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Full text of "Giornale di matematiche di Battaglini"

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Mathem«tìci 

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GIORNALE 



DI MATEMATICHE 



DI BATTAGLINI 



PER IL PROGRESSO DEGLI STUDI 



\ A 



NELLE UNIVERSITÀ ITALIANE 



Foisrx).A.TO isr:E3ii isss 



PKOSEGUITO DAL PltOFESSORE 



ALFREDO CAPELLI 



Volti UIC XLI - (10° (Iella 2* Serie) 

1903. 



NAPOLI 

LIBRERIA SCIENTIE'ICA ED INDUSTRIALE 
DI BENEDETTO PELLERANO 

L. C. PELLERANO Successore 

• 1903. 



GIORNALE 



DI MATEMATICHE 



DI BATTAGLINI 



PER IL PEOGRESSO DEGLI STUDI 



NELLE UNIYERSITA ITALIANE 



l'OlSraD.A.TO ISTEIi 1863 



PROSEGUITO DAL PBOFKSSOBE 



ALFREDO CAPELLI 



Volume XLl — (IO' della 2' Serie) 

1903. 



NAPOLI 

LIBBEEIA SCIENTIFICA ED INDUSTEIALK 
di BMNMDMTTO PEI<lBRANO 

Via Gennaro Serra, HO 

1903. 



Napoli — Tip. A. T r a n i — Via Medina, 25. 



I 2sr iD z a E 



A\ibrandì Pietro. — Il problema di Dirichlet per un parallelepipedo 

rettangolo Pag. 230-241 

Annunzi bibliografici i?. 13, 220, 320, 379, 380 

Aaohieri F, — Sui complessi tetraedrali ..... » 261—284 

Barchì Asto rre. — Sopra una classe di superficie applicabili e sulle 

loro flessioni » 129—137 

Bottari A.— Sulla razionalità dei piani multipli \x , y , *Jf(x , y) \ » 285-320 
Candido Giaoomo. — Sopra un' equazione del decimo grado di Ja- 

cobi » 205-206 

Ceramioola Felice. — Di una rappresentazione ciclica dei periodi 
delle funzioni doppiamente periodiche come mezzo mnemonico 
per lo studio delle funzioni ellittiche .... » 107—112 

Cesàro E. — Questione proposta ....... » 189 

» — Risoluzione della questione proposta nel fascicolo Maggio- 
Giugno 1903 » 260 

Concorso a premio » 192 

Darbì Giulio. — Sulle equazioni normali e su certe applicazioni alle 

equazioni cicliche . » 242—259 

De Luca Ignazio. — Calcolo della fc'^'* spinta fra due forme binarie » 193-202 
D* Escamard Vincenzo. — Un teorema sui gruppi abeliani . » 203—204 

Errata-Corrige » 379 

Giubileo Accadenr)ico del prof. Leonida Raschi . . > 192 

Giudice F. — Sul calcolo assintotico delle radici reali d'equazione » 14—20 

> — Separazione delle radici reali d'equazioni a coefficienti 

numerici reali » 190—191 

» — Sui sistemi lineari d'equazioni algebriche . . » 207—208 

Giulotto Virgilio. — Sulle funzioni sferiche simmetriche del campo ad 

n dimensioni ......... » 21—32 

Hurwitz A. — Sulle superficie di Riemann con dati punti di dirama- 
zione. Traduzione di Alberto Brambilla con note del- 
l'Autore {contin. e fine^ v. voi. XXXI, p. 229-270) . > 337-376 



. ^a 



)( IV )( 

Leroh M. — Évaluation d^une intégrale définie .... Pag. 78—84 
Loria Gino. — Fondamenti geometrici dello fotogrammetria. Riassunto 
di alcune lezioni di geometria descrittiva date néìV Università 

di Genova » 1-13 

Marletta Giuseppe. — Sulle varietà del quarto ordine con piano dop- 
pio dello spazio a quattro dimensioni (conL e fine v. voi, LX, 

pag. 265-274) 27.47-61,113-128 

Miller G. A. — Note on Abelian Qroupe (V. anche Errata-Corrige p. 379) » 336 

Montesano Domenico. — Su alcuni sistemi razionali di trasformazioni 

cremoniane > 181—189 

Nòther M. — Sophus Lie (traduz. di A. Vi terbi). . . » 145—180 

Orlando Luoiano. — Sulla riduzione delle quadriche a forma canonica » 222—224 

» y> —Sullo sviluppo della funzione (1-z) e*"^ «"*■"•"*■ p^ > 377-378 
Palatini Francesco. — Sui complessi lineari di rette negli iperspazi » 85-96 
Pannelli Marino. — Sulla Jacobiana di una rete di superficie alge- 
briche » 97-106 

Perna Alfredo. — Intorno ad alcuni aggregati di coefficienti binomiali » 321—335 
Sbrana Unnberto. — Sopra un'equazione algebrica ...» 225—229 
Spelta Cesare. — Alcune formolo e proprietà relative ai momenti d'i- 
nerzia » 62—77 

Stasi F. — Sulla relazione di dipendenza fra loro delle funzioni delle 
stesse variabili la cui matrice jacobiana ha una determinata 

caratteristica » 209—221 

Teofìlato Pietro. — Alcune considerazioni sul metodo di Cauchy-Lip- 
schitz per l' integrazione delle equazioni differenziali ordinarie 

di lo ordine » 138—144 

Volpi Roberto. — Osservazioni per una teoria puramente analitica ed 
elementare delle funzioni circolari ed iperboliche e loro rela- 
zioni coir esponenziale > 33—46 



GIORNALE 

DI MATEMATICHE 

DI BATTAGLINI 

PER IL PBOGBESSO DEGLI STUDI 

NELLE UNIVERSITÀ ITALIANE 



FONDAMENTI GEOMETRICI DELLA FOTOGRAMMETRIA 

RIASSUNTO DI ALCUNE LEZIONI DI GEOMETRIA DESCRITTIVA 

DATE NELL' UNIVERSITÀ DI GENOVA 



DA 



GINO LORIA. 



{Con una tavola litografata) 



In molteplici circostanze è necessario di avere a propria disposizione pro- 
cedimenti sicari e, possibilmente, spediti per risolvere le dae segaenti questioni: 

I. Date le proiezioni di una figura qualsia fatte da due determinati centri 
sopra due determinati piani, trovare la projesione della stessa da un terzo centro 
su di un terzo piano assegnati, 

[ Per es. : date dae immagini fotografiche di un edifizio, trovarne la proie- 
zione ortogonale su un piano parallelo alla facciata, o date le fotografie di una 
porzione di terreno, prese da due diversi punti elevati, trovarne la projezione 
ortogonale su di un piano orizzontale]. 

IL Date n (g 1 ) proiezioni centrali di una figura qualsivoglia, fatte da centri 
di posizione ignota, quali conseguenze possono trarsi riguardo a la forma, la 
posizione e le proprietà della figura obbiettiva ? in particolare, è possibile rico- 
struirla ? 

[ Per es. : dato un certo numero di fotografie di una figura , fino a quale 
punto è possibile ricostruire questa figura ? ]. 

Chiameremo Fotogrammetria (teorica) quella parte della Geometria descrittiva 
che insegna a risolvere questi due problemi; essa è in massima parte opera di due 



X2X - 

scienziati tedeschi : G. Hauck ('j e S. Pinsterwalder (*). Dai loro studi 
risalta che k questioni alle quali essi si riferiscono sono tanto importanti da 
meritare un posto neirinsegnamcnto e che le soluzioni ottenute sono ormai ab- 
bastanza perfette per potere essere esposte in qualunque corso universitario di 
Geometria descrittiva; siffatto ampliamento di programma è tanto più consiglia- 
bile perchè le molteplici applicazioni che trovano nella Fotogrammetria i con- 
cetti fondamentali della Geometria projettiva, confermano la fecondila del con- 
nubio, celebratosi verso la metà del Sec. scorso, auspice il P i e d 1 e r , fra questa 
e la disciplina creata da Monge. 

Scopo unico del presente scritto è di diffondere la notizia di questi im- 
portanti nuovi punti di vista in una cerchia meno ristretta di quella formata 
dai miei abituali ascoltatori. 



I. 



1. Per non interromperò gli sviluppi concernenti i problemi enunciati in 
princìpio, giova raccogliere qui le soluzioni di alcune elementari questioni di 
Geometria proiettiva, di cui avremo bisogno nei §§ seguenti : 

1) Dati in un piano quattro punti A , B , C , D , tre qualunque dei quali non 
posti in linea retta, determinare il luogo di un punto M tale che il birapporto 
M (A , B , C , D) abbia un dato valore pi. 

Pel punto A si conduca una retta a la quale formi con le tre retto AB, 
AC , AD il birapporto |x ; esisterà una conica r , determinata ed unica, pas- 
sante pei quattro punti dati e tangente nel primo di essi alla retta a. Se M 
è un punto qualunque di essa, il birapporto M(A , B , C , D) è ugnale a 
quello che la retta a forma con le tre AB , AC , AD, cioè uguale a pi ; onde 
M appartiene al luogo cercato. Qualunque punto N esterno a F non appartiene 
a questo luogo ; infatti , se la retta AN sega T , oltreché in A , nel punto M , 
avremo M (A , B , C , D) = |jl ; se fosse anche N(A , B , C , D) = fA , i due fasci 
di centri M e N ora considerati sarebbero projettivi, con un raggio unito (la 
retta A M N) , onde sarebbero prospettivi, e B , C , D starebbero in linea retta , 
contro ripotesi. P comprende quindi tutti e soli i punti del luogo cercato. 

Diremo che la conica r è (rispetto ai quattro punti A , B , C , D) capace 
del birapporto {* ('). 



(*) Journal filr die reine und angewandte Mathematik T. ^5, 97, 98, 108 e 111. 

(*) Jahresbericht der Deutschen Mathematiker Vereinigung T, Vili, 1897 : Die 
geometrischen Grundlagen der Photogrammetrie, 

(^) Questa denominazione potrebbe giustificarsi (ove una giustificazione fosse 
necessaria) osservando che nel caso speciale in cui C e D sono ì punti ciclici del 
piano , r è la circonferenza passante per A , B e capace di un dato angolo (o del 
suo supplemento). 



X 3)( 

2) Dati un fascio di raggi (A, B, C ...) ed una punteggiata r (A, B, C..«) 
projettiva al fascio, disporre la seconda in modo che sia prospettiva al primo» 

Per ottenere questo risultato basta fare in modo che tre punti qualunque 
A , B I G della punteggiata cadano sui tre raggi corrispondenti a^byC del fascio. 

A tale scopo è opportuno considerare ogni raggio m dei fascio come co- 
stituito da due semiraggi m^ e m^] così (supposto fissato un senso di rotazione) 
l'angolo di due semiraggi qualunque è perfettamente determinato (a meno dì 
multipli di 2t:) ; l'angolo (a^ &,) di due semiraggi qualunque ò eguale a quello 
(^1 ^i) <^^i ^^® semiraggi complementari, mentre è il supplemento degli angoli 
(a, òj) e (a, ò,) formati ciascuno da uno di essi con il complemento dell' altro. 

Ciò premesso, si descrivano su AB la circonferenza costituita dagli archi dei 
due segmenti (2, e S',) capaci dell'angolo (a^ ò,) e del suo supplemento e su BC 
quella costituita dagli archi dei due segmenti (2^ e 1\) capaci dell'angolo (ò| c^) 
e del suo supplemento. Queste due circonferenze , avendo già comune il punto 
B, SI taglieranno in un altro punto S. Ora se S appartiene agli archi dei due 
segmenti Z^ e I^, portando a partire da sopra i semiraggi a^ yb^ j c^ i seg- 
menti OA, = SA , OB, - SB , 0C| = SC sì otterranno tre punti A, B^ C, di una 
retta r,; la punteggiata r, (A, B| C| ...) sarà eguale alla punteggiata r (A B C ...) ed il 
problema risolto. Se invece S appartenesse a uno degli archi dei segmenti 1', S j 
almeno uno dei semiraggi a,,&, ,c, dovrebbe surrogarsi col suo complementare. 

È chiaro che giunti ad una soluzione del problema, un'altra se ne ottiene 
considerando la simmetrica della prima rispetto al centro del fascio. 

3) Dati due fasci di raggi fra loro progettivi (a , b , e , ...) e 0' (a' , b' , e'....) 
e due punti MM' sopra due raggi corrispondenti m , m' di essi , condurre 
per questi due trasversali che seghino % due dati fasci in due punteggiate A,B,C,... 
e A' , B' , C, ... fra loro congruenti. 

Si considerino nei due fasci ì due angoli retti corrispondenti p q e j?' 5' ; ri- 
cordando che una proiettività con tre elementi uniti è un'identità, si vedrà che 
il problema proposto si riduce al « condurre pei punti M e M' due rette tali 
che, dettene P , Q e P' , Q' le intersezioni con le rette p , q ^ p' , g' risulti 
MP = MT' e MQ = M'Q' ». 

Il modo più semplice di risolverlo consìste nel riferire i punti M e M' ai due 
angoli retti considerati corno assi coordinati. Infatti, indicando con x e 1/ le coor- 
dinate del primo e con x' e j/' quelle del secondo, e supponendo essere 

X - a? = A: (Y - y) , X' - (»' = ik' (Y - yO 

le equazioni delle rette cercate, si vede subito che le condizioni del problema 
traduconsi nelle due seguenti equazioni 

(1 4 *«)!/» = (l+fc«)t/'» , (l+;^)^*=(l+^)«'*» 

da cui si trae 

ove i segni si corrispondono. 



)(4K 

La questione proposta ammette qaindi in generale due soluzioni ; affinchè 
esse siano reali , evidentemente se x > x' dev' essere y < y', mentre se a? < ac' 
dev'essere y > y'. Per enunciare questa condizione comodamente sotto forma 
geometrica, s'immagini di fare coincidere O con 0', p con p', q con q' e di con- 
durre da M le rette MH , MK perpendicolari a |> e 5 ; è chiaro allora che 
affinchè la questione sia risolubile, è necessario e sufficiente che il punto M' cada 
fuori del rettangolo MHOK, ma entro una delle due striscio limitate dalle rette MH 
e q , MK e p. Per brevità, quando M e M' soddisfacciano a tale condizione si 
diranno essere situati nella regione favorevole alla soluzione del problema. 

II. 

4. Siano (Flg. 1^) 7:, , iCj due piani arbitrari dello spazio, assunti come piani 
di projezione, e C, , C, due punti qualisivogliano considerati come centri. Se F 
è una figura qualunque dello spazio^ chiameremo F'(o F") la sua projezione 
fatta dal centro C| (o C^) sul piano ^:^ (0 risp. tc^)* ^^ retta C, C^ taglia i piani 
TT, e ^2 in due punti che designeremo con le lettere C\ e C/' perchè l'uno può 
considerarsi come la prima projezione del punto Gt^ mentre l'altro è la seconda 
projezione del centro C, ; li chiameremo risp. primo e secondo fulcro. L' inter- 
sezione dei due piani ic, e ic^ si dirà retta fondamentale e verrà indicata con 
Ui o h\ ) ^^^^ ^ ^^ luogo dei punti dello spazio aventi le due projezioni coinci- 
denti. 

Consideriamo ora un punto qualunque P dello spazio ; ne siano P' e P'' le 
due projezioni. Le rette C| P P e Cj, P P" stanno entrambe nel piano Cj C, P, 
nel quale eziandio giacciono le rette C,' P' e 0/' P"; queste stanno poi la prima 
nel piano ir^ e la seconda nel piano i7|, onde si tagliano nel punto Pi^ o P^ 
comune ai tre piani iw| , ir^ , P C| C^. In generale questo fatto si può esprimere 
come segue : 

Le due projezioni di un punto dello spazio fatte da due centri arbitrari 
sopra due piani qualunque sono congiunte ai due relativi fulcri col mezzo di 
due rette segantisi sopra Vintersezione dei due piani di projezione {retta fon- 
damentale). 

Questa proposizione, malgrado la sua estrema semplicità , grazie alle mol- 
teplici applicazioni che trova nella Fotogrammetria, verrà in seguito chiamato 
teorema fondamentale. 

Se si suppone che U| e ic, siano fra loro perpendicolari e che le projezioni 
considerate siano ortogonali , essa si trasforma nel teorema fondamentale del 
metodo di Monge, cioè in quello che dice « le projezioni orizzontale e verticale 
di un punto qualunque dello spazio si trovano su una stessa perpendicolare alla 
linea di terra >. 

Se invece iTi e ir^ coincidano, t^^ è indeterminata e i due fulcri si riuniscono 
in un punto C ; in tal caso da quella proposizione emerge che la congiungente 
delle due projezioni di un punto qualsivoglia dello spazio passa per C ; è questo 
il teorema fondamentale del metodo della projezione stereoscopica. 



)( 5 )( 

5. Dal teorema fondamentale (generale) si desame anzitutto che^ considerando 
le projezioni di quantlsivogliono punti A , B , C , ... dello spazio, nascono i due fasci 
C, (A' , B' , C, ...) e C," (A" , B" , 0", ...) entrambi prospettivi alla punteggiata 
-^ìt ) ^is 9 ^it f ••• ^0° 1^ 6^^^ sulla retta fondamentale t^^, Spostando comunque 
i du^ piani ic, e ik^ (togliendoli cioè dalla posizione orientata cbe in origine pos- 
sedevano) quei due fasci perderanno la loro condizione prospettiva, ma conserve- 
ranno la loro relazione projettiva. Supposta nota siffatta projettività fra quei fasci, 
preso ad arbitro un punto X' di i:, ; X" non sarà determinato, ma dovrà tro- 
varsi sopra il raggio che corrisponde al raggio Cj"X' nel fascio di centro C/'. 
Questo raggio è in generale individuato; cesserebbe di esserlo soltanto quando 
X' coincidesse con C,', onde a C^' corrispondono tutti i punti del piano ic^- Si- 
milmente ad ogni punto X" di iC| corrispondono in ir^ tutti i punti di una de- 
terminata retta, tranne se esso coincide con Gf". 

Altri corollari del teorema fondamentale. I piani 1C| e ir^, su cui vennero 
projettati 1 punti dello spazio da due centri qualisivogliano^ non si trovino più 
in posizione orientata, ma siano disposti comunque nello spazio. Sia dato uno 
solo dei fulcri, p. e. C,' e si conoscano di più cinque coppie di punti corrispon- 
denti P|' , P/' (i = 1, . . . , 5), (essendo ogni coppia costituita dalle projezioni di 
uno stesso punto dello spazio ; dico che in conseguenza l'altro fulcro Cf" è de- 
terminato e si può costruire. Esso infatti deve soddisfare alla condizione se- 
guente 

C,'(P/...P5')aC/'(P/'...P3"), 

la quale si risolve nelle due altre 

C,' (P/ P,' P,' Pj') a C/' (P." P," P;' Pj'^ 

c,' (P/p,' p; p,') a c/' (p," Pj" p;' p,". 

Le prime dice (v. n. 1) che C/' trovasi sulla conica v^ che passa pei punti 
P|" 7 Pt" ; ^/S P5 ' ed è capace del birapporto C,'(P,' P,' P^' Pg'), mentre la se- 
conda annuncia che C/' sta sulla conica r, che passa pei punti Pi"; Ps"j P4"; P5" 
ed è capace del birapporto C,' (P/ P3' P4' P5'). Queste due coniche hanno già 
comuni i punti P," , P4" , P5", onde s'incontrano in un altro punto determinato 
ed unico , che è il fulcro cercato. 

Considerando un numero di coppie di punti corrispondenti maggiore di cin- 
que si possono costruire entrambi i fulcri. 

Immaginiamo infatti di conoscere le coppie di projezioni di quattro punti 
P, Pj P3 P4 (v. Fig. 2a) appartenenti ad un piano 6, nonché quelle di altri due 
punti P| e P^ non posti su 5 (*). Conduciamo la retta C, P5 e chiamiamone Qj 



(*) Quando ad es. si conoscano due fotografie di un edificio è assai agevole 
fissare sei coppie di punti corrispondenti nella situazione indicata. 



)(6)( 

la intersezione col piano S. Q^' coinciderà evidentemente con P5'; per ottenere 
Q," Bi noti che i due groppi P/ Pj' P,' P/ Q,' (s Pj') e P," P^" P," P/' Q," essen- 
do due projezioni di cinque punti di uno stesso piano sono Ara loro projettivi ; e 
la projettività fra di essi è pienamente determinata dalle quattro coppie P,' P,", 
P,' Pj" , P3' P5" , P^' P4" ; onde si potrà costruire linearmente il punto Q,"^ che 
corrisponde a Q5' ^ P^'. Ora essendo C, , P5 , Q^ tre punti in linea retta, in li- 
nea retta saranno pure G/' , P5" , Q,'', dunque C|" si trova sulla retta (nota) 
Pj" Q5". Operando similmente sul punto P, si otterrà una seconda retta P/'Q»" 
contenente pure C/', epperò sufficiente a completare la determinazione di questo 
fulcro. Per trovare l'altro si potrebbe operare similmente, dopo di avere scam- 
biate le veci dei centri C, e C^ ; ma si può anche servirsi della costruzione, 
esposta prima^ atta a condurre alla determinazione di un fulcro quando cono- 
scasi l'altro e cinque coppie di punti corrispondenti. 

Osserviamo finalmente che per giungere ai due fulcri si potrebbe anche 
partire dalla considerazione di sette coppie arbitrarie di punti corrispondenti nei 
due piani ; allora per determinare i punti C^' e G/' serve la relazione 

c,'(P/...p,') AC,"(P/^..p/'); 

potendo in conseguenza ciascuno di essi assumere tre diverse posizioni, la de- 
terminazione dei fulcri è attualmente un problema di 3^ grado (*) , sul quale 
crediamo opportuno di non arrestarci per non allontanarci dal nostro scopo. 



III. 



6. Siano ora dati tre centri di projezione G, , G^ , G3 (Flg. 3«) ai quali siano 
annessi i piani di projezione iC| , 1^2 > lìf Accoppiando fra loro in tutti i modi 
possibili questi tre sistemi di projezione otterremo sei fulcri; vale a dire 

sopra il piano ir, i fulcri G^' e C3' 
> > rv» » C," e G/' 

» TI, > C,'" e G/", 

si diranno associati due fulcri (quali sarebbero G," e G,"') che sono projezioni 
di uno stesso centro di projezione ; mentre si diranno opposti due fulcri (quali 
sarebbero Gj"' e G,") situati sulla congiungente di due centri di projezione. 
Avremo tre rette fondamentali: t^^ = fj^ intersezione di tTi e iTj , fj, ^ fjj interse- 
zione Ti, e ir, e t^2 = t^^ intersezione di 1:, e t:^. Le rette Gj' G,', C,'' G,", G/"G/" 
(ognuna delle quali passa per due fulcri posti in uno stesso piano di projezione) 
altro non sono che le intersezioni del piano G| Gj, Gj risp. con *?t > ir^ 9 1^3 ; onde 
formano un triangolo i cui vertici T| , T, , T, sono le tracce sul piano C, Gj C, 



{}) È il noto « problema dell' omografia » nel piano ; v. R. Sturm , Math« An- 
nalen T. I. 



X7)( 

delle tre rette fondameDtalL I lati di questo triangolo si diranno assi ; ad ogni 
piano di projezione è quindi annesso un asse, il quale contiene due fulcri. 

Consideriamo le tre projeeioni P' , P" , P'" di un punto P dello spazio; sono 
in generale tre punti distinti che per brevità diremo formare una tema\ ma due 
di essi coincidono se P appartiene ad una retta fondamentale; combaciano tutte 
ire se P cade nel punto 0, in cui si tagliano i tre piani di projezione. 

Ciò posto applicando tre volte il teorema fondamentale (n. 4) vedremo che : 
le rette C»' P' e C/' P" si tagliano in un punto P,, della retta fondamentale e„ 

> C," P" e C,'" P"' » » P« > » ^3 

> C/"P'" e C,' P' » » P,, > » t,,. 

Date quindi P' e P" (in modo da soddisfare la condizione espressa del teo- 
rema fondamentale) si conosceranno le rette C^'P' e C^^'P''; le loro intersezioni 
con le rette fondamentali ^,3 e t^^ saranno i punti F^^ e P^,; condotte le rette 
Pfs C|'" e P|3 Ci''' esse si taglieranno nel punto P'", in generale determinato ed 
unico. Eccoci cosi giunti ad una costruzione semplicissima per trovare la terza 
projezione di un punto di cui si conoscono due projezioni. Per eseguirla como- 
damente s' immaginerà di tagliare il triedro iC| ic, ir, lungo la retta t^^ e di far 
ruotare le facce 1;, e 1;, attorno risp. ^,3 e t^, finché si adagino sopra IC3 , assunto 
e funzionante come piano di disegno. 

Due rette r' e r" segnate ad arbitrio nei piani ir, e ir^ sono projezioni di 
una retta r dello spazio in generale determinata ed unica (è la retta C, r'-G^ r"); 
la terza projezione r''^ di r è determinata e può ottenersi considerando due punti 
qualunque di r stessa e costruendone le terze proiezionL 

7. La costruzione esposta nel n. prec. cade in difetto quando P* si trova 
sull'asse T, T, del primo piano ; infatti allora P^ coincido con T, e Pj, con T^; 
P" sì troverà sulla retta T3 C,", cioè sul secondo asse^ e P,3 coinciderà con T,; 
le due rette P,, C/" e P,j C,,'' coincideranno quindi sul terzo asse e saranno 
perciò incapaci di determinare P'". [Incidentalmente da ciò si raccoglie: se una 
delle projezioni di un punto cade sopra il corrispondente asse, lo stesso accadrà 
delle altre due]. Per vedere che, ciò non ostante , date P' e P'' risp. sul primo 
e secondo asse, P'" è determinato, si consideri un punto qualunque Q della retta 
OP ; assumiamo perciò ad arbitrio Q' su OP' e Q" su OP"; mediante Q' e Q'' si 
potrà determinare Q'", servendosi della costruzione generale; OQ'" sarà la ter- 
za projezione della retta OQ; essa segherà il terzo asse nel punto cercato P'". 

A questo caso, in cui solo apparentemente due delle projezioni di un punto 
sono insufficienti a determinare la terza, ne fa riscontro uno di indeterminazione 
effettiva, che va segnalato. 

Supponiamo di considerare un punto P la cai prima projezione coincìde 
col fulcro C,'; P sarà quindi un punto della retta C, C3 ; ora due casi possono 
presentarsi : 

1° P è un punto della retta C, C| differente da C, ; allora P" coincide con 
C,", fulcro associato a Cj', P'" è un punto dell'asse T| T, , punto il quale è de- 
terminato quando sia dato il punto obbiettivo, ma non lo è dalla conoscenza delle 



)( 8 )( 

due proiezioni P'^C,' e P"^C,"; 2® P coincide con C,,; P"' cade allora in 
C/" , fulcro opposto a Cj' , e P" è un punto arbitrario del secondo piano di 
proiezione. Riepilogando potremo dire : Se uno dei punti di una terna cade in 
uno dei fulcri^ lo stesso accadrà per un altro^ ma la coincidenza può aver luogo 
nel fulcro associato o nel fulcro opposto al primo '^ in ogni caso il terzo ele- 
mento della tema è indeterminato ; e precisamente a due fulcri associati corri- 
sponde un punto qualunque del terzo piano , mentre a due fulcri opposti corri- 
sponde un punto qualunque dell'asse del terzo piano, 

8. La costruzione esposta nel n. 6 per completare una terna di punti de- 
terminata da due suoi elementi si specializza e di regola si semplifica, ammet- 
tendo disposizioni particolari degli elementi fissi. Valgano a provarlo gli esempi 
seguenti : 

^) ^1 7 ^2 9 ^3 siano le facce di un triedro trlrettangolo e C, , C^ , Gj ne siano 
gli zenìth corrispondenti (*}. Si giunge allora alla notissima procedura per de- 
durre dalle projezioni orizzontale o verticale di un punto nel metodo di MongCj 
la proiezione dello stesso sul piano di profilo. Supponendo ancora i:, e t:^ fra 
loro ortogonali , ma invece i;, semplicemente perpendicolare a ic, , ed ammet- 
tendo sempre che si tratti di projezioni ortogonali , si arriva al noto procedi- 
mento per cambiar e j sempre nel metodo di Monge, uno dei piani di riferimento. 

h) iif e IC2 siano piano orizzontale e piano verticale in un sistema di Monge; 
ir, coincida con i:| e C3 stia in una posizione arbitraria. Allora la questione si 
riduce a trovare la prospettiva sul piano orizzontale di una figura determinata 
delle sue due projezioni orizzontale e verticale. Per dedurne la soluzione dalle 
precedenti considerazioni generali , osserviamo che : ^i^ e t^ coincidono con la 
linea di terra e ^,3 ò una retta indeterminata del piano z^^ C,' e Cj" sono le proje- 
zioni orizzontale e verticale del centro di prospettiva; C,'" coincide con C3'; C/', 
Cj' , Cj'" stanno all' infinito in direzione perpendicolare alla linea di terra. Sup- 
posti ora dati P' e P" (su una perpendicolare alla linea di terra), si conduca la 
retta C," P" e se ne determini Tintersezione P^, con la linea di terra ; la per- 
pendicolare condotta da questo punto a tale linea taglia la G,' P' nel cercato 
punto P'". 

e) Kw ^x } ^3 coincidono e G3 stia all'infinito in direzione perpendicolare al 
piano u in cui essi combaciano. Si tratta allora di costruire la projezione orto- 
gonale su un piano dato di un punto del quale si conosce la rappresentazione 
in projezione stereoscopica sopra questo piano. Nel caso attuale G|" e G^' coin- 
cidono in un punto ; coincidono pure C/'' e C,' nella projezione ortogonale 
0, di C| su TC, e Gj'" e G3" nella projezione ortogonale 0, di G^ sullo stesso. 
Date allora le due projezioni P' e P" (allineate con 0), condotte 0^ P' e 0^ P'' 
esse si taglieranno nel richiesto punto P"'. 



(*) Chiamiamo per brevità zcnith di un piano il punto all' infinito comune a 
tutte le rette ad esso perpendicolari. 



)(9)( 

9. d) Consìderìamo da ultimo un caso speciale che interessa la pratica (l'ar- 
chitettnra) : Date le proiezioni ortogonali di una figura aopra due piani verti- 
cali 1C| , IT, trovarne la proiezione fatta da un centro qualunque C3 sopra un 
terzo piano IC3 verticale. 

Nelle attuali ipotesi le tre rette fondamentali t^^ , ^,3 , t^ sono fra loro pa- 
rallele (Fig. 4*) e trovasi all'infinito ; il piano C| C, C3 (dal momento che C^ 
e C, stanno airinfinìto in direzioni normali risp. ii| e ic^ì è quello condotto da 
Cj perpendicolarmente alla retta f,,. I fulcri Cj' e C3" sono le projezioni orto- 
gonali di C, su t:, e tUj , mentre C,'" e C^'" sono i punti della retta T, T, che 
sono le intersezioni del piano ir, con la retta C3 C3' e C3 C3". 

Per costruire comodamente la proiezione P"' di un punto P di cui si conoscano 
le projezioni P' e P" giova togliere gli elementi di riferimento della posizione orien- 
tata che avevano in origine (v. F\g. 4»). Immagineremo quindi di tagliare la superficie 
prismatica avente per facce i piani i^i ^ ir^ ^ 1^3 lungo la retta t^^ e quindi di far 
motare i due primi attorno alle rette t^i e ^3 finché si adagino sul piano 1C3, 
assunto come piano del disegno. Siano (^,2)*^ ^ (^2)'^'^ ^^ ^^^ corrispondenti po- 
sizioni assunte dalia retta fondamentale t^^. Essendo T| Tj T3 una sezione nor- 
male della anzidetta superficie prismatica^ fatto lo sviluppo di questa sul plano 
i:, , T, T3 e T3 T3 si disporranno sulla retta T, T^ j la quale è perpendicolare 
alle rette <|j , <,j , (*,,)* , {t%ìf* ; su tale retta, che conteneva già i punti C|'" e 
C,'", verranno poi a disporsi le nuove posizioni (Cj") e (C3') dei fulcri C," e Cj'. 
Due punti P' , V" (prima e seconda projezione di uno stesso punto dello spazio) 
dopo i ribaltamenti suindicati si disporranno in due posizioni (P') e (P'') allo- 
gate su una stessa perpendicolare alle rette (^n)* ; t^^ , t^^ j {h%)**- Se ne potrà 
dedarre P''' servendosi del procedimento esposto nel n. 6; cioè come segue: 8i 
conduca Cg' (P') e se ne determini la intersezione P,3 con la retta ^13 ; sulla 
C|"' Pjj si troverà P'"; si unisca poi C," a (P") e se ne trovi V intersezione P^ 
con tjj ; la retta C^'" F^z taglierà la C/" P,5 nel cercato punto P'". 

A^iungiamo alcune osservazioni che riescono utili in pratica. Anzitutto si 
può esonerarsi dal tracciare le rette {t^^)* e (^u)**, perchè esse non intervengono 
in alcun modo nella costruzione testé descritta. In secondo luogo dico che si 
possono assumer e f sul piano del disegno, come rette t^^ e t^^ due rette qualsivo- 
gitano fra loro parallele e di piti, (salvo certe limitazioni che verranno indicate) 
pure ad arbitrio i fulcri C,'" , C^"' , (C3') , {G^^') sopra una loro perpendicolare 
comune. Per dimostrare ciò faremo vedere che con questi dati si possono de- 
terminare le larghezze delle altre due facce ^,3 ^,3 e ^33 ^,3 della superficie pris- 
matica considerata; che, in altri termini si può completare la determinazione del 
triangolo T, T^ T3 sezione retta di tale superficie. Si considerino infatti i falcri 
situati sopra tale sezione retta e si osservi che, essendo retto l'angolo C/" C3' T, ; C3' 
8i troverà sulla circonferenza di diametro C/" Tj ; ed essendo T, C3' = T, C3'), 
C^' sarà in conseguenza determinato riuscirà reale purché si abbia 

Tt (C3') < T3 C/". 
Similmente la circonferenza di diametro C3"' T, e quella di centro T, e 

VCL. ZL. 2 



)( 10 )( 
raggio Ti (O3") determinano il punto Cj", il quale riuscirà reale purché sia 

Ottenuti i punti C,' e C^" unendoli risp. a T, e T, si otterrà T, ; e così 
sarà determinata la sezione retta del prisma. 

Interessa ancora conoscere in qual modo si devono scegliere i punti T^ , Tj, 
C/'' , Cj'" , (C,0 , (C3") afianchè i due piani ir, e u, risultino fra loro ortogonali. 
Affinchè ciò succeda il triangolo T, T, Tj dev' essere rettangolo in T, , cioè 
dev' essere 



cioè 



Ora si ha : 



ang. T, + ang . T, = I 



cos* T^ + cos* T, = 1. 



* "■ T, 0,'" T, Oj'" ' 



cos 



T _ T. e,' T, (C,') . 
* ■ ' T, C,'" T, C,'" ' 



la condizione cercata è quindi 






essa può esprìmersi dicendo che T, (C,'') e T, (C3') devono essere coordinate di 
un punto dell' ellisse avente T, (C,'"j e T,C/" per semiassi. Scelti i segmenti 
T/Cj") e Tj(Cj') in questo modo le due disuguaglianze dianzi trovate sono esse 
pure verificate. 

Quella condizione, in particolare; dovrà essere soddisfatta quando ad es., si 
vuole che le due projezioni date sian quelle fatte sul piano verticale e sul piano 
di profilo di un sistema di Monge^ caso questo che è importantissimo in pratica. 

IV. 

10. Esaurito cosi; almeno nelle linee generali; il primo dei problemi enun- 
ciati neiresordiO; passiamo ad occuparci del secondo. 

Di una figura F si conosca soltanto una projezione Y' su un piano ic. Per 
risalire da F' a F si prenda un punto arbitrario G dello spazio per centro di 
projezione; allora, se P' è un punto qualunque di F'; come punto P si potrà 
scegliere un punto qualsivoglia della retta CP' ; sC; quindi, F' è costituita da un 



)( 11 )( 



numero finito (n) di punti, di figure F ne esisteranno oo"+3 In ogni caso eW- 
itono a' figure fra loro proiettive aventi sul piano tc per projeeionc la flgtira P'. 
Supponiamo infatti di averne trovata una F ; ne siano P , Q , R , S quattro punti 
qualunque ; le rette CP , CQ , OR , CS passeranno quindi pei punti dati P' , Q' , 
E',S'. Prendiamo poi ad libitum un punto C| e, pure ad arbitrio^ sulle rette 
C,P' , C,Q' , C|R' , C,S' quattro nuovi punti qualisi vogliono P, , Q, , R, , S,. Po- 
tremo allora costruire una figura F, projettiva alla F ed in cui ai punti C , P , 
Q . R , S corrispondano risp. C^ , P^ , Q, , R ^ S^. Allora alle rette CPP' , CQQ' , 
CRR', CSS' corrisponderanno risp. le rette C,P,P' , C^Q.Q' , C^RiR' , C^SiS'; onde 
le due stelle, fra loro projettive, di centri C e C, sono prospettive entrambe al ^ 

piauo ic. Se , quindi, consideriamo due punti corrispondenti X e X, in F e P, , 
alle rette CX della prima corrisponderà la 0|X, della seconda^ e queste due 

rette segheranno ic nel medesimo punto X' ; ciò prova che F, è progettata da | 

Gì su i: nella stessa figura F' in cui F è projettata da C. Osservando da ultimo 
che per costruire F^ si è scelto arbitraiiamente C, e quindi si sono presi a pia- 
cere i punti P, , Q, , R, . S, sulle rette C,P' , C^Q' , C.R' , C|8', si vedrà che in 
F, vi sono sette costanti arbitrarie e quindi si concluderà conformemente al- 
renunciato. 

11. Di una figura F si conoscano ora le projezioni F' e F" fatte da due 
centri non assegnati sopra due piani dati. Esisteranno allora due punti (i fulcri 
Cj' e C,") dai quali le coppie di punti corrispondenti nelle duo figure sono pro- 
jettatì mediante due fasci di raggi fra loro projettivi ; essi potranno costruirsi, 
nel modo indicato nel n. 5, dopo di avere fìssati sei o sette coppie di punti cor- 
rispondenti di P' e P". 

Seghiamo il fascio di raggi di centro C^' con una trasversale arbitraria ; 
otterremo una punteggiata prospettiva a quel fascio e quindi projettiva a quello 
di centro C," ; ondo , applicando quanto si espose nel n. 2 , si potrà trasferire 
la punteggiata di sede t in modo che riesca prospettiva anche al fascio C/'. 
Immaginando allora che, assieme alla tf venga trasportato tutto il piano che la 
contiene i due fasci 0,' e C/' risulteranno fra loro prospettivi, qualunque sia 
d'altronde l'angolo formato dai loro piani. 

Si scelgano ora ad arbitrio due punti C^ e Cj sulla retta C," C,'; se P' e P" 
sono due punti qualunque di tc, e ir, , C/ P' a 0/' P" saranno raggi corrispon- 
denti di quei due fasci prospettivi, onde si taglieranno in un punto della retta t 
e staranno in un piano, nel quale si trovano anche le rette C| P' e C^ P''. Queste 
due rette si segano in conseguenza in un punto P avente per projezioni P' e P", 
Variando la coppia P' e P", varierà anche P e genererà una figura F avente per 
projezioni F' e F". 

Si noti ora che per giungere a F noi abbiamo scelto arbitrariamente 

1^ la retta t nel piano ^:^ , il che è possibile in oo' modi, 

2" l'angolo dei due piani tc, e ir, , il che può farsi in oo* modi; 

3* i centri C, , C, sulla retta C," C,', cosa che può farsi in oo» modi; 
onde nella costruzione esposta vi sono 5 elementi arbitrari ; in altri termini di 
fi^re P, aventi comuni due date projezioni^ se ne trovano in generale oo*. 



)( 12 )( 

Due qualunque di esse sono fra loro projettivei perchè ai punti e alle rette 
deiruna corrispondono risp. punti e rette dell'altro. 

Per determinare la figura F è quindi necessario di conoscere^ oltre le due 
projezioni F' , F", le lunghezze di cinque segmenti, limitati ciaseuno da due punti 
della figura obbiettiva. 

12. Di una figura F si conoscano invece le projezioni F',F",F"' sopratre 
piani 7t, , ir, , ir, disposti comunque nello spazio. Per trovare F basterà che noi 
trasportiamo i dati per modo da disporli in posizione orientata. A tale scopo 
ricordiamo che tale posizione è caratterizzata dal fatto che nel punto d' inter- 
sezione dei tre piani di proiezione sono riuniti i tre elementi di una terna e che 
in ogni punto della retta in cui due di essi si tagliano cadono due punti corri- 
spondenti. Ciò prova che per orientare i tre piani considerati bisognerà anzi- 
tutto considerare una terna di punti corrispondenti e poi condurre per ognuno 
di questi nel relativo piano due rette ciascuna delle quali sia sede di una pun- 
teggiata eguale alla punteggiata corrispondente; fatto ciò, portando a coincidere 
i tre punti scelti e, a due a due y le punteggiate fra loro eguali si arriverà alla 
cercata posizione orientata. 

Per ottenere ciò determiniamo anzitutto in ciascuna dei tre piani dati i due 
fulcri corrispondenti, applicando tre volte la costruzione del n. 5. Consideria- 
mone due qualunque fra loro opposti, ad es. C," e C,'" ; sono centri di due fasci 
projettivi ; applicando quanto si espose nel n. 2 si potrà segarli con due rette r" 
e r'" in modo da ottenere due punteggiate fra loro eguali; sia r' la retta che 
in TI, corrisponde alla coppia di rette r" , r''' tracciate risp. in ir^ , Hj. Siano poi 
0'' e 0'" due punti corrispondenti in r" e r"'. Servendosi dei risultati stabiliti 
nel n. 5 si potranno condurre 

1.® per 0' e 0" in tTi e u, due rette t' , <" che seghino C/' e C^' in due 
punteggiate fra loro eguali e nelle quali si corrispondano 0' e 0'' ; 

2.® per 0' e 0'" in it, e ir, due rette «' ,«'" che seghino C/" e C,' in due 
punteggiate fra loro eguali e nelle quali si corrispondano 0' e 0'" ; 
deirarbitrarietà nella scelta di 0" e 0"' si potrà disporre in modo che le rette 
s' y s'* f t' f t'" risultino tutte reali. Allora spostando i tre piani ic« , iTj , n^ in modo 
che coincidano r" e r' ', «"' e 5', t' e t" e che inoltre combacino 0' , 0" , 0''' ni 
giungerà alla voluta posizione orientata. Le rette Cj'Cj'jC," C,",C|"' C,'", for- 
mano allora un triangolO| od un secondo ne formano le rette C,'" C,'', Cj'C/", 
C|*' C|' ; i vertici di questo sono i tre punti C, , Cj, , C,. Costruita (cfr. n. prec.) 
per mezzo dei due primi fra questi e delle figure F' e F" una figura F, essa sarà 
projettata da C3 su Hg in F'". 

Osserviamo ora che per arrivare alla figura F noi abbiamo scelto ad ar 
bitrio 

1.® Il punto 0' nel piano iC| , il che è effettuabile in 00' modi; 

2.® U punto 0" sulla retta che in ic^ corrisponde alle rette C^' 0'/ cosa pos- 
sibile in od' modi; 

nell'esposta costruzione si trovano quindi tre costanti arbitrarie; onde vi 



X 18 )( 

sono 00 ' figure aventi comuni tre projezioni date\ una qualunque di esse sarà in- 
dividuata conoscendosi le distanze fra tre coppie qualunque dei suoi punti. 

Paragonando questo risultato con quello indicato al termine del n. 10 e del n. 
precedente si vede che la conoscenza di ogni nuova projezione diminuisce di due 
unità il numero delle costanti arbitrarie inerenti alla figura obbiettiva. Ciò in- 
duce a ritenere che se di questa si conoscessero, non soltanto tre , ma quattro 
projezioniy per individuarla completamente sarebbe ancora necessario di cono- 
scere la distanza fra due suoi punti ; in altre parole che una figura è determi- 
nata di forma {non di grandezza) note che ne siano quattro projezioni centrali. 
Ora questa proposizione è vera , ma non se ne conosce alcuna dimostrazione 
elementare quanto le considerazioni sian qui svolte ; ond^ crediamo meglio li- 
mitarci ad enunciarla. 

Luglio 1902. 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI 



Guide du Caloulateur (Astronomie^ Geodesie^ Navigation, etc.) par «7. £oc< 
eardi prìvat-docent a TUniversité, chef de service a Tobservatoire de Catane. 
Première Partie : Regles pour les calcuts en general. (A. Hermann , Paris et J. 
Pastore, Catane ; 1902;. 

Indice dei capitoli. I. Conseils Généraux— IL Tables de logarìthmes — IIL Re* 
marques sur quelques tables numériques spéciales — IV. Remarques et règles 
pratiques pour Tusage des tables de logarithmes — V. Fetites règles pratiques 
d'un ancien élève — VI. Des moyens graphiques dans les calculs — VII. Moyens 
pratiques, artifices, procédés— Vili. Continuation du mème sujet — IX. Vérifica- 
tioné — X. Recherche des erreurs. 



N. W. Rouse Ball : Breve Compendio di Storia delle Matematiche, Versione 
dall'inglese con note, aggiunte e modificazioni dei dottori Dionisio GambioU e 
Oiulio Puliti, riveduta e corretta dal prof. Gino Loria dell'Università di Genova. 

É uscito il primo volume col titolo : Le Matematiche dalV antichità al rina- 
scimentOy versione del Dott. Giulio Puliti bibliotecario dell' Università di Cata- 
nia, con una nota originale su la scuola pitagorica ; riveduta e corretta dal 
prof. Gino Loria. (Bologna, Zanichelli 1903 ; prezzo L. 8). 

Indice dei Capitoli. 1. Matematiche egizie e fenicie — IL Le scuole jonica e 
pitagorica— III. Le scuole di Atene e di Cizico — IV. La prima scuola Alessan- 
sandrina — V. La seconda scuola Alessandrina — VI. La scuola bizantina— VII. Si- 
stema di numerazione ed aritmetica primitiva — Vili. Il sorgere della scienza 
nell'Europa occidentale — IX. La matematica degli arabi — X. Introduzione in 
Europa delle opere arabe — XI. Svolgimento dell'aritmetica — XII. Le matemati- 
che del rinascimento — XTTL La fine del rinascimento. 



)( 14 )( 



SUL CALCOLO ASSINTOTICO 

DELLE EADICI REALI D'EQUAZIONE 



NOTA 

DI 

F. G I U D I C E. 



Il metodo di Newton (*) per la risolazione approssimata delle equazioni 
numeriche fu molto criticato da L a g r a n g e (}): tuttavia, per la sua semplicità 
ed utilità pratica, rimase il preferito ; e forse fu causa che un metodo pregevo- 
lissimo di Legendr e— C a u e h y (') di sicura praticità non avesse gran dif- 
fusione: di questo metodo, che fu ridato recentemente (*), io notai l'utile, che 
se ne potrebbe trarre per la separazione di radici reali (*). 

Il criterio di validità del metodo di Newton fu stabilito prima da F o u- 
r i e r (•) e poi, con maggior precisione ed estensione, da F o u r e t ('). Ma s'era 
ancor lungi dal poter dire soddisfatto H desiderio cosi espresso da F o u r i e r (•): 
« Cctte méthode d'approximation est un des éléments les plus généraux et les 
plus utiles de tonte Tanalyse ; c'est pour cela qu'il importe beaucoup de la com* 
plèter et d'obvìer à toutes les difficultés auxquelles elle peut ètre sujette ». 

Io «pero che questa mia nota soddisfi tutte le esigenze del calcolo assinto- 
tico delle radici reali delle equazioni numeriche. 



(*) Newton: La méthode des fluxions et des suites infinies ; Paris MDCCXL. 

(^) Lagrange: Traité de la rósolation des éqaations numóriques; Paris 1808; 
V. p. e. pag. 164 « D' où . . . 

(') Cauchy: Analyse algébrique, 1821 , pag. 464. 

(0 M. A. Pellet: Gomptes Rendas, 2 e 23 Dicembre 1901, pag. 917 e 1186. 
Di maggior importanza sono i risultati di M. Raoul P e r r i n , nei Gomptes 
Rendus del 23 Dicembre 1901 a pag. 1189, fondati anch'essi sulla scomposizione 
del primo membro in due polinomi! a coefficienti positivi, quale fn fatta da G a u e h y. 

(*) F. Giudice: Rend. Gire. Mat. , Palermo 1887 , pag. 71-72. 

(*) F u r i e r : Bulletin des Sciences par la Société Philomatique de Paris , 
1818, pag. 64. 

(') M. Q. Fon re t: Nouvelles Annales de Mathématique ; IX, 1890, p. 569. 

(*; Fourier, luogo citato, pag. 61. 



)( 15 H 

Metodo di Newton perfezionato. Sia f(x) una funzione reale della variabile 
reale x , che sia nulla quando se = p e sia derivabile per tutti i valori di x 
compresi tra il numero a minore di p ed il numero ^ maggiore. Se A ^ R , B 
sono i punti d'ascisse a , p , p della linea l d'equazione y:=^f{x) ed A' , R' , B' 
sono le proiezioni d' essi punti sull' asse delle x , la segnata area del trapezio 
mistilineo 



A' R' R A = /V'(aj> da; = - /(a) ; 



ma se sulla perpendicolare all'asse delle x in A' si prendono un punto H d'or- 
dinata non negativa ed uno E d'ordinata non positiva in modo che, se M ed L 
sono i punti d'intersezione delle parallele condotte per H e K all'asse delle x 
con la perpendicolare a quest'asse in R', il tratto AR della linea l non abbia 
punti estemi al rettangolo HELM^ allora la segnata area del trapezio mistilineo 
A' R' R A è compresa tra le segnate aree dei rettangoli A' R' M H , A' R' L E. 

Si può far considerazioni analoghe pel trapezio mistilineo R'B'BR; per 
cni, se/'(x) prende solo valori maggiori di a e minori di 6, mentre x cresce 
da a a j3 , 

«(p-a)<-r(a)<2»(p-a) , a(p - ^) > f (p) > 6(p - ?). 

Di qid, supposti diversi da zero a e ò, deduconsi limitazioni per p, che si 
possono anche stabilire molto facilmente con pure considerazioni analitiche^ co- 
me ora vedremo. 

Si ha pqr ipotesi che f{p) = 0, ossia che 

= /'(«)+ (p-a)/'(X) 
dove X è un conveniente numero tra a e p. Si ha inoltre, per ipotesi; che 

ne segue che , perchè p — a > , 

r(a) + a(p - a) < < f(a) + 6(p - a) , 

per coi od oò > ed allora, se a e 6 son positivi^ 

a-_<p<«-_, 
e se a e & son negativi 



)( 16 )( 
oppure ab < nel qual caaa a<Oe&>0;ed allora 

p>a___,p>a-— . I 

Nei primi due casi --^ ed ^-^ son d'ugual segno, quindi son negativi en- 

a 

f(oL) f(a) 

trambi perchè od a - '-^-^ od a - — --^, superando p, supera a; nel terzo caso 

a 

uno è positivo ed uno è negativo : onde a è superato da entrambi i numeri 

f(a) f(r) 

a - — ed a — -— • nei primi due casi, da uno solo nel terzo caso. 
a 

E siccome p - p < e 

= /'(o) = r{p)-f(o-^)/'(JiL) 

dove II. è un conveniente numero tra p e ^ , si riconosce parimenti che , se a 
o b son positivi 



j.^<,<p-^j), 



se son entrambi negativi 



b a 



e se a è negativo eòe positivo ,. allora 

P<P — f P<P- -y- • 

Adunque : /Se f (x) è funzione reale della variabile reale x, che 8* annulli al- 
meno una volta mentre x cresca da a a fi ed abbia prima derivata maggiore 
di a e minore di b per tutti i valori di x compresi tra a e fi j si ha che : al- 

f(a) f(a) 

meno uno dei due numeH a , a -— è maggiore di a\ se uno solo su- 

a o 

pera a , esso è compreso tra a e la minor radice superante a deW equazione 

f(x) = 0; se sono entrambi maggiori di a, uno è tra a e la minore superante a 

delle radici delV equazione f(x) = 0, l'altro supera questa radice: ed almeno uno 

f(fi) f(3) 

dei due numeri fi , fi — — ' è minore di fi ; se uno solo è minore di fi , 

esso è compreso tra fi e la maggior radice minore di fi] se sono entrambi mi- 
nori di fi , uno è tra fi e la maggiore delle radici minori di fi delV equazione 
f (x) = , Valtro è minore di questa radice. 



)( »7 )( 

Da questa regola generale , con facili considerazioni , se ne deduce la se- 
guente ^ particolare, che è più estesa, più completa e più comoda di quella di 
Newton perfezionata da F o u r i e r : 

Se f (x) è funzione reale della variabile reale x ed f (p) = ed a < p < b ed 
f'(x)f"(x) è diverso da zero per ogni valore di x compreso tra a e b, 6(2 a^-a 
e bo = b 6d 

a -a -£^^ b -b -^^^ 

I n « n 

dove ji„ è quello di maggior valore assoluto dei due numeri f'(a^) , f'(b„), 
allora 

lim a^ = lim b„ = p. 

Se v„ è quello di minor valore assoluto dei due numeri f'(a^) , ^\K)) s^ 
può anehe prendere b^ — ^ "* per a^^, e si può prendere a„ - - —^ per b„^^y 
se convenga. 

Metodo delle osculatrici. Se 

<p(a?) = r(c) + (a? - e) /"'(e) + . . . + ^-|f~f r^'"^ (e) , 

la linea d'equazione y — ^(x) ha un contatto d'ordine m — 1 con quella d'equa- 
zione y = f'{af) nel punto d'ascissa e. La considerazione di questa linea può 
convenire per il calcolo assintotico delle radici reali dell' equazione f{x) = 0. 
Sia infatti p una radice maggiore di a o minore di /J ; e siano r minore ed s 
maggiore dei valori, che prende f^^^x) mentre x cresce da a a /S. Siano A il 
punto d'ascissa a, ed R, R, ,R, quelli d'ascissa p, e B , B, , B^ quelli d'ascissa 
j3 delle tre linee l ,li y li d'equazioni 



V. = m Mx - .) rw . . . . f ^>~ r-K') + ^^, „ 



m-i 

•r 



y. = r(«) -I- (X - a) r («) -I- . . . + ^;^V-.)(«) 4- (^i: , 

dove Zf funzione di j?, è compresa tra a ed a?. Si ha che 



(y - Vi) iy - l/i) < 

VOL. ZL. 8 



)( 18 )( 

per tutti i valori di x tra a e /3 per cui, tra le perpendicolari condotte ali' asse 
delle X pei suoi punti A' e £' d'ascisse a e ,Sj la linea l ha comune soltanto il 
punto A con le linee l^ ^1^ e le separa. Se R' è il punto d' ascissa p dell' asse 
delle Xy la segnata area del trapezio mistilineo A'K'RA è quindi compresa tra 
le segnate aree dei trapezii mistilinei A'R'R,A , A'R'RjA. Determinando x in 
modo che il segnato trapezio mistilineo limitato dall' asse delle x , dal tratto di 
linea l^ od I^ ad estremi d'ascisse a? ed a e dalle ordinate di questi estremi sia 
equivalente ad R'A'AR, cioè ad /"(a), il che farebbesi mediante l'equazione 

{y\dx=^f{o.) oppure la l y^dx = f{oL) cioè per mezzo d'una delle due equa- 
X JOB ' 

zioni 



m + («-«)/"(«) + ... + -^—sY^ /-«--'^w + ^^~- r = 

fia) + (a; - a) /"(«) + • • • 4- ^^ ~ "^""' ri"-«»(«) + ^?^ • = , 

^??l — 1)1 7)1! 

una volta otterrebbesi un valore di ce compreso tra a e p. In modo analogo si 
calcola un numero tra p e j^. Si può giungere facilmente alle stesse conclusioni 
con pure considerazioni analitiche. 

Si ha infatti che, se o è a oppure fi y 



ktn 



= f(p) = m + (p - 8) nò) + ...+ ^j^^Y^ /-^'"-"(S) + ~Y~ * 

dove À: è un conveniente numero tra r ed s. Se 

(771 — 1; ! mi 

Ui^) = /(S) + ÌX-S) f'(8) + ... + ^-^-^ r'"-" (5) f ^-^=?^ B , 

(m^l) ! mi 

si ha quindi che 

<P.(8) <P.(f) <Pt(S) ?,(p) = (^(5) ^p-)* (»• - fc)(« - *) , 

onde 

9i(5)?|(p)?2(5)<p,W <0, 

per cui una delle due equazioni 9^(0;) = , ^^(x) =0 ha certamente una radice 
tra 3 e p. E precisamente , considerando i valori di 9,(0) 9,(p) e di ^^(0) fp^fp) e 
ponendo una volta a ed un'altra volta ^ per S, si vede che : 



)( 19 )( 

Se f(x) è funzione reale della variabile reale x, che s'annulla almeno una 
volta mentre x cresce da a a p ed ha derivata m'"*' maggiore di r e minore di 
s per ogni valore di x compreso tra a e fi ] allora , quando f (a) > 0, V equa- 
zione 

f (a) + (x-a)y"(«) + ... + '^^ f '•"-'(«) V ^^'^ r = 



(m-1) ! ^ ' ' m ! 



e , quando f (a) < , l'equazione 



f (a) + (x-«) f («) + . . . + 4-4.-T- f "-' («) + ^^-^ 8 = 

(ra— 1) ! m ! 

ha una radice tra a e la minor radice maggiore di ol délV equazione f (x) = 0. 
Ej quando (— l)"" f(P) > 0, l'equazione 

f (?) + rx - f) f '(P) + . . . + ^^ f -»-• (p) + ^^^ r = 
e, quando (— 1)"* f (r^) < 0, l'equazione 

f (/^) + (X-/S) f (/«) + . . . + ^-^— f «"-«V/i) + ^— ^ « = 

(m—I). mi 

ha una radice tra ^ e la maggior radice minore di fi della stessa equazione 
f (x) =5 0. 

Ora, se a^ ; a, , a, ; ... è sncceBsione numerica tendente a lìmite finito a ed 
fix) è funzione continua della variabile ce, e si può fissare un numero positivo H 
in modo che, essendo pi un numero positivo dato, il modulo di f{aj : (a^—a^^^)^ 
sia minore di H per tutti i valori interi positivi di n, allora f(a) = 0, come si 
riconosce subito osservando che lim(a„ - a^.,) =0 perchè tende a limite finito 

la successione «o ; ^i > ^2 ; • • • ? ® lin^ f(^n^ = f(^) perchè la funzione f(x) è 
continua. 

Da quanto fu detto segue che : 

Se f(x) è funzione reale di variabile reaU^ che per i valori considerati della 
variàbile ammette derivata m"*" maggiore di r e minore di s ; e partendo dal 
numero reale a , che indicheremo anche con a^ , e dal maggiore ^ , che indiche- 
remo anche con fig , formiamo le due successioni 

^0 7 ^f ) ^2 > • • • ì^* 1 fii ì Pi t • • • 

rfore, secondo che f (a) è positivo negativo , a„+, sia la minor radice superan- 



)( 20 )( 
te a„ della prima o della seconda delle seguenti equazioni 

f (a J + (X - a J f («J + . . . + ^^^ f ""-'' («,) + ^^ r = 0. 



f(a.) + (x-Of'(a.) + ... + ^^f-«(aO + 5-^^-B = 

c, «6condo c/ie (-l)"*f(?) è positivo o negativo, f^^., «ìa ?a maggior radice mi- 
nore di p^ deZ/a prima o della seconda delle equazioni seguenti 

f (p„) + (X - p«) f '(P») + • . . + ^-^lyr ^'"""^^"^ + ^-^r- ' = ^ 

HK) + (X - P«) f (?») + • • . + -(^jyr • f """'(P-) + -^ « = ; 

allora^ se una volta non si può continuare una delle due successioni perchè una 
equazione non abbia l'attesa radice,, come pure se le due successioni si sovrap- 
pongano cioè si pervenga ad un ^,^ minore d'un aj^ , Inequazione f (x) = non ha 
radici tra a e ^ : se invece le due successioni , senza sovrapporsi , continuano 
senza fine, in tal caso tendono entrambe a limiti e lim a^ è la minore e lim ^^ 
è la maggiore delle radici comprese tra a. e ^ delV equazione f(x) = 0; se lim «^ 
= lim p^ v' è unica radice tra a e p. In luogo di r ed « nelle equazioni deter- 
minanti a^^., e p„^, si possono mettere un qualsiasi numero minore ed uno qual- 
siasi maggiore dei vaiori, che prende f^^^ (ac) mentre x cresce da a^ a ^„ , e 
convien fissarli, più che si possa^ vicini tra loro. 

Si riconosce inoltre subito che : 

8e f(x) ha derivate (m+1)"** ed (m4-2)"**' diverse da zero per tutti i valori 
di n da a^ a ^„ ed equazione determinante ot^^i o ^^^^ , con V indicato procedi- 
mento, sia 

m + (X - T) nv + • . . + ^lyr f '-•Ky)+ ^-^^ f <")(-r)= o, 

dove 'X sarà 3„ o fJ„; allora, se p sia radice tra a^ e p^, avrà una radice tra 
^*+i ^ Pii4.i ^ P l'equazione 

(X— y)"* Tic— v^'"+* 

f (f) + (x-Y) f (f) + . • . + -^ f ""^•r) + ^lyr f '"""'(S) = 

dove 

8 = a, te f l"+«> («O f ^""'»'(««) > 

8 = p„ » f <"+•) (0.) £<"•♦«(«,) < 0. 




Fy.^^ 



•£^ ^ 






r 






^ 
\ 



X 



)( 21 )( 



SULLE FUNZIONI SFERICHE SIMMETRICHE 



DEL CAMPO AD N DIMENSIONI 



M B M O B I A 



DEL 



Dott. VIRGILIO GIULOTTO (a Mantova), 



(Contiìì. e fine, V. voi. XXXIX (1901), pag. 162-180). 



CAPITOLO III. 



Relazioni ricorrenti di Béltrami e Corollari- Proprietà integrali delle funzioni 
sferiche di prima specie-Nuova espressione delle funzioni sferiche di seconda 
specie- Frazione continua di Gauss, 

§. 1. Sieno 9^(S) e 9««i(^) due funzioni in § di grado n ed n — 1 rispetti- 
vamente. 

Poniamo : 



^9»t(S) _ . d?n-l(5) , , ^ ,.. 



£?«zl(Ì> = aE^ + P9(S) 
d5 ^ di ^ ^^^'^ 



(1) 



con a f b , a , ^ costanti indeterminate. 

Derivate le (1) rispetto a § e fatte le debite sostituzioni , si ottengono per 
9»(i) ® 9»-i(5) ^® seguenti equazioni diflFerenziali del second'ordine : 

(l-aaS*).^--(ap + òa + 2aa)5^-(a + 6;p(p^ = (2) 

(l-aat^'^-5(,=-*-(ap + 6a + 2a^ (3) 



)( 22 )( 
e poiché coirassumere 



a = — , 6 = (n + N — a)a , g = - — , 
a a 



esse si ridacono; per qualsiasi valore di a e quindi anche per a = 1 , alle note 
equazioni differenziali : 

(1-5')^»-(N-l)6^^+n(n + N-2)R^ = (4) 



(1 - 5*) ^^^ - (N - l) 5 ^ + (n-1 )(n+N-3) R,., = 



(5) 



cui soddisfano rispettivamente 

R, = AP, + BQ, 

con A , B ; A' , B' costanti arbitrarie , si può senz'altro asserire che : se due fun- 
zioni 9^(^) e 9„.|(S) la prima di grado n la seconda di grado n — 1 sono legate 
fra loro dalle relazioni 

-dT " ^ ~df^ + (n + N - 3) cp^^,(0 

(6) 

esse sono rispettivamente integrali delle equazioni differenziali (4) e (5). 

Ci proponiamo ora di vedere inversamente se, o sotto quali condizioni, fra 
due successive R,, possono sussistere le relazioni (6). 

Si verifica intanto che, a dette relazioni, soddisfano due P^ consecutive. 

Posto infatti 

(N - 2) N (N + 2) (N + 2 n - 4) 

K = -—i (7) 



Ji(?i — 1) (n - 2) (» - 2 « + 2) (n — 2 » + 1) 



*'• 2.4.. .2«(N + 2n - 4)(N + 27i-6)...(N + 2n-2«-2) 



)( 23 )( 
e sostituite nelle relazioni (6) a 9,, e o,_, rispettivamente : 

P„ = A, 5] (- !)• a„.. 5"-" e P,., =-- A„_, T, {- lY ««.,.. S»"'-»* , 

tencudo conio dell' identità 

_ (n -- 2g; (N -f 2 n -- 4) 
^«-*'' "■ n (N + 2 n - 2 j? - 4) ^'*»' ' 

si trova con facili calcoli che le (6) sono identicamente soddisfatte dalle fun- 
zioni P^ e P^_| , purché fra due coefficienti A^ consecutivi sussista laVelazione 

_ 2» + N - 4 

che segue immediatamente dalla (7). 

Esaminiamo ora se, almeno con una conveniente scelta del fattore A^'' che 
figura neirespressione generale di Q„ , (Cap. IP § 2) fra due consecutive di tali 
funzioni possono sussistere le (6). 

Per qnesto posto, poiché Aq" dipenderà in generale da n : 

A '^ = A ' 
e 

. _ (n-fN-2)(nfN-'l)(n-hN) (n+N+2^-4)(n-hN 1-2^-3) 



««,• 



2-4 ...28(2n+NX2/ifN+2) (2?n-N+2«-4)(2n+N+2«-2) ' 



assumiamo come funzione <p^ la Q^ definita da: 



co 



Q„ = A'„ 2 a'„,. 5-"'^''+»-« 



«"0 



Sostituendo nella prima delle (6), e tenendo conto deiruguaglianza 

_ 2^(2n + N- 2) 

^'••* " (n + N - 3)(n + N + 2?^ 4) ^— *•' ' 

si gìnuge facilmente all^equazione : 



V^ ( 271 + N — 2 ì 

^0 



)( 24 )( 

la quale (essendo N > 3) è identicamente soddisfatta se fra A^' e A',j_, sussiste 
la relazione : 

A ' - ^Ltls± A' 
» ~2n+N-2 -' 

« 

ossia (convenuto di assumere Aq' ^ 1) se è : 



, __ (N - 2)(N - 1) N (n -h N - 4)(n + N -3) 

" " N (N i- 2) (2n + N - 4)(2;i + N - 2) ' 

E poiché in tale ipotesi (come si potrebbe in modo analogo facilmente ve- 
rificare) è soddisfatta anche la seconda delle (6), si può conclulere che, assunto 
in generale 



^ (N - 2) (N ■- 1 ) (N 4- n - 4) (N -h n - 3) 

^'* N (N + 2) (N H- 2« - 4) (N ^ 2n - 3) 



S (N-|-w-2)(N4-n-l) . . . (N-fnf 2g-4)(N+n-h2^~3) ^.^^.^^.^«-j) 
^^ 2.4 ...2«(N+2n)(N+2n-f-2)...(N+2n+2«-2) ^ ' 

fra due consecutive di tali funzioni sussistono effettivamente le relazioni (6). 
E cosi risulta assodato che : 
Fissata 

Ro = APo + BQ^ 
con 



Po = l 



^.^.,| .N-.XN.O.MNy ,_,„..^, 



tutte le funzioni B^ definite dalle seguenti equazioni 

f = 5^.(«-l-N-3)R,.. 

(a) 

6 formate sulle stesse costanti A e B, riproducono nelle loro componenti P,^ e 
Q,^ quelle funzioni che già abbiamo rappresentate con questi simboli. 

Le (a), nel caso particolare di N = 8 , si riducono alle ben note relazioni 



)( 25 )( 

ricorrenti già stabilite dal B e 1 1 r a m i per lo ordinarie funzioni sferiche ('). Il 
procedimento che ad esse ci ha condotti ci sembra anche notevolmente più 
semplice di quello seguito dal B e 1 1 r a m i e che abbiamo dovuto completa- 
mente abbandonare. 

Dalle (a) si deducono ora facilmente parecchie altre relazioni notevoli. Si 
ha infatti da esse : 



nR„ = (« + N - 3)5 E„., - (1 - 5-)-^f 



(n + N-3) B„., = n 5 R„ + (1 -5') -^ 



(P) 



e cosi, mutando nella prima di queste n in n + 1 e sommando membro a membro 
colla seconda, si ricava : 

(n + N-3)R,„, -(2n + N-2)5R^ + (n4. 1) R^^, = (e) 

Cambiando invece w in w -f 1 nella prima delle (a) e sottraendovi la se- 
conda si deduce : 



d (Rn+l^- Rn-t) ^ (.^^, ^ j^ _ 2)R^. ^a) 



éR 



Se poi alla relazione che si ha da quest'ultima mutando n in ?è — 1 si ag- 
giungono le altre che se ne ricavano cambiando successivamente n in n — 2, 

dR 
n — 4 ecc. sostituendo inoltre, nel caso di n impari, a —- - il valore ofiFerto dalla 

a? 

prima delle (a) si ottiene : 

(rZR 
(2n+N-4)R^.j+(2n-hN-8)R„_3 4- . . . f-NR, |- — ? per n pari 

(ìR. 



'n 



^ 



(«) 

(2»fN-4)R„.,+(2n-|-N~8)R,..,+ . . . (N+2;Rj4(N-2)Ro-f ? ^A pern impari 



relazione che, nel caso particolare di Rrt = P^, (essendo Po = l) diventa: 

-^ = 2. (2« + N - 4m) P.._,„„) . (e') 



(*) B e 1 1 r a m i. Sulle funzioni sferiche d' una variabile (Rendiconti dell' Isti- 
tuto Lombardo 1887). 

VOL. XLI. d 



)( 26 )( 

Se poi^ cambiato nuovamente n in n - 1 nella (d) si sommano membro a 
membro lo relazioni che si deducono dando ad n successivamente i valori 2 , 

3 , 4 ,..., n e si sostituisce a — ;: il valore dato dalla prima delle (a) si giunge 

^? 

alla relazione: 



lll»l 



che per R^ = P,^ diventa : 



di 



g (N . 2.. . 2) P„ = l(?«-^^-0 



IWB=| 



N---3 

§. 2.® Moltiplichiamo per (l -5*) ^ le equazioni difiFercnziali cui soddisfano 
rispettivamente la P^ e P^ ; abbiamo : 

d r N-« ^p -1 N-3 

-- [d - 5*)~ - "] + n (n + N - 2) (1 - 5*)"r P^ = (l) 

5 L^^ - f') ~ ^- J + ^ (^ + N - 2) (1 - ?*)T- P^ = (2) 

Se dalla (i) moltiplicata per P^ sottragghiamo la (2) moltiplicata per P^ 
otteniamo : 



-4["-'''-t]-.|[<'-^)-^]^ 



N— 3 

•f (n - w) (N + n T m - 2) (1 - ?*/ i" P„ P^ = 



ossia : 



N— 3 



I [U - 5*)lP' (p^^^-P^^)]^. (» - m) (« + N + m - 2) P. P„ (1 - P)T- = 0. 

E poiché la funzione (1 - ?«)T^ (^« ^ " ^» %) * ^°^'* ' ''*'"*'"°'' '° 
ogni intervallo, integrando fra — 1 e + 1 si ricava : 



^. P,, P^ (1 - 5») *" d? = 0. ^""^ 

Vogliamo ora vedere qua!' è il valore deirintegrale per m = n. 



)( 27 )( 
Dalla relazione ricorrente (e) (§. l) abbiamo : 

(« + N - 3) P,_, _ (2n + N - 2)?P„ + (n + 1)P„+, = 

(n + N-2)P„ - (2,n N) 5 P,^, + (n + 2) P„+, = 

N-3 N— 3 

Moltiplicando la prima per P„^, (1 — E*; * , la seconda per P^(l — ?*)* ed inte- 
grando fra — 1 e + 1, si ottiene, tenendo ragione della (a) , 

(« + 1) J_, (1 - ?») * P»„^, d? = (2n + N - 2) )_, ? (1 - ?*) * P, P„+, di 

/•-H N--3 r+« N-3 

(„ + N - 2) J.. (1 - 5«^ * P„« dS = (2n ♦ N; j^, f^l - 5*) * P« P«^. ^5 



quindi : 



2n 

ossia : 



n + 1 f+* "^-^ w + N - 2 f ** N-3 



ed essendo Pq = 1, da questa relazione ricorrente si ricava: 
Si tratta ora di calcolare l'integrale : 

f 

Posto N - 3 = m ed I„ = 7 (1 - E*)* rf? si ottiene ; 



ffA 



5(1 -?*)* , «» 



«» 4- 1 m + 



T ^m-t 



ed, indicando con I'„ l'integralo I limitato fra — 1 e + 1, si ha : 



I --^I' 



(3) 



)( 28 )( 

Questa relazione permette di esprimere I'^ per mezzo di I'^ o di 1', a se- 
conda che m è pari od impari. 
Essendo : 



r+i I r^i 

r, = dE = ? =2 
J-t I J^i 



ed 



I,'=J^\/l-5«d5= ^ j? Vi- E* 



"* l! 

+ T are. sen? 

-I 2 1 



+* Tt 



-I 



o » 



si ha: 



/ w(m-2)(in-4)..:...4-2 

... « i (^i)(m-i)(^3)::::..T:3 ^''' "" ^^^ 

•' ■"' ' m(m~2)(m-4) 5-3 

e ricordando la posizione m = N — 3 si ha sostituendo nella (3) : 



1 



+ ! N— 3 



-1 



, JN-V (N-3)(N-5) ... 4 ^ (N-l)N(N.l) ... (n+N -S) j^ 

' 2n+N-2(N-2)(N-4)...5.3 1-2-3 n '^ ^ 






f t: ^N-2 )* (N-3)(N- 5)...5-3 (N-1)N(N+1) . . . (>»fN-2) ^^ 

\ 2n + N-2 (N-2)(N-4)...4.2 1.2-3 n ^ ^ 

Facendo nelle (a) e (/:^) N = 3 si ottengono le note relazioni delle funzioni 
sferiche ordinarie : 

|^]p^P«d5 = per n=|=m y%«^ d§ = -^ 

§. 3. Daremo ora una nuova espressione analitica della funzione Q^ in virtti 
della quale sarà definita in tutto il piano complesso: 

La relazione (e) (§. 1) permette di esprimere F,^ e Q„ rispettivamente per 
mezzo di P, Po e Q, Q^ mediante formule del seguente tipo : 

P« (5) = fn (?) P, (?) + «Pn (?) P. (?) 
Qn (?) = ?» (?) Q, (?) + ^n (5; Q. (?) 

dove «„(?; e (p, (?) rappresentano certi polinomi in ^ 
Da esse, eliminando ({«« (?) si ricava : 

Po Q« = P» Q. - ?» (?) (P. Qo - Q, Po)- (1) 



)( 29 )( 

Per dare alla Q„ un'espressione più conveniente, calcoliamoci Po?Qo ; I*f ?Qf • 
A tale scopo osserveremo anzitutto che essendo : 



a[(1-?«) Vd?H-B 



(con A e B costanti arbitrarie) Tintegrale generale deirequazione differenziale 
cni soddisfano le ftinzioni sferiche d'ordine zero, poiché (§. 1) 

lim Qo = 

5 = 00 

è: 

Qo = x/' (1-5*) * di 

essendo X una costante da determinarsi in guisa che si abbia per |^| > 1 : 
Tale determinazione si fa immediatamente. Infatti essendo : 

N-l N-1 -(N-1) / I \ N-1 

(1 - kT-r = (- 1) -— 5 (i - i-)-— 

ed avendosi per mod S > 1 

/, 1 \-^l V (N-l)(N + l)...(N + 2<-3) . 

è per mod ^ > 1 : 

[^ a - i^rV- - (- xvr V (N-i)(N4i) ... (N+2»-3) p,_,,^, 

J» ^ ~^ ' éi 2.4...2«(N42«-2) 

k 

e quindi : 



N-3 



X = (- 1) * (N - 2). 



Si ha cosi : 



Qo = (-l)» (N-2)| (!-?»)"*< 



P^=l Qo = (-l)» (N-2)/ (1-?») ' d? 

00 



od anche : 



00 N-1 



Q, = (N-2)j (5»-l)"r- d5 



)( 30 )( 
e per le (6) (§. 1) 



r« N::i n-3 



P, = l 

li 

e conseguentemente per la (1): 

r» N— 3 

Q,(5) = (N-2) Pj^ (P-l)"?^d5 - {N-2) 9.(5)(?»- 1)' * (2) 

9„(5) essendo un polinomio in 5 di grado w - 1. 

§. 4. Le relazioni trovate ci permettono di giungere ad un risultato , che, 
nella teorica delle funzioni sferiche ordinarie, è d'importanza notevole. 
Posto per comodo nell'espressione (2) di Q,, : 

8. = (N - 2) 9„ (?) (5* - l) * 
si ha 

Q„ = (N - 2) P, j^ (?» - 1)-^ d? - S„ (2') 

Abbiamo visto essere (Gap. IIP §. 1') : 

(n+N-3) P„_, - (2n+N-2) ? P„ + (nf 1) P„+, = (3) 

(n+N-3) Q„_, - (2n .N-2) 5 Q, + (n+1) Q„„ = (4) 



-,f 



Moltiplichiamo la (3) per (N— 2); (E*-l) * <?g e sottragghiamo da essa 
la seconda. Tenendo ragione della S (2') ricaviamo : 



(n + N - 3) S^., - (2n + N - 2; ? 8„ + (n + 1) S^+, = (5) 

Possiamo dunque dire che la relazione ricorrente (e) (§. 1) valida per P^ 
e Qn sussisto* ancora per S^. 
Poniamo ora : 

P (^^ - (N^2)N(N-f2)...(N4-2)(n^ 2) 

P|i {V = TT-T Pn (E) (6) 

T:(n) 
e sostituiamo queste espressioni di P^ ed S^ rispettivamente nelle (3) e (5) ; 



)( 31 )( 
facendo le debite riduzioni otieniamo per p„ e 5,^ le relazioni ricorrenti : 

_ e _ n (n + N - 3) 

«n.. - ^ '- (27i + N - 47(27+ N - 2~) ^"-•- ^^^ 

Ciò posto consideriamo la seguente frazione continua: 






(«) 



a, + 



«• + . 



2 

La ridotta di un ordine qualunque r è una frazione che ha per numeratore 
(denominatore) il numeratore (denominatore) della ridotta precedente moltipli- 
cato per CKy, più il numeratore (denominatore) deirautiprecedente moltiplicato per 

^^. Dunque j desgnata in generale con 7^ la ridotta di ordine n è : 

H«+i = H„ a^ -h H„., /5^ (10) 

K„+, = K„ «^ + K,., ?^ (11) 

H H 

Però, perchè le ridotte ^ ^^ -^ che si ottengono dalle (10) ed (11) coin- 

cidano rispettivamente con quelle che si hanno dalla frazione continua (a), è ne- 
cessario imporre alle (10; ed (li) le condizioni: Hq ~ , K^ = 1 , H, = ^5 , K, = a. 
Pertanto se nelle (8) e (9) si pone : 

«. _„ ^_ n (n -h N - 3) 

j7.^ii,, s.^ti,, <;-a,, -(2n + N-4)(2/if N-2)^^»' 

si hanno le (10) ed (11), onde le (8) e (9) potranno essere interpretate come 
relazioni che legano rispettivamente i numeratori ed i denominatori di una fra- 
zione continua che si otterrà dalla (a) facendo le debite sostituzioni , quando 
sieno soddisfatte le condizioni : 

Po = Ko = 1 ed «^j = Ho = 



)( 32 )( 

Queste condizioni sono veramente soddisfatte come risulta dalle (6) e (7)| 

tenendo presenti i valori di Po e di S„ (§. 3). 

g 
Però, per poter scrivere la frazione continua di cui ~ è Tn*"*" ridotta, è 

Pn 

necessario procurarsi anche le espressioni di p^ e di «,. 

Si raggiunge facilmente lo scopo servendosi delle (7) ed (8) e ricordando 
le espressioni di P| e di S, (§. 3). Si ottiene : 

*i = H, = /3 = --— ^ ^, = K, = a = 5. 

Allora , poiché per la (12) è : 

l.(N-2) 2(N 1) 3N 

*^' (N-2)N '* N(N+2; '^* (N+2XN+4) 

g 

possiamo concludere che — (?i = 1 , 2 . . .) è la ridotta n*"® della seguente fra- 

Ph 

zione contìnua : 



N-2 
i (N - 2)" 



(N-2)N 
^ 2 (N - 1) 



^_N(N-i-2) 



3N 



^ (N ^ 2)(N ~ 4) 



? -. . . 

Questa frazione continua, che è la generalizzazione di quella di Gauss per 
le funzioni sferiche ordinarie ('), permettendoci di calcolare 8^ e p^ (per n=l,2...) 
ci pone in grado di conoscere^ a causa delle posizioni fatte e della nota espres- 
sione di Q„ , (§. 3) le due funzioni sferiche simmetriche di prima e di seconda 
specie. 



(*; C. F. Gauss. Methodas nova integralium valores per approximationem 
inveniendi. 



K 33 )( 



OSSERVAZIONI 
PER UNA TKORFA PDRAMENTE ANALITICA ED ELEMENTARE 

DELLE FUNZIONI CIRCOLARI ED IPERBOLICHE E LORO RELAZIONI 

COLL' ESPONENZIALE 



NOTA 



DI 



ROBERTO VOLPI 



La via che ordinariamente si segue nel trattare la Teoria delle funzioni circo- 
lari, definendo queste sul circolo e poi sviluppandone lo più elementari proprietà 
con dimostrazioni parte geometriche e parte analitiche, è certo una delle più adatte 
per rìnsegnamentO; ma può lasciar alquanto a desiderare dal lato scientifico. 
Sotto questo aspetto ci sembra interessante un metodo che segua esclusivamente 
un indirizzo analitico o geometrico ; e tanto più se da esso possono scaturire 
per via diretta altre importanti conseguenze, che colla stessa facilità ed unifor- 
mità di metodo non potrebbero dedursì, svolgendo la Teoria nel modo solilo. 
In questa Nota si tratta appunto delle funzioni circolari con metodo puramente 
analitico, e di pari passo si procede per le iperboliche, fino a giungere alla de- 
finizione dell'esponenziale in tutto il campo dei numeri complessi. Ciò si fa par- 
tendo dalle proprietà formali di tali funzioni, mostrando come queste, asso- 
ciate alla condizione della continuità, possano servire a definire le funzioni stesso 
ed a stabilirne le proprietà elementari. Si è poi cercato di rimanere sempre in 
un campo elementarissimo (eccetto per alcune osservazioni non essenziali), usando 
soltanto le prime nozioni sui limiti, sui numeri complessi, il concetto puro e 
semplico di continuità, evitando quello di serie. 



Diciamo esponenziale ogni funzione uniforme , finita e continua in ogni 
punto al finito reale o complesso e sempre soddisfacente alla legge iterativa 

VOL. XLl. 5 



){ 34 ){ 

L' esistenza di tali fanzioni , anche non analitiche , risalta nel seguito. Per ora 
limitiamoci a notare che la a*, con a positivo =|= 1, offre esempio di esponen- 
siale nel campo dei numeri reali e che tale fnnzione può definirsi affatto ele- 
mentarmente nel modo che segue: per oc intero positivo sia a*=aa...a (a? volte); 

per ar = — ("razionale positivo) sia a^ = \y/a"'\ (valore aritmetico di ^a"Vì V^^ ^ 

irrazionale positivo, definito dalle due classi contigue M^N, sia a^ definito dalle 
duo cliissi, pure contigue, rappresentate simbolicamente da a**, a^; per ac = 

sia a^ = ì\ e per x negativo a* = -:::^ . È poi facile mostrare che un esponen- 

e» 

ziale, funzione reale positiva di variabile reale, deve essere della forma a*, no- 
tindo per es. che il suo logaritmo aritmetico è una funzione distributiva, sod- 
disfacente alle note condizioni del C a u e h y per ridursi alla forma kx. 
Si considerino le funzioni 



f{cc) = a(u{x) + v(x)) , 9(0?) = P(w(j5) - t?(aj)) , 

essendo u{x) e v(x) due esponenziali ed a e ^ costanti. Per la f{x) e f (x) si 
ricavano subito i teoremi d^addizione. 



in 1 

/'(.»-^ y) = 5^1 nx) f{y) + 2fti ? «; ?(y) > 9(<^+ y) = 2a f ^^'"^ '^^^ "*■ ^^^^ '^*^ ^ 
ed inoltre 



che per x = y dà 

(2a)« (2?j» ^K^J^K^* 

Si scelga poi v{x) in modo che sia v{x)u{x) = 1: con questo v(x) rimane an- 
cora un esponenziale, avendosi anzi v(x) = u{- x) ^ giacché 

^ ' U(X) «(05) u{x) ^ ' 

Di più si fissino le a e ^, dando ad esse sacccssivaraente le coppie di valori 

„_ l B-_ * • fi-— a-i- 



)( 35 )( 

Si dà cosi origine a due categorie di funzioni ^09. Qaelle delia prima , che 
sono a dirsi circolari , verranno indicate rispettivamente con e (x) ed s (x) , 
quelle della seconda , che sono a dirsi iperboliche , con ch{x) ed 8h{x), Per le 
funzioni circolari valgono quindi le formule 

e (^) = ^ (u{x) + u(-. X) ) (10 , s{x) = ^ (u(a;) - w( - a?)) (2'), 

c(^+y) = c(x)c(j/)-«(a:)«(t/) (1) ; s{x^-y)=:8{x)c(y)\-8(y)c(x) (2) , «*(«?) +c»(a;)=l (a) , 

e per le iperboliche le formule analoghe ch(x) = -^^ — ^ etc. etc. 

Dalle (1') e (2'} risulta 

cu{x) = i 8(iX) = — (ti(iaj) - (tt - wj)) , X(a?) = c{ix) = — (tt(tx) + w(- ia;)). 

Siccome u(ix) è manifestamente un esponenziale, si trae che b){x) e X(x) sono 
una coppia di funzioni iperboliche e di più che, nel caso di «(x)=^— w,(tx), «Mj) 
è nel campo dei numeri reali ciò che è iòix) nel campo degli immaginari e re- 
ciprocamente : analogamente per c'x) rispetto a ch'x). Risulta quindi che per 
definire in tutto il campo dei numeri complessi due funzioni circolari e le cor- 
rispondenti iperboliche (nel senso che all'ex) delle prime corrisponda — m(-ix) 
nelle seconde) basta definire ciascuna delle quattro funzioni nel campo dei nu- 
meri reali e poscia applicare convenientemente i Teor. di addizione dati sopra^ 
Si avrà cosi 

^(V- + tv) = ^W e. tv) + «(tv) c(jii) = «(|Jl) c^(v) - i «;ì(v) c([x) , etc. etc. 

L'esistenza di funzioni iperboliche reali risulta immediatamente dall' esistenza 
della a^ (esponenziale reale di variabile reale), avendosi e dovendosi avere : 

« («) = y (a* - a- *) , eh (x) = y («"^ + «'*)• 

Si hanno le ordinarie funzioni senh x e cosh x per a tale che sia lim — — = 1, 

X 

ossia 

a^^a"^ 1 à^^-1 a'— 1 
lim — = iim -- ._ — - = hm = 1 , 

2x tomo or 2x ^"0 2; 



/i* — 1 
e quindi fuori del limite — = s (z)^ con lìm g («) = 1 , 

Z Mwmo 



)( 36 )( 
donde 






a= [(1 TZt{z)) J 



Il secondo membro di questa ultima uguaglianza ha manifestamente per limite 
Cf quindi 

seiìh a? = - (e* - e""*; , cosh a? = «■ C^*' + ^"^h 

Una simile analisi per le funzioni circolari ci riesce alquanto più laboriosa , 
quando si voglia ottenere una dimostrazione diretta dell'esistenza di tali funzioni 
nel campo dei numeri reali, evitando cioè la nozione di potenza ad esponente 
complesso , nonché le prime nozioni sulle funzioni analitiche ed in particolare 
sulle serie di potenze, che sarebbe certo necessario invocare volendo far dipen- 
dere lo studio delle funzioni circolari, definite come sopra, dalla considerazione 
dell'esponenziale a**. Premettiamo che dalle (1) (2) (a) si deduce subito 

fi(o):-0 c(o)=l , « ;-a;)=— »(aj) , c(-aj)=c(a?) , «(2aj)=2«(ir) c(aj) , ci2x)=c*(ir)-»*(a7) 



B 



(fì^iVi^'""^""^ Kf ) = W"^ ^' -^ '^ ^'"^ (^>- 



Supponiamo che esista un valore io di x per cui si abbia %{x)-=-c (x), da cai 

V"2 V^ 

« (w) = ± ~ c(w) = ±.-y . 

Applicando reiteratamente le (3) si trova 

s (2w) = 1 , « (4co) = , « (8co) = . . . e (2ii)) = , e (4(o) = - 1 , e (8w) = 1 . . . , 

e da queste, coll'aiuto dei Teor. d'addizione, «(x + 8w]^= b\x) , c(r+8io)=c(x) ; 
cioè che 9 x) e c(x) debbono essere periodiche col periodo 8w. Ponendo poi 
4(0 = p si ricava con tutta facilità 

8(p—x,=8(x) , «(2^+05)=— «(ce) c(p-a?)=-c(a;) , c(p+cc)-— c(a:) , 



8 



(^ - XJ = e (X) c(^ - x) = 8(X). 



Da queste e dalle precedenti formule si deduce che, per definire s (x) e e (ir) 



)( 37 )( 
per ogni ai reale, basta definirle da o ad un valore io che , ove esista , renda 

»(x) = c(ac) = ± -^ V^ • Aggiungiamo ancora che, essendo u {X) = e (ac) + Ì8(x) , 
e per m intero e positivo u{mx) = w(x)**, si ricava 



c{mx)H 8(mx) = [c{x)H sìcd)^ = c*" + (^ ) ^c*"' "" (^ ) 



e*"* « f . . . 



e, se c{«wc) , 8 mx) , c(x) , 8{w) sono reali, 



5(ma7) = e"*- ^^) c*^-» «^ ^ (j) e'"-* 5* - . . . (4) , 



8 



{mx) - (^) e"»'' 8 - (^) c-~3 *»+... {6). 



Se poi per due funzioni S[,X) e C(x) valgono le relazioni 

C(mx) fi 8{mv) = [C(x) fi S(x)J~ , C(rcB)-f ?: S(ra;) = [C(x)i-i S(a?)]' , 

qualanque siano gli interi m ed r , moltiplicando queste uguaglianze membro 
a membro ed uguagliando le parti reali e le immaginarie , si deduce che per 
C(ma; + rx) ed S (mx + rx) valgono i soliti Teor. di addizione. 

Premesso questo passiamo a dimostrare che esistono due funzioni reali S{x) 

e G(x) aventi il valore -— — in un punto reale w=|=0 prefissato ad arbitrio, 

positive da a 2(xi, determinate e finite per ogni valore reale di x, continue e 
ad un valore in tutto il loro campo di validità e sempre soddisfacenti alle solite 
formale d'addizione ed alla S* + C* = l. Sia u) un numero reale positivo e =\-0 

che fissiamo ora per sempre, e poniamo S((o)=C(w)- -— . Per valori di B[x) e G(x) 

À 

Del punto r^ si prendano rispettivamente i valori aritmetici di 



Dimostriamo ora che nel campo dei numeri — : (per r = , 1 , 2 , ... , n) la C(a5) 
è decrescente la S(a5) crescente, che è lim S f-^ j = e quindi lim c(-^) = 1. 

Infatti; dopo aver verificato che è C(to)<c(2 )> si supponga che sia c(^)>C(5^\. 



)( 38 )( 
Allora dalla 

C i^) = 



donde 



■ 

c(^)>^(^)-.. 



EM«do poi « (^.') = ■Ji (' + (l)) . 



si deduce 



1 f 2 C* ( — ) - 1 

da cui, per essere le basi dei quadrati positive, C-j^-^ >^\^}' Dalla relazione 

evidente 8* + C* = l si ricava poi con tutta facilità s(^^J > ^(r^)- ^^^ ^^' 

mostrare la seconda parte deir enunciato si moltiplichino membro a membro le 
uguaglianze evidenti 



ottenendo 



da cui 



s(«)=2-s(;^,)<^(T)KF)-«(r-). 

1 = 2-8(;4;)C(«)C(^)...C(^), 
1 > 2«+« S (^) C«^« (M) = v'2*^« S (^ ), • 

< S (^ì < -— , che dà Hm S (^) = 0. 
Ora si definiscono 8(t) e C(j*) nei pooU -^ , con m intero flra e 2", mediante 



donde 



)( 39 )( 
le ugutigìi&me 



(=S) = e {^' - (-) e i^.)- s (!)• ..... 

Applicando poi le (4); si definiscono le 8{x) e C(x) in tutti i punti ().) della forma 

niia 
4kia + -~f-. In questo campo di numeri le S{x) e C(x) sono ad un valore: per 

qaesto basta evidentemente mostrare che, ponendo 

si ha S = S, e C = C,. Infatti è 

C... = [C(|,).<3(S,)]", 

C,+<S. = [0(,-^,).«(.^)r = [0(^.).<s(j)]-: 

da ciò, essendo S , S| , C , C| reali, si trae S = S| e C = C^. Per le S{at) e C(x) 
valgono lo (1) e (2),.., giacché per 2 punti --^ -—^, basta ridurre queste due 



2^ 2^ 



frazioni allo stesso denominatore, poniamo 7^ , porre -7^ = » e ripetere quando 

éà 

si è detto dopo le (5) : coU'aiuto poi delle (4) si stabilisce che le (l) (2) ... val- 
gono per tutti i punti (X). Di più si ha 

che, è superfluo il dirlo, supponiamo = 1. Ora passiamo a rilevare che le ^(x) 
e C(a?) nei punti —^ fra ed w, sono positive, che S(x) è crescente e C(x; 

decrescente, che se a ed a' sono due numeri --^, la cui differenza sìa pìccolis- 
sima, tali sono anche le differenze | 5(a) — «(a')| e | c(a) — c(a') j. A tal uopo in- 



)( 40 )( 

dicliiamo con m un intero fra e 2" e poniamo che per o^ni intero positivo 
r<wi si abbia 

allora, se m -f 1 <2'*, le stesse disuguaglianze debbono valere per r = m f 1. Sia 
r la minima potenza di 2 che supera m f l : si avrà m4l=2''— A:, con 0</c<2 "* 
e k<m. Sarà 

il che mostra essere C ( ■ — ^n— ) > 0, per essere somma dì due prodotti con 
fattori positivi. Analogamente, ponendo «i + 1 = 2r -f h con < 2** e h<m , si 
trova S (^^!^Ì!^\ > 0. Di più si ha 

(&^fc) -e (^) = e (^) [ (^)-.] - S (?/) 8 (^) 

quantità manifestamente negativa. Coli' aiuto di questa uguaglianza e della 
^ V2^)'*'® V2^;"^ P^"" r=:m,m + l, si ricava pure S (^L_i^j> s(^_ j. 
Finalmente, per Tultima parte dell'enunciato si supponga a — a'< -ij conX int. 
poait. grande a piacere ed a* — — = — ^— ~ -^j;;. Si avrà 

1 0(., -CM I - (t)-c(af •^)-c(?^j[i - e©] ^ .[^) s (I). 

Essendo C (-^ì < 1 , S f-^*) < 1 e, p3r X abbastanza grande, 

con E piccolo a piacere, si ricava | c{a) — c(»') | < s. In modo analogo, o meglio 
per mezzo della C* + S*= 1 si dimostra che \s(ol) —s (a')| < s'. Ora si può pas- 
sare a definire S {x) e C(^) in qualunque punto reale o, ciò che basta , in ogni 
punto a fra ed (o. Si formino due classi M ed N, ponendo in M tutti i valori 



)( 41 )( 

thìjì fiiiù 

di S(«) nei punti — ^ fra ed a , ed in N tutti quelli nei punti -^ fra a ed w 

Da quanto 8i è detto risulta molto facilmente che M ed N sono contigue e 
qaindi che definiscono un numero da assumersi come valore di 8(a). Analoga- 
mente per definire C(a). Le Sfa?) e C(x) così definite sono evidentemente con- 
tinue e rispettivamente crescenti e decrescenti da ad co e quindi da + a — oo 

ed inoltre soddisfano sempre alle (1) (2j..., potendosi porre y{«; = sf — j-j + e 

con e piccolo a piacere etc. etc. (*). Passiamo ora a dimostrare che qualunque 

Six) 
sia ca il lim — esiste finito e determinato. Avendosi 

si ricava 

s /'^V - < S (-^'\ ' -^ ' 

V2''/ ■ 2" \2'*-^V ■ 2"+'' 

questo mostra che, quando x tende a zero per valori della forma — ^ -^ tende 

2 X 

ad un limite determinato, che non può essere oo , perchè; detta 5 la differenza 

dei due membri della precedente disuguaglianza si ha subito 

'4"K-.)-Kr.)]='-^K'-<^.)) = 

((0 \ ut 
9» ; • 9» ®<^ adendosi 



S 



/mco\ f»oi _ /IO \ " V2»/ (m-l)(m-2) / io \ V2»/ 



• • • 



I 



2* 2** 



(*) Del resto è ben notò che una funzione f(x) (reale di variabile reale); definita 
in un assieme G- di numeri uniformemente condensato e continua in tale campo, 
resta determinata come funzione continua in tutto il campo dei numeri reali. 

Si può poi aggiungere che se la f(x) nell'assieme Q soddisfa ad una legge for- 
male espressa da 

P (», a?, ... x^ f(Xi) /(act) ... f{xj /{«PrC»! «I - coJ-Of 

essendo F e 9,. simboli di f anzioni continue, la f{x) soddisfa evidentemente a questa 
logge in tutto il campo dei numeri reali. 

VOL. XLI 6 



)(*2X 



8i trae 



»-o-(|.) ' ("") 



la 




<m^[~ 



-(^)*-[-F] 



per essere 



(m - 1) (m - 2) . . . (m - r + 1) 

E 



< m'"'* e e 



r^) 



< 1. 



, mio 
2* 



Avendosi poi -^ < t piceolo a piacere ed 



S 



(^) 



fa) 



< { , si ba 



y 



(f) 



fa) 

2"« 



- ^"^"(1^) -cT^ < ^* ^" (^ ^ ^^ -^ ^''^' + -) ^S- 



+.., 



Qaesto mostra che lim y = L Indichi finalmente x an numero qualunque ed 



971(0 



a e a' due numeri delia forma — -, È chiaro che per ogni od si possono sce- 



gliere a ed a' in modo che sia a < .x < a', 
e' piccoli a piacere. Si avrà 






= l-e , 



a; 
a 



= 1 + 6', con e ed 



/ N / N / .\ « «(«) «f«) «(«') a' 



a' a 05 .a' a 



Gì a 

al tendere di ac comunque a zero —j ed — si possono far tendere ad 1 ; allora 

^-^ ed -^ tendono ad Z e quindi anche -^ — tende ad h II limite l si può 
a a X 

calcolare coirapprossimazione che si vuole mediante le espressioni 






ove X, 



= V^ 



+^v.| 



2 



Se poi si vuole che sia Z = i, nel qual caso S(a;) = senx e G(a7}=:cosa3, dovrà 
essere (O uguale al limite della successione 



T'^^-^ /-i^'.--- <«' 



)( « )( 

[II quadmplo di questo limite è tc. Difatti se ^ è la metà di una corda presa sa 
di un cerchio di raggio 1 ^ la metà della corda sottesa dall'arco metà è 



)/ 



1 - \/l - v* 

-^-. Allora partendo dalla metà del lato del quadrato iscritto, ossia 



2 



da X, = — T^ , si trova che la metà del lato del 2''"*"*- latero regolare iscritto è 



^ 



l — A» 

— S — = P« > giacché, sapposto che sia 



P, 






Danque la saccessione p^ '2p^ , 2* p, , 2' p, . . . , che per deP. della Geom. Elem. 

ha per limite -^ , coincide colla successione (6) ]. Si conclude ora che tutte le 

S (jc) e C (ac), ottenibili per diversi valori di w, sono della forma sen kx e eos kx 

con& = t— . Anzi ora è facile dimostrare che due 8{x) e q(x) (definite come in 

principio) nel campo dei numeri reali debbono essere di tale forma. Difatti la 
s(x) in Xo abbia il valore ^(Xq), che possiamo supporre numericamente minore 
di uno, essendo la 8{x) continua ed «(0) =: : si potrà sempre trovare un numero 
k tale che sia sen feXo = «(Xo)* Allora, come risulta dalFapplicazione delle solite 
leggi formali, la 8{x) e sen kx riescono coincidenti nei punti XXo > con X razio- 
nale ; e siccome questi punti costituiscono un assieme uniformemente condensato 
da + a — 00 e le 8{x) e sen kx sono continue^ risulta che esse coincidono per 
ogni a;. Similmente per c{x), come si può mostrare in modo analogo, oppure col- 
Taiuto della e* -f «* = 1. 

Passiamo ora a definire l'esponenziale a^^ per valori reali di x. Dalla e^-^ 
= coshx+senh a? , ponendo 205 per as, si ha 6**=coshea7H-i(— isenhta;) = c(a5)+z»(x*), 
essendo c(x) e s(x) una coppia di funzioni circolari corrispondenti nel senso de- 
finito in principio. Se c(x) ed s(x) debbono esser reali, allora si è provato che 
deve essere c{x) = cos kx, fi(.r) = senfcx, con k costante, ed in tal caso si dovrebbe 
porre per definizione e'"' = cos kx ■¥ i sen kx , con k costante da determinarsi. 
Ha ammettendo la eventuale esistenza di coppie di funzioni c(x) ed 8{x) , che 
siano complesse per valori reali della variabile, potrebbe nascere il sospetto del- 
l'esistenza di esponenziali, che nel campo dei numeri immaginari non fosse della 
forma 

cos [ k (— ix) ] + i sen [ fc (- io?) ]. 
Questo dubbio viene tolto nel seguente modo. Si ponga 

8{x) = T(a?) + iV(aj) , e (ae) =5 t{x) 4- iv (x) ,- 



)( ii )( 

donde 

e'*' = c(x) + iv(x) = (e - V) + i(t; 4- T) = A + ìB , 

essendo T, V, <, v, A, B funzioni reali dì variabile reale. Dalla e** = A + iB si 
ricava sabito, nel modo solito, che A e B soddisfano alle leggi formali (e) 

A(x+j/) = A(aj)A{ì/)-B(x)B(2/) , B(xl-y) = A(aj) B(y) 4- A(v) B(r) , 

e che per x^Oè A=i e B^^O; che A-tB è ancora un esponenziale e quindi che 

(A + tB)(A-tB) = A* + B* 



è un esponenziale a* reale e di variabile reale. Allora si ricava B = f V»*— A 
e quindi 



A(a5 + y) = A(a5) A{y) ^ V(a* - A}{x)) - x^aV - AMy)) 
Ma dalla (e), ponendo y = — a?, si deduce 

^ , , A(x) „, , B(x) 

C« Ci 



allora Teguaglianza precedente per y = — a? diventa 



l = ^^±^(a--A«), 



che è soddisfatta, senza portare un evidente assurdo, soltanto per a = 1 , ossia 
per A* + B*= 1. Ma allora le funzioni reali di variabile reale A(a?) e B{jx) sod- 
disfano alle tre leggi fondamentali , che permettono di concludere che A(x) = 
cosfcx e B^a7) = senAyc. Si conclude che e'* = cos Amo + i sen A:x , e che non esi- 
stono funzioni c(x) ed 8{x) che siano complesse per x reale, giacché calcolando 
T , ^ , V , V in funzione di A e B, si troverebbe con tutta facilità 

^' 2(A« + B*) 2(A» + B») 

e similmente e(x) = A, Si è danqae portati ad ammettere l'identità 

^ = cos kx-i- i sen kx. 



)( 46 )( 
Se poi z è ana variabile complessa = t^ + tv si porr& 

e' = e'**'^ = é^ e'^ == (co3b [x + senh pi) (cosk v + t senk v). 

La «' in tatto il campo dei numeri complessi sarà un esponenziale nel senso 
dichiarato in principio. Difatti essa soddisfa alla legge iterativa, perchè • 

ed è continna , perchè lo sono le funzioni reali cosh (ìl , senh pi , cosk v ^ senk v. 
Si conclude da questo che la continuità e l'uniformità non sono condizioni sufficienti 
per afiférmare che in tutto il campo dei numeri complessi una funzione itera- 
tiva sia della forma e^', con e** definito dall' identità di Eulero e"=cosa;+t8ena;, 
mentre lo sono quanto si restringa la variabile al campo dei numeri reali ; e 
ciò contrariamente a quando avviene per le funzioni distributive, per le quali, 
come è noto, basta l'uniformità e la continuità per ridurle alla forma Acx in tutte 
il campo dei numeri complessi. (Si vegga la Nota sulle funzioni distributive 
nella recente Opera dei prof."^ Pincherle e Amaldi «sulle Operazioni distributive >)• 

Consideriamo ora il lim , o , ciò che manifestamente è lo stesso , lim \ =s 



lim al tendere di X e pi a zero. Si avrà 

2 (X+t» 

lim 5 = lim ^^^^IzJ:^'^ = lim ^^f-^'^^,^ senhXcosj^4./coshXsenA.,. 

2 (X + i» 2 (X + ipi) X + t> 



Ora si ha 



linx EL cos X = A: 



e fuori dal limite sen A;[Ji cos X = /c|x + pie e similmente sen X cos A;pL = X + Xe', es- 
sendo e ed €' due numeri che tendono a zero assieme a X e pi. Risulta : 

,. . ,. X f Xe' 4 i (fcpL + pie') ,. X + A:pLi ,. Xe' + ipis 

lim 5 = lim T-\— — '^ = l>m ^^ r- + lim -;j r^. 

X-ftpi A + ipi X + ipi 

Ora si supponga A; = 1 ; si avrà 

X + spi 
Se poi è A?=|=: 1, non può essere lim S = 1, giacché si ha 

,. X + tA:pL . _, i(A:- l) 

hm ^ , . = 1 + lim -rr , 

X -»- tpi \^ ^ 



)( 46 )( 

che varia al variare di lim — e che non ha limile quando non l'ha questo rap- 

V- 

porto. Se dunque si vuole che e' sia funzione uniformei finita in tutto il campo 

dei numeri complessi, che goda della proprietà iterativa e che sia lim = 1 

z 

si deve porre e^^ ^ cosce -hi seno;. Finiamo osservando che tenendo la via da 
noi seguita nel definire a*, vien messo in tutta evidenza il carattere convenzio- 
nale deiridentità e** = cos x -{-i sen x. 

Ciò non apparisce a prima vista, quando nel modo solito si definisce la e* 
mediante la serie esponenziale. Questo avviene perchè una serie di potenze , 
quando definisce una funzione, essa non può essere che analitica. Ora il porre 

"e* - 1 

e** = cos X + i sen x allo scopo che si abbia lim = 1 , equivale appunto ad 

z 

esigere che la e* sia funzione analitica , cioè che si abbia lim = 

e* - l 
e* lim , determinato ed indipendente dal modo in cui z tende a zero. 



Iglesias^ 31 Marzo 1902. 



)( 47 )( 

SULLE VARIETÀ DEL QUARTO ORDINE CON PIANO DOPPIO 

DELLO SPAZIO A QUATTRO DIMENSIONI 

NOTA 

DEL 

Dott. GIUSEPPE MARLETT^. 

(Contin.y Voi. XL, pag. 265-274) 



II. 

Rappresentazione spaziale della varietà T, 

14. Teniamoci per ora nel caso più generale di una varietà r d' ordine n 
con un piano ic multiplo secondo n — 2; sulla quale (n. 12) esiste una curva e 
d' ordine r con r — 1 punti in tc. 

Un iperpiano I passante per it seca e in un sol punto variabile, dal quale 
proiettando la conica secondo cui t: è secato dalla quadrica ulteriore interse- 
zione di r con 1 ^ si ottiene un cono quadrico. Al variare di £ questo cono ge- 
nera una varietà rigata II. Per aver l'ordine di questa, osserviamo che per un 
punto A di II passano le n — 2 generatrici di essa, congiungenti A con gli n-2 
punti di e fuori da n, dove questa curva è secata dagli n-2 iperpiani tangenti 
a r in A. 

Inoltre, anche le r— 1 rette che uniscono questo punto con gli r — 1 punti 
di e che stanno in ic, sono generatrici di n : dunque la multiplicità di ic per U 
è (» — 2) + (r — 1) = n + r - 3 ; per conseguenza l'ordine in quistione è 

(n + r - 3) + 2 = n + r - 1. 

Evidentemente, poi, la curva e è doppia per II. 

Le due varietà r e D, che si toccano lungo ir, si tagleranno, a prescindere 
da questo piano, lungo una superficie 7 d^ordine 

n(n + r - 1) - f (n - 2)(n 4- r - 3) + (n - 2) ] = 3n + 2 r - 4, 

contenente la curva e come doppia. 

Un iperpiano £ per ic seca la superficie 9, fuori da questo piano nelle due 
sole rette comuni alla quadrica e al cono (ulteriori intersezioni di 1 rispettiva. 
mente con le varietà r e II) : ne segue , che la superficie 9 è secata da r: 
lungo una curva d'ordine 3 n + 2 r — 6. Inoltre , poiché questa curva è ipcrel- 
littica, e sono in tutto (n® 7 bis) 4 » - 6 i punti doppi della sua involuzione 
quadratica, essa è del genere p = 2ri — 4. 



){ 48 )( 

È poi evidente, che questa superficie f si può considerare come il luogo 
delle coppie di rette di F incidenti ic e secantisi sopra la curva e. 

15. La semplice infinità dei piani delle coppie di generatrici coniugate sulla 
rigata iperellittica 9 , costituiscono una varietà S di cui vogliamo trovare V or- 
dine. Cerchiamo primieramente il numero di essi piani, che passano per un punto 
arbitrario M di tc. Perciò, nel fascio di raggi di ic avente M per centro, s'istitui- 
sce una corrispondenza di Chasles; chiamando corrispondenti due raggi, ogni 
qualvolta proiettano due punti coniugati della curva iperellittica 91C. 

Di questa corrispondenza grindici sono eguali entrambi adn + 2r — 6, e 
quindi le coincidenze saranno 2(3» '^ 2r - 6): dalle quali togliendo le 4n — 6 
coincidenze dovute ai coni quadrici in iperpiani passanti per ic, e le 2 (r — 1 ) 
coincidenze dovute agli r— 1 punti in cui la e è secata da ir, rimangono 2(n+r— 2) 
coincidenze; e però concludiamo, che le rette congiungenti due punti coniugati 
della curva 917, e passanti per M sono in numero di n+r— 2 (*). Ne segue, che 
la multiplicità del piano ic per la varietà S è n+r— 2 / e che per conseguenza 
questa varietà è d'ordine n + r — 1. 

La totale intersezione di S con P, a prescindere da ic, è la superficie 9. 

16. Consideriamo ora in particolare il caso di n = 4. 

Un iperpiano Q ' non passante per 1;, sechi questo piano lungo una retta t\ 
la 9 in una curva fj e le varietà S e li rispettivamente nelle superficie i' e 
ic'. Se ora noi ci serviamo del metodo esposto nel n^ 11 , per mettere in corri- 
spondenza biunivoca la data varietà P con Tiperpiano Q', prendendo come di- 
rettrice una retta e e di P, non incidente k, possiamo subito affermare che Ttm- 
magine di questo piano in tì' è la superficie n'. La curva f* è (n® 14) del de- 
cimo ordine, si appoggia in otto punti alla retta t' , ed ha il punto O'^cQ' 
come doppio. 

Le rette di P incidenti 1: e che si appoggiano alla e , riferiscono la curva 
f e questa retta, m modo che ad un punto di e corrispondono due punti di/"; 
mentre ad un punto di f corrisponde un sol punto di e. Osservando inoltre che 
i punti di diramazione sulla retta e sono dieci, indicando con p il genere della 
curva f ed applicando una nota formola di Z e u t h e n , si ha j> = 4. 

16bi8. Nel caso generale di una varietà d'ordine n con un piano (n-2)plo , 
si ha p = 2 n — 4. Come del resto doveva essere, giacché la rigata 9 è (n, 14) 
di tal genere. 

17. Per un punto qualunque di ic passano due rette le quali si appoggiano 
alla e , e sono situate nei due iperpiani tangenti a P. Ne segue che le due im- 



O Altrimenti vedi Segre. « Intorno alla geometria sopra una rigata algebrica 
Eend. d. R. Acc. dei Lincei, IV, 3, 1887j. 



)( 49 )( 

magini dì quei punto saranno allineate col punto 0'. Ma questo punto è doppio 
per i:'^ che è una superfìcie del quarto ordine : quindi concludiamo che una 
retta qualunque di fì' uscente da 0' seca ulteriormente rw' in due punti, che 
sono immagini di uno stesso punto di n. 

Se rammentiamo {}) che, data una superfìcie del quailio ordine con una 
retta doppia, esistono otto piani passanti per questa che secano ulteriormente 
la superfìcie in una coppia di rette : e che, se la superficie ha un punto doppio, 
due di questi piani vengono assorbiti da quello determinato dal punto doppio 
e dalla retta doppia; ritroviamo (n® 1) che nella semplice influita di coniche 
determinate in u dalle quadrlche ulteriori intersezioni di r con iperpiani per esso, 
ve ne sono sei spezzate in due rette. 

18. Nella corrispondenza birazlonale fra i punti di P e di Q', gli elementi 
fondamentali di Q' sono la retta V, la curva /" e il punto 0'. Ad un puuto D' 
di i', considerato come appartenente ad tì', corrisponde in V la cubica (piana) 
ulteriore intersezione di questa varietà col piano D'c. Al punto fondamentale 
O'j considerato in Q', corrispondono in F tutti i punti della quadrica situata nel- 
l'iperpiano O'ir. 

Infine ad un punto E' di f'j considerato anch'esso come appartenente ad Q', 
corrispondono tutti i punti della retta di P incidente ic , che passa per E' , (e 
che si appoggia alla retta e). 

Gli elementi fondamentali della varietà T sono : il piano n , la retta e, e la 
conica giacente nel piano 0' f , conica che chiameremo e. 

Ad un punto A di i: corrispondono i due punti, tracce in tì' delle congiun- 
gonti A coi punti in cui la e è secata dai due iperpiani tangenti a V in A. Ad 
UD punto B di e corrisponde la traccia in ù' del piano tangente in B alla qna- 
drica ulteriore intersezione di T coll'iperpiano Bn. Infine ad un punto C di «, 
considerato come appartenente a T, corrispondono in 0' tutti i punti della ret- 
ta 0' e. 

19. Sia k una curva di T, d'ordine m, ed avente a punti in ir, b punti in e, 
e t in e. 

Un iperpiano variabile Z passante per ic seca ulteriormente k in m—a punti, 
che chiameremo corrispondenti del punto le. La rigata ^ , generata dalle con- 
giungenti due punti corrispondenti, è d'ordine 2m - a-6, ha la retta e come 
direttrice multipla secondo «i - a, ed è secata da t; lungo una curva d'ordine 
m-b. Ne segue che l'immagine A:' di A; in ft' è una curva d'ordine 2w— a— 6— ^, 
che ha m-b-t punti sulla retta <', si appoggia in 4m -iJa-26 punti alla f, e 
che infine contiene il punto O' come multiplo secondo il numero m-^^i-t. Vice- 
versa è facile dimostrare che in Q' una curva definita come k* è im^magine di 
una curva di P definita come k. 



(*) Vedi, p. es. , Salmon. < Traité de Geometrie Analytique » III partie (par 
0. Chemin) §§ 655, 557. 

VOL. XLl. 7 



)( 50 )( 

20. Pongasi in particolare a=m—l , e t-0. Si ha: ordine di k'=?w+l— b; 
numero di punti di k' in t'—m— b; numero di punti in f=3+m-2b; multipli- 
cita di 0'= 1. 

Quindi abbiamo che la curva razionale k' soddisfa a 2+(7n— 6)+-(mf3— 26)= 
^ 2m — 3ò + 5 condizioni; e per conseguenza le curve (razionali) della nostra 
varietà r, d'ordine m con m—I punti in it (e nessun punto in e), sono in numero 
4(7n + 1 — 6) - (2m — 36 + 5) = 2m — ò - 1 volte infinito. 

Ciò d'accordo col fatto che le curve m del n^ 12 sono in numero 

(4a?+4i/+42-6) - (n+2a:+2i/-f2«-5) = 2(a5+j/+2-2)+3-n 

volte infinito; e che, nell'ipotesi ac+i/+2;— 2=wi , n=4, e 6=0, questo numero è 
precisamente 2m-l. Si può osservare che, affinchè esistano in r cui've d'ordine 
m aventi m-1 punti in ir, deve essere 2m>n — 3, se T si suppone d'ordine n, 
con ^ in qualità di piano (n - 2)plo. Facendo 6 = ; n = 4 , e successivamente 
7M = 1 , 2 , 3 , si hanno i risultati seguenti : 

1) Una retta di r che non incontra i:, né e , né e, ha per immagine una 
conica passante per il punto 0', la quale si appoggia in un punto alla retta t\ 
e in quattro punti alla curva /' : e viceversa. 

2) Una conica di F avente un punto in i;, e che non incontri né e, né la 
conica e, ha per immagine una cubica gobba, che passa semplicemente per 0' 
si appoggia in due punti alla t' e in cinque punti alla f : e viceversa. 

3) Una cubica gobba di F, avente due punti in i: e nessun punto in e o 
in 6, ha per immagine una quartica (di seconda specie), che passa semplicemente 
per 0', si appoggia in tre punti alla t', e in sei punti alla f : e viceversa. 

21. Sia data ora in Q' una curva A:' d'ordine «, che abbia a' punti comuni 
colla retta V, V con la curva f (fuori da t') ; e che inoltre abbia il punto O' per 
multiplo secondo il numero q. 

Kipetendo le considerazioni analoghe a quelle, che si fecero al n.o 19, pos- 
siamo concludere che V é Timmagine di una curva A: di F d'ordine m=5«-3a'— 6'-25', 
avente 6 = 4s — 3a' — 6' - g^ punti sulla retta e, secata in a = 4« - 2a' — 6' — 2$ 
punti dal piano t<\ e che infine ha t^ s — a^ — q punti in comune con la conica 
fondamentale e. È facile vedere che, viceversa, una curva di F definita come 
la kf ha per immagine nello spazio Q' una curva definita come la k\ 

21 bis. Nel caso generale di una varietà F d' ordine n con un piano t; 
n — ~)plo^ se indichiamo con e una curva direttrice della varietà, cioè una curva 
(razionale) d'ordine r, con r — 1 punti in ic, i due sistemi di relazioni che, data 
la curva k' di tì', ci danno i numeri caratteristici della corrispondente cur- 
va A; di F; e che, viceversa, data questa ci danno i numeri caratteristici della 
(corrispondente W di ù\ sono 1 seguenti : 

w - (n + r){s - a') + 2a' — 6' - 22g< 

a = (n + r - 1)(« - a') + 2a' - 6' - 21q^ 

(1) 

6 = 8(71 + r - 1) — a\n + r — 2) - 6' - Iq^ 

t^ =8-- a' --qi (i = 1, 2, ... , r) 



)( 51 )( 

/ s = r{m — a) + w - 6 | Zt^ 

a'= r{m — a) + a — 6 — S<< 

(2) 

6'= (r + n){m — a) — m — 2{V — a) 

^,-= TU — a — << (i = 1, 2, ••• , r). 

Dove la lettera t^ (i^ly 2, ... ^r) sta per indicare il numero dei punti, che 
la curva k ha in comune con la conica e,- (t = 1, 2, ... ,r)',eqi rappresenta la 
moltipHcità della curva A;' nel punto 0',- (i = 1, 2, ... , r). 

22. Alle sezioni piane d di r corrispondono in Q' sestiche d' del genere 2?=2, 
con quattro punti sulla retta t'y aventi il punto 0' come doppio, e che si appog- 
giano in altri dieci punti alla curva fondamentale /". Abbiamo cosi diciotto con- 
dizioni per le (\) a>** sestiche di genere p= 2 in 0', d'accordo col fatto che 1 
piani di S4 sono oo^ 

Ad una generatrice qualunque della quadrica, che r ha in un iperpiano ar- 
bitrario I passante per t:, corrisponde nello spazio Ì2' una re tta, che si appoggia 
in un punto alla t', ed in un punto anche alla f. Questo è uno dei due punti, 
dove questa curva è incontrata, fuori dalla t'y dal piano ZQ'. 

Ad una retta generica ^' di 0' corrisponde in r una curva del quinto or- 
dine (appartenente allo spazio ordinario), che ha quattro punti (allineati) in n, 
altri quattro sulla retta fondamentale e, ed uno sulla conica e, 

23. Analogamente a quanto si fece nei numeri 19 e 21 per le curve , pos- 
siamo dimostrare che, data una varietà r d' ordine n con un piano tt multiplo 
secondo n — 2, se indichiamo con p l'ordine d'una sua superficie avente in ic per 
traccia una curva d'ordine a, , e che abbia inoltre la curva direttrice e multipla 
secondo p, , e la conica s^ (i = 1, 2, ... , r) multipla secondo x,- ; e se indichiamo 
con o l'ordine della superficie ad essa corrispondente in fì' ; superficie per cui 
la retta t' è multipla secondo a, la curva f è multipla secondo p, ed il punto 
O'i (i = 1, 2, ... , r) è -y^ — i^^o, si hanno 1 seguenti due sistemi di relazioni : 



(1) 



p = (n + 2r)a - (» + 2r — 2)a - {Su + 2r — 4)3 - 2ì:^ ^ 
a, = (n -I- 2r - 2)o — (n -t- 2r - 4)a - (3/i + 2r — 6)? - 22^, 
p, = o-a-2? 
T^ = - a - Y< (i = l, 2, ... , r) 



(*) S e g r e — " Recherches génórales sur les courbes et les surfaces róglées 
algebriques „. Math. Annalen, Bd. XXX, 1887. 



(2) 



)( 52 )( 

4a = (n -f 2r + 2)p — (2r + n)a, - (4r +- 4?i - 4)g, - 42t^ 

4a = (n + 2r - 2)p - (n + 2r - 4)a, - (4r -f 4» - 8)?, — 411^ 

2p=p-«,-2?, 

Ti = P - «I - ?« - "^i (t ^ 1, 2, ... , r). 



24. Da queste relazioni deduciamo per n = 4, ed r = 1, che ad una sezione 
iperplanare e della varietà quartica r, corrisponde nello spazio tì' una superfi- 
cie e' del quinto ordine, che ha la retta t' come tripla, il punto 0' come doppio, 
e passa semplicemente per la curva /'• 

Ad un piano generico di Q' corrisponde in V una superficie del sesto ordine, 
secata da t: lungo una quartica, che passa semplicemente per la retta e e per 
la conica e. 

25. Vogliamo ora dimostrare che gli elementi fondamentali dello spazio Q\ 
cioè la curva f e la retta t^j sono i soli elementi jondamentaìi dello spazio rap- 
presentativo di r ; cioè vogliamo dimostrare, come per essi venga individualo 
un sistema lineare co* di superficie s' del quinto ordine, aventi la retta V tripla, 
il punto 0' doppio, passanti semplicemente per la curva f, e non aventi altri 
punti o linee in comune. 

Sappiamo (') che le superficie del quinto ordine con la retta V tripla, sod- 

3-4 
disfano per ciò solo ad Nj = ^^— r(3'5 -- 2«3 + 5) = 28 condizioni lineari, indipen- 

2 • 3 

denti, e, se inoltre debbono avere il punto dato 0' come doppio, dovranno per 
ciò soddisfare ad altre quattro condizioni. Quindi possiamo aflFermare che le su- 
perficie del quinto ordine colla retta t' tripla ed il punto 0' doppio, sono, al- 
meno, in numero 1 ( 1 ) — li — 28 - 4 = 23 volte infinito. Queste superficie se- 
cano la curva f, fuori da t' e da O', in 10«5 - 8-3 - 2-2 = 22 punti ; e quindi 
sopra /' esse determinano una serie lineare di gruppi di punti d'ordine 22, e di 
una certa dimensione q, È evidente che, una volta conosciuto il numero q, ba- 
sterà far passare una superficie del quinto ordine, come quelle che si conside- 
rano, per 2+1 punti scelti ad arbitrio sulla f, perchè questa curva giaccia per 
intero sulla detta superficie, cioè il numero 5 -f 1 sarà la postulazione della f 
rispetto alle superficie del quinto ordine, con t' tripla ed 0' doppio. 

Ora è noto (') che, se g'> Q— p (dove Q e p sono rispettivamente Tordine 
della serie lineare di gruppi di punti e il genere della curva), deve essere 
Q < 2p — 2. Nel nostro caso è invece Q > 2^? - 2, perchè è Q = 22 e p - 4, quindi 



(') No e ther — 1. e. 

(•) Brill-Noet'her — ** Ueber die algebraischen Functionen und ihere An- 
wendung in der Geometrie „. Math. Annalen, Bd. VII. 



)( 53 )( 

è, nella presente qnìstìone, Q<Q^Pì ossìa ^<18. E in allora le superflcìe del 
quinto ordine con t' tripla, 0' doppio, e passanti semplicemente per f, costitnl- 
scono un sistema lineare (e') di dimensione y> 23 — (18 + 1), cioè y>4. Il si- 
stema (e') seca un piano qualunque (o, non passante per 0', né per t'y secondo 
un altro sistema lineare (e') di curve del quinto ordine e genere p = 3 , che è 
della stessa dimensione y ; atteso che co non può staccarsi da alcuna superficie 
del sistema, per l'ipotesi fatta. Ammettiamo ora, se pure è possibile, che le su- 
perficie del sistema (e') abbiano tutte in comune, oltre delle t' ed f, una curva 
semplice (anche spezzala) d' ordine wi, numero che, evidentemente, deve soddi- 
sfare alle limitazioni : 1 < w < 6(= 5* — 3* — 10). Se e è una curva generica del 
sistema lineare (fi'), su di essa le altre curve di questo sistema staccano una 
serie lineare d'ordine 6 — w e di dimensione 2/ — 1>3. Ora giacché si ha: 
(1) y — 1 > (6 — 7n) - 3 (3 essendo il genere delle curve e'), deduciamo che si 
deve avere : 6 — w < 2 • 3 — 2, cioè m > 2. 

La (1) ci dice che la serie lineare di gruppi di punti sulla curva e, è una 
serie speciale; quindi dovrebbe essere secata sulla e da coniche aventi il punto 
t'iù come doppio, le quali perciò non potrebber formare un sistema lineare più 
che 00*; il che contraddice ad y— 1>3. 

Ora possiamo subito dimostrare che è y — 1 = 3, cioè y = 4. Infatti sappiamo 
che, se si ha Q > 2/? — 2 deve essere g<Q —p', ma nel nostro caso (non aven- 
dosi, come si è dimostrato, alcun'altra curva comune alle superficie e', dalle t'^ 
ed f in fuori) è precisamente 6 > 2-3- 2: quindi sarà y— 1<6-3, cioè y-l<3; 
quindi y — 1 = 3, ossia y = 4, e. v. d. 

In modo analogo si prova, che non possono esistere punti fondamentali sem- 
plici staccati. 

Poc'anzi abbiamo tacitamente supposto la non esistenza d'una retta fonda- 
mentale doppia (6 — 4 rz 2), o di un punto fondamentale doppio staccato. Ora si 
osservi che, se le curve del sistema lineare (e') avessero un punto doppio co- 
mune, sarebbe 6-4 = 2 il grado della serie caratteristica; la quale per ciò non 
potrebbe avere più che due dimensioni^ in opposizione ad y - 1 > 3. 

26. Data una retta e di ? non incidente ir, vediamo quante siano le rette 
della varietà che si appoggiano a quella senza incontrar questo piano. 

8e d è una di tali rette, il piano de secherà ulteriormente la varietà lungo 
una coppia di rette uscenti dal punto D, dov' esso incontra ic. Ne segue che D 
è un punto doppio per la traccia in te della superficie f (n.o 14) relativa alla 
retta e. Viceversa, se D è un punto doppio per tale curva, il piano De conterrà, 
oltre la retta e, due rette uscenti da D : e quindi anche una quarta retta, non 
incidente tc, ma incontrante e. Ora la curva t^z è (n.o 14) dell'ottavo ordine, di 
genere p = 4, ed ha perciò diciassette punti doppi ; dunque : 

« Una retta qualunque della varietà T non incidente il piano doppio ic , è 
incontrata da altre diciassette rette della varietà non incidenti a quel piano ». 

Questo risultato si poteva anche ottenere dalla rappresentazione spaziale di 
r, osservando che una retta di questa varietà, che non incontri n, ma che si 



)( 54 )( 

appoggi alla retta e, ha per immagine sullo spazio rappresentativo una retta 
uscente dal punto fondamentale 0'^ la quale incontra in altri due punti la curva f. 



ni. 

Punti doppi staccati della varietà V. 

27. Vogliamo ora trovare il massimo numero finito di punti doppi, che la 
varietà quartica r può avere fuori dal piano i: , senza contenere una linea , nò 
una superficie doppia. 

Abbiamo visto che per il piano k passano (n.o 6) dieci iperpiani ciascuno 
dei quali seca ulteriormente la varietà secondo un cono quadrico, JSe M è un 
punto doppio staccato di F, Tiperpiano Mir assorbirà due di questi dieci iper- 
piani : come si può vedere esprimendo, nell'equazione della varietà, che il punto 
fondamentale D, p. es., sia un punto doppio per essa. In allora, procedendo come 
è accennato alla fine del n.o 6, si staccherà da quel certo discriminante il fattore 
X* ; e ciò significa, che dei dieci iperpiani, due coincidono con quello fondamen- 
tale di equazione scg = 0. Adunque tutti i punti doppi staccati che la varietà r 
può avere, potranno essere distribuiti al piii in cinque iperpiani passanti per ir. 

Vediamo ora quanti ve ne possono essere in uno qualunque £ di questi cin- 
que iperpiani. 

Se ve n'è un solo A, la quadrica ulteriore intersezione di 2 con T è un cono 
quadrico, che ha il punto A per vertice. Questo cono, poi, degenera in due piani 
|ji e V, se r acquista un altro punto doppio staccato A| in I. Evidentemente le 
due rette icijl e icv sono bi tangenti alla quartica i (n.o 3), luogo dei punti cuspi- 
dali del piano ir. Se quindi è S un iperpiano qualunque passante per pi, l'ulte- 
riore intersezione di S con V sarà una supei^ficie cubica t secante [jl nella retta 
piic, e in una conica che passa per A ed A, e pei due punti in cui la quartica i 
è toccata dalla retta {atc : perchè in ciascuno di questi due punti accade, che i 
due iperpiani tangenti a r coincidono con 2), e quindi in essi il piano \k è tan- 
gente alla superficie cubica i. 

Al variare di S si ottiene in pi un fascio di coniche, i punti base del quale 
sono i quattro punti testé nominati. 

Si noti ora che, oltre di questi due punti dóppi , la varietà P in £ non ne 
può avere alcun altro. Infatti se un terzo punto doppio staccato fosse nella 
retta AA, , questa sarebbe doppia per T, in quanto si appoggia a ;:; e noi per 
ipotesi abbiamo ammesso che la varietà non abbia che un numero finito di punti 
doppi fuori dal suo piano doppio. Se poi C fosse fuori della retta AA, , i due 
piani [A e V coinciderebbero ; e in allora la quartica i (n.o 3) acquisterebbe due 
punti doppi sulla retta pur ^ vi: : giacché Tinviluppo della serio di coniche d'equa- 
zione (1) (n.o 7), ha per equazione: 4m,i^| — t?,* = ; e quindi, se è ^=: Gl'equa- 
zione della retta piir ^ vii, cioè se si ha w^ = t^, la quartica i acquista due punti 
doppi nei punti r, = , f = 0. 

Pertanto la conica ulteriore intersezione di pi ^ v con la superficie cubica x, 



)( 55 )( 

dovendo passare pei tre punti A , A, , C, e per quei due punti doppi della i, 
non muterebbe al variare di S ; e per conseguenza sarebbe doppia per T, ciò 
che contradice alla ipotesi testé rammentata. 

Concludiamo adunque : 

« Il massimo numero finito di punti doppi che la varietà quartica T può 
avere fuori del suo piano doppio t:, è dieci ; e questi dieci punti doppi saranno 
divisi in cinque coppie, ciascuna delle quali determina una retta incidente ic. 

27 bis. Una varietà d'ordine n con un piano tc (n - 2)plo, può avere fino a 
4n — 6 punti doppi staccati, divisi in 2n — 3 coppie, ciascuna delle quali deter- 
mina una retta incidente ic. 

28. Sia A un punto doppio staccato della varietà quartica F. Il co7io sestico 
a due dimensioni costituito dalle rette uscenti da esso e che incontrano ivi V in 
quattro punti riuniti, si spezza nel cono quadrico di V che giace neiriperpiano 
Ar, e in un cono x del quarto ordine. 

Sia g una delle quattro generatrici di / che incontran i:. Il piano tangente 
a )^ lungo questa retta seca ulteriormente la varietà in una cubica, che oscula g 
in A, e che inoltre passa per il punto gz. 

Ne segue che da essa si stacca la retta g\ cioè che 11 piano tangente a / 
lungo la g, tocca ? lungo questa stessa retta. Dunque la varietà P ed il cono / 
si toccano nelle quattro generatrici di quest'ultimo incidenti il piano t:. 

Da ciò ne inferiamo senz'altro che « le rette di V uscenti dal punto doppio 
A e non incidenti tc sono otto y>, 

29. Sia A un punto doppio staccato di V, ed r una delle otto rette di questa 
passanti per esso. Le rette di P incidenti i: e che si appoggiano ad r, costitui- 
scono una superfìcie del decimo ordine composta del cono quadrico ulteriore in- 
tersezione di P coir iperpiano Ai: , e di una rigata e deli' ottavo ordine , la cui 
traccia in i: è una sestica iperellittica o del genere ^7 = 3, giacché sono otto i 
punti doppi della sua involuzione quadratica. Se Q è un punto doppio di questa 
curva, il piano Qr secherà P nella r, in due rette uscenti da Q, di cui nessuna 
passerà per A, ed in un'altra retta, non incidente ic, ma uscente da A ; giacché 
questo punto è doppio per la varietà. Ora i punti doppi della sestica o sono 
sette ; quindi per A passano, oltre della r, altre sette rette di P non incidenti il 
piano 7C. È evidente poi che, viceversa, ad ogni retta di P uscente da A e non 
incidente ir, corrisponde un punto doppio della curva o. Adunque concludiamo, 
di nuovo, che per il punto doppio A passano otto rette di P non incidenti i:. 

Se dalle dodici intersezioni della o con la q, traccia in ic del cono quadrico 
staccato dall'iperpiano Att, si escludono le tracce delle due generatrici di questo 
cono che sono posizioni limiti di generatrici della rigata 9, si ottengono dieci 
punti, che in corrispondenza ci danno dieci rette di P non incidenti ir, le quali 
si appoggiano alla r, senza passare per A. 

Complessivamente la r è incontrata da diciassette (n.o 26) rette della varietà, 
non incidenti il piano doppio di questa. 



)( 56 )( 

Analogamente si ragioni, se la varietà r ha un altro punto doppio A| nel- 
Tiperpiano Ai:. 

30. Supponiamo ora che r abbia quattro punti doppi staccati A ; A, , B , B« , 
divisi in due coppie in iperpiani passanti per v. Siano a , a, ; p , p, le coppie di 
piani in cui si specializzano le due quadriche ulteriori intersezioni di F coi due 
piani At:^A,u e Bir^B,!:. Se r è una retta della varietà non incidente u ed 
uscente da A, essa incontra uno solo, p. es., p, dei due piani p , f,. Nella pre- 
sente ipotesi, il luogo delle rette di V incidenti ir, e che si appoggiano ad r, è 
costituito dai piani ot , a, , ^^ e da una rigata 9 del settimo ordine, la cui traccia 
in 1: è una quintica del genere p = 2, Se Q è un punto doppio di 0, nel piano 
Q7' esisterà una retta di r non incidente ir, la quale passa per A e incontra p,. 
Se T è un punto comune alla curva ed alla retta fir, diverso per altro dalle 
tracce di quelle due rette di g che son posizioni limiti delle generatrici di 9 ; 
allora il piano Tr, conterrà anche una rette di r non incidente ir , uscente da A 
e che incontra p. Ma i punti doppi di sono quattro, e i punti comuni a questa 
stessa curva ed alla retta ^k sono cinque : dunque concludiamo che dal punto 
doppio A escono otto rette di r, quattro delle quali incontrano solamente il 
piano p, e le altre quattro incontrano solamente p,. 

31. Abbia T altri due punti doppi C , C, in uno stesso iperpiano per 1: ; e 
siano Y , "Vi i due piani di P, in cui si specializza la quadrica ulteriore interse- 
zione di essa coiripcrpiano Cii^C|ir. Sia inoltre 7 il piano incontrato dalia r. 
Il luogo delle rette della varietà che incontran 1: ed r, è costituito dai piani 
* > ot, , p , 7 , e da una rigata del sesto ordino, la cui traccia in ir è una quartica 
ellìttica 0. Se Q è un punto doppio di questa, il piano Qr seca? nella ?•, in due 
rette uscenti da Q, e lungo un'altra retta non incidente ir, la quale passa per il 
punto doppio A. Questa retta poi evidentemente incontra soltanto i piani f, e 7,. 
Se T è un punto comune alla quartica ed alla retta §7, il piano Tr conterrà 
una retta di F non incidente r, la quale passa per A ed incontra i piani § e 7,. 

Punti come T ne abbiamo qui due ; giacché bisogna escludere le tracce in r. 
delle due rette di ^^ posizioni limiti delle generatrici di 9. Analogamente due dei 
quattro punti comuni alla quartica ed alla retta 71:, ci daranno due rette di F 
non incidenti ir, uscenti dal punto doppio A ed appoggiate ai due piani 7 e p,. 
Infine si osservi che se è P^i:yP, il piano Pr seca F lungo la r, lungo le due 
rette P-r^ , P^ry, e secondo una retta non incidente 1:, la quale passa dal punto 
doppio A ed incontra i due piani ? e 7. Concludiamo adunque, anche in questo 
caso, che per il punto doppio A passano otto rette dì F non incidenti 1:. Di que- 
ste otto rette due incontrano la coppia di piani ^ , 7; due la coppia ^ ; Yt ; due 
la ^1^7 ) ^^ ^^^^^ ^^^ ^^ coppia p, , Y,. 

32. La varietà F abbia ancora due punti doppi D , D, in uno stesso iper- 
piano per ic ; e siano S e 0| i due piani, in cui si specializza la quadrica ulte- 
riore intersezione di F coll'iperpiano Di: = D,u. Inoltre fra questi due piani sia 
quello incontrato dalla r. Il luogo delle rette di F incidenti 1: e che si appog- 



)( 57 X 

giano alla retta r, è costituito dai piani a , ot, , ? , y , 6, e da nna rigata o del 
quinto ordine, la cui traccia in k è una cubica razionale o. Se Q è il punto dop- 
pio di questa, il piano Qr segherà T nella r, in due rette uscenti da Q, e in 
un'altra retta, non incidente z, la quale passa per A e incontra i piani 3| , 7i , 
6,. La retta ^z incontra la cubica o in tre punti, escludendo dai quali le tracce 
delle due rette di g, posizioni limiti delle generatrici di 9, rimano un solo punto 
d'intersezione, che con la retta r individua un certo piano, il quale contiene una 
retta di T non incidente 1:, uscente da A, e incidente i piani p , Yi > ^r Analoga- 
mente si hanno altre due rette della varietà non incidenti ir, uscenti da A, e che 
incontrano rispettivamente i piani f 1 , Y , Sj e ?i , Y« > 2* Infine si osservi che il 
punto comune alle due rette fir e y'^ ci fornisce una retta di r non incidente u, 
uscente da A e che incontra i piani ^ , Y ? ^i* Analogamente i due punti ^Stt e 
Y^t: ci forniscono due rette di V, non incidenti ir, uscenti da A e che incontrano 
rispettivamente Tuna i piani P , Yi ; ^ > ^ Taltra i piani g, , y ? 2» 

Adunque per il punto doppio A passano otto rette della varietà, non inci- 
denti TC e tali^ che ciascuna di esse incontra i piani di uua sola delio otto terne, 
che si possono formare coi piani ? , f i ì Y » Ti » » ^ » ^« » prendendone uno per o- 
gnuna delle tre coppie. 

« 
33 Supponiamo, infine, che r abbia il massimo numero (finito) di punti doppi 

fuori dal piano z ; cioè abbia ancora (n.^ 27) un'altra coppia E , E, di punti 
doppi in uno stesso iperpiano per z : e siano s ed e, i due piani , che costitui- 
scono r ulteriore intersezione di r con T iperpiano Eti^E,t:. In questo caso il 
luogo delle rette di r incidenti ir e che si appoggiano alla retta r, è costituito 
dai piani a , a, , p , y , 5 , e (se quest'ultimo è incontrato da r), e da una rigata 9 
del quarto ordine avente per traccia in z una conica dotata di un punto doppio, 
giacché, com'è noto, nel caso m esame i cinque iperpiani per z contenenti ri- 
spettivamente le cinque coppie di punti doppi staccati, assorbono completamente 
i dieci iperpiani per 1:, che secano ulteriormente la varietà in coni quadrici. 

Per considerazioni analoghe a quelle fatte nei numeri precedenti, deduciamo 
che il punto doppio della conica f^z ci fornisce una retta di r non incidente z, 
uscente da i^, e che incontra i piani f « , Yi 7 ^1 » ^r ^^ punto comune alle due 
rette ^z e -^z, ci fornisce una retta della varietà non incidente il piano doppio, 
uscente da A e che incontra i piani g , y , ^1 , Sr Analogamente i punti ^5:: , 
Jti: , -^òz , YS^ , Ss^ ci danno cinque rette della varietà non incidenti tt, uscenti 
da A e che incontrano, rispettivamente i piani pYt^^i ; ?Yi^«2 ì ?iT^^i i PiT^i^ i ^iTi^^- 
In conclusione abbiamo che dal punto doppio A escono otto rette di V non in- 
cidenti z ; esse incontrano rispettivamente i piani : 

PY 8 s ; ?,Yi8,e| ; P y5|6, ; ? Yi^e, ; 
PTiSiS ; piY 8 e, ; p,Y8tS ; PiYiSs. 

34. Abbia la varietà V un sol punto doppio staccato A, per cui non passi 
la sua retta fondamentale e (non incidente z). La curva f (n.o 16) di iì' acqui- 

VOL. XLl. 8 



)( 58 )( 



Sta un punto doppio nell'immagine di A. Questo punto doppio ò però semplice 

per la superficie n' (n.o 16), e per le immagini delle sezioni iperplanari di r. 

Siccome poi nella presente ipotesi sono otto i coni quadrici della varietà in iper- 

l piani per ir, a prescindere da quello dovuto al punto doppio A, la curva/' ò del 

jj genere p = 3. Se poi Ja varietà acquista ancora un altro punto doppio staccato 

A, nell'iperpiano Air, la cui*va f si spezza in una retta a ed in una curva del 
noìio ordine di genere /> ~ 3, avente setto punti in f'. La retta a ha poi due 
punti in comune con questa curva ed uno con la retta t'. Tutto ciò si rende 
chiaro pensando che nel caso in esame Tiperpiano Alt ^ A,t: seca ulteriormente 
la varietà in una coppia di piani a , a, secantisi nella retta AA, ; e che inoltre 
la retta e incontra uno solo, p. es., a, di questi due piani. La retta a è dunque 
la traccia in ù* del piano a, ed i due punti ove essa si appoggia alla curva del 
nono ordine, sono le proiezioni in ù' dei due punti doppi A ed A, fatte dal 
punto ca. 

Nella presente ipotesi la superficie 9 (n.o 14) è costituita dal piano a e da 
una rigata del nono ordine, che ha in questo due generatrici. 

35. Supponiamo ora che la varietà r abbia un altro punto doppio staccato B 
(fuori dalla e). 

La curva del nono ordine in ù', di*cui si è parlato nel numero precedente, 
acquista un punto doppio, e inoltre diventa del genere ^ = 2. Se poi anche un 
altro punto doppio B, cade nell'iperpiano Bt:, e sono ^ , f , i due piani di T nel- 
r jperpiano BTC = B|Tr, il luogo delle rette della varietà, incidente 7:, le quali si 
appoggiano a e, è costituito dai piani a , ^ (se è ^ incontrato dalla e), e da una 
rigata dell'ottavo ordine; quindi nella presente ipotesi, la curva f è formata 
dalle due rette Q'a , fi'f , e da una curva deirottavo ordine del genere j?=2, alla 
quale si appoggia in due punii ciascuna di quelle due rette, che d' altra parte 
incontrano anche la retta f'. 

36. E facile ora comprendere come deve modificarsi la rappresentazione 
spaziale di r, se questa acquista altri punti doppi staccati. 

In ultimo se la varietà presenta il massimo numero di punti doppi stac- 
cati che può avere, cioò dieci (n.o 27) ; e sono a , «'i *, P , Pi ; 7 , Ti ì ^ > 5« ì ^ > ^1 
1 dieci piani di essa, il luogo delle rette della varietà che incontran it e si 
appoggiano alla e, è costituito dai piani a , ^ , ^ , o , e , se questi sono incontrati 
da e ; e da una rigata dèi quinto ordine, la cui traccia in 1: è formata da una 
cubica spezzata in una retta ed in una conica. Se ora osserviamo che tanto 
questa conica quanto la retta sono riferite biunìvocamente alla e, possiamo sen- 
z'altro inferirne che la f è, nella presente ipotesi, costituita dalle tracce in Q' 
dei piani a , ^ , ^ 1 , e , e da un luogo del quinto ordine composto da una cu- 
bica sghemba e da una conica aventi in comune il solo punto 0' = cù', La cu- 
bica, poi, si appoggia in due punti alla t*, e la conica vi si appoggia in un solo 
punto. 

37. Siano 9=rO,^ = 0,9' = 0,^' = le equazioni di quattro coni quadrici 
a tre dimensioni, di prima specie, aventi un piano ti in comune, e non apparte- 
nenti ad una stessa rete. 



)( 59 )( 

I primi tre coni si secano, a prescindere da ir, in una curva g del quarto 
ordine con tre punti in questo piano ; la quale seca il quarto cono quadrico in 
otto punti, di cui solamente cinque sono fuori da ic. 

Evidentemente, quindi, la varietà di equazione (9,^,9', ^')*-0 è del quarto 
ordine, ha il piano ic come doppio, ed i cinque punti comuni, fuori da questo, 
ai sopradetti coni quadrici; anche come doppi. 

É superfluo poi osservare che di questi cinque punti doppi, due qualunque 
determinano una retta non incidente il piano ic. 

Di una varietà siffatta possiamo anche dare una generazione proiettiva, 

I singoli coni quadrici dei fasci (1) 9-X'| = e 9'-X4*' = 0, riferiti proietti- 
vamente fra loro, generano, come luogo della superficie comune a due coni cor- 
rispondenti, una varietà P del quarto ordine avente il piano ir come doppio. 

La superficie base del primo fascio si comporrà del piano t: e di una su- 
perficie del terzo ordine )^; sia analogamente )[' la rigata cubica normale che 
insieme col piano ic costituisce la base del secondo fascio. 

Un iperpiano £ passante per ic seca i due coni quadrici di equazioni 9 = 
e 4^ = 0, ulteriormente in due piani, la cui retta comune appartiene alla x; questa 
pertanto seca il piano ic lungo una conica q. Sia, analogamente , q' la conica 
traccia di x' i^^ ^• 

Le due superficie X ^ X' ^^^^o nove punti comuni, quattro dei quali giac- 
ciono nel piano i; , e sono i punti in cui si secano le due coniche q Q q* ] gli 
altri cinque punti, che giacciono fuori da 1:, sono doppi per la varietà T. È poi 
evidente che due qualunque di questi cinque punti individuano una retta non 
incidente 1:. 

Un iperpiano S passante per questo piano, seca i dae fasci (I), secondo due 
fasci proiettivi di piani , i cui assi sono le rette di x e di x'? giacenti in E. 
Questi fasci generano la quadrica ulteriore intersezione di I con P. 

In questo modo si ottengono in detta quadrica le generatrici del sistema a 
cui non appartengono gli assi dei due fasci di piani generatori. Si osservi che 
l'equazione della varietà P è 9^'— 9'<p = 0, e quindi essa può anche considerarsi 
come generata dai due fasci proiettivi (2) 9 — X9' = , 4* ~ ^4*' = ^' 

In questo modo otteniamo in ogni quadrica, ulteriore intersezione di P con 
un iperpiano £ per 1:, Taltro sistema di generatrici. 

Questa quadrica in entrambi i casi sarà un cono, se Tiperpiano £ passa per 
nno dei sopradetti cinque punti doppi. Del resto in tal caso gli assi dei due fa- 
sci di piani proiettivi, non sono sghembi, ma s'incontrano nel punto doppio. 

38. È noto che le quartiche normali di S4 aventi tre punti in 11 sono oo'*, e 
che S3 devono passare per un punto generico di S4 soddisfano a tre condizioni. 
Sia quindi e una quariica normale di S^, passante pei cinque punti doppi di P, 
per un altro punto generico (fuori di n) della varietà stessa, e che incontra in 
tre punti il piano 1:. Essa seca P in diciassette punti, e però giace in essa. 

II luogo delle rette della varietà incidenti il suo piano doppio, e che si ap- 
poggiano a questa curva e, sarà costituito dai cinque coni di P , e (n^ 14) da 



)( 60 )( 

una rigata del sesto ordine avente per traccia in ic una quartica. Ora dal fatto 
che i dicci coni quadrici della varietà, sono assorbiti dai cinque negli iperpiani 
per i: e pei punti doppi, segue che questa quartica si deve spezzare , giaccfaò 
fuori dai detti cinque coni, non esistono rette di P incidenti i: e che si appog- 
giano in uno stesso punto a e, che siano infinitamente vicine. 

Non potendo poi questa quartica essere costituita da una retta ed una cu- 
bica, giacché i tre punti che e ha in t: non sono allineati, mentre sono comuni 
alle due parti in cui si spezza la detta quartica, segue che essa si compone di 
due coniche, evidentemente riferite biunivocamente alla curva Cj e passanti pei 
tre punti tracce in Tt di questa. 

Segue ancora che la sopradetta superfìcie del sesto ordine è formata da due 
rigate cubiche normali, secate lungo due coniche da ir, e secondo due rette in- 
cidenti da un iperpiano ad arbitrio condotto per questo piano. 

39. Viceversa siano À e [i due superfìcie cubiche siff*atte. Il luogo del punto 
comune alle due rette incidenti secondo le quali ulteriormente sono esse secate 
da un iperpiano ad arbitrio passante per i:, è una curva d'ordine r con r — 1 
punti in questo piano, e che passa pei vertici dei cinque coni quadrici di r. In 
allora siccome è noto (n^ 14) che il luogo delle rette di questa varietà incidenti 
it , e che 8i appoggiano ad una curva sififatta, è una rigata d'ordine 3'4+2r— 4; 
e d'altra parte essendo questa nel nostro caso costituita da X , da [jl e dai cin- 
que coni in parola, deve essere r ^ 4. 

I tre punti di quella curva, che chiameremo e, posti in k saranno comuni 
alle due coniche Z^Xit ed m^yr^. Uno qualunque B di essi ò tale, che T iper- 
piano per t: determinato dalla generatrice di X, p. es. , che passa per esso, con- 
tiene la generatrice di \l uscente dallo stesso punto B. 

II quarto punto comune ad Z ed m non può godere della medesima pro- 
prietà; giacché so fosse altrimenti, esso apparterrebbe a e. 

In allora so indichiamo con M quest'ultimo punto, e con A, B, C gli altri 
tra; e se proiettiamo X(o //) da M, otteniamo un cono quadrico che seca ulte- 
riormente r in pi (o in X). Infatti si chiamino corrispondenti due punti, uno di 
l e l'altro di m , qualora siano tracce in n di due generatrici, una di X e 1' al- 
tra di p, incidenti. Proiettando da M. avremo nel fascio di raggi (M , z) , una 
ordinaria proicttività con tre coincidenze, e quindi con infìnite coincidenze; cioè 
tutti i piani determinati da due generatrici incidenti di X e {/^ passano per M, 
e ciò dimostra l'assunto. 

40. Proiettiamo ora la (x da un punto M, (diverso da M) della conica m ; 
otteniamo un cono quadrico che seca ulteriormente r in un' altra superficie cu- 
bica normale v , tale che un iperpiano Z per ic seca X e v in due generatrici 
sghembe. 

Se ora noi fiicciamo variare M sulla Z, otteniamo oo* coni quadrici formanti 
un fascio, che secano la varietà in altrettante rigate cubiche come la pi; tali 



)( 61 )( 

che per ciascuna di esse esitrte nella conica n = vie un punto^ da cai proiettando 
la {JL che si considera^ si ottiene per ulteriore intersezione con P costantemente 
la V. 

In questo modo adunque si ottiene un fascio di coni quadrici a tre dimen- 
sioni di base v (con t) riferiti proiettivamente a quelli del fascio di base X(con ir), 
e tali che due coni corrispondenti si secano in una superficie cubica (pt) di P. 

Concludendo si ha : 

« Qualunque varietà del quarto ordine con un piano ii doppio , e cinque 
punti doppi staccati {due qualunque non in uno stesso iper piano per it) , è gè- 
nerabile mercè due fasci proiettivi di coni quadrici contenenti tc ». 

(continua) 



)( 62 )( 



ALCUNE FORMOLE E PROPRIETÀ 
RELATIVE AI MOMENTI D' INERZIA 



NOTA 



DI 



CESARE SPELTA 



1. Si stabilisce facilmente la relazione: 

essendo (jl^ il momento d' inerzia di un sistema materiale rispetto ad un asse 
^W'jf yV-s i momenti dMnerzia dello stesso sistema rispetto a 2 assi ortogonali 
y, z qualunque, contenuti in un medesimo piano normale ad a; e segantisi in un 
punto qualunque o di x ; ed essendo ^ il momento d'inerzia rapporto al piano yz. 
Sia Xf un asse parallelo ad x, inoltre indichiamo con I^^. , {a^ i momenti 

d' inerzia rispetto a 2 assi ortogonali y^ , z, qualunque purché segantisi in un 
punto 0| di x, e giacenti nel piano yz. Il momento d'inerzia \k^ rispetto ad x^ 

sarà dato analogamente da 

2) \fa>, = V-y, + !*^, - 21. 

Sottraendo membro a membro le 1), 2), si ottiene : 

2. Supponiamo che l'asse z coincida coll'asse ^^, Risulterà |j., = \kg ; cosicché 
la 3) si riduce a 



)( 63 )( 

Sapponìanio inoltre che le parallele x , x^ siano 2 assi principali d'inerzia spic- 
cati normalmente da 2 punii o , 0| di un asse principale centrale d'inerzia Sy e 
che su s coincidano z , Sj ; dimodoché anche y , y^ risulteranno 2 assi principali 
d'inerzia normali ad « e fra loro paralleli. 

Indichiamo con a , 6 , a^ ; ò| , a, ; òj , . . . . i semiassi delle ellissi che si ot- 
tengono segando mediante piani normali ad jt in 0,0^,0^,..,. gli ellissoidi 
d'inerzia relativi ad , Ot , o^ , . . . . (esser.do , 0| , o, , . . . . punti quali si vo- 
gliano di s). 

Avremo (per la 4) e notando che j^o. = -^ ? l^y = tì" » ecc.) 



a* ' •^y b^ 



1 



6* a» b^^ a,* 
ossia 



5) 



ab a,6| 



Adanqne : Nelle ellissi ottenute segando gli ellissoidi d inerzia relativi a 
punti o , o, ; O] , . . . . di un asse principale centrale d^inerzia s mediante piani 
normali ad s in o , o^ y o^ j » » . > le eccentricità stanno fra loro come le aree. 
(Indicheremo tali eccentricità con £ , e, s, , .... e tali aree con A , A, , A, , ....). 

Siccome notoriamente i prodotti ab , a^b^ , . . . . diminuiscono man mano ci 
allontaniamo dal baricentro, deduciamo dalle 5) (*) : Nelle dette ellissi V eccen- 
tricità diminuisce man mano ci allontaniamo dall'ellisse il cui plano passa pel 
baricentro, la quale è pertanto caratterizzata dall'avere la massima eccentricità, 

3. Si noti che 

essendo V , V, , V^ , . . . . i volumi degli ellissoidi d'inerzia relativi ai punti , 
Q, , 0^ ,....; ^ il semiasse (di lunghezza eguale per tutti questi ellissoidi) gia- 
cente sulla retta «; Xc un coefficiente numerico f = ~-T:j. 

Dimodoché, in virtù della 5), possiamo anche affermare: Negli ellissoidi d^i- 
nerzia relativi a punti di un asse principale centrale dHnerzia s, i volumi stanno 
fra loro come le eccentricità delle ellissi sezioni principali normali ad s. 



(') Escluso il caso eccezionale in cui l'ellissoide d'inerzia relativo ad un punto 
della 8 sìa di rivoluzione intorno ad s. 



)( 64 )( 

Si osservi eziandio che, chiamando I , ], , I^ « . • • . i momenti d'inerzia de- 
gli ellissoidi d'inerzia (di contri o , o, , o^ , • . . .); calcolati rispetto ai piani ab , 
a|&, ; a^b^ j . , , . y si ha 

4 4 

I = — Ttabh* , I| = — T:a,6|V , . . . . 

Pertanto 



• • 



4. L'asse principale centrale d'inerzia 8 venga segato mediante 2 piani v, r, 
ad esso normali in 2 panti quali si vogliano o , Of. Siano (come dianzi) Xy y gli 
altri 2 assi principali d'inerzia relativi ad o ; a;, , ^^ rappresentino gli altri 2 assi 
principali d' inerzia relativi ad o,. Indichiamo rispettivamente con V^t y \i^a: ì V^^ y 
V'jp ì V-y ) ^ ; ^1 ^ momenti d'inerzia del dato sistema rapporto ad $, x ^y, ^i j y% , 



it , t;,. Per la 1), avremo 



lA, = I^or + 1^1/ - 2v 



Hs = t*«, + l*y, - 2v, ; 



epperò 



6) ^^:c^ + liy,) - (l*«: + I*y) = 2(v, - V). 



Essendo (sempre come dianzi) a , ò , a, , ò, i semiassi delle ellissi che si ot- 
tengono segando (mediante ic , it|) gli ellissoidi d'inerzia relativi ad o , o, , la 6) 
equivale alla 



(^ + 6^) - (^ n^) = 2(^' - ^)' 



ossia alla 



chiamando / la corda che unisce 2 vertici consecutivi nella ellisse di semiassi 
a, b ; analogamente /|. 

Supponiamo che i; passi pel baricentro. Risulterà, come è noto, ^i > ^ ì op- 
però (in forza della 7)) 

/, l 

> — 



a|&| ab 



)( 65 )( 

Onde : Date varie ellissi ottenute segando gli ellissoidi d* inerzia relativi a 
punti o , o, , O2 , .... cfi 14/1 asse principale centrale d*inerzia s (mediante piani 
normali ad s in , o, , Oj , . . . .), fra le quali Vellisse sezione delV ellissoide cen- 
trale d'inerzia^ in questa è massimo il rapporto delVarea alla corda unente 2 ver- 
tici consecutivi. 

Di più, avendo presenti i risultati precedenti, possiamo asserire: Lati varii 
elìi^soìdi d* inerzia relativi a punti di un asse principale centrale d' inerzia s, 
fra i quali V ellissoide centrale^ in questo è massimo il rapporto del volume alla 
corda unente 2 vertici consectittvi nelV ellisse sezione principale normale ad s. 
Come anche, in tale enunciato, alla parola uoZumc, si può sostituire una qualsiasi 
delle 2 espressioni; eccentricità dell'ellisse sezione principale normale ad s ; mo- 
mento d'inerzia calcolato rispetto al piano principale normale ad s. 

5. Indichiamo con ^a )^b y^a f ^b >^a 1 ^b »••••! rispettivi momenti d' i- 

1 1 2 9 

nerzia delle aree ellittiche A , A, , A, ; .... rapporto ad a ^ ò ^ a^ , ò, , a^ , òj ; .... 
Siano invece oc } ^ 7 oci ; ^1 , «2 ? ^2 ; • • • • ^ momenti d' inerzia del dato sistema 
rispetto ad a , b , a^ , b^ , a^ , b^ , . . . . 
Avendosi 

I^ = ~ aò* , e formolo analoghe per 1^,1^ , I^ , . . . . 
a = — , » » P > «1 > Pi » 



risalterli 



I« aò» f^ b^ 



potendo, per quanto si disse^ ^ > 4^i » 4^% ? • * • • assumere rispettivamente i valori 



^ } ^ì ì ^t } • • ' • 



oppure 



A , XX| , A.^ y » t • • 



oppure 



oppure 



V , V, , V, , . . . . 



'> ii >■*»>••• • 



Ossia otterremo 
8) 

VOI., xu. 






Similmente 



)( 66 )( 









Ed anctie 



9) 



± = tlh. 

Supponendo 0| più distante che o dal centro di gravità^ inoltre 

a > b , a| > 2>| y . . . • 

(dimodoché a ^ a, , . . . . risulteranno tra loro paralleli ; come pure saranno tra 
loro paralleli 6,6,,....) ricavasi dalle 8), 9) (in valore assoluto) 

10) ^ \ < *,Ia , ^\< ^.Ift ; 

epperò 

Inoltre, sommando membro a membro le 10) si ottiene 

(b Q 

indicando con Q , Q, , Qt > • • • • i rispettivi momenti d'inerzia delle aree A , A, , 
Aj , . . . . rapporto ad s. 

6. Dalle 8), 9) ricaviamo (qualunque sia la posizione di o , o^ snìV asse *) 

a ^1^^ 



f *I. 



*i 



)( 67 )( 

Dimodoché , se o coincide col baricentro , se S, è- la distanza oo, , se M è 
la massa totale, ed applicando la nota formola 

12) «, -a = M6,». 

risalta 



I 
a, 



1 



dove a, ^ sono per conseguenza i 2 momenti principali centrali d' inerzia cal- 
colati rispetto agli assi principali centrali d'inerzia a, b. 
Ossia 

41» 

13) a = , / *■■ - M5,» 

14) p = -pp^-\^ MS,». 



"i 



Dalle 12), 13) deduciamo 

«l'I». 



«. = (^^^qFirK 



15) = , t'^'^ M«,». 



Perciò ( dividendo la 15) per la 13) ) 

16) «. = *^^«. 

Analogramente 



«1 



.6) =|ip. 



)( 68 )( 



Si vede dalle 16), I8j che i rapporti -p-^ , -^ crescono man mano ci al- 



"l *1 



lontaniamo dal baricentro (dovendo crescere a, , p,). 
E sempre analogamente 



'») «.=1^». 



epperò (dividendo la 19) per la 16)) 



20) ««=!fT-«i- 

TI ^6. 



Come anche 



.■) ?. = *:i^?.. 



Inoltro dedacesi (dividendo la 16) per la 18)) 



22) 



P, I». ' 



indicando con k una costante. 
Similmente 






relazione che divisa per la 22) dà 



0^1 ^2 _ ^<h ht 
«2?. ^ la, \ 



7. Dai valori 13), 15) trovati per a , a, si ricava 



23) pa + ga. _ ____^_ , 



essendo j?, ^^ t, u numeri arbitrarli. 



)( 69 )( 

Nel caso speciale Ai p=:^ — 1 ,g^ = i = w = l, si ottiene la 12). 

^ 1 

Facendo nella 23) p = l ,3^ = — i,t=rw = — — , risulta 



24) 






forinola che somministra la differenza tra ì 2 semiassi a , a^. 
Si deduce pare 



25) 



g, + g _ (|>,It + ^ It, 



Relazioni analoghe si ottengono facendo comparire (i , ^, invece di a , a,. 

8. X>alle 13) , 14) ricaviamo (assumendo ^ , ^^ rispettivamente eguali ad 
e,6|): 

1 e.I» 1 



a elj M6,» M6,« 



e.I< 



p el„ MS,* MS,» ' 



da cni (sottraendo membro a membro ed osservando che 5" = '*) 



t, MS,» I„. I. 



1 »i 



26) 



-_L ^1_ 
" MS,» I„, I»^ ' 



chiamando in genere D^ (t = 1, 2, 3, • . .) il determinante 



la. \ 



)( 70 )( 
Cosi pure dalle 15), 17) dcducesi 



el*, 



a, M?,* 6,IftM«,* 



6L 



da cui («ottraondo membro a membro e notando che r- = e,*) 

«1 Pi 



27, *''- ^ ^' 



e M?,» I„I» 



Dividendo la 26) per la 27): 



6* la h 



^/ Ia.1., 



Analoganionto 



lai» 



*t* I.. I». ' 



•t^'t 



opperò 



98) 



s,* 1., I», 



«»♦ I.. I 



•t'». 



Ondo ; XelU ellissi sopra mentionate, di centri o , o, , o^ , . . . . , t prodotti 
ilei 2 momenti dUne»tia rispetto ai 2 assi statuto fra loro come le quarte potenze 
delle ecceutricitò. 

E più {;euer«)mente : 

Sin Ìi! = iiiii. 

Moinpiioaudo la 26) per la 27>» si ottiene 



S..^ «.= ' ^• 



* ^«.Nciriri: 



I » 



)( 71 )( 
Moltiplicando la 26) per la 30) : 



31) st=: 



1 D, 



MS,» 



y/1 h Vi. I» la I» 
li li 



Moltiplicando la 27) per la 30): 



32) 6 « = 



D. 



• MS,« 



Via I» ^/l. h lai 



1 ». 



Consideriamo un altro punto o, di « , e sia 8, la sua distanza dal baricentro. 
Avremo analogamente (cfr. la 32)) 

33) e « = — 5? 

* M5,» , * 



A h Via I* I«, h 



Dividendo Je 32), 33) tra loro : 



4 



E tenuto calcolo della 28) : 



z 


"1 


1 —x « 


^«1 "»i 








3 


5.' 




_(I-. 


I».)* 
3 



= ||J ( per la 29) ). 

10. Le 13), 14), 15), 17) diventano , ponendovi al posto di 4^ , 4*1 i loro ri- 
spettivi valori £ , z^ dati dalle 31), 32) : 

1 3 

34) a = , '% "" , MS,« 

la"* V - la ."* !.. 

3 1 



35) P = , -^"'^ ^^' M8 * 

^ ^3131* 



I*!..*— T*T ♦ 



)( 72 )( 



1 3 



36) «,= __I«:LV. M5,' 



I. * h* - I« * I» ♦ 

1 1 



1 
T 4 T 4 



37) p,= __.-_*.^._^MV. 



T ♦ I ♦— T ♦ T ♦ 

1 1 



Valendosi delle 34), 36) si possono stabilire relazioni corrispondenti alle 
23), 24), 25). Inoltre ricavasi (dividendo la 36) per la 34), e la 37) per la 35) : 



T ♦ T ♦ 

itti Aft 
1 



1 



2 — -^ 
l'I — 



I ♦ U * 



h^' 



T 4 T 4 



Deduciamo 
38) a,p, = e ^ 



V Vi.^ ' 



indicando con e 


una costante 


• 


Similmente 










3 
3 



3 



I * li.* 






epperò 



«» = 


1*0 

li- 

0{ 


I4- 

1 6t 


?» = 


3 




3 


1 Pi 




I*a, 


I*:. 



)( ?3 )( 
11. Analogamente alla (38) sussiste la 



a, /Sj = e 



\l\ '»t 



perciò 






Si ha dunque 



Confrontando la (39) colla (20), si ricava 






Analog^amente 



(41) a, = 11-^ a,. 



V la. 



Notando che la (39) equivale alla 
(42) «, = i-t^ «jjj 

e confrontando la (42) colla (20), si deduce eziandio 

*» Vi», 1*1 

E similmente 

a» = 7- r «1- 

«!'. V I», \ 

fOUm XLl. 10 



)( 74 )( 
Dividendo la (40) per la (20) , e la (41) per la (21) , si ottiene 






12. Come caso speciale delle (40) , (41) : 

*' I- <!»» I 

a. = ^a . e, = ^ e. 

I» I* 

Danqne i rapporti — L , — 1 crescono man mano ci scostiamo dal centro di gra- 
vita. Ossia, supponendo o^ più distante che o^ dal baricentro, 

la, \ ' \ \ 






s _ 



indicando, come ^ià sì disse, con Q, , Q, i momenti d'inerzia delle aree Ai^A^ 
rispetto ad 8, 

Pertanto, a motivo delle (11) , (43) , risulta 



(44) J^ < ^ < ^. 

Dalla (27) : 



(45) M6,« = 



t_ 6 D, 



6.» I« I*' 



Quindi il rapporto 7-^ cresce (in valore assolato) più ci allontaniamo dal 



«1 



X 75 )( 
baricentro. Ossia 



D, D, D. /^Y . 



epperò, in virtù della (44) , possiamo anche scrivere 



8 



s 



Di 
Inoltre dalla (31) si deduce che eziandio il rapporto aumenta 

da, , I») 

man mano ci allontaniamo dal baricentro. (Come si vedrà, D, > 0). 

13. Valendoci della (45), la (15) diventa 

e D, 

(46) a, = 



(47) 



« e,« I, (e, Ij - e Ij,) • 
Analogamente 



^' e,» Ij (s, I„ - £ I. )• 



Dividendo la (46) per la (13) 

1 

Dividendo la (47) per la (14) : 

Tanto dalla (48) quanto dalla (49) si ricava J>^ > 0, ossia 

\ h - la \ > 0; 
cioè, ponendo ai posto di y i loro valori , 

a 

a a. 
(50) T > r 



6 6, 



(51) 



(0 = numero qualunque, > 0} 



(f/>(?)' 



)( 76 )( 



Dalla (51) : 



ed a fortiori 



a* - 6» a,» - &,• 

'~br- > —b7~ 



a.0 - b" a,» - 6,» 



ossia 

(52) a^ - b^ > a/ - ò/ : 



relazione che comprende come caso speciale quella già stabilita al n." 2 : 



£ > £,. 



14. Inoltre dalla (50) : 



T^ "67 



ed a foi'Hori 



a- a,* 



ossia 



chiamando R , E| i raggi di curvatura delle 2 anzidette ellissi (di centri o , o,) 
negli estremi dei loro assi minori. 

Siccome in tali estremi i raggi di curvatura delle due ellissi sono massimi, 
deduciamo : Si consideHno varie fra le menzionate ellissi di centri 0,0,, o^,... 
{il punto coincidendo col baricentro del sistema). L'ellisse in cui il raggio di 
curvatura raggiunge il valore massimo è quella che ha per centro o. 

15. Notiamo ancora che dalla (52) ricavasi 

a« (a«.- 6«) > a« (a,« - 6,) 

ed a maggior ragione 

a«0 - (a&)® > a,*0 - («^ 6,)0 
Quindi 

(53) U®-A^>U,«- A,% 






)( 77 )( 

indicando con U,U, le aree dei cerchi di raggi a ja^, e nuovamente con A,A, 
le aree delle suddette ellissi di centri 0,0,. 

Moltiplichiamo per 7i^ arabo i membri della (53), k essendo, come al N. 3, 
il semiasse (giacente su s) dell' ellissoide d' inerzia relativo ad un punto qua- 
lunque dell'asse principale centrale d'inerzia s. Ricavasi 

chiamando W , W^ ì volumi degli ellissoidi generati dalla rotazione intorno ad s 
delle 2 ellissi di semiassi a j h , ai ,k (sezioni dei 2 ellissoidi d' inerzia relativi 
al baricentro o e ad un punto qualsiasi o^ di s), ed indicando nuovamente con 
V , Y, i volumi di questi 2 ellissoidi d'inerzia. 

Invece, moltiplicando la (53) successivamente per a^ ,b^, si ottengono 2 di- 
suguaglianze che a fortiori danno luogo alle 2 seguenti : 

(64) F^ - G* > F,® - Q,^ 

(55) G* - H^ > G,^ - H,<^ , 

indicando con F , F, i volumi delle sfere di raggi a , ai: con G , G, i volumi 
degli ellissoidi generati dalla rotazione delle 2 superficie ellittiche A, A, intorno 
ai loro assi minori ; con H , H, i volumi degli ellissoidi generati dalla rotazione 
delle medesime 2 superficie intorno ai loro assi maggiori. 
Quindi anche (dalle (54); (55)): 

F* - H<^ > F,e -^ H,^ 



J 



)( 78 )( 



KVALUATIOiN FUNK INTÉGRALE DÉFINIE 



NOTE 



DE 



M. LERCH à Fribourg (Suisse). 



1. 11 8'agit de r Intégrale suivante 



arctg — • arctg — dx , 

A 00 X 



dans laquelle a et & sont deux constantes réelles et positives. 

Faisant d'abord a = 6, et substituant x- aZy il vient évidemment 

(2) *(a , a) = àK , 

où K désìgne la constante numérìque *(1 , 1). 

Cela étant, je coneidère au lieu de <I> V intégrale suivante 

(^arctg— + arctg— j dx , 



dont la valeur est évidemment 

(4) S = (a + 6)K + 2 a>(a , 6). 

Or, on a 

T^, siac <yjab] 



a b (a + b)x 

arctg — -f- arctg — = arctg -r — -— -h 



0, sìx>^ab 



à cause de la discontinuité de cette somme, il faudra décomposer l'intégrale (3) 
en deux autres dont les limites sont respectivement et *Jab, puis s^ab et l'in- 



)( 79 )( 
fini. Dans la première intégrale Ja somme des denx arctangentes élant 

^ (a -1-6)0! 

nons anrons 

yfàb 




(" - "«'« S^)'* - 1 K&^7^- 



S = 

I V ^ ab^x* / 

En rempla9ant la fonction sous le Bignè somme de la première intégrale par 
le trinònio equivalente on obtient trois intégrales dont Tane pourra se réunir avee 
la deuxième intégrale de la demière formule, et il vient 



/* 



Va6 



S =T:«Va6- 2rw I a 




^ (a-{-h)x , -f / ^ {a + b)xy. 



J'observe maintenant que Ton a, pour x < 'Jab : 



(a + 6)a? 0? a? 

arctg'— — ^ = arctg - + arctg— , 
ab — x^ a 



et en faisant usage de l'integration par parties qui donne 



{/Y* kE Ci 
arctg —dx^x arctg jrlog(a* + ac*) , 



j' en tire cette formule auxiliaire 
Vaò 



'''•''^"S^'^^ ^'^''K'''''*^ V"^ '^ ""'^'^ V"^^ 



a a^+ab 6 , 6* -fc aò 



a 
ou bien 



= L yjab - ^~— log(a + 2^) + Y Ioga -h y logò. 
Sabstituant cette valeur dans la recente expression de S, nous aurons 



){ 80 )( 
Ponr simplifier l' intégrale qui figure encore au second membre , je pose 

/ IL 

x=^(a + b)z ; tn = ; elle devient 

a + 



J= a + 6)j (arctg^^-^)*d«. 



Sabstitaant ensuite 



=7», 



les limìtes deviendront ~ oo et co , et paisque alors 






nous anrons 



oo 



j=^l /arctglyrl + ,.=^=^ 



j^ (-«*4)*( 



Va?* + 4m*/ 



Observant que T intégrale de la fonction impaire 



(arctg — ) ' 

^ 00/ 4/0^2 , ^^2 



est nulle, on a entin 



J = (a + &) j (arctg —\ dx={a + b)K. 



La dernière expression de S est dono 

(a + 6)""^* 
S = i:log^— t^ + (a + 6)K, 

et en la comparant aree la valeur (4) nous aurons la formale de Bierens de Haan 

(8) ^a,b) = -log'-^^ 

que j' avais établie en 1899 d' une autre manière (*). 



(*) Journal (casopis) de la Sociótó mathématiquo de Prague , T. XXTX^ p. 39 



)( 81 )( 

2. Je vais faire nsage da résultat obtena pour tirer une conséquence de 
r intégrale analogue à S 

(6) "^ ~ \ (^^^^S arctg— j dx 

dont la valenr est 

T = (a + 6)K - 2 *(a , b). 

ZJ ìdentìté élémen taire toujours vraie 

a h (a — h)x 

arctg-- arctg- = «rctg^;r:j:^ 

pennet d' écrire aa liea de (6) 

on bien^ si l'on change x en {a — ò)x et supposant a > & , 

(7) T = (a-6)j^(arctg-^,yd^, 

Oli r on a pose, pour abréger, 

n/Òò 



n = 



a-b 



Cela étant, décomposons l' intégrale (7) en deux autres 



(8) ^ = J, + J,, 



ou 



^'=Io("''*^c^»)'^' ' •^*=L"("'"*^i;^»y''"^' 



et transformons ces dernières-ci par les substitutions respectives 



-~ — = «1 , (aJ, < n) , -4— — = z^ , (a?, > n) ; 

TOIi. ZLl. 11 



)( 82 )( 
OD aura 






^\ = -^^H + ^'«l* - -*^**) ; 2?i ^ 2, ^ 00 , 



et par coDséquent 



J. = -ij_>c«i)*.(.--^>, 



la formule (8) devlent de la sorte 



= I ( arctff — ) , 



et on a cette formule nouvelle 



OÙ 



f" / 1 \* zdz 

{arctg — )-— = 



_a + ?> 2<I>(a,ft) 

K. — j 

4yj2 a — 6 a — o 



On peut prcndre, sans nuirc à la généralitó du resultai, a= 1 , 6 = g, et en 
substituant Ics valcurs 

K = i:log2 , 2*(1 , g)=.Trlog^— -^^— , 
le secoud membre devient 

Ti . g' 

log 



et la lettre n aura la sìgnìficatìon suìvante : 

n = — ±— . , < g < 1. 
1-2 



)( 83 )( 
Dans cette écriture, notre résnltat devient 



/-*• / 1\^ zdz r. . q^ 



Fai8ant 2 = — et — =r, on pourra V écrire 

co £7h 



e / aretgx \ ' dx ^ 2i:Vg g^ 

»9) j\^ ) ^^^x'^ (!-«)* (il±l) 



où r on a pose 



>/^ r= — r + \/r* + 1 , 



r dési^nant une quantité positive arbitraire. 

De celte iniégrale on en déduira une autre en passant aux valeurs complexes 
(le la variabìe r. Pour ce but je changc x cn rx pour avoir la forme suivante 
de r équatiou (9) 

(arctgrx)* -=^ = -M ^ logg - (1 + 3) log — ^ • 



Considérée comme fonciion analytique de la variable coniplexc r, l'integralo 
qui ronstitue le premier membro reste synectique dans le pian affecté des deux 
eoupures (i - . . 001) et (— t . . . — 001), scgments de Taxc imaginaire. Dans la mé- 
me région reste synectique la fonction algébrique 



s!q = — r + Vr* + 1 , 

le radicai y conscrvant le signe positif de sa parti© réelle. En desiguant par a 
un angle réel entre zèro et -;^ , on pourra donc prendre r^ìsinoC; ce qui exige 
qu' OD fait 

Observaiit que 

* ^ 1 . 1 + irx 

arctgra? = — log :— , 

li 1 — i^i^x 



){ 84 )( 
le passage anoncé anx imaginaires donnera 



/.^. fV, r+*a?8ina\* dx ^ , . , x 

(10) I ( log-^ ) - = 4T:(a sma h cosa log cosa) , 

S\ 1 — a? Sina/ z^» Ji - '«« 



(o<«<|). 



Si r on pose Sina = a , en transformaut en méme temps V intégrale par la 



a;' 



substitutìon x= — , il vient 



(10*) /log—— ) • , = ~(aarcsina + \/l — a*log Vi - a*^ • 

Je veux m'arrèter un moment au cas particulier de a= 1 ; en lui appliquant 
les subslitutions succcssives 

X = cos2(p , tgf = « , 
on parvient à la formule 

qui d' ailleurs se vérifie aisément. 



X 85 )( 



SUI COMPLKSSI LINKARI DI RKTTIi: NKGLI IPERSPAZI 



NOTA 



D I 



FRANCESCO PALATINI 



II sig. S. K a n t o r nel suo lavoro Theorie der linearen Strahlencompìexe 
im Raume von v Dimensionen (^) pone le basi di una trattazione con metodo 
puramente p^eometrico della teoria dei complessi lineari di rette negli iperspazi. 
Un contributo a siffatta teoria dal punto di vista geometrico è fornito da una 
nostra recente Nota (*), nella quale viene determinato l'ordine della varietà for- 
mata dall'insieme dei complessi degeneri di data specie, facendo uso per brevità 
di un risultato sui fasci di complessi noto finora soltanto per via analitica ('). 
Ora con la presente Nota ci proponiamo di recare un nuovo contributo all'an- 
zidetta teoria ponendo le basi di una trattazione geometrica del fasci di com- 
plessi lineari di rette negli iperspazi, (*) dopo aver richiamato, per comodità del 
lettore, le nozioni fondamentali su tali complessi, approfittando anche di quest' oc- 
casione per rettificare un teorema del K a n t o r sugli spazi totali di un com- 
plesso degenere, e per fissare meglio certe particolarità di cui dovremo servirci 
nel seguito di questo lavoro. 

1. Chiamasi complesso lineare completo di rette (e d'ora in poi questo inten- 
deremo di indicare quando diremo semplicemente complesso) in uno spazio S„ 
l'insieme di oo*'*~* rette, tale d'avere una retta comune con ogni fascio generico 
di rette, o ciò che è lo stesso, tale che le sue rette poste in un piano vi formino 



(*) J. ftlr Math., voi. 118, 1897. 

(*) L' ordine della varietà che annulla i subdeterminanti ecc. Atti Acc. Lin- 
cei, 1902. 

(^) Il risultato al quale qui sì accenna è quello che in un fascio generico di 
complessi di uno spazio di dimensione 2q + 1 ve ne sono ^ + 1 di singolari. 

(^) Quanto alla teoria analitica dei fasci di complessi vedasi E. v. W e b e r, 
Ueher Schaaren von Bilinearformen, Sitzungsb. der k. b. Ak. der Wiss. zu M(in- 
chen^ t. 28, 1898. 



)( »6 )' 

nn fascio; esBO è determinato da . rette genericlie. Un complesso 

determina jn S^ una reciprocità nella quale ogni punto (polo) giace neir iper- 
piano (polare) che gli corrisponde (cioè un sistema nullo)^ essondo l' iperplano 
che corriponde ad un dato punto P quello formato dai punti delle rette del 
complesso passanti per P. Nel caso di n dispari avviene che ad ogni punto (se 
il complesso è generico) corrisponde un determinato iperpiano e viceversa ; in- 
vece nel caso di n pari esiste un punto singolare (che chiamasi centro del 
complesso) per il quale passa V iperpiano polare di ogni altro punto ; tutte le 
rette passanti per esso appartengono al complesso, ed il suo iperpiano polare è 
indetcrminato. Con ogni stella generica che abbia per centro un punto P e sia 
posta in uno spazio ad l dimensioni, il complesso ha in comune una stella di 
centro P e posta in uno spazio ad i— 1 dimensioni; se oltre a siflFatta stella 
esso ha in comune con la data un altro raggio, questa appartiene tutta al com- 
plesso. • 

Vi sono poi in qualsiasi spazio complessi degeneri^ cioè dotati di uno spazio 
di dimensione n — 2r di punti singolari, cosicché ogni retta ad esso incidente ap- 
partiene al complesso. Per 71 = 2q vi sono complessi (oltre a quello generico do- 
tato di un punto singolare) aventi uno spazio-centro (spazio di punti singolari) 
di dimensione 2, 4, . . . , 2(q - 1), e per n = 2q + i ve ne sono di aventi spazio- 
centro di dimensione 1, 3, ... , 2q- 1. Ne seguo che se in uno spazio [2^ ì e] C) 
(£-0,1) vi è uno spazio di punti singolari di dimensione 2X — 1 -f s, ve n'ò pure 
uno di dimensione 2X + s (passante per quello). Si ha inoltre che se un com- 
plesso possiede h punti singolari, tutto lo spazio f/i— 1] da essi detcrminato è 
formato di punti singolari. 

Sono degni di particolare attenzione gli spazi totali, cioè quelli di cui tutte 
le rette appartengono al complesso. Sono essi i vollstclndige Eàttme del K a n- 
tor, il quale nella citata Memoria trova che in un complesso generico di [2^4 2] 
non vi sono spazi totali di dimensione maggiore di ^ e che ve n' è un numero 

(3-X + l)(g + 3X-h2e) „.«.,,... . . n ' u-ì%N ^- -i • 
volte infinito di dimensione q -X (la variabilità di A in- 
cominciando da 0). Essi sono pure i thoroughly Nuli Spaces di Y o u n g (*), il 
quale determina parimenti (§ 23) la dimensione dell' infinità degli spazi totali 
delie varie possibili dimensioni di un complesso generico. Ponendo nel!' ultima 
espressione scritta 2g + e = ti , q - ^^ — p, abbiamo che la dimensione dell'infinità 

dei [p] totali di un complesso generico di [u] è data da - - • 

Venendo ora agli spazi totali di un complesso dotato di un [n — 2r]-ccntro, 
della infinità loro non trovasi alcun cenno nel citato lavoro del Y o u n g, mentre 



(^) Adottando una notazione introdotta dallo S e h u b e r t, indicheremo con [r\ 
uno spazio di dimensione r. 

(^) On the Nuli Spaces of a One-Sysiem, ecc. Proc. of the London Math. Scc, 
voi. XXX, 1899. 



)( 87 )( 

quanto si trova esposto n questo riguardo dal K a n t o r va corretto ; per con- 
seguenza dovremo su essi fermarci alquanto. 

2. Indicando con [n - 2r] il centro del dato complesso degenere , V S,,_|<^^ 
polare di un punto P passa per esso ; preso in codesto iperpiano un punto P' , 
il suo S„_,^^'^ polare passa per P (perchè PP' è una rotta del complesso), quindi 
taglia S^.,'^^ in un S^^.,^^^ passante per [n — 2r], P , P'. Preso in questo spazio 
un punto P", il suo SJ^"> polare passa per P , P', quindi taglia S^.^^pp') in un 
S^-3^'''^ passante per [n - 2r] , P , P' , P". Così continuando si arriva ad un 

(k) 

S„_jk_/'^''"^ J passante per [n — 2r], P , P'' , ... , P^*^, e tale che preso in esso 
un punto pt*""*), il suo iperpiano polare passa per [n— 2r], P , P' , ... , P<*^ , P^'^^^^ 
Ora se questi elementi sono tanti almeno da determinare S„.. j^., , Tiperpiano po- 
lare di P(*"^i) passa per tale spazio, ogni retta del quale appartiene dunque al 
complesso dato , come si vede variando nel medesimo il punto P(*+*) , quindi 
quel S„_j.| è uno spazio totale. Ciò avviene dunque se è n — 2r + A:+ 2>n - fc, 
cioè k>r- 1, quindi il minimo valore di & è r — 1. Ne segue che passano per 
[n-2r] degli spazi totali di dimensione n - r. Di qui risulta intanto che per 
n = 2^ + 1 , n — 2r = 2X + 1 e quindi r = g - X, esistono spazi totali di dimensione 
g + X+1, contrariamente a quanto afferma il Kant or nel teor. XLV della ci- 
tata Memoria (^). In ciò che segue verrà cercata la dimensione deirinfinità degli 
spazi totali delle diverse possibili dimensioni, non essendo esatta quella data dal 
citato teorema. 

Se gli iperpiani polari di h punti indipendenti A, , Aj , ... , A^^ dello spazio 
[dJ passano per un [n — k] , per questo passa anche V iperpiano polare di ogni 
altro punto del [h -- 1] determinato da quegli h punti. Difatti preso un punto M 
di (ft-Ar), le rette del complesso passanti per esso riempiono un [n— 1] (almeno), 
al quale appaiiiengono le rette A,M , ... , Ay^M, quindi appartiene a questo fn— 1| 
la stella (di rette del complesso) di centro M e direttrice [h — 1]. Ne viene che 
preso un punto qualunque Ay^^., di (A— 1], la A^^^, M appartiene al complesso, 
e perciò V iperpiano polare di A;^^., passa per M che è un punto qualunque di 
[» - k\, lu particolare se gli iperpiani polari di n -h 1 punti indipendenti di [n | 
gassano per un |n — k], per questo passa Viperpiano polare di ogni altro punto 
di [n], ed esso è perciò uno spazio di punti singolari. 

Si abbia ora un complesso dotato di un [n — r + /] totale. Prendo in esso 
n-r + /+l punti indipendenti e fuori di esso altri r — ? punti generici. Gli 
iperpiani polari di questi ultimi si tagliano in un [n — r -{- Z]' che incontra lo 
spazio totale dato in un [n - 2r + 21] (almeno) ; gli iperpiani polari poi degli 
^-r + I+ 1 punti presi in [n — r + /J passano tutti per questo, e quindi anche 
per [n - 2r -h 2l\ per il quale vengono cosi a passare gì' iperpiani polari di 
(»-r + Z+l)H- (r-Z) = n-}-l punti indipendenti dì [n], per cui il complesso dato 



{}) P. e. secondo l'enunciato di quel teorema si avrebbe per $ = 1 , X = che 
nel nostro spazio non esistono piani totali in un complesso speciale, mentre lo sono 
tatti queUi che passano per Tasse. 



)( 88 )( 

è dotato di un [» — 2r + 21] (almeno) di punti singolari. Dunque se un complesso 
è dotato di [n — 2r]-centro (soltanto) non può possedere spazi totali di dimensione 
maggiore di n - r ; questi ultimi poi passano per V[n — 2v\-ceniro, 

Ora fissato in {n\ un [2r - 1], esso è tagliato dal complesso dato, che sup- 
porremo dotato di [n — 2r]-centro , in un complesso lineare , ed ognuno degli 
spazi totali [n — r] taglia [2r - Ij in un [r — 1] totale per il complesso ottenuto. 
Viceversa fissato uno degli fr— 1] totali di questo complesso, si vede che per il 
dato è totale r[n-r] che lo projetta da [n— 2r]. Difatti presi i punti P, P',..., P^*^ , 

dove k sia eguale ad r-1, in detto [r-1], lo spazio S„_>_/^^''"^ ^ che si ottiene 
nel modo indicato al principio di questo numero, e che è un \n-r\ totale, passa 
per [r - 1] e per [71 — 2r], cioè è appunto T [/i -• r] che proietta quel [r— 1] da 
[n — 2rl. Abbiamo dunque : Se un complesso di [n] ha un [n - 2rJ-cen<ro, i suoi 
spazi totali di dimensione n — r sono quelli che progettano dal centro gli [v — 1] 
totali del complesso in cui il dato è tagliato da un [2r - 1], quindi tali spazi to- 

r(r-fl) 

tali sono CD * (n.» 1 in fine). 

Premesso questo, vediamo quanti spazi totali di dimensione n — r — t vi sono 
in un complesso dotato di [n — 2r]-centro, spazi che sono tutti contenuti negli 
[/* — r] totali. Fissato un [n - r] totale, quindi passante per [n - 2r], e preso in 
esso un [n — r — t] generico, se è « — 2r — ^ + 1 > 0, runico spazio di dimensione 
u — r passante per [n - 2rJ e il detto [n-^r - t] è V[n - r] in cui questo è stato 

preso, quindi essendo 00 * gli spazi totali [n - r] , ed essendovi in ciascuno 
di essi 00^'*"'*"'+*)' spazi [n - r - i], ognuno generico dei quali appartiene ad un 
solo di quegli [n — r], ne viene che quando sia n — 2r - t -f 1 >0, ia dimensione 

dell'infinità degli spazi totali di dimensione n r— t è — f(n-r-t4-l)t. 

Se è ?i — 2r — < + 1 < 0, V[n - r — t] preso in un [n - r] totale individua con 
[n — 2r] un [2n — 3r — « + 1] totale (dove per Tipotesi fatta è 2a — 'òr- t 1 1 < n - r), 
il quale taglia un [2r - 1] in un [n - r — t]' totale per il complesso CMn cui quel 
[2r — 1] è tagliato dal dato C-, viceversa ogni [n — r — t]' totale per C è projet- 
tato da [?* - 2rJ in un [2n - 3r — t + IJ totale per C. Allora siccome gli [n— r— ^|' 
totali per C formano (n.o 1 in fine) un' infinità di dimensione 

(n -r-t-hì) (Ir ~ 3n + 3< - 2) 

2 ' 

altrettanto avviene per i [2n - 3r — f -t- IJ totali di C, passanti per [n — 2r]; e sic- 
come gli f/i — r - f ] di un siffatto [2n — Sr—t-^l] formano un'infinità di dimen- 
sione (» — r - < -f- l)(n - 2r 4- 1), ed ognuno generico di essi appartiene ad un 
solo dei nostri [2n — 3r - t \- 1], così abbiamo che quando sia n — 2r — t -f- 1 < 0, 
gli [n — r - tj totali del dato complesso foi^mano un'infinità di dimensione 

(n -r- t+l)(7r- 3n-f-3t-2) , ., ^ .. 

i^ ^-^^ ■'^ + (n — r-t + l)(n-2r+ 1) = 

(n - r — 1 4- l)(3r - n + 3t) 

2 



)( 89 X 
Siccome quest'ultima espressione può anche scriversi cosi 

possiamo eoDcludere: La dimensione delVinflnità degli spazi totali di dimensione 
n-T-t di un complesso dotato di [n — 2r]-c6n^ro è sempre data da 

—^ — + (n - r - 1 + l)t 2 , 

quando si convenga di porre eguale a zero V espressione 2r — n + t — 1 qualora 
essa risulti negativa. 

Già che ci troviamo neirargomento degli spazi totali noteremo ancora, per- 
chè ne avremo bisogno in seguito, che i [q] totali comuni a due complessi gene- 
riti di un [2q + Ij sono tali che per ogni punto generico ne passa uno e che due 
complessi generici di un [2ql hanno un solo [q] totale comune. Quanto alla prima 
parte se si hanno in S5 due complessi C , C, gli iperpiani polari di un punto A si 
tagliano in un S3, il quale sega C , C in due complessi C, , C, aventi A per 
punto singolare, e quindi (n.o 1) dotati di rette-centro h , b' passanti per A, ed 
il piano bb' è il solo piano totale comune ai complessi dati passante per A. Se 
si hanno in S7 due complessi C , C, gì' iperpiani di un punto A si tagliano in 
un Sj che incontra i complessi dati in due C, , C, dotati di rette-centri b , b 
passanti per A. Allora un S, di S5 taglia C, , C, in due complessi Cj , G\ ed il 
piano 66' in un punto per il quale passa una retta comune a C, , C',, retta che 
vien projettata da b ,b' in un unico S'3 passante per bb* e che è il solo spazio 
totale a tre dimensioni comune ai complessi dati passante per A. Ed ora proce- 
dendo col metodo d' induzione si arriva facilmente alla conclusione preannun- 
ciata. Quanto alla seconda parte, dati due complessi C , C dì centri A , A' in 
un (2^], essi tagliano un [23^-1] in due complessi che hanno in comune un solo 
Iq-l] totale passante per il punto d'incontro di [23— 1] con AA', e questo [3— 1] 
vien projettato da AA' nell'unico [q] totale comune ai due complessi dati. 

3. Dal secondo teorema del n.o 2 si deduce che gli iperpiani polari dei 
punti di uno spazio generico [h] di [n] passano tutti per V[n - Ti — 1] che è in- 
tersezione di /i + 1 di essi ; viceversa poi si vede subito che gli iperpiani polari 
dei punti di questo [n — h-1] passano tutti per [h]. Due spazi siffatti chiamansi 
reciprocù È chiaro che dati due spazi reciproci, appartiene al complesso ogni 
retta incidente ad entrambi. Se il complesso è dotato di [n — 2r]-centro, il reci- 
proco di [h] passa per questo centro, perchè per questo passa Tiperpiano polare 
di ogni punto di [n], e se è n — /i — 1 < n — 2r, cioè h>2r — 1, allora ogni spazio 
[h] ammette [n — 2r] come reciproco. È poi evidente che se [h] è uno spazio to- 
tale, il suo reciproco passa per esso se è ^<n — 7i-l, coincide con esso se è 
A=n-^— 1; per h> n^h-^1 il reciproco- di [h] non è più di dimensione 
[n - ^ — 1], essendo esso lo stesso [h]. Se poi un [h] è tale che gli iperpiani po- 

YOL. XLi, 12 



)( 90 )( 

lari dì h + l suoi punti indipendenti, e quindi quello dì ogni altro suo punto, 
passino per esso, allora questo [h] ò totale per 11 complesso. 

A proposito degli spazi reciproci sono degne di nota in un [2q + 1] le 
[5+l]-ple di rette reciproche. Di queste trovasi menzione nel citato lavoro del 
Kant or (§ 4.o, n.o 14) (*). Dato un complesso generico in un [2q + 1], si fissi 

una retta ^, dello spazio e se ne trovi lo spazio reciproco S^^.i ^* , in questo 

si fìssi una retta g^ della quale si prenda lo spazio rec'proco S^^^z rispetto 

al complesso in cui Sj^.i ^*' taglia il complesso dato. Così continuando otter- 
remo (7 + 1 rette g^ ^ Qt y ... , g^^^^ che diremo formare una {q + l)-pla di rette re- 
ciproche rispetto al complesso dato. 

Data una {c{y\)-pla di rette reciproche gi ; gt » ••• ; &y+i rispetto ad un C07n- 
plesso generico di [2q+lJ, ognuna di esse è reciproca dello spazio determinato 
dalle rimanentij le quali formano una q-pla di rette reciproche rispetto al com- 
plesso in cui questo spazio taglia il complesso dato. Ciò avviene in virtù della co- 
struzione se la retta che si considera è quella ^, da cui si è partiti per ottenere 
la (5+l)-pla. Se ora invece prendiamo la g^, l'iperpiano polare dì un suo punto 

G, rispetto al complesso che si ha segando il dato con S ^* passa per gi^g^y^ g^^^ 

per l'anzidetta costruzione , quindi anche Tiperpiano polare di Gj rispetto al 
complesso dato in [2^1-1] passa per quelle rette; ma questo passa anche per ^, 

essendo S^^* reciproco di questa retta per costruzione , dunque passa per lo 

17-1 

spazio determinato dalle rette gì } g$ j g^y ... , gq^i- Siccome ciò avviene sempre 
al variare di G^ sulla g^j così si vede che lo spazio [2g— 1}' determinato dalle 
dette rette è reciproco di g^. Vogliamo ora dimostrare che le rette gi^gzig^v'iffg-^-i 
formano un ^-pla di rette reciproche rispetto al complesso in cui [2^—1]' taglia 
quello dato. Preso un punto G| di g^, il suo iperpiano polare in [2g4-I] rispetto 
al complesso dato passa per ipotesi per gt,gtr")9q^i} © vien tagliato da I2g^— 1]' 
neiriperpiano polare di esso rispetto al complesso in cui quello dato è tagliato 
da questo [2^-11', per cui si vede che al variare di G, sultani il suo iperpiano 
polare rispetto al detto complesso di [2^-1]' passa per lo spazio determinato da 
9i 7 9i 1 ••• } ^Y+« ) il quale è dunque il reciproco di g^ rispetto a tal complesso. 
Dopo di che in virtù della costruzione si ha che lo spazio reciproco di ^3 ri- 
spetto al complesso in cui il dato è tagliato dallo spazio determinato da g^ , 
9i 1 ••• » 9q^\ è quello determinato da g^ y g^ , ... , g^+i ecc. Ed ora ragionando in 
modo analogo, partendo invece che dalla g^ successivamente da g^ , g^ t » > * j 
si arriva facilmente alla conclusione voluta. 

Date q+1 rette g^ , gt y »•• > gq^-i tali che ognuna sia reciproca dello spazio 
a 2q4-l dimensioni determinato dalle rimanenti, esse formano una (q-f-l)-pla di 
rette reciproche* Il reciproco di g^ è per ipotesi il [2^^— Ij determinato da g^, 
93 9 ••• ) 9q^%' 0^^ ^^ punto Qi di g^ ha il suo iperpiano polare, rispetto al com- 



(') Cfr. anche Y u ti g, On St/stems of One- Vectors, Proc. of the London Math. 
Soc., Voi. XXIX, 1898, dove sono incontrate gotto un altro punto di vista. 



)( 91 )( 

plesso dato in [2g-hl], passante per g^ f g^ ) 9i 7 ••• > 9q^\ (essendo lo spazio detor- 

minato da queste, reciproco di g^ per ipotesi), e vion tagliato da [2g— 1] nell'i- 

perpiano polare di G, rispetto al complesso in cui questo [2^—1] taglia il dato; 

dunque questo iperpiano polare in [2^-1] passa per le ^s ? ^4 ) • • • 7 9q^\ > ^^^^ 

per il [2^-3] da esse determinato^ quindi questo spazio (avvenendo quel fatto 

per ogni punto di ^,) è in [2^-1] il reciproco di g^, E così di seguito. 

Ghinderò lo svolgimento di queste nozioni col far osservare come da alcune 
considerazioni fatte al no 3 può tosto dedursi che dato in [n\ un complesso C 
dotato di ftt— 2r]-centro, rimane ad esso subordinato nella stella di centro [»-2r] 
un complesso^ considerando come elementi (punti) gli [/i-2r+l] della medesima 
(complesso che si ottiene projettando da [n-2r] un complesso generico di un 
[2r-l]), di guisa che ognuno di questi [rt-2r-MJ ha rispetto a tale complesso 
per polare una stella di od^*^* spazi [n--2r-f-lj che riempiono un iperpiano di [nj, 
il quale è polare di ogni punto di [n-2r+lj rispetto a C, e che chiameremo 
pure rispetto al complesso dato C iperpiano polare di quel [n— 2r+l], il quale 
diremo alla sua volta polare di quel iperpiano. In questo senso nel complesso 
ogni [n-2r+l] passante per fn-2r] ha un iperpiano polare passante per [?i-2r] 
e viceversa ogni iperpiano passante per |n— 2r] ha il suo [n-2r+l] polare pas- 
sante per [u-2rl. 

4. Dati due complessi in uno spazio [«], le oo"*"* rette ad essi comuni ap- 
partengono ad un sistema lineare od' di complessi (sì che per ogni altra retta 
dello spazio ne passa uno), che dicesi fascio di complessi ; V insieme di quelle 
OD**"* rette si chiama base del fascio. 

In uno spazio \2q\ consideriamo due complessi C , C dotati rispettivamente 
di [25'-2r]-centro e [2g— 2«l-centro, tali che questi centri siano in posizione ge- 
nerica e non abbiano alcun punto comune, il che accadrà se è r-f-«-g>0. Ogni 
ponto di [2^] è centro di una stella, di un [2g~2j, di rette comuni a C , C (es- 
sendo [2<2-2] rintersezione dei due iperpiani polari di quel punto rispetto a C, C), 
e quindi a tutti i complessi del fascio da essi determinato. Vi sono però anche 
dei punti singolari rispetto a\ faccio, ognuno dei quali è vertice di una stella 
di un [2^-1] di rette comuni a , C, e ciò accadrà per ogni punto che abbia 
Io stesso iperpiano polare rispetto a questi. Se è A un siffatto punto singolare, 
siccome Tìperpiano che è polare di esso rispetto a C ed a C deve passare per 
i due centri, cosi A deve trovarsi nello spazio reciproco di [2^— 2r] rispetto a 
C, che è un [2r-l] ad esso incidente in un punto H (perchè [217— 2r] taglia C 
in un complesso dotato di un punto-centro H, cosicché gli iperpiani polari di 
ogni punto di quello spazio passano per H, per il quale passa dunque anche 
[2r-l| che ne è inviluppato), e nel reciproco di [22-2«] rispetto a 0, che è un 
[2«-l] ad esso incidente in un punto E ; questi due spazi si tagliano in un 
[2r+2«-2-25'], Itiogo dei punti tali che gli iperpiani polari di ognuno di essi 
rispetto a C ^ C passano per entrambi i centri. Questo spazio incontra i due 
centri rispettivamente in H, K ed i complessi dati in due altri C, , 0/, ognuno 
dei quali ha per singolari i punti H , E (p. es. per 0^ è singolare H che appar- 
tiene a [2^-2r] ed anche K, perchè ogni punto di [2r4-2«--2— 2^] ha l'iperpiano 



• • •• •• 

• • •••••• •• •• 

••••• ••• 

•• •• •• 



)( 92 ì( 

polare passante per K, per cui ogni retta di esso passante per K appartiene a 
C,) , quindi tutti ì punti della retta HK , e perciò sono dotati di piani-centro 
a , a' passanti per HK. Ora fissato in [2r+2«— 2— 2^] un [2r-^ 28- 5 "2g], esso taglia 
r Sj determinato da a , a' in un punto per il quale passa uno spazio [r+»— 3— g] 
totale comune ai complessi in cui vengono tagliati G, , 0/ da [2r+2«-5— 2^] , spa- 
zio totale che viene projettato da a , a' mediante un unico [r+s-^q] passante per 
S3 e totale per C| , 0/ e quindi anche per C , C. Abbiamo dunque che i due 
complessi dati ammettono un [r-f^-^] totale comune, incidente ai centri rispet- 
tivamente in H , K , e tale che ogni suo punto ha Tiperpiano polare rispetto a 
ciascuno dei due complessi passante (oltre che per detto [r+«— 5]) per entrambi 
i centri. In particolare per r=8 = q ritroviamo il [q] totale comune a due com- 
plessi generici di [2q] già trovato per altra vìa alla fine del n® 2. 

Ora fissato un punto A qualunque di [r+s—q], il suo iperpiano polare ri- 
spetto a C è il polare dello spazio [2<7— 2r-|-l] determinato dal centro e da A 
(n® 3 in fine), e questo iperpiano passa per [2g— 2r] , [2q-28], [ris-q]. Ora 
[22'-2ril] taglia [r-f«— 5] nella retta HA. Al variare di HA intorno ad H in 
[r+s-^l lo spazio [25-2r4l] descrive una stella oc'"'*'^^'* di centro [2^— 2rJ e 
determinata perciò da r-^s-q di codeste rette come HA, ed i polari dei [22'-2r+l], 
corrispondenti a queste rette si tagliano in un [3q-r—s] passante per [2<^— 2r] , 
[2q-2ò], b*4«~g], cioè appunto nello spazio da questi tre determinato, e per 
questo passano i polari di tutti i [2^— 2rflj determinati ognuno da [2q-2r] e 
da una delle rette come HA. E siccome gli iperpiani passanti per [3g f-«l sono 
appunto 00'"+'"^"*, così si vede che ogni iperpiano passante per [33— r—»] è po- 
lare di lino dei [2^-2r+l] determinati da [2q-2r] e da una retta di [n^s-q] 
passante per H. I fatti analoghi valgono per C. 

Dopo ciò fissata iin [r+s-q] una retta HA, il [25^— 2r+l] che la unisce a 
[25— 2r] ha rispetto a C un polare passante per [2g— 2r] , [2^— 2«] , [r-f« 5], e 
questo rispetto a C è polare di un [2g'-28fl] passante per [25— 2«] e segante 
[r^-S'-q] in una retta per K. Quando HA descrive nella stella di [?•!-« -5I avente 
per centro H una stella di dimensione t, si vede subito che anche la corrispon- 
dente nella stella di centro K descrive una stella di dimensione i, cosicché le 
due stelle si trovano in corrispondenza omografica , ed il luogo dei punti co- 
muni a raggi corrispondenti è una curva normale r di ordine r-h«— ^, che è il 
luogo dei punti che hanno lo stesso iperpiano polare rispetto a 0,0', cioè il 
luogo dei punti singolari rispetto al fascio determinato da 0,0', o infine il 
luogo dei centri dei complessi di questo fascio diversi da , 0'. Dunque se un 
fascio di complessi di un [2q] è determinato da due complessi , 0' dotati ri- 
^pettivameìtte di centri di dimensione 2q^2v y 2q—2s situati in posizione generica 
e tali da essere rf s-q>0, il luogo dei punti singolari j ossia dei centri dei com- 
plessi del fascio diversi da , 0', è una curva normale razionale di ordine 
r+s-q avente un punto comune coi centn di , 0'; lo spazio cui appartiene 
questa curva è totale per tutti i complessi del fascio ed è il luogo dei punti i cui 
iperpiani polari passano per i centri di tutti questi complessi (compresi C e C). 

In particolare per r=8=q si ha che in un fascio generico di complessi di 



• • . . ••• 



)( 93 )( 

un [2q] il luogo dei centri è una curva razionale normale del [q] totale comune 

a tutti i complessi del fascio {*). 

Fissato ora nel nostro fascio un complesso generico C", il suo centro M 
è sulla r e riperpiano polare di esso rispetto ad nn complesso del fascio lo è 
anche rispetto ad ognuno degli altri, ed è uno dì quelli che contengono le 
stelle di rette della base del fascio riempienti iperpiani. Preso un punto P qua- 
lunque di [2gJ, il suo [2^—1] polare rispetto a C" passa per M, e perciò taglia 
la r in altri r^s-q—ì punti M, , M, , ... , M^.^, ^_,. Gli iperpiani polari delle 
rette MM, , Mldj ,..., MM^^,.^_, rispetto a C" passano por P, oltre che per il 
m-r-g] determinato da (2<7— 2r] , 12^— 2a] , [rrs-qìy e quindi per il [3q—rs^l], 
determinato da [3q—r—8] e da P. Perciò abbiamo che gli iperpiani che conten- 
gono stelle della base del fascio {diverse da quelle che hanno i centri in [2q— 2r], 
|2q-2«]) tono tali che per ogni [3q r— s+1] passante per il [3q— r-s] determinato 
dai cenili di C , C e dallo spazio cui appartiene la curva luogo dei centri degli 
altri complessi del fascio, ne passano r+s— q— 1. 

5. Abbiasi in un [2^ + 1] un fascio determinato da due complessi generici 
C,C'. Sia [q] uno degli spazi totali (n^ 2 in fine) a q dimensioni comuni a 0, 
C e quindi a tutti i complessi del fascio. Quando un punto è in questo [q] i 
snoi iperpiani polari rispetto a C , C passano per esso (o in altre parole esso 
è reciproco di se stesso), quindi anche l'intersezione loro (che è comune a tutti 
i complessi del fascio) è un [25- 1] passante per quel [<y] ; viceversa poi ogni 
iperpiano per [q] ha il suo polo in questo rispetto a ciascun complesso del fa- 
scio. Fissato dunque un punto A di [q], esso ha il suo iperpiano polare rispetto 
a C passante per [5], e questo iperpiano ha il suo polo A' rispetto C posto in- 
Iq], Quando A si muove in un [i] di [q] il suo iperpiano polare rispetto a 
ruota intorno ad un [2<7--/] passante per [q\ , quindi il polo di tale iperpiano 
rispetta a C descrive un [i]' di f^]. Dunque la corrispondenza fra i punti A , 
A' è una omografìa, e perciò vi sono ^f 1 punti uniti B, , B^ , ... , B^^„ ognuno 
dei quali è punto singolare rispetto al fascio. Prendiamo un [^J' totale, diverso 
da [9], comune a tutti i complessi del fascio, e siano [2^], [25)4 , ... , [2^]^ gli 
iperpiani polari di B,,Bj,... ,B^ rispetto ai complessi del fascio; essi tagliansi 
in un 1^4-1] che incontra [^^J' in un punto D^^,. L' iperpiano polare di questo 
punto rispetto ad uno generico dei nostri complessi passa per [q\' e contiene 



(*) Avendo avuto occasione di comunicare parecchie delle cose che trovansi in 
questo scritto al prof. Segre, questi mi fece osservare l'analogia di alcuni dei ri- 
sultati qui contenuti con alcuni di quelli cui perviene nelle sue Ricerche sui fasci 
di coni quadrici in uno spazio lineare qualunque (Atti Acc. Torino, 1884), facen- 
domi di più notare che una teoria completa dei fasci di complessi lineari di rette 
può aversi per analogia della sua teoria dei fasci di quadriche e di coni quadrici 
Della curva di cui si parla nell'ultimo teorema qui enunciato trovasi cenno in una 
nota delle Ricerche di geometria della retta nello spazio a quattro dimensioni del 
prof. Castelnuovo (Atti Ist. Veneto, 1891). 



• • •• •• 

: : • •:• :••: 

••• • 



)( 94 )( 

le rette D^+, B, , D^4., B, , ... , D^^, B^ , cioè è Tiperpiano determinato da [q]' o 
da B, , ... , B^ , il che prova che D^+i ha il medesimo iperpiano polare rispetto 
a tutti i complessi del fascio. Altrettanto dicasi dei punti D^ , D^.| , ... ^ D, che 
possono ottenersi in [q]' in modo analogo a [^-l-lj. 

Gli iperpiani polari di B, , Bj , ... , B^ rispetto ad uno qualunque dei nostri 
complessi, p. e. rispetto a C, contengono [q], quindi passano per B^^,, e pas- 
sano anche per D^+i che è l'incontro loro con [qY, cioè contengono la retta 
B^^, D^^,. L'iperpiano polare di D, rispetto ad un complesso del fascio passa 
per [q], quindi per D^^., ; inoltre essendo D| intersezione degli iperpiani polari 
dì B, , Bj , ... , B^^., con [q]\ il detto iperpiano polare di D, contiene anche la 
D, B^+i , cioè passa per B^^, e per conseguenza anche per la retta B^^., D^^.!* 
Dopo ciò si vede che gii iperpiani polari , rispetto ad un complesso del fascio , 
dei punti B, , B, , . . . , B^ , D, , D, , . . . , D^ passano per la retta B^^, D^^., , la 
quale è perciò reciproca del [2g-l] determinato da quei punti. Ciò prova che 
le rette B, D, , B, D^ , ... , B^+, D^^, formano una (^f l)-pla di rette reciproche 
rispetto a ciascun complesso generico del fascio (n» 3). Ogni punto di [una di 
queste rette ha il medesimo iperpiano polare rispetto a tutti i complessi del 
fascio, cioè quello determinato da quel punto e dallo spazio, reciproco di quella 
retta, determinato dalle rimanenti rette. 

Siccome poi i [q] completi comuni ai nostri complessi formano (n* 2) un 
sistema tale che per ogni punto di [20* fi] ne passa uno; siccome d'altra parte 
gli spazi a q dimensioni seganti le ^+1 rette anzidette formano appunto un si- 
stema siffatto, ed ognuno di essi è spazio totale per ognuno dei complessi del 
fascio (perchè se è S^ uno di essi segante le ^-l-l rette nei punti H„H2,..«,Hj^,, 
Tiperpiano polare di H^ rispetto ad un complesso del fascio, contenendo le rette 
H^ Hi , H| Hj , ... , H^ H,-^, , ... , H, H^+i, passa per S^, quindi passando cosi per 
questo gli iperpiani polari dì qrl suoi punti, vi passano pure quegli degli altri 
(n® 2), cioè esso è reciproco di sé stesso e perciò (n® 3) spazio totale per cia- 
scuno dei nostri complessi), così possiamo concludere : Dato in [2q+l] un fa- 
scio di complessi, esiste una (q+l)-pla di rette reciproche comune a tutti questi 
complessi ; ogni punto di queste rette è punto singolare del fascio , e gli spazi 
[q] loro comuni seganti sono gli spazi a q dimensioni totali per la base del fa- 
scio. Le intei'sezioni di uno qualsiasi di questi [q] con le rette di quella (q+l)-pla 
sono i punti uniti di ogni omografia che si ha prendendo come corrispondenti 
i poli , rispetto a due complessi generici del fascio , degli iperpiani contenenti 
quel [q]. 

Se si prende un punto K di una, g, delle g+1 rette nominate nell'enunciato 
precedente, esso ha lo stesso iperpiano polare rispetto ad ogni complesso gene- 
rico del fascio (cioè quello determinato da K e dalle altre q rette), iperpiano 
che non contiene </, e tutte le rette di esso passanti per K appartengono alla 
base del fascio. Ora per questa base e per una retta per K non posta in quel- 
riperpiano passa un complesso del fascio, al quale apparterranno dunque tutte 
le rette di [23+1] passanti per K. A determinare questo complesso nel fascio 
può prendersi la g^ il che prova che al variare di K sulla g questo complesso 
non varia ; in altri termini esiste nel fascio un complesso ed uno solo avente 



•• •• • • 

•ir* •••••• • • 

• #. • •• • • • • 

••• ••• • • 

•• •• •• 



)( 95 )( 

la g per retta centro. Oltre ai complessi detcrminati nel fascio ciascuno da una 
delle q^i rette anzidette non ne esistono altri dotati di retta centro; In altre 
parole non può esservi un punto singolare fuori di quelle rette. Difatti se è L 
an pnnto singolare fuori di quelle rette, tale quindi che le rette della base per 
esso formano un [2(7-11, vuol dire che questo iperpiano è polare di L rispetto 
a tatti i complessi del fascio. Ora gli ipcrpiani polari di L rispetto ai complessi 
aventi per centri le rette della nostra (g'-hl)-pla fir , flf, , ... contengono rispettiva- 
mente i piani L^ , L^, , ... , e poiché l'iperpiano polare di L deve esser lo stesso 
per tutti i complessi del fascio, cosi esso deve contenere g , ^, ,..., L, cioè deve 
essere l'intero [2gfll, ossia tutte le rette per L apparterrebbero a tutti i com- 
piessi del fascio, ossia L sarebbe punto singolare per ciascuno di essi , il che 
va esclaso, avendo scelto per determinare il fascio due complessi generici. Si 
conclude che dato un fascio generico di complessi di nn [2q+l] , le rette della 
{q+l)-pZa di rette reciproche comune a tutti quei complessi sono (esse ed esse 
folo) assi di complessi singolari del fascio» 

Preso uno dei complessi singolari del fascio, le sue rette sono (n^ 2) quelle 
dei \qH], totali per essO; che projettano dall'asse i [^—1] totali di un complesso 
non singolare di un [2^—1] ; le rette della base del fascio risultano allora come 
intersezioni dei [7+I] totali di uno qualunque dei complessi singolari del fascio 
con quelli di un altro, e mentre un [q^lì generico di [2g-f-l] taglia la base del 
fascio in od*^~* rette formanti pure la base di un fascio, uno dei I^'+l] totali 
anzidetti la taglia invece in oo*^~* rette formanti un complesso lineare. Abbiamo 
dunque che nel mentre le rette di un complesso lineare di un [2q + l] sono ag- 

gruppale in modo da formare oo * spazi [q] totali, quelle della base di un 

q(q+ì) 

fascio generico lo sono in modo da formare <» * (che tanti sono i [qi-1] to- 

tali di un complesso dotato di retta-centro) complessi lineari di 00 * spazi 
[qH] distribuiti in q+1 gruppi, sì che quelli di uno stesso gruppo passano per 
l'asse di uno dei complessi speciali \ il complesso che si ha in uno qualunque 
dei [q+1] di uno di questi gruppi vi è segato dai [q-l-1] di un altro qualsiasi dei 
rimanenti gruppi. 

Dati ora in [2gfl] due complessi C,C' dotati rispettivamente di [2gf 1— 2r]-cen- 
tro e [2^-{-l— 2«I-centro , potranno sempre considerarsi come sezioni di [25'4l] 
con due complessi C| , C^' di un [2g + 2] passante per esso e dotati rispettiva- 
mente di [2g+2— 2r]-centro , [2g'+2— 25]-centro. La linea di ordine ri- s-q-ì che 
è luogo dei centri dei complessi del fascio determinato da C| , C/, vlen tagliata 
in r+*-g— 1 punti singolari per complessi del fascio determinato da C , C, per 
ognuno dei quali punti passerà Tasse di un complesso dotato di retta-centro. 
Tutto questo (n© 4) con la condizione r-F«— g-l>0. Dunque se un fascio di com* 
plessi dì un [2q+l] è determinato da due complessi C , C dotati rispettivamente 
di centro di dimensione 2q+l— 2r , 2q+l— 2s, situati in posizione generica e tali 
da essere r+s-q— 1>0, il fascio contiene altri r+s— q— 1 complessi degeneri 
dotati ciascuno di retta centro, È chiaro che lo spazio reciproco del centro 



• • •• •• 

: • • * :• :••: 

• •••• ••• 

• « • • • • 



X 96 )( 

di ano qualunque dei complessi singolari del nostro fascio rispetto ad ano ge- 
nerico dei complessi di questo^ è quello determinato dai centri degli altri com- 
plessi singolari. 

Si abbiano ancora in I2q] due complessi C ^ C dotati rispettivamente di 
l2q — 2r]-centro e [2q — 2«]-centro (senza che sia più necessaria la restrizione 
r4-«— $>0) aventi un [kl comune (e solo questo). 

Allora tutte le rette incidenti a [k] sono comuni a C ^ C, quindi a tutti i 
complessi del fascio (C , C), per ognuno dei quali dunque [k] è uno spazio di 
punti singolari. Se è A:=:2A+1 ogni complesso del fascio è dotato di [A:-|-l]-centro 
passante per [k] e che è diverso da un complesso all' altro , perchè se due di 
quei complessi avessero lo stesso [/;+l]-centro, tutte le rette ad esso incidenti 
apparterrebbero a tutti i complessi del fascio, quindi anche a C , C che non 
avrebbero cosi solo [2^-2r] , [2g'-2«] come spazi di punti singolari. Se poi è 
k=^2hf allora [2h] è centro di ogni complesso generico del fascio, e segando con 
un [23^-2/1—1] avremo in questo un fascio determinato dai complessi C,,C,' se- 
zioni di C , C, dotati di [2q-2r-2h-l] , [2g-2s-2^— l]-centro, e quindi aventi 
ancora r^s-iq-h 1)— l=r+«+/i-g complessi singolari che sono sezioni dì com- 
plessi di (C,C') dotati ognuno di [2/i+2]-centro passante per [2h], 

In [2(74-11 abbiansi due complessi C , C dotati di [2^fl-2r] , [25'fl-2éf] - 
centro aventi in comune un [k]. Se è k=^2h ogni complesso generico del fascio 
è dotato di |A;+l]--centro passante per \k] e variabile da un complesso air altro. 
Se è A:=2/i+l, allora [2^ -hi] è centro per ogni complesso generico del fascio nel 
quale (si vede come sopra) vi sono ancora r^sj-h-q complessi, ognuno dotato 
di [2/i+3]-centro passante per [2/t+l]. 

Torino, Dicembre 1902. 



•• •• •••••• • • 

:••*: •: . . • : 

••• ••••• 



)( 97 X 



SULLA JACOBIANA DI UNA RETE DI SUPERFICIE ALGEBRICHE 



NOTA 



DI 



MARINO PANNELLI. 



1. Cbiamaai Jacohiana di una rete di superficie algebriche la curva luogo 
dei punti doppi delle superficie della rete medesima. 

Una rete è determinata da tre qualsivogliano delle sue superficie. Se 

U = , V = , W = 

sono le equazioni di quelle, ogni altra superficie della rete ha per equazione 

XU -h liV + vW = , 

dove X , pi , V sono tre parametri variabili. I punti e le curve che le tre super- 
ficie date hanno in comune, sono comuni a tutte le altre superficie della rete 
e ne costituiscono la base. 

Si supporrà che questa base sia formata da a punti P^ (^ = 1, 2, 3 , ... , g) , 
ciascuno multiplo secondo il numero i^, e da t curve CjJ^k = 1, 2, 3, ... ,t), cia- 
scuna deZl'ordine m^ , multipla secondo il numero j^ e dotata in P;^ di un punto 
multiplo secondo il numero ì^j,. Inoltre si ammetterà che, in virtù delle ipotesi 
fatte, i coni tangenti alle superficie della rete in un medesimo punto fondamen- 
tale P;^ , non si decompongano in parti comuni a tutte , e i piani tangenti in 
uno stesso punto di una curva fondamentale Q^ siano in generale tutti distinti 
fra loro e variabili da superficie a superficie. 

Scelto il vertice 0(0, 0, 0, 1) del tetraedro di riferimento in un punto P^ 
le equazioni delle superficie U, V, W dello stesso ordine n prendono la forma 

U = t^iX/*"* + Ui^y xC"^'^ -I- . . . -hiA^ =0 

(1) V = ViX;"-^ -f- t;,.^, x^"-*-* + . . . + r^ = 

W = WiXC""^ 4- «?rf+, a?*""'"* + . . . + wj^ = 

/Of.. XLl. 18 



« « .«. • • • 

• • • • •• 

• • • • • 

• • • • 



,• • 



)( 98 )( 

dove per semplicità si è posto i in luogo di if^y o w,+^ , t?^^^ , Wi^^ sono fornoie 
del grado t4a delle sole variabili flCf , cr, > ^s* 

Se invece il vertice si pone in un punto qualunque di una curva C^^, ed 
inoltre si suppone che la tangente alla curva stessa in questo punto sia la retta 
34 (0^1 == , 0?^ = 0), le equazioni delle superficie medesime sono : 

(2) V = vjco^'"'^ + vjj^^ aj**--^-' + . . . + v^ =0 

dove si è posto / in luogo di j\ ed inoltre uj , Vj , w^- sono forme del grado ; 
delle sole variabili ^i , scj , mentre Uj^^ , vy+j , wj^^ sono forme del grado j -{-b 
delle variabili x^ y x^ , x^. 

2. Come è noto, la prima polare U^ di un punto qualunque Oj rispetto alla 
superficie U, è una superficie deirordine n-l, la quale possiede ogni Pj^ come 
punto multiplo secondo i\— 1, ed ogni Cj^ come linea multipla secondo /^ — 1. 
Inoltre il cono tangente in P^ ad V^ è il primo cono polare della retta Pj^ O^ 
rispetto al cono tangente in P^ ad U ; e così 1^/^-1 piani tangenti ad U, in 
un punto qualunque di Cj^ formano il primo gruppo polare del piano 0, t (es- 
sendo t la tangente in quel punto a Cj^) rispetto al gruppo dei j piani tangenti 
nel medesimo punto alla superficie U. 

Delle stesse proprietà gode la prima polare Uj di un altro punto qualsiasi 
O2 rispetto alla stessa superficie U. 

In virtù delle ipotesi fatte sulla baso della rete, i due coni tangenti in cia- 
scun punto P/j alle due superficie Uj e Uj non hanno parti comuni, e cosi non 
hanno piani comuni i due gruppi di piani tangenti alle superficie medesime in 
uno stesso punto di una curva C^^. 

Da ciò segue : 

I. « La curva a , intersezione residua delle due superficie u^ e u^, è del- 
« l'ordine 

(n - D* - IUh - ^)'^k , 

< la somma £ estesa qui e in seguito a tutte le curve Cj^ ». 

IL « La stessa curva a possiede in ogni P;^ un punto multiplo secondo 

3. Siano V, V, le prime polari dei punti 0, e Oj rispetto alla superficie V. 



•• •• • • 

•I •• ••• ••• • • 

: • : :••••. .• 



)( 99 )( 



I due fasci proiettivi di snperficie 



(3) 



5^U, + |JiV, = 



XU, + liV, = 



degli ordini n - 1 generano nna snperflcie f dell'ordine 2(n — 1). 
Partendo dalle (1), l'equazione di questa superficie è 



n-t-t 



«.•.1354 + Wf+I,.!B4"''"' + ... + M„,, , »,,,!»«"- + »i^.,,,05«"- ' + ... + «„,, 



n-t-t 



n-i-t 



«<,rB4 + «{1-1.1354 ' + - + ««,» > ».-.t»4 + "<►! i^i ' + - + «'».» 



= 0, 



dove per brevità si è posto 



du, 



i4-a 



dXr 



= '^Ua.r 






-^Ua,r* 



Quindi i] cono tangente in P^ alla superficie 9 ha per equazione 






^M 

V/,1 



= 0, 



epperò esso cono è quello generato dai due fasci proiettivi di coni 

Se invece si parte dalle equazioni (2), si trova in modo analogo che il 
gruppo dei piani tangenti alla superficie 9 nel punto della curva C^ ; ha per 
equazione 









= 0, 



e questa mostra che il gruppo stesso è il Jacobiano dei due gruppi Uj^O e t;^=0 
dei piani tangenti nello stesso punto alle due superficie U e V. 

Si ha dunque : 

I. « La superficie 9 è deir ordine 2(n — 1) e possiede ogni P;^ come punto 
e multiplo secondo 2(t\ - 1), ed ogni C^^ come curva multipla secondo 2(j\ - 1). 
< II cono tangente in P;^ a 9 è quello generato dai due fasci proiettivi formati 



- - - » -. 



)( 100 )( 

« dai primi coni polari delle rette P^0| e P^Oj rispetto ai coni tangenti in P^ 
« alle superficie del fascio XU + piV = 0. Il gruppo dei piani tangenti a 9 in un 
« punto di C^ è quello dei piani doppi dell' involuzione formata dai gruppi di 
« piani tangenti nel medesimo punto alle superficie del fascio anzidetto ». 
Una superficie ^, analoga a 9, viene generata dai due fasci proiettivi 

XU, + vW, = 
(4) 

XUj + vWa = 

dove W| e W2 sono le prime polari dei punti 0, e Oj rispetto alla superficie W. 
Per il teorema precedente e per le ipotesi fatte nel n© l, i piani tangenti 
alle superficie 9 e cp in uno stesso punto generico di una curva C^ , sono tutti 
distinti fra loro ; quindi questa curva deve essere contata ^(j\ ~ 1)* volte nella 
intersezione delle superficie medesime^ le quali perciò si tagliano ulteriormente 
secondo un luogo dell'ordine 

4(n-l)*-4Z0*-l)'^*. 

Di questo luogo fa parte la curva a già studiata nel n© 2, perchè le due super- 
ficie U, e Uj sono corrispondenti tanto nei due fasci proiettivi (3) quanto in 
quelli (4). Prescidendo da 7, rimane una curva g, la quale, come è noto (*) è 
quella generata dalle due reti proiettive 

XU, + piV, + V W, :^ 

(5) 

XU, + ptV, + vW, = 0. 

Dunque (2, I), si ha : 

li. « La curva ^ è deirordine 

3(n- i)i-3l(;\-l)X. 

Per il precedente teorema I e per le ipotesi fatte nel n© 1, i due coni tan- 
genti in P;^ alle superficie 9 e (j; non hanno parti comuni ; quindi la completa 
intersezione delle superficie medesime deve possedere in P^^ un punto multiplo 
secondo 4(14—1)*. Togliendo da questo il grado di multiplicitàdi P^ per ogni 
curva C/t, il quale, per quanto si è provato dianzi, è Mj^^^ì^hin ® quello 
della curva a già determinato (2, II), si ottiene : 



(•) Cremona: Preliminari di una teoria geometrica delle superficie. Traduzione 
di Curtze, art. 126. 



% %• • • 

* • • •! e • • 



)( 101 )( 
III. < La curva ^ possiede in ogni Pj| un punto multiplo secondo 

4. La rete formata dalle prime polari di un punto qualunque Y(y, , ^2 » ^s ) vd 
rispetto alle superfìcie della rete data, ha per equazione 

HU|2/,+U,y,+U,2/3+U4!^*)+KV,y.-l-V,y,+V3ys4V,s^4)f 

Qaesta e le due reii (5), proiettive fra loro, generano una superficie Fp , dì cui 
l'equazione è 





U, V, w, 




U, V, w, 


Fp= 


Ut V, w, 


+ P 


U. V, w. 




Uà V, W, 




U, V» w. 



= 



dove si è posto y^ : y^ - p. 

Ora per le U , V , W si prendano dapprima le forme [\) \ ordinando l'equa- 
zione risultante rispetto X4 , si trova ; 



(6) 
dove è 



Fo =-• 4X4»^'*-'^ + A,flD43('*-»)-« -f A,X4*('*~'>~* + . . . = 



; ^H ^fi Wi3 

A = ' t?,., V„ t?,3 

I ^il ^iJ ^ii 



' ^i+IJ ^il ^»» 






+ 



U,'t u 



u. 



i\ «*i + 1,2 "'ti 



««'il «^tVM «^,3 



+ 



W,| W,2 Wf4.|,3 



l^il «^it V,+l,3 



f(;,, «?„ w,.^,^8 



4-p(n-i) 






ossia 



A, = L + epAXj , 

quando si chiami L la somma dei primi tre determinanti, inoltre si osservi che 
il quarto, in viriù del teorema di Eulero sulle funzioni omogenee, è eguale ad 

1 n — i 

— Aa?,, ed infine si indichi con e il numero — ; — 
i % 



)( 102 )( 



^2 = 



^iì ^<+l,2 «^1+1,3 



«^i+i.i ^it «^l+I.S 



**<+!,! ^1+1,2 ^rt 



^1+1,1 ^t+1,2 ^i« 



ti; 



<+l,2 ^i+l,2 ^IS 



+ 



«*<i ^12 ^t+2,» 
^tl ^t2 ^/+2,S 



«^11 «^i+2,2 «^13 



+ 



Wi+2,1 «^rt «*i3 

t?<+2,t t;,2 v,^ 



+ p \(»i-ì) 



t/^« u 



Ui 



ii «*i+l,2 «< 



^il Vf+f,2 ^t 



«'il «^/^l,2 ^i 



+(n-i) 



«^f+I.f W<2 «^t 



-i(n-i-l) 



W.f «*,2 «'t+l 






i' 



ossia 



A, = M + pN , 



quando con M ed N si indichino le due precedenti somme di determinanti. E 
cosi di seguito. Quindi l'equazione (6) diventa: 

(7) Fp = Au54»^'-*> + (L + epAaCa)^?^»^*-')-* + (M + pN)»*»^"-»^""* + . . . r. 0. 

La forma di questa equazione mostra che le superficie Fp costituiscono un 
fascio E al variare di p, ii quale è il parametro del piano determinato dal punto 
T nel fascio di piani che ha per asse la retta OiO^. 

Ora poiché il vertice del tetraedro di riferimento è un punto P^ , il de- 
terminante A, per le ipotesi fatte, è diverso da zero, poiché é noto che il Jaco- 
biano di tre coni aventi il medesimo vertice si annulla identicamente solo quando 
questi coni appartengono ad uno stesso fascio. Si ha dunque : 

I. « Ogni superficie Fp é deirordine 3(n — 1), possiede in ogni P^ un punto 
« ipultiplo secondo 3(?\ — 1), e il cono ivi tangente alla superficie medesima é il 
r Jacobiano della rete dei coni tangenti nello stesso punto alle superficie della 
« rete data, opperò non varia col variare della superficie Fp nel fascio K >. 

Se poi per le U , V , W si prendono le forme (2) , il Jacobiano A è identi- 
camente nullo, e quindi in luogo della (7); si ha Tequazione seguente: 



(8) 



Fp = L^ac^'t'*--'*)-' + (M, + pNijaj^'C^-^)-» + . . . = o. 



nella quale L, , M, , N, ^ . . . rappresentano i risultati della sostituzione in L ; M , 
N , . . . delle funzioni Uj^^ , Vj^^, , wj^j, alla funzioni u^^^ , t?^^^ , io<^^. E questa 
equazione mostra: 



)( 103 )( 

II. « Ogni superficie Fp possiede ogni C/^ come curva multipla secondo 3;\-2 
€ e il g^rnppo dei piani tangenti alla supei*ficie medesima in un punto della stessa 
€ cnrva non varia col variare della superficie Fp nel fascio K :». 

Quale è il grado di multiplicitÀ di un punto P^ per la base del fascio K? 
Si considerino a tale oggetto due superficie di questo fascio^ corrispondenti a 
dae valori p' e p" del parametro p, e le superficie stesse si seghino con un piano 
condotto ad arbitrio por P^. Per questo piano si può scegliere uno qualunque 
dei dae piani X| = e a^ = 0, per esempio il primo. Le equazioni delle due curve 
risultanti sono : 

r = A^,»^"-») + (Lo + e?'AoJ^3>»**^'*"'^"* + (M, + p'No)^?**^'^*^-* + . . . = 

f" = Aosc*^^'*"*^ + (Lo + ep"Ao«3)^*'^'*"*^"'+ (^0+ p"No)X4»C'*-*)-«+ . . . = , 

indicando con Ìq i ^o ^ ^o ? ••• ^ risultati della sostituzione di (r,=0 in 1, L, M;.... 
Da queste equazioni si ricava 

p — p 

e questa curva si può sostituire , per la ricerca del numero delle intersezioni 
delle due curve /" ed f" assorbite dal punto P^ , ad una qualunque delle curve 
medesime^ e per esempio ad f'\ Ciò posto^ e fattO; il che è lecito, a?^-!^ dalle 
equazioni dì f e dì g segue : 

d = /"-exa - flf = [eX3(Lo + ep'Ao^s) - No] + . . . = 0. 

Ora si sa che la multiplicità d'intersezione del punto P^j por le due curve f e g 
è eguale alla differenza fra la multiplicità d' intersezione di P^^ per d e g , e 
quella dello stesso punto per g ed eaSy 

Il punto F^ è multiplo per g secondo 3i^ ~ 2, o le tangenti a ^ in P^ sono 
date dairequazione 

Ap^a = 0. 

Lo stesso punto è multiplo per d secondo 3i\ — 1, e le tangenti a d in P^ hanno 
per equazione 

«^a(Lo + ep'Ao»») - No = 

e quindi sono tutte diverse dalle precedenti. Perciò la multiplicità d'intersezione 
di P/i per d e ^, è 

(3l\-2)(3t;,-l). 



)( 104 )( 

L' equazione delle tangenti a g in P/^ mostra che fra le tangenti medesime 
vi è la retta X3 = 0; e che questa incontra g in 

(3i;,-2) + l = 3tA. 1 

punti riuniti in P;^. Questo numero dunque dà la multiplicità d'intersezione di P^^ 
per la curva g con la retta x^ - 0. 

Sottraendo il numero stesso dai precedente, si ha quindi : 

IH. « Ogni punto P^ è multiplo secondo 

3(t,-l)(3i\-l) 

< per la base del fascio K ». 

Quale è il grado di multiplicità per questa stessa base di una curva Q^7 Si 
considerino ancora le due superficie del fascio K corrispondenti ai valori p' e 
p" di p ; ma come loro equazioni si prendano quelle che provengono dalla (8). 
Sottrando le equazioni risultanti, si ottiene 

N,a7/C/-«J-« + . . . = 

e questa equazione rappresenta una superficie del fascio, che possiede nel punto 

della curva Cj^ un punto multiplo secondo 3Jj^-l. Quindi osservando che L^=:0 
ed N,=^0 sono le equazioni di un gruppo di piani appartenenti ad un fascio e di 
un cono propriamente detto, si conclude; 

IV. « Ogni curva Cj^ deve essere contata 

(3J,-2)(3;,~1) 
« volte come appartenente alla base del fascio £ ». 

5. La base del fascio K, ossia la completa intersezione di due superficie Fp 
si compone di tutte le curve Cj^ , della curva f studiata nel no 8, e di un'altra 
curva^ la quale, come è noto (*), è la Jacobiana J della data rete di superficie. 
Quindi chiamando x l'ordine di J e tenendo presenti i risultati già ottenuti (no 4, 

1 e IV ; no 3, II), si ha : 

9(n - 1)* = /e + [3(n - !)« - ^l{j^ ~ l)tm,l + 2:(3J, - 2)(3/, - l)m, 
donde si ricava: 



(*) Cremona 1. e. art. 130 — (..) A. Levi: Sulle singolarità della Jacobiana di 
quattro superficie nn. 7 e 8. Giornale di Battaglini. Voi. XXXIV. 



)( 105 )( 

I. < La Jacobiana J è dell'ordine 

6(«-l)«-2(6;V-3/»-lK, 

Analogamente chiamando y il grado di multiplicità per J di un ponto P;^ 
e tenendo presenti i risultati già ottenuti (n<> 4, III e IV ; no 3, ili), si ha : 

^i^ - min - 1) = y + [3(t\ - 1)* - 320* - \)%^] + 2(3^» - 2)(3/» - 1)^^* 

donde si ricava: 

II. « La Jacobiana J possiede in ogni P^^ un punto multiplo secondo 

6i^(ì~l)-2,6A*-3;,-l)Z;,,. 

6. Nel caso in cui la data rete di superficie appartenga ad un sistema li- 
neare triplamente infinito S, la dimostrazione dei due teoremi del n.o prec. può 
esser fatta anche in un altro modo, che è bene di esporre come prova dell' e- 
sattezza dei risultati ottenuti. 

La Jacobiana del sistema S è una superficie dell'ordine 4(7i- 1), che pos- 
siede ogni P;^ come punto multiplo secondo 4t;j-2, ed ogni C^ come curva mul- 
tipla secondo 4/j^ — !•(••). Un piano qualunque w, che per ora non passi per al- 
coDO dei punti P^^ , sega dunque la superficie secondo una curva H dell' or- 
dine 4(71 — 1), per la quale ciascuno degli w^ punti d'incontro N del piano w 
con una curva Cj^ è multiplo secondo Aji^—\, La Jacobiana J della rete data 
ji^iace sulla superficie ; eppcrò i suoi punti d'incontro X con o> appartengono 
alla curva H. Lo stesso piano (o taglia la rete data in una rete di curve, la cui 
Jacobiana r è una curva dell'ordine 3(n — 1), che possiede in ogni punto N un 
punto multiplo secondo 3/;^ - 1. Essa è il luogo dei punti di contatto delle su- 
perficie della rete con il piano w, e quindi contiene i punti doppi delle super- 
ficie della rote medesima che cadono sul piano io, ossia i punti X. Questi punti 
adanque al pari dei punti N, sono comuni alle due curve H e F. 

Il piano to taglia il sistema di superficie S in un sistema T lineare tripla- 
mente infinito di curve, e le Jacobiane P delle reti contenute in questo sistema 
formano un altro sistema lineare triplamente infinito ed hanno in comune, oltre 
i punti N, altri 

6(n - 1)* - Z(67V - ^k + 2)mfc 

ponti M ('). Ciascuno di questi gode della proprietà, che le sue rette polari ri- 
spetto a tutte le curve del sistema T, passano per uno stesso punto M'. Quindi 



(*) Caporali : Sopra i sistemi lineari triplamente infiniti di curve algebriche 

piane. Memorie di Geometria. Pag. 176. 

VOL. xu. 14 



)( 106 )( 

anche i piani polari di ciascun punto M rispetto a tutte le superficie del sistema 
S, passano per M', epperò il punto M appartiene alla Jacobiana ; e siccome 
si trova sul piano w, così esso giace sulla curva H. Le due curve H e r banno 
dunque in comune anche i punti M. 

In tal modo queste due curve hanno in comune i punti X, M ed N: i punti 
X ed M sono semplici e i punti N sono multipli, secondo gradi già determinati. 
Chiamando x il numero dei punti X , ossia V ordine della Jacobiana J , si ha 
dunque : 

donde si ricava 

a = 6(71 - 1)» - I(6jV - 3;, - 1)^^ , 

in accordo col teorema I del n.o precedente. 

In secondo luogo si supponga che il piano co passi per un punto P;^. Esso 
incontra la Jacobiana secondo una curva, che è ancora dell'ordine 4(n— 1) e 
che possiede un punto multiplo secondo 4;^ — 1 in ciascuno degli nif^ — If^^ punti 
N, nei quali il piano co sega ogni curva C^ , fuori di P^ , ma che inoltre è do- 
tata in P^ di un punto multiplo secondo 4e/j — 2. La Jacobiana J possiede an- 
cora ciascun punto N come punto multiplo secondo 3;^, — 1 ; ma di più essa ha 
in P;^ un punto multiplo secondo Sz;^— 1. Infine il numero dei punti M è nel 
caso attuale : 

6(n - ly - (6i^* - 4t, + 2) - 2(6i,* - 4/, + 2)(m, - l,^). 

Quindi chiamando y il numero dei punti d' incontro, fuori di P^^ , del piano co 
con la Jacobiana J, si ha : 

4(«-l) .8(«-l)=t/+[6(n-l)*-(6tV-4/,+2)-I(67V- '4/»+2)K-U] 

+ (4t\~2)(34-l)+v(4;\-l)(3;»-l)(m»-?ft»), 

donde, in virtù della relazione (9), si ricava : 

x-y = 6k(i^ - 1) - 2(6;»» - 3/» - l)?„k , 
in accordo col teorema II del n.» precedente. 



)( 107 )( 



DI UNA RAPPRESENTAZIONE CÌCLICA DEI PERIODI 

DELLE FUNZIONI DOPPIAMENTE PERIODICHE 
COME MEZZO MNEOMONICO PER LO STUDIO DELLE FUNZIONI ELLITTICHE 



NOTA 



DEL 



Dott. FELICE CERAMICOLA 



Si danno comunemente due differenti maniere per rappresentare graflcamente 
i periodi di una funzione semplicemente periodica : o per mezzo di segmenti 
uguali presi sopra una retta indefinita a partire da un certo punto origine, in 
ambo le direzioni ; o con una circonferenza di lunghezza uguale al periodo^ che 
si considera percorsa un numero indefinito di volte in ambo i sensi a partire da 
un punto origine. Questa seconda maniera dà la rappresentazione di tutto il 
campo infinito di variabilità in una porzione finita di linea^ e gode della pro- 
prietà che tutti i valori omologhi della funzione possono considerarsi come indi- 
viduati da un unico punto della figura. 

Nel caso delle funzioni doppiamente periodiche la rappresentazione dei pe- 
riodi mediante parallelogrammi contigui corrisponde evidentemente al primo dei 




3¥ 

Fig. 1. 

due metodi ricordati relativi alle funzioni semplicemente periodiche. Però può 
darsi, anche per i periodi delle funzioni doppiamente periodiche, una rappresen- 
tazione che corrisponda al secondo metodo. 

Siano 2(0 e 2co' i periodi. Rappresentiamo il modulo di 2(o con una circon- 
ferenza fissa (fig. 1) considenita percorsa in direzione positiva a partire da zero 



)( 108 )( 

il modulo di 2ii)' con una circonferenza tangente alla prima internamente in un 
punto qualsiasi, di diametro minore al raggio della precedente e percorsa nella 
stessa direzione a partire dal punto di tangenza. Supponiamo quindi che tutte le 
circonferenze rappresentanti il modulo di 2to' ruotino di un angolo infinitesimo 
attorno al diametro passante per la loro origine, in modo che le semicirconfe- 
renze w' che, partendo dal detto punto di contatto, vengono percorse prima, ri- 
mangano dalla parte superiore del piano della circonferenza 2io, e le altre ri- 
mangano dalla parte inferiore. 

Tutte le infinite circonferenze 2to', che si possono immaginare sussistere in 
queste condizioni, formano una corona circolare costituita di due strati sovrap- 
posti e distinti, saldati per i margini circolari interni ed esterni. 

Un punto qualsiasi del consueto piano parallelogrammico può essere sempre 
rappresentato dall'espressione 



(1) 



2aco + 26to' 



in cui a e b sono numeri reali qualsiasi. Si voglia rappresentare tale punto col 
sistema di cerchi indicato : a partire dallo zero di 2(o percorreremo su questa 
circonferenza Tarco 2ato, poi a partire dall'estremo di esso percorreremo sulla 
circonferenza 2co', che ivi è langente alla circonferenza 2o>, l'arco 26io'; l'estremo 
di questo lo chiameremo il punto 2ato + 26to'. 

Tutti i valori della forma (1) sono compresi nella corona anulare generata 
dalle circonferenze 20)'. 

Precisamente se noi mandiamo per tutti i punti 

2hiù + (2fc + 1)0)' [A , A: = , 1 , 2 , . . .] 



2HU)-l-2(K-f1)uJ 



2HU)-l-(2K-l>l)U) 



2HU)-t-2KU) 




11P^1)UK2(MU)' 



2(H'»-1)(JL)-i-2KU)' 



Fig. 2. 



del piano parallelogrammico (fig. 2) delle rette parallele alla direzione del mo- 
dulo di 2to, verremo a dividere tutti i parallelogrammi in due parti; una costi- 
tuita da punti in cui 



(2) 



2A: < 26 < 2k + 1 



e l'altra da quelli in cui 



(3) 



2A: + 1< 26 < 2(A: + 1) ; 



)( 109 )( 

i puDtì delle prime parti vengono tutti rappresentati da punti dello strato supe- 
riore della corona, i punti delle seconde parti da punti dello strato inferiore. I 



panti per i quali 



2h = 2k 



sono tutti situati sulla circonferenza esterna della corona, quelli Invece per cui 

26 = 2A: + 1 

sono situati sulla circonferenza interna. 

Viceversa ad ogni punto di questa corona, considerato come appartenente 
al primo o al secondo strato, e ad ogni punto dei contorni di essa corrisponde 
un valore della forma 2aio -h 2&(o' a meno di una quantità 

2rnto + 2n(o' 

dove fii ed n sono interi, positivi, negativi o nulli. 

La corona circolare ci rappresenta dunque il piano parallelogrammico di 
una fanzione doppiamente periodica e ad ogni punto della corona, immaginato 




Fig. 3. 

connesso ad uno dei due strati, corrispondono tutti i punti omologhi del piano 
parallelogrammico. In coincidono tutti i vertici dei parallelogrammi. 

Come nella rappresentazione parai lei ogrammica, così in questa, che potremo 
chiamare ciclica, si può invertire l'ordine del cammino da seguirsi per arrivare 
ad un detcrminato punto ; così al punto 2aw + 2òw' si può pervenire percorrendo 
prima 26oj' poi 2aw, con l'avvertenza di descrivere non l'arco 2aw sulla circon- 
ferenza 2co, ma un arco di ugual angolo al centro sulla circonferenza di raggio 
uguale alla distanza del punto 26to' dal centro del cerchio 2to. Questo arco con- 
centrico di 2ato dovrà essere percorso sul primo o sul secondo strato della corona 
sccondochè si trova su quello o su questo il punto 26w' in cui detto arco si inizia. 

Si può osservare che ad una parallela al modulo del primo periodo corri- 
sponde, in questo sistema, un cerchio concentrico al 2(o, situato nello strato su- 
periore o nell'inferiore secondochè la parallela appartiene alla parte di paralle- 
logrammo in cui è soddisfatta la condizione (2) o la condizione (3) ; ad una pa- 
rallela al modulo del secondo periodo corrisponde un cerchio 2w'. 

Consideriamo ora nel parallelogrammo fondamentale (fig. 3) la bisettrice OA 



)( no )( 

deir angolo dei modali di 2(o e di 2(o' , uscente dal punto ; essa è costituita 
dai punti per i quali 

|2aw| = |26w'| 

quindi nella rappresentazione ciclica (fig. 4) essa corrisponde ad uaa linea for- 
mata dai punti M a cui si perviene percorrendo nel cerchio delle io' a partire 
dal punto di tangenza A un arco della stessa lunghezza di quello che, sul cer- 
chio dello co, va dall' origine al punto A. Se l'arco AM fosse uguale all'arco 
QB, del contorno interno, il luogo dei punti M farebbe la epicicloide descritta 
dal punto nel rotolamento del cerchio di diametro OQ attorno al contorno in- 
terno della corona, ma poiché l'arco AM è uguale all'arco OA e quindi non u- 
guale, ma direttamente proporzionale all' arco QB, ne deriva che la curva dei 
punti M differisce da una epicicloide per il fatto che il cerchio mobile rotolando 
sul cerchio base non gira di un arco uguale, ma soltanto proporzionale all'arco 
percorso su quello. 

Se invece consideriamo la bisettrice dei moduli di 2(o e di — 2to' uscente da 




Fig. 4. 

0, cioè la OH perpendicolare in alla OA (fig. 3), troviamo che i suoi punti, 
essendo quelli per i quali 

|2aw| = |-2òw'l , 

nella rappresentazione ciclica sono punti dei cerchi 20/ che distano dai punti di 
tangenza di questi col cerchio 2(o^ in direzione negativa, di un arco uguale a 
quello di 2(o che, in direzione posUiva, va dall'origine al detto punto di tan- 
genza. Nella fig. 4, essendo l'arco AN uguale all'arco OA, N è un punto della 
perpendicolare considerata. Il luogo di questi punti è la ipocicloide descritta dal 
punto nel rotolamento del cerchio delle 2io' sul cerchio delle 2w 

Due punti che appartengano uno a ciascuna delle due bisettrici OA ed Ofi 
(fig. 3) sopra considerate e che. corrispondano rispettivamente ai valori 

2a(0 + 26(o' , 2aio — 26w* , 

nella rappresentazione ciclica si trovano sul medesimo cerchio 2(o' simmetrici 



)( 111 )( 

rispetto al diametro di questo cerchio che passa per il centro della corona e 
situati in conseguenza su strati diversi di questa. 

Ciò che si è detto per il parallelogrammo fondamentale si può ripetere per 
qualsiasi altro parallelogrammo. 

A due punti del medesimo strato della corona simmetrici rispetto al contro 
di questa corrispondono due punti situati su una medesima parallela al modulo 
di 2(0, i cui valori z e z' soddisfano alla condizione 

|2-z'| = |(2m -h l)w| 

dove m è zero o un intero qualsiasi positivo o negativo 

A due punti invece situati agli estremi di un medesimo diametro di un cer- 
chio 2(1)'^ e in conseguenza su strati diversi della corona, corrispondono punti 
di una medesima parallela al modulo di 2(o' e i cui valori e , z* soddisfano alla 
condizione 

\z - z\ = |(2m + l)w'| 

dove m ha il significato precedente. 

I punti diametrali, nei cerchi 2w', dei punti M ed N considerati (fig. 4) sono 
quindi punti delle parallele alle bisettrici OA ed GB (fig, 3) condotte per un 
punto (2m + 1)W. 

Serviamoci di questa rappresentazione per la funzione snz. 

Poiché non ci occuperemo di quislioni che riguardino il rapporto fra i pe- 
riodi; potremo conservare il diametro della circonferenza 2w' minore del raggio 
della circonferenza 2(o. 

Abbiamo 

sno = snw = o , 

(0 (0 

sn — = — sn3 — -=1 
2 2 

e da ciò appare evidente come in rapporto al primo periodo la funzione snz si 
comporti come la funzione sen — 
Dalle uguaglianze 

snio' = sn(w + W) = oo 



BUI -T- 



/(o ,\ /3w Ai 



risulta che i valori oo , — , — — sono distribuiti come appare dalla figura 6. 

rC rC 



Dalla proprietà 



)( 112 )( 



sna = sn(w — z) 



si deduce che sono uguali tutti i valori corrispondenti a punti simmetrici rispetto 
al diametro (1,-1) e situati su strati diversi della corona e che ai punti di 
questo diametro corrispondono valori uguali nei due strati. 

Poiché 8n2 è funzione dispari risultano uguali e di segno opposto i valori 
corrispondenti ai punti simmetrici rispetto al diametro {o y o) e situati su strati 
diversi della corona. 

Ora siano A e B simmetrici rispetto a (o , o) e rispettivamente negli strati 
superiore ed inferiore e C nello strato superiore simmetrico dì B rispetto (l, — 1); 




Fig. 5. 

poiché da A a C si passa con V aggiunta di w, accoppiando le due precedenti 
osservazioni, deduciamo l'altra proprietà della funzione snz espressa dall'ugua- 
glianza 

sn(2 -h co) — — snz. 

Con questa rappresentazione l'analogia fra le funzioni suis e sn— ^ si ma- 
nifesta non solo relativamente al primo periodo, ma anche relativamente a tutti 
i loro valori nei quadranti in cui vengono decomposti i rispettivi campi di va- 
riabilità. 

La proprietà 

1 



sn(co' + ;2f) = 



ksm 



si traduce nel fatto che a tatti i punti situati all'estremo di uno stesso diametro 
di un cerchio qualsiasi 2(o', e in conseguenza su strati diversi della corona, cor- 
rispondono valori di snz il cui prodotto è costante ed uguale ad — • 

Simile rappresentazione potrebbe farsi per le funzioni cna e dns;, e per la 

T,Z 

cnz si riscontrerebbero con la funzione cos — le stesse analogie di quelle riscon- 

trate fra snz e sen-. 

co 



)( 113 )( 



SULLE VARIETÀ DEL QUARTO ORDINE CON PIANO DOPPIO 

DELLO SPAZIO A QUATTRO DIMENSIONI 

NOTA 

DEL 

Dott. GIUSEPPE MARLETTA. 

{Contili, e fine, v. Voi. XL, pag. 265-274, Voi. XLI, pag. 47-61) 



IV. 
Superficie notevoli della varietà V, 

41. Le i-ette di r non incìdenti il piano ti costituiscono una rigata la cui 
immagine 0' neiriperpiano fì' (20,1) è costituita dalle oc' coniche che passano 
per il punto 0' e si appoggiano in quattro punti alla curva /"' ed in uno alla 
retta t\ 

La traccia di questa rigata 6 sul piano tc è costituita da un certo numero 
di sue generatrici, posizioni limiti delle rette di r non incidenti ir, ma ad esso 
infìnitamente vicine. 

Una di queste generatrici, come retta di u ha per immagine nello spazio 
rappresentativo 0' uua quartica piana con un punto doppio iu t\ la quale si 
appoggia otto volte alla curva f\ ed ha inoltre il punto 0' come doppio. 

D'altra parte quella siessa retta come generatrice della rigata , ha per 
immagine una conica passante per 0' e che si appoggia in quattro punti alla 
curva f ' ed in un punto alla retta V, Ne segue , che per conoscere il numero 
delle generatrici (distinte) di che sono in il, basta trovare il numero delle se- 
zioni della superfìcie ti' (n" 16), con piani passanti per 0', che si spezzano in 
due parti, una delle quali, e per conseguenza anche Taltra , è una conica defi- 
nita come dianzi. Ora dalla rappresentazione plana della t:' (superfìcie del quar- 
t'ordine con la retta doppia t' e il punto doppio 0', sappiamo che le sue sezioni 
fatte con piani passanti per 0', hanno per immagini le cubiche C^ojjjejg; che il 
punto doppio 0' ha per immagine la retta 012 ; e che inoltre, com'è facile ve- 
rificare, alla curva f* corrisponde una C*^ . 

Quindi, se una di queste sezioni piane si deve spezzare , come sopra si è 

detta, la corrispondente immagine si scinderà nella conica C^g^cd ^ nella retta 

C%^: dove a, b, e, d, e, f, sono i numeri 8, 4, 5, 6, 7, 6 presi in un certo modo 

Si osservi inoltre, che la C*., .__^^ ed il punto sono immagini di due coni- 

0'c4Dd/8 

VCL. XLl. 16 



)( 114 )( 

che, come quelle clic consideriamo^ giacenti in uno stesso plano (per 11 punto 
doppio 0'). 

Adunque le coniche in parola che stanno sulla superficie r' sono 32 ; e per 
conseguenza le generatrici distinte della rigata nel piano u, sono sedici. 

Sia g una di esse ; vediamo qual' è la sua multipUcità per 6. Se g^' e g^* 
sono le due coniche componenti Timmagine della retta g nello spazio rappre- 
sentativo ù\ la superficie V passa con una falda per ^,' e con un'altra per ^/: 
ccrrispondentcmente la rigata passerà con due fnlde per la generatrice g , 
che è quindi doppia per 6. Adunque : 

« La rigata delle rette di V non incidenti il piano u, ha sedici generatrici 
doppie in questo piano. 

42. Sia ò la quadrica ulteriore intersezione di P con un iperpiano arbitrario 
£ passante per i: ; ed indichiamo con l la curva giacente su S , sezione della 
rigata con 2, a prescindere dalle generatrici che questa ha in tr. Per avere 
Tordine della curva l basterà trovare il numero di punti che essa ha in ti : e 
a questo scopo cercheremo primieramente il numero dei punti che l ha in una 
qualunque g delle sedici generatrici doppie che 6 ha nel piano r:] giacché lai 
non potrà essere incontrata da questo piano in punti fuori dalle dette rette. 

Ora si osservi, che se è rf la conica traccia di 6 in ir, i due punti ^d sono 
semplici per Z, in quanto questa deve incontrare due volte, e non più, la gene- 
ratrice doppia g. 

Ne segue che la curva l è del trentaduesimo ordine, e per conseguenza 
« la rigata è del sessantaquattresimo ordine. 

Una retta arbitraria di T uscente da un punto qualunque del piano t: , in- 
contra la curva Ij e quindi anche la in sedici punti. 

Osserviamo inoltre che un punto doppio staccato della varietà è un punto 
ottuplo per la rigata in esame^ giacché per esso passano (n.i 28 e segg.) otto 
generatrici di questa. 

43. Abbia P due soli punti doppi staccati A, , A^ giacenti in uno stesso iper. 
piano per ti. La quadrica ulteriore intersezione della varietà con questo iper- 
piano, è specializzata in due piani [jl e v. 

La rigata si spezza in due altre 0^ e 6j , la prima costituita dalle rette di 
P non incidenti r., ma che hanno un punto in comune col piano ;j ; e Faltra for- 
mata, analogamente, dalle rette della varietà non incidenti ir ma che incontrano v. 

È evidente poi che : 

a) « Le rigate 0, e Oj sono ambedue del trentaduesimo ordine ; ciascuna 
di esse ha in u sedici generatrici {semplici) (*), ed ha ottupli i punti doppi A, 

ed Aj »• 

&) Se la varietà P acquista altri due punti doppi staccati in uno stesso 
iperpiano per t, la si spezza in quattro rigate, una qualunque delle quali è 



(*) Alcune di queste proprietà si possono dimostrare considerando la rappre- 
sentazione piana della superficie t:' (n.o 34). 



)( 115 ){ 

cosiiluita dalle rette di V non incidenti r e che incontrano un piano determi- 
nato di ciascuna delle due coppie di piani della varietà. 

« Ognuna delle sopradette quattro rigate è del sedicesimo ordine; ha inoltre, 
otto generatrici (semplici) in ù ('), ed ha (n.o 30) come quadrupli i punti doppi 
di V *. 

e) Abbia la varietà altri due punti doppi staccati in uno stesso iperpiano 
P^r Tu 

« La superficie si spezza in otto rigate delVottavo ordine^ che hanno quat- 
tro generatrici {semplici) per ciascuna in i:, ed hanno come doppi i punti doppi 
di r (n.o 31)». 

d) Analogamentei se la varietà acquista altri due punti doppi staccati, 
< ia fj si spezza in sedici rigate del quarto ordine con due generatrici (sem- 
plici) in TT / e ciascuna di esse passa inoltre semplicemente per i punti doppi 

di r>. 

e) Se, infine, la varietà presenta dieci punti doppi staccati, 
« la superficie 6 si spezza in trentadue rigate quadriche, ciascuna delte quali 
ha una generatrice in ic e passa per cinque dei punti doppi della varietà. Di 
questi cinque punti due qualunque non sono in uno stesso iperpiano per u », 

Giacché V intersezione, fuori da questo piano, di una delle sopradette qua- 
driche con Tiperpiano A,Tr^A2Tr, p. es., è costituita da una sola retta, la quale 
Bon può contenere che uno solo dei punti A, , Aj. 

44. Supponiamo ora nuovamente che la varietà r non abbia alcun punto 
doppio staccato ; e sia i la superficie costituita dalle coniche di r aventi in co- 
mune col piano t: un sol punto dato H. 

La traccia di t in ic è formata da un certo numero di sue coniche gencra- 
irici, posizioni limiti delle coniche della varietà incidenti nel solo punto H il 
piano Ti. 

Cominciamo dall'osservare che, siccome la tangente in H ad una conica ge- 
Deratrice di t, giace in uno determinato dei due iperpiani tangenti a V nel so- 
pradetto punto, la superficie i dovrà spezzarsi in due altre t^ e Tj. 

Sia q una conica generatrice di i, in ti : essa, come tale, ha per immagine 
saJlo spazio rappresentativo tì', una cubica gobba q' avente due punti in t', cin- 
que in /^, e passante semplicemente per 0' (n.o 20, 2)). Inoltre la g' passerà per 
uno determinato dei duo punti H'| , H'j immagini in 0' del punto (doppio) H: 
poniamo che passi per H',. 

Una cubica siffatta di rJ ha per immagine, nel piano rappresentativo di que- 
sta superficie, una delle curve generiche C\^ , G\i^f,c » ^^ohabede {ayb,c,d,e=3, 4,..,8) , 



(^) Basta infatti considerare la rappresentazione piana di ic', dalla quale risulta 
come le otto generatrici in Tw di una qualunque delle quattro rigate, sono anche ge- 
neratrici della rigata costituita dalle rette di P non incidenti tt né quei due piani 
di Pf che sono incontrati dalle generatrici della prima rigata. 



)( 116 \ 

dove h è Timmagine del punto H',. Ne segue che il numero delle coniche come 
la q è trentadue. 

Cerchiamo ora Tordine della curva s intersezione variabile della superficie t, 
con un iperpiano D passante per i:. Indichiamo con 6 la quadrica di T in I, con 
d' la conica immagine in Q' dell'altra d^Si:. 

La cubica q' è incontrata, fuori della retta t', dal piano lù^ in un sol punto 
Y'. Ma la -', , immagine in Q' della superficie t, , passa con una sola falda per 
5'; quindi la sua ulteriore intersezione «', immagine di a, con il piano SD', pas- 
serà con un sol ramo per Y', e in conseguenza la curva s passerà con un sol 
ramo per il punto Y corrispondente m q a, Y'. 

Adunque possiamo concludere che la curva s incontra il piano ti in tren- 
tadue punti ; e per conseguenza che 

« la superficie t, è d'ordine novantasei ». 

Inoltre per questa il punto H è multiplo secondo trentadue. 

Osserviamo ancora che ciascuna delle quattro rette di T uscenti da H , si 
appoggia in sedici punti alla curva s corrispondente (per quanto è noto circa le 
curve tracciate su quadriche). 

Per la Tj si possono ripetere le stesse considerazioni fatte per la t, ; a cui, 
pertanto essa è analoga in tutto. Notisi che due coniche della varietà situate in 
uno stesso piano, e che incontrino ic nel solo punto H, appartengono una alla 
superficie t, , e l'altra alla superficie z^. 

45. a) Se la varietà F acquista due punti doppi staccati in uno stesso iper- 
piano per r, 

<c la superficie t,- (i = 1, 2) sì spezza in due altre del quarantottesimo ordine ^ 
aventi il punto H per multiplo secondo il numero sedici , per ottupli i punti 
doppi di r, e aventi sedici coniche generatrici in t:. Inoltre ciascuna di queste 
due superficie è incontrata in otto punti, fuori di H, da ognuna delle quattro 
rette di P uscenti da questo stesso punto ». 

b) Se la varietà presenta quattro punti doppi staccati in due iperpiani 
l^'cr K, 

« la 'i (i - 1, 2) si spezza in quattro superficie d* ordine ventiquattro^ col 
punto H ottuplo^ con l punti doppi di V come quadrupli^ e con otto coniche ge- 
neratrici in n. Inoltre ciascuna di queste quattro superficie è incontrata in quat- 
tro punti, fuori da H, da ognuna delle quattro rette di V uscenti da questo stesso 
picnto ». 

e) Se r ha sei punti doppi staccati in tre iperpiani per n, 

« la superficie Tj- (i = l, 2) si spezza in otto superficie del dodicesimo ordine, 
aventi il punto H quadruplo, doppi i punti doppi staccati della varietà, e quat- 
tro coniche generatrici in 1:. Inoltre ciascuna di queste otto superficie è incontra- 
ta in due punti, fuori da H, da ognuna Jelle quattro rette di ? uscenti da questo 
stesso punto ». 

d) Se r ha otto punti doppi staccati in quattro iperpiani per ir, 

« Zrt "j (i= 1, 2) si scinde in sedici superficie del sesto ordine aventi due co- 
niche in IT; doppio il punto H, e semplici i punti doppi staccc^ti déllcf, varietà» 



X HT y 

Inoltre ciascuna di queste superficie è incontrata in un sol punto^ fuori di H, 
da ognuna delle quattro rette di V uscenti da questo stesso punto ». 

e) Se infine la varietà P ha dieci punti doppi staccati (in cinque ìperpiani 
per t:), 

< Za Tj (i = 1 , 2) si spezza in trentadue superficie cubiche, ciascuna avente 
una conica in z, e passante seviplicemente per H, e per cinque dei punti doppi 
staccati di V, due qualunque dei quali non giacenti in uno stesso iperpiano per r. 
Inoltre ciascuna di queste superficie è incontrata in un punto solOy fuoi*i di H, 
da due determinate delle quattro rette di P uscenti da questo stesso punto. Queste 
due rette non giacciono in uno stesso iperpiano per t: >. 

Osserviamo che il cono proiettante dal punto HJa*:, (o una qualunque delle 
snper6cie, in cui essa si spezza nelle varie ipotesi sopra considerate) passa per 
la Tj (o per una determinata delle varie superficie di cui questa ò composta nelle 
stesse ipotesi) ; e viceversa. 



V. 



Contorni apparenti, 

46. Consideriamo la varietà P nell'ipotesi che non abbia alcun punto doppio 
fuori dal piano t:. 

«il contorno apparente di V da un punto qualunque H di i:, sopra un iper- 
piano arbitrario ùj {non passante per questo piano) è una superficie 7 del sesto 
ordine con la retta Où quadrupla, e quattro punti doppi {posti a coppie in due 
piani passanti per la retta singolare) nelle tracce delle quattro rette della varietà 
uscenti da H >. 

É evidente poi che ogni punto doppio acquistato dalla varietà F, produce 
un punto doppio della superficie y. 

Viceversa ogni superficie y di Q, del sesto ordine, con una retta quadnipla 
e quattro punti doppi posti a coppie su due piani passanti per la retta singolare, 
è contorno apparente di una varietà P, di S^ , del quarto ordine, con un piano 
doppio (e senza alcun punto doppio fuori da questo piano). 

Infatti sia (1) f- Tequazione di 7 qualora si prendano i suoi quattro punti 
doppi come vertici del tetraedro fondamentale delle coordinate Xj , sCj , X4 , x^. 
. Si ponga ora: y, = X3 , j/^ = 054 — [xx, , y^ = ^1 » y^-ocz-'^oc^ , se sono x^—\ix^-0 
ed aCj — vx^ = le equazioni della retta quadrupla di y. 

La (1) per queste posizioni si trasformi nell'altra /", = 0. Si prenda ora un 
punto arbitrario A di S4 , fuori di 0, come vertice rimanente del pentaedro fon- 
damentale delle coordinate, e sia P una varietà del quarto ordine che abbia come 
doppio il piano ABC, e passi per le due rette AD , AE. 

Sia /"j = r equazione del contorno apparente y, di P da A nell' iperpiano 
ac, = 0. In allora 7 e v^ sono riferiti allo stesso tetraedro fondamentale, e si può 
facilmente verificare che potremo determinare i coefficienti di f^ in modo che si 
abbia ft^fi. 



)( 118 X 

47. Si osservi che la traccia neiriperpiano iconico Q di un piano che proietti 
da un punto H di t:, una qualunque delle generatrici della rigala (n.o 41), è 
una tangente tripla della superficie y contorno apparente della varietà F dal 
punto H sulTiperpiano Q. Lo stesso dicasi per la traccia del piano di una qua- 
lunque delle coniche generatrici della superficie i. 

Viceversa è chiaro che una tangente tripla di ^ proiettata dal punto H dà 
un piano che seca la varietà lungo una quartica di cui fa parte una retta non 
incidente ir, ovvero lungo una quartica spezzata in due coniche ciascuna delle 
quali ha in z il solo punto H. 

Detto ciò possiamo (n.o 46; dedurre sulle tangenti triple di certe superficie 
del sosto ordine dello spazio ordinario, i seguenti sei teoremi, la cui dimostra- 
zione consiste nel richiamare quanto è stato detto circa alle superficie e t 
della varietà T, con rosscrvazione fatta in fine del capitolo precedente. 

1.0) « Le tritangenti della suioerficie del sesto ordine dotata di una retta qua- 
drupla e di quattro punti doppi, posti a copine su due piani passanti per la 
medesima, costituiscono due rigate del sessantaquattresimo grado contenenti quella 
retta multipla secondo trentadue e quei punti multipli secondo sedici (numeri 
42, 44) ». 

2.0) « Le tritangenti della superficie del sesto ordine dotata di una retta qua- 
drupla e di sei punti doppi, posti a coppie su tre piani passanti per la m^ede- 
sima, costituiscono quattro rigate del trentaduesimo grado, contenenti quella retta 
multipla secondo sedici e quei punti come ottupli [nn. 43, a), e 45^ a)] ». 

3.0) « Le tritangenti della superficie del sesto ordine dotata di una retta qua- 
drupla e di otto punti doppi, posti a cojypie su quattro piani passanti per la me- 
desima, costituiscono otto rigate del sedicesimo grado, contenenti quella retta come 
ottupla e quei punti come quadrupli [nn. 43, h), e 45, h)\ ». 

4.0) « Le tritangenti della superficie del sesto ordine dotata di una retta qua- 
drupla e di dieci punti doppi, posti a cojypie su cinque piani passanti per la 
medesima, costituiscono sedici rigate delV ottavo grado contenenti quella retta 
come quadrupla e quei punti come doppi [nn. 43, o, e 45, e)] » ('). 

5.0) « Le tritangenti della superfìcie del sesVordine dotata di una retta qua- 
drupla e di dodici punti doppi, posti a coppie su sei piani passanti per la me- 
desima, costituiscono trentadue rigate del quarto grado contenenti quella retta 
come doppia e quei punti come semplici [un. 43, d), e 45, d)] ». 

6.0) « Nella superficie del sesV ordine dotata di una retta quadrupla e di 
quattordici punti doppi posti a coppie sopra sette piani passanti per questa retta, 
i punti doppi possono distribuirsi in sessantaquattro settuple contenute in altret- 
tante rigate quadriche passanti per la medesima. Due punti d*una stessa settupla 
7ion sono mai in un piano con la retta singolare. Tali rigate quadriche compon- 
gono Vintero sistema delle tritangenti di questa superficie [nn. 43, e), e 45, e)] ». 

(') Questo teorema ed i due seguenti furono trovati, mercè una via completa- 
mente diversa, dal C.^^^o Prof. M. Pieri, nella sua nota : " Sulle tangenti triple di 
alcune superficie del sestWdine ^. — Atti della R. Acc. delle scienze di Torino.— 
Voi. XXIV, 1889. 



)( 119 )( 

48. Se la varietà r ha un solo punto doppio staccato A fuori da t, il suo 
contorno apparente da questo è una superficie Yi del quarto ordine con otto 
punti doppi. Questi sono le tracce delle otto rette di P non incidenti ir e uscenti 
da À. Per ogni altro punto doppio staccato che abbia la varietà, il contorno ap- 
parente Y, acquista anche un altro punto doppio ; e quando P ha dieci punti 
doppi, nove (purché in questo ultimo caso nessuna retta congiungente A con 
un altro punto doppio incontri ir) , la superficie Yi ha sedici punti doppi , cioè 
sarà la superficie del Kummer del quarto ordine e della quarta classe. 

Il cono A. del sesto ordine con il piano tc quadruplo circoscritto a P da un 
ponto H di questo, tocca la varietà stessa lungo una superficie [i delToitavo or- 
dine, la cui traccia in i: è una sestica. 

La sezione di P con un piano (o interseca pi in otto punti che sono di con- 
tatto fra la detta sezione e la sestica Aio. 

^e segue che la proiezione della Pco da H su un iperpiano qualunque ùj è 
una quartica piana che tocca il contorno apparente ^ di P da H in tutti gli otto 
punti ove rincontra, fuori dalla retta i2ir. Dunque Timmagine della quartica Pw 
è iscritta nel contorno apparente y di P. 

Analogamente V immagine della superficie EP dove H è un iperpiano qua- 
lunque, tocca Y lungo una curva dell'ottavo ordine avente sei punti nella retta 
tìi:, cioè è iscritta in y- Concludendo abbiamo : 

« Il contorno apparente y della varietà P da un punto qualunque H del 

piano doppio i:, ammette un sistema oo* di superficie del quarto ordine aventi 

come doppia la traccia di u nello spazio iconico^ e che lo toccano lungo curve 

dell'ottavo ordine, ed un sistema oc^ di quartiche (del genere p-2) che hanno un 

punto doppio nella sopradetta traccia di z, e lo toccano in otto punti ». 

49- Consideriamo ora in particolare il caso in cui la varietà P abbia dieci 
punti doppi staccati. 

^1 contorno apparente Yi di P da uno di essi A in un iperpiano generico ù, 
è la superficie del Kummer del quarto ordine e della quarta classe, che, com'è 
noto, gode della proprietà che le quaterne dei suoi punti e dei suoi piani tan- 
genti appartenenti ad una stessa retta, hanno Io stesso birapporto. In allora pos- 
siamo dedurre il seguente teorema per la nostra varietà P : 

< Per una varietà del quarto ordine coìi un piano doppio e dieci punti doppi 
staccati, la quartica {ellittica) in cui è secata da un piano qualunque uscente da 
uno dei punti doppi, ha lo stesso birapporto della quaterna di iper piani tangenti 
uscenti dal pianto stesso 2>. 

Se ora noi consideriamo il contorno apparente y della varietà da un punto H 
di ir, che, com'è nolo, è una superficie del sesto ordine con una retta quadrupla 
e quattordici punti doppi, abbiamo : 

« Nella serie razionale della semplice infinità di superficie del quarto ordine 
iscritte a ">( e passanti pei' una data quartica piana {ellittica) iscritta ancKessa 
a ^, e avente uno dei suoi punti doppi nella retta quadrupla di y, ve ne sono 
quattro dotate di un punto doppio, che hanno lo stesso birapporto della data 
quartica >• 



)( 120 )t 



VI. 



Vainetà V con infiniti punti doppi fuori da ir. 

50. La varietà quartica P abbia fuori dal suo piano doppio, una linea piana I 
come doppia, ma non contenga superficie doppie diverse da t:. 

Osserviamo primieramente che l'ordine di l non può essere superiore a tre, 
giacché una reità qualunque non può contenere più di tre punti doppi senza che 
essa sia doppia per la varietà. Adunque la linea l non può essere che o una 
retta, o una conica, od una cubica. 

51. Sia I U7ia retta doppia non incidente tu. 

Ogni piano ja passante per l seca ulteriormente la varietà T in due rette 
uscenti dal punto [Jltt. Gi'iperpiani passanti per il piano doppio secano T ulterior- 
mente in coni quadrici aventi i vertici sulta retta L In ogni punto di questa, la 
varietà ha un cono quadrico tangente di seconda specie con l per sostegno. Ogni 
iperpiano per l seca r lungo una superficie del quarto ordine con due rette dop- 
pie sghembe, superficie che sappiamo essere una rigata ellìttica. 

L'equazione della varietà in esame può mettersi sotto la forma: 

ir 4*9 -f XiX^fy + Xs^x = , 

dove le 9 , <i , x sono forme quadratiche delle ac, , a?2 > ^y I^ piano doppio è il 
piano fondamentale di equazioni a?4 = 0,a?5 = 0; la retta doppia è lo spigolo 
fondamentale di equazioni : 

flc, = , a;, = , a?, = 0. 

Procedendo come nel n.o 7, oppure secando, con un iperpiano qualunque ed 
osservando che nella superficie ottenuta vi sono sei coppie di rette non passanti 
per il punto doppio, è facile vedere che tra la semplice infinità di coni quadrici 
di r in iperpiani per n, ve ne sono sei specializzati in coppie di piani. 

52. Sia 1 una conica doppia in un piano |jl avente con z un sol punto in 
comune. 

Questa conica deve passare per il punto |jli:. 

Infatti nel caso contrario, |ji farebbe parte di r, ed un iperpiano 2. ad ar- 
bitrio passante per pi, segherebbe ulteriormente la varietà lungo una superficie 
del terzo ordine con la retta 2h dome doppia ; questa superficie, poi, essendo 
secata da pi lungo la conica l e nel punto doppio [jlic fuori di questa, si spezza 
nel piano [x e in altri due piani secantisi lungo la retta Ir. Adunque [x sarebbe 
un piano doppio per qualunque sezione di T con un iperpiano che lo contenga, 



)( l:Jl )( 

cioè ^ sarebbe doppio per la varietà^ e ciò contro ripotesi che questa abbia un 
numero semplicemente* infinito di punti doppi oltre di quelli del piano t:. 

La varietii P, inoltre, nei punti delia conica / ha coni quadrici tangenti di 
seconda specie^ aventi per sostegni le tangenti di L 

Ponendo 

ed indicando con «i , P« > T2 , 3| , £1 forme in x^ , x^ rispettivamente di secondo 
e di primo grado, l'equazione di P nella presente ipotesi è : 

donde il piano 1: ha per equazioni : 

0^4-0 , X5 = ; 
il piano della conica è quello di equazioni : 

^« = , Xj = ; 
la conica ha, poi, per equazione, in quest'ultimo piano : 

Come si vede da questa equazione, il punto (jli; giace sulla conica doppia, 
come del resto si trovò sinteticamente. 

La sezione di P fatta con un iperpiano I passante per {ji, è una rigata ra- 
zionale del quarto ordine avente per linea doppia la conica Z e la retta £1: che 
si appoggia nel punto pii: ad L Per un punto qualunque M di questa superficie 
passa una sua retta che si appoggia ad l ed alla retta lu ; essa è la generatrice 
passante per M del cono quadrico di P nell'iperpiano Mn. Gl'iperpiani per k se- 
cano ulteriormente la varietà P in coni quadrici aventi i vertici sulla conica /. 

53. Sia 1 una cubica (piana) doppia. 

Evidentemente il piano pi di Z appartiene a P. Un iperpiano 2) passante per 
pi seca ulteriormente la varietà in una superfìcie del terzo ordine che passa per Z, 
ed ha la retta l'ic come doppia ; quindi affinchè questa superficie cubica non si 
spezzi nel piano \l ed In una coppia di piani secantisi nella retta £1; , la qual 
cosa porterebbe di conseguenza che pi sarebbe doppio per P, è necessario che 
il punto piic sia doppio per la cubica l. Adunque se la varietà P ha una cubica 
piana come linea doppia, questa deve avere come doppio il punto comune al suo 
piano ed al piano 1;. 

VOL. XLI 16 



)( 122 )( 

Dal fatto che un iperpiano S passante per jjl seca ulteriormente r in una 
superficie del terzo ordine con la retta Si: come doppia, segue che il punto [at: 
è trillo per la varietà. Ciò si può anche dimostrare osservando che un iperpiano 
S passante per t: seca ulteriormente r in un cono quadrico di cui una genera- 
trice è la retta Sj;. 

L'iperpiano tangente alla varietà in un punto qualunque di [x non situato 
sulla cubica l, secherà ulteriormente r in una superficie del terzo ordine spez- 
zata nel piano [jl e in una coppia di piani secantisi nella retta 0»:. Ciò vuol dire 
che riperpìano è tangente alla varietà in tutti i punti del piano [jl, compreso 

il punto (JLTT. 

I punti della cubica l hanno coni quadrici tangenti di seconda specie, aventi 
per sostegni le tangenti della l. 

La coppia di piani di cui poco sopra si è parlato, seca la cubica l in due 
punti, diversi da j;.::, i quali sono biperplanari, giacché hanno Tiperpiano come 
un iperpiano tangente. Questi due punti saranno i soli punti biperplanari della 
cubica l : infatti se un punto di Z è bìperplanare per la varietà r, uno dei due 
iperpiani tangenti in esso a r, dovrà passare per [jl, e secare ulteriormente la 
varietà in una superficie del terzo ordine passante per Z, e avente quel dato punto 
come doppio, il che porta di conseguenza che pi fa parte di questa superficie 
cubica, della quale rimane una coppia di piani secantisi in t:, ed uno di questi 
piani passa per il dato punto della Z, sicché Tiperpiano che si considera ^lon è 
altro che 0, e quel punto è uno dei due punti biperplanari poco sopra consi- 
derati. 

Siano a e p i due piani di r nell'iperpiano 0. Se D è un iperpiano passante 
per a, esso seca ulteriormente la varietà in una superficie del terzo ordine, la 
(luale dovendo passare per la retta Iti ^ a^ ^ «tc, secherà ulteriormente a in una 
conica passante per il punto jjlt:. 

Com'è facile vedere si ha cosi nel piano a un fascio di coniche. Queste si 
toccano nel punto biperplanare situato in a, e nel punto [xic. La tangente comune 
nel punto biperplanare insieme con la tangente alla cubica l nel detto punto, 
determinano il piano sostegno dei due iperpiani tangenti a r nel detto punto bi- 
perplanare. La tangente comune alle sopradette coniche nel punto pin è la retta 
a^ ^ aTU, che è quella retta in cui il piano a seca ambedue i rimanenti iperpiani 
tangenti alla varietà r nel punto triplo. 

Analogamente ragionisi per il piano p. 

54. Senza andare a studiare i molteplici casi in cui la varietà V è dotata di 
una curva doppia l (riduttibile o no) che non sia piana, limitiamoci solamente 
a dimostrare, come se questa curva doppia è irreduttibile ed immersa nello spa- 
zio a quattro dimensioni, non può essere d'ordine superiore al quarto. 

Infatti nel caso contrario si osservi che un iperpiano generico 2) non pas- 
sante per t: seca P in una superfìcie del quarto ordine con una retta doppia e 
con piii di quattro punti doppi. Ne segue (*) che esisterà in £ almeno una corda 



0) Salmon — 1. e. — § 557. 



)( 123 ){ 

della curva l che si appoggia alla retta £k. Se quindi notiamo che gli iperpiani 
per questa retta sono oo-, mentre sono oo* quelli che passano per essa e conten- 
gono un dato piano in cui essa giaccia, deduciamo senz' altro che sono oo' le 
corde di l che incontrano una retta generica di ir. Ma Je rette di questo piano 
sono oc^; e d'altra parte se una corda di l l'incontra, essa si appoggia ad una 
semplice infinità di rette di esso, quindi possiamo senz'altro inferire che sono oo^ 
le corde di l che incidono z: Ne segue che esistono infiniti punti di l per cia- 
scuno dei qunli passa una semplice infinità di corde della stessa l incidenti ir. 
E ciò porta di conseguenza che della linea l faccia parte una curva immersa in 
uno spazio di un numero di dimensioni inferiore a quattro, la qual cosa è contro 
l'ipotesi che la l sia irreduttibile ed immersa nello spazio a quattro dimensioni. 

55. Se la varietà F oltre di z ha un altro piano rJ come doppio, avente con 
quest'ultimo un solo punto in comune, è un cono avente questo punto per vertice. 

56. Siano, invece, z e t:' incidenti, ed abbiano per equazioni rispettivamente: 
3*4 - , iTg = ; fl?8 = , X5 = 0. L'equazione della varietà r può mettersi sotto la, 
forma : 



( 1 ) X3*a?4* + « 4 Xfpc^pos + t^sOCg* 



0, 



dove le «, , Wj sono forme di primo e secondo grado nelle cinque variabili 

*Z?| , Xi , Xn , X^ , Xy 

Gl'iperpiani 1 condotti ad arbitrio per t: secano ulteriormente T in quadriche 
che determinano su questo piano una serie semplicemente infinita di coniche, 
d'indice due, il cui inviluppo, luogo dei punti uniperplanari di n è una quartica 
spezzata nella retta tct:' contata due volte, e in una conica. Infatti 1' equazione 
di una conica generica della serie ora detta, è : 

l^u^) + X(u,)a?, + X3* = , 

dove (t/,) ed (u,) rappresentano le u, ed u^ dopo aver fatto a?4= 0,0^5 = 0, e 
dove inoltre è aCg = )^x^ Tiperpiano passante per Tt che la determina. 
Ne segue che l'equazione dell'inviluppo è : 

(2) 4,x,»(t/,)-a;3V,)« = 0, 

che si scinde nella o^j' = e 

(3) 4(w0 <- (u^)^ = , 

cioè nella retta un' contata due volte, e nella conica di cui la (3) è l'equazione. 



){ 124 )( 

Che i punti della retta zrJ siano uniperplanari si può dimostrare osservando 
elle i due iperpiani tangenti a r in uno di essi devono contenere ti e k' , cioè 
entrambi coincidono coiriperpiano ut:'. 

Un iperpiano 1 passante per n seca ulteriormente la varietà r in una qua- 
drica che è incontrata dalla retta in:' in due punti che devono quindi essere 
tripli per la varietà medesima (giacché in ciascuno si hanno tre spazi tangenti). 
Di conseguenza ciascuna conica traccia in i; di una quadrica di r in un iper- 
piano per esso, deve passare necessariamente pei detti due punti tripli. Che ef- 
fettivamente sulla retta un' vi sono due punti tripli si può anche dimostrare ana- 
lìticamente osservando che dall' equazione della conica generica della serie , si 
deduce che questa conica, qualunque sia X, deve passare necessariamente pei 
due punti comuni alla retta acj = 0, ed alla conica {u^) = 0. 

Sia 

(4) ^5 = Ix^ 

un iperpiano condotto ad arbitrio per r. La (1) per la sostituzione (4), e dopo 
aver diviso per x^^, diviene un'equazione il cui discriminante, a prescìndere dal 
fattore À^, eguagliato a zero, ci dà quattro valori per X tali che la quadrica ul- 
teriore intersezione dellMperpiano (4) con P, è specializzata in un cono quadrico. 
Adunque concludiamo che per ciascuno dei due piani doppi passano quattro iper- 
piani che secano ulteriormente la varietà r in altrettanti coni quadrici. Quindi, 
in questo caso, abbiamo sulla varietà otto coni quadrici, divisi in due quaterne. 

Una generatrice qualunque di uno dei coni di una quaterna, incontra, com'è 
evidente, una generatrice di ciascuno dei coni dell'alira. 

Cerchiamo ora il massimo numero finito di punti doppi staccati che la va- 
rietà può avere fuori dai piani t: e ir'. 

Se A è un tal suo punto doppio, l'iperpiano At: conta per due fra i quattro 
iperpiani passanti per z che secano r ulteriormente secondo un cono quadrico, 
quindi tutti i punti doppi (in massimo numero finito) fuori di k e di ir', che la 
varietà può avere, sono distribuiti in due iperpiani passanti per i:, e (in pari 
tempo) distribuiti in altri due passanti per rJ, 

Vediamo ora quanti ve ne possono essere in ciascuno di questi due iper- 
piani, uno dei quali sia £. 

Se ve ne sono due, e siano A e B, la quadrica ulteriore intersezione di T 
con X è costituita di due piani [jl e v sccantisi nella retta AB. La coppia di rette 
'^[^ j ^^ 7 passa pei due punti tripli, e tocca in due punti la conica inviluppo. In 
allora se se £ è un iperpiano per |jl, esso seca ulteriormente V in una superficie 
cubica che avrà come doppio il punto triplo di V che è nella retta ir;*, conterrà 
inoltre questa retta e i due punti A e B. 

Quindi la conica ulteriore intersezione di questa superficie cubica col piano 
pi, dovrà necessariamente passare pei punti A, B, pel punto triplo, e per il punto 
in cui la retta i:;ji tocca la conica inviluppo, giacché questo punto è uniperplanare, 
e già l'iperpiano I è tangente in esso a V, Se dunque ora noi facciamo variare 
S, otteniamo in [jl un fascio di coniche i cui punti base sono i quattro punti ora 
detti. 



)( 125 )( 

Si dimostra poi in modo analogo a come si fece nel n.^ 27, che la varietà 
non può avere in Z un terzo punto doppio staccato, giacché si suppone che essa 
abbia un numero finito di punti doppi fuori dai piani k e ic'. 

CoDclndiamo adunque che : 

< La varietà del quarto ordine con due piani doppi incidenti^ può avere sino 
a quattro punti doppi fuori da questi due piani, I quattro punti doppi sono i 
vertici di un quadrangolo semplice gohbOy di cui due lati opposti incontrano uno 
dei dm piani doppi della varietà^ e gli altri due Iati opposti ne incontrano 
r altro >. 

VII. 
Una trasformazione doppia {}). 

57. Abbiamo visto (II) come i punti della varietà V possono mettersi in cor- 
rispondenza biunivoca con quelli di un iperpiano Q'. - 

In allora se osserviamo che proiettando r da un punto H di t: sopra un al- 
tro iperpiano Q si ottiene una corrispondenza (2, 1) tra r ed Q, possiamo infe- 
rire che si può in tal modo stabilire fra i due spazi Q ed Q', una corrispondenza 
(1, Tjj cioè si può così ottenere una trasformazione doppia dello spazio Q nel- 
l'altro ù\ 

^. Gli elementi fondamentali di Q' sono quelli i cui punti hanno in P infi- 
niti corrispondenti, giacché ai loro singoli punti corrispondono in ù più punti. 
Quindi possiamo dire che gli elementi fondamentali di ù' sono quei medesimi 
che sono fondamentali per la corrispondenza Q' — P, cioè sono: la retta t', la 
curva f, il punto 0'. A questi però è d'aggiungere la retta B.\R\ , dove i punti 
F, ,H'j sono posti nei due iperpiani A, , A^ tangenti alla varietà In H. Al punto 
E\ corrisponde in P Vintorno di H neiriperpiano A, , e quindi corrisponde in ù 
il piano X|^QA|. Analogamente al punto H'^ di ù' corrisponde in Q il piano 
Aj = Aj. 

Oli elementi fondamentali di ù sono quelli a cui corrispondono in P o lineCj 
punti alla loro volta fondamentali per la varietà nella corrispondenza P — tì '• 
Quindi essi sono: i quattro punti A, , B, ; Aj , B, tracce in Ù delle quattro rette 
di P passanti per H; la retta u^Qz, la t;^Q-Hc, e la conica w proiezione 
in Q da H dell'altra e (n.o 18). 

59. Se Y è la superficie del sesto (d. P. 36, II) ordine, con la retta u qua- 
drupla ed ì punti A| , B, , A| , B^ doppi, contorno apparente della varietà da H, 



(^} Tatti i risultati sono stati ottenuti mercè la considerazione della varietà 
quartica ì\ La notazione (d. P...) serve solamente come una verifica, e si riferisce 
alla memoria del De Paolis: ^ Le trasformazioni doppie dello spazio ^. Acc. dei 
Lincei, 1886. 



)( 126 )( 

essa è tale che i due punti di Q' corrispondenti ad un suo punto qualunque, sono 
infinitamente vicini^ e quindi essa è {d. P. 2) la superficie limite dello spazio O. 
La superficie doppia 7' di 0' è d' ordine sette {d, P. 36, I), ha la retta t' 
quintupla, il punto 0' doppio, e passa semplicemente per la curva /". 

60. Per quanto è noto intorno alla rappresentazione della varietà r in O', 
abbiamo : 

lo) Ad una retta r di Q corrisponde in ù' una curva ì-'q del sesto ordine, 
che si appoggia in quattro punti alla retta <', in dieci alla curva f\ che ha il 
punto 0' doppio, e che passa semplicemente pei due punti H', , H'j. 

La r'g è in corrispondenza biunivoca con la sezione di r fatta col piano Ilr, 
ed è quindi del genere p — 2. Adunque la trasformazione doppia in parola, è del 
genere p = 2 {d. P. 10). Le coppie di punti congiunti di r'^ corrispondenti ai sin- 
goli punti di r, sono le coppie di punti ove la r'^ è incontrata, fuori da t\ dai 
piani passanti per questa stessa retta. 

2<>) Ad un piano y di il corrisponde in Q' una superficie (p,' del quinto 
ordine avente la f tripla, la/' semplice, il punto 0' doppio, e i punti H/,Hj' 
semplici. Essa corrisponde alla sezione di T fatta coir iperpiano H9. Adunque 
la nostra trasformazione doppia é del quinto ordine (d. P, 10). 

Le sezioni piane della superficie limite y , punteggiata univocamente alla 
superficie doppia y, hanno per corrispondenti in u' le intersezioni variabili di 
7' con le superficie 95', cioè curve d'ordine dieci e genere p- i. 

3®) Viceversa ad una retta s' di il' corrisponde in r una quintica (razio- 
nale) che ha quattro punti in 1:, altri quattro in e, ed uno nella conica e: quindi 
la curva «5 di n ad essa retta corrispondente è del quinto ordine , si appoggia 
in quattro punti alla retta u, in altri quattro alla v, ha un punto in Wj e tocca 
(d. P. 16, II) la superficie limite 7 in sette punti variabili. Le curve s^ sono ap- 
punto in numero a*, dovendo soddisfare a44-4-l l~h7-4«5 — 4 condizioni 
(d. P. 35). 

4"') Ad un piano (J' di ii' corrisponde in r una superficie del sesto ordine 
avente una quartica in t: , e passante semplicemente per la retta e e per la so- 
nica e; quindi la superficie ^^ di il corrispondente al piano ^' è del sesto or- 
dine, ha la retta u quadrupla, e contiene v q w semplicemente. 

61. Ad un punto X' di t'j che è fondamentale di 2» classe (d. P. 10) per Q', 
corrisponde in il la cubica (piana) x, (d P. 22) sezione con Q del cono cubico 
che si ottiene proiettando da H la cubica piana di r corrispondente di X' (n^ 18). 

La x^ si appoggia in tre punti alla v, ha un punto doppio nella ?/, cioè nel 
punto HX'-u, e incontra in un punto la conica w. Alla retta t' corrisponde in 
Q la superficie - del quarto ordine (d P. 24, II), proiezione da H della sezione 
della varietà con Tiperpiano et'. Questa superficie i ha la retta u doppia, e 
passa semplicemente per la retta v e per la conica w, 

62. Il punto X' di t' è congiunto ad una curva del sesto ordine avente cinque 
punti in t\ e passante semplicemente per 0'. Le curve congiunte ai punti di 



)( 127 )( 

t' generano una superfìcie del settimo ordine congiunte a t', che ha questa retta 
quintupla (d. P. 26) , il punto 0' doppio , e che passa semplicemente (d. P. 26) 
per la curva /"'. 

63. Data una retta generica a' di il' vogliamo trovare V ordine della sua 
curva congiunta, e come si comporti con gli elementi fondamentali. 

Sappiamo che nella corrispondenza il' - P ad «' corrisponde una curva «, 
del quinto ordine, avente quattro punti allineati in ir, altri quattro in e, ed uno 
nella conica e. Proiettando la «, da H otteniamo un cono a due dimensioni del 
quinto ordine, che seca la varietà nella *, , nelle quattro rette che da H pro- 
iettano ì quattro punti che 9| ha in tc , e ciascuna di queste rette contata due 
volte, e in una curva residua s^ del settimo ordine avente sei punti in ir. Questa 
curva 8f , poi, non può avere alcun punto né in e né in e. Ne segue, applicando 
le fonnole (2) del n® 21, bisj che la curva congiunta della retta «' è d'ordine 
otto, si appoggia in sette punti alla t\ in dieci alla curva f, e passa semplice- 
mente per il punto 0'. 

Analogamente si può vedere che la superficie congiunta di un piano ^' di 
Ù' è deìV ottavo ordine (d. P. 14, II), ha la retta t' sestupla, il punto 0' dop- 
pio, e passa semplicemente per la curva f'. 

È facile poi dimostrare che questa superficie passa per le quattro rette che 
uscendo dai punti H,' ed U^ si appoggiano contemporaneamente alla t' ed 
alla /' ; per le tre generatrici di 5' (n.^ 16) corrispondenti ai tre punti di r in 
cui la e è secata dalla cubica ulteriore intersezione della varietà col piano He; 
per le due rette che da 0' proiettano i due punti comuni alla e ed alla conica 
in cui ulteriormente è secata la quadrica di P nell'iperpiano O'k dal cono qua- 
drico He; e infine passa per la retta O'H/Hg'. 

64. Ad un punto Y' di /' corrisponde in Q la retta y, sezione con ù del 
piano che dal punto H proietta la retta di V che passa per Y' e si appoggia a 
u ed alla e. La y incontra in un punto la u e in un altro la v. 

Alla curva /" corrisponde in ù la superfìcie del decimo ordine (d. P. 34, II) 
proiezione da H della rigata e (n.® 14) di T. Un punto qualunque Y' di /' è 
congiunto ad una retta avente un punto in t^ e passante per Y'. Le rette con- 
giunte ai punti di f generano una superficie di ordine dieci, che ha la t' ottu- 
pla, la f semplice ed il punto 0' doppio : essa è la superficie congiunta della 
curva /'. 

65. Al punto 0', fondamentale di 1* classe (d, P. 10) corrisponde in ù il 
piano Q'O'-R contato due volte (d. P. 21, I). Ai punti H,' ed Hj' (fondamentale 
di 1^ classe) corrispondono in Q rispettivamente i due piani z, , /.^ (d. P. 21,1), 
o sono congiunti ai piani H/ t^ , H,' t'. 

66. Ad un punto X di w corrisponde in T la retta HX, e quindi in il' una 
quartica piana (d. P. 30, 1) che passa per i punti 0' , H,' , H,', si appoggia in 
otto ponti alla curva /', ed ha un punto doppio in t'. Da tanto deduciamo che 



)( 128 )( 

alla retta u di n corrisponde in u' la superficie i:* (d. P. 31 , V) immagine in 
Q' del piano i;. Evidentemente, poi, la i:' è congiunta a se stessa. 

Ad un punto Y di i? corrisponde un punto Y' della retta H/ H^', e la ge- 
neratrice (d. F. 30; 1I£) della rigata V, che giace nel piano Y'^'. Quindi alla retta 
Vy fondamentale di 1» classe dello spazio doppio il, corrisponde in a' rinsieme 
della retta H,'H,' e della superficie ^' del quarto ordine (d. P. 31^ III), la quale 
è quindi congiunta alla retta H/H^'. 

Evidentemente alla conica w, curva fondamentale di 1» classe dello spazio 
12, corrisponde in ù' il piano (d. P. 31, II) 0'<'. A ciascuno dei punti A, , B, , 
Aj , Bj di a corrisponde in Q' una retta che si appoggia alla £' ed alla f\ 

67. La jacobiana delle superficie Cg' è d'ordine sedici , e consta della su- 
perficie doppia y (d. P. 34, 1) delle (d. P. 34, II) superficie ;',u' e del piano O'^'. 

68. Risolviamo ora il seguente problema: Dato un punto qualunque U', di Q' 
costruire il suo congiunto U'^ E chiaro che questo deve trovarsi nel piano U',*'. 
Sia Q' il punto in cui questo piano è incontrato dalla retta 0'H',H'j, ed indi- 
chiamo con R'i , R', , S', , S'j , i punti in cui la superficie ir' è incontrata fuori 
dalla t'f da due rette qualunque del piano U\^' uscenti da Q'. 

In allora se sono F/ , F,', i due punti in cui questo piano seca fuori da 
«' la curva f\ le due coniche R/Rj' F,'F,'U\ , S/S,' F/F^'U^' si secano ulte- 
riormente in un quarto punto che è precisamente il richiesto punto U,' 

Catania, Luglio 1901. 



)( 129 )( 



SOPRA UNA CLASSE DI SUPERFICIE APPLICABILI 

E SULLE LORO FLESSIOiNI 



NOTA 

DEL 

Dott. ASTORRE SARCHI 



In base ai teoremi generali suir esistenza degl' integrali delle equazioni a 
derivate parziali, è stato dimostrato che è possibile deformare una superficie, 
in modo cbe una sua curva qualunque assuma la forma di una lìnea data ad 
arbitrio nello spazio, purché questa non debba resultare assintotica per la su- 
perficie deformata. Tale quistione ebbe origine dal teorema di I e 1 1 e t che « non 
si può deformare per flessione continua una qualunque superficie volendo che 
tutti i punti di una sua linea arbitraria , purché non assintotica , rimangano 
fissi >. 

Inoltre la curva nello spazio non è interamente arbitraria ; poiché, supposta 
effettuata la deformazione della superficie , la corrispondenza che si stabilisce 
tra i punti delle due curve è tale che in punti corrispondenti si hanno valori 
uguali delTarco e la curvatura assoluta è maggiore od uguale alla curvatura 
geodetica dell'altra linea, computata in valore assoluto. 

Inversamente se è possibile stabilire tra le due curve una tale corrispon- 
denza, si può eseguire la deformazione richiesta solo in due modi distinti, per- 
chè due sono i sistemi di normali alla curva data arbitrariamente nello spazio, 
ciascuno dei quali si può assumere come sistema delle normali ad una superfìcie 
deformata. Ciò non contraddice al teorema di lellet, poiché le due superficie 
che così si ottengono sono sempre applicabili Tuna sull'altra e la curva data, 
nella deformazione continua dell' una superficie neir altra , riprende in fine la 
forma primitiva, ma cangia di forma negli stati intermedi. 

Si tratta allora di risolvere il problema precedente per una nuova classe 
di superficie applicabili trovata da Weingarten. 

Weingarten determina (*) una nuova classe di superficie applicabili, de- 



(^) Eine neue Classe aufeinander abwickelbaren Fldchen (GiJttingen Nachri- 
chten. 8 lanuar 1887). 

/OL. XLl. 17 



' )( 130 )( 

ducendole in un modo particolare dalle superficie d'area minima. Essendo 

CO = X{p,q) y = y(Pyq) z = z{p,q) 

le equazioni di una superficie minima, dove p h il valore algebrico della di- 
stanza dairorigine delle coordinate del piano tangente, e g la distanza del suo 
punto di contatto, le espressioni: 

(JOdp + qXdq = di 

(1) ydp + qYdq = di] 

z dp ■{- qZdq] = d$ 

nelle quali X , Y , Z sono i coseni di direzione della normale alla superficie, 
sono 1 dififerenziali esatti di tre funzioni : 

5=- Ì(PfQ) >I = *i(i>,^) i = i{pyq) 

che, interpetrate come coordinate cartesiane ortogonali dì un punto nello spazio 
danno luogo ad una superfìcie, il cui elemento lineare può porsi sotto la forma: 



(2) 



do^ = q^ dp^ + 2pq dp dq + q* dq^ 



ovvero : 



(3) da^ = fj + ^l\ i^lT} + e??»). 



Reciprocamente ogni superficie il cui elemento lineare possa ridursi ad una 
delle due forme precedenti è deducibile da una superficie minima. 
Indicando con K la curvatura, abbiamo : 

_ £ = _ _ ^- _ 



( 3as gs j 



onde lo superficie della classo di VVeingarten sono a curvatura positiva. 
Inoltre la forma (3) deirelcmento lineare ci permette di dire eh' esse sono su- 
perficie di L i u V i 1 1 e e che le linee coordinate a e ? formano un sistema 
isotermo di ellissi e iperbole geodetiche. 

L'arco di geodetica e l'equazione in termini finiti delle linee geodetiche si 
ottengono con quadrature. Infatti, essendo 1' arco di geodetica, possiamo seri- 



)( 131 )( 
vere : 



=:)Va3'+ a^^±/V^3 ^ ad^ 



con a costante arbitraria. 

S' ìntegra la precedente col porre : 



/ - L / - - 



per le quali risulta : 



3 

= — 
8 



aHiog t ± log q f ^ (1 ± i.) > I (i* ± ^'♦) I + C 



essendo C una costante qualunque. 

Analogamente Tequazione in termini finiti delle geodetiche : 

SO /' doL r d'i 

2^=1 — --z^ziz.. T / — r -- — = ^0 (costiinte arbitraria) 

J Va*"+o J VP»' -a 
diviene : 

2g = |{2a(Ioge±IogO-|(**±^")+^(^T^) = 6 



Passiamo a determinare quella speciale superficie della classe suddetta che 
si deduce dall'elicoide rigata d'area minima. Le equazioni di questa elicoide, 
dedotte dalle formule generali che danno tutte le superficie minime elicoidali (*), 
sono : 

X =- m sen hv sen Cx) 

(a) y = m sen hv cos ìù 

z = wito , 

per le quali Tasse delle z ò Tasse dell'elicoide, to ò Tangolo di cui ha rotato il 
piano del profilo meridiano dopo un tempo qualunque , m il rapporto costante 
tra le velocità, di traslazione e rotazione, ed m sen hv è la distanza di un punto 
qualunque dall'asse. 



(*) Bianchi: Geometria Differenziale (la Ediz.) Gap. XIV: N« 201 



X 132 )( 
Per i coseni di direzione della normale si hanno le espressioni : 

cosw ^ senu) „ 

(6) X = — -- , Y = , Z = - iSLUShv. 

coshv Goshv 

Le distanze p del piano tangente e q del suo punto di contatto dairorì^iue 
delie coordinate, sono : 

2> = — wjio ìRughv q}- = m*(sen7i*« -f w*) 
che differenziate, dopo aver posto q* = 2f, danno : 

* ^ cos7i*y 1 

(e) 

d^ = m^jcos/it; scn/iu dv + w d(oi. 

Se sostituiamo nelle (1) rispettivamente le (a) , (b) e (e, avremo le foruiule 
relative al nostro caso particolare, cioè: 

m* i - I • i w senio ) , 

de = — r-j— sen^'t; sento + co costo [dto + mr\ z- + cos(ot d cos/ii; 

cosavi ) \ cosTi'r ) 

w* i ^, 1 , .(<«> costo 1 , 

c?>] = -"ìson/i^i; costo f co sento; c2to -h m'i - - + seniof d cosAt? 

* cos^^uk ) Icos/i't; ) 

d{ = — 2m-to tang/it; dto + iti} ! - — , ^ - sen^^vfdt?. 

I cos7i*y ) 

Da queste integrando so ne trae : 

, (to sento , ) 

5 =; m' ■ h cosAv costo > 

( cosAv ) 



{d) Ti = m^j 



to costo] 
cos^iv sento ; — \ 

COSkv ) 



, IV - sen/iv cos/it; , ) 

C = w' to*iang^i;[ 

che sono le equazioni della superfìcie richiesta. 

Essa è simmetrica rispetto al piano xy ; facendo variare v da a + oo (io 
qualunque) se ne ottiene la parte situata da quella banda del piano xy dove la 
z è negativa, l'altra parte si ottiene facendo variare v da a — oo . La sua in- 



)( 133 )( 
tersezione col piano xy è esaurita dalla curva v = 0, di equazioni: 

5 = m*(w sento + costo) 

T^ = m*(sen(o - to cosw) 
ovvero : 

E eoe T h w seii = m* 

che è r equazione dell' evolvente del cerchio avente il centro nel!' origine e il 
raggio uguale ad m^. 

La superficie è simmetrica anche rispetto al piano acz, e le due falde si ot- 
tengono facendo variare to da a -h ao {o qualunque) e da a — oo rispetti- 
vamente. 

Quadrando e sommando le prime due delle (d), se ne ricava : 

(§* + >5* — m^cos/i- v)cosA^i; 
(0- — 



m^ 



per CUI : 



Av— sen^v coihv $* + r} - m^QO^hH , , ) 

C = m*i - ^ sen^u cos/iv; 

2 w* ^ 



cioè le lìnee v = cost. giacciono su paraboloidi ellìttici di rotazìoDC aventi per 
asse Tasse delle z. 

Una superficie della classe di Weingarten (;, yj, e) e la corrispondente su- 
perficie mìnima sono in tale relazione che ad una curva qualunque V della prima, 
corrisponde sulla seconda una linea, i cui punti hanno per coordinate le deri- 
vate rispetto a p delle tre funzioni t, >j, ( calcolate lungo la curva r. Inoltre, 
poiché i coseni di direzione della tangente alle linee p = cost. della prima su- 
perficie, sono : 

i_di ^a^ j^ac 

q dq ' q ^q ' q ^q 

si ha che : 

« La normale alla superficie d' area minima in un jninto qualunque è pa- 
rallela alla tangente alla linea p = cost, nel punto corrispondente della super- 
ficie di Weingarten ». 

Sia I una superficie nota della nostra classe ; su di essa consideriamo una 
curva arbitraria r, e sia f una curva nello spazio. Supposta la superfìcie £ fies- 
sibile ed inestendibile, si tratta di determinare la superficie £' cui si giunge de- 
formando la superficie 2 in modo che la curva arbitraria r assuma la forma 
pure arbitraria i'. 



)( 134 )( 

Le coordinate del punto generico di P' in funzione dell' arco e s' indichino 
con: 5, (e) , »],(o) , J,(o) ; inoltre cosa , cos^ , cosy ; cos; , costi , cosf ; cosà , cos:x , 
cosv s ano i coseni di direzione della sua tangente^ normale principale e binor- 
nicile. Tra i punti dì P e r' stabiliamo una corrispondenza tale che siano corri- 
spondenti due punti quando si ottengono per valori uguali dell' arco. Essendo 
p=-p{o) , q - q(c) le equazioni della curva P sulla superficie 2, saranno senz'altro 
note quelle della r' sulla superficie da costruirsi. Supponiamo inoltre che in ogni 

punto di P' la sua prima curvatura — sia superiore o almeno uguale alla cur- 

P 

vatura geodetica — di P nel punto corrispondente, presa in valore assoluto. 

Per fissare il segno della curvatura geodetica della linea P, stabiliamo che 
la direzione positiva della retta, intersezione del piano normale in un punto alla 
P col piano tangente alla superficie in quel punto, sia volta costantemente verso 
la direzione positiva della linea p = cost. Tal retta avrà lungo la curva P' e sul 
suo piano normale una retta corrispondente che dovrà risultare ugualmente o- 
rientata rispetto al verso positivo delle linee p = cost. sulla superficie da co- 
struirsi. 

Indicando allora con e l'angolo incognito di cui deve rotare nel piano nor- 
male la normale principale alla P' per sovrapporsi alla direzione positiva della 
retta suddetta, la relazione : 

1 cose 

fornirà due valori uguali e di segno contrario per quest' angolo. Fissatone uno 
e indicatolo con e, siano A, B, C i coseni direttori di questa retta. Avremo evi- 
dentemente, colla convenzione che sulla faccia positiva del piano xy la dire- 
zione positiva dell'asse y giace a sinistra di quella dell'asse x : 

A = cose cos5 + sene cosX 

B = cose cos>j -I- sene cos|jl 

C = cose cosj + sene cosv. 

Determiniamo ora i coseni di direzione delle tangenti alle linee p = cost. e 
q - cost. sulla superficie da costruirsi lungo la linea P'. 

Detto l'angolo, di cui deve rotare, nel verso positivo sul piano tangente, 
la direzione positiva della tangente alla q per sovrapporsi alla direzione positiva 
della tangente alla curva, sappiamo dover essere : 

coso =-- $3- + p^ ; 
da ^da 

inoltre la detta tangente forma colla retta (A, B, G) un angolo il cui coseno è 



)( 135 )( 
dato, a meno del segno, da : 

senO = Vg* —«*--■• 

^ do 

Indicando con r, s^ t ì coseni della direzione positiva normale alla tangente 
e alla (A, B, C) e tale che la congruenza dei tre assi sia diretta, si hanno le 
tre relazioni : 

I r-^cosa 4- ;r^cosS 4- r-^cosy = coso 

q dp 2 rP Q ^P 

(4) ( _ -^1 r + — -^ « + — ^ e = 

q op q ^p q ^p 
q op q cfp q ^p 

In modo analogo, detto 0' l'angolo di eui deve rotare nel verso positivo sul 
piano tangente la direzione positiva della tangente alla r' per sovrapporsi alla 
direzione positiva della tangente alia />, abbiamo : 

I focosa + ;r^cosi H t-^cosy = cosO' 

\ q dq q dq q dq 

(5) \ 7: — r H ^r- « 4 ^— t =0 

q Oq q cq q oq 

— -^A + — --^B + — -^C = T senO' 

\ q dq q ^q q ^q 

dove : 

cosO' ='P ~-\- q~ senO' = ^q- - u- -/- • 
^ da ^ do "^ *" d(j 

Per togliere rindeterminazione di segno osserviamo che la direzione positiva 
(A, B, C) è volta in ogni punto verso la direzione positiva della p = cost.; per- 
ciò neirultima delle (5) andrà preso il segno positivo se 7^(0) è crescente, il ne- 
gativo nel caso contrario, cioè in ogni caso il valore assoluto : 



\lq^ 



^m 



Inversamente neirultima delle (4) andrà preso il segno positivo se p{o) è 
decrescente, negativo se crescente. 



)( 1^6 )( 

Posto ~=p\o)j risolvendo i sistemi (4) e (5), abbiamo: 
(i e 

~- = cosO cosa — , ,^ ' A senO 

q dp 1p'(c)j 

— -^ = coso cos? - -^-V- 1 B senO 
q dp [p(o)] 

r^ = cos6 cosY - r^-n-T.G senO 

9 a^? [2?'(o)] 

1 di, 

T-^ = cosO' cosa + ArsenOM 

q cq ^ * 

— ^ = cosft' cosS + BisenOn 
q Bq 

— -y^ = cosO' cosY + C[senO']. 

Le precedenti sodisfano alla relazione: 

dV'i 4 rfy^^ -t d>*, = ^^rf;;* + 2j;</ dp dq -h 5V5- 
e quindi alle altre che ne seguono. 

T.. :..... i_ ^?i ^>3i ^M 



nello spazio ; le relazioni : 


Lf 1 VAIl 


ICI bV 


^' - dp ^* - ^/, 


z. 


3f, 



come coordinate aj| , 2/1 , 2| di un punto 



definiscono una curva C i cui punti sì lianno in funzione di ; per ciascun punto 
di questa curva conduciamo una retta, i cui coseni di direzione siano dati dal 
secondo gruppo delle precedenti, dove le funzioni che vi compaiono siano cal- 
colate nel punto corrispondente della r'. 
Posto : 

q cq ^ ^Q Q ^Q 

s'immagini la superficie d'area minima che passa per C e che lungo di essa La 
le normali i cui coseni di direzione sono dati dalle precedenti. Le sue equazioni 
si otterranno per mezzo delle noie formule di Schwarz, prendendo le parti reali 
delle espressioni : 

M = oc, + iJ(Z,dy, - Y,d2,) 
^ = «I + l'SO^idXi - X^diji) 



)( 137 )( 

dove alla variabile o vanno attribuiti anche valori complessi. Indicando con E(a) 
la parte reale di una quantità complessa a, la superficie d'area minima avrà le 
equazioni : 

X = R(w) y = R{v) z = ^(w). 

Riferiamo questa superficie ai parametri p e q aventi il solito significato ; 
se X, T; Z sono i coseni di direzione delia normale, le espressioni (1) sono i 
differenziali esatti di tre funzioni : 

che definiscono una superficie della classe di Weingarten. Su di essa la curva 
definita dalle equazioni p=jo(o) e 3 = 3(0) dove prenda solo valori reali coin- 
cide colla r' presa ad arbitrio nello spazio. 
Possiamo dunque concludere che; 

« È sempre possibile determinare con sole quadrature la superficie I' defm'- 
moia per semplice flessione di una superficie £ della classe di Weingarten^ quando 
sia data ad arbitrio una linea F' che deve risultare la deformata di una linea P 
pure arbitraria st^ £ :». 

Si notino 1 coseni di direzione (S , T , Z) della normale alla superficie tro- 
vata lango la linea T' : 

S = f ' ,, ;, [cose cosX - sene cos§i 
[jp'(o)] 

V P'(O) e 

T = > ;, ., co8£ cosa — sens cos>5 

Z = ri/ M i^ose cosv - sens cosjl. 
[p'(o)] * '« 

Le linee coordinate q = cost. sono geodetiche della superficie ; supponiamo 
allora che la P sia la 3 = ^ della superficie £. La P' dovrà risultare la 3 = ^ 
della 1'. Sarà allora: 

do» = k^dp^ 

a 
P= -j- -ì-Po (Po è il valore di p nel punto = della P) 

dalle quali segue: 

* dp da * dp da dp da 

per cai la curva sulla corrispondente superficie minima, giace anche sulla sfera 
di ra^^io Jk ed è una curva simile air indicatrice sferica delle tangenti alla P'. 
Si ha inoltre che: « Considerando sulla £ una q=cost. e la corrispondente curva 
sulla superficie minima, la tangente a quest* ultima in un punto qualunque è pa- 
rallela alla normale alla superficie L nel punto corrispondente ». 

Montepulciano; 1903. 

VOL. XLI 18 



)( 138 y 



ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL METODO DI CAUCHY-LIPSCHITZ 

PER L' JNTEGR AZIONE DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 

DI lo ORDINE 



NOTA 

DI 

PIETRO TEOFILATO 



Vi sono vari metodi che dimostrano l'esistenza delTintegrale di un'equazione 
differenziale ordinaria di primo ordine. 

Il primo dovuto a Cauchy e modificato in parte dal L i p s eh i t z prova 
che l'integrale x dell'equazione ' 

tale che per t = Ìq si riduce a Xq , esiste in un certo campo quando f(xt) , nel 
rettangolo \t -ìqÌ <a y |ac — XqI < b del piano cartesiano (* , x), è in valore asso- 
luto minore di M, continua e soddisfacente alla condizione 

\f(x't) - f{xt)\ <k\x' "Xl (2) 

L'integrale viene dato dal Jim x^ , ove x„ è definito dalle seguenti succes- 
sive equazioni alle differenze : 



^n ~^»-1*«-i — A^M-i^»-l)(^""^n-l) 



essendo ^0 » ^ > *i > • • • > ^«-1 > ^ punti di divisione deirintervallo (« , ^) ; e il campo 
in cui esso esiste è rappresentato dall' intervallo | ^ — ^o I < ^ ^^e A ò la minoro 

delle 2 quantità A e — . 



)( 139 X 

Ora questo metodo ha sugli altri il pregio di definire l' integrale nel mas- 
simo intervallo e appunto a questo riguardo nel presente lavoro mi propongo 
di dimostrare alcuni teoremi, che furono dal P a i n 1 e v é sviluppati nel Corso 
tenuto al Collegio di Francia nel 1897 , ma non pubblicati se non neir enun- 
ciato (*). 

* 

Sapponiamo che si conosca resistenza d'un integrale 

x{t) 

della (1), finito, continuo, in un certo campo C, che si riduca a Xo per ^ = fg , 
e supponiamo che la f(a:t) soddisfi a quelle condizioni suaccennate, anziché in 
tutto il rettangolo \i — Ìq] < a \x - Xq\ < b, solo (per maggiore generalità) in in- 
torni dei punti {t,x{f)). Ebbene: 

Col metodo di C au eh y-L ip 8 chitz , dato o piccola a piacere , è possi- 
bile trovare un numero pQ in modo che, diviso ogni intervallo (tt^) in un numero 
P ^ Po ^^ intervalli e scritte per ognuno le corrispondenti p successive equazioni 
alle differenze come le (3), si trovi una funzione Xp della variabile t , definita 
in tutto il campo C ove si conosce la x (0 » ^ ^^^^ ^^^ ** abbia 

I Xp(t) - x(t) 1 < ; 

ossia 81 pnò, dopo un numero finito di operazioni^ trovare in tutto il campo C 

una soluzione integrale approssimata che differisca in ogni punto t, dalla x(t) , 
per meno di o. 

Preso un punto t di questo campo si ha dunque per ipotesi 

t _ — 



xt)^Xo -h I f{x {t) , dt (5) 



Dividiamo l'intervallo {t ìq) in n parti , formiamo le equazioni (3) e corri- 
spondentemente a questi punti di divisione scriviamo le equazioni successive 
simili alla (5) 



Xt Xtt — 

^0 



= /"V (^ , t) dt 



^2 — a?, = Ti f(x , t) dt 

(6) 






dt 



(') Far. Comp. R. 1899 pag. 1905. 
Bull. Soc. Math. 1899 pag. 149. 



)( 140 )( 

dalle quali per un teorema di caleolo integrale essendo f{x{t) , t) integrabile 
si ba subito : 

i, - Xo = (t'i - to) /"(So > <o) 



aJs - a^t = (ti - «2) /'(5t , ti) 

ove è 

^ > to > <o So = 3C (To) 

«t > "Cf ><i £| = » (xO 

«3 > Tt ><t Si = ^ (Ti) 

Allora considerando insieme i sistemi (3) e (7) e posto 

\f(Ìi,^i)-f{Xi,ti)\ = h , «.>|-«i = ^i (i = 0, 1, 2,...,n- l) 

ricaveremo : 

i Jj - a?j I < I X, - 05, 1 + /i, X, < /i^ Xo + ^1 X, 
a?3 — Xj I < I acj - ojj I + 7^2 Xi < '^o ^<r + ^^i X, + ^1 X, 



I Xi - Xi I < ^0 ^o + ^1 ^1 + ^« ^1 + + ^{-.i h-i 



(8) 



I X - X I < ;ìo x^ + ^, X, -h ;ì, X, + + ^^., x^.,. 

Ora per la continuità di /(x , f) e di x, per \t -^ t'\ < h si ha qualunque 
siano t e X 

\f(xt)^f(xt')\<n , |Ì(0-x(<OI<e (9) 

ove h è quantità piccola assegnabile quando siano date i] ed £ piccole a piacere. 



)( 141 ){ 
Perciò y tenendo conto ancora della condizione 

la disegaaglianza 

X, = I /(?, , T,) - f (a?, ti)\<\ fili T,) - /(5, ^.) 1 + I ri;, t,) - f(x, , «,) I 

dà luogo all'altra 

X< <)i + & 1 5| - x I 

e inoltre se gl'intervalli (*,.,., t^) sono minori di hy si avrà 

|2o-a?ol<e > |£|-ajj<e , |?i-^,|<6,.. . | 6^., -•c»-il<e 
e qaindi a causa delle (8) 

I So - aJo I < s 

I 5i - a?! I < I 5, - xj + I òT, - acj < e + Ao^o 

I 5t - a?i I < 1 5i - ^1 1 + I ÀDt - a?j5 1 o + /^o ^0 + ^1 ^1 



I 5< - aJrfi < 1 5i - a?< I + I »< - »< I < e + Ao >^o + *i ^1 + • • • + Vi ^<-i 
Di qui senz' altro avremo 

X, <)j + fc(6 + ^0 ^o) = ij + A; e + ^ ;ìo Xq < a + A; /lo * = (1 + kh^ìa 

X, < (1 + fc /lo) a 

X, <>J + A:e + kh^X^ + kh^li < (1 + /c/^o) ol + kk^{l -^ kh^) a 

X, < (1 + /c/io)(l H-fc/iJa 

< 

X< < (1 + Ar/i,)(l -f- A:/ij) . . . (1 + Ar/i^.,) a 

e poiché gl'intervalli (^j^, , ^|) sono minori di /^, si ha 

X,. < (1 + kh)* (yj + kz) 

e qaindi 

?Iq\ + A,X| + . . . + /i„_, X^_^ < /i(Xo + X, + . . . -h X^^i) , 



)( 142 )( 
e a fortiori 



Vo + K\ + . • . + Vi Vi < 'iC^J + ^0 U + (1 + fc^) + (1 + fc'*)* + • . . (1 + iWi)'^*! 



da cui si ottiene la diseguagliaDza 



V. + M, + --. + 'i„-.^n-.<'^('i + &6)j-^^+g^^[=5±ii!j(i + w.r-i} 



ossia 



Vo + Mi + . . . + K^, X„., < 5±Ji! [ (1 + khY - l]. 

Ora se nel frazionare Tintervallo (t , ìq) si ha la cautela di tenere finito il 
mutuo rapporto degli intervalli parziali essendo n il numero di questi e ^ il 
massimo, sarà nJi sempre minore di una quantità finita N e si avrà a fortiori 

h,\ + ft,x, + . . . + ft„_,x„., < Ili' [(i + ^^y _ i] . 

Ma d'altra parte è 

(i+-j=i+fcN+(^2J--.-+"-+UJ-;i*-<^+T+Tr+-^Tr<* 



e perciò 



Vo + ^.^1 + • • . + ^n-i^n-i < ^^ («''^ - 1) • (10) 



Ora fissato a piccola a piacere e scelta la quantità N maggiore o eguale al- 
l' ampiezza A^ del campo C , determino due quantità piccole e e )] tali che 
risulti 

5±^(e"-l)<c. (U) 

Allora posso trovare un numero p^ grande ma finito tale che per 

P 

ove sia i? > i>o , si verifichino le diseguaglianze (9) per tutti i valori di tex. In 
forza della (IO), (II) e dell'ultima delle (8), scritto nel caso di n^/?, verrà 
senz' altro 



^p (0 -x(t)\<a 
che era quanto si voleva dimostrare 



)( 143 )( 






Darò ancora la dimostrazione di un altro teorema enunciato dal Pain* 
leve, secondo cui: 

(') U integrale della (1), se la f soddisfa alle condizioni accennate a pa- 
gina ìj esiste in tutto V intervallo minore della più, piccala delle quantità: 



1 , A ^^\ 



a 



essendo Mq il massimo valore assoluto di f (x,, t). 

Infatti, dalla prima delle (3); usando le solite notazioni si ottiene: 

I «f - a;o I = ^, I f (^0 > <o) < Mo K (12) 

Sommando l3 due prime equazioni delle (3) si ha 

e quindi 

I aj,-aJo I < /i, I /(a?og 1 + ^, I /(a?o«i)I f ^ I /'(x,^) - /(OTa^)! 

e di conseguenza 

I ac, - aco I < Mo(^i + ^i) + /i^ fc I aj, - a?o I 

la quale per la (12) diviene: 

I Xj - OCo i < Mo'^i + h^) + ìi^kh^h^. (12)' 

Cosi pure dopo aver sommato le tre prime delle (3) si avrebbe 

quindi 

I aJs - Xo I < Mo(/i| + /ij + ^s) + Mi I X, - CCo I + fc^s I «1 - ^0 I 
e in forza della (12) e (12)' 



(*) Questo teorema fu per la prima volta dimostrato dal Ltndel5f ma col 
metodo delle approssimazioni successive. 



)( 144 )( 
Alla fine si otterrebbe 

nelle quali sommatorie ogni h ha l'esponente uno o zero. 
Ora a causa del [Seguente teorema di algebra 

ove è ai + «1 + . . . + a„ = X , risulta^ ponendo 

^1 + ^t + • • • f '^n - "^ 
che 

t = [X Z h^lì^ , . . 7^3^ + altri termini 

e quindi 

qualunque sia n e perciò riuscirà 



00 



i^i 



ossia 

dimodoché sarà |x^ — aSol<^ (condzione necessaria a soddisfare per star nel 
campo di definizione della f{xt)) qualunque siano i ed n, se si prenderà 

ossia 



t = l*-«ol<ilog(l + ^) 



Quando si scelga t in questo intervallo è sicuro che formando le successive 
equazioni alle differenze (3)^ si trovano valori successivi a?j tali che fix^t^) è de- 
finita e soddisfa alle ben note condizioni esposte a pagina 138. 



)( 445 )( 



SOPHUS IvIK 



DI 



M. NOETHER in Erlangen (*) 



Traduzione di A. Viterbi. 



La Scienza Matematica rimpiange la perdita d'uno de' suoi spiriti dirigenti: 
dopo che L i e ebbe lavorato senza posa per il periodo d' una generazione, ab- 
bracciando campi sempre più elevati e più vasti, segnando sempre un proprio 
indirizzo, venne rapito nel pieno vigore della sua facoltà creatrice. — I nostri 
Annalen partecipano ancora più direttamente alla perdita : ad una parte della re- 
dazione Lio era legato intimamente con rapporti personali e scientifici: la prima 
metà delle sue creazioni è esposta e riassunta nei volumi degli Annalen'^ e il 
nostro periodico può vantarsi d' avere per primo riconosciuto L i e in tutta la 
sua importanza e d'aver diffuse le sue idee. — Anche i risultati dell' influenza 
di lui si vedono ampiamente da una serie di pubblicazioni degli Annalen. — Con 
un cenno necrologico su L i e in questo luogo, noi ottemperiamo quindi non sol- 
tanto a un dovere scientifico verso il grande investigatore, ma anche ad un de- 
siderio personale ; e crediamo di corrispondere nel miglior modo a queste due 
circostanze col seguire a preferenza nel corso della vita di L 1 e lo sviluppo 
delle sue idee nei primi anni della sua produzione^ in queir epoca cioè nella 
quale è a rintracciarsi la spiegazione di tutta l'opera sua, e che ci tocca inoltre 
più da vicino in quanto egli la trascorse in parte in relazione personale ed in 
collaborazione con F. Klein (*). — Sugli anni successivi noi daremo soltanto 



(^) Cenno biografico pubblicato nel voi. 53 dei ^ Mathematische Annalen ^. 

(') Intraprendo V elaborazione del materiale di cui dispongo in sostituzione e 
coiraiuto del sig. F. Klein, al quale mancava ora il tempo per quest'elaborazione. 
Di lui si trovano del resto considerazioni generali sui metodi e sugli intenti di L i e 
nelle lezioni litografate (^ Einleitung in die hOhere Geometrie 1892-93 e 1893 „ e 
nel suo ^ Evanston Colloquium 1893 „ come anche nel suo giudizio relativo al pre- 
mio Lobatschewsky del 1897). — A ciò s'aggiungono, come materiale, alcuni cenni 
manoscritti che sono fatti in base a colloqui personali avvenuti fra S. Lice F. 
£lein a Pasqua del 1891 e nell'autunno del 1892 e che in origine dovevano ser- 

VOL. ZLT. X9 



)( 146 )( 

ano sguardo che non pretende d'esaurire il vasto campo né dal lato storico- 
critico, né dal lato dell' apprezzamento dell' importanza di L i e. — E tanto più 
ci possiamo limitare alla genesi dei concetti di L i e in quanto sarebbe prema- 
turo segnare oggi i limiti della portata de' suoi concetti^ mentre non potrà man- 
care più tardi una valutazione ulteriore, completa di essi. 

Mario Sophus Lie nacque il 17 dicembre 1842 in Nordfjordeid all'Eids- 
fjord, sesto ed ultimo figlio del Pastore di quel luogo, Giovanni Ermanno 



vìre ad un' introdazione per una collezione progettata per gli Annalen di lavori dei 
primi tempi di Lie pubblicati altrove. Naturalmente furono fitilizzate anche fre- 
quenti osservazioni personali e storiche di L i e contenute nelle sue memorie e prefa- 
zioni, benché quelle appartenenti all'epoca posteriore si siano dovute accogliere con 
molta prudenza. — Finalmente ho potuto prender visione anche delle lettere di L ì e 
a Klein, naturalmente solo per il tempo dal 1878 in poi, e quelle al sig. Engel 
(dal 1884). 

Bono venuti inoltre a mia cognizione alcuni articoli biografici, ed un discorso 
universitario pronunciato da E. H o 1 s t intorno a Lie, il cenno necrologico di G. 
D a r b u X nei C. R. dell' Accademia di Parigi del 27 febbraio 1899, uno di L. 
Bianchi nei Rendic. d. R. Acc. dei Lincei del 9 settembre dello stesso anno ed 
uno più breve di C. S e g r e negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino: 
finalmente un cenno verbale di F. Engel nella seduta della sezione matematica 
nella 71<^ riunione dei ^ Naturalisti e Medici di Germania „ del 18 settembre dell'anno 
stesso. — Un elenco dei lavori di Lie, che però può servire soltanto come provvisorio, 
si trova nel Bollet. di Bibliog. e St. delle Se. Mat. di G. Loria (fascicolo di aprile 
e giugno) ; un elenco preciso sarà aggiunto da F. E n g e 1 ad un cenno che esporrà 
alla Soc. Sassone delle Scienze. [La necrologia prima menzionata di F. E n g e 1 è 
comparsa nel frattempo nel ^ Jahresbericht der Deutschen Math. Vereinigung Vili 
Fasch I „ ; il secondo nei ** Berichte der Sachs. Ges. der Wiss. „ ma senza l'elenco 
dei lavori di Lie. — Il sig. Engel ha pubblicato a parte questo elenco accom- 
pagnato da indicazioni relative al contenuto di quei lavori nella ^ Biblioteca Mate- 
matica, III Serie voi. I jj. — Un cenno ulteriore dovuto a L. Sylow è contenuto 
neirArchiv. ftir Math. XXI, 1899. 

Le comunicazioni di Lie alla Soc. delle Scienze di Christiania del 2 aprile 
1869, del 5 luglio 1870 e del 26 settembre 1871 citate in più punti del presente 
lavoro sono nel frattempo state pubblicate da S. Sylow negli scrìtti della Società 
1899, N. 9 sotto il titolo: " Matematiske Meddelelser af S o p h u s L i e it. Videns 
liahselstiubet fra Aarene 1869-1871 „ unitamente con una traduzione Tedesca del 
contenuto Matematico (Ott. 1900). — "Le citazioni dell' autore riferentisi a questi 
lavori sotto il testo sono designate cosi ...(Ottobre 1900) onde designare l'epoca in 
cui furono fatte ^. 

N. B. Colla citazione " Atmalen „ si intenderà sempre di riferirsi ai " Mathe- 
matische Annalen di Lipsia „ nei quali fu pubblicata la Memoria del N o e t h e r 
della quale é qui esposta la traduzione. 



X 147 )( 

Li e. — Dopo aver frequentata per sei anni la scuola di Moss, un'isola nel fiord 
di Christiania, dove suo padre era stato trasferito, passò gli anni 1857-59 nella 
scuola latina privata di Nissen a Christiania, riuscendo ugualmente bene in tutte 
le materie, così che al suo passaggio nell'università di Christiania egli pensava 
tanto allo studio della filologia quanto a quello delle scienze. — Tuttavia L i e 
darante il suo studio universitario che durò sei anni e mezzo, si occupò a pre- 
ferenza di scienze esatte, di scienze naturali, d' astronomia, e frequentò i corsi 
di matematica del Broch nel 1860 e 1861, del Bjerknes, del Sylow (di 
questo anche sopra la teoria delle sostituzioni) senza che egli, che lentamente 
si maturava, ne ricevesse una più profonda impressione in questo senso. — Anzi 
egli lasciò l'Università sotto un senso d'oppressione, al quale avevano parte tanto 
la mancanza d'un obbiettivo preciso, quanto una condizione esteriore non favo- 
revole. Dopo aver sostenuto nel 1865 l'esame Reale L i e passò qualche tempo 
dando lezioni private e nella scuola si cimentò in alcune conferenze di Astro- 
nomia che furono favorevolmente accolte, pensando anzi di dedicarsi allo studio 
pratico di questa scienza. — Allora soltanto, nel corso dell'anno 1868 incominciò 
colio studio fatto da solo il suo interessamento per la meccanica e la geometria, 
egli imparò a conoscere più che altro casualmente le opere francesi di mecca- 
nica diDuhamel, Jullien, Lamé, quelle geometriche di C h a s 1 e s, come 
pare le applicazioni dell'analisi alla geometria di M o n g e e particolarmente di 
Poncelet. — Vl» queste ultime, insieme colle opere analitico-geometriche di 
Plucker, destarono improvvisamente le attitudini in lui sino allora dormienti 
e gli diedero tosto la linea direttiva di tutto il suo pensiero. — Per verità d'una 
serie di fogli volanti, noi quali egli buttò giù i suoi primi risultati, in particolare 
d' un teorema intorno alla : « Superficie di Steiner presentato all' Università di 
Christiania nel 1869 — sul luogo de' poli d'un piano fisso rispetto al sistema delle 
coniche della superficie luogo che è di nuovo una superficie di Steiner— ab- 
biamo notìzia soltanto da una Nota con metodo misto sintetico ed analitico^ con- 
tenuta nel volume III del suo archivio (1878). — Ma subito col suo primo lavoro 
originale pubblicato in forma ordinata gli si manifestò la coscienza d'una forza 
produttiva matematica, esistente in lui stesso. — Esso porta con sé tanti germi 
delle sue produzioni feconde posteriori, che noi dobbiamo esaminarlo più minu- 
tamente. 

Questa Memoria : < Eepràsentation des Imaginftren der Pangeometrie » è 
pubblicata in lingua tedesca in due Note dei « Forhandlinger » della Società 
delle Se. di Christiania del 1869, colla data rispettivamente del febbraio e del- 
Tagosto 1869 (la prima parte della prima Nota fu pubblicata originariamente iso- 
lata, in causa di difficoltà ad essere accolta alla Soc. delle Scienze, e poi anche 
nel voi. 70 del Giorn. di Creile). — L i e, mentre rappresenta un punto imaginario 
Xr^x^^ yi jZ ^ z \- pi del piano XZ nello spazio reale a;, ^, z mediante il punto 
(x, y, z) col « peso p », ottiene come imagine di ogni curva imaginaria del piano 
X, Z una superficie 4c striata » i cui solchi linee di massima pendenza sono date 
da p = cost. Qui è già da rilevarsi l' indicazione di tutti i movimenti dello spa- 
zio, pei quali la superficie striata rimane l'imagine di una curva imaginaria del 
piano XZ-; si ha dunque già il concetto di « operazione > caratteristico per L i e. 



)( 148 )( 

Inoltre Li e coordina ad ognana delle oo* rette complesse g del piano XZ una 
retta reale 7 dello spazio come striscia nulla (p = 0) del corrispondente piano 
striato ; invero le due coordinate della retta g, nelle loro parti reali ed imagi- 
narie, danno precisamente le quattro ordinate Pldckeriane della retta ^ dello 
spazio. Un secondo punto di partenza di L i e l'interpretazione delle due coppie 
di numeri determinanti g come coordinate di due punti reali rispettivamente in 
due piani reali dati, e la concezione di -jf congiungente di questi due punii — è 
bensì più semplice, ma non dà nulla di più del precedente (^). L i e ottiene poi, 
in corrispondenza agli 00* punti reali P dello spazio x, y, z col pesojp=0, dap- 
prima od' punti imaginari del piano XZ ; poi mediante una polarità in questo 
piano, od' rette imaginarie ^*, e da queste, con una rappresentazione, un com- 
plesso r di od' rette reali y nello spazio. Con ciò la corrispondenza fra i punti P 
e le rette ^ dì T diviene siifattamente reciproca, che anche viceversa ai punti P' 
di ^ corrispondono rette 7' passanti per P, cosicché nasce un secondo complesso 
r' di rette. — re r' sono complessi di II grado, che compaiono più innanzi in 
L i e come complessi « di E e y e » o, secondo la denominazione posteriore, com- 
plessi « tetraedrali », soltanto con tetraedri metricamente speciali.— Lie indaga 
già, come qui ai punti d'una retta qualsiasi dello spazio corrispondano le gene- 
ratrici di una schiera rigata sopra un iperboloide ; ai punti d'un piano le corde 
d'una cubica sghemba ; studia la rappresentazione di superficie rigate del III or- 
dine sopra piani, di superficie di complesso di P 1 tL e k e r sopra superfìcie del 
II ordine, e più generalmente la rappresentazione di entrambi i complessi sullo 
spazio di punti. — E queste ricerche, se mostrano già la famigliarità coi lavori 
di Chasles, con parte anche di quelli di Hamilton, e principalmente colla 
Geometria della retta di P 1 fi e k e r, allora appunto pubblicata, rivelano anche 
una notevole originalità di lui, come autodidatta; e sopratutto il tratto più sa- 
liente consiste nel disporre liberamente della concezione dello spazio, conside- 
rando nella Geometria elementi arbitrarli come elementi generatori, parlando già 
ad es. d'una geometria del piano che adopera come sue 'c rette > i cerchi pas- 
santi per un punto. — Si riconosce il vero spirito di P 1 ti e k e r. 

Il fatto che questa trasformazione di punti e rette è una particolare < Tra- 
sformazione di contatto > doveva riuscire importante per L i e. 

Per L i e questo lavoro ebbe anche 1' efl'etto immediato che B r e h potè 
procurargli una borsa di studio e la possibilità di continuare i suoi studi all'e- 
stero. 

Egli si recò dapprima per l'inverno 1869-70 a Berlino, e qui ebbe impor- 
tanza decisiva per il suo sviluppo 1' essersi subito incontrato con F. K 1 o i n e 
l'essere entrato con lui nel più intimo scambio di idee presto trasformatosi in 
comunione di lavoro. — In Klein che, già allora, come depositario dell'eredità 
di P 1 ti e k e r aveva pubblicato il secondo volume della sua geometrìa della 
retta, come pure una serie di ricerche proprie sui complessi di rette generali di 
II grado , L i e trovò non soltanto ampio incitamento coll'indicazione di campi 



(') Cf. la lettera di L i e del 2 aprile 1869 in " M^ddelelser „ (ottobre 1900). 



){ 149 )( 

a In! sino allora sconosciati; ma sopra tatto una mente aperta a^ suoi concetti 
sQlla geometria della retta, e nella quale i suol propri pensieri ancora incom- 
pleti si poterono chiarire. — Si trovarono ambedue d'accordo anche nell'interes- 
samento per le trasformazioni, benché Klein trovandosi in mezzo airindirìzzo 
moderno algebrico geometrico di Clebsch, desse maggiore importanza al loro 
carattere proiettivo e costruttivo, mentre invece L i e , indipendentemente dal loro 
significato più ristretto nel campo proiettivo, ne considerava piuttosto il carat- 
tere generatore e generale di trasformazioni. 

La reciproca unione divenne per entrambi tanto più intima, in quanto che per 
rindirìzzo da essi già preso, non poterono ricevere daWelcrstrass ulteriori 
incitamenti^ ma poterono soltanto trovare qualche soddisfazione nel Seminar di 
Kq m m e r. — In principio s'occuparono a fondo della rappresentazione del com- 
plesso lineare sullo spazio di punti, la quale era già stata data da altra parte 
(dallo scrivente) nell'estate del 1869. 

Mentre L i e, nello stesso tempo, si riannodava agli studi del suo primo la- 
voro sui complessi, e spinto da Klein vi considerava, in modo più intuitivo 
le curve e le superficie che gli si erano presentate, ne risultò come fratto una 
Nota « Ueber die Reciprocit&tsverh&ltnisse des Reye' schen Gomplexes » (Gott. 
Nachrichteu del 16 febbraio 1870, dat. dal gennaio 1870) la quale per altro non 
solo sviluppava ulteriormente i germi posti in parte fin da prima, ma lasciava 
apparire chiaramente anche i primi accenni a quasi tutte le idee sulla teoria 
delle corrispondenze che più tardi si andarono svolgendo. 

Si tratta del suaccennato complesso il quale, mentre compare specializzato 
già in B i n e t e C h a s 1 e s, era stato discusso in generale da B e y e nel 1868^ 
come ente generato da due spazi collineari ; ma compare qui come l' insieme 
delle rette che incontrano le facce d' un tetraedro secondo un birapporto co- 
stante, dal che trae origine la sua denominazione posteriore. In L i e il fatto 
principale consiste nella deduzione delle sue proprietà dalle trasformazioni in 
iè stesso che il complesso ammette: cioè dalle oo> collineazioni permutabili dello 
spazio, che lasciano invariato il suo tetraedro fondamentale ; una schiera con- 
tinua di trasformazioni, le quali costituiscono un gruppo finito, ossia dipendente 
da un numero finito di parametri. 

Ciò che per L i e è caratteristico si è che per lui il complesso di rette non 
rimane più, di per sé, l'oggetto geometrico delle sue considerazioni ; egli applica 
invece le sue trasformazioni ad un altro elemento arbitrario, a una curva, ad 
una superficie, e costruisce così nuove figure (specie) costituite da schiere tre 
volte infinite di elementi, che vengono considerate tutte come forme covarianti 
del complesso e del tetraedro rispetto alla schiera di trasformazioni.— Qui Lie 
va molto più in là delle sue due fonti originarie, e cioè la generazione analìtica 
delle figure secondo M o n g e, e le costruzioni di luoghi della geometria proiet- 
tiva; specialmente in quanto, al pari di Placker egli mette in evidenza l'ar- 
bitrarietà dell' elemento dello spazio anche entro il complesso di rette. — Così 
egli divide le curve inviluppate da rette del complesso in specie, fra le quali 
una particolare è formata dai punti dello spazio e ciascuna delle quali genera 
ogni altra come inviluppo; e poiché tre curve del complesso che si toccano 



)( 150 ){ 

hanno in pari tempo a comune il plano osculatore, ciascuna di queste curve 
viene generata mediante « rotolamento > di una semplice infinità di curve di 
un'altra specie. Vengono poi studiate trasformazioni, che permettono di mutare 
ciascuna di queste specie in ciascun'altra, e precisamente ciascuna curva o su- 
perficie del complesso generata da una specie in una curva o superficie gene- 
rata da un' altra qualsiasi specie ; e vi si parla già delle linee assintotiche alge- 
briche di queste superficie del complesso. 

Le trasformazioni qui adoperate da L i e sono tutte ancor più chiaramente 
di quel che non sia nel lavoro sugli imaginari, ciò che egli designò più tardi 
come « Trasformazioni di contatto ^, e precisamente trasformazioni di ogni specie 
esistente; grappi finiti e persino « infiniti » senza peraltro che compaiano già 
esplicitamente questi stessi concetti gruppali, o anche i concetti posteriori di L i e 
di « Elementi superficiali in posizione unita ». È però da osservarsi che le super- 
ficie appartenenti al complesso, sostanzialmente le superficie tetraedrali simme- 
triche di De la Gournerie (1867), appaiono nelle varie loro generazioni 
come generalizzazione di molte superficie conosciute; p. e. delle « superficie cen- 
trali »; e possono essere concepite come trasformazione delle superficie d' area 
minima, nelle quali esse si mutano mediante rappresentazione logaritmica. — una 
osservazione che L ì e foce pochissimo tempo dopo (estate 1870) , quando inco- 
minciò ad occuparsi della sua trasformazione di rette e sfere, ma che fu svilup- 
pata soltanto nel 1879 (« Weitere Untersuchungen flber Minimalflftchen » Archiv. 
IV;, (secondo una Nota, {^) mandata alla Società di Christiania il 5 luglio 1870, ma 
che non fu stampata : v. i Cenni in proposito nel « Resumé » Forh. 1872). — An- 
che la concezione del complesso di rette come di un ente che definisce un'equa- 
zione a derivate parziali del primo ordine ed una del secondo, e delle superfi* 
eie del complesso come superficie integrali di queste, è da ascriversi in conse- 
guenza air estate del 1870, (contrariamente ad un' osservazione di L i e nel voi. 
XXIV dei Math. Annalen p. 540). 

Quest'estate del 1870 che L i e passò, sino allo scoppio della guerra, a Pa- 
rigi in vita comune con Klein è sopratutto da designarsi come il periodo più 
brillanto per le sue prime concezioni. — Dapprima ebbero origine le Note co- 
muni: « Sur un certaine famille de courbes et de surfaces > (C. R. del 6 e 13 
giugno) le quali studiano rispettivamente le curve e superficie dello spazio, an- 
cora omesse nella Nota sul complesso di R e y e, che vengono trasformate in sé 
da una schiera continua chiusa rispettivamente di od* , oo* trasformazioni tetrae- 
drali lineari, le curve W e superficie W, secondo una denominazione derivata 
dal «Wurf» di Staudt, e che corrisponde alle «courbes anharmoniques » , 
secondo l'espressione posteriore di H a 1 p h e n. — Queste curve sono le curve in- 
tegrali d'un sistema di equazioni difi'erenziali ordinarie a coefficienti lineari, il 
che esprime appunto non altro che la trasformazione « infinitesima » contenuta 



(^) Gfr. Meddelelser. La Nota con lettera del 5 loglio 1870 ò stata pre- 
sentata il 30 settembre 1870 alla Soc. (ottobre 1900). 



)( 151 )( 

nella schiera di trasformazioni. — Qui compare per la prima volta in L i e questo 
concetto divenuto poi cosi importante per luì, e dedotto da quello di una schiera 
continua dipendente da un parametro, — Certamente il concetto stesso era già 
stato introdotto molto prima da Sylvester nella teoria delle trasformazioni 
lineari delle forme, per ricavare le equazioni alle derivate parziali che defini- 
scono gli invarianti. 

Ma ciò che è da considerarsi come progresso è Tindicazione di certe altre 
equazioni dififerenziali, che mediante la conoscenza della schiera di trasforma- 
zioni e delle loro curve W, risultano già integrate ; di quelle equazioni cioè, i 
cai integrali vengono trasformati dalla detta schiera anche in integrali sifiFatti ; 
nella Nota bensì solo in modo sommarlo , ed esplicitamente solo nel lavoro 
del marzo 1871 sulle curve W piane pubblicate nel voi. IV di questi annali. — 
Basta semplicemente, se )] = cost. sono le curve traiettorie della trasformazione 
infinitesima, introdurre )] come una nuova varìabile per riconoscere la riduzione 
a nna quadratura. — Mentre nel lavoro del voi. IV degli Ann. sono cosi discusse 
tutte cinque le classi di gruppi lineari oo' del piano, si ottengono come curve W 
soltanto curve già note^ come la spirale logaritmica, ma con proprietà in parte 
nuove, e quelle conosciute vengono subordinate a punti di vista generali. — E 
poi viene riconosciuta anche la ragione del successo del metodo d'integrazione: 
rintroduzioue di yj è già una specie di considerazione anticipata del concetto di 
molto posteriore d'invariante differenziale. — Del resto anche una più diretta uti- 
lizzazione deir equazione differenziale ausiliaria, senza previa integrazione, ap- 
partiene ad un tempo posteriore (v. più innanzi pag. 168). — U intendimento di 
Li e era di sostituire alle oc^ ccUineazioni dello spazio, per mezzo di una rap- 
presentazione logaritmica, le oo' traslazioni di un secondo spazio: e di qui eb- 
bero origine le superficie di traslazione comparse per la prima volta nella Nota 
inedita nominata del luglio 1870. 

Purtroppo non fu ultimato lo sviluppo, progettato per gli Annaleu, delle con- 
siderazioni spaziali contenute nelle note dei C. R, — Dai frammenti di abbozzi 
ancora esistenti (*), come dalla stessa seconda Nota, risulta che la relazione fra 
i complessi di curve e superficie W e le equazioni a derivate parziali, special- 
mente per proposizioni come quella che le curve W d' una superficie W sono 
linee assintatiche sopra questa, era già completamente sviluppata nella mente di 
Lie, cosicché questo lavoro costituisce un punto importante per passare agli 
sviluppi che tosto esamineremo e che furono raccolti nel volume V degli An- 
nalen. — Inoltre in questi abbozzi l'estensione dei concetti proiettivi e di recipro- 
cità del campo finito alF elemento lineare di curve e di superficie, dunque anche 
air intero campo differenziale (donde la teoria posteriore delle trasformazioni di 
contatto), è già assai chiara; e il concetto di trasformazione infinitesima e di 
grappo di trasformazione viene messa ancor più in risalto, benché in forma spe-* 
ciale, di quel che non fosse nel lavoro testé accennato degli Annali, che prende 



(*) Posseduti dal sig. Klein. 



.)( i52 ){ 

Come punto di partenza gli stessi complessi di curve, cioè le forme generate da 
quelle trasformazioni. 

Le idee qui rilevate delle Note comuni sulle curve e superficie W ad ecce- 
zione dei concetti ultimamente accennati, sono dovute al solo Lie, mentre le 
relazioni invariantive e ciò che si riferisce a specializzazioni del tetraedro fon- 
damentale va attribuito a Klein. Egualmente famigliare ad entrambi era V o- 
perare con sostituzioni lineari; e Tintroduzione del concetto della proprietà d'una 
schiera di trasformazioni di essere chiusa, come del concetto di permutabilità, 
è da attribuirsi all' influenza delle idee di G a 1 o i s , state diffuse allora nel 
campo dei gruppi discontinui di sostituzioni dall'opera di C. Jordan, appunto 
allora uscita, e dal commentario pubblicato un anno prima in questi Annalen (voi. I) 
per iniziativa di Olebsch. E sebbene (lueste idee, che presentano manifeste ana- 
logie anche coi concetti di gruppi lineari, in uso nella teoria dei numeri, fos- 
sero state già applicate dallo stesso Jordan nel 1869 al campo di tutti i gruppi 
di movimenti dello spazio, si continui che discontinui (Annali di Mat. serie 2^ 
voi. II), non ne era stato tuttavia preso in considerazione il lato analitico. 

Anche in un'altro senso le ricerche dei matematici francesi di quell'epoca 
dovevano essere di importanza duratura per i due investigatori, mentre L i e in 
pari tempo ne era toccato più da vicino. A Parigi seguendo la tradizione pro- 
veniente da Liouvìlle, Lamé, I. A. Serret, Bonnet, si lavorava in 
quel campo che secondo Monge e Poncelet può ossero designato come ap- 
plicazione dell' Analisi alla Geometria: e V interesse era rivolto a preferenza alle 
proprietà metriche delle superficie ; alle linee di curvatura^ ai sistemi ortogo- 
nali ecc. Ed una direzione perfettamente analoga si seguiva in pari tempo dal 
iato proiettivo, nella cerchia degli scolari di Ohasles; qui si cercava , me- 
diante r introduzione del cerchio imagiuario delle sfere di rendere suscettibili 
di migliore intelligenze e d' una trattazione più generale anche relazioni metri- 
che complicate. I due indirizzi si tlisero nelle ricerche degli « Anallagmatici » — 
Laguerre, Moutard, Darboux; era un fatto che, rispecchiando lo svi- 
luppo particolare di L i e , il quale si col legava in pari tempo a M o n g e , e alla 
geometria proiettiva , doveva esercitare una profonda influenza su questo inve- 
stigatore d' altronde difficilmente impressionabile. A ciò aggiungasi che i due 
amici entrarono tosto in più stretti rapporti personali con D a r b o u x. 

Fra gli sviluppi dell' indirizzo anallagmatico, il quale si riferiva ad una spe- 
cie di geometria della sfera, e quelli della geometria della retta — p. e. fra le 
formolo comunicate a voce da Darboux per il sistema ortogonale delle ci- 
clidi confocali e le formolo di Klein per gli oo* complessi di secondo grado 
appartenenti a una stessa superflcie focale di K u m m e r ; oppure fra le pro- 
prietà di traslazione delle superficie d'area minima e le proprietà delle superfi- 
cie di L i e che compaiono nel complesso di R e y e , esisteva un' analogia che 
non si poteva disconoscere. Non doveva esistere vm principio di trasporto, che 
legasse le due teorie ? 

L i e si ricordò d' essersi occupato della rappresentazione del complesso li- 
neare sullo spazio di punti , della conica eccezionale che compariva in questo 



)( 153 )( 

spazio ('); ancora un passo: il far coincidere questa conica col cerchio assoluto, 
ed ceco sonarla mirabile trasformazione di contatto , che muta le rette d' uno 
spazio R| nelle sfere d'uno spazio Rj , e quindi, come forme inviluppi, le linee 
assintotiche delle superfìcie di R, nelle linee di curvatura delle superficie di Rj. 

Era il principio di luglio, quando L i e fece questo passo decisivo, del quale 
però egli^soltanto il 31 ottobre potè dare comunicazione all' Accademia di Pa- 
rigi (C. R: « Sur une transformation geometrique », il 24 ottobre alla Società di 
Christiania nella Nota comparsa il 9 dicembre: « On en Classe geometriske Tran- 
sforraationcr »). Per apprezzare pienamente questo passo^bisogna tener conto an- 
che della Nota inedita del 1870: là il complesso di Reye (f. «Kurzes RéóU- 
mé etc. » nei Forh. del 1872, p. 24) deve già essere concepito esplicitamente 
come an' equazione a derivate parziali del 2® ordine, — cioè come queir equa- 
zione che defìnisce le superficie, le cui tangenti principali in ogni punto separano 
armonicamente le due retto del complesso che stanno nel loro piano ; con che 
l'equazione a derivate parziali del primo ordine relativa al complesso, la quale 
rappresenta il cono coordinato a ogni singolo punto di questo complesso, diviene 
un integrale singolare di queir equazione del secondo ordine; e del pari le cor- 
rispondenze reciproche collegate al complesso devono essere considerate come 
trasformazione di contatto delle superficie integrali della stessa equazione (^). 

Effettivamente L i e nell' estate del 1870 s' era occupato intensamente della 
teoria di Monge delle equazioni a derivate parziali*, del modo a lui particolare 
di sviluppare ulteriormente da un lato una serie di concetti geometrici molto 
generali, come quello della generazione di superfìcie mediante inviluppo, e d'e- 
sprimercele leggi di questa generazione mediante'cquazioni a derivate parziali; 



(') La relazione con ciò'ottenuta fra la superficie di K^u m m e r e la superficie 
del 4<» ordine con conica doppia era già venuta a conoscenza di Klein e Lie nel- 
r inverno 1869-70 nei sopraccitati lavori collettivi^sulla rappresentazione del com- 
plesso lineare sullo spazio di punti. Soltanto in seguito a ^ciò Lie pose mente al 
fatto, che la rappresentazione si poteva anche ricavare dal suo lavoro sugli imagi- 
nani mediante una specializzazione colà non considerata; e completò con questo la 
rappresentazione. In qaesto senso deve intendersi la ripetuta osservazione di Lie 
che egli aveva dedotta la trasformazione di rette e sfere dalla sua teoria degli ima- 
ginarii. La sualindicazione nel voi. V pag. 147 dei Math. Ann., che quest'ultima 
connessione è in certo qual modo casuale , è più giusta di quella già conosciuta 
(ott. 1900). 

(^ Dalla pubblicazione ora ^avvenuta della nota del 5 luglio 1870 (^Medde- 
1 e 1 s e r j,) risulta che le equazioni a derivate parziali del 2^0 del 1^ ordine non 
vengono quivi accennate esplicitamente. La Nota contiene soltanto alcuni enunciati: 
tre sulla trasformazione di rotte e sfere, una quarta sulle linee assintotiche delle su- 
perficie rigate contenute in un complesso lineare,' e tre altri sulla loro rappresen- 
tazione logaritmica. Queste superfìcie non vengono ancora introdotte come superfi- 
cie integrali (Ott. 1900). 

/OL. xu. 20 



X 154 )( 

e di ricondarre d'altra parte 1* integrazione di tali equazioni a quei concetti geo- 

metrici. Per mezzo di queste cousiderazionl si rese chiaro a L i e un concetto, 

elle sino allora era stato più inconsciamente che altro, a fondamento del suo 

modo di pensare: il concetto di elemento superficiale, ossia deir insieme di gran- 

/ dz dz\ 

dezze (a3/y,2,i? = p7, 5 = 7-1, come vero elemento dell' intera teoria. Con 

questo nuovo concetto L i e cercò a tutta prima di penetrare nelle idee di M o n- 
gè, più tardi anche nel processo d' integrazione di Cauchy; e anzitutto nel 
fatto che per Tintegrazione di un' equazione a derivate parziali del primo or- 
dine F(a7 ì y ì z , p , q)=zO basta già l' integrazione del noto sistema canonico 
d'equazioni differenziali ordinarie del primo ordine fra x, y, Zy p, q^ h\ quale 
conduce per prima cosa ogni procedimento d' integrazione. Il problema generale 
consiste per L i e nel distribuire gli elen^enti superficiali che sono definiti da 
F = sicché per ciascun punto dello spazio se ne ha un inviluppo conico cor- 
rispondentemente alia <c soluzione completa» di Lagrange in oo^ insiemi di 
oc* elementi ciascuno. Come egli riconobbe un pò più tardi, non è necessario 
d'altronde che questi insiemi formino proprio delle superficie; ma i loro elementi 
consecutivi devono soltanto sodisfare l'equazione dz —pcUc - qdy = , vale a dire 
devono essere siffattamente « in posizione unita », che sempre rdemento sacces- 
sivo passi per il punto del precedente. Ora , mentre che per M o n g e quel si- 
stema canonico definisce soltanto a>^ curve luoghi di punti come « Caratteristi- 
che », le quali hanno ovunque la direzione delle generatrici dei coni elementari, 
per Li e lo stesso sistema definisce cx^ « «ttnsce caratteristiche », ottenute colle- 
gando ciascuna di quelle curve agli oo' elementi superficiali di F =:- che ne oscu- 
lano gli elementi lineari. 

Questa concezione conduce poi L i e ad accorgersi che, quando per due strì- 
sce caratteristiche consecutive gli elementi superficiali relativi (e pure adiacenti) 
sono in posizione unita in un punto , ciò avviene per tutta l' estensione delle 
due striscio. £ da questo punto di partenza egli domina tutto il contenuto e tutta 
la portata che può avere un qualunque procedimento d' integrazione di F = 0; 
partendo cioè da una qualunque striscia non caratteristica vale a dire di una 
curva qualsiasi coi relativi elementi superficiali appartenenti a F := , secondo 
Cauchy da una curva originaria in t/ = e prendendo per ciascun elemento 
di questa la strisca caratteristica che ne esce, si ottiene sempre una varietà in- 
tegrale; e anzi la varietà più generale, quando si fa variare ad arbitrio la curva 
da cui si è partiti. L' integrazione è dunque necessaria soltanto alla formazione 
di queste go\ strisce caratteristiche , mentre la curva base da cui si è partiti 
racchiude in sé gli elementi arbitrarli. In particolare si potrebbe prendere con 
J a e b i le strisce caratteristiche uscenti da un punto fisso. 

Questa concezione fondamentale di L i e , che riconduce le espressioni inte- 
grali con due variabili a espressioni con una sola variabile, e considera la riu- 
nione arbitraria delle striscio a superfìcie come un semplice corollario^ insieme 
colle applicazioni alle rappresentazioni di cui ora avremo a trattare e cogli al- 
tri problemi posti da L i e , è stata finora utilizzata forse troppo poco dai geo- 
metri differenziali. Del resto anche per Lie essa raggiunse soltanto a poco a 



i 



)( 155 )( 

poco la forma definitiva accennata, poiché ancora il lavoro nel voi. V degli Ari' 
nden (1871) considera le superficie integrali di F = soltanto come risultanti da oo^ 
linee caratteristiche, che inviluppano una curva e non ha ancora una denomina- 
zione speciale per il concetto della « striscia :»; un tale concetto compare invece 
esplicitamente soltanto in una Nota inedita presentata nel settembre del 1871 
alla Società di Chrtstiania (*) e nelle Note, di cui parleremo più innanzi, della 
primaTera del 1872. 

Questo modo di considerare le cose ha anche un precursore neir opera di 
P. Du B i 8 R e y m o n d del 1864 (*) venuta a conoscenza di L i e nel 1871 nella 
qnale il concetto di striscia, sotto la denominazione di <3c striscia integrale » e la 
sua determinazione mediante un elemento iniziale, è sviluppato ed utilizzato dal 
Iato geometrico , se pure in modo non cosi generale e comprensivo come 
in L i e ('). 

Dapprima L i e collegò queste idee soltanto coi concetti dei complessi di 
rette di F 1 il e k e r. E procedendo per mezzo di esse alla rappresentazione del 
complesso lineare dello spazio R, sullo spazio di punti R^ , egli riconosce che 
tale rappresentazione si ottiene con due equazioni lineo-lineari; che però, in virtù 
di queste equazioni, si ha in entrambi gli spazi un complesso dirette, le cui rette 
corrispondono sempre ai punti dell' altro spazio; e questi complessi sono in gene- 
rale complessi di Rey e. Un complesso di grado m gli definisce un problema 
d'integrazione di grado w, in quanto gli determina per ogni punto x, y, z 
un cono di ordine m , ossia oo^ direzioni dir : dy : dz , e quindi un' equazione 
f(^) Vi ^ 1 ^^ 1 ^y t ^z) = 0: questa è V equazione delle direzioni delle linee ca- 
ratteristiche d' una certa equazione a derivate parziali del !<> ordine, che è poi 
l'equazione di quello stesso cono in coordinate di piani; e T integrazione di que- 
st'ultima richiede la determinazione di tutte le superficie, che in ogni loro punto 
toccano il cono corrispondente. La corrispondenza fra Rf e R, alia quale L i e 
fu qui condotto ha anche la particolarità che le direzioni delle curve del com- 
plesso dei due spazi si corrispondono biunivocamente, e in pari tempo recipro- 
camente, nel senso che di due curve omologhe, sempre una arbitraria può con- 
siderarsi come luogo dei punti del suo spazio, Taltra come inviluppata dalle rette 
corrispondenti del complesso. Di due elementi superficiali omologhi uno risulta 
affatto arbitrario^ poiché, quando un punto si muove sopra una superficie, la retta 
corrispondente inviluppa di nuovo una superficie: cioè la superficie focale della 
congruenza da essa generata. 

L i e però non esita a concepire queste idee nel loro significato generale, e 



(*) Secondo la recente pubblicazione (^ Meddelelser „) anche questa Nota non con- 
tiene alcuna espressione per " striscia „ (ott. 1 900). 

(*) Beitr&ge sur Interpretation der partiellen Dlfferentialgleichungen mit drei 
Variabeln — 1© Fase. Lipsia 1864. 

(^) Come un precursore geometrico ancora anteriore sarebbe da nominarsi 0. 
Bonnet (C. R. Voi. 45^ 1858); cf. L i e-Sch ef f ers: " Geometrie der Bertih- 
ruDgstransformationen „ pag. 518 (ott. 1900j. 



)( 156 )( 

ricava di qui il suo concetto più generale d' un% trasformazione di contiato. AWq 
diverse' trasformazioni conosciute da tempo, nelle quali il contatto è una rela- 
zione invariantiva: all'ordinaria trasformazione puntuale determinata da tre equa- 
zioni fra le^coordinate , ed alla trasformazione reciproca di punti e superficie 
rappresentata da P 1 ti e k e r con una aequatio directrix, in particolare alla or- 
dinaria correlazione (o reciprocità) , s' aggiunge qui una trasformazione reci- 
proca determinata^^raedìante due equazioni lineari, una specie affatto nuova la 
cui proprietà. di contatto è di essere riconducibile ad equazioni differenziali or- 
dinarie ed a derivate parziali si* conservano , come risulta dal concetto di ele- 
mento superficiale (xyzpq)^ quando si sostituiscono alle due equazioni lineari 
due equazioni affatto arbitrarie fra i due sistemi oc^ j yi y z^ ; x^ j y^ , z^i e questa 
è una trasformazione punto curva. Concepite pertanto tutte le trasformazioni di 
contatto fra due spazi come determinate da cinque equazioni fra oc, , yi , 2j, ,p, , q^ 
® 3^2 , J/2 ìj^t } Pi ' ?2 ' dalle quali sono da eliminarsi le pq; L i e riconosce in pari 
tempo che non esistono altre trasformazioni siffatte, air infuori delle tre specie 
testé caratterizzate partendo dalla* considerazione' del punto. 

E se queste generalizzazioni ebbero per Tattività successiva di Lie fonda- 
mentale importanza, altrettanto interessante ne fu Tapplicazione al problema che 
in particolare gli stava davanti. La specializzazione consisteva in ciò, che ai com- 
plessi tetraedrali e generali vennero sostituiti in R, , il complesso lineare gene- 
rale in R2 , il < complesso minimo » M, ossia il complesso delle rette che si ap- 
poggiano al cerchio assoluto, cioè delle «rette minime», ovvero di rette di lun- 
ghezza nulla. Ora, i punti d'una retta arbitraria di R, si mutano in una schiera 
di rette imaginarie d' una sfera di Rg — alla quale sfera viceversa , per mezzo 
della sua seconda schiera rigata corrisponde anche una seconda retta di 'R^ — 
mentre gli elementi superficiali osculatori alla retta considerata di R, si mutano 
negli elementi superficiali della sfera di R,. Le ret*,e d' un qualsiasi complesso 
lineare di R, si trasformano r.elle sfere di R, , che tagliano una sfera fissa sotto 
angolo costante, in particolare sotto angolo retto, quando quel complesso è in 
posizione « involutoria » con L; e rette incidenti si mutano in sfere tangenti. 
L'insieme delle trasformazioni proiettive dello spazio R, sì muta neir insieme 
delle trasformazioni di sfere di Rj, fra le quali ne compaiono di tutte le spe- 
cie: i movimenti ordinarli, e sopratutto le tnxsformazioni per raggi reciproci , e 
le trasformazioni per parallelismo — da ciò un' analogia completa ricondotta ai 
suoi fondamenti, fra la geometria della retta e la geometria delle sfere; una no- 
tevole e assai intima relazione fra la geometria proiettiva generale e la geome- 
tria metrica fondata sui raggi reciproci. Fu questa la prima, vera geometria 
avente per elemento la sfera; equivalente geometricamente, in forza della distin- 
zione delle due schiere di rette della sfera (0 del segno del raggio) alla conce- 
zione posteriore di L a g u e r r e delle semisfere; distinzione questa che non com- 
pare nella successiva geometria delle sfero di Darboux, né in quella poste- 
riore di R e y e. 

A questo L i e collegò ancora considerazioni di geometria infinitesimale^ che 
gli diedero una nuova interpretazione dell' equazione a derivate parziali di !<> or- 
dine relativa ad un complesso di oc' curve; che cioè una qualsiasi « curva del 



)( 157 )( 

complesso > inviluppata da tali curve non solo ha in ogni suo punto la direzione 
d' ana generatrice del cono corrispondente, ma ha per piano osculatore il piano 
tSDgente di questo cono ; cosicché le superficie integrali in ciascuno dei loro 
punti vengono osculate dalle curve del complesso tangenti ad esse; e in parti- 
colare j quando il complesso è un complesso di rette , hanno le rette di questo 
come tangenti principali, e le proprie curve caratteristiche come asintotiche. 

E già il primo risultato di questa concezione apriva le piti ampie prospet- 
tive ed era atto a dare un forte impulso alla prosecuzione di queste teorie; una 
rappresentazione delle asintotiche delle superficie di R, sulle linee di curvatura 
delle superficie di Rj. In vero , secondo un modo di esprimersi adottato nei 
Forh. 1882, queste due specie di curve sono da riguardarsi come luoghi di od' 
elementi superficiali, dei quali due qualunque consecutivi appartengono ad una 
retta, o rispettivamente ad una sfera. Così, poiché i matematici francesi avevano 
determinate le linee di curvature delle ciclidi (C. R. t. 59), risultò che le asin- 
totiche della superficie di K u m m e r di 4» ordine e 4» classe erano curve al- 
gebriche di ordine e classe 16: curve il cui sistema , come Klein tosto rico- 
nobbe, e:*a identico con quello da lui studiato nel voi. 2^ dei Mathematische 
Annaleny in base alla proprietà della detta superficie di essere superficie singo- 
lari dioo' complessi di 2» grado. 

Fra i vari indirizzi, secondo cui L i e studiava queste cose — vale a dire 
mediante ricerche su quelle equazioni a derivate parziali di lo ordine , le cui 
curve caratteristiche sono linee di curvatura; inoltre, valendosi della considera- 
zione delle superficie dei centri di curvatura, su quelle equazioni, le cui curve 
caratteristiche divengono linee geodetiche ; od anche , mediante considerazione 
di complessi con trasformazioni infinitesime in sé, come estensione della prece- 
dente teoria delle curve e superficie W — dobbiamo metterne in rilievo un' al- 
tra: la costruzione, caso per caso, di una corrispondente equazione alle derivate 
parziali del 2° ordine. Essa compare quando si cercano le superficie che hanno 
in ogni loro punto un contatto di 2© ordine con una curva del complesso defi- 
nito dall' equazione del !<> ordine , o le cui asintotiche sono sempre armoniche 
a due direzioni contenute nel complesso: quando dunque si cercano le superfi- 
cie che contengono oo' caratteristiche delT equazione del lo ordine. Qui com- 
paiono sotto nuova luce le note equazioni di Monge, Ampère e dei loro 
successori, colla riduzione mediante una trasformazione di contatto ad una forma 
lineare nelle derivate seconde; e L i e si propone lo scopo particolare di deter- 
minare tutte le equazioni di questa natura, che hanno uno o due integrali gene- 
rali primi. Si trovano ampi sviluppi delle Note di L i e nei Forh. del 1871: « Over 
en Classe geometriske Trasformationer » , delle quali note i primi due capitoli, 
in lingua norvegese, servirono a Li e nel 1871 come dissertazione di laurea e 
come tesi d'abilitazione a Christiania, mentre i rimanenti capitoli , come quasi 
tutti i lavori di Li e, sono scritte in lingua tedesca; e nella grossa memoria 
comparsa nell'autunno del 1871 nel voi. V di questi Annalen: « Ueber Complexe, 
insbesondere Linien-und Kugel-Complexe, mit Anwendung auf die Theorie par- 
tieller Differentialgleichungen ». In uua parola i concetti dominanti di Lie che 
emergono da questi lavori sono: l'aver posto a base 1' elemento superficiale , il 



)( 158 )( 

concetto della trasformazione di contatto^ la costmzione di tutte queste trasfor- 
mazioni con e senza cambiamento dell'elemento dello spazio, la compenetrazione 
delle idee primordiali di M o n g e con questi concetti , il loro uso per le rela- 
zioni dilfcrenziali metriche della teoria delle superficie e per la concezione delle 
equazioni a derivate parziali. 

L i e aveva lasciato Parigi in principio d'agosto all' inizio della guerra^ per 
andare in Italia a piedi, ma venne già a Fontainebleau erroneamente arrestato 
come spia e trattenute in carcere alcune settimane. La continuazione del viag- 
gio lo condusse in Italia ed in Isvizzera, e nel viaggio di ritorno a Cbristiania 
s' incontrò ancora per breve tempo con Klein per redigere una Nota comune 
intorno alle summenzionate linee asintotiche della superficie di K u m m e r, pub- 
blicata nei Rendiconti dell' Accademia di Berlino del 15 dicembre 1870. Il fatto 
che le considerazioni sulla forma di questa superficie come anche la determina* 
zione dei caratteri di Pllicker di quelle linee, non sono dovute a L i e , è ca- 
ratteristico per la natura del suo modo di pensare in geometria. Certamente si 
dovrà considerare in prima linea, non come analista, ma come geometra lui, che 
sino ad ora in tutto il corso delle sue idee e nelle sue rappresentazioni aveva 
fatto r uso più ampio di osservazioni sullo spazio; che, muovendo da questo os- 
servazioni, aveva architettate queste ricerche analitiche e le aveva compenetrate 
con nuove idee sulle trasformazioni e sul comportamento delle varietà dal punto 
di vista differenziale; lui, la cui importanza in gran parte consiste in questo, che 
utilizza tutta l' elasticità dei metodi di studio proiettivo-algebrici, che hanno nel 
nostro spazio piena validità anche nel campo complesso , applicandoli a que- 
stioni differenziali e trascendenti. Ma le sue considerazioni si riferiscono anche 
soltanto a questo comportamento delle figure nel campo infinitesimo, o in una re- 
gione limitata dello spazio. La figura concreta di una varietà in !)utta la sua 
estensione, vale a dire le sue proprietà di forma, il modificarsi di questa forma 
nel caso di parametri variabili , e sopratutto le questioni sulla realtà dei 
singoli enti, non hanno interessato L i e. Ma in quel campo, che negli elementi 
geometrici e nelle operazioni vede soltanto una sintesi di concetti completamente 
astratti, spesso dei più complicuti, L i e era maestro. È eloquente il fatto che 
sin da principio L i e non si limitava mai al campo algebrico, ma si valeva sol- 
tanto di un concetto generale di funzione o di dipendenza, che coincideva ap- 
punto, geometricamente coi concetti puri di varietà, ed al quale solo tardi ve- 
nivano aggiunti alcuni attributi di funzione analitica. Ma un vantaggio inerente 
alia concezione geometrica delle relazioni analitiche L i e ha sfruttato come nes- 
sun altro; cose che nei metodi dei linguaggio formale, ciascuno dei quali mette 
in evidenza elementi speciali , si presentano spesso nei modi più svariati, cadono 
per lui, come uguali nel concetto, sotto un unico punto di vista — Cosi gli enti: 
punto, curva, superficie, tanto diversi fra loro dal punto di vista delle coordi- 
nate di pnnto , si riuniscono sotto il concetto fondamentale della generazione 
per mezzo di elementi superficiali. Il suo modo di concepire lo spazio che egli 
soleva chiamare il suo metodo « Sintetico >, diventa per lui vero stimolo a creare 
nuovi concetti fondamentali. 



)( 189 )( 

È bene però rilevare qui che L i e ; come sembra, non ha sviluppati 1 con^ 
celti geometrici; nel campo differenziale, tino al punto da comprendere anche il 
comportamento di tutte le trasformazioni di contatto in posizioni speciali, dove 
tali trasformazioni divengono indeterminate^ e perciò il concetto della conserva-* 
zione del contatto, valido in generale, cambia il proprio significato immediato; 
e tuttavia questo sviluppo può farsi collegandosi a Plticker e sostanzialmente 
è già eseguito. Anche questo si connette alla circoostanza che L i e nelle sue 
trasforamazioni ha in vista dapprima solo un concetto indeterminato di funzione, 
e più tardi un campo di validità limitato senza continuazione analitica. 

Al modo di pensare che riposa nei concetti generali di varietà, divenuto 
sempre più patrimonio comune dei geometri verso il 1870, è da ascriversi l'in- 
dirizzo secondo cui procedette lo sviluppo ulteriore delle idee di L i e intorno 
alle trasformazioni di contatto nei due anni seguenti; nel 1871 , dalle teorie di 
curvatura e ortogonalità della geometria della sfera verso una teorìa della cur- 
vatura di spazi superiori; e di qua nel 1872, verso una penetrazione geome- 
trica nella teoria delle equazioni a derivate parziali del /* ordine con piii di tre 
variabili. 

Il primo sviluppo è esposto in alcune Note del L i e (nelle Nachr. di Got- 
tinga del Maggio -Novembre 1871 e nella Nota rimasta inedita [*) pi*esentata nel 
settembre 1871 air Acc. di Christiania , che seguono Note analoghe di Klein. 
Mentre Klein (Nach, di Gott. marzo 1871\ concepito lo spazio di rette di P 1 d- 
oker come spazio metrico a 4 dimensioni, estende sostanzialmente il teorema 
di D u p i n al caso di relazioni involutorie, fra complessi di rette, L 1 e estende 
iavece le relazioni stesso di curvatura , aventi per elemento la sfera , allo spa- 
zio di r dimensioni (RJ ; e mediante le 00**+* sfere di qnesto spazio e le loro 
t relazioni involutorie » , (ovvero anche mediante sezione dei coni minimi di 
B„^i con un R^ piano), ottiene una relazione colla geometria metrica dello spa- 
lio R,^, , nella quale alle trasformazioni conformi di R^^., corrispondono in R^ 
trasformazioni dì contatto, che mutano le linee di curvatura in lìnee siffatte, e 
anzi nelle più generali fra queste. Il metodo di Darboux per il trasporto dei 
sistemi ortogonali (C. R. Ag. 1869) è diverso da questo. Come ognuno di que- 
sti primi lavori di L i e rivela un progresso di idee, così anche le due Note di 
Gottinga; poiché non soltanto esse costituiscono il passaggio alla nominata 
teoria del 1872, ma trasformano altresì per la prima volta le idee concepite nelle 
Note sulle curve W con cosciente accentuazione j benché in modo ancora in- 
certo, in operazioni gruppali generali; cosi appunto quando Lie ricava da un 
numero finito di trasformazioni infinitesime, il gruppo finito delle già prima no- 
minate «trasformazioni lineari di sfere» dell' R, con 15 parametri. 

Una terza Nota sullo R^ destinata alle « Nachrichten » di Gottinga; la 
quale estendendo il lavoro del Math. Annahn, voi. 5, doveva accentuare ancora più 
le questioni relative all' integrazìono {*) , non fu redatta, poiché in quell'epoca 



(') Ciò viene confermato dalla pubblicazione avvenuta (ottobre 1900). 
(*) Un abbozzo del Maggio 1872 si trova in possesso del signor Klein, 



)( 160 )( 

le idee si svolgevano in Lie troppo presto, perchè egli trovasse agio di elabo- 
rarlo completamente. Che tutti questi problemi della geometria metrica rappre- 
sentino soltanto casi speciali della teoria delle equazioni a derivate parziali, alla 
cai trattazione, anche ponendo la questione nel modo piCi generale, sarebbero 
bastati benissimo i suoi mezzi geometrici: questa era la convinzione che in lai 
penetrava sempre più. Se sino allora colle sue nuove rappresentazioni aveva af- 
frontati soltanto i problemi di Monge, ora doveva divenire suo scopo quello 
di penetrare, coir aiuto delle estensioni geometriche ultimamente acquistate dei 
concetti sulle relazioni generali di ortogonalità o di involuzioni , negli sviluppi 
degli Analisti, come Gauchy e Jacobì, sulle equazioni a derivate parziali 
con n—1 variabili indipendenti. E non soltanto questo gli riuscì, ma molto pre* 
sto egli giunse più in là, a nuove « Teorie generali d' integrazione ». 

Un « Kurzea Résumé mehrerer neuen Theorien » del 30 Aprile 1872 (Porh. 
del 3 maggio), consistente in sole quattro pagine, ed una Nota ancor più breve 
« Zur Theorie der Differentialprobleme » (Forh. del 14 Novembre 1872) conten- 
gono già a mò di programma le idee di L i e sulla teoria delle equazioni a de- 
rivate parziali del l^' ordine; le trasformazioni di contatto hanno lo scopo di ri- 
condurre queste equazioni alle loro forme più semplici: ma iena tale equazione 
non ha ancora nessun invarianto , poiché può ricondursi a ogni altra, p. e. a 
« = 0; ne hanno uno invece due equazioni F=:0, F, =0. Per essi il simbolo in 
parentesi di Po i s s o n-J a e o b i (FF,) è « caratteristico » vale a dire invariante, 
poiché (FF{)=0 che è appunto la relazione sopra (pag. 159) menzionata di or- 
togonalità o « involuzione » esprime la condizione perchè le due equazioni F = 0, 
F, =0 siano in « involuzione», ossia posseggono un integrale completo comune 
con n - 2 costanti arbitrarie. E mentre Lie estende il concetto di caratteristi- 
che di Lagrange e Monge, e specialmente il suo concetto delle « strisele 
caratteristiche 3> a spazi superiori; riassume pure il caso di n^l variabili indi- 
pendenti, il metodo di Oauchy, che per T integrazione diF=-0 richiede la 
determinazione di tutte le funzioni F, , per cui (FF,) = , nella proposizione se- 
guente: Se due varietà integrali M,|«,,, n— 1 dimensioni si toccano in un punto, 
esse hanno a comune una semplice — infinità d' elementi superficiali costi- 
tuenti una striscia caratteristica; e — riunendo le strisce caratteristiche di F, che 
escono dai punti d' una striscia caratteristica di F — ne hanno anzi a comune 
una doppia infinità, quando appartengono a due equazioni a derivate parziali 
F = , F, = che siano in involuzione. 

Già in una nota dell' 8 maggio (Forh. del 10 maggio) , come pure in una 
del 4 giugno (Nachr. di Gottinga del 19 giugno), L i e giunge dì qua, senza 
l'aiuto del teorema di P o is s on-Jac o bi, a un nuovo procedimento d'inte- 
grazione. Connettendosi a quelle varietà integrali M^., del sistema involutorlo 
F = 0, F|=:0 che risultano secondo Jacobi dalle caratteristiche passanti per 
un punto, L i e mostra sinteticamente che quelle sezioni delle M^.f del sistema 
F = , ^1 = 0, le quali risultanto dal collegamento coircquazione a?^„| = a e dal- 

dz 
r eliminazione di »« , = , -, si convertono senz'altro nelle caratteristiche della 



X 161 )( 

unica equazione 9-O a derivate parziali a n-2 variabili indipendenti che si ottiene 
con quell' eliminazione. In altre parole : tosto che si ottiene un solo integrale 
F, = c delle 2n--3 equazioni differenziali ordinarie per le strisce caratteristiche 
dell' equazione F = — ossia del sistema corrispondente all' equazione lineare a 
derivate parziali (F , P,) = — tutta l'integrazione dell' equazione F = con n - 1 
variabili indipendenti è ricondotta a quella d'un' equazione 9 = con sole n - 2 
variabili. 

Dì fronte a Cauchy e Jacobi era così essenzialmente diminuito l'or- 
dine e il numero delle operazioni integrali da eseguirsi per 1' integrazione. Ma 
in questo risultato L i e s'incontrò precisamente con A. M a y e r (Gott, Nachrich- 
len del 12 giugno 1872) ; soltanto che quest' ultimo vi era giunto per una via 
apparentemente diversa, utilizzando cioè la conoscenza d' un integrale di quel- 
r equazione 9 = per dedurne un integrale comune di F = , F| = 0. Infatti — 
certamente in opposizione all' opinione di L i e — il principio che sta a base della 
riduzione, il metodo delle sezioni di L i e , è sostanzialmente il medesimo nei due 
autori: già Du Bois-Reymond l'aveva applicato all'integrazione, mediante 
una quadratura di un'espressione al differenziali totali e integrabile dz = ZXi dx^ 
(come meglio si vede quando invece di porre x^^^ = a , si introduce mediante 
la sostituzione a?^.» = <3tx^_, la variabile a al posto di aJ^^t) ; a valori costanti 
delle antiche variabili (qui x„«, = , ac^_j = 0) viene coordinata un'infinità di 
valori delle nuove variabili (qui a5„_| = 0, a qualunque) con che dunque nell'equa- 
zione trasformata la prima costante d' integrazione deve risultare indipendente 
da a, e perciò a ha soltanto 1' ufficio d' un parametro arbitrario. 

La possibilità di comprendere dal lato analitico il metodo di L i e , e la sua 
applicazione a sistemi simultanei, si dovette allora all' opera di A. M ay e r : e la 
stretta relazione con questo investigatore, che incominciò nell'autunno del 1872, 
condusse L i e a sostituire il metodo di esposizione <c sintetico » de' suoi lavori 
che procedeva facendo uso dei concetti di varietà, sempre più con un metodo 
analitico. Ma si vede che queste nuove esposizioni sono propriamente traduzioni 
di un altro modo di pensare, verifiche di proposizioni che nella sua mente sono 
già assodate; e anche quando egli traduce in formolo i suoi concetti più parti- 
colari formanti un tutto chiuso, rimane molto addietro ai chiari sviluppi di M a- 
y er ed altri. La stessa concezione fondamentale rimase per L i e anche più tardi 
la parte principale; è essa che guida L i e , come nelle ricerche sulle equazioni 
differenziali, cosi anche nelle sue ricerche successive nella teoria dei gruppi e 
nelle sue multiformi applicazioni: ed è soltanto l'immediata riduzione ai concetti 
fondamentali, che lo sodisfa nelle sue conclusioni. E se già ogni geometra al- 
gebrico delle scuole recenti conosce le difficoltà della tj'aduzione di questioni di 
concetto in un linguaggio analitico concatenato e intelligibile , per L i e s' ag- 
giunge a questo che nella formazione delle sue idee «sintetiche» era coinvolto 
qualche cosa di troppo generale che abbisognava ancora d'essere precisato. Inol- 
tre s' aggiunge che non era confacente alla sua natura un' esposizione ordinata 
e sistematica di tutta la folla delle sue idee, e che egli era assai più propenso 
ad occuparsi liberamente di frammenti, come lo consentivano brevi Note. 

VCL. XLI 21 



)( 162 )( 

Del reeto anche la forza d' intaizione apparentemente potente che ci si affac- 
cia dai lavori analitici di L i e diviene quasi suscettibile d'analisi: esso non è altro 
che una forma dell' espressione del suo primitivo pensiero sintetico partendo da 
una base comprensiva quanto più possibile; e alla stessa circostanza devono at- 
tribuirsi le interpretazioni posteriori, che appaiono talora violento, di asserzioni 
precedenti, in quanto L i e non teneva d' occhio ciò che veramente aveva enun- 
ciato, ma il corso^ fosse anche un pò indeterminato, delle sue primitivo rappre- 
sentazioni. 

Come conquista essenziale di questo periodo di ricerca è da considerarsi, 
anche secondo la posteriore concezione propria di L i e , non tanto V avanza- 
mento del punto di vista di Jacob i, che vede il progresso neir abbassamento 
formale degli ordini d'integrazione, quanto appunto l'estensione della concezione 
fondamentale. Ciò è posto nella Nota ben degna d' essere meditata , datata da 
Erlangen l'il ottobre 1872: « Zur Theorie der partici len Differentialgleich un- 
gen erster Ordnung, iusbesondere liber cine Classification derselben» (GOtt. Nachr. 
y. 30 oct. 1872), nel <c Programma di Klein del nov. 1872 », in base a comani- 
cazione di Li e, e nella Nota di Li e: « Intorno alla teoria analitica delle tra- 
sformazioni di contatto» (Forh. della primavera del 1873). 

Mentre prima tutte le trasformazioni di contatto erano definite sostanzialmente 
da 1 , 2 , ... , n equazioni fra sistemi di variabili 

(e, con maggiore precisione, L i e diede questa definizione nel 1876 nel suo Ar- 
chivio, voi. I, e nella Nota 2» al suo lavoro in questi Annalen, voi. Il) e poi da 
2u — 1 equazioni invertibili fra i sistemi di variabili: 

ora invece, in modo piti corretto, sono definite da 2n — 1 equazioni invertibili, 
le quali determinano le 2n - 1 variabili z' , a)\ , p*i come funzioni delle 2n — 1 
variabili z , Xi , p^, in tal guisa che una relazione dz — l^p^dx^^O sia trasfor- 
mata in sé stessa: vale a dire che esista un' equazione della forma: 

rfz' — £ p\ dx'i = p{dz — ZpidXi) 

ove p è una certa funzione delle Zi , a?/ , p^ La relazione dz "Zp^dXi^^O de- 
termina la « posizione unita % dell'oc Elemento (z , x^ , jp,) » col consecutivo 

{z i-dz , a?< 4- dXi , Pi 4- dp,). 

Dal significato di un' equazione a derivate parziali F(» , Xt , p^) ^ 0: la determi^ 



X 163 )( 

narione di oc*""* elementi; e dal significato d'una soluzione completa di P = 0; riu- 
nire questi clementi in tutti i modi possibili in oo**"* insiemi di oc"~^ elementi ciascu- 
do; risulta possibile di abbracciare completamente collo sguardo sin dal principio 
taUa la necessaria estensione dell'apparato analitico, quando si vogliano compren- 
dere tutti i casi di equazioni F=0, anche le equazioni più particolari, come quelle 
che non contengono nessuna delle p^, e tutte le specie di soluzioni, come gli 
insiemi di elementi che inviluppano punti, curve, superficie^ ecc. In particolare 
si dovrà far attenzione non soltanto al comportamento rispetto a tutte le tra- 
sformazioni di contatto^ per le quali un' equazione a derivate parziali non pre- 
presenta nulla di invariante; ma rispetto p. e. alle trasformazioni puntuali (zx^) dello 
spazio a sole dimensioni; e su questo modo speciale di comportarsi si può fon- 
dare una classificazione, da esso le facilitazioni ncir integrazione di classi par- 
ticolari, ad es. delle equazioni lineari nelle p^, appaiono sotto nuova luce. Il vero 
ponto di vista di L ie rimane però la concezione delle (2 , cc^ , p^) come coordinato 
dei punti d'uno spazio di 2n — 1 dimensioni, colla sola condizione dz — IpidXi = 0; 
e sebbene le formolo analitiche di tutte le trasformazioni di contatto fossero già 
da lungo tempo comparse p. e. nella trasformazione di Legendre e in quella 
di Ampère^ e sopra tutto nelle ricerche di Jacob! sopra equazioni a dert- 
vaie parziali, sul problema di Pfaf f e sulla meccanica (v. Giorn. di Cr. voi. II 
C, R. t. V), pure prima di Li e non erano state considerate esplicitamente per sé 
stesse, indipendentemente dalle loro applicazioni a questi problemi; e non erano con- 
siderati dal punto di vista geometrico, come un mezzo necessario all'indagine della 
struttura delle varietà integrali. Per contro è notevole la scoperta di L i e seguita 
poco dopo <Forh. del 14 nov. Ib76), che una questione analitica e un modo di formu- 
lare questa pienamente conformi alle sue idee— in particolare quando vi si colleghi 
l'omogeneità introdotta da Clebsch nella sua teoria dei connessi — sono ap- 
punto quella che si trova in Pfaff, già nel 1815, nella sua ricerca sul pro- 
blema che porta il suo nome (Mem. dell' Acc. di Berlino 1814-15); cioè la tra- 
sformaziore più generale d' un' espressione canonica Sy^^rfx^, quindi dz-Zp^dXi^ 
in un' espressione difi'erenziale canonica simile ^Yf^dy,^ , per mezzo d' equazioni 
fra i due sistemi di variabili (in Pfaff in generale mediante una sola equa- 
zione, in Jacob i, Giorn, di Creile II per mezzo di più equazioni). L'idea 
della possibilità dell' integrazione generale di un' equazione lYj^c^f//^ = mediante 
un sistema d'equazioni integrali, Pfaff stesso del resto l'aveva presa da Mo n- 
ge (Histoire de l'Ac. de Se. 1784). Dopo che Lie ebbe ritrovato questo punto 
di vista Pfaffiano dello spazio a 2n — 1 dimensioni , si mette anch' egli a prefe- 
renza da questo punto di vista; e di qui pone anche più tardi il problema Pfaf- 
fiano più generale , dèi che non diremo più a lungo. Osserviamo però che ap- 
punto la facilità con cui Lie, in relazione al problema, passava da uno all' altro 
punto di vista, costituisce un tratto caratteristico della sua produzione. 

In tutte le ricerche di L i e del 1871 e 1872 — mentre sempre i tre complessi, 
il complesso lineare, il complesso di rette minime e quello tetraedrale lo spin- 
gono vicendevolmente, e vengono tirate in campo specialmente le superficie di 
traslazione dei due ultimi -— hanno parte i sistemi di trasformazioni di contatto 



• • • r • • • ' 

• • • • • 



)( 16i )( 

infinitesime, dapprima solo di trasformazioni mataamente permutabili ; e anche 
il concetto d'invariantivìtà rispetto a tali trasformazioni. Però lo sviluppo che si 
connette a questo punto, e che doveva condurre L i e alia sua opera più elevata 
e più duratura^ non si può comprendere, senza che si parli ulteriormente dei 
suoi rapporti d^ allora con F. Klein. 

Già presto Klein, nella confusa moltiplicità dei metodi di studio geome- 
trici , quali si presentavano nei proiettisti puri , o in coloro che propendevano 
verso Tindirizzo metrico, come Grassmann, Mocbius, Hamilton aveva 
cercato un principio ordinatore. Neil' inverno del 1870-71, i due investigatori^ al- 
lora in strettissima corrispondenza fra loro , avevano studiato contemporanea- 
mente, come già sopra è accennato, le relazioni meiricbe collegantisi alla] geo- 
metria della retta e delle sfera di L i e. E per questo trasporto , che poneva la 
geometria metrica, lasciata sino allora in Germania in seconda linea , a fianco 
della geometria proiettiva come avente pari importanza , K 1 e i n si era procu- 
rato un nuovo punto di vista, col fatto di concepire la geometria proiettiva della 
retta del nostro spazio, per mezzo deir equazione quadratica che lo stava a base, 
come la geometria metrica del punto d' uno spazio a quattro dimensioni, o più 
esattamente come geometria delle « Inversioni » di questo spazio; e aveva iden- 
tificate fra loro queste due geometrie a cagione della riconducibilità Tuno al- 
l' altro dei loro gruppi di trasformazioni. Precisamente allo stesso collegamento 
di idee lo spingeva il suo nuovo occuparsi colla geomotria non Euclidea (fine 
del 1871): si trattava di scoprire la ragiono intima per cui questa geometrìa era 
sostanzialmente identica alla geometria metrica basata sulla determinazione me- 
trica assoluta di C a y l e y , e colla geometria di Kiemann-Beltrami d'uno 
spazio a curvatura costante: di comprendere fin da prima che e perchè queste geo- 
metrie sono incluse nella trattazione proiettiva. Le idee fondamentali del Program- 
ma di E r 1 a n g e n del novembre 1872, esposte nel giugno 1872 in un lavoro pub- 
blicato nel 1873 nel voi. VI degli /nna/en, benché non ancora nella generalità più 
tardi raggiunta, idee che miravano ad ordinare tutto V insieme degli sviluppi geo- 
metrici; erano già state comunicate a L i e nel dicembre del 1871: che il principio 
direttivo è da cercarsi esclusivamente nel concetto di gruppo , nel gruppo di 
trasformazioni da aggiungersi ; che cioè per lo studio d' una varietà vi sono 
tanti diversi metodi di trattazione, quanti sono i gruppi continui di trasforma- 
zioni qualsiansi arbitrarie che si possono costruire , e altrettante: < teorie inva- 
riantive ». 

I due amici stettero insieme due mesi nell' autunno del 1872 , in settembre 
a Gottinga, in ottobre ad Erlangen, dopo che Li e al primo luglio di quell'anno 
era stato nominato professore straordinario airuniversità di Chrlstiania: un rico- 
noscimento del suo merito, avvenuto in seguito ai giudizi di Clebsch e Cre- 
mona, e che del resto imponeva a L i e assai pochi doveri, neppure quello di 
far lezione. E allora si verificò una nuova reciproca infiuonza , sotto la quale 
maturarono da un lato il Programma di K l e i n , dall' altro la Nota di L i e del- 
l' ottobre (G6tt. Nachr.) come pure altre Note ancora da menzionare. Poiché le 
idee di L i e sulle trasformazioni di contatto e sullo derivate parziali nelle quali si 
operava soltanto con enti invarianti, cioè gli elementi superficiali, e si consideravano 



V V. W . 



)( 165 )( 

trasformazioni di ogni specie e sopra ogni sorta di varieté offrivano a K i ein un 
naovo ricco materiale , si doveva estendere di per sé la portata delle idee del 
del Programma. D'altra parte nel Programma era enunciato per la prima volta 
il fatto che il gruppo di trasformazione sta nel mezzo di ogni ricerca geome- 
trica: che nemmeno V elemento, partendo dal quale si genera una varietà, de- 
termina le proprietà caratteristiche di questa, bensì saltante il gruppo; che, per 
avere proprietà invarianti , bisogna sempre costruire dei <c corpi > mediante le 
trasformazioni del gruppo ; che la composizione di questo mediante sottogruppi 
stabilisce i sottccasi della geometrìa considerata; che lo rappresentazioni lasciano 
invariato il gruppo, e quindi anche la geometria. A L i e , che si era occupato 
(lei gruppi più svariati , ma al quale a tutta prima era rimasto sconosciuto il 
loro significato per la classificazione; quest' idea doveva tosto riescir famigliare, 
poiché esprimeva ciò eh' egli stesso aveva preparato , ma non ancora elabo- 
rato sino alla chiarezza; e fu cosi appunto che V idea stessa potè produrre subito 
su lui una tale influenza da fondersi completamente col suo modo di pensare. 
Benché l' interessamento dei due investigatori , a partire da questo punto 
sia andato procedendo in diverse direzioni, nell' uno verso i gruppi discontinui, 
neir altro verso i gruppi continui; e benché i loro rapporti personali si siano essi 
con ciò semprcpiù affievoliti, tuttavia l' idea della posizione fatta ai concetto di 
gruppo rimase sempre loro comune punto di partenza. Le quistioni sulle pro- 
prietà iiivariantive delle equazioni a derivate parziali rispetto al gruppo di tutte 
le trasformazioni dì contatto si presentarono a L i e nel 1872-73: presto però 
queste equazioni considerate per sé stesse rimasero completamente escluse nella 
teoria delle trasformazioni; da un mezzo di ricerca i gruppi salirono al vero og- 
getto della ricerca , e V opera di L i e divenne quella di dar forma al concetto 
di gruppo continuo , e di metterlo a basamento d' una teoria astratta e fra le 
più ampie. 

L' introduzione delle idee gruppali si collega in L i e alle soluzioni , me- 
diante la teoria di P f a f f d' una equazione: 

ove le P, , Xi dipendono dalle Pi , 05,; quindi ancora alla costruzione di tutte 
le trasformazioni di contatto. E valendosi della teoria di Clebsch-Mayer 
del problema di Pfaff^ il quale riconduce questo problema a un sistema com- 
pleto d'equazioni a derivate parziali; egli trova le condizioni necessarie e suf- 
ficienti per le funzioni X,- , cioè le relazioni d'involuzione : 

dalle quali risultano di per sé le altre: 

(P,1V = , (X,P,)-0 , (X,P,).-.p. 

(Forh. del Marzo 1873; Math. Ann. Vili 1874). 



• • •» ♦• 

• ■ • ■ • • 



)( 166 )( 

II passo più importante cosi promosso; del quale é già data comanicazione 
in una breve Nota nei Forh. del 10 die, 1872, ma più diffusamente nelP ampio 
lavoro: « Begrtlndun^ einer Invarìantentheorie der BertLhrungstransformationen > 
nel voi. VITI di questi Annalen, consisteva in ciò; che in luogo del sistema com- 
pleto d' equazioni lineari a derivate parziali 

(F./)=0 (F,/) = 

che compare quando si tratta d' un' equazione a derivate parziali f=0 viene consi- 
derato astrattamente soltanto un « gruppo r'^'" di Funzioni » F, , . . . , F^ di x, . . . »„ , 
Pì'"Pti} avente la proprietà che tutte le (F^ Fj^) sono funzioni delle F, (con un signi- 
ficato momentaneamente improprio della parola e Gruppo »); e questo gruppo di 
funzioni deve qui essere studiato in tutte le relazioni, che rimangono invariate 
rispetto ad una trasformazione di contatto arbitraria delle x , p. Ad un gruppo 
sififatto si collega sempre un gruppo di funzioni reciproco e (2n — r)P'*'•<^|...<^J^_, 
in guisa tale che (F,- 0,) è sempre = 0. Fra le funzioni F^ ve ne è sempre un 
certo numero r' di « funzioni eccezionali » F', per le quali rispetto a tutte le F,- 
è (F^ F') = 0; funzioni che sono in pari tempo eccezionali entro il gruppo reci- 
proco, e la eui introduzione in luogo di r' tra le funzioni F^ serve a ridurre il 
gruppo a una forma canonica. La conservazione dei numeri r ed r' è , all' in- 
fuori delle proprietà di struttura, 1' unica proprietà invariantiva del gruppo. 

Come pure applicazioni di questa teoria appaiono le regole d' integrazione 
per i sistemi Involutori F^ = cost; e la stessa permette anzi di stabilire sistema- 
ticamente sin dal principio gli abbassamenti degli ordini d'integrazione che sono 
possibili in casi particolari. 

Più importante è un modo ulteriore di concepire questa teoria — il quale 
si collega ancora alle idee sulle curve W — che d' ora in poi entra in prima 
linea (v. la ora citata Memoria del voi. Vili degli Annalen e la: < Verallgemeine- 
rung und neue Verwerthung der Jacobi' schen Multiplicator-Theorie », Forh. 1874). 
Per una trasformazione puntuale infinitesima: 

lXi = BiSt 

viene introdotto per la prima volta il simbolo: (*) 

il quale indica che per mezzo di essa f si muta in f-^St^Bf. Affermare che un 
equazione lineare a derivate parziali A/ = o ammette una trasformazione infini- 



(*) Secondo F. Engel ^ Zur Erinnerung an C. Lie„ Lia adopera il sim 
bolo in comunicazione epistolare fino dal 1873 (ott, 1900). 



• . • • • 



)( 167 )( 

tesima di sìmbolo B^ è lo stesso che affermare che da ciascuna soluzione f si 
deduce una nuova soluzione B/". Se un sistema completo Agf=:0 ammette la 
trasformazione infinitesima Bf, si può anche dire, facendo rientrare questo^ sia 
pare in modo particolare y nel concetto sopra introdotto di « Gruppo di fun- 
zioni» che tutte le (A^B), essendo funzioni lineari delle A/ ^ appartengono al loro 
grappo di funzioni. 

L i e ricava di qui un Calcolo con trasformazioni inflnitesimey considerando 
ancora soltanto sistemi completi con trasformazione infinitesime note^ e dando 
alle equazioni, secondo la sua teoria dei gruppi di funzioni, una tal forma nor- 
male che per il sistema delle trasformazioni B^ tutte le (B^ Bg) risultino ancora 
funzioni lineare delle B^. Questo sviluppo si vale dunque , e gi& notevolmente, 
di uno dei concetti fondamentali della teoria dei gruppi di trasformazioni (v« 
pag. 170). 

Fra le trasformazioni puntuali infinitesime nello spazio delle Xi,Pi, Li e 
pone in rilievo una classe particolarmente importante: quella delle « trasforma- 
zioni di contatto infinitesime omogenee. « Esse hanno la proprietà di mutare fun- 
zioni omogenee rispetto alle Pi • • •p^ in funzioni consimili, e hanno come forma 
canonica: 

dove la funziono fondamentale H è una funzione qualunque delle x^ , p^ , soltanto 

6 

omogenea di !<> grado nelle />, ; per mezzo di essa tt (£i?i<ij;,) diviene un dif- 

ot 

ferenziale esatto dJJ. Quando (H9) = 0, ogni integrale 9 dell' equazione a deri- 
vate parziali H = cost, è mutato dalla trasformazione H in sé stesso ; cosi av- 
viene quindi anche dell' equazione stessa H = cost, rispetto alla trasformazione (f, 
che A a 9 come funzione fondamentale. Cosi si riconosce che il problema d' in- 
tegrare un' equazione a derivate parziali H = cost, è identico a quello di trovare 
tutte le funzioni 9, per le quali (H9) = 0: vale a dire di trovare tutte le trasfor- 
mazioni infinitesime canoniche, che lasciano invariato H, e quindi anche il rela- 
tivo sistema d'equazioni differenziali canoniche: 

dXi^dB^ dpi g H 

dt " dpi di ~ dXi' 

La Teoria dell* integrazione di questo sistema , ovvero di H = cost., è per- 
tanto identica con un problema della teoria delle trasformazioni , p. es. il teo- 
rema di Poisson-Jacobi si converte nella proposizione evidente , che due 
successive trasformazioni di contatto infinitesime danno ancora una trasforma- 
zione siffatta. 

Basta ricordarsi della teoria di Hamilton e a Lie tutta questa connessio- 
ne stava fin da prima dinanzi agli occhi per vedere quanta luce vien gittata di qua 



)( 168 )( 

anzitatto sulla meccanica. Il sistema sopra accennato d' equazioni differenziali 
della meccanica, che determina in pari tempo le strisce caratteristiche di H = cost. 
ha la proprietà che le corrispoudenti traiettorie delle (Xi^Pj) vengono appunto 
generate dal grappo finito ad un parametro risultante dalla ripetizione della tra- 
sformazione infinitesima di funzione fondamentale H. Determinare questo gruppo 
finito è semplicemente un' altro enunciato del problema di risolvere le equazioni 
differenziali del problema di meccanica dipendente da H; e così l'intera Mecca- 
nica analitica è d' un solo tratto subordinata alla teoria dei Gruppi- 

Cosi secondo L i e anche le teorie delle perturbazioni richiede soltanto la 
riduzione di tutti i sistemi canonici d' equazioni diff*erenziali della specie su- 
indicata, ma con una funzione H arbitraria j alla stessa forma; e ciò avviene 
mediante trasformazioni di contatto, per le quali è IP^ rfX; = cZp^dxi + dV. (Ar- 
chivio II 1877). 

Fra le proposizioni della Meccanica, che divengono evidenti mediante la tra- 
sformazione di L i e , compaiono bensi in prima linea solo gli integrali più noti 
che si possono trovare altrimenti mediante traslazioni e rotazioni del sistema; 
quelli cioè che sono in pari tempo razionali ed interi, quindi lineari nelle P( , e 
che danno luogo perciò a trasformazioni puntuali infinitesime del sistema in sé 
stesso; cosi i teoremi delle aree e gli integrali primi del centro di gravità. 

Fra i numerosi risultati, che Lie ha ricavati ulteriormente da queste teorie, 
ricorderemo ancora Tavanzamento del problema di P f a f f (Forh. 1873). Anzitutto 
però ricordiamo la connessione diretta delle teorie di Lie colle considerazioni 
dì J a e b i sui Moltiplicatoriy la quale lo condusse ad estensioni di queste con- 
siderazioni (Forh. 1874 e voi. XI di questi Annalen): una connessione, che è già 
di per sé stessa verosimile poiché la sostanza di quelle teorie consiste neir ab- 
bassamento degli ordini d' integrazione delle equazioni diff^erenziali. Nella mente 
di Lie r applicazione delle trasformazioni infinitesime alle teorie del Moltipli- 
catore precedette il riconoscimento delle semplificazioni nelle integrazioni (voi. XI 
degli Annalen). In più della teoria iniziale del 1870 e 1871 (Math. Ann. IV) risulta 
che per un'equazione diff'erenziale Ydx -'Kdy —0 la quale ammette una trasfor- 
mazione infinitesima 5x = ^ot'S^/ = y]S^ si può immediatamente assegnare un fat- 
tore integrante della forma M = ^^ ^y, cosicché anche T integrazione del- 
l' equazione ausiliaria: Y^dx — %dy=zQ sparisce (v. sopra pag. 151). Anche la cosi 
detta nuova teoria d'integrazione del 1874 (voi. XI, XXV ecc. degli Annalen) ri- 
posa oltre che sulla considerazione del problema di Pfaff, sul fatto che nei 
sistemi completi l' esser nota una trasformazione infinitesima é la stessa cosa che 
l'esser dato un integrale , e che quindi soluzioni conosciute di essi possono in- 
trodursi come nuove variabili indipendenti; e sono questi degli « Invarianti » ri- 
spetto a trasformazioni infinitesime dello equazioni. Ciò conduco a riduzione dei 
sistemi completi, dai quali dipende ogni problema su sistemi d' equazioni a de- 
rivate parziali. 

L' applicazione di tali proposizioni alle ultime soluzioni ancora mancanti 
di un' equazione a derivate parziali, e lo studio della questione, se le sue teorie 
danno tutto quanto è possibile per ciò che riguarda la semplicità del procedi- 



)( 169 X 

mento d'integrazione nel senso di Jacobi, formano la conclusione momenta- 
nea delle considerazioni di L i e in questMndirìzzo di Jacobi (partic. nel voi. XI 
degli Ann. Arch. I e II ecc.). Allora (nel 1877) Lie si occupò del piano d'un 
opera sulla teoria delle trasformazioni dì contatto e le equazioni a derivate par- 
ziali del primo ordine; ma soltanto molto più tardi doveva essere realizzata que- 
st'idea mediante le lezioni elaborate dal signor Scheffers, veramente in forma 
più elementare ma con idee ulteriormente sviluppate. 

Se ne' suoi precedenti lavori L i e si era valso di diversi gruppi « finiti » di 
trasformazioni, ossia dipendenti da un numero finito di parametri , e se tutte le 
ricerche ultimamente discusse devono essere considerate come appartenenti al 
campo degli invarianti, e dei problemi di equivalenza delle espressioni diflFeren- 
ziali di primo ordine rispetto air intero gruppo infinito di tutte le trasformazioni 
di contatto, oppure a sottogruppi di questo; era venuto finalmente il tempo pro- 
pizio per affrontare il problema fondamentale. 

e Costruire sistematicamente tutti i gruppi^ cioè la teoria dei gruppi di tras- 
formazione ». Questo passo importantissimo nelT opera di Lie, paragonato da 
lui stesso con quello di Descartes, (Prefazione al voi. Ili della e Theorie der 
Trasformationsgruppen ») coincide d'altronde con un periodo importante della sua 
vita, essendosi egli fidanzato a Natale del 1873 (') e sposato nell'autunno del 
1874 con Anna Sofia Bircb, figlia d'un impiegato superiore dello dogane. In que- 
st' inverno 1873-74 si formarono in lui i primi concetti sistematici; e nel viaggio 
di nozze , nel quale L i e era andato per prima cosa a Parigi per rinnovare e 
coltivare assiduamente i rapporti coi matematici di 11, come anche per occuparsi 
dei primi preparativi per una nuova edizione delle opere di Abel, a Dusseldorf, 
dove stette insieme con Klein e Mayer, aiutato dal primo di questi, egli 
trovò nell'ottobre del 1874 la prima espressione dello sue idee, esposte poi in 
una Nota: « Ueber Gruppen von Transformationen » (Gott. Nachr. del 3 dicem- 
bre) che ha posto le basi della teorìa. 

Alcuni stadi della formazione di questo sistema di idee si possono seguire 
anche nelle pubblicazioni di Lie; perché neirarticolo già più volte citato del vo- 
lume Vili di questi Annalen: «Begrtlndung einer Invarìanten Theorie der Bertihrun- 
gstransformationen » del 5 luglio 1874, il quale presenta già una teoria parti- 
colarmento completa, dopo definito un gruppo di trasformazioni di contatto infi- 
nitesime omogenee H, . . , . H,. mediante le equazioni (H^ H^^) = I c,j^,H, che risal- 

gono al 1873, si trova, come aggiunta finale, non soltanto sollevata la questione 
di quelle proprietà d' un gruppo assegnato di questo tipo che rimangono inva- 
riate rispetto a trasformazioni di contatto omogenee, ma il risultato che «: esiste 
un numero limitato di tipi di quei gruppi , e che si riserbava a lavori succes- 
sivi d'esporre il significato preciso, 1' esattezza e V importanza di questa asser- 



(») 1872 secondo P. Engel (ott. 1900). 

VCL. XLI. 22 



)( 170 )( 

zione y>. Quest' ultima questione mette in rilievo nel modo più eloquente quello 
sviluppo al di là del programma di Klein, che è caratteristico per L i e. 

Nella Nota del dicembre compare per la primn. volta la definizione esplicita 
d'un gruppo di trasformazioni finito r^'^ ossia dipendente da r parametri conti- 
nui (o 00*) fra n variabili: 

x'j = fjKpo^ . • . x,j , a| . . . a^) 

mediante equazioni funzionali fra le /} ; l'estensione a questi gruppi dei concetti 
fondamentali di G a 1 o i s dei gruppi di sostituzioni , e sopratutto del concetto 
della « similitudine » (isomorfismo) e, poichò tutti i gruppi simili, cioè trasforma- 
bili Tuno neir altro, vengono considerati come equivalenti e riuniti in un tipo, 
si presenta la quistione del numero di tipi essenzialmente distinti. Per lo studio 
di tale quistione — mentre si aggiunge come assioma l'esistenza nel gruppo e nel 
campo di variabilità dei parametri della trasformazione identica e di trasforma- 
zioni a 2 a 2 inverse vengono considerate come operazioni generatrici del gruppo 
le sue oc''"* trasformazioni infinitesime: 

fio?/ = X^- òt (£ = 1 , . . . r ; J = 1 , . . • n) 

(coi sìmboli X//") e (ciò che poi divenne il primo teorema fondamentale della 

teoria) vengono costruite le equazioni differenziali che esprimono le ^ come 

dai 

funzioni lineari delle X^^- e viceversa. La parte fondamentale della ricerca è co- 
stituita dalle conseguenti condizioni d' integrabilità (secondo teorema fondamen- 
tale della teoria): 

X, (X» f) - x»(x, f) = (X, x,)/= ì:c«, x,/ 

dove le c,jf, sono numeri costanti: equazioni lineari a derivate parziali che X^^- come 
funzioni delle x devono soddisfare e che sono le equazioni di definizione delle tras- 
formazioni infinitesime del gruppo. La discussione ulteriore di questi numeri Cn^j , 
che determinano la composizione del gruppo, e che d'altronde si connettono sol- 
tanto ai termini di II ordine delle trasformazioni infinitesime, non viene qui an- 
cora data; ma soltanto ne vengono enunciati i risultati principali per n = l e 
n = 2, nell'ipotesi di espressioni X,/' ridotte a una speciale forma normale, ma 
con estensione della ricerca alle trasformazioni di contatto; dunque tutti i gruppi 
delia retta (punteggiata) e come tali si trova soltanto il gruppo oo' delle sosti- 
tuzioni lineari fratte coi suoi sottogruppi; e per tutti i gruppi del piano: trasfor- 
mazioni circolari, collineazioni, ecc. Viene riconosciuta anche l' importanza di 
questa teoria dei tipi, per ?i = 2 per la teoria delle equazioni differenziali fra due 
variabili, d' ordine supcriore al L facendo rientrare una data equazione di tal 
natura in uno dei tipi già noti, deve appunto trovarsi se e quale grappo essa 
ammette, e cosi essa può venire classificata in base al gruppo. 



)( 171 )( 

Per poter trattare della sua naova teoria dei gruppi e delle applicazioni che 
aveva in vista più diffusamente di quel che non fosse possìbile nei Forh. della 
Società delle Scienze di Christiania, colla quale egli si trovava inoltre in rapporto 
un pò tesi, Li e in unione con alcuni naturalisti fondò nel 1876 un periodico pro- 
prio : « Archiv for Mathematik og Naturvidenskab » e qui si trovano le prime 
relazioni de' suoi lavori in lingua tedesca, ma scritte in modo assai meno facil- 
mente leggibile, che non le esposizioni più sistematiche comparse in questi ^47?- 
ìiden,Gosì appunto per la teoria generale dei gruppi il riassunto dato nel voi. XVI 
dei Maih. Ann. del die. 1879 forma V introduzione più semplice e più atta a for- 
nirne un' idea generale; e dà nello stesso tempo tutti i gruppi della retta e del 
piano, mentre per vero le cinque pubblicazioni contenute nei voi. I-IV dell' Ar- 
chivio (1876-1879) mettono meglio in rilievo alcuni concetti fondamentali. Solo 
la ricerca ripresa nel 1885 nel volume X raggiunge nella sua seconda parte, 
già redatta coli' aiuto di F. Engel, il grado di chiarezza del lavoro di questi 
Annalen, 

Nel loro insieme questi lavori presentano una quantità di nuove idee fonda- 
mentali per la teoria dei gruppi. La più importante è che , mediante la Nota 
« Identità di J a e o b i » applicata a tre qualunque trasformazioni infinitesime 
del grappo, vengono formate relazioni quadratiche fra i numeri c^f^g indicanti la 
struttura del gruppo; e che (come terzo teorema fondamentale, e principale stru- 
mento analitico nella trattazione delle teorie dei gruppi) queste relazioni colle- 
gate colle equazioni c^„ - - c,j^, vengono riconosciute anche come sufficienti 
perchè le r trasformazioni infinitesime, supposte indipendenti, generino veramente 
un determinato gruppo oc''. La dimostrazione è data dapprima col far rientrare il 
gruppo fra i già citati « gruppi di funzioni » (Arch. I) ma più generalmente 
^Arch. II) colla formazione diretta d' un gruppo di trasformazioni infinitesime 
aventi per coefficienti delle funzioni lineari di r* <r parametri, il quale è iso- 
morfo al gruppo cercato e può d'altronde anche ampliarsi diventando un gruppo, 
lineare ad r paramatri. È quello il gruppo designato ancora nel 1884 (Forh.) col 
nome speciale di «gruppo aggiunto»; lo sviluppo equivale a considerare l'insieme 
di tutte le oo''~* trasformazioni infinitesime 21 e,- B,/" d'un gruppo finito come una 
varietà lineare di punti R;.^,, la quale per eff'etto di tutte le trasformazioni del 
grappo finito subisce soltanto trasformazioni lineari, appunto quelle del gruppo 
aggiunto. Questa è la vera « concezione fondamentale » di L i e (voi. XXV di 
questi Annalen); e col suo mezzo, essendo noti gli enti geometrici che rimangono 
invariati rispetto a trasformazioni proiettive di spazi piani , si riconoscono nel 
modo più intuitivo le proprietà di struttura e i criterii di similitudine dei gruppi 
corrispondenti a date c,,^,. 

Accenneremo ancora esplicitamente ad un ulteriore strumento di cui è fatto 
uso in questi lavori: alla divisione cioè delle trasformazioni infinitesime in « or- 
dini » secondo il grado minimo dei termini del relativo sviluppo in serio di po- 
tenze nell'intorno d'un punto arbitrario, e da ciò dipende anche il comporta- 
mento testé accennato rispetto al gruppo aggiunto. Su questo si basano princi- 
palmente la forma canonica di quelle trasformazioni, la determinazione dei vari 
tipi per n = 2, mentre la determinazione di tutti i tipi pel nostro spazio , ossia 



)( 172 )( 

per n = 3, in sostanza era allora già fatta da L i e , ma fa esposta solo molto 
più tardi (voi. Ili dei « Transformationsgruppen » 1893) coir aiuto dei metodi 
semplificati, e inoltre la determinazione di sistemi di curve (ovvero di equazioni 
differenziali) che rimangono invarianti rispetto a date trasformazioni infinitesi- 
me. Como risultato generale attinente a questo punto (Arch. Ili) rileveremo che 
per TR^ il gruppo lineare piti generale, insieme ad alcuni suoi sottogruppi, è 
runico gruppo che ha nel campo infinitesimo la massima transitività possibile; o 
che permette cioè di mutare ogni elemento passante per un punto generico in 
ogni altro elemento passante per questo punto. In complesso si può dire che in 
questo periodo la soluzione ultima di tutti i problemi gruppali si riduce sem- 
pre air integrazione d' equazioni ordinarie ai differenziali totali completamente 
integrabili. 

Mentre le condizioni esteriori di L i e all' Università di Christiania incomin- 
ciarono in quest' epoca a migliorare, l'accoglienza de' suoi lavori astratti da parte 
dei matematici lo soddisfaceva sempre meno. Come per distrarsi nel 1877 si ri- 
volse di nuovo al campo delle ricerche geometriche delle quali si era occupato 
nel 1870 71; e cioè alle proprietà di curvatura delle superficie , per poter ora, 
accanto a puri calcoli sopra gruppi e alla redazione di precedenti lavori, e par- 
ticolarmente della pubblicazione delle opere di A b e 1 intrapresa con S y 1 o w 
e finita nel 1881 , compenetrare durante alcuni anni ancora questo campo collo 
sue idee «sintetiche» e gruppali. Ciò che per Lie divenne qui lavoro di ri- 
creazione, era però troppo consono alle sue intime facoltà e troppo corrispon- 
deva all'alto concetto che egli aveva delle applicazioni e che gli servian sem- 
pre da filo direttivo malgrado l' inclinazione del suo spirito verso le questioni più 
generali, perchè non dovesse riuscire ad arricchire di nuovo e brillantemente 
questo campo. E per vero fu appunto la continuazione delle sue precedenti ri- 
cerche sul complesso tetraedrale e sul complesso di rette minime che lo condusse 
ai più bei risultati nella teoria delle superficie d'area minima e delle superficie 
di traslazione. 

Quando si considera un complesso di rette incontrante una curva fìssa al- 
l' infinito il gruppo che trasforma in sé quel complesso viene a contenere tutte 
le traslazioni; e Lie genera allora, partendo dalle curve del complesso, delie su- 
perficie di traslazione, collo spostare una qualunque di queste curve congruen- 
temente a sé stessa e in guisa tale, che uno de' suoi punti descriva parimenti 
una curva del complesso, applicando cioè a quella curva una schiera semplice- 
mente infinita di traslazioni, che non formano però in generale un gruppo. La 
superficie però contiene allora due schiere semplicemente infinite di curve del 
complesso, sicché per ciascun punto passano due di queste curve , le cui dire- 
zioni sono armoniche rispetto alle tangenti principali della superficie in quel 
punto: (v. sopra pag. 150, 151, 152, 153^ 156 — 157). Il caso particolare in cui le 
tangenti principali sono perpendicolari conduce alle superficie d'area minima più 
generali; un altro caso particolare, quello in cui le schiere di curve formano un 
unico sistema irriducibile dà «superficie doppie» (secondo l'espressione di K 1 e i u), 



)( 173 )( 

i uuilatere » sulle quali si può passare in modo continuo da una faccia alFaltra, 
e delle quali ha trattato per primo M o e b i u s. 

II merito di L i e è d' avere, con questi mezzi geometrici, concepito in modo 
intuitivo tanto T antica teoria analitica di M o n g e , quanto anche le formolo di 
Weierstrass sulle superfìcie d'area minima, la cui interpretazione coincide 
in sostanza con quella delle equazioni di Monge (Arch. II) e anzi senza nem- 
meno più limitarsi ai punti reali di queste superficie. Dì queste egli considera 
principalmente le generalizzazioni proiettive^ tanto algebriche che trascendenti; e 
fra le superficie trascendenti quelle periodiche, cioè quelle che ammettono una tras- 
lazione d'ampiezza finita. Per le superficie algebriche di questo tipo si presenta 
qui una questione che era d' altronde poco confacente a L i e , cioè una que- 
stione numerativay per trovare confini inferiori delle classi e degli ordini di quelle 
superficie, e anzi non solo in connessione alle sue costruzioni, ma anche in vista 
delle eliminazioni negli sviluppi in serie relativi a punti singolari. Così egli ot- 
tiene, p. es., tutte le superfìcie minime reali algebriche (superficie unilatere), la cui 
classe è un numero primo*, e sopratutto una serie di generalizzazioni di propo- 
posizìoni, che poco prima erano state comunicate da altra parte (v. oltre ad 
Arch. II, IV e VII, speciivlmente ancora i lavori scritti in modo leggibile nei 
voi. XIV e XV di questi Annalen), come pure sinteticamente nuove generazioni 
di tali superficie (Arch. Ili a.). Però rimane sempre degna di nota la libera pa- 
dronanza degli imaginarii anche nelle considerazioni di geometria differenziale, 
Slato fino allora famigliare ai geometri solo per enti algebrici. Accenneremo bre- 
vemente anche a questo, che L i e in alcune Note posteriori (v, particolarmente 
i Rcndic. della Soc. Sassone delle Scienze del 1896), coordinò a questo campo delle 
superficie di traslazione, anzi di quelle generate in piti di due modi per mezzo 
di iralazioni, e addirittura alle loro estensioni al caso di p dimensioni, i teoremi 
d'addizione degli integrali di funzioni algebriche, poiché questi teoremi danno 
gruppi di trasformazioni algebriche permutabili; e anzi nella forma canonica di 
traslazioni. L i e aveva sperato di procurarsi in tal guisa non solo una nuova ap- 
plicazione geometrica del teorema di A b e 1 , ma anche una via atta a ricerche 
nel campo della teoria delle funzioni. 

Più strettamente legate alle questioni gruppali, come applicazione speciale, 
è la serie successiva di lavori geometrici di L i e. Essi si riferiscono a classi di 
superficie che ammettono gruppi di trasformazioni infinitesime relative a una loro 
specie di curve p. es. alle loro geodetiche; le superficie, ampiamente studiate 
nella letteratura italiana e francese a curvatura totale o media costante , ecc. 
Sempre si cercano queste stesse classi di tali superficie e metodi razionali d'in- 
tegrazione per ottenere i loro speciali sistemi di curve; cioè certe equazioni dif- 
ferenziali del 20 ordine, e le loro trasformazioni di contatto. Un lavoro diretto 
a questo scopo : « Classification der Flàchen nach der Transformationsgruppe 
ìhrer geodatischen Curven » comparve nel 187,) come programma universitario 
di Christiauia e fu riprodotto sostanzialmente nel voi. XX di questi Annalen ; e 
Lie pensava già di trattare e trasformare Tuno nell'altro, in base ad analoghi 
principi, anche i problemi della meccanica, come in lavori recenti è già avve- 
nuto in parte, p. es. per problemi del giroscopio. Uno dei più eleganti fra que- 



)( 174 )( 

sti risultati speciali venne comunicato in una Nota (Arch. Vili) nel 1882, nella 
quale sono determinate tutte le superfìcie con trasformazioni lineari infinitesime 
in sé stesse; che cioè rette e sfera sono i soli enti del nostro spazio, che per ef- 
fetto di tutti i movimenti e similitudini assumono precisamente oo* posizioni di 
verse dunque una proprietà caratteristioa della geometria delle rette e delle 
sfere. 

L' importanza di questa serie di lavori consiste però meno nei nuovi risul- 
tati che non in ciò che essi ricondussero L i e nella direzione delle sue idee fon- 
damentali, dalla quale anche ora dovevano sorgere idee nuove e comprensive: 
sugli invarianti differenziali^ o sulle equazioni differenziali con trasformazioni in 
s6, e sui gruppi infiniti. 

Come fu prima accennato , Lio già nelle sue Note-Programma del 1872 
(Forh.) e nella Nota del dicembre 1874 (Gòtt. Nachr.) aveva in parte sviluppati 
e in parte presentiti in forma indeterminata alcuni concetti sulla classificazione 
delle Equazioni differenziali, sulla loro riduzione a forme normali; e sopra espres- 
sioni in varianti ve rispetto a certi gruppi di trasformazione formati colle varia- 
bili e (allora soltanto) colle loro derivate prime ; in particolare invariantive ri- 
spetto al gruppo di tutte le trasformazioni di contatto; e solo più tardi li aveva 
interpretati nel senso degli invarianti differenziali, senza che fino allora egli vi 
fosse tornato sopra diffusamente. E invero nel frattempo il problema di svilup- 
pare il concetto di gruppo, per sé stesso, si era imposto a lui. Adesso in occa- 
sione di un più lungo studio sul comportamento di espressioni geometriche dif- 
ferenziali del 2o ordine rispetto a trasformazioni, egli riconobbe in modo sem- 
pre più chiaro che i suoi concetti sulle espressioni invariantive devono ammet- 
tere ancora un' ampia estensione. Intanto però il problema era stato portato molto 
innanzi da altra parte, benché in un campo più ristretto: Halphen e Laguer- 
re si erano rivolti rispettivamente dal 1875 e dal 1879 alla teoria degli inva- 
rianti diff*erenziali per il gruppo finito proiettivo del piano e nella teoria delle 
equazioni differenziali lineari omogenee dì n'"*^ ordine per il gruppo infinito a?,=F(a;), 
y\ - 2/^K')^ CO" funzioni arbitrarie P(a;), <I>(3c), mentre prima erano noti solo alcuni 
singoli fra questi invarianti, (p. e. l'Espressione di R ie m a n n-S e h wa r z). 
In particolare Halphen aveva già pubblicata in alcuni grossi lavori la sua 
teoria, che in lavori anteriori s'era valso soltanto delle osservazioni sulle curve W 
(1876 1880); e l'aveva anzi portata sino ai problemi della formazione dei sistemi 
d'invarianti difl'crcnziali (nel senso della dipendenza razionale», mentre il suo la 
vero più importante e premiato nel 1880 comparve solo nel 1883. 

Non può esser dubbio che il L i e ebbe da ciò un potente impulso; egli vide 
neir estate del 1882 che gli invarianti difl^erenziali si possono determinare in 
generale come soluzioni d'un sistema completo (Arch. VII pag. 192— giugno 1882): 
che inoltre le equazioni differenziali ausiliarie del lo ordine, che dipendono sol- 
tanto dal gruppo, hanno ancora speciali attributi, cosicché una certa fra esse può 
ricondursi a un' equazione di R i e e a t i ( precisamente quella che corrisponde 
ad un sistema invariante di curve, incontranti oo^ rette del piano secondo pun- 
teggiate proiettive): e che la classificazione diLaguerre si poteva far rien- 



)( 175 )( 

irare nella sua teoria dei grappi (Forh. 1882 — N. 21, 22 dell' Ott. e primo No- 
vembre 1882). 

Con queste riflessioni L i e (con un sussidio deli' università) si recò neir ot- 
tobre 1882, passando per Lipsia e la Svizzera, a Parigi, e tenne là il 3 novem- 
bre nuli conferenza sulle sue teorie d' integrazione del 1874 (di sistemi completi 
con note trasformazioni infinitesime). E quando nella discussione H a 1 p h e n 
accenqò alle relazioni di questi concetti co' suoi lavori sugli invarianti differen- 
ziali 461 gruppo poiettivo generale, e colla trasformazione d'una serie di corri- 
spondenti equazioni in equazioni lineari di ordine inferiore (cf. L i e Ann. XXV), 
ciò agi in modo eccitante su L i e : egli asserì che i suoi principii comprende- 
vano Il caso di Halphen e potevano estendersi a tutti ì gruppi finiti. — An- 
cora In Parigi egli calcolò per tutti i suoi gruppi del piano i corrispondenti in- 
varianti differenziali e diede la teoria dell' integrazione di ciascuna della equa- 
zioni differenziali risultanti dall'annullare uno di questi invarianti.— Ma il progresso 
a cui le osservazioni di Halphen avevano condotto L i e , consiste in ciò che 
ora, valendosi delle equazioni finite del gruppo, le equazioni ausiliarie si ridu- 
cono in generale ad equazioni differenziali lineari omogenee fra due variabili. 
L' origine degli invarianti differenziali dall' estensione delle trasformazioni infini- 
tesime alle derivate di ordine superiore , il modo di formarli per ogni gruppo, 
la riduzione del problema dell' equivalenza a queste espressioni, e piti general- 
mente r intero edificio della teoria invariantiva lineare, la quale in un senso spe- 
ciale, vale a dire quando coli' introduzione d' un numero sufficiente di variabili 
si sostituisce il gruppo proposto con un gruppo simile di sostituzioni lineari, com- 
prende già una parte assai grande della teoria generale dei gruppi, si presen- 
tava ormai agli occhi della sua mente come già estesa a tutti i gruppi finiti 
Già nel dicembre 1882 L i e pubblicò nel voi. VII dell' Archivio un breve pro- 
gramma di quest' indirizzo; gli sviluppi li diede poi nei Forh. del 1883 e nella 
Nota: « Classiflcation und Integration der gewohnlichen Differcntialgleichungeu 
zwisehen x , j/ , die cine Gruppo von Transformationen gestatten » Archiv. del 
1883 ed 84 (ristampata nel 1888 voi. XXXII di questi Annalen), Tutti i problemi 
precedenti come la ricerca del gruppo d' una data equazione , la riduzione a 
una forma canonica nel caso di un gruppo noto, appaiono già sotto la luce più 
viva degli invarianti differenziali, e si presentano perciò sotto forma più plastica 
e chiara. 

Ma non è soltanto a questo lato fondamentale delle nuove vedute che qui 
deve accennarsi. L i e stesso ha richiamata sovente l'attenzione su questo fatto — 
e in un bello studio suU' importanza di Gr a 1 o i s nel: « Centenaire de l'École Nor- 
male, Paris 1895 » nel quale parla diffusamente su' suoi proprìi intenti, egli si sof- 
fermò con insistenza su questo punto — quale grande analogia passi fra i suoi 
problemi nella teoria delle equazioni differenziali e quelli diAbel e Galois 
nella Teoria delle Equazioni algebriche, 

E in vero non si può disconoscere quest' analogia per quel che riguarda le 
equazioni abeliane: alle equazioni funzionali che legano in queste equazioni una 
radice alle rimanenti, corrispondono prima le trasformazioni lineari permutabili 
le quali mutano in sé stessi gli integrali delle equazioni differenziali che condu- 



;( 176 )( 

cono a curve W (1870): e poi le trasformazioni d'un groppo che può essere ammesso 
comunque da un equazione difiFerenzìale. Ed anche il punto di vista di G a 1 o i s, che 
fonda il problema della risoluzione di un'equazione sulle ricerche relative al suo 
grujpo e alla struttura di questo , trova il suo riscontro nel punto di vista di 
L i e sulle equazioni differenziali ; e tanto più, in quanto risultò sempre meglio 
che sono specialmente le equazioni differenziali, fra le cui soluzioni particolari 
esistono relazioni costanti, oppure delle quali si può dedurre l'integrale generale 
da certe soluzioni fondamentali, quelle che ammettono, appunto in virtii di que- 
ste proprietà , particolari gruppi di trasformazioni (gruppo di razionalità , non 
gruppo monodromico) : gruppi la cui costruzione coincide colla determinazione 
della struttura degli integrali di quelle equazioni e la cui riduzione a sottogruppi 
per mezzo dell' aggiunzione di nuove equazioni, include qui come lì il problema 
della risoluzione. Non deve dunque far meraviglia che L i e stesso abbia insistito 
sempre più su questo punto dì vista di 6 a 1 o i s e si sia considerato come il 
vero erede delle idee di G a 1 o i s. Non dimentichiamo però che , se V analogia 
con Lagrange-Abel è completa, quella con G a 1 o i s non sussiste assoluta- 
mente; così vi sono equazioni differenziali riconducibili a quadrature — come quelle 
delle linee geodetiche d'un ellissoide e d'altre specie di superfìcie — per le quali 
non esiste alcuna proprietà gruppale, come intimo fondamento della riduzioue, 
mentre in vece la teoria di G a 1 o i s rimane esauriente anche per le equazioni 
algebriche più speciali. Li e soleva lasciar da parte senz'altro tali equazioni 
conio « conducenti ad operazioni eseguibili » e come « triviali ». 

Anche in un' altra direzione si consolidarono le idee di L i e in quest' epoca, 
rimarchevole per la sua produzione, e manifestamente del pari in virtù dell'im- 
pulso che i lavori di Halphen-Laguerre gli avevano dato, nel senso cioè 
dei gruppi continui infiniti e dei loro invainanti differenziali. Mentre sin qui an- 
che per L i e (a differenza di ciò che si potrebbe arguire dalla prefazione al 
III volume dell' opera sulle trasformazioni) il concetto < gruppo » indicava sol- 
tanto ogni insieme di trasformazioni tali che due di queste applicate successi- 
vamenie dessero ancora una trasformazione della schiera, ora egli restringe espli- 
citamente per la prima volta quel concetto (Forh. 1883: « Uber unendliche con- 
tinuirliche Gruppen » vale a dire su gruppi dipendenti da funzioni arbitrarie) 
nel senso che le trasformazioni infinitesime della schiera devono sodisfare 
un sistema d' equazioni lineari a derivate parziali equivalente alle : « equa- 
zioni di definizione » d' un gruppo finito. E con questa restrizione egli riesce a 
costruire anche per questi gruppi più ampi , che , secondo i suoi intendimenti, 
devono acquistare per le teorie delle trasformazioni delle equazioni differenziali 
un' importanza ancora maggiore dei gruppi finiti, una teoria affatto simile a quella 
di questi ultimi, e della quale citeremo questo solo risultato: che delle equazioni 
differenziali ordinario soltanto quelle di primo ordine, nessuna di ordine supe- 
riore, ammette un tal gruppo. Anche su di ciò questi Annalen (< Ueber Differen- 
tialinvarianten » XXIV, 1884) hanno presentata un' esposizione riassuntiva delle 
prime ricerche di L i e , mentre le ricerche ulteriori sono esposte principalmente 
nelle pubblicazioni della Soc. Sassone delle Scienze. Quanto sia esteso questo 
campo si desume da ciò che vi si può far rientrare p. e. l'intera teoria G a u s- 



)( 177 )( 

siana della curvatura come teorìa degli invarianti dififórenziali di tutto le fles- 
sioni, vale a dire delle trasformazioni puntuali, che lasciano invariato Telemento 
lineare della superfìcie; e da questo punto di vista essa fu trattata da L i e. 

Noi abbiamo seguita l'opera e la vita di L i e sino air anno 1884; che è il 
punto culminante del suo sviluppo. A partire di qui fu sua cura principale d'e- 
laborare in modo conseguente il grande materiale di idee e di formare con esso 
nn edificio duraturo, che permettesse in pari tempo di gettare lo sguardo a tutti 
i campi della scienza ; come anche di sviluppare ulteriormente alcune singole 
idee. Dapprima L i e aveva progettata un' opera sui gruppi di trasformazioni che 
doveva riunire in pari tempo in un fiolo volume la teoria dei gruppi continui 
finiti ed influiti colle loro teorie invariantive; ma ad afi'rontare la cosa si potè 
pensare solo dopo che il signor F. Engel indotto dai Sigg. Klein e Mayer, 
si fu dichiarato pronto ad aiutar L i e , e questi ne ebbe accettata V offerta con 
ambo le mani. Nei nove mesi (Sett. 1884-Estate 1885) che Engel passò a 
Christiania nacquero già, in un primo abbozzo, parecchi capitoli di quest' opera. 
Per la continuazione però ebbe importanza un cambiamento avvenuto poco dopo 
nella vita esteriore di L i e , cioè il suo passaggio in Germania; da un lato per 
la spinta che ricevette V opera sui continui rapporti personali di L i e colla per- 
sona che elaborava 1 risultati, d'altro lato per lo svantaggio dei gravi impegni 
che la nuova posizione implicava. 

Lio fu chiamato all'Università di Lipsia come successore di Klein, e ac- 
cettò r offerta. Colla sua famiglia^ che negli anni 1877-84 s'era accresciuta di due 
figlie e d'un figlio, egli fece il suo trasloco nella primavera del 1886 per dedi- 
care per oltre dodici anni la sua attività ad un'università tedesca. Le nuove cir- 
circostanze ed esigenze, cui egli non era assuefatto, non potevano a meno di creare 
a lui straniero, il quale era inoltre d' indole pronunciata , di natura originaria- 
mente retta ed aperta, e rappresentante d' un particolare indirizzo, che per im- 
porsi richiedeva nuove e vaste organizzazioni dell' insegnamento , una serie di 
difficoltà e di fatiche, che si potevano superare soltanto con grande energia e 
piena fiducia in sé stesso. Ma in L i e , almeno fin tanto che egli si senti fisica- 
mente bene — queste qualità erano sviluppate in sommo grado e cosi gli riuscì 
di rendere sempre più elevata la serie delle sue lezioni, e di procurarsi una schiera 
di uditori valenti, dei quali ora un gran numero, Tedeschi e Stranieri, lavorano 
nella teoria dei Gruppi o nelle sue applicazioni come eminenti investigatori. Que- 
sta attività fu interrotta soltanto nell'anno 1889-90 quando in lui, in apparrenza 
imperturbabile e senza posa produttivo, i nervi vennero meno per eccessivo lavoro 
ed insonnia; forse anche in seguito a predisposizione egli cadde allora in una 
profonda depressione , dalla quale però assurse presto di nuovo alla sua piena 
forza creatrice, ma dalla quale gli rimase nell' umore un' esagerazione della fi- 
ducia in sé stesso ed una diflidenza verso gli altri. Prove della rinnovata atti- 
vità didattica di L i e sono , oltFe ai lavori della sua scuola^ i tre corsi pubbli- 
cati dal signor G. Schef fers dopo il 1890, che sono assai appropriati all'in- 
troduzione nella teoria dei gruppi di Lie, dello equazioni differenziali con tra- 
sformazioni infinitesime, e della geometria delle trasformazioni di contatto, pur 

TOL. ZLI. 23 



)( 178 )( 

troppo non ancora nella teoria degli invarianti differenziali e nella teoria gene- 
rale deir integrazione considerata sempre da L i e come conclusione. 

In tali condizioni; e in mezzo alle gravissime difficoltà, presentate, come ri- 
sultò a poco a poco dall' ordinamento sistematico delle idee di Lio, l'opera 
fondamentale «Theorie der Transformaiionsgruppen » procedette assai più lenta- 
mente di quanto sì era preveduto a Christiania. Si trattava per prima cosa di 
l dare alla materia un fondamento più rigoroso, fondamento che L i e trovò nel 

i campo della teoria delle funzioni, senza però che fosse tolta la restrizione della 

I 

validità per una regione limitata; e sopratutto occorreva apparecchiarsi tanto un 
abbozzo del tutto nelle sue linee generali, quanto un' elaborazione dei dettagli, 
mentre L i e aveva date soltanto le pietre spesso non dirozzate. Del resto in 
quest' opera sono utilizzate anche una serie di idee recenti di L i e ; p. es. quella 
del « gruppo parametrico », del gruppo oo'' fra gli r parametri dello stesso gruppo 
di trasformazioni che risulta dalla legge associativa delle operazioni, e ha parte 
nella ricerca di tutti i gruppi isomorfi ad un gruppo dato, una via intrapresa da 
L i e anche nel 1884 (Forh.), e che più tardi diede luogo a un' ampia lettera- 
tura nel problema fondamentale nella teoria dei gruppi, cioè nella teoria della 
composizione. Così nelle mani dell' accurato elaboratore l'opera, il cui scopo è di 
dare i fondamenti della teoria sino alle applicazioni; crebbe a poco a poco sino 
a comporsi di tre grossi volumi pubblicati negli anni 1888-93 ; un' opera vera- 
mente originale dal principio alla fine , che mantiene il suo carattere d' opera 
indipendente al punto di non voler ammettere alcuna influenza di lavori altrui 
sugli sviluppi in esso contenuti. 

Nella sua forma assai astratta essa lascia d' altronde piuttosto in seconda 
linea^ la via sintetica per cui si sono formate le idee di Lie eccettuato forse 
il II volume che sin da principio fu disposto in tal guisa da essere per quanto 
possibile, intelligibilo di per sé. Resta da rimpiagere che non abbia potuto es- 
sere trattata più diffusamente la teoria degli invarianti differenziali, né comun- 
que toccata quella dei gruppi infiniti, e che le intenzioni di L i e in questo senso 
riguardo ad un' opera sistematica più ampia siano finite in niente. 

Del periodo di tempo passato a Lipsia, fra le Applicazioni della Teoria dei 
Gruppi ne emerge in particolare una, che del resto ha trovato anche 11 suo po- 
sto nel voi. Ili dell' opera sulle trasformazioni: l'applicazione al « Problema dello 
spazio di Eiemann-Helmholtz» cioè ai fondamenti della geometria. Ri- 
chiamata già presto, da Klein e dal suo Programma, l'attenzioni di Lie sul 
lato gruppale del problema, ed in particolare sull'importanza dell' « assioma sulla 
Monodromia » di fielmholtz, Lie stesso andava rlfiettendo su tali quistioni 
sin dal 1880 per poi entrare in campo colla sua opinione in occasione della riunio- 
ne de' Naturalisti a Berlino (1880}. La concezione stessa di H e 1 m h o 1 1 z, era stata 
cosa sommamente rimarchevole per il 1868, ma senza che il grande investiga- 
tore lo sapesse, una concezione gruppale: poiché aveva cercato di caratterizzare 
i gruppi degli oo^' movimenti dello spazio, che conducono alle tre geometrie, ri- 
spetto a tutti gli altri gruppi: e ciò mediante la libera mobilità (entro una re- 
gione limitata, come aggiunse L 1 e) dei corpi rigidi, dunque mediante l'esistenza 



)( 179 ){ 

d'un invariante fra due punti qualunque come unico invariante essenziale. E 
Li e, affrontando questo problema essenzialmente come problema gruppale, ri- 
conobbe a tutta prima per il nostro spazio la superfluità di quella parte dell'as- 
sioma della monodromia , che credeva doversi aggiungere alla libera mobilità 
attorno ad un asse (con U7i grado di libertà) esplicitamente come postulato, la 
periodicità; ma sopratutto , oltre ad una soluzione completa del problema nel 
senso di Helmholtz, egli ne diede una seconda ancor più intima, che si 
vale soltanto dei concetti di punto , elemento lineare , elemento superficiale , fa 
ipotesi sulla transitività dei movimenti soltanto pel campo infinitesimo, e miglio- 
rava con ciò anche le considerazioni differenziali di H e 1 m h o 1 1 z. A questa se- 
rie di ricerche appartiene anche lo studio di L i e intorno ai gruppi, che lasciano 
invariata un' espressione differenziale quadratica (ibidem) , come contributo allo 
basi della Memoria di R i e m a n n. 

Il valore di queste ricerche , le quali naturalmonto procedono solo paralle- 
lamente alle considerazioni di Riemann, Lipschitz ecc. consiste princi- 
palmente in ciò, che permettono di scegliere per ogni gradino della geometria 
l'opportuno sistema di assiomi; e cosi giustamente riportarono nel 1887 (v. il giu- 
dizio citato nella nota a pag. 1, voi. 50^ degli Ann.) il primo premio Lobat- 
schewsky conferito dalla Società di Kasan. 

L i e andava quasi più superbo di queste applicazioni, e delle applicazioni 
in genere, che della sua grande opera nei gruppi; per lui invero il concetto di 
gruppo e di invariante era non solo un punto di vista metodico dal quale vo- 
leva rimaneggiare ex novo nella sua mente tutta la parto antica della matema- 
tica, ma anche Telemento che doveva a poco a poco compenetrare tutta la scienza 
matematica e riunirla unificandola. Cosi gli procurò — profonda soddisfazione 
il fatto che , dopo il 1880, il concetto di gruppo continuo , e con riferimento 
a lui stesso fu posto a base , nella teoria dei sistemi di numeri complessi per 
parte di Poincaré e di matematici tedeschi che stavano vicini a Li e stesso, 
e nelle ricerche di teoria delle funzioni sulle equazioni differenziali lineari, per 
parte di matematici francesi. Nel primo campo pose mano anche L i e , accennan- 
do occasionalmente airesistenza di sistemi di numeri irriducibili (« Ueber irreduc- 
tibele Berùhrungstrasformationsgruppen » S£lchs. Ber. 1889). Ma il campo della 
teoria delle funzioni, coH'uso di continuazioni analitiche e pur ancora il campo al- 
gebrico, e in particolare aritmetico con dato campo di razionalità, stanno fuori 
della sfera di produzione di L i e. Tutto il suo pensiero, tutta la sua scienza sta- 
vano lungi da queir indirizzo, che, coltivato da grandi investigatori si è elevato 
continuamente come «Matematica di precisione» nel corso di questo secolo, 
ed alla fine del secolo sembra quasi essere V unico dominante; appunto in oppo- 
sizione a questo indirizzo sta L i e , quasi additando indietro verso i primitivi 
classici della geometria infinitesimale e proiettiva; come testimonio vivente, che 
anche le idee di questi ultimi, sotto V influsso d' un genio creatore il quale riu- 
nisca ambedue le geometrie, possono divenire feconde e giungere a sviluppi 
nuovi imprevedibili, e per il contenuto e per la portata: 

Se si vuol delineare la vera estensione della produzione di L i e , con una 
sola parola che racchiuda tanto il suo indirizzo delle trasformazioni e degli in- 



){ 180 )( 

varianti, quanto le sue ricerche geometriche , basta nominare il suo vero e ul- 
timo scopo; r integrazione delle equazioni differenziali. 

E se sarà riservato air avvenire, far valere le idee di L i e anche nei campi 
da lui più lontani, è tuttavia indubitato che queste idee non possono costituire 
di per sé il punto cardinale d' ogni ricerca, ma soltanto comprendere una parte 
delle speculazioni matematiche. Esse agiranno in modo tanto più stimolante, 
quanto più noi impareremo a considerarle soltanto come strumento di ricerca 
sia analitica che geometrica. L' opera di L i e sulle trasformazioni; per sé stessa, 
potrà, perdere d' importanza nei suoi fondamenti e nella sua disposizione , nelle 
forma analitica e dal lato critico, e pel trascorrere del tempo e pel progredire 
della scienza e L i e stesso ha da allora in qua corretta la trama del I volume 
(Sftchs. Ber. del 1890); ma le combinazioni di concetti di L i e che costituiscono la 
più profonda base di queir opera, nella loro comprensiva semplicità, e nella loro 
mobilità; Taver concepite geometricamente le teorie delle trasformazioni e degli 
invarianti colla loro libertà illimitata nella scelta deirelemento dello spazio; que- 
sti sono i caratteri che conserveranno sempre la loro forza creatrice ed ordina- 
trice, le loro proprietà atte a porre e risolvere problemi , la loro compenetra- 
zione « sintetica > della scienza, la possibilità di ricavare deir argomento stesso, 
per ogni caso da sott' ordinarsi a quel campo, la formola analitica appropriata. 
Perchè se la forza della produzione di L i e proviene dalla straordinaria con- 
centrazione del suo pensiero, dall' estendersi di questo tutto all'intorno partendo 
da un unico punto , in una misura tale che potrebbe fare V impressione d' una 
unilateralità portata all'estremo, tuttavia la forza della sua influenza riposa so- 
pra un' eminente facoltà d'astrazione e di generalizzazione congiunta con quella 
concentrazione — una capacità che denota il vero spìrito matematico, in quanto 
le sue speculazioni, benché puramente astratte, possono venire immediatamente 
rivestite sotto forma analitica. 

Neir anno 1898 L i e ritornò nella sua patria , la Norvegia , nella cui vigo- 
rosa natura, egli robusto camminatore aveva così spesso rinfrescato corpo e mente, 
e per la quale il suo cuore battava forte , come per la sua famiglia e la sua 
scienza. Dopo che a Christiania fu di nuovo istituita per lui una cattedra univer- 
sitaria con onorifiche condizioni egli vi si trasferì nel settembre. Ma le sue forze 
fisiche erano disfatte, e già attorno a Natale si ebbero sintomi della prossima 
fine inevitabile. Il 18 febbraio L i e soggiacque ad un' anemia perniciosa. Con 
lui scomparve il rappresentante più originale e più produttivo della scienza geo- 
metrica degli ultimi tre decenni di questo secolo. 
Erlangen, settembre 181*9. 



ERRATA-CORRIGE. — A Pag. 107 — linea 3 — /n luogo di mneomonico si 
legga mnemonico. 



y 181 )( 



SU ALCUNI SISTEMI RAZIONALI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE 



NOTA 



DI 



DOMENICO MONTESANO 



E possibile che dae piani siano riferiti fra di loro con un sistema semplice- 
mente infinito e continuo di corrispondenze cremoniane le quali ad un punto 
dell' un piano facciano corrispondere nell'altro i singoli punti di una curva ra- 
zionale. 

Nella presente Nota, dopo aver dimostrato che lo studio di siffatti sistemi può 
farsi dipendere da quello delle corrispondenze bl razionali dello spazio , nelle 
quali si corrispondono i piani di due fasci, costruisco i sistemi di corrispondenze 
dei primi due ordini ed i sistemi formati da corrispondenze isologiche (*) di or- 
dine arbitrario , nelle quali due fasci di raggi assegnati si corrispondono con 
la medesima proiettività. 

I. 

Si supponga che fra due stelle di raggi (P) , (P') intercedano oo' corrispon- 
denze cremoniane di ordine m nelle quali ad un raggio generico della prima 
(o della seconda) stella corrispondano nell' altra i singoli raggi di un cono ra- 
zionale di ordine n' (o n). Si indichi con 21 il sistema di tali corrispondenze. 

Si assegnino nello spazio due fasci di piani proiettivi (&) , (k'), che non ap- 
partengano alle stelle (P) , (P'), e si coordinino proiettivamente le corrispondenze 
del sistema £ alle coppie di piani omologhi di tali fasci. Quindi si riguardino 
corrispondenti due punti A , A' dello spazio che siano su due piani omologhi 
a , a' dei fasci dati, e su due raggi omologhi a , a' di quella corrispondenza del 
sistema !i che è coordinata alla coppia (a a'}. 



(') Chiamerò isologiche le reti di curve c^^ 0'"*, 2(ac— 1)P e dirò isologiche 
le trasformazioni birazionali piane (comunemente dette di De Jonquières) connesse 
a tali reti. 



)( 182 )( 

La corrispondenza che ne risulta fra i punti A,A' dello spazio, è birazionale. 

Quando il punto A è sulla retta k , il piano a riesce indeterminato , onde 
al punto A corrispondono gli co* punti A' in cui i raggi a' che nelle corrispon- 
denze del sistema £ corrispondono alla retta a^PA, segano \ singoli piani a' 
del fascio (A:') coordinati a tali corrispondenze, cioè al punto A corrispondono i 
punti A' di una curva di ordine n' + 1 che ha n' punti sulla retta V. 

Così ad un punto A' della retta V corrispondono i punti di una curva di 
ordine 7i + 1 che ha per segante n — pia la k. 

Inoltre nella trasformazione T che si esamina ^ al fascio di piani (A:) corri- 
sponde il fascio di piani (A:')*, e la corrispondenza che la T stabilisce fra due 
piani omologhi (o , co', è di ordine m\ onde le superfìcie che nella T (o nella sua 
inversa) corrispondono ai piani dello spazio, risultano essere delle 5'„^n+i = fc"*"*"' 

(o delle 9m+«'.i = fc"'^'). 

Ad un raggio r della stella (P) corrisponde nella T una curva di ordine 
n' -f 1 luogo dei punti in cui i raggi r' che corrispondono alla r nelle corrispon- 
denze del sistema I , segano i piani del fascio (A;') coordinati a tali corrispon- 
denze, onde il punto P risulta m — pio per le superficie 9. 

Per determinare con maggiore precisione il modo di comportarsi del punto 
P nella trasformazione T, occorre considerare quella corrispondenza [A,] del si- 
stema £ che è coordinata al piano a, =A;P ed al suo omologo a', del fascio (k^. 
Se in essa si corrispondono il raggio r della (P) ed il raggio r' della (P'), la 
r non incontra la retta A;, e allora nella trasformazione T al punto Q infinita- 
mente vicino a P sulla r corrisponde il punto Q' ^ r'a', , la r incontra la A; e 
allora essa corrisponde per intero nella T al punto Q' e= r'a',. 

Il luogo di questi punti Q' è la traccia sul piano a\ del cono che corrisponde 
al fascio di raggi (P - a,) nella corrispondenza [A,] anzidetta. 

Dunque al punto P corrisponde nella T tutto il piano a', , e questo sega tutte 
le superficie 9' secondo la medesima linea semplice e' di ordine m. 

Con ragionamenti analoghi si riconosce che il punto P' è multiplo secondo m 
per le superficie 9' e che nella T gli corrisponde un piano «^ del fascio (A:) il 
quale sega tutte le superficie 9 secondo la medesima linea semplice e di or- 
dine m. 

Con ciò il problema di determinare i sistemi razionali di trasformazioni 
cremoniane di dato ordine m e di data specie può farsi dipendere dalF altro di 
determinare i varii tipi di trasformazioni birazionali dello spazio, che, facendo cor- 
rispondere ai piani di un fascio (A;), i piani di un fascio (A:') determinano fra due 
piani corrispondenti una trasformazione dell' ordine dato m e della specie as- 
segnata e che di piCi presentano in ciascun sistema un punto fondamentale 
m — pio. 

II. 

Nel caso più semplice in cui il sistema Z è costituito da omografie, nell'in- 
dividuare la trasformazione T si può supporre che i due piani a s A;P > a^ = &T' 
si corrispondano nella proiettività data fra i fasci (A:) , (A;'j , e che di più i due 



)( 183 )( 

fasci di raggi (P — a) , (P' — a') bì corrispondano in quella omografia [A] del si- 
stema S che è coordinata alla coppia (aa'). 

Allora per due raggi omologhi r , r' dei due fasci si avrà che ano di essi 
corrisponderà per intero ad ogni panto dell' altro ; di guisa che dalle superficie 
9' si staccherà il piano a' e dalle superficie 9 il piano a , e le restanti super- 
ficie saranno rispettivamente di ordine w' + l , h -h l ; né i punti P , P' risulte- 
ranno fondamentali per la T, ma si corrisponderanno in essa ; perchè ad una 
retta per P corrisponderà una curva c'^^i = P' e ad una retta per P' cor- 
risponderà una c^^i ^ P. 

Viceversa data una trasformazione cremoniana nello spazio che trasformi i 
piani (0 di un fascio (A;) nei piani ìa' di un fascio [k') facendo coiTispondere alle 
rette dell' un piano le rette dell' altro , se da due punti corrispondenti P , P' di 
tale trasformazione si proiettano i punti omologhi di due piani ta , vì' , ne risulta 
an' omografia fra le stelle proiettanti, e variando i due piani nei fasci proiettivi 
(il') y {k') verrà ad aversi il sistema piti generale di omografie fra le stelle (P) , (P') 
del tipo in esame. 

Ora la trasformazione T è nota (^). I suoi numeri caratteristici n , n' soddi- 
sfanno air unica condizione che il maggiore di essi non supera il doppio del 
minore, e i suoi elementi eccezionali (oltre le rette k , k') sono: (2n — n') punti 
fondamentali semplici A situati fuori della k e (2n' - n) rette fondamentali sem- 
plici b appoggiate alla k, nel primo sistema, e (2n' — n) punti fondamentali sem- 
plici B' situati fuori della fc' e (2n — n') rette semplici a' appoggiate alla A:', nel 
secondo sistema; cioè in essa ad un piano generico del secondo sistema corri- 
sponde nel primo una superficie 

«p^^.+i = k"*' , (271 - n'j A , (2»' - n)b 

e ad un piano del primo sistema corrisponde nel secondo una superfìcie 

4'„+i = A:"* , (2n' - n) B' , (2' - n') a'. 

La omografia che la T stabilisce fra i piani corrispondenti a^A:A, a'^fc'a' 
rlducesi alla proiettiviià fra i raggi del fascio (A — a) e i punti della retta a' 
che corrispondono nella T a quei raggi, nel senso che in tale omografia fAa'] ad 
un punto generico P di a che sia sul raggio p del fascio (A) corrisponde in a' 
quel punto P' della retta a' che è omologo a p nella proiettiviià anzidetta, e vi- 
ceverea ad una retta r' di a' che seghi la a' nel punto R' corrisponde in a quel 
raggio r del fascio (A) che è omologo ad R' nella proiettività in quistione; onde 
ad un punto generico di a' corrisponde il punto A e ad una retta generica di 
a la retta a'. 



(') Vegg. Loria — Sulla classificazione delle trasformazioni razionali dello spa- 
zio, Rendiconti del R. Istituto lombardo — Serie II, voi. XXIII. 



)( 184 )( 

E così r omografia che la T stabilisce fra i piani corrispondenti g^ò,g'^fe'B' 
ridacesi nel senso anzidetto ad una proiettività fra i punti della & ed i raggi del 
fascio (B' — ^') che corrispondono a quei punti nella T. 

Né esistono altre omografie degeneri dovute alla T. 

Perciò passando dalla trasformazione T al sistema D e sostituendo alle stelle 
(P) , (P') due sistemi piani o) ed w', può senz' altro affermarsi che: 

Qualunque siano i numeri interi n , n' , purché il maggiore di essi non su- 
peri il doppio del minore, è possibile costruire un sistema continuo di omografie 
fra due piani co , io' nelle quali ad un punto del secondo piano (o del primo) 
corrispondano nelV altro piano i singoli punti di una curva razionale di ordine 
n (o di ordine n'). In tale sistema si presentano 2n — n' omografie ridotte a proiet- 
tività fra fasci di raggi del primo piano e punteggiate del secondo e 2n' — n 
omografie ridotte a proiettività fra punteggiate del primo piano e fasci di raggi 
del secondo. 

Noi diremo singolari i centri dei fasci e le rette sostegni delle punteggiate 
che si presentano nelle corrispondenze degeneri del sistema, e designeremo que- 
sti elementi con le stesse lettere usate per i corrispondenti clementi eccezionali 
della trasformazione T. 

Da ciò che si è detto per le omografie degeneri segue senz'altro che ogni 
curva p„ del piano (o formata dai punti che nelle omografie del sistema corrispon- 
dono ad un punto P' del piano io', passa per i 2n— n' punti singolari À del piano co; 
e di più la corrispondenza biunivoca che viene ad aversi fra le curve p^ , q^ 
dovute a due punti generici P' , Q' di to' , quando si riguardino corrispon- 
denti in esse due punti che corrispondano rispettivamente a P' , Q' nella me- 
desima omografia del sistema^ ammette per elementi uniti i 27C — n' punti singo- 
lari A di (0 e su ogni retta singolare h di io presenta una coppia di punti corri, 
spendenti. 

Perciò V inviluppo delle rette che uniscono i punti omologhi delle due curve 
risulta di classe 

2n- (2n-n')=n', 

e comprende le (2n' - n) rette singolari h di io. 

Questo inviluppo è costituito dalle rette che nello singole omografie del si- 
stema corrispondono alla retta P'Q' del piano io', opperò , ripetendo per questo 
piano quel che si è detto pel piano io, si può afifermare che: 

Le rette di uno dei piani co , io' che nelle omografie del sistema corrispon- 
dono ad una retta generica delV altro piano costituiscono un inviluppo di classe 
n' (o n) di cui fanno parte le rette singolari b (o a') di quel piano. 

Tutto ciò mostra che i numeri caratteristici spettanti al piano io, riguardato 
come piano punteggiato, sono eguali ai numeri caratteristici relativi al piano io' 
riguardato come piano rigato, e viceversa. 

Per ?i = n' = 2, la trasformazione T= [^^^^^A , i'j^fc'a'B'j che ne ri- 
sulta, trasforma il fascio di piani che ha per asse la retta PA, nel fascio di piani 
che ha per asse la retta P'B', ed al piano P6 fa corrispondere il piano P'a'. Cor- 



)( 185 )( 

rispondentcìueDte il sistema Sji è costituito dalle omografie fra i piani w, (o' c^e 
ad un fascio (0) del piano io fanno corrispondere con la medesima proiettività 
un fascio di raggi {0') del piano w' e che ad una punteggiata (r) delV un piano 
prospettiva al fascio (0) fanno corrispondere una punteggiata (r') dell* altro piano 
prospettiva al fascio (0'). 

Per « = 1 ed n' = 2 la corrispondenza T ^ j^j ^ fc* , 3ò , «J/'g ^ fc' , 3B' \ che 
ne risulta, ai tre spigoli del triedro formato dai piani che dal punto P proiet- 
tano le tre rette fondamentali ò, fa corrispondere i raggi che dal punto P proiet- 
tano i punti fondamentali B'; opperò il sistema 2j g è costituito dalle omografie 
che ai vertici A , B , C di un triangolo del piano co fanno corrispondere i ver- 
tici A', B', C di un triangolo del piano to' e che di più, ad un punto D' del 
piano co' fanno corrispondere i singoli punti di una retta d del piano co. 

Si presenta cioè quel sistema (o fascio) di omografie collegato ad ogni cor- 
rispondenza birazionale quadratica fra il piano rigato (io) ed il piano punteg- 
giato (to'). 

IH. 

Una superficie 9 di ordine n' + 3 che presenti una retta multipla secondo 
n' + 1 e un punto doppio fuori di questa retta è rappresentabile sul piano me- 
diante un sistema rappresentativo formato da curve 

V^3 = 0~'+',3(n'+l)A,2A'. 

La retta multipla k ha per immagine una 

c„.+4 = 0«',3(n'+l)A,2A' 

e il punto doppio P è rappresentato da una retta 

c = 0,2A'. 

Se la superficie 9 fa parte di un sistema omaloidico Z capace di essere ri- 
ferito omograficamente ai piani delio spazio in modo che nella trasformazione 
cosi determinata ai piani del fascio (A:) corrispondano i piani di un fascio (A;') 
senza che nello spazio del sistema Z esista alcun altro punto fondamentale ol- 
tre di B, la rete delle curve variabili di sezione della superficie 9 con le altre 
del sistema deve avere per immagine sul piano iconico una rete isologica di 
curve Ca.^0*^',2(aj - 1) A avente il punto base multiplo nel punto e i punti 
base semplici nel gruppo dei 3(n' + 1) punti eccezionali A della rappresentazione, 
epperò (se co è maggiore di 1) con trasformazione isologica connessa alla rete, 
potrà questa mutarsi in una rete di rette, sicché potrà sempre supporsi che la 
rete delle linee immagini sia costituita da rette ^ pur restando invariato il tipo 
del sistema rappresentativo. 

£ se il sistema omaloidico £ ha una conica base situata in un piano del fa- 
scio {k)y questa nella rappresentazione della 9 avrà per immagine una retta c^O, 
/OL. xu. 24 



)( 186 X 

onde y immagine della parte fissa della sezione della 7 con un' altra superficie 
del sistema 1, oltre alla linea immagine della k contata n' 4- 1 volte, ed oltre alle 
rette immagini rispettive del punto P e della conica c^ contata la prima due 
volte, comprenderà una curva c,(^'^.,j ^0''"',3(ii' + 1)A*. 

Questa curva esiste; onde partendo da essa col procedimento inverso a quello 
indicato, si deduce l'esistenza di una trasformazione birazionale che ai piani del 
secondo spazio fa corrispondere nel primo superficie 9^.^, ^fc^'^'P-c^ aventi ul- 
teriormente in comune una curva semplice g di ordine 3(/i' -h 1), di genere 3a' - 2 
che ha un punto triplo in P e si appoggia alla k in 3/i' punti. 

La linea variabile di sezione di due superficie 9 è di ordine n' + 3, passa 
semplicemente per P, si appoggia alla k in n' + 2 punti; ed incontra in un punto 
la c^; opperò le superficie ^ che nel secondo spazio corrispondono ai piani del 
primo, sono di egual tipo delle 9, sono cioè delle (pn+i ^ ^''''*'*^'*<^*t9'z{u^i)f essen- 
do » = n'. 

La superficie Jacobiana delle 9 è formata dal piano kc^ contato due volte, 
dal piano ifcP , da una superficie X,+j ^ ^'*P*Cj^«(«+i) (<5*ie corrisponde a fc'; e da 
una superficie o,(„+,)^A:'?iPy3(„^.,) (che corrisponde alla g*). 

Ed analogamente per le superficie <]/'. 

Ad una retta della stella (C) corrisponde nel secondo spazio una curva di 
ordine rn- 1 che passa semplicemente per P' e si appoggia in n punti alla k ed 
in 3n punti alla g^ onde il cono che la proietta da P è di ordine n, né presenta 
alcuna particolarità rispetto alla k. 

Ad un piano della stella (P) corrisponde una superficie p'„^| ^ k'*^F'*g* , 
onde i coni che da P' proiettano le coniche sezioni di tale superficie con i piani 
del fascio (A;') costituiscono un sistema di ìndice n. 

Infine il cono che da P proietta la g' è di ordine 3n e di genere 3n' — 2. 
come il cono della stella (P') circoscritto alla superficie Jacobiana 03(^4.,) è di 
classe Sn e di genere 3n — 2. 

Ed analogamente per la stella (P). 

Con ciò restano determinate le proprietà fondamentali del sistema di corri- 
spondenze quadratiche che vengono ad aversi proiettando d^ P e da P' i punti 
omologhi di due piani dei fasci (k) , {k*) che si corrispondano nella trasforma- 
zione in esame; — e sostituendo alle stelle due sistemi piani può afiPermarsi che: 

Qualunque sia il numero intero n è possibile costruire fra due piani dati 
un sistema di od* corrispondenze quadratiche tutte non degeneri^ le quali ad un 
punto dell* un piano facciano corrispondere i punti di una curva razionale di 
ordine n delV altro. 

In ciascun piano le terne di punti fondamentali costituiscono una curva di 
ordine 3n e di genere 3n — 2 , come le rette che uniscono a due a due i punti 
delle singole terne inviluppano una curva di classe 3n e dello stesso genere 
della precedente. 

Ad una retta dell' un piano nelle corrispondenze del sistema corrispondono 
nelV altro piano coniche d* un sistema di indice n che presenta 3n coniche de- 
generi, ecc., ecc. 



)( 187 )( 

É noto che una corrispondenza quadratica fra due piani è connessa ad un 
fascio di reciprocità. Ora, assegnata una rete di reciprocità, se in essa si consi- 
derano i fasci che hanno in comune una reciprocità K, nelle corrispondenze qua- 
dratiche connesse a tali fasci i punti corrispondenti ad un punto generico P 
dell' un piano sono i singoli punti della retta j? dell 'altro piano che nella K 
corrisponde al punto P, opperò tali corrispondenze formano un sistema razionale 
pei quale il numero nel. 

Viceversa è agevole riconoscere che ogni sistema di corrispondenze quadra- 
tiche pel quale sia 9i = 1 è del tipo indicato. 

IV. 

Una superficie e di ordine m + w' -f 1 che presenti una retta k multipla se- 
condo n' + i ed una retta o multipla secondo w— 1, può essere rappresentata 
sul piano in modo che le sezioni piane abbiano per immagini curve 

<^i«+n'+i = A*'""* B"*"« , (2 wiw' + 3 m - n' - 2) C. 

Se sulla retta o esiste un punto P che sia multiplo secondo m per la super- 
ficie, m punti fondamentali semplici C della rappresentazione si allineano col 
punto A su una retta 

immagino di quel punto P, e Tulteriore immagine della retta o risulta essere una 

c«„,»., = A«'B«~* , (2mn' + 2m - 7i'- 2)C , 
mentre V immagine della retta k continua ad essere una 

c„,„. = A»B"-« , ce- 

Se la superficie ^ fa parte di un sistema omaloidico I capace di essere ri- 
ferito omograficamente ai piani dello spazio in modo che nella trasformazione 
spaziale cosi determinata ai due fasci di piani (k) , (o) corrispondano due fasci 
di piani {k') , {o') senza che nello spazio del sistema I esista alcun altro punto 
fondamentale oltre di P, la rete delle curve variabili di sezione della superficie 
? con le altre del sistema deve avere per immagine sul piano iconico o una 
rete di coniche Cj^ ABC o Tinsicme delle rette del piano, ed il primo caso può 
sempre ridursi al secondo mediante trasformazione quadratica sul piano iconico, 
senza che varii il tipo del sistema rappresentativo e delle linee immagini delle 
rette Ac , o e del punto P. 

Inoltre se il sistema omaloidico I ha una linea base c^ situata in un piano 
del fascio {k) , questa nella rappresentazione della 9 avrà per immagine una 
rett» e, ^ A , onde V immagine della parte fissa della sezione della 9 con un 



)( 188 )( 

altra superficie del sistema , oltre alle lìnee immagini delle A; , o , c^ e del punto 
P contate rispettivamente «' -f 1 , m - 1 , 1 ed m volte , comprenderà una linea 

c.t„.,'-,) = A'»' £*«•»-«) C. 

Questa linea esiste ed è Timmagine di una curva g di ordine 2m»'+2m— n'— 2, 
di genere 4m7i' — 2m — 6n' -f- 3, che passa per P con 2(wi — 1) rami ed è incon- 
trata da un piano per k o per o in 2(wi— 1) o in 2»' punti variabili: opperò esi- 
ste una trasformazione birazionale T che ad un piano generico del secondo spa- 
zio fa corrispondere nel primo una superficie 

Le superficie i^^ che nel secondo spazio corrispondono ai piani del primo, 
sono di egual tipo delle <f, sono cioè delle 

essendo n = n\ 

La Jacobiana delle superficie 9 oltre ai piani kc^ , fcP (il primo da con- 
tarsi due volte) che corrispondono al punto P' ed alla curva c'^, comprende le 
superficie 

che corrispondono alle rette k' , y e la rigata 

che corrisponde alla g\ 

Ed analogamente per le superficie (];'. 

Ad un piano a del fascio (0) corrispondo un piano a' del fascio (0') e ad 
una retta r del primo che passa per P corrisponde una curva di ordine n + 2 
del secondo che passa semplicemente per P', diguisachè due rette r , r\ V una 
del fascio (P - a), T altra del fascio (P — a'), sono sostegni din coppie di punti 
corrispondenti nella trasformazione in esame. 

Perciò se dai punti P , P' si proiettano i punti omologhi di due piani corri- 
spondenti dei fasci (k) , (&') , le oo* corrispondenze isologiche che vengono ad 
aversi fra le due stelle, oltre al far corrispondere al fascio di piani (o) il fascio 
di piani (0') con la medesima corrispondenza proiettiva, godono la proprietà che 
fìssati due raggi r , r' appartenenti a piani omologhi dei due fasci esistono fra 
di esse n corrispondenze nelle quali quei due raggi si corrispondono. 

Questa e le altre proprietà che possono stabilirsi per il sistema delle cor- 
rispondenze in esame , enunciate per due sistemi piani piuttosto che per due 
stelle, danno origine alla seguente proposizione: 



)( 189 )( 

Dati due fasci di raggi proiettivi (0 — w) , (0' — to') è possibile stabilire fra 
i loro piani un sistema contiìiuo e razionale di corrispondenze isologiche di 
ordine m, tutte non degeneri , che mutino V un fascio nelV altro , e tali che n 
fra di esse ad un punto generico A delV un piano facciano corrispondere un 
punto A' del secondo, situato sul raggio O'A' che nella data proiettività corri- 
sponde al raggio OA; e ciò qualunque siano il numero intero m> i. ed il nu- 
mero intero n. 

In ciascuno dei piani dati la linea luogo dei punti fondamentali semplici 
delle corrispondenze del sistema è di ordine (2m— l)n, di genere 4nin -2ni — 6n+3, 
ed è segata in 2n punti variabili dai raggi del fascio (0) [o del fascio (0';]. 

Riferendo proiettivamente il sistema Z ora ottenuto ad un sistema razio- 
nale L' di omografie fra gli stessi piani co e co' e facendo il prodotto delle corri- 
spondenze omologhe dei due sistemi, si ottiene un sistema di corrispondenze iso- 
logiche a punto fondamentale multiplo variabile in ciascuno dei due piani. 

Ma il sistema presenta corrispondenze degeneri ; mentre in alcuni casi è 
possibile costruire sistemi razionali di corrispondenze isologìche tutte non de- 
generi, a punti fondamentali variabili; col procedimento diretto indicato in que- 
sta Nota. 



QUESTIONE PROPOSTA 



Siano due serie a termini positivi 

convergente la prima^ divergente la seconda. Dimostrare che , se il rapporto di 
u^ a v^ finisce per decrescere sempre, quando n cresce indefinitamente, si ha (*) 

lim -^ (t;, 4 v, -»-... -}- vj = 0. 

E. CESÀRO 



(') Per v„=l , vedi Borei ** Théorie des fonctions etUiéres „ p. 17. 



)( 190 )( 

SEPARAZIONE DELLE RADICI REALI D'EQUAZIONE 
A COEFFICIENTI NUMERICI REALI 

NOTA 

DI 

F. GIUDICE 



Se f{x) è funzione reale derivabile della variabile reale ac, si possono cal- 
colare assintoticaraente le radici reali dell'equazione f (ac) = così per via ascen- 
dente come per via discendente e con qualsiasi approssimazione mediante il 
procedimento dato recentemente in questo Giornale (•). Per non lasciare incer- 
tezze convien I proporsi anzitutto di isolare le radici, che vogliansi calcolare, 
cioè di dare per ciascuna un numero minore ed uno maggiore tra i quali non 
siavi altra radice. Vedremo ora come si possan isolare comodamente, quando 
sian tutte semplici, per es. quando trattisi d'una delle equazioni alle quali siasi 
ridotta un' equazione algebrica col noto procedimento della separazione com- 
plessiva di tutte le radici d'uno stesso grado di molteplicità. 

Supponiamo dunque che l'equazione f(x) = tra i due numeri a e /9 non 
possa avere che un numero finito di radici e tutte semplici ; il minore dei due 
numeri, che indicheremo anche con a^ , sia a. Intraprendiamo il calcolo d' una 
successione 

tendente alla minor radice (se esista) superante a , la quale (se esista) indiche- 
remo con f ; aiTCstiamoci quando dall'evanescenza delie differenze degli ultimi 
termini calcolati siamo indotti a ritenere d'esser molto vicini alla radice: se l'ul- 
timo termine calcolato sia a^ , che indicheremo anche con a'^ , intraprendasi 
allora il calcolo d'una successione 

tendente alla minor radice superante a'„ dell'equazione derivata /"(aj) = (se 
tal radice esista). Generalmente si perveiTà così ad un «',»+„ tale che 

e la radice p sarà così isolata tra a'„4^_, ed a'„^^. Potrà però avvenire, ecce- 
zionalmente^ che, prima di pervenire ad un tal risultato, gli ultimi termini cal- 
colati della seconda successione sian tali da far temere la presenza di qualche 
radice dell'equazione derivata Ira a„ e p ; se a'„+^ sia rultimo termine calcolato, 
senza esser pervenuti ad isolar p, allora «'„+,„, che indicheremo anche con «,!+„,, 
ò minore di p e conviene intraprendere il calcolo d'una successione 



(*) E. Giudice: Sul calcolo assintotico delle radici reali d'equazione. 



)( 191 )( 

tendente a p , per ritornar poi all'equazione derivata; ecc. In questo modo o bI 
riconoscerà che l'equazione non ha radici tra a e /S oppure^ se ne abbia, si per- 
verrà ad isolare la minore p tra un numero minore a'p ed uno maggiore a'^^, ; e 
vi si perverrà anche sempre relativamente presto per mezzo d'equazioni lineari 
cioè col metodo di Newton perfezionato perchè il valore assoluto di f{x)\fix)^ 
mentre tende a zero coli' avvicinarsi di x ad una radice semplice o multipla del- 
l' equazione primitiva f(ac)-0, cresce indefinitamente coir avvicinarsi di x ad 
una radice dell'equazione derivata, che non sia radice della primitiva. Talvolta, 
per aver più rapida approssimazione, come rifiulterebbe dall'ultima osservazione 
della nota citata, invece che ad equazioni lineari si potrà ricorrere ad equazioni 
quadratiche o di maggior grado. 

Se a'^, < /^, si passa ad isolare la minor radice superante a'^^, , ecc. Si 
potrebbe isolare le radici procedendo in ordine inverso , dalla maggiore alla 
minore ; e si potrebbe anche procedere , alternatamente , per via ascendente e 
per via discendente. 

Si può procedere alla separazione delle radici reali anche senza preoccu- 
parsi della possibile presenza di radici multiple. Si potrà isolare una qualsiasi 
radice^ semplice o multipla, spingendo il calcolo di due successioni convergenti 
verso essa tanto da rinserrarla tra un numero minore a ed uno maggiore h tali 
che ò — a sia minore d' ogni differenza tra radici reali dell' equazione proposta^ 
al qaal fine è della massima importanza una mia generalizzazione d' un criterio 
di C a u e h y ('; 

Converrà, per lo meno, riservare il calcolo di separazione complessiva delle 
radici d'ugual grado di moltiplicità a quando siasi in qualche modo accertata, 
presunta, la presenza di radici multiple, il qual calcolo sarà allora conveniente. 
À conferma di quanto ora dissi ritengo opportuno d'aggiungere le considerazioni 
seguenti. 

È noto che una radice d'equazione algebrica, se è unica del proprio grado 
di molteplicità, è necessariamente razionale nei coefiìcienti dell' equazione. Per 
ciò, dopo d'aver calcolate le radici razionali , se il grado non è molto elevato, 
e questo è quanto succede in pratica, si può facilmente riconoscere se 1' equa- 
zione abbia radici multiple. Da quanto fu richiamato segue infatti subito che : 
Se un' equazione algebrica non ha radici razionali nei coefficienti ed il suo grado 
è minore di sei e non è quattro, le sue radici son tutte semplici ; se un' equa- 
zione algebrica del quarto grado non ha radici razionali nei coefficienti ed il 
suo primo membro non è un quadrato, le sue radici son tutte semplici; una del 
sesto grado, che non abbia radici razionali nei coefficienti, non può aver radici 
multiple se il suo primo membro non è né un cubo né un quadrato né il pro- 
dotto d' un polinomio del 2® grado per un quadrato; una del 7°, che non abbia 
radici razionali nei coefficienti, non può aver radici multiple, se non é prodotto 
d'un polinomio del 3o grado per un quadrato, ecc.. 



(*) F. Giudice: Esistenza , calcolo, e diff. di radici d' equaz. num.: Rend. 
Clic. Mat., Palermo 1902. 



)( 192 )( 



GIUBILEO ACCADEMICO 



DEL 



Professore LEONIDA BASCHI 



I! dì 8 Febbraio del corrente anno 1903 è stato celebrato solennemente nel 
r Università di Parma il giubileo del prof. Leonida Raschi Ordinario di Alge- 
bra complementare, per il compimento del suo cinquantesimo anno d' insegna 
mento. 



Statata relatifii a la fondation da Priz Bolyai 
par rAoadémie Hongroise des Soienoes. 

1. A Toccasion du centième anniversaire de la naissance de Jean Bolya^ 
TAcadémie Hongroise de Sciences, voulant perpétuer le souvenir de cet illustre 
savant, amsi que celui du profond penseur que fut Farkas Bolyai, son pére et 
son maitre, décide de fonder un prix, qui porterà le nom de Prix Bolyai. Ce 
prix, qui consisterà en une médaille commémorative — dont Tavers représentera 
l'Académie avec le Panorama de Budapest, et le revers porterà une legende — 
et en une somme de dix mille couronnes, sera dècerne pour la première fois en 
1905, puis de 5 en 5 ans, à Tauteur du meillcur ouvrage de mathématiques (pri- 
ses dans lo sens le plus general) paru au cours des 5 années précédentes. Le 
prix pourra otre dècerne à tout ouvrage, qui en sera jugé digne, quelle que soit 
la langue dans laquelle il aura été redigo , et quelle que soit la forme sous la- 
quelle il aura été publié. La nomination du Lauréat aura lieu au cours de TAs- 
semblèe generale de l'Académie au moìs de Décembre. 

2. Dans le cas où Touvrage d'un auteur decèdè sei'ait reconnu digne du prix, 
celui-ci sera attribué à ses héritiers. 

3. La troisìème Section de 1' Acadèmie (Section des Sciences) est chargée 
de constituer^ dans sa sèance du mois de Mars , un cernite compose de deux 
membres ìnternes et de deux membres ètrangers, qui aura pour mlssion de juger 
de la valeur des ouvragcs. Le comité se réunira À Budapest dans la première 
quinzaine d'Octobre, et nommera dans son sein un Président et un Rapporteur. 
En cas de partage la voix du Président est prépondérante. Le Rapporteur est 
chargó de prèsenter un rapport détaillè relatif à la dècision prise par le Comité. 
Ce rapport sera lu à V Assemblée Generale de V Acadèmie des Sciences, le jour 
où le prix sera dècerne. 

4. Les ouvrages des auteurs faisant partie du comité sont exclus du con- 
cours, et ils ne seront pas mentionnés dans le rapport du comité. 

5. Les membres étrangers désignés pour faire partie du comité et qui pre- 
nant part aux délibération , sèjourneront quelques jours à Budapest , recevront 
une indemnitè de 1000 couronnes. Le honoraires, accordós au Rapporteur pour 
ses travaux ont été fixés à 300 couronnes. 

6. Le rapport sera publié dans le journal « Akadèmiai Értesitò ». L' Acadè- 
mie Hongroise des Sciences publiera ce rapport à l'Étranger, et en donnera con- 
naissance à toutes les Académies Associées. 

(Votès le 27 janvier 1902; enregistrés le 26 janvier 1903). 

Le Secrétaire general 
C. SziLT. 



I 

I K 193 )( 



CALCOLO DELLA r*"" SPINTA FRA DDE FORME BINARIE 



NOTA 



DEL 



Dottor IGNAZIO DE LUCA. 



Date due forme binarie : 

9(x) = 6.X,» + ( J^ft.x.'-io:, + (|)6,x,«-*a:,*+ . . . + 6,»:,», 
degli ordini m e g, se poniamo : 

^a) = («,«, + a,x,r = ««," 

?(l) = (p,x, +P,x,)» = P»«. 
r espressione simbolica : 

che rappresenta un covariante simultaneo delle due forme fondamentali ^ e <p , 
chiamasi K"*^ spinta (') della forma f sulla forma 9. 

Possiamo avere Tespressione effettiva della spinta facendo lo sviluppo della 
parentesi : 

e delle potenze a^***"* , P»^""*, eseguendo il prodotto e sostituendo poi i coeffi- 
cienti effettivi delle forme date. 



{}) Dal tedesco " Ueberschiebung „ — (Cfr, Clbbsch : Tkeorie der hinàren alge- 
braischen Formeiu Leipzig, 1872). 

VCL. ZLI. 25 



)( 194 )( 
Per esempio, la 4» spinta di : 



sopra 



9 

f(x) = a^fic^ + 9a,x,®X2 4- . . . + «»ajj® = a • 



9(aj) = òoi^i' + 76, x,«a;, + . . . + 6,a;,' = P«' , 



è espressa simbolicamente da : 



cioè : 



{} , 9)'^= (tt«Pi - ai?i)*(a|aJ, + a,«,)»(Ptaj| + Mt)'- 



Volendo questa spinta espressa con i coeflacienti effettivi delle forme, por- 
remo, dopo avere sviluppato : 

L' espressione effettiva della K"*^ spinta di f{x) sopra ^{x) si può anche 
ottenere, con un procedimento piti lungo e mercè derivazioni, applicando la for- 
mola : {}) 



q \(*) 



m 



\m\q / ,** « \t*> 



_ £7 a*? /A;\ dy d\ /k\ dy 3*? 



aV a*9 

Esporremo brevemente la via da noi seguita per stabilire delle formolo 
mercè le quali si lia V espressione effettiva della K"** spinta fra due forme bi- 
narie, affatto generali, con sviluppi molto semplici di £. 

Con queste formolo si opera più speditamente e simmetricamente mentre si 
evitano i calcoli lunghi e difficili del processo ordinarlo e V introduzione dei 
simboli. 

Esse ci permettono inoltre di calcolare separatamente il coefficiente d' un 



(*) Cfr. Clebsch 1. e. oppure : Capelli : Lezioni sulla teoria delle forme alge- 
briche. Napoli, 1902, pag. 281. 



)( 195 ){ 

termine qualunque della spinta, o anche soltanto il coefficiente numerico d'una 
certa combinazione ajbj (di coeflf. delle forme date) che fa parte d'un coefficiente 
della spinta stessa. 

§1. 

1. Sappiamo, per un noto teorema di Sylvester, che una forma binaria / , 
d'ordine w = 2n -- 1 : 

f{x) = aoa?r + (l')a.«i'"""'a'« + . . . 4 a^a,'" , (1) 

si può trasformare in una somma di n potenze^ di grado m, di forme binarie li- 
neari : 

I 

Questa riduzione non può farsi che in un modo soltanto, e tra i coefficienti 
della forma data ed i coefficienti della trasformata esistono le relazioni : 

P% +1^2 + • • • +Pn =«0 

J>l«l +Pl<^t + . . . +Pnf^n =«l 

Piai* +i>t«2*+ • • • +l?n«n*=«t . 

(3) 



Pi^r-^Pl^t"^-^ • • . +!'«««"*= «m 



Se la forma f è d'ordine 972 = 2n — 2, possiamo in infiniti modi trasfonnarla 
nella somma di n potenze, del grado 211— 2, di forme binarie lineari, perchè si 
hanno 2n — 1 relazioni fra 2n indeterminate. 

S'ottiene però un solo sistema di valori dei coefficienti della trasformata se 
si fissa un certo valore per uno dei coefficienti p dei coefficienti a. 

Dunque la (2) vale anche per w = 2/i — 2 e le relazioni (3) sono evidente- 
mente le stesse. 

Noi adopereremo la forma canonica di Sylveater (2) per m = 2u - 1 e per 
m^2n — 2y non avendo bisogno di determinare i valori delle p e delle a, ma 
dovendo solo servirci delle relazioni (3), che^ come abbiamo detto, sussistono in 
entrambi ì casi. 

2. Biducendo le due forme date : 






)( 196 )( 

alla forma canonica di Sylvester, otteniamo (per m=2n— 1 , m=2n-2 , q=2l—l , 
3 = 2^ - 2) : 



m 



f{x) = jp,(a!, + aia,)" 4 p,(aj, + «tX,)" + . . . + i>„(a!, + «„a:,) 

<f{x) = r,(x, + p,x,)' + »-»(«i + PtaJ.)' + . . • + ri(xt + ?,«,)». 

Per calcolare la K*"" spinta di f sopra 9, applichiamo a queste ultime formo 
trasformate, la nota formola che dà l'espressione operativa della spinta volata: 



I^Li 


r,(Ax) , 


, <f{x)J = 


" Sa:,* a»,* 


c: 


V éV a*(p 


4 


\m — k \q- 


t 




.(^V 


B*f 


d\ 




3V a»<p 





più brevemente: 



\m[l /,/"x /«A'*' ^, ,«/ifc\ ^"f **? 



5t-.(«'' • ^'') 'i'--''(? k;;wA, 



Intanto si ha: 






onde : 



dx 






e sostituendo: 



g.^u) P^ .,.Ì-^'« 



P"0 J°ì <-i 



Eseguendo il prodotto: 



X 197 )( 
si ha: 



. . . taf fj -^t 7 

quindi 

j>.r,«fPp/-P(a?,+a^a-,)"'-»(a;,+f^,)«-» = p,a,P.«v?,»-Pa;,'»-^»-«» + 



+ 



■♦•1 



+ 



(^ 2 *')^*«»^ • rj^/^^^jx^'-'-'^'-'a^,^ 



+ 



+PiOii^^^^ . r^p/-Pa?2«+2-«*. 



E ricordando che: 



» n 






Ì-{ l—'« 



}j Hp<''A''fl/*~^(a5.+a.-a;i)'"-*(«i ^■?iaJt)'-* = 



j«^ «— * 






+o«+p-»6,-P««'""'-**. 



)( 19» )( 
E sostituendo nella (1) e riduccndo: 



^1 



('.*)».'-[C'i')-(?)('r')]«A.[-({)C'r')H9('T*)]».'.-. 



+ 






Notiamo pertanto che il coefficiente di a7,*''''"**"*a?j* è costituito da un'espres- 
sione di ^ + i + 1 termini; ciascuno dei quali contiene il prodotto: 

in cui: 

-f T = A: J- i. 



Avremo quindi le combinazioni: 

delle quali mancheranno quelle che hanno T indice delle a maggiore di m, o 
r indice delle b maggiore di q. Possiamo quindi scrivere i'(t + 1)**^ termine della 
spinta nel seguente modo: 



essendo: 



A„=E(-')'-'"G-?+,)(?r,')(';'')i 

0»0 



)( 199 )( 
s'ottiene cioè: 



f-0 



in cm 



leso 






§11. 

9 

Applicando le formolo ottenute (À) , (B) , (C), calcoliamo la 4» spinta di f{x) 
sopra ^(x), di cai ci siamo occupati al principio della presente Nota. Si ha: 

e calcolando separatamente i coefficienti di ciascun termine: 
C« = Ao^^a^ò^ H- Ao,|a,63 + Ao^^ajòg + A^ ,aj6, + Ao^ia^ò© 



^8 = Ag 5056, + Ag e«e^s + Ag ,0,65 + Ag^gag64 + Ag gagòj. 

Se vogliamo il coefficiente del prodotto afij(i- , 1 , 2 . . . 9; ^* = , 1 , 2 , . . • , 7) 
ci serviamo della (C). Per esempio: il coefficiente A3 , di a,6g (in Cj) è: 



(?)(?)-«)©="• 



§111. 

Ponendo k^q nella (A) del § I, otterremo Tespressione della spinta waMi- 

ma di / BU 9. 

In tal caso è: 



..>=(-')'-' (x DC" 7 'j. 



)( 200 )( 



danque: 



fMm-^ 









§iv. 



Sapponiamo eguali gli ordini delle forme date, siano cioè: 



/ = Oox," + r^j a,»,*»-'», + + ajm 



m 
t 



? = fto^r + (7) ^i^i^'*^ + + ^«^t"*- 



Per m = 9 , la (C) del § I diventa: 



omo 

nello svilappo della quale i termini estremi ed i termini equidistanti dagli estre- 
mi hanno rispettivamente come fattori comuni: 

(w — fc\ /m — k\ (m - k\ (ra — k\ (m - A: \ 
i )' W-iA 1 /' U-2A 2 ;»•••• 

Quindi per t = 2c2 + 1 ; essendo 2cf + 2 il numero dei termini di À^^^ y se met- 
tiamo in vista 1 fattori comuni, riduciamo Y espressione di A^ ^^ a d + 1 termini; 
per t = 2 d invece , avremo anche d + 1 termini V ultimo dei quali; però, non si 
riduce. 

Per conseguenza 

<"0 



dove 



(0 



X-k4>t 



i-o ; 



)( 201 )( 
come nel caso generalo, e: 



• -1 



A.x= 2 [(-i)^-'^"(x-?.o)^(-i^'(x-c)]fc')(";')^«--<^"i'-- 



O— 



H- 



^^ , , (2) 

^u' 1 [<-')'-'"(w\,)+(-')'-Gy](?.t)(";')- 



''V-Ùi I ) 



+ (— 1) 2l t II i I jper t pari. 



§ V. 

Per calcolare Tespresesione della k^ spinta della forma /"(x) sopra sé stessa, 
notiamo che nello sviluppo di: 









i termini estremi ed i termini equidistanti degli estremi hanno rispettivamente i 
fattori comuni: 



1 risultati sono: 



0',/)^*^= 2 e, a?,»(»*-'^)- V 



i— 



m cui; 



xJìtl 



e* = 2 Z A,xa,a,^«, per i dfapan' 



x^o 



xJìì^l 



C, = 2 21, -A.<A^X«ik+(-x+ A», *+£«%+£ P®r i pari. 

Le A^ X sono le (2) del § precedente. 

VCL. xLi. ae 



)( 202 )( 



m 



Per avere 1' espressione dell' Hessiano d' una forma f{pD) basta porre 
Ac=2 nelle ultime formolo ottenute^ giacché sappiamo che la seconda spinta 
d' una forma sopra eè stessa ci dà T H e s s i a u o delia forma, a meno d' una 
costante. 

S' ha quindi : 

H = (z' , fY = 2] Cia?/('»"«)-*fl7,', ecc. 



Napoli; giugno 1903. 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI 

Complementi di Matematica ad liso dei Chimici e dei Naturalisti di Giulio 
Vivant! prof. ord. nella R. Università di Messina. N.o X + 381 pagine. (Milano, 
Manuale Hoepli, 1903), 

Il libro è diviso in sei parti. Parte I Algebra, II Geometria analitica. III Cal- 
colo infinitesimale, IV Calcolo delle probabilità, V Meccanica, VI Termodina- 
mica e meccanica chimica. 

Eaercizii di Calcolo Infinitesimale del Dott. Luciano Orlando, pag. 118 
(Messina, libreria editrice, Ant. Trlmarchi). 



)( 203 )( 



UN TEOREMA SUI GRUPPI ABELlAiNI 



PEK 



VINCENZO D'ESCAMARD 



1. Sarebbe utile studiare quello sostituzioni che si hanno, moltiplicando fra 
loro le sostituzioni di un gruppo dato , permutate in tutti i modi possibili. Io 
esaminerò il caso che di tali sostituzioni prodotto non ve ne sia che una, vale 
a dire il caso che il gruppo dal quale si prendono le mosse sia abeliano. 

E prima supponendo che, ancora più in particolare, si abbia un gruppo ci- 
clico la cui base S abbia il periodo />, scrivendo il gruppo G ^ S , S* , S' , . . . , S** 
il prodotto sarà 






2 = 



P4.1 

(S^yT = 1 . . . . p dispari 

(8''-*)i- = (S'^)f.Si = sf^pari 

dunque: « il prodotto delle sostituzioni di un gruppo ciclico è Tidentità o la so- 
stituzione base elevata alla metà del periodo , secondo che questo è dispari 
pari ». 

2. Dato un gruppo abeliano qualunque G, sia a^ a^ * • * e g^ una sua base e 
P% Pt * ' •Pi ^ rispettivi perìodi. E noto che le sostituzioni dei gruppo son tutte 
della fornaa: 

(1) 0. P*o/s . , . , o/< (Pa = 1 , 2 , 3 , • . . , 17 J 

e che inoltre le (1) son tutte distinte. Nel prodotto P delle sostituzioni di G la 
e, comparire come segue: 

(2) qP^^'^'Pì~ 2 

e in modo analogo comparirà ogni a;^: ci fermeremo a e,. 
Se p^ è dispari, la sostituzione (2) si potrà scrivere: 

(o,i^iP,...jPt)-T- = l 



)( 204 )( 
e se Pi è pari: 

{o^^Pi-^-^jPi-'Pi)!: = (o/i^«--'^t)"ro, i 



= 



I 



Ora è chiaro che se^ oltre G^ , anche Cj (p. es.) ha il periodo p^ pari, la po- 
tenza di G| nltimamente scritta è V identità, non altrimenti che l'analoga potenza 
di Oj ; se invece solo p^ è pari (come avviene in particolare se G è il grappo 
ciclico di base g,) quella potenza di o, non è l'identità ma rappresenta il pro- 
dotto P di tutte le sostituzioni del gruppo. 

Dunque: « se si ha un gruppo abeliano G se ne consideri una base o,a, . . . c^ 
dai periodi PiPi > - ' Pi' ^^ ^^^^ numeri p son tutti dispari o più di uno è pari, 
il prodotto P è l'identità, se uno solo dei numeri p(pi ad es.) è pari, il prodotto 
P è dato dalla potenza di o, il cui esponente è il semiprodotto di p^p^ , . . ;>, ». 
Questo teorema mostra che la potenza in questione è un invariante di G, cioè: 
se G ha la base C| a^ . . . o^ coi periodi p^p^ • * - Pij ove solo p, è pari-, se pren- 
diamo un' altra base i, Tj . . . Xj coi periodi qi y^ • • • 9j ^^* ^^'^ <? (P» ^s. ^,) 
sarà pari e si avrà: 

PiP%'*'Pi 9i9i"'9j 

0| 2 = "j 2 = . . . = P. 

3. Esempii — Il teorema che riguarda il 9aso dei gruppi ciclici non merita 
per la sua semplicità, di essere illustrato da esempii: del resto di gruppi ciclici 
se ne possono avere quanti se ne vogliono e su ciascuno di essi si può verifi- 
care il teorema. Volendo esempii di gruppi abeliani, che non siano ciclici, pos- 
siamo ricordare che di tali gruppi, quando si opera su non più di cinque ogget- 
ti, ve n'ha due tipi e due soli: 

G = l (x^iXx^x^) (a?oa?,)(a5,a?3) (aJoa?,)(a;,Xj) = (1 , T, T' , T") 

r = 1 (a;oa;,)(a:,aj,) (x^o?,) (x^oc^) = (1 , T, T, , T,) 

e possiamo prendere per base di G T, T' , per base di PTTj. La P deve esser 
dunque in entrambi i casi l' identità, come si può verificare direttamente. 
Si consideri il gruppo 

G = (S,T) , essendoS = ÌXqX^Xì){XsX^x^) e T = (j0OqXì)XìXi)(XiXì)\ 

Q è abeliano e possiamo prenderne per base S,T. Il prodotto P è T come si ve- 
rifica e come deve essere 

Come ultimo esempio si prenda il gruppo abeliano G^(U,V) essendo 
U = {x^^^x;)ix^^XJlX^){x^x^x^^o) , V = (a?o®iaCi)(^8^7)(354^8)(ac53c»)(x«a:-|o). H gruppo 
G è di ordine 24 e per esso il prodotto P è l'identità. Abbiamo preso per base, 
p. es. U,V, come era lecito. 



)( 206 )( 



SOPRA UNA EQUAZIONE DEL DECIMO GRADO D[ JACOB! 



NOTA 



DEL 



Dott. GIACOMO CANDIDO 



Poniamo 

+ {-l) 1.2.. .r "^ «+•••' 

dove ì termini del secondo membro cessano quando Tesponente della x diviene 
negativo. Sapponiamo che siano note due quantità X e ;/. tali die si verifichi 
V identità 

W^(a? , q) - IqW^ix , q) = W^{X , i* ?) . . . (1) 

L' equazione 

è risolata dalla formola (*) 



n 



Ciò premesso, consideriamo l'equazione 

y*» - Xat/»»"» - Xa» 'i/» + g» = i>y» . . . (2) 

che mettiamo sotto la forma 



e che^ ponendo 



(3) 



y + ^ =a 



y 

diviene 



^n^OC ,q)--lqW^,^{x y q) =p 



(*) V. a pag. 103 del voi. XXXIX di questo giornale. 



)( 206 )( 
ossìa 



W„(x,[xg) =;)•.. (4) 



La (4) la diciamo la risolvente della (3). 
Per la posizione fatta si ha 



2y = a;± \/a5* — 4g 
e la (3) è risoluta da 



1 
y -- ó 



fi n 



.j ph V/>--4ijlV J p- v y-4pLV 




2n 



^/^--■ÌJ^+^ P-^^^*-^'^"g" +2i.g-4g 



Applicazione. Consideriamo T equazione del. decimo grado di Jacob i (') 

y*^ ' 6qi/- òq^y- + q^ =/>!/'. 
La sua risolvente è 

x^ — 10 qx^ + 20q^x = ;? 
e poiché in questo caso X = 5e|jL=:2siha 



^ ^ 1 r/ /^4- vy-i28g^ y ^ / p ^ v^2 --i28g y 



=fc 



1 Z/' ;^ >- \y - 12H</S Y / p , ^y , 128y^ Yl 



che è la risoluzione dì Jacobì. 

Osservazione — Per costruire equazioni analoghe a quelle di Jacobì si può 
adoperare il metodo d'identificazione dei coefficienti nella (l) e si ricavano i va- 
lori di X e 1* che soddisfanno al caso. 

Esempli — L' equazione di 6^ grado analoga a quella di Jacobì è 

2/« - Sqy* - 3i/*5« + 2' = ptf 
che ha per risolvente 

ce' — Bxq =p, 
L' equazione di grado S^ è 

che ha per risolvente 

a?«- Ì2x^q'h ISq^-p. 

(') V. Nouv. Ann. de Math. année 1864 pg. 120 e 121. 



)( 207 )( 



SUI SISTEMI LINEARI D'EQUAZIONI ALGEBIUCHE 



NOTA 



DI 



F. GIUDICE 



Parendomi alquanto geniale, e conforme a superiori teorie , il metodo se- 
^aito dal Prof. Ricci {*) nella trattazione dei sistemi di equazioni algebriche 
«li primo grado, ritengo conveniente fermarvi sopra Tattenzione. Attenendosi ad 
esso 8i può giungere, con facilità ai seguenti risultati. 

Se 

è una particolare soluzione del sistema non omogeneo 

a„ae, + a^^x^ -f + ci,^^,^x,n^^ = a, (« = 1 , 2 , . . . , m) , 

latte le soluzioni di questo sistema son date da 

Xn = 03^*^ + 2/fc (fc = 1 , 2 , . • . , w -f w) , 
dove per y, , t/i > • • • >2/m+/» debbonsì porre le soluzioni del sistema omogeneo 

«Il 2/i + «rt Vi + • • • + ««m+n t/m+n = (« = 1 , 2 , . . . , Wl). 

Se è diverso da zero almeno uno dei determinanti d'ordine m contenuti nella 
matrice delle prime m orizzontali del determinante 



Wji U^x . . . ^im+n 



^ml ^ml • • • ^^ 



mm+n 



^11 ^11 • • • ^m+nì 



^1» ^in • • • "^m+nn 



{) Gregorio Ricci; Lezioni di Algebra Complementare, pag. 84-110; fra- 
teUi Dr^cker, Padova 1900. 



)( 208 )( 

e la matrice delle ultime n orizzontali è formata da un sistema fondamentale di 
soluzioni del sistema d' equazioni lineari omogenee^ che ha per matrice dei coef- 
ficienti quella delle prime m; allora, viceversa, le prime m orizzontali daranno 
un sistema fondamentale di soluzioni di quel sistema omogeneo, che ha la ma- 
trice delle ultime n orizzotali per matrice dei coefficienti. E due determinanti 
minori complementari appartenenti alle due matrici cioè uno d' ordine m preso 
nelle prime m orizzontali, o d'ordine n preso nelle n ultime, ed il suo comple- 
mentare, nel determinante d' ordine m •(- n , sono od entrambi zero od entrambi 
diversi da zero. 

Affinchè l'equazione 

t^, Vi + . . . + u^^^ v^^^ = 

sia soddisfatta dagli n sistemi di valori dati dalle ultime n orizzontali è neces- 
sario e sufficiente eh' essa sia una combinazione lineare delle m, che hanno per 
matrice dei coefficienti quella delle prime m orizzantali, cioè che si possan (is- 
sare C| , Cj , . . . , c^ in modo d'avere che 

Uy = e, w,^ + Ct W2r + • • • + Cf» ^«r (»• = 1 , 2 , . . . , m + n). 

Ed affinchè il sistema di valori V| , v, , . . . , v^^^ sia una soluzione del si- 
stema lineare omogeneo avente per matrice quella delle prime m orizzotali è ne- 
cessario e sufficienie eh' esso sia una combinazione lineare delle ultime n oriz- 
zontali, cioè che si possan fissare /:, , Ac^ , . . . , A:„ in modo d'avere che 

t?,. = A:, v,.i + A:, v,^ -f . . . + Ac^ i;^„ (r = 1 , 2 , . . . , m 4- n). 



)( 209 )( 



SULLA RELAZIONE DI DIPENDENZA FRA LORO 

DELLE FUNZIONI DELLE STESSE VARIABILI 
LA CUI MATRICE JACOBIANA HA UNA DETERMINATA CARATTERISTICA 



NOTA 

DI 

F. 8 T A S L 



Nella teorìa delle funzioni, la proposizione che stabilisce la indipendenza di 
certe funzioni di un determinato sistema, delle medesime variabili; e la dipen- 
denza delle rimanenti da queste, in relazione colla caratteristica della matrice 
jacobìana di tutte le funzioni, non mi pare che abbia ricevuto il suo completo 
sviluppo, collo stabilire la relazione effettiva esistente fra ciascuna delle funzioni 
dipendenti e quelle indipendenti, se non per semplici casi particolari. 

Mi propongo perciò in questa nota di ricercare in generale in quali casi una 
tale relazione è lineare, e di farne l'applicazione a qualche caso notevole. 

1. Premettiamo alcuni teoremi. 
Sia 



P 



(<) ^. (<; 



=2]®<^i^' • • • ^n^"" 



una funzione razionale intera ed omogenea, d' ordine p nelle x, e siano /\ , 
h } ' • * 1 fm funzioni pure razionali intere ed omogenee delle medesime variabili 
degli ordini rispettivi Pi ,i?2 ^ • • • , Pm tali che i divisori comuni deip^ siano di- 
visori di p. Allora Y equazione Indeterminata 



P=^Pi^i (1) 



nelle a, si può risolvere, com'è noto, in numeri interi e positivi. Siano 



«1^*^ ,...,« 



(1) 



VOL. XLI 27 



)( 210 )( 
alcuni dì questi sistemi di soluzioni; e consideriamo i prodotti 



V. — f l f *m 



Se: 



fi =2j ^i^i 



fi^H) 



• • • vGa 



/9,<" 



so&tituendo alle f la loro espressione ed effettuando i prodotti Fj , indichiamo con 

Pi<^> , . . . , Pn^^'J 

i coefficienti dei varii termini distinti di P,-, che sono evidentemente somme di 
prodotti di coefficienti a^ ed in numero di (-^ "^ ^ "" ì = N, alcuni dei quali pos- 
sono essere anche nulli; e consideriamo la matrice 



A = 



Pi^^) . . . Pn 



(1) 



P^C) . . . Pn^*^ 



dei coefficienti P delle F^ , disposti in guisa che gli elementi di una stessa co- 
lonna sono i rispettivi coefficienti delle F,- relativi ad uno stesso prodotto di se. 
Se /i è la caratteristica di i, possiamo supporre, senza nuocere alla generalità 
della quistionC; che 



A' = 



Pi<^ . . . P^t^) 



P/'^) . . . P;,^'^) 



sia uno dei determinanti d'ordine h non nullo. Allora se i determinanti 



P/i^ • . . F^^'> P/«) 



Or = 



Pl^*^ . . . P;,^'^) P, 



e^) 



o^ . • . B 



A ^r 



che si ottengono dal precedente aggiungendo la linea dei coefficienti B della 
funzione F^ ordinata come le Fj , ed un' altra colonna della matrice A colla B 



)( 211 )( 

corrispor.dente, sono tutti nulli, la funzione F può esprìmersi in funzione delle /". 
Potremo allora difatto esprimere i valori delle prime h incognite A, ^ ... , A^ del 
sistema di equazioni lineari 

Bi = AiPi<i) + . . . + A^i^'J 



Bn=A,Pn^^^+... + A,Pn(*^ 



quando si siano stabiliti arbitrariamente i valori delle altre s^h. Avremo perciò 






Adunque una funzione omogenea F d'ordine p nelle x potrà esprimersi in 
funzione intera di altre funzioni fi , f^ , • * < y fm^ omogenee e degli ordini rispet- 
tivi Pii P2 t ' ' ' > Pm Ideile X, allorquando i divisori comuni alle p^ sono anche 
divisori di p, ed allorquando determinata la caratteristica h delia matrice dei 
coefficienti delle Fjy i determinanti 0^ sono tutti nulli. 

2. Esaminiamo vari casi particolari. 

1.0 Sapponiamo che i gradi delle funzioni f siano tali che 

dimodoché la (2) diventi 



«1 + • • • + «m = 



k 



si avrà che: una funzione omogenea F d'ordine p nelle x potrà esprimersi in 
funzione di altre funzioni fi , » > • ìfn^ omogenee e dello stesso ordine , so il 
grado k delle f è un divisore del grado j> di F, e se, determinata la caratteri- 
stica della matrice dei coefficienti delle F^-, 1 determinanti 0^ sono tutti nulli. In 
questo caso, se le f le riguardiamo come nuove variabili, risulta che la F si 

trasforma in una funzione di grado ^ in esse. 

2.^ Supponiamo ancora che p^k. ludi, (1) ammetterà i sistemi di soluzioni 

ot^ = 1 , otj = • • . = ot|ii E 



«! = ••• = ^m-l - , O^ = 1 



)( 212 )( 

la condizione che k sia divisore di p essendo verificata e riducendosi la matrice 
delle P,(*' a 



A = 



ai") . . . a«W 



«jC"' . . . «N^"' 



si ha che se A è la caratteristica di A e se i determinanti 0^, nei quali le P 
sono cambiate in a sono tutti nulli, la funzione F sarà esprimibile in funzione 
lineare delle f. Avremo cioè 

F =: 26/.. 

dove le 6,. sono costanti, delle quali m — h sono arbitrarie. 

3.0 Supponiamo infine che /*!,..., Z'»» siano funzioni lineari delle x, sia 
cioè 

p^= , , , ^ Pff^ = 1. 
Allora l'equazione (1) diventa 

«1+ • • • + am=i> 

onde i sistemi di valori delle ol sono ripartizioni in somme di m numeri interi 
e positivi di p. Considerandoli tutti si ricava che una funzione omogenea F di 
ordine p nelle oc, potrà esprimersi per mezzo delle funzioni lineari ^i , . . . , ^^ 
se, determinata la caratteristica della matrice Adei coefficienti delle funzioni Fj , 
ì determinanti 6^ sono tutti nulli. In questo caso la funzione F viene ad essere 
trasformata con sostituzioni lineari in un' altra con m variabili^ onde se m <n 
la trasformata conterrà un numero minore di variabili della funzione data. 
Ponendo 



ì/l " f\ f ' ' • ì ì/m — fm 



se m -. w e se è diverso da zero il modulo della sostituzione, sappiamo che la 
funzione F si può trasformare in una funzione omogenea delle y. 

Intanto la matrice 1 diventa un determinante di ordine ('*^^~ ), e dovrà 

essere evidentemente A_|z:0, essendo i coefficienti A^ tutti perfettamente detcr- 
minati. Se poi = 0, la trasformazione diventa impossibile e dovrà in conse- 
guenza essere 1 = 0, e qualche 0^=1=0. Adunque 1 è diverso o uguale a zero, 
se è diverso o eguale a zero 0, è quindi un fattore di 1, 



i 



H 213 ){ 



3. Consideriamo ora il determinante 



D = 



fn ' ' * f\ 



m\ 



firn • • • /i 



mm 



delle fanzioni f omogenee nelle medesime variabili, e tali che le funzioni di una 
medesima colonna t"** sono tutte dello stesso ordine p^. 
Se 



fii 






in 



sarà 



D = 



*ii 



V 1.'/*» 11 '•• l'i-!. J./» V !//>• II /y» 



flCi 



(M^'n 



in 



••• .... 



/» (*m'/« '•"l /y *w«4- 4-/7 ''m'/>. 'mi /r »»n 



«1 



<'l). 



11 rrt *lll. 



^ a?i . .x^ f .:.+ai^ «.'1 ...w„ 



^^i^x/'"...a;,^'J^ 






dalla quale espressione si ricava 






a 



11 



(,'i) 



. • . a 



(*«) 



«Il 



o^i) 



«i« ' ' . . • a 



(^«) 



Min 



(x,-""'! . . . x/'-) . . . («1*"' . . . «„'•»") 



ossia 



D=y 



I ?,i+...+6,n,)=2i'.- 



a 



(?i) 



^ in 



11 



fi - lA 



,351 



^^11+'"4-'ml^ /VI frin+*" 

... wi/|. 



•*mw'' 



a 



^P.) 



in 



. . . a 



(O 



mm 



Ne risulta che la funzione D è omogenea e di grado Zp^ , ed i suoi coefla- 
cienti sono somme di determinanti dello stesso ordine m. 

Se le funzioni della colonna fc*"" in D, per fc = 1 , 2 , . . . , m sono omogenee 



X 214 )( 
e di ordine pf^ nelle x, meno la ^j^ , se è cioè 



D = 



(*l)^ «li 



(^i)^ ^n ^ \ 



^11 ^È •••(Df^ 4"«»»"r^ii fl'g •••X|j • 



4- 4./1 ^^^cr ^«« 7! ^«fm-f)/i5 ^«(m+iW ^mn 



Ibi "^'2 •'* H ^ ••• • iwi •^2 ••» «L'u •••• 









posto che 9)1 ^ n, sarà 



"•Z 



a 



(P,) 



11 



... a. 



(««) 



mi 



• •••■•. 



(Pi) 



«m • • • « 



(««) 



mm 



U^'*... x„^'") ... («,'•»• ... a;„.i'-<-»aj^^/"'--')... »„ *-«) 



onde D sarà omogenea in tutte le variabili e dell' ordine Ip^ , però in CCj per 
J = 1 , 2 , . . . , m, la D sarà dell'ordine I,p^ - pj. 

Se le funzioni del determinante D sono tutte dello stesso ordine pj allora D 
sarà omogenea e dell'ordine (m— l)p nelle Xi, per i=l ,2 , , , . , m, e del gra- 
do mp nelle altre. 



4. Siano come innanzi ^1 1 • • . , /m ^ funzioni omogenee e dello smesso or- 
dine p nelle medesime n variabili x, e sia h la caratteristica della matrice ja- 
cobiana 

j _ ^( /l I - - - » f m) 

d{Xi I • • • ) x^) 
Senza nuocere alla generalità della quistione possiamo supporre che 

jf _ ^(A » ' ' ' yfh) 

3(0?, ,...^x„) 

sia uno dei determinanti non nulli d'ordine h della I. Ordinando f^ rispetto alla 
variabile Xj j sia 

fi = U^j^"") X/ + Ufj^^^ xj^^ + . . . + Ui^^"^) Xj + Ui/^^ 



)( 215 )( 

dove u^^*> è evidentemente una fanzione omogenea delle x, meno la Xj^ e di 
ordine a. 
Avremo 



^i- 



dXj 



= ptty'"» 05,**"» + {p- l)My<" »/"» + . . . + «i/""*' 



e quindi 



I (pw,!*"' a:,'^* + . . . + «„<"->■) . . . (pu^^W aj^(p-t. + . . . + «.^(p-ì)) 



r = 



(pw^jC) ir,«^> + . . . + «fti(»^») . . . (pu^^w aj^c-» + . . . + «,^(»^i)) 



ossia 



»i t H » ••• 1 ** = 0, 1, ... , p— 1 



tt 



(»i) 



11 



«ift 



(i») 



« (•«) „ (•») 
«*i • • • «ftk 



a; 



(p-Ì,-l) 



«* 



(P-'A-I) 



Il determinante 



I"= 



u./''> ... « ('*> 



lA 






è costituito di funzioni tali che quelle della colonna k!^ sono tutte dello stesso 
ordine i\ , ed omogenee nelle variabili X, , . . . , x„ tranne la Xn* Per Tosserva- 
zione fatta al teorema del numero precedente^ sarà 






I" = 









dove Sor. -^ =ti , . . . , Sa^^ -^ = i\ e dove a,. * , • . . , ««a '^^^ ^^^^ ^^^^'^ ^^*^ 

coefficienti rispettivamente delle funzioni «,i , . . . , u^f^ ** , ossia non sono altro 
che h coefficienti distinti o no della funzione /,. 



)( 216 )( 



Si ricava quindi 



'=Sc, 



a 



(',) 



11 



^\h 



(*\) 



a 



(i,) 



hi 



, . , a 



hh 



{ih) 



«1/1 • • a tJU 



n 



dove e,- è una costante determinata e Iq^^lpi-^h. 

Ora se tutti i determinanti che entrano sotto la sommatoria della espressione 
di r fossero nulli sarebbe identicamente I'=0, contrariamente a quanto abbiamo 
supposto. Ne risulta che se la caratteristica di I è ft, la matrice dei coefficienti 



A = 



^11 • • • ^iN 



a^i . . . a^N 



avrà almeno un determinante d'ordine h diverso da zero. 
Consideriamo un determinante 



ii = 



9A £A 

dXy dXi 






• • • 



dXi 



d'ordine l > h. Analogamente a quanto abbiamo innanzi visto, esso può prendere 
la forma 



I 



. = Sc. 



a 



(»i) 



11 



. . . a 



^lì 



(ii) 



1/ 



(»/) 



, , , a 



iU) 



II 



Vt/| • • • **^'fl 



dove, al solito C,- è una costante determinata e Ir^ = 2p,- — l. 

Ora se I, è identicamente nullo, sarà identicamente nullo il secondo membro 
della precedente espressione ; ma tenendo presente che il coefficiente di un dato 
prodotto di X è una somma di determinanti d' ordine V^^, può una tale somma 
essere zero, senza essere zero ciascun suo addendo. Il determinante Ij è cosi 
identicamente nullo senza essere i determinanti di A d'ordine Z tutti nulli. Ne ri- 
sulta che se la caratteristica di I è /i, la caratteristica di A è ^ o è superiore 
ad h. E poi chiaro che reciprocamente so la caratteristica di A è k, la caratte- 
ristica di I o ò fc, o ò minore di k. 



)( 217 )( 

Questo risultato messo in relazione con quanto abbiamo precedentemente 
stabilito ci dice che se la caratteristica della matrice jacobiana d'un sistema di 
m funzioni omogenee delle medesime variabili e dello stesso grado è h, la re- 
lazione di dipendenza fra m — ^ di esse e ciascuna delle rimanenti h è lineare, 
allorché la caratteristica della matrice A dei coefficienti di tutte le funzioni è 
pure h. Nel caso che quest'ultima caratteristica sia k, dovendo essere k> h, do- 
vranno, per quanto abbiamo visto, w — A; di esse funzioni potersi esprimere li- 
nearmente nelle rimanenti k. Sarà p. es. : 



A». = 5]«''**"/'" ••"''".= S'»'""'^'- 



Ma per essere la jacobiana I di caratteristica h, delle k funzioni che com- 
patiscono sotto i sommatoria k - h sono dipendenti dalle rimanenti h, ed eviden- 
temente le relative relazioni di dipendenza non possono essere lineari, perchè 
altrimenti A sarebbe di caratteristica k. Tali relazioni devono essere dunque di 
grado superiore. Ne viene di conseguenza che anche le relazioni di dipendenza 
fra /j^^i , . . . ,f^ e \e h funzioni /i , . . . , /\ sono di grado superiore. 

Adunque se la jacobiana I e la matrice A d'un sistema di m funzioni omo- 
genee e dello stesso ordine nelle medesime variabili hanno la medesima carat- 
teristica h, m^h delle funzioni sono funzioni lineari; a coefficienti perfettamente 
determinati delle rimanenti h. 

5. Sarebbe interessante vedere in quali campi di variabili la caratteristica 
di I uguaglia sempre quella di A. Eiserbandomi di fare ciò in altra nota, si os- 
servi per ora che in qualunque campo di variabili, se si hanno più funzioni 
A > • • • > /m j 1^ ^* ^^' matrice jacobiana ha tutti i determinanti del second' or- 
dine nulli, gli eiemenii di una linea di A sono proporzionali a quelli di una linea 
parallela. 

Si avrà p. es., se ffj è la derivata di fi rispetto ad Xj 

fu = ^ih fhl } ' * ' ) fin^ ^ih fhn 

ed evidentemente Ar^;^ è una costante, essendo tutte le prime derivate delle f dello 
stesso ordine. 
Si ha intanto 



Y^^jfa^^ihYA^sfki 



ossia 

Si ricava che le funzioni date a meno d'una costante sono tutte uguali fra 
loro, e quindi la matrice A è pure di caratteristica 1. 

VOL. xu. 38 



)( 218 )( 

Da ciò risalta che nel campo binario le caratteristiche di I e di A sono sem- 
pre ugnali. 

Se le funzioni date sono tutte lineari, la matrice jacobiana coincide colla 
matrice A, e ritroviamo il risultato notissimo che se ^ è la caratteristica della 
matrice dei coefficienti di un sistema di m forme lineari delle medesime varia- 
bili^ m — hiì esse sono funzioni lineari delle rimanenti /i. 

6. Supponiamo ora che A ^ /i ? • • • ? /m siano omogenee degli ordini rispet- 
tivi p^ , p^ y , . , ^ p^ Q Bìdi, h ÌSi. caratteristica della loro matrice jacobiana. Ghia- 



mando S il minimo multiplo comune dei numeri p^ e ponendo />', = — , t = 1 , 

Pi 

2 , . . . , rw, le funzioni /^ * = /"j , • . • , /m ^ ^ fm saranno omogenee e dello 
stesso ordine 5. La caratteristica della jacobiana V delle f è h^ giacché I' si ot- 
tiene da I moltiplicando gli elementi della sua ì"*^ linea per la potenza A^'~ - Se 
ora è anche h la caratteristica della matrice 1' dei coefficienti delle f\ saranno 
h funzioni f indipendenti, e le altre m^h funzioni lineari di queste. Sarà cioè 
per es. : 



fi = ^aijfj per t = ^ + 1 , . . . , m 



ossia 



rr^Y.'^.fp 



dove le a^ sono costanti determinate alla solita maniera. 

Adunque se le m funzioni /i , . . . , fw , omogenee e degli ordini rispettivi 
Pi ) • • • ) Fm i^^lle medesime variabili, hanno la jacobiana di caratteristica A, e se è 

pure h la caratteristica della matrice A' dei coefficienti delle funzioni f^\'>*yfj^^^ 
dove, essendo S i. mìnimo multiplo comune dei gradi p, delle f, . p', = A. per 

t 

m — h funzioni si verifica che la potenza ff **, è una funzione lineare, a coef- 
ficienti perfettamente determinati , delle analoghe potenze delle funzioni ri- 
manenti. 

7. Siano ora le funzioni A i • • • i /m ^^^ omogenee degli ordini massimi ri- 
spettivi i^i I • • • , Pm nelle medesime variabili. Operando nelle f la sostituzione 



si ha 









dove fi è evidentemente omogenea nelle variabili x'o > • • • ; x'^ e dell'ordine p,-. 



)( 219 )( 

Ora se A è la caratteristica della matrice jacobìana I delle f , m -h delle 
f sono funzioni delle altre* ed evidentemente altrettanto deve verificarsi delle /*', 
potendosi ogni relaziono nelle f tradurre in un' altra fra le f. Sarà perciò la 
matrice jacobiana V delle /' anche di caratteristica h. Osservando poi che la 

matrice A' delle Z*^* non differisce dalla matrice A delle ff^, si deduce che se 
A è la caratteristica tanto di I che di i, sarà; per quanto abbiamo innanzi sta- 
bilito p. es. 



/'/'=£«<,/Af=A+i,..-, 



dove p'i = — e S è ora il minimo multiplo comune dei gradi massimi Pi ; • • • jj^^ 
Pi 

rispettivamente delle funzioni fi , * • - ,fm' 
Tenendo presente che 

fi^fi 
quando si pone x'^, - 1 , a;'i = Xj , . . . , x'^ = x^ , si ha che 



rr'' = 2 «0- f/'' 



Adunque se la caratteristica della jacobiana e della matrice A di un sistema 
di m funzioni non omogenee è h, ciascuna delle m — h funzioni dipendenti è tale 
che la sua potenza di grado uguale al quoziente del minimo comune multiplo 
dei gradi massimi di tutte le funzioni, per il suo gradO; si esprime linearmente 
nelle analoghe potenze delle rimanenti h funzioni. 

8. Facciamo ora qualche caso particolare. 

Nel campo binario siano 

due forme dei gradi m ed u rispettivamente. S3 /? è il minimo multiplo comune 
di m ed n e se inoltre 

sarà, come abbiamo innanzi visto , la matrice 1 di f^' e cp'*' di caratteristica 
1, onde 

dove m' — — , n' = - e dove A è una costante che potrà determinarsi parago- 
tn n 



)( 220 )( 



nando i coefficienti di uno stesso prodotto di x noi dae membri. Se f e (f non 
sono omogenee ed ò 



ÌL _ 



dxl 



Txl 



= 



identicamente^ sarà pure 



dove però m ed n sono i gradi massimi dei termini delle funzioni / e q> rispet- 
tivamente. In generale in un campo m***^ qualunque , se si hanno due funzioni 
omogenee o no dei gradi massimi rispettivi m ed n, e tali che tutti i determi- 
nanti di second' ordine della loro matrice jacobiana sono identicamente nulli, 
sarà sempre 

dove m' ed n' lianno il solito significato. 

9. Sia f una forma delle n variabili ^i » • • • , ^n ^^^^' ordine p. Consideriamo 
il suo Hessiano 



H = 



ex. 



dx^dx^ 



d^'f 



d^f 



dX^fiXy^ 



ex' 



n 



che può riguardarsi, com'è noto, come il jacobiano delle n derivate prime delle f. 
Perciò supponendo clie sia h la caratteristica di H e che sia pure h la caratte- 
ristica della matrice A dei coefficienti di tutte le derivate prime di f, se 



ay 



av 



dx,^ ' • 


dx^dXf^ 


ay 

dxj^dx^ 


• ' • '^ < 



:=|-0 



le derivate 



3/- 



dx 



... 



A + l 



' dx. 



soddisfano alle relazioni 



r^h 



OXj, 






+1 



r=i 






= S "".'• 



r»i 



dx. 



)( 221 )( 

dove le ay ,. sono costanti perfettamente determinate. Fra le derivate prime di f 
sussistono dunque n — /i relazioni lineari. Ponendo 



(0 

fl^A+i = - 2/a+i 



05„ — — y„ 
e chiamando F la trasformata di f, si avrà 



La funzione F è dunque costante rispetto ad y^^^^ > • • • > y,* > ond' è che me- 
diante la sostituzione (^) la funzione f, si trasforma in un'altra con sole ^ variabili. 

Adunque se la caratteristica deir H e s s i a n o di una forma f è /i , e se è 
pure h la caratteristica della matrice A dei coefficienti dello sue derivate prime, 
esiste sempre una sostituzione lineare mediante la quale la forma data si tra. 
sforma in un'altra ad m — h variabili di meno. Questa proposizione, In forma 
diversa, è nota per gli studi diHesse(i) e Gordan e Nòclier(*;. 

Ora noi abbiamo visto innanzi che nel campo binario la caratteristica di H 
coincide sempre con quella di \, ond' è che in tale campo di variabili la sosti- 
tuzione esiste sempre che sia soddisfatta Tidentità H^O. Per le quadricho di qual- 
siasi campo THessiano coincidendo sempre con A, la sostituzione che tra- 
sforma la quadrica ennaria in una quadrica del campo ad h variabili , h Kn, 
esiste sempre che sia h la caratteristica di H. 

Anche questi risultati sono noti per gli studi di Gordan e Nòcher ('). 
Ma risulta pure da tali studi che nel campo ternario e quaternario V annullarsi 
identico di H è condizione necessaria e sufficiente per V esistenza della sostitu- 
zione lineare colla quale la forma f si trasforma in un' altra con una variabile 
di meno. Ciò vorrà dire, per i nostri risultati, che anche in questi campi la ca- 
ratteristica di A coincide sempre con quella di H. 



(1) Joum. far Math. XLII p. 117-124, LVI p. 263-269. 
(*) Math. Ann. X p. 547-508. 
O V. Memoria citata. 



){ 222 X 



SULLA RIDUZIONE DELLE QUADRIGHE A FORMA CANONICA 



NOTA 



DEL 



Dott. LUCIANO ORLANDO 



Data la quadrica 



Q=2j^v^<^'^ 



«ij 



tale che le afj siano reali e che il discriminante non sia nullo, si dimostra ab- 
bastanza semplicemente (e non faremo qui la dimostrazione) che se una sosti- 
tuzione ortogonale la riduce alla forma 

^ A, , Aj I . . . ^ A^ sono le n radici reali delV equazione in A : 



*n ^ *ii > • • • J *in 



^21 *2i "~ A , . . • , a 



a 



ni 



a 



nt 



Sn 



} • • ' 1 ^nn^^ 



= 



(D- 



Qui dimostreremo invece che questa sostituzione ortogonale effettivamente 
può determinarsi] non perchè la cosa non sia nota, ma perchè la dimostrazione 
suol essere da alcuni autori omessa e da altri condotta in modo poco rig^oroso. 

Se, dunque, A| è una radice di (1), poniamo : 



a,,», + (a„ - A|)x, + . . . + a,^a?- = 



«n|3P| + «nl^Ji + . . . + (««„ - A,) 0?^ = 



(2), 



I 



){ 223 )( 

e riteniamo che sia A, una radice di (1) multipla d'ordine p. ÉS facile vedere 
cbe la caratteristica della matrice del sistema (2) è n-^p (*). Sia 

nna soluzione del sistema (2). Le k contengono un fattore comune arbitrario, ma 
noi supponiamo d'averne disposto perchè sia 

Ora allo equazioni del sistema (2), delle quali solo n - p sono indipendenti, 
possiamo aggiungere quest' altra : 

ed avremo un nuovo sistema. Sia 



^11 > *^l 7 • • • ? *^ 



In 



una soluzione di questo nuovo sistema, tale che, come prima, si abbia : 

L' equazione, (4) diventa : 

Ora, se è /> sufficientemente grande, possiamo ancora aggiungere al sistema co- 
stituito da (2) e da (4) l'equazione : 

ed avremo un nuovo sistema. Se di questo nuovo sistema è 

ana soluzione, potremo sempre porre : 

^31 "T ACjj !-••• + fcj,^ = 1. (o) 

L' equazione (4) e la (7), appartenenti a questo nuovo sistema, forniscono inoltre: 



(*) V. una mia Nota sul Giornale di Matematiche di Battaglinì, settembre 1902. 



)( 224 )( 

Certamente possiamo continuare fino ad aggiungere a (2) p— 1 equazioni come 
(4) e (7), e avremo p soluzioni le quali tutte verificheranno le condizioni d'or- 
togonalità, analoghe a (3), (5», (8), (6), (9). 
Se Aj è un' altra radice di (1), ed è 

una soluzione d'un sistema analogo a (2), ammesso che sia sempre : 

^ (p+f)l + ^ (p-n)t + • • • + ^ (p+l)n ~ ^ y 

avremo simultaneamente : 

ATi^Ai - (lnkfi + ^2X^12 + • • • + (^n^ìn 

(10), 



e 



^(p^ì)ì^t - ^H^(p*-I)l + ^«^(p+l)» + • • • + <*i»^(p+nn 
^fp+1)t^l ^ ^ll^(p+|)f + ^«^(p^-l)l + • • . + ^tn^{pH)n 
j 



(HJ- 



Moltiplichiamo rispettivamente le equazioni (10) per Ar^^^,), , Ar^p+i)! ? • • • j *^(/i+i)n» 
e rispettivamente le (11) per A:,| , /e,, , . . . , fc,^. Sottraendo, si ottiene : 

(A, - AO(A:h Ajfp^Oi + ^ii^(p+02 + • • • + Knhp^Dn) = ^• 
Ma, non essendo A«=A2y risulta: 

Continuando fino ad esaurire il numero delle radici diverse e il grado di 
multiplicità d' ognuna, troveremo n* grandezze k , le quali verificano le condi- 
zioni d' ortogonalità. Queste potranno comporre la matrice d' una sostituzione 
ortogonale atta a ridurre la data quadrica a forma canonica. 

Messina, luglio 1903. 



)( 225 )( 



SOPBA UN'EQUAZIONE ALGEBRICA 



NOTA 



DI 



UMBERTO SBRANA 



Nella ricerca delle coDdizionì necessarie e sufficienti affinchè una forma qua- 
dratica ennaria: f =^ £ a^, OP^ iv^ sia definita^ quando \qx^,x^j ... , x^ sono legate da 



r^n 



n - m <n relazioni lineari omogenee: / 6,>a5^ = (i = 1,2 , ... , n - m) indipenden- 



ti, ove le b cioè sono tali che la caratteristica della matrice || h^x ^tx ) * * * > ^n-m,x II 
sia eguale ad n^m , si presenta Tequazione in (i>: 



(1) 



a»^--i)ì . a 



'Il 



a 



21 



a 



nt 



II 



&t. 



ì "Il 



7 • • • ) ^in 



J '^ll J ^11 > • • • ) ^»— m,i 



, a^i — W y . . . y a>^ , Oi2 > ^21 j • • • j ^ii~m,t 



I «m 



I ^t 



, h 



ti 



> • • • » ^n» "■ ^^ 1 ^in / ^tn J • • • J ^w-m,n 



• • • / ^in 



,...,& 



Sn 



, ,0 , . . . ,0 
, ,0 , . . . ,0 



^n-wi,i » ^n-m^t 9 • ' ' } ^n-oi,»* » ^ > ^ > • • • > ^ 



= 



la quale è al più di grado m. Tale equazione, come è noto, gode della proprietà 
di avere tutte le radici reali, quando tali sono le a, 6 e quando: a,]^ = aj^,-. La 
dimostrazione che si dà ordinariamente di questo teorema, è fondata sopra un 
metodo indiretto che consiste nel far vedere che la (1) è equivalente ad una 
certa: | a'^^ - iab'i^\ = , ove a',-4 = a'^^^ , e le b\j^ sono i coefficienti di una forma 
quadratica definita positiva, equazione che è appunto a radici reali. 

Una dimostrazione diretta assai semplice del detto teorema si può ottenere 
col seguente procedimento. Sia a + 1? una radice della (1) decomposta nella sua 

VOL. XLI. 29 



)( 226 )( 

parte reale e Dell' immaginaria; sarà allora sempre possibile di soddisfare alle 
2n — m equazioni lineari: 

(2) 
6/1 0?, + 6/, X, + . . . + 6;„ a?n = 0' = 1 > 2 , . . . , n - w) 

con valori non tutti nulli delle incognite: 03, , ar^ > • • • j ^n 9 ^i ) ^2 9 • • • > Vn-w 

Osserviamo di più che non può darsi che il sistema (2) riesca soddisfatto 
per valori tutti nulli delle x e per valori non tutti nulli delle y , poiché infatti 
ove ciò avvenisse , si dovrebbe potere con tali valori delle y soddisfare al 
sistema: 

(X = 1 , 2 , . . . , n) 6^ y, + 6^ + , . . . , 4- b^^^^i y„^ = 

il che è assurdo, avendo supposto che la caratteristica della matrice: ||6|x6,3^...6^.„ ^^H 
sia eguale ad n - m. 

Ciò posto sia: ac, = 5» + i>l, , sTi = 5t + t >:i , . . . , au^ --• 5^ + 1>3„ , !/i = r, + is^ , 
y^ = r, + t«j , . . . , l/^.m = ^n^m + **fl-m ^^* soluzioue del sistema (2); sostituendo 
nelle (2) ed egaagliando nei due membri di ciascuna di esse le parti reali e i 
coefficienti deir immaginario, otterremo le relazioni seguenti: 

[ (3) X = (l,2...n) 

«Xl^l '^«Xl*lt+)--;+«Xn'In+^iX*l+^2X«»+r-)i^.-m,X*n--m~a>3x+?5x ) 

[ (4) 0'=l,2,...,n-7ìi) 

Moltiplicando la prima delle (3) per - tj^ > ^^ seconda per ^^ e sommando 
troviamo: 

«xi[5x^i -5i>lx]+ «x2[5x»3j-52^xHr--^ «x«Kx^n-5n*;xl ^•^x[5x«i-">ix*'i] +■ 

+2'2x]?X«i-?!x^t]+)-; + ^n-m,xf5x«ii-«-"'!x^«-m]=P(5x*+>!x*) a = ,...,n). 

Sommando queste ultime rispetto a X da 1 ad n e osservando che a causa 
delle (4) si ha: 

n 

^M tSl»; - 'ix'Vl =0 (;• = l , 2 , . . . , n - r») , 



)( 227 )( 



troviamo : 



n 



(5) 



ore la sommatoria del 1^ membro va estesa a tutte le combinazioni Xt degli 
indici 1 , 2 , • . • 9 n. Quando si supponga a^ = a^ , la precedente diviene: 



n 



e poiché 2(5x* + Ix*) =1= i^on essendo le 5x + *>?x ^^^^® nulle, si conclude che 
P = ciò che dimostra il teorema. 

Osserviamo come la (5) e la (6) permettano di generalizzare i risultati tro- 
vati da I V a r B e n d i x s o n (*) per V equazione: 



«It- 
ati 


(0 


, a^l , . . . , a,^ 
, 0,2 - w , . . . , aj^ 


«ni 




, a^, , . . . , a^;» — co 



-0; 



basta perciò usare lo stesso procedimento. Supponiamo che non siano soddisfatte 



tutte le relazioni: a^ = a,x e indichi g il massimo dei valori — ^^— — — , allora 
dalla (5) si trae: 

n 



m^(h'^\')<^9^Hx^i-'iinx\ 



a 



anche quadrando: 



IPr [ ^iix* + 1x*)]*< 4fl» [ 2] 1 5x li - 5i 1x l]* 

iX 



(6) 



Ma ora se A;| ^^ , • . . , A;^ indicano ^ quantità reali qualsiansi, si ha manife* 
stamente: 

I A:| + /:, + ,..., + fc^l* < n{k^^ + V + m • • i + V) » 



perciò la (6) può scriversi: 






(7) 



(*) Acta Mathematica. Bd. 25. 



)( 228 j{ 



D'altra parte si ha: 



ti %a 7 ' ' 7 tn 
^1 ^2 > • • • » ^n 






0-2"*)"-(SvXSv).(S«>--Sv)'. 



danqac: 






onde dalla (7) deduciamo subito: 



1^1 



\n(n — 1 



-1) 



risultato stabilito dal Bendixson per l'equazione suddetta. 

Se si moltiplica la prima delie (3) per \^ , la seconda per r^;^ e si somma, 
si trova 

X=l,2,...,« 5x5] «w5,+5iV] ^w^-k+lxA «u'Jj^'ixS *»x«»-«(5i*+V)=0 

•■^1 "^fc ^< •^fc 



da cui sommando rispetto a X da 1 ad a, col tener conto delle (4) si trae: 



s 



X 



e ciò basta , a causa di un teorema di Weierstrass, per affermare che 
se m ; M denotano rispettivamente la più piccola e la più grande delle radici 
deir equazione: 



si ha: 



a„ - « , 



«Il + «»i 



• • • 



a,i + a^t 



a,, - 1 



«In "^ ««« 



«tn + «ni 



; ^M 



> • • • > 



«nt+«in «ni + «In 

ft 1 o > • • • f «nn "" * 



= 



wi < a < M. 



;( 229 )( 

Possiamo concludere insomma che le radici della (1) anche quando non si 
abbia per tutte le coppie di X , p: a^^ = a^^y essendo poi le & reali e tali che la 
caratteristica della matrice: || &^ ^ix • • ^n-m.x 'I ^^^ n — m, soddisfano alle stesse 
relazioni di diseguaglianza delle radici dell'equazione | a,]^ — s^j^Xj = ove è 
e,.^ = per i=|=Ac, e^ = 1 per i = k. Notiamo infine come con processo analogo 
a quello usato si vedrebbe facilmente che le radici dell' equazione: 



a.. — iùc. 



a-, — wci 



Il ~ «'''Il > "Il ~~ ^^i% ì ' • ' ì 



^%n "~ ^**^ln > ^n > • • • J ^«-«i,^ 



«n — wc„ , a,j - eoe,, , . . . , am — w<5|i» i ^it > • • • > ^n-m,i 




^n-m,l ì ^ii-m,1 



• • • ? ^»-w,» > ^ > • • • > ^ 



= 



soddisfano colla loro parte reale e col coefficiente deli' immaginario alle disegua- 
grllanze stesse cui soddisfano le radici dell' altra: | a^fc— («)c,j^ 1=0^ ove le e sono i 
coefficienti di una forma quadratica 1 e,, x^ ar,- definita positiva , disegaaglianze 
dimostrate per quest'ultima equazione dal B e n d i x s o n nel lavoro citato. 



Pisa 31 Maggio 1903. 



)( 230 )( 



IL PROBLEMA DI DIRICHLET 
PER UN PARALLKLEPIPFDO REHANGOLO 

NOTA 

DI 

PIETRO ALIBRANDI 



1. In alcune ricerche d' Idrodinamica pubblicate sugli Annali della Società 
degV ingegneri italiani (1900, fase. IV) mi sono occupato della determinazione 
dei moti d' un liquido contenuto entro un recipiente parallelepipedo rettangolo 
munito di bocche d'efflusso praticate nelle pareti, nelT ipotesi dell' esistenza di un 
potenziale di velocità , ottenendo la soluzione del problema mediante una serie 
triplamente infinita di potenziali d'attrazione. Ora mi lusingo di far cosa grata 
ai lettori proponendomi^ in questa breve Nota^ di ricercare con lo stesso me- 
todo la soluzione di un doppio problema più generale e di non mediocre im- 
portanza in Fisica Matematica^ al quale, in senso lato, si può dare il titolo po- 
sto qui a capo. 

E precisamente mi proporrò di trovare una funzione U finita , continua ed 
uniforme nel campo di un dato parallelepipedo S , entro il quale , detta * una 
funzione data delle coordinate , U soddisfi alV equazione a derivate parziali 
di 2^ ordine A^U = <t , e sulla superficie del quale prendano valori dati: IJ* la 

funzione U; 2.^ la derivata -r— rispetto alla normale n alla superficie di S. 

2. Incominceremo dal secondo problema, cioè quando il dato in superficie 

dU 
sia — = F (ce , j/ , 2) funzione perciò nota al pari di <b. 

Sia per ora s una data superficie qualunque racchiudente uno spazio S. Dal 
teorema di Green sappiamo che , ritenendo come positivo il senso della nor- 
male n a partire dalla superficie verso V interno di 8, si ha Tequazione 



l>^'^s + I.i^'''=o- 



Onde affinchè il problema sia possibile, conviene sia 



f *cJS=- [ Tds 



condizione a cui supporremo che i dati soddisfacciano. 



)( 231 )( 

Ora chiamisi S4^^ il valore costante dei due membri doli' equazione scritta, 
vale a dire sia <l>^ il valore medio di entro S. Cerchiamo anzitutto una fun- 
zione u che dentro S soddisfaccia alla 

X^u = * — <I>^ = 9 (per brevità). 
Possiamo scegliere^ ad esempio, la seguente, che si potrà subito verificare: 

(1) u=U-^(a?* + i/«-h«») = U--^- 

se p è il raggio vettore condotto dall' origine al punto (^ , J/ , z). 
Allora, in superficie^ u dovrà soddisfare alla 

^w x^ ^^ f àx dy dz\ 

— =F Ix — +v— + « — 1 

dn 3 \ dn ^ dn dn) 

equivalente all'altra 

^Jf-F-A pco8(w^p) 
dn" ^ "' 3 



od anche, detto brevemente f il 2° membro: 






Evidentemente si avrà 



f (fdS=j fd8r=:0. 



Ciò premesso, se si applica il menzionato teorema di G r e e n ad u ed alla 

funzione - , essendo r la distanza 
r 

PQ = r= V(x-5)» + (y-i3)* + (^-?)» 

fra due punti di S, uno P(a? , j/ , z) arbitrario pel quale u si cerca, ed uno 
Q(t , >3 , {) variabile; è noto (*) che si riesce alla formola seguente: 



(2) 



= — /( lì-^ ^^) rf -i- f li? 

ii:Jf\ dn r dn/ izì^ r 



(^) ^* P* 6* Cesare— Introduzione alla teoria matematica della elasticità^ 
Cap. IX, n. 4. 



)( 232 )( 

du 
Sotto r integrale di superfìcie si può eliminare u, oppure — ; noi, attesoché 

il dato del problema attuale è quest' altima quantità, vogliamo eliminare k. 

A tal uopo ammettiamo di conoscere una funzione armonica F tale che su 
di 8 abbiasi costantemente 

dV r 

Allora applicando di nuovo il teorema di Green, otterremo 



1 



che può anche scriversi 



4ic 



i'''^'^«+rnf.(«i'+4:)'^' = «- 



Sottraendo da (2), ne risulta 



Con tal formola il problema che ora ci occupa sarebbbe risolato^ trovata che 
fosse r, mentre per (l) è 

9 fi* 



3. Facciamo per ora T ipotesi semplice che S sia lo spazio infinito limitato 
dair angolo diedro retto di due piani p^ , p^. Consideriamo un punto P(x , y t z) 
di S e le sue tre immagini P, , P, , P3 ottenute come se p^ e p^ fossero due spec- 
chi piani rìvolti verso P. Questo e P| , P, , P, staranno sui vertici d'un rettan- 
golo pel quale tanto p^ che p^ sono piani di simmetria. 

Dicansi r^ y r^ , r, le distanze di Q(5 , )j , da P, , P, , P, rispettivamente. 
Allora, se noi prendiamo la funzione 

T' = - + — + — +-, 
r r, r, r, 

avremo che la sua derivata --r— si annulla tanto su p^ che su p,. Scegliamo in- 
fatti I?, come piano xy. Designato con indici omonimi le coordinate di P| , P, , P, , 



)( 233 )( 
si ha 



d e r* r,' rj' rj* 



Ma sa p, è -— — = - — ; onde 



Ora per costrazione si ha ^ = ^i , t^t = r, , « = — 2, , «, = — ^a i d^nqae resta 



( 



— ^ 



Ugualmente si mostrerebbe che — è nulla sai piano p^. 

dn 

Se pertanto diamo a r il valore 

r r, r, r, 

dP r 

è chiaro che essa è armonica e tale che -;— diviene aefaale a - -; — tanto sa p. 

dn dn 

che sa p^ , come è richiesto. 

4. Ma oramai è agevole vedere che p^ e p^ potrebbero non essere ortogo- 
nali; e di più che lo spazio S potrebbe esser limitato da un namero k (anche 
diverso da 2) di piani; e purché fuori di 8 si possano individuare, per qualun- 
que suo punto P, dei punti P, , P, , . . . , P^ tali che il sistema P , P, , P^ , . . . , P^ 
abbia per piani di simmetria ciascuno dei piani Pi > Pt > • • • ; p^ 9 1^ verrebbe data 
dall' espressione 






essendo r,= QP,-. 

La dimostrazione emergerebbe subito come sopra, prendendo ano dei piani 
coordinati coincidente con ano qualunque dei l'i 9 • • • • Pk- 

Ora la condizione è facilmente ottenibile se j9, , . . . , j?]^ sono fra loro orto- 
gonali e se S non presenta angoli rientranti. Il caso completo è quello di A; =6 
e precisamente quando S è un parallelepipedo rettangolo. Del resto non v' ha 
difficoltà ad applicare ciò che ora diremo ai casi di A; < 6 ; cioè quando fossero 
rimosse a distanza infinita nna o più facce del parallelepipedo. Si riconoscerà 
immediatamente che il sistema ausiliario PjPj ... P^ si otterrà appunto costruendo 

VOL, zu. BO 



)( 234 )( 

tutte le immagini di P come se le 6 facce del parallelepipedo fossero 6 specchi 
piani rivolti verso V interno; elementare problema di ottica geometrica. Quindi in 
generale w = oo. 

Così per tutte le dette forme ortoedriche di S, che possono dunque variare 
dallo spazio limitato da un solo piano al parallelepipedo rettangolo , possiamo 
scrivere la (4) 



(6) 



4Tt J, 411 Jg ^ 



con r' = - + / , — 
r ^^ ri 

4 • 



5. Gioverà dare alla (5) un' altra forma estesa a limiti infiniti. 
Immaginiamo tutto lo spazio riempito di materia nel modo seguente. Consi- 
deriamo il solido parallelepipedo S come avente la densità 8 = - -— variabile, co- 

4ic 

me in ipotesi , da punto all' altro. Poi supponiamo che , collocati al posto delle 
6 facce altrettanti specchi piani, vengano materializzate tutte le infinite imma- 
gini dei varii punti di S, e loro vengano attribuite le rispettive densità 8 dei 
punti oggetti. Allora è evidente: 

1.0 che, chiamando V il potenziale d' attrazione di tutto lo spazio cosi ma- 
terializzato verso l'unità di massa del punto interno P(x > y , z)» cioè posto 






si avrà per la nota formola di P o i s s o n 

2.0 che siccome il piano di ciascuna delle facce del parallelepipedo è nn 

piano di simmetria del sistema, cioè della distribuzione delle densità, -— ivi sarà 

dn 

nulla, come eguale alla componente normale dell' attrazione di masse elemen- 
tari due a due uguali fra loro e simmetricamente disposte rispetto al piano. 
Dopo ciò supponiamo invece S vuoto di materia, ma le 6 facce caricate di 

/ 
uno strato di spessore infinitesimo e di densità 8' = - -- pur variabile da nn punto 

47C 

air altro giusta l'ipotesi. Sieno poi materializzate come sopra le immagini del si- 
stema cosi costruito; il quale sarà quello di tre famiglie di piani o lamine infi- 
nitamente sottili ed infinitamente estese (dividenti tutto lo spazio in tanti parallc. 

f 
lepipedi uguali ad S) ed aventi densità evidentemente uguali a 2 8' = — -^ > 



)( 235 )( 

Se allora consideriamo il potenziale V d' attrazione dì tale sistema sul- 
r unità di massa concentrata in P(cc , y , «) , avremo , estendendo V integrazione 
a tatta la tripla famiglia: 



2TtJ r ' 



soddisfacente notoriamente alla formola di Laplace A,V' = 0. 

Valutiamo che cosa diverrà ——per P situato sopra una data faccia di S. 

dti 

A tal uopo osserviamo che, preso per comodità il suo piano p; per piano xy^ la 

componente normale 

dv av 



dn cz 

dell' attrazione si può scindere in due termini: uno dovuto alle masde distribuite 
su Pi'^ l'altro a quelle distribuite su tutti i rimanenti plani della tripla famiglia: 
ora quest'ultimo termine è nullo per una ragione ovvia e già detta. Il primo ter- 
mine poi può scriversi: 



-ÀiL/^^'"^^'^''^''' 



e quindi, sostituito per la derivata il suo valore, avremo: 



dV 1 ??**^,^ z .r. 

•5^ = 2^.0 n^^'i'^^^^'^ (^^P.)' 



Si cambino adesso le coordinate cartesiane in polari ponendo 



5 = a; 4- p cos , jj = j/ + p sen , r = Vp* + 2* , 



e poi si faccia p — «p'. L'integrale or ora scritto diverrà così: 



^ dhì /'(a? + 2p'cos«,y + 2p'senO) --/--^ 



E fatto finalmente z ^ 



1 r.. {' 

21: Jo Jc 



'fi^ , y) -^%i' 



(1 + p'*)' 



)( 236 )( 

Ma tale espressione non essendo altro che f{x , y) , e lo stesso discorso 
potendo ripetersi per qualunque delle facce di 8, ne segue che su esse si ha: 

Raccogliendo quanto si è detto, è chiaro che la funzione u soddisfacente ai 
dati del nostro problema verrà data dalla sovrapposizione dei due potenziali 
d'attrazione: 



(6j 



27: J r 4tc i r 



dti 
E difatti AjW = <p dentro S. e -- riducesi ad f sulla superficie a di S. 

dn 

Quindi le due espressioni (5) e (6) necessariamente si equivalgono. Sarebbe 
del resto facile vedere direttamente che V equivalenza si verifica termine a 
termine. 

Potrebbe sembrare, a prima giunta, inutile Tintroduzione della funzione au- 
siliaria w, e che i risultati precedenti avrebbero condotto senz'altro alla solu- 
zione ponendovi U,<I>,F in luogo di u, 9,/^. Ma dalla (6) chiaro apparisce l'in- 
conveniente che sarebbe seguito. Considerandone, per esempio, l'ultimo integrale 
che sarebbe stato sostituito da 



j-^K ji±\ .j"! , 



è palese che quest'ultimo termine, esteso com'è a tutto lo spazio, è infinito se 
<t>^ non è zero. Al contrario con l' introduzione della u la forma infinita è 
evitata. 

6. Risoluto il primo dei problemi propostici , passeremo ora al secondo, dove 
il dato in superficie è U. Ad esso più propriamente si addice il nome di pro- 
blema di Di ri eh 1 et. 

Se invece di eliminare dal secondo membro della formola generale (2) la m, 

ne avessimo eliminato r;- , saremmo riusciti alla 

d7i 



(7) 



»"s.(''tì-^)-nU.(«-,-)'"' 



dove G è la funzione di Green, cioè la funzione armonica che prende su di s 

ì valori - ('). 
r 



(*) Cfr. Casaro op. cit. pag. 82. 



)( 237 )( 

Ora mostreremo die si può determinar G per qualunque forma ortoedrica 
di S^ variabile fra lo spazio limitato da un piano indefinito al parallelepipedo 
rettangolo. Per più chiara intelligenza della cosa gioverà ricorrere ad un mezzo 
rappreeentativo, grossolano se si vuole; ma adatto allo scopo. Vedemmo che con 
la costrazione ottica indicata al n. 5 tutto lo spazio resta diviso in infinite celle 
parallelepipede uguali al dato S. Ora y incominciando da questo e poi prose- 
guendo r operazione per tutte le altre celle, immaginiamo di dare air una il co- 
lore biancO; all' altra il colore nero, in guisa da ottenerne, diremo così^ uno scac- 
chiere a tre dimensioni infinitamente esteso in tutti i sensi. Si avrà allora tutto 
il sistema composto di celle alternativamente bianche e nere, tali che due adia- 
centi qualunque ed aventi una faccia comune, saranno di colore differente. È 
chiaro che lo stesso fatto accadrà per due celle qualunque fra loro simmetriche 
rispetto ad uno qualunque dei piani delle facce di S. Dopo ciò diamo un numero 
d' ordine arbitrario a ciascuna cella, solo però in modo che alle bianche venga 
dato un numero pari, ed alle nere un numero dispari, convenendo insieme di 
dare il numero zero al dato parallelepipedo. 

Ciò fatto, e chiamata r^ la distanza fra il solito punto Q variabile di S e 
r immagine P,- di P la quale travasi dentro la cella i'"* (giacché ogni cella con- 
tiene un'immagine, tranne S che contiene P oggetto) si vedrà facilmente che la 
serie a segni alterati 

^0 ^i ^t ^8 ^. »• 

si annulla per Q situato su qualunque delle facce di S , mentre ivi ad ogni Vi 
di indice pari ne corrisponde uno uguale d' indice dispari. Orbene, r^ non es- 
sendo cosa diversa da r, se allora poniamo: 

00 



G - G' + i = 2, ^ ^— 



i-I 



avremo evidentemente la funzione di Green che ci occorre, giacché essa é ar- 
monica e si riduce ad - in superficie. 

T 

Cosi il problema resterà risoluto dalla formola: 

4Tt / , dn 4Tr Js 

indicato con ^ il valore noto di u in superfìcie; la formola medesima non es- 
sendo che la (7). 

Se cinque delle facce di S vanno a distanza infinita, G si riduce semplice- 
mente ad — , conosciuto risultato riferentesi ad uno spazio S limitato da un 



)( 238 )( 

solo piano indefinito. Per questo caso G coincide con r , cioè la fanzione di 
Green soddisfa anche alla condizione 

dG _^ 
dn dn 

sul piano limite. 

Nota Aggiunta.— La trasformazione puntuale d'uno spazio S in un altro S' per 
raggi vettori reciproci ci permette di utilizzare alcuni dei risultati precedenti per 
la soluzione del problema di Green (e quindi del problema di Dirichlet) 
anche per altre figure geometriche. È noto che, scelto un punto fisso o pòlo d'in- 
versione ed una sfera fondamentale o direttrice Z di centro e di raggio 
(modulo d'inversione) R che per semplicità noi porremo = 1 , la trasformazione 
consiste nel costruire, per ogni punto Q di S, il suo coniugato Q' rispetto a 2), 
cioè nel determinare sulla retta OQ un punto Q' per modo che sia 

0Q-0Q'=R2=1. 

L' insieme dei punti Q' coniugati di tutti i punti Q di S costituisce lo spa- 
zio trasformato S'. 

In questa trasformazione ad una sfera corrisponde in generale una sfera, 
ad un circolo un circolo; ad un piano e ad una retta corrispondono rispettiva- 
mente una sfera ed una circonferenza passanti per 0, i quali si riducono ad un 
piano e ad una retta se il piano e la retta dati passano per 0. Quest' ultimo 
punto corrisponde poi al piano air infinito. I punti che corrispondono a sé stessi 
sono quelli della superficie di I. 

Per costruzione segue anche che uno spazio S esterno a £ ha per corrispon- 
dente o trasformato uno spazio S' interno a 2), e viceversa. Cosi, dato un piano 
A esterno a £, tutto lo spazio infinito limitato da A e situato dalla parte oppo- 
sta a £ ha per ispazio corrispondente quello limitato esternamente dalla super- 
ficie sferica o corrispondente ad A; all' altra metà dello spazio bisecato da A 
COI risponde lo spazio internamente limitato da e. La costruzione di o è molto 
semplice. Abbassata da la perpendicolare OK su A, si costruisca K' coniu- 
gato da K; o sarà la sfera che ha OK' per diametro. 

Supponiamo dati due piani A e B, e prendiamo per S uno degli angoli die- 
dri da quelli formato, o, più precisamente, lo spazio angolare corrispondente, 
esternamente al quale stabiliremo £. S' sarà allora il solido compreso ft'a due 
calotte sferiche o o e' di diverso raggio, e che sarà facile costruire mediante la 
regola data or ora. Alla circonferenza base comune delle due calotte corrisponderà 
la retta intersezione fra A e B. 

È noto poi (e del resto sarebbe agevole dimostrarlo) che la rappresenta- 
zione per raggi vettori reciproci è conforme , vale a dire conserva gli angoli; 
perciò l'angolo costante secondo cui s' intersecano e e e' è uguale air angolo di 
A con B. 



)( 239 )( 

Ciò premesso, supponiamo che un punlo fisso P ed un punto variabile Q 
facciano parte di un certo spazio S pel quale sappiasi trovare la funzione G di 
Green, ed essa venga data dal potenziale di attrazione di un determinato si- 
stema di masse m, , w, , . , . , concentrate in determinati punti P, , P^ , . . . , esterni 
ad S. Scelta una 2 pure esterna ad S , si costruiscano Q' , P' , P', , P', , . . . , 
coniugati di Q , P , P, , P, , . . . 

Dicansi poi, oltreché QP = r come al solito, 

r' la distanza Q'P' 

Vi 



i 



r'i 



1' 



P 



P 



Pi 

pU 



T> 



» 



Q P* 


Q'.P'« 


Q 


Q' 


P 


P' 


OP, 


pv 



I triangoli OQP,- , OP\Q' sono simili, e quindi, avendosi 



n _ Pi 



sarà, considerando una massa ipotetica m\ concentrata in P'<: 
giacché Pip\ = 55* = 1. Facciamo t»',- = w<p'^. Allora si avrà: 



Tìl, i Wlf 



r/tp j 119/ 



e quindi 






il cui lo membro è il potenziale V dovuto air azione delle masse w', verso Q'. 
Cosi possiamo scrivere: 



)( 240 )( 

Ora se^ come accade nei casi qui contemplati, i punti P, sono esterni ad S, 
i punti P'< saranno a loro volta esterni ad S'. Cosi V sarà una funzione armo- 
nica delle coordinate di Q', assumente in superficie dì S' i valori ■- , e quindi, 

T 

poiché r - — , , V assumerà sulla superficie stessa i valori ^ • 

Quindi è chiaro che la funzione G' di Green per S', cioè la funzione ar- 
monica che prende in superficie di S' i valori — non è altro che: 



(8) G' = ^, = -iV^* 



P' 

Facciamo qualche applicazione di questa formola. 

Funzione di Green per la sfera, — Si prenda il polo d'inversione sulla 
superficie della data sfera o, che, assumendo opportunamente Tunità di misura, 
supporremo tutta interna alla sfera direttrice. Si costruisca il piano A corrispon- 
dente a e il punto P corrispondente (coniugato) al punto P' dato di o. Consi- 
deriamo lo spazio limitato da A e situato dalla parte opposta di o. Vedremo che 
per tale spazio la funzione Gèi! potenziale d'attrazione di una massa 9?}| = 1 
concentrata nel punto P| simmetrico di P rispetto ad A. Quindi, detto F, il co- 
niugato di P, , sarà per (8): 

p' r\ 

Ma se a è il raggio della o e d la distanza fra il sao centro e P', si paò dimo- 
strare che: 

p' d ' 
e quindi: 

Questo risultato è conosciuto. 

Funzione di Green per la mezza */era. — Assumiamo in un punto della 
circonferenza base della data semisfera o'. Allora alla superficie curva ed al cir- 
colo base corrisponderanno rispettivamente due piani A, B tagliantisi ortogonal- 
mente, il primo normale al circolo base, e V altro in prosecuzione del piano di 
questo. L' angolo diedro dei due piani è lo spazio trasformato di quello emisfe- 
rico dato. Ora^ costruite le tre immagini P| , P, , P, (formate dagli specchi A,B) 
del punto P' dato di o', sappiamo da quanto altrove si disse che per V angolo 
diedro AB la funzione G è data dalla formola: 

G = + — , 

r, rj r. 



)( 241 )( 

essendo r^,r^yr^ le 3 distanze del panto Q (coniagato del punto variabile Q' 
di c'j dai ponti P, , P, , P, rispettivamente. 

Sostituendo pertanto in (8; i valori m, = 1 , m, = — 1 , wij = 1 , abbiamo che 
la fanzione cercata è 






conservando le uscite denominazioni. Ma evidentemente: 



onde (vedi sopra): 



V\-V\ y P\-P'\ 






risultato anche questo notevole per la sua semplicitÀ. Se ne può verificar diret- 
tamente l'esattezza avendo presente la soluzione relativa alla sfera intera. £d è 
chiaro che basta costruire P', , perchè P j e P'j sono simmetrici a P', ed a P' 
rispetto al piano B cioè della base di g' (*). 

Pìinzione di Green per certi solidi lenticolari. — Più generale del prece- 
dente è il caso del solido racchiuso fra due calotte sferiche di diverso raggio^ 

le quali però supporremo intersecantisi secondo un angolo - essendo n un in- 
tero. Allora assunto , come al solito , sulla circonferenza base delle due ca- 
lotte, al solido dato corrisponderà l'angolo diedro di due plani, angolo anch'esso 

eguale a -. Ora si scorge dal detto di sopra che G è il potenziale delle 27i — 1 

immagini di P nelle quali sieno concentrate le masse wii = 1 , Wj-- - 1 , mj= 1 , ecc. 
Quindi seguirà: 



^ 1=1 * 



Roma, Dicembre 1900. 



(') P'i non è poi altro che il coniugato di P' rispetto alla data superficie 
sferica. 



VOL. XLI 31 



X 242 ). 



SULLE EQUAZIONI NORMALI E SU CERTE APPLICAZIONI 

ALLE EQUAZIONI CICLICHE 



NOTA 



DEL 



Dctt. GIULIO DARBI. 



In una mia nota (*) e successivamente in un'altra (*), mi occupai di quelle 
equazioni irreduttibili in un certo campo di razionalità E a cui appartengono 
i coefficienti, le quali godono della seguente proprietà : ogni funzione razionale 
In K delle radici si può rappresentare in funzione lineare omogenea di queste 
con coefficienti appartenenti al campo K. 

Seguendo anche un consiglio datomi dal Prof. Capelli^ mi propongo con 
la presente memoria di riprendere da capo la quistlone dal punto di vista al- 
quanto più generale^ cioè la rappresentabilità di una qualunque funzione ra- 
zionalo in K delle radici in funzione lineare di queste con coefficienti apparte- 
nenti al campo K, anche allo scopo di entrare al tempo stesso in maggiori par- 
ticolari. 

Invocando poi i risultati già ottenuti, farò qualche applicazione alle equa- 
zioni cicliche di grado primo, come per esempio, che « ogni funzione razionale 
in C, essendo C il campo dei numeri reali commensurabili, delle radici di un'e- 
quazione ciclica di grado primo, si può esprimere in funzione lineare in C delle 
potenze ennesime delle radici, essendo n un numero intero^ positivo o negativo, 
fissato ad arbitrio. 

I. 
1. Sia 

fXx) = ac" + ;?,x"-» + . . . -f i>„.,x + Pn^O (1) 

un' equazione, irreduttibile in un certo campo di razionalità K a cui apparten- 
gono i coefficienti J^i ) Pi i • • • ? f^n-i i Pn* 



(*) Cfr. Giornale di Matematica Battaglini Anno 1901. 
(*) Cfr. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di 
Napoli. Marzo 1903. 



)( 243 )( 

Se r equazione (l) gode della proprietà che ogni funzione razionale in K 
delle sue radici si esprime in funzione lineare omogenea di queste con coefii- 
cienti in K, sappiamo (•) che V equazione (1) è normale (*,^ e fra le sue radici 
non può esistere alcuna relazione lineare omogenea con coefficienti in K. 

Reciprocamente: se l'equazione (l) è normale, e se fra le sue radici non ha 
lao^o alcuna relazione lineare omogenea con coefficienti in K, la (1) gode della 
proprietà che ogni funzione razionale in K delle sue radici si esprime in funzione 
llueare omogenea di queste con coefficienti in K. 

Infatti, supponendo che f{(v) = sia un'equazione normale, e fra le sue ra- 
dici non abbia luogo alcuna relazione lineare omogenea con coefficienti in K , 
si ha : 

(2) 

07^ = E^a^,*»-' + Ejoc,'*-* + . . . + E^_,a3, + E,, 

(essendo A, , A, , . . . , A^ ; . . . ; E, , Ej , . . . , E^ numeri appartenenti a K). 
Per mezzo deirequazione data f{x) = 0, le (2) possiamo scriverle così : 

(3) 

(essendo «i , a, , . . . , a^ ; . . . ; e| , e^ , . . . , e„ numeri appartenenti a K). 

Consideriamo le (3) come un sistema di w- 1 equazioni lineari nelle inco- 
gnite X|** , X',**"* ,..., Xj*. Poiché abbiamo supposto che fra le radici x, jìt,,..., x,^ 
non ha luogo alcuna relazione lineare omogenea in K, il determinante dei coef- 
ficienti del sistema (3) è diverso da zero. Onde, risolvendo le (3) rispetto ad 
^1* I X,' , • . . , ^,"~S si ha : 

a?,« = a,x, + «t^, + . . . + a,,x^ 
X,» = P,x« + PjX, + . . . + ?^x^ 

(4) 

x/**= >j,a?4 4- >3,x, + . . . + )j,,x^ 
(a, , a, , . . - ; a,| ; . . . ; Y], , iÌ2 ? • • • } ^n ^^^^ numeri appartenenti a K). 



(*) Cfr. Giornale di Matematica Battagline Anno 1901. 
(^) Chiamiamo normale un'equazione di cui tutte le radici si possono esprimere 
razionalmente per mezzo di una di esse (Cfr. Weber, Lebrbuch der Algebra, 1895). 



)( 244 )( 

Tcnnto conto che x^ , X2 , » - - y x^ sono radici di equazione normale, le (4) 
dimostrano il teorema enunciato. 

Onde possiamo dire die: la condizione necessaria e sufficiente affinchè un'e- 
quazione f{x) = 0, irreduttibile in un certo campo di razionalità K a cui appar- 
tengono i suoi coefficienti, goda della proprietà che ogni funzione razionale in K 
delle sue radici si esprima in funzione lineare omogenea di queste con coeffi- 
cienti appartenenti a K, è che l'equazione f{x) =- sia normale, e fra le sue ra- 
dici non ubbia luogo alcuna relazione lineare omogenea con coefficienti appar- 
tenenti a K. 

2. Dalle (3) ricaviamo che : un' equazione normale f{x) = gode della pro- 
prietà testé enunciata solo e quando il determinante dei coefficienti del siste- 
ma {'ó)y ossia 



D = 



a, a, . . . a,,_, 



€7q ■ • • %} 



n-ì 



sia diverso da zero. 

Questo determinante, cosi importante nello studio delle equazioni normali, 
vogliamo chiamarlo determinante fondamentale delTequazione normale f{x) = 0. 

3. Suir equazione 



f{x) = 0?'» + p.af"^ i . . . + i7„_,ac -^ p,, = 0, 



(1/ 



irreduttibile in un certo campo K di razionalità a cui appartengono i suoi coef- 
ficienti, facciamo la seguente ipotesi : 

Ogni funzione razionale in K delle sue radici si esprime in funzione lineare 
di queste con coefficienti appartenenti a K. 

È facile vedere che; 

€ La condizione necessaria e svfflcientey affinchè V equazione (1)' goda anche 
della proprietà che ogni funzione razionale in K delle sue radici si possa espri- 
mere in funzione lineare omogenea di queste con coefficienti in K, è che il coef- 
ficiente del suo secondo term.ine sia diverso da zero ». 

Infatti, denotando con F(a:, , 0/2 , . . . , x^ il simbolo di una qualunque fun- 
zione razionale in K delle radici a?, , 0?^ ; • • • ; ^^ dell'equazione data (1)', sup- 
poniamo che si abbia : 



Y(w^ , aj, , . . . , ac,.) = a^x^ + o^x, ■+.... + a„a?^, f a„+| 



(5) 



(essendo a, 1 «2 > • • • > «n-i n^nieri appartenenti a K). 



)( 245 )( 
Se il coefficiente /?, è diverso da zero, sì ha : 



««+1 = - (X, + Xj + . . . + 07,,). ^^' 



Sostituendo nella (5) ad a^+, 1' espressione che figura nel secondo membro 
della precedente uguaglianza^ si ha: 

F(a7, , ac, , . . . , x«) ^ a^x^ + ct^x^ + . . .• + a^x^ , 



«n+l 



essendo a. = a. ^=— ; i = 1 , 2 , . . . , w. 

Pi 

Reciprocamente, se supponiamo che si abbia : 
F{x, , aj, , ... , wj =: a^x^ -h aj», + ... + a^x^ + a,,+, = a^x^ -h a,x, + ... + a^x^ > (^) 

il coefficiente jp, è diverso da zero, poiché ci è noto (') che : se ogni funzione 
razionale in K delle radici di un' equazione irreduttibile si esprime in funzione 
lineare omogenea di queste, il coefficiente del secondo termine deirequazione è 
diverso da zero. 

Resta quindi dimostrato quanto erasi asserito. 

4. Ferme rimanendo le ipotesi fatte sull'equazione (1)', questa, in virtù del 
teorema precedente, avrà il determinante fondamentale diverso da zero solo e 
quando il coefficiente del secondo termine non sia nullo. In tal caso gode della 
proprietà che ogni funzione razionale in K delle sue radici si esprime in fun- 
zione lineare omogenea di queste con coefficienti in K. 

Sappiamo inoltre che è equazione normale, e fra le sue radici non può esi- 
stere alcuna relazione lineare del tipo 

a,a?, -^ ajX, + . . . + a„aj„ = b , 

ove a^ , a2 y . . . y a^ , b sono numeri appartenenti a K, se non siano verificate le 
seguenti uguaglianze : 

a. = a« = . . . = a- = • (7 ) 

Pi 

Se invece V equazione (l)' ha il coefficiente del secondo termine uguale a 
zero, il suo determinante fondamentale è nullo. 



[*) Cfr. il citato Qiornale di Matematica Battaglini. Anno 1901. 



)( 246 )( 
Esaminiamo questo caso particolare, cioè supponiamo che Tequazione 

f{x) = a** + 27jx" -«+...+ i?„«,a? 4- ;?« = (8) 

sia priva del coefficiente del secondo termine. Ammettiamo inoltre che sia iiTe- 
dattibile in un certo campo dì razionalità E a cai appartengono i suoi coeffi> 
cienti Pt^Pi ì ' * - iPni ^ goda della proprietà che ogni funzione razionale in K 
delle radici si possa esprimere in funzione lineare di queste con coefficienti ap- 
partenenti a K. 

Si dimostra facilmente che: 

« L'equazione (8) è normale ». 

5. In luogo delle (7; abbiamo la seguente proprietà: 

« Fra le radici della (8) non può esistere una relazione lineare del tipo 

a,aB, + a^^ + . . . + a^x^ = a^^^ , 

essendo fti > ^i » • • • y ^n > ^n^\ ^^^^^'f'i appartenenti al campo K, se non siano ve- 
rificate le seguenti uguaglianze : 

a, = a, =:...= a,, ; a,,+, = ». 

Per l'ipotesi fatta, cioè: ogni numero del corpo algebrico (K , a?, , oc, ,..., 05^) 
si esprìme in funzione lineare delle radici X| , a^, , . « . , a?^ con coefficienti ap> 
partenenti a E, si ha: 

= a?, 4- X, +...+»,, 



oc^* = a^Xi + a,,», + . . . f a^^^x^ + a,^^^, 



(9) 



Supponiamo che si abbia : 

a,x, + «jXg + . . . + a^x^ = a^+,. (IO) 

Applicando alla (10) le n sostituzioni del Gruppo (*) di Galois dell' equa- 
zione (8)^ avremo in tutto n relazioni, le quali sommate fra loro membro a mem- 



(') Cfr. E. Netto, Thèorie des Substitutions. 



)( 247 )( 



bro ci danno : 



(aj, + Xj + ... +a?„)(ai + aj + . . . 4- aj = «ot„+,. 



Ora, avendo sapposto il coefficiente del secondo termine delia (8) ugnale a 
zero, si ha : 



«n+l = 0. 



Così la (10) diventa : 



aiO(j, + fljX, + . . . + a„nc„ = 0. 



(10)' 



Le (9), considerate come un sistema di n — 1 equazioni lineari nelle inco- 
^ite (D^ y x^ , , . . j (D^ j ci permettono di esprimere queste in funzione razionalo 
intera di w^ , essendo il determinante A dei coefficienti diverso da zero, come è 
facile vedere. 

Notando che si ha: 



A = 



-1 



ft 



a 



-1 . . . -1 



is 



. . . a 



«,« 



n-l,t ^n-J,8 • • • "n-t,i 



risolvendo le (9) rispetto ad a?t , OJj ,...,»„ , e sostituendo le espressioni cosi 
ottenute nella (10), si ricava : 



Aa,/r< + Oj 



X, 



-1 . • . -1 



a?«*-«n^«~ «!,«+, 



a 



ft 



• • • a 



«.« 



*^l "" ^n-2,l«^l "" ^n-t n+l ^n-l,S • • • ^n-t,n 



+ ... 



-1 



X, 



a 



tt 



-. + a. 



«13 . • . X| — <*n^i — «f.n-i-l 



= 0. 



^n-t,n ^n-2,» • • • %B| — ^n-t,l35| — O^-l, 



M+l 



)( 248 )( 

Denotando con A, ^ Taggìanto deirelemento che occupa nel determinante 1 
il posto d' incontro della «*"** orizzontale e della f^ verticale, e raccogliendo i 
termini che contengono as, alla medesima potenza, la precedente equazione si 
può scrivere cosi : 



+ ^i* (A,,»* +A„7, + . . . + A,^^_,aJ + 

Aa, + A„ot^ +A„a, + . . . + A,^^.,a„ - 

- aH(A„7, + A„or, + . . . + Aj^„_,aJ - 

+ a?, j - ««(Ai,at + Aj^a, + . . . + A^^^.^a^) - 

I 

^ - «^«-t,i(A„_,,,or, + A^.j^jOi, + . . . + A„.,^„_,aJ t- 

+ H = 

(H è un numero appartenente al campo di razionalità K). 

Questa equazione di grado n - 1 in a?, , avendo una radice in comune con 
la (8), che è di grado n in a?, ha i coefficienti nulli. Onde si ha : 

«lAn-i,! + «sAn-i^t + . . . + «nAn-i,!,-! = ^ 



a«A,, + ffsAjj + . . . + anA,,n-t = 

a,A,, + a.A„ + + «nA.^n-i - 

- a,j(A,,a, f A,ta, + + A,^^.,aJ - 

- ««i(Aj,aj + Aj^aj + + Aj^^.jOiJ - ) = - a.A. 

^ "" ^n-t.i(An-i,ia2 + A„_,^2a3+ ... +A„_,^„.,a„) 



(11) 



)( 249 )( 

Quest'ultima relazione lineare fra «i , ^i , . . • i a» > tenuto conto delle rima- 
nenti li — 2 equazioni, si riduce alla più semplice 

Onde, le (il) equivalgono alle seguenti equazioni: 

a,A„ + «sA.j + . . . + «n^i^n-l = - «1^ 



(uy 



Due casi possono accadere :.«! =0, oppure a, =!~ 0. 

Intanto, il determinante dei coefficienti del sistema (li)', formalo da n — 1 
equazioni lineari nelle incognite cli i ol^ j • > > , ol^) è diverso da zero, poiché altro 
non è che il reciproco del determinante A. Onde, se supponiamo 7| = , il si- 
stema (11)' a deteiTuinante diverso da zero ammette Tunica soluzione 



(X« =1 OE» = . . . = (X«. = 0. 



n 



Se invece si ha : a^ =\= 0, risolvendo le (11)' rispetto ad a^ , a^ y . . » ^ a^j si 
ricava : 



•^H ^« .... — ail . . . A|^„.| 



/ 



-^«-l^l^n-l,» ... A^_|^^_i 



Da cui si ricava : 



«.!'»-» = a,(-l)'^' 



Aj, Ali • • • ^t.i't Aj I . . . A, ,,_, 



^zì ^n 



• • • ^9j-t '^i.i • • • -^tyH^i 



'n-l,l^n-«,« • • • '^n-l.i-tA'n-i,* • • • -^n-l.n-l 



(12) 



VOL. XLU 



82 



Eicordando che si ha : 



)( 250 )( 



A = 



- 1 



a 



12 



a 



2t 



1 . . . -1 



a 



43 



a 



ti 



• . . a 



\,n 



. . . a 



2.n 



^n-2,2 ^n-2,3 • • • ^ 



;»-2,n 



il recìproco di A altro non è che 



A'= 



-^11 -^12 • • • -^l^n-i 



Aji Ajj 



• • -^'^w. 



'^n-«,!'^n-l,2 • • • -^n-l.n-l ' 



Nella (12)^ il determinante 



B.,,_, = (-l)' 



Aj, Ajj . . . Aj ,-_2 Aj f . . . Aj ,^_, 



-^31 -^32 • • • -^8,1-2 '^3,f ... A 



3,n-! 



'^*.-l,l^n-l,2 • • • •^«-l,l-2'^H-l,i • • • -^«-Ijn-l 



altro non è che il complemento algebrico dell'elemento che occupa in A' il posto 
d'incontro della 1^ orizzontale e della {i - l)***" verticale. 

Ora, noi sappiamo dall' algebra che : il complemento algebrico di un ele- 
mento dei reciproco di un determinante di ordine n - 1 è uguale all' omologo 
di questo elemento nel primitivo moltiplicato per la potenza (n — 3)*"" del pri- 
mitivo. 

Si ha quindi : 

i»t-i - ^ '^ 
Sostituendo questo valore nella (12;, si ha : 



«i = «i . 



(i = 2 , 3 , . . . , 7i) 



Onde resta dimostrato quanto erasi asserito. 



)( 251 )( 

6. Reciprocamente, supponiamo che fra le radici deirequazione normale (8) 
non abbia luogo alcuna relazione lineare con coefficienti appartenenti a K. 
Si ha dunque : 

o-j = A,a3,**"' + Aj^r,"'* + . . . + A,,.,aj, + A^ 



x^ = B,a?,'*"« + Bjir/*-» + . . . + B,,_,a;, + B,, 



(13) 



x^ = E,a;,''~' + EjX/»-* f . . , + ^n-%^\ -^ ^n 



(A, , A, , . . . , A,^ ; E| , Ej , . . . , E,^ sono numeri appartenenti al campo K). 

Consideriamo le (13) come un sistema di n — 1 equazioni lineari nelle inco- 
gnite x/*~* , aC|'*'* , . . . , Xj. Il determinante D' dei coefficienti del sistema (13) 
è diverso da zero, poiché, se fosse nullo, sì avrebbe una relazione lineare fra i 
primi membri delie (13), cioè: 

h^l ^ \|3C3 + . . . + J^r'^n = '2^^ + ^sB;, [-...+ X,,E,, . (U) 

Per quanto si è detto, la (14) non può sussistere se non sono verificate le 
seguenti uguaglianze : 

' 2 ~ ''8 ~ • • • ~ ^n^^^' 

Onde la (14) non sarebbe più una relazione, ma una identità; il che, come 
è facile comprendere, è impossibile attesa Tirreduttìbilità della (8;; conseguente- 
mente il determinante D' è diverso da zero. 

Quindi, risolvendo le (13) rispetto ad x,* , x,' , . . . , x,**"*, si ha : 



aJ|' = Pt352 ^- p835, + . . . f- p^oc^ + P,,,, 



(15) 



x,"""'--- r.^Xt + ri^x^ ^ . . . -f r^^x^ + y^^+, 



(7j , ^3 , . . . , a„+, ; • • • ; >Ì2 7 ^s 7 « • • 9 ^n+1 sono numeri appartenenti a K). 

Tenuto conto che .cr, . x, , . . . , x^^ sono radici di equazione normale, le (15) 
dimostrano che ogni funzione razionale in K delle radici dell' equazione nor- 
male (8) si può esprimere in funzione lineare di queste con coefficienti apparte- 
nenti a K. 



)( 252 )( 

7. Riassumendo i risultiiii fin qui ottenuti, possiamo dire che: 
« La condizione necessaria e sufficiente affinchè un^ equazione f(x) = 0, irre- 
duttibile in un certo campo di razionalità K a cui appartengono i suoi coeffi- 
cientiy goda della proprietà che ogni funzione razionale in K delle sue radici si 
esprima in funzione lineare di queste con coefficienti appartenenti a K , è che 
l'equazione f(x} = sia normale, e fra le sue radici non abbia luogo alcuna re- 
lazione lineare del tipo 

a^x, + a,x, 4- . . . + a,^x^ = a^,, , 

se non siano verificate le seguenti uguaglianze : 



a, = ttj = . . . = flr^ ; a„^, = - a, j?, » 

(p^ è il coefficiente del secondo termine delTequazione f{a:)- \ a, a^ ,..., a„ , a^^^, 
sono numeri appartenenti al campo K di razionalità). 

8. Da quanto si è detto, risulta che un'equazione normale gode della pro- 
prietà testé enunciata, solo e quando il determinante dei coefficienti dei siste- 
ma (13) è diverso da zero, cioè si abbia: 



I 



D' = 



-1-0, (16) 



Jl\ a ^\ • • • '^ii^l 

B, B2 . . . B^., 

IL 

9. Abbiasi un'equazione ciclica 

9(0?) = x** +i>,a?'*-' + . . 4 p^_,,x +i^, = , (17) 

irreduttibile in un certo campo di razionalità K a cui appartengono i suoi coef- 
ficienti. Supponiamo che il suo determinante fondamentale sia diverso da zero. 
Sappiamo che il gruppo di Galois (') (G) della (17} è ciclico, ossia è formato 
dalle potenze di una stessa sostituzione circolare S = (or, , jr, , . . . , a?^^. 
Si ha dunque : 

(G) = S,S« ,. . .,S'*=-1. 



(') Ofr. Jordan, Traitè des Substitutions. 



)( 263 )( 

Ci è noto altresì che tutti i sottogruppi di (G) sono ciclici, e por costruirli 
bisogna vedere in quanti modi il numero ?<, grado dell'equazione {il) si può 
spezzare in un prodotto di due fattori ; ad ogni spezzamento, ossia ad ogni di- 
visore di n, corrisponde un sottogruppo ciclico. 

Supponendo cbe si abbia : n = «{x, avremo un sottogruppo (U) definito dalle 
sostituzioni 

S% 8»^ , . . . , S»^ = 1. 

Ci proponiamo di costruire una funzione, la quale goda della proprietà di 
non essere alterata nel suo valore numerico dalle sostituzioni del sottogruppo 
(E), ed alterata dalle altre sostituzioni di (G). 

Nel caso che la (17) sia l'equazione della divisione dei cerchio in p parti 
uguali, (^>, essendo numero primo) Gauss (•) trovò che la funzione 

Yn ^x,+ x,+. + . . . + a:,+,^.,)« (18) 

rimane inalterata per le sostituzioni di (H) ed alterata per le rimanenti soctitu- 
zioni di ^G). Inoltre >j, è radice di un'equazione t{z) = 0, ciclica (*) ed irrcdut- 
tibiie nei campo dei numeri reali commensurabili. 

Queste proprietà, di cui gode la funzione y;, , dimostrate da G a u s s nel caso 
cbe 0*1 , x^ , . . . , ^M siano radici deirequazione della divisione del cerchio iup 
partì uguali 9 valgono ancora se l'equazione (17) sia ciclica, irreduttibile in un 
certo campo K di razionalità a cui appartengono i suoi coefficienti, ed abbia il 
determinante fondamentale diverso da zero. 

Cbe le sostituzioni di (H) lascino inalterata la (18) è facile vedere. 

Ci è noto che le sostituzioni del gruppo (G) possiamo rappresentarle nel se- 
guente modo : 

(G) = (H) , 8(H) , 8'(H) , . . . , S-*(H). 

Ora, per dimostrare che una qualunque altra sostituzione di (G) applicata 
alla (18) ne altera il valore numerico, basterà vedere ciò che avviene della (18) 
quando eseguiamo su di essa la sostituzione 8^ , essendo X < e, 

8i ha quindi : 

'jx+i = ^i-^x + ^i+u« + • • • + ^i+x+r|x-o« . 
Se fosse ifj, = ìjj^ , si avrebbe una relazione lineare omogenea fra le radici 



(*) Cfr. Bachmann Paolo. La teoria della divisione del cerchio e sua ap- 
plicazione alla teoria dei numeri. 

(*) Cfr. Weber, Traitó d'Algebre supórieure 1898, p. 648. 



)( '254 )( 

Ciò è in contraddizione con quanto abbiamo supposto al principio di questo 
articolo, cioè che il determinante fondamentale sia diverso da zero. Onde la (18) 
è inalterata dalle sostituzioni di (H) ed alterata dalle rimanenti sostituzioni di (G). 

L'equazione s{z) = di grado e ò quindi irrcduttibile in K. 

Inoltre ò ciclica, poiché, applicando ai secondi membri delle uguaglianze 



'Is — '^tf "^ *^te "^ • • • "J" »^ 



le n sostituzioni del gruppo di G a 1 o i s deirequazione (14 , le radici r^^ , >;, ,.-., r^^ 
si permutano fra dì loro circolarmente. 

Il determinante fondamentale dell'equazione e(z) = 0, è diverso da zero. In- 
fatti, essendo 6(«) = noi'male, ogni funzione razionale in K delle sue nadici si 
può rappresentare in funzione intera di una qualunque di esse, oppure in fun- 
zione lineare omogenea di tutte le radici dell'equazione (18) con coefficienti ap- 
partenenti a K. 

Si ha dunque : 

fini) = «1^1 + «ia?2 + . . . -I- «^35^ (19) 

(denotando / il simbolo di una funzione razionale intera di y;^ ; inoltre a, , a* ,.., a^ 
sono numeri appartenenti a K). 

La funzione f{Y^^) è inalterata dalie sostituzioni di (H) ; altrettanto dovendo 
accadere per la funzione 

^ì^i + ^1^1 -f- . . . + a,jx^ , 
questa si può scrivere nel seguente modo : 

M1 + M2+ ..• +M.. 

Da cui si ricava che ogni funzione razionale in K di >;, , >;2 , . . . , i;^ si può 
esprimere in funzione lineare omogenea delle radici >ii , tJj ^ • • • > >Je con coeffi- 
cienti appartenenti a K. 

Per mezzo della funziono (18), la quale rimane inalterata nel suo valore nu- 
merico dalle sostituzioni del sottogruppo (H) di ordine |jl ed alterata dalle rima- 
nenti sostituzioni di (G), il problema della risolubilità dell'equazione (17) è reso 
più agevole. 



)( 255 )( 

Infatti, essendo m -- e;i, la risoluzione deirequazione ciclica (17) si fa dipen- 
dere, come ci è noto, da un'altra equazione ciclica di grado 6, risolta la quale 
si risolverà un'equazione ciclica di grado \l. 

Più generalmente possiamo dire che, scomponendo il numero n, grado del- 
l'equazione data, nei suoi fattori primi, cioè « = p^q^r^ . . , «*, in cui p, 9, r,...8 
sono numeri primi, la risoluzione delT equazione data si fa dipendere da equa- 
zioni cicliche, rispettivamente di grado i> , 5 ,«•,..., «. 

A tal uopo si costruiscono delle funzioni di x, , a?» , . . . , cc,^ , le quali ri- 
mangono inalterate numericamente dalle sostituzioni di certi sottogruppi ciclici 
di (O), ed alterate dalle altre sostituzioni appartenenti a (G). 

Da ciò deriva l'importanza delle menzionate funzioni, che, come la (18) sod- 
disfino alle condizioni testé Ciiunciate e siano della massima semplicità. 

10. Supponiamo che si abbia Tequazione ciclica di grado primo 

F{x) = x'' + a,»'*-* + . . . + a^^yX + a^ = , (20) 

irrednttibile nel campo (e) dei numeri reali commensurabili a cui appartengono 
i suoi coefficienti (i% , cit , • > * j Q,^. 

Vediamo in quali casi il suo determinante fondamentale sia uguale a zero, 
cioè sotto quali coudizioni possa aver luogo una qualunq,ue relazione fra le sue 
radici con coefficienti appartenenti a (e). 

Sapponiamo che si abbia : 

a,ac, + a^ojt + . . . + a,,»^ = 0. (21) 

Le sostituzioni del gruppo di Galois della (20) siano: 

S = (x, , a?t , . . . , cp J , S* , • • • , S'* = 1 
Applicando alla (21) queste sostituzioni, si hanno le seguenti relazioni : 

«1^1 + «t^t + • • • + ^rfi^n = 

(21)' 

Consideriamo le (21)' come un sistema di n equazioni lineari omogenee nelle 
incognite ot, , «2 ? • • • ; ^#f 



\ 256 )( 
II determinante D del sistema, ossìa 



D = 



uC| M/^ • • • W^ 



2 ^^3 • ■ • *^{ 



*^n ^1 • • • •^M-I 



è un circolante di ordine n ; sappiamo dall' algebra che si scinde in n fattori 
razionali nei suoi elementi, cioè è uguale al prodotto 



(-1) . 



+(!/.) *(!/«) • • • ^(Vn) ) 



essendo 



^{y) = aci + x^y + JTsi/* + . . . + ^«y""' , 



ove !/| , ?/2 f • • • / sono radici dell'equazione 



y«-l = (y-l)(2/**-i+2/""*+ •.. +1/ ^ 1) = 0. 



Se fosse D = 0. l'equazione in y 



flDi + XtV -f- a?5t/* + . . . + x^y*'~* = 



(22) 



avrebbe radici in comune con Tequazìone 



Ora, se la (22) fosse soddisfatta dalla radice i/=l, si avrebbe: 

cioè il coefficiente del secondo termine deirequazione (20; sarebbe nullo. 

Facciamo vedere che la (22) non può avere radici in comune con V equa- 
zione 



!/'•'* + y'*"*+ . . . +y-M=0, 



(23) 



la quale altro non è che l'equazione della divisione del cerchio in n parti uguali 
(n essendo numero primo). 



r 



I 






)( 25t )( 

Sappiamo che la (23) è equazione cìclica, è irreduttibile (') nel campo (e) 
dei numeri reali commensurabili , ed ha il determinante fondamentale diverso 
da zero. 

Se al campo di razionalità (e) aggiungiamo le radici cv, , os^ , • • • , ^„ del- 
Tequazione data (20), la (23) rimane ancora irreduttibile nel nuovo campo di ra- 
zionalità (e') = (e , a?| , a?j , . • . , 05^), poiché sappiamo (•) che: se al campo K di 
razionalità di un'equazione irreduttibile f(x) = 0, aggiungiamo una radice di un'e- 
quazione normale irreduttibile in E, il cui grado sia un numero primo rispetto 
a quello dell' equazione f{x) = 0, questa è irreduttibile nel nuovo campo di ra- 
zionalità (e'). Onde, la (23), essendo irreduttibile nel campo di razionalità (e'), a 
cai appartengono le radici x^ ^ oo^ ^ . . . , w^ dell' equazione (20), non può avere 
radici in comune con questa se non siano verificate le seguenti uguaglianze: 

Ciò è assurdo, avendo supposto Tequazione (20) irreduttibile. 

Possiamo dire che , se la somma delle radici della (20) è diversa da zero , 
cioè se abbiamo a, -|=0; il determinante D testé considerato non è nullo. 

Onde, il sistema (21)', composto di n equazioni lineari omogenee in a| , 
^ 7 • • • } ^n > amniette l'unica soluzione 

a, = a, = . . . = a„ - 0. (24) 

Le (24) ci dimostrano che^ supponendo a, diverso da zero, la (21) non può 
aver luogo. 

Sì ha quindi : un'equazione ciclica, il cui grado sia numero primo, la quale, 
avendo il coefficiente del secondo termine diverso da zero, sia irreduttibile nel 
campo (e) dei numeri reali commensurabili a cui appartengono i suoi coefficienti^ 
gode della proprietà che ogni funzione razionale in (e) delle sue radici si esprime 
In funzione lineare omogenea di queste con coefficienti appartenenti a (e). 

11. Possiamo anche dire che : 

« La condizione necessaria e sufficiente, affinchè un'equazione ciclica di grado 
primo, irreduttibile nel campo (e) dei numeri reali commensuràbili a cui appar- 
tengono i suoi coefficienti, abbia il determinante fondamentale diverso da zero^ è 
che il coefficiente del suo secondo termine non sia nullo >>. 

12. L'equazione (20), oltre della proprietà testé enunciata, ne gode di altre 
non meno prive d' interesse. Sulla (20) facciamo una trasformazione razionale , 
ponendo y = f(x) , ove /' è il simbolo di una funzione razionale con coefficienti 
appartenenti a (e) ; possiamo sempre supporre la f(x) intera e di grado al più 
uguale ad n — 1. 



(^) Cfr. Eronecker, Journal de Liouville, 1854. 

(*) Cfr. Bianchi Luigi, Teoria dei Gruppi di sostituzioni e delle equa- 
zioni algebriche secondo G a 1 o i s. 

VCL. XLl. 33 



)( 258 )( 

L'eqaazione trasformata ^(y)=0 di grado n, (essendo n numero primo) come 
è facile vedere, è irreduttibile (') in (e). 

Onde, essendovi Tinvertibilità dei simboli funzionali nella relazione y=f(jxf), 
si hanno le seguenti uguaglianze : 

(K , X,) = (K , y,) ; (K , a?,) = (K , j/,) ; • • • ; (K , xj = (K , yj. 

Tenuto conto che l'equazione (20) è normale, si ha : 

(K,a7,) = (K,a:,) = ...=(K,ajJ. 
Onde si ricava : 

(K , y,) = (K , y,)= . . . = (K , yj. 

- Queste ultime uguaglianze ci dicono che Tèquazione trasformata è normale; 
anzi, essendo il suo grado un numero primo, è ciclica come la primitiva. 

Se il coefficiente del secondo termine dell' equazione trasformata è diverso 
da zero, potremo dire che ogni funzione razionalo in (e) delle radici dell'equa- 
zione primitiva, si esprime in funzione lineare omogenea delle radici dell'equa- 
zione trasformata con coefficienti commensurabili. 

Ciò premesso, studiamo il caso in cui V equazione data (f(x) = di grado 
primo, cìclica ed irreduttibile in (e), abbia nullo il coefficiente del suo secondo 
termine. Poniamo y = x + rf, essendo d un numero non nullo appartenente a (e), 
neirequazione ^(aj) = 0. Questa si trasforma in un'altra <j/(y) = 0, la quale è dello 
stesso grado n della primitiva, ed è parimenti ciclica ed irreduttibile in (e). 
Poiché abbiamo supposto che d sia diverso da zero, così il coefficiente del se- 
condo termine dell'equazione ^{y) = non è nullo. 

Denotando Q(x, , x, ) • • • > 3C„) il simbolo di una qualunque funzione razio- 
nale in (e) di fl?, , aJt , . . . , oc^ , per quanto si è detto precedentemente, possiamo 
scrivere la seguente uguaglianza : 

fì(a;, , a^t , . . . , acj = 6,y, + 6,y,+ . . . + ò^y«. (25) 

Sostituendo nel secondo membro dell'uguaglianza (22) alle radici y, , y, ,..., y^ 
[ corrispondenti valori a?, -|- <i , (Tj + <i , . . . , a?„ + d , ricavati dalla relazione 
y = x + d, si ha : 

13. Questa relazione, essendo 6| ,&,,..., 6„,rf numeri appartenenti a (e), ci 
dice che : 



(*) Cfr. Capelli, Istituzioni di Analisi Algebrica. Anno 1902. 



)( 259 )( 

« Ogni funzione razionale in (e) delie radica di un'equazione ciclicaj il cui 
grado sia un numero primo, irreduttibile nel campo (e) dei numeri reali com- 
mensurahili a cui appartengono i suoi coefficienti, si può esprimere in funzione 
lineare delle radici con coefficienti appartenenti a (e) ». 

14. Consideriamo per equazione trasfoimata quella le cui radici siano x^* , 
X|' , ... , x^, essendo s un numero intero, positivo o negativo, fissato ad arbitrio. 

Per quanto si è detto airarticolo 12 l'equazione trasformata di grado primo 
è ciclica ed irreduttibile in (e) come la proposta. 

Onde, applicando il teorema (13) possiamo dire che : 

« Un'equazione ciclica di grado primOj irreduttibile nel campo (e) dei numeri 
reali commensurabili a cui appartengono i suoi coefficienti^ gode della seguente 
proprietà: ogni funzione razionale in (e) delle sue radici si può esprimere in 
funzione lineare delle potenze ennesj.me di queste con coefficienti appartenenti 
a (e), essendo n un numero intero, positivo o negativo, fissato ad arbitrio ». 

15. Se la somma delle potenze di grado s delle radici as, , ^2 ) * • * i ^n ^ ^^* 
versa da zero, possiamo dire che ogni funzione razionale in (e) delle radici del- 
l'equazione ciclica data di grado primo si esprime in funzione lineare omogenea 
delle potenze di grado s delle radici con coefficienti commensurabili. Se « è un 
numero pari si ha : ogni funzione razionale in (e) delle radici di un' equazione 
ciclica di grado primo, irreduttibile nel campo (e) dei numeri reali commensu- 
rabili a cui appartengono i suoi coefficienti, si può esprimere in funzione lineare 
omogenea delle potenze di grado s delle radici (essendo s un numero intero 
pari, positivo o negativo fissato ad arbitrio). 

16. Consideriamo per equazione trasformata quella le cui radici siano le in- 
verse delle radici della proposta. Poiché si }ia : 

ic, Xi x^ a^ 

possiamo dire che ogni funzione razionale in (e) delle radici di un' equazione 
ciclica di grado primo, irreduttibile nel campo (e) dei numeri reali commensu- 
rabili a cui appartengono i suoi coefficienti, la quale abbia il coefficiente del pe- 
nultimo termine diverso da zero, si può esl)nmere in funzione lineare omogenea 
delle inverse delle radici con coefficienti appartenenti a (e). 

Napoli 4 agosto 1903. 



)( 260 )( 



SOPRA 



LA QUESTIONE PROPOSTA NEL FASCICOLO MAGGIO-GIUGNO 1903 



RISOLUZIONE dell' AUTORE 

Il rapporto ujv^ tende ad un lìmite^ che non può essere diverso da zero, 
altrimenti la prima serie sarebbe divergente come la seconda. Il rapporto b^^v^fu^ 
cresce dunque all' infinito; e però {Analisi algebrica^ p. 98) 

lim p = lim t" "" y-' , (1) 

quando esìste il secondo membro. Ora^ se si prende 

dove S^ = t^i + 1*2 + • • • + ^n » ^^ ^* 

e però esiste, in questo caso, il secondo membro di (1), ed è la somma 8 della 
prima serie. Dunque 



im (s^ - ^ (v, + V, + . . . + V,,)) = 8 , 



e per conseguenza 



lim -^ (t;, -f ^2 + . . . + v„) = 0. 



In particolare per r^ = 1 si ha che nu^ tende a zero nelle serie convergenti 
a termini positivi decrescenti. Per v^ = 1/?* si trova che, se nu^ va decrescendo^ il 
suo prodotto per logn tende necessariamente a zero; ecc. Se poi si rappresenta 
con k^ un numero, che vada crescentlo con n in guisa che il rapporto di fc„-A;^.| 
a v^ si serbi finito , è chiaro che ciò sarà vero anche del rapporto di ^^ a 
t?, + Vj 4- . . . -f t?^ ; e però si avrà, più generalmente, 

limA:,,~'? = 0. 



n=oo V 



n 



Questo teorema è dovuto al prof. F. Giudice (*). 



(*) " Teoremi relativi alla convergenza, ecc. ^ (teor. Vili) nelle " Matematiche 
pure ed applicate „ 1902. 



)( 261 )( 



SUI COMPLESSI TETRAEDRALI 



NOTA 



DI 



F. A S C H I E R I. 



Il compianto prof. Battaglini ha lasciato interessanti lavori sulla geo- 
metrìa della retta trattata col metodo delle coordinate^ contemporaneamente al 
P 1 il e k e r fondatore di quella geometria con quel metodo. 

I detti lavorì furono pubblicati nella maggior parte, nei primi volumi di 
questo giornale (dal 60 in avanti), ed uno nei rendiconti dell' Accademia dei lin- 
cei, (anno 1869), che verte sui complessi tetraedrali. 

La seguente nota non ha altro scopo che di richiamare T attenzione degli 
studiosi sui lavori del compianto geometra, specialmente per le molte formolo 
poste che servono in particolare alla geometria delle forme fondamentali di 1* 
2« e 3& specie dello spazio rigato e dei loro sistemi lineari che, nella rappresen- 
tazione sopra una quadrica di uno spazio lineare S, od*, corrispondono agli spazi 
lineari contenuti nella quadrica stessa ed ai sistemi di tali spazi. 

Delle dette formolo si fa in questa nota applicazione allo studio del com- 
plesso tetraedrale , del quale si danno le varie generazioni , V equazione della 
congruenza di P grado polare di una retta qualunque e si considerano le rette 
coniugate rispetto ad esso , le rette singolari di esso e la superficie-complesso 
relativa ad una retta g. 

Si pone poi una speciale rappresentazione del complesso tetraedrale sullo 
spazio punteggiato e composto di piani e se ne deducono alcune proprietà già 
note e si aggiungono alcune considerazioni che si sono credute non prive d'inte- 
resse, specialmente riguardanti le quadriche contenenti rigate del complesso. 

Avuto riguardo allo scopo principale della pubblicazione sarà scusato cer- 
tamente rindole elementare ed antiquata del soggetto, massimamente perchè già 
trattato da tanti valenti geometri , fra i quali il Reye e lo Sturm in par- 
colare. 

A questa nota farà seguito una seconda che studia, collo stesso metodo, la 
congruenza dì 2o grado generale. 



)( 262 )( 



PARTE PRIMA 

1. Gli elementi dello spazio siano determinati con un sistema di coordinate 
omogenee projettive; ed indicati, in generale, con X od (a?| ) oo^ , a>^ y x^) il punto 
di coordinate cr^, e con 5 o (5i ? 2^ , Sj , $4) il piano di coordinate 5r- ^^^ A,, 
Aj , A3 , A4 ', ot, , «2 } ^8 7 ^4 ^ punti e i piani fondamentali (1,0,0,0) , (0,1,0,0), 
(0,0,1,0) , (0,0,0,1) e con E, e il punto e il piano unità, cioè il punto ed il piano 
(1,1,1,1). Indico inoltre con x^g (rs = 23 , 31 , 12 , 14 , 24 , 34) le coordinate lo- 
cali della retta x = XY, quindi: 

e con §^^ le coordinate tangenziali della retta stessa a7 = |y;, cioè: 
onde le relazioni: 

5r. = pa?, 



'uv 



(i-8 = 23 , 31 , 12 , 14 , 24 , 31 -, w«; = 14 , 24 , 34 , 23 , 31 , 12). 



Pongo per brevità: 



(a?2/) = a?,5Ì/,4 + j/„a5u -!•...= 

ove il simbolo £ denota l'operazione della somma. 
Si avrà quindi identicamente: 

(xx):=0 , (;5) = 0, 
e le relazioni: 

{xy)=^ì:xr.yuv = 

{XYl)= IXrsTirt, = 

sono quelle che debbono aver luogo fra le coordinate locali di due rette x , y, 



)( 263 )( 

oppare fra le coordinate locali di una retta a; e le tangenziali di t/, affinchè le 
dne rette si appoggino. 

2. Ciò posto denotiamo con: 

[«(«i«i«»a*)l l^(<'2'«3«i«4)] [«(asaiaja,)) 

i birapporti principali di 4 punti in cui la retta oc sega le 4 faccie del tetraedro 
fondamentale che indico con 4, si avrà: 

[aj(a,a,«,a,)l = - ?»1^'* = k 

0/28 «A/, 4 

[a.(«.«,a.«,)l = -|^* = ^ 

Xji U/24 K 



^«2 ^S* 1 - » 



Adoperando le notazioni analoghe per i birapporti dei 4 piani che dalla retta x 
projettano i 4 vertici di A, si avrà; 

KA, A,A,A,)] = - !?i|y = fc 
MA.A.A.AJ] = -!i»ÌL* = ^ 

[a;(A,A, A.A,)] = -^f^* = -l- 

onde il noto teorema: il birapporto dei 4 punti in cui una retta sega le 4 fac- 
ete di un tetraedro prese in un certo ordine eguaglia quello dei 4 piani che da 
quella stessa retta projettano ordinatamente i vertici opposti (•). 

Segue subito: 

a) Il luogo T delle rette dello spazio che tagliano le 4 faccie di un tetrae- 
dro àf prese in tm certo ordine^ in gruppi di 4 punti aventi un dato birapporto 
k, è anche il luogo delle rètte da cui i vertici opposti a quelle faccie vengono 
projettati con gruppi di 4 piani aventi lo stesso birapporto k. 

II luogo T è dunque un complesso di 2© grado , poiché le rette del luogo 



(*) Vedi Sturm: Geometria della retta, Voi. l.o n. 48). 



){ 264 )( 

che si trovano in un piano arbitrario g vi formano un inviluppo y^^*^ di 2* classe 
a cui appartengono le rette (oc^; e le rette passanti per un punto Y dello spazio 
formano un cono quadrico y^^^ circoscritto a 1. Al luogo T appartengono le 
4 stelle (A^) di raggi aventi per centri i vertici di A e le 4 faccio a^ di A, come 
piani rigati. 

Il complesso T fu chiamato Complesso tetraedrale; A ne è il tetraedro prin- 
cipale; ì vertici e le faccio di A ne sono i punti e i piani principali. 

Essendo adur.que A il tetraedro fondamentale e A; il birapporto dei 4 punti in 
cui una retta corrente w del luogo T taglia ordinatamente le faccio «i > «« > a, , «z^ 
di A, saranno: 

(1) T{x) = ojs, a?,i + AKr„a?,4 = T(5) = 5„ 5,4 + ^SisSi ♦ = 

r equazioni locale e tangenziale di T, essendo Wrs y Sri rispettivamente le coordi- 
nate locali e tangenziali di una retta del luogo. 
Air equazioni stesse si può dare la forma: 



(2) 



od anche le forme: 






(3) 



6 — e e — a a — 6 
6-c c-^a a — 6' 



a causa dell' identità: 



(xaj) = (??) = 0, 



essendo: 



cosicché in infiniti modi si può porre V equazione di T sotto la forma (2). 

Risulta subito: 

Un complesso tetraedraJe T i determinato interamente dal suo tetraedro prin- 
cipale A e dal birapporto k in cui una retta di esso deve tagliare ordinatamente 
le 4 facce OL^a^a^ai^ del tetraedro stesso A; o , ciò che è lo stesso, è determinato 
interamente da ^ e da una retta che non appartenga né ad alcun vertice né ad 
alcuna faccia di à. 

Eisulta ancora: 

Un complesso tetraedrale T ha per polare reciproco se stesso rispetto ad ogni 
quadrica coniugata al suo tetraedro principale. 



)( 265 )( 

3. Siano P^(r =1,2,3,4) i punti in cui una retta g dì T taglia ordinata- 
mente «1 , «4 , «3 , «4 . Da uno spigolo A, A, di A projettiamo i punti P^ sullo 
spìgolo opposto A8A4 e indichiamo con V\ , P', le projezioni di P, , P» , si 
avrà: 

(F, P', A, A,ì = k, 
essendo: 

[^(«1 «t «3 «♦)] = (Pi Pi P» P4) = ^ , 

onde: 

b) Il complesso T è il luogo delle rette che si appoggiano alle coppie di 
raggi corrispondenti in due fasci projettivi di raggi che hanno i centri in due 
vertici qualsiansi A| A, del tetraedro principale e per piani le f accie ad essi 
opposte. 

Questa generazione di T ha dunque luogo per ogni coppia di vertici del 
suo tetraedro principale. Con essa il complesso tetraedrale si presenta come caso 
particolare del complesso di 2^ grado luogo delle congruenze secondo cui si ta- 
gliano le coppie di complessi corrispondenti in due fasci projettivi di complessi 
dì lo grado. Si ha il complesso tetraedrale quando i due fasci di complessi di 
lo grado sono due fasci di complessi speciali. 

4. Le omografie dello spazio che hanno un dato tetraedro 4 di elementi uniti, 
formano un sistema lineare 00'. 

Assumendo ^ per tetraedro fondamentale, una qualunque ù di tali omografie 
è rappresentata dalla sostituzione lineare: 

po?^ = a^ CcV (r = 1 , 2 , 3 , 4). 

Risulta subito che il luogo delle rette che congiungono le coppie di punti ^ , x', 
corrispondenti in Q, è quello definito da una qualunque dell' equazioni : 



ifltl - «ss) («I I - «li) (««S - «1 1) («M - «44) («I I - «2»){««S - «44) 

Dunque il luogo nominato è un complesso tetraedrale , il cui tetraedro princi- 
pale è il tetraedro degli elementi uniti dell'omografia 0, ed è: 

il birapporto dei 4 punti in cui una retta del complesso taglia costantemente le 
faccio «1 7 ft} ) a, , a^ di i. 

Il complesso stesso è poi anche il luogo delle rette in cui si tagliano le cop- 
/oi.. XLi. 84 



)( 266 )( 

pie di piani corrispondenti neli' omografia Q, od anche il luogo delle rette delio 
spazio le cui corrispondenti in fi e nella sua inversa Q"* si tagliano. 

Un' omografia dello spazio, con un dato tetraedro di elementi uniti, è deter- 
minata data inoltre una coppia di punti corrispondenti, e quindi: 

e) Per ogni complesso tetraedrale T, dato pel suo tetraedro principale e per 
una retta g, resta determinata, per ogni coppia di punti yr/^' cornspondenti presi 
sulla retta g, un* omografia Q per cui T è il luogo delle rette dello spazio che 
congiungono le coppie di punti corrispondenti di ù. 

Questa generazione di T si fa quindi in infinite maniere, vale a dire esisto- 
no infinite omografie che danno lo stesso complesso tetraedrale, e insulta subito 
che, in ognuna di tali omografie ù, T ha per corrispondente se stesso. 

5. A questa generazione di T, assunta dal R e y e per dedurne le principali 
proprietà del complesso stesso, si può dare un altro aspetto. Due quadriche S|('^ 
S,^*^ dello spazio hanno in generale un tetraedro conjugato comune. Se questo 
si assume per tetraedro fondamentale 1 V equazioni delle quadriche si pongono 
sotto le forme: 

f(x) .= I l,(Vr^ = , 9(») = S m^;^ = 

(r = 1 , 2 , 3 , 4). 

Esse determinano un fascio F di quadriche a cui appartengono , ed è: 

F^(cc) = 2 (Z^ + X m^)Xr^ = , 

per ogni valore di X, Tequazione di una quadrica S;^^*^ del fascio F. f piani po- 
lari di un punto Y rispetto a tutte le quadriche del fascio F , passano per una 
stessa retta y, che, brevemente, diremo la retta polare di Y rispetto alla quar- 
tica C^*^ base del fascio. 
Posto: 

le \!y,f non sono altro che le coordinate tangenziali della retta polare del punto 
unità E rispetto a C(') e le formolo: 

(rs =: 23 , 31 , 12 , 14 , 24 , 34 ; t*u = 14 , 24 , 34 , 23 , 31 , 12) 

danno le coordinate tangenziali e locali della retta y espresse per quelle del 
suo polo Y, ed y determina , in generale , in modo unico il suo polo Y; giac- 



)( 267 )( 

che 1/ è r intersezione delle rette polari dì Y rispetto ad Sj^'^ , S,^*^ Risulta 

quindi: 

d) H luogo delle rette polari dei punti dello spazio rispetto alla quartica C^*^, 
intersezione di due quadriche S/'^ , 8,^*^ non è altro che un complesso tetraedrale^ 
avente per tetraedro principale il tetraedro ùl conjugato comune alle due qua- 
driche: 

£ difatti il laogo nominato è rappresentato da una qaalanque delle equazioni: 

od anche, posto per brevità: 

h ^*« + ?, w^ = [Ir wi,l , 
dalla: 

[/, mj [Z, wj a„ a?44 + [l^ iw,] [Zj wj «j, 0?»^ f- [Z, m»] [Z, mj a?„ jTj^ = 0. 

Il complesso coincide con T se le due quadriche 8/*^ , Sj^*^ , ossia le loro 
polarità, siano deteiminate in modo che, avendo per tetraedro polare A, i piani 
polari di un punto E passano per una retta di T. 

6. Del resto la generazione ora data di T equivale alla precedente cioè a 
considerare T come luogo delle rette che congiungono le coppie di punti corri- 
spondenti in una determinata omografia Q dello spazio, che è precisamente 
quella Q in cui sono corrispondenti i poli di uno stesso piano rispetto ad S|^'^ 
S)^') ed i piani polari di uno stesso punto rispetto a quelle quadriche. Il com- 
plesso T può quindi anche definirsi: 

Il luogo delle rette dello spazio le cui polari rispetto a due quadriche 
8|t«) , S,^*> si tagliano. 

Una retta y di T non è altro che la congiungente i poli di un piano ri- 
spetto ad S/*J , Sj^*^ Diciamo ora, correlativamente^ retta y polare di un piano tj 
rispetto al fascio 7^^^ base di un fascio di inviluppi di 2^ classe, il luogo dei 
poli di uu piano ri rispetto a tutti gli inviluppi del fascio. 

Essendo: 

l'equazioni degli inviluppi 2/** , Sj^*^ dei piani tangenti di 8,^*^ 8,^*^ , essi deter- 
minano un fascio di inviluppi di 2» classe a cui appartengono; e T è t7 luogo 
delle rette polari dei piani dello spazio rispetto al fascio ^^^^ di piani base del 
fascio <b di inviluppi. 



)( 268 )( 

Essendo m^g le coordinate della retta polare del piano unit& rispetto a Z^^^\ 
Z,^*\ ossia: 



WVs = 



sono: 

Tespressioni delle cordinate locali e tangenziali della retta y polare del piano i] 
rispetto a if^^), e viceversa y determina il suo piano polare n], poiché y] è 11 piano 
delle rette polari di y rispetto ad S,^*^ , Sj^*^ 

Per equazione di T si può quindi assumere una qualunque delle: 

ossia posto: 

per equazione di T si può assumere la: 

7. Ma ha luogo un altra generazione di T che è notevole. Consideriamo un 
piano a^ ed una stella (A^) riferiti fra loro projettivamente. Essendo appunto A,, 
A, ; A3 i punti del piano a^ per cui passano i corrispondenti raggi della stella 
(A^), saranno: 

le formolo che servono a rappresentare Tomografia richiesta; e : 

lx\ mx\ nac'5 

per ogni valore di pi, le coordinate di un punto x d®' p'ano a^ e di un punto y^ 
del raggio a?' corrispondente di y^ e quindi: 

9'^'u = (wi - n)(v\x'^ f ' aj,4 = ìx\\l'^ 
P' 2C3, = (n — l)x'^ x\ p' a;,4 = m x', pi 
p' a?„ = (Z - m)ac', «', p' «,4 = nac', ji 



)( 269 )( 

sono le coordinate locali della retta x che unisce un punto )r = (x\l x\m x\n 0) 
del piano a^ con un punto qualunque x, del raggio x'j corrispondente di x nella 
omografia posta fra il piano a^ e la stella (A4). Il luogo quindi delle rette che 
dai punti di un piano a^ projettano i corrispondenti raggi di una stella (A4), ri- 
ferita projettivamente al pianOj è un complesso tetraedrale definito da una qua- 
lungue dell* equazioni: 

l(m — n) m{n — l) n{l - m) ' 
che coincide con T se siano: 

aa?, : hXi : cx^ = x\ : x\ : x', 

le formole che servono a rappresentare Tomografia fra il piano «4 e la stella (A4); 
onde la generazione di T ora data si può ottenere in infiniti modi per ogni fac- 
cia a^ del suo tetraedro principale e per la stella (A^) che ha il centro nel vertice 
A^ opposto a quella faccia. 

I diversi modi di generazione di un complesso tetraedrale possono servire 
a darne tutte le principali proprietà. 

Intanto l'equazioni : 

T(a5) = (6 - c)[y^y^x^cn^ + Vig^X^X^) + (e - a){g^g^x^x^ -f yiVxX^^) + 

+ (a - &)(i/8y435i»2 + yiVtXza^A) = 
T'(S) = (6 - c)(7i,>]45j5, + >3t>l35i54) + (e - a)()Ji>j4585i + ^Is^iSiSi) -1- 

+ (a - 6j(>Ja>j45|5i + yì^ni^ilk) = 

rappresentano rispettivamente il cono y^*) del complesso di vertice Y e l'inviluppo 
l^*^ del complesso di piano 73. Il cono 2^^*^ e V inviluppo >j^*^ sono degeneri sol- 
tanto quando il vertice Y del cono sia un punto di una faccia di A e il piano i] 
deirinviluppo sia un piano passante per un vertice di A. 

In altri termini: i punti singolari di T sono i punti delle facete di A ed i 
piani singolari del complesso stesso sono i piani delle stelle che hanno i centri nei 
vertici di A. 

Od anche : le faccie di A costituiscono la superficie di A9 ordine singolare 
del complesso e i vertici di A, essenzialmente pensati come centri di stelle di 
pianif costituiscono Vinviluppo di 4» classe singolare di T. 

Considerando una faccia di A per es. a4 ed il suo vertice opposto A4 , il 
cono di T corrispondente al punto Y = (y^ y^ y^ o) di «^ , si scinde in un fascio 
di raggi di centro Y del piano A4 e nel fascio di raggi che, avendo il centro nel 
punto Y, è situato nel piano >) della stella (A4) definito dall'equazione: 

(^ - <^)y^^i + (e - a)y^^Xt + (a - &)y,y,(r, = 0. 



)( 270 )( 

Per brevità il secondo fascio di raggi di T uscenti da Y e giacenti nel piano )) 
lo diremo il fascio fy corrispondente al punto Y di «^ od anclie il fascio /"^ cor- 
rispondente al piano n) della stella (A4). 

Quindi le formolo 

»Ji : >Jt : »!« = (* - c)i/tyi • (e - «)y82/i ' (« - à)y^y^ , 
da cui 

yxyt-y^ (c-a)(a-6) • (a-6)(ò-c) • (6-.c)(c-a)' 

definiscono una corrispondenza birazionale quadratica F^ , nella quale ad un punto 
Y del piano a^ corrisponde il piano n] della stella (A4) del fascio /"^ di raggi di T 
corrispondente al punto Y. 

1 punti A, , A2 7 A3 ed i piani ttf , 7, , a, sono i punti e i piani fondamentali 
della corrispondenza quadratica. Al punto A^ di a^ corrispondono tutti i piani 
passanti per A^A^ , ed al piano a^ di (A4) corrispondono tutti i punti della ret- 
ta 0L^1^> 

Ed in generale risulta : 

Ai punti di una rettm p del piano a^ corrispondono in T^ i piani ri della 
stella (A4) che inviluppano un cono quadrico a cui sono tangenti i piani «i , o^ , 
a^ , PA4 ; ed ai piani ri di un fascio (g) della stella (A4) corrispondono iti a^ i punti 
di una conica che passa per i punti A, , A^ ^ A3 , ga4. 

In particolare al punto £4 = (1 , 1 , 1 , 0; del piano a^ proiezione del punto E 
dal vertice A4 , corrisponde 11 piano $4 : 



{b — c)a?, + (e - a)Xi + (a — ò)a?, = 



che coi tre piani 



A4A,E , A4A,E , A4A,E 



forma un fascio di piani il cui birapporto è k. Dato quindi T per il suo tetraedro 
principale e per la costante k^ da cui allora solo dipende^ resta determinata la 
corrispondenza quadratica T^ che ha luogo fra 1 centri ed i piani dei fasci di 
raggi di T corrispondenti ai punti di una faccia a^ di à, poiché di tale corri- 
spondenza ne sono dati gli elementi fondamentali ed una coppia di elementi 
corrispondenti; ed allora : 

Il complesso T è il luogo delle rette dello spazio che, passando per ogni punto 
Y di una faccia a^ del tetraedro À principale^ sono situate nei corrispondenti 
piani dell'ora nominata corrispondenza quadratica V^ fra gli elementi del piano 
a^ e della stella (A^). 

I caratteri della corrispondenza quadratica F^ si sarebbero potuti dedurre 
facilmente dairultima generazione data di T^ dalla seconda^ colla pura geo- 
metria. 



)( 271 ){ 

9. Senza nessuna difficoltà risaltano subito di un complesso tetraedrale, T, 
ancora le seguenti proprietà : 

In ogni polarità nulla di spazio^ in cui siano rette polari reciproche due 
ipigoli opposti del tetraedro principale A, il complesso tetraedrale ha per polare 
reciproco se stesso. 

Il complesso ha per polare reciproco se stesso in tutte le polarità rispetto 
a quadìHche che contengono un quadrilatero gobbo semplice del suo tetraedro prin- 
pale] ed ha pure per corrispondente se stesso in ogni omografia biassiale i cui 
assi siano una coppia di spigoli opposti del suo tetraedro principale, 

L' equazioni quindi : 

sono quelle di sei complessi 0^ di !<> grado, a due a due in involuzione, le cui 
polarità nulle trasformano in se stesso il complesso tetraedrale T, e lo stesso è 
a dirsi delle 10 polarità rispetto alle 10 quadriche a cui appartengono le 20 ri- 
gate intersezioni dei sei complessi a tre a tre e alle omografie rigate involutorie 
aventi per rette doppie due spigoli del tetraedro principale A. 

Si ha dunque, intanto, colFldentità, un gruppo di 20 corrispondenze lineari 
di spazio, involutorie, a due a due permutabili che trasformano in se stesso ogni 
complesso tetraedrale T avente per tetraedro principale A il tetraedro che serve 
a determinare, nel modo noto, le 20 corrispondenze. Anche le omologie armo- 
niche che hanno per centri i vertici di A e per piani le faccio opposte trasformano 
in se stesso il complesso T etc. 

10. Siano yj z due rette che si appoggiano, di coordinate locali y^^ , z^ al- 
lora le formolo 



9^rt = Vrt + ^ 



r« 



(r« = 23 , 31 , 12 , 14 , 24 , 34) 

per ogni valore di X^ danno lo coordinate x^^ di un raggio x del fascio yz a cui 
appartengono y y z ^ avendosi : 

{yz) = Zy^, z^^ = 0. 
Posto in generale: 

Ì-\X) S= aX^^^^ "T &X31X24 + ^•^12*^34 } 






dtt„ d»„ 



)( 272 )( 
l'equazione quadratica in X : 

(4) X«T-«) + XT{y;r)+T(y) = 

ha per radici i parametri (lineari) X, y X^ dei raggi di T situati nel fascio yz. I 
due raggi y y z dividono armonicamente la coppia di raggi (X^) y (X^) se sia quindi: 

T{yz) = 0. 
Dunque T equazioni : 

(yx)=.Oyfi^r.l^X,,r.Oy 



dy 



rs 



ove y^, sono le coordinate di una retta fissa y, rappresentano una congruenza 
^y di primo grado luogo delle rette che tagliando la y sono situate nei piani 
polari di y rispetto a tutti 1 coni di T che hanno i vertici su y. Cangiando le 
coordinate locali in tangenziali le stesse equazioni dicono che la congruenza À^ 
è anche il luogo delle rette dello spazio che appoggiandosi ad y passano per i 
poli di y rispetto agli inviluppi del complesso T situati in piani di y. 

Questa congruenza A^, interamente determinata dalla retta y, è detta la coìi- 
gruenza polare di y rispetto a T e risulta subito: 

Se X è una retta della congruenza iiy polare di y, viceversa y è una retta 
della congruenza A^ polare di x. 

Le direttrici della congruenza sono la retta y e la retta y' polare di y ri- 
spetto al complesso 6^ = 0, che si dice anche il complesso polare di y relativo 
alla equazione adottata di T. 

La retta y' è anche la polare di y rispetto ad uno qualunque dei complessi 



'■'ny-'^'iB"."' 



del fascio determinato da ti^. 
In particolare, posto : 

T'(y) = a^y^y,^ + òVail/i* + cVit^si * 
sarà 

2T(y) + XT'(y) = 

Tequazione che dà il parametro X dell'altro complesso speciale %\ passante per 
Ay*, onde saranno 

P.y'r» = yr. T'(y) - 2 T(y) ^ 
(r« = 23 , 31 , . . . ; wv = 14 , 24 , . . .) 



)( 273 )( 

Tespressionì delle coordinate y'^.^ locali della retta y% altra direttrice della con- 
gruenza Ày. Questa retta y' dicesi anche la conjugata di y rispetto a T ; ed è 
dunque l'inviluppo dei piani polari di y rispetto a tutti i coni di T che hanno 
i vertici su ^ ; o il luogo dei poli di y rispetto a tutti gl'inviluppi di T situati 
in piani per y. La costruzione di tale retta è subito fatta. 

11. Se la retta y appartiene a T, essa appartiene anche al complesso 0^ po- 
lare di y: la congruenza quindi 2^^ ha per direttrice doppia la retta j^ ed è il 
luogo delle rette che appoggiandosi ad y sono situate nei piani tangenti lungo y 
ai coni di T aventi i vertici su y ; oppure il luogo delle rette che appoggiandosi 
ad y passano per i punti di contatto di y relativi agli inviluppi di T situati in 
piani per y. 

La congruenza A^ dicesi allora tangente in ^ a T. Ogni retta y dello spazio 
ha la sua conjugata y' rispetto a T che coincide con y se y è una retta di T. 

Ma come ad una retta y presa arbitrariamente corrisponde una sola con- 
jugata y'\ viceversa y' non è in generale conjugata ad una sola retta y. 

Perciò osserviamo che la rigata r^^*^, intersezione dei tre complessi : 

^y •= Vu^u - Pu^u = , Q 'y = yii^a, - 2/3, x,4 = , Q' ^ = y^^Xt^ - y^^x^^ = 0, 

è contenuta in una quadrica S^^'^ conjugata a A, e la quadrica contiene pure la 
rigata r^^ intersezione dei tre complessi 

Cy = yuaJ«8 + Vzr^M ^0 , C'y = y^^x^^ + y^^x^^ à C'\ = y^^x,, -»- y,,®,* = 0. 

Le rigate r^^*) , r ^^^^ costituiscono i due sistemi di generatrici di S^^'^ Ora 
fy^*' contiene y e quindi r'y^*^ è formata di rette della congruenza Ay polare di y: 
dunque y' giace in r^^'^K 

Se la retta y si move in Vy^'^^ anche y' si move in rj^^^ \ poiché una quadrica 
è interamente determinata da una retta che debba contenervi e dall'essere con- 
jugata ad un dato tetraedro A. 

Inoltre si osservi che per costruire y' data y basta costruire il piano y]^ 
della stella (A^) che contiene il fascio di T corrispondente al punto Y^ = ya^. La 
retta ij^a^ e la retta y determinano un piano del fascio (iQr^r)' ì^ coigugato ar- 
monico di questo piano rispetto ai piani y]^ ^ a^ contiene y\ 

Di qui segue subito che, come una retta y ha in generale una sola conjugata 
y', invece y' è in generale conjugata a tre rette y , yt ^ y». 

Infatti se siano Y^ , Y'^ i punti ove le rette y , y' segano la faccia «^ di A, 
quando il piano della stella (A^) descrive il fascio (A^Y'^), il punto Y^ descrive 
su a^ la conica luogo dei centri dei fasci di T corrispondenti ai piani del fa- 
scio. D' altra parte il piano a^ taglia la quadrica Sy^*^ che contiene r^^^"^ in 
una conica che oltre di Y'^ avrà in comune colla conica dianzi nominata altri 
tre punti T'^ , Y"^ , Y^ , per ciascuno dei quali passa rispettivamente una retta 
VììVi }t/ ^^ ^y^*^ ^^6 ^^ P®r conjugata y'. 

VOL. XLI. 85 



;( 274 )( 

12. Dobbiamo coDBiderare alcuni casi particolari. 

Se ^ è una retta del complesso tetraedrale T', definito dall'equazione 

T'(x) = a^x^^x^^ + 2>*a:«i«t4 + c^^mX^k = , 

allora come y ha per coniugata una sola* retta ^', viceversa y' è conjugata alla 
sola y^ la retta y appartenendo a T' e non a T. 

Supponiamo ora che y appartenga a T ed a T', allora i parametri della retta 
y* conjugata di y si presentano sotto forma indeterminata. Intanto osserviamo 
che le rette comuni a T e T' costituiscono la congruenza speciale À^^^ di quarto 
grado formata dai quattro piani rigati di i, e dalle 4 stelle di raggi aventi per 
centri i vertici di A. 

Il complesso polare di y rispetto a T, essendo speciale^ il suo asse y' sega 
y \ la congruenza tangente in j/ a T è una congruenza degenere che si scinde 
cioè in una stella di raggi; avente il centro nel punto yy\ e in un piano rigato 
(yy'). Le rette di A^*^ diconsi perciò le rette singolari di T. Se consideriamo ad 
esempio un raggio y della stella (A4); che sega il piano a^ nel punto [y^ y^ y^ 0), 
l'equazione del piano tangente lungo y al cono di T avente il vertice nel punto 
qualunque (y«2/tS^s^) dì V ^ rappresentato dall'equazione 

ih - c)(y,y,a?j + y^^x^) + (e - a)(y^y^x^ + y,!/,»,) + (a - h)(y^y^x^ + VxV^^) = , 

ossia 

(P - <^)yiya«i + (e - o)yzyi^t + (a - b)yiy^X;^ tz , 

il che vuol dire appunto : 

I coni di T aventi % vertici in una retta y della stella A4 hanno lungo essa 
lo stesso piano tangente che è il piano del fascio corrispondente al punto Y4 ove 
y sega «4. 

E così poi per le rette singolari di T appartenenti agli altri vertici di i. 

Correlativamente : 

Le coniche inviluppate dalle rette di T situate in piani passanti per una 
stessa retta singolare y, appartenente ad una faccia a^ di A, sono toccate da y 
nel centro del fascio di raggi di T corrispondente al piano yA^ della stella A^. 

13. Se neirequazione (4) del numero 10 sia 

e in essa riguardiamo le x^ come coordinate di un punto variabile; allora l'equa- 
zione stessa rappresenta per ogni valore di X il cono di T che ha il vertice nel 
punto (y^ + \z^) della retta ^ = YZ : quindi l'equazione : 



del 40 grado nelle x^ definisce una superficie S^^*^ del 40 ordine inviluppata dai 
coni di T che hanno i vertici su g. 



)( 275 )( 

Ora la stessa equazione (4) in cui si riguardano fisse le x^ , ha per radici i 
parametri à, , l^ dei punti ove la retta YZ sega il cono di T di vertice X, quindi 
Tequazione ultima è quella di condizione affinchè la retta g sia tangente al cono 
di vertice X ; dunque : 

8^^^) è il luogo dei vertici dei coni di T toccati dalla retta g e quindi è an- 
che il luogo delle coniche inviluppate dalle rette di T situate in piani passanti 
per g. 

La superficie 8^^^^ si dice la superficie complessa di T di asse g. 

Se siano Y] , C due piani di g e sia : 

sarà senz'altro 



*(5) = T()i )» - 4 T()i) T(C) = 

Tequazione, del 4o grado nelle Cr i che rappresenta l'inviluppo S^^) dei piani tan- 
genti di S^(^^ Infatti l'equazione quadratica in X 

T()j) + XT(>)0 + X«T(0=0 

dà i parametri X dei piani tangenti condotti per g alla conica inviluppata dalle 
rette di T che si trovano nel piano ^ di coordinate |^ : e quindi 1' equazione 
scritta è quella dell'inviluppo dei piani ^ che contengono inviluppi di T di cui 
SODO punti di contatto i punti della retta g ; cioè i piani stessi i non sono altro 
che i piani tangenti ai coni di T che hanno i vertici su g. 

Dunque la superficie S^^^^ è della 4* classe e la retta g è retta doppia della 
superficie e dell'inviluppo Z^^^g dei suoi piani tangenti. 

14. Posto in generale 
l'equazione di 8^*'^ si scrive sotto la forma 

Siano g^ le coordinate locali della retta g ^ YZ , allora per le coordinate J^ 
del piano ^ , determinato dalla retta YZ e dal punto X , si ha : 



5. _ S* 



9u^i ~ 9u^t + ffi^i — 9%^\ — 9t\S0t - 9t^t 



)( a76 )C 

Il plano £ è il piano del fascio determinato dai raggi XY ; XZ e quindi, a 
meno di nn fattore di proporzionalità; si hanno le seguenti relazioni dovute a 
Battaglini: 

(y»8 «fi) = £i a?i + Si «4 == -- [5i »j + §a a,] 
(ysi «fi) = ?i ^t + 5i fl?i = - [5s «3 + 5| a?,l 
(y««si) = 5«^« + Si 304 = - [Si35i + S«a?J 
(y»i «ai) = ^s 52(y« «2i) = ^1 SsCyti «jì) = »i Si 

(^81 «it) = - aj, $4^y, j 2|4) = fl?, S,(y„ z,*) = x, S, 

(ysi «li) = a?4 StCyii «11) = - 0?» ìi^(yu «u) = «i Si 
(^81 «li) = «^1 St(yu «li) = a?i Sj(yi« «8i) = - aJi Si. 

Con queste relazioni risulta subito che V equazione di S^^^^ si pone sotto la 
forma 

0(ac) = (6 - c)«[?j, {, x^ »j + {, E4 X, «41 + 

(e - a)»[t, 5, X3 a?, + £2 $4 ocj X4I + 

(a - ò)*[5| fj X, Xt + Ss 5i ^8 3^4] = , 

ove le Sr hanno le date espressioni per le coordinate g^, della retta YZ e le coor- 
dinate Xy del punto X. 

Si vede quindi che la superficie S^^^^ ha nei vertici di 1 quattro punti dop- 
pi. — Di più se nell'equazione di essa riguardiamo le ^^ come coordinate di un 
piano fisso essa rappresenta una quadrica circoscritta a À che è tagliata dal 
piano S passante per g nella conica secondo cui quel piano taglia S^^^^ , cioè la 
conica inviluppata dalle rette di T che si trovano in quel piano g. 

Essendo y^^ le coordinate tangenziali della retta g^ per le coordinate x^. del 
punto X ove la retta g sega il piano g si avrà 



St Ì8i — Sa Tii + Si T18 Ss Ti4 "" S* Tsi + S4 Tsi 



X« Xi 



Si Ti4 ~ Si Tu "^ Si Tu *" Si T18 "" Si T8I "" Ss Tu 

Se neirequazione di S^^^^ s'immaginano poste l'espressioni ora scritte delie Zr 
e riguardiamo in essa variabili le ^^ l'equazione stessa 

0(?) = 



)( 277 )( 

diventa Vequazione tangenziale di S^*^^ , ossia Tequazione dello inviluppo 2'*>p dei 
piani tangenti di S^^^^. Se nell'equazione stessa riguardiamo le x^ come coordi- 
nate di un punto X della retta g^ Tequazione quadratica nella ^^ rappresenta un 
inviluppo Z(*){ di 2» classe circoscritto a A a cui appartengono i piani tangenti 
del cono di T di vertice X. 

La superficie S^^^^ ha adunque quattro piani tangenti doppi nella faccia di A. 

Le superficie-complesso di uno stesso complesso tetraedrale T formano quindi 
un sistema algebrico oo* di superficie del 4^ ordine aventi 4 punti doppi nei ver- 
tici del tetraedro principale di T e 4 piani tangenti doppi nelle facce del te- 
traedro stesso. 

15. Il complesso T si consideri come luogo delle rette y polari dei punti T 
dello spazio rispetto alla quartica C^^^ intersezione di due quadriche B^*\ , S^^'^i 
oppure correlativamente: come luogo delle rette y^ polari dei piani y) dello spazio 
rispetto al fascio y^*) dei piani tangenti della sviluppabile di 4^ classe circoscritta 
ad S^*^, , S<*^2 , ossia al fascio dei piani comuni degli inviluppi 1^*\ , V^\ di 2* 
classe formati dai piani tangenti di S^*^ , S^*\. Questa generazione del complesso 
tetraedrale T ci dà subito la rappresentazione di T sullo spazio punteggiato (S) 
e sullo spazio (o) composto di piani. Ogni punto T di (S) è l'immagine della retta 
polare di esso rispetto a C^^) ed ogni piano v] è Vimmagine su (a) della retta y^ po- 
lare di 71 rispetto a Y^K Nella rappresentazione lo spazio T è semplice cioè la 
corrispondenza fta gli spazi (S) , (T) ; (o) , T è biunivoca. 

Nella rappresentazione di T su (S) i soli punti eccezionali sono i vertici A, 
di Ij ciascun vertice A^ essendo l'immagine di tutte le rette della faccia op- 
posta. 

I soli piani eccezionali della rappresentazione di T su (o) sono le faccie a^ 
di A: ciascuna faccia a^. essendo l'immagine di tutti i raggi della stella (A^). 
Uno spigolo di A ha per immagini i punti ad i piani dello spigolo opposto. 

16. Delle due rappresentazioni V una è la trasformata dell' altra nella pola- 
rità di una quadrica coigugata a A ; basterà quindi considerarne una, p. e. quella 
di T su (S). 

Risulta subito senza difficoltà: 

I punti di una faccia a^ di 1 sono immagini dei raggi della stella (A^): un 
punto Y^ di a^ essendo Vimmagine del raggio y^ che projetta da A^ il polo ar- 
monico YV di Y^ rispetto al fascio f^ di coniche secondo cui a^ taglia il fascio F 

di quadriche a cui appartengonv S^^\ , S^*^,. 

Una retta g arbitraria non appartenente^ a T, è Vimmagine di una rigata 
"^^^^g contenuta in una quadrica 8^*^^ circoscritta a A. L'altro sistema di genera- 
trici è il luogo delle retle polari reciproche di g rispetto alle quadriche del fa- 
scio F. 

8e la retta g è una retta non singolare di T essa è immagine del cono di T 
che ha il vertice nel punto G immagine di g. 

Se gy è un raggio della stella (A^) essa i-V effettiva immagine del fascio di 
raggi di T corrispondente al punto Y'^, polo armonico del punto Y^ ove la retta g^ 



)( 278 )( 

sega il piano a^ ; perchè il fascio di T che giace in a^ e che completa col primo 
fascio il cono di T di vertice Y'^ ha per immagine il solo punto A^. 

Possiamo quindi dire che nella direzione g^ il punto A^ è V immagine del 
raggio g'^ comune ai due fasci di raggi di T. La corrispondenza fra i raggi g^ , 
g'y della stella A^ e del plano «^ è lineare. Basta, p. es., osservare che fra le 
coordinate yj^ del piano del fascio di T che ha per immagine il raggio y della 
stella (A4) e quella y^ del raggio stesso y , hanno luogo le relazioni : 

>i, : »]j : >;, = (ò - c)\t^^\ì.^^y^ : (e - a)i*„ix,,y, : (a - b)\k^\k^,y^ 

le quali dimostrano che: la corrispondenza fra i raggi y della stella (A4) e i 
piani Y] della stessa stella che contengono i fasci di T aventi per immagini quei 
raggi, è una corrispondenza lineare, anzi una polarità della stella (A4), in cui 
il triedro A4(A,A2Aj) è un triedro polare , e il raggio A4E ha per piano polare 
il piano che projetta da A4 la retta di T che ha per immagine il punto E. 

Se finalmente g è una retta appartenente ad una faccia a^ di A essa è im- 
magine di un cono quadrico della stella (A^) circoscritta al triedro di À di ver- 

vice AA.^* 

17. Segue ancora immediatamente : 

Un piano 5 arbitrario di (S) è V immagine della congruenza A^ delle corde 
della cubica gobba C^'^g circoscritta a 1 luogo delle immagini delle rette di T che 
giacciono nel piano ^\ e la conica C^-^^ inviluppata dalle dette rette di ^ è Vim- 
magine della rigata S^*^^ del 4«> ordine delle tangenti della cubica C^*^^ ; la quale 
è anche il luogo dei poli del piano i ri*tpetto alle quadriche del fascio F. 

Ora due rette h , k prese arbitrariamente in T determinano una rigata di 2o or- 
dine di rette di T a cui esse rette h , k appartengono poiché si ha 

[MA4A,A3A4)] = [A:(A,A,A,A4)] , 

avuto riguardo a notazioni già usate. 

D'altra parte le rette h , k hanno per immagini due punti H , K che deter- 
minano la retta HK, immagine delle rigate di 2^ ordine determinate dalle rette 
h, k, dunque : 

Le quadriche circoscritte a A contenenti rigate di T formano un sistema 
algebrico A4 , oo* di 2° ordine come il sistema delle rette dello spazio. 

Per ogni quaterna A, B, 0, D di punti di (S) passone al più due quadriche 
di ^4 , quelle che contengono le rigate che hanno per immagini le 2 rette che 
tagliano le 4 rette di T aventi per immagini i punti A, B, C, D. Similmente tre 
rette h, k, l dì T non appartenenti ad una stessa rigata di 2© ordine sono corde 
di una determinata cubica gobba circoscritta a A; poiché si ha : 

[;ì(A,A,A,A4)1 = [A:(A,A,A,A4)] = [^(A.A,A3A4)]. 
D'altra parte le tre rette h, k, l hanno per immagini tre punti H, E, L che de- 



)( 279 )( 

termiDano un piano ( = HKL immagine del sistema delle corde della cubica ; 
danqae : 

Le cubiche gobbe circoscritte a 1 e di cui le congruenze delle corde sono 
formate di rette di T, formano il sistema oo* di cubiche immagini degli invi- 
luppi di T. 

Per ognuna di tali cubiche avremo una rete di quadriche del sistema Z^ : 
quella formata dalle quadriche circoscritte alla cubica. 

Tali reti formeranno quindi un sistema oo^: due reti del sistema hanno una 
qnadrìca in comune. 

18. Un altro sistema oo' di reti di 1^ si ha osservando che le quadriche di 
£4 contenenti una stessa retta ^ di T formano appunto una rete {g)^. 

Le rigate di T contenute in dette quadriche sono infatti quelle che hanno 
per immagini i raggi della stella (G) che ha il centro nel punto G immagine del 
raggio g. Inoltre due quadriche del sistema si tagliano ulteriormente nella cu- 
bica gobba che è il luogo delle immagini delle rette di T che si trovano nel 
piano della stella (G), determinato dai raggi che sono le immagini delle rigate 
di T contenute nelle due quadriche. 

Con questa rete {g)^ di quadriche di £4 abbiamo un sistema 00* di cubiche 
circoscritte a A che, colla retta g, formano le quartiche basi degli 00* fasci di 
raggi di quadriche contenute nella rete (g)i. 

Il complesso T è il luogo delle tangenti alle 00^ cubiche della rete. 

In 1^ abbiamo cosi un altro sistema ^* di reti (g)^^ due reti del sistema 
hanno una quadrica in comune. — Tre cubiche circoscritte a A di cui le corde 
siano rette di T determinano una delle dette reti ; quella determinata dalla corda 
comune alle tre cubiche. 

19^ Dalle proprietà ora date dalla rappresentazione di T su (S) risulta an- 
cora immediatamente: 

La quadrica S^*^^ circoscritta a A, che contiene la rigetta di T che ha per 
immagine una retta arbitraria g, è V immagine in (S) della congruenza A^*^^ di 
20 grado luogo delle rette di T che si appoggiano a g. 

Segue quindi che se indichiamo con g^^ le coordinate locali della retta g , 
avuto riguardo alla espressione delle coordinate locali di una retta a? di T per 
mezzo di quelle x^. del punto immagine, l'equazione 

{rs = 23, 31, 12, 14, 24, 34) 

rappresenta la quadrica S^^^^, e l'equazione stessa diventa appunto quella del cono 
dì T che ha il vertice nel punto G immagine della retta g^ essendo dunque g* 
una retta di T. 

Essendo in generale 

f^{x) = la^ 0?^ a?, = 
(r« = 23, 31 ) 



)( 280 )( 

l'equazione di una qnadrica qualunque S^*^^ circoscritta a A , essa appartiene al 
sistema I4 delle quadriche circoscrìtte ale contenenti rigate di T se sia: 



L'equazione scritta al variare delle a^, che le soddisfano rappresenta il si- 
stema £4 stesso. Per essere 



l'equazione ultima diventa: 

«23 «U *^* + («a «34 - «Il «24 - «23 «u)*^ + «S 1 «24 = 0) 

onde si vede che : 

Ogni quadrica S^*^^ circoscritta a i determina due complessi tetrasdrali di 
tetraedro principale A corrispondenti ai due sistemi di generatrici della quadrica 
che sono formati di rette dei due complessi ; ciò che doveva risultare senz'altro, 
osservando che le 4 generatrici dell'un sistema passanti per i vertici di A sono 
projettate da una generatrice qualunque dell'altro sistema con un fascio di 4 piani 
il cui birapporto è costante. 

L'equazione ultima quadratica in k ha per radici ki ,kf,ì birapporti corrispon- 
denti ai due sistemi di generatrici della stessa quadrica. Questi birapporti k^ y k^ 
determinano due complessi tetraedrali che diremo fra loro coniugati rispetto alla 
quadrica stessa S^*^^. 

L'equazione avrà le radici /e, , k^ reali distinte oppure immaginarle coniugate 
oppure coincidenti secondo che sia 



A = 







a 



12 



«Il 



a 



14 



a 



12 







a 



23 



a 



24 



a 



II 



'23 



a 



a 



14 



a 



24 



a 



84 



14 







0, 



essendo A il discriminante dell'equazione della quadrica S^'^^. 

Le quadriche circoscritte ad uno stesso tetraedro A formano un sistema li- 
neare oo'. Quando la quadrica è un cono^ ossia è A = 0, essa appartiene essen- 
zialmente ad un unico determinato complesso tetraedrale di tetraedro principale A. 

I complessi tetraedrali aventi lo stesso tetraedro principale A ^ formano un 
fascio 9 di complessi corrispondenti ai valori da — oo a + oo di A;. Al fascio 9 
di complessi appartengono i tre complessi degeneri corrispondenti ai valori od, 
0,1 àìk: ciascuno di tali complessi T^ , T^ , T| si compone di due complessi spe* 
ciali di lo grado aventi per essi le coppie 

AjAf , A|A^ ; -^s^i , A^A^ ; AjA^ , A(A,| 
di spigoli opposti di A. 



)( 281 )( 

Il sistema S^*)^ , oc* delle qnadricbe specializzate circoscritte ad uno stesso 
tetraedro A, non è altro che il sistema di tutti i coni del complessi tetraedrali 
che hanno per tetraedro principale A. 

I coni di 8^*^4 si distribuiscono negli oo' fasci di coni; corrispondenti ai punti 
dello spazio nei complessi del fascio 9. 

Tutte poi le quadriche circoscritte ad uno stesso tetraedro 1 si distribuì- 
scono adunque negli od' sistemi 1^ , 00* di quadriche contenenti rigate dei com- 
plessi tetraedrali del fascio 9. 

20. In generale è subito visto che una superficie 8^"*^ di ordine m, è la 
immagine di una congruenza [m , Sm] di ordine m e di classe 3m del complesso 
T; la superficie S^*") non contenendo alcun vertice di A. La congruenza ha quat- 
tro punti singolari di ordine 2m nei vertici di A, poiché il punto A^ è vertice 
del cono di ordine 2m luogo delle rette di T che hanno per immagini i punti 
della curva secondo la quale la faccia a^ di 1 taglia S^"*^ 

Il cono ha tre rette tu— pie negli spigoli di A uscenti da A^ e non ha altra 
singolarità^ se supponiamo che S^^^ non abbia alcuna posizione speciale rispetto 
a A e sia generale del suo ordine m. 

Eisuita quindi che gli spigoli di A sono rette m-ple della congruenza. 

La quadrica S^'^^ che contiene la rigata di T che ha per immagine la retta 
g di (S) taglia la superficie S^*"^ in una curva C^*"*^ di ordine 2m che è Timma- 
gine della rigata B,^^"^^g luogo delle rette della congruenza che tagliano la retta g. 
La rigata appartiene ad una superficie gobba S^*'"^^ di grado 4m. 

Infatti se /i è una retta arbitraria dello spazio, la quadrica 8^*^^ che contiene 
la rigata di T che ha per immagine la retta h sega C^*"*> in 4»i punti ; quindi 
sono 4m le generatrici di S^*^^g incontrate da una retta arbitraria h. Il genere 
di S^*"*^^ ossia di una sezione piana qualunque di 8^*"*^^ è quello stesso p di 0*"*^ 
Essendo C^*"*^ la curva intersezione di 8^*^^ con una superficie SW generale del 
suo ordine, e presa arbitrariamente in (8), tutte le caratteristiche di C^^^^ e della 
sua sviluppabile osculatrice sono subito calcolate. In particolare il genere di 
C(t«) è: 

(2m-l)(2m-2) 2m(m - 1) , 

p= 2 2 — =(^-i)*; 

il genere della superficie 8^*'**^^ è dunque (w — 1)*. Dicendo r il rango della con- 
gruenza considerata; avremo la relazione : 

^ , .v,^(Ì!!LrJX4wi--2) m(m - 1) 3m(3m - 1) 
^ ^ 2 2 2 ' 

da cai 

r = 2»n(?ii— 1). 

Calcolato così il rango della congruenza si ha subito V ordine \k della sua 
superficie focale ed è : 

\k = 2m{m — 1). 

VOL. ZLI. SU 



)( 282 )( 
La classe v della superficie focale è 

V = 2m(w + l). 

21. Vediamo ora come si può di nuovo trovare l'ordine e la costruzione e 
l'equazione della superficie focale. La superficie 8^*"^ essendo generale del suo 
ordine w, il complesso 6"*('"^*^ delle sue tangenti sarà del grado m(»i— 1): onde 
sarà tagliato dal complesso tetraedrale T in una congruenza (2m(m— 1)] del grado 
2w(m-l). D'altra parte una rigata di 2o ordine di T ha in comune con O'**^"*"'*^ 
2m(m— 1) rette, segue immediatamente che 

L'immagine in (S) della congruenza [2m(m— 1)] è una superficie S*"*^"*"*' del- 
Verdine 2m(m-l). 

Dico che S*"*^"""*^ è la superficie focale della congruenza data [m , 3m] per 
la sua immagine 8^^\ 

Infatti la congruenza [2m(m — 1)1 è il luogo delle coppie di rette di T che 
uscendo dai punti di S<"*^ giacciono nei piani tangenti ad S^*"^ nei punti stessi. 
Epperò ogni punto dì S^*"^ è V immagine di una retta p di [m , Sm] incontrata 
dalle due di essa congruenza aventi per immagini i punti di S^"^^, infinitamente 
vicini a P sulle rette di T uscenti da P, le cui immagini sono perciò i due fuochi 
P^ , Fj della congruenza relativi alla retta p. Quindi S*"'^"*"*^ è la superficie fo- 
cale della congruenza. Essa è appunto dell'ordine 2m(m~l) e la sua equazione 
è subito ottenuta : poiché basta nell'equazione locale del complesso O*"^*""*^ porre 
in luogo delle coordinate locali x^.^ di una retta le loro espressioni per mezzo 
delle coordinate del punto immagine appartenendo quella retta considerata al 
complesso tetraedrale T. 

La superficie S**"<'"~*^ ha nei vertici di 1 punti multipli secondo m{m - 1). 

La superficie S^'") è tagliata dal piano a^ in una curva dell'ordine m e della 
classe 9n(m — 1). All'inviluppo quindi delle tangenti corrisponde, nella ricor- 
data corrispondenza lineare fra a^ ed (A^), un cono di ordine m(m — 1) che èli 
cono tangente in A^ alla superficie. 

Se m=2f cioè se la superficie immagine è una quadrica S^'^ che ha rispetto 
a A una posizione qualunque , rappresentata cioè da un' equazione completa di 
20 grado nelle x^ , la congruenza [2,6], immagine di S^*^ è del 2o ordine, delia 
6^ classe e di rango 4. La superficie focale di essa è del 4^ ordine e della 12* 
classe. La congruenza è già nota (Vedi Kummmer — Sui sistemi di rette. Acc. 
di Berlino 1866). 

Consideriamo ora una curva gobba CW che abbia rispetto a A una posizione 
qualunque; in particolare non passi per alcun vertice di A. La curva sia deiror- 
dine m e senza punti singolari né di infiessione; p. es. la completa intorsezione 
di due superficie degli ordini pi , v prese arbitrariamente e generali dei loro ordini. 

Sia h l'ordine della congruenza delle corde, sarà ^ ^~ ^ la classe della con- 

gruenza stessa. La curva C^*"^ sarà immagine di una rigata appartenente ad una 
superficie gobba S<*"») di grado 2m. Il genere di S<»"*) è quello p di C^*^, e si ha 



)( 283 )( 

quindi: 

(m-l)(m-2) 

« = — — . n. 

^ 2 

Per r ipotesi fatta la superficie gobba S^*"*) non avrà generatrici singolari, 
e doppie in particolare. Avrà soltanto 4 punti multipli secondo m nei vertici di 
A, giacché la curva C^**^ sega la faccia a^ in m punti che hanno per immagini m 
generatrici di S^*"*^ uscenti da A^. Una sezione di S<****) con un piano arbitra- 
rio 5 sarà una curva di ordine 2m e di genere p con un certo numero d di punti 
doppi, eguale all' ordine della curva doppia di S^*"*^ Ora osserviamo che ogni 
retta p di T che sia una corda di C^*'> ha per immagine un punto della curva 
doppia di 8^**^^ Dunque la curva doppia è Timmagine della rigata secondo cui 
T taglia la congruenza delle corde di C^"). Ora tale rigata è dell'ordine 

N = 2/1 -f m(m - 1). 

È subito calcolato l'ordine della curva immagine di tale rigata, poiché que- 

h , J 

delle corde di Ct'"^ ed alla conginienza [1 , 3] delle rette di T che ha per im- 
magine un piano arbitrario E dello spazio ; onde sarà 

l'ordine della curva doppia di S^*'"^ 

Essendo p il genere della sezione piana di S^'*^^ e 2m l'ordine di essa, non 
avendo cuspidi, la classe k della sezione è data da 

2p - 2 = (w - l)(m — 2) - 2^ - 2 = A: — 4m 

onde 

k = m{rn + 1) *- 2/i. 

E lo stesso risultato si ottiene osservando che essendo h + r il nu- 

2 

mero dei punti doppi della sezione stessa la classe è data da 

k = 2m(2in — 1) — 2/i - 3m(m - 1) = m{m + 1) - 27i. 

Dunque fc è il rango della superficie S^*"*^, cioè il grado del complesso for- 
mato dalle tangenti di essa. Così tutte le caratteristiche della superficie gobba 
8^**") sono determinate. 

Tralasciamo di considerare i vari casi particolari per la ricerca delle ca- 
ratteristiche delle forme geometriche di T date per le loro immagini. Come pure 
tralasciamo di discutere le caratteristiche delle immagini date le forme geome- 
triche di T come intersezioni di T con un complesso o con una congruenza data. 

23. Abbiamo pure detto di tralasciare lo studio del complesso di T colla sua 
rappresentazione sullo spazio (e) composto di piani. 



)( 284 )( 



SoU anto ci pare non privo d'interesse il dare i caratteri della corrispondenza 
birazionale nulla T che nasce dall' essere corrispondenti un punto T ed un pia- 
no )j che sono immagini in (S) ed in (a) di una stessa retta y di T. 

Perciò risulta subito ovviamente : 

Ai punti di una retta g corrispondono in V i piani del fascio if^'^^ dei piani 
tangenti di un sviluppabile di 3^ classe inscritta a H, 

Ai piani invece passanti per una retta g cioè brevemente ad un asse g cor^ 
rispondono i punti di una cubica gobba circoscritta a A. 

Quindi : 

Ai punti di un piano E connspondono i piani di un inviluppo 1S^\ di 3» 
classe che ha nei quattro piani di 1 quattro piani multipli secondo 2, che contiene 
i 6 spigoli di A {come assi) ed il piano i. 

Ai piani di una stella (y) corrispondono in T i punti di una superficie del 
30 ordine S^^\ che passa per y, che ha nei vertici di A quattro punti doppi e 
contiene i 6 spigoli del tetraedro stesso. 

Le formolo della corrispondenza P sono subito trovate. Ricordando^ e tenuto 
ora conto delle notazioni e formolo precedenti; si ponga 






m. 



= m'. 



(r = 1, 2, 3 e 4) 



Hy.j = IfM^l jW ^ — V^m Jigfn^ . 



Si vede intanto che l'equazione del piano y] corrispondente al punto Y è 



Xi 



Vi 



X, 



Vt 



ce. 



Vb 



Xi 



Vi 



i,m'|y, ^m'^, ^«^^'3^8 h^^^y^ 
r,w,y, l'irn^Vt ^'i^j^s ^'«^14^4 



= 0, 



e ponendo 



sono quindi : 



Hji - H,4 -f H,3 = E| H|4 - Hj4 + H3, = E, 
^u ^ H,4 4- H,, = Ej — H„ • Hji - H4J = E4 , 

»!i • ^« : »3j : »i4 = fiyjyjy* : ?2y«yi2/* •• iiy^yty^ - Ei^i^jy* 



le formolo della corrispondenza T, le quali si possono anche scrivere 



od anche 



il • ^i • >J8 • >ii — 7 - : — : — : — , 

yt yt ys y^ 



pa?^)3r = 5r (*•=!, 2, 3, 4) 
(p costante di proporzionalità). Si ha appunto identicamente 

che dà la proprietà di r di essere una reciprocità nulla cioè il piano corrispondente 
ad un punto passa pel punto. È chiaro che i vertici di A come centri di stelle 
di piani e i piani di A come piani punteggiati sono gli spazi fondamentali di V, ecc. 
Pavia li 2 Agosto 1903. 



f 



X 285 )( 



SULLA RAZIONALITÀ DEI PIANI MULTIPLI 



\x ,y j >/F(x,y)[ 



NOTA 



DEL 



Dott. AMERIGO BOTTAPI in Assisi. 



Introdusione. 

^% \:n nna Nota, inserita tre anni or sono negli Annali di Matematica (^), mi 

Q occupato della questione di determinare i tipi, a cui possono ricondursi 

ffiedi<^nte una trasformazione hirazionale del piano (x , y) i polinomi F(x y y) tali 

n 

che X , y , VF(x , y) si possano esprimere come funzioni razionali di due para- 
metri'^ ossia < geometricamente » di determinare le condizioni di razionalità delle 
superflce 

z'* = F(x,y), 

le quali proiettate dal punto aU* infinito delV asse delle z sul piano z = 0, danno 
luogo ad un piano n—plo ciclico, avente per curva di diramazione la 

F(x,y)=0 



cui, eventualmente, può essere aggiunta la retta ali infinito del piano. 

Però nel risolvere questa questione, ho poste due restrizioni, V una, la quale 
non è essenziale e che manterrò tuttora, vale a dire che in F(a; , y) non compa- 
riscano dei fattori, che sieno potenze n^*^"*^ d* un certo polinomio, l' altra che il 
numero n sia primo. 

Nel presente lavoro mi propongo di trattare la stessa questione per n qua- 
lunque. Anche qui mi fondo sulla considerazione già utilizzata dal Berlini 



(^) Serie III, Tomo II, pag. 277 e segg. 



)( 286 )( 

per il caso di n = 2; vale a dire che ad ogni piano n — pio ciclico razionale cor- 
risponde una trasformazione piana [L j n], la quale si può ottenere rappresentando 
quel piano maltiplo sul piano semplice. In una tale trasformazione i punti del 
piano multiplo corrispondono a gruppi di n punti nel piano semplice, i quali co* 
stituiscono i cicli di una trasformazione birazionale ciclica dell' indice n. 

Quindi partendo dai tipi delle trasformazioni birazionali cicliche, tipi deter- 
minati per la prima volta da K a n t o r (^) e poi da W i m a n (') rappresento su 
un piano i gruppi dell' involuzione ciclica corrispondente e determino su questo 
la curva di diramazione, la quale come si sa, corrisponde alle coincidenze del- 
l' involuzione. Nel § 1 dimostro che questa rappresentazione, invece di effettuarla 
direttamente, si può ottenere eseguendo successivamente più trasformazioni mul- 
tiple convenienti di indice primo. Cosicché il problema proposto viene ricondotto 
ad un problema già risoluto. 

Quanto alle coincidenze delle involuzioni cicliche è opportuno sin d'ora no- 
tare : che, mentre nel caso di n primo una coincidenza è data necessariamente 
dalla riunione di tutti gli n punti di un ciclo (coincidenza (n— 1)— pia) , trattan- 
dosi invece di n non primo, vi possono essere nella data involuzione ciclica, oltre 
a coincidenze (n— 1) — pie, coincidenze costituite da un numero finito od infinito 
di cicli di p punti, essendo p un qualsiasi divisore di n ; ogni punto di questi 

cicli é allora una coincidenza ( - — 1 j — pia. Pertanto in un piano n — pio vi pò - 

tranno essere dei punti p - pli od anche delle curve ^-ple di diramazione, cioè 
da contarsi p volte come enti di diramazione. 

Una volta determinate le proprietà della curva di diramazione di un certo 
tipo di piano n - pio razionale, occorre dimostrare che esse lo caratterizzano o, 
in altre parole , che una curva, dotata di quelle certe proprietà, può sempre es- 
sere assunta come una curva totale di diramazione di un piano n - pio ciclico, 
il quale risulta razionale. Ora il metodo stesso indicato nel § lo per rappresentare i 
piani n — pli ciclici razionali, di indice n non primo, prova che le curve di di- 
ramazione che si ottengono caratterizzano dei piani multipli ciclici razionali. 

Nel corso di questa mia Nota ammetterò nel lettore la conoscenza dei tipi 
di trasformazioni cicliche per n primo (tipi del B e r t i n i per n = 2 e del K a n- 
t r per n > 2) ed inoltre la conoscenza dei tipi di piani n — pli ciclici corrispon- 
denti (tipi di Clebsch e Nòther per n = 2). 

2. I risultati cui giungo in questo lavoro sono 1 seguenti : 

Esiste un tipo di piano n — pio ciclico razionale {con n qualunque) avente 
per curva di diramazione totale un sistema di pm -f 2 ([a > 0) rette, delle quali jjin 
concorrenti in un punto 0. 

Per valori particolari di n esistono altri tipi di piani n — pli oltre a questo. 

Cosi per n = 4 esistono i due tipi seguenti di piani 4 - pli ciclici ra- 
zionali : 



(}) K a n 1 r , Acta Math.» Bd 19: Neue theorie 

(') Wiman, Math.® Ann. Bd48: Iheorie d, endl, Oruppen, 



)( 287 )( 

lo) V uno avente come curva di diramazione una quartica con un tacnodo; 
2o) V altro avente come curva totale di diramazione una curva composta 
a) di una quintica doppia con un punto triplo ed infinitamente vicino 
un punto doppio Oj , un ramo per di questa quintica ha per tangente in questo 
punto una retta m generale diversa dallo 00, , 

P) di una conica semplice passante per yO^ ed avente inoltre colla quin- 
tica doppia un contatto quadripunto in un punto P distinto da 0. 

Per n = 6 

esistono dieci altri tipi di piani multipli ciclici razionali aventi le seguenti curve 
di diramazione : 

lo) Una curva composta 
a) di una cubica doppia con un punto doppio {nodo) , 
fi) di una conica tripla passante per ed avente quivi un contatto con 
uno dei due rami della cubica, 
2o) Una curva composta 
a) di tre rette p^p^y p^ segantisi due a due in tre punti 0] ^ 0^ , O3 : due 

m 

di esse sono doppie, la terza è semplice , 

p) di una cubica ellittica tripla passante per i nominati punti 0^ , 0, , Oj, 
i ^ali costituiscono per essa la configurazione detta del triplo tangenziale. 
30) Una curva composta 

a) di una retta bcmplice r^ , 

/S) di due rette doppie r^ ed r, , 

7) di una cubica ellittica tripla passante pel punto (r^ , r^) toccando quivi 
la retta r^ , e passante pel punto (r^yV^) toccando la retta r^ ed infine pel 
punto (ri , r,). 

40) Una curva composta 

a) di una cubica doppia con un punto doppio a tangenti distinte t| 6 t, , 

fi) di una quartica tripla col punto triplo a tangenti distinte 

1 1 ^E tj 1 2 ^= tj e tj. 

50) Una curva composta 

a) di una conica tripla , 

fi) di una quartica doppia avente due punti doppi infinitamente vicini 0^ , O^^ 
giacenti sulla conica ed inoltre avente in un altro punto distinto M un contatto 
quadripunto colla conica , 

Y) di una retta doppia (da riguardarsi come due rette doppie sovrapposte) 
passante per 0^ ed M. 

60) Una curva composta 

a) di una ctibica doppia con un punto doppio a tangenti separate t^ 6 t^ ; 

fi) di una sestica tripla col punto b—plo, nel quale vi sono due tangenti 
distinte t^ e t, 6 le altre tre tangenti sono riunite in una unica tangente tj, in 
generale distinta da t^ e t^. 
70) Una curva composta 

a) di una sestica tripla con un punto à—plo e due punti doppi 0^ ed 0^ 
infinitamente vicini, ma lungo direzioni distinte per 0. 



X 288 )( 

fi) di una cubica doppia col punto doppio 0, passante semplicemente pei 
punti 0^ ed 0^ ed avente ancora un contatto 6 —pio colla sestica nominata in tin 
punto generico P. 

8o) Una curva comioosta 

a) di una sestica tripla con un punto 4— pZo e due punti doppi 0^ ed O^ 
a questo infinitamente vicinij ma lungo direzioni distinte per ed inoltre avente 
una cuspide in un punto P, 

fi) di una cubica doppia, col punto doppio, passante per 0, cti 0, , P e 
toccando in quesV ultimo punto la {tangente cuspidale della) sestica, 
90) Una curva composta 

a) di una cubica ellittica doppia, 

fi) di una retta r^ tripla, tangente di flesso della cubica, 

7) di un' altra retta r, tripla passante per 0. 
IQo) Una curva composta 

a) di una cubica ellittica semplice , 

fi) di una sua tangente di flesso tripla. 

Per n = 8 

esiste ancora un piano S—plo {ciclico razionale) avente come curva totale di di- 
ramazione 

a) due rette r^ ed r, semplici^ 

fi) una retta r^ doppia, 

Y) una cubica ellittica é-pla passante pei punti (Fj , r,), dove le rette r^ ed r^ 
sono tangenti di flesso. 

Per n = 9 

esiste un piano 9 -pio {del, raz,), la cui ctirva totale di diramazione è costituit<i 
a) da tre rette semplici, 
fi) da una retta tripla. 

Per n = 10 

esiste ancora un piano lO^plo {cicL raz.) avente come curva totale di dirama- 
zione una curva composta 

a) di una quintica doppia, avente un punto 4— p2o a tangenti in gene- 
rale distinte, 

fi) di una quintica b—pla, avente lo stesso punto 4 -pio colle stesse tan- 
genti ed avente di piit, un contatto semplice colla quintica precedente in un punto 
generico P, 

Tf) della retta OP ò-^pla. 

Per n = 12 

esistono tre altri tipi di piani n— pli ciclici razionali, le cui curve di diramazione 
sono le seguenti : 

l.^' Una curva composta 
a) di due rette semplici, 






X 289 )( 

^) di una retta quadrupla, 

7) di una retta 6— pia. 
2.0 Una curva composta 

a) di una retta r, tripla, 

^) di una retta Fg semplice, 

•jf) di una conica quadrupla tangente alla r^ in un punto genenco. 
3.0 Una curva composta 

a) di due rette semplici, 

f) di una ometta à-pla , 

7) di una conica Q-pla. 

Per n = 14, 16, 18, 20, 24 e 30 

ri ha ancora un solo tipo di piano multiplo ciclico razionale , le cui curve di 
diramazione sono le seguenti. 



Per n = 14 



a) tre rette semplici, 
p) una retta l—pla. 



Per n = 15 



OL) una cubica 5-pla con un punto doppio a tangenti distinte t| « t^ , 
^) una cubica tripla collo stesso punto doppio e le stesse tangenti t^ e t^ 
1f) una retta tripla congiungente il punto ad un altro punto Oj comune 
alle due cubiche. 



Per n = 18 



a) una retta semplice, 
^) una retta doppia, 
Y) una retta 6— pia, 
S) una retta d—pla. 



Per n = 20 



a) una quintica quadrupla con un punto à—plo a tangenti distinte, 
g) un* altra quintica IO— pia collo stesso punto A^plo e colle stesse tan- 
genti ed avente inoltre colla quintica precedente un contatto tripunto in un 
punto M distinto da 0, 

f) due rette 5— pie passanti pel punto é—plo, delle quali una passante per M 
e V altra passante per un altro punto comune alle due quinticTie. 



Per n = 24 



a) due rette semplici, 
P) una retta S-pla, 
7) una retta 12^pla. 

VOL, XLl. 



)( 290 )( 

Per n = 30 

a) una retta semplice, 
p) una retta 15— pia, 
Y) una retta 6— pia , 
6) una retta lO-pla, 

Tralascio per brevità di esporre i risultati algebrici corrispondenti, cioè di 
dare V elenco dei tipi, cai possono ricondursi mediante una trasformazione cre- 



n 



moniana del piano (ac , y) i polinomi F (x , y) tali che x , y, y/F{x , y) si possano 
esprimere razionalmente per due parametri. Nel seguito, trattando dei singoli 
tipi di piani multipli, mi occupo, (almeno nei casi più importanti) anche di questa 
determinazione. 

§ 1.0 

1. Mi propongo dapprima di dimostrare come la determinazione dei tipi di 
piani n-pli ciclici razionali, per n qualunque, si possa far dipendere diretta- 
mente dalla determinazione dei tipi di piani w— pli (cicl. raz.) per n primo. 

A tal fine sia T una certa trasformazione birazionale piana ciclica dell' in- 
dice n , dove suppongo n uguale al prodotto di due soli fattori primi p e $. 
Questa trasformazione definisce nel piano una certa involuzione ciclica I^^*^ di 
grado n: per eseguire la trasformazione multipla [7i,l] corrispondente, ossia per 
rappresentare i cicli di questa involuzione sui punti di un piano , si può proce- 
dere nel seguente modo. 

Si consideri la trasformazione T^: essa è evidentemente ciclica deirindìce j>, 
cioè definisce sul piano una involuzione, ciclica I^^^). Questa involuzione, essendo p 
primo, rientrerà in uno dei tipi già noti di Bertini per p = 2 e di Kantor 
per p> 2, Ora le trasformazioni multiple cicliche di indice primo sono già note. 
Pertanto, supposto di avere eseguita la trasformazione [p,l] corrispondente al- 
l' involuzione Ip^*^, ottengo un piano t: p— pio , i cui punti sono imagini dei cicli 
dell'involuzione I^^*). La curva X di diramazione di un tale piano rientrerà in uno 
dei tipi di Olebsch e Nother se èj? = 2, oppure in uno dei tipi determinati 
nella mia Nota citata, se è p > 2. 

La trasformazione T del piano semplice , la quale è ciclica dell' indice n , 
viene a subordinare sul piano ic una certa trasformazione birazionale T', per la 
quale la X rimane invariata. È facile vedere che la T' è ciclica dell'indice q: 
quindi si può anche dire che la involuzione ciclica I,^^^^ del piano semplice subordina 
sul piano multiplo ic una involuzione ciclica I^-^. La questione è allora di de- 
terminare questa trasformazione T', la quale è la trasformata della T mediante 
la trasformazione multipla [p , 1 ] : questa determinazione , come apparirà in se- 
guito nella discussione dei singoli tipi, si effettua abbastanza semplicemente. Una 
volta trovata la T', ossia l' involuzione I^^^) ^ §1 operi una nuova trasformazione 
multipla [ g , 1 ] , cioè si rappresentino i cicli della I^^*? sui punti di un nuovo 
piano : sìa questo ic*. Il piano ic' risulta un piano (cicl. raz.) ^-plo : sia Y la sua 



)( 291 )( 

curva di diramazione. In realtà poi n' provenendo dal piano ic, il quale è p—plo^ 
è un piano fi—plo , cioè ogni foglio di z' si deve a sua volta riguardare come 
p-plo. Si determini su ic' la trasformata della curva di diramazione X del piano ic : 
sia essa X'. La X' avrà colla Y in comune un numero finito od infinito di punti; 
ciò avverrà a seconda della natura delle coincidenze dell' involuzione I^^^^ Ad 
ogni modo si potrà porre X' = X" -f Z ed Y = Y' + Z : dove a seconda dei casi 
potrà mancare o la X" o la Y' o la Z od anche potranno mancare contempora- 
neamente la X" e la Y'. 

II piano n— pio i:' cosi costruito , è evidentemente V imagine dei cicli della 
involuzione primitiva * I^^*^ ed ha, per curva totale di diramazione la curva 
(X'O* 4- (Y')** + Z, poiché la X" è imagine di cicli di q punti e la Y' è imagine 
di cicli di p punti : un punto della X" conta per q(p-l) coincidenze semplici, 
un punto della Y' conta per p(q-l) coincidenze semplici, ed in un punto della Z 
sono riunite n— 1 coincidenze semplici. D' ora in poi, per brevità, dirò che la Z 
è una curva di diramazione semplice (cioè contata una sola volta) , la curva X'' 
è una curva 5— pia di diramazione e la curva Y" è una curva p— pia di dira- 
mazione del piano n— pio. 

Il metodo stesso tenuto per arrivare a questo piano n— pio mostra che in- 
vece di incominciare ad eseguire la trasformazione [p,ì] e poi la trasforma- 
zione [5,1] si può operare inversamente, effettuando prima una trasforma- 
zione [q , l] e poi una trasformazione [p , IJ. ^ si capisce come , in generale, le 
due trasformazioni multiple, che si eseguiscono in questo secondo caso, non sono 
le stesse di quelle che si eseguiscono nel primo caso. Naturalmente questo scam- 
bio dei due fattori p e q hSL senso nel solo caso che essi siano difiTerenti. 

2. Si supponga ora, più in generale, di avere una involuzione I^('^ definita 
da una certa trasformazione T birazionale ciclica dell' indice n, dove n è aguale 
ad un prodotto di più di due fattori primi. 

Volendo rappresentare i cicli di questa involuzione sui punti di un nuovo 
piano, ossia volendo costruire il piano n-plo imagine di quel certo tipo IJ^^^ di 
involuzione, si scorge facilmente, come il metodo dianzi esposto, si possa esten- 
dere anche a questo caso più generale. Quindi si può enunciare il seguente ri- 
saltato : 

una trasformazione piana multipla ciclica [n,l], dove n è uguale al prodotto di 
più, fattoH primi p^ , pj, ...., p^ , è uguale al prodotto di piò, trasformazioni mul- 
tiple successive [p^ , 1], [p^ , 1] , dove è arbitrario V ordine di questi fattori 

Pi > Pt I •••• Pvì ^^ queste trasformazioni non sono permutabili. 

Cioè simbolicamente si può scrivere 

[n , 1] = Ii?i , ll.[i?8 , 1] [p^ , 1]. 

È ovvio osservare che, qualora lo si trovi conveniente, invece di eseguire 
tutte queste trasformazioni multiple successive ad indice primo, si può a due od 
a più qualunque di esse sostituirne il prodotto , quando sia nota la trasforma- 
zione prodotto. 



)( 292 )( 

Perciò si può anche dire che 

Una trasformazione piana ciclica [n,l], dove n è qualunque ^ è tignale al 
prodotto di piii trasformazioni piane cicliche delV indice primo ; prodotto pel 
quale vale la legge associativa^ ma non la legge commutativa, 

3. Ottenuti cosi tutti i dilQFérenti tipi di piani n-pli ciclici razionali , qua- 
lunque sia n j cioè i tipi di piani n— pli irriducibili per trasformazioni bìrazio- 
nali , è facile vedere che le loro curve di diramazione sono caratteristiche per 
la razionalità dei medesimi; vale a dire che si può ripassare da un tale piano 
n— pio al tipo di involuzione piana^ da cui si è partiti. 

Ciò segue senz' altro dal fatto che , come è stato dimostrato , le trasforma- 
zioni multiple cicliche [p,lj con p primo sono invertibili. 

Pertanto supposto di avere un piano ti n— pio ottenuto come imagine dei 
cicli di una certa involuzione ciclica I^W^ eseguendo le trasformazioni cicliche 
successive [pi , 1] , [p^ , 1], ... [p^ , 1] , dove /?, ,pg ,.... |?v ^^"^ ^ fattori primi di n, 
si potrà da ic ritornare alla involuzione I^^*^ operando le trasformazioni multiple 
inverse [1 ,Pv]» ••• t^ >P2]' U ;/^il» ^® quali sono note a meno di trasformazioni bi- 
razionali. 

Dalle cose ora dette segue che « teoricamente » la questione proposta in 
questo lavoro si può riguardare come risoluta : ed in vero j essa viene sempre 
ricondotta a quella di eseguire delle trasformazioni multiple cicliche di indice 
primo, le quali sono già state studiate, e di determinare le trasformate di certe 
curve. 

4. Dopo avere determinata la curva totale G di diramazione di un certo tipo 
di piano 7i-plo occorrerebbe cercare, come ho fatto nella mia Nota precedente, 
quando, essendo F(a; , ^) = l'equazione complessiva della curva C, il piano n-plo 

] n I 

ìx^y , y/F{Xfy)] ha per curva totale di diramazione laF(x,y)=:0. 

Senza entrare in questa discussione, la quale del resto si può con facili con- 
siderazioni ricondurre a quella analoga trattata per n primo, dirò brevemente 
che, ogni qualvolta il grado di F(x ^ y) è un multiplo di n, allora, ed allora sol- 



n 



tanto, esiste un piano multiplo jaj , y, \/F(x , y| avente, come curva totale dì dira- 

« 

mazione la F(a;,j/) = 0: in tutti gli altri casi il piano multiplo [x ,y y 'JF{Xj y)\ 
ha per curva di diramazione la F(x,^) = 0, sommata alla retta all'infinito del 
piano, contata un numero opportuno di volte a seconda del valore di n e del 
grado del polinomio F(ar,y). 

§ 2.0 

5. Premesse queste generalità passo alla effettiva determinazione dei singoli 
tipi di piani n-pli ciclici razionali corrispondenti ai tipi di involuzioni cicliche 
determinati da Eantor e Wiman. 



)( 293 )( 

Tali tipi di involuzione sono definiti dalle segaenti trasformazioni piane bi- 
razionali cicliche: 

Per n qualunque 

10) trasformazioni di Jonquières/ che lasciano invariato un fascio di 
rette unite o permutantisi fra loro. 

20) omografie cicliche. Queste (come nel caso di n primo) si possono ancora 
comprendere nel gruppo delle trasformazioni di Jonquières, poiché, qua- 
lanque sia n, per ogni omogralia ciclica esiste sempre almeno un fascio unito di 
rette permutantisi ciclicamente n ad n. 

Per particolari valori di n (non primo) oltre le nominate trasformazioni, si 
hanno altri tipi di trasformazioni. 

Ora fu dimostrato daEantor e Wiman che ogni trasformazione bira- 
zionale ciclica, che non sia nò una omografia nò una trasformazione di Jon- 
q a i è r e s, ammette un sistema invariante di cubiche per 6 o per 7 punti base 
fondamentali, oppure un sistema invariante di sestiche avente 8 punti base fon- 
damentali doppi. Per brevità conserverò anch' io le notazioni di Wiman chia- 
mando Mg, M7, ed Mg le tre classi di trasformazioni aventi rispettivamente sei, 
sette oppure otto punti fondamentali. 

Ciò posto per n = 4 si hanno ancora le seguenti trasformazioni cicliche. 

30) una trasformazione del 6^ grado indicata da K a n t o r con E4 ed avente 
7 punti fondamentali. 

40) una trasformazione del 9^ grado J^ appartenente alla Classe M3. 

Per « = 6 

50) una trasformazione quadratica B, . ^pp^^enenti alla Classe M,. 

6°) » » cubica Te \ 

70) , 80) due trasformazioni cubiche Va e r"« 1 ^ .. n ^1 ««■ 

' ' ^ ' 6 6 1 appartenenti alla Classe M7. 

90) una trasformazione biquadratica \ ' 

10°), 1 lo) , 120) tre trasformazioni del 5o grado Eg,E'g,E"g ì appartenenti 

130) , 140) due trasformazioni del 7^ grado Hg ed H'g 'alla Classe Mg. 

Per n = 8 
150) una trasformazione biquadratica Ag, appartenente alle Classe Mg. 

Per n = 9 
I60) una trasformazione quadratica Bq appartenente alla Classe Mg. 

Per n = 10 
170) una trasformazione cubica T^^ appartenente alla Classe Mg. 

Per n = 12 
I80) una trasformazione quadratica B„ appartenente alla Classe M-. 



)( 294 )( 

l9o) un'altra trasformazione quadratica B'j, appartenente alla Classe M^ 
20o) una trasformazione cubica P^j appartenente alla Classe Mg. 

Per n = 14 
210) una trasformazione quadratica B^^ appartenente alla Classe M7. 

Per n = 15 
220) una trasformazione quadratica B„ appartenente alla Classe Mg. 

Per n = 18 
230) una trasformazione quadratica B^g appartenente alla Classe M7. 

Per n = 20 

240) una trasformazione quadratica B^q appartenente alla Classe Mg. 

Per n = 24 
250) una trasformazione quadratica B,^ appartenente alla Classe Mg. 

Infine per n = 30 

26o) una trasformazione quadratica B30 appartenente alla Classe Mg. 
Per altri valori di n > 30, oppure per quei valori di » < 30, ma qui non con- 
siderati si tianno i soli tipi generali 1) e 2). 

7. Quanto ai tipi particolari 3»), 40), 26o) è utile richiamare alcune pro- 
prietà e sono (cfr. Kantor e Wiman Z*, e'): 

a) Un tipo appartenente alla Classe Mg , avente cioè un sistema inva- 
riante od' di cubiche per sei punti fondamentali, subordina un tipo di omografia ù 
(ciclica dello stesso indice), la quale muta in sé la superficie del 3^ ordine Fg 
imagine di quel sistema di cubiche. 

^) Un tipo appartenente alla Classe M7 , cioè avente una rete invariante 
di cubiche per 7 punti (fondamentali) subordina un tipo di omografia ù' ciclica, 
la quale muta in sé la quartica di diramazione di un piano doppio, imagine della 
rete unita di cubiche. (Questa rete definisce il secondo tipo di involuzione di B e r- 
tini, tipo indicato da Kantor con %^. 

"X) Un tipo appartenente alla Classe Mg, avente cioè un sistema invariante od' 
di sestiche con otto punti base (fondamentali), doppi, subordina un tipo di omo- 
grafia ciclica, la quale muta in sé il cono quadrico doppio E^ imagine di quel 
sistema di sestiche, e subordina anche una omografia ù" ciclica, che muta in sé 
la curva di diramazione del piano doppio di N 1 h e r ; tale piano si ottiene 
proiettando il cono K^ da un suo punto, unito per V omografia spaziale e distinto 
dal vertice. 

Questo sistema di sestiche definisce , come è noto , il terzo tipo di involu- 
zione del B e r t ì n i (tipo designato da E a n 1 r con Z^)- 



)( 295 )( 

Tanto E a n 1 r che W i m a n nei loro lavori citati studiarono i tipi irrida- 
cibili delle omografie ù, Q' ed Q'' sopra nominate : dai caratteri di questi tipi 
di omografie si deducono facilmente i caratteri dei tipi di trasformazioni bira- 
zionali cicliche corrispondenti, ove si noti che i tipi di omografie Q' ed Q'' pos- 
sono rispettivamente combinarsi anche ai tipi di trasformazione involutoria 6^ 

e £2 ^^^ B e r t i n i. 

Per ora mi limito ad enunciare solo queste proprietà generali dei tipi di 
trasformazione ciclica; nel seguito , per non fare inutili ripetizioni , quando mi 
sarà di bisogno , accanto ad ogni tipo darò quelle altre proprietà che lo carat- 
terizzano. 

§ 3.0 

7. È facile vedere che i tipi 1) e 2) di trasformazione ciclica del numero 6 
si possono rappresentare (come per n primo), qualunque sia n, su un piano ti— pio 
(ciclico razionale) avente per curva totale di diramazione un sistema di (in + 2 
{j4>0) rette, ]kn delle quali concorrono in unico punto ^^K 

Algebricamente si ha : la forma da darsi al polinomio F(a: , y) perchè qua- 
lunque sia n, il piano n-plo (ar,y, ^]Y{x,y)\ risulti razionale è la seguente 

F(«,y)=/^Ja,y).(ac-a), 

dove f^ (xyy) è una forma binaria in a , y del grado |jin (con pi > 0). 

§ 40. 

Piani 4-j?Zt ciclici razionali. 

8. La trasformazione ciclica del tipo £4 (cfr. n. 6; comma 3) come si trova 
in W i m a n è caratterizzata dalle seguenti proprietà : 

a) esiste una rete invariante di cubiche con 7 punti fondamentali; 
^) entro questa rete vi è un fascio di cubiche IE3I (armoniche) unite ; 
f) il luogo delle coincidenze dell' involuzione è fornito dai punti di una 
cubica Cj appartenente alla rete a), ma non al fascio |Kjl (coincidenze 3-ple), 
ed inoltre dai due punti base rimanenti di [KjI, oltre i sette punti fondamentali 
ed i quali costituiscono una coppia involutiva (coincidenze semplici). 

Per ottenere la trasformazione multipla corrispondente [4 , 1] si potrebbe, 



(^) Devo a tal punto riparare alla dimenticanza commessa nella mia precedente 
Nota nel non citare l'ampia ed approfondita trattazione che il K a n t o r fece nella 
sua premiata Memoria pubblicata negli Aiti della Società Beale di Napoli (1888 
e 1891, parte lY § 7) intorno alle trasformazioni di Jonquiòres. 



)( 296 )( 

secondo il metodo spiegato al § 1, eseguire due opportune trasformazioni piane 
doppie successive. Però, per questo tipo particolare, è molto più semplice ese- 
guire direttamente una trasformazione [4,1], seguendo il procedimento gik da 
me tenuto, per n primo, nella precedente Nota. 

A tal fine si considerino tutte le sestiche C^, che passano doppiamente pei 7 
punti fondamentali; queste costituiscono un sistema lineare oo^ invariante per la 
trasformazione [ciò per la proprietà a)] e segano sulla cubica C3 di punti uniti 
una serie lineare g^^j certo completa. Cosicché riferendo proiettivamente le Og del 
dato sistema 00^ agli iperpiani di uno spazio lineare S^ a 6 dimensioni, si vede 
che entro a questo vi ha uno spazio Sg di punti uniti contenente la curva (nor- 
male) ellittica G4 imagine della ^'4; esiste quindi (correlativamente) entro S^ anche 
un sistema lineare 2)3 di iperpiani uniti. 

Dunque , ripassando al piano rappresentativo , esiste un sistema lineare 00^ 
di Cq tutte unite , le quali perciò due a due si segano secondo due cicli. Que- 
st' ultimo sistema ha allora, come imagine, una superfìcie del 2o ordine 4— pia, 
la quale è un cono K^, perchè contiene un solo fascio di generatrici (rappresen- 
tato sul fascio IE3I di cubiche unite). Tale cono 4- pio contiene la curva nor- 
male C4 di punti uniti sopra nominata ed ogni sua generatrice la sega in due 
punti variabili : il vertice di K^ è V imagine della coppia involutiva di punti del 
comma y)* Ora proiettando E, da un suo punto qualunque distinto dal vertice 
su un piano, si ottiene come immagine della involuzione ciclica del tipo E^ : 

« Un piano ^—plo , {deh raz.) avente per curva di diramazione totale una 
quartica con un tacnodo, 

W equazione di tale curva , riferita ad un sistema di coordinate cartesiane 
coli' origine nel tacnodo e coir asse ^ = per tangente tacnodale, si può porre 
sotto la forma 

(1) <P4(ac , y) + y^ìi^ , 2/) + «2/* = , 

dove con f^ e f, sì intendono delle forme dei gradi risp. 4 e 2 in x e y. 
Si può dimostrare in modo diretto che il piano 4— pio. 



I 



^ y y ; \/94(a? > y) + ^^«(^ > 2/) + «y* 



avente per curva di diramazione totale la curva (1) è razionale. Basta infatti os- 
servare che è razionale la superficie 

2* = <fi{x , y) + 2/<P«(« , y) + ay^ 

poiché è del 4o ordine ed ha nel punto x = y= z=^0 un tacnodo (plano tacno- 
dale è il piano y = 0). 

9. La trasformazione ciclica del tipo J4 (n. 6— 4^), ha per suo quadrato una 
trasformazione involutoria appartenente al 3^ tipo del B e r t i n i : rappresentando 



)( 297 )( 

le coppie di questa involazione sui panti di un nuovo piano si ottiene un piano 
doppio di N 5 t b e r , la cui curva di diramazione è costituita da una quintica C5 
con un tacnodo e dalla sua tangente tacnodale. La trasformazione J4 viene poi 
a subordinare su questo piano doppio una omologia armonica^ per la quale la C5 
è unita e della quale V asse u h \sl tangente tacnodale ed il centro U giace 
sulla C5. Tutto ciò ci è dato direttamente nei lavori diKantor e Wiman. 
Allora la trasformazione [4,1] si ottiene subito, secondo le considerazioni svolte 
nel § 1^ eseguendo la trasformazione doppia corrispondente a detta omologia ar- 
monica, trasformazione doppia, la quale è ben nota. Si sa infatti che per que- 
sta omologia vi ha un sistema 00^ di coniche invarianti senza punti base; Tima- 
gine di questo sistema è un cono quadrico doppio, di cui le generatrici , sono 
rappresentate dalle rette unite del fascio dell' omologia; una sezione generica 
costituisce la curva di diramazione (imagine dell' asse u d' omologia). Si vede 
poi facilmente che alla C5 (invariante per l'omologia) corrisponde sul cono qua- 
drico pure una quintica (doppia) C 5 incontrata da ogni generatrice in due punti 
e passante pel vertice; in corrispondenza al tacnodo della G5, la O5 deve avere 
colla conica di diramazione un contatto quadripunto in un punto P. 

Ora proiettando questo cono da un suo punto generico si ottiene il piano 
4-plo , i cui punti corrispondono ai cicli della involuzione ciclica definita dalla 
trasformazione del tipo J^. 

La curva di diramazione di questo piano 4-ple sarà composta : in pHmo 
luogo di una conica Cg contata una sola volta (cioè, di cui ogni punto vale per 3 
coincidenze riunite); infatti essa corrisponde ali' asse u d' omologia, il quale fa- 
ceva parte della curva di diramazione di quel particolare piano doppio di N 3- 
ther, ottenuto come imagine delle coppie involutive di punti della trasforma- 
zione del tipo (J4)*; 

in secondo luogo : di una quintica C5" doppia (proiezione della C'5), la quale 
ha un punto triplo in un punto della 0^; ed infinitamente vicino v' ha un punto 
doppio Oj pure appartenente a Cg ; il terzo ramo della Q'\ per ha una tan- 
gente t generalmente distinta dalla retta 00^ : questa C'g ha inoltre in un pun- 
to P', imagine di P, un contatto quadripunto colla C,. 

L' equazione complessiva di questa curva di diramazione^ (la quale eviden- 
temente si può determinare in modo razionale) preso il punto come origine 
di un sistema (x , y) di coordinate cartesiane, la retta 00^ come asse x-0, come 

6 
punto P' il punto di coordinate y = ed ac = , si può mettere sotto la for- 
ma seguente 

[x\ax -i- ^y) (Yfic + 6)^ -f- x{yx + S) (ax* + hx^y + cxy^ -h dy^) 

2 

+ y*(paa® + p6x* y + e «y* -I- fy^)] ^ [py^ + a (Tfsc + 8)] = 0. 

Come si è accennato al n. 3 si può ora, rifacendo il cammino inverso, par- 
tire da questo piano 4'-plo ed arrivare alla involuzione ciclica definita dalla 
trasformazione del tipo J4. Basterebbe cioè, riguardando per un niomento questo 

/OL. XLl. d8 



)( 298 )( 

piano 4-plo come nn piano doppio avente per curva di diramazione la conica C,, 
eseguire la trasformazione inversa [1 , 2] corrispondente; con ciò si giungerebbe 
ad una omologia armonica , per la quale è invariante una quintica trasformata 
della C'^j e la quale coinciderebbe colla quintica C5 di prima avente un tacno- 
do , (tangente tacnodale V asse d' omologia) e passante pel centro d' omologia. 
Il piano della C5 apparirebbe poi in realtà un piano doppio del tipo di N 5 t h e r ; 
eseguendo di nuovo la trasformazione doppia inversa corrispondente, si giunge- 
rebbe al piano semplice, su cui si ha la trasformazione J4 primitiva. Dunque la 
curva di diramazione nominata è caratteristica per la razionalità di un piano 
4— pio, ciclico. 

10. Riassumendo si può dire che la condizione perchè un piano 4— pio 

\^ 1 y } yl F(^ ; y)) ^^^ razionale è che il polimonio F{x ,y) = abbia una delle 
tre forme seguenti 

a) F{x , y) = f^^ix , 2/) (x- a) (^>0) 

h) F{x , y) = ff^ix , y) + y^f^ix , y) + ay* 

e) F(a?,y) = [x\aix + Py) (^a + 8) -h xi-^x + 6) (oflcH bx^y + con/H dy^) + 

+ y\pax^ + pbx^y + exy^^fy^)]^ • l py* + ^(Y^ + S)]. 
§ 5.0 
Piani Q-pli ciclici razionali. 

11. Ho ricordato al numero 6 che sono dieci i tipi irriducibili di trasforma- 
zione cìclica deir indice 6, oltre i due tipi generali delle trasformazioni ortoanal- 
lagmatiche e delle omografie. Mi occupo qui della rappresentazione dei dieci 
tipi corrispondenti di piani 6-pli. Però siccome il procedimento è sempre il 
medesimo per tutti, cosi nei casi più semplici mi limiterò a far solo qualche 
breve cenno. 

Incomincio dalla trasformazione del tipo B^ (n. 6 comma 5) : per questa 
esiste un sistema invariante 00' di cubiche per sei punti base fondamentali : 
quindi essa subordina una omografia Q ciclica dello stesso indice 6, la quale 
muta in sé una superficie cubica F3. L' omografia, come ci è data da K a n t o r ^ 
è del tipo seguente 

/yt •/*• «/y» •/*• • •■" 'V»' • **» • ^_ Of*' • 9'y*f (^\ 



(^) D' ora in poi con j intendo sempre una radice cubica primitiva dell' unità. 



)( 299 )( 
e r equazione della Fj corrispondente è 

dove /i(«i ,a52),/'i(«i ; se,) sono forme in x^^x^ dei gradi risp. 3 ed 1. 

Si consideri 1' omografìa ù^ : essa è omologica e definisce sai piano rappre* 
sentativo una trasformazione ciclica dell' indice 3 , per la quale si ha una rete 
di cubiche K3 unite (corrispondenti ai piani della stella cci = Xa;^ + \f^x^) ed una 
cubica di punti uniti. Eseguendo la trasformazione [3 , 1] corrispondente, si giunge 
al noto piano triplo con cubica generica C3 di diramazione e di cui le rette 
sono le imagini delle cubiche K3. Perciò la trasformazione B^, la quale scambia 
involutoriamente le cubiche K3 subordina sul piano triplo una trasformazione 
involutoria, che scambia le rette di questo piano, ossia una omologia armonica, 
il cui centro appartiene necessariamente alla C3 di diramazione ed è anzi un 
flesso per la C3. 

Eseguendo infine la trasformazione doppia corrispondente a questa omologia 
armonica si giunge al piano 6— pio cercato : e si può vedere facilmente, proce- 
dendo come al num. 10, che 

questo piano Q—plo ha per curva di diramazione totale una curva com- 
posta 

a) di una cubica doppia con un punto doppio (nodo) , 

fi) di una conica tripla passante per e tangente quivi ad uno dei due 

rami della cubica. 

L' equazione complessiva di questa curva si può ridurre alla forma se- 
guente : 

[axy + f^{x , y) I* • [occ* -^by^ + cxy-^ dy\^ = 0. 

12. La trasformazione ciclica del tipo r^ , (appartenente alla classe M^) , è 
subordinata dalla omografia spaziale 

0\ 11* • T» • Of» * *V* "— or»' • ^_ *¥•' • ^O»»' • '!•'*»' 

M I «A/f • «ft/A • tA/3 • «*/^ •— U* « » "^ «A/ 2 ■ J**^ S * •/ 4 

la quale muta in sé la superficie cubica del tipo seguente 
(1) fic*i + «ific,* + x^x^x^ + X3' + aj4* = ; 

questa superficie contiene uno dei punti uniti della omografia [è il punto X2S(0,1,0,0)] 
ed è segata dal piano x^ = secondo tre rette r^^r^^r^, che si scambiano ci- 
clicamente. I piani dei fasci aventi per sostegno queste rette r^ , r^ , r3 , segano 
la superficie secondo delle coniche: si indichino con jO^I , jG'J e |C'',| questi tre 
fasci di coniche. 

L' omografia Q^ è omologica involutoria ed ha come piano di punti uniti il 
piano ar^^O e come centro il punto X,. Dunque la superficie (1) è trasformata 



)(300 )( 

involutoriamente dalla 0', passa per il centro X^ dell' omologia ed è segata dal 
piano ccj = secondo tre rette unite. 

Proiettando la (1) dal punto X, su un piano ed in particolare sul piano x^ = 0, 
si ottiene un piano doppio avente per curva di diramazione totale una quartica 
spezzata nella cubica Cj sezione della (1) con questo piano «, = e nella retta r 
di intersezione dello stesso piano acg = col piano x^ = (retta imagine del 
punto Xj) ; i tre fasci di rette del piano doppio aventi come centri i punti di 
intersezione della r colla cubica Cg sono le imagini dei tre fasci di coniche 
|C2|,|Cy e jC^I. Questo piano doppio è ancora T imagine dei cicli della invo- 
luzione definita dalla trasformazione del tipo Tg*. Pertanto la trasformazione pri- 
mitiva Tg, ossia Tomografia il dello spazio subordinerà su questo piano doppio 
una omografia Q^, ciclica dell' indice 3 : infatti la ù determina su questo piano 
una trasformazione che ne scambia fra loro le rette. La Q^ non può essere una 
omologia , poiché essa ha tre sole rette unite y le quali sono le proiezioni dal 
punto Xj sul piano x, = delle sezioni della superficie (1) coi piani 

a?i = , Xj = , «4 = 0. 

Eseguendo la trasformazione multipla [3,1] corrispondente a questa omo- 
grafia Q^ si ottiene un piano triplo , di cui ogni foglio è doppio^ ossia il piano 
6— pio domandato , dei quale si deve determinare la curva di diramazione. A 
tal fine si prendano sul piano doppio x^~0 le cubiche \(£^\ passanti pei tre punti 
uniti A, , A^ , A3 deir omografia 0^ e per le quali questi costitu'scono la confi- 
gurazione detta del triplo tangenziale^ cioè tali che sia A^ il tangenziale dì Ag , A, 
il tangenziale di A3 ed A3 il tangenziale di A^. 

I punti Aj , A, , A3 sono distinti dai tre punti di intersezione della retta r 
colla cubica C3 del piano doppio ; invero questi ultimi sono le proiezioni dal 
punto X2 delle rette r^^r^y r^ sul piano x^ = 0, rette le quali, in generale^ sono di- 
stinte e quindi si scambiano ciclicamente. Le cubiche \^^\, determinate nel modo 
anzi detto, costituiscono; come è noto, una rete; sono unite per la omografia ìi^ 
e contengono delle involuzioni ^^3. Eiferendo q aindi proiettivamente le cubiche 
di questa rete allo rette di un nuovo piano si ottiene un piano triplo k avente 
per curva di diramazione totale un sistema di tre rette p^ , P2 ) H ^^^ passanti 
per uno stesso punto. L' imagine della C3 su i: è daccapo una cubica C 3 (tripla), 
la quale , come si può facilmente verificare , passa pei tre punti di intersezione 
delle tre rette Pi ^ P2 ^ Ps ^^ ^^^^ questi punti costituiscono per la C'3 un triplo 
tangenziale. Allora il piano 6 -pio richiesto (costituito da questo piano ic triplo 
di cui ogni foglio è doppio) ha per curva di diramazione totale la cubica C'3 
contata tre volte e le rette Pi > p2 > P3 ^ di cui una è semplice e le altre due sono 
doppie. Ed infatti basta osservare che le cubiche \^^\ del piano doppio x, = (ot- 
tenuto come proiezione della superficie (1) dal punto Xg) hanno in un punto 
unito (ad es. A|) dell' omografia ù^ un contatto semplice colla retta r di dira- 
mazione, mentre passano semplicemente per Taltro punto giacente su r (sia que- 
sto A,). Perciò di questi due punti , su ogni (E3 il secondo soltanto conta come 



)( 301 )( 

punto di diramazione del piano doppio. Il terzo punto unito A3 della ù^ , non 
appartenendo alla C3, non è di diramazione per il piano doppio. Tornando ora 
al piano triplo ic , poiché le tre rette Pt 9 92 ì 9s ^^ diramazione sono le trasfor- 
mate dei tre punti uniti A^ , Aj , Ag, cosi una soltanto di queste (e cioè la trasfor- 
mata del punto Ag) deve per il piano 6 -pio essere contata una volta come retta 
di diramazione (cioè ogni punto di questo deve risultare dalla sovrapposizione 
di 5 coincidenze semplici) : le altre due , venendo a corrispondere a coppie in- 
volutive della trasformazione del tipo r^ devono essere contate due volte. 

Si è così giunti ad un piano Q—plo {cicL raz.) la cui curva totale di dira- 
mazione è una curva composta 

a) di tre rette Pi , Pt ) P^ eegantisi due a due in tre punti Oj ^ 0^ , 0, , due 
di esse sono doppie e la terza semplice , 

f) di una cubica ellittica tripla passante per i nominati punti 0^ , 0^ , O3, 
i quali costituiscono per essa un triplo tangenziale. 

Dopo avere mandata la retta semplice di diramazione all' infinito , V equa- 
zione complessiva della curva rimanente di diramazione di questo piano 6— pio 
può porsi sotto la forma 

{ax^y -t- by^ + cx)^x^y* = 0. 

13. Il cubo della trasformazione del tipo successivo T'q è una trasforma- 
zione involutoria del 2^ tipo del £ e r t i n i. Perciò la r'g subordina una trasfor- 
mazione ciclica deir indice 3, che muta in sé un piano doppio con quartica C4 
di diramazione. Questa trasformazione ciclica è una omografia Q non omolo- 
gica. Cosicché per ottenere il piano 6— pio , i cui punti corrispondono ai cicli 
della trasformazione del tipo in discorso , basterà eseguire la trasformazione 
multipla [3 y 1] corrispondente a detta omografia Q, determinando la trasformata 
della C4. Gioverà a tal fine ricordare che per V omografia ù si ha : 

1) una rete di cubiche equianarmoniche invarianti, per le quali i tre punti 
uniti costituiscono un triplo tangenziale ; 

2) un sistema x' di cubiche invarianti non passanti pei punti uniti: queste 
sono sostegno di involuzioni y's ellittiche. 

Allora riferendo le cubiche della rete ora nominata alle rette di un piano 
(triplo) si vede che le cubiche del sistema 2) sono rappresentate pure su cu- 
biche aventi in comune un triplo tangenziale costituito dai punti P^ , P^ , P3 
di intersezione delle tre rette di diramazione di questo piano triplo. Di qui segue 
subito che la C4 è rappresentata su una cubica ellittica passante per P^ , P^ , P3, 
in modo che Pg e P3 sieno risp. i tangenziali di P^ e Pg. Con facili considera- 
zioni si arriva ad ottenere per questo piano 6 -pio una curva di diramazione 
composta 

a) di una retta semplice r^ , 

f ) di due rette doppie r^ , rg , 

7) della nominata cubica ellittica tripla pa^sant^ pei punti 

Pj = (r, , rg) , P, = (rg , rj , P3 = (r^ , r,). 



)( 302 )( 

14. Il cabo della trasformazione del tipo F", è una trasformazione invola- 
toria del secondo tipo del B e r t i n i : perciò le coppie di punti della (r"e^' ^^ 
possono rappresentare sui punti di un piano doppio con quartica C^ di dirama- 
zione. La r"^ subordina su questo piano doppio una certa omografia ciclica del- 
V indice 3, la quale muta in sé la G^. Come si trova in W i m a n , questa omo- 
grafia è una omologia^ il cui centro appartiene necessariamente alla 0^. È noto 
che per una omologia ciclica dell' indice 3 vi ha un sistema oo^ di cubiche 
(equianarmoniche) invarianti : allora si può ottenere subito la trasformazione [3,1] 
corrispondente, riferendo proiettivamente le cubiche di questo sistema agli iper- 
pìani di uno spazio lineare S^ a 4 dimensioni : si ha pertanto come imagine di 
questo sistema un cono triplo dello 8^^ le cui generatrici sono rappresentate sulle 
rette passanti pel centro d'omologia; questo cono triplo ha come curva di di- 
ramazione una sua sezione iperpiana (imagine dell' asse d' omologia). La C^ è 
rappresentata sul cono cubico da una quartica C^ tripla passante pel vertice ed 
incontrata ulteriormente da ogni generatrice in un altro punto. Proiettando il 
cono triplo da due suoi punti generici ( distinti dal vertice ) su un piano si 
giunge subito ad 

un piano 6— pio, la cui curva totale di diramazione è composta 
a) di una cubica doppia con un punto doppio a tangenti distinte t| , f ^ i 
^) di una quartica tripla col punto triplo a tangenti distinte 

t j ^ tj , tg ^ tg e t j. 

L' equazione complessiva di questa curva di diramazione si può scri- 
vere così : 

l^fiioo , y) + Ux , y)]\xy f f^{x , y )]* = , 
dove, come al solito f^{x , y) è una forma di grado i in x , y. 

' 15. La trasformazione del tipo ig appartiene, come si è ricordato più sopra, 
alla classe M7, cioè ammette una rete invariante di cubiche per sette punti base 
fondamentali. Essa è quindi subordinata da una certa omografia Q' (cfr. 7 
comma f) ), la quale muta in so il piano doppio con quartica di diramazione : 
dai caratteri di questa omografia ù' la quale, come si trova in Wiman, è ci- 
clica deir indice 6 e non è omologica, si deducono subito per la trasformazione 
in questione le seguenti proprietà : 

a) Esiste un fascio invariante di cubiche IK3I, le quali si scambiano involu- 
torlamente ed hanno come punti base oltre i 7 punti fondamentali due punti in- 
finitamente vicini Pi e Pa e distinti dai primi : due cubiche particolari K', e K", 
di questo fascio sono unite, una di esse la K''3 è spezzata in una retta r ed in 
una conica Cg passanti per Pj (ma non per P^) e quivi tangenti fi-a loro. 

Si noti anche che dei sette punti fondamentali due stanno sulla retta e gli 
altri cinque sulla conica. 



)( 303 )( 

^) esiste nna sestìca unita Og y avente un pnnto doppio in clascano dei 
sette punti fondamentali, passante pel punto Pj e quivi tangente alla r (epperò 
anche alla Cj). 

7) le coincidenze sono fornite dal punto Pj , da un ciclo di tre punti, che 
sono le intersezioni residue della Cg colla K'3 ed inoltre da infinite coppie invo- 
lutive , le quali stanno su una cubica C, passante per 1 sette punti fondamen- 
tali , ma non appartenente al fascio a). Queste infinite coppie involutive costi- 
tuiscono, come è facile verificarsi, una serie ellittica Y2 ' ®d invero questa serie 
ha per sostegno una cubica ellittica e non ha coincidenze. 

Il quadrato della trasformazione in questione è una trasformazione ciclica 
dell' indice 3 dotata dei seguenti caratteri : 

a/ esiste per essa un fascio di cubiche unite : esse sono le cubiche K3 
del comma a). 

P)' la sestica C| unita. 

Y)' le coincidenze sono fomite dal punto P^ e dalia cubica C3 del comma y), 
la quale è tutta di punti uniti. 

Rappresentando i cicli di questa trasformazione ciclica dell' indice 3 y sui 
punti di un piano, si ottiene un piano n triplo, sul quale la trasformazione pri- 
mitiva data viene a subordinare una certa trasformazione involutoria: in fine 
operando una opportuna trasformazione [2 , 1] corrispondente a questa trasfor- 
mazione involutoria si arriverà al piano 6 -pio cercato. 

Incomincio coir eseguire la trasformazione multipla [3 , 1] corrispondente alla 
trasformazione (i^)' definita dalle proprietà a)' , ^y , y)'. A tal fine osservo che, 
per questa trasformazione (A^)' esistono od' sestiche dotato delle stesse proprietà 
della Cg del comma ^') e di più tangenti fra loro, nel punto P, alla retta r* In- 
vero^ si seghi la cubica C3 di punti uniti mediante V intero sistema delle sestiche 
passanti doppiamente per i sette punti fondamentali; queste costituiscono un si- 
stema lineare (invariante) ao^ e segano sulla C3 la serie completa g^^ ] poiché il 
sistema residuo di questa C3 rispetto alle sestiche è costituito da tutte le cu- 
biche passanti per i sette punti. Quindi ripetendo considerazioni analoghe a quelle 
già svolte altrove (cfr. num. 9) si conclude T esistenza di un sistema lineare 00' 
di sestiche invarianti : due a due necessariamente si segano secondo cicli del- 
l' involuzione; epperò esse oltre ai sette punti doppi fondamentali hanno in co- 
mune due punti, i quali, non potendo scambiarsi involutivamente, devono essere 
uniti per la trasformazione ed anzi si vede facilmente che uno di essi è il punto P^ 
e l'altro un punto P3 infinitamente vicino a P| nella direzione r. Su ogni sestica 
di questo sistema vi sono cinque coincidenze, delle quali quattro variabili ed 
appartenenti alla C3 di punti uniti ed una fissa in P^ ^ P3 : questa coincidenza 
fissa devesi però considerare come proveniente dalla riunione di due ooinciden- 
ze. Ogni cubica del fascio IK3I contiene tre coincidenze , due delle quali varia- 
bili ed appartenenti alla C3 ; la terza è fissa in P^ ^ P,. 

Ora riferendo proiettivamente le sestiche di questo sistema ai piani di uno 
spazio ordinario a tre dimensioni, si ottiene come imagine un cono quadrico E, 
triplo , le cui generatrici sono rappresentate dalle cubiche K3. L' imagine della 
C3 su Kj è una quartica G4 non passante pel vertice e quindi incontrata da ogni 



)( 304 )( 

generatrice in dne punti; e V imagine del punto P| ^ P, è una generatrice g di 
diramazione, la quale si deve riguardare come proveniente dalla riunione di due 
generatrici (di diramazione). Ciascuno dei due punti di intersezione della g 
colla C\ non conta come punto di diramazione, giacché quivi sono riuniti tre 
punti di diramazione : dunque se si proietta il cono K^ da uno di questi punti 
su di un piano si ottiene un piano triplo avente per curva di diramazione una 
cubica , poiché V imagine del centro di proiezione (per essere una retta tripla) 
non conta come curva di diramazione. Ora la trasformazione del tipo ^^ del 
piano semplice subordina sul cono K^ una certa omografìa involutoria Q'' e per 
questa omografia sono unite la 0^ e due generatrici, di cui una è la ^ di dira- 
mazione. Tali generatrici sono le imagini delle cubiche E'3 e K'\ del comma (tf 
e precisamente ÌSk g è V imagine della K"^. Si ricordi inoltre che la C4 di dira- 
mazione è rappresentata sul piano semplice da una cubica C3 , sostegno di una 
serie ellittica 7', : quindi anche V involuzione di coppie di punti che si ha sulla C^ 
deve essere ellittica e come tale non può avere coincidenze; perciò nessuno dei 
due punti di intersezione della g colla G^ può essere unito. Si conclude allora 
che r omografia ù subordina sul piano triplo di prima una trasformazione qua- 
dratica involutoria ; poiché , non essendo unito il centro da cui si proietta il 
cono K, , un piano generico per questo centro viene dalla Q mutato in un 
piano non passante per e quindi una retta generica del piano triplo viene mu- 
tata in una conica. Ora affine di potere più facilmente eseguire la trasforma- 
zione [2 , IJ proietto invece il cono Kg da un punto unito distinto dal vertice e 
in particolare dal punto unito, che si trova sull'altra generatrice unita oltre la g; 
allora ù subordina sul nuovo piano triplo una omologia involutoria 0^. Il piano 
triplo che ottengo con questa nuova proiezione ha per curva totale di dirama- 
zione una quartica C'^ con un tacnodo e una retta a passante pel tacnodo e di- 
stinta dalla tangente tacnodale (^). 

La retta a é l' imagine della generatrice g e perciò si deve riguardare come 
costituita da due rette di diramazione sovrapposte. Siccome poi la g non é tutta 
di punti uniti, cosi la a sua proiezione non può essere V asse dell' omologia Q^j 
il quale sarà invece fornito dalla tangente tacnodale u della C'^ : il centro della Q^ 
sarà un punto della a non appartenente alla C'^. 

Per avere infine il piano G—plo domandato si eseguisca la trasformazione 
doppia [2,1] corrispondente a questa omologia armonica e si determini la tra- 
sformata della C\\ procedendo come si é fatto al num. 10 per il piano 4 -pio, 
si giunge al 

piano Q-plOf la cui curva totale di diramazione è composta 
a) di una conica tripla, 

^) di una quartica doppia avente due punti doppi infinitamente vicini 0| 
ed O2 giacenti sulla conica ed avente inoltre in un altro punto M un contatto 
quadripunto colla conica ^ 



(^) È evidente che la curva dì diramazione di questo piano triplo è riducibile 
ad una cubica mediante una semplice trasformazione quadratica. 



)( 305 )( 

•>() di una retta doppia (da riguardarsi come due rette doppie sovrapposte) 
passante per Oj ed M. 

Assumendo come origine delJe coordinale il punto Oj , come asse a; = la 

retta O^Oj e come punto M il punto di coordinate y =0 ed ac = , Tcquazione 

complessiva di questa curva di diramazione assume la forma 

2 

{x\yx-\-ZY T jyC'YX+o) {ax^-\-hxy \ cy^) f y'^{pax^-\-phxy tdy-)] ^ [py^--\-x{^^x-^l)Yy^=^0. 



16. Le trasformazioni dei tre tipi Eg,E'g ed E"6 sì possono raggruppare in- 
sieme per lo loro analogie. 

Infatti, come si vede nel lavoro citato di W i ra a n , i loro cubi danno sempre 
delle trasformazioni involutorie del 3o tipo del Berti ni; le coppie involutive 
di punti di questa trasformazione sì possono rappresentare sui punti di un piano 
doppio (di Nò t ber) avente come curva di diramazione una sestica con due 
punti tripli infinitamente vicini. Perciò ciascuna di queste tre trasformazioni su- 
bordina sul piano doppio una trasformazione ciclica deir indice 3, la quale la- 
scia immutata la sestica di diramazione; in Wiman si trova che in tutti 
tre i casi questa trasformazione ciclica delT indice 3 è una omologia e si 
ha che : 

1) 1' omologia^ subordinata dalla trasformazione E^, ha per centro il punto 
triplo della sestica e per asse una retta generica; 

2) r omologia, subordinata dalla trasformazione del tipo E'g, ha per asse 
la retta che passa pei punti tripli infinitamente vicini della sestica e per centro 
un punto generico del piano non appartenente alla sestica; 

3) infine V omologia, subordinata dalla trasformazione del tipo E''^, ha per 
centro un punto allineato coi due punti tripli e distinto da questi e per asse 
una retta passante per il punto triplo. 

Ora, come si è accennato al num. 15, per una omologia ciclica dell' indice 3 
vi sono 00* cubiche (equianarmonichc) unite non passanti pel centro dclT omo- 
logia. 

Si riferiscano le cubiche di questo sistema agli iperpiani di uno spazio li- 
neare S4 a quattro dimensioni , si ottiene come imagine un cono cubico triplo 
dello S4, le cui generatrici sono rappresentate d »ile rette unite delT omologia e 
di cui la curva di diramazione è una sezione generica, imagine dell'asse di omo- 
logia. In ciascuno dei tre casi differenti si cerchi su questo cono cubico T ima- 
gine della sestica di diramazione del piano doppio, trasformato in so da quella 
certa omologia dei tre tipi 1), 2), 3). Si ottengono allora corrispondentemente 
i tre tipi seguenti distinti di piani 6-pll ciclici razionali: 

1)' un piano Q—plo avente per curva di diramazione una curva com- 
posta 

a) di una cubica doppia con un punto doppio a tangenti sepa- 
rate tj e tj , 

^) di una sestica tripla col punto 5— pio, nel quale due rami sono di- 

VOL. XLI. 89 



;( 306 )( 

stinti ed hanno le tangenti tj 6 t^ e gli altri tre rami hanno in comune una tan- 
gente tj, in generale differente da t^ e tg. 

Assamendo il punto come origine delle coordinate e le rette t^ e t^ come 
assi coordinati ^ V equazione complessiva della curva di diramazione si può ri- 
durre sotto la forma seguente: 

[xy + f^{x , y)Y • [xy{ax + hyf f f^ix , y))» = 0, 

dove f^(x,y) ed f^ix^y) sono delle forme dei gradi risp. 3 e 6 in x,y, 

2)' un piano Q—plo avente per curva totale di diramazione una curva 
composta 

a) di una sestica tripla con un punto i—plo e due punti doppi Oj ed O^ 
infinitamente vicini^ ma lungo direzioni distinte per , 

f) di una cubica doppia col punto doppie passante semplicemente pei 
punti Oj ed Og ed avente inoltre un contatto Q^pto colla sestica nominata in un 
punto generico P. 

Prendendo il punto come origine degli assi, le rette OOi ed OP come assi 
(P punto air infinito) ed essendo ax + fy = V equazione della retta 00^, l'equa- 
zione complessiva di questa curva di diramazione, lu quale si determina subito, 
in modo puramente razionale, si può ridurre alla forma seguente 

\a)*(ax + fi/)* + x{ax + ^y) (ax^ + bx'^y + cxy^ + dy^) -H 

+ j/'[aXx* + (a]k + bX)x^y + (6;jl + cX - X«)acV' + i^?- + dX - 2\\i.)xy^ + ey^]\^ X 

X \x{oiX + fiy) + y\lx + [jlj/)|* = 0. 

3}' un piano Q—plo avente come curva totale di diramazione : 

a) una sestica tripla con un punto Ai— pio e due punti doppi 0| ed 0, 

a questo infinitamente vicini ed in direzioni distinte per ed inoltre avente una 

cuspide in un punto P. 

f ) una cubica doppia col purAo dopjno passante per Oj , Og e P, toccando 

in quesV ultimo punto la tangente cuspidale della sestica. 

Assunto , come il solito , il punto come origine degli assi^ le rette 00^ 

ed OOj come assi, come punto P un punto di coordinate x = a , y =^ b e la retta 

x=: a per tangente tacnodale, abbiamo per questa curva di diramazione Tequa- 



zione 



[x^y^x - ay -f xy(x -a)(y- b):^^{x,y) + {ay - bx^ ?3 {x , y)]^ X 



X [xy{x - a) + {ay - bx)^^i{x,y)Y - , 



dove ?i } ?t 7 98 ^^^^ forme binarie dei gradi risp. 1, 2, 3. 



I 



)( 307 )( 

17. Il quadrato della trasformazìoiìc del tipo Hj. è una trasformazione ci- 
clica dell' indice tre, i cui cicli si possono rappresentare su un piano triplo, avente 
come curva di diramazione una sestica con un punto 4-plo e due punti doppi 
Oj ed Og ad esso infinitamente vicini; ma lungo direzioni distinte. Cosicché la 
trasformazione ciclica dell' indice 6 data , subordina su questo piano triplo una 
trasformazione involutoria, che lascia invariata questa sestica; tale trasformazione 
si può sempre ridurre ad una omologia avente come asso la retta OOj e come 
centro un punto delia retta OOj (*). 

Si tratterà quindi di eseguire la trasformazione [2,1| corrispondente a questa 
omologia. A tal fine si ricordi che per una omologia involutoria vi sono oc* co- 
niche unite senza punti base; considerando queste come piani di uno spazio or- 
dinario si ha per imagine del sistema un cono quadrico doppio : la sestica unita 
per l'omologia è rappresentata su questo cono pure da una sestica segata da 
ogni generatrice in tre punti variabili, ed avente un punto triplo con un ramo 
tangente alla conica di diramazione del cono. Che questa sestica abbia un punto 
triplo si rileva subito ; basta notare che nel piano deli' omologia tutte le coni- 
che (oc') (unite) che passano per passano di conseguenza anche per Oj, cioè 
hanno quivi in comune colla sestica 6 intersezioni riunite , ossia tre coppie in- 
volutive di punti; perciò al punto deve corrispondere per la sestica del cono 
un punto triplo. Proiettando il cono da questo punto triplo su un piano si ot- 
tiene il piano 6-plo cercato, il quale 

ha per curva di diramazione totale una curva composta 

a) di una cubica ellittica doppia , 

P) di una retta v^ , tripla tangente di flesso alla cubica in un punto 0, 

•v) di un^ altra retta r^ tripla passante per 0. 
Preso il punto come origine delle coordinate, le rette r^ ed r, come assi, 
l'equazione di questa curva di diramazione si può scrivere come segue 

[y + yfx{cc , y) f U(x , y)]^x^y^ = , 
dove f^ ed f^ sono forme in x,y dei gradi risp. 1 e 3. 



(^) Per vedere questo, basta ricordare che questo piano triplo si può ottenere 
da un cono cubico (triplo) dello S^ , (avente per curva di diramazione una sestica 
incontrata da ogni generatrice in due punti variabili) proiettato su un piano da due 
suoi punti generici. Ora la trasformazione data sul piano semplice subordina (come 
facilmente si potrebbe vedere) su questo cono una omografia involutoria, avente due 
generatrici unite (distinte , su ciascuna delle quali esiste un punto unito distinto 
dal vertice. Proiettando il cono su un piano da questi due punti uniti , non 
appartenenti alla sestica di diramazione, si ottiene il piano triplo nominato, il quale 
è trasformato in sé da una omologia armonica. Questa ha unite le due rette 00^ 
ed OOg imaginì dei punti da cui si proietta, ma non può avere come centro di 
omologia , come si può vedere dai caratteri di questa trasformazione ciclica. Dun- 
que OOj è V asse ed il centro è un punto della OOg, come si è asserito. 



)( 308 )( 

18. L'ultimo tipo di trasformazione ciclica dell' indice 6, di cai mi devo 
ora occupare è quello indicato con Il'g : questa trasformazione appartiene pure 
alla classe Mg, vale a dire ammette un sistema invariante oo' dì sestìclie con 
otto punti base fondamentali doppi. Questa trasformazione ha ancora i seguenti 
caratteri : 

a) esiste un fascio di sestiche unite appartenenti al sistema invariante oo' 
nominato : esso sono inoltre bitangenti in due punti F^ e P^ distinti dai punti 
fondamentali e costituenti una coppia involutiva ; 

^) una cubica C, di punti uniti passante per gli otto punti fondamentali, 
ma non per Pj e P^ ; 

-y) una Cj invariante avente un punto triplo in ciascuno degli otto punti 
fondamentali e passante per P^ e Pg : le C9 e C'3 si segano uUeriormente secondo 
un ciclo di tre punti. 

Nel caso presente invece di eseguire , come si è fatto pei tipi precedenti, 
due convenienti trasformazioni [3,1| e [2,1] successive, tornerà 'piti semplice 
operare direttamente la trasformazione [6,1] corrispondente. 

Ripetendo un procedimento in tutto simile a quello tenuto nel § 5 della mia 
Nota prec, per dedurre il piano 5 -pio imagine dei cicli dell'unico tipo di tra- 
sformazione ciclica dell'indice 5, si giunge subito ad 

un piano Q—plo avente per curva totale di diramazione 
a) una cubica ellittica semplice , 
^) una sua tangente di flesso. 
Mandando questa tangente all' infinito, V equazione della cubica assume la 
forma 

dove /j ed /j sono forme binarie dei gradi risp. 2 ed 1. 
Si verifica poi agevolmente che il piano 6— pio 

i 6 , 

\x , y» \V ^ fi^x , y) + A(* » 2/) + e I 

ha come curva totale di diramazione questa cubica sommata alla retta all' infi- 
nito contata tre volle. Si verifica pure in modo facile che un piano 6— pio, 
avente una tale curva di diramazione, è razionale, ossia che è razionale la su- 
perficie 

2' = y' + A(^ 1 y) + A(ac , y) + e. 

Infatti essa ha il punto all'infinito dell'asse y = 4— pio e le sue sezioni 
generiche per questo punto sono di genere due, mentre le sue sezioni coi piani 
2: = cost. sono ellittiche : dunque proiettando questa dal punto 4 -pio su un piano, 
si ottiene un piano doppio di N5iher (* . 



{}) Cfr. l'analogo procedimento tenuto al § 7 in fine della Nota cit. per di- 
mostrare la razionalità del piano 5 -pio. 



)( 309 }( 
19. Riassumendo i risultati ottenuti in questo § si può dire che 



Condizione necessaria e sufficiente perchè il piano Q^plo i(x,y, \/F(x,y)j 
sia razionale è che il polinomio F(x , y) sia riducibile , mediante trasformazio- 
nali birazionali del piano {x , y), ad uno dei seguenti tipi : 

1) F(x , y) = f^^,(x , y) (x - a) (con j*. > 0). 

2) F(a5 , y) = [xy + ff^ix , y)Y'[ax* f by^ + cxy + dy\\ 

3) V{x , y) = [ax^y -»- &y* + cxj'xV*- 

4) F(a5 , y) = {ax + 6x*j/ + cy* + dx^ -h exy)^x^y^. 

6) F(x , y) = [ai/A(a^ ; 2/) "» AC-^ ; V)? ' [^y + AC^ . J/)!*- 

6) F(a5 , y) - [a^C^a? -H 5)* 4 xi-^x -h 3 ) (ax^ + tey + cy') + 

+ y^pax""' + pòxy + dy^)Y*[py^ + a;(Ya? + S)|y. 

7) F(x , y) = [xy + /^3(x , y)f • [xy(aa f 6y)» t /g'x , y)]^ 

8) F(a; , y) - [x\ax v f y)» + x(7a? f ^y) (ax» + 6a?*y + cxy^ + dy») + 

-^ y'(aXx* + (a[Ji + h\)x^y + (6lJi + cX - X*)aBV + 

-f (cjjL + dX - 2X|ji)xi/» f ey*)]» • [x(ax + py) + y*(Xx -f |Jiy)]«. 

9) F(x , y) = [a?«y*(a5 - «)* + ajy(x -a){y- b)f^{x , y) -f 

+ (ay - 6x)Y3(a? , y)]». [xy(x-a) + (ay - 6x)* X A(x , y)]*. 

10) F(x ,y)^[y'^ yf,{x , y) + f,(a? , y)j*x»y3. 

1 1) F(x ,y) = y^ + Ux , y) + A(« » y) + e. 

Con /i (x , y) intendo sempre una forma binaria in x , y del grado i . 

§ 6.0 
Piani S—pli ciclici razionali. 

20. Oltre i tipi generali 1) e 2) indicati al num. 6 vi è un sol tipo di tra- 
sformazione ciclica deir indice 8 (tipo Àg). 



)( 310 )( 

La quarta potenza di questa trasformazione è equivalente ad una trasfor- 
mazione ìnvolutoria del 3^ tipo del B e r t i n i ; rappresentando le coppie di questa 
sui punti di un piano si ottiene un piano doppio avente come curva totale di 
diramazione una curva composta di una quintica C5 con un tacnodo T e della 
sua tangente tacnodale t Sicché [cfr. 7, 7)] la trasformazione data subordina su 
questo piano doppio una omografia ciclica dell' indice 4 , la quale ne muta in 
sé la curva di diramazione. Come ci é dato da W i m a n questa omografìa non 
é omologica, ha la retta t unita tutta costituita di coppie involutive, il tacnodo T 
è un punto unito : inoltre la C5 contiene un altro punto unito P , dove la 
retta PT é necessariamente per la C5 una tangente di flesso, le equazioni cano- 
niciìo in coordinato trilineari di questa omografia , presa la retta t come retta 
ajg = e per retta PT la retta ajj = 0, sono 

1 * 9 * S *^ 1 * ''*^ 9 ' *^ S * 

Si considerino le cubiche della rete 

le quali sono unite, ed i tre fasci che si ottengono da questa ponendo una volta 
^o = 0, un' altra volta X, = e infine X^ = 0. Siccome queste cubiche due a due si 
segano secondo un ciclo, e sono sostegno di serie cicliche <7\, così esse si potran- 
no riferire proiettivamente alle rette di un piano, il quale sarà 4~plo; si cerchi su 
questo piano la trasformata della curva di diramazione dal piano doppio di 
prima. Si giunge cosi : 

al piano S—plo ( ciclico razionale ), il quale ha per curva totale di dira- 
mazione : 

a) due rette r^ yV^ semplici ^ 

^) una retta r^ doppia , 

Y) una cubica ellittica i-pla passante pei punti (r^ , v^) ed (r^ , r^), dove le 
rette r^ ed r^ sono risp. tangenti di flesso. 

Mandando la retta r^ air infinito, l'equazione della curva rimanente di di- 
ramazione si può porre sotto la seguente forma 

(ax* + bxf/ + cy^ + dy^xy ~ 0. 

Si può verificare che questo piano 8 pio si può definirò mediante il campo 
di razionalità 

I 8_ l 

'x , f/,y/(ax^ + bxf/ + cy^ t dy)*x*y\ » 



)( 311 )( 



§ 7.0 
Piani 9—pU ciclici razionali» 

^^' Anche pei piani 9-pZt, oltre quei tipi generali corrispondenti alle omo- 
^ ^ ^d alle trasformazioni di J o n q u i è r e s si ha un solo tipo : esso si ot- 
t\C e Come imagine dei cicli delle trasformazioni del tipo B^. Come si è ricor- 
d* I xj g^ questa trasformazione ammette un sistema unito <x^ di cubiche con 6 
pto *^a.se fondamentali e subordina pertanto una omografia spaziale ciclica dello 
gtes- ^fJice , la quale muta in sé una superficie cubica imagine di questo si- 
s\#* ^\ cubiche. 

\A omografìa fu determinata da K a n t o r sotto la forma seguente 

Q\ rg* » if •'V» «T» — C or»' • B' l»»' • ?^ o»' • ir» /* I 

e r equazione della superficie cubica invariante è 

Proiettando la Fj dal punto X^{x^ = , acg = ^ ; ^s = ^ * ^4 = 1) si ottiene un 
piano triplo avente per curva di diramazione la cubica sezione della F3 col 
plano a;^ - 0^ ossia la cubica 

L'omografia subordina sul piano «4 = una omografia Q' ciclica dell' in- 
dice 3, per la quale la C3 è invariante, questa omografia non è omologica ed ha 
come punti uniti i tre punti Xji = (1,0,0,0) , X2 = (0,1,0,0) , X3 = (0,0,1,0) i quali 
costituiscono per la C3 un triplo tangenziale; tale C3 contiene una serie .cicli- 
ca ^3. È noto inoltre che vi sono od* cubiche aventi le stesse proprietà delle C3 
ed unite per la Q': allora riferendo queste proiettivamente alle rette di un nuovo 
piano si ottiene subito 

il piano d-plo {ciclico razionale) j la cui curva totale di diramazione è co- 
stituita 

a) da tre rette semplici y 
§;) da una retta tripla 

11 campo di razionalità definito da questo piano 9— pio è, come è facile ve- 
dere, il seguente 



j 9 

\ x,y y yjx'y^ax + 6y +- e) 



+-C) ^• 



{}) È e^ una radice 9— pia primitiva dell' unità. 



)( 312 )( 



§ 8.0 
IHani lO—pli ciclici razionali. 

22. Passo ad occuparmi della trasformazione del tipo r,o, per la quale come 
fu detto al n.o 6 , esìste un sistema invariante di sestiche con otto punti base 
doppi fondamentali. La quinta potenza di questa trasformazione è una trasfor- 
mazione involutoria del 3^ tipo del B e r t i n i : rappresentando le coppie invo- 
lutive di punti di questa sui punti di un piano si ottiene un piano doppio (di 
N5ther) avente come curva di diramazione una quintica Cg con un tacnodo 
e la sua tangente tacnodale. La data trasformazione subordina su questo plano 
doppio una omologia^ la quale ha per asse una retta passante pel tacnodo e di- 
stinta dalla tangente tacnodale e per centro un punto di detta tangente. Essen- 
do a?i = 0, r asse dell' omologia, questa è definita analiticamente dalle equazioni 
seguenti 

or* * 'v* • '*• — cy» • ir»' • or» e * i 

Per tale omologia sono unite tutte le oc* quintiche , la cui equazione è 
del tipo 

dove /s {x^ , «s) è una forma del 5^ grado in x^ , ccg. Tali quintiche essendo sostegno 
di involuzioni razionali ^'5, si possono riferire proiettivamente agli iperpiani di 
uno spazio lineare Sg a 6 dimensioni : si ottiene un cono 5— pio K5 del quinto 
ordine avente per curva di diramazione una sezione iperpiana generica C^, iraa- 
gine deir asse acj - d' omologia. La C5 di diramazione del piano doppio è rap- 
presentata su questo cono pure da una sezione iperpiana generica C'^, la quale 
ha colla C5 un contatto semplice in un punto P imagìne del tacnodo di C5. La 
tangente tacnodale è poi rappresentata su K5 dalla generatrice passante per P 
Riguardando i punti di questo cono come imagino dei cicli della trasforma- 
zione del tipo Pjo , tale cono risulta 10— pio ed lu per curva di diramazione la C5 
doppia , la C'5 5— pia e la generatrice per P pure S—pla. 

Proiettando K5 da quattro dei suoi punti generici su un piano si ot- 
tiene 

un piano IO— pio {cicl. raz.) avente come curva totale di diramazione 
a) una quintica doppia avente un punto A—plo a tangenti distinte , 
f) un* altra quintica b-pla avente lo stesso punto 4,— pio colle stesse tan- 
genti e di piii avente in un punto generico P un contatto semplice colla quintica 
doppia y 



(^) È E una radice quinta primitiva dall' unità. 



)( 313 )( 

Y) la retta OP 5 -pia. 
L'equazione complessiva di questa curva di diramazione si può scrivere nel 
^^^oente modo : 

(0 [Ux , y) f x%{x,ymfjx,y) + x^^^{x,y)]^x^ = , 

®/4>/8>93 sono forme binarie in xt/ dei gradi risp. 4 e 3. Si rileva facil- 
^®^^e che il piano 10-plo 



i 



10 i 



^ \^ curva totale di diramazione la (1). 

§ 9.0 

Piani 12 -pU ciclici razionali, 

23. Passo alla rappresentazione dei piani 12-pli corrispondenti alle trasfor- 
mazioni cìcliche dei tre tipi differenti Bj^ , B'^g e r,2 di K a n t o r. 

La trasformazione appartenente al tipo B]^ ha, come ho ricordato al n. 6, 
un sistema invariante oo"** di cubiche con 6 punti base fondamentali : viene perciò 
da essa subordinata una omogratia spaziale ciclica dello stesso indice > per la 
quale è unita la superfìcie cubica imagine del nominato sistema di cubiche. Il 
tipo di questa omografìa è il seguente: 

(\\ ■— .y* • rp •fi/* • rg* — i*' • — **•' • ìn/*^ • l*'»»' 
My »■— «A'j . M/o . **•« • •* j — «A- I • ^^ «Co* ^•^ 3 * J*^ 4 

e la superficie cubica invariante è data dall' equazione 

P3 = 05*1 + Xyx\ + a;%a, + x^^ = 0. 

Proiettando questa dal punto X^^ (0,0,0,1) sul piano 0:4 = 0, si ottiene un 
piano triplo, avente come curva di diramazione la cubica 

v/j ^ X j "T X^CO 2 ~r 35 3«X/2 ■— v/# 

L'omografia ù subordina su questo piano triplo una omografia 0' non 
omologica ciclica dell' indice 4, per la quale la C3 è unita; le rette unite di questa 
omografìa sono le intersezioni dei piani a?^ = , Xj = ed «3 = col piano x^ = 0; 
la retta x^=^0 è sostegno di una involuzione ^'^ » ossia è l'asse deiromologia (0')^ 
la C3 passa pel punto Xi = a*2 = 0, dove la retta Xjj = è una tangente di flesso, 
6 per il punto X| =1X3 = 0, di cui il punto di prima è il tangenziale. Si rileva fa- 

VOL. XLh 40 



)( 314 )( 

cilmente che sono oo^ le cubiche unite aventi le stesse proprietà della Cg e che 
queste cubiche, mentre due a due si segano secondo un ciclo di quattro puntl^ 
sono sostegno di una serie ciclica razionale g\; dunque riferendo queste proiet- 
tivamente alle rette di un piano si ottiene 

un piano 12— p^o (cicl. raz,) la cui curva totale di diramazione è com- 
posta 

a) di due rette semplici , 

P) di una retta ^-pla , 

7) di una retta 6 -pia. 
Si ha poi che il piano 12— pio 



I » } 

' Xyyy\lxy{ax i- by + cY 



ha per curva totale di diramazione la curva ora nominata ed è razionale. 

24. La rappresentazione del piano 12— pio corrispondente alla trasformazione 
del tipo B'jg; richiederebbe una discussione un po' minuta e laboriosa analoga- 
mente a quanto fu fatto per il piano 6 -pio del uum. 16. Mi limiterò ad accen- 
nare ad essa, solo per sommi capi. 

Prendendo a studiare i caratteri della trasformazione in questione, quali ci 
sono dati in W i m a n, si trova subito che la trasformazione cìclica dell' indice 3 
del tipo (B'ij)* coincide colla trasformazione del tipo (Ag)^ del num. 16. 

Perciò, rappresentando i cicli di questa sui punti di un piano, si ottiene un 
piano triplo avente per curva totale di diramazione una quartica con un tacnodo 
ed una retta passante pel tacnodo , distìnta dalla tangente tacnodale e da con- 
siderarsi come due rette di diramazione infinitamente vicine. Facilmente si trova 
che la trasformazione data subordina su questo particolare piano triplo una omo- 
grafia non omologica, ciclica dell'indice 4, per la quale la curva di diramazione 
rimane invariata. 

Se tale omografìa è definita dal seguente sistema di equazioni 

la quartica di diramazione sarà del tipo 

ed 0?^ =0 sarà la retta di diramazione. 

Per questa omografia si ha la rete seguente di cubiche invarianti 

\(fC yZ^ -f AjOJ 2*^8 "^ ^2*^ 3 ^^ ^7 

le quali passano per il punto x^ = Xg = , di cui il tangenziale è il punto di 



)( 315 )( 

flesso x^-x^-O, dove tangente dì flesso è la retta x^ = 0: esse si segano due 
a due secondo un unico ciclo di 4 punti e sono sostegno di involuzioni ci- 
cliche g'^. 

Considerando inoltre i tre fasci che si ottengono ponendo una volta Xo = Oy 
un'altra volta Xi = ed infine X2 = e^riferendo le cubiche di quella rete alle 
rette di un piano^ si ottiene un piano 4-pIo avente per curva totale di dirama- 
zione due rette semplici r^ ed r^ ed una retta r, doppia (imagine della retta x^ = 0). 
La quartica di diramazione del piano triplo viene in questo piano 4— pio 
rappresentata su una cubica avente un punto doppio in {r^ , r^) e passante sem- 
plicemente per (i\ , fg). Allora , riguardando ogni foglio di questo piano 4— pio 
come triplo, si ottiene 

un piano i2-plo {cicL razionale) avente per curva completa di dirama- 
zione 

a) la retta r^ semplice , 

p) la retta r^ tripla ^ 

'^) la retta v^ quadrupla {da riguardarsi come due rette 4— pie infinita- 
mente vicine), 

ò) una cubica quadrupla passante doppiamente pel punto (v^ , v^ e sempU' 
cernente pel punto (r^ , r^). 

25. Passo infine alla trasformazione del tipo r,g. Il cubo di questa trasfor- 
mazione è una trasformazione ciclica dell' indice 4, appartenente al tipo studiato 
al num. 10. Pertanto, rappresentando i cicli della trasformazione del tipo (Ti^)^ 
sui punti di un piano, si ottiene un piano 4— pio, la cui curva totale di dirama- 
zione è costituita da una quintica doppia con un punto triplo ed un punto 
doppio 0^ infinitamente vicino, e da una conica semplice passante per , 0^ ed 
avente colla quintica un contatto 4— pto in un punto P generico. 

Cosicché la trasformazione V^^ data subordina su questo piano 4 -pio una 
trasformazione T ciclica dell' indice 3, per la quale la quintica e la conica di di- 
ramazione rimangono immutate. Ricorrendo alle proprietà caratteristiche della 
trasformazione del tipo r^g in questione , si può facilmente dimostrare che me- 
diante una semplice trasformazione quadratica (*) si può fare in modo che la T 
divenga una omologia (ciclica deli' indice 3). La curva di diramazione di questo 
piano 4-plo viene da quella trasformazione quadratica trasformata in una curva 
composta 

a) di una quartica C^ doppia con un punto doppio P' , 
p) di una retta r^ tripla, la quale conta come curva di diramazione sem- 
plice, passante per P' e quivi tangente alla quartica, 

7) di una retta r^ semplice, la quale passa per il punto P^ ulteriore in- 
tersezione delle 7', colla C^ ed è tangente di flesso alla C4 in un punto P,. 
Allora r omologia ciclica dell' indice 3, che muta in sé questo piano 4-plo 



(^) Questa trasformazione è definita dalle coniche passanti pei punti 0,0| e P. 



)( 816 )( 

è caratterizzata dall' avere il punto P, come centro e la retta P'Pg come asse. 
Ciò posto riuscirà facile eseg^uire la trasformazione multipla [3,1] corrispon- 
dente. Basta a tal fine ricordare, come più volte ho avuto occasione di notare, 
che per una omologia ciclica dell' indice 3 vi sono oo* cubiche unite senza punti 
base. L' imagine di questo sistema di cubiche è un cono cubico triplo K, di 
uno spazio S4 a 4 dimensioni : la curva di diramazione su K3 è costituita da una 
sua sezione iperpiana generica C3 corrispondente all' asse dell'omologia; mentre 
le generatrici sono rappresentate dalle rette pel centro di omologia. Si cerchi 
su questo cono l' imagine della curva di diramazione del piano 4— pio trasfor- 
mato in 8è da quell'omologia. La C^ dà evidentemente un'altra quartica G\, 
passante pel vertice, segata da ogni generatrice in un sol punto variabile, l'ima- 
gine del punto doppio P' è un punto semplice Q, appartenente alla curva di 
diramazione C3 del cono triplo. La generatrice per Q , rappresentata sul piano 
4 -pio dalla retta P'Pj, farà parte della curva di diramazione di questo cono ri- 
guardato come 12— pio: lo stesso dicasi della generatrice corrispondente alla 
retta r^ = P^Pg del pi.'ino 4-pIo. Questa generatrice incontrerà la cubica C3 del 
cono in un punto Qj comune alla C\. Proiettando il cono K3 dai punti Q e Q^ , 
tenendo conto della molteplicità di questi punti, si ottiene subito 
un piano ì^—plo^ il quale ha per curva di diramazione totale 

a) una retta p,(7-jpZa, la quale conta come retta) di diramazione semplice 

^) una retta p^ semplice^ 

Y) una terza retta pg A^-^pla^ 

l) infine una conica Cg Q—pla, 
Si potrebbe poi vedere che la conica Cg passa pel punto comune alle rette 
p2^h} ^ quivi tangente alla pg e tocca in un punto qualunque la retta p^. 



§ 10.' 



Piani li-pli ciclici razionali. 



26. La trasformazione del tipo B^^ è tale che (8^4)'' forma una trasformazione 
involutoria del secondo tipo del B e r t i n i. Rappresentando le coppie involutive 
di pumi della (B,J'' su un piano, si ottiene un piano 4 -pio con quartica C^ di 
diramazione. 

La trasformazione data subordina su questo piano 4-plo una omografia non 
omologica ciclica dell'indice 7, per la quale la C^ è unita. La C4 ha in ciascuno 
dei* tre punti uniti Aj , A» ^ A3 dell' omografia un flesso e tangenti di flesso sono 
le tre rette unite. 

È facile vedere che esistono oo^ quartiche unite per questa omografia e do- 
tate tutte delle stesse proprietà della C4 di diramaziona : due quartiche di questa 
rete si segano secondo un ciclo di sette punti : ciascuna è poi sostegno di una 
involuzione g'^, Hiferendo allora proiettivamente queste quartiche alle rette di 
un nuovo piano si ottiene subito 



)( 317 ){ 

un piano li—pio (-cicl. raz.) avente ^ìer curva totale di diraviazione 

a) tre rette semplici, 

fi) una retta 7 -pia. 

u 

Algebricamente si ha poi che il piano 14-plo \x , yy\^xy{a^ + 6y + cY \ ha per 

carva totale di diramazione la carva sopradetta. 



§ 11/ 



Piani 15 -pli ciclici razionali. 



27. La trasformazione del tipo B^g ha i seguenti caratteri : 

a) esiste un sistema oo^ invariante di sestiche con otto punti doppi base 
fondamentali : una di questo sestiche, la quale indico con Cg è unita ed è so- 
stegno di una involuzione ciclica g'^ ; 

^) esiste un fascio di cubiche per gli otto punti fondamentali, le quali si 
scambiano fra loro ciclicamente cinque a cinque ; va fatta eccezione per due 
cubiche particolari E3 e K'3 , di cui una (la E3) è sostegno di una involuzione 
ciclica g'^\ 

7) entro il sistema a) esiste un fascio di sestiche, le quali si scambiano 
tre a tre ed hanno fra loro un contatto 4--pto in un punto P distinto dai punti 
fondamentali. Si deve fare eccezione per due sole sestiche particolari, V una è 
la Cg sopra nominata, l'altra è la E'3 contata due volte : questa E'3 passa quindi 
per P e tocca quivi tutte le sestiche di questo fascio; 

S) vi ha infine una curva del nono ordine C9 unita': questa ha un punto 
triplo in ciascuno degli otto punti fondamentali e passa per P. 

Si consideri la trasformazione del tipo (Bj^)', la quale è ciclica dell'indice 5. 
Si può vedere facilmente come, rappresentando ì cicli di questa ultima trasfor- 
mazione sul punti di un altro piano, si ottiene un piano d—plo avente come curva 
totale di diramazione una cubica C3 ed una tangente t di flesso (^}. 

Giova ricordare che le rette generiche del piano 5— pio sono rappresentate 
sul piano semplice da una rete di curve del 9° ordine, aventi le stesse proprietà 
della G9 del comma 8); mentre le rette passanti per il punto di flesso sono rap- 
presentate sulle sestiche del comma 7). Allora segue senz' altro che la trasfor- 
mazione del tipo in questione subordina su questo piano 5— pio una omografìa 
ciclica dell' indice 3, per la quale la O3 e la ^ rimangono immutate. 

Di più si vede subito che questa omografìa è omologica, poiché per il punto 
di flesso deve passare una retta tutta di punti uniti, come imagine della C^ so- 
stegno della involuzione g'^: questa retta è poi certamente distinta dalla retta t. 



(^) Cfr. nella mia Nota citata il § 5. 



)( 318 )( 

Dunque per ottenere il piano 15 -pio domandato non rimarrà altro che ad 
eseguire una trasformazione [3 , 1] , la quale fu già operata più volte; epperò 
la curva totale di diramazione di questo piano lÒ—plo risulta costituita 
- a) da una cubica b-pla con un punto doppio a tangenti distinte 

tj e Tg , 

f) da una cubica tripla collo stesso punto doppio O e le stesse tangenti 

tj e tg , 

'^) da una retta 6 pia , la quale però come curva di diramazione deve 
contarsi tre volte: questa retta passa per e per un punto 0^ comune alle due 
cubiche. 

L'equazione complessiva di questa curva di diramazione, prendendo il punto 
come origine delle coordinate, le rette t^ e t^ come assi ed il punto Oj come 
punto air infinito della retta «a: + 6y = , si può porre sotto la forma: 

{ax + bi/f\xy + {ax + by)fi{x , y)]^[x^ 4- (ax + by)Zi{x , y)f = , 

dove f^{x , y) e ^^{x , y) sono delle forme binarie di grado 2. 
Si verificherà poi che il piano 15 -pio 



16 



\x , .y, \/{ax + by)^[xy 4- (ax 4- by)f^{x , y)Y[xy-\-{ax f by)i^^{x , y)]^\ 

ha per curva totale di diramazione le curve rappresentate nell' ultima equa- 
zione. 



§ 12.0 



Piani 18 -pli^ 20—pli, 'Il—pli e 30-pli ciclici razionali. 



28. La trasformazione del tipo B^g ammette una rete invariante di cubi- 
che per sette punti base fond<iraentali. Per ciò la sua nona potenza è una tra- 
sformazione involutoria del secondo tipo del B e r t i n i : rappresentando le cop- 
pie di questa involuzione sui punti di un piano si ottiene un piano doppio con 
quartica di diramazione. La Bjg subordina su questo piano doppio una omografìa 
ciclica dell'indice 9, per la quale rimane immutata la quartica di diramazione. 
Questa omogi-afìa è definita dal sistema di equazioni 



[}) È £j una radice nona primitiva dell' unità. 



)( 319 )( 

La retta x^=^0 è sostegno dì una involuzione ^'3. Eseguendo la trasforma- 
zione [9,1] corrispondente a questa omografìa si arriva ad 

un piano l^—plo (ciclico razionale), la cui curva di diramazione è costituita 

a) da una retta semplice, 

f) da una retta doppia, 

Tf) da una retta Q—pla, ed infine 

6) da una retta d—pla, 

29. Dai caratteri assegnati da W i m a n alla trasformazione del tipo Bjo si 
deduce subito, che la quinta potenza di questa trasformazione è una trasformazione 
ciclica deir indice 4 del tipo J^ studiata al num. 10. Rappresentando su un piano i 
cicli della (Bj^,)* si otterrà pertanto un piano 4-^^ pio ciclico razionale, la cui curva di 
diramazione è riducibile (cfr. num. 10) ad una curva costituita di una quintica 
doppia con un punto triplo ed un punto doppio Oj infinitamente vicino e di 
una conica semplice passante per , 0^ ed avente colla quintica un contatto 
4-pto in un punto generico P. Quindi la Bg^ subordinerà su questo piano 4 - pio 
una trasformazione T ciclica dell' indice 5, per la quale rimangono invariate la 
quintica e la conica di diramazione. Si vedrebbe facilmente come si possa 
sempre operare la trasformazione multipla [4,1] in modo che la T sia una omo- 
logia Q. Cosi procedendo, la conica di diramazione risulta spezzata in due rette, 
di cui una è la retta OOj e V altra una retta r che ha un contatto 5-pto in un 
punto generico P della quintica: V asse dell' omologia è la retta OP ed il cen- 
tro il punto comune alle due rette 00^ ed r. 

Allora operando la trasformazione multipla [5 , 1] corrispondente a questa 
omologia^ trasformazione la quale è stata eseguita al num. 8 per la rappresen- 
tazione dei piani 10— pli, si ottiene 

un piano 20'-plo (cicL raz.) la cui curva totale di diramazione è costituita 

a) da una quintica C5 4— pia, avente un punto 4:--plo a tangenti {in gè* 
nerale) distinte, 

p) da un' altra quintica C'5 10 -pia avente lo stesso punto 4,-plo colle 
stesse tangenti ed avente inoltre in un punto 0', distinto da un contatto tri- 
punto colla C5 , 

7) due rette h—ple , di cui una è la congiungente 00', V altra la retta, 
che unisce ad un altro punto comune alle due quintiche C^ e C'5. 

Tralascio di dare V equazione complessiva di questa curva di diramazione, 
la quale si determina in modo puramente razionale: infatti la determinazione del 
contatto 3-pto fra le quintiche C5 e C'5 si opera mediante una semplice elimi- 
nazione. Indicando brevemente con F(x , y) = questa equazione si vede facil- 

80 

mente che il piano multiplo \x , y , VF(a; j y)\ ha per curva totale di diramazione 
la F (X , 2/) = 0. 

30. Si trova poi facilmente che alle trasformazioni cicliche dei tipi B24 e B,^ 
corrispondono rispettivamente 



X 320 )( 

UH piano 24— /?/o {del. raz.) avente per curva totale di diramazione 

a) due rette semplici j 

pj) una retta 8— jpZa, 

Y) una retta 12— /?Za; 
ed un piano 'SO—plo (cicl, raz.), la cui curva totale di diramazione risulta co 
stituita, 

a) di una retta semplice, 

^) di una retta 6 -pia, 

■jf) di una retta lO^pla, 

5) di una retta 15 -pia. 

Assisi,. Gennaio 1903. 



ANNUNZIO BIBLIOGRAFICO 



Guids du Calculateur. (Astronomie, Geodesie, Navigation, etc.) par J. B o c- 
cardi: 

Deuxième Partie (';. Begles pour les Calcals speciaux. (A. Hermann, Pa- 
ris et J. Pastore, Catane 1902). 

Indice dei capitoli — XI. Construction de tables numériques. Exorcìscs sur 
r interpolation — XII. Méihode des molndres carrès. Applications— XIII. Ciilculs 
astronomiques d! un usage très frequent — XIV. Généralités relativement aux 
orbites des astres — XV. Éphémerides. Observations — XVI. Détermìnation d'une 
première orbite au moyen de trois observations — XVII. Calcai d* une première 
orbite de la planète H e b e - XVIII. Orbites paraboliques. Méthode d' Olbers. 
Exercise numérique — XIX. Correction d'une première orbite par la variation des 
distances — XX. Correction d'une orbite par les Coefflcients Dififéreutiels — XXI. 
Perturbations. spéciales — XXII. Quelques calculs de Geodesie — Additions. 



(•) Per la prima parte, vedi questo stesso volume pag. 13. 



)( 321 )( 



INTORNO AD ALCUNI AGGREGATI DI COEFFICIENTI BINOMIALI 



NOTA 



DEL 



Dottor ALFREDO PERNA, 



Scopo della presente noticina è di dare alcune proprietà del simbolo 



p—0 



che compare nell' altra mia nota: « Le equazioni delle curve in coordinate com- 
plesse coniugate > {*)y e del simbolo più generale 



p-0 



Tali proprietà, che sono quelle di speciali aggregati di coefficienti binomiali, per- 
mettono di dimostrare, molto facilmente^ che i determinanti 



D = 






•^m^O,»!*-^»*,!.*!! • ' • -^m,!!,»!! 



D' = 






-^m.Ojln'+l «^«.Ijlii'+I • • • '^,n',t|i'+l 



sono, non solo differenti da zero, come è semplicemente detto a pag. 6 delia ci- 



(^} Rendiconti del Circolo Matematico di Pai ermo, t. XVII. 



/Oh. XLI. 



41 



)( 322 )( 

tata nota, ma egaali, in valore assoluto, alla potenza di 2 che ha per esponente 

il massimo intero contenuto in -r-. 

4 



1. Il simbolo A^^j^^. Dati due numeri interi e non negativi ke fc', è noto il 
significato del simbolo f,,j. Convenendo che sìa (,, j=0 perfc'<0, e ciò per 

far sussistere la proprietà ( ,,) = (^ J ^') P®^ fe' > A:>0, poniamo 

w,?i,Z essendo numeri interi non negativi ed n <| -x-|=^Z<m,Ne segue, posto X=|^2J , 

che, per w = jjl , A^^^^ si riduce a zero per l dispari ed m pari, e a (— 1)^( x ) P®^ 

tutti gli altri valori di l ed m. 

Mutando nella (1) Z in m — Z, si ha 

e però, notando che V(r+ lY^^ termine di A^^Jì ^ contare da destra, è 

. .^n^rf 71 \/ m-2n \ 



cioè 



-»i<-«'©Ui7i^)!. 



mentre quello di egual posto di A^,^^_/, a contare però da sinistra, è 



^'^ ^^"^ \r)\m - l - 2r) ' 



si vede che i termini di A,„ ^ j , a cominciare da destra, sono rispettivamente 
eguali a quelli di A^„^^„^_l, a cominciare da sinistra, moltiplicati per (- 1)*. Se 
ne deduce 

-^m^n.l = (• 1) Afl,^^ „j.^ , (2) 



)( 323 )( 

ossia che, mutando in A,^ „ j V indice 1 in m — 1 , il valore assoluto resta inalte- 
rato mentre il segno cambia o no secondo che n è dispari o pari. Per n dispari 
ed tu = 2Z, è evidentemente A„ ^ ^ = 0. 

2. Per definizione si ba 

-^m,»,© "" \^ y * 
A _/w — 2w\ /n\/m— 2n\ 

. /m — 2n\ (n\ (m — 2n\ , fn\ [m — 2n\ 

v^.,*=V 4 j"vi;(, 2 J + UJv j' 



_/m-2n\ /n\/7n-2n\ / ix» /n\/ w — 2n\ . 



quindi, sommando, 



Omo Osso Q*m 



o=|JU-n 
a=o 

OaJ|U.p 

Ma, figurando nel secondo membro in generale il termine (^)/j( 2o^J'^ 

^ ^ P > m — 2n < 2jx — 2p + 2 ; 

quindi 

/ w-2n \_/ m-2n \_ _^ 
\,2iJi - 2p + 2; - \,2iJL - 2p H- 4; "• 



Se ne deduce allora 

0^) 0>B0 



)( 324 )( 
e però, per n > , 

Osali. , Cefi 



Ce&O Osso (^sq 



Sa,..,,,, j(S) -(? ) . (?) -...H- .)■ ft)|S(",r)=<i-»"2(M")=»- 



Per n = invece, ridacondosi/^ A,„^,^ ,^ alla somma dei coefficienti binomiali di 



0=0 



posto dispari dello sviluppo della potenza m*"*^ del binomio, si ha y^ A„ „ ,g-2*~*. 

GsaQ 



— - — J , si trova che il valore di V A„ „ ,g^, è 2*~* 



a=o 



o zero, secondochè è zero o no V indice n. 
In generale quindi può scriversi 




°^ { . . . (n > 0) 



a^ ( ^ 



0=0 



^ { 2"-» . . . (» = 0) 



> 



(3) 



c2on(f6 



te r . . . (n > 0) 

è^"-' /2-...(»=0)' 

Segue allora , considerando le due funzioni di m date dai determinanti D e 
D', che è 2"*~^ la somma degli elementi della prima colonna di ciascun deterrai' 
nante, mentre è costantemente nulla quella degli elementi di ciascun' altra co- 
lonna. 

Ricavandosi poi dalla (3) , per 0<n + fc<|jL, 0<n + fc'<pL', 

^( '^m.»,«o'"'^ni,n+fc,lo ) ^ ^^m^n.ia t ^ ( -^«.n^to+i "" '^»i,n+fc',2o+i ) ~ / i-^m.w.tc4-l > 
o«o '=0 Ob^ 0=0 

si ha che tale proprietà continua a sussistere per i determinanti che si otten- 
gono da D e D' sottraendo dagli elementi di ciascuna verticale i corrispondenti 
della successiva. Per m pari si vede poi , tenendo presente la (2), che sono al- 
ternativamente pari nulli gli elemenii dell'orizzontale che è asse di simmetria 
di D e D', secondochè m è congruo a zero o a 2 secondo il modulo 4. 



)( 326 )( 
3. Poiché per « < p - 1 è 



(m - 2n\ _ /w - 2» - 2\ ^ /m — 2/* - 2\ . /m - 2/i — 2\ 



si avrà 



A.,..,'ìViK;)("75;^)-^ì(-'K")(U-i')^S-'>'(p)(?-»;-1> 



p=0 P— P=H> 



cioè, mutando neir ultimo termine p in p — 1 ^ 



p=n-H 



A.....= 2 (-■" (J)-(,^)l("'iiV')*"--'- (*) 

P=0 

Ma dall'eguaglianza («+!) - (j) + (p»,) si ricava (;) = (»+l) - (^ « ,) , 
quindi 

p-0 

p—w+l 



P-« 



P=» 



p-0 



e però, per m < jji - 1 , 



Analogamente, avendosi ( ^<) = (^^ ) — (? )^ dalla (4) si ricava anche 



p*n+| 



A„.„, = 2 (-1)0 j 2 (;) - (« p^ ^ ) [ (- 7_2»,; 2) + 2A,.,,,.. , 

p«o 



)( 326 )( 
e però 

La (5) mostra che, se dagli élemeMti di ciascuna colonna dei determinanti 
D e D' 8i sottraggono i corrispondenti elementi della colonna successiva^ le diffe- 
renze saranno tutte divisibili per 2. 

4. li simbolo A^,^^^^^. Estendiamo il siguitìcato del simbolo A„ ^^ al caso in 
cui sia ;/ < n < m, ponendo 

Analogamente alle (2) si avrà allora 
poi, introducendo il sìmbolo 



con v<m — n, si avrà per la (6) 






poiv 

a„,,.,.v=(-i/2(-i)p(;)a,, 

p-O 



cioè, mutando p in v — p^ 






PKQ 

Ne segue, per m pari 



A — A 

-^m.pi-p+f.tp+ljJp ~ '^m,|i-p-l,lp+«,2p 
•^i».pL'-p+i,?p+S»2pff = -^m^jA'-p.lp+S.lp+l f 



(7) 



e per w dispari 



A — A 

^W,JJL-p+f,2p-»-2,2p — ''^TO,jjL-p,2p+2,»p 

A ' — A . 

•^iii,|Ji-p+l,2p+8,2p+1 — '^in,pL'-p-l,2p+S,2p+l< 



(8) 



X 327 )( 
Si ha inoltre 



-^m.n-i^r^v "" ^-^m,n,7,v ■*" '^m,n+IJ,v — 2mà ^ ^^ l o )^»«,»+P-'.* "^ 



p=o 



0=sV-^2 p='>*l 



+ 2"Z (-D'Cp-l) V»^P-M+ 2 (-l)''(p-2)V«-P-'.' 



p«=o P=o 



pssv-l-1 p=*V+« 



= 2 «-«-lO+K.iO^Gi.)!*-"*^--! <-"'('?%•"-.'■ 

cioè 

In particolare, per m pari e per le (7), 

2(-^ai,jjL-p-f,tp+l,lp ^ ■^«i,|i-p,2p+Mp' ^ -^m.ll-p-Mp^-aiJp "" "-^in,|i-p.2p-»-4.tp + 

+ ^m.|ji-p+f ,2p+l,8p = -^«.n-p-liSp+lilp-^J 

(10) 

■^rti»ji'-p-Mp+3,tp4-1 "" ■^»i,lJi'-pi2p+S,2pf I - '^j|i,|i'-p~Mp+-S,«p*-l 2A^,p^'^,jp^5,2p^.| 

"T ^m.pL'-p4-l,2p4-S.lp+l ~ -^ni.jjL'-p-Itlp^-SJp+sJ 

per m pari e per le (8), invece, 

'^m»pL-p-lt2p+l.«p "" -^m.iJL- p.Jp4.2,2p ^ '^miiJL-p-l»?p4-2.2p ^ '^'^miH-pitp+fi2p + 

+ '^m,n-pvli2p+t,2p ~ '^m'PL-p-fi«p+2i2pf2 

(11) 

2(AB|,|i'.p_t,jp4.3,2p4.| — A^,jjL'_p,llp^.3,jp^|)=Art,,jjt'-p-|,2p+«»2p4-l""2A^,jj^'_p,2p^3,p+l + 

+ •^«'|iL-p4-f,2p+S.2pfl ~'^m»ll'-p-Mp+S.2p+8' 

5. Si ha A,^,^,o.o = A„»,^,o = l. Poi, per la (5), 

(n<jA-l) A^,,,,2.2— A„j,^,2— 2Aj„,^+,,24-A,rt,,j4.2,j=(A,„,,j,j— A^.^^jj)— (A^,^4.,.j-A^,,^^2^j} 

=2(A|^_2,,j,i+A^.2.n/o)""^('^i»-2'n+i/i+Art»^2.„4.i,o)=2A^_j,^,i,j=2.2=2 , 



)( 328 )( 

==CAm,n/S""A,n,^+l,3)— 2(A^,,,^.l,3— A^,^^2,3)+(A^,^^.2/3'"An,,^+8,3) 

— 2jA„i_2,^,2 4-A,„_g.„,,-2(A^_g„^i,2+A^,_j,„^i,i)+A„_2'»+2/«+Afl»_2.„+2,i} 

==2(A„_2/n'2/2^A^.2/n-l/l/l'~A,^_g,^+l,,^l)=2«2 =2 , 



E quest' egaaglianze, com' è facile verificare per le prime tre, sassistono anche 
rispettivamente per n = jjL,[jL— 1 ,pL- 2. 
In generale si avrà 

(7i<iJi-i+l) A^.^,^,, = 2'. (12) 

Infatti, supposta vera la (16), si ha, mutando n in w + 1, 

onde, sottraendo, 

(n<ix-0 0=.2(-l)p(p^)A^,,,p,,- 2 (-l)P (p) A«,n+P+iw 

p=0 p=0 

p=Z+l p=Z+l 

p=0 p=:0 

Mutando in questa Z in Z — 1 , 

(n<ii-Z4-l) A,,,^,,.,,, :. ; (13) 

e però, sommando la (12) con la (13)| dopo aver cambiato min m— 2, e tenendo 
presente la (5), 

(n<it-l) 2'=A„_j,„,,,,+A„_,,^,j_,„=2J (-l)P (^pj(A«_,,„ fp,j+A,_,.„+p,j_,) 

P=0 

^P=Z 

P=0 



)( 329 )( 



cioè 



paf+l 



(»<^-0 2-- ^ (-i)''i(p)+(pii)!v«.p. 



I+l 



p»0 



p^4-l 






6. Si noti infine che, se è v > ^, è A^, ^^^^ ,, = 0. Ed infatti se si ha 



p-i+r 



P-o 



si avrà, mutando o in n + 1, 



(n < jji - Z - Z') 



e sottraendo 



(n < jx - Z - Z') 



P«0 



n+p+l,li 



p«i+r+i 

0= V 



P-O 



(-')'{cr>a-OK«,. 



p«»«+/'+i 
p=o 






z+r-n 



Da quest' egaaglìanza e dalla (13) si deduce che il simbolo A„ ^ , ^ rappre- 
senta lo zero ogni volta che il quarto indice supera il terzo. 

7. I determinanti D e D'. Si considerino ora i due determinanti D e D'. 
Diremo che sugli elementi di una colonna di essi si opera col simbolo (1,-2,1), 
se agli elementi di quella colonna si aggiungono i corrispondenti dello due suc- 
cessive, moltiplicati rispettivamente per —2 ed 1. Analogamente si opera sugli 
elementi di una colonna col simbolo {n , — n) , togliendo dagli elementi di essa, 
moltiplicati per n , ì corrispondenti della colonna successiva , mollìplicati an- 
che per n. Ciò posto si distìnguano i due casi di m pari e di m dispari. 

Se m è pari, operando sugli elementi della penultima colonna di D col sim- 
bolo (2 , — 2), dopo aver operato su quelli delle colonne precedenti col simbolo 
(1,-2,1), si avrà, ricordando la definizione di A^ ^i j e la prima delle (10), 



°=i 



. . . 



Aw,o,2,2 A^ 1 2^2 . . . A^^j^.j 2 2 ^m,^,i 



An|^0^2j4^2 A^ j 2ji,J • • • A„|^|^»i^2iA,8 A„^j^^2jt 



/OL. XLl. 



42 



)( 330 )( 



cioè; per la (12)| 



D = (- l)^+« • 2«~^ 



. . . 1 



'^m,U,4,2 •^«,1,4,2 • • • ^in,iJL-l,4,l 



^m,0,2|ji,8 '^,1,2M • • • •^m,|/t-l,2|l,2 



Operando come prima sagli elementi delle diverse colonne 



D = (-lf+«.2>-« 







. . . 



-^m,©,*»* -^,1,4,4 • • • -^,11-2,4,4 ^«,11-1,4,2 



•^m,0,2|i,4 ^m,l,2ji,4 • • • ^m,|t-2,2|i,4 -^m,|i-.l,2|i,4 



= (- 1^1^+2+11+1.2(2+*)-» 



. . . 1 



'^m,0,6,4 -^111,1,6,4 • • ' •^«,|i-2,6,4 



^•i,0,2|i,4 '^m,l,2|X,4 • • • -^«,11-2,2^1,4 



Cosi proseguendo si avrà D = (— 1;^ • 2' A^ o,2ia,2ìjl i essendo 



p-iPl+2 



p=.pi-.l 



P"S p— i 



Ma A^,o,j^_,j^ = 2»" , quindi 



D = (-!)("**). 2>^*=(-lft\['?3 



Se 9n è dìspari) operando col simbolo (1,-1) sugli elementi della penulti- 
ma colonna di D e col simbolo (1^ — 2^1) sugli elementi di ciascuna delle co- 
lonne precedenti, si avrà, ricordando la prima delle (11)| la definizione di A^^^^^ y 
e le (12) e (9) , 



D= 



.. . 



^«,0,2,2 ^«1,1,2,2 • • • '^m,ji-l,2,2 ^«,M 



=(-l)>^+« 



A«,o,2|i,2 Aflj^i^gjjt^j . . . A,„^y^.i^2j^^2 A^^p^ jj^ I 



-^,0,2,2 • • • '^,|l-l,2,J 



■^m,0,2|i,2 • • • Ajn^n^i^jn^j 



)( 331 )( 



= (- l)»*+«-2« 



. . . 1 



•^m,0,4,J '^m,l,4,« • • • -^«1,11-1,4,» 



ed operando ripetutamente come prima 



D=(-l)'*+*+^"'*-2*.2^ 



Ma 



1 1 ... 1 

•^m,0,6,4 -^«,1,6,4 ' • • '^m,|A-»,6»4 
■^«1,0,811,4 ^m,l,2|i,4 • • • ^m,|jL-8,«ji,4 I 



-— — (""1) '2 '-^m.o.SpLjJii' 



= 



IJir|il + 5)_|X(jJL + l) 



(mod. 2) y 



T = 



'A\^ + 1) 



A =91J1 



quindi 



D = (-if t')2[T]. 



In ogni caso dunqae può dirsi che il valore del determinante D èia potenza di 



m 



8 



2 che ha per esponente il massimo intero contenuto in '-- , ed il cui segno è 

4 



+ o — secondo che è pari o dispari ( * j, J. 



8. Quanto al determinante D' osserviamo prima che, se m è pari, è (§ 1) 



A« ,.' 



in,n'+i,8p*-i— ^m,jjL,2p+i—^ ; e però A^ j^'gp^j - A^ jj^'jp,.!— A^ p^» .j., jp^j-A^ j^»^,p^i i» 

Notando poi che, per ? = , è A„^^.^^^^,^^ = A^^^.^i - A^^^.,,.i = (^^ = 2, si avrà, 

operando col simbolo (1,-1) su ciascuna delle prime pi'- 1 colonne e ricor- 
dando la definizione di A„,^^^j ^ e la (12) , 



D' = 



•^m.o.iji A,„^|j^j . . . A„| jj^'.jjj A^ jj^» j j 

-^w.CS,! -^m, 1,8,1 • • • -^««pi'-l^S,! ■^m,ji',8,l 



-^m.o.Sii'+l,! ^m,l,8pi-i-i,l • • ' ^m,n-l,8|jL'+l»l '^m,iJi',8ji'+i,l 



= 2 1 



. . . 1 



•^«,".8,1 •^m,l,3.1 • • • -^«lUiSa 



At»|,o,8|jc'+M •^•l,8ji'+M • • • •^in.iJi',8|Ji'+l,l 



)( 332 )( 

Operando ora col simbolo (1,-1) sugli elementi della penultima colonna e col 
simbolo (1,-2, 1) su quelli di ciascun' altra colonna precedente, si ha, ricor- 
dando le (9) e (12) e la seconda delle (10); 



D' = 2 







. . . 



A 



OfiO.StS 



■^«1,1.8.8 • • • -^.n'-l.S.a •^«.pL',8,1 



^»i,0,2ijl'+1,8 •^m,l,8ii'-fl,8 ' • * •^m,jJi'-l,2jJL'+l,8 '^,jji',2jjl'+1,3 



=:(-.l)|i'+2.2i+8 



'ill,0i5,8 



. . . 1 



•^WiliS.S • • • -^miiJi'-l.S.S 



1 '^in.o,2iJL'+l,8 •^m.l,2|i'+l,3 ' • • ^«n,iJ.'-l,2jt'+l,J 



Operando ripetutamente nello stesso modo, 



Df-:(«l\|Jt'+«+»*'+l. 21+8+5 



•^,0,7,« 



. . . 1 



• • • -^m.ii'-JJtS 



'^m'0,2u'+l,5 • • ' '^m,ii'-2.2uL'+l' 



I1-2.2ijl'+1'5 



t t 



=.,.= (—1) -2 ' A^,,o2|i'+1,2|Jl'+1" 



Ma 



' = "^'^ ^ ^Mp(rao^. 2) , .' = (,' + D» , 



A _ 02JJL'+1 . 

'^m,0,2iJL'+l,2tt'4.i - ^ 1 



quindi 



D' = (-lf'^').2t^'l 



Se tn è dispari, è [ji' = m - (pi' + l), e però 

Ne segue, moltiplicando per 2 gli elementi dell' ultima colonna di D' ed operan 
do col simbolo (1,-1) su quelli delle altre. 



°'=^ 



^m.O.l.l -^m, 1,1.1 '•• -^m.ji'.i.l 
^m.O.Stl -^m.l.S'l '•• -^1/1,11.3,1 




1 1 ... 1 

^m.0,3.1 -^m.1.8,1 ••• '^«.pL'.8il 


•^m,0,2iJt'+l.i •^m,i,2ji'+l,i ••• •^m.ii',2ii'+i,i 




-^m.0.2|i'+l.l -^m.l.2ii'+l,l ••••^«,ji.'.2ui'-fi»l 



)( 333 )( 

Operando ora ripetutamente sulla penultima colonna col simbolo (2 ^ — 2) e sulle 
precedenti con (l ^ — 1) , si avrà, ricordando la seconda delle (11) , successi- 
vamente 



^■-ì 



liO>8>S 



• . . 



•^m.l.S.S ' • ' -^m.jjL'- 1.8.8 



'^m.ji.'.8.8 



' ■^m.0,«jJL'-fl,8 -^111,1,214'+ 1.8 • • • •^m,ji'-l,2pL'+l,3 '^m>)t:,S^'+i,Z 



= (- !)»*'+« 2»-i 



A 



fni0»5>8 



•^m.l.6»8 ' • • •^«.u'-liS.S 



I '^M,0,i^'+1,9 'A.,^,1.2JJL'+1.8 • ' • '^m,|ji'-l,2|i'+1.8 



e però; proseguendo. 






^ — (~ ^) '2 '^«,0.2|Jl'+1.2ll'+l» 



Ma 



, _ Wiv-' + 1) 



0'^ 



(mod. 2} , T' = \^\^' + 2) , A^.o.2,.'+i,2j.'+i = 2»*^'+^ ; 



quindi 



D' = (-1)(*'»"^).2L*J. 



Dunque, in ogni caso, il valore del determinante D' è la potenza di 2 che ha per 

m^ 
esponente il massimo intero contenuto in - - , ed il cui segno è + o — secondo- 

che è pari o dispari f ^ „ j. Ne segue che, per m dispari, è D = D', e, per m 
pari, D = (- 1)»'D', perchè allora è [x = ;jl' + 1, e quindi j|^^ ^ ^) = ^' 2 ^) + !*• 



9. Introducendo simboli più generali di A^,^,;,^ , possono farsi delle utili ap- 
plicazioni al calcolo di altri determinanti funzioni delle A^^^^j. Considerando, per 

p-v 

esempio, il simbolo B,„,„,^.v = 2 (- 1)^ (jJA^.^+gp.j , per n + 2v < w e v positivo 

p=0 



)( 334 )( 
nullo, si ha, analogamente a quanto s' è detto nei §§ 4, 5, 6, 

(n < |A - 2Z + 1) B«,^,,,, = 2»' , (n < IX - 2f - 1) B^,^,^., = per v > J, ecc. ; 



e però è facile trovare che, per m — Aty è 



A^ 






J-^ 



tU^i) 



= (_ 1)*^ « .2W-J) 



A' = 



■^«1,1,0 ^m.S.O 



• . . A„.^... 



-^,1,» '^m,8,« ' • • ^mfU.'' 



|L'S 



-^ma.yi'-l -^iiijS,!*'-! • • • ^m>\i,',\L''l 



t(t-%) 



= (-1) » .2«^('-«) 



Questi determinanti si presentano immediatamente quando, pel calcolo di D^ sem- 
pre neir ipotesi di m = ét^ si tiene una via diversa da quella tenuta nel § 8. Ed 
infatti; per la (2), sommando gli elementi della prima orizzontale di D con i cor- 
rispondenti dell'ultima; quelli della seconda coi corrispondenti della penulti- 
ma, ecc., si ha, sottraendo poi dagli elementi dell' ultima orizzontale del determi- 
nante che si ottiene i corrispondenti della prima , divisi per 2 , da quelli della 
penultima i corrispondenti della seconda, divisi per 2, ecc.. 



D = 2' 



A 



m>0»0 



A 



m»8iO 







• • • A. 



nifitfO 



^m,o.Sf 







^m,2,it ^ 



• • • A 



•°-«,l,«+» ■Am>S,«+« • • • 



«>»,» 











■A«,l.« 







'm 13,41 



• • • 







= (- 1)***'2'A-A', 



essendo « = 1 + 2 + .. . + (<-!)+ 1 + 3 + ... + (2^ -»-l)=^^^^(mod. 2), a'^t-ì-^^^. 



)( 335 )( 



Per m = 4^ + 2, si trova invece , 



A = 



•^.0.0 ^m^%,0 • • • ^m»|jL'fO 



A 



m 



,0,|Ji' ^m,i,pf • • • "A-m.iJL'.p.' 



= (-1) * .2*'^'+*) 



A' = 



■«^«.1,0 ^m,SyQ • • • -^ylL, 



|JltO 



■^,1.2 "^ 



■l>8iS 



• • -^lU,» 



» -^«.l.jji' -^miS.ji' • • • -^miiA»!!' 



= (-1) « .2^**+*)' 



Napoli; agosto 1903. 



)( 336 )( 



NOTE ON ABELIAN GROUPE 



BY 



G. A. MILLER 

{Stanford University Califom) 



The theorem published by Vincenzo D'Escamard, « Giornale di 
Matematiche di Battaci ini», voi. 41, (1903) p. 203 is found in the Balletin 
of the American Mathematica! Society, voi. 9, (1903) p. 295. It is also found in 
the « Annals of Mathematica », voi. 4, (1903) p. 189. In the latter place a complete 
and very simple proof is given. 

Both of these publications, especially the former, are somewhat earlier than 
that of D' E 8 e a m a r d. It is very singular that such an elementary theorem 
shoud not bave been given in a clear and explicit form before. What seems 
stili more remarkable is the fact that a number of different men shoud bave 
discovered it independently at almost the same time , for H. L. Riety commu- 
nicated the same theorem to me before he had seen it in a journal. 



Con piacere diamo pubblicità alla comunicazione , qui sopra riportata , del 
signor Miller. Al tempo stesso siamo lieti di poter dichiarare che il teorema 
del Dott. d'Escamard è stato estratto dalla tesi di laurea che il medesimo 
ha presentato alla facoltà di Matematiche della Università di Napoli nel mese di 
Giugno 1902, cioè allo incirca un anno prima della sua pubblicazione in questo 
giornale. 

Nota della Direzione 



)( 337 )( 



SULLE SUPERFICIE DI HlKMANN 

CON DATI PUNTI DI DIRAMAZIONE 

MEMORIA 

DI 

A. H U R W I T Z 

{in Zurigo) 

VERSIONE ITALIANA DI ALBERTO BRAMBILLA 

con note delF Autore. 



Dai Math. Annalen, voi, 39. 



(Contili, e fine, v. voi. XXXI, pag. 229-270) 



PARTE TERZA 

QUESTIONI DI REALITÀ. 



§ 1. 

Superfìcie Riemanniane coniugate. 



Imaginiamo nel piano E dei nameri complessi w punti qualunque a, ^a, ,..., a» , 
da un punto qualunque tiriamo a questi (come nel § 1 , parte I) le lìnee 
l^ , li , . . . , Iw e consideriamo una qualunque delle superfìcie Riemanniane 



/ l\ ^ 1% i • • • i Iw \ 
\ S| , Sj I • • • ) Sto / 



che SODO diramate in a, , a, , . . . , ato. Costruendo la figura simmetrica di que- 
sta superfìcie rispetto all' asse reale del piano E, ne nasce una nuova superfì- 

eie F , che diremo superficie coniugata di F. 

Se per questa simmetria i punti Of , a^ , . . . , ato e le linee l^ ^l^ ^ . . . ^Uo ^ì 

VCL. XLI. 43 



)( 338 )( 
trasformano rispettivamente in a, , a^ , . . . , av> ed l^ , li , . . . , Iw , sarà, come ci 





flg. 7. 



si convince senza difiScoItà (cfr. fig. 7), 



(2) 



F 



/Ilo 7 'ic— I » • • • ; '2 M \ 

\ Sto j Sic_| y . . . I bj ^0| / 



Le superficie F ed F sono riferite una air altra in modo univoco e confor- 
me; però la conformità è talC; per cui ha luogo un rovesciamento dell' angolo. 
A schiarimento si osservi quanto segue. Se 1 punti del piano E rappresentano 1 
valori della variabile complessa x, e la superficie F è definita dairequazione al- 
gebrica /"(y , ^) = , la equazione f(y , flc) = definirà la superficie F , quando 

f(y y x) sia dedotta da f(y , oc) sostituendo ciascun coefficiente della ultima fun- 
zione col proprio valore imaginario coniugato. 

Se la superfìcie F coincide colla propria coniugata F , essa è «simmetrica» 
nel senso del signor Klein ('). (L' equazione / (y , flc) = può allora esser scelta 
in modo che essa possieda coefficienti reali). 

Questo caso può avvenire soltanto , se i valori a^ , a^ , » • • , ctw sono in 
parte reali, in parte imaginari a coppie coniugati. 

Noi supporremo che i valori a^ j a^ , , , . ^ aw soddisfacciano a questa con- 
dizione, e, precisamente, che la successione di questi valori sia scelta in guisa 
che riescano coniugati 

a, ed aw = ^i ) 
a, ed Oio^i — ^t } 



% ed Ott,-p-i=«pi7 



{*) " Ueber Riemann's Theorie der algebraiscken Functionen und ihrer Inte- 
grale „ , pag. 72. 



X 339 )( 



mentre 



^U.+ l — ^1 ) ^U+« — ^J 7 • • • » %+0 — ^ 



'jJl+t 



[i+P 



sono reali. I punti di diramazione sono quindi 



(3) 



a| , . . 



• > ^JJL t ^1 » • • • > ^p > ^ji 



• • I 



I C^! 



Supponiamo inoltre 



6, > &j > . , . > &0 , 



scegliamo il punto suir asse reale, e propriamente in gaisa che sia > 6, , e 
tiriamo finalmente le linee 2, , ?2 > • • • i ^w psr modo die ^ , ?i ,...., ^jj^ , per 
simmetria rispetto all' asse reale si trasformino in (cfr, fig, 8) 



Iw — li I t,c«| — '2 ) • • • ; ^to-ii-*-1 ~ ^jJL* 




fig. 8. 

Fissando una volta per sempre questo sistema di linee, noi possiamo indi- 
care la superficie (1) brevemente con 

F = (S^ , S, , . . . , Sto) j 
oppure^ alterando un poco la notazione delle sostituzioni, con 



(4) 



^"■(^l»'''»"^!.' -l'i)'«*7-ip; ^^ 7 • • * f ^\r 



Se ora riferiamo al medesimo sistema di linee la superficie coniugata F, 
troviamo 



(5) 



^ — Wi > • • • > Su. > T| , . . . , Tp , 1„ , . . . , 1| j 



)( 340 )( 
dove, per brevità, si sono posti 

V 2, = S,"' , . . . , £j^ - 8y^* ; Ujfc = T^.T;^^, . . , Tp, (fc = 1,2 , . . • , p). 

Ciò si conferma sulla scorta della fig. 8. La condizione perchè le superfi- 
cie (4) e (5) siano una sola, consiste ora nella trasformabilità dì uno neir altro 
dei due corrispondenti sistemi di sostituzioni. In riguardo alle (6) si ha quindi, 
dietro facile calcolo, il teorema: 

La superficie Riemanniana è coniugata a sé medesima qìiando , e soltanto 
allora che, esista tuia sostituzione U soddisfacente alle equazioni 



(7) 



( SjU2:, = 2iUSi = U , (t = l,2,...,|i), 
U»UU» = U, (& = l,2,...,p), 



dove, per brevità^ si è posto 

(8) Tp =. Up , Tp.,Tp = Up. ,Tp_,Tp,,Tp = Up., , . . . , T,T, . . . Tp = U,. 

Consideriamo un qualunque punto P sull'asse reale e diciamo P, , P, , . . . , P,, 
gli n punti della superficie Riemanniana (h) situati su P, cosicché per la trasfor- 
mazione simmetrica della superfìcie questi punti subiscono una permutazione, 
corrispondendo ai punti 

i medesimi punti^ ma eventualmente in ordine diverso: 
La sostituzione 



(9) 



(1 ,2 , . . . , n \ 



possederà il perìodo due, perchè una ripetizione della trasformazione simmetrica 
conduce alla identità. 
Se designiamo con 

(10) (0) , (I) , (2) , . . . , (?) 

1 segmenti 

6pO , O&i , &|6j , . . . , &p,|&p 



)( 341 )( 

nei quali viene diviso l'asse reale dai punti , &| , 6| , . . . , &p_, , 6p , troviamo 
per la sostituzione V rispettivamente 

(11) V = U , V = U4U , V = U,U , . . . , V = UpU, 

secondo che il punto P sia stato preso sul segmento (0), oppure sul segmento (1) 
sopra (2) , . . . , ovvero sovra (p). Le equazioni 

(12) U» = l , (U,U)»-1 , (U,U)* = 1 , . . . , (UpU)« = l 

sono, come facilmente si riconosce, in accordo colle equazioni (7). 

Le sostituzioni (11) servono anzitutto per determinare in qual modo si con- 
nettano i singoli segmenti dell' asse reale alle linee di passaggio (*) della su- 
perfìcie F. 

Osserviamo ancora che le equazioni (7) si potrebbero rimpiazzare colle equa- 
zioni (12) e colle equazioni 

(13) S^UI, = U , (i =: 1 , 2 , . . . , |ji). 

§2. 

Superfìcie con punti semplioi di diramazione a due a due 

imaginarii conjugati. 

Se consideriamo le superficie fUemanniane ad n fogli coi dati punti di di- 
ramazione 

^1 » ^1 I • • • / ^*w 

esse, in parte saranno coniugate a sé medesime , ed in parte saranno a coppie 
coniugate T una air altra, qualora supponiamo che a, , a^ , . . . , ato siano in parte 
reali ed in parte imaginari a coppie coniugati. (Se facessimo dipendere la deter- 
minazione di quelle superficie da una equazione algebrica, per opportuna scelta 
delle incognite, corrisponderebbero alle superficie autoconiugate le radici reali 
dell' equazione). 

Le considerazioni dei paragrafi precedenti ci pongono in grado di poter di- 
stinguere le superfìcie coniugate a sé stesse dalle rimanenti e di distinguerle in 
gruppi in corrispondenza alle diverse specie di linee di passaggio. 

Io non posso qui dare lo svolgimento generale delle ricerche a ciò neces- 
sarie; piuttosto mi devo appagare di discutere i punti essenziali in un caso 
semplice. 

Sia questo il caso, in cui i w^2^ valori di diramazione siano imaginari a 



(*)Vedi Klein, 1. e. 



)( 342 )( 
coppie coniugati, come fosse 

ed in cui, inoltre, considereremo solbinto quelle superficie che nei punti a, ,0^ , ... , Ow 
sono diramate semplicemente. 

Queste superfìcie sono, per la fissazione delle linee 

M > ^2 * • • • ; ^|i > ^jjt > • • • > ^* I M » 

■ 

coordinate una ad una ai sistemi di t(; =: 2 pi trasposizioni 



(l) ^\ } *Z ì ' ' • f *IL ì "^[1. ì ' • ' ì "^ 



i } ^i 



le quali soddisfano alle condizioni piti volte menzionate (cfr. Parte prima, § 1). 
Ad un sistema corrisponde una superficie autoconiugata; se le equazioni 

(2) T, = U*iU , T, = Ul^^U,...,T^ = Ue^U , U* = l 

possono essere soddisfatte da una sostituzione U. Una superficie auloconiugata 
potrà quindi essere già caratterizzata mediante il sistema delle [i + 1 sostituzioni 

(3) *i I ^j > • • • > ^n > U , 
e, corrispondentemente potrà indicarsi con 

(4) JP - (^ , «2 . . . • , ^K. . U). 

Ora, le condizioni, cui deve soddisfare il sistema (l), si traducono pel si- 
stema (3) nel seguente modo. In primo luogo, in corrispondenza alla condizione 

Ti t| . • . tn ^M • • • 't ^1 ^ *> 

deve essere 
(6) TU = UT, 

* 

quando si ponga, per brevità , 

(6) T = «, *j . . . t^. 

Inoltre, poiché mediante 

*i » ^t > • • • I *li > U t| U , • . . , u '1^ u 



)( 343 )( 

deye esser possibile un passaggio da ogni elemento ad ogni altro , le sostitu- 
ziopi (3) mettono tutti gli elementi V an V altro in relazione , ossia , il che è lo 
stesso, le sostituzioni (3) devono generare un grappo transitivo. Allora si osservi 
coQie non possa ad un tempo 



Ui = (a« 6,) (<h àt) . . . (a^ h^\ 



cop una parte ^| , . . . , t^ delle trasposizioni essere capace di porre in relazione 
fra loro soltanto gli elementi ^i ^ ^t ? • • • > ^n > ^f ^^^ ^^' altra parte, di mettere 

in relazione soltanto gli elementi h^ ^ b^ ^ . , , , b^. Perché altrimenti 

T 

&! y • • • I t^ I Uv|U I ■ • • ^ ur^u 

Gollegherebbero soltanto gli elementi a tra loro e soltanto gli elementi b tra loro. 
Bi riconosce ora senza difficoltà , che queste condizioni necessarie per il siste- 
ma (3), sono anche sufficienti, in altri termini: 

Le superfìcie F coniugate a sé stesse sono coordinate una ad una ai si- 
stemi (3) che pongono in relazione tutti gli elementi (ossia che generano un 
gruppo transitivo) e che soddisfano alle equazioni 

(7) D« = 1 , TU = UT , 
dove si è posto 

X ■"• vm V^ • a • t|i. 

In ciò sono da escludere (nel caso di n pari) quei sistemi; per 1 quali 

U = (a, òj) . . . /a« b^\ e «, , ^, , . . . , f^ 

colleghino tra loro soltanto gli elementi b (*). Del resto sono naturalmente da 
considerarsi come non diversi tra loro i sistemi (3) trasformabili tra loro. 

L'espressione generale di una sostituzione U, che soddisfa all' equazione 
U* = I , è evidentemente questa: 

(8) U = (a. 6.) (a, b^ . . . {ar ^) (c.) (e,) • . . (e.) , 

dove ai , a^ ; ... ; a, ^ ò| , 6^ , • . . , 6^ ^ e, , C| , . . . , c^ indicano gli n elementi in 



(*) È questo cioè Vum'co caso, in cui il gruppo generato mediante <| , <i , .., ^jx-i >U 
è transitivo, mentre il gruppo generato da f| , . . . , <^ , U^,U , . . . i U^^^ è intran- 
sitivo. 



)( 344 )( 

un ordine qualunque di successione. Qui sono r ed « due interi qualunque non 
negativi che soddisfano all' equazione 

s + 2r = n. 

Per il caso di r = , U si riduce alla identità. 

Significhino ora a^ e ^^ i due elementi a^ e ò^ in un qualunque ordine di 
successione , cosicché sia quindi a,- = a,- e p^ = 6^ , oppure «^ = 6< e ^^ = a^. 
Allora 

(9) T = ( )( ) 

\a»\ P»^ «t. Pi, • • • «t, Pi,/ Vcfc, } %»•••> %/ 

rappresenterà la piti generale sostituzione permutabile con U, essendo t'i ) H , • • . e^ 
e A:, , Ar^ , . . . , A;^ ) rispettivamente gli indici 1 , 2 , . . . , r ed 1 , 2 , . . . , » in un 
ordine qualunque di successione 

Quelle superficie autoconiugate, per le quali sono U e T le medesime so- 
stituzioni; noi le ascriveremo ad una classe [U , T]. Ogni superfìcie appartenente 
alla classe [U , T] possiede tante linee di passaggio y quanti cicli ha la sosti- 
tuzione 



(C| Cj ) • • • ; <^j \ 
% % ^ • • • » %/ 



Poiché i punti dell' asse reale , che giacciono nei fogli C| , c^ , . . . , c« , ri- 
mangono fissi per la trasformazione simmetrica e per un valico dal punto O, da 

cui escono le linee li , l^ . » . . j ho , Iw » > » • ) 1% , l^ y i fogli della superficie subi- 
scono precisamente la sostituzione t^t^ . . . t^z=T, 

Il Dumero delle superficie appartenenti alla classe [U ; T] , noi lo troviamo 
determinando il numero delle soluzioni di 

(10) «, *t . . . e^ = T 

dovendosi tuttavia soltanto tener conto di quelle soluzioni, che rispondono alle 
condizioni date più sopra. La determinazione di questo numero si può effettuare 
mediante considerazioni simili a quelle che abbiamo impiegato nella Prima Parte. 
Per altro io ho studiato più da vicino il solo caso di 

M? = 2|Ji= 2n- 2, 

nel quale si tratta perciò delle superficie di genere zero , e voglio qui comuni- 
care i risultati ottenuti. 



)( 345 )( 



§ 3. 

Superfloie di genere zero. 

Considerando gli assi reali negli n fogli di una superficie Eiemannian»; essi 
comporranno una o più linee chiuse. Queste linee, io le chiamerò « linee di rea- 
lità ». Le medesime si possono incontrare, o scambievolmente od ognuna con sé 
stessa, soltanto nei punti di diramazione. Se nessuno dei punti di diramazione 
è reale , le singole linee di realità si compongono degli assi di certi fogli , cia- 
scun asse preso in tutta la sua estensione. Il numero di questi assi può allora 
chiamarsi la muUiplicità della linea di realità. La molteplicità indica manifesta- 
mente quante volte si trova il singolo valor reale sopra la linea di realità. 

Sopra una superficie autoconiugata, le linee di passaggio appartengono alle 
linee di realità. Quelle linee di realità le quali non sono di passaggio^ o saranno 
autosimmetriche o saranno simmetriche due a due reciprocamente. 

Se consideriamo adesso una superficie autoconiugata di genere zeì'o , i cui 
U7 =: 2 pi valori di diramazione siano imaginari a due a due coniugati, si presen- 
tano i soli casi seguenti di possibilità: 

1) Esiste una linea di passaggio, la quale, come linea di realità possiede 
la multiplicità 8, Si hanno inoltre 2iìl, , 2{JL2 , 2^13 , . . . , linee di realità simmetri- 
camente accoppiate rispettivamente delle multiplicità 1,2,3,... 

La superficie la chiameremo, in questo caso, del « carattere > 

(1^1 ? Hi , 1^3 » • • •). 

I « caratteri » [J^i 9 P^t } • * • > possono avere valori qualunque , interi, non negativi 
e che soddisfino air equazione 

« + 2(pL, + 21*2 + 31^8+- •.) = «• 

2) Non esiste alcuna linea di passaggio; ma si ha al contrario una linea 
di realità autosimmetrica di multiplicità 2p, ed inoltre 2{jL| , 2[ji2 ? 2V3 , . . . linee 
di realità simmetricamente accoppiate di multiplicità 1,2,3,... 

In questo caso la superficie si dirà di carattere 

(P ; Hi f t^j > 1*8 » • • •). 

I « caratteri » p ? p^i ? ['s ) l's ) • • * possono avere valori qualunque, interi, non ne- 
gativi e che soddisfino Tequazione 

«p+ 2(1;., + 2|JL2-r 3|Ì8-|-. . . .) = n. 

Per il numero p è escluso il valor zero» 1 summenzionati risultati relativi a 
computi di numeri^ io riassumo nel seguente teorema: 

VOL. XLI. 44 



)( 346 )( 

Tra le superficie Riemanniane ad n fogli di genere zero con date coppie 
coniugate di valori di diramazione^ ne esistono 

(„_i),(r+,)w.i:.]-[i.(Qi*», (,=1,2,3,...), 

di autoconiugate di carattere (pL, , |Ji2 , P^s ; • • •)• 
Per brevità qui si è posto 

IX, +2[x, + 3iX3+ = r, 

e sussiste inoltre Vequazione 

8 -\' 2r = n. 

Nel caso di n pari, si hanno poi, tra quelle superficie, 

(»-')H-f)'--if;-nf!(Sì)'*'('='.^''''--) 

superfìcie autoconiugate di carattere (f> ; l*i , l*j , 1*3 , . . .) » dove, per brevità , s^i 
sono posti 

[A| + 1^8 + Pa + . • • = ^ , 
P-f 1*1 + 2[A,+ 31X3 +. . . = r = |. 



PARTE QUARTA 



DGTERMINAZIONB ANALITICA DELLE SUPERFICIE A TRh; ED A QUATTRO F00L1< 



Nei casi di n=3 ed n=4 si riesce, come ha mostrato il signor T h m a e (•), 
coir aiuto delle funzioni &, a costruire una tale funzione algebrica ad n valori, i 
cui w valori di diramazione siano dati. Ora il numero delle superficie Rieman- 
niane ad n fogli (cfr. Parto Prima, § 5) nei casi ti = 3 ed w ^ 4 rispettivamente 
ammonta ad 

N= , ed N=:(2«'-*-l)^-— — , 



(') Math. Annalen, voi. 6, pag. 612 e voi. 18, pag. 443. 



)( 347 )( 

ed altrettante funzioni algebrlohe diverse devono effetiivamcnie esistere in que- 
sti casi (secondo i teoremi di esistenza di Riemann) ('). 

Mi sembra ora interessante il cercare se, tenendo il cammino del 8Ì<?nor 
T h o m a e , si ottenga esattamente il numero N di funzioni. 

Che appunto sia cosi, voglio mostrarlo in ciò che segue. Io esporrò qui al 
tempo stesso il procedimento del signor T h o ra a e in modo più conveniente 
Itilo scopo attuale. 

§ 1. 

Relazione d» una suparflcie ad n fogli oon una a due fogli. 

Sia data una superficie Rìemanniana F ad n fogli e di genere p con 

w -2p + 2n-2 

punti di diramazione. Tirando, come prima, da un punto le lineo 7, , /j ,..., Zu, ai 
punti dì diramazione, designiamo la superficie mediante lo trasposizioni ^,,^2> •••?'«« 
corrispondenti a queste linee, ponendo 

Se facciamo T ipotesi che esista una funzione algebrica y diramata come 
questa superficie, i valori J/i , J/t , . • • , 3/„ di questa funzione, che si trovano in 
punti sovrapposti degli n fogli, subiscono precisamente la trasposizione t^ , quando 
giriamo intorno al punto i^^ di diramazione. 

Collochiamo adesso sotto la superficie F una superficie F' a due fogli (quindi 
iperellittica) coi medesimi io punti di diramazione. Se t denota l'unica trasposi- 
zione possibile fra due elementi, la superficie F' si indicherà eoa 

F =(&,r,...,r}. 

è evidente che esistono funzioni diramate come F': tale è, p. cs., la funzione 



y= \'(a3 — a,)(a?— a,) . . . (x — a») 

dove a, , a^ , . . . . ai0 indicano i valori di diramazione. 

In un punto qualunque della F' deponiamo i valori t/, , i/, , . . . , y,, ftiaccuti 
nel medesimo punto c^opra la superficie F, e lasciamoceli costantcmcnto, mentre 
facciam muovere il posto sulla F'. 



{*) Questi teoremi, che in seguito non presupporrò, sono btati dimostrati, come 
è noto, dai signori Neumann e Schwar2. 



)( 848 ){ 

Se giriamo intorno ad un punto arbitrariamente scelto sulla superficie P', i 
valori l/i , 2/2 , . . . , I/,j si trasformano ognuno in sé stesso. Ciò è evidente scn- 
z' altro se il punto non è di diramazione. Ma, se il punto fosse di diramazione, un 
giro intorno ad esso sopra la superficie F' richiederebbe un doppio giro nel piano 
della X, epperò, anche in questo caso , ognuno dei valori 2/i , J/i , . . • 7 y^ si ri- 
produrrebbe. Ciò potrà esprimersi dicendo: 

Una funzione algebrica y diramata come la superficie F è, sopra la super-^ 
fide iperellittica F', bensì plurivalente {cioè n valente)^ ma non diramata. 

Se tagliamo la superfìcie F' in una semplicemente connessa, e proseguiamo 
su questa uno degli n valori di y con continuità, a partire da un qualunque pò* 
sto, otteniamo un ramo univoco della funzione y. 

Gli n rami della funzione y , coli' attraversare un taglio , subiscono allora 
una determinata permutazione. Si ottiene una superficie sulla quale 1/ è ad un 
sol valore, sovrapponendo n esemplari della superficie tagliata F' e connetten- 
doli lungo ciascun orlo corrispondentemente alla permutazione ad esso relativa. 




(fig. 9) 



Dovranno adesso determinarsi queste permutazioni nella ipotesi di un deter- 
minato ritaglio della superficie F' (*). La linea chiusa L si condurrà come prima 
per i punti a, , a^ , . . . 1 aio in modo che le linee Z, , /^ 1 • * • > ^ scorrano intera- 
mente in una parte G del piano, che sia limitata da L. 1 due fogli della super- 
fìcie F' si vengano a connettere lungo i tratti ai a^ , as a^ , . . . , a^^y aw della 
linea L. 

Assumiamo ora nella parte G' del piano un punto A , e facciamo incomin- 
ciare e finire i tagli in esso. Corrispondentemente ad ogni linea di passaggio 



«1.-1 a»o (* = 1 » 2 , . . . , li = - - 1 j 



(*) Cfr. per ciò che segue la fig. 9. 



)( 349 )( 

conduciamo due tagli A^ , B^.. Il taglio A^ scorre interamente sul foglio superiore 
e circonda i punti aj,_, a^,. Il taglio B^ incomincia sul foglio superiore, passa, 
attraverso il punto at,-.|, nel foglio sottostante, scorre in questo fino alla linea 
di passaggio a„^^awy passa allora nuovamente nel foglio superiore, nel quale 

stesso, attraversando le linee 7io , ^i , Z^ , . . . , l^i raggiunge di nuovo il punto A. 
Colla introduzione di questi tagli 

A, ,B, ,A, ,B, ,.. ., A^,Bj,, (»^ = ^ - 0> 

la superficie F' è trasformata in una semplicemente connessa. 

Il taglio B,- conduce dal lato positivo al negativo di A^, il taglio A^ ci porta 
dal lato negativo al positivo di B,-. Se in verso positivo si circonda il punto A 
sul foglio superiore, si incontrano i tagli nel seguente ordine di successione: 

A,+B,+ArBrA,+B,+ArBr . . . a^+b^+a^-b^--, 

qui gli indici + e - indicano che il passaggio avviene rispettivamente dal lato 
negativo al positivo e dal lato positivo al negativo. 

Consideriamo adesso sopra la superficie tagliata F' gli n rami i/i ^ 2/t » - * * » 1/n 
della funzione y , di cui ognuno singolarmente è univocamente disteso sulla su- 
perficie ritagliata. Se indicano 1/% tVi y » • » ,yn ì valori assunti dagli n rami in 
un punto P del lato negativo di una delle linee A( , B^ , e se inoltre sono 
y\ ì y\ 1 • ' • > y'n ^ valori presi nel medesimo P sul lato positivo della relativa 
linea, i valori y', , 2/'» , • • • i J/'w difl'eriranno dai valori Vi > !/i > • • • > y« soltanto 
per l'ordine di successione. 

Col passaggio di quella linea dal lato negativo al lato positivo 1 rami subi- 
scono la sostituzione 



S 



_ /y\ !/'i • • • 2/ 'A 
Vyi Vi . • • Vn/ ' 



cioè si perviene dal ramo y\ al ramo yj^ (A: = 1 , 2 , . . . , w). Poiché la linea A^ 
conduce dal lato negativo al positivo della linea B,-, così otteniamo la sosti- 
tuzione S coiTispondente a B^ , determinando quale permutazione subiscono 
Vi fVt > ' * ' yVn P®^ ^^ percorso della linea A,-. 

Similmente determiniamo la sostituzione corrispondente ad A^ , stabilendo 
come si permutano J/i 1 2/i , • • • > !/n P®** ^^ percorso della linea B^. 

In questo modo noi troviamo le seguenti sostituzioni corrispondenti alle li- 
nee A| , Bj , . . . , A^ ; B^: 

Formiamo colle trasposizioni ^i , ^t 9 • • • ? ^w ^^ seguenti sostituzioni: 

Sd| ^^ t| *j *j • • • • 'fi>«.| ~ ^w 

oj = ^3 • • . • tfff^i ^^ *i *| tto 



b|0^i — ^10— t — *tr-4 • • • t^ t^ tw 



)( 350 )( 

Per il passaggio dal lato negativo al positivo , gli n rami yi , y» ^ • • • > Yn 
subiecon quindi 

lungo Ai, la sostituzione S"'j,_|'S\,4.,'S2< = U, , 
lungo B|-, la sostituzione ^^^uì'^u^i = V,- 

Si dimostra facilmente la relazione 

u, V, vr vr' u« V, vr vr' . . . u^ v^ u^-' v^-« = i , 

la quale non esprime altro, se non che per un accerchiamento del punto A ogni 
ramo si trasforma in sé medesimo. 

Le sostituzioni U,- e V, possono prendersi nella forma 

da cui risulta che la prima è simile ad un prodotto di 2i + 2 trasposizionr, l'ul- 
tima ad un prodotto di due. 

Il gruppo generato dalle sostituzioni U,- , V^ , cioè il gruppo di monodromia 
di y sulla superficie F' , è perciò contenuto nel gruppo alterno. Ma si può facil- 
mente provare che esso è identico al gruppo alterno. Infatti, per il teorema 
di L li r o t h , le linee Z, ,/,,..., /t» possono sempre scegliersi in modo, che ri- 
sultino 

ito = (yi Vt) ì U = (yi y») » h = (2/1 Vz) » ^3 = (Vt V3) 1 • • • 

e le seguenti trasposizioni t tutte eguali ad {y^ yj. Ma per questa scelta di li- 
nee Z, troviamo 

( U, = {y, y^ 2/5) , u, = (y, y» y») , . . . , u^.t ■= (y. y„.i y, ) , 

(1) 

l V, = (y, 2/3 y.) , V, = (y^ y, yj) > • • • > V„-t = (Vi Vn Vn^ò » 

mentre tutte le rimanenti sostituzioni Uy , V/ si riducono alla identità. Ora tutte 
le sostituzioni (1) generano, come è f.icilo vedere, il gruppo alterno, dal che 
segue la verità della nostra asserzione. 

Le considerazioni da noi fatte potranno alcun poco modificarsi introducendo 
fin da principio la superficie F' come quella superficie che rappresenta la dira- 
mazione del prodotto di differenze n (i/^ - i/^). £ anche da osservarsi che il pre- 

supposto ipotetico di una funzione y diramiita secondo la F , si sarebbe anche 
potuto evitare, in quanto i teoremi di questo paragrafo non esprimono in fondo 
che delle semplici relazioni topologiche fra le superficie F ed F'. 



)( 351 )( 



§ 2. 



Il oaso 71 = 3. 



Se ora la superfìcie F vien sapposta a tre foofli , quindi ?i = 3 , le sostitu- 
zioni U|- f V{ saranno tutte quante potenze delia sostituzione ciclica 

Perciò r espressione Lagrangiana 

dove a indica una radice terza imaginaria dell' unità, 6 una funzione non dira- 
mata sulla superficie F', la quale, per il passaggio di una delle linee A^ , B^ ac- 
quista un fattore a\k -0,1, 2). 

La funzione z è quindi una funzione radicale del terzo grado sopra la su- 
perficie P'. Ma questa funzione si sa notoriamente esprimere mediante integrali 
di terza specie , oppure anche mediante funzione ^ (*). Noi tentiamo la rappre- 
sentazione nel caso, in cui y diventi semplicemente infinita in p + 1 punti di di- 
ramazione a, , «2 , . . . , ^«,^1 sopra la superficie P. La somma l/| + J/i + ys è al- 
lora una funzione razionale di x, che può diventare infinita, e propriamente 

1 

2 

ad una costante. Aumentando y di una opportuna costante , otteniamo che 
diventi 



deir ordine - al più, soltanto per a? = a, , cr^ , . . . , a^^i , e che perciò si riduce 



(2) yi + 1/t + 2/, = 0. 

Il genere [i della superficie a due fogli P' è 

IA=--I=i? + 1. 
Indichino ora 

gli integrali normali di prima specie della superficie P', determinati secondo 
Riemann, ponendo a base il suindicato ritaglio della superficie F'. Siano 
inoltre 

V*)(& = l,2,...,i? + 1) 



('} R i e m a n n , Theorio der Aberschen Functionen, art. 25 e 26. 



)( 352 )( 

i valori dell' integrale u^ nel punti di diramazione at , Cf y . . , , ap^^ , e sia , fi- 
nalmente, 

(3) e, - 2» w/*). 

La funzione radicale (l) si esprime allora per quoziente di funzioni & nella 
forma 

w y. + «2/» + «*!/, = e ^^^^^:r7;) ' ' 

dove è e una costante^ e ^i ^ • • • y ^jx i ^i > • • • > ^)i denotano terze parti di numeri 
interi. 

Per via opportuna, la quale conduca da un posto della superficie al posto 
corrispondente suir altro foglio, si scambieranno y^ ed y^ fra loro. Se contem- 
poraneamente si trasformano t«| , . . . , t^^ in u\ , . . . ^u'^ , otteniamo dalla (4) 

« 
(6) I/, + a*t^t + «!/. = e ^^^^;—^^ e . ^^ ^ v . 

Ora è; notoriamente, 
(6) t*, + < = 2V») = 2w;*^ = ,.. = 2<^'^ = 2w,^-*) , (v=l,2,...,ix), 

dove il segno di congruenza si riferisce ai periodi degli integrali ed t*^^^'*'*^ in- 
dica il valore di u^ nel punto di diramazione ap^,^. Inoltre noi possiamo sup- 
porre (•) 



(7) e, = 5]u,^*^=V^+*>. 



Dalle (6) e (7) segue: 

(8) u\ - 6^ s - K - e,) - 2 (e, - 1*^^^^«)) = - K - «v)- 

E con ciò, poiché & è una funzione pari, la equazione (5) si trasforma in 

(9) 2/i + a*j/j 4- at/, = e . a' — - _ -e i ^^ ^ ^ , 

dove indica a' una radice cubica dell' unità. 



(^} Gir. C. Neumann: Vorlesungen Uber Riemann's Theorìe der ÀbeTschen 
Integrale (Leipzig, 1884) pag. 367. 



)( 363 )( 

Dair equazioni (2) , (4) e (9) noi ricaviamo ora 2/, , t/j , yj e risnlta precida- 
mente, designando con y una di queste grandezze opportunamente scelta, 



1/=C| — r .6 1 ^ ^ ^ 



^^^^ - ^' SK-O 






L'espressione (10), che abbiamo trovata per y, soddisfa anche, come subito 
si vede, a tutte le condizioni richieste: essa rappresenta una funzione algebrica 
di ac a tre valori , che possiede a| , a, , . . . , aw come punti semplici di dira- 
mazione. 

I numeri gì , gt y • * > y g^ ^ h^ ^ h^ y . . . ^ y \ possono ricevere tutti i valori 
della forma 

dove e, , £j , . . . , gj^ , *], , >j, , . . . , ijy^ indicano dei numeri interi non tutti nulli 
ad un tempo. Ma siccome V espressione (10) rimane inalterata quando in luogo 
del sistema {g , h) si sostituisce (— ^ , — ^) ) e cambia soltanto per un fattor co- 
stante, quando si aumenta o si diminuisce di un' unità uno dei numeri g , h, cosi 
otteniamo esattamente 

2~~ 2 

ftmzioni y diverse, appunto quante superficie diverse a tre fogli con n dati punti 
di diramazione esistono secondo il § 5 della Parte Prima. 

§3. 

Il caso 71 = 4. 

Consideriamo adesso il caso di n = 4. Il problema è quello di determinare 
una funzione algebrica y , la quale sia diramata come una data superfìcie F a 
quattro fogli coi punti di diramazione a, , aj , • . . , a». Noi supporremo ancora 
che la funzione y da determinare divenga infinita del primo ordine nei punti 



a, , a, , . . . , ap+i (p^ 2"^) 



VOL. XLI. 45 



)( 8W)( 

6e indichiamo con ^i » y^ > Vs » 2/i ^ valori che y acquista in quattro punti sovrap- 
posti della superficie F, i quadrati delle quantità 

« = «, = Vi - yi - y» + 2/4 , 

(1) { «1 = y» - 2/1 + Vs - y4 ; 

«s = yi + yx-Vi-y^i 

per un giro intorno ad uno dei punti a^ , a^ , . . . ^ a^^ subiscono una permu- 
tazione, la quale consiste in uno scambio tra due di essi. Perciò Zf è dira- 
mata come una superficie P" a tre fogli , coi punti dì diramazione semplici 
a^ , a^ y , . . f Qw j Q z medesima è, sopra F" , una funzione radicale del secondo 
grado, la quale diviene infinita del primo ordine nei j; + 1 punti a| , a^ , . . . , a-^.,. 
Il genere 7 della superficie P" è uguale a ^ + 1. Se w, , u, , . . . , m^ indicano gli 
integrali normali di prima specie della superficie P", per una conveniente deter- 
minazione delle costanti e^ , e^ , . . . y e^ ^ risulta 

(2) ^=^'=^ sK^i:) — ' ■ 

dove è e una costante, ^ g\ ^ Qt ^ - * ^ , g-^ j h^ , h^ ^ . , . , h^ designano metà di nu- 
meri interi. Per brevità, indicherò con ^{u^) il membro a destra della (2), e con 
t£, , . . . ; t/^y , n\ , . . . , 1^'y , t^/' , . . • , u"y ^ valori degli integrali di prima specie 
in punti sovrapposti della superficie F". Allora, per ripetizione della equazione (2)* 
risulta 

(3) {«i = *K), 

2a = *yv). 

Ora , poiché Vi + yt -f t/a + j/4 è una costante , che noi possiamo supporre 
eguale a zero^ seguirà finalmente, con riguardo alle (1) 

(4) y = Vi = ^ [* K) + * (t^'v) = * (t^"v)] • 

Ci si convince facilmente, che questa espressione trovata per y soddisfa a 
tutte le condizioni; cioè, se consideriamo una qualunque superficie F'' a tre fogli 
semplicemente diramata nei punti a, , a^ , ... , oko , e costruiamo su di essa la fun- 
zione 2 I + (t^v) + ^ (^'v) + ^ (^"v) j ì ^*i'^ questa una funzione algebrica a quattro 
valori, la quale è semplicemente diramata nei punti a| , a^ > . . • , Ow. Possiamo 



)( 355 X 

ora facilmente computare il numero di queste fanzionf. Il numero delle super- 
ficie a tre fo^li^ che possiamo assumere come superficie V, ascende a 

2 

Inoltre, le metà di numeri interi ^i , ^t , • . • 9 ^^ « ^i > ^2 1 • • • » ^ che entrano 
in ^(«v)) comportiino 2-^— 1 = 2*^"* - 1 determinazioni essenzialmente diverse. Ot- 
teniamo quindi, per il numero cercato, il valore 

(2«'-* - 1) (2^ -» - 1) 
2 ' 

il quale coincide col numero, già prima determinato (Parte I, § 5), delle super- 
ficie a quattro fogli con te punti dati di diramazione. 

§4. 

Osservazioni affini alTargonrìento. 

Le precedenti considerazioni vanno evidentemente debitrici del loro successo 
a quei medesimi fatti che rendono possibile la risoluzione algebrica dello equa- 
zioni generali del 3° e 4° grado. Considerazioni analoghe si potrebbero fare per 
quelle superficie ad n fogli i cui gruppi di monodromìa godano di particolari 
proprietà, su di che però non vogliamo entrare ulteriormente. Soltanto va ancora 
rilevata un' altra circostanza, che si rende manifesta dai nostri sviluppi. Essa con. 
siste nel legame fra il problema, di determinare le superficie a 3 e 4 fogli con 
dati punti semplici di diramazione, e la trisezione delle funzioni iperellittiche. 
Tale legame si è già presentato, nella storia del soggetto, in un caso speciale. 
11 problema di determinare i fasci di forme binarie di 4° grado il cui discriminante 
sia una data funzione (del 6° grado nel parametro del fascio) ricade evidentemente 
in quello della determinazione delle superficie Riemanuiane a 4 fogli di genere nullo 
con dati punti di diramazione. Ora quel problema si può ricondurre, come ha dimo- 
strato Hilbert (1. e), ad un problema trattato da I e b s e h (•) Quest' ultimo 
richiede di porre una forma binaria di 6° grado sotto la forma v» — w* , dove 
t; ed t* sono forme di 2o e 3° grado. Ora C. Jordan osservò che le proprietà 
gruppali di questo problema coincidono esattamente con quelle del problema 



(•) Zur Theorie der hindren Formen sechster Ordnung und zur Dreitheilung 
der hyperelliptìschen Functionen, Math. Annalen Bd. 2, pag. 193. Cfr. anche B n r k- 
h a r d t : " Orundzilge einer allgemeinen Systematik der hyperelliptìschen Functio- 
nen L Ordnung. Nach Vorlesungen von F, Klein „. Math. Annalen Bd. 35, pag. 25^. 



)( 366 )( 



della trisezione delle funzioni iperellittiche. CI e b e e h dimostrò poi anche di- 
rettamente r intimo legame dei dae problemi. Le menzionate proprietà grappali 
si possono del resto ricavare , come anche ci piace notare , in base ai teoremi 
generali della seconda parte del presente lavoro. 



PARTE QUINTA 



SUPBRFIOIBy CHE SONO DISTESE SOPRA UNA DATA SUPERFICIE. 



§ 1. 

Introduzione e confronto di superfìcie F, le quali sono distese 

sopra una fìssata superfìcie 0. 

Il piano dei numeri complessi si può riguardare come la più semplice super- 
fìcie Riemanniana di genere zero. Sotto questo punto di vista, si presenta subito 
una generalizzazione del problema, che sta a base di tutti gli attuali svolgi- 
menti. La generalizzazione consiste in ciò che non domandiamo più le superfì- 
cie che sono distese sul piano complesso, ma quelle che lo sono sopra una data 
superfìcie Riemanniana (*). Indicherò in ciò che segue con quest'ultima, e 
con p il suo genere. La data superficie fìssa si può pensare o come di più fo- 
gli distesi sul piano complesso, od anche come una superfìcie anulare chiusa con 
p buchi, libera nello spazio. Si può anche andar più oltre e supporre la ^ come 
una qualunque varietà chiusa a due dimensioni di connessione (2/> + 1) — pia (*)• 
L'ipotesi della superfìcie anulare è particolarmente comoda per talune considera- 
zioni che appartengono all' Analysis Situs. 

Passo ora a svolgere più da vicino la succitata generalizzazione del nostro 
problema. Tagliamo la superfìcie O coi tagli Riemanniani 

in una superfìcie semplicemente connessa. Questi tagli noi faremo cominciare e 
terminare tutti quanti in un medesimo punto della superfìcie. Indichiamo co- 
gli indici + e — rispettivamente un passaggio dal lato negativo al positivo e dal 
lato positivo al negativo: cosi, per un giro positivo intorno al punto , i tagli 
saranno oltrepassati neir ordine 

Aj-^B.^A.-BrA^+Bj+ArBr , . . . , A/B +A "B - 



(*) Cfr. le Memorie di W. D y e k citate nell' introduzione. 
(*) P. K 1 e i n : " Neue Beitrdge zur Riemann'schen Functionentheorìe „ Math. 
Annalen, Ed. 21, pag. 141, ^ 



)( 357 )( 

È questa la medesima scelta di tagli, la quale venne più sopra (Parte IV, § 1) 
applicata alla superficie iperellittica F'. 

Sulla superficie O siano ora dati tv punti 

(1) a^ f ttf , , . , y Ow 

Supponiamo scelto il punto in modo che esso non coincida con alcuno di 
questi w punti e congiungiamo coi punti a, , a^ , . . . , oto medianti i tagli 
^t ì h t • ' - ì^t ^ quali né s' incontrino tra loro , nò incontrino uno dei tagli 
Aj , B{. Per un giro positivo intorno al punto 0, i tagli siano oltrepassati nel- 
r ordine di successione 

(2) ?,+// . . . fco+A.+Bi+ArB,- . . . A/B/Ap^Bp". 

La superficie O sia trasformata nella superficie 0* dalla effettuazione di tutti i 
tagli. La superficie 4^*^ è semplicemente connessa, il suo limite è formato dai 
bordi dei tagli Z , A , B. 

Supponiamo ora n esemplari della superficie <b* tra loro coincidenti, i quali 
noi indichiamo in una successione qualunque come primo , secondo , . . . , n**^ 
foglio. 

Coordiniamo inoltre alle linee 

(3) Z| , Zj 9 * • ■ 9 ^ 7 -^f ) "i ) -^1 > Bj , . . • , Ap , Bp 
una rispettiva sostituzione su n elementi 

(4) S| > S, , . . . , 8w , D, , Vj , Uj , V, , . . . , Up , Vp , 

e colleghiamo finalmente gli n esemplari 9* lungo le linee (3) per modo che 
gli n fogli, per un passaggio dal iato negativo al positivo di una delle linee (3), 
subiscano appunto la sostituzione (4) corrispondente a questa linea. I fogli 0* in 
questo modo connessi formano una superficie n - pia distesa sulla superficie O, 
che noi indichiamo con 

(h 9 If } • • f Uo , A| , B, , . . , Ap , Bp\ 
) 
S| , S| , . . , Sto , U, , V, , . . , Up , Vp/ 

Affinchè questa superficie sia chiusa in so (consti di un sol pezzo) poniamo alle 
sostituzioni (4) la condizione di generare un grappo transitivo , il quale ultimo 
si chiama il gruppo di monodromia di F per rispetto a 0. Affinchè poi soltanto 
i punti a| , a, , • • • , Oio , e non anche il punto siano punti di diramazione su 
di F, limitiamo la scelta delle sostituzioni (4) maggiormente, collo stabilire che 
debba essere 

(6) s, s, . . . s« u,v,ur'vr*u,v,ur'vr* . . . UpVpUp-'Vp-- = i. 



H 358 )( 

Se, sopra la superficie O, tiriamo da un punto A diverso da a| , a, ^ . • . > a» 
una qualunque linea L, che, evitando i punti a, , a, , . . . , Oto , ritorni ad À, per 
il percorso di questa linea i fogli di F dovranno subire una certa sostituzione S. 
(La totalità delle sostituzioni S forma il suddetto gruppo di monodromia di F). 
Tenendo fissi i punti a^ j a^ y > > • , aw , mutiamo ora il punto , le linee (3) in 
esso concorrenti e le sostituzioni (4), e sia F' la superficie appartenente agli ele- 
menti alterati. Allora noi concepiremo le due superficie F ed F' come non di- 
verse tra loro, se ad ogni linea L che incomìnci e termini al punto A corri- 
sponde la medesima sostituzione S, sia rispetto alla superficie F, che alla super- 
ficie F', oppure se questa condizione può esser raggiunta mediante un opportuno 
cambiamento della enumerazione dei fogli di F. 

Questa definizione è , come facilmente si vede , indipendente dalla scelta 
del punto A. 

§ 2- 

Calcolo del genere della superficie F. 

Se consideriamo la superficie F definita nel paragrafo precedente, noi attri- 
buiamo a ciascuno de' suoi punti di diramazione , per es. a^ , come si usa, una 
determinata multiplicità. 

Se cioè denota c^ il numero dei cicli della sostituzione S^, il punto di di- 
ramazione a^ si dice di multiplicità n - c^. Allora il punto a^ si trova, sulla su- 
perficie F, Cj volte di più, mentre ogni altro punto di <b comparisce sopra la su- 
perficie F esattamente n volte. 

L' espressione 



(1) 



00 

W = y {n - c<) 



si chiama il numero delle diramazioni semplici della superficie F. Conformemente 
alla sua generazione la superficie F ammette una divisione in 

campi semplicemente connessi di cui ognuno singolarmente è un esemplare della 
superficie ^.* 

I vertici di questa divisione in campi risultano costituiti dai punti a^ e dai 
punti 0, il loro numero quindi ammonta ad 

e = 2c,' -I- n. 

II numero dei lati della divisione in campì si trova facilmente uguale a 



)( 369 )( 
Ora, per il teorema di Eulero generalizzato, è 

dove P indica il genere della superficie F. Se calcoliamo P dalle precedenti 
equazioni , otteniamo questo risultato : 

€ Il genere P della superficie F possiede il valore 

(2) P = _W + n(p-l)f 1, 

dove W designa il numero delle diramazioni semplici^ n il numero dei fogli di F 
e p il genere della superficie ^ ». 

§ 3. 

Il problema generalizzato ed il suo gruppo di monodromia. 

Il Problema generalizzato suona ora cosi : 

Sono dati una superficie Riemanniana ^ e su di essa w punti a| , aj ;•••; ^ • 
Si vogliono determinare quelle superficie Eiemanniane, le quali siano distese se- 
condo n fogli sulla superficie <t e siano diramate nei posti a| , a, , . • . , ai^ . 

Le superficie da determinarsi, per quanto precede, sono coordinate singo- 
larmente ai sistemi di w '\-2p sostituzioni 

(1) S| , Sj , . . . , S«j , U| , V| , Uj , Vj , : . . , Up , Vp , 

che sono formate con n elementi e che soddisfano alle seguenti condizioni : 

1) Il gruppo generato dalle sostituzioni (1) è transitivo. 

2) Le sostituzioni soddisfanno la equazione 

(2) S,S, . . . S.oU,V,Ur' . . . UpVpDp-%-1 = 1. 

Qui due sistemi (1) sono da reputarsi come non diversi, quando uno può 
esser dedotto dall'altro per mezzo di una trasformazione (cambiamento di nome 
degli elementi). 

Se il genere p della superfìcie è nullo, noi siamo ricondotti al primitivo 
problema. 

Per ottenere il gruppo di monodromia del problema generalizzato, si pensino 
i 32? - 3 (*) moduli della superficie * e contemporaneamente i posti a, , a^ ,.-v ct„ 



(^) Questo numero è, notoriamente, da sostituirsi con quando sia p = , e 
con 1 quando sia i? = 1. 



)( 360 )( 

maoversi a partire da una posizione iniziale qualunque in modo continuo fino 
a ritornare nella posizione di origine. 

Però in ciascun stadio del movimento i posti a, ^ aj , . . . > atc devono restare 
fra loro distinti e la superficie O deve rimanere irriducibile. Se durante il mo- 
vimento noi seguiamo le modificazioni delle superficie F ^ quando la posizione 
iniziale è di nuovo raggiunta, esse hanno subito soltanto uno scambio fra loro. 
La totalità di queste permutazioni forma il gruppo di monodromia in discorso. 
Ora, durante il movimento per una determinata superficie F, soltanto le linee 
li , h j ' ' ' y Uoj A^ , . . . , Bp risultano di mano in mano mutate, ma non le cor- 
rispondenti sostituzioni S, , S, , . . . , Sw, U, , . » . , Vp. 

Da ciò segue : 

Una sostituzione del gì'uppo di monodromia del nostro problema sostituisce 
la superficie 

) 

S, , S| , . . • , Sto > U| , Y| ^ . . . > Up , Vp/ 
mediante la superficie 

(]' V V A' R' A' R' \ 

) 
°« > Sj , . . . , Sw , U| , V| , . . . , Up , Vp/ 

dove l' ^ A' ^ B' denotano un qualunque sistema di linee soddisfacenti alle mede- 
sime condizioni delle 1 , A , B. 

Si otterranno tutte le sostituzioni del gruppo di monodromia, se si sceglie- 
ranno per V y A^ yB^ di mano in mano tutti i possibili sistemi di linee soddisfa- 
centi a quelle condizioni. 

Il problema generalizzato può evidentemente specializzarsi col prescrivere 
la specie di diramazione nei punti a, , a^ , . . . , o^, ovvero più in generale, col- 
rimporre alle sostituzioni 8, , Sj , . . . , Sw, U| , V| , . . . , Up , Vp certe limitazioni. 
Siffatte specializzazioni sono già designate dalla circostanza che il problema ge- 
neralizzato è in generale riducibile. 

§4. 

Superficie e funzioni non diramate. 

In questo e nei paragrafi seguenti io voglio considerare il caso particolare, 
in cui i punti a| , o^ , . . . , o^ vengano a mancare cosi che si tratti di superficie 
ad n fogli 



F 



(A| , B| , . . . , Ap , Bp\ 
*J| > V| , . . • , Up y Vp/ 



)( 361 )( 

le quali siano non diramate sulla superficie O. Queste superficie sembrano avere 
un particolare interesse, polche esse appartengono in modo speciale alle super- 
ficie <b di genere più alto e dovrebbero essere chiamate a rappresentare una 
parte importante nella costruzione delle funzioni automorfe più semplici. (^) 

Indichiamo, come prima, con 9* la superficie semplicemente connessa, che 
nasce da O colla introduzione dei tagli A, B. La superficie F consta di n esem- 
plari O* sovrapposti l'un Taltro, i quali sono connessi lungo le linee A, B cor- 
rispondentemente alle sostituzioni U, V. Se y denota una funzione algebrica uni- 
forme del posto sovra la superficie F e se y, , y, , . . . , y^ sono i valori, in ge- 
nerale diversi tra loro, che y assume negli n punti di F sovrapposti, ciascuno 
degli n valori y^ ) Pt 7 • • > y Vn ^^ lascia univocamente proseguire sulla superficie 
4>* e Tinsieme dei valori della funzione y apparisce allora decomposto in n rami 
semplici. Questi ultimi^ per il passaggio delle linee A, B^ subiscono le permuta- 
zioni U, V. La determinazione della superficie F è quindi equivalente alla de- 
terminazione delle funzioni algebriche ad n valori non diramate sulla superfi- 
cie <b. Se il genere della superficie 4^ è eguale ad unOf tutte queste superficie 
si oUengono per mezzo della teoria della trasfoimazione delle funzioni ellittiche 
ed il caso p = ì può quindi considerarsi come trattato completamente e lasciarai, 
in seguito, da parte. Per un valore arbitrario di p è stata considerata nella teo- 
ria delle funzioni Abeliane una particolare specie di funzioni non diramate, cioè 
le funzioni radicali. Io caratterizzerò in seguito più da vicino la posizione di 
queste particolari funzioni rispetto alle funzioni generali non diramate. Anzitutto 
vogliamo brevemente discutere il caso di n = 2, il quale si lascia facilmente e 
completamente espletare. 

§ 5. 

Determinazione di tutte le funzioni algebriohe a due valori 

non diramate. 

Si tratta della determinazione di tutte le superficie F^ le quali sono a due 
fogli e non diramate sopra una data superficie <l* di genere p. 

Queste superficie, una volta fissati i tagli A , B , sono coordinate una per 
una ai sistemi di 2p sostituzioni U, , V| , U, , V, , . . . , Up , Vp , le quali sono 
formate con due elementi^ soddisfanno alla equazione 

(1) u,v,ur*vr' , . . . , UpVpUp-^Vp-» = i 



(}) Io mi attengo, per quanto riguarda le denominazioni, alle più recenti pub- 
blicazioni di F. Klein. Si vedano : ^ Zur Theorie der Lamé'schen Functionen jj 
(OOttinger Nachrichten del lo marzo 1890). Inoltre " Ueber Normirung der Itnearen 
Differentialgleickungen zweiter Ordnung „ Math. Annalen, voi. 38, I, e le " Varie- 
sungen Uber elliptische Modulfunctionen „ , pubblicate dal sig. F r i e k e (Lipsia , 
1890), voi. I, pag. 768. 

YOL. ZLI. 46 



)(3«2 )( 

« generane im grappo transitivo. Se i due elementi sono 1 e 2, si hacmo 0<dtanto 
le é^tQ sostituzioni 

S. = (1)(2) ; 8, = (12) 

e chiaramente noi possiamo scegliere ad arbitrio l'ana o l'altra di queste sosti- 
tazioni per U,- , V^. Soltanto è da escludere il caso, in cui U| , V, , . . . , Up , Vp 
tutte quante si identificano con Sj. 

Il numero delle funzioni F raggiunge quindi 2'^ — 1 {^), 
Si riesce facilmente anche a determinare le funzioni algebriche appartenenti 
a queste superficie. Sia F una di quelle 2^^ — 1 superficie, inoltre sia y una fun- 
gane algebi*ica uniforme di luogo sopra F e siano y^ t j/x i due rami univoci 
di ^ eopra **. La funzione y^ — y^, prende allora per il passaggio di uno d(BÌ 
tagli A, B, il fattore + 1 o — 1^ è quindi una funzione radicale di 2o grado. La 
j»oiQma ^1+^2 ^ ^^^ funzione algebrica uniforme di luogo sopra la superficie O. 
Se formiamo ora, coll'applicazione delle note denominazioni Riemanniane, per la 
wperfieie Q> i ^-quozienti 

_ ^(uv - e^ - inviti - S^ pfl^) ^ ^-^^K K - «v) f 

dove fft i • • • f gp }h^ f , , , ,hp denotano metà di numeri interi, sarà 

^1+^2 = 2B« , Pt-yt^ 24^R2 , 
e di conseguenza sarà 

(3) y « E, + WB^ 

r<eiQ)oesfiì0De generale di una funzione algebrica univoca sulla superficie F. Qui 
designano R, , R^ delle funzioni algebriche monodrome della superficie 0. Noi 
•otteniamo le 2*^ - 1 diverse superficie F, scegliendo per (^ , ... ^ Qp j\^ — ; ^p) 
«no dopo l'altro tutti i sistemi essenzialmente diversi di metà di numeri interi. 
Del resto è evidente che la aingoU sqpei^ie F può esser già definita mediante 
la funzione (>) 

(3') y = ^ÌS% I • • • ; ^p ; ^1 ; • . . I V- 



{^) <Jb. per il coso p=;2: W. Dyck ^ Uther AufsUUung utid UnUnuchung 
von GHruppen ttnd Irrationalitàt regulàrer Eiemann'seher Fldchen ^ liath. Annalaii| 
Bd. 17, pag. 493. 

O Le -superficie a due fogli ammettono 'ei?ideiitein0nte tutto quante una txM»r 
formazione univoca in sé stesse di periodo 2 e cadono quinfii tn d» 4nip«£QÌedha 



)( 3«» )( 

1 casi di n = 3 ed n = 4 fti possono pure esaurire eoi metodi dcdli^ f arte 
precedente, sa di che io non entrerò qui in maggiori particolacL 

§ 6, ^ 

Le funzioni algebriche non diramate, 
ohe si sostituiscono linearmente per un cammino chiuso. 

Si può ora rilevare anche una particolare specie di funzioni non diramate^ 
delle quali le più semplici sono le funzioni radicali. Vogliamo considerare quelle 
funzioni non diramate sulla superficie 4>; i cui n rami univocamente distesi so- 
pra 4>* sono funzioni lineari (intere o fratte) l'uno deiraltro. Le funzioni lineari, 
che rappresentano gli n rami mediante un medesimo, formano evidentemente un 
gruppo. Ma ora si conoscono, dietro le ricerche di F. Klein, tutti i gruppi di 
funzioni lineari (*;. Questi, se consideriamo come non diversi i gruppi fra loro 
trasformabili, sono : 

1) I gruppi ciclici : y' =- e '* y A: = , 1 , . . . , n - 1). 

2) I gruppi diedrici: y' = e *^ y , ^ = — e ** (fc = , 1 , . . . , w — 1). 

y 

3) II gruppo del tetraedro. 

4) Il gruppo dell' ottaedro. 

5) Il gruppo deir icosaedro. 

Ai gruppi ciclici corrispondano le funzioni radicali. Le ultime esistono su 
tutte le superficie <l>, il cui genere è maggiore di zero, ed è notoriamente facile 
di trovare 1' espressione generale di queste funzioni mediante funzioni &. Le 
funzioni non diramate, le quali corrispondono ai rimanenti gruppi, esistono sol- 
tanto sopra quelle superficie <l>, il cui genere è maggiore di uno. Fa eccezione 
il gruppo diedrico 7i = 2 (Vierergruppe, secondo la denominazione del signor 
Klein), a cui corrispondono anche per p = l funzioni non diramate (*). 



io ho studiate nel lavoro ^ Ueher diefenigen algebraischen Oébilde^ welche eìndeutige 
Transformationen in sich zulassen „ (GOttinger Nachr. del 5 febbraio 1887, oppure 
Math. Ann. Bd. 32). Io approfitto dell'occasione per citare la Nota, a me comunicata 
più tardi, del sig. S. K a n t o r, che concerne questi stossi campi algebrici. Questa 
è intitolata : ^ Sur une théorie dea courbes et des surfaces admetiani des eorretpon- 
dances univoques rj ^ ^^ trova nei Comptes rendus dell' Accademia delle Scienze di 
Parigi, voi 100, pag. 343-345. 

{}) F. K 1 e i n ^ Vorlesungen ilber das Icosaeder (Leipzig, 1884), pag. 116 • 
segg. Le sostituzioni del tetraedro, dell'ottaedro, dell'icosaedro, che nel testo io non 
dò per brevità^ si trovano a pag. 42 e 43 dell'opera suddetta. 

{}) Si confronti per il caso p = 1 una Nota di E. Picard nei Comptee re»- 
dusy voi. 90, pag. 1479. 



)( 364 )( 

Per dimostrare questa affermazione, consideriamo sopra la superficie la 
superficie non diramata 



(■^1 1 ^i I • • • > -^p > ^p\ 



e supponiamo, che sopra F corrisponda ad uno dei detti gruppi una funzione 
algebrica monodroma. A questo gruppo G è allora riferito isomorficamente il 
gruppo di permutazioni generato da U| , V| , . . . , Up , Vp. Ora, se è^=l, questo 
gruppo di permutazioni, in virtti della relazione U|V|U|"'^V, '*-=!, ossia U^Vi-V,!!, 
consiste di sole sostituzioni fra loro permutabili. Di conseguenza devono essere 
tutte fra loro permutabili anche le sostituzioni del gruppo O. 

Perciò il gruppo G può essere soltanto un gruppo ciclico od il gruppo die- 
drico n = 2. Sulla superficie * di genere ^ = 1 possono dunque corrispondere 
funzioni non diramate solamente a questi gruppi. 

Per quanto riguarda la dimostrazione della esistenza di funzioni non dira- 
mate, le quali corrispondano ai gruppi sopra enumerati, ci basti considerare un 
caso particolare. Si riconosce facilmente che il metodo seguito in questo caso 
sì può trasportare subito al caso piti generale C), 

Sia data una superficie Riemanniana 4» di genere 2. Si vuol determinare su 
questa superficie una funzione algebrica a sessanta valori non diramata, i cui 
sessanta valori situati in un punto di $ si connettano tra loro mediante le ses- 
santa sostituzioni icosaedrali. 

Designiamo con 

(1) S,(i = l,2,..,,120) 

le 120 sostituzioni omogenee dell' icosaedro, con z^ e z^ le variabili omogenee^ 
alle quali si riferiscono le sostituzioni. Inoltre, formiamo un gruppo di scambi 
tra gii n elementi 

(2) Taf=l,2,...,120), 

il quale sia isomorfo al gruppo delle sostituzioni S^. Un tale gruppo di scambi, 
e precisamente per n = 120 elementi, lo si ottiene p. es., quando si riguardino 
come elementi i simboli S^ e ad ogni sostituzione icosaedrale S^ si faccia corri- 
spondere lo scambio rappresentato dalla successione Sj^S^ (t = 1 , 2 , ... , 120). 

Prendiamo adesso nel gruppo (2) quattro sostituzioni qualu nque U| , V, , U, 
V2 , le quali soddisfacciano alla condizione che esse generino l'intero gruppo e 
soddisfacciano all'equazione 

u.v,ur'vr'u,v,ur%-» = 1. 



(^) Il medesimo è applicabile anche al caso delle superficie diramate. 



)( 366 )( 

Ciò è evidentemente possibile. Infatti il grappo (1) , e per consegaenza il 
grappo (2)y si può generare mediante dae sostituzioni opportunamente scelte. 
Se Tg^ y Ta sono due tali sostituzioni, basterà porre 

Ciò premesso, distendiamo sopra la superficie 4> la superficie ad n fogli 



F 






e designiamo con yi , yj , • . • j y^ S^^ ^ valori che una funzione algebrica mo- 
nodroma su F possiede in un punto della superficie «fr. Se descriviamo tutti i 
possibili cammini chiusi di questo punto sopra la superficie 0. le y^ ,yt , ... , y^ 
subiranno le permutazioni del gruppo (2). Ora poiché i gruppi (2; e (L) sono iso- 
morfi, per un teorema del sig. Klein (') si possono formare due funzioni omo- 
genee : 

Z| = 9i0/t iVt^^^^yyJ > Zj = 9,(y. , y« , . . . , y J 

le quali per una permutazione T^ delle grandezze yi , yt , . . • , y^ subiscono e- 
sattamente la medesima sostituzione, che z^ , z^ per S^. 
Corrispondentemente è 

Zi 9f (y, ,yt,''*,yn) ' 

una funzione algebrica a sessanta valori non diramata sopra la superficie 0, la 
quale soddisfa alle condizioni poste. 

Eonigsberg (in Pr.), 27 gennaio 1891. 



{}) ^ Ueber die Auflósung gewisser Qleìchungen vom siébenten und achten Orade „ 
Math. Annalen, Bd. 15, pag. 253^ e seguenti. 



)( 36» )C 



APPENDICE (') 



Num. I ; § 3* 

Per dimostrare che il numero f appartenente allo spezzamento (Vj ^ v, , • . • , 
^t 7 • • • f ^k > • • • 9 V) ^ P^^ piccolo del numero f appartenente allo spezzamento 
contiguo (v^ # v, , • . • 9 V,. + 1 ; • • . 9 Vji — 1 , . . • y v^)y supponiamo che sia 

Allorai evidentemente, è 

/•=G')+-+("r)+"-C"j')*"+a') 

-K + 2v, + ... + (; - l)Vy^i + j(v< + 1) + U -f l)v, -h ... + tVi + (< -^ l)v^ 

+ ... + (& - l)v>.i + An^jk+i + ... + (^ - l)v^ + ^{v^ - 1) + ... -\-fVr]-^^f 
e, se da f si sottrae il valore di fj dopo un facile calcolo, si ottiene 

Ma si ha 

v<>v* ed l>j, 

quindi f ^f aarà almeno eguale a 2, epperò, in ogni eaao sarà f > /• 



(1) Le seguenti Note si riferiscono tutte alla Parte Prima* 



)(««K 



Num. 2 ; § 4. 



L'inversione della forinola (3), che noi scriviamo nel seguente modo : 

f(w\n) \y i 1 9(t^i|w,) fCw'rhr) 



' w\n\ ^ ri tIq! w^ln^\ 



fw^ln^ì ' 



si effettna nel modo piti facile^ se ne moltiplichiamo dapprima i due membri per 

X y - X 'y -03 1/ • . . . -ac '^y -y , 
e sommiamo poi per i valori 



In questo modo otteniamo Tequazìone identica 



fOM r=:l WM 



ossia 






io,n 



Di qui ricaviamo 



It^.'-'T = '«4' - '-'S^'-'^] ' 



e, sviluppando il logaritmo del secondo memtoo e ordinando secondo le potenze 
di a; ed y , si ottiene per (f(w \ n) la espressione , che è data nella formola (5) 
del § 4. 

Num. 8 ; § 4. 

Per dimostrare V identità in difloorso fli jsviluppi ciascun termine dell' equa- 
zione identica 

(«*♦" - OC»"^" - 1) . . . (e*^ - 1) = e*" _2;e<-*'>« +2 ,(-«-**)»_ . . . 



)( 868 )( 

secondo le potenze ascendenti di t« e si eguaglino i coefQcienti di u^ di sini- 
stra a quelli di destra. 

Num. 4 ; § 6. 
Si indichi con o^ T espressione 



r + fc + . . . + A: +X — l 

«1 «X 



e con Tq la espressione 



i-^k + ... 4 A: + IJL — 1. 

Pi P|i 



Allora non può essere minore di a^ , perchè altrimenti esisterebbe una 
superficie Riemanniana connessa di genere negativo, corrispondentemente alla 
prima delle equazioni (5). È quindi a > a^. Parimente si ha x > Tq. 

Ora, poiché e + " = o^ + Tq , deve necessariamente essere fi'=^fi^ e i = t^. 



Num. 5 : § 6. 



La dimostrazione da darsi qui esige una serie di lemmi che qui premetto. 

1. <ii Se f indica una funzione simmetrica delle p variabili x^ , x^ ; . • • , Xp , 

df di di 

e se le derivate - — , ^ — t • * • • i: — sono dipendenti soltanto dalla somma X| + 

9xj ^x, ^p '^ * 

x, + . • • + Xp I anche la stessa i è funzione di x^ + x, + . . . + Xp ». 

Per l'ipotesi si ha 



dove è « - a?i + ac, V . . . 4- aCp. Ora, siccome è 



à^(&^)=ai;(^) (* = ^'^ p^ 



e quindi 

cosi gii») differisce da g^t) soltanto per una costante additiva, cioè si ha 



X 369 )( 

Le derivate parziali della funzione f sono perciò le stesse che le derivate 
parziali della funzione 



\qM ^« + Cgfl^j f . . . + CpflJp + e , 



epperò ha da essere 



/'=j5'i(«) ^* + <52»2 + ^8^8 + • • • + Cp^p + e 



dove e indica una costante. Ora^ la funzione f è, per ipotesi, simmetrica rispetto 
ad Xi , cca , . . . , app : perciò deve essere Cg = Cg = . . . = Cp = 0, e quindi dev' es- 
sere f una funzione di s- x^-\- x^-\- . , . -v OTp. 

II. Si separino le p variabili a?i , Xg ^ • . . » Xp in tutti i modi possibili in due 
grappi X y X j , , . , X ed X. , Xq , . . . , Xq ^ ammettendo anche la separa- 

«i «a «X Pi Pi Pji 

zione, in cui un gruppo contenga tutte le variabili e l'altro nessuna. Per esem- 
pio, nei casi di p = 1 e p = 2, le separazioni sono le seguenti : 



Primo gruppo 


Secondo gruppo 


nessuna variabile 


Xi 


Xi 


nessuna variabile 



Primo gruppo 


Secondo gruppo 


nessuna variabile 


Xj , Xj 


Xi 


Xg 


x^ 


«1 


Xi , Xj 


nessuna variabile 



Consideriamo ora la somma 



(1) 



♦..tCtt, « I Xi , a;, , ..., a?p) =^(^ + a,^ + . . . + a? )^-<' (» + x^^ + 



. . . + a? 



Ntl-6 



dove la sommatoria è da estendersi a tutte le separazioni delle variabili x^ , 
x^j...,Xq in due gruppi e dove w , v , a , 6 indicano pure delle variabili. Evi- 



VOL. XLl. 



47 



)( 370 )( 
dentemente è 

<!'o,6(« , V I a?i , ojg , ... , aup) = 



=S(" + ^«. + - + M(" + ^«. + - + ^ax)'"""'('' + '"P. ■*■ - + ^p/"* 



" S(" + ^«. + - + ^fC" + *P. + - + %) 



Pf 

11-6 



+S«'a.(« + '^a. + - + ^a,)'""X'' + % + - + X^ 
+ 

+S'^«,(" + ^«. + - + ^-./""X" ■*■ '"Pi + - + xf*- 

Se ora si raccolgono nelle ultime somme qaei termini che posseggono come 
fattore una determinata delle variabili x^ yX2 , • • • ,Xg y ad esempio la variabile 
a^i, si ottiene 

aj,5](« + Xi+x^ + ...+ x^f^^v + ojp^ + . . . + x^^f-» , 
dove la sommatoria è da estendersi a tutte le separazioni delle p ^ 1 variabili 

in due gruppi x ,,,,,00 ed a?^ , . . . ^ x. . L'insieme dei termini moltiplicati 
per Xi risulta cosi 

ed otteniamo quindi la equazione 
(2) ^aA'^ yv\x,,X2, ... ,Xp) = «^•^'fl+i.ftCw , v I Xi , aj, , . . . , a?p) 



r 



In modo analogo si ha V equazione 



r 



i=l 



)( 371 )( 

ni. Dimostriamo adesso il seguente teorema: 
< La somma 

(4) *,,i(u , V I Xi , X, , . . . , Xp)=2]|^u + x^^ + . . . + x^^y"'(v + 3rp^+ . . . + Xp ^''^ 

considerata come funzione delle variabili x^ , x^ , . . . , Xp , dipende soltanto dalla 
somma x^ + x^ + . . . + Xp >. 

La somma (4) si può indicare, per brevità, con F(x^ , ajj , . . . , x^). Allora 
si ha : 

Ma la medesima espressione si ottiene per la somma 
F{X2 + X, , X3 , . . . , aSp) + FCajg , a-s -»- a?, , . . . , a?p) + . . . + F(a?, , Xj , . . . , cCp + a^i) 

quando si introduca per ciascuna delle funzioni F la propria espressione som- 
matoria (4). Sussiste perciò la equazione 

dF{x^ , . . . , g p) ^ 

= F(a;, + a?! , ojs , . . . , Xp) + F(ac2 , x, -f- Xj , . . . , oCp) + . . + F(a7, , ac, , . . . , Xp + Xj) 

ed equazioni consimili valgono evidentemente per le derivate di F(a?i , . . . , Xq) 
prese rispetto alle Xg , ^3 > • • • , Xp. Ora, queste equazioni mostrano che le deri- 
vate di F(Xi , . . . , Xg) dipendono soltanto da a^j + JCg -f . . . 4- Xp , se noi suppo- 
niamo che ciò avvenga per il caso di p -■ 1 variabili. Ora, poichò F(a3, , x^ ,..., Xg) 
è una funzione simmetrica di 20^ , a^g , . . . , «p , si riconosce, in virtù del lemma I, 
che il nostro teorema vale per p variabili, supposta la sua validità per p— 1 va- 
riabili. Ma il teorema è vero per il caso di p = 1, e di conseguenza è vero in 
generale. 

Il valore di una funzione di x^ + a?2 + • • . + Xp rimane inalterato se si pone 
a?g = a?3 = . . . = a?p = ed oti + ajg + . . . + aCp in luogo di x^. Applicando questa 
osservazione alla funzione (4) si ottiene 

*m(w , t; I x'i , a:, , ... , x^) =5](^ ^ ^)(" + ^1 + «2 + - + Xg)^'^v^'' 



+2](^ X ^)^^""^^ + aci + 07, + ... + Xg)^^ , 



)( 372 )( 
e, per conseguenza, 

4'i,i(«^ , V I flCi , aJ« , ... , ajp) = — (t^-fXi+ ... -fXp+vjP "^4- — (v+fl7,+ ... +a?p+t/.)P"*. 
Con ciò è dimostrata la seguente notevole Identità : 



Se in questa identità si pone 0?^ = Xg = . . . = cPp = 1 , si ottiene 



(7) 



Sx!^! ^« + ^)'"(" -^ '')'"' = f« + « + P)''"(Ì + i) ' 



dove, nel membro a sinistra è [a = p — X e la sommatoria si estende a X = , 
1 , 2 , . . . , p. 

Se si portano a destra i termini della (7) corrispondenti a X = edaX~p, 
e si pone quindi u = v^O, si ottiene 

(8) ^_.^ = 2(p-l).L_. 

IV. Consideriamo ora inoltre la somma 



H- 

.> 



e dimostriamo che essa possiede il valore (w + v + oCi -I . . . + ^p)^* — ? cosicché 
sussista l'uguaglianza 

(10) y]fu■\'Xg^^'^ ...+a)g^ )^"Vv4-a;p^-f... fiTg \*^=(w-i-t;4aci+...+a5p)P.-". 

Se supponiamo come già dimostrata questa eguaglianza per il caso di p— 1 
variabili Xi , a?2 , . . . , Xp.i , dalla formola (3), scegliendo a = 1 , ò = segue 

4'i.o(«^ , v I Xi , X, , ... , o/p) = 

= '^•4'i,i(^ , V I Xi , ... , a?p) 4- ^aj,4,^o(w , 1^+xJXi , ... , Xi^i , x,.^, , ... , xp) 

= t;(w+t;4-Xi+...+a5p)P"^f — + — ì -f-Va7,.(w+t;+Xi-f-Xi4'...+Xp)P"'^ — 



)( 373 )( 

Dall'ipotesi che la eguaglianza (10) sia vera per p - 1 variabili, segue dun- 
que anche la sua validità per p variabili. Ora, siccome per p = 1 si ha 

u 

cosi l'equazione (10) ha luogo per ogni valore di p. 

Se in questa equazione si pongono aJ, =0;^ = . . . =7CCp = 1, si ha 

x=o 

Se si portano dall'altra banda ì termini della somma (11), che corrispon- 
dono aX = OedaXr=p, e quindi si pone v = 0, si trova 



{u + X)^-^ li.^ 1 



x=i 

V. In virtti delle formolo (2) e (3) si possono esprimere ^a^i.b ® ^a.6+i ^^' 
diante ^^ 4. Colla replicata applicazione di quelle formolo si può perciò espri- 
mere ^^ 5 mediante <|/j ^ quando a e b sono dei numeri interi positivi. Così, 
p. es. , esprimendo ^^ 2 mediante <pi 1 ^ e ricavando dalla formola (6) il valore 

(13) U'V^^^^=U'V^^u -h x^^ -h -'-^X f-^(^v + x^^ + ... -i-iTp Y^' 

t=i 

VI. Le formolo sviluppate ci permettono ora di mostrare che l'equazione (8) 
del § 6 della Parte Prima della Memoria si muta in una identità, se per 
A^i ) ^2 > ' ' ' )^p) introduciamo l'espressione (9) immediatamente successiva. Con 
questa introduzione, l'equazione (S) divisa per 

si trasforma nella seguente: 

[^fc^-^jc,) kj^ ^ k^ 

^ r=:l 



)( 374 )( 
dove il significato di ^^iK I ^2 ' • • • ? ^p^ ^ evidentemente espresso da 

(15) W^i I ^ , . . . , ftp) =— y--p 2,(r + fc«^ + ... f Kj\' + ^pt + - + \) 



V^i 



La Bommazione è estesa a tutte le separazioni di ^ , . . . , Jkp in dae grappi 

• m » , » » • fc e fC^ • « • . • fc^ « *3u 60^ IC| "~" # . 
A:a, ' ' a;^ p, ' ' p^, ' ^ 

Secondo la forinola (13) è ora (poiché r+«+fc2+..,+À:p=A:i+fc2+...+A:p=n). 
(16) «PXA:, I A:, , ... . lc,)= ^.n^-%>-n^-^f^k,ilc,^lc,^^(-±. + -L.). 
Se si considera la forinola (8) e si nota che 



V — ^ V ^^ — ^^ 



r=l r=l 



si Ottiene oramai 



(17) 2 W^il^» '•••> ^P) = 2(fc, - l).-l_-nP-8-2Hp-^^ fc,(A:, + fc,) J] ^^^ -- . 
r=l ^ * »=2 r=l ' " * 

Se introduciamo questo valore nella (14) e dividiamo Tequazione risaltante 
per nP~*, risulta 

(18) n(»+p-2)=2^^'^- fc4 |4 + "t(*="-^)Hfc,-l)K.. + (Vl)] 

\ 1 Z/ I 2S 



-y]?(*^i » ^-2) ) 



dove, per brevità, si è posto 



(19) <?(*:, , k^)=Tirk^(ki + k.) V — — — - + -r^ k,(k^ f k,) V -7-, — 7- 



r=l r=l 



Nella prima somma è * = Aj^ — r, nella seconda 6 s = *:, — r. Le sommatorie 
della equazione (18) si estendono a tutte le combinazioni a due a due dei nu- 
meri ki ^ k^ y . , , j k^. 



)( 376 )( 

Ora si ponno esprimere le somme entranti nella (19) come derivate. È, per 
es.^ la prima somma, come facilmente si riconosce, eguale a 






1- fcj+fc,-! 






dove, dopo aver eseguita la derivazione, è da porre u = — fcj' 

La somma chiusa in parentesi quadre è, secondo la formola (12), eguale a 



(u 4- fci + fcg)** "*"**- (A:j + Ar^)*"'"^** 1 (w 4- fc^ 4- fc^) * "** * 



(fci + A:,) ! 



u 



{K -^ ^2) ^ 



Se si sostituisce questo valore, e quindi si effettua la derivazione, osservando 
che è 



dv! 



«+1 



»L ttJ ^(n + l-r)! «'•' 



si Ottiene 



r=l 



(fci+A^sj) I li** 



(ti+fci +^2) ^ 1 fcj * 



^AC| 4 iCajfC^ ! nJj /tj • 



e ponendo qui dentro « = — /(;. 



Zj r! s! r+A^a A:,** Zi (Ar^ 4- r) ! (A:,-r) ! "^ ^ * ' ' (fc^ 4- fc^) ! A:,^ 

r=l r=l 



fc, 



*! 



(A:i 4- k^)k^ ! A:^ ' "^, ! 



^-1 



Il valore della somma 



r^8' 1 



Si^ 8 X 

— j — j — TT nasce di qui collo scambio di k^ e 



s 



)( 376 )( 
k^. Sostituendo questi valori nella (19), risulta 

(20) (p(fc, , fc,)=- ^ -j^ (fc, + fc,) j J] -^_^^^— ^j + 2] (j^z;:jT^^r 

lr=l r=il 

fc,! fcg! (fc^ + fe,) ' 

"^ ^ v^ (fc, + &,) ! *»-*! -4*1 + *.;• 

Siccome ora è 

r=.l r=l 

cosi si ha 

Se finalmente si pone questo valore di (i{k^ , fcg) nell' equazione (18) , si ri- 
duce la medesima, come subito si riconosce ad una identità. Perciò V equazio- 
ne (14) é anche un'identità, il che era da dimostrare. 



)( 377 )( 



SULLO SVILUPPO DELLA FUNZIONE 



(1 - z) e 



8 T "5" T • • ■ • 




NOTA 





DEL 



Dott. LUCIANO ORLANDO 



Al teorema di Weierstrass, nella teoria delle fanzioni intere, gli Au- 
tori (') premettono, come lemma, che lo sviluppo in serie della funzione di z (va- 
riabile complessa): 

(^) A = (l-2)e*+«+ +FT 

è dato da: 

(2) A = 1 - a^zP - a^z^"-^ - a^z^^^ - , 

dove i coefficienti «o » <^i > ^2 > • • • ^°°^ numeri positivi minori di 1. Qui voglia- 
mo dare di questo lemma una dimostrazione che ci pare molto più semplice delle 
altre che ordinariamente se ne danno. 
Se deriviamo (1), risulta: 

A' = -e''"^^'^""'^?^-h(l- zXì -f 2 + . . . + 2p-»)e' "^ >+■••• + -FT = 



Ponendo 



Z2 ^P-I 

(3) t«> = 2 +- + .., + 



21 • . • I ^ t 

p — 1 



(*) V. per es. Borei — Fonctìons entières. 

VOL. XLI. 48 



)( 378 )( 

noi possiamo dire che e^ può svilupparsi in serie esponenziale , secondo le po- 
tenze ascendenti di tv, ma vogliamo anche vedere se, posta in tale serie invece 
di tv la sua espressione in 2; , ne risulti una serie uniformemente convergente 
pure in e. 

A un valore reale positivo «^ di z corrisponde per la (3) un valore reale 
positivo di «?, e sia w^. Centro V origine, descriviamo un cerchio che passi per 
il punto «,. Quando z varia neir interno di tale cerchio , w non assume valori 
tali che sia \w\ > w^. Ora svolgiamo e^* in serie esponenziale. Per la convergenza 
di tale serie, può trovarsi un numero n, tale che se R„ indica il resto di là del 
termine n"*^, sia (prestabilito ad arbitrio k): 

Sostituiamo a w^ la sua espressione nella z^, indicata dalla (3); e nello svi- 
luppo raccogliamo le potenze simili di gj , e ordiniamo secondo le potenze ascen- 
denti, ciò che è lecito perchè tutti i termini dello sviluppo sono positivi. Le po- 
tenze di 2f, d' esponente superiore a n{p — 1) sono tutte comprese in R,^ , sic- 
ché, denotando in generale con r^ il resto della nuova serie di là del termine 
pL*"^, sarà: 

Ciò dimostra la convergenza di questa nuova serie. Ma, qualunque sia z interno 
al suddetto cerchio z^ , i termini della corrispondente serie hanno moduli rispet- 
tivamente non maggiori dei termini di questa con Zj , dunque è provato che, 
entro ogni cerchio di raggio z^ finito, la serie è uniformemente convergente. Ma 
è dunque evidente V integrabilità di A' = — z^'^e^ , dove sia e"» svolta in serie 
secondo le potenze ascendenti di z. 

La serie integrale incomincia con 2^, ed ha tutti i coefficienti negativi^ 
tranne la costante^ che ora determineremo per ritrovare la funzione (1). Si ha^ 
dunque: 

A = e - ao«P - OLyZ^^^ - aj«P^« - . . . 

Ma posto nella (1) « = , si ottiene A = 1 , perciò deve anche essere e = 1 , e 
si ha: 

A = 1 - a^^ - «i^^+i - aj^P-^a - . . . . 

Ma ancora, posto nella (1) a = l , deve risultare A = 0, cioè: 

= 1 — oCq — «j — otg — . . , , , 

ed, essendo le a positive, ognuna è minore di 1. Con ciò resta dimostrato lo 
sviluppo (2) e la condizione relativa alle a. 

Messina, Ottobre 1903. 



)( 379 )( 



ERRATA CORRIGE alla Nota « On Abelian Oroupe » (vedi pag. 336 di 
questo volarne). 

Nel testo di questa Nota^ in luogo di H. L. Riety ; deve leggersi H. L. Rietz. 

Aggiungiamo anche, per quanto riguarda la Nota delia Direzione, che la 
tesi del Sig. D'Escamard fu sostenuta dinanzi alla facoltà di matematiche di 
Napoli il 10 Giugno 1902; essendo stata presentata alla medesima il 30 Maggio 
dello stesso anno. 

La Direzione. 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI 



Paolo Gazzaniga, libero docente alla Università di Padova— G^/t ele- 
menti della teoria dei numeri — Un voi. di Vili +408 pagine. (Padova— Verona, 
Fratelli Drticker 1903). Prezzo L. 8. 

Santo delle materie 

§ 1. Numeri primi e iwdtcafori — Divisori e multipli. Congruenze identiche ri- 
spetto ad un modulo. Numeri primi. Congruenze identiche rispetto ad un 
sistema di moduli. Ricerca metodica dei numeri primi. Indicatori dei diversi 
ordini. 

§ 2. Analisi indeterminata di 1^ grado — La equazione di Diofante ax + òj/ = e. 
Eicerca di una soluzione particolare della a^ ^hy =^ e. Ricerca delle solu- 
zioni positive della ax + 6y = e , ove a e 6 sono primi fra loro. 

§ 3. Generalità sulle congruenze condizionali — Delle congruenze di grado su- 
periore al primo. Numero delle soluzioni di una congruenza. 

§ 4. Congruenze binomie — Badici primitive — Indici — Moduli primi dispari. Teo- 
remi sugli indici rispetto ai moduli primi dispari. Moduli p^. Moduli 2^. 
Moduli m = 2^p^q^ . . . Generalizzazione del teorema di Wilson. 

§ 5. Congruenza di 2^ grado — Leggi di reciprocità. 

§ 6. Scomposizione di un numero in somma di due quadrati. 

§ 7. Delle frazioni continue periodiche e dei numeri algebrici di 2^ grado — Dei 
numeri equivalenti. Riduzione di numeri allo stesso numeratore, e compo- 
sizione loro. 

§ 8. Analisi indeterminata di 2^ ^rado — Risoluzione deir equazione: t^ — Dm^ = e* 

nel caso di D > , non quadrato perfetto^ e o < 2 \^D. Le forme quadrati- 
che binarie. Classi di forme primitive aventi lo stesso determinante. Pro- 
prietà di un sistema completo di classi. Risoluzione in numeri interi delle