio non
avendo avuto altro effetto che di portare il molo un poco più lon^
tano, si formarono li medesimi depositi di arena tanto n«l porto,
quanto nella sua imboccatura.
(2) Rasi loc. cit.
46
Ora veniamone alla descrizione parziale. L'in-
cognito architetto servendosi dell'acro/en'o, ossia pro-
montorio, v' innestò il braccio del molo destro col-
Tavvertenza di pria curvarlo, e poi prolungarlo quasi
in linea retta contro i venti di traversia ostro e li-
beccio. Allato, e non in mezzo alla bocca, le covine
sott' acqua mostrarono a Nibby ed a Rasi I' imba-
samento dell' isola. Alzava questa la sua torre a
guisa de'palchi eretti nel campo Marzio pel funere
de'principi imperiali, cioè molto adorni, ad ingressi
aperti, ma restringentisi quanto più si avvicinavano
al minimo, dove il faro nottetempo la sua face ad-
ditava ai naviganti, e rischiarava l'interno del porto.
Il braccio poi del molo sinistro, benché lo attac-
casse alla terra fin presso la Caserma, Io protrasse
però meno, gli fece descrivere una curva a greco,
a levante , e ad ostro libeccio. Al Mareschal rac-
contò un vecchio marinaio, che si vedea questo brac-
cio munito di quattro bocchette turate nella costru-
zion del porto nuovo, le quali eran trafori arcuati
a fior d'acqua schiusi ad impedire il ristagno delle
arene. All'angolo occidentale si scopre un avanzo
rivestito di opera reticolata, ma laterizia nelle fa-
sce, tutto coperto d'astraco: avanzo che ci dà l'idea
della cortina mancante. Una commissione di anti-
quari, preseduta dall' avv. Carlo Fea, in bella gior-
nattty essendo il mare quieto e 'Z fondo chiaro, os-
servò che una scogliera unita e slabile fermava il
fondo del porto e la base de'moli, anzi sorprese una
scafacela che, sotto protesto di caricar gli scogli ro-
tolati dal mare, vandalicamente spezzava la scoglie-
ra. Neil' interno un muro retto compouea sul brac-
47
ciò sinistro una divisione, che Cailo Fontana qua-
lificò per darsena unitamente ad altro muro circo-
lante verso il molo dritto.
Per queste ed altre ragioni progettò il eh. Rasi
al §. 130, di renderlo comunemente praticabile a
belVagio senza clamorosi artifizi - se si riportasse ad
una giusta elevazione t e si guarnisse con anelli di
ferroy onde legarvi le gomene, il tratto di molo dal
castello fino alla bocca, e un buon tratto delV altro
molo dalla bocca al promontorio, affine di rendere co-
spicua ai naviganti ed accessibile la bocca;- progettò -
senza scossa del governo di usare del non lieve nw-
mero de^galeotti che ivi ritrovansi . . La pozzolana,
la pietra calcarea , e i sassi si hanno in poca di-
stanza. - L'unica opposizione ragionata fatta al ri-
pristinamento del porto consiste in un documento
da me letto in originale a Roma all'officio del pro-
to-notaio Damiani, via della Pedacchia n. 24.. Di-
chiarano con esso 22 padroni di paranzelle da pe-
sca, 19 padroni di legni mercantili, e 21 capitani di
bastimenti mercantili - che quante volte si ricostruisse
il porto neroniano, i bastimenti di qualunque porta-
ta .. , nei tempi di mare agitato . . . preferireb-
bero sempre il porto innocenziano, se fosse profondo.
E ciò perchè in continuazione del capo d' Anzio -
si avanza in mare sotC acqua una platea di fortiere
sino alla distanza di oltre un miglio: nelle mareg-
giate, quantunque non fortissime, le onde provenienti
dalValto mare con i venti di fuori incontrando que-
sta specie di scalinone^ s' innalzano istantaneamente
in guisa da perdere il loro equilibrio e cadere fran-
gendosi . . . le dette onde così sconvolte proseguendo
48
il loro viaggio verno il Udo, sono miovamenle frante^
sparlile e riversale dalla risacca prodotta dalle onde
antecedenti, le quali avendo urtalo il capo che sporge
in fuori e nei ruderi del porlo neroniano, tornano in-
dietro. - Questo documeuto per qualche tempo ini
è parso decisivo contro la rinnovazione del porto ;
ma avendovi ben riflettuto sopra, mi sembra che in
vece di nuocere giovi. Imperocché quel fortiere fa
fede della sapienza degli antichi in fondare il porto
nell'unico silo stabile della riviera, e spiega per qual
cagione non siasi dopo tanti secoli interrato : che
l'arene andandosi a posare nelle ripe quiete, sdruc-
ciolano su quella platea, e gli urti del mare le bal-
zano a ponente de'moli e del capo. E perchè, io dico,
gli antichi alla bocca del porto alzavan V isola ?
Perchè questa colle smisurate moli e pile che ne
formavan l'aggere: — impaclos fluclus in immensum
elidit et lollil. Vastus illic fragor, canumque circa ma-
re ■- come prescrive Plinio lib. VI. ep. 31. Ora non
era necessario il venirci una turba di piloti ad am-
monire del pericolo de' legni - fra quegli dannosis-
simi urti. - Poteano invece studiare il sito , dove
entravano nelle fauci le navi romane, e dove se il
porto si ricostruirà dovrebbero entrar le nostre.
Lo insegna loro l' ispettor direttore Linotte al rium.
33 del Somm. del discorso di Rasi: - Quando non
esisteva Vattuale braccio del molo innocenziano, pote-
vano i bastimenti a remi o a vela in un tempo an-
che burrascoso venire con la bordala nel seno di mare
che ora forma il porlo moderno, ove trovavano la
calma, e così con ogni sicurezza introdursi per la
bocca del porto antico. - Sarebbe indispensabile di-
49
struggere i moli dell' innocenziano, giudicati sem-
pre all'altro dannosi. Inoltre il Rasi ci ha lasciata me-
moria di un fatto, cioè che - nei giorni 3 e à- di
novembre (1825) vi si rifugiarono effettivamente, piiU-
tostochè nel porto nuovo, cinque feluche napolilane a
cagione di un fortunale di libeccio.
Descritto il porto, è conveniente esaminarne gli
accessorii oltre ogni dire magnifici. Vedesi il porto
appoggiato all' acroterio. Essendo questo un masso
di macco, sorta di pietra arenaria fragilissima , ne
trasse l'architetto partito, vi aprì inferiormente tutte
critte, le quali munì co'sussi estratti uniti ai mat-
toni. Inoltre vi fabbricò portici con colonne, emicicli
per riposarsi, scalee per scendere, celle con bagna-
role, fabbriche tutte che, oltre una profonda cloaca,
si ravvisano a colpo d'occhio da qualunque pratico.
Sono specialmente osservabili alla punta occidentale
tre androni detti Arco Muto per la luce ivi tacente:
il medio, ora interrotto, girava intorno al vasto seno
dietro il promontorio. Finalmente a maggior sicu-
rezza su tutto il fabbricato venne murata una cre-
pidine. Alcune colonne e capitelli giacciono presso
la batteria. In questa spianata esistono varie tracce
di fabbriche: un canale, le nicchie, i resti dell' a-
straco che le copriva, le qualificano per bagni. In
una forra di colle verso occidente scendesi ad un
copioso fontanile ; non lungi alla Torre di Caldano
vide Ligorio (1) un acquedotto diretto all' acque
caldane, così dal loro calore denominate: e tornando
indietro presso la batteria segue un muiaglione di
(1) Lig. V. Caldane-
G.A.T.CXLIII.
50
acquedotto. Indizi sicuri son questi della gran quan-
tità d'acqua raccolta ad uso del porto e della villa (1).
Sceso verso la strada romana, ho osservato alcuni
massi di sostmzione, detti ciclopei. Presso la caserma
alcune ruine da monsig. Bianchini (2), che le vide in
più buon essere, e da Nibby furono stimate com-
ponenti un teatro: altri le credono avanzi di un cir-
co. Alla villa fatta costruire nel 174-3 dal card. Ne-
reo Corsini nipote di Clemente XII , e nel 1820
venduta al cav. Mencacci, ravvisai tra i ruderi un
beiremiciclo ove gli antichi si assideano a discor-
rere, meditare, leggere , o a numerar i flutti. Su-
perato un clivo erboso mi sono avanzato alla dire-
zione delle vicjnacce; e ben presto mi si sono af-
facciati gli archi di un acquedotto dividersi in due
rami, all'est, ossia alla direzione delle ville Albani,
Aldobrandini e Borghese , ed al sud ossia verso il
porto. Più a basso quattro celle aperte nel masso,
(1) La moltìplicità di questi scoli, il rivo Cacamele e due altri
per la via di Nettuno ad Astura provenienti tutti dalla catena
delle pendici Albane, mi rendono perplesso a quale debbasi attri-
buire il nome di Loracina menzionato da Livio lib. XLllI, sapen-
dosi che i latini come i greci chiamavan fiume ogni ruscello che
pérenne fluisse, senza riguardo al maggiore o minor volume. Il
passo di Livio è '1 seguente, degno di non venire ignorato anche
per la notizia di un insigne acquedotto che non si riconosce, e dei
fano di Esculapio: Lucrctium tribuni plebis ab^entem concionibus
adsiduis lacerabant, quvm reipublicae causa abesse excusarelur.
Sed eum adeo vicina etìam inexplorata erant, ut is eo tempore in
agro suo antiati esset: aquamque ex manubiis Jntium ex flumine
Loracinae ducerei. Id opus CXXX mìllibus aereis locasse dicitur.
Tabulis quoque pictis ex praeda fanum Jesculapii exornavit.
(2) Camera ed iscrizioni sepolcrali de'Uberti ecc. della casa di
Augusto. Roma, Salvioni 1727.
51
intonacnte fi con tinte di colori, hanno 1' idea d'un
sepolcro. Un contadino mi ha condotto per viottoli
tracciati evidentemente sopra vie antiche alla con-
trada s. Biagio, che serba vestigie di grandi mura:
indi più di un miglio lungi da Nettuno al nord ad
un' imponente reliquia d'insigne sepolcro nominato
per la sua figura il Torrazzo. Di ritorno siamo usciti
alla via romana allato ad una voragine cavata nella
rupe e tutta di frondi rivestita. Siccome vi si è ri-
conosciuto un canale che guidava al mare le acquee;
perciò si crede un vivaio, in cui la ghiottornia dei
romani manteneva i più delicati pesci. Salito alla
villa Borghese Aldobrandini, ne ho ammirato il bello
aspetto e la magnificenza. Oh come in quelle ore
brucianti mi arrecavano refrigerio e freschezza le
ombre secolari del bosco! Questa villa è degno al-
bergo de'principi che dal 1831 sono possessori di
Anzio e Nettuno per compra fattane dalla R. C. A.
Si compone oggidì delle due ville Coslaguti e Doria
Pamfili. Gli scavi han date prove evidenti che da
questo lato ricchi e nobili edifizi accoglievano una
lussureggiante e numerosa popolazione. Sotto strada
emerge la rupe tagliata a picco qual muro turrito
di città: numerose cloache là sboccavano.
Verificate le ruine per la circonferenza di circa
dieci miglia, includendovi il porto, la lunga gita, i
latrati dello stomaco e più gli ardori del sole mi
hanno persuaso a tornare ad Anzo. Le c;ise di questo
paese si vanno in vaga mostra allineando lungo la
spiaggia del porto nuovo. Una magnifica fontana
attesta che Innocenzo XIl fu - De naviganlium in-
colnmitate sellicitus - arce condita porta extructo: -
52
aquis per ardua deducth - fonte excitato. Il palazzo
Albani è di buona architettura, ed ha annessa la villa.
Un palazzo appartiene alla R. camera apostolica.
La nuova chiesa de'ss- Antonio e Pio V sì deve alla
munificenza del regnante pontefice. Allorché in que-
st'anno Sua Santità vennevi a celebrar messa la prima
volta, assistevano alla funzione il sovrano delle due
Sicilie Ferdinando II co* tre reali suoi figli, l'Emo
Antonelli segretario di stato, l'Emo Roberti presi-
dente di Roma e Comarca, e monsig. Milesi mini-
stro del commercio e de'lavori pubblici Ad acco-
gliere la folla de' forestieri, che vengono a giovarsi
dell' acque marine , compariscono locande novelle ;
caffè e bigliardi vi spesseggiano; in somma questo
comune cammina per le vie della grandezza a gran
passi. Cosa fosse primachè i papi gli volgessero l'at-
tenzione si apprende gettando gli occhi alle fosche
capanne che dietro le case s'aggruppano. Che riot-
tenga in avvenire il nome di città, ce lo assicura
il porto da ripristinarsi, il fascino irresistibile ch'e-
sercita su chiunque Io visiti, la vicinanza alla ca-
pitale, e l'aria ottima che vi si respira fuor del mese
di ottobre, quando la inumidiscono l'acque autun-
nali e l'esalazioni de'prati circostanti.
Mi diedi a riflettere sulle vedute cose, facendo
a me stesso le seguenti interrogazioni:
1. Dov'era Anzio oppido , città opulentissima,
tra i volsci primaria, indi colonia romana ?
Dalle autorità accumulate in nota si fa evidente,
che la città propriamente detta era in sito elevato,
53
rim[>osta sulle rupi (1), cinta di muia (2), ed un
poco distante dal porto, benché lungo il mare (3).
Esaminando i luoghi nella periferia di circa 10 miglia,
li ho rinvenuti in piano interrotto da spesse altuie,
delle quali i punti culminanti sono il promontorio,
il casino Mencacci, e la villa Borghese. La molti-
plicità delle cloache dirette al mare , il sito emi-
nente dove a poca profondità di suolo fende colle
radici degli alberi la rupe, il non stare sul porto,
mi hanno indotto a congetturare nella villa Bor-
ghese il sito dell'oppido primitivo. Siccome però la
colonia romana era grandissima, abbracciando la reg-
gia ove sarà nato Caligola e Nerone (4) , il foro ,
la biblioteca (5), i portici pubblici che un liberto
di Nerone dando il dono {munus) de'gladiatori rive-
stì di pitture rappresentanti le vere immagini de'"-la-
diatori e di tutti i ministri (6), e i molti edifici men-
(1) Strabone , Geogr lib. V. Segue Anzio città anch' essa
importuosa, rimpasta sulle rupi, distante da Ostia stadii circa ....
del resto dedicata all'ozio de'principi e vacanza dalle civili occu-
pazioni: perciò di magnifici e splendidi edifici e piena a riceverli,
quando vi si ritirano.
(2) Tit. Liv. lib. VI. Animus ducis rei maiori , Anito im-
minebat; id caput volscorum-. sed nisi magno adparatu, tormentis
machinisqne tam valida urbs capi non poterai. E Svet. in Ner.
lieversus (Nero) e Graecia Neapolim , quod in ea primum artem
protulcrat, alhis equis introni, disiect parte muri, ut mos hieroni-
carum est. Similiter adiit Antium, inde Albanum, inde Romam.
(3) Filostrato-, Vita di Apollonio. È Anzio una città d'Ita-
lia, lungo il mare posta Liv. Lib. V. Jntium propinquam , op-
portunam et mantimam urbem.
('*) V. Svet. in Caligol. e in Ner., e Tacit. Annal. \h. XV.
(5) Cic. lib. 2. epist. ad Atlic- - Itaque ani libris me de-
lecto, quorum habco Antii feslivam copiam.
(6) Pliii. Hist. Nat. lib. XXXV e. 33.
54
zionati da Strabene , finche non sì facciano scavi
regolari nemmeno le sorti anziatine ne scoprireb-
bero il circuito.
2. A proposito delle sorti anziatine, ov'era, do-
mandavo a me stesso, il Tempio della Fortuna ? Gli
scrittori noi pongono Anlii, ma apnd Anliuin (i). Lo
eresse adunque fuor delle porte il devoto popolo che
si arricchiva colla pirateria e col commercio, di cui
fei dice: Fortuna e dormi: e che se scampava dalle
procelle, anche Io attribuiva a quella comoda dea
in antiche lapidi appellata Reduce^ in altre qui sca-
vate Felice f Forte (2), a seconda de'casi occorsi ai
votanti. Tacito, Annal. lib. IH ci dà la notizia che
la chiamavano equestre. La convenienza, per esser
il sito visibile in allo mare: una moneta con due fi-
gure scoperta sul Porlo Neroniaiio coH'iscrizione (3):
Q. RVS TIVS FORTVNAE ANTLVT: e nel rovescio:
CAESARl AVGVSTO EX SC : ma più di tutto le
crepidini, e le colonne e capitelli ivi giacenti, han-
no persuaso, che il tempio elevarsi dovea presso al-
la Batteria^ proprio in vetta del promontorio. Che
vi potesse essere e che forse convenisse il luogo, noi
nego; che poi vi fosse, noi so, ne senza rivelazione
altri può giurarlo. Egli è però certo che fu scava-
to ne'dintorni un marmo con iscrizione: FORTVNIS
ANTiATlRVS - M. ANTONIVS RVFVS AXIVS -
DAMASCO - SENATVS DECRETO DICAYiT (4):
(1) Tacil. Annal. lib. III. Macrob. Saturn. lib. I. cap. 13
(2) Ligor. V. Phagone, e Fabretti Inscript. p: 632.
(3) Griiler. Inscript. p. 72.
(4) Horat. lib. I. Od. XXXV. O diva, graluvi quae regis
^ntium.
55
che era il tempio primario d'Anzio (1): che gli ap-
parteneva un tesoro preso ad imprestito e profana-
to da' Augusto erogandolo in guerre civili (2). Con-
sultata la gemina Fortuna, rispondea o per oracula
uscenti dalla bocca de'simulacri (3), o per sortes quae
Fortimae monilu pueri mcuiu miscentur atque ducuti'
tur.
Sulla cima del promontorio, su cui poi sorse
una villa rorfiana, esser dovea Cenone, giacché es-
sendo stato un Oppidulo MariUimo posto alla dif»;-
sa dell' arsenale e aulico porto della flotta Anzia-
te (4) , non pò tèa stare altrove se non sul Capo
cui appoggiò il suo porto Nerone , Capo che solo
fino al Circeo nalurahnenle si prestava al ricovero
delle grosse navi ossia ad un vero porto.
3. Che diremo fuialinente del celebre tempietto
sacro ad esculapio ? L'autore De viris Illuslribus nar-
ra , che i romani in tempo di peste ad Esculapio
in Epidauro mandaron legati. 1 quali essendo là ve-
nuti, e mirando al grande simulacro, un serpente,
saltato dalla sua sede, venerabile non orribile per
mezzo alla città con ammirazione di tutti strisciò
alla nave de' Romani. I legati trasportando il dio
pervennero ad Anzio ove per la mollezza del mare
(1) Appian. Civil. Bell. lib. V. Cicsar e templis penunias mu-
tuo accipiehat: ut liomae ex cnpit.tUo, tum Anlii, Lanuvii, Ne-
more, Tibure; in quibus oppidis hodie quoque sunt copioni thesauvi
sacrarum pecuniarum.
(2) Macrob. Satiiriialior. lib. 1. e. 23 Ut videmus apud
Antium promoveri simulacra fortunarum ad dpinda responso.
("ì) Cic. lib. 2 de divinai
(4) Leggasi in Dionisio Alic. il racconto delia presa di Ce-
none al lib. Vili.
I
5G
corse il! prossimo [ano di Esculaino: e dopo pochi
giorni ritorno aila nave. Valerio Massimo , lib. 1
cap. 8, vi aggiunge la circostanza, che guizzato nel
vestibolo del tempietto di Esculapio diffuso di mirto
e rami frequenti, s'avviticchiò alla palma sopremi-
nente e d'eccelsa altezza, e per tre giorni non ci-
bossi a gran tirtiore de' legati che non volesse re-
stituirsi alla trireme , come poi fece per navigare,
sino all'isola tiberina. Queste notizie* e '1 verso di
Ovidio, Metani, lib. XV, Tempia parenlis {\) init (la-
vnm tangentia lilus, additano l'edicola di Esculapio
sul maie jirossimo al porto.
La confusione, in cui si trovano gli antiquari
per la topografìa degli edifici anziati, fa sperare che
il nostro governo terminati gli scavi d'Ostia rivol-
gfiialli a queste contrade. Lo scoprimento della piii
beila sfama deW antichità, L'APOLLO DI BELVEDE-
RE ; del GLADIATORE BORGHESLXNO ora esi-
stente a Pai'igi; e quelle, che arricchirono il museo
del card. Alessandro Albani, rappresentanti Giove ,
Pallade; le altre di Cibele, di Berenice, di un pa-
store, raccolte nella sua villa fuor di porta s. Pan-
crazie dai pamfìii , due busti superbi di Adriano e
Settimio Severo, la celebre lapide amiate (2), il nu-
(1) Qui non so come Ovidio la cliiaini ili A])oHo contro la
verità storica.
(2) Ada la serie de'maestri de' ludi. V. Bianchini Ice. cit.
Non è da confondersi «luesla lapirle coli' altra di cui parla il me-
desimo Bianchini TH'ìVEpistola de lapide antiati ( Romae de Ru-
beis 16'.>S). Fu quest'ultima scoperta da scavatori nel decembre
del 1697 (iiiaiido distruggevano antiqua rudera , quae ex ruinis
aedificiorum congeruniur, ut in materiam cedant pilarum, ac na-
57
mero di Q. Ruscio (1), e cenlo {tltie scoperte, e più
Ja certezza di essere stata questa spiaggia il paradiso
degV imperatori da x4ugusto e Costantino, ci assicu-
rano che le viscere del suolo dal porto alle ville
Mencacci, Albani, Aldohrandini e Borghese, la con-
trada s. Biagio e i prati che menano alle vignaeco,
sono gravide di monumenti e capolavori d'arte.
valis illius, guod principis providenda restitvtt { Bianchini, ivi ) ,
Consisteva in un IVammento di giallo antico impiegato nel pavi-
mento di splendida opera , erto circa tre once e colia suj^erficie
diligentemente levigata. ÌNel rovescio era rozza, ma segnata con
due lacune impiombate. In una si trovò scolpita la testa di Adria-
no in età giovanile, come si rilevò dall' iscrizione in giro dispo-
sta: HADRIANVS ARGVSTVS. Nell'altra si leggea L."cOC. Se
Bianchini seguendo il costume degli altri Scrittori di Anzio non
CI avesse defraudala la conoscenza del sito ove si rinvenne, tate
marmo, e non si fosse spiegalo colle parole troppo generiche li,
Porlu Anliati , avressimo potuto il sito precisare della Reggia e
villa tanto prediletta ne'primi anni del sno regno da quell' impe-
ratore, il quale al dire di Sparziano n. 19 , Cum opera nbiqiic
infinita fecisset , nimquam Ipse, nisi in Traiani patris tempio ,
«ornen &UMm scripsit «. Perciò il lodato monsignor Bianchini opi-
nava che un Lucio Cocceio architetto per eternare il nome pio
prio (use di soppiatto 1' immagine di Adriano e quelle porlie let-
tere nascondendole sotto il pavimento.
(1) Questo nummo argenteo è pregevolissimo. Ha in fronte
il gemino ritratto della fortuna coli' iscrizione in giro O RV
STIVS FORTVNAE ANTIAT, e nel rovescio CAESARI AVGNSTO
EX se. Nel mezzo ha scritto FORRE ossia FORTVNAE RFDVCr.
Le quali parole ci danno a conoscere essere stato battuto o (|uando
Augusto determinò di partire contro i Britanni, per la qua! cir-
costanza usci il beli' inno di Orazio lib. I. Od. 35 O Diva eie,
o più probabilmente quando il senato e '1 popolo facea v<.(i e
iibamenti pel ritorno dell'imperatore dalle Galiie, come eaulò lo
stesso poeta all'Ode V. lib, IV. Dicis or te bonis.
58
CAPITOLO III.
Passeggiata in Mare, e Memorie.
Nel silenzio della notte meditavo assiso sul molo,
allorché vogare vidi una barchetta alla mia volta,
chiamato il barcaruolo, presso mia richiesta entrar
mi fece nel battello, o coi retni nelle incallite mani
volse la faccia abbronzata verso di me, aspettando
un cenno per dove io aggirar mi volea. Ordinato-
gli di seguitare a rilento le punte e 'I seno deirantico
porto, si diede subito a scagliar i remi a regolari
battute. D'una pienissima luna ogni stella gelosa di
scomparire al paragone, abbandonati le avea i de-
serti del cielo; ed ella riverberava in liste l'argento
del suo carro sul Tirreno che inci-espato dal soffio
di Favonio mettea frizzi e brilli di luce. Ma i miei
pensieri non eran quella sera diretti alla pompa del
firmamento, né all' imponente spettacolo della ma-
rina, sì bene alle memorie che la vista de' ruderi,
e della spiaggia mi ridestava.
Anlium era città dei volsci, fondata, secondo Ze-
nagora, da Av^su od Avzziot figlio di Circe ed Ulis-
se (1), ossia, come io spiego, da una colonia greca,
e dagli abitanti del promontorio Circeo. E ben quel
promonlorio oggi detto di s. Felice al chiaro di luna
mi era additato dal barcaruolo cadere grosso e ri-
ciso nel mare. Allora sembrommi vedervi assisa sul
più alto ciglione la figlia del sole aprir le labbra a
(1) Dioiiis. lih. I, cap. 72,
59
voluttuoso canto, mentre di ninfe una turba accen-
dea per la scogliera l'odoroso cedro, felice inganno
ai naviganti, « Hinc exaudiri gemitus iraeque leonuin,
Vincla recusantum, et sera sub nocte rudentum, -
Setigerique sues, atque in praesepibus ursi - Sae-
vire, ac formae magnorurn ululare luporuìn, - Quos
hoininum ex facie dea saeva potentibus herbis - In-
duerat Circe in vultus ac terga ferarum (1) ».
Stagioni di lungo e ricco commercio, ovvero di
fortunata pirateria sulle coste siculo e greche (2),
passar dovettero per Anzio prima che Roma sotto
1' ultimo Tarquinio rompesse ai volsci una guerra
duratura per due secoli. In questo periodo coriolano
suir imbrunir della sera in volgare arnese, taciturno
e intrepido, andò a sedersi al focolare di Tulio Au-
fidio, personaggio ohe per ricchezza, per valore e per
cospicui natali era come re fra tulli i volsci lenu-
to (3). Al quale aperto l'esule il disegno d' ire ad
assediare Roma , non solo da quel suo più crudo
nemico ottenne amistà, ma divennegli collega nel
capitanar l'esercito. Tutto cadde in potere de'volsci
da sì egregio duce diretti : e se. le preghiere della
madre noi vinceano, il pellegrino mirando le ruine
di Roma detto avrebbe: - Città distrutta da un of-
feso cittadino ! - Invece ricondotto da Coriolano ad
Anzio l'esercito, chi sa quanti rammarichi egli sof-
frì ai rimproveri fatti dai volsci di non essere stato
buon cittadino né della prima nò della nuova pa-
(1) Virg. Aeneid. lib. V.
(2) V. Dionis. e Strab.
(3) Plutarco in Coriol. traci, del Pompei.
()0
tria; avendole danneggiate ambedue. E chi sa quante
volte il prode avrà errato sul lito desiando la morte,
che si dice da Plutarco fosse violenta ! Ma de'grandi
uomini le debolezze dopo morte scusa e deplora
il popolo : onde non fa meraviglia se i volsci lo
piansero ben tosto concorrendo dalle città al di lui
cadavere, seppellendolo orrevolmente, e adornandone
la sepoltura di armi e di spoglie, siccome quella di
un combattente e capitano di sommo valore (1).
Nel 287 di R. il console Tito Numicio Prisco,
rotti i volsci, s' impadronì di Cenone, porto arse-
nale e piccolo oppido degli anziati, distrusse le mura
e i ricettacoli delle navi (2). L'anno seguente An-
zio stesso fu preso dal console Tito Quinzio. Pii-
bellalosi nel 371, il 380 lo costrinse alla resa. Nel
412 fu centro della famosa lega latina. Ioga di la-
tini, volsci e sanniti, popoli bellicosi e schivi, sde-
gnanti il nome di servi romani. Ma non tutte le
nobili intraprese sortono lieto fine. Infatti dopo la
disfatta tutte le navi furon portate nelTarsenale di
Roma, alcune incendiale dopo averne tolti i rostri
posti, ad eterna ignominia, all'arringo del foro ; fu
dedotta ad Anzio una colonia, della quale fecero per
somma grazia parte i volsci ; la comune [)roprietà
dal mare s' interdisse agli anziati (3).
Dopoché le bande sannitiche (i) di Mario sac-
cheggiarono Anzio, una nuova erasi schiuse per que-
(1) Plularco ivi.
(2) Dioiiis. hb. Vili.
(:5) Liv. lib. IV.
CO Sn-:iL. lib. V .\|ìj>i.iii. lib. -1.
61
sta spiaggia, era di feste , lusso, lascivie e puzzie.
Si convertì il territorio in ville splendidissime, ove
Augusto dimorava quando l'adulazionelo intitolò padre
della patria (1): ove nato Caligola tanto ne amava il
soggiorno, che dichiararlo volea sede delì'impero (2),
ed in riconoscenza le sorti anziatine indarno lo am-
monirono che si guardasse da Cassio (Cherea) (3).
Natovi Nerone vi costruì un porto operis sumplito-
sissimi{i), \ì rusticava quando le fiamme arsero la
capitale: gettata a terra parte delle mura, entrò in
Anzio colla pompa ieronica su cocchio tirato da
candidi cavalli; vi dedusse una nuova colonia di ve-
terani (5). Qui certo fu '1 teatro delle turpitudini di
Agrippina sua madre che a ritenere il fuggente fa-
vore non vergognavasi, adorna e parata all'incesto,
offrirsi a lui, riscaldato dal vino e dalle vivande dal
meriggio a mezza notte ! Qui d'indicibile gaudio Io
ricolmava la nascita della figlia di Poppea", onde il
senato decretò che si dessero apud Anlium i liidi
circensi: ma dentro il quarto mese la morte cessò i
noiosi vagiti della bambina idolatrata (6). Non ces-
sarono però mai le -splendidezze e i divertimenti, i
lupanari d' illustri femmine ripieni, i conviti su navi
(1) Svet. in Octav. Aug.
(2) Svet. in Calig. Praesertìm cum Caius Antium, omnibus
semper locis atque secessibus praelatum , non aliter quam natale
solum dilexerih tradaturque etìam sedem ac domicilium impeni tac-
dio urbis transferre eo destinasse
(3) II medesimo, ivi.
(4) Il medesiino in Ner.
(o) Tacito. Annal, lib. XIV, e. 2".
(6) Tacit lib. XV. e. 23.
62
d' oro e avorio distinte; quando le tenebre cadeano,
la reggia, i boschi, e i giardini brillavan sempre di
lumi; all' innocente gorgheggio degli uccelli da terre
diverse raccolti rispondean sempre osceni canti (I).
Scontate' Nerone col suo sangue cotesto igno-
minie, si legge che Domiziano si divertiva ad im-
boccare i simulacri della Fortuna (2), e che l'otti-
mo Adriano prediligeva Anzio più d'ogni altra cit-
tà d'Italia. In quel tempo i filosofi seguaci di A-
pollonio Tianeo eran venuti a stabilirsi in Anzio, che
resero celebre per avervi sospeso un libercolo au-
tografo dello stesso maestro (3). Antonino Pio for-
nì Anzio di un acquedotto (4). Settimio Severo lo fre-
quentava coi figli (5).
Dal secolo HI al VI dell'E. V. sappiamo , es-
sersi qui propagata la rehgion cristiana , alla cu-
ra de'fedeli vegliava un vescovo che trasferì poi la
sede in Albano. Quando nel 537 Viiige s'impadroniva
di Porto, le navide'romani gettavan l'ancora presso
Anzio (6). Se in quell'epoca l'ingordigia de'goti, il
che non mi par verosimile, non distrusse la città e
saccheggiò le fìorentissime ville, non scampò certa-
mente da' saraceni che infestarono la spiaggia ro-
mana dal secolo IX al X. È verosimile che oltre
(1) Tacit. lib. XV. e. 37.
(2) Marziale lib. V. epigp 1, . Si'u tua faliclicac discunl re-
sponsa sorores Plana snburbani qua cubàt untla freti •.
(3) Filostr- in Apoilon. e. J2 e 20.
(4) Capìlolino in Anton, e. 8.
(5) Erodiano lib. III. e. d 3.
(6) Prooopio, Guerra gotica lib. I. e 26.
63
all'abbandono e all' ira degli elementi siasi aggiunta
l'opera degl'indigeni prima di ripararsi ai monti in
demolire il porto, onde non invitasse i barbari ad
annidarvisi. Il popolo di Nettuno, di cui non si co-
nosce se l'origine sia volsca , greca, o saracena ,
dovette sempre nutrire una grande rassegnazione ,
dissimulando e bravando il timore de'pirati e tur-
chi: timore durato sino a giorni nostri.
Sanguinosa scena di guerra civile nel 1378 qui
aprirono i veneziani e i genovesi, che de'mari la ti-
rannia per tanto volger di secoli si disputarono; e
benché il Tirreno stesso inorridisse , e col fracasso
e sconvolgimento de' flutti tentasse disgiungere i na-
vigli, nondin)eno impedire non potò che guerrieri
d'una medesima lingua e d' una medesima terra si
trucidassero con siffatto ardore, che sprezzanti il fu-
riar dell'onjde, si vennero in alto ad azzuffare, sic-
ché le galere perdenti trovatesi lungi dal porto e
pressate dalle nemiche e dalla tempesta andarono
a rompere sulla spiaggia. Così nella semplice fa-
vella delle cronache racconta le circostanze Daniele
Chinazzo (l):«Genovesi, avendo armate in quel tempo
dieci galere, gli diedero per capitano Luigi del Fie-
sco, e portavano gente e danari per fornir le loro
galere che erano a Costantinopoli, che avevano pa-
tito gran danno. Et inteso i danni che faceva il
Pisani in quella riviera, vedendosi haver gente assai,
si risolse di combatter con lui; e trovatisi in spiag-
gia romana a capo d'Anzo, seguì tra loro un hor-
(i) Guerra di Chioza edita dal Muratori. Rer. Italie- Script-
Tom. XF. pag. 714.
64
l'ibile battaglia; e perchè era gran pioggia e for-
tuna di mare, si ritrovaiono aver solamente nove
galere per parte. E dopo vario successo restò su-
periore il Pisani , avendo preso cinque galere ge-
novesi con tutte le ciurme insieme col capitano ,
et un altra galera diede a terra : ma salvatisi gli
huomini, restò in mano deVeneziani, la quale con
l'altre prese furono brugiate, eccetto quella del ca-
pitano, la qual fu mandata a Venezia con lui e con
li gentilhuomini genovesi, e quattro galere per
scorta. E questo conflitto seguì nel mese di luglio
1378. Morirono de' genovesi 500 persone, et anco
molti veneziani, tra quali Zaccharia Ghisi patron di
galera , e furono trovati nelle galere de' genovesi
molti argenti, e danari assai ».
Nel 1481 questa spiaggia vide la fuga del fiero
duca di Calabria sconfitto dal Malatesta nella vicina
tenuta ch'ebbe allora il nome di Campo morto.
)) El papa (così narra Antonio de Herrera (1) a pag.
157 anno 1481) avia recebido por general de su
esercito contra el duque de Calabria Roberto Ma-
latesta senor de Rimini. Y aviendo ydo a buscar al
duque, que era muy inferior en fuer^as, se toparon
junto a Netuno en Campana de Roma. Y avia pe-
dido el duque a su padre, que le embiasse gente
para reforoar el esercito que era muy inferior. Y
viendo que le avian da tornar los pasos , con so-
li) Comenlarios de los hechos de los espanoles, franceses , y
veuecianos en Italia, y de otras republicas, polentados, principe*
y capltanos famosos ilalianos desde el ano de 1281 basta el de
1539. Madrid por Juan Del^jado ano 1624.
f
65
brado animo dio la batalla, y la perdio, aviendo he-
cho prueva de gran capitan, y quedàra preso sino
le salvàran los turcos que tenia en su campo. Y
presto murio Malatesta del trabajo de la batalla ».
Lo stesso autore nel 1556 riferisce: « Los fran-
ceses con algunas galeras fueron à ganar à Netuno,
lugar en la marina de Marcantonio CoIona, porque
importava mucho: pero no le pudieron tomar «.
Finalmente gì' inglesi nel 1811 si divertirono
ad abbattere la torre d'Anzo difesa da pochi sì ma
ardili cannonieri. Innocenzo X 1' avea posta dov' è
ora la batteria, in guardia delle coste contro i pi-
rati e per tutela contro la peste: niente valeva per
fortificazioni militari.
Ruminato per la mente quest' ultimo fatto , il
barcaruolo era rientrato nel porto nuovo, e mi rac-
contava la festa fatta a dì 30 giugno e 1 luglio
prossimo passato al regnante sommo pontefice Pio IX,
quando vi ha avuto un convegno col sovrano delle
due Sicilie Ferdinando II. Il popolo de'dintorni per-
suaso della brillante fortuna che gli apparecchie-
rebbe un porto sicuro, della necessità di questo pei
naviganti (1), e delle produzioni del suolo in cereali,
(1) Linotte loc. cit. §. 2: I bastimenti che trovansi fra lo
shocco del'Tevere ed il capo Circeo e nelle alture di capo d^ Anzio,
difficilmente possono reggersi al sopravv<!nto,e sostener la deriva per
rifugiarsi nel porto di Civitavecchia (circa 80 miglia di mare di-
stante) senza essere trasportati in secco sulla spiaggia romana con
sicuro naufragio , e tanto meno possono superare il capo Circeo
per rifugiarsi nel porto di Gaeta, per cui tante volte sono periti
i legni anche nella spiaggia fra Nettuno e Asturu, sebbene vi sia
il moderno porlo innoccnziano di Anzio.
(J A.T CXLIII. 5
66
vino, ed in legname da costriizione navale, legname
da fusli di botti, legna da fuoco e caibone, di cui
fassi continuo commeicio con Napoli, accalcato sulle
live un grido unanime airaiiioioso^ principe alzava
a domandargli : S. P. UN PORTO. Ed il pon-
tefice con dolce sorriso accondiscendeva all'utile ri-
chiesta, assicurando la moltitudine che tale speranza
non andrebbe fallita, e che ne' suoi pensieri avea de-
cretata la felicità di Anzio, cui ad arra di tal pro-
messa erigeva in comune, diversificandolo da Net-
tuno. Gli annunzi non ha guari pubblicati nella parte
officiale dal giornale di Roma provarono, che il no-
stro sovrano attiene più di quello che gli si chiede.
Accordò infatti alla società anonima della strada fer-
rata da Roma a Frascati di poter continuare la li-
nea a guide di ferro da Frascati a porto d'z\nzo ,
e di presentar disegni per la rinnovazione del porto.
In questo modo quando la società Casavaldés e com-
pagni avrà attivata la strada ferrata da Civitavec-
chia a Roma, Ancona, e Bologna, fra non molti anni
potrem vedere la nostia patria Roma divenuta non
solo regina, ma per quattro porli e due mari Yum-
bilico della terra. La natura, che di ubertoso terri-
torio e di centrale situazione le fé dono, non mi-
rerà più i suoi tesori negletti dal commercio , e
preferiti siti ingrati e fuor di mano al vero Eden
e centro d' Italia
67
CAPITOLO JV.
Navigazione ad Astura, e ritorno per terra
A Nettuno.
Sonavan le quattro del mattino, quando il ma-
rinaio della passata sera venne a destarmi ; che al
porto mi attendeano quattro compagni. Ma non so
per qual fatalità pesava sul mare una fittissima neb-
bia, togliendoci la vista di ogni minima lontananza,
tanto che non ostante gli sforzi e l'abilità di 4 re-
matori allungammo di circa un'ora il viaggio. Di-
radatisi i vapori: ci apparve la costa di Nettuno
come piena di bastimenti a vela: talmente sfilavano
e si curvavan le colonne della nebbia. Schiarita pei
crescenti calori la costa , sì tornò a largo: le onde
venian grosse contro il battello , ma sdrucciolava
questo sopra loro, appoggiandolo senza posa i ro-
busti remi. E si gi-ande era in noi il desio di toc-
car terra, che scopertasi la torre d' Astura promi-
nente sull'acqua, noi l'acclamammo come Gerusa-
lemme i pellegrini. Appena sulla sponda, un canno-
niere venne a salutarci , e a prender l'attestato di
nostra partenza da porto d'Anzo per soddisfare alle
leggi di sanità.
Dove sbarcammo cominciano i fondamenti di
antiche terme composti di due parti rettangolari, la
prima più fuori, l'altra più dentro mare, e dell'opera
stessa reticolata mista talvolta a laterizia come le
ftibbriche del porto neroniano. Formava quest'edifi-
cio co'suoi muraglioni un riparo al molo occiden-
68
tale deWuìKjiporlo o stazione piratica (1). Il cav. Ca-
nina alla tav. CXLIII dell'architett. roman., dando
il ristauro di queste terme, V incomincia nella parte
pili lanciata in mare ora coperta dall'arena con un
grande peristilio; indi un vestibulo ed una sala met-
tevano alle celle de'bagni differenti; alle piscine di-
metteano i corpi esinaniti pel molto sudore. È in-
credibile la quantità de'marmi greci, di porfido, ala-
bastro, e specialmente rosso antico, che rigetta colle
conchiglie il mare, o vengono a luce al minimo sco-
primento di suolo. In somma i ruderi di queste
terme ci dimostran la verità di ciò che Seneca ep.
86 su tal oggetto scrivea: « A tal grado di delizie
giungemmo da non voler calcare altro che gemme »
e nell'epist. 122: « Non vive contro natura chi fa in
mare i fondamenti delle terme , nò delicatamente
notar gli sembra se i caldi stagni il flutto e la
tempesta non ferisca ? » Questi fondamenti termali
erano in quell' istante veramente feriti dal flutto ,
poiché lo scirocco gonfiava quel mare tanto delicato^
(1) Si ponga mielite alla differenza tra porto t stazione: — Por-
(ws autetn locus est ab accessu ventorum retnotus, ubi hiberna ap-
ponere solent. Et portus dictus a deportandis commerciis ( Isid.
Orig. lib. XIV e. 8). — Siationes dicimus a slatuendo, velut qui-
dam aia a stando. Is igilur locus demonstratur, ubicumqne naves
stare posstint (Ulpian. dig. lib. 45 tit. 12. 1). La stazione poi si
cUiamava pure Angiporto , eo quod sit angustus portus > id est
aditus in portum (Pesto v. Angiportus ). Strabene poi dice Pirà-
tica la stazione di Astura, non già perchè vi slessero i legni dei
pirati, raa bensì i legni dei romani contro i pirati che aveano ogni
agio di annidarsi nelle macchie di Nettuno e Sermoncta, macchie,
nelle quali sempre sonosi rifuggiti i ladri. In tal modo io vado a
spiegare un altro passo di Strabene affermante che i romani sfor-
zavano gli anziati ad abbandonar lo studio della pirateria.
69
il quale airicciavasi e frangeasi sulle mine. Noi in-
tanto ci gettammo a bagnarci ne'bacini, e con no-
stra sorpresa li trovammo adatti secondo la mag-
giore o minor profondità a bagni meno o più tie-
pidi; sicché potrebbero essere a stabilimento ridotti
con leggiero dispendio.
Terminato il bagno, si seguitò lungo la riva ad
ammirare i ruderi di nobile villa dell'età imperiale
sino al fiumicello Cavata , del quale alla foce sta
apposto un muraglione per condotto che d' acqua
dolce forniva la villa, le terme e la stazione. Ci fu
detto che il Cavata piiì sopra chiamasi Astura , e
proviene dalla prossima tenuta di Campo morto.
Tornati ad Astura, si entrò alla torre sopra un
ponte moderno di materiale. La torre ha nella fronte
lo stemnia de'Colonna , segno che quella famiglia
la fabbricò. Una scorta di cannonieri la guarda , e
si piace dell'ottima aria e dell'aperto orizzonte. Un
buon cannocchiale dell'officiale ci avvicinò la mirabile
veduta. All' est, lungo le coste per Torre verde, sal-
gono i monti di Sermoneta e Norma ; dietro essi
spicca la cima di quei di Gaeta ; verso sud-est, a
guisa d' isola il monte Circeo orrido appare -Col capo
in cielo, e con le piante in mare (1); al sud la di-
stesa dell'elemento infido sembra possedere un' at-
trazione potentissima per l'uomo; all'ovest la spiaggia
d'x\nzio torce alle foci tiberine.
Esplorati i luoghi , leggemmo l'articolo Astnra
del non mai lodato abbastanza Antonio Nibby, onde
rammentarci le memorie della contrada. La prima
(.1) Tassoni, Secchia rapita, canto X, stanza 24.
70
cosa che mi ferì fu il passo di Plinio lib. HI e. 5:
Aslura flnmen et insula. - Che Cavata fosse il fiume
Aslura è manifesto, essendo l'unico rivo perenne di
questi luoghi; ma tutti credono Astura non già isola,
ma piuttosto penisola, essendoché ne' lati della lin-
gua, formata dall' intelaratura delle terme a fiore, e
non sott'acqua, in due seni spandesi il mare. Ac-
cresceva difficoltà il leggere in un istromento del
987, edito dal Nicolai, donati al monastero di s-
Alessio dal conte Dcnedctto i terreni in loco qui
dicitur Astura cum parictinis suis, in quo olim fuit
ecclesia s. Mariae ... c/e insula suprascripti mond-
sterii vestri . . insta porlum Aslurae - e in due do-
cumenti riportati dal Nerini, uno del 1163, ove si
nomina in possesso de'conti tusculani - insulam de
Asluria- e in una bolla del 1220, in cui al mo-
nastero di s. Alessio si conferma Totum quod ve-
stro monasterio perlinet in Astiiria, et in insula Astu-
rie cum piscationibus, venationibus, naiifragiis.
Per deciferare la questione seguitossi a leggere
come nel 417 di R. Caio Menio, scontrato l'eserci-
to volsco ad Astura, lo sconfìsse ponendo fine alla
guerra latina (1). Cicerone si dilettava moltissimo
dimorarvi, e ne' libri XII. XIII. XIV e XV epist.
ad Alticum, usa un modo da nominare Astura da
far credere, che era non solo come scrisse all'epist.
20 del lib: XII: Est heic locus amoenus et in mari
ipso, qui et Antio et Circaeis aspici possiti ma an-
(1) Liv. lib. Vili. e. 10 — Caesi ad Pedum Jsturamque
exercitus hosiium.
71
che un oppido, ponendone sempre il nome in geni-
tivo ne' verbi di riposo, e in accusativo senza pre-
posizione ne'verbi di moto. Lo stesso modo usa Pli-
nio lib XXXII e. l,e Svetonio in Augusto e. 97.
Lo conferma Servio, che nel comentario al lib. VII
Aeneid. chiama Astura oppido e fiume, come pure
Stefano tra le città nominò Astura, che si trova nei
greci travolta in Astijra per corruzione o allunga-
mento del V.
Plutarco nella vita di Cicerone racconta, come
questi fuggendo la proscrizion triumvirale determinò
- di passare ad Astira, che un luogo era mariuimo
pur di Cicerone - e che - trovala avendovi in pronto
una nave, tosto imharcossi, e navirjò con vento favo-
revole sino al Circeo. - Quindi dopo lungo tentennare
si fé condurre alla sua villa di Gaeta, ove raggiun-
tolo Erennio centurione, mentre i servi lo trafuga-
vano verso il mare, prima lo scannò e poi gli re-
cise il collo che steso avca fuor della lettiga.
Svetonio in Aug. e. 98 riferisce che Cesare Au-
gusto, notte tempo ad Astura navigando, contrasse
uno scioglimento di ventre che '1 condusse alla tom-
ba. II medesimo asserisce di Tiberio, che venuto dalla
Campania in Astura cadde nell'ultima malattia di
languore. Plinio lib. XXXII e. 1 menziona 1' au-
spicio tratto del vicino assassinio di Caligola da una
remora che fermò la nave, sulla quale il tiranno da
Astura ad Anzio remigava.
Dopo scorse queste ed altre meno rilevanti me-
morie, che si possono trovare in Nibby, si tentò
sciogliere la questione del come Astura fosse anti-
camente isola. Si osservava che se attualmente la
72
torre coli' intelarature sopr'acqua non forma isola ,
vieppiù non la formavano le terme che alte alzavan
di certo le mura: che non era probabile, in sì an-
gusto spazio esistesse oppido e ville de' romani ,
! poderi del conte Benedetto nel 987 , e oltre le
piscationes anche le venaliones spettanti al mona-
stero di s. Alessio nel 1220: e che pure attualmente
Cavata ha il nome di Astura piiì sopra della foce.
Si ricorse perciò alla carta topografica , in cui si
vede il mare battere Astui-a al sud, all'est la divi-
de il fiume Cavata, al nord i mille rivi che taglian
la tenuta di Campo morto, e finalmente all'ovest un
altro rivo perenno isolano un tratto di continente
proporzionato ad un oppido, alle ville di Cicerone e
de' Cesari. Questa conclusione però soggiacque ad
una difficoltà», qual è quella che nella donazione del
conte Benedetto de'terreni in loco qui dicilur Astu-
ruy si nomina come confine e già propria del mo-
nastero r isola - de insula suprascripù monasterii ve-
stri: - il che denota differenza della tenuta Astura
dall' isola di Astura, come più chiaramente emerge
dalla bolla del 1220 - Totum qnad v estro monasle-
rio pertinet IN ASWRIA, et IN INSULA ASTU-
RIE cnm piscaiionibusjnavigalionibiis, tiaufragiis-Tale
osservazione conchiudeva : 1° che Astura pur nel
medio evo era isola: 2" che la Cavata^ nome dato
al fiume per indicarne gì' inalveamenti, si dovea di-
ramare nel suo rivo, di cui tuttora si può tracciare
il letto, in un cavo di terra vicin dell'acquedotto ,
alle altre fabbriche a ponente , che vedremo per
lungo tratto girare in siti aridi. Comunque però la
cosa fosse, il eerto si è che adesso il luogo detto
73
Astura è penisola," come ai tempi di Pirro Ligo-
rio (1).
Mentre sede-vasi a mensa , cadde naturalmente
il discorso sopra il celebre fatto, origine de'vespri
siciliani. Corradino, pretendente al reame di Napoli
e Sicilia, dopo la sfortunata battaglia di Tagliacozzo
nel 1267 , persuaso dai ghibellini , e udito che i
guelfi avean preso e condotto a Carlo d' Angiò il
figlio del conte Gerardo da Pisa, suo compagno, fuggì
di Koma, insieme al figlio del duca d' Austria, di
conte Galvano e al figlio di lui, e inviò un messo
ad Astura a procurarsi una saettia a qualunque prezzo
per tornarsi a Pavia, oppure secondo Riccobaldo ,
Hist. Imperai., al regno che insorgeva nella massima
pai te contro il suo rivale. Era feudatario del ca-
stello, che sorgea piiì dentro terra verso la chie-
suola deir Annunziata, Giovanni Frangipane, il quale
avvisato da Carlo (2) e vago d'alzar fortuna con una
buona presa, armò di soldati un'altra saettia, diessi
ad inseguire e l'aggiunse. i fuggitivi. Questi, fuor del
conte Galvano, eran tutti giovanetti affaticati dal
viaggio e pochi: inoltre nel carattere di Corradino
si mescolava all'audacia una fanciullesca debolezza
o paura; laonde al castellano si ai-resero di leggeri,
e gli svelarono chi erano. Non giovò al disgraziato
principe prometter mari e monti se '1 rilasciasse ,
(1) Ligor. V. Astiira.
(2) Bart. de Neocaslro Hisloria sicula al tomo XII. Rer. ital.
script, di Muratori eap. CUI » lacobus (così ei lo chiama) Fra-
gapanis romanus Astorae dominus litus custodii, requisitus a Ca-
rolo, quod Conradinus, qui hello sepullus reperiri non polerat, non
effugerel manus suas.
74
ne umilini'si fino a proferirglisi per genero (3). Tem-
pellava il Frangipane tra '1 restituirlo a libertà colla
promessa di largo compenso e tra '1 condurlo a
Carlo colla certezza di grandi ricchezze ed onori.
Intanto una tempesta, o piuttosto la nuova della fa-
mosa cattura, spingca alla spiaggia Roberto di La-
vena colle galere de' provenzali. Chiese il capitano
la consegna del prigioniero; ma veduto ancor dub-
bioso il Frangipane , sbarcate le ciurme , assediò
strettamente il castello. Allora Giovanni, allettato dal
timore e dalle promesse, restituì la preda non pro-
pia ai cacciatori cacciantì la sua preda (2). E noto che
poco dopo Carlo mandò al taglio della testa Cor-
radino e i compagni.
(1) Bartol. De Neocastro — Qui (Corradi nus) cum caperelur
ab eis cum sociis, rogat, ut si ipsum abire permitteret, fiiiam suam
ducerei in uxorein.
(2) Sallae sive Sabac Malaspinae rerum sicularum libri FI,
ab an. chr. 1230 ad an. 1276, fra i Rer. ilalic. script, del Mura-
tori tom. Fin. pag. 830. Questo autore coevo e mollo circostan-
zialo sembra essersi trovato ai fatti che racconta. E qui non vo-
glio tralasciar di notare, che non so capire come Andrea Dei nella
cronica sanese ed altri accusino di tradimento quel diavolo di
Frangipane. Stando a qualunque relazione, questi non era seguace
o suddito di Corradino: era romano e perciò dovea essergli con-
trario coll'universale de'suoi concittadini, che dopo la giornata di
Tagliacozzo aveansi eletto Carlo a senatore (V. Chronicon Cavense
tom. VII. rer. italic. script, p 929): noi prese con lusinghe, ma
armata mano; noi consegnò volontariamente, ma a viva forza. Che
ci entra adunque il tradimento ? Lo dica pur 1' istoria avaro e
cupido di onori ; deplori la risoluzione non cavalleresca fallagli
prendere dalla cupidigia, ma non infligga la taccia di traditore ad
un principe romano. U piacere di qualunque scrittore {■ togliere
dalle persone, di cui parla , le macchie addossategli senza rifles-
sione: e troppo grande essendo sempre stato il numero de' tradi-
tori, non accresca il vitupero dell'umanità.
75
Pochi anni dopo un cronista (I) riscaldato «dal
sole di Sicilia sclamava con enfasi in latino: - Bada,
Astura, che l'aquila occidentale volando contro le
ecco s'avventa, la quale distruggendo il tuo nido ,
i polli tuoi divorerà, strappandoti le penne, perchè
macchiasti le arene di Napoli Lacedemone col san-
gue del pollo dell'aquila orientale. - Infatti nel 1286
ai 4 settembre Bernardo di Sairiano da 12 galere
mise in barche ì suoi soldati panormitani, e di buon
mattino in giorno di domenica assaltò, prese, de-
predò Astura, e in gran parte la diede alle fiamme.
Vi rimase con altri morto di lanciata il figlio di
Giovanni Frangipane. Tanto i siciliani erano infa-
tuati della memoria di Corradino!
Dopo pranzo, annoiali dall'uniformità del mare,
andammo a Nettuno, non già per la strada carroz-
zabile che traversa la macchia (2), ma sulla riva, la
quale essendo troppo sabbiosa, stanca: perciò si cer-
cava sempre calpestar l'orlo del lito bagnato dai
regolari v ah eìii deW onde. 11 sole; ripercosso dall'ac-
que e dalla bianca sabbia, stampavaci in fronte un
marchio di fuoco. Diversivo nelle faticose nove mi-
glia fino a Nettuno, fu poco lungi una fabbrica che
a guisa di piscina e di punla sta in mare, ove co-
fi) De Neocastro cap. CU.
(2) Questa macchia essendo grandissima e folta è '1 richiamo
de'cacciatori, i quali hannovì abbondanza di cinghiali, capri e le-
pri. La maggior copia di essi però \i coucorre nel maggio, quando
ripassando le quaglie in compagnia delle rondini d' oltre mare
in Italia, per circa cinque miglia si copre il lito di reti, e le sem-
plicette schiere affaticate dal lungo tragitto vi cascano. Dice il
Biondi che al suo tempo entro un sol mese vi furono giorni, in
ciascuno dc'quali st presero centomila uccelli !
76
mlnciava a riparare dai venti di ponente la stazione
d'Astura- Seguirono altre due ruine di sostruzioni e
appoggi di villa, delle quali 1' ultima gli elementi
riuscirono a staccare dalla tenera rupe del littorale,
precipitandola abbasso. Passai il rivo perenne, che
probabilmente di videa all'ovest dal continente 1' isola
Astura, sopra un ponticello antico.
Giunti a Nettuno, siccome era giorno di festa ,
mirammo le donne in gonna ì^ossa e col turbante in
testa (1), ossia nel costume che ne' giorni dì car-
(d) A spiegazione di questo verso del Tassoni Secchia rapita
canto X- s<. 24, ed affinciiè tanti curiosi e pittori che traggono di
festa a veder le nettuncsi, abbiano prima un'idea del loro costume
arcipiltoresco, crediamo indispensabile di riprodurne 1' esatta de
scrizione dal P. D. Agostino Maria Sonsis somasco diretta al Ba-
rolti. Egli così scrivea: — Del vestir delle donne di Nettuno io
posso darne contezza, perchè <iui ih Roma se ne vanno vedendo,
ed io sono stato anche in Nettuno medesimo una volta. Usano
queste il vestir di rosso più di qualunque altro colore: e il ve-
stito è di tal forma, che qui suol dirsi che vestono alla turchesca;
Parlando delle più benestanti, il fondo o sia lembo della gonna è
trinato d'oro a più d'un giro, e talvolta con andamento d'intrec-
ciatura bizzarra, quasi direi a guisa di quelle trinature, che ye-
donsi ne'teatri sopra gli abiti asiatici. Il turbante poi del Tassoni,
altro non è, che una fascia di pannolino che portano intorno alla
testa. Forse la denomina egli turbante relativamente a quelle fa-
sce bianche, che i turchi avvolgono e intrecciano a'ioro turbanti:
o fors'anche perchè appunto si dice dalla gente, che vestono alla
turca, egli ha notato l' ornamento del capo con nome turchesco.
Si cingono queste donne intorno alla testa la suddetta fascia
bianca, la quale a sommo della fronte aggruppano, e li due. capi
pendono dall' una parte e dall'altra sopra l'orecchie ed a' conBni
del collo con caduta bizzarra, che dà aria di ornamento barbarico,
massimamente confondendosi co'non piccoli orecchini d' oro. Non
portano busto con ossa di baleno all'uso dell'altre donne, ma ve-
stono una camicioletta corta di panno, molte volte rosso, con ma-
niche strette simili a coteste delle ferrarese , che dal polso sii»
• ■■ '77 •
nevale tanta grazia aggiunge alla beltà romana. Tal
vestiario distingue zitelle, vedove e maritate. Di loro
parlando il Pazza. (1) riferisce: u E perchè usavano
ornamenti ancora propri degl' imperatori, del papa,
e vescovi, come i sandali, la porpora ed altro, durò
fatica Gregorio XIII a ridurli ad un abito antico sì,
ma comunale -. con la spesa della camera , per la
prima volta ». Nettuno che nel 1600 dava i natali al
celebre pittore Andrea Sacchi, e nel 1624 a Paolo
Segneri principe dell' eloquenza sacra , è diviso in
moderno o borgo, e in vecchio. Al vecchio pone un
solo ingresso, è in salita, bastioni e torri lo difen-
dono. \ vista del palazzo Doria Pamfili ripensai alla
dimora fattavi da Innocenzo XII, il quale « lo vide
tanto sontuosamente ornato alla regia, che confessò
non aver visto eguale ad alcun sovrano- Li parati
verso al gomito hanno un'apertura che si abbottona , ed è guer-
nita colla sua trina Cotesta camicioletta non si ciiiude tutta da-
vanti, ma solo al sito della cintura, alzandosi l'apertura d'essa in
guisa che sempre più si dilata quanto più s'avvicina a sommo il
peKo: onde non si stringe alla vita se non se solo sopra il fiancj,
ov'è chiusa. Il petto poi resta coperto da una pettorina larga in
cima e stretta in fondo , così che cuopre il sito non chiuso dalla
camicioletta e provvede alla modestia, non però in maniera tale,
che per essa le don.ie perdano i loro vantaggi. La detta pettorina
si suole ornare anch'essa di trine d'oro in vaga forma. Ma l'or-
namento del capo è ciò, che più d' ogni cosa fa parer turche le
nettunesi. Per altro è una curiosità singolare per chi viaggia ,
cominciando dall'Umbria e camminando fin dentro il regno, il ve
derc che in ogni terra o borgo le donne variano l'ornamento del
capo, acconciandosi i loro veli tutte in diversa forma: talché alle
nettunesi quel velo, che altre portano più disteso sulla testa , è
piaciuto di stringerlo; e Cattane una fascia cingersene le tempia -.
(1) (jtrarchia cardinalizia. Roma, stamperia Bernabò 1703
pag- :J14
78
ricchissimi e quasi tutti ricamati d'oro con letti no-
bilissimi quasi tutti di ricamo , e specialmente li
parati ed il letto del papa nel proprio appartamento.
In ogni stanza ci era gran magnificenza per orna-
mento e per uso con lampadari , bragieri , vasi ,
colonnette, e statue d'argento (1) »• Fuor del borgo
sta la fortezza guardala da un cannone. Fra '1 paese
e la fortezza una via mette in seno di mare , nel
quale escono a fior d' acqua i segni de' moli d' un
secondo angiporto. Qui ancora si vedono le ripe
convalidate da sostruzioni e grotte che seguono
fino a porto d' Anzo. Siffatta esperienza mi portò
alla conclusione, che gli antichi romani usavan della
magnificenza per 1' utilità pubblica. Imperocché è
ad ogni marinaio manifesto, come lo era ai tempi
di Strabone, essere tanto infelice la natura di que-
sto litlorale pel continuo ristagno delle arene tra-
scinate dall'ordinaria corrente dall'est all'ovest, che si
dichiarava comunemente importuoso. Cosa effettua-
rono i romani ? Anche più oltre di Astura, come
si afferma, arginai'ono con muraglioni le ripe onde
non le minasse il mare. Ne'seni, ove naturalmente
va sempre a fermarsi un po' di arena , protesero
punte a scagliarla in alto, e stazioni che allineavano
le rive e quasi del tutto manteneano il giro naturale
alla corrente per una specie di spaggia non inter-
rotta. L' arena poi, che o le tempeste o le solite
ondate insaccavano nelle stazioni e nel poito , o
fermavasi avanti ai muri, la ingoiavano mille spe-
(1) V. d.3 relazione del viag. d'Innocenzo XII a Nettuno.
I
79
lonche artefatte, in cui si riposava la gente ne'gian
calori, e dove la trascinavano per gettarla poi lon-
tano coll'altra le nazioni de'servi imperiali. Le rima-
nenti, che seco portava ripa ripala corrente, il for-
tiere in proseguimento del capo anziate balestrava
a ponente del promontorio.
Il nome del paese, la stazione, il vicino porlo,
r inclinazione degli anziati al commercio, ed una
lapide riferita dal Fabretti (1) » e secondo Ligorio
trovata ne'contorni, prestano quasi certezza, che a
Netliino sorgesse un tempio di NeUuno reduce , al
quale i naufraghi sospendeano tavolette votive e
bagnate vestimenta (2).
Fabio Cori.
(1) Fabretti Inscript. pag. 405 -NEPTVNO REDVCI-SACRVM-
Q. MAMLIVS Q. F. PAL-VI VIR AVGVSTALIS ET FLAM Tl-
TIAL-VOTVM SOLVIT LIBENS MERITO.
(2) Hor. lib- I. Od, 5.
80
Libro primo degli annali di C- Cornelio Tacito. I se-
condi XX paragrafi- Esperimento di versione ita-
liana per Giuseppe Bustelli.
(Vedi il tomo CXL|1 del giornale arcadico)
XXI. lloi'um adventu redintegratur seditìo, et vagi
circumiecta populabantur. Blaseus paucos, maxime
praedà onustos, ad terrorem celerorum, affici ver-
beribus, claudi carcere iubel; nam etiam tum legato
a centuiionibus , et optimo quoque manipularium,
parebatur. Illi obniti trahentibus, prensare circum-
stantium genua , ciere modo nomina singulorum ,
modo centuriam quìsque , cuius manipularis erat ,
cohortem, legionem « eadem omnibus imminere w
clamitantes: simul probra in legalum cumulant; coe-
lum ac deos obtestantur: nihil reliqui fociunt quo-
minus invidiam, misericordiam, metum et iras pio-
moverent.Adcurritur ab universis, et, carcere effracto.
solvunt vincula; desertoresque ac rerum capitalium
damnatos sibi iam miscent.
XXII. Flagrantior inde vis, plures seditioni du-
cis: et Vibulenus quidam giegarius miles, ante tri-
bunal Blaesi adlevatus circumstantium humeris, apud
turba tos et quid pararet intentos : « Vos quidcm ,
» inquit , bis innocentibus et miserrimis lucem et
» spiritum reddidistis: sed quis fratri meo vitam,
» quis fratrem mihi reddit ? quem missum ad vos
» a germanico exercitu de communibus commodis,
)) nocte proximà iugulavit per gladiatores suos, quos
» in exitium militum habet atque armat. Responde,
81
XXI. L^ostoi'o sorgiunti, rinfiammano i sollevati; e
sbandati manomettono le circostanze. Bleso per at-
terrirgli, obbedendogli tuttavia i centurioni e il fior
de' soldati, alcuni de'più rapaci flagella o imprigio-
na. Quegli stravolti, pontavano, serravansi alle gi-
nocchia di quanti scontrassero; ciascuno i compagni,
la propria centuria, coorte e legione invocavano per
nome, gridando; « Altrettanto avrete tutti ! » E il
legato vituperavano, gli dei scongiuravano; conci-
tando a lor potere esecrazione, pietà, terrore, furore.
Tutti si sfienano; sforzano il carcere , sferrano di-
sertori e rei capitali, e ne ingrossano.
XXII. Di che raccendimento, e più capi alla ri-
bellione. Un Vibuleno, fante comunale, d' in su gli
omeri degli astanti, stupiti e attesi a che riuscisse,
surse di fronte al tribunale di Bleso: « Voi torna-
)) ste in vita questi infelicissimi ed innocenti: ma chi,
» chi rende al mio fratello la vita, a me il fratel-
» Io ? Il quale mandato a voi , per nostro prò,
» dalle niilizie germaniche, questa notte sgozzarono
« i costui sgherri, mantenuti in arme per macel-
» larci. Dove n' hai gettato, o Bleso, il cadavere ?
G.A.T.CXLIII. a
82
\) Blaese, ubi cada ver abiecieris ? ne hostes quidem
» sepulturae invident : cum osculis , cum laciytnis
» dolorem meum impleveto , ine quoque trucidari
» iube; dum inteifectos nulluin ob scelus, sed quia
» utilità ti legionum consulebamus, hi sepeliant «.
XXIII. Incendebat haec fletu , et pectus atque
OS manibus verberans: mox disleclis quorum per hu-
meros sustinebatur, praeceps et singulorum pedibus
advolutus, tantum consternationis invidiaeque con-
civit, ut pars militum gladiatores qui e servitio Blaesi
erant, pars ceteram eiusdem familiam vincirent, alii
ad quaerendum corpus effunderentur. Ac ni propere,
neque corpus ullum reperiri , et servos , adhibitis
cruciatibus, abnuere caedam, neque illi fuisse unquam
fratrem, pernotuisset, haud multum ab exitio legati
aberant. Tribunos tamen ac praefectum castrorum
extrusere. Sarcinae fugientium direptae, et cenlurio
Lucillius interficitur , cui militaribus facetiis voca-
bulum (( Cedo alteram » indidcrant: quia fracta vite
in tergo militis, alteram darà voce, ac rursus aliam
poscebat. Ceteros latebrae texere, uno retento Cle-
mente lulio, qui perferendis militum mandatis ha-
bebatur idoneus, ob promptum ingenium. Quin ipsae
inter se legiones , octava et quintadecima , ferrum
parabant: dum centurionem, cognomento Sirpicum,
illa morti deposcit, quintadecumani tuentur; ni miles
nonanus preces, et adversum aspernantes minas, in-
teriecisset.
XXIV. Haec audita, quanquam abstrusum et tri-
stissima quaeque maxime occultantem , Tiberium
perpulere, ut Drusum filium cum primoribus civita-
lis, duabusque praetoriis cohortibus mitteret, nullis
83
» Nemtnanco i niinici frodano la sepoltura ! Che io
» disacerbi, baciando e Jaciimando, ir mio dolore:
» poi sbranati me ancora: purché, non per misfare
» ma per procacciar bene all' esercito colpevoli e
» trucidati, costoro ne seppelliscano ».
XXIII. Il pianto e il picchiar delle pugna sul
petto e la faccia, rincalzavano i detti: quando, ral-
largatisi gli omeri che il sopportavano , rovesciò e
rotolò fra' coloro piedi, tanta ira e turbamento sve-
gliando, che i soldati parte legarono gli sgherri, parte
i famigli di Bleso, parte all' inchiesta del cadavere
si sparpagliarono. Se tosto non chiarivasi non si tro-
var cadavere, e i servi, torturati, negare il misfatto
né mai Vibulano aver avuto fratello, per poco uc-
cidevano il legato. Pure, discacciano i tribuni e il
mastro di campo, e gli rubano fuggenti, delle ba-
gaglie , e ammazzano Lucilio centurione , sopran-
nomato, con soldatesca arguzia, un'altra: perciocché,
tiaccata in sulla schiena del soldato una verga, un'
altra e poi un'altra a gran voce chiedevane. Gli al-
tri s'acquattarono: non però Giulio Clemente, abile
rapportatore, per veloce ingegno , delle soldatesche
ambasciate. Che se la nona legione , pregando e i
resistenti minacciando, non si traponeva, la ottava
e la quintadecima, quella per voler morto , questa
salvo, Sirpico centurióne, appiccavano mischia.
XXIV. Saputo questo Tiberio, cupo quantunque
e destrissimo a nascondere i peggior danni, fu stretto
di spedirvi il fìgl/o Druso con due coorti pretoriane;
84
satis certis mandatis; ex re consulturum. Et cohortes
delecto milite supra solilum firmatae. Additar magna
pars praetoriani equitis, et robora germanorum, qui
tum eustodes imperatori aderant : simul praetorii
praefectus , Aelius Seianus , collega Straboni patri
suo datus, magna apud Tiberium auctoritate, rector
iuveni, et ceteris periculorum praemiorumque osten-
tator. Druso propinquanti, quasi per officium, obviae
fuere legiones: non laetae, ut assolet , neque insì-
gnibus fulgentes, sed illuvie deformi, et vultu, quan-
quam raoestitiam imitarentur , contumaciae pro-
piores.
XXV. Postquam valium introiit , portas statio-
nibus firmant , globos armatorum certis castrorum
loci opperiri iubent: celeri tribunal ingenti agmine
circumveniunt. Stabat Drusus silentium manu po-
scens. UH quoties oculos ad multitudinem retule-
l'ant, vocibus truculentis strepere; rursum, viso Cae-
sare, trepidare: murmur incertum, atrox clamor, et
repente quies: diversis anim^rum motibus, pavebant,
terrebantque. Tandem, interrupto tumultu, litteras
patris recitat, in quis praescrlptum erat:« Praecipuam
» ipsi fortissimarumlegionum curam,quibuscum plu-
» rima bella toleravisset: ubi primum a luctu re-
» quiesset animus, acturum apud patres de postu-
» latis eorum: raisisse interim filium, ut sine cun-
» ctationc concederei que slalìm tribui possent; ce-
» tera sena lui servanda; quem neque gratiae neque
» severitatis espertem. haberi par esset ».
XXVI. Responsum est a conclone, mandata Cle-
menti centurioni quae perferret. ìs orditur « De mis-
» sione a sexdecim annis: de praemiis fìnitae mi-
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rifornite fuor del consueto di scelti militi, e i pri-
mai cittadini, con niun ordine fermo, ma avvisassero
il destro. V arrose assai cavalli del pretorio , e il
meglio de'germani, custodi allora del principe: e in-
sieme Elio Sciano, prefetto del pretorio, da lui fa-
voritissimo, e il suo padre Strabone deputò reggi-
tori al giovane , e agli altri di pene e premi pro-
mettitori. Appressando Druso le legioni, per osser-
vanza, gli furono incontro, non coll'usata festività e
splendor di vessilli, ma sformatamente immonde, e
dal piglio, composto a tristezza, spiranti arroganza.
XXV. Come fu nello steccato, assiepano di guar-
die le porte, di drappelli armati le porte, gli altri
in gran calca serrano il tribunale. Surto Druso, chie-
deva con mano udienza: quelli se la moltitudine sguar-
davano oi'ribilmente vociferavano: se Cesare, trepi-
davano: con murmurc confuso, bramivano, di subito
quietavano: con varia tenzone di affetti, tremanti o
tramendi. Racchetatigli alfine, legge la paterna let--
tera, di questo tenore: a Come il mio dolore il com-
» porti , tratterò co'padri delle domande di queste
» legioni fortissime, statemi in tante guerre com-
» pagne, e di tutte a me carissime: mando intanto
» il figlio, che incontanente, qiianto ora si possa,
)) conceda ; il resto al senato , che , graziando o
» punendo, non si vuol forchiudere )).
XXVI. A questo là turba: « Risponda per noi
»• Clemente centurione ». Costui chiese : concsedo
86
» litiac: ut denariiis diurnum stipcndium forct, ne
V veterani sub vexillo habeientur «. x\d ea Drusus,
cum arbilrium senatus et patris obstendeiet, clannore
turbatur: « Cui* venisset , neque augendis militum
)) stipendiis , neque allevandis laboribus , denique
» nulla benefaoiendi licentià ? At heicule verbera
)) et necem eunclis pemiitti! Tiberium olim no-
)) mine Augusti desideria legionum frustari solitum;
)) easdem artes Drusum retulisse : numquamne ad
)) se nisi filius familiarum venturas? Novum id piane,
» quod imperator sola militis commoda ad senatum
)) reiiciat: eumdem ergo senatum consulendum, quo-
)) lies supplicia aut praelia indicantur? an praemia
)) sub dominis, poenas sine arbitro esse ? »
XXVII. Postremo deserunt tribunal: ut quìs prae-
torianorum militum amicorumve Caesaris occurreret,
manus intentantes, causam discordiae et initium ar-
morum, maxime infensi Cn. Lentulo, quod is ante
alios aetate et gloria belli, firmare Diusum crede-
batur, et illa mililiac flagitìa primus aspernari. Nec
multo post digredientem cum. Caesare, ac provisu
periculi hiberna castra repentem, circumsistunt, ro-
gitantes « Quo pergeret: ad imperatorem, an ad pa-
)) tres, ut illic quoque commodis legionum adver-
» saretur ? » Simul ingruunt, sane iaciunt: iamque
lapidis ictu cruentus et exitii certus, accursu mul-
titudinis, quae cum Druso advenerat, protectus est,
XXVIII. Noctem minacem et in scelus eruptu-
ram fors Icnivit; nam luna claro repente caelo visa
languescere. Id miles, rationis ignarus, omen prae- •
sentium accepit, ac suis laboribus defectionem sideris
assimilans, prosperequc cessura quae pergerent, si
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dopo i sedici anni; il ben servito: un danaio il giorno,
tolti ai vessilli i veterani- E protestando Druso il
voler del senato e del padre, fu uno scalpore. « Senza
» facoltà di crescerne paga o sminuirne fatica o gio-
» varne comechessia, a che venistù ? Ma il batterci,
» l'ucciderci, per Dio, cui si vieta ? Far vano, in
)) nome d'Augusto, ogni piacer nostro, usò già Ti-
» berlo : ora medesimamente Druso. Altri non ci
)) spedirà che figli di famiglia ? Vedete giustizia !
» Solo il nostro utile 1' imperadore rimanda al se-
» nato: perchè non ancora i gastighi e le battaglie
» che ne s' impongono ? Adunque il guiderdone a
» rigore, e la pena a libito ?
XXVII. Sgombrato infine il tribunale, ogni pre-
toriano 0 amico di Cesare che riscontrino, per ap-
picco ai corrucci e al sangue, percuotono, fierissimi
a Gn. Lentulo, stimato, per età e gloria guerriera,
il più efficace consigliere di Druso, e primo ripren-
ditore di quel disordinar di milizia. Poco stante di-
lungandosi con Cesare, per campare quel rischio,
verso i quartieri d' inverno, lo cingono e gli chie-
dono: « Dove vai? all'imperatore o al senato per
» quivi ancora osteggiare il nostro meglio ?» e in-
sieme gli piombano sopra co'sassi : sanguinoso da
quel tempestare, periva, se la moltitudine soprav-
venuta con Druso noi campava,
XXVIII. Fortuna stornò i mali che la notte ne
sovrastavano: perciocché la luna, a ciel sereno, parve
a un tratto scolorare: e del perchè ignaro il soldato,
rassomigliando ai propri travagli il mancar di quella,
ne presagì che bene la presente impresa gli succe-
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fulgor et claritudo deae redderetur. Igitur aeris sono,
tubiu-um cornuumque concentu strepere; prout splen-
didior obscuriorve, laetari aul moerere; et postquam
ortae nubes offecere visui crcditurnque conditam te-
nebris, ut sunt mobiles ad superstitionem perculsae
semel meotes, sibi aeternum laborem portondi, sua
facinora aversari deos lamentantur. Vtendu,nri in-
clinatione eà Cassar, et quae casus obtulerat in sa-
pientiam vertenfla ratus , circumiri tentoria iubet.
Accitur centuno Clcmens , et si alii bonis artibus
grati in. vulgus: ii vigiliis, stationibus, custodiis por-
LTrum se inferunt, spem ofFerunt, metum intendunt.
» Qaosque filìum imperatoris obsidebimus ? quis
» certaminum finis ? Perccnnione et Vibuleno sa-
» cramentuni dicturi sumus ? Pcrcennius et Vibu-
» lenus stipendia railitibus, agros cmeritis largìen-
» tur ? denique, prò Neronibus et Drusis, imperiuni
» populi romani capessent ? Quin potius, ut liovis-
)) simi in culpam, ita primi ad poenitentiam sumus ?
» Tarda sunt quae in commune expostulantur; pri-
» vatam gratiam statim niercare, statim recipias. »
Gommotis per haec mentibus et in ter so suspectis,
tironem a veterano, legionem a legione dissociant.
Tum redire paullatim amor obscquii: omittunt por-
tas; signa, unum in locum principio seditionis con-
gregata, suas in sedes referunt.
XXIX. Drusus , orto die , et vocatà conciono ,
quamquam rudis dicendi, nobilitate ingenita, incusat
priora, probat praesentia: negat « se tci'rore et minis
» vinci; flexos ad modestiam si videat, si supplices
» audiat , scripturum patri , ut placatus legionum
» preces^exqiperetw. Orantibus: rursum idem Blaesus
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derebbe, se la dea rischiarasse. E qui intronavano
con suono di bronzi e tronnbe e corni : com' ella
Fallumava o rannugolava, rallegravano o rammari-
cavano; e poiché le nubi, distese innanzi alla veduta,
le intenebrarono, come la fantasia spaurita volge alla
superstizione , si pronosticano perpetue sciagure ,
lamentano che per loro fallire gli dei gì' inimicasi
sero. Cesare parutogli da corre quel destro e il caso
volgare in consiglio, fé accerchiare le tende, e trat-
tovi Clemente centurione e se altri careggiando si
era il volgo gratificato, gì' inframmette alle scolte,
alle poste, alle guardie delle porte, a meschiare lu-
singhe e minacce. « Quando sprigioneremo il figlio
», dell' imperadore ? quando poseremo ? 0 vorremo
» giurar fede a Percennio e a Vibuleno ? Costoro
)) daranno stipendio ai soldati, terreno ai congedati,
)) e in breve governo, in cambio dei Neroni e dei
» Drusi, al popolo romano ? 0 meglio non doman-
» deremo perdono , a quelli e primi gli ultimi a
» ribellare ? Grazia in comune , tardi s' impe-
» tra : grazia privata, appena meritata, consegui».
Di che smossi, e l'uno dell'altro adombrati, novi-
zio da veterano, legione da legioiie scompagnana.Rin-
voglìano a poco a poco dell'obbedienza; sgombrano
le porte ; le insegne, in sul primo bollire insieme
raggruppate, rendono alle antiche sedi.
XXiX. Alla dimane Druso, rozzo parlatore, ma
nobile animo, raguna il parlamento; riprende il prin-
cipio, loda la fine: « Me non ispaurano minacce: se
» tornate sommessi e supplichevoli, alle vostre pre-
» ghiere propizierò per lettera il padre ». Per loro
dimanda, nuovamente fur mandati a Tiberio Bleso
90
et L. Apronius, cqiies romanus e cohoite Drusi, lu-
stusque Catonius, [)i'iiiii ordinis centuno, ad Tibe-
rium mittuntui-. Certatum inde senlentiis, quuin alii
» opperiendos legalos, atque interim comitale per-
)) mulcendum militem » censerent; alii « fortioribus
» remediis agendum: nihil in vulgo modicum: ter-
» reie, ni paveant; ubi pertimuerint, impune con-
)) temni: dum superstitio urgeat, adiicendos ex duce
» metus, sublatis seditionis auctoi'ibus. » Promptum
ad asperiora ingenium Druso erat: vocatos Vibulc-
num et Peicennium interfici iubet. Tradunt pleii-
que intra tabernaculum ducis obrutos, alii corpora
extra valium abiecta ostentui.
XXX. Tum, ut quisque praecipuus turbator, con-
quisiti: et pars extra castra palantes, a centurionibus
aut praetoriarum cohorfcium militibus caesi; quos-
dam ipsi manipuli , docnmentum fidci , tradidere.
Auxerat militum curas praematura hiems, imbribus
continuis, adeoque saevis, ut non egiedi tentoria,
congregari inter se, vix tutari signa possent, quae
turbine atque unda raptabantur. Durabat et formido
coelestis irae: « Nec frustra adversus impios hebe-
» scere sidera, ruere tempestates ; non aliud ma-
)) lorum levamentum, quam si linquerent castra in-
» fausta temerataque, et soluti piaculo, suis quisque
)) hibernis redderentur «. Primum octava, dein quin-
tadecima legio, rediere. Nonanus opperiendas Tiberii
epistolas clamitaverat: mox, desolatus aliorum di-
scessione, imminentem necessitatem sponte praeve-
nìt: et Drusus, non exspcctato legatorum regressu,
quia praesentia satis consederant, in urbem rediit.
91
e L. Apronio cavaliere romano della coorte di
Druso, e Giusto Catonio, centurione di primo or-
dine. Di poi fu quistione, se fosse da attendere i
messi, e trattante careggiare il soldato, o rìcisi par-
titi adoperare. « Il volgo non tiene mezzo; tremante
» 0 tremendo: tremante, lo schernirebbe un fan-
» ciullo. Ringagliardi il capitano, spegnendo i Ca-
porioni, lo sgomento della superstizione ». Druso,
da natura crudele, chiamati Vibuleno e Percennio,
fé ucciderli: e al dire dei più, seppellire nella sua
tenda: di altri, prostendere da vedere fuor della ba-
stita.
XXX. Cercati allora i più sommovitori , quali ,
disgregati fuor del vallo, furono trucidati dai cen-
turioni e dai pretoriani, e alcuni, quasi arra di fede,
per gli stessi manipoli rassegnati. Raggravò il patir
dei soldati il verno precoce, per continovo e sì di-
rotto piovere che non gli lasciava uscir dei padi-
glioni , ne raccozzare insieme , né quasi dispiegare
le insegne, sbattute dal turbine e dall'acqua: né lo
spavento dei numi ristava. « Mal per noi, sciagurati,
)) questo oscurar di stelle e infuriar di procelle; ne
» altramente camperemo, se usciti di questo chiuso
» malaurioso e contaminato, e purgati con sacrifi-
» zi , non ci rendiamo ciascuno alla sua stanza d'
» inverno ». Da prima vi tornò 1' ottava legione ,
indi la decimaquinta. Gridava la nona, si aspettas-
sero le lettere di Tiberio; poi, trovatasi sola, precorse
spontanea la pressante necessità; e Druso, posata a
bastanza la sedizione, non attese i messaggi, e si
raddusse a Roma.
92
XXXI. lisdein ferme dicbiis, iisdcrn caussis, ger-
manicae legiones turbatac, quanto plures, tanto vio-
lentius : et magna spe fere ut Germanicus Caesar
imperium altei'ius pati nequiret, daretque se legio-
nibus, vi sua cuneta tracturis. Duo apud lipam Rheni
exercitus crant: cui nomen superiori, sub C. Silio
le^to ; inferiorem A. Caecina curabat. Regimen
summae rei penes Germanicum, agendo Galliarum
censui tum intentum. Sed , quibus Silìus modera-
batur , mente ambigua fortunam seditionis alienae
speculabantur: inferiovis exercitus miles in rabiem
prolapsus est, orto ab unaetvicesimanis quintanisque
initio, et tractis prima quoque ac viccsimà legioni-
busjr nam iisdem aestivis in fìnibus Ubiorum habe-
baotur, per otium aut levia munia. Igitur, audito
fwie Augusti, vernacula multitudo nupcr acto in. urbe
delectu, lasciviae suela, laborum intolerans, imple-
re (1) ceterorum rudes animos: (c Venisse tempus,
» quo veterani maturam missionem , iu\:enes lar-
» giora stipendia, cuncti modum miseriarum expo-
)) scerent, saevitiamque centurionum ulciscerentur».
Non unus baec, ut pannonicas inter legiones Per-
ccnnius, noe apud trepidas militum aurcs, alios va-
lidiores exercitus respicientium, sed multa seditionis
ora vocesque: « Sua in manu sitam rem romanam;
)) suis victoriis augeri rempublicam : in suum co-
» gnomentum adscisci imperatores ».
XXXII. Nec legatus obviam ibat : quippe plu-
rium vecordia constantiara exemerat. Repente lym-
phati, destrictis gladiis, in centuiiones invadunt (ea
(1) A!, impellere.
93
XXXI. Quasi di quei dì, pei' ugual cagione, tu-
multuarono (e quanto più fiere quanto più copiose)
le legioni di Germania, con gran fiducia che Ger-
manico Cesare non comportasse la signoria dell'al-
tro, e si desse alle legioni, da venir arbitre di tutto.
Stanziavano al R^no due eserciti: quello detto su-
periore, conduceva C. Silio; 1' inferiore A. Cecina.
Capo di tutti Germanico, che di presente traeva 1'
imposte dalle Gallie. Ma que' di Silio , dubitosi, al
riuscimento dell'altrui sedizione risguardavano; l'e-
sercito inferiore infellonì, natane origine dalle le-
gioni ventunesima e quinta, che traportarono altresì
la prima e la ventesima , aqquartierata insieme ai
confini degli ubii e quasi che oziose. Ora, saputo
morto Augusto, una bruzzaglia vernacola, raccozzata
di poco in Roma, sollazzevole, fuggifatica, prese a
sobbillare i più quieti. « Tempo è venuto che pronto
» congedo ai vecchi, più larga paga ai giovani , a
» tutti misura de'patimenti si conceda, e vendetta
» de'soprusi de'centurioni ». Non uno, come frale
pannoniche legioni Percennio, né fra soldati trepi-
danti di contro a più forti eserciti, ma molte guise
e voci di sedizione: « Roma è in nostra balia: per
» nostre vittorie prospera la repubblica : da noi il
» cognome agi' imperatori ».
XXXII. Né il legato, scorato per l' imbizzarrire
di tanti, fronteggiava. Fossennati, a un tratto, col
ferro in pugno , assalgono i centurioni (odiosissimi
94
venustissima militaribus odiis materies, et sacviendi
prìncipium), prostratos verberibus rnulcant, sexageni
singulos , ut numerum eenturionuin adaequarent.
Tum convulsos laniatosque , et partitn exanimos ,
ante valium aut in amnem Rhenum proiiciunt. Se-
ptimius, quum peifugisset ad tribunal, pedibusque
Caecinae advolveretur, eo usque flagitatus est, do-
nQC ad exitium dederetur. Cassius Chaerea , mox
caede C. Caesaris memoriam apud posteros adeptus,
tum adolescens et animi ferox, intei* obstantes et ar-
matos ferro viam patefecit. Non tribunus ultra, non
eastrorum praefectus ius obtinuil: vigilias , statio-
nes, et si qua alia praesens usus indixerat, ipsi par-
tiebantur. Id militares animos altius coniectantibus
praccipuum indicium magni atque implacabilis mo-
tus, quod ncque disiceli, uee paucorum instinctu ,
sed pariter ardescercnt, pariter silerent : tanta ae-
qualitate et constantia ut regi crederes. Interea Ger-
manico, per Gallias, ut diximus, census accipienti ,
excessisse Augustum adfertur.
XXXIH. Neptem cius Agrippinam in matrimo-
nio, plurcsque ex eà liberos habebat. Ipso Druso >
fratrc Tiberii, genitus, Augustae nepos: scd anxius
occultis in se patrui aviaeque odiis, quorum caus-
sae acriores quia iniquae. Quippe Drusi magna apud
populum romanum memoria, credebaturque, si re-
rum potitus foret, libertatem redditurus ; unde in
Gcrmanicum favor et spes eadem. Nam iuveni ci-
vile ingenium , mira comitas , et diversa a Tiberii
sermone, vultu, adrogantibus et obscuris. Accedebant
muliebres offensiones, novcrcalibus Liviae in Agrip-
pinam stimulis, atquc ipsa Agrippina paullo com-
95
ab antico ai soldati, e primo segno alle vendette),
e gii stramazzano e maleonciano, ogni sessanta uno,
per uguagliarne 11 numero. Poi sformati, dilacerati,
e parte esanimi, gli arrandellano fuor lo steccato o
in Reno. Settimio riparò al tribunale, avvinghiossi
ai pie di Cecina: pur bisognò lasciarlo spacciare ;
per modo lo chiesero. Cassio Cherea , feroce gai--
zone (il futuro immortale uccisore di C. Cesare) si
sgombrò la via, tra le opposte armi, col ferro- Tri-
buno né maestro di campo più non ascoltarono: le
scolte, le poste, e se altro ufficio nacque in quella
stretta, fra sé scompartivano. Grande argomento a
chi vedea addentro negli umori soldateschi, di larga
e infrenabile rivoltura , fu che non ismembrati né
poco volenterosi , ma di conserto sobbollivano , di
conserto rabbonivano.
XXXIII. Trattanto Germanico, in sul catastare,
come dissi, le Gallio, seppe d'Augusto morto, la cui
nipote Agrippina avea per moglie, e di lei più fi-
gliuoli. Nato di Druso (fratel di Tiberio), nipote di
Augusta, Iravagliavalo il segreto e ingiusto (e però
più furioso) odio del zio e dell'avola; portatogli per
la calda memoria e opinione di Druso mantenuta
da'romani, ch'egli, se di Roma insignorisse, risto-
rerebbe la libertà; donde ugual favore e fidanza in
Germanico; giovane di cittadinesco ingegno, di fare
cortesissimo, diversissimo da Tiberio, tracotante di
piglio, ambiguo di parlare. S'arrogevano i femmi-
neschi rancori: Livia da madrigna astiava Agrippi-
96
motior; nisi quod castitate et meriti amore quam-
vis indomitum, ariimum in bonum vertebat.
XXXIV. Sed Germanicus, quanto summae spai
pi'oprioi", tanto impensius prò Tiberio niti. Sequanos
proximos et belgarum civitates in verba eius adigit.
Dehinc, andito legionum tumultu, raptim profectus,
obvias extra castra habuit, deiectis in terram ocu-
b's, velut penitentià. Postquam valium iniit, dissoni
questus audiri coepere: et quidam, prensà manu eius,
per speciem osculandi, inseruerunt digitos, ut vacua
dentibus ora contingeret: alia curvata senio mem-
bra ostendebant. Assistentem concionem, quia per-
mixta videbatur, « Discedere in manipulos » iubet;
» sic melius audituros responsum: vexilla praeferri,
» ut id saltem discerneret cohortes: » tarde oblem-
peravere. Tunc a veneratione Augusti orsus , flexit
ab victorias triumphosque Tiberii, praecipuis laudi-
bus celebrans quae apud Germanias , illis cum le-
gionibus, pulcherrima fecisset. Itaiiae inde consen-
sum Galliarum fidem extollit; nil usquam turbidura
aut discors. Silentio haec vel murmurc modico au-
dita sunt.
XXXV. Ut seditionem attigit, ubi modestia mi-
litaris, ubi veteris discipiinae decus, quonam tribu-
nos, quo centuriones exegissent, rogitans ; nudant
universi corpora , cicatrices ex vulneribus , ver-
berum notas exprobrant ; mox , indiscretis vocibus
pretia vacationum, angustias stipendii, duritiam ope-
rum, ac propriis nominibus incusant valium , fos-
sas, pabuli, materiae, lignorum adgestus, et si qua
alia ex necessitate aut adversus otium castrorum
quaeruntur. Atrocissimus veteranorum clamor orie-
I
97
na: costei era un pò viva, se non che pudore e carità
di moglie bene indirizzavano quella caldezza.
XXXIV. Ma Germanico, come più il principato
se gli offeriva, e più forte brigava per Tiberio. Re-
cogli in divozione i vicini sequani e le città belge:
e volò, udito che subbollivano, alle legioni, venu-
tegli incontro fuor del campo, con gli occhi a terra,
come pentite. Entrato nel campo, sursero discor-
danti querele; e quale strettogli la mano, come da
baciare, se ne inframmette per le gengie sdentate i
diti che le tastassero; e chi porgeva il dorso da vec-
chiezza incurvato. Parutagli disordinata quella turba,
fé tornarla, per meglio udirlo, nelle compagnie : e
perchè le coorti si scernessero, co' vessilli innanzi.
A malincuore obbedirono. Qui, lodato in prima A\i-
gusto, calò alle vittorie e ai trionfi di Tiberio, levò
a cielo le costui prove stupendissime, con quelle
legioni, in Germania: indi il consentire d' Italia, la
fede di Gallia; la quiete e concordia finallora uni-
versale.
XXXV. Poco o nulla, fin qui, mormorarono. Toc-
cata la sedizione, e chiesto: « Dove l'ubbidienza mi-
litare ? dove l'orrevole antica disciplina ? dove cac-
ciaste i tribuni, i centurioni ? » tutti s' ignudano:
bestemmiano le cicatrici delle ferite, il lividore delle
battiture; poi, con discorde vociferare, il prezzo dei
riposi, la strettezza degli stipendi , l'acerbità de'ia-
vori, e nomatamente lo steccato, i fossi, il trasporto
de'fieni e legnami, e checche altro bisogna o cessa
ozio in campo. I veterani, noverando trenta o piiì
G.A.T.CXLIIl. 7
98
batur; qui, tricena aut supra stipendia numerantes,
» mederetui" fessis, neu mortem in iisdetn labori-
» bus, sed finem tam exercitae militiae, neque ino-
» pem requiem » orabant: fuere etiam qui legatam
a divo Augusto pecuniam reposeerent , faustis in
Gennanicum ominibus, et, si vellet imperium, prom-
ptos ostentavere. Tum vero, quasi scelere contami-
naretui', praeceps tribunali desiluit: opposuerunt ab-
eunti arma, minitantes, ni regrederetur. At ille, mori-
turum potius, quam fidem exueret clamitans,ferrum a
latere diripuit, elatumque deferebat in pectus, ni pro-
ximi prensam dextram vi attinuissent : extrema et
conglobata inter se pars concionis , ac , vix credi-
bile dictu, quidam singuli, propius incedentes, fe-
riret, hortabantur: et miles nomine Calusidius: stric-
tum obtulit gladium, addito, acutiorem esse. Sae-
vum id malique moris, etiam furentibus, visum: ac
spatium fuit, quo Caesar ab amicis in tabernaculum
ra pere tur.
XXXVI. Consultatum ibi de remedio. Etenim
nunciabatur: « Parari legatos, qui superiorem exer-
» citam ad caussam eandem traherent: destinatum
» excidio ubiorum oppidum : imbutasqne praedà
» manus, in direptionem Galliarum erupturas )). Au-
gebat metum gnarus romanae seditionis, et, si o-
mitteretur ripa , invasurus hostis ; at si auxilia et
socii adversum abscedentes legiones armarentur, ci-
vile bellum suscipi : periculosa severitas: flagitiosa
largitio; seu nihil militi, sive omnia concederentur
in ancipiti respublica. Igitur, volutatis inter se ra-
tionibus, piaci tum , ut epistolae, nomine principis,
scriberentur: « Missionem dari vicena stipendia me-
» ritis; exauctorari, qui senadena tecissent, ac re-
99
anni di soldo, urlando fieiissimi, imploravano « in-
» nanzi che morte ve gì' incolga, Une agli stenti e
)) a sì travagliosa milizia, riposo e da vivere »: ta-
luni anco chiesero a Germanico il legato del divo
Augusto, bene augurandogli; e proffei-irongli, volen-
dolo , r impero. Rabbrividito a tanta nefandità , si
lanciò giù dal tribunale, e partiva; ma, colle armi
nel viso, minacciaronlo se non tornasse. Quegli gri-
dando: - Prima morto che disleale ; - dinudato e
levato il ferro, si passava il cuore, se i vicini la de-
stra non gì' imprigionavano. Ma la più rimota udienza
si raggruppa, e alcuni pochi (quasi incredibile !) gli
si ravvicinano, e lo confortano : a Ferisciti: « e un
Calusidio, soldato, brandì un pugnale e per più ta-
gliente glie r offerse. Crudo alto parve e peggiore
esempio eziandio a quelle fiere : e diede agio agli
amici di trasportar Cesare nel padiglione.
XXXVI. Dove si consultò: uditosi che « appa-
» recchiano di farsi partigiano, per messi, l'esercito
» superiore, disertar il borgo degli ubii, e abbottinati,
» gittarsi a rubar le Calile ». Crescea spavento il
nimico, che, accorto della ribellione, occuperebbe la
ripa, se la sgombravamo: ma se approntiamo gente
e alleati contro i ribelli, arderà guerra civile. Ri-
schio il negare, l'accordare onta; o tutto concedasi
0 nulla, la repubblica in ponte. Ventilato i partiti,
piacque scriver lettere in nome del principe: « Chi
servì vent'anni, sia congedato; chi sedici, disobhli-
JOO
)) tineri sub vcxirio , ceterorum iminuncs, nisi prò-
)) pulsandi liostis : legata, quae petiverant, exsolvi
» duplicai'ique ».
XXXVII. Sensit miles, In tempus confìcta, sta-
timque flagitavit. Missio per tribunos maturatur: lar-
gitio diffeiebatur in hiberna cuiusque. Non abscessere
quintani iinaetvicesimanique, donec iisdenm in aesti-
vis, contrada ex viatico amicorum ipsiusque Cae-
sai'is, pecunia persolveretur. Primam ac vicesìmam
legiones Caecina legatus in civitatem ubiomm re-
duxit, turpi agmine, cum fìsci de imperatore rapti
Inter signa interque aquilas veherentur. Germanicus
superiorem ad exercltum profectus, secundam et tei-
tiamdecimam et sextamdeclnfiam legiones, nihil cun-
ctatas, sacramento adlgit. Quartadecuinani paullum
dubitaverant: pecunia et missio, quamvis non flagl-
tantibus, oblata est.
XXXVIII. At in chaucis captavere seditionem
praesidium agitantes vexillarii discordium leglonum,
et praesenti duorum militum supplicio paullum re-
pressi sunt. lusserat id Mennius , castrorum prae-
fectus, bono magis exemplo, quam concesso Iure :
delnde, intumesconte niotu, profugus, repertusque,
postquam intutae latebrae , praesidium ab audacia
mutuatur: « Non praefectum ab iis, sed Germanicum
» ducem, sed Tiberium imperatorem violari » ; si-
inul exleiritis, qui obstiterant, raptum vexillum ad
ripam voitit, et si quis agmine decessisset prò de-
seriore fore, clamitans, reduxit in hiberna turbidos
et nihil ausos.
XXXIX. Inlerea legati, ab senatu, regressum iam
apud araiu ubioi'um Germanicum adeunt. Duae Ibi
101
gato, ma ritenuto all' insegne, per sola difensione;
il chiesto lascito, doppiato e pagato ».
XXXVII. Avvisò il soldato il balocco , e pres-
sava. Pubblicossi pe' tribuni il congedo; indugiandosi
il pagamento al tornar ne' quartieri d' inverno. La
quinta né la ventunesima legione non dipartirono ,
prima non ebbero quivi stesso il danaro, racimolato
dal viatico di Cesare e degli amici. Cecina legato
raccolse nella città degli ubii la prima e la ven-
tesima legione, carreggianti in vituperosa frotta, fra
le insegne e l'aquila, il contante tolto all'imperadore.
Germanico, ito all'esercito superiore, recò, non re-
pugnanti, al giuramento la seconda e la decimaterza
e la decimasesta legione; e, un pò restia, la deci-
maquinta ; proffertosi , non pur chiesti , danaro e
congedo.
XXXVIII. Ma nei cauci ribellava la guarnigione,
stigata dai veterani delle discordi legioni; e un poco
la tenne Mennio, mastro del campo, col supplizio
( meglio esemplare che legittimo) di due soldati.
Ma ribollendo il tumulto, si trafugò: scovato da mal-
sicuro nascondiglio, cercò dall' ardire salute: « Voi
» non isforzate Mennio, ma il capuano Germanico,
» ma Tiberio imperatore w ; e sbigottiti i contra-
stanti, ghermì e trasse alla ripa l'insegna, e bandendo
disertore qualunque si dischierasse, gli rendè bruschi
e scorati ai quartieri d'inverno.
ì
XXXIX. Tornano intanto i messi, e s'accontano
air ara degli ubii con Germanico , già tornatovi.
102
leglones, prima v^tque vicesima, veteranique nuper
missi sub vexillo hiemabant. Pavidos et conscientia
vecordes intrat metus , venisse patrum iussu , qui
irrita facerent , quae per seditionem expresserant :
utque mos vulgo , quamvis falsi , reum subdere ,
Munatiuin Plancum, consulatu functum, principem
legationis, auctorem senatusconsulti incusant: et no-
cte coneubià vexillum in domo Germanici situm ,
flagitare occipiunt : concursuque ad ianuam facto ,
moliuntur fores; extractum cubili Cae sarem, tradere
vexillum, intento mortis metu, subigunt. Mox, vagi
per vias, obvios babucre legatos, audita consterna-
tione, ad Germanicum tcndentes. Ingerunt contu-
melias: caedem parant: Fianco maxime, quem di-
gnitas fuga impediverat; ncque aliud periclitanti sub-
sìdium , quam castra primae legionis. lllic , signa
et aquilam amplexus, religione sese tutabatur : ac
ni aquilifer Calpurnius vim extremam arcuisset, ra-
rum etiam inter bostes, legatus populi romani, ro-
manis in castris, sanguine suo altaria deum comma-
culavisset. Luce demum, postquam dux et miles et
facta noscebantur, ingressus castra Germanicus, per-
duci ad se Plancum imperat , recipitque in tribu-
nal. Tum fatalem increpans rabiem , ncque mi-
litum, sed deùm irà resurgere, cur venerint legati,
aperit: ius legationis atque ipsius Planci gravem et
immeritum casum, simul quantum dedecoris adie-
rit legio, facunde miseratur; attonitàque magis quam
quieta concione; legatos, praesidio auxiliarium equi-
tum, dimittit.
103
Quivi la prima e la ventesima legione e i veterani,
di poco sotto alle insegne, invernavano. Incodarditi
da rimordimento, temettero non i padri mandassero
a ricovrare quanto la ribellione carpì ; e come il
volgo, fantasticata una coJpa, v'appicca un colpe-
vole , accagionano del decreto il capo dell' amba-
sciata Munazio Fianco (stato console ); e di prima
notte , chieggono con ressa lo stendardo , custo-
dito da Germanico; la cui casa assiepano, sforzano
le imposte, e lui, svelto di letto, stringono co' ferri
levati di rassegnarlo. Dipoi dispergendosi, scon-
trando i legati , tratti dalla fama del trambusto a
Germanico, gli proverbiano; presti a spacciarli, mas-
sime Fianco, cui vergogna vietò la fuga; né, tranne i
quartieri della prima legione, gli restò scampo. Colà,
avvinghiato ai vessilli e all'aquile, lo francheggiò la
religione ; e se Galpurnio aquilifero non tenea la
puntaglia, un legato romano, nel campo romano,
insanguinava (raro anco fra' nimici) l'are degli dei.
Raggiornato, e conosciutosi il capitano, i soldati e
i fatti, venne Germanico in campo, e fattosi condurre
e allogare nel suo tribunale Fianco; esecrando quel
furore fatale, e per ira, non de' soldati, ma de numi
risorgente; palesato perchè venuti i messi, il pro-
fanato diritto dell'ambasciata, il fiero e indegno ri-
schio di Fianco , il fresco vituperio della legione ,
eloquentemente deplora. Gli sbalordì , non li rac-
quetò: e licenziò, accompagnandoli di estrani cava-
lieri, i messi.
104
XL. Eo in metu arguere Germaiiicum omnes,
)) quod non ad superiorem exercitum pergeret, ubi
» obsequia, et contra lebelles auxilium: satis su-
» perque missione et pecunia et mollibus consultis
» peccatum: vel, si vilis jpsi salus, cui* filium par-
)) vulum, cui* gravidani coniugem, inter furentes , et
)) omnis hunfiani iuris violatores, haberet ? illos sal-
)) tem avo et reipublicae redderet ». Diu cunctatus,
adspernantem uxorem, cum se divo Augusto ortam,
ncque degenerem ad pericula testaretur, postremo,
uterum eius et communem fìbum multo cum fletu
complexus, ut abiret perpulit. Incedebat muliebre et
miserabile agmen , profuga ducis uxor , parvulum
sinu filium gerens: lamentantes circum amicorum
coniuges , quae simul trahebantur ; nec minus tri-
stes qui manebant.
105
XL. Tutti in quella stretta accusano Germanico:
» Perchè al fedele esercito soprano non chiede
» schermo dai ribelli ? Troppo s' è largheggiato di
» congedi, paghe e blandimenti. Di sé non gli cale ?
» Almanco il piccoletto figliuolo e la mogliera in-
» cinta, a quelle fiere, d'ogni mnano diritto concul-
» catrici, ritolti, renda all'avo e alla patria ». So-
prastato un pezzo, smosse alfine, con molto pian-
gere e abbracciare le ginocchia e '1 seno di lei ,
Agrippina; che vantandosi originare dal divo Angusto,
e ne' rischi non tralignare , disdegnava partii-e. Si
trafugavano, miseranda frotta di femmine, la donna
del generale , col bambino al petto , e dattorno ,
conforti di fuga, le mogli degli amici: e le fuggi-
tive e i rimanenti di paro lagrimavano.
106
Idee cosmologiche e cosmogoniche. Nola del prof. Fran-
cesco Orioli, mandala e Iella alVIsiitulo di Bo-
logna, il 1 maggio 1859.
K
Colleghi chiarissimi
lon prenderei la penna per qui mettere in carta
alquante parole da leggere innanzi a voi sulla di-
sputa sorta, già è qualche tempo , in Inghilterra ,
tra il celebre fisico Faraday e il non men celebre
matematico Airy, se neirargomonto di quella non
mi trovassi mescolato di diritto , comechò il mio
nome non vi appaia.
Le novelle dottrine del Faraday sulla natura della
materia nella sostanziale lor parte , per quanto è
accessibile a conghiettura, son mie, sia da quando
professava io fìsica, non pur dirò in Corfù, ma in
codesta Bologna madre degli studi; ed esse, in quel-
r altra lor parte in che non son mie , danno alle
opposizioni del matematico Airy , una opportunità
che le mie non danno.
Potrebbe ciò che in primo luogo affermo, parer
men vero a que' che non sono stati miei discepoli,
e che non hanno udito da me spiegare in iscuola
gl'insegnamenti miei sopra sì fatto proposito, o sì
veramente che li han dimenticati. Ne dà però te-
stimonianza esplicita ed opportuna, l'opera, Spighe
e Paglie, dove nel quaderno d'aprile 1844, alla pagi-
na 145 e seguenti, brevemente io spiegava il mio si-
stema in termini di poco varianti da quo' del Faraday.
I
107
Il Faraday manifestava su ciò in Londra le pro-
prie idee in aprile 1846, e le pubblicava nel phi-
losophical Mayazine del susseguente iMaggio (V. Ar-
chives des sciences physiques et naturelles. Decem-
bre 1846, n- XI, pag. 244 et suiv.), dicendo ch'ei
non ammette atomi di dimensioni sensibili , man-
tenuti in equilibrio da forze di diversa natura , e
separati da spazi vuoti. Ma sostituisce in luogo loro,
semplici centri di forze la cui riunione, in vario e
determinato numero, e con variabile densità, costi-
tuisce i corpi, e considera ogni atomo come pre-
sente da per tutto dove 1' azione che esso esercita
si fa sentire, e, perchè si fa sentire su tutto l'uni-
verso, egli ammette coesteso l'atomo all'universo.
Or tali appunto sono le idee ch'io, più distesamente,
pubblicava dal mio lato, nel citato libro, due anni
prima di lui, come ciascuno può conoscere leggendo.
Senza dubbio, il Faraday ed io, in alcune parti
del sistema nostro , siamo stati prevenuti dai così
detti dinamisti, alla cui testa, un secolo e mezzo
fa, si collocarono i Leibniziani e il padre Boscovich;
ma non credo che alcuno abbia offerto il comune
nostro concetto nella forma particolare, sotto la quale
noi due lo presentammo.
Airy non mi par che si sia fatta una idea chiara
del valor della propria obbiezione, allorquando fassi
ad opporre, nello stesso philosophical Magazine (2.°
supplemento del 1846) che la materia deve esser
conceputa, non come una forza, od una riunione di
forze, ma come qualche cosa, in cui queste forze ri-
siedono , in una parola , come una sostanza distinta
dalle sue proprietà. Che cangia ciò nell' intrinseco
108
del sistema nostro ? Ci sia pur questo agente arcano,
dal quale le forze procedono, ed in cui sono infìsse
in qualche modo (ed io per mia parte non lo ira-
pugno, nò veggo elle possa sul serio impugnarsi da
chicchesia , indipendentemente dalla idea che cia-
scuno può formarsi intorno al valore della parola
sostanzialità) ; ma siccome non si rivela all' uomo
siffatto agente in altro modo che appunto per le
sole sue forze, così, quanto al fisico, esso agente
non entra nel computo ; e , nel luogo di esso , il
fisico ha tutto il diritto di non considerare che le forze
dalle quali l'agente è rappresentato, e che ad esse
equivalgono, sopra la qual cosa dee leggersi quanto
nella detta mia opera stampava al citato luogo ,
pag. 147, e seg., e voi. 3." pag. 244 e seg.
Airy aggiunge una opposizione tratta dalla iner-
zia , cioè dalla relativa quantità , per esempio , di
forza estrinseca, la quale ogni corpo richiede per
esser messo in un dato movimento, ciocché fa sup-
porre nel corpo una resistenza da vincere , la cui
misura poi denotiamo col nome di massa, e par pro-
cedere da una forza conservatrice del proprio stato,
forza inerente alla materia^ e propria dell' essenza
del suo subslratum come usan molti chiamarlo. Qui
ancora però il detto matematico non sembra essersi
fatta una chiara idea del veio valore della sua dif-
ficoltà. Ciò vorrà dire che a quello eh' io nomino,
non atomo (perchè riservo questa denominazione a
que' primi composti che dai fisici son detti mole-
lecole primiiive ed atomi chimici), ma con Leibnitz
e Boscovich, monade, bisognerà oltre alle altre forze,
al pili aggiungere la forza speciale d'inerzia; ciocché
109
non cangiei'à nulla nel nostro dinamico modo di con-
cepirne l'essenza, quale almeno è lecito considerarla
dal suo lato pratico ed unicamente accessibile al-
l'uòmo. Se non che Vinerzia è per me una condizione
dell'azion delle forze, o una delle leggi del loro modo
d'esercitarsi , piuttosto che una forza a parte , od
una forza propriamente detta , poiché per se me-
desima, essa non produce cangiamenti, ma governa
le lec:2;i de' cangiamenti. Ora l'idea che ci sogliamo
formare della forza, nell'ordine fisico, è l'idea d'una
attività motrice, o modificatrice delle posizioni, della
quale può ben far parte non separata la suboi'di-
nazione a certe condizioni governatrici dell' effetto
che la forza dee produrre.
Ed io vo immaginando così proceder le cose. —
La massa è rappresentata dalla quantità di forza
originariamente costitutiva della monade, proporzio-
natamente alla qual quantità, ed analogamente alla
cui natura, ogni monade tende nell' ordine fisico, o
a rispinger dal proprio centro d'azione , o a tirar
verso quello, il centro delle altre m.onadi. Oltre alla
quantità delle forze d'ogni dato genere impartita alle
monadi, o vogliasi dire alla incensila, e la stessa per
tutte iu uno stesso genere di forze ; chiaro è che
tutt€ le monadi avranno a concepirsi come posse-
denti massa uguale rispetto ad ognuna delle dette
forze: e poiché queste, secondo il nostro modo di
vedere, coegualmente ed uniformemente si spandano
a mò di sfera in ogni direzione e a qualunque pro-
fondità , e manifestano tante volte la loro azione
tutto intorno, quanti sono i centri monadici che in-
contrano (salvo il pili 0 il meno d'energia, secondo
110
la nota legge, modificata dal più o meri di distanza);e
poiché, inoltre, i corpi son, per noi condensazioni,
a vario grado, di centri di più monadi , e somme
di questi centri legati in un tutto , o in una col-
lettiva unità, così è chiaro, che supposte uguali le
masse delle monadi , non saranno poro uguali le
masse de'corpi, e non saranno uguali, supposte an-
che l'uguaglianze nel resto, le azioni corrispettive,
da ognuna di esse masse composte e collettive ,
esercitate e patite , e quindi gli effetti risentiti o
prodotti; e non saranno quantitativamente uguali le
loro inerzie , cioè le impressioni di moto , le im-
pressionabilità al moto, 0 quelle che noi chiamiamo
le resistenze alla recezione di questo.
Se non che un' altra fonte potrà esservi di di-
suguaglianza nelle masse, e quindi nelle inerzie, ed
essa , non più ne' corpi in quanto composti dalla
somma di più o men centri insieme legati in un
sistema unico, ma nelle monadi stesse elementari,
ove s'ammettano, come io penso, disiiguagHanze ori-
ginarie nelle quantità di forza originariamente im-
partite alle diverse monadi. Perchè , se vogliano
concepirsi, per cagion d' esempio, monadi, suppo-
niamo, di due categorie ( quelle stesse che comu-
nemente, quantunque molto impropriamente, si son
dette fino al giorno d'o'^^ì ponderabili ed imponde-
rabili, come dire con forza attrattiva , e con forza
ripulsiva, una maggiore, e l'altra minore, secondo
una data misura costante, e che io chiamerei più
volentieri materiali ed eteree, ma siffattamente or-
dinate tra loro, come le ordina la ipotesi del Mas-
sotti, una delle molte, le quali posson farsi, o qua-
Ili
lunque altra ipotesi che potrebbe all'uopo immagi-
narsi), allora è chiaro che ne'vari aggregati de'due
ordini di monadi, variabili per quantità reciproca di
monadi, e per densità, degli aggregati, non risulte-
rebbero eguali le masse e le inerzie. Ed intanto ,
ammessi questi modi di vedere, non tiovo che l' idea
d' inerzia ci costringa ad immaginare una forza terza
la quale nelle due forze fìsiche, attrattiva e repul-
siva, non sia inclusa.
Resterebbe a parlare della terza difficoltà che
Airy muove al Faraday, e la deduce dalla impos-
sibilità di spiegare la diffrazione della luce nell' ipo-
tesi dell'assenza d'un mezzo etereo. Ma sarà questa
una difficoltà per Faraday , che non sembra, per
quanto io mi sappia, nell' ipotesi qual egli comuni-
cavala al pubblico, ammetter centri di forze tra loro
repulsive diffusi nello spazio in guisa da rappresen-
tarvi l'etere universale colle sue svariate rarefazioni
e condensazioni. Per me, che, col Mossettì e coi piiì,
tutte queste cose ammetto, la difficoltà d'Airy non
può aver luogo.
112
Saggi filosofici di G. B. Pianciani D. C. D. G.
Professore ec. Roma 1855.
1
1 celebre Padre G. B. Prof. Pianciani , della cui
stimabile amicizia da circa 40 anni m'onoro, a tutti
è noto come uno de'nostri fisici più illustri. Forse
non è ugualmente conosciuto come un profondo me-
tafisico. Non pertanto in questo genere si hanno la-
vori di lui, stampati e manoscritti, che lo raccoman-
dano, a quanti si piacciano di siffatti studi , quale
uno de'piiì acuti filosofanti; e n'è ultimo documen-
to, tra gli altri, l'opera qui sopra mentovata, cori-
tenente, a forma di molte antiche scritture, 4 sag-
gi (alcuno a maniera di dialogo): il 1. intorno alle
verità prime, il 2. della combinazione dell'anima col
corpo; il 3 sull'analogia tra le leggi fìsiche e le leg-
gi morali ; il 4 intorno ai sentimenti del corpo e
dello spirito. - Dove questi ardui argomenti assume
a subbietto di nuove e pellegrine licerche, e li tratta
con piano e dilettevole stilo, per quanto è ciò sop-
portato dalla naturale astrusità de'temi- Né io mi
propongo, di opera sì grave ed importante, dare un
esame completo : fatica la quale spaventerebbe mag-
gior filosofo che io non sono. Pur alcuna cosa verrò
delibandone, tornandovi sopra forse più volte, at-
tratto, e quasi invescato, da dottrine per le quali
ebbi sempre amor sommo. In che accadrà per av-
ventura, ch'io mi trovi, a volta a volta, contrad-
dicente a quanto egli scrive, ma non mai con tale
audacia, o per tal modo, che mi tenga più sicuro
113
deiropinai' mio che del suo. Gli uomini, come il P.
Pianciani, son di quelli a'quali è duopo appressarsi
€on riverenza, diffidando di sé medesimo più che
di loro, massime allorché si spinge l'ingegno a que-
stioni tanto sublimi, e tanto incerte per natura. Ai
quale io mi permetterò, per esempio, di sottomet-
tere oggi alcune considerazioni, o piuttosto dubita-
zioni, sul secondo saggio, uno de'più importanti, col
fine ch'egli, anziché si creda da me giudicato , me
giudichi, e meglio illumini il mio intelletto, se tut-
tavia ne vale la pena.
Comincia il dotto autore dallo spiegare quel che
intenda per combinazione dell'anima col corpo', dov*
egli avverte voler significare la unione di due cose,
una semplice {Vanima), l'altra composta (il corpo),
dotate ognuna di proprietà tanto diverse , quanto
appunto lo sono, anima, e corpo : la quale unione
dimanda, se mostri qualche analogia, colle unioni
che chiamiamo chimiche di più eterogenei in un
composto unico, in cui si ecclissano, e divengono
latenti o dissimulate le proprietà particolari di cia-
scuno degli eterogenei , e il composto unificato si
trasforma al nostro senso in un intero , con pro-
prietà nuove e differenti dalle prime, e quanto all'
insieme risultante, e quanto a'singoli punti, di esso
insieme (questione eh' io non dimenticava di svol-
gere agli uditori miei nell'università corcirese, come
promossa specialmente dai materialisti contro agli
spiritualisti, pretendendo essi, che, se ne' composti
chimici il composto può operare come semplice, a
dispetto della composizione, potrebbe anche l'anima
esser composta, e perciò corporea, e ciò non ostan-
G.A.T.GXLUL 8
lU
te unificare in se tutte le parti componenti , qual
se fosseio annullate, e confuse, e raccolte in un solo
tutto).
L'A. crede che l'analogia può in qualche modo
difendersi. Perchè , nel composto chimico, per lui
non può assegnarsi il più menomo spazietto^ ove sia
un elemento (componente), e non Valtro {e il raggio
stesso del sole., a cosi dire., non li distingue passando
per essi come ne' corpi semplici), e così non può de-
terminarsi parte del corpo animato e sensitivo, che
non mostri la combinazione dello spirilo col corpo ecc.
(199). Ma io confesso che mi formo altra idea del
modo della composizione chimica. Per me, non solo
è vero, che non è menomo spazietto ove non siano
presenzialmente i due o più componenti d'un com-
posto chimico; ma, non è menomo spazzietto ove
non siano presenzialmente tutte le particelle pon-
derabili 0 imponderabili dell'universo. Perchè la pre-
senza in luogo, e l'occupazione di luogo, è dichia-^
rata fenomenalmente dalla sola presenza dell'azione.
Dove è Vazione è l'attività che la produce. Dove è
l'attività è l'agente. Ma l'agente colla sua attività è
sempre per lutto. Dunque ogni agente (materiale o
immateriale) è per tutto e sempre. Questo opinar
mio già da me professato da che dovei parlare pub-
blicamente su tale argomento, fu senza saperlo, pub-
bhcato e professato pure dal celebre Faraday. Ma,
se tutta la materia, che ne'composti chimici entra,
e che non c'entra, è sempre da per tutto, non v'è
sempre collo stesso grado d' attività e collo stesso
modo d'azione. Perchè ogni particella semplice di
materia non può essere in ogni luogo , senza che
115
abbia poi, (separato ed inconfuso) un suo luogo spe-
ciale ed esclusivo, che è il suo proprio centro d'at-
tività. Così, quando si dice che nel composto i com-
ponenti s'unificano, ciò non vuol dire che non con-
servano inconfusa la propria individualità, e l'indi-
viduale grado d'azione, il quale, o nelle somme, o
nelle sottrazioni a cui concorre, può bene uniftcar-
si, rispetto aH'etfetto - uno, estrinsecamente prodot-
to, che si chiama la risultante delle azioni, ma non
così, che le forze e i loro gradi, dai distinti cen-
tri donde emanano , spariscano. Sebbene è giusto
notare, che, limitando 11 discorso ai composti chi-
mici, in essi le particelle di diverso ordine, secondo
che mutano più o meno le loro distanze insensibi-
li, e le loro posizioni relative, possono bene in que-
sto giuoco reciproco esser mutate in guisa, che nel
composto, non le loro attività primitive, ma certe
proprietà secondali e, s'annullino, e si facciano iden-
tiche, e rimangano tali finche durano le circostanze
medesime, di guisa che l'eterogeneità temporaria-
mente s'abolisca, almeno sotto (juesto aspetto, e 1'
unificazione non sia, in siffatto limitato senso, non
veramente una perfetta unificazione, ma una specie
d'identificazione di ciascuna di esse particelle, non
perchè confuse, ma perchè, serbata sempre l'indi-
vidualità e la distinzione , ognuno operi lo stesso
genere d'effetto intorno a se, nell'ordine e dentro la
distanza, delle pure azioni chimiche. Perciò in ogni
ipotesi sarebbe vero, che non si tratterebbe d'uni-
ficazione di composti chimici da potersi paragonare
colla unificazione psichica, la quale bisognerebbe in
subjecla materia.
116
E qui debbo avvertire una cora. L'autore , ed
io non consideriamo questo punto da uno stessa la-
to. Io lo considero, ripeto, come una difficoltà op-
posta allo spiritualismo. L'A. piuttosto come un'al-
tra difficoltà opposta alia possibilità del fatto in-
trinseco della combinazione di due cose, sì tra loro
disparate, quanto il corpo composto e materiale del-
l'uomo, e l'anima o lo spirito semplice. Egli sup-
pone ammessa l'esistenza dello spirito e della ma-
teria, come intrinsecamente eterogenei , io disputo
con quei che la negano o la mettono in dubbio.
Partendo dunque ambidue dal fatto dell' esistenza
non controversa delle azioni chimiche, io dico che
han torto i materialisti quando pretendono che, se
in esse si fa di molte particelle un tutto operante
come uno e semplice, dunque d'un corpo può ri-
sultare l'anima che paia semplice nei fenomeni psi-
chici, benché sia moltiplico ne'fenomeni fisici. L'A.
invece, non pensando almeno a questa difficoltà, e
ponendo come lemma la diversità radicale e incon-
ciliabile d'anima e di materia, s' occupa solo del
modo di concepire la combinazione , come egli la
chiama, di due cose tanto apparentemente contrad-
ditorie nelle loro proprietà.
Ma io che la questione omessa dal P. Pianciani
non voglio omettere, principiando da questa, e fon-
dandomi su quanto ho discorso di sopra, nego es-
ser di qualche valore la difficoltà. Inflitti , da che
la riduzione a uno nel composto chimico è relativa
e non assoluta ed intrinseca, rispondo, che l'unità
generata e fenomenale sarà per rispetto agli effetti
operati sopra gli altri corpi posti al di fuori, e nelle
117
distanze delle azioni chimiche; ma, entro se stesso,
e nelle altre azioni, il composto resta sempre di-
stinto in parti separate e moltiplici come prima, ed
ogni parte, ogni azione, ogni attività, resta distinta
numericamente in tante quante pur sono, di ma-
niera che, se -il composto chimico avesse mia co-
scienza, cioè un sentimento delle azioni esercitate
e sofferte, ogni sua parte avrebbe una coscienza sua
di quel che essa individualmente agisce e patisce, e
del proprio centro d'attività, e della direzione della
propria forza, non delle altre; e perciò vi sarebber
coscienze, e quindi sentimenti psichici, o anime se-
parate, quante son parti.
Sebbene anche il famoso esemplo del triangolo
e dei suoi tre lati ed angoli, da percepire da un'ani-
ma supposta non originariamente semplice, che nelle
scuole s'usa a provare la semplicità, è dugli spiri-
tualisti scelto male a proposito, e tutta l'argomen-
tazione che intorno ad esso s'aggira prò e contra,
non fa né prò, né contra. Perchè non è giusto, sup-
porre presente all'intelletto, semplice o composto eh'
ei siasi, ciascuno de'lati o degli angoli, e insieme
il loro aggregato mentre pensa, ma la mente pro-
cede in ciò per atti successivi e continuati. Quando
penso al triangolo, fuori dello spirito, e nella specie
cerebrale, è la figura composta del triangolo intero
e perfetto in una immagine tutta fìsica, ciò che non
vuol dire nella idea spirituale. Acciocché la figura
diventi tale idea, l'anima bisogna che, per atti sin-
golari uno dopo l'altro, rapidamente e senza discon-
tinuità, si determini alla percezione di ciascheduna
di queste parti, e finalmente della loro somma, ed
118
a ciascuna di queste cose alla sua volta, attenda con
atto percettivo unico ed indivisibile, finita la qual
rivista psichica, l'idea risulta completa, per una pro-
prietà dello spirito di raccogliere in un fatto com-
posto considerato come semplice, quel che conce-
pisce un momento prima, con quel che un momento
dopo, in virtù di attenzione persistente nel passag-
gio dall'uno all'altro. E così è una realtà che a cia-
scun istante diverso l'atto animale è semplice, men-
tre la sintesi risultante che va creando, o l'analisi che
va tramettendo, è sopra un composto oggettivamente
materiale e composto, soggettivamente spirituale ed
uno. Per esempio, nel nostro caso, la psiche conce-
pisce, un dopo l'altro, per atti sempHci e continuati,
prima il lato a, poi il b, poi il e, poi l'angolo «,
poi il /3, poi il 7, poi il suo passaggio alternativo
dall' uno all' altro , e ogni mutazione di concetto ,
somma in una concezione unica ed indivisa,, finche
{a-\-b-ir-c-\-a-^^-+-y) = ^ cioè l'idea del trian-
golo intero 0 separata o riunita, torna sempre sem-
plice, e oscuramente è conceputa come composta,
in quanto la specie cerebrale sempre presente dura
nel cervello per ricordare la composizione , e nel-
l'anima che resta identica a se, in tutta la succes-
siva perlustrazione de' mentovati atti psichici, con-
nettesi in un atto unificato.
Ma, tornando alla maniera di vedere del dotto
autore, in essa egli è condotto ad occuparsi inci-
dentemente sulla questione del modo di nesso , e
della sede della combinazione qui discorsa , se sia
congiunzione dell'anima con tutto il corpo umano,
con tutto il sistema nervoso sensitivo, col solo en-
119
cefalo, od altrove. — Io intorno a ciò ho manife-
stato più volte il mio sentimento. — Dalla qual di-
sputa passa all'altra, se lo spirito sia esteso e mo-
bile, e in che consista l'estensione e il movimento.
E parla di quel che appartiene all'anima in quanto
solo incorporata, e in quanto le si conviene quando
e finché si trovi senza corpo.
Senza tener dietro al P. Pianciani in siffatte sot-^
tili disquisizioni, esporrò candidamente il mio pa-
rere. Non v' è ragione alcuna perchè l'anima spiri-^
tuale debba esser creduta da meno che la materia.
Se ogni particella di materia, secondo me, abbraccia
colla sua attività ed efficienza lo spazio intero, cioè
l'estensione universale, l'anima , come le legge di
analogia, e della maggior sua dignità, consiglia, non
dovrebbe in ciò avere una sfera minore a lei de-
stinata. Una particella materiale però non opera e
patisce, colla stessa intensità, in ogni luogo. Ha un
centro d'azione diverso da tutte le altre, doride ir-
*raggià intorno le sue attività, ed al quale chiama^
o dal quale ripelle , con direzioni sempre diverse
(secondo che si mula il luogo del suo centro) le
altre particelle. Quindi è che in realtà, mentre, in
quanto è materia empie l'estensione intera del mondo
con azione digradata , si localizza però nei centri
della sua massima azione. Dello spirito al contra-
jio non possiamo dire rigorosamente altrettanto.
Certo, per non supporlo men vantaggiosamente do-
tato della materia per questo riguardo , deve esso
potenzialmente, colle sue attività del grado che gli
son concesse ab origine^ ( modificate però da altre
leggi ignote dalla creazione) coestendersi alla esten-
120
sione universale, ma non esser soggetto alla stessa
legge dì localizzazione, e per conseguenza di mo-
bilità, e del bisogno d'un suo centro speciale di re-
sidenza. Esso è sempre e per tutto, colla sua en-
tità, presente, ma attivo o dissimulato, secondo con-
dizioni ignote ed irrivelate , che governano sia il
suo attuarsi e mostrarsi in un luogo sì e in un al-
tro no, 0 per contrapposto il suo dissimularsi; ne
ha bisogno, per far l'una o Taltra cosa, andarvi o
partirne, perchè già v'è, e, senza necessità di par-
tirne, s' occulta colla cessazion dall' azione. Invero
questo non ci fa gran fatto capire tal mirabile pro-
prietà. Ma intendiamo forse piiì chiarameute il fatto
della presenza universale delle attività reciproche
d'ogni particella materiale, che nessuno nega ? Per
fermo, anche a discernere spirito da spirito, agente
o paziente, è forza dire che una particolar legge di
localizzazione esista per gli esseri spirituali, cosic-
ché, ogni volta, rispetto a spazio, possa ben distin-
guersi la direzion dell'azioni, e la sedo della pas-*
sione , quanto a ogni spirilo. Bisogna dunque che
esista una specie d' impenctralnlUà , per così spie-
garmi, negli spiriti per la quale, quel che opera l'uno,
non si confonda con quel che opera l'altro, e, al-
meno siiggellivamenle, quel che un soffre non si con-
fonda con quel che 1' altro soffre. A rigor di ter-
mine si può concepire nelle anime la penelrabililàj
ossia la coesistenza simultanea di due o piij anime
nello stesso luogo, coesistenti colla non confusione
delle loro rispettive individualità, cosicché le azioni
delle diverse anime una colTaltra restino snggeltiva-
w..cntc distinte una dall'altia, quando anche in realtà
121
vengano o partano dagli stessi punti , agli stessi
punti dello spazio, o con diversa, o colla stessa in-
tensità. Tuttavia è forse in questi casi, una ripu-
gnanza morale, analoga alle impenetrabilità fisiche,
a non darsi reciprocamente un luogo medesimo ,
quanto, massime, alle azioni fisiche. Questo è un
punto eh' io tocco appena , e che vorrebbe essere
approfondito, ahneno colla congettura e colla ipotesi.
Sarebbe un altro punto, a che imi)orterebbe ac-
costarsi, ed è, se più spiriti, che dicemmo presenti
ovunque e sempre (sebbene, colle limitazioni sco-
nosciute, cui regola il loro malnoto modo d'essere)
possano contemporaneamente esercitare la loro at-
tività , 0 patire le altrui , sentendole dislintamente
ognuna. Per fermo quanto alle oggettive può acca-
dere il medesimo che per le forze fisiche, le quali,
per quanto semplici ed operate da un semplice ,
possono simultaneamente suddividersi e spaitirsi
sulle altre cose, come e quanto si vuole. Così, una
monade attraente, può dirigere la sua attrazione a
tutte le monadi, quant'elle sono, diffuse nello spazio.
Ma rispetto alla possibilità suggettiva di sentirle, cioè
d'averne coscienza distinta e simultanea, par chiaro
che noti possa darsi. Potrà bene per atti di atten-
zione alternata o successiva, accorgersi l'anima di
queste azioni esercitate o sofferte. Ma ad ogni istante
non potrà che averne sentimenti più o men collet-
tivi, raccogliendo in una spezie di risultante unica
le azioni che esercita e che si esercitano su lei.
E fin qui abbiamo deviato dalle dimando del
chiarissimo A. Abbiamo però prepaiata la strada a
rispondervi. E manifesto che nell'anima umanata ,,
122
l'assoggettamento al vincolo del corpo, modifica in
modo le proprietà spirituali, ch'essa, nelle vie al-
meno ordinarie , ha ristretto , temporaneamente ,
l'esercizio delle sue attività e passibilità al solo pe-
rimetro del suo corpo, ed è quivi forzatamente lo-
calizzato colle leggi che ho cercato d'esporre nel-
l'opuscolo Fisiologia della sensaziane ecc.; anzi nem-
meno al perimetro del solo corpo, ma apparente-
mente al solo centro encefalico. E questa localiz-
zazione non ripugna che s' intenda come una vera
compenetrazione unilaterale , cioè dello spirito nel
composto encefalico considerato tutto d' un pezzo
quale una estensione non discontinua . . .
Dopo di ciò , se l'anima dorma o no , quando
il corpo dorme, è una questione a cui non può
esser difficile dare risposta. L' operare dell' anima
umanata è moltiplice. Uno riguarda le azioni e pas-
sioni del genere- delle intellettive , un altro quelle
del genere delle motrici e volontarie, un terzo quello
delle forze che possono chiamarsi non sentite ed
istintive. Rispetto al primo , si direbbe , a primo
aspetto, che, dormendo, il corpo l'anima pur debba
dormire , cioè stare inattiva , perchè necessaria-
mente ogni Operare di questa categoria è accom-
pagnato per natura da accorgimento o consapevo-
lezza, che è atto psichico, il quale non può esser
fatto né patito nell' inerzia di stato rappresentato
dal sonno. Ma per potere affermar così , bisogne-
rebbe non aver mai, durante il dormire del corpo,
fatto 0 patito atti intellettuali , di cui poscia sve-
gliati abbiam perduta la memoria. Ora molti fatti
del sonnambulismo che offrono i casi detti magne-
12a
tici (da troppi ohe l'ammettono), sembra che s'ac-
compagnino abituahnente con atti di questo ordine,
e colla perfetta loto obblivione al cessare del sonno
magnetico. Si potrebbe però domandare, se in casi
di eccezione ne' quali ciò succeda, è perfetto sonno
del corpo, e non piuttosto un modo speciale di ve-
glia; e altrettanto può dirsi d' ogni altra induzione
cavata dai fatti analoghi di dormienti, che non la-
sciano memoria. Da un 'altra parte , le operazioni
intellettive supposte, osi mostrano allora nella parte
corporea per qualche indizio che le accompagna e
le seguita, o no. Se si dice il primo, dunque suc-
cedono elle allo stato di semi veglia , non di vero
sonno: se il secondo, qual prova può darsi che real-
mente succedano ? A priori si può conchiudere, che,
a rigor di termine, per la legge di legame, quando
l'animo comunque opera, dee nesessariamente trarre
a consenso il corpo, e se il corpo non può essere
tratto a ciò, ella stessa si paralizzi. Dunque il con-
trario non può accadere, se pur non suppongasi, che,
addormentato completamente il corpo in quella parte
che serve all'anima, riacquisti non pertanto questa la
più o men piena libertà, e possa quindi agire o
patire, cioè vegliare, a modo di spirito sciolto.
Rispetto alla seconda guisa di operare — gli
atti volontarii altri riguardano il muovere il corpo,
altri il modificare lo spirito puro che comanda a se
stesso. Ora è chiaro che que'che servono a muovere
il corpo, soppongono in esso la facoltà di esser fi-
sicamente mosso dalla forza spirituale, dunque sono
necessariamente accompagnati dallo svegliamento ,
e impossibili senza esso. A que'poi che riguardano
Ii4
lo spinto puro, è applicabile il ragionamento nel
quale ci trattenemmo nel precedente paragrafo.
Rispetto alla terza categoria, la scienza fisiolo-
gica ogni giorno piiì s' accosta a una piena dimo-
strazione , che la vita corporea gangliare è pura-
mente organica per se medesima,e indipendente dallo
spirito , per fino in tutti quegli atti che si chia-
mano della vita di relazione o riflessi istintivamente
rispondenti a certe irritazioni fìsiche^ che non è ma-
nifesto essere accompagnati da alcuna operazione
psichica almen patente,
L'ultima quistione di cui dirò ancora poche pa-
role, riguarderà, per quanto è lecito congetturarne
il modo, 1* influsso durante la vita terrena che re-
gola il commercio dell'anima col corpo. In vari miei
precedenti lavori, qua e là, intorno a ciò dichiarava
il qual che siasi mio parere. L' anima par le-
gata ( e ho svolto ciò recentemente , con un
pò più d' ampiezza nella citata disertazione sul-
la fisiologia ec. ) colla somma del etere inte-
ratomico , cioè ritenuto entro ciascun atomo ner-
veo, di que' che servono mirabilmente al meccani-
smo del senso e del moto volontario. Dove la po-
tenza spirituale sembra, che limiti il suo officio ad
una propria energia, in virtù della quale, esso etere
è organicamente disposto dalla parte del senso , a
compiere l'operazioni varie che ho cercato spiegare
altrove. Rispetto poi al moto volontario sembra che
da essa anima parta una non so qnale attività che
•certi nervi trasforma in una specie di pile elettri-
che, le cui scariche sotto il dominio di lei ; pro-
ducono il moto muscolare. Certo più di così non è
125
lecito di vedere, ncmmen por congettura , 1' indole
intima di questa energia. Lo spirito da questa parte,
in quanto ciò riguarda, ha potestà d'agire sulla ma-
teria con una forza simile alla fisica, benché psi-
chica. Ciò però, per molto che sia inconcepibile, è
un fatto che non può esser negato se non da chi
creda all' assurdo della perfetta impossibilità che
siavi alcun influsso diretto tra il mondo materiale
e lo spirituale; come se qualche ragione intrinseca
proibito avesse a Dio di comunicare agli esseri di
natura immateriale una facoltà ibrida che ci met-
tesse in rapporto cogli esseri materiali, e rendesse
gli uni attivi sugli altri con qualche artifìcio, il qual
per essere ignoto a noi, non è dimostrato esser di
sua natura impossibile.
120
Intorno ad alcune voci che si stimano erronee
nella lingua italiana, e tali non sono.
i\lcuni nostri filologi, nobilmente teneri della pa-
tria e della dignità della sua favella , hanno pub-
blicato importantissime opere intorno alle parole ed
ai modi errati che sono fra noi comunemente in
uso. Di che non possono esser maggiori gli obbli-
ghi che loro ne debbono le lettere e le scienze ita-
liane : anzi ne dee l'italiana civiltà. Siccome però
alcuni di essi, per quanto ci sembra, sonosi lasciati
vincere da troppo rigore, non avendo più quasi avuto
considerazione né al privilegio delle lingue vive, nò
all'autorità che assolutamente non può negarsi all'uso
del popolo; così abbiamo osato di compilare anche
noi un piccol catalogo di voci, che si stimano er-
rate, e tali non sono, non solo per il detto uso del
popolo, principalmente toscano, ina per trovarsene
una gran parte nelle opere di scrittori (molti de' quali
insigni) ammessi dall'accademia della crusca meri-
tamente a far testo.
Certo di alcune parole o moderne, o tali repu-
tate, non può farsi a meno chi vuol precisione e
chiarezza di favellare: altro essendo lo scrivere fa-
miliare , ed altro il nobile de' poeti, degli storici,
degli oratori: i quali talora possono senza afTetta-
zione 0 noia de' lettori adoperare alcune circonlo-
cuzióni e antiche parole, che già non possono i par-
lanti e scriventi familiarmente. Se a tutti si con-
viene certa proprietà nazionale, non a tutti sta bene
127
una squisita eleganza. E già Cicerone stesso, così
pieno di zelo pel gentile parlar latino, diceva d'usare
nelle sue lettere incomparabili le voci, non de'libri
di Catone, di Antonio e di Crasso, ma sì del po-
polo , 0 meglio della plebe. Vernntamen , scriveva
egli a Peto (lib. IX, epist. 21), quid libi ego in epi-
stolis videor ? Nonne plebeio sermone agere tecitm ?
E poi: Epislolas vero quotidianis verhis lexere sole-
miis. Il quale avviso vediamo aver pure avuto i no-
stri buoni italiani de' migliori secoli, come sa chi
legge le lettere anche de' più puri e forbiti.
Nel presente breve lavoro non abbiamo consul-
tato altro vocabolario, da quello in fuori della crusca
(solo codice della lingua che riputiamo autorevole,
specialmente per le parole d'uso) con le Giunte Ve-
ronesi del Cesari e le Giunte Torinesi del Somis.
Sicché forse le voci, che rechiamo, saranno state
già registrate in altvi più moderni: de' quali non
abbiamo uso o notizia. Certo è che da noi furono
tratte principalmente dagli scrittori stessi, delle cui
opere in tutta la vita ci siamo fatti delizia, spesso
per le cose, sempre per le parole: le quali non man-
cammo notare per privato ammaestramento ne'mar-
gini qua e là del nostro vocabolario.
ABBORDARE e ABBORDO. Dopo gli esempi
classici, che gli accademici della crusca ne hanno
recato nell'ultima ristampa del loro vocabolario (che
tutti desideriamo veder compiuto) , non vuoisi piiì
porre in dubbio il valore di nessuno de' significati
di abbordare e di abbordo.
128
ABBRACCIO. Abbracciamento. Essendo errato
V esempio del Boccaccio , il più antico sarà forse
quello (non avvertito) di Giampietro Maffei, scrittor
famoso del secolo XVI , nella vita di S. Martino
cap. 12: « Con molti abbracci e cortesie ricevè co-
lui, che dianzi non soffriva di vedere ».
ABBRUTIRE, ABBRUTITO, ABBRUTIMENTO.
La crusca nel nuovo vocabolario le registra come
voci, quali sono veramente, dell'uso comune.
ABERRARE e ABERRAZIONE. Registrate giu-
stamente come voci d'uso, e non ignobile, nel nuovo
vocabolario della crusca.
ABILITARE e ABILITARSI. Voci anch' esse ,
fuor dell'uso legale, registrate dalla crusca nel nuovo
vocabolario cogli esempi dei Caro, del Bartoli, del
Segneri e d'altri.
ABILITAZIONE. Si dirà, secondo il nuovo vo-
cabolario della crusca, come termine di legisti.
ABITUDINE. Abito. Oltre agli esempi dei Botta,
che reca il nuovo vocabolario della crusca , ec-
conc anche altri, Bentivoglio, Stor, par. 1. lib. 1:
« Ogni corpo umano aver la sua particolare abitu-
dine , e così ogni nazione il proprio suo naturale
temperamento». — Perticari, Scrittori del trecento
lib. 1 , cap. 7: « Perchè già tutti quegli europei ,
benché sciolti dal nostro giogo, avranno avuto sem-
pre l'occhio air Italia, per la memoria, per l'abitu-
dine , ed anco per la paura della passata lunghis-
sima schiavitù. )) — Laonde poi 1' egregio Parenti
non dubitò usare la medesima voce nelle sue an-
notazioni al vocabolario di Bologna, art. Libertino:
« Voce dell' uso (egli dice) derivata probabilmente
129
dalle abitudini licenziose di quelli affrancati, che pro-
priamente chiamavansi libertini ».
ABIURA e ABIURAZIONE. Sono voci ammesse
con esempi nel nuovo vocabolario della crusca. Ol-
treché debbono reputarsi voci dell'uso generale.
ABNEGARE e ABNEGAZIONE. Potrà scriversi
anche, secondo che alcuni vogliono, annegare e an-
negazione. Ma abnegare e abnegazione si trovano in
ottimi scrittori del trecento e del cinquecento, come
c'insegna il nuovo vocabolario della crusca.
ABORTIVO.' In senso figm-ato e metaforico. Re-
gistrato con esempi nel nuovo vocabolario della crusca.
ACCADEMICAMENTE. Si dirà per uso familiare
( secondo il nuovo vocabolario della crusca ) « coi
verbi dire, parlare e simili, e varrà parlare di chi-
chessia senza determinato proposito , ed anco per
solo trattenimento. »
ACCAMPIONARE. Lo diremo per l'autorità della
crusca, che registra questo verbo nel nuovo voca-
bolario.
ACCAPARRARE e ACCAPARRAMENTO. Voce
d'uso , registrata ora dalla crusca nel nuovo voca-
bolario.
ACCENTRARE. Concentrare, ritirare nel centro.
Lo registra la crusca nel nuovo vocabolario , dove
reca di Accentrato un esempio del Bembo.
ACCIACCARE. Indebolire, infiacchire. È voce re-
gistrata pure dalla crusca nel nuovo vocabolario, che
d'Acciaccato in tal significato ha un esempio di fra
lacopone.
ACCIACCO. Danno sofferto nella sanità. Ammesso
G.A.T.CXLIII. 9
130
nel nuovo vocabolario della crusca con esempi del
Redi, del Magalotti e del Salvini.
ACCIDENTATO. Trovandosi detto Accidente per
Appoplesia dal Guicciardini , dal Cellini , dal Segni
e da altri, ha perciò la crusca nel nuovo vocabo-
lario registrato come voce d'uso anche Accidentato.
ACCOMODAMENTO. Conciliazione. Ammesso al-
tresì dalla crusca nel nuovo vocabolario con esempi
del Bentivoglio, del Buondelmonti e del Botta.
ACCOMODAMENTO. Acconciamento , Vaccomo-
darCy il ridurre in buono stato. 11 nuovo vocabolario
della crusca ne reca esempi del Galilei , del Segni
e d'altri.
ACCORDABILE. Veggasi il nuovo codice della
favella.
ACCOSTANTE. Persuasivo , efficace- In esso
nuovo codice ha l'esempio di Albertano.
ACCREDITARE. Addebitare , far debitore d'al-
cuna somma. Voce dell' uso mercantesco registrata
dalla crusca nel nuovo vocabolario.
" ACCUCCIARE. Neutr. Pass. Detto del coricarsi
de' cani. Voce d'uso registrata dalla crusca nel nuovo
vocabolario.
ACQUISIRE. Voce d'uso ammessa dalla crusca
nel nuovo vocabolario.
ACQUISITORE. La crusca nel nuovo vocabo-
lario registra questa voce coH'esempio degli statuti
de' cavalieri di santo Stefano.
ACUMINARE e ACUMINATO. Voci ammesse nel
nuovo vocabolario della crusca.
ADDAZIARE e ADDAZIATO. Ammesse corno
sopra.
131
ADDEBITARE. Far debUore. Perchè , secondo
alcuni, non può dirsi in buona tavella ? Veggasi il
nuovo vocabolario della crusca.
ADDIZIONALE. Add. Registrato come voce d'uso
dalla crusca nel nuovo vocabolario, dove sono eseiB^i
classicissimi di Addizione.
ADDIRIZZARE. Ha tanti buoni esempi d' ogni
secolo, che forse non ne ha altrettanti indirizzare^ che
da qualche filologo vorrebbe ad esso sostituirsi.
ADERENZA. Unione ad una parte , ad una fa-
zione. Beoti voglio, Stoi'. par. I, lib. 5: « In Alema-
gna non cessare 1' Oranges di usare anch' egli ogni
studio coi principi suoi amici e cogli altri di sua
aderenza. » E così altre volte.
ADESIONE. Potremo usarlo anche per acconsetir-
timenlOi aìinuenza, avendolo registrato la crusca nel
nuovo vocabolario.
ADESSO. Il Facciolati la dice voce da non usarsi
in grave componimento. Noi staremo invece colla
crusca , che nel nuovo vocabolario ne reca esempi
gravissimi di prosa e di verso d'ogni secolo.
ADIRE UN' EREDITA. È bello e antico modo
legale, ammesso nel nuovo vocabolario della crusca
anche con un esempio di Giovanni dalle Celle. Come
pure Adire il tribunale, il giudice, è ivi registrato
come voce del buon uso toscano.
AD ONTA. Non ostante. È registrato nel nuovo
vocabolario della crusca.
ADOTTARE. Approvare , ammettere. Oltre agli
esempi del Salvini e di altri, che si hanno per in-
fetti di francesismo , eccone uno pur del Giordani
nella lettera al Boucheron (Nuove prose. Milano, Sii-
132
vestri 1839) pag. 33 : « Si adottarono i tipi pro-
posti : ma le parole italiane furono intollerabili ai
nostri latinissimi. «
AFFARE. Combattimento. Registrato nel nuovo
vocabolario della crusca coll'esempio dell'Alamanni
nel Girone XV. 53. Ma noi non l'useremmo giammai.
AFFERRARE. Non istà metaforicamente colla
sola voce punto, perciocché il Galilei disse afferrare
la brevità, Marcello Adriani afferrare il fatto, il Caro
afferrare l'occasione^ come si ha nel nuovo vocabo-^
lario della crusca.
AFFETTATEZZA. Affettazione. Il nuovo voca-
bolario della crusca ne reca l'esempio del Fioretti.
AFFETTO DI MALATTIA. Lo dicano i medici:
ma non si vieti di dirlo anche a noi per l'esempio
del Caro recato nel nuovo vocabolario della crusca.
E cosi useranno bene i giureconsulti, per gli esempi
che ne reca esso vocabolario , la voce affetto : la
quale, dice l'accademia, parlandosi di patrimonio,
di possessioni, di capitali e simili, vale obbligato,
soggetto, {gravato, ec.
AFFETTUOSITÀ'. È voce del trecento, ringio-
vanita dal Salvini, e registrata nel nuovo vocabo-
lario della crusca.
AFFEZIONE. Termine de'medici, ammesso dalla
crusca nel nuovo vocabolario con esempi nobilissimi
fin del trecento.
AFFIATARSI CON UNO. È voce d'uso toscano,
registrata pur dalla crusca nel nuovo vocabolario.
AFFILIARE. Voce altresì dell' uso registrata
come sopra.
AFFISSARE, Affiggere. Coll'esempio del Ricciarr.
133
detto è stato ammesso dalla crusca come sopra. E
v' è pure Affisso qual voce d'uso.
AFFITTARE. È in tutti i vocabolari, in tutti
i significati , e cogli esempi di Vincenzo Martelli ,
del Caro e del Varchi. Potremo aggiungerne noi an-
che un altro del trecento , cioè di Donato da Ca-
sentino nel volgarizzamento del Trattato delle donne
illustri del Boccaccio pag. 227: « Ma Cleopatra non
avendo sua intenzione, quasi come s' ella fosse in-
dugiata per quelle, affittò la vendita di Gericonte
dove nasceva il balsamo ».
AFFITTO. Chi ne desiderasse un esempio del
trecento, eccplo nel testamento di Lemmo di Bal-
duccio n.° 53: « E i beni d'essa eredità, dovunque
e in qualunque luogo si sieno, intra e per lo detto
tempo de'detti tre anni allogare a mezzo affitto e
mezzo lavorio ec. «
AFFITTUARIO. Nelle antiche leggi toscane T.
23 trovasi questa voce d'uso : « Affittandosi detto
lago, sarà ancora lecito all'affittuario di potere ec.»
AGGIUSTAR FEDE. Non piace ad alcuni filo-
logi: e per verità non piace neppure a noi. Certo può
farsene a meno. Ma non è vero che l'abbia usato
solo il Giambullari: perchè il Segni, suo contempo-
raneo, l'usò parimente, Stor. lib. 7: «Solimano, ab-
battuto da questo caso infelice, abbandonò l' impresa:
ed aggiustata piiì fede agli ammonimenti della ma-*
dre, con segreto sdegno conceputo contro ad Abitai m
se ne tornò a Costantinopoli ».
AGGREDIRE. Boccaccio, Amor. vis. e. 34. a Or
mira a pie della città depressa, — E vedi que' che
già ne fu signore. — Quando da' greci fu con forza
134
aggtessa ». — Ed il Segneri, come hanno i voca-
bolari, usò Aggressione.
AGGREGANZA. Giacomini , Orazioni pag. 21:
« L'obbedienza alla ragione e alle vere leggi, veri
parti della retta ragione, è un' aggreganza di tutte
le virtù ».
AGIBILE. Maffei, vita di S. Antonio da Padova
cap. 4: « Appresso tutto il capitolo rimase in opi-
nione di uomo semplice e idiota, e poco atto né
alla sottigliezza delle discipline speculative , nò al
maneggio delle cose agibili ».
AGITAZIONE Sollevazione, lumullo. Ben ti voglio
Stor. par. 1. lib. 3: « Così cessato il terrore nei
popoli, cesserà l'agitazione nel paese ».
ALIENAZIONE. Ce ne dà la spiegazione il Caro
nel Volgarizzamento della rettorica di Aristotile lib.
1 cap. 5: (i E chiamo alienazione la donazione e la
vendizione. » — Ed infatti per vendizione V usa il
Giacomini, Orazioni p. 88: » In quelle legazioni in
nome de la provincia al clero , qual crediamo che
fosse il dolore dell'animo suo, mentre udiva trat-
tarsi e per minore male determinarsi 1' alienazione
de'beni ecclesiastici per pascer quelle armi ec. ? »
ALL'UNISONO. Galilei, Saggiatore §. 15: « Io
domando al Sarsi, onde avvenga che le canne del-
l'organo non suonan tutte all'unisono, ma altre ren-
dono il tuono più grave, ed altre meno?»
A MISURA. Non direi di bassa ilalianilà, come
alcun dice , una voce usata dal Bentivoglio e dal
Segneri. Perciocché il primo, Stor. par. 2. lib. 1 ,
scrive: « A misura che i regii procuravano d'allog-
giarsi dentro ; facevano questi ogni più viva oppo-
135
sizione per iscacciainieli fuori. » — Ed il secondo,
Cristian. Istruii. 1.6. 7: « Quell'aiuto di grazia, che
avevano già ottenuto, verrà a languire a misura del
languore che fanno le loro suppliche. »
AMNISTIA. È termine derivato dal greco , che
non può tradursi neir italiano perdono: valendo pro-
priamente il messo in dimenticanza ogni colpa del-
l'Adriani, Stor. lib. 15. cap. l in principio.
AMPOLLOSITÀ'. È ammessa come voce d'uso
non solo nel vocabolario dell' illustre e benemerito
Manuzzi, ma nella crusca.
ANALIZZARE. E voce d'uso, come ò il greci-
smo Analisi. Avvei'tasi inoltre che Analitica, sustan-
tivo , abbiamo nel Caro , Volgarizz. della rettóricu
d'Aristotile lib. 2. cap. 25: » Perchè abbiamo già
veduto nell'Analitica, clie nessun segno fa sillogis-
mo. » — E Analitico, addiettivo, ivi lib. 1. cap. 4:
tt Perché vero è quello che ci trovamo aver detto,
che la rettorica è fatta de la scienza analitica , e
de là civile che tratta de'costumi ».
APPARTAMENTO. È voce di buon uso non solò
per gli esempi del Salviati (non Salvini) e del Bor-
ghini, ma per quello del Caro in nobilissima poe-
sia, cioè nella traduzione dell'Rheide lib. 2: « Cin-
quanta maritali appartamenti — Eran nel suo ser-
raglio. » — Laonde Paolo Costa, elegante scrittore
ed ammesso novellamente dalla crusc;i a far testo in
lingua , credette di poter ben dire nel Laocoonte :
« Ecco fra tanti italici ornamenti — Laocoonte, che
Tito si tenne — A pompa de'regali appartamenti».
APPOGGLVRE. Affidare , commettere. Bentivo-
glio, Stor. par. 1. lib. 9 : « Appoggiavasi a Mon-
dragone la cura principale dell'assedio ».
136
APPOSTO. Accusa. Celliiii, Vita (ediz. di Colo-
nia) p. 119: « Io ero innocente di quel falso ap-
posto per questa causa ».
APPRENDERE. Insegnare. Questo antico verbo
fu ringiovanito dall'Alamanni, Egloga Vili: « E ben
ti donerei piiì d'un capretto, — Se mi apprendessi
pur due mesi almeno. »
ARMATA. Esercito. Non solo se ne hanno esempi
in verso del Morgante e del Ricciardetto, come no-
tano alcuni filologi, ma sì (cosa che non ci pare av-
vertita) in prosa dell'aureo Dino Compagni, Stor. lib.
2: « Il marchese disfece l'armata (presso la nostra
Bologna) e i neri partirono. » — Rechiamo però que-
st'esempio, non perchè crediamo bello il dire armata
VesercitOy ma per iscusare chi pur lo dice.
ARRE^^TO. Decreto, Sentenza. L'usò molto pri-
ma del Magalotti lo Speroni, Orazioni (ediz. di Ve-
nezia 1596) pag. 91: « Però avvenne che nella corte
des pers de France negli anni 1203 contro Giovanni
re d' Inghilterra, sendo citato e non comparendo ,
nacque un arresto definitivo che confiscava il suo
stato. » — E pag. 98: « Essendo stato in un par-
lamento fermato arresto contro Roberto d'Artoisec.»
— Ha però gran ragione, ci pare, chi se ne mostra
schivo.
ARROLAMENTO. Non ci sembra tanto fuori
della buona lingua questa voce d'uso, essendovi Ar-
rotare nel Salvini, Volgarizz. d'Anacreonte in rima,
ode 50: « Arrolar ne'suoi misteri - Volle 1' uomo
novizio - E dal ciel scese leggieri - A precipizio -
Bacco il gran divo. )> - E arrolar soldati in Marcello
Adriani, Voi?, della vita di Focione scritta da Più-
137
laico (ediz. romana del 1852) pag.21: « Ma nel tempo
dell'arrolare i soldati veniva fuori appoggiato al ba-
stone con una gamba fasciata » - E arrolarsi soldato
nel Fortiguerri, Trad. dell' Heautontim. di Teren-
zio atto 1. se. 1: « Fuggissi in Asia, e s'arrolò sol-
dato- )) - Oltre r arrolaio del Davanzali registrato
dalla crusca.
ARTICOLO. Soggetto, materia. Caro, Lett. ined,
pubblicate dal Mazzucchelli t. 1. pag. 212: « Ma io
mi confido ne la prudenza di V. S., e a lei e a mon-
sig. vice-legato mi rimetto del tutto , il quale mi
scrive sopra questo aiticelo in un certo modo che
mostra non diffidar di conseguirlo. »
ASCENDENTE. Superiorità, potenza morale che
uno esercita sopra alcuno. Bentivoglio, Stor. par. 1.
lib. 1: «Riconoscere quelle province per suo principal
patrimonio, e da loro quell'ascendente che poi aveva
portato il suo sangue alla successione di tanti re-
gni )).
ASSEVERANTEMENTE. Lo diremo bene per
gli esempi del Galilei e del Segneri recati dalla cru-
sca: e per quello che aggiungiamo del Pallavicino,
Stor. del concilio hb. L cap. 3: « E pur egli in
una scrittura ec, pose asseverantemente, non tro-
varsi la presupposta donazione in alcun di que' li-
bri, »
ATTACCARSL Affezionarsi, prendere affezione.
Segneri, Manna, nov. 22- 23: « Vedi tu come facea
la regina Ester per non attaccarsi a quel diadema,
che le circondava la fronte ? Lo abbominava. »
ATTESA. Non si ha solo nelle rime antiche, ma
sì anche in prosa nello Speroni, Apologia delle Ca-
138
nace (etiiz. di Venezia 1597) pag. 150: a Questa
dunque fu la cagione ond'io feci sì lunga attesa di
scrivere. «
ATTILLATO e ATTILLATURA. Vuoisi che
queste sole sieno le voci ammesse dal vocabola-
rio. Aggiungasi Attillalamenle, ch'è senza l'esempio,
e lo avrà nel Castiglione, Corlig. lib. 2. cap. 21 :
« li <|ual fu tanto ben divisato di panni ed accon-
cio così atlillatanjente, che avvegnaché fosse usato
solamente a guardar buoi ec. )> - Osservisi altresì,
che allillato è graziosamente avverbio nel Caro ,
Relt. d'Arist. lib. 2. ".ap. 24: » E perché veste at-
tillato, e va di notte, è adultero. »
AUGURARSI. V'ha chi afferma che non possa
dirsi mi aiujuro, in vece di desidero, spero ec. Ma
gli stanno contro e il Caro , Lett. ined. pubb. dal
Mazzucch. t. 1. pag. 166: « Di questa Vostra gita
m'auguro qualche cosa di buono: » - E lì Sialvini,
Prose toscane L 393: » Io per me nella mia età ornai
in ver Poccaso inclinata gioisco dentro dal cuore
augurandomi che voi i vostri passati gloriosi ram-
mentandovi ec. «
AVULSO. Caro, Eneid. lib. XII: u Ed ambi i
capi da i lor tronchi avulsi, - Sì come eran di pol-
vere e di sangue - Stillanti e lordi, per le chiome
appesi - Anzi al carro si pose. »
AZZARDARE. Lo registra il Cesari nelle sue
giunte con esempi poetici del Menzini: non poten-
dosi far conto della storia della guerra di Semifonte
reputata apocrifa. In prosa usò questa voce il Cru-
deli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805) p. 155:
« Non azzardare il tuo credito ad una sola prova.»
139
B.
BATTERE L'INIMICO. Agli esempi attivi del
Bembo e del Guicciardini, recali nel vocabolario ,
aggiungerei questo passivo dei Machiavelli, Discorsi
2. 16 : « La seconda schiera de'principi, perchè non
era la prima a combattere , ma bene le conveniva
accorrere alla prima quando fosse battuta, o urtata,
non la facevano stretta. »
BELLO SPIRITO. Segni, Stor. lib. 7: « Il car-
dinale, che per la destrezza dell'ingegno conveniva
assai col bello spirito di Filippo, sorridendo, e lo-
dandolo del suo ragionamento, lo prese con gran fe-
sta per mano. r>
BEN ESSERE. Non solo ha esempi illustri nei
cinquecento ; ma ne ha uno altresì nel trecento: ed
è di fra Girolamo da Siena, Adiutorio p- 130: « Lo
primo bene essere si riceve in questa vita, in quel
modo lo quale è detto , e questo con speranza di
meglio. »
BENE YISO. L'Ariosto disse Ben veduto : e la
crusca lo registrerà certo nel suo vocabolario. Ori.
Fur. XXXI. 26 : « Ma servito, onorato, e ben ve-
duto — Quanto in loco ove mai forse venuto. » —
E così anche l'Adriani, Stor. lib. 16. cap. 5: « Vo-
leva (il re) che in Roma e per tutto fossero dai suoi
ministri difesi, e dagli altri ben veduti ed avuti in
rispetto. ))
BERSAGLIATO. Crudeli, Rime e prose (ediz. di
Parigi 1805) pag. 129: « Smarrivansi i sembianti -
De'bersagliati amanti. »
BIMESTRE. Non è vero che manchi al vocabo-
lario della crusca.
BOLZETTA. Il Caro disse bolgetta nelle Lettere
Farnesiane, il cui esempio ci è recato dal dottissimo
conte Somis di Chiavrie nelle sue Giunte Torinesi al
vocabolario della crusca: libro troppo immeritamente
obliato, come pare, dai nostri filologi. L'esempio è
il seguente : « Ordinate che sia portata da un fida-
to, e che si taccia dare la bolgetta, che si dimanda,
perchè vi sono scritture d'importanza a riscontrare
le cose dette. »
C.
CADERE IN DISCORSO SOPRA UNA COSA.
Ha un valente che dice non esser modo molto felice.
Poco diverso però è quello del Lasca, Cena 2, nov.
4 : « E poiché essi ebbero mangiato le frutte, fat-
tone andare le donne in camera, caddero sopra il
ragionamento di Gian Simone e del suo amore. » -
E del Casa nel discorso al cardinale Caraffa: « Pro-
ponesse a questi ministri imperiali, che sarebbe ben
fatto di fermare N. S. e V. S. Illma con il conce-
der loro qualche stato , e finalmente cader sopra
quello di Siena, offrendo anco loro fino a 2000 tal-
leri. )>
CALCOLO 0 CALCOLO. Giudizio. È registrato
dal Somis nelle Giunte Torinesi con un esempio del
Caro.
CALDARROSTA e CALDALLESSA. Mauro ,
Capii, della bugia: « Tal che fu già pizzicaruolo o
oste , — Or è gentile , e tal che già poch' anni —
Gridava : Calde allesse e calde arroste. » — Ed il
U1
Tassoni, Secchia IV. 35: « L'un nemicizia avea col
sol d'agosto : - E l'altro lincaiia le calde arrosto. »
CALESSE e CALESSO. Carro a due ruote e ad
un cavallo. x\dimari, Satira contra le donne: « Stan
pili lettighe in punto al suo partire , — Calessi e
mute, ove il terren sia piano. » — E poi alquanto
madornale l' errore di chi ha scritto aversi di que-
sta voce esempio nell'Ariosto. 11 buon filologo non
ha neppur dubitato, che Co/esse nell'Ori. Fur. Vili. 27
stia per la città di Calais in Francia.
CALMARE- Se vuol dire Abbonacciare, secondo
la crusca, non parmi dover essere errore lo scrivere:
« La voce di Nettuno calmò il mare. » Anzi cre-
diamo aver ben detto il Crudeli, Rime e prose (ediz.
di Parigi 1805) pag, 4: « M calmato Oceano in-
dora il seno. ))
CANNONEGGIARE. Se vi è cannone , deve es-
servi cannonata. Ed infatti si ha nel Benlivoglio ,
Stor. par. 1. lib. 6: « A questo fine infestava quasi
di continuo il campo regio con fiere tempeste di
cannonate. « E se v'è cannonata, dev'esservi anche
cannoneggiare e cannoniero, voci d'uso omai gene-
rale in Italia.
CANONIZZARE, Oltre al «acro senso cattolico di
ascrivere alcuno nel numero de'santi, eccone un altro
datogli dal Caro nel Volg. dell'oraz. prima di s. Gre-
gorio nazianzeno : « E per cattivi e per buoni ca-
nonizziamo gli uomini, non secondo i costumi loro,
ma secondo l'amistà o la nimicizia che abbiamo con
essi. »
CAPEZZA, Cavezza. Caro, Rett. d'Aristot. lib. 3.
cap. 10 ; « Disse che si studiava che li fusse rive-
142
duto allora, perchè avea la capezza ne la gola al po-
polo. )) - Capezza inoltre disse il Machiavelli, Lett.
Famil. n. 80. « Lo darai (il mulettino) a Vangelo,
e dirai che lo meni in Montepugliano , e di poi gli
cavi la briglia e il capezzo. »
CAPITALE. V'ha chi dice egregiaiioente in sua
vece, come altresì il Bentivoglio, cklà principale il Ma-
chiavelli disse cà/9o, Discorsi 1. 1: <( E per non avere
queste cittadi la loro origine libera, rade volte occorre
che le faccino progressi grandi, e possinsi tra i capi
de'regni numerare. »
CASUALITÀ'. Già mba lista Strozzi, Orazioni e al-
tre prose pag. 5 : « Pare a noi, che non veggianio
altro che'l presente, che sia casualità o errore quel
che molte volte è indizio, benché oscuro , di quel
voler che non erra, e che'l tutto cagiona. »
CEMENTO. Caro, Lett. ined. pubbl. dal Maz-
zucch. t. 1. pag. 146: «Voglio più tosto aver pa-
zienza, che condur la cosa a certi cementi che po-
trebbero dar cattivo saggio di questo negozio. »
CENNARE. Alcun valente lo ha in dispetto, non
ostante l'esempio dell'Ariosto , che veramente solo
ne reca la crusca. Ma gli si farà grazia, speriamo, per
questi altri di scrittori non meno eleganti che au-
torevoli, i quali non l'ebbero certo per un ridicolo
mozzicone. Alamanni, Girone VII. 158: « Galealto
Giron mirando liso, - Che rispondesse a lui, cenno
col viso. » - Lasca, Egloga 4: « Tirsi, quasi ridendo,
a Galatea - Volto, cenno che tosto incominciasse.» -
Caro, Long. Sof. ragion. 4: « A questo parlare era
presente la Cleariste, la quale, desiderosa di vederne
la pruova, comandò che Dafni sonasse, e cennasse
loro come soleva. »
143
CIRCOLARE. Andare inlorno. Lo registrerà la
crusca nel nuovo suo vocabolario con questo esem-
pio del Crudeli, Rime e prose (ediz. di Parigi 1805)
pag. 53 : « Circolava una scrittura - Da sua lione-
sca maestà firmata. »
CIRCOSTANZA" Bisogna, alcun termine di vivere
ec. Cocchi, Disc, del vitto pittagorico : « E benché
il suo fato lo portasse a perdere la vita in una se-
dizione popolare, come molti affermano, o come è
opinione d'altri, le sue circostanze l'inducessero a fi-
nire con volontaria inedia la sua languida e decre-
pita vecchiezza, certo è ec. )> - Giordani, Lett. all'
accad. della crusca : « Le mie circostanze , conti-
nuamente piene di tristezze, non mi lasciano la quie-
te e il vigore che (specialmente ad una complessio-
ne fragilissima) son tanto necessarie per iscrivere.
Ma anche in circostanze lietissime non oserei intra-
prendere la vita del Monti. »
COERENZA. Non è sempre termine delle scuo-
le. Cocchi, Disc, del vitto pìttagor: « Se noi potes-
simo sapere le circostanze, nelle quali ei si trova-
va, s'intenderebbe molto meglio la coo-en/.a di que-
sto suo contegno colla sua saviezza. » - Né solo in
questo significato usò Coerenza^ ma anche Coerenle.
Ivi : (( 0 bisogna intenderla con senso coerente a
questi concetti si forti e sì fecondi, o supporlo at-
tribuite ed aliene. »
COGNIZIONE. Scienza, perizia, pratica. Machia-
velli, Disc. lib. 1. cap. 47: « E veduto come i tem-
pi e gli uomini causavano il disordine , diventava
subito d'un altro animo e d'un'altra fatta : perchè
la cognizione delle cose particolari gli toglieva via
144
quell'inganno. » - Dati, Oraz. per Cassiano dal Poz-
zo : « Peregrinò a Bologna per arricchirsi di quelle
amene cognizioni, che appresso di noi sortirono il
nome di belle arti.»
COLLUVIE. Bentivogllo, Stor. par. 1. lib. 2:
« Colluvie di molti settari. » E nella lettera 16:
« Colluvie d'ogni setta. »
COLPA. Coll'articolo le. Perticar!, Scrittori del
trecento lib. 2 cap. 6 : « Colpa le innumerabili co-
pie che se ne fecero. »
COLTIVARE L'AMICIZIA. Caro, Lett. ined. pub-
blicate dal Mazzuch. t. 1- pag. 172: « Ma mi siete
anco migliore amico, poiché senza scrivere coltivate
l'amicizia con l'amorevolezza e con gli buoni officii
ec. » — E il Tasso ha coltivar gli animi, nell'Ora-
zione all'accademia ferrarese: «Se a' mezzi s'avrà
riguardo, parimenti giovevoli e morali si troveranno:
qui non si aspira e non si attende ad altro che a
coltivar gli animi. «
COMENT ARIO. Comento, chiosa. Sarà, crediamo,
detto bene in italiano anche in questo significato ,
come si disse bene in latino, e specialmente da Gel-
ilo addotto dal Porcellini.
COMPARITO. Chi afferma che non possa dirsi
per comparso, ne legga nella crusca due esempi di
prosa, l'uno della Vita di s. Antonio, l'altro del Se-
gni- Noi aggiungeremo i due seguenti autorevoli di
poesia. Pulci, Morg. VII. 52 : « Dall'altra parte Or-
lando è comparito. » - Ariosto, Ori. Fur. XXXIII.
33: « Così dicendo, mostragli il marchese - Alfonsa
di Pescara, e dice dopò, - Che costui comparito in
mille imprese - Sarà più risplendente che piropo. »
U5
- E XLV. 97: « Se tu'l sapessi, io so che compa-
rito - Nessun altro saria di te più tosto. »
COMPARTIRE. Vuole il Cesari, che debba sem-
pre congiungersi con la particella tra, e non con a.
Nondimeno abbiamo nel Machiavelli, Mandrag. 1. I:
«^Avendo compartito il tempo parte alli studia parte
a' piaceri, e parte alle faccende. « — E nel Tasso,
Graz. all'Accademia ferrarese, poco dopo il princi-
pio: « Sono con tutto ciò molte volte cagione, che
l'anima , richiamando a se quella virtù , che suole
ministrare e compartire ai sensi , si divide affatto
dalle perturbazioni e dagli affetti terreni. )> ~~ E coii
la particella con l'accompagna pure il Tasso, Gerus.
IV. 23: « Questa a se chiama, e seco i suoi con-
sigli — Comparte, e vuol che cura ella ne pigli. «
COMPENDIO. Intero, unione. Salvini, Prose to-
scane I. 20: « Aveva in somma un così erudito raf-
finato gusto d' ogni galanteria , ed una scelta così
giudiciosa d'ogni più eccellente artifìcio, ch'ella hen
sembrava lo splendore del senno , il compendio di
tutte le grazie. )>
COMPENSO, nipartimento. Caro, Eneid. I: « E
con egual compenso — L'opre distribuisce e le fati-
che. » E nel medesimo significato è, ci sembra, com-
pensare nell'Alemanni, Giron. XX. 20: « E saggia-
mente compensando l'ore, — Non si promette mai
gran cose invano. «
COMPLESSO. Tocci, Della voce Occorrenza pag.
22: « Ma per quello che riguarda entimema, come
SI può egli concepir mai per errore di stampa un
complesso di tante voci , e tutte disparatissime da
quelle che v'andrebbero ? » — Oltre a questo signi-
G.A.T.GXLIIL 10
146
fìcato la crusca registrerà anche complesso, almeno
pel verso, in quello di abbracciamento, citando l'Ario»
sto Ori. Fur. XXIII. 24-
CONDOTTA. Conlegno, governo, maniera di go-
vernarsi. Se l'esempio di Dante sembra, come alcun
dice, tirato colle funi, ci pare che chiaro debba esser
questo dell'Adriani, Stor. lib. IV, cap. 4: u Peroc-
ché il disordine avvenuto si stimava essere per la
mala condotta d'esso, essendosi coll'esercito messo
in luogo , dove era stato forzato combattere con
r esercito suo minore e peggiore del nemico e
stracco. »
CONDURRE. Prendere in affato, t. registrato dalla
crusca con un esempio del Buti. Ma vorrei che si
facesse anche buon viso a conducitore, o conduttore,
per fittaiuolo in grazia di questo esempio dell'Adriani,
Stor. lib. 3. cap. 4 : « Essendo costume de' condu-
citori di quella rendita di convenire per i tempi pas-
sati con Ferrante. »
CONOSCENZA. Non vuoisi ammettere da qual-
che filologo per amicizia. Eppure si ha conoscente
per amico , se non nella crusca , certo nell' antico
Volgarizzamento del libro di Catone pag. 28 (ediz.
milanese dello Stella 1829): « Contra lo tuo conO'
scente non contendere di parole. »
CONSEGUENZA. Importanza. Bentivoglio, Stor.
part. I. lib. 9: « Nella terra di Lira, luogo di gran
conseguenza dentro al cuor del Brabante. » E par. I,
lib. 10 : « Ma tutti erano successi però di debole
conseguenza , rispetto al disegno principale che si
erano proposto. »
CONSIDERAZIONE. Rispetto, buona opinione. Il
m
Somis nelle Giunte Torinesi ha recalo un esempio
del Caro , in cui considerazione sta per buona opi-
nione. Eccone un ajtro del Borghini, in cui sta per
rispetto. Discorsi t. 4 (ediz. milanese de' classici ita-
liani) pag. 29: « Quello può arrecare maraviglia, che
mancato il regno de' franceschi, e che quel rispetto,
0 considerazione, piìi non c'era, si mantennero puro
in queste nostre parti gran tempo. »
CONSULTARE. Non è sempre neutro passivo.
Caro, Lett. ined. volgarizz. dal Mazzucch. t. 1- p.64:
« In fino a qui la cosa è passata con onor nostro:
volendo proceder più avanti, bisogna consultarla me-
glio. » — Segni, Stor. lib. XI: « Egli la prima cosa
avendo atteso a' divini offizi, spediva poi in segreto
tutte le fiiccende militari, udendo i capitani, e con-
sultando le cose importanti della guerra. » — Adriani,
Stor. lib. IX. cap. 3: u Perocché con buone ragioni
si era sempre opposto al duca d'Alva e ad altri si-
gnori, che avessero consultala l'impresa di Mets.» —
Oltre al Salvini, che nelle Prose toscane I. 183 lia
consultare le edizioni.
CONTESTARE. Caro, Lett. ined. pubbl. dal Maz-
zucch. t. 3. pag. 36: « Per modo ch'io n'ho sen-
tito non una sola, ma parecchie più di quelle che
si dicono le sette allegrezze, le quali tutte mi sono
stato contestate dalla profession ch'ella fa d'esser ,
secondo la sottoscrizione d'una sua lettera, il car-
dinale del cardinale Farnese- »
CONTINENTE. Terra ferma. Bentivoglio, Stor.
par. 1. lib. 8 : « Da questo ramo vengono derivali
neir istessa terra tanti canali per varie parti , che
quasi maggiore vi si trova dentro lo spazio inter-
148
rotto dell'isole, die l'unito del continente. « E par. l.
lib. 9: « Fra diverse isole , che si staccano ivi dal
continente, una ve n'ha molto angusta di giro ec. »
CONTO [sul). Intorno. L'Adriani, con poca va-
rietà, ha per conto. Stor. lib. I. e. 1 : a E però ve-
dendosi non senza qualche sospetto dell'animo del-
l'imperadore e de' suoi ministri, non vedendo i suoi
legati, i quali per conto della pace aveva mandati,
esser molto pregiati, mandò a Piacenza Giambatista
Savcllo. » E ivi cap. 2 : « Ingegnandosi intanto il
papa in apparenza di voler fare quanto all'impera-
dore piacesse e per conto del concilio di Trento e
d'altro, come dicevamo. »
CONTRIBUZIONE. Carico , balzello. Non parci
vero che questa voce manchi nel vocabolario della
crusca, essendovene un esempio del Guicciardini.
CONVENUTO. Convenzione , accordo. Adriani ,
Stor. lib. 5. cap. 2: « Il re di Francia, desideroso
che gli fosse osservato il convenuto, e per onor suo
e per grandezza di sua casa ec. )) E lib. 12. cap. 4:
« Offerendo pure per osservanza del convenuto e si-
curtà de' vicini quelle terre e fortezze, che non ave-
vano in lor potere, in mano dei tre potentati detti.»
COSPIRARE. Intendere. Non fu primo il Salvini
a dillo: ma un secolo innanzi l'abbiamo nel Benti-
voglio, Stor. par. 2. lib. 2: « Tutti a gran gara co-
spiriamo alla vostra grandezza. »
D.
DA SE A S>v D'Ambra, Bernard. 2. 7: « E la-
Rciare' lo incorrer nella trappola — Da se a se. »
149
DECADERE. Bentivoglio, Stoi-. par. 3. lib. 4 :
« A tutte le quali condizioni mancandosi, tornassero
a decader nuovamente quei paesi alla corona di Spa-
gna. »
DECEZIONE. Inganno. Ne reca la crusca gli esem-
pi del Cavalca e del Volgarizzamento della Città di
Dio di s. Agostino. Aggiungasi deceltorio per ingan-
narCy addiettivo, coll'esempio del detto Volgarizza-
mento lib. Vili. cap. 23: « Queste cose vane, de-
cettorie, pericolose. » E anche lib. X. cap. 27.
DECORSO. Sust. Spazio, termine. E nel vocabo-
lario della crusca, edizione del Cesari, con un bel-
Tesempio del Segneri.
DECORSO. Add. Caro , Lett. ined. pubbl. dal
Mazzucch. t. 1. pag. 194: «Onde non avendo piiì
quel modo che m' aveano dato per ricompensarvi ,
io vi prometto che senza aspettare altro, io vi ri-
metterei nei vostri termini, e vi restituirei il prio-
rato, reintegrandovi delle pensioni decorse. » — Ben-
tivoglio, Stor. par. 1. lib. 7: « Onde col mezzo suo
raddolciti gli animi, si contentarono gli ammutinati
di ricevere un donativo di quattro paghe, e di piìi
qualche danaro a conto delle decorse. » — Né solo
in questo significato v' è addiettivo, ma anche su-
stantivo. Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 6 : « Fece
muover pratica di sborsar loro tutto il decorso delle
loro paghe. »
DELIBERATIVO {Volo). Adriani , Stor. lib. 8.
cap. 2; «Potesse ciascuno andarvi, starvi, e tor-
narsene securamente, ed avere il voto deliberativo.»
DEPOPULARE. Guido da Pisa , Fatti di Enea
lib. 1. cap. 13: « Noi non siamo qua venuti a de-
populare con ferro queste contrade. »
150
DEPOItRE. Altcfilare, far tcslimonianza. Eccone
\\n secondo esempio. Bentivoglio, Stor. par. 2. lib. 2:
« Con ogni più atroce tormento si procurò, ch'egli
deponesse la verità sincera del fatto. »
DEPUTAZIONE. Al solo esempio che ne reca il
Manuzzi, aggiungansi questi altri due. Caro, Lettere
scritte a nome del card. Farnese n." 170 (Ed. pado-
vana del Cornino voi. secondo) : « Questa deputa-
zione , ancora che non si possa riprendere per la
qualità delle persone ec, ha causato da ogni parte
qualche alterazione- )) Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 2:
« Che nondimeno per non accumulare tutta la mole
de' negozi nel solo consiglio di stato, si sarebbe po-
tuto fare una deputazione d'alcuni inferiori ministri.»
DESOLATO. Angustialo. Farmi che abbia que-
sto significato l'esempio di fra Jacopone recato dalla
crusca: « Cristo beato, — Di me desolato — Aggi
pietanza. »
DESTINARE. Determinare^ far proposito. Attivo
e passivo. Derni , Ori. Inn. 2. 23. 17. « Onde di-
spensi ciascuno e destina — Di non parer di suo
cugin minore- » — Ariosto , Ori. Fur. XXXIX. 33 :
« Presto al sepolcro una torre alta vuole, — Ch'abi-
tarvi alcun tempo si destina. »
DETENERE. Ditenere. Machiavelli, Stor. lib. 8:
« Ma non ò già 1' uffizio dei principi secolari dete-
nere i cardinali, impiccare i vescovi ec. »
DETENIMENTO. Arrestamcnto. Testam. di Lem-
mo di Balduccio n.° 92: « Con questo e con questa
condizione, cioè, si ed in quanto esso Giovanni pa-
gando la detta quantità di fiorini centocinquanta ,
da esse prigioni e da ogni detenimento fritto di lui
possa essere libei-nto. »
151
DETENUTO. Trallenulo. Caro , Long. Sof. ra-
gion. 4: « E, lui detenuto, sagrificarono a Giove sal-
vatore. »
DEVIAMENTO e DEVIAZIONE. Galilei , Sagg.
§. 28 : « Poiché dove quello dice , che o bisogna
rimuovere il moto retto attribuito alla cometa , o
vero ritenendolo aggiungere qualche altra cagione del-
l'apparente deviazione, al Sarsi ec.» Ed anche §. 29. —
Pallavicino, Trattato dello stile cap. 38. %. 7: « Ab-
biamo di ciò l'esempio nella Georgica di Virgilio ,
nella quale per altro sarebbono incomportabili tanti
e sì lunghi deviamenti. «
DEVOLUZIONE. Bentivoglio, Stor. par. 3. lib. 4:
« Molti anni prima che seguisse la devoluzione del
Portogallo era uscito di quel regno il Moura. » E
poi : (( Succeduta poi la devoluzione, il re non aveva
adoperato alcun altro più che il Moura ec. »
DIFFERTO. Differito. Alamanni, Giron. V. 48:
« Lassa Laco la donna, e se ne accora, — Che'I me-
narne il suo ben gli sia differto. »
DISDORO. Non sarebbe forse dispiaciuta questa
voce al Chiabrera, che usò il verbo disdorare, Can-
zonetta XIV, strofe 1: « Bella guancia, che disdori —
Gli almi onori — Che sul viso ha l'alma Aurora. »
DISINVOLTAMENTE. Bentivoglio, Stor. par. 1.
lib. 10: « Fece chiamare a se il castellano, e di-
sinvoltamente con libertà del paese gli diede la mano.»
DISORGANIZZARE. Si usa ancora figuratamente.
Soldani, Sat. IV: « Già non per questo si disorga-
nizza — Lassù nessuno ingegno. )>
DISUMAZIONE. Usa il Boccaccio la voce itma-
lione (benché non recata ne' vocabolari, ch'io sappia}
\r>'2
nel Coniento a Diinte t. 1. png. 135 doU' edizione
fiorentina del Fraticelli: « E Postumo fu chiamato,
ixncioccliè dopo la umazione del padre era nato. »
Nen vonemmo perciò condannato di lesa proprietà di
favella chi dicesse anche disumazione.
DIVERSIONE. Distrazione di animo. L'usa il Gior-
dani in uno scritto elaboratissimo , cioè nel Pane-
girico del Canova pag. 175 dell' edizione milanese
del Silvestri : « Perciocché l'amore felice né desi-
dera nò gusta più nessuna cosa : e manca all'aite-
fice il bisogno di farsi coi lavori diversione da in-
teriore tormento. »
DOVEROSO. Salvini, Prose toscane 1. 16 : « l
cuori d' una giusta ammirazione e d' una doverosa
stima prontissimi tributari, w
E.
ECONOMIA. L'esempio si ha nel Soldani, Sat. IV:
0 Egli è quel maiordomo che rigira — L'economia
del mondo. » — E nel Pallavicino, Stor del conci-
lio lib' 1. cap; 3: « Ma come spesso accade che i
principi di mala economia, com'egli era, convertono
in qualche uso meno importante i danari deputati
alla guerra ec. » — Figuratamente 1' usa il Tocci ,
Della voce Occorrenza p. 12: « Voi, dice l'opponi-
tore, per salvare che il vocabolario abbia detto Oc-
correnza, bisogna, mostrate che in definir 1' Occor-
renza abbia egli voluto star sull'economia de' ter-
mini. )) E pag. 13: « Adunque o non è vero che
si governi il vocabolario nelle definizioni de' nomi
153
con quella econoiìiin, o non è vero che Occorrenza
sia il sinonimo di bisogna. »
ECONOMICO. Sustant. Tasso, Dial. il padre di
famiglia: « Vero dee essere in conseguenza, che il
buon economico non meno sappia governare la fa-
miglia di un principe, che la privata. »
EFFUSIONE DI CUORE, DI AMORE. È modo,
a noi sembra, di uso nobilissimo, siccome derivante
dalla onoranda nostra madre, cioè dalla lingua la-
tina, cha hn cffusio animi in ìaetitia, effnsus in amo-
rem, effuse amare, amplexus effusissimns.
EMISSIONE. Si dice anche bene de^voti, per uno
che fa la professione religiosa. Maffei, vita di S. An-
selmo cap. 4-. « Secondariamente (l'aveva accusato}
di quelli che dopo 1' ingresso del monasterio avea
fatto innanzi la emissione de' voti. «
ENTRANTE. V'ha chi noi vorrebbe aggiunto né
ad anno, né a mese. Nondimeno dice l'Adriani, St.
lib. 17 cap. 3: « Il principe di Firenze in questo
tempo, entrante giugno del 1562, si mise con quat-
tro galee a trapassare in Ispagna. »
ESECUZIONE. Supplizio. Oltre agli esempi che
reca la crusca di esecuzione per effetto di punizio-
ne, eccone assolutamente in significato di supplizio,
punizione di morte. Bentivoglio- Stor. par. l.lib. 4:
« Prima di questa esecuzione furono giustiziati in
pubblico nella medesima città , similmente ribelli,
diciotto eh' erano di condizione men rilevata. » E
poco dopo: « Furono fatte al medesimo tempo altre
esecuzioni in diversi luoghi, e con tanto terrore e spa-
vento de'popoli, che non s' udivano né sì vedevano
se non sospiri, gemiti e pianti per ogni parte- »
154
ESEMPf.ARE. Copia. Reca la crusca anche un
esempio del Segneri. Non fu solo dunque a dirlo il
Redi.
ESPRESSO. Speciale, a posta. Addictt. Bentivo-
glio, Stor. par. 1. lib. 9. « Fu inviato da lui final-
mente un ambasciatore espresso a fermare in Fian-
dra la trattazione: » Ed ivi: a Al primo invito cia-
scuna provincia (trattane quella di Lucemburgo, se-
condo che accennammo di sopra) o con deputati e-
spressi , o con manifesto consentimento, si mostrò
inclinata a ridursi in questa generale ragunanza. »
ESPROPRIARE. Non è solo vocabolo legale, co-
mò alcun vuole. Bclcari, Volgarizz. del primo trat-
tato di lacopone da Todi (ediz. romana del 1843)
pag. 55 : « Qualunque vuole alla cognizione della
verità con brieve e con diritta via pervenire, e la pace
profondamente dell' anima possedere , conviene che
totalmente se espropri i dell'amore d' ogni creatura.»
E pag. 65: « Adunque molto utilissimo e saluber-
rimo ò che tutti i mezzi noi gittiamo ed espropria-
mo da noi, e moriamo a tutte le cose create.»
ESTERNO. Straniero. Machiavelli, Stor. lib. 1:
« Questo Clefi fa in modo crudele non solo cen-
tra gli esterni, ma ancora centra i suoi longobardi,
che quelli sbigottiti della potestà regia non vollono
rifare più re. » — Il medesimo, Discorsi lib. 1. cap.
14: « La qual cosa fu non solamente usata dai ro-
mani, ma dagli esterni. » — Castiglione, Tirsi St.
17: )) Misero me, che fia ? Se ben discerno — Que-
sto all'abito par pastore esterno. » — Ariosto, Ori.
Fur. XIV. 15: « Malzarise e Morgan te , ch'una
sorte — Avea fatto abitar paese esterno. «E XVn.97,
155
ESTRINSECO {in). In apparenza. Bartoli, Asia,
lib. IV cap. 69: « E veramente in così gran ntiol-
titudine , e per le strane maniere che si adopera-
vano a sovvertirli, non ne mancaron de'fiacchi che
fecero in estrinseco mostra di rendersi. »
F.
FIDUCIALMENTE. Ci pare buona voce italiana
per gli aurei esempi che ne reca la crusca.
FIRMA. Sottoscrizione. Nel Caro abbiamo firma-
zione, Lett. ined pubbl. dal Mazzucch. t. 1. p.227:
« Imperò, volendo pur temporeggiarla, è bene che
si avvertisca, o che la fìrmazion dc'capitoli si dif-
ferisca, 0 che la data sia di pò che si sarà chie-
sta la licenza al papa. » — Abbiamo anche firmato
in Donato Giannotti nella vita di Girolamo Savor-
gnano: « 1 quali titoli s'acquistò così per molte sue
egregie operazioni , come per essere stato in gran
parte autore della pace firmata in Torino 1' anno
1531 . » — Abbiamo in fine firmare nell' esempio
del Crudeli da noi recato alla voce Circolare. —
11 Varchi ha però fermatOy Stor. lib. V: « E quanto
che voi dite che io ho la vostra fede , voi dite il
vero: intendendo però quella che voi mi deste nella
capitolazione di Madrille, siccome appare per scrit-
ture fermate di vostra mano. » — E fermate ha pure
il Caro in altro luogo delle lettere suddette , cioè
t. 1. pag. 253: «Dicono che sua maestà stava as-
sai meglio, e che don Diego ha ricevuto uno spac-
cio tutto fermato di sua mano. »
156
FITTABII.E. Filiamolo. Caro, Leti. inod. publ.l.
dal Mazzucch. t. 2. pag- 308: « La riducono a ter-
mine (la commenda) che il nuovo fittabile. secondo
il conto che mi si fa, non la può mettere in essere
senza molte centinaia di scudi. « E pag. 309: « Ora
vedendo come le cose sono passate, e dicendomisi
che '1 cavalier Tiburzio è parente del fittabile, che
v' è dentro, mi sono avveduto che l'ha voluto ser-
vire. » — Non v'ha dubbio però che non sia un
lombardismo.
FLOTTA. Osservisi questo beiresempio dell'A-
driani, dove abbiamo Holla di naju'.Stor.lib- 4. cap. 2:
« Avvenne inoltre in questo medesimo tempo che
l'armata spagnuola, che l'impeiadore teneva in Bi-
scaia, avendo udito che una flotta di navi francesi,
le quali venivano in Bretagna cariche di munizio-
ni ec. »
FOFiAGGIERO. Tasso , Lettere poetiche p. 82
(ediz. veneta del 1587): « Perchè, come per l'altra
mia scrissi di voler fare, fìngo che Polifemo ecc. ,
avessero disposti prima gli agguati per far rap-
j)resaglia dei foraggieri ec. » — Bentivoglio, Stor.
par. 3. lib. 2: « Onde anch'egli volendo con 1' in-
ganno deluder l' inganno, rinforzate prima le scolte
de' foraggieri , fece collocare in un bosco diverse
compagnie di cavalli. »
FORTUNA. Avere, Sostanze. Il Somis nelle Giunte
Torinesi ne reca un esempio del Bembo. Eccone un
altro del Machiavelli nella Novella: « Nelle quali
cose dispensò la maggior parte delle sue fortune.»
— Ed un altro pure del Bentivoglio, Stor. par. 1.
lib. 3: « Involgere sempre più fra le turbolenze il
157
^>aese, e ftu i mali pubblici far maggiori le fortune
loro private.)) — E un terzo di Paolo Costa nel Trat-
tato dell'elocuzione (oggi meritamente testo di lin-
gua) sul principio: <( Per questa (arte di gentilmente
parlare) ci è aperta la via alle dignità, alle fortune
e alla fama. ))
FORZOSO. Forzato. Salvini , Prose toscane I.
302 : « Ora a chi con volontaria morte così erasi
alla necessaria e forzosa preparato, questa soprav-
vegnendo, non gli fu nuova. »
FRUTTI, per frutley frulla. V'ha chi ne ha re-
cato un esempio del Boccaccio. Eccone un altro pur
autorevole dell'Ariosto, Ori. Fur. XXXXI. 5D:((Den-
tro la cella il vecchio accese il foco — E la mensa
ingombrò di vari frutti. ))
FUNZIONE. Qirico, peso, obbligo. Se ne reca un
solo esempio del Salvini. Ma lo aveva detto assai
prima il Pallavicino, Tratt. dello stile cap. 1. g. 5:
« Non è lungi , per mio avviso , dalla vostra me-
moria, che gli anni addietro con atto di modesta e
confidente amistà mi cercaste d'udire alcuni vostri
componimenti scritti sopra varie funzioni del ve-
scovo. »
G.
GABINETTO. Si è detto che primo fra' nobili
scrittori a dar corso a questa voce, resa oggi sì ne-
cessaria, sia stato il Segneri. Nulla v'ha di più falso:
come dimostrano i seguenti esempi di autori che
pubblicarono le loro opere prima di quelle *<del fa-
moso gesuita. Guarini, Della libertà politica p.161
158
(ediz. veneta del Gondoliere 1839): « Queir arcan-
gelo per mia fé, che la persona del suo prencipc
ha in guardia, quand'altri crede d'esser più chiuso
e ritirato, entra non solo ne' gabinetti, ma penetra
ancor ne'cuori. « — Davila, Stor. lib- IX: » Licen-
ziò tutti i familiari, e restarono soli nel gabinetto,
prima chiamati da lui, il segretario di stato RevoI,
il colonnello Alfonso corso ec.» — Tassoni, Secchia
II. 40: » Dispensavale poscia a due pitali, — Che
ne'suoi gabinetti il padre aveva. « — Né so se pri-
ma, 0 nel tempo stesso che scriveva il Segneri, an-
che Carlo Dati diceva nell'orazione per Cassiano dal
Pozzo : » Nò meno starò a numerar le statue , le
pitture, le anticaglie e le rarità che mercè della libe-
ralità di lui si veggono e si ammirano ne'gabinetti
e nelle più celebri gallerie de'personaggi grandi del-
l'Europa. »
GENTILIGIA. Oltre alla cronaca d' Amaretto,
citata nel vocabolario della crusca, usò questa voce
per nobillà il Machiavelli, Stor. lib. 8: « E per gua-
dagnarselo più, sendo ito il conte Girolamo a Vi-
negia, fu da loro onoratissimamente ricevuto e do-
natogli la città e gentiligia loro, segno sempre di
onore grandissimo a qualunque la danno. » — Così
pure ha il vocabolario gentilezza per nohillà con al-
tro esempio della Cronaca d'Amaretto. Ond' è che
non errano, ci pare, coloro che dicono gentilizio
(addiettivo) in vece di nobile.
GIORNALIERO. Giornaliere. Maffei, vita di S.
Malachia cap.7.« Sì che il giornaliero si levò su-
bito liato e gagliardo. « Così ha l'edizione napole-
tana del diligentissimo Puoti.
159
GRATUITAMENTE. Senza ragione, senza perchè.
Crudeli, Rime, e prose ( ediz. parigina del 1805) ,
pag. 158: « Così segue fra gli uomini , che altri
gratuitamente si odiano , e naturalmente altri si
amano. »
GRAZIE (azione di). Chi non vuole usare que-
sto latinismo , di cui neppur noi abbiamo alle
mani alcun esem[ io di buono scrittore , dica o
rendimento di grazie, ammesso dalla crusca , o re-
lazione di grazie, come ha l'Ariosto Ori. Fur. XXV
20: « Né la relazion di grazie è quella — Ch' ella
usar debba al suo fedele amante. » — E se vuoi-
sene un esempio anche più antico, eccolo nel Por-
cari, Oraz. IX: « Supplico dunque la vostra inetTa-
bile clemenza, che quelle relazioni di grazie infinite
ed immortali, alle quali né la lingua, né lo intel-
letto mi possono bastare ec. »
I.
IMPEGNx\RE. Obbligare. Attivo e neutro passivo.
Non ha solo l'autorità del Metastasi© (com' è chi
dice), ma sì 1' ha del Caro , del Buonarroti, e del
Segneri, secondo che può vedersi nelle Giunte To-
rinesi del benemerito conte Somis.
IMPREVEDUTO. Ne reca il Somis un bell'esem-
pio dell'antico volgarizzamento delle omelie di san
Gregorio.
IMPROBO. Non è usato solo da qualche tre-
centista, ma dal Machiavelli nel capitolo della For-
tuna: u Spesso costei i buon sotto i pie tiene , —
GÌ' improbi innalza. » — Aggiungasi Improbamente,
160
per malvagiamente, avvalorato puie dal Soiiiis coti
un esempio del volgarizzamento delle omelie di san
Gregorio. Al quale aggiungeremo quest'altro di fra
Girolamo da Siena, Adiutorio pag. 35: « Ma non fa
così questa fraudolenta: anco improbamente si glo-
ria de la confusione de la vita sua. »
INANIMARE. Dare o prender coraggio. Ha tali
esempi classici d'ogni secolo, che non sembraci ra-
gionevole la sentenza di chi vuol anzi preferirgli ina-
nimire. La crusca ne reca del Compagni, di G. Vil-
lani e del Casa. Noi aggiungeremo i poetici dell'A-
riosto, Ori. Fur. XVI. 38: « Ma quando ancor nes-
suno onor, nessuno — Util v' inanimasse a questa
impresa. « — E del Caro, Eneid. X : « Da questa
parte sta Fallante , e Lauro — Da quella , i suoi
ciascuno inanimando, — Spingendo e combattendo.»
INCAPACE. Detto assolutamente per inetto. Guic-
ciardini, Stor. lib. V. cap. 3:» Ma perchè la città
quasi tutta abborriva la tirannide . e alla moltitu-
dine era sospettissima l'autorità degli ottimati, no era
possibile ordinare con una medesima deliberazione
la forma perfetta del governo, non si potendo con-
vincere gli uomini incapaci solamente con le ra-
gioni, fu deliberato d' introdurre per allora di nuovo
una cosa sola ec. »
INCENDIARE. Salvini, Trad. di Senof. Efes.
lib. IV in principio: « Incendiavano i villaggi, e uo-
mini scannavano assai. »
INCLUSIONE. Guicciardini, Stor. lib. V. cap. I:
« Perchè se bene l'anno dinanzi avesse ottenuta la
tregua da Massimiliano cesare con inclusione dello
stato di Milano, nondimeno quel re ec.» — E potre-
161
mo anche dire inchiusione col Varchi, Stor. lih.IX:
« Avevano mandato Bartolomeo Cavalcanti alla corte
del cristianissimo, che vedesse di ritirare quello che
quivi quanto all' inchiusione ed esclusione dei col-
legati si dicesse o sperasse. )>
INCOLUMITÀ'. Porcari, Graz. II: « Sempre deb-
b'essere negli animi nostri impresso il dolce e ve-
nerando suo nome, sempre dobbiamo nella salute e
neir incolumità pubblica fìssi tenere i pensieri no-
stri. »
INCONSEGUENZA. Incongruenza, non corrispon-
denza. Trovasi certo a carte 68 della traduzione dì
Demetrio Falereo fatta da Piero Segni,! ediz. fior,
del 1602 citata dagli accademici. Ma non avendo
ora alle mani il libro, non possiamo trascrivere qui
l'esempio.
INCONTRARE. Piacere, essere gradito. Crudeli,
Rime e prose (ediz. parig. 1805) p. 163: « 11 vero
modo d' incontrare con lei egli è di mostrarsi forte,
robusto, invincibile. » E pag. 166: « Per incontrare
con le donne ritenute, e che voglion passare per
moderate e aliene dal conversare, tornerà bene farsi
il credito di uomo d' inviolabil segreto. »
INDECENZA. Pallavicino, Tratt. dello stile cap.
38. § 4-:(( E così elle , ove per altro sian dilette-
voli, non recheranno mista la noia all' indedenza.»
— Né solo è buona voce indecenza, ma anche in-
decentemente , benché non registrata dalla crusca
(che pur ci dà 1' indecentissimamente del Salvini ) ,
trovandosi nel Boccaccio, Cemento a Dante cap. 15
(ediz. fiorentina del Fraticelli t. 3. pag. 207): » E
chiama qui Fiorenza nido di malizia tanta: e questa
C.A.T.CXLIU. 11
162
non indecentemente, avendo riguardo a'vizi, de'quali
ne mostra esser maculata. » — Non credasi inol-
tre che indecente sìa voce solo del Segneri : ma ò
del Galilei, più antico di lui, che l'ha nella postilla 1
al Saggiatore.
INDOSSARE. Notisi di grazia questo esempio
del Davanzati, Tacit. Stor. lib. V. cap. 25 : « La
rabbia di Civile aver loro indossate le armi: » e poi
si condanni, se si può, Tuso così oggi comune del
verbo indossare, che trovasi anche nell' Iliade tra-
dotta sì nobilmente dal Monti.
INDUBBIO. L'Alamanni usò il verbo indubbiarsi,
Eleg. 3 del lib. 2: « Oh come oggi a schivar do-
glia e fatica — Esser vorrei tra l'onde eterno sco-
glio, — Ove pili '1 navicar s' indubbia e'ntrica !»
INSORGERE. Sollevarsi, far sedizione. Bentivo^
glio, Stor. par. 1 lib. 4: « Il fine loro più princi-
pale era di muovere l'armi e portarle in Fiandra ,
con ferma speranza che al primo comparir dell'e-
sterne fossero per insorger subito quelle ancor del
paese. » — E par. 1 lib. 10: « Aveva egli vedute
insorger nel regno ed aggrandirsi sempre più le fa-
zioni. « — Menzini, Accad. Tuscul. prosa seconda:
« E tu dunque contro di Amore insorgi col biasi-
mo ?» — Cosa poi da considerarsi si è, che lo stesso
chiarissimo Ugolini nel suo Vocabolario di parole e
di modi errati, ove condanna appunto la voce insor-
gere , se ne serve ( tanto è la forza dell' uso co-
mune) all'articolo Brigante così: « Il Giordani chia-
mò briganti que'caiqpagnoli bolognesi che insorsero
contro il governo del regno italico. »
INTERESSANTE. Oltre al Salvini l'usò anche
163
il Cocchi nel Discorso del vitto pittagorico: « Ma
ella ha avuto almeno il pregio d' introdurre la prima
nelle scuole de' filosofi i semi della tanto interres-
sante dottrina dell' immortalità. »
INTERMEZZO. Sust. Ariosto, Ori. Pur. XXXI.
22: « Né riposato, o fatto altro intermezzo — Aveano
alle percosse furibonde — Questi guerrier* »
INVADERE. Bentivoglio , Stor. par. 2. lib. 4 :
« E vi si unirà ancora tutto il settentrione da ogni
altra parte, quando vedrà questo nuovo disegno che
seuoprono gli spagnuoli di voler invadere V Inghil-
terra. ))
IRRESISTIBILE. All'esempio del Salvini, recato
dal Manuzzi , aggiungeremo questo del Perticari ,
Trat. degli scritt. del trecento lib. 2. cap. 9: « Onde
non potendosi udire giammai cosa alcuna spontanea,
calda, irresistibile, quando tutto è squisitamente lon-
tano dal dir comune, veggiamo ec. w
IRROGARE. Fr. Girolamo da Siena , Adiutori©
pag. 65: « Chi disse che Cristo cacciava li demoni
ne la virtù di Belzebub , irrogava verbo aspero di
bestemmia. »
LATITANTE. Abbiamo Latitare nel Cello del
CiambuUari: a Chiamò (Saturno) Lazio quel paese,
ove egli sicuramente latitando visse- »
LIBERTINO. Amatore di libertà. È voce usata
non solo dal Segni, ma sì dal Varchi, Stor. lib. XI:
« Lodovico prese per suo compagno Dante di Guido
da Castiglione, il quale solo si mise a cotal rischio
164
veramente per amor della patria, come quegli che
era libertino e di gran coraggio » — E dal Pitti, St.
lib. 2: (( E rimessi di nuovo a partito, restò supe-
riore il Capponi : con tanto dispiacere de' libertini
(così chiamati volgarmente i più sviscerati di quella
forma), quanto ne esultarono gli ottimati. »
LUSINGA. Tanto è vero che non è speranza ,
che nel Tasso abbiamo lusingato dalle speranze. Ge-
rus. VI 78: (( Da' tai speranze lusingata ( ahi stolr
ta !) — Somma felicitate a se figura: »
M.
MALGRADO. Che si riferisca sempre a cosa ani-
mata, come pretendono alcuni filologi, non ci sem-
bra esser regola molto fondata di lingua. Certo è che
questa regola non fu nota all'Ariosto, che volle dir
bene Ori. Fur. XXXII. 73: « Che mal grado de'nu-
goli lo spande — E fa veder , benché la pioggia è
grande. » — Non fu nota al Bartoli, che disse nel-
l'Asia lib. IV. cap. 66: « Poi disser loro che male
s'apponevano al vero , immaginando che i giappo-
nesi fosser di così poca veduta , che non sapesser
discernere le ambascerie che venivan d'Europa, da
quelle che sol quattro passi lontano, com' è Luzon
( che sono le Filippine ) ordite da quel governo a
suggestione de' religiosi che vorrebbono libero il na-
vigar di colà al Giappone a portarvi la legge no-
stra, che il Xongun, malgrado delle Filippine e del-
l'Europa e di tutto il mondo, non ve la vuole.» —
Né la sapeva il toscano Cocchi, il quale nel Discorso
del vitto pittagorico ha: « In tutte le pestilenze, e
165
specialmente nell'ultima nostra, fu riconosciuta gran-
dissima l'efficacia dell'aceto, malgrado dell'incomoda
mescolanza che allora usava di un gran numero d'al-
tri medicamenti di contraria natura. »
MATURATO. Terminato, Compiuto. Caro , Lett.
ined. pubbl. dal Mazzucch t. 3. pag. 101: « 11 dover
vuole che mi paghiate il semestre già maturato. )>
MOBILIA e MOBIGLIA. Non solo è parola viva
in Toscana, come alcuno osserva, ma è usata da uno
scrittore ammesso dalla crusca a far testo di lingua,
cioè dal toscano Crudeli, Rime e prose (ediz. pari-
gina 1805) p. 162: «Piacerà alla donna di sentire
che egli convita gli amici , si distingue con nobile
mobiglia, ed il suo vestire è vario e decente. »
MONTARE. Valere, costare. L'Adriani lo con-
giunge colla particella in. Stor. lib. XII. cap. 2: « Il
grano era montato in gran prezzo. »
N.
NOMINARE. Creare, eleggere. Non solo dì nomi-
nare , ma di nominazione e di nominatore abbiamo
esempi classici , benché non registrati fin qui dalla
crusca. •^— Di nominare, per creare, eleggere, eccolo
del Machiavelli, Disc. lib. III. cap. 47: « Ed essendo
necessario che il dittatore fosse nominato da Fabio,
il quale era con gli eserciti in Toscana, e dubitando
per essergli nimico che non volesse nominarlo, gli
mandarono i senatori due ambasciatori a pregarlo
che posti da parte gli privati odi dovesse per be-
nefizio pubblico nominarlo. » — E del Davanzati, An-
nal. II. 36: « Volendo che gli uffici si dessero per
106
cinque anni: o che ogni legato di legione s' inten-
desse allora fatto pretore: e che il principe ne nomi-
lì.isse dodici duraturi cinque anni. » — Di nomina-
zione, per elezione, creazione, eccolo pure del Machia-
velli. Ivi: « Il che Fabio fece nìosso dalla carità della
patria, ancorché col tacere e con altri modi facesse
segno che la nominazione non gli piacesse. » — E
del Varchi, Stor. lib. Ili: « Elessero primieramente
per via di nominazione, come innanzi al dodici, gli
scambi degli otto della guardia e balìa. » — ■ E del
Maffei, vita di sant'Otone cap. I : « Con occhiate e
con cenni e con bassa voce cominciarono ad attiz-
zar i bnmbergesl a mostrarsi mal soddisfatti di tale
nominazione , e risoluti di non accettarla in modo
veruno. « — Di nominatore, per elettore, clezionariot
(eccolo altresì del Varchi, Stor. lib. Ili: « Le borse,
onde s'avevano a trarre gli elezionari, o vero nomi-
natori, non erano in ordine, w — E del Pallavicino,
Stor. del Concilio lib. XIV cap. 10: « l nominatori
(al papato) del Queva rimasero col diciassette. »
NOMINATAMENTE. Perchè da un valente filo-
logo non credesi buona voce, essendo registrata nel
vocabolario della crusca con esempi del trecento ?
NOTAMENTO. Nota. Caro , Lett. ined. pubbl.
dal Mazzucch. t. I. pag. 149: n II notamento, che
avete mandato de gli stati de l'illustrissimo signor
marchese di Pescara si spedirà questa mattina per
Roma. ))
NULLAMENTE. Invalidamente. È certo nel Pal-
lavicino , Stor. del Concilio. Ma nelle nostre note
abbiamo errata la citazione della pagina, né ora pos-
siamo trovarla.
167
0.
OCCUPATO. Add. Col secondo caso. Volgai-izz.
delle collaz. dei ss. padii I. 17: « Che la mente non
sia occupata di pensieri è impossibile cosa. » — Non-
dimeno sarà meglio, ci pare, seguir il buon uso de-
gli altri classici accompagnandolo colle particelle a
od in.
OGGI (IN). Machiavelli, Stor. lib. I: « Occupa-
rono quel paese , il quale in oggi da loro è detto
Normandia. » — Adimari, Satira contra le donne :
« Lo stesso in oggi di continuo accade. » — Tocci,
Della voce Occorrenza p. 67: « In oggi appresso il
popolo Onorare dice un atto di cortesia del mag-
giore verso il minore. »
OGNI VOLTA. V'ha chi afferma che non possa
dirsi: Ogni volta che penso al pericolo che ho passalo:
e debba invece dirsi quando. Nondimeno la crusca
ne dà , se non erriamo , un esempio del Varchi.
Eccone altri dell'Adriani, Stor. lib. 3- cap. 1 : « E
commisse (T imperadore) a don Giovanni di Luna
castellano, che in suo nome, ogni volta che dal duca
ne fosse richiesto, tenesse al sacro fonte il figliuolo
quando solennemmente si battezzasse. » E lib. 3.
cap. 2: « Volendo averli presti il marchese del Gua-
sto in Lombardia ogni volta bisogno ne avesse. » È
lib. 3. cap. 3: (( Avevasi in oltre provveduti molti
capitani di fanteria forestieri di credito a suo soldo
per potere, ognivoltachè il bisogno venisse, condurre
buon numero di fanti di fuori dello stato. » — Certo
che qui ogni volta e ognivoltachè hanno valore di
quando. *
168
ORDINE (IN). Rispetto a una cpsa. Bontivoglio,
Stor. par. 3. lib. 8: « Ma grandi erano le difficol-
tà che s'incontrarono dalla parte di Francia in ordine
alle cose di Fiandra. » — Pallavicino, Tratt. dello
stile cap. 8. §. I: « Tutto quel che avviene in loro
è fuor di proposilo in ordine al provare gli effetti
delle lagrime verso lo sdegno. » — Bartoli , Asia
lib. lY cap. 58 : « Or quando al suo viver privato
in ordine a se stesso , egli era di maniere diritta-
mente opposte a quelle che usava con altrui. )> —
Segneri, Manna, nov. XXVI. 4 : « Perchè Sansone
stesso, che solo in ordine alla debellazione de' filistei
consegui da Dio forze sì prodigiose, si dice tuttavia
che da fanciulletto die nel suo popolo non lievi saggi
di futuro valore. » E die. IX. I: « Ora in ordine a
chi fonda le sue speranze su la lor fedeltà, dice qui
il profeta ec. »
OSCITANZA. Indifferenza. Lo registra il Somis
nelle (Giunte Torinesi con un esempio del Caro.
OTTEMPERARE. Usò il solo Machiavelli , di-
cono alcuni, questo latinismo: e noi veramente non
sapremmo additarne altro esempio classico. Avver-
tiamo però che sì fatti vocaboli giovano alcuna volta
a dare una gravità maggiore al periodo. Sono cose
non accattate dagli stranieri, ma trovate in casa, e
dateci dalla nostra madre. Perciò anche il Tasso usò
la voce Obtrettatore nella sua lezione sopra un so-
netto del Casa. — Intanto non andrà solo nel vo-
cabolario della crusca il verbo Ottemperare, ma gli
farà compagnia l'avverbio Ottemperantemente , eh' è
nel Volgarizzamento della Città di Dio lib. 16 cap.
25: « 0 uomo virilmente usante le femmine, la mo-
169
glie temperatamente,rancilla ottemperantemente,cioè
obbedientemente, e nulla intemperantemente: « nel
qual esempio quel cioè obbedientemente è forse un
a;lossema.
PANIFICIO. Cocchi, Del vitto pittagorico: « E
si tralasceranno tutti i frutti secchi , e i semi ar-
borei, e degli erbacei tutti i pili duri , ammetten-
dosi i cereali solamente che servono al panificio. »
PARADOSSALE. Si dee scrivere, dicesi, para-
dossico. Il Caro nell'Apologia usò anche paradossa-
stico, pag. 161 dell'edizione napoletana del Puoti :
« Con certe vostre alchimie cabalistiche, con certe
opinioni paradossastiche, con certe allegazioni fan-
tastiche di Tretz ec. »
PARTICOLARE. Persona^ uomo privato. Salviati,
Spina 2. 2: « Goz. Oltre che vi pubblichereste per
ladro. Ghib. Che dì tu ? Che pazzie parli tu ? Goz.
E per usurpatore e frodatore de' particolari e del
fìsco. )) — Adriani, Stor. lib: 1 cap. 4; « Il papa sì
scusava affermando, che alla dignità sua e alla li-
bertà ecclesiastica non si conveniva negare la stanza
delle terre sue a ninno particolare. » E lib 7 cap.
1: « Senzachè il frate confessore metteva a carico
di coscienza gravissimo a cesare il torre ad un par-
ticolare per dare ad un altro particolare. »
PARTITO. Parte , Fazione. Se vuoisene altri
esempi, eccoli dell'Ariosto ne'cinque canti aggiunti
al Furioso, III. 61: « Che ben deve pensar ch'ella
il partito — Piglierà del fratello e del marito. »
170
— - E del Bartoli, Asia lib. 3. cap. 1: « Parte come (si-
gnore) supremo ne consentì a'capitani, stati seco in
battaglia fedeli al suo partito, e ne fece re tribu-
tari. »
PASSIONE. Preoccupazione. Oltre all' esempio
del Machiavelli abbiasi pur questo del Salviati nel
prologo primo del Granchio: « Ma la farà da quel
giudizio, - Che nefaran coloro che con occhio - Be-
nigno, e con discreta orecchia guardano — Ed a-
scoltan le cose, e senza punto — Di passion ne giu-
dicano, w
PAVIGIJONE. Per bandiera^ vessillOf è certo il
marcio francesisino. L'Alamanni l'usò i^ev padiglione ^
Giron. XXI, 22: « Distende il guardo, e lì poco di-
viso — Vede un gran paviglion lungo la via , —
D'ond'esce un suono- »
PENETRAZIONE. Perspicacia. Cocchi, Disc, del
vitto pittagorico : « Ma 1' istessa intrinseca bontà
de* pareri medici di Pittagora darà sempre ai fini
conoscitori una grande idea della sua penetrazione
sulla natura del corpo umano. »
PENSATIVO. Machiavelli, Andria li. 4-: « E' ne
vieno pensa tivo di qualche luogo solitario, w
PERDONO. Scusa. All'unico esempio, che se ne
dà del Tasso, vuole aggiungersi questo del Giordani
nella famosa lettera a monsignor Giustiniani: « E
per fine , chiedendole perdono di questo mio scri-
vere troppo lungo , e forse troppo alla semplice ,
m' inchino e bacio umilmente la mano. »
POSTERIORE. Seguente^ susseguente. Città di Dio
lib. XV cap. 9: Ma, come io ho detto, l'ossa tro-
vate spesse volte, però che sono durate già molto
171
tPinpo, mostrano alli secoli posteriori la grandezza
de' corpi antichi. » — Si ha pure in significato di
postero. Speroni, Dial. delle lingue: « Noi altri po-
steriori abbiamo fatto dell' altrui forza nostra vir-
tù. » — Ed anche di ghiniore. Varchi, Ragion, del-
l' invidia: « Chi visse . . . più virtuoso d' Affricano
posteriore ? »
POSTO. Ufficio, carica, dignità. Segneri, Manna,
febbr. 10, 2: « Contese che s'intraprendono per ar-
ricchire , per avvantaggiarsi , per giungere ad alto
posto. » E febbr. 12, 1 : « Quello che presso gli
uomini si chiama altezza di posto, grandezza di glo-
ria, dinanzi a Dio che cosa è ? È abbominazione.»
POTENZA. Potentato, gran sovrano. Adriani, In-
troduz. alla sua storia: « L'una delle quali teneva
con Carlo V imperadore, e l'altra con la corona di
Francia, che queste due potenze con tutte le forze
e membra loro e di loro parte, a guisa di due for-
tissimi campioni, infra se contendendo ec. m E lib.
14 cap. 1: « Onde conveniva , trovandosi lo stato
della chiesa cinto intorno da potenze grandi e da
armi buone .... che vivessero con rispetto.»
PRECISAMENTE. Per Vappunlo. Caro, Apologia
p. 100 dell'edizione napoletana del Puoti: « Per aver
detto qui Virgilio così, non segue di necessità che
'I Caro dovesse dire nel medesimo modo precisa-
mente. » — Bartoli, Asia lib. VI cap. 71: « Altri
due più illustri quivi medesimo in Morioca (non ne
sappiamo precisamente il quando, ma solo che pur
di quest'anno e di state ), glorificarono Iddio nella
lor passione. »
PRECISARE. Dichiarare, insegnare per Vappunlo.
172
Cavalca, Spoc. de'peccati cap. XI: « E all'uomo ab-
biamo mostrate le condizioni che si richieggono a
bene confessare, e precisi gì' impedimenti della pe-
nitenza, e mostrati li suoi segni ed effetti. »
PREGIUDIZIO. Falso giudizio , erroneo parere.
Se non basta 1' esempio del Magalotti, ecco quello
del Cocchi nel Discorso del vitto pitlagorico: « E in
alcune private persone ricche e non ignoranti, ma
capaci di pregiudizi e degli eruditi errori, s' incon-
tra spesso ec. « — E più del purissimo Cesari, Lett.
t. 2 pag. 26: « I pregiudizi sovvertono il giudizio
eziandio de'migliori. )>
PREPARATIVO. Sust. Caro, Lett. ined. pubbl.
dal Mazzucch. t. 1. pag. 175: « Spero che le cose
andranno bene , perchè avemo di già fatti di gran
preparativi centra l'ostinazione del gran cancelliero.»
Ed ivi pag. 182: « Il mezzo era d'ottener prima una
riserva del reverendissimo Sant' Angelo , come un
preparativo di quella di N. S. »
PRESIDIARE. Segni, Stor. lib. X: « Ma di poi
avendo egli presidiato tutto lo stato , ed assoldate
nuove genti, riprese bene dodici terre possedute da'
francesi. » — Benti voglio, Stor. par. 2. lib. 3: « Ri-
tenevansi dagli avversari diversi luoghi intorno alle
mura, e gli avevano presidiati. »
PRESSOCHÉ- Quasi. Non sappiamo come alcuno
il condanni, non ostante il vocabolario della crusca al
§ 1 di Pressoy e gli esempi che ivi reca del Boc-
caccio e del Firenzuola.
PROCESSO. Esame, ricercamenlo. E nelle giunte
del Cesari al vocabolario della crusca con un esem-
pio di fra Giordano che dice: « Processo sopra il
credo in Deo. »
173
PROCLAMA. L'usò il Botta, e assai prima del
Botta il Bentivoglio, Stor. par. 1. lib. 4: « Alche
si aggiunse un orribile proclama contro quelli che
erano fuggiti. »
PRODOTTO. Recato , addotto. Galilei, Saggiat.
§. 37: « Soggiungete poi, come per prova prodotta
dall' avversario in un discorso fabbricato a vostro
modo e di facile discioglimento. » ec. - E notisi an-
che Prodotto, sustantivo, in un significato che oggi
non si vorrebbe in tutto approvare da alcuni tilo-
logi. Machiavelli, Asin. 8: « La nostra specie altro
cibar non cura — Che il prodotto dal ciel senz'
arte. »
PROSTITUTA. Se ne avrà un esempio classico
nell'Adimari, Satira contra le donne : « Non teme
prostituta da' lenoni — Stringer l'amato, e 1' erba
aver per letto. »
PR0TEST4RSL Oltre all' esempio del Davan-
zati, che ci reca il Bartoli al n. XCVT del Torto e
diritto del non si può, eccone altri del Bentivoglio,
Stor. par. 2. lib. 6: « E in altre (istanze) si pro-
testò apertamente che se per tutto il 20 d' aprile
ciò non seguiva, egli sarebbe costretto a rendere la
città. » E par. 3. lib. 7. » E di ciò si era prote-
stato liberamente il governatore. »
PROVVISIONALE. Temporaneo. Bentivoglio, St.
par. 1. lib. 9: <( Fu approvata dal re la determi-
nazione provvisionale che aveva presa il consiglio.»
PUBBLICO. Comune. Sitst. All'esempio del Bor-
ghini aggiungasi questo dell'Adriani , Stor. lib. 12.
cap. 3: « Confortò i cittadini, che avevano grano ,
a guardarsene per loro uso per tutto febbraio, e T
174
altro , ricevendone il prezzo, consegniirlo ni pub-
blico per allungarne 1' assedio- » — E quest' altro
del Tocci , Della voce Occorrenza p. 30 ; « E così
annoveravalo esso nella lezione tra gli uomini stati
liberali al pubblico. »
Q.
QUESTUOSO. Avvi chi chiede d' onde venga
questo vocabolo. Da Giovanni delle Celle, rispon-
diamo noi , in un esempio recato dal Somis nelle
Giunte Torinesi, che è questo: « Non intendono gli
uomini com' è grande l'entrata della temperata vi-
ta- Vengo alli sontuosi , e lascio stare questo que-
stuoso, »
R.
RAPPORTO. Aueìienza, dipendenza. All'eseuipio
autorevolissimo del Salviati può aggiungersi questo
d'un altro toscano, cioè del Crudeli, Ritne e prose
(ediz. parig. 1805) p. 159 : « Non possono deter-
minarsi i rapporti che hanno insieme i diversi ge-
ncH di questa generale tendenza. »
RAPPRESENTANZA. Ricorso. V usa la crusca
alla voce Ricorso. Sicché è d'uso toscano e buona.
RAVVISARE- Reputare, credere. Sacchetti, Nov.
90 : « Quando il calzolaio udì questo , ravvisò che
con le dette forme il dovesse fare uccidere. »
RAVVISARE. Scorgere. E avvalorato dal Somis
nelle Giunte Torinesi con due esempi del Segneri.
RECEDERE. È un latinismo divenuto italianis-
175
simo non solo per l'esempio del Segneri, recato dalla
crusca; e per aver detto il Pulci, Morg. XXV. 71:
« L'anima ornai, Signor, recede : » e il Cocchi, noi
Disc, del vitto pittagorico: « Dall'esattezza di questo
vitto poteva recedersi talora alquanto , secondo le
occasioni: » ma per essere d'uso quasi comune.
REDARGUENTE. Ha chi dice che dobbiamo solo
contentarci di redarguire. Domandiamo però grazia
almeno per redarguente, ch'è del trecento. Fiore d'Ita<»
lìa , rubr. 54 : « E nota che questa interrogazione
non fu domanda d'ignorante (che Dio sapeva bene
donde venia), ma fu voce d'increpante e redarguente
la malizia del dimonio. »
REGOLARIZZAZIONE. È voce veramente orrida,
com'è regolarizzare. Lo Speroni usò regolazione nelle
Lezioni in difesa della Canace (ediz. veneta 1597)
pag. 24-9): « Dico appresso che la varietà de' versi
e delle rime or vicine ed or lontane è numero piiì
tragico, che non è la semplicità del verso, e la re-
golazione ed uniformità della rima. »
RELATIVO. Non è solo termine grammaticale.
Davanzati, Notizia de' cambi: « A duo pagamenti se^
guono di necessità quattro persone, perchè uno non
può pagare, se un altro non riceve: per esser que-
sti atti verso se relativi. »
RENDITORE. Portatore di una lettera. Lo ha il
Sonjis nelle Giunte Torinesi con un esempio del
Bembo.
RETROGRADARE. Il Perticari, le cui opere sono
state meritamente ammesse dalla crusca a far testo
di lingua, allargò il dominio di questo verbo, e daU
Y usarsi solo in cose astronomiche il trasse anche
176
fìà altro in una delle scritture sue più forbite, cioè
nel Trattato degli scrittori del trecento lib. 2. cap.
13: « Stendendo le sue ragioni eterne sovra gì' in-
crementi delle scienze, dell'arti, delle scoverte, de' co-
stumi e de' tempi senza retrogradare gl'intelletti ed
offendere il corso della natura. » Altrettanto per la
voce Retrogrado avevano già fatto il Galilei, il Buo-
narroti e il Segneri addotti dalla crusca : a' quali
aggiungeremo il Bartoli nell'Uomo di lettere lib. 1.
cap. 1: « Retrogradi trovano tutti i favori, fuori di
casa tutti i benefìcii, »
RETROSCRITTO. Add. Se n'ha l'esempio nelle
Lettere del Davanzati pubblicate dall'onorando amico
nostro ab. Manuzzi n. 20; « Non mi potendo dar pace
di quella sentenza della parte, vorrei tentar la re-
visione, come per la retroscritta boza di supplica.»
RICEVUTO. Approvalo^ ammesso Si recano nel
vocabolario due esempi di ricevutissimo in questo si-
gnificato : l'uno del Segneri, l'altro del Bellini. Ed
intanto non se ne reca alcuno di ricevuto. Eccolo
del Galilei , Sagg. §. 37 : « Simula di non vedere
quello che piiJ volte e molto apertamente v'è scritto,
cioè che noi non ammettiamo quella sin qui ricevuta
multiplicità d'orbi solidi. »
RICONVENIRE. Accusare. Non è del solo Ma-
galotti, conie alcun dice, ma è anche del Segneri,
Crist. istruit. 1. 24. 9: «E non vedete che fin la
vostra esperienza vi riconviene ?» — E del Tocci,
Voce Occorenza p. 15 : « Quindi mi conforto che
non sieno essi qui per riconvenirmi dì mancamento
di riverenza- »
RIMONTATO. Rabbellito , ornato di nuovo. Se
177
ne ha un solo esempio, crediamo, nell'Alamanni, Gi-
rone XX. 80: « Poi rimontato il ciel d'oro e ver-
miglio, — Giron d'andarne alfm licenza chiede- » Ma
sarà forse bene di lasciarlo stare dov'è.
RINCARIRE. Rincarare. Tassoni, Secchia IV. 35:
« L'un nemicizia avea col sol d'agosto: — E l'altro
rincarìa le calde arrosto. »
RIVOLTA. Sedizione, ribellione. Agli esempi del
Segneri e del Magalotti si aggiungano questi altri
più antichi. Segni, Stor. lib. 2 : « Erano in mani-
festa discordia condotti i cittadini grandi, e da te-
merne qualche rivolta perniziosa alla patria.» — Ben-
ti voglio, Stor. par. 1. Hb. 3: « Concitò gran rivolta
in Anversa questo successo , e si stette per venire
alle armi dentro della città. » E ivi: « In luogo dì
una città avete in rivolta tutto il paese. » E così
altre volte.
RIVOLTARSI. Ribellarsi. Alamanni, Giron. XXIV.
156: « Or già che morto il fero re si vede, — Tutti
quei che famìglia e che case hanno — Nel terren di
Narbone, e gli eran cari, — Si sono in un sol punto
rivoltati. ))
ROLLO. Maffei, vita di san Martino e. 1: « Si
aggiunse poi al disturbo de' suoi santi disegni anco
la nuova scelta, che allora si faceva, di gente mi-
litare, con ordine espresso che tutti i figliuoli de' ve-
terani fossero posti in rollo , e condotti alla guer-
ra. » — Né ciò solo: ma abbiamo anche rolato, per
posto in roloi o rollo, nel Bentivoglio, Stor. par. 3.
lib. 4 : « E benché fosse grande il numero de' cit-
tadini rolati all' insegne , non corrispondeva in essi
però di gran lunga né la disciplina ec. »
G.A.T.CXLIII 12
178
RONFARE. Russare. Tasso, Sette giorn. V. §. 18:
K Ma ronfar già dormendo ancora uditi, — E dormir
son veduti umidi pesci. » — MafFei, Vita di san Ber-
nardo e. 2: « Onde, s'egli vedeva un religioso dor-
mire mal composto, o ronfando, non lo poteva quasi
patire. »
S.
SAGACIA. Vincenzo Martelli, Rime (ediz. bolo-
gnese del 1829) pag. 55: « E sovra ogni sagacia ap-
provo e lodo — (Se bisogna) il giurar, perch'altri il
creda. » — Coccbi, Del vitto pittagorico : « Ella s'in-
trodusse per tutta Europa verso la metà del secolo
passato per la sagacia ed esperienza di un medico
gottoso di Parigi. »
SALCICCIA. Vuoisi che debba dirsi salsiccia. Ma
il Caro non pronunciava così, scrivendo salcicciolto
nelle Lett. ined. pubbl. dal Mazzucchelli t. 1. pag. 198:
« Io penserò che in vece vostra sieno venuti quei
salcicciotti che m'avete mandati. » — Salciccia inol-
tre disse il Tassoni (secondo tutte le edizioni che
ho vedute) nella Secchia I. 31 : « Si riscontrò con
Sabatin Brunello, — Primo inventor della salciccia
fina, — Che gli tagliò quella testaccia riccia - — Con
una pestarola da salciccia. »
SANTOLO Patrino. Lo ha registrato il Somis
nelle Giunte Torinesi con un esempio del Pecorone.
SECCATORE. Se la crusca ammette seccaggine,
per fastidio i importunità: e seccatrice, per fastidiosa
ed importuna: dovevasi dunque aspettare che il Sal-
vini dicesse seccatore per registrare questa voce nel
vocabolario della lingua ?
179
SIMILARE. Non è voce solo del Magalotti, ma
del Guarirli , che visse assai prima del Magalotti.
Della libertà politica ( ediz. veneta del Gondoliere )
p. 140: « Questa termina gli elementi, questa tem-
pera il calor naturale, questa trasforrna il cibo nelle
sostanze delle parti corporee similari e dissimilari.»
SOCIALE. V'ha chi non vuol dargli altro signi-
ficato che di sociabile, compagnevole, che ama com-
pagnia. Dunque non potrà dirsi guerra sociale ? Lo
ha detto però, senza tema d'errore, il Volgarizza-
tore della Città di Dio XIX. 7 : « Nondimeno essa
larghezza dell'imperio ha generate guerre di piggior
maniera, cioè sociali e civili. »
SOGGETTO 0 SOGGETTO. V'ha pur chi vuole
che l'aggettivo soggetto non possa accompagnarsi che
colla voce materia. Nondimeno il Tasso non dubitò
di cantare, Gerus. IX. 93: u E quindi d'alto -r— Mi-
rava il pian soggetto. »
SORTE CHE (DI). Veggasi il vocabolario della
crusca alla voce Di sorte che, e se ne troveranno gli
esempi del Firenzuola e del Varchi.
SOSTITUIRE. Può esset" talvolta anche passivo.
Cocchi, Disc, del vitto pittagorico: « Così escluden-
dosi tutti gli aromi, si sostituiscono in loro vece le
verdi cime d'erbe odorifere e grate, »
SPONGA. Alle autorità del Castiglione e del To-
lomei addotte da un filologo contra un altro filolo-
go per sostenere ben detto sponga per spugna, ag-
giungeremo quella del Caro, se però è veramente del
Caro il volgarizzamento di alcune lettere di Seneca
3: 24: « Quel legno con una sponga attaccata , e
posto per nettar le parti oscene, tutto si cacciò nella
180
gola. » Inoltre il Tasso disse spongioso (pronunciando
forse spongia), e non spugnoso^ nelle Sette Giornale,
V. §. 12: « Perchè '1 pulmon ne la sinistra parte -
Fra le viscere nostre ha il proprio sito - Spongioso
e raro. »
SPUDORATO. Faremo miglior viso a questa voce,
che proviene dal bellissimo expudoratus di Petronio
Arbitro.
STABILIRSI. Porre la sede, la dimora. Vincenzo
Martelli, Rime ( ediz. bolognese del 1829) p. 44:
« Ben vide il glorioso augel di Giove, - Che senza
voi si stabiliva indarno - Fra gl'italici campi, ov'or
s'annida. «
STIPARE. Ammucchiare. Oltre a'due esempi an-
tichi di Dante, che ne reca la crusca, e che dovrebbe-
ro pur essere autorevolissimi, eccone un altro di gen-
tilissimo scrittore del bel cinquecento, cioè del Ru-
cellai nelle Api v. 516: « Stipano il puro mal den^
tro alle celle. »
STORA. Stuoia. Lo dice il Caro, Rett. d'Aristot.
lib. II. cap. 7 : « Come fu quello di colui, che in
Liceo servì l'amico di una stora. » Così nell'edizione
veneta (che è la prima) al segno della Salamandra
1570.
STRANIERO. Add. Estraneo, alieno. Volg. della
Città di Dio 2. 21: « Straniera (cosa) da ogni scru-
polo di dubitazione. » E 9. 23 : « Non è adunque
molto da disputare del nome, quando essa cosa è
tanto chiava, che è straniera da ogni scrupolo di du-
bitazione. ))
SUBORDINARE. Rassegnare, assoggettare. Benti-
voglio, Slor. par. 1. lib. 10 : u Non usciva ordine
181
alcuno da lui, che non bisognasse, subordinarlo al
consiglio di stato. »
SUSURRO. Ha diversi altri significati da regi-
strarsi pure nel vocabolario. Per esempio : Susuiro
del vento. Tasso, Gerus. XVI. 13 : « Tacquero gli
altri ad ascoltarlo intenti, - E fermaro i susurri in
aria i venti. » - Susurro delle onde. Chiabrera, Ser-
mon. 24- : « Che dirò di Castello ? I cui cipressi -
Ogni più fresca Naiade trascorre - Altercando co.'
fischi delle fronde - I suoi non men dolcissimi su-
surri ?» - E seminar susurri^ è audace e bel modo
del Caro, Eneid. 2 : « E quinci de'suoi falli e del
mio duolo - Consapevole Ulisse, a spaventarmi, - A
travagliarmi, a seminar susurri - Si diènei volgo.))
T.
TALENTO. Ingegno. Alcuni lo hanno creduto
mal detto. Agli esempi addotti per difenderlo ag-
giungeremo i seguenti. Maffei, Vita di s. Tommaso
e. 2 : « Quindi, spesso trovandosi alle dispute e a'
ragionamenti di lui e di altri della stessa famiglia,
venne pian piano ad affezionarsi all'instituto loro ,
parendogli non poter meglio impiegare il talento da-
togli dal Signore. » E vita di s. Antonio di Padova
«. 5 : « Assai tosto apparve com' egli era in gran
maniera sufficiente per le confessioni, e insieme atto
anche alle dispute contra gli eretici, e per la catte-
dra delle scuole, e per iscrivere libri utili a tutta la
posterità : e (cosa che malagevolmente con simili ta-
lenti si accoppia) mostrò eziandio non piccola peri-
zia e destrezza nel governare- » - Chiabrera, Elogio
182
di Giambatista Strozzi: « Giovinetti di buon talento
egli raccolsesi in casa, e procacciò che si formassero
di dottrina, ed alcuni chiarissimi ne son divenuti. « -
Bartoli , Uomo di lettere par. 2. pag. 158. (ediz.
Veneta 1678): « Ma quando pur vi fosse toccata una
musa meretrice, con quello che voi chiamate ge-
nio, 0 talento di poetar lascivo, io vi dirò ec. » —
Menzini , Accad. Tuscul. prosa VII : « Io , rispos'
egli, non sono, come ben sapete , dovizioso di ta-
lento poetico. » - Salvini, Prose Tose I. 12 : « I
quali studi ben volentieri con quello delle toscane
cose congiungo, ed altri di maggior talento e dot-
trina dotati, che io non sono, quanto piiì posso con-
forto a congiungere. »
TEATRO. Figuratamente. Bartoli, Uomo di let-
tere par. 1. pag. (ediz. veneta del 1678): u E que-
sti sono i meriti, queste le mercedi de' figli dell'igno-
ranza quando cercano teatro e mendicano applausi.»
TENER DISCORSO. Non piace ad alcuno. Il Chia-
brera però, che disse Tener sermone, certo avrebbe
anche detto Tener discorso. Sermone IX : « E tro-
verassi chi terrà sermone - De'sublimi pensier del
Galilei. »
TOCCANTE- Commovente, attraente , allettativo.
Chi volesse usarlo (noi certo non 1' useremo mai),
all'unico esempio che si ha del Salvini nel vocabo»
la rio, aggiungerà questo del Crudeli, Rime e prose
(ediz. parigin. 1805) pag. 147 : « I piaceri del cuore
son toccanti e ci dilettano, w
TOCCATO. Non solo abbiamo nel vocabolario
toccare per sonare, contra chi dice che non si possa
scrìvere stromento ben toccato} ma sì toccatore i^ev
183
sonatore nel Caro, Long. Sof. ragion. 2: u E si van-
tavano chi d'essece .... un grande ammazzator di
lupi, chi il primo cantore e*l primo toccator di sam-
pogna che fosse da Pane in fuori. »
TRANSITARE. Bentivoglio, Stor. par. 2. lib. 5:
« E coi passaporti si permetteva di qua e di là che
per quella riviei-a transitasse qualche barca di mer-
canzia. ))
TRATTAMENTO. Convito, banchetto. Adimari,
Satira contra le donne: « S'inventan nuovi applausi
e nuovi onori, - Si preparan gl'incontri e i tratta-
menti - Con dispendio profuso e dentro, e fuori. »
TRIENNIO. Oltre ad essere voce d'uso, è avva-
lorata anche dall' esempio classico del Caro , Lett.
ined. pubbl. dal Mazzuch. tom. 2. pag. 310 ; « E
però la prego che si voglia contentare, che nel con-
tratto che le faremo, le si permetta la continuazione
del primo triennio. » - E così da esso Caro si avrà
pure il sustantivo triennale, Eneid. IV: « Quale ai not-
turni - Gridi di Citeron tiade, allora - Che il trien-
nal di Bacco si rinnova. » - Oltre al trienne del
Salvini, Trad. d'Oppiano pag. 3 : « Non voglio che
tu or canti il trienne - Montano Bacco. »
TROPPO. Fanno mal viso alcuni valenti filologi
a troppo invece di molto. E pure ve n'ha esempi e
e di prosatori e di poeti assai autorevoli nel voca-
bolario della crusca al §. I della voce Troppo av-
verbio. Perciò non sappiamo che error sia (e ce ne
scusi l'onoranda memoria di Paolo Costa ) il dire :
E ricercandola il marito, se stesse bene : Non troppo^
ella rispose- - Cioè non molto.
184
TRUPPA. V'ha chi ha scritto in un vocabolario,
che (li questa voce, né bella ne necessaria, in signi-
ficato militare trovasi esempio nel Davanzati. Non si
è ricordato il buon filologo che il supplemento del
lib. IX degli Annali di Tacito è del Brotier, e per-
ciò non tradotto dal Davanzati, ma sì da colui che
ha voluto fare malamente la scimia allo stile del
sommo fiorentino.
U.
UFFICIOSAMENTE. Maffei, vita di s. Antonio
ab. cap. 5: « Fra tali discorsi passata la sera, men-
tre intorno al corpo se ne stanno con molti lumi,
ufficiosamente aspettando l'esequie, pian piano, come
avviene, si addormentarono. »
UMANITÀ'. Genere umano. Bambagiuoli, Virtiì
morali, capo della Fortezza : « Però giudica mal l'u-
manitade, - Credendo danno ov'è l'utilitade. » - Coc-
chi, Del vitto pittagorico: «Pittagora, primo inven-
tore del vitto fresco vegetabile, era grandissimo fisico
e medico, e non punto alieno dall'umanità più eulta
e pili discreta. »
UMAZIONE, v. DISUMAZIONE,
V.
VAGHEGGINO- Erra chi dice che non è nella
crusca. Veggasi nel suo vocabolario con un esempio
del Firenzuola.
VERSARE. Notisi questo significato, che alcuni
filologi non vogliono ammettere perchè non trovato
185
nel vocabolario della crusca. Speroni, Lezioni di di-
fesa alla Canace (ediz. veneta 1597) pag. 166; « Vuol
dunque Aristotele per queste parole, ^he versando
la tragedia d'intorno alle cose mirabili e terribili ,
non si faccia ec. »
B
186
Baijni minreali presso Tivoli.
ifleravigliando taluni che non si fossero per me
date avvertenze nella pratica di cotesti bagni: di-
versamente, dicevano, niun infortunio sarebbe colà
avvenato, sono io rimasto stupito di siffatto oblio.
Imperocché sembra che erano a costoro noti i miei
lavori intorno le acque albule, ciò nulla ostante ab-
bian dimenticati gli avvertimenti ed i regolamenti
pubblicati nell'uso delle medesime.
Fin dall'agosto 1824 leggendo in due separate
sessioni all'accademia de' Lincei il Saggio sopra la
topografia fisica del suolo di Tivoli, pubblicato ripe-
tutamente nello stesso anno pei tipi del Bouhaler,
davo pur cenno delle acque albule colle seguenti pa-
role: Che nel riservaimi in altro argomento di par-
lare della loro temperatura, delle virtù medicinali,
delle elastiche esalazioni venefiche ec-, di presente ca-
deva solo in acconcio dimostrare le utili loro de-
posizioni (travertino) (1).
(1) Saggio sulla topografìa fisica del suolo di Tivoli pag. 38y
e Giorn. Arcadico tomo XXIII pag. 137 e 257. — Non fia di-
scaro il rammentare che questo Saggio risvegliò 1' attenzione di
molti dotti : talchi un celebratissimo compilatore della Biblioteca
Italiana dopo averne dato lungo analitico ragionamento (tomo 38
pag. 86 e seg.), nel rendiconto annuale di quel dotto giornale (t. 41
pag. 185 — 6) dice: « Da tutto ciò che detto abbiamo sulle scienze
economiche e statistiche risulta, che il progresso è massimo nel re-
gno Lombardo-veneto: medio nel regno delle due Sicilie : minore
nella Toscana: zero negli altri stati italiani, salva l'eccezione a fa-
vore dello Stato romano: e gli dobbiamo lode pel Saggio sulla to-
pografia fisica del suolo di Tivoli di Agostino Cappello (Roma 1824),
187
Inoltre nella terza edizione di questo Saggio pei
tipi del Perego Salvioni (1830) rilevai, che gittando
pietre nel lago , suscitasi poco dopo una piccofe
tempesta dovuta a una gran copia di gas che svol-
gesi dal fondo. Si scorge che nella linea di pas-
saggio del gas r acqua acquista una limpidità , la
quale si dee alla dissoluzione del calcano in virtù
del gas acido carbonico che si sviluppa (1).
11 qual fenomeno fu ripetuto eziandio nei ra-
gionamenti per la restaurazione de' bagni minerali
presso Tivoli. Inoltre nel 2." ragionamento leggesi,
che cotest'acqua contiene in soluzione una quantità
di gas acido carbonico superióre al suo proprio vo-
lume (2): e colle pagine appresso (nell'istituirsi in-
sieme col chiarissimo professor Peretti l'analisi chi-
mica) dopo aver accennato la temperatura, il co-
lore ed il sapore dell'acqua, si osserva che dibat-
tuta svolgesi immediatamente gas acido carbonico
con poca quantità di gas solfo-idrico.
Finalmente in fine del terzo ragionamento si
danno i regolamenti nell'uso di questi bagni : no-
tando che il gas acido carbonico è la sostanza più
del quale in più opportuno luogo notammo i pregi ed i pochis-
simi nei. e l'abbiamo riconosciuto commendevole pei fatti ed osser-
vazioni che attestano l'ingegno e la studiosa diligenza dell'autore ».
In che vuoisi notare, che non cadde in pensiero all'insubre
compilatore, che in detto Saggio mostravasi con argomenti geogno-
sticij idraulici, fisico-chimici e storici la non lontana rotta dell'Aniene
due anni dopo avvenuta (16 novembre 4826); e più volte indarno
avvertita, inclusive ad illustri professori d'idraulica architettura.
(/ compilatori dell'Arcadico)
(1) Opuscoli scelti scientifici pag. 770.
(2) Pag. 17, e Giorn. Arcadico pag. 276, tomo LXXX.
188
abbondevole nelle acque albule : onde deve atten-
dersi di non mettere il viso nelT acqua per non
andare incontro ad asfissia. Conchindevo da ultimo,
che non avviene la medesima pel gas solfo-idrico:
siccome avevo supposto in una nota dell'ultima pa-
gina del primo ragionamento pubblicato nel 1837:
ma bensì pel detto gas acido , come chiaramente
risultava dall'anzidetta analisi chimica djel 1839 (1).
Dopo ciò, ognun vede se eransi per me date le de-
bite avvertenze. Che se per un solo attimo, e senza
replicare, possa tuffarsi la testa nell'acqua senza pe-
ricolo, questo non suol mancare col dibatterla, spe-
cialmente col nuoto. Imperciocché non si tratta di
acque marine, di fiume, o di lago, non sprigionanti
gas deleteri , come è il gas acido carbonico : il
quale se nella sua soluzione nell'acqua albula, e chi-
mica combinazione colle altre minerali sostanze fisse,
e gazosa (siccome è il gas solfo-idrico), è uno degli
ottimi presidii pel bagno e per la bevanda, diviene
micidiale nel respirarlo ; giacché col nuoto princi-
palmente si svolge con tanta intensità, per cui si
soggiace all'asfissia, conseguentemente alla morte :
mentre l'individuo cola a fondo senza potergli som-
ministrare soccorso. Laonde dopo due funesti casi
pel nuoto appunto accaduti in persone non volgari,
è indispensabile di prevenirne la gente idiota che
si porta a que'bagni : e mettere affissi a stampa sul
luogo non solo per evitare quel sinistro, ma aggiu-
(1) Terzo ragionamento per la restaurazione de' bagni presso
Tivoli pag. 27, e Giornale Arcadico tomo LXXXV pag. 59. (1840).
189
gnervi ancora le altre regole nell' uso delle acque
albule (1).
Né vuoisi omettere che per la pubblicazione de-
gli accennati ragionamenti, e per avvisi al pubblico
nella stagione de'bagni per me più volte compilati,
si accrebbero non poco gl'individui risanati da gravi
morbi, o migliorati nella loro salute. Il che ricor-
davo nell'occasione che il dottissimo Giuseppe Frank,
desideroso di visitar meco questo ricchissimo fonte
minerale, siccome avvenne, meravigliava come non si
pensasse a farvi uno stabilimento se non coli' antica
magnificenza, agiatamente almeno per bagnarsi (2).
Cotesto fortunato avvenimento sarà certo per
accadere : dacché il sommo regnante Pontefice PIO
IX volse benignamente lo sguardo ai voti di piiì sa-
pienti per una sì salutevole restaurazione (3). Difat-
(1) I tre ragionamenti furono letti prima della stampa all'ac-
cademia de' Lincei : il 1.° nel dì 7 agosto 1837, il 2° nel di 30
settembre 1839, ed il 3.° nel dì 28 settembre 1840.
(2) Id. pag. 4, e Giorn. Arcadico id. pag. 36.
(3) La Santità di Nostro Signore intenta a promuovere lutto-
ciò che torna a pubblica utilità , si è benignamente degnata di
annuire ai desidcrii a lei umiliati sulla ripristinazione dei bagni
minerali delle acque albule, che scaturiscono fra il territorio ti-
burtino e l'agro romano. A tal fine ha stabilita una commissione,
la quale presieduta da sua Eminenza Reverendissima il signor Car-
dinal Presidente di Roma e Comarca, faccia un piano relativo da
presentarsi poscia alla stessa Santità sua.
Formano parte della suddetta commissione i signori cav. D.
Vincenzo Colonna ff. da senatore di Roma come vice-presidente:
dottor Agostino cav. Cappello , dottor Pietro cav. Carpi , medici:
dottor Giuseppe Costantini, dottor Lorenzo Bartoli chirurghi; com-
meiidator Clemente Folchi ingegnere , gonfaloniere prò tempore
di Tivoli, dottor Renedetto cav. VialePrelà medico, e comraendator
Luigi Canina architetto.
Questi ultimi esercitano le funzioni di segretari. Giornale di
Roma 6 maggio 1836.
190
to annunziato appena il sovrano intendimento, di
gran lunga maggiore che nei passati anni è stata
Taffluenza de'bagnanti : e prodigiosi sono stati ì ri-
sultamenti da non pochi dei medesimi conseguiti.
I progressi ognor crescenti nella chimica scienza
diedero in questi ultimi anni agio ai chiarissimi pro-
fessori Benedetto cav. Viale-Prelà, e Vincenzo La-
tini d'istituire accurata analisi chimica delle acque
albulc) che furono arricchite di altre minerali so-
stanze per essi rinvenute. Il lodato professor Viale
in un'accademica sessione lincèa del corrente anno
lesse dotta dissertazione sulle medesime, che quanto
prima sarà fatta di pubblica ragione con utili ed im-
portanti osservazioni.
Né minor lode si debbe all'illustre architetto
commendator Canina, il quale per aver riportato gio-
vamento non lieve da queste acque alla sua salute,
ha molto contribuito, e contribuirà non poco alla
bramata restaurazione, in ispecie co'suoi profondi ar-
chitettonici lavori. Con ragione quindi la Santità di
N. S- degnavasi nomirare il Viale ed il Canina se-
gretari della commissione per la ripristinazione de'ba-
gni minerali delle acque albule.
Roma 28 agosto 1856.
AfiosTiNo Cappello..
191
Raccolta degli scritti editi ed inediti
del cav. Domenico Morichini.
(Continuazione e fine.)
La XXXVII Memoria è sidla rappresentanza del
comune di Marsciano neW Umbria.
u,
na supplica avanzata dagli abitanti di Marsciano,
nella quale si domanda, che sia vietala V uccisione
delle rondini come causa deteriorante Varia di quella
terra.
Due sono le ragioni, colle quali sostengono il loro
assunto i zelanti di Marsciano. La prima è, che le
rondini ci cibano dei piccoli insetti volanti, incomodi
all'uomo ed agli animali nell'estate. La seconda poi,
che col loro volo rapido eccitano nell'aria una pia-
cevole ventilazione che la depura. L' una e 1' altra
delle due ragioni addotte dai zelanti ha un doppio
. valore, l'uno di comodo, e l'altro di sanità.
Le rondini si pascono di insetti volanti, che mol-
tiplicano dapertutto, in ispecie nei luoghi umidi e
- bassi, comprovato ciò dai naturalisti, che sonosi oc-
cupati di conoscere le abitudini di questi augelletti.
Non v'ha dunque dubbio che le rondini contribui-
scano a scemare il numero degli insetti alati, i quali
colle pinzecchiature accrescono agli u<^mini ed agli
animali le molestie dei calori estivi. Il dubbio è se
evvi proporzione sensibile fra le immense schiere
. degli insetti volanti, ed il numero dello rondini. Se
si considera r incalcolabile fecondità degli inselli
192
estivi, è forza dire, che sebbene le rondini vivano
d'insetti volanti, il numero di questi supera di molto
la forza sterminatrice di quelle. Spallanzani asseri-
sce, che nei primi mesi di autunno, quando le ron-
dini hanno già emigrato dalle nostre contrade , o
fatto ritorno in Affrica, gl'insetti volanti si rendono
più molesti e piti numerosi anche nelle abitazioni.
Né è assurdo il credere che la mancanza delle ron-
dini contribuisca all'aumento effettivo del numero
degli insetti.
11 prof, conclude, che 1' uccisione delle rondini
debba essere affatto vietata. Parla dei loro figli che
pesano più dei genitori, per il grasso che è fra la
cute ed i muscoli. Parla ancora che è uno squisito
cibo e dt lusso. Ed oltre ai rondinini da nido, an-
che le adulte rondini sono un grato cibo a molti-
La seconda richiesta è la persuasione, che il loro
volo frequente ecciti neWaria una ventilazione che la
depura. Che le rondini possano col loro volo dare
un certo sviluppo agli strati dell'aria, e che rompano
quella stagnazione opprimente, che in estate ha luo-
go in un' aria, o bassa pianura , ciò non ammette
dubbio. Diftìtti non eccita una ventilazione, ma una
semplice dislocazione di una piccola massa d'aria ,
senza che alcun movimento si propaghi alle grandi
colonne dell'atmosfera.
Riassume dunque l'A.: Gli abitanti di Marsciano
hanno ragione di vietare l' uccisione delle ron-
dini , perchè quelli che distruggono i nidi sotto i
ietti delle altrui case, e quelli che uccidono rondini,
lo fanno per bizzarria, e non per uso dì vitto.
193
La XXXVI II Memoria è una proposta dhin regola-
mento di polizia sanitaria per la città di Roma.
Tutti i governi , in ispecie quello de' pontefici
romani , ebbero speciale cura di porr« in salvo la
pubblica salute.
È lungo tempo che si desidera un codice di sa-
nità mediterranea, che regoli i sistemi della polizia
d^lle case, strade, sepolcri, cimiteri, acque pubbli-
che, arti fetide, sostanze alimentari ed annonarie.
Uno degli oggetti che si riferisce alla salute del
popolo è l'esercizio di tutte le arti salutari. In Ro-
ma non si è trascurato mai di vegliare a ciò che
questo esercizio fosse il piiì acconcio per la salute
pubblica.
Il prof, incomincia il primo Regolamento. Le
grandi riunioni nelle città popolose, se favoriscono
lo sviluppo delle facoltà morali , degradano quelle
fìsiche, come si prova nelle tavole necrologiche delle
città, le quali danno una mortalità media di 5 in-
dividui sopra 100 , mentre questo stesso rapporto
nelle campagne e nei piccoli popoli non giunge
mai al due e mezzo per cento. Così la Provvidenza
volle bilanciare la sorte dei colti abitanti di una
gran città, e dei rozzi coltivatori delle campagne,
retribuendo a questi la prosperità fìsica, ciò che non
potevano conseguire in godimenti di spirito, e vi-
ceversa.
Le migliori leggi perdono la forza morale col
tempo, e se incorrotti magistrati destinati a vegliare
alla loro esecuzione non ne ravvivano l'osservanza
G.A.T.CXLllI. 13
19i
con rigoiosi esempi, finiscono colTandare in oblìo.
Koma città ampia, e per la vastità del suo perime-
tro, non dapertutto fornita di case e di selciati, ha
una debole popolazione in confronto della sua esten-
sione : e questa raccolta sopra una sola dell' area
compresa nel suo recinto , rimanendo ii resto col-
tivato ad orti, vigne, giardini, traversata da uno de'
maggiori fiumi d'Italia, è posta in una pianura nota
per la sua nativa insalubrità. - Polizia sanitaria delle
case. Ogni casa avrà un luogo comodo, chiuso e se-
gregato dalle camere abitabili. Così pure le cucine
saranno fornite di uno sciacquatoio. I luoghi como-
di ed i sciacquatoi dovranno con condotti coperti
mettere foce nella cloaca pubblica la più vicina. Non
si getteranno dalle finestre nelle pubbliche strade
sostanze escrementizie o avanzi di cucina. Le stalle
dei cavalli, muli o asini dovranno essere tenute nella
maggior nettezza. Niente si deve accumulare alle
porte delle stalle. Lo stabbio deve essere rimosso
tre volte la settimana dal maggio a tutto ottobre.
Le case ristorate di nuovo , o fabbricate, non po-
tranno affittarsi che decorso un anno dal compimen-
to della fabbrica.
L'articolo li forma la Polizia sanitaria delle stra-
de e piazze. Sarà cura del governo di far rimuovere
le immondezze della città: e si obbligheranno i pro-
prietari delle case e botteghe di spazzare ogni mat-
tina innanzi le loro case. Queste immondezze si tra-
sporteranno alle nitriere artificiali: il dippiù si tra-
sporterà alle vigne, prati, orti e giardini della città.
Le piazze verranno spazzate come le strade. La net-
tezza della piazza Navona, della Rotonda, e s. Eu-
195
stachio, e delle due pescherie saranno a carico di
quelli che vi trafficano. È vietato a tutti di gettare
nelle pubbliche strade animali morti. I cadaveri di
questi, prima della putrescenza, debbono interrarsi
sei 0 setti palmi.
L'articolo III è La polizia sanitaria delle chiese,
teatri, ed altri luoghi pubblici .
Quando il prof, scriveva questi regolamenti non
era stato fabbricato il vasto cimiterio al campo ve-
lano- Lo spurgo delle chiese rurali devesi far di
notte , e la combustione delle casse mortuarie in
luoghi lontani dalle abitazioni. Le chiese devono es-
ser ventilate in tali ore opportune. 1 teatri avranno
dei ventilatori , nei quali è mefitismo per la folla
degli spettatori, e per i lumi che vi ardono. I fuochi,
le illuminazioni, e gl'incendi che fanno parte delle
decorazioni della scena, ponendosi in uso l'arsenico,
l'antimonio, il zolfo, che sono sostanze che emanano
vapori venefici, e soffocativi , devonsi eseguire in
vasi di vetro, dirigendo anche le correnti di aria in
modo che dalla scena non vengano portate nella
sala degli spettatori. Gli anfiteatri ed altri luoghi
di pubblici spettacoli, ove gli spettatori siedono in
sedili scoperti , o dovrebbonsi vietare in tempo di
pioggie, o coprirsi con tappeti, o stuoie.
L'articolo IV è La polizia delle acque potabili. 1
magistrati devono vegliare sopra la conservazione
delle acque. Per le acque delle fontane basta la vi-
gilanza dei loro condotti: acciò non sia alterata la
purezza e bontà, converrà sempre ripulirli dai rot-
tami, terre, immondezze, o aoiinali che sianvi ca-
duti dentro. I pozzi devono essere aperti a comodo
196
di più inquilini che vi attingono l'acqua: hi diligen-
za dev'essere maggiore nel mantenerli netti. Sovente
si ripuliranno i pozzi per le sostanze in corruzione,
che possono esservi, e per la continua deposizione
del pulviscolo che si accumula nel fondo. Devono
ripulirsi due volte l'anno, cioè in primavera ed au-
tunno. I bacini delle pubbliche fontane sono lava-
cri di erbe, e ricettacoli d'immondezze d'ogni ge-
nere; perciò si può ordinare ai pubblici scopatori di
ripulire periodicamente questi bacini, acciò non di-^
vengano centri di putrefazione e di mefitismo.
L'articolo V è La polizia sanitaria delle cloache.
Le pubbliche cloache destinate a ricevere non solo
le acque piovane, ma quelle degl'interni lavatoi delle
case, le materie escrementizie dei luoghi comodi,
sono uno dei mezzi più provvidi ritrovati per ga-
ranzia della salute pubblica nelle grandi città. Ma
le cloache, a cui sono destinate debbono, essere co-
struite in modo che facile ne sia l'accesso , quante
volte abbisogni di risarcirle. Che lo scolo delle ma-
terie solide e fluide, che trascinano, sia facile, e per
il declivio, e per l'abbondanza d'acqua che deve di-
luirle. Che le loro aperture siano poco superiori al
livello delle acque medie del Tevere, nel quale sboc-
cono. Si vieterà di gettare spoglie di insetti , carni
e pesci putridi, ed ogni sorta di materie animali
putresQ'Jìili nelle aperture delle cloache pubbliche e
piazze della città. Di tutto il sistema poi di cloache
pubbliche e private converrebbe far ledigere una
carta topografica dagl'ingegneri pontifìcii per ripa-
rarne i danni , e per allontanarne i condotti dalle
acque potabili e dalle fontane pubbliche-
197
L'articolo VI è La polizia sanitaria delle ripe del
Tevere. Le ripe del Tevere devono esser tenute a
piceo, e fiancheggiate da muri, perchè così le sue
acque hene incassate non lascerebbero sulle ripe dei
seni, ove il moto è quasi nullo, ed ove svolgendosi
dei gas nocivi, come quei delle paludi, si conoscono
sotto il nome di gas infiammabile del Tevere.
Si dovrebbero vietare i così detti scarichi sul
Tevere, tanto delle immondezze, quanto dei calci-
nacci e materie solide.
Si devono mantenere in vigore i regolamenti sul
modo di bagnarsi nel Tevere, e finalmente la proi-
bizione di uccidere il pesce colle paste, o altre so-
stanze avvelenate , il che getta sulle rive un gran
numero di cadaveri, e tende a sottrarre una sor-
gente di alimenti salubri per il popolo.
L'articolo VII è La polizia per le arti infette L'
odierna civiltà ha dato origine a molte arti, fra le
quali alcune generano vapori venefici, altre putridi
e fetidi. La polizia sanitaria deve contemplare gli
effetti, che queste diverse possono produrre sulla sa-
lute pubblica.
Le arti che producono i vapori venefici sono
quelle che lavorano i metalli. Quindi gli affinatori
dell'argento, i doratori, i fonditori di piombo, rame,
stagno e zinco , e tutte quelle arti che producono
vapori di piombo, mercurio, rame, arsenico, antimo-
nio, debbono essere sorvegliate dalla polizia, la quale
deve ordinare che fossero raccolte in istrade sepa-
rate, e di più che ciascuna officina fosse munita di
fornello con ampia cappa, terminante in un cammina
aperto sopra il tetto. Questa disposizione per il peso
198
dei vapori metallici, che ricadono sul tornello, o si
agglutinano alle pareti della cappa e del cammino, era
già un ottima garanzia della salute dei vicini.
Quelle arti che producono vapori putiidi, come
fonditori di sevo, di amidaio, fabbricatori di corde
armoniche , i magazzinieri di unghie e corna per
concime delle terre, quelli di formaggi, carni e pe-
sci salati, meritano di essere rilegati in parti re-
mote della città. Le arti che danno effluvii fetidi ,
come sono le concerie delle pelli colla vallonea ,
sommacco, scotano, mortella, le macellerie, le far-
macie, le distillerie, le saponerie, le profumerie, le
botteghe dei pettinai e dei maniscalchi, i verniciai,
i luoghi di suola, vacchetta, le cererie, esigono la
sorveglianza in un ben regolato sistema di polizia
sanitaria.
I macelli, le conce ed i locali per dar le ver-
nici devono affatto rivolgersi in luoghi lontani dal
centro della città. Le conce sono quasi tutte nel
rione della Regola. Riguardo ai macelli, ora si è sta-
bilito il grandioso locale della mattazione, mercè la
munificenza di Leone XII, allontanandosi dalla città
il puzzo, e tutti i depositi di sangue, e sevo che
sono inerenti al pubblico macello.
La vigilanza sopra la salubrità o insalubrità delle
sostanze alimentari, come carni, pesci, erbaggi, frut-
te, latte, formaggi, funghi, salumi, olii e vini, per-
chè posta sotto la direzione di un tribunale specia-
le, dovrebbe far parte della polizia sanitaria.
199
La XXXIX Memoria è la formazione dei cimiteri
fuori di Roma.
Il pontefice Gregorio XVI nel 1833 fece ordi-
nare un cimitero vasto nel Campo Verano. Vi pose
la prima croce, e fu aperto dall' inclito porporato,
vicario di S. Santità, cardinale Odescalchi con ap-
provazione di tutta Roma.
Il cosi detto Campo, Verano fuori porta s. Lo-
renzo, era già nel piano formato dal nostro illustre
professore.
La XL Memoria è sopra i candelottai, saponai e
sopra la liquefazione del sevo in commercio.
Il celebre Frank consiglia di rilegare lontano
dalls città le arti fetide , come uno dei provvedi-
menti utili per la salate dei cittadini. Gl'imperatori
romani aveano disposto su quest'oggetto la posizio-
ne e la nomenclatura di varie contrade di Roma ,
e mostravasi conveniente d'isolare tutte le arti fe-
tide: e gli statuti di queste arti, sanzionati dai se-
natori di Roma e dai pontefici, contengono utili pre-
cetti, provvedendo ancora al decoro della città, alia
pubblica salute, ed a quella degli artefici che le eser-
citavano. Queste arti hanno abbandonato le contra-
de, e sonosi sparse nei luoghi più splendidi della
città.
Fra le arti le più fetide e le più malsane sono
la liquefazione del sevo in carniccio, la fabbricazione
delle candele di sevo e quella dei saponi. Si rifletta
che il sevo in carniccio è una sostanza animale
200
grassa, ed ha umori putrescibili. Questo inviluppo
di sostanze dà luogo alla decomposizione putrida
delle membrane, e degli umori mescolati col gras-
so. I prodotti volatili della putrefazione animale si
formano in copia, spargendo un gas ammoniacale,
ed infettando di odor cadaverico il vicinato. I pro-
dotti di questa operazione sono quelli di un cada-
vere in putrefazione, pericolosi nell'estate, e perni-
ciosi all'umana salute.
L'impiego del sevo, anche depurato dal carnic-
cio putrido, ha il medesimo fetore, quale si impiega
nella preparazione delle candele di sevo e dei sa-
poni. Le leggi prescrivono che la prima delle due
arti in questione si eserciti in giorni fissi di notte,
acciò siano chiuse tutte le porte e finestre : e per
la seconda esige il regolamento, che le caldaie siano
munite di una cappa con cammino aperto nel tetto,
e che i resti dell'operazione siano trasportati fuori
dell'abitato.
La XLI Memoria è sopra le vaccinazioni eseguite
negli stati pontificii dal giugno 1823
al giugno 1824.
L'eruditissima relazione, che dà il nostro profes-
sore alPeminentissimo cardinale segretario di stato
Della Somaglia sopra la vaccinazione , merita una
seria considerazione.
A provar questa tesi l'A. adduce dei fatti? che
l'antiche storie ci hanno trasmessi sopra la lebbra
e l'elefantiasi, malattie terribili e sordidissime, che
leggi savie sopra la scelta dogli alimenti , e sopra
201
l'impiego di salutari abluzioni, hanno folto scompa-
rire dalla terra.
La scoperta del nuovo modo spande sull'antico
un male terribile, che avvelenando la sorgente della
propagazione della specie, ne fa temere la distru-
zione: e poco dopo questa stessa scoperta versa in
Europa una droga, che la fa sicura da un micidial
flagello delle febbri periodiche. Le invasioni degli
arabi avevano spopolate le più belle contrade dell'
Europa meridionale meno colla barbarie , che col
propagarvi la peste variolica.
Un medico inglese verso la fine del secolo pas-
sato scopre l'antidoto per estinguere questo conta-
gio. Jenner coli* innesto di una innocente malattia
presa da uno degli animali piiì utili agli uomini ,
rese il servigio il piiì segnalato, che vantino gli an-
nali del mondo- Nobile destino riserbato dalla Prov-
videnza ad un uomo, cui è dato di fare al genere
umano un tanto dono. Né recherà maraviglia che
la felice scoperta penetrasse colla rapidità della luce
non solo fra tutte 'le nazioni incivilite, ma per sino
fra i popoli i piij barbari dell'Asia, dell'Affrica, presso
i selvaggi dell'Oceanica e quelli dell'America. L'A.
essendo presidente del comitato di vaccinazione ren-
de conto de'suoi lavori , e fa conoscere con quale
impegno avesse soddisfatto ai doveri imposti alle
commissioni provinciali. Il numero di 88,788 vac-
cinati nel primo semestre, ebbe luogo col concorso
favorevole di tutti i medici e chirurgi degli stati
pontificii. Il vistoso numero di sessanta medaglie di
argento e cinque d'oro, si trovò scarso a ricompen-
sare tutt'i meritevoli di premio.
202
Il prof, fa risultare dai calcoli più moderati dei
medici europei, che il terzo almeno di quelli che sof-
frono il vaiuolo arabo, ne periscono, e- ne contraggo-
no deformità o malattie incurabili. Più di 60 mila
fanciulli nello spazio di due anni furono nei domini!
pontificii, o conservati in vita, o preservati dalle de-
formità prodotte dal vaiuolo arabo.
La XLII Memoria è sul gaz infiammabile del Tevere.
L'A. dirige una lettera al dottissimo Brocchi, in
cui gli dice, che esso preparasi a dare una carta
geologica , e ricca di belle ricerche precisamente
nel luogo chiamato Riva della penna) dando conto
di molte polle di gaz di natura infiammabile.
L' A. assistito dai professori Barlocci e Conti
volle ricercare il fenomeno.
Riva destra. La prima polla di gaz si trova vi-
cino al ponte Molle, scendendo verso Roma, ed è
assai voluminosa. Altre più piccole, seguendo la stes-
sa riva, se ne trovano al dì là* del praticello. Pro-
gredendo più oltre, un' altra polla di gaz si trova
dentro la città sotto il bastione di Castel s. Angelo
vicino alla legnava. Una quarta fra Vangolo del muro
del giardino della Farnesina e porta settimiana; e fi-
nalmente due miglia aldi fuori della porta portuen-
se. Si notò che queste sorgenti di gaz , meno la
prima a ponte Molle, non sono perenni, ma ad in-
tervalli più o meno lunghi, non maggiori d'un quar-
to d'ora.
Riva sinistra. Vicino al fonte dell'acqua acetosa
sorgono polle di gaz, parte sotto l'acqua del fiume,
203
e parte sulla sponda contigua. Né deve sorprendere,
essendo il punto pel quale confluisce al Tevere il
gaz che estingue i lumi, imbianca l'acqua di calce,
avendo i caratteri del gaz acido carbonico. Furono
vedute altre polle alla spiaggia della pemitty all'arco
di Parma, a s. Giovanni de' fiorentini: più deboli e
pili languide sotto il cimiterio della morte , rione
Regola, ghetto, a porta Leone, ed infine alla salava.
11 gaz raccolto fu quello nella riva della Penna.
Quando fu raccolto aveva un odore sensibile di pe-
trolio; avvicinando una fiammella alla bocca del va-
so si accendeva , ed ardeva con fiamma debole e
turchiniccia. Due misure di gaz ed una di ossigeno
non detonavano nell'endiometro di Volta colla scin-
tilla elettrica formando gran quantità di gas acido-
carbonico. Una misura di gaz ed una di dorino, me-
scolato in un vaso ampio di vetro sull' acqua , ed
esposto alla luce solare, si combinavano con un leg-
giero fremito, e si deponeva sulle pareti del vaso
una polvere nera finissima, ch'era puro carbonio. Si
formava nel tempo stesso una piccola quantità di
sostanza grassa soprannotante all'acqua: e tanto la
boccia che conteneva i gaz, quanto il vaso ripieno
d'acqua , nel quale era tuffato il collo di quella ,
spargevano un odore di nafta. Il peso specifico del
gaz ridotto a 0° di temperatura, ed alla pressione
di 70 centimetri, si trovò con una esperienza = 0,
920, 63. Il calcolo, secondo le proporzioni di diversi
fluidi elastici che Io compongono, darebbe un peso
specifico = 0, 923; differenza compresa nei limiti
degli errori inevitabili in una esperienza diretta. Il
peso assoluto di 100 pollici cubici dello stesso gaz,
204:
ridotto alla tempcraitui-a e pressione, fa ttovato egua-
le a grani 36, 75 della libbra romana. Queste espe-
rienze indicavano già, che il gaz del Tevere era un
gaz infiammabile composto, analogo, ma non però
affatto simile a quello che si conosce sotto il nome
di gaz infiammabile delle paludi. Molti chimici aven-
do avanzato, che nel gaz infiammabile delle paludi
si trova qualche volta del gas ossigeno; si rinchiu-
sero certe misure di gaz del Tevere in un endio-
metro a fosforo, e non essendosi dopo 24 ore os-
servato alcun assorbimento in una temperatura egua-
le a quelle del principio deiresperienza, se ne de-
dusse essere il gaz del Tevere scevro da qualsivo-
glia proporzione di gas ossigeno.
I risultati di queste esperienze si vedono rac-
colti in un quadro a scanzo di prolissità. Nella pri-
ma esperienza scomparvero 153 parti d'ossigeno, e
75 del gaz infiammabile, e lassorbimento totale fu
di 228 parti sopra 400 del miscuglio fatto nell'en-
diometro. Se le 75 parti di gaz infiammabile fos-
sero state interamente del gaz idrogeno carbonato
semplice, l'ossigeno assorbito dovendo essere in dop-
pia quantità, non avrebbe dovuto ammontare che a
150 parti, e l'assorbimento totale avrebbe dovuto
essere 225- Vi furono adunque 7ioo ^^ ossigeno as-
sorbito in eccesso: il che indica nel gaz sottoposto
alla esperienza una quantità di gaz oleifico eguale a
questo eccesso.
Nella seconda esperienza l'ossigeno assorbito fu
di 150 parti, e pertanto il gas infiammabile scom-
parso fu di 76 partì, le quali se fossero state com-
poste di gaz idrogeno carburato , avrebbero dovuto'
assorbire 152 d'ossigeno e non 150-
205
Finalmente nella terza es^x^rienza l'ossigeno con-
sumato fu di parti 159, che sottratte dairassorbi-
mento totale 236, lasciano 77 di gaz infiammabile.
Ma se le 77 fossero state formate di gaz idrogeno
carburato, non avrebbe assorbito che 154 d' ossì-
geno; dunque vi si trovavano 5 parti di gaz oleifi-
eo. Dal che si vede che il gaz del Tevere non è
perfettamente identico, e di una costante propor-
zione ne'suoi principii infiammabili.
I risultati del prof, sono d' accordo con quelli
di Berthollet, Thenard e Dolton.
II celebre Fran/^lin scrisse la prima notizia al
dott. Priestley il 10 aprile 1774- sull'invenzione dei
gaz infiammabili naturali. Franklin visitò il paese, e
sperimentò il fenomeno nel 1764.
L'illustre Volta dodici anni dopo, ossia nel 1776,
scoprì l'aria infiammabile delle paludi. Dal che si
vede che non è piccolo il merito dovuti ai fisici
italiani per le loro ricerche sopra i gaz hfiammabili
pesanti^ e di rinvenire l'origine del gaz Jel Tevere,
La XLIII Memoria è sullo stato delU tintone
di Roma.
Tingere i drappi che servono all'abbigliatura de-
gli uomini, 0 a decorare con tappezzerie vario-co-
lorate i loro domicili, o a rendere spbndidi gli or-
nati delle loro mobilie, fu sempre rigjardato come
prova di magnificenza nei privati, e d'ndustria e ci-,
viltà nelle nazioni.
Dopo il rinascimento delle arti, i popoli di Eu-
ropa fecero a gara per riconquistaie il perfeziona-
206
mento della tintura. Le lane e le sete non furono
le sole materie, sulle quali cercarono di fissare i
colori: vi si aggiunsero il cotone, il lino e le cana-
pe. L'emulazione produsse risultamenti sliaordinari
nell'arte di tingere, ma tutto era involto nel segreto.
Hellot, Macquer, Bergman, Paerner, Gubliche, e
finalmente Berthollet, portarono la loro attenzione
sopra la tintura delle stoffe: ed i segreti di queste
arte sono venuti sotto il deminio della scienza, con-
tribuendo a questi risultati i lavori recenti di Roard,
Raymond, Vitalis e Branckorft.
L' accademia dei lincei incaricò il nostro pro-
fessore di esporre lo stato, in cui trovansi presso di
noi i lanificii, cominciando dalla qualità delle lane
indigene, fino alla tintura dei drappi formati colle
medesime
L'illustre chimico cominciò le ricerche dal nu-
mero delle tintorie in lana esistenti nella città , e
che s'impiegano alla tintura in grande delle stoffe:
e rinvenne, che esse non ammontano che a 15 o
16, delle qiali dieci annesse a fabbriche di panni
in lana, e h rimanenti staccate dai lanifici, e che
si occupano promiscuamente di tingere non solo in
lana, ma bei anche in seta ed in cotone. Qui enu-
mera le 15 ìiibbriche delle tintorie romane: ma sic-
come per le tinte fine e solide in verde, in blu, in
nero ed in bruno si richiede il tino in rame o in
legno, come oer la tinta vera di scarlatto si richie-
de la caldaia ii stagno , o di rame ben stagnato ,
portò l'attenzione sopra di ciò, e trovò che quanto
al tino, esso t posseduto dai primi otto de'nomi-
nati tintoli, e quanto alla caldaia di stagno per lo
207
scarlatto non si trova che nelle officine dei primi
quattro. Le fabbriche di panno prive di tino e di
caldaia di stagno, quante volte vogliono tingere in-
fino ai colori sopra indicati, inviano i loro drappi
alle officine fornite di questi mezzi, e con una retri-
buzione fissa che pongano ad esse, forniscono i loro
spacci di panni a tinte solide- L'A. incomincia dalla
tinta rossa, quindi passa al blij, al giallo, ai colori
falsi, bruni e neri, ed infine termina coi colori mi-
sti, ed in ispecie colla tinta verde.
La tinta in rosso, che dicesi allo scarlatto, esige
due operazioni, l'una col bollore, l'altra colV arrossa-
mento. Si versano in una caldaia di stagno , o di
rame stagnato, otto o novecento libbre di acqua,
e sei e mezzo di cremor di tartaro. Si dà il fuoco
alla caldaia, e quando è al 40." di Reamur si agita
con pale di legno per accelerare la soluzione del
cremor di tartaro: si aggiungono due libbre e mezza
di cocciniglia in polvere: e poco dopo sei libbre e
mezzo di soluzione limpida di stagno. Subito si tuffa
il drappo nel bagno: e si fa circolale presto in esso
due 0 tre volte, si rallenta questo movimento, si
porta il bagno ad un calore vicino alla ebollizione,
e vi si tiene il drappo immerso per due ore , poi
si estrae , si sventa all'aria, si lava all'acqua cor-
rente e si procede alla seconda parte del processo.
Si versa nella caldaia la stessa quantità cU acqua
che fu adoperata nell'operazione precedente, si fa
bollire e vi s'infondono due libbre e tre quarti di
cocciniglia in polvere fina, agitando il bagno ed ag-
giungendovi dopo mezz'ora tre libbre di soluzione
di stagno. Si fa allora cadere la temperatura del
108
bagno a qualche grado sotto l'ebollizione, e vi si
tuffa il drappo facendolo circolare come prima
per una mezz' ora o finché il drappo abbia preso
quel tono di colore che si desidera e che si giu-
dica al paragone di altro panno scarlatto bagnato
messo accanto a quello che attualmente si tinge.
Dopo questo si sventa e si asciuga.
L'A. asserisce che i descritti processi coincidono
con quello dei tintori stranieri e degli scrittori francesi.
L'indaco solo somministra sulla lana i blu so-
lidi : ma il guado ed il campeggio , benché diano
isolatamente tinte poco stabili, sono però utili come
ausiliari deirindaco. Il blu di Prussia, chiamato oggi
idro-cianato di potassa, è stato introdotto nella tin-
tura, ma solo si è perfezionato sulla seta. L'indaco
dunque, ch'è la base delle tinte blu solide, si ado-
pera in due maniere: o sciolto in acido solforico,
ed allora le stoffe di lana debbono essere alluminate,
o aver ricevuto il mordente; ovvero in semplice so-
luzione acquosa, ed allora la stoffa non esige alcuna
preparazione , e questa è propriamente la tinta al
tino.
Varie sono \& maniere di adoperare il tino: 1.'
col pastello, o sia guado e calce: 2." coll'indaco ed
un alcali in vece della calce: 3.° senza pastello con
calce è il più comune. L'A. descrive la preparazione
dei tini,' ed in fine il tino d' India, o volante, non
praticato dai nostri tintori, e quello a freddo, o al
vetriuolo per fare il bagno di vetriuolo verde, calce
e potassa, o calce e soda. Le piccole tinte sono ben
eseguite nelle nostre tintorie.
Il color giallo più solido per le lane è 1' erba
209
ruzza : tutta la pianta meno lu radice, si adopera
alla tintura. Il vclriuolo imbrunisce, e la dissolu-
zione di stagno gli communica il bel colore detto
giallo di canario. I pili usitati sono il bagno di rob-
bia per dare al drappo il giallo dorato, il bagno di
scorza di noce per avere un giallo bruno, e questa
chiamasi brunitura.
Dopo Terba ruzza, il giallo più solido si ottiene
dal legno giallo di Tobago nelle Antille, per farlo
tendere al giallo-arancio. Tutti gli altri gialli danno
colori scuri e di poca solidità.
Il sommaco somministra i colori falsi senza mor-
dente. La tintura in falso è la piiì facile, e si ottiene
dalla scorza di noce, radice di nocciuolo, scorza di
nino, ed il so.mmacco- Il santalo rosso è il solo che
viene dalle Indie , e serve per i colori caffè e cioc-
colatte. La fuligine è impiegata più alla tintura della
seta che delia lana. Il nero è privo di ogni colore:
si ottiene colorando prima la stoffa in blu al tino,
^e poi tenendola per due ore in un bagno bollente
di noce , galla e legno di campeggio. La stoffa si
rileva, e vi si aggiunge al bagno un dodicesimo del
I suo peso di solfato di ferro rosso o di piroglignato
di ferro. L'operazione è come le altre.
Mescolando il rosso e blu si ottengono i colori
di tutte le gradazioni, da quello cioè di viola mam-
I mola, al color di porpora, lilas, fior di malva, fino
a quello di pesco.
Risulta dunque che le pratiche adoperate dai no-
i| stri tintori per ottenere i colori solidi sono iden-
;| ticamente le stesse di quelle delle più famose offi-
II cine d'Europa.
G.A.T.CXLIII. 14
210
La XLIV memoria è sopra alcune riflessioni
di rianimare il commercio delle lane
e la fabbricazione dei panni.
11 prof, ha raccolto un numero di fatti nella se-
zione Agricoliura della Biblioteca universale in ri-
guardo al governo della razza merina del gregge la-
nuto e sopra i modi di conservare , mantenere e
migliorare la lana fina. 11 governo gli propose il pro-
blema di esaminare e proporre i mezzi per far ri-
sorgere fra noi 1' industria della fabbricazione dei
panni, introducendosi delle macchine inglesi e fran-
cesi, e migliorare Parte di tingere i drappi di lana
in tinte fine e solide.
A rendere ragione delle vicende che la sperienza
insegnò, che la razza merina non prospera che nei
climi nò caldi né tutti settentrionali, è un problema
rimasto ancora da sciogliersi, 11 suolo arido e leg-
gero produce pascoli magri, delicati e poco nutri-
tivi e che favoriscono la finezza delle lane; mentre
i pascoli pìngui e concimati delle pianure d'Inghil-
terra, di Fiandra e di Olanda si trovano poco pro-
pri a mantenere questa finezza, ed esigeranno le più
grandi cure di rinnovamento annuale di giovani mon-
t;oni di razza primitiva per ovviare all'ingrossamento
successivo delle lane.
I panni inglesi ed olandesi, rimarchevoli per la
solidità dei loro tessuti, erano riputati inferiori ai
panni francesi , morbidi e fini egualmente stimati
per la bontà delle loro tinte. Oggi (1826) che gl'in-
glesi traggono iaimense provvisioni di lane fine dalle
rnandre merino di Russia e della Nuova Olanda e
211
queste a vili prezzi, le loro fabbriche hanno acqui-
stato sopra le fabbriche francesi un maggior pre-
gio. È da riflettere che V introduzione della razza
spagnuola incorse presto, e per la ragione dei pa-
scoli pingui e sugosi, suiringrossamento delle lane,
dappoiché era per questa razza poco opportuna la
collocazione nelle maremme, e per manteneie la
bontà delle lane convenne ricorrere alla rinnovazione
de'montoni di razza primitiva, il che arrecava dispen
dio e non incoraggi alcuno ad imitare l'esempio dei
primi introduttori della razza mcrina.
I montoni merini comunicarono un grado di
finezza nelle lane ignoto a quel punto: prosperarono
le fabbriche dei borgognoni: s'introdussero delle mac-
chine per l'impiego e perfezione dei colori fini si-
mili ai drappi inglesi e francesi. La fabbrica è ca-
duta, meno quella delle lane bigie. Le lano restano
invendute e lo scoiaggiamento è al colmo.
L' A. vede difficile di rianimare il commercio
delle nostre lane e la prosperità delle fabbriche di
tessuti di lane. Concludesi , che manca tia noi lo
spirito di associazione, che attenua per ogni socio
proprietaria di una frazione piccola della mandra
le spese di governo , di tosatura , di trasporti , di
pascoli ec. I pascoli spaziosi in pianura sono nella
nostra regione umidi , acquastrini , feraci di erbe
palustri , poco adattati al regime del gregge me-
rino, ed alla produzione di lana fina. Per una greg-
gia di dieci mila individui, alcuni montoni di razza
primitiva comprati annualmente non rincariscono di
molto le spese comuni ad una greggia sì numerosa:
laddove questa spesa diverrebbe ben gravosa per un
piccolo proprietario isolato.
212
La XL V Memoria è sopra Viiso medico
delVolio di Croton-Tilii.
Questa si può chiamare una lettera direta al
prof. Folchi, annunziandogli le esperienze eseguite
in Inghilterra, in Francia, in Italia, che sono ben
numerose, per assicurare a quest'olio la riputazione
del drastico il più energico che si conosca.
II doti. Monchini indirizza al lodato Folchi due
osservazioni sull'uso dell'olio di Croton, e lo assog-
getta alle sue luminose indagini. Generalmente però
non si conviene sopra il tipo d'azione che esercita
questo farmaco nella economia animale per pro-
durre i violenti effetti drastici che gli sono propri.
Per questa ragione non è inutile di raccogliere an-
cora nuove osservazioni, dalle quali possa trarsi lume
in pratica e determinare con sicurezza le condizioni
patologiche le più favorevoli al suo uso e le più
acconce a renderlo vantaggioso nelle malattie. Il
prof, descrive con sagace pratica le malattie curate
in vari individui coll'indìcato olio di Croton-Tilii e
tutte riuscite felicemente-
La XLVI Memoria è la necrologia del p, Gandolfì
delle scuole pie.
Il sunto di questa necrologia ritrovasi nell'Album
di Roma 1835. Questo dottissimo fisico era di Ter-
ria, terra del principato d'Oneglia; nacque nel 1753.
Fece il noviziato , e gli studi filosofici in Ancona;
poi chiamato in Roma come lettore di filosofia e
matematica nel collegio Nazareno- La sua riputa-^
213
/Jone Io fece presciegliere nell' anno 1792 a suc-
cessore del p. Fonda lettore di fisica sperimentale,
comunicando il primo alla romana gioventù le più
brillanti dottrine e scoperte di fisica sperimentale.
A questo celebre fisico dobbiamo le ingegnose viste
del conte di Kumford sul calorico e le costruzioni
di ogni sorta di fornaci, fornelli e focolari. Il me-
nto del p. Gandolfi era sommo, insegnando la scienza
fisico-chimica con indicibile ardore. La memoria
di questo uomo è da onorarsi. La sua vita civile
e morale fu irreprensibile : amico della gioventù ,
franco e leale nei suoi modi, riscosse la stima uni-
versale dei sapienti e di tutte le accademie scien-
tifiche: ai 10 giugno passò a miglior vita.
Le opere pubblicate sono : Memorie sopra la ca-
gione del iremuoto. - Lettere al principe Boria sulla
falsa ardesia. - Sopra gli olivi. - Sulla maniera di
costruire cammini. - Appendice a questa memoria. -
Acque termali del bagno di Canino. - Dissertazione
sopra le condizioni necessarie perchè una machina
elettrica sia capace del massimo effetto. - Lettera al
dott. Morichini sull'ottima costruzione delle macchine
elettriche.
La XLVII Memoria è la necrologia del p. Carlo
Giuseppe Gismondi delle scuole pie.
Una nuova e più deplorabile perdita strinse il
prof. Morichini a compiere un egual dovere con dare
un tributo di lodi al suo maestro ed auiieo , qual
fu il p. Gismondi, lettore di mineralogia dell'archi-
ginnasio romano. Nato in Mentono nel principato éi
2)4
Monofio nel 1762; vestì l'abito religioso delle scuole
pie in RoiTia nel novembre del 1779. In questo
tempo intraprese un museo mineralogico , strinse
amicizia co'celebri mineralogi inglesi Hamilton e
Thompson, col francese Dolomien: e pe'larghi doni
dell'imperatore Giuseppe II e di Pio VI, questo museo
in breve giunse a tale da potersi riguardare come uno
de'più ricchi e completi d'Italia. Amava il Gismondi
d'insegnare le scienze naturali per passione, più che
per dovere. Acquistò un museo mineralogico per
l'università, per la generosa bontà di cuore di mon-
signor Lante, tesoriere di Pio VII, aperto nel 1805
per la studiosa gioventiì. Scopiì la laziaìile e Vabra-
zile, che furono le prime scoiterle che illustrarono
il suo nome, e lo resero noto ai mineralogi d'oltre-
nionti ed italiani, eccitò l'attenzione del Gismondi
la singolare collina di Monte Mario per l'immenso
deposito di conchiglie fossili che vi si ritrovano, e
per gli alternati strati di prodotti vulcanici marini
e fluviatili che si osservano verso Tor di Quinto.
Il re di Napoli 1' invitò a coprire la cattedra di
mineralogia nell'università , ma non lo permise la
sua salute : accettò 1' incarico , ma per per breve
tempo, lasciando la cattedra di Roma all'incompa-
rabile suo allievo professore Pietro Carpi , la cui
fama presente è conosciuta di qua e di là dalle
alpi.
Il p. Gismondi lesse una erudita memoria all'
accademia de'lincei nel 1816 col titolo: Osservazioni
sopra alcuni minerali de^conlorni di Roma .
Tre furono i minerali che prese ad esame il no-
stro mineralogo. Il primo rinvenuto nelle roce di
215
Albano, il secondo nella lava di Capo di Bove, che
chiamò abrazite, e che il professore a Heildelbuifg
volle chiamare Gismondina.
II terzo è la pietra alluminosa della Tolfa.
A questo insigne scienziato è dovnta la scoperta
d'una nuova sostanza rinvenuta da esso sul monte
Lazialey chiamata Lazialite, annunziando questa sco-
perta nel 1803 ali accademia dei Lincei, rendendone
conto ancora al danese Braun-Neergand, all'istituto
di Francia , e a tutte le accademie di Europa
Vullima memoria, che è la XLVIH, è V orazione
degli studi recitala ai 25 di novembre 1802.
Un'aurea latinità, associata a robustezza di ar-
gomenti per l'incremento e nobiltà di tutte le scienze
che si professano nell'archiginnasio della Sapienza
di Roma, forma l'orazione inaugurale del professor
Monchini.
Egli dopo aver fatto conoscere quanto incivi-
limento rechino le scienze alle nazioni , scende a
trattare con un eloquio sublime tutte le piiì splen-
dide scoperte che in queste scienze rifulsero-
Progredendo colla sua penna eloquente ad enu-
merare i vantaggi, che alla società ed a tutti i po-
poli le scienze naturali somministrono , invoca il
braccio potente dell' inclito e generoso pontefice
Pio VU, acciò protegga, e renda solido il suo pa-
trocinio per l'incoraggiamento alla studiosa gioven-
tù, e per renderne decoro e magnificenza alla città
di Roma ed alla università degli studi,
B. Chimenz.
216
1. R. ISTITIÌTO VF.iNKTO DI SClENZIv, LETTERE ED ARTI.
RAPPORTO
intorno alla Memoria del signor commendator Cialdi
che ha per titolo « Cenni sul molo ondoso del mare
e sulle correnti di esso. )> •
Commissari Ing. Casoni , professor Minich
e professor Tu razza [relatore).
Il chiarissimo commendator Cialdi, esperto marino,
e noto scrittore di idrografia, presentò nell'anno or
ora decorso a questo 1. R. Istituto una sua Memo-
ria manoscritta, intorno al moto ondoso del mare
ed alla sua influenza , specialmente allo scopo di
stabilire le regole che devonsi seguire per la più
sicura costruzione dei porti. Commesso ai sotto-
scritti il carico di riferire intorno a questa memo-
ria , essi non possono a meno di non riconoscere
la grande importanza del soggetto propostosi dall'au-
tore, e di lodare l'erudito e diligente metodo se-
guito dal medesimo nel tentare una soluzione di
questo arduo problema, intorno a cui si adopera-
rono con maggiore o minore successo i più chiari
nomi non solo che maggiormente illustrano le idrau-
liche cose, ma quelli eziandio che o per pratica di
mare, o per lungo esercizio di costruzioni marittime,
ebbero più che altri occasione di mettere ogni loro
studio neir esame di questo complesso ed impor-
tante problema.
L'autore comincia con una esposizione delle varie
2Ì7
opinioni portate dalla maggior parte di quegli scrit-
tori che 0 direttamente o indirettamente ebbero a
considerare un tale fenomeno; nella quale esposi-
zione è veramente mirabile la sua vasta erudizione,
e solo forse si potrebbe desiderare, che lasciate al-
cune di quelle opinioni come meno concludenti, si
fosse maggiormente sotfermato ad analizzare le ipo-
tesi, 0 teorie che dire si vogliano, di quegli autori
che trattarono ex professo di una tale questione :
parendo ai sottoscritti esser egli passato talora troppo
leggermente sopra alle stesse, in modo di non schi-
vare alcuna fiata una qualche incertezza circa ad
alcuni fenomeni essenzialmente separati: locchè però
è qui detto più in riguardo de' leggitori che del-
l'autore, al quale si scorge ben essere tutte quelle
questioni e quelle teorie assai famigliari.
Né una tale analisi è qui posta dall'autore per
puro lusso di erudizione, ma serve a mostrare quanto
varie e discordanti ancora sieno le opinioni soste-
nute in proposito anche dai piiì celebri maestri di
idraulica, e quindi quanto sia necessario di prendere
di nuovo in accurato esame il problema medesimo,
per cercare, mediante la discussione dei fatti i più
avverati, di porre le basi ad una soluzione, la quale
riesca applicabile alle varie questioni che possono
sorgere in proposito. P]d è appunto ciò che con ar-
dire veramente commendevole si propone di fare
l'autore, nei due articoli ne' quali è partita questa
sua Memoria, e che hanno per iscopo di analizzare
nel primo le circostanze, i fenomeni, le leggi del-
l'onda , e de' suoi effetti così in alto mare , come
ia prossimità del lido : di paragonare nel secondo
218
gli effetti ehe possono produrre le correnti a quelli
generati dai flutti , per dedurre a quale delle due
cause devesi principalmente riferire la distruzione
delle opere marittime e l'interrimento de' porti.
Nel primo articolo, dopo una diffusa enumera-
zione di svariatissimi fatti così riferiti dai varii au-
tori, come ancora presentatisi allo stesso scrittore
nelle sue molte e lunghe navigazioni, reputa di po-
ter porre fuor d'ogni dubbio il fatto seguente, che
crediamo qui opportuno di riportare colle medesime
parole dell'autore; cioè:
« Nelle grandi tempeste, mentre regna vento fu-
» rioso, i marosi avere moto di vibrazione in tutta
» la massa fluttuante e di trasporto nella parte su-
» periore; e questo secondo moto essere molto più
» sensibile presso il lido che in alto mare, e con-
)) ferirsi a tutta la massa quando lo sviluppo in-
» feriore del maroso trova inciampo, conservandosi
» però anche quello di vibrazione sino a che si frange
)) sul lido.
)) Avere i flutti nei casi di vento ordinario moto
» apparente, quasi per intero, in alto mare; ad evi-
)) denza reale presso il lido, più o meno in ragione
» della profondità dell'acqua, della natura e forma
)) del fondo, e della forza e durata del vento ».
Noi non entreremo qui in una minuta discus-
sione dei varii fatti che condussero 1' autore nella
sentenza ora esposta; ma trattandosi di un teorema
idraulico della massima importanza, non possiamo
passare sotto silenzio alcuni dubbi che sorsero in
noi intorno alle interpretazioni ed alle deduzioni che
l'autore trova di dover inferire dai medesimi. Con-
219
veniamo di buon grado coli' autore nell' accordare
un piccolo moto reale di trasporto alla parte su-
periore dell'acqua allorché soffi il vento assai ga-
gliardo e duri per molto tempo nella medesima di-
rezione; imperocché questo fatto é nettamante di-
mostrato dalle correnti che durante l'azione del vento,
e al cessar della stessa, sì riscontrano alla superfi-
cie dell'acqua; dal ffitlo osservato nei nostri laghi
del cosidetto dislivello dopo forte e prolungato vento;
non che da molti altri fatti recati in campo dall'au-
tore; ma però, a voler dare a questo fatto il suo
giusto valore, ci parrebbe necessario primieramente
di escludere quelli, nei quali il corpo galleggiante
essendo in presa col vento non si può con sicurezza
dedurre dal moto di questo, quello della massa li-
quida; bisognerebbe escludere il caso del mar Rosso,
avendo le attuali livellazioni mostrato essere il li-
vello medio del mar Rosso e del Mediterraneo pres-
soché eguale, ed anche perchè se questo non fosse
si dovrebbe ciò ripetere da una causa essenzialmente
differente. Così pure nasce assai spesso il dubbio
che , avendo in altro luogo mostrato 1' autore che
l'influenza del fondo si può hv sentire anche, come
egli assicura, per profondità di oltre 200"', se quel
moto dì trasporto fu veramente avvertito , non si
dovesse ascrivere piuttosto fra i fatti che si ripor-
tano alla influenza del fondo ed alla vicinanza al lido.
E tale moto di trasporto che, nel caso di vento
gagliardo, crede 1' autore esistere sempre anche al
largo e a grandi profondità del fondo , vuole poi
che sia indubitato in vicinanza del lido, dove cioè
il fondo può reagire sopra la massa oscillante. Molti
220
fatti reca egli pei* dimostrare un tale moto di tras-
porto in prossimità del lido: per es: l'impossibilità
di allontanarsi da terra, anche bordeggiando, in alcuni
l)araggi , come asserisce avere esperimenlato egli
stesso: l'osservazione dei marini che in alcune coste,
per es: del Mediterraneo e della Sicilia nel caso
di forte maroso, si è quasi tirati verso il lido; alcuni
celebri naufràgi, ad es: nel golfo di Catania, quello
di un convoglio inglese sopra la spiaggia di Porto-
gallo presso Mondégo ecc: finalmente, a tacer d'al-
tri, l'essere portati alla spiaggia gli arredi di pesca
gettati molto lungi dal lido; se nonché, lasciando
pure da parte che alcuni autori darebbero di questi
fatti una spiegazione indipendentemente dal moto
di trasporto della massa liquida, resterebbe ancora
a chiedersi come avendo tutta 1' acqua moto con-
tinuo di trasporto verso il lido , non innondi e il
lido e i terreni; e poi, qui pure bisognerebbe tro-'
vare l'enorme .forza che sarebbe mestieri a mante-
nete una differenza di livello alcun poco notabile.
I sottoscritti pongono questi dubbi unicamente
perchè dal chiarissimo autore possa venir maggior-
mente dilucidata la questione; nò vogliono con ciò
contraddire alle sue conclusioni, ma accennare sol-
tanto ad un desiderio, che 1' importantissimo pro-
blema venga discusso con ogni rigore, e prendendo
in accurato esame gli elementi tutti che possono
avervi una qualche influenza: ben persuasi che l'au-
tore, il quale ha mostrato di volere e di saper fare,
potià anche ben facilmente togliere i detti dubbi,
che però non possono a meno di non presentarsi
spontanei nella lettura di questo suo dotto lavoro.
221
Dopo ciò si propone di rintracciare fino a quale
profondità si comunichi l'azione dell'onde, ed espo-
ste le varie opinioni in proposito, si fa ad esami-
nare alcuni fatti i quali comproverebbero estendersi
la detta azione moltissimo piiì in là di quanto co-
munemente si opina. I principali di questi fatti, li-
mitandoci noi alle profondità massime, sarebbero l'as-
serzione di La Coudraye essere sensibile ai basti-
menti la reazione dell'onda sul banco di Terra-nuova
profondo da 100 a 160 metri; le osservazioni di Siau
all'isola di Borbone, ove l'azione dell'onde nella baia
s. Paolo a 188 metri di profondità è tale da for-
mare delle zone ondulate sopra un fondo di sabbia
e ghiaie di basalto; l'asserzione in fine di P. Mon-
nier, che al capo di Buona-speranza i bastimenti
sono esposti a dei colpi di mare passando a 200
metri sopra il banco delle Agullas. Dai quali fatti
è condotto l'autore a conchiudere, che l'azione delle
onde stesse debba estendersi fino ad oltre 200 me-
tri di profondità.
Finalmente termina questo primo articolo mo-
strando quanto sia grande la potenza dei flutti sia
per sommuovere i fondi^ sia per trasportare e di-
struggere grandi massi sotto marini , riportando i
fatti pili rimarchevoli che le osservazioni hanno ac-
certati fin qui.
Nel secondo articolo, dopo osservato che nulla
avrebbe egli da aggiungere ai grandi lavori idro-
grafici del Maury , dello Smyth e di altri intorno
alle correnti marine per quella parte che spetta alla
navigazione, si fa a considerare unicamente l'effetto
delle dette correnti, in quanto possono le stesse con-
222
tribuii'o a produrre gì' interrimenti dei porti e gli
aumenti o le diminuzioni dei lidi.
La maggior parte degli idraulici nostri ed an-
che stranieri tiene 1' opinione del Montanari , che
cioè i flutti smuovano i fondi e portino e tengano
le materie smosse mescolate coll'acqua in istato di
ondulazione, e che dalle correnti vengano assieme
coll'acqua trascinate oltre nel loro corso, e depo-
sitate là dove speciali cause diminuiscano l'inten-
sità della fluttuazione e della corrente, e con essa
le possibilità di tenere in sospeso le dette materie;
cosicché nella detta teoria la causa degl'interrimenti
e degli aumenti o diminuizioni dei liti si ripete dalla
corrente non solo , ma ancora dai flutti , essendo
questi la cagione del sommovimento dei fondi, quelle
la causa dei trasporti.
L'autore ripete principalmente il fenomeno dai
flutti, e poco o nessun peso sembra dare alle cor-
renti , fondandosi sulla poca o nessuna forza delle
correnti a smuovere i fondi, ed a tenere in sospeso
le materie pesanti; osservando in specialità che le
dette correnti diminuiscono di velocità verso il lito,
e dalla superficie verso il fondo , laddove l'azione
dei flutti segue legge diametralmente opposta. A
questa ragione aggiunge l'altra; che il fondo delle
spiagge sottili di lieve pendio è sempre ondulato
in direzione perpendicolare al vento dominante; che
i materiali, le arene, le sabbie ecc. lungo il litorale
nostro, così dell'Adriatico come del Mediterraneo,
sono sempre addossati ai guardiani dei porti ed agli
ostacoli materiali che s'incontrano dalla parte ove
si sviluppano i venti dominanti; e finalmente dal-
223
r osservare che nell' Adriatico il porto di Ancona
aperto alla corrente litorale , mn difeso dai venti
che più dominano in quel mare , si è mantenuto
anche attraverso i secoli di barbarie ; laddove nel
Mediterraneo quello d'Anzio, aperto ai venti che più
dominano in quei paraggi, ebbe breve durata e fu
ben presto ricolmo d' arena. Noi siamo ben lungi
dal non voler accordare, insieme coll'autore, anche
una influenza all'azione dei flutti nel trasportare i
materiali del fondo verso del lido; ma ci pare che
in fine anche i fautori della spiegazione data dal
Montanari non escludano l'azione de' flutti , e che
non pretendano di attribuire alla sola corrente tutto
il fenomeno; che anzi danno ai flutti la facoltà di
smuovere , riservando alla corrente quella di tra-
sportare; allora una tale ipotesi sfugge certo a molti
dei dubbi levati contro alla stessa dal chiarissimo
autore. Aggiungeremo a questo, che il celebre Ven-
turoli nella sua memeria sul porto d' Anzio rende
di quell'interrimento una plausibile spiegazione, fon-
dandosi appunto sulla corrente litorale, combinata
coH'azione dei flutti; e in base a ciò propone i ri-
medi ch'egli riterrebbe essere quelli* di maggior ef-
ficacia. Ad ogni modo le prove e i fatti raccolti qui
dall'autore ci sembrano meritare attenzione, e non
escludere interamente 1' idea di un reale moto di
trasporto dei materiali del fondo , dovuto soltanto
ai flutti; il quale fenomeno sembra pur constatato
dalle osservazioni fatte da altri esperimentatori in
varii porti de' nostri mari.
Esposto cosi sommariamente lo scopo e le con-
seguenze della memoria, della quale fu a noi com-
224
messo l'esame, se ancora non ci sia sembrato che
il problema propostosi nella stessa sia definitiva-
mente risolto; pure non resta per ciò che non deb-
basi dare molta lode all'autore pei svariati fatti ivi
raccolti, per la grande sua erudizione in proposito,
e specialmente per aver recati in mezzo i risulta-
menti di lunga, accurata, e studiosa pratica di una
vita di mare , così operosamente impiegata anche
a profitto della scienza. Egli è perciò che crediamo
di proporre che l'I. R. Istituto voglia votare all'au-
tore i suoi ringraziamenti per la fatta comunica-
zione, e gli elogi dovuti ad un lavoro che potrà ve-
nire consultato con vantaggio da ognuno, il quale
voglia porre l'opera e Io studio in questo complesso
fenomeno d'idraulica pratica.
Venezia 27 gennaio 1856.
fe'^
Adunanza del 28 gennaio 1856.
L'I. R. Istituto ha approvato la proposta della
Commissione.
Il M- E. e Segretario dell'I. R. Istituto
D. Giacinto Namias
»
225
SCHIARIMENTI DEL CIALDI
all' illustre 1. R. ISTITUTO VENETO.
Letto colla debita ponderazione il rapporto pre-
sentato air I. R. Istituto Veneto dalla Coinaiissione
eletta a prendere ad esame i Cenni sul molo ondoso
del mare e sulle correnti di esso, lo, corrispondendo
anche al desiderio dalla suUodata Commissione for-
malmente esternato, ho l'onore di sottoporre alcuni
schiarimenti in analogìa ai dubbi insorti nell'animo
di essa e partitamente esposti nel sui'riferito suo
rapporto del 27 gennaio 1856.
Prima però di entrare nell'argomento in discorso
reputo pure mio preciso dovere di professarmi pro-
fondamente grato alla dottissima Commissione, non
solo pel fastidio cagionatole dall'esame di quei Cenni,
ma puranche pei benevoli sentimenti espressi verso
di me che sento purtroppo le mie deboli fatiche
immeritevoli degli elogi graziosamente impartitimi.
1.° Il quadro delle diverse teorie o ipotesi sul
moto ondoso e sugli effetti da esso prodotti, è stata
per me la parte più difficile e la più faticosa della
mia scrittura. Pur troppo vi è incertezza circa ad
alcuni fenomeni essenzialmente separali ! Ma gli han
separati e resi chiari gli autori da me compendiati ?
Se essi non l'han fatto io non doveva farlo, ne farlo
notare, perchè ho promesso in detto quadro di non
emettere in esso la mia opinione (pag. 2 (*) ), ma di
esporre bensì semplicemente le opinioni altrui. Con-
(*) Vedi il Tom. CXXXVIII di questo giornale, a cui richia-
mano le oilazionì.
C.A.TCXLIII. 15
22G
vengo che sopra alcuni autori, quelli cioè clic lian
trattato exprofesso una tale questione , poteva io
maggiormente soffermarmi ; ma siccome nel corso
del mio lavoro sono tornato a parlar lungamente di
loro con adottare o confutare le loro dottrine, mi
è sembrato che una più estesa analisi delle opere
loro nel quadro avrebbe dato luogo a ripetizioni.
2.° La chiarissima Commissione concede di buon
grado un piccoh molo reale di trasporlo alla parie su-
periore deir acqua allorché soffia il vento assai ga-
gliardo. Ma stando ai fatti, io debbo avvertire che
ciò non basta. Noi dobbiamo dare spiegazione a
trasporti stravaganti che sorprendono , inquietano , e
tal volta comprometlono la navigazione ( pag. 46): a
trasporti cioè non di rado superiori a due miglia V
ora (idem), come, purtroppo ! spesso si verificano.
Quindi pare a me, che siffatti trasporti non pos--
sano essere qualificati per piccoli moti.
La Commissione conviene in alcuni de'fenomeni
prodotti dal vento, e dai^ quali può desumersi quel
trasporto: altri però ne esclude.
Essa esclude;
Primieramente quelli nei quali il corpo galleg-
giante essendo in presa col vento non si può con si-
curezza dedurre dal moto di questo quello della massa
liquida. Il bastimento è sempre esposto all' impul-
sione del vento ed agli urti delle onde; ma 1' ef-
fetto di quella impulsione e di quell'urto sul corpo
de' bastimenti è cosa cbe entra nei calcoli consueti
dei marini; se ciò npn fosse, la navigazione sarebbe
molto più imperfetta di quello che è. Dalla scia che
lascia dietro di se un bastimento si deduce con molta
facilità e sufficiente esattezza quest' effetto (pag. 51
in noia, e 57 noi testo e nota). Dunque, ammesso
che il capitano sappia l'arte sua , non può essere
confuso questo moto con quello della massa liquida.
Del primo ha gli elementi per valutarlo ; non così
però del secondo. E se in alcune complicatissime
vicissitudini della navigazione una conveniente di-
stinzione de' due moti potrà sfuggire alla vigilanza
ed alla perspicacia del capitano, questa eccezione
però non deve distruggere la mia proposizione , la
quale per essere ammessa basta che abbracci i casi
di tempeste ordinarie che sono mollo più numerosi.
Esclude secondariamente il caso del mar Rosso
avendo ec. Io ho ridotto la misura di Huot a
quella di Bourdaloue (pag. 38). Ora, la misura ot-
tenuta da questi nel 1847 fu di 2'" , 61; e l'ul-
tima trovata nel 1853 da Linant-Bey e da Mougel-
Bey è di 2"*, 43. Dunque, tenendo anche questa
minore per la più esatta , mi pare di non essermi
male apposto nel dire che la differenza di livello
prodotta dal vento resterà sempre sensibile. Ma la
menzionata Commissione avverte inoltre, che se e-
sistesse una qualunque differen/.a di livello si dovreb-
be ciò ripetere da una causa essenzialmente diffe-
rente.
lo confesso d' ignorare quale possa essere questa
causa essenzialmente differente, avendo il mar Rosso
il suo asse principale diretto pressoché al nord ed al
sud; e siccome non fo la questione del confronto de'
due livelli, ma sibbene indago la causa del fatto isolato,
cioè del fenomeno che verificasi nel mar Rosso per
causa del vento, così mi permetterò sottoporre alla
Commissione un' autorità più speciale di quelle da
me già citate, la quale conferma con fitti ineccezio-
228
nabili la causa del fenomeno indicata da Huol e da
me abbracciata.
« C'est un fait bien constate, qiie l'effet des grands
vents de S. pendant les mois de décembre , janvier,
fevrier et mars , est d' éléver le niveau de la mer
Rouge dans sa panie septentrionale, et quau contraire,
ce niveau s'abaisse de plusieurs pieds en juillet, aoùt
et septembre sous Vinfluence des grands vents de N.N.
0. qui enfìlent le délroit. Une preuve de ce phéno-
mène, e est que le banc Durable , quoique situé au
milieu de la mer, est, à une certaine epoque, assez
à sec polir que l ''on piasse y planter une tente, tandis
qii il est, à une autre epoque, recouvert par les eanx.
On peut encore observer cette différence de niveau
sur les récifs de corail, près le Jddah. ( Stafford-Bet.
tesworth Haines: Description des còtes méridionales
d' Arabie. Traduzione dall' inglese di J. de la Vais-
sière. Ann. hydrographiques tom. 1. pag. 357) ». Io
potrei inoltre citare altre autorità, ma a che prò?
La Commissione sa che ripetesi giornalmente lo stesso
fenomeno in tutte le nostre coste ed in quelle del-
l'Oceano. Sa che il mar Rosso per la sua topogra-
fica costituzione si presta più d' ogni altro a ri-
sentir gli effetti di un vento forte e continuato nella
direzione del suo massimo asse; quindi mi è lecito
credere che la sola esagerata misura dell'Huot abbia
suggerito alla eccelsa Commissione la totale esclu-
sione del caso del mar Rosso.
In terzo luogo: all'ossequiata Commissione assai
spesso nasce il dubbio che l'effetto del trasporto, di
cui mi occupo, possa essere quello stesso che si ve-
229
iifica nelle profondità minori di 200 metri, il (jiiale
è influenzato dalla reazione del fondo.
Io posso assicurare la Commissione, che in que-
sta parte del mio discorso ho inteso parlar sempre
di quel trasporto che risentiamo in alto mare, os-
sia ove nessuna influenza non può avervi il fondo. E
siccome lo Stevenson nel raccontare i fatti di trasporto
a lui accaduti, non ha fatto la distinzione rilevata
dalla Commissione, così io ne ho avvertito il let-
tore alle pag. 54 e 55, ed ho situato quei fatti al
loro posto (pag. 67 e 68).
A maggior conferma della mia proposizione sot-
topongo al savio giudizio della Commissione due
tra i tanti esempi che abbiamo sul trasporto in al-
tissimo mare dovuto soltanto al moto di massa nei
marosi. Il vascello di S. M. britannica il Winchester,
leggo nell'opera di Eugenio Rodriguez , dopo forti
venti da ponente . . . burrascosi di SO. che soffia-^
rono per piìi giorni. . . ,e nel 10 luglio con venti
varianti dal N. alI'O. , osservò che la corrente nel
periodo di 24 ore lo aveva trasportato per 130 mi-
glia a levante. Il Winchester trovàvasi a 7° di la-
titudine N. , ed a 26° di longitudine 0. di Green-
wich. « In questo paraggio , soggiungerò con lo
stesso Rodriguez, il generale risultamento delle os-
servazioni, comunque non raggiunga una grande pre-
cisione, pure &i accorda nel medio a dar gli eff'etti
di 7 a 9 miglia al giorno di trasporto alla corrente
procedendo alV ouest ». Ninno potrà dubitare , dirò
ora io, che a bordo di quel gran bastimento da
guerra tutti gli elementi di stima non fossero te-
nuti a calcolo colla maggior precisione possibile^e
230
j'he porciò le 130 miglia fli anomalìa non si deb-
l)on() accagionare a difetto di buona stima dello sca-
loccio, nò a quello di accuratezza sul cammino de-
dotto dal solcometro , nò a negligentata imperfe-
zione della bussola, e nò a disattenzione del timo-
niere. In una parola tutto mi fa credere che quel
trasporto fu principalmente dovuto ad un movimento
speciale di massa alla superfìcie dell'acqua. Ora come
si può spiegare per corrente propriamente detta tutto
quel tiasporto in sì breve tempo ? Se C. Philippe
de Kcrhallet notava, parlando della corrente di Mo-
sambicco la cui velocità è fra 18 e 28 miglia in
ventiquattro ore, «na da alcuni capitani Irouvée de
139 milles, dans des circonslances parliculièrcs, notava
dico, che il ny a pas d'exemple d'ime pareilìe vi-
t<;ss€ de couranl^ si ce nesl patir le maximum de vi-
lesse ohservé dans le Gulf-slream, quanto più nota-
bile, 0 per dir meglio stravagante, sarebbe il fatto
del Winchefitev accagionandolo a corrente ove la
corrente regnante ha direzione opposta a quella del
trasporto da lui sperimentato ? Prima di trarre
conseguenza da questo fatto passiamo all'altro, che
una sola conclusione li abbraccia entrambi.
Dal de Tessan si deduce che la fregata la Ve-
nere il giorno 10 aprile 1837 essendo nella latitu-
dine 4-9" 46' S. e nella longitudine di 80°46' 0. di
Parigi, si trovò trasportata di miglia 30,7 nella di-
rezione di S. 80° E. in 24 ore. Niun dubbio al certo
si può avere che , come a bordo del vascello in-
glese, così a bordo della fregata francese, non siasi
tenuto scrupoloso calcolo de'soliti elementi di sti-
ma. Anzi è da ritenersi che il trasporto totale della
231
fregata sia slato di miglia 47, 5; dal quale dedotti
sette decimi di miglio l'ora per il trasporto dovuto
al maroso , dal de Tcssan ammessi in simili casi
di vento forte, è restato quello di 30,7 classificato da
lui per corrente. Da speciali e convenienti esperimenti
fatti dalla fregata stessa si deduce che in quel parag-
gio la corrente costante va verso il nord. Difatti il
4 aprile nella latitudine 57''16' S. e longitudine 84°35'
0. il de Tessan riferisce, che in un tempo perfetta-
mente calmo, mentre il bastimento non aveva au-
cun mouvement par rapport à Veau de la surface, fu
gittato il piombino sino a 3720 metri di profon-
dità, e la ligne est restée parfaitemenl à pie, ma il
bastimento élait alors ernporté vers le N. 2° E. avec
une vitesse de un demi-mille à Vheure; quindi egli
ne dedusse una corrente di 12 miglia in 24 ore in
quella direzione, e si persuase che ce courant est un
courant de masse , per lo meno fino a quella pro-
fondità partendo dalla superficie del mare. Il 16 ed
il 24 dello stesso mese nelle latitudini di 43 e di 34
gradi sud furono ripetuti gli scandagli a profondità
di 1780 e 290 metri; e sempre la ligne est restée
parfailement verticale, qtioìque le bàtiment fùt, sans
aucun dante, porte vers le nord, comme dans les jo-
iirs précédents . . . avec une vitesse d'un mille à V
heure environ: ce qui prouve encore que ce courant
est un courant de masse et non pas uniquement im
courant superficiel. Questi esperimenti di corrente,
fatti con un metodo preferibile ad ogni altro , in
circostanze le piiì favorevoli e poco prima e poco
dopo il 10 aprile, mi provano adunque che il ba-
stimento, nel giorno in cui cade la mia ricerca, si
232
trovava in una corrente di grande altezza dalla su-
perficie a basso, dimodoché non può étre considéré,
come osserva Arago, comme une simple rivière su-
perficielle d' eau froide , nna si deve ritenere come
prodotta par une section considérable des mers po~
ìaires,marchant majeslueiisement du sud au nord. Dopo
ciò, come poter spiegare per corrente, e porla fra
le altre che realmente sono tali, quel trasporto in
24 ore di 31 miglio al S. 80° E. , cioè in dire-
zione normale alla dominante corrente, la quale in-
oltre per essere di acqua fredda e di gran massa
non facilmente cede all' azione del vento ? Ma se
passo a consultare lo stato del maie e la direzione
del vento nel giorno preso ad esame ed in quelli
antecedenti ad esso prossimi, io trovo per me una
evidente causa a quel fenomeno. 11 mare fu houìeuse
e grosse ed il vento nella media dilezione di ouest,
in generale honne hrise , [rais e grond-frais. Cosi
essendo, i fluiti, in questa accidentale combinazione
di grosso mare e forte vento, animati di trasporto
di massa alla superficie, trasportarono il bastimento
nella loro direzione nella totalità di miglia 47,5, e
non di 16,8 come il de Tessan ammetterebbe.
Egli è però che io concludo per questo e per
l'altro fatto del Winchester qui registrato, e per la
lunga serie degli altri eguali o simili, che conve-
niente spiegazione al fenomeno in discorso può solo
trovarsi nelTammettere rilevante moto di massa alla
superfìcie de'marosi, ed in questi casi, anche dove
la profondità del mare permette ad essi libero svi-
luppo per ogni verso.
233
3." Passa poi la Commissione a quel fenomeno
che io chiamo fluito-corrente, cioè a quel trasporto
che ha luogo presso il lido, ossia quando non è più
libero lo sviluppo inferiore dell'onda. — Fenomeno
da tutti ammesso per Vonda-marea , la quale non
può negarsi che abbia una grande analogìa coU'onda
del vento (pag. 63 a 67) — , Ai fatti che io adduco
in proposito la Commissione osserva, che alcuni autori
danno di essi una spiegazione indipendente dal moto di
trasporto della massa liquida; il che è vero , epper-ò
io nella pagina 71 ho avvertito le diverse cause che
possono aver parte in questo trasporto, ma in fine
ho dovuto convincermi che esse non basterebbero
nella maggior parte de' casi a cagionare la perdita
di bastimenti bene provveduti e ben comandati, e
quindi ho concluso che nelle spiagge sottili anche
a piii miglia lontano dalla riva, l'onda non ha piìi molo
apparente e di percussione soltanto, ma benanche di
trasporto progressivo in massa. Ma la Commissione
non sembra punto persuasa di questa mia conclu-
sione e però si fa a chiedere come, aveìido tutta
Vacqua moto continuo di trasporto verso il lido, non
inondi e il lido e i terreni, e poi qui pure bisogne-
rebbe trovare Venorme forza che sarebbe mestieri a
mantenere una differenza di livello alcun poco no-
tabile.
È un fatto ben noto alla Commissione che ap-
pena il tempo sente di fuori le acque nel littorale
si empiono , e quando il vento scende ed il mare
s'ingrossa, queste acque sono più elevate del livello
ordinario in qualunque stato della marea di circa
m
0,"'50 nel Tineno, <li l,"'0() nell'Adriatico. Questo
fatto non potendo essere posto in dubbio, dobbiamo
convenire che la forza necessaria per produrlo esista.
QuelTalzamento di livello, che è non di rado mag-
giore ancora del qui indicato, inonda in fatti in pro-
porzione della sua altezza; e se in tempo di mas-
sima marea vi ha burrasca prodoUa da venti austra-
li .... le strade e le piazze della città di Venezia
sono inondate (Marieni pag. 2). Ma ammettendo io
nell'acqua un moto continuato di trasporto, il quale
può avere più giorni di durata , ò duopo rendere
ragione dell' esito di questa grande massa liquida.
Dalle mie esperienze e da quelle altrui io ho tro-
vato che quell'altezza di livello premuta dalla sovra-
incumbente massa di acqua proveniente dal punto
ove lo sviluppo inferiore del flutto incontra rea-
zione noi fondo del mare, definisce con corrente pa-
ralella alla costa piìi o meno radente o veloce se-
condo la direzione e potenza de' flutti, perchè alVim-
peto di questi è dovuta (pag. 70 e 71). Ed è que-
sta stessa massa di acqua in moto che produce non
solo il trasporto de' bastimenti, degli arredi da pe-
sca ec. (pag. 67 a 75), ma puranco tutti gli insab-
biamenti da me registrati dalla pag. 118 alla 124.
Se i fatti sono veri, e se questi ultimi sono indu-
bitatamente prodotti dai flutti , ne scende necessa-
ria conseguenza che la massa ondulante componente
il flutto, giunta al punto della reazione del fondo
si trasforma in corrente , come accade nell' onda
marea , tanto più vegeta quanto più si accosta al
lido , e quindi quantunque la causa del trasporto
degli oggetti compresi nei primi fatti non si pre-
235
senti diiaramente ai nostri sensi quanto quella de-
gli ultimi, a me non resta dubbio alcuno che co-
testi eguali effetti non siano prodotti dalla stessa
causa. Le lunghe serie di fatti da me ivi raccolte
potrebbero essere aumentate ancora ; ma io spero
che dalla Commissione siano ritenute per sufficienti
in uno scritto che porta il titolo di Cenni.
4.° Entra poi la Commissione a fare delle osser-
vazioni nella seconda parte del mio lavoro. Dallo
studio dell'opera del Montanari e di tutte quelle de-
gli altri autori che hanno abbracciato la dottrina
di lui , mi sono convinto che questa dottrina non
ammette che i flutti smuovano i fondi e porlino e
tengano ecc., ma soltanto che smuovono ed intorbi-
dano l'acqua. 11 portare è, per il Montanari e suoi
seguaci , devoluto alla corrente littorale , ed il
tenere le materie smosse è appropriato ai flutti
(pag. 100 e 101). Quindi il fenomeno del traspor-
to de' materiali, da cui dipendono gl'insabbiamenti,
viene da essi attribuito interamente alla sola cor-
rente ; ninna parte vi ha il flutto. Questo è il
punto cardinale della questione , questo è per me
il difetto di quella dottrina, e questo è quello che
ho preso a confutare. Sullo smuovere io sono con
loro , e , come era mio dovere , ho notalo che il
Montanari ammette ai flutti una tale azione (pag.
101) : solo diversifico da loro nel credere che i
flutti possano smuovere a profondità di acqua an-
che cinquanta volte maggiore di quella creduta dal
Montanari.
Quello che io ammetto e quel che io escludo
della sua dottrina, è per me una convinzione per-
236
fetta , quinfli spero che non din luogo né a pochi
nò a moki dubbi, da parte mia. Anzi niuna teoria
è tanto chiaramente descritta quanto quella del Mon-
tanari. E chiarissimi sono nel loro (lire anche i fau-
tori di quella, ed il Venturoli pel primo in chiarezza
ed in convinzione di quello che egli sostiene. Quindi
il fatto di questo grande idraulico riferito dalla Com-
missione non mi pare che possa in modo alcuno
inferire nella mia proposizione. Il Venturoli se in
Anzio dava nel segno , non era già merito della
teoria da lui sostenuta, ma sibbene perchè in Anzio
la direzione de' venti regnanti è quella stessa della
corrente. La Commissione m'insegna che per veder
bene il Venturoli, bisogna studiarlo nell'Adriatico, a
Fano per esempio. E poi non è egli forse che ha detto
e voluto dimostrare, che i materiali sono obbligati ad
avanzare a seconda della corrente anche in tempo di
burrasca qualunque sia la direzione del vento ? Se
questa sentenza da me riportata (pag. 101) si legge
veramente neU' opera sua , tutto il resto non può
meritare seria trattazione , perchè egli si trova in
perfetta opposizione con quel che io asserisco; men-
tre egli manda i materiali a sola balìa di corrente
anche contro la violenza de' flutti, io all' incontro
ammetto oltre ai trasporti che le correnti fanno ,
anche quelli procedenti a seconda de' flutti, e questi
prevalenti a quelli delle correnti anche in direzione
opposta ad esse.
In questa breve esposizione niun' altra cosa ho
avuto innanzi allo sguardo se non il debito che m'in-
combe di corrispondere all'incarico della dotta ed
237
erudita Commissione, alla quale , siccome conosco
con quanta amorevolezza essa ricerchi e favorisca Io
studio dei fenomeni delia natura, così stimo far cosa
grata partecipando quel poco che di essi fenomeni
ho potuto intendere nell'esercizio dell'arte mia.
Homa 18 febbraio 1856.
A. ClALDI.
238
1. II. ISTITUTO VliNI'TO iJl SCIENZE LETTEIJE EU AllTl.
RAPPORTO SECOrSDO.
Di una Memoria del Commendator Cialdi intorno al
molo ondoso del mare ed alle sue correnti.
Commissari signori ingegner Casoni
professor Mimch e professor Tuuazza {rclalorc).
N.
I eli 'adunanza del 28 Gennaio del corrente anno
la sottoscritta Commissione riferiva a questo i. r.
Istituto intorno ad una memoria del Commenda-
tore Cialdi sul moto ondoso del mare e sulle sue
correnti in base ad un manuscritto inviato dal mede-
simo Autore a questo nostro Istituto.
Tributando al eh:'"" iVutore quella lode che ben
meritavano l'importanza e la difficoltà de'suoi stu-
dii, la molta erudizione largamente sparsa per entro
a tutta la memoria, e i notevoli risultamenti della
lunga e sperimentata sua pratica, la Commissione
però non potè tacere alcuni dubbi che le si pre-
sentarono nello scorrere questo pregevolissimo lavoro,
mostrando in essi il suo desiderio di vedere viep-
più illustrata la quistione intorno ad alcuni punti
che non le parvero abbastanza chiariti.
Comunicato il voto della Commissione al chia-
ris."'" Autore, volle egli tenere gentilmente l'invito
inviando all'Istituto stesso alcuni suoi cenni a dilu-
cidazione maggiore dell' argomento , non che un
esemplare della memoria già stampala, ma non resa
I
239
poi ancoia di pubblico diritto, e nella quale ebbe
la vostra Commissione a riscontrare non poche e
rilevanti aggiunte fatte a quel primo lavoro, sul quale
eransi allora fermate le sue osservazioni.
Egli è per corrispondere alle replicate prove di
gentilezza del sig. Commendator Cialdi, che la Com-
missione ritorna volentieri sul proprio voto, e anche
perchè scorgendo aver egli voluto dare talora al
voto medesimo quasi un senso di opposizione più
che altro, non ha creduto opportuno che per manco
di chiarezza i suoi pensamenti potessero essere fra-
intesi, o spinti più in là di quel segno al quale la
stessa aveva voluto arrestarli.
Che se la Commissione riputò che si avessero
dovuto porre in maggior lume le opinioni emesse
da quelli autori che per essersi exprofesso occu-
pati della questione meritano anche un peso nota-
bilmente maggiore, non ha voluto di ciò dar carico
all'Autore, non era questo che un desiderio piovo-
cato dalla stessa copia di erudizione con cui egli
illustra questa prima parte del suo lavoro; né volle
per certo riputare ciò indispensabile alla retta espo-
sizione dei pensamenti dell'Autore.
Così pure la Commissione non poteva negare,
né il fece , 1' azione perturbatrice del vento , e la
facoltà d'imprimere anche in alto mare un propor-
zionato moto di trasporto alla massa liquida; avvertì
solo che il trasporto della massa liquida per l'azione
del vento potrebbe non aver sempre per misura il
cammino percorso dal galleggiante, e dichiarò che
per quanto spetta ai fatti recati in campo dalfAu-
tore essa si riporta ben volentieri al suo giudizio,
240
mostrandosi egli così versato specialmente nella pra-
tica , da cui solo si devono ripetere i dati , onde
accertare il quanto d'una stima resa cosi difficile
da tante e svariatissime circostanze.
Se nella vicinanza del lido la Commissione accennò
ad altre spiegazioni del moto di trasporto degli
oggetti indipendentemente da quello della massa
liquida , non volle con ciò impugnare 1' opportu-
nità della spiegazione data dal dottissimo autore ;
e se chiedeva ragione del non accumularsi dell'ac-
qua alla riva, egli era perchè reputa la stessa che
molti fatti si spieghino per 1' azione dei venti nel
tenere in collo 1' acqua più che coli' accordare un
reale moto di trasporto all'acqua medesima; e nel
mar Rosso fece l'imarcare che il livello medio ò
eguale a quello del Mediterraneo , e che la diffe-
renza fra le alte e basse maree è dovuta a causa
essenzialmente diversa da quella accennata in quel
luogo dall'autore; accordando qui pure pei casi ec-
cezionali che il vento tenga in collo l'acqua come
nell'Adriatico allo spirare dei venti del Sud.
In quanto al trasporto delle materie operato dai
flutti , la Commissione si trovò indotta dai fatti
recati dall' Autore ad accordarlo , e rese la dovuta
lode alla cura posta dall'Autore stesso nella ricerca
di questi fatti; il che ripete ora tanto più che ri-
scontrò questa parte del suo lavoro specialmente di
molto accresciuta e perfezionata; solo gli parve non
abbastanza chiarito quello che si deve alle correnti,
ed è lieta di vedere nello stampato che 1' Autore
ubbia modificato quel passo relativo ad un'opi-
2U
nione del Ventinoli sul porto d'Anzio avverlito dalla
stessa. (*).
La Commissione ha creduto suo debito di por-
gere queste semplici osservazioni per rispondere essa
pure alla cortesia dimostratale dall'Autore, al quale
le è di somma compiacenza il poter ripetere quanto
aveva avuto l'onore di dire altra volta nel suo primo
rapporto, che cioè riconosce il lavoro del sig. Com-
mendatore Cialdi meritevole di moltissima lode per
la vasta sua erudizione , per gì' importantissimi e
svariati fatti in esso raccolti, per le notevoli osser-
vazioni dovute specialmente alla sua lunga e dotta
pratica, per gli utili ammaestramenti che se ne pos-
sono trarre, e perchè finalmente non potrà a meno
di non essere utilmente consultato da chi vorrà in
seguito ritentare un tanto arduo problema.
Letto ed approvato nell'adunanza del 17 agosto
1856.
II S egretario
Namias.
(*) Spero che l'illustre Relatore mi terrà per iscusato se dichiaro
esser egli quivi incorso iii equivoco, o che io mi sia male spiegato.
Il Venturoli in tal questione è tanto lucido che veruno avrebbe mai
potuto scorgere in lui altro convincimento se non quello, che j (lutti
non hanno mai moto di trasporto, e che la corrente è il solo vei-
colo di trasporto regolante gl'insabbiamenti, tanto in Anzio quanto
in Fano,- sebbene la direzione della corrente sia nel verso istesso
nei due porti, e i materiali camminino in verso opposto: al qiial
convincimento io ho inteso sempre di oppormi.
GA.T.CXLllL 16
242
Cenni sul molo ondoso del mare
e sulle correnti di esso.
Del comm. Alessandro Cialdi (*).
APPENDICE
DOTTRINA DEL PALEOCAPA SUL PROTENDIMENTO DELLE SPIAGGE —
CONTRARIA ALLA MIA: — PROPOSIZIONI DI LUI — FATTI CHE LE
CONTRADDICONO. — SUO GIUDIZIO PER DIFENDERE DAGL' INSAD-
BIAMENTI UN PORTO NEL GOLFO DI PELUSIO. — PERCHÈ, PARTENDO
DA OPPOSTI PRINCIPI, CI TROVIAMO QUIVI DACCORDO. — PRO-
POSTA DI NUOVO ESPEDIENTE PER RITARDARE NOTARILMENTE I
NOCIVI EFFETTI DELLE SABBIE.
A
compimento del quadro degli autori che hanno
pubblicato le idee loro sul moto ondoso del mare
e sulle correnti di esso, io desiderava di registrare
i nomi di P. Paleocapa e di G. Ponzi.
Nel corso della stampa del mio lavoro, il Ponzi
fece di pubblica ragione il risultamento de'suoi studi
sull'argomento medesimo, ed io ne feci tesoro; ma
non ebbi la stessa sorte riguardo al Paleocapa
circa alle sue Considerazioni sid protendimento delle
spiagge e siilV insablfiamento dei poni deW Adria-
tico applicate allo stabilimento di un porto nella
rada di Pelusio ; dappoiché , pubblicate esse in
Torino nel giugno di quest'anno 1856, non pote-
rono giungere a mia cognizione se non quando la
(*) Si veda il Volume CXXXIII di questo Giornale.
243
stampa del mio lavoro era già da qualche mese
ultimata. Se mi giovai adunque delle osservazioni
del Ponzi favorevoli al mio intento, crederei ora di
mancare al rispetto dovuto ad una autorità meri-
tamente tanto celebre quanto è quella del Paleo-
capa , passando sotto silenzio lo scritto di lui , il
quale contraddice le due principali proposizioni che
servono di base a quasi tutto l'edificio da me inal-
zato. Egli è perciò , che con questa breve appen-
dice intendo di pagare un debito di riverenza, e di
soddisfare insieme all'esigenze della scienza.
Il professor Paleocapa , uno di quei rari inge-
gni che onorevolmente continuano la catena degli
idraulici italiani, maestri di color che sanno, nel suo
grave ed aureo scritto di sopra annunziato crede an-
cora causa principale degl' insabbiamenti de' porti
e de' lidi del nostro mare la corrente del Montanari,
e spiega la direzione delle foci in mare colla me-
desima teorìa dettata da questo distinto astrono-
mo (*). Che se egli, il Paleocapa, ammette come
causa efficiente le onde marine in quel lavorìo ,
stabilisce però questa causa come secondaria e come
conseguenza della prima, cioè della corrente. Io adun-
que credo e sostengo precisamente l'opposto di quel
(*) Il trattato del mare Adriatico e sua corrente fu licitato in
due lettere dirette al cardinale Basadoiina nel 1684, ma non fu
pubblicato la prima volta che nel 1715, come opera postuma per-
chè il Montanari morì nel 1687. Se il dotto autore della troppo
celebrata teorìa contenuta in quel trattato, avesse vissuto pili lun-
gamente , io inclino a credere ctie egli 1' avrebbe abbandonata o
almeno notevolmente modilicata. F^ui vivente mi pare che non sa
rebbc stata pubblicata come egli la scrisse.
2i4
che creJe e sostiene il suddetto illustre pro-
fessore, e perciò trasandando le proteste sulla gra-
vità dell'assunto di cui sono pur troppo penetrato,
mi linniterò solo a dilucidare quei fatti che mi con-^
fermano nel mio contrario convincimento.
Dice ir Paleocapa che sui lidi veneti, ove la cor-
rente litorale fa osservata e studiata ne' suoi effetti
con grande accuratezza fino dalla metà del sec. XV!,
cioè tre secoli fa, non meno che sui lidi delle Lega-
zioni pontifìcie , si è giudicato , che ove non sia nò
contrariata, nò favorita dai venti o dalle maree, essa
possa ritenersi dai sei agli otto chilometri al giorno.
Dice, che furono anche fatte osservazioni replicate sulla
profondità a cui essa agisce, e parve potersi stabilire
che a mare tranquillo essa cessi di avere azione sol-
tanto a sette od otto metri sotto la superficie delle
acque. Io sono interamente d'accordo con lui sulla
velocità e sulla profondità cui giunge l'azione di detta
corrente nel lido in discorso (p. 110); ma non posso
con lui convenire che gli effetti di essa siano poi
tanto rimarchevoli ed evidenti sul movimento e tra-
sporto delle alluvioni, in guisa che quel grande avan-
zarsi della costa settentrionale ed occidentale deWA-
driatico non limitatamente ai punti dove sboccano i
fiumi, ma su lutto il suo sviluppo, debbasi indubita-
tamente attribuire alla corrente litorale; che le lame
di fondo traversino, ma non interrompano la detta cor-
rente di modo che essa col suo molo continuo tra-
scini seco di porlo in porto le sollevate materie; che
/' efficacia della slessa corrente, nel far avanzare la
spiaggia colle sabbie che essa trascina, sia maggiore
di quella che abbiano le onde col sollevai' dal mare
245
le sabbie medesime'^ in una parola che la ripetuta cor-
rente produca la crescente estenzione della costa nel
suo giro continuato intorno all'Adriatico, mentre le
lame di fondo non vi prendano parte che come causa
secondaria e meno efficace.
Se il mio contrario avviso fosse stato basato
sopra un'opinione mia , o anche d' altrui , io non
avrei esitato un momento ad abbracciarele proposizio-
ni di un'autorità così meritamente celebre comeèquella
del commendator Paleocapa, ma esso poggia sopra
fatti e tali che non mi permettono in verun modo di
transigere. Potrei contentarmi di citare in mio so-
stegno la Seconda Parie di questa scrittura, e più
specialmente quanto in essa ho raccolto dalla p.
110 a 127. Tuttavia a maggiore schiarimento del-
l'accennato alla pag. 121 tornerò qui sull'argomento
dell'uso degli speroni o guardiani e su gli effetti loro.
L'effetto e l' uso di questi ripari praticati dai ve-
neziani per opporsi al progresso dello scanno che
minacciava di ostruire il porto di Malamocco, con-
frontato con l'effetto e V uso de'ripari stessi prati-
cati dai pontifici per difendere i porti loro, è con-
cludentissimo paragone per dedurre la vera precipua
causa degl' insabbiamenti. — 11 mare Adriatico, che
fu culla all' ingegnosa dottrina del Montanari, si pre-
sta quanto ogni altro mare, e pili ancora degli al-
tri, per darle tomba — .
I suddetti guardiani o speroni nel littorale ve-
neto ed in quello pontificio sono usati, sia come ar-
mature de' porti-canali, sia come ripari avanzati ,
per difender dai materiali ostruttivi quei porti stessi.
Noi abbiamo per fatto certo cinque cose:
246
1." che la corrente del Montanari costeggia sulla
spiaggia veneta e su quella pontifìcia da sinistra a
destra, guardando il mare;
2." che la detta corrente ha eguale velocità nelle
due spiagge, cioè dal capo Sdobba a Sinigaglia;
3." che de' fiumi torbidi scaricano a monte dei
porti veneti e de'porti pontifici;
4." che le dighe più protratte nel veneto, e gli
speroni colà costruiti, sono dalla sinistra de'porti ,
e gli speroni e le dighe più protratte nel pontificio
sono dalla destra de'suoi porti;
5." finalmente che i guardiani lungo il lido ve-
neto accumulano molla più sabbia a monte , cioè
dalla sinistra, che a valle, e quelli lungo il lido pon-
tificio accumulano molte più sabbie ed altri mate-
riali a valle, cioè dalla destra, che a monte.
Ora, come è che gl'insabbiamenti, ossiano le mag-
giori protrazioni della spiaggia, si verificano nei guar-
diani veneti dalla sinistra di essi ed in quelli ponti-
fici dalla destra loro ? Se la corrente radente fosse
l'artefice principale di quegli accumulamenti, essi do-
vrebbero essere tutti dalla sinistra degli ostacoli ,
perchè la ripetuta corrente, non avendo che uguale
direzione e velocità su tutto il littorale preso ad e-
same, non può produrre che eguale effetto. Dunque
un'altra deve essere la causa di siffatta differenza
d' insabbiamenti; e questa è il moto ondoso. Vedia-
molo, partendo dai guardiani veneti.
Il sud-est , vento regnante nel golfo Adriatico ,
batte normalmente il lido veneto; dunque i flutti di
questo vento non possono produrre che eguale ac-
cumulamento di materiali dai due lati di quei guar-
247
diani piantati perpendicolarmente a quel lido. II vento
dominante nello stesso lido è il Bora, cioè il vento
che soffia da nord-est , ossia da sinistra di detti
guardiani; dunque da questa parte dovrebb' essere
l'accumulamento maggiore se il moto ondoso lo pro-
ducesse; e precisamente da questa parte esso esiste.
Veniamo al lido pontificio.
Il vento dominante e di traversìa in questo lido
è il nord-est; dunque i flutti di questo vento, scen-
dendo nella direzione perpendicolare al lido ponti-
ficio non possono che produrre eguale insabbiamento
dai due lati di quei guardiani che sono normali ad
esso lido. I regnanti sciroccali ( che abbracciano
da est a sud-est ) soffiano da destra a sinistra di
questi guardiani; dunque l'accumulamento maggiore
delle sabbie o di altri materiali dovrebbe essere dalla
destra di essi ; e precisamente dalla destra di essi
si trova, quantunque la corrente littorale quivi cam -
mini da sinistra a destra.
Nello scorso maggio io ebbi l'onore di prender
parte coli' illustre ispettor emerito cav. Maurizio
Brighenti alla visita del porto-canale di Pesaro gran-
demente danneggiato da due straordinarie piene del-
l' Isauro, con lo scopo di proporre, egli per il go-
verno ed io per la magistratura, quei provvedimenti
che meglio convenissero per porre sostanziale ri-
medio ai sofferti danni.
Nei nostri studi avemmo occasione di avvertire
che l'armatura, ossia le dighe, di detto porto da oltre
due secoli non era stata protratta; mentre in Rimini,
in Cesenatico, in Ravenna eccetera si era reso necessa-
rio ogni venti o trenta anni un prolungamento delle
248
loro dighe. Egli è vero che presso Pcsai'o la spiag-
gia cammina meno che lungo il littorale delle so-
pra notate città; ma non pertanto, calcolato il nor-
male progredimento della spiaggia nel lido pesarese,
si trovò che le dighe di quel porto avrebbero do-
vuto essere state protratte almeno di sessanta
metri in quel periodo di tempo per camminare di
pari passo coli' accrescimento della spiaggia, e, ri-
cercata la cagione di questo tralasciamento nelle
adiacenze del porto, la si trovò facilmente, perchè
fu veduto che in luogo di prolungare le dighe erano
stati prolungati alcuni guardiani o speroni che tro-
vansi a destra di quel porto. Ed ecco i fatti.
Dalle dotte Memorie del porto di Pesaro di An-
nibale degli Abati Olivieri-Giordani (*) e dalle cro-
nache municipali si rileva, che l'antica foce navi-
gabile era prima al Vaccarile, cioè 2800 metri a
destra del presente porto, ove ora esiste un guar-
diano che vi si è sempre mantenuto' e si mantiene
lungo metri 62 nella parte interamente scoperta, ed ha
altri metri 30 visibili in alcuni punti ed il di più
sepolti sotto la sabbia. Di poi fu quella foce traslocata
a metri 1850 verso sinistra di quel riparo, cioè ove
ora è il guardiano di Porta-sale, presentemente im-
merso nell'acqua per la lunghezza di 67 metri, e,
per quanto può scorgersi, metri 28 circa interrato:
finalmente nel 1614, ove la si trova attualmente.
Questi guardiani o ripari si sono per regola man-
tenuti e prolungati nei tempi passati, ed hanno essi
fatto l'opera de' prolungamenti che sarebbero oc-
n Pesaro 1774.
•249
corsi ai due moli della foce presente, arrestando i
materiali che i venti regnanti, cioè di destra, portano
verso maestro, come accade lungo la spiaggia pon-
tificia. Ne questo effetto, essendo costante (dicevamo
col Brighenti), può dar luogo ad alcun dubbio. Ep-
però deplorammo che il guardiano di Porta- sale
fosse stato accorciato di 25 metri non sono molti
anni, siccome ci fu concordemente asserito.
Non fa mestieri l'avvertire che i sopra due no-
minati guardiani essendo a destra del porto di Pe-
saro , e rattenendo i materiali che provengono da
destra, in guisa che la spiaggia da questa parte dei
guardiani è più protratta di quella a sinistra di circa
35 metri, confermano quanto io ho detto sull'uso e
suH'efPetto di queste opere di difesa.
Dunque non può porsi in dubbio che il molo
ondoso abbia la maggiore azione nel produrre o nel
disporre gì' insabbiamenti in discorso, e che li pro-
duca più estesi di quelli prodotti dalla corrente lit-
torale, anche ove la direzione di questa è contraria
alla direzione di quel moto. Dunque per questi fatti
e per i tanti altri raccolti nella scrittura mia , non
può non ammettersi che i flutti siano la causa prin-
cipale degl' insabbiamenti de'lidi e de'porti.
11 disaccordo mio coli' illustre professor Paleo-
capa verte anche sul determinare la profondità fino
alla quale l'azione delle onde è veramente attiva.
Egli dopo di avere più volte ripetuto in genere
che le onde non agiscono sulle grandi profondità, ma
solo sulle spiagge basse e dolcemente inclinale, dice poi
in i specie che ripetute osservazioni hanno provato che
la corrente litorale agisce sino alla profondità di 7
250
od 8 metri, cioè a profondità maff^iore di quella a
cui hanno azione efficace le onde del mare sotto la
sua superficie. Dunque, secondo lui, l'azione efficace
delle onde cesserebbe quando la profondità dell'ac-
qua oltrepassa i sei metri. E perchè la voce efficace
potrebbe lasciar dubbio sulla potenza attribuita dal
nostro autore alle onde di fronte alla qualità de'ma-
teriali sottoposti alla loro azione, debbo notare che
ei parla di spiagge di sabbia, poco ^irofonde e dol-
cemente inclinale, e che solo ove verificansi queste
condizioni dà alle onde potente azione di sollevare
le materie e gettarle contro la costa; concedendo con
questo secondo effetto un trasporto nelle onde non
avvertito dal Montanari. Ma se sono veri i fatti da
me riuniti dalla p. 79, alla 87, è vero ancora che
io mi trovo dalla parte della ragione.
Se è vero che nell'Oceano a 200 metri di pro-
fondità le onde hanno efficacia d' intorbidare 1' ac-
qua sino alla superficie, e per l'urto dato nel sot-
toposto banco di rendersi notabilmente moleste ai
naviganti (p. 85) ; se nello stesso mare in 34 me-
tri di fondo di acqua si frangono (p. 84) ; se nel
Tirreno bisogna scendere a 45 metri di profondità
perchè gli arredi da pesca non siano dalle onde in-
franti 0 dispersi (p. 82); se nello stesso mare col-
r agitarsi le acque s' intorbidano a piiì miglia lungi
dalla spiaggia, e i bastimenti del piii alto bordo ri-
cevono sopra coperta de'marosi pregni di sabbia pas-
sando sopra banchi giacenti a 23 metri sotto la
superfìcie (pag- 81); se nel mare Libico nei fondi
di 12 metri le onde non solo muovono il fondo ,
ma scalzano le àncore (p. 61); se alla stessa prò-
251
fonililà si frangono (p. 100); finalmente, se nell'A-
di'iatico, mare in cui 1' illustre autore più special-
mente ha dirette le sue investigazioni, le onde ove
incontrino fondi di 20 metri si rendono più corte,
più frequenti e recano gran travaglio ai navigli (p.
61); e se nello stesso mare si frangono a 10 e più
metri (p. 100); io per verità non posso convenire
che nell'Adriatico, ed anche nel mare Libico, le onde
nelle spiagge di oltre sei o sette metri di profon-
dità di acqua non abbiano più efficacia di sollevare
e trasportare le sabbie.
In questi mari, cioè italiano ed egiziano, per-
chè le teste delle dighe non fossero sotto 1' influenza
di minuti materiali smossi dai flutti nella direzione
di fuori verso terra, bisognerebbe che s'inoltrassero
in una profondità otto o dieci volte maggiore di
quella in cui il Paleocapa crede che cessi l'azione
efficace per ismuovere e trasportare le sabbie. Ma è
d'avvertire che per i materiali provenienti dai lati
delle dighe, quanto più queste saranno lunghe, tanto
più sarà alterata la naturale indole del lido, e tanto
più vasta massa di materie si accumulerà a collo
di esse, ed empito il bacino traboccherà. 11 fatto di
quel fondo di acqua di metri 8, 50 circa che si a-
veva alla punta della diga di Malamocco quando la
gettata fu incominciata, ed aumentato fin a 12 e 13
metri dopo compiuta la diga, può aversi come un'
altra prova che a questa profondità i flutti hanno
avuto efficacia di zappare e torre via quelle sab-
bie, le quali saranno però surrogate da altre, quando
sarà più inoltrato in mare quell' accumulamento di
sabbie prodottosi a sopravvento nell'angolo formato
252
dalla lunghezza della diga stessa colla spiaggia ove
vi si sono già accumulale in gran copia, di modo
che una notevole parte di essa diga è fin da ora
tiilla sepolta denti'' esse anche dove erari profondità
di cinque a sei, e fin nove metri.
Ma, dunque, tutto quello che il Paleocapa dice
sugi' insabbiamenti futuri al nuovo porto proposto
nel golfo di Pelusio non regge? S\, regge benissimo,
e sarà saggio partito attenersi ai consigli di lui ;
perchè in quel lido la corrente littorale ed i flutti
regnanti agiscono nella medesima direzione, cioè da
sinistra a destra. Ivi il Paleocapa ben dice , come
ben diceva il Venturoli parlando de' rimedi per di-
fendere il porto Innocenziano in Anzio. Egli si tro'-
verebbe in contraddizione con i fatti se, basandosi
sulla sua teoria, proponesse ripari ai porti pontifici
nell'Adriatico , come precisamente mal si apponeva
il Venturoli quando cercava di provvedere ai difetti
del porto di Fano (*); perchè anche questo grande
idraulico , basato come il Paleocapa sulla erronea
dottrina del Montanari, proponeva di difendersi dalla
corrente e non dai flutti, e siccome colà i flutti
hanno direzione opposta alla corrente, così egli, non
più favorito dal caso, come in Anzio, lasciava indi-
feso il porto dalla parte onde veniva il nemico.
Quello che accaderà in Pelusio, secondo la mia
opinione, è un accumulamento di sabbia a collo alla
diga occidentale pili sollecito e piìi generale di
quello che crede il Paleocapa ; ma ciò non potrà
(*) Parere sulla riabilitazianc del porlo di Fano (Esprcitazioui
agrarie ilell'Accad. di Pesaro, anno XI, seni. 1).
253
cagionare che il bisogno nìeno tardo di protrarre
detta diga; bisogno largamente però sempre com-
pensato dall'utile sommo che senza dubbio produr
deve quella umanitaria, commerciale e non mai ab-
bastanza lodata opera del taglio dell' istmo di
Suez efficacemente ravvivata dall' illustre signor di
Lesseps sotto gli auspici di S. A, il Viceré di Egitto,
principe fautor sommo d'ogni progresso di civiltà.
Anche a questa grande opera può applicarsi la senten-
za che il Paleocapaha pronunciata peralcuni altri porti
cioè: « Che non conviene però conchiudere che un
porto artificiale possa mai sulle spiagge d'alluvione
dell' Adriatico stabilirsi in guisa che non abbia a
richiedere diligenti e continue cure per conservarlo,
ma che si può riuscire a rendere i lavori e le spese
di manutenzione moderate e laì^gamenle compensate
dalla utilità del porto )) .
A ritardare di molto quell' accumulamento da
me prognosticato alla diga occidentale, ad ottenere
assai pili tardo il cattivo effetto che esso produr-
rebbe , e per 1' uno e l' altro beneticio rendere di
gran lunga più utile 1' ultima parte della sentenza
del Paleocapa, mi fo lecito proporre quattro prov-
vedimenti.
Il primo, già manifestato dal Paleocapa, è quello
di portare piij verso oriente lo sbocco nel Medi-
terraneo del canale di congfunzione de' due mari,
trovando un punto che , senza mettere in condi--
zioni troppo gravi 1' esecuzione del detto canale ,
offra una maggiore facilità di stabilirvi e conser-
varvi un buon porto ; perchè a maggior distanza
dal !Silo si sarà meno incomodati dagli scarichi de'
254
materiali che esso convoglia al mare, e perchè ad
una tal maggior distanza la spiaggia subacquea sarà
forse meno estesa , e quindi si potrà raggiungere
la necessaria profondità di acqua con una diga oc-
cidentale molto meno lunga, ed in proporzione si
potrà diminuire anche l'altra piìi breve diga orien-
tale e rendere meno costoso lo scavamento del porto
e più facile la sua conservazione.
Il secondo , quando dagli studi locali risultas-
sero gravi difficoltà per il conseguimento del primo,
io mi atterrei al giudizio già pronunciato dalla dotta
ed erudita Commissione scientifica internazionale pel
canale di Suez, cioè costruire il porto a ventotto
chilometri circa a nord-ouest della baia di Tineh.
Il terzo è quello di spiccare dalla spiaggia degli
speroni a sinistra del porto, cioè dalla parte occi-
dentale di esso.
Il quarto in fine sarebbe quello di praticare l'e-
spediente da me proposto per il nuovo porto di Pe-
saro; espediente che venne abbracciato dal profes-
sor Brighenti , e dall' eccelso Consiglio di arte in
Roma approvato. Ecco in che consiste. Il bisogno
del commercio richiede 9 o 10 metri di acqua alla
bocca del canale del nuovo porlo egiziano. Or bene:
posto p. es., che per avere il suddetto fondo la lun-
ghezza da darsi alla maggiore diga, cioè quella occi-
dentale, sia di duemila seicento metri; e posto an-
cora che essa sia diretta in guisa che la bocca del
canale sia coperta dai venti regnanti e dai dominanti,
come è di pratica: io farei in modo che essa diga
occidentale, cioè quella a sopravvento, avesse 2000
metri di lunghezza, e quella orientale, cioè di sot-
255
to vento 1200. Nello stesso andamento della dì^n
occidentale, come se fosse una continuazione della
diga stessa, alla distanza di quattrocento metri io
partirei con una protrazione o diga isolata della lun-
ghezza di. metri 600; cosicché la testata più fuori in
mare di questo tratto di diga si troverebbe distante
dalla riva come se l'intera diga fosse di metri 3000,
mentre in realtà il manufatto di essa non sarebbe che
di 2600. Preterirei nelle dighe la linea di dolce
curva alla retta.
Nella testata della diga occidentale, cioè a 2000
metri dalla riva, innesterei un braccio che, quasi pa-
rallelamente alla riva stessa, si dirigesse verso occi-
dente per la lunghezza di tre a quattrocento metri.
25G
La proposta diga isolata, guadagnando un fondo
di acqua maggiore di quello che si otterrebbe con una
diga non interiotta di 2600 metri, e formando una
rada di ricovero coperta dai venti più nocivi, farà
risparmiare il molo o antemurale di 450 a 500
metri , proposto innanzi alla bocca del porto per
servire di rifugio alle navi nei cattivi tempi (*). Ma
non è questo il solo beneficio che produrrebbe il
progettato espediente , che allora sarebbe per la
spesa una economìa poco notevole.
Due sono i benefìci che io credo possano meri-
tare considerazione:
1.° La proposta diga isolata essendo nello stesso
andamento di quella occidentale, trovasi naturalmente
sulla linea di prolungamento che in avvenire possa
essere necessario di dare alle due dighe che costi-
tuiscono il porto-canale, mentre l'antemurale, o mo-
lo, che venne proposto innanzi alla bocca di detto
porto sbarrerebbe il canale, quando queste due di-
ghe dovranno essere protratte per riconquistare il
perduto fondo di acqua;
y." Colla diga isolata si avrebbe una apertura di
400 metri fra il piede di questa diga e la testa di
quella occidentale, la quale apertura produrrebbe, a
mio avviso, rilevanti vantaggi se non fosse minore
di 400 metri per le seguenti riflessioni;
a. Si otterrebbe colla diga isolata un utile fondo
di acqua con la minima spesa possibile;
b. i materiali convogliati fuori del canale in
forza della proposta chiusa di scarico, o per il giuoco
delle maree che si può con arte stabilir notabile
nella uscita dal canale, non giungerebbero a deposi taisi
a ridosso delia protrazione isolata;
(*) Si veda, noli' nlilissima raccoMa ili Memorie e documenti
sulCaperlura e canalizzazione delClsimo di Suez compilata e volta
in noslra lingua il.il chiarissimo prolessor Ugo Caliiidri, il dolio
ed elaboralo progetto Linant-Mougel. Torino 1856 pag. 107.
257
e. 11 mare potrebbe libeiamenle spazzare quelli
che si dcpositassei'o innanzi o prossimi alla bocca
del porto-canale;
d. Il flutto-corrente sviluppato dalle onde di si-
nistra, aggiunto alla corrente radente che nella stessa
direzione cammina, non avrebbe soverchia velocità,
e r urto de' flutti fra loro non incomoderebbe di
troppo l'entrata dei bastimenti nei porto-canale;
e. Si acquisterebbe una comoda bocca per 1'
approdo e la partenza de' legni col maggior nu-
mero possibile de' rombi di vento;
/'. Che se infine dall'esperienza venisse dimostrata
più utile una minor larghezza a detta apertura, fa-
cile cosa sarebbe il ristringerla , e senza verun in-
conveniente, perchè la proposta diga isolata è nella
stessa direzione della diga principale (*).
Credo poi che non converi'ebbe lasciare più larga
di 400 metri la proposta apertura, onde usare con
vantaggio delle forze che la natura sviluppa nelle
vicinanze di quelle dighe, in guisa da spazzare e con-
vogliare verso destra, ossia all'est, i materiali os-
truttivi che impedirebbero di avere a 2000 metri
dalla riva il voluto fondo di acqua di nove metri.
A vie meglio raggiungere questo scopo, tende poi il
proposto braccio dalla parte occidentale del porto-
canale di sopra descritto.
1 venti legnanti e dominanti in quel lido sono
da ouest al nord-est, ed è da essi che deve esser
(*) É facile il vi'dere che questo ristringimenlo può essere
ottenuto o col prDliiiifjare la di[;a occidentale vrrso la isolala o
questa verso quella^ come anche è facile scorfjere che se per avere
una più vasta rada, e p r meglio coprire la hocca del porto canale
fosse utile prohniiJar pure verso l'alto mare la stessa diga isola-
ta , potrà praticarsi qualunque prolungamento senza verun pre
giudizio. Così il braccio se sarà una metà più lungo, di quello pro-
posto, produrra doppio utile ed'etto.
G.A.T.CXLIII. 17
258
coperta la bocca del porto-canale. Il ripetuto brac-
cio , t'ormando fluiti riflessi, dovrà non poco con-
tribuire nel trasporto a destra degli infesti mate-
riali, prendendo parte all'azione de' flutti diretti che
s' imboccherebbero nell'apertuia fra la punta della
gran diga e quella della diga isolata. Nei fortunali,
il braccio e la diga isolata devono obbligare le linee
de' flutti, compresi nella cinta di questi due ripari,
a passare per 1' apertura e sviluppare una corrente
capace a scavare e non permettere la formazione
o la consolidazione de' soliti banchi che coronano i
porti-canali anche di acque chiare.
Il braccio stesso servirebbe ancora a formare
una vasta sentina, o ricettacolo, di materiali; i quali
se dal medesimo non venissero trattenuti, sormon-
terebbero in molto minor tempo, e senza dubbio, la
testata della grande diga occidentale, ed assalirebbero
la bocca del porto-canale: ivi racchiusi potrebbero es-
sere estratti, volendo , con minore spesa e minore
incomodo che altrove.
Termino su questo importantissimo oggetto, per-
chè esso è stato magistralmente trattato in tutte le
parti principali dai chiarissin)i ingegneri Linant-Bey
e Mougel-Bey, e dalla Commissione e dal Paleocapa,
restando solo da risolversi alcune questioni affatto se-
condarie, come saggiamente avverte quest'ultimo, fra
le quali potrebbero entrare, secondochò a me pare,
i provvedimenti di sopra accennati.
Di Livorno 29 settembre 1856.
A. ClALDI.
259
Di alcuni suicidi ultimamenle avvenuti
in Roma.
c,
ihe nelle grandi città frequenti di popolo, floride
di commercio, strepitose di avvenimenti, abbonde-
voli di morbidezze, di piaceri, di lusinghe; che dove
il senso aguzzato continuamente per sempre nuove
impressioni, da una insaziabile avidità trapassa pre-
sto alla satollanza di ogni bene; dove le grandi mi-
serie sono irritate dallo spettacolo del crescente
lusso, dove i desiderii preponderano sui mezzi di
soddisfacimento, dove una istruzione svariata e leg-
giera tien luogo di soda educazione: che in mezzo
ai disinganni delle ambiziose speranze, ai rapidi ro-
vesci della fortuna, al bollore incessante delle pas-
sioni, l'uomo giunga a infastidirsi della vita in modo
che postergata la ragione , e dimentico affatto de'
suoi doveri, corra volontariamente in braccio alla
morte, non è fenomeno da maravigliarsene. Ciò av-
viene perchè le cose di fuori ci signoreggiano , e
dentro di noi non è più chi comandi , ma ci -la-
sciamo traportare come la pula al vento sull' aia..
Né meno è da fare le meraviglie se questa cala-
mità morale rendesi ogni dì più frequente pel di-
latarsi appunto r impero dei surriferiti elementi, e
per la nota forza di imitazione. Così a Parigi nel
1817 vi furono 285 suicidi, nel 1826 se ne anno-
verarono 357, e 477 ne vide Tanno 1835. Così pure
a Berlino si notò che nel 1827 vi furono sei volte
260
più di morii volontarie che noi 1821. « Jamais
(così scrive la gazzetta di Berlino del decorso anno)
il n' y a eu autant de suicides qu' à présent, et par
suite on n' à jamais trouvé plus de cadavres aban-
donnés. On attribue ces suicides à l'extreme chertc
des vivres, et aussi aux chaleurs extraordinaires de
réte. Les agents specialement chargés des enter-
rements, qui se font par ordre de la police, sont si
occupés, qu' ils peuvent a peine sufiìre à leur bc-
sogne ».
Avremmo bensì motivo di maravigliarci, se mi-
nacciasse di rendersi piiì frequente il suicidio fra
noi che solchiamo un mare men tempestoso, a cui
non abbondano le occasioni di aggrandire la sfera
della sensitività e affinarne i poteri per copia di
diletti, per varietà di occupazioni, per frequenza di
circoli, per lettura di giornali , per novità di im-
prese, per delicatezza di comodi, per dovizia di spet-
tacoli, per fantasticheria di romanzi, per prodigi d'
industria, e a cui ogni pratica, ogni consuetudine,
ogni istituzione rammenta i doveri morali e leli-
giosi. Se non che ne conforta il pensare che i cin-
que suicidi qui seguiti (*) in breve intervallo di
tempo riconobbero cagioni affatto diverse, di maniera
che questo per noi insolito numero dei medesimi
non accenni ad una morale epidemia, ma rappre-
senti un avvenimento del tutto fortuito. Ed infatti
in uno di questi casi trattasi di subitanea pertur-
bazione dellanimo per esito infelice di un esame.
(*) Uno ili questi non actadJc in Roma, ma in una terra vi-
cina.
261
11 giovane, in cui la fantasia prevaleva alla rifles-
sione, si crede disonorato da questo fatto: ei si ad-
duce alla bollente immaginazione i rimprocci dei pa-
renti, gli scherni dei compagni , la perdita di un
impiego; vede falliti i suoi disegni , deluse le sue
speranze, umiliato il suo amor proprio; gli si an-
nebbia r intelletto in mezzo a questi pensieri, perde
la signoria di se stesso e gettasi in Tevere. Un se-
condo, soprappreso da traversie, mal provveduto di
averi, travagliato da infermità, reso impotente ad
esercitare la professione onde sustentava sé e la
famiglia, abbuiatasi la mente dalle fuligìni dì atra
malinconia, si abbandona alla disperazione, e si av-
velena con sei grani di stricnina. Un terzo, poveris-
simo di consiglio, amator non riamato, perde il sen-
no all'ultimo niego, e corso senza resta alla far-
macia vi trova a caso sullo scaffale il residuo di
preparazione del liquore anodino e lo inghiotte di un
tratto, in questi esempi ravvisiamo le solite cause
che più 0 meno in ogni tempo hanno valso a pro-
vocare il suicidio, cioè veementi passioni atte a so-
spendere l'esercizio della libertà morale: niuno però
di essi accenna a quel tedio della vita, che a Lon-
dra, a Parigi , a Berlino conduce tanti a distrug-
gerla con le proprie mani*
Non può dirsi lo stesso del suicidio perpetrato
congiuntamente da Augusto e Marianna
la mattina del 22 luglio, di cui im-
prendiamo la narrazione. Questi sconsigliati amanti,
che di poco avean superato il terzo lustro di vita,
sicuri ornai di non poter vincere gli ostacoli che
opponevansi alla desiderata unione, deliberarono di
262
morire insieme di veleno. Riunito Augusto nella
^asa di Marianna, e seduti a desco di rimpetto l'uno
all'altra , votarono in due eguali bicchieri la pozione
venefica, contenuta in una fiaschetta, che avean po-
sto in mezzo, e la tracannaron d'un sorso , lascia-
tane appena nel fondo dei vasi una traccia , che
facesse testimonianza delhi natura del liquido con-
tenutovi. Dopo dieci o dodici minuti la coppia ar-
dita era già preda di morte: e il genere di questa
fu certamente apopletico. Il signor N. N. che li vide
dopo brevi istanti, tuttora in vita, potò quantunque
non medico verificare la mancanza totale dei sensi,
della conoscenza e del moto, superstite la respira-
zione che gli sembrò sterlerosa. Il volto era di-
pinto in ambedue di un palloie mortale, e le labbra
apparivano di un livido assai carico. II chirurgo sig.
Scalsi, che giunse appena una mezz'ora dopo l'av-
venimento , trovò due cadaveri : ma questi in tali
condizioni delle membra e del volto, da indicare una
morte placida, e non preceduta affatto da movimenti
convulsi. Pertanto non avendo egli potuto eserci-
tare il ministero di curante, adempì all'ufficio legale,
procacciando con le note cautele, che si conservas-
sero i vasi, e gli avanzi della sostanza venefica, per
servire in appresso alle osservazioni fiscali. Sul mez-
zodì del giorno seguente, cioè 26 ore dopo la morte,
procedevasi alia sezione giuridica dei cadaveri, nei
quali cominciò a notarsi uno stato di insolita con-
servazione, a malgrado della elevata temperatura. Il
corpo della donna era illeso da qualunque segno i-
niziale di putrefazione, e in quello dell'uomo scor-
gevasi appena qualche macchia verdognola nelle re-
263
gioni inguinali: ambedue furono aperti e ricercati
per ogni dove, spnza che gli astanti ne fossero punto
infastiditi. Niun odore esalava da quei cadaveri: de-
bole ne ora la rigidità, seppure potea chiamarsi tale,
specialmente nella donna : nell' uno e nell' altra le
mani erano raccolte in pugno, livide le unghie e le
estremità delle dita; qualche macchia di color ro-
seo slavato mostravasi qua e colà nei due corpi ,
anche in parti non declivi, e di color roseo diluto
eran pure i suggellamenti cadaverici delle regioni
posteriori. Aperta la cavità del cranio , nel distac-
carne la parte superiore trapelava molto sangue dai
vasi lacerati della dura madre, e molto ne conte-
nevano i seni, e iniettata erane la pia madre: e que-
sto sangue, al pari che quello di tutto il corpo, mo-
stravasi scorrevole più che non suole, e del colore
e lucentezza della pece. 1 ventricoli rasciutti, e niuna
alterazione nella massa cerebrale. Nulla di rimar-
chevole nella cavità della bocca. Quella del torace
ne mostrava i polmoni discretamente ingorgati, ma
non in modo da empire perfettamente la cavità. An-
tiche aderenze univan le pleure nella parte poste-
riore del polmone sinistro dell'uomo. Il cuore in am-
bedue esibiva voti gli atrii sinistri, ed il destro ven-
tricolo contenente sangue appena aggrumato,ma senza
traccia alcuna di concrezioni fibrinose. Il cuore del-
l'uomo era in tutto assai più voluminoso dell'ordi-
nario e sproporzionato affatto alla grandezza del
corpo. Incisa la cavità addominale, apparve subito
un vivo rubore in tutto il tratto dell' intestino te-
nue, e strisce dello stesso colore notavansi anche
nella superficie dello stomaco. Procedevasi allora
264
alle; solite legature: e tratto fuora il ventricolo, e
votatone in opportuno vase il contenuto, se ne pra-
ticava la sezione lungo il suo arco maggiore: e messa
così allo scoperto la sua interna faccia, notavasene
il color rosso carico , egualmente diffuso in ogni
punto di questo sacco, colore che non ismorzavasi
per lavande. Le dense rughe della mucosa e V
aspetto mamellonato della medesima sembravano ac-
cennare ad una contrazione della tunica muscolare:
lubrica al tatlo offerivasi questa mucosa dello sto-
maco, ma non ammollita o gelatinizzata. Le mate-
rie contenutevi, e che ii[)onevansi in o|)portuno vase
per le ricerche analitiche, consistevano in una pol-
tiglia di color nerastro, alla quale nelTuomo erano
frammiste particelle di materie alimentari e lunghi
ascaridi lombricoidi. L'odore che esalava da queste
sostanze , come pure dalla superfìcie interna dello
stomaco, a prima giunta non era distinto; ma appli-
candovi più a lungo il senso, offerivasi ammonia-
cale, e poco dopo vi si rendeva leggermente sen-
sibile il noto effluvio delle mandorle amare. Per-
altro questo secondo sentore non era si netto, che
tutti gli astanti Io avvertissero e ne convenissero.
L' intestino tenue offriva più copiosa la inie-
zion vascolare nella tonaca sierosa che nella mucosa,
sebbene anche questa non ne andasse esente; il tubo
non conteneva altro che muco e bile. Niente di
rimanchevole in tutti i visceri, ad eccezione di un'
anomalia , e una condizione morbosa estranea all'
avvelenamento; un lungo diverticolo cioè nell'intes-
tino ileo dell'uomo, e una grossa cisti sierosa ade-
rente air ovaio destro della donna. L' analisi chi-
2G5
mica, condotta dai periti fiscali dott. Francesco Ratti
professore di chimica, e sig. Vincenzo Latini far-
macista collegiale, non dovè battere la lunga via
delle esplorazioni, ma potè procedere franca e spe-
dita : poiché fra il genere di morte , e i resultati
della sezione che accennavano ad un composto di
cianogeno, e fra le notizie pervenute al fìsco, poteva
credersi fondatamente che si trattasse di ciamuro
di potassio. Risultava anzi da un documento, che
a questo veleno ne fosse stato mescolato un altro,
cioè il hi - ossalato di potassa. E senza qui rife-
rire per filo e per segno tutti i processi adope-
rati dai valenti chimici, basterà annunziare che il
risultato dei medesimi fu pienamente conforme alla
presunzione avutane; cioè che la pozione venefica,
onde si tolser la vita que'sciagurati, fosse un mi-
scuglio di cianuro potassico di commercio e di
bi-ossalato di potassa. Ed infatti non solo nel resi-
duo lasciato al fondo dei bicchieri, onde s'impa-
dronì il fisco, e nelle materie contenute negli sto-
machi e nelle loro pareti , potè accertarsi la pre-
senza del cianogeno , dimostrando colle note rea-
zioni quelladell'a. idrocianico costituitovi ad arte coli'
aggiunta di un acido; ma dai diversi precipitati otte-
ti col trattamento del nitrato di argento potè anche
ripristinarsi il cianogeno, e mostrarlo per la sua
fiamma di color porporino, infiammandolo nell'uscire
dall'affìnato tubetto. Cosi pure il pricipitato giallo
di seta col bicloruro di platino indicava la pre-
senza della potassa, e la sua abbondanza escludeva
il sospetto che avesse fatto parte delle materie orga-
niche. Finalmente l'intorbidamento opalino coU'aqua
266
di calce indiiceva il sospetto della esistenza dell'
acido ossalico o di un ossalato acido, e la perma-
nenza deirintorbidamento coli' aggiunta dell' acido
acetico eliminava il dubbio che tale reazione appar-
tenesse all' acido carbonico. In appresso la cristal-
lizzazione dell'acido ossalico ottenuta col metodo di
Christison dalle materie organiche confermava piena-
mente la presenza dell'ossalato.
Qual fu la dose dei due veleni ? Sarebbe stato
impossibile stabilirlo con esattezza, essendo man-
cato un saggio di loro dissoluzione bastante ad eser-
citarvi l'analisi quantitativa: tuttavia calcolando la
capacità della fiaschetta fino all' altezza, in cui il
diverso colore indicava 1' ascension del liquido, ed
il maggior grado di saturazione , onde 1' acqua è
capace di tenere sciolto il cianuro, si può arguire
che questo non fosse più di otto grammi. La quan-
tità del sale di acetosella dovè essere un poco mi-
nore , se possiam giudicarne dalle men forti rea-
zioni atte a dimostrar l'ossalato, e dall'essersi otte-
nuto a stento e in tenuissime tracce l'a. ossalico
cristallizzato col processo di Christison. Gli è vero
però che questo fu tentato col solutum dello sto-
maco, non colle materie che vi erano contenute.
Si potrebbe qui domandare: Posto che non si
fossero avuti precedentemente indizi sulla natura di
questa mescolanza venefica, si sarebbe egli venuto
a capo della verità ? La novità del caso (poiché a
nostra saputa è questo il primo esempio che il sale
di acetosella sia stato unito al cianuro di potassio
per consumare un veneficio) avrebbe ritardato cer-
tamente il corso delle chimiche operazioni , ma
267
infine la scienza avrebbe trionfato delle difficoltà,
Del resto la dimostrazione del cianuro avrebbe bas-
tato a spiegare la causa di morte: e quando pure
l'altro sale fosse sfuggito alle analitiche ricerche, sa-
rebbe stato provveduto abbastanza ai bisogni fiscali.
Sollevasi anche un dubbio sulle condizioni dello
stomaco e dell' intestino tenue , ed è il seguente :
Quel vivo rubore che vi apparve era esso per sem-
plice imbibizione, o per iscioglimento del sangue, ov-
vero rappresentava un fenomeno di vera infiamma-
zione ? La iniezione minutissima dei vasi occupanti
tutta la spessezza dei tessuti , la esistenza di essa
anche in parti non declivi, il non essersi cancellata
per lavande e per lunghe infusioni , la mancanza
di tal rubore nell'intestino crasso; tutto ne induce
a pensare che si trattasse di flogosi, o almeno di
congestione attiva. Potè dunque un tal processo ini-
ziarsi nel breve corso di dieci o dodici minuti ! E
a quale poi dei due veleni dovrà esso attribuirsi ?
Le osservazioni sull'uomo, e le esperienze sugli ani-
mali, non insegnan che il cianuro potassico siasi fatto
cagion di flogosi nello stomaco, e appena in qual-
che caso si parla di macchia color di rosa nel suo
fondo splenico. Convien dunque nel caso nostro cer-
car altrove la causa della gastro-enterite: cioè nel
sale di acetosella capacissimo a produrre tale effetto.
Rimangono ad investigarsi le cause del deplo-
rabile avvenimento. Augusto e Marianna non furono
certo spinti al suicidio da moto violento e subita-
neo di affetti: le lettere rinvenute, e le notizie rac-
colte, mostran chiaro che la funesta risoluzione pro-
. cede da perverso consiglio lentamente maturato nel-
268
Kiiniino. Sgomlìi'alo già da qualche tempo ogni tì-
moi' della inoi'lc, e delle conseguenze di essa, ave-
vano essi scelto [jensataniente i mezzi più elficaci
da condurre al fine propostosi, e con animo ripo-
sato spiavano il momento di conseguirlo. Non ine-'
liriati da li(pioi'i, non ismarriti di sensi, non info-
cati nello sdegno , non abbattuti dal dolore , non
ispaventati da pericoli, ma nella piena coscienza di
se medesimi imperturbati, anzi ilari, inghiottivano
il veleno. In aduncjue tortura d'intelletto, fu sre-
gofalezza di volontà , non impeto primo primo ,
non alienazione di mente. Perciò se fosse stato sven-
tato il loro disegno, salvandoli da morte, sarebbero
stali imputabili di un'azione vietata anche dalla vi-
gente legge criminale; e quanto alle conseguenze ci-
vili, se fossero stati maggiori, e poco innanzi di to-
gliersi la vita avessero scritto atti inler livos et causa
morùs, non avrebbe potuto impugnarsene la validità.
Nò gioverebbe alla contraria opinione invocare
l'autorità di quegli scrittori che sostennero, il suicidio
essere sempre provocato da qualche segreto senti-
mento del corpo , e doversi però riguardare qual
necessità di natura, piiì che atto contingente dr li-
bero arbitrio; e appoggiandosi nel caso attuale ad
alcune morbose condizioni rinvenute nei corpi dei
due suicidi : in Augusto cioè le antiche adei'enze
delle pleure, e la insolita mole del cuore, in Ma-
rianna la cisti del destro ovaio, esprimente un pro-
cesso morboso in quell'organo. Noi ci sappiamo come
l'animo e il corpo con nodi di tanta armonia siano
congiunti , che l'uno dei beni e dei mali , e delle
noie e delle allegrezze dell'altro partecipi: onde al-
269
l'infermare del corpo l'animo, bcnehè forte, sia ne-
cessitato in alcun modo di compatire: ma sappiamo
altresì che le fisiche imperfezioni sono retaggio del-
l'umana natura: che pochi sono i cadaveri, nei quali
non incontrisi qualche asimetria organica, o alcun
vestigio di antichi processi morbosi; e intanto il sui-
cidio è un fatto sì vero, che nella stessa Berlino (città
tristamente famosa pel numero delle morti volon-
tarie) se ne conti appena uno su cento casi di morte.
Dall' altro lato non vanno certamente immuni da
processi morbosi e da patimenti del corpo i turchi,
i persiani, gli egiziani e tanti altri popoli, presso i
quali è raro fenomeno il suicidio. È notissimo a
tutti come le malattie del corpo si facciano cagioni
di uccision di se stesso: ma è noto egualmente come
fra il guasto corporeo e l'atto estremo del privarsi
di vita vi si interponga l'alienazione di mente. L'epi-
lessia, l'ipocondriasi, la pellagra, le nevralgie pro-
lungate possono provocare il suicidio: ma cominciano
prima dall'alterare l'armonia delle facoltà intellet-
tuali e morali.
Toi'nando or là onde ci han dilungati la naria-
zione del fatto, e la etiologia del medesimo, cioè
alla frequenza del suicidio in Roma, diremo fran-
camente che come la uccision volontaria di una gio-
vane e del suo amante , accaduta non è molto in
Finlandia, e fatta argomento di una ballata di Bcrnd-
stOH, non basterebbe a smentire il fatto della estrema
rarità del suicidio in quelle contrade , desunto da
lunghissima osservazione ; così pure l'avvenimento
di Augusto e Marianna non è sufficiente a dima-
270
strare che il suicidio ricorra oggi fra noi più spesso
di quel che solesse per lo passato.
Finalmente nell' interesse della statistica sarà
utile di annotare, come di cinque suicidi ben quat-
tro siano avvenuti nella stagione estiva, nella età gio-
vanile, nel sesso piiì forte, e per mezzo di veleno:
risultamenti che corrispondono in gran parte alle
osservazioni di tutti i luoghi e di tutti i tempi.
C. Maggiorasi
271
Inni ecclesiastici secondo V ordine del breviario ro-
mano, volgarizzali da Giuseppe Gioacchino Belli.
Roma, tipografia della R. C. A. 1855. [voi. 1. in
8 di pag. 552).
G
' italiani aver tradotto prima , più e meglio di
ogni altra nazione , affermò Scipione Maffei. Né lo
affermò solamente. Lo provò ancora pubblicando la
notizia de'volgarizzamenti d'antichi sì latini e sì greci
fatti dai nostri, quanti al suo tempo n'erano in luce,
e quanti potè egli vederne. E veramente fu quella
una dimostrazione ben ampia della ricchezza, che
abbiamo anche in questa parte, non ultima al certo,
della letteratura. Quantunque s' andasse poi accre-
scendo il numero degli scrittori dal Maffei ricordati,
chi l'uno c»chi l'altro nuovamente rammentandone.
E ne ho esempio nel libro stesso de'traduttori, che
adesso è di mio uso, e fu già del cavaliere F. Ve-
nuti. 11 quale a carte 23 (ediz. di Venezia del 1720)
aggiunse la Traduzione delle opere di S. Giovanni
Climaco del liOO , come esistente nella domestica
sua biblioteca in Cortona : e poi , a carte 68, un
bellissimo volgarizzamento delle Eroidi in prosa, senza
nota d'anno o di stampa, conservato nella biblio-
teca medesima.
Quella lode degl' italiani s' è poi andata sem-
pre accrescendo. Tante sono state le bellissime tra-
duzioni messe a stampa dopo il Maffei. E vengono
in parte di quel vanto questi nostri tempi medesi-
272
mi. Da che in essi abbiamo veduto stupende prove
ne'volgarizzainenti più ardui, cominciando dai due
massimi poemi d'Omero, inseparabili omai dalla glo-
ria e dal nome del Monti e del Pindemonte, che as-
sai pili nostri li resero , che mai per i' addietro
non furono, e tolsero ad ogni moderno idioma la
palma di traslazioni siffatte.
Pensò il Maffei di trattare una questione assai
grav«, colla occasione che gliene porgeva V argo-
mento medesimo del suo libro. Dico quella di pren-
dere in esame il quasi doppio genio, che corre nel
tradurre, e le due diverse idee, che in certo modo
distinguono i traduttori. Perchè (scrisse egli) altri
poco altro cura, se non di fare un libro , che da
ogni sorte di persone della sua nazione con piacere
e senza difficoltà si legga: onde a questo accomoda
il suo stile, e non ha punto di riguardo a mutar co-
lore, e né pure" a render vocaboli e nomi con voci
odierne, che non corrispondono, o che impropria -
mente ad antichi autori s'attribuiscono. Altri all' in-
contro si studia d' insister sempre nel suo testo, e
non solamente di rappresentar fedelmente i concet-
ti, ma le parole ancora , e la misura e 1' aria del
dire, e l' indole del suo autore. Generalmente par-
lando, inclinano alla [)rima strada i francesi, e ab-
bracciano gl'italiani la seconda: in che veramente
pare che questi debbano anteporsi, poiché dalla fe-
deltà, dall' inerenza, e dall'esattezza trae suo pregio
più essenziale un interprete: e chi fa una traslazione
non par che debba studiarsi di lavorare una bella
figura, ma un bel ritratto. Queste però son del nu-
mero di quelle dispute, che fatte in universale non
273
riescono mai a termine alcuno: perchè chi tiene per
il tradur libero, reca tosto esempi, e modi del te-
stuale, che danno neirecjcesso, e a forza di star at-
taccati diventan ridicoli; e chi sta per l'altra parte,
altri ne mette fuori, ne' quali per parlar con gra-
zia, anche il sentimento dell'originale interamente
abbandonasi. Io aveva in animo d' andar rintrac-
ciando se per via d'esempi si potesse quasi fissare
i contini dell' una e dell'altra strada: accennando le
sconvenevolezze e gli errori , ne' quali per seguire
troppo o questa o quella urtar si può; ma basterà
per ora aver soltanto accennato. Sin qui il Maffei,
che rimase contento all'aver additato dove fosse il
nodo della proposta dilTicoltà, e come forse potesse
andare disciolto, senza passare più oltre.
Avendo a render conto del nuovo volgarizza-
mento degl' inni ecclesiastici secondo 1' ordine del
breviario romano, per la quale si conferma e s'ac-
cresce la bella fama, che già possiede nell' italiana
poesia, il eh. signor Giuseppe Gioacchino Belli , ci
avverrà di dover fare appunto quel paragone che il
Maffei voleva tentare. In questo caso però, e in al-
tri ancora non pochi, si avrà a conchiudere diver-
samente da quanto quel sommo valentuomo mo-
strò, nelle parole riferite di sopra, d' aver per ca-
rattere dell'ottima traduzione.
Spesso per dare una adeguata idea del testo che
si traduce, egli è giuoco forza di ricoi'rere a più
larghezza di modi, a più dovizia di elocuzione , a
maggior rapidità, o a maggior veemenza di parole.
Artifizi tutti, senza de'quali s'avrebbe inanimato il
ritratto , mentre si guarda a renderlo somiglian/e.
G.A.T.CXTJIl. 18
274
Anzi s'avrebbe aneora dissimile. Molto ò dti consi-
derare ancora l' indole della lingua e molto l'indole
del componimento. Spesso nel latino, che adesso ci
conviene solamente d'avere in mira, una voce, una
frase sono tutta maestà , che non dicono nel vol-
gare il medesimo, se d'alcun epiteto non s'accom-
pagnino , se di qualche modo con industria non si
sollevino e nobilitino. Chi usa tnli artifizi alla opportu-
nità, e con discernimento, opera con magistero del-
l'arte, e si mostra assai miglior traduttore di quello,
che inleso a trasportare l'una nell'altra parola, non
bada all' infelice risultamento che vien formato poi
dall' insieme ; donde torna quella fedeltà sua infe-
delissima e dall'originale lontana quanto più intende ,
di rimanere ad esso aderente. Mentre che l'altro con
quel suo precedere più libero, così alto ti leva co-
me l'autore suo ebbe forza levarsi ; così ti com-
muove come quello intese commuoverti: e se aggiunge
vivezza al colore, evidenza alla locuzione, chiarezza
ai pensieri, così lo fa come quello scrittore, se usato
avesse il nuovo idioma, credibile è che fatto lo a-
vrebbe egli stesso. E questo pure è da aggiungere,
che se spinto dall'argomento, che già tratta quasi suo
proprio, accresce all'originale alcun tratto, ciò ese-
guisce appunto come talvolta nelle composizioni di
musica vien praticato: prendendo il motivo dal te-
ma , poco uscendo da quello , e in quello sempre
tornando.
Dissi che a paragone di questo volgarizzamento
del Belli avrei posto un altro volgarizzamento de- 1
gì' inni medesimi. Comunque vi abbia più d' uno
fatto sua prova, scelgo di preferenza la traduzione,
275
che ne compose Giuseppe Ferdinando Bilancini vi-
terbese. Fu questa stampata qui in Roma (1726 pel
Komarek in 12). e dedicata a Benedetto XIII, al
quale dice esso Bilancini d' offerirla: Si perchè la
composizione ebbe origine e progresso nelle antica-
mere di Sua Beatitudine, essendosi servito del tempo
della continua permanenza in esse per tenervi impie-
gata la mente: e sì ancora, per lo compiacimento e
stimolo dato e mostrato perchè l'operetta venisse pu—
blicata colle stampe (*). Dalle quali cose viene ma-
nifesto quanto alla premura di Benedetto XIII sia
stato conforme il pensiero di Pio IX , felicemente
regnante, il quale intento sempre a promuovere tutto
ciò che riguarda il culto divino e il fervore della di-
vozione de' fedeli, ha concesso che in fronte delli-
bro si leggesse l'augusto suo nome, e ha giovato la
pubblicazione dell' opera; e quando l'autore venne
a tributarla al suo trono, si compiacque accompa-
re le sue parole d'encomio col dono della medaglia
in oro battuta nell'anno XI del suo glorioso pon-
tificato.
(') Di Giuseppe Ferdinaiulo Bilancini non m' è venuto fallo
d' aver notizie, all' infuori di quelle che sono in questo suo li-
bretto. Si confessa egli onoralo in eccesso dalla clemenza di Bene-
detto Xlll, nelle anticamere del quale faceva continua permanenza
per tributare quegli atti d'ossequio da' quali non poteva mai esser
lontana la sua gratitudine-. DaUe quali parole sembra che s'abbia
ad intendere, ch'ef;li non avesse ufficio di corte, che a ciò lo chia-
masse Dalla pr(.fazioue si conosce ch'egli conobbe molto il cardi-
nale Giuseppe Maria Tommasi , tanto illustre per dottrina e per
santilày aflermàndo che non solamente n'ebbe impulso alla sua tra-
duzione, ma fu da lui altresì per più anni e in/ino alia morte in
[amiliari colloqui praticato e ossequialo. Per ultimo nel bi'evedel
privilegio della stampa è detto dal poiitelic.e nobile viterbese
e dottore d'ambe leggi.
276
Ma già è da venire al confronto promesso. Si
sceglie a questo uno degl'inni, ch'essendo più fa-
cilmente alla mente, renda soverchio il ristampare
il testo latino : tale certamente è quello sul mi-
stero eucaristico.
Tradotto dal Bilancini, suona cosi :
Spiega, o lingua, del glorioso
Corpo il gran misterio,
E del sangue prezioso.
Prezzo e refrigerio,
Ch'il re spinse generoso
Ch'ha del mondo imperio.
A noi dato, per noi nato
Dall'intatta Vergine :
E dop'esser con noi stato,
Chiuder volle il termine,
Al soggiorno, destinato
Con mirabil ordine.
Nella sua superna cena
Siede con gli apostoli :
Fatta qui la legge piena
Co' legali pascoli,
Dà se stesso alla duodena
Turba de' discepoli.
Carne ha il Verbo: e '1 pane vero
In carne trasformasi :
E di Cristo al grande impero
Vino in sangue mutasi :
Senza il senso, il cor sincero
Sol per fede fermasi.
277
Quindi un tanto sacramento
S'adora, e si venera :
E l'antico insegnannento
Dal nuovo si supera :
Dia la fede il supplemento,
Che'l senso desidera.
Al gran Figlio e al Genitore
Sian giubilo e laudi :
Ognun, lor virtude e onore,
Benedica e laudi :
E d'entrambi il santo Amore
Del pari collaudi.
Certo qui fedeltà non manca, quando si trovano
seguite a parola le voci del testo. Ben 1' onda vi
manca, e l'aura, e certa nobil grandezza, che , in
quella sua stessa latinità, accompagnano l'originale.
Si vegga adesso come sia stato dal Belli fatto volgare.
Canta, o lingua, il gran misterio
Di quel corpo glorioso,
Di quel sangue prezioso
Che del mondo il re versò.
Nato a noi' d'intatta vergine
Al compir de' fissi tempi.
Con parole e con esempi
Cristo il mondo addottrinò.
Al dì estremo nel cenacolo
Spezzò il pane a' suoi fratelli,
E nel pan, che porse a quelli,
Volle pascerli di sé.
Pane e vin per lui diventano
278
Vera carne e vero sangue :
Se al prodigio il senso langue.
Basta in noi la sola fé.
Veneriamo adunque il massimo
Sacramento a noi largito,
E l'antico al nuovo rito
Ceda in granzia e santità.
Onoriam Teterna Triade
Che, a lavar la colpa nostra,
In quel corpo ci dimostra
Tanto ardor di carità.
Sarà giudice ciascuno della diversità, colla quale
fu r inno trasportato nella nostra lingua dall' uno
autore e dall'altro. Volle il primo, con modi ade-
renti in tutto al latino, tradurlo in ciascuno de' versi;
bastò all'altro, che le più sostairziali cose e le me-
glio espresse fossero presentate nel suo volgarizza-
mento: e quelle, che mal potevano, e solo con du-
rissimi suoni, esser tratte nella nostra poesia (come
la strofa ultima dell'inno) interamente lasciò da parte.
Quanto a me, io biasimo l'esattezza quando al sog-
getto toglie maestà, e in questo caso ancora stimo
grande l'autorità d'Orazio dove consiglia : aversi a
lasciare da banda quel che non si può, trattandolo,
di chiarezza adornare.
Ma già è da passare a nuovo paragone. E qui
mi piace ripetere ancora il testo latino, perchè egli
è in vero di tanta eleganza e soavità, da formare
una delle più elette gemme del sacro Parnaso. Dico
dell'inno de' ss. innocenti, ch'è tale :
279
Salvete, flores martyram,
Quos lucis ipso in limine
Christi insecutor sustulit,
Ceu tuibo nascentes rosas.
Vos prima Christi victima,
Gl'ex immolatorum tener,
Aram sub ipsam simplices
Palma et coronis Indite,
'esu, tibi sit gloria,
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre et almo Spiritn,
In sempiterna saccaia.
stio il Bilancmi,. secondo che qui segue:
Lodiamo i fior de' martiri,
Che nel maltin de] vivere
Erode svelse barbaro,
Come le rose il turbine.
Prime di Cristo vittime,
Che semplicette e tenere
Presso l'ara medesima
Con le Jor palme scherzano.
Gesù, ne sia a te gloria
Che nato sei di Verdine,
E al Padre, e all'almo Spirito
Ne' sempiterni secoli.
Ecco poi come furono tradotti dal Belli :
Salyète, o fior de' martiri,
Che al primo albor la vita
Vedeste a voi rapita
Del nato re del cielo
Il reo pcrsecutor,
Vi lacerò lo stelo
E guasti al suol vi pose.
Come nascenti rose
Del turbine il furor.
Prime di Cristo vittime,
Ostie del divo agnello,
Foste immolate a quello :
E semplici e innocenti
Sovra lo stesso aitar
Vi rimirar le genti
Fra i ferri del ladrone
Le palme e le corone
Ridendo brancicar.
Al nato d'una Vergine
Al re della vittoria,
Sia sempiterna gloria :
Sia gloria al Genitore
Che in terra lo mandò,
E gloria al primo Amore
Per cui virtù il Messia
Nel grembo di Maria
Discese e s'incarnò.
Abbiamo negli addotti due esempi il modo, col
quale il Belli ha in diversi di questi inni condotto
il suo volgarizzamento , ora con farne poesia piìi
breve, ora con ampliarne il concetto- Sia qui ag-
giunto ancora un saggio della traduzione, che tiene
il metro e il numero dei versi deiroriginale, com'è
nell'inno IV ;
281
Ecce iam noclis lenuaiur umbra eie.
Già della notte si dirada il velo,.
Già veggon gli astri rosseggiar l'aurora :
Su, al re leviamo, c'ha suo trono in cielo,
Prece canora ;
Perchè dai servi del tiranno inferno
Fughi ogni ambascia dell'error seguace,
Dia lor salute, lor dia poi Teterno
Premio di pace.
Il Padre e il Figlio col lor santo Amore,
Per cui fu l'alvo di Maria fecondo,
Ci sian benigni, quanto han gloria e onore
Per tutto il mondo.
Stimiamo che per tali saggi e per tali confronti
s'abbia manifesto il merito di questa egregia fatica
del eh. traduttore. Il quale aveva già fatto cono-
scere quanto valesse anche in questa difficile ma-
niera di poetare, portando in terza rima le litanie
della Beata Vergine, congiuntamente alle preghiere
che le incominciano e le finiscono (Roma, Salviuc-
ci 1853). Prova in vero ben ardua e con rara fe-
licità eseguita, legando insieme le invocazioni suc-
cessive di quella serie tanto piena di belle immagini
e di begli atTetti , divisi però fra loro ciascuno, e
come finiti in se. E questo con sì piano e facile
modo, quanto è ne' versi seguenti.
Lucidissimo specchio di giustizia.
Sede di sapienza, in cui Tuoni pone
La vera causa della sua letizia;
282
Vaso sfdi'itual d'elezione,
Vaso d'onòie, a chi d'onoi' ti veste,
Vaso insigne d'insigne devozione :
Mistica rosa del giardin celeste,
Torre eburnea di David per coloro,
Che fuggon l'armi del nemico infeste:
0 di Dio sacro albergo, o casa d'oro,
Arca nova di pace e d'alleanza.
Porla alla reggia del superno coro.
Ben si scorge per queste cose tutte, e nel li-
bro, che ci fu cagione a tenerne proposito, chia-
ramente sì trova e conosce, quello, di che Francesco
Spada meritamente, con sua lettera mandata a stampa
(Roma, Salviucci 1856), lodò fra molti altri encomi
l'amico suo Belli. Dico il pregio d'un intimo affetto
e pensiero religioso , che dall'animo delI'A. venne
trasfuso ne' suoi versi. E fu religiosa ed utile in-
sieme la sua opera, rendendo così chiari e aperti
alla intelligenza di ciascuno i concetti di questi inni.
Lieve cosa è poi l'argomentare quanto l'impresa ma-
lagevole debba essere stata ad eseguire , e quanto
diffìcile quella facilità, che fa sembrare di sì libero e
spontaneo andamento quello ch'è dall' A. tradotto. Gli
eccellenti volgarizzatori nostri, e generalmente tutti
che in loro linguaggio trassero le opere altrui, se-
guendo una spontanea elezione, si. volsero a quegli
scrittori, che più all'indole loro trovarono esser con-
formi. E qui, pare a me, essere una delle princi-
pali cagioni dell'ottima riuscita di que'layori, e di
quella maniera sì propria dell'originale, da metter
dubbio, se il primo dottato o il secondo meglio espri-
283
ma il pensiero. Anzi da rendere sicuri, che l'autore
antico in quel nuovo idioma scrivendo, né altre pa-
role usato avrebbe, né frasi, nò andamento di stile,
che fossero diversi. Crebbe al Belli difficoltà l'avere
a ricalcare le vestìgie di molti, piuttosto che seguire
il sentiero da un solo percorso. Sicché col suo solo
ingegno gli fu giuoco forza esprimere le fantasie e i
modi d'ingegni diversi, e quando vincere la oscurità
di certe locuzioni, quando la negletta maniera di certe
altre rialzare. Gli bisognò ancora addoperare ora que-
sto, ora quell'artifizio, per esprimere con eleganza de-
gna del religioso concetto talune cose, che passavano
assai facilmente sotto le forme d'una favella già
morta; madie trasportate in altra vivente, avreb-
bero fatto ben diversa comparsa. Industrie tutte ,
che si rimangono occulte a chi non consideri lo
svantaggio grande eh' ebbe il traduttore, e guarda
solo alla padronanza che seppe acquistarsi sul testo,
rendendolo così piano e agevole, da far pensare ad
ognuno, che avrebbe egli spiegato e scritto a quel
modo. Se non che in quella persuasione medesima
sta il massimo della lode , alla quale il traduttore
possa aspirare, e che ha l'A. nostro conseguito. Ma
perchè non sembri che la stima e l'affetto, che ci
pregiamo avere per il sig. Belli , ne tragga solo
all'encomio della sua opera, vogliamo avvertirlo qui
d' una cosa , che già un conoscitore sommo della
nostra lingua fece osservare ad un sommo nostro
poeta ; ed é in proposito d' avere usato, nell'innor
XCIX per santa Teresa, la voce colombella^ come
diminutivo di colomba^ dal latino:
284
Haec est dies qua, candidae
Instar columbae, caelitutn
Ad sacra tempia spiritus
Se transtulit Teresiae,
volgarizzando.
Questo è il giorno in cui, qual candida
Colombella innamorata,
Di Teresa al ciel chiamata
La bell'anima volò.
Ma che colombella renda altra immagine al pen-
siero di quella che l'A, volle destarvi, eccolo detto
già nell'incontro sopra accennato, secondo lo narrò
il Dati (Prefazione generale alle prose fiorentine) ,
colle parole del quale mi è in grado di porre fine
a questo articolo.
« Mi sovviene ancora, che Gabriello Chiabrera,
a cui il parnaso toscano dee la poesia pindarica e
l'anacrentica, considerando le maniere tenute dalla
nostra lingua per formare i suoi tanti e si diversi
diminutivi, pensò che da colomba fosse benissimo
derivato colombella : e per esprimere in una sua
canzone in lode della Beatissima Vergine quel luogo
della cantica: Qnam pulchra es, amica mea, quam
pulchra es ! Oculi lui columbanim, ahsque eo qiiod
intrinseciis laici: dolcemente cantò:
Come sei bella, o del mio core amica,
0 come amica del mio cor sei bella !
Gli occhi di colombella.
Acciocché dell'interno altro io non dica.
285
Ma non s'accorse, se non dopo esserne avvertito
daireruditissimo Gio. Batista Strozzi, che colombella
propriamente era una specie di colomba salvatiea,
e che in una poesia tanto elegante, e si nobile, fa-
ceva un brutto sentire. »
P. E. Vl-jCOiVTl.
286
La pellagra nei suoi rapporti medici e sociali.
Studi del D^ Carlo Morelli. 8" Firenze pe'tipi
alle Murate ÌS^ò. [Un voi di pag.21^).
Ili divisa lalo opera in otto capitoli, previa la de-
dica e la prefazione. Si parla nel primo dell'etimo-
logìa, sinonimìa e sintomi della pellagra. Nel se-
condo del temperamento, età , sesso, distinzione e
divisioni del morbo medesimo. Nel terzo deli'etio-
loe;ìa in generale e delle cause di tale infermità.
Nel quarto dell' anatomìa patologica dell' anzidetta
malattia, e degli studi chimici sui suoi prodotti mor-
bosi. Nel quinto della sua terapeutica. Nel sesto
delie opinioni patologiche, e della patologìa ad esso
morbo relativa. Nel settimo della storia, della ori-
gine, e della diffusione di detta malattia in Toscana
ed altrove; Nell'ottavo infine delle congruenze spe-
ciali e delle successioni ed effetti di sì infrenabile
morbo: dei compensi profilattici e sociali per i me-
desimi.
Ove si volesse dare un'esatta idea di tutto ciò
che con tanta sensatezza e profondità di sapere è
slato scritto in questo libro dal suo dotto autore ,
converrebbe al certo impiegai'e il doppio di quello
che da lui si scrisse. È un libro che onora la no-
stra Italia per i sentimenti espressi a favore della
languente umanità , ed il nostro secolo per i veri
progressi dell'arte salutare. È un libro che si rac-
comanda specialmente agli odierni pubblicisti , che
287
uniti ai medici debbono eoopenue a mandare in atto
quanto dal dotto autore si propone, ed a quelli a
cui la Provvidenza ha atìidato la salute dei popoli,
onde allontanarli da un infortunio peggiore forse
della morte stessa. Che se a tanti mali, che afflig-
gono l'umana famiglia, si rendono inutili i soccorsi
della scienza perchè al primo ordimento di essi prin-
cipia la disorganizzazione delle parti dal morbo at-
taccate, che è quanto dire la morte; l'arte peral-
tro salutare può con profilattiche istituzioni tenerli
lontani o farli per sempre scomparire fra gli elementi
di distruzione. I sui»ii;erimeuti che dà il nostro chia-
rissimo autore per raggiungere lo scopo prefissosi
circa il nuovo micidial morbo, onde perderlo per
sempre, come accadde della lebbra , ove siano da
chi presieda alla pubblica incolumità mandati ad
effetto, si potrebbe esser sicuri del piiì certo risul-
tato. Lode sia resa al nostro illustre autore, che
con la sagacia la piij profonda ha saputo trattare il
suo argomento in modo da non lasciare altro a de-
siderare.
DtJTT. GlUÌCJORlO RlCCAUOI.
288
Odi di Achille Monti. 8" Firenze, tipografia
Le Mounier 1856. (Un voi. di pag. 121).
Xn questi mesi è stata Roma diremo quasi inon-
data da un diluvio di poesie , stampate qui ed in
Firenze, da far vergognare, salvo non molte eccezioni,
chiunque ha sentimento di un poco di buon gusto
e di dignità italiana. Sicché se la cosa andasse più
oltre , certo avverrebbe quello che già ebbe a dire
il Giordani nel proemio al Peplo del marchese di
Montrone: nulla di più peregrino potersi omai re-
care air Italia, che il suo proprio stile italiano. Né
lo stile solo, ma sì le splendide e leggiadre forme
deir italiana mente. E ciò non per altro che per
viltà, checché ne mentiscano, di parer nati in altra
regione che in questa patria : e per vaghezza stu-
pida d'essere chiamati scimie, e di correr dietro a
non so quali larve, che loro si mostrano melanco-
niche ed irte, e spesso co' veleni e co' pugnali in
mano, fra i popoli di là da' monti. Veramente nuo-
vissima scuola per noi: la quale ci fa essere ad un
tratto orridamente lutt'altri da quelli che la Prov-
videnza ha voluto che siamo sotto così bel cielo. Nulla
infatti hanno di più caro e nuovo i nostri poetu-
coli d'oggidì, che di mostrarsi nelle loro cantilene
sempre non solo mal contenti, ma sospirosi, lagri-
mosi , anzi disperati di tutto : disperati delle cose
domestiche, disperati delle passioni d'amore, dispe-
rati de'fatti politici; disperati se ci si porgono pas-
289
seggianti in un giardino, dispeialì se dicono di tro-
varsi a una festa, disperati in fine non meno se dor-
mono e sognano, che se vegliano : insomma tali ,
ripetiamo, in tutti gli atti della loro vita. Sicché
credereste proprio ad udirli , che la sera stessa o
dovessero avvolgersi un laccio alla gola , o fossero
per gittarsi capovolti in Tevere. Non temete però di
nulla: anzi là vedeteli ai teatri, ai caffè, ad ogni ri-
trovo spassarsi allegrissimi co'loro compagni, e ga-
vazzare, e bere, e far bel tempo: ridendosi delle not-
turne strigi, e de'gufi compagni , e delle solitarie
lande, e de'cimiteri dove cantano essere la loro più
grata dimora (già si sa) a lume di luna. Non è dun-
que nell'animo loro questa nera melanconia e dispe-
razione: come non fu mai cosa degl' italiani se non
usciti d' intelletto o misantropi: ma è nelle dottrine
della nuova scuola poetica. Bella scuola in vero, e
da doverne avanzare la civiltà de' popoli, e il bene,
la pace e la letizia delle famiglie e delle città !
Dal volgo di cotesti novelli imbrattacarte vuoisi
però sceverare un giovane d' anni, ma di mente ma-
turo. Achille Monti romano: il quale educato alla
classica scuola, alla grande cioè e magnifica scuola,
e solo in essa trovando italiano ogni ragione ed
ogni delizia, mostrasi degno per nobile fantasia di
quel sommo Vincenzo Monti, che gli fu prozio. Di
che non sapremmo dire qual sia la nostra allegrez-
za: essendoché speriamo che l'egregia prova ch'egli
ha fatto e fa della sua immaginazione possa trarre
altri giovani a rinsavire, e a tornare sulla via eter-
namente vera e famosa de'padri, sia latini, sia ita-
liani : le maggiori menti poetiche ( insieme con le
G.A.T.CXLIH. 19
290
greche incomparabili) che siano sorte ad ingentilire
l'umana generazione. Oltreché già egli stesso ci pro-
mette in se, quando bene perseveri, una nuova glo-
ria del nostro Parnaso.
La musa del giovane Monti è generalmente grave
e severa, sempre religiosa e casta: cioè lontana al
tutto così dalle vote ciance, come dalle turpitudini,
irreligiosità ed orridezze che oggi infamano tante
carte. Sgrida egli il secolo colla voce del savio, non
del temerario , in ciò che il secolo ha di merite-
vole d'essere riprovato : ma non tace i beni , che
non lievi pur sono in tanta luce di ragione e di
civiltà. Propostosi principalmente a modelli del suo
verseggiare Dante, il Parini, il Leopardi, e Vincenzo
suo, talor dileggia e schernisce, talor folgora e tuona:
ma sempre tu sei in questa Italia, ed italiano e il cielo
sotto cui ti ritrovi anche in mezzo al sonare della
procella, non fra i geli, i venti e le nebbie del set-
tentrione. Aggiungasi che nostrali altresì, oltre ai
concetti, sono la lingua e lo stile; tersa Y una e
senz'affettazione, l'altro gentile e scevro dalle gon-
fiezze e dalle ridicole e sformale metafore, che danno
in questi tempi così gran segno dell'ebrità roman-
tica.
Venti sono queste odi, e cantano (oltre alla proe-
miale) il Vero, la Gloria, la Viriù, la Nolte, la Pa-
tria, il Lusso, la Solitudine, la Felicità, le Arti, la
Vita campestre, la Speranza, la Poesia, la Lingua,
la Pace, la Sapienza, il Passeggio, il Teatro, VEdu-
cazione, la Lode, il Silenzio. Chi ne desiderasse un
saggio, abbialo nel seguente.
291
LE ARTI.
In questa sacra e generosa terra,
Cui fu cortese il ciel d'eterna gloria,
Ogni gleba, ogni sasso in grembo serra
Degna memoria.
Qui lo stranier maravigliato affisa
Gli anfiteatri, le colonne, i templi,
E sculto in essi lo splendor ravvisa
De'prischi esempli.
Invan ne irride, e con beffardo ghigno
Dice cadute le virtù degli avi;
Invan ne chiama, insultator maligno,
Codardi e pravi.
Grandi siam sempre: Timmortal favilla
In noi spenta non è; di nube oscura
Fortuna indarno la copria; scintilla
Nella sventura.
Qui dell'arti il gentile, il grande, il bello
Fin dall'età remote han posto il nido:
Con la cetra, co'marmi e col pennello
Levammo il grido.
Ma chi, dolce mia terra, oh ! chi ti spoglia
E le dovizie antiche a noi contende ?
Chi tuo retaggio per ingorda voglia
Disperde e vende ?
Tanto può nostra cupidigia ? I petti
Più non stringe l'amor del natio loco ?
Già langue in noi de'più soavi affetti
Il santo foco ?
292
Cij^olan cani, e sul ceruleo piano
Spiegan agile il volo estranie prue...
Italia, e che ? Cedi a nemica mano
Le glorie lue ?
Dunque i sacri tuoi pegni a te rapiti
Saran per sempre, e dell'indegne prede
Superbo andrà ne' più lontani lidi
Barbaro erede ?
Dunque, patria infelice, or più non prezzi
Le tue memorie? Oh vitupero! Oh scorno!
Eppur tuoi figli a tanta ignavia avvezzi
Non furo un giorno !
Giugneano a te da le suggette prode
Del felice oriente ampi tesori:
Non pur fecondi di guerriera lode
T'eran gli allori.
Deposto il brando, in te dell'arti in regno
Surse, e del nome l'universo empisti;
Mille prodigi dell'ausonio ingegno
In te fur visti.
A te correan come a maestra e donna
I popoli devoti, e salutata
Del ballo eri e del ver salda colonna,
Madre beata.
Tornò la gloria in onta; e tu, smarrita
Del corso tuo, segui ingannevol lume:
Risorgi, al mondo le tue leggi addita,
E 'I tuo costume.
Ma tu, folle, non m'odi; a ben fiillace
La mano, usata alle vittorie, stendi ?
Via, se ricchezza più che onor ti piace,
Te stessa vendi !
293
LA POESIA.
Se nobile disdegno
Te non rattien, se schiva
Non sei d'un plettro indegno,
Spirami l'aura tua che l'estro avviva,
Fa che la voce mia
Alto di te favelli, o Poesia.
So che scacciata in bando
Dal tuo diletto nido,
Spettacol miserando,
Erri deserta per l'ausonio lido;
Ma non però men bella
Splende sul capo tuo l'antica stella.
Il tuo manto regale
Lacero in ver si mostra;
Ma non ti tarpa l'ale.
Te non fa schiva la vergogna nostra ;
Nelle tue luci meste
Si pare ancor l'origine celeste.
Nata con l'uomo, accesa
Ne' cantici divini,
La fiamma tua sorpresa
Non fu da nebbia, e non trovò confini ;
Sol per l'acheo terreno
Folgoreggiava di maggior baleno.
Poi fra quest'aure molli
Apristi '1 dolce riso,
E su i latini colli
Si mostrò più leggiadro il tuo bel viso,
Quando nell'idioma
Sonasti, 0 dea, della vitlrice Roma.
294
Al fin del sì gentile
Vaga la lingua nacque :
Tu non l'avesti a vile,
Anzi cotanto sua beltà ti piacque,
Che desti '1 primo vanto
DeirAlighieri e del Petrarca al canto.
Allor maestra e donna
Surse l'itala terra,
Ch'or neghittosa assonna,
0 sconoscente le sue glorie atterra;
E 'n tanto onor levossi,
Che il mondo innanzi a lei muto inchinossi.
S'udia per piagge amene
Il canto de' pastori,
E le rustiche avene
Colsero guiderdon di mirti e allori;
Rideva il mar vicino
Delle sirene al modular divino.
Altri l'epica tromba
Sonò degna d'eroi,
Così che ancor rimbomba
Fatto immortale il nome suo fra noi,
E, di Torquato altero,
L'italo suolo non invidia Omero.
Ma come della valle
Vapor sorge repente,
E su le apriche spalle
Posa de' verdi poggi un verno algente,
Così del fango sorta
Boreal nebbia nostre glorie ammorta.
Non più di lauri e rose
Ti fai corona al crine,
295
Ma un serto ti compose
L'età novella d'irti bronchi e spine;
Sotto limpido cielo
Ti fanno ingombro orride nubi e gelo.
Ma non temer : celata
Sotto barbara vesta
Sarai per poco ; ornata
Di tua bellezza levarai la testa :
Vero valor non cade,
E tue son pur quest'itale contrade.
Deh ! non fuggirti, o dea.
Da queste vaghe sponde :
Di tua dolcezza bea
Qualche gentil ch'ai tuo chiamar risponde:
Sorridi a chi t'onora,
E del nuovo trionfo aspetta l'ora.
L'EDUCAZIONE.
Invan sorride, invano
Largo il cielo a' mortali: ove non giunga
Saggia e pietosa mano
Che tempri i caldi affetti, i tardi punga,
Inutile è il suo dono, e tosto in seno
La cara pianta di virtù vien meno.
^Oimè ! del senno antico
Miro negletti i fonti, e l'età nuova
Non mostra il volto amico
All'esempio degli avi ! Or sol ne giova
Stolti seguir quel che in estrania riva
Nasce, e aspettato a' nostri lidi arrìva f
Del latino idioma.
Grato a non guaste orecchie, or più non s'ode
296
Il maschio suon; di Roma,
D'Atene è spenta la gentil melode ;
L'itala poesia già mozzo ha il crine,
E si veste di fogge pellegrine.
Nell'aule de' potenti,
Che in braccio a faticoso ozio mai sempre
Traggono i dì, non senti
Un italico detto : in aspre tempre
Suonan barbare lingue, ed obliata
De' padri è la favella intemerata.
Del ver la voce santa
Rado là dentro ascolti, e di sue fole
Vago mastro l'ammanta.
Leve testor di galliche parole;
Onde Sofìa, non più reina, tresca
In corta gonna quasi vii fantesca.
Di perigliosi balli
Ivi l'arte s'impara, e guidar cocchi,
Ed infrenar cavalli,
E atteggiar la persona, e volger gli occhia
E fingere il pudor là dove è morto,
E scaltro riso e favellare accorto.
0 prischi itali petti,
0 romane incorrotte alme sdegnose,
Sacri felici tetti.
Culla a forti guerrieri, a fide spose,
Ove ne andaste ? Perchè a' rei nipoti
Son di gloria, d'onore, i nomi ignoti ?
Il cittadin ch'estolle
Ai grandi il guardo, e a se di lor fa speglio,
Apprende il viver molle,
A! peggio inchina e chiude gli occhi al meglio;
297
II fasto inerte, il viver empio imita»
E improvido alla colpa i figli invita.
Quindi ogni legge vana,
Smodate voglie, ambizion crudele :
Quindi la plebe insana.
Ch'empie tutto di furti e di querele ;
Quindi i patti disciolti,
Le man sanguigne, impalliditi i volti.
0 patria mia, d'armati
Scese dall'Alpe un dì torbido fiume,
Che i tuoi campi beati
Devastò, spense il mite aureo costume ',
Ma pur ti rimanean ne la sventura
Intelletto non servo e lingua pura.
Or più malvagia peste,
0 sciagurata, le tue terre inonda ;
Furia in sembianze oneste
Archi non tende, non brandisce spade.
Ma dolcemente di venen t'infetta....
E tu, cieca, non sorgi alla vendetta ?
Padre del ciel, deh purga
Dalla lue maledetta il mio bel nido ;
Fa che Italia risurga
In sua grandezza; a me rafforza il grido.
Sì ch'io svegli costei che neghittosa
11 capo stanco su le coltri posa !
298
Lettere inedite del marchese Luigi Biondi
e di monsig. Pellegrino Fariui.
AL CHIARISSIMO CAVALIERE
SALVATORE BETTI
Prof, e Segretario perpetuo dell'accademia
di S. Luca.
liei volume 85 di questo giornale apparve già un
Saggio di lettere famigliari del march. Luigi Biondi,
che si ebbe le più liete accoglienze dal pubblico ,
che le trovò pulite assai e di elegante naturalezza.
Per questo appunto, e per l'amicizia che vi strinse
a quel valentuomo , essendomi venute a mano al-
quante lettere di esso non più stampate, ho voluto
indirizzarle a voi , sicuro di non dispiacervi : e le
ho congiunte ad alcune altre comprese in vari li-
bri , ma non contenute né nel Saggio che ne die
l'Arcadico, nò in un manipolo che ne pubblicò il
dott. Enrico Castreca Brunetti (I).
E perchè questa sarebbe piccola messe, sarete
contento la faccia seguire da poche lettere di mons.
Pellegrino Farini che sfuggirono nella raccolta che
io ne feci in Bologna nel 1851 (2); raccolta , che
(1) Lettere inedite d' illustri italiani. Roma, tip. Gismondi 1846.
(2) Lettere di monsig. Pellegrino Farini. Bologna , Società ti-
pografica 1851. É preceduta da un eloquente elogio del prof. G.
I. Montanari, e dalle notizie di monsig. Farini scritte da me , e
seguite dall'elenco delle sue opere.
299
senza neppur nominaini venne riprodotta in Bolo-
gna stessa non guari dopo (1).
La benevolenza che mi portate, e la rinomanza
degli autori di questi scritti, che furono degli amici
vostri i più cari, mi rende ceito che vorrete fare
buon viso alla mia offerta , e continuare a farmi
parte delle vostre grazie: di che pregandovi stret-
tamente, mi vi professo
Devmo e affmo ser. ed amico
G. F. Rambelli-
Persiceto 13 settembre 1856.
Al prof. GAETANO LENzi. Bologna.
Roma 2 aprile 1839.
Ebbi, sebbene in ritardo, il prospetto dell'opera
che ella intende a publicare, unitamente alla let-
tera sua cortesissima. A me piace la distribuzione
de'capitoli onde l'opera sarà formata: ma vorrei che
grande cura fosse posta nella eletta degli autori, dai
quali saranno tolti tutti gli esempi del bello scri-
vere: imperocché nell'elenco di lei mancano i nomi
di taluni, che non dovevano essere dimenticati, men-
tre se ne ha qualcuno (non parlo della dottrina) che
non può darsi a modello di purezza di stile. E guai
se ai giovani si dessero scorte poco sicure ! Doni
alla mia schiettezza la hbertà con cui le parlo , e
mi abbia per suo ec.
Luigi Biondi.
(1) Lettere di monsig. Farini, precedute ec. Bologna, tipogr.
Sassi 1883.
m)
ALLO STESSO.
Roma 20 aprile 1839.
Le mie molle faccende non mi concedono di
darle un' esatta notizia degli scrittori italiani da non
essere tralasciati nell'opera da lei immaginata. Parlo
dei defunti, perchè sui viventi non darei mai giu-
dizio. Le dirò solo in poche parole , che special-
mente si affidi ai trecentisti. Tra i primi non può
essere dimenticato l'Alighieri che ha squarci d'elo-
quenza grandiosa, né il Passavanti che nella parte
narrativa è maraviglioso, né tanti e tanti altri: tra
gli altri scelga fra le lettere dei XIX autori stam-
pate nel 500, e schivi quelli che hanno fraseggiare
contorto : vizio di molti in quel secolo. Non mi
dilungo, perché il tempo mi manca. Mi creda con
particolare stima suo ec.
L. Biondi.
ALLO STESSO.
Roma 11 maggio 1839.
La ringrazio della gentile offerta dei primi vo-
lumi della sua collezione. Ma già io aveva procu-
rato di averli, e ne farò lettura alla campagna, dove
andrò a soggiornare primachè si termini questo mese.
Mi comandi ella in qualche cosa, e tribuisca la bre-
vità e la fretta dello scrivere alle moltissime bri-
ghe onde sono circondato. Mi abbia non pertanto
per suo ec. L. Biondi.
Veggo di avere scritto in mezzo foglio, e le ne
faccio scusa.
301
ALLO STESSO.
Ruffinella 29 luglio 1839.
Sono da più d'un mese in questa villa, ove non ho
ricevuto notizia alcuna della sua collezione. Forse i
primi volumi saranno in Roma: ma ninno finora me
ne ha dato cenno. Cercherò nondimeno di averne
contezza. Intanto ringaziando V. S. della premura
che ha degnato di prendere a mio riguardo , ho il
bene di rassegnarmi con sincera stima suo ec.
L. Biondi.
AL CONTE GIOVANNI MARCHETTI. Bologna.
Roma 23 dicemb, 1827.
Temo non forse la S. V. chiarissima mi abbia
tenuto per iscortese da che sì lungo tempo ho in-
dugiato a renderle grazie dell'avermi stimato degno
di quelle sue belle prose, e di quelle sue care poe-
sie, le quali hanno un suono dolcissimo petrarche-
sco, che piace all'orecchio, e si fa sentire nell'ani-
ma. Ora adunque le dirò, che quando mi giunse il
dono, io era in letto con febbre: e più le dico che
que' suoi versi e quelle sue prose hanno giovato la
mia convalescenza: perocché ne'giorni che sono tra
la infermità e la guarigione , può chiamarsi fortu-
nato chi fra le molte cose, che gli danno noia, una
ne trova, quasi giunta improvvisa che lo diletta. Ed
io diletto grandissimo ho trovato nella lettura delle
sue opere, che tengono dell'oro antico. Veramente
Bologna è privilegiata dal cielo. Costi la via del
302
bello non e smarrita, nìercè della voce e doiresein-
pio di quel grande ingegno che è il Costa, e di co-
loro che gli sì sono fotti compagni. Saluti di gra-
zia in mio nome i comuni amici, e mi tenga per
suo ec.
Biondi.
ALI.O STESSO.
Roma 1 aprile 1834.
Ringrazio la S. V. eh. del sollievo che ha vo-
luto dare all'animo mio indirizzandomi il bellissi-
mo volgarizzamento della lettera e versi di Fran-
cesco Petrarca e Filippo vescovo di Sabina e car-
dinale. Dico sollievo: perchè piovendo tutto giorno
sul mio scrittoio noiosa copia di romanzi e di versi
spogliati d'ogni leggiadro ornamento , non poteva
non ricrearmi questo scritto di lei, che tutto risplen-
de nell'oro de'buoni antichi. Nò io saprei che cosa
dovessi pili commendare, se la prosa , od i versi :
perchè sì l'una e sì gli altri hanno eloquenza senza
pedanteria, e ben si convengono a quel grande che
ne fu autore nella latina favella. Adunque io prego
lei, che voglia presentarmi de'suoi lavori. Nella pre-
sente deturpazione d'ogni bellezza i pochi immaco-
lati debbono venire in campo ed opporsi ai detur-
patori. E desidero che questo stesso sia pur detto
al mio carissimo Costa, il quale non dee lasciare
inoperose le sue forze, che veracemente dir si pos-
sono erculee. Me lo saluti e mi ami.
Biondi.
303
all'avv. luigi fornacuri. Lucca.
Roma 2 luglio 1839.
Oh quante e quanto grandi sono le grazie che
vi debbo riferire , mio ottimo e caro amico ! Voi
mi avete fatto avere la conoscenza della duchessa
Melzi, e del fratello di lei, persone di tanta ama-
bilità e coltura d' ingegno che si darebbe fatica a
trovare chi lor somigli. Voi vi siete compiaciuto
di scrivere quel beli' articolo sul mio Tibullo, pel
quale io mi esalto in me stesso, e ne verrei in su-
perbia , se non sapessi quanta è grande la vostra
amicizia, da cui le mie piccole cose hanno avuto
ingrandimento. Voi vi proponete di favellare del
mio Dame in Ravenna, che appunto ha bisogno del
vostro aiuto e della vostra autorità ora che il secolo
par disposto a corruzione e a rovina, e non piacciono
che le scritture che io appellerei mostruose, lascian-
do che altri le appellino romantiche, o nordiche, o
angle, o alemanne. Abbiatevi dunque, caro amico,
i miei ringraziamenti per tante vostre amorevolez-
ze, e siate certo che io sono e sarò sempre tutto
vostro L. Biondi.
AL PROF. GAETANO LENZl. BologUa.
Bologna 21 dicembre 18i4.
La ringrazio degli auguri di felicità che ha pur
voluto farmi nell'avvicinarsi delle s. feste natalizie.
IVIi sono carissimi, perchè so che vengono dal cuore.
304
Di tutto CUOIO io pure auguro a lei ogni bene de-
siderabile, e prego Iddio che ascolti i miei voti.
Ella li aggradisca , e mi creda sempre quale con
piena stima e con tutta Taffezione mi dico ec.
D. Pellegrino Farini.
ALLO STESSO.
Russi li I-i febbraro 1845.
Pili volte ho scritto a' miei amici di Ravenna
pe avere una qualche difesa forense dell'avv- Maz-
zolani: so che que'miei amici sono stati diligenti a
cercarne , ma non ne hanno potuto avere alcuna.
Rinnoverò di qua ad essi le preghiere , acciocché
essi ne rinnovino le ricerche ; ma temo che sarà
difficile poterne avere, perchè non so, se e quante
ne siano state pubblicate colle stampe. Per parte mia
abbia per certo quello che le prometto: giacché sa-
rebbe per me cosa grata il poterle mostrare quanto
ella mi ha obbligato, e mi obbliga colle sue gen-
tilezze , e com' è grande la stima con la quale mi
professo ec. P. Farini.
ALLO STESSO.
Bologna 1 del 1845.
In questi giorni il mio amico di Ravenna mi
ha risposto che ancora non è riescito ad avere al-
cuna delle difese criminali fatte dal sig. avv. Maz-
zolani, e che seguiterà nelle ricerche. Io nel rispon-
dergli lo pregherò, che lo faccia con ogni premu-
ra. Ed io stesso, se fra non molto mi troverò, come
305
credo, per qualche giorno in Ravenna, gliene rinno--
vero caldamente le preghiere. La ringrazio degli
auguri d'ogni felicità: ed io pure di tutto cuore au-
guro a lei, che quest'anno le porti ogni maniera di
felicità , e che sia così tutta la vita sua, che lun-
ghissima le desidero. Con singolare stima mi pro-
fesso ec. P. Farini.
A GIANFRANCESCO RAMBELLl. Persiccto.
Bagnacavallo 23 gennaio 1839.
Mi dispiace fuor di modo, che ne a lei, ne al
sig. Pederzini siano ancora pervenuti gli esemplari
del primo volumetto del mio Compendio. È più d'un
mese, che ne raccomandai al Melandri V involto a
lei diretto. Due settimane dopo, avendo saputo dal
Melandri, che di mandarglielo da Lugo direttamente
non vi era modo , Io pregai che lo mandasse al
prof. .Camillo Minarelli a Bologna: e io scrissi al Mi-
narelli, che trovasse modo di mandarlo a lei. Non
dubitando che a Bologna non vi sia ogni giorno
occasione per costà , aveva per certo , che già le
fosse stato portato : nò piiì ci ho posto pensiero.
Ora che dalla sua carissima vedo, che insino al dì 15
non lo aveva ricevuto, scriverò prima al Melandri,
poi al Minarelli: ed ella voglia farne ricerca al Mi-
narelli, se per sorte l'avesse ricevuto. Quando poi
sarà venuto alle sue mani, voglia ella scrivermelo
per togliermi di pena. Quando rivedrà il sig. capi-
tano Pederzini, gli faccia di tutto cuore i miei con-
venevoli : e di tutto cuore e con tutta la stima a
lei mi professo ec. P. Farini.
G.A.T.CXLIII. 20
306
ALLO STESSO.
Bagnacavallo 10 marzo 1839.
Finnlnienle sono giunti alle sue mani gli esem-
plari del primo volumetto del mio Compendio ec.,
dopo due buoni mesi che io glieli aveva inviati; ne
sia ringraziato Iddio. Mandi pure al sig. Pederzini
quegli esemplari che le domanda, ed io ne manderò
a lei quanti altri se ne vorranno, e il mezzo sarà
spedito. Al medesimo sig. Pederzini, che mi ha ri-
chiesto del modo di mandarmi i danari, ho rispo-
sto che li mandi e lei: e quando avrà danari per
me , me li mandi per la posta. Le sono grato e
tenuto di quanto ella ha fatto e fa in bene di que-
sta mia scritturetta , e con affezionatissimo cuore
mi professo ec.
Le raccomando l'inclusa.
P. Farini.
ALLO STESSO.
Bagnacavallo 28 novembre 1839.
Oggi invio al sig. prof. Camillo Minarelli in Bo-
logna un involto a lei diretto , il quale contiene
quattro esemplari dei due primi volumetti del nìio
Compendio di storia romana, chiestimi del sig. For-
tunato Cavazzoni Pederzini di Modena. Sono certo
che il sig. prof. Minarelli li manderà a lei ; ed io
prego lei che voglia mandarli al sig. Cavazzoni, e
mi tengo per certo di questo favore. Poteva il terzo
volumetto essere già uscito, se il Melandri non fosse
307
andato tanto lento nella stampa : non lasceiò di
pungerlo , acciò che possa uscire in dicembre. Mi
conservi la sua affezione, a aggradisca che di tutto
cuore me le offera, e pieno di gratitudine e di stima
mi professi ec.
P. Farini.
ALLO STESSO.
Bagnacavallo 19 ottobre 1840.
Mio pregiatissimo sig. professore. Ebbi ieri dal
sig. Bazzoni colla carissima sua se. 5, 25 prezzo
del terzo volume della mia Storia rontiana, e assais-
simo ne la ringrazio. La stampa dell'ultimo va lenta:
vorrei non ostante che uscisse in novembre. Io ho
moltissime obbligazioni con lei ; e vorrei che ella
non lo dimenticasse, e che qualche volta mi desse
modo di farle conoscere : che non potrò mai per-
derne la memoria, ne la gratitudine. In questi giorni
avrò occasione di scrivere al sig. Pederzini ; non
ostante scrìvendogli ella, o vedendolo, gli porga gli
affezionati miei convenevoli: ed ella mi creda quale
con tutta la stima e con tutto il cuore mi dico ec.
P. Farini.
A LORENZO BASSI-
Bagnacavallo 31 marzo 1838.
Il fattore di questo orfanatrofio mi ha chiesto
i frutti scaduti in favore del pio luogo; ed io l'av-
viso della richiesta. Forse fra non molto sarò costì a
parlarne con lei. Sono sempre con lealtà di cuore ec.
P. Farini.
308
AL CAV. AVV. L, C. FERRUCCI. LugO.
Ravenna 28 aprile 1835.
Amico pregiatissimo. Eccovi schietto e leale il
mio parere sopra la vostra seconda Cantica, senza
però presumere di non ingannarmi. Mi pare che
siate poeta di vena; e che Io mostriate specialmente
quando trattate di cose morali e politiche; sebbene
in nessun luogo io abbia veduto segno di povertà
o di stento, ma invece sempre dovizia. Anche gli
affetti mi paiono da voi commossi in tutte le guise,
e le descrizioni sempre felici. Non vorrei però che
delle particolarità in ogni genere di sapere ne fos-
sero troppe: e quindi per questa parte non sareste da
lodare, perchè sempre il belio torna in fastidio, e per-
chè parrebbe una pompa che vorreste fare di voi,
ponendo per pretesto quello che dovrebb'esser fine,
e avendo per fine quello che non dovrebbe essere
se non se un aiuto a conseguirlo. Bisognerebbe per-
tanto che voi riformaste qua e colà le cose che spet-
tano alle similitudini e all'immaginazione, disponendo
il tutto con sobrietà. Se questo mio giudizio vi par
vero, fatevi animo e riformate dove bisogna; affin-
chè le molte e molte commendevolissime cose del
vostro Memoriale non abbiano a perder bellezza ,
lode, e frutto. Se poi il mio giudizio è falso, la-
sciate stare : ed io sono contentissimo di avervelo
significato lealmente. E con tutto il cuore mi vi dico
affezionatissimo
P. Farini.
309
ALLO STESSO.
Bagnaca vallo 19 novembre 1840.
Mio pregiatissimo e carissimo signore. Ecco le
mie osservazioni sopra l'ultima parte del suo Me-
moriale. Non ho esposta la cagione, se non di po-
chissime, credendo che basti il metterle sotto certi
titoli: con che, se vi ha quella ragione che è parso
a me, ella la vedrà certamente; e se non la vede,
è segno certo che non vi ha. Per conclusione di
tutto però la prego ad aver per niente il mio giu-
dizio, bensì per grande la mia volontà in ogni cosa
che sia di suo piacere: il che proviene dalla vera
afifazione che le porto, e dalla stima grandissima che
ho concepito del suo insigne lavoro.
P. Farini.
AL CO. COMMEND. GfO. MARCHETTI. BologUa.
Ieri solamente ebbi qui la sua pregiatissima ,
sebbene quasi ogni giorno vi sia chi da Padova mi
porta le lettere che vi giungono per me. Ho voluto
dirle questo per non avere dinanzi alla S. V. P. la
colpa di negligente a risponderle. Insino ad ora non
ho ricevuta la sua traduzione della Dies irae , la
quale, perchè sua, sono certo che sarà bellissima,
e perciò l'aspetto con desidero, e intanto le ne rendo
somme grazie. Grazie le rendo egualmente dell'ac-
coglienza che ha fatto a' miei discorsi, ai difetti na-
tivi dei quali, altri né piccoli, né pochi, ne ha ag-
giunto lo stampatore. Mi offero di cuor vero alla
S. V. P. per quanto è nella tenue facoltà mia, e le
rassegno la piena mia stima P. Farini.
310
Ispezione scienlifica e tecnica sull'acquidoUo da cos-
truirsi nella città di Sezze, di Romolo Burri, archi-
tetto ingegnere romano.
NOZIONI PRELIMINARI
Nihil esse praeter aeris puritatem pertinem ad
sanitalem, quam aquarum salubritatem.
Rhasìs lib. 1. de Reg. Pria. e. 2.
L
1. Lj ncqiiii è un composto d'ossigeno e d'idro-
geno ; non mai però in natiii'a si trova in questo
stato di purezza. Essa può consideraisi come lunga
soluzione d'una infinità di sali, di sostanze orga-
niche, commista ad una certa quantità di aria atmo-
sferica. Questi elementi talora rendono l'acqua piti
o meno salubre. Essa è il pii!i importante per l'uomo
.fra tutti i liquidi, è la sua piiì naturale bevanda,
che unendosi agli elementi ne facilita la divisione ,
e contribuisce alla formazione del chimo e del chilo,
non meno che allo sviluppo delle diverse parti del
corpo. È di più mezzo, in cui solo può vivere una
immensa classe di animali, onde la terra e l'atmo-
sfera si popolano. L' acqua è adunque un agente
necessario per manterfere l'economia animale nello
stato naturale e sano, e non è meno propria a ris-
tabilirla allorché è alterata dalle malattie. È appunto
in vista degli importanti servigi che l'acqua presta
all'uomo, che gl'indiani rendono onori divini al Gange,
ed i greci e romani onoravano in ogni fiume ed in
311
ogni sorgente una qualche divinità particolare. Ma
quanto l'acqua pura contribuisce al ben essere della
vita, altrettanto è nociva, e diviene causa di malat-
tie, allorché racchiude sostanze non salubri. Ippo-
cratc e tanti altri sommi dell' arte salutare nota-
rono una lunga serie di malattie che derivano dal-
l'uso dell'acque insalubri.
2. In vista pertanto delle prefate generali rifles-
sioni , più volte nella città di Sezze furono fatti
tentativi per costruire la linea di condotta dell'ac-
qua S. Angelo, che sorge al nord di quella città
presso la vetta del burrone della medesima deno-
minazione. Sfortunatamente per diversi accidenti non
ebbe effetto , e la città restò sempre difettosa di
una quantità d' acqua potabile per la sua popola-
zione di circa 8000 abitanti, i quali sono costretti
a comperare l'acqua viziata e malsana delle cis-
terne de'privati cittadini , e ad incontrarne i tristi
effetti che ne derivano all'economia della loro salute.
A soddisfare finalmente il voto della popolazione ,
e togliere un elemento ai miserabili malori , che
tanto imperversano contro il ben essere della vita
de' cittadini affiettandone la morte , il vescovo di
Sezze monsignor Bedini, non che V attuale gonfa-
loniere signor conte Cerroni, iniziarono l'operazione
della costruzione della linea di condotta dell'indi-
cata acqua: e la munificenza del regnante Sommo
Pontefice PIO IX ha disposto, che dalla cassa del
ricco patrimonio De-Magistris sia tolta 1' ingente
somma di scudi 26000, onde erogarla a total bene-
ficio della città per la costruzione del tanto desi-
derato e troppo necessario acquidotto, per provve-
dere d'acqua potabile la popolazione.
312
3. Il signor Cerroni inoltre ci invitava in Sozze
a prendere le generali nozioni dell' operazione, per
quindi esibire un progetto, o sia una ragionata pro-
posta, che suol premettersi in imprese d'importanza,
prima di venire a tutti gli studi del piano d'esecu-
zione , e a compiere mentalmente il disegno dell'
opera. Nel prefato progetto esibito al gonfaloniere
furono sviluppate diverse ipotesi , risguardanti la
maniera di eseguire l'operazione : esse son dirette
a dimostiare la corrispondenza dell'opera che si pro-
pone con lo scopo desideralo : non che ravvisare
per mezzo d' opportuni calcoli comparativi il van-
taggio economico risultante dal prescegliere una
piuttosto che un'altra di quelle ipotesi. Questi pre-
liminari studi fecero concepire le più liete spe-
ranze, e promettono un felice e glorioso risultato^
sia nella parte tecnica, sia in quella economica.
4. Alle mosse d'incominciare le operazioni geo-
detiche per il piano di esecuzione, le felici e liete
speranze della città si cambiarono in una generale
e dolorosa sfiducia per la riuscita dell' operazione.
Alcuni ingegneri nel passato aprile si condussero in
Sezze a prendere appunti estimativi di agronomia,
onde operare per cose di governo. Richiesti della
opinion loro in rapporto alla costruzione della pre-
fata linea di condotta dell'acqua s. Angelo, rispo-
sero come cosa ineseguibile, sia nella parte tecnica
per le difficoltà insormontabili che s'incontrerebbero
per fare ascendere quell' acque sino alla vetta del
monte di Sezze ove è la città; sia ancora nella parte
economica per l'ingente spesa forse di scudi 100000.
L'operazione fu rigettata qual chimera, a discapito
313
del ben essere della vita della popolazione di Sezze,
e senz'effetto delle benefiche cure del sommo pon-
tefice a vantaggio della città.
5. Quali adunque non sarebbero state le oppo-
sizioni se si fosse progettata un' operazione rivale
alle tante che onorano la nostra età? L'architetto
aiutato dalle scienze diviene un enorme colosso, la
cui testa audace e superba si estolle , e va a leg-
gere nei cieli; le cui mani giungono a scandagliare
la profondità della terra; l'industria sua muove mille
braccia per iscavare o forare montagne, per colmar
vaUi, asciugare paludi, o distornar fiumi : domina-
tore de'mari, ne percorre la estensione sopra gal-
leggianti cittadelle; frena e comprime le acque, a
suo piacere le dirige e solleva, del pari che a' suoi
piedi pone la cresta orgogliosa dei monti. Fattosi
rivale degli abitatori dell'aria colle recenti scoperte
della fisica , chiama e respinge le procelle cui va
a sfidare sino lassiì nelle nubi; il suo pensiero co-
munica per via de' segni , e fa colla rapidità del
lampo volare la sua parola telegrafica dall'uno all'al-
tro emisfero; fissa gli oggetti ed i tempi, prevede,
annuncia l'avvenire ; e seguendo nell'orbita loro il
corso dei pianeti, sembra che ad essi lo prescriva,
e non potendo conseguire 1' immortalità, la dà al
suo nome, la dà eziandio alle opere sue.
6. E però che l'uomo addetto all'esercizio della
professione architettonica, esercita uua specie di sa-
cerdozio: ad esso sono confidati gravi interessi d'in-
tere popolazioni , dai quali può dipendere la loro
prosperità pel presente e per l'avvenire : quindi la
capacità e la moralità sono certificati troppo ne-
3U
cessar! per ispirare al pubblico una confidenza , e
affinchè non sia impedita una carriera che è il fine
della sua vita, de' suoi studi, e la speranza della sua
famiglia. Ninno però qual si fosse può cosi arbitra-
riamente deprimere la convenienza di un giovane,
senza articoli motivali, senza difesa, sanza giustifi-
cazione, e senza appello.
7. Pur troppo, come è sempre stato, per moltis-
simi la capacità e la dottrina non è che affare di
opinione e di apparenza! Quando nel 1407 in Firenze
si dovea innalzale la cupola di s. Maria del Fiore,
il progetto del giovane Brunelleschi fu rigettato qual
Miopia , perchè non consono a tanti altri proposti
da certi architetti, pieni d' albagia e dì soverchia
slima di se stessi, e del poco conto in cui tenevan
gli altri. In fine però tutti i sistemi proposti si ri-
conobbero insufficienti ad eseguirsi per la grande
spesa delle ridicole armature , e perchè non per-
mettevano di raggiungere lo scopo desiderato; ma
si ebbe a conoscere e lamentare la meschinità de' loro
ingegni. Non rimaneva che far prova del sistema
Brunelleschi: e s'invitò ad innalzare la gran cupola,
e innalzolla con tanta gloria, che il suo nome scritto
dalla fama su tanto monumento non morrà. La verità
non può starsi nascosta: essa si fa conoscere e ben
presto è proclamata.
E questo fia suggel ch'ogni uomo sganni.
Dante.
8. Il desiderio di rendermi utile a migliorare il
ben essere della popolazione setina, e il timore che
3!5
non abbiano effotto le sapienti e benefiche dispo-
sizioni del sommo pontefice con proclamare diffi-
coltà che punto non esistono, hanno adunque dato
motivo a dettare questo breve scritto sul prefato
acquidotto. Egli è come un appendice all'altro mio
sull'istesso argomento, e le ulteriori indagini lo fa-
ranno essere più circostanziato. Parlerò pertanto del-
l'altimetrìa del paese, ove dovrebbe passare la linea
di condotta, e della sua natura e struttura geologica:
della quantità dell'acqua s. Angelo, e delle sue qua-
lità ; dimostrerò inoltre con tutto il rigore della
scienza idraulica, la sicurezza della riuscita dell'ope-
razione, per condurre quell'acqua al punto più cul-
minante della città di Sezze. Finalmente una com-
pendiosa dimostrazione sulla spesa presuntiva per
l'esecuzione della medesima, farà conoscere la con-
venienza dell'opera proposta sotto ogni singolo ed
essenziale rapporto tecnico ed economico.
Altimetrìa e struttura geologica del paese, ove deve
passare la linea di condotta. Quantità e qualità
deWacqua. Sicurezza tecnica deW operazione. Ri-
flessioni sulla medesima.
9. La distanza dalla città di Sezze alla sorgente
delle nostr'acque è di 8 chilometri. Presso il ver-
tice d'una montagna, dal versante in verso la città,
sorgono quell'acque , e la città s' innalza sopra il
culmine di un monte. Quella montagna fa parte della
catena dei monti Lepini, i quali si estendono dal-
l' occidente all' oi'ienle. Il monte di Sezze poi fa
parte d' una subalterna diramazione dei Lepini , i
31(5
quali nell'insieme hanno la stessa direzione dei primi.
La vallata interposta alle due catene dei prefati
monti è una superfìcie curva più o meno risentita,
ascendente dal piede del monte della città sino alla
base della montagna : essa ha circa tre chilometri
di larghezza. La fertilità delle terre e indizi di an-
tichi monumenti ricordano la celebrità di queste
contrade.
10. Per una sfortunata accidentalità ì barome-
tri, che arricchivano il gabinetto fisico di Sezze ,
erano slati tolti: lo che m'impedì eseguire la livel-
lazione barometrica di qualche punto del paese ove
approssimativamente dovrebbe passare la linea di
condotta. Pure per farsi una generica idea del pro-
filo di livellazione del paese slesso, faremo capitale
dell'altezza barometrica della sommità del campa-
nile delia chiesa di s. Pietro di Sezze, misurata da-
gli officiali del genio austrìaco , nella formazione
della nuova carta militare d'Italia: la quale altezza
fu da essi rinvenuta di metri 341,848 sul livello
del mare; il piano della piazza della detta chiesa
sarà sul livello di esso mare di metri 300, che è il
punto più culminante della città. La china del monte
di Sezze dalla parte del nord si estende sino al suo
piede di un chilometro, con una pendenza media ed
approssimativa del 15 per 100; questo é il punto
più depresso della campagna , ed è sul livello del
mare di un 150 metri. Dal qual punto sino alla base
della montagna s. Angelo havvì la distanza di quat-
tro chilometri: il paese s'innalza gradatamente con
una pendenza approssimativa del 6 per 100 : quindi
la prefata base è sul livello del mare di metri 390.
317
Finalmente, per pervenire al punto ove sorgono le
acque, si ascende una linea estesa tre chilometri ,
che ha una pendenza media ed approssimativa del
15 per 100 : quell'acque adunque sorgono sopra il
livello del mare metri 840. Dunque avvi l'enorme
dìsiivello di circa 540 metri fra la sorgente e il
punto più culminante della città. Tanto basta all'
uopo nostro.
11. Da quello che abbiamo fatto genericamente
conoscere sull'altimetrìa della campagna deduciamo,
che il sistema d'architettare un acquidotto sarebbe
eccessivamente dispendioso: avegnachè dovendo ave-
re una pendenza uniforme almeno più che sia pos-
sibile, accadrebbe che dovendo traversare dei ter-
reni elevati e dei depressi, dovrebbe per necessità
talvolta esser sepolto dentro terra, e taTaltra essere
rialzato sopra il suolo naturale della campagna sos-
tenuto con delle arcate, che in qualche punto biso-
gnerebbe moltiplicare a più ranghi uno l'sopra l'al-
tro detertninati dalla livellazione dei punti ove 1'
acquidotto dovrebbe passare: e tal ripiego sarebbe
economicamente impraticabile nel punto piùdepresso,
perchè 1' acquidotto converrebbe innalzarlo sino a
metri 150 sopra il suolo: o pure bisognerebbe svi-
luppare la linea di condotta con farla passare in
altri punti meno depressi. 11 qual temperamento è
ancora inammissibile attese le circostanze altimetri-
che della campagna; l'acquidotto diverrebbe di una
enorme lunghezza , e non si toglici ebbe 1' incon-
venienza d'incontrare punti molto depressi.
12. Esclusa pertanto l'idea della costruzione di
un acquidotto, dobbiamo appigliarci necessariamente
318
a quella d'aichiteMaie un sistema di coiidottura for-
mala con tubi. In questo caso quelli di Ghisa meri-
tano la preferenza agli altri di diverso metallo, sia
per mire economiche, sia per stabilità: quindi è che
questo metallo prende un posto sempre più dis-
tinto nelle costruzioni architettoniche, e nelle con-
dotture specialmente soggette a grandi carichi, come
la nostra.
Ui. Abbiamo accennato (9) il parallelisjno della
catena dei monti Lepini con V altra ove in uno
di essi è posta la città di Sezze; ora accenneremo
la struttura geologica dei medesimi , in seno dei
(juali si raccolgono e corrono le acque s. Angelo.
Quei monti fan parte dell' Apennino , che è com-
posto di varie catene di montagne parallele V una
all'altra, al mudo de'solchi d' uno stesso campo. I
nostri monti formano tante masse calcaree in strali
quasi orizzontali. Le forme delle loro superlicie sono
alterate dall' actiue piovane, che e l'agente princi-
[)ale delle modificazioni delle forme delle montagne,
oltre tante altie azioni meccaniche, fisiche e chi-
miche : sono frastagliati da grandiosi dirupi for-
mati da quelle acque, che raccolte in torrenti vanno
poi a terminare nella valie interposta , ove depo-
sitano le terre commiste all'acqua e formano la fer-
tilità di quella vallata. Il suolo superficiale di questa
vallata è sovente composto di frantumi di rocce
calcaree , frammisti alle terre , accumulati senza
verun ordine , come lo sarebbero materiali gittati
alla rinfusa in uno scavo che si volesse colmare.
Questo terreno superficiale appartiene alla classe di
quelli conosciuti sotto il nome di terreni di tras-
porlo.
319
14. L;i ori/cmlalilà degli sli-ali di pietra calca-
rea, che formano i nostri monti, dimostra che essi
son formati per sedimento all' istessa guisa che fanno
i fiumi nel depositare al mare le loro materie se-
dimentarie. Questi sedimenti calcarei son composti
per intiero di frantumi di conchiglie e di polipai ,
riuniti da un cemento calcareo più o meno abbon-
dante, che forma una tessitura compatta di gi'ana
finissima, che sarebbe eccellente a fare pietre lito-
graficlie. Di questo calcare compatto sono formati
gli A pennini dello stato romano. I suoi generali ca-
ratteri sono di fare effervescenza cogli acidi , e di
ridursi in calce per l'azione del fuoco.
15. L'esperimento della misura dell'acqua lo fa-
cemmo il giorno 9 marzo 1855: quindi è d'uopo
ripeterlo in tempo della più grande magrezza delle
vene. 1/ ac(|ua fu raccolta entro un recipiente che
conteneva il volume di metri cubi 0,0827, il quale
fu pieno nel tempo di 7 secondi; per conseguenza
nel giro delle 24 ore del giorno , la quantità del-
l'acqua che sorge sarà della quantità di metri cubi
1020,75. La portata dell'oncia dell'acqua Paola o
Felice in Roma è di metri cubi 20,21 por ogni
24 ore: perciò il numero dell'oncie della nostr'ac-
qua sarà di 50,50.
16. In quanto ai caratteri fisici della nostr'ac-
qua, le osservazioni da me fatte alla sorgente per
determinare le qualità sensibili, mi fecero conosce-
re , non avere una limpidità perfetta ; si rinvenne
però senza alcun odore e sapore, la sua tempera-
tura di gradi 9''R., e quella dell' aria di 10"R. nel
medesimo tempo.
320
17. Pei' esplorare quindi il suo peso specifico a-
dottai il seguente metodo. Una caraffa fu empita d'
acqua distillata: il peso del liquido alla temperatura
di gradi 12''R. risultò di oncie 17 , ottave 1 , e
grani 62. Indi la medesima caraffa fu ripiena del-
l'acqua S. Angelo nello stato naturale, avente Tistessa
temperatura dell'altra: ed il suo peso risultò di on-
cie 17, ottave 2, e grani 10. Supponendo 1 il peso
specifico dell'acqua distillata , il peso specifico che
si cerca sarà di 1,002; prossimamente eguale alla
gravijtà specifica dell'acqua Felice in Roma.
18. Le qualitcà dell'acqua sono molto più dalla
chimica che dai sensi rivelate e determinate; quindi
l'analisi chimica è il sicuro mezzo onde conoscere
tutti i caratteri chimici della prefata acqua, la na-
tura dei principii che tiene in soluzione , e le loro
proporzioni. Non esibiamo quest'analisi, perchè non
lutti possono far capitale di un laboratorio chimi-
co, e di tutti i mezzi che vi si richiedono per una
operazione delicata e d' importanza.
19. L'obiezione (4) che 1' acqua corrente entro
il tubo di condotta non possa ascendere sino alla
vetta del monte di Sezzc , dell' inferior livello di
circa metri 540 (10) dall'origine della sorgei..,e, cade
da per se stessa con la sola enunciazione del pre-
fato dislivello, qualora il tubo sia architettato se-
condo i principii che insegna la scienza dell'equi-
librio e del moto dell'acque. Finché i corpi obbedi-
scono alla legge di gravità, 1' acqua corrente entro
il nostro tubo deve ascendere sino al punto più
culminante della città , e , se vuoisi , sino ad una
ulteriore altezza j)ari a quella della sorgente. Non
sappiamo a qual debol filo quella obiezione si ap-
321
piglia, per poco che sussistesse non sarebbe più vera
la legge di equilibrio dei liquidi e tutti i fenomeni
che ne dipendono: non più vero sarebbe il princi-
pio, del quale alcuni idraulici si sono valsi per sta-
bilire generalmente l'equazione del moto dell'acqua
nei tubi, cioè la velocità dell' efflusso è dovuta al-
l'altezza assoluta dell'acqua sopra la luce dello sgor-
go, meno quella funzione dei tre elementi, velocità
dell'acqua pel tubo, raggio medio, e lunghezza del
tubo che esprime la total resistenza ; che secondo
l'obiezione la velocità allo sbocco del tubo nostro
sarebbe nulla, perchè 1' acqua non vi arriverebbe ,
e secondo il teorema è dovuta all'altezza di metri
540, meno la prefata funzione: alla quale altezza il
getto dell'acqua arriverebbe se non 1' impedisse la
resistenza dell' aria , e il ricader delle gocciole su
quelle che ascendono. Non sarebbe più vera la ce-
lebre regola idraulico-statica proposta la prima volta
da Daniello BernouUi ; non vera la teoria de' vasi
comunicanti, e tutto il sublime edificio della scienza
idraulica cadrebbe, non meno che quello della mec-
canica: perchè i principii della scienza dell' equili-
brio e del moto de' liquidi derivano da quelli della
scienza dell'equilibrio e del moto de' solidi.
20. Che l'acqua della sorgente s. Angelo possa
architettarsi di maniera da condurla alla città dì
Sezze, ella è questa una verità che può dirsi evi-
dente per la semplice ragion naturale. Le molecole
dell'acqua, considerandole isolate , sono sottomesse
alle stesse leggi del moto che l'egolano l'altre mo-
lecole pesanti; ma le parti d'una massa liquida sono
incomparabilmente più mobili di quelle di un soli-
G.A.T.CXLIII. 21
322
do. Una molecola di questi dee cedere alla più pic-
cola forza, che la solleciti a muoversi nella sua di-
rezione: dunque incanalata 1' acqua entro il braccio
del tubo discendente mantenuto costantemente pieno
per afflusso di nuova acqua della sorgente , dovrà
moversi entro il medesimo per l'azione della gra-
vità, ed ascender entro il braccio saliente del tubo
sino a risalire al livello della bocca dell'altro ramo
del tubo, per la legge di equilibrio , e delle pres-
sioni dei liquidi, che dipende dalla stessa legge di
gravità: avvegnaché una molecola qualunque del li-
quido in moto, in qualsiasi punto del tubo, è pre-
muta normalmente, secondo 1' andamento del tu-
bo, in direzioni opposte; la pressione spingente in
avanti è sempre maggiore dell'altra opposta , sino
che la molecola è pervenuta all'altezza, dalla quale
è partita. Allora le due pressioni che sollecitano la
molecola sono eguali, si annullano, e la molecola ò
in equilibrio. Estendendo il discorso a tutta la massa
liquida che corre entro il tubo, ne deduciamo, che
l'acqua della sorgente s. Angelo può elevarsi sino
all'altezza enorme di metri 540, sopra il punto piij
elevato della città di Sezze.
21. Sopra l'esposta legge è per l'appunto fon-
dato l'uso de' condotti, pe'quali l'acqua discesa dalla
sorgente sino a qualsiasi profondità, si fa quindi ri-
salire a luogo del pari elevato entro le città con
immenso comodo e profitto del ben essere della
vita d' intere popolazioni. Non è da maravigliarsi
adunque se due laghi in elevati luoghi , comechè
divisi da colli e vallate, ponno aver l'acque ad e-
323
guale livello: conciossiachè canali e vene solteiTa-
nee, che mantengono la comunicazione tra loro, ba-
stino per darne ragione. Né da diversi principii di-
scende lo elevarsi di getti d'acqua nei pozzi trivel-
lati, 0 modanesi, detti ancora artesiani. Similmente
le bolli sotterranee^ per volgare a salto di gatto, onde
le acque d' un canale fannosi come piegare entro
terra per sottopassare strade, o correnti, o altri o-
slacolì, a risalire poi al livello anteriore.
22. Né altrimenti dalle stesse leggi d'equilibrio
e delle pressioni de' liquidi si può render ragione
di certi vortici , sovente fatali , che s' incontrano
nelle grandi riviere, ove l'acqua precipitandosi en-
tro terra a grandi profondità, risalisce quindi in al-
tri punti , vomitando quello che avea inghiot-
tito. Or l'acqua, e tutto ciò che cade in quelle fauci
pericolose, si aggira e si travolve per l'appunto co-
me in un tubo. Così fa presso Grein il Danubio
nell'Austria superiore , dove i gironi nascenti dalle
fesse rupi che bevono 1' acqua , fanno impallidire i
piij esperti navicellai. Così fa il Rodano nelle mon-
tagne, per cui passa, e dov'è in parte assorbito dalle
crepature degli scogli. Forse anche nello stretto di
Messina quel vortice famoso, assai piiì peraltro te-
muto dagli antichi che da noi, procede dalla stessa
cagione, se vero è, che lungi da esso, sulle coste
australi della Sic'Iia, si veggono ricomparir vomi-
tati i flutti e i rottami de' navigli, che la Carridi
ha travolti ed ingoiati.
23. Atteso il forte dislivello fra l' origine della
sorgente e il più elevato punto della città, ove vuoisi
condurre l'acqua, non è mestieri che il tubo dal-
324
l'uno all'altro putito sia tutto continualo: è giove-
vole che nella parte superiore sia interrotto di tratto
in tratto da pozzi, i quali facciano l'officio di pe-
scine affinchè l'acqua entri nel tubo depurata dalle
materie che può per avventura trascinar seco: e af-
finchè per r indicato temperamento sia diminuita la
pressione che il fluido esercita contro le pareti del
tubo in tutta la sua estensione , e quindi poter
diminuire la grossezza a vantaggio economico del-
l'operazione e della sua stabilità. La quantità, e i
punti, ove devono esser posti i prefati pozzi, come
ancora la giacitura del tubo, non che le risvolte sì
orizzontali che verticali, sono determinate dagli studi
geodetici, e dalle ricerche e calcoli idraulici in rap-
porto alla portata, alla velocità dell'acqua entro il
tubo, alla larghezza del medesimo, e alla pressione,
che soffrir deve da punto a punto in tutta la sua
estensione: il qual elemento, per la stabilità e du-r
rata dell'opera, e per viste economiche, devesi pro-^
curar che riesca il più piccolo possibile , con in-
clinare opportunamente il tubo alla verticale sotto date
condizioni architettoniche, e dalla ricerca dei pre-
fati elementi. Ed è appunto in ciò, ove il criterio
e la scienza dell' ingegnere deve emergere, onde co-
ordinare ed ottenere il massimo possibile vantaggio
conseguibile con la minima possibile spesa , con il
saper scegliere la linea della massima solidità , e
della massima economia ad un tempo, per condurre
un fluido così comune, ma insieme così volubile ne'
suoi movimenti: e così restìo nel lasciar conoscere
J)ene le leggi, dalle quali è dalla natura governato,
io
Lunrjhezza della condottura, cavi pel suo collocamen-
to, sfiatatoi, 'chiavi scaricatrici, pescine , quantità
d'acqua necessaria alla popolazione di Sezze : dia-
metro del tubo di condotta, grossezza media, prezzi
elementari, sommario conteggio deW operazione: epi-
logo.
24. Facciamoci a rinvenire gli elementi , per
fare una compendiosa e generica dimostrazione, sul-
la spesa presuntiva, per l'esecuzione dell'operazione
di condurre in Sezze una giusta quantità dell'acqua
s. Angelo, per l'uso delle famiglie, delle quali è com-
posta la popolazione della prefata città. Però espor-
remo sommariamente i quantitativi delle diverse
parti dell' opera : il prezzo elementare di ciascuna
parte : finalmente il ristretto estimativo delle diverse
parti dell'opera, e la somma di esse che è il prezzo
della medesima.
25. La total lunghezza del tubo di Ghisa è di
8 chilometri; estensione approssimativa della linea,
che dalla città conduce alla sorgente dell'acqua s.
Angelo (9).
26. Il nostro tubo per inevitabili combinazioni
altimetriche dovrà percorrere una linea sinuosa :
quindi si dovrà curare con ogni studio, tracciare le
risvolte , siano esse orizzontali o verticali , sopra
una dolce e regoldre curvatura ; però assegneremo
pel collocamento dei tubi una profondità media di
metri 1,50, Questi cavi avranno la larghezza di me-
tri 0, 50 : quindi il volume dello sterro per collo-
care il tubo di condotta sarà di metri cubi 6000.
Della stessa quantità sarà il volume di terra per riem-
pire i cavi predetti, dopo il collocamento dei tubi.
326
27. L mestieri lasciare nel tubo di tratto in
tratto delle aperture, ossia sfiatatoi; per esalare 1'
aria interna ingrossata da quella che sempre l'acqua
line seco, e sprigionata nel suo correre, come pm-e
dalla incessante evaporazione dell'acqua stessa ; essi
consistono in tubi verticali di piombo che spiccano
dal tubo di condotta, e salgono a tanta altezza che
equivalga l'altezza della conserva da cui viene ali-
mentato il condotto. Se per qualcuno, attesa la so-
verchia altezza, si trovasse molto opportuno 1' uso
degli sfiatatoi a valvola , detti anche galleggianti ,
sarà sufficiente metterne uno ad ogni 300 metri
circa : quindi saranno in numero di 26,666. Fare-
mo l'un per l'altro lunghi metri 20 : però la lun-
ghezza di tutti sommata sarà di metri 533,32.
28. Per reggere sopra il suolo i predetti sfia-
tatoi occorrono dei torrini di muro di pietrame; la
profondità delloro fondamento sarà di metri 1,50;
e s'alzeranno sopra il suolo metri 4. Il rimanente
del tubo potrà essere legato ad un palo che puossi
elevare sopra il torrino: o pure se la circostanza lo
permette, puossi il tubo stesso raccomandare a qual-
che albero, come per viste economiche è stato in
qualche caso praticato. I predetti toi'Hni avranno la
forma di cono tronco : il raggio della base inferiore
faremo metri 0,70 ; e quello della base superiore
metri 0,30. Quindi la solidità di ciascuno di questi
tronchi di cono sarà metri cubi 4,547 : e la soli-
dità dì tutti somma a metri cubi 121, -25.
29. È ancora necessario di tratto in tratto lungo
il tubo mettervi delle chiavi scaricatrici, all'uopo di
espurgare il tubo stesso, come per riconoscere alla
327
circostanza qualche lesione, che possa essere avve-
nuta in tutto il sistema della condottura. Delle quali
sarà sufficiente porne una ad ogni 400 metri ; quin-
di il loro numero sarà di 20.
30. È mestieri ad ogni punto del tubo, ove cor-
risponde ciascuna chiave scariratrice, fabbricare un
relativo chiusino dì muro di pietrame, chiuso con
coperchio di pietra locale , con telaro , battente e
controbattente. Questi chiusini avranno la base di
forma quadrata di lato metri 0,60 : saranno pro-
fondi metri 1,50; le loro sponde saranno grosse
metri 0,40 : quindi il volume del muro di ciascuno
sarà di metri cubi 1,44, e il volume di tutti som-
ma a metri cubi 28,80. I predetti coperchi di pie-
tra saranno di n. 20.
31. Abbiamo accennato (23), che il tubo può e
dev' essere interrotto nella sua parte superiore di
tratto in tratto da pozzi, i quali devon fare l'officio
di pescine, e affinchè per l'indicato temperamento sia
diminuita la pressione, che l'acqua esercita contro
le pareti del tubo. Di questi pozzi ne assegneremo
n. 10. Avranno la forma quadrata , di lato metri
1,50; profondi metri 2 : i muri faremo della gros-
sezza di metri 0,40 composti di calcina con pietre
locali, coperti a volta fabbricata con l'istessa qua-
lità di muro. Il volume dello sterro per la costru-
zione dei prefati pozzi *=arà di metri cubi 72,20.
Il volume del murò di pietrame, che occorre per
la fabbrica dei medesimi, sarà di metri cubi 66, com-
presevi le platee e le relative volte.
32. I predetti pozzi dovranno essere impermea-
bili all'acqua : dovranno adunque avere le interne
328
facoe arricciale- fralazzate; quindi si dovranno spal-
mare con uno strato di calcina e di cocci in pol-
vere , della grossezza di metri 0,04 : la total su-
perficie del prefato intonaco sarà di metri quadrati
142,50.
33. Di tutte l'esposte partite di lavori, quali di
ferro, quali di terra, quali di piombo, quali di me-
tallo, quali di pietra, e finalmente di muro, ci fa-
lerno ora a rinvenire per via approssimativa il prez-
zo elementare di ciascuna partita . Incominceremo
pertanto a tiovare il prezzo elementare del tubo di
condotta: e però è d' uopo conoscere la grossezza
media, e la sua ampiezza; perciò dobbiamo trovare
la quantità d'acqua necessaria all'uso della popola-
zione della città di Sezze.
34. La predetta popolazione è composta di 8000
individui (2): quindi, secondo i calcoli di economia
politica, la città sarebbe formata di 1600 famiglie,
ciascuna di cinque individui. Ognuna pel proprio uso
consuma all' incirca metri cubi 0,06 d' acqua per
ogni giorno : dunque l'intera popolazione consume-
rebbe metri cubi 96 d' acqua. Pertanto una pub-
blica fontana, cbe nel giro delle 24 ore del giorno
erogasse la prefata quantità d'acqua, sarebbe suffi-
ciente al consumo della popolazione della città di
Sezze.
35. Abbiamo tacitamente supposto, che le pre-
dette famiglie si portino successivamente ad attin-
ger acqua in tutte le 24 ore della giornata, onde è
d'uopo sottrarvi le ore della notte, quale faremo di
12 ore: quindi è che si deve duplicare la trovata
quantità d'acqua sgorgante dalla fonte, che sarà di
329
metri cubi 192. La poitala dell'oncia dell'acqua
Paola 0 Felice in Roma è di metri cubi 20,21 (15)
per ogni 24 ore : cosicché il numero delle dette
once della fontana Setina saranno 9, 50 : quali noi
faremo di once 10, ed avremo un avanzo che può
servire alla costruzione de'pubblici lavatoli.
36. Intraprendiamo ora la ricerca approssimati-
va dell'ampiezza del tubo di condotta per l'accen-
nata quantità d'acqua. Essa dipende dalla lunghezza
del tubo, dal carico dell'acqua, da cui dipende la
velocità sua e dalla portata . Noi non conosciamo
che l'ultimo di questi elementi, gli altri essendo ap-
prossimativi. A quest'effetto presa la seguente rela-
tiva equazione idrometrica (*):
2/SLQ , Q 2«LQ2
= 0
7:{a-\-b) 2(jn^ {a -+- b) n^ {a -f- b)
che ha una radice reale , e positiva per ogni sin-
golo caso. Sia adunque nel caso nostro:
L = 6000
essendo una parte della lunghezza del tubo inter-
rotta dai pozzi:
«-^6=10 Q = 0,0025
il primo essendo il valore del carico dell' acqua ,
ed il secondo la portata nell' unità di tempo , che
è il minuto secondo:
a = 0,000229 /S = 0,000060
coefficienti costanti per ogni singolo caso:
7: = 3,U
(*) Sereni, TraUato d'idrometria iv. 266.
330
valore del rapporto della circonferenza al diametro:
g = 9,80539
valore della gravità per la nostra latitudine. Intro-
ducendo lutti i riferiti valori nella formola, si tro-
verà:
r» — (0,0001177)r2 —(0,0000000037)/'
— 0,0000003 = 0
ponendo
r = 0,03
risulta
0,0000000243 — 0,0000004060 =-0,000000381 7:
la qual differenza, non essendo che di tèe diecimilio-
nesime parti del metro, non è sicuramente apprez-
zabile ; e quindi il diametro da assegnarsi al tubo
di condotta sarebbe di 6 centimetri. È peraltro da
aversi riguardo alla grande lunghezza del tubo , e
alle sinuosità del medesimo, per accrescere di qual-
che cosa il trovato diametro : perchè lo fisseremo
a 7 centimetri.
37. La determinazione della grossezza, che aver
deve il prefato tubo, dipende dalla pressione , che
l'acqua esercita nelle pareti del medesimo da punto
a punto. Noi non la possiamo valutare esattamente
perchè manchiamo del profilo di livellazione della
linea di condotta, che è V elemento principale del
piano d'esecuzione. Quindi ci contenteremo calco-
larla approssimativamente, come abbiamo fatto dell'
ampiezza del tubo stesso. La formola pertanto, che
serve a determinare la grossezza delle pareti dei
331
tubi idraulici corrispondentemente a qualsivoglia
calicò ipotetico, è la seguente (*)
1000. 10. n
e = r
k
nella quale il coefficiente k per i tubi di ferro ha
il valore di (**)
k = 28000000
la r esprime il viaggio del tubo , nel caso nostro
è eguale a metri 0,035 (36): n esprime il numero
dell'atmosfere, e noi le faremo eguali al massimo
numero, che saranno 15 (10): introducendo i detti
valori nella formola troveremo
6 = 0,00018.
38. li qua] valore della grossezza media , che
dovrebbe avere il nostro tubo, è inammissibile per
essere soverchiamente tenue. Come mai si potreb-
bero lavorare dei tubi di tanta sottigliezza? E come
mai delle macchine così esili potrebbero reggere al
trasporto e al maneggio, cui van soggetti per esser
messi in opera ? Oltre di che la prefata grossezza
è quella di puro equilibrio, mentre non basta che
la resistenza del tubo sia in grado di opporsi alla
forza dell'acqua , in modo che non accada imme-
diatamente la loro rottura. Essa dev' essere neces-
sariamente tale da far obice ali' azione continuata
dell'acqua, cosicché non accadano delle alterazioni,
che col tempo potessero fare dei progressi e cagio-
(*) Sereni, Trattato d'idrometria n. 353.
(**J Sproni, Trattato d'idrometria n. 550.
332
nare la distruzione della condoltura. Dobbiamo ancora
procurare di fissare la grossezza delle pareli del
tubo in modo di provvedere al deperimento , che
dipender può dalle azioni chimiche , a cui è sog-
getto. Per esempio, è attaccato dalla ruggine, dalla
quale è alterato. Lasceremo adunque il risultato
della formola, e con tutta ragionevolezza ci unifor-
meremo alle misure della pratica di Parigi, pei con-
dotti di ferro fuso. Secondo la predetta pratica il
nostro tubo dovrebbe avere la media grossezza di
metri 0,013, cosicché il diametro esterno sarà di
metri 0,096.
39. Adunque la superficie della sezion traversale
del nostro tubo di Ghisa è di metri quadrati
0,00335666
quindi il suo volume per ogni unità lineare è di
metri cubi
0,00335666
il quale moltiplicato per la gravità specifica della
<ihisa, che è di chilogrammi 7251, avremo il peso
per ogni unità lineare del nostro condotto, espresso
in chilogrammi
24,33914166
che corrispondono a libre romane 73,017, compre-
sivi i rigonfiamenti per gì' innesti di tubo a tubo.
40. II prezzo di questi tubi è per approssima-
zione di scudi 38 per ogni mille libbre romane :
onde per ogni libra , il prezzo è di bai: 3,8. A
questo prezzo i fabbricatori romani dei^tubi di Ghisa
si obbligano metterli in opera; quindi il prezzo eie-
333
meritare del nostro tubo messo in opera sarà di
scudi 2,774- Si aggiunge bai: 10,95 pel loro tras-
porto da Roma al luogo della condottura di mi-
glia 60 fatto con barrozze tirate da buoi : final-
mente avremo il prezzo elementare del nostro tubo
trasportato al luogo della costruzione e messo in
opera espresso in scudi 2,883.
41. Per la rompitura del terreno pietroso, onde
collocare i tubi (26) , avuto riguardo alle diverse
qualità e tenacità del medesimo, possiamo con bas-
tante approssimazione ritenere, che ciaschedun metro
cubo di sterro, dovendosi cavare la terra per mezzo
di uno sbraccio, del costo di bai: 22^/2: come ancor
il costo del movimento della terra per riempire i
cavi di bai: 10 per ogni metro cubo.
42. Il diametro dei tubi di piombo, che servir
devono per gli sfiatatoi (27) è sufficiente di metri
0,015: la loro grossezza di metri 0,005. Adunque la
sezion traversale sarà di metri quadrati
0,00078186,
Con questo numero è ancora rappresentato il volume
del tubo stesso per ogni metro lineare. Il peso spe-
cifico del piombo essendo espresso da chilogrammi
11352, avremo il peso di questi tubi espresso dai
chilogrammi 8,874: pari a libre romane 25,734: che
valutate a bai: 6,5 la libra importano scudi 1,672
per metro lineare, aggiungiamo bai: 6 pel porto e
mettitura in opera: avremo finalmente il costo degli
sfiatatoi espresso in scudi 1,732 per metro lineare.
43. Il prezzo di ciascheduna chiave scaricatrice
di metallo (29) è approssimativamente di scudi 6.
44. Il costo di ciaschedun metro cubo di muro
di pietrame, che servir deve alia costruzione dei tor-
334
l'ini (28), dei chiusini (30) e dei pozzi (31), vero-
similmente lo valuteremo a scudi 2,20. Il valore
poi di ogni metro cubo di sterro per la costruzione
dei prefati pozzi riterremo quello che abbiamo as-
segnato (il) per il collocamento dei tubi. E il prezzo
di ciascun coperchio di pietra locale per i chiusini
(30) , muniti del relativo telaro dell'istessa pietra,
sarà di scudi 3,60.
45. Il prezzo e fattura di ciaschedun metro qua-
drato d' intonaco per i pozzi arricciato- fralazzato ,
e quindi uno strato di calcina e di cocci in polvere
(32), lo valuteremo sommariamente a scudi 0,225.
46. Ristringiamo «ora il nostro computo per ve-
nire all'approssimativa conoscenza dell' importo to-
tale dell'operazione di condurre in Sezze una giusta
quantità d'acqua per l'uso della popolazione.
Lunghezza della condottura, metri
8000 (25), che calcolati al prezzo ele-
mentare di scudi 2,88 (40), importa se. 2306 i, 000
Sterro per collocare la condottura,
metri cubi 6000 (26), che calcolati al
prezzo elementare di scudi 0,225 il
metro cubo (41), importa se. 1350, 000
Terra da muoversi per riempire i
cavi, metri cubi 6000 ( 26) , valu-
tati al prezzo elementare di scudi 0,10
(40)" il metro cubo, importa se. 600, 000
Lunghezza del tubo di piombo per
gli sfiatatoi, metri 533,320 (27), che cal-
colati al prezzo elementare di se. 1,732
(42), importa se. 923, 710
Somma se. 25937, 71(*
335
Somma riportata se. 25937, 710
Muro di pietrame per la costru-
zione dei torrini (28), metri cubi 121,
25: che valutati al prezzo elementare
di se. 2,20 (44), importa se. 266, 750
Chiavi scaricatrici n. 20 (29), cal-
colate a scudi 6 r uno (43) , impor-
tano se. 120,000
Muro di pietrame per la costruzione
dei chiusini (30), metri cubi 28,80 :
che calcolati al prezzo elementare di
scudi 2,20 (44), importa se. 63, 360
Coperchi di pietra per i chiusini
n. 20 (30) : che valutati al prezzo di
scudi 3,60 l'uno (44), importa se. 72, 000
Sterro per la formazione dei pozzi,
metri cubi 72,20 (31), che valutati al
prezzo elementare di scudi 0,225(41),
importano se. 16,245
Muro di pietrame per la costruzione
dei prefati pozzi, metri cubi 66 (31),
che valutali al prezzo elementare di
scudi 2,20 (44), importa se. 145, 200
Metri quadrati 142,50 d'intonaco,
impermeabile all'acqua per i medesimi
pozzi (32), che valutati al prezzo ele-
mentare di scudi 0,225 (45) , impor-
tano se. 32, 062
Somma totale se. 26653, 327
336
Adunque il costo finale presuntivo dell' intera
operazione è di scudi ventiseimila, seicento cinquan-
tatrè, trentadue baiocchi e sette decimi.
47. Epilogando tutto quello che abbiamo detto
fin qui, ripeteremo brevemente, che lo studio sul-
Taltimetna del paese, ove deve passare la linea di
condotta, ha fatto conoscere , che è inammissibile
qualunque temperamento per architettare un ordi-
nario acquidotto, e ci siamo dovuti necessariamente
appigliare per ragioni di economia all'idea d'architet-
tare un sistema dicondottura,e i tubi di Ghisa abbiam
veduto che sotto ogni rapporto meritano la prefe-
renza agli altri. Abbiamo quindi creduto molto op-
portunamente di parlare della struttura geologica
dei monti, ove si raccolgono le acque s. Angelo, e
della campagna che percorrerebbe la condottura. Lo
sperimento della misura di quell'acque fece cono-
scere l'abbondante quantità delle medesime. In quan-
to poi alle sue qualità, e ai caratteri fisici che le
distinguono , furono rinvenute di ottima tempra.
Siamo finalmente venuti a fare la dimostrazione i-
draulica della sicurezza tecnica, con cui quelle ac-
que possonsi condurre sino al punto più culminante
della città di Sezze, ed abbiamo quindi riportati di-
versi esempi naturali ed artificiali, a maggior evi-
denza della verità che volevasi far conoscere. Per
fare la generica dimostrazione della somma presun-
tiva occorrente all'esecuzione dell' operazione , do-
vemmo venire alla ricerca della quantità d' acqua
necessaria agli usi della vita della popolazione di
Sezze , per quindi trovare il diametro del tubo di
condotta. La cognizione della grossezza media del
prefato tubo , e tutti gli altri elementi estimativi
337
messi a calcolo , ci dettero il risultato di scudi
26653,327 per costo finale presuntivo dell' intera
operazione. Il qual conteggio però non è che ge-
nerico corrispondente al generico e preliminare stu-
dio che abbiam fatto dell'operazione. È quindi ne-
cessario fare tutti i relativi e singoli studi per la
prefata esecuzione dell'opera , e compiere mental-
mente il disegno dettagliato della medesima , per
venire alla sua giusta valutazione, che non può di-
verger molto dalla trovata per via di approssima-
zione.
48. Possa questa mia ispezione scientifica e
tecnica sull' acquidotto da costruirsi nella città di
Sezze non essere totalmente spi'ezzata ! Se per po-
vertà d' ingegno non ho soddisfatto al diffìcile ar-
gomento di dimostrare la convenienza tecnica ed
economica deiroperazione, onde renderla alla fidu-
cia dell'ottima e gloriosa final riuscita, che impru-
denti dicerie avevano per momento tolta, mi sia
fatta indulgenza: e valga il mio buon volere , che
nella costruzione dell' acquidotto setino altra mira
non ho, se non di vedere effettuate le benefiche e
sapienti disposizioni del sommo pontefice pel bene
della popolazione di quella città in tanta interes-
santissima operazione, della quale il comune, la fa-
miglia, r individuo, ne sono egualmente interessati
pel presen-te e pel futuro, onde togliere l'uso del-
l' acque insalubri, e porre conseguentemente freno
ai miserabili malori, contro il ben essere della vita
de' cittadini, con provvedere la città di buon' acqua,
che è uno dei primi agenti per mantenere recono-
mia anin)ale nello stato naturale e sano.
G.A.T.CXLIII. 22
338
Delle dipinture più celebri esistenti in Fano.
Descrizioni di Stefano Tomani Amiani.
Fano 1856 (Di pag. 30 in 8.°)
I
conte Stefano Amiani è uno di que' gentili, che
onorano la provincia di Pesaro , ed uno dei pochi
rimasti di quella eletta schiera, che facevano risplen-
dere di bella luce letteraria quella illustre parte d'
Italia. Egli si accinse alla difficile e brigosa impresa
di una Guida storico-artistica di Fano, cui non man-
cano che poche linee pel suo compimento: lavoro
lodatissimo , e da non mettersi in un fascio colle
altre guide, ma da tenersi in sommo pregio per 1'
accuratezza e la gran copia di notizie inedite rela-
tive alla storia e alle arti della sua patria. Ed a niun
altro megho che all'Amiani si poteva affidare un si-
mile assunto, perchè elegante e dotto scrittore, di-
ligente ed esatto indagatore delle cose patrie.
Noi vorremmo che ogni città d'Italia avesse di
siffiitte guide: che contenendosi in esse le virtù e le
gemme cittadine, formerebbero grandi e sicuri ma-
teriali ad una più splendida e magnifica storia dell'
italiana civiltà. La vorremmo maggiormente oggi;per-
chè giungendo fino a' giorni nostri, servirebbero a
rintuzzare e a far retrocedere nella gola le matte
espressioni di alcuni stranieri, dimostrando ad evi-
denza che ognor vive fra noi, e grande ancora splen-
de, il genio delle arti e delle lettere. Certamente
gì' italiani non sono cianciatori, né ampollosi lo-
datori di se stessi, e delle opere sublimi, di che va
339
pur sempre arricchendosi questo classico suolo bene-
detto dal cielo e dalla terra. D' indole più grave o
severa , essi fanno e non cicalano. Del resto noi
facciamo voti perchè questa guida venga alla luce,
potendosi predire, che sarà sommamente gradita e
lodata da tutti i sapienti e zelatori della gloria ita-
liana: che veramente ogni nostra città è sì ricca di
pregi e di grandezze, che sola potrebbe onorare qua-
lunque altra nazione.
I nostri lettori potranno avere un saggio del
senno e della perfezione, con cui è compilata que-
sta Guida di Fano, dall'opuscolo dell' Amiani che ab-
biamo indicato di sopra. Esso contiene le descri-
zioni delle più celebri pitture di Fano, fra le quali
in grandi tavole figurano le opere del Perugino, di
Simon da Pesaro, del Domenichino, del Guercino ,
di Guido , e quelle non comuni, anzi rare, di Gio-
vanni Sanzio padre di Raffaello, e di Giuliano Per-
siuti da Fano. L'Amiani ha estratte dalla sua Guida
inedita le lodate descrizioni in occasione delle nozze
della contessa Anna Bracci con Lodovico Baccarini,
giovani di belle virtù, e le ha indirizzate con sa-
via lettera al conte Filippo Bracci, fiore della fanese
nobiltà e genitore della sposa.
L. P.
cs^pj'.
340
Bolleuino deW istillilo medico valenzìano.
Anno XV. Tomo XV.
Mese di gennaio e febbraio 1856,
PRESERVATIVO CONTRO LA FEBBRE GIALLA.
E.
Igli è poco che comparve nelV Avana uno stra-
niero chiamato Humboldt, il quale diceva di aver
ritrovato il preservativo della febbre gialla. La cre-
dulità del volgo accolse con entusiasmo questa idea,
intanto che gli uomini pensatori aspettarono i fatti
per dare il proprio giudizio sulla inoculazione della
putrillagine risultante dalla corruzione del fegato di
una pecora, che dicevasi morsicata da una vipera,
di cui s' ignora ancora la scientifica denominazio-
ne. Questa inoculazione, di cui i maravigliosi effetti
si credevano di tanto felici risultanze, si può oggi
giudicare dai fatti. « Abbiam sott'occhio, dice il Si-
glo medico, varie lettere, e fra le altre una del si-
gnoe Lletor Castroverde degno decano della facoltà
{Tjedica dell'Avana, e per esse conosciamo che i ri-
sultati ottenuti nell'anno scorso nei malati di febbre
gialla nell'ospedal militare di s. Ambrogio, sono i
seguenti. Sono stati attaccati dopo l' inoculazione
n. 115 individui; di questi ne sono morti 44', ossia
^^/loo ' verificandosi che di 175 individui, che non
avevano sofferta 1' inoculazione, ne sono morti so-
lamente 66, ossia ^*/jo(,.
34f
Bollettino medesimo.
Alese di aprile. Anno conente.
CfiONACA BIBLIOGRAFICA.
Igiene industriale del dottor D. Pietro Filippo
Monlau [Memoria premiata dalV accademia medico-
chirurgica di Barcellona, corrispondentemente al pro-
gramma emesso daW accademia stessa il 24 gennaio
delV anno 1855).
Il ben essere della umanità, e sopra tutto della
classe laboratoria, è il gran problema che occupa
di preferenza le società moderne. Filosofi e politici
si affannano assiduamente per rinvenirne Io scio-
glimento desiderato. Mossero di qui quelle spiri-
tose ed abbaglianti teorie, que'sistemi fantastici ed
illusorii, che fino ad ara hanno prodotto risultanze
contrarie al fine, il quale i loro autori si avevano
proposto.
Ma mentre queste intelligenze esauriscono i lor
mezzi per procurare una fortuna caduca a queste
classi, altri uomini di condizione modesta, ma pieni
di coraggio e di filantropia, si consacrano in mezza
al disprezzo ed alla ingratitudine ad assidue fati-
che per facilitare la più stimabile delle felicità che
esister possa in questa terra di sventure, la salute.
E questa la missione dei medici dal tempo che si
conosce la loro istituzione divina: questa adempiono
342
in ogni occasione , movendo sempre innanzi alle
grandi migliorìe: ed essa li porta nell'epoca attuale
di agitazione e positivismo a slanciarsi con fervo-
roso zelo a salvare i propri fiatelli dai mali
terribili che li minacciano.
In prova di ciò veggasi come nei paesi stranieri
abbondano le pubblicazioni di opere su pubblica e
privata igiene : mentre fuor di dubbio è questo 1'
unico ramo della medicina che può salvare la so-
società da grandi calamità, e procurare beni senza
fine ai governi ed agi' individui. CiOsì la intesero i
reggitori di quelle nazioni eulte; ed a tal fine hanno
protetto Io studio della igiene, hanno chiamato gli
uomini sommi in questa scienza, fomentate le isti-
tuzioni che si proponevano di coltivarla, per intro-
durre nei loro paesi quei positivi miglioramenti che
formano l'ammirazione dei viaggiatori, e non ten-
dono solamente all'ornato , ma sibene anche all'a-
gevolamento di benefizi reali pe'cittadini.
Nel nostro disgraziato paesediSpagna,non ostante
l'abbandono in diesi lasciano le mediche società, e non
ostante il disprezzo con che si guarda il talento ,
vediam con piacere il costante impegno della illu-
stre accademia medico-chiruigìca di Bai'cellona per
fomentare lo studio e stimolare ali applicazione i
medici spagnuoli, offerendo premi annuì agli autori
dei migliori scritti che si presentino sopra i temi
che essa prefìgge.
Questa dotta corporazione, conoscendo i mali che
affliggono la classe laboriosa che bolle agitata nella
città feudale, propose a tema: « Quali misure igie-
niche può il governo dettare a vantaggio della classe
343
laboriosa ? » Una proposizione tanto importante,
quanto trascendentale, richiedeva per essere trattata
debitamente talenti superiori, grandi conoscenze, e-
rudizione vasta, e studio profondo della classe ope-
raia. Niuno poteva riunire doti tanto speciali me-^
glio del valente igienista D. Pier Filippo Monlau,
a cui l'accademia medico-chirurgica di Barcellona
die il premio di una medaglia d'oro per la filoso-
fica istruttiva ed erudita memoria assoggettala al
suo giudizio, e della quale ci spiace non poterci
a di lungo occupare , per essere ella un' impresa
superiore alla capacità nostra, e d'altronde pure in-
compatibile coi limiti di una periodica pubblicazio^
ne; non ostante, perchè i nostri lettori possano ap-
prezzare il pensiero che muove l'autore a scrivere
l'igiene industriale, vogliamo riportare le righe che
seguono , nelle quali riassume le sue idee.
(i L' opei'aio è povero : soccorretelo , aiutatelo.
L'operaio è ignorante: istruitelo, educatelo. L'ope-
raio ha cattive inclinazioni: moralizzatelo.
({ Soccorretelo, perchè lo comanda la religione,
lo detta l'umanità, e 1' interesse istesso delle classi
agiate lo consiglia. Strappatelo alla miseria, perchè
allora maggiore sarà la sua robustezza , resisterà
con più gagliardia alle cagioni di distruzione e di
morte che lo assediano, vivià pili lungamente e più
gioconda sarà la sua vita. Fate innalzare un poco il li-
vello del suo attuale ben essere fisico, e libererete
la società dallo spettacolo delle grandi miserie ed
infortuni lamentevoli.
« Istruitelo ! coltivate la sua intelligenza nell'a-
dequata misura ! e capirà i suoi doveri, e non ma-
344
ledirà la sua condizione, e rispettcìà T ordine ge-
rarcliico della società.
« Moralizzatelo ! e questo sarà ben facile dal
momento , che abbiate rimediato alla sua mise-
ria fisica ed alla sua miseria intellettuale (alla sua
ignoranza). Soccorrete ed istruite 1' operaio : e lo
vedrete togliersi di certo dalla spensieratezza, dal-
la poltroneria , dallo spirito di ribellione e dalle
altre brutte passioni ed abitudini cattive, che si os-
servano nella classe sociale a cui appartiene. Soc-
correte ed istruite 1' operaio, ed avrete spedita la
via a renderlo morigerato e religioso. E .conta
pure che la morale e la religione sono i due poli
dell'asse, sul quale ogn'umana società si ravvolge.
Non ci sorprenda adunque quello che accade in va-
rie nazioni , né maraviglia ne arrechi se piovono
sventure sopra sventure su popoli rilassati e
miscredenti: perchè quello ohe manca oggi all'ope-
raio, come quasi ad ogni altra classe, è l'elemento
morale, il quale costituisce il nerbo della società, ed
assicura il ben essere di ciascuno de'loro membri;
ciò che manca è una convinzione religiosa, sincera
e profonda , senza la quale 1' uomo vacilla senza
posa, e non indovina a dare un passo nel sentiero
che tiene tracciato a se dinanzi ; ciò che manca
finalmente è una fede robusta per risvegliare ed
alimentare nel cuor suo un sentimento energico del
dovere. Ella è questa fede che spiana i monti, ella
è questa che sotto tal o tal altra forma tante me-
raviglie operò nelle società antiche ed in quelle del-
l'età di mezzo; ed il difetto di questa fede è il can-
cro roditore dell'età moderna. Per questo tutto il
345
mondo si lagna, poveri e ricchi, operai e fabbricanti:
nessuno è conlento. E la causa di questo dolore
universale si rinviene nei costumi. E leso il cuore
della società. Se la moralità dei popoli non di-
pende interamente dai progressi della loro istru-
zione, per disgrazia nostra la moralità e 1' istruzione
si possono sviluppare, e troppo di frequente si svi-
luppano, parallelamente e contraddittoriamente. La
istruzione non può supplire sempre alla moralità, e
molto meno nelle classi laboriose ed illetterate: la
alleanza dei due elementi e la loro aggiustata,
armonia sarebbero la miglior prova, e la più g!o
riosa conquista di una ben intesa civiltà ec. »
Dopo di questa lettura, che potremo fare di me-
glio che consigliare lo studio della Igiene indu-
striale? Troverà in essa il medico una sorgente fe-
conda di dottrina per risolvere questioni impor-
tanti , tanto nella particolare sua pratica , quanto
nei casi in che sarà consultato dalle autorità. Piacesse
al cielo che queste ed il governo leggessero tali
pagine istruttive per vantaggio della classe operaia
e della società ! Non chiuderemo queste mal ac-
cozzate righe senza rallegrarci con il sig. Monlau
per il trionfo che ha conseguito nel certame ac-
cademico di Barcellona : e nutriamo speranza che
sarà per ottenere assai di più, se continua con tanta
valentìa a percorrere, come ha praticato fin qui, il
glorioso sentiero dello studio.
R. H. P.
34f)
Al chiarissimo signor
prof. Gianfrancesco RamhelU.
H
[o letto nel nostro Album dei 27 settembre la
lettera di V. S. Illma datata da Persicelo 17 giu-
gno di quest' anno e diretta al eh. sig. professore
cav. Betti ; e siccome in quella si parla di me e
della mia seconda lettera sulle Liburne rotale del
21 novembre 1855, inserita nel tomo CXL dell'Ar-
cadico; così senza indugiar molto vi rispondo, seb-
bene avea promesso a me stesso di non tornar più
sopra simile argomento. Mi prendo poi la libertà di
dirigere a lei queste mie parole, valendomi dei-
esempio; imperocché ella stessa dieci anni or sono
ebbe la gentilezza d' indirizzarmi uno scritto , del
quale credei, nella franchezza del mio carattere, di
non mostrarmele grato.
In questa sua nuova lettera poi, primieramente
noto la seguente frase: « Voi sapete , Betti caris-
» simo, come io stampai già nell' i4/6i»n (18 marzo
» 18i6) una lettera sulle Liburne rotate, ove cre-
)) detti poter mostrare cosa nostra la invenzione
» delle navi a ruote. ìl che non talentando al sig.
)) cav. Camillo Ravioli, esci spontaneo in campo e
)) diresse a celebre prelato un suo scritto, in cui
)) ribatteva quanto io sulla fede delFlsnardi aveva
)) asserito ec. » Con queste parole ella allude al
mio primo scritto del 21 aprile 1846. Ora con tutto
347
il rispetto le fo osservare, che io in quello non ho
mai avuto in animo di negare o di dare esclusiva-
mente air Italia questa gloria; imperocché mi pro-
posi soltanto di dimostrare:
« 1" Che l'uso poetico, pittoresco e meccanico
» delle ruote ai carri marini e alle navi è antichis-
» simo e d'ogni tempo:
« 2° Che le navi liburne erano a remi e a vele
» soltanto, 0 accidentalmente rotale (per non con-
» Iraddire alla prima, gratuita e sola testimonianza
)) deWiucerlo autore [incerto auctohe de rebus bel-
» Licis):
» 3" Che il nome di questo incerto autore sem-
» pre sarà incognito: ma esiste il suo libro De re-
» bus bellicis, ove si rinvengono le parole che Go-
» descalco fedelmente trascrive:
» 4° Che è nulla l'autorità di quest'autore in-
» certo De rebus bellicis:
» 5° In qual modo si può aver credenza al fatto
» registrato dall' incerto autore , indipendentemente
» dalla sua autorità ».
Dalle quali proposizioni concludendo io dedussi:
Le navi a ruote sono uso antichissimo e modernissimo ,
nostrano e straniero. Le navi a ruote, e le liburne a ruote
mosse da buoi, sono prodotte e lodate da due senza nome:
monumenti e autori tacciono di loro. Il criterio e il cal-
colo ci obbligano a smentire la utilità e la potenza delle
liburne rotate', non mai a negare le esperienze che si
possono esser fatte (1). Per quel che concerne lo
scopo del mio secondo scritto del 21 nov. 1855,
(1) Giornale Arcadico tomo CVlll p. 120, e p. 144.
348
per tutta conclusione dimostrai, che In testimonianza
di Vegezio, allegata dall' Isnardi e sostenuta da lei,
è male applicata alle liburne rotate. Avvegnaché
Vegezio parla delle liburne , e non delle liburne
rotate, che sono non il genere, ma la specie. Que-
ste liburne rotale rimanendo per tal via solamente
lodate ab incerlo alidore de rebus beUicis , il quale
non le attribuisce a nessun popolo o inventore :
dunque , restiamo per questo lato ancora in per-
fetta oscurità di loro origine: sfidando l'articolista
sig. C. A. dell' Enciclopedia italiana e dizionario della
conversazione (1), del primo inventore occulto ed
incognito, e perciò senza nome, a dirci la patria ,
come si volle pretendere (2).
Ella passa di poi nella sua lettera a dolersi del-
l'avverbio sordamente da me usato nella frase: « Per-
» che il celebre autore delle Lettere intorno inven-
)) zioni e scoperte italiane adirarsi sordamente con
» me, che vidi il vero P E perchè, me avversan-
)) do, patrocinar la causa vacillante delTIsnardi che
)) cadde in abbaglio ? »
Potrei trovar modo di provare che quella mo-
dificazione ha senso diverso da quello che V. S. le
attribuisce: pure voglio dirlo un mio fallo, perchè
con un semplice avverbio non ottenni 1' intento pre-
fìssomi, di accennare cioè, ch'ella con tutta urbanità
nella lettera da lei a me diretta volesse pungertni.
Convengo adunque che sia meglio toglierlo: cosi di-
(1) Venezia 1847 art. Liburne rotate.
(2) Giornale Arcadico Tomo CXL.
349
struuffo una delle due mie inconsiderazioni , come
ella con molta discretezza le chiama.
Intorno però alla mia seconda inconsideratezza
non convengo. Il chiarissimo sig. cav. Betti nella
classica sua opera Vllliislre Italia, come anche ella
avverte, parlando del Branca dice: « Imperocché fu
« egli che tra' primissimi tentò la grave esperien--
)) za di applicare siccome forza motrice la potenza
)) del vapore dell'acqua all'uso della meccanica ».
Ed appunto il Branca fu tra i primissimi ad ap-
plicare l'eolipila rammentata da Vitruyio e nota alla
scuola alessandrina, come forza motrice di un con-
gegno atto a pistar le polveri. Ed ella m' insegna
che il dire tra' primissimi è cosa assai diversa che
dire // primo. Quindi la cauta frase del sig. cav.
Botti non si trova in opposizione co' fatti e col vero;
e siccome io ho cercato di esporre que' fatti e quelle
verità medesime intorno al 'vapore acquoso ed alle
applicazioni della sua forza motrice; così neppure io
mi son trovato a contraddire il eh. professore sud-
detto, verso il quale ogni dì piiì s'aumenta la mia
venerazione ad un tempo e l'ammirazione sincera,
conoscendo meglio il tesoro delle auree doti dell'
animo suo e l'estinsione delle cognizioni che alta-
ijiente possiede.
INon credetti poi di dovere indagare scrupolo-
samente se la ristampa della sua opera Intorno in-
venzioni e scoperte italiane, fatta in Modena nel 1844,
aveva o nò aggiunte o correzioni, le quali si fanno,
vivo l'autore, quasi ogni volta che s' intraprende una
nuova edizione di un libro. D'altra parte io mi sono
trovato talora a dovere confrontar codici o edizioni
350
di classici latini ed italiani , per le varianti o pei'
tutt'altra ragione; ma nelle opere moderne ho cer-
cato di consultare la edizione ultima fatta vivente
l'autore, perchè riputata sempre o quasi sempre mi-
gliore. V. S. lllma mi avverte che la sua sesta edi-
zione di Modena 18i4, come tutte le altre, non gode
di questo benefìcio nella lettera XIX sulle macchine
a vapore. Non ho che rispondere : basta a me eh'
essa, in caso di pazienti cure, eh' ella avesse avuto
o tempo o volontà di fare, abbia potuto ammettere
varianti ed addizioni. Ciò, spero, non mi potrà mai
negare : poiché 1' indicazione del passo del Palin-
genio fu pubblicata in Roma nel 1843 , e la sua
opera ristampata nel 184-4. D'altronde le sue dotte
aderenze in Roma glielo avrebbero facilmente o
additato o comunicato al primo suo dubbio che il
Branca non potesse essere stato il primo ad appli-
care l'eolipila foggiata a testa di metallo. Ma tal
dubbio non poteva in lei certamente sorgere, se non
dopo fatta lettura del testo del Branca: la qual let-
tura ella onìise di fare, perchè non le fu comuni-
cato il testo, ma semplicemente il frontispizio del
libro intitolato Le machine, stampato dal Branca in
Roma nel 1629.
Ella poi mi fa molto pedissequo ai precetti di
Orazio, quand'ei consiglia a limare un' opera per
nove anni. Questo sarebbe stato per me un vanto
da cui ritrarrei grande estimazione: ma deggio farle \
osservare rispettosamente, che la mia non fu che
una lettera , la quale non costommi altro tempo ,
che quello necessario a distenderla currenli calamo^
La prego a rileggere il brano che mette in chiaro
351
questo punto: io posso assicurarla, che ivi, come al-
trove, non era luogo a tradirsi da me la verità.
» Neir aprile 1846 scrissi la mia infausta lettera
» sulle liburne rotate: il oh. sig. Rambelli rispose
» neir ottobre dello stesso anno; il Dizionario del
» Tasso porta la data del 1847. Io lessi in esso
)) l'articolo del sig. C. A. nel 1848: lo disprezzai,
» imperocché lo lessi con poca riflessione. Nel 1853
» mi fu fatto notare da persona amica: lo tornai a
)) leggere, vidi la necessità di difendermi. Nel lu-
» glio del 1854 gittai sulla carta queste osserva-
» zioni, quando credea ancor vivente 1' Isnaidi: ora
)) finalmente, fatte molte recisioni per amor di pace
» e di brevità, dopo 9 anni mi son deciso a rompere
» il silenzio, che omai mi pesava sul cuore ».
Mi permetta ancora un'altra annotazione. Io leggo
sempre nella sua lettera ultima, del 18 giugno p.
p. inserita nelV Album « .... e quando le cose
)) che dissi in quella (lettera dell'ottobre 1846) sono
» esposte con tutta l'urbanità e la moderatezza, che
» anche in discrepanza di opinione è a usarsi fra le
)) oneste e civili persone. » Quasi che la nostra
quistione consista in dissentimento di opinione: Non
posso né debbo volere che V. S. lllma la chiami
altrimenti; dalla mia parte però protesto altamente.
Finché gU studi storici non si avvalorarono di fatti,
di prove e d' interpretazioni non dubbie , opinione
si disse il disparere sulla priorità della civiltà etru-
sca o greca: fino a Galileo opinione fu l' immobilità
della terra o del sole: fino a Colombo opinione l'e-
sistenza delle terre al di là d'Abila e Calpe e del-
l'ultima Tuie: e sempre saranno opinioni le discre-
352
panze in materia filosotìca delle varie sette degli
stoici, de' peripatetici, degli epicurei ec. La base della
mia quislione intorno alle liburne rotale è tutta pog-
giata nelle cinque proposizioni da me sopra enun-
ciate, e provate nella mia prima lettera e documen-
tate o con verità e date storiche, o col calcolo, e
non dichiarate finora false da nessuno per mezzo di
nuove prove che quelle distruggano e me confon-
dano. Per quel che riguarda all'origine della quistione
da me promossa nella prima lettera e di nuovo a-
gitata nella seconda - Se i ìsnardi è caduto in al-
cuno eirore e dove ? - avendo io dimostrato che sìy
per ismentirmi è d'uopo contrappormi argomento e
prove di logica, che dicano che no. Il resto non ò
che un cumulo di parole, alle quali se se ne aggiun-
gessero di nuove e da lei e da me ci farebbero
torto.
Quindi è che se i chiarissimi uomini, a cui ella
si appella, quali sono il Betti, l'Orioli ed il Ferruc-
ci, a giusto titolo de' più venerati e saputi che ab-
bia r Italia, trovino lo stato della quistione non in-
degno del loro esame, io fo preghiera che essi sì
compiacciano di prendere in considerazione le pro-
posizioni da me dichiarate in questa mia terza let-
tera, epilogo delle altre due. Il vasto sapere, di che
eglino sono oltre misura forniti, ben additerà loro
che qualunque altro punto di vista , da cui puossi
mirare l'oggetto, mi è estraneo totalmente.
Prenda infine la S. V. Illma queste mie parole
come un atto, che mal nn'o grado l'onor mio e-
sigeva che io compiessi. Altre volte eranvi alcune
vie arrisicate di proposta e di risposta, diverse dalla«
9f
353
moderata polemica da noi intrapresa. Sia lode a Dio,
la civiltà moderna alla spada sostituì la parola, al
campo i fogli periodici: più nobile arena al certo.
La S. V. mi ha trovato sempre pronto ed animoso
in questa nuova palestra: e, n'abbia la mia fede, sem-
pre mi ci troverà. Ma la S.V. stessa saggiamente os-
serva che la qulslione non ha in se importanza nes -
suna; quindi il nostro tempo, io mi avviso, può es-
sere meglio adoperato in altre faccende, senza che
urbanamente e moderatamente facciam trapelare da
ambe le parti qualche cosa, che ornai non ritiene
molto della virtù. Mi creda sempre
Della S. V. Illma
Di Roma ai 3 di ottobre 1856.
Devotissimo Servitore
Camillo Ravioli.
GA.T.CXLlll 23
354
VARIETÀ'
Scrini vari di Salvatore Beiti. S." Firenze tipografia
di Emilio Torelli 1856. {Un voi. di pag. 448).
Non sono comprese in questo volume né V Il-
lustre Italia, ne le Prose scelte pubblicate dal Sil-
vestri in Milano nel 1827. Sappiamo dall'autore, che
l'edizione è offesa qua e là di ben gravi errori di
stampa : non avendo potuto curarla egli col con-
dursi a Firenze.
Vita di s. Filippo Neri novellamente descritta in com-
pendio da Giuseppe Ignazio Montanari. S." Bologna,
tipografia al Sole 1856. (Un voi. di pag. 226.)
Osiamo dire, che se i libri di cristiana edifica-
zione saranno scritti com'è questa vita di s. Filippo
Neri, andranno essi maggiormente fra le mani d'ogni
condizione di fedeli , i quali ne trarranno profìtto
insieme e diletto. Quanta nettezza di favella! Quan-
ta grazia, semplicità ed efficacia di stile ! Quanto
magistero di narrazione ! Ne siano lodi grandi all'
esimio professor Montanari, che ora ci porge ad am-
mirare ed amare le sante virlù del Neri, come già
fece di quelle di s. Giuseppe da Copertino.
Alcune prose di Gaetano Gihelli. 8." Bologna tipo-
grafia all'Ancora 1856. (Un voi. di pag. 176.)
Sono qui di questo scrittore elegantissimo, e più
volte da noi meritamente lodato, la Vita del conte
Giovanni Marchetti, le Considerazioni sopra la moda
355
e sopra tre sonetti del Petrarca, ed una Lettera al
conte Francesco Salina intorno alle famose unità di
Aristotele, ch'egli filosofìcarnante e virilmente pro-
pugna.
Elogio del conte Domenico Paoli fatto dal marchese
Francesco Baldassini per commissione del muni-
cipio di Pesaro. 8° Pesaro, tipografia di Annesio
Nobili 1856. (Sono pag. 43.)
Del conte Paoli, una delle glorie pesaresi di que-
sto secolo, si aveva già un bell'elogio pubblicato dal
P. Serpieri delle scuole pie, professore di fisica nelT
università di Urbino. Ma il municipio di Pesaro ha
desiderato che anche in patria si celebrassero la vir-
tù e la dottrina dell'esimio cittadino che tanto fece
per essa e per le scienze soprattutto fìsiche e geo-
logiche : ed ecco quest' altro nobile scritto uscito
della penna d'uno de'nostri veterani onorandi delle
scienze, cioè del marchese Francesco Baldassini, il
quale al Paoli fu congiunto di studi e di afifetto-
L'elogio è veramente degno del lodato e del loda-
tore: ed oltre al piacere che debbono provarne i pe-
saresi, ce ne congratuliamo anche noi, che all'uno
già fummo, ed all'altro siamo stretti di singolare
amicizia.
Il marchese Baldassini ha inoltre pubblicato in
Pesaro, di questi mesi, quest'altre sue opere :
Intorno alVanalisi ragionata dei lavori di G. Cuvier^
preceduta dal suo elogio fatto da P. Flourens.
Intorno al potere attribuito al mollusco del genere Cy-
356
praea di coslriiiie una nuova conchiglia allorché per
V accrescimento deW animale si è resa di troppo an-
gusta la prima.
Sul modo con cui si suppone che i molluschi lilofagi
perforino le rocce.
Intorno alle facoltà che hanno le sanguisughe, e spe-
cialmente /'hyrudo medicinalis, di succhiare il san-
gue.
Intorno alVopera del conte Giuseppe Zinanni di Ra-
vemia sulle uova e nidi degli uccelli, e intorno la
sua anteriorità a M. Gay neW antivederne Vimpor-
tanzfi.
Lettere del conte Giulio Perlicari mancanti in tutte
le edizioni delle sue opere. 8." Faenza dalla tipo-
grafia di Pietro Conti 1856. (Sono pag. 38.)
Rende gran servigio all'Italia ed alla gentilezza
delle sua favella chi pubblica alcuna cosa d'oro del
Perticari : che già non altro che oro menava quella
sua penna. Le lettere, che qui annunziamo, e che
trovansi sparse qua e là in diverse opere , saranno
a tutti preziose; specialmente una di esse lunghis-
sima e dottissima al celebre Paolo Costa intorno
a que'versi della Divina Commedia :
J]^ la notte de'passi, con che sale,
Fatti avea due nel loco avveravamo :
lettera che ha una pur lunga aggiunta in fine, pa-
rimente intorno ad essi versi, dell'illustre consorte
del Perticari Costanza Monti.
357
/ primi XXI vescovi della chiesa ripana, ceUni sto-
rici del sacerdote prof. Alessandro Alti. 12." Ri-
patransone, tip. di Corrado e Guido laffei 1856.
(Sono pag. 198}.
Diamo al sig. prof. ab. Atti, rettore del semi-
nario di Segni, la lode che ben si merita per qaesta
opera, la quale eruditamente illustra non solo la storia
della chiesa ripana, ma l'universale ecclesiastica: oltre
alle notizie critiche che vi si contengono delle an-
tiche città di Cupra Marittima e di Truento, le qua-
li, già vescovili ne primi secoli della nostra fede ,
sursero nella presente diocesi di Ripatransone, che
non ottenne la sua cattedra vescovile se non nel
1571 da san Pio V.
La prima e la seconda patria. Picciol dono affettuoso
offerto agli amici delVuna e delValtra da Alessan^
dro Baldassini. 8." Pesaro, tipografia di Annesio
Nobili 1856. (Sono pag. 61.)
La Simiglia Baldassini di Pesaro non è men
chiara per lettere, che per cortesia. Abbiamo par-
lato or ora del venerando marchese Francesco : or
ecco il suo degno figliuolo marchese Alessandro dar
opera in questi versi ad onorare i più insigni suoi
amici e concittadini di essa città di Pesaro e di Bo-
logna, quella chiamata prima, e questa seconda sua
patria. Gentile il pensiero dell' egregio^ signore : e
lodevole l'esecusione di esso: perciocché ne'suoi versi
ben si ravvisa un seguace delle scuole sì pesarese
e sì bolognese , famosa quella pel Perticari e pel
Cassi, questa pel Costa, pel Marchetti, per l'Ange-
358
lellì , tenutisi cost.antemente lontani da ogni stra-
nezza e corruzione moderna.
Vita del giovane marchese Girolamo Morici di Fermo
scritta dal prete Antonio Donati. 12." Fermo^ tip.
Paccasassi 1856. (Sono pag. 119 coi ritratto del
Morici).
Non poteva scriversi, a noi pare, più soave-
mente la vita di un giovinetto patrizio, che fu tutto
cosa di Dio, e che nato il 2 di maggio 1833 si ri-
posò nel Signore il 27 di agosto 1855. Quando si
hanno alle mani, come ben mostra d'averli il sig.
ab. Donati, i libri incomparabili che intorno a que-
ste cose ci lasciarono principalmente il Cavalca, l'au-
tore de'Fioretti di s- Francesco, il Belcari,il MafFei, il
Cesari, non può non farsi opera anche bellissima per
la schietta eleganza della favella.
Precetti ed esempi di lettere italiane proposti ai gio-
vanetti da Girolamo Bertozzi maestro del ginnasio
di Cesena. 12.° Ravenna, tipografia del ven. semi-
nario àrciv. 1855. (Sono pag. 191.)
Dopo le debite lodi che ci sembra meritare il
retto giudizio del sig. Bertozzi, non possiamo che
assai raccomandare questo elegante libretto ai no
stri maestri , sicché noi facciano ignorare ai loro
giovani, i quali vi troveranno esempi bellissimi di
scriver lettere, la maggior parte inediti e usciti del-
la penna di molti de'più chiaj-i e forbiti scrittori ,
che hanno illustrato o illustrano viventi l'Italia.
ì
ì
359
Lettera del sommo pontefice Benedetto XIV a mon-
signor Niccola Mancinforte circa il dover riassu-
mere e ritenere il titolo di vescovo di Ancona e
di Umana. Si aggiungono annotazioni ed illustra-
zioni e documenti inediti sulla serie de' vescovi e
sulle antichità numanati. 8." Ancona per Sartori
Cherubini 1856. (Un voi. di pag. 142 e XXX).
11 grande pontefice Benedetto XIV, stato già ve-
scovo d'Ancona, prese in questa dottissima lettera
a far quasi la storia dell'antica città di Umana, la
quale da Martino V nel 1422 fu unita alla cattedra
anconitana. Ma i vescovi amarono poi meglio chia-
marsi conti di Umana : il che per ragioni storiche
non sembrando bene al pontefice, ordinò a monsi-
gnor Manciforte, che secondo la bolla di papa Mar-
tino dovesse riprendere il titolo di vescovo di An-
cona e di Umana.
A questa lunga ed importante lettera di sì gran
papa ha fatto nella presente opera eruditissime note
un dotto prelato, monsignor Lorenzo Barili primi-
cerio della cattedrale di Ancona , ed ora inviato
straordinario della Santa Sede alla Nuova Granata.
Noi reputiamo il suo scritto essere de'piij diligenti
e critici che mai possano desiderarsi nella presente
luce di studi storici : perciocché non v'ha forse co-
se intorno ad Umana, detta pur Numana, che vi sia
o ignorata o dimenticata : così quanto alle sue vi-
cende civili, come quanto alle ecclesiastiche, e so-
prattutto a'suoi vescovi particolari, de' quali si dà
più corretta la serie. È poi prezioso il libro per
tanti documenti che, tratti dagli archivi, or veggono
la prima volta la pubblica luce.
360
Egloga nona di Virgilio recata in italiano dal mar-
chese di Montrone, e pubblicata per le nozze Ra~
nnzzi-De^ Bianchi. 8." Bologna^ tipografìa alV Anco-
ra 1856.
Ne dobbiamo la prima pubblicazione alle cure
di quel caro e candido scrittore ch'è l'avv. Enrico
Sassoli. Si sa ora dunque cbe il celebre marchese
di Montrone aveva pur tradotta l'intera Bucolica di
Virgilio : lavoro però , che non essendo stato mai
ricordato da lui, ne pure a'suoì più stretti amici ,
pare che debba stimarsi condotto in gioventù. E
veramente benché mostri lampi qua e là di quel
bello stile , già sì lodato dal Giordani e da altri ,
osiamo dire che non ci sembra cosa da crescer fama
all'insigne poeta, il quale di tante nobilissime opere
arricchì il nostro Parnaso , e principalmente della,
più italiana traduzione di Giovenale.
Programma del grande concorso dementino e del pre-
mio pittorico Pellegrini che si giudicheranno nel
MDCCCLVII dalV insigne e pontificia accademia
romana delle belle arti denominata di san Luca.
insigne e pontifìcia accademia ha determinato
di pubblicare il grande concorso dementino ed
insieme il premio di pittura fondato dalla eh. mem.
del prof. Domenico Pellegrini.
PITTURA
PRIMA CLASSE
David schiva il colpo di Saal , la cui lancia ,.
361
senza offendere l'innocente e odiato giovane, va a
percuotere la parete. - V. Il primo libro dei re cap.
XIX V. 10.
Quadro ad olio in tela, lungo palmi cinque archi-
tettonici romani, cioè metro 1,115; alto palmi quatt
Irò, cioè metro 0,892.
SECONDA CLASSE
N. S. Gesù Cristo è servito a mensa dagli angeli
dopo le tentazioni del demonio nel deserto. - V
San Matteo, Evang. cap. Fw. 11.
Disegno in figura, in foglio lungo tre palmi romani
0 sia metro 0,670; alto due palmi, o sia metro, 0,
445, non compreso il margine.
SCULTURA
j
PRIMA CLASSE
Il figliuol prodigo, pentito de'suoi falli, presen-
tasi al padre che amorosamente lo accoglie fra le
sue braccia. - V. San Luca, Evang. cap. XV
Gruppo di tutto rilievo, in gesso o in terra cotta,
Cleti altezza di tre palmi romani: cioè metro 0,670
non compreso lo zoccolo.
SECONDA CLASSE
Il giudizio di Salomone sulla questione del figli-
uolo disputato dalle due donne. - F. // libro III
dei re cap. Ili
:ìG2
Bassorilievo in gesso o in terra cotta, lungo palmi
romani cinque, cioè metro 1,115; allo palmi tre ,
cioè metro 0,670.
ARCHITETTURA
PUflUA CLASSE
Un' accademia ecclesiastica , o collegio per le
scienze ecclesiastiche superiori atto a contenere ses-
santa alunni, il quale oltre alla loro abitazione in
camere separate, dovrà contenere anche quelle de'
professori. Formeranno parte principale dell'edificio
una gran chiesa accessibile al pubblico, e una pic-
cola chiesa, od oi'atorio , per gli esercizi spirituali
giornalieri- Dovranno essere opportunamente e co-
modamente distribuite nell'edificio le scuole co'ri-
spettivi gabinetti di scienze fìsiche e naturali, le sale
per le esercitazioni private degli alunni, per le dis-
sertazioni e conclusioni pubbliche, e per la biblio-
teca. Dovrà l'edificio inoltre avere un appartamento
pel supremo direttore, vari luoghi per l'interna am-
ministrazione, il refettorio, le cucine, la farmacia,
i magazzini ed altri accessoria
Tutto il composto dovrà rappresentarsi in due
piante, in un prospetto e in due sezioni, oltre ad un
foglio di particolari più in grande.
La scala sarà di due millimetri a metro per le
piante, e di quattro millimetri per le alzate : usando
a tal uopo fogli hmghi palmi 2 ^1^^ , o sia metro
0, 840; largo palmi 2 '/j^, , o sia metro 0, 576.
363
SECONDA CLASSE
Un edifìcio pel convitto ed ammaestramento dei
sordo-muti. Vi saranno, oltre agli ambienti neces-
sari per quaranta maschi e quaranta femmine, di-
sposti colla debita separazione dei sessi, quelli per
Tistruzione, un oratorio, una sala per gli esami pub-
blici, e le abitazioni per il direttore, per la diret-
trice e per gli inservienti necessari.
Il progetto sarà dimostrato colle piante di ciascun
piano, prospetto e sezione. I fogli avranno la mede-
sima dimensione di quelli prescritti per la prima classe.
PREMIO PITTORICO PELLEGRINI.
11 giovane Daniele difende l'innocenza di Susan-
na mentre è condotta ad essere lapidata. - V. Il li-
bro di Daniele capo XIII.
Quadro ad olio, alto palmi sei romani aì'chitet^
tonici, 0 sia metro 1, 345; largo palmi otto romani
architettonici, o sia metro 1, 780.
ORDINE DEL CONCORSO
Il giorno della solenne distribuzione de' premi
verrà determinato con particolare avviso.
Ogni artista, di qualsiasi nazione, potrà fare espe-
rimento del suo valore in quella classe, ove non ab-
bia ottenuto mai premio in alcuno de'grandi con-
corsi capitolini.
Le opere saranno consegnate al professore se-
gretario perpetuo dell' accademia , nella residenza
364
delle scuole accademiche a Ripetta, il giorno 21 di
maggio 1857.
Ogni opera da presentarsi al concorso avrà scrit-
ta una epigrafe, e sarà accompagnata da una let-
tera sigillata, che contenga il nome dell'autore, la
patria e l'abitazione, ed abbia di fuori ripetuta l'e-
pigrafe medesima, ond'ò notata l'opera.
Ne'giorni 23 e 24 di esso mese i concorrenti
saranno sottoposti a prove estemporanee sopra temi
tratti a sorte.
Queste prove, affinchè bastino a far conoscere se
l'opera presentata sia dell'autore che la presenta ^
consisteranno negli esper. menti che qui seguono .
Per la pittura, nella prima classe e nel concorso
al premio Pellegrini, si farà un bozzetto d' inven-
zione nel primo giorno e nel termine di sei ore ,
alto un palmo e due once, cioè metro 0,268: largo
un palmo e mezzo, cioè metro 0, 335. Nel secon-
do giorno, entro il medesimo spazio di tempo , si
dipingerà una mezza figura dal nudo (nella misura
così detta di Sassoferrato) a fine di avere le prove
dell'esecuzione.
Il medesimo, quanto a'modelii, si userà per la
prima classe della scultura.
Nella seconda classe poi della pittura si eseguirà
un soggetto in disegno : e nella seconda classe della
scultura un altro soggetto in bassorilievo: e ciò nel
primo giorno. Nel secondo giorne si disegnerà da'
pittori, e si modellerà dagli scultori, una parte daF
vero.
Nell'architettura, quelli che concorreranno alla
prima classe dovranno ne! primo giorno eseguire la.
365
pianta, l'elevazione e lo spaccato di un piccolo edi-
ficio, in fogli lunghi tre palmi e un dodicesimo, cioè
metro 0, 688 ; larghi due palmi e cinque dodice-
simi, cioè metro 0,539. I concorrenti alla seconda
classe saranno sperimentati sopra un soggetto più
facile, in fogli lunghi palmi due e dieci dodicesimi,
cioè metro 0, 633; larghi palmi due e un dodice-
simo, cioè metro 0, 4-64.
Nel secondo giorno essi concorrenti della prima
classe faranno una descrizione della fabbrica ope-
rata estemporaneamente nel gioino innanzi : indi-
cando il metodo di costruzione , e dando qualche
particolare in grande di una parte di essa fabbrica.
E così faranno in proporzione quelli della seconda
classe.
Le opere de' concorrenti colle rispettive prove
saranno esposte al pubblico nelle sale accademiche
per otto giorni, prima del giudizio dell'accademia:
e per altri otto giorni, dopo esso giudizio.
L'accademia giudicherà le opere de'concorrenti
inappellabilmente, ed in tutto secondo le disposi-
zioni del cap. IV de'suoi pontifici statuti.
Le opere premiate rimarranno in proprietà dell'
accademia , perchè siano collocate nelle sue sale
co'nomi degli autori.
11 premio dementino, per le opere della prima
classe della pittura, della scultura e dell'architettura,
sarà d' una medaglia del valore di scudi romani
centotrenla
II premio per le opere delle seconde classi sarà
d'una medaglia del valore di scudi romani settanta.
Il premio pittorico Pellegrini sarà di una meda-
glia di scudi romani quattrocento.
366
Dato in Roma dalle stanze accademiche questo
dì 21 di maggio 1856.
// conte Palatino
Professore Presidente deW Accademia
COMMEND. PIETRO TENERANl
// Professore Segretario Perpetuo.
CAV. SALVATORE BETTI.
Errata — Corrige-
Nel ragionamento del nostro celebre cav. Borghesi Intorno alViscri-
zione ardeatina di Mario Massimo, ch'è il primo di questo to-
mo, debbono a carte 17 lin 9 essere tolte le parole, affine di as-
sumervi il successivo consolato ordinario.
367
INDICE
Borghesi^ Intorno alV iscrizione ardeatina di Ma-
rio Massimo pag. 3
Valenlinelli, Bibliografia della Dalmazia e del
Monteìiegro. . , » 36
Gori, Gita da Boma a Porto d'Anzio, a Net-
tuno e ad Astiira » 38
Biistellif Esperimento d'una versione italiana di
Tacito {continuazione) » 80
Orioli, Idee cosmologiche e cosmogoniche. » 106
Pianciani, Saggi filosofici » 112
Intorno ad alcune voci che si stimano erronee
nella Ugna italiana, e tali non sono. . » 126
Cappello, Bagni minerali di Tivoli. . . » 186
Mori chini. Scritti editi ed inediti ( continuazione
e fine) « 191
Bapporti delVistituto veneto intorno ai Cenni sul
moto ondoso del mare del commendatore
Cialdi, e schiarimenti di questo » 216
Cialdi, Appendice all'opera sua sul Moto ondoso
del mare ec » 242
Maggiorani, Di alami suicidi ultimamente avve-
nuti in Boma. » 259
Belli, Inni ecclesiastici tradotti. . , . . » 271
Morelli, La pellagra ne' suoi rapporti medici e
sociali . » 286
Monti, Odi: . . " . . . . . . . . » 288
Lettere inedite di Luigi Biondi e Pellegrino
Farini .:....» 298
368
Burri, Ispezione scientifica e tecnica siiWacqui-
(lotto da costruir&i nella città di Sezze. » 310
Tomani Amiani, Delle dipinture più celebri esi-
stenti in Fano » 338
Preservativo contro la febbre gialla. . . » 340
Monlau, Igiene industriale » 341
Ravioli, Lettera al prof. Rambelli. ...» 346
Varietà » 354
Programma delVaccademia di s. Luca- . » 360
IMPRIMATUR
Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius
IMPRIMATUR
Fr. A. Ligi Russi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon.
Vicesserens.
Nel giornale si dà il sunto, o viene inse-
rito l'annunzio, delle opere presentate in dop-
pio esemplare alla direzione. Se queste opere
vengono dall'estero, debbono essere inviate
franche d'ogni spesa di porto e dazio.
Le notizie di scienze, di lettere, e di belle
arti, quelle di scoperte utili per l'agricolfvra,
industria ec, come anche i programmi de' con-
corsi accademici, dovranno similmente esser
mandati franchi di posta alla direzione.
Chi si associa per dieci copie, o ne garan-
tisce la vendita, avrà l'undecima gratis.
^
GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
Voi. 4-30 431 432
ROMA
Tipografia delle Belle Arti
1856
Piazza Poli num. 91.
GIORNALE
DI
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
VOLUME CXLIV
LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE
1856
ì^
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1856
SCIEIXZE, LETTERE ED ARTI
Antiche lapidi rinvemite in varie escavazioni dal cav.
G. B. Guidi, pubblicale da Carlo Lodovico Visconti
socio ordinario soprannumero della poniilìcia acca-
demia romana di archeologia.
I
I cav. Giambattista Guidi, ispettore onorario de-
gli scavi , sagace non meno che fortunato ricer-
catore d'antichi monumenti, avendo, non ha guari,
adunato nel suo nuovo magazzino, in via di porta
s. Sebastiano, presso la chiesa di s. Sisto, una mol-
titudine di cose antiche, infra le quali non poche
iscrizioni, fuori d'una o due tutte inedite e talune
pregevolissime, ho divisato di farle conoscere agli eru-
diti, colla mira principalmente d'ovviare al pericolo,
che troppo indugiandosi a pubblicarle, per alcuna di
quelle tante vicende, cui vanno del continuo sotto-
poste le cose umane, non avesse a rimanere in parte
od in tutto privata la scienza di suppellettile sì pre-
ziosa. Ondechè fattane parola e chiestane la per-
missione al suUodato inventore e possessore delle
medesime, questi non pure me l' accordò pronta-
mente, ma, caldissimo fautore, com'egli è, di quanto
può ridondare in utilità della scienza, aggiunse an-
cora stimoli al mio desiderio , e di poi con ogni
maniera di cortesie si compiacque facilitare l'opera
mia , dimostrandomi co' fatti quanto egli avesse a
caro che tah suoi marmi fossero divuli^ati. Eccoli
4-
portanto venire in luce su questo giornale, insieme
con qualche mia breve osservazione, dove m'è parso
che ne meritassero alcuna; le quali del resto [sot-
topongo interamente al giudizio degli eruditi, d'al-
tro non potendo assicurarli , se non che della mia
diligenza ed accuratezza in farne gli apografi, e dello
studio posto in provvedere che fossero riprodotti fe-
delmente e senza mende, anzi con la maggiore pos-
sibile imitazione dei monumenti originali.
De' rimanenti oggetti che si conservano in detto
luogo , e ne formami quasiché un picciolo museo ,
come vasi, bronzi, bassorilievi, monete, utensili do-
mestici ed altro, io non avrò punto ad occuparmi
limitandomi alle sole iscrizioni. A queste verrò tal-
volta inserendone alcuna rinvenuta di prossimo dal
cav. Guidi, come che non si trovi in quel magaz-
zino : e massime certe lapidi pagane estratte dal
cimiterio di s. Alessandro, ov'erano state adoperate
da que' fedeli all'uopo di chiudere i loculi sepolcra-
li; lo che si vede anche altrove aver fiitto piìi volte.
Ancorché detti marmi, che non hanno veruno essen-
ziale riferimento a quel cimiterio, credo siano stati
posti in appendice alla illustrazione di quell'insigne e
venerabile monumento, dettata dal Commissario delle
Antichità, commend. P. E. Visconti, mio zio, omai
prossima ad uscire in luce.
La più gran parte delle iscrizioni che siamo per
publicare son sepolcrali , e provengono da colom-
bai posti lungo le vie Appia e Latina, talune dalla
famosa villa de' Quintili , pochissime d' altre parti.
Lo che si conoscerà dalle indicazioni topografiche,
di cui non mancheremo di corredarle , ogni volta
5
cl»e ne siano state fornite dal prelodato cav. Gui-
<ir, che quanto ad alcune gli fallì Ja n^emoria
dei nomi , respingendo in ultimo quelle no.ho
che non ne offi-ono alcuno , sia per la e lità d
Hìonumento, sia per la frattura del marmo
D M
AELIAE . EVHODlAE . FEC
C . IVLIVS . EVTYCnvS . COWiVGl
sanctissIaue . B . M .
ET . IVLIA . MARIA . MATRl .
DVLCISS/MAE • ET . PlIsSlMAE
QV.AO. XXIX.D.Xlin.
^J^ùolo ..invenuto s„l,a via Appia , presso To,
6
11.
D M
P AEL CLEKVCHo
AVG LIB I L RODO
PE CONIVGI BENE
MEREN TI FECIT
La presente iscrizione non è fra quelle posse-
dute dal cav. Guidi. La copiai da un cinerario di
bella maniera portato in giro da un contadino , il
quale dicea d'averlo rinvenuto nelle vicinanze di s.
Vito, e cercava disfarsene al maggior prezzo pos-
sibile. Sarà slato forse in quei luoghi un qualche
vico, 0 pago, dipendente da Anania, o da Praeneste.
Yi notai che i caratteri n'erano assai cattivi e molto
alieni da quelli del tempo di Adriano e dal buono
stile del vaso. E quindi probabile che detto cine-
rario fosse acquistato in Roma bello e fatto da que-
sto Clerucone , il quale dipoi vi facesse incidere 1'
iscrizione da qualche mal pratico scarpellino del
luogo, che fu patria, o domicilio della defunta. Volli
pertanto inserire l'epigrafe surriferita in questa rac-
colta , ond' ella non avesse a rimanere occulta in-
sieme col vaso, il quale ornai Dio sa dove sarà ca-
pitato ?
7
m.
FORT . . . .
TVTELA ....
P . AELIVS . I
P.P..
AEDEM . CV
A SOLO . R
Fortimae Aug. et Tutelae huius loci, era scritto
probabilmente nelle prime linee di questo marmo,
posto forse anticamente nella fronte di qualche tem-
pietto, entro una villa. Fu rinvenuto nella tenuta
detta Lucrezia Romana.
IV.
D M
AGATHAMGELO
NAIS
MATER . FILIO
Piissimo
Stera, Villa dei Quintili.
V.
D M
AEMILIAE
M . F
BASSILLAE
Cippo.
8
VI.
CINERIBVS
ALEXANDRI
Lapidetta con foro per libazioni , trovata nella
villa dei Quintili.
VII.
ANTHVS MANDATI
LVCI F SER VICAR
ASCLEPIAE CONS SVAE
Titoletto rinvenuto presso i ruderi detti Roma
Vecchia. Credo vi si debba leggere: Anthus Mandati
Ludi Fila Servus Vicarius ec. Dov' è da notare ,
che questo Mandato , di cui Anto si dice vicario ,
fu ingenuo , venendo citato il nome di Lucio suo
padre. Lo che non so quanto piacerebbe al Fab-
bretti, il quale rimproverò al Reinesio d'aver dato
un vicario, non che ad un ingenuo, ad un liberto,
sostenendo egli: Servos vicarios in alterius servi pe-
culio fuissc ( I. D. cap. IV., 302 ). Di che viene con*
buone ragioni contraddetto dal Muratori (883 ,6).
VIII.
APOLLONIA
SVAVISSIMA
Stera di travertino. Via latina.
9
IX.
D M
ARRIO
EVARISTO
ARRIA.HELPIS
B . M . F
^^ia Appia. Tor Carbone.
X.
ATEI A.'J.L.LEPIDA.FECIT
SIBI.ET.GAVIAE.C.L.STASIMEN
FILIAE
Ossuario quadrato mancante del coperchio. Via
latina. Nella seconda linea è mancato il marmo per
terminarvi il nome.
XI.
AVR • AVGG • LIB BONITAS
EX • EMERITIS
{Sic)
M • AVRAVGGI B • AVRELIA
NVS
EXCOMMRAT • KASTR
MATN DVLOISSAME
{Sic) {Sic)
Grande sarcofago di marmo senza alcuno orna-
mento, rinvenuto nella villa dei Quintili. Ha qui lo
10
scappellino corrotto in più luoghi l' iscrizione , la
quale, s'io non erro, deve leggersi così:
Aiirelia Aiigg. Lih. Bonitas,
Ex Emerilis
M. Aurelius Au(jg. Lih. Aurelianus
Ex Commentariensibus Rationis Kastrensis,
Mairi Diilcissimae.
Appartiene ai tempi degl' imperatori Marco Aure-
lio e Lucio Vero. Emeritus in altro senso che mi-
litare, e massime applicato ad una donna, non credo
siasi ancora veduto : che nella muratoriana 802. 3
sta evidentemente in luogo di cognome, come avverte
rOrelli. E però senza dubbio una qualifica nel nostro
marmo, e sembra potersene congetturare, che que-
sta donna avesse da giovine esercitato un qual-
che ufficio nella casa Augusta, dal quale dispensata
poi per la vecchiaia , od altra qualsiasi cagione ,
avesse preso il titolo di emerita, come lo prende-
vano i soldati sciolti dalla milizia per onesta mis-
sione.
Nella terza linea ha omesso lo scarpellino parte
della L e tutta intera la l nella parola LIB. Quanto
al commentariensis rationis kastrensis, non m'era que-
sto ufficio peranco occorso nei marmi , avendovi
però trovato A tabulario castr. (Grut, 584.1); Prae-
posilo tabular, rationis castrensis (Reines. 9. XXVIII
Donat. 311. 5). lab. caslrens (Murat. 899.6); Arfàt/.
labili, castr. (Id. 900. 1). Ed anche Ser. Disp. Fi-
sci castrensis (Id. 892. 5. Donat. 308-8). A suppell.
11
castrensi (Doni - VII, 202. Murat. 889. 1) ec. L'of-
ficio di questo Aureliano sarà stato simile a quello
di scrivano nell'anfinninistrazione militare- Strani sono
gli errori dell'ultima linea.
XII.
. . avreliasdeFv
. . NOSQYADRAGl
SITA ' Hi • ID • APR
Frammento d' epitafio cristiano rinvenuto non
lungi dai ruderi conosciuti sotto il nome di Roma
Vecchia.
XIII.
D
MAVRELIVSAV .
VILICDOMVSAV
"ITAELIAEDI^
Frammento rinvenuto suH'Appia nella vigna Mo-
linari, e pubblicato già dal Matianga di eh. mem.
nel Bullettino di corrispondenza archeologica (150-
179-20).
12
XIV.
D M
BAEBIAE • SEVERAE • FECIT
QBAEBIVSARISTION
CONIVGIDVLCISSIMAE
(Sic)
ET.PONTIA AGVRINAFILIA
MATER. INFELICISSIMA. RECEPII. FILIAM.S.S.AN'XVll
DIERVM.XV
Lapide rinvenuta nella via latina presso la porta.
Le due ultime linee, scolpite in caratteri più minuti
ed anco diversi, vi saranno, io credo, state aggiunte
dopo la morte di Ponzia Augurìna, la quale insie-
me col padre suo. Quinto Bebio Aristione , si dice
aver posto quel monumento alla genitrice. Ond' è
che questa nel sepolcro recepii filiam supva seri--
plam, ec.
XV.
OSSA
CAECILIAE
VACCAENAE
Stera di travertino. Vacca fu città della Spa-
gna Lusilanica: Vaccaei si dissero alcuni popoli della
Tarraconense. E poi notissimo, come sovente il pa-
tronimico prenda il posto del cognome. Quindi può
darsi che questa Cecilia indicasse la sua origine
mediante il cognome.
13
XVI.
CAKLIA • ASELLA • INNOCENT. . .
QVEVIXIT • ANN • XII • M . . .
DEPOSITA • Vili • KL • SEPTEM . . .
IN PACE
Frammento d' epitafio cristiano rinvenuto sulla
via Ialina. È noto 1' uso degli antichi fedeli di as-
sumere per umiltà nomi di animali. Questo di A-
sella, eh' è certo dei più modesti, occorre più volte
nella epigrafìa cristiana , del pari che i consimili
Asinhis, Asellicus ec.
XVII.
QCARNIVS
CRHESIMVS
. CONIVGI
BEN • M • FEC
Frammento di Stera.
XVIII.
CLAVDIAML
DAPHNE
Frammento di cinerario.
XIX.
Tt.CLAVDIVS ATFA. SALVIA
ACHORIsTvS I AOHORISTI
Ossuario. Via latina.
14
XX.
TI CLAVDIO A
AMIANTHOS .
. . •
VIXIT ANNXX.
. . •
EROS.ET.NATALISFRA •
FRATRI
FECERV
Via Appia.
XXI.
. AVDIO . tI . F
. REXTRO
. RI .ITERVM
. AED . l'L
. NN . XXVll
. VS . SCOMBUIO
. PTIMO . F
Via Appia, vigna Molinari.
XXII.
D • M
TI • CLAVDIO • STEFANO
BENEMERENTI • FECIT
CARA CONIVNX
Lapide rinvenuta sulla via latina, presso il set-
timo miglio.
15
XXIII.
M • COCCEIVS
HILARVS .
OFFlcls . Svis . HIC . IN HOR
REIS . NERVAE . AMOREM
HABVIT MAXVMVM
LICINIA • LIBAS
CONIVX
Iscrizione interessantissima per la topografica in-
dicazione ch'ella presenta, emergendone per la prima
volta i granai di Nerva, sconosciuti fin'ora, ed in-
clusi forse dai regionari fra gli altri moltissimi della
città. Fu pubblicata dal eh. Matranga (mancato non
ha guari e prematuramente alle lettere) nel ballet-
tino dell' istituto archeologico (1850, pag. 179, n.
20), dov'egli tuttavia errò scrivendola trovata nella
vigna Molinari: lo che non è vero, e toglie la paetà
del pregio a questo epitafio , eh' è quello appunto
d' indicare il luogo preciso, dove furono anticamente
gli anzidetti granai. Infatti, com'era egli possibile,
che sull'Appìa, ed in un luogo tutto pieno di se-
polcri, si fosse trovato un edifizio di quel ge-
nere , che pure d'altronde si dice apertamente
nell'epitafio là essere stato, dove fu posto il defun-
to ? Trascrisse il Matranga questo marmo nei ma-
gazzini del cav. Guidi, e confondendo poi le ubi-
cazioni fornitegli dal medesimo, assegnò alla vigna
Molinari un monumento , che , tranne per qualche
strana vicenda, non poteva spettarle.
16
Mi assicnra invece il possessore dì averlo rinve-
nuto in una escavazione ch'egli fece in sui campi
entro il secondo miglio fra la via Appia e l'Ostien-
se, molto pili presso a quella che a questa, e pre-
cisamente vicino alla chiesa detta della Nimziatella.
Dov'egli trovò molte vestigie d'un antico edifìzio,e, ciò
che più lo sorprese, un gran numero di doUi smi-
surati, disposti ordinatamente in più file, e che sem-
bravano d' essere stati messi fin da principio sot-
terra con tutto il corpo, restandone fuori soltanto
la bocca del vaso. Egli n'estrasse due o tre de'me-
glio conservati e feceli trasportare nel giardino dei
PP. Francescani a s. Sebastiano, ove trovansi al pre-
sente e può chi vuole osservarli. Quivi presso a-
dunque fu rinvenuto molto opportunamente il no-
stro marmo, da cui, s' io non erro, s' impara l'an-
tica destinazione di quella fabbrica, ed insieme co'
granai di Nerva, il luogo ch'essi occupavano fuori
la porta Capena e non molto lungi dalla via Ostiense,
per la quale passavano tutte le vettovaglie che ve-
nissero d' oltremare. Se poi quel gran numero di
vasi enormi fosse destinato a contenere i grani, o
le farine, ciò lasciamo ch'altri 1' indaghi, se vuole:
bastando a noi l'avere indicato questo nuovo punto
topografico, ed esposto ciò che in quella occasione
fu cavalo fuori dal suolo. Singolarissimo è pure que-
sto epitafio per l'elogio che vi si fa al defunto, di-
cendo ch'egli esercitò con grandissimo amore il suo
impiego ne'granai di Nerva: il qual genere di elogi
parziali non è punto frequente presso gli antichi. La
piociolezza e povertà del suo titolo sepolciale fa
supporre che M. Cocceio Ilaro esercitasse uno de'
17
più bassi uffici in quello stabilimento : sarà slato
forse un mensor fvumentarhis , o semplicemente un
horrearins.
Questa bella iscrizione è stata ancora inserita dal
eh. sig. dott. G. Henzen (cui fu comunicata dal
Matr anga) nelle sue dottissime aggiunte all'Orelli,
che formano il terzo tomo di quell'opera , dianzi
uscite in luce con somma soddisfazione degli eruditi,
e singolare vantaggio degli epigrafici studi (7233) (1).
XXIV.
D- M
LCODONIOFRYCTO
BENEMERENTI-
CODONIAFELICITAS
FRATRI INCONPA
RABILISSIMO QVl
VIXITANNIS
XXIII
Quésto home m'è occorso un'altra volta soltanto in
Fabbretti (IX. 137). La presente iscrizione fu tro-
vata nella temila presso la via Nomentana, in voca-
bolo le Vittorie, o Casal VecchiOf di proprietà dei
RiTii canonici regolari di s. Pietro in Vincola. Un
diverticolo si diparte dall' indicata via dopo l'ottavo
miglio, torcendo a dritta; chi batte il medesimo per
(1) Inscriptionum latinarnfn seleclarum amplissima colleclio ,
ad illustrandam romdnae antiquitalis disciplinaìn accomodala ec.
— Turici, typis Orellii, Fuesslini et sociorum, 1856. — Prostat Ro-
mae apud losephum Spilhòver^ in platea Hispanica, n. 53. .56.
G.A.T.CXLIV. * 2
18
mezzo miglio all' incirca e saie quindi sui campi a
sinistra, si trova nel lenimento indicato. Fu rinve-
nuto questo marmo nella occasione che si fecero in
detto fondo alcune escavazioni, per conto dei sigg.
fratelli Rossi, in compagnia e sotto la direzione del
cav. Guidi, Tornarono in luce molti avanzi di an-
tiche fabbriche di buon tempo, e fra gli altri una
grandiosa porta, che sembra di villa, formata da una
gran soglia di travertino, sopra cui posano due co-
lonne scanalate di tufa. Vari frammenti di statue e
bassorilievi , ed in ispecie alcune teste di animali
con la gola forata, per ammettere il tubo di piom-
bo, ad uso di fontane , dimostravano essere stata
quivi una delle tante ville , delle quali era pieno
tutto il suburbano di Roma. Ed affinchè non igno-
rassimo a chi probabilmente appartenessero quelle
delizie, molto opportunamente emersero là presso
dal suolo alcuni pezzi di fìstole, segnate, com' era
d'uso, col nome del proprietario del fondo. Queste
sono in potere dei sullodati sigg. fratelli Rossi , i
quali capacissimi, come sono, di apprezzare simili
erudite curiosità, le conservano presso di loro. Egli-
no cortesemente mi permisero di trascriverle e pub-
blicarle.
Appartennero le medesime a due diversi con-
dotti. Si legge in una 1' iscrizione seguente:
Q SERVILI PVDENTIS
e nel prolungamento:
TICLAVDIVSPHOENIXFEC
Quinto Servilio Pudente resse i fasci ordinari
19
nell'anno vanoniano della città 918, insieme con Lu-
cio P'ufidio Poilione. C è un bel marmo dello Spon
[Misceli artic. VII, pag. 33) ed uno del Muratori
(336. 2) segnati con detti consoli. Questo perso-
naggio dovette essere nipote, o pronipote, di quel
Servilio Pudente, di cui ha ricordo in Plinio nella
lettera X del libro X, indirizzata a Traiano: Servi-
lius Pudens, legatus, domine, Nicomediam venit, me-
qiie longae expectationis soliciludine liberavit. Rammen-
tando che Plinio amministrò il Ponto e la Bitinìa
come legato propretore di Cesare, e ch'egli atten-
deva Servilio Pudente nella capitale d'essa Bitinia,
è facile conghietturarne che il medesimo fosse uno
di que' legati, che si davano ai presidi delle Provin-
cie, affinchè li aiutassero in iure dicundo. Fra la le-
gazione dell' un Servilio ed il consolato dell' altro
corsero circa sessant' anni. Ma che il console sud-
detto possedesse una villa nelle vicinanze defluogo
indicato è cosa molto probabile , considerati mas-
simamente i caratteri della iscrizione , i quali mi
sembrano accennare al tempo degli Antonini. Né ciò
trova opposizione nei nomi dell'artefice: che di si-
mili ne occorrono anco più tardi.
it' Nell'altro tubo si legge:
B L FVNISVVETTONIANI
Ludi Funisidani Veltoniani, che fu molto ragguar-
devole personaggio. Tacito lo narra legato della
quarta legione scitica, sotto Nerone, l'anno di G.C.
62 [Annal. Uh. XV. VII). Sotto Domiziano conseguì
tutti gli onori militari nella guerra dacica. Ebbe
1 ancora un consolato suffetto e fu legato di Cesare
20
nella Dalmazia, Pannonia e Mesia superiore. Tutto-
ciò si ricava da una sua bella lapide scoperta in
Croazia nel 1771 ed illustrata dal eh. sig. cav. B.
Borghesi in questo giornale {voi. 8. pag. 61),
dove anche rettifica la lezione d' alcuni frammenti
d'altro marmo spettante a quel personaggio, dati ma-
lamente dal Muratori (435. 6). La suddetta lapide
di Croazia si trova ancora pubblicata dal Cardinali
{Dipi. n. 586), dall' Arneth {Dipi, milil. 11. 12) e
dal eh. sig. Dott. G. Henzen nell'opera, di cui so-
pra, abbiamo toccato (5430 31).
1 sigg. Rossi intendono di ripigliare quanto pri-
ma l'escavazioni nel fondo indicato insieme col cav.
Guidi, ed io confido che vi faranno buon frutto. Ad
ogni modo la meriterebbe quell'amore scevro da ogni
mira interessata , ch'eglino portano a questi nobili
avanzi di nostre antiche grandezze.
«
XXV.
D M S
CONSIDIA . TROPHIME . eT . IISACHI . IIORKEARIO
THESMVS . VELARIVS . B . M . DE . SVO . FECERVNT
Coperchio di cinerario trovato suH' Appia ,
incontro alla vigna Molinari. L'iscrizione, divisa in
due righe, gira intorno l'orlo d'esso coperchio. Sem-
bra però che lo scarpellino ne abbia invertito l'or-
dine, dovendosi invece leggervi per cavarne il co-
strutto: /«oc/u' horreario Considia Trophime et Thes-
miis vclarius, ec.
21
XXVI.
EY^rxi
ETAPECTE
ETCJN • lÈ
Cippetto. Via latina. Nel marmo gli E sono lunati.
xxvir.
MEMORIAEVGENIORVM
MAVRELIPHILVMENIETAN
NIAE FELICVLAE CONIVGIET-
AVRELIARVM CALLISTES PHILV
MENES ETDOMNJNAE FILIARV-
I.NFRONTEPED.XXXVJIIS.INTRORSVS.PE.XLIUIS
Lapide rinvenuta sull'Appia presso Tor Carbone.
E alquanto strano e sembra superfluo V Eugeniorum
della prima linea, atteso che ciascuno dei defunti
ha il proprio nome e cognome; lo che farebbe sospet-
tare che fosse quella piuttosto una qualifica {Bvyivr.g):
Nella seconda linea V incisore avendo scritto er-
roneamente Aurelio , avvertito poi V errore tolse
via r O. Ha dimostrato il Fabbretti con molti esem-
pì, che nelle iscrizioni sepolcrali inlrorsiis vale il
medesimo che in agro : eccone una novella prova
nel nostro marmo.
22
XXVIll.
DIS
MANIbVS
EVTYCHETIS
FECIT
PINARIVS
PROCLVS
FILIOKARISN
{Sic)
Lapide trovata nel cimiterio di s. Alessandro ,
ov'ella era servita a chiudere un loculo sepolcrale.
I caratteri sono pessimi ed in qualche lettera s'ac-
costano al corsivo.
XXIX.
0 K
. $HAIKinAlAI
rAYKYTATCJ
0 0PE¥AC-iUiX
. [Sic]
Felici piiero dulcissimo; qui eiim aluit mensibus
decem, sottintendendosi javvj/jivjv «ve'Svjxsv, od altra cosa
simile. Colui che lo nutrì per dieci mesi (tace però
il suo nome) pose al suo alunno quel titoletto. Non so
se il doppio 5 della terza linea debba attribuirsi ad un
2Ò
fallo del quadratario, o s'abbia l'uno a tenere pel 3 fe-
rale, che però sembra inutile in questo caso. Le
note numerali latine occorrono talvolta nei monu-
menti greci, come in questo nostro epitafio; vi a-
vranno ricorso per farsi comprendere più facilmente.
Questa lapide fu trovata non molto lungi dalla
chiesa di s. Sebastiano , e precisamente nel luogo
detto Tor Marancio.
XXX.
D M
FELICIONI
VIX ANN XXII
FECIT
Ionis.conIvgi
B • M :: i.r,
Lapide con fastigio. Villa dei Quintili.
XXXI.
FLAVIVS
•VLIANVS
FOHTVNATAE
CONLACTIAE
BENEMERENTI
FECIT
VIXAN XVI DIEB VI
VIRGINI
Lapide con fastigio rinvenuta presso i ruderi
detti Roma Vecchia. Non volle questo Flavio Giù-
24
llano tacere nell'epitafio della sua sorella di latte il
pregio della virginità : lo che non è molto rara
neppure nei monumenti, come questo, pagani. Vedi
Grut. 655, 1.099, 14. 717, 2-.. E Fabretti cap. Ili
pag. 144, N. 163, 164, 165, 166, 167, 168.
XXXII.
D • M • S
FOUTVNATAE VIX
ANNISXXII
THREPTVSCONIVGI
SVAE BENE MERENl
FECIT
Lapide con molte fratture rinvenuta sulla via
latina, molto presso alla porta.
XXXlll.
TFRENNIO
BARBARO
SEXTILIA. MARCIA
CONIVGI
B • M • F
Via latina.
25
XXXIV.
MANIBVS
FVLFIDIAE
[Fori per libazioni).
PRIMIGENIAE
Via Appia. Non è questo il primo esempio di
epilafio in cui leggasi Mamèws taciuto il D^s. Si vede
il medesimo nel Fabbretti (Pag. 80, n. 98) , e nel
Museo Veronese (pag. 149 e 306, 3).
XXXV.
D M
TGELLIO
TRHEPTO
GELLIAICONE
GOLLIBERTO
BENEMERENI
FECIT
Via Appia.
26
XXXVI.
DISMANIB
GRAPTE
EGNATIAEMA
XIMILLAE'
AMANV
CONIVGI KARIS-
SIMAECEGN
ATIVSAROGVS-
Lapide rinvenuta sulla via latina. Ella presenta
un' iscrizione molto pregevole- Questa Egnazia Mas-
similla, cui Grapte appartenne, sembra essere stata
la nobile e ricchissima donna, moglie di quel Gli-
zio Gallo, che fu implicato nella famosa congiura,
ordita contro Nerone, in favore di C. Calpurnio Pi-
sone, l'anno di Roma 817, narrata diffusamente da
Tacito. La qual congiura scoperta innanzi eh' ella
scoppiasse , e puniti con atrocissime morti i con-
giurati, Glizio Gallo insieme con Nonio Prisco ed An-
nio Pollione, per mancanza di autentiche prove, fu-
rono condannati solamente all' esilio. « Priscum
Antonia Flaccilla coniux comUata est; Gallum Egnn-
tia Maximilla , magnis primum et integris opibus ,
post ademptìs: quae iitraquc gloriam eius aiixere »
(Tacit. Annal. lib. XV. LXXl). I caratteri e l'orto-
grafia della iscrizione accennano appunto alla se-
conda metà del primo secolo dell' impero. Non mi
27
sovviene di aver veduto il nome di Egnazia Mas-
similla in altro marmo conosciuto. L' indicato con-
fronto aggiugne molto pregio alla nostra iscrizione.
XXXVII
DÉPOSSIOHIIAMSQVE
VIXlTANNViiVIbM-VNO.-r
.iiiDEposiTA mMwms
TRlqoj^EDEETccfARCOSNS
Titolo cristiano spettante all'anno dell'E. V. 384,
d' incerta provenienza. È di quelli che soglionsi
chiamare cimiteriali, cioè provenienti da un loculo
incavato nella parete di un ambulacro di cimitero
sotterraneo.
Tutti i caratteri, ch'esibisce questo marmo, ac-
cennano chiaramente ai tempi cui esso appartiene,
28
ìli guisa che, mossa ancora in disparte la nota con-
solare, se ne potrebbe con sicurezza fissare, se nori
l'anno, 1' età. Le parole deposilio, deposila, furonoi
quasiché solenni nei titoli sepolcrali del quarto e
quinto secolo della chiesa. Né il manogramma suole
fregiare gli api taf ì che siano anteriori ai tempi di
Costantino. La forma poi delle lettere , 1' insieme
della scrittura e l'ortografia, sono tali appunto, quali
ce li offrono i monumenti cristiani dal secolo IV ,
quelli cioè che fossero lavorati da persona dell'ar-
te: che quanto agli altri non è possibile di stabi-
lirne alcuna regola generale, né formarne alcun cri-
terio cronologico. Quanto al simbolo della colomba,
che qui si trova isolato e senza il ramoscello di olivo,
è da vedere ciò che ne scrive il eh. sig. cav. Giam-
battista De Rossi nell'eruditissima epistola: De chris-
iianis monumenlis IX0YN exhiheniihus , stampata a
Parigi nel 1855, licca di nuove e pellegrine noti-
zie intorno la simbolografia degli antichi cristia-
ni. Non so se detto simbolo si trovi nel nostro
epitafio collocato sopra l'ultima sillaba del nome di
Clearco , per esser q^uella il principio della parola.
columba.
29
XXXVIII.
D M
lANVARIACARA-
COIYX AGATONI-
COCOIVGIVENE-
{Sic) MENTIFECIT-
[Sic) QVN-QVN-VI
XI ANNISXXV
Cippo. Cum quem si è voluto scrivere nella pe-
nultima linea, cioè in luogo di cum quo,
XXXIX
{Sic)
Dls.MANNlBVS.kMO
PRIMO
VIXIT ANNIS
vnu
Via Appia. Vi leggo Ikmo Primo , Icmone a
Primo.
30
XL.
IPHILVOLVSSI
CVBICLARIOCARPOS
QVIFVITL FILI
AVONCVLO SVO ET
ANATOLECONTV
BERNALES.EIVS
{Sic)
Lapide con ornamenti gratili rinvenuta SuU'Ap-
pia, presso la vigna Molinari. Conlubernalis richie-
derebbe la retta sintassi. Anatole è scritto sopra un
altro nome che fu cancellalo.
XLI
I) M •
1VLL\ECF1>RISCILLAE-
CONIVGI INCOMPARABILI
SEX HEREMIVS ...LAVS
ANNISXXXV
Via latina.
31
XLIl.
M I\ NIVS
SILANIL
NEDYMVS
Titoletto. C insegnano i marmi come talvolta i
liberti de' più cospicui personaggi costumassero di
citare il cognome in cambio del prenome de' loro
patroni, onde pienamente indicare coloro, cui si glo-
riavano di appartenere. Intorno la famiglia dei Giu-
nii Silani è da vedere la dottissima dissertazione
del eh. cav. Borghesi (Bull. di corrisp. archeol. 1849).
XLIII.
D. M.
LAELIA FELICIS
SIMA LAELIAE MAR
CELLAE VERNAE-
B M FECl'rylXIT-
ANNISVÌÌI MvTidY-
Lapide trovala sulla via latina presso il VII
uiiulio.
32
XXIV.
DBCISSIT
Epitafio cristiano rinvenuto nella vigna Moli-
nari sull'Appia, insieme con altri marini cristiamì e
cimiteriali. Mi assicura il eh. cav. De Rossi essere
quivi stato nn cimitero sotterraneo, cioè le ultime
diramazioni di quello amplissimo e celeberrimo, eh'
era a sinistra dell'Appia, e che oggi non può met-
tersi in dubbio essere stato veramente quello che
avea nome di Pretestato.
Descissit è scritto erroneamente in luogo di
discessil , formola equivalente al decessit o recessil,
che sovente si trovano nei più antichi titoli , ed
esprimono la partenza dell'anima cristiana verso gli
eterni riposi : VX invece di XV , inversione quasi
frequente negli epita fi , specialmente cristiani, come
ha notalo il Maiini , e causata dal pronunziarsi as-
sai volle, rpùnlodecimo , sexludecimo ec. , in luogo
33
di decimoqitinlo e decimosexto. Decimoquinto knlendas
iulias, die Veneris, dorè si omette il NE; Annorum
XXIIS , cioè Semis, teneva io si dovesse leggere in
quelle note numerali, vedendo un fallo dell' incisore
nella S posta nel mezzo anziché nel fine delle note
medesime- Ma tolsemi da questa opinione il prelo-
dato eh. cav. De Rossi, il quale da me consultatone
per lettera , così mi rispose intorno questo punto,
pregiandomi di riportare le sue stesse parole: « In
quanto alla S inserita alla nota numerale XXSII,
mi parrebbe assai strano che potesse significare il
Semis, essendo quella maniera classica di segnare i
mezzi omai quasi al tutto ignota all' epigrafia cri-
stiana. Pili semplice e piana è l' interpretazione di
chi volesse leggervi XXVIII, cioè XXcj-II, essendo la
forma della S assai simile all' kn'in-^ixov r*, e piii di
una volta adoperato negli epitaffi in luogo di questo
segno del numero senario ».
XLY.
M.VALERIO.ASIA...
M.LIVlVS.M.F-FAL.MAr.,
nvri.eovjllien....
avgvstalita't....
sva e.et.faeni....
in.hknc . ann....
....IT»0....
Brano di sottile lamina di bronzo rinvenuta a
Boville, la qual contenne, come sembra, un decreto
G.A.T.CXLIV 3
34
di quei decurioni accordante un qualche privilegio
a questo M. Livio Massimo. Quanto alla nota con-
solare, ond' è corredata in principio, si potrebbe a
prima vista esitare alquanto, se debba riferiisi a quel
Valerio Asiatico, che fu console per la seconda volta
nell'anno varroniano della città798,insieme con Marco
lunio Silano; ovvero a Marco Lollio Paulino Valerio
Asiatico Saturnino, il quale resse i fasci nell'anno 846,
insiemeconCaioAntioIulioQuadrato, ambedue suffetti.
Del quale M. Lollio erroneamente si fecero due consoli
dallo Stampa, e del suo collega due dall'Almeloveno;
opponendovisi, come avverte il Sanclemente, quanto
al primo la gruteriana 574. 5 ( nel Donati 160),
quanto al secondo la sponiana a pag. 313 delle
Miscellanee. Però, se si trattasse di quest'ultimo,
parrebbe, che volendosi per brevità tacere alcuno
de'suoi nomi , lo si sarebbe dovuto chiamare M.
Lollio Paulino, anziché M. Valerio Asiatico; e così
Io chiama il Marini negli atti degli Arvali (pag.
736) : dovendosi credere, che Lollio fosse il suo
primo e vero gentilizio, il qual d'ordinario si trova
precedere gli altri, che per adozione od altra causa
venivano assunti dipoi. Egli è perciò eh' io inclino
a restituire quella nota consolare a questo modo :
M. Valerio Asiatico, M. lunio Silano Coss. Nel qual
caso la nostra lamina avrebbe il merito di produrre
il prenome di quel personaggio che Tacito e Dione
chiamano semplicemente Valerio Asiatico, com'è pure
notato nei fasti.
35
XLVI.
LOLLIA VRBANAAEDITVA
MINISTRA
VIX • ANN XXX
FELICIO • F • FECIT
Rarissimo è nelle donne l'ufficio di Aedìttia: par-
mi non ve ne sia più d'uno, o due esempì.
XLVII.
....IVO....
....lA....
....Q LVCaSECVNDI
11 VIR
..MIVNIANNIANI n ET...
....QIVLIANTONINI
Frammento di grande iscrizione trovato in Ardea.
8(ì
XLVIIl.
D MMARCIAEGAE
LMARCIVSSTATIVS
ET PEDVCLANIAEPICTESIS
VERNE SVAE KARISSIM
ET PEDYCLANIA PRIMTIVA
{Sic)
COLLIBERTA FECERVN
QVAEVAlDXVnU
Lapide con protome muliebre. Monte Mario.
XLIX.
L. MA RIO- MAXIMO
PERPETVOAVRELIANO
C V PRAEFVRBIPRO COS
PROVINCIAEASIAE IT PRO
COS-PROV AFRICAECOS II-
FETIALl PATRONO ETCVRA
TORICOLONIAE
ARDEATIVM
DIGN I S S I MO
1 1 1 1 1 IB 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
Base di statua rinvenuta in Ardea. Ella è in
tal modo corrosa dal tempo e malconcia dal ferro,
37
che m' è tornato assai malagevole a leggervi l' is-
crizione importantissima ch'ella presenta, intorno la
quale è da vedere nel volume precedente di que-
sto giornale la magistrale illustrazione dettata-
ne dal eh. sig. cav. B. Borghesi. Si ha quindi
una piena notizia della istoria del personaggio
onorato e la soluzione delle difficoltà che of-
fre questo marmo, come pure la confutazione delle
sentenze del Corsini e del Casaubono, che vollero
di questo Mario Massimo fare due persone diverse.
Le due ultime linee della base non sono affatto leg-
gibili, per non restarne che scarsi e tenuissimi
vestigi.
Essendo data inesattamente dal Muratori la bella
iscrizione onoraria di Mario Massimo, 397.4, da lui
anche omessa nell'indice dei nomi; nò mancando
di qualche menda la copia molto migliore del Bian-
chini, di cui si vale il eh. Borghesi nello scritto in-
dicato, parmi opportuno di pubblicarla nuovamente,
secondo l'apografo da me fattone, in compagnia del
eh. sig. dott. Henzen, sul marmo originale, che rin-
venimmo nella vigna Fonseca sul Celio , in via di
santo Stefano Rotondo n. 3., ora di proprietà dei
sigg. fratelli Cantoni , dai quali con ogni cortesia
ne fu permesso di osservare e trascrivere quel mo-
numento importantissimo.
38
L • MARIO L • F . QVIR •
MAXIMO • PERPETVO
AVRELIANO • COS •
sacerdoti.fetiall.leg.avgg pr.pr.
provinc.sYriaecoelaeleg.avgg.pr.pr
provinc.germaniaeinferioris.iTem.
provincbelgicaedvci.exerciti.mYsia
ci.apvt.byteantivm.etapvt.lvgvdvnvm.
leg.leg.i.italic.cvr.viae.latinae.
item.reipfaventinorvm.allectoin.
ter.praetorios.trlb.plebcandidato.
qvaestori.vrbano.trib.laticl.lég.
XXII . PRIMIG . ITEM . Ili . ITALICAE .
mi . VIARVM . CVRANDARVM .
MIVLIVSARTEMIDORYS T
LEG • Iff- CYNERAICAE •
Eserciti si legge veramente nel marmo, come
pure Byzeantiiim con 1' E connessa alla Z. Non
vi potemmo però rinvenire 1' altra base di quel
personaggio (719.2) che pone ugualmente il Mu-
ratori nella vigna Fonseca. Né il sullodato signor
Cantoni ce ne seppe dare indizio veruno , dicen-
done anzi di non aver mai conosciuto che vi ab-
bia esistito. Però è certo che vi fosse una volta ; e
Tessersi colà trovati due monumenti onorari di Ma-
39
rio Massimo, fa sospettare con assai fondamento, che
quivi stesse anticamente la di lui casa, come avverte
li eh. Borghesi nello scritto indicato. E realmente
molti avanzi di fabbriche di buon tempo vi si os-
servano ancora, insieme con molti frammenti mar-
morei di membrature architettoniche: e de^-na era
dell'uomo nobilissimo quella egregia situazione. ^
Ne manca pure dì qualche inesattezza, rispetto al
monumento originale, Taltra base di Mario Massimo
data pure dal Muratori (2023-5) che trovasi ora nel
museo capitolino, nel veMiholo,a dritta. Eccola quale
s» legge nel marmo:
L- M A R 1 0 • M A X I M 0
PERPETVOAVRELIANO
CVPRAEF- VRRIS
PROCOrVSVLIPROVIIVC-
ASIAE- ITERVM-
PROCONSVLIPROVIIVC-
AFRICAE-
M- IVUVS • CEREALI S•
MATER]VVS•EX•CIVITAT•
FOROIVLIENSIVM-
PATRONOOPTIMO
L.
• D • M •
TFMERC.PATER
EF- EVHODIAF-
{Sic}
SPETIPIENTIS
SIMAE • BMF-
Lapide rinvenuta nella villa dei Quintili. Vi si
legga: Titus Flavius Mercurius Pater, et Flavia E-
vhodia Filia eie. Pessimi caratteri.
LI.
MMODIVS-
MLIBMAXSiM
VSFECIT SlBl •
AEDICVLAM
Titoletto. Via latina.
LIL
D M
MYSTICO
Stera. Villa dei Quintili
41
LUI.
D M
CNVMISIO
CLVSINONV
MISIAHELPIS
MATERFILIO
PJENTISSIMO
Marmo servito a chiudere un loculo nel cimi-
terio di s. Alessandro.
LIV.
• D • M •
OCTAVIVS HERMES-
CHRYSIONI VERNAE
SVOBENEMERENTI-
FECIT
Lapide in forma di edicola.
42
LV.
r
DIS •
MANIB •
ORIGANI
ONI
VIXIT
ANN- LI
Lapide con fastigio. Vìa appia, vigna Molinari.
LVI.
POMPEI VE
HELPIUI
VEKNAESVAE
FECIT
POMPEIATYCHE
Via latina.
i3
LYII.
DISSACRVM
SEXPOMPEIO
SATVRNINO
^EypOMPElvs
Frammento di cippo. In questa iscrizione si o-
mette il Manibns , mentre nell' altra n. XXXIV si
omise il Dìs. Però tanto V una che 1' altra parola
bastano di per se sole per indicare quelle funeste
divinità. Non mi sovviene di aver veduto altra la-
pide in cui elle siano invocate mediante la sola pa-
rola DIS.
LVIII.
oilX ri!.ivb
AMPLIaTVS
FILIOPIOET
SEXPOMPEI\...
SABINVS
.RATRl SAN
TISSIMO
44
LIX.
• POMPONI
L.L.PHILARGVRVS
Stera di travertino. Nella prima linea non è ba-
stato il niarnio per terminarvi Pomponius.
LX.
dIs.manibvs
c.popilli.nychi
c.popillivs.heracla
patri . svo
..... rissimo et
....merenti.des
. SVIT
LXI.
RIMIGENIA
VIX.ANN.XXII
SCANTHVS.NOìMENcLaT
ariae.eT.conivgi
E.MERENTI.FECIT
Vìa Appia.
45
LXII.
ì'aih:
Nl.BENEFlCIO SIBI.eT
....ME.LIBERTAE.SVAE.EIDEMCONIVG
.ROXIMILLAE. F ET
.ROXIMO.F.ET.MARTIALI.FILIO
Via latina.
LXH.
D M
PVPIEMAE
RVFINAE
FILIAE
PVPIEN.MAXIM
Parte anteriore di grande sarcofago ornato di
bassorilievi , d'un' arte molto inchinata alla deca-
denza. Fu rinvenuto non lungi dai ruderi più volte
indicati, conosciuti sotto il nome di Roma vecchia.
11 gentilizio di questa defunta emerse la prima volta
da un frammento di fasti sacerdotali, trovato nella
basilica Giulia l' anno 1849, ed illustrato dal eh.
sig. dott. Henzen nel Bullettino di corrispondenza
archeologica (1849. pag. 132). Era questi Pupienio
Affricano, console nell'anno di Roma 989.
46
LXIV.
D • M • S
P PVPIENOJVIA
XIMOPATRI
PYPENRYFINAE
Altro frammento di sarcofago simile al prece-
dente. Appartenne a quello stesso Publio Pupie-
nio Massimo, che nel precedente (sebbene taciuto il
prenome) si dice aver posto quel monumento alla
figlia. Ha però qui errato due volte 1' incisore, scri-
vendo Pupieno in luogo di Pupienio , e Pupen in
luogo di Piipien. Dovette esser questa una famiglia
molto ragguardevole e facoltosa; giacche i detti sar-
cofagi, similissimi fi-a loro, sebbene accennino alla
decadenza dell'arte, sono tuttavia molto grandiosi,
e condotti senza risparmio di lavoro. In uno dei
bassorilievi (che son tutti mutilati ed infranti) m'è
parso di riconoscere il ratto d'Elena. Per certo que-
sto defunto amò molto la figlia, o molto si tenne
da lei onorato, se nel suo titolo sepolcrale si fece
annunziare come padre di Pupienia Rufìna.
47
LXV.
0 K
EN0AAEPO
KEIMAIYn....
TYMBIOCa
ECOPATE^....
EACGEIC-^ ....
NOMQCQ
POAONIAPI
NON ZHC^
TECCEPETHF
CMACIMOIPIAI
Frammento di lapide sepolcrale trovato sulla Via
latina. Lasciando ad altri la cura di effettuarne la
restituzione, ci limiteremo ad osservare essere slata
questa lapide posta ad una donna, per nomePOAONIA,
Rhodoììia , come si vede in parte nella prima riga
ed interamente nella settima. Credo però sarebbesi
dovuto scrivere piuttosto POAQNIA.
LXVI.
SAVFEIVS
CONlVGi
B . M . F
È noto che la gente Saufeia fu prenestina. Un
sepolcro spettante ad una famiglia dei medesimi fu
rinvenuto, non ha molti anni , presso il terzo mi-
glio delia Via Labicana, nella vigna Belardi , dove
1 avea di già trovato il Fabbretti.
48
LXVII.
..BIANVS-P-F SEIVSFLAM..
....GVSTAL- iT VIRQVARTFECIT.. .
Frammento di grande lapide trovata in Ardea.
Caratteri assai belli.
LXVIII.
. D M .
Setoniae.omfale
pientissimae f
benemerenti
encolpv s
PATER . F .
VIXIT
ANNIS XVI MEN xi
DIEBVS V
Lapide con fastigio. Questo gentilizio, per quanto
io mi sappia, emerge Ora per la prima volta dal
nostio marmo.
19
LXIX.
D • M
PSTRABONIVS
PRIMIGENIVS
FVIPSANIAE
GLYPTE ET
PSTRABONIO
EVTYCHOPET
PETMVNIAE
TROPHIMES SYIS
PQEORVM
LPV LATPIII
Lapide con fastigio trovata sulla via latina presso
il VII miglio. Non è facile dare acconcia spiega-
zione al P. della settima linea.
ì
LXX.
DM
Ltitio aghi
lleogoivgbm
manteniaielpis
memoriaecavsa
Lapide rinvenuta nel cimiterio s. Alessandro.
G.A.T.CXLIV 4
50
LXLI.
[Fori per libazioni)
MVALERl
ANICETI AVCTl LIBE
Villa dei Quintili.
LXXIi.
0EOICKATAX0ONI
OIC • r • OYAAEPIO'
AAPIOC OYAAE
PIfìAlOrENIA
NQ • TQ • rATKY
TATQMNHMHC
XAPIN . ETQN B •
MHN • lA • ET^rXI
TEKNON •
Cioè: Dts Manibns. C. Valerius Darius , Valerio
Diogeniano filio dulcissimo, memoriae caussa. Ann. Ily
Mens. XI. Siiavis fili. Via latina.
LXXIII.
D M
QVEHILl i
TROPHIMI i
Titolelto rinvenuto nel cimitero di s. Alessan-
dro, ov'era servito all'uso più volte indicato di ot-
turare un loculo. Bei caratteri. i
51
LXXIV.
D. M .
VEIENO
CICERONI
Titoletto rinvenuto nel medesimo luogo.
LXXV.
VIBIA FELICLAETMCOC
CEIVSZMARAGDVSF
COCCEIAE.ZMARAGDINI.FILIAE
ET.D.NOVIVS.TELESPHOR.ET.VIBIA
DONATA.NEPTI.VIX.A.I.M.VI.D.XX
SIBl. P. Q. EORVM
Via latina.
LXXVI.
DM
VLPIO
NOTHO
FECIT
SALVIA
ATTICE
Cippetto dell'altezza di un palmo, largo appena
un quarto dell'altezza. Sembra fatto per esser col-
locato entro un loculo di colombaio. Fu rinvenuto
sulla via latina.
52
LXXVII.
DM
MVLPIVSEVTROPVS ET
FLAVIAVICTORINA FEC
M VLPIOEVTROPOFIL- DYLC
ET SIBl ET LIB.LIBERTABVSQ
POST EORVM
Marmo servito a chiudere un loculo nel citni-
lero di s. Alessandro.
LXXVIII.
VOLVSIAE.STRATONICE
L.VOLVSI.L.F.SATVRNINl
PONI.F.NVTR[CI.L.VOLVSIVS
ZOSIMVS.F.MATRI.SVAE.PIISSI
MAE.FECIT.ET.L.VOLVSIO.ZOSI
MO.L.VOLVSI.PATRYI.COL
LACT [O.TAMPIA.PRISCILLA
CONIVGI.SVO.PIISSIMO.ET.SAN
TISSIMO.FECIT.ET.SIBI
Ossuario semicircolare trovato sull' Appia nella
vigna Molinari, dalla quale avemmo parecchi novelli
monumenti dei Volusii II PONI • F • della terza
linea imbroglia talmente il senso da non potersene
per avventura comprendere il significato. Mentro-
chè limpidissimo correrebbe ti alasciando quelle due
parole.
53
LXXIX.
L VOLVSIOCRISPINO
Q- VOL VSI VSTHEODOT VS
B.MFECIT
Via Appia, insieme colla precedente.
LXXX.
D M
XENOFON
TIFONTINVS
(Sto) SFRATERF
Lapidetla. Villa dei Quintili.
LXXXI.
IDIOTA f I LEVATE
DALVSO ; s RILOCV
Fi-ammento di tavola lusoria consimile alle al-
tre già conosciute. {Orel. 4315). Ne tratta alquanto
il P. Lupi neW Epilafìo di s. Severa. (Cap. Vili. p.
59). Fu rinvenuto sull'Appia presso Tor Carbone.
54
Lxxxir.
....ARIBYS • A..
vici BO.
Frammento di lapide convertita più tardi in base
di colonna. Fu rinvenuto a Boville. Prima di Vicir
non esisteva altra parola. E quindi chiaro che que-
sta iscrizione devesi restituire così.
LARIBVS.AVGVSTIS
vIcI.BOVILLENSES
Trattandosi probabilmente di alcuna edicola, o tem-
pietto dedicato in comune da tutti i vici di quella
città.
LXXXIII.
MAI.
ZHCA KTKAOYCni
CTPa ABANTQN
KAIMHNHC ir-rnCESEni
TOICIKYKAOYC .
AAAETINHniAXOlVMETYXH
KATE0HKATOMHTHP
TQIAENIAAìNEQiTYMBQIME
rAlJENGOCEXOYCA .
Frammento d'iscrizione sepolcrale metrica, rinvenuto
sulla Via latina. il primo verso probabilmente avrà ter-
minato con le parole h^x^i xsltxat, offrendo in prin-
55
cìpio ì nomi del defunto. La doppia lacuna del se-
condo verso, causata dalla frattura del marmo, può
restituirsi nel primo luogo probabilmente nel se-
condo sicuramente a questo modo:
ZHCAg zv^vnTcm KTKAOYCni
CYPcov Xux ABANTQN
Ey ^vijToTaj m' è sembrato una delle acconce resti-
tuzioni, perchè credo vi si debba far breve la prima
sillaba della parola kYKAOYC, abbreviandola questo
poeta pure nel terzo verso. Nella parola infranta
dopo MHNHC, è facilissimo leggere lEPHC» in luogo
di ^£pà?, forma ionica molto conveniente a questi
versi. 11 senso quindi dell'epitafìo, siccome ognuno
vede, sarebbe questo:
hic iaceo
Qui. vixi inter mortaìes quatuor annoium orbesy
Et sacrae limae sex insuper orbes.
At qiiamvis infantem Tijche ma ter me deposuit
In lapideo sepidcro, magnum habens luctum.
Visse cioè quattro anni e sei mesi, venendo i mesi
indicati mediante le lunazioni da cui son generati.
E strano di vedere in questi versi un pentametro,
cioè il terzo, fra quattro esametri.
56
LXXXIV.
....PONUAl
i^AlQMAAlOICIXL
)rNOMAKEKAOM
...MAIMOCIAEKEAN-I........
....nAWOAEITOCOMOY....
.... DCnANeiIAECkOCTNAIMOC
...COMOYCTONAXAIC È TOOICE
..AAKPYONXEONOrrAPEAQ
.... DNOYKEPATOTCeAAA
C
Frammento d'iscrizione sepolcrale metrica, tro-
vato sellila Via latina.
LXXXV.
....MANIE
...HPHKIO
....MA$IAQ
....nTOAEii
YSENAMHTHIQ...
EYNHEENEKEN
Occorre più d'una volta di trovare in titoli greci
l'invocazione agli Dei Mani latinamente espressa me-
57
diante le sigle D • M • Di che rende ragione il
Zaccaria nella istituzione lapidaria (cap. VII. p. 206).
Scritta però così alla distesa, come nel presente
frammento, non mi sovviene di averla altrove ve-
duta: e tuttavia deriva ciò probabilmeule dalla stessa
cagione allegata dal Zaccaria, dall'essersi cioè fatto
incidere l'elogio sopra una lapide presa già bella e
preparata dallo scarpellino, con quella invocazione
solenne. Ma potrebbe anche darsi che un qualche
greco non si fosse curato di tradurre nella propria
lingua una formola di rito meramente romano. Ella
infatti non si è mai veduta negli epitafì rinvenuti
nelle città della Grecia, sebbene quelli che vivevano
in Roma 1' avessero adottata per conformarsi alla
religione dei loro signori.
Queste sono le antiche iscrizioni chefregìano il de-
scritto magazzino del cav. Giambattista Guidi. Egli ne
possiede ancora parecchie altre,sparse in altri suoi de-
positi di antichità, non che un'assai ragguardevole colle-
zione di bolli di mattoni e di lucerne ed altri simili mo-
numenti scritti, lo non dubito punto che nel modo
istesso ch'egli ha consentito alla pubblicazione di que-
sti marmi, non voglia ugualmente concedere a me,
0 ad altri, di dare in luce ancora le rimanenti sue
ricchezze antiquarie, proseguendo sempre, com'egli
fa, a rendersi benemerito dell'archeologia.
58
La commedia ilaliana nel secolo XVII
per Ignazio Ciampi.
CAPITOLO PRIMO.
\T1' italiani nel cinquecento non recarono la com-
media, anzi l'arte drammatica, a quell'altezza, che
raggiunsero in molte altre discipline letterarie ed ar-
tistiche. Della qual cosa si allegano molte e varie
cagioni dagli scrittori, che hanno guardato al na-
scere e al procedere della nostra letteratura. Ma
forse men volgare e più vera si è la sentenza di
coloro, che ne chiamano in colpa la imitazione troppo
servile degli antichi modelli: come quella che matu-
rando l'arte precocemente, le tolse di attingere la
perfezione , la quale non si lascia cogliere che da
chi la giunga passo passo con la propria esperienza.
Il teatro dunque non si trasse, o per dir meglio ,
non ti sviluppò a mano a mano dai misteri o feste
o esempi o moralità, che in sé contenevano i ger-
mi della tragedia , commedia e farsa ; ne si valse
della novella, che pure in m.ezzo a ridicole beffe
dava più vivo il secolo e argomento di sublime e
di patetico, e di comico. E vaglia il vero, chi non
meraviglierà pensando che quel fiore della Giulietta
e Romeo, novella narrataci da Luigi Da Porto, fosse
lasciato cogliere ai forastieri (1) ? Ma i tesori let-
terari ed artistici dell'antichità, disotterrati in quel-
l'erudito secolo, trassero a loi'o di soverchio gli oc-
59
chi e la mente de'nostri padri : i quali , abbagliati
dalla bellezza di quelle forme, quasi perderono di
memoria il presente, e piuttosto di studiare ad e-
sjirimere i propri pensieri con quella proporzione ,
grandezza e semplicità con cui disponevano e figu-
ravano gli antichi, si sforzarono di tradurli intieri
nelle opere loro, e starei per dire, di contraffarsi a
greci e a romani nel bel tempo del Savonarola e
del Valentino. Per la qual cosa perderono da due
parti: perchè non colorirono le proprie invenzioni ,
e come avviene a chi ripete le altrui, riuscirono di
ghiaccio. E nella commedia se prima delle altre
nazioni presso a noi si raggiunse la regolarità della
forma e dell'azione, d'altra parte si credette di toc-
car la cima col mutar lievemente o ripetere o cu-
cire i brani delle commedie di Plauto e di Teren-
zio. In tal modo i cinquecentisti né parlarono ai
contemporanei, né ci diedero dipinto il lor secolo
(come fece de'veneziani e del settecento il Goldoni),
e ci lasciarono invece una pallida copia de'costumi
antichi, sotto de'quali il lor tempo trasparisce come
d' un velo e a malgrado degli stessi scrittori. Da
che, per quanto si voglia, non si può uscire all' in-
tutto del tempo in che ognuno si vive: e que' bar-
gelli e quegli spagnuoli bravi e ciarlieri , e quegli
ebrei venuti di Spagna, che spacciano alchimie e fan
truffe, sono pur troppo ritratti di gente viva ; ma
essi sono ridotti ad un solo aspetto , siccome i re
e i fanti delle carte da giuoco , che son sempre i
medesimi, sebbene combinati diversamente.
Aggiungi a questo il farnetico della lingua lati-
na, che prese quel secolo insieme con le idee pò-
(ìO
litiche attinte da Lucano e da Tacito (2). Che se oggi
è da piangere, che a questa lingua si attenda meno
che non converrebbe a noi viventi nella terra ove
visse qnel popolo meraviglioso, e che almeno non la
si adoperi nella scrittura delle opere dotte; dall'al-
tra parte dobbiam lodarci d'esser giunti a tale, che
si stimerebbe pazzo chi pur s'attentasse a dire, che
ella sarebbe buona per cose, che appunto son buone,
quando tutti o la maggior parte degli uomini le in-
tendono. Eppure dopo che Dante avea, non che tolta
di balia ma fatta matura la nostra lingua, v'ebbero
di quelli, che scrissero commedie e tragedie in la-
tino. Sovvengaci Albertino Mussato , che pure era
tale da farci ammirare il suo Ezzellino s'egli l'aves-
se scritto in italiano, e Leon Battista Alberti e Gre-
gorio Corrari, i quali diedero a bere agli eruditi che
le lor tragedie fossero antiche (o). Ma fa sdegno e
compassione di noi medesimi l'udire il Bibbiena ,
che nel prologo della Calandra poco meno che si
scusa dell'averla dettala in lingua volgare (4): per
non dire della sfacciatezza di Romolo Amaseo, che
innanzi al papa e all'imperatore a Bologna sostenne
che la lingua italiana era da lasciarsi ai trecconi ed
al volgo (5).
Ma sia che queste fossero od altre piìi potenti
cagioni; egli è certo che fuoi-i della Mandragola del
Machiavelli ed alcune delle commedie dell' Aretino
(lascive, sfrenate quanto si voglia, ma pur cercale
fra gli uomini e gli usi viventi), le altre di quel se-
colo, benché non manchino di pregi in ispecie nel
grazioso dialogo, nello spirito dei motti, nella fa-
vella sempre schietta, propria, elegante ; non sono
Gì
che copie delle antiche, e con l'artitìcio e le fila ,
che si raggruppano, non finiscono che a burle e a
figli ritrovati e a riconoscimenti : per guisa che ,
lettene di molte, non ti rimane idea distinta di al-
cuna e di tutte ti dimentichi facilmente. La Man-
dragola di Machiavelli, dico, fu quella che si levò
al disopra delle altre e diede una immagine di quelle
commedie, che diconsi di carattere. Ma essa fu la-
sciata là e quasi dimenticata, non dico dal popolo
e dai commedianti (che fu bene per la dissoluta fa-
cezia che la informa), ma anche dagli scrittori, che
doveano, sceverando il bene dal male, imitare e svol-
gere e fecondare quell'unico esempio. All' incontro si
andò per la battuta: anzi si peggiorò non poco. Impe-
rocché in sullo scorcio del secolo sopravvennei'o
gr imitatori degl' imitatori: cioè coloro , che senza
r ingegno urbano dell'Ariosto, la festività e la ele-
ganza del Caro e del Cecchi e il satirico di Pietro
Aretino, empirono le scene di commedie, non che
fredde, intirizzite: tanto che il popolo , lasciandole
alle sale degli accademici , si piacque piuttosto di
composizioni, che a scapito della regolarità , aves-
ser qualche cosa di vivo, di curioso, di fantastico,
che potesse recargli diletto. Allora gavazzarono la
commedia dell' arte e le maschere e il teatro spa-
gnuolo : il quale, unitosi a'due elementi suddetti ,
partorì di stranissime -cose.
' A quel tempo gli spagnuoli faceano da padroni.
E come avviene per lo più , che qual signoreggia
con la spada, dà a credere ai popoli ch'egli è va-
lente (perchè si crede alla forza); perciò essi erano
tenuti in gran conto, e imitati dalle nazioni d'Eu-
62
ropa, guastavano le arti e le lettere di tutti. Molti
s' accendono a disputare a quale de' due popoli si
debba dar colpa della corruzione dell'altro, lo dirò
soltanto che tra noi non fiorirono come setta let-
teraria e Gongora e quegli scrittori che si chia-
marono colti {in ispagnuolo cuhos) (6) : noi aveva-
mo già due secoli di alta letteratura, quand'essi gu-
starono per la prima volta quel bello che riluce
nelle carte del Poliziano e dell'Ariosto: noi non si
eravamo giammai dimostri sì passionati del magni-
fico stile : né gli arabi ci avean dominato, ne la-
sciato retaggio del lor gusto bizzarro e fantastico.
Ma ciò tralasciando, che ci porterebbe troppo lungi
del nostro proposito; io non niego che il teatro spa-
gnuolo non fosse tale da insuperbirsene qualsivo-
glia nazione. Almeno era nato e cresciuto in Ispa-
gna, e gli davan continuimente vita, vigore e sog-
getto le tradizioni arabe, le pruove della cavalleria,
i fatti degli ebrei e del cristianesimo, la generosa
guerra coi mori, le corti castigliane, gli avventurie-
ri del nuovo mondo, gli avvenimenti contempora-
nei. Vario per costumi, per intrecci e per caratteri:
vivace, appassionato, cavalleresco: esso nasceva quan-
do era potente e rigogliosa la nazione: che versava
la sua vita nel dramma, come nel po^ma la versa-
rono i greci e gT italiani. Ma venuto in Italia, tentò
di farsi italiano e tralignò , come avviet)e di qua-
lunque pianta portata in clima strani ero. E per farlo
peggiore vi si aggiunsero la commedia a soggetto e
le maschere , che in luogo dei regolati componi-
menti aveano invaso la scena. Forse se la nostra
vita letteraria fosse stata men vecchia, e se non a-
63
vessimo avuti già tanti uomini sommi da Dante in-
sino a Torquato; avremmo potuto resistere alla piena,
che ci annegava, e far come in Francia adoperavano
il Molière e gli altri grandi del secolo di Luigi deci-
moquarto. Ma noi già avevamo dato all'ammirazione
del mondo ingegni terribili e insuperali nelle arti e
nelle lettere, ed allora eravamo <^ome uomini stan-
chi, e quel ch'è peggio, in altrui signorìa.
Que' portenti, che succederono alle regolari com-
medie, si chiamavano opere tragiche, opere regie, opere
tragicocomiche, opere tragicosatiricocomiche e così via
discorrendo. Si tornò di netto alla confusione dei
misteri , onde già prima dovea prender mossa il
nostro teatro. La vita è un sogno. Sansone, il Con-
vitato di pietra ed altre furono le nuove delizie, alle
quali applaudivano le corti degl' idalghi spagnuolì,
che ci pioveano in copia nel ducato di Milano e
ne'reami di Napoli e di Sicilia.
Ancora il cangiarsi dei costumi ebbe parte al de-
cadimento della buona commedia. La quale vuol es-
sere urbana, festevole, schietta: quindi non può al-
lignare che tra i popoli dove 1' ingegno e T usan-
za tiene appunto di tali qualità. E perciò il Bal-
zac diceva, che le commedie dell'Ariosto non avreb-
ber piaciuto gran fatto alla corte di Francia del suo
tempo: da che per piacersi di quelle, era uopo sve-
stirsi dell'abito cortigiano e prender quello del cit-
tadino: ossia essere avvezzi piuttosto alla vita do-
mestica e civile delle città italiane, che alla squi-
sitezza e magnificenza della corte a Paiigi (7). Ma
a qnel tempo i nostri costumi, se non affatto nella
felice Firenze, al certo nelle altre parti d' Italia ,
()4
e specialmente nella Lombardia, erano diventati me-
sti , cupi e ipocritamente feroci. Insomma la na-
zione era imbastardita per quelle cause , che son
note a chiunque si conosce pur un poco della sto-
ria nostra. Le solazzevoli compagnie, le brigate, le
consorterìe delle arti, che erano sì polenti a spargere
il gusto del bello anche nelle infime classi del popolo,
s'eran come rannicchiate o ridotte a cerimonie e
sorvegliate con sospetto. Alle ricchezze, alla libe-
ralità , alla magnificenza d' animo e di vita erano
succedute la grettezza, e, secondo la viva espressione
d'un moderno, le allumacature, che inargentavano
la squallida ossatura d' ogni cosa. Dimenticato lo
schietto e libero conversare, si tolse un Cotal sus-
siego spagnolesco, che dispiacque al Caro in sullo
scorcio del secolo decimosesto e crebbe a dismisura
nel secolo appresso. Le donne del piiì civile e no-
bil grado si stavan nascoste nelle lor case: donde non
uscivano che difese dal guardinfante e da un nu-
golo di cerimonie. Si gridò al miracolo quando un
viceré a Milano diede modo che nella sua villa sì
tenesse piiì aperto e libero conversare (8). Il gon-
fio avea preso il loco del grande. Basti ricordare
i barocchi per dedurne, che siccome a quelle menti
invasate doveano parer misere cose e Giotto e il
Beato Angelico e Donatello e le porte del Ghi-
berti in comparazione a que'loro giganti e monti di
pietra ; così agli autori ed al popolo dovea sapere
di meschino e d' insulso quanto si teneva alla pit-
tura della vita verace, ossia ch'ella passeggiasse all'a-
perto 0 si rinchiudesse fra le domestiche pareti. E
però le turbe stupìano e si deliziavano dei Sansoni,
dei Don Giovanni e d'altre fantasime.
65
Né vuoisi tacere che altre cagioni esterne con-
corsero a quest' effetto. Siccome il teatro nel suo
nascere sfoggiava in grandi pompe nelle feste dei prin-
cipi; cosi sul finire del secolo sedicesimo gì' inter-
medi (di cui si lamenta il Grazzini nel prologo della
Strega) offuscavano con le rappresentanze di ninfe
e di amori le semplici e casalinghe bellezze della
commedia (9). La quale venne in peggior condi-
zione a petto del dramma pastorale, che convertito
nel dramma musicale per opera del Peri e del Ri-
nuccini, nacque e grandeggiò appunto allorché il tea-
tro era divenuto amore e bisogno di tutti gli or-
dini dei cittadini.
Adunque per queste ed altre cagioni avvenne
l'intristirsi della buona commedia. Le imitazioni e
le traduzioni spagnuole si mescolarono alle maschere,
che s'accompagnavano di lor natura alla commedia
a braccio e così detta dell'arte. E di questa e delle
maschere , quantunque le une non potesseio star
senza dell'altra, sarà bene discorrere partitamente ,
perchè sia chiara e la loro diversa origine e le ca-
gioni del gran successo, ch'elle ottennero sì dentro
come fuori d'Italia.
G.A,T.CXL1\.
66
CAPITOLO SECONDO
Molti eruditi affermano che la commedia dell'arte
avesse origine dalle antiche favole dette atellane da
Atella città osca della Campania (1). Imperocché
sembra certo che que' liberi giovani romani e non
istrioni mercenari, che le recitavano, improvvisas-
sero come i commedianti moderni: la qual cosa non
parrà impossibile chi pensi la innata facilità, che
hanno gl'italiani a quest'effetto (2). Allorché soprav-
venne il dramma greco, queste atellane si cangia-
rono in una specie di favola, che si chiamava to-
gata, perchè rappresentava usanze e soggetti romani.
Dappoi si cominciarono a scriveie come le pal-
liate, ed ebbero dà T. Pomponio bolognese, che assai
ne scrisse, una forma più elegante senza punto per-
dere della loro impronta originale e veramente ita-
lica. E questo fu verso la metà del secolo settimo,
ossia intorno all'anno secentosessanta di Roma. Dap-
prima però si assomigliarono a farsa contadinesca a
modo delle commedie rusticali fiorentine: quindi si
diedero anche a rappresentare la vita urbana sem-
pre alla foggia buffonesca con maschere ossia carat-
teri determinati, confornie si può conoscere da alcuni
titoli delle composizioni di Pomponio, e per esempio
il Bucco adottato, i Macchi gemelli: i quali per-
sonaggi si dicono gli avi del Pulcinella e degli Zanni
moderni, come si dirà in appresso (3). Ne guari di-
verse furono le saturae, che poi ebbero il nome di
exodia , ch'erano forse improvvisate di vario sog-
67
getto, senza vera unità diarnin;itica, non meno rozze
e imperfette delle atellane (4).
Ma sin dai tempi di Cicerone le atellane furono
avversate dai mimi , che giunsero ad oscurarle,
anzi ad abbatterle (5). Eppure si rifecer vive, seb-
bene timidamente, sotto l'impero d'Augusto: ma du-
raron poco e ben presto si mescolarono ai mimi ed
ai pantomimi, i quali nacquero nel cadere della li-
bertà romana. Essi facevan dapprima favole sfac-
ciate nella lingua del volgo e ornate di espressiva
e vivace gesticolazione. In processo di tempo furono
meglio regolate e aggradirono al popolo per la sferza
che menavano contro i vizi de'grandi. Ma in quella
che cresceva la lor licenza , la tirannide pure in-
grandiva. Perciò si chiusero in bocca la parola di-
venuta pericolosa a chi l'adoperava alla libera, e di-
vennero una rappresentazione di cose per via di gesti
e movimenti della persona , misurati e rallegrati
dalla musica e dalla danza. Allora furono chiamate
pantomime e padroneggiarono il teatro. In sostanza
esse erano buffonesche e vi primeggiavano perso-
naggi vestiti d'un determinato carattere, come le ma-
schere della commedia italiana.
Aggiungono gli eruditi che questa farsa o pan-
tomima , a poco a poco ricupei-ando la voce , si
mantenne viva e nel decadimento dell' impero ro-
mano e durante le invasioni dei' barbari, e che con
gli stessi caratteri, aggiuntevi la novità datele dal
mutare de'tempi, trapassò i secoli di mezzo insino
ai moderni. Ai quali ritornando, io dico che la com-
media dell'arte, quantunque oscura e plebea, vivea
nel secolo decimososto a malgrado di quanto s'ado-
68
pelasse da'poeti anche di vaglia per rinnovare il di-
letto di più regolate rappresentazioni. Ma siccome
a quel tempo il teatro non era costume, ma mero
sollazzo e infrequente; avveniva che queste regolate
commedie si recitassero nelle case private e per
feste pubbliche ed elezioni e incoronazioni di prin-
cipi nei palagi reali o nelle accademie innanzi a re,
a letterati, a cortigiani. Laonde il popolo escluso
da tali adunanze non avea modo a ingentilirsi,
e quantunque più tardi vi fosse accolto , sic-
come quello che non aveva punto d'erudizione onde
potesse sollazzarsi di quelle commedie antiche ve-
stite all'usanza moderna, tornava senza più a quelle
favole, che pascevano il suo gusto men delicato. E
perciò durante il sedicesimoe sul principio del seguen-
te secolo, erano in piedi, per dir così, due teatri: l'uno
pel volgo, l'altro per gli accademici: l'uno per le
incolte, l'altro per le erudite persone: quivi gli zanni
e le loro facezie; colà le reminiscenze di Monandro,
di Plauto e di Terenzio. Da un lato si recitavano
dagli attori mercenari le commedie all'improvviso:
dall'altro gli accademici atteggiavano le loro com-
medie, che ben di raro passavano al teatro del po-
polo. Del che ci fa fede il Grazzini, che pur com-
poneva commedie e che in un canto carnescialesco «
fa dire agli zanni queste parole (6):
Facendo il bergamasco e il veneziano
N' andiamo in ogni parte:
E il recitar commedie è la nostr'arte.
Noi ch'oggi per Firenze intorno andiamo,
Come vedete, messer benedetti,
69
E zanni tutti, siamo
Recitatori eccellenti e perfetti.
Gli altri strioni eletti
Amanti, donne, romiti e soldati,
Alla stanza per guardia son restati.
Questi vostri dappochi commediai
Certe lor filastroccole vi fanno
Lunghe e piene di guai.
Che rider poco e manco piacer danno.
Tanto che per l'affanno
Non solamente agli uomini e alle donne,
Ma verrebbero a noia alle colonne.
Adunque quésti dappochi commediai non poteano
metter freno alla commedia dell'arte, che nel secolo
decimosettimo visse una splendida vita, anzi fu al
colmo di quella perfezione, di cui eli' era capace.
Questa si componeva dapprima di antichi sce-
nari , che diceansi venuti per tradizione insino a quel
tempo che la barbarie non dava che vi fosse com-
media scritta. Il Goldoni ci assicura di aver posse-
duto un manoscritto del secolo decimoquinto molto
ben conservato e legato in pergamena, il quale con-
teneva centoventi soggetti o abbozzi di commedie,
in cui lo scherzo s'aggira intorno ai personaggi del
Pantalone , del Dottore e delle due maschere da
Bergamo. Parimenti il Riccoboni ne ha visti degli an-
tichissimi, l'un de'qual̀on ilrescritto di san Carlo
Borromeo, che ne permetteva la recita. Ancora può
vedersi il modo, col quale si ordinavano queste com-
medie a soggetto nel libro di Flaminio Scala com-
mediante e capo d'una compagnia. In questo libro,
70
che fu stampato nel 1611 col titolo// teatro delle
favole rappresentative , sono di molte commedie in
semplici scenari , in cui è notato ciò che 1' attore
viene a fare, ciò che deve dire e nuH'altro (7). Quanto
alla costruzione delle favole, queste dello Scala sa-
ranno state forse meglio pensate di quelle che usa-
vano: non cessano però di esser fiacche e talvolta
pessime : quasi sempre disoneste. E ciò sia detto
con pace di Claudio Achillini, che imbranca il suo
sonetto con gli altri, che lodano questa hell' opera
in capo di essa. Stile del tempo: appicavansi i versi
in lode dell'eccellente e divino autore anche ai grossi
volumi de' legulei.
Del rimanente la commedia dell'arte prendea ma-
teria ed alimento da tutto ciò, che trovava a sé con-
veniente nel teatro comico universale. L'antico , lo
spagnuolo, quello del cinquecento e del secento, il
già scritto o l'inventato di nuovo, davan soggetto a
quelle orditure chiamate scenari , che appesi dietro
alle quinte avvisavano gli attori di ciò che avessero
a fare e a dire nell'entrar della scena. Da tre o quat-
trocento informi soggetti, ne' quali erano le più
forti circostanze teatrali e la scelta delle beffe e dei
giuochi meglio provati in lunghissimo tempo, si com-
ponevano, si scomponevano, s'aggiungevano insieme
secondo il capriccio o la valentia degli attori, e da-
vano alimento, almeno in apparenza, al naturale ap-
petito di novità.
Egli è agevole l'immaginarsi i difetti insuperabili
in cotal genere di commedia. Innanzi a tutto ella non
polca farsi a dipingere i caratteri, e specialmente
quelli ove fosse alcuna riposta e squisita bellezza
71
0 lidicolosità: imperocché questi per esser ben ri-
tratti hanno bisogno della meditazione e di quel
senso delicato, che si acquista con lunga e minuta
osservazione, oltre all'ingegno, che sa coglierli pro-
prio in quel punto, che produce effetto o mirabile
o ridicolo in sulla scena. Queste cose non poleano
aversi negli attori: che per quanto fossero ingegnosi
non avean modo, parlando improvviso, d'entrare in
minuti accorgimenti e aver la mente e la parola così
sicure da non dire o far cosa, che s'opponesse più o
meno a quel carattere, che stavano rappresentando.
Egli è perciò che alla commedia dell'arte erano ne-
cessarie le maschere, sotto alle quali potea dirsi tutto,
purcl è fosse piccante, grazioso, piacevole. Gli zanni
tenean dell'acuto e del balordo: il Pantalone dell'ac-
corto e del semplice: il Dottore sapea di scienziato
e d' ignorante ad un tempo, e cosi via discorrendo:
tanto che il correr della lingua a un motto ridevole
dopo una grave sentenza, a un piacevole frizzo in
mezzo a una scena compassionevole, non era scon-
veniente a quelle caricature d'uomini e non recava
danno all'azione principale. Ma per quanto fosse li-
bero il campo, era pur necessario, che gh attori s'in-
trinsecassero in que'costumì,e guardassero piiì o meno
al fine, a cui intendeva la favola intera. Né bastava
che ciascuno di per sé facesse quanto gli suggeriva il
soggetto; ma era uopo che avesse l'occhio pure agli
altri personaggi e desse loro campo a dipingere la
propria parte. Imperocché tutti intendessero alla
interpretazione di un' opera sola , allo svolgimento
d'una tela medesima. Ma ciò poteva piuttosto desi-
derarsi che aversi in effetto. Che se nella commedia
72
scritta noi vediamo ben di raro quella fusione o ba-
gnatura (siccome dicono gli artisti), che si richiede
all'uopo, ancorché tutti gli attori sappiano bene a
mente la propria parte; quanto piti rara doveva es-
sere questa bellezza là dove ognun d' essi potea
lentar la briglia ali ingegno e al talento di pri-
meggiare ! Inoltre chi pensi che i valenti attori
erano senza dubbio in minor numero degl' inetti ,
potrà intendere di leggieri che non sempre era rag-
giunta la varietà, di cui menava vanto tal sorta di
commedie. Da che , siccome porta la natura degli
uomini, i mediocri e i pessimi attori contraffaceano
i buoni, e ripetevano i gesti, le facezie e le senten-
ze, che questi aveano fatto o pronunciato. Così nel
decadere della commedia dell'arte erano venute in
uggia alcune consuetudini, che passate di padre in
figlio, davano aspetto uniforme a tutti i componi-
menti. II pubblico sapeva che 1' argomento era di-
chiarato nella prima scena dal Pantalone col Dot-
tore, dal padrone col servo, dalla donna colla came-
riera, I dialoghi finivano in un canzoncino spiccato
così d' improvviso dall'attore , che di presente di-
ventava poeta. E così a mano a mano, ch'era una
noia mortale (8).
A malgrado di questi difetti, che si palesarono
specialmente nel suo decadere, essa però non do-
vea mancare di molte bellezze, perchè avesse quel
grande successo per oltre due secoli. Ho già detto
ch'ella era composta di tutte le più ingegnose com-
binazioni e degli equivoci e de'giuochi , in somma
di tutti quelli che oggi chiamano colpi di scena, pro-
vati di siculo effetto per lunga esperienza. Oltrac-
73
ciò gli antichi soggetti ringiovanivano per la di-
versa disposizione delle scene, che in tal modo rin-
novavano le bellezze al dialogo. Un nuovo attore
cresceva la curiosità e il pregio all'antica comnrìe-
dia. 1 costumi grossi, evidenti e gagliardi e che du-
ran di più, erano più facilmente intesi dall'attore e
dal popolo. Le voci, i modi di dire, i proverbi, in
quell'entusiasmo dell' improvvisare, eran portati così
caldi sulla scena senza gelarsi sullo scrittoio del let-
terato. Non deve dunque recar maraviglia, che vec-
chi scenari, quali erano a mò d' esempio la donna
custode d' un segreto, V inganno fortunato, il dissolu-
to, il carceriere carcerato, ancora si leggessero nel
settecento, e che l'Andria di Terenzio data dal mar-
chese Pedemonti di Verona piacesse al popolo per-
chè ammodernata e fatta viva dal linguaggio , dai
lazzi e dalle facezie de' comici. Ma due pregi sin-
golari rendevano cara agi' italiani la commedia del-
l'arte. La piima cosa, ch'ella era propriamente ita-
liana e però antica quanto la stessa nazione : e di
ciò abbiamo già fatto cenno. In secondo luogo, molti
buoni ingegni l'aveano coltivata per diletto e attori
di gran vaglia le aveano dato grandissima fama non
solo in Italia, ma in tutta l'Europa.
74
CAPITOLO TERZO.
E qui c'incontra subito di mentovare quel biz-
zarro e acuto spirito di Salvator Rosa. Al quale
un giorno saltò in capo di chiamare a sé 1' atten-
zione de'romani con qualche bel tratto. Perciò ap-
parve in pubblico sotto la maschera di Pascariello,
e facendosi chiamare Formica, si diede a recitare
coi lazzi e il ridevole dialetto della plebe napoletana.
E poi ch'ebbe radunato un buon numero di giovani
di bel tempo, recitava insieme con essi all'improv-
viso sopra un palco eretto nello spazzo, ch'era al
primo ingresso della villa Mignanelli fuori dì porta
al Popolo. Un certo Nicolò Musso era direttore di
queste farse: le quali, più somiglianti alle mordaci
commedie ateniesi che alle urbane di Terenzio, s'ag-
giravano intorno ad avvenimenti e costumi del giorno,
e davan la baia, anzi sferzavano a sangue, uomini
conosciuti e autorevoli. A tal modo si provocavano
e gare e risse e satire. E intanto che il Rosa l'ac-
coccava al Remino e ad Ottaviano Castelli ; cos-
toro, che pur faceano recitare in Rorgo alcune loro
commedie mordaci, fìngeano nel prologo di una di
esse un chiromante o fìsonomista, che vòlto a ri-
guardare un personaggio, ch'era il Formica spiccato,
gl'indovinava la vita ch'avea condotto, e apertamente
diceva infamie del Rosa (1).
Anche nelle case principali delle più colte città
s'usava la commedia dell'arte, e più che altro nelle
villeggiature- Presso Ugo e Giulio Maffei di Volterra
lo stesso Salvator Rosa atteggiava la parte di P.a-
75
tacca servo astuto (2). A Bologna molti e di vaglia
la coltivavano. E sei seppe il Goldoni, allorché cos-
toro si levarono a furia contro a lui come reo di vo-
lere abbattere la lor diletta commedia (3).
Ma per la gran copia di attori eccellenti , che
allora fiorirono, il secento fu proprio il secolo d'oro
di queste farse. Va nominalo innanzi a tutti Ti-
berio Fiorini detto Scaramuccia , che fu a Parigi
» la gemma del teatro italiano. Costui fu di Napoli e
nacque d'un capitano di cavalleria. A diciotto anni
cacciato di casa, si diede al venturiero, e adoprò assai
sottili scaltrezze e ribalderie per vivere la sua vita
raminga. Le divisa punto per punto Angelo Costan-
tini, che scrisse la vita di Scaramuccia così a mi-
nuto come egli avesse per le mani le geste d' un
qualche eroe (4). Per verità Tiberio, che mostrava
d' esser tristo d' avanzo, se ne andava disteso alla
forca, dove il caso non gli avesse dato modo a co-
noscere la qualità del proprio ingegno. Dopo aver
lungamente peregrinato vivendo a scrocco, s'avvenne
in Fano a una compagnia di commedianti. Gli parve
d' esser chiamato a quel mestiere ; e detto fatto si
presentò a quelli, e si proferi ad atteggiare lo Sca-
ramuccia , eh' era una caricatura del soldato spa-
gnuolo, ossia un misto di- poltronaggine e di mil-
lanteria E volle subito recitare // convitato di pietra:
commedia (dice l'esatto scrittore), per la quale egli
si sentiva una cotal tenerezza, perchè ci si man-
giava più d' una volta. In breve questo furfantello
salì a tale celebrità, che fu richiesto da Alessandro
Farnese, dalla corte dell' imperatore e dal Mazza-
rino. Scaramuccia elesse la Francia. Ed ivi egli visse
per trent'anni famoso e traricchito. Le dame e i si-
gnori volevano avere il suo ritrailo inciso e scol-
pito nei loro gabinetti : la corte e il popolo ripe-
leva le sue argute sentenze : le quali si raccoglie-
vano in libri intitolati Le scaramucciane: insomma fu
per lui una festa e un macinare a due palmenti (5).
Tutto ciò pariebbe un nonnulla ai cantori del no-
stro tempo: ma è pur da notare, che sin d' allora
venne il costume di queste grandi adulazioni a gente ^
che pur merita qualcosa, ma non tanto, che si versi
sopr'essa a piene mani ciò che ad altri più meri-
tevoli si concede e di rado e avaramente. Intanto
Scaramuccia, morto nel 1694, lasciò de'suoi avanzi
agli eredi una sostanza di centomila scudi. 0 Tas-
so ! 0 Galileo !
Egli avea voce bassa : sordo d' una orecchia :
smunta una spalla. Era di gran ventre : ma sul
teatro agile e pronto più di qualsivoglia istrione.
Né àvea gran copia e facilità di favella: ma coi gè- |
sti e le smorfie e gli atteggiamenti dipingeva più
che non dicesse, tanto che il Molière ne facea grande
slima e diceva di aver da lui quant'egli sapea del-
l'azione. 11 Costantini lo chiama il principe dei pan-
tomimi: e con ciò vuol dire che più facea di quello i
che non dicesse: e aggiunge che in lui parlavano le !
mani, i piedi , la testa, e che ogni gesto, per dir !
così, ragionava (6).
Prima dello Scaramuccia fu pur celebre Pier '
Maria Cecchini , che fu ingegnoso e letterato. Egli j
facea le parli d'Arlecchino e fu ascritto fra i nobili '
dal re Mattia e fu protetto e beneficalo da Luigi
XIII (7). E della protezione e beneficenza di que-
77
sto re mena pur vanto Nicolò Barbieri detto Bel-
trame nel suo libro intitolato la Supplica, che è un
trattato sulle commedie (8). Né vuoisi tacere d'una
famiglia , che diede alle lettere buoni cultori e al
teatro attori eccellenti. E fu quella degli Andreini.
Francesco Andreini pistoiese appartenne alla com-
pagnia de' Gelosi , così chiamata alla usanza delle
accademie (9); la quale per privilegio di Arrigo III
ebbe facoltà nel 1577 di aprire il teatro italiano a
Parigi (10). Questi fece la parte di negromante e
di capitano Spavento: sotto il qual nome spavente-
vole dettò un libro di dialoghi (11). Era dì gran
memoria e parlava più lingue. Allorché la compa-
gnia de'Gelosi scadde di ftima per la morte di sua
moglie , egli si ricovrò a Mantova e si diede tutto
allo scrivere. Vogliono ch'ei morisse nel 1624.
Ma la sua moglie Isabella e il suo figlio Gio-
vanni Battista lo avanzarono di celebrità. Isabella,
padovana, fu singolare per bellezza e per costume;
attrice valente, nel cantare e nel sonare abilissi-
ma, applicò l'ingegno persino alla filosofia. Da gio-
vinetta scrisse la Mirtilla, favola boschereccia : nel
qual genere di poesia si levò al di sopra della ti-
midità delle pastorali: e n' ebbe di molti applausi,
quantunque il suo lavoro non fosse approvato pie-
namente dai giusti estimatori di quella età. Ella morì
a Lione di anni quarantadue nel 1604. Il comune
della città onorò il corteggio funebre di mazzieri e
d'insegne, e tutto il corpo dei mercanti l'accom-
pagnò con doppieri (12i^; Fu chiamata decoro delle
muse e oinarnento de' teatri: fu onorata , mentre
visse, da Arrigo IV e fu lodata da Enrico Putcuno.
78
E il celebre cavalier Marino nel sonetto che inco-
mincia: Piangete orbi teatri: nel quale deplora la morte
di lei, la fa recitare ne Vempirea scena, che d' an-
gelici lumi è tutta piena. Dal che s' impara che le
pazzie letterarie del secento erano più allegre delle
nostre.
Giovanni Battista Andréìni detto Lelio, cioè l'a-
moroso, fu quegli che compose 1' Adamo , da cui
vuoisi che il Milton prendesse 1' idea del suo poe-
ma. Ed è certo che da quella tragedia piena d'ar-
dimento, in cui prendono parte e cielo e terra e in-
ferno, dovea ispirarsi la fantasia dell' inglese, s'egli
è vero che Dio e un poeta si vogliono a suscitare
un gran poeta. Chiamato in Francia con la sua com-
pagnia, che stava al servizio del duca di Mantova,
visse colà amato molto da Luigi XIll sino al 1625,
e pare che nel 1652 si morisse. Egli avea scritto,
oltre l'Adamo, di molte commedie e poemi e com-
posizioni, nelle quali non è al certo copia di buon
gusto e perciò meritamente dimenticate.
Al tempo dello Scaramuccia recitò insieme con
lui Domenico Biancolelli conosciuto col nome di Do-
menico bolognese, che facea le parti d'Arlecchino.
Costui fu veduto a Parigi dal Gemelli (viaggiatore
celebre e sfortunato) nel 1686. Allora egli era in
tal grazia della corte, che potea tenere gran vita ,
non avendo meno di seimila scudi l'anno di stipendio.
Anche i suoi detti si raccoglievano e andavano in
giro col titolodi Arlequiniana. (13). E fu pure ce-
lebrato Angelo Costantini d« Verona soprannomato
Mezzetino, perchè facea le parti di Brighella o di
Scapino. Egli recitò insino a che il vecchio teatro
79
italiano fu chiuso a Parigi sulla fine del secolo
decimosettimo. Scrisse , come abbiamo detto , la
vita di Scaramuccia e la stampò nel 1695 dedican-
dola a Madama Altezza Reale. Chiuso il teatro italiano,
si mise al servigio del re di Polonia. Ma e' volle
guardar troppo all'insìi, e posto l'occhio a una ganza
del re, le discoprì il suo amore. Ne fu a rischio di
perder la vita e stette vent'anni dove il sole si vede
a scacchi. Uscito di prigione, ricomparve nel 1729
a Parigi quando lo si ccedea beli' e spacciato. Fu
gran folla ad udirlo. Ma egli era accasciato e il pub-
blico era dissuefatto da quel vecchio modo di recitare.
Laonde egli si ritrasse dalla scena e morì in Italia di
settantacinque anni. E anche è da nominarsi Giu-
seppe Barioletti messinese, che atteggiava il Pasca-
riello e che fu pure in Inghilterra, ove ebbe graziosi
donativi da Carlo secondo.
E basti, se pur non è troppo, di questi attori
del seicento: de'quali non accade nominare quella
chiassata di buffoni, che passeggiava l'Eluropa e che
fu eternata dal bulino del Callo t (14). Infelice con-
dizione dell'Italia, che avea pur dato a tutte le na-
zioni gran copia di guerrieri e di politici e di let-
terati e d'artisti !
Nel secolo diciassettesimo (passandoci del Ric-
coboni, che fu nemico della commedia dell' arte e
fece a suo potere per mettere in onore l'antica e la
nuova commedia scritta) sono da noniinarsi Rauzini
napoletano, Benozzi veneziano. Caudini che fece quasi
rivivere il Fiorilli , Antonio Mattiuzzi da Vicenza
detto Collalto, Carlo Bertinazzi detto Carlino: i quali
furono, e ^ultimo in ispecie, gli astri della com-
80
media italiana a Parigi finché fu del tutto abolita.
In Italia poi furono famosi al tempo del Goldoni
il Vitalba, il Darbes Pantalone, e innanzi a tutti An-
tonio Sacchi. Questi, che si nominava Truffaldino,
alle grazie naturali del suo recitare giocoso e ridi-
colo, a"giun2;eva un ordinato studio sull'arte comica
e sopra i diversi teatri dell'Europa. Immaginoso, ar-
guto, tutto inteso alla generale orditura della com-
media, avea per le mani facezie e sentenze, non ti-
rate dai comici e dal volgo, ma dai poeti, dagli ora-
tori e dai filosofi, delle quali avea fatto fardello. Nelle
sue arguzie si ravvisavano i pensieri di Seneca , di
Cicerone, di Montaigne: e si bene le cementava alla
semplicità del balordo, che dove in quelli s'ammi-
rano, faccano in sua bocca ridere piacevolmente.
Di tal fatta erano gli attori, che recitavano la
cotn media dell'arte. Non fa dunque meraviglia, che
(juesta venisse amata sì forte. Molti italiani la le-
vavano a cielo siccome cosa nazionale, e il Goldoni
stesso non volea che recisamente si bandisse. Egli
volea signora della scena la commedia scritta: e-
sortava però i suoi concittadini a tenersi nel pos-
sesso di ciò , che nessun'altra nazione avea ardito.
Chiamava temerità negi' ignoranti comici il dire
improvviso; virtù ne' valenti , che a grande onore
dell' Italia. e dell'arte improvvisavano con non mi-
nore eleganza di quella che un poeta scrivesse. Gli
stranieri pur ammii'avano ed amavano la commedia
a soggetto, e v'ha di quelli, che ci hanno fatto rim-
provero d'averla abbandonata. Ma questo non mica
81
per amor nostro, ma soltanto per dirci, che noi non
eravamo buoni alla commedia ch'essi dicono di Mo-
lière , come noi non avessimo avuto , e prima e
dopo di Molière , un Nicolò Machiavelli e un Carlo
Goldoni.
G.A.T.CXLIV.
82
CAPITOLO QUARTO
Qual finge il vecchio, che con man la negra
Sopra le grandi porporine brache
ireste raccoglie, e rubicondo il naso
Di grave stizza, alto minaccia e grida
L'aguzza barba dimenando. Quale
Finge colui che con la gobba enorme
E il naso enorme e la forchetta enorme
Le cadenti lasagne avido ingoia.
Quale il multicolor Zanni leggiadro,
Che col pugno posato al fesso legno,
Sopra la punta delVun pie s'inoltra,
E la succinta natica rotando.
Altrui volge (aceto il nero cefìo.
Pari ni - La notte
Le nostre maschere teatrali non sono le antiche
larve. Le larve ( larvae ), chiamate anche persona,
erano una copertura, che nascondea la testa dell'at-
tore, chi vuole per ingrandire la voce, chi per dare
agli eroi apparenze più che umane, chi per l'effetto ne-
cessario a ottenersi nelle rappresentazioni diurne (1),
Le nostre sono invece personaggi vestiti sempre
d'uno stesso abito e d'uno stesso carattere. Larve
oggi potrebbero dirsi le maschere del carnevale :
maschere teatrali sono Arlecchino ed anche Stente-
rello, quantunque questi non usi di coprirsi il viso.
È il vero che pure nelle commedie antiche erano
alcuni personaggi, che dovevano aver caratteri fissi.
Il pedagogo, il cuoco ed altri personaggi della com-
media greca doveano assomigliarsi in qualche parte
per esempio al Dottore e al Brighella. Ma più stretta
parentela debbono avere le nostre maschere con que-
83
gli antichi buffoni, che s'aggiravano por le coiti e per
le piazze tra il popolo. Ebber fama svergojjnala Giulio
Peligno e V^atinio: il primo de'quali fu fatto da Clau-
dio governatore di Cappodocia, perchè gli aveva fatto
più volte passar mattana con visi da far ridere :
l'altro, allievo d'un sarto e gobbo, fu a tempo di
Nerone un ridicolo, che fece piangere calunniando i
buoni ed avanzando i tristi (2). E da credere che
altri buffoni man cortigiani e più graziosi all'univer-
sale passassero tra i mimi e col loro esempio des-
sero vita e durata a una certa foggia di maschere:
come vediamo anche ne' tempi nostri, dove chi trovi
un qualche espediente a far ridere, vestendosi d'un
certo abito e d'un certo carattere, viene dai^'poste-
riori imitato, che si prendono quella foggia e con-
traffanno quel carattere non sempre felicemente come
avviene a coloro che imitano. Quindi possiamo di-
scretamente asserire, che alcune delle nostre ma-
schere sien nobili di vecchio sangue, ossia che di-
scendano dagli antichi: il che non è meraviglia chi
pensi quanto ci rimanga de' vecchi costumi a mal-
grado di questa civiltà , che mesce e pareggia le
w, usanze di tutti i popoli. Per certo chi si credesse aver
v trovato l'Arlecchino in questo e quell'altro buffone,
■ che usò del vestito screziato, egli s'ingannerebbe a
partito. Imperocché 1' usar di questi abiti sia stato
sempre vezzo di chi guarda a far ridere. 11 moltiplice,
il confuso è proprio del ridicolo: unire gli elementi
d' idee disparate è come il mesceie colori diversi :
e r una cosa e l'altra sogliono esser fonti di riso.
Così i giocolieri greci portavano il pallio vaiato o
panierino (3) : e dagli ambasciatori bisantini fu vi-
84
sto presso ad Attila un negro , buffone , vestilo a
colori diversi che si sai-ebbe pututo dire un Arlec-
chino (4). Piuttosto non parrebbe discostarsi troppo
dal vero il Riccoboni quando dice nato l'Arlecchino
da que'mimi, che si chiamavano planipedes^ perchè
uscivano sulla scena a pie nudo. Questi mimi aveano
!a teste rasa: la veste a pili colori chiamata cen-
tunciihis: tingeansi il viso di fuliggine. Però potea-
no assomigliarsi al nostro Arlecchino, che si veste
di pezze di vario colore ed ha la testa rasa e ap-
pena coperta da un piccolo cappello, e la maschera
forata di due piccoli fori per isfogo della veduta, e
piccole scarpe senza tacchi , che fan tanto rumore
quanto se i piedi fossero ignudi (5). Io lascio vo-
lentieri al Riccoboni ch'ei si lodi e si difenda di
tale esatta riconoscenza: però non mi sembra do-
verlo riprendere, in quanto che tra que' buffoni, che
divertivano i grandi e il popoletto, se ne descrivono
altri, che per la loro nascita in questo o in quell'al-
tro paese, e per i nomi che ce ne sono rimasti, mi
hanno l'aria d'essere i nonni delle maschere mo-
derne. Tra i buffoni urbani, cioè del volgo e non
mica dei grandi, eranvi i sidicini, che venivano ap-
punto da Sidicino oggidì Teano della Puglia, paese
ove nacque il Pulcinella d'Acerra (6). Eranvi pure
i sannioni {samniones)^ i quali ci han dato la voce
di Zanni, che designa Brighella ed Arlecchino chia-
mati appunto così, checché se ne voglia dire il Me-
nagio, il quale volea originata la voce di Zanni dal
lombardo Giovanni. Ma chi pensi che il Varchi e
il Davanzali ed altri, che in fatto di lingua avean
gli occhi di lince , adoperarono la voce di Zanni
85
senza mutarla in Giovanni, sarà persuaso, che an-
che quegli scrittori fossero di parere, che tale pa-
rola avesse origine più antica e più legittima per
dovere essere ammessa, così com'ella era, nel pa-
trimonio della lingua italiana (7). Che più ? Nei vasi
antichi della Puglia e della Basilicata e negli orna-
menti d'oro di quel paese si trova il Macco colla
gobba e col naso adunco, che non perde un pelo
del Pulcinella (8).
Queste maschere dunque erano una cosa nazio-
nale, e malgrado le tempeste, che misero sossopra il
nostro paese, furono conservate dai mimi, dai panto-
mini, dai saltimbanchi nelle pubbliche piazze. I mimi
ed i pantomini, ancor vivi nei secoli mediani, reci-
tavano le azioni sacre, le feste degl'innocenti, i mi-
steri: nelle quali recarono l'antico lor vezzo di far
ridere e si mescolarono ai buffoni ed ai giullari.
Laonde si vede la ragione, onde l'arcivescovo sant'An-
tonino vietasse di rappresentare quelle azioni, che
sì recavan sin dentro alle chiese.
Da questa mescolanza de' mimi coi buffoni e coi
giullari veniva di per sé che le antiche maschere, col
cangiarsi de' costumi, prendessero nuove forme. Il
buffone era arnese necessario sì nel palazzo del com-
mune, come ne' manieri, nelle assemblee, nelle nozze
e nelle corti. Si vestivano a diversi colori: portavano
campanelli alle vesti e al cappello, bastoni a testa
d'asino ed altre bizzarrie. V'erano buffoni gentiluo-
mini ed arguti : ve n'eran di plebei, maligni, adu-
latori e codardi. Il Varillas ricorda un Farganaccia ,
popolano, buffone, che stava alla domestica coi più
grandi di Firenze e che fu stromento di libertà a Co-
80
simo il vecchio quando fti caicerato, e il Cellini ci
dipinge Bernardo Baldini, detto Bernardone,che dava
sollazzo a Cosimo primo col gonfiare le gote e far-
sele sgonfiare a suono di schiaffi (9). In somma, pas-
sandomi della storia dei buff'oni , cominciando da
Tersile giù giù sino al Gonnella e al Fagiuoli ; io
dico che costoro o mescolandosi agi' istrioni o in-
spirando loro nuovi modi a far ridere, doveano cer-
tamente crear nuove fogge e nuove maschere più
accomodate agli usi ed ai tempi che correvano.
Ancora il medesimo effetto dovean partorire i car-
nevali, dove spiegavasi apertamente l'arguzia popo-
lare: que'baccanali , che a Venezia furon sì lieti e
sì liberi, e che a Firenze furono portati alla magnifi-
cenza de'trionfi, per i quali non {sdegnarono operare
famosi artisti , come Leonardo, Baldassar Peruz/i,
Bastiano Aristotile, e scrivere vivaci canzoni un Lo-
renzo de' Medici, un Poliziano, un Pulci , un Ma-
chiavelli.
Che se vogliasi ricercare quali maschere nasces-
sero nel medio evo e il come e il quando; questo
ancora è campo dove corrono molte e varie opinio'
ni. E lasciando alcune fanciullesche origini (10) ,
io mi fermerò sopra due specialmente : una delle
quali è foggiata dal nostro Goldoni, che se era sommo
nell'arte comica, dicono che in erudizione non fosse
una cima. Egli asseriva che la commedia fosse ben
morta in Italia sotto le ruine dell'impero: ma che
al primo rinascere della civiltà, quelli che sapevano
di lettere, trovando quasi sempre nelle commedie
di Plauto e di Terenzio padri ingannati, figli disso-
luti, servi bricconi, percorressero le varie parti d'Italia
87
e a Venezia e a Bologna (non so perchè) si piglias-
sero i padri ossia il Pantalone e il Dottore, a Ber-
gamo i servi, negli stali di Roma e della Toscana
le servette e gl'innamorati. La seconda opinione è
quella di coloro, che voglion nate le maschere per
le ire municipali delle città italiane: le quali al modo
stesso che l'una chiamava i cittadini dell'altra con
nomi beffardi e ingiuriosi, così, essi dicono , crea-
rono queste maschere come ritratto ridicolo del co-
stume e delle sembianze dei popoli vicini.
A me non quadra nessuna delle due opinioni. Il
Goldoni crede frutto d'un ragionamento e ricerca
di più 0 meno dotti ciò eh 'è nato spontaneo tra il
volgo e dal volgo. Egli suppone le maschere copia
0 parodìa dei personnaggi della commedia antica ,
mentre che i Pantaloni e gli Arlecchini sono cosi
distanti da quelli , come la sbrigliata commedia a
soggetto dalle eleganti e gastigaté opere di Terenzio.
Quanto alla seconda opinione, ch'è più divulgata ,
io non niego che le maschere sieno il ritratto ri-
dicolo del costume e della sembianza d'un popolo:
anzi più me ne confermo nel vedere , che uscite
dal paese natale, tralignano, siccome avvenne dell'Ar-
lecchino, che portato in Francia, di vispo e gras-
soccio si fece gobbo innanzi e indietro , fece il
mento largo e strinse e allungò fuor di modo la
faccia. E chi vorrebbe affermare che Stenterello ,
maschera più recente , non sia la caricatura della
parsimonia dei fiorentini ? Quella specie di lista
nera, che gli circonda gli occhi e s'appunta tra le
ciglia in sul nascere del naso, forma appunto quel-
l'emme, che leggeva Dante sul viso degli smunti:
88
Parean le occhiaie anella senza gemme:
Chi nel viso degli uomini legge omo.
Ben avrìa quivi conosciuto Vemme.
{Purgatorio e. XX III).
Ma io niego ricisamente che le maschere sieno
nate dairira e dallo scherno delle città nemiche. Im-
perocché sì nei secoli andati, come nel presente, si
vede una maschera colà più gradita, dove rappre-
senta il costume, il carattere, la fìsonomia del paese:
il che non sarebbe dove fossero state inventate a
scherno da un qualche nemico. Che anzi , eccetto
quelle che sono chiamate le quattro maschere della
commedia italiana, le quali han corso la penisola
e si sono recate in paesi forastieri; alcune altre o
men felici o men gradevoli o perchè rappresentate
da attori meno valenti, non hanno trapassato il con-
fine del paese ove nacquero, e colà morirono o ri-
mangono ancora. 11 Pulcinella non si può dire uscito
dell' Italia meridionale: anzi il Goldoni si meravi-
gliò di trovarlo in Roma a Tordinona (11). E il
Rugantino, che sferza l'arroganza della plebe romana,
non semba essersi discostato di molte migliai dal
cerchio della sua città. Adunque mi par chiaro che
ogni maschera sia nata appunto nel paese, ch'ella
rappresenta, e perciò cara al popolo, che vede in
essa la propria immagine e ride piacevolmente dei
suoi propri difetti. Nel che è da osservare la natura
degli uomini e in ispecie de'potenti. 1 quali, mentre
non soffrono di sentire contraddizione o verità alcuna
da chi glie ne porge in tuono magistrale; d'altra parte
89
se la bevono volentieri se vien pòrta piacevolmente
da persona gradita. I baroni e i re talvolta udivano
ridendo dai buffoni quelle verità, che non avrebbero
sopportato nella bocca d'un consiglerò : il popolo
ateniese, ch'era pure potente, rideva e prendeva in
buona parte i dileggi, le baie, le sferzate del poeta,
che gli rinfacciava nel teatro i suoi vizi.
Pantalone non può non esser nato nelle lagune.
Ce ne fanno fede la sua professione di mercante e
le sue vesti alla foggia de'vecchi veneziani. II far-
setto, i calzoni, le calze e le pantoffole rosse erano
il vestimento de'vecchi abitatori delle isole: la ve-
ste nera e la berretta di lana usavano ancora a Ve-
nezia sulla fine del seicento. In quanto alla barba,
ella ci pare nutrita e pettinata a modo dei bisan-
tini, da cui i veneziani tolsero assai fogge: ornamento
degli uomini gravi del buon tempo antico, avuta in or-
rore nel passato secolo, ell'ha nel nostro acquistata una
importanza, di cui non si credeva capace. Il Dottore
ricorda il fiorire della università di Bologna, e si veste
d'un abito conforme all'antico costume del foro bolo-
gnese. Alcuni vogliono che quel viso macchiato di nero
sulla fronte e sul naso fosse copia del ceffo di un giu-
reconsulto a'tempi d' Irnerio. E v' ha dei maligni, i
quali dicono, che presa o non presa dal vero, quella
maschera era proprio conveniente a'dottori in iitroqiie
dopo che due di quella razza, cioè Bulgaro e Mar-
tino, avean disputato innanzi all'imperatore se il mon-
do gli appartenesse a titolo di proprietà o d' usu-
frutto. E aggiungono che ci volea una maschera con
la fronte nera, il naso nero e le guance rosse, che
osasse dar fiato a simili enormità. Ma tralasciando'
90
tali baie, io dico clie queste due maschere rappre-
sentavano la scienza e il commercio: e che intanto
che figuravano burlescamente il giureconsulto e il
mercante , faceano onore alle due città , che in
mezzo alla barbarie dell' Europa poneano i fonda-
menti della società moderna.
Le fisonomie e le vesti degli Zanni sono più fan-
tastiche, e sarebbe diftìcile il congetturare con qual-
che apparenza di ragione a qual popolo d' Italia si
appartengano. Quantunque il Goldoni ci dica che la
maschera dell'Arlecchino rappresenti il color bruno
degli abitatori delle montagne bergamasche , e che
le sue vesti sieno i cenci raggranellati d'un mendico;
egli è certo che tali dati son troppo generali per
poter conchiudere a questo modo. Il color bruno
non è proprio de' soli alpigiani di Bergamo : ogni
mendico fa dei cenci una veste. Del resto Arlec-
chino non ha de'bergamaschi che la favella (che pur
dal Goldoni fu mutata nella veneziana) e la coda di
volpe, di cui ancora nel secolo passato ornavano
il cappello i contadini di quel paese. Par dunque
più ragionevole ch'esso ci venga dagli antichi, e che
nell'andar dei secoli cangiasse di nome.
Oltre a queste, dette per eccellenza le quattro ma-
schere, ve ne furono altre moltissime, ch'ebbero poca
vita e morirono dove nacquero. Un proverbio an-
tico diceva: Sicilia dà i Covelli, Francolino i Ora-
ziani, Bergamo gli Zanni, Venezia i Pantaloni, e Man-
tova i buffoni. E si dà a Mantova questa gloria forse
pel Gonnella , che fu il più bel buffone di quanti
furono e sono al presente. Napoli diede anche lo
Scaramuccia e il dottor Fastidio, che dicesi inven-
91
tato dal Cerlone setaiuolo, Calabria il Giangurgolo ,
Bologna il Narcisino Dessevedo de Mal Albergo, la
Romagna Gabaii da Berzighella, Milano un Beltrame,
Firenze il Beco trovato da Franeesco Mochi. A'tempi
nostri Gianduia in Piemonte, Stenterello a Firenze,
Pasquino a Palermo, Cassandro a Roma.
iNon accade il cercare quale autore od attore
abbia fatto parlare le maschere nell'uno o nell'altro
dialetto. Imperocché quando si creda che una ma-
schera sia nata in una certa città, bisogneià pur dire
che la favella di lei fosse quale si parlava nel luogo
nativo. Pantalone , nato nelle lagune , non dovea
certamente parlare altra lingua che la veneziana, men
discosta dalla comune italiana e sì dolce e pie-
ghevole da meravigliar gli stranieri, che ella stesse
in bocca di quella gente gagliarda, che sì lunga-
mente resisteva alla formidabile alleanza di Cambrai.
E di vero egli era ben giusto, che quando l'aver dia-
letto proprio era bel vanto d'ogni municipio, sonasse
ne'teatri italiani quello, che usava parlarsi nel foro
e nel senato della repubblica, e che senza il pas-
saggio del Capo e la lega di Cambrai si aspettava
conquisti maggiori. Quindi mi pare che si dia più
onore che non si merita ad Angelo Beolco pado-
vano, chiamato il Ruzzante (il quale fiorì nella pri-
ma metà del secolo decimesesto), affermando ch'egli
fosse il primo , che stabilisse la favella delle ma-
schere principali. Che s'egli fosse stato lodato di
aver fatto parlare i due Zanni piiì a un modo che
a un altro, la cosa avrebbe avuto piìi apparenza di
vero. Imperocché gli Zanni, maschere pili fantasti-
che e men certe di patria, potevan farsi parlare a
92
quel modo che fosse meglio piaciuto ad un autore
0 ad un commediante. Quindi verrebbe , che per
lunga consuetudine sì fosse per errore creduta pa-
tria di questi la terra, da cui s'erano fatti impre-
stare il dialetto. La qual cosa darebbe maggior forza
alla opinione già espressa: cioè che i due Zanni non
nascessero nei tempi moderni, ma ci venissero da-
gli antichi direttamente.
93
CAPITOLO QUINTO.
Frattanto non si cessava di scrivere: anzi non v'è
slato secolo più fecondo di opere teatrali. Attenen-
doci alla fede del Riccoboni, noi sappiamo che dal
1500 al 1560 ne fu stampata gran copia (1). La
raccolta della biblioteca vaticana conteneva (o con-
tiene) ducentotrentacinque tragedie profane, cinque-
cento commedie, ducentotrentasette pastorali, cen-
toventi tragicommedie e quattrocentocinque trage-
die sacre o morali, senza contar quelle dateci nel
catalogo di Leone Allacci siccome manoscritte, e le
altre sconosciute : le quali tutte aspettano la pa-
zienza d' un erudito, che ce ne dia il titolo, se non
qualche piiì curiosa notizia. Del rimanente, sicco-
me esse non furono recitate o almeno diffuse, e per-
ciò non goderono della vita necessaria a tali opere
letterarie, noi ce ne passeremo volentieri, e ci fer-
meremo piuttosto sopra quelle, ch'ebbero successo
allora e nominanza dapoi.
Chi voglia aver sapore del gusto, che correva a
quel tempo, vegga le Rivolle di Parnaso di Scipione
Errico messinese, con cui egli mette in ridicolo quel
misto di buffonesco e di tragico , di storico e di
romanzesco portatoci dagli spagnuoli; ovveramente
gì' Intrichi d'amore di Torquato Tasso , commedia
rappresentata dopo la morte di lui nel 1597 a Ca-
prarola e stampata a Viterbo nel 1604. Alcuno rav-
visa in essa la più graziosa parodìa del genere ro-
mantico: ( ma nota che allora non si sognava nep-
pure alla guerra guerreggiata nel secolo decimo-
94
nono). 11 Goldoni la dice una commedia se non ec-
cellente, almen tale, che fa ravvisare quello stupendo
ingegno che la componeva. Ma comunque sia, ella è
un atto che racchiude un viluppo di piiì azioni, il
quale dà immagine di quanto si adoperava in quasi
tutte le opere teatrali di quel tempo.
Però Giambattista Porta napolitano, che visse a
cavaliere de'due secoli, mantenne ancor viva, ma per
poco, la maniera de'cinquecentisti. Anzi laddove que-
sti non isceneggiavano quasi che farse, egli fa scelta
(per esempio nella Furiosa, nella Chilia, neVlue Fra-
telli rivali, nella Sorella e nel Moro) di argomenti
pili nobili e generosi: dà all'azione piiì forza e ra-
pidità: nel dialogo è men fiacco e men prolisso de
suoi antecessori. Ma la varietà dei caratteri non è
pari a quella degli avvenimenti: e i suoi personaggi
son sempre gli stessi rigidi vecchi, gli astuti servi,
i soldati millantatori, che si veggono negli antichi,
con la giunta dei vezzi correnti, cioè l'affettata favella
ei concetti piiì che squisiti. Oltre a questo se l'azione
è varia, non cessa di essere intricata siffattamente
da fornire de'buoni scenari alle commedie dell'arte:
le quali appunto avean bisogno di questa mecca-
nica qualità per tenersi su i piedi. Aggiungi a que-
sto un maggior peccato: che lo scherzo non è tem-
perato dalla modestia. Laonde non sono da biasi-
marsi coloro, che affermano, il Porta aver fatto più
male che bene al teatro , aggiungendo alla corru-
zione, che andava al peggio, l'esempio della sua au-
torità. Imperocché questo buono ingegno era tenuto
in gran conto per la sua scienza nelle cose naturali,
e fu il primo che fondasse in Napoli un'accademia
95
a spei'imeiJto delle cose naturali. E si licordi a suo
onore, che dopo aver dato opeca alla scienza nella
sua gioventù, il far commedie fu per lui un riposo
alla onorata vecchiezza.
L' accademia degl' Intronali di Siena, emula di
quella de'Rozzi, conservò una languida ricordanza
dell'antica commedia. E molte ne pubblicò: alcuna
delle quali forse si meriterebbe una qualche men-
zione, se avesse lasciato una traccia nel secolo in
cui fu composta. Si vanno ancora ricordando quelle
dello Stellati, dell'Altani, del duca Caetani , e pili
specialmente alcune di Carlo Maggi milanese , che
fu in patria segretario del senato e professore di
lingua greca. Ma le composizioni di costoro non
uscirono delle accademie o delle città in cui nac-
quero, o furon si fiacche e di sì poco grido da non
poter sopraffare anche un momento le maschere e
la commedia dell'arte.
Furono però famosi ed applauditi i due Cico-
gnini. Iacopo, il vecchio, nella prima giovinezza s'era
tenuto sulle orme della vecchia commedia. Se non
che la fama di Lope de Vega , le cui lettere l'e-
sortavano a rompere il freno dell'arte, lo invasò di
modo, che messi da parte gli antichi, si pose in-
nanzi agli occhi le composizioni di quel!' autore e
tutto si diede ad imitarlo. E gli avvenne come a
lutti gl'imitatori di que'grandi, i quali portati dall'in-
gegno potente , conducono l'arte a quel pendìo ,
donde per un altro passo è certo il minare. Per-
tanto il Cicognini non colse alcuna delle bellezze di
Lope, e se ne prese tutti i difetti. Si guardi al suo
Z)fw/f/,dove l'argomento eroico è travestito alla plebea,
96
e si paragoni ai Dolori di Giacobbe del poeta spa-
gnuolo, e si vedrà quanto quegli sia da meno di
questo nella pittura delle scene bibliche. Gli è vero
che gli ebrei di Lope si paiono piuttosto gli ebrei
spagnuoli del secolo decimosetlimo, che quelli del-
l'anno del mondo duemilatrecento, i quali al certo
avrebbero strabiliato di vedersi sulla scena con
le cappe e le corazze e gli sproni. Ma vi ha pure
una grandezza, una semplicità , un non so che di
antico, che fanno perdonare quella innocenza di forme
esterne, quale incontra ne'principii d'ogni arte. Così
i primi pittori italiani vestivano i personaggi del
vecchio e del nuovo testamento e i greci e i ro-
mani coi lucchi e con le armature e con le zazzere
del quattrocento. Ella è una semplicità che si con-
viene ai giovani: pei vecchi è ridevole affettazione:
sono i panni d'Isabella in dosso alia rugosa Gabrina.
E questo convien dire anche a certi letterati e pittori
dell'età nostra, che ci fanno i bambini e i semplici
con questo carico d'anni, che abbiam sulla schiena.
Adunque ciò che par bello in Lope è brutto e sconcio
nel Cicognini. Del quale basti il leggere la scena
di Trisansone millantatore col suo servo Ventura
(dataci dall'Emiliani Giudici nella sua storia della
letteratura italiana) per accorgersi dello strazio che
fa costui di quelle narrrazioni sublimi (2).
Giacinto vinse il padre in ogni sfrenatezza. E
fu più gonfio, più confuso, pili avviluppato. Ciò non-
dimeno diede movimento all'azione e fuoco di passione
al dialogo. E di costui al certo disse il Goldoni (da
che ce ne tace il nome di battesimo), che nelle
commedie quantunque gruppose e miste di patetico
97
e di comico, di lacrimevole e di plebeo, sa[iea jsui'
Tai'te di maneggiare la sospensione e piacere con
lo sviluppo.
Codesti Luca fa priesto óe]\i\ commedia si sci'oc-
carono grandissima fama. Carlo Gozzi ne parla come
di gente ch'ebbe assai favore dal popolo: ma ciò per
inferirne che non era da far meraviglia il plauso
concesso al Goldoni, da che nomini sì poco degni
ne avean goduto a macca. Questo era un pensiero
maligno dell'autore delle tìab.\ Era da rispondergli
che se il popolo applaudiva il Goldoni, se ne dovea
conchiudere, che non sempre i contemporanei sono
avari verso gli spiriti sommi, se non di pane, al-
meno di lode (2).
Dopo di questi non accade nominare altri e spe-
cialmente attori, che si diedero a fabbricar di com-
medie. Che se vien detto talvolta di Giambattista
Andreini, questo si fa pel suo iVdamo (di cui ab-
biamo parlato) e non per le altre sue opere comiche.
Piuttosto non sono da tacere le commedie cosi dette
rusticali : le quali , sebbene da alcuni si mettano
fra i drammi pastorali , veramente vogliono esser
poste tra le com-medie. Non sono i peisonaggi
che vengono sulla scena, i quali stabiliscano la specie
della composizione: sì bene la passione, lo scopo e
lo spirito che la informa. Il dramma pastorale, che
par venuto in fantasia a qualcuno che fosse stanco
della vita vera che si menava nel mondo , è fuori
della natura e vaga per campagne bellissime lutto
pieno d'amore e d' innocenza celeste. Esso si può
dir venuto dall'egloga non piij risti'etta a semplici
dialoghi, ma distesa negli avvenimenti del dramma,
G.A.T.CXLIV. ^ 7
Al contralio la commedia ruslicalc si studia d'imi-
tare i costumi dei contadini, quali essi s'ono, e ti
porta nelle campagne e nei castelli della Toscana
o di Napoli come qnalimque altra commedia nelle
stanze, ne'convegni e nelle piazze della città Quindi
essa non può fare un genere a parie: ovvero do-
vrebbe dirsi dramma pastorale anche il Feudatario
del Goldoni, perchè quivi dipinge principalmente i co-
stumi villerecci.
1 Rozzi e gr//?/ro)?a/? composero dapprima molte
commedie rusticali nel dialetto sanese: molte poscia
i fioienlini e i napoletani. Celebrate assai furono la
Bom (W Giulio Cesare Cortese da Napoli, e la Tancia
di Michelangelo Buonarroti il giovane. Esse han pregio
di bontà, principalmente per esser prese dal vero più
che le altre commedie. E perciò non sono [tiene
d'accidenti impensati, nò sono scritte con quella cer-
cata orditui'a e nello stile allor detto magnifico. AI
contralio si va per la piana e forse troppo: tanto
che tu vedi i soliti amoi-i e le solite gelosie e le
solite smanie de'drammi pastorali, ma più veri e più
confoimi a quella gente, che se ne fìnge invasata.
Specialmente la Tancia (con grinlermedi cantati e
ballati) è ben condotta , naturale e tutta piena di
quel vezzo e sapore , che ha il dialetto fiorentino
anche in bocca dei campagnuoli.
Io non so poi a quale specie voglia assegnarsi
la commedia pur del Buonarroti intitolata la Fiera.
E in verità ch'ella non potrebbe dirsi commedia ,
ma piuttosto una lunga e vaiiata rappresentazione
di cose, fatta forse a due fini. Il primo per dar co[)ia
al vocabolario della ci-usca (che allora si compo-
99
neva) di voci e modi di dire presi dalla lingua to-
scana: il secondo forse pei' eccitare i fiorentini a
qiie'commeici, dai quali un giorno cavarono tanta
gloria e ricchezza. E questa intenzione, poco avver-
tita, mi par che si tolga dal discorso dell'Introdu-
zione, che fa il Commercio. Il quale dopo aver re-
citate le proprie lodi, soggiunge:
Benché né più pregiato né gradito,
Com'io fu' già gran tempo, o fiorentini.
Quando d'ogni quantunque ultimo lito
Portavi a casa di molti quattrini.
Mi v'appresento, e qui presso v'invito,
Perché vo'abbiate i negozi vicini,
Se lontana é Messina e Francoforte,
A una fiera dentro a queste porte.
E bene egli avea ragione di credersi né pregiato
né gradito, quando vedea que'signori cosi gonfiati
dalla vanità spagnuola da stimarsi avviliti ove do-
vesser maneggiare quel passetto, con cui già aveano
misurato il mondo. Ma tornando alla Fiera, io dico
ch'ella è divisa in venticinque atti e cinque parti
da potersi recitare a cinque atti per volta. Fu rap-
presentata in cinque giorni nel carnevale del 1618
nel teatro della gran sala degli Uffizi, luogo capa-
cissimo per macchine e comparse. Vi si veggono
ogni sorta di persone: soldati, mercanti, bottegai,
sensali, marinai, potestà, gentiluomini: si compra,
100
si vende, si baratta. La Mercatura si dà gran fac-
cenda: le Fatiche guadagnano: il Sonno dà la berta
agli sciocchi: la Bugìa va saltellando a prova. E queste
non sono parole: ma personaggi in carne e in ossa,
che dicono al popolo a chiare note la loro ragione.
Questa fu la commedia del seicento. Quando
poi sul finire di questo e il cominciare dell' altro
secolo, la letteratura italiana diede segno di vo-
ler rilevarsi; vi ebbero alcuni scrittori , i quali
dieder opera al teatro, e a renderlo migliore o ri-
suscitarono le commedie del cincjuecento, o sci-is-
sero con intenzione del buono, o imitarono o vol-
sero nella nostra favella le miglioi'i cose francesi.
Nicolò Amenta napoletano scrisse commedie a modo
dei Gì-azzini e dei Cecchi senza la grazia e la ele-
ganza di essi. Pur non fu poco che alcuno si ricor-
dasse delle masserizie di casa nostra. Girolamo Gigli
sanese imitò il Molière nel Don Pilone. GlMpocriti (che
ve ne avea di molti) fecero storie e romori grandis-
simi, e non appi'odarono che a crescer fama all'au-
tore. Il quale per verità non aveva aggiunto che po-
chissimo alla bella opera del francese voltata nelle
grazie della lingua toscana. Egli tradusse anche i
Litigami del Racine ed altre commedie, non lasciando
di suo che la Sorellina di Don Pilone, con cui volle
mordere, né il fece troppo felicemente, la moglie
avara e la serva che si struggea di marito. Anche
Pier Iacopo Martelli per trent'anni attese a com-
porre un teatro compito dalla tragedia alla farsa dei
burattini: a cui pose il nome di Bambocciata. E tale
è lo Slermilo cVt^rcole, in cui finge i pigmei che
101
pailimo in versi corti come i lor corpi. Ma egli che
non riuscì molto a far piangere, molto meno fé ri-
dere: e se ne doleva al Muratori scrivendogli: Oh
quanto, prevosto mio, è più difficile il provocare al
riso die al pianto !
Nò voglionsi tacere i nomi di due attori , che
fecero a lor potere per rilevare il teatro. L'uno fu
Pietro Cotta romano, che rimise in iscena l'Aminta
e il Pastor lido e tragedie nostre e francesi, masi
male risposto dagli attori e dal pubblico, che dispe-
rato dell'impresa lasciò il teatro. L'altro fu Luigi
Riccoboni da Modena: il quale, rappresentando tra-
gedie antiche italiane, traducendone dal francese, e
alle commedie del Molière innestando le maschere,
sperò per il buon successo avutone di potere ardire
di più, e a Venezia avventurò la Scolastica dell'Ariosto.
In verità ch'egli era un voler troppo dal popolo
d'allora male avvezzo a tristi spettacoli. Al quarto
atto bisognò chiuder la tela: ed egli se ne crucciò
di sorla, che invitato dal duca d'Orleans a passare
in Francia, non tentennò un momento, e andò colà
a sostenere l'onore del teatro italiano (a. 1716).
Ma di questi principii del risorgere sarebbe da
dire diffusamente, ove si volesse discorrere della com-
media del settecento, nel quale essa fu restaurata
da Carlo Goldoni. Qui non s'è fatto che darne un
cenno: quanto basta per intendere che negli uomini
colti del nostro paese era venuta una spasimata voglia
di levarsi la vergogna di non avere un teatro nostro
e conforme al secolo. Bisognava che a mano a mano
questo desiderio entrasse nella nazione insieme con
102
la civiltà, e che un sommo ingegno sapesse soddi-
sfarlo senza portare al forasliero o all'anlico. Intanto
era buono di aprire il camtnino. Che se i rimedi messi
in opera da coloro che abbìam detto, furono fiacchi
e non convenienti a togliere il male; essi però eran
tali, quali doveano aspettarsi in una nazione traviata
miseramente dal buono e dal bello. Imperocché al-
lora noi eravamo come uon)ini, che lasciati da quel-
l'ardore febbrile, che li fa delirare, cominciano ad
avere più lucido il discorso della ragione senza quella
possa che valga ad opera perfetta.
103
NOTE..
CAPITOLO PRIMO.
(4) Lo Sliakspeare non solo tolse dalk novelle italiane qtiesM^
ma anche altre commedie. La commedia E tutto bene ciò che a ben
riesce, è tratta dalla novella XXIX del Boccaccio e dalla Vir^jinia
di Bern;irdo Accolti. Il molto fnicanso per un nonnulla è traila
dalla novella prima, parte prima , delle novelle del Bandello. E i
pili giudiziosi critici inglesi vogliono ch'egli attingesse largamente
anche dalle produzioni del teatro italiano. (V. Colker, Farther par-
ticulars regarding Shakspeare and his workt).
(2) Veggasi nn leggiadro 0|»Jscolo di Alessandro Pagliese in-
titolato: Delle disgrazie della lingua italiana {Napoli 1834) : ove
si annovera tra gì' infortuni anche la rabbia della lingua latina sotlo
il pretesto dell' impero romano: quella idea d' imperio che travolse
gì' ingegni di tanti sommi italiani , finché non fu permesso nem-
meno di favellarne.
(3) La tragedia del Teren, pubblicata dall'Heerkens come opera
di Varo, era stata composta da Gregorio Corrari e venne a luce
nel secolo XV'I. Fu ristampata negl' Icones pubblicati a Parigi nel
1788 e a Utrecht nel 1789. Nel 1338 era stata stampata a Venezia
col titolo di Progne tragedia nu\ic primum edita in academia ve-
neta. Il Morelli scoperse la frode e ne diede avviso con due let-
tere al Villoison. (lac. Morelli epistolae septem variae eruditionis.
Patavii 1819. 8°).
Leon Battista Alberti fece il Philodoxeos, commedia per due
lustri stimata di antico poeta.
(4) 11 Bibbiena nel sno prologo dice:
» Non è Ialina (la commedia) perchè dovendosi recitare ad infiniti,
1) che dotti non sono, lo autore che di piacervi sommamente cerca,
• ha voluto farla volgare, a fiue che, da ognuno intesa, a ciascuno
» parimenti diletti ».
lOi
(5) Romolo Amasco si sfiatò tre giorni per provare questo
bell'assunto. Il Muzio gli scrisse contro.
(6) Luigi de Gongora, nato dove nacque Seneca , cominciò a
scrivere in quello stile, che senz'allre parole noi cliiainiaino il sei-
cento. I suoi seguaci si chiamarono cultos, cioè colti , raffinati. A
nessun' italiano era saltato in mente di fare dì questo stile una in-
segna letteraria.
(7) Les oeuvres de mvnsicur de Balzac, a Paris M. De. LXV.
hesponse a deux questions ou de charactere et de V instruction
de la cotnedie. Dis. I.
(8) V. il Custodi nella storia di Milano. Firenze 1851.
(9) Erano gì' intermedi sì magnifici, che meritavano d'essere in-
cisi. Così abbiamo del Callot gì' intermedi della Veglia rappresen-
tati a Firenze nel 1616 (Baldinucci, Fila di Iacopo Callot).
CAPITOLO SECONDO.
(1) Diomed. IIL '■<■ Tertia spccies est fabularuin, quae a civi-
tate oscorum Alella, in qua primum coeptae, Atellanae dictae sunt,
argumentis dictisque ioculnribus similes satyricis graecis «.
Munii, De fabulis aellanis ec. Lipsiae 1840. — Vincenzo De
Muro, Ricerche sieriche sulla origine , vicende e ruine di Atella.
Napoli 1840.
(2) Liv. VII. 2. — Valer. Max. I. e. IV. §.4 — Sarebbe un
di più recare i passi di questi autori, che stanno o dovrebbero
stare per le mani di tutti.
(3) Molte delle commedie di Pomponio sono citate da Nonio
Marcello De proprietate sermonis. E vedi pur molti titoli di esse
nell'elenco degli autori citati da esso Marcello nella edizione di
Parigi M. LO. XXCIIL — Il Macco e il Bucco erano personaggi
cari alle ateilane. Pomponio intitola alcune (avole bucconem ado-
ptatum, maccos geminos. — Mnnk, De T. Pomponio bononiensi atell-
poeta. Glogaviae 1826. 8."
(4) Le saturae vcnivan dagli etruschi. Liv. VII. 2. — Exodia.
V. Sveton. Tibcr. 45. Domit. 10. — Giovenale VL 21.
105
(5) De'inimi vedi Sveionio Tiber. 43, 73, Calig. 27, Neron. 39.
Galba 13. — Che le atellaac durassero ai tempi di Cicerone ne
abbiamo argomento dal seguente passo: Non enim te puto graecos
aut oscos ludos desiderasse , praesertim cum oscos ludos vel in se-
natu nostro spedare possis (Ad fumil. lib. FU. an. 698). E che i
mimi fossero comparsi: Nunc venia ad iocationes tuas, quum tu ,
secundum Aenomaum Aedi, non, ut olim solebat, Atellanum, sed
ut nunc p,l, Mimum introduxisti (Papirio Paeto. Ad famil. IX. 16
a. 707). Rimprovera Peto d'aver fatto uso non del parlare mode-
rato dell' istrione atellano, ma della maldicenza <lel Mimo. E allude
airEnomao, tragedia di Accio.
(6) Canti Carnascialeschi. Firenze. Torrentino 1339.
(7) Il teatro delle favole rappresentative, ovvero la ricreatione
comica, boscareccia e tragica, divisa in cinquanta giornate, compo-
ste da Flaminio Scala detto Flavio comico del Sereniss. Sig. Duca
di Mantova. Venetia 1611 in 4.°
Ogni giornata, cosi detta all'uso spagnuolo (ch'ella non è inven
zione de'francesi d'oggidì) è una commedia o tragedia. Ognuna ha
in fronte scritti i personaggi e la roba da usarsi, tra cui è rac
comandato specialmente il bastone da bastonare, arnese troppo ne-
cessario per l'antica commedia.
Cerlone, setaiuolo napolitano, compose moltissime Selve di com-
medie a braccio con trasformazioni , scannamenti e simili ingre-
dienti. Il Cantù lo dice inventore delle maschere del dottor Fa-
slidio è del Pulcinella. Del Fastidio passi: ma del Pulcinella sono
sicuro che no. (Cantù — Storia universale. Ep.XVII.c.31. ed.VII).
Vedi nelle opere di Carlo Gozzi, la selva o lo scenario ( in
' francese caneras) dei Contratti rotti.
(8) Goldoni: Il teatro comico- A. I. se. 2. — I. 7 — HI. 2.
CAPITOLO TERZO.
(1) Passeri, ^j/e dei pittori. Roma 1772 e. 418 — Dominici,
>yite di pittori napoletani 1742. voi. I. e. 217.
(2) Baldinucci, Fila di Salvator Rosa con aggiunte- Venezia
'1830. §. XV.
(3) Goldoni, Memorie.
(4) z La vie de Scaramouche par le siciir Angelo Costantini
comèdien ordinaire du fìoy dans la troupe italien7ie sur le nom de
Mezelin. A Paris 1693. 8.
(5) » Il eut le plaisir de se volt bien-lot grave et mis en mar
bre. On paroit les cheminées et les gabinets de son buste et de sa
figure: en un mot la cour et la ville ne pouvoit se lajscr de le voir.
(Costantini. Ch. XXIV).
(6) Constant. C. XXVIII.
(7) Pier Maria Cecchini compose nel 1616 un discorso sulla
commedia e lo dedicò al cardinal Borghese.
(8) Supplica ricorretta ed ampliala intorno alle commedie mer-
cenarie. Bologna 1626. 8."
(9) La compagnia de' gelosi avea per insegna un Giano con
due facce e il motto: Virtù, fama e onoT ne fé gelosi.
(10) Bettinelli, Risorg. d'Italia. P. 2. C. 3.
(11) Le bravure del capitano Spavento divise in molti ragio-
namenti in forma di dialogo — Venezia 1669 — Sono baggianate
zeppe di mitologia.
(12) Questa è 1' iscrizione incisa in bronzo sul sepolcro d'
Isabella.
D. 0. M.
ISABELLA ANDREINA PATAVINA, UOLIER MAGNA VIATUTE PRAEUITA, BO-
NESTATIS ORNAIUENXCIU, MARIXALISQUE PUDICITIAE UECUS, ORB FACONDA,
MENTE FOECCNDA, RELIGIOSA, PIA, MUSIS AMICA, ET AHTIS SCENICAE CA-
VKT, HIC RESCBRECTIONEM EXPECTAT. OH ABORTCM OBIIT.
IV IDU S lUNII MDCIV ANNUM AG3NS XLII.
Delle poesie fatte nella morte di lei il figlio fece una raccolta in-
titolata all'uso del tempo: Pianto d' Apollo.
(lo) Giro del tnonrfo del dot. Francesco Gemelli, Venezia 1719.
Tomo VII- Viaggio per l'Europa. Lettera di Parigi 1 mag. 1686.
(14) ,, Veggonsi poi ventiquattro pezzi intitolati Balli di Sfes-
„ sania di lacomo Callot, in ciascheduno de' quali in figure pic-
,, cole, in atti, moti e gesti ridicolosi, soii rappresentati tutti gì'
107
,, istrioni, che in que' suoi tempi camminavano per l'Europa , e-
„ sercitando per lo più l'arte buffonesca, e tali furono il capitano
,, Cerimonia, Ricciulina, Franceschina, la signora Lavinia , la si-
,, gnora Lucia, Mezzettino^ Gianfarina, Trastullo, Cuccubà, il ca-
,, pilano Malagamba ,, Né mi dà il cuore di trascrivere
questi cento nomi. Vedili nella vita di Iacopo Callot del Baldi-
nucci (T. VI. Cominciamento e progresso ddCarte dell' intugliare in
rame).
CAPITOLO QUARTO.
(1) Circa alle antiche maschere vedi e il Winkelmann e il Vi-
sconti e il Ficoroni {Le maschere sceniche e le figure comiche. Bo-
ma 1736), e l'edizione di Terenzio del Fortiguerri e cento altri.
Circa allo scopo dell' ingrandire la voce ella è opinione, che non
ha più peso: imperocché nel teatro di Sagunlo furono recitate delle
commedie spagnuole innanzi a 4000 persone, e tutti udivano be-
nissimo gli attori. ( lournal de Paris. 20 Novemb. 1785). E vedi
Ampère, La poesia greca in Grecia J. (4. Firenze 1855).
(2) Tacito, Annal XIL 49— XV. 34.
(3) Vedi un monumento dato da Edmondo Chisciullo e inse-
rito poi nel museo britannico. (De nummo Kvwn-i inscripto).
(4) Vedi l'ambascerìa di Teodosio il giovane ad Attila nell'anno
449 tratta dal volume I, Byzantinae historiae scriptores , col ti-
tolo Ex Tvjs lOTopia? TTptaxou pmopoi; xai (rouiartìi. (Cantù. Storia uni-
vessale. Lib. VII- Schiar. D). ' '
(3) Histoiredu theatre italien ec. par Louis Riccoboni. Chap.IV.
Quid enim si choragium thimelicum possiderem ? Num ex eo argu-
mentarere eliam uti me consuesse tragoèhi sirmate , hislrionis ero
cola, mimi centunculo ? (Apuleius in Apologia). — Mimi . . , • .
(uligine faciem obducti — Sanniones mimum agebant rasis capiti-
bus. (Vos. In.stif. poet.L.'l. §. 1 . e. 32), — Planipes graece di-
citur mimus, ideo autem latine planipes, quod actores planis pedi-
bus proscenium introirent (Diomed. lib. III).
(6) Tra i buffoni de'magnati eranvi i copm (Svet. Tib. e. VI),
« cinedi, ì crepi, i parasiti, i stercorarii ec. e i balatrones (Hor^t
Sat. 1. 22). — De'Sidicini parla Giulio Capitolino in Aelio P'ero.
108
(7) Davanzali nella postilla del §. XIV. lib. IV. degli Annali.
(Firenze 1853) — Varchi, Ercolano. — Che poi lo Zanni (almeno
il nome) fosse antico l'abbiamo dal Cornuto o pseudoconiuto sco-
liaste di Persio alla sat. I. v. 72: ,, Sanna dicitur os distorlum cum
vultu, quoO. facimus cum alios deridemus, ideo Sanniones dicti, quia
non rectum vuUum habeant «.
(8) Il Micali vuole che non solo il Macco sia il Pulcinella,
ma anche il Bucco sia lo Zanni moderno {Storia d' Italia avanti
il dominio dei romani. P. I. e. 28).
(9) Varilla», Les anecdotes de Florence ou thistoire scerete de
la maison de Medicis. A la Ilaye 1C87. — Ccllini, Vita lib. I. §. 4.
(10) Arlecchino da un valletto del presidente Achille d'Har-
lai a tempo di Enrico ì\\ {Dictionnaire des anedoctes, Poris 1768),
Pulcinella da Paolo Cinelii, Pantalone da Pianta leone ec.
(11) Memorie li. 3fi.
CAPITOLO QULNTO.
(1) Fìeflcxions sur lesdiffercns lheati-es ds l'Europe. Paris 1738.
(2) Emiliani Giudici, storia delle t>e Ile lettere in Italia. Firenze
1847. Sez. XVI n.
(3) Ragionamento ingenuo e storia sincera dell'origine delle mie
fiabe teatrali. Opere di Carlo Gozzi (Venezia 1801) T. I.
109
Sul porlo di Pesaro. Al sig. Paolo Giorgi f. f. di
gonfaloniere. Lettera di Alessandro Cialdi; com-
mendatore di più ordini, socio di piìi accademie.
Illmo Signore.
Vfuando nei primi giorni dello scorso aprile il eh.
sig.ing. Fedele Salvatori, direttore generale dell'ufficio
de' telegrafi in Roma , mi domandava se accettato
avessi r invito che i signori marchese Carlo Bal-
dassini e Giovanni Marsetti a nome della magistra-
tura di Pesaro mi avrebbero fatto , quello cioè di
accedere sul luogo per quivi esaminare i progetti a
questo poi'to relativi e proporre ciò che meglio cre-
dessi in proposito, io ringraziava dell'onore che la
sullodata magistratura voleva compartirmi, allegando
essere mia convinzione che il professor Brighenti ,
già dal Governo a tal uopo destinato, avrebbe sug-
gerito quanto di meglio poteva farsi: e questo mio
convincimento io esternava di persona allo stesso
marchese Baldassini in casa ed alla presenza del-
l'esimio professore Salvatore cav. Betti. Tuttavia non
ho poscia pili creduto rinunciare a tanta distinzione
allorquando con officio del 3 corrente il più volle
nominato marchese, ripetendomi l'invito, aggiungeva
che interpellato in oggetto il Brighenti, si era mo-
strato sinceramente lieto di avermi a compagno e
come portatore della parola degli interessati. Ma
non pertanto mi credetti in dovere di scrivere nella
no
mia lettera di accettamento la seguente dichiara-
zione.
« lo mi reputo molto onorato dell' incarico
che l'ossequiata magistratura per mezzo della sig.
vra. illma, mi affida, e mi duole che scarse siano le
mie cognizioni per corrispondere adequatamente al
grave oggetto di dare alla cilfà di Pesaro un porlo
in qualsiasi forma che veramente corrisponda ai bi-
sogni commerciali, ed alle diverse navigazioni che av-
vengono in queste acque deW Adriatico. Nulla di meno
il magistrato di detta illustre città raggiugnerà com-
pletamente lo scopo che ha in mente, perchè dal-
Toculatissimo nostro ministro de' lavori pubblici è
stato preventivamente affidato un tale incarico al
chiarissimo ispettor cav. Maurizio Brighenti, a niuno
secondo nella scienza e nel governo delle torbide
acque e delle chiare ».
« A me poi di pai-ticolare istruzione sarà l'ac-
compagnare.nell'esame de'diversi titoli, che condur
dovranno alla soluzione del problema, il sullodato
professor Brighenti: e però anche per questo io debbo
essere grato al municipio di Pesai'o «.
Ciò premesso, passo colla massima brevità pos-
sibile, ad esporle quali sieno le fonti da cui ho at-
tinto le idee, e quali sieno i fatti da cui ho de-
dotto le ragioni che mi hanno dettato il progetto,
siccome appaiisce nell'annessa pianta idrografica.
Io non mi fermerò a narrare la lagrimevole storia
de'gravissimi danni sotferti nelle due inondazioni del
passato autunno da questa città e da ([uesto porto,
né estenderò il mio dire sulla iniporlante situazione
Ili
ireogratica che occupa questo punto commerciale ,
né sulla necessità di ridonare la vita od un [>oi'to da
cui dipende il ben essere di questo territorio e la sal-
vezza di quei navigli che navigano da Venezia ad x\n-
cona e viciversa, corrispondendo esso prossimamente
alla metà del cammino. Io per ora restringerò il mio
discoi'so alla pai-te artistica soltanto.
Dalle dotte Memorie del porlo di Pesaro di An-
nibale degli Abati Olivieri-Giordani risulta che la
foce dell'Isauro, detto volgarmente Foglia, abbia sog-
giaciuto a tre differenti direzioni. Dalla prima alle
susseguenti si è sem[)re condotta più a sinistra
guardando il mare, e quella che attualmente pos-
siede, aperta il 9 ottobre 1614, si dirige al nord-
nord-est.
Ella sa che la posizione, la direzione e la forma
de'moli guardiani, od armature delle foci, dipendono
dai venti regnanti, dalle correnti, ma più d'ogni altro
dalla direzione de' flutti, i quali a parer mio ijover-
nano gl'insabbiamenti. Ninno ignora che i venti do-
minanti e regnanti in questo litlorale dell'Adriatico
sono quelli compresi dal nord-noi-d-est al sud-est: e
ninno può dubitare che i fiumi, armati o no, hanno
la fossa mutabile secondo la direzione della traversìa
0 del moto ondoso delle burrasche, come dopo ri-
petute ed accurate ricerche dettava il Brighenti: il
che vuol dire che i porti-canali del detto littorale
perché sieno meglio difesi, e perchè più facilmente
permettino lo scarico delle acque dei fiumi che li
costituiscono, debbono indirizzarsi a sinistra dell'ul-
timo rombo dei suddetti venti. Questa verità quanto
più è stata sentita, tanto più ha indotto i nostri an-
112
teccssoi'i a condurre da destra a iDanca la foce del-
l' Isauro ; ma fino ad ora non quanto basta , e la
rotta dell'ultima piena ne potrebbe essere anche una
prova. E però la fossa, o canale navigabile fuori de'
moli, si trova sempre più a sinistra della direzione
di essi, e ne difficulta l'entiala ai bastimenti.
Così pure, per causa della difettosa direzione del
presente canale, quando i bastimenti sono in porto
non cessa il loro tiavaglio, il loro softrire. Una parte
del moto ondoso, che direttamente s'introduce lun-
ghesso il canale, danneggia molto ed anche spezza
gli ormeggi; produce avaree nelle abbozzature dei
medesimi, nei loro incrociamenti, nei punti di ap-
poggio sopra i navigli. Questi poi soffrono danni ben
maggiori; ti-atti con violenza por un verso e tosto
pel verso contrario, tessono ed urtano fortemente
contro i moli e fra loro stessi, e da ciò quel fe-
rale cigolìo che sloga la chioda zione, apre i com-
menti delle carene, allarga le commisure delle bitte,
delle latte, degli scalmi, e rende questa stalìa più
cattiva di quella che posseggono i porli di Seni-
gallia, di Fano, di Rimino ed altri, perchè questi
hanno la bocca voltata più a sinistra.
Inoltre è di grande interesse il ben detenriinare
la direzione da darsi alla foce di un fiume, onde fa-
cilitare l'ingresso ed il regresso de' bastimenti che
vi debbono passare, e, pi-incipalmente, per conservare
il fondo necessaiio all'entrala. Ed invero la man-
canza di profondità è un gravissimo male perma-
nente, il quale pregiudicando in ogni tempo tutti i na-
viganti, termina per annullare la pj-ospeiità del com-
mercio in un [)orlo e nelle coste limilrofe.il decaduto
113
stato commerciale di Pesaro pur troppo ci conferma
la verità della suesposta massima!
Né ciò è tutto. La direzione di uno sbocco in
mare può essere causa di maggiore o di minore ritardo
nello scarico delle acque del fiume, specialmente nel-
l'ultimo tronco di esso. Egli è vero che i torrenti
istantanei, come il nostro, non rispettano le leggi
della scienza; ma io credo che il miglior regime di
essi , come di ogni altro fiume, dipenda precipua-
mente dalla facilità del loro sbocco. A tale effetto
per quelle foci, ove l'arte ha posto le mani, è sta-
bilita la massima di seguire la disposizione naturale
dello sbocco, correggendone il piij possibile una vi-
ziosa inclinazione col difenderlo dagli infesti venti di
traversia e dalle cause che possono concorrere ad
interrirlo.
Non può dubitarsi che il mare quando sente di
fuori s'inalza in modo notabile lungo il lido, e sino
ad un certo limite si tiene ad eguale livello a destra,
di fronte ed a sinistra della foce; e perciò qualunque
sia la direzione di questa, uguale sarà lo scarico
delle acque del fiume; ma quando poi i venti in-
vadono il httorale ed il mare scende e vi si frange
queir accumulazione di acqua marina ha d'uopo di
defluire dal lato ove trova minor resistenza, che
su questo lido è da sinistra. Così è per me ugual-
mente certo che il moto ondulatorio del mare divenga
moto di reale trasporto di massa liquida quando
il vento è assai forte, molto più quando l'onda non
trova libero sviluppo per l'assottigliarsi del fondo,
e molto pili ancora quando essa si frange. Nei qua-
li casi r onda si trasforma in parte in fluUo-cor~
G.A.T.CXIV. 8
114
rente. Questa corrente e quella del tiunie può sem-
brare che s'immedesimino, ma in realtà si riflettono
ed indietro balzano, perchè impossibile è che due corpi
passino Viino per Valtro come notò Leonardo da vinci;
come Lartigue dai suoi studi sopra i fenomeni delle
correnti marine ha dedotto, e come de T.aligny con
recenti esperienze ha confermato. Inoltre lo stesso
Leonardo ci ha detto: Le onde rompono contro il
corso del fiume, e non mai per il verso del suo coì^so;
e subito dopo ha soggiunto: Uonda del mare rompe
contro Vacqua che rifugge dal lido ove è percossa, e
non contro al vento che la spinge. Emy , Reìbell
e Rodriguez hanno pur eglino notati simili fenomeni.
Cosicché r incontro delle succennate due correnti ,
quella de' flutti e quella del fiume, quanto meno sarà
di fronte, cioè quanto l'angolo formato nel punto di
riunione sarà più acuto, tanto meno sarà ritardato
lo scarico dell'Isauro ed interrita la sua foce.
Lo Zendrini ed il Manfredi richieggono per una
delle principali condizioni di un porto della natura
del nostro « che sia munita la bocca con oppor-
tune palificate, 0 moli, stabilito che sia che valgano
con la loro lunghezza a coprirla dai venti nocevoli
e lasciare ai favorevoli di potere coadiuare allo
spurgo delle materie che potessero essersi deposte «.
Ma se è vero che la direzione dello sbocco ha
molta influenza sulla navigazione,non che vsullo scarico
delle acque, sono però altrettanto vere le difficoltà che
s'incontrano nello stabilire quale sia la più conve-
niente da preferirsi. Questo scopo non può esser rag-
giunto che col far precedere uno studio speciale
de' venti regnanti e di quelli dominanti , della co-
115
stituzione fisica del fondo del mare, di quella delle
spiagge adiacenti , della indole del fiume, de' bi-
sogni e de' comodi assoluti ed utili ai bastimenti.
Nella direzione della bocca il parere degli uomini
di mare deve avere gran peso ; anzi nella scuola
francese è riconosciuto che celle quesUon est du res-
sort des marina.
Dopo una particolareggiata visita sul luogo ,
nella quale ho avuto la fortuna di accompagnare il
sullodato professor Brighenti in tutti i giorni che
si è qui trattenuto; dopo l'esame degli uomini più
pratici di esso, e dopo mature riflessioni sul va-
lore che può meritare la conservazione dell'esistente
canale, è mio subordinato parere che la direzione
ricercata possa esser quella che si vede tracciata
nella citata pianta, lettera A: molto più che essa colli-
ma con quella data agli altri porti-canali lungo questo
littorale, come ho già ricordato; che essa incontra
maggiori fondali (circostanza la più favorevole alla
bontà di uno sbocco), e molto più ancora che,appro-
fittando io della bontà constantemente mostratami
dall'ispettor Brighenti, sottoposi al giudizio di lui una
tal direzione, e fu trovato essere questa conforme al
suo desiderio e corrispondente alla massima già da
lui esternata ai superiori (I).
L'andamento curvilineo ivi preferito al rettili-
neo mi è stato suggerito dal riflesso di piegare
quanto è necessario verso sinistra lo sbocco sen-
(1) Vari congressi ed abboccamenti io tenni in proposito con
j i capitani Righetti, Giuseppe Cavalieri. Melchiorre Mazzuccati, Se-
bastiano Sponza e coll'assislenle del porlo Luigi Giuliani; ed eglino
me^ convennero.
116
za molto allontanare il nuovo canale dai fabbri-
cati esistenti presso il vecchio , e approfittare del
vasto e lungo cavo fornnato dalla rotta. Un tale
andamento, quantunque più lungo del rettilineo che
congiunge i suoi estremi, ma non di quello del pre-
sente canale, si crede preferibile ancora, dopo aver
ridotto l'ampiezza del canale come dirò fra poco ,
perchè « in canale curvilineo, come osserva il Bo-
scovich, la forza stessa d'inerzia, che richiede sem-
pre la continuazione del moto rettilineo, costringe
il filone ad accostarsi alla parte cava e rasentar-
la continuamente, mentre nel rettilineo ogni pic-
cola disuguaglianza di resistenza fa torcere il cor-
po ora verso una parte, ora verso l'altra , e così,
malgrado della maggiore brevità del canale retti-
lineo, può in esso divenir la via delle acque più
lunga che nel curvilineo , benché più lungo. Nel
medesimo caso l'acqua, per la forza centrifuga con
cui spinge la sponda curvilinea, vi si alza e cor-
rode anche il fondo, e lo incava ; onde può cresce-
re alquanto la sua velocità attuale col peso, e sce-
mare la resistenza nel fondo con farsi una specie
di letto di quella che chiamasi acqua morta )>. Il
medesimo partito vedesi consigliato dal Cavalieri ,
il quale risolve ancora la questione, se le palafitte
debbano protrarsi ad eguale lunghezza, o se l'una,
e quale di esse, debba superar l'altra; ricerca che
pure era bene di fare nel caso nostro. « Le di-
ghe , egli dice, debbono essere avanzate in mare
finché si trovi in questo il fondo necessario per te-
nere a galla i bastimenti, ai quali il porto è de-
stinato. Giova poi di prolungare alcun poco più del-
117
Tallra quella che è dalla parte del vento più po-
tente di ogni altro a spingere l'arena verso lo sboc-
co del canale. È utile di stabilire le dighe in li-
nea curva, rivolgendone la convessità verso quella
parte, da cui sarebbero spinte le sabbie ad inva-
dere la foce. Cotesta disposizione tende a ripara-
re l'interno del porto dai venti di mare, e ad im-
pedire che si formi un'alluvione o un dosso di sab-
bia plesso la estremità interna della diga più spor-
gente, pel rallentamento che ivi avverrebbe nel cor-
so dell'acqua, se le dighe fossero stabilite in linea
retta ». Laonde lo stesso andamento, riparando l'in-
terno del porto, conserverà tranquilla la stallìa con
i mari di fuori, in oggi così molesta ai bastimen-
ti, come ho già notato, ed impedirà che si for-
mino alluvioni nell'interno del canale, in oggi co-
sì dannose alle barche ed al facile smaltimento
delle acque del fiume, come fra poco noterò.
Anche sulla larghezza del canale io credo ne-
cessario proporre una modificazione. Per la navi-
gazione e per lo scarico delle acque del fiume, que-
sta questione è tanto grave quanto quella della di-
rezione da darsi allo sbocco. La larghezza dell'at-
tuale canale fra i due guardiani presso la foce è
di 4-0 metri; a 250 dalla foce stessa è di 38; più
internamente, cioè a 550 metri, è di 35; e final-
mente presso il ponte è di metri 28. Queste lar-
ghezze a foggia di ventaglio, dalla superficie fino al
fondo, mi pare che debbano molto diminuire alla cor-
rente del fiume la forza di mantenere aperta la fossa
in mare e conservare spurgato il canale interno.
La teorica ed i fatti appoggiano questo parere.
118
L'Isauro, per quanto ho potuto sapere e ve-
dere, presenta caratteri meno sfrenati degli al-
tri fiumi torrenticci che, come esso, discendendo
dall'Apennino scorrono tortuosamente e con rile-
vante pendenza frammezzo all'altipiano inclinato ver-
so il mare, a cui vanno a tributare le loro acque.
Copioso quasi sempre di torbide, ne è poi copiosissi-
mo in ogni escrescenza, e convoglia anche ghiaie
nelle maggiori ; ma atteso il tortuosissimo corso
che esso ha, pochi di questi ultimi materiali sca-
rica sino al mare, eccettuati i casi di escrescenze
straordinarie. Nel canale che costituisce il porto,
vi giunge adunque sempre carico di sabbia e ter^
ra, e di rado con materiali più grossi. Nelle escre-
scenze mezzane, che sono certo le più frequenti ,
le sue acque rimangono incassate, e solo è toccato
il ciglio delle ripe in quelle maggiori. Ma se il ma-
re sente di fuori, o è soltanto un poco agitato ,
anche nelle piene mezzane il fiume si alza molto
di pelo, e, rallentata quindi notabilmente la sua
velocità, deposita il carico producendo sensibilissi-
mo interrimento lunghesso il canale : interrimento
che, diminuendo la pendenza e la sezione, contri-
buisce anch'esso a forzare il fiume ad elevarsi, ad
estendersi, a traboccare. Questi effetti spiegano co-
me nel maggior numero delle piene mezzanamen-
te gonfie l'incisione dello scanno in mare è appe-
na indicata, e la stallìa è soverchiamente colma-
ta ; e come le sole piene ben vigorose possano
spurgare il canale e convenientemente rendere de-
pressa la soglia di scarico delle acque dell'Isauro:
dannoso effetto che non verificasi con eguale fre-
119
quenza ed intensità in altri porti-canali di questo
littorale, perchè essi, per essere piìi stretti e piiì
piegati alla sinistra, ottengono benefìcio anche dal-
le mezze piene de' loro fiumi.
La portata dell'Isauro, propriamente parlando,
fino ad ora non è stata calcolata. In un manoscrit-
to > dell' ing. cav. Pompeo Mancini si legge che
la sezione naturale che in più incontri si è verifi-
cala nel detto fiume, specialmente ne^ suoi pochi e
brevi tronchi rettilineij si è trovata della larghezza
al fondo di metri 40 ai 50. L'altezza delle massime
piene sale dai metri 3,50 ai metri 4,00 sopra il
pelo magro (1). Dall'esperienza di un ottennio sul-
le diverse portate del canale di derivazione che ali-
(1) Credo pregio dell'opera riportare ciò che dice il pro-
fessor Briglienti del bacino idraulico di cui parlo. Queste notizie,
quantunque generali, potranno somministrare conveniente idea del-
la indole del nostro Isauro, detto Foglia, e della sua portata.
" Piovono sulla nostra provincia, dice il Brighenti, metri cu-
bi 2100 millioni d'acqua ogni anno, de' quali un terzo secondo le
ipotesi dei fisici viene assorbito dal suolo, un terzo evapora, l'al-
tro terzo 700 millioni si disperde in mare. Se quest'ultima por-
zione si riduce in forza motrice, come ha fatto il sig. Dupin per
la Francia, troviamo che equivale alla forza di 4 millioni di brac-
cianti, ciofe a venti volte la nostra popolazione in continuo lavo-
ro tutto l'anno. Ma questa enorme forza motrice profitta ben po-
co alla nostra prosperità, perchè attese le forti pendenze del suo-
lo quel tesoro d'acque si dissipa quasi in un subito al mare
per l'alveo di otto rapidissimi torrenti : sono la Marecchia , la
Conca, il Tavullo, la Foglia, l'Arzilla, il Metauro, il Cesano ed il
Misa. I quali corrono strabocchevoli in un baleno, poi magrissi-
mi, o restano asciutti la maggior parte dell'anno. La Marecchia nel-
le grosse piene corre sei miglia all'ora, e porta metri cubi 390 d'ac-
qua in un minuto secondo ; in dieci piene annuali di dodici ore
ognuna dissipa metri cubi 168 millioni e mezzo d'acqua. Altrettua"
la io penso del Melauro, che mi par similissimo per lunghezza di
120
menta i molini di Pesaro, fatte dal slg. dott. Lui-
gi Guidi, risulta che nei mesi di luglio ed agosto
corso, larghezza d'alveo, e peso dalle materie trasportate allo sboc-
co ; e la somma dì questi due gli altri sei presi insieme. Onde
in cinque giorni vanno al mare 670 millioni metri cubi d'acqua,
e ne restano 30, che è la venliqiialtresima parte dique' 700 pel
rimanente dell'anno da distribuirsi in otto torrenti, e alle piene
dei piccoli corsi d'acqua che abbiam trascurato. Per le quali con-
siderazioni si fa maiiiii'Sto come Intla In nosira navigazione si ri-
duca di necessità alia sotti! costa Adriatica, che bagna il fianco
della provincia volto a tramontana.
i" La nostra industria ha nondimeno profittato della (orza
delle acque per mantenere escavate le foci in mare d'alcuni di
questi torrenti principali, e costringendo fra ripe artificiali mura-
te il corpo d'acqua che vi passa in piena, ha costituito dei ca-
nali navigabili lunghi circa un miglio a Rimìni, a Pesaro e a Se-
nigallia. Non è qui luogo a discorrere, e ognuno sa per propria
osservazione le variazioni del fondo di questi canali, e come sia-
no esattamente proporzionali al numero, e alia qualità delle pie-
ne annuali ; i limili minimo e massimo sono fra metri 1, e metri
3 d'altezza d'acqua, onde talora stcntanvi le barche di CO tonnel-
late, talora potrebbero portarne anche di 120. Sono tuttavia pre-
ziosi al commercio de'nostri generi coll'estero, e alla pesca di ma-
niera, che la cura del governo per conservarli non sarà mai so-
verchia. Se non che la durata loro non è di natura perpetua per
l'annuale allontanamento delle foci cagionato dalle ghiaie, e dalle
terre che ivi trascinano le piene dei lorrenli, da cui sono ali-
mentati. Vario è questo incremento delle spiagge dipendente dal-
la situazione loro rispetto alla direzione del moto ondoso delle
burrasche, e più dagli sbocchi de'torrenti vicini a sopravvento.
A Rimini, tenendosi alle antiche memorie, può valutarsi di circa
un metro ogni anno ; a Pesaro molto meno per que' monti a de-
stra e a sinistra, che mandan le acque a ritroso, ed hanno la ba-
se non corrodibile, per le meno torbide e veementi piene della
tortuosissima Foglia, e pel lontano sbocco del Mctauro le cui ma-
terie sono in gran parte trattenute intorno a Fano. Onde presso
a questa città torna a dilatarsi l'avanzamento del lido, e dura pel
Cesano e pel Misa fino a Senigallia, ove di nuovo si raccorcia,
finché comincia a sentire i depositi dei torrenti su]>eriori.
121
il fiume può dirsi in completa siccità, giacché il
canale stesso, che raccoglie anche le minime ac-
que del fiume, non ne fornisce se non la quantità
necessaria a mettere in moto le tre macine del
molino superiore per giorni quattro e mezzo di ore
24 in ciascuno de' suddetti mesi ; quantità che di-
visa per un intero mese darebbe per il fiume la
defluenza di metri cubi 0,361 al secondo di tem-
po ; e nei mesi di giugno, settembre e dicembre
t Nel giorno 29 dicembre 182 { sperimentai con un galleg-
giante la velocità superficiale della Marecchia sopra una lunghez-
za di metri 444. Era l'aria quieta, e il torrente assai gonfio, aven-
do il pelo d'acqua soli metri 0.50 sotto la chiave dell'arcata mez-
zana del ponte d'Augusto. Trovai il molo del filone sensibilmen-
te uniforme, e la velocità di metri 2.60 per 1." Nella sezione di
contro alia Capitania del porto, la cui quadratura era di metri
quadrati ISO, passavan dunque metri cubi 390 d acque in 1.", te-
nendo per media la velocità superfiùiale ; nel che alt>'sa la rapida
cadente del fiume, e lo stato basso del mare di quel giorno, non
sarà forse un grande eccesso. La piena del 23 dicembre prece-
dente fu metri i.lO più alta di quella del 29, e non può restar
dubbio che in quella si verificasse una portata anche maggiore di
metri cubi 390 per ì."
«■ La pendenza del pelo magro della Marecchia sopra una lun-
ghezza di metri 3763 dalla foce in su è di metri 4.394, l'area del-
la predelta sezione alla Capitania diviene in questo «tato d'acque
metri quadrati 11.00, il raggio medio risulta di metro 0.20, il co-
seno dell'inclinazione di metri 0,001676; onde la velocità media
secondo la formola del sig. Eylelvein di metri 0.925. per 1.", e
la portata di metri cubi 10.175. Sicché il rapporto fra le piene
grosse e il corso magro riesce nel nostro torrente prossimamente
di 1.39; ciò avvalora iu qualche modo i risultamenti sopra discor-
si comunque derivati da elementi puramente probabili •,-,. (Eser-
Ciiazicm agj arie dell'Accad. di Pesaro 1829 anno I, sem. I pag. 20
al 23.)
Essendo l'Isauro di molto minor portata della Marecchia, e
meno torbide e veementi essendo le sue piene, esso la cede adun-
que di gran lunga a quella in isfrenatezza.
122
lo stato del fiiitne può considerarsi come nella ma-
gra massima.
Se, come ho accennato, nelle mezzane piene
l'attuale larghezza e direzione del canale non per-
mettono alla corrente d'incidere abbastanza lo scan-
no e dare una conveniente fossa alla navigazione ;
se nelle stesse circostanze il canale o porto si os-
truisce invece di espurgarsi, che cosa può attendersi
nelle magre ? Questo commercio marittimo per
non soffrire pregiudicievoli ritardi ha bisogno di
poter disporre di due metri di fondo: ma nelle
siccità e nelle massime magre, cioè nel lungo pe-
riodo dedotto dalla media di sopra indicata di cin-
que mesi ogni anno^ non si hanno dai ripetuti
scandagli fatti nel canale del porto, che settanta
centimetri nel tratto di massimo fondo, cioè dal-
la lanterna all'ufficio di Sanità ; e ciò neppure è
costante. Quasi ogni anno, e più volte nell'anno
stesso, si verifica un banco di sabbia presso la fo-
ce, il quale partendo da poco in dentro alla
punta del molo di levante traversa il canale fino
alla punta dell'altro molo, obbligando le barche di
piccolo cabotaggio a scaricare l'intero carico e par-
te de'loro attrezzi sopra la testata del detto molo
di levante, e cosi ridotte entrare poi nel porto
trascinate sul fondo dalla forza degli uomini e
de' bovi.
Egli è in vero brutto spettacolo il vedere una
ed anche più barche contemporaneamente scaricar-
si 0 caricarsi attorno la punta di un molo col di-
sordine e con l'ansietà inevitabili in bastimentie spo-
sti senza verun ricovero ad istantanei ed impetuosi
123
venti, e ad un mare facile ad agitarsi e frangere !
Nel marzo 1833, per togliere un cosiffatto inconve-
niente si dispose dall'emo. Albani, legato della
provincia, che da Ancona qui venisse una macchi-
netta a cucchiaia, ed il 14 del sudetto mese si pose
mano allo spurgo. Ma siccome in ogni piccola ma-
retta si riempiva in poche ore lo scavo fatto dal-
la macchina, il 28 maggio dello stesso anno si ab-
bandonò il lavoro. Nel maggio 1845 un banco di
43 metri lungo, di 25 largo e scoperto nella bas-
sa mai'ea, si piantò di contro la bocca a 80 me-
tri in mare dai moli. E per finirla rammenterò
soltanto ancora un fatto. Nel febbraio 1854 si for-
mò fra i moli tale un banco che sbarrò l'intero
canale per la lunghezza di 67 metri, e superò di
oltre sessanta centimetri l'altezza del mare basso;
tanto che si dovette aprire a pala un canaletto
presso il molo di ponente, siccome quello ove il ban-
co era meno elevato, onde far passare i gnocchet-
tii piccole barche da pesca.
Questi fatti, l'autenticità dei quali disgraziata-
mente non può in verun modo porsi in dubbio,
accadevano quando il canale era nel suo perfetto
stato di sistemazione, cioè quando le sponde era-
no non di terra in corrosione o di palafitte, ma di
regolare e non interrotto muro per il lungo trat-
to complessivo di metri 1494. Gli stessi fatti sono,
a parer mio, una grave risposta a quelle idee o a
quei progetti che tendono ad avere un porto a ba-
cino, 0 qualche cosa di simile, in questo punto
di lido; sia che in esso porto s'introduca l'intera
massa dell'acqua convogliata dall'Isauro, sia che
124
la massa in due rami si divida , o sia in fine
che la massa stessa dal poito si allontani. Senza
l'Isauro non può quivi aveisi porto ; e senza che
l'arte stabilito abbia un canale il più conveniente-
mente rivolto e largo, l'Isauro non può dare con-
gruo porto.
Prese adunque in serio esame quelle nozioni
che abbiamo sulla portata di questo fiume ; consi-
derati i bisogni ed i comodi necessari ed utili al-
la navigazione ; fatto confronto con la larghezza
che hanno gli altri porti-canali della natura del
nostro, io mi sono convinto che la larghezza uni-
forme dal ponte al mare di metri trenta sia quel-
la che meglio convenga. Tuttavia per utilità della
cosa e per istruzione mia, anche su questa im-
portante parte del mio progetto ho tenuto proposi-
to col ripetuto professor Brighenti; ed egli, dopo
avermi fatto osservare che, atteso le ai-te e furio-
se fiumane cui va soggetto l'Isauro, e le basse e
lente magre di esso, non era pos!MÌ)ile appigliarsi
convenientemente ad uno stato del fiume senza al-
lontanarsi di molto dallo stato opposto , ha infine
convenuto in siffatta larghezza come media com-
portabile ; e perciò la larghezza di '30 metri è
quella che vedesi tracciata nel nuovo canale (1).
Questa misura è, raggungliatamente, di 5 me-
tri minore di quella che ha il presente canale;
quindi può credersi di poca, o ninna influenza
(i) La larghezza del porto canale di Fiumicino è di 23 metri,
quella di Sinigaglia dì 21, quella di Fano 20 e quella di Rimini
30 alla metà circa del porto.
125
sulla migliore sistemazione che si dimostra abbi-
sognare il fondo del porto-canale costituito dall'Isau-
ro. Ma se Ella si compiacerà di por mente alla di-
versa direzione data allo sbocco , e più alla cur-
vatura stabilita nel nuovo canale , vedrà chiara-
mente che come questi cinque metri in meno
nulla lasciano relativamente a temere nelle piene
der fiume, così molto lasciano a sperare nelle ma-
gre di esso. In questo andamento J'azione della
corrente essendo piiì energica nella riva concava
che sull'altra convessa, come ho avuto occasione
di ricordare, determinar deve lungo^ prima «un uti-
le fondo, nel mentre che sulla SBoInda crea un
banco disposto a spalto. Da questi due opposti ef-
fetti risulta la formazione di una sezione ài figura
a trapezio, la quale sarà .molto benefica alla navi-
gazione, anche nelle massime magre dell'Isauro.
Risultamanti che, a mia credenza, non potrebbero
mai ottenersi conservando il presente canale, qua-
lunque lavoro si faccia per esso fuori alla foce.
Credo poi proporre un espediente che da qual-
che tempo io andava maturando per accennarlo
alla prima occasione, il quale, sottoposto al savio
giudizio del più volte nominato ispettor Brighenti,
ha incontrato la sua approvazione. Nelle viste di
dare un ricovero in casi di mare grosso a quei ba-
stimenti che esercitano il commercio in questo
canale , e per quelli che lo esercitano lunghes-
so questo sottile littorale, senza incorrere nel bi-
sogno di una lunga protrazione di ambo i moli ,
la quale oltre alla maggiore spesa produce ancora
più sollecita protrazione del lido ed innalzamento
126
del letto del fiume, mi tb a proporre una pro-
trazione isolata di duecento metri nello stesso an-
damento del molo destro, lettera B. La distanza
più conveniente dalla punta del molo di levante
alla punta piiì prossima di quella protrazione, cre-
do che possa essere non meno di centocinquanta
metri per le seguenti considerazioni;
1." Per avere un utile fondo di acqua colla mi-
nor possibile spesa ;
2." Perchè i materiali convogliati dal fiume non
giungano a depositarsi a ridosso di quel molo
isolato ;
3." Perchè il mare possa liberamente spazzar
quelli che si depositeranno dinanzi o prossimi
alla foce ;
4-.° Perchè la corrente prodotta dai flutti di de-
stra non abbia soverchia velocità, e perchè l'urto
de' medesimi flutti fra loro non abbia soverchia-
mente ad incomodare e forse anche impedire l'en-
trata de' bastimenti nel canale ;
5.° Per avere una comoda bocca per l'approdo
e la partenza de' legni col maggior numero possi-
bile de' rombi di vento;
6.° E perchè se dall'esperienza venisse prova-
to più conveniente una minor larghezza a detta
bocca, facil cosa sarebbe il restringerla, e senza
verun inconveniente, perchè la proposta protrazio-
ne isolata è nella stessa direzione de'moli.
Il presente molo di levante sarà utilissimo
guardiano alla nuova foce senza bisogno di protrar-
re quelli che esistono alla destra della foce di
oggi.
127
L'intervallo compreso fra le due foci ritengo
che sia cosa utilissima di difenderlo con isco-
gliera, lettera C. Gli scandagli in mare a sinistra
del porto, l'esame personale del lido e le notizie
raccolte da altri dimostrano che da questa parte
la spiaggia non progredisce che molto lentamente;
anzi ad una distanza di metri 1500 è in corrosio-
ne, ed è certo che essa s'ingrossa quanto più si
allontana a sinistra della foce : i fondali alla stes-
sa distanza dal lido vanno crescendo da destra a
sinistra in guisa che sulla punta degli schiavi a so-
li metri 100 da terra si scandagliano 4 metri di
acqua. Questa fortunata costituzione del luogo mi
avrebbe suggerito la idea di usare le forze che la
natura sviluppa in queste vicinanze in guisa da con-
vogliare e spandere i materiali ostruttivi quanto
più si può sulla sinistra. A tale effetto la propo-
sta scogliera di difesa aderente al lido, formando
flutti riflessi, dovrà non poco contribuire nel tra-
sporto a sinistra e prender parte all'azione dei
flutti diretti che si imboccheranno nell'apertura
fra la punta del destro molo e la protrazione iso-
lata. Nei fortunali, il braccio formato dalla ri-
petuta scogliera e l'altro costituito da quella pro-
trazione isolata devono obbligare le linee de' flut-
ti comprese fra i punti a b a passare per;;ila det-
ta apertura e sviluppare una corrente capace a
non permettere la formazione o la conservazione
del solito banco che corona la foce e, dando
celere moto verso sinistra all'acqua del mare che
si para innanzi ad essa foce , capace per l'uno
e per l'altro fatto ad aumentare notabilmen-
128
te l'effetto della chiamata allo sbocco; il che tor-
na ad importante comodo della navigazione, ed
a più facile sfogo delle piene.
Pare adunque che con questo progetto verrà,
nel miglior modo che da me potevasi, ed all'in-
circa nei limiti della preconcetta spesa, provvedu-
to alle due principali esigenze tanto raccomandate
dai rappresentanti della città e del commercio di
Pesaro , anche con suppliche umiliate al Sovrano
e dal medesimo benignamente accolte ; cioè di
ridonare un porto veramente utile al commercio ,
e di diminuire, se non quanto è desiderabile quanto
ahneno è possibile , la gravità delle inonda-
zioni rese così facili ad incomodare e danneggia-
re in questi ultimi tempi.
Qui avrebbe termine il mio dire, perchè qui si
troverebbe esaurito il mandato da Lei favoritomi
colla sua del 3 corrente. Ma il giorno 12 dello
stesso mese sua eccel. reveren. monsig. Pasquale
Badia pro-legato apostolico di questa provincia
avendo disposto che, alla presenza di lui e di
quella del sig. Giovanni Marsetti deputato per
l'affare del porto da questa magistratura, il pro-
fessor Brighenti ed io presentato avessimo i ri-
sultamenti de' studi nostri, il mio mandato è sta-
to esteso.
Dopo molte osservazioni su i diversi progetti
già presentati sull'argomento in discorso, si è creduto
dai sopra nominati che quello da me tracciato sia
più di ogni altro idoneo al caso; soggiungendo in
proposito il professor Brighenti che egli lo trovava
conforme alle sue viste , e se egli non proponeva
129
eguale concetto eia solo perchè avrebbe ecceduto
il mandato; riservandosi però di trasmetterlo a Ro-
ma , unitamente al suo , con ispeciale menzio-
ne (1). Quindi eglino espressero unanime avviso
che io corredassi il progetto in discorso delio scan-
daglio per la spesa corrispondente; e però in virtù
di questo ossequiato divisamento Ella tioverà unito
in Allegato il richiestomi lavoro.
Ciò nondimeno non mi è sembrato di poter qui
omettere un confronto fra la spesa necessaria ad ef-
fettuare il piano di cui tengo proposito, e quella che
abbisognerebbe a ritornare il vizioso canale nella pri-
mitiva sua sistemazione.
Dalla Relazione sul progetto del nuovo porto di
Pesaro compilata dall'ing. in capo Luigi Buffalìni il 9
febbraio 1856, e sottoposta a sua eccellenza mons.
ministro de' lavori pubblici, risulta che a rimettere il
porto canale nello stato in cui trovavasi prima delle
alluvioni richiederehbesi la spesa di se. 99000. Inoltre
è da avvertire che, visitati i tratti di sponda non ca-
duti perle passate inondazioni, e però non compresi
nella perizia del menzionato ingegnere, si fa oggi ma-
nifesto il bisogno in essi di piìi profondi e solidi fonda-
menti se si vogliano conservare. 11 perchè si crede es-
sere necessaria una ulteriore spesa di circa se. 20000
da aggiungersi a quella già calcolata; cosicché l'intera
somma per il ristauro del presente canale ascende-
rebbe a scudi 119 mila.
(I) Promessa che dal Brighenti è stata scrupolosamente man-
tenuta, e nel modo il più onorevole per me. Ecco il vantaggio
del trattare con uomini superiori, nei quali la dottrina va sempre
unita ad imparziale liberalità.
G.A.T.CXIV. 9
130
Dallo scandaglio della spesa occoiTente per la
esecuzione de' lavori da me progettati, secondo l'an-
nessa pianta e relativi Allegati, si ha, è vero, che oc-
correrebbe la somma di scudi 1 32068. 14|, e perciò
maggiore dell'altra di scudi 13068. 14|; ma questo
aumento di spesa compensato a parer mio ad esu-
beranza dal vantaggio che si trarrà dal nuovo por-
to, sembra poter inspirare fondata speranza sulla
superiore approvazione; quante volte il progetto fosse
ammesso dall'eccelso consiglio d'arte (1).
(1) Ecco il rescrilto di sua eccellenza monsignor ministro dei
lavori pubblici in relazione al giudizio clell'ossci^u.iato consiglio d'
arte.
» 9 Luglio 1856. n". 8806.
M Fisto che il Consiglio d'arte, uniformandosi col suo voto al
rapporto delV ispettor emerilo sig. prof. Brighenli, dichiara prefe-
ribile il progetto del canale curvilineo ideato dal sig. comm. Cialdi,
purché la relativa spesa non ecceda di troppo la somma indicata
7iello, scandaglio;
» Si diano le occorrenti iatruzioni alla delegazione apostolica
di Urbino e Pesaro affinchè il progetto islesso venga, senza più ,
ridotto a piano di esecuzione a cura degV ingegneri della provin-
cia pesarese: e di questa disposizione si dia la dovuta partecipa-
sione al consiglio.
Il Ministro
MlLESI
Compito l'ordinato piano di esecuzione, la somma risiillata da
questa più particolareggiata analisi ascende a scudi 138726. 60 ,
cioè soltanto maggiore a quella da me preavvisala di se. 6638.43 ,
e però dentro il limite ammesso. Anzi, in virtù di alcune modifi-
cazioni fatte al detto piano dal consiglio d'arte, la somma ricono-
sciuta necessaria all'eseguimento del mio progetto riducasi a se.
129750.04 : cioè minore di scudi 2318.10.^, di quella da me po-
sta in preventivo.
. 13Ì
Prima di dai* fine torna opportuno ed anche con-
venevole che io le ponga sott'occhio l'efticace coo-
perazione avuta dal signor Alessandro Scalcucci, in-
gegnere di questa provincia , che il menzionato
egregio sig. Marzetti destinò ad assistermi. La pianta
è opera sua , e sua ò la compilazione dell'ammon-
tare delle analoghe spese , essendo egli ben più
esperto di me nei prezzi e nelle pratiche locali.
Credo soltanto di far notare che, se il progetto ve-
nisse in massima approvato dall'ossequiato consiglio
d* arte , ho in mente di stendere e di sottoporre un
paralello fra talune maniere di costruzione special-
mente per la protrazione isolata; perchè opino do-
versi preferire un sistema più conveniente e più utile
di quello dell'uso delle palafitte posto in perizia.
Evaso in tal modo, per quanto lo hanno per-
messo le mie deboli forze, l'onorevole incarico che
cotesta esimia magistiatura ebbe la degnazione di
affidarmi, approfitto di questa favorevole occasione
per confermarmi col più distinto ossequio
Pesaro 24 maggio 1856.
Della sig. vra. illma.
Devino, ed Oblino, servitore
Alessa,m)ko (,'-ialdi.
P. S.
132 .
P. S.
La necessità di avere il maggior possibile fondo
alla bocca di un porto-canale e nello scanno che
la corona, consiglia la pratica di armar le foci del
fiumi con robuste palafitte o moli; e questa pratica
è a tutt'oggi in pieno vigore in Italia ed altrove. Sif-
fatto sistema però ha in se dei difetti, e due gra-
vissimi , quello di stringer troppo la sezione dello
sbocco, e l'altro di produrre più rapido avanza-
mento della spiaggia , e quindi notabile prolunga-
mento della linea mediante le ripetute protrazioni
de'moli: stringin)ento contrario al sollecito deflusso
delle acque in piena, e prolungamento contrario al
buon regolamento interno del fiume, e molto nocivo
alla navigazione. // prolungamento delVullimo tronco
dei ìioslri canali, ci diceva nell' anno 1829 il Bri-
ghenti, sarà cagione di tale rallenlamenlo del moto
delle piene, che le renda inabili a sostenere le ma-
terie pili grosse, e queste depositale sul fondo n'al-
zeranno il letto assottigliando r acqua occorrente alla
navigazione. Questo effetto quando che sia non può
mancare, e però dee impedirsi, o rilardarsi quanto è
possibile (1). Con lo stabilire de' guardiani normali
alla spiaggia sopravvento alla foce, più o meno da
essa distanti, può essere ritardato il bisogno delle
protrazioni de'moli, purché questo ritardo non ecceda
un certo limite; ma siffatto provvedimento può dirsi
che in nulla giova al primo difetto.
(1; 0[)era citata pag. 22.
133
Il desiderio di eliminare nel sistemale accennate
principali parti difettose, mi suggerì l'espediente di
staccare la solita protrazione maggiore del molo dal
lato de' venti regnanti e dominanti per ben 150 me-
ti'i, e di guarnire di scogliera la sponda della spiag-
gia compresa fra la proposta foce e quella esistente
(lettera C) ; ma non mi lusingo che questo espe-
diente provveda interamente a tutto.
Un sistema molto più semplice ed economico dei
sopra indicati si ha in quello delle palificate som-
merse a traforo facenti officio di sponde , dovuto al
benemerito commendator Afan de Rivera, e da lui
praticato con felice successo nel regno di Napoli.
Questo sistema noto per la particolareggiata de-
scrizione che ne ha lasciato il suo inventore (1); per
quella non meno ordinata e lucida che ha dettato il
chiarissimo architetto Vincenzo Antonio Rossi, ese-
cutore del sistema stesso, nel magistrale suo libro
sul Definitivo bonificamento della campagna vicana (2),
e nell'altra sua pili recente scrittura , ove soltanto
di detto sistema ragiona (3); per la lode che ne fa
il Lombardini nel suo aureo trattato Della natura
dei laghi (4) e nell'altro non meno dotto Sulla stati-
stica dei fiumi (5); è finalmente pel favorevole rap-
porto fattone a s. e. il ministro de'lavori pubblici in
(1) Del bonificamento del lago Salpi ec. Napoli 1845.
(2) Napoli 1843 pag. 137- e seguenti.
(3J Di una efficacissima pratica per stabilire la sussistenza
dello sbocco dei fiumi in mare.
(4) Milano 1846 pag. 104.
(5) Milano edizione del 1854 pag. 11 e 12.
134
Francia dall' ing. in capo sig. Baumgarten (1); que-
sto sistema, dico, ha richiamato la mia attenzione
nell'occasione di proporre l'armatura per la nuova
foce dell Isauro.
Avendo in mente che si voleva dal municipio e
dalla camera di commercio di Pesaro un porto che ,
mentre si prestasse ad una attiva navigazione, la-
sciasse pure facile scarico alle fiumane, mi sono oc-
cupato di rinvenire il modo per restringere le sponde
senza fare ostacolo al sollecito smaltimento delle ac-
que nel mare; il che inferiva doversi fìancheijgiare la
foce con opere sommergibili, adottando così la prima
parte della idea del de Rivera, e fare traforate cotesle
opere, ciò che compie la idea stessa; ma la effettua-
zione di essa non soddisfaceva ai bisogni della navi-
gazione: il che mi accingo a dimostrare.
Nei colloqui tenuti col Brighenli non ho man-
cato di far parola di questa nuova pratica; ma per
Tesperiraento che egli, come commissario pontifìcio
della libera navigazione del Po, aveva avuto non ha
guari occasione di fare di essa nel Porto-di-levan-
te, non l'ho trovato disposto ad approvarne I' uso
senza ulteriori prove della sua buona riuscita. Il
giorno 21 maggio nel suo tranquillo casino , Cà-
Ristoro, situato sull'amena collina la Carlelta , ove
si domina la sottoposta città di Rimini e 1' occhio
ijiunge a vedere Tuna e l'altra sponda dell' Adriati-
(1) Annales des ponls et chans(^es. Paris 1833; ed Annali delle
opere pubbliche e dell'architettura, opera periodica compilata a cura
di Giov. Rossi, N. De Rosa, e L. Corrieri ingegneri del corpo di
aeque e strade. Napoli 1833, pag. 192.
135
co , mi dettava in proposito al trovato del Rivera
quanto appresso.
« Nel canale bianco, antico ramo del Po, ove ri-
capitano tutte le acque chiare del Polesine di Rovigo
e superiori, chiamato Porto-di-Levante, ed ove la
velocità media di riflusso misurata è di 0"™, 40 per*
secondo, erano state battute le palafitte a giorno
per la lunghezza complessiva di entrambi i bracci di
metri 1700. Il destro braccio sporge in mare sul
sinistro metri 30, attesa la forma del lido: cani-
minano essi dall'acqua sottile metri 500 entro mare
nella direzione di levante; vanno a trovare un fondo
di metri 3 sotto il comune marino , e formano
un canale di metri 40 di larghezza. La testa dei
pali è alta l"", 60 sul detto comune; il diametro di
0"", 33 circa (ossia del perimetro di un metro) di-
stanti 0'", 80 da centro a centro , e però lasciano
un lume fra loro di circa 0'", 50. Poco sotto alla
testa dei pali (0"', 40 circa) lungo la linea del ca-
nale, corre una pedana di tavoloni appoggiati da ca-
tena a catena, la quale pedana serve di praticabile
ai piloti in tempo di burrasca, e sempre a tutti. In
somma i guardiani del Porto-di-levante sono in tutto
simili ai comuni, salvo che, invece di avere i pe-
rimetri dei pali a contatto, gli hanno distanti 0™, 50
l'uno dall'altro. La esperienza fece immediatamente
conoscere il bisogno di riempire quelle luci fino
poco sopra al pelo ordinario, perchè in tempo di bur-
rasca, specialmente dalla parte di greco, succedeva
ima forte irruzione di sabbia nell'interno, che avrebbe
in breve tempo ostruito il canale. Empiti i bracci,
si ottenne immediato eccellente successo ».
1.%
Da ([inasto fallo adunque si dovrebbe desumerò
un risul lamento contrario a quello ottenuto dagl'in-
gegneri napoletani. È desso dovuto alla differente si-
tuazione, ovvero al non eguale ordinamento dell'ar-
matura della foce ? Lo scopo di quel lavoro nella
"Venezia era la creazione di un porto per uso della
navigazione a vapore del Lloyd austriaco; quindi
quei moli ebbero in costruzione un carattere simile
ni comuni, anzi eguali a questi nella parte superiore.
Stando però al dettato de'suddetti ingegneii, le file
dei pali debbono essere battute sino al pelo basso del
mare perchè giacciano sommersi, e niuna pedana o
praticabile si vede da loro usata. Secondo il Bri-
ghenti questa pedana o tavolato nulla influisce sulle
acque, ne sulla stabilità dell'armatura; io invece opino
che essa, non che 1' altezza de' pali fuor d' acqua,
la troppa larghezza del canale in relazione alla sua
portala e la rilevante lunghezza dei bracci per giun-
gere a 3 metri di profondità, possano essere siale
di ostacolo principale alla efficacia del trovato Ri-
vera adottato al Porto-di-levanle.
Ecco come il menzionato Rossi, testimonio ocu-
lare, ci descrive l'effetto dei flutti nel suddetto tro-
vato.
« Le burrasche coli' infuriare dei venti e dei ca-
valloni zappano il fondo del mare , ne rompono i
bassi fondi, e spingono al lido le sabbie; onde poi
si formano le alte spiagge e le dune; ed ove que-
ste sono interrotte per lo sbocco di acque in mare,
vi formano gli scanni e tutte quelle radunate di sab-
bia 0 rene che ne impediscono lo scarico. Quan-
do allo sbocco siavi una palificata sommersa a tia-
foro, il procelloso moto delle onde verso ÌI lido ,
sarà rotto dai pali isolali che la compongono; e quel
moto procelloso si comporrà in un moto eminen-
temente vorticoso; ed i grandi coni verticali rove-
sci del^ sistema di tutti questi vortici , scaveranno
potentemente il fondo nello spazio interposto ad essi
pali e nel circostante: e così l' impedimento che h
burrasca getta contro lo sbocco ne è istantemente
rimosso da quel simultaneo movimento di vortici •
ed air istante medesimo che la corrente è per es-
sere impedita si h strada con notevole velocità per
gh trafori delle palificate, e quindi, allargandosi per
tutta la sezione tra le palificate medesime, librando
le sabbie spintevi contro dai cavalloni e quindi ri-
portandole al largo. E se 1' impeto della burrasca ,
e 1 imperversar dei venti infilerà lo sbocco, l'esca-
vazioni con eguale potenza vorticosa si faranno dai
due lati; e se obbliquamente, le escavazioni si fa-
ranno maggiori dal lato più battuto dai cavalloni ,
e di qui SI determinerà il filone della corrente,
guindi e, come io poneva, che per questa parte, le
forze che tenderebbero ad impedire lo sbocco il
iacihtano: anzi il provocano; perciocché se alcuna
radunata d. rena già si trovasse d'alcun Iato dello
sbocco, al pnmo sopravvenire di burrasca da quel
iato, sarà rotta, rimossa, e portata via (1) ».
Ora, soggiungerò io, se i pali sono più alti del
pelo ordinario del mare, e, peggio ancora, se sopra
di essi SI costruisce un tavolato o praticabile, i flutti
non^posso più bberamente agire per ogni parte.
(1) Di ma egicacimma pratica, opera già citala pag. 8 e 9.
138
Quel tavolato ricevendo sopra di se i colpi dei
marosi ne disperde in mille direzioni la forza; e così
non generale, non completa sarà l'azione vorticosa
intorno ai pali e di trasporto a traverso il canale,
specialmente ove la corrente di questo non sia molto
vegeta : azione che sarà intera soltanto , quando i
flutti si accavallino sulle teste dei pali isolati, e gli
urtino per ogni verso coi minori ostacoli possibili.
Per me credo essere necessario di uniformarsi
interamente al dettato degl' ingegneri napoletani se
si vogliono ricavare i benefici dalla pratica di esso
guarentiti; ed in questa necessità appunto ho ravvi-
sato un difetto che rni ha completamente distolto
dal preferire quel dettato ai moli comuni, nelle viste
di dare un conveniente porto-canale a Pesaro-
Quel bisogno di lunghe file di pali isolati, bat-
tuti tanto che si trovino tutti sommersi, alla distanza
di circa un metro Vuno daWallro, e Vampiezza dello
sbocco alquanto minore della larghezza del letto del
fiume nel tronco immediatamente superiore, avrebbe
dato a Pesaro una lunga e stretta bocca di porto
seminata di pericoli. Difatti nei soli casi di mare cal-
mo, di vento favorevole e di poca velocità nel fiu-
me, i bastimenti avrebbero potuto entrare ed uscire
dal porto con la voluta sicurezza. Negli altri casi ,
molto più comuni e molto pliì urgenti per approfittare
del porto , non potendosi spesse volte evitare gli
sviamenti nella direzione de' bastimenti, questi sa-
rebbero sospinti ad investire sulle teste sommerse
de'pali, e ricevere sempre grandi avarie , e spesso
funeste. Ne, a parer mio, bastar potrebbe , per e-
vitare quei pericoli, porre in essi delle mce, ossia
139
indicatori, perchè spesso vediamo i bastimenti ob-
bligati , loro malgrado, ad urtare nelle alte palate
presentemente in uso; urto al certo non mai utile
al sistema del bastimento , ma neppure nocivo in
modo da impedire di riprendere la retta via e giun-
gere a salvamento. Quei disviamenti devono poi es-
sere molto più frequenti e molto più difficili a pre-
venirsi in un canale, ove niun riparo pone freno al
contrasto delle frante onde con se stesse e con la
corrente del fiume. Finalmente i praticabili sugli at-
tuali moli sono spesso un prezioso comodo per som-
ministrare aiuto ai bastimenti, e sarebbe sempre un
grave difetto se non vi fossero. Questi riflessi mi hanno
consigliato a preferire l'antico sistema, colle modifica-
zioni però proposte nel corpo della lettera, avendo così
molto migliorato in esso quanto vi è di più difettoso.
Il trovato di Afan de Rivera è per me da pre-
scegliersi sopra ogni altro quando trattasi di fissare
una voluta direzione alla foce e facilitare Io sca-
rico delle acque in piena, ma non quando si vuole
avere un porto propriamente detto: il beneficio del
porto in quel trovato non può essere che seconda-
rio, cioè da usarsi soltanto nelle occasioni di buon
vento, di mare calmo e di giorno. Guidato da que-
sto convincimento , nella onorevole circostanza
che sua eccel. don Scipione Borghese duca Salviati
mi commise di studiare l'ultimo tronco del Ser-
ehio ed esporre il mio avviso per sistemare la foce
di quel fiume, non ho esitato un momento ad an-
teporre il trovato Rivera all'altro in uso, perchè lo
scopo principale, anzi unico, da raggiungersi in que-
sto caso , è quello di stabilire la foce, e di ren-
uo
della atta a permettere il più libero e pronto de-
flusso delle piene. In Pesaro questo utile scopo
deve cedere in parte il posto a quello più vitale
del porto, principale bisogno di quella città e di
quella provincia. I cattivi effetti delle straordinarie
piene sono invero tristissimi, ma sono secolari, né
l'arte potria annullarli con la sola sistemazione del-
l'ultimo tronco del fiume: quelli dell'attuale porto
sono meno tristi, ma sono giornalieri, e l'arte può
evitarli con correggere soltanto la direzione del ca-
nale e con usare a benefìcio di esso la potenza de'
flutti: correzione ed espediente che debbono inoltre
influire molto utilmente anche nelle ordinarie piene
ed in parte in quelle straordinarie.
Concludo: La preferenza data dal nostro Consiglio
d'arte al concetto mio, e le suaccennate considerazio-
ni, mi mettono nell'animo la persuasione che esso sia
da prescegliersi ad ogni altro per un porto-canale.
Con la intenzione di facilitare sempreppiù lo
scorrimento delle fiumane presso la foce, voleva pro-
porre nel nuovo porto di Pesaro un altro espediente,
se la spesa per esso non fosse stata notabile, ov-
vero se il beneficio da ritrarsene poteva ora essere
da me dimostrato meritevole dell'occorrente dispen-
dio. Io pensava di proporre, che la sponda sinistra del
canale potesse essere sommergibile, cioè avere la sua
altezza limitata a quella delle maggiori maree, e la
rimanente altezza della detta sponda sino al piano
stradale, staccarsi dall'altra di destra quel tanto e
nella direzione che vedesi nella unita pianta, figura I
linea tratteggiata. Questa più ampia sezione nella su-
perficie del canale non avrebbe in verun modo pre-
Ul
giudicuto la navigazione, perchè Talte/za della ripa
sommergibile non essendo inferiore al pelo delle pili
ardite maree, avrebbe sempre conservato, nello sta-
bilito concavo canale di trenta metri di lunghezza,
un corpo di acqua bastante a mantenere scavato il
fondo e depressa la soglia di scarico in mare, an-
che nei casi che il flutto-corrente non vi avesse
preso parte : anzi detta sezione avrebbe permesso
alle acque di estendere gran parte delle torbide, di
cui sono cariche coleste grosse piene anche alla su-
perficie, in un vasto tratto di mare, e fuori e sot-
tovento del canale navigabile. Non è necessario av-
vertire che questa orizzontale golena dovrebbe es-
sere tutta solida e giungere sino alla battiggia del
mare, ove dovrebbe con muro far fronte "al flutti
tramontanesi. L'ultimo tratto di metri 150 della
sponda sinistra, che s'inoltra in mare, per sicurezza
e per comodo della navigazione dovrebbe lasciarsi
di altezza eguale alla sponda destra, cioè non do-
vrebbe esser sommergibile. Quella specie di golena
avrebbe inoltre bisogno-di essere ogni volta spurgata
dalle materie che le acque vi lascerebbero nel ritirarsi;
materie che, se ad altro uso non servissero, potreb-
bero esser gittate dinanzi al muro di battiggia, ove
dalla piima mareggiata sarebbero spazzate ben lungi
da quest'ostacolo pressoché verticale e resistente.
Esso darebbe la mano al destro braccio di sco£(Iiera
per non permettere che a destra, a sinistrammo di
fronte alla foce si trattenessero materiali ostruttivi.
Qualche cosa di simile al Porto-di-levante si è an-
che praticato nel porto-canale Corsini presso Ra-
venna. A metri 70 dalla punta del molo di destra,
1i2
cioè del più inoltrato in mare e che dal lido si a-
vanza per metri 67, si è costruita una palata iso-
lata a traforo di metri 50 nel modo istesso di quella
del Porto-di-levante ; e parallelamente ad essa un*
altra palata di egual lunghezza a metii 40 da si-
nistra, formandosi così da entrambe le palate un
tratto di canale lungo 50 e lavgo 40 metri. (Si veda
l'unita pianta fìg. II).
Questo isolato lavoro , come ognun vede , non
è la ripetizione di quello del Porto-di-levante in
ogni sua parte, e tanto meno del trovato Rivera ;
ed esso sostanzialmente diversifica pure dal mio
espediente. La palata di sinistra praticata in Ra-
venna toglie a quella di destra , a cagione della
prossimità della prima, l'utile ufficio di formare una
libera rada coperta dai venti regnanti e dai dominanti
di quel paraggio, come si presta la protrazione iso-
lata da me proposta nel paraggio di Pesaro (1). La
(1) Questa protrazione isolata e laterale, die non può dirsi ante-
murale, perchè non ripara Jaogni parte la bocca costituita dai due
iiioli,e perchè se tale fosse risulterebbe presto e {gravemente nocivo al
porlo ove le spiagge camminano, questa protrazione , dico, darà
prezioso ricovero nei fortunali, come già ho accennato. Il mare
facilmente frange ben oltre fuori delle palate o moli nel littorale
pontificio dell'Adriatico; e quando i frangenti si moltiplicano, molto
pericoloso, e spesso funesto, si rende l'approdo in quei porti-ca-
nali; quindi i bastimenti sono obbligati a battere il mare, o cor-
rere altrove, e peggio ancora.
Dai marini del porto Corsini si vorrebbe chiusa 1' apertura
formata dal tratto del sopra descritto canale isolato e da quello unito
alla riva, perchè gli reca molestia nell'entrata del porto. Io credo
che abbian ragione, dappoiché quelle corte palate isolate e trafo-
rate non somministrano loro ricovero né come canale,nè come rada.
Essi, se vogliono star sicuri, sono obbligati a traversar quell'aper-
tura ed entrare nel porlo; inconveniente che non accadrà colla prò-
US
telale mancanza del braccio di scogliera, da me in-
nestato al molo destro in Pesaro, priva il porto Cor-
sini di quei benefìci etTetti che le onde urtando in
questo ostacolo debbono dare, e quella palata es-
sendo a traforo non può prendere veruna parte a
quegli effetti. Quel braccio è parte integrale del
mio espediente: senza di esso non si otterrebbe o
non si conserverebbe il regolare utile spurgo da
me pronosticato , e tanto necessario alla bocca di
un porto; dappoiché il giuoco de' flutti, ossìa l'ef-
fetto delle risacche sopra e sotto-marine, prodotto
dalle sole testate delle due dighe che costituiscono
la proposta apertura, si limiterebbe a scavare delle
profonde fosse alla base di dette testate; e nel mezzo
dell' apertura , ed ivi presso, lascerebbe de' banchi
nocivi alla libera navigazione, come è accaduto nei
passi formati dalle opere avanzate ed isolate del
porto di Cette, ed in quelli di altri porti situati in
spiagge sottili quando i passi sono della larghezza
conveniente ai bisogni delle manovre de'bastimenti
in ogni circostanza. Ora sento che si studia per to-
gliere al porto Corsini quei difetti che dall' eseguito
lavoro si sono manifestati.
Io sottopongo queste importanti questioni al sa-
vio giudizio degli uomini più esperti di me, fra'
trazione isolata in Pesaro, perchè in questa, quaiulo il mare sarà
tale (la rendere molto incomoda la traversata dell'apertura da me
proposta, i bastimenti troveranno facile accesso e sicura dimora:
godendo poi nei tempi maneggevoli del generoso fondo di acqua
prodotto da quell'apertura. Così avranno un comodo ed utile porto
nel maggior numero de' casi , ed un sufficiente ricovero nei casi
di grosso mare.
Ui
quali mi giova annoveiare il citato esimio professor
Vincenzo Antonio Rossi. Egli sviluppando delle giu-
ste idee generali su i tristi effetti delle rapide pro-
trazioni di spiaggia cagionate dai materiali scari-
cati in mare dai fiumi e lasciati vicino alle loro
foci, così conclude : « Onde è che commendevolis-
simo trovato sarebbe quello, per cui si riuscisse alla
migliore distribuzione di alluvioni lungo le coste ,
ed al più grande possibile allontanamento di esse
dal luogo dello sbocco de^ fiumi in mare (1) «. Or
bene, lo studio e la esperienza che egli possiede de-
gli effetti prodotti dai diversi sistemi di armature
delle foci, la sana critica che egli è capace di hve sul
mal'esito del trovato Rivera nel Porto-di-levante ed
in quello Corsini, non che sulle mie riflessioni rela-
tive a coteste opere e sul sistema da me proposto,
che appunto ha por iscopo principale quello di allon-
tanare dalle foci i materiali che le ostruiscono o ca-
gionano la rapida loro protrazione , possono som-
ministrare lumi utilissimi.
Roma 20 ottobre 1856
(1) Hdyionimcnlo sulla sistemazione finale delle acque di Val-
dichiana ec. Annali delle opere pubbliche citati, 1853 pag. 33.
-v^ cy^'/^ Oa^i'Z^Zi^^ {:r/:j/M/y^
(^ tìaetìt/.<^^
'Ji^ e-9Z'^jCu0'/iif r^/^/ /ó/kÌ.
La Scala è nel rapporto di ia 4OOO .
U A" ^
//'.//■,
Firf.Il.
tiinif^
145
Monografia della febbre miliare.
Morbum nihii esse alluci, quam naiurae cona-
men materiae morbiHcae exterminationem , in
aegri sahitem omni ope molienlis.
Sydenham.
CAPITOLO I.
Cenno storico e carattere della miliare.
N.
el novero delle malattie esantematiche mostrasi
la miliare d'indole versatile, spesso associata a dif-
^ferenti morbi, che ne rendono irregolare l'anda-
mento, ed alterata in guisa la forma patologica da
muovere gravissimi dubbi sulla essenza e carattere.
E di non lieve interesse pel clinico esercizio lo studio
accurato di questo particolare morbo eruttivo, che
assume d'ordinario il genio epidemico, per cui aper-
tamente infierisce, o sotto l'aspetto di fraudolente
mansuetudine insidia la vita. Per siffatti rimarchi
richiamava appositamente le cure di solerti e di-
ligenti osservatori, che ne fecero obbietto di scien-
tifiche ricerche, a fine di procurarne gli opportuni
schiarimenti. Si mostrarono pertanto sì discordigli
opinamenti degli scrittori su tale argomento, da schiu-
dere largo campo a mediche disquisizioni. Infatti si è
dubitato: 1° della antica origine, riputandola taluni
malattia del tutto nuova comparsa solo in Europa
da circa due secoli: 2" si è lungamente discusso se
G.A.T.CXLIV. ^ iO
146
debba ritenersi morbo essenziale, secondario, o
sintomatico: 3" in fine se si diffonde con principio
contagioso, o sì genera sotto qualunque epidermide
con sterile seminìo. Nell'esporre la storia di questa
particolare affezione, uopo è tornare sulle medesime
discussioni di massimo rilievo per la pratica medica,
che malgrado l'eseguite indagini, sembrano tuttora
suscettive di essere chiarite da imparziali ed ulteriori
cliniche osservazioni. Unica base della medicina non
contaminata da prestigi di sistematiche dottrine. Le
opere di esperti clinici, che partono da ragionamenti
ed induzioni, dedotte da una sana patalogia, mi sa-
ranno di scorta in questa monografia. Non tralascerò
in pari tempo d'inserirvi le proprie riflessioni, qua-
lunque esse siano, risultato di lungo esercizio, e di
casi particolari di miliari occorsimi nella pratica. Al-
cuni di essi di esito infausto vi saranno fedelmente
descritti a preferenza, come piij idonei a svelare il
carattere di questo pericoloso esantema.
11 morbo miliare prende la sua denominazione
dalla eruzione alla cute di papule, per la forma e
grandezza non dissimili dal seme di miglio: ben di
rado ne sorpassano il volume, or rossastre, or bianche
o cristalline, talora miste piene in principio di un
umore diafano, indi puriforme, per lo più discrete,
talvolta confluenti: il collo, l'interno delle braccia,
il petto, i lombi, sono le regioni le pili esposte alla
efflorescenza, che non effettuasi quasi mai con una
sola esplosione: cessata di apparire l'eruzione in un
punto , altra svolgesene in parte diversa , passato
breve intervallo. Queste piccole pustule vescicolari
all'apice, ed acuminate, dopo il quinto o sesto giorno
147
della loro manifestazione si rompono, si disseccano
e cadono in squame a modo di forfora.
Distinti scrittori opinarono che la miliare fosse
del tutto ignota e sconosciuta agli antichi medici;
la giudicarono essi comparsa la prima volta nel 1652
nella Sassonia, diffusa in seguito nel resto dell'Eu-
ropa. Fu chiamato nuovo morbo da Welsch, nuova
febbre da Sydenham: Tissot professò la stessa mas-
sima, percui scrisse: « A meno che non si voglia ri-
vocare in dubbio la parte storica della medicina ,
la più autenticamente attestata, si è obbligato dì
convenire che la febbre miliare, cominciò a com-
parire verso la metà dell'ultimo secolo: (conchiude
Tillustre clinico) questa malattia dunque , come il
vaiuolo, ha un'epoca di origine fìssa, e nota ». Non
mancarono diligenti ed accurati autori, che sosten-
nero l'opposta sentenza, trovandone tracce in Tu-
cidide nella descrizione della peste ateniese. Fan-
toni (1) dottamente dimostrò ch'essa fu conosciuta
e descritta da Ippocrate (2), Aezio, (3) e da altri me-
dici anteriori all'epoca stabilita da Welsch: le addotte
ragioni basano sull'autenticità dei fatti, da escludere
(1) De antiq. et progressii febr. miliar, pajj. 73.
(2) Circa septimum, octavum, et nonum diem (febris cuiusclam
epidetnicae) aspredines quaedam miliareae, culicutn morsibub fere
similes, quae tamen non admodum priiriebant, in sumnaa cute sub-
nascebantur, et ad iudicationem usque perdural)ant . Ac ne eae qui
dem inasculorum ulli eruperunt. Mulier vero, cui talia fierent, nulla
mortua est: hebetiore tamen erant auditu, et soporosae, quamvis
antea non admodum soporosae esseut, qnibus ista evenire debebant.
Hipp. de epid. lib. 2. sect. 3.
(3) Telrabibl. 2 sect. 2 cap. 129,
U8
ogni dubbio sull'antica origine, e cognizione di questo
esantema.
Se l'antica medicina delineò brevemente e con
semplicità il morbo miliare, devesi però ai secoli
posteriori, precisamente al decimo settimo, il me-
rito di aver portato un nuovo esame sopra questa
particolare affezione. L'epidemia miliare di Lipsia
descritta da Welsch (1) diede impulso a' dotti cul-
tori della scienza di studiare meglio l'indole di questo
malore, che incominciò nell'epoca accennata ad infie-
rire contro le puerpeie; né sesso, nò età furono rispet-
ta ti in seguito. Videsi ogni giorno estendere il suo do-
minio sopra vaste provincie germaniche: l'Inghilterra
laFrancia,la Svizzera rimasero successivamente attac-
cate. Non tardò guari ad esserne afflitta l'Italia setten-
trionale, quindi scrissero sulla malattia con molta dot-
trina Anioni, de Agostini, Fantoni, ed il sommo clinico
Borsieri. Il trattato della miliare di questo classico
scrittore, esposto con profonda erudizione, acume, e
spirito di osservazione, dovrà ritenersicome un codice
della scienza per esser sempre consultato con profitto,
in una malattia cotanto grave e funesta. Col diffon-
dersi la miliare in vari luoghi della nostra penisola,
molti scienziati nell'ultima epoca, ne fecero sog-
getto di profondi studi ed accurate indagini: ed ap-
parvero nel breve periodo di pochi anni le dotte
memorie di Strambio, Berti,Pollini, Secondi, Peno^
lazzi, Beroaldi e non pochi altri,
(I) Historia medica novum puerperarum morbum contìnens.
Disput. 1653.
149
Richiamata còri maggior calore l'attenzione dei
pratici sopra un punto sì importante di patologia
speciale, mercè delle opere di distinti medici italia-
ni, contemporaneamente esimi scrittori di altre in-
civilite nazioni si affaticarono colF istituire nuove
ricerche, pel genio epidemico che spesso assumeva
la malattia nelle diverse contrade di Europa. Sor-
sero le memorie di Gastellier , Hamilton, Gmlin ,
Salzman ec. Dotta e di molto interesse è la storia
dell'epidemia osservata a Wittemberg, descritta da
Kreyssing, in fine Rayer, Alibert, Simon nosologi
di mali cutanei, descrissero dietro le loro osserva-
zioni questo difficile ed irregolare esantema.
Quantunque dalla maggior parte degli scrittori
non si ardisse negare alla miliare un'epoca remota,
trovandone luminose tracce presso quelli stessi au-
tori, che vissero molti secoli prima deirepidemia
di Lipsia, si asserì non esser mai morbo essenziale,
sempre secondario , or sintomatico , or critico. Per
la medesima ragione, aggiungesi, non trovasi accu-
ratamente delineata dagli antichi, poiché quelle affe-
zioni particolari, al dir di Cullen (1), le quali si ri-
guardavano ordinariamente come accidentalità sin-
tomatiche , venivano comunemente neglette , e si
confondevano l'una coll'altra, sotto una stessa ge-
nerica nomenclatura.
È di grande utilità per l'argomento, che ci oc-
cupa, esaminare e discutere con accuratezza questa
parte di medica controversia, che ha diviso le opi-
nione dei più dotti medici, non senza danno della
(1) Element. di medici n. prat. voi. 2 cap. VII. trad. Venez. 1788.
150
scienza. Varie obbiezioni insorsero investigandola na-
tura ed il carattere della nniliare, irregolare talvolta
nel suo corso, fino al grado da illudere gli osservato-
ri i pili attenti nella pratica. Fu riputata da taluni
sempre morbo secondario, sintomatico, come essen-
ziale , idiopatico all'opposto da altri considerato e
descritto. Prima di ogni altro esame è necessario
premettere il quadro nosologico dell'esantema, scevro
da qualunque complicazione, e da anomalie: circostan-
ze rimarchevoli per non cadere nella confusione, che
trovasi sovente in molti autori, che trattarono que-
sta stessa materia , senza distinzione veruna.
Sebbene l'eruzione non è preceduta e seguita ,
secondo alcuni pratici, da segni prodromi, e con-
comitanti , costanti e caratteristici , percorre ciò
non ostante i periodi comuni agli altri morbi
esantematici. Ciascun individuo minacciato da im-
minente sviluppo della malattia lagnasi di un sen-
so di mal essere e lassezza , che lo aliena dalle
ordinarie occupazioni: la traspirazione cutanea di-
viene più sensibile , spesso la pelle copresi di su-
dore, il polso appena si allontana dal suo stato
naturale. In questo primo periodo il morale ha già
subito dei cambiamenti: melanconia, inquietudini,
sonno turbato ed interrotto, timore ec. agitano lo
spirito. A siffatti forieri morbosi, altri fenomeni
succedono, cioè brividi seguiti da calore, prostra-
zione di forze, lingua coperta di uno strato bianco-
giallastro, anoressia , dolore pungente ora in un
punto , ora nell'altro del corpo , sudore, copioso ,
viscido di un odore particolare , disaggradevole ,
non critico, poiché non porta alleviamento, oppres-
151
sione di petto con stringimento ai precoi-di, respi-
razione difficile, irregolare, ansietà, sospiri, abbat-
timento di spirito. Febbre mite in principio, ma a
misura che il male inoltrasi diviene più intensa •
si manifesta facilmente il delirio, congiunto a sus-
sulto di tendini: polso duro, ed intermittente, senso
di stupore pungitivo nelle dita, o invece crampi ,
tosse secca e molesta, eritema alle fauci, degluti-
zione incomoda, massima agitazione di spirito dei
malati , i quali temono di un esito infausto della
malattia. Con tal treno sintomatico, tra l'orgasmo
in CUI vedesi l'infermo, e la titubanza del medico,'
per non potere sempre assegnare una sicura dia-
gnosi al morbo , in specie se attacca in modo
sporadico, dopo un tempo più o meno protratto,
mcomincia ad apparire una leggiera efflorescenza
in alcuni punti della cute, talora in forma di pic-
cole macchie, che indi si elevano, protuberano , e
prendono l'aspetto dei semi di miglio: oppure, ciò
che più di frequente accade. la pelle diviene aspra al
tatto, anserina, ed osservata con diligenza distin-
guesi l'eruzione miliare, ch'esclude ogni dubbio sul
carattere del male.
Manifestato alla cute il virus esantematico con
una completa eruzione, la fierezza dei sintomi am-
mansisce, il sistema nervoso turbato da spasmodie,
crampi, moti convulsivi ec. ritorna nella calma, la
febbre diviene mite, la dispnea e l'ansietà cessano,
le orine da limpide acquistano un sedimento, dimi-
nuisce lì sudore, cede l'orgasmo, il malato diviene
più tranquillo.
152
L'eruzione si mostra in qualunque punto della pe-»
riferia del corpo, non rispetta in alcuni casi la stessa
membrana gaslro-pulmonica. Le regioni le più sog-
gette sono le parti laterali del collo, il petto, l'in-
terno delle braccia , l'addome : sono le papule ta-
lora si poco prominenti e minute, che sfuggono
alla vista: per distinguerle conviene guardare la cute
obbliquamente, o ricorrere al tatto. Non mancano
esempi, in cui si sono vedute acquistare la gran-
dezza del vainolo: però il loro volume ordinario
eguaglia i grani di miglio , ripiene di un umore
bianco, diafano, che dopo pochi giorni passa in
giallognolo, finiscono coll'appassire , scomparendo
coll'ordine successivo della loro comparsa, con di-
stacco di cuticola. In fine di male il ventre si apre,
le deiezioni sono fetide e biliose, le orine torbide,
accompagnate da sedimento, nello spazio di circa
due settenari, l'esantema miliare semphce e nor-
male trovasi ordinariamente giudicato.
Pertanto ben diverso è il corso, e sovente fa-
tale l'esito della miliare complicata, ed anomala ,
come in seguito sì avrà campo di osservare. As-
sociasi con facilità a malattie anche di natura e
d'indole opposta, risultandone delle complicazioni
morbose con sintomi sì svariati, da spargere non
pochi dubbi, se debba ritenersi moi'bo primario,
indipendente , ovvero secondario. Clinici dotti e
sperimentati, non che distinti scrittori, adottarono
principii diversi. Borsieri, Stork, Allioni, Tissot, Vo-
gel, Aliberl, Rayer, Valentini ec. sostennero essere
affezione essenziale sui generis; Gullen, de Haen, P.
153
Frank, Chomel ec. la giudicarono sempre secondaria,
sintomatica.
Colóro che la credono secondaria con asseveranza
affermano, che la così detta febbre miliare non essendo
rappresentata da un complesso di segni caratteristici,
come la febbre scarlattina, la febbre vaiolosa ec, dover-
si considerare l'eruzione un semplice epifenomeno di
altro morbo febbrile. La sintomatologia stessa espo-
sta da molti scrittori con sì gran confusione, ed os-
servata in varie epidemie, d'attribuirsi piuttosto alla
febbre, che alla efflorescenza miliare. Si è veduta
in talune costituzioni epidemiche apparire in tutti
gl'infermi, attaccati da morbi acuti : de Haen l'os-
servò unita a malattie adinamiche ed atassiche ;
Bouteille vide delle papule miliari manifestarsi
nelle esacerbazioni febbrili, sostenute da impegno
organico ; Gastellier spesso nelle puerpere con i
sintomi ordinari della febbre lattea ; Cullen nelle
febbri puti-ide ; P. Frank nelle febbri nervose, ga-
striche, infiammatorie ; accompagna la scarlattina ,
il vainolo, il morbillo, il tifo, e non poche altre
primarie patologiche alterazioni. Altri marcati ca-
ratteri, soggiungono, fanno differire questa eruzione
da tutti gii altri esantemi essenziali: non si sviluppa
in alcun tempo determinato della malattia: il periodo
della sua durata non è costante: successive eruzioni
veggonsi apparire, durante il corso della medesima
febbre: lo stesso individuo può esserne affetto più
volte durante la vita. Dai quali fatti risulta, sono
parole di Chemel (1) : 1." che non esiste un male
(1) Diz. delle .scienze mediche art. Miliar.
154
peculiare, cui debbasi nominare febbre miliare : 2."
che il medico deve limitarsi a studiare la eruzione
di questo nome, sotto l'aspetto delle condizioni ,
nelle quali essa sopraggiunge, delle cause che la
provocano , delle forme ch'essa presenta , del suo
corso , della sua durata , dei suoi esiti, dei segni
prognostici, e delle indicazioni terapeutiche, che può
somministrare.
Non così ragionarono altri celebri scrittori , i
quali mentre asseriscono di aver osservato spesso
nel piatico esercizio la miliare complicata a morbi
differenti, sostengono, avendo un numero troppo
grande di fatti in appoggio, essere esantema essen-
ziale , perchè costituita , quando non è associata
ad altro male, da una sintomatologia propria, ha
un corso conforme ad altre malattie primarie esan-
tematiche, in fine trovasi ordinariamente giudicata
dietro alcune critiche evacuazioni. I segni prodromi
furono sovente di scorta a medici distinti per pre-
sagire l'eruzione « in aegros incidi (scrisse Borsieri (1)
in quibus ex consuetis signis miliarem morbum pme-
dixi, et reapse paido post miliaris eruptio contigit ».
I sintomi caratteristici, che comunemente precedono
e costituiscono la miliare, si riducono ad una grande
ansietà , oppressione ai precordi , fìtte dolorose e
pungenti alla cute , seguite da copioso sudore ,
ch'emana un odore ingrato, abbattimento morale,
ed al dir d'Allioni, un senso di stupore pungitivo
nelle dita.
(1) Insili med. pract. voi. IV. cap. XI de morb. miliar. §. 383.
Yen. 1788.
155
Percorre l'efflorescenza miliare gli stadi comuni ad
ogni esantema. Apparisce sotto l'aspetto di macchie, o
noduli, che formano il periodo di eruzione; si elevano
in vescichette ripiene di un umore diafano, che dopo
qualche giorno s'intorbida, e passa in giallognolo, o
puriforme, stadio di maturazione, succede il dissec-
camento e la desquamazione. Accaduta l'eruzione
vi è cedenza di sintomi, diminuzione di febbre ,
indizi che un virus particolare, ha abbandonato
gl'interni organici tessuti , si è determinato alla
cute.
La retrocessione istantanea, se non sempre è le-
tale, cagiona spesso malattie croniche ed incurabili.
Assisto attualmente una malata, scriveva Tissot (1),
afflitta da due anni da tosse, che contrasse in Ale-
magna dopo una miliare, che sparì troppo presto:
poco dopo, soggiunge, fui consultato per una dama
assalita da idrope di petto, il di cui male cominciò
con una tosse violenta, dopo una miliare retropulsa.
Il facile passaggio del fomite esantematico dalla ester-
na periferia ai visceri, palesa i rapporti, che ha col
vaiuolo, morbillo ec. poiché l'abbassamento repentino
delle pustule in questi ultijni morbi induce malattie
analoghe alle suindicate. Se tardi comparve la milia-
re, osservarono de Haen. (2) ed Andrai apparire il va-
iuolo dopo alcune settimane: la miliare se associasi fa-
cilmente ad altri mali, vide lo stesso de Haen (3) mani-
fi) Leltr. à M. Hirzel.
(2) Ibid. pag. 106.
(3) Ratio medendi lom. 2. pag. H8.
150
festarsi il vajuolo nel decimottavo giorno in un in-
fermo assalito da peripneanionia, dalla porpora, dalla
disenteria. L'aver veduto in alcune epidemie mosti ar-
si l'eruzione miliare in tutt'i malati presi da morbi
acuti, nulla toglie al suo carattere essenziale, os-
servandosi altrettanto accadere in qualsivoglia co^
stituzione epidemica. Rimarca in proposito Massa
che tutte le malattie intercorrenti assumono il ca-
rattere della peste, allorché essa epidemicamente
infierisce: lo stesso abbiamo noi costantemente ve-
rificato nelle diverse ricorrenze dell'indiana lue.
E occorso di vedere riprodotto dopo brevissimo
intervallo l'esantema con tutto l'apparato sintoma-
tico, che lo distingue: la qual cosa sicuramente si
avvera, tostochè trovasi sospeso, non distrutto, il
processo di operazione chimico-vitale del contagio.
Il male sembra in apparenza cessato , quando in
effetto non è che interrotto il suo corso ordinario;
quindi è che deve di nuovo insorgere, tolti gli o-
stacoli, che si opponevano al regolare suo anda-
mento. Perciò fuor di proposito credesi assalito una
seconda volta lo stesso soggetto, mentre nel mede-
simo altro non avvenne che la recrudescenza della
malattia. Né queste anomalie sono proprie del solo
morbo miliare: osservansi bensì in tutt'i mali acuti
d'indole contagiosa. Il Ch. Valli (1) parlando, an-
ch'egli, della peste, di cui fu vittima per soverchio
zelo della scienza, fa riflettere che prendere si possono
su tal rapporto abbagli significanti: che se il nuovo as-
salto succede, appena superato il primo, dovrà essere
(I) Brera. Sui contagi. §. 175
h
157
considerato siccome continuazione di uno stesso cor-
so di malattia. Se poi invade la seconda volta dopo
lungo spazio di tempo, devesi alla riprodotta indi-
viduale predisposizione, che rende suscettiva la mac-
china a risentire di nuovo indistintamente l'azione di
qualunque potenza contagiosa: la qual cosa ha luogo
in specie, se la prima infezione non fu violenta.
Videro, non v'ha dubbio, i pratici delle papule
migliarose in differenti ed opposte malattie, donde
trassero motivo per credere sempre l'eruzione sinto-
matica. Gravissimo errore ch'ebbe origine, e si so-
stenne, per non avere distinta la miliare essenziale,
rappresentata da caratteri fisico-anatomici propri ed
esclusivi, dalla efflorescenza miliariforme, la quale
apparisce talvolta in morbi sì acuti, che cronici. Era
riservato questo studio analitico ai moderni pato-
logi, i quali con ogni maniera di sperimenti si re-
sero benemeriti della scienza, col portare degli schia^
rimenti in una questione si diffìcile ed interessante
per la pratica, mercè un attento esame sui caratteri
differenziali fisico-anatomici, che separano le due
distinte affezioni, come meglio si dismostrerà in
seguito , dietro la scorta e le investigazioni di e-
sperti clinici.
La miliare ricorre ordinariamente epidemica: lo
stesso genio hanno il vaiuolo, la rosolia, il morbillo
ec. Le anomalie più frequenti in essa, che negli al-
tri esantemi , coi quali si è paragonata , indicano
che ciascun morbo deve necessariamente presen-
tare delle particolarità, per cui da ogni altro tro-
vasi separato e distinto. Queste due affezioni, scri-
veva Tissot ( miliare, e vaiuolo ) , hanno dei ca-
158
ratteri comuni, egualmente frequenti in amendue ,
e ne hanno degli altri parimenti comuni , ma più
frequenti nell'una , che nell'altra : ognuna ne ha
dei particolarissimi, e si è ben in diritto di con-
chìudere, che l'una è malattia del tutto così pri-
mitiva ed essenziale, come l'altra. Andrai (1) nel
descrivere accuratamente un caso di febbre eruttiva,
che mostrava i segni caratteristici della miliare es-
senziale, conchiude : « Così rilevante questo genere
di eruzione , non può guari esser riguardato qual
semplice risultato meccanico di una traspirazione
cutanea copiosissima, sembra che debbasi ritenere
come affezione particolare della cute. Infatti molte
volte noi abbiamo osservati sudori non meno co-
piosi, né meno prolungati in individui, la cui pelle
non erasi mai coperta di papule miliari. »
Complessivamente riguardata la miliare, prece-
duta cioè e seguila in tutto il suo andamento da par-
ticolari fenomeni, che la distinguono, a misura che
scaturisce l'eruzione, scorgesi diminuzione di feb-
bre ed alleviamento di sintomi, vedesi in fine per-
correre i periodi comuni ad altri essenziali esantemi:
uopo è convenire della sua natura idiopatica, e sta-
bilire contro la massima di Chomel : 1.° ch'esiste
un'affezione primaria, chiamata febbre miliare: 2.°
che il medico è tenuto a studiarne l'etiologìa, l'in-
dole, il corso, l'esito, e le indicazioni terapeutiche,
non col giudicare l'eruzione un semplice epifenomeno
di altra malattia, o effetto di accidentalità sintoma-
ca, ma come morbo a se, ed indipendente.
(1) Clinica med. osservazione 63 voi. 3 p. 266 traci. Milano 1832.
159
CAPITOLO II.
Divisioni che si fecero della miliare , e caratteri
particolari, che servono a distinguere la miliare
essenziale dalla eruzione miliariforme.
Diversi nomi si assegnarono a questa particolare
affezione. Pietro de Castro la chiamò febris culica-
m, Hoffmann febris alba miliaris, si disse febris es-
serosa da Zacuto Lusitano, purpiira alba da Salzman,
miliare lattea da Puzos. Ludwig , Gastellier , Ha-
milton, Sydenham, Juncker ec. la descrissero sotto
differenti denominazioni: la qual cosa è di poco, o
niun rilievo per la scienza. I pratici, per meglio
conoscerne la natura e l'indole, divisero la miliare
in febbrile , apiretica , cronica , in discreta e con-
fluente , in bianca , rossa , cristallina , in critica e
sintomatica, in benigna e maligna ec. Distinzioni ba-
sate sugli estrinseci caratteri, più che nell'essenza
della malattia, non corrisposero allo scopo. 11 eh.
Allioni (1) nella sua insigne monografia della miliare
la divise in semplicissima, semplice, e complicata.
Chiamò febbre miliare semplicissima, quando l'esan-
tema non è congiunto a verun altro morbo : feb-
bre miliare semplice, allorché il suo primo periodo
è larvato : febbre miliare complicata, se si presenta,
come un fenomeno spontaneo in una malattia dif-
(1) Tractatio de miliarum origine, progressi!, natura, et cu-
ratione. Aiigustae Taiiriiionim 1758.
160
ferente. Alibert (1) la distingue in miliare normale
(miliaria genuina, vel simplex) che ha periodo fisso
con andamento ne celere, né lento, va esente da
ogni complicazione, ed è spesso sporadica. In mir
liare anormale (miliaria anorrnis) presenta fenomeni
insoliti, e di frequente adduce gcavi accidenti, dopo
di aver principiato con sembianze lusinghiere ; alle
volte i suoi preludi sono spaventevoli: in certi casi
si complica con sintomi inflammatorii di molta im-
portanza. Hamilton ne fece due categorie, cioè sem-
plice e complicata : considerò si l'una, che l'altra
d'indole maligna, non ritenne per esantema miliare
che l'eruzione bianca. Piacque a Gerik di dividerla
in idiopatica, sintomatica, e complicata. Scrittori
che osservarono delle costituzioni epidemiche, che
infierirono con sintomi perniciosissimi, e per lo più
letali, convennero che non dovevasi considerare per
morbo miliare , che la sola specie maligna ; quei
casi, in cui l'eruzione non era unita a febbre, ov-
vero mite con andamento regolare, li giudicarono
appartenere ad altra sezione di morbi eruttivi.
Opinarono altri che fosse affezione propria ed e-
sclusiva delle paurpere, come non si è mancato di
esporre che la miliare puerperale dovesse credersi
differente dal morbo miliare epidemico. In fine si
asserì che fosse l'effetto di regime e cura cale-
faciente, mossa da cause estrinseche, perciò morbo
fattizio, che poteva evitarsi, ed anche negligersi
l'eruzione senza temerne verun danno.
(1) Trattato delle malaUie della pelle pag. 121 trad. Ven. 1835.
l
161
Lafebbrenon si associacostanlemente alla miliare:
segue questo morbo il genio degli altri acuti esan-
temi: allorché è d' indole benigna può essere api-
retica. Fantoni (1) sostenne che la miliare senza
febbre è comune quasi a tutte le nazioni, corri-
sponde a quell'affezione che Ippocrate e gli altri scrit-
tori greci chiamarono idroa, i latini sudamina. Fo-
resto, Fernelio, Allioni, Damilani, Borsieri, profes-
sarono la medesima opinione; ritennero che l'efflo-
rescenza cutanea detta idroa dai greci , sudamina
dai latini, non dovesse valutarsi in alcun modo di-
versa dalla miliare esantematica. Lo stesso Bor-
sieri, che osservò in varie malattie acute , e nelle
stesse febbri intermittenti una eruzione pustulare di
aspetto analogo alla miliare , la disse secondaria ,
sintomatica. »
L'avere distinta la pustulazione mìliariforme, os-
sia l'idroa, dalla vera eruzione miliare, procurando di
assegnarne i caratteri speciali , che separano 1' un
morbo dall' altro , è opera dei moderni patologi.
Quali elogi essi meritano, se saldi rimangono gl'in-
trapresi sperimenti, ogni medico pratico ben lo vede,
per gli schiarimenti che riceverebbe una questione
sì interessante e difficile , per cui divise furono le
opinioni dei più distinti clinici. C-onoscendo d' al-
tronde di quanta utilità sia per la medicina speri-
mentale, e per l'argomento che si discute, pi'ofìt-
tare dei nuovi lumi somministrati da molti dotti e
diligenti osservatori, li seguiremo fedelmente nelle
(I) Oper. citat.
G^\.T.CXL1V. 11
162
loro investigazioni anatomico-patologiche , che ri-
guardano le accennate eruzioni.
Sebbene non sia difficile distinguere alcune for-
me morbose cutanee, che hanno una qualche appa-
rente somiglianza colla miliare esantematica, come
sono l'erpete pustoloso miliare di Rayer, che sce-
slie le regioni temporali, non vi è desquamazione,
ed è molto mite: l'erpete flittenoide di Willan, for-
ma delle bolle disposte a corona, ed è fugace : la
formica miliaria di Avicenna, sono pustule ambula-
tive: l'eczema miliario rosseggiante è di brevissima
durata: il penfigo , il varo miliare, l'erpete milia-
rico di Sennerto , non possono affatto confondersi
colla miliare essenziale, per i loro distintivi carat-
teri. Non così avviene dell' idroa , o sudamina , e
dell'olophlvctie hydroica di Alibert. Queste affezioni
della pelle (che in concreto non sono, che 1' idroa
dei greci) hanno tanta analogia colla miliare esan-
tematica, che molti autori invece di occupars. dei
criteri diagnostici, per ben distinguerle e separar-
le, conosciuta la somma difficoltà, amarono meglio
confonderle e riunirle in una sola categoria, sotto il
generico concetto di eruzione miliare. Recentissimi
scrittoli, che trattarono l'argomento , distinsero la
miliare essenziale, idiopatica, dall'eruzione miliari-
forme, 0 idroa, sovente epifenomeno di altro mor-
bo. Se con esame analitico, ed esatto confronto dei
sintomi patognomonici di queste particolari affezio-
ni, di accordo coi caratteri differenziali anatomico-
patologici , che presenta ciascuna eruzione , si po-
tesse sempre giungere a distinguere l' una forma
morbosa dall'altra , un gran servigio si sarebbe
163
reso alla scienza, e tolti i pratici dal penoso bivio,
che li rende spesso incerti e sospesi nella diagnosi
di sì grave ed irregolare malattia.
Ammesso il principio che un virus particolare,
come ben si dimostrerà in seguito, è la causa pa-
togenica della miliare esantematica, tutt' i fenomeni
che appariscono nel suo decorso , per quanto sia
blanda la malattia, sono sempre in stretto rapporto
coir elemento eterogeneo, o fomite contagioso , da
cui vennero suscitati. Questo morbo eruttivo, a so-
miglianza degli altri esantemi, ha sintomi propri e
caratteristici, massime quando è semplice , e sce-
vro da accidentali complicazioni. Ove però vi si as-
socia una profonda condizione patologica a carico
di qualche viscere, cioè forma congestiva, processo
flogistico, oppure elmintiasi, apparato gastrico , in-
normalità nel sistema nervoso, si smarriscono e si
perdono il tipo, gli stadi, l'andamento, confusa ed
irregolare mostrasi la stessa sintomalogia. In mezzo
al novero dei sintomi accidentali, a varietà di for-
me, ed a periodi misti, non può conservare il male
una certa essenzialità di corso , che possa servire
di norma ad un attento osservatore per assegnare le
demarcazioni, e fissare i distintivi caratteri, che se-
parano questo esantema dall'eruzione fortuita mi-
liariforme, che talvolta manifestasi in alcune ma-
lattie febbrili, prodotte da comuni cause nocive.
Distinti pratici, come Andrai, Luis, Barbier, Pe-
nolazzi, si occuparono particolarmente dei caratteri
fisici delle vescicule miliariformi. Riconobbero che
esse compariscono in modo subitaneo, senza infiam-
mazione visibile, senza prurito, o bruciore: si man-
164
tengono in tutta la loro durata globose , limpide ,
cristalline: laceransi facilmente, senza lasciare trac-
cia sul derma: non vi è regolarità di stadi, né de^
squamazione. I preaccennati caratteri possono senza
dubbio somministrare non pochi lumi al medico cli-
nico, allorquando la fioritura cutanea miliariforme
è semplice, e procede disgiunta da accidentali eve-
nienze : ma se invece mostrasi una eruzione ve-
scicolare in una malattia complicata, a periodo i-
noltrato con sintomi di grave processo patologico
in un organo interessante alla vita, o centro del si-
stema nervoso , accompagnata da generale e pro-
fuso sudore, allora è cosa ben difficile distinguere
la miliariforme dalla vera eruzione miliare, in par-
ticolare, se cristallina, essendo molto affini gli este-
riori caratteri delle papule nelle indicate affezioni.
Videro perciò i pratici che non erano sufficienti la
forma estrinseca, ed i caratteri fisici dell' eruzione
per la soluzione del quesito. Seguendo le orme del-
l'illustre Cotugno (1) che con dotte ed accurate
ricerche anatomico-patologiche stabili la sede del
vaiuolo, rivolsero anch'essi in questi ultimi anni i loro
studi agli elementi anatomici delle pustule , onde
acquistare un più sicuro criterio per meglio discer-
nere e classificare in alcuni casi particolari siffatte
incerte ed equivoche cutanee manifestazioni.
Scienziati e dotti alemanni, come Simon, Henle,
Krause , Kòlliker , Seitz attesero con laboriose ed
utili indagini microscopiche ad estendere sempre pili
i confini della scienza anatomica con nuove scor.
(t) De sedibus variolarum. Neap' 1773.
165
perle. Giunsero pertanto con pazientissimi sperimen-
ti ad osservare e descrivere gli stami della più fina
organica tessitura. Né si limitarono questi diligenti
osservatori alla sola parte anatomica: applicarono alla
patologia gli stessi studi, e non poco vantaggio ne
ritrassero le malattie cutanee, come lo prova l'opera
esimia di Simon Delle malattie della cute, ricondotte
ai loro elementi anatomici. Seguendo dunque i det-
tami di scrittori sì benemeriti , a cui debbonsi le
ultime scoperte anatomico-patologiche dell' organo
cutaneo, desunte dalle osservazioni microscopiche,
profitteiremo delle loro interessanti ed utili cogni-
zioni, ad oggetto di stabilire delle differenze carat-
teristiche tra la miliare esantematica e l'eruzione
miliariforme. Per raggiungere l'importantissimo sco-
po, è indispensabile premettere, a norma dei nuovi
principii microscopici, la descrizione anatomico-fisio-
logica del sistema dermico, qual sede della malattia.
La cute non e costituita semplicemente di tre
diversi strati, siccome crede vasi dai passati anato-
mici, cioè epidermide, reticolo malpichiano, derma,
0 corion: inorganici i primi due, vascolare e ner--
voso il terzo, disseminata soltanto di vasi inalanti
di glandolo sebacee, e balbi di peli. Nuove scoperte
dovute agli strumenti ottici hanno dimostrato che
essa racchiude un' ordine particolare di glandole ,
dette sudorifere dalla funzione che compiono. L'e-
pidermide non è di un solo strato formata , quale
apparisce ad occhio nudo, ma è il risultato di pie-*
cole e sottilissime lamine le une alle altre sotto-
poste e congiunte. Avvi un lasso tessuto cellulare,
chiamato unitivo nelle cui cellule trovasi rac-
166
colto dell'adipe: esso ha per officio di connettere la
cute colle parti vicine. Negli strati profondi del co-
rion osservansi delle fibrillo , che appartengono al
tessuto musculare descritte da Henle, sotto il nome
di fibre nucleari. Veggonsi delle piccole prominenze
coniche sparse in tutta la superficie del derma: sono
queste le papille cutanee, o nervee. Le esili rami-
ficazioni del sistema irrigatore, che recano il san-
gue all'organo periferico, dopo di avere attraversato
il tessuto unitivo sottocutaneo s' intrecciano a fog-
gia di rete, circondano i bulbi de'peli, le cripte a-
dipose, le glandolo sudorifere. Giunti questi vasi san-
guigni alla superficie del corion, si dividono in più
minuti canali , formando mirabilissima rete capil-
lare a maglie ristrette, da cui partono delle anse,
che penetrano nelle papille cutanee. 1 nervi for-
mano nella cute anch'essi un plesso retiforme , le
loro estremità libere unite coi vasi minimi sangui-
gni costituiscono le papille del sènso tattile. L' e-
pidermide composta di laminette, o squame dispo-
ste in modo da risultarne delle cellule in diversi
strati ordinate, varie di volume, e di forma in parte
poligone , in parte rotonde , e schiacciate in vari
sensi. Le cellule superficiali , che si perdono nell'
esercizio della vita , vengono tosto sostituite da-
gli strati inferiori. Le glandole sudorifere poste nella
superficie del derma, vicino alle glandole sebacee ,
Sono piccoli gomitoli rotondi od ovali di tessuto tu-
bulare: a ciascuna glandola appartiene un condotto
escretore , che nel tragitto forma diversi giri spi-
rali, e termina all'epidermide con un'apertura im-
butiforme.
j
107
Ci asterremo di esporre ulteriormente i dotti la-
vori e le scoperte di Kòlliker e Kraiise nelle più
minute ricerche della fina anatomia del sistema, per
non entrare nei particolari dettagli delle fibrille fu-
siformi e cilindriche, dell' intima tessitura dei fol-
licoli e cripte sebacee, del diametro e numero delle
glandole sudorifere, e di non poche altre utili in-
vestigazioni che l'occhio armato di lente ha saputo
rinvenire, che volentieri ora tralasceremo, siccome
nozioni non assolutamente necessarie allo scopo. Per
cui ci siamo limitati a considerare semplicemente
quei punti della cute , che hanno una stretta atti-
nenza coll'esantema. La cute umana involucro ge-
nerale di tutto il corpo è l'organo del tatto, che ri-
siede esclusivamente nel derma, ed è esteso a tutta
r intiera superficie. Per la delicata struttura, pei*
l'eminente suscettibilità nervosa e simpatia che ha
con molti visceri, è sede di un numero rilevante di
malattie, sì acute , che croniche. Pel loro svolgi-
mento, oltre di un germe proprio ed esclusivo a
ciascuna cutanea affezione , vi ha molta influenza
l'età, il sesso, il temperamento, il clima, il genere
di vita, la forza di assimilazione organica, le pro-
porzioni vitali della fibra: circostanze, che modifi-
cano le condizioni particolari di uno stesso morbo,
così sono pure da considerarsi per altrettanti mez-
zi, capaci di modificare la potenza dei diversi prin-
cipii morbiferi, da cui emanano le dermatosi.
A queste leggi di economia animale nello stato
patologico veggonsi sottoposti in specie gli acuti
esantemi. Quantunque ignota ci rimane tuttora V
essenza dei principii virulenti dei sìngoli contagi ,
168
non si è trasandato pertanto dai nosologi lo studia
delle cause secondai-ie ed occasionali , che favori-
scono lo sviluppo delle niaiatlie esantematiche, ed
approfondita nello stesso tempo la natura del pro-
cesso morboso locale, cagionato da un principio e-
terogeneo, ed inafllnc all'organismo, cioè dal virus,
che una volta assorbito da macchina predisposta, si
riproduce identico, con atto chimico-vitale, che as-
salisce epidemicamente sotto generali, locali, ed in-
dividuali favorevoli condizioni, e che in fine la na-
tura con sforzi, benefìci cerca di eliminare per mezzo-
dell'organo cutaneo, con eruttive manifestazioni.
Se sfugge all'analisi chimica la natura di ogni
principio contagioso esantematico, chiara però ap-
parisce all'occhio del medico clinico l'azione irrita-
tiva che il medesimo esercita sul sistema dermoideo,
da elevare questo incipiente processo morboso nel se-
guito della malattia al grado di flogosi. In tutti gli
esantemi febbrili indistintamente , incominciando
dalla più minuta e quasi impercettibile pustula-
zione con macchie rosse ed estese, come nella scar-
lattina ; passando alle papule, o noduli , dove la
cute è fatta scabra per morbosi rigonfiamenti delle
papille cutanee , come vedesi nella rosolia e nel
morbillo, o si presenta l'eruìiione sotto forma di
vescichette ripiene di un umore siero-albuminoso,
come nella miliare, o finalmente a forma di pu-
stule, come nel vainolo, benché diversa sia la na-
tura dei principii , da cui hanno origine , la der-
malile è il processo morboso costante e comune
a siffatti esantemi. Per esserne convinto, basta se-^
guire l'andamento delle vaiie malattie csantcmati-
169
che, osservando con accuratezza i particolari ca-
ratteri, ed i cambiamenti che la stessa cute pre-
senta. II piimo fenomeno consiste nello stato ipe-
remico della pelle, proveniente dalla sua tessitura
eminentemente vascolare: il sangue fluisce in maggior
copia verso le parti malate, per l'accresciuta sensi-
bilità nei nervi cutanei. Il calibro dei vasi capillari,
siccome provò Hunter, aumenta pel fenomeno della
infiammazione, e lasciansi essi da ogni parte pene-
trare. Né vi è bisogno di microscopio per sorpren-
dere questo atto della natura. Il calore cutaneo
negli esantemi diviene sensibilissimo al tatto, vi è
turgore, tensione, e leggiero arrossimento in parte,
o in tutto il sistema, secondo che l'eruzione è meno
0 più diffusa.
Offre la miliaie essenziale gli accennati caratteri
della dermatite. Osservasi fin dai primi giorni della
malattia la forma congestiva sanguigna nei vasi cu-
tanei, cresce il calore, una leggiera tinta rossastra,
accompagnata da turgore, copre la cute: quindi ap-
parisce l'eruzione sotto l'aspetto di minutissime
papule rosse, e se talvolta cristalline, non lasciano
di avere nella base areole infiammatorie. Dal centro
di ciascuna papula elevasi gradatamente una vesci-
chetta, ripiena di un umore diafano, che dopo qual-
che giorno s'intorbida e passa al giallognolo, accade
il disseccamento, la cuticola si separa, e cade in
squame. Dai marcati cambiamenti della cute e
caratteri dell' eruzione non può non riconoscersi
nella miliare, in comune cogli altri esantemi es-
senziali, un processo flogìstico cutaneo, da potenza
irritativa generato per espellere il fomite inassimi-
170
labile, causa primitiva della malattia, e di tutt'i fe-
nomeni patologici, che svolgonsi nel suo corso.
La forma eruttiva miliariforme, che apparisce
in talune malattie in tempo più o meno avanzato,
non induce le stesse morbose alterazioni sul tessuto
cutaneo, come nella miliare essenziale. In questa
le papule occupano una sede diversa negli strati
della cute, subiscono varie fasi nel loro sviluppo
ed andamento, il liquido ch'esse contengono diffe-
risce dall'umore delle vescicule sudaminali, per i
principii componenti. Sorge dal centro di ciascuna
papula miliare primitiva una vescichetta diafana ,
minutissima, che aumenta insensibilmente, e giunge
alla grandezza di un grano di miglio, o ad un vo-
lume maggiore. Essa offre una resistenza notabile
al tatto, ne un leggiero attrito è sufficiente per la-
cerarla e distruggerla. La sede su cui è basata
l'eruzione miliare essenziale è, senza dubbio, la su-,
perficie del derma : quivi ha origine, e compiesi,
siccome sopra si è dimostrato , il processo della
dermatite esantematica. In forza della stessa pato-
logica condizione accade l'effusione dell'umore sie-
roso, che raccolto in tanti piccoli punti sottoepi-
dermici, prendono in fine la forma pustulare. Le
vescicule sul principio racchiudono un liquido lim-
pidissimo : dopo il secondo o terzo giorno s'intor-
bida, e prende l'aspetto sieroso: passati pochi altri
giorni, precisamente fra il quinto ed il sesto , ac-
quista un colore perlaceo, o giallognolo, e non di
rado puriforme.
Non può ritenersi Tumore delle papule delle
miliare essenziale qual semplice risultato di avan-
171
zata e raccolta traspirazione cutanea , giacché le
glandola sudorifere destinate a quest'officio non
possono segregare un liquido siero-albuminoso , che
subisce tali cambiamenti nel decorso dell'eruzione,
fin da attingere le proprietà di sostanza puriforme.
Seitz sottopose all'analisi chimica il ' liquido della
miliare esantematica, ed asserisce di non avere giam-
mai osservato in esso reazioni acide ; all'opposto
vide nell'umore delle bolle miliariformi reazione
acida marcatissima. Lo stesso conferma Beroaldi ,
dietro la scorta delle proprie osservazioni.
Non obliava Seitz l'esame microscopico del li-
quido delle pustule miliari, ed avvidesi ben presto
che quello estratto dalle vescicule, appena formate,
era limpido, e tale conservavasì per qualche tempo.
Portata eguale indagine sul medesimo in punto un
poco più avanzato dell'esantema, lasciava scorgere
sospesi dei piccoli nuclei, o delle cellule , simili a
quelle degli ordinari globuli purulenti : se l'etìlo-
rescenza toccava il periodo di maturazione , il li-
quido era meno scorrevole, ed il numero delle cel-
lule maggiore. Accaduta la disquamazione , appa-
riva la superfìcie sottoposta lucente , leggiermente
rossa ed ineguale, con sensazione di prurigiue iu
quel tratto della cute, che fu sede dell'eruzione.
Esposti i caratteri fisico-anatomici delle papule
della mifiare essenziale , conviene ora analizzare
quelli che alle bolle sudaminali appartengono. Pre-
messo che la cute in questa efflorescenza non offre
alcun indizio di congestione, o turgore (cambia-
mento che si è rimarcato nell'esantema essenziale);
conservando essa sempre il suo colore ordinario, e
J72
la sua temperatura. Si veggono apparire le vescicole
niiliariformi in modo subitaneo, senza presentare quel
graduato incremento, ch'ò proprio delle papule miliari.
I punti, donde emergono, non vengono preceduti da
macchie rosse, né da noduli, nò le bollicine sono
circoscritte da arcole infiammatorie: sono minute ,
diafane, globose, quasi mai confluenti, separate cioè
da marcate distanze. Appena aperte perdesi di esse
ogni traccia, non vi è disquamazione, ed osservata
la cute con lente microscopica, non mostra l'epi-
dermide la minima lesione. II liquido contenuto si
mantiene limpido in tutto il tempo della eruzione,
né l'occhio armato vi scorge cellule, o nuclei pu-
rulenti, né sostanze organiche. Assoggettato ai chi-
mici reagenti secondo Seitz e Baerensprung . da-
rebbe sempre reazione acida. Barbier all'opposto
crede che quest'umore non sia della stessa natu-
ra del sudore, e asserisce che non arrossa la tin-
tura di laccamuffa. Simon confessa di non aveF
trovato sempre i medesimi risultati nei suoi spe-
rimenti , mentre in alcuni malati di miliare tifoi-
de avrebbe dato reazione acida , in altri individui
affetti da mali febbrili , accompagnali da idroa ,
sarebbesi mostrato neutro. Assicura Beroaldi che
tanto il sudore, che il fluido della miliariforme chi-
micamente esplorati , gli diedero costantemente
una reazione acida: non così il liquido, delle pustule
miliari. Alibert opina che l'umore racchiuso sia il
risultato dell' accumolo della materia traspirabile
sotto la epidermide, di natura affatto acquosa , nel
quale non si rinviene alcun sapore.
173
Fra le diverse opinioni sul modo di formazione
delle bolle sudaminali , quella emessa da Baeren-
sprung, convalidata da Simon, sembra la più ac-
concia , perchè basala sugli elementi anatomico-
fisiologici del sistema dermoideo. Le osservazioni
microscopiche dunque hanno fatto conoscere al
sullodato autore, che il sudore nella miliariforme
si raccoghe fra due lamine della epidermide : ed
ecco come ingegnosamente egli n'espone la teoria.
» Che il liquido infatti si trovi racchiuso fra due
delle molte laminette, onde l'epidermide è stratifi-
cata, si può con certezza dedurre dal fatto, che le
pareti della vescichetta non sono formate dalla epi-
dermide sollevata in massa dalla cute. Sono desse
esilissime, e più sottili assai di quelle delle pustule
miliari: lacerandole trovasi al di sotto la epidermide
ancora integra, piana, e levigata. Non prestandosi
allo sbocco di un profuso sudore i condotti escre-
tori delle glandcle sudorifere, esso trapela , e per
esosmosi si infiltra fra le cellule epidermiche, ed ivi
accumulandosi eleva la laminetta sovrastante in
forma di piccola bollicina dalla stessa cellula cir-
coscritta. ))
Gl'indicati fiisico-anatomici caratteri, propri a
ciascuna delle descritte malattie cutanee, compara-
tivamente considerati, possono nei casi dubbi som-
ministrare un giusto criterio per la diagnosi ditfe-
renziale, tanto più apprezzabile, perchè basato sui
sensi. Né ad invalidarlo basta l'avere rimarcata una
qualche differenza di pareri nella parte chimica.
Ulteriori sperimenti, tentati con spirito imparziale,
metteranno ben presto fuori di dubbio anche que-
174
sto punto di controversia, per assicurare al medico
clinico un altro carattere fisico , niolto valevole
per lo schiarimento della questione. Questi pazien-
tissimi ed utili travagli sostenuti pel progresso
della scienza, e desiderio di giovare all'uomo nello
stato di malattia, meritano la sanzione e la rico-
noscenza dei veraci osservatori, stante che non mi-
rano a stabilire idee speculative ed astratte , ma
bensì principii sodi e positivi da cui solo la
medicina può attendere solido e stabile avanza-
mento. Biera (1) aveva conosciuto, ed apprezzato
già il valore di questi sperimenti, allorché scrisse:
)) Fin a tanto che la chimica animale, e massime
quella parte, che ha relazione colla patologia, non
avrà sparsa di qualche luce la tuttora oscura es-
senza delle condizioni patologiche, che avvengono
nell'organismo ammalato, non potremo che partire
dalla sola induzione, nel determinare la vera natura
dei singoli processi di operazione irritativa e fisico-
chimica, nelle diverse malattie contagiose. »
(i) Sui Contagi §§. 169.
175
CAPITOLO III.
Descrizione, ed andamento della miliare.
La miliare al pari degli altri esantejni, quando è
mitissima, mostrasi talvolta apiretica: ciò osservasi
pili di frequente, allorché principia a decrescere l'epi-
demia ed infievolire la forza del contagio. I fenomeni,
che la costituiscono, sono lassezza, leggieri brividi,
frequenza di polso , sudore copioso , che diffonde
un odore che Rayer paragona alla paglia muffata ,
tristezza, oppressione ai precordi, sonno interrotto,
lingua coperta di uno strato biancastro, poca sete,
appetito , ventre chiuso , orine naturali. A questi
preludi succede una discreta efflorescenza miliare,
che percorre regolarmente i suoi stadi , lasciando
l'infermo in un grande abbattimento di forze, che
ben tosto ricupera. Vogel, Hoffmann, Ludwig, Junker
videro la miliare apiretica, come anche l'osservò
Damilani (1). Ebbe a curare più volte Borsieri la
miliare senza febbre. L'efflorescenza era preceduta
da molestie, diminuzione di forze, ed ansietà ; se
durante l'eruzione accadeva l'istantanea retrocessione,
apparivano immediatamente ambasce , convulsioni ,
delirio ec. Player che osservò e descrisse l'epide-
(1) Vidi pustulas miliares exortas in cute, frequentes, etninen-
tes, discretas, et crystallinas, sudore faetidissimo cotnitatas, in fae-
mina quadam popnlari mea, quin ullum unquam , vel minimum
indicium febris habuerit. Sudabat quidem universo corpore, et pul-
8um habebat apprime mollem et aoipluni] sed tardissimum. Bor-
sieri op. citat. §§. 383.
176
!Y)ia miliare del dipartimento di Oise, ad esempio
della benignità del male in alcune persone, che ne
furono blandemente attaccate, novera dei casi di
miliare apiretica.
Se l'esantema si è veduto in qualche individuo
correre apiretico, ordinariamente è unito alla febbre:
perciò da molti scrittori fu chiamata febbre miliare,
o morbo miliare febbrile. La piressia che precede,
ed accompagna l'eruzione, non ha tipo, nò carattere
stabile : ora si presenta sotto l'aspetto di anfìme-
rina, ora mentisce una intermittente , si manifesta
con i sintomi della febbre reumatica, o infiamma-
toria, non di rado con l'apparato di febbre tifoidea:
essa se(*ue fedelmente l'indole e la natura dell'esan-
tema, di cui è suddita. Questa notabile differenza
di carattere nella febbre, che sovente rimarcasi ,
non solo nelle varie costituzioni epidemiche , ma
ben anche nella ricorrenza di una stessa epidemia
miliare, costituisce la massima difficoltà nell'esercizio
clinico , e la opposizione delle mediche opinioni ,
rapporto alla natura, e trattamento curativo della
malattia.
La miliare apiretica ha un corso regolare, per-
corre i suoi stadi senza compromettere la vita
dell'infermo, se è prudentemente curata. Non così
avviene della febbrile, la quale presenta fenomeni
sì svariati ed insoliti, congiunti a gravissimo pe-
ricolo, che impone al clinico il più esercitato , ed
elude bene spesso gli sforzi del più esatto e . ra-
gionato metodo curativo. Comunemente non si ap-
palesa, né svolgesi senza essere preceduta da segni
anamnestici, che fanno presagire prossimo il suo
177
sviluppo. Precedono malessere , dolori articolari ,
calore alla cute notabilmente accresciuto , che si
alterna con dei leggieri brividi, dolor di capo gra-
vativo , sonno turbato ed interrotto , oppressione
fugace ai precordi, tristezza, inquietudini, timore ,
anoressia, orine limpide, acquose, polso in taluno
frequente , contratto , duro; in altri molle , quasi
naturale, tosse secca, irritativa, sensibile traspira-
zione cutanea , con grande proclività al sudore.
Questi prodromi si sostengono per qualche giorno,
quindi sopraggiunge la febbre preceduta da freddo
all'estremità, o ai lombi ; il grado, e la durata di
esso è proporzionato alla intensità della piressia ,
e questa è in rapporto colla copia del fomite, tem-
peramento , età , stagione , sesso , complicazioni
morbose ec. Il vigore della febbre varia , come
differente è il suo tipo, mite in principio con polso
depresso , orine naturali , poca sete , dopo 24 ore
circa offre larga remissione , seguita da copioso
sudore, che fa dubitare di effimera reumatica. Pas-
sato brevissimo intervallo di tempo, nelle ore po-
meridiane, accade nuova esacerbazione , preceduta
anche da freddo , polso più sviluppato , maggior
calore, sete, sudore quasi continuo, profuso, viscido,
che diffonde odore caratteristico ; segue la perfetta
declinazione, accompagnata da orine crocee , late-
rizie, cessazione di tutti gli altri segni concomitanti,
da far credere la febbre di tipo intermittente. Che
sia larva di periodo, lo prova il fatto, poiché non
solo non cede, ma esacerba sotto l'uso del febbri-
fugo. Non tarda molto ad apparire nuovo parosismo
febbrile con maggiore imponenza di sintomi , cioè
G.A.T.CXLIV. 12
178
polso duro, vibrato, orine acquose, dispnea, sospiri,
moli convulsivi , senso di stupore pungitivo nelle
dita, fitte dolorose alla cute, sudore continuo, pro-
fuso ed incomodo, il suo odore particolare diviene
sempre piiì marcato , leggiero sussulto di tendini ,
alterazione delle facoltà mentali. Nei primi giorni
dell'invasione della febbre il freddo si alterna col
calore , e questo è seguito da sudore : in alcune
ore determinate , l'apparente periodo cessa : a mi-
sura che il male si avanza, il sudore si fa piiì co-
pioso, il freddo rinnovasi più volte al giorno, e senza
ordine, la pelle diviene sensibilissima ad ogni mi-
nima impressione, ed il più piccolo movimento della
macchina cagiona nuovi brividi, per cui gli stessi ma-
lati, quando non vi è delirio, cercano di stare ben
chiusi e coperti. La febbre miliare talvolta prende
l'impronta di febbre reumatico-catarrale, ed anche
di pleuropneumonia, annunciata da dolore puntorio
intercostale, tosse, affanno, sputo striato di sangue,
per lo più letale, come fu rimarcato da Walthier (1)
parlando della miliare germanica.
La piressia nei primi giorni è apparentemente
moderata , con poco calore , pochissima reazione
vascolare, da illudere anche il medico clinico il più
avveduto e sperimentato , se giudicasse dell'indole
ed esito della malattia dai suoi primordi. Abban-
dona talora essa di repente l'aspetto lusinghiero
ed ingannevole , per indi prendere le minacce di
grave affezione. Ciò ch'è degno di rimarco in questo
stadio si è, che il solo malato, quando tutto era
(1) Saiivages, Nosolog. tom. 1. pag. 233. Venez. 1772.
179
calma, presagiva coi suoi timori prossima la ma-
nifestazione di gravissimi sintomi ; per la ragione
forse che ne assegna il sommo Borsieri (1 ): Ipse so-
liis anxius (aegrotus) et sollicitiis sibi timet, et omnia
tristia ominatur , sensorio fortasse communi , nervo-
rumque origine a fomite miliari iam affectis, et clan-
culum perlnrbatis. Il polso accuratamente esplora-
to somministra il primo indizio del totale cam-
biamento, che si prepara nel seguito della malattia:
infatti da molle, eguale, espanso, e regolare, passa
ad essere angioitico, ineguale, contratto, irregolare;
offre delle alternative dopo breve istante , da fre-
quente diviene raro, da tardo, celere, da grande e
sviluppato, piccolo e depresso, non lascia in molti
casi di apparire regolarmente intermittente, dopo la
nona, l'undecima, la decimasesta pulsazione, secondo
i rimarchi di Gastellier.
Siffatte repentine mutazioni nel polso indicano lo
stato di spasmodia, in cui trovasi il sistema ner-
voso, irritato da un principio inaffme, che ne altera
sensibilmente le funzioni.
11 calore febbrile varia in modo notabile, ora è
appena sensibile al tatto, ora urente: alcuni infermi
sono presi da lipiria. Lo stato dinamico differisce
anch'esso; vi ha dei malati, che cadono in una grande
prostrazione di forze, e veggonsi minacciati spesso
da lipotimie, mentre altri conservano un vigore che
poco si allontana dallo stato ordinario ; quasi tutti
indistintamente si lagnano di oppressione al petto,
con senso di stringimento nella regione dello sterno,
(1) Op, cit. §§ 391.
180
specialmente nel lato sinistro, che porta molestia ,
dispnea, sospiri: il sonno è turbato da scosse con-
vulsive, da sogni tetri, dalla tosse talora mite , or
sì veemente ch'emula la tosse ferina. Alcuni infermi
cadono nel sopore, o coma vigile con continuo va-
niloquio, altri rimangono insonni, assaliti da delirio,
crampi in particolare alle mani, alle dita, sussulto
di tendini. L'apparato digestivo presenta anch'esso
delle anomalie : sete ardente con lingua umida , o
invece manca la sete, e la lingua è arida: vi sono
dei malati che, sebbene molestati da grande arsura, si
astengono di bere, per non aggravare maggiormente
lo stomaco oppresso da colluvie gastrica, o biliosa,
che si annuncia con lingua sordida, bocca amara ,
nausea, vomito, come non di rado accade di vedere
il vomito, o vomiturizione senza impurità gastrica,
per semplice irritazione nervosa, suscitata dall'acre
miliare. In taluni casi rarissimi, secondo Allioni, non
solo manca la sete, ma sviluppasi la stessa idrofobia
con il suo treno imponente , convulsioni alla sola
vista dei liquidi, furore, tendenza irresistibile di ag-
gredire e di mordere , con il seguito dei sintomi
orribili, che svolgonsi nell'atto della rabbia canina.
Non vogliamo impugnare che in qualche caso ec-
cezionale di miliare anomala possa presentarsi il raro
fenomeno della idrofobia spontanea nell'uomo, come
avviene talvolta nelle febbri atassiche; ma questa av-
versione ai liquidi dipende da ben differente prin-
cipio, cioè da spasmodia, o eritema delle fauci, per
cui la deglutizione non solo dei liquidi, ma ancora
dei solidi, diviene molesta e dolorosa, i malati muo-
iono però tranquilli e comatosi. Ippocrate stesso aveva
181
già rimarcata una specie di febbre emitritea, avente
r idrofobia per sintonia concomitante: leggesi in
Pietro Salio Diverso l'osservazione di una idrofobia
spontanea, sviluppatasi in una donna di 36 anni ,
in seguito di febbre pestilenziale, nella quale il fe-
nomeno di avversione ai liquidi era spinto a segno,
che imperiosamente esigeva che non si bevesse in
sua presenza. Mancano certamente in questi casi
morbosi il furore, la smania di mordere, di aggre-
dire, e ciò che piiì monta la forza contagiosa, sic-
come è stato provato ad evidenza, contro l'opinio-
ne di Dumas , con reiterati e decisivi sperimenti.
Riuscì del tutto impossibile di vedere riprodotta la
malattia in numerosi cani , ai quali fu inoculata la
saliva, presa da uomini tormentati dalla idrofobia
spontanea. Il contagio è caratteristica della idrofo-
bia comunicata , nella quale veggonsi i malati ces-
sare di vivere nel delirio e nella convulsione.
Prima che si stabilisca alla cute l'eruzione , vi
è notabile esacerbaziene di sintomi : la febbre di-
viene più intensa, cresce la dispnea, l'ansietà, l'op-
pressione ai precordi, vi è maggiore abbattimento
di spirito. Le persone proclivi alla congestione ce-
rebrale cadono nel sopore: all'opposto gì' individui
di temperamento mobile , nervoso , veggonsi sog-
getti a scosse convulsive , quasi tetaniche , lingua
tremula , sussulto di tendini , la fìsonomia appari-
sce più animata , gli occhi scintillanti , s' infiam-
mano le fauci , la mucosa della bocca copresi di
papule simili a quelle, che si determinano alla cu-
te, 0 invece di afte, mordicazione maggiore alla pelle,
finalmente efflorescenza miliare.
182
CAPITOLO IV.
Del contagio miliare (1), e stadi della malattia.
Olire, le cause ordinarie, capaci di suscitare ma-
lattie semplici e complicate, o locali infiammazioni,
altre potenze disaffini al sentire fisiologico della fibra
animale, morbifìche, conosciute sotto il nome di con-
tagi , cagionar possono nell'economia organica una
serie di fenomeni patologici , particolari , e distinti,
donde emergono le malattie contagiose, fornite del-
l'attitudine di trasmettersi e riprodursi in altri indi-
vidui, sotto identiche e determinate forme.
La miliare essenziale pi'esenta tutti quelli attri-
buiti , che distinguono questa categoria di morbi :
perciò malattia anch'essa contagiosa. y\utori rispet-
tabili , come Cullcn, P. Frank , Chomel, che a;iu-
(1) Se osservasi oggidì negare da taluni il contagio dei morbi
pestilenziali, con danno incalcolabile della pubblica incolumilàj non
dovrà recare meraviglia se dubbi si affacciano sul contagio mi-
liare. Sono queste le vigenti dottrine straniere messe in campo
per distruggere, quanto l'antica medicina italiana aveva sapiente-
mente escogilato per far argine ad una delle più grandi sciagure,
che possa accadere ai popoli, le pestilenze. Ci duole però ( nii
possiamo dissimularlo) che sitt'alte dottrine, sotto i nomi speciosi
di miasmi e miasmizzazione volevano farsi strada in Italia. Dobbia-
mo a valenti e benemeriti nostri scrittori la confutazione di sì strane
teorie: fra questi dotti si distinsero gì' illustri professori Cappel-
lo e Betti, ambedue medici rappresentanti i rispettivi loro governi
nel sanitario congresso internazionale tenuto a Parigi, dove da illu-
minali clinici difesero virilmente la causa dell'umanità , col so-
stenere i giusti e savi prìncipi! della scienza , rapporto ai con-
tagi.
183
dicarono l'eruzione un epifenomeno, o nulla più che
una accidentale sintomatica appariscenza, associata
a malattie d'indole diversa, esclusero nella miliare
ogni idea di contagio. Asserirono che apparve essa
trasmissibile, quante volte regnò epidemicamente ,
o qualora mostrossi insieme con qualche male con-
tagioso. Nel. primo caso si potè di leggieri supporre
la trasmissione , laddove eravi soltanto esposizione
comune a cause generali: se poi si è veduta unita
col tifo, scarlattina, morbillo ec, il contagio appar-
tiene evidentemente a questi morbi, e non alla mi-
liare. Avvertono inoltre che l'analogia indusse a cre-
dere l'eruzione contagiosa, come in genere lo sono
le febbri eruttive, colle quali parve essa avere qualche
rassomiglianza; ma esiste tra loro tanta differenza,
che siffatto confronto non può riuscire di veruna im-
portanza. Questi ed altri argomenti non dissimili
si fecero valere, per escludere la miliare dal novero
delle malattie contagiose. In epoca a noi vicinissima
alcuni dotti sperimentatori si lusingarono di aver tolta
ogni incertezza, dopo eseguita la inoculazione deir
umore miliare, senza vedere riprodotta la malattia.
Siccome si è stabilito con fatti inconcussi ap-
partenere agli esantemi essenziali, così non potrà du-
bitarsi che un fomite particolare e riproduttivo ne
sia la causa efiBciente, essendo caratteristica di cia-
scun morbo esantematico svolgersi e riprodursi uni-
camente dietro l'assorbimento di un principio con-
tagioso. Benché oscura ci rimane tuttora la genesi
e la natura speciale dei contagi, non ci si nasconde
pertanto la deleteria loro azione sulla fibra, che si
appalesa con un complesso di sintomi particolaris-
184
simi , i quali nella loro appaiizìone e nel decorso
marcano alcune determinate fasi.
L'avere semplicemente asserito che la miliare
può assumere il genio epidemico, per la sola espo-
sizione comune a cause generali, prova quanto poco
si è valutata la massima fissata dai nosologi, cioè
essere proprietà dei soli contagi mostrare una pa-
tologica condizione sul tessuto cutaneo e nella con-
tinuata interna membrana mucosa con una qualche
eruzione , come avviene appunto nella miliare e
negli altri morbi esantematici. Questo carattere
manca del tutto negli epidemici morbi, o se talora
accade è meramente fortuito. Nelle ricorrenze epi-
demiche si è attribuito il contagio, non alla miliare
ma bensì ad altri mali, coi quali videsi associata^
cioè scarlattina, morbillo, petecchia ec. Non essendo
constantemente il morbo miliare riunito a queste
particolari affezioni, peicorrendo il piiì delle volte
il suo corso senza verima complicazione, anche senza
abbandonare la sua forma morbosa ed il genio epi-
demico, è d'uopo convenire che la forza diffusiva
risieda in un germe proprio dell'esantema.
La maggiore obbiezione contro il contagio sembra
la inoculazione, praticata, secondo alcuni, senza ve-
dere riprodotta una identica malattia; saldi nel prin-
cipio ch'esso non esiste, quando non vi è materia
virulenta capace di riprodursi. Si fa riflettere: 1° che
i pratici non sono pienamente di accordo, che il fomite
contagioso miliare si determini sempre ed esclusi-
vamente nell'umore delle papule, più che in qua-
lunque altro punto del misto organico. Non si può
al certo negare la forza contagiosa del vaiuolo, della
185
sifilide, deiridi'ofobia, della morva, della scabbia oc.
Nessuno ignora pertanto che siffatte malattie hanno
tutte un modo diverso di riprodurre il virus nei dif-
ferenti tessuti organici, su di cui va a deporsi: il
vainolo lo elabora nell'umore delle pustule alla cute:
la sifilide in quello di un ulcere, o nella secrezione
della muccosa uretrale, o vaginale: l' idrofobia nelle
glandolo salivali: la morva nel muco-pus della mem-
brana pituitaria: la scabbia in forza di un acaro nel
sistema dermico. Dietro i quali fatti possiamo quindi
azzai'dare di conchiudere , senza timore di andare
lungi dal vero ,,che i modi di riproduzione e di
diffusione dei singoli contagi, differiscono a norma
delle diverse malattie contagiose, siano esse febbrili,
o apiretiche. 2° Che non furono dati precisi schiari-
menti delle cautele usate nella inoculazione, ed in
quale periodo dell'efflorescenza fosse praticata, menti-e
si conosce che il vainolo, che ha una virulenza posi-
tivamente maggiore della miliare , la materia va-
iuolosa acquista il caratteie contagioso, come ha di-
mostrato Camper, unicamente allorquando diviene fe-
tida la traspirazione dell'infermo. Siamo sampi-e più
autorizzati a dubitare dell'esatezza degli addotti spe-
rimenti, in quanto che la inoculazione non rimase
sempre pi-iva di effetto, come vide Tilkistre Bally (1).
Questo distinto medico nella epidemia miliare dei
dipartimenti di Oise e diSeine-Oise, onde assicurarsi
della forza trasmissibile della malattia ricorse alla ino-
li) Documents et mt'Ian-jes publìés a l'occasioii do l;i maladie
asiatiqiip par Bally §. 92 pag. 192. Paris 1835.
Ì86
culazione, scegliendo una località, dove la miliare erasi
mostrata benigna. Lo sperimento cadde sopra un gio-
vane robusto, offertosi spontaneamente per questo
saggio, coir affrontarne coraggiosamente i pericoli.
Furono praticate tre incisioni per ciascun braccio,
inoculandovi la materia delle vescicule miliari: dopo
il terzo giorno d' incubazione apparve un leggiero
movimento febbrile , accompagnato da sudore ed
eruzione miliare del tutto simile a quella degli altri
infermi: l' inoculato non videsi nella necessità di stare
in letto, durante il corso dell'esantema, tanto esso fu
mite. 3." In fine che la inoculazione del morbillo
e della rosolia restò parimenti in alcuni casi priva
di successo , senza che si volesse negare a queste
malattie una forza contagiosa. Si commise dunque
un grande errore nel dare ai primi sperimenti una
validità generale ed assoluta , mentre non la po-
tevano avere , che condizionata, e sotto particolari
circostanze.
I caratteri distintivi , l'andamento, i diversi pe-
riodi del tutto conformi ad altre malattie esantema-
tiche, dimostrano l'indole sua contagiosa : lo con-
valida l'esperienza di molte epidemie miliari , non
che l'osservazione di espertissimi pratici , AUioni ,
Borsieri, Stork, Tissot , Vogel , Molinari , Quarin ,
i quali l'osservarono sempre diffondersi per contatto.
Anioni prova con buone ragioni, che la propaga-
gazione in Europa della febbre miliare è stata opera
del commercio, mezzo ordinario di diffusione di tutti
gli esotici contagi. Mead, che molto aveva appro-
fondita la dottrina dei morbi esantematici, dichiara
che propri e privativi sono i contagi della scarlat-
187
lina, del vaiuolo, del morbillo, della petecchia, e della
miliare, i quali ultimi due contagi sembrano esser
pur quelli, die costituiscono le così dette febbri ti-
fico-contagiose, tanto diversamente esposte, rimar-
cate e descritte, anco dal massimo numero dei mo-
derni medici scrittori. Alla qual sentenza sembra esat-
tamente corrispondere l'opinione del celebre Hilde-
brand (1). 11 tifo contagioso , egli scrisse , è una
febbre essenziale , il cui corso offre una costante
uniformità. A motivo di un'esantema, ch'è ad essa
particolare, appartiene alla fomiglia delle febbri esan-
tematiche, fra le quali si collocano ordinariamente
le febbri contagiose.
Apparve la miliare epidemico-contagiosa verso la
fine del penultimo secolo in Piccardia, Linguadoca,
Normandia, Berrì, Alsazia: venne in quell'epoca de-
scritta sotto il nome di sudore di Piccardia, o febbre
sudorifera per la grande analogia col sudore an-
glicano, di cui sembra una modificazione. Nella ef-
fimera malignissima rimarcaronsi i sintomi costitu-
tivi delle febbre miliare, ina con maggior violenza,
per cui rapidissimo n'era il corso, ed ordinariamente
letale l'esito. Se poi il malato non soccombeva alla
prima invasione del male, incominciava ad accorgersi
del suo miglioramento in capo alle 24 ore, conti-
nuando il sudore per vari giorni successivi, nel qual
tempo sviluppavasi talvolta la miliare , che com-
piva la guarigione. Rayer ne riconobbe la forza
diffusiva, ed asserì che l'esantema consiste in una
(1) Brera, Giornale di medicina pratica, primo semestre 1814^
pag. 18"
188
infiammazione acuta e contagiosa, che prende ad un
tempo la membrana mucosa gastro enterica e la cute.
Costantemente tale si è mantenuta nell'Italia setten-
trionale, dove la malattia è resa endemica, ed oggidì
spiega lo stesso carattere nelle province centrali :
tutto dunque porta a dover credere la miliare morbo
contagioso, principio basato sull' osservazione e sul
raziocinio, precipui cardini della medicina. L'assor-
bimento del germe accade, come negli altri contagi
acuti, per opera dei comuni tegumenti, delle vie della
respirazione, o dell'apparato gastro-enterico, seguendo
il cammino dei linfiitici, la linfa slessa n'è il veicolo.
La sintomatologia fa evidentemente conoscere,
cheil contagio una volta assorbito da macchina pre-
disposta, per leggi organiche, vi si riproduce iden-
tico. L'atto della riproduzione è annunciato da un
movimento febbrile del tutto essenziale, diverso da
quello che si manifesta per semplice effetto irrita-
tivo. Durante lo svolgimento febbrile cresce la po-
tenza contagiosa, ed esacerba contemporaneamente
la febbre: il virus riprodotto esterna la sua forma
morbosa sotto l'aspetto di macchie o pustule, che
debbono percorrere particolari stadi. L'eruzione è l'ef-
fetto di reazione organica colla mira di allontanare
il fomite inaffine, e nemico alla vita. Non sempre
però accade che la crisi si compie per mezzo della
cute: avviene talvolta un riassorbimento della materia
depositata, e ricondotta in circolo per esser decom-
posta ed eliminata per orine, per l'alvo, o per altri
emuntori. A misura ciie si effettuano queste critiche
evacuazioni, diminuisco la febbre, finalmente cessa:
la qual cosa non manca di accadere in un tempo
189
determinato. Siffatte operazioni della natura , con-
dotte a termine con regolarità e costanza , malgrado
l'uso dei rimedi i piìi energici, provano ad evidenza
che le malattie esantematiche, come tutti'morbi feb-
brili contagiosi, una volta incominciate, anche trat-
tate con energia debbano percorrere i loro periodi
naturali e necessari , ed inabbreviabile diviene il
loro corso.
Questo principio di medicina pratica, rapporto alle
malattie di contagio, generalmente adottato, ha tro-
vato, secondo Hut'eland ed Etmuller , una eccezione
in alcuni esantemi, e nella stessa petecchiale, secondo
Currle e Giannini. Lo scrittore italiano è di avviso
che le febbri contagiose, quelle cioè che non possono
esser condotte a guarigione senza 1' espulsione del-
la materia morbifìca , non solo possono avere un
periodo affatto indeterminato per evacuarla , ma
essere distornale dal riprodurla , e non avere pe-
riodo di sorta. Una più estesa e consumata pra-
tica avrebbe forse dimosti'ato al dotto autore, i-a-
pito all'onore dell' Italia ed al progresso della scienza
da immatura morte, che per quanto sia giusta e
vera la seconda parte del suo ragionamento , cioè
potersi eliminare il fomite, ed impedirne la lipro-
duzione prima dello sviluppo del male, altrettanto
è difficile a concepirsi che malattie a fondo speci-
fico , come sono i morbi contagiosi, in particolare
gli esantematici, possono essere arrestati nella car-
l'iera e nei loro stadi, quando già un processo mor-
boso si è pronunziato e stabilito: se ciò accade per
improvvida cura, o per interna predisposizione fìsica,
ordinariamente letale è l'esito della malattia. AH'op-
190
posto i morbi che hanno origine da cause nocive
ordinarie, a qualunque diatesi appartengano , se-
gnano due soli periodi: il primo d' incremento che
procede fino al acrnen del male: 1' altro che suc-
cede di decremento, termina colla malattia stessa :
abbreviato può esserne il corso, dietro conveniente,
attivo , e proporzionato metodo curativo. Le ma-
lattie organiche non hanno alcun periodo fìiso.
Offre la miliare, al pari degli altri acuti esan-
temi , diversi distinti periodi , che le sole com-
plicazioni rendono oscuri ; esaminandone però con
tutta accuratezza l'andamento si giunge a di-
stinguerli, giacché veggonsi rappresentati da parti-
colari sintomi. Si dissero stadi d' invasione , eru-
zione, maturazione, e disseccamento, ossia di eli-
minazione del principio inassimilabile, atto ad in-
durre e mantenere profonde alterazioni patologiche
nei diversi apparati organici, con lederne le rispet-
tive funzioni.
Lo stadio d'invasione è costituito dal periodo che
passa tra l'assorbimento della materia contagiosa, ed
il deposito di essa in quelli oigani, o tessuti, forniti
dell'opportunità a risentirne l'azione deleteria, ed en-
trare col seminio contagioso in un processo di ope-
razione chimico-vitale. Forse non vi ha esantema ,
in cui lo svolgimento di questo stadio è così incerto,
come nella miliare. Secondo Allioni dura talvolta a
lungo nel corpo sano la ricevuta infezione senza ma-
nifestarsi , e senza nemmeno alterare le condizioni
meglio marcate della salute. Non sembra però am-
missibile, né possiamo essere persuasi, che il principio
miliare si occulti lungamente nella macchina, e si
191
manifesti soltanto in alcune particolari circostanae.
Si è preteso paragonarlo per la delitescenza al con-
tagio idrofobico, col quale non mostra al certo avere
alcun rapporto. Ciò che vi ha di positivo si è, che
la incubazione di questo germe varia in ragione della
sensibilità del sistema linfatico , e della maggiore
o minore virulenza della materia contagiosa di già
assorbita, ma non oltrepassa sicuramente il termine
di alcune settimane.
Lo stadio d'invasione non ha sintomi particolari:
tutt'i cambiamenti che si avvertono sono risultato
di semplice condizione irritativa. Infatti se non havvi
predisposione individuale, o mancano le cause no-
cive occasionali, tutto si riduce ad una alterazione
delle proprietà vitali, a semplice malessere, inquie-
tudine, polso frequente, nervoso. Questo stato in-
normale di salute termina dopo qualche giorno, re-
stando eliminato e distrutto l'assorbito contagio dalle
sole forze della natura. All'opposto se la macchina
trovasi nelle condizioni favorevoli allo sviluppo del
germe, nuovi sintomi si pronunziano, che sono in
rapporto immediato colle vie che il contagio ha per-
corse , ed in attinenza col sistema organico di già
invaso. Ragione potissima, per cui la medesima ma-
lattia contagiosa presenta talora una sintomatologia
sì varia ed opposta nei diversi individui, da imporre
a chi non ha bene approfondite queste leggi dei con-
tagi, col far credere differenti quelle malattie, che
hanno un'origine comune , e curabili generalmente
con eguali sussidi terapeutici.
Allorché il fomite miliare assalisce l'apparato di-
gestivo, la nausea ed il vomito sono i primi sintomi
192
ad insorgere, effetto del convellimcnto delle fibre niii-
sculari dello stomaco, che muove in consenso il dia-
framma ed i musciili addominali, contrazioni pro-
dotte dal principio disaffine a carico di una mem-
brana dotata di grande sensibilità, qual'è la mucosa
gastro-enterica. Seguono un senso di oppressione
alla regione epigastrica, ch'estendesi allo scrobicolo
del cuore, tormini ventrali, movimento febbrile con
polso piccolo, contratto, aridezza di lingua e delle
fauci, sete, cardialgìa, cui può tener dietro in se-
guito l'infiammazione dello stomaco, che irradiasi in
taluni casi ai visceri contigui, in particolare al fe-
gato, couje lo provano i segni caratteristici di queste
particolari affezioni, e non di rado la stessa necro-
scopìa lo conferma, con delle macchie nere e gan-
grenose sopia parti infiammate. Tralasceremo per-
tanto di enumerare tutti gli altii fenomeni, che ac-
compagnano questo stadio, perchè già altrove espo-
sti. Solo si potrà soggiungere che la via dello sto-
maco è la più frequentemente tenuta dal contagio
per la sua introduzione nell'organismo.
Sebbene con minor frequenza , pure rimarcasi
scegliere l'acre miliare le vie della respirazione per
insinuarsi nella econamia animale. La fenomenologia
che apparisce mostra chiaro il sentiero che il con-
tagio ha percorso, ed i visceri che trovansi minac-
ciati. Ordinariamente ne danno indizio la tosse vio-
lenta, irritativa, l'eritema delle fauci, quindi oppres-
sione ai precordi , dispnea, sospiri, ambasce, lipo-
timie. Se la materia contagiosa per l'indole e la
copia è tale da cagionare una profonda impressione
sui punti, dove si è stabilita, un processo irritativo-
193
flogistico non tarda a manifestarsi: ed è perciò che
la pleuritide, la peripneumonia, la pericardite ap-
pariscono con il loro treno sintomatico: infiamma-
zioni resipelacee pericolosissime per le tendenze alla
degenerazione gangrenosa, né curabili con quclPat-
livissimo metodo depletorio, tanto utile e necessario
nelle squisite infiammazioni parenchimatose. Non reg-
ge la fibra alla insistenza di energico trattamento
antiflogistico, nelle flogosi prodotte e sostenute da
principio contagioso. Molto più imbarazzante è la
condizione, allorché il contagio miliare percorre le due
strade enunciate simultaneamente , imprimendo su
di loro la sua azione perniciosa. Una maggiore com-
plicazione di sintomi necessariamente si appalesa
che somministra sicuri indizi, quali visceri sono at-
taccati, ed in quali pericoli la malattia si avvolge.
Si deduce introdotto il virus per mezzo del siste-
ma cutaneo , dalla mancanza dei segni che ab-
biamo rimarcati dichiararsi , allorquando l'assorbi-
mento effettuasi per le vie aeree , o per l'esofago.
La cute medesima offre tracce d'irritazione, o senso
di prurito, i brividi e le orripilazioni, che ad ogni
tratto si fanno sentire, annunziano lo slato conge-
stivo della pelle: fenomeni che all'apparire di ogni
male contagioso debbonsi attribuire a questa sor-
gente, più che ad un semplice sconcerto della fun-
zione del traspiro.
Accaduta la riproduzione del principio miliare
negli opportuni tessuti organici, la forza espansiva
acquistata dagli elaborati elementi contagiosi tende
a manifestarli, sotto una particolar forma sulla cute:
ed è questo il momento , in cui la malattia dallo
G.A.T.CXLIV. 13
194
stadio d'invasione passa a quello di eruzione, che
marca il carattere specifico dell'esantema. Questo
atto di separazione, operato da una forza interna,
automatica, è preceduto da sintomi paiticolari. Feb-
bre intensa, sudore copioso, senso di mordicazione
alla pelle , ansietà , anomalie nervose , condizione
sommamente irritativa dei polsi, delirio, finalmente
esplosione eruttiva di piccole macchie, o noduli alle
parti laterali del collo, o al petto, che ben tosto si
generalizza, ed acquista un'estensione corrispondente
e proporzionata all'indole e forza del contagio, ri-
spettando l'efflorescenza miliare quasi sempre la fac-
cia. Incomincia dalle parti superiori del corpo, dove
talvolta si arresta, ma per lo piiì si diffonde suc-
cessivamente alle inferiori, corso ordinario delle eru-
zioni esantematiche. Non mancano dei casi di mi-
liare, in cui si è veduta la manifestazione delle pa-
pale seguire un ordine inverso.
Un fenomeno degno di rimarco nella miliare, che
la distingue dagli altri acuti morbi eruttivi, si è il
modo di presentarsi delle papule, che accade in ta-
lune circostanze a riprese, o ad intervallo, per cui
prolungato vedesi il corso della malattia, ed irre-
golarmente compiersi. Osservasi anche in alcuni casi
rarissimi terminare completamente l'esantema, dopo
di aver percorso con regolarità i suoi periodi , ri-
cuperando l'infermo il suo stato ordinario di saluto;
ma passato qualche mese avviene una seconda in-
vasione, torna la miliare a fare una nuova com-
parsa. Quest'anomalia forse indusse Allioni ad am-
mettere, che non restasse sempre del tutto eliminato
il germe esantematico in un primo attacco, rima-
195
nendo parte di esso celato ed occulto, finché par-
ticolari impulsi non dessero campo allo sviluppo del
fomite latente superstite; donde poi stabilì la mas-
sima che il contagio miliare può rimanere lunga-
mente nello stato di delitescenza senza dare indizio
di se, e senza alterare il grado meglio marcato della
salute. Non sarebbe forse più consentaneo ai prin-
cipii della scienza, ed alla analogia con gli altri esan-
temi , (sebbene in questi piiì raramente , ed a pili
lunghi intervalli) ritenere il nuovo assalto qual ri-
sultato di un novello assorbimento del virus , e di
rigenerata individuale predisposizione?
L'intiero organismo esterna nello stadio di eru-
zione una serie di sintomi, proporzionati all'azione
del contagio, ed alla concorrenza di altre cause ca-
paci di destare e mantenere un vero processo dia-
tesico , poiché rendonsi generali i perniciosi effetti
della materia contagiosa riprodotta; si passa, secondo
il linguaggio dei patologi, dalla semplice condizione
patologica alla diatesi. Rimarcasi l'effetto mor-
boso locale precedere l'effetto morboso universale.
Lo stadio di eruzione non può essere considerato
di azione puramente irritativa , siccome opinava
Rubini, poiché oltre la lesione particolare prodot-
ta dalla natura inaffme ed eterogenea del con-
tagio , interessa i sistemi irrigatore sanguigno e
linfatico , imprimendo bene spesso tracce profonde
sui plessi nervosi. Abbiamo rimarcati gli stessi ap-
parati gastro-enterico e pulmonale disposti a subire
delle alterazioni immediate e dirette, o per effetto
di antagonismo: ed è provato che ogni malattia lo-
196
cale febbrile col crescere ed estendersi acquista il
carattere e l'aspetto di malattia universale.
Accaduta la completa manifestazione dell'esan-
tema, la febbre diminuisce, o esacesba, se meno o
più sensibili si affacciano le complicazioni, cioè se-
condo lo stato delle prime vie, degl'organi della re-
spirezione, e del sensorio. La febbre che accompagna
l'eruzione, anche quando la malattia è semplice, non
ha tipo stabile, ora prende le minacce di continua
continente, ora di remittente, né lascia di apparire con
larva di febbre accessionale. I segni che comparvero
sul principio dell'eruzione a guisa di piccole mac-
chie, o punti protuberanti, osservansi gradatamente
aumentare , e giungere alla grandezza dei grani di
miglio. Dal centro di ciascuna papula elevasi una
vescichetta sferica, resistente ad un leggiero attrito
senza rompersi, ripiena di un'umore pellucido, che
si mantiene tale per lo spazio di due, o tre giorni,
segnando l'eruzione il punto di massimo incremento»
Allorché tutto il fomite scaturisse alla cute con una
sola separazione, vi è perfetta, e completa eruzione;
all'opposto se parte del principio morbifero si porta
alla periferia, l'eruzione è parziale, ed incompleta,
percorre ciò non ostante i suoi stadi, però nel pe-
riodo del disseccamento mostrasi una nuova efflore-
scenza in punti diversi, preceduta da esacerbaziene
febbrile, e dagl'altri sintomi concomitanti. Possono
ripetersi anche più volte queste recrudescenze, fin
a tanto che il virus trovasi del tutto depositato alla
cute. Quando ciò accade irregolarissimo è il corso
dell'esantema.
197
Segue lo stadio di maturazione, ch'è il periodo
marcato dal cambiamento che subisce l'umore delle
papule, che da diafano fassi torbido, indi passa al
colore parlaceo , in fine acquista i caratteri della
materia puriforme, che si dissecca, e cade coll'epi-^
demide in minutissimi frammenti. Nei casi, in cui
gli stadi si compiono con regolarità, incominciato
appena il periodo di maturazione, la febbre diviene
mite, il polso molle ed espanso, calmansi tutti gl'altri
sintomi, il sudore apparisce più moderato, le orine
cariche di sedimento, apresi il ventre con deiezioni
di materie fetide , e biliose , cessa in fine intiera-
mente la malattia, lasciando per qualche tempo un
senso pruriginoso nella cute.
Non sempre avviene che tutto il virus è portato
alla periferia, talora porzione di esso per inoppor-
tuno metodo di cura, per colpa del malato, o anche
per interna predisposizione della machina assalisce
i visceri, o plessi nervosi, esacerba immediatamente
la febbre, si sopprime il sudore, la pelle diviene
arida, la respirazione lesa, l'ansietà , il sussulto dì
tendini, il delirio, la convulsione non tardano a com-
parire, con esito ordinariamente letale. I medesimi
sintomi, e gli stessi pericoli sorgono, se l'umore esan-
tematico condotto già intieramente alla cute, retro-
cede all'istante pur soverchio calore esterno, per fred-
do, patemi di animo, o qualunque altra causa. In
questi casi le sole critiche evacuazioni possono al-
lontanare i gravissimi sconcerti, che minacciano la
vita.
Il fomite miliare retropulso cagiona una sinto-
matologia diversa, secondo il viscere, su cui impri-
198
me la sua azione. Se prende il capo induce delirio,
afFezione comatosa, od apoplessia; se attacca gl'or-
gani della respirazione, oppressione, dispnea, sofFoca-
ziane; se l'apparato chilopoietico, cardialgia, vomito,
singhiozzo, diarrea colliquativa; alle puerpere si ar-
restano i lochii, cessa la secrezione lattea, il ventre
s'inarca, si fa dolente sotto la pressione, assume la
malattia il carattere della vera febbre puerperale.
Né mancano osservazioni di miliare confluente , in
cui si rimarcano tutt'i descritti cambiamenti, senza
poterne incolpare una interna metastasi, restando le
papule prominenti, e ripiene del proprio umore, l'ec-
cessiva copia della materia morbifica è la causa
delle patologiche alterazioni. Non essendo la sola
cute atta a ricevere tutto il fomite, è mestieri che
rifluisca a carico degli organi interni, ed allora la feb-
bre si mostra piii intensa, con polso valido, fisono-
mia animata, occhi scintillanti, la mente si altera,
il malato esterna i suoi timori, sopraggiunge il de-
lirio e la convulsione, in cui ordinariamente cessa
di vivere. In fine l'enunciate lesioni possono acca-
dere per la prava indole del principio miliare, che
altera sensibilmente la fibra motrice, col prediligere
in specie il sistema nervoso cerebro-spinale, di cui
sconcerta e distrugge rapidamente le funzioni e la
vita.
199
CAPITOLO V.
Divisione, segni diagnostici, e cause
predisponenti della miliare.
Varie obbiezioni si sono dovute rimuovere per
assegnare alla miliare il posto nosologico fra i morbi
esantematici essenziali , d'indole perciò contagiosa.
Osservammo parimenti non essere sì facile scegliere
ed adottare fra le molte divisioni, che si fecero di
questo esantema , quella che si trovasse giusta e
corrispondente in tutt'i casi , e nelle varie compli-
cazioni , che sovente occorre di vedere nel pratico
esercizio. La divisione in benigna, maligna, e com-
plicata, seguita da Borsieri, si avvicina più di ogni
altra alla natura dell'esantema; ma non comprende
quei casi gravi, in cui fin da principio la malattia
apertamente mostra la sua indole, e fa conoscerne
i pericoli. Né può dirsi allora maligna, poiché me-
rita unicamente questo nome, quando percorre in-
sidiosamente i primi suoi periodi, con cambiamenti
appena sensibili nel polso, nel calore, nelle funzioni,
tutto però ad un tratto apparisce sommamente grave
e pericolosa. La divisione, che meglio sembra cor-
rispondere in pratica, è di miliare mite, grave, lar-
vata , e complicata. Quanto sia essa utile, lo rile-
veremo seguendo l'esantema in tutte le sue vicis-
situdini.
Dalla storia che fin qui si è esposta di questa
particolare eruzione emerge, che se attentamente si
esaminano i segni anamnestici e concomitanti, tanto
200
comuni, che propri della malattia, non sarà (lifflcilc
(li stabilire una giusta diagnosi. I sintomi i piiì co-
stanti sono i brividi e le ornpilazioni, che si alter-
nano col calore nei primordi del male : segue un
sudore copioso, viscido, ch'emana un odore partico-
laie, non critico, ed è ritenuto sintonia patognomo-
nico: quindi senso di oppressione al petto, con strin-
gimento ai precordi, da cui partono le ambasce, la
dispnea, l'ansietà, le veglie, la prostrazione morale,
l'orgasmo dell'infermo. Mite, variabile, proteiforme
è la febbre nel suo esordire, accompagnata ordina-
riamente da delirio , tremore, sussulto di tendini ,
abbattimento di forze, con polso debole, frequente,
nervoso, ordinatamente intermittente, stupore pun-
gitivo nelle dita, crampi alle mani, o alle estremità
inferiori , fìtte dolorose alla cute , tosse irritativa ,
ora mite, ora violenta, eritema alle fauci, degluti-
zione incomoda, difficile, scosse convulsive improvvise
e subitanee in tutto il sistema, con tremito e spa-
vento, allorché l'infermo si dispone al sonno. Se a
questi segni vi si unisce la costituzione epidemica,
ó il sospetto di aver contratto il germe miliare, vi
ha maggior probabilità per presagire l'esantema, pre-
ceduto e seguito in parte, o in tutto, dagli esposti
sintomi.
Secondo la stabilita divisione, può chiamarsi mite
la malattia, quando in tutto il suo corso è disgiunta
da gravi sintomi, percorre i suoi stadi regolarmente
senza inostrare alcuna abberrazione : abbraccia la
miliare apiretica, e la febbrile semplice. L'apiretica
è annunziata dai caratteri, che sono propri di questa
affezione, proporzionati alla natura benigna del male.
201
cioè leggerissimi brividi, lassezza, sudore profuso,
polso frequente, contratto, poca sete, appetito, eru-
zione discreta di papule , che offrono un graduato
aumento, maluiano, e si disseccano in tempo op-
portuno, senza molto turbare le funzioni dell'econo-
mia animale. Borsieri, Damilani, Bayer videro del-
gl'individui attaccali dalla miliare apiretica in un
modo sì blando, senza esser costretti di abbandonare
le loro ordinarie occupazioni; il solo sintoma costante
ed incomodo era il copioso sudore. La miliare feb-
brile semplice è preceduta dai medesimi segni del-
l'apiretica. Trascorsi alcuni giorni si sviluppala febbre,
seguita da sete, anoressia, il malato diviene rattri-
stato, timoroso, senza presentare sintomi gravi; lieve
è l'oppressione ai precordi, e fugace, crampi lungo
le dita, sonno interrotto, sudore profuso, eruzione
miliare completa, che solleva e calma la febbre, con
corso regolare, mentre apparisce nell'epoca conve-
niente , la durata non eccede il tempo ordinario-:
l'incremento delle papule, la maturazione, ed il dis-
seccamento non mostrasi troppo sollecito, né ritar-
dato, né protratto: nulla in fine presenta la malattia
di straordinario ed insolito.
Diccsi grave l'esantema, quante. volte si allontana
dal corso regolare, distinto da imponente apparato
sintomatico , che fa chiaramente conoscere fin dal
primo suo apparire l'indole pericolosa. La febbre è
veemente, grande l'ansietà, sete ardente, oppressione
di petto quasi soffocante, sudoi'e copioso, generale,
crampi, scosse convulsive, sussulto di tendini, deli-
rio, o affezione comatosa, eruzione miliare confluente,
eomplota , talvolta imperfetta , e ad intervallo. Né
202
il carattere di questo morbo dipende sempre dalla
eccessiva quantità delle papule, poiché osservasi ta-
lora il medesimo apparato con una discreta etBo-
rescenza. L'eruzione in questi casi scaturisce in tem-
po indeterminato, protratto anche ad alcune setti-
mane , senza arrecare il più piccolo alleviamento.
Altri sintomi sopraggiungono, che aggravano mag-
giormente il fondo della malattia. La febbre esacerba
più volte al giorno, h lingua diviene rossa, secca,
tremula, moti convulsivi, celere abbassamento delle
pustule, polso ineguale, contratto, nervoso, tremori
nelle mani, tinnito alle orecchie, sbalordimento, gra-
vedine di capo, ottusità dei sensi, carfologia. Dalla
esposta sindrome rilevasi che il fomite ha invaso il
sistema nervoso, dando luogo allo sviluppo del tifo
miliare ; casi ovvi nelle ricorrenze epidemiche di
questo esantema, per cui con tutta ragione Mead so-
stenne, che i tifi contagiosi ripetono la loro origine
dalla miliare e dalla petecchia, malattie sommamente
affini.
Non sono infrequenti i casi , in cui la miliare
si presenta in principio sotto l'apparenza di qualun-
que altro morbo, ossia larvata. Essendo essa spo-
radica difficile ed oscura offresi allora la diagnosi,
né havvi medico clinico, per quanto sia avveduto
ed esperto, che non possa restarne illuso: solo ac-
cade di riconoscere, ed avvedersi dell'inganno, subito
che incomincia ad apparire l'eruzione. Le malattie,
che di ordinario occultano questo esantema , sono
le febbri catarrali, le reumatiche , le gastriche , le
intermittenti, oppure la pleuritide, la peripneumonia,
l'artritide, l'eresipela, l'affezione comatosa ec. In tali
203
avvenimenti il principio esantematico prima di ma-
nifestarsi alla cute, occupa questo o quell'interno
tessuto, predisposto a riceverne l'impressione, e ri-
sentirne l'azione, per cui spiegasi una sintomatologia,
ch'è propria di una qualche particolare malattia, e
che indica nello stesso tempo un dato sistema or-
ganico già affetto. Merita pertanto il nome di lar-
vata, allorché incomincia sotto l'aspetto di un mor-
bo, che riconosce la sua origine dal virus miliare,
a differenza della complicata, che sebbene associata
anch'essa ad altro male, questa complicazione è su-
scitata e mantenuta da causa diversa.
Se diffìcile, come abbiamo rimarcato, è la dia-
gnosi della miliare larvata, non è però affatto im-
possibile di sospettare della sua prossima manifesta-
zione, esaminando accuratamente le anomalie , che
precedono e seguono l'intiero suo corso prima del-
l'eruzione. La malattia, sotto la cui larva è nascosto
l'esantema, palesa sempre qualche sintoma, che non
è proprio della sua vera natura , o mostrasi priva
di alcuni caratteri consueti ad annunciarla: gU stessi
rimedi, utili quando è legittima, divengono in que-
ste circostanze inerti , e non di rado dannosi. Il
morbo miliare, benché larvato, non si spoglia del
tutto dei segni caratteristici , che lo distinguono.
Non mancano perciò il sudore copioso , continuo ,
fetido, l'oppressione ai precordi, la dispnea, i crampi,
il polso duro, ineguale, contratto, il sonno interrotto,
le ambasce , il delirio. Accaduta la completa eru-
zione cessano i segni della malattia, che occultava
l'esantema, proseguendo questo l'ordinario suo an-
damento. Se poi imperfetta apparisce l'efflorescenza.
204
i) trop[Jo ritardata , una profonda alterazione pato-
logica si stabilisce a carico del viscere primitiva^
mente offeso, che associata alla miliare, non lascia
di turbarne il corso, ed accrescerne i pericoli.
Un esempio di miliare sotto un aspetto apparen-
temente mite , e di esito infausto , che occorse di
osservare nel pratico esercizio, merita di essere qui
inserito. N. C. abitante in via Agonale, dell'età di
trentadue anni, di condizione civile, di temperamento
nervoso, maritata, madre di quattro figli, non fu mai
soggetta a gravi malattie: qualche leggiero gastri-
cismo era l'incommodo, al quale vedevasi facilmente
sottoposta, malgrado la sobrietà nel vitto. Nel set-
tembre del 1848, trovandosi nel quarto mese di gra-
vidanza, incominciò a risentire un senso di malessere,
dolore fugace, ma che si rinnovava ad intervallo nella
regione lombare , delle macchie di sangue fluirono
dalla vagina, indi aborto, ad onta dei presidii del-
l'arte adoperati per allontanarne le minacce , non
escluso il salasso. La perdita consecutiva sanguigna
dall'utero fu sensibile: non tardò però molto a ce-
dere, trovandosi presto sostituita da moderato flusso
lochiale. Nel ((uinto giorno apparve leggerissima feb-
bre, preceduta da brividi, che declinò il giorno se-
guente con sudore parziale , orine quasi naturali ,
diminuzione di lochii. Dopo poche ore di remissione
avvenne nuova esacerba/ione febbrile, annunciata da
freddo, sete, anoi-essia, il flusso vaginale diminuito,
ma non affatto cessato , ventre molle , né dolente
sotto la pressione , res|)i razione naturale. Si pre-
scrisse un blando purgativo , che procurò diverse
scariche alvine, deci inazione della febbre all'indomani,
205
seguita da sudore generale, copioso, orine rossastre,
senza sedimento. Nelle ore pomeridiane, previo un
freddo intenso, ebbe luogo l'aumento della febbre,
cbe fu discreto né proporzionato al grado di freddo,
l'utero poco più gemeva, ventre teso, cefalalgia fron-
tale: si fecero applicare dieci sanguisughe alle pu-
dende, che resero di nuovo il ventre trattabile, di-
minuì il dolor di capo, il sudore comparve copio-
sissimo di odore nauseoso. Essendo apparsa la febbre
sempre moderata con leggiere esacerbazioni, seguite
da profuso sudore, non impegno apparente di visceri,
ne sintonia grave che imponesse, si giudicò la ma-
lattia per una febbre irritativa, che faceva sperare
un esito favorevole. In mezzo ad una calma lusinghiera
la sola malata cominciò nel decimo giorno del male"
a disperare della sua guarigione. Sorsero l'abbatti-
mento morale, l'ambascia, il polso si mostrò duro
e contratto, la pupilla dilatata. Consultato nel duo-
decimo giorno l'esimio professore dando egli
molto peso alla località, stagione, e sintomatologia,
non esitò a caratterizzarla per febbre accessionale,
proponendo l'amministrazione sollecita dell'antifeb-
brile. Esibito il rimedio in dose conveniente , non
tardò la febbre a farsi pili ardita, venne il delirio,
la dispnea, l'ansietà : nel giorno seguente, ossia de-
cimoquarto, videsi con sorpresa, in mezzo a piofuso
sudore, apparire l'eruzione miliare al collo, alle biac-
cia, al petto, minutissima, bianca, senza portare al-
cun alleviamento: si diffuse quindi ai lombi, all'ad-
dome, ma irregolare fu il suo corso, la lingua divenne
rossa ed arida, il delirio continuo, sussulto di ten-
dini, polso frequente ed ineguale, peggiorando ogni
206
giorno sempre più la malata, e fatta comatosa, nel
vigesimo cessò di vivere.
Assume il nome di miliare complicata, quando l'e-
santema è congiunto ad altro morbo, proveniente que-
sto da causa diversa, a differenza della larvata, nella
quale la complicazione ha origine, come si è esposto,
dallo stesso principio esantematico, per cui indebita-
mente alcuni scrittori vorrebbero riunire, non senza
danno della medicina pratica, le due specie in sola cate-
goria. I caratteri che distinguono la complicata dalla
larvata sono, che nella prima la perfetta e completa
eruzione non tronca il corso della malattia, con cui
trovasi associata: il che sovente avviene nella lar-
vata, dove cede facilmente ogni complicazione all'ap-
parire dell' esantema. Distinguesi anche la miliare
complicata, perchè mostra essa fin da principio tutta
la imponenza ed il pericolo ; la larvata all'opposto
può presentarsi a foggia delle malattie maligne, mite
nel nascere, indi spiegare la sua ferocia, l morbi ,
che si osservano con più frequenza unirsi alla miliare,
sono la petecchia, il morbillo, il vainolo, la scar-
lattina, la pleuritide, la peripreumonia, la metritide,
la gastro-biliosa ec.
Secondo la massima dei patologi che l'azione già
stabilita di un contagio è di ostacolo allo sviluppo
simultaneo di altro seminio contagioso, la presenza
e l'andamento della miliare sembrerebbe escludere
in complicazione la petecchia, il vainolo, il morbillo
ec. se i fatti e le osservazioni in opposizione al prin-
cipio non dimostrassero apertamente non esser raro
il connubio di questi morbi contagiosi. Rimarcansi
pertanto nella serie dei contagi delle anomalie, che
207
meritano tutta la riflessione del clinico, per non ca-
dere in gravi abbagli, convinti che a lato di ogni
regola generale in medicina esistono numerose ec-
cezioni, che ora in proposito fa d'uopo richiamare
brevemente ad esame. Sospeso vedesi talune volte
ad un tratto il corso di un male contagioso , per
l'assorbimento di altro germe riproduttivo. Brewer
scrisse che ad una bambina di dieciotto mesi, alla qua-
le fu inoculato il vainolo, dopo due giorni la piccola
ferita cicatrizzò perfettamente, restarono sospesi tem-
poraneamente gl'effetti della inoculazione, per la so-
pravvenienza della pertosse, ch'ebbe la durata di se-
dici giorni, indi vide di nuovo infiammarsi la parte
inoculata, ed apparire il vainolo, che mostrossi d'in-
dole benigna. Non sempre l'assorbimento di un se-
condo contagio ha forza di sospendere il processo
patologico di altro morbo contagioso, ma può in-
vece diminuirne la virulenza: esempio ne sia la vac-
cinazione praticata nell'atto, in cui il vaiuolo sta per
manifestarsi : se non prevale l'azione del vaccino ,
moditicata resta la potenza vaiuolosa, e blando dovrà
essere il vaiuolo che svolgesi. Vi sono dei mali con-
tagiosi, che non si escludono vicendevolmente nel
periodo di una stessa malattia , ma confusi e tur-
bati mostransì i loro stadi, ed alterata la loro forma
morbosa, come avviene infatti alla miliare, allorché
trovasi complicata al morbillo, petecchia, vaiuolo ec.
La petecchia e la miliare , scrisse Biera, sono fe-
nomeni non ordinari , che ho potuto insieme osser-
vare nelle epidemie petecchiali degli an.tSlO el817. I
tifi contagiosi, di cui parla Borsiori, offrono parimenti
l'esempio della simultanea comparsa di queste due
208
erazioni. Dalle accennate osservazioni sembra po-
terne ragionevolmente dedurre, che vi sono dei con-
tagi, che mostrano un'azione esclusiva e continuata ;
altri hanno forza d' interrompere ed arrestare dei
mali contagiosi già incominciati, oppure di mino-
rarne l'impeto: come non mancano dei contagi, che
non si escludono scambievolmente, essendo in alcuni
casi contemporenea la loro azione ed il loro
svolgimento , complicata però apparisce allora
la fenomenologia, non che confuso e turbato il co-
mune andamento. La presenza dunque e manife-
stazione di due contagi in un corso di malattia è
sanzionatala dai fatti e dalla costante esperienza :
ciò che potrà esser solo negato da tutt'i buoni os-
servatori si è l'integrità di forma, e la regolarità
di stadi, come vedremo accadere alla miliare, al-
lorquando è associata alla petecchia, vainolo, mor-
billo ec.
Non è difficile di osservare 1' esantema miliare
unito alla petecchia, quando assume il genio epide-
mico: ben di rado ciò rimarcasi, se si presenta spo-
radico. Le diverse epidemie miliari complicate a
petecchie, descritte da Pietro de Castro, P. Sulio Di-
verso, Asti, Borsieri, Brera, lo dimostrano ad evi-
denza. L'eruzione miliare ora precede, ora è pre-
ceduta dalla petecchia, non essendo cosa facile di
vederle comparire simultaneamente con un solo atto
di separazione. Determinate però alla cute, continuano
il loro andamento, quantunque irregolare. Non man-
cano numerose osservazioni, in cui le macchie pe-
tecchiali si pronunziarono nel massimo incremento
dell'efflorescenza miliare, ovvero quando questa era
ì
209
nella declinazione. Alle stesse ftisi è soggetta la mi-
liare, se comparve prima l'eruzione petecchiale. Nel
1758 Vienna fu assalita nello stesso tempo dai due
contagi: in taluni malati videsi la petecchia, in altri
la miliare, in molti associati i due esantemi. I sin-
tomi, che caratterizzano ciascuna delle enunciate af-
fezioni cutanee, sono più o meno manifesti secondo
la prevalenza del principio contagioso. Appalesan-
dosi la miliare allorché la petecchia è già in fine,
il prossimo sviluppo è preceduto da notabile cam-
biamento. Le orine da torbide e sedimentose diven-
gono limpide, si avverte lo stupore pungitivo nelle
dita, la sordità si cambia in tinnito, il sopore in ve-
glia, 0 coma vigile, cessa la prostrazione delle forze,
il polso si eleva, diviene più frequente, sorge il de-
lirio , finalmente se intempestiva si affaccia l'eru-
zione, sopraggiunge la convulsione, che può esser
letale.
Non di rado accade di osservare, dopo l'eruzione
petecchiale, ammansire i sintomi, sperimentando il
malato per alcuni giorni una calma lusinghiera; scor-
gesi però in un tratto esacerbare di nuovo la febbre,
torna l'oppressione ai precordi, la mente si turba, si
altera il sonno, nell'undecimo, decimoquarto, deci-
mosesto giorno, o più tardi apparisce la miliare, che
seda gl'insorti fenomeni, e spesso giudica la malattia.
Stork osservò in un corso di febbre petecchiale, ch'era
accompagnata da pertinace singhiozzo, cessare questo
sintonia pericoloso nel decimoquarto giorno , dopo
copiosissima efflorescenza miliare. Nella costituzione
epidemica di Vienna , di cui si è fatta menzione ,
allorché l'esantema miliare sopraggiungeva alla pe-
G.A.T.CXLIV. ^ U
210
tecchia, precedevano leggiere orripilazioni, senso di
oppressione al petto, ansietà, profuso sudore, quindi
copiosa manifestazione di papule miliari, con alle-
viamento di sintomi. Se ai segni anamnestici e pa-
tognomonici non succedeva l'eruzione, le orine acqui-
stavano un gran sedimento , o invece appariva un
moderato flusso di ventre, che costituiva la crisi della
malattia. La miliare, quando è complicata colla pe-
técchia, presenta maggiori pericoli, o ne protrae la
durata: d'ordinario l'esito dipende dalla natura be-
nigna, 0 maligna dell'ultimo esantema, che si deter-
mina alla cute, né la celere o ritardata comparsa
dell'eruzione può essere di norma al medico per una
esatta prognosi.
Non è cosa facile presagire la miliare prima del-
l'eruzione , quando si unisce al vaiuolo , morbillo ,
scarlattina ec. L'indole maligna di questi morbi, o
la regnante costituzione epidemica possano sommi-
nestrare dei lumi per dubitare del suo prossimo
svolgersi.. Allioni in alcuni casi di vaiuolo compli-
cato alla miliare osservò prima un dolore acerbis-
simo ai lombi, che precedeva il vaiuolo, indi appa-
riva la miliare. L'eruzione vaiuolosa non portava di-
minuzione di febbre, ed il polso invece di farsi molle
e sviluppato, si manteneva duro e contratto, seguiva
Tefflorescenza di papule miliari, ch'era di ostacolo
all'incremento delle pustole vaiuolose , sussulto di
tendini, acuta cefalalgia, nel sesto o settimo giorno
in mezzo al delirio i malati perivano. Haller (1) os-
servò il vuiuolo maligno, complicato colla miliare.
[1) 0|JU!)C. pathol. pag, 120.
i
211
Non sempre letale è l'esito di questi esantemi al-
lorché ti'ovansi congiunti. Camerario narra dei casi
di vaiuolo , a cui nella piena suppurazione soprag-
giunse la miliare con favorevole successo. Tosto che
la miliare si unisce al morbillo, l'eruzione è prece-
duta da bruciore agli occhi, infiammazione alle fauci,
tosse irritativa, calore urente alla cute. Parimenti
la complicazione colla scarlattina è annunziata da
alcuni caratteri, che sono propri della porpora.
Si è rimarcato in questa sezione il morbo mi-
liare complicato ad altre malattie esantematiche. Non
si è tralasciato in pari tempo di fare osservare quanto
sia allora difficile la diagnosi, e come alterata mo-
strasi la forma morbosa. Conviene aggiungere che
non minori sono le difficoltà ed i pericoli che la
miliare presenta, allorché è associata a genuine e
profonde infiammazioni organiche, come la pleuritide,
la peripneumonia, la metritide, la peritonitide, ec.
malattie che riconoscono la loro origine dalle stesse
cagioni, che le suscitano, quando sono scevre da ogni
complicazione: a differenza della miliare larvata che
può mentire siffatte affezioni, prodotte però e soste-
nute dal fomite esantematico. Le cause ordinarie delle
accennate flemmasie sono la stagione favorevole al
loro sviluppo: nelle partorienti il parto laborioso, il
soccorso intempestivo della mano ostetrica: nelle puer-
pere la metastasi lattea, la soppressione de'lochi, ov-
vero le ricorrenze epidemiche simultanee di malattie
flogistiche, in specie toraciche, e di miliare. Questi
stessi morbi, che rendono talora complicato l'esan-
tema, si mostrano con tutto l'apparato sintomatico
che li distingue , come nel caso che segue. C. B.
212
abitante in via dei Giubbonaii, di anni 25, di fibra
delicata, di temperamento nervoso, maritata, madre di
tre figli, fin da qualche anno andava soggetta ad in-
tervallo a dispnea , spesso i suoi sputi apparivano
striati di sangue: due sorelle erano già perite di tisi
pulmonare costituzionale, non essendovi germe gen-
tilizio, mentre vivono tuttora i genitori in uno stato
conveniente di salute. La madre, di robusta costi-
tuzione, fin dalla giovinezza videsi alquanto detur-
pata nella faccia dalla eruzione cutanea, che viene
sotto il nome di varo gotta-rosea, principio acre, che
trasmesso alla prole, benché non comparso alla cute,
forse fu la cagione della disorganizzazione pulmo-
nica, alla quale soggiacquero le prime due figlie, e
che minacciava anche la terza, se acuta malattia, di
cui ci occupiamo, non avesse abbreviato il corso della
sua vita. Nel luglio 1848, trovandosi la giovane a
termine della quarta gestazione, partorì felicemente,
ebbesi moderata perdita di sangue dall'utero, i lochi
incominciarono a fluire regolarmente. Nel secondo
giorno del parto un leggiero movimento febbrile an-
nunziava la funzione delle glandole mammarie: ma
apparve sì scarsa la secrezione lattea, che fu me-
stieri affidare in parte la bambina ad una nutrice.
Passò la puerpera alcuni giorni in uno stato di per-
fetta calma, nel nono incominciò ad essere molestata
dalla tosse, la respirazione non era più naturale. Nelle
ore pomeridiane delle stesso giorno, previo un senso
di freddo, si manifestò la febbre con polso sviluppato,
tosse violenta, affanno, dolore al petto, sputo san-
guigno, decubito laterale diffìcile. Questo treno sin-
tematico indusse a giudicare attaccato l'organo pul-
213
monare da profonda infiammazione: malattia, alla
quale vedovasi la nostra inferma sommamente pre-
disposta. Si prescrisse un generoso salasso nella sera
stessa: il sangue si mostrò tenace, e coperto di leg-
giera cotenna. Nel secondo giorno la tenuissima se-
crezione di latte , che si ebbe cura di mantenere ,
per allontanare una pericolosa metastasi, interamente
sparì, diminuirono i lochi, continuarono i sintomi ad
infierire, esacerbò la febbre: si ricorse nuovamente
al salasso, il sangue presentò la sua cotenna, non eb-
desi alleviamento di sorta. Nel terzo giorno fu ria-
perta la vena, il sangue apparve meno infiammato,
la parte sierosa più rilevante, il dolore meno sensi-
bile, sputo glutinoso, polso non pili vibrato, ma fre-
quente ed irregolare, affanno. Nel quarto giorno, sop-
presso del tutto il flusso lochìale, si passò all'appli-
cazione di dodici sunghisughe alle pudende, ed em-
pìastro di linseme all'ipogastrio, un clistiere emol-
liente procurò degli scarichi. Nel quinto sorge un nuo-
vo apparato sintomatico, il polso diviene duro e con-
tratto, la mente non più serena, un sudore profuso
e disaggradevole cuopre la pelle, crampi all'estremità,
ambascia, veglia protratta. Dubitando di vicina eru-
zione miliare, malattia che fu fatale a molte puer-
pere in questa stessa stagione , ed avendo richie-
sto un consulto, intervenne il professor Folchi , il
quale pienamente sanzionò ciò che si era pratica-
to , per far argine a violenta malattia infiamma-
toria ; soggiunse che vedeva giusti i timori di
prossimo svolgimento di morbo eruttivo, ammaestrato,
diceva , da casi consimili occorsegli in quell'epoca
liJl'esercizio clinico. Infatti nel settimo, esacerbando
214
sempre più il male, apparve l'efflorescenza miliare
al collo in forma di piccolissimi noduli, che nei giorni
successivi si estese alle parti superiori del petto, ed
alle braccia , senza arrecare sollievo : videsi invece
ogni giorno aumentare la febbre, crebbero l'affanno
e la tosse , scarsa si mantenne 1' espettorazione ad
onta dei preparati antimoniali, e l'applicazione dei ru-
befacienti, la malata divenuta ortopnoica nel deci-
moquarto giorno spirò. Ventisei ore dopo la morte
si venne all'autopsia cadaverica, che fu limitata ai
soli visceri della cavità del torace, per l'avanzata pu-
trefazione, verificandosi ciò che aveva rimarcato Fan-
toni, cioè che i cadaveri delle pueipere, morte in
forza della miliare, si putrefanno ed intumidiscono
prontamente. Nessuna aderenza vi era fra il polmone
e la pleura, il pericardio conteneva circa tre once di
fluido di colore cedrino , il cuore ed i grandi vasi
non presentarono la minima alterazione organica ,
turgidi di sangue piceo apparvero i grossi tronchi
venosi e 1' orecchietta destra , quasi vuoti i grandi
vasi arteriosi, ed il cuore sinistro: la membrana mu-
cosa dei bronchi seguita nelle diramazioni era molto
rossa ed iniettata, ma piiì visibile nel polmone destro,
di cui videsi perfettamente epatizzato il lobo inferiore.
Tutta la sostanza pulmonare era disseminata di corpi
grigi e duri, della grandezza dei grani di senapa; pro-
duzioni morbose , che sembrano corrispondere alle
granulazioni polmonari, sì ben descritte da Bayle (1)
sotto il rapporto della loro forma esterna, che
(1) Recberclies sur la phtìhsie pulnionaire. Paris 1801.
215
Leannec (1) in questi ultimi tempi ritenne come il pri-
mo grado dei tubercoli.Opinione alla quale incliniamo,
quantunque ne dissentono due grandi scrittori mo-
derni di anatomia patologica Andrai e Cruveilhier.
Le puerpere veggonsi sommamente predisposte
al morbo miliare, e la così detta febbre puerperale
non essendo una malattia sui generis, od una reale
peritonitide, devesi ritenere identica colla febbre mi-
liare. Nella febbre puerperale si affaciano nel primo
periodo i fenomeni d' irritazione e di flogosi; nel
secondo quelli di sconcerto nervoso, vale a dire so-
pore, delirio, meteorismo, decubito supino, sussulto
di tendini, lingua tremula ec.;apparisce in fine il segno
caratteristico alla cute, cioè l'efflorescenza miliare, che
rare volte manca, senza escludere la malattia, la qual
cosa avviene anche al vaiuolo, al morbillo, alla pe-
tecchia ec. presentando talvolta codesti morbi erut-
tivi tutto l'apparato sintomatico, che gli è proprio,
meno l'eruzione. Possono le puerpere andare soggette
ad ogni sorta di malattia, ma non ogni male costitui-
sce la vera febbre puerperale, ossia miliare. La sola
che merita di essere distinta con questo nome è quella
che ha particolari e gravi sintomi, già in parte accen-
nati, e sì ben descritta da Strother, Leake, Borsieri,
Ottaviani ec. Alcuni pratici cercarono di rintracciare
le cause, che predispongono le puerpere a risentire
con tanta facilità il pernicioso influsso del virus mi-
liare. Taluno ha dato molto peso ai travagli del parto:
il sullodato Borsieri riconobbe esser questa una causa
remota, non sempre necessaria per contrarre co tal
(1) Trallato dell'ascoltazione mediata dalle malattie dei polmoni
e del cuore. Voi. 2 cap. I pag. 152, Trad. Livorno 1834.
216
febbre. Cullen ne addebita le smodate perdite di
sangue, per cui crede che le puerpere siano per tal
motivo più soggette di ogni altro individuo alla eru-
zione miliare. La soppressione de'lochi, la retroces-
sione del latte furono giustamente annoverate fra le
eause occasionali delia malattia.
Quando la miliare si associa alla febbre gastrica,
è caratterizzata questa dai fenomeni, che la distin-
guono. Non ci occuperemo delia miliare chiamata
cronica da alcuni scrittori (I), efflorescenza cutanea fa-
cile ad osservarsi negl'individui, presi da diatesi scor-
butica, o affetti da altre inveterate discrasie, non es-
sendo che una semplice eruzione miliariforme , di
cui si è lungamente discusso, ed anche dimostrato
di non avere essa altro in comune coll'esantema mi-
liare, che alcuni caratteri apparentemente somiglianti
nella pustulazione (2).
(1) Intorno alla miliare osservata in Cotignola negli anni
1853 — 54 — 55. Bull, delle scienze mediche dì Bologna. OUobre 1856.
Lettera intorno al morbo miliare cronico, Finali, Giornale Ve-
neto di scieiize mediche. Scr. II. Tom. 3.
(2) Le citate memorie, su questo stesso argomento, parlano di
miliare cronica, come di fatto inconcusso, e sanzionato da cliniche
osservazioni. Esaminando però bene la materia veggo nella prima
memoria una sola storia di malattia lunga, ed irregolare in tutto
il suo corso, accaduta in soggetto preso da labe scorbutica ,
che si volle chiamare miliare cronica, perchè presentava al-
cuni caratteri precursori del morbo miliare: ma 1' esantema non
comparve giammai alla cute. Questo fatto isolato, e sì dubbio, non
sembra che possa avere tanta forza in medicina per stabilire un
principio. Confesso di non avere avuto sott' occhio 1' altro opu-
scolo , per esternarne un giudizio: rilevo però in una nota inserita
nel citato primo lavoro , che 1' autore non ha distinta la miliare
dalla porpora: malattie cutanee per indole, carattere, ed andamento
fra loro difierentissime, per cui pott facilmente esser tratto in er-
rore. La miliare l'abbiamo veduta procedere irregolare , bizzarra.
217
Le cause remote, che predispongono Torgauismo
a risentire 1' azione del contagio miliare , sono un
vitto pravo, la bevanda acquosa scarsa ed impura,
l'aria umida e malsana , la traspirazione cutanea
negletta, le smodate perdite sanguigne, la soppres-
sione di alcune critiche esacuazioni,i patemi di animo,
le veglie protratte, la vita oziosa ed inerte, la mi-
seria, l'eccessiva fatica, la costituzione delicata e
debole, l'età giovanile, il temperamento sanguigno.
Le donne veggonsi piiì soggette degli uomini a questo
esantema, in specie durante l'epoca del puerperio,
dopo la violenta estrazione della placenta, le metror-
ragie, la soppressione de'lochi, la retrocessione del
latte. Sogliono precedere l'epidemia miliare i venti
australi, continuati ed irregolari, le inondazioni, la
costituzione atmosferica. Le stagioni più favorevoli
alla sua manifestazione sono 1' estate e l' autunno ;
anche il clima può molto influire, senza però scen-
dere all'opinione di Rayer, il quale crede che la ma-
lattia non si mostri, che fra il grado quarantesimo
terzo, ed il cinquantesimo nono di latitudine boreale.
Né si debbono trasandare le condizioni locali, cioè
il terreno uliginoso, il suolo basso e paludoso che
racchiude molte sostanze organiche in avanzata de-
composizione.
tanlo febbrile, che apiretica, mostrarsi a riprese, avere spesso delle
recrudescenze , e talvolta assalire lo stesso soggetto , dopo breve
intervallo. Per questo suo modo particolare di manifestarsi
ha potuto imporre ai sullodati clinici, col dar campo a stabi-
lire una miliare cronica, ciò ch'è proprio della miliariforme, come
sopra si è esposto. Aggiungo inoltre che non avendo io osservata
finora la malattia sopra una estesissima scala^ sarò sempre pronto
a ricredermi, quante volte mi accadesse di vedere nel pratico eser-
cizio il contrario di quanto esposi, oppure mi si presentassero dai
colleghi tali fatti , registrati senza prevenzione, per non più du-
bitarne: il vero è il fatto.
218
CAPITOLO VI.
Esame particolare di alcuni segni
pronostici della miliare.
Non vi ha forse malattia, anche per sentimento
di espertissimi pratici, più difficile a presagirne l'esito,
qiianto questa che attualmente ci occupa. La sua
indole versatile fece dire al sommo Borsieri : Ego
equidem non novi for tasse morbiim isto fallaciorem »
ac magis infidum: in seguito aggiunge, che non vi-
desi mai tanto agitato ed incerto, che quando do-
veva combatterla. Ciascun medico nel proprio eser-
cizio ha dovuto sperimentare con quanta verità il
clinico italiano esponeva i timori e la incertezza ,
rapporto all'esito di un morbo sì ingannevole , da
dubitare fortemente del suo carattere, anche quando
apparisce sotto un aspetto blandissimo.
Della miliare mite, allorché percorre regolarmente
i propri stadi, ed è prudentemente curata, il termine
è d'ordinario favorevole. L'esantema sia grave, lar-
vato, complicato, offre sempre i più grandi pericoli.
I criteri, che possono servire di norma per la pro-
gnosi, sono la forma morbosa, la costituzione fisica
del malato, il genio della regnante epidemia. L'in-
tiera forma morbosa è costituita dal complesso dei
sintomi, tanto caratteristici della malattia, che ac-
cidentali: quanto più essi sono violenti, e più per-
tinaci , quanto più di un viscere è profondamente
affetto, e più nobile, tanto maggiori sono i pericoli
che includono : quindi se il principio contagioso as-
219
sale il sistema cerebrale , o plessi nervosi , da cui
partono la cefalalgia, il delirio, la convulsione, la
veglia, il sussulto di tendini, più temibile è il male,
che se ingombrasse le prime vie , annuciato dalla
nausea, dal vomito ; quasi sempre mortale se offende
i visceri del petto , eccettuato il caso , in cui ef-
fettuasi una sollecita e copiosa eruzione , che non
solo allevia, ma libera ben anche dal fomite le parti
interne, che n'erano assalite.
Non somministra alcuno indizio per una giusta
prognosi la precoce, o ritardata apparescenza del-
l'eruzione. Si può generalmente asserire che la celere
comparsa è di peggiore annunzio della serotina, o
protrae molto a lungo il corso della malattia, senza
però seguire gli opinamenti di coloro, che ritengono
sicura la guaiigione , allorché tardi si dichiara , in
specie se questo ultimo periodo si estende alla se-
conda, 0 terza settimana. L'abbiamo osservata mo-
strarsi non di rado ben tardi nella miliare gravissima
e letale, come all'opposto apparire sollecita nella
miliare mite, e di esito fortunato. Il rapido corso
degli stadi, fino a quello d'incremento specifico, e
questo poscia protratto più del consueto, con febbre
continua, versipelle, pletora parziale, sfinimento di
forze, convulsione, delirio, lipotimie, annunziano gra-
vissimo pericolo.
Più che la copia, la prava indole del principio
riproduttivo, accresce i pericoli dell'esantema. I fatti
hanno mostrato che una piena e completa efflore-
scenza , purché la quantità del virus non sorpassi
la capacità della periferia cutanea, e vi si mantenga
costante in tutto il tempo della malattia , include
220
minori pericoli dell'eruzione parziale ed interrotta,
che a stento la natura connpie, dietro ripetuti conati.
Però la copiosa e piena eruzione se non jilievia i
sintomi, cioè se i polsi non divengono molli ed am-
pli, se non cede lo stato convulsivo, non diminuisce
la febbre, le pustule non appariscono della grandezza
ordinaria, esiziale è per lo piiì l'esantema.
Non si è trascurato dai medici il colore delle
papule, per meglio basare il pronostico della miliare.
Taluni reputano l'eruzione rossa di miglior annunzio
della bianca, o cristallina: altri credono quest'ultima
di minore pericolo. Senza dubbio le papule, o mac-
chie rosseggianti, annunziano maggiori speranze, t:mto
più se florida si mantiene la frapposta circonferenza
della pelle da esse non occupata. Per lo contrario
allorché divengono pallide, livescenti le areole, ede-
matoso e subcinereo l'aspetto della frapposta cute,
le pustule appassite, coUapse, pi'ive alla base di areola
infiammatoria, la perdita del malato sembra irrepa-
rabile. Il colore delle macchie, o papule, è da aversi
in somma considerazione, giacché una lunga espe-
rienza, avvalorata dal consenso universale, ha dimo-
strato che un aspetto animato dell'eruzione, anche
nei casi gravissimi, indica minore pericolo j all'op-
posto il colore delle areole pallido , nerastro , con
gU altri sintomi miti, se il fine della malattia non
si mostra assolutamente infausto, non mancano per
lo meno morbi di successione.
L'istantanea retrocessione, e l'abbassamento re-
pentino delle pustule nel colmo della eruzione, sono
fenomeni di pessimo indizio; né vi ha esantema tanto
facile alla retropulsione, quanto il miliare. Si affac-
221
ciano immediatamente gravissimi sintomi , relativi
alle parti interne offese , che minacciano da vicino
la vita, se con forza di reazione organico-vitale non
venga dalla macchina eliminata la niateria morbifìca
retropulsa per mezzo di un qualche emuntorio, cioè
orine copiose e torbide, deiezioni ventrali , sudore
critico.
Il morale abbattimento, in cui cade facilmente
l'infermo, o il solo timore che gl'incute il morbo,
è talora sufficiente a muovere il delirio e la con-
vulsione , che uccidono in breve tempo. Non mai
dimenticherò l'effetto terribile dello spavento , che
fu fatale ad una giovane puerpera in line di febbre
miliare. Trovandosi costei nel decimosettimo giorno
della malattia, che aveva percorso con regolarità i
suoi stadi, toccando già l'eruzione il disseccamento
e la desquamazione, il polso di poco si allontanava
dal suo stato naturale, così le altre funzioni, poteva
considerarsi in ultima analisi la malata in fine di
male; quando ad un tratto, in mezzo ad un impe-
tuoso uragano, cadde un fulmine in luogo vicinissimo
all'abitazione dell'inferma, ch'essa immaginò scoppiato
nella propria camera. Fu tale in lei il terrore, per
cui si accese di nuovo la febbre, sorsero il delirio,
la convulsione, il sussulto di tendini, seguirono fre-
quenti lipotimie, il polso divenne piccolo, ineguale,
intermittente: la malata nel vigesimo secondo giorno,
ossia quinto dopo il disgrazialo avvenimento, cessò
di vivere.
11 sudore, sintoma capitale e diagnostico dell'esan-
tema, quanto più è profuso a malattia incipiente, con
polso sommamente contratto, tanto più è da temersi;
222
se poi cessa uU'appariie dell'eruzione, lasciando la
cute arida, secca, urente, maggiore è il pericolo. Un
moderato sudore prima dell'eruzione, che prosegue
anche dopo, continuato, eguale, caldo, generale, con
polso molle ed espanso fa presagire favorevolmente
della malattia. Né disprezzabili, come taluni credono,
sono i segni pronostici, che traggonsi dalle orine,
senza però adottare la massima di alcuni antichi
medici, che ne portarono l'esame fino alla dialettica
sottigliezza.
11 cambiamento istantaneo dal colore cedrino ,
ad un'orina pallida ed acquosa , è di cattivo pre-
ludio ; l'aspetto costantemente limpido e chiaro di
questo umore escrementizio , anche dopo accaduta
l'eruzione , fa temere una metastasi pericolosa. Le
orine copiose, ipostatiche, continuate per alcuni giorni
possono ritenersi come critica evacuazione.
Non minore studio si pose nell'osservare le qua-
lità dei polsi nella miliare. Si è rimarcato che un
polso molto contratto, quanto più è debole ed in-
eguale, oppure intermittente, tanto piiì annunzia gravi
pericoli. Secondo Allioni, se il polso dopo l'eruzione
si mostra contratto, celere, teso, non tarda molto
ad apparire la convulsione, che porta gravi rischi.
In generale il polso debole, piccolo, contratto, ce-
lere, è di pessimo indizio ; all'opposto s'è vigoroso,
pieno, espanso, molle, sviluppato, fa sperare bene
dell'esito. Così un moderato flusso di ventre di ma-
terie concotte giova nella miliare, specialmente s'è
complicata a colluvie gastrica, o biliosa: a reprimere
imprudentemente questo benefico moto della natura,
aggravasi la malattia. Le deiezioni alvine miste a
223
sangue sciolto, fanno disperare affatto della guari-
gione, secondo Gastellier. Non meno dannosa è la
diarrea colliquativa , che si oppone all'eruzione , o
abbassa le pustule prima che compiano l'ordinaria
carriera. Le puerpere ne risentono a preferenza i
tristi effetti con la totale soppressione dei lochi.
L'epistassi è stata osservata salutare da Vogel, de
Agostini, Baraldi,col vincere la congestione cerebrale,
diminuire la febbre, in fine coH'ammansire i gravis-
simi sintomi, che corteggiano la miliare. Se poi l'emor-
ragia parte dall'atonia di tutto il sistema, da sangue
sciolto e povero di fibrina, polsi depressi, poco ca-
lore, pochissima reazione vascolare, è allora di cat-
tivo presagio.
Non basta di avere esaminato particolarmente
il valore di alcuni sintomi prevalenti della malattia,
per formarne una retta e giusta prognosi. Onde es-
sere meno illuso da questo morbo proteiforme, è ne-
cessario indagarne la natura, l'indole, le tendenze ,
studiarne complessivamente i fenomeni, che lo ca-
ratterizzano, e le morbose complicazioni, ossia at-
tendere alla intiera forma patologica. I segni collet-
tivi, che fanno sperare bene, sono la febbre mode-
rata dal principio sino al termine dell'esantema, la
respirazione facile, le forze non abbattute, le secre-
zioni ed escrezioni libere, non eccessive, ma blando,
che non debihtano , ma alleviano , il polso molle,
spazioso, eguale, l'eruzione accompagnata da sudore
moderato, continuato, generale, le orine proporzionate
alla bevanda con sedimento: il dolore di capo, l'an-
sietà, l'oppressione ai precordi, la sete, sintomi con-
comitanti, non molto intensi, nò pertinaci, i nervi
224
nello stato di calma, la mente seiena, il sonno che
ristora.
La sindrome morbosa che annuncia il massimo
pericolo, si appalesa con febbre vigorosa, ardente,
respirazione lesa , o invece somma prostrazione di
forze, grande oppressione allo scrobicolo del cuore,
lipotimie, erazione parziale, interrotta di papale pic-
cole, minute, cristalline, orina tenue, pallida, veglia
l^rotratta, o sonno letargico, sussulto di tendini, de-
lirio, convulsione, lingua rossa, arida, tremula, su-
dore profuso, freddo, prematuro, dolore puntorio in-
tercostale, tosse secca, frequente, molesta, polso pic-
colo, ineguale, contratto , intermittente , vomito di
materie crude, eruginose; cute arida con calore mor-
dace, ventre inarcato, teso, indolente, timpanitico,
abbattimento di spirito, singhiozzo. Non è necessario
pertanto il complesso di tutti gl'enunciati sintomi,
per rendere pericoloso, o letale la miliare, bastano
alcuni di essi per giudicarne ordinariamente infausto
il fine. .
La costituzione fisica del malato è l'altro crite-
rio, su cui basa il pronostico della maiattia. Un in-
divìduo sano, e robusto naturalmente può resistere
all'impeto del morbo , pili che un'altro delicato e
malsano, che con facilità vi soccombe. Però è da
rimarcarsi che la così detta forza di resistenza vi-
tale, non si argomenta sempre a rigore dallo svi-
luppo del sistema musculare , essa è assai meglio
rappresentata dall'attività del sistema nervoso; atti-
vità ch'è bene spesso in ragione inversa dell'appa-
rente energia del sistema locomotore.
<
225
11 genio della regnante epidemia somministra al
medico clinico non poca luce per una giusta pro-
gnosi. Vi sono delle costituzioni epidemiche , nelle
quali le malattie popolari spiegano tanta ferocia ,
che uccidono irreparabilmente in breve tempo, qua-
lunque sia il trattamento curativo: mentre altre fiate,
sotto condizioni atmosferiche diverse, lo stesso morbo
mostrasi meno micidiale. Le malattie epidemico-
contagiose non sono sempre attaccale alla stessa dia-
tesi; se regna la costituzione infiammatoria, iperste-
nico è il processo diatesico delle medesime : se la
costituzione è nervosa, dissolutiva apparisce la dia-
tesi, per cui sovrastano allora maggiori pericoli.
CAPITOLO VIL
Cura della miliare.
Il trattamento curativo seguì le vicissitudini delle
teoriche pei seguaci di esclusive dottrine. Lo studio
delle diatesi fu ad essi di guida indistintamente per
la cura nelle costituzioni epidemiche di morbo mi-
liare, senza dare alcun peso al processo locale pa-
tologico, ai temperamenti, ed idiosincrasie diverse,
età, complicazioni morbose, stadio della malattia, e
non poche altre particolari evenienze , che spesso
obbligano il medico, non lìgio a sistemi, di modi-
ficare non solo il metodo curativo, ma seguire ben
anche un opposto sentiero. Perla facilità che hanno
gli uomini di correre agl'estremi, si passò dai ri-
medi stimolanti, incendiari, ad un sistema di cura
affatto contrario. Videsi trattata la miliare in questi
G.A.T.CXLIV. 15
226
ultimi tempi dai seguaci della dottrina del contro-
stimolo, con attivo, pronto, ed energico metodo an-
tiflogistico. Pratica che unicamente può convenire
a profonde e genuine infiammazioni viscerali, ma-
lintesa pertanto per un morbo esantematico, qual'è
il miliare, che spesso prende l'aspetto tifoideo, do-
vendo rispettare in esso un grado di reazione, pur
troppo necessario, affinchè Tesantema compia rego-
larmente i suoi stadi, e non si aggravi il fondo della
malattia. 1 primi giudicarono ipostenica sempre la
diatesi del tifo miliare: questi ultimi la vollero co-
stantemente d'indole inflammatoria, perciò domabile
soltanto con rimedi antiflogistici , deprimenti. In
mezzo a vortici sistematici, in cui si è cercato da
alcune menti preoccupate involgere la medicina ,
adescando i meno cauti con una facile terapia, non
mancarono poderosi ingegni, che ne riprovarono so-
lennemente i principia Guidati da'più sodi argomenti,
avvalorati dalla sana esperienza, dimostrarono la fal-
lacia delle scolastiche e speculative dottrine in me-
dicina, insegnando fin dove è lecito ragionare al letto
degl' infermi senza nuocere , fin dove è possibile
sottomettere ad una savia induzione i fenomeni e
le cagioni delle malattie, le indicazioni curative, e
l'uso dei rimedi. Si convenne che lo è solamente ,
dietro la scorta di una sobria patologia. Queste ul-
time parole, che racchiudono precetti di medica filo-
sofia, appartengono al dottissimo Tornassini (1), seb-
bene dal medesimo non sempre accuratamente os-
(1 Raccolta completa delle opere mediche del Pro(. Tornassini
a. discorso preliminare Bologna, 1833.
227
servati: provano però ad evidenza che alcune grandi
verità pratiche si fauno sentire anche da colow ,
che veggonsi affiiscinati da sistemi, e che cercano
una celebrità investigando astratte e nuove dottrine.
Le malattie acute, che partono da fomite con-
tagioso, come appunto è la miliare, offrono al me-
dico clinico, sotto l'aspetto terapeutico, due distinti
periodi. Il primo chiamato d'invasione, rappreseti tato
da fenoFneni semplicemente irritativi, solo osserva-
bile, quando la miliare regna epidemicamente, che
sfugge con facilità ad ogni indagine, se si presenta
sporadica. È questa l'epoca, in cui può essere tron-
cato il corso alla malattia, con eliminare il germe
contagioso, prima della sua riproduzione, con adat-
tata terapia. L'illustre G. P. Fràhk, come viene ri-
ferito da Brera (1) , praticando la medicina nella
città di Bruchsal in tempo di epidemia petecchiale,
dopo di avere per il seguito di alcuni giorni visitato
numerosi infermi, venne una sera assalito da straor-
dinaria debolezza, da malinconia, da veglia, da fre-
quenti conati al vomito, da tremore agli arti, e da
sommo dolor di testa, per cui ragionevolmente giu-
dicò di avere contratto il predominante contagio.
Postosi quindi ben coperto in letto, bevve in poche
riprese una intiera bottiglia di scelto vino di Bor-
gogna, bentosto si addormentò, e non si risvegliò
che sul fare del giorno sussequente, tutto inondato
di copioso sudore, e talmente ristabilito nelle forze,
che potè uscire di casa, e livedere i suoi infermi.
(1) Sui eonlagi ^§. 252.
228
Quando vi è l'indicazione di eccitare il traspiro
per allontanare la materia morbifica, prinna che spieghi
la intera sua azione sulla fibra, la scelta dei rimedi
diaforetici dovrà essere sempre corrispondente alle
condizioni dinamiche. Se lo stomaco è il primo
viscere assalito dal contagio , annunziato da nau-
sea, o vomito, la sollecita e pronta am ministrazio-'
ne dell'emetico potrà essere efficacissima ad es-
pellere direttamente il principio contagioso. Nella
peste di Alais, descritta da Gibert, gli emetici tron*
cavano l'infezione. Hildebrand (1), dietro molte os-
servazioni, assicura che un emetico ben indicato, ed
amministrato in principio, imprime al tifo per tutto
il rimanente del suo corso un carattere benigno ,
previene le anomalie , e dispone il corpo alle crisi
le più favorevoli. Pratica convalidata dalle osserva-
zioni di Pringle e Stoll. Poche risorse ha la medi-
cina in questo periodo: allorché il contagio ha per-
corse le vie della respirazione, sogliono consigliare
i pratici l'inspirazione dei vapori acquosi, ma sembra
un deboh'ssimo presidio. Se inosservato trascorre que-
sto primo istante, oppure infruttuoso rimanga ogni
tentativo praticato per estinguere la malattia nei
suoi primordi, prosegue allora la miliare a percor-
rere i suoi stadi, necessario ed inabbreviabile di-
viene il suo corso.
La cura di questo esantema presenta non poche
difficoltà all'occhio stesso del clinico il piiì dotto
ed esercitato. Essa differisce secondo i periodi del
(1) Del tifo contagioso ec. nnova versione italiana <Jei dott.
G, Allhiiminer, e G. Berti. Verona 1317.
229
morbo, e la diversa sua indole. La miliare mite sia
apiretica, o semplice febbrile coi caratteri teste de-
scritti, non ha bisogno di molti rimedi per cssei©
condotta a buon fine. Per raggiungere lo scopo ba-
stano le sole forze della natura, coadiuvata dal riposo^
dai diluenti, e da un esatto regime dietetico.
La miliare grave caratterizzata da segni, che an-
nunziano leso il sistema nervoso cerebro-spinale ,
costi tusce il vero tifo miliare, ed è la forma mor-
bosa la più comune , che assume l'esantema. Non
avendo una dialesi costante ed uniforme in tutt'i
casi, e nelle varie costituzioni epidemiche, la diffe-
renza dei temperamenti , il complesso più o meno
esteso dei sintomi , che spiega il male , la inten-
sità di essi, la qualità della febbre, e non poche
altre particolari anomalie, che possono solo calcolarsi
al letto dell'infermo, debbono rendere il medico cir-
cospetto, per non abbracciare regole fisse ed esclu-
sive nella cura del tifo miliare. Nelle indicazioni ge-
nerali da seguire la febbre s'è moderata, non deve
essere accresciuta, nò diminuita: quando vi è grande
abbattimento di foi-ze, febbre languida, polso debole,
poca reazione in tutto il sistema, fa d'uopo con pru-
denza ricorrere a rimedi eccitanti. Le condizioni op-
poste, cioè la febbre vigorosa con polso pieno, vi-
brato, calore eccessivo, fisonomia animata, orgasmo
ec. richieggono l'uso del metodo temperante. Si spe-
rimentarono sempre nocivi i remedi cardiaci, gli ale*-
sifarmaci: utili i blandi diaforetici, che mantengono
libero il traspiro, e favoriscono l'eruzione.
Da questi generali principi terapeutici , desunti
dà una pratica ecclettica, è necessario per la cura
230
speciale della miliare grave, o tifo miliare, scendere
all'amministrazione di quei particolari rimedi , che
una lunga esperienza ha dimostrato profìcui, e ri-
chiesti ben anche dalle varie indicazioni. Quindi se
si tratta di apparecchio esantematico in un individuo
di sana e robusta costituzione , in età florida , dì
temperamento eccitabile , con febbre valida , polso
duro, contratto, calore sensibilissimo alla cute, sub-
delirio ec. purché non vi sia congestione, o infiam-
mazione di visceri, né profuso sudore, si sperimen-
tarono utili le fredde affusioni, praticate prima che
accada l'eruzione, onde diminuire la forza riprodut-
tiva del contagio , e scemare l'impeto di morbosa
reazione organica. Gli antichi medici nelle febbri ar-
dienti,. da essi chiamate maligne, solevano prescrivere
l'uso delle acque freddissime ; metodo impiegato da
Ippocrate in quella specie di febbre, cui dava il no-
me di tifo. Raccomanda anche Celso questa pratica
salutare, abbracciata in seguito dai più distinti cli-
nici. Aezio scrisse sull'uso dell'acqua fredda nei tifi
contagiosi, inculcando di non prescriverla sul prin-
cipio, né sul declinare di tali malattie. Hahn, in oc-
casione di tifo epidemico , ricorse con molto suc-
cesso a questo semplicissimo rimedio: ad esso venne
accordato il merito delle straordinarie guarigioni che
si ottennero. Cirillo curava le febbri ardenti con-
tagiose coll'uso generoso dell'acqua diacciata. Currie
in Inghilterra, Giannini in Italia, ed i loro proseliti,
si occuparono dei bagni freddi nella cura di alcuni
morbi esantematici. Essi non ne limitarono però la
pratica, come era necessario, al solo periodo d'in-
vasione, ma vollero che se ne continuasse l'applica-
231
zlone, anche accaduta la completa eruzione, per tron-
care il corso della malattia.
1 pericoli che include questo metodo ardito di
trattare bruscamente i morbi eruttivi febbrili, senza
dare alcun peso alle interne metastasi che ordina-
riamente ne avvengono , debbono persuadere ogni
medico prudente ed espei'io, a non seguire per in-
tero siffatte dottrine, la di cui applicazione nell'eser-
cizio clinico espone a gravi cimenti la vita degl'in-
fermi. La esperienza ha insegnato che le fredde af-
fusioni, per quanto siano vantaggiose, ed indicate
nell'avanzato periodo d'invasione , allorché il male
presenta i già descritti caratteri , altrettanto sono
nocive, e da bandirsi, determinato alla cute l'esan-
tema. La temperatura del bsigno dovrà essere pro-
porzionata alla costituzione del malato, alla sua sen-
sibilità, ed alla violenza dei sintomi: d'ordinario la
più bassa si è stabilita circa x8R. la massima x 18R.
Non mancarono dei medici , che non ebbero diffi-
coltà di ricorrere alle stesse frizioni di ghiaccio, in
vece dei bagni freddi, come si è tentato in questi
ultimi tempi con qualche successo nella epidemia
miliare della Toscana. Metodo sperimentato utile da
insigni pratici in altre malattie contagiose , stante
che si è costantemente osservato, che sotto una bas-
sissima temperatura ogni seminio contagioso piiò
essere distrutto, prima che venga riprodotto per leg-
gi organiche , o per lo meno attenuata ne rimane
la potenza, per cui meno violento mostrasi il corso
della malattia. Samoilowitz nella peste di Mosca si
avvalse delle frizioni di ghiaccio, per vincere o mi-
norare la ferocia del contagio pestilenziale , il piiì
232
terribile e micidiale che s'abbia la specie umana.
Hildebrand nella opera classica sul tifo contagioso
raccomanda ai pratici di ricorrere ai bagni freddi,
o alle fregagioni di neve , appena che appariscono
segni precursori della malattia, onde distruggere la
materia contagiosa. Tanto le immersioni, che le fred-
de affusioni, debbono essere praticate più volte nelle
esacerba/ioni febbrili, tostochè gl'infermi si veggono
molestati da intenso ardore e da grande ambascia.
Saranno le medesime sempre controindicate, laddove
la miliare grave trovasi associata a locale infiamma-
zione, o tendenza a congestioni inflammatorie, nel
puerperio, nelle macchine delicate e malsane, nel-
l'età avanzata, nei temperamenti linfatici, quando
la febbre è mite, con polso debole, minuto, frequente,,
poco calore, prostrazione di forze.
Non minori indagini i-ichiede il salasso nella cura
della miliare, non essendo certamente in tutt'i casi
indicato. Conviene ricorrere a questo valido pre-
sidio dell'arte , quante volte la malattia si mostra
con quell'apparato fenomenologico, che fa conoscere
la prevalenza del processo irritativo-flogistico, an-
nunziato da febbre vigorosa ed ardente, con polso
grande, duro, vibrato, sete, fisonomia accesa, dolor
di capo, affanno, oppressione ai precordi: se a questi
sintomi vi si aggiungono la costituzione epidemica,
con diatesi infiammatoria, l'età vegeta, iì tempera-
mento pletorico, non devesi differire il salasso, prima
dell'eruzione: ripeterlo anche, se costante persiste
ta violenza dei morbosi fenomeni, che costituiscono
la malattia. Né si creda che la flebotomia arresti
lo sviluppo dell'esantema, giacche si è rimarcato che
23H
piuttosto la soprabbondanza del sangue forma un'o-
stacolo aireruzione. La verità di questa asserzione
viene confermata da non pochi esempi, e dalPau-
torità di rispettabili clinici. Nell'epidemia miliare di
Novara del 1755 fu tale la diatesi infiammatoria ,
come osservò de Agostini (1), che nessuno dei ma-
lati scampava dalla ferocia del morbo , se non si
apriva più volte la vena. Lo stesso Allioni consiglia
il salasso nella miliare grave, e di ripeterlo, se la
imponenza dei sintomi lo esige, sempre colla scorta
dei polsi.
Non v' ha dubbio, che molte debbono essere le
cautele d'aversi nel prescrivere questo grande sus-
sidio terapeutico, e non limitarsi alle sole apparenze
sintomatiche: è mestieri altresì di non perdere di
vista la natura esantematica del morbo, e la facilità
che ha esso di assumere il carattere nervoso , per
non eccedere nel metodo depletorio, utile d'altronde
se moderatamente istituito dietro giuste indicazioni:
dannoso, non che fatale all'opposto, quante volle la
cura della miliare si volesse intieramente commet-
tere ai ripetuti e larghi salassi. Havvi dei casi di
miliare larvata, oppure complicata a gravissime e
squisite infiammazioni organiche, in cui si rendono
indispensabili le reiterate emissioni di sangue , per
abbattere il processo flogistico, che minaccia di al-
terare profondamente l'intima tessitura, e disorga-
nizzare il viscere attaccato di flogosi. Nella febbre
miliare associata a metritide, o peritonitide con sop-
ii) Osservazioni medico-pratiche intorno alle febbri oiigliari.
Novara 1755.
234
pressione di lochi, giovano le sottrazioni sanguigne
generali e locali convenientemente praticate, in rap-
porto cioè al grado della infiammazione e costitu-
zione della malata, senza trasandare nel medesimo
tempo l'uso degli altri rimedi antiflogistici.
Si è sempre agitata grave questione fra i pratici,
se l'emissione di sangue può aver luogo dopo ac-
caduta l'eruzione, se sperimentansi costantemente i
tristi effetti della retropulsione esantematica, quante
volte viene praticata , ed in quali imperiose circo-
stanze conviene ricorrervi, quantunque la cute tro-
vasi coperta di numerose papule. La esperienza ha
fatto conoscere, che non deve essere sempre escluso
il salasso in tutt'i casi, anche nello stadio di com-
pleta eruzione, né temere la retrocessione dell'esan-
tema , quando la prescrizione del rimedio poggia
sopra giuste indicazioni. In conferma di siffatto prin-
cipio non mi sembra inopportuno ricordare una epi-
demia di febbre petecchiale, che infestò la Lombar-
dia nel 1587 descritta da Andrea Treviso; opera
di cui Haller fece un sunto bastevole per ecci-
tarne l'attenzione. Leggesi in essa che la fleboto-
mia giovò perfino nel quindicesimo giorno: ricom-
parvero anche allora le petecchie : osservazione
assai interessante, con cui cootraddicevasi agli antichi,
i quali credettero indispensabile il circoscrivere la
suddetta operazione a certi giorni, e ad alcuni dati
periodi nelle malattie eruttive. Malgrado questi fa-
vorevoli successi richiede il salasso la massima cir-
cospezione e prudenza per parte del medico ^ du-
rante l'eruzione. Non dovrà prescriversi, se non quando
una profonda infiammazione di qualche viscere si è
235
già associata alla miliare, sostenuta da febbre intensa,
polso vigoroso, calore cutaneo eccessivo. Le sottra-
zioni sanguigne locali si riconobbero non solo utili,
ma divengono necessarie in queste emergenze, in cui
bisogna usare del salasso generale con mano sospesa.
Nella febbre puerperale con infian)mazione di utero,
o dipendenze, diminuzione di lochi, riuscì profìcua
l'applicazione di sanguisughe alle pudende , oppure
alle vene emorroidali negl'individui soggetti perio-
dicamente a questo flusso sanguigno, e da qualche
tempo soppresso , in particolare se la congestione
infiammatoria è a carico del sistema gastro-epatico,
0 splenico. Se idiopaticamente attaccale si videro le
meningi, o l'encefalo, continuato il delirio , non si
astennero ì pratici di ricorrere all'applicazione della
coppa magna all'occipite con scarificazioni. Rimedio
utile nei primi periodi della malattia , infruttuoso
allorché la congestione cerebrale è fatta. completa,
per mancanza di reazione vascolare. Il sanguisugio
alla regione temporale, o mastoidea, corrisponde alla
stessa indicazione.
Sebbene frequente osservasi nella miliare la con-
dizione flogistica, che richiede apposito e circospetto
trattamento curativo, pur non di rado in mezzo alla
stessa epidemica costituzione infiammatoria accade
di rimarcare sintomi nervosi in questo esantema, ed
anche trasmigrazione di diatesi: allora la malattia
esige una cura eccitante, proporzionata al grado di
depressione delle forze vitali, all'apparato sintoma-
tico, e periodo del morbo. I temperamenti linfatici,
le macchine esauste da emorragie e da altre ecces-
sive evacuazioni, da patemi di animo deprimenti ec.
sono maggiormente esposte alla diatesi dissola-'
tiva, distinta dallo stato adinamico, cioè febbre con
polso debole, esile, poco calore, occhio languido,
fisonomia abbattuta, lingua umida, ricoperta di muco
biancastro, pochissima sete, eruzione miliare ritar-
data, parziale, di minute papule, ed anomala. Quante
volte apparisce questo complesso di sintomi, la cura
deve essere del tutto opposta a quella della miliare,
che presenta sintomi infiammatori, per cui le be-
vande fredde, i bagni, il salasso, utilissimi rimedi
allorché l'esantema è preceduto ed accompagnato
da febbre vigorosa, con polso duro, vibrato, calore
sensibile, sarebbero al certo perniciosi praticati in
momenti, in cui la malattia offre delle condizioni
ben diverse. Ogni qual volta che languida mostrasi
la reazione del cuore e delle arterie, le forze de-
presse, l'indicazione è di eccitare la fibra con pro-
porzionati, stimoli a reagire in modo, che possa com-
piersi il processo esantematico , col percorrere la
miliare regolarmente i propri stadi. Incominciando
dalla bevanda , deve essere calda, leggiermente
eccitante: il malato resterà sufficientemente coperto,
l'aria della camera di una media temperatura, l'estre-
mità inferiori ben difese, e riscaldate dalle lane o
fomentazioni. È efficace in questo periodo l'uso del-
l'acetato ammoniacale diluto, come rimedio atto a
disporre e portare alla cute il fomite miliare, col
favorire l'eruzione.
Se ad onta di sì semplice e blando metodo cu-)
ralivo, qual si conviene a male incipiente, continuasse
la fisica inerzia, la prostrazione delle forze, sempre
più oscillante apparisse il sistema de'nervi, il polso
237
pìccolo, depresso, è indispensabile allora ricoireie
a mezzi terapeutici piìi energici, e di sperimentata
azione corroborante. La corteccia peruviana è senza
dubbio in questi casi farmaco validissimo, ammi-
nistrata in decozione satura, in estratto, o in pol-
vere come praticarono Borsieri, Baraldi, Gastellier
con favorevole successo: poicbè videro i citati scrit-
tori sotto r uso di sì grande rimedio eiigersi le
forze, rinvigoriti i polsi, promossa l'eruzione , con
esito fortunato. Fummo noi stessi spettatori, sono
ormai venti anni, dei buoni effetti della china in un
caso straordinario di miliare. Trovandoci in quel-
Tepoca sotto la direzione di espertissimo clinico, ci
accadde di osservare il corso di una 'febbre miliare
puerperalé, in una giovane primipera, di delicata co-
stituzione con prevalente diatesi nervosa. L'eruzione
apparve nel decimoquarto giorno della malattia, li-
mitata al collo, al petto, di minutissime papule cri-
stalline, massima depressione di forze , sussulto di
tendini, polso esile, frequente, subdelirio. Nel deci-
mosesto aggravarono i sintomi ad un grado, che s'in-
cominciava a disperare della vita dell'inferma. In tale
stato di cose, si passò immantinente all'amministra-
zione dell'estratto di china e valeriana silvestre a
dose generosa, per cui videsi il movimento vitale
gradatamente aumentale, risorgere i polsi, estendersi
l'eruzione alle braccia, al dorso, ai lombi, infine dopo
lunga malattia si ottenne perfetta e completa gua-
rigione. • '
Nel novero dei medicamenti raccomandati da
esperti medici per la cura della miliare tifoidea, la
canfora si tenne in conto di valido eccitante , da
238
prescriversi quando prevale lo stato adinamico, fre-
quenti deliqui , convulsione , delirio , polso piccolo
e debole, stentata e parziale eruzione. Hìldebrand
la giudicò un eccellente rimedio nell'epoca ner-
vosa del tifo ; in simili occorrenze si è sempre
amministrata con qualche successo. Può unirsi alla
china, alla valeriana per accrescerne l'azione, variane
done le dosi, secondo l'idiosincrasia del malato, e la
tolleranza dello stomaco. Agisce potentemente sui
nervi, spiegando forza eccitante diffusiva, atta perciò
a promuovere la diaforesi, mantenere alla cute l'eru-
zione, 0 accelerarla se tarda ad apparire: calma in
fine alcuni sconcerti nervosi, alleviando i sintomi più
gravi della malattia. Non si è trascurato in medicina,
come rimedio stimolante, l'uso del vino generoso a
dose tenuissima, se vi è atonia, per eccitare la fìbi-a
a modorata reazione, ed aiutare la natura, che minac-
cia di soccombere oppressa dalla potenza del morbo.
Per accrescere l'energia vitale i medici nelle loro
cliniche ricerche non si limitarono ai soli rimedi
interni, riconobbero essi utili taluni presidi esterni,
cioè i rubefacienti, i vescicatori, gli epispastici in ge-
nere (non mai da applicarsi in principio di male) per
sollecitare la ritardata ed imperfetta eruzione , o
richiamare alla pelle l'esantema, se vi è stato de-
viamento, quando vi è coma, letargo, affezione ca-
tarrale, flusso di ventre, fenomeni patologici sostenuti
il più delle volte da metastasi miliare, a carico di uno
o più visceri, di cui .si osservano lese le funzioni.
Secondo le dottrine che si professano, i vescicatori
agiscono primieramente come forti stimolanti, pro-
pagando dalle esterne alle interne parti dell'economia
239
animale un grado di eccitamento, proporzionato al
particolar temperamento del malato, ed alla assorbita
quantità del principio medicamentoso, ed è questa
l'azione generale delle cantaridi. Segue il processo
locale, effetto di azione topica, controirritante, di-
retta a condurre, o richiamare all'esterno il principio
esantematico , per cui viene scemato , o tolto del
tutto in alcuni casi speciali quel complesso di sin-
tomi, che costituiva una malattia interna. Dietro le
accennate proprietà, desunte da dati scientifici, e
da imparziali osservazioni, vedesi chiaro di quanta,
utilità può essere l'uso di questo efficacissimo agente
terapeutico nelle mani di prudente ed esperto clinico,
tutte le volte che l'esantema si appalesa con grave
prostrazione di forze, e languida eruzione cutanea.
Un rimedio , di cui forse con troppa frequenza
si avvalsero gli antichi medici, e che oggidì alcuni
sistematici vorrebbero proscrivere dalla medicina, è
l'oppio. Scrittori distinti non sono di comune accordo
sulla pratica di questo medicamento nella miliare.
Anioni, de Agostini lo credono non solo sospetto,
ma dannoso. Non così opinarono Molinari e Bor-
sieri, i quali non lo esclusero onninamente in tutte
le eventualità dell'esantema. I primi che giudicarono
la miliare associata sempre alla diatesi infiammatoria
con proclività a congestioni, o flogosi viscenli, febbre
vigorosa, polso pieno, duro, sviluppato ec, stimarono
perniciosa l'amministrazione di tal farmaco. Quante
volte la malattia è caratterizzata dagli esposti sin-
tomi, controindicato certamente è l'oppio. De Ago-
stini consiglia in vece l'emulsione di semi di papa-
vero, allorché vi è bisogno di conciliare il sonno ,
240
sedare lo spasmo, il delirio, la convulsione. Gli altri
eitati scrittori all'opposto, appoggiati alle proprie os-
servazioni, non disprezzarono l'uso degli oppiati nella
stessa rniliare complicata alla pleuritide acutissima,
od altre infiammazioni, amministi-ati dopo i ripetuti
salassi e i diluenti, domata cioè la flogosi, perso-
pire in parte l'accresciuta sensibilità , o vincere lo
spasmo; epifenomeni sostenuti sovente dall'acre mi-
liare che irrita i nervi, piìi che dal processo inflam-
matorio. Hildebrand riguarda l'oppio nel tifo gene-
ralmente nocivo: nei soli casi di delirio furioso, di
dissenteria, di diarrea debilitante, lo crede indispen-
sabile. Conviene astenersi di propinarlo nella miliare
puerperale , per non sopprimere il flusso lochiale ,
essendo proprietà dell'accennato medicamento arre-
stare qualunque evacuazione, meno la diaforesi. La
convulsione che parte dallo stato adinamico, ed il
singhiozzo per spasmodia, possano reclamare l'uso
di qualche sedativo.
Rimane a far cenno dei rimedi emeto-catartici.
Abbiamo già altrove esposto che V emetico ammi-
nistTato nel periodo d'invasione è valevole talora a
troncare il corso della malattia, eliminando colle ma-
terie del vomito il principio contagioso. Vi sarà tutta
la indicazione di prescriverlo, se si manifesteranno
segni di colluvie gastrica, che opprime lo stomaco:
essendo l' emetico il rimedio il più conveniente e
diretto, per vincere siffatta complicazione. Epicratica-
mente amministrato» meglio corrisponde, ed è pjìi si-
curo nei suoi effetti, di quel che sarebbe tragugiato in
una sola dose. Il tartaro emetico,, a modo di tutte
le altre preparazioni antimoniali , promuove spesso
241
profuso sudore , e serve a determinare l'eruzione.
Se l'impurità è nelle seconde vie, l'alvo chiuso, o
scarse le deiezioni, vedendo che le sole forze della
natura non sono bastanti ad espellere le materie,
che ristagnano negl'intestini, è mestieri ricorrere ai
blandi lassativi. Sotto l'uso di essi apresi modera-
tamente il ventre , vengono in tal modo eliminati
quei materiali eterogenei ed irritanti, che fanno spes-
so la miliare complicata: spontanea, facile allora ap-
parisce r esantema. Gli oleosi debbono essere pre-
scelti , perchè pienamente soddisfano alle richieste
indicazioni. I preparati mercuriali non furono negletti,
ed il protocloruro si preferì ad ogni altra prepara-
zione, in particolare se apparvero indizi di vermi-
nazione. I clislieri convengono in tutti gli stadi, uti-
lissimi quando è accaduta l'efflorescenza, per evitare
ogni altro medicamento, sospetto in questo periodo.
Accaduto il disseccamento delle papule, non devesi
ulteriormente differire qualche leggiero minorativo,
ad oggetto di tenere lontani i morbi di successione,
non difficile ad osservarsi, terminato il corso della
miliare, massime se la convalescenza si mostra ir-
regolare e protratta.
Trattandosi della cura di un morbo versatile ,
con marcate tendenze ad associarsi a varie ed op-
poste malattie, era ben difficile seguirlo in tutte le
sue vicissitudini, senza timore di oltrepassare i con-
tini di una succinta memoria: ed è perciò che ci sia-
mo ristretti alla miliare pretta, semplice, e ad al-
cune complicazioni più frequenti a rimarcarsi nel
pratico esercizio. Nulla potendosi stabilire intorno al
metodo curativo della compHcata ed anomala, men-
G.A.T.CXLIV. 16
242
tre dovrà variare , o essere modificato, secondo la
natura e l'indole del morbo, che si affaccia in com-
plicazione, senza perdere di vista in pari tempo l'af-
fezione esantematica, adottando una cura mista ra-
zionale, conveniente sì all'una, che all'altra malattia,
che nell'atto clinico il solo criterio medico potrà
suggerire.
Seguendo i sani precetti di medici esercitati, e
distinti, un metodo innocuo di cura vale a dire i
rimedi temperanti, i diluenti, il regime dietetico ben
inteso, utile nei morbi acuti in genere, rendesi in-
dispensabile nei mali esantematici, di cui spesso la
natura sa trionfare , con l'aiuto di blandi sussidi :
come all'opposto rimane il più delle volte attraver-
sata nelle sue mire dalla intemperanza dei medica-
menti. E necessario dunque investigare colla mag-
giore accuratezza nel primo periodo del morbo mi-
liare, s' è indicato il salasso , l'emetico , o qualche
leggiero eccoprottico , per ricorrere prontamente a
siffatti presidi dell'arte, e quindi affidare il resto della
cura ai diluenti, ed alla forza medicatrice. Quante
volte però nel corso dell'esantema insorgono dei gravi
sintomi, o delle morbose complicazioni, che richieg-
gono più energico trattamento, fa d'uopo allora av-
valersi di tutti quei mezzi, di cui si è già abbastanza
trattato, e che una lunga esperienza ha- sanzionati:
mentre dall'analisi dei fatti, dal confronto delle os-
servazioni, e dalle induzioni che ne derivano , trae
la medicina i veri suoi fondamenti e le giuste in-
dicazioni (1).
(1) Il non aver fatto parola della parte profilattica nella cura
dì un morbo contagioso, sembra aggiungere una non piccola lacuna,
243
a tante altre, di cui J^ piena forse questa monografia: giacché non
posso ignorare che uno dei primi e grandi servigi, che la medi-
cina può rendere alia società , si è di prevenire i mali, in specie
contagiosi. E precetto del gran Boerahave: Morbos, ut in semine la-
tentes, praecavere. Ma ho creduto potermi astenere di entrare in
siffatta materia, senza commettere grave mancamento, per il riflesso
.che il morbo miliare è soggetto alle leggi generali sanitarie, co-
muni a tulli gli altri contagi , argomento trattalo eo" profe^fo in
opere classiche di medica polizia, e pubblica igiene. Convieiij ag-
giungere, che reso già il contagio miliare da secoli indigeno in Eu-
ropa, non resta, nello, stato attuale della scienza, ai medici ed a chi
presiede alla somma delle cose, che di essere ben guardinghi col cer-
care di soffocarne i primi germi, che si sviluppano, distruggendo
ogni centro d" infezione, con pronte ed energiche misure sanita-
rie, relative all'isolamento- mentre se l'adagio divìde, et impera, è
principio vero in politica, diviene l'ancora sacra in medicina, trat-
Lindosi di malattie contagiose.
Pio Belloni.
244
Esposizione dei drappi di lana e seta fatta in Boma
nelle sale del Campidoglio dal giorno 15 aZ 25
di settembre 1856.
I
1 municipio l'omano recavasi a pregio di porre a
disposizione del ministero del commercio e lavori
pubblici le vaste sale del palazzo senatorio al Cam-
pidoglio, affincbè col dovuto splendore si effettuasse
la esposizione dei panni di lana, delle sete grezze,
e dei tessuti di seta nostrali , la quale ebbe luogo
con pubblica soddisfazione e numeroso concorso dal
giorno 15 al 25 del passato settembre.
Il ministero anzidetto bone avvisando il gran-
dissimo utile cbe ne ritrae lo stato quando siano in
fiore le manifatture e quando gli altieri, che vi danno
opera si tengono nelle continue emulazioni, reputò
opportuno far collocare in vaj^a ordinanza nelle splen-
dide sale enunciate quei tre diversi generi di mani-
fatture. Quindi volle chiamare i più valenti periti a
pronunciare il loro giudizio sulla qualità, perfezione
e bellezza de'lavori ad effetto di rimunerare conde-
gnamente quei fabbricatori che si erano più distinti:
prudentissimo pensiero, poiché dal loro esempio sa-
ranno mossi anche gli altri a segnalarsi nella nobile
gara che si ammira in oggi fra i nostri prodotti con
quelli stranieri.
E qui giova osservare a lode del vero come i
panni di lana, posti all'esposizione, hanno pienamente
corrisposto alla pubblica espettazione , essendosene
fatte encomio sì per la sottigliezza ed ugualissimo
245
filato, si per l'orditura de'tessuti pure ugualissimj,
come per la vivacità de'colori e per la sicura loro
durata; tal che da persone intelligenti si afferma che
tali manifatture progrediscono nella loro fabbricazione
ed offrono di giorno in giorno un apparecchio,secondo
che chiede il gusto attuale e l'uso de'tempi. L'es-
sersene poi accresciute molte fabbriche, mentre di-
mostra che di questi drappi si aumenta il consumo,
ci porge pure una prova non dubbia della loro per-
fezione e bellezza.
In secondo luogo facevano bella mostra di se nelle
sale ridette ben quarantasette campioni di seta grezza,
sebbene fosse questa la prima esposizione. È inutile
qui richiamare alla memòria quanto la industria della
seta sia stata coltivata nelle primarie città d'Italia,
essendosene fatto onorevole menzione nel giornale
di Roma degli 11 ottobre passato , dal quale ab-
biamo tratto queste notizie. Né certo vi può essere
industria che esiga opera maggiore d' uomini, e più
maniere di lavori, quanto quella della coltivazione della
seta. Prende essa principio dalla coltura de'mori gelsi,
quindi passa all'educazione dei bachi, poscia viene
all'attivazione delle filande; inflne siffatta industra si
associa convenientemente all'agricoltura, gira pres-
soché in tutte le case, e vi porta la ricchezza e la
vita.
Anche nello stato pontificio, come si è annu-
ciato opportunamente nel ricordato giornale di Ro-
ma, la industria della seta si è eslesa felicemente nella
Marca e nella Romagna. Nei grandi mercati di Europa
ha figurato da molto tempo tra le prime la seta di
Fossombrone ; Osimo e Meldola non hanno ceduto a
246
nessuno nel paragone. Quindi la industria dilatandosi
dalle Provincie superiori dello stato, si va propagando
nelle contermini di Roma. Ed è a sperarsi che questa
doviziosa industria rispondendo agVimpidsi del governoy
ingrandisca le sue proporzioni, e possa un giorno ga-
reggiare con quella del Piemonte e della Lombardia.
Da ultimo si videro esposti i tessuti di seta, e
vari drappi operati, de' quali si ammirò così l'ugua-
glianza del lavoro come la bellezza del tessuto e la
vivezza delle tinte, niente meno lodati di quei tes-
suti fabbricati in Lione e in Torino; e giova spe-
rare che i fabbricatori proseguendo con impegno e
costanza in questo ramo d' industria che torna sì
vantaggioso e onorevole allo stato, recheranno sem-
pre pili a perfezione i loro lavori , e corrisponde-
ranno in tal modo alla protezione pubblica ed efficace
che il ministero del commercio loro accorda.
Ora classificando i lavori, de' quali si è finora
parlato, colla scala di merito determinata dal mini-
stero del commercio e lavori pubblici secondo il giu-
dizio imparziale pronunciato dai periti, sulle basi della
notificazione del 21 agosto 1835; riporteremo a
cagion di onore i nomi di quegli industrianti e fab-
bricatori, a'quali vennero retribuiti premi ed elogi,
tenendo l'ordine che segue.
Drappi di lana.
Si riportano i nomi dei fabbricatori, i quali in
questo anno esposero i loro drappi alla pubblica vi-
sta, e de'quali è dovere serbare grata memoria. So-
no essi :
247
March. Gio: Batta Guglielmi.
Michel Angelo Tavani.
Ignazio Magliocchetti e Francesco De-Vecchis e
compagni.
Filippo Manservisi e compagni.
Luigi Pasquini q. Giuseppe, e Giovanni.
Maria Matteuzzi di Bologna.
Domenico Zuccarelli di Spoleto.
Fratelli Benucci di Perugia.
Francesco Castagnucci, Giovanni Pomella.
Francesco Lepidi e Sisto Di Stefano di Alatri.
Alessandro Amandolini.
Agostino Angelucci, Andrea Belardini.
Filippo Giacobelli, Felice Biagio Mori
Gio: Battista Tonnarelli ed Antonio Pettinelli di
Matelica.
Prima classe.
Si è data la prima ed amplìssima lode al Gu-
glielmi di Roma per un satin nero, un panno ama-
rante, ed un paonazzo di molta bellezza e splendore.
Lode eguale si è data al Manservisi per due satin:
uno bleu nel dritto? e nero uel rovescio; l'altro tutto
nero; e per due panni: il primo nero ed il secondo
bianco, da superare per la sua qualità ed eccellenza
ogni altro lavoro.
Seconda classe.
Si è fatto encomio del Zuccarelli di Spoleto per
la bellezza di due pezze di panno : l'una bleu, l'al-
tra bronzina.
248
Terza classe.
Ha riportato elogio la Mattcuzzi di Bologna e il
Zuccarelli: la prima per due panni neri, ed il secondo
per due panni: Tono bleu e l'altro verde.
Quarta classe.
Ha meritato parimenti encomio il Manservisi per
un tiberien misto rena d'oro, tessuto di finissima lana
e di sorprendente lavoro, non che per altre due pezze
di tiberien misto. Quindi furono reputati pur degni
di lode quattro tiberien misti moda del Guglielmi,
un panno rena d'oro della Matteuzzi, tre panni bleu
verde e nero dello Zuccarelli , un panno nero del
Magliocchetti , ed un panno nero ed un bleu del
Bonucci.
Finalmente furono pur lodati i fabbricatori di
Àlatri e di Matelica por le loro manifatture di panni
grevi e di forza ad uso de' manovali ed artieri. S
ò poi in ispecial modo distinto il Manservisi per
suoi quattro cachemir coloretti, fuori classe, tutti
di bella lana, di buon tessuto e di eccellente colore
tra i quali il solo quadrigliato fu giudicalo bastante
a porlo in fama di valente fabbricatore.
Campioni di seta grezza.
Albano Marchese Luigi Colucci
Amandola Saverio Sereni
Ancona Daniele Berretta
Ancona
Ascoli
Bologna
Bologna
Bologna
Bologna
Brisighella
Caldai'ola
Canierino
Casolavalsenio
Città di Castello
Fano
Fano
Forlì
Fossombrone
Fossombrone
Fossombrone
Fossombrone
Fossombrone
Fossombrone
Foligno
Grottamare
Imola
Masaccio
Meldola
Meldola
Osimo
Osimo
Osimo
Osimo
Perugia
Pesaro
249
Vincenzo Morlacchi
Silvestri e Tranquilli
Ercole Calza
Giulio Sabatini
Giuseppe Oppi
Ulisse Melloni
Michele Lega
Gaetano Mariotti
Francesco Sarti
Coniugi Tosi
Giosuè Palazzeschi
Coniugi Masetti
Piale e Masetti
Leopoldo Gregorini
Aldegonda Mariani
Corrado Hoz
Giuseppe Oberolther
Luigi conte Buffoni
Mattia Ghetti
Pasquale Bacchi
Domenico Salari
. Carlo Fenili
Francesco Maria Massa
Giovanni Manganelli
Principe Doria
Marianna Mazzi ved. Ricci
Benedetto Lardinelh
Fratelli Briganti
Gaetano Mancini
Pricipe Simonetti
Luigi Baldini
Domenico e Amato Giovannelli
Pesaro
Pesaro
Pieve di Cento
Rieti
Rimini
Ripi
Roma
Ronciglione
Sanginesio
Sassocorbaro
Terni
Veroli
250
Gaetano Venerandi
Luigi Vallazzi
Gesti e Rizzoli
Orfanotrofio
Luigi Cardini
Giovanni Tracchia
Egidio Raggi
Maria Speranza
Grifi e Mazzabuli
Andrea Canti
Maria Faraglia
Domenico Brocchi
Sebbene tutte le sete esposte siano state repu-
putate pregevoli, nondimeno avendo superato ogni
paragone quelle del Pardinelli e del principe Doria,
così le due ripromesse medaglie in oro furono ag-
giudicate: la prima al Lardinelli, l'altra al principe
Doria. A ciascuno poi dei susseguenti espositori venne
accordata una medaglia in argento di grande di-
mensione per la bellezza e bontà de' loro campioni:
e si riportano i loro nomi con quell' ordine stesso
con cui vennero indicati nel Giornale Romano, e colla
dichiarazione che tutti diedero prova non dubbia al-
l'esperimento del pregio dei loro lavori. Sono essi
alcuni dei soprannomati, cioè: Venerandi, Giovannelli,
Fratelli Briganti, Bellini, Bacchi, Manganelli, Oppi,
Coniugi Tosi, Colucci, Ved. Ricci, Fenili, Morlacchi,
Baldini, Gregorini, Salari, Hoz, Coniugi Masetti, Man-
cini, Lega, Palazzeschi, Silvestri e Tranquilli, e Ma-
ria Faiaglia.
251
Alcuni altri poi dei sopraddetti, che si riportano
qui appresso, ebbero già un vanto nelle grandi espo-
sizioni all'estero , e venne loro accordato il terzo
premio della medaglia in argento di seconda dimen-
sione. Sono essi: Gesti e Rizzoli, Oberolther, Sereni,
Ghetti, Melloni, Mariotti, Raggi, Maria Massa, conte
Buffoni, Calza, Grifi e Mazzabuli, Canti, Cardini, Viali,
Teresa Masetti, Sarti, Maria Speranza, Orfanotrofio
di Rieti, Brocchi, Tracchia e Sabatini.
Tessuti di seta
Riportiamo con compiacenza i nomi di coloro che
hanno esposto le loro manifatture, e sono: Giuseppe
Arvolti , e Salvaggi e Romanini di Roma, la ditta
Melloni di Bologna, Silvestro Vannucci e Francesco Sarti
di Camerino, e Domenico Brocchi di Veroli.
Fu però aggiudicata la medaglia ad Ulisse Melloni
per la sua pezza lampas a tre colori, e per i suoi
drappi, i quali per la vaghezza del lavoro e per l'ugua-
glianza del tessuto possono paragonarsi a quelli di
Lione e di Torino.
Fu aggiudicato il secondo premio in una medaglia
di argento di grande dimensione al Salvaggi ed al
Romanini, non che all'Arvolti e alla ditta Melloni;
al Selvaggi e Romanini per i bellissimi broccati in
oro, i quali furono reputati del pregio medesimo di
quelli dell'estero, ed hanno superalo le manifatture
di tal genere che si offrivano un tempo alla classe
agiata e doviziosa; all'Arvolti per le sue sciarpe dì
bellissimi colori, ed in special modo per quella tes-
suta in oro; quindi alla ditta Melloni, alla quale fu
252
data eziandio molta lode dai periti per una pezza di
gros tessuta a quadri bianchi e cilestri , senza dir
nulla del raso nero, e delle altre stoffe.
Da ultimo venne accordato il terzo premio di una
medaglia pure in argento di seconda dimensione al
Brocchi per i suoi veli, lavoro pregevole e di diffi-
cile esecuzione: non che al Vannucci ed al Sarti pei
loro taffettani di più colori, reputati pur meritevoli
di molta lode-
fi qui vogliamo riferire non poche grazie al varie
volte lodato ministero del commercio e lavori pub-
blici, il quale ha saputo con grave senno e prudenza
promuovere questo ramo di vita industriale, conce-
dendo premi ed onori ai più benemeriti operatori ,
e ponendo così un acuto stimolo negli animi degli
altri ad imitarne l'esempio col portare a perfezione
i loro lavori; i quali quanto più si moltiplicheranno,
tanto più grande sarà l'utilità che potrà ritrarne la
classe volenterosamente laboriosa non solo, ma sì bene
lo stato, che per via dell'industria e del commercio
può risentire i vantaggi della vera e non effimera ric-
chezza.
P. BlOLCniN!
253
Dimostrazioni dei principii fondamentali della pato-
logia e della terapia, di Francesco Ladelci dottore
in medicina. Roma 1854.
Medicina omeopatica domestica del' dott. C. Hering.
Roma 1854.
Patologia pratica, ovvero elementi di clinica omeo-
patica, di Giuseppe Migneco. Roma 1855.
Sulla medicina pratica discorsi di Giuseppe Migneco.
Roma 1855.
A>
il veder qui annunziate tante scritture risguardanti
la medicina dei sinnili, e fatte di pubblico diritto fra
noi in breve intervallo di tempo, ognun si accorge
come porgasi essa operosa, e in atto di battagliare
con chiunque osasse recarle offesa, o attaccarvi bri-
ghe : dal che noi vorremmo tenerci quanto più si
possa lontani. Il mondo è ornai sazio di contese me-
diche, e aspetta il giudizio definitivo del tempo, sag-
giatore spertissimo in diseernere il vero dal falso.
Perciò indossando la sua divisa, non sapremmo in-
tanto lodare il contegno del Pradieri (1), che in una
sua memoria ha ripicchiato or ora questo punto ,
del quale non è da sperare alcun sodo profitto alla
medicina, né alcuna sincera conciliazione tra' medici.
Ed infatti o vi dirigete ai curanti, ed è stoltezza il
presumere che dopo aver disertato apertamente il
(1) Stranezze ed assurdità della omeopatia. Bologna tipografìa
dell'Ancora 1856.
254
campo della medicina universale vogliano ora can-
tare la palinodia, e darsi convinti ; o volgete il di-
scorso ai clienti, e questi o non vi ascoltano, o non
v' intendono. L'umana gente quale difettosa di edu-
cazione letteraria, quale aggravata dalle fatiche, e
quale distemperata nei piaceri, è scarsa di savi par-
titi, e non ha critica che basti a premunirsi dalle
lusinghe dei larghi promettitori di guarigioni pronte,
sicure e senza incomodi. E come poi maneggiar la
polemica coi proseliti del riformatore alemanno ?
Non par lecito usare lo scherno in dispute che rì-
ferisconsi alla vita degli uomini ; e poi le sue pun-
ture aspreggiando gli animi,li recano a incaponirsi piiì
forte nel loro proponimento. Se invocate la solenne
testimonianza dei secoli, vi rispondono che per l'arte
salutare furono tutti favolosi , e mettono al niente
tutto in un' ora le fatiche passate. Vi munite del-
l'autorità de' grandi scrittori: e gli adepti all'omeo-
patia, eredi della tracotanza del loro maestro, li con-
dannano tutti allo stesso dispregio. Quei maravigliosi
intelletti di Sydenam, di Boerhaave, di Van-Swieten,
di De Haen, di Hoffman, di Stoll e mille altri di egual
polso non sono eccettuati dalla taccia di aver edifi-
cato un met'o nulla in tutte le sue parti, una com-
passionevole illusione a bella posta intesa ad arrischiai^
la vita umana in mezzo a cieche incongrue cure (Hahn.).
Vi provate a usare il ragionamento Intorno i prin-
cipii generali della patologia: ed essi vi rompono le
parole in bocca esclamando, che neWarte di guarire
la ragione specidatrice non ha voto alcuno {id.)
Rinunziando però al progetto di rinnovare le dis-
pute intorno la dottrina di Hahnemann, non vorremo
255
privare affatto i nostri lettori di qualche notizia delle
opere messe in fronte di questo articolo, come è ap-
punto il debito dei giornali. E cominciando dalla prima,
non sappiamo dissimular la sorpresa leggendone il ti-
tolo: Dimostrazioni, cioè, dei principii fondamenlali
della patologia e della terapia. Ed invero può egli darsi
patologia in una scuola, il cui antesignano sostiene
che ogni caso di malattia sol una volta avvenga, e che
ogni infermo patisca singoiar malore (id. org. §.87),
e che il medico non altro rileva in ogni malattia tranne
le esterne mutazioni che riconosconsi pei sensi ?
Tali principii tendono nullameno che a scardinare
l'edifizio della medicina, e sono incompatibili affatto
colla esistenza di una vera patologia. Questo voca-
bolo suona scienza di comunanze e di differenze mor-
bose, scienza della genesi, della natura, degli esiti
delle malattie, scienza dei rapporti e delle succes-
sioni delle medesime. Il patologo assume qual lemma,
che la malattia sia costituita da una serie di cam-
biamenti operanlisi nell'intimo dell'organismo; a que-
sti ei rivolge la sua attenzione ; di questi ei procaccia
di studiare le somiglianze e dissomiglianze, le cause
e gli effetti, le origini e le terminazioni. La scienza
non consiste nell'appuntare ogni varietà, ogni acci-
dente dei fenomeni, ma nel considerarne i caratteri
essenziali, senza i quali essi non potrebbero mani-
festarsi. Chi non pesca mai nel fondo, chi delle ma-
lattie non considera che la scorza, fermandosi alle
esterne apparenze, chi nelle forme morbose che offre
un individuo non legge e non si cura di leggere al-
cun rapporto con quelle degli altri individui passati
e presenti, non può aspirare al possesso di una pa-
256
tologia, se pria non confondansi i significati dei vo-
caboli e l'arte scambisi colia scienza. Lo stesso di-
cesi della terapia : se non vi sono comunanze di ma-
lattie, se non si ammettono condizioni morbose da
considerarsi in cumulo, come potrà egli parlarsi di
indicazioni e contro indicazioni, di metodi curativi,
di mezzi generali atti a favorire le tendenze della
natura, ad espellere le materie morbose, e rimuovere
gli ostacoli che vi si oppongono? Non vi è adunque
patologia, non vi è terapia generale possibile nella
medicina dei «simili, anzi non vi è possibilità nem-
meno di nominare le malattie, come il maestro stesso
dichiara, insegnando come ogni infermo patisce sin-
goiar malore non suscettivo di ricever nome^ mai più
comparso quale mostrasi in quel caso ecc: (id. §. 87).
Noi non disputiamo qui del valore dell' omeopatia
quale arte di curare, ma sosteniamo che questo si-
stema, tal quale lo ha promulgato Hahnemann, ri-
pugna con qualunque fondamento scientifico. E come
dunque il signor Bering ha potuto darci una Medi-
cina omeopatica, in cui parlasi di congestioni, di in-
fiammazioni, di spasmodie, vocaboli tutti che accen-
nano ad interni cambiamenti dell'organismo, noq a
pure immagini hahnemaniane ? E come pure l'autore
delle Dimostrazioni poteva offerirci un rendiconto di
malattie indicate collo stesso nome di pleuritidi e
pneumoniti, e curate spesso cogli stessi rimedi, quan-
tunque in individui differenti per età, per sesso, per
genere di vita, per stato anamnestico, per condizione?
Od eran malattie simili, e vacilla il principio della
singolarità : od eran diverse , e come vincersi con
gli stessi rimedi ?
257
Ma più che il titolo in cui si parla di patologia
e di terapia che non vi sono, e non si nomina la
dottrina omeopatica che vi è, ne ha dato occasione
di meraviglia la dedica dell'opera. Essa e diretta ai
Sapientissimi preceltori quale attestato di quella pro-
fonda stima e riconoscenza che per esso loro ha sem-
pre nutrito. Un libro che da capo a fondo ripete ,
interpreta, parafrasa, adorna il pensiero del rifor-
matore tedesco: cioè che la medicina è stata finora
una favola^ si intitola a quelli medesimi che l'hanno
insegnata all' autore e che continuavano a dettarle
nel momento in cui le Dimostrazioni vedean la luce.
Senza le vostre dottrine , egli dice , ninno giammai
potrà certamente esser medico: e non pensa che nella
seconda parte avrebbe accusati anche essi precettori
del classico errore, che tutti gli autori di sistemi me-
dici sonosi successivamente trasmesso come una mor-
bosa eredità: e non riflette che avrebbe coronato il
libro con una parenesi ai giovani medici di seguire
la bandiera di Hahnemann, ossia disertare la scuola
dei sapientissimi maestri che insegnano una patologiai
una terapia, una materia medica, che trovasi fino ad
Hahnemann così bambina come Ippocrate la lasciò.
(P. 64.)
Lungi da noi il sospetto che l'A. volesse usare
una derisione verso gli antichi maestri, e siamo anzi
di credere, che egli abbia inteso con dolci e cortesi
parole indorar loro le pillole che Hahnemann volea
far inghiottire a tutti i medici nella sua piena ama-
rezza. Non sapremmo però mandarlo assolto dall'aver
tradita la verità storica inabissando gli scrittori tutti
di patologia, di terapia, di materia medica da Ip-
G.A.T.GXLIV. 17
258
pocrate fino all'autore dell' Omeopatia. Le testimo-
nianze in contrario sono troppo sfavillanti per non
credere che quella proposizione uscì involontaria-
mente di penna all' A. in un momento di bolloi* si-
stematico. Svolgete,© cortesi lettori, le opere genuine
ed anche le spurie d'Ippocrate, e diteci se all'infuori
di alcune considerazioni sugli epidemici, e sui rap-
porti delle malattie al sesso, all'età, alle stagioni, ai
climi ; e tranne pure la dottrina della materia mor-
bosa, della cozione, della crisi, e dei giorni critici,
vi si trovi altro di patologia generale. Aprite ora di
contro un corso anche elementare di questa scienza,
quale insegnasi nelle università di tutti i paesi in-
civiliti , e giudicate se essa sia rimasta così bam-
bina da doverne reggere i passi con mani caritative,
0 se piuttosto sianle già spuntati i denti della sa-
pienza. Vi troverete le differenze essenziali delle ma-
lattie, e i sommi generi delle medesime, il discorso
dei morbi stromentali , e le leggi che governano i
dinamici, i vizi diversi degli umori e la loro origine,
la dottrina dei contagi, dei miasmi, dei veleni e pa-
recchi altri argomenti non toccati dal vecchio di Coo.
Se non che l'A confessa che le prime due di queste
scienze non mancavano di generali principii ma questi
non erano slati né dimostrati ne applicati al clinico
esercizio. Pazienza. Ne si concedesse almeno che la
materia medica dai greci in poi si è arricchita di
molti medicamenti. Noi potremmo annoverare ben
cento droghe ignote ad Ippocrate, alle quali non pre-
concette teorìe ma genuine e ripetute osservazioni
banno attribuite e confermate virtù medicinali. Usasi
con profitto ogni giorno lo stramonio nell'eretismo
259
cerebrale, l'arnica e la noce vomica nelle paralisi, la
valeriana e il sedum acre nelle convulsioni isteriche
e nelle epilettiche, la pulsatilla e la bella donna nelle
affezioni dolorose degli occhi, la digitale e il tasso
baccato nelle palpitazioni, il lichene ed il fellandrio
nel catarro polmonale, il colombio e il magistero di
bismuto nella atonia o nella soverchia irritabilità dello
stomaco, il rabarbaro e il calomelano nelle viziose
secrezioni della bile , i marziali nell'ingrandimento
della milza, l'aloe e la gomma gotta a stimolare la
mucosa intestinale , l'uva orsina nel catarro della
vescica, la canfora per sedare l'orgasmo dell'appa-
rato genito-urinario, il coppaive ed il cubebe contro
i flussi uretrali, la sabina e le secala a determinare
le contrazioni dell'utero, i tamarindi a temperare le
irritazioni delle mucose, e poi il colchico nella gotta,
la coclearia nello scorbuto, la dulcamara nella scabbia,
la bardana nel reumatismo, i preparati di ferro nella
clorosi, il santonico e la corallina contro i lombrici,
la corteccia della radice di granato e lo stagno contro
la tenia. Or di questi (e ci siaai limitati ai più noti)
rimedi non ebbe cognizione Ippocrate, come non potea
averla di tutti gli altri derivatici dal nuovo mondo:
cioè il guaiaco, la salsapariglia, la scialappa, la ca-
scavilla, l'ipecacuana, la contraierva, la poligala, e la
prodigiosa china: farmachi che adoperiamo continua-
mente, e i cui benefìci effetti nelle speciali circostanze
non sono più dubbiosi. Or venga l'A. che avendo in-
segnato materia medica ha dovuto promulgar dalla
cattedra questi fatti, e lacto pectore dichiari solen-
nemente di essersi ingannato, e addenti la riputa-
zione di tutti i medici che pubblicarono le guarigioni
260
ottenute con questi farmachi, nel modo della comun
medicina, e derida la credulità di tutti gii altri, che
accolsero quelle tradizioni, e concluda che da Ippo-
crate fino ad Hahnemann non fu più sanata una ma-
lattia con mezzi ignoti a quel sommo. Una favilla
di critica basta a mostrare la temerità di tal sen-
tenza e a chiarirne che se tali farmachi resisterono
alle vicende dei sistemi, alle rivalità dei medici, alle
vertigini della moda, dovevano avere operato guari-
gioni numerose ed irrepugnabili. La verità storica è
stata dunque bruttamente tradita dicendo che Hah-
nemann trovava la materia medica così bambina come
Jppocrale In lasciò. La prima parte dell'opera è in-
lesa tutta a dimostrare, come ogni malattia che al
medico si presenta deve essere da esso riguardata non
solo come di specifica natura , ma ancora come in-
dividuale e distinta perciò da ogni altra infermità. E
qui o noi andiamo errati, o il discepolo non ha rap-
presentato con rigorosa esattezza l'idea del maestro.
Il vocabolo specifico viene da specie, e ognun sa che
la specie comprende sotto di se molti individui. Dire
adunque che ogni infermità è specifica ed individuale
equivale a dire che sia al tempo istesso una e mul-
tipla. Allorché noi diciamo cause specifiche, rimedio
specifico, non intendiamo causa o rimedio atti a pro-
durre o guarire la malattia di un individuo, ma una
specie di malattia. Il miasma palustre è causa spe-
cifica di quelle infermità che comprendiamo sotto
la specie di febbri periodiche; lo zolfo non è rimedio
alla scabbia di Tizio o all'erpete di Caio, ma è me-
dicamento atto a combattere le specie morbose er-
pete e scabbia. Che poi ogni umana infermità sia
%1
individuale e chi il niega? La pleuritide di Sempronio
ella è deirindividiio Sempronio, e non di alcun altro
individuo : la questione versa nel sapere se le pleu-
ritidi dei diversi individui abbiano tanta somiglianza
fra loro nei caratteri essenziali da costituire una specie:
in modo che pronunziando il vocabolo pleuritide, non
intendesi più la malattia di un individuo, ma una spe-
cie di malattie simili.
Il genuino concetto di Hahnemann si è che. ogni
malattia risulti di un gruppo singoiar di fenomeni,
non mai comparso nel regno delle esistenze, e che
non comparirà più mai. E l'A. delle Dimostrazioni
imprende a confortar questa tesi coi triti argomenti
della pluralità delle cause morbifere e delle loro sva-
riate combinazioni, come pure col noto fatto inse-
gnato nelle scuole, che gli agenti esteriori o igienici
o patogenici o terapeutici, oltre l'azion dinamica sul-
l'universale, spiegano quasi tutti una predilezione per
qualche tessuto, per qualche organo, per qualche ap-
parato organico. Peraltro e la pluralità delle cause,
e la facoltà elettiva degli agenti esterni non bastano
a dimostrare la singolarità di ogni morbo. Moltiplici
cagioni posson turbare gli umani affetti, e pure il
catalogo delle passioni non si accresce ogni giorno,
e non varia ; perocché i modi di perturbarsi dell'ani-
mo sono determinati dalla natura morale dell'uomo,
e non dal numero delle cause perturbatrici. Potran-
no esservi complicanze, cioè più passioni riunite e
talora insieme discordanti, ma si tratterà sempre di
amore, di ambizione, di avarizia, di vendetta, e così
di seguito. Per numerose cagioni si altera pure la
sanità della mente: nò per questo gli alienisti haa
262
mai pensato a moltiplicare le vesanie in ragion delle
origini : ma sono stati concordi nello stabilire un
limitato numero di aberrazioni: e questi limiti gli sono
imposti dalla natura intellettuale dell'uomo, la quale
determina essa stessa i modi diversi del trasviare,
e non ammette che si accrescano all'infinito. E così
pure nell'ordine fisico quantunque siano le cause di
turbamento, limitato è però il numero delle condizioni
morbose , perchè limitati sono i modi di alterarsi
del principio vitale, del chimismo organico e della
grossa fabbrica del corpo.
E come non vedere che abbracciato il principio
delle singolarità morbose, non vi è più alcuna pos-
sibilità di tradizione , non vi è più regola, non vi
è più filo che ne guidi nella cognizione e nella cura
delle malattie ? II medico allevato in questo sistema
dee aspettarsi in ogni sua visita un male mai più
comparso quale mostrasi in quel caso, in quella per--
sona , in mezzo a quelle circostanze , né tale da ri-
comparire mai lo stesso (Hahn. §. 87). Ora in questa
novità e oscurità o dirige il suo giudizio su casi con-
simili, ed eccolo, suo mal grado, recato a formare
le specie ; o è un esempio dissimile affatto da tutti
gli altri, e sarà egli cèrto che frugando nella ma-
teria medica pura troverà una copia conforme per
applicarvi il rimedio ? E bene accadrà spesso che
non la trovi, se come il fondatore lo assicura ogni me-
dicamento pronuncia singolari effetti sid corporea alcuni
sintomi sogliono i rimedi pili spesso provocare, ossia in
più corpi, altri più di rado, ossia in piii pochi uomini;
alcuni altri in pochissimi (id. §. 121). Indefinito sarà
adunque il numero dei morbi artificiali , ossia dei
263
gruppi sintomatici suscitati dai medicamenti: e quan-
do nel pelago di queste immagini avrete pescato quella
che meglio si accomoda al caso attuale, rimanete
anche incerti se il rimedio produrrà in quel corpo
la stessa sindrome di fenomeni.
Un altra incongruità, in cui ci sembra cadere l'A.
nella seconda parte del libro, si è quella di voler di-
mostrare il principio dei simili col precetto insegnato
anche dagli antichi medici di applicare i rimedi gra-
dualmente. E chi non vede quanto sia inopportuno
l'argomento, e quanto i due principi! distin fra loro?
Così nell'ordine fisico come nel morale ogni feno-
meno ha i suoi periodi, e dee necessariamente per-
correre alcuni stadi: volerlo troncare ricisamente, è
contrario a natura. Se ad un uomo acceso di sde-
gno occorri con beffe e con sghignazzate , tu non
forai che rinfocolarvelo; se ad una madre che si strug-
ge di dolore per la perdita di un figlio ti presenti
danzando o col tripudio sul viso, ne addoppierai il
cordoglio; al modo stesso che non potresti tuffare
nell'acqua gelida uom cui si die una febbre gagliarda,
ne trattar colla calda un assiderato. Nel primo caso
dovrai permettere alla bile di svaporare un momento,
e poi molcere l'animo con dolci modi e cortesi pa-
role, e alla donna lasciare il benefico sfogo del pianto,
entrare a parte del suo dolore, e poi lenirlo col bal-
samo delle consolazioni morali, E così l'effervescenza
del sangue, e l'intirizzimento delie membra correg^
gerai con acconcia applicazione di mezzi, che non
subitamente ma a poco a poco riconducano il ca-
lore animale alla sua giusta temperie. Or nulla vi è
in tutto questo che favoreggi il concetto dei simili.
264
Non trattasi infatti di indirizzare all' irato acerbe pa^
role che lo facciano scoppiar di dispetto, né di ag^
giungere dolore a dolore nella contristata: nemmeno
di elevare la temperatura del febbricitante, o di pre-
parare una miscela frigorifica in cui immergere l'as-
siderato, come pur converrebbe fare seguitando la
dottrina di Habnemann: la cura è sibben di contrari,
ma applicata con tal misura, che né il morale né il
fisico abbiano a soffrirne. Così amministriamo be-
vande rinfrescanti al febbricitante, ma di giusto ca-
lore, e da prendersi un poco alla volta: e immer-
giamo l'asfìttico per freddo in acqua ad un grado
di temperatura un pò superiore allo zero in cui tro-
vasi l'assiderato: ricorriamo dopo alla tepida, e quindi
alla calda. In somma convien riarmonizzare la cetera
distemperata stendendo le corde troppo tese, e ca-
ricandole troppo lente, non all'impazzata, ma con
discrezione e misura.
Molto poi sarebbe a dirsi sulla viziosa interpre-
tazione che l'A. ha data ai passi di Ippocrate e sul
gravissimo errore da cui è stato offeso nell'averlo
offerto come il precursore di Habnemann. Chiunque
si conosca un poco della dottrina ippocratica sa bene
come in essa a principio terapeutico non si assuma
né il contrario, né il simile, né il diverso, ma si
inculchi sempre al medico di studiare le tendenze
della natura e favorirle prudentemente: perciò or di^
latare or coarctare ; or succi expellendi , or exsic-
candi o inserendi; altre volte corpus, cutem, carnes
extenuareyincrasso.re aporlel,o\veì'0 lenire, exasperare,
indurare, emollire; dove il convenga, excitare o tor-
porem inducere ; in altri casi derivatione uli oportet
265
ubi revulsioni confestim aliquid concesseris ecc.(Epid.
1. IV. S. 2. tiad. Foes.). E questo pure insegna Ip-
pociate nel passo citato dall'A., ove rispondendo agli
innovatori de'tempi suoi, che volevano ridurre la me-
dicina a più semplici principii, concorre nella opi-
nione che siqiiidem est calidum, aiit frigidiim , atU
siccum, aut hiimidum qtiod hominem laedit, et eum,
qui recte mederi volct, oportet calido per frigidum ,
frigido per calidiim, sicco per humidum, et hiimido
per siccum opilidari (De prisc. med.): ma riflette poi
che di questi soli elementi non si compone la me-
dicina: poiché se, a c.igion di esempio, un individuo
sia gravato da cibo inaffme, e di difficile concozione,
né il male potrebbe riferirsi a predominio di quelli,
né potrebbe correggersi coi contrari, ma farebbe d'uopo
mutare alimento. Che se però abbisognassero pro-
ve della adesione di Ippocrate alla terapia degli op-
posti, se ne potrebbero addurre fino alla sazietà, e
il solo sesto libro degli Epidemici ce ne fornirebbe
parecchi. Così non solo ivi si biasima Erodico per-
ché laborem labore curabal, ma vi si dice espressa-
samente che contraria paulatim inducere oportet et
interquiescere; e poco dopo: Medicatio est obluctantem
esse ncque consentientem affectui. Sic frigidum et au-
xilio est, et qiiae a calido simt tollit: e nel fine della
stessa sezione aggiunge: Impensae calido corpori cibo
interna refrigeratio, comparatur sole, igne vestitu ae-
stivo tempore, exlerna noxa. Contrario vero sic con-
traria conveniunt.
Così pure chiunque abbia compresa la mente del
padre della medicina si accorgerà di quanto l'A. l'ab"
bia falsata attribuendogli l'opinione che le forze vi-
266
tali non sìeno sufficienti a curare le malattie. La fer-
ma credenza nell'autocrazia della natura durante il
processo patologico è il principio dominatore della
medicina d'ippocrate: in ogni pagina delle sue opere
se ne consacra il culto, e al medico non si affida
altro carico che di interpretarla e obbedirla. Mo/'èis
nattirae medentur. Natura ipsa sili per se non ex Con-
silio moiiones ad actionis obeundas invenit A nullo
qiiidem edocla natura cilraque disciplinam ea quae
conveniunt efficit (Epid. d. VI. S. 5.). Né punto di-
sdice questa sentenza il passo allegato dall'autore
in sostegno della sua asserzione. Ed infatti nel li-
bro De arte (non in quello De diaeta) procacciando
Ippocrate di sostenere il valore e l'importanza della
medicina contro i suoi detrattori ammette che possa
conseguirsi talora la guarigione anche senza i con-
sigli e l'opera del medico, ma sempre facendo o pre-
termettendo alcune cose come detta l'istinto. Am-
mette insomma che l'uso opportuno dei mezzi igie-
nici suggerito dalla natura possa trionfare del male,
senza amministrazione di farmachi, e perciò col solo
aiuto delle forze vitali. Ecco il testo. Obiiciet nobis
adversarius, multos iam aegros etiam citra medici opem
sanilati restitutos: quod equidem non di/Jileor. Ac fieri
milii pone videtury ut qui medicum non adliibent iis
ex arte maedica feliciter succedali ncque tamen in-
telligant rectumne quid in ea, parumque insit, sed
quod per se curatisi eadem quae si medicis adhibitis
curati fuissent contigemint. Quod ipsum sane magnum
est artis existenlis argumentumy et quod inter prae-
claras habenda sit, quando qui ne eam quideni esse
exislimant eiusope servati conspiciuntur. Quienim etiam
267
non adhihitis medicisex morbis convaluerunt, ut intellì-
gant omnino necesse est, se quod aliqilid vel fecerint,
vel non fecerint , idcirco sanitalem esse consecnios.
Aul enim inediam, aiit copiosiorem cibiim et potnm,
atit sitim, aut balnea, aut eoriim abslinenliam.., aut
ìabores, aiit quieterà, aut somnum, aul vigiliam , . aut
eorum omnium promiscuum usum adhibentes, sanita-
tem consecuti sunt (De art.). E cliiaio come queste
guarigioni ottengansi per la sola virtù medicatrice
della natura, suggeritrice ella stessa di quegli atti
che l'arte provocherebbe, ove ne fosse invocato l'aiu-
to. La qual dottrina ippicratica (1) quanto poco ar-
rida ai seguaci del riformatore alemanno, e quanto
sia repugnante coi loro piincipii, ognuno sei vede.
Il libro del D. Bering insegna il modo di cu-
rarsi da se stesso, sia con mezzi domestici innocui ,
sia con rimedi omeopatici che non pregiudicano mai
(e se fossero amministrati fuori di luogo? I rimedi
in senso di Hahnemann non sono eglino potenze mor-
bificanti ? e se il morbo artificiale che producono
non coprisse il naturale, sarebbero poi innocui ? ) e
sono sempre utili quando vengono convenientemente
amministrati (notate il sempre). E poco dopo av-
verte: Chi è stato testimonio una sola volta degli ef-
fetti di questi rimedi eviterà le sanguigne, le coppe,
i vescicanti, gli empiastri di ogni specie, cose tutte che
fanno POCO BENE: (e qui o il traduttore è stato
infedele o l'A. si mostra troppo più indulgente che
non convenga ad un seguace di Hahnemann. Ed in-
(i) Del potersi sciogliere le malattie anche senza il presidio
del medico.
268
fatti il poco e limitazione di quantità non assoluta
negazion della cosa; le sanguigne adunque fan poco
bene, ma pur ne fanno: sia benedetto iddio!).
Segue il modo di servirsi dei rimedi. Nulla di
pili facile: interrogate gli organi, notate i sintomi,
cercate questi nell'indice, il quale vi rimanderà alla
pagina ove sono registrati i medicamenti opportuni.
Né dovete darvi molta briga se mai non cogliete
nel segno: poiché dando un l'imedio che non corri-
sponde alla malattia, gli è certo che non ne seguirà
alcun miglioramento, ma è certo egualmente che nulla
di fastidioso ne verrà alV infermo. Il metodo omeo-
patico è cosi fatto, che giova se bene applicato, e non
nuoce essenzialmente se applicato male (Introd. p. 4-).
Oh medicum suavem, esclamerebbe qui Marco Tullio,
meque docilem ad hanc disciplinami Con pochi glo-
buli di aconito voi sostenete di combattere una pleu-
ritide : domandate alla scuola come ciò avvenga, e
vi risponderà che dipende da legge terapeutica della
natura, per cui nelVuomo vivente ima piìi debole affe-
zione dinamica rimane durevolmente annichilata mercè
altra che d'assai Vassomigli, ma più forte e sol nella sua
essenza dissaccor dante ( Hahn. org. §. 20). E poco
dopo: Le medicine rendono sofferente Vuomo con mag-
giore intensità e certezza che le naturali cagioni ec-
citatrici del morbo (id org. §. 24-27). Dunque i vo-
stri globuli hanno dovuto suscitare un turbamento
più forte nel dinamismo, che non quello istesso della
pleuritide naturale: e se vi fu errore nell'ammihi-
strazione, cioè se furono dati senza che esistesse una
vera pleuritide, che ne avverrà? nulla affatto. Dob-
269
biamo confessare che questa medicina è assai co-
moda.
Procede l'autore ad esporre il modo di adope-
rare i medicamenti per fiuto, in globetti, in soluzione^
in frizioni e in bagnoli, e quindi accenna il regime
da usarsi durante la cura omeopatica: regime assai
men severo di quello che credasi comunemente, con-
cedendovisi perfino il fumare tabacco purché si usi
il bocchino. Intanto si avverte che i rimedi debbono
prendersi in un luogo luminoso, fresco ed asciulto, li-
bero da ogni odore. In un'alcova o in una piccola ca-
mera; dove V aria non è pura, non è rinnovata,
i rimedi pendono la loro efficacia ( pagina 12) : a
tal patto nove decimi del genere umano dovrebbero
rinunziare ai benefìzi dell'omeopatia. Eppure il D.
Hering sembra occuparsi specialmente del popolo, e
fra i cibi vietati registra il burro rancido, il lardo,
il maiale grasso , gli agli , le cipolle , Volio rancido
ecc: cibi e condimenti da cui suol essere schifa la
classe civile.
L'introduzione ha termine con la scelta del me-
dico. Come tutte le cose, egli scrive, così gli omeo-
patici si dividono in differenti specie. Essi si divi-
dono in omeopatici puri ed interi^ ed in semi-omeo-
patici. Fra i puri avvene di buoni e di cattivi (vi son
dunque medici puri cattivi!) fra i buoni se ne con-
tano ancora tre specie Nuovo in-
ciampo per abbracciare l'omeopatia, poiché fra tante
schiere diverse come dirigere la scelta? A buon conto
anche fra i puri e buoni ve ne hanno alcuni che al
dir dell'autore imitano il primo stile di Hahn., cioè
I fino al 1820: dopo il qual tempo sembra ai loro occhi
270
che abbia avuto nn eccesso di innocente pazzia: altri
poi prendono per norma ciò che ei faceva negli u/-
timi dieci anni di vita. In mezzo a tanta varietà come
sceverano il buono dal mediocre e il mediocre dall'i-
netto? L'autore ha sentita tutta la difficoltà di questa
scelta paragonandola a quella di una moglie : ed ac-
corgendosi poi di avere avviluppato il nodo piiì che
strigarlo, lo taglia ricisamente esclamando : Scelga
adunque ognuno il suo medico come Vintenda: ciocché
per verità sparge moltissima luce in qualunque caso
di dubbio-
Del resto non è da biasimare 1' autore se ha
corso così leggermente il tema della scelta del me-
dico quando offriva ai lettori un libro coH'aiuto del
quale raramente se ne ha bisogno, come rare sono
le grandi malattie in cui il prefato A. consiglia di
ricorrervi. Dal che si apprende quanto debba esser co-
moda un' opera di tal fatta: tanto pili che vi si in-
segna non solo a curare le infermità già sviluppate,
ma anche le possibili a nascere: così in caso di spa*
vento ordinario prodotto da un rumore improvviso date
subito op. .Se allo spavento va unito un sen-
timento di paura op. (1) Nelle pene d^a-
more date prima ign. e qualche giorno dopo acid.
fosf. La collera, che, scoppia in individuiy
di temperamento violento richiede nux. vom
Sorge un dubbio. La, collera l'amore, la contrarietà,
la paura, lo spavento sono tutte cause atte a tur-
bare la macchina, ma non malattie già esistenti: or
se la medesima causa può indurre effetti differen-
(1) Se lo spavento è seguito da contrarietà, conviene acon.
271
lissimi sopra i diversi individui, come potrassi ap-
plicare il rimedio innanzi che siasi offerta l'imma-
gine morbosa? Vediam sovente come la stessa emo-
zione faccia a tale montare i rossori sul viso, e a tale
altro tinga il volto di pallore mortale, un terzo non
ne sarà punto commosso, e ad altro si paleseranno mo-
vimenti convulsi ed anche smarrimenti di idee. Voi,
che dovreste coprire i sintomi, come farete ad anti-
vederli ?
L'altro dubbio che si affaccia riguarda la plu-
ralità dei rimedi nello stesso male senza un consi-
glio di sorte riguardo alla scelta. Siele disposto ai
raffreddori? eccovi i rimedi coff., beli., mix vom., chin.y
dulc. e sopraltuUo silic, carb. veg- cale. carb. a lun-
ghi intervalli. Nei raffreddori durante la primavera
si dà veret. alb., rhust. toxic. e carb. veg.; in estate
beli., bry.f carb. veg.; in autunno verat. alb., mere,
viv. 0 rust, oxic; durante l'inverno se è secco, acon.,
0 hel., bri. nux. vom., camom. o sidf., qualche volta
epec, se è umido dulc, verat. alb., carb. reg. . . .
Ma di grazia, signor dottore, questi rimedi hanno o
no la stessa virtù di combattere il raffreddore ? Se
è la medesima, ha sbagliato Hahnemann; se è diversa,
e a che mi servirà la vostra guida se non mi ad-
dita chiaramente la via da seguire? E questo mezzo
di recare in mezzo molti rimedi per lo stesso male,
p almeno per un male indicato con lo stesso nome
senza alcun criterio per la scelta, domina tutta la
Medicina domestica. L'autore scarica alla rinfusa la
sua soma e par che dica: Prendete quel che più vi
aggrada. E men male per i lievi incomodi: ma in
una grave infermità vi è di che tribolarsene. Siete
in campagna, e vi accade di sputar sangue : ricor-
272
rete presto al manuale, trovate la pagina in cui è
registrata questa malattia, e vi leggete beli, mere.
viv., carb. reg. puh., brij., chin., ami., dille, slaph.,
silic. e lach. Pensate, o lettori, in qual ansia si ri-
troverà il pover'uomo fra l'afflizione del sapersi emot-
toico e l'angustia del non saper dare la prelazione
ad uno degli undici medicamenti nominati nel libro.
La perplessità dell'infermo non farà che accrescersi
leggendovi poco dopo: Si starà in guardia e si saprà
resistere alla mania delle sanguigne. Questo metodo
è generalmente cattivo, perchè accresce sempre e senza
eccezione il pericolo che si vuol prevenire. Si può in-
tanto nel caso estremo praticare una sanguigna, quando
non si ha pronto un medico (p. 219). Che ne pare?
11 salasso nel emottisi è una manìa, accesce senza
eccezione il pericolo, ma è permesso di praticarlo
nel caso estremo : cioè vi è e non vi è eccezione;
e a quali segni riconosceremo il caso estremo? Se
con tale espressione s' intende l'esaurimento dell'in-
fermo per emorragie ripetute , sarebbe il caso di
risparmiare il salasso. Vedete che un Vade mecum
di questa fatta vi lascia dormir tranquilli , soddi-
sfacendo pienamente alla promessa fatta nel pream-
bolo di consigliare i rimedi in modo così preciso, con
tanto rigore e semplicità di analisi, che non può mai
alcun dubbio portare su ciò imbarazzo (pref. VIH).
Ad ogni modo noi abbiam qui un buon punto
alle mani, ed è la concessione della sanguigna : e
se questa può essere lecita, talora nella pneumor-
ragìa, perchè non lo sarà nella pneumonite in cui
vi è pure trasudamento sanguigno , e di più pro-
fonda infiammazione del parenchima polmonale ?
273
Ma non è la sola sottrazione di sangue che si con-
ceda dall'autore : altri rimedi ripugnanti affatto agli
insegnamenti diHahnemann si ammettono nello sputo
di sangue, e sono le legature delle membra, le cop-
pette secche alla base del petto, il sai di cucina in
polvere , e perfino la flagellazione al dorso ed alle
natiche nelTavvelenamento peroppio,rinunziando così
al requisito del iucunde tanto vagheggiato dai se-
guaci del riformatore alemanno. Nenimen si mostra
omeopatico puro l'A. ovdinando la polpetta di mollica
di pane e tabacco da naso da imporsi nella lingua
del malato per provocare il vomito negli avvelenati,
e l'insufflamento di fumo di tabacco nel retto per
iscuotere i medesimi.
Percorrendo la Medicina domestica si viene nella
persuasione che il D. Bering attribuisca e alle pa-
role e alle cose un valore affatto diverso da quello
accordato loro universalmente. Cosi la voce asfissia
nel linguaggio comune equivale a morte apparente,
e parrebbe che lo stesso A. la prendesse in tal senso
avendo scritto che si richiamano prontamente in vita
gli asfittici di questo genere (per arie mefitiche) espo-
nendoli sidV istante alVaria libera, aspergendoli di ac-
qua fresca e facendo inghiottire ad essi caffè puro [\).
E come dunque avviene che poco dopo soggiunga.
Se Vasfiltico trovasi in uno stato di eccitamento , di
loquacità con molta vivezza, se lagnasi di dolori vaghi
ed ha vertigini giacendo ecc. (pag. 100)? Un morto
in apparenza, che parlasse con vivezza^ non sarebbe
egli un curioso fenomeno ? E stato sempre creduto
(!) (pag. 98).
G.A.T.CXLIV. 18
274
che l'attitudine a vivere non si conservi che per
breve spazio di tempo negli asfitticiper annegamento;
ma l'A. assicura che la vita non si spegne general-
mente che al terzo giorno (pag. 405) ! Ni uno ha
mai temuto la vicinanza dei funghi, ancorché vele-
nosi, parificandone l'influenza a quella dei gas de-
leteri che svolgonsi dalla combuslion del carbone:
eppure l'A, la teme in guisa che in suo pensiero
il nascervi intorno il gallinaccio (1) sarebbe ragione
0 di lasciar questa casa o di rifabbricarla ! ! (pag. 100).
E chi credeva mai che dalle lucertole e dalle rane
schizzasse veleno ? pure anche questo assicura l'A.
e consiglia in aiuto una cucchiaiata da caffè di car-
bone pesto mescolato con latte ed olio, rimedio che
non ha certo sapore omeopatico. Era stato sempre
insegnato, che il veleno dei serpenti ingerito nello
stomaco è affatto innocuo, e non ispiega i suoi ef-
fetti tossici che per via di inoculazione; sembrava
che le numerose esperienze di Redi, e le numero-
sissime di Fontana, avessero messo fuor di dubbiezza
questo fatto che del resto era già noto agli antichi:
Noxia serpentum est admixto sanguine pestis ;
Morsu virus habent et fatum dente minantur ;
Pocula morte carent.
(Lucan.)
(1) Cantarellus cibarins Fries (agaricus canlharellus) L. Galletto,
gallinaccio frequens apud nos, et passim veiialis in urbis foro. « Se-
nex vomitum, tormina et colicas gignit » Poli. Fior. Veron. Gli è
adunque un fungo sospetto, ma tinche giovane non solo non ispan-
de maligni eflluvi, ma è anche esculento-
275
Ma Taatore non presta fede a questa verità, rac-
contando che due uomini dopo aver bevuto in una
osteria caddero morti quasi immediatamente. L'oste'
per discolparsi credette non poter fare di meglio che
bevere dello stesso vino, e morì egualmente. Dopo tutte
le ricerche fatte si trovò nel barile una vipera che vi
era penetrata innanzi di riempirlo. Hai tu, o lettore,
un sacco in cui mettere questi granchi ?
Tutte queste erano cose piccole e per avventura
da tacere se non ci avesse vinti il desiderio di mo-
strare al mondo di che squisita dottrina siano for-
niti cotesti riformatori dell'arte medica, ai quali ornai
tarda il nostro indugio nel seguirne le insegne, e che
ci accusano aspramente di accostarci tuttora devoti
agli squallidi altari della vecchia medicina (pref. VII).-
Con questa nettezza d' idee, e con tal consonanza
di principi! essi vorrebbero indurci a rifiutare le
tradizioni dei secoli, rinnegare il buon senso, e man-
dar falliti gli insegnamenti dei padri nostri. Ma noi
non andrem presi così tosto alle grida, e finche avrem
lena esclameremo: Fugite hinc, latet anguis in herba.
Diremo che sono funesti i consigli della Medicina do-
mestica, di evitare il salasso dopo le gravi cadute
e le percosse al petto, nella pleurìtide, nella angina,
nella asfissia per affogamento e per appiccamento;
funesto l'ammaestramento di riputare inutile l'eme-
tico nel veneficio per oppio , e tale pur quello di
amministrare acqua fredda invece di tiepida per pro-
vocare il vomito nell'avvelenamento per funghi e per
narcotici .... Ma di questa erba è troppo pieno il
volume, perchè noi possiamo metterla tutta alla falce.
276
Veniamo ora alle operette del sig. Migneco. Il suo
opuscolo che nel titolo di Patalogia pratica non è che
un programnna o manualetto, come lo chiama l'A., in-
teso a far pregustare un'opera, che sarà divisa in tre
parti: cioè 1" Farmacopea, 2° Disordini del dinamismo
generale: ^^ Affezioni diverse; e il capitolo delle affe-
zioni tratterà non solo le cagioni, i sintomi, e la dia-
gnosi, ma anche la natura della malattia; dal che ap-
prendiamo che il sig. Migneco non è omeopatico puro,
tralignando dagli insegnamenti del maestro. Per le
pure esperienze, scriveva questi, chiarisconsi gli obbietti
della medicina, né osi trascendere ella di un sol passo
i limiti del puro sperimentare dove sfuggir voglia di ad-
divenire un nulla (Hahn. org. introd.). Ora investigare
la natura delle malattie è a nostro credere un vero
trascendere i limili delle pure esperienze.
Un' opera di tanta mole (scrive così l'A. nell'av-
vertimento) ed importanza disegnata sopra un'idea così
estesa domanda il concorso del maggior wm-
mero dei professori delle scienze: perciò invita i col-
leghi tutti ad aiutarlo nella impresa.
Sul bel principio della introduzione non persuaso
il Migneco che Cicerone uscisse grande non tanto
dalle officine dei retori quanto dagli spazi dell' ac-
cademia, si lamenta che la rettorica non abbia fino-
ra esteso il suo dominio sui trattali di patologia clinica.
Negli allopatici, ei dice, non incontri che lusso di eru-
dizione, prolissità e lunqhetie che stancano, minuziose
descrizioni patologiche: dolcissime riprensioni, e quasi
diremmo paterni avvisi, se si confrontano coi severi
rimbrotti che subito appresso scarica ai condiscepoli
di Hahnemann. Negli omeopatici, air inverso, manca:
277
1.° U esposizione delle conoscenze fisiologiche e pa-
tologiche, e non ritrovi la guida degli esempi clinici.
2." Non incontri che confusione; la quale risulta
da ciò che gli scrittori han creduto necessario segui"
re troppo da vicino gli esperimenti patogeneticiy ed han
supposto troppa importanza a tutte le minute differenze
de"" sintomi periferici, senza indicare la corrispondenza
col centro morboso. E non é a dire quanto male ri-
sponda ai bisogni del pratico V ordine alfabetico pre^
ferito allo scientifico.
3.° Non ritrovi che un numero di farmachi trop"
pò ristretti, se hai riguardo ai bisogni dell'egra urna--
nità
4.° Non ritrovi indicala V affinità e la successio-
ne dei rimedi , secondo il caso speciale.
5." Non ritrovi V indicazione del valore compara-
tivo de'' farmachi, perchè si possa scegliere imo piut-
tosto che un altro riìnedio nella cura di ogni caso in-
dividuale.
6.° L' uNiTAs REMEDii troppo male intesa e da
nessuno praticata-
1.° Non ritrovi indicata V attenuazione necessaria per
curare ciascuna forma patologica speciale; circostan-
ze interamente trascurate da tutti i trattatisti, poiché
han supposto esser sufficiente in tutti i casi Vattenua-
zione usata in generale, e non hanno avvertito che la
riuscita della cura sta poggiata più., starei per dire,
alla scelta delV attenuazione che alla scelta del rimedio.
8.° Non ritrovi indicato il modo preferibile di am-
ministrare il farmaco, se a secco o diluto neWacquat
di sera o di mattino, se una, due, tre, qua ttro, a più,
volle in un giorno.
278
9.° Non ritrovi indicata la durata di azione del
farmaco relativa al caso patologico individuale.
E dopo aver annoverato le migliori opere di omeo-
patia torna ai rimproveri affermando che nelle sud-
dette opere, con tutti i loro meriti, il pratico non ri-
trova molti farmachi necessari per la cura di un gran
numero di morbi: osserva da per tutto non lieve con-
fusione, cagionata dalla servile enumerazione de"" sin-
tomi periferici, e dallo aver trascurato affatto le in-
dicazioni detrazione elettiva del farmaco verso il cen-
tro morboso. La qual confusione risulta specialmente
in dlcuni a,rticoli, dove per lo minor male, sono iuu-
tili specificazioni', le varie condizioni de' sintomi e le
loro circostanze accessorie; come a dire, se il tal sin-
tomo si avanza o minora nella taV ora, in camera o
fuori, al cantare, al mangiare, al caminare ecc. ecc.
i sintomi incomitanti di ogni gruppo di fenomeni; la
specie di alcuni sintomi, come dolori incisivi, taglienti,
saltellanti, pulsanti ecc. ecc. Le quali cose producono
un bel caos, in cui il critico è costretto a perdersi.
Che ne dici, lettore cortese? Tu esci del secolo
in veder tanto strazio della medicina dei simili per
opera di un omeopatico , e se appartieni a questa
schiera dovranno montarti i rossori sul viso in leg-
gendo note cosi dolenti. È ben altro cotesto che ar-
ricchir la materia di qualche erudizioncella, o allar-
garla un poco troppo, e tritarne le circostanze; sa-
ranno questi difetti, se cosi volete, ma non tali da
macchiare il sostrato clinico. Negli omeopatici invece
sono mancamenti essenziali; non cognizioni, non or-
dine , non quantità di farmachi che basti all'uopo,
non opportunità, non unità del rimedio, non cono-
279
scenza dell' attenuazione opportuna, del modo di am-
ministrare il rimedio e della durata di sua azione :
insomma confusione, servilità, e un bel caos. Rassi-
curati però che l'A. dopo tante lamentazioni racco-
glierà il molto che di utile e veramente positivo tro-
vasi nelle opere succennate per farne tesoro nella sua
clinica.
Le pochissime pagine dell'opuscolo, che non so-
no indici di medicamenti, intendono a ricuocere l'idea
dell' immortale maestro, che 1' umana gente è tutta
pili 0 meno rognosa. Tutte le malattie croniche, così
l'A., sono cagionate costantemente da un miasma che
invade e disordina il dinamismo generale. E poco dopo:
Un tal miasma cagione prima delle affezioni croniche
è la rogna, da cui il paziente è stato affetto per lo
innanzi, sia durante la sua vita, sia che V abbia ere-
ditato da' genitori, Taccia adunque il Morgagni e con
lui gli scrittori tutti di anatomia patologica, i quali
colle osservazioni alle mani han creduto mostrare
che molte croniche infermità ebbero la radice in mor-
bi acuti 0 trascurati , o ribelli alla cura. Tacciano
i medici che altri cronici malori attribuiscono al ge-
nio reumatico , a viziosa proporzione dei materiali
del sangue, ad esagerata mobilità del sistema nervoso,
e ad altre cause siffatte. Tutto èrogna in mente dell'A.
il quale però, come fosse pentito della troppo gene-
rale proposizione, se ne corregge in altra pagina scri-
vendo che tutte le forme morbose, eccettuate soltan-
to quelle prodotte da miasmi speciali , o da veleni ,
sono dovuti alla psora , latente o sviluppata , o varia-
mente modificata. E poi siegue a dire: Questo miasma
cronico (che le malattie si dividessero in acute e ero-
280
niche, sapevamcelo: ma che anche i miasmi potes-
sero così dividersi e che la rogna fosse un miasma,
confessiamo di averlo finora ignorato ) , allorché è
originato dalla scabbia, si distingue specialmente col
nome di psora- Ossia quando la psora è originata
dalla scabbia si chiama psora. Non pare che TA. ab-
bia qui fatto uso di quella precisione e chiarezza che
nelle prime linee della introduzione invoca ad ele-
menti necessari per conseguire il bello ideale di ogni
trattato di clinica.
Seguono le regole generali nel trattamento delle
malattie croniche , ove comincia dallo stabilire che
quahnqiie sia la forma o la varietà dei sintomi, la
malattia è sempre una : proposizione affatto contra-
ria ai principi! di Hahnemann, secondo i quali innanzi
al medico la malattia vale semplicemente insieme di
sintomi (org. § 7); variando adunque la forma varia
anche la malattia.
In esse pure si insegna che per Vuso de' cauteri
il medico non merita alcuna scusa ; esso non fa che
spossare le forze. Eppure non vi è medico che ab-
bia incanutito nell'esercizio dell'arte, e che non sia
stato ringraziato le cento volte per salute ricupe-
rata, o alleggerita infermità, in seguito dell' emunto-
rio. Il capitolo viene poi conchiuso nel seguente modo:
Risulta da questi principii che tutte le malattie, sieno
endemiche o sporadiche, come il morbillo, il vainolo, la
scarlattina (e di qual regione sono endemiche tali ma-
lattie ?); sieno epidemiche o prodotte dalla varia con-
dizione dei climi, come le febbri intermittenti, il co-
lera, la febbre petecchiale (e quale è il clima che si
offre allo svolgimento del colera ?); sieno contagiose,
281
come il tifo, la febbre gialla, la febbre nera, la pe-
ste bubonica (e perchè separare dalle contagiose il
morbillo, il vaiuolo, la scarlattina come se non fos-
sero tali ?) ; sieiio miasmatiche, come la psora, la si-
fitide, la sicosi ( la sifìtide un miasma : si è mai udito
uno strafalcione simile ?); ossiano prodotte da causa
occasionale, come lo spavento, i disagi del viaggio, Vin-
flnenza delle esalazioni marine, la lontananza dalla pa»
tria ( l'ordine del discorso porterebbe che lo spavento,
i disagi ecc. siano altrettante infermità e non cause
di esse: ma forse l'A. nello scrivere questo periodo
non è stato assistito dalla sua prediletta rettorica );
tutte possono prevenitesi [che scQ-pevln ! anche un fan-
ciullo ti saprebbe dire, che si possono prevenire i di-
sagi del viaggio rimanendo in casa , il moto della
vettura andando a piedi, l'influenza delle esalazioni
marine abitando la terra, la lontananza dalla patria
non abbandonandola mai) nello stesso modo che pos-
sono curarsi allorché sono sviluppate. ( Ma come si
curano? Non avendo parlato finora che della scab-
bia, e avendo sostenuto che tutte le malattie sca-
turiscono da questa, converrebbe credere che la cura
antipsorica fosse il rimedio universale. Ma la incre-
dibile fecondità di medicamenti spiegata nel rima-
nente dell'opuscolo convince del contrario-
Saltata quindi a pie pari la Farmacopea, promessa
nel metodo, intraprende a svolgere la prima sezione,
cioè i disordini del dinamismo generale, fra ì quali
figurano in prima schiera i temperamenti nel modo
che segue.
282
Temperamenti o idiosincrasie.
1 . Temperamento bilioso.
Il miglior rimedio che conviene agV individui di
temperamento qualunque, è lo
Zincum sulphuricum 100." '^ ogni dose gocce ij.
Si possono pure consultare
Benzoin 1 00." '^
Bryonia 100/ ""
Garbo veg. lOO."* '""'
Cyperus 36." '^
Ferr. Sulph. 100." ""'
Gurgitelli 6" ""
Jacaranda caroba 100" "*
Kali chloricum IS."***
Lepidium latifolium 36" "* ecc. ecc.
Fra questi sono da preferirsi quelli indicati con le
più. alte attenuazioni. Tutti gli altri rimedi hanno azione
particolare sopra i temperamenti. Si possono indiffe-
rentemente adoperare. Chi ne intende sillabii ? Tempe-
ramenti e idiosincrasie si dan per sinonimi, e sono
disordini del dinamismo ; si comincia col bilioso, e
quando vi aspettate i rimedi per questo tempera-
mento, ve ne scarica una filza per gli individui di
temperamento qualunque, ossia per tutta la specie
umana: dal che può dedursi che volendo stare in sa-
lute dobbiamo far uso mattina e sera di quei rimedi:
vero è che basta di consultarli ! Non sareste tentati
a credere che il signor Migneco abbia voluto pren-
dersi la berta de' suoi lettori, o che abbia scritto so-
gnando ? Ma basta ornai della patologia pratica.
283
Intanto che si raccolgono materiali per edificare
Vopera di tanta mole, il signor Migneco non volendo
privar d'ogni pascolo i suoi ammiratori interpone un
altro lavoro col titolo di Discorsi sulla medicina pra-
tica. Di questi non abbiamo finora che otto fogli di
stampa, nei quali invece di argomenti medico-pratici
troviamo piuttosto una lunga diceria sulle obbiezioni
promosse al sistema omeopatico. Alla medicina pra-
tica si riferisce però il preambolo che è il seguente:
Esercitai la clinica medica. E siccome V unico og-
getto del medico è di curare le malattie con mezzi
terapeutici (gli altri medici usano anche gli igienici
e chirurgici, ma all'A. bastano i primi), rivolsi ogni
mio studio a ricercare per li vari morbi rimedi atti
a superarli. Usai di farmaci ; ottenni felici risultamenti
in cq^i disperati ( non si potea far mostra di mag-
gior modestia), ma non seppi mai ritrovare alcuna ra-
gione soddisfacente di essi (e che importa ? non ha
egli l'Hahnemann condannata qualunque indagine sul-
la ragione de'morbi?). Notai alcune osservazioni . . . .
ed eccole. Nell'aprile IS^i una giovanetla di anni do-
diciy dopo scorsi alquanti giorni da che era stata af-
fetta dalla cerebritide, nel corso di essa presentò i se-
guenti sintomi : delirio giocondo ; ella cantava, chiac-
chierava mollo, metteva in caricatura le persone con
uti apparente apatia.
Il polso era lentissimo, batteva a tempo diseguale,
or largo or stretto, or si fermava per due o tre secondi
senza pulsazione.
2. Nel maggio un contadino di anni sedici languiva
da \% mesi affetto da tetano cronico, dieiro la cere-
britide sofferta. Dopo aver messo a prova, e inutilmente^
284
V acido idrocianico, la bella-donna^ilgiiisquiamoja mor-
(ina, la canfora, il muschio ecc. riusci così efficace una
dose di tartaro emelico, che quantunque indotta ad 1 /24
di grano { È questa una dose omeopatica ? ) produsse
vomiti ed evacuazioni violente, orine cariche di fecce
mucose bianchicce ; e in meno di due mesi la guari-
gione. Il medicare omeopatico è presto, disse Hahne-
mann ( org. § 156 ), e la riferita storia ne dà una
prova. 3. Nel novembre dello stesso anno, una donna
di anni cinquanta, affetta di catalessia, dopo trentotto
giorni di vari tentativi , fu guarita a vista d' occhio
mercè V uso di sciroppo di zafferano , ed indi dalla
pomata di stramonio- (Sciroppi e pomate da un omeo-
patico ?)•
Scorgesi ora il perchè 1' A. biasimasse tanto le
lungherie degli allopatici, aV' ndo egli stesso trovato il
modo piano e facile di ridurne ai minimi termini una
storia di malattia : non cause, non costituzione epi-
demica, non temperamento, non prodromi, non in-
vasione e corso del morbo, non distinzione di sin-
tomi, non specificazione dei presidii terapeutici, quan-
to all'ordine di loro amministrazione, non cenno al-
cuno sui modi dell'esito e sulla durata della conva-
lescenza. Si nomina la malattia senza giustificare la
diagnosi , si nomina il rimedio senza dir perchè e
quando e quante volte fu usato, non si parla di fe-
nomeni morbosi, o se ne accenna soltanto qualcuno
dei men concludenti : ecco un modello di osserva-
zioni mediche.
Noi non seguiremo 1' A. operoso e sudante in-
torno il carico di contrascrivere risposte già date ad
obbiezioni già note, né moveremo lamento su la ine-
285
Battezza dei fatti allegati, e sulla poca decenza delle
espressioni, onde egli dal disputare passa al conten-
dere, e dalle contese alle contumelie. Non vogliamo
però privare i nostri lettori di così stupenda ipoti-
posi, onde il Migneco non mosso certamente da ar-
tificio rettorico, ma rapito da certo spìrito Hahnema-
niano, imprende a dipingere l'operato delle due scuole
al letto dell'ammalato. Data una pleiirilide, egli dice,
anche violenta , Vomeopalico scioylie quattro ad otto
globuli di aconito dentro un poco di acqua fresca, e
V amministra alV infermo , gli permette le bevande a
temperatura d" atmosfera, un poco di brodo, coverte leg-
giere ; nel termine di 24 o 48 ore tutto e finito.
( Pleuritidi violente finite in 24 ore con quattio glo-
buli d'acconito e l'acqua fresca ! ! ! 0 Raglivi, eri ben
stolto ad esclamare: Oh quam difficile est curare mor-
bos pulmonum ! ma tu vivevi in secolo tenebroso ;
oggi è altro fare). Vallopalico al contrario, comincia
dal tastare i polsi, dal percuotere il petto, e pronun-
zia gravemente, che trattasi di una polmonia ; e te-
me fondatamente dell'esito. Mano però ai guastatori ;
si distrugga V imboscata del nemico. Salassi, mignatte,
coppette ; stanze chiuse ; fuori le persone estranee alla
famiglia ; lungi anche il fumo del brodo, e il calore
della cucina ; sudoriferi, espettoranti, vescicanti, sena-
pismi, embroccazioni revulsive e antiflogistiche, tartaro
stibiato, olio di ricini e tutte le potenze lenitive del-
Varie, accorrete in sussidio, e in distruzione del morbo
e delV infermo. Oimè ; è in pericolo la vita del pa-
ziente ! Notaro, confessori, assistenti, acccorete a fa-
cilitare lo stento dell* agonia ad un anima cristiana.
Ma venga anche il medico, per operare un prodigio
286
delVarle; si scongiuri, perchè metta tutta la sua po-
tenza a fermare la vita fuggitiva di un suo sim,ile.
Eccolo. Egli pensa, si agita, sembra animato da una
luce celeste. Il Dio ecco il Dio, direbbe Virgilio. Gli
è venuta una ispirazione.
Fategli quattro clisteri ; indi otto senapismi ; be-
vanda di soluzione di gomma arabica ; date epicra-
ticamente.
Epicraticamente ! che ha egli detto ? Oh parola
da vero dottore !
Dategliene un sorso ogni mezz' ora : ma badate ,
ogni mezz'ora !
Ebbene ; dopo quindici, venti, trenta ed anche più
giorni, il malato è guarito ; la difficile e penosa con-
valescenza è il trofeo del medico , che seppe curare
una tanta infermità.
E se il paziente fosse perito sotto la violenza del
trattamento ? Oh anche allora il medico sarebbe trion-
fante ; già s' intende ! egli sin da principio seppe dia-
gnosticare la malattia, e ne predisse V esito funesto;
per altro fece tutto quello che doveva e poteva ; non
rimase al povero malato né una goccia di sangue
nelle vene, né una linea di pelle intatta ; non ci era
altro da fare : egli era morto pili di im mese in-
nanzi di manifestarsi la tremenda malattia {\).
Mi rifugge Vanimo da tanto triste spettacolo ! . . .
e a noi da simili gaglioffaggini.
(1) pag. 82.
287
Istorico riassunto sopra il cholèra indiano.
Di
Agostino Cappello.
k^e meritate lodi furor» per me date ai dotti me-
dici di Genova per la decisiva loro opposizione col-
legialmente risoluta nell'agosto 1852 sull'operato del
congresso sanitario internazionale tenuto a Parigi dal
luglio 1851 al gennaio 1852, debbonsi loro mag-
giori per la conferma ampiamente estesa relativa al
cholera morbus del 1854-5 colle diverse memorie
comprovanti sempre più i fondamenti dell' italiana
dottrina sopra i contagiosi morbi (1). Né pochi sono
stati gli opuscoli, e libri di altre cospicue italiane
Città , e di alcune ancora di oltremonti. Molti poi
quei dei pontificii dominii, che hanno questa dot-
trina lummosamente raffermata. Distinte grazie per
me si rendono ai chiarissimi autori, che mi furono cor-
tesi dei doni delle utili loro produzioni: ed infinite
le professo verso il comitato ligure pel bel regalo
della magnifica sua opera. La quale ha meritamente
riscossi elogi non mai più perituri dall'uno all'altro
canto della nostra penisola, ed appo lo straniero e-
ziandio: a enumerarli partilamente richiederebbonsi
molte pagine. Vuoisi per me solo ripetere in iscor-
cio quanto un dotto mio collega (Giuseppe Ferra-
i-io presidente onorario perpetuo dell'accademia fìsio-
(1) Giornale Arcadico lomo 126 pag 329-32.
288
medico-statistica di Milano) riferiva in piena ragu-
nanza di quest'illustre accademia.
Un eccellente libro (egli dicev a) viene a con-
fermare ognor pili le osservazioni, gl'insegnamenti
della scuola medica lombarda (e di quante esse sono
in Italia ) intorno alla riconosciuta conlagiosUà del
cholèra epidemico. Desso lavoro interessantissimo è
frutto di apposita commissione, la quale fondò le
proprie ricerche sopra 1Q5 documenli che riguardano
complessivamente 138 località, e merita i più sinceri
encomi. La relazione è illustrata da uno Specchio
sinottico desunto dai referti medici sul cholèra in-
diano che regnò nella Liguria ed in alcune altre
Provincie degli stati sardi nell'anno 1854,edhavvi
aggiunta anco una Carta topogra/lca per servire di
guida agli studi del cholèra nei detti paesi.
Invitiamo i medici anticontagionisti, particolar-
mente di oltremonti e d'oltremare, ad istruirsi dei
nudi fatti e delle savie deduzioni riferite in quest'utile
lavoro degno dell'italiana sapienza.
Fra le gravissime considerazioni, di cui è piena
quella relazione , è notevole « che da essa vuoisi
respingere la turpe idea che uomini della scienza
abbiano potuto degradarsi per farsi /je»isammen/e stru-
mento alla rovina delia scienza stessa e sgabello agli
errori di un'insana e snaturata pratica, mettendo in
dubbio le verità meglio constatate, eccitando per tal
modo contro dei filosofi i sofisti, ì quali anziché an-
tesignani piaggiatori del secolo assumono l'incarico
di formulare i miovi errori ».
La commissione conchiude che il cholèra indico
è malattia contagiosa, avendo dimostrato « che non
289
deesi riconoscere la causa efficiente del cholèra in-
dico nell'igiene disordinata, la quale, se vuoisi am-
mettere ragione favorente, non può esserne ragione
assoluta e creatrice.
Che non è ammisibile il preteso fatto di una co-
stituzione morbosa preepidemica, ossia precorritrice
del cholèra indico, la quale starebbe con esso come
causa ad effetto.
Che il cholèra indico non dipende da alcun modo
né da alcun genere d'infezione, tranne che per essa
non s'intenda quel genere d'infezione costituito dal-
l'atmosfera contagioso ambiente l'infermo, e quel mo-
do di contatto che fassi per essa atmosfera fra l'in-
fermo ed il sano.
Che il cholèra indico nel suo modo di diffusione
così da un paese all'altro , come dall'uno all'altro
individuo, diversifica da quello delle più comuni ed
osservate malattie costituzionali.
Che il cholèra indico si importa.
Che il cholèra indico si trasmette.
Che se penetrata da questa verità di fatto la com-
missione ligure conchii^de, essere il cholèra indico
prodotto da un contagio specifico, non intende signi-
ficare con questa parola un ente morboso che non
abbia una forma e modi propri e speciali e leggi
proprie e dissimili dagli altri contagi, ma solo che
venga come questo governato da una legge comune,
quella cioè della trasmissibilità, riproducibilità, im-
portabilità e coercibilità )).
L'onorevole relatore, Carmine Elena, così fini-
sce il suo dottissimo rapporto al congresso di 300
medici.
G.A.T.CXLIV. 19
290
» La vostra voce sia fatta potente dalla con-
cordia , sia fatta concorde dalla severa parola
de' fatti positivi, completi, incontrastabili. E que-
sta voce concorde e potente sarà intesa ; peroc-
ché lo meritino l'opera, le sollecitudini , i sacrifici
de' medici, e quella gratitudine che deesi sentire pei
grandi servigi renduti da uomini ad uoìnini: lo do-
mandino le tante vittime mietute dall'indica peste:
lo voglia la salute de' popoli che è legge suprema:
lo reclamino quelle stesse esigenze commerciali, che
un calcolo mal inteso e snaturato vedrebbe com-
promesso da provvide leggi sanitarie, ma che un giu-
dizio più retto, solo ponendo mente all'eccidio di
tanti cittadini operosi, alla desolazione di tante fa-
miglio smembrate, a traffichi sospesi, alle comuni-
cazioni interrotte, alle moltitudini emigranti, alle
enormi spese di governi e municipii, obbligali ad
esaurire in breve tempo le riserve di molti anni ed
a supplire a rovinosi dispendi con nuove imposte
e straordinari balzelli vedrà certo più profonda-
mente manomesse dall'immane flagello, dono tristis*
simo dell'odierno progresso (1). »
Molto valutabile a me pare che in questi giorni
il governo del regno lombardo-veneto abbia pel cho-
lera morbus trasferito il potere alle commissioni
sanitarie: siccome rilevasi dalla relazione del Da Pon-'
tCf valente medico di Brescia, pel cholèra domi'nato
in questa città nell'anno 1855. Cotesta relazione è
indritta alla suddetta milanese accademia, e vonno
(1) Atti della accademia fisio-medico-statistica di Milano l8S6
fog. 113—15.
291
qui riportarsi per V indicato obbietto i due ultimi
paragrafi.
» IiTipertanlo è debito, e sta bene anche in po-
tere delle autorità municipali e deputazioni comu-
nali mercè l'appoggio delle magistrature provinciali,
d'isolare e distruggere V indiano cìiolera per impedirne
la diffusione epidemica, causa d'infinite sciagure.
» L'isolamento è tanto più indispensabile, per-
chè ad epidemia dominante non vale presidio di sorta,
e le facoltà ora concesse alle commissioni sanitarie
hanno trasferito dal potere governativo al municipale
la responsabilità delle sue conseguenze (1). »
Di grave momento si è pure la risoluzione del
governo toscano, che avendo aderito rispetto al cho-
lòra morbus alle mezzane o nulle misure del con-
gresso parigino , oggi ha stabilito una contumacia
di dieci dì per cotesto morbo: siccome se ne diede
cenno nella congregazione sanitaria del dì 1 del pros-
simo passato settembre.
Mi credo poi in dovere di ripoitare un'officiale
relazione in seguito di supplichevole istanza del dì 1
del prossimo-passato aprile della camera di commer-
cio, arti e manifatture di Bologna umiliata a S. E.
Riìia monsignor ministro del commercio e lavori pub-
blici. Piimessa quindi alla congregazione speciale sa-
nitaria, mi si diede in data de' 14 maggio prossimo
passato l'onorevole incarico per 1' esame e medico
parere sulla medesima. Il che sembrami opportu-
no : giacché l'essenziale di cotest'istanza è inserito
dalla società medico-chirurgica di Bologna nel bol-
(1) Atti citati. Mijano i836 pag. 231—2.
292
lettino di maggio 1836 e pubblicato sotto il dì 1
del seguente giugno (1).
Congre«iazione speciale sanitaria.
Roma 21 maggio 1856.
« La camera di commercio, arti e manifatture di
Bologna in un supplichevole indirizzo umiliato a S.
E. Rma monsignor ministro del commercio e de la-
vori pubblici descrive la catastrofe, in cui il cho-
lèra morbus ha ridotte famiglie desolate e derelitte,
al cui soccorso non è bastevole la carità cittadina.
Ricorda l'antica sapienza tendente più a prevenire
che a ristorare i danni infiniti delle pestilenze. Di
che accenna manifeste prove più volte avvenute con-
tro il cholèra morbus, quando energiche ed avve-
dute cautele furono messe in pratica. Narransi le
stragi di questi ultimi tempi, che hanno vieppiù sem-
pre confermata la contagiosità dell'asiatico morbo,
Opina che il trattato sanitario internazionale di Pa-
rigi è stato un vero tradimento all'incolumità pub-
blica per materiali interessi. Si accennano quindi i
gretti consigli, e le viltà di animo prevalenti all'utile
pubblico. Suppone la camera di commercio che appo
noi sia stata distrutta la patente sospetta, e sup-
plica calorosamente perchè sia ripristinata: mentre
per essa fatti oggidì avvertiti per mezzo della te-
legrafia, si ha sollecito campo a garantirsi dalle vero
0 sospette contagiose importazioni. Avvisa che pel
predominio di quei materiali interessi è calpestata
(i) Bollettino delle scienze mediche pag. 262 — 6
293
la morale, essendo di gran lunga maggiore gl'inte-
ressi che riclamano la pubblica salute: giacché son
care al principe le vite de' cittadini e la tranquil-
lità delle famiglie. D'altronde espone che all'aspetto
miserando delle stragi langue e muore il decantato
commercio. Ricorda la generosità e sapienza italiana,
perchè appunto quando prosperavano quasi per l'e-
sclusivo commercio floridissimo Venezia e Genova,
furon per esse istituite sanitarie norme che fruttarono
per secoli ai popoli inciviliti reali vantaggi in prò
dell'incolumità pubblica. Supplica la camera bolo-
gnese, che quando ancora per gravissime circostanze
non potessero attuarsi le pili rigide sanitarie cautele,
venga praticato il meglio possibile: onde non sfidare
la potenza mortifera del morbo. Fa supplichevole
voto perchè il governo si svincoli dal citato con-
gresso parigino; riassumendo la sanitaria costumanza
in ispecie per le vie di mare: d'onde narra essere
slato due volte importato il cholera: mentre per le
vie di terra pel lungo viaggio sciorinansi alquanto
le merci, e scema in qualche modo il pericolo del-
l'importazione. Aggiugne che non potendosi raffidare
sulle patenti rilasciate dalle straniere autorità sanita-
rie,debba inculcarsi ai consoli e vice-consoli pontifici
che le medesime sieno munite delle loro firme. Chiu-
de la camera la sua supplica col voto riclamato dalla
pubblica prosperità e dall'umanità travagliata.
« Al voto della camera è annesso quello da essa
richiesto alla società medico-chirurgica di Bologna.
Il voto puossi dire diviso in 12 articoli , in cui
non solo si conferma la manifesta contagiosità del
cholera morbus, ma la necessità eziandio di opporre
294
le pM rigide sanitarie precauzioni, inclusive i sani-
tari cordoni per terra, ove si potesse sperare per-
fetta l'attuazione. La società medico-chirurgica chiu-
de il suo voto con questo paragrafo. Oh ! / mag-
giori governi tornassero ad ammettere il cotitagio del
cholèra, e prescrivessero i mezzi comprovati dalV espe-
rienza i più utili contro il medesimo: che Vumanità
potrebbe essere una volta tutelata da sì fiero e mor-
talissimo malore.
)) Il sottoscritto non può che far plauso al voto del-
la camera di commercio di Bologna, e a quello della
dottissima società medico-chirurgica. Peraltro dal
lato del nostro governo crede che non sia stato mai
riconosciuto il trattato parigino. Imperocché il sot-
toscritto non dimenticherà mai, che allorquando per
lettera di potentissimo ministro straniero si richiede-
va nel 1835 dal Sommo Pontefice l'abolizione de'sa-
tari cordoni, egli si protestò virilmente di ritirarsi
all'istante da questo supremo consesso, il quale for-
mò subito una commissione presa dal suo seno com-
pilando supplichevole memoria sulla necessità de'cor-
doni sanitari al Santo Padre , che secondò il voto
di questa speciale congregazione (1). La quale non
deviò mai dal canto suo dalle norme prescritte dal
sanitario codice pontificio. Solo semplici modifica-
zioni, dietro le più minute indagini, furono praticate
nel 1846: allorquando l'accademia di medicina di Pa-
rigi rovesciava apertamente le massime le più ri-
(1) Memorie istoriche di Agostino Cappello ( 1848 ) pagine
125-2.
295
conosciute avverso i contagiosi morbi (1). Sopra dun-
que quelle basi questa congregazione formulò l'istru-
zioni pel medico che doveva rappresentare il governo
della santa sede nel congresso sanitario internazionale»
La commissione essendo stata affidata al sottoscritto
egli sostenne di proposito quanto aveva sempre pro-
fessato in conformità delle stabilite norme e della
sagace dottrina medica italiana confermata colla pro-
pria esperienza di più lustri.
« Se non che (siccome fin dal principio del cor--
rente anno piiì volte il sottoscritto espresse a questo
supremo magistrato) il cholèra morbus farebbe tre-
gua stante Tuniversale epidemico dominio degli anni
1854 — 5. Il quale avviso, basato sull'andamento di
tutti i contagiosi morbi febbrili, pel cholèra fu avvera*
to dopo il 1837. Inoltre l'attuale fu di nuovo importato
dal paese natale nell848(2). Peraltro per mancamento
di indispensabili purificazioni, si rimase sporadico, e
riassunse l'epidemico genio per notissime cagioni (3).
Non ostante la tregua^ il cholèra all'opportunità fa-
vorevole pili presto, o pili tardi, tornerà a flagellare:
quindi come appunto avvisa la camera di commer-
cio, se per gravissime circostanze non possano at-
tuarsi le più rigide sanitarie prescrizioni, si farà il
meglio possibile , senza punto valutare le sentenze
straniere più volte pronunziate ad alta voce dai de-
(1) Cappello, Considerazioni in prò delia pubblica incolumità
1846 e 47, e Giornale arcadico tomo CVIII pag. lS5.Icl. Conside-
razioni ulteriori relative alla peste bubonica, e alla febbre gialla
1847 (1 — 78), e Giornale arcadico tom. CIX pag. 169.
(2) Memorie is<oriche di Agostino Cappello pag. VI.
(3) Giornale arcadico tom. GXXXVl pag. 337—8.
296
legati inglesi e francesi, che ogni vecchia sanitaria
misura si rendeva nulla per le rapide comunicazioni
di terra e di mare. Ma la Dio mercè cotesto rapi-
dità sono oggi di gran lunga soperchiate per l'aria
dall'azione inconcepibile dell'elettrico, siccome sa-
viamente avvei'te la camera di commercio, manifat-
ture ed arti di Bologna.
« Agostino Cappello
« Consigliere emerito della congregazione speciale sanitaria.
Chiuderò questo istorico riassunto con pochi cen-
ni desunti da una fondata e lunga esperienza sopra
i contagiosi morbi.
Nei primordi del libero medico esercizio di non
lieve pratica istruzione mi furono due epidemie di
vainolo asiatico , e di varie di morbillo , scarlatti-
na etc.
Nel maggio 1810 imbattutomi in un cane idro-
fobo, dappresso le più accurate indagini, affetto di
spontanea rabbia, ne laccolsi la saliva. La quale in-
nestata nel dì istesso in un gatto, e nel dì vegnente in
un cane, si riprodusse nei medesimi. Colla saliva di
questi procurati nuovi innesti, colla prova di tentare
alcun decantato rimedio nei prodromi del mortai
morbo, non apparve alcun sentore di rabbia. Circa
tre anni dopo ripetuti gli stessi esperimenti, eguali
furono i risultamenti. Quindi dopo essere col mag-
giore studio possibile riandato a contemplare la dot-
trina de'contagi, e dopo aver consultato quanto era
stato scritto dagli antichi e moderni autori sopra la
rabbia canina , ne rilevai incessanti contraddizioni.
Laonde pe' fatti sopra narrati mi parve ragionevole
cancellare dal novero de' contagi propriamente detti
cotesto morbo, e riporlo piuttosto nella classe de've-
leni. Moltiplicate osservazioni han convalidato il mio
asserto : vale a dire, che la sola rabbia spontanea
del genere canis et felis si riproduce anche nell'uo-
mo col morso senza propagazione di sorta inclusive
coll'innesto e col morso negli stessi animali bruti.
D'altronde due anni circa di medica pratica qua
e là fatta pel tifo in un esteso distretto, per onorato
incarico della sacra consulta, mi porsero occasione
di acquistare ulteriori nozioni intorno i contagiosi
morbi febbrili.
Sviluppato fatalmente in Tivoli nel gennaio 1818
l'antrace pestilenziale nella scuderia de' carabinieri
in un cavallo del capitan Ronconi in que'dì acquistato
colla bardatura completa da soldati ungheresi reduci
di Napoli: per un irresistibile istinto senz'obbligo e
senza invito sezionai tre cavalli: imperocché mori-
rono tutti quelli che erano stati in comunicazione.
Per inavvertenza m' inoculai il mortai morbo nel
ferirmi col bistorino. L' antrace era costantemente
circoscritto nell'intestino colon : in me, per la di-
versità forse dell' organizzazione, non si riprodusse
colla mortai sua forma, ma fu cagione di tempo in
tempo d'indicibili mali tuttor duraturi (1). Colle più
rigide sanitarie cautele l'antrace sembrò totalmente
distrutto. Ma l'officiale, che ivi comandava, con frode
(1) Memorie istoriche di Agostino Cappello pag. 18 27, e 59-
61-2: o pag. 66-68. E giornale arcadico tom. CXXXVI 1854 pag.
333-4 nota 2.
298
nascose la sella del suo cavallo, che appariva bru-
ciata nel processo verbale. Rinnovati i cavalli dopo
tre mesi andati (aprile), e rindossata la nascosa sella,
si riprodusse il male colla stessa ferocia ammazzando
quanti furono in comunicazione, inclusive una capra
momentaneamente stata presso la scuderia con-
vertita in lazzaretto. Per sanitaria trasgressione inol-
tre di un maresciallo di quel corpo il morbo fu im-
portato in Abruzzo: ma mercè della massima mia
vigilanza fu anche ivi isolato e distrutto (1).
Dall'andamento di cotesto morbo veggano i mi-
scredenti del contagio, quanto talvolta si prolunghi
il morboso seminio ne' passivi conduttori.
Da questi brevi cenni il cortese lettore desumerà,
se chiare cognizioni abbia potuto io acquistare in-
terno i febbrili contagiosi morbi. Perlochè apparso
appena il cholèra dell' Indie importato per incon-
sueto commerc^o in Astrachan , non dubitai punto
di seguire le massime d'illustri autori, che il novel-
lo malore serbava 1' andamento de' più contagiosi
morbi pestilenziali (2). Il che sarebbe di poco mo-
mento , se la missione in Francia pel cholèra del
1832 non mi avesse somministrati numerosi officiali
documenti, oltre le proprie osservazioni, convincenti
pienamente la cholerica contagione : dimodoché la
commissione sanitaria romana colà inviata fin da'suoi
primi rapporti alla sacra consulta faceva voti, per-
chè tutte le più rigide sanitarie cautele venissero
(1) Memorie citate pag. 18 27.
(2) Del cholèra morbus pestilenziale di Agostino Cappello. Ro-
«na i831, e Giornale arcadico tom. XLIX. e 1.
299
praticate per preservarne la nostra penisola. Quanto
qui si assevera , ognuno può riscontrare nell'opera
sul cholera di Parigi del 1832 pubblicata per or-
dine del governo pontifìcio (1).
Chiamato poscia nel 1835 per sovrano connando
a far parte integrante della congregazione speciale
sanitaria statuita dal Sommo Pontefice, come su-
premo magistrato di sanità, nel luglio 1834, ebbi
campo larghissimo di conoscere quanto avveniva fuori
e dentro Italia di questo rio malore: come di ogni
altro argomento appartenente al sanitario ministero,
ed alla medica polizia.
Penetrato il cholèra nel 1835 in Italia, la con-
gregazione speciale sanitaria attivò tutte le piìi ri-
gide sanitarie cautele per mare e per terra, inclusive i
cordoni sanitari, come si è superiormente accennato:
due mesi dopo la congregazione, contro il mio parere,
decretava mezzane misure per la rinnovazione della
guarnigioue austriaca in Ferrara proveniente da'luoghi
infetti. Perlochè con apposito scritto mostrai che
indubbiamente avrebbe scoppiato il cholèra in detta
città. Lo scritto umiliossi dall'emo card, presidente
alla santità di N. S., che lo rimise all'ambasciatore
austriaco col desiderio che rimanesse la vecchia guar-
nigione: e così fu (2). Immuni dal tutto dal cholèra
furono i pontifìcii dominii nel 1835: benché fossero
limitrofi alla Toscana ed al regno lombardo-veneto
affetti dal quel morbo. Ivi infierendo maggiormente
nel 1836, la malattia si manifestò con due casi al
nostro lazzaretto di Francolino, isviluppati in reclute
svizzere attraversanti l'infetta Lombardia: desse fu-
(ì) Storia medica del cholera indiano. Roma 1833.
(2) Memorie isteriche citate pag. 126-29.
300
rono rimesse in comunicazione dopo la debita con-
tumacia : fu ancora importata per contrabbando in
Ferrara e nel Cesenatico: e per attivissima solerzia
di quelle autorità governative e sanitarie fu tantosto
isolata e distrutta (1).
Fra le vigilantissime cure del supremo sanitario
magistrato vi fu quella del divieto delle fiere in tutti i
luoghi prossimi 0 poco lontani dai paesi aifetti dall'in-
diano malore. Ma la fiera di Sinigaglia incontrò tali
e tanti ostacoli, che fu trasportata contro il mio avvi-
so in Ancona: ove importato il male dalle convicine
Provincie del regno Lombardo-Veneto e di Trieste,
si svolsero vari casi nel porto fin dalla fine della
prima settimana di agosto. Un tal Leoni maliscente
che stava a passare acque presso il porto, tornato
a Campo Lumbi suo paese, frazione di Avenale f)resso
Cingoli, morì di cholèra, che si propagò in più per-
sone del villaggio. Ma per l'attività massima dei me-
dici di Cingoli secondata dal supremo governo, mercè
di apposito cordone sanitario, si circoscrisse e di-
strusse il rio' malore. Altrettanto (isolato e distrutto)
avvenne in Monte Fano, dove per manifesto contrab-
bando di Ancona fu importato il cholèra nei primi
dì di settembre. L'esimio dottor Venturi, dopo aver
verificato il cholèia di Campo Lumbi , andato per
ordine superiore a Monte Fano confermò la presenza
di cotesto morbo, di cui rimase vitima compianta
in tutto il Piceno (2).
Se memorandi sono i sopraccennati fatti, e piiì
ancora questi dì Campo Lumbi e di Monte Fano,
(1) Id. pag. 136—7.
(2) III. pag. 222—5.
301
di gran lunga maggiore furono quelli di una {ìopolosa
città marittima con porto franco, come Ancona, ove
il cholèra fu del pari circoscritto e distrutto. Nes-
sunissimo caso fuori degli accennali mai più avveìine
nel Piceno (1836) a gloria perenne del supremo sa-
nitario magistrato romano. Imperocché, a seconda del-
le sue leggi, Ancona fu circondata prima da convicine
guardie cittadine, indi da regolar cordone militare.
Tutti gli officiali documenti veggonsi per me pub-
blicati nelle citate memorie. La contumacia in An-
cona durò qualche settimana di più pei continui re-
clami in Roma delle vicine e lontane città del Pi-
ceno, perchè esponevano che non del tutto esegui-
vansi talune sanitarie prescrizioni. La qual cosa era
falsa: mentre da non pochi giorni nulla si era tra-
scurato per r esatto adempimento delle mede-
sime. Per la fiducia sopra me riposta dal card,
presidente della speciale congregazione , potei con
una mia responsiva dimostrargli, che già da mol-
ti giorni meritava Ancona di esser messa in li-
bera comunicazione per mare e per terra. Piiì volte
dovetti invocare dal lodato porporato il mio richia-
mo, perchè dopo il grave cholèra preso il giorno
appresso alla massima strage, incessanti tribolazioni,
e pericoli di vita non rifinivano mai (l).Ogni dì era-
no affissi cartelli con caratteri cubitali di mia con-
danna di morte decretata dal tribunale della ra-
(1) Ecco le parole fieli' Emo Gamberini in una sua respon-
siva. Piacerebbe anche a me ed a tutta la congregazione che ella
si restituisse fra noi; ma non posso non pregarla a trattenersi tut-
tora costà fino a che non sia compito, vedendo in tutti gii aspetti
utile la continuazione di sua presenza in codesta città, perchè è
302
gione ! ! ! Imperocché sopra di me, come diretto-
re sanitario, si faceva cadere l'odio popolare, e sor-
bii fino all' ultima goccia il calice amaro: ma de
hoc satis (1). Imperlante i pontifici dominii furono
immuni nel 1836 dalf asiatico flagello, che conti-
nuò nel regno lombardo-veneto: e dall' adriatiche
spiagge importato in Puglia si propagò in Napoli
ed ivi si rinnovò nell' anno seguente 1837. Propa-
gatosi il cholèra alla terra di Lavoro sino al confi-
ne romano ( delegazione di Prosinone ) s' infranse
il cordone sanitario da alcune guardie : e mentre
gì' infrattori erano sotto processo , si svolsero in
pochi dì casi dalla linea di Ceprano sino a Colli e
Monte S. Giovanni ; ivi per altrui presunzione si
sequestrò una sola casa. Per siffatta negligenza
rivelai in piena sanitaria adunanza nel di 5 luglio
(1837), che Roma non era più al sicuro : e nel
dì vegnente lo scrissi a più medici nazionali e
stranieri, ed al magistrato d'Ancona. La congrega-
zione m' incaricò dell' istruzione perchè tantosto si
sequestrassero quegli infetti paesi: ma due giorni
prima dell' avvenuto sequestro era stato importa-
to il cholerico seme in questa capitale: ove si com-
misero errori di ogni sorta officialmente registrati
(2). 11 cholera si manifestò nel dì 23 luglio e fece
non poca strage sino alla metà di settembre. Il
quella persona su cui si ripone molta fiducia in argomento si in-
teressante. Roma 12 novembre 1836 {*).
(1) Id. Pag. 153 sino a 232 e pag. 356-01,
(2) 1(1. pag. 223, e 327, e pag. 499, e 339,
(*) Memorie storiche di Agostino Cappello pag. 1S7.
303
comune di Ganzano tenne fermo con maschiariso-
luzione pel cordone sanitario: e nel salvarsi dal mor-
bo, mise al coperto del medesimo la legazione di
Velletri, e delegazione di Prosinone, eccetti i sud-
detti paesi sequestrati con sanitario cordone (1).
L' asiatico flagello disparve per lustri dall' Europa,
ove fu nuovamente importato dall' Indie nel 1848.
Slimai quindi opportuno ampliare di ulteriori offi-
ciali documenti quella dilucidazione (2). La malat-
tia fece nuove stragi oltremonti e nell'Italia supe-
riore: ma air estero per mancanza di disinfezioni
rimase sporadico. Comparve pure in alcun luogo
delle pontificie settentrionali provincie. In Bologna
nel 1850 fu isolato e distrutto. Nel 1853 per quella
sporadicità il male a poco a poco riprese il genio
epidemico con stragi universali. In Roma fu nel
mese di maggio 1854 importato da Marsiglia da sol-
dati surroganti quelli che erano stati messi in con-
gedo. Vista la massima difficoltà dei cordoni sani-
tarii, la congregazione adottò le piiì possibili sani-
tarie prescrizioni , come può rilevarsi dall' officiale
relazione per me compilata , e responsiva ad una
circolare inglese (3). Quasi tutte le provincie ro-
mane furono piiì o meno flagellate dal rio malore,
che sviluppossi sempre dappresso le piti manife-
ste importazioni. ( 1854-5 )
(1) Dilucidazione slorica del choRra. Roma pei tipi del Pere-
go Salvioni 1847.
(2) MeiTiOrie storiche citate pag; 237 — fino a 317 e pag. 496
sino a 557.
(3) FiliatreSabezio, febbraio 183Spag. 123; Giorn. arcadico tomo
CXXXIII fyg. 321-SO.
304
Da quanto si è in questo istorico riassunto ac-
cennato, emerge luminosamente la dottrina de'più
assennati medici della penisola italiana. Che se ir-
refragabili sono i fatti per essi mostrati , irrefra-
gabilissimi sono quei de' pontitìci dominii. Im-
perocché per gli uni e per gli altii risulta aper-
tamente, che il cholèra delle indie non solo è con-
tagioso, ma soprattutto che con attivissima ener-
gia e medica avvedutezza puossi isolare e distrug-
gere.
Tocca dunque ai supremi governi di Europa
(che a buon dritto dicesi incivilita) di allontanare
dall' europee contrade un cotanto esotico morbo-
QLOU FAXIT DEUS.
Roma 5 Ottobre 1856.
305
Discorso sul risloramenlo delV emissario di Claudio.
Letto da A. Coppi neW adunanza deW accademia Ti-
berina il di 22. Settembre 1856.
1 r\nnunziando un discorso economico mi limitai
ad un tema generico, e quindi riflettei se doveva
trattare di agricoltura o di finanze. In fine risol-
vetti di sceglierne un altro totalmente diverso , ed
è sul ristoramento dell'emissario che l'imperatore
Claudio scavò tra il lago Fucino ed il fiume Liri.
2. Quest' opera grandiosa fu ed è tuttora l'og-
getto di molte discussioni. Si disputa, se per esso
un tempo siano scolate le acque , quando e come
siasi ostruito, se sia possibile ed infine utile il ri-
staurarlo. Non è mio intendimento l'entrare in tali
e tante questioni; ma essendo stato varie volte ad
osservare quel magnifico monumento della romana
grandezza e qual antiquario campestre avendone
pubblicato qualche articolo nei giornali di Roma
(1), continuai a raccoglierne le notizie per compi-
larne col tempo un paragrafo negli Annali d'Italia,
0 lasciare i materiali ad un mio continuatore.
3. È noto che Federigo II nel secolo XIII , Al-
fonso nel XV i Colonnesi nel XVII e Ferdinando
(1) Notizie del Giorno 1824,
N. i8.
1530 N 26 e 27.
1832. Diario.
1832. Niiin": 96. suppl.
G.A.TCXLIV. 20
306
IV nel XVUl fecero qualche tentativo pei ripulire
queir emissario, e poi per varie circostanze ne ab-
bandonarono la intrapresa (2).
4- Carlo Afan di Rivera, direttore del deposito
della guerra, esaminate tutte le memorie relative a
quest' oggetto nel 1 823 pubblicò alcune considera-
zioni sul progetto di prosciugare il lago Fucino. No-
minato nell'anno seguente direttore generale de'ponti
e delle strade, delle acque e foreste e della caccia,
nel 1825 dopo diligente esame delle parti accessi-
bili dell emissario propose a Francesco I di accor-
dare la somma di diecimila ducati per intrapren-
dere lavori, come sperimento di ciò che dovevasi
eseguire per la ristaurazione. Approvata la propo-
sizione, stabilì col cavaliere Giura , ispettore di acque
e strade, il piano dei lavori da eseguirsi: e nel 1826
mise mano all' opera.
5. Si principiò dalla parte dello sbocco, e nella
primavera del 1829 lo spurgamento fu protratto al-
la terza parte dell' emissario. Ma ai 17 di aprile di
quell'anno crollò una porzione del cielo dello spe-
co nel sito del lavoro, e si manifestò una spaven-
tevole frana per 1' altezza di palmi 320 , sino alla
superfìcie della campagna, e la pressione della terra
spinse argilla e ghiaie per la lunghezza di palmi
412 nel tratto spurgato: nel tempo stesso nella
campagna sopra il sito rovinato si foimò una vo-
ragine [irofonda 40 palmi, huga 80, e piena di ac-
(i) Afan di Rivera Progetto delln ristaurazione dell' emissario
di Claudio, cap 11 e 111. («;;. 69, 80.
307
qua sino all'altezza di 30. Forlunatamente in quelja
disgrazia non si ebbe a compiangere la perdita di
alcun uomo (1). Con un continuo lavoro di giorno
e di notte si tolse quell' ostacolo, si aprì un pas-
saggio a traverso della frana , si puntellò provvi-
soriamente il cunicolo in quel sito con robusti te-
lai di travi, e si proseguì lo spurgamento. Il go-
verno auraefltò la tenue somma che da principio
aveva assegnata per titolo di sperimento. Ferdinan-
do II nel 1832 si recò ad osservare quei lavori ,
ne rimase soddisfatto e li promosse , e finalmente
nel 1835 tutto l'emissario fu spurgato, e di più si
cavò la prima vasca dell'incise, cioè dell'imbocca-
tura (2). » I lavori della spurgazione dell' intiero
» emissario , scrisse Afan Rivera , e quelli del ca-
)) vamento della vasca dell'incile, sono costati me-
» no di sessantamila ducati, compresa la spesa del-
» la macchine , degli apparecchi e degli utensili :
» all' incontro si è elevata al di là di quarantamila
» ducati la spesa per superare tutte le difficoltà (3). «
6. Sgombrato intieramente l'emissario, se ne po-
tè levcre la pianta ed eseguire la livellazione. Si
conobbe che la lunghezza è di palmi napolitani
21,395 (metri 5630. 20), cioè poco più di tre mi-
glia di 60 a grado. Costrutto ad una profondità non
mai minore di 300 palmi sotto i campi Paleptini
(1) Giornale del Regno delle Due Sicilie 1829 Num. 230.
Diario di Roma 1829 N. 103.
(2) Giorna'.c del Regno delle Due Sicilie 1835 N. 321. Alan do
Ri vera, Progetto della restaurazione «Icireniissario di Claudio, caji.
111. pag. 7S-114:
(3) Ivi pay, 111.
308
ed il monte Stilviano , si scavarono sopra di esso
32 trombini, o pozzi, per poter lavorare nel tem-
po stesso in molti siti- La differenza del livello fra
la soglia dell' incile e quella dello sbocco si trovò
di palmi 27 5: e quivi Afan di Rivera osservò
che sebbene gli antichi fossero privi dell'aiuto del-
la bussola, e non conoscessero l'applicazione della
trigonomatrìa ai lavori sotterranei, nondimeno col-
la sola geometrìa di Euclide, 1' operazione fu feli-
cemente eseguita nei luoghi che appunto presenta-
vano difficoltà grandissime. » Dobbiamo, egli scris-
)) se, essere compresi da meraviglia nel rilevare dal-
» la pianta che gli assi delli due rami dell'emissa-
)) rio, che procedendo da passi 22 e 23, s' incon-
» trano sotto il monte (Salviano), si trovano esat-
» tamente nel medesimo piano verticale, il primo
» per la lunghezza di 867 palmi, ed il secondo per
» quella di 664. Anche questi fatti rendono lumi-
» uosa testimonianza che i romani nei tempi fìo-
» renti della loro civiltà avevano perfezionato tutti
» i rami attenenti alle costruzioni, e sapevano ben
» applicare la geometria alle operazioni sotterranee
» per ottenere quella medesima esattezza alla quale
)) i moderni giungono col soccorso della bussola
» e di perfezionati strumenti geodetici. . . . (1).
7. Prosegue poscia lo scrittoio. « Dopo di ave-
)) re ammirato la sapienza degli architetti nelle ope-
» razioni geodetiche e nella esecuzione dell' opera
» dove si presentavano gravissime difficoltà, dobbia-
» mo essere oltremodo dolenti nell'osservare nota-
li) Pioyetlo 7. Gap. I!. pn;;. 42. 43,
309
» bili difetli negli altri tratti, ne'quali le difficoltà
» erano molto minori. Le più frequenti tortuosità
)) ed i più considerabili deviamenti sì veggono nel
» tratto dell' emissario, della lunghezza di palmi
)) 3779 , che si comprende tra i pozzi 20 e 17.
» Quindi l'opera ritorna alla direzione {!) » Osserva
» poscia » Per dirigere molte migliaia di artefici
» ed operai che coi lumi dovevano lavorare in un
» profondo speco, era necessario che fossero stati
» molti gli architetti direttori, ed in molto maggior
)) numero i soprastanti. In così gran trambusto non
» è da meravigliare se le norme dell'architetto in
» capo non fossero state sempre osservate, e si fos-
» sero commessi alcuni errori dagli architetti di-
» rettori, da' soprastantì e da' ti'avagliatori (2) »
8. Le rovine principali dell' emissario si sono
trovate tra i pozzi 20 e 21 ad occidente, e 28 e 30
a levante del Salviano (3). Scrive Afan de Rivera ,
che tranne questi due tratti, le cui degradazioni
si sono operate nel corso di diciotto secoli, anche
oggi lo stato dell'emissario sarebbe atto allo scolo.
Difatti nella stagione oltremodo piovosa del novem-
bre 1835 al maggio 1836, vi scorreva e si scari-
cava nel Liri un ruscello dell' altezza di oltre due
palmi di acqua. Sostiene che lo stato attuale esi-
bisce irrefragabili prove del lungo scorrere delle ac-
que per esso. Fra queste annovera caverne esistenti
ad una certa altezza dei piò dritti del cunicolo, ed
una ben grande differenza tra la superfìcie dei me-
li) Ivi - pag. 44.
(2) Ivi - pag. 48.
(3) Ivi - Gap. III. pag. 103- 107. 108,
310
desimi pie diiltl e quella del cielo, in nitri siti. Nei
primi la roccia sembra brecciosa e scavandosi si
sgretola in breccie angolari, mentre quella del cielo
sembra consistere in grandi pezzi di molto maggiore
saldezza (1).
9. Si formò eziandio una pianta del Iago diviso
in cinque perimetri, rappresentanti cinque diversi
piani orizzontali. II primo circoscrive la superfìcie
che il lago aveva nel 1816 nello stato della sua
massima elevazione. 11 secondo indica i limiti delle
possessioni che avevano per confine il Iago giusta i ca-
tasti. II terzo presenta il contorno nello stato della
massima depressione nell' ottobre 1835. II quarto
il ristrirtgimento che avrebbe qualora la superfìcie si
abbasasse di palmi 18 al di sotto di quella che aveva
ih ottobre 1835. L'ultimo, il contorno che avrebbe
se l'abbassaiiiénto dalla superfìcie giungesse a palmi
23. La quadlatura delki superficie rinchiusa nel pe-
rimetro della massima escrescenza del 1816 era di
miglia quadrate 48. Quella del massimo abbassamen-
to nel 1835 era,di rtiiglia 38: e quella che avrebbe se
si deprimesse a palmi 23, sarebbe di miglia quadrate
21 (2). La profondità massima uel 1835 era di palmi
39. La soglia dell'incile era sottoposta paUnì 52 alla
superficie delle acque, e 13 al fondo più deprèsso (3).
10. Conósciuti e descritti i guasti dell' emissa-
rio, Afan de Rivera indicò le opere da eseguirsi
per restaurarlo e per eseguire e regolare lo scolo
(1) Ivi - Oap. II. pag. 64. 69.
(2) Ivi - Cad. IV. pag. 115-119
(3) Ivi - Cap. I. paj. 54, e Gap. V. pag. 200.
311
delle acque, ora queste vi è la rettificazione dei trat-
ti tortuosi esistenti fra i pozzi 16 e 21, della lun-
ghezza di palmi 3431. 5. (1). Gl'ingegneri Campa-
nile e Giambelli compilarono uno stato estimativo
delle nuove costruzioni, delle restaurazioni e delle
correzioni da eseguirsi, e ne calcolarono la spesa a
ducati 312,000 (2). GÌ' ingegneri Rossetti e Guer-
rieri ne formarono un altro delle spese bisognevoli
nei lavori per regolare lo scolo delle acque e ridur-
re la superfìcie del lago a 21 miglia quadrale e que-
ste si calcolarono in ducati 168,000 (3). Quindi la
spesa totale ascenderebbe a ducali 480,000.
11. Riducendo il lago a 21 miglia quadrate si
acquisterebbero 21,619 moggia (circa 3936 rubbia,
pari a 7212 ettare ) di terreni: valutandone il prez-
zo alla ragione di 60 ducati a moggio, se ne ot-
terrebbe la somma di 1,297,140 ducati (4). Quindi
un lucro superiore alla spesa di ducati 827,140:
12. Tutte queste cose Carlo Afan di Rivera pub-
blicò in un volume, col titolo di » Progetto della
» restaurazione dell'emissario di Claudio e dello sco-
» lo del Fucino (5). «
12. Ferdinando li con risoluzione presa nel con-
siglio ordinario di stato ai 26 aprile 1852 accordò
ad Augusto Thomas d'Agiout una promessa di con-
cessione per la restaurazione dell'emissario di Clau-
dio e pel prosciugamento del lago Fucino con va-
li) Cap. IV. pag. 151-160.
(2) Cap. VI. pag. 345-330.
(3) Ivi - pag. 351-350.
(4) Cap. V. pag. 204. 205, 248-249.
(5) Napoli. Slamperia del Fibreno 1836.
312
rie condizioni. Fra queste, che formasse una società
anonima napolitana di capitalisti per tale intrapresa:
che tutti i terreni i quali per effetto dello scolo delle
acque del lago per l'emissario rimarranno prosciu-
gati, saranno di proprietà de' concessionari.
14. Nell'anno 1853 si formò la compagnia e
se ne compilò lo statuto. Questo fu poscia in par-
te modificato: ed in sostanza si stabilì:
)) I. Istituirsi una società anonima avente per og-
» getto il prosciugamento del lago Fucino, la bo-
)) nifìcazione dei terreni che saranno sottratti alla
» sommersione e continuata innondazione delle ac-
)) que del lago, e finalmente l'amministrazione e la
» vendita di siffatti terreni bonificati e resi acconci
« ad ogni maniera di coltivazione.
» II. La società prendesse il nome di compagnia
)) napolitana pel prosciugamento del lago Fucino e
)) per la restaurazione dell' emissario di Claudio.
» III. 11 capitale sociale fosse di 1,200,000 du-
» cati, ovvero franchi 5280000 diviso in dodici mila
» azioni di ducati cento l'una.
)) IV. D'xAgiout, in prezzo e premio del conferi-
)) mento della concessionesovrana fatta alla società,
5> avesse 2,500 azioni.
» V. Di più durante il tempo che si eseguono le
» opere ed i lavori di nettamento dell' emissario e
)) di derivazione e scolo delle acque del lago , la
» compagnia per Io spazio di quattro anni avesse
)) nella di lui persona un agente generale coll'emo -
« lamento fìsso di anni 2,500 ducati. Rodolfo Tor-
» torà fu nominato direttore della compagnia.
313
15. Messe le azioni in commercio, sedici indivi-
dui ne acquistarono cinquanta per ciascuno; 2,200 ne
prese la casa bancaria napolitana Degas e 3,000
allora, ne comprò il principe Alessandro Torlonia.
16. Adì 21 luglio 1853, la compagnia stipulò
col governo un istromento, nel quale fra gli altri
patti si convenne:
« La compagnia assume l'impresa di compiere
« in tatte le sue parti l'opera del prosciugamento
» del lago Fucino nella intiera sua estensione, e del-
» la restaurazione dell'emissario di Claudio con l'ob-
» bligo delle corrispondenti bonificazioni dei ter-
» reni prosciugati, focendo all'uopo tutti i lavori e
)) costruzioni necessarie per 1' innondamento delle
» acque e pel regolare e proporzionato loro sbocco
» al di là dell'emissario di Claudio e l'ulteriore cor-
so delle medesime ( art. 1°. ).
)) La compagnia si obbliga di presentare all'ap-
)) provazione preventiva del R. Governo il progetto
« generale dei lavori da eseguirsi, con le analoghe
» spiegazioni di arte, con la designazione di quel-
)) la parte del lago, la cui conservazione potrà per
» avventura essere giudicata necessaria, come mez-
» zo 0 condizione indispensabile di arte, per rag-
» giungere il fine del prolungamento del medesimo
)) e della manutenzione delle opere relativo. Tutti
» i lavori necessari al definitivo ed intiero consegui-
)) mento dello scopo delia intrapresa dovranno es-
)) sere intieramente compiuti nel termine improro-
» gabile di anni otto (art. 3.) (1).
(J) Istromento pes gli atti di Ferdinando Cacace notaio napoli-
tano dei 21 luglio 1853.
3U
17. Nel 1854- s'incominciarono i lavori (secondo
un piano in varie parti diverso da quello di Afan de
Rivera): ed il primo fu la costruzione di una diga
attorno l'incile per contenere le onde del lago nei
tempi burrascosi, e scavare comodamente alla^sciut-
to il canale di derivazione.
i8. Secondo le ultime notizie si lavora attual-
mente neir emissario a istaurarlo e rettificarlo nel
tratto dove trovavansi i guasti mai?siori, cioè fra i
pozzi 18 e 21.
19. La direzione dei lavori fu da principio af-
fidata agli ingegneri inglesi Parkes e Gregoy, e po-
scia al francese Montricher.
20. I lavoranti di ogni specie sono circa 1000.
21. Tali sono i fatti che potei raccogliere. Non
faccio prognostici, ma bensì voti ardentissimi che
riesca felicemente una intrapresa cosi grandiosa.
315
Lezione XVllI sulla divina Commedia riguardante
feeder igo di Sicilia- Del prof- Filippo Mercuri.
Iacopo e Federico hanno i reami:
Del retaggio miglior nessun pos.siede.
Piirg- C. VII.
R.
Le Pietro d'Aragona marito di Costanza, tìglia di
Manfredi, udita la morte di Carlo I d' Angiò re di
Puglia e conte di Provenza, che fu nel J284 in
Foggia due anni dopo il famoso vespro, possessore
pacifico della Sicilia, mandò il famoso Ruggero di
Loria suo ammiraglio con l'armata in Calabria, il
quale con la solita virtù e fortuna mise in terra le
genti, pigliò Terra-nuova e l'altre sue castella pa-
terne, delle quali re Carlo l l'avea spogliato, e poi
passò avanti e pigliò in nome di re Pietro Cotrona
e Catanzaro e alcuni altri luoghi di quella provin-
cia: ma dall'altra parte Martino IV, che naturalmente
e poi per un certo obbligo amava la casa di re
Carlo I vedendola rimasta sola per la captività di
Carlo II il Ciotto, che era rimasto schiavo in Ca-
talogna, ed era quello che dovea succedere al re-
gno, mandò subito Geraldo Cardinal di Parma le-
gato apostolico, che avesse cura insieme con la prin-
cipessa di Salerno Maria moglie di Carlo II, e con
Carlo Martello primogenito del principe ch'era al-
lora all' età di tredici anni, d'intervenire al gover-
no del regnoi e Filippo re di Francia, dolorosissimo
816
della morte del re suo zio, mandò Roberto conte
d' Artois ad assistere al governo della casa e dello
slato del prìncipe suo cugino, ed egli con grandis-
simo esercito andò all'acquisto del regno d'i\ragona
per acquistarlo a Carlo suo figlio secondogenito che
ne aveva avuto il titolo e l'investitura dalla chiesa
romana, e prese Perpignano, Girona e molte altre
terre di quel paese. E senza dubbio la fortuna fa-
vori molto re Pietro con far succedere in quel punto
la morte di re Carlo: ch'egli era in pericolo gran-
dissimo di perdere non solo Sicilia, ma ancora i suoi
regni paterni; perchè era impossibile, per molto che
fosse virtuoso e valente, che avesse potuto resistere
a tante forze d' eserciti terrestri e armate marit-
time. Perciò vedendosi per la morte di re Carlo si-
curo del regno di Sicilia, subito con parte delle
forze dei siciliani andò ad opporsi al vittorioso re
di Francia: e benché si ritrovasse con forze assai
dispari, per lo grandissimo ardir suo naturale ac-
cresciuto dal favore della fortuna fino a quel dì, vol-
le uscire per fare fatto d'armi, e fu rotto e feri-
to e a gran pena si salvò ritirandosi a Villafranca
dove di là a pochi giorni morì.
Di lui rimasero quattro figliuoli maschi. Alfonso,
Iacopo, Federigo, e Pietro, e due femmine Isabella e
Violante: e fu certo re degnissimo di lode e di me-
moria eterna, poiché con pochissime forze e con
r arte e con 1' industria sola difese da due re po-
tentissimi, quali erano Carlo I d'Angiò re di Na-
poli , e Filippo re di Francia di lui nepote , che
andò con grandissimo esercito all'acquisto del re-
gno d' Aragona per acquistarlo a Carlo suo figlio
317
secondogenito, che ne avea avuto il titolo e l'in-
vestitura dalla chiesa romana, e da un papa infen-
so nemico; difese, dissi, due regni tanto distanti
l'uno dall'altro, trovandosi sempre con la persona
ove il bisogno richiedeva che fosse. E vero è ciò
certo che scrivono molti autori, che il regno d'Ara-
gona per la morte di re Pietro sarebbe venuto in
mano de' francesi, se non l'avesse salvato da una
parte una gravissima pestilenza, che venne all' eser-
cito del re di Francia, e dall'altra la gran virtù di
Ruggero di Loria, il quale fin dentro il porto di Ro-
ses andò a bruciare 1' armata francese: dopo l'in-
cendio della quale fu costretto re Filippo di ritro-
varsi a Perpignano per aver perduta la comodità
delle vettovaglie, che gli somministrava l'armata e
infermato in Perpignano passò da questa vita il me-
desimo anno a' dì sei ottobre dell'anno 1285, e po-
co dopo morì papa Martino IV, e fu creato Ono-
rio IV.
Ma se grande fu la virtù di Pietro , non mi-
nore fu quella di Alfonso, di Iacopo, e di Federigo.
Grande certamente fu quella del primogenito Alfon-
so, più grande ancora fu quella di Iacopo suo se-
condogenito, come quello che difese con poche for-
ze e con moltissimo valore due regni, la Spagna cioè e
aiutato dalla virtù di Ruggieri di Loria la Sicilia che
Roberto conte d'Artois, ch'era già arrivato a napoli,
come intese la morte di re Pietro, e che per testamen-
to avea lasciato divisi i regni, era venuto in gran-
dissima speranza di ricoverare.
Né prima aderì alla pace, che fu conclusa nel-
r anno 1295, che conoscesse non essere più abile
318
a sostenere tante guerre quante fino allora ne avea
sostenuto.
Le condizioni della qual pace furono, che ve Gia-
como consegnasse l'isola di Sicilia a re Carlo così
intera come l'avea posseduta re Carlo primo avanti
la rivoluzione: che restituisse tutte le terre, fortez-
ze e castella che i suoi capitani teneano in Calabria,
Basilicata e Principato: e dall'altra parte re Carlo
collocasse in matrimonio con Giacomo Bianca sua
figlia secondogenita con dote di centomila marche
d'argento, e che si facesse amplissima, restituzione
e indulto de'beni e delle persone di quei che ave-
vano servito r una parte o 1' altra: e il papa do-
nasse la benedizione e ricevesse in grazia re Gia-
como e tutti i suoi sudditi e aderenti, togliendo
l'interdetto ecclesiastico e assolvendoli da ogni cen-
sura; e gli ambasciatori di Francia entrarono nella pa-
ce per il re loro e si obbligarono ancora di farvi
entrare il re di Castiglia .
Questa pace diede gran meraviglia per tutto il
mondo, perchè pareva cosa impossibile che re Gia-
como, che avea mantenuto molti anni quel regno
con le forze sole di Sicilia, accresciuto: poi da due
altri regni e di tant' altre signorie che aveva in
Spagna fosse avvilito e facesse una pace vile. Ma vo-
gliono i pili eh' egli avesse fatto saviamente: per-
chè con quelli regni gli era venuta ancora l'impos-
sibilità di poterli difender tutti, e gli sarebbe stata
una eredità di molto piii peso, che frutto, avendo
a guerreggiare nei regni di Spagna col re di Casti-
glia e col re di Francia, e in Sicilia col re Carlo:
onde gli avrebbe bisognato mantenere tre eserciti
319
ed essere in un tempo in tre luoghi, il che era pa-
rimente impossibile; oltre l'inimicizia del papa, la
quale gli faceva non meno guerra dell'altre: e di-
cono ancora che s' inchinò alla pace per una pro-
messa che gli fece il papa d' investirlo del regno
di Sardegna e di farlo aiutare da re Carlo suo suo-
cero all' acquisto di quell' isola e ancora dell' isola
di Corsica.
Ma più grande ancora della virtù di Alfonso e di
Giacomo fu quella di Federigo.
E per trattenerci più particolarmente di lui che
forma il soggetto del presente discorso, dirò che
alla fama di questa pace che giunse subito in Sicilia,
Federico che si trovava luogotenente del fratelK»,
come era giovine di gran cuore e inclinato alla
guerra, cominciò ad aspirare al dominio di quel re-
gno.
Intanto re Carlo li, arrivato ad Anagni ove era
il papa Bonifazio, e inteso quel che avea trattato
con re Federigo, supplicò Sua Santità che avesse
mandato un legato apostolico insieme col vescovo
d'Urgel e Giovanni Perez di Navales ambasciatore
di re Giacomo ad ordinare ai siciliani che s'aves-
sero a dare alla chiesa; e il appa vi mandò Boni-
facio Calamandra uomo appresso lui di molta au-
torità. I quali giunti a Messina fecero intendere a
quella città, come venivano mandati da re Giaco-
mo con nuove di grande allegrezza e di quiete, e
che teneano potestà di concederle tutte immunità
e privilegi. Ma vane furono le promesse: che fu ri-
sposto agli ambasciatori che quella città e tutta
l'isola era di Federico re d'Aragona. Gli ambascia-
320
tori insieme col legato sbigottiti se ne tornarono
prima a Napoli a trovare il re e poi ad Anagni
al papa, e all'uno e all'altro fecero relazione di quel
che era passato. Parve al re Carlo , eh' era lea-
lissimo di natura, cosa molto inaspettata; ma non
parve così al papa, che da che avea visto Fede-
rigo, considerando gli andamenti suoi sempre, l'avea
avuto sospetto. Però il re mandò ambasciadori e il
papa un legato apostolico esortando re Giacomo, che
per onor suo e per mantenersi nell'obbedienza della
chiesa e nell' amore del suocero , volesse pigliare
impresa che con effetto V isola si rendesse, e che
non restassero delusi da lui, almeno nell' opinione
delle genti, la sede apostolica, né Carlo e il re di
Francia e il re di Castigha , che a questo effetto
aveano fatto la pace, che l'isola si rendesse: seguen-
do poi , che s' esso in soddisfazione di tutti quei
principi non avesse operato che fosse con effetto
resa, il papa avrebbe legittimamente concitato tutti a
fargli asprissima guerra, oltre il proceder suo con
le armi ecclesiastiche.
E qui incominciarono le guerre di Federigo: poi-
ché mentre il legato e gli ambasciatori andarono in
Ispagna, re Carlo con consiglio del papa e de'suoi
più savi baroni , per non aspettare in tutto che re
Federigo pigliasse più forza e per non stayi in tut-
to appoggiato nella speranza di re Giacomo, deli-
berò muovergli guerra; e mandò subito Giovanni di
Monforte con alquanti cavali e fanti sopra la rocca Im-
periale che si tenea sotto le bandiere di re Fede-
rigo, perchè quella terra e le molte altre terre di Cala-
bria, che si tencano con le bandiere di re Giacomo da
321
alcuni personaggi catalani , credevan certo che
re Federico avesse occupata 1' isola con intelli-
genza di re Giacomo suo fratello , e però avea-
no alzate tutte le bandiere di re Federico. Ma
arrivato che fu Giovanni alla rocca imperiale, ebbe
subito la terra. Intanto come in Sicilia re Federico
seppe la perdita della rocca imperiale e intese anco
che re Carlo convocava da tutte le parti del regno
soldati per porre in ordine un buon esercito, e rico-
verate tutte le terre di Calabria, passare in Sicilia,
deliberò non aspettare la guerra in casa, pei-chè du-
bitava che mandando il re Giacomo ordine ai cata-
lani, che teneano le terre, che le rendessero, l'avreb-
bero certo rese: e col maggiore sforzo che fu pos-
possibile passò a Reggio e di là inviò Ruggero di
Loria con V armata ad infestare le marine.
La prima impresa di Ruggiero fu sopra Squillace;
segui r impresa di Catanzaro: e Ruggero di Loria ,
resa che fu Squillace, andò per soccorrere il castello
della rocca imperiale che stava in bisogno di gente
e di vettovaglie.
Uscì re Federico di Reggio, e andato con tutto
r esercito a Santa Severino, benché fosse città di
sito inespugnabile , la ricevè senza niuna fatica , e
andò per espugnare Cotrone. Espugnò Cotrone e
lo saccheggiò. Prese quindi per opera di Ruggiero
e saccheggiò Lecce, ebbe e fortificò Otranto e poi
discese a Brindisi, ove pose il campo vicino alla città.
Il papa avendo avviso di questi felici successi
di re Federico, e che re Carlo colle forze che ave-
va allora appena basterebbe a difendere il regno di
Napoli, e che la ricoverazione di Sicilia andereb-
G.A.T.CXLIV. 21
322
be a lungo , se non se gli fossero aggiunte forze ,
parte per 1' autorità della sede apostolica, la quale
egli come uomo di grandissimo animo era delibera-
to inalzare , quanto potea , parte per 1' amore, che
portava a re Carlo, lasciò la cura di tutte l'altre cose
e si voltò solo a questa impresa, e per obbligare
re Giacomo, che avesse da pigliar punto di fare re^
stituire in ogni modo la Sicilia, com'era stato pro-
messo nella pace, gli mandò l'investitura del regno
di Sardegna, e lo creò gonfaloniero della santa chie-
sa e capitan generale di tutti i cristiani, che guer^
reggiavano contro infedeli: e mandò a pregarlo che
con ogni studio avesse atteso a compire quanto avea
promesso, poiché solo richiamando gli aragonesi, che
militavano sotto re Federico, quel re povero, e ab-r
bandonato dai più valorosi e fedeli soldati, si sarchi
be rimesso e tornato all' obbedienza sua e della
chiesa.
Re Giacomo vedendosi oltre l'obbligo della ca-^
pitolazione obbligato al papa, ordinò nei regni suoi
che si facesse grande apparato d'armata, e venne a
Roma ad iscolparsi e giurare innanzi al papa, che
non era ne consapevole, nò partecipe in modo al-
cuno della contumacia e della colpa del fratello, e
usò con Federico ogni mezzo per ritrarlo dall' im-^
presa; ma non potè neppure da lui ottenere che seco
venisse a parlamento. Fu intanto per ordine di re
Giacomo condotta la sua madre Costanza a Roma,
e l'infante donna Violante dove re Giacomo l'aspet-
tava; e avendo Giacomo detto alla madre, come per
mezzo del papa avea promessa la sorella a Roberto
duca di Calabria, il quale s'aspettava il giorno se-
323
guente , dinanzi al papa , dopo V arrivo di Roberto
e del padre re Carlo in Roma, ne fu celebrato lo
sposalizio.
Seguì la disfatta di Ruggiero di Loria, che pas-
sò ai servizi di re Carlo, e di Giacomo, che con
apparato di grandissima armata partito di Barcello-
na venne a Civitavecchia e poi a Roma: ed andan-
do ad unirla con quella del re Carlo, in pochi dì
giunse a Napoli, ove trovò il duca di Calabria suo
cognato con trentasei galee e maggior numero di
navi da combattere e da carico, talché l'armata ca-
talana giunta con quella di re Carlo faceano il nu-
mero di ottanta galee grosse bene in punto e più di
novanta navi, oltre ai navigli minori che usavano a
quel tempo, parte chiamati uscieri e parte trite.
E quantunque Ruggero andasse a dare a terra
nella marina di Patti, che sta dalla riviera di tra-
montana quaranta miglia discosto da Messina, la qua-
le senza aspettare assalto si rendè subito, e vennero
poi a rendersi Melasso, Nucara, Monteforte e'I ca-
stello di S. Pietro e molti altri luoghi di quella val-
le; pure dall'altra parte re Federico non mancò né
d'animo né d' ogni diligenza e fece capitan gene-
rale dell'armata di mare Corrado Doria genovese; e
risoluto che far non potea resistenza per terra nella
campagna , mise ogni studio nel fortificare tutti i
luoghi più importanti, e più atti a vietare It vetto-
vaglie al campo nemico, perchè vedeva che sì gros-
so esercito sarebbesi dissoluto da se stesso, col man-
camento delle paghe e delle cose necessarie al vi-
vere. E già non s'ingannò di giudizio: perchè re
Giacomo vedendo che il tempo non era molto avan-
324
ti, essendo egli partito da Napoli ai 24 d'agosto, e
che avea consumali cinquanta dì dell'autunno dap-
poiché era giunto in Sicilia , per non avventurare
così grande armata in quella marina mal sicura al-
lo spirare di tramontana, fu costretto a mutar di-
segno lasciando la certezza di quella vittoria , che
gli potea dare 1' autorità sua e la moltitudine e il
valor de'soldati, così bene in punto e hiamosi di com-
battere. Laonde munita ogni terra di quelle che gli
si erano vendute, andò all'assedio di Siracusa; ma
mantenendosi gagliardamente Siracusa, l'esercito di
re Giacomo perdeva di giorno in giorno di ripu-
tazione; e indotti da questo i cittadini di Putti alza-
rono le bandiere di re Federico, e posero l'assedio
al castello, dove s'erano ritirati quelli che re Gia-
como avea lasciati per lo presidio della città. 1 mes-
sinesi e i catanesi mandarono genti delle loro or-
dinanze a Patti in aiuto di Federico, e fecero pri-
gione Giovanni di Loria nipote di Ruggiero, e pi-
gliarono insieme con la galea capitana alcune altre.
E come questa vittoria diede a re Federico e a tut-
ti i suoi partigiani grandissima allegrezza, così per
contrario fu di grandissimo dispiacere e abbattimen-
to a re Giacomo e a* partegiani suoi; e quindi fu
che re Giacomo vedendo 1' esercito in gran parte
infermo per incomodità sofferte nell'assedio, e du-
bitando che l'audacia crescesse tanto ai nemici che
venissero ad accamparsi all' incontro di lui , levò
r assedio di Siracusa e navigò in verso Napoli con
molto pili sdegno che onore, e con animo di ritor-
nare quanto prima a far guerra maggiore: ma una
crudelissima tempesta, che Io sopraggiunse sopra
325
l'isola di Lipari e disperse la maggior parte di sue
galee e navi, fece sì che a gran fatica col resto si
ridusse salvo a Napoli.
Così re Federico, liberato da questo primo in-
sulto, pieno d'animo e di valore attese a ricoverare
quelle terre e castella, eh' erano rimaste sotto la
bandiera del re d'Aragona; e portato l'assedio sopra
Pietra Perzia ed altre terre del Barese, alfine a lui
si renderono per mancamento di vettovaglie, e po-
co da poi tutte 1' altre terre, che teneano la parte
di re Giacomo con esempio loro si diedero a re
Federico. Re Giacomo giunto in Napoli fu subito
assalito da una gravissima infermità di corpo e d'ani-
mo contratta non meno per le incomodità sofferte
nella guerra e nel naufragio, che per lo dispiacere
dell'impresa così mal felice con tanto perdimento di
spesa: e dopo essere stato gran tempo in pericolo
della vita, alfine confortato dall' allegrezza perchè
la regina Bianca sua moglie gli aveva in Napoli par-
torito un figliuolo, navigò con lei verso Spagna al
fine di quell'estate e consumò tutto quel verno nel
preparare le cose necessarie a rinnovare al principio
dell' altro anno con maggior forza la guerra, e per
potere essere piìi presto ad assaltare l'isola veden-
do quanto l'anno passato gli fu dannosa la tardan-
za. Dall' altra parte re Carlo in Napoli , sollecitato
dai figli suoi giovani e bellicosi, con simile atten-
zione pose in ordine la parte dell'armata che toc-
cava a lui: talché giunto re Giacomo a Napoli con
lo sforzo dell'armata sua all'ultimo d'aprile, ai ven-
tiquattro del seguente maggio furono in punto le
galee e le navi apparecchiate in Napoli e cariche
326
di cavalieri e di pedoni, quel dì medesimo fecero
vela per la Sicilia. Roberto duca di Calabria e Fi-
lippo principe di Taranto, figli di re Carlo, di comun
voto con re Giacomo fecero generale dell'una e del-
l' altra armata Ruggiero di Loria.
La battaglia di Capo Orlando decise della na-
vale potenza, ma non dell' onore della Sicilia. Per
questa così memorabile rotta seguita con tanta glo-
ria di Ruggiero rimasero tanto afflitte le cose de'
siciliani, cbe non fu persona a que' tempi che non
giudicasse che Sicilia tra pochi dì avesse a venire
in mano di re Giacomo e di re Carlo IL Ma seguì
effetto al tutto contravio, che dimostrò quanto sia-
no incerti g!i effetti delle cose umane contro il giu-
dizio e r opinione universale; perchè re Giacomo
credendo d'aver tanto abbassato e consumato le for-
ze di Federico , che le genti di re Carlo sotto il
governo di Ruggieri di Loria non avessero a fare
altro, che fra pochi giorni pigliare la possessione
dell' isola, non volle procedere più oltre, parendo-
gli d' aver soddisfatto al mondo, al papa e a re Car-
lo, avendo in due guerre tanto speso e posto in pe-
ricolo la persona sua nella prima con 1' infermità,
ed in questa battaglia con una ferita, che nulla ri-
manesse più a fare in vantaggio di re Carlo. Ed in
fatti essendo venuti Roberto duca di Calabria e Fi-
lippo principe di Taranto e Ruggiero a visitarlo ,
dappoiché fu medicata la ferita , egli parlò loro in
questo modo: « Poiché ha piaciuto alla clemenza
» e alla giustizia di Dio darmi comodità con sì no-
)) tabile vittoria d' adempire quanto io alla sede
» apostolica e alla maestà di re Carlo per virtù
327
)) dei patti della pace dovea , né resta altro che
» pigliar la possessione di Sicilia: poiché voi signori
» avete visto che Federico mio fratello in questa
» battaglia navale ha perduto le forze di mare e di
» terra, e l'isola si ritrova tanto esausta, e consu-
)) mata eh' è impossibile a poter mai piiì levar la
» testa : mi par tempo di ritornare in Ispagna ai
» regni miei , per disponere le cose in modo che
» quei popoli, impoveriti per le gravezze sostenute
)) in questa guerra, vengano a rifarsi col fine de'dan-
» ni presenti e con la sicurtà di quelli, che da loro
» si temono per l'avvenire. Però, sig. duca di Ca-
» labria , io vi lascio 1' ammirante Ruggiero , con
» la virtù del quale non solo in questi tempi, che
» i nemici sono in tanta ruina , ma quando fosse
» alcuna difficoltà nel fine della guerra si potrebbe
» aspettare certa vittoria; e quando per alcuno ac-
» cidente il fine dell'impresa tardasse, io non mau-
j> cherò d' essere il medesimo che sono stato sino
» a questo dì con la persona e con le forze de' re-
» gni miei. » 11 duca di Calabria, ch'era giovane di
ventitré anni ed avidissimo di gloria, accettando per
vero tutto quello che il re dicea, e rendendogli in-
sieme lodi e grazie a nome di re Carlo suo padre
di quanto avea fatto, pregò Iddio che gli desse pro-
spero felice viaggio: e cosi pai-tendo il re con mol-
ta amorevolezza mostrata a lui e al fratello, rimase
allegro di questa partita, credendosi che resterebbe
a lui r onore di quello eh' era fatto con le forze
altrui: e molto più rimase allegro Ruggiero, giudi--
caudo che siccome era stata sua la gloria della vit-
328
toria, tale ancor sarebbe l'onore di quello che ave-
va a succedere.
Tra questo mezzo riavutosi Federico e giunto
con dodici galee in Messina , trovò che in quella
città si era intesala rotta con la morte sua; e quei
cittadini vedendolo vivo fecero tanta allegrezza e
festa quanta avrebbero fatto se fosse ritornato
con la vittoria. In quel medesimo tempo intese
che il duca di Calabria e Ruggiero aveano messo
l'esercito a terra e posto campo a Randazzo; e es-
sendo vennto avviso a Messina che re Giacomo era
partito, convocò parlamento generale, e dissimulan-
do la malinconia con generoso parlare essortò tutti
che stessero di buon animo , perchè sebbene egli
avea perduta la giornata, i nemici aveano perduto
più di lui essendo scompagnati dalle forze di re
Giacomo che s' era partito, e che le altre forze ri-
maste non era possibile che non fossero diminuite
molto per quei valenti uomini eh' erano morti nel-
la battaglia: onde era agevol cosa di contrastar loro
e di proibirli per quell' anno d' ogni effetto impor-
tante. Intanto raccolse nuovo esercito e andò a por-
si con tutto il suo sforzo a Castrogiovanni, luogo
di natura fortissimo e opportuno a soccorrere ovun-
que il bisogno lo chiamasse. Il duca di Calabria non
avendo potuto ottenere Randazzo, andò sopra Ador-
no, Castiglione, la Roeella , mosse contro Paterno,
Bucchiero, e alcune altre castella che tutte a lui si
resero. Prese e saccheggiò Chiaramonte, dove tro-
vò molta resislenza.
Seguì la resa di Catania, la battaglia alla Fal-
conara, e la battaglia navale di Ruggiero di Loria
329
e di Corrado Doria, dove le galee siciliane combat-
terono con tanto valore, quanto si potea; ma non
poterono durare contro a quelle di Ruggiero , che
erano di maggior numero ; la galea di Corrado ,
che facea maraviglie, e che non potendo altri-
menti superarsi , Ruggiero avea comandato che
vi fosse appiccato il fuoco , avendo incomincialo
ad ardere , basso lo stendardo reale e si rendè.
Seguì r assedio di Messina, dove Federico per-
de il valoroso Blasco d'Alagona, che morì per gran
fatica d' anima e di corpo in conservare quella cit-
tà: nel qual tempo ridottasi tutta l'isola in estrema
penuria , Federico andò a Siracusa e col mezzo di
Violante duchessa di Calabria, eh' era sua sorella ,
incominciò a trattare di tregua , che fu conchiusa
per sei mesi.
Fra questi sei mesi papa Bonifazio pensò in fa-
vore di re Carlo favori ed aiuti nuovi con bella
occasione: perchè essendo morta a Carlo di Valois
fratello del re di Francia la prima moglie eh' era
figlia di re Carlo, il Valois pigliò una figlia di Fi-
lippo figlio dell' ultimo Balduino imperator di Co-
stantinopoli, erede di molti luoghi in Grecia e del
titolo e della ragione dell'impero, ch'era slato oc-
cupato dal Paleologo; e con aiuto del re di Fran-
cia e del papa voleva andare all'in^presa di Costan-
tinopoli. Ed essendo nel viaggio , il papa 1' istigò
che si fermasse a Fiorenza per comporre con 1' au-
torità sua alcune discordie, eh' erano in quella cit-
tà; ed essendovisi fermato con intenzione d'opera-
re qualche buon' effetto e d' avere dal comune di
330
Fiorenza qualche aiuto per l'impresa sua, non pe-
rò seguì la pace ; perchè essendo egli persona
militare ed istruito piti di guerra che di pace e
di cose politiche, piìi tosto cagionò discordie , che
alcuna sorte di pace. Ma non finirono qui i fa-
vori di Bonifazio Vili, che saldo nella massima di
avversare i discendenti dalla stirpe Sveva persuase al
Valois, giunto in Roma, che l'impresa di Costanti-
nopoli sarebbe stata più agevole aiutando egli re
Carlo a fornir l' impresa di Sicilia, perchè avrebbe
egli avuto da re Carlo più pronti e più comodi
soccorsi , che non avrebbe avuti dal re Carlo suo
fratello. Accettò il consiglio il Valois, e venne a Na-
poli con poderosissimo esercito in quel tempo che
Federico avea preso per forza Aidone: e non è
dubbio che vedendosi tanto numero di nemici nel-
r isola ognuno giudicava le cose di Federico dispe-
rate, perchè non si vedeva né s' aspettava in esso
facoltà di riparare a tanto sforzo di mare e di ter-
ra. Pur vedendosi che dopo aver preso Termine il
Valois perde molti giorni senza fare altro, il re Fé--
dorico con quel vigor d'animo ch'era suo naturale,
e con quella prudenza in che superò ciascun re del
suo tempo , andò compartendo le genti sue poche
a' luoghi maggiori d'importanza, e raccomandandogli
ad uomini fedeli e valenti operò per modo che così
aspettando il tempo diminuisse la forza dei nemici
ed aumentasse la sua.
Né prima cominciò a pensare alla pace , che
vedesse impossibile resistere a sì grande esercito.
Intanto il re Federigo, persistendo nel suo pro-
posito, non comparve mai in campagna, sol miran-
331
do a guardar le terre: perchè vedea che un sì gran-
de esercito , come era il nemico , non potea non
dissolversi presto o per mancamento o di paghe di
vettovaglie. Pur non mancava con la solita destrez-
za, e con r aiuto d-e' cavalieri siciliani, che gli ser-
virono mirabilmente, di trovarsi dov'era il bisogno,
ed assaliva le scorte che conducevano vettovaglio:
finché dopo brevi dì nel campo cominciarono a sen-
tir penuria, ed infermando gran quantità di soldati,
incominciò il Valois a dare orecchio a parole di
pace; e furono fermati i capitoli della pace.
Questi furono che re Federico in vita fosse re
di Sicilia e poi ritornasse liberamente a re Carlo
ed a' suoi eredi: eh' ei s'intitolasse non re di Sicilia
ma re di Trinacria: e che a lui si tornasse in ter-
mine di quindici dì ogni terra che in Sicilia si te-
nea per lo re Carlo, e al medesimo termine egli resti-
tuisse ogni terra ed ogni fortezza che in (Calabria
teneano bandiera sua: che dall'una e dall'altra parte si
liberassero i prigioni senza pagar taglia: che re Fede-
rico pigliasse Eleonora figlia terza-genita di re Carlo
per moglie; che re Carlo procurasse che il papa avesse
a ratificar la pace e così ad investirlo o di Sardegna o
di Cipri: dove poi rimanessero i figliuoli, che nasce-
vano da questo matrimonio, ed acquistando re Fe^
derico di quei regni o l' imo o 1' altro, che andas-
se a regnarvi restituendo subito a re Carlo il re-
gno di Sicilia; pagandogli a conto di sua dote cen-
tomila onze d' oro. E qui terminò la guerra di Si-
cilia; e questa pace per tutta l'Europa si giudicò mol-
to vantaggiosa ed onorata per lo re Federico, e fino
al cielo esaltarono la virtù sua, che con deboli for-
332
ze d' un poco regno , ei solo erasi mantenuto e
difeso da molti avversari poderosi; e quantunque
la condizione eh' egli fosse re in vita parea ono-
rata per 1' altro, niente di meno chi era giudizioso
mirava, che dopo sua morte s' avrebbe ad entrare
all' esecuzione della pace piuttosto con 1' arme che
con la carta de'capitoli; laddove si tenne poco ono-
rata per Carlo di Valois: e da Giovan Villani è scrit-
to che '1 motteggiarono per Italia , eh' era andato
in Fiorenza a ponervi pace, e vi lasciò nuova guer-
ra: e eh' era andato in Sicilia a far guerra, e par-
tivane con disonorata pace.
Così declinarono in un istante le cose delia Si-
cilia , e Bonifazio approvò que' patti che ne ca-
gionarono la rovina.
Né per quanto onorati fossero quei patti coi qua-
li fu resa la Sicilia , erano però da lodare in Fe-
derico la condiscendenza, colla quale aveva accon*
sentito al matrimonio d' Eleonora: e una tal con-
discendenza verso gli Angioini aveva fatto oltraggio
allo svevo ed aragonese nome ed alla dignità me-
desima della Sicilia.
Già la bella Trinacria, quell' isola che i poeti fìn-
sero essere stata data in dote allo stesso Giove, era
irreparabilmente caduta sotto il giogo degli Angioini.
Ahi! quanto erasi mutata la corte di Sicilia do-
po le malaugurate nozze Angioine!
Non più a giostre, a torneamenti, e gualdane,
a caroselli, come per lo addietro vi si attendeva,
ma sì bene a cacce, a conviti, a serenate ed a balli.
Le grazie, le ricompense non piìi erano l'appannag-
333
gio degli ottimi, ma degli adulatori e dei giullari;
ed un Minuccio d' Arezzo più festeggiato vedevasi
nella reggia, che i prodi di Capo Orlando, di Fal-
conarla, di Gagliano, e di Ponza. Quel trono, ove
con tanta gloria teste sedeva il fìgliuol di Pietro
d'Aragona, il nipote di Manfredi, or deturpato pa-
reva da un volgare principe , immerso in asiati-
che morbidezze , e da pravissimi uomini cinto ed
ingannato. Federico in somma tanto grande nel
campo, altrettanto dappoco nel soglio, era il ludi-
brìo dei suoi nemici: ed obbliando che non mai un
parentado estinse le gare di regno, ogni giorno più
inviluppavasi ne'loro lacci, senza neppur sospettare
da chi gli fossero tesi. Imperocché sua moglie Eleo-
nora, sebbene fosse di costumi severi e tenerissima
del consorte, pur nata come ell'era al tempo che
più infuriava la guerra tra gli Angioini e la Sicilia,
cioè soli sette anni dopo il vespro, ed allevata in
una corte che sol pascevasi d'odio e vendetta con-
tro i siciliani, questi s«^ntimenti da lei succhiati col
latte ella pur conservava tenacemente: e se il con-
iugale affetto comandavale un'eccezione per Federico,
gl'isolani però e soprattutto coloro, che avevan pri-
meggiato nella sommossa, o contro l'armi Angioine,
più 0 men palesemente ella detestava. Così Fede-
rico inaridir faceva gli allori sul suo capo, obbliava
le sue prodezze passate e tradiva l'onor della Sici-
lia. E l'esule fiorentino, l'Alighieri, che dedicar vo-
leva a Federico la sua cantica del Paradiso, come
ad un dei tre soli magnanimi di quelfetà, quasi ob-
334
bliando le sue virtù, ora Io detestava come dege-
nere figlio di Pietro d'Aragona:
E se re dopo lui fosse rimaso
Lo giovinetto che retro a lui siede,
Ben andava il valor di vaso in vaso.
Ora tacciavalo di dappocaggine, di viltà e d'avarizia,
Vedrassi l'avarizia e la viltate
Di quel che guarda Pisola del fuoco
Ove Anchise finì la lunga etate.
Eh dare ad intender quanto è poco.
La sua scrittura fien lettere mozze
Che noteranno molto in parvo loco.
Ora facevalo pianger vivo dalla Sicilia:
E quel che vedi nell'arco declivo
Guglielmo fu, cui quella terra plora
Che piange Carlo e Federico vivo.
Niun comentatore della Divina Commedia, per
quanto è a mia notizia, ha fatto il menomo cenno
intorno all'origine dell'odio e dello spregio di Dante
pel re Federico di Sicilia , cui nella seconda e
terza cantica ricopre di siffatte contumelie. E tanto
più questi dispregi del poeta avrebbero bisogno di
spiegazione, in quanto che singolarmente si oppon-
gono all'anunirazione che Federico avea destata non
335
solo in tutti i suoi contemporanei, ma nel mede-
simo Alighieri: perciocché se dobbiamo credere al-
l'apocrifo Boccaccio ed alla lettera scritta da frate
Ilario del Corvo ad Uguccione della Faggiuola, che
conservasi nella Laurenziana, la quale ancora io sti-
mo apocrifa e che il Troya trascrive nel suo Veltio
Allegorico, Dante dedicar voleva, come dicemmo, a
Federico la sua cantica del Paradiso.
Potentissimo adunque dovette essere il motivo,
che rivolger dovette il suo affetto in isdegno , la
sua ammirazione in disprezzo, per cui quegli stesso
che poco prima avea chiamato i due fratelli Fede-
rico e Iacopo onor di Sicilia e d'Aragona, poscia
con parole di così amaro disprezzo si rivolgesse verso
quel monarca Federico.
Ne posso io col Balbi e col Troya ritrovare le
ragioni di questo cambiamento nel rifiuto fatto dal-
l'aragonese della signoria di Pisa e così dell'ufficio
di capo ghibellino in Toscana.
E molto meno posso ritrovarle nella natura della
pace fatta da Federico, nel mediator di questa pace,
il cardinal Niccola da Prato che fu poi il persecutor
dei bianchi di Fiorenza, e nella condotta di quel re
verso ^i Roma , a cui restituì tutte le chiese , di
cui era in possesso prima che si rivoltassero contro
re Carlo, come appare dalla formola del giuramento
che Corrado Doria in nome del re Federico diede"
a Benedetto XI, che trovasi nel Rainaldi alla rubrica
del 1303, parag. 50,
Ed ancorché ciò volesse farsi, bisognerebbe as-^
336
segnare a questo cambiamenlo una data anteriore
al 1308.
Ma il Troya slesso dimostra con validi argomenti
che la lettera del fiate Ilario fu scritta nel 1308, e
che la seconda e la terza cantica furon dopo quel-
l'anno composte dal poeta. E siccome in queste due
cantiche leggonsi soltanto i motti di lui contro Fe-
derico, così non prima del 1308 dovette l'aninio
di Dante cambiarsi contro di lui.
/ pisani, dice il Troya, offrirono al re di Sici^
Ha la signoria della .oro ciltcr, ma il suo rifiuto ina^
cerbi la loro sciagura e contro esso accrebbe i dis~
degni dell'Alighieri.
Ove però ad accurata disamina soggiaccia questa
opinione, si troverà del tutto priva di fondamento;
1." perchè il Mussato, il Ferretti, lo Speciale, tutti
autori sincroni, affermano che Federico venne in Pisa,
dopo aver saputo la morte dell'imperator Arrigo di
Lucemburgo, e che vi venne con fermo proposito
di surrogarlo nel capitanato dei ghibellini italici; 2."
perchè il suo rifiuto della signoria pisana e la sua
partenza da Pisa accaddero dopo che i duci tede-
schi venuti con Arrigo furonsi ritirati in Germania
abbandonando gl'itali ghibellini, e dopoché i pisani
ebbero cominciato pratiche di pace coi lucchesi e
con re Roberto; 3.° perchè non era Dante irragio-
gionevole in modo da pretendere che Federico, la-
sciando il suo regno esposto agli assalti Angioini,
dovesse consacrarsi alla difesa di Pisa e dei fuo-
rusciti di Firenza; ne era tanto ingiusto da incolpare
quel re dell'abbandono de'suoi amici, mentre costoro
in vece Federico stesso abbandonavano.
337
M;i sussista anche l'opinione del Troya: egli però
non dice che il rifiuto della signoria pisana cagionò
ì disdegni di Dante, ma che gli accrebbe. E in vero
se tai disdegni fossero surtì soltanto dopo la morte
di Arrigo VII.; cioè in novembre del 1313; non li
avrebbe Dante potuti significare, che nella terza can-
tica , cominciata senza dubbio, come ben prova il
il Troya stesso, dopo quell'anno. Ma noi Ji vediamo
in vece la prima volta espressi nel canto VII della
seconda composta fra il 1308 ed il 1313, segno
infallibile che in questo mezzo tempo dovetter sor-
gere.
Or se nel 1308 Dante diceva nell' apocrifa let-
tera al frate Ilario di reputare re Federico uno de' tre
soli magnanimi di quell'età: se nel 1313, secondo il
Troya, il rifiuto della signoria pisana fatto da quel
re accrebbe i disdegni dell'Alighieri contro di lui ,
ben'altra adunque dovette esser la prima cagione di
tai disdegni.
Potentissimo adunque io dissi, e forse particolare
dovette essere il motivo che rivolger dovette l'affetto
dell'Alighieri in isdegno, e la sua ammirazione in al-
tissimo disprezzo.
E dove è mai più naturale il cercarlo e pili facile
il ritrovarlo che nella tristissima condizione dell'esule
illustre?
Dimandò questi forse a Federico un asilo, e forse
da Federico gli venne rifiutato.
L'apocrifo Boccaccio, dopoaverdettodella dimoradi
Dante inParigicontinua a narrareche« sentendo Arrigo
della Magna partirsi per soggiogare Italia alla sua mae-
stà in parte ribella, e già con potentissimo braccio
tenere Brescia assediata, avvisando lui per molte ra-
G.A.T.CXLIV. 22
338
gioni dover essere vincitore, prese speranza colla sua
forza e colla sua giustizia di potere tornare in Fi-
renze, comecché a lui la sentisse contraria. Perchè
ripassate le Alpi con molti nemici de' fiorentini, e
di lor parte congiuntosi, e con ambascerìe e con lettere
s'insegnarono di trarre lo imperatore dall'assedio di
Brescia, acciocché a Fiorenza il ponesse, siccome a
principal membro de' suoi nemici; mostrandogli che
superata quella, ninna fatioa gli restava, o piccola,
ad aver libera ed espedita la possessione e il dominio
di tutta Italia ».
Così l'apocrifo scrittore della vita di Dante che
pone il ritorno di Dante al tempo dell'assedio di Bre-
scia: il che non p^iò essere, a parere del Balbo, poi-
ché questi già scriveva dai fonti d'Arno addì 16 aprile
1311, quando appena Arrigo si partiva di Pavia. Ma
si può quindi probabilmente inferire, ch'ei fosse poco
prima tornato; che in una delle città del Piemonte
o di Lombardia, fin d'allora visitate da Arrigo, egli
il vedesse e si congiungesse co'suoi compagni d'esilio,
come apparisce dalla famosa lettera scritta nell'ori-
ginale latino, della quale tanto nell'originale che in
un antico volgarizzamento la direzione é così: « Al
gloriosissimo e felicissimo trionfatore e singolare si-
gnore messer Arrigo, per la divina provvidenza re de
romani e sempre accresci tore, i suoi devotissimi Dante
Alighieri fiorentino e non meritamente sbandito, e
tutti i toscani universalmente che pace desiderano,
mandano baci alla terra dinanzi a' vostri piedi ».
A Dante, movitor qui di principe straniero contro
la propria città, io non saprei scusa che valga: do-
gliamoci 0 passiamo.
339
Fatto è che Ari'igo, passata la pasqua in Pavia
addì 17 aprile 1311, la dimane della lettera di Dante
partì e compose tutte le minori sollevazioni.
Ma contro Brescia gli fu forzii venire a campo
ed aprir guerra. Incominciò a maggio, durò quattro
mesi e vi s'inferocì. Così doveva succedere, fondan-
dosi i tedeschi sul diritto d'imperio , gì' italiani su
quello di libertà egualmente incontestabili a senno
di ciascuno: e così accusandosi questi da quelli d'in-
fedeltà, quelli da questi d'oppressione.
Di Brescia per Cremona, Piacenza e Pavia e Tor-
tona venne Arriso a Gevova in sul novembre avviato
a Toscana. E qui Roberto re di Napoli mandava gente,
sollevava città. Bologna, Firenze s'apparecchiavano
apertamente , e Siena , per dir la parola dantesca ,
barcheggiava.
Gli ambasciatori d'Arrigo, che non avean potuto
entrare in Firenze né in Bologna, si raccolsero prima
nei castelli dei conti Guidi, e quindi per mezzo di
altri signori ghibellini meno scoperti ivan citando
i signori in persona e le città per sindaci o com-
missari, a comparire dinanzi al re de' romani. I meno
ardili dimandavano dilazione fino a che ei fosse in
Pisa.
I più andarono a Genova, e fra questi Uguccion
della Faggiuola.
Di Dante si vuol dire che parte di quest' anno
1311 ei passasse a Forlì, se abbiamo a credere a
Pellegrino Calvi, che dice aver copiato un'epistola
di lui di là scritta in nome degli esuli fiorentini a
Cane della Scala, dove era narrato l'infelice successo
degli ambasciatori d'Arrigo ai fiorentini. Di là poi
340
pare che venisse con gli altri fuorusciti e con Uguc-
cione a Genova.
Poco durò in Italia e invitaTinvano buone e prode
imperatore dopo le sue vergogne di Roma e di Fi-
renze, e dopo aver mandato di Pisa, o poco prima,
suo vicario a Genova quell'Uguccione della Faggiuola
che l'avea seguito, come pare, da un anno, e certo
all'assedio di Firenze, attese agli apparecchi contro
Roberto re di Puglia, dichiarato da lui nemico del-,
l'imperio, e fatto da Firenze e Lucca signore loro
per cinque anni.
Federico Aragonese aiutava l'imperatore con un'
armata di mare, e i ghibellini aiutavano pure, ma
poco, pressato ch'era ciascuno dai guelfi vicini. Ma
Arrigo avviatosi per la Maremma toscana addi 5 ago-
sto 1313, e inoltratosi fino a Buonconvento presso
a Siena, la solita infermità degli eserciti settentrio-
nali , che avea mietuto già parecchie di sue genti
e teneva lui malconcio da alcun tempo , inasprita
probabilmente da quelle arie cattive, lo spense addì
24 dello stesso mese.
Il corpo trasportato per le deserte maremme dal
desolato e disperso esercito ghibellino fu recato a
Pisa. Accorsevi approdando re Federico di Sicilia.
1 pisani gli offersero la signoria di lor città: ma egli
se ne trasse indietro, ed essi diederla ad Uguccione,
che se ne fé centro per poco tempo a maggior for-
tuna.
Dante, di cui non è traccia da Genova in qua,
era probabilmente venuto a Pisa a un tempo che
l'imperatore, ed ivi o presso ai Malaspina nella Lu-
nigiana era dimorato nell'anno che Arrigo correva
341
a Koma , intorno a Firenze , a Pisa , a Buoncon-
vento.
In Pisa potè Dante conoscere Federico Arago-
nese, a cui intendeva dedicare la terza cantica.
E in Pisa fra l'agosto 1313, e novembre 1314,
ritroviamo Dante, dove probabilmente compiè o fece
gran parte della Monarchia e del Purgatorio sotto
la protezione di Uguccione della Faggiuola, signore
di quella città dopo il misero rifiuto del re di Sicilia.
Quindi Lucca fu signoreggiata da Pisa, e Lucca
e Pisa da Uguccione. E sotto lo schermo deiramico
potè quindi senza pericolo entrar Dante in Lucca,
quantunque da lui ingiuriata nell'Inferno. E termi-
nando poco appresso , anzi appunto nel restante di
quell'anno 1314, la cantica del Purgatorio v'intro-
duce va quel Bonaggiunta da Lucca. Che come il canto
XXIV, ove è menzione del soggiorno di Lucca, non
potè esser fatto prima del giugno, così il XXXI 11 ed
ultimo non potè esser fatto dopo il novembre 1314;
poiché dal trovar Filippo il Bello re di Francia, un al-
tro dei più grandi avversari di Dante, menzionato
ancora e minacciato come vivente nell'ultimo canto
del Purgatorio, si trae la data più certa che sia della
composizione di qualunque parte della commedia.
E già caduto Uguccione nel 1315, ignorasi se
poi Dante restasse in Lucca col nuovo signore Ca-
struccio (che è possibile essendo questi ghibellino)
0 se seguitasse i Faggiuolani presso ai Malaspina co-
muni amici e poi in Romagna. Certo verso questi
tempi trovasi anch'esso a nuovo rifugio in Verona
appresso a Can Grande della Scala; che a tal si -
gnore di gran potenza e fortuna venne come capi-
U2
tano di luì Ugiu'cione nel J316, e intorno al me-
desimo tempo come esule il nostro Dante.
Ma a qual tempo vorrò io riporre il rifiuto da
Federico fatto all'esule fiorentino, che lo addiman-
dava di ricovero, se non circa a questo tempo; cioè
circa il 1313 e il 1316, prima cioè del suo arrivo
in corte di Can Grande ?
E amplissima testimonianza a me ne porge una
lettera di lui, seguente probabilmente di poco il suo
arrivo plesso a Can Grande; la lettera con che ri-
volgeva a questo, tolta a Federico di Sicilia, la de-
dica del Paradiso non finito , anzi nemmeno inol-
trato.
Certo è che il Boccaccio parlando di quella de-
dica delle tre cantiche ai tre Uguccione, Moroello
Malaspina, e Federico di Sicilia, ed aggiungendo « al-
cuni vogliono dire lui averlo tutto titolato a messer
Cane » reca in mezzo due voci pubbliche sorte al-
lora dal non sapersi la sostituzione fatta di Cane
in luogo di Federico.
Ad ogni modo, dì tali superbie altrui e disin-
ganni di lui se grandissimo argomento non ne aves-
simo in questa lettera, ne abbiamo non poche me-
morie in altre occorrenze della sua vita. E per ri-
trovarne un'altra nello stesso Cane, la storia, le tra-
dizioni, le date, i casi posteriori di Dante, il non
avere esso mandati a Cane gli ultimi tredici canti
del Paradiso» tutto prova una rottura, se non ini-
micizia, una mala intelligenza tra il superbo pro-
tetto e il magnifico proteggitore.
E perchè furono da lui vituperati i genovesi in
su quel fine delflnferni), dove ci raddoppiava le in-
343
vcttive contro le città d'Italia, e fra i genovesi Branca
Doria, allora potentissimo e quasi signore della città,
v' era stato vituperato con quell' invenzione (la più
atroce forse fra quante ne partorì l' ira di Dante )
per cui vivo quello e potente, era pure stato messo
dal poeta nel piìi profondo baratro dell'Inferno, la
Tolommea, tra i traditori del proprio sangue, per
avere, dicevasi, ucciso il proprio suocero Michel Zan-
che ?
Perchè, io dico, furono da lui vituperati i geno-
vesi ed il Boria, se non pei' gravi oltraggi dal mor-
dace poeta ricevuti in un soggiorno di lui nella loro
città: che: se fu, dovette essere allora, quando è pro-
babile v'andasse con gli altin fuorusciti fiorentini e
coll'antico anciico Uguceione ?
Personale adunque e non politico dovette essere
il motivo che indusse l'esule fiorentino a maledire
la memoria di Federico. E in niuna altra cosa è più
naturale il ricercarlo, che nella condizione dell'esule
infelicissimo.
Né dovrà piìi recarne maraviglia, se dopo non
aver avuto da lui ricovero nella sua corte (e certo
una prova negativa sempre ne abbiamo ancora in
questo, che non esiste memoria, eh' egli sia stato
mai presso di lui ) Dante ne detestò Vavarizia , la
dappocaggine e la viltate ; e dovremo credere o che
fosse Dante da Federico disprezzato o apertamente
rifiutato.
Questa adunque e non altra dovette essere la pri-
ma cagione dei suoi disdegni.
E tanto più ciò dovrà sembrar verisimile, se pon-
gasi mente, che Dante, fermato il piano dell'immor-
844
tale poema, tutto ciò che vi diceva delle persone,
che incontrava nel viaggio dei tre regni, era l'opera
dei tempi e delle occasioni, e quindi dovea essere
da lui fatto e pubblicato a seconda di quelli e di
queste; cioè per piacere ai suoi protettori od ai suoi
amici, 0 per maledire ni suoi nemici e ai suoi per-
secutori.
Né taceremo perciò quel grande italiano di vo-
lubilità e di basso e personale risentimento. Nella
pubblica vita può talvolta l'uomo fare e dir cose che
attribuirsi possono all'impero de' tempi e delle cir-
costanze; ma nella privata tutto ciò ch'ei fa e dice
la sua indole di rado cela.
Quindi potea Dante concedere alla pericolosa po-
sizione di F'ederico il salvare a qualunque prezzo la
sua corona e. il suo popolo; ma perdonargli non po-
teva un fallo senza scusa, il qual manifestava pie-
namente la durezza, l'avarizia, e la dappocaggine del
suo animo.
Così quell'esule fiorentino, che avea prima de-
plorato la condizione della Sicilia per bocca di Carlo
Martello nell' Vili del Paradiso in quei versi:
E la bella Trinacria che caliga
Tra Pachino e Peloro sopra '1 golfo
Che liceve da Euro maggior briga,
Non per Tifeo, ma per nascente zolfo,
Attesi avrebbe li suoi regi ancora
Nati per me di Carlo e di Ridolfo;
ne deplorò quindi la condizione per la mollezza ,
avarizia, villate, e dappocarjgine di Federico.
345
Così quell'esule fiorentino, che fu cortesemente
ricevuto la prima volta presso Bartolomeo figlio d'Al-
berto della Scala, ove ebbe il suo primo refugio il
primo ostello, in Verona, presso Moroello Malaspina
in Lunigiana, presso Uguccione in Pisa ed in Lucca,
presso Can della Scala, fratello di Bartolomeo e di
Alboino e figli; di Alberto in Verona, presso Pagano
della Torre in Udine, presso i Polentani in Bavenna,
per non avere avuto ricovero o essere stato non cu-
rato o disprezzalo o non aiutato di alcun sussidio
da Federico d'Aragona, ne biasimò forse nelle sue
eterne pagine l'avarizia e la viltà, e dovette venire
ai dispregi di lui e vendicarsi a suo modo, toglien-
dogli l'onor della dedica e forse aggiungendo i vi-
tuperi che si trovano nel Convito.
Prof. Filippo Mercuri.
346
Discorso intorno alla vita ed alle opere di Miehele
Colombo , scritto dal professore Gaetano Cibelli.
D.
'ei molti e grandi letterati, di che lallegrossi l'Ita-
lia dalla metà del secolo decimottavo a mezzo il
secolo appresso, Michele Colombo fu per comune
sentenza appellato il Nestore, sì per la gravità del
senno, sì per la lunghezza del tempo, eh' egli vis-
se. Di questo preclarissimo uomo, con tutta sem-
plicità e chiarezza, secondo che porta la poca mia
sufficienza , entro a contare le cose più principali,
sì in ordine alla vita, * si in ordine alle opere let-
terarie.
Di Iacopo Colombo e di Francesca Carbonere
nacque Michele in Campo di Piera (villaggio a ven-
ticinque miglia da Venezia e a quindici da Trevi-
gi) neir aprile dell' anno 1747. 11 padre di lui, te-
nerissimo com'era del bene de'suoi figliuoli, si die-
de assai per tempo pensiero di procacciare al fan-
ciullo la migliore istruzione , che per lui si potes-
se; e a questo fine, non altro consentendogli la sua
non troppo agiata condizione, il venne raccoman-
dando ad un pio sacerdote del villaggio. Questi, se-
condo il modo della sua possibilità, lo ammaestrò
nelle prime lettere , e appresso nella grammatica.
* Chi desidara più particolari notizie della vita del Colombo
legga — Alquanti cenni intorno alla vita di Michele Colombo —
messi in luce dal eh. cavaliere Angelo Pezzana bibliotecario della
insigne libreria di Parma,
347
Michele, ehe sebbene garzoncello non provava altro
diletto che imparare, non si stette contento a quel
termine, a cui il buon sacerdote lo ebbe condotto,
ma s' ingegnò tutto da se di procedere più là. 11
profitto pelò era assai da meno del sno ingegno :
imperciocché , lasciando stare altre cagioni, i libri
di letteratura , che i primi gli vennero alle mani ,
furono il romanzo di don Chisciotte della Mancia
tradotto dal Franciosini, le rime di fra Ciro di Pers,
e la Lira del cav. Marino. Per sua buona ventura
però un giovinetto , che in quel villaggio si con-
dusse, avvenutosi in lui, come prima si avvide de'
libri che avea fra mano , il venne confortando di
volerli gittare luogi da se, e gli mise in amoi-e le
ventotto novelle del Boccaccio, il Galateo del Casa,
il Petrarca ed il Tasso. Michele non penò punto a
mettere in opera il consiglio ; e datosi a studiare
in quei libri, gli sì rischiarò di presente quella ar-
chetipa idea del bello, della quale era maraviglio-
samente impressa 1' anima sua. Comecché 1' accu-
rata proprietà de' vocaboli e de' modi del favellare,
de' quali è mirabile il Certaldese, oltremodo gli an-
dasse all'animo, pure non poteva acconciare la sua
mente a quei numerosi periodi e a quei trasponi-
menti di parole, in virtù de' quali quello acccUen-
tissimo ingegno intese di levare la lingua italiana
alla maestà ed altezza della latina. Quel diritto giu-
dicio, che Michele avea sortito dalla natura, gli da-
va che alla lingua nostra si affacesse maniera più
schietta, più semplice e sincera. In processo di tem-
po, attesamente studiando alle opere del Cavalca ,
del Passavanti, de' Villani, e degli altri gloriosi che
348
fiorirono nelP aureo secolo della lingua nostra , si
confermò nella sua opinione : ed avvegnaché aves-
se il Boccaccio pel più eloquente degli scrittori ita-
liani, tenea che nel fatto dello stile non fossr pun-
to da dovere imitare.
Infino all' anno diciassettesimo dell' €tà sua di-
morò Michele nella paterna casa ; nel 1761 s' eb-
be vestiti gli abili chericali, e si condusse nel se-
minario di Ceneda ad appararvi umanità e retori-
ca. Si chiamò per contento assai del maestro Gian-
nandra Galiari vicentino , il quale dipartendosi dal
modo degli altri , anziché opprimere col peso di
stucchevoli precetti la mente de' giovani, accurata-
mente mirava a governare il giudicio , ad avvalo-
rarne r ingegno , ad ingentilirne gli affetti. Intese
per prova il Colombo che la natura non gli era sta-
ta cortese di quella fervida immaginativa , che a
vero poeta si conviene; ondechè drizzò tutto 1' ani-
mo alla prosa , e in particolare a quella maniera
di stile, che più si accordava alla naturale qualità
del suo ingegno. Infra gli scrittori , ne' quali ave-
va posto grande amore, carissimi gli erano il Se-
gneri ed il Redi.
Quindi a due anni prese a studiare filosofia ;
alla quale, a voler dire il veso , non si diede con
quell'applicatezza, che alla dignità di cosiffatta scien-
za si conviene: colpa forse della disamabile e gret-
ta maniera che teneva l' insegnatore. Il giovanetto
Michele non potea farsi capace della utilità del si-
sillogismo ; gli era avviso che il volere ragionare
sillogizzando fosse proprio un mettersi le pastoie ;
né restava di venir graziosamente scherzando intor-
349
no r ergoizzare de' disputanti. Qui mette bene no-
tare che il Colombo avea da natura una felice at-
titudine ai festeveli motti ed arguti; alcune sue ope-
rette fanno assai chiara fede di siffatta naturale di-
sposizione, la quale, per mio avviso, tanto meno e
invidiabile quanto più è perigliosa. Ma lasciando
ciò da parte, io mi penso che molto sia a dolere
eh' egli liberalmente non usasse nelle filosofiche ma-
terie r acutezza e perspicacia del suo intelletto ;
che di molta dottrina si sarebbe di leggieri ravva-
lorata la mente, ed avrebbe un più largo e prezio-
so benefìzio arrecato alla civil comunanza. E mol-
to parimente è a dolere che soli due anni studias-
se in divinità ; imperciocché gli sarebbe agevolmen-
te venuto fatto di entrare innanzi a moltissimi nel-
la scienza della polemica ; tanto era egli singolare
dagli altri per acume di mente e verità di giudi-
ciò! Nel tempo eh" egli così era inteso alle filoso-
fiche e teologiche scienze , avea pressoché per le
mani i più illustri scrittori italiani, e ne venia sot-
tilmente investigando le peculiari bellezze quanto
a lingua ed a stile ; era pure solleci/o ricercatore
delle più antiche ed autorevoli impressioni de' no-
stri classici , e con tale accuratezza che mai la
maggiore ne avvisava tutte ad una ad una le pro-
prietà fino alle più sfuggevoli.
Immacolato, com' era di costumi , e adorno di
bellissime virtù, fu levato alla sacerdotale dignità: e
tutto impresso di quella celestiale letizia , che si
conveniva al novello suo stato , si ricondusse alla
paterna casa , e consolò di sua cara presenza gli
amati genitori.
350
Ivi però a pochi mesi si dipartì della terra na-
tia, perchè il conte Folco Lioni di Ceneda, il qua-
le ben sapea quanto avanti sentisse il Colombo nel-
la difficile arte di entrar nell' animo de' giovanetti
e di recarli soavemente air amore della religione
e delle lettere , lo invitò ad istruire i suoi cinque
figliuoli. Di buon grado Michele, usando il benefizio
dell' occasione, entrò all' officio propostogli; e ve-
duto che a doverlo convenevolmente adempiere gli
era mestieri la cognizione delle matematiche, esso,
facendo forza a se medesimo, si diede intentamen-
te a siffatto studio; e ciò con tale felicità di suc-
cesso, eh' egli non si sarebbe mai creduto da tan-
to. Per ben undici anni , non senza comune sod-
disfazione, intese a questo suo officio ; fornito che
r ebbe , di psescnte mosse a Conegliano , ove il
conte Pietro Caronelli avealo scelto ad educatore
d' un suo figlioletto. Il fanciullo tenea del sempli-
ce, anzi del pazzo; se ne addiede di tratto di Co-
lombo, e per non contristare il conte, a cui il pa-
terno amore facea di se velo alla mente, sotto co-
lore che r aria di Conegliano non facesse per lui ,
uscì di colà lasciandovi non bassi esmpi dì sua
pazienza.
Pochi mesi appresso fu per dolce e caro modo
invitato a Venezia ad ammaestrare due figliuoli del
patrizio Giovanni Battista da Riva. Michele, eh' era
giusto estimatore delle persone, si recò ad onore
siffatto invito, e di buona voglia il tenne. Del ca-
rico impostosi fu oltremodo contento, siccome co-
lui che vedea a' suoi lodevoli desideri conseguita-
re r un dì più ehe 1' altro intero 1' effetto. Avea
351
il Da Riva una assai bella libreria, fornita massima-
mente di autori inglesi; ciò fu cagione al Colombo
d' inestimabili beni, essendoché potendo a sua po-
sta giovarsi d' ogni maniera di libri , seppe trarne
prezioso tesoro di cognizioni. In Venezia si strinse
di amicizia al conte Carlo Gozzi e ad Angelo Dai-
ni istro ; conobbe il celebre abate Spallanzani , col
quale ebbe alquanti ragionamenti sopra i polipi a
mazzetto chiamati dallo Spallanzani alheretti animali.
E qui, così per transito, non fia disutile di notare
che il Colombo fu studiosissimo di alcune parti del-
le scienze naturali , e che in particolare fu vago
quanto altri mai di osservare le proprietà maravi-
gliose de' polipi d'ogni maniera. In Venezia ebbe
pure la bramata contentezza di più volte tenero
sermone col Canova, maraviglia dell'arte scultoria.
Essendo stato il Da Riva eletto dalla sua re-
pubblica a podestà e capitano di Padova , colà si
condusse, e con lui Michele e i figliuoli. Quivi gli
uomini che erano di gran voce si raccoglievano
insieme in letteraria ragunanza appellata inglesemen-
te club ; ad essa appartenevano infra gli altri Si-
mone Stratico, Melchior Cesarotti , Clemente Sibi-
lato professori eh' erano di quella illustre univer-
sità. Michele vi fu intromesso; davanti a tutti tro-
vò grazia , e tutti lo ebbero per carissimo e per
da molto. Tre anni o in quel torno il Colombo
dimorò in Padova ; di là tornato a Venezia, stette
in casa il patrizio Da Riva infinattantoché il mag-
giore de' suoi alunni menò moglie , e il minore si
fu ito col balio Vendramini a Costantinopoli.
352
Tornò Michele alla paterna casa , donde poco
stante si condusse a Parma a dover crescere nelle
lettere e ne' buoni costumi un giovanetto d' indole
bellissima ed egregia, il cavaliere Giovanni Bona-
ventura Porta. Era 1' agosto del 1796 , quando il
Colombo tutto lieto di speranze , che non torna-
rono fallaci, mise mano al suo officio. Appresso a
forse due anni , nel quale spazio alla sollecitudine
dell' eccellente maestro non fu punto disuguale la
diligenza dell' ottimo discepolo , il Porta col suo
dilettissimo, non so se io mi dica, amico o precet-
toee , intraprese i suoi viaggi sì a beneficio di sa-
lute , sì ad opportunità di svariale condizioni. Da
prima il Porta si ristrinse a visitare la Toscana ;
ivi egli e il Colombo a loro beli' agio vennero ac-
curatamente avvisando tutto, che in quel felice pae-
se , vera sede dell' urbanità e gentilezza , è degno
di considerazione; ed ivi il Colombo ebbe il destro
di farsi amici il canonico Bandini, 1' abate Fonta-
ni, il canonico Moreni, 1' abate Fiacchi, e il cava-
lier Baldellì. Conobbe pure Vittorio Alfieri ; e co-
mechò questi di quel tempo si sottraesse quasi ad
ogni persona , siccome colui che temeva non forse
qualche francese ardisse di presentarsi a lui ( ed
egli autore del Misogallo di tutta forza avea in odio
i francesi o almeno ne facea vista ) , tuttavia al
Colombo venne fatto di renderselo cortese ; e il
disdegnoso astigiano , vinto alla gentilezza di lui ,
ordinò al suo cameriere che all' abate Colombo non
fosse mai tenuta 1' entrata. Conobbe ancora il con-
te D' Elei, il quale , uomo unico anziché raro nel
fatto della greca e latina letterattu'a, possedeva una
353
veramente insigne libreria fornita a meraviglia della
pili antica impressione degli autori classici greci e
latini. II Colombo, che quanto altri mai traea d'ogni
cosa profitto, per minuto ponea mente a quelle ra-
re gioie, e più ricco divenne di cognizioni.
Ivi a due anni i solerti viaggiatori fecero ritor-
no a Parma, ove soggiornarono un anno senza più.
Indi s' avviarono alla volta di Brescia e di Berga-
mo, osservando, secondo loro usato, ogni cosa che
meritasse il pregio della loro attenzione. Godea l'ani-
mo al Colombo veggendo che il giovane a lui com-
messo venia 1' un dì più che V altro acquistando di
belle cognizioni; e, così lieto com' era, s' indirizzò
col suo alunno a Milano e poscia a Torino. Dopo
non guari spazio si trasferiiono in Francia, poi di
Francia in Ispagna , poi d' Ispagna in Inghilterra.
Più volte, non senza diletto e meraviglia, rividero
la Francia, più volte la Spagna, né mai alcuna co-
sa ragguardevole passarono inosservata. Nel tempo,
che il Colombo trovavasi a Parigi, avea per costu-
me d'intervenire alle pubbliche vendite di cospicue
librerie ; di che gli venne fatto di rendere più co-
piosa e pregevole la eletta , che si venia formando
di buoni libri.
Dipartendosi il Colombo di Parigi per alla volta
di Parma , entrò in pensiero di visitare la patria
del Bousseau , quella dell' Alfieri e quella del Bo-
doni ; ed il suo pensiero mandò ad esecuzione. Non
molto appresso col Porta, che n' era vago, misesi
in cammino per le province orientali e settentrio-
nali della già spenta repubblica veneziana , e da
G.A.T.CXLIV. 23
354
ultimo tutti e due, chiamandosi contenti assai dei
loro viaggi, a Parma fecero ritorno.
Poco stante , cioè nell' anno 1817 , il cavalier
Porta sposò a moglie 1' egregia Elena Buigarini, ap-
partenente ad una delle piiì nobili ed illustri famì-
glie di Siena. Ivi a due anni la lietezza di questo
connubio tornò in lutto; che il cielo si ritolse 1' ani-
ma bellissima di Elena, e ben era cosa da lui. Do-
lente il consorte oltre ogni possibile immaginare ,
partì alla volta di Siena, e di colà verso Roma, ove
raggiunse 1' incomparabile suo amico il Colombo.
Comecché assiduamente vagheggiasse le meraviglie
dell' arte , ond' è prestantissima quella città , she
ben si pare la dominatrice del mondo , pure non
potè Michele adempiere a mezzo il desiderio , nel
quale s' era acceso, di contemplare quelle sovrane
bellezze; tanto ogni cosa gli parca superiore ad ogni
più intensa ammirazione ! Ivi di amichevole nodo
81 strinse a Guglielmo Manzi bibliotecario della Bar-
berina , il quale si tenne avventurato di poter flirgli
dono di un rarissimo libriccino contenente la tra-
duzione ftitta dall' Anguillara del secondo libro del-
l' Eneide. Dopo parecchi mesi Michele si ricondus-
se a Parma, ove onorato, riverito, careggiato finché
gli bastò la vita, rimase in casa del cavalier Porta
che fu di lui amantissimo ed ossequioso al possi-
bile.
Mettendo ora mano alle opere letterarie del Co-
lombo, picciolo di mole, non di valore , tanto più
mi ristringerò a brevità quanto più chiara di esse
Suona meritevolmente la fama. Aveva il Colombo
sortito un intelletto acuto, una inente considerativa
355
e ordinalissima , un sottile discernimento di tutto
che giova o che nuoce alhì perfezione , un' imma-
ginativa aggiustatamente temperata; e datosi fin da'
teneri anni allo studio della hella letteratura, pose
r ingegno, quando fu tempo da ciò, a scrivere le-
zioni , ragionamenti , discorsi , considerazioni , che
dovessero tornare a profittevole documento de' gio-
vani amanti delle lettere; e, cosa malagevole assai,
riuscì perfettamente all' inteso fine-
Le sue Lezioni sopra le doti di una eolla favella
sono tali, per mio avviso, che trapassano ogni più
alto segno di lode. In esse risplendono verità di
principii, evidenza di discorso, aggiustatezza di cri-
tica, bellezza di concetti, e sensatissime osservazio-
ni, che tengono dei nuovo e del mirahile. Nelle sue
lezioni mira egli con senno veramente filosofico per
entro il segreto magis tero dell' arte, e consideran-
do opportunamente quando la natura delle intellet-
tuali facoltà dell' uomo, quando le ingenite propen-
sioni del medesimo , non che le varie condizioni
dell' anima umana secondochè è composta o per-
turbata di affetti, reca per 1' appunto la ragione di
quelle leggi , che appartengono all' essenza della
elocuzione. Senzadio tutto ivi e maravigliosamente
chiaro, perspicuo, ordinato; tutto impresso d' inge-
nua urbanità e decoro; tutto atteggiato d' inimita-
bile delicatissima grazia. E quale è mai fra i trat-
tati di elocuzione, che pur vanno per la maggiore,
che possa di pregio vincere o pareggiare le lezio-
ni del Colombo so{)ra la chiarezza, la forza, la gra-
zia ? Il perchè non è da maravigliarsi se 1' Italia
con suo altero vanto accolse cosiffatte lezioni, e se
356
all' egregio autore fu larga di lodi; nò ò da mera-
vigliarsi se i dotti accademici delia crusca , teneri
dell' integrità della bellissima nostra lingua, le re-
putassero ben meritevoli di corona. E qui si vuol
considerare che di quel tempo le forme del dire
più stravaganti ed improprie, le immagini piii am-
pollose ed entusiastiche si accoglievano a furia nel-
le scritture; di che si adulterava turpemente la ca-
stissima nostra favella.
Alle tre lezioni sopraccennate , dopo il volgere
di non forse breve tempo, ne aggiunse il Colombo
un' altra parimente giudiziosa e perfetta Dello siile
che deve usare oggidì un pulito scriltore. Per essa
intese egli a ragionevolmente temperare la senten-
za del padre Antonio Cesari ( uomo al cui merito
ogni lode è poca ), il quale avvisava che la gioven-
tù quanto a lingua ed a stile dovesse dai soli scrit-
tori del trecento fare ritratto. Quale fosse la nor-
ma che ai giovani veniva proponendo il Colombo,
si pare alle seguenti parole. ~ Studiate ( così egli )
diIÌ2;entemente ed assiduamente nelle carte di tutti
coloro, che meglio scrissero nell' Italia. Studiate in
quelle de' trecentisti , ed apprendete da quei padri
e maestri del dire elegante e puro una graziosa
semplicità , che non così facilmente voi potreste
trovare in chi scrisse dappoi. Studiate in quelle de-
gli, autori del cinquecento, ed apprendete da quegli
egregi ristoratori delia favella un certo decoro, una
certa giustezza , una certa maestria nel comporre ,
la quale non era sì ben conosciuta dagli scrittori
che gli avean preceduti. Studiate finalmente in quel-
le di questi ultimi tempi; ed apprendete dagli scien-
357
zìati scrittori de' nostri tempi; ed apprendete dagli
scienziati scrittori de' nostri dì un miglior metodo
neir ordinare le idee, una maggior precisione nel-
r esporre i pensamenti, una maggior perizia ed in-
telligenza neir assestare il compimento. —
Queste sue lezioni, comecché bellissime ed in-
gegnose, avea egli, modesto così com' era, per cosa
appena mediocre, secondochè e' dice in una lettera
indiritta ad Angelo Dalmistro ; e per cosa appena
appena mediocre avea l'altra lezione ( bella di uti-
lissimi avvertimenti ) che appresso venne scrivendo
Intorno al favellare e scrivere con proprietà. Anzi
tale era il giudizio , che di questa egli portava ,
che si era già posto in cuore, anziché di metterla
in luce, di darla alle fiamme; e ciò indubitatamen-
te avrebbe fatto , se il suo cj\ndido amico, il cav.
Angelo Pezzana non ne lo avesse stornato. Ed oh!
fosse stato piacere di Dio, che un amico ( il qua-
le di certo molto avrebbe meritato dell' italiana let-
teratura ) avesse potuto contendergli di ardere le
ventiquattro lezioni del Blair , eh' egli avea re-
cate neir italiana ftìvella! E qui é da sapere che il
Colombo, avuto sentore che il padre Soave era pro-
ceduto molto innanzi nella traduzione del Blair ,
ebbe per inutile la sua, e di presente V arse; tanto
di se bassamente sentiva, e tanto onorato concetto
avea preso di quel padre Soave!
- È da grande filologo la lezione Bel modo di mag-
giormente arricchire la lingua senza guastarne la pu-
rità. Io per me vorrei che tutti i nostri novelli let-
terati con occhio chiaro e con affetto puro , come
appunto dice 1' Alighieri, ponessero ben mente alle
358
iȓiiste norme che ivi con assennatezza e discrezione
al tutto maravigliosa reca innanzi il Colombo; vor-
rei che ben si facessero capaci degli aforismi ch'egli
stabilisce come rimedio preservativo contro al gua-
stamento della favella ; e in particolare vorrei che
intensissimamente rivolgessero fra se questi due: -
Non isperi di potere mai essei'e buono scrittore chi
non ha per molti anni e molti voltate a rivoltate e
dì e notte le carte degli autori, e massime de' piiì
accreditati, e in ispeziellà di quelli de'migli ori tem-
pi. - I jnodi impropi'i del favellare corrompono la
lingua pili ancora che i vocaboli difettosi. Però so-
pra tutto nella formazione dei modi di favellare deb-
l)onsi usar precauzioni grandissime. -
È da savio ed erudito filosofo la lezione Sopra
ciò che compete alV inlelletlo , e ciò che aW imma-
ginativa nelle diverse produzioni delV ingegno. E chi
lasciando stare altre cose assai belle , che fanno
chiara fede d' un intelletto perspicacissimo e forte,
chi non applaude agli esempli che reca a far ve-
dere come i filosofi Irasviano quanto incautamente
allentano il freno alla loro immaginativa ? - Parto
d'una vivace immaginativa ( die' egli ) sono quelle
monadi, con le quali il Leibnizio pretese di spiega-
re la formazione dell' universo, e tutto ciò che in
esso si fa; parto d' una vivace immaginativa quegli
atomi uncinati, coi quali il Gassendo imprese a spie-
gare la discesa dei corpi verso il centro della ter-
ra ; parto d' una vivace immaginativa quelle fibre
del cerebro, altre vergini ed altre no, con le quali
il Bonnet si sforzò di mostrare in che la remini-
scenza differisce dalla semplice percezione. Che di-
359
rò poi di questi spirili animali, pel cui ministero ,
secondo 1' avviso del Melabranche, s' operan tante
cose nel nostro cervello ? - E chi è che al tutto
non consenta a ciò eh' egli dice a dover mostrare
quanto neccia alla vera bellezza della poesia il so-
verchio predominio che sulla scelta de' pensieri usur-
pasi l' intelletto ? E chi è tanto dissennato o siffat-
tamente preso de' deliri oltremontani, che non me-
ni buone le sue considerazioni sopra il modo da
tenere nel valersi della mitologia ?
Bello medesimamente si è il suo Ragionamento
intorno alV eloquenza de' prosatori italiani. Bellissimi
e oUremodo cari e persuasivi que' suoi brevi discorsi
che hanno stretta attenenza colle sopraccennate le-
zioni. Non credo che uom potrà mai adeguatamente
lodare quella sua Diceria in difesa dello scrìvere con
purezza, eh' egli dall' orlo del sepolcro, dove nella
grave sua età di presso che ottantaquatlramii sede-
va, mandò al can. Moreni. Ho per giustissime e bel-
le e gentili le Osservazioni intorno alV episodio di
Sofronia ed Olindo, non che le Considerazioni sopra
mia delle censure fatte dal Galilei alla Gerusalem-
me Liberata. E a chi non piace quel breve discorso
Della difficoltà de tradurre e del modo da dovervisi
tenere più che si può ? Io qui mi passo, per iscri-
ver breve, di parecchie sue operette, tutte mirabil-
mente giudiziose e venuste, che tornano a grande
profitto degli studiosi; non posso però passarmi del-
le note, di che illustrò ben molti e molti passi del
Decamerone, delle Cento Novelle, e della Gerusalem-
me Liberata. Gosiffiute annotazioni, che sono argo-
mento apertissimo della dirittura della sua mente,
300
(Iella perfetta conoscenza , che avea , de' classici
scrittori, non che di quel criterio , che a pochi il
cielo in sua larghezza destina, hanno tanto valore,
che io per poco ne disgrado tutte le grammatiche
ragionale e tutti i filologici trattati.
E qui da che la materia, a cui ho messo ma-
no, m'invita a parlare del Colombo, in quanto e'
fu grande bibliografo , ed io entrerò a dirne qual-
che cosa. Procacciossi egli fama e autorità di dot-
tissimo ed accurato filologo col Catalogo di alciuie
opere attinenti alle scienze, alle arti e ad altri biso-
gni delV uomo. Quest' opera effetto di lunghi studi,
di molta dottrina, di perfetto discernimento , recò
alla letteraria repubblica inestimabile bene ; essen-
doché dtì essa illustri scrittori trassero cagione di
por mano ad opere utilissime , per le quali si fa
via più ricco e prezioso il patrimonio della lingua
nostra. E lasciando stare siffatto catalogo , chi è
che leggendo e il Ragionamento sopra im luogo del-
l' Asino d' oro di Nicolò Machiavelli , e 1' Articolo
pertinente alle varie edizioni della Testina delle ope-
re del Machiavelli medesimo, e le Lettere al Moreni
sopra due luoghi del Decamerone del Baccaccio , e
la Lettera intorno alla prima edizione delle cose vol-
gari del Poliziano, e la Relazione dalla Polinnia Co^
miniana, e la Lettera ad Angelo Sicca ed altre co-
se di questo genere , chi è che non abbia il Co-
lombo per filologo Cìruditissimo e perfetto ? E in
questo luogo mi giova notare eh' egli erasi forma-
to un alto concetto della scienza, dell' accuratezza
e della fede del bibliografo , e che all' idea della
sua mente accordò mai sempre le opere sue. Mi si
361
consenta che io rechi quelle sentenze , colle quali
egli apre il suo dotto ragionamento sopra un luo-
go deir Asino d'oro: - Qualunque alterazione, che
nel testo d' un libro sia fatta, o per trascuraggine
o per ignoranza, è una violazione della fede dovuta
all'autore ed al lettor tutt' insieme , e giusta ca-
gione avrebbero entranibi di rimproveraine agra-
mente colui che la fa , il primo con dirgli: Tu
falsifichi la mia merce: ed il secondo: Tu mi
dai moneta falsificata per buona. E non vale il di-
re che queste alterazioni non sono di gran conto
per la più parte; o piccole o grandi esse sono bia-
simevoli sempre ; prima perchè non lasciano per
piccolezza di essere macchie che alla scrittura si
fanno, con togliere a questa la sua nativa purezza:
ed appresso perchè ciò che leggiero è per un ver-
so, può per un altro essere grave. E certo è , per
cagione d' esempio , che in un libro d' istoria , il
qual fosse autorevol anche nel fatto della lingua ,
infiniti cangiamenti potrebbero aver luogo poco no-
cevoli 0 nulla alla istorica verità, e molto alla pu-
rità e vaghezza della favella. - Per siffatte parole si
comprende quanto era sublime il segno a che egli
mirava ; segno veramente altissimo ed arduo , al
quale non è da far maraviglia se talvolta non pon-
no levarsi i moderni editori. A dover però pren-
dere un adeguato e pieno concetto del valore del
nostro filologo , sono anche da ben ponderare le
dotte, ingenue e per ogni rispetto carissime lettere,
le quali da buon tempo desiderate indarno , oia ,
la mercè di Dio, son messe a luce. Leggansi quel-
le eh' egli indirizza ad illustri bibliografi e lettera-
362
li, e massime quelle eh' egli scrisse a Bartolomeo
Gamba, e si comprenderà che nel fatto de' filolo-
gici studi Michele fu non secondo a nessuno, a mol-
tissimi primo.
Quanto egli si conoscesse dell' indole de' giova-
netti e delle loro intellettuali attitudini e disposi-
zioni , e quanto acutamente mirasse per entro le
attenenze che hanno fra se gli studi delle lettere
e delle scienze, il mostrò nella giudiziosissima Lettera
intorno al regolamento degli studi di un giovanetto di
buona nascita. Di questo suo componimento scri-
vendo egli al Dalniistro disse: - lo trovo appena
mediocri quelle mie lezioni, e giudico alquanto mi-
gliore la lettera intorno al metodo degli studi. Le
considerazioni, che io fo là dentro, sono ben d' al-
tra importanza che le osservazioni contenute nelle
lezioni. - Sarebbe da desiderare che coloro i quali
presiedono e coloro che intendono alla educazione
de' giovanetti bennati, non avessero a schifo di ben
addentrarsi nelle considerazioni del Colombo: che
elle sono di tale natura , che ben meritano di es-
sere altamente apprezzate. Scrisse pui-e un Discorso
intorno alV ammaestramento che più conviene ai fan-
ciulli, ben conoscendo egli che quanto più stretto
è il bisogno che V uomo ha dell' altrui soccorso ,
tanto maggiore è il benefìzio che gli fa chi si ado-
pera in prò di lui. A questo discorso appartengono
quattordici novellette con a pie di ciascuna giudi-
ziose osservazioni. Siffatte novelle sono , a detta
dell' autore, invenuste e mal acconce all'inteso fine:
tuttavia e' volle recarle in luce ad intendimento di
eccitare più valenti letterati a scriverne altre mi-
363
glioi'i ; sapendo egli ( sono sue parole ) che V ec-
cellente e r ottimo e d' oi'dinai'io preceduto dall' in-
fimo e dal mediocre.
Mal si opporrebbe chi si desse a credere che sola-
mente nello stile o carattere insegnativo fosse stato va-
lentissimo il Colombo: valentissimo e' fu parimente e
nell'encomiastico, e nell'epigrammatico e nel narrati-
vo. L'Elogio, ch'egli scrisse, di Elena Porla naia Bui-
garini è per ogni rispetto bellissimo, nobile, e vera-
mente degno di esser posto in esempio a chiunque
abbia vaghezza di venire in fama nel genere lodativo.
A far apprezzare il merito ed il valore dì quell'ani-
ma eletta, discorre egli di quattro cose: in primo
luogo dei doni che furono a lei largiti dalla natu-
ra nel nascer suo; appresso, dello svolgimento del-
le facoltà e intellettuali e morali che in lei seguì
nella prima sua educazione, cioè in quella che al-
tri le diede; in terzo luogo del perfezionamento che
queste facoltà ricevettero nella seconda sua educa-
zione, vale a dire in quella che died' ella a se stes-
sa; e per ultimo dell' uso che delle medesime ella
fece nella vita civile. Queste quattro parti sono trat-
tate con assennatezza , con dignità, con abbonde-
volezza, e con mirabile magisterio. Senza tema di
errare io dico, che coloro i quali si conoscono del-
la vera eloquenza, reputeranno questo elogio degnis-
simo di ogni lode, ed avranno in ispezieltà per da
più d'ogni lode quello stile acconciamente suasivo,
onde si valse l'autore a volere incitare altrui a ben
fare. Piacesse a Dio che coloro , ai quali è com-
messa r educazione dì agiate e nobili giovanette ,
ben comprendessero e mettessero in opera i doveri
364
elle porta il loro oflicio! Doveri, de' quali egrogia-
mente parla il Colombo. Meno tristo di certo sa-
rebbe il mondo, se gli educatori intendessero a ben
coltivare la mente de' loro alunni e ad arricchirla
di utili cognizioni, massime di quelle che apparten-
gono alla religione ; se intendessero a risvegliare
nobili e sublimi sentimenti nel cuore de'medcsimi,
a governarne le voglie, a tenerle in tutto alla ragio-
ne sottomesse. Nò dovrebbero perciò porre in non
caie di procurare alla persona de' loro allievi gli
opportuni avvantaggi, di crescerli nella debita gra^
zia e nel convenevol decoro. Che tutte le cose, la
musica, la danza, la coltura esteriore, le conversa-
zioni, usate con modo, secondo che vuole ragione,
e a lodevole fine indirizzate, possono tornare assai
profittevoli. Leggasi attesamente ciò che intorno a
questa materia dice con mirabile discrezione e ve-
nustà il Colombo ; e non pure gli educatori e le
educatrici avranno di che esser lieti della loro let-
tura , ma i giovani e le giovani bennate potranno
agevolmente coglierne eccellenti e copiosi frutti di
virtù.
Del valore dol Colombo nello stile epigramma-
tico fanno chiaro dimostramento i Trattatelli eh' egli
scherzosamente disse essere stati tradotti dalla lin-
gua malabarica nell' italiana favella. Riescono ad
essi caro ammaestramento que' suoi detti brevi, per-
spicui ed acuti, facili per la loro chiarezza a com-
prendersi, per r acutezza ad imprimersi , e per la
verità a tenersi a mente. E chi non ammira in es-
si quella, dirò così, difficile facilità procedente dal-
la sembianza semplice ed ingenua d' un concetto
365
spiritoso ed arguto ? Vammi per la memoria ciò
che ne disse un illustre letterato: alcune di quelle
sentenze malabariche sono cosi venuste, che le gra-
zie non sarebbero da tanto di farle più graziose.
Questo giudizio è , per mio avviso, tutta verità.
Dello stile narrativo diede pure il Colombo no-
bilissimo esempio togliendo a scriverò alcune no-
velle, col lodevole intendimento di alleviare altrui
gli affanni e le noie di questa faticosa vita mortale.
Tre * egli ne recò al pubblico belle e perfette per
lo stile in ordine al quale gli venne fatto, se mal
non mi oppongo, di aggiugnere alla eccellenza de'
più celebri cinquecentisti- Volendo egli tentare il
giudizio de' letterati del suo tempo fece correr vo-
ce che la prima di cosiffatte novelle , cioè quella
intorno a Franceschino da No venta, fosse opera del-
l'Amalteo; e per cosa appunto degnissima dell'Amal-
teo fu ricevuta e lodata a cielo. Mi giova di re-
care qui una lettera indirizzata dal Colombo a per-
sona , che lo avea richiesto dal manoscritto del-
l' Amalteo. - Voi mi chiedete una cosa, della qua-
le non è in poter mio il compiacervi ; e can ciò
m' inducete a palesarvi un secreto che io non avea
intenzione di manifestare a nessuno. Io lo fo con
patto che rimanga la cosa tra voi e me. Il procu-
rare d' aver qualche traccia del MS. originale del-
la novelletta dell' Amalteo è il cercare una cosa im-
possibile! La detta novella non è altrimenti di quei
* Rispetto al numero delle novelle, e in generale, rispetto alle
opere del Colombo leggasene il catalogo, che trovasi alla fine
de' Centìi del cav. Pezzana. Sì noti però che ivi non si fa men*
jidne di tutte le opere del Colombo
366
letterato ; essa fu scritta da me , ed^ ecco ciò che
me ne diede 1' occasione- Il sig. co. Antonio Maria
Borromeo raccoglie avidamente non solo i libri
stampati di novellatori italiani, ma ancora novelle
inedite. Io, che gli professo non poche obbligazio-
ni per le grandi amorevolezze che quel buon ca-
valiere mi usa, procurai di ripescargli ancor io qual-
che cosa in questo genere: ma non mi venne mai
fatto di rinvenirci nulla. Un giorno mi cadde in
pensiero di provarmi se io fossi più in istato di
scrivere in sul gusto dei cinquecentisti , come io
avea fatto parecchie volte così per capriccio in tem-
po di gioventù quando io studiava retorica , e di-
stesi quella piccola novelluzza. Parendomi che lo
stile non si scostasse molto dal fare degli scrittori
di quel secolo , mi arrischiai a farla passare per
«osa del cinquecento , ed a lui ne feci dono. Per
renderne più facile 1' impostura, ebbi V avvertenza
di attribuirla ad un autore, del quale non si aves-
se nessuno scritto in prosa italiana, con cui poter
confrontarla. In oltre, a fine di gabbar più facilmen-
te i lettori, vi aggiunsi la piccola lettera che ci fu
stampata in fine; ne citai un Ms. ideale ond'io fìnsi
di aver tratta la mia copia. Col mezzo di tal arti-
ficio ho avuta la compiacenza di vedere i nostri
letterati beersi bonariamente questa bugia, ed ave-
re la novella per cosa dell' Amalteo; il che mi ha
fatto credere che non abbia imitato male lo scri-
vere di que' tempi, e mi ha quindi animato di esten-
derne un' altra a un dipresso del medesimo gusto.
Io ve la trasmetto acciocché, scorsa che 1' avrete ,
me ne diciate il parer vostro. Neil' intioduzione
367
prendo di mira il giornalita di Pisa , il quale par-
lando della novella attribuita all' Amaldeo, ne di-
sapprovò r argomento, siccome quello che non con-
tiene nessuna istruziene; come se gli altri novella-
tori si fossero prefìssi di trattenere i loro lettori
in argomenti importanti ed istruttivi. Penso, s' ella
non vi dispiace, di dar fuori anche questa. La farò
uscir sotto il nome di M. Agnolo Piccione . . . . -
Di queste novelle bella per la invenzione e per Io
stile è la prima; bellissima per ogni rispetto è la
seconda, cioè quella nella quale si canta come Giac-
carello condannato dal marchese di Saluzzo alla
forca, trova modo di fuggirsi dalla prigione; la terza,
quanto al subbietto, fa chiara fede che gli uomini
anche più prudenti ed assennati non sempre si pon-
gono mente in ogni cosa.
Al genere narrativo o descrittivo appartiene pu-
re la Breve relazione della repubblica dei Cadmiti ,
che il Colombo ad innocente sollazzo venne det-
tando. Questo ghiribizzo ( che così 1' intitola 1' au-
tore ) è nella sua apparente semplicità ingegnosis-
simo , maestrevolmente condotto , e ben chiaro
dimostra quanto 1' autore fosse valente in quel-
r arte che ad arte cela se stessa. Ad alcuni che
stanno in sul severo, è avviso che parecchi luoghi
qua e colà sappiano troppo del satirico; siffatta opi-
nione è rigida anzi che no ; e credo che coloro, i
quali hanno titolo di moderati e discreti , concor-
rono nel mio giudizio. Censurato 1' anzidetto ghi-
ribizzo dalla Biblioteca italiana, il Colombo scrisse
una gentilissima lettera all' autore della censura, e
cordialmente ringraziatolo de' consigli che gli ave-
368
va dato, volle in segno di riconoscenza intitolargli
il (lotto e grave Earjionamento intorno alle discordie
letterarie. Oh quanto e più tranquilla e lieta e fe-
lice sarebbe la letteraria repubblica , se il modo
tenuto dal Colombo verso il suo censore non fos-
se, com' è, una vana ricordanza senza più!
Appartiene medesimamente al carattere narrati-
vo r Istoria compendiosa della introduzione del tam-
buro e delle campane in Parnaso. Intorno a questa
ingegnosa operetta, e veramente singolare per la
poetica inventiva , 1' autore dico queste parole: -
Mia intenzione unicamente si fu di lasciar correrò
la penna per puro divertimento dove la trasporta-
va la fantasia , e non già dì mettere in canzone
scrittori illustri, le cui produzioni sono tenute an-
che da me in grandissima stima, e davanti a' quali
io starei colla berretta in mano. - lo son di cre-
dere che de' cento lettori ben novantanove saran-
no non troppo disposti a dar fede a cosiffatta pro-
testazione. Checché ne sia, passando sotto silenzio
i concelti graziosissimi ed arguti ( che non poco
san di sale), i quali con semplicità quasi direi co-
lombina e' viene sponendo, porrò fine alla enume-
razione delle principali opere del Colombo dicendo,
che chi leggerà a ppensa lamento tutte le opere di
questo preclarissimo filologo non penerà a vedere
che in lui ad una perspicacia d'intelletto e ad una
verità di giudizio al tutto ine omparabile si rag-
giunse una felicissima altitudine a cotale maniera
di satireggiare, la quale tanto più acuta riesce quan-
to si nasconde più sotto abito semplice e modesto.
E tengo per indubitato che coloro, i quali avranno
369
accuratamente ponderate le opere di lui, non si ren-
deranno malagevoli di meco convenire in quaste
due sentenze. La prima delle quali si è, che se il
Colombo non fosse stato rattenuto da troppo basso
concetto di sé medesimo ( che quantunque valesse
assaissimo , si teneva da poco e quasi da nulla )
avrebbe fatto prezioso dono all' Italia di molte e
molto più gravi opere letterarie; essendoché il non
poco che fece è quasi niente alla potenza ond' era
fornito. La seconda si é, che se non avesse reli-
giovamente fatto forza a sé medesimo colla grande
sua virtù , sarebbe egli nello scrivere satirico en-
trato per avventura innanzi a tutti.
E qui toccando ornai della fine, non posso preter-
mettere di notare che il Colombo fa sacerdote in-
tegerrimo, esemplarmente pio, tenero quanto altri
mai del perfetto adempimento d' ogni suo officio ;
amante della virtù in cui che si fosse; non curan-
te de' beni di quaggiù ; misericordioso co' poveri ,
de' quali, secondo sua possibilità, fu largo soccor-
ritore. Officioso cogli amici, abborrente dalle discor-
die, portatore pazientissimo delle malattie, che mol-
te e gravi lo assalirono ; in ogni avversità fermo
della mente e imperturbabile, siccome colui che al-
tamente sentiva della divina provvidenza. Tenjpe-
rato nelle prosperità, in tutte cose ordinato, discre-
to né mai grave a chicchessia; il suo eloquio non
fu copioso gran fatto, ma sempre chiaro , pulito ,
venusto e ad ora ad ora festevole ; quanto a per-
sona, non di molta appariscenza , senza però alcu-
na deformità; di guardatura vivacissima e penetran-
te; di statura più che mezzana; di vestimento tra
C.A.T.CXLIII 24
370
convenevole e negletto; in sua giovinezza prese dì-
letto della caccia , nella matura età del giocare
agli scacchi , sempre dell' amichevole conversare.
Tale si fu 1' abate Michele Colombo appellato il
Nestore de' letterati; visse novantun' anno, due mesi
e undici o dodici giorni; la sua morte fu tranquil-
la, quale appunto si conveniva ad uomo , a cui la
cattolica religione sia stata ferma norma e costan-
te. Di lui le più illustri accademie non che quella
della crusca si onorarono; di lui i più celebri let-
terati furono solenni ammiratori, per forma che il
Monti ebbe a dire *: - GÌ' italiani non diventano
classici che dopo morte, il Colombo è classico vi-
vente. - Di lui durerà per sempre la fama, se pu-
re r Italia non porrà vergognosamente in non cale
il decoro e la gloria della bellissima sua letteratura.
* V. Elogio di Michele Colombo deito alla R- Jccad ernia Luc-
chese da Ferdinando Maestri.
371
VARIETÀ'
Ellogium Ioannis de Andrea eqiiitis torquati ordinis
hierosolymarii. 8." Romae 1856.
Chi sia stato il marchese Giovanni d' Andrea lo
sanno bene i lettori di questo giornale, i quali ne
hanno letto parecchi elogi. Or cccone un altro ,
scritto veramente con aurea penna latina dall' esimio
P. Antonio Angelini della compagnia di Gesù.
Alcuni scritti di Michele Melga. 8." Napoli dalla
stamperia del Vaglio 1856. ( Un voi. di pag. 246.)
Michele Melga è fra que' giovani scrittori na-
poletani che più mantengono in fiore le buone let-
tere, e soprattutto hanno cura di serbare in onore
il patrimonio dell' eleganza nella favella. Questa
scelta de' suoi scritti assai lo dimostra: nella quale
non sapremmo dire se piiì ci piacciano le belle cose
0 le belle parole.
Appendice al libretto La prima e la seconda patria,
ossiatio due altre righe di prosa , di verso e di
epigrafitty per Alessandro Baldassini. 8." Pesaro
presso Annesio Nobili 1856. ( Sono pag. 35. )
Segue il sig. marchese Alessandro Baldassini ad
illustrare la cara e gentile sua Pesaro: ed ecco qui
372
un' orazione recitata da lui nelle esequie rinnovate
della marchesa D. Barbara Anguissola Mosca: ora-
zione piena di affetto e di belle sentenze e notizie:
due sonetti: ed una elegante e tenera iscrizione ita-
liana al sepolcro della piissima sua genitrice mar-
chesa Margherita Mosca Baldassini.
373
INDICE
Visconti , Antiche lapidi rinvenute dal cavalier
Guidi pag. 3
Ciampiy La comm. ital. nel secolo XVII . » 58
Cialdif Del porto di Pesaro ( con litografia ) » 109
Belloniy Monografia della febbre miliare. . h 14-5
Biolchiniy Esposizione dei drappi di lana e seta
fatta in Roma nel 1856 « 244
Considerazioni intorno, alcune opere mediche del
Ladelciy delV Heringe e del Migneco. . » 253
Cappello, Istorico riassunto sopra il cholèra in-
diano » 287
Coppi, Discorso sul ristoramento delV emissario
di Claudio. » 305
Mercuri, Lezione XVIII sulla Divina Commedia
riguardante Federico di Sicilia. . . . » 314-
Gibelli, Discorso intorno alla vita ed alle opere
di Michele Colombo » 346
Vaiietà : » 371
Pag.
lin.
FRRORl
COKREZIOiNI
148
13
Provincie
province
id.
25
ed apparvero
apparvero
153
30
Chemel
Chomel
157
10
sintematica
sintomatica
158
29
sintomaca
sintomatica
160
23
paurpera
puerpera
163
18
sintomalogia
sintomatologia
172
18
e asserisce
asserisce
178
8
da sudore:
da sudore
id.
9
periodo cessa:
periodo cessa.
189
4
tutti '
tutt' i
191
1
circostanae
circostanze
196
20
scaturisse
scaturisce
206
9
in sola
in una sola
208
22
Pietro Sulia
Pietro Salio
212
32
sintematico
sintomatico
214
nota
phtìhsie
plithisie
218
nota
dalle malattie
delle malattie
id.
9
affaciano
affacciano
217
6
esacuazioni
evacuazioni
222
30
a reprimere
reprimere
IMPRIMATUR
Fr. Th. M. Larco Ord. Praed. S. P. Ap. Mag. Socius
IMPRIMÀTUR
Vr. Ani. Ligi Archiep. Vicesgercns
»
Nel giornale si dà il sunto, o \icnc inse-
rito l'annunzio, delle opere prcscnlate in dop- Q^g>
pio esemplare alla direzione. Se queste opere ^^g)
vengono dall'estero, debbono essere inviate |^^
franche d'ogni spesa di porto e dazio.
Le notizie di scienze, di lettere, e di belle
arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura,
industria ec, come anche i programmi de' con-
corsi accademici, dovranno similmente esser
mandati franchi di posta alla direzione.
Chi si associa per dieci copie, o ne garan-
tisce la vendita, avrà l'undecima (jrulis.
^ iX^^ WW W^>^S!^^^^
GIORNALE
DI SCIEIVZE, LETTERE ED ARTI ^@>
Voi. 433 434 435
ROMA
Tlpografla delle Belle Arti
1856
GIORNALE
DI
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
VOLUME CXLV
OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE
1856
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE AKTI
1856
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
Numismatica ascolana, ossia dichiarazione delle mo-
nete antiche di Ascoli nel Piceno. Deiravvocato
Gaetano Deminicis , membro della commissione
ausiliare di belle arti e antichità nella provin-
cia di Fermo ; socio della pontificia accademia
romana di archeologia ; deW istituto romano di
corrispondenza archeologica; delle accademie reale
ercolanese e pontaniana di Napoli ; della società
archeologica di Madrid ; della colombaria di Fi-
renze; della etrusca cortonese ecc.
jja scienza delle monete è ogglmai considerata
come uno de' principali fondamenti della certezza
della storia; perciocché le monete sono monumenti
figurati e scritti o, come dicono, parlanti, per mezzo
de' quali si manifestano e perpetuamente conser-
vansi gli storici fasti e gli avvenimenti militari
e religiosi, civili e politici più importanti e segna-
lati di tutti i tempi e di tutte le nazioni. E nel
vero il diritto della impressione della moneta dal-
le romane leggi si ascrisse fra i primi e più gran-
di diritti di regalia, come quello che sin dal prin-
cipio al solo capo dell' imperio era riservato, e dal
medesimo anche raramente altrui conceduto. Il
qual diritto si giudicò altresì in ogni tempo qual
segno di autonomia o di potestà suprema, e quin-
di della primitiva grandezza di una città. Conside-
randosi perciò dai dotti, che la pubblicazione delle
k
monete de' vari stali italiani del medio evo avreb-
be recato grandissima utilità alla storia (1) per co-
noscere qual fosse l'Italia ne' suoi conti, marchesi,
tiranni, duchi, re e pontefici, nelle sue repubbliche,
città e terre , vuoi ne' tempi tenebrosi e remoti ,
vuoi ne' men lontani e vicini; molte opere nel pas-
sato secolo e nel presente si pubblicarono intorno
9 ciò, fra le quali la dissertazione XXVIl del Mu-
ratori, le opere dell'Argelati, del Carli, del Bellini,
e la grande raccolta del Zanetti, tralasciando d' in-
dicare quelle che si limitarono ad illustrare moltis-
sime zecche delle città e provincie italiane (2).
Ascoli però ancor mancava della sua storia numis-
matica , benché di alcune monete vari scrittori
avesser brevemente discorso. Laonde stimammo di
ricogliere tutto ciò che ragguardasse le monete
storiche ascolane, ed insieme con alcune nostre con-
siderazioni presentarlo alla pubblica luce (3).
Ascoli del Piceno (4), città nobilissima e forte
di natura e di arte , fu capo e sede degl' Italiani
che reclamavano giustamente a Roma i diritti della
loro cittadinanza, e tra gli altri quello de'suffragi
ne' pubblici comizi (5). Quivi nella terribile guerra
sociale furono vinti il proconsole Servilio , e gli
esploratori e messaggeri romani; da essa città usci-
rono tre duci principalissimi della guerra , e nel
luogo stesso ebbero termine le ostinate ed acerbe
battaglie tra i romani e i popoli italici (6). Era
duopo pertanto ricercare primamente , se questa
città di tante rimembranze gloriosa , potesse mo-
strare a suo maggior vanto d' aver arricchita 1' an-
tica numismatica de' popoli doli' Italia media, come
5
altre città e popolazioni sue vicine. Vi fu qualche
numografo che dubitò non forse dovesse attiibuiisi
ad Ascoli del Piceno una moneta di bronzo con
leggenda greca AYCKaA [Aijscla) [Eckhel, Addenda
p. li ). Se non che il eh. Cavedoni osserva , che
tale moneta non ad Ascoli del Piceno debba aspet--
tare, sì ad Ascoli dell' Apulia , una delle città ri-
bellanti al tempo della guerra italica ; il cui agro
fu devastato dall' esercito romano guidato da Go-
sconio , di cui parla Appiano (7). Il Millingen (8)
riporta due monete con la stessa greca leggenda
ripetuta, di diverso tipo, cioè AYh 'y/£.KAI , o
AY£KAir2N, ed opina che le due città omoni-
me del Piceno e dell' Apulia sieno state designate
differentemente , ma che la seconda pili sovente
siasi appellata A£KAON, o Ascidum: per cui l'at-
tribuisce egli ad Ascoli di Apulia. Giova ascoltare
le sue parole medesime (9): - H y avait deux vil-
les du nom d'Asculum, une dans le Picenura, l'au-
tre dans 1' Apulie, beaucoup plus considerale , et
à la quelle appartiennent ces monnaies. Cette ville
est ordinairement appelée A^KAON, ou Asculum;
mais dans Frontinus on lit Ausculum, et dans Pline
seculani ( Hist. Nat. lìb. IH cap. XVI ). Anche il
eh. T. Mommsen in una lettera indirittaci da Roma
il 17 marzo 1846 dichiara essere dello stesso parere
del dotto inglese Millingen , attribuendo con cer-
tezza tali monete ad Asculum Apuliim, e con lui
conviene anche il eh. Giulio Friedlaenter (Die Oskis-
chen Munzen , p. 54-56). Ed in vero le monete
de' piceni o de' popoli adriatici ( salvo quelle d'An-
cona ) non furono improntate di greche leggende,
6
ed in osse non solo i simboli son latini, ma altresì
i caratteri della lingua parlata; il perchè non ci è
dato porre nel novero delle monete dell'Ascoli pice-
na cotesti nummi.
Fu del pari attribuita alla nostra Ascoli un'an-
tichissima moneta , senz' altro tipo che H da un
lato, ed fi^ dall'altro, dal cardinal Zelada (10), dal
Delfico (11), dal Cavedoni (12), da Carlo Strozzi (13),
dal MilHngen (14) , qual moneta di concordia o
confederazione fra Ascoli ed Atri, poiché dicevano
essi, esprimersi coli' H la iniziale di Ha tri, e con
A^ quelle di Ascoli (15). GÌ' illustratori poi del-
l' Aes Grave del museo kircheriano furono i pri-
mi, che togliendo ad Ascoli questa moneta , solo
ad Atri 1' attribuirono, osservando che 1' H e 1' A
in ambedue i lati erano le due prime lettere di
HAtri , e che gli atriani da' latini copiassero la S
arcaica per indicare la semoncia (16). Ma poiché
in cosa di tanta importanza non sembravano bastanti
i brevi cenni che se ne addussero nel loro ragio-
namento dai dottissimi p. Giuseppe Marchi e Pie-
tro Tessieri , così noi nelF imprendere a dettare
questa qualunque siasi memoria credemmo con-
venevole di consultare novamente uno de' medesi-
mi, cioè il p. Marchi, il quale a' 2 novembre 1843
confermava la già manifestata opinione in una let-
tera a noi indiritta. » Eccole ( egli ci scriveva )
» il perchè sarebbe contra il fatto riconoscere il
» semiobolo di Atri come moneta d' Ascoli, e peg-
» gio come moneta di confederazione fra Ascoli
» stesso ed Atri - Gli unici popoli, che, per quanto
« finora da' monumenti ci vien dimostrato, lungo
7
» il littorale adriatico ebbero moneta primitiva di
» getto, sono que' di Rimini, di Fermo, di Atri,
» di Lucerà, di Venosa, ed i Vestini. Rimini, Atri,
» e Lucerà , perchè n' ebbero in maggior copia ,
» ne hanno fatto infin d' ora conoscere tutte le
» loro varietà. Di Fermo non conosciamo che il trio-
» bolo e il diobolo (17); de'vestini il diobolo, l'obolo
» e il semiobolo; di Venosa il triobolo col diobolo.
» Sono cosi conosciuti quattro semioboli adriatici,
» il riminese e il lucerese che mancano del segno
» del proprio valore , 1' atriano e il vestino che
» fortunatamente portano il valore rilevato sul cam-
» pò. I due primi , quantunque mancanti di quel
« segno, si riconoscono per semioboli, perchè oltre
j) r obolo conosciutissimo di Rimini abbiamo una
)) monetina , che è appunto nella misura la metà
» dell' obolo, ed ha nel diritto, come tutta la se-
» rie di quella zecca, la testa nuda col torque al
ì) collo; talché quella monetina costituisce indubi-
» tatamente 1' ultimo anello dì quella serie. Cosi
)) la monetina , che è la metà dell' obolo lucerese
)) porta stampata sopra una delle sue facce la ^
ì) che è la nota comune a tutte le monete di quel-
» la serie. Gli atriani ed i vestini che prendevano
)) il proprio semiobolo dalla semoncia de' popoli
» latini, a' quali geograficamente più che a' rimi-
)) nesi e luceresi eran vicini, tolsero per segno del
» semiobolo il segno medesimo di quella semon-
» eia, che è la ^ o J , o , arcaica di tutti gl'italiani.
» La semoncia de' vestini porta questa ^ ; quella
)) degli atriani quest' altra 3 . Aggiungasi che i ve-
» stini, che scrissero le tre prime lettere del loro
8
» nome su tutte le loro monete , mostiarono di
» ben conoscere la nuova forma della S, mercechè
» non scrisser già YEZ , ma VES. E gli atriani ,
» scrivendo quel loro HAT con forma tale di let-
» tere, che nell' età d' Augusto non sarebbesi fatto
» meglio, anch' essi ci dimostrarono, che segnavano
» moneta in un tempo in cui 1' alfabeto avea già
)) ottenuti tutti i suoi miglioramenti e perfeziona-
» menti. Perciò se fosse vero che il semiobolo
» d' Atri fosse moneta sociale d' Ascoli, non Iro-
» verebbesi già scritto A 3 > iif^a AS. Oltrediciò ,
» come ordinerebbesi la serie d' Atri , togliendole
» il semiobolo, mentre le altre officine adriatiche
» r hanno tutte? Come giustificherebbesi la pro-
» venienza di quella moneta da Atri, e mai o qua-
» si mai da Ascoli , per quanto conosco io che
» in questi fatti studio da anni ed anni ? Dove
)) metterebbesi l' onore d' Ascoli , che mentre le
« città e i popoli vicini segnavano una serie di
)) sette monete , non avrebbe segnato che questo
» mostruoso J^? Come vorrebbesi leggere 1' H, che
)) è nel diritto di questa moneta e che non è né
» vocale ne consonante, e quindi non può aver va-
» lore come segno puro di aspirazione , senz' ap-
» poggiarla alla vocale A del rovescio, e leggen-
)) do almeno HA ? Ella, signor avvocato, continui
» il ragionamento, chèla perspicacia non le man-
)) ca: e non tema d' offendere 1' onore d' una città
)) onoratissima per tant' altri titoli , distruggendo
» un pregiudizio che quanto in se è assurdo e fal-
)) so, altrettanto è insufficiente all' intento per cui
)) da chi non vuol ragionare si vuol pur tenere
9
)> in piedi. » Per conoscere se il p. Marchi era an-
cor fermo nel manifestato parere, ci femmo a ri-
chiedernelo di nuovo, potendo essere avvenuto che
col volgere degli anni , e per altri ritrovamenti e
confronti, avesse cangiato d' avviso; ed egli rispose
confortando di nuove ragioni la stessa sentenza
(18). La quale venendo da giudice competente qual'è
il Marchi , sì per esser egli di molta critica for-
nito e di grande intelligenza nella numismatica primi-
tiva italica , e sì per i confronti, che potò farne
nella gran collezione kircheriana, la più ricca che si
conosca di siffatte monete, noi non ci ciediamo ca-
paci di continuare il ragionamento, ed attendiamo
ch'egli ed il suo dotto collega Tessieri, nella nuo-
va edizione della rinomata opera, manifestino più
ampiamente le ragioni , per le quali debba ripu-
tarsi la controversa moneta per semoncia o semio-
bolo di Atri. Diciamo solo , che chiunque anche
privo di pratica in tali studi , all' osservare la se-
rie delle monete atriane dall' asse al semiobolo ,
ne rimarrà convinto per la conformità dello stile
nei simboli e nella foggia delle lettere. Né potrebbe
dirsi appartenente ad Asculum del Piceno, né ad
Asculum dell' Apulia la moneta con A da una parte
e caduceo dall'altra (Zelada, Num. une. tab. 1. 4;
Carelli tab. XXVII , 7 „ e 1' Aes grave del museo
kircheriano classe IV tav. II num. 8); poiché colla
nuova pubblicazione dell' opera » La stipe tribu-
tata alle divinità delle acque apollinari scoperta al
cominciare del 185^2, di G. M. d. C. d. G (Roma
tip. delle belle arti 1852 ) » vien tolta ogni dubbiez-
za che non potesse appartenere a popoli adriatici.
10
Imperocché i eh- Marchi e Tessieri (questi ora direttore
del medagliere della biblioteca vaticana) allorquando
pubblicarono insieme quella loro opera stimarono es-
ser quella moneta il quarto dell'oncia delle monete
di Atri { ivi p. 32 ), non per indizio che ne aves-
sero qualunque del suo esser atriano , ma indotti
dall' apparenza di quell' A, e dal non saper trovare
un' altra serie, alla quale attribuirlo. Il tempo, che
tante cose ci svela , ha obbligato il eh. p. Marchi
a riportare quella monéta al di là dell' Apennino.
Egli a pag. 11 della Stipe pubblicò essersi rinve-
nute nelle acque apollinari ventisette once con A
nel diritto e nel riverso il caduceo, e quattordici
di quelle once con A e campo liscio nel riverso.
Or se tali acque contavano ben 41 di queste mo-
nete; se niuna moneta delle città poste oltre 1' A-
pennino si è rinvenuta nelle acque apollinari ,
si è obbligati a tenere anche queste 41 come ap-
partenenti a città poste verso il mare superiore.
In tal modo è vie più dimostrato , che alle due
omonime città di Ascoli non potesse appartenere
quella moneta. Lasceremo adunque tale argomento
alle disquisizioni de' coltivatori della nobilissima
scienza delle antiche monete : e per conoscere se
Ascoli abbia avuto le gravi, 1' attenderemo dal tem-
po, al cui volgersi, uscendo fuori del terreno clas-
sici monumenti, questi o conforteranno le esposte
opinioni, se fossero giuste, o le respingeranno, se
riposassero sopra ragioni arbitrarie o mal fondate
congetture.
11
Che se ad Ascoli del Piceno non possiam noi
attribuire con certezza le monete sopra riferite ,
terremo ora proposito di due rarissimi nummi, i
quali, se non furono coniati in quel!' antica ed il-
lustre città , hanno però impressi i nomi di due
celebri suoi cittadini. Al che è da premettere co-
me r esimio archeologo Francesco Capranesi nel-
r anno 1839 pubblicò una moneta spettante a Ti-
berio Veturio Barro, la quale offre nel diritto la
testa di Ercole coperta della spoglia leonina, dietro
cui la nota del quadrante, e nel riverso TI. VET.
B. - Tiberius Veturius Barnis ( le tre lettere del
nome sono in nesso ). Strigile e vasetto da olio
collegati con una cordella: dalla parte opposta RO-
MA (19).
Egli, nell'annunciare questa moneta da lui pos-
seduta, ci dice esser la quarta che viene alla luce
con questo nome , sendo stata la prima edita dal
Ramus nel catalogo del museo di Danimarca, por-
tante l'epigrafe TI. VET. colle tre lettere del nome
in nesso, e ROMA; la seconda similissìma conser-
varsi nella incomparabile raccolta del conte Barto-
lomeo Borghesi, principe de' numismatici; la ter-
za essergli stata fatta vedere da noi.
» II celebre Morelli ( segue il Capranesi ) par-
» landò a lungo della gente Veturia, disse che la
» moneta d'argento coli' epigrafe TI. VET. spettas-
» se a Tiberio Veturio Barro triumviro monetale e
» questore urbano nel tempo di Siila: e in prova
» di ciò tra le altre cose avverte di un difetto nel
» presente passo di Cicerone: Omnium aiitem elo-
» quentissimiis extra hanc urbem T. Betucius Barrus
12
» asculanus, cuius siint aliquol orationes Asculi ìiabi-'
)) tae. Illa Rotnae cantra Caepionem , nobilis sane:
)) cui orationi Caepionis ore respodil Aelius; qui scrì^
» ptitavit orationes multa s orator, ipse nunquam fuit.
» ( De claris oratoribus liber , qui dicitur Brutus
)) cap. XLVI). Che provenisse da una svanitura
)) dello scritto , ovvero da un errore del copista ,
» giustamente si avvide il Morelli, che quel Betu-
» cius dovesse restituirsi in Belurius o Veturius, e
» leggersi correttamente Tiberius Veturius Barrus,
V Ora dopo circa un secolo , da quanto così ret-
» tamente quel!' antiquario pensò , ci soprav-
» venne questo compiuto quadrante, il quale prova
» mirabilmente quanto egli disse. « Continua po-
scia r erudito illustratore a dichiarare il signi-
ficato del rovescio , e 1' uso di questi quadranti :
e quindi sull' appoggio del tipo di questa moneta,
e di Giovenale (F/, 447 ), di Orazio ( Sat. /, 3,
137), di Seneca ( ep. LXXXIV , 29 ), e di Cice-
rone [Pro Coel. 26) , i quali ci attestano che pa-
gavasi un quadrante al balneator , capo o custode
del bagno , conchiude che la tassa imposta sopra
i bagni ebbe principio al tempo di Siila, allorché
ad essi presedeva Tiberio Veturio Barro triumviro
monetale o questore urbano ; della qual legge si
volle segnare la memoria sopra alcuni quadranti
coir insolita rappresentazione dello strigile e del va-
setto da olio (20).
Altra moneta, eh' è la quinta tra esse, fu an-
nunziata in appresso dal eh. Giulio Minervini di
Napoli come esistente nella sua raccolta (21). Sif-
fatta pubblicazione del Capranesi di una moneta
13
inedita diede occasione ( siccome avviene allorquan-
do si pongono in luce monete od altri monumenti
inedili, che servono di fondamento alla storia ) a
due valentissimi archeologi Celestino Cavedoni di
Modena , ed allo stesso Minervini , di manifestare
intorno a questo importantissimo nummo la opi-
nione loro. Noi crediamo di riferire brevemente
ciò eh' essi dottamente ne scrissero, perchè possa
dedursi quanto le loro osservazioni sieno fondate
sul vero. Al primo sembrò assai ingegnosa la con-
gettura del Capranesi , il quale nello strigile , da
cui pende appeso il vaso dell' olio, ravvisa un' al-
lusione al quadrante su cui è ritratto quel tipo in
riguardo alla tassa de' bagni qiiadranlaria , eh' ei
suppone invalsa a' tempi di Siila. « Pure ne du-
bito assai ( sono sue parole ) tra perchè non v' ha
iorse altro esempio di tipo allusivo al valore del-
la moneta su cui è inciso , e perchè le monete
di Ti. Veturio , in riguardo all' asse onciale ed
al denario , che non mancava nel ripostiglio di
Romagna nascosto a' tempi di Siila , voglionsi ri-
putare alquanto più antiche di quello che parvero
al lodato sig. Capranesi. Io sospettai da prima, che
lo strigile col vaso dell'olio, essendo simbolo mani-
festo di bagni o terme, potesse alludere al cogno-
me Barrus di Ti. Veturio, avendosi da Servio {ad
Georg, i, 109) che « scrutatorcs, vel repertores aqua-
rum, aquilices dicuntur , barimdas dixerunt ». Ora
però vedendo che tra pe'riscontri addotti dall' Aver
campio, e per la moneta edita dal Capranesi, sem-
bra ornai certo che questo Ti. Veturio si cognomi-
nasse BARRL'S, e fosse oriundo da Ascoli del Pi-
u
ceno, parmi assai meglio riferire Io strigile alle
terme ascolane che furono assai celebri e frequen-
tate [v- Cluver. Ital. ant. p. 742; Colucci^ Antichità
pie. t. Xyj, p. 233 248 ). Il vaso dell' olio, oltre-
ché va di sua natura congiunto allo strigile, può
eziandio riferirsi alla bontà e copia dell' olio del
Piceno { Plin. XF , 4). Ancora que' due simboli
de' bagni possono connettersi con la testa di Ercole,
al quale erano sacre tutte le terme, come ne attesta
Ateneo {XII, p. 512): t« dcpixòc Xcurfià ra ©arvo/^sva
£X rvjg yr.g yravrs; "HpaxXsoug (puah upd uvxi [cf. Eckel
T. 1, p. 214, T. Vlly p. 213 ) » (22).
L'opinione del Cavedoni intorno al simbolo del
vaso non andò in grado all'autore dell'articolo in-
serito nel Tiberino an. VI pag. 205, specialmente
perchè « nuova gli viene la celebrità delle terme
ascolane » alle quali si riferisce lo strigile col vaso
dell'olio: ed altresì perchè « non è punto naturale
» la proposta allusione all'olio piceno, non avendo
» potuto mai quella provincia in tal punto garég-
» giare con la Sabina e con l'Umbria ». Noi non
crediamo entrar giudici in tal questione; faremo os-
servare senza più, che celebratissime furono le acque
termali esistenti presso Ascoli sin dalla più remota
antichità; il che conforta l' opinione del detto ar-
cheologo modenese sulla significazione del simbolo
posto dall' ascolano Beturio nel quadrante di che
parlasi.
Ed in vero; nella tavola peutingeriana, delinean-
dosi il corso della via salaria che da Roma pro-
grediva sino al Piceno, si nomina fra gli altri luoghi
ASCLO PICENO AD AQUAS IX. Il vico Ad aqms
15
è l'odierna Acquasanta, distante da Ascoli un dieci
miglia. Questo nome si ebbe dalla sorgente di acque
minerali e sulfuree assai salutifere. Marsilio da Pa-
dova (23) parlando de' bagni d'Italia dice: - Sim/ ef
Asculi aquae salubres, quondam eliam celebres, qiias
romani freqnentabant. Cn. Plancus consul sanitalem
cum recuperasse^ quam non invenerat in Thuscia, va-
cavit qentem asculanam incognilam morti, cum vitam
in aquis servarci. - Oltre i bagni nel vico ad aquas,
presso Castel Trosino ve n'eiano altri di acque mi-
nerali dette salmacine: ed il Vannozzi, parlando dì
queste, ne fa fede che era tanta la loro celebrità,
che ad esse concorrevano frequenti non solo i pi-
ceni e i sanniti, ma altresì i popoli più remoti, e
massime i romani , e per sino i consoli (24).
Acpennammo superiormente, che il eh. Minervini
nel far noto che ancor egli possedeva il quadrante della
famiglia Veturia, pubblicato dal sig. Capranesi, espone
alcune osservazioni intorno al tipo di quella nuova
moneta, e dimostra che il trovarsi insieme lo stri-
gile e l'ampolla olearia porgesse un simbolo ado-
perato dagli antichi a denotare i bagni, e ciò col-
r autorità di Giorgio Fabricio nella descrizione di
Roma: - In clivo quirinali, ubi nunc monaslerium est,
quod corrupta romanorum lingua. Bagna Poli quasi
Balnee Pauli dicitiir. Prope has in proieclo lapide ,
formam strigilis et ampullae vidimus exsculplam -.
Poscia sostiene , che il quadrante fosse il prezzo
del bagno sull'autorità di Orazio, di Giovenale, di
Seneca, di Plutarco, di Quintiliano, e di altri antichi
scrittori: e manifesta il suo parere, che a' tempi di
Siila, essendo triumviro monetale o questore urbano
16
Ti. Vetui'io Bario, dovè stabilirsi il tenue prezzo del
quadrante , perchè veniva quella spesa a ricadere
soltanto sul popolo, mentre i piiì ricchi aveano in
casa loro i bagni privati. Quindi egli congettura che
Veturio Barro volle forse denotare sul quadrante ,
che avrebbe dovuto pagarsi quella moneta pe' bagni
de' popolani (25).
Avevamo noi compiuta questa monografia ,
quando il dottissimo conte Borghesi ci scrisse,
che un altro quadrante di Veturio Barro gli era
capitato, ma meno conservato. » In quello eh' io
aveva leggesi chiaramente TI. VE. B, onde se ne
conchiude che n' esistono due varietà; se non che
più stimabile sarà quello da lei posseduto con
VETV , perchè esclude che possa assegnarsi alla
Vettia, alla Vetilia, o ad altra gente, che incominci
il nome da quella sillaba , e ne assicura l'attribu-
zione alla Veturia. » (Lettera del 30 agosto 1853).
Noi ci siam forse trattenuti con troppe parole
intorno a questa rarissima moneta, della quale sin
qui si conoscono soli sei esemplari ; ma abbiamo
creduto di presentare riunite le varie disquisizioni
degli archeologi, perchè ciascuno possa intorno alle
medesime dar suo giudizio. Pubblichiamo il nostro
quadrante colle lettere VETV, in cui non appari-
scono chiare le lettere del prenome TI , e manca
la iniziale B del cognome Barro [Vedasi nella ta-
vola I delle monete n. 1) (26).
L'altra moneta, benché non sia uscita da offi-
cina ascolana , pure appartiene anch' essa ad altro
più celebre concittadino, voglio dire a quel P. Ven-
tidio Basso, che da vii condizione pervenne al mas-
simo degli onori, cioè al consolato. Questo rarissi-
17
mo mimo niosti'a da una parte la testa nuda di
M. Antonio coi lituo dietro la nuca, e con la leggenda
M. ANT. IMP. 111. V. R. P. C, e dall'altro canto
le lettere intorno P. VENTIDl. PONT. IMP., e fi-
gura virile nuda in piedi di fronte con clamide but-
tata suir omero sinistro ; si appoggia colla destra
all' asta , e nella sinistra tiene un ramo di olivo
[Tav. I delle monete n. 2)- Per riferire alcun che
intorno alle geste di cotesto ascolano, rammente-
remo che ottenne Ventidio la pretura nel 711; che
nata intanto la guerra modenese si ritirò nel Pi-
ceno, ove raccolse tre legioni ; che Ottaviano gli
permise di andare ad unirsi con M. Antonio che
fuggiva nella Gallia , ragione per cui fu in Roma
dichiarato nemico pubblico; che dopo il famoso tri-
umvirato di Lepido , Antonio e Ottaviano fu egli
nominato pontefice, e negli anni 712 e 713, attri-
buita a M. Antonio la Gallia , governolla in nome
di lui; che poscia agli 8 di giugno del 716 riportò
r ultima e la piiì celebre delle sue vittorie ne'campi
cirrestici, in cui non solo fu sconfitto l'esercito de'
parti , ma vi rimase estinto altresì il supremo lor
duce Pacoro figlio del re Orode: pel quale segna-
lato valore ebbe titolo d' imperatore, e il 28 no-
vembre dello stesso anno 716 entrò trionfante a
Roma (Dione L 49 e. 21). Questa medaglia adun-
que dell' ascolano Ventidio deve essere posteriore
al luglio del 716, ed essere stata certamente bat-
tuta in quel torno , perchè Antonio sopravvenuto
nella Siria ricondusse in Grecia Ventidio alla fine
di quella campagna , come dimostrò il dottissimo
conte Rartolomeo Borghesi (27). La figura che si
G.A.T.CXLV. 2
18
ravvisa nel rovescio è dello stesso Antonio in co-
stume eroico, e però nudo con in mano 1' olivo in
aria di pacificatore, alludendosi all' accordo di lui
con Antioco re di Comagene, allorché fu assediata
da Antonio la città di Samosata.
Abbiamo reputato dire alcuna cosa su queste
due monete per rammentare que' due celebri asco-
lani Tiberio Veturio Barro e Publio Ventidio Bas-
so, che formano la gloria de' vetusti tempi di quella
città (28). Ma poiché ci siam prefisso trattare prin-
cipalmente delle monete de' secoli di mezzo , così
passiamo ora a discorrer brevemente sulla origine
della zecca ascolana, per dichiarar quindi le mo-
nete che alla medesima si appartengono.
Istituzione e coìiferme della zecca ascolana.
Varie sono le opinioni degli storici intorno il
tempo in che fosse istituita la zecca ascolana. Il
Bellini (29) sull' appoggio dell' Ughelli (30) ne sta-
bilisce la istituzione per privilegio conceduto dal-
l' imperatore Ottone ad Adamo vescovo di Ascoli
nell'anno 996. 11 Peruzzi nelle dissertazioni anco-
nitane (31) segue la opinione dell' Ughelli e del
Bellini, ed aggiunge che le monete ascolane sono
pili antiche delle anconitane. Però lo storico An-
dreantonelli (32) , e dopo lui il Carli (33) , asse-
gnano Ja istituzione della zecca di Ascoli a' tempi
dell' imp. Corrado li , il quale con diploma dato
nel 1037 concesse a Bernardo I vescovo di essa
città il diritto di batter monete d' ogni sorta , le
quali liberamente e sicuramente potessero correre
in tutto il suo regno {Documento A). 11 suo sue-
19
cessore Enrico IH ncll' anno 1045 concesse lo stes-
so privilegio ( Documento B ), che poscia confermò
nel 1056 ne' vescovi, i quali potevano usarne [Do-
cumento C ). Fecero altrettanto l' imperatore Lot-
tario III nel 1137 ( Documento Z> ), Corrado II re
de' romani nel 1150 [Documento E), e finalmente
Federigo Barbarossa nel 1185, il quale estese que-
sto diritto a tutta la episcopale giurisdizione [Do-
cumento F). E l'imperatore Arrigo VI figlio di Fe-
derigo cenfermò con quattro diplomi del 1185,
1191 e 1193 tutti i privilegi e diritti da' suoi an-
tecessori conceduti alla chiesa ascolana.
Non può asserirsi con sicurezza se dappresso le
imperiali concessioni, di cui parlammo, si conias-
sero monete dai vescovi , ai quali il privilegio fu
accordato: ma fra le monete riferite dai numografi
e quelle per noi raccolte, se ne veggono battute
in argento colla leggenda in lettere gotiche S. EMI-
DIUS ed effigie di esso santo vescovo , e nel ri-
verso una croce con le parole DE ESCVLO, ESCLO,
ed anche A.SCVLO. Noi però non trovammo rife-
rite da alcuno, ne ci fu dato vedere giammai, mo-
nete con la leggenda del capitolo ascolano, CAP.
ASCVLANI, come da taluno si è asserito (34).
E qui crediamo conveniente osservare , come
non sembra siasi dall' imperatore Ottone accordato
il diritto di coniar moneta ad Adamo vescovo di
Ascoli neir anno 995 , o in quel torno, conforme
si pare voglia inferire 1' Ughelli da un diploma
eh' ei riferisce (35) ; poiché , oltre il non leggersi
espressamente conceduta in esso tale facoltà, non
è a presumersi , che in quel secolo , in cui altre
20
più illustri città italiane non coniavano monete ,
fosse stato conceduto siffatto diritto ad Ascoli ;
né tampoco ci adagieierno così facilmente al Mar-
cucci (36), il quale è di avviso, che dopo la con-
fermazione che ne fece 1' imperatore Corrado II
neir anno 1037 al vescovo Bernardo I, si facesse
uso di tal diritto , indicandone anche le prime
monete eh' ei chiama vescovili , le quali hanno il
tipo con r immagine di s. Emidio , ed intorno le
parole S. Emidius PP, e nel rovescio una specie
di dalmatica col motto De Esculo.
1 papi, riacquistato avendo in appresso il do-
minio di quella città, concessero anch' essi o con-
fermarono il privilegio della zecca, che dagl' impe-
ratori era stato accordato; imperocché ne' pontifi-
cati di Martino V, di Eugenio IV, di Sisto IV e di
Alessandro VI si coniarono in Ascoli monete coi
tipi recanti i loro nomi e le chiavi incrociate ; e
taluna volta gli slemmi gentilizi di essi papi , e
r arme della città , come in appresso a' suoi luo-
ghi indicheremo.
Monete con la immagine di S. Emidio.
Sin dal nono secolo le città italiche comincia-
rono a venerare alcun santo sotto il titolo di loro
protettore {Cf. Ughelli [tal. &acr. tom. 4 e. 533) ;
nel duodecimo poi ogni città adottato aveva in pa-
trono quel santo, o martire o confessore, del quale
pili degli altri parlavano le memorie averla illus-
trata colle virtù , colle beneficenze e con i mira-
coli. Furono quindi per costante consuetudine sulle
21
monete, coniate dopo questo tempo, impresse le im-
magini dei santi protettori delle città (37); con che
oltre lo stabilirsene il culto e il far onore al nome
di essi , marcando un distinto contrassegno di sé
medesime, non pochi articoli s' illustrarono di ec-
clesiastica erudizione, com'è a vedere nelle dottis-
sime dissertazioni del Bellini [Oper. cit. V. il Bi-
emmi Slor. di Brescia p.. 244 e seg ). Or benché
non si conosca il tempo preciso , in cui furono eoa
niate in Ascoli le monete colla effìgie di s. Emidio,
certa cosa é che nel secolo xn era da essa città
venerato per suo protettore (38).
E poiché i diligenti numografì non lasciano nelle
loro raccolte di darci le notizie di que' santi, i cui
nomi leggiamo nelle monete, perché del tutto alla
curiosità del leggitore si satisfaccia; così farem noi
riguardo a vescovo di tanta celebrità, ma in brevi
tratti, secondoché a questa fatta scritture si addice,
spezialmente per essere state le memorie di lui già
pubblicale per molti agiografi ; e senza entrare in
polemiche sulle varie opinioni manifestate intorno
a tal santo (39) , seguiremo ciò che ne dissero i
Bollandisti ( tomo xxxiv al dì 5 agosto ) , le leg-
gende rinvenute in un cod. ms.° della biblioteca
vallicelliana di Roma, la vita del santo del p. Ap-
piani, ed altri più recenti storici sacri.
Emidio ebbe suoi natali in Treveri, città prin-
cipale della Gallia belgica, 1' anno dell' era cristia-
na 279. Essendo egli d' ingegno assai desto, attese
alacremente agli studi, e si convertì alla fede cri-
stiana aiutato da s. Materno primo vescovo trevi-
rese. Per cessarsi dalle persecuzioni ehe contro gli
22
furono mosse, si allontanò dalla patria dirigendosi
verso r Italia. Giunto a Milano, viene ordinato sa-
cerdote, e si fa banditore del divino eloquio; ma,
fortemente trava}»liato , è costretto fuggirne. Ren-
desi in Pioma, e quivi nell' isola tiberina operò se-
gnalate conversioni e distrusse nel tempio di Escu-
lapio il simulacro di questa falsa divinità. Di che
nuove e fierissime persecuzioni ebbe a sostenere ,
dalle quali a salvarlo, da papa s. Marcello fu elet-
to vescovo di Ascoli, e tantosto insieme con i suoi
discepoli, che avea convertito alla fede, mosse per
quella città ; ma temendo, non forse Massenzio lo
avesse quivi a turbare, trasse alle vicine terre del
Pretuzio, a cui fece similmente raggiar la luce del-
l' evangelio. Potè dappoi far ritorno ad Ascoli, ove
subitamente infranti gì' idoli e le divinità pagane
ridusse colle sue predicazioni la città stessa ed al-
tre terre alla religion cristiana: e benché oppresso
da infiniti travagli, vi fondò la sua chiesa. Ma viep-
piiì crescendo contro di lui le molestie, venne a
Fermo a confortar nella fede i credenti e ad ac-
crescerne il numero (40), come altresì in vari luo-
ghi della regione picena. Ma la sua chiesa ascola-
na a sé il richiamava : ed egli tornatovi , reca al
battesimo quei che rimanevano ancora nell'idolatria,
fra cui Polisia figlia del prefetto Polimio, il quale
di ciò sdegnato , deliberò che il s. vescovo si de-
collasse. Difatti ragunate le schiere de' pretoriani
militi , il fé' a poca distanza della città in loro
presenza decapitare, in quella eh' ci non ristavasi,
comechè negli ultimi istanti della vita, dall' esor-
tare il suo gregge a mantenersi fermo nella ere-
23
denza di Cristo. Seguì il martirio di s. Emidio il
giorno quinto di agosto dell' anno 309 dell' e. v.,
à:" dell' impero di Costantino, e 6." ed ultimo del
pontefice s. Marcello. Fu egli il proto-vescovo di
Ascoli e r apostolo del Piceno, e per tale è rico-
nosciuto dall' Ughelli, dall' Andreantonelli, dall' Ap-
piani, ed anche dai Bollandisti nel comento agli
atti di lui n." 1 (41). Fu dagli ascolani fin dai pri-
mordi della loro chiesa il culto di questo santo
costantemente osservato, con averlo eletto in pro-
tettore e titolare , e con celebrare il dì quinto di
agosto siccome sacro alla memoria del martirio di
Ili: conciossiachò le antiche leggi municipali o sta-
tutarie di essa città, riconfermate nell' anno 1387
(42), ordinavano, oltre le sacre festività, anche le
popolari, fra le quali V armeggiare, far torneamenti
e correr giostre ( Appiani Vita di s. Emidio cap.
8, /. 3 ). Ad onorare pertanto questo s. vescovo fu
stabilito che s' improntassero le monete con la sua
effigie.
Quattro sono fra esse, che a parer nostro si
coniarono primamente nella città di Ascoli dopo la
ottenuta concessione della zecca. Hanno nel campo
la figura in piedi di s. Emidio con mitra, aureola
e dalmatica, in atto di benedire con la destra, te-
nendo il pastorale nella sinistra; leggesi in giro PP.
S. EMIDIUS (43) ; il riverso ha nel campo una
croce patente con le lettere intorno DE ESCVLO
( Vedi il prospetto cronologico mini' 3 4 5 e 6 , e
tav. I numeri 3 4 5 e 6 )• Sono di argento, e po-
co fra loro dissimiglianti. Non è agevol cosa il de-
terminare se tali monete appartengano al secolo
24
XIII o al XIV ; ma se si ponga mente allo stile ,
alla forma e disposizione delle lettere, noi crediamo
che le due prime spettino al XIII e le altre al XIV,
poiché la foggia , onde sono condotte , è al tutto
simile a quella che vedesi nelle monete , che di
que' tempi si coniavano nelle zecche di Ancona, di
Ravenna e di altre città sì per la figura della mi-
tra, sì per la movenza del santo vescovo.
Poniamo qui una moneta d' ai'gento, che avem-
mo in sorte di acquistare, dopo la incisione delle
tavole, la quale differisce dalle precedenti, ed è al
tutto nuova ed inedita. Nel diritto ha S. EMIDIVS;
busto del s. vescovo in piviale con fermaglio o bot-
tone ; mitra o infula puntuta , ornata di pietre, e
colle due fasce pendenti sugli omeri; al di sopra
due rosette. Nel riverso DE ESGVLO all' intorno;
neir area A grande con quattro rosette ne' lati; nel
margine superiore ima piccola croce fra due ro-
sette (44).
Dalle monete di tempo incerto, e che noi re-
putiamo coniate a' tempi dell' autocrazia ascolana,
in cui non avvi alcun segno del secolo nel quale
furono battute (45), veniamo a parlare con ordine
cronologico di quelle che presentano i nomi de'si-
gnori, che tennero il governo della città, e de' pon-
tefici dai quali furon o ordinate.
25
Uno stato assai infelice delle nostre città nel
corso de' secoli XIV e XV ci presentano le storie
municipali della marchiana provincia. Agitazioni
universali, lotte cittadine, orgogli di patriziato avi-
do di titoli e di dominare i luoghi vicini con usur-
parne il possesso, fazioni guelfe e ghibelline, mire
ambiziose di signorotti che intendevano di padro-
neggiare le città col pretesto di ritornarle a libero
stato e a più sicuri privilegi e franchigie: tal è
il carattere dello spirito politico italiano di que' se-
coli. Non ispetta a noi dare una particolare narra-
zione di quanto avvenne nella città ascolana ; ma
poiché la storia monetaria non mai si scompagna
dalla civile e politica, che anzi le è di grande sus-
sidio, così, nel descrivere ciascuna moneta , brevi
cenni faremo di que' fatti che si collegano con la
medesima.
Il reggimento di Ascoli durante il secolo XV fu
tenuto da più potenti signori, i quali, non già le-
gittimi padroni di essa, ma ne furono violenti in-
vasori. Coloro che , per dar maggior vista di do-
minio , fecero improntare del loro nome le mo-
nete ascolane, sono Andrea Matteo duca d'Atri, il
re Ladislao, Conte di Carrara e da ultimo France-
sco Sforza.
Moneta del duca d'Atri.
Sulla metà del secolo XIV l'Italia cominciò ad
esser feconda di capitani venturieri , e pressoché
niuna città, niun paese di essi era privo. Dall'Um-
bria massimamente uscirono uomini ch'ebbero fama
26
di assai valorosi , fra' quali è da noverare Biordo
Michelotti perugino. Costui si trasferì a guerreg-
giare nella Marca, dove ruppe le genti della chie-
sa, fece prigione Andrea Tomacelli fratello di papa
Bonifazio IX in Macerata , la quale ad allontanar
Biordo dalle sue mura gli diede mille ducati [Murat.
Rer. italic. script,. XVI, 1154). Poscia continuando
le sue scorrerie, giunse sotto le mura di Ascoli con
tremila cavalli e buona quantità di fanti , e vi si
pose improvviso ad assedio. La città tra pel valore
de'cittadini, e per essere munita e forte, si liberò
da questo capitano di ventura col pagamento di
tremila ducati (46). Ma ciò non valse a rappaciare
le due fazioni che bollivano in quella; che anzi vie
più si resero balde ed avide di bottino e di san-
gue. I capi del partito ghibellino insorsero con du-
genlo uomini nel novembre dell'anno 1395 per ren-
dersi padroni non solo dei fortilizi urbani , ma di
tutta quanta la città. Si mosse allora il popolo asco-
lano, e con la direzione de'capi guelli si preparò a
difendere la patria. Si combattè sanguinosamente;
furon respinti i ghibellini e cacciali. A tale condi-
zione trovandosi i fuorusciti , si ripararono negli
stati di Andrea Matteo di Acquaviva , successore
ad Antonio suo padre nel ducato d'Atri, nella si-
gnoria di Teramo e nella contea di s. Flaviano, of-
ferendogli di farlo signore di Ascoli; impresa, essi
dicevano , non ardua aiutata dalle loro armi e da
quelle di lui. Egli che mire ambiziose volgeva in
mente , e appetiva di ampliare la sua potenza , di
buon grado accettò la offerta: e senza por tempo in
mezzo, si mosse per questa città con seiciento lance
27
ch'egli teneva al suo soldo, e con tutti que'fuoru-
sciti ghibellini ascolani. Pertanto la notte del 20
novembre 1395 fu il duca sotto le mura della cit-
tà (47) , e come pratici del luogo i fuorusciti si
accinsero a scalare le mura: il che eseguito, apri-
ronsi ad esso ed alla sua gente le porte di s. Pietro
in castello ; ed entrativi e colti all' impensata gli
abitatori , accadde un trambusto e una lotta cosi
sanguinosa , che vi rimasepo spenti due capi de'
guelfi. Il duca che credeva poter impadronirsi di
Ascoli senza colpo ferire, veggendo l'arduezza della
impresa per la resistenza che incontrava, e svanite
le promesse de' ghibellini, si fortificò sul coll(^ pe-
lasgico , facendo assapere agli ascolani eh' egli ri-
cercando sicurezza in quel luogo , rivolte avrebbe
le sue armi contro i fuorusciti; il che essendo av-
venuto, si ripararono essi in Arquata , ove battuti
dalle armi unite degli ascolani e atriani , tornò il
duca ad Ascoli vittorioso , e se ne fece padrone ,
rimanendovi come tale per alquanti mesi, fino cioè
alla metà di febbraio del 1396. Ma stanchi ornai
gli ascolani di lui, si posero nuovamente in armi,
e lo discacciarono con le truppe a se addette: e la
città ritornò sotto il dominio di Bonifazio IX, che
la fece subito con forte nerbo di militi presidiare
da Mostarda da Forlì. Il duca, benché lontano, non
cessava di manifestare i suoi diritti sulla città; dap-
poiché in un diploma di privilegio dato in Teramo
il 24 aprile 1396, e spedito a favore Viri nobilis
Odoardi Cicchi de Esculo amici nostri carissimi^ ei
chiamava Ascoli nostra civitas et curia (48)'
28
Ora nel tempo che corse dal novembre del 1395
al febbraio , o poco più oltre, del 1396 , il duca
reso padrone di Ascoli > volendo vie pili mostrare
d'aver acquistato de' diritti sulla città, fece coniare
una moneta, che col suo nome e coti quello di S.
Emidio suggellasse la sua dominazione. Quest'unica
monetina importantissima (perchè conferma il fatto
sopra narrato) è al tutto inedita e non conosciuta
da alcun numografo. Noi la diamo qui incisa la pri-
ma volta nella Tav- I. n. 7. Essa è di mistura; ha
impresso in un lato le parole intorno S. EMIDIUS
EPI, in mezzo PVS {Episcopiis) ; nella sommità del
margine avvi una crocetta. Dall'altro lato la croce
nel campo con rami di fioretti ai due angoli della
medesima, e )>^ DUX ATRIAN. Per quanto non vi
si legga De Esculo^ pure egli è certo che appartenga
a questa città, poiché non si sa che altra ve n'ab-
bia, la quale riconosca in protettore questo s. ve-
scovo. Siffatta moneta fu rinvenuta per le non in-
terrotte ricerche da noi fatte ; ed altra poscia ne
venne fra mani : amendue fra loro si suppliscono
per una piti certa leggenda (F. in fine il Prospetto
cronologico num. 8) (49).
Moneta del re Ladislao.
Rimase AscoH per alcuni anni sotto il dominio
di Bonifacio IX, e quindi del suo successore Inno-
cenzo VII, il quale con bolla de' 13 gennaio del 14-06
concesse per tre anni la infeudazione di questa città
a Ladislao re di Napoli , che 1' accettò , conten-
tandosi d'intitolarsene protector et gubernator (50):
29
e ciò a patto che riscattar dovesse le castella oc-
cupate da alcuni signorotti di que' tempi , render
conto dell'amministrazione, e il tutto restituir poi
alla S. Sede. Saputosi ciò da Andrea Matteo duca
di Atri, potè ottenere dal re, che a lui si desse l'in-
carico di prenderne il possesso , ricordevole della
cacciata da essa città un dieci anni innanzi e siti-
bondo di vendetta. Difatti si condusse quivi con buon
nerbo di armati , e nel nome del re s' impossessò
della città. Non è a dire qual fosse la costernazione
de' cittadini ; e di vero il duca commise molte ro-
vine, stragi e altre miserie ; il perchè Innocenzo con
altra bolla dei 20 giugno dello stesso anno 1406
revocò la concessa infeudazione [Arch. secr. anzian.
ascol. ) . Fu in questo anno creato marchese della
Marca e capitano generale delle armi potiflcie Lo-
dovico Migliorati, nipote di quel pontefice; mancato
però di vita, e succedutogli Gregorio XII, il privò
del governo marchiano. Ricorse il Migliorati a La-
dislao, il quale sdegnato della revoca, fece occupare
«olle suo armi Ascoli e Fermo» E mostrando voler
fare la restituzione di Ascoli, la cede il dì 5 agosto
1407 al re Ladislao {Saggio cit. p. 309.). A lui mos-
se il pontefice gravi lagnanze di sì fatto indegno
procedere, rimproverandolo del tiadimento e della
mancata fede; ma da esso si posero innanzi de'pre-
testi per ritenere la città {Vedi Anlonii Nicolai, An-
noi. Firm.). Ed afììinchè potesse egli rimaner tran-
quillo in questo possedimento, cercò ogni mezzo per
rendersi affezionati gli animi degli ascolani. Sappiam
difatti {Arch. secr. anzianale) , che ai 15 di set-
tembre del 1407 Ladislao concesse in perpetuo la
30 ^
fiera di agosto con assai franchigie , raffermate
poi da lui stesso nel 1 408 ; che scemò le gabelle,
riunì alla città alcuni luoghi o borghi, dichiarò che
la terra di Ancarano dovesse continuare ad appar-
tenere al distretto di Ascoli, concesse il permesso
di estrarre bestiame dal regno napolitano, e per ani-
mare e far rifiorire il commercio, accordò la estra-
zione di talune merci, e specialmente del ferro, dal
suo porto di S. Flaviano senz'ajcun dazio. Né ciò
fu bastante : perciocché in sul declinare dell' anno
1409 Ladislao stesso si trasferì di persona alla città
di Ascoh, continuando anche dopo la sua partenza
nell'esser largo de'suoi favori verso di quella ; poi-
ché nel 1410 accordò un perpetuo privilegio di en-
trare liberamente senza gravame di tassa, e cosi pu-
re di estrarre liberamente animali e robe sino al
valore di 50 ducati. Nel 1412 Ladislao venne a con-
cordia con papa Giovanni XXllI , obbligandosi di
rendere alla sedia apostolica i dominii ad essa per-
tinenti ; ed avendo tenuto Ascoli sino all'anno 1413,
ne investì Conte di Carrara e i suoi figli Obizo e
Ardizone. Durante il suo reggimento fra le altre cure
ch'ebbe re Ladislao, vi fu quella di coniare moneta.
Quatti'o simili ne possediamo non pubblicate da al-
cuno: hanno nel diritto REX. LADIS nel giro, le
ultime quattro lettere LAVS nel campo disposte ia
croce, e nel margine crocetta. Dall' altro lato leg-
gesi DE. ESCVLO all'intorrio, e croce patente nel
mezzo, con due rosette a' due angoli della croce (51).
[Tav. I. niim. 8. Prospetto cronologico num. 9).
Egli è vero che sin qui non sonosi rinvenute
memorie, le quali ci dicano, che fra le altre con-
31
cessioni, che si fecero da quel principe, vi fosse an-
cora il gius di batter moneta ; tuttavolta non dee
ciò recar meraviglia, perciocché appare dalle leggen-
de poste nelle monete che conserviamo, ch'egli non
al comune di Ascoli accordar volle codesto privile-
gio, ma il riservasse per sé, profittando del diritto
d'infeudazione, che avea ottenuto dal pontefice. E
difatti non sono indicati in essa moneta che la città
e il nome di quel monarca che ne ordinava la co-
niazione ; di che sembra certo, ch'egli stesso volesse
improntare tal moneta col proprio nome per aggiun-
gere all'esercizio delle altre sue prerogative quello
sopra tutte eminente della zecca ; ovvero potrebbe
congetturarsi, che la coniassero gli ascolani in be-
nemerenza e memoria delle concessioni e de' privi-
legi da lui ricevuti. Non può recarsi in dubbio che
questa moneta appartenga al nostro Ascoli, e non
a quello di Puglia: poiché questo, a quanto noi sap-
piamo, non si chiamò Escidum, come leggesi nella
nostra moneta (52).
Monete dei Carraresi.
E procedendo coU'ordine cronologico riferiremo
ora le monete, che si appartengono ai Carraresi ,
narrando in qual modo i medesimi prendessero la
signoria di Ascoli. Conte di Carrara figliuolo di Fran-
cesco il vecchio, e fratello a Francesco, ultimo che
abbia avuto il dominio di Padova (53) , seguendo
le vestigìe de' suoi maggiori a tutt'uomo si die al-
l'arte della guerra per ambizione di gloria, e col ti-
tolo di capitano si pose a' servigi di papa Bonifa-
32
ciò IX l'anno 1393. Bell'onore si procacciò quando
mandato a Perugia , eh' erasi tolta alla soggezione
del pontefice , con eque condizioni tornolla all'os-
sequio verso la sedia romana. Mancato però di vita
Bonifacio, il Carrarese, cupido forse di gloria mag-
giore, passò sotto le insegne di Ladislao re di Na-
poli che annbiva il dominio di Roma. Ma sorte
in questo tempo forti contese fra Innocenzo VII ,
succeduto a Bonifacio , e il popolo romano , e
condottisi undici de' principali ghibellini al papa
come ambasciadori per comporre le differenze ,
questi , comechè ricevuti benignamente , dopo es-
sersi congedati , dal nipote del pontefice , Lodo-
vico Migliorati , furono fatti prendere ed uccide-
re crudelmente , senzachè il zio nulla sapesse di
questo fatto. Da ciò derivò un moto nel popolo
romano: per che volendo papa Innocenzo provve-r
dere alla propria salvezza, partì di Roma e rico-
vrossi prima a Sutri, poscia a Viterbo. Di sì fatto
avvenimento renduto consapevole Ladislao dai Co-
lonnesi e dai Savelli , si affrettò egli a muovere
tosto sopra Roma con poderoso esercito comandato
dal Carrara e dal conte di Troia [Murai, anno 1406),
e il 2 settembre 1405 entrò in quella capitale. Se-
nonchè i romani mal comportando quest' arditissi-
ma impresa, si venne a fiero combattimento, e per
più ore con pari impeto si pugnò, sebbene la vit-
toria per ninna delle parti si decidesse. E volendo
il re trarre in sicuro la sua persona e V armata ,
accampossi nel sobborgo a S. Pietro, fortificandosi
il meglio che poteva. Quivi rimastosi un venti dì,
e saputo dirigersi Paolo Orsino col pontificio eser-
cito a Roma , levò il campo e andossene.
33
Passati due anni , ed insorta grave contesa fra
Lodovico Migliorati già signore di Fermo, e il pon-
tefice Gregorio XII, il (carrarese fu in aiuto di quel-
lo per ordine di re Ladislao con seicento cavalli:
ed essendo rimasto ucciso il Migliorali, mosse colle
sue armi contro i Vai'ani dominatori di Camerino
ed alleati del pontefice, mettendo a ferro, fuoco e
rapina l' intera dizion loro. Alla perfine, stanchi di
tante guerre i belligeranti, fu da prima stabilito un
armistizio per tre mesi, e poscia sul principio del-
l'anno 1407 fu firmata la pace e si die termine ad
ogni discordia. Senonchè Ladislao non cessando dal
desiderio di rendersi padrone di Roma , in que-
st' anno medesimo con un esercito di ben 23 mila
armati si volse a quella città, e con oro e larghe
impromesse fatto venire alla sua parte Paolo Orsini,
cui era stata commessa la difesa di Roma , nel-
l'aprile del 1408 trionfalmicnte da' romani fu rice-
vuto. E poiché pel valore del Carrara riportò quel
principe tal trionfo, volle dargli un segno del suo
grato animo , e il nominò primamente vice re di
Puglia , quindi nel 1413 assegnogli il dominio di
Ascoli. Durò due lustri nel governo di essa città :
€ mancato di vita nell' anno 1421 (54) , lasciò la
signoria di Ascoli ad Obizo , terzo suo figliuolo ,
il quale prese la somma delle cose sì politiche co-
me civili (55). Ma papa Martino V, volendo riac-
quistare Ascoli col suo contado, introdusse pratiche
col mezzo della regina Giovanna II, perchè ella in-
ducesse Obizo a rendere la città; però ricusando-
ne egli la restituzione, diede ordine al rettore del-
la Marca Pietro Colonna suo nipote , e al geue-
G.A.T.CXLV. 3
3i
rale Giacobuzzo Caldorio , forte di 1500 cavalli e
3 mila fanti, a fine movessero per Ascoli: i quali
dopo aver occupato alcuni luoghi vicini, posero il
campo in Parignano. Assediata la città, i suoi abi-
tanti si diedero al pontefice il dì 8 d' agosto del
1426, e dopo pochi dì ebbero la rocca da cui ap-
pena potè uscire Obizo , il quale si volse per a
Milano, ov' era Ardizone suo fratello a' servigi del
Visconti (56).
Nel reggimento pertanto dei Carraresi ben cin-
que monete si coniarono da essi, di cui tre in ar-
gento , e due in bronzo o bassa lega , nelle quali
si legge il nome di Conte di Carrara COmes de
CARARIA; nel margine comparisce lo stemma della
famiglia, cioè un carro con quattro ruote; nel ro-
vescio S. EMID. D. ESCVLO; al di sopra V arme
o stemma della città di Ascoli. Poco esse fra di sé
differiscono, benché sieno tutte di conio diverso; e
soltanto è da osservarsi , che in una di bronzo è
una sola ruota di carro, e in altra é questo con le
quattro ruote, e COMES intero (57). {V. la tav. I
dal n. 9 al 12» e il Prosp. dai n. 10 aM4 ).
Or veggendosi la prima volta in questa moneta
figurato lo stemma , di cui anche al presente usa
la città di Ascoli, egli è a ricordare, che gli stem-
mi non s' introdussero anteriormente all' XI secolo
e massime in occasione delle crociate; dopo le qua-
li dai comuni ed altri corpi morali s' impetrò la
facoltà di assumerli con diversa rappresentanza nel-
r impronta , con inquartature e varietà di stabiliti
colori, quali segni di dominio o di nobiltà; e lun-
ghi litigi si fecero ancora per conservarne 1' uso.
35
Imperocché ciascun comune richiedeva un simbolo
o impresa che potesse dedursi da qualche somi-
glianza col nome della propria città o da locali cir-
costanze. Ascoli dunque essendo città munitissima,
non solo per una rocca ( detta il Cassero ed ora
Fortezza Pia ), ma per alte e solide mura fomite
di spesse torri ( eh' eran più di 200, tantoché da-
gli storici si appella civitas turrita ), e posta in fra
due fiumi ( il Tronto e il Castellano ) , a valicare
i quali è d'uopo di ponti, che dì arditissima co-
struzione , opere di età diverse ,. veggonsi tuttora
quasi in ciascuna porta della città , può ragione-
volmente congetturarsi che prendesse per suo stem-
ma ed emblema un ponte su cui sorgono due tori'i,
e che questo stesso emblema volesse scolpito nelle
sue monete, come si scorge in quelle ai nn. 9 10
11 13 14 e 16 della tavola I , e ai nn. 17 al 29
inclus. e 31 e 32 della tavola II.
Variamente sentirono gli scrittori delle storie
ascolane nell' interpretar quali simboli si rappresen-
tassero nello stemma di Ascoli. 11 Fioravanti pensò
che vi si esprimesse il prospetto di una porta del-
la città [Antiq. roman. ponti f. denarii p. 156 ) ,
il Bellini [Dissert. 4 op. cit.) , e il Marcucci {Op.
cit. p, 152 e 153 ) vi riconobbero una rocca o for-
tino ; il Muratori ne fu incerto, dicendo essere o
prospetto di porta o un ponte o qualche turrito
edifizio. Sono poi di conforto alla nostra opinione
lo Scilla ( Monete poni. p. 330 ) , e il Gradenigo
{in Zanetti op. cit. t. 2 p. 74 ) , i quali nel rife-
rire il quattrino di Alessandro VI ( Vedi tav. Un.
32 ) niegano che lo stemma impressovi sia una por-
36
la di città , ma sì bene un ponte. E nel vero: si
ponga mente da prima non paier verisimile , che
Ascoli volesse prendere per insegna della città una
rocca, un turrito edifìzio o una porta ; perciocché
in que' tempi di continue guerre civili e di fazioni
tutti i comuni, anche piiì piccioli , aveano le loro
acropoli, rocche o fortilizi. Quindi questa insegna
od emblema non era proprio e adatto solo ad Asco-
li , ma a tutte quante 1q terre e castella: d' altra
parte dai ponti e dalle torri potevasi trarre un sim-
bolo tutto peculiare di quella città.
Arroge, che l' edifìzio colle torri è sostenuto da
due archi; ne può immaginarsi, che una rocca aves-
se a piantarsi sopra arcuazioni , lasciando i sotto-
posti vacui 0 terrapieni , ove facilmente il nemico
avrebbe potuto ricovrarsi o ascondersi, introdiicen-
dosi per entro ai medesimi , e così incendiare il
fortino e impedire la sortila alle milizie. Le due
torri poste a' capi o teste del ponte sono di archi-
tettura e forma diversa: cioè quella a diritta, pii!i
alta, ha la cima munita di merli; e con cupolino
a punta V altra a sinistra; sono merlati anco i pa-
rapetti o spallette del ponte (58). Le tre pile ne
formano i due archi, e sopra di quelle sono alcuni
occhi circolari, donde potesser più liberamente flui-
re le acque nelle piene del fiume.
Il Marcucci fa parola di un teschio di cavallo
con due serpi ed una fascia svolazzante col motto
Utrumqne Nobis, che trovasi anche al presente nel-
lo stemma della città ; ma questi emblemi non si
veggono in alcuna delle monete ascolane, né pote-
vano osservi , poiché di colali inipiesc con molti
37
simbolici s' incominciò a far uso sulla fine del de-
cimosesto secolo, mentiechè la moneta di Alessan-
dro VI , che è r ultima nella serie delle antiche
{Tav. IL n. 32), non può essere stata coniata do-
po r anno 1503 , che fu V ultimo di quel ponte-
fice.
Monete di papa Martino V.
Tornato Ascoli al pontificale dominio , merco
della espulsione di Obizo di Carrara ordinata da
papa Martino V Colonna, dieci monete furono co-
niate, che si riferiscono al medesimo, avendo im-
presso 0 il nome di lui o lo stemma della cele-
bratissima sua famiglia. Descriviamo qui brevemen-
te le tre recate nella tav. I ai nn. 13 14 15. La
prima d' argento ha nel diritto MARTIN. PAP, in
mezzo A; nel giro due chiavette decussate; nel ri-
verso S. EMID. D. ESCULO, e nell' area le ulti-
me quattro lettere sono disposte in croce ; nella
sommità del margine vedesi il ponte con torri, ar-
ma della città [Prosp. cron. n. 15).
La seconda, pure d'argento, ha la stessa leggen-
da nel diritto ; però evvi la colonnetta coronata ,
stemma dei Colonnesi, nella superior parte ; il ri-
verso presenta le stesse lettere e simboli ( Prosp.
cron. n. 16).
La terza è di rame; ha nel diritto S. EMIND, e
colonnetta coronata nel giro ; IVS in mezzo ; nel
riverso altra simile colonnetta con croce gigliata
in mezzo, e leggenda DE ESCVLO all'intorno {Prosp.
cron. ». 17).
38
Le altre monete sono riportate più innanzi nel
Prospello cronoìocjico dal n- 18 a/ 2i inclusivamenle.
Monete di Francesco Sforza.
Mancato di vita papa Martino l'anno 1431, e suc-
cessivamente eletto Eugenio IV Condulmero veneto,
il conte Francesco Sforza colle sue armi occupò
prossochiè tutta la Marca nel 1433. Quel pontefice
lo innalzò alla dignità di gonfaloniere di s. chiesa
e marchese della Marca, e ai 30 dicembre di quel-
l'anno, mediante convenzione col castellano, il fratel
suo Alessandro prese possesso del girone fermano;
dappresso il conte Francesco si condusse ad asse-
diare la città di Ascoli , la quale stimando che il
far opposizione alle poderose forze di lui sarebbe
stato vano consiglio, mandò innanzi due ambascia-
dori per venire a patti cogli assedianti; il che non
si ricusò dal conte. Egli pertanto resosi padrone di
Ascoli , vi lasciò a governarla Giovanni altro suo
fiatello con molti fanti e cavali, partendosi di colà
col resto delle sue genti per la conquista di altre
città e terre marchiane. Colla investitura della Marca
concedutagli da Eugenio IV in lui vennero tutti quei
privilegi che a tale splendido grado si addicevano,
fra cui era quello di monetare col suo nome {Baij'
naldi Ann. eccl. ad ami- 1434, nostri Cenni storici
di Fermo p. 82). Noti sono per tutti gli storici ed
i cronisti i fatti che intervennero dal 1433 fino al
1445: laonde ad essi rimandiamo quei che fossero
vaghi conoscer le geste di quest'uomo tanto cele-
bre nelle storie, e di cui al dire del Muratori {Ani
39
(Vllal. anno 1466), da molti secoli forse non ora
sorto in Italia chi più fosse vaioloso e assennato
{Cenni suddetti dalla pag. 65 alla 86, e Giornale Ar-
cadico tom. 81). La dominazione sforzesca ebbe fine
l'anno 1445, quando collegatisi papa Eugenio, Al-
fonso re di Napoli e Filippo duca di Milano, comin-
ciarono muover guerra al conte Francesco Sforza;
il quale vedendo non poter resistere a tanto impe-
to, vie pili perchè gli ascolani non solo eransi tolti
dalla sua divozione e datisi al re Alfonso, ma al-
tresì avevano ucciso Rinaldo fratello uterino di lui
che tenea in custodia quella città (59), ne fece par-
tir le sue genti, e venute a Fermo, munirono di forte
presidio la rocca, da cui poscia furono costrette fug-
gire.
Le monete battute, dominante lo Sforza, sono
di argento, di rame e di mistura. Nella prima di
argento [Tav- 1. n- 16) leggesi F. SFORTI nel campo
A , nella sommità del margine il leone rampante,
stemma dello Sforza; nel rovescio S. EMID. DESCV-
LO colle ultime quattro lettere nel campo in forma
di croce; al di sopra il ponte con torri , arme di
Ascoli. La seconda di argento ha la stessa leggenda,
però è di conio diverso [Tav. II. n. 17). La terza
parimente non differisce che dal leone sforzesco che
non mostrasi rampante (7ar. //. n. 18). Nella quarta
si ravvisa alla sommità del circolo il leone saliente
che tiene il pomo cidonio, o cotogno {Tav. II. w, 19).
Nella quinta di rame è nel campo il leone saliente
col ramo del cotogno, e con le lettere F. SFORTIA
in giro; e nel riverso la croce in mezzo, enei giro
DE ESGVLO coll'arme della città {Tav. Un. 20).
Vedi il Prospetto dal n. 25 sino al n. 29 inclusiv§h.
40
Allorcht; pubblicammo un breve discorso intorno
alla scultura di un leone disotterrato in Fermo nel
settembre del 1835, osservammo che nelle monete
dagli Sforza coniale in Fermo non trovasi mai rap-
presentato il leone, ma la biscia viscontea, mentre-
che in quelle di Ascoli il leone è sempre posto per
insegna dello Sforza, e non mai vi è figurata la serpe
tortuosa con il fanciullo ignudo , se già vera non
fosse la opinione del Bellini che or ora riferiremo.
Notammo altresì, non vedersi aggiunto mai il co-
gnome Vicecomes allo Sforila nelle monete di Asco-
li: laddove nelle sette fermane pubblicate dal Cata-
lani, e in due da noi (60), trovasi sempre il Vice-
comes , salvo in una [Catalani n. 17), ove leggesi
F Sfortia senza più. Da quali ragioni però derivi
questa diversità di simboli e di conii in due zecche
marchiane pertinenti al medesimo signore, non sa-
premmo dirlo convalidofondamento. Congetturammo
dapprima, che tutte le monete ascolane col cognome
di SFORTIA fossero state coniate innanzi che se-
guissero le nozze del conte Francesco con Bianca
figliuola di Filippomaria duca di Milano, e còsi an-
che quella sola di Fermo che sopra è nominata. Ma
come poteva esser vero ciò, tostochè Fermo ed A-
scoli quasi ad un tempo furono sottoposti alla si-
gnoria dello Sforza? Come supporre che non cele-
brate peranco le nozze del conte , in Fermo una
sola moneta col suo proprio nome, e varie in Ascoli
se ne coniassero? Come si potrà credere, che dal i
1438 al 1441, in cui si strinse il maritaggio, non ,
battesse lo Sforza in Fermo che una sola moneta? !
Trovossi in tale imbarazzo anche il Catalani nelle j
41
memorie della zecca feimana {pcig. 47) , ed egli
tribuì questa diversità dello stampo ascolano dal fer-
mano ad un arbitrio o piuttosto all' ignoranza del
monetiere, non sapendo egli forse l'adozione dello
Sforza fatta dal Visconti e i diritti che questo seco
recava. Noi non tenemmo per buona questa opi-
nione del dottissimo archeologo fermano nel citato
nostro scritto del 1836 (61): ed esponemmo invece,
che avendo Francesco Sforza stabilito la sede prin-
cipale del governo marchiano in Fermo, perchè qui
era una fortissima rocca da potervisi riparare e
difendere dalle nemiche incursioni e così conser-
varsi in quella dominazione ; dopo aver assegnato
la prefettura di Ascoli a Rinaldo suo fratello, avrà
creduto dover usare il simbolo della biscia de' Vi-
sconti nelle monete di Fermo , ove condusse sua
sposa Bianca di quella famiglia, e valersi del solo
primitivo stemma , cioè del leone , nelle monete
ascolane. Imperocché ci narra il Decembri nella
vita di Francesco Sforza (62), che sin dal 1431 fu
Bianca Maria Visconti fidanzata a lui, il quale co-
minciò fin d'allora ad usare le insegne del suocero,
che avealo destinato suo successore nel milanese
ducato. Adoperando tuttavia lo stemma Visconteo,
non avea per questo rinunziato nò al cognome, né
alle insegne della onorevolissima sua casa, cioè al
cotogno degli Attendoli, ed al leone palatino con-
cedutogli dall' imperatore Roberto (63) ; il perchè
or r uno , or V altro di essi incideva nelle jnonete
o nei sigilli dei diplomi, specialmente sino all'an-
no 1430, vivente ancora Filippomaria Visconti duca
di Milano (64).
42
Poniamo qui tre altre monete che il Bellini nella
descrizione delie monete itaiiclie del medio evo at-
tribuisce a Francesco Sforza, credendole coniate sotto
il governo di lui (65); alla quale opinione si con-
forma anche il Zanetti (67). La prima ci reca la so-
lita leggenda PP S EMDIIUS con croce patente ,
e quattro fioretti negli angoli ; nel rovescio DE
ASCHOLO; con il solito stemma della città, e so-
pravi un serpe o biscione che vibra la lingua verso
una piccola croce [Tav. Il n.2\). Le due rimanenti
monete, che si osservano nella d. tav. nn. 22 e 23,
poco differiscono dalla precedente; sono però di co-
nio diverso, poiché vi si scorgono alcune rosette, e
il serpe è in altra giacitura; essendo in una con la
bocca aperta d' appresso a una torre , e nelT altra
pur con la bocca aperta, ma più aggomitolato. Si
osserva altresì che la parola ASCHOLO ha la giunta
della lettera h in carattere minuscolo , mentre in
tutte le precedenti questa lettera non si scorge
{Prosp. cron- nn. 30 31 e 32). Ecco le parole del
Bellini: » Angiiis porro aedificio supcreminens \ice-
» comiliim genlililiimi sculum est. » Egli allega per
fondamento della sua opinione , come a Francesco
Sforza famoso conte di Cotignola, e già celebre per
imprese di guerra e per riportati trionfi , essendo
stata promessa in isposa da Filippomaria duca di
Milano la sua figliuola Bianca in età di sette anni,
fosse egli ricevuto e adottato nella viscontea fami-
glia , e ne assumesse perciò la insegna gentilizia.
Per quanto sieno rispettabili i pareri di così illu-
stri scrittori, pur tuttavolta non potremmo noi tanto
facilmente ai medesimi accostarci ; ed ecco le ra-
43
gioni che ne inducono a dubitare. Primamente non
leggesi il nome di F- Sforila in queste monete ,
come nelle cinque sopra riferite; non si appose l'al-
tro cognome Vicecomes in veruna delle ascolane, sì
bene nelle fermane; il serpe non è foggiato nel modo
in cui vedesi nello stemma della famiglia Visconti,
ove è rappresentata una biscia di azzurro nello
scudo di argento serpeggiante o attortigliata in pa-
lo, coronata d'oro, con un fanciullo di color rosso
uscente dalle sue fauci, com'è descritto dal Ginanni
(67), e trovasi nel monumento di Giovanni Oleg-
gio Visconti nell'atrio della metropolitana di Fer-
mo, e nello stemma dipinto, che non ha guari si
è discoperto sopra porta a S. Giuliano della stessa
città: memoria certa che tuttora qui rimane della
signoria sforzesca; e facciam voti che con ogni cura
sia conservata. D' altra parte sì pel confronto di
queste monete con altre del XV secolo, e special-
mente per lo stile de'conii, e sì per la forma delle
lettere, abbiam creduto di porle dopo le cinque che
certamente appartengono allo Sforza.
Monete di Eugenio IV.
Dappresso la partenza degli sforzeschi, Eugenio
IV riacquistato avendo il legittimo dominio sulla
città di Ascoli, fece quivi con diversi conii batter
monete. Noi dubitammo se queste dovessero collo-
carsi prima o dopo la dominazione del conte Fran-
cesco, poiché Eugenio fu creato pontefice 1' anno
1431: lo Sforza venne al possesso della Marca nel
1433 j e papa Eugenio sopravvisse un anno circa
44
alla partenza di quello avvenuta nel 1446. Or dun-
que 0 dal 1431 al 1433, o dal 1446 al 1447 deb-
bono essere state coniate le monete che ora descri-
veremo (68).
Sono dodici le monete di Eugenio IV che ad
Ascoli si riferiscono. Tre di esse veggonsi nella ta-
vola li, e sono due di argento, ed una di mistura.
La prima ci dà il nome di EVGENIV. PAPA, re-
stando l'A pili grande delle altre lettere nel campo
fra quattro punti aperti; nel margine compariscono
le due chiavi incrocicchiate: nel rovescio S. EMID.
DESCVLO, e nell'area le ultime quattro lettere; al
di sopra il ponte con due torri, stemma ascolano (69).
[Tav. II. n. 24.)
La seconda varia dalla prima per la mancanza
della lettera E, leggendovisi VGENIV., che dal Bel-
lini {op. eli. diss. IV) è attribuito ad imperizia o
a sbaglio deirincisore, che altro ne fece occorrere
nel rovescio, facendo INID. in luogo di EMID. {Tav^
II n. 25.)
La terza è di mistura , e varia nella giacitura
delle parole dalle precedenti ; poiché vi si trova
PAPA VGEiSIV, croce in mezzo, e nella sommità
del margine le chiavi incrocicchiate; nel riverso S.
MID. DESCULO; e al di sopra 1' arme della città.
Reputiamo inedita questa moneta , che da noi sì
conserva, poiché non ci venne fatto di osservarla
in alcuno scrittore [Tav. //, n. 26, Prospetto ai nn.
33 34 e 35). Le altre nove , colle loro variazioni
di conii, sono descritte nel Prospetto cronologico
dal n. 36 al n. 44 inclusivamente.
^o
Moìiete (V incerti pontefici.
Seguitano altre tredici monete che debhonsi no-
verare fra quelle del secolo XV, e vennero coniate
dopoché fu ristaurato il reggimento pontificale; per-
ciocché tutte hanno un segno od emblema che per
tali le fa riconoscere. Due soltanto ne diamo ai nn.
27 e 28 della tav. II ( Prosp. cron- n. 4-5 e 46).
La prima ha sul diritto l'immagine di S. Emidio,
patrono di Ascoli, in mitra e pastorale, con alta la
mano in atto di benedire, e le parole S. EMIDIVS:
sul rovescio AS. CVLO in giro, nel campo il so-
lito slemma ascolano, e sopravi il triregno con le
chiavi incrociate. E di rame pari a un quattrino, ed
inedita trovasi presso di noi. L'altra é un picciolo;
porta nel diritto S. EMIDIVS in giro, croce gigliata in
mezzo: nel rovescio DE ASCVLO, e chiavette decus-
sate in giro; e nel mezzo l'arme della città. Le altre
undici vengono descritte nel Prospetto cronol. dal n.
4-7 al 57 inclus. Né bassi a far maraviglia di tanta va-
rietà di conii, conciossiachè questi venivano cambiati
frequentemente in quel secolo nelle monete di città
italiche.
Monete di tempo incerto.
Ne rechiamo ora tre che non hanno alcun segno
papale, e quindi debbono tenersi di tempo incerto:
ma per riscontri fatti colle altre del secolo XV, sem-
bra che possano a questo riportarsi. Due di esse veg-
gonsi nella tav- U ai nn. 20 e 30. Nel diritto della
46
prima una croce patente, da'cul angoli escono quat-
tro rami di fioretti, occupa il campo; in giro la leg-
genda PP. S. ENIIDIVS, e nel margine crocetta fra
due stelle: al riverso DE ASCHOLO in giro, e nel
campo lo stemma della città. Si legge nel diritto del-
l'altra S. EMID EPCO nel giro, PUS nel mezzo, con
crocetta fra due punti: al rovescio DE ASCHOLO in
giro con crocetta; nel campo croce patente con due
fioretti in due angoli opposti. La terza ha nel diritto
S. ENNIDIVS, le tre ultime lettere in mezzo; nel ri-
verso DE. ESCVLO in giro, e croce nel campo {V.
Prospetto cronol. ai nn. 58 59 60).
Non ci fu dato vedere nessuna moneta, che dai
successori di Eugenio IV si coniasse con la impronta
de' loro nomi. Or passat di vita quel papa, ed es-
sendo venuta grande scarsezza di danari , special-
mente per le minute conti-attazioni, gli ascolani si
volsero al pontefice Pio II, affinchè volesse conce-
der loro facoltà di poter coniare nuovamente i pic-
cioli ed i quattrini. Egli con breve del dì 30 apri-
le 1461 concedè il permesso per un anno di far
battere dette monete sino alla quantità di ottocento
fiorini d'oro di camera [Documento G). Ma non sap-
piamo se si facesse uso di questo pei'messo, con-
ciossiachè ninna moneta col nome di quel pontefice
apparve fin qui. La qual cosa sembra tanto più
piobabile, quantochè per la moltiplicità delle zecche,
per la troppa quantità de' piccioli, da cui i mone-
tieri traevano maggior lucro, e per l'adulterazione
de' bolognini nella mistura de' metalli (70), essendosi
accresciuti i disordini nel sistema monetario delle
città della Marca e fors' anco dell' Umbria, il pon-
47
fice Pio II divisò di recarvi rimedio, ordinando che
le città tutte , le quali godevano del diritto della
zecca, dovessero entro il mese di gennaio del 1462
spedire a Roma i loro deputati per prendere le
opportune disposizioni, come si legge nel breve del 1
gennaio 1462 diretto alla città di Fermo, da cui si
fa chiaro essere stata comune tale determinazione .
con le altre città della Marca e dell' Umbria , le
quali godevano pure del privilegio della zecca (Do-
cumenfo H) (71). Ci è al tutto ignoto quali prov-
videnze si prendessero dall'adunanza de'deputati mar-
chiani; ma quanto a Fermo sappiamo dal Catalani,
che fu mandato Giacomo Brancadoro, il quale riferì
volere il papa tutte le monete fossero di lega ed
uniformi, togliendo alle città il diritto di farne cia-
scuna a suo modo. Egli è certo però, che il dì 16
gennaio del seguente anno 1465 esso pontefice, per
impedire che alcuni signori continuassero ad usur-
parsi il diritto di monetare, proibì sotto gravissime
pene si coniasse moneta di qualunque sorta senza
peculiare facoltà della s. Sede (72). Dappresso co-
testa generale proibizione, che increbbe assaissimo
alle città marchiane, alcune di queste divisarono
di tener chiusa lor zecca , altre si fecero a chie-
dere nuova licenza , e spedirono oratori a Roma ,
dimandando che il battere le monete provinciali
fosse sospeso per tre anni, e frattanto le già co-
niate avessero il loro corso come per lo innanzi ;
che scorso questo termine, i bolognini nuòvi si co-
niassero in provincia del peso e lega prescritti ; e
qualora ciò non si ottenesse , si offeriva un com-
penso alla camera pontificia per quanto perdeva
48
risc<)t(?:n(lo i tributi in moneta inferiore. Gli ora-
tori fermani e recanatesi, accompagnati da lettere
credenziali di Macerata, Fabriano, Tolentino, San-
severino, Jesi , Osimo ed Ascoli , tornarono il 10
luglio senza che le loro preghiere venissero ac-
colte (73). Se poi ad altre città si concedesse que-
sto favore da papa Pio, da noi al tutto s' ignora.
Crescevano però sempre più i disordini del mo-
netare: il perche Paolo II, a lui succeduto, pubblicò
mia costituzione il dì 13 gennaio del 1465, in cui
considerando che nelle provincie della Marca anco-
nitana, nel ducato di Spoleli, nel Patrimonio, ed in
molte terre e luoghi dello stato circolavano varie
adulterine e malvage monete, chiamate volgarmente
bolognini, non solo rinnovò la proibizione di coniar
più nell'avvenire qualsivoglia sorta di monete, ma
insicm.e comandò, che si servissero soltanto di quelle
che si coniavano nella zecca di Roma ; ed inoltre
che dovessero le già fatte dissolversi (74). Ma non
ostante questa legge , il pontefice a' 4 di febbraio
dell' anno 1471 accordò nuovamente alla città di
Fermo il permesso di battere monete di argento e
di rame soltanto, al saggio della zecca romana, e
coll'obbligo di sottoporle in ogni tratta all'esame
del governatore della Marca (75) : e deve credersi
con tutto fondamento, che con altri brevi si con-
cedessero eguali privilegi alle altre città, nelle quali
esisteva la zecca, cioè Ancona , Ascoli , Macerata,
Camerino, Recanati (76). Fu perciò che quelle città,
volendo recare ad effetto tale sovrana concessione,
concordemente spedirono in Macerata i loro depu-
tali. Vi andarono t!;li oratori di Ancona , Ascoli ,
49
Fermo, Recanati e Camerino, e fu convenuto, che
nella nuova battitura de' bolognini tutte le zecche
uniformar si dovessero al peso e alla libbra della
zecca romana; che la tenuta fosse la solita di once
9 ^Ij, ; che in ciascun' oncia si contenessero bolo-
gnini 40 '^1^; e che 62 di questi bolognini formas-
sero il ducato veneto , come si raccoglie da un
istromento del 2 giugno 1472, regnando il ponte-
fice Sisto IV (77).
Monete di Sisto IV.
EvSsendo in tali condizioni il sistema mone-
tario rispetto ai bolognini , non si ristava la città
di Ascoli dal supplicare lo stesso papa Sisto, per-
chè si degnasse concederle il permesso di battere
le piccole monete , di che vi era grande penuria.
Un messer Lodovico di Piero in questo tempo aveva
offerta a tal fine l'opera sua al consiglio , obbli-
gandosi di battere moneta di ogni sorta a suo conto;
la quale offerta fu accettata: ma essendosi frapposti
alcuni ostacoli per parte del tesoriere locale, la città
mandò al pontefice per oratore straordinario Gian
Giacomo Caucci , il quale potè ottenere un breve
segnato il 22 dicembre 1472 { Arch. segr. e libr.
de' consigl. ascoi), con cui si permise di coniare i
piccioli per un anno , e sino alla somma di mille
ducati (^Documento I) (78). Giovaronsi tantosto gli
ascolani del conceduto permesso, e batterono i pic-
cioli con conii che variano fra loro alcun poco.
Quattro ne conosciamo , uno de'quali è quello
che diamo al n. ol tav. II. Avendoli noi mostrati
G.A.T.CXLV. 4
50
al dottor Angelo Cinagli , li pubblicò nell' opera
Le monete de'papi descritte in tavole sinottiche (Fer-
moy 1848, Paccasassi) (79). Essi hanno sul diritto
la scritta S. EMIDIVS, ed in mezzo una croce, nel
margine superiore le chiavi decussate; nel rovescio
DE ASCVLO in giro, nel campo lo stemma di Ascoli,
e sopra di esso quello dei Della Rovere {V. il Prosp.
cronol. ainum.^ì 62 63 64). Crediamo con fonda-
mento, che gli ascolani a dimostrare la loro rico-
noscenza pel breve ottenuto, facessero apporre in
queste monete lo stemma di papa Sisto IV con le
chiavi , oltre quello della loro città. Dubitammo in
sulle prime, se questa moneta, che da nessun nu-
mografo era stata pubblicata innanzi il 1848, po-
tesse appartenere a quel pontefice discendente dal-
la famiglia Della Rovere: ovvero a Giulio il altro
pontefice della stessa famiglia ; posto mente però,
che neir arme di Giulio II, oltre la rovere, sonvi
corone inquartate (80), eh' è manifesta la sua mag-
gior vetustà, e che Sisto concedè il riferito breve,
crediamo fuor d' ogni dubbio , che a lui e non a
Giulio debbano riferirsi.
Monete di Alessandro VI.
Dall'anno 1472 sino alla creazione a pontefice
di Alessandro VI Lenzuoli Borgia di Valenza, av-
venuta nel 1492 , non apparisce che fossero bat-^
tute altre monete (81). Ma nel pontificato di lui
furono coniati in Ascoli i quattrini (82), ne' quali
sul diritto leggesi all'intorno ALEXA. VI. PO MA,
nel campo lo stemma Borgiano con sopra il tri-
51
regno e le l'hiavi decussate; nel rovescio DE AS-
CVLO, ed il ponte con le due torri, solito stem-
ma della città; nel cui mezzo è una stella con sei
raggi, e al disopra una rosa [Tav. Il n. 32). Que^
sta moneta è assai comune, e fu pubblicata dal Fio-
ravanti, dallo Scilla , dal Bellini , dal Gradenigo ,
dall' Argelati, e da coloro che trattarono delle mo-
nete delle città italiane. Ve ne sono altre sei con
variazioni di conio, e tutte sono descritte nel Pro-
spetto cronologico dal n. 65 al 71.
E questa è T ultima moneta coniata nella zecca
ascolana, la quale con quasi tutte le altre del nostro
stato ( tranne poche città che forse ebbero in ap-
presso particolari concessioni) restò soppressa per
ordine di Leone X (83). Imperocché avendo egli
presa in considerazione la eccedente quantità delle
monete di rame che in molte città si coniavano ;
la discrepanza del peso e della lega, e più la di-
versità fra le monete municipali , e quelle della
città capitale; e volendo riparare a tali danni così
pubblici come privati, soppresse perpetuamente tutte
le zecche eh' eransi riaperte a' tempi de'suoi pre-
decessori, e nello stesso suo pontificato, revocando
ogni licenza, uso, privilegio e consuetudine, come
apparisce dal breve del dì 2 febbraio 1518 (84):
per il che teniamo per fermo che quella d' Ascoli
rimanesse chiusa , vie pili che non ci venne fatto
vedere moneta alcuna coniata di poi.
Monete di Pio VI.
Ben quasi tre secoli eran corsi che Ascoli non
• avea più la zecca, ed era stato tolto il corso alle
52
sue monete; cui eransi sostituite quelle della zecca
romana; quando sul cadere del decimottavo secolo,
per le politiche vicende essendo cresciute le urgenze
del pubblico erario, per darvi rimedio Pio Yl ac-
cordò il permesso di batter monete di rame a
molte città dello stato, fra le quali fu Ascoli (85).
A Carlo Lenti, in vigore di un chirografo pontifi-
cio del 1797 , fu conceduto il diritto di aprire
1' officina monetaria: ed egli nel maggio del detto
anno mandò un Salvatore Fiorentini a Livorno per
provvedere il rame grezzo da ridursi a moneta nella
nuova zecca. In essa negli anni 1797 e 1798 ven-
nero coniate monete di baiocchi cinque, di due e
mezzo , di un baiocco (86), di mezzo baiocco , e
di un quattrino , che sì descrivono nel prospetto
cronologico dal n. 72 all' 82 inclusivamente.
Avvenne poscia 1' invasione francese nello stato
del pontefice : ed altre dieci monete uscirono da
questa zecca, colle insegne della repubblica romana,
di due baiocchi , di mezzo baiocco e di un quat-
trino, negli anni 1798 e 1799 (87), che sono ri-
ferite nel detto Prospetto dal n. 83 al n. 92 in-
clusivamente.
In seguito tutte le monete delle zecche dello
stato romano, istituite sul finire del secolo XVIII,
forono soggette a diminuzioni e riduzioni gravis-
sime , e finalmente ad una totale abolizione nei
primi anni del pontificato di Pio VII, il quale ri-
formando r ordinamento delle monete, già da lun-
ghi anni grandemente desiderato, provvide alla co-
modità e all' utile dell' universale in questa parte
così importante di pubblica amministrazione.
53
ANiNOTAZIGNi
(1) Chi fosse vago di conoscere la utilità che
dagli studi delle antiche monete si ritrae , sì pei
progressi fatti con V aiuto delle medesime nelle
storie dei re, dei popoli e degli imperatori, e sì per
gli stadi sacri , vegga il Zanetti, Monete e zecche
(T Italia tom. Ili p. 135 in nota, ove sono indicati
vari scrittori che hanno trattato questo argomento;
a' quali noi aggiugnercmo lo Spanhemio, De usti et
praestantia numismatum antiquorum , Amslelodami ,
Elzevir 1621: 1' Heinecio, De usuet praestantia nu-
mismatum in iurisprudentia, Neapoli 1773, Campii
tom. 7: lo Schiassi , Ragionamenti sulla utilità e
diletto degli studi archeologici, e singolarmente della
numismatica, Bologna, Lucchesini 1810: l'Ackerman,
Archaeol. Uhi., Viennae 1836: 1' ah. Glaire, Intro-
duction à V ecriture sainte t. II , Paris 1843: il p.
Calmet, Dissertazione sopra Vantichità della moneta
coniata , riprodotta nella Sacra Bibbia di Vence
stampata in Milano : ed il eh. Daniele Schimko ,
Commentationes de numis biblicis, ptfhT)licate in Vi-
enna nel 1835, 1838. Ma più ampiamente e dot-
tamente il chiarissimo D. Celestino Cavedoni di
Modena ha dimostrato la grande e singolare utilità,
che dal riscontro e dallo studio delle monete an-
tiche, sì giudaiche, come peregrine, che un tempo
ebbero corso nella Palestina, si ritrae per illustrare
e difendere i libri santi che le ricordano, nella sua
54
opera - Numismatica biblica, o sia dichiarazione delle
monete antiche memorate nelle sante scritture - Mo-
dena , Soliani 1850, con tav. Per la quale, e per
l'altra - Francisci Carellii Nurnmorum Italiae veteris
tabidae CCII ec. - dall' accademia delle iscrizioni e
belle lettere di Parigi nella sua seduta del 22 ago-
sto 1851 gli fu conferito il premio di numismatica.
(2) Rechiamo i titoli di esse opere, poiché oc-
correndoci di citarle in appresso , s' intende che
sieno queste medesime. - Muratori , Antiquii. hai.
med. aevii dissert. XXVII - Argelati , De monetis
Iialiae etc. Mediolani 1750 - Carli Rubbi Gianri-
naldo, DelVorigine e commercio della moneta, e deh
l'istituzione delle zecche d'Italia, Aia [Venezia) 1751,
e Milano 1784 - Bellini Vincentii , De monetis Italiae
meda aevi, Ferrariae 1755 al 1779 - Zanetti Gui-
d' Antonio , Nuova raccolta delle monete e zecche
d'' Italia, che può servire di parte nona in continua-
zione deW Anjelati, tomi cinque, Bologna, dalla Volpe.
Furono pubblicate le storie delle zecche del nostro
stato, cioè di Ancona dal Peruzzi, di Benevento dal
Borgia, di Bologna dallo Schiassi, di Castro da un
anonimo, di Faenza dal Zanetti , di Fabriano dal
Ramelli, di Fermo dal Catalani e da noi, di Fer-
rara dal Bellini , di Forlì dal Zanetti , di Fuligno
dal Mengozzi, di Gubbio dal Reposati, di Macerata
dal Compngnoni, di Perugia dal Vermiglioli, di Pe-
saro dall'Olivieri, di Ravenna dal Pinzi, di Recanati
dal Leopardi, di Rimini dal Zanetti, per tacere di
altre.
(3) Stimiamo innanzi tutto esser nostro debito
rerder sincera testimonianza di gratitudine all'in-
55
signe letterato sig. Giacinto Cantala messa Carboni
patrizio e segretario del comune di Ascoli. Egli fu
che, oltre d'averci dato incitamento a scrivere in-
torno le monete di quella città , da noi già rac-
colte, ci fornì le copie di alcuni documenti riguar-
danti la zecca della sua patria, confortandoci altresì
a pubblicare il nostro lavoro. Il quale non potendosi
tenere compiuto, poiché non avemmo agio di visitare
gli ascolani archivi pubblici e privati, come sarebbe
stato di mestieri, per rinvenire antichi manoscritti,
e più ordinatamente tessere la storia di quella zecca,
potrà facilmente ciò eseguire lo stesso esimio e
chiarissimo sig.Cantalamessa; imperciocché, com'egli
con molti scritti storici e letterari ha onorato la
illustre sua patria, così, dettandone la intera storia
civile e politica, saprà con maggior ampiezza trat-
iare questa importantissima parte di essa.
(4) Si appone al nostro Asculmn Taddito Picenum
0 Piceni per distinguerlo da Ascidum Apulum o
Apuliae Dauniae, essendovi negli antichi tempi molte
città omonime. Vari scrittori hanno ricercato 1' eti-
mologia di questo nome. Il celebre ellenista Giro-
lamo Amati dopo aver osservato « che tra le pro-
» vincie dell' Italia superiore non havvene alcuna,
» la quale gareggiar possa col Piceno pel numero
» di città, che dalla più manifesta etimologia de'loro
» nomi attestano ancora la greca fondazione: » e
indicate le città di Aiiximum, Pisaurum , Aesium ,
Ostra, Cupra, soggiunge, che ■v.vÀsculum , ksclon ,
)) mostra il diminutivo di ascos, otre , o proviene
» dal vero tema asceo, asco, exerceo ì> [Arcadico
tom. XII p. 354 deìVanno 1821). Il Mazzocchi al-
56
r incontro opina, che Ascoli derivasse il nonre dalla
parola ebrea Escoi, denotante il grappolo dell'uva
{ Saggi di dissertazioni accad. tom. III.) Ad altri,
è sembrato , che siasi detto Aescidum dall' eschio
o ischio detto dai latini [Virg. 2 G. 291, Horat. 3
Od. 10 17 ) escliis o aesculus, di cui erano rico-
perti i monti air intorno. Veggasi sul nome della
città di Ascoli il Colucci, Anlichilà picene tom. XIV
diss. Ily ove fa congetture sulla cagione dello scambio
della prima lettera A in E. Forse i longobardi, per
distinguerla da quella di Puglia, la dissero Esculiim.
(5) Fior. Hist. Rom. - // Freinsemio, Supplem.
livian. Uh. V in locum lib. XV cap. 10 : « Caput
gentis Ascidum , silu murisque tuiissimus locus. -
Stratone lib. V: » hi mediterranea vero est Asculum
picenum. Locus munimine praevalidus , cui et murm
et circumslanteis montes superemìnent, nidlis penetra-
biles exercitibus. » - Plin. H. N. lib. Ili e. 13: »
Asculum Piceni nobilissima intus w. Sulla interpre-
tazione di questo luogo di Plinio leggasi il Bran-
dimarle, Plinio illustralo, Roma 1815, Mordacchini;
il marchese Antaldi, Sulla emendazione proposta dal
p. Brandimarte, Pesaro, Nobili 1 823 ; e la lettera
del Brandimarte in risposta all'Antaldi, Roma, Mor-
dacchini 1824.
(6) Appiano, De bel. civ. lib. I: « Parte alia circa
Falerinum montem, ludacilius et T. Afranius et P.
Ventidius coniunctis copiis exercitum Cn. Pompeii fu-
sum fugatumque intra Firmum compellunt ». Erano
ascolani que'tre comandanti dell'esercito de'cellegati
nel Piceno , a' quali era affidata la celebre guerra
sociale o italica, e che sconfissero Pompeo Strabone,
57
Orosio, De bello sociali lib. V cap. 18 e 19. Non sarà
inopportuno il rammentare come avendo noi dichia-
rato le ghiande missili inscritte , che si riferivano
alla guerra sociale, in una dissertazione letta nella
pontificia accademia romana di archeologia il 30
novembre 1839 , e quindi stampata in Roma tip.
della R. C. A. 1844, nella pag. 27 descrivemmo
una ghianda con leggenda ASCLANORON, conget-
turando potersi attribuire ad Ascoli Piceno, sì perchè
trovata ne' suoi dintorni, e si perchè ci parve di
vedervi con ogni probabilità il suo nome. Pubbli-
cammo altresì il disegno di un bassorilievo esistente
in Ascoli rappresentante cinque frombolieri, i quali
si recano nella destra la fionda , e , tenendo alcun
poco elevato un lembo della loro veste succinta ,
fanno di essa il sacculo delle ghiande. Ivi pag. 10
e 11, tav. I.
(7) Bell. civ.I^p. 381 E. Vedi ciò che ilCavedoni
disse intorno a tale moneta nel Giornale arcadico,
tom. 79 p. 227 e secj., e nel BuUettino delV itisi, di
corr. ardi, per Vanno 1844 p. 149.
(9) Considerations sur la numismatique de Van-
cienne Italie, Florence, Molini 1841, p. 154; e Siip-
plement aux considerations etc. par James Millingen,
Florence 1844.
(9) Considerations cit. pag. 155.
(10) De numis aliquot aereis uncìalihus epistola,
Romae, Salomoni 1778. Autore del libro è il car-
dinale de Zelada , e l'opera sua vi prestò Pietro
Borghesi di Savignano , padre al conte Bartolomeo
Borghesi numismatico celebratissimo. Fu ristampata
quest'opera in Roma col titolo - Numi aliquot aerei
58
tmciales ci. card. Zeladae in museum kircherianum
coli. rom. illalif tab. I n. 3.
(11) DeWantica numismatica delia cillà di Atri
nel Piceno, Napoli 1826 Traili, p. 35.
(12) Giornale arcadico t. 79 del 1839 p. 232,
e ragguaglio dell'opera intitolata - Francisci Carellii
Numorum Italiae veteris lahulae CCII p. 15, estratto
dal tomo XII della serie terza delle Memorie di re-
ligione ec. di Modena., ivi Soliani 1851: e Carellii
tab. XXVI, XXVII, Hatria.W eh. Cavedoni vei-atnente
non attribuisce con asseveranza ad Asculurn Picenum
la moneta, di cui trattasi, ma egli lascia la cosa ìa
dubbio, e propende per l'avviso del cav. Avellino.
(13) Quadro di geografia numismatica da servire
alla classificazione geografica delle collezioni con un
catalogo generale delle città, delle quali si conoscono
le monete: Firenze, Bencini 1836, p. 7.
(M) Considerations etc. op- cit. p-^ 222. - Asculurn
in Piceno. On possedè de monnaies de V aes grave ,
qui indiquent une concorde entre cette ville , et celle
d'Adria située dans la méme contrée. Ces monnaies,
qui soni sans types, portent dans le champ d'un còte
AS, et de Vautre H, initiale d' Hadria.
(15) Il cav.Avellino,^ di sempre chiara ricordanza,
opinò che queste monete appartengano ad Ascoli
nella Daunia (ora Puglia), perchè ricevute dalla Dau-
nia, le ha ritenute sempre per danne, come si legge
nel Bullettino archeologico napolitano, anno II pag.
36 e 37.
(16) V aes grave del musèo kircheriano , ovvero
le monete primitive de' popoli dell' Italia media or-
dinate e descritte ec- Roma, Puccinelli 1839 p. 112-
59
Vedi la tav. II della classe IV n. 7, ov' è disegnata
questa moneta.
(17) Queste due antichissime monete furono da
noi restituite a Fermo , come da lettera indiritta
air avv. Gennarelli, e inserita nel giornale artistico
e letterario il Tiberino , anno VI n. 34- del 1841,
Roma pe' tipi Puccinelliy la quale dal medesimo fu
riprodotta dalla sua dissertazione premiata dall' ac-
cademia romana di archeologia col titolo - La mo-
neta primitiva e i monumenti deW Italia antica, Ro»
ma 1843 tip. della R. Cam. Apost. p. 50 e seg. Cf.
Millimjen, Considerations op. cit. etc. p. 221. Ci pro-
poniamo tornare su questo argomento in altro la-
voro che stiam prepaiando.
(18) È questa la sua risposta, v Roma 31 die.
1852. Se ella vuole che io le dia oggi le ragioni,
per cui nella serie delle monete di Atri, quella che
ha r H nel diritto, 1' A nel rovescio , io la tengo
per semoncia d' Atri e nulla piià, eccomi pronto a
satisfarla. Atri ha già il suo asse, il quincunce, le
quattro , le tre, le due, e 1' una oncia. Ma oltre a
queste ne ha un' altra , che pareggia la metà del
peso dell' oncia, e che per 1' analogia colle semon-
cie latine io chiamo semoncia. Non ha impronta,
ma presenta nel diritto un' H, nel rovescio un' A,
che riunite formano la prima sillaba della voce HA-
TRI. Ha di più nel rovescio la sigla della semon-
cia, ossia una S arcaica, al modo medesimo delle
semoncìe latine. Questa forma di E non è già che
si adoperi da' latini, perchè non ne abbiano un'al-
tra migliore , ma perchè adoperata questa miglior
forma nel semisse, non rimaneva che la E per con-
60
tradistinguere la semoncia. Per opposto quelli di
Atri nel loio semisse aveano adoperato i cinque glo-
betti a distinguerlo, e non avevano la S nelle let-
tere usate a significare la loro città. Conviene dun-
que che diciamo , avere gli atriani fatto uso della
S arcaica per ricopiare in tutto la semoncia latina.
Coloro che credettero, che 1' A della buona paleo-
grafia latina potesse fare buona compagnia alla E,
la congiunsero coli' A , e lessero ASCLVM. Ma
non si avvidero anche alla posizione , che avea la
E sulla moneta, che le due lettere non ei'ano appa-
iate, ma che l'A teneva il mezzo del campo, e la
E era di proporzioni minori, e gittata quasi fuori,
all'orlo cioè del campo medesimo. Leggendo ASCLVM
disgiunsero 1' H dall' A , all' H dietro 1' HATRl ,
air As r AS CLVM, e immaginarono un' alleanza
tra Atri ed Ascoli. Questa però rimane esclusa dal-
l' analogia delle rimanenti sei monete. Quando vi
fosse stata 1' alleanza , non avrebbero aspettato la
semoncia per esprimerla, ma 1' avrebbero incomin-
ciata a far vedere infin dall' asse , e 1' avrebbero
continuata a significare nel quincunce, e così nelle
rimanenti , dove il campo prestavasi mirabilmente
a ricevere non due, ma anche tre delle lettere ASC.»
(19) Vedi gli Annali deW insl- di corrisp. archeol.
voi XJ, Roma 1839,/). 382, tav. d' agg. 5 n. 10.
(20) Annali cit. p. 183 e 284. 11 Capranesi pub-
blicò a parte il suo lavoro col titolo di Medaglie
inedite , Roma 1840 co' tipi delV istituto. Veturia
p. 33.
(21) Bidletlino delV imlituto di corrisp. archeo-
logica per Vanno 1841, Roma, p. 27.
61
(22) BulleUino cil. per V anno 1840 p. 167. Il
eh. Cavedoni ci fece dappoi osservare, che le me-
daglie della Veturia, per ragione dell' asse onciale,
sono anteriori al 665 varroniano ; e quindi non
ponno più riportarsi a' tempi della dittatura di Siila.
(23) Comment. super Oribasio lib. 7 cap. 9. Tut-
ti gli scrittori, che riferirono questo brano , erra-
rono nel!' indicare il nome dell' autore di essi com-
mentari; poiché chi ha scritto il nome di Livio pa-
dovano, chi di Silvio padovano. Il vero nome però
è Marsilio padovano, ossia Marsilio Santa Sofìa di
Padova. Questi insegnò lungamente le scienze , le
lettere e la teologia in Parigi , ove fu rettore di
quella università, e quindi si applicò alla medicina,
a tal che fu dichiarato monarca e principe di tutti
i medici del suo tempo. Visse sino al 1405. (Vedom,
Scrittori padovani ). Oribasio da Pergamo fu ce-
lebre medico e archiatro di Giuliano 1' apostata ,
che lo fece questore di Costantinopoli.
(24) Vannotius F. M- De acqua minerali salma-'
dna, Romae 1642. Molti scrissero sulle acque ter-
mali dei dintorni di Ascoli, di cui le più rinomate
per la loro salubrità sono quelle di Acquasanta ;
del che ci rendono certi e la frequenza ad esse
fino dai remoti tempi, e gli antichi acquedotti dis-
sotterrati neir anno 1826. Di quelle di Castel Tro-
sino si veggono tuttora le tracce negli avanzi de-
gli acquedotti che recavano le acque in due piscine
ornate di varie sculture, le quali andarono perdute
per lo scoscendimento del terreno ( Relazione di
mons. Grassellim a S- S. papa Pio [X. su la ese-
guila revisione delV estimo rustico delle provincie di
Fermo e di Ascoli, pacj. 80 ).
62
Intorno a dette terme, oltre a quanto si legge
nella rara opera di Gio: Michele Savonarola - De
balneis et thermis naturalibus omnibus Ilaliae , Fer-
rariae 1545; e nell'altra famosa r- De balneis omnia
qiiae extant apud graecosy lalinos et arabos , in cui
havvi il trattato dell' Ugolini De balneo asculano eie.
Venetiis 1553 apud luntas - accenneremo vari scrit-
tori, cioè Andrea Baeci De thermis Ub. 4 cap. 13-
Andreantonelli Ascul- histor. lib.ìpag. 614 426-
Niccolantonio Cattani , che due volte stampò un
opuscolo intorno le virtù medicinali delle suddette
acque, Ascoli 1751 Valenti , e ivi 1787 Cardi -
Gregorio Mucci, Ascoli 1805 Cardia Antonio Egidi,
Ascoli 1826 Cardi. Recentemente ne parlarono Be-
nedetto Ambrosi nel Giornale ascolano per V anno
1824, Ascoli, Galanti: - Carlo Arduini neìVOsser-
servatore dorico del 22 luglio 1843 n. 29, e quindi
neir Album di Roma voi. XIV pag. 90 e seg. con
due tavole: il dott. Pietro Gamberini nella Idrolo-
gia minerale medica dello slato romano , Bologna
1850, Monti, in cui fa cenno anche di varie scatu-
rigini di acque minerali, che sono in diversi altri
luoghi della provincia ascolana: e da ultimo il dot-
tor Baldassare Corsini , il quale, trovandosi diiet-
tore del termale stabilimento , pubblicò nel 1851
intorno alle terme stesse per le stampa del Puc-
cinelli di Roma un volume in 8." con tavole e pro-
spetti chimici e medici, dove alla descrizione sto-
rica e topografica di Acquasanta, e ad un suo la-
voro di terapia, in cui indica i risultati ottenuti
per pili di, un lustro sopra circa tremila individui,
ha riunito alcuni cenni geologici del eh. Antonio
63
Orsini , e 1' analisi chimica di quelle acque fatta
dal eh. professore Gaetano Sgarzi; del qual lavoi-o
ha dato un sunto il eh. A. Cappello nel Giornale
arcadico voi. CXXII pag. 230 e seg.
(25) Vedi il Bullettino arch. cit. per V anno
1841.
(26) Il eh. Gennaro Riccio nella sua opera -
Le monete delle antiche famiglie di Roma, seconda
edizione , Napoli 1 843 ijag. 233 , Veturia - ricorda
questa quadrante come esistente presso Borghesi ,
De Minicis, Capranesi e Ramus: tav: LXVI. 11 Ric-
cio per tale opera ebbe il premio di numismatica
dair istituto d' iscrizioni e belle lettere di Parigi.
(27) Decad. numism. XII. Osserv. V. Nel Gior-
nale arcadico T. XXV del 1825. Chi avesse vaghez-
za di conoscere per singulo le gesto di P. Venti-
dio legga in essa Decade del Borghesi, dettata con
meravigliosa erudizione e dottrina ; poiché non fu
a noi permesso dalla qualità di questa memoria
l'intrattenerci più distesamente sul celebre console
ascolano.
(28) Oltre i suddetti due celebri ascolani, de'quali
il Colucci, Antich. picene tom. XIV, parla ampia-
mente , si noverano Tito ludacilio o Giudaciho ,
Tito Afranio e Publio Ventidio , che si segnala-
rono nella guerra italica, L. Tarlo Rufo , L. Mal-
li© Torquato ; e fra i moderni Nic<,'olò IV papa ,
Francesco Stabili detto Cecco d' Ascoli , di cui il
p. Appiani scrìsse la vita e 1' apologia , Pacifico
Massimo, ed altri ipolti che possono vedersi nelle
Memorie intorno i letterati e gli artisti della città
di Ascoli nel Piceno scritte da Giacinto Cantalamessa
64
Carboni , Ascoli Cardi 1830 , opera lodatissima e
giustamente celebrata per 1' ordine cronologico, per
la biografica diligenza, per la buona lingua e per
la sana critica, come si legge nel tom. XLI del
Giornale arcadico p. 241.
(29) De monetis Italiae op. cit.y Ferrariae 1767,
p. 13.
(30) hai. Sacra., tom. l p. U^-òy Venetiisy Coleli
1717.
(31) Bologna 1818, Nobili, p. 80.
(32) De asculana eccl. p. 268.
(33) Dell'istituzione delle zecche d^Italia^ Milano
1784, tom. 2 p. 125.
(34) Ristretto delV istoria ascolana di Sebastiano
Andreantonelli data in luce dai fratelli Antonio e Carlo
Cedonio Andreantonelli - Ascoli 1676 , Salvioni. Il
capitolo di Ascoli ebbe già la temporale giurisdi-
zione sul castello di Maltignano, e il diritto di bat-
ter ivi monete di argento, che non sappiano se abbia
esercitato.
(35) Italia sacra tom. 1 p. 445 edit. cit.
(36) Saggio delle cose ascolane, e de' vescovi di
Ascoli nel Piceno, pubblicato da im abate ascolano ,
Teramo 1766 p. 218 n. 5. L' autore anonimo di
questa opera è monsignor Francesco Antonio Mar-
cucci già vicegerente di Roma, poscia patriarca di
Costantinopoli , e amministratore della chiesa di
Montalto.
(37) Delle monete, che portano immagini de'san-
ti trattarono Gio. Cristoforo Oleario nel Prodromo
Hagiologiae numismalicae , Arnostadii 1700: - Gio.
Michele Weienrichio in una lettera stampata in Er-
65
fordio lo stesso anno: - T. David Koelero in Deliciis
nnmmariis: - il teologo Giovanni Molano, De hisloria
ss. imaginum, Lovanio 1594 lib. 2 cap- 63 cart. 98-
Cf. il Bellini, De monel. hai. op. cit.
(38) Vedi Andreantonelli nella Historia ascid; e Ap-
piani, Vita di s. Emidio, Ascoli 1831, e tutti gli altri
storici di quella città.
(39) \j' Appiani, op. cil., dubita, non forse s. Emi-
dio sia stato il primo vescovo di Ascoli, e che sieno
incogniti gli antecessori di lui- 11 Colucci sostiene,
che non estero, ma italiano di nascita, anzi ascolano
egli fosse. Antich. picene tom. XIV pag. 322 e seg.
(40) Catalani, De eceles. Firm- commenl.p. h-.Nec
longe alia mihi sedei opinio de sanclo Emygdio mar-
tyre et asculanonim episcopo, qiiem nempe firmum ac-
cessisse, ut, qui reliquus foret, idolorum cultiim fugaret,
exploratum habeo. V. pag. 93 94 op. cit.
(41) Son queste le loro parole: Debethaec (eccle-
sia asculana) primordia sua s. Emygdio {quem alii
Migdium , Emidium, Emicidium nuncupanl) ; ut qui
eam a romano pontifice missus colligendam forman-
damque susceperil; nec doctrina tantum et miraculis
vivens, sed et moriens sanguine et reliquiis ac singu-
lari praèsidio defunctus ad nostrani usque aetatem il-
lustraril. llaqne eadem illum ab ornni retro memoria,
ut aposlolum smim ac primum antistitem praesidemque
tutelarem eximia ì^eligione constanter est prosecuta.
Acta ss. augusti, tom. II p. 16 h, Venetiisìlòì, Coleti
et Albrizzi.
(42) Statuì, ascul. rubric. 5 6 ef 12 /. 2.
(43) Le sigle o lettere singolari PP. sono state
G.iV.T.CXLV. 5
66
interpretate in diverso modo da'nunioi!;rafì. Il Bellini,
Op. cit. disserl. I, le interpreta PERPETUO PATRO-
NUS; e poscia nel diss. 5, PAPA S. EMIDIUS. U
Peruzzi poi, La chiesa anconitana p. 66, le spiega PA-
TRONUS PRINCIPALIS, o PROTECTOR PRINCI-
PALIS: alla quale opinione ci uniformiamo-
(44) Questa moneta differisce dalle altre, perchè
non vi si vede la intera figura, come nelle quattro
innanzi sconosciute, ma solo il busto: il santo non
è vestito di dalmatica, ma di piviale. Il march. F.
Raffaelli mi annuncia posseder egli altra monetina
a questa simigliante- Il Colucci, Antich. pie- t. XIV
p. 309, fa menzione delle monete che dopo il mille
si coniarono in Ascoli col nome del santo protettore,
riferendo le parole dei Bollandisti loc- cit.pag. 18 d:
Nam ut cultiim eiiis ac religionem (asculani) tota sua
ditione diffunderent , varias ipsi per illam ecclesias
erexere, ut assidue in omnium quodammodo oculis et
manibus* versarelur, dum sui iuris fuere, propriamque
cadere pecuniam, huic sancii Emygdii sui effigiem im-
pressam esse voluerunt.
(45) Benché, come dicemmo, le prime conces-
sioni di batter monete venissero dagli imperatori ,
pure ben poche italiane città posero in esse i nomi
o simboli imperiali: e quindi crediamo che la co-
niazione avvenisse in tempo dell'autocrazia delle città
ch'ebbero officina monetaria. V. fra gli altri il Porri.,
Cenni sulla zecca sanese, Siena 1844.
(46) Annal. Ant. Nicolai: ,, MCCCXCV die Siunii
Biordus de Perusia cum 2500 eqnitibus intravit Mar-
chiani . ... et incaepit redimere Ascidum prò 3[m du-
67
calis.,, - Saggio cit.p. 303 - v. la Biografia di Biordo
MìcheloUi scrina ed illustrala da Ariodante Fahretti
nella sua erudita opera - Biografie dei capitani ven-
turieri deir Umbria^ nel voi. /, Montepulciano 1842,
Fumi -. Il Compagnoni^ Beggia picena lib. Y p. 262,
riporta la capitolazione firmata da Biordo nel 1393
con varie città della Marca , fra cui è compreso
Ascoli- Incomincia : In Dei nomine amen- Questi e
patti e convenzioni, quali si fanno in fra li magnifici
comuni d'Ancona , Fermo , Ascoli con tutte le loro
terre eie-
( 47 ) Annales firmani Antonii Nicolai :
» MCCCLXXXXV die sabati XX mensis novembris
vocatus venit in civitate Esculi fdius Antonii de Ac-
quaviva , qui vocabatur dux Adrie , et fuit factus
capilaneus, et recurrit dictam civitatem prò se ».
(48) Saggio, op. cit. pag. 304 n. 1 50. - Il Bar-
tolomei, Sulla famiglia degli Acquaviva , ora duchi
d' Atri etc Cenno storico, Ascoli 1 840, Cardi pag.
29, dice, che il diploma a prò di Odoardo di Cecco
fu dell' aprile 1397.
(49) Sulla origine della nobilissima famiglia degli
Acquaviva gli storici tennero diverse opinioni. Al-
cuni dedussero il cognome Acquaviva da vari luo-
ghi o castella di tal nome, di cui uno esiste nella
Puglia , altro nelT Abruzzo presso s. Omero , e il
terzo nella Marca, una volta soggetto alla gim'is-
dizione di Fermo. Non intendiamo qui di esaminare
simile questione. Solo diciamo che dagli storici fer-
knnni si asserisce fosse questa illuslre famiglia oriunda
da Fermo, e padrona del castello di Acquaviva nel
k
68
contado dì questa città, che da esso abbia tratto il
suo nome, e che poscia si stabilisse nel regno di Na-
poli, Vedi ]& Storia della famiglia Acquaviva di Bal-
dassare Storace, Roma 1738 Bernabò. - 11 Bartolomei
op. cit. — li conte Pomjìeo Litla, Fami(jlie celebri ita-
liane, famiglia Acquaviva di Napoli, Milano, Ferra-
rio 1843. - 11 cav. Gaetano Moroni nella sua cele-
bratissima opera Dizionario di erudizione storico-ec-
clesiastica, voi. 1 3 e 58. - 11 march. Filippo Bruti
Liberati in vari suoi opuscoli storici impressi in Ri-
patransone.
(50) Raynaldi, Ann. eccl. tom. 17; Marcncci, Saggio
delle cose ascol. p. 308; Appian. Op. cit. seconda edi-
zione p. 131; Pandolf'o CoUenuccio, Compendio delle
istorie del regno di Napoli , Venezia 1552 lib- V
p. 150.
(51) Allorquando e' incontrò di trovare, fra le
tante ricerche che facemmo delle monete ascolane
del medio evo, le due eguali del duca atriano , e
le quattro del re Ladislao , sconosciute fin qua a
tutti i numografi, pensammo che dovesse anteporsi
questa di Ladislao all'altra del duca d'Atri; e che,
avendo egli tenuto la signoria della città per inca-
rico di quel re , facesse imprimere la moneta col
nome di Ascoli. Posto mente però sapersi dalle sto-
rie, che il duca timoneggiasse il governo di per sé
alquanti mesi del 1395 e 1396, ci sembrò più con-
forme a ragione, che la sua moneta dovesse pre-
cedere quella di Ladislao. Giudicheranno gì' inten-
denti se siamo andati lungi dal vero o se abbiamo
colpito nel segno.
69
(52) Di essa si conoscono da noi sei esemplari:
uno è nel museo kircheriano, altro nel vaticano, due
trovansi presso particolari numoflli di Roma, e due
se ne conservano da noi.
(53) Questa famiglia tenne il governo di Padova
cento e più anni. Vedi nel Zanetti Op. cit. tom. Ili,
in cui si riportano le monete padovane dei Carra-
resi. 11 Carli , Ist. delle zecche d'Italia^ e il Grade-
nigo dicono che Conte da Carrara signore di Ascoli
era figlio naturale di Francesco VI, settimo principe
di Padova; e che nacque di Giustina Maconia nobile
padovana.
(54) Cribelliiis in vita Sfortiae tom. XIX Rer. ita -
licar. pag. 101 ■ „ Per eam hyemem Comes carrariensis
sub spem ducendi in hybenta milites sui ad oppidum
Esculum in Picenis, quod tum duplici valida muni-
tum arce, ipsius iuris erat intra paucos dies
febri correpius vita deserilur. At initio insequentis an-
ni, qui fuit primus supra mille quadringentos et vi-
ginti eie. ,,
(55) Il Brunacci , De re nummaria patavinorum,
Venetis 1744, e in Argelaii, Mediolaiii 1750, ci reca
una lettera di Obizo del 7 aprile 1426 indiritta ai
governatori e al capitano del popolo della città di
Siena, segnata in Ascoli, in cui egli si appella si-
gnore di Ascoli.
(56) Eodem millesimo MCCCCXXVI et die octava
augusti homines civilalis Esculi prò maiori parte mi-
serunt ecclesiam romanam in dictam civitatem, postea
per aliquos dies habuit cassaros, et vix evasit Obizo
dominus diete civilatis. Così Nicolai, Ann. cit.
70
(57) Trattano delle monete dei Cairaresi signori
di Ascoli il Bellini L e. diss. lì III e IV, e ne ri-
poi'la quattro; il Carli l. e. fa menzione di una mo-
neta di Ascoli col carro e col nome di (ìonte di Car-
rara, e afferma trovarsene una presso il senatore di
Venezia conte Antonio Savorgnano, ed è la prima
sopra riferita , aggiungendo essere rarissima e non
più stampata. 11 Brunacd., De re nummaria pcitav.
p. 134, congettura , che in gi'azia del dominio del
suddetto Conte e del diritto della città di Ascoli ,
avesse egli quivi battuto moneta propria , ed anzi
in una sua lettera al Costadoni stampata nel 1751
al torà. 46 della RaceoUa calo<jeriana, e quindi an-
che nel Zanetti toni- 2 p. 72, leca la leggenda della
moneta ascolana d'argento COMES DE CARRARIA
a lui per T innanzi ignota. Ed Agostino Gradenigo,
Indice delle monete nella raccolta del Zanetti tom. II
p. 71, parlando delle monete di Ascoli, legge nel di-
ritto della moneta CARARIA, ma dubita se la prima
lettera sìa un C ovvero un 0 , nel qual caso egli
opina che bisognerebbe leggere Opizo. Noi crediamo
pei'ò sia questo un abbaglio, poiché l'essere diviso
il C dall' 0, con il carro in mezzo, avrà fatto cre-
dere, che l'iniziale C significasse Comes, e l'O Opizo.
Si ponga mente in fatti che leggendo, come il Gra-
denigo, 0. D. CARAR. C, ovvero CARARl C, la
grande A nell'area non si unirebbe più con CARARl,
essendovi di mezzo il C, 11 Zanetti nel tom. 2p. 73
ci dice, che il Gradenigo cominciando a leggere al
lato sinistro del carro, come è solito farsi, inter-
preta le lettere 0. D. CARAR. C. per Opizo de Ca-
vana Comes: la quale spiegazione è stata ammessa
71
da altri ancora, quantunque vi sia pivi di un esempio
in contrario, e fra questi nelle monete di Fermo di
Francesco Sforza, in cui si legge CO. F. VICECO-
MES (Vedi Catalani, Zecca fermana n. 11 12 e 13
in Zanetti l. e. tom. 3).
(58) Usavano gli antichi far merli sulle mura
delle città, o sopra la parte più alta delle torri o
palazzi, non tanto per ornamento, quanto per for-
tificazione. La diversa forma di quelli indicava di
qual fazione o partito fosse la città o il signore del
palazzo: perciocché i merli a coda di rondine, ov-
vero costrutti con incavo in mezzo , a guisa della
lettera M, erano distintivo usato dai ghibellini , e
quelli parallelepipedi dai guelfi {V. Agostino Ade-
mollo, Firenze al tempo deWassedio, ivi 1841, p. I
e. 18; e Filippo Moise, Illustrazione del palazzo dei
priori di Firenze, ivi. Ricordi 1743). Or ci sembra,
che i merli della torre , coronata da una linea di
essi, sieno guelfi, come pure quelli della spalletta
o parapetto del ponte; e si sa appunto per le storie,
che Ascoli fosse il più spesso di parte guelfa.
(59) Annales fìrmani Antonii Nicolai: ,, Diclo mil-
lesimo (1445), et die martis X mensis Augusti hora
duodecima, populus exculanus rebellavit se cantra co-
mitem Franciscum, et traduxit se ecclesiae rom., et
Balduinus de Tolentino, qui erat sub stipendio comi-
tis, per duos dies ante receperat a comite ducat. 4213, ''
rebellavit se cantra comitern et in favorem ecclesiae
gridavit (sic): Viva la chiesa: et inlerfecit dominum
Raijnaldum fralrem comilis, et 24 cives de dieta ci-
vitate cum tribus famiilis d. D. Raijnaldi, de quibus
fiierunt duo firmani. „ - V. Cronica di Rimini, tom. XV
72
Rer. italtc. script.; Muratori, Annal. un. 1445; e Si-
smoìuìi, Slor. delle repiib- ilal. toni- 9 cap- 71- Intorno
all'assedio dellia rocca di Fernno tenuta da Alessan-
dro altro fratello del conte Francesco, e alla par-
tenza degli Sforzeschi, noi discorremmo nella Eletta
dei monumenti di Fermo, Roma, tip. delle belle arti
1841 p. 24 e seg.
(60) Cenni suddetti p. 85.
(61) V. una lettera al cav. Vermiglioli sopra una
scultura rappresentante un leone, scoperta in Fermo.
Giorn. letterario di Perugia n. 28 deW anno 1836.
(62) Cap. XIX, Muratori, Rer- ilal. script, tom. XX
col. 103.
(63) Giovio, Vita del m. Sforza; Nostri cenni stor.
e numism. di Fermo p. 84.
(64) Il Muratori, Ani. il. diss., nel riferire le po-
che monete ascolane che gli erano note, dice es-
servene una presso l'abate Fioravanti avente R.
SFORTIA, cioè Roberto Sforza signore di Ascoli, e
nel rovescio S. EMIDIVS DE ESCVLO. Ci sembra
questo un abbaglio di quel dottissimo scrittore, il
quale sarà stato forse alla relazione del Fioravanti
o di altri nel leggere R in vece di F senn'gotica.
E di fatti osservando le originali monete , la cifra
sembra un R in vece di ,un F ; ma considerando,
che il solo Francesco fu signore di questa città, e
che Rinaldo la reggeva per lui , non è a stimare,
che s' improntassero le monete col nome di un sem-
plice governatore. Lo stesso abbaglio fu preso da
poi dal dottor Giulio Ferrarlo [Costume antico e mo-
derno, Livorno 1836 tom. XXII p. 520), ed anche
dal Gradenigo [Indice delle monete d'Italia), ma fu
73
con-etto dal Zanetti , Nuova raccolta delle monete
toni. 2 pag. 73 nota 6.
(65) Vincentii Bellini ferrariensis. De monetis Ita-
liae meda aevi qiiae in hiio miisaeo servanlur disser-
tatioy Ferrariae 1755, Pomatelli. La set'ie delle mo-
nete raccolte dal Bellini passò l'anno 1758 al pa-
lazzo deir università di Ferrara, in cui si potè aprire
un museo, dove il suo raccoglitore, prepostovi alla
custodia e direzione, potè dar lezioni utili ed eru-
dite agli amatori della scienza numaria. Ora , per
cura e studio dei chiariss. monsig. can. Giuseppe An-
tonelli e sig. Giuseppe Boschini , di tal serie di
numismatica si è fatta la riordinazione secondo i
sistemi generalmente approvati dalle più cospicue
università, come si legge nelTarticolo Riapertura del
museo ferrarese pubblicato dal eh. Luigi Napoleone
Cittadella nella gazzetta di Ferrara n 4 e 5 : 18
e 21 gennaio 1853, o nella erudita orazione De almo
(jijmnasio ferrariensi del rev. p. Luigi Nannerini fer-
mano, retore nel collegio d. C. d. G. di essa città,
lettavi il 6 novembre 1852, p. 145 e nota 153.
(66) Nuova raccolta delle monete d'Italia, tom. 3,
Bologna 1783.
(67) L'arte del blasone, pag . 187 n. 77, Venezia^
Zerletti 1756.
(68) II Catalani nelle Memorie della zecca fer-
manap. 50 crede, che dopo la partenza dello Sforza,
anziché prima, o in tempo del suo dominio, cioè
nell'anno 1446, o nel principio del seguente, si bat-
tessero le due monete d'argento di Eugenio IV; alla
cui opinione noi ci conformiamo.
74
(69) Questa moneta è riferita dallo Scilla, Mo-
nete poni, p. 21, che la qualifica per un mezzo grosso;
dal Muratori l. cit.; dal Grandenigo l. e; ed il Fio'
ravanliy Antiq. rom. pontif. denarii, ne reca il disegno
a pag. 107 num. 7.
(70) Per bolognini della Marca si devono inten-
dere tutti quelli che si coniavano nelle zecche esi-
stenti in detta provincia, cioè in Ancona, Macerata,
Ascoli, Fermo, Camerino e Recanali, per essere di
eguale intrinseco. V. Zanetti tom. 2 p. 332.
(71) Si conserva neWarchivio segr. di Fermo n-
1517. - V. Catalani, Zecca, opera cit. p. 60.
(72) Vedi il tenore di tal divieto nel tom. Il p. 3i4
del Zanetti.
(73) 11 eh. prof. Cammillo Ramelli xìq Cenni sto-
rici della zecca fabrianesc, Fabriano 1838, Crocetti
p. 5, sull'appoggio di documenti rinvenuti nelfar-
chivio comunale, narra, che « i fabrianesi, non pa-
» ghi di essersi collegati con le altre città marche-
» giane, inviarono a Roma in loro particolare oratore
)) Guerriero di Piero, quale tornando vittorioso si
» presentò nel 3 aprile del 1464 al consiglio di cre-
» denza con tre br-evi pontificii, uno de'quali il pri-
)) vilegio possenti (sic) ciidi in terra Fabriani piccolos
» usque ad quantitatem quinqitecentorum duca: anr:
» conteneva ».
(74) È riferita dal Zanetti tom. li pag. 484 e
seg. )) Cam ad nostrum notitium deveneril in
provinciis nostris Marchie anconitane, ducalus Spole-
tani, Palrimonii, et aliis lerris atque locis nobis et
romanae ecclesiae mediate et immediate snbiectis va-
rias adulterinas et reprobas confictas monetas argen-
75
teas fabricatas , multiplkatas esse et impune
cìirsum et valorem hahere eie; idcirco volentes super
ìiiis providere, ne subditi romane ecclesie, ex multi -
plicalione et cursu similium monetarum, quas BONO-
NENOS vulgariter appellante cuiuscumque cunei de
presenti currentis, ulterius gravioribus afficiantur in-
commodisy hoc presenti decreto omnibus et singulis
etiamsi apostolica, vel quavis alia auctoritate, sive con-
cessione, aut privilegio eis quomodoUbet concesso mo-
nelas cudere antea licuisset, ne ulterius per se , vel
alias cudere, aut cudi facere liceat etc. »
(75) Questo documento estratto dal registro dei
brevi di detto papa, tom. XII p. 170, è riportato
dal Zanetti, Monet. d'hai, tom. 3 p. 487.
(76) Cf. Leopardi , Zecca e monete recanatesi ;
Peruzzi, Stor. d'' Ancona, Pesaro 1835, Nobili p. 347.
(77) Questo istromento si conserva neWarch. seg.
di Macerata, cap. 4 H; cf. il Zanetti tom. 3 p. 326,
ove si riporta per intero.
(78) Questo breve, insieme coll'altro di Pio II,
ci fu cortesemente comunicato dal eh. sig. Giacinto
Cantalamessa; e noi li repuliamo entrambi inediti.
(79) Crediamo convenevole il dire alcune parole
intorno al merito dell' opera del dottor Cinagli ; e
perchè si conosca più chiaramente quanto impor-
tante sia, riferiremo ciò che ne scrisse V insigne ar-
cheologo romano p. Giuseppe Marchi, quando glie
ne fu chiesto il parer suo. Egli scriveva dal museo
del collegio romano il 15 aprile 1850, che gli go-
deva l'animo di veder recata al suo giusto termine
la serie delle monete pontificie descritta e corredata
di note opportune dall' illuetre signor dottor Cinagli;
7()
esser ferinamente persuaso, che la storia del pon-
tificato romano abbia ad emergere da questi auto-
revolissimi documenti sempie più splendida ed ir-
repugnabile ; l'autore con questa scrittura di lunga
lena e di studi fastidiosissimi acquistarsi un merito
singolare presso i dotti e letterati, massime presso
quelli che più di proposito studiano nella giu-
risprudenza , nella storia , e nella critica sacra ed
ecclesiastica. Ed in vero assaissime ricerche fannosì
di questa opera si in Italia che oltre monti, e spe-
cialmente in Germania, ove molti giornali letterari
la lodarono grandemente , perocché dagli amatori
della numismatica erasi trovata assai ricca ed esatta.
Abbiamo un foglio di nuove giunte e correzioni pre-
parate per quest'opera dall'esimio autore, amico no-
stro , troppo acerbamente mancato a' vivi il dì 4
giugno del 1851 , le quali da noi si manderanno
alla pubblica luce.
(80) V. gli storici di esso papa.
(81) In Fermo la zecca continuò a rimaner chiusa
per tutto il pontificato di Sisto IV, e de'suoi suc-
cessori Innocenzo Vili , Alessandro VI , e Pio III.
V. Calalani, Della zecca di Fermo.
(82) Il quattrino forse fu così detto, perchè prima
del 1501 era la quarta parte dal baiocco; e presso
gli antichi romani una moneta di rame o di bronzo
del peso di tre once, la quale per essere la quarta
parte dell'asse, veniva chiamata quadrante. In Roma
poi e nella Marca la riduzione del giulio ai 50 quat-
trini, e del baioccco a' 5 quattrini , seguì in detto
anno 1591 d'ordine di Gregorio XIV. - Zanelli, Mon.
toni. I p. 143.
77
(83) Opina il Catalani^ Memorie della zecca fer-
mana pag. 73, che Fermo coniasse monete regnando
Leone X , dal quale ottenuto aveva tal privilegio ,
servendosi di qualunque stampo; e di esse egli in-
dica un quattrino del peso di grani 13 per avere
due once circa di argento legato col rame. - Ben
si apprende dalla descrizione delle monete ascolane,
che in quella zecca non se ne coniò alcuna d'oro,
e picciola quantità di argento: a tal che quelle ivi
coniate non poteano bastare al commercio e alle
pubbliche e private contrattazioni. Quindi è da con-
getturare che si permettesse di spendere anche al-
cune monete straniere: e come ciò avveniva in Fermo,
in cui erano accettate le monete pavesi, lucchesi ,
ravennati, bolognesi e d'altre zecche [Catalani op.
cit.p. 77 e seg. N. Cenni stor. e numism. cìt. p. 104),
così è a credere che in Ascoli fosse altrettanto.
(84) Vedilo nel Zanetti op. cit. tom. 3 pag. 339
nota (322).
(85) Nei nostri Cenni storici e mimismalici di
Fermo pag. 107 si accennò, che il Monitore di Bo-
logna del 1797 annunciava essersi battute monete
in ventiquattro zecche dello stato pontificio. Noi però
non conosciamo che le seguenti:
1 Ancona: sampietrino da baiocchi 2 e mezzo,
2 baiocchi, baiocco: - 2 Ascoli: madonnina da ba-
iocchi 5, sampietrino da baiocchi 2 e mezzo , ba-
iocco, mezzo baiocco, quattrino: - 3 Bologna: doppie,
zecchini, scudi, mezzi scudi, ec. ec. - 4 Civitavec-
chia: madonnina da baiocchi 5, sampietrino da ba-
ioccchi 2 e mezzo: - 5 Fano: madonnina da baiocchi
5, sampietrino da baiocchi 2 e mezzo: - 6 Fermo:
78
pezza da baiocchi 60 , madonnina da baiocchi 5 ,
sampietrino da baiocchi 2 e mezzo, mezzo baiocco:-
7 Fuligno: madonnina da baiocchi 5 , sampietrino
da baiocchi 2 e mezzo, 2 baiocchi, baiocco, mezzo
baiocco, quattrino: - 8 Gubbio: madonnina da baioc-
chi 5 , sampietrino da baiocchi 2 e mezzo, 2 ba-
iocchi, baiocco, mezzo baiocco: - 9 Macerata: pezza
da baiocchi 60, madonnina da baiocchi 5: - 10 Ma-
idica : madonnina da baiocchi 5 , sampietrino da
baiocchi 2 e mezzo, quattrino: - 11 Montalto: ma-
donnina da baiocchi 5 , sampietrino da baiocchi 2
e mezzo: - 12 Pergola: madonnina da baiocchi 5,
sampietrino da baiocchi 2 e mezzo, baiocco: - 13
Perugia: muraiola da baiocchi 8, 6, 4, 2, madon-
nina da baiocchi 5 , sampietrino da baiocchi 2 e
mezzo, 2 baiocchi, baiocco, mezzo baiocco : - 14
Roma: doppie, zecchini , scudi , mezzi scudi ec. -
15 Ronciglione: madonnina da baiocchi 3: - 16 S.
Severino: madonnina da baiocchi 5, sampietrino da
baiocchi 2 e mezzo , mezzo baiocco , quattrino: -
17 Spoleto: muraiola da baiocchi 6, madonnina da
baiocchi 5: - 18 Terni: muraiola da 8 e 6 baiocchi,
madonnina da baiocchi 5: - 19 Tivoli : madonnina
da baiocchi 5: - 20 Viterbo: madonnina da baiocchi
5, sampietrino da baiocchi 2 e mezzo, mezzo ba-
iocco: - 21 Umbria: madonnina da baiocchi 5. - Le
città di Fabriano, Filottrano, Loreto e Tolentino eb-
bero i chirografi , ma non fu in esse posta in eser-
cizio la officina monetale.
(86) Non concordano i numografi sulla etimo-
logia della voce baiocco. Il Muratori nella dissert. 33
dell'origine delle voci italiane dice» Baiocco specie
79
di hassa moneta di rame. Nome specialmente usato
in Roma e Bologna ». Dal color baio lo trasse il
Menagio, ed altri da Rayeux, città della Francia ,
ove battevansi tali monete. Nella Storia della Cor-
sica scritta da Pietro Cijrneo circa il 1490 si fa
menzione di monete appellate baiocas. 11 primo tra
i pontefici che facesse battere di puro rame il ba-
iocco fu Benedetto XIll, in Gubbio nel 1726, e po-
scia fu imitato da'ferraresi nel 1744. lì Zanetti t. 1
p. 70, e tom. 5p. 365 op. cit., crede che provenga dal
regno di Napoli o Sicilia, ove questo nome di baiocco,
preso dalla moneta di Napoli, si dà oggi in Sicilia
al pezzo di grana due di rame. V. il Du Gange ,
Glossariiim etc. verb. Baiocchiis.
(87) Le monete di due baiocchi si coniarono in
quantità non tenue, e per conto del governo di quel
tempo che fornì gli occorrenti metalli di bronzo e
di rame. Non fu però coniato il baiocco; di che igno-
rasi la cagione.
80
PROSPETTO CRONOLOGICO O SERIE
DELLE MONETE DI ASCOLI
Testa di Ercole coperta dalla spoglia leonina a
destra; dietro tre globetti.
TJ. YETV. B. Tiherius Veturius Darrus. Striglie
e vasétto da olio collegali con una cordella;
dalla parte opposta ROMA. Quadrante della
ftinmiglia Veturia. Esiste nel museo di Dani-
marca , e nelle collezioni del conte Bartolo-
meo Borghesi, di Francesco Capranesi, di Giulio
Mincrvini, e deirautore. Fu edita dal Ranius
nel catalogo del suddetto museo, dal Capra-
nesi [Annali deWinslituto archeologico l. XI p.
282), dal Riccio [Le monete delle auliche fa-
miglie di Roma , Napoli , slamp. del Fibreno
1843 p. '233 tav. 66) , e dal conte iMilano
[Tariffa sid prezzo imposto alle medaglie delle
antiche famiglie dette consolari, Napoli, Vir-
gilio , 1847 p. 146). È incisa nella tavola I
delle monete n. 1.
M. ANT. (in nesso) IMP. III. V. R. P. G. Testa
di Maico Antonio nuda , a destra , col lituo
dietro la nuca.
P. VENTIDI. PONT. IMP. Uomo nudo in piedi,
con piccola clamide sull'omero sinistro, il quale
colla destra si appoggia all'asta, ed ha nella
manca un ramo di olivo.
Denario unico della famiglia Ventidia. Fu pubbli-
cato dal Borghesi [Giornale arcadico l. XXV
81
p. 88 e secj.), dal Fontana [Descrizione della
serie consolare del suo museo, Firenze, Piatti,
1827 p. 130 e tav. Un. 9), dal Riccio (0.
C. p. 231), dal Milano (0. C. p. U5) e dal
Mionnet (De la rareté et duprix des medaiUes
romaines t. I, Paris, 1827 p. 94), il quale però
la lifeiisce con VENTI invece di VENTIDI.
La pubblicarono anche il Vaillant, il Morelli,
l'Avercampio e l'Eckhel: ma essi poco si cu-
rarono di darci la spiegazione del suo love-
scio, come osserva il Borghesi 1. e. Vedi la
tavola I n. 2.
ì PP S. EMIDIVS in giro; nel campo la figura in
piedi di s. Emidio con mitra, aureola e dal-
matica, pastorale nella sinistra, e colla destra
in atto di benedire.
DE. ESCVLO nel giro; croce patente nel campo,
e piccola croce nel margine sui»eriore fra due
rosette.
Argento: del peso di grani 20. Esiste nella col-
lezione dell'autore. La pubblicò il Gradenigo
in Zanetti [Nuova raccolta delle monete e zecche
d'Italia t. II p. 71 n. 1). Si vegga nella tav. 1
num. 3.
^ P. P S. EMIDIVS. La figura del santo differisce
nel pluviale, mitra e pastorale dalla precedente.
DE. ESCVLO. Simile all'antecedente.
Argento. È riferita dal Bellini [De monetis Italiae
meda aevi hactenus non evulgatis, dissertatio
altera, p. 1 14 n. 2). Tav. 1 n. 4. Una moneta
G.A.T.CXLV. 6
82
a questa simigliante esiste nel museo del co-
mune di Ascoli formato con oggetti raccolti
in Perugia da monsignor Alessandro Odoardi
allorché era vescovo di quella città, e poscia
donato alla sua patria.
P P S. EMIDIV. Differisce negl' indumenti epi-
scopali dalle due antecedenti.
DE ASCOLO. La epigrafe e i due piccoli astri
ai Iati della crocetta la fanno ravvisare di conio
diverso dall'antecedente. Argento. Esiste nel
museo kircheriano, e ci fu comunicata dal eh.
Pietro Tessieri, Tav. I n. 5.
PP S. EMIDIV. Differisce dalla precedente nei
sacri indumenti , nella mitra e nell' aureola.
DE ASCOLO. Con qualche piccola varietà dal-
l'antecedente.
Argento, Ci fu comunicata dal cav, dottor Vin-
cenzo De Paolis. È inedita per quanto cono-
sciamo. Tav. I n. 6.
S. EMIDIVS. Busto del santo in pluviale con
fermaglio, mitra o infula puntuta e ornata di
pietre colle due fasce pendenti sugli omeri;
e nella parte superiore due rosette.
DE ESCVLO. Neil' area A grande con quattro
rosette ai lati; nel margine superiore picciola
croce fra altre due rosette. Argento: del peso
di grani 22. È inedita, e sì possiede dall'au-
tore. Si vegga impressa a pag. 24.
83
8 S. EMIDIVS EPI nel giro; nel mezzo le tre let-
tere PVS; e crocetta nella sommità del mar-
gine.
DVX ATRIAN nel giro. Croce nell'area con fio-
retti ai due angoli. Mistura: del peso di gra-
ni 10. È inedita, e due n'esistono nella col-
lezione dell'A. Furono coniate dal novembre
1395 al febbraio 1396, o in quel torno. Si
osservi, che la M nel diritto è formata da tre
aste disgiunte, e la N nel riverso da due; e
che la prima lettera di Episcopiis ha la forma
dell'O. Vedi tav. I n. 7, ove forse il diritto
è scambiato col riverso.
9 REX. LADIS nel giro; LAVS in croce nel campo;
e crocetta nel margine superiore.
DE.ESCVLO all'intorno; croce patente nel mezzo,
due rosette a'due angoli di questa, e crocetta
nella parte superiore.
Rame: del peso di grani 11. È inedita. Esiste
nei musei vaticano e kircberiuno, presso due
numofili in Roma e nella collezione dell'A.
Può ritenersi coniata dall'anno 1406 al 1413,
in cui morì Ladislao. Tav. I n. 8.
10 CO. D CARARI., in mezzo A, nel margine un
carro con quattro ruote (arme de'Carrara) posto
fra il C e l'O.
S EMID. 0. ESCVLO. Le ultime quattro lettere
nell'area in croce; sopra lo stemma della città,
cioè un ponte con torri.
84
Argento: del peso di grani 22. Esiste nella col-
lezione dell'A. La pubblicò il Gradenigo in
Zanetti (0, G. T. Il p. 71 n. 3) , il Bellini
(0. C. p. U n. 4). Tav. 1 n. 9.
11 CO. D. CARAR., nel campo A, e superiormente
nel giro un piccolo carro a quattro ruote.
S. EMID. D. SCVLO. Qualche diversità nella po-
stura delle lettere , nella configurazione del
ponte e nella leggenda ce la fa ravvisare di
altro conio.
Argento. Fu pubblicata dal Bellini (0. C. p. 14
n. 5). Tav. I n. 10.
12 CO. D. CARAR. Come la precedente, ma di co-
nio diverso.
S. EMID. DE. SCVLO. Alcun poco differisce Io
stemma della città.
Argento. La pubblicò il Bellini (0. C. Disserl.
postrema p. IO n. 1). Tav. I n. 11.
13 COMES. D. CAR. nel giro; nel campo le quattro
lettere ARIA incrociate; sopra una sola ruota
da carro.
DE ESCVLO in giro; croce nel campo, nel mar-
gine è ripetuta la ruota da carro.
Rame: del peso di grani 13. Esiste nella col-
lezione dell'A. La pubblicò il Bellini (0. C.
Disserl. novissima p. 12 n, 1). Tav. 1 n. 12.
14 COMES D. CAR. nel giro; nel campo le quattro
lettere ARIA incrociate; sopra un picciol carro
con quattro ruote.
85
DE. ESCVLO in giro; croce nel campo; nel mar-
gine è ripetuto il carro con quattro ruote.
Di lega : del peso dì grani 12. È inedita , ed
esiste nella collezione dell'A. Le cinque mo-
nete sopra riferite pertinenti a Conte di Car-
rara possono credersi coniate dall'anno 1413
al 1421 in cui mancò di vita; e se volesse
dirsi che alcuna ne spettasse ad Obizo , po-
trebbe esser coniata dal 1421 all'agosto del
1426, in cui gli fu tolto il dominio di Ascoli.
E qui si avverta che alcuni storici affermano
fosse il Carrara investito di Ascoli nel 14! 0,
fra i quali il Bellini, Diss. II p. 14: Tandem
anno MCCCCX urbs AscuU ad Comiiem Car-
rariae devenit ,, ; e il conferma nella Disserl.
Ili p. \0, e nella Dis.IVp. 12, ed altri nel
1418. In questa difformità di opinioni ci pare
che possano conciliarsi i tempi, dicendo che
nel 1410 Ladislao assegnasse al Carrara il do-
minio di Ascoli, e che ne lo investisse di fatto
nel 1413.
15 MARTIN. PAP all'intorno; nel mezzo A, e su-
periormente chiavi decussate.
S. EMID. D. ESCVLO. Nel campo le ultime quat-
tro lettere a forma di croce, in cima l'arme
della cittì».
Mezzo grosso. Ricordato dallo Scilla [Breve no-
tizia delle monete pontificie , Roma , Gonzaga
1715 p. 20 e 208) , dal Muratori in Arge-
lati [De monetis Ilaliae T- I p. 53 n. 3 Tav.
XLII n- 3) , dal dottor Angelo Cinagli [Le
86
monete dei papi descritte in tavole sinottiche,
Fermo, Paecasassi 1848 p. 44- n, 27). Tav.
I n. 13.
16 MARTIN. PAP in giro: nel mezzo A; sopra una
colonna coronata.
S. EMID. D.ESCVLO. Nel campo le ultime quat-
tro lettere a forma di croce ; sopra 1' arme
della città.
Mezzo grossoi del peso di un danaro. É descritta
dallo Scilla (0 C. p- 208) , dal Fioravanti
{Antiqui romanorum pontificum denarii, Roma,
Bernabò 1738 p. 106), e dal Ginagli (0. C
p. 44 n. 24). Esiste nella collezione dell'A.
Tav. I n. 14.
17 S EMIND in gìrorlVSnel mezzo; e superiormente
nel margine colonna con corona "radiata.
DE. ESCVLO. Croce gigliata in mezzo, colonna
come nel dritto.
Mistura: del peso di grani 10. Esiste nella col-
lezione dell' A. e viene ricordata dal Bellini
(0. C. Dissertatio p. 6«. 1), e dal (binagli (0.
C. p. 44 n. 28). Tav. 1 n. 15.
18 MARTIN. PAPA. L'ultima lettera è nel campo:
colonna coronata come nella precedente.
S. EMMD. D. AS. CVLO. In mezzo a forma di
croce le ultime quattro lettere: in cima l'arme
dì Ascoli.
Mezzo grosso. Si descrive dallo Scilla ( 0. C. p.
44 n. 25 ).
87
19 MARTIN V. PA A. Differisce dall'antecedente nel-
la leggenda.
S. EMID. D. ES CVLO. In mezzo le ultime quat-
tro lettere, in cima Tarme suddetta.
Mezzo grosso: del peso di grani 23. È nella colle-
zione dell'A, e viene riferita dal Cinagll (0.
a p. H n. 26).
20 S. EMIND. IVS, in mezzo le ultime tre Ietterei
colonnetta nel giro.
DE ESCOLO. Croce gigliata nel campo.
Mistura: del peso di grani 8. È appresso dell'A-
Fu pubblicata dal Cinagli (0. C. p. H n. 29)-
21 S. EMIND. IVS. Simile alla precedente.
DE. ESCVLO. Differisce dalla precedente nella
leggenda-
Mistura: del peso di grani 12. Esiste nella col-
lezione dell'A.
È riferita dal Cinagli (0. C. p. 44 n. 30).
22 S ENNIND nel giro: IVS nel mezzo.
DE. ESCVLO. Croce gigliata in mezzo: colonna
coronata nel giro.
Rame. Fu descritta dal Cinagli ( 0. C. p. 44-
n. 32 ). . .
23 S. EMMID. EP. PVS- Nel mezzo le ultime tre
lettere.
DEESCOLO. Croce tricuspidala nell'area: colon-
netta coronala nel giro.
88
Mistura: del peso di grani 8. Esiste nella col-
lezione dell'A. Fu pubblicata dal Cinagli (0.
C. p. 44 n. 31).
24 S EMIDIVS. Croce nell'area.
DE. ASCVLO. L'arme della città nel campo, due
chiavette decussale nel giro.
Rame. Fu descritta dal Muratori in Argelati (0.
C. t. Hip. 11 n. 2), e dal Cinagli (0. C. p. 44
n. 33).
Le sopra riferite dieci monete furono coniate dal
novembre dell'anno 1417 al 20 febbraio 1431.
25 F. SFORTI in giro, nel campo A , sulla som-
mità del margine il leone rampante (stemma
di Sforza).
S. EMID. DES CVLO. Le ultime quattro lettere
in croce nel campo ; superiormente l' armo
della città.
Argento: del peso di grani 22. Esiste nella col-
lezione dell'A , ed è inedita. Tav. L n. 16.
26 F. SFORTI nel mezzo A : al disopra il leone
saliente sforzesco.
S. EMID. DES CVLO. Lo stesso tipo con qual-
che piccola varietà nella forma delle lettere.
Argento: del peso di grani 21. Esiste nella col-
lezione dell'A. ed è inedita, Tav. II rf. 17.
27 F. SFORTI A nel campo fra quattro globetti :
nel maigine superiore il leone sforzesco.
89
S. EMID DE S CVLO. Simile all' ■anleccdenle.
Argento: del peso di un danaro. Si possiede dal-
l'A. Fu edita dal Muratori in Argelati {0. C.
lom. I p. 54 n. 4- e tav. XLII ». 4). Tav. If
n. 18.
28 F. SFORTI , nel mezzo A fra quattro globelti,
e superiormente il leone sforzesco rampante
che sostiene il cotogno pendente dal suo gambo.
S. EMID. DES., nel campo CVLO, superiormente
il solito stemma di Ascoli.
Argento: del pes'o di grani 18. Esiste nella col-
lezione deJl'A. La pubblicarono il Bellini (0.
C Disserlalio altera p, 15 n. 6) ed il Grade-
nigo in Zanetti (0. C. toni. II p. 73). Tav II
n.^19.
29 F. SFOPiTIA. Leone rampante a sinistra con
cotogno e suo gambo.
DE. ESCVLO. Croce gigliata nel campo, e su-
periormente il solito stemma ascolano.
Rame o bassa lega del peso di grani 13. E ap-
presso dell'A. Fu edita dal Bellini (0. C Dis-
sert. novissima p. 14 n. 3). T. II n. 20.
30 PP S EMDIIVS. Croce patente con quattro fio-
retti negli angoli.
DE ASCHOLO. 11 solito slemma della città nel
mezzo, sopravi un serpe o biscione che vibra
la lingua verso una piccola croce. Quattrino:
del peso di un danaro. Esiste appresso del-
l'A. ed è inedito. Tav. II n. 21.
90
31 PP. S. EMIDIVS. Diversifica dal precedente nel-
la leggenda.
DE ASCHOLO. Come il precedente , salvo che
il serpe ha la testa con bocca aperta vicino
ad una torre dello stemma.
Quattrino: del peso di giani 20. È appresso dell'
A. Fu edito dal Bellini (0. C. Dissertatio p.
6 n. 3). Tav. II n. 22.
32 PP. S. ExMIDlVS. Croce equilatera nel mezzo del
campo, con quattro fiori fra i raggi.
De ASCCOLO. Ponte con due torri disuguali e
due archi; sopra un biscione con la testa in
alto.
Rame : del peso di grani 20. Si conserva dall'
A. ed è inedita. Tav. II n. 23.
Le otto monete sopra descritte furono coniate
dall' anno U33 al 1445.
33 EVGENIV. PAP, in mezzo A fra quattro globetti;
nel giro due chiavette decussate.
S. EMID. D ES CVLO, in mezzo a foggia di cro-
ce le quattro ultime lettere; superiormente lo
stemma della città.
Mezzo grosso: pesa grani 21- Si conserva dall'
A. Lo pubblicarono Io Scilla (p. 21 e 209),
ed il Cinagli {p. 46 n. 25). Tav II n. 24.
34 VG^NIV. (sic) PAP, nel campo A, e superior-
mente nel giro due chiavi decussate.
S. INID. D. ES CVLO, nel mezzo le ultime
91
quattro lettere ; nel giro superiore il solito
ponte.
Mezzo grosso. Lo descrive lo Scilla p. 209, il
Fioravanti p. 112 , il Bellini [Noviss. dissert.
p. ìi n. 2), il Gradenigo in Zanetti tom. Il
p: 73, ed il Cinagli {p. 47 n. 32). Tav. II
n. 25. *
35 PAPA. VGENIV. Croce intersecata da due fio-
rellini terminanti in tre bocciuoli ; chiavette
nel margine.
S. MID. D. ES CVLO. Lo stemma ascolano nella
sommità del margine, in mezzo le quattro let-
tere finali.
Mistura : del peso di grani 12. Esiste nella col-
lezione deir A. Fu già detto da noi che
questa moneta era inedita, e tal era quando
dettavamo questa memoria. Essendosi però
da noi mostrata al Cinagli, come si fece di
tutte le monete ascolane pontificie edite ed ine-
dite, egli la riferì nella sua opera a pag. 47
n. 40. Tav. II n. 26.
36 EVGENIVS PAP, nel campo A; sopra due chia-
vette.
S. EMMID. D. AS CVLO, in mezzo a forma di
croce le ultime quattro lettere; in cima l'arme
della città.
Mezzo grosso. Vedi Scilla {p. 21), e Cinagli (0.
C. p. 46 n. 26).
37 EVGNIV {sic) PAP A, in mezzo la lettera finale.
92
S. EMMl). DES CYLO, in mezzo le ultime quat-
tro lettele; sopra lo stemma di Ascoli.
Mezzo grosso. Fu pubblicato dal Cinagli (p. 46
n. 27).
38 EVGENIV. PAP, in mezzoja lettera A.
S. EMMI. D. ESCYLO; nel campo a forma di
croce le ultime quattro lettere.
Mezzo grosso. È descritto dal Muratori in Ar-
gelati [tom.I p. 54), e dal Cinagli {/3.46 n. 28).
39 EVGENIVS PAP, in mezzo A; due chiavette nella
sommità del giro.
S. EMID. D. ESCYLO. Differisce nella leggenda
dalla precedente. Mezzo grosso. Fu pubblicato
dal Fioravanti pAÌ% e dal Cinagli {p. 46 n.29)-
40 EYGENIYS PAPA, in mezzo la lettera finale fra
quattro circolelti o globelti; nel giro due chiavi
decussale.
S. ENNID. D. ES CYLO. Le quattro finali let-
tere in mezzo a foggia di croce ; superior-
mente il ponte con torri.
Mezzo grosso. E descritto dal Gradenigo in Za-
netti [lom. II p. 73 n. 5), e dal Cinagli {p. Aiì
n. 30).
41 EYGENIY. PAPA. Differisce dalla precedente in
una lettera.
S. ENNID. DSCYLO. Differisce come sopra.
Mezzo grosso. Lo descrivono lo Scilla, (p. 330);
il Gradenigo in Zanetti, [tom. II p. 73/?. 6);
ed il Cinagli, [p. 46 n. 31).
93
4-2 VGENIV PAPA. Croce traversata in due angoli
da due fiorellini o bocce ; chiavi decussate
nel giro.
S. EMID. D ESGVLO: differisce dall'antecedente
nelle lettere-
Mezzo grosso del pesso di grani 23. Si conserva
dall' A. Fu edito dal Cinaglì (p. 47 n. 33).
4-3 PAPA VGENV con chiavette decussate nel giro;
neir area croce intersecata da due fiorellini
terminanti in tre boccinoli.
S. MID. D. ES CVLO, nel campo le ultime quat-
tro lettere ; lo stemma di Ascoli nella som-
mità del margine.
Mistura: del peso di grani 10. Si possiede dall'A.
È descritta dal Cinagli {p. 48 n. 49).
44 EVGENIVS. PA. A., in mezzo la lettera finale.
S. EMMIN. D. ES. CVLO, nel campo le quattro
ultime lettere.
Mezzo grosso. Fu pubblicato dal Reichel nel-
l'opera intitolata Die Reichelsche Miinzsammlung
in St.Petersburg. NemlerTheiL 1843, 73-493;
(Collezione delle monete del Reichel in Pie-
troburgo. Nona parte- 1843), e dal Cinagli
{p. 449 u. 27).
Queste monete sono state coniate o dal marzo
dell'anno 1431 al 1433, o dal 1446 al 22
febbraio 1447.
45 S. EMIDIVS. Figura del santo con indumenti
94
episcopali, mitra e pastorale alla sinistra; la
destra in atto di benedire.
AS. CVLO, nel campo lo stemma della città, e
superiormente ad esso le chiavi decussate con
il triregno.
Quattrino: del peso di grani 22. Anche questa
moneta era inedita prima che da noi fosse
mostrata al Cinagli, il quale la pubblicò nel-
rO. C. p. 428 n. 38 come posseduta da noi.
Però egli vi aggiunse nel riverso le lettere DE
che non sono nell'originale. Tav. II n. 27.
46 S- EMINDIVS. Croce gigliata in mezzo.
DE ASCVLO nel giro: nel campo l'arme della
città, e chiavette decussate nel margine su-
periore.
Picciolo: del peso di grani 11. Si conserva dal-
l'A. È descritto dal Bellini [Dissert. postrema
p. 11 n. 2, lav II n. 2), e dal Cinagli (p- 428
n. 29). Tav. 11 n. 28.
47 S. EMIND. in mezzo IVS ; chiavette decussate
nel giro.
DE. ASCVLO e. s., croce gigliata in mezzo, e
crocetta nel margine.
Picciolo: del peso di grani 9. E appresso del-
l'A. Cinagli, {p. 428 n. 28).
48 S. EMINDIVS, chiavette decussate nel giro: croce
gigliata in mezzo.
DE, ASCVLO, chiavette decussate nel giro: un
ponte nel campo.
95
Mistura: del peso di grani 15. È appresso del-
l'A. Cinagli {p. 428. n. 30). .
49 S. EMINDIVS e chiavette decussate nel giro; nel
campo croce biforcata sulle punte.
DE. ASCVLO come ranlecedente.
Picciolo: pesa grani 9. Si conserva dall'A. Ci-
nagli (;). 428 n. 31).
50 S. EMINDIVS in giro; nel mezzo croce tricuspi-
data sulle punte.
DE. ASCVLO e chiavette decusate nel giro :
un ponte nel campo.
Hame: pesa grani 14. È appresso dell'A. Cinagli
{p, 428 n. 32).
51 S- EMINDEVS e chiavette decussate nel giro:
croce biforcata in mezzo.
DE- ASCVLO come l'antecedente.
Rame: pesa grani 15. Si conserva dall'^. Cina-
gli (p. 428 n, 33).
52 S. EMINDEV nel giro; croce gigliata in mezzo.
DE, ASCVLO come l'antecedente.
Mistura: pesa grani 15. È appresso delI'A. Ci-
nagli {p. 428 n. 34).
53 S. EMINDVS, differisce dalla precedente nella
leggenda.
DE. x\SCVLO come l'antecedente.
Quattrino: del peso di grani 21. Si conserva
dall'A. Cinagli {p. 428 n. 35).
96
54 S. EMMIDIYS all'intorno; croce tricuspldau in
mezzo.
DE. ASCVLO come l'antecedente.
Picciolo: del peso di grani 10. È appresso del-
l'A. Cinagli (/). 428 n. 37).
55 S. EMMIDIVS all' intorno, croce biforcata in
mezzo.
DE. ASCVLO come l'antecedente.
Picciolo: pesa grani 8. È appresso dell'A. Ci-
nagli (p. 428 n. 37).
56 S- EMIDIVS. Figura di s. Emidio con mitra e
pastorale ed in atto di benedire.
DE. ASCVLO nel giro; in mezzo chiavi decus-
sate con sopravi il triregno» e sotto scudetto
in cui un ponte.
Quattrino : del peso di grani 20. Si conserva
dall'A. Cinagli (p. 429 n. 39).
57 S. EMIDIVS all'intorno: croce gigliata in mezzo.
DE ASCVLO, ponte nell'area; chiavette decus-
sate nel giro.
Picciolo: del peso di grani 9. È appresso del- Il
l'A. Cinagli (/). 429 n. 40). '
58 PP. S. ENIDIIVS nel giro; nel campo croce pa-
tente, da' cui angoli escono quattro rami di
fioretti, e crocetta nel margine fra due stelle.
DE ASCHOLO in giro, e nel mezzo lo stemma
della città di Ascoli; sopra crocetta fra due
stelle.
97
Moneta di bassa lega o misLura del peso di un
danaro e grani 4. Esiste nella collezione del-
TA. È riportata dal Bellini (0. C. Dissert.
altera p. 14 n. 3). II Muratori in Argelati
(0. C. tom. I p. 54 n. 1, lav. XLIl ìi. l) ne
pubblicò una consimile, la quale però manca
di leifiienda nel diritto. Tav. II n. 29.
3S^
59 S. EMID. EPCO in giro, PVS nel mezzo, e cro-
cetta fra due punti nel margine.
DE. ASCHOLO in giro con crocetta; nel campo
croce patente con due fioretti sorgenti dagli
angoli di essa.
Mistura: pesa grani 12. Esiste nella collezione
dell'A. Viene ricordata dal Gradenigo in Za-
netti (0. C. t. II p: 71 11. 2) e dal Bellini
(0. C. Dissertaiio p. 6. n. 2). Tav- II n. 30.
60 S. ENNIDIVS. Le ultime tre lettere nel mezzo:
croce nel margine superiore.
DE. ESCYLO in giro; croce nel campo, e altra
piccola nel margine fra due punti.
Mistura: del peso di grani 15. Esiste appresso
dell' A. Viene ricordata dal Bellini, [Dissert.
altera p. 14 n. 1); ma è frusta, mancando le
due ultime lettere.
61 S. EMIDIVS. Due chiavette decussale nel giro:
croce gigliata in mezzo.
DE ASCYLO all' intorno, nel campo lo stemma
Robureo entro uno scudetto, e sotto di esso
l'arme della città di Ascoli.
G.A.T.CXLV. 7
98
Picciolo: pesa grani 14. È nella collezione dell' A.
da cui avendola avuta il Cinagli, la pubblicò
pel primo come inedita a p, 63 n. 51. Tav,
li n. 31.
62 S. EMINDIYS, Due chiavette decussate nel giro:
croce a fogliami in mezzo.
DE ASCVL. Nella parte superiore una rovere,
sotto cui lo stemma ascolano.
Picciolo: del peso di grani 14. È appresso dell'A.
Cinagli {p, 63 n, 50).
63 S. EMMIDIVS. Chiavette decussate nel giro :
croce gigliata in mezzo.
DE ASCVLO. Differisce dall'antecedente nella
leggenda.
Picciolo: pesa grani 13. È appresso dell'A. Ci^
nagli (/}. 63 n. 52).
64 S. EMMIDIV, Differisce dalla precedente nella
leggenda,
DE ASCVLO con chiavette decussate nel giro:
croce tricuspidata in mezzo.
Picciolo: del peso di grani 9. E appresso dell'A,
Cinagli p. 63 n. 53.
Queste quattro monete furono battute dal 22
dicembre 1472 al 13 agosto 1484,
65 ALEXA. VI PO MA nel giro; nel campo stemma
gentilizio del pontefice con triregno e chiavi
superiormente.
99
DE. ASCVLO all' inloriio: nel campo ponte con
due torri, arme della città di Ascoli, una stella
fra le due torri e sopravi una rosa.
Quattiino: del peso di danari 2. Esiste nel mu-
seo della città di Ascoli, e nella collezione del-
l'autore sonvene quattro simili.
Lo pubblicarono lo Scilla {p. 159), il Fioravanti
(p. 156), il Gradfinigo in Zanetti [T. II p. 73),
ed il Cinagli {p. 68 «. 29). Tav. Il n. 32.
Si è già detto che il Bellini avesse riferito il quat-
trino ascolano di Alessandro VI. Correggiamo
questa inavvertenza , dicendo ch'egli escluse
dalle sue dissertazioni queste comuni monete
come non confaeenti al suo scopo.
66 ALEXA- VI PO. MA. Arme come sopra.
DE ASCVLO FANO. Lo stennna medesimo , e
sul ponte Fano.
Quattrino. È riferito dallo Scilla (/>. 159 e 325),
e dal Cinagli [p. 68 n- oO).
67 ALEXA. VREX MA. Arme come sopra.
DE AEQ VITAS SCVLO. Detto stemma, ed una
stella.
Quattrino. È appresso delI'A. È riferito dal Ci-
nagli {p. 68 n. 32).
68 ALEXA. . . . Arme come sopra.
DE AQUIT SCVLO. Ponte come sopra.
Quattrino: del peso di grani 19. È appresso del-
I'A. ed ò inedito.
100
69 A • . . . VI PO. MA. NPVS Anne come sopra.
A GREGN SCVLO. Come l'antecedente.
Quattrino: del peso di danaro 1 e grani 16. È
appresso dell'A. Fu edito dal Cinagli (p. 68
n. 33).
70 ALEXA. VI PO SRE. Arme come sopra.
DE ... . ERRA. . . . Ponte con due torri ed una
stelletta.
Quattrino: del peso di danaro 1 e grani 2. E-
siste nella collezione dell'A. Fu edito dal Ci-
nagli [p. 68 n- 31).
Le cinque monete indicate nei nn. 66, 67, 68,
69 e 70 sono errate nelle leggende ; poiché
quella al n. 66 lo Scilla (0. C. Errori nelle
monete p. 325) crede siasi battuta sopra un'
altra moneta di Fano; la seconda , n. 67, il
Cinagli la reputa battuta sopra un quattrino
del re di Napoli, come l'altra n. 68, inedita,
parimente battuta sopra simile quattrino; il n.
69 sopra un quattrino di Bologna ; il n. 70
sopra altro di Ferrara.
71 ALEXANDER. VI. P. M. Stemma Borgia, con
triregno e chiavi.
DE ASGVLO. Arme della città di Ascoli e due
stelle.
Quattrino. È riferito dal Cinagli {p. 68 n. 29)
citando l'Argelati (T. / p. 53 tav. XLII h. 2);
ma però è da osservarsi che le ultime quat-
tro lettere sono accennate con puntini , per
cui crediamo che il supplemento sia errato.
101
Il nostro eh. amico signor G. Boschini, or ninn-
cato a'vivi, ci comunicò un quattrino esistente
nel museo di Ferrara, in cui leggesi ALEXAN
colla giunta di una N, che non vedesi in quelli
sopraindicati.
Le sette monete di papa Alessandro furono bat-
tute dagli 11 agosto 1492 al 18 agosto 1503.
72 PIVS PAPA SEXTVS ANNOXXilI 1797 nel nì-
ro ; BAIOC CINQVE ASCOLI in mezzo c^on
una stelletta.
SANCTA DEI GENITRIX. Busto della Beata Ver-
gine con nimbo.
Rame- E appresso dell'A.Cinagli [p. 388 n- 384).
73 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIII 1797 all'in-
torno; BAIOC CINQVE ASCOLI nell'area con
una stella.
SANCTA DEI GENITRIX t. m. (ossia Tommaso
Mercandetti incisore). Busto della B. Vergine
con nimbo, nel campo-
Rame- È appresso dell'A- Cinagli {p. 388 n- 385).
74 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIII 1797 nel giro,
BAIOC CINQVE ASCOLI nel campo-
SANCTA DEI GENITRIX, come l'antecedente-
Lega. È appresso dell'A. Cinagli {p. 388 n. 386).
75 S. P. APOSTOLORVM PRINC. t. m. (cifra del
delto incisore). Busto di san Pietro con chiavi
in mano.
BAIOCCHI DVE E MEZZO ASCOLI 1797. Tre
stellette.
102
Rame. È appresso dell'A. Cinngli {p. 392 n. 443).
76 S. P. APOSTOLORVM PRINCEPS. t. m. (cifra
suddetta). Rusto di s. Pietro con chiavi in mano.
RAIOCCHI DVE E MEZZO ASCOLI 1797. Tre
stellette.
Rame. È appresso deirA- Cinagli [p. 393 n. 444).
77 PIVS SEXT. P. M. A. XXIIL Arme del ponte-
fice.
VN RAIOCCHO (sic) ASCOLI 1797-
Rame. Questa moneta è piccola come il mezzo
baiocco. È appresso dell'A. Cinagli [p. 397
n. 559).
78 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII nel giro; nell'area
lo stemma del pontefice
VN RAIOCCO 1797 nel campo in quattro righe.
Rame- Si conserva dall'A. ed è inedito-
79 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII. Arme del pontefice.
VN RAIOCCO ASCOLI. Una stelletta senza il
millesimo.
Rame. È appresso dell'A- Cinagli (p-397 n- 560).
80 PIVS SEXT. P. M. A. XXIII. Arme e. s.
MEZZO RAIOCCO ASCOLI 1797. Tre stellette.
Rame. È appresso dell'A. Cinagli Q?. 399 n. 599).
81 PIVS. SEXT. P. M. A. XXIII. Arme e. s.
VN QVATRINO ASCOLI 1797. Tre stellette.
Rame. È appresso dell'A. Cinagli {p- 401 n. 640).
103
82 PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIH 1798 airin*
torno; BAIOC CINQVE ASCOLI nel campo-
SANCTA DEI GENITRIX. Busto della B. Ver-
gine coti ninfibo.
Lega. È appresso dell'Ai Cinagli [p* 389 n. 387).
83 REPVBBLICA ROMANA airintorno. Fasci con
scure e pileo nel campo*
DVE BAIOCCHI ASCOLI in una corona d'alloro.
Rame. È riferita dal Cinagli {p. 4-04 n- 40).
84 REPVBBLICA ROMANA. Come l'antecedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI in una corona dì rose.
E descritto dall' ab. Antonio Salvaggi nel suo
manoscritto (già posseduto dal cav. Carlo De
Kolb i da cui passò a Demetrio Diamilla di
Roma) a pag. 149 n. 35 , come riferisce il
Cinagli (/). 404 n. 41).
85 REPVBBLICA ROMANA. Come l'antecedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in quattro righe
con una stelletta, fra due rami d'alloro.
Rame. È appresso dell'A. Cinagli [p. 404 n. 42).
86 REPVBLiCA ROMANA. Come l'antecedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in tre righe
con una stelletta sopra, ed una rosetta sotto^
fra due rami d'alloro.
Rame. Cinagli {p. 404 n- 43).
87 REPVBLICA ROMANA. Come l'antecedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI in ghirlanda d'alloro;
due stellette.
104
Rame. È appresso dell'A. Ginagli {p. 404 n. 44).
88 REPVBLICA ROMANA. Come l'antecedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI scritto in quatro ri-
ghe e stelletta sotto , fra due rami d'alloro.
Rame. Fu pubblicato dal Salvaggi [M. S. cit.
p. 149 n. 32) e dal Cinagli [p. 404 n. 45).
89 REPVBLICA ROMANA. Come la precedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI in tre righe entr ) una
corona di rose.
Rame. Salvaggi (loc. cit. p. 149 n. 33), Cinagli
{f. 404 11. 46).
90 REPVBLICA ROMANA. Come la precedente.
DVE BAIOCCHI ASCOLI in tre righe, fra due '
rami d'alloro.
Rame. Salvaggi (I. e. p. 149 n. 34), e Cinagli
{p. 404 n.^ 47).
91 R. R. {repubblica romana). Fasci con scure e
pileo nel campo.
MEZZO BAIOCCO ASCOLI. Una stelletta supe-
riormente.
È appresso dell'A. Cinagli [p. 406 n. 100).
92 R. R. Come 1' antecedente ; il tutto entro una
corona d'alloro.
ASCOLI in due righe con una stelletta entro
una corona e. s.
Quattrino. Esìste nella raccolta dell'A. Cinagli
(p. 406 n. 111).
105
Le dieci monete soprai'iferite furono coniate "la!
febbraio de! 1798 al giugno del 1799.
RIASSUNTO DELLE MONETE
1
Monete romane antiche spettanti a (
Jue ce-
lebri ascolani
. n.
2
2-
»
colla effigie di s. Emidio e coniate in
tempo dell'autonomia. .
))
5
3
))
del duca d'Atri . . .
))
1
4
))
del re Ladislao . . .
))
1
5
»
dei Carraresi . . . .
))
5
6
»
di pa[)a Martino V
»
10
7
»
di Francesco Sforza . .
»
8
8
»
di papa Eugenio IV . . .
»
12
9
»
di pontefici incerti . .
))
13
10
))
d' incerto tempo . . .
»
3
11
»
di papa Sisto IV . . .
»
4
12
))
di papa Alessandro VI .
))
7
13
»
di papa Pio VI . . .
))
11
14
))
coniate nell' interregno dcg
li anni
•
1798 e 1799
10
Totale n. 92
Di queste monete sono
Inedite n. 12
Comunicate dall'autore al dot-
tor Cinagli e da lui pub-
blicate » 40
Edite da vari numografì . « 40
n. 92
Appresso dell'autore n'esistono 65.
106
DOCUMENTI
DOCUMENTO A.
An. 103Y. Conservasi l'originale nell'archivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancte et indiviJuae Trinitaiiis.
Chonradus, divina favente clemeniia, romanorum imperator aU-
{juslus. Omnium sancte Dei ecclesie iiostrisque fìdelium , presen-
lium scilicet et futuroriim noverit industria, qualiter tìdeiis noster
asciilanils episcoptis , nomine Bernardiis , conspectui nostro pre-
ceptum quoddam proliilit, in quo continebatnr, quomodo anteces-
sor noster bo: me: Otto imperator, prò Dei nomine ac prò remedio
anime sue, eiusdem sancte asculane ecclesie presuli, nomine Adam,
eiusque successoribus donavit et per preceptum sue confìrmationis
corroboravit omnem terram sui episcopii , tara ad matricem eccle-
siam perlinentem infra et extra civitatem suam , quam ad ceteras
capellas sive monasteria ad predictam ecclesiam respicientia , quo-
rum vocabula hec sunt Monetam etiam in civitate
construere ad componendos nummos cuiuscumque generis asculana,
videlicet sui episcopi, ac libere et sccure currentia per fotum no-
strum regnum et quicquid ad regiam censuram et potestatem no-
stram pertinet , trasfunderemus in eius et successorum illius ius
et dominium per preceptum nostre contìrmalionis roborare et do
nare et confirmare dignaremur. linde vero et nos pia facta ante-
cessoris nostri ad memoriam revocantes per interventum et peti-
tionem dilecte contetalis nostre Gille imperatricis et Pili-
grini archiepiscopi ac Brunonis archicancellarii eidem episcopo
Bernardo suisque successoribus omnia predicta donavimus et per
107
huius nostri precepti approbalionem corroboravimus, eo ordine ut
nullus dux, marchio, archiepiscopus, episcopus, comes, vicecomes,
scuUarins, castaldus, aiit publice rei exactor magna parvaque no-
stri regni persona disvestire, molestare, inquietare predictum Ber-
narduni asculane ecclesie episcopum eiusqiie successore» ab omni-
bus suprascriplis aut a nostris predecessoribus iraperatoribus sive
regibus concessis et a nobis modo per hoc preceptum conHrmalis
et datis unquam interponere presumat, videlicet, lam de mobilibus
quam de immobilibus rebus, scrvis et ancillis, liberis etiam homi-
nibus mercatis, moneta quam donavimus, piscatiouil)us, portubus,
aquis aquarumqtie duclibus, molendinis, cultis et incullis , sylvis,
foreslis et omnia que dici vel nominar! possunt , civitatem et ca-
stella, et si inventus fuerit, qui contra hoc nostrum preceptum
facere tentaverit, sciat se compositurum, velie, nolle, mille libras
auri optimi medietatem nostre kamere , medietatem quidem sepe
nominato Bernardo epìscopo suisque successoribus. Quod ut verius
credatur , diligentiusque observetur, manu propria subter confir-
mantes sigilli nostri impressione iussimus insignir].
Signum domini Cbonradi romanorum imperatoris augusti.
Bruno cancellarius, vice Pelligrini archicancellarii recognovi.
Dutum anno dom. incarn. MXXXVII, indìct.V, anno autem D.Chon-
radi II regnante XI, imperante IX. Aclum Podelbrannen. feliciter.
DOCUMENTO B.
An. 1045 - Esiste Voriginale nalC archivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancte et individue Trinitatis.
Henricus, divina l'avente clementia rex. Omnium sancte Dei
ecclesie nostrique Hdelium, presentium scilicet et i'uturorum, no-
verit industria, qualiter fidelis noster asculanus episcopus Bernar-
lus secundus conspectui nostro preceptum quoddam protulit , in
juo conlinebatur, quod beale memorie pater meus imperator Cbon-
108
radus, prò Dei nomine ac prò remedio anime sue eiusdem ascula-
ne ecclesie presuli, nomine Bernardo eiusque successoribus dona-
vit per preceptum sue confìrmationis corroboravit, terram sui epi-
scopi! tam ad matricem ecclesiam pertinentem, quam etiam ari cele-
ras ecclesias maiores et minores, infra el extra civitatem suam, vi-
delicet plebes, capellas, sive ec Monetam etiam in civitate
construere ad componendos nummos cuiuscumque generis, libere ae
licite currendos per totum regnum et quidquid ad regiam censuram
el potestatem pertinere visum est. Unde ergo et nos pia Cacta ge-
nitoris nostri ad mcmoriam revocante», prò intuita et petitione d i-
lecte contectaiis nostre Agnetis regine et Herimandi archiepiscopi
et Humfredi nostri canccllarii, eidem episcopo Bernardo suisque
successoribus omnia supradicla donavimus^ et in huius nostri pre-
cepti revocatione corroboravimus, eo tenore ut nullus dux, mar-
chio, archiepiscopus, episcopus, comes, vicecomes, sculdallus, ga-
staldus, vel ulla nostri regni magna parvaque persona disvestire ,
vel inquietare presumal predictum episcopum Bernardum eiusque
successores de omnibus supradictis ab antecessoribus nostris im-
peraloribus et regibus concessisi et a nobis modo per hoc prece-
ptum corroboralis et datis. Si quis autem hoc nostrum preceptum
in aliquo infrigerit , sciat se ... . medietatem nostre kamere et
medietatem predicto episcopo Bernardo suisque successoribus. Quod
ut verius crcdatur et diligentissime ab omnibus in perpetuum in-
concussum conscrvetur, manu propria subtus firmavimus et sigillo
nostro insigniri voluimus.
Signum >j^ Henrìci regis III
romanorum ^ invictissimi
Humfredus cancellarius , vice Herimani archicancellarii reco-
gnovit.
Datnm III idus iulii, indictione XIII, anno dominice incarna-
tionis MXLV, anno autem D.Henrici regis XXXXIl, regni vero VII.
Actum Colonie in Dei nomine feliciter. Amen.
109
DOCUMENTO C
An. 1036 - L'originale conservasi neWarchivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancle et individue Trinilatis.
Henricus, divina fa venie clenientia romanorum augustus. Omnium
sancte Dei Ecclesie nostrique fìdelium, presenlium scilicet, et futu-
rorum, noverit industria , qualiter Bernardus II , sancte esculane
ecclesie episcopus, que extructa est in honorem sancte Dei geni-
tricìs Marie, et in qua requievit corpus sancii Emigdii, intervent»
domini Victoris p. p. ac petitione dilecle contectalis nostre Agnetis
imperatricis et Gebehardi ratisponensis episcopi et Guntheri no-
stri cancellarii et a secretis nostris, adiens prefatus episcopus im-
perialem excellentiam petiit , quatenus prò Domino, et anime bo:
me; Chonradi patres nostri remedio, tam ipsi quam sue Ecclesie,
res omnes esculano episcopio quolibet iure pertinentes, a suisque
etiam predecessoribus ante acquisitas nostre preceptalisauthoritale
prout iuste et legaliter possumus cum omnibus mobilibus et immo
bilibus, superioribus vel inferioribus, vel etiam cum omnibus per-
tinentiis et adiacentìis suis, secundum precepta antecessorum impe-
ratorum , aut regum confirmare, et corroborare dignaremur. Cu-
ius dignis petitionibus aurem accomodantes Monetam
etiam in civitate construere ad componendos nummos cuiusvis ge-
neris , asculan. vidclicet episcopi , libere et secure currendos per
totum nostrum regnum et quicquid ad regiam censuram et pote-
statem nostram pertinet, in eius transfundere .et successorum eius
ius et dcminium per preceptum nostre confirmati onis donamus et
corroboramus, co ordine, ut nullus dux, marchio, archiepiscopus,
episcopus, Comes, vicecomes, scultalius, gastaldus, aut publice rei
exactor, magna parvaque nostri regni persona disvestire, molesta-
re, inquietare predictum Bernardum II asculanum episcopum eiusque
successore» de omnibus suprascriplis a nostris predecessoribus ,
no
sive regibus concessis aut a nohis modo per hoc preceptum coti-
fìrmatis et dalis iinqtiam in tempore presuntat , videlieet tam de
noobilibus , quam de imniobilibus rebus, servis et ancillis, liberis
etiam hominibiis. Mercalus, monetam, fodrum, et placitum, qiie ei
donavimus, piscatioiies cum portibus, aquis, aquarura deciirsibus,
molendinis, pratis, pasculis, cultis et incnltis, silvis, cervorum ce-
terarumque ferarum Corestis, armentis , gregibus , et omnia qua
dici vel nominari possunt, eidem iusle faventibus. Si qiiis igilur,
quod minime credimus, huius nostre confirmalionis prccepti leme-
rarius violator aliquando extiterit , sciai se compositurum aiiri
optimi libras mille, medietatem kamere nostre et medietalem Ber-
nardo Il episc. eiusque successoribus, quibus violenlia illata fue-
rit; quod ut verius credatur, firmiusqiie ab omnibus observetur,
manu propria roborantes nostro sigillo iussimus insjgniri.
Signum domini Henriei III S romanorum imperatoris au-
gusti.
Gunlnerus cancell. vice Hermandi archiepiscopi et archican-
cellarii recognovi. Datum HI kal. iunii ann. dominice incarna-
tionis MLVI, indict. IX. Anno domini Henriei III ordinat. eius
XXVIII, regni vero XIV^ imper. II. Actnm Florcntie in Dei no-
mine feliciler. Amen.
DOCUMENTO B.
An. H37 - Esiste ^originale nelV archivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancte et individue Trinilatis.
Lotharius , divina favente clementia , romanorum imperator
"augustus. Justum est et omnio imperialem decet magnificentiam ,
Inter ceteras ecclesias , eas potissimum amplectì , que de imperio
sunt et ad nostram specialiter spectant def'ensionem. Proinde
omnium fìdelium nostrorunn tam futurorum quam presentium in-
duiilriam nosse volumus ; qualiter nos instinctu consortis nostre
Richìnle^ annuente fidali nostro Henrico ralisponensi episcopo
IH
et archicancellario nostro esciilane eoclosie omnem sue tligni-
tatis integritatem conservare necessarinm duximus, Ad quod et
exemplo anlecessorum nostrorum regum et imperatorum infor-
mamur et non oiinus devotio et servilium eiusdem ecclesie ven.
episcopi Presbiteri nomine ad id nos accendit. Quem impe-
riali liberalitate per omnia amplectentes confirmamus ipsi suisque
successoribus et donamus comìlatum esculanum ex integro omnes-
que pertinentias, quas vel modo tenet, vel iure tenere debet. Con-
firmamus et donamus ei suisque successoribus esculanam civltatem
cum omnj dìstrictu imperiali Mercatura quoque ublcumque
in toto suo episcopatu voluerit, infra et extra civitatem episcopii
diete civitatis liceat sine contradictione alicuius, monetam quoque
ubi voluerint habeant et faciant. Horum omnium supradictorum ius
et dominium eidem ecclesie auctoritate privilegii nostri eo ordine
confirmamus, ut nullus archiepiscopus , episcopus, dux, marchio,
coraes, vicecomes, nulla denique magna parvaque persona in bis
omnibus supradictis prefatam ecclesiam molestare , disvestire, aut
inquietare presumat. Si quis vero conlra hoc , quod non credi-
mus, presumere poterli, centum libras auri camere nostre et to-
lidem ipsi componant ecclesie. Quod ut verius credatur et ab
omnibus diligentius custodiatur presentem inde cartam sigillo no-
stro insigniri iussimus.
Signum D. Lotharii IK romanorum imperatoris invictissimì.
Ego Ricardus , vice Henrici archicancellari recognovi. Data
anno inearnationis dominice MCXXXVII , ìndictione XX , kalend.
decembris, anno vero regni regìs Lotharii XII, imperii VI. Actum
Salerni in Christi nomine feliciter. Amen.
DOCUMENTO E.
An. ìì^Q- Esiste Voriginale neW archivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancte et individue Trinilatis.
Chonradiis , divina favente clementia , romanorum rex II ac
semper augustus. J)ecet imperialem magnificentiam eas ecclesias
112
poLissimum fovere et amplecti, que de imperio sunt et specialiter
ad nostrani defensionem spedare dignoscuntur. Quo circa iìdelium
nostrorum omnium tam presentium , qiiam futurorum noverit in-
dustria, qualiter nos principum nostrorum precibus, suadente quo-
que Wibaldo abbate compagense, ecclesie esculane omnem digni-
tatis sue integrilatem conservare dignum duximus. Esemplo quo-
que antecessorum nostrorum, regum et imperatorum instruimur
et informamur; et nihilominus magna devotio, magnumque servi
tium eiusdem ecclesie venerabilis episcopi, nomine Presbiteri, ve-
nientis ad nos in Alemaniam, ad id nos accendit et invitat. Qnem
honestissime recipimus cumque de regalibus investientes in con-
sortium principum nostrorum suscepimus; cui etiam omnia bona
sue ecclesie omniaque ecclesie sue iura, que vei tempore suo suo-
rumque predecessorum amissa sunt , per corporalem investituram
reddidimus et alia, que a nobis petiit; videlicet habere mo-
netam quoque, ubi voluerint, faciant et habeant. Auctoritate nostri
privilegii confirmamus ius et dominium supranominate ecclesie
horum supradictorum omnium, eo ordine: ut nuUus dux, archie-
piscopus, episcopus , marchio , comes , viceconies , nulla denique
maglia persona sive parva, prefatam ecclesiam in bis omnibus pre-
dictis inquietare, disvestire aut molestare audeat. Si quis vero,
quod non credimus, contra hoc presumpserit , centum libras auri
camere nostre, et eidem ecclesie totidem componat. Quod ut verius
credatur, et ab omnibus diligentius custodiatur , presentem inde
cartam sigillo nostro iussimus insignir!.
Signum D. Cbonradi regis romanorum secundi.
Ego Arnaldus cancellarius, vice llenrici magunlini archiepi-
scopi ci archicancellarii recognovi.
Data pridie idus marlii, indict. X , anno domiuice incarna-
tionis MCL.
Regnante Chonrado rege sccundo romanorum , anno . regni
eius XIII.
Aclum Nurimbergh in Chrisli nomine fcliciler. Amen.
113
DOCUMENTO F.
An. 1183 - Si conserva l'originale nell'archivio capitolare
di Ascoli.
In nomine sancte et individue Trinilatis.
Fridericus, divina favente clemcntia , imperator romanornm
augustus. Inter varia humane comlilionis vota et opera , hoc po-
lissimiim fore censemns ad salulem animarum si ecclesiis Dei el
ecclesiasticìs personis solertie nostre studium efficaciter impenden
tes eas non solum in iure suo conservamus, verum etiam dispersa
recolligenda , fracta reconsoiidanda et que in presentiarum possi-
dentur feliciter augenda imperiali virtute fovemus ac d.fensamus.
Stndentes ergo laudum titulo probatamque honeslatera venerabilis
esculane ecclesie , que licei prope fines imperii nostri longe siia
sii, tamen liicem bone opinionis sue nobi>; cominus effunditriiben-
ter etiam annuen.es preoibus dilecti nostri Raynaldi eiusdera ec-
clesie episcopi, ad exemplum predecessorum nostrorum, diversorum
regum et impcratorum, Henrici III et Lotliariì IH et regis Cbon.
rad. II palris nostri , notum facimus tam successive posteritati ,
quam presentium industrie , quod nos prescripte ecclesie «t pre-
nominatum episcopum et congregalionem eius in perpetuum et
successores eoru.n et omnia ipsorum bona, mobilia el immobilia
que nunc habent vel in posterum, prestante Deo , iuste poterunt
ad.pisci, sub protectione defensionis nostre suscepimus et ex mera
liberalitale atque conscientia concedimus eis atque donamus el
imperiali auctorilate confirmamus omnia iura ecclesie sue, que vel
nunc habent vel tempore suo, vcl predecessorum suorum neglecta.
**""*• ^^ ubicumque volueril in loto episcopatu suo, intra
civitalem el extra, liceal ei constiluere mercatum et ubi volueril
tnfra hos terminos, cudere monetam, salva in omnibus bis supra-
numeralis dignilale imperialis excellentie. Staluimus ergo et im-
periali àuctoritate sancimus , ut nullus poutifex, n«llus"archiepi-
'7? "'"^r.^P"^' """"« J»"^ """"^ marchio, ncque comes.
114
ncque vieecomes. neque capitaneus, nulla civitas, n ti II ti m comune,
nullave poteslas. nulla denique persona humilis vel alta, secularis
vel ecclesiaslica, hoc maiestatis nostre privilegium audeat violare,
seu esculanam ecclesiam et episcopum eius et canonicos in pos-
sessione, iure et dominio predictarum rerum, omnìumque bonorum
suorum, presentium et futurorum aliqiiìbiis inìuriis calumniarum,
sive damnis presumat attentare. Quod qui f'ecerit, in ultionem te-
meritatis sue centum libras auri componat , dimidium imperiali
camere, et reliquum ìuiuriam passis.
Signum mei Federici romanorum imperatoria invictissimi.
Ego Gotefridus imperiali» aule cancellarius, vice Pbilippi co-
loniensis archiepiscopi et Italie archicancellarii recognovi.
Acta sunt hec anno dominice incarnationis MCLXXXV, indict.lV,
regnante d. Friderico romanorum imperatore gloriosissimo , anno
regni eius XXXIV, imperii vero XXXII. Datum apud Cucurionem
in territorio spoltlano in nomine Domini, Xllll kal. octobris.
DOCUMENTO G.
An. - 1461. V originale si conserva nell'archivio anzianale
di Ascoli.
Ditectis flliis antianis et communi civitalis nostre Asculi.
Pius pp. II.
Dilecli filli salutem et apostolicam benedictionem-
Exposuerunt nobis vestro nomine dilectì tìlii oratores vestri
proxime ad nos missi, vos propter peiiuriam monete que viget in
illa nostra civitate de presenti plurimum cupere licenliam vobis
concedi picciolos et quatrinos fabricari et elidi faciendi. Quare
nos vestris supplicationibus inclinati ac paterna caritate vos pro-
sequi volentes vobis infra unum annum a datis presentium com-
putandum fabricari et cudi faciendi diclos picciolos et quatrinos
115
in dieta civitate ex m.-iteria alias consueta usque ad quantitatem
octiugentoruui florcnorum aiiri de camera tantum facta tamen
prius debila solutione camere aposlolice liceutiam et f'acultatem
concedimus per presentes. Volumus preterea quod ex quantìtate
diete monete ut prefertur fabricande thesaurarius diete nostre ci-
vitatis debilum computum et rationem teneat.
Datum Rome apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris die
ultima aprilis MCCCCLXI, pontificatus nostri anno tertio.
C. de Piccolomìnis.
DOCUMENTO H.
An. ii%2 - L'originale si conserva nelCarchivio segreto
di Fermo num. 1S17.
Dilectis filiis antianis et communi civitatis nostre firmane
Pius pp. II,
Dilecti fìlii salutem et apostolicam beuedietionem.
Quoniam propter monetam que impresentiarum currit in pro-
vincia nostra Marchie Anconitane intelligimus non parva incommoda
in ipsam nostram provinciam et subditos nostros redundare ac
propterea et ex aliis bonis respectibus inlendimus superinde opor-
tune providere monetamque ipsam in melius Tacere mutari et re-
formari. Eapropter mandamus vobis (juatenus per totum mensem
ìanuarii presentem ad nos miltatis oratores vestros cura plenis
instructionibus et mandatis ad concludendnm super hac provisione
quam facere inlendimus omni excusatione et contradictìone ces-
sante. Datum Rome apud sanctum Petrum sub annulo piscatoris
primo ianuarii MCGCCLXIl, pontilicatus nostri anno quarto.
116
DOCUMENTO I.
An. i472 -Si conserva l'originale nelC archivio anzianale
di Ascoli.
DilecUs filiis antianis et communi civitatis nostre Asculi
Sixtus pp. ini.
Dilecti filli salutetn et apostolicam benedictionem.
Que ad publicam utilitatem vobis cedere cognoscuntur paterna
caritate libenter concediinus ut quo benignius a nobis conspexeriti»
vos traclari constanlius in solita fide et devotione perseverelis.
Ut igìtur parve monete copiam in civitate ista nostra sicut comu-
nis utilitas exigit haberc possitis vestris in hac parte suppiica-
tionibus inclinati harum serie indulgemus vobis alque concediinus
licentiam et facultatem cudi faciendi prò uno anno usque ad siim-
mam mille ducatorum in moneta picciuloriim. Confisi propterea
de veslra singulari fide atque devotione presenlium tenore de—
cernimus quod possit a vobis eligi odo cives fide et facultate
idonei ad custodiam. Turris Murri, et postea quod unus ex electis
per ipsum legatura confirmari dcbuat et deputari ad diete Turris
custodiam accepla idonea cautioue extra civitatcm asculanam de ea
fideliter custodiendo alque restituendo. Volumus insuper manda-
mus ac declaramus quod index maleficiorum provincie nostre Mar-
chie nec possit nec debeat contra vos et cives vestros procedere
aut aliquando vos iacjuietare occasione demolitionis domoruin Rubei
magistri Bettoni per vos lacte attento quod sicut asseritis dum
dilHdatur inetiam oratores vestros ad nostrum legatuin profici-
scentes impetum fecit. Volumus tamen quod domus fratris ipsius
Rubei demolita qui extra noxam est per vos prima reparelur et
ipse omnino reddalur indemnis.
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117
Postremo desiderantes pacem et iuslitie recliludiucm in ipsaf
nostra ci vitale vigere concedimus presentem et indulgemiis quod
presidente locumtenente dicti nostri legati possint eligi per vos
dummodo ab eodem locumtenente confirmentur quinquaginta cives
qui habeant poteslatem dandi auxilium et favorem officialibùs no-
stris et sacre romane ecclesie ad iustitiam dirigendam prout rerum
et temporum qualitas postulabit quibuscumque in contrarinm fa-
cientibus non obstantibus. Datum Rome apud sanctum Petrum
sub annulo piscatoris die XXII decembris MCCCCLXXII, pont. no-
stri anno secundo.
L. Grifus-
118
Discorso archeologico-artislko in encomio del defonlo
commendatore Luigi Canina. Letto nelV adunanza
dell'accademia di archeologia in Roma li 8 gen-
naio 1857, dal commendatore Clemente Folcili,
\faa\e fu nell' arte V onorando commendatore Lui-
gi Canina, quali cose operò e quali memorie ci la-
sciò a ricordarlo meritamente nella nostra accade-
mia, è il tema di queste mie parole, ed è l'elogio
che si addice al collega , che tutti laméhtiamo a
noi rapito dalla morte nel giorno 17 dell' otto-
bre 1856.
Buon per me che nell' abbondanza delle cose
dal medesimq scritte, incise, ed eseguite, non avrò
molto a ricercare, o a dimostrare, per dirlo uomo
di estesissima conoscenza d' ogni oggetto di arte,
specialmente di quelli che all' antichità appartengo-
no; artista di genio fecondo; interprete sicuro dei ri-
trovati nelle ricerche archeologiche, e pronto in ogni
intrapresa ad illustrare monumenti, sia conia stampa,
sia co'disegni, sia con gli scritti, a modo che se de-
gli uomini illustri 1' elogio maggiore è la manife-
stazione delle opere stesse, per questo , che oggi
facciamo al nostro collega, saranno sufficienti al cer-
to i pochi ricordi che ne farò, sebbene con disador-
no stile , e con languidi colori , quali aspettar si
possono dalla età e dalla debolezza delle mie forze.
119
Nella copia pertanto delle cose lasciateci dal Ca-
nina mi circoscrivo nella parte architettonica dal
medesimo estesamente trattata ; ed all' arte atte-
nendomi, a voi, chiarissimi e scienziati accademici,
spetterà il riconoscere quanto egli ne disse a spie-
gazione delle sue idee su i luoghi, sull'uso e sul-
le epoche dei momenti, e che egli convalidò col-
r autorità degli scrittori antichi e colle senten-
ze che questi ci hanno tramandate nei loro classici
prodotti di ogni letteratura.
Dopo qualche anno dalla sua venuta in Roma
(che fu nel 1818) e dopo intrapreso l'esercizio archi-
tettonico presso la eccellentissima casa Borghese, e
nella magnifica villa dì tanto signore (della quale
poscia ne diede una illustrazione) uno de'suoi pri-
mari lavori, detti di studio, si fu la grandiosa ope-
ra di Architettura antica descritta e dimostrata coi
monumenti , distribuita in tre sezioni , egiziana ,
greca , e romana , in' sei volumi in foglio con n.
700 e più tavole. È veramente mirabile con quan-
ta cura e ricercatezza abbia egli raccolte tutte le
piiì remote notizie e disegni delle arti dei piiì an-
tichi popoli e con quanta lucidezza di dimostrazio-
ni grafiche le abbia esposte.
Incominciando dall' architettura egiziana come
base alla greca e romana, e compendiando quan-
to fecero i fenìci, i babilonesi, gli assiri, i persiani
ed indiani in generale, sviluppa la distinta cogni-
zione dell' arte di edificare dei diversi popoli lo
che , dimostra nelle diverse opere le pili note
e conservate, o dedotte dalle ruine superstiti o de-
scritte dagli antichi atte a far conoscere le maniere
120
proprie di ciascun paese. Tali edificazioni caralte-
risliche le considera specialmente nei grandi edifizi
dì Karnac, di Louqsor (1), nei gran tempii a Moroc,
a Tentcris , nella reggia e nei sepolcri di Belo
e di Seiiiiiamide in Babilonia , in quelli tebani e
fenici, e nelT interno delle grandi piramidi di Men-
tì, di Meroe e di Assur ; nel tempio di Gerusalem-
me ( del quale ha trattato separatamente con ri-
cerche ■suirar<;hitettura degli antichi giudei), in fi-
ne nella casa di Salomone, nelle costruzioni della
Frigia, della Persia, e delle Indie, nelle quali regio-
ni tutte si riconoscono i principii ed il tipQ , che
poi si adottò neir architettura greca specialmente
dell' ordine dorico , e delle diverse costruzioni del-
le muraglie, sia ad opera incerta, sia a pietre re-
golarmente tagliate , e poste a filari orizzontali, o
delle diverse aperture delle porte, o ad arco pia-
no ad un sol blocco, o arcate in tondo, o a cuspi-
de, oppur della decorazione interna oltremodo ric-
ca con portici , e sostegni di colonne dipinte o
stiriate.
Su questi tipi sembra si conformassero le deco-
razioni di Grecia, la quale spinta dalla sua fervida
fantasia, e guidata dalla sua ingenita filosofia, la qua-
le fu introdotta anche nelle arti , compose e mi-
gliorò gli ordini architettonici a suo modo, ragio-
nando suir officio a cui possono destinarsi ; sulle
(1) Le denominazioni di tutti i monumenti citati in questo scrit-
to sono state da me riportate coi nomi segnati dall' autore, non
avendo qui luogo alcuna opinione , o quistione su di essi: come
pure niun riguardo ho avuto alla serie cronologica delle produ-
zioni del Canina, che tutte considero nella sua vita.
121
proporzioni che possono loro competere a caratteriz-
zare la dedicazione dell'opera; e studiandosi sempre
a rendere nobili ed eleganti le parti tutte costitutive
i monumenti, giunse a quel grado di soddisfazione
che in seguito provarono anche tutte le altre nazioni,
le quali ne accettarono le leggi , e si attennero a
queste in ogni specie di fabbricato pubblico e privato.
Questa sezione dell'opera comprende l'Asia mi-
nore, la Sicilia, e l'Italia. Ivi si addita come ebbe
principio, e come si sviluppò l'arte in Grecia, dopo
la guerra di Troia, quale dalle prime olimpiadi in
poi fu impiegata nei grandi edifizi, e come si per-
fezionò dopo le invasioni persiane fino alla conquista
dei macedoni. Dei monumenti disegnati furono pre-
scelti i più stimati per le proporzioni e belle si-
metrie, che presentano una qualche particolarità per
istabilire una idea generale dell'architettura dei greci
la più conforme alle cognizioni tramandate dagli
antichi. Oltre a ciò moltiplico e multiforme fu la scel-
ta che fece il Canina su i tempii, pei quali i greci si
occupavano sempre a renderli nobili e dignitosi. Tal
si rappresentano quelli di ordine dorico di Teseo:
di Diana in Eleusi; di Giove Olimpico in Elide; i
propilei di Atene e di altre città di Grecia; il Par-
tenone in Atene, e i tempii di Cerere e Proserpi-
na in Eleusi: d' ordine ionico , quelli di Minerva
Pohade, di Apollo a Didimi , di Giunone a Samo,
di Diana ad Efeso ed a Magnesia : e d'ordine co-
rintio il gran tempio di Giove Olimpico ed il tem-
pio di Didimi ; inoltre le Cariatidi , i Telamoni ,
i teatri, palestre , e ginnasi corrispondenti ai pre-
cetti dati da Vitruvio , che nella Grecia formò il
122
suo codice per dar norma e regole ai monumenti
romani.
Ognuno sa come dalla Grecia venissero poi le
arti belle in Roma , che fino allora erasi giovata
delle indigene arti etrusche , o italiche che fosse-
ro; con quanta avidità si ricevessero nella capitale
dell' impero; e con quanta profusione e sontuosità
si commettessero le riproduzioni delle piiì superbe
moli nelle loro più belle forme, e coi più squisiti
intagli , onde e pel numero , e per la grandezza
Roma dimostrò quanto essa fosse, e quale impero
tenesse nel mondo.
Qui si aprì tutto il campo pel nostro Canina a
studiare, tracciare , e disegnare , non solo quanto
vediamo di antico, ma ben anche quanto alla no-
stra vista abbiamo di ascoso , furatoci dal tempo
e dalle ingiurie dell' uomo.
I monumenti tutti si vedono delineati nel loro
essere nella parte terza dell'Antichità romana , da
cui si apprende lo stile dell' arte, e come fu im-
piegata nelle differenti specie di edifici a seconda
( come si è detto ) degli insegnamenti di Vilruvio.
Incominciando il Canina dai metodi di costru-
zione 0 in laterizio, o in pietre squadrate a bugne,
0 incerte, arcuate in piano, o a cunei, passa pro-
gredendo agli ordini, e prima ai tempii dorici del-
la Pietà, di Cerere, e di Quirino, e quindi alli io-
nici della Fortuna virile, della Speranza, e di Ma-
tuta: ed in maggior copia e bellezza ai corintii di
Giove Tonante, di Faustina; del portico di Ottavia e
del Panteon. Procede poi al gran tempio di Giove
capitolino, a quello di Venere e Roma e del Sole
123
sul Quirinale col suo superbo cornicione , quindi
ai fori di Cesare, di Augusto, di Nerva, e di Tra-
iano disegnati e descritti per intero , come intera-
mente disegnati sono i teatri di Pompeo, di Mar-
cello, quello doppio di Curione , non che gli anfi-
teatri Flavio e di Statilio Tauro, quelli di Capua,
di Verona e di Pola; e del circo massimo, e quelli
di Romolo , e di Boville , e i bagni di Astura , e
le terme di Tito, di Traiano, ed i grandiosi avanzi
di Caracalla, di Diocleziano , e gli acquedotti del-
l' Aniene vecchio e nuovo , della Claudia , della
Giulia, Tepula, e Marcia, e i ninfei, e gli emissari,
e i porti, e i ponti, e gli archi di trionfo, i trofei,
e le colonne storiche , e i mausolei di Augusto e
di Adriano, e i sepolcri di Cecilia e de' Plauzi, e
gl'ipogei degli Scipioni, e la casa di Augusto nel Pa-
latino, e le grandi ville, e i tanti altri monumenti
che non nominai, e tanti dettagli, e tante decora-
zioni, che rendono questa parte un magazzino ine-
sauribile per r artista , che ivi può ritrovare ogni
studio per qualunque intrapresa e progetto. E sono
così nitidamente incisi quei contorni, profili e sa-
gome , che sebbene non siano muniti dei numeri
di misure, come fece Desgodetz, pure col sussidio
della scala proporzionale nella loro precisione quei
disegni sono sufficienti a chiunque voglia farne i
rapporti sul vero.
È però da osservarsi che in questa generale ope-
ra del Canina si tratta di dimostrai-e 1' architettura
monumentale nella sua prima fase nell'Egitto, quin-
di nel suo crescere in Grecia, e poscia nel suo pie-
no in Italia, quale si rappresenta in Mentì, Alene ,
124
e Roma. Invece V opera del celebre Desgodetz; in-
tende allo studio preciso dei monumenti romani, e
di questi vuol dimostrare le proporzioni e i rap-
porti simmetrici costituenti la grandezza, la forma,
e l'ordine; per il che vedonsi con tutta precisione
segnate le misure d' ogni più minuta parte e mem-
bratura. In appresso il Canina stesso allorché si trat-
tò di compire l'opera dell'insigne Desgotetz (che gli
fu commessa e che si stampò nel 1844) si fece ob-
bligo di seguire un tal metodo nella prima parte
dei supplementi in que' monumenti nei quali più
importava un particolare dettaglio, ove riportò le
dimensioni in numeri e linee. Nella seconda parte
dei monumenti aggiunti riassunse il metodo dei
contorni e vedute geometriche segnate con quella
precisione che mediante la scala di proporzione
può supplirsi, come dissi, al numero della misura.
E questa aggiunta in sei capitoli comprende i tre
tempii nel Foro Olitorio {della Pietà, di Matuta, e
della Speranza) quello di Venere e Roma, il Foro
Traiano , il monumento dell' acqua Claudia ed
Aniene nuovo, col sepolcro di VirgilioE urisace, le
terme di Tito e quelle di Caracalla.
Dopo queste classiche produzioni, che tutta riu-
niscono la serie dei monumenti egizi, greci, e ro-
mani dalla loro prima epoca all'ultima del loro splen-
dore , sembrava adempito il grande scopo di por-
tare a colpo d' occhio alla conoscenza degli artisti
tutti i processi e tutti i modi adoprati dagli an-
tichi per giungere a quel bello, che tutti facciamo
opera di conseguire, senza il bisogno o di accorre-
re su i luoghi per misurarli, o di ricercare le spar-
125
se opere che ne somministrano le notizie e le imma-
gini ; ma ciò non bastava alla mente sempre pen-
sante , ed al genio operativo del Canina , il quale
concepì e risolse di dare luce alle altre cognizioni
da lui acquistate sulle antichità che tutto di gli si
presentavano nella dimora di questa classica terra,
che egli prescelse a miniera delle sue ricerche e
de' suoi studi.
Percorse a tale uopo i porti marittimi, che ser-
virono alla stazione delle navi , al commercio ed
alle relazioni della grande Roma con le altre parti
del vasto impero; e quindi ci lesse in più adunan-
ze in quest' aula la esposizione delle sue idee sul
porto d' Anzio , sul porto Neroniano , su quel pa-
lazzo imperiale , e quindi ci descrisse la città dì
Ostia col porto e suoi empori sul Tevere allo sboc-
co in mare (siccome approdo il più vicino alla cit-
tà), a cui Claudio alla destra del fiume aggiunse il
suo maraviglioso porto più escavato in terra, che
protratto in mare, non che le due fosse per la co-
municazione col Tevere e a smaltimento delle ac-
que di questo a sollievo delle inondazioni di Ro-
ma. Ma Traiano, avvedutosi del danno più che del
benefìzio cagionato al porto di Claudio, aggiunse il
suo porto chiuso alle fosse : ed invece aprì la più
ampia diretta al mare, quale oggi vediamo, e di-
ciamo Canale di Fiumicino.
Due più estese e separate relazioni munite di
molte tàvole produsse egh, l'una sulla antica Cere, e
l'altra sulla città di Veio all'occasione delle due in-
signi scoperte (che furono inserite nell'opera «L'Etru-
ria antica marittima nella dizione pontificia»), la pri-
126
ma della tomba pelasgica di Cere ritrovata dal ge-
nerale Calassi ed arciprete Regolini, e di cui tanto
eruditamente scrisse e stampò poscia 1' egregio
cav. Criti nel 1841, ed in ispecial modo sugli og-
getti che adornano il museo etrusco gregoriano ;
e la seconda della conservata tomba, e piiì abbon-
dante di oggetti curiosi, e forse di più lontana an-
tichità, in Veio discoperta dal benemerito sig. mar-
chese commendatore Campana nostro attuale meri-
tissimo presidente. E queste illustrazioni arricchite
di tanta copia di ogni erudizione e dimostrazioni
riscossero tal generale plauso , che ne sono man-
cate le copie alle ricerche che continuamente ne
fanno i professori ed amatori di simili ritrovati.
Né dissimile incontro ebbe l' altro tanto esteso ,
erudito, e pregevole tomo del Tusculo antico sulle
discoperte fatte dal Biondi , e sulle altre fatte dal
medesimo Canina negli scavi eseguiti dall'uno e dal-
l'altro zelantissimi operatori, a sodisfazione del fa-
vorevole consenso e dispendio di S. M. la regina
vedova di Sardegna Maria Cristina: e tale si fu la co-
mune allegrezza per tanti ritrovati, che, presidente
il marchese Biondi, entro il teatro sotto l'acropoli
e mura dell'antico Tusculo si festeggiò la genero-
sità di S. M. con un convito ed adunanza poetica
tusculana, usando delle acque della conservata antica
fontana lungo la via labicana che passava in vici-
nanza della porta tuttora esistente della città e del-
le ville tusculane, non che delle altre ville di Tibe-
rio e di Lucullo ivi contigue, o vicine , e celebri
per sontuosità e grandezza.
127
Intanto si reclamava in Roma l' attenzione e
l'opera di sì illustre antiquario non men che arti-
sta, dal quale si ottenne che in poco tempo si com-
pilasse e pubblicasse la pianta della città antica
comprovata coi frammenti marmorei ritrovati pres-
so il foro , ed ora esistenti nel Campidoglio, che
graficamente fu applicata sulla pianta di Roma mo-
derna divisa nelle quattordici antiche regioni, e nei
confini, secondo quanto ne determinarono i regio-
nari ed ogni altro scrittore di Roma antica. Di que-
sta si fecero piìi edizioni con aggiunte e pettificazioni
che la rendono pregevole ed opportunamente como-
da pel confronto delle località indicate nella storia.
A sì eccellente lavoro di topografia il Canina
andava all' occasione e di mano in mano aggiun-
gendo le dimostrazioni parziali, sia nella planime-
tria , sia negli alzati di que' monumenti o che
mancavano di una ijluslrazione propria, o che re-
stavano oscure ed incerte nel conflitto delle opinioni,
alle quali egli di preferenza si applicava.
■ Con tale disposizione, e datasi occasione, intra-
prese in appresso a determinare per via di ricerche
la grandezza, disposizione , e direzione del teatro
di Pompeo, che a preferenza di quelli di Marcello
e Balbo veniva celebrato anche sotto la impronta
di tempio dedicato a Venere Vincitrice: vi determinò
le grandiose fabbriche che lo recingevano, i passeggi
non che la curia ove si raunava il senato e ove
Cesare ritrovò la fatale sua giornata a piò della statua
di Pompeo. Simili ricerche ed esposizioni ci esibì
dol circo di Adriano istituito precipuamente a ce-
lebrar con giuochi il natale di Roma , servendosi
128
air uopo della erudita relazione del Revill:is fatta
a Clemente XIV, e giovandosi delle indicazioni lo-
cali dategli dai vicini abitanti. Sebbene pochi ne
fossero gli indizi ed i ruderi, su questi il Canina di-
segnò tutta la forma ed ampiezza del circo, che
collocò a contatto della mole Adriana nella parte
settentrionale, e sceverò cosi i dubbi sulla gran-
dezza e località del medesimo.
Passò in seguito all'emenda di alcune opinioui
sul clivo e tempio di Giove Capitolino, su i rostri
del foro romano, e sugli antichi edifìzi già esistenti
nel luogo occupato dalla chiesa di s. Martina.
Questi studi gli somministrarono quelle cogni-
zioni maggiori che esigeva la sua illustrazione del
foro romano e suoi contorni. Die impulso a que-
sto interessante lavoro la questione che da gran
tempo si agita fra' topografi e letterati sulla posi-
zione del foro romano; se cioè fosse diretto verso il
Velabro, o verso l'arco di Tito.
Partegiarono fra i rinomati per il Velabro Nar-
(lini , Piianesi , Venuti , Fea , e Nibby : opinavano
per l'arco di Tito Bufalini, Marliani, Lucio Fauno,
Camucci, Donati, Guattani, Viale. Lo studio e l'ana-
lisi dei monumenti, de' quali molti avanzi significanti
esistono ivi e nei contorni;ed il confronto colle descri-
zioni lasciateci dal Mazzocchi, dalPanvinio, dall'Orsino,
da Sante Bartoli, dal Bianchini, dal De Rossi, dal Pira-
nesi, dal Nolli, dal Bellori ed altri filologi e descrii tori
acculati lo determinarono a riconoscere il foro romano
rivolto verso l'arco di Tito: sulla quale posizione e
nei limiti che ne circoscrivono l'area ritrovò le sin-
gole fabbriche che dovevano racchiuderlo, dando luogo
129
a quelle che poteva contenere la parte verso M Ve-
labro e suoi contorni. Ciò posto, rivolse tutta la
sua occupazione a soddisfare la brama degli artisti
colle descrizioni, ragguagli ed elevazioni dei monu-
menti del foro.
Pubblicava nel 1845 la Descrizione storica del
foro romano e sue adiacenze, lieto di confermare
nella scoperta della ubicazione della basilica Giu-
lia quanto aveva esso su questa presagito e segnato,
e quale in appresso col concorso della commissio-
ne speciale delle antichità, e col soccorso del go-
verno, fu meglio indicata.
Le num." 14 grandi tavole, che fanno corredo
a questa edizione, ci danno una esatta e comples-
siva idea non solo dell'aspetto del foro in generale,
ma delle singole parti, e monumenti, che lo riem-
piono e lo adornano, dimostranti sempre la con-
centrazione che in quel recinto si ritrovava del piiì
magnifico e del più bello, che Roma reale, repub-
blicana, imperiale, sia di provenienza estranea, sia
con l'opera de' primi artisti , o greci o romani di
quei tempi, vi aveva riunito.
Sarebbe un ripetere quanto ne ha compilato il
Canina il voler dare di ciò anche un succinto ri-
scontro. Solo permettetemi che v' inviti ad osservare
la tav. IX, la quale non so se sia quella, che il Canina
asserisce avere il suo amico Cockerell preso a di-
mostrare, cioè l'aspetto prospettivo del foro, e del
sovrastante colle capitolino. Sono indicate nella ci-
tata tavola in un sol quadro le fabbriche inalzate
intorno al foro romano, che si vedevano al tempo
del governo imperiale.
G.A.TCXLV. 9
130
Yeggonsi in chiara e precisa delineazione gli
editìzi dell'arce Capitolina, il tempio di Giove To-
nante , il tempio di Saturno , l'arco di Tiberio , la
basilica Giulia, il Tabulario, il tempio di Vespasia-
no , e quello della Concordia ; i rostri propri del
foro, l'arco di Settimio Severo, la colonna di Foca,
il cavallo di Domiziano , il carcere Mamertino , la
basilica Emilia, il gran tempio di Giove Capitolino,
ed altri edilìzi, che si aggruppano nel loro insieme
con artificio pittorico.
Questa veduta presa dal tempio del Divo Giulio,
ossia dai rostri giuli, non presenta, è vero, quella
scena animata che il Rossini incise ne' suoi archi
di trionfo; infonde però quella soddisfazione quieta
e persuadente della verità degli oggetti, del carat-
tere e regolarità degli oidini , ricchi di materia e
di lavoro, che tutta manifestano la maestà del luo-
go. Sovrasta con orgoglio e sovrasta con dignità
dall' alto del Campidoglio il tempio di Giove Ca-
pitolino, che vedesi nella parte settentrionale cinto
da portici con prospetto esastilo, e con quel super-
bo frontone che sorregge la quadriga dell' Alto-To-
nante, veneralo arbitro dei destini del grande Im-
pero.
Per tante fatiche lasso e consunto sembrava
dovesse il nostro collega fermarsi, se non del tutto,
almeno nelle intraprese che esigevano azione per-
sonale , e disagi di salute ; ma era sempre vivida
la brama di produrre nuove cose, ed insinuarsi nel-
le grandezze di quella Roma, che egli diceva sua
terra: irresistibile era 1' ardore di cercare , inter-
pretare, e conformare alla probabile primitiva esis-
131
lenza i pochi resti che abbiamo delle antichità mo-
numentali; ed in questi più s' impegnava che nelle
cose conservate : perchè delle cose oscure o
dubbie, soggiangea, fa duopo occuparsi per giun-
gere alla generale conoscenza di nostra antica
grandezza. Ed eccolo di nuovo avvolgersi fra
gli edilìzi di Roma antica, e riprodursi con n." sei
tomi di essi, quattro dei quali l'isguardano gli edi-
lìzi della città, e due quelle reliquie della campagna
riportate nella loro intera architettura. Dopo pubbli-
cata la prima sezione della città restavagli a com-
pimento quella della campagna differita appunto per-
chè importava attitudine e viaggi per il confronto
e ricerche degli avanzi esistenti al di là di Roma.
Difatti nel 1855, trovandosi in sufficiente stato
le "sue forze fisiche, prese a trattare la sezione ti-
burtina in occasione che in Trivoli s' intratteneva
a prendere i bagni delle acque Albule, che esperi-
mentò benefiche secondo che avevano già proclama-
to con dotte stampe due illustri fisici, Racci e Cap-
pello. Ivi si occupò nei rilievi per proporre la pos-
sibile restaurazione di quella antica fabbrica augu-
stale, in parte ingoiata, in parte «nolto deperita, ed
in parte residuata in muri significativi le forme e
gli usi. La proposta venne benignamente accolta da
Sua Santità, Pio IX, a cui fu presentata dall' emo
Roberti presidente della Comarca in un colla com-
missione nominata dalla stessa Santità Sua per la
ripristinazione dei bagni rieonosciuti utili ed effi-
caci per la guarigione di molte malattie.
Di qui prese le mosse il Canina : ed in tutta
quella stagione estiva, ed autunnale in parte, pe-
132
regrinò nei contorni di Tivoli, cercando, e descri-
vendo , e disegnando quanto in tutto il territorio
evvi di curioso, di considerevole e di grande,
quali sono quelle storiche ville , e principalmente
la celebre Adriana ( di cui divisava dare un det-
taglio separato), quella di Mecenate, di Quintilio ,
di Orazio , il tenfipio di Ercole , quelli di Vesta e
della Sibilla, gli acquedotti dell' Aniene vecchio e
nuovo, di Claudio, e della Marcia, non che la fonie
di Blandusia, il monumento de' Plauzì e tanti sepol-
cri e basiliche e bagni, onde si fa evidente che dopo
Roma Tivoli e suoi dintorni siano i più ricchi di mo-
numenti, ed ove l'archeologo e l'artista possono ri-
trarre nuove cognizioni aggiunte a quanto Roma e
la storia gli abbiano presentato.
Questa parte degli edifìzi dei contorni di Roma
composta delle sezioni , vie Appia, Latina, Prene-
stina, Valeria e Sublacense, Salaria e Flaminia, e
spiaggia marittima, trovavasi già stampata all'epoca
della giustamente compianta sua morte.
Oltre che il nostro collega fu nominato a far
parte nella commissione delle Albule, esercitava al-
tresì r officio di consigliere nella commissione del-
le antichità e belle arti, con la quale e per la quale
molto operò in iscavi e restauri, a cui dà impul-
so ed assegno continuo il nostro governo medi-
ante il ministero di antichità e belle arti , sicché
veggonsi non solo sgombri e dati alla luce tutti i
monumenti e ruderi antichi esistenti in Roma e
fuori , ma sibbene in parte riordinati , e restituiti
alle antiche forme , con laterizi , marmi , ed ogni
materiale competente : onde vedemmo aperta la
133
basilica Giulia ; riformata una parte del Colossèo
air antica ambulazione ed accessi interni, fino al-
l' alto; sgombrate dalle terre le terme di Caracalla;
poste in vista le colonne e soffitto del tempio di
Marte Ultore; scoperta nella parte orientale la cella
del Panteon ; descritto e segnato il ritrovamento
delle mura di Servio ; ed ogni altro monumento »
ove abbisognava l' opera della commissione e la
mano del governo.
Tra tanti riordinati monumenti quello, la cui
rivendicazione a' giorni nostri esaltò più gli spiriti^
ed entusiasmò gli animi , fu lo scoprimento e lo
sgombro della tanto celebre via Appia regina delle
vie romane : di che la commissione ed il minis-
tero, inteso r erudito e pregevolissimo rapporto del
chiarissimo professore commendatore P, E. Visconti
commissario delle antichità, e concertate le massi-
me di restaurazione , diedero speciale incarico al
nostro Canina, che vi riuscì nel modo che ognuno vide
e commendò: e questi non tardò ad illustrarne la
parte dalla porta Capena a Boville, divisa nelle sue
stazioni e miglia antiche con la disegnazione e de-
scrizione e restauro immaginato d'ogni monumento,
aggiuntavi la gran pianta topografica rilevata dal-
l'accuratissimo sig. Pietro Rosa. Fu poi questa ar-
ricchita della designazione delle piante e luoghi delle
principali ville adiacenti, che sono quelle di Quin-
tilio, di Clodio, di Domiziano, non che delle piante
di Albano e della vetusta Aricia, alla cui stazione
al 16 miglio dà termine questa aggiunta, la quale
servì a corredo della esposizione che il Canina ne fece
all'Istituto di corrispondenza archeologica, di cui era
13i
assiduo collaboratore. Sono notabili per la parte ar-
chitettonica i rapporti e che ivi andava facendo, e che
vedonsi stampati negli Annali di quell'archeologico
istituto, fra' quali la esposizione del castello di Pirgi
degli Agillei e Ceriti, ed altre molte
Finalmente una delle più belle opere, che ci la-
sciò il Canina in un voluminoso tomo di n. 145 tav.
è certamente quella dei tempii cristiani, le cui ri-
cerche furono dal medesimo basate sulle primitive
istituzioni ecclesiastiche e dimostrate co' pili in-
signi vetusti edifizi sacri, escludendo tutti i sistemi
dei diversi tempi, e specialmente del medio evo e
dell'invalso gusto gotico. Dalla serie delle osserva-
zioni dal medesimo fatte ne deduce, che la forma
primitivamente assunta fu quella ove ne' tempi an-
tichi si amministrava la giustizia, cioè la basilica
romana, che fu poi adottata nei piìi cospicui edifizi
sacri nei primi secoli dell' era cristiana. Con que-
sto tipo procede all' ap[)licazione in num. 4- progetti
di basiliche cattoliche, compresa quella per la cat-
tedrale di Torino. Sopra tutte ne sviluppò il siste-
ma con molti disegni in quello pel santuario di N.
Signora di Oropa ordinatigli da S. M. la regina
M. Cristina di Sardegna (il cui bellissimo modello
vedemmo nella galleria Borghese in Roma). È desso
a tre navi a due file di colonne ioniche, coperto a
volta con prospetto a portico colonnato dello stesso
ordine, e con la parte superiore con ornati e figure in
musaico, come nelle antiche nostre basiliche. La sua
lunghezza interna dalla porta all'abside è di m. 65 la
larghezza di m. 45, e l'altezza dal piano alla volta
in.20. In tutto a' poca differenza nelle misure generali
135
come la Chiesa del Gesù io Roma. Il monumento
trovasi in costiuzione avanzata, la quale il Ca-
nina visitò neir ultimo viaggio che spinse fino
air Inghilterra pei' ispezionare l'altra fabbrica di suo
disegno del restauro del castello ad Alnwick per il
duca di Nortumberland, ed in particolare le deco-
razioni interne delle sale ad uso romano con molti
rilievi e dorature e grandi camini di marmo con in-
taglio e figure d'altezza al naturale.
Quanta celebrità si acquistasse il commenda-
tore , e quali e quanti onori gli fruttassero sì nu-
merosi, sì interessanti, e si cospicui lavori, può ognu-
no immaginarlo. Solo accennerò che oltre all'apparte-
nere a questa romana accademia d' archeologia e
a quella di S. Luca, fu aggregato al collegio filosofi-
co, alla commissione di antichità e belle arti, alla
congi'egazione del Panteon, agli istituti di Londra
e di Francia, e fu socio di molte altre accademie
italiane ed estere di archeologia e di arti, che an-
darono liete di fregiare del suo nome il loro albo.
Fu commendatore degli ordini del Leon di Baden,
di S. Salvatore di Grecia, e di S. Giuseppe di To-
scana , e cavaliere di non meno 18 diversi ordini
europei.
Una gran medaglia di oro ottenne per premio
dal reale istituto degli architetti di Londra, che il
Canina offrì e lasciò nel medagliere della accademia
di S. Luca.
Altre simili ebbe in premio dalla Francia, dalla
Prussia: e da altri sovrani altri doni di valore.
Il maggiore di tutti gli onori in vita egli otten-
ne nel 1855, allorché il municipio romano lo a-
136
scrisse alla nobiltà romana, e lo nominò prosiJenlP
del museo capitolino. Altre onorificenze e consocia-
zioni artistiche ed archeologiche incontrò nel su»
viaggio ultimo fino a Londra. Nel ritornare verso
Roma giunto in Casale sua patria, quel municipio li
8 del passato ottobre decretò che la contrada dei
Giardini venisse chiamala contrada Canina.
In Firenze, ove di anni GÌ compì il corso della
vita , ebbe funerali decorosi con concorso di arti-
sti e letterati, ed ora gli eredi preparano un con-
veniente monumento da collocarsi coi debiti permessi
in S. Croce di Firenze.
Il numero delle opere può contarsi negli elenchi
stampati, e specialmentein quello estesissimo dell'egre-
gio collega sigi abate Coppi, riportato con tutta preci-
sione nel Giornale di Roma n. 291, ann. 1856. Quelle
che io ho accennate, mi sembrarono di preferenza
bastevoli a dimostrare con quanta ragione possiamo
affermare, essere stato il commendatore Canina, quan-
to dotto di ogni ramo di arte, altrettanto indefesso
operatore ad illustrarla, per il che meritamente si
acquistò la distinzione di esimio architetto ed archeo-
logo, quale noi lo abbiamo commendato.
FoLCIll.
137
Lo Stato Pontificio, e l'Istmo di Suez.
Parole dì E. F-ScarpeUini
Roma 20 dicembre 1856.
I. •
La strada ferrata da Roma ad Ancona e Bologna.
Jua scienza , lo ripeteremo ancora una volta , è
l'elemento primo dell'attuale progresso civile: l'alta
sua influenza sul ben' essere dei popoli manifestata
neir epoca presente è il più gran fatto storico che
caratterizzerà Io spirito del secolo XIX: la scien-
za dopo essersi involata dai tuguri dei filosoti ,
dai portici delle scuole, dall' aule delie accademie,
invase le masse delle nazioni, s'impossessò dei prin-
cipi del loro commercio, delle loro industrie, de'le
arti loro; si mutò in altra forma, e dopo aver dato
loro un posto sublimissimo per le cose sociali, co-
minciò e tuttora prosegue a primeggiare tutti gli
elementi dell* attuale umana perfettibilità ed a
farsene signora.
Quantunque 1' influenza scientifica abbia pro-
dotto su i destini delle nazioni disastri e vantaggi,
nondimeno essa ha chiamato velocemente tutte !e
classi sociali a studiare a fondo il fatto del grande
avvenire; e può dirsi perciò a ragione, che 1' ap-
plicazione delle scienze alle opere sociali è la leggo
e la norma del loro perfezionamento.
138
Avvi una prova evidente dì questa faccenda nel-
l'apidicazione dei principi scientifici ali* arte loco-
motrice. E di fatto:
Le strade di ferro, questa sintesi dei progressi
delle scienze fisiche, sono l'attrazione materiale che
formerà il concentramento di tutte le popolazioni.
Le strade di ferro, concatenando i differenti po-
poli fra loro, hanno unificato i loro interessi, allon-
tanato lo spirito di rivalità, e reso accessibilissimo
lo studio e r estensione del progresso delle diffe-
renti nazioni.
Le strade di ferro ruppero le barriere fra le
Provincie delle nazioni, e formarono delle Provin-
cie tanti sobborghi delle città capitali; e di queste
tanti siti concentrici, ove gli uomini di tutti gli an-
goli della terra si dipartiscono per sviluppare le loro
idee, e scambiare i prodotti industriali ed agricoli.
La strade di ferro hanno fuso gì' interessi , e
r attività dei proprietari, dei finanzieri, degli scien-
ziati, e delle masse laboriose.
I prodotti delle strade ferrate da ultimo sve-
glieranno sempre nei capitalisti lo spirito di altre
intrapi'ese, e le differenti classi si associarono per
un medesimo scopo.
Resta dimostrato per tutto ciò abbastanza, che
le strade ferrate danno latitudine allo ingrandimento
del commercio, della industria, dell' incivilimento.
Conciossiachè è facile per noi valutare oggi-
giorno tutta la importanza sulle utili e premurose
disposizioni prese suH' argomento, di cui è parola,
dai governati e dai governanti: che, a ben compren-
139
dere la forza di queste ragioni, dobbiamo conside-
rare, che non appena la robusta mente dell' AUGU-
STO PONTEFICE ebbe dato luogo alle discussioni,
agli studi, ed alle associazioni relative ad uno dei
più importanti rami della pubblica economia , a
quello cioè risguardante la rete delle nostre strade
ferrate per aprire alla forza viaggiatrice del vapore
questa bella parte centrale della Italia , e di age-
volare il trapasso dall' uno all' altro dei mari, che
circondano la penisola, e moltiplicare col moto le
nostre potenze industriali e commerciali, ed acce-
lerare quindi la circolazione dei capitali, improvvi-
samente giugnemmoa questo grandioso avvenimento
perchè nel maggio 1856 (1) ci veniva officialmente
annunziato da S. E. Rina mgr. Giuseppe Milesi ,
Ministro del commercio e dei lavori pubblici la con-
cessione della grande linea ferrata da Roma ad
Ancona e Bologna (2): il quale con rara intelligenza,
e fermezza cooperò su tutto ciò che poteva con-
ferire al buon successo onde recare in alto la mag-
giore impresa assegnata da Dio all'attività umana
nella presente generazione, e che il nome del Pon-
tefice si trovasse ancora una volta unito a tutte le
reti delle strade ferrate in Italia. Rallegriamoci adun-
que, ed al nostro giubilo uniamo un sentimento
di orgoglio per il nostro prossimo risorgimento
commerciale, considerando, che dove si parla una
(1) Giornale di Roma, 21 maggio. -
(2) L' esecuzione e !' esercizio è dato alla società Casalvadès e
C. rappresentata dai sigg. Felice Valdès de Los.Rios , marchese
de Casalvadès, e Luigi Maria Manzi , eh' è la medesima^ la quale
si ebbe la concessione della via ferrata da Roma a Civitavecchia.
uo
medesima lingua , dove le abitudini e le simpatìe
sono conformi, è necessità di un commercio esteso
senza vincoli, rapido, unico, e solo.
II.
L' Italia circondata dalle Alpi e dal mare, divisa
dall' Apennino con un immenso sviluppo dì coste,
con lunghe valli che versano al Mediterraneo ed
air Adriatico le acque de' loro fiumi; locata dì rim-
petto alla Grecia ed alle provincie slave da una
parte; di rimpetto alle rive dell'Affrica e dell'Asia
minore dall'altra, gittando il capo nella Germania,
neir Elvezia, e nella Gallia, essa è come il ponte
che raggiunge 1' Oriente all' Occidente , ed acquista
ogni giorno maggiore importanza principalmente per
la sua situazione mirabile in mezzo a quel Medi-
terraneo ov'è ricondotto il commercio europeo-asia-
tico.
Ma la forma tutta propria della penisola italiana
e la sua grande lunghezza , e i gioghi dell' Apen-
nino che s' innalzano come per separare un mare
dall' altro, renderebbero quei mari e quei porti as-
sai lontani se non si fosse cercato con ogni sforzo
di aprire infra di essi altre vie di comunicazioni:
e già le strade feirate piemontesi , e lombarde , e
toscane progrediscono sempre, e tendono a ranno-
darsi fra loro ; le nostre da Roma ad Ancona (1)
e Bologna, non che quelle da Roma a Civitavecchia
(1) eh' è la chiave dell'Italia centrale, la prima fortezza dello
stato pontificio , il primo porto, la prima piazza dì commercio, la
più da antico tempo rinomata.
141
(in via di esecuzione), e l'altra da Roma fino alla
vicina Frascati ( già in attività ) come parte inte-
grale di quella maggior linea conducente al confine
di Napoli ; le altre di questo regno , quella cioè
delle Puglie , quella degli Abruzzi pei confini del
nostro stato, non sono che il compimento di questa
rete di comunicazioni , e che perciò i traffici , le
negoziazioni , gli scambi, i mercati , i viaggi , gli
affari in sómma e la trasposizione delle cose e delle
persone di ogni maniera da stato a stato, da città
a città , da mercato a mercato, dal monte al piano,
dai porti alle città, crescerà in maggior mole il va-
lore alle produzioni di tutti gli stati italiani.
Lo stato pontificio però, trovandosi geografica-
mente locato al centro d'Italia, può aspirare per la
sua positura piià di ogni altro stato della penisola
a vantaggi generali di nuova e maggiore infiuenza
commerciale: perchè questa celere trasposizione di
cose e di persone di ogni maniera che andrà a
congiungere una capitale come Roma, ricca, popo-
losa, insigne per monumenti di arte, con Rologna
città considerevolissima e punto di comunicazione
coll'alta e bassa Italia e con la Toscana, diverrà il
recapito, il convegno, il centro del movimento com-
merciale interno coli' esterno dello stato, con reci-
proco vantaggio dei produttori , dei consumatori ,
dei commercianti ; e come patrimonio d' incivili-
mento, di scienze, di lettere, di arti, e diremo an-
cora di concordia.
Onde deriva, che, Roma essendo pur centro al-
l' orbe intero pel primato della religione sostenuto
dal Sommo Pio IX., l'importanza delle vie ferrato
142
pontificie è non che italiana ed europea, ma uni-
versale.
III.
Planisferio del commendatore Girolamo Pelri.
Il Planisferio del distintissimo sig.' commenda-
tore avv. Girolamo Petri , testé da esso delineato
con molto intendimento(l), serve mirabilmente per i
nostri lettori a conoscere, a confermare, come in Italia
e precipuamente nella nostra Roma, oltre la centra-
lità religiosa, compiremo l'aspettata prosperità cui
ha posto mano il PRINCIPE di tutti i Principi ,
che per nostra ventura Iddio pose in tanta emi-
nenza di seggio.
Ognuno poi plaudirà l'idea del Petri per avere
locata a destra della carta le Americhe, anziché a
sinistra: conciossiachè egli prese a centro del
globo il mar Mediterraneo, perchè presso a que-
sto ( neir Asia minore bagnata dal Mediterraneo )
Iddio mostrò la sua onnipotenza e la sua sapienza
creando 1' uomo , il quale dotato per la divina
impronta delle più sublimi facoltà , die comincia-
mento alla storia dei tempi, alla sua civiltà, ai suoi
rapporti , e peichè ivi ebbe culla la nostra Teli-
li) Noi avemmo l' allo onore di esser primi a pubblicarlo nel
Bulletlino* della corrispondenza scientifica in Roma, e nnovamenle
1' offeriamo agli onorevoli leggitori di questo giornale con gra-
zioso e generoso permesso del Petri , che il tien pronto pel suo
nuovo Atlante Ecclesiastico , proponendosi di darlo in luce col
titolo di ORBE CATTOLICO.
US
gione ssina , e sì ancora perchè il Mediterraneo
non perde mai questa centralità. - In vero, se l'uomo
piiì estendeva le sue scopei'te nell' Asia , scopriva
in appresso dall'altro l'America; se più si avvicinava
all'artico boreale non istava molto ad estendersi al-
l'antartico od australe: e così il Mediterraneo, e con
esso r Italia che lo fende nel mezzo, conserva tut-
tora , come si vede , la sua posizione centrale del
mondo incivilito, e commerciale.
IV.
L' istmo di Suez.
Né meno grandi saranno poi i vantaggi inter-
nazionali che le nostre strade di t'erro unite alle altre
daranno alla Italia. — Lo sviluppo imnienso , che
la civiltà riprende in Oriente , 1' estensione della
colonizzazione francese in Affrica, la prossima e sor-
prendente comunicazione del mar Rosso col Mediter-
raneo per l'apertura dell' istmo di Suez daranno mai
sempre un movimento stiaordinario fra l'Oriente e
l'Occidente; ma pur sarà senza confronto il mezzo
più energico a produrre: 1°, l'accrescimento cioè delle
nazioni crisiiane, e l'incivilimento d'una parte consi-
derevole della umanità divisa e guidata da religioni
diverse: 2% certamente, diceva poco fa la onorevole
compilazione del Bullellino deW istmo di Suez , il
collegio dì Propaganda penserà a questa provvidenza,
e il Sommo Pontefice che è principe in Italia, e
tiene la mano sulle due acque dalla penisola, vorrà
considerare il vantaggio materiale e morale che sta
in sua mano di procacciare per sua gran parie e al-
l'Italia e all'Affrica e all'Asia (1).
1 navigli per il taglio di Suez, che sarà una delle
più splendide glorie della industria moderna (2), non
gireranno più intorno all'Affrica per venire in Europa,
né per passare dall' Europa all'Asia ed all'Oceania;
il mar Rosso ed il Mediterraneo saranno i mari fre-
quentatissimi , ed i porti della Grecia, le isole del
Mediterraneo, i porti della Sicilia, Napoli, Civitavec-
chia, porto d'Anzio, Livorno, Ancona, Genova, Marsi-
glia assumerebbero una importanza straordinaria ma-
rittima e commerciale.
Noi non enumereremo le conseguenze quando
l'Inghilterra, la Francia, la Germania per ragione di
brevità di tempo dovrà traversare l'Italia e toccare
i suoi porti, perchè saranno bene sviluppate da coloro
che dediti interamente al commercio si sono già in-
terpellati reciprocamente e sono intenti a rispondere
al quesito propostosi: « Quali saranno i vantaggi che lo
stalo pontificio trarrà dal taglio delV istmo di Suez ? »
solamente diamo un rapido cenno di alcune idee ge-
nerali suggeriteci in proposito da una mente peri-
tissima in simili materie.
Roma per mezzo dei nostri porti d'Anzio e Ci-
vitavecchia, non che della unione dei due mari per
(1) Torino 1836; num. 2, 31 luglio.
(2) La Corrispondenza scientifica in ^omo si vanta oggidì averla
preconizzata lìii dal setlembrc del 1847.
145
le nostre vie ferrate convergenti poi in grandi centri
e confinanti con le migliori linee degli stati limitrofi,
come ogni altro paese di primo scalo avrebbe il
primo deposito di una parte dei cotoni , dei catfò,
i pepi di Sumatra e Java , i sevi, le lane, i cuoi
dell'Australia, e la scala prolungatissima dei medici-
nali i pili costosi e ricercati; o sarebbe il mezzo di
transito ad una grande quantità di altri prodotti ,
che 0 si consumano nello stato, o che dallo stato
si diramerebbero per 1' Italia centrale, come sopra
annotammo.
Air attuale nostra raffineria seguirebbero pron-
ta mente molte raffinerie per zuccari moscavati ,
che direttamente giugnerebbero dalle Filippine :
mentre per quanto nuovi fossero i nostri stabili-
menti offrirebbero sempre gran convenienza sopra i
prodotti che ora consumiamo dell'Olanda e dellTn-
ghilterra, una volta che le materie grezze ci sareb-
bero tanto vicine.
Quante jnercanzie non potrebbero le nostre navi
portare nell'Abissinia, il cui commercio si limita al
cambio primitivo in alcune popolazioni dell'interno
dell'Affrica? Di quanta utilità sarà per noi se si sta-
biliranno delle relazioni col Yemen, e precipuamente
colla città di Moka, gran mercato di caffè, di gomma,
d' incenso; colla città commerciale di Beit-el-Jakih,
dove i persiani ed i turchi vanno a comperare il caffè
e che resta un tre miglia discosta dal mare; nell'Ara-
bia-petrea, sulle cui coste sono numerosissime rocche
di coralli; a Dehidda, che può considerarsi come il
porto della Mecca e città mercantile , frequentata
dalle navi indiane ed egiziane , e dalle grandi ca-
G.A.T.CXLV. 10^
U6
ravane di pellegrini che vengono dalla Turchia, dal-
l'Egitto, da tutta Affrica settentrionale, dalla Persia,
dall' Indostan e dall'Arabia per visitare la Kaaba, e
bere l'acqua sacra del rivoletto Zemsen, mostrala
miracolosamente ad Agar per dissetare il morente
Ismaele, ma stessamente per comperarvi e per ven-
dere ?
Sarà poi cosa stupenda per noi il commercio delle
sete grezze cinesi, bengalesi e persiane, che potrebbe
piantarsi nel nostro stato e farsi presso noi quello
che si fa in Inghilterra. 11 commercio delle séte è
di carattere tutto italiano. Lo stato pontificio fa passi
progressivi in questo ramo d'industria in senso agri-
colo, e come manifatturiero la filatura della seta
comincia a rivalizzare con altri luoghi di famigerata
produzione, mercè anche l'incoraggiamento che ne
dà il governo.
Oggi r Inghilterra, e il Nord-Ovest del continente
europeo assorbono tutto il commercio della Porsia,
di tutte le terre australi: ciascuno dai propri e dagli
altrui possedimenti o dagli stessi regni e governi
asiatici ed oceanici importa a casa propria, da dove
poi diramano i prodotti di quelle terre lontane per
tutta Europa centrale e meridionale aumentati dei
valori primitivi in ragione dei nuovi trasporti, e del
passaggio di due e taloi-a tre o quattro gradi di
commercianti, i quali, com' è ben naturale, tutti uti-
lizzano sulle merci , e ne fanno progressivamente
aumentare il valore.
Tutti sanno come il sig. Lesseps ha bene di-
mostrato quanto debba avvantaggiarsi su questa im'
Ji7
presa destinata ad accorciare di quasi a metà la
distanza che separa TOccidente dall'Orienle.
La seguente tavola però servirà a dare una idea
più chiara, coll'aiuto sempre del pregevole Planisferio
del Petri, prendendo per punto di arrivo Bombay, e
per direzione l'istmo di Suez, paragonato a quello
dell' Atlantico:
Distanza fra i porli BOMBAY
di Europa e di
America, e per Suez: per l'Atlantico: Differenza.
Marsiglia . .
. . 2,374
5,650
3,276
Costantinopoli
. 1,800
6,100
4,300
Trieste . . .
. . 3,340
5,960
3,610
Sicilia . . .
• 2,068
5,806
3,744
Cadice . . .
. 2,224
5,200
2,976
Lisbona . . .
. . 2,500
5,350
2.850
Londra . . .
. 3,100
5,950
2,850
Liverpool . . .
. 3,050
5,900
2,850
Amsterdam .
. 3,100
5,950
2,850
Pietroburgo
. 3,700
6,550
2,850
Nuova York
. 3,761
6,200
2,489
Nuova Orleans
j . 3,724
6,460
2,726
Leghe di 4 kilomelri
Mostreremo ancora il seguente prospetto per far
conoscere in che proporzioni i vari stati d' Italia
sono a portata di trarre profitto di questo gran
mutamento che si prepara.
U8
MARINA MERCANTILE ITALIANA
Navi Tonnellate Marini
Nopoli M03)9„4 166,524)213 ,93 'i'^fr^h^M
Sicilia 2,371) 46,674) 12,208)
Stati Sardi . . 3,173 177,822 30,250
Venezia .... 1,810 31,741 7,000
Stati PontiEcii 1,846 31,167 9,789
Toscana .... 911 37,507 10,000
Totale 16,914 491,435 109,553
Vorranno dunque e sapranno i navigatori e
commercianti italiani, e quelli particolarmente dello
stato pontificio, profittare di questa brillante occa-
sione che offre loro fortuna. E bisogna fare que-
sto ragionamento, che la più parte dei vasti e po-
polosi paesi, ai quali noi ci troveremo di tanto spa-
zio e tempo ravvicinati, sono per lo più felici per
la fertilità della terra; e particolarmente con taluni
abitatori semplicissimi di costumi, i quali non han-
M) nò notizia di scienze , ne perizia di artificii ,
non industria,, né alcuna comodità della vita: onde
sarebbe cosa agevolissima a noi portarvi i prodotti
delle nostre industrie anche più volgari senza te-
mere la concorrenza di altre nazioni. Perciocché
là dove tutto manca, ogni cosa acquista gran pre-
gio: tutto sta neir essere primi a giungere, ed a
recarsi in mano quei traffichi.
149
VI.
Società ^Jontificia di navigazione a vapore
A for quindi conoscere come in Roma siasi bene
inteso il novello prodigioso taglio dell'istmo di Suez,
e come si dispone a prendere il più prontamente
possibile la sua parte legittima per il nostro mag-
gior progi'esso, diremo, che oltre al segnare una rete
di strade ferrate , il SANTO PADRE considerando
sempre i grandi mutamenti che dovrà subire la na-
vigazione, e le varie intraprese commerciali, e non vo-
lendo lasciare isolato lo spirito di previdenza cittadina,
si è pur degnata di permettere la formazione di una
società anonima col titolo di società pontificia di na-
vigazione a vapore, la quale (1) si propone di met-
tere in diretta e regolare comunicazione fra di loro
i vari porli e luoghi commeiciali sulle rive dell'A-
driatico, e del Mediterraneo, e promuovere in tal modo
vieppiìi le scambievoli relazioni, facili, pronte, e men
costose, onde crescendo i rispettivi concambi pos-
sibili, la prosperità delle uno frutti eziandìo alle al-
tre (2).
(1) Ideata, e promossa dal sig. Giovanni Contedini, minutante del
ministero del commercio.
(2) Ad incoraggiare poi la società , Sua Beatitudine si è pure
degnata di accordare alia medesima per dieci anni il privilegio
esclusivo per lo esercizio di questa navigazione; cosicché durante
questo tempo, nessun altro possa attivarne una simile nello stato
pontificio : a condizione peraltro, che la società, dentro un'anno
dal giorno della partecipazione del relativo decreto , siasi legal-
mente costituita ed abbia presentato l'atto di sua costituzione e di-
mostrato di avere a disposizione i mezzi necessari alla buona riu-
scita della impresa. (Giornale di Roma del 29 luglio 1856 n. 172).
150
VII.
Coirispondenza diurna
meleorologica-telefjrafica ponlilkia.
Nel valutare i vantaggi delle soviaccennate con-
cessioni ci è grato il poter anche qi>i citare la no-
stra applicazione del telecjrafo elettrico alle meteoro-
logia, perchè Roma fu la prima di ogni altro stato
di Europa e di America a segnalare questo studio:
che nessuno ignora come si attenda il suo maggior
sviluppo dalla discussione delle osservazioni a tra-
smissione telegrafica, fatte simultaneamente in punti
distanti fra loro; e quindi far comprendere la sua
utilità per la navigazione sulle due nostre coste ma-
rittime separale.
Sono parole della compilazione del torinese Bui-
lettino dell'istmo di Suez, che noi poniamo sott' oc-
chio dei nostri lettori:
)) L'Italia intera e le altre nazioni (1) trove-
ranno pure in Roma istituita una corrispondenza me-
teorologica-telegrafìca diurna, che ora volge nel suo
secondo anno, per mezzo della quale dopo un pe-
riodo di osservazioni e sperimenti si andrà a cono-
scere quale andamento terranno le tempeste nel pro-
pagarsi da paese in paese, dall'Adriatico al Medi-
terraneo e viceversa. Quanti naufragi cosi non sa-
ranno evitati o col richiamare in porto mercè dei
(1) Discorrendo su i nostri vantaggi per la canalizzazione del-
l'istmo di Suez. -- N. 5, 16 settembre 1836.
151
segnali i bastimenti vicini alle coste pericolose , o
col fare differire Tuscita ai legni in caso di vicina
burrasca? In fotti da precedenti osservazioni già sap-
piamo come tanti uragani formatisi in terra vadano
a sfogarsi in mare, e centinaia di bastimenti sor-
presi all'imprevista, periscono. — Pochi anni fa sa-
rebbe stato una chimera il dirlo; ma ora che il te-
legrafo elettrico è là, si possono salvare migliaia di
vite e di capitali in pochi secondi, e far arrivare l'av-
viso anche molte ore prima che l'aria cominci ad
intorbidirsi nel luogo ove fra non molto passerà la
tempesta.
)) I naviganti ed i commercianti pertanto del vec-
chio e nuovo mondo non rimarranno iudifterenti alla
importanza della novella istituzione, e comprende-
ranno che Roma offre loro un mezzo sicuro di met-
tersi in guardia, prima di esporsi a mare aperto ad
affrontare perigli «.
Accanto a questi pronostici diretti ed immediati
sulle romane osservazioni telegrafate, è necessario
ricordare anche le relazioni che legano strettamente
questa scienza e alla geografìa botanica, e alle bran-
che diverse della tìsica del globo, e da ultimo le sue
applicazioni alla igiene , e per conseguenza la sua
influenza sul ben essere e la sanità delle popolazioni.
L' agrigoltura, la medicina, V ingegnere, il geologo
e il naturalista verranno a mano a mano ad attin-
gere a questa sorgente di già feconda in preziosi
risultamenti, e dalla quale l'avvenire ne promette an-
cor più brillanti , mercè di quegli incoraggiamenti
che non gli mancheranno dall' eccelso Ministero
del commercio e dei lavori pubblici.
152
Vili.
Provvidenze agricole nello sialo jmntificio.
Due opposte scuole economiche nel secolo de-
cimo-ottavo si quistionarono il privilegio di presie-
dere al reggimento della cosa pubblica e di dettare
le norme, secondo le quali deve amministrarsi uno
stato perchè prosperi e superi gli altri in possanza
e ricchezza. - 11 Colbert (1) e i suoi seguaci affer-
mavano essere utile promuovere le manifatture in-
digene ed il commercio anche a costo di grandi sa-
grifici e con detrimento della produzione territoriale.
I discepoli del Quesnay all' incontro proclamavano
l'agricoltura unica sorgente di vera ricchezza; utile
e legittimo ogni favore che le si accordasse. Gli uni
militavano a prò delle classi medie e degli abitanti
della città, e traevano argomento dalla prodigiosa opu-
lenza di taluni paesi manifattori e commercianti; lad-
dove gli altri invocavano le massime della sapienza
antica, e sposavano la causa dei proprietari e dei
contadini.
Non andò guari però, che riformatosi mano mano
l'ordine civile, un esame più profondo della econo-
mia della società rese manifesti i vizi dell'una e del-
l'altra dottrina; e sulle norme dell'autore della Ric-
chezza delle nazioni, che fu l'onorevole Smith, si pose
le basi di una dottrina più ragionevole e progressiva
proclamando esso 1' agricoltura essere sorgente di
(1) Associazione agraria degli slati sardi.
153
ricchezza , o meglio , per usare il linguaggio della
scuola, di utilità creata. Però inveterati pregiudizi fu-
rono d'inciaaipo ai migliori economisti di questo secolo
nella loro pratica attuazione professando quella verità
dallo Smith proclamata: ma la società tutta essendo
convinta che il pubblico ben essere dipende dal mi-
glioramento dell'agricoltura, si vide come si vede al
presente l'attenzione universale rivolta su questo im-
portantissimo argomento. Quindi instituti, scuole agra-
rie, poderi modelli, banche di credito agrario.
La stampa periodica oggidì non cessa dal solle-
citare i governi italiani ad emettere più efficaci prov-
vedimenti a vantaggio dell'agricoltura per dare ad
essa quello slancio che ha preso in contrade meno
produttive, indicando i mezzi da porre in opera, e pre-
pararsi utilmente al grande cangiamento nel com-
mercio del mondo sull'apertura dell'istmo di Suez.
Ebbene; i nostri onorevoli lettori già sanno che
lo stato pontificio si distingue sopra tutti gli altri
stati italiani per il numero delle scuole ed istitu-
zioni agrarie; e che V insegnamento non solo trovasi
instituito nelle principali città, incominciando da Ro-
ma, ma si va estendendo anche nelle città minori,
ottenendone pure ancora tutto il favore della s.
Congregazione degli studi, e quindi per i spessi in-
coraggiamenti del Ministero del commercio.
Per addimostrare ora come il S. Padre ed il suo
governo s' interessino al prosperamento della nostra
agricoltura, prosperamento che ha base negli studi
e nei lavori delle istituzioni agrarie per il suo mag-
giore sviluppo, sempre in riflesso delle conseguenze
del taglio àelVistmo di Suez, diamo qui conto di una
154
recente circolare, sapientemente sviluppata, di S. E,
Rma monsignor Mertel Ministro deirinterno, la quale
tende a somministrarci elementi di grandezza, e più
reali vantaggi dal felice successo dei nostri sforzi.
Per tutti questi titoli Roma merita certamente
la speciale attenzione della pubblica opinione, per-
chè fin dal 10 giugno 1856 prese prima di ogni al-
tro paese italiano l'iniziativa onde dare alla nostra
agricoltura quello sviluppo tanto desiderato, e contri-
buire per la sua parte al successo di una bella ed
utile intrapresa.
Rechiamo in sunto la circolare medesima:
» Il Ministero deirinterno, dice il Ministro, ri-
conoscendo, che 1' agricoltura nello stato pontifìcio è
suscettibile in alcune parti di aumento e di miglio-
rìe, agli eccitamenti che fu mai sempre premuroso
di dare al maggiore sviluppo dell' agricoltura, è ora
in speciale dovere d'interessarsi in ciò con tanto più
intenso impegno, perchè ritenutosi come uno dei modi
efficaci a raggiungere il bramato intento quello de-
gli studi dell'accademie agricole, la Santità di No-
stro Signore, nell'applaudire e proteggere simili be-
nemeriti insti luti, ama ch'eglino siano aumentati tanto
generalmente quanto la possibilità de'migiioramenli
richieggono.
» Volendo dare novello impulso alla parte pra-
tica e più alla scienza, la Santità Sua non solo ha
degnato disporre che siano incoraggiati gli attuali
instituti agrari al pioseguimento de'Ioro lavori, e in-
vitati a comunicare quei risultamenti che possono
impegnare la considerazione del governo, ma inca-
155
rica il Minist<n'0 a promuovere simili iuslituzioni mer-
cè l'impegno de' presidi delle pioviiicie ove ancora
non sono costituite.
)) 11 MinisLero impegna la zelante cooperazione
dei presidi per procurare l'effetto delle benefiche in-
tenzioni del Santo Padre sulla erezione di nuovi in-
stituti agrari, il cui vantaggio è ben singolare spe-
cialmente in quelle città e provincie dello stato, che
sfornite per la loro posizione di modi contribuenti
all'attività del commercio, e che riconoscendo la loro
sussistenza dal solo prodotto della terra, hanno d'uopo
di maggiori lumi sulla forza produttrice di questo
elemento e sul modo di renderlo fecondo, introdu-
cendo nelle coltivazioni i miglioramenti opportuni
per la più prospera fertilità della terra, e per le
più vantaggiose conseguenze al commercio dello
stato ec. ))
E qui non dobbiamo omettere, che l' eccellenza
di monsignor Ministro del commercio, sempre lau-
dabilmente secondando le generose disposizioni del
Pontefice, con un dispaccio del 25 giugno pure di que-
sto anno esprimeva con molto accorgimento il de-
siderio di formare annualmente un prospetto slati-
stico delle basi, sulle quali sono fondali gl'instituti
agrari e le accademie sociali, e il loro relativo svi-
luppo, onde , ove occorra, promuovere vieppiù no-
velli incoraggiamenti.
Finalmente l'eccitamento ed il vivo interesse che
ha destato nello slato pontificio la speranza di ve-
dere aperta alle navigazione l'istmo di Suez sono con-
fermati, oltre gl'incoraggiamenti governativi, dal ve-
156
dere comparire non solo una società già sopra no-
minata, il cui scopo è di porre in navigazione quattro
navi ad elice, o sistema misto di più che 1000 ton-
nellate ciascuna, ma capitalisti anconitani scorgendo
il ben essere , al quale potrà aspiiare la loro patria ,
coraggiosamente fanno costrurre in quel can-
tiere due navi, nientedimeno della portata di 1000
e piii tonnellate, le quali attireranno l'ammirazione
ed il plauso dei marini i piiì eruditi; e che locate
le une e le altre rinipetto alle ferrovie saranno va-
levolissime ad aumentare viemaggiormente il pro-
prio traffico nella nuova via commerciale-
Roma perciò prevede e provvede, perchè già le
camere di commercio di Ancona e di Civitavecchia
sono state interpellate dal Ministero del com-
mercio per istudiare , proporre provvedimenti da
attivarsi, onde ottenere dall'apertura di Suez il no-
stro maggior possibile vantaggio e profitto che da
esso ne deriverà: e ciò dimostra 1' intelligente spi-
rito che guida il Ministro.
La nuova via di commercio adunque sarà tutta
attraverso l'Italia ; né le nazioni potranno percor-
rerla senza servirsi dei nostri porti, delle nostre strade
ferrate: e i nostii lettori saranno pur grati al signor
commendatore Petri che con il suo Planisferio ci
ha dato un chiaro intendimento per non farci ri-
manere neghittosi ed incerti in un momento di mas-
sime giavità.
Commercianti e capitalisti dello stato pontificio,
la esecuzione della impresa del Lesseps acquista ogni
giorno in probabilità; essa è destinata ad aprirci un
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157
vasto campo alla operosità ; le condizioni nostre
sono favorevoli, non resta che volere ! (1)
Erasmo Fabri-Scarpellini
(1) Vuole giustizia, che i nostri lettori abbiano conoscenza come
il oh. sig. commendatore Luciano Milaiita, console ^en. pontificio
in Odessa, attualmente in Roma, uomo di vastissime cognizioni
per tutto ciò che riguarda commercio e marina, in vari ragiona-
tissimi rapporti all'eccelso ministero del commercio , francamente
assicurava i sommi vantaggi, che avrà Roma dinanzi all'istmo che
sta per aprirsi alla umana attività.
158
Sulla filosofia deWarle. Ragionamento primo , lello
da Giovanni Torlonia, socio ordinario delVacca-
demia di archeologia, nelVadunanza degli Arcadi
il \^ settembre 1856 (1).
» Ovy.avv imt^'h "^a^rj T«g x«{ ccXJ.vjv
» xe)(yy)V Yjyrtvovv, ò ocùrò; xponòg
» vr^g axéipscjg taxi nzpì ùnaaw toov
» TS^^VflOV ».
Ma sé prendi a considerare per intero sia la poe-
tica, sia (jiialiin(|ue altra arte, la ragione dello
esalile e per tulle sempre la medesima.
Platone, nel dialogo intorno alla
poesia^ sul principio.
Di
'io si manifesta nel mondo sensibile e in quel
mondo intelligibile delle idee, cbe lo spirito umano,
fatto ad immagine dello spirito divino , di nuovo
pensa e svolge in sé medesimo. I/arte ha l'uffizio
di riprodurre, per quanto è possibile, questo duplice
mondo della natura e del pensiero; onde a ragione il
Tasso, nel primo discorso sul poema eroico, definisce
la poesia, cbe è la pili perfetta delle arti, imitazione
delle cose divine ed umane; ma questa riproduzione
od imitazione deve esser fatta in una forma tale cbe
perfettamente ed armonicamente manifesti l'Idea: ed
in questo proprio consiste l'eccellenza dell'arte.
L'arte è dunque una riproduzione dell'Idea del-
l'universo, ed in questa definizione si comprende la
copia servile della natura; ma l'arte nel senso più
159
alto di questo nome, la veia arte in cui riluce la
scintilla dell' ingegno, è quella che riproduce la vita
della natura e dello spirito, secondo che essa vien
trasfigurata nella mente dell'artista. Il quale vive,
nel seno della umanità e della natura, riceve dall'una
e dall'altra le idee, gli affetti, e le immagini; ma
poi, raccogliendosi nel silenzio fecondatore della pro-
pria intelligenza, crea un'opera nuova che cori*i-
sponde al tipo ideale ch'esso porta in mente e all'in-
dole particolare della sua età e del suo ingegno ;
allora solamente l'arte è un'operazione della facoltà
produttrice della mente umana, e l'artista è vera-
mente degno del nome di poeta. Poeta in greco si-
gnifica propriamente fattore: gli antichi tedeschi Io
chiamavano con lo stesso nome di fattore, o creatore,
scuof, schópfer, e i provenzali col titolo di trobaire,
in italiano trovatore , quasi inventore di nuove cose.
Sì, quella stessa facoltà che fu chiamata imma-
ginazione o fantasia , la quale viene esercitata da
ogni uomo nelle circostanze più comuni della vita,
si solleva nell'artista a potenza maggiore, e viene
da lui esercitata in tutto il vastissimo campo delle
idee eh' esso riveste di forme sensihili. Il che egli
può fare per quattro modi diversi. Primieramente,
avendo la mente fissa con assidua attenzione a tutti
gli oggetti naturali, può figurare quelli tra essi, nei
quali meno imperfettamente che negli altri si mo-
stra una determinata idea. La natura è inesauribile
nelle sue manifestazioni, e l'artista dee tutte osser-
varle con sollecitudine amorosa , non dee lasciarsi
sfuggire alcuna delle sue bellezze, alcuna delle sue
aiinonic. Talvolta certe belle figure nelle opere di
160
pittura, certe movenze vigorose o leggiadre, certi
volti animati da un carattere peculiare sono copie
di modelli viventi, e di atteggiamenti naturali presi
dal popolo: e fu il genio dell'artista che seppe sce-
glier quelli fra molti perchè più si avvicinavano al
tipo ideale. Il nostro Pinelli tolse i suoi stupendi
disegni dalle scene della vita popolare di Roma, e il
Rossini prese una delle melodie piiì gentili del suo
Barbiere da una canzone che un monello andava can-
terellando di sua fantasia perle strade della città. Edi-
fatti se questo studio della natura è profittevole in ogni
paese, lo è tanto più in questa Italia, in cui le cose na-
turali sono sì varie, e sì vicine all'ideale del sublime e
del bello. Quale artista non s'inspira in quest'aere lim-
pido e uminoso,in questo vivo azzurro del nostro cie-
lo, nelle forme graziose de'nostri colli, nella vista
incantevole de'nostri golfi inghirlandati di giardini e
di villaggi, nel maestoso o terribile aspetto del no-
stro A pennino ? Nessun popolo ha come il nostro
tanta naturale maestà e gentilezza nel portamento,
e un carattere sì vigoroso e tanta bellezza nel volto
siccome il nostro.
In secondo luogo l'artista non rinvenendo in un
solo individuo tutti gli elementi necessari ad espri-
mere il suo concetto, li va raccogliendo da'vari og-
getti del mondo reale, ed in questo esso opera per
la virtù sintetica del suo intelletto. A questo pro-
posito scriveva ottimamente il Giraldi sul finire del
secolo XVI: « Giova al poeta far quello che solea fare
Leonardo da Vinci eccellentissimo dipintore. Questi
qualora voleva dipingere qualche figura, considerava
prima la sua qualità e la sua natura, cioè se do-
veva essa esser nobile o plebea, gioiosa o severa,
161
turbata o lieta, vecchia o giovane, irata o di animo
tranquillo, buona o malvagia; e poi conosciuto l'esser
suo, se n'andava ove egli sapeva che si ragunassero
persone di tal qualità, e osservava diligentemente i
lor visi, le lor maniere, gli abiti e i movimenti del
corpo : e trovata cosa che gli paresse atta a quel
far voleva, la riponeva collo stile al suo libriccino
che sempre egli teneva a cintola. E fatto ciò molte
volle e molte, poiché tanto raccolto egli aveva, quanto
gli pareva bastare a quella immagine che egli voleva
dipingere , si dava a formarla e la faceva riuscire
maravigliosa ». Quello che Leonardo era solito di
fare per divenire esperto pittore, i grandi poeti dram-
matici lo usavano per divenir perfetti nell'arte loro
per via dell' intima conoscenza de' costumi umani.
A cagion d'esempio il Machiavelli, narrando la sua
vita in villa in una lettera a Francesco Vettori, così
scriveva: » Io mi levo col sole, e vommi in un mio
bosco che io fo tagliare, dove sto due ore a riveder
l'opere del giorno passato, ed a passar tempo con
quei tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura
alle mani, o fra loro o co'vicini. Trasferiscomi poi in
sulla strada nell'osteria, parlo con quelli che passano,
domando delle nuove de'paesi loro, intendo varie cose
e nolo vari gusti e diverse fantasie dì uomini »..
Ma tal volta gii elementi reali, che l'esperienza
porge all'artista, non sono baste voli ad esprimere il
concetto che esso porta in mente: ed allora egli Io mo-
difica, od aggiunge loro degli elementi nuovi prodotti
dalla propria immaginazione: ed in questo esso opera
per analogia e per induzione sollevandosi dal cognito
all'incognito, sicché ne risulta un'immagine in parte
G.A.T.CLXV. 11
162
imitata, in parte fantastica: la quale immagine rende
sensibile il concetto dell'artetìce , ma spesso però
non raggiunge il tipo perfetto di una determinata
idea.
Finalmente l'artista e collo studio assiduo della
natura, e colle pi'oduzioni della sua fantasia, può per-
venire fino a creare un'opera, in cui tutto intero si
figuri quel tipo ideale che gli risplende nella mente.
Ma onde si deriva questo tipo ideale che è la norma
suprema de'suoi lavori, onde viene nell'artista questa
virtù creatrice che ad incarnare il suo concetto dà
vita ad opere originali? E che cosa è questa luce
dell' ideale, (;he cosa è questa virtìi creatrice, se non
Torma della Divinità impressa nel genio? L'Idea stessa,
che si manifesta obiettivamente nell'universo, su-
biettivamente vive nello spirito umano; laonde questo
non solo ha la facoltà di ripensare l'Idea così com'ella
gli appare nel cerchio finito delle sue cognizioni e di
riprodurla in quelli oggetti in cui ella imperfettamente
riluce, ma eziandio ha la facoltà di esprimerla co-
m'ella è in se stessa, quando le cose naturali, ch'esso
conosce, non valgono a figurarla tutta intera. Le
idee , 0 siano i tipi delle cose sensibili, risplen-
dono nella mente dell'artista, e, come per la virtù
creatrice del pensiero divino si rivestono delle for-
me a loro convenienti nelle opere della natura, così
nelle opere dell'arte si manifestano nella forma per
la virtù dell'umano pensiero. Così l'arte si può dire
per verità una imitazione della natura , giacché
quella stessa Idea che splende nella natura, vive ed
opera nella mente e nel lavoro dell'artista. Questi
è necessariamente inconsapevole del modo, col quale
163
in lui si originano i tipi ideali , e come in lui si
vengon generando i nuovi concetti , le nuove im-
magini, le nuove armonie; perchè se esso prende,
per così dire , le mosse dalle cose reali per solle-
varsi oltre di esse, le forme novelle gli vengono pre-
sentate non da una serie di raziocini, ma dalla sua
produttrice immaginazione. 11 quale stato inconsa-
pevole proprio dell'artista fu bene espresso da Dante
in quei versi:
.... io mi son «m che quando
Amore spira noto, ed a quel modo
Ch'ei detta dentro, vo significando.
Qui consiste la inspirazione dell'arte che i Greci sim-
boleggiarono con la favola delle Muse: essi credei
tero ancora che le arti fossero state insegnate a
popoli primitivi da uomini divini, odagl'istessi iddii.
Finsero che Dedalo li avesse ammaestrati nella scul-
tura, ed Apollo stesso avesse dato il ritmo della poe-
sia, la quale per questo fu particolarmente onorata
come cosa sacra. La presenza dell'Idea nel genio ge-
nera in lui quel moto particolare dell'anima, che a
ragione i Greci chiamarono enlasiasmo, per mostrare
che nei solenni momenti dell'inspirazione Dio è pre-
sente nell'anima. Vi piace forse di avere una prova
sensibile di questa virtù creatrice che si agita nel-
l'artista ? Mirate il volto del vero poeta. Una luce
viva e serena sfavilla dagli occhi suoi, e par ch'esso
gli affissi ad un oggetto che è invisibile a tutti fuori
che a lui: le cose reali che lo circondano talvolta
lo commuovono fortemente, talvolta egli è così as-
164
sorto nel vagheggiare i suoi pensieri che nulla sente,
nulla ascolta e nulla vede: quando poi esso discio-
glie il canto, un lieve tremito percorre le sue mem-
bra , e la luce de'suoi sguardi si fa più viva: egli
sente nel suo intelletto la perfetta manifestazione
dell'Idea, e quell'arcana e meravigliosa armonia per
la quale essa spontaneamente si disposa alla forma,
e r anima sua è rapita da un' estasi tale che dal
suo volto sfavilla una gioia sovrumana. Dalla me-
desima cagione deriva ancora che nelle opere del
vero genio non appare alcun artifìcio, alcuno sforzo,
ma sono spontanee come le opere della natura;
esse non sono un accozzamento di vari elementi
reali uniti insieme da un vincolo solamente este-
riore, perchè l'artista dopo aver elaborato nella sua
mente quelli elementi che gli porge la esperienza,
genera un concetto , il quale pervade tutta intera
l'opeia sua: quindi avviene che in questa le parti
si corrispondono fra di loro, e sono ordinate ad un
fine, come nei corpi organici. 11 genio è creatore,
e perciò esso mai non si ricopia, ed è sempre ori-
ginale come la natura , ed inesauribile nelle sue
varie manifestazioni. Sì, lo ripeto, come ogni opera
della natura è la attuazione di una idea divina ,
così ogni opera dell' arte è la attuazione di una
idea dell'artista. Talvolta, già lo abbiam detto, il
suo lavoro, tuttoché in parte fantastico, non giunge
a manifestare tutto intero il tipo ideale , e quindi
per questa parte non si distingue dalle opere della
natura: talvolta invece le supera, non già in quanto
alla vita che gli manca, ma bensì perchè esso esprime
più perfettamente una determinata idea. Allora l'arte
165
si solleva all'ideale, che è la intera manifestazione
di un concetto nella forma. Converrebbe percorrerò
tutti i secoli, e tutte le regioni della terra per racco-
gliere dalle virtiì e bellezze sparse la virtiì e la bel-*
lezza ideale; ma a Dante questo non fu necessario,
e s' egli inspirossi negli esempi reali che ne avea
intorno a sé, li modificò per la forza creatrice del
suo genio, sicché ne risultò l'immagine sovrumana
di Beatrice. Similmente il divino poeta raccolse dai
fenomeni e dalle scene pili spaventose della natura
gli elementi necessari a concepire l'idea dell' inferno.'
ma l'ideale compiuto del terribile e del deforme gli
venne suggerito dalla sua potente fantasia. Fu questa
forza del genio che dallo studio della natura sollevò
il pittore di Fiesole, il Ghirlandaio e il Botticelli ai
tipi ideali nel dipingere quelle loro stupende figure
di angioli. Raffaello nel dipingere i filosofi antichi
ed i padri della chiesa riprodusse in quelle figure
gli elementi che la storia gli porgeva per immagi-
narle; ma, impadronitosi del concetto che dominava
ognuno di quegl'individui, lo modificò, lo trasfigurò,
e rinvenne quella forma che fosse più atta ad espri-
merlo. Il Tasso nel concepir la Gerusalemme si diede
(com'esso stesso narra nelle sue lettere) alla ricerca
di tutte quelle nozioni che la storia e la natura gli
porgevano per ordir la gran tela, e delineare i ca-
ratteri del suo poema; ma ciò non ostante egli at-
tribuì la miglior parte del suo lavoro alla inspira-
zione del suo genio tutelare. E fu veramente per
un'interiore inspirazione ch'esso, sollevandosi oltre gli
esempli reali che conosceva, potè concepire gli stu-
pendi caratteri di Sofronia, di Erminia e di Tancredi.
166
Michelangelo avea speso molti anni nello studio della
natura, ma pure stimava che questo non gli bastasse
ad immaginare un'opera perfetta dell'arte, e perciò
scriveva nel sonetto secondo, parlando dell'anima:
Spiegando ond'ella scese in alto l'ale
Guarda non puie al bel che agli occhi piacct
Ma perdi' è troppo debile e fallace
Trascende inver la forma universale.
Similmente Raffaello scriveva a BaldassarCastiglione,
parlando della sua Galalea: « Per dipingere una bella
mi bisognerebbe veder più belle. Ma essendo ca-
restia e di buoni giudici e di belle donne , io
mi servo di un'idea che mi viene nella mente ».
Leonardo da Vinci, il più attento osservatore della
natura, pur, come dice Lomazzo, « rimirava continua-
mente nella divinità». Nel dipingere la cena egli rac-
colse bensì da esempli reali le figure degli apostoli,
ina quando venne alla figura del Cristo esso attese
luDgo tempo, perchè diceva di volerla trovare in cielo,
e, come dice il succitato scrittore, mai non credette
di aver compiuta interamente quella santa faccia ,
sebbene ella fosse singolarissima per la bellezza ;
cercando sempre nella sua fantasia nuove forme per
esprimere con esse più efficacemente il suo con-
cetto. — Mi valga l'autorità di questi grandi mae-
stri dell'arte, e specialmente dell'ultimo, per difen-
dermi contro la scuola naturalista, che niega al genio
dell'artista quella virtù creatrice che manifesta m lui
la vivente operazione della mente divina, e trascen-
dendo i limiti delle cose naturali figura nelle opere
167
sue tutta intera l'Idea deiruniverso. Il vero artista,
il vero poeta vive nel mondo reale, e gode delle sue
bellezze , ma porta in sé slesso un nuovo mondo
ideale, assai più bello: questo esso contempla, ([uesto
vagheggia, ed a questo dà una vita esteriore nelle
opere sue.
Ma ciò che ho detto > non vale soltanto * per
l'Ideale del bello, ma per tutte le altre maniere in
che l'idvasi manifesta: giacché l'artista, avendone la
immagine intera nella mente, può tutte perfettamente
esprimerle nelle opere sue. Escirei dai limiti di questo
ragionamento, se io venissi a parlare distintamente di
ciascuna di esse, ossia dei Bello, del Brutto, del Su-
blime e del Ridicolo. Questo sarà forse l'argomento
di un altro mio discorso su questa materia, se la
provvidenza vorrà ridonarmi quella vigoria giovanile
degli occhi, che ora ho quasi interamente perduta,
e che è necessario stromento negli studi estetici e
critici-
Ma qual è la forma, nella quale si figura l'idea?
Ogni artista sceglie quella a cui esso è condotto sia
per l'indole particolare della sua fantasia, sia perla sua
educazione. A pochissimi è dato di [)Oler esprimere
V idea in tutte le forme dell'aite. Questi spiriti pre-
diletti del cielo, ai cui concetti serve tutto il mondo
sensibile, sono unica gloria della nostra Italia. Mi-
chelangelo fu architetto, scultore, pittore e poeta,
e Leonardo da Vinci congiunse l'esercizio della mu-
sica alle altre arti sorelle: perfezionò egli medesi-
mo la sua lira d'argento , e su di essa improvvi-
sando de' versi , si prendeva diletto d' interrom-
pere così l'assiduo lavoro delle sue dipinture. Parve
168
eho il Gonio dolTarte, che avea posto il suo trono
in questa terra beata, in lui s' incarnasse per mostrare
in un solo individuo come l' idea, che vive neli' in-
telletto dell'artista , si foccia signora della forma ,
e tutta intera in essa per varie guise risplenda.
Se lo scopo supremo , a cui l'arte intende , è
quello di riprodurre l' Idea , le singole arti non
vi possono giungere se non parzialmente , cioè in
quel circolo, determinato dai limiti della forma eh' è
propria d'ogni arte in particolare* Se per esempio
Je arti del disegno possono esprimere l' Idea co-
m'essa si manifesta nell'elemento dello spazio, non
possono però esprimerla nell'elemento del tempo, o
in altri termini; se possono render sensibili le idee,
e rappresentare la natura pel senso della vista, non
Io possono pel senso dell'udito ; e così vicevèrsa
quello che possono le arti del suono, non lo pos-
sono le arti del disegno. Laonde la partizione del-
l'arte in queste due famiglie diverse è evidentissima-
Y' è poi tra le varie arti un progresso ascendente
dall'una all'altra , in cui ciascuna viene a supplire
alle mancanze delle compagne: ed è concesso sol-
tanto alla riunione di tutte l'attuare quello che ab-
biamo veduto essere lo scopo supremo dell'arte.
L'architettura ha molte volte solamente un fine
di propria utilità ne'suoi lavori, e quindi non si leva
sovente al fine estetico dell'arte. Non pertanto or-
dinando le parti dell'edificio tutte ad un fine, e nel-
l'armonia delle proporzioni, non fa che riprodurre il
principio fondamentale dell'universo, l'ordine, e mo-
difica la materia informe facendola servire a questa
idea. Facendo un passo ancora più oltre l'archi-
169
lettura può manifestare il fine a cui V edifìcio è
ordinato , sia ooll'apparenza esteriore della massa
dell'edifìcio stesso, sia cogli ornati acconciamente di-
stribuiti. Allora la fabbrica è un simbolo nel quale si
figura r idea che ne ha diretta la esecuzione. Cosi
l'architettura dei templi persiani ed egizi ci mostra
con la larghezzza del piano, con la gravità delle co-
lonne, colla mole dei recinti che il mistero, il su-
blime, r idea dell'Infinito era il concetto dominante
di quei culti. Il tempio greco con le svelte sue co-
lonne che lo ricingono quasi leggiadra corona, fa-
cendo entrare liberamente e l'aria e la luce, co'suoi
gentili e svariati ornamenti, coi timpani destinati ad
accogliere le statue, ci palesa chiaramente di esser
fatto pel culto religioso di quel popolo , il quale
cercava in ogni cosa il bello che soddisfa i sensi ,
e serena lo spirito , per quel culto che tentava di
riconciliare nella vita terrena lo spirito colla natura.
Certamente la forma della tenda presso gli Orientah',
e quella della capanna presso i greci dettero ori-
gine a queste diverse figure dell'architettura; ma è
vero ancora che l'arte fece sue queste forme sug-
gerite dai bisogni naturali, perchè elleno servissero
come simboli ad esprimere l' idea dominante del
culto popolare. La cattedrale gotica è però l'edifi-
cio dove il simbolo domina più che in qualunque
altro: essa è come un corpo organico ordinato a far
sensibile il pensiero cristiano. I pilastri , le colon-
nette e gli archi si slanciano arditamente nell'alto,
simboleggiando così lo slancio delle anime innamo-
rate verso l'Infinito: il piano della chiesa ha la forma
di una croce, simbolo della redenzione: l'altare, come
170
contro del culto, sorge solo sublime sopra molti gradi
nel centro dell'abside, sicché tutti gli sguardi come
tutti i pensieri si dirigono a lui, ma spesso un muro
di separazione (jubé) si frappone tra esso e le navate
per modo che il popolo intenda all'oggetto supremo
del culto, ma si arresti riverente all'ineffabile mistero
che lo circonda. La rosa di vetri coloriti, che, posta
sulla porta principale, effonde la luce nella navata
maggiore, è simbolo del divino Spirilo, che illumina
ed avviva la chiesa: la luce incerta che si diffonde per
le navate e per l'abside è simbolo di quello stato
doloroso, di quel mistero, ch'è proprio della vita
terrena ma le torri ornate di sante immagini e di fiori
scolpiti si elevano altissime nell'aria libera elumìnosa
a simboleggiare quella vita novella, a cui sospira la
chiesa militante. Perfino le più piccole particolarità
dell'edificio servono alla manifestazione dell' idea; i
capitelli si mutano in vaghissimi fiori, la luce entra a
traverso le dipinte immagini dei santi, e l'occhio non
può affissarla senza riguardare le celesti effigie dei
seguaci di Cristo: i demoni e le bestie deformi della
natura servono a sostenere il peso del tetto, espri-
mendo cosi l'alta idea provvidenziale che nell'ordine
del mondo il male dee servire al trionfo del bene.
Ma se il cristianesimo conducendo il pensiero umano
al massimo suo svolgimento portò Tarchitettura sim-
bolica a tanta potenza nello esprimere l' Idea, essa
però si dee rimanere nel manifestarne indistintamente
alcuni concetti generali, la natura e la vita degl'in-
dividui non possono da essa venir figurate sensi-
bilmente.— E qui incomincia l'uffìzio della scultura
e della pittura.
171
La scultura rappresenta l' individuo della natura
sensibile, e Supratlutto dell'uomo, e rappresentando
r uomo esprime in esso un momento determi-
nato di un fatto o il simbolo di una idea: nella
statua il carattere dell'individuo apparisce non solo
nel volto, ma in tutte le movenze delle membra.
Lo scultore può andare ancora più oltre, e nelPag-
gruppare diverse statue, o diverse figure rilevate,
può mostrarci il rapporto fra diversi individui ed
un fatto in cui più individui abbiano parte. Così
avviene nei bassorilievi, e meglio ancora nei gruppi
fatti per adornare una sala , o il frontone di un
tempio. Vi rammenterò, a cagion d'esetnpio, il Lao-
coonte , i due lottatori di Canova , i frontoni del
Partenone e del tempio di Egina , e le moderne
opere di Schwanthaler sui due prospetti del Walhal-
la. — Ma se la scultura esprime la vita e le idee
degl'individui umani nell'elemento dello spazio, non
può esprimerli interamente , e convien poi die ri-
nunci a rappresentare la vita della natura: le sue
opere hanno il rilievo, ma non hanno il colore, pel
quale e specialmente per la luce degli occhi si palesa
il profondo sentimento dell'anima. La pittura se per .
una parte manca del rilievo, può per l'altra supplire
a questo difetto colla varietà delle tinte , e si av-
vantaggia inoltre per tre capi sulla scultura; giacché
primieramente può rappresentare tutta la natura , e
mosti-are in alcune immagini la sua vita, in secondo
luogo ha facoltà di aggruppare liberamente molte fi-
gure, più assai che non possa la scultura, e finalmente
può mettere in rapporto le figure con una scena deter-
minala, ciò che la scultura non può; e così giunge a
172
figurare dei fatti o delle idee più complesse, come
avviene nei quadri storici , nei quali le due specie
diverse di pittura, il paese e la figura, si congiun-
gono insieme, e danno l'opera più compiuta di que-
sta forma dell'arte. Uno de'nostri più valenti poeti
vi ridirà tra poco , meglio assai di quello che io il
possa, le meraviglie della pittura (2): ella è inesauribile
come la natura nelle sue creazioni , ed or ci mo-
stra le scene più sublimi, ora ci offre la grande va-
rietà della vita vegetale, or quella ancor maggiore
della vita animale, e finalmente giugne al sommo
della sua potenza facendo rivivere sulla tela le sem-
bianze umane, sicché in esse si palesi il moto degli
affetti, e la luce dell' intelligenza immortale. Allora
essa ci rende sensibili in alcune figure tutti i con-
cetti morali, e ci porge in una serie di quadri i mo-
menti più segnalati della storia dell'umanità.
Ma la scultura e la pittura non escendo dal-
l'elemento dello spazio, non possono rappresentare
r Idea, se non in quanto essa apparisce alla vista,
e quindi soltanto in uno o più determinati momenti.
La successione varia e continua delle idee e degli
affetti, quello che propriamente constituisce la vita
dello spirito, non può mai manifestarsi nell'elemento
dello spazio, ma solo per la successione dei suoni
nell'elemento del tempo -La musica allora è il primo
passo che l'arte fa per riprodurre sotto forma sen-
sibile la vita dello spirito umano. Essa espri-
me il vario moto degl' intimi affetti coll'alternarsi
dei tuoni or alti or bassi, ora più lunghi ed or più
brevi; ora il sospiro dell'anima amante, ora il la-
mento del dolore, ora la calma ed or la tempesta
173
del cuore, ora l' incertezza del dubbio, ora l'entu-
siasmo della gioia. I diversi istromenti esprimono
diversi affetti, ed è concesso solo all'arpa, all'organo,
al cembalo, ma soprattutto alla voce umana, il ri-
velare con egual forza tutti gli affetti. La voce umana
non solo si piega meglio di ogni strumento alla
varietà dei suoni, ma li esprime con un tuono che
pili profondamente commuove l'anima: anzi la mu-
sica istrumentale tanto meglio è interprete degli
umani affetti, quanto più si avvicina colla imitazione
alla voce umana. La unione di pili voci in un coro,
0 di più istrumenti in una sinfonia, manifesta la
unione di più affetti in un affetto solo; e quando il
coro segue dietro all'intonazione di un individuo ci
mostra mirabilmente il convenire di quello nel pen-
siero e negli affetti di questo, come avviene sovente
nella musica religiosa , e specialmente sul principio
del Gloria e del Te Deum. Se la melodia rende sen-
sibile la successione degli affetti, l'armonia ci fa sen-
tire eziandio l' intrecciarsi di vari affetti nello stesso
tempo. Nel quartetto del Viscardello , nell' armo-
nia delle quattro voci si congiungono i quattro
diversi affetti degli attori , come quattro rivi che
mantengono le loro onde distinte, ancorché scor-
rano uniti a formare un sol fiume. Gli uditori an-
cora senza il sussidio delle parole sentono ad un
tempo il carattere spensierato della ostessa, l'amore
ironico del duca, l'affannosa gelosia di Gilda, e l'ira
mal repressa di Viscardello. Però con tutto questo
la musica non può se non esprimere indetermina-
tamente e vagamente gli affetti, non può mostrarne
le particolari varietà , e svolgergli in tutta la loro
m
174
pienezza; non può poi assolutamente levarsi ad espri-
mere sotto forma sensibile i concetti dell' intelli-
genza , e conviene che rinuoci quasi interamente
alla rappresentazione della natura. Dico quasi in-
teramente perchè può figurarne una parte imitan-
done i suoni: e come esempi più pefetti di questa
imitazione citerò le belle armonie imitative della
Creazione di Haydn e quella di Blumenthal , nella
quale esso tentò di riprodurre il suono sempre
vario di una sorgente che gorgoglia , e frangen-
dosi in mille modi diversi in mezzo ai sassi si
muta in un placido rivo. Abbiam così veduto come
imperfettamente la musica adempia in sé lo scopo
supremo dell' arte. — Là dove finiscono le sue fa-
coltà, s'inizia l'ufficio della poesia.
La poesia esprime l'Idea non più con suoni inde-
terminati, ma con suoni i quali esprimono determina-
tamente tutta la varietà dei pensieri e degli affetti, e
che valgono ancora come segni perfigurare avanti alla
fantasia tutti gli oggetti e tutti i fenomeni della natura.
Le parole armonicamente disposte costituiscono quel-
la forma maravigliosa, nella quale Io spirito umano
rende sensibile a sé medesimo tutto il mondo in-
telligibile, e riproduce in una vivente rappresenta-
zione tutta quanta la natura. Così la poesia se nel
palesare lo svolgimento della vita dello spirito com-
pie quello che la musica tentava e non riusciva a
fare, si sforza ancora di esprimere al vivo 1' imma-
gine della natura e dell' individuo , rappresentan-
dola se non nel rilievo e nel colorito, come le arti
de! diségno, almeno, come già ho detto, con quei
segni che riconducono avanti alla fantasia le viventi
175
figure delle cose sensibili. Nelle varie specie del-
l'arte, che abbiamo fin qui discorse, noi vedemmo
come r Idea di grado in grado si andasse sempre
più manifestando per mezzo di esse , tentando di
pervenire a figurarsi tutta intera nella forma. Ella
giugno a questo scopo nella poesia, la quale si può
chiamare l'arte per eccellenza: in essa finalmente lo
spirito umano rinviene la forma acconcia ad espri-
mer tutti i suoi concotti: ella è quello specchio im-
macolato, in cui si riflette intera V Idea dell'universo.
Qui, peramordi brevità, son costretto a interrom-
pere il mio ragionamento: un'altra volta continuandolo
vi mostrerò, come la poesia accolga in se, e adempia
gli uffici delle altre arti sorelle, e considererò parti-
tamente la sua virtù pittorica e la sua virtù musicale.
Dirò come l'idea si manifesti diversamente ne' tre
divei'si generi ni poesia, e come nel teatro sì congiun-
gano insieme tutte le varie forme dell'arte. Discor-
rerò poi dell'armonia esteriore della forma, e final-
mente ragionando del fine supremo dell'arte, di grado
in grado ascendendo noi vedremo come in essa ri-
splenda tutta la luce dell'idea, perchè, come scriveva
Platone sulla fine del Convito: « La bellezza sensibile
è scala alla bellezza dell' anima , e questa ci con-
duce alla contemplazione della Bellezza Assoluta, la
quale costituisce la vita vera dello spirito umano ».
(1) Questo ragionamenlo, come i due altri che lo seguiranno,
non sono per verità se non frammenti di un'opera più compiuta sulla
filosofia dell'arte. I miei studi su questo soggetto sono ancora troppo
immaturi perchè io speri di poter dare tra breve un lavoro meno
imperfetto su questo importante argouieato. A questo scopo su-
li letleraii, e fin da ora ne lac-
,re.o però -^-'^^""^A/^^l^rieUori , pregandoU a compatire
ciò la promessa a> me zetetica.
177
Osservazioni ozonomelricìie islituile in Roma neW ago-
sto 1856 da Caterina Scarpellini aW altezza di me-
tri 60, i3 sul livello dal m.are.
' F>a ricerca delle cause, più che le allre, fu
« suggello di indagini, argumeiilo di ipotesi,
» palestra di conlese infinite: indagini che sono
» ben lontane dall'essere esaurite con tutto il
» rigore scienlifico in oggi voluto; ipolesi che
» non sempre discendono legillime dalle no-
» zioni comechesia aquisite; conlesc che non
» di rado falliscono al vero, perchè troppo
» spesso passionate, irte di equivoci nel con-
» cello e nel linguaggio, o mosse da principi
» maldetìnti o malfermi d.
Sull'Ozono atmosferico. — Sper lenze e considera-
• zioni del dott. G. Strambio di Milano.
'ifferenli sono gli o|jiiiamenti intorno alla natura
dell'ozono. — Però è noto ch'esso sì bene intra-
veduto dall'olandese Van-Marum infin dal 1785 ,
non venne notiziato al magisterio delle scienze che
nel 1840 dal sapiente di Basilea prof. Schònbein
rinventore del cotone fulminante (1). — Primamen-
te presupposto uno degli ingredienti dell'azoto (2);
poi un composto binario azotato (3); quindi un bi-
ossido, od un tritossido d' idrogeno (4), un acido
(1) In Italia furono pronunciate le prime parole su questo corpo
particolare dallo Schònbein stesso al congresso scientifico in Mi-
lano nella sezione di tìsica, presedula dalla eh. me. del prof. F.
Orioli.
(2) Ozonido d'idrogeno, Schonbfin.
(3) Schònbein.
(4) JMarignac, Schònbein.
G..\.T.CLXV. 12
178
idi'ogenoso (1), un fosfuro d' idi'Ogeno (2), e final-
meute dopo gli studi di Marignac, de La Rive, e dello
stesso Schonbein tenuto come una sennplice modi-
ficazione dell'ossigeno, come uno stato isomerico od
allotropico di questo gas (3) , ed in seguito dato
anche il nome di ossigeno ozonato (4), di ossigeno
elettrizzato (5) , e di ossigeno nascente (6) , senza
che i nuovi nomi facessero obliare l'antico. È noto
ugualmente « come l'azione che l'ozono esercita sul
ioduro potassico, e '1 iodio sull'amido venisse resa
utile per la confezione di cartoline esploratrici, le
quali palesarono che la elettricità meteorologica ha
virtiì di ozonizzare l'ossigeno nell'atmosfera; è noto
da ultimo che le cartoline esploratrici , od ozono-
scopiche, sono preparate con soluzioni di ioduro po-
tassico e di amido ; che l'ozono decomponendo lo
ioduro potassico per produrre un ossido di potassio,
e liberare lo iodio, dà luogo ad un ioduro di amido
tanto più abbondante quanto la sua azione è più
energica; e che la quantità dell'ozono atmosferico
misurasi sulla varia intensità della colorazione vio-
laceo-turchina del ioduro di amido formatosi sulle
cartoline di cui è parola » esposte all'aria libera ,
difese dalla pioggia, dal sole, e non influenzate da
esalazioni mefitiche.
Conciossiachè, chiamata dalla lusinghiera con-
(1) BaumcTt.
(2) Forni.
(3) Berzeliiis, Faraday.
(4) Schonbein.
(o) Bequerel, Fremy.
(6) Auzeau.
179
fìdenza di alcuni sperìiiientatori ozonoscopisti ad in-
traprendere in Uoma metodiche osservazioni su que-
sto nuovo agente meteorologico, assunsi l'onorevole
officio con quello slancio volenteroso che seppe in-
spirarmi la bella vista della eminente utilità, e la
immutabile convinzione di trovare nei distintissimi
collaboratori della Romana con'ispondenza scientifica
quei cortesi e savi consigli, necessari a farne uscire
alla fin fine uo criterio non incerto, ma franco per
mirar sempre al supremo scopo di raccogliere ele-
menti valevoli ed immutabili.- Sebbene non sia pre-
sumibile che da ben ordinate osservazioni di un
mese (1) che ora do conoscenza, non possano co-
statarsi risultàmenti a chiarire in qualche modo le
già fatte ricerche ed ipotesi « che non sempre di-
scendono legittime dalle nozioni comecchesia acqui-
site: )) pure dalle scrupolose osservazioni psicro-
metriche, dalle llultuazioni ozoniche, fra queste, e
le variazioni termometriche , a me sembra potere
notiziare, che la curva delle variazioni ozoniche in
Roma segue un cammino pressoché inverso a quello
della temperatura, e queste variazioni sono in ra-
gione pt)co meno che dirette della umidità relativa.
A questo opinamento, discusso per l'espressione
grafica delle cifre contenute nel quadro mensuale,
le mie osservazioni darebbero una piena conferma a
quelle praticate dai sigg. (1 Bequerel e Fremy, ed
a quelle di Berigny e Richard testé fatte all'ospe-
(1) Ho pure registrato ititerrottaitiente altre osservazioni nei mesi
di marzo luglio del correulc auno che mi servirono anche di guida.
Ì80
dille mililaro di Versailles (1): colla differenza però,
che le cavtoline di questi erano locate negli an-
goli del cortile al sud , e le mie trovansi all' aria
libera, pura, e ardirei dire illimitata , e precisa-
mente dalla parte nord all' altezza di metri 60,43
sul livello del mare, avente la stessa posizione il
psicrometro ed il termometro (2): e perciò sarà
argomento di ulteriori investisazioni fra le osser-
vazioni di Roma e di Parigi per produrre sempre
nuovi dati importanti.
Risultamenti positivi mi hanno dato per i tem-
porali sull'abbondanza dell'ozono come il prof. Schòn-
bein ha annunciato (sempre però nei limili di queste
poche osservazioni): e di fatto, nel temporale della
sera 5 agosto con tuoni e lampi nelle vicinanze di
Roma dalla parte di S. E. e di S. S. E. la mattina
del 6 trovai abbondanza di ozono; e devo pur qui
avvertire che nel mio registro del 31 luglio p. p.
trovo che l'ozóno giungeva sino al decimo grado
per un gran temporale avvenuto in Roma alle ore 2
pomeridiane, - Aumento di ozono parimenti si ebbe
pel temporale del 19 agosto alle ore 3 ant.
11 quadro mensiiale che p4'esento (*) sei'Virà per
richiamare vieppiù l'attenzione su questo agente mi-
sterioso, che non sembrami trascurabile, pel quale
si faranno commenti negativi o positivi a fonda-
mento delle deduzioni di altri rispettabilissimi ozot
noscopisti.
(1) Nel mese di agosto 1855 alle ore 6 del mattino, a mezzodì,
alle 6 della sera, ed a mezzanotte.
(2) Il barometro trovasi nello inl^'ruo della camera già prove-
duta di lutti quegli istriimenti necessari onde esattamcnlc adem-
piere alla onorevole incumhenza.
181
Ora da questo quadro risulta, dio la minima quair*
tità. di ozono è 4 , la massima 9 , la media delle
ore 24 è 5; che ve n' è quasi più di notte che di
giorno, perchè probabilmente il giorno avvi la luce
che disozonizza l'aria vitale. - La media mensualc
però è massima pel giorno che per la notte, lo stesso
è per l'umidità relativa.
Con la continuazione delle mie osservazioni avrò
dei dati tutti valevoli per confrontare ciocché scri-
veva il eh, prof. Orioli nel Florilegio medico , che
« l'ozono è massimo in primavera, quando la ve-*
getazione attiva là produzione dell'ossigeno nascente
e i fenomeni elettrici, e in generale le naturali ope-
razioni cosmiche d'ordine chimico, al risvegliarsi del-
l'anno, han più giuoco; minore nel verno, e piiì nella
estate, seguendo, secondo tutte le apparenze, le fasi
della vegetazione e della influenza dell' insolazione;
minima nell'autunno al primo spogliarsi degli alberi,
e illanguidirsi delle grandi operazioni chimiche ».
Però a me sembra, sarebbe di alto interesse, che
tali osservazioni ozonometriche ripetendosi od esten-
dendosi in tutta la nostra penisola venissero intra-
prese con modi uniformi , onde riescire a confron-
tare le risultanze finali , tanto perciò che toccale
quistioni meteorologiche, quanto per ciò che inte-
ressa la fisica generale e l'etiologia. - Io mi valgo
della carta ozonometrica dello stesso Schònbein, e
m'attengo alla scala da lui tracciata. Credo, così
scriveva l'eccellentissimo sig. dot.GaetanoStrambio al
direttore della Corrispondenza scientifica di Roma (l)v
(1) 10 febbraio 185G.
182
« che l'uniformità nei mezzi di esplorazione ozo-
nica e di misurazione sia indispensabile a compren-
derci reciprocamente , e riprovo quell'anarchia che
ogni osservatore tenta d' introdurre sia nella prepa-
razione della carta , come nella graduazione delle
scale )). Fra Roma e Milano esistendo adunque una
uniformità (1), potranno essere confrontate le mie os-
servazioni, come saranno confrontale dagli esteri os-
servatori che tengono lo stesso sistema.
Concludo finalmente con questa mia brevissima
nota, che le conseguenze della importanza di siffatte
ricerche, la spiegazione e le più intime relazioni di
questo fenomeno, la ricognizione di altre anche più
interessanti (2), e certe specialità più caratteristiche,
dovranno avere per saldo appoggio numerose osserva-
zioni comparate, uniformi: ed io, soltanto col buon
volere, coopererò ai migliori e più rapidi progressi
di una scienza tanto utile e bella, quanto disagevole
e misteriosa, per la quale vanno esercitandosi a gara
i fisici ed i medici, i meteoristi ed i loimografi.
A dì 15 settembre 1856
Caterina Scarpellini
(i) Sperimentando gli eccellentissimi dottori Gaetano Strarobio e
Giovanni Polli.
(2) Ho pure desiderio di estendere le mie ricerche sulla elet-
tricità atmosferica, onde confrontare le mutazioni dello stato elet-
trico con quello ozonoscopico estese anche alle anemoscopiche-
183
(*) Quadro mensuale dcìle osservazioni ozonometriche,
psicrometriche, termomclriche, harometrichc, e slato
del cielo.
Ozono
Media
Um
dita
St
alo
Agosto
atmosferico
ozonica
rela
tiva
del
cielo
1856
— ~i— ^_-^~
giorna-
-—«.^
.
'v.--— >.
1
7 m.
6°0
7ser.
liera.
6 25
7 m.
68
7ser.
7 mat.
7 sera
6''0
70
Nuvolo
IN
2
7 0
6 0
6 3
69
68
Velato
V
3
S 0
4 5
3 0
61
66
Nuv.sp.
s
4
6 5
6 0
6 25
61
67
Sereno
s
5
7 S
5 5
7 0
62
72
s
V
6
9 0
6 5
7 25
77
68
N
N
7
6 0
4 S
5 3
62
63
V
s
8
7 0
3 0
3 5
62
63
N
s
9
5 5
6 5
6 0
73
64
S
N
10
7 0
6 0
6 3
61
SI
V
s
n
6 0
6 5
6 25
60
57
s
s
12
6 0
5 0
3 3
57
36
s
s
13
5 3
6 0
6 0
50
36
s
s
U
5 0
4 3
3 0
58
62
s
s
15
4 3
6 5
3 3
60
73
s
N
16
6 3
6 5
6 0
67
70
Nebbia
s
17
7 0
6 0
6 5
60
55
Neb.
s
18
6 0
7 0
7 0
48
60
N
N
19
7 3
7 0
7 0
50
61
N
N
20
5 0
8 0
5 0
73
75
S
S
21
6 0
4 5
3 23
48
68
N
s
22
4 0
6 3
5 23
68
65
S
N
23
7 0
6 3
7 0
74
77
Nebbia
Nebbios
0
24
4 5
6 5
5 5
83
68
S
N
23
5 5
3 3
5 0
50
38
V
N
26
6 0
6 5
7 0
56
38
N
S
27
3 5
6 0
6 0
58
66
S
s
28
6 3
7 0
7 0
73
66
N. sp.
N
29
7 0
7 0
7" 0
72
76
Nebbioso
Nebbios
0
30
4 5
6 b
6 0
78
73
V
S
31
5 5
7 3
6 5
SO
69
s
S
Med.
5,8
6,0
63,i
66,0
mens.
N. B. L'osservazione notturna figura nella cifra del maltino, e la
diurna nella cifra della sera.
184
Terinomft.
Baromet. in niil
ini
centigr.
ridotto a 0'
Osservazioni
Tm.
20° 0
7ser.
21 0
7 mat.
750""" 90
7 sera
752
65
23 0
26 0
753 40
752
89
22 0
24 0
753 49
753
55
22 0
25 0
753 68
752
77
21 0
22 0
751 65
751
55
Temporale alle ore 9 pom.
24 0
22 0
750 61
750
70
25 4
25 0
750 32
750
53
21 0
24 5
755 99
732
33
Pioggia ore 11 40 antim.
24 0
25 0
752 74
752
74
Piccola pioggia
21 0
25 0
752 90
752
97
26 0
24 0
752 74
753
44
27 5
28 0
756 45
746
35
27 0
28 0
753 06
753
17
28 5
28 5
753 74
753
85
25 5
28 5
754 42
753
50
25 0
28 0
754 07
754
18
28 0
28 0
753 62
748
02
30 0
25 0
745 19
745
48
28 0
27 5
745 47
746
21
Temporale ore 3 ant.
27 0
27 0
746 22
748
39
23 5
27 0
751 22
750
95
27 5
27 0
750 28
748
92
27 5
26 5
748 47
749
37
20 0
26 2
751 10
751
08
19 2
24 «
752 80
750
86
18 5
22 0
751 11
75i
66
19 0
23 0
751 22
751
43
29 0
22 0
752 90
752
78
21 0
24 0
7 54 68
753
19
23 0
26 0
753 65
751
54
21 0
26 0
753 09
753
06
23,7
25,3
751, 97
751,
29
185
Sopra wi' odore particolare emanantesi dalle cartoline
ozonizzate notato dalla sig. Caterina Scarpellini nel
settembre p. p.
Lettera del sia:. Paolo Peretti alla medesima.
Signora,
L'esattezza con la quale eseguiste le osservazioni
ozonoscopiche, e la chiarezza con la quale le ripor-
taste, meritano, o signora, di essere altamente prese
in considerazione, poiché forniscono sempre maggiori
prove dell'amore che nutrite perla fisica scienza. E
tanto più con voi mi congratulo perchè siete prima
ad intraprendere in Roma un lavoro, che basato sulla
esatta e periodica osservazione sarà ben presto in
grado di dare soluzione ad un problema che ora è
soggetto di gravi disquisizioni.
Ed in fatti non potea sfuggire alla vostra accor-
tezza quell'odore particolare emesso dalle cartoline
ozonizzate, allorché sono bagnate con acqua distil-
lata. Questo odore che, per le cartoline da voi ri-
messemi , ebbi campo di notare più volle , mi si
manifestò così palesemente da non dubitare di ri-
conoscerlo, e ben'esso mi rammentava una chimica
preparazione non ha guari eseguita da mio padre,
lo iodoformo , composto che ha Vodore analogo a
quello delle cartoline ozonizzate. — Questa ossei'va-
zione, che giudicai interessantissima, m' indusse a
praticare una serie di sperienze, delle quali eccovi il
risultato.
Secondo 1' opinione di molti chimici non solo
l'ozono esercita la sua virtù sopra la carta amido-
iodurata, ma ancora altri principi che possono esi-
186
Steve nell' aria atmosferica , come dei vapori acidi
rutilanti, degli olii essenziali volatili emanantisi da
certi vegetabili, ed anche semplicemente l' influenza
combinata dell' aria umida e dei raggi solari (1).
In vero le cartoline ozonoscopiche, che voi mi ri-
metteste, subito si colorarono, e segnarono fedel-
mente la medesima reazione ozonoscopica esposte
alla semplice azione dei vapori dell'acido nitrico ,
idroclorico, cloronitrico; ed il medesimo effetto si
produsse con i vapori di cloio, biomo, iodo, e con
il gas ossigeno mescolato a gran copia di aria atuio-
sferica resa umida. — Tutto ciò distruggerebbe il va-
lore della carta amido-iodurala considerata quale re-
attivo ozonoscopico , se l'osservazione da voi fatta
circa l'odore emesso dalle cartoline ozonizzate non
dovesse richiamare l'attenzione generale dei chimici
sopra questo nuovo fatto. — Qualunque agente os-
sidante è capace di esercitare 1' influenza ozonosco-
pica sopra la carta amido-iodurata; ma questi agenti,
per poco 0 molto che manifestino questa reazione,
non somministrano in alcun modo quell'odore par-
ticolare di iodoformo, riconosciuto da me e da mio
padre, emesso dalle cartoline ozonizzate quando sono
bagnate con acqua distillata. Una tale differenza può
essere sutliciente a fare rilevare l'esistenza del mi-
sterioso agente nell'aria atmosferica avente delle pro-
prietà ossidanti e decomponenti sui generis. — E
qui è bene da considerarsi l'azione del nuovo corpo
sopra la carta amido-iodurata con l'emanazione di
quell'odore particolare di sopra caratterizzato.
(1) Rapporto del sig. Gloez letto all'accacleniia delle scienze del-
l' imperiale iaalituto di Francia: seduta del 7 luglio 1836.
187
Alcune sostanze organiohe, come Talcool, lo zuc-
caio, la fecola ecc. sottomesse all'azione di agenti .
ossidanti danno luogo alla formazione dell'acido for-
mico. L'acido formico (C^HO^-i-20) perdendo il suo
ossigeno si combina allo iodo e forma lo iodoformo
(C^HjlO^), e l'acqua favorisce considerevolmente que-
sta combinazione. Ora le caitoline ozonoscopiche ri-
tengono dell'amido e del ioduro di potassio; esposte
all'influenza dell'aria atmosferica subiscono in uno
spazio conveniente di tempo una reazione cbe si ma-
nifesta dal coloramento della carta amido-iodurata,
in cui per forza catalitica del misterioso agente può
avvenire formazione di acido formico, per la decom-
posizione in parte dell'amido. In questo caso la pre-
senza dell'acqua, di cui si bagnano le cartoline ozo-
nizzate, determinerebbe la combinazione dell'acido
formico con il iodo, lo iodoformo, a cui si può at-
tribuire quell'odore particolare emesso dalle cartoline
ozonizzate.
Questo nuovo fallo, che io ho inteso spiegare nel
modo indicato, imprime si. mio credere un nuovo vi-
gore alla opinione relativa alla esistenza dell'ozono,
sopra il quale spero rivolta 1' intiera attenzione dei
chimici , al cui giudizio intendo sottomettere quel
poco che qui brevemente vi accennai, riserbandomi,
e per l'ulteriori vostre osservazioni , e per quanto
sarà da me in seguito praticato , di ritornare più
fondatamente sopra un argomento di sì alto interesse
per la scienza chimica.
Credetemi ecc.
Addì 8 ottobre 1856.
Obligatissimo servo
Paolo Peretti
188
Storia di fulminazione.
M-JO sgomento nel quale incorsero improvvisanniente
verso le 5 pomeridiane del 24 maggio p. p. gli abi-
tanti della parte più elevata della città di Norcia,
e r orrore misto a grave pena patita dagli altri
cittadini, furono da non [)Otersi ridire. Il suono alla
distesa delle molte e grosse campane delle chiese
che scongiuravano gli elementi infuriati; la pioggia
dirotta; il balenare, il romoreggiare continuo, avreb-
be richiesto che ognuno ad uscio e finestre chiuse
avesse atteso in casa la dissoluzione del turbine,
se la curiosità di osservare qual parte di territorio
verrebbe devastata dalla grandine, che pur minuta
cadea, non avesse invitato sulla porta che mette in
città dal lato di levante.
L' ingresso è maestoso quanto è solida 1' arcata
superiore, la qua'e per intiero costruita di grossi
e ben connessi macigui forma nell' interno un ricor
vero di 30 piedi in quadro. Là erano convenuti
circa 30 individui, e là la folgore portò lo spavento
e la morte.
L' ammasso d' elettrico che si partiva dalla nu-
be nel perct)rrei'e V atmosfera produsse un fragore
spaventevole. Urtò in prima alquanto a destra del
comignolo del tettarello che soprastà almeno 45
piedi dal suolo, rovesciando insieme alla copertura
di terra cotta molti cementi del muro; e senza
lasciar traccia lungo la discesa, sempre a destra
in linea molto obbliqua, a sedici palmi almeno
189
scavò sul mino una fossa senza riescila, lunga un
piede e più, larga quattro pollici ed altrettanto
profonda, con stritolamento dell'urtato macigno.
In linea orizontale retta, a quattro piedi di di-
stanza dall'apertura descritta, la folgore si introdusse
nel muro un piede e mezzo sopja la volta della porta
con uno squarcio all' estremo lungo tre pollici, ne
percorse l' interno per circa quattro piedi fra maci-
gno e macigno, e sortì sotto V arco esterno poco a
destra del suo centro, fra due durissime pietre che
scalfì largamente.
Il portone, che per un terzo nella parte superiore
sta fisso al muro, non chiude interamente in alto:
ed appunto per tale spazio, porzione dell' eletti-ico
si le strada verso l' interno della città, riducendo a
molte schegge una slecca massiccia di legno, lunga
quattro piedi, che dall' alto al basso ben chiodata
stava a tener commesso un tavolone coli' altro.
L' intiero portone ha in ogni palmo quadralo grossi
bolloni di ferro, che rimasero illesi.
I muri laterali, che coi gangheri tengono la porta,
sono di durissimo sasso, e nel luogo ove la porzio-
ne di porta fissa s' unisce alla porzione che s' apre,
il sasso protubera maggiormente. Sulla porzione di
protuberanza che guarda l' interno della porla urtò
la folgore; ne schiantò un pezzo, e forse perchè la
resistenza fu maggiore dell' impeto, il masso d' elet-
trico non andò a piombo, ma si diresse tra la porta
socchiusa ed il muro a quattro piedi nell' interno
del ricovero formato dall' arco.
Quivi stavano dieci individui ragionando, alcuni
ritti sul muro, altri sostenuti dalla porta semiaperta
altri in piedi nello spazio frammezzo.
190
Uno d' anni 66 erasi ranniochiato in vicinanza
dei gangiieri, e dall' urto dell' elettrico non ebbe a
soffrire che un senso di bruciore, e forte intormen-
timento nel bi'accio sinistro. Altro lagazzo d' anni
13 stavagli d'appresso ritto sul muro, e questo ebbe
a sperimentare un urto forte in tutta la persona,
seguito da bruciore e prostrazione di forze. Non
cadde a terra.
Per terzo, appoggiato al muro, v' era un giovi-
netto d'anni 15 che rimase ucciso all' istante. Ri-
portò i capelli della parte posteriore del capo bruciati,
ed una escoriazione, per scottatura, vicina alla mam-
mella sinistra. I bottoni di ferro fuso del di dietro
dei calzoni scomparvero.
Stava prossimo a quest' infelice un ragazzo di
anni 12, il quale ebbe bruciati i capelli del di dietro
dèlia testa con piccole flittene sul lato destro del
collo e tiammezzo alle scapole- Stette 4 o 5 minuti,
nelle apparenze di morte, e dopo mezz' ora vomitò
il cibo; fu preso da forte agitazione per pochi minuti,
e lagnossi fin dal principio d' un senso di bruciore
in tutto il corpo.
Un giovine di anni 20, che gli stava vicino, restò
morto sul momento. Gli fu rinvenuto il cappello di
lana aperto con due piccoli fori, i capelli bruciati,
una escoriazione sull' ipocondrio sinistro, ed altre
tre escoriazioni sul dorso, resistenti al tatto.
A pochissima distanza da quest' ucciso si trova-
vano tre individui. Uno, che conta 30 anni d' età,
cadde a terra, perchè sentì come d' aver fratturata
la gamba destra ed il braccio; nel cadere si fratturò
191
tre denti, ma dopo pochi istanti appoggialo potè
tornare a casa.
Un altro di anni 35 stramazzò a terra persuaso di
aver fratturate le cosce e le gambe. Fu poitato nella
propria abitazione; ma tranne un senso di scottatura
forte (4ie sulle parti offese soffriva, nient'altro indica-
va die potessero tornare servibili. Quasi tre ore pas-
sarono priachò riacquistassero un moto limitatissimo.
Il terzo di anni 75, eh' ebbe bruciato il cappello
e fu percosso sulla fronte, cadde a terra colle sem-
bianze di morte. Tra dieci minuti potè esser con-
dotto appoggiato a casa.
Altro vecchio d' oltre 60 anni soffri forte movi-
mento, ma barcollando tornossene a casa che distava
20 passi.
Un giovane d' anni 28 cadde a terra come morto,
ed in tale slato si mantenne per dieci minuti al-
meno.
Poggiato al di fuori dello stipite della porta
stava ritto un giovane di anni 20, al quale parve
d' essere stato investito da una fiamma, e nuli' altro
soffiì.
Nel lato sinistro del ricovero dentro la porla v'e-
rano altre venti persone almeno, e nessuno pali l'ef-
fetto dell' elettrico; solo una fanciulla di anni 9, che
stava colla madre isolate nel centro, si sentì op-
pressa e come scottato il braccio destro.
Quasi colla rapidità dell' infortunio le grida si
diffusero di vicinato in vicinato: ed ecco un accor-
rere, altri per chieder del figlio, altre dello sposo.
Ma qual non fu l'orrore di tutti allorché giungendo
mirarono a teira come morti tanti individui?
192
Alcuni l'obusli ed animosi presero gli sbalorditi
sulle braccia e li portarono nelle rispettive case;
altri si diedero a togliere dal sito funesto e i
morti e i creduti morti introducendoli in una vici-
na camera ad uso di stalla: ed in tanto io ve-
niva chiamato ad accorre in aiuto di loro. Gia-
ceva ancora sul luogo della disgrazia il più piccolo
degli uccìsi, quand' io giungea; il feci tosto portare
a casa, e lo denudai con cautela, e poscia impresi
a lavargli la faccia ed il capo con acqua ed aceto
freddo, e ad appressargli aceto puro alle narici. E
nel tempo istesso eh' altri operavano strofinamenti
suir esrremilà, e sul resto del corpo, io procurava
con dolci pressioni suir epigastrio di mett.ere in
movimento il diafiamma, il cuore ed i polmoni; ma
perchè tali cose non conducevano alcun vantaggio,
colla sonda da donna cercai d' introdurre dell' aria
pei polmoni, e di badare che l'aria stessa ne sortisse
mediante pressione sul ventre ed ai Iati del petto;
e ciò accadeva regolarmente.
Altrettali aiuti si venivano apprestando all'infe-
lice dal dottor collega Adeodato Settimj; e siccome
senza vantaggio fu tentato ancora il salasso dal
braccio, corsi a munirmi dell' alcali volatile, della
cannula da esofago e del tubo laringeo di Chaussier.
Ma né 1' appressare I' ammoniaca alle narici, né la
respirazione eccitata col tubo e più volte ripetuta, né
r introduzione pel retto e sullo slomoco di poche
gocce d' alcali diluite nell' acqua, valsero a ridestare
quella vita che s' era spenta nel momento dell' in-
fortunio.
Le fregagioni secche fui'ono praticate finche la
193
rigidezza non s impossessò dei cadaveri.
Gli altri, che furono colpiti dalla folgore, non
abbisognarono che di poco vino da bere, di lavature
sulle parti tocche, e di bagni con posca fredda. Al
terzo giorno tutti erano fuori di letto.
Un giovane di anni 28, che per dieci minuti
rimase nelle sembianze di morte, ha molto debole
la memoria; ed il vecchio d' anni 75, colpito sulla
fronte, conserva alquanta ottusità di capo.
Di Norcia nel giugno 1855.
Silvestro Massetti chir. prim.
Segue un brano di lettera che lo stesso sig. Mas-
setti dirigeva al sig. prof. Maggiorani a schiarimento
del citato racconto.
Gentilissimo sig. professore,
L' istoria di fulminazione eh' ebbe, sig. profes-
sore, or sono alcuni mesi, non potea star fornita
di tutte le particolarità, perchè messa insieme dopo
trascorso non poco tempo dall' avvenimento e senza
i necessari minuti appunti. E giacche col graditis-
simo foglio de' 20 ottobre scorso, qui giunto dopo
12 giorni, mi porge la favorevole occasione di ripa-
rare alle omissioni, di buon grado mi chiamo in
debito di farlo, sebbene dubito che non varrà, ciò
che dico, allo scopo cui mirasi. Ed intorno alle pic-
cole ustioni, ustioni che non eccedono il pollice in
lunghezza e tre linee in larghezza, nulla saprei ag-
giungere a dilucidazione ; solo posso dichiarare,
G. A. GXLV. 13
l9i
che la pelle denudata di cuticola sentiasi sotto il
tatto prosciugata, e perciò resistente, senza che
potesse accagionarsene l' impressione dell' aria: per-
chè r aria in così breve tempo non avrebbe potuto
indurre simile durezza. E per dirla schietta, io cre-
detti che il disseccamento fosse nato per la grande
quantità di calorico, il quale collo scalfire 1' epider-
mide avesse attratta V umidità della pelle; ed a que-
sto modo s'acconciava meglio l'intelletto, se con-
sideravo che nel ragazzo prossimo agli uccisi minor
somma di calorico non indusse che piccole flettene
sparse pel destro lato del collo e frammezzo alle
scapole.
Ella è cosa indubitata che la sclerotica in am-
bedue i fulminati mostravasi piiì visibile, per quasi
una linea all' intorno; ma non potrei sostenere se
per protuberanza degli occhi o per paralisi delle
palpebre.
Le congiuntive non aveano vasi sanguigni tur-r
gidi.
Non offrirono apparenze, da farne soggetto di
rimarco, le poche gocce di sangue che s' ebbero
dall' apertura nelle vene brachiali.
La rigidezza delle membra e della mascella in^
feriore era ben pronunciata cinque ore dopo l' infor-
tunio.
E per dire ancora della putrefazione, basterà
riferire il seguente annedoto. I cadaveri di buon
mattino furono trasportati in chiesa: ivi si ritennero
fin quasi a sera, e giunta l' ora della tumulazione
parve ad alcuni astanti accorsi a lucrare indulgenze
che ancora vivessero. Ben presto dall' uno all' altro
195
tutti ne sanno, molti acorrono a mirare il prodigio;
ma ingannevole apparenza! la morte sussìsteva in
fatto. Dopo altre ore furono seppelliti per coman'
damento del parroco. Ciò dimostra, che la putre-
fazione si fece attendere piuttosto che no; e che la
faccia e parte superiore del tronco, investiti certo
dalla colonna elettrica, non cangiarono colore. Inu-
tili sarebbero riuscite le premure impiegate per
ottenere dai parenti il permesso di fare 1' autopsia.
Unità della specie umana.
I. il on solo per la venerazione, che gli eruditi han-
no al mosaico Pentateuco, ma ancora per chiarire la
verità e maggiormente diffonderla, noi discorriamo
gli argomenti fisici, che V unità della specie umana
dimostrano. Col sacro libro alla mano non havvi
difficoltà a risolversi; e renderebbesi inutile la polo--
mica, se noi non mirassimo a stabilire che le fisiche
nozioni non sono vere, se alla divina e rivelata sci^
enza non si conformano.
2. Furono già, e sono tutt' ora, tra gli etcrolo-
ghi innovatori dei zoologi che senza darsi la briga di
leggere il Pentateuco; e molto meno il fastidio pren-
dersi di consultare i profondi storici della natura;
hanno vaghezza di orservare le varietà della specie
umana;e su queste basandosi, stabiliscono delle specie
e dalla specie. E dalle varietà che osservano esservi tra
l'uno e l'altro uomo, e tra quegli che in diversi luoghi
vivono, fanno della specie umana ciò che altri fanno
di un regno, di una classe, di un ordine e di un gè-
196
nere. Ed in vece di dire la varietà, che il clima de-
termina negli animali, che il cosmo popolano: dicono
la razza caucasica umana, la mongola, 1' etiopica,
]' americana e la malese. Ed un senniano moderno
baione, poco o nulla intelligente delle sacre e delle
cose fisiche, vuole eziandio sostenere essere stata
quintupla la primordiale generazione dell' umana
specie. E la specie diviene per costui un genere, e
poco mancavi che non l' innalzi ad un ordine, ad
una classe; o che ne faccia un regno senza vassalli.
3. Carattere essenziale del regno, della classe,
dell* ordine, del genere e della specie è quello che
non si cambia e che di sua natura è invariabile. Così
il minerale naturalmente cresce: il vegetabile cresce e
vegeta: e l'animale cresce, vegeta e sente. I mammali
allattano, i bimani stanno ritti su due piedi, ed i qua-
drupedi con quattro gambe si muovono. E non si è
mai veduto, per modo di esempio, l'aquatico ani-
male cambiarsi in terrestre, ed il terrestre in aqua-
tico, ed il volatile o in aquatico o in terrestre; né
il vegetabile in animale, e 1' animale in vegetabile;
ne il bimane in quadrupede, ed il quadrupede in bi-
mane. Non valgono a contraddire questa universale
proposizione ì permutamenti che naturalmente subi-
scono i diversi organici prodotti: verbigrazia, che il
baco da seta metta le ali, ed altri animali varia-
mente si metamorfizzino. Mentre sono le condizio-
ni essenziali del loro organico svolgimento. Come
i mutamenti che naturalmente compionsi nel corso
della vita umana (1). Gli essenziali caratteri non
(1) Nat. storia della vita proposta comfi nuovo organo della scienza
clinica. G. A. T. CXXl. CXXII.
197
mutansi, senza che si distrugga il regno, la classe,
l'ordine, il genere e la specie. Solo si variano all' in-
finito gli accidentali: verbigrazìa, il colorilo della
pelle, la grandezza, la vivacità, la robustezza. Permu-
tamenti, che si possono determinare a piacimento.
Porta nella penisola o itaUca o iberica ed in altri
luoghi, delle negre famiglie, e tra loro accoppiale;
e in capo a poche generazioni dai negri avrai dei
bianchi. E porta i bianchi ove sono naturalmente i
negri, e vedrai nelle successive generazioni annerarsi
la pelle, e dai bianchi nascere i negri. AH' incontro
r essenzialità della specie umana rimanesi costante-
mente la medesima. Percorri ovunque la superfìcie
del cosmo: ed in ogni Uiogo, ove sono gli uomini,
troverai che sono mammiferi, bimani, ragionevoli,
e che hanno il dono della favella- Non vale a con-
traddire questa generale proposizione l'osservazione
dei goldoniani viaggiatori, che spesso asseriscono
ciò che non hanno veduto; ma quanto hanno o im-
maginato 0 sognato. Sia pure, che in alcuni luoghi
abbiano costoro veduto degli uomini erranti per li
boschi, che a guisa degli animali si movevano e
vivevano. Imperocché, oltre, l'essere cosa singolare
e non generale, noi domandiamo a costoro, se gli
uomini erranti avevano la conformazione dei bimani
o dei quadrupedi; e se avevano 1' attitudine alla lo-
quela ed al ragionamento. E costoro dovranno ri-
sponderci, che erano essenzialmente mammiferi, bi-
mani, ragionovoli ed eloquenti. Così i caratteri es-
senziali in costoro non mancavano; e le sole acci-
dentalità gli facevano vivere alla maniera degli altri
animali. Come tu potrai attuare, errando solo nei
198
boschi, un mutuo linguaggio? E come potrai ragio-
nare tra gli esseri irragionevoli? All' incontro gli
accidentali caratteri, su cui si basano dagli etcro-
loghi innovatori le varie specie della specie umana,
nel traslocarsi gli uomini variano e si dileguono;
e sono accidentalità , che le varie località deter-
minano; non sono i permanenti contrassegni, da
cui ricavansi gli essenziali caratteri che stabiliscono
i regni, le classi, gli ordini, i generi, e le specie,
e che sostengono V unitaria aboiigenca creazione
della specie umana.
V. Catalani
Relazione della commissione deputata alV esame
delle opere teatrali concorrenti al premio, diretta a sua
eccellenza reverendissima monsignor Teodolfo Mertel
ministro dell" interno.
Eccellenza Reverendissima
X ra i mezzi più efficaci a rendere i popoli fiorenti
per buona morale e per cittadine virtù, non ultima
è la coltura di quella istituzione d' antica sapienza,
la quale ammonendo e correggendo, o con la pietà
o col terrore, o col diletto o con lo stesso ridicolo,
ritragga dal vizio lo spettatore, che vide nella com-
media lo specchio di se stesso. Questa verità, rico-
nosciuta dai savi e generalmente applaudita, è stata
da lungo tempo soffocata tra le prepotenti illusioni
199
onde si amò da molti scrittori adornare il perverso
disegno che si eran prefìsso, quello di solleticare le
più malvage passioni popolari col mezzo del tea-
tro. Ecco pertanto deviata 1' istituzione dal suo
scopo: eccola spinta per tutt' altra strada da quella
all' infuori che le fu da principio assegnata, d' istruire
dilettand ) a farne migliori.
Il governo di Sua Santità. vide il riprovevole scon-
cio, ed avvisò al rimedio; e V. E. Rma, fattasi inter-
prete della sovrana sapienza, in data dei 30 settem-
bre inviò la circolare N. 75042 ai presidi delle
province su questo importante oggetto. In essa,
ricordato lo scopo del teatro e la necessità di richia-
marvelo, invitava quei magistrali ad aprire un con-
corso fra tutti ì letterati che del teatro stesso aveva-
no fatto studio speciale, eccitandoli « a scrivere pro-
« duzioni teatrali, per le quali venisse inculcata la
« morale e reso evidente il trionfo della virtìi(l).))
E siccome non v' ha sprone più potente alla emu-
lazione che il premio o la speranza di conseguirlo,
così r E. V. Rma accertava, che quante volte si
fossero presentati componimenti drammatici, che
dal lato dell' arte e da quello della morale fossero
commendevoli, ne sarebbe stato l'autore rimeritato
con premio da decretarsi, consultato su ciò il giu-
dizio di una commissione.
Questa saggia disposizione fu al pubblico con-
fermata coir oi'gano ufficiale del Giornale di Roma
ai 5 di dicembre dello stesso anno 1853 (2); ed
(1) V. Allegato N. 1.
(2) V. Allegato N. 2.
200
umiliata alla Santità di Nostro Signore la proposta
di una commissione, V E. V. Rnria con dispacci del
12 gennaio 1854 diramò le nomine al presidente
ed ai singoli membri, che furono di sì benigna fidu-
cia sommamente onorati.
Nominati membri della commissione, oltre al
sottoscritto presidente vescovo (V Eritrea, furono
monsig- Slefano Rossi, i signori D. Giovanni de'' prin-
cipi Chigi, cav. prof. Salvatore Betti, avv. Candido
Tosi (3), ed il segretario qui appiè firmato Vincenzo
Prinzivalli.
In adempimento pertanto del nobile incarico
affidato loro da V. E. Rma, fino dal 20 di gennaio
del 1854 i membri della commissione deputata
air esame dell' opere teatrali concorrenti al premio
incominciarono le loro sessioni, le quali si rinnova-
rono ogni volta che TE-V. Rma ebbe ad essi inviate
le nuove produzioni teatrali, che successivamente
vennero presentate.
Cinquanta componimenti drammatici, compre-
sevi tragedie, melodrammi, drammi, commedie e
farse, sono state fin qui T oggetto degli studi della
commissione, la quale adottò a tal fine un suo in-
terno regolamento, a cui piacque all' E. V. Rma
apporre autorevole sazione. I principali articoli
del regolamento provvedevano alle basi, sulle quali
la commissione avrebbe fondato il proprio opina-
mento: e però stabiliva che ciascuna delle produ-
zioni sarebbe stata esaminata circa la morale, la con-
(3) L' avv. Tosi sventuratamente fu dopo poco tempo rapito
da morte ai lavori del concorso.
201
dotta della favola, la verisimile imitazione dei ca-
ratteri e dei costumi, la sentenza, lo stile e la lingua.
Inoltre, previstasi la graduazione possibile nel merito
di tutti i componimenti, si divise il concorso nelle
tre categorie: 1. di quelli degni di premio; 2. di
quelli meritevoli di una medaglia d'incoraggiamento;
3, di quelli plausibili con una considerazione di lode:
la qual classe si suddivise in seguito, secondo un
merito riconosciuto maggiore. Si lasciarono in una
quarta categoria tutte quelle produzioni, che non
contenessero elementi atti ad occupare nessuna delle
tre categorie summentovate.
Riconobbe inoltre per suoi canoni la commis-
sione di non ammettere all' esame se non le opere
inedite in qualunque tempo scritte; di accettarle
dai soli sudditi dello stato pontificio; di discutere
collegialmente i voti, già distesi dai singoli membri.
A questi principii fu trovato necessario aggiungei'ne
pure altri. Imperocché essendo piaciuto all' E. V.
Rma d' interpellare la commissione, se fosse conve-
niente ammettere al concorso le traduzioni teatrali
dalle lingue estere, la commissione stessa si permise
fare osservare a V. E. Rma, doversi il guasto princi-
pale del nostro teatro ripetere appunto dalle tradu-
nioni che lo hanno ammorbato; e la morale, prima
qualità d' aversi a cuore ne' componimenti , non
esser da attribuire a merito o colpa del traduttore.
E però fu opinato di escluder siffatto genere di
lavori drammatici dal concorso. Siccome poi avven-
ne, durante 1' esame, che la commissione si credè in
obbligo di avvertire alcuno degli autori del modo
onde avrebbe potuto emendare da lievi difetti quelle
202
produzioni, ricche d'altronde di vari pregi, così fu
determinato di riammettere al concorso quelle opere,
i cui autori consentissero di sottostare alle accen-
nate condizioni.
L'È. V. Rma credette opportuno di sanzionare
tutto ciò che la commissione avea proposto, facendo
solo straordinariamente un' eccezione nell' articolo
risguardante la patria degli scrittori, ammettendovi
pure due drammaturghi toscani. E su questi fonda-
menti coloro, che furono dalla E.V.Rma onorati della
confidenza del giudizio, eseguirono colla maggiore
diligenza possibile, con 1' impegno il più volente-
roso, con la più scrupolosa analisi il proprio man-
dato. La commissione poi brevemente le umilia un
sunto de' suoi lavori, giunta com' è a poter presen-
tare un tutto compiuto nelle singole parti: ciò che
fino al presente non le era stato concesso.
Per incominciare dalla classe più numerosa, a
cui si è ridotto il concorso, due tragedie, un melo-
dramma, otto drammi, tredici commedie, due farse
non furono dalla commissione riputate degne di
essere considerate. E a questo giudizio fu condot-
ta la commissione da cause diverse. Imperocché
quale mostrossi ignaro affatto delle più ovvie ra-
gioni dell' arte comica: quale , bastevolmente in
queste iniziato, non fu cauto qua e là nelle cose
importantissime della morale: quale al poco inte-
resse congiunse il difetto di una lingua sommamente
scorretta. Sicché con rammarico la commissione
pronunziò su qualcheduna di queste produzioni una
severa censura, abbenchè a qualche prestigio di
vivace dialogo unissero talvolta regolarità d' intrec-
203
ciò e svolgimento artistico non indegno al tutto di
soggetto migliore.
Alla terza classe appartengono tutti que' com-
ponimenti, pe' quali la commissione rassegnò al-
l' E, \. Rma 1' opinamento per mia considerazione
di lode. — La tragedia lirica del sig. Francesco Ca-
pozzi di Lugo, Teodorico, fu dalla cojnmissione ri-
tenuta meritevole di una semplice considerazione,
perciocché non avendo lati riprovevoli, ne possedeva
uno di molto commendévole, quello dello stile e
della lingua. — Un grado presso a poco uguale fu
dalla commissione scorto nel melodramma, il Ca-
stello delle 24 ore, del sig. Gabriele Fronduti d'Ar-
cevia. Semplicità nella condotta e nello stile, morale
sentenza specchiata sono i pregi di questo melo-
dramma, nel quale nondimeno si desidera alcuna
condizione piii artistica nei caratteri e nella sce-
nica conoscenza. V è però degno di speciale ri-
lievo lo aver tentato di porre in iscena uno splen-
dilo sacrifizio della vita a testimonianza della re-
ligione.
Si apre la 2 serie di questa classe da altro
dramma lirico presentato dal sig. Pio Severa, gover-
natore di Veroli, intolato Wanda. In genere notò
la commissione, non aver questo dramma le qualità
richieste nel moderno stile, a musicare un' opera;
ma siccome la condotta n' è ragionevole, verisi-
mile la pittura dei caratteri, non mancando 1' A.
di poetica fantasia, né osando ancora di pronun-
ziare come canone contrario alla bontà di un dram-
ma il suicidio, la commissione rassegnò a V. E.
Rma, per riguardo alla Wanda, V opinamento di
204
una più speciale considerazione di lode. La quale,
con onorevole dispaccio ministeriale, fu all' autore
manifestata per mezzo d' Una medaglia d' argento
di grande dimensione coli' epigrafe Benemerenti.
La medesima considerazione , espressa nella
stessa guisa, con dispaccio di V. E. Urna ottenne
il sig. dott. Dario cav. Calisti romano, il quale aveva
recato all' esame un suo dramma in cinque atti,
col titolo Emma , ovvero Un esempio alle figlie.
L'È. V. Rma fu così benevola, come sempre, verso
la commissione, che nel partecipare al cav. Calisti
questo attestato di onore, gli comunicò pure 1' opi-
namento, concepito ne' termini seguenti: « La com-
« missione, nell' esaminare gli scritti del cav. Ca-
« listi, ha riputato meritevole di commendazione
» Io zelo veramente sincero e continuato di pro-
« muovere nel pubblico la buona morale; e perciò,
« lasciando assolutamente di encomiare o di ap-
« provare le teorie adoperate dal suddetto circa le
« principali norme dell' arte comica, opina d' in-
« coraggiare il suddetto cav. Calisti con una meda-
« glia di argento pel solo primo titolo, non di-
« sgiunto dall' altro di avere avuto in vista i sani
« principii di una politica di buona e fedele sud-
(( ditanza. » ( Così nel rapporto n. IL)
L' E. V. Rma si degnò pure accordare una me-
daglia di argento alla commedia in tre atti Né troppo
ne poco del sig. conte Luigi Flamini di Roma, a
cui dalla commissione fu attribuita una particolare
considerazione, essendoché il buon fine propostosi
dall' autore, la disinvoltura delle parti, i caratteri
bastantemente sostenuti la costituiscano un prege-
205
vole lavoro, sebbene in sostanza non ci porga im-
magini al tutto nuove.
Al presidente della commissione fu partecipato
dalla E. V. Rma, che all'articolo VI del regolamento,
ove il concorso si limitava a'sudditi dello stato pon-
tifìcio , avrebbe fatta un' eccezione in favore del
sig. Tito Cesare Merli di Lucca, il quale n' aveva
presentata perciò un' istanza, insieme con dodici sue
produzioni teatrali. E la commissione, sollecita di
prestarsi ai venerati ordini di V. E. Rma, pronun-
ziò vari giudizi sulle commedie intitolate: Onore e
miseria — Il buon diavolo — // matrimonio fra due
uomini — La congiura degli ungheresi — Un barile
di Tokai — Gaudeman de Bekingcìch — Ernesto di
Brianza — Premio e pena — // perdono — U usciere
ed il copista ~ Una notte di sangue — / due avvo-
cati.— E sommati i diversi opinamenti, sceverando
il buono dal suo opposto, si potè scorgere di quanto
ingegno drammatico fosse fornito il sig. Merli, e
come, rispettando scrupolosamente la buona mora-
le, potesse giovare al teatro italiano. Il perchè av-
visò la commissione, poterglisi appalesare dall' E.
V. Revma un contrassegno di benevolenza ed in-
coraggiamento. E r ottenne, essendoglisi da codesto
ministero indirizzato un dispaccio con una medaglia
di argento.
Ma degli autori fin qui nominati un posto mag-
giore ottenne il sig. Rigoberto Montautti di An-
cona pel suo dramma in tre atti: Senza maschera.
Il nobile fine di smascherare un astutissimo ingan-
natore e punirlo al cospetto di quella società, in-
nanzi a cui si era imposto il carattere di giusto, è
206
di per se stesso un pregio del lavoro. Aggiuntisi a
ciò ricchezza di episodi, vivacità di dialogo, succes-
sione di ragionevoli colpi di scena, non può che
prodursi eflfetto sicuro all' animo dello spettatore.
E questo è certo nell' opera del signoi- Montautti,
malgrado di alcunché di troppo caricato nelle tinte
e di troppo maraviglioso nello sviluppo: che unito
ad una lingua alquanto negletta, ha fatto sì che la
commissione siasi astenuta di concedere al giovane
scrittore nella scala di merito un grado più alto, a
cui avrebbe potuto per molte doti artistiche aspi-
rare. L' E. V. Rma, considerato il parere suddetto,
si compiacque inviare al sig. Montautti una meda-
glia di argento accompagnata da onorifico dispaccio.
Giovane di liete speranze per il teatro italiano
è il sig. Lodovico Antonio Muratori romano. Due
delle sue produzioni comiche, presentate all'È. V.
Rma e rimesse al giudizio della commissione, otten-
nero favorevole voto. Furon esse: Le memorie di
una giovane donna^ commedia in tre atti: e La ve-
dova e Io studente, commedia di un atto. La prima
fu stimata giustamente goldoniana, secondo la bella
scuola d' Italia; i caratteri ed i costumi sono ben
dipinti; lo stile è buono, quanto alla morale non
havvi cosa da doverglìsi rimproverare. Altrettanto
è della seconda commediola, vivace e gaia abba-
stanza per potere nel suo genere ottenere un grado
considerevole. La commissione opinò unanimem^'J"
te, che al sig. Muratori si concedesse una medaglia
d'incoraggiamento.
L' ingiusto esilio sofferto da Dante Alighieri e
le discordie cittadinesche onde Firenze fu lacerata
207
nel secolo medesimo, che in essa appunto si fon-
dava la lingua e la letteratura italiana, inspirarono
al sig. Francesco Massi, prof, di eloquenza nella
università romana, il generoso pensiero di porre
sulla scena un periodo di quell' età, e compose la
tragedia Coì^so Donati. Essa fu trovata un erudito
lavoro; la sentenza e la morale esposte senza mac-
chia; lo stile caldo, dignitoso, egregiamente poetico:
la lingua trattata da buon maestro. E certamente
per questa parte, pur tanto considerabile per la
trascuratezza a cui si abbandonano gli scrittori tea-
trali, la tragedia del prof. Massi è il miglior com-
ponimento che siasi presentato al concorso. Affine
adunque di promuovere ancor in ciò le migliorìe
necessarie alla buona riforma, la commissione sup-
plicò l'È. V. Rma a farsi che al prof. Massi si con-
cedesse in premio una medaglia d'oro ad attestargli
la più alta commendazione.
Detto delle varie classi di opere teatrali su cui
la commissione è stata chiamata a pronunciare il
suo giudizio, resta a dire di ciò che essa con grande
amore e diligenza ha cercato di poter conseguire:
cioè proporre a V. E. Rma di concedere un premio
assoluto con la medaglia d' oro. E ciò a chiudere
questo primo periodo del concorso, sapientemente
iniziato dalla Santità di Nostro Signore, e della E.V.
Rma con tanto zelo posto in atto.
Tre commedie furono porte all' esame della
commissione, i titoli delle quali erano: // sistema
di Giorgio, V anello della madre , Un viaggio per
istruzione, composte dal signor avvocato Tommaso
Gherardi Del Testa toscano, ancor egli ammesso
208
al concorso per benevola eccezione di V. E. Rma.
La commissione considerò coscenziosamante le
tre dette commedie, alcuna delle quali, già rappre-
sentata sulle scene, aveva all' autore dato una illu-
stre riputazione, come gliene avevano data altret-
tanta Le scimie, Cogli uomini non si scherza, ed altre
sempre applaudite. Sarebbe pertanto vano riassu-
mere le lodi del Sistema di Giorgio, commedia d' in-
treccio sì regolare nella condotta, sì sociale nei ca-
ratteri, sì viva nel dialogo, sì efficace nella per-
suasione, da doversi stimare una delle migliori del
moderno teatro italiano. Un severo moralista po-
trebbe ivi appuntare il miglioramento delle donne
prodotto anzi da disinganno, che da principio vir-
tuoso: ma chi considererà la morale siccome ogget-
tiva, non potrà non esserne soddisfatto.
Neil' altra commedia, L'anello della madre, bavvi
chi scorge una riproduzione in moltissimo meglio
della comm.edia francese Ce qiie (emme veut, veut:
poiché sono fondate egualmente e questa e quella
sull'agnizione di un soccorritore a una pericolante
onestà. La italiana però è più seria d' assai e con-
tiene il castigo morale de' perversi: cosa di cui
manca la francese.
La terza. Un viaggio per istruzione, ha un' in-
gegnosa condotta, felicemente intrecciata nel pro-
lungamento di equivoci e di nodi, a tener sospeso
r uditore sino allo scioglimento. I caratteri, punto
non esagerati, sono de' nostri tempi; la morale ha
un trionfo compiuto; lo stile e la lingua, tutti gli
accessori dell' arte, sono quali sa trattarli il Ghe-
rardi Del Testa.
209
La commissione, considerate le tre commedie
suddette come le migliori fra tutte le presentate;
considerato inoltre il gran merito dovuto al sig.
avv. Gherardi del Testa per essersi adoperato, as-
sieme ad altri pochi egregi, con 1' ingegno e con
r arte ad elevare il teatro italiano dalla umiliazione
a cui i cattivi scrittori e gli amanti delle stram-
berie romanzesche lo avevano condotto; conside-
rato finalmente 1' unanime plauso, con cui per ogni
città d' Italia furono accolte le sue commedie; ha
opinato di concedere a questo esimio autore la me-
daglia del premio assoluto. E parve miglior partito
alla commissione di proporre a V.E.Rma di premiare
l'autore, anziché 1' opera, e perchè quegli si con-
forti del ricevuto onore, e perchè a queste rimanga
sempre libero il campo di avere dalla stessa mano,
che le formò, quegli ultimi tocchi, che possano ren-
derle e dal lato della morale e da quello dell' arte
sempre piiì perfette.
Spera la commissione d' aver potuto compiere
fin qui, come meglio era da essa, ma certo con
alacrità e coscienza, l'onorevole incarico che le è
stato commesso da V. E. Rma, riassumendo nel
seguente modo i suoi giudizi rassegnati a cotesto
ministero.
Premio drammatico assoluto
Sig. avv. Tommaso Gherardi Del Testa.
Premio
Sig. prof. Francesco Massi.
G.A.T.CXLV. 14
210
Ai quali fu inviata una ima medacjUa d'oro^
espressamente coniata, coli' epigrafe:
PRAEMIVM
PRAESTANTIORIBVS
AD . DRAMATA . CONCINNANDA
STVDIO . CIVILIS . MORIS
COMMENDATIONE
VIRTVTIS
Premio o medaglia d' incoragoimenlo
Sig. Lodovico Antonio Muratori.
Considerazione di lode con medaglie
Sigg. Rigoberto Moiitautti, Tito Cesare Merli,
conte Luigi Flamini , Dario jcav. Caiisti,
Pio Severa.
Considerazione di lode
Sigg. Gebriele Fronduti, Francesco Gapozzi.
Possano questi atti di magnanimità adoperati
dalla Santità di Nostro Signore a prò del teatro
italiano produrre felici risultamenti, e siano di spro-
ne a lavori sempre piiì utili e degni di considera-
zione! Si solleva così 1' arte nel vedersi onorata nei
suoi cultori, e si dà occasione a nuovi lavori tanto
bramati per contrapporli all' affluenza oltramontana.
Quando però il concorso avrà assunto piìi splen-
I
211
dide forme, e si potrà agli studi della commissione
aggiungere 1' effetto pratico di una convenevole sce-
na, sarà, come in ogni tempo è avvenuto, derivato
da Roma il primo e nobile esempio di verace
riforma.
Gradisca 1' E. V. Rma la conferma di quel ri-
spetto, con che il sottoscritto, a nome ancora della
commissione cui ha 1' onore di presiedere, passa a
dichiararsi,
20 novembre 1856,
Umilissimo e Devotissimo Servitore
GIO. BATT. ROSANI VESCOVO D'ERITREA, Pres.
Vincenzo Prinzivalli, Segretario relatore.
ALLEGATO N. 1.
Circolare del ministero deW interno diretta ai presidi
delle Provincie il di 30 settembre 1853. N. 75042.
Se il vero fine di qualsiasi specie delle rap-
presentazioni teatrali si è quello d' istruire e di
dilettare, e vieppiù di ottenere il miglioramento
morale e civile della società, come si devono usare
tutti i modi onde conseguire tale importante scopo,
così è obbligo preciso di porre un argine , e di
troncare tutte quell' arti inique, che cospirano a
ridurre i leciti e giovevoli divertimenti, e spettacoli
teatrali, a scuole di ferocia e di libertinaggio, d' im-
moralità e di miscredenza.
212
Perchè adunque di fatto il teatro serva ad
ammaestramento , e nello stesso tempo ad onesta
ricreazione, io debbo richiamarvi tutta 1' attenzione
di V. S. lllma e Rma, la quale sarà per adottare a ciò
le disposizioni che reputerà piiì opportune, sia per
la circostanza dei tempi presenti, sia per 1' indole
di cotesti suoi amministrati, andando di pieno ac-
cordo colle autorità ecclesistiche per la giurisdi-
zione che loro accordano le leggi, e chiamando a
concorso eziandio (se lo crederà vantaggioso) le auto-
rità municipali, per la parte che hanno nella dire-
zione e soprintendenza de' pubblici spettacoli nel
rispettivo comune.
E siccome gioverebbe anche a raggiungere la
meta desiderata 1' incoraggiare quegl' ingegni che
sono ben disposti a tale genere di letteratura, e
fanno sperare di loro ogni prospero successo, così
dovrebbero eglino essere eccitati a scrivere produ-
zioni teatrali, per le quali venisse inculcata la morale
e reso evidente il trionfo della virtù.
E tutte le volte che queste produzioni fossero
commendevolì anche dal lato dell'arte drammatica,
il governo non lascerebbe di rimeritarne 1' egregio
autore con un premio : per cui se gli eccitamenti
di V. S. lllma e Rma producessero il bramato ef-
fetto , ella dovrebbe compiacersi e d'inviare a me
le produzioni teatrali presentatele, o significare all'au-
tore stesso che me le rimetta direttamente, giacché
sarebbero sopra ciò consultate persone specchiate ed
intelligenti.
In questa intesa, ecc-
Firmato — T. Mertel
213
ALLEGATO N. 2.
ilicolo del giornale di Roma del 5 dicembr e 185.
iV. 276.
I teatri , che 1' utile associando al dilettevole ,
dovrebbero essere un continuo ammaestramento al
bene, nell'atto che sollevano V animo, e colle loro
rappresentazioni eccitare all'amore della virtù e al-
l'abborrimento del vizio, a'dì nostri sembrano per Io
più divenuti una scuola di immoralità, per il mal
vezzo introdotto di continuamente presentare sulle
scene italiane opere dove assai spesso trionfa il vi-
zio e rimane oppressa la virtù, e non sempre viene
rispettata, come si conviene, la morale e la pudi-
cizia. La qual cosa nella sua sapienza considerando
la Santità di Nostro Signore il regnante Pontefice,
ordinava al suo ministro dell' interno monsignore
Mertel, di spedire «a tutti i delegati delle provincie
dello stato pontificio una circolare , con che trac-
ciando lo scopo vero delle teatrali rappresentazioni,
esortasse ad impedire che siano messe sulle scene
azioni drammatiche, contrarie anche in modo il più
remoto alla morale, al costume e al decoro.
E siccome una cattiva scuola ha sventuratamente
educato la più parte degli scrittori a seguire nelle
loro opere una via falsa e perniciosa, il sommo pon-
tefice, per richiamarela drammatica al suo vero scopo,
ha ordinato che i delegati eccitino gli ingegni a col-
tivare questo genere sì importante di letteratura, a
scrivere opere teatrali sia in prosa, sia in verso, ed
2i4
a proporre premi, tutte volte che le produzioni fos-
sero commendevoli e dal Iato drammatico, e dal Iato
morale e sociale.
Ond' è che monsignor Mertel, interprete dell'ora-
colo di Sua Santità, incaricava i delegati ad inviare
accompagnate da proprie osservazioni le opere che
fossero loro presentate, o ad avvertire ^li autori di
spedirle direttamente al ministero dellinterno, ove
da persone idonee appositamente destinate verreb-
bero esaminate.
Nutriamo la maggior fiducia che tale sovrana di-
sposizione conseguisca il pieno suo effetto, che sia
di nobile eccitamento agli onesti ingegni, e serva a
ricondurre al vero suo fine la drammatica, conside-
lata come diletto e come ammaestramento.
215
Saggio di alcune poesie italiane del
prof. Cesare Monlalti cesenate.
iVvendo io in questo giornale al tomo CXLII par-
lato con assai lode, e meritamente, a quanto parmi,
del valore poetico del prof. Cesare MonlaUi; piacemi
oggi convalidare con le prove di fatto il mio detto
presentando senz'altro ai lettori un saggio, benché
piccolo, di sue produzioni, non comportandone un
più ricco ed abbondante la ragione stessa del gior-
nale. Dissi senz'altro, perchè la buona poesia, come
la buona pittura , non ha mestieri di noiosi addi-
mostratori, che ti sciorinino ad ogni tratto, con bo-
ria e seccaggine eterna di parole, ciascheduna sua
bellezza , che gli intelligenti sentono e gustano di
per se stessi. E poiché in latino delle di lui com-
posizioni o versioni insieme raccolte veggonsi a
stampa alcuni saggi, che l'Italia conosce; così volli
qui soltanto recare in mezzo questi pochi versi nel
dolcissimo nostro idioma, che per essere slati pub-
blicati in fogli volanti possono quasi dirsi inediti ,
almeno per la maggior parte degli italiani. E mi
gode l'animo in pensando che senza dubbio verranno
accetti e graditi agli intelligenti , al cui senno e
buon valere li desidero in ispecial modo raccoman-
dati; onde a'giovani, che a'nostri dì corrono mise-
ramente dietro ad una falsa e stia na maniera di fog-
giare e vestire i loro concetti, li mettino invoglia
ed in amore, predicandone le debite lodi, e facendo
ad essi por mente che il suo autore fornito di un ec-
216
celiente ingegno, ma reso più esperto , vigoroso e
fermo alla famosa palestra de'classici scrittori greci,
latini e nostrali, meriterà quando che sia di essere
avuto di loro immortai numero.
GIUSEPPE BELLUCCI
/• Per messa nuova.
SOLETTO
Sei tu quel Dio, che ad Israel l'asciutto
Senlier per l'onde aperse al gran tragitto ?
Che il diviso serrò vindice flutto
Sui carri e l'armi e i cavalier d'Egitto ?
Sei tu quel Dio, che in femminil conflitto
Terse sul ciglio di Betulia il lutto ?
Che a Giosuè sostenne il braccio invitto.
Onde fu il nerbo d'Amalèc distrutto ?
Ma dove il tuo, dov' è, fulmineo brando,
Che gli empi atterra, i monti incende e sface
Ministro al cenno del sovran comando ?
Voce mortai, che a me mcdesmo impera.
Qui mi tragge, ei risponde, ostia di pace,
E pace avrà chi in me si affida e spera.
II. Per laurea in legge.
SONETTO
0 volte a ignobil segno itale genti,
Poiché l'oprar codardo e il viver molle.
217
Mal'esca al tralignar del secol folle,
Disviato dal vero hanno le menti,
Vergognando mirate a qual s'attenti
Voi sublime costui, che Temi estolle
In parte, ove buon frutto alfìn si tolle
Di austeri studi e d'onorati stenti.
Io lui veggendo piij che gemme ed auro
Preziosa fra pochi incliti spirti
Ghirlanda al giovin crin cinger di lauro.
Grido: E tu il vedi , Italia: e sol di mirti
Neghittosa ti piaci ? a qual tesauro
Di gloria il ciel ti serbi, io non so dirti !
///. Per canlalrice cesenate.
SONETTO
Il Sospiro
Aura gentil, che sul mattin ridente
Dal grembo uscita della molle aurora
Scherzi del rio sul margo, e dolcemente
Baci lo stelo ai fior, cui l'onda irrora.
Prendi, auretta, un sospir del foco ardente,
Che Fille ne destò, caldo tuttora:
E a quella il chiudi in sen rosa nascente.
Che mezzo aperta si nasconde ancora.
Quando a coglier verrà la bella il fiore,
Soave sibilando allor tu dille:
Pegno il sospir ti sia di patrio amore.
Che al modular delle celesti, o Fille,
Tue care note hai fatto ad ogni core
Quel ch'io far soglio a mille fiori e mille.
218
IV- Sonetto pastorale.
Questa che già su la materna spina
Sboccia al caldo alitar del zeffiretto,
Rosa ancor molle di notturna brina,
Cura di ninfe e di pastor diletto,
Questa, o gran diva, a te Filen destina
. In umil pegno di devoto affetto.
Pria che d'ogni altro fior non più reina
Di sparse foglie in ostri il pian soggetto,
Altri sull'ara tua piiì ricco svene
Un'agnelletta prime corna, ed arda
Con maschio incenso a te pingui vermene:
Unica mia dovizia, un fior ti dono:
Tu il dono accogli, e tu propizia guarda
Ognor, gran diva, il donatore e il dono.
V. Al dott. Turci cesellate.
SONETTO
Se a te regge maestra arte la mano
Che di morbo crudel l'impeto atterra.
Perchè sterile sol premio di vano
Grido, perchè d'invidia avrai tu guerra ?
Del ver già schivo il secolo profano
Vedi che invecchia, peggiorando, ed erra,
Onde a segno d'onor si aderge invano
Chi più sublime in petto alma rinserra.
Giorno, Turci, verrà, che il mal ch'io piango
Ragione emendi, e volga età serena
A virtù che si giace egra nel fango;
219
Mentre Tarche d'argentò e d'oro gravi
Emunge il canto di venal sirena
Agl'itali nepoti, onta degli avi.
VI. Per celebre cantalrice.
SONETTO
Se il pie ti lego, o caro usignoletto,
D' indiscreto fanciullo in man non sei;
Invan dì me ti prende ira e dispetto,
Non vuò tarparti i vanni agili e bei,
Se il pie ti lego, già non l'hai sì stretto
Che ti deggia doler de'nodi miei;
Prigioniero gentile, io t' imprometto
Che sciolto in breve d'ogni freno ir dei.
Canore note modular non senti
Adele ? Or or le andrai libero accanto.
Onde seco alternar molti concenti.
A che dunque agitarti, ed a che tanto
Dibatter le bell'ali ? Ah tu paventi
Il laccio no, ma il paragon del canto !
VII. A Venere.
Inno di Omero volgarizzato.
Venere, santa diva.
Dal crine profumato
D'ambra, vogl'io cantar.
Che della cipria riva
Dai sen del patrio mar
Governa il fato.
220
Scotea le calde piume
Per l'acque aura feconda,
E il mare inturgidì,
E sulle molli spume
La pargoletta uscì
Di mezzo all'onde.
Lei raccogliendo intanto
L'Ore cortesi e pronte,
11 corpo alabastrin
Velar d'azzurro ammanto,
E di serto divin
L'eterna fronte.
Poi di finissim'oro
Sull'orecchio gentile
Ponean raggio seren;
E d'immoital lavoro
Al aiveo collo e al sen
Cingean monile:
Quel bel monile stesso,
Che allora ornar le suole.
Quando movono il pie
Nell'immortal consesso,
E innanzi al sommo re
Tesson carole.
Bella così di vesti
L'addussero alle case
Dell'alto genitor;
E il coro de'celesti
D'insolito stupor
Muto rimase.
Ciascun l'almo sembiante.
Che meraviglia elice.
221
Devoto salutò,
Ciascun le membra sante
Di toccar desiò
Sposo felice.
Salve dagli occhi neri ,
Dal dir che scende all'alma,
Olimpica beltà !
Fra i vati più sinceri
Se dato a me sarà
Coglier la palma,
Te fra i più cari oggetti
Dolcissimo mi fia,
Amabil dea, membrar:
Te ognor con inni eletti
Codia di celebrar
La musa mia.
222
Descrizione di pezzi patologici ed anatomici preparati e
collocati nel museo del ven. ed apostolico arcispe-
dale di Santo Spirito in Sassia dal dottore Eugenio
Rinaldi Bucci.
JU insigne Bartolomeo Eustachio, stato lettore di
medicina nell'archiginnasio romano della sapienza ,
fu quegli che introdusse negli spedali le pubbliche
dimostrazioni di anatomia, le quali servirono nel na-
scer loro come di lume ai cultori dell'arte salutare
per rinvenire la via, onde giungere al discoprimento
della fabbrica maravigliosa del corpo umano (1).
L' anatomia invero per essere una cognizione
utile vuol ricavarsi dal fatto. Questo studio, essendo
la scienza della oiganizzazione e composizione del-
l'uomo, su cui cadono le interne ed esterne malattie,
è stata sempre la principale occupazione degli stu-
diosi di quelle due scienze coeve all' uomo , della
medicina , volea dire , e della chirurgia in tutto il
tempo di loro dimora negli spedali.
L'accostarsi al cadavere, familiarizzarsi con lui,
osservare i fenomeni tutti dell' uomo con minuto
esame, e confrontarli senza risparmio di fatica con
la struttura de'suoi organi, fa sì che sì divenga pe-
rito conoscitore deiruomo tisico sano, dei mali che
(I) Pelrioli, fiiftcssioni anatomiche eoe. nella lettera dedicatoria
all'emineiilissimo Pier Luigi Carafa.
223
lo assalgono (1), de' loro rimedi, e perfettamente
addestrato nell'operazione della mano.
Nel ven. ed apostolico arcispedale di Santo Spi-
rito in Sassia , che ha sempre ahhondato di eccel-
lenti anatomisti, hanno tuttora luogo le anatomiche
dimostrazioni sul cadavere, le quali fino a pochi anni
addietro servivano di grande emulazione ai nume-
rosi studenti di medicina e di chirurgia che vi di-
moravano in servizio degli infermi , e per la loro
pratica istruzione.
Essendo io stato ben fortunato di percorrere nello
spazio di soli cinque anni la mia carriera pratica
di chirurgia in questo pio stabilimento, allorché era
in vigore il non mai abbastanza commendevole ordi-
namento interno (2), da semplice giovane studente
tìno all'esercizio dell'onorevole carica di chirurgo so-
stituto, ed avendovi avuto a. pubblico e privato mae-
stro il mio zio prof- cav. Francesco Bucci di eh.
me. massime nell'anatomia, la quale fin da' suoi più
verdi anni formò sempre la principale e prediletta
sua occupazione, si aprì vasto il campo di eserci-
(1) Dalla sezione p e. frequente dei cadaveri, di cui per orrore
poco usavano gli antichi, si conobl^e che molle morti improvvise
erano cagionate da interni aneurismi o da varici. « Enim vero ,
w cosi il Lancisi i?e subitaneis mortibus , postquam frequenliora
» reddita sunt humanorum corporum exlispioia , qiiibus antiqui ^
» prae horrore, parcius utebanlur, nobis elare innoluit, muitos,
» qui exlempore moriuntur, internis aneurysmatibus, aut varicibus
» laborasse. « Lib. 1. cap. XIX. pag. 77. Romae lypi.s Jo: Hranci-
sci Buagni MDCCVIl.
(2) Regole da osservarsi nel sacro ed apostolico archiospedale
di Santo Spirito in Sassia- Roaia RIDCCLI. appresso Niccolò e Marco
Pagliarini.
224
tarmi nelle giornaliere sezioni dei cadaveri, e neil'in-
dagare le cagioni de' morbi e nel preparare i pezzi
della fabbrica dell'uomo per le lezioni di anatomia
teorico-pratica, e per le pubbliche dissertazioni ana-
tomico fisiologico-chirurgiche, che in ogni anno nel
tempo di quaresima leggevansi dai giovani studenti
di Santo Spirito nel teatro anatomico.
Queste sezioni furono quelle che mi diedero luogo
a preparare alcuni pezzi patologici ed anatomici che
ho collocati nel maestoso museo del sullodato VQn.
ed apostolico arcispedale, quali ora rendo di pub-
blico diritto, convinto come sono che lo studio del-
l'anatomia patologica è della massima importanza
per chi professa l'arte salutare. Ed invero per mezzo
dell'anatomia patologica si rettificano le idee acqui-
state al letto degli infermi tanto nelle sale cliniche
di medicina interna che esterna.
Al criterio però e alla mano degli esercenti la
esterna medicina sono dovute le migliori osserva-
zioni e dell'anatomia patologica, e della fisiologia an-
cora. A provar ciò si percorrano i diversi musei che
esistono presso nazioni civilizzate , e si vedranno
pezzi patologici testimoni delle immense ricerche e
fjitiche dei chirurgi. Quindi bene a ragione i buoni
e dotti medici non solo riguardano il chirurgo come
un loro vero compagno, perchè educati alla mede-
sima fonte, ed eguale in tutto a loro, che anzi so-
stengono doversi riconoscere nel chirurgo una terza
parte dello scibile medico, vale a dire una mano ope-
ratrice, come diceva Celso : terliam esse medicinae
parlem, qiiae marni curai (1). Il chirurgo in una pa-
li) Lib. VII. in princip. *
225
rola impugna 1' anatomico coltello , cercando nelle
fredde spoglie de'nostri simili non solamente l'intima
oi'ganizzazione , ma le cause altresì che hanno di-
strutta questa nostra frale esistenza.
Brevi cenni intorno alV aneurisma.
Nel presentare ai cultori dell'arte salutare le no-
tizie di alcuni pezzi patologici risguardanti diversi
aneurismi, mi lusingo non sia per essere disgrade-
vole che io mi faccia a premettere pochi cenni in-
torno all'aneurisma.
L'aneurisma, aneurisma, «vsypuafza: («va , assai ,
£upu? largo) è un tumore formato dal sangue arte-
rioso in seguito alla dilatazione, alla rottura, o alla
divisione dell'arteria, o del cuore.
Secondo questa definizione l'aneurisma è di due
generi, il primo de' quali dicesi vero; spurio o falso
il secondo. Alcuni però dei moderni autori , fra'
quali il dottore G. Hunter, vollero aggiungere un'
altra forma di aneurismi, che denominarono aneu-
risma interno misto. Questo dicono accadere quando,
essendo offesa la tonica esterna di un' arteria per
ingiuria meccanica , o per malattia , la tonica in-
terna esce dalla tonica esterna a formare un tu-
more rigonfio di sangue. Questa specie però di a-
neurisma non fu ammessa universalmente.
Riconoscono gli aneurismi la loro origine tanto
da interne che da esterne cagioni. Le interne dipen-
dono da una depravata qualità di umori predomi-
nanti nella massa del sangue , come lo scorbuto ,
l'umore scrofoloso e venereo. Fra le cagioni esterne
G.A.T.CXLV. 15
226
poi si considerano le percosse, che producono con-
tusione nelle arterie, le ferite, le lacerazioni in oc-
casione di fratture, e qualsivoglia altro violento e
continuato moto tanto accidentale, quanto per ob-
bligo di professione.
Il dottissimo Lancisi, archiatro pontificio, fu il
primo a somministrare la vera e chiara idea degli
aneurismi interni in particolare, ed il celebre Guat-
tani quella degli esterni. 11 primo colf aver fatta
di pubblico diritto l'opera — De molu cordis , et
aneurysmatibus. Il secondo coll'opera — De exler-
nis aneurysmatibus.
L'esimio ed erudito professore Giuseppe Flaiaiii
fu quegli che consolidò le dottrine esposte dal suo
precettore Guattani.
Egli è fuori d'ogni dubbio che , avanti la sco-
perta della circolazione del sangue, non si potè aver
nessuna idea esatta delle malattie che ora vengono
sotto il nome di aneurisma. La prima cognizione di
questa malattia da alcuni autori viene attribuita ad
Ippocrate (1): il che negasi da non pochi scrittori
di chirurgia, fra' quali contasi il Dujardin (2). L'
isterico Peyriihe (3) prova con Aezio, che prima di
ogni altro siffatta malattia fosse conosciuta e de-
scritta da Rufo da Efeso.
Galeno opinò che tutti i tumori aneurismatici
fossero prodotti o da anastomosi, o da rottura.
(1) De Vigiliis Bibliotheca chirurgie, tom. 1 — Testa oe ex-
tcrnis aneurysmatibus. Epist. VII.
(2) Histoire de la chirurgie tom. 1"
(3) Histoire de la chirurgie lom. II.
227
Vesalio , il pritno ad applicare alla investiga-
zione delle malattie, descrisse un aneurisma origi-
nato da rottura dell'aorta dilatata (1).
Nuck poi fu quegli, che diede notizie pili par-
ticolari della combinazione della dilatazione dell'ar-
teria colla sua rottura (2).
Fernelio per il primio disse esser sempre l'aneu-
risma una dilatazione di arteria (3). Molti adotta-
rono questa opinione , fra i quali è da annoverarsi
il Forresto e il Diemerbroek. Colle osservazioni però
del Lancisi, Friend, Guattani e Morgagni rilevossi ,
come dimostrò Hodgson (4), che l'aneurisma poteva
esser prodotto tanto dalla rottura, quanto dalla di-
latazione delle toniche di un'arteria , come ancora
dalla combinazione d'ambedue queste circostanze ,
essendo la rottura preceduta dalla dilatazione.
L'ammettere l'aneurisma per dilatazione, e l'a-
neurisma per rottura delle toniche di un' arteria in-
sieme alla combinazione frequente d'ambedue que-
ste circostanze, fu la dottrina comunemente inse-
gnata nelle scuole tutte di chirurgia. Lo Scarpa (5)
fu il primo a richiamare in quistione 1' esattezza
della opinione comune intorno alla dilatazione delle
toniche arteriose. Le accurate disamine però isti-
tuite sul primo proposito dal Morgagni, e da altri
eminenti scrittori, possono riguardarsi come supe-
riori ad ogni eccezione.
(1) Bonetus sepulchret. anatomie, lib. 4. sect. 2. pag. 288 eri.
Genevae M. DCCC
(2) Oper. chirurq. Lugtl. 10)92.
(3) Univ. Medie, de externa carpar, affect. lih. 7.cap. 3.
(4) On ihe Diseases ol" art. etc 8". Loiid. 1815.
(5) Tract. de aneury smali bus.
228
I.
Aneurisma deWarleria innominala con ipertrofia del
cuore, con dilatamento dell'arco dell'aorta , e con
carie completa della prima costa vera corrispon-
dente, e della clavicola dello stesso lato.
Stanza II. Credenza VII.
Pasquale Silvani, maccheronaio, di anni 62, il di
20 settembre 1851 ebbe ricovero nell'arcispedale di
Santo Spirito per esservi curato di una palpitazione
che accusava al cuore. Collocato nel quartiere di-
retto dal medico primario oh. sig. dottore Pietro
Galli, questi dopo le più accurate indagini fatte sul-
l'infermo , rinvenne a destra e parte superiore del
petto un voluminoso tumore, il quale, dall'assieme dei
sintomi che presentava, giudicò per aneurisma. Ap-
prestogli immantinente tutti que' soccorsi che l'arte
medica suole suggerire per debellare codesta malat-
tia, ma riuscirono del tutto frustranei, ed il paziente
cessò di vivere il giorno 22 del suindicato mese.
Invitato io dal sullodato sig. dottor Galli a fare
la preparazione della parte, in cui avea sede il tu-
more aneurismatico, di buon grado vi acconsentii.
Difatti dopo averne eseguita la iniezione, allorché mi
feci a dissecare le parti per rintracciare l'origine del
morbo, trovai essere l'aneurisma a carico dell'arte-
ria innominata, appena dessa parte dall'arco dell'aorta
accompagnala da ipertrofia del cuore, da dilatamento
dell'arco deli'aorla, e da carie completa della prima
229
costa vera corrispondente, non che della clavicola
dello stesso lato.
II.
Aneurisma delVarco dell'aorta con carie completa della
parte media dello sterno.
Stanza H. Credenza VII.
Un sonatore di tromba fu accolto nell'arcispe-
dale di Santo Spirito per esser curato di un grande
tumore esistente nel mezzo dello sterno. Il medico
primario , alla cui cura venne il paziente affidato ,
nell esaminarlo si avvide che era pulsatile, e conse-
guentemente fu di avviso, che quel tumore fosse un
aneurisma. Mise perciò in pratica il più acconcio me-
todo curativo per vincere la pronosticata malattia.
Ma a nulla valsero gli apprestati soccorsi: imperocché,
dopo alcuni giorni di cura, il malato passò all'altra
vita.
Fattane l'anatomica preparazione, rinvennesi che
J aneurisma era a carico dell'arco dell'aorta con ca-
ne completa della parte media dello sterno.
III.
Aneurisma deWarco deWaorta con dilatamento con-
siderevole delVarteria carotide sinistra, associata a
carte nel lato destro della 2'" 3^'^ e 4'% vertebra,
e delle teste articolari delle rispettive coste.
Stanza II. Cred«nza V.
Avendo io eseguita l'iniezione arteriosa su di
un individuo morto in uno dei quartieri medici del-
230
r arcispedale di Santo Spirito, a fine di preparare
per la scuola di anatomia teorico-pratica le dira-
mazioni che partono dall'arco dell'aorta, e le loro
propagini, mi venne fatto nell'aprire la cavità del
torace, e nel rimuovere i polmoni, di rinvenire a
destra, e a ridosso della colonna vertebrale, un tu-
more che credutolo un estravaso della iniezione, lo
amportai per intero , e così mi avvidi della carie
di alcune delle vertebre, non che delle teste arti-
colate delle rispettive coste. Fattomi quindi a dis-
secare con tutta diligenza i vasi che partono dal
cuore, osservai l'arco dell'aorta enormemente dila-
tato: il che mi die a conoscere l'esistenza dell'aneu-
sisma a carico di detta arteria colle accennate carie.
Portata più oltre la sezione, e discoperte le ar-
terie fino alla testa, rinvenni puranco dilatata l'ar-
teria carotide sinistra.
Sebbene mi sia ignota la malattia che condusse
alla tomba l'individuo in discorso, può nondimeno
ritenersi dalla descritta sezione cadaverica essere
stato vittima senza dubbio dell' affezione morbosa
rinvenuta coll'anatomico coltello nel di lui cadavere.
IV.
Rene destro di ordinaria grandezza, da cui partono
due ureteri con con due distinte pelvi.
Stanza li. Credenza V.
Sebbene dai cultori dell' arte salutare parecchi
casi si contino , nei quali hanno riconosciuto uno
• 231
dei reni più piccolo, pur tuttavia non molti di nu-
mero se ne riferiscono di que', nei quali veruna trac-
cia abbiano riscontrato di uno di questi organi (1).
Un caso di simil fatta venne presentato da un in-
dividuo morto nell'arcispedale di Santo Spirito. Man-
cava in questo il rene sinistro, di cui non eravi ve-
stigio di sorta. Il destro rene peraltro, come vedesi
nel pezzo preparato e collocato nel museo del men-
zionato arcispedale , presentava la sua ordinaria
grandezza. Nel mezzo delia sua faccia posteriore
però scorgesi una incavatura trasversale, la quale dà
a conoscere , che il menzionato reno destro possa
esser foi'mata dalla riunione di due reni. Difatti tanto
nella parte superiore che inferiore del rene , non
solo veggonsi partire distinte pelvi, ma ammiransi
altresì vasi e arteriosi e venosi, come avviene or-
dinariamente, guardando i reni nella loro rispettiva
situazione. Dalle pelvi poi hanno origine due ure-
terijche vanno ad aprirsi ai lati della vescica (2).
(1) Klein riferisce di un caso , in cui dice aver osservalo la
mancanza completa dei due reni.- Andrai, Compendio di anatomia
patologica pag. 484. - Livorno presso la libreria Gamba tipogralia
Volpi 1839 — Versione del dottor C.migiani.
(2) Il prof. cav. Francesco Bucci di eh. me. dà conto di uu
rene, il sinistro, che vedesi nel suddetto museo di Santo Spirito
(Stanza IV. Credenza XI. N. 312), ancor essodi naturale grandezza,
il quale offre due pelvi renali coi rispettivi ureteri, i quali poscia
riunisconsi fra, di loro. — Notizie di pezzi patologici pag. 15 —
Roma tipografia Boulzaler 1835.
Del tutto nuovo pi-rò sembra il caso che il prelodato prof.
Bucci ci presenta nel pezzo patologico (stanza IV. Credenza I.N.302)
in cui veggonsi dai reni prolungare doppie pelvi con doppi ure-
teri aventi le corrispondenti aperture alla base del trigono ve-
scicalc. Op. cit. pag. 15.
232
)ta mi è la caus
dividilo.
Ignota mi è la causa che menò alla tomba 1' in-
Cuore di straordinaria grandezza.
Stanza HI. Credenza VI.
Il dover io preparare nell' anno 1849 le parti
sessuali della donna per essere dimostrate dal prof,
cav. Francesco Bucci nella scuola di anatomia teo-
rico-pratica nell'arcispedale di Santo Spirito, mi die
occasione di rinvenire questo cuore di non comune
grandezza. Il cadavere della donna, a cui desso ap-
parteneva, veniva trasportato dall'ospedale di s. Gio-
vanni presso il Laterano a quello di Santo Spirito,
per r indicato oggetto.
Non mi fu possibile di risapere, come avrei pur
desiderato, la malattia a cui la donna soggiacque.
VI.
Preparazione anatomica.
Stanza IV. Credenza V.
In questa preparazione anatomica vedesi la co-
lonna vertebrale, porzione delfe coste ohe con essa
si articolano, parte dell'osso occipitale, e delle os-
sa della pelvi. Vi si osserva altresì il sistema ner-
voso tanto della vita organica che animale , ed il
sistema arterioso fino alla metà tanto delle estre-
mità superiori, che inferiori.
233
VII.
Alira preparazione anatomica.
Stanza I. Denominata
TEATRO ANATOMICO.
Questa preparazione anatomica , detta volgar-
mente mascherino dalla sua forma, fa vedere il si-
stema arterioso e venoso, che con Je sue vaghe di-
ramazioni circondano la testa sì nella sua faccia
esterna, che interna, non che il collo, la clavicola,
parte delle coste, e delle estremità superiori.
234
Elocjio deir eminentissimo e reverendissimo principe
signor cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di
Osimo e Cingoli , letto nel terzo giorno delle so-^
lenni sue esequie 14 agosto 1856, nella chiesa cal-
terale di Osimo, da Giuseppe Ignazio Montanari.
Perirdnsit benefaeiendo.
Ad. Ap. e. 10. V. 38.
XJhe debbo dirvi o di che parlarvi ? Tempo è que-
sto di pianto non di parole, di affanno non di ra-
gionamenti, di preghiera non di consigli. Il nostro
buon padre ci ha abbandonati , il benefattore si è
da noi dipartito, l'angelo di questa chiesa ha spie-
gato il volo al cielo, e ci ha lasciati in desolazione.
Siamo figliuoli orfani , greggia diserta di pastore ,
viatori senza guida, naviganti senza lume di stella.
Oimè ! oimè ! lo squallore di questo tempio, le me^
lodie di questi canti, il popolo in atto di lagrimevole,
i sacerdoti in gramaglia, mi turbano la mente e mi
feriscono il cuore. L'aspetto di questa fredda e ve-^
nerabile salma mi arresta la parola sul labbro , e
mi costringe ai sospiri e alle lagrime. Che posso
dirvi ? come consolarvi ? quale argomento recare
a conforto del mio e del vostro cordoglio ? E voi
vi aspettate un elogio da me, da me che ho l'anima
sino al fondo trafitta , e la mente combattuta da
una tempesta di dolorosi pensieri ? Io non potrò al-
tro darvi, che in disadorne ed interrotte parole po-
chi cenni della virtuosa ed intemerata sua vita, non
235
potrò che toccare di alcune sue opere , nelle quali
veggiate in iscoicio quelle sue sovrane bontà , che
tanto bene a noi fruttarono: conciossiachè tutte ad
una colorirle e lodarle vada sopra il potere di ogni
eloquenza. Ed io in vero tante virtù, tante bontà,
quante in un sol punto peidemmo, non saprei né
potrei annoverare se avessi tranquillo il cuore, se-
rena la niente: mostrare poi la grandezza del danno
comune, rimasi privati di tanto bene , non saprei
né vorrei, per non accrescere dolore al dolore, tor-
mento al tormento. Questo fia il solo conforto, que-
sta l'unica consolazione che io mi studierò di por-
gervi: ogni altra non è da me: tanto più che ogni
copia di dire, ogni color di favella, ogni altezza d'
ingegno mancherebbe ove si togliesse a ragionarne
per disteso. Faremo adunque come coloro che divisi
per lungo tratto di mondo dalle peisone, le quali più
amano, non potendo più in esse gli occhi desiosi
sbramare, fan inganno a se stessi affissando qualche
immagine dipinta che ne richiama l'aria del volto, o la
dolcezza degli sguardi; e mentre ogni parte ne ricer-
cano , raffigurando le conte fattezze se ne conten-
tano, e quasi con esse benché lontane ragionando ,
le hanno come presenti in ispirito , ed il cuore e
se stessi con dolcissima frode racquetano. Ben co-
nosco che pure in ciò mi verrà meno la lena, e non
basterò ad adeguare il vostro desiderio e il mio
concetto: ma o sia che il mio dire raggiunga la meta
a cui tendo, o di molto indietro si rimanga, come
dee per forza avvenire a chi voglia con debole prora
percorrere un pelago immensurato , pure non sarà
senza effetto di bene: e se non altro si parrà a voi
236
più chiaro il mio buon volere , e a quella grande
anima l'affettuosa mia divozione. Laonde io mi ab-
bandonerò all' impeto dell'affetto, e cercherò di re-
carvi fedelmente sotto gli occhi alcuna cosa della
vita di questo angelico spirito, che ahi ! troppo per
breve ora a noi fu concesso, affinchè provassimo gli
effetti della sua paterna beneficenza. Che in vero il
cardinale Giovanni Soglia Ceroni, il quale soli di-
ciassette anni e quattro mesi fu nostro vescovo, visse
soltanto per beneficare, e tanti sono i giorni del suo
mortale pellegrinaggio, quanti i beneficii che a noi
e a tutti ebbe compartito: cotalchè si possano con
ragione a lui applicare le parole che si leggono
negli Atti degli apostoli — Passò beneficando — Per-
transil bene f adendo. Mi aiuti la vostra pietà, o si-
gnori, e al basso mio ingegno soccorra : e se av-
venga che alcuna cosa qui degnamente non si re-
gistri, non me lo rechi a colpa, ma al mio dolore
compatisca. E tu, anima benedetta del nostro ca-
rissimo e venerando pastore, riguarda dal cielo que-
sta tua greggia, cui tanto amasti, e a me perdona
se in mezzo a tanta commozione mi perdo , e se
del molto che dovrei dire in tua lode appena al-
cuna parte saprò leggermente accennare.
La vita umana, o signori , non è altro che un
pellegrinaggio breve e faticoso dall' esilio alla pa-
tria, dalla terra al cielo , nel quale Iddio pone i
mortali acciocché fra i travagli e le malagevolezze
attraversando questo suolo seminato di spine e di
triboli, abbiano di che acquistarsi merito ad entra-
re, quando vi siano chiamati, nella celeste Gerusa-
lemme, dov' è solo il fine agli affanni, e quella vita
237
verace che non conosce tramonto. E coloro che
reputano potersi in godimenti e in gioie, in mol-
lezze ed in pompe, trapassare questa valle tenebrosa
ed oscura, sono d'assai male avvisati e perduti, per-
chè fanno dell'esilio patria, della vanità ricchezza,
della viltà gloria , e il celeste redaggio tramutano
in false e caduche dilettanze. Ma quelli che aspi-
rano al vero bene, e intendono che noi nel mondo
non siamo se non peregrini, si lastricano per mezzo
al deserto la strada alla terra di promissione con
opere virtuose, e facendo bene agli altri, a se stessi
durevole fama e corona immortale procacciano. Così
fece Giovanni Soglia Ceroni (1), il quale fin dai primi
anni della sua giovinezza diede a vedere quale sa-
rebbe divenuto in appresso. Nato di antica prosa-
pia assai famosa nelle storie (2), avevalo dotato la
provvidenza di beli' ingegno, di tenero cuore, di care
sembianze, e postogli sulle labbra un sorriso , che
a chi lo riguardava pareva dicesse: Io sono naia a ben
fare. Giovane piìi avvenevole, più ingegnoso, e più
ben composto di persona e di animo forse a' suoi
tempi non v'ebbe. Educato in Casola Valsenio sua
patria, castello della Romagna nella diocesi d'Imola,
sotto la disciplina di savi e religiosi parenti, ammae-
strato da buoni precettori, essendo ancora garzone,
prendeva gli animi di tutti colle sue rare bontà, ed
era posto ad esempio degli altri. Obbediente, do-
cile, cordialissimo, rispettava i da più , amava gli
uguali , studiavasi di giovare gl'inferiori. Devoto a
Dio e in lui timorato , amante dello studio , non
era perciò meno gioviale e compagnevole. Compita
la prima carriera delle lettere latine con molta sua
238
lode, fu chiamnto in Imola da Giacomo Braga sa-
cerdote assai degno e suo zio mateino, il quale stava
a'servigi dell'eminentissimo vescovo Gregorio Barna-
ba Chiaramonti in otììcio di segretario : e in quel
seminario potò con agio e proHlto grande appren-
dere la rettorica. Di là fu posto in Bologna ad im-
parare filosofia, dove sopra molti si segnalò. In que-
sto mezzo, passato di vita il magnanimo pontefice
Pio VI, Iddio chiamò a succedergli sulla cattedra di
Pietro il cardinale Chiaramonti , il quale doveva
mostrare al mondo quanto prevalga la divina alla
umana potenza, e come verso quella sieno polvere
ed ombra gli eserciti de'conquistatori, i regni e gli
imperi della terra.
Non si tosto di Venezia, ove si tenne il concla-
ve, fu giunto a Roma Pio VII, mosignor Braga ebbe
a sé il nipote, e fattolo prima studiare in divinità,
perchè il giovane aveva dichiarato volersi rendere
uomo di chiesa, poi nell'una legge e nell'altra , lo
mise nelle grazie del pontefice, che gli diede di en-
trare a corte , e dell' opera sua cominciò a valersi
con molta soddisfazione. Ma in quella che il gio-
vane studiavasi corrispondere alle cure paterne di
luì, e porgersi degno ogni dì piiì della sua stima e
del suo affetto, ecco di nuovo in fiamme di guerra
r Italia e 1' Europa ; armi straniere occupare i
dominii della santa Sede ; e Pio VII , fermo a
mantenerne inviolati i diritti, essere violentemente
strappato dal Vaticano, e condotto prigioniero sotto
strette guardie oltre I' alpi (3). Dio immortale ! A
quale dura prova fu posta la religione e il vicario
di Cristo ! quale strazio fu fatto della chiesa nel suo
239
supremo gerarca assalito nella sua reggia, imprigio-
nai to, strascinato in lontano esilio ! La grande ani-
ma di Pio si rassegnò ai voleri del cielo, ne adorò
i disegni , ne aspettò il soccorso , e prigioniero si
lasciò condurre in Savona, ove alcun tempo rimase.
Ma chi gli sarà compagno negli affanni e nelle ama-
rezze della prigionia ? Chi avrà a' suoi servigi di sì
splendida corte ? Quale a lui sarà concesso o servo
od aiutatore ? Dirò vero; molti spasimavano di se-
guirlo , reputavansi a gloria dividere con lui peri-
eoli e carcere: a pochi fu concesso, e fra questi (4)
a D. Giovanni Soglia, caro sopra molti al pontefice,
perchè con affetto e fedeltà grande il serviva , e
della mano di lui sovente valevasi a scrivere lettere,
dispense, istruzioni e cose somiglianti. Le quali scrit-
ture venute a mano de' suoi avversari, fecero mon-
tare in isdegno V imperatore dei francesi, il quale
ordinò si scrutassero diligentemente i fogli de'ser-
vitori del papa: e fu fatto. Onde nacque che il So-
glia dopo diciotto mesi fu diviso dal pontefice , e
condotto prigioniero a Fenestrelle (5). Di che gli dolse
all'anima, non pei patimenti che si vedeva innanzi,
i quali tutti con forte animo sfidava, ma perchè non
poteva più giovare di aiuto, consolare, e della per-
sona sovvenire al suo glorioso e sventurato signore.
Quante volte nella tacita solitudine del suo carcere
ebbe lagrimosi gli occhi, e gli vennero alle labbra
dolorosi sospiri pensando in che abbandono lo aveva
lasciato, e in che scaduta salute ! Quante volte le-
vava al cielo le mani e la voce, implorando sopra
di lui e sulla chiesa deserta le divine misericordie !
Nulla di se pensoso, e sicuro sotto l'usbergo della
240
buona coscienza, sì stava tranquillo nel suo carcere,
e tutte le ore del giorno e molte della notte spen-
deva orando e studiando. In quel tempo dettò in
elegante latino la Concordia evangelica colle parole
medesime de'quattro santi evangelisti, opera che so-
vente anche negli anni appresso si recava a mano,
ma non pubblicò, e lasciò ne' manoscritti (6). An-
cora scriveva orazioni di vote , pii propositi e sa-
pienti massime, allora a sua consolazione e per con-
fortare l'animo in mezzo alle tribolazioni, ora rima-
ste a testimonio della sua pietà e della sua cristiana
sapienza. Dopo un lungo avvicendare di sofferenze,
di processi e di vessazioni, finalmente la fatale porta
di Fenestrelle gli fu aperta , e comandatogli tor-
narsene a casa. Stesse cento leghe lontano da Sa-
vona, partisse tosto, e badasse a non guardare indie-
tro. Questa sentenza gli seppe più amara che la
stessa prigionìa: non però di meno piegò il capo;
pieno di sconforto si ritornò al luogo nativo, e get-
tatosi tutto in Dio, da lui aspettò quella vittoria
che senno umano non avrebbe potuto a que'dì
nemmeno immaginare. Visse tranquillo e obbediente
alle leggi del novello stato, non s'immischiò in fa-
zioni, non cospirò; umiliato sotto la potente mano
di Dio , in ogni atto, in ogni parola die segno di
quella mansuetudine, che buon cristiano dee ritrarre
dagli esempi del divino Maestro. Molto di tempo
dava al suo ministero di sacerdote, molto orava, e
con molta divozione: occupavasi ne'suoi cari studi,
e in essi facevasi scorta ad alcun ecclesiastico che
a lui si fosse rivolto per imparare. Nel resto sem-
pre sereno, sempre piacevole, sovente in compagnia
241
di specchiati amici conduceva la vita per forma da
i'iuscire caro e pregiato agli occhi di quegli stessi,
che scrupolosamente ne spiavano i passi e le parole,
e in ogni tempo invegliavanlo.
Ma Iddio alfine nella sua misericordia aveva udito
i gemiti della sposa di Cristo: e veduto che la pro-
cella combatteva il mare, e minacciava soverchiare
la navicella di Pietro, se ne commosse, e comandò
di tratto ai venti ed al mar di posare , cotalchè
alle furie della tempesta seguì la bonaccia e la cal-
ma. Pio VII, uscito vittorioso alla prova di tanta
persecuzione , sulle braccia di tutta l' Europa con
inaudito trionfo veniva ricondotto in mezzo ai fe-
stanti suoi popoli all' antica sua sede, e colle dol-
cezze del presente, e le speranze dell'avvenire, ri-
compensava le amarezze e i travagli affannosi del
passato. Giunta appena la lieta novella a don Gio-
vanni, si prostrò con tutta l'effusione dell'anima a
ringraziare Iddio della singoiar grazia fatta alla chiesa
e al suo vicario: poi senza mettere tempo in mezzo
od indugio frapporre , corse difilato ad incontrarlo
oltre i confini del modenese, e gettossegli ai piedi:
e quanti fossero gli affettuosi baci che vi stampò ,
quante le lagrime di consolazione con cui li bagnava,
non è da me poter dire. Lo accolse amorevolmente
il padre de'credcnti, l'abbracciò stringendolo al seno,
e più che al seno al cuore , e allora credo io gli
parve pieno e solenne il suo trionfo. Oh ! come a
lui dovette esser caro vedersi accanto nel suo ri-
torno quegli stessi che avevanlo seguito fedelinente
negli amari passi dell'esilio , e nella cattività ! Oh
come ad essi dovè riuscire soave poter dire: Ecco
G.A.T.CXLY. 16
242
noi abbiamo colto il frutto delle nostre fatiche, dei
nostri affanni sì lunghi e penosi ! Certo ò che il
gran Pio volle che il Soglia in officio di crocifero
il precedesse quando di nuovo mise il piede ne'suoi
stali , e sino a Roma quasi guidasse la pompa di
quella sua trionfale andata. Poi venuto nella metro-
poli del mondo cattolico, dopo le grandi ed iterate
accogliente di quel popolo, che solo dalla sedia a-
poslolica si ebbe tenere sugli altri una seconda volta
il primato, a sé più che mai lo restrinse , lo fece
suo intimo famigliare , e suo segretario ed agente
particolare, né cosa volle o fece senza di lui. Non
era affare di rilievo che egli avesse a trattare, e non
vi adoperasse il Soglia: non aveva prelato a cui vo-
lesse mostrar favore, e non gli offerisse la compa-
gnia del Soglia: non capitava persona ch'egli avesse
cara per fama di sapere e per dignità , e non la
mettesse nelle mani del Soglia. Fidavasi di molti ,
di niuno più che di lui: amava molti, ninno più che
lui. Mandavalo in suo luogo a visitare augusti per-
sonaggi che in Roma venivano a baciare i piedi al
vincitore del vincitor dell' Europa , a benedirne la
mensa , a recar loro le sue parole. Monsignor So-
glia era studiosamente cercato e corteggiato da tutti,
e pareva gran mercè , anzi un avere acquistata la
grazia del sovrano, a chi pure potesse parlargli, o
jTiostrargli riverenza. Inoltre il pontefice, conoscendo
la dottrina e il sapere di lui, lo nominò professore
di ragion canonica pell'archiginnasio romano , uffi-
cio ch'ei tenne con grande onore e altrui profìtto ,
dappoiché quanti oggi in Roma hanno grido di va-
ienti in giure canonico ebbero avviamento alla scien-
243
za da lui, fortunato di poter annoverare fra'suoi di-
scepoli prelati e cardinali di gran nome. E quanto
in siffatti studi fosse profondo, lo mostrarono poi i
libri che vecchio pubblicò. Del favore però e della
grazia del principe non si valse egli per se, ma prin-
cipalmente in servigio di quelli che sapeva biso-
gnosi di conforto e di ristoro ai danni sofferti. Ai
religiosi che dispersi dal turbine cercavano di nuovo
tornare alle proprie stanze, agli ecclesiastici spo-
gliati di ogni loro avere , ai laici di ogni genere ,
ai ricchi, ai poveri, si porse ugualmente benigno, e
die mano ad aiutarli ; nò mai nel beneficare anti-
pose l'amico stato al nemico, anzi coi nemici allargò
la mano di più, e fece loro mite e benevolo il cuore
del pontefice.
Che r indole mansueta e la benigna natura del
Soglia avvalorata dalla cristiana carità non tenne
mai memoria delle offese ricevute, e le conobbe solo
per perdonarle, e seppellirle nell'oblìo; di che forse
taluni presero poi baldanza, e ai beneficii corrispo-
sero indegnamente coli' ingratitudine. Alla sua terra
natale ancora , alla quale buon cittadino più volle
di Roma, poi di Osimo si condusse, e sino all'estre-
mo respiro ebbe affetto, delle grazie che a lui la ma-
no del re-sacerdote largheggiava fece parte , e ot-
tenne che il territorio casolano fosse ampliato, fatte
strade più agevoli per accedervi , dati privilegi e
preminenze. Perchè poi sopra ogni cosa gli stava a
petto la religione, unica e vera sorgente d'ogni bene
alle genti, murò a sue spese un convento ai pove-
relli del serafino d'Assisi (7), ricevutone in dono un
tratto di terreno da alquanti principali del luogo ,
244
i quali per edificarvi un teatro avevanlo acquistato,
e vi fé inoltre costruire una devota e maestosa
chiesa (8), e d' ogni maniera di ornamenti la fre--
gìò: begli altari, bei dipinti, bei paramenti e sup-
pellettili in copia. La qual cosa riuscì molto cara
e di grande prò a tutti: conciossiachè ì padri cap-
puccini sono de' meglio e più aitanti operai della
vigna del Signore. Né a tanto egli tennesi pago ;
perchè fin d'allora concepì il pensiero di provvedere
alla educazione delle fanciulle, alle quali negli anni
appresso aperse del proprio una scuola; e acciò non
mancasse , pose e dotò un monistero di religiose
donne, le quali si avessero in perpetuo questo pio
e caritatevole incarico. Oltre a ciò volle coH'opera
delle stampe raccomandare alle lettere alcune me-
morie gloriose della sua terra natale, e fece impri-
mere in Roma un elegantissimo commentario latino
di Domenico Mita suo conterraneo, che fiorì al prin^-
cipio del secolo XVII , nel quale lasciò registrati
alquanti monumenti antichi della genite Ceroni (9) :
lavoro assai encomiato dai dotti, e riputato degno
di essere posto fra gli scrittori delle cose italiche,
raccolti e pubblicati dall' immortale Lodovico Mu^
ratori. Poi dettò egli stesso assai latinamente la vita
di Giambattista da san Bernardo monaco fuliense (10)
nato della famiglia Ridolfi in Casola nel 1588 , e
morto trentatrè anni appresso in grande odore di san»
tità. In fine mise alla luce alcuni versi latini ine-
diti di Antonio Linguerri casolano (11), stato suo
maestro , sacerdote di molte lettere., e nelle cose
della filosofia e della teologia dotto assai, i quali
dedicò a quel lume della romana porpora che è 1'
245
eminentissimo signor cardinale Gaetano Baliiffi, ar-
civescovo vescovo d' Imola, quando fu pronnosso a
quel vescovato : con che mise sotto gli occhi del
mondo non solo la sua ossequiosa stima ai meriti
e alla dottrina del porporato principe , ma la sua
immanchevole gratitudine al Suo savio educatore.
Ancora osserverò qui eh* egli non pose in fronte a
queste opere il proprio nome , ma innominate le
mandò per lo mondo a raccogliere il libero voto
dei lettori, dai quali però non ebbe che encomi :
bel esempio di letteraria modestia, e poco a' dì no-
stri imitato. Ma è tempo che io mi ritorni onde mi
sono dipartito, e rappicchi il filo del mio ragiona-
mento.
La salute del pontefice da qualche tempo era
scaduta, V età di oltre ottant'anni aggravavalo , le
sventure e i trionfi, la carcere e il regno ne avevano
omai consumato ogni vigore. Appressava l'ora su-
prema, e il cielo r invitava a raccogliere alfine il
meritato guiderdone. Mentre fu infermo ninna per^
sona meglio piacevagli avere intorno a se che il So-
glia: e per mostrargli sino all'ultimo quanta fiducia
in lui aveva posto , essendogli dato a sottoscrivere
il proprio testamento, non volle, finche egli non lo
avesse letto, e lui affidato di poter sottoscriverlo.
Dopo alquanti giorni passò di questa vitale a mon-
signor Giovanni non rimase che il dolore di averlo
perduto, e la ricordanza delle sue segnalate virtù,
delle quali non solo in tanti anni aveva fatto te-
soro nella memoria, ma ben anche fece poscia ri-
tratto, quando a maggiore stato pervenne: concios-
siachè il modo di condurre i negozi più gravi, di
246
trattare co'soggettì, di tenersi presto ad ogni fortu-
na, compose sempre allo specchio di quell'immor-
tale e glorioso principe, il nome del quale non pro-
nunziava mai senza manifesti segni di commozio-
ne, di affetto, e di riverenza.
Succedutogli nella cattedra apostolica il cardi-
nale Annibale della Genga con nome di Leone XII,
papa che fu nobilissimo, il quale aveva in capo va-
sti e generosi disegni, cui la difficoltà dei tempi
e la morte troppo presta interruppero, l'ebbe caro
non meno che il suo antecessore : anzi quasi egli
volesse rimeritarlo di quanto aveva fatto per lui ,
lo sollevò a maggiori offici, e il tenne in gran conto.
Lo nominò in prima suo coppiere , poi cameriere
segreto. Appresso volendo rimettere in onore e dar
legge e norma nello stato pontifìcio agli studi, fat-
tane parola con lui , e richiestolo dell' avviso suo,
egli proposegli, e con buone ragioni mostrò che sa-
rebbe stato assai bene, e di grande onore a Sua Bea-
titudine, creare appositamente una congregazione di
cardinali, col titolo di sacra congregazione degli stu-
di, la quale con certe leggi li governasse per tutti
gli stati della chiesa. Piacque la proposta al gene-
roso pontefice, e a lui diede incumbenza di presen-
targli in iscritto le leggi che crederebbe da ciò ;
perlochè il prelato si fece poi a compilare quel vo-
lume che ancora è il codice della pubblica istru-
zione, e il papa in appresso pubblicò con quella bolla
che incomincia Quod divina sapienti a. Inoltre dopo
avere messo a capo di quella sacra congregazione il
dottissimo cardinale Francesco Bertazzoli , nominò
segretario della medesima il Soglia, che con tutto
247
lo zelo fin dalle prime incominciò a proteggere le
buone lettere ed i cultori delle scienze, e a ritor-
nare in onore la lingua latina, di cui era teneris-
simo e profondo conoscitele, la quale allora minac-
ciava scadere. Non istette gran tempo, che avendolo
sperimentato e conosciuto alla prova destro, leale,
abilissimo in ogni bisogno^ cominciò a valersi di lui
negli offici pili delicati, e in quelle segrete opere di
carità che sono tutte proprie del sacerdozio catto-
lico e del pontificato. E corrispondendo sempre più
all'aspettazione, anzi superandola, per dargli un nuovo
segDQ della sua soddisfazione lo nominò suo elemo-
siniere segreto , avvisando che niuno più di lui a-
vrebbe giustamente distribuito le sue larghezze ai
poveri, niuno meglio di lui avrebbe alla natia gene-
rosità sua soddisfatto. Così avvenne appunto ; ed
erano ad una voce benedetti dai poveri e il ponte-
fice e il suo limosiniere, il quale non lasciava par-
tire da se persona senza averla in prima consolata.
Ancora Io fece arcivescovo di Effeso nelle parti do-
gi' infedeli: e più onore gli avrebbe fatto se la morte
non avesse posto fine alla sua vita e al suo regno.
Saliva al pontificato massimo Francesco Saverio
Castiglioni che prese nome di Pio Vili, il quale per-
chè l'invidia usando sue male arti aveva tentato co-
lorirgli sinistramente l'arcivescovo d'Efeso , in sulle
prime gli fece brusche accoglienze; ma poi veduto
alla prova de'fatti qual uomo egli era, di quanta in-
tegrità e dottrina, lo ebbe assai presto in grazia, per
modo che non riusi a lui meno accetto che al Chia-
ramonti e al Genga. Tuttavia non potè innalzarlo
a maggioi'i onorificenze, perchè il suo regno fu breve
248
e non lieto. Un improviso turbine scrollava l'antico
trono dei Borboni, e dalla Francia, come dal cuore
per tutto il corpo , si diffondevano forti agitazioni
nell'Europa. L' Italia per suo mal destino usata ad
illudersi sempre, e sempre lasciarsi ingannare, ago-
gnava novità pericolose, e le provincie dello stato
pontificale lasciavansi sconvolgere. Pio Vili fu ben
avventurato di non vedere i suoi popoli levare il
capo, perchè Iddio lo chiamò a se al primo inco-
minciare della tempesta.
La quale mentre mostrava ingrossare, fu posto
suir apostolica sedia Mauro Cappellari che si tolse
nome di Gregorio XYI, e in pochi giorni bastò a di-
leguare e comprimere gli umori , e ricondurre la
tranquillità negli stati della chiesa. Era egli da gran
tempo legato di amicizia al Soglia, delle rare bontà
del quale aveva piena contezza; per lo che a lui si
tenne ristretto e fidato. Desiderando poi di fargli ve-
duto che quella cima di altissima dignità non can-
cellava in lui, come suole, la memoria dell'antica di-
mestichezza , né punto cessavano l'affetto , lo fece
tosto canonico della basilica vaticana , e gli diede
titolo di patriarca di Costantinopoli. Indi volendolo
innalzare a grado più degno, dalla congregazione de-
gli studi lo recò a quella dei vescovi e regolari ,
onde agevole è il passo al cardinalato. Fatto adunque
segretario di questa congregazione, non è a dire con
quanto studio adoperasse al ben andare della me-
desima, e quanti per mezzo suo fossero beneficati.
Pareva sua natura il ben fare altrui, e mentre per
se nulla cercava , per gli altri spendevasi a tutto
potere, né cosa al mondo gli gustava più che col
249
favore e i benefìci! amicar gente alla sedia aposto-
lica. Si può con sicurezza e senza tema di errore
affermare , che ei teneva le chiavi del cuore
del pontefice, e per la sua paragonata fede avreb-
bele potute volgere a suo talento. Tutta Roma sei
vedeva e contentavasene assai, ed io stesso soventi
volte ho udito dire che il patriarca di Constanti-
nopoli aveva nelle mani quante grazie poteva fare
il pontefice, il quale richiesto, nulla avrebbe saputo
negargli. Tuttavia egli ne usò con quei riguardi che
buon ministro deve, e con quella rettitudine di cos-
cienza che era da lui: anzi quell'anima angelica non
volle valersene se non quando occorresse beneficare
ed onorare il merito. Oh ! quanti in tanto splendore
di corte, in tanta grazia del principe, con faina meno
bella ed integra, con potenza tanto men salda quanto
men fondata sulla rettitudine e sul ben fare, avreb-
bero cercato mostrarsi al mondo in pieno lume ,
menarne pompa, fare ricchezze; ma il patriarca di
Costantinopoli, l'amico del ponteficcl'idolo di Roma,
lenevasi nell'usata modestia, sobrio , frugale, ospi-
tale, benigno a tutti, e piiì che agli altri ai più bi-
sognosi. Dalla corte prese la grandezza dell'animo
non il fasto, la cortesia non la mollezza: sincero ,
leale, affabile, non volle altra luce che lo splendore
delle proprie virtiì, coperte sempre dal velo dell'u-
miltà. La quale in lui ebbe tanta balìa, che men-
ti'e era sempre inteso a beneficare , volle e cercò
sempre i suoi stessi benefizi nascondere o meno-
mare colle parole: e di ciò fece ancora più forte ma-
ravigliare quanti il conoscevano. Molli di lui par-
lavano, molti a lui avevano ricorso , moltissimi in
250
lui solo e nelle sue mani sì mettevano : vedevalo
Gregorio XVI, e in suo segreto godevane. Erano ornai
trascorsi trentanove anni che monsignor Soglia fa-
ticava in servigio della chiesa e del suo capo visi-
bile, ed oltre gli uffici che ho detto, altri pure ne
aveva sostenuti di non pìcciol rilievo, e con grande
suo onore. Era stato consultore della sacra congre-
gazione che tratta gli affari straordinari ecclesiastici,
di quella chiamata dell'indice, la quale nota i libri
nocevoli al costume ed alla religione , e di quella
ancora del sant' officio, cui spetta combattere l'e-
retica pravità e sventarne le insidiose dottrine. Inol-
tre era stato esaminatore non solamente del clero
romano, ma di quelli altresì che venivano promossi
alla dignità episcopale; carichi tutti onoi-evolissimi e
laboriosi. Tempo era di concedergli un premio pari
a tanto merito, e però Gregorio lo disegnò cardi-
nale nel concistoro del 12 febbriaio 1838 e sei ri-
serbò in petto; nò lo pubblicò che in quello del 18
febbraio nell'anno appresso , conferendogli il titolo
dei santi quattro coronati nell'ordine dei preti. La
sua promozione fu con grande consentimento del
sacro collegio dei padri porporati, e accompagnata
dalle congratulazioni di tutta Roma; fu festeggiata
dalla Romagna, della quale egli era bellissimo lume,
e la sua patria in mezzo ai plausi ed al canto dei
poeti la scrisse ne suoi fasti come il più bel mo-
numento delle sue glorie. Non fu pa^o il generoso
pontefice di ornarlo della porpora de' cardinali; ma
essendo rimaste senza pastore per la morte dell'e-
minentissiino cardinale Giovanni Antonio Benvenuti
le chiese unite di Osimo e Cingoli, a lui le offerse
251
nel medesimo concistoro: ed egli le accettò non come
fine alle fatiche, ma come nuovo campo in cui a-
vrebbe da esercitare le sue virtù , e seminare più
grandi e sfolgorate beneficenze. Io credo che non
senza lagrime da lui si dividesse il pontefice, tanto
gli pativa il cuore nel distaccarsene: so certo che
tutta la corte e Roma ne provarono rammarico, per-
chè a quella parca perdere uno specchio di probità
rara nel mondo, a questa un bellissimo e non co-
mune ornamento. Maraviglieranno al certo i posteri
ch'egli sotto quattro pontificati fosse mai sempre
in istato, sempre in grazia, né la diversa indole dei
principi, né le vicissitudini dei tempi, né il costante
variare della cieca fortuna, né le arti o le invidie
cortigianesche potessero mai abbassarlo, o farlo pur
di poco scadere: nel che in vero è la prova più ma-
nifesta della sua rettitudine, della sua bontà, del suo
ingegno e della sua prudenza; ma sopra tutto del-
l'incolpabile sua vita , e del suo disinteresse , che
Io portava a cercar sempre non il proprio, ma l'al-
trui bene.
Dopo avere inviata al clero e al popolo di Osimo
e Cingoli una lettera pastorale (12) piena di affetto,
di dottrina e pietà, veniva egli di Roma il 25 di
marzo 1839 nella domenica delle palme, giorno che
per questa città sarà sempre memorando e soave:
e voi lieti in festa, come que'che eravate conoscenti
appieno delle sue virtù, vi facevate in calca ad in-
contrarlo , signori osimani , e come fidata greggia
al pastore , o figliuoli amorosi, intorno al padre
vostro vi stringevate. Erano addobbate le case, in-
fiorate le strade, ingiardinate le piazze: l'allegrezza
252
del cuore traspariva in ogni volto: il popolo come
è usato applaudiva, e si contendeva l'onore di ap-
pressarsi al cocchio e inchinarlo. Ed egli benedi-
cendovi vi confortava con amichevole sorriso, men-
tre gli spuntavano sugli occhi soavissime lagrime.
0 dolci memorie, o care allegrezze, quanto non ren-
dete voi oggi più misera e più lagrimevole la no-
stra luttuosa condizione! Giunto a questo luogo, con-
fesso, 0 signori, che volentieri porrei fine al mio
dire, perchè ninno meglio di voi può conoscere
quanto in servigio vostro egli fece, quanto vi amò,
quanto voi e la città vostra seppe beneficare; e le
mie parole non potranno forse che adombrare ciò
che voi chiaramente avete veduto. Ma perchè vi ho
promesso mostrare che tutta la vita di lui non fu
che un passare continuato da bene a bene, una ca-
tena di beneficii non interrotta , mi conviene pur
innanzi seguire, quantunque 1' animo solo della ri-
cordanza si risenta e resti trafitto. Incorare e
soccorrere, ammonire e dolcemente correggere, ri-
cercare le radici del male, e a poco a poco dissec-
carle, mettere semi di bontà, di concordia, di pace,
di riverenza alla religione , di amore agli studi, fu
suo primo e solenne pensiero. Infatti poco stante
dalla sua venula aperse la sacra visita pastorale, e
con decreto ordinò fosse messa a sindacato l'ammi-
nistrazione de'luoghi pii (13) ; richiamati in vigore
i savi regolamenti del suo predecessore monsignor
Timoteo Ascensi vescovo stato di gran mente e
dottrina : inoltre si osservasse se gli obblighi delle
messe erano debitamente adempiti , e la volontà
de'pii testatori soddisfatta. Poi si volse a procurare
253
che il popolo fosse bene ammaestrato della dot-
trina cristiana, in che sta il fondamento e la norma
del vivere onesto e civile , e di ciò fece coscienza
a quanti hanno cura di anime : indi diede a stam-
pare un libretto da ciò (14), premettendovi un editto
latino con versione italiana da Iato, nel quale sono
prescritte le regole e il modo dell' insegnamento.
Questi furono i primi suoi passi nell'episcopato, dai
quali abbastanza si pare quanto avesse animo al
bene , e quanto desiderasse vantaggiare la condi-
zione della doppia sua diocesi.
Ma considerando che « non vi ha parte del pa-
« storale officio (15), che dimandi vigilanza e di-
te ligenza accorta, quanto lo scegliere quei che deb-
« bono essere ministri della chiesa, e sacerdoti ; e
« ponendo mente quanto importi al culto di Dio e
« alla salute delle anime non inalzare a cotanta
« dignità persona, la quale non sia stata a lungo
« in prima frugata , e non si porga adorna delle
« doti necessarie, dappoiché fu detto con tutta ve-
« rità da san Gregorio Magno, che la cagione della
« ruina del popolo sono i cattivi sacerdoti )>: egli con
una lettera pastorale latinissima , e degna dei mi-
gliori tempi della chiesa, si volge al clero dell'una
e dell'altra diocesi, e mostra quanto si convenga in
prima esaminare la vocazione di quelli che chieg-
gono entrare al santuario, quanta scienza e dottri-
na convenga loro avere, e quale specchiata e santa
vita. Affinchè poi potesse agevolmente formarsi un
dotto e disciplinato clero, a somiglianza di perito
agricoltore, che vuole di utili piante vestire i suoi
campi, mise ogni opera a rifiorire il seminario-col-
254
legio Campana , cercò provvederlo di valenti pro-
fessori, dirigerne con opportune leggi gli studi (16),
e ritornargli quel grido e quello splendore in che
prima era salito. Ad agevolare lo studio della la-
tinità, della quale era tenerissimo, e avrebbe voluto
vederla in oro come nel secolo di Leone X, si fece
a comporre e diede alle stampe una grammatica,
che poi per molte edizioni largamente si diffuse (17).
Quindi per mettere in tutti più forte amore delle
buone lettere ridestò a vita novella l'accademia dei
Risorgenti, antichissima e molto lodata del luogo, e
colle proprie larghezze l'alimentò, colla protezione
la fece prosperare, e fu lieto di vederla rifiorita di
fama per tutta l'Italia e fuori. Non istette molto che
pubblicò un aureo libro d'istituzioni di diritto pub-
blico ecclesiastico in uso degli alunni del semina-
rio-collegio (18) , con cui mirabilmente facilita la
strada agli studiosi, e quasi per mano li guida den-
tro le più segrete parti della scienza canonica. Trovi
dovunque precisione e chiarezza di concetti, brevi
ma accurate analisi, lucido ordine d'idee, diligente
ed imparziale esposizione delle svariate sentenze, ag-
giustatezza di criterio nello scegliere le più fondate,
niuna acerbità nel ributtare le contrarie , grande
senno nel rimandare in ogni argomento ai più repu-
tati scrittori, infine un dettato terso senza lisci, ele-
gante senza affettazione, quale a siffatte trattazioni
si addice. Ecco il giudizio che i sapienti portarono
di quest'opera (19). Ne qui si arrestò egli, ma in-
corato dall'approvazione universale e dalle lodi ri-
portate , die mano a scrivere un altro volume in-
torno la ragione privata ecclesiastica (20), il quale
255
in breve fu da lui posto in luce colle stampe, e al
pari del primo ottenne encomi. Quantunque a lui
parve che fosse di alcune cose mancante, e vi ri-
mise le mani a fine di ripulirlo ed ampiarlo, tanto
più che l'editore parigino , il quale prima 1' aveva
riprodotto sulla edizione di Loreto, glie lo chiedeva
istantemente per ristamparlo, e gli faceva pressa ;
ma non potè compiere sventuratamente il lavoro,
da cui tolse la mano il dì stesso in cui gli soprav-
venne quella violenta infermità , che in tre giorni
nella sua villa di Casenove Io spense. Ad ogni modo
anche senza le novelle correzioni ed aggiunte ch'ei
preparava, il libro è riputato molto acconcio a spia-
nare la malagevolezza degli studi canonici alla gio-
ventù, ed a quest'ora è introdotto in molte scuole.
Con queste sue onorate fotiche, che io dirò senili,
giovò d'assai agli studiosi ed alla chiesa, e fece no-
bilissima risposta a coloro che negli ultimi anni lo
credevano e spacciavano svigorito della mente. An-
cora alle fanciulle rivolse il suo pensiero , e loro
volle aperte scuole nella città e nel borgo: più tardi
fece opera che le reverende madri Clarisse di santa
Rosa da Viterbo pur esse , come era lor debito ,
ammaestrassero in scelta scuola le figliuole dei pa-
trizi; e perchè non potevano per manco di luogo ,
egli a proprie spese lo acquistò, e loro liberalmente
ne fece dono, non senza prima averlo ridotto a tale
uso, e fatto ripulire. La chiesa cattedrale, alquanto
sparuta e per I' antichezza e per gli svariati modi
in che fu riformata in diversi tempi, senza troppo
badare alla primiera architettura, cercò di ristorare
e pavimentandola a lastre rinettarla; facendovi ino!-
256
tre quel meglio che seppe collo spendervi di parec-
chie migliaia; e quello che vivo compiere non potè,
ordinò che lui morto fosse compito (21): un altare
di marmo al santissimo Sagra mento nella cappella
da lui fatta murare a santa Tecla, nella quale è ti-
tolata la chiesa osimana. E avrebbe ancora voluto
rimettere in istato il magnifico dipinto, in cui l'Al-
bano con tutte le grazie del suo leggiadro pennello
colorì questa benedetta vergine protomartire con san-
t'Agnese, togliendone cred'io le sembianze dal pa-
radiso, come prima lo aveva sottratto alla dimen-
ticanza e alla polvere.
Benefìzi sono questi da svegliare la gratitudine
in ogni petto: ma di maggiori ancora debbo dire.
La ducale casa di Leuchtenberg vendeva al governo
pontificio i suoi ricchi possedimenti in Italia, divisi
in distretti o agenzie, ed erano poscia acquistati da
una società di principi e cavalieri romani, la quale
in appresso ponevali di nuovo in vendita. Fu mo-
strato al cardinale vescovo il danno che riceverebbe
la città, se le terre che erano nel distretto esimano
cadessero nelle mani di possessori forestieri, e come
agevolmente si potrebbe provvedere perchè non vi
avessero a cascare. La cosa gli entrò, e volle gli si
proponesse modo da tenere per riuscire nell'impresa.
Allora un onesto sacerdote amministratoi-e dei beni
del vescovado osi mano (22) fecegli vedere come si
conveniva ch'egli lutto comprasse il distre/to (era
di un valore di più che quattrocento mila scudi), poi
con particolari vendite lo ripartisse fra i cittadini
che vorrebl)ero farne l'acquisto. L'affare era di gran
rilievo ; ebbe adunque a se alcuni, coi quali soleva
257
consigliarsi talvolta, e questi gii confermarono il di-
segno proposto essere utilissimo alla città. Così ras-
sicurato abbracciò il partito messogli innanzi, e poi
con equità e disinteresse da non dire quelle pos-
^sessioni furono rimesse nelle mani de' nostrali ; e
quale prò ne avessero molti luoghi pii e la città ,
lascio ad altri considerare. Ma non posso e non debbo
trapassare sotto silenzio, com'egli, il quale da gran
tempo spasimava collocare in miglior casa gì' in-
fermi, che in picciola si stavano molto alle strette,
colse questa occasione, e acquistò in servigio loro
lo spazioso e ben posto edifìcio in cui era stanziata
l'agenzia, e per tale guisa con grande sua allegrezza,
e consolazione di tutti, venne a capo del suo lungo
e pio desiderio. Non si stette paga a tanto la sua
carità, e più innanzi ancora si spinse. La società
romana, che ho nominato, contenta del fatto, ge-
nerosamente offerse all' eminentissimo principe due
mila scudi: ed egli tosto mille ne diede al venera-
bile seminario, perchè dovesse in perpetuo mante-
nere fra' suoi alunni un povero cherico : mille allo
stesso spedale , perchè dovesse in quel luogo dare
ricovero ai poveri cronici , ai quali ebbe sempre
specialissimo affetto. Mi commuove ancora la me-
moria del giorno 25 settembre 1854, in cui egli si
condusse a visitare il nuovo spedale , che oggi è
monumento della osimana civiltà, messo in punto
per collocarvi i malati, e la consolazione che ne provò
trovandolo di ogni cosa provveduto, e sì ben dis-
posto e ordinato, che meglio non si sarebbe potuto
aspettare; e veggendo quelle ariose sale, quei puliti
arnesi, quelle forbite pareti, e soprattutto quella sa-
G.A.T.CXLV. 17
258
lubre postura. Ben mi penso, nò credo appormi al
vero , che chiunque entrerà o per vaghezza o per
bisogno a questo luogo di carità, dovrà sempre ri-
cordare in benedizione V illustre porporato, per opera
del quale fu acquistato e messo ad uso degli infer-
mi: e si dovrà mollo lodare de' signori che ne hanno
il governo, i quali, a testimoniare ai posteri la gra-
titudine loro, in onore di lui vi collocarono quasi
air ingresso un' epigrafe (23).
Né posso tacere per alcun modo i pensieri che
egli distese alle campagne della mensa vescovile ,
le spese che intorno vi fece, e la larghezza con cui
gli agricoltori e l'agricoltura beneficò. Procurò che
le entrate vantaggiassero sempre per avere di che
pili lai-gamente soccorrere i poveri: alcune rendite,
come dicono consolidate , tramutandole in pingui
terreni raddoppiò e rese piiì sicure : ristorò case ,
alquante dalle fondamenta ne murò, arricchì i sopra
suoli , migliorò i fondi. Fede mettere vivai di al-
beri di ogni specie, e a molte migliaia: far pian-
tagioni alla riva de'fossali e de'flumi, anche per con-
tenerne la piena e salvare i campi, i quali a chiun-
que oggi li vegga danno aspetto di bellissimi, e di-
rei quasi di giardini. Né creda alcuno che egli fa-
cesse per se tanto spendio. Sapeva anni che gli pe-
savano sulle spalle , e chiaramente conosceva che
delle sue fatiche altri raccoglierebbe il frutto : ciò
non di meno mirando sempre al bene dei poveri ,
piacevagli, che lui morto, chi verrebbe nel luogo suo
avesse ogni giorno piiì di che largheggiare. Quanto
a se, delle ricchezze del vescovado poco o nulla usò:
nel pili viveva del proprio. Contento a vita mode-
259
sta e frugale non altrimenti che semplice sacerdote
fosse, recavasi a coscienza spendere anche piccola
cosa; e ove gli si parlasse di provvedere alcun che
in suo servigio o comodo : No , rispondeva , non
posso, perchè io non sono che il custode delV avere
de' poveri.
Cosa meravigliosa ! Era vivuto tant'anni a corte,
era principe della chiesa, era in queir età che do-
manda agiatezza e ristoro, eppure non volle punto
nulla dipartirsi mai da quella innaturata semplicità,
né principe mostrarsi se non alla prova de'benefì-
zi: anzi lo stesso splendore della porpora, che gli
accresceva maestà nelle sacre cerimonie , le quali
mai non intramise sino all'ultimo , e nelle pompe
solenni, quasi dileguavasi nella vita privata airom-
bra di una amabile modestia , colla quale affidava
di leggieri chiunque gli si facesse innanzi a richie-
derlo di alcuna cosa. Con modi cortesi e quasi di
affabile domestichezza accoglieva ogni maniera di
persone, e di un benevolo sorriso le confortava. Se
alcuno si conduceva da lui per bisogno di soccorso,
precorreva alla domanda, rassicuravalo, davagli : e
non domandava in grazia riconoscenza, ma segre-
tezza. E tanto il suo cuore era tenero, tanto dolci
e delicati i suoi modi , che non fu mai chi a lui
ricorresse, e ne ritornasse sconsolato, o colle mani
vote. Rade volte si metteva a severità : cercava
piuttosto colla prudenza prevenire, che punir dopo
il fatto. Che la prudenza di lui fu molto grande :
questa lo rendeva nell'operare assai cauto , e agli
occhi de'poco veggenti dubbioso e lento. Ma quello
che mostrava lentezza, in lui era effetto della prò-
260
fonda conoscenza che aveva degli uomini e dei
tempi: per cui andava sempre i-attenuto e in guar-
dia, e voleva meglio lasciar cori'cre le cose , che
mettendovi mano non riusciie a ridurle a segno.
Novità non gli piacevano; era tagliato all'antica : e
forse se fosse stato in suo potere, avrebbe deside-
ralo che nulla si rimutasse; ma conoscendo che il
progredire del mondo è un fatto, e non si può per
forza arrestare, ed è fatale necessità delle cose umane
correre sempre e non posare, accettava quelle novità
che parevangli più sicure e adatte, le altre avver-
sava. Ma pure in quelle che accoglieva pìacevagli
avanzare per gradi, non di salto, perchè diceva che
per camminare con sicurezza si conviene prima pian-
tar bene il piede, e muovere poi passo passo. Nato
nelle convinzioni pacilìche del secolo passato, devoto
all' impero dei pontefici , cresciuto alla scuola del-
l' immortale Pio VII, ammaestrato dai pericoli e dalla
sventura, portava in se quegli affetti primi, quei tem-
pi, e quelle opinioni, le quali sempre più forti ave-
vano gittato in lui le radici. Ma perchè degli studi
e del progresso loro era tenerissimo, i veri avan-
zamenti della scienza e della civiltà non solo non
ricusava, ma di buon grado abbracciava: nel resto
ove poteva rifiutavasi. Diceva talvolta le cose antiche
essere da preferire alle nuove, perchè quelle portano
il suggello dell'esperienza, queste ne mancano: i vec-
chi edilìzi doversi più che sia possibile conservare
quali sono, non come fanno a' dì nostri gli scioc-
chi ammodernandoli guastarli. Delle prerogative ec-
clesiastiche era sopra ogni credere geloso , voleva
mantenerle nella pienezza loro, ma rigettavane l'a-
261
buso. Perciò fin dai primi anni del suo episcopato
a\^eva designato fare un nuovo sinodo , e a questo
fine andava intorno a se ragunando il suo clero ,
studiava, scriveva; ma la morte gì' interruppe que-
st' opera , la quale sarebbe riuscita stupenda non
meno che utilissima. La dolcezza reputava più pro-
fittevole e meglio adattata che la rigidezza: amava
anzi con piacevoli modi, che con severi e tempe-
stosi, comandare. Acconciarsi poi con rassegnazione
ai tempi , ove non ci patisse né la religione né il
principato, credeva virtù : e giudicava doversi fare
di grandi sacrificii per mantenere la concordia e la
pace tra il popolo e il clero. Mezzo da ciò avvisava
essere il buon esempio, e lo voleva dai sacerdoti ,
di sé Io porgeva.
Quantunque ciò che gli uomini vedevano di lui,
ancorché fosse molto e di grande edificazione, pure
era il meno: coneiossiaché quasi direi con bell'arte
egli ne ricopriva il meglio, e gli atti della sua cri-
stiana pietà velava col manto di una mirabile di-
sinvoltura. Conveniva spingere lo sguardo nelle se-
grete sue stanze, osservarne ad una ad una le pra -
tiche , le mortificazioni , gli atti occulti , e in essi
specchiarsi. Era a vederlo di buon mattino innanzi
l'alba levarsi dal suo letticciuolo, in cui non posò
mai più che sei ore, e prostrarsi a pregare e a me-
ditare per non hreve spazio: poi recitate le ore ca-
noniche minori con raccoglimento e devozione an-
gelica, prepararsi alla celebrazione dei divini misteri:
prima di che non pativa né persona ricevere, né di
affare , e fosse pur di rilievo , parlare. Conveniva
vederlo quando doveva venire a qualche grave ri-
362
soluzione , o soscrivere qualche lettera di coscien-
ziosi negozi, 0 mettersi a qualche opera d' impor-
tanza, gittaisi ai piedi del crocifisso, o innanzi al-
l'altare della sua privata cappella; ancora piij spesso,
ove potesse farlo inosservato, ritiiarsi nel suo co-
retto davanti il santissimo Sagramento, di cui era
soprammodo devoto, e con fervoiose preghiere e
colle lagrime implorare aiuto e lume da Dio. Né
per tempo che spendesse in orare temeva gli man-
cherebbe tempo ad operare: anzi usava sovente ri-
petere, che chi ruba tempo alle necessarie devozioni
per impiegarlo negli affari e nelle cose del mondo,
finisce per riuscire a nulla , e guasta ciò stesso a
cui mette le mani- Conveniva udirlo sovente ricor-
dare a se stesso i suoi doveri e i suoi proponimenti:
talora trascriverli in carta di sua mano , pronun-
ziare con affetto e riverenza i nomi santissimi di
Gesù e di Maria , e mille care ed infocate giacu-
latorie, colle quali sovente alimentava la sua pietà,
e direi quasi conversava con Dio. Allora ciascuno di-
rebbe con me ch'egli rendeva immagine di san Carlo
Borromeo, e del suo prediletto san Francesco di Sa-
les, del quale sovente leggeva la vita e le opere ,
studiandosi di comporre se stesso allo specchio di
tanta santità.
Non ignoro che taluni, i quali vorrebbero tutte cose
perfette, e nel modo che va loro per lo capo, avreb-
bero forse altre cose desideiato da lui; di alcune non
sì tenevano soddisfatti abbastanza: ma se questi po-
nessero mente che non sempre le più rette inten-
zioni al buon volere rispondono, e che i principi, i
quali ben possono da se concepire, ma non mettere
263
ad effetto i loro pensieri se non coll'opera altrui ,
son soggetti ad essere appuntati dell'altrui come di
proprio difetto ; se vorranno porre mente che non
tutto in tutti i tempi, e da tutti gli uomini si può
domandare, spero che dovranno quietare, e conce-
dermi, che se alcuna cosa non fece, certo del non
farla ebbe di buone ragioni; se alcuna ne fece che
loro pienamente non contenta, la cagione forse non
è in lui, sì in lui è la rettitudine dell'intenzione.
Sebbene chi oserebbe apertamente appuntarlo ? Chi
saprebbe trovare un pastore più amico del bene ,
più studioso di pace e di concordia, più compas-
sionevole degli altrui tnali, più presto a soccorrerli ?
Gli editti pieni di sapienza e di pietà da lui pub-
blicati rendono fede di quanto fosse sollecito della
sua greggia, e della dolcezza con che la guidava. 0
si tratti d'infrenare il brutale vizio della bestemmia,
0 di promuovere la pietà, o d'illuminare le menti e
scoprire émpie e scellerate dottrine, egli, come pa-
dre a'fìgliuoli, si porge con una tenerezza che si ap-
piglia al cuore , e piega la volontà. Oh quanto si
commoveva se non vedeva accalorata la devozione
e santificate le feste ! Quanto spiacevagli ogni mac-
chia del costume, ogni freddezza in tatto di reli-
gione, ogni poca osservanza delle leggi divine ! Se
ne accendeva come Mosè, ma il suo cuore non pa-
tiva che mettesse mano al gastigo; cercava in quella
vece colle sue preghiere placare il Signore, colle sue
amorevoli parole vincere gli animi. E quantunque
detestasse le male arti, con che i tristi tentano se-
durre i buoni e distaccarli dalla fede , pure com-
pativa di cuore gl'ingannati e i sedotti. La sua bontà
264
poi non gli lasciava per poco credere che alcuno
fosse malvagio; e se altri avesse voluto di ciò per-
suaderlo, non si acconciava che ai fatti toccati con
mano. Ma che me nfì vo qui in parole a ritrarre
quell'anima grande ? Non le parole , ma i fatti,
i suoi sfolgorati fatti, la denno ritrarre. Quando nel
1845 occulti attentati tenevano lo stalo in agita-
zione, i popoli in timore, e giudizi straordinari met-
tevano dovunque spavento ed affanno, la diocesi di
Osimo, a cui si avvicinavano, stava in angustie non
lievi. Ed ecco il buon vescovo levarsi a rassicurare
le sue pecorelle, farsi per esse mallevadore al prin-
cipe, dar fede di lor fedeltà, domandare grazia per
esse, ed ottenere che nò giudice nò inquisitore vi
si potesse appressare. E mentre di qua si udivano
lamentare i vicini, qui tutto era pace e tranquilhlà:
beneficio a lui solo dovuto.
Del che invero la città di Osimo gli fu rico-
noscente: e nella memoria degli uomini vivrà sem-
pre la ricordanza di quel giorno in cui tutta uscì
delle nìura per farsi incontro a lui, che tornava di
Roma dopo il conclave , che ne diede a pontefice
l'augusto Pio IX. Mi pare ancora di udire i discorsi
che nelle piazze e per le strade , nelle case e nei
circoli si facevano; mi par di vedere ancora dipinta
in ogni volto la gioia del cuore ; mi suonano an-
cora negli orecchi gl'inni , e le festevoli armonie,
e le grida, e le acclamazioni , e gli applausi, che
dai confini della diocesi sino al suo palagio l'accom-
pagnarono. Io vidi al venerando vecchio gli occhi ba-
gnati di lagrime; intesi e conobbi quanto gli anda-
va al cuore la vostra, benché da lui meritata, ri-
265
conoscenza. La quale poi parve più sfolgorata in
appresso, quando dal terribile uragano, che tutta fé
risentire l'Europa, costretto a fuggire dalla sua sede
il pontefice, egli segretario di stato ( carico il quale
solo per forza di obbedienza si era lasciato addos-
sare) trovandosi in Roma a ripentaglio della vita ,
con pochi amici, in mezzo ad un popolo in rivolta,
risolse voler correre una stessa fortuna col suo gregge,
e venne a riparare nel seno de'suoi figliuoli. Dopo un
penato ed inquieto viaggio egli giungeva alla sua
villa di Casenuove quasi di furto. Voi vel sapeste,
buoni osimani: e non appena inteso che ivi il pa-
stor vostro, il vostro padre si stava, correste ab-
bracciarlo, e ricondurlo alla sua chiesa. Andarono
ad invitarlo i magistrati e il reverendo capitolo;
accorse ogni ordine di cittadini, nessuno si rimase,
tutti intorno a lui si accalcarono. Gli applausi e
le grida con che si manifesta la gioia dei cuore
l'accompagnarono al suo palazzo, e gli diedero a di-
vedere (juanto si era ben fidato fidando nell'amore
de'suoi, che in questo gU fece dimenticare i corsi
pericoli , e le lunghe agonie del passato. Infuriò
maggiormente la tempesta, ed egli tranquillo si stette
senz' altra difesa che il petto de'suoi osimani, e la
forza de' suoi benefici- Oh bella e nobile gara, de-
gna che tutto il mondo la sappia e la celebri ! Voi
da hii salvati, lui salvaste, da lui beneficati gli ren-
deste il contraccambio colla vostra fedeltà, pronti a
lasciarvi piuttosto morire, che permettere che a lui
fosse fatto il minimo oltraggio.
E qui potrei molle cose aggiungere che la rai'a
bontà di quell'anima eccelsa dimostrano: ma perchè
266
le sono conosciute volentieri me ne passerò. Una
cosa sola saputa da pochissimi , ed a me special-
mente avvenuta, nella quale, se io non erro, cam-
peggia meglio che altrove la sua carità evangelica,
e la perfezione a cui era salito , non mi soffre il
cuore di tacere. Il vostro buon vescovo non solo
perdonò le offese, ma seppe beneficare gli offensori.
Tornavano vinti , laceri , e pieni dì timori coloro
che a Roma avevano combattuto con male augu-
rate armi, prima il principe, poi le francesi falangi.
Or bene , ad alcuni di cotesti il cardinale mandò
soccorsi e larghi, e noi tenne la memoria de'pas-
sati pericoli, non lo sdegno della vittoria. Li disse
sventurati e non più: in essi non vide dei nemici,
ma degli ingannati: n' ebbe compassione, e disten-
dendo la destra al soccorso, esercitò con essi la su-
blime virtù, del beneficare i nemici. Sebbene di que-
sta virtù, tanto rara nel mondo, non questo esem-
pio solo potrei recare: altri ben'altri ve ne ha che
debbo tacere, e forse volendoli io palesare, egli da
quel feretro me ne farebbe divieto. Mi volgerò adun-
que ad altro, e narrerò come nella grave carestia
del 1853, tanto penosa al solo ricordarla, egli stu-
diò modo di scemare i patimenti alla plebe, e alleg-
gerire il peso del tremendo flagello. Aperse i ma-
gazzini del vescovado, a soccorso de'poveri die tutto;
avrebbe dato anche la vita per non vederli patire.
Né ciò soltanto, ma si prese cura che tutti que'che
potevano dovessero dare; nel che veramente trovò
animi così bene disposti, che non v'ebbe mestieri
di sprone , ma tutti volenterosi si unirono al loro
pastore per sovvenire alla comune miseria. E allor-
287
che il pestilenziale morbo del cholèra, che imper-
versava nelle città vicine, fé' qui pure, benché leg-
germente, sentire i suoi mortiferi effetti, che cosa
non fece egli ? Quanto non si adoperò, quanto non
allargò la mano alla beneficenza, il cuore alla pietà ?
Ditelo voi che ne foste testimoni, ditelo voi che ne
provaste le larghezze , ditelo voi che il vedeste e
l'udiste. Per me dirò solo, passò beneficando, per-
transiit benefaciendo , e in due parole avi'ò piena-
mente offerto l'epilogo della vita di questo santis-
simo vescovo, e datane in due tratti l'intera e più
perfetta immagine.
Ma da qualche tempo la salute del vescovo car-
dinale mostrava tracollare, essendo già stemperata
non poco per le fatiche e i pericoli e le paure che
in Roma, in que'miseri giorni in cui era segretario
di stato, lo avevano del continuo combattuto. Ogni
giorno pareva venir meno, e quantunque di quando
in quando alcun poco sembrasse rinvigorire , pure
venivasi dentro consumando, e pareva anche di fuo-
ri. Tuttavolta l'usata serenità e limpidezza di mente
non iscemava. Fu anche minacciato d' apoplessia :
non ostante riavutosi , lasciava ancora sperare che
avrebbe vivuto a lunga età. Ma egli perchè gli ve-
nissero meno le forze, e gli crescessei'o incomodi,
non voleva a se concedere riposo , né distorsi dal
modo suo usato di vita: le stesse pratiche divote,
le stesse cure, le stesse fatiche, gli stessi pensieri.
E quelle cure e quei pensieri erano pei poverelli,
cui riguardava come la parte più preziosa dell'ovile
affidatogli. E se negli estremi suoi momenti ebbe
cosa che lo pungesse, non fu già di dovere abban-
268
clonare il mondo, a cui da gran tempo aveva dato
le spalle, non consentendo giammai di sue lusinghe
godere: fu il timore che ai bisogni de'poveri man-
casse con lui il necessario soccorso. Leggete l'ulti-
ma sua volontà (25), la quale lasciò scritta mentre
era ancora sano, e vi si farà manifesto che i poveri
gli erano nel cuore. Dopo avere offerto in legato
alla santità dell'augusto pontefice Pio IX , a segno
di profonda ed affettuosa venerazione, un'immagine
in avorio di Gesù crocifisso , pregevolissiuìa per
grandezza e per arte, più ancora perchè stata del
magnanimo Clemente XIV; e lasciati alcuni ricchi
ricordi alle sue chiese di Osimo e Cingoli, ed altri
pii legali, fra i quali un'altra immagine del Reden-
tore pur essa in avorio, stata già dell'invitto Pio
VII, al suo successore , quasi per raccomandargli
in quell'effigie di Cristo ignudo i suoi diletti pove-
relli, che oi^dina egli ? L.CmIA EREDITA' SIA DEI
POVERI CR0NICI,AFF1NCHÈ PREGHINO PER ME
E MI ACQUISTINO GRAZIA NEL COSPETTO DEL
SIGNORE.
Ah ! ben l'acquisteranno, anzi l'avranno acijui-
stala. In paradiso si parla di tante elemosine: esse
stanno innanzi al trono di Dio come un esercito di
serafini, portate dai sospiri e dai prieghi, e accom-
pagnate dalle angosciose cordialissime lagrime di un
popolo b<;neficalo. Infatti non appena andò il grido
che il cardinale vescovo era infermato a morte, tutti
corsero appiè degli altari a pregare per la vita di
lui: e quando alle due ore di notte del giorno un-
dici di agosto, sempre acerbo ed infausto (27), la
torre della cattedrale in suona di doloro annunziava
269
ch'egli era nell'ultima lotta fra la vita e la morte,
fra la terra e il cielo, oh ! quanto fu pietoso ve-
dere riempiersi di tratto il maggior tempio, e sino
alla fine starsi la gente compunta adorando Gesù
in sacramento, e domandandogli in voce di cordo-
glio e di affanno la vita del buon padre, dell'amo-
roso pastore. Io noi dirò, perchè me ne trema il
cuore al pensarlo, e quasi m'impedisce la parola ;
soltanto accennerò i gemiti e i lamenti del popolo
al risapere ch'egli era passato, e le dolorose escla-
mazioni, e le preghiere di requie. Ho dinanzi dagli
occhi, nò per lungo andare di anni si cancellerà, la
memoria di quella sera, nella quale il venerato ca-
davere era portato di Casenuove in città e al pa-
lazzo vescovile; mi sta davanti allo sguardo, quasi
ancora la vegga, una calca che spontanea si divide in
drappelli, e giovani e vecchi , donne co'fanciulli e
co'mariti atteggiati a dolore muovere ad incontrarlo
per buon tratto di strada» e sommessamente pre-
gare. Chi ha ordinato quelle pietose schiere ? Chi
detto loro, pregate ? Chi le ha messe a tal'ora tarda
a sì lagrimoso cammino ? Il cuore, o signori, il cuore
che in quell'istante sentiva tutta la forza de' lice-
vuti benefizi , tutto il debito della riconoscenza ,
tutto l'affanno di una perdita irreparabile; e non po-
tendo dargli altro merito, non potendo trovare al-
tro refrigerio all'ambascia affannosa, pregava, pian-
geva, accompagnavane la fredda spoglia, si prostrava
appiè del feretro, e non sa[)ea distaccarsene- Altri
avranno avuto pompa di esequie più splendide; più
affezionate nim credo io ve ne siano state giammai
(2(^). Ed ora egli di tanto affetto già raccoglie il me-
270
rilato guiderdone, già si asside nel coro de'pontefici
in mezzo al Galamini e al Calcagnini suoi illustri
antecessori (29) e quasi concittadini, di cui in se
rinnovellò la pietà e la beneficenza; già si cinge al
capo la corona dei beati. Io ti veggo cogli occhi
della mente, o benedetto spirito, e nel tuo trionfo
il mio dolore ritrova un conforto. Oh ! arrivino a
te le mie deboli parole, oh ! possa io farti inten-
dere quanto ancora ti ama, quanto in te spera il
tuo gl•e^ge diletto. E se per la pochezza loro non
bastano^ sormontare tanta altezza; volgi tu dal glo-
rioso tuo se£;iìio uno sguardo pietoso, e dal cielo
consola ed affida il tuo popolo Tu gli impetra dal
donator d'ogni bene un pastore (30) che abbia il
petto infiammato di carità come il tuo, che 1 ami
quanto tu l'hai amato (31); e distendi la mano a
benedire questa città, la quale ti ricorderà sempre
in benedizione: e narrando le tue lodi ai nipoti, per-
chè le tramandino ai più tardi futuri, ripeterà con
voce di riverente affetto: « Ei passò beneficando »
Perlransiil benefaciendo.
271
NOTE
(1) Nacque in Casola Valsenio, terra di Roma-
gna nella diocesi d'Imola, li 11 ottobre dell' anno
1779.
(2) Veggasi il commentario di Domenico Mita
Gentis Ceroniae in Aemilìa vetusta aliquol monumenta.
Romae excudebant Philippus et Nicolaus De-Roma-
nis anno 1827.
(3) V. Storia d' Italia di Carlo Botta lib. 24.
(1809)
(4-) V. Botta Storia citata lib. 25.
(5) V. Botta St. cit. lib. 25, e le Memorie del
card. Bartolomeo Pacca. — Parte 2. cap. 4.
(6) Questi manoscritti ed altri molti oggi sono
nella biblioteca del v- seminario e nobìl collegio Cam-
pana, al quale per testamento l'eminentissimo ve-
scovo ha lasciato la sua libreria.
(7) Il 19 di aprile del 1820 fu posta la prima
pietra del nuovo convento.
(8) Il giorno 1 dell'agosto 1823 fn benedetta
la chiesa, e con grande pompa e solennità vi cele-
brò la prima messa l'arciprete D. Francesco Ron-
chi vecchio di 85 anni.
(9) V. la nota 2 antecedente.
(10) De vita Ioannis Baptistae a s. Bernardo
monachi fuliensis commentarius. Romae 1831- Lau-
reti 1841 e 1844, con la traduzione italiana di G.
1. M.
(11) Antoni Linguerri latina carmina. — Lau-
reti 1846.
272
(12) Epistola pastoralis ad cleruni et populum
auximanum et cingulanum — Dat. Romae extia
pollanti Flaminiam kal. martiis an. MDCCCXXXIX —
Romae ex tipographia Petri Aureli.
(13) » Decretum — Res et bona divino cultui
« et piis usibus addicta peccatomi pretium , et
« Christi ac pauperum patrimonium in sacris canoni-
(( bus nuncupantur , ideoque quam maxime opor-
« tet, ut summa religione, iutegritate, et diligentia
« administrentur. Nostri igitur muneris non postre-
tt mas partes esse duximus in id sedulo diligen-
(t terque incumbere , ut loca pia nullum ex piae-
(( posterà administratione detrimentum capiant ,
({ et fundatorum voluntas non minus accurate, quam
« religiose adimpleatur etc. — Datum Auximi in
« actu S. visitationis hac die 1 martii 1840. I.
« card, episcopus ».
(14) Dottrina cristiana composta dal cardinale
Bellarmino e ristampata ad uso delle città e dio-
cesi di Osimo e Cingoli — Ancona tipografia dì
Giuseppe Aureli 1843. IOANNES Ululi SS. Qua-
luor Coronatorum S- R. E. presbiter cardinalis So-
glia Ceroniiis eie. — Munus tradendae doctrinae
chrislianae etc. — Dalum Auximi in actu S. visi-
tationis hac die 13 novembris 1840.
(16) Litterae pastorales ad clerum auximanum
et cingulanum — Laureti ex typographeo Rossio-
rum 1841. — Ioaunes etc. « Nulla est pastoralis
(( officii pars, quae tam acrem vigilantiam diligen-
« liamque desideret, quam delectus eorum, qui ec-
« clesiae ministri et sacerdoles futuri sunt. Enim
« vero ad cultum Dei et animarum salutem perma-
273
« gni interest, neminem ad tantam dignitatem pio-
« vehere, nisi diu multumque exploratuin, et neces-
« sariis dotibus praeditum; cum a S. Gregorio Ma-
te gno lib. 17. ep. 110, veiissime dictum fuerit :
« Causa ruinae populi snnt sacerdotes mali eie ». Da-
tum Auximi die 14 api'ilis 184-1.
(16) Studiis alumnoium ven. seminarii et nob.
collegi Campana Auximi regundis leges datae . . .
Auximi pi'idie nonas sextil. 1844. I. card, episco-
pus. — Laureti typis Rossiorum.
(17) Grammatica della lingua latina ad uso dei
seminari di Osimo e Cingoli. Loreto , pei fratelli
Rossi 1840. Ancona 1850, ediz. 3. Macerata ecc.
(18) Ioannis cardinalis Soglia episcopi auximani
et cingnlani instilutiomim iuris publici ecclesiastici.
Tomus primus complectens praenotiones in ius eccle-
siasticum, editio quarta ab auctore r ecognita et au~
età. — Institutionum iuris ecclesiastici tomus secun-
dus. — Quest'opera fu stampata tre volte, e sempre
con ampliazioni, in Loreto. Si cita la quarta edizione,
perchè dopo la seconda loretana ne usci una terza
modanese presso Zaochelli e Calderini 1850: poi la
quarta, fatta dai fratelli Rossi in Loreto 1850. Ne
uscì appresso una quinta , sebbene detta quarta ,
Matritii ex officina D. Eusebii ab Aguado 1854, in
Ispagna. Mi si dice che di quest' opera siasi fatta
anche un edizione in Germania : ma io non posso
darne precisa contezza , perchè mai non mi venne
innanzi. Nella prinia edizione non è manifesto il
nome dell'autore.
(19) E degno di essere Ietto negli Annali delle
scienze religiose pubblicali in Roma il ragguaglio
G.A.T.CXLV. 18
274
analitico di quest'opera scritto dal P. Giacomo Mazio
d. C. d. G. professore di diritto canonico nel col-
legio romano, e inserito nel fascicolo 4. 1846 della
seconda serie. Io ne ho voluto quasi riferire le pa-
role, tanto mi parvero giuste e bene appropriate.
(20) loannis cardinalis Soglia episcopi auximanì
et cingulani — Institutionum iuris privati ecclesia-
stici libri ties ■^— Edilio prima — Anconae ex ty-
pis Aureli Josephi et soc. 1854. Instilutioniirn iuris
privati ecclesiastici libri III loannis cardinalis So"
glia episcopi auximani et cingulani — Edilio secwi"
da. — Prima parisiensis ab ipso auclore r^ecognitaet
ancia — Paris librairie religieuse de A. Courcier ,
editeur ec. Rue Hautefilie , ec. In questa edizione
l'editore premette un breve sunto dell'opera, ed al-
cuni cenni biografici non abbastanza esatti : di che
mi piace avvertire i lettori.
(21) V. più sotto la nota 24.
(22) Il R. sig, D. Giovanni Fuina, al quale la città
deve particolarmente se in tale occasione i beni del
ex appannaggio, come dicono, sono rimasti in pos-
sesso degli osimani, e sono stati con equità distri-
buiti. A lui pure si debbono i miglioramenti grandi
portati nelle possessioni della mensa vescovile. Non
posso dire di tutte le persone, colle quali il signor
cardinale si consigliò: nominerò una sola, che egli
soleva sovente domandare in tai fatti, e in altri an-
cora, il nobil uomo signor Andrea Ronfigli cava-
liere di più ordini, e consultore di legazione , nel
quale quanta fiducia avesse fu mostrato da questo,
ch'egli nell'ultima sua volontà insieme coH'anzidetto
sacerdote , e V illustrissimo e reverendissimo mon-
275
signor Francesco Paternesi arcidiacono cano.iìco pe-
nitenziere e vicario capitolare, Io nominò suo ese-
cutore testamentario.
(23) Ecco l'epigrafe-
GIOVANNI SOGLIA CERONI
CARDINALE VESCOVO
FECE ACQUISTARE E RIDURRE
AD USO DEGLI INFERMI QUESTO LUOGO
TOGLIENDOLI DI SQUALLIDO ED INSALUBRE
CON CHE LASCIO' NOBILE ESEMPIO
DI PASTORALE CARITÀ'
E CREBBE ALLA CITTA' NOSTRA DECORO
LO APERSE CON GIOIA UNIVERSALE
IL 25 SETTEMBRE DELL'ANNO 1854^
ESSENDO PRESIDENTE IL CAVALIERE
GIOVANNI SINIBALDI FOLENGHI
ZELATORE DI SI' BELL'OPERA
INSIEME
COLLA COMMISSIONE AMMINISTRATRICE
CHE VOLLE PORRE QUESTA MEMORIA
PERCHÈ
ANCHE I POSTERI
GLIE NE SIANO GRATI.
(24) Mi piace registrare qui l'orario ch'egli sem-
pre sino all'ultimo osservò , il quale tolgo da una
carta scritta di sua mano. — Ore canoniche ■ —
Mattutino e laudi - — nella sera ante omnia. Ore
276
minori la mattina ante missam. Vespro e compie-
ta — nel giorno ante prandiurriy o la sera. — Me-
ditazione- La mattina et ante omnia per horam.
Messa — subito dopo la meditazione.
1. Osserverò il suddetto ordine, e prenderò nella
seia antecedente le debite misure per averne il tempo
opportuno, allorcbè preveda cbe nella seguente mat-
tina dovrò attendere a qualche opera straordinaria.
2. V impiegherò il tempo necessario e deter-
minato, e non avrò timore che mi manchi per gli
altri impieghi. Dio permette che chi ruba il tempo
alle opere di pietà per darlo ad altri affari non fac-
cia né bene né in tempo e le une e gli altri.
Biposo: alle 11, sempre in letto: alle 5 sempre
alzato. Pranzo all' una pomeridiana. Passeggio^ due
ore e mezzo prima dell' ave maria , ma visitando
prima il santissimo sagramento per mezz'ora.
1 . Non parlate mai del vostro prossimo se non
in bene. Di voi e delle cose vostre né in bene nò
in male. (Ricordo che aveva sempre in bocca e scru-
polosamente metteva in pratica).
2. Parlate con ogni carità e mansuetudine an-
che coi più indiscreti, fastidiosi, insolenti-
3. Non vi trattenete mai in alcun luogo a con-
versare senza una vera necessità, utilità , e conve-
nienza.
4. Non fate inviti se la carità o la convenienza
noi richiedono.
5. Le virtù che ci convengono sono, CARITÀ',
AMOREVOLEZZA, DILIGENZA SOMMA, RASSE-
GNAZIONE, SILENZIO.
6. Quanliis qidsqiie est in oratione, tantus est in
277
perfectione. Questi ed altri molti ricordi si travarta
scritti di proprio pugno in pili quaderni.
(25) Troppo Inngo sarebbe riepilogare il testa-
mento del cardinale Soglia: tuttavia ne dirò alcuna
cosa. Lasciò al sommo pontefice una bella immagine
in avorio di Cristo crocifisso di molta grandezza
e pregio d'arte; basti dirla cosa del cavaliere Ber-
nino , già posseduta dal pontefice Clemente XIV :
un'altra più piccola al suo successore: alla chiesa
di Oslmo tutti gli argenti dorati ad uso ecclesia-
stico , a quella di Cingoli tutti gli argenti bianchi
ed un magnifico canone a lui donato dalla S. M.
di Gregorio XVI. La sua croce vescovile d'oro con
catena pur d'oro, ed un' altra croce di cristallo dì
monte con piccioli rubini, e scudi ducente lasciò
perchè si faccia un altare di marmo nella cappella
del ss- Sagramento dedicata a santa Tecla protomar-
tire, titolare di essa chiesa. La sua libreria e tutti
i suoi manoscritti lasciò al venerabile seminario dì
Osimo, tranne poche opere lasciate al venerabile se-
minario di Cingoli, e ai RR. PP. minori osservanti.
I suoi beni liberi posseduti in Casola Valsenio la-
sco in usufrutto alla sua sorella Annunziata Soglia
vedova Bona, e lei morta lasciò la proprietà ai ni-
poti da dividersi in stirpes. (Ed è da notare la de-
licatezza di quella benedetta anima, che delle cose
dì chiesa non dispose se non in servigio della chiesa
e dei poveri.) Inoltre lasciò alle reverende madri
cappuccine interne dell' Addolorata mille scudi , e
mille allo spedale degl'infermi di Cìngoli: poi du-
cento scudi da distribuirsi ai poveri in Osimo: cento
venti da distribuirsi ai poveri in Cingoli. Infine tutta
278
l'eredità sua, che andrà oltre ventimila scudi, la-
sciò ai poveri cronici della città di Osimo, la quale
a segno di gratitudine nominerà quel pio luogo dal
nome del benefattore, e lo dirà OSPEDALE SOGLIA.
Queste sono le principali sue disposizioni testamen-
tarie: dell'altre come di minore importanza mi passo
per brevità.
(26) La santità di N. S, Papa Pio IX felicemente
regnante accogliendo coll'usata sua benignità l'im-
magine in avorio di Gesù in croce d'ebano con pie-
distallo, della quale si è detto, fattagli presentare
dagl'illustrissimi signori esecutori testamentari, come
il defunto emineiitissimo Soglia aveva ordinato nel
suo testamento, inviò ai medesimi la seguente let-
tera in forma di breve apostolico sottoscritta di pro-
pria mano, nella quale l'espressioni stesse bastano
a manifestare la grandezza del suo cuore sovrano.
Dilectis fìliis
Archidiacono Francisco Paternesi,
Joanni Fuina, et equili Andreae Doufigli
Plus PP. IX. .
Dilecti fila , salulem et aposlolicam benediclionenì'
Libenti gratoque animo Jesu redentoris cruci-
fixi simulacrum ex ebore accepimns, quod dalis ad
nos litteris obsequentissimis ex praescripto cardina-
lis Joannis Baptistae Soglia auximani et cingulani
episcopi mox defuncti nobis, dilecti filii , obtulistis.
Quo de officio cum vobis meritas persolvimus gra-
279
tias, preces una simul supplicationesque benignis-
simo humani generis Redemptori offerre non inter-
mìttimus , quo defuncto eidem aeternae beatitatis
requiem indulgeat, ac vobis omnibus prospera quae-
que tribuat et salutaria. Pignus autem patema ca-
ritatis nostrae sit apostolica benedictio, quam vobis,
dilecti filii, effuso cordis affectu amanter impertimur.
Datura Romae apud S. Mariam Maiorem die
8 octobris 1856.
Pontificaliis Nostri anno Xt.
Plus P. IX.
(27)Infermò nella sua villa di Casenuove,distant0
un sette miglia da Osimo, il 9 di agosto, e morì
la notte dell' 11 al 12 ad un' ora e mezzo dopo
la mezzanotte in età di anni 76 e 10 mesi. Era
stato in Osimo il giorno 30 luglio in occasione di
ricevere mille e due scudi e quarantadue baiocchi
in tante doppie d' oro , che il generoso pontefice
Pio IX aveva a lui mandati per mezzo di monsi-
gnor Antonio Cenni suo caudatario , il quale non
avendo trovato in città V eminentissirao vesco-
vo , il dì innanzi li aveva lasciati nelle mani
di monsignor Francesco Innocenzi canonico, e suo
vicario generale per la diocesi osimana. Pareva sano
e meglio in istato che mai ; certo era assai lieto
della sovrana beneficenza, colla quale si offeriva uri
sollievo ai poveri disertati dalla gragnuola. Parti-
vasi promettendo di ritornare a mezzo agosto: vi ri-
280
tornava, oh incertezza della vita umana ! nja so-
pra un feretro.
(28) I particolari dell'esequie furono narrati nella
gazzetta bolognese al numero 189 del 1856, della
quale rechiamo le parole. — u Espostone il cada-
vere nella sala della sua casa di campagna il giorno
12, lutto il contado vi accorse, e stavano inginoc-
chioni e lagrimando da piò del letto funebre. Por-
tato in città, e messo la mattina del 13 nella sala
del suo palazzo , la calca del popolo fu maravi-
gliosa: e l'elogio più bello si udiva dalla bocca d'o-
gni povero e d'ogni cittadino. Diceva la povera gente:
« E morto il nostro buon cardinale, che al partire
ci aveva promesso soccorrerci nell'inverno, e ci aveva
detto <( Tutto il formentone è per voi ! w Ora come
restiamo ? Chi ci soccorrerà ? Chi ci scamperà que-
st'anno ? Oh ! perchè quell'angelo ci ha abbando-
nato ?» E le lagrime piovevano ad ogni parola. II
giorno 14, alle ore nove della mattina, fu portalo
il sacro cadavere pontificalmente vestito in proces-
sione per la città. Tutte le compagnie, tutti gli ordini
religiosi, tutto il clero precedevano la pompa funerale:
seguiva col magistrato municipale l'illustrissimo go-
vernatore, e tutti gli impiegati, e tutti i convittori
del nobile collegio Campana , poi calca di popolo
in lutto. Ricondotto indi alla chiesa cattedrale, fu
posto sovra un grande catafalco. Sulla porta mag-
giore del tempio era una iscrizione latina, una ap-
piè del letto funerale, nelle quali si ricordavano i
meriti e la vita dell'eminentissirno defunto: intorno
alla mole si leggevano quattro molti scritturali. Dopo
cantata la messa solenne il doti- Giuseppe Ignazio
281
Montanari, professore nel ven. seminario e nob. col-
legio Campana, lesse un commovente elogio. Dopo
l'elogio e le assoluzioni di rito rimase la spoglia
mortale del buon vescovo esposta alla venerazione
del popolo sino all'ora di notte, dopo la quale alla
presenza dei reverendi canonici, delle autorità del
luogo , e del fiore della nobiltà fu tolto dal letto
funebre, spogliato degli abiti pontificali e rivestito
secondo la pratica : poi messo nella triplice cassa
con pubblico rogito,e chiuso nella catacomba dei ve-
scovi. Così fu tolto dagli occhi del popolo: ma non
sarà mai tolta dal cuore degli osimani e di tutta
la diocesi la memoria delle singolari sue virtù, e
delle beneficenze che ha largheggiato nei diciassette
anni del suo episcopato , e in tutto il corso della
santa ed onorata sua vita ».
(29) Questi due eminentissimi vescovi della
chiesa osimana e cingolana, nati come il cardinale
Soglia nella Romagna, si segnalarono specialmente
per la pietà e la beneficenza , e lasciarono di se
bellissimi e durevoli monumenti; come si può ve-
dere nella continuazione alle memorie istorico-cri-
tiche della chiesa dei vescovi di Osimo raccolte ed
illustrate da monsignor Pompeo Compagnoni vescovo
della medesima città, tom. 4 (in Roma 1783 dalla
stamperia Zempel).
(30) Sono state esaudite le preghiere nostre e dell'
eminentissimo trapassato, dappoiché iddio ha ispirato
al sommo pontefice Pio IX di nominare vescovo di
Osimo e Cingoli 1' eminentissimo e reverendissimo
signor cardinale GIOVANNI BRUNELLI , il quale
come porla il nome, così pure porta in sé la dot-
V
282
trina e la virtù del suo compianto antecessore, del
quale è ancora stato discepolo e successore nell'ar-
chiginnasio romano alla cattedra di diritto canonico.
(31) La brevità di quest'elogio non ha permesso
di registrare tutte le beneficenze dell'eminentissimo
defunto, e solo vi sono notate le più conosciute. Pure
quante ve ne ha scerete che starebbe assai bene
mettere alla luce ! Quantunque oggi le manifesta
il pianto e lo squallore di molte famiglie, che oc-
cultamente da lui sovvenute, oggi ne invocano e
benedicono il nome !
283
INSCRIPTIONES
Supra portam templi maximi
^ PARENTALIA ^
lOANNIS . SOGLIAE . CERONI
EPISCOPI . EMINENTISSIMI
AVXIMANORVM . ET . CINGVLANORVM
QVI . VIXIT . AN . LXXVI . MENS . X.
DECESSI! . PRID . ID . SEXTIL . AN . MDCCCLVI
HVC . AGITE . FREQVENTES . CIVES
A . DEO . OPTIMO . MAXIMO
SEMPITERNI . AEVI . BEATITATEM
PRECIBVS . ET . LACRYMIS . ADPRECATVRI
PONTIFICI.VESTRO.MAGISTRO.PIETATIS.OMNIS
ALTORI . PAVPERVM . PARENTI . PVBLICO
In mole funebri
I
PERTRANSIIT . BENEFACIENDO
Act. Ap. e. 10 V. 38.
II
INTELLEXIT . SVPER . EGENVM . ET . PAVPEREM
Psal. 40. V. 1.
284
III
SAPIENTIAM . EIVS. ENARRABVNT . GENTES
Eoclesiastic. e. 39. v. 14.
IV.
IN . OMNIBVS . SE . IPSVM . PRAEBVIT
EXEMPLVM
Paul, ad Tit. e. 2. v. 7.
In tempio maxima.
IOANNES. SOGLIA . CERONI
EPISCOPVS . EMINENTISSIMVS
AVXIMANOR . ET . CINGVLANOR
IS . CASVLAE . VALLIS . SENI!
CIBARISSIMO . GENERE . ORTVM . DVXIT
FORI . CORNELII . LITTERIS . BONONIAE
DISCIPLINIS . PHILOSOPHICIS . ROMaE
THEOLOGICIS . AC . VTRIVSQVE . IVRIS .
SCIEI>ìTIAE . IN . MAGNO . l.YCEO . LEONIANO
VBI . POSTEA . ANTECESSOR . PVBL . SACR
CANONVM . FVIT . OPERAM . NAVAVIT.
PII . Vir. P . M . LABORVM . ET . ITINERVM
COMES . IN . CAPTIVITATE . SOCIVS . A • CVIVS
LATERE . POST . MENSES . DVODEVIGINTI
AVVLSVS . IN . FENESTRELLARVM . ARCEM
CONIEGTVS . EST
285
HOSTIBVS . DIVINITVS . PROFLIGATIS
PACE . REDDITA . ORBI . CATHOLICO
PONTIFEX . IN . PRISTINAM . LIBERTATEM
VINDICATVS . ET . AD . SEDEM . HONORIS
SVI . E . GALLIIS . REGRESSVS . FAMILIAREM
INTIMVM . SIRI . QVE . AB . EPISTOLIS . AC
NEGOTIIS . PRIVATIS . ADLEGIT
LEO . XTl . P . M . A. CYATHO.A.SECRETIORE
CVBICVLO . ET . MAGISTRVM . LARGITIONVM
IN . SOLATIVM . EGENTIVM . ARCHIEPISCOPVM
EPHESIOR . ADIVTOREM . SACRI . CONSILII
STVDIIS . INSTAVRANDIS . AC . MODERANDIS
ESSE . IVSSIT
GREGORIVS . XVi , P . M . CANONICVM
VATICAN . PRTRIARCHAM . CONSTANTINOPOL
ET . AB . ACTIS . SACRI . CONSILII . AD
NEGOTIA . EPISCOPOR . ET . SODALIVM
RELIGIOSOR . DIXIT
RERVM . ECCLESIASTICAR . NOBILIS
AVCTOR . ET . CONSVLTVS . SCRIPTOR
ADLECTVS . IN . SACR . CONSILIVM . AD
NEGOTIA . EXTRAORDINARIA . ECCLESIAE
REGVNDA . IVDEX . LIBRORVM . NOTANDOR
IVDEX . CONTRA . HAERESIM . ITEM
KLERICIS . ROMANIS . AC . EPISCOPIS
PROBANDIS . OB . INSIGNIA . ElVS . MERITA
IN . COLLEGIVM . PATRVM . PVRPVRATORVM
COOPTATVS . ET . SACRIS . AVXIMANOR . ET
CINGVLANOR . PRAEFECTVS . EST . XTl
KAL . MART . A MDCCCXXXIX
286
OMISIBVS . MVNERIS . SVI . PARTIBVS
OFFICHS QVE . ADSIDVE . ATQVE . IN
EXEMPLVM . PERFVNCTVS . GENTES . SIBI
CREDITAS . CHVRITATE . PRVDENTIA
INTEGRI! ATE . DEVINXIT . HOSPITALIS
BENIGNVS . SOBRIYS . IVSTVS . EFFVSVS
IN PAVPERES . COMIS . IN . OMNES . PER
AN XVll . MENS . IV . DIFFICILLIMIS
TEMPORIBVS.APOSTOLICAE . MANSVETVDÌNIS
SPECIMEN . PRAEBVIT
OMNEM . SVBSTANTIAM . SVAM
GERONTOCOMIO . AVXIMENSI . IN • SVBSIDIVM
SENVM . EGENORVM . TESTAMENTO
TRANSMISIT . NATVS . AN . MDCCLXXIX
V . ID . OCTOBR . DECESSIT . PRID . li)
SEXTIL . AN . MCCCCEvi . MAGNO . OMNIVM
MOERORE . AC . LVCTV
AVE . PASTOR . OPTIME
PARENS . DESIDERATISSIME
ESTO . MEMOR . TVORVM
ET . VALE . IN . PACE 1
287
Raro esempio di rapida parziale putrefazione. Viso
reperto dei periti fiscali, e volo medico-legale del
collegio medico ^chirurgico di Roma.
Viso reperto.
R
eìV interno di una folta boscaglia , e precisa-
mente fra il tronco di una piccola quercia ed al-
cuni rami di crognale, si è ritrovato un cadavere col
dorso rivolto verso il cielo, avente il capo distac-
cato dal busto, e divenuto perfettamente un teschio,
e tramandante un odore nauseoso ed intollerabile.
Da un lato del cadavere si è veduto esistere per
terra un cappello di feltro negro con cupola bassa
e falde larghe, e poco appresso una sciarpa di lana
rossa e turchina alquanto lacera con molti capelli
di color castagno sparsi al suolo , verisimilmente
caduti dalla testa col distacco della pelle , e della
corrispondente cuffia aponeurotica. Attesa 1' angu-
stia del luogo, e 1' impossibilitcà di poter quivi ese-
guire ogni necessaria operazione, si ordinò che detto
cadavere fosse rimosso, e trasportato nell'adiacente
campo: e così con ogni diligenza venne eseguito col
mezzo di una scala di legno.
Tale cadavere si è riconosciuto di sesso masco-
lino, di ordinaria statura e corporatura, vestito con
giacchetta di velluto negro tendente al lossigno per
cagione di consumo , camicia di mussolo bianco ,
corpetto di cotone oscuro, calzoni di tela grossa di
288
un rosso tendente al bruno, calzette bianche di co-
tone, scarponcini di vacchetta bianca; il qual cada-
vere, come si osservò, manca della testa e del collo
perchè corrosi e distrutti da putrefazione che si es-
tende altresì nella cavila del petto con abbondante
quantità di vermi.
Fatto quindi denudare dalle descritte vcstimenta,
ed osservato per ogni parte il cadavere, non si è
rinvenuto nel medesimo alcuna traccia di lesione ,
ferita o frattura, tranne una irregolare impressione
nella base del costato laterale sinistro, del diame-
tro di mezzo pollice tegumentalmente escoriata con
disseccamento della sua superfice. Si è parimente
osservata la palma della mano destra lorda di san-
gue disseccato, e così pur la sinistra, del qual san-
gue si sono parimente trovate asperse le maniche
quasi per tutta la loro lunghezza fin verso il collo
della giacchetta. Nel ginocchio destro si è inoltre
osservata una superficiale escoriazione di non recente
data. Ispezionati i panni, non si sono riscontrate
altre tracce óltre le suindicate, e solo nel descritto
cappello si è vista una piccola lacerazione di poche
linee sull'alto della cupola che sembra avvenuta per
causa naturale.
Fatta poi interpellazione ai testimoni sulPindi-
duo ora fatto cadavere, essi risposero essere ben
difficile di riconoscerlo positivamente perchè man-
cante della testa: però F. e B. aggiunsero che dal
vestiario e dal complesso della statura e corpora-
tura del cadavere potrebbero ritenere con ogni pro-
babilità che sia quello di P. S. sopracchiamato B.
della età di circa 25 anni, contadino abitante la vi-
289
cma parrocchia , accreditando questa loro ricogni-
zione col non averlo veduto da più giorni e coll'es-
sersi pubblicamente detto che era rimasto ucciso.
« Ciò premesso, invitati i signori periti a proce-
dere alle operazioni dell'arte sul detto cadavere per
quindi emettere l'analogo giudizio sulla vera causa
-della morte del suddetto individuo, i medesimi, pre-
vio il giuramento, riferirono quanto segue.
tt Avendo noidiligentemente osservato quest'uomo
divenuto cadavere dichiariamo che dai piedi fin verso
la sommità del torace non iscorgesi lesione alcuna,
tranne la escoriazione tegumentale del costato sini-
stro indicata di sopra.
« Si ò pure veduta la faccia palmare della mano
destra cospersa di sangue disseccato; il dorso di que-
sta e il suo caipo licoperti di vermi e in piccola
parte corrosi. Parimenti l'altra mano nella sua vola
e nel dorso si ravvisano lordi di sangue rappreso.
Nel ginocchio destro rilevasi una escoriazione nella
sua parte callosa, cagionata da attrito di corpo con-
tundente; e sì questa come la suggella/Jone del co-
stato sinistro giudichiamo essere stale di nessun
per̀olo.
« Osserviamo inoltre la parte superiore del tronco,
ossia quella porzione compresa tra la regione sotto
clavicolare all'innanzi, la sopra scapolare in addie-
tro, le teste degli omeri lati, e la sommità del collo,
spoglie del tutto di parti molli già in preda a pu-
trido e vei'minoso disfacimento , e per conse-
guenza rimaste a nudo le semplici ossa, alcune delle
quali portate fuori dei loro naturali rapporti.
« Osserviamo il cadavere privo della testa, ed in-
G.A.T.CXLV. 19
290
vece al lato del medesimo troviamo un capo umano
voto del cervello , destituito affatto di parti molli,
e ridotto perciò ad un puro teschio, che esaminato
con ogni accuratezza non ci ha offerto alcuna le-
sione. Vediamo infine la prima vertebra cervicale
staccata dal suo posto e come le altre di questa
regione completamente spolpate.
« Il cadavere è di uomo sul quinto lustro circa
dì sua età, divenuto tale da circa otto giorni a que-
sta parte.
« Dalle premesse osservazioni non dubitiamo di
giudicare, che la rimarcata distruzione sia stata opera
di putrido verminoso corrodimento , mentre tutte
le aUie osservazioni praticate sul ridetto cadavere
non ci pongono in grado di poter emettere il no-
stro giudizio sulla vera causa della morte ».
Voto del collegio medico-cliirurgico.
In mezzo alla oscurità che circonda la causa di
morte di P. D. ritrovato dal fìsco in tale stato di
mutilazione e deformità non solo da non potervi
dimostrare alcuna lesione letifera , ma di ricono-
scerne appena la identità per mezzo delle vesti, due
fatti solenni richiamavano l'attenzione del collegio,
e sembravangli abbastanza luminosi da rischiarare
la via delle indagini e raggiungere la verità.
I due fatti sono: 1. la presenza del sangue nelle
mani del cadavere, non che lungo le maniche del
vestito, e sullo stesso colletto del medesimo: 2. l'enor-
me differenza dei fenomeni cadaverici fra alcune
parti del corpo quasi totalmente distrutte, ed altre
^291
quasi perfettanlente consei'vate. E un fatto solenne
la presenza del sangue, perchè accenna ad una ferita
come effetto invariabile alla sua causa. Se P. D. era
lordo di sangue, convien dire ch'egli fosse stato fe-
rito. Possono infatti eliminarsi facilmente nel caso
attuale tutte le altre possibili origini di questo fatto.
Non trattasi qui di un chirurgo o di un ostetiico
che avessero potuto macchiarsi di sangue in una ope-
razione cruenta. Non può supporsi che questo san-
gue procedesse dalla uccisione di un animale; non
saprebbe intendersi ,in tal caso come il sangue im-
brattasse il colletto dell'abito, piuttosto che le ve-
stimenta inferiori del corpo. Non può ammettersi
che derivasse da ferita inflitta ad altri da P.D., dalla
quale poi ne spicciasse sangue che lo imbrattasse.
In tal caso il sangue si sarebbe mostrato a spruzzi
in varie parti del corpo, non in tracce continuate
dalle mani fino all'alto delle estremità superiori. Ri-
pugna finalmente che P. D. fatto cadavi^re per morte
fortuita fosse cruentato da lacerazioni di animali ra-
paci; poco è il sangue che scaturisce da un cada-
vere, non è tale ohe possa rapprendersi sulla cute
e sulle vesti, né saprebbe allora spiegarsi la inte-
grità delle mani. Non rimane adunque altra spiega-
zione alla origine di questo sangue, che una ferita
inflitta a P- D., della quale non essendo vestigio al-
cuno nelle parti superstiti del cadavere, convien cer-
care la sede nelle distrutte e precisamente nel collo,
come quello che ricco di vasi è preso pili spesso di
mira dagli assassini.
Se non che questa distrazione delle parti molli
del collo e della testa, restando quasi illeso il ri-
292
manente del corpo, fornisce un altro argomento va-
levolissimo a dimostrare che appunto in quelle parti,
che una rapida putrefazione facea scomparire, dovè
esercitarsi 1' istromento vulnerante. Ella è materia
di fatto confermata da ripetute osservazioni e atte-
stata da scrittori, che le parti vulnerate entrano più
prontamente in putrefazione e ne sperimentano le fasi
con una rapidità straordinaria. La ragione ne è chiara
sì nella soluzione dei tessuti cutanei che servono
grandemente a proteggere le parti interne dal con-
tatto dell'aria atmosferica, la cui presenza è condi-
zione principalissima a favorire il movimento putre-
fattivo; e sì nell'incominciato disordine e disunione
degli slami oiganici, che parimenti agevola il sud-
detto movimento. Ed infatti non solo la ferita pro-
priamente detta, ma la contusione, l'ammaccatura,
quantunque non dividano la pelle, acquistano pure
alle parli offese maggior proclività alla putrefazione.
Il collegio adunque, a spiegare la enorme disparità
de'fenomeni cadaverici fra le parti superiori al petto
e le inferiori al medesimo, non poteva rimaner sod-
disfatto alla semplice condizione dell'esser nude le
prime e ricoperte le seconde da vesti. Si veggono
ogni giorno cadaveri di individui tuttora vestiti, né
perciò le parti nude presentano quel disfacimento
che offriva il cadavere di P. D. Le aperture delle
narici, degli occhi, della bocca , comuni a tutti i
cadaveri, non ispiegano neppure la più sollecita pu-
trefazione, la quale non può interpretarsi in altro
modo che col riferirla a profonde offese dirette a
quelle parti, in cui si effettuava il ridelto disfaci-
mento. E perchè la teca ossea non mostrava alcuna
293
offesa, e la perizia non fa motto alcuno di lesioni
delle vertebre, così è nelle regioni anteriori o late-
rali del eolio che convien stabilire la sede delle vio-
lenze. Ma partendo anche dal principio che le parti
vulnerate si putrefanno più prontamente, potrebbe
a taluno rimaner dubbioso come questa putrefa-
zione sia giunta in pochi giorni a sì alto grado da
distruggere totalmente le parti molli del capo, del
colio, della sommità toracica e da votare persino
il cranio : ma di questi sì celeri disfacimenti non
mancano esempi negli annali dell'arte, e nel caso
attuale abbiamo sufficienti ragioni nel concorso di
tutte le condizioni le più favorevoli al movimento
putrefattivo. Ed infatti l'esposizione all'aria, la sta-
gione autunnale, lo spirare del vento di mezzogiorno,
la condizione caldo-umida dell'atmosfera, il tempo
pioviginoso,erano tutte circostanze grandemente atte
a sollecitare il disfacimento della materia organica.
E quando rammentisi che durante il processo chi-
mico della putrefazione svolgesi in gran copia am-
moniaca, capace di ammollire ì più resistenti tes-
suti, e che si genera persino l'acido nitrico poten-
tissitno a corroderli, non dovrà recai* maraviglia se
in breve tempo sia scomparsa tanta parte del ca-
davere di P. D. Aggiungasi la copiosa produzione
di vermi verificatasi in tal congiuntura, e che poteva
pure contribuire alla suddetta distruzione. Del resto
non sembra sufficientemente dimostrato che la te-
sta fosse separata dal busto fin dal momento, in cui
fu cognita la esistenza del cadavere in quel macchione:
ricavandosi da alcuni testimoni che aderisse tuttavia
al busto, ed essendo molto probabile che il distacco ac-
cadesse nei successivi movimenti impressi al cadavere.
294
Adunque questi due fatti, la esistenza cioè del
sangue disseccato sulle nnani del cadavere, sulle ma-
niche e sul colletto del vestito che lo copriva, e la
rapida putrefazione del collo e sue parti adiacenti,
furono giudicate dal collegio come prove bastanti
a dimostrar l'omicidio. Non mancano negli atti pro-
cessuali altri indizi tendenti a piovare la morte vio-
lenta di P. D. Si potrebbero citare le grida udite
da più testim^ìni: grida che si andavano successi-
vamente affievolendo e che sembravan partire dal
teatro dell'avvenimento; si potrebbero rammentare
r impressione irregolare del costato destro e la es-
coriazione del ginocchio corrispondente, che sem-
brano pure accennare ad una colluttazione; potreb-
bero citarsi le zolle di terra intrise di sangne in luogo
sospetto; potrebbe parlarsi infine della cravattia di-
visa in due brani trovata presso il cadavere, e così
dichiarata da alcuni testimoni, e che non potrebbe
attribuirsi alla putrefazione, ma indica piuttosto I'
opera di un islromento vulnerante , o di una vio-
lenza: tutti questi indizi di pertinenza fìsica potreb-
bero essere invocati a corroborare il giudizio , ma
non basterebbero a stabilirlo, perchè non esenti da
eccezioni.
Pertanto il parere del collegio, che la morte di
P.D. sia derivata da ferimenti ex scelere, riposa prin-
cipalmente sulle due prove esposte di sopra. Sarebbe
poi entrare nel campo delle ipotesi il volere asse-
gnare con precisione le modalità tutte del feri-
mento, mancando i dati necessari a simil giudizio.
Potrebbe però asserirsi con piena sicurezza, che il
luogo, ove fu rinvenuto il cadavere non fu quello
ìh cui avvenne la morte.
\
295
Sulla pallia del poeta comico Terenzio. Ragionamento
recitato alla pontificia accademia romana di ar-
cheologia dal cavaliere Salvatore Betti socio ordi-
nario e censore.
1. JLie poche ed incerte notizie, che ci hanno tra-
mandato gli antichi intorno a molti scrittori di fama
illustre, sono state cagione di non lievi controver-
sie nelle storie delle varie letterature: gareggiando
città e nazioni nel trarre a se, per quante ragioni
e congetture mai possano , il vanto de' loro natali.
Non può infatti un paese, che pregisi di civiltà ,
aver vanto maggiore di quello d' essere stato culla
di alcun grande che più abbia onorato l'umano in-
telletto. Chi non sa le contese di sette città d'Asia
e di Grecia per la gloria d'esser salutate patria d'
Omero? Chi non sa le altre che vegliano tuttavia
fra parecchi eruditi e noi rispetto al luogo ove nac-
que Pittagora ? Pittagora , dico , cui ed Aristotile
ed Aristosseno e Teopompo e Aristarco fino da'loro
secoli reputarono italiano: certo considerando che
qua ebbe la famiglia e la stanza, qua la scuola, qua
la civile grandezza con tanta dimostrazione d'acceso
amor patrio, qua la filosofia che si chiamò italica:
oltre ad essere stata nella Lucania anche una città
denominata Samo, che perciò (lasciamo stare le gre-
che favole ) dee stimarsi la vera terra natale del
gran sapiente. Nota è altresì la quistione che a'
passati anni promosse Pietro Giordani intorno alla
296
patria di Vilmvio, consentendogli, coni' egli affer-
mò , il Mezzofanti. Perciocché lo stile inculto e le
voci qua e là prette greche, ch'usa il celebrato ar-
chitetto, non parvero a'due valentissimi cosa d'uomo
latino fiorito all' età di Augusto : e proposero che
fosse slato anzi uno schiavo greco fatto poi libero
da Yitruvio Pollione. Se non che a tale sentenza
fu chi contrappose, che là dove parla Yitruvio di se,
non dice mai d'essere nato greco; che anzi avvi un
passo nel libro settimo, nel quale egli chiama an-
tichi nostri i romani: e che in fine il suo stile, poco
veramente culto, ed i suoi spessi grecismi non deb-
bono far maraviglia : essendoché anche nel secolo
di Augusto potesse un nostro artefice non solo scri-
vere senza proprietà ed eleganza, ma con molti greci
vocaboli, molte cose avendo pur dovuto traslatare
dal greco. 11 che parmi saviamente opposto. Non
veggo però che siasi toccala forse la maggior ra-
gione, ch'esclude affatto in Yitruvio, se io non erro,
la qualità di liberto greco, ed assicura all' Italia 1'
onore della sua nascita: la ragione cioè de'suoi no-
mi. Perchè ninno ignora, che tutti gli affrancati appo
i romani dovevano avere invariabilmente prenome,
nome a cognome. Il prenome ed il nome, com'è
noto, toglievano dal padrone stesso ncH'alto che loro
concedeva la libertà: ed il proprio nome servile po-
nevano per cognome. Ora se il padrone di Yitru-
vio architetto chiamavasi Yitruvio Pollione , qual
era dunque il nome del servo ? Pollione anch'esso?
Ciò non par possibile: anche perchè Pollione è voce
singolarmente propria del Lazio , dove fra le altre
cose a notarsi era la tribù Pollia. Alcuni storici
\
297
delle arti, e con essi il Milizia, stimarono pur li-
berto l'altro architetto C. Postumio Pollione. Ma una
iscrizione trovata in Terracina ne rivelò Te noie: che
ivi Postumio Pollione mostrasi chiaramente latino
ingenuo, dicendo l' iscrizione:
C . POSTVMIVS . C . F . POLLIO . ARCIllTECTVS
II. Ciò che il Giordani ed il Mezzofanti indusse
a dubitare della patria latina di Vitruvio, ciò stesso
ha indotto anche me a dubitare della patria affri-
cana del poeta comico Terenzio. Come (ho io detto
più volte tra me) come in un servo barbaro,e nel fiore
degli anni, una sì rilucente candidezza e venustà di
scrivere, anzi una potenza di elocuzione urbanissima,
che al tutto cambiò, può dirsi, l'antico latino, e die
principio al vero secolo d'oro della favella ? Quale
differenza infatti da esso a Nevio che usò V orri-
dezza de! numero saturnio, e a Pacuvio e a Cecilio
scrittori, giudice 1' ai-pìnate, di riprovata latinità ?
Qual differenza pure da lui ad Ennio e ad Accio,
i versi de'quali menano ancora tanta vecchia sco-
ria di lingua ? Anzi da lui al gran Plauto , le cui
grazie vanno si spesso accattando voci e frasi scon-
cissime dal bordello e dall' infimo trivio? Né mi si
opponga l'esempio di Fedro, servo tracio : perchè
egli visse all'età di Angusto, di Tiberio, di Caio e
fors'anche di Claudio , in cui fra le mani di tutti
già erano i nitidi esemplari del dir latino : sicché
niun debba maravigliare se dopo molti anni di stu-
dio nelle opere di Terenzio, di Laberio, di Catullo,
di Calvo, di Lucrezio , di Virgilio , di Orazio e di
298
altri poeti elegantissimi, potè sorgere anche un bar-
baro ad alcuna lode di gentilezza romana, trattan-
dosi specialmente di brevi componimenti, come sono
appunto le favolette del vecchio Fedro. Lungamente
ho perciò pensato, o signori, se mai per alcun modo
potevasi da me dimostrare che la patria di Teren-
zio Afro non sia stata veramente che Roma , li-
brando con equa bilancia le cose favorevoli o con-
trarie che ce ne lasciarono scritte gli antichi. E ben-
ché io non sia tale presuntuoso da credere per me
dimostrato pienamente il fatto, non posso con tutto
ciò negare d'essermi dopo molte ricerche sempre
più fondato nella mia opinione, e d'aver anche in-
dotto in alcuni eruditi amici una probabilità che
tanto uomo fosse non pure della nostra nazione ,
ma nato romano. Nel che però non saprei affer-
mare se per avventura non mi abbia prevenuto al-
cuno, principalmente di là da' monti: ciò solo po-
tendo assicurare, di non averne trovato né pur so-
spetto in quanti autori m' è occorso leggere intorno
a Terenzio, soprattutto alemanni, i quali sagacissi-
mi in siffatti studi di critica, in cui i moderni avan-
zano di tanto gli antichi, mostrano d'aver serbato,
forse più riverentemente dei dotti d'ogni altra na-
zione , il loro culto agli scrittori immortali della
Grecia e del Lazio., Ora a quale autorità meglio che
alla vostra, o signori, sottoporrei la mia opinione ?
Chi meglio di voi invocherei miei giudici ? Fate
dunque coH'usata benignità di prestarmi udienza, e
compiacetevi poi di decidere.
in. Di Terenzio va intorno una vita sotto il nome
del grammatico Elio Donato, che visse nel quarto
299
secolo d&U'era cristiana. Niun dotto crede però che
sia opera in tutto sua, ma sì la vuole piuttosto Un
accozzamento di notizie prese a brani qua eia senz'or-
dine e critica da Fenestella, da Svctonio (a cui tante
vite d'uomini illustri furono falsamente attribuite),
da esso Donato e da altri: benché alcune sieno forse
vere, come si usa ne'romanzi, dice il Pallavicino :
poca istoria e molta favola. E fra le favole, e le più
certe, io pongo, l'aver detto che gli edili inviarono
il giovane Terenzio nel 587 a legger l'Andria a Ce-
cilio, il quale si sa esser morto nel 585. Non ignoro
che il Pighio, il Vossio, e con essi Ennio Quirino
Visconti, senza l'autorità di niun codice hanno vo-
luto emendare Cecilia in Acilio, solo per essere Stato
Manio Acilio Clabrione uno dei due edili curuli in
quell'anno. Ma io non so persuadermi come Teren-
zio dovesse dagli edili esser mandato ad Acilio, eh'
era appunto uno di essi. Sembra però che il falso Do-
nato traesse questa notizia coH'usata inconsiderazione
dalla cronica eusebiana continuata da s. Girolamo,
dove narrasi la cosa in modo che non par possibile
d'attribuirla ad altri che a Cecilio: perciocché scri-
vesi che Terenzio primam Andriam, ante quanti ae-
dilihus venderei , Caecilio muUiim se miranti legit.
Vuoisi prova , se non erro , più chiara di questa,
che in ambedue gli autori dee leggersi Caecilio e
non Acilio ? Tanto più che cosi stampò anche il Mai
nell'edizione romana della cronica di Eusebio fatta
latina dal dottor massimo: e si l'illustre porporato
aveva veduti, com'egli nota, ben venti autorevolis-
simi codici vaticani.
IV. Ora in siffatto libro, o signori, si dà contezza
300
che P. Terenzio Afro en nato schiavo cartaginese,
e che condotto fanciullo in -Roma fu fatto educare
dal suo signore Terenzio Lucano senatore, e poi nia-
nomesso. Questa notizia non travasi registrata nella
detta cronica eusebiana restituitaci felicemente in-
tera per una versione armena dal Mai e dal Zohrab.
Fu dunque tratta da altro fonte , e probabilmente
da s. Girolamo , il quale nella traduzione latina e
continuazione della cronica afferma di aver fatto non
poche giunte ad Eusebio, togliendole da vari autori
con opera, egli dice, tumultuaria. Obsecro (così scrive
a' suoi amici Vincenzo e Gallieno) ut quidquid hoc
tumultuarii operis est, amicorum, non iudicum, animo
relegalis. Ma coH'ossequio, che avrò sempre altissimo
a sì gran dottore, non sarò reputato ardito asserendo
ch'egli , spinto dalla fretta , lasciò forse in alcuna
cosa condursi all'opinione volgare de'grammatici, i
quali nello scorcio del suo quarto secolo ricanta-
vano con intera confidenza tante fole dfi collegio in
fatto d'antiche istorie: perchè non è chi non sappia
quanti trascorsi d'ogni maniera abbiano i critici do-
vuto correggere nella sua cronica. Si è testé veduto
ciò che anch'egli scrisse di Cecilio improbabilmente:
ed aggiungerò, che in un libro ove trattai di Quin-
tiliano ebbi anche a notarlo col Tiraboschi d' aver
narrato che quel retore fu condotto di Spagna in
Roma da Galba nel 68 dell' era volgare : quando
si sa di certo per le opere stesse di Quintiliano,
ch'egli nacque d'un padre ch'era in Roma difensore
di cause: che qua fanciullo aveva udito levare le lodi
grandi di Domizio Afro, di Passieno e di Decimo Le-
lio per le aringhe in difesa di Volusieno Caluio: e
301
ch'ei'iisi perciò reso sco/are di esso Doinizio, il quale
secondo Tacito morì nel 56, cioè dodici anni prima
del ritorno di Galba (1). Sicché ho per probabilissimo
che quel sì romano scrittore nascesse in Roma, e
che ciò fosse la ragione per cui non potè essere da
Marziale annoverato un uomo tanto famoso e con-
solare fra gli spagnuoli illustri dell'età sua.
V. Doveva però il falso Denato (o colui ch'egli
copiò)andarsommamente cauto nell'assegnar l'Affrica
per patria a Terenzio : perciocché su quel princi-
pio della sua compilazione, così di leggieri potuto
ascriversi a Svetonio , egli ci avverte non [liccola
cosa: che cioè L. Fenestella (contraddicendo forse
ad alcuno, che anche al suo tempo per la voce
Afer reputava il poeta un servo affricano) già ebbe
ad osservare, essere impossibile che Terenzio fosse
stato preso schiavo nell'Affrica: o sia, come allora
sonava la voce Affrica, nella provincia di Cartagine:
essendoché dopo la seconda guerra punica, in cui
nacque indubitatamente il nostro comico , e prima
della terza , in cui morì , sia fuor d' ogni credere
che nessun cartaginese si facesse schiavo da' ro-
mani: a ciò repugnando i solenni patti di pace e
di alleanza fra le due nazioni. Questa osservazione
fondata così sulle nornje della ragion delle genti ,
come sulla certa autorità della storia, da tale repu-
latissimo critico e storico del secolo di Augusto ,
qual fu Fenestella, cui Lattanzio chiamò assai dili-
gente, basterebbe per se sola a risolvere affatto in
contrario la quistione sulla nascita servile di Te-
li) Lib. I. epigr. 62.
302
renzio in Cartagine. Ma v' ha pure altra cosa non
meno essenziale a doveisi in ciò considerare chi brut-
tamente non vuol errare ne' primi rudimenti delle
antichità romane: cosa da me toccata or ora par-
lando di Vitruvio. Se Afro nel nostro comico vo-
leva indicar la patria, qual nome adunque egli avea
nella sua servitù ? Terenzio Lucano suo signoie gii
avrà dato senza dubbio il proprio prenome e nome,
ma lesciatogli per cognome, secondo l'uso immuta-
bile, il nome servile. Or Afro avrà dovuto di ne-
cessità chiamarsi il servo; e perciò Afro sarà cer-
tissimamente un cognome, e non mai un pretto de-
rivativo di patria. Del qual cognome tratteremo più
oltre.
VI. Quanto al prenome Publio accade però, al
nostro proposilo una cosa curiosa: ed è che di tutti
i Terenzi Lucani, de'quali ci sia rimasa notizia, nes-
suno ha esso prenome. Caio si disse quel Teren-
zio Lucano , di cui ne' tesori abbiamo alcune mo-
nete ; personaggio che il Riccio con probabili ra-
gioni vuol esser fiorito poco dopo la battaglia di
Canne, che fu combattuta nel 537. Caio si chiamò
pure quell'altro, di cui ci parla Plinio il vecchio (I):
e Caio dovette chiamarsi altresì l'avo di lui, da chi,
secondo esso Plinio, fu adottato: e Caio si sarà chia-
mato anche suo padre, se fu primogenito e nacque
dopo il 514, quando per una legge dataci da Mas-
simo Planude e poi dal Mai ne'frammenti di Dione,
e dottissimamente al suo solito interpretata dal mae-
stro sommo di queste dottrine Bartolomeo Borghe-
(1) Lib. XXXV cap. 7.
303
si (I) , fu ordinato che i padri dovessero sempre
imporre a'Ioro primogeniti il proprio prenome. Disse
il Pighio negli Annali d'aver trovato in un suo co-
dice della vita scritta dal falso Donato, codice non
sappiamo di qual'età, chiamarsi Publio chi affrancò
Terenzio comico. Certo se fosse vera la libertà da
lui conseguita, il padrone che glie la dio non poteva
che avere il prenome Publio. Ma ciò non si è ve-
rificato finora per nessuna testimonianza nò di scrit-
tore antico, né di moneta, né di altro manoscritto
dell'anzidetta vita: ed aggiungasi, né pur di quella
che da un codice ambrosiano del secolo nono ci diede
il Mai. Non dee dunque aversi che per una dotta
illazione. Ed anche domanderei ad esso Pighio se
egli crede da senno, che il padrone del comico dovesse
solo nel 576 , com'egli avverte pure negli Annali ,
aver ottenuto la questura: ufficio da giovane di circa
ventisette anni, secondo ch'era determinato per la
legge Villia stanziata due anni avanti : perchè non
potendo Terenzio Lucano, prima delle ordinazioni di
Siila, essere stato senatore che dop o quella dignità
per elezione censoria, tale dunque non era né quando
si dice aver comprato il fanciullo schiavo affricano,
che vuoisi nato verso il 559: nò quando si affer-
ma avergli dato assai per tempo la libertà. Dissi non
essersi verificato il prenome Publio nò pure per ve-
vun-d moneta: perché è ben vero che Publio Teren-
zio credesi leggere in un asse pubblicato dall'Eckhel,
e in un piccolo bronzo posseduto dal Borghési, ma
non avendo il cognome Lucano , non fa punto al
(1) Giornale arcadico, gennaio 1829.
304
caso nostro: tanto più che ninno sa chi egli vera-
mente si fosse: ed anzi essendo e nell'asse e nel
bronzo il TE in nionogramma, può leggersi in di-
versi modi, osserva TEckhel, e a diverse genti as-
segnarsi.
VII. Il vocabolo Afer, aggiunto al nome di Te-
renzio, è stato certamente cagione che alcuni, sen-
z'altro considerare, abbiano creduto il comico es-
sere affricano. Il che non è a maravigliare nel pre-
teso Donato e ne' suoi pari: ma doveva , come di
volgarissimo abbaglio, far ridere Fenestella impugna-
tore fino dal secolo augusteo, secondo che si è ve-
duto, della servitù di Terenzio : quel Fenestella, il
quale ben sapeva che Afer era fra' latini un puro
cognome, non altrimenti che tanti altri, dì cui ora
nessuno saprebbe render certa ragione: quando non
volesse stimarsi della condizione di quelli che ven-
nero tratti da alcun colore, come Albus, Candidii'i,
Flavits, Piuber, Rufus, Fusciis, A7j/er, Pnllus, cogno-
mi altresì in tanta usanza fra' nostri. La qual cosa
parve anche verisimile al celebre F. Labbè(l):che
però sembra non essersi ricordalo di un passo di
Sparziano (2), dove assolutamente d' un color afro
intese colui, che in nome di Apollo Delfico scherzò
intorno a Pescennio Nigro, a Settimio Severo e ad
Albino, i quali si disputavano V impero: Opthnus est
fuscus, bonus afer, pessimus albus. Infatti doveaFe-
(1) Le$ etitnologies de plusieurs mots francais, arlic. Afreux.
<i le le ferois bien plutost venir des moms latìns jifer , Africus ,
Africanus, pour signifier un more, basann«?, elhiopien. Et cui per
mediam nolis occurrere noctetn n.
(2) la Pescennio.
305
neslL'Ilii aver conosciuto quel Tedio Afro, di cui ci
palla SveU-nio come di consolo disegnalo da Augu-
sto: uomo di stirpe certameulti Ialina, e forse della
città di (]oii, dove si ha, recata nel tesoro mura-
toriano, una Ia[)ide sepolcrale de'suoi liberti. Non
altrimenti che latino di stirpe diremo senza dubbio
il consolo Senecione Menimio Afro, del quale abbia-
mo una bella iscrizione in Tivoli postagli dal figliuolo
L. Memmiu Tuscillo. E non si sa inoltre, per testimo-
nianza IneCragabile di Tacito, che il famoso oratore
Domrzio Afro era nativo di Nimes nella Gallia Narbo-
nese: che d' Italica nella Betica, secondo che rendono
fede Sparziano e Xifilino, era il pretore Elio Adriano
Afro padre dell' imperatore Adriano: e che ingenuo, e
figliuolo di un Publio della tribi"i Voltinia, era il tri-
buno e flamine auguslale C. Fasserio Afro , di cui
abbiamo mernoria ne' diplomi imperiali del Cardi-
nali ? Afro inolile fu anche nome in Ispagria, co-
me si ha da un' iscrizione di Ruanes nella Galizia
riferita dal Masdeu (1) e da altri , nella quale si
legge AFER . Al.BiNI . F . TVROLYS . Cosa ridicola
e affatto da novelli in queste nostre dottrine del-
l'antichità ò il far caso de' nomi e cognomi a de-
terminare la patria di alcuno: perciocché, per tacere
innumerabili esempi, era di Saintes l'oratore Giulio
Affricano, di cui parlano Tacito e Quintiliano; era
(1) Storia critica della Spagna, tomo secontlo , parte prima,
pag. 38. Sembra da ciò pure, o io m' inganno, inferirsi che afro
era agli antichi anche un colore, e che forse il padre spagnnolo
di Afro Turolo intese nel nome di lui scherzar di parole: percioc-
ché chiamandosi egli bianchina, volle probabilmente per capriccio
chiamar nero, o morato, il Hgliuolo.
G.A.T.CXLV. 20
306
di Bi'escello Tallro Giulio Affricano, del quale ab-
biamo ricordo negli antichi marmi modenesi del
Cavedoni: di Vienna nelle Gallie il consolo P. Va-
lerio Asiatico, secondo l'autorità d'esso Tacito: di
Tivoli il celebre grammatito Q. Cecilio Epirota, di
chi scrisse la vita Svetonio: del paese de'marsi Vi-
l'idia Faentina notaci per un marmo muratoriano :
di Saldi nella Mauritania C. Petronio Fiorentino no-
toci pure per un marmo gruteriano: di Verona , e
figliuolo ingenuo di un decurione, P. Ostilio Cam-
pano, di cui ci reca una lapide il Maffei nel museo
veronese- Che piii ? Era nostra ingenua la giovinetta
di dieci anni Terenzia Asiatica, sulla cui morte ab-
biamo così affettuosi versi in una iscrizione della
villa Albani. Chi volesse fondarsi in fine sopra un
vago cognome, dovrebbe pur credere che dal paese
de'cimbri ci venissero e lo storico latino Annio Cim-
bro e quel Tillio Cimbro che fu uno degli uccisori
di Cesare, dal paese de'galli l'oratore Asinio Gallo,
ed il poeta Anneo Lucano dalla Lucania.
Vili. Arroge che siccome non ho per vero che
niun uomo della Grecia, altro che per una partico-
lare stranezza, siasi per nome proprio chiamato Gre-
co od Elleno,e niun uomo della Bitinia, delia Numidia,
della Gallia, della Spagna chiamato Bitino, Numida,
Gallo ed Ispano, così non ho che niun uomo della
provincia d' Affrica siasi appellato spezialmente
Afro e Affricano. Chi tal si chiama, appartenne o
al numero de' servi pubblici j se ha alcun nome di
municipio, o a quello dei verne, o sia de' servi nati
in casa, ai quali il padrone imponeva il nome che
meglio piacevagli, traendolo talvolta dalla patria o
307
dalla nazione di chi gli avea generati. Nel che m'
incresce di non [joter consentire così coi Panvinio
e coirOrsato, come co'dotti amici Girolamo Amati
e Giuseppe Melchiorri (1): i quali stimando che P.
Elio Affricano, liberto dell' imperatore Adriano, senza
più fosse di nascila aflVicano , e non recasse quel-
l'aggiunto al nome come un mero cognome (chi sa
da che derivatogli), giudicarono che un busto tro-
vato presso il sepolcro posto da esso Elio Affricano
all'altro liberto M. Ulpio Cantone rappresentasse il
poeta Terenzio. Ma io ardisco negarlo senza quasi
niun dubbio, benché coli' ossequio debito alla me-
moria dei due nostri onorandi colleghi: essendoché
il busto , che poi il Melchiorri collocò nel museo
capitolino, rechi sul petto la maschera tragica, an-
ziché la comica: e quel ch'è più , non abbia raso
il mento, secondo che all'età di Terenzio era 1' uso
costantissimo così de'liberti come degl' ingenui: né
ha esempio infetti nelle altre antiche immagini più
probabili che del comico ci dà il Visconti nell' ico-
nografia romana. Tanto che io stimo, esser quella l'
effigie di qualche attor tragico de'tempi di Adriano,
e forse del medesimo Ulpio Caritone: sapendosi che
i romani , salvo alcuni che atfettavano rigida filo-
sofìa, non cominciarono di nuovo a lasciarsi crescer
la barba, se non regnante Adi'iano, per adulare a quel
(1) Amati, Giorn. arcadico tomo XXXIII pag. 109 11.0. =
Melchiorri, Cenni intorno ad uiifanlico busto del museo capitolino
creduto rappresentare il ritrailo del poeta comico latino P. Te-
renzio Affricano. Negli Annali nell' istituto di corrispondenza ar-
cheologica voi. XII.
308
principe, il quale a cagione di caria sua sconcezza
del viso costumò portarla.
IX. 11 fatto è, 0 signori, che salvo L. Fenestella,
il quale fino dai tempi di Augusto, giova ripeterlo,
negò in Terenzio la possibilità d'essere stato schiavo
alfricano, niuno, per quanto sicuramente si sa, de-
gli antichi che fiorirono prima del quarto secolo dei-
Pera volgare ci ha parlato mai della straniera sua
patria, e molto meno ce lo ha detto servo o liberto:
non essendo noto quando vivesse quel Mezio ( ri-
ferito dal falso Donato), il quale però lo volea non
liberto, ma libertino, o sia, come in antico signifi-
cava questo vocabolo, figliuolo di liberto. E sì Cice-
rone fra gli altri lo ricorda più volte: né mai dà
sentore di reputarlo se non romano e nato libero.
Inoltre Terenzio stesso nomina sé ne'suoi prologhi:
e si consideri in qual modo usa farlo conveniente
in tutto ad ingenuo. Perciocché essendo egli fami-
liarissimo nelle case degli Scipioni e dei Leli , e
conversando perciò co'principali della repubblica, non
chiamò quei nobilissimi personaggi, nel Punitore di
se stesso, con altro titolo che di amici, come suoi
aiutatori che si dicevano a comporre le commedie:
Amicum ingenio frelum. Il qual titolo così pubblica-
mente dato ad uomini di tale nobiltà e grado
quanto possa convenirsi all'ossequio di un liberto in
quel secolo, lascio giudicarlo ad altri: di un liberto che
standosi ancora fra la feccia della plebe nelle tri-
bij urbane , era non solo escluso da ogni ufficio
dello stato, ma perfin soggetto alla viltà delle pub-
bliche battiture, e vietatogli perciò di congiungersi
con una ingenua e d'esser descritto nell'onorata mi-
309
lizia (Ifìlle legioni. Non eh' io creda vero che aiiilnlori
e compagni a scrivere le sue opei'e gli fossero stali
principalmente Scipione Emiliano e Lelio: comecliò
fii Lelio ci affermino Cicerone e Cornelio Nipote
esser fama: e di Scipione l'abbiano creduto Q. Mem-
mio, Valgio e Quintiliano. Ma seguirò meglio il pa-
rere di chi considera, essere stati allora assai giovani
sì Scipione e sì Lelio pe.-ehè da' romani potessero
stnnarsi valenti a tanta bontà d'arte non solo di stile,
ma di opere così gentilmente imitate dalle più per-
fette greche di Menandro e di Apollodoro. Se infatti
Scipione nacque nel .568 , aveva egli dunque solo
diciannove anni quando nel 587 Terenzio ponea sul
teatro la sua prima commedia, l'Audria: e pochi più
anni doveva aver Lelio, che da Cicerone nel primo
della Repubblica ci è detto maggiore di età del suo
magnanimo amico. Oltreché se in Lelio fu vera-
mente indole gaia e faceta , secondo esso Cicerone
ne'hbri degli UfHci e dell'Oratore, e<l avrebbe po-
tuto bene in cose comiche aiutare Terenzio , Sci-
pione all'incontro non pare che a ciò fosse idoneo,
come quegli che grave di natura, non altrimenti che
il vecchio Catone suo maestro, era anche inchine-
vole alla tristezza per testimonianza pure dell'arpi-
nate nel primo degli Uffici Certo è che nò dell'un
giovane nò dell'altro, preclarissimi sì, ma non eletti
ancora a veruna dignità , poteva Terenzio vantarsi
nel prologo degli Adelfi d'avere la compagnia e V
amto a scrivere, se così ci-edevano i suoi malevoli:
Nam qnod isti dicuM malevoli, homines nobiles
Elmi adhilare, assidueijiie una scribere:
310
Quod ìlli maìediclìnn vchemens existimant,
Enrn Inndem hic ducit maximam: cum illis placet,
Qui vohis universis et populo piacenti
Quorum opera in bello, in olio, in negolio.
Suo quisque tempore, usus est sine superbia.
Il perchè Santra antico critico e autore, forse al-
l'età di Cesare, d'un' opera sugli uomini illustri, cre-
dette che tali persone di sì gran governo in pace ed
in guerra dovessero anzi essere C Sulpicio Gallo,
Q. Fabio Laheone e M. Popillio, letterati che allora
fiorivano e consolari, e i due ultimi anche poeti.
Veggasi adunque con quali uomini praticava insieme
Terenzio domesticamente in tempo che ancora la no-
biltà romana tenevasi in dignità e grandigia , e i
servi affrancali non erano peianco usciti dell'umiltà
e modestia della lor condizione. Né praticava solo con
essi, ma in pieno po[)olo, come ho detto, nominava!!
amici: non altrimenti che amico appresso Cicerone
nel libro dell'Amicizia lo chiama Lelio il sapiente,
già stato consolo, dandogli quel nobile titolo di fa-
miliaris meus , cui dà in altri luoghi allo stesso
Em.iliàno.
X. Io non so d'onde il falso Donato abbia tratto
la notizia della figliuola di Terenzio sposatasi ad
un cavaliere romano- Quando vera fosse la cosa,
proverebbe ella ognor più che Terenzio fu ingenuo
d'origine e non servo- Certo non mi è noto che d'al-
tro tal matrimonio si abbia esempio in quel tempo.
Se le nozze fra gl'ingenui e le liberto erano seve-
ramente ancor vietate, e solo per un rarissimo pri-
vilegio, e per un senatusconsulto, ci dice Livio che
311
furono concedute nel 567 fra P. Ebuzio ed Ipsala
Fecennia in premio d'aver rivelato le infamie de'bac-
canaii; non. ha dubbio che anche quelle con la fi-
gliuola di un liberto dovevano aversi per mal con-
venevoli a famiglia equestre, potendo dare a coloro
che di esse nascevano, senatori o magistrati curuli,
siffatta madre ed un avo servo manomesso. Dirò anzi
che ciò stimavasi al tutto disonorevole fìtio nell'età
licenziosa degli ultimi anni della repubblica: quando
Cicerone nella secoda filippica rimproverò M. An-
tonio, benché di gente plebea nò asceso ancora alle
sotnme dignità dello stato, d'aver contratto matri-
monio con Fulvia nata del liberto Q. Fadio Bam-
balione: non reputando ignominia, grida l'eloquente
oratore, che i suoi figliuoli dovessero chiamarsi ni-
poti di un Q. Fadio liberto.
XI. Ma v' ha di più. S. Agostino fu affricano ,
e dottissimo delle cose romane, secondo che fanno
fede i suoi scritti , e principalmente la immortale
opera della Città di Dio, tesoro inesausto di sapien-
za e di erudizione latina. Oso an/j dire che nes-
suno fra' padri ebbe più di lui alle mani i nostri
scrittori e meglio conobbe le romane antichità. Or
egli appunto in un luogo della Città di Dio (1) no-
mina Terenzio, e volgendo il discorso a'romani Io
chiama TereiiUus vester. Permettete, o signori, che
qui vi reciti il passo importantissimo: Indignum vi--
delicei fuit ut Plaulus aut Nàeviiis Publio et Cneo
Scipioni, ani Caecilius Marco Catoni melediceret, et
dignum fuit ut Terenlius vefiler, flagitio lovis optimi
(1) Lib. 11 cap. 12.
312
maximì, adolesccnlium vequiliam coìicitarcl?Ho detto
iinpoitnntissiino questo passo: e vorrò mantenerlo.
Imperocché qual fu la cagione per cui S. Agostino
disse vesler ai romani il solo Teienzio, o tale non
disse Plauto, Nevio e Cecilio ? Forse non fiu'ono la-
tini anche (juesli poeti ? S\ furono : ma niuuo dei
tre uscì di stirpe romana: essendo sialo Plauto na-
tivo diSarsina, Nevio delia Campania, Cecilio delle
parti d'Insubria. Perciò non par dubbio, che l'insi-
gne vescovo d'Ippona nel dir vostro ai romani Teren-
zio ben mostrasse sapere eh' egli non era suo na-
zionale d'Affrica: nò lo reputava tale. Si vorrà forse
che usi quell'espressione perchè Terenzio in Pioma
fiorì? Ma non ci fiorirono anche Plauto, Nevio e Ce-
cilio ? Fiorirono in Francia , e per legge vennero
scritti fra que'nazionali, i nostri Gian-Domenico Cas-
sini, Luigi Lagrangia, Ennio Quirino Visconti, Pelle-
grinoRossi.E nondimeno nessun italiano, e sia pure il
men tenero della patria, parlando ai fiancesi dirà mai
il vostro Cassini, il vostro Lagrangia, il vostro Vi-
sconti, il vostro Rossi.
XIL Sicché per le cose esposte a me non pare
alieno da grande probabilità, se non pare anzi cer-
tezza, che la parola afer aggiunta al nome di Teren-
zio non sia che un puro cognome , senza nessuna
attenenza coll'Affrica, come abbiamo veduto negli
esempi di Tedio Afro, di Senecione Memmio Afro,
di Domizio Afro, d'Elio x\driano Afro, di Passerio
Afro : e che perciò quando Volcazio appo il falso
Donato disse:
Sed ni Afer sex popuìo edidil comoedias:
313
non debba credersi che A/er voglia significare altro
ch'esso cognome di Terenzio: alla guisa stessa che
Afer senza più fu detto il gallo Domizìo Afro da
Plinio il giovane (1): Sed liacc quoque herediias Afri,
ut reliqua cum fratre quaesita, trasmiltenda eral filiae
fratris: e da Quintiliano (2): Sic Afer cum ageret con-
tra lìberlum Claudii caesaris.
Tali sono, o signori, le cose che intorno alla pa-
tria del poeta comico Terenzio, la quale io stimo
essere la nostra Roma , ho voluto soltomellere al
vostro grave giudizio: a cui avrò sempre grandis-
sima riverenza , nulla di me piesumendo , né uso
giammai ad esser caparbio in alcuna letteraria opi-
nione.
(1) Lib. Vili epist. 18
(2) Iiislit. oralor. lib. VI cap.3.
314
Sulle pitture del cav . Francesco Co(jhelti da Bergamo
Lettera.
Di Roma, addi 30 dicembre 1856.
Non e impresa da pigliare a gabbo il poter sod-
disfare al tuo desiderio , eh' io poi ti cioè giudizio
intorno alle opere del pittore Francesco Coglietti da
Bergamo , e te ne scriva un elenco. Tu sai quale
svantaggio abbiano le arti che tolgono ad imitare
la natura, volendo tutti su quelle squadrarti i loro
giudizi. Pur troppo siffatti maestri del bello, i quali
sputano sentenze dai loro tripodi (talvolta misera-
bili trespoli), si trovano a dovizia! Ma io mi ricordo
del detto d'Apelle , né voglio essere mandato a
mazzo colle scarpe , né intendo pormi al mestiere
di lodatore o di censore. Non vi furono dei tristi,
i quali anteposero un Marini ad un Alighieri , un
Borromini ad un Bramante, un Le Brun ad un Buo-
narroti, e fino un Le Sueur ad un Raffaello ? E non
vediamo lodare ad ogni piò sospinto le opere più
goffe, deformi e sconce ?
Digiuno qual io mi sono delle discipline dell'arte
mi ristringerò a desciivcrti 1' ultimo quadro con-
dotto dal Coghetti, aggiungendo in fine un breve
compendio de' suoi lavori.
Questo valente artefice ha operato non poco nel-
l'alta Italia: quindi tu stesso potiai chiarirti del suo
merito, e portarne più competente giudizio.
315
La tela che ammirasi oggi nello studio di que-
sto esimio e modesto pittore, da porsi nella chiesa
parrocchiale di Ranica, paesello vicin di Bergamo,
rappresenta il martirio dei sette figliuoli di santa Fe-
licita. Già quattro di cotesti valorosi campioni della
fede conseguirono la palma, e tu gli vedi giacere
in terra quali sull'innanzi del quadro in bellissimo
scorcio, e con le loro tinte livide dar maggior ri-
salto alle altre figure: quali alquanto più Indietro.
Dalla parte destra il pretore romano sceso dal suo
seggio, non volendo che una debole femmina e quat-
tro suoi figliuoli possano farsi beffe del suo idolo di
Marte, che poco lontano si scorge coH'ara fumante,
si fa innanzi e pone ogni studio a persuadere la
forte donna che abbia insieme coi figliuoli super-
stiti ad adorare il nume se non ama di essere in-
teramente orbata.
Santa Felicita è posta ginocchioni sur un pia-
nerottolo della scala che conduce al tempietto del
falso nume, apre le braccia, e volge con magna-
nima rassegnazione e fortezza il capo e gli occhi al
cielo pregando che piova su tutti loro il divino aiuto
a meritare l'eterna corona, che già già si vede pen-
derle sul capo per mano di un angelo.
La scena rappresenta quell'ansia degli animi che
in siffatto momento è propria della natura. Tutti
pendono dal labbro della santa. Due figliuoli sono
tuttora in compagnia della madre, dei quali uno le
si avvinghia al collo e vuoisi strappare da un car-
nefice, mentre l'altro è a'suoi piedi stringendosi for-
temente al fratello, e facendosi velo di esso abbassa
il capo per non vedere due leste mozzate ai mar-
316
tirizzati suoi fratelli, le quali due mnnigoldi levano
alto con tutto il braccio sì per atlerirc i su[terstiti
e si per indurli in un colla madre a rinnegar Cri-
sto. Mentre comnriuovono gli animi di tutti a que-
sto speltacolo , sul dinanzi del quadro havvi un fi-
gliuolo di più provetta età, che dispregiando le blan-
dizie de'suoi seduttori e certo che la arrazia divina
trionferà in tutta la Simigliti, posto ginocchioni, colle
mani avvinle dietro e dinudato nella schiena, aspetta
che il carnetlce, che già lo ha afferrato per le chiome
colla mano sinistra , gli mozzi colla scimitarra il
collo dal busto, nò punto si lascia svolgere alle lu-
singhe e agi' incitamenti che vorrebbero togliergli
di mano il celeste guiderdone. A sì mirabile fer-
Mìczza della santa famiglia nppare sdegnato il sacer-
dote, il quale vestito di bianchi lini , al({uanto in-
dietio nel mezzo del quadro, facendo spiccare per
iscuro le altre ligure, si allontana fremente e dispet-
toso da un luogo ove le arti sue tornarono vane.
Compie poi il fondo dalla [larte sinistra una specie
di loggiato, su cui veggonsi alcuni spettatori in suH'
aito che assistono con vari affetti a quel tremendo
ed insieme sublime spettacolo.
Le figure sono maggiori che il naturale- Ogni
cosa vi è condotta con sapere , diligenza e giusta
armonia delle tinte, che sono anche a tempo e luogo
gagliarde, risentite e delicate. È bene intesa la di-
sposizione de'Iumi e dell'ombre: e tanta ne è la mae-
stria, che le figure rilevano a maraviglia dal campo.
In somma il quadro mostra benissimo, è veramente
bello, e degno di un professore che leva sì meritata
fama nel bel paese.
Eccoti qui in succinto il catalogo delle princi-
pali opere ch'egli condusse sì a olio come a fresco.
Pillwe a olio.
[• Per la regina Maria Cristina di Sardegna ;
Eugenio III papa che veste 1' ahito di crociato ad
Amedeo III di Savoia; figure condotte un terzo del
natuiale.
2. Nella chiesa di s. Michele nella parte alta
della città di Bergamo dipinse s. Michele con vari
santi grandi (pjanto il vivo.
3. Per s. Paolo in Roma: santo Stefano cacciato
dal sinedrio, figure maggioì-i che il naturale; quadro
allogato nella cappella dedicata al medesimo santo.
4-. Alla stassa hasilica fece pure il martirio di
s. Lorenzo, tela posta nella cappella utHciata dai mo-
naci; le figure sono poco maggiori del vivo.
5. Una scena del diluvio per l'accademia del Mes-
sico, di grandezza natuiale.
6. Per Calcinate vicin di Bergamo condus'se
un' Assunta con figui-e maggiori del vivo.
7. II cardinale Brignole, ritratto al naturale.
Tralascerò una moltidudine di altri quadretti e
ritratti per non essere infinito.
PiUure a fresco
8. A Portomaurizio l'ascensione di N- S. Gesiì
Cristo, figure maggiori del vivo.
9. Ritrasse in figure maggiori del naturale nel
duomo di Savona la vita della Beatissima Vergine.
318
Sulla porta è Cristo che caccia i profanatori dal
tempio.
Nel presbiterio delia stessa chiesa sono due grandi
affreschi rappresentanti Giulio 11 clie pone la prima
pietra della basilica vaticana, e Sisto IV benedicendo
da una galea veneta i crociati che fanno passaggio.
10. Apoteosi di s. Alessandro e di tutti i santi
venerati nella provincia, con una infinità di figure
ed angeli maggiori del naturale , nella cupola del
duomo di Bergamo.
11. Fece al duca Scotti nella chiesa di sua
villa a Oreno vicin di Monza un' Assunta cogli apo-
stoli quanto il vivo.
12. A Roma nella villa del principe D. Alessan-
dro Torlonia evvi una sala di forma elit-tica colle
storie d'Alessandro il macedone, d'un terzo del na-
turale. Al pian terreno condusse il Parnaso e due
lunette colle Grazie che spargono fiori, e le Ore
che van leggiadramente danzando , grandi quanto
il vivo.
13. Nel palazzo dello stesso principe, che tro-
vasi in Roma sulla piazza di Venezia, dipinse, nella
medesima sala ove trovasi l'Ercole e Lica dell'im-
mortale Canova, l'apoteosi ed altri quadri analoghi
al medesimo semideo. Al secondo piano nobile con-
dusse la favola d'Amore e Psiche. Alcune di que-
ste opere sono maggiori del vivo, altre un terzo.
14. D. Carlo Torlonia nella sua villa di Castel-
gandolfo fece effigiare in due grandi lunette i quat-
tro elementi con figure al naturale, e due bassi ri^
lievi di chiaroscuro sull'andare di Polidoro da Ca-
ravaggio.
319
15. Prometeo che invola la scintilla celeste al
carro del sole , di grandezza naturale , e quattro
scompartimenti con favole dello stesso Prometeo in
piccolo; affreschi condotti nelle sale adiacenti al tea-
tro Tordinona, di proprietà del principe D. Alessan-
dro Torlonia.
Goda pure e meni vanto la città di Bergamo ,
tanto amica della gloria d'Italia , che uno de' suoi
figli mieta applausi e corone: ed io mi reputo for-
tunato di aver potuto almeno in parte rendere pa-
ghi i tuoi desiderii.
• C. S.
320
3 N D I C E.
Deminicis, Numismatica ascolana (con due ra-
mi) pag. 3
Falchi, Discorso in encomio di Luigi Canina » 118
Fabri Scarpellini, Lo stalo pontificio e V istmo di
Suez (con litografia) « 137
Torlonia, Sulla filosofia dell'aite (i-agìonamento
primo) » 158
Scarpellini , Osservazioni ozonometriche istituite
in Roma nelV agosto 185{) » 177
Peretti, Sopra im odore particolare emanantesi
dalle cartoline ozonizzate » 185
Massetti, Storia di fulminazione . . . . » 188
Catalani, Unità della specie umana . . . » 195
Rosani , Relazione della commissione deputala al-
l'esame delle opere teatrali concorrenti al pre-
mio » 198
Montalii, Saggio di poesie italiane . . . )) 215
Rinaldi Bucci, Descrizione di pezzi patologici ed
anatomici ec ,....)) 222
Montanari, Elogio del card. Soglia Ceroni . « 238
Raro esempio di rapida parziale putrefazione » 287
Belli, Della patria del poeta comico Terenzio » 295
Pitture del cav. Francesco Coghetti . . . w 314
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arti, quelle di scoperte utili per l'agricoltura,
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mandati franchi di posta alla direzione.
Chi si associa per dieci copie, o ne garan-
tisce la vendita, avrà l'undecima gratis.
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