Skip to main content

Full text of "I dialetti delle regioni d'Italia"

See other formats


THE  LIBRARY 

OF 

THE  UNIVERSITY 

OF  CALIFORNIA 

LOS  ANGELES 


Sansoni  Università 


kft 


i  dialetti 

plelle  regioni  d'Italia 


B.  Devoto 
à.  Giacomelli 

PEItSlCHE  Di 
VEKONA. 


Provaci "^  r  e  di  I^oj^^a 
A  AV  E     C  o,<^r AN  ^a  lat  t 


^.^/»'^\J|,N^!.,  .'j^-'.,.  :  ^.  U'':^ 


OMV-llV^A   la   VHDIS-A^ 


OT.OS  '/"Y 
OHl>i>IOJL. 

icr  viT^oyor^j; 


Sansoni  Università 


Copyright  ©  1972  by  G.  C.  Sansoni  S.p.A.  -  Firenze 


l'Ili 


a   CARLO    BATTISTI 

L-^  per  i  suoi  novant'anni 

due  vecchi  amici 


XI 6^8376 


INTRODUZIONE 


Questo  libro  è  nato  dai  commenti  dialettologici  della 
grande  raccolta  di  monografie  regionali,  pubblicata,  sotto 
il  titolo  TUTTITALIA,  dalla  casa  Sansoni,  fra  gli  anni 
1961  e  1967.  Le  unità  nelle  quali  il  libro  si  scompone 
corrispondono  alle  regioni  previste  dalla  Costituzione  ita- 
liana. Ma  il  libro  si  propone  uno  scopo  più  ambizioso  di 
una  raccolta  comparativa  di  tutti  i  dialetti  italiani  che 
continuano  con  maggiore  o  minore  fedeltà  il  latino  par- 
lato un  tempo.  Questo  compito  prevalentemente  tecnico  è 
lasciato  alle  opere  elencate  nella  bibliografia  di  questo 
volume  alla  p.  IX. 

Lo  scopo  del  libro,  triplice,  è  quello  invece  di  illustrare 
le  forze  in  gioco  che  hanno  agito  prima  perché  la  conipat- 
tezza  del  latino  fosse  incrinata,  poi  perché,  arginato  il  pro- 
cesso di  frammentazione  o  disgregazione,  cominciassero  e  si 
facessero  sentire,  con  maggiore  o  minore  fortuna,  elementi 
di  concentrazione  e  ricostruzione.  Dal  primo  punto  di  vi- 
sta, la  crisi  virtuale  del  latino  comincia  alla  fine  del  primo 
secolo  a.  C,  quando  il  latino  viene  chiamato  a  un  con- 
fronto con  le  lingue  parlate  a  quel  tempo  in  tutt'Italia, 
con  risultati  contrastanti.  Da  una  parte  si  ebbero  così  i 
risultati  delle  tradizioni  linguistiche  che  non  si  influenza- 
rono in  Sardegna,  in  Toscana,  nel  Salento,  nelle  isole  del- 
l'estuario veneto.  Dall'altra  l'intera  valle  padana,  per  ra- 
gioni dirette  o  indirette,  subì  profondamente  l'influsso  di 
modelli  gallici  e  diede  vita  a  un  latino  parlato  che  noi 
chiamiamo,  a  causa  dei  suoi  caratteri  comuni,  «  gallo- 
italico ».  E  in  quell'Italia  centro-meridionale,  detta  «  me- 
diana »,  definita  dal  corso  meridionale  del  fiume  Esino,  e 
da  quello  orientale  del  Tevere,  il  latino  fu  invece  forte- 
mente influenzato  da  tradizioni  linguistiche  umbre  e  san- 
nitiche  e  formò  un  territorio  dialettale  abbastanza  unitario 
a  cui  spetta  l'attributo  comune  di  «  umbro-sannitico  ». 
La  seconda  tesi  fondamentale  del  libro  è  che  l'alterazione 
e  frammentazione  del  latino  non  avviene  mai  a  livello  re- 
gionale, attraverso  un  latino  colorito  regionalmente,  ma 
attraverso  i  tanti  latini  corrispondenti  alle  pievi,  alle  unità 


VI  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

rurali,  ai  proprietari  delle  piccole  corti,  all'interno  delle 
quali  si  trasmetteva,  da  una  generazione  all'altra,  e  in 
modo  sempre  meno  controllato  e  rigoroso,  il  povero  voca- 
bolario dell'agricoltore,  dell'artigiano  nei  suoi  sentimenti 
elementari,  del  fedele  in  ascolto  della  periodica  spiegazione 
del  vangelo. 

La  terza  meta  che  ci  siamo  prefissi  consiste  nel  dimostrare 
che  il  processo  di  ricostruzione  non  riprende  vecchi  schemi. 
Lo  promuovono  gli  ampliamenti  di  orizzonte,  qualunque 
sia  la  forza  che  li  determina:  ampliamento  di  orizzonti 
commerciali  ed  economici,  ampliamento  di  orizzonti  di- 
sciplinari, religiosi  o  laici,  di  forze  politiche  che  irradiano 
da  centri  di  potere  più  lontani.  Nessuna  regione  italiana 
ha  avuto  una  storia  linguistica  unitaria.  Nessuna  storia  re- 
gionale può  fare  a  meno  delle  esperienze  linguistiche  del 
suo  territorio.  Alla  fine  di  questa  lettura,  il  lettore  avrà 
fatto  l'esperienza  incomparabile  di  un  condensato  della 
storia  d'Italia,  una  e  varia,  sidla  base  delle  testimonianze 
linguistiche. 

Sono  escluse  dalla  trattazione  le  tradizioni  linguistiche 
estranee  a  quella  italiana,  e  cioè  provenzale  nel  Piemonte, 
franco-provenzale  nel  Piemonte  e  nella  Val  d'Aosta,  tede- 
sca nel  Piemonte,  nella  Val  d'Aosta,  nel  Veneto,  nel  Tren- 
tino-Alto Adige,  nel  Friuli-Venezia  Giulia,  slovena  nel 
Friuli-Venezia  Giulia,  serbo-croata  nel  Molise,  albanese  in 
tutte  le  regioni  meridionali,  greca  in  Calabria  e  nel  Sa- 
lente, catalana  in  Sardegna.  Sono  esclusi  anche  i  dialetti 
italiani  parlati  fuori  dei  confini  politici  del  nostro  paese. 
Si  è  mirato  soprattutto  a  una  caratterizzazione  delle  varie 
parlate:  l'esposizione  grammaticale  e  lessicale  è  quindi 
tutt'altro  che  esaustiva.  Come  è  stato  già  detto,  l'ampia 
bibliografia  ha  lo  scopo  di  completare,  nei  limiti  attuali 
della  ricerca  dialettologica,  il  quadro  linguistico  di  ogni 
regione.  Da  essa  sono  escluse  sia  opere  troppo  particolari 
sia  opere  di  interesse  più  vasto  che  pure  si  raccomandano 
ai  lettori:  tra  queste  Le  origini  delle  lingue  neolatine  di 
Carlo  Tagliavini,  che  ci  dà  una  classificazione  estrema- 
mente chiara  e  precisa  dei  dialetti  italiani,  e  il  Dizionario 
Etimologico  Italiano  di  Carlo  Battisti  e  Giovanni  Alessio, 
ricco  di  termini  regionali,  nonché  il  Romanisches  Etymo- 
logisches  Wòrterbuch  di  W.  Meyer-Lùbke.  Nelle  singole 
trattazioni  bibliografiche  le  suddivisioni  per  categoria  sono 
da  considerare  puramente  indicative. 
Ai  titoli  raccolti  nella   bibliografia  si   richiamano   quelli 


Introduzione  VII 

che  nelle  note  del  testo  sono  citati  privi  di  ulteriori  indi- 
cazioni; altre  utili  abbreviazioni  si  ottengono  all'interno  dei 
singoli  capitoli  per  mezzo  del  solo  nome  dell'autore.  Con 
ROHLFS  si  indica  dappertutto  la  Grammatica  della  lingua 
italiana  e  dei  suoi  dialetti,  in  tre  volumi,  di  questo  stu- 
dioso, con  Bertoni  //  volumetto  dell'Italia  dialettale.  Le 
opere  di  carattere  generale  precedono  sempre,  nelle  cita- 
zioni, quelle  di  carattere  particolare. 

Nel  testo,  la  grafia  fonetica  è  semplificata  al  massimo. 
Quando  non  ci  son  ragioni  particolari  si  utilizza  quella 
corrente;  quando  si  rende  necessaria  una  precisazione  s  e  s 
rappresentano  la  S  sorda  e  quella  sonora  (raso,  rosa),  z  e  i 
la  Z  sorda  e  sonora  (vezzo,  mezzo).  Limitatissimo  è  l'uso 
di  s  per  la  sibilante  palatale  di  sciame;  un  po'  più  fre- 
quente quello  di  d  per  il  suono  cacuminale.  Il  maiusco- 
letto  indica  la  forma  tipizzata. 

Completano  il  libro  uno  schema  dei  principali  tipi  di  vo- 
calismo che  risultano  fondamentali  per  una  caratterizza- 
zione dei  dialetti  italiani  e  alcune  cartine  che  mostrano  la 
diffusione  geografica  di  particolari  fenomeni:  esse  sono  di- 
segnate in  base  ai  dati  dell'Atlante  Italo-Svizzero,  tranne 
che  nel  caso  della  settima  che  Luciano  Giannelli  ha  pre- 
parato usufruendo  di  sue  personali  ricerche  sulla  gorgia 
toscana. 

I  tre  indici  con  cui  si  conclude  il  volume  sono  stati  com- 
pilati da  Carla  Mancini. 

La  responsabilità  del  lavoro  è  comune  ai  due  autori.  Per 
la  precisione  si  ricordi  che  la  parte  storica  e  grammaticale 
è  dovuta  esclusivamente  a  Giacomo  Devoto,  la  parte  les- 
sicale e  bibliografica  a  Gabriella  Giacomelli. 
Gli  autori  vogliono  dedicare  il  libro  a  un  venerando  ami- 
co, Carlo  Battisti,  nel  suo  novantesimo  anniversario. 

GIACOMO  DEVOTO  GABRIELLA  GIACOMELLI 


Indice  delle  abbreviazioni 


A.A.  Colombaria  -  Atti  dell'Accademia  di  Scienze  e  Lettere 
«  La  Colombaria  »,  Firenze. 

A.A.A.  -  Archivio  per  l'Alto  Adige,  Gleno  (poi  Firenze). 

A.G.L  -  Archivio  Glottologico  Italiano,  Torino. 

A.LS.  -  Karl  Jaberg  e  Jacob  Jud  -  Sprach  und  Sachatlas  Ita- 
liens  und  der  Sudschweiz,  Zòfingen. 

A.L.L  -  Atlante  Linguistico  Italiano,  Torino. 

A.R.  -  Archivum  Romanicum,  Ginevra  (poi  Firenze). 

Atti  Acc.  Torino  -  Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di 
Torino,  Torino. 

Atti  Ist.  Ven.  -  Atti  dell'Istituto  veneto  di  Scienze,  Lettere  e 
Arti,  Venezia. 

B.A.L.I.  -  Bollettino  dell'Atlante  Linguistico  Italiano,  Udine  (poi 
Torino). 

B.C.D.I.  -  Bollettino  della  Carta  dei  Dialetti  italiani,  Bari. 

B.D.R.  -  Bullettin  de  Dialectologie  Romane,  Bruxelles  (poi 
Amburgo). 

C.P.  C.D.I.  -  Convegno  per  la  Preparazione  della  Carta  dei 
Dialetti  Italiani,  Messina. 

E.I.  -  Enciclopedia  Italiana,  Roma. 

I.D.  -  Italia  Dialettale,  Pisa. 

L.N.  -  Lingua  Nostra,  Firenze. 

Mem.  Ist.  Lomb.  -  Memorie  dell'Istituto  Lombardo  di  Scienze  e 
Lettere,  Milano. 

R.D.R.  -  Revue  de  Dialectologie  Romane,  Bruxelles  (poi  Am- 
burgo). 

Rend.  Ist.  Lomb.  -  Rendiconti  dell'Istituto  Lombardo  di  Scienze 
e  Lettere,  Milano. 

R.L.R.  -  Revue  de  Linguistique  Romane,  Parigi. 

Roman.  Forsch.  -  Romanische  Forschungen,  Erlangen  -  Fran- 
coforte sul  Meno. 

S.F.I.  -  Studi  di  Filologia  Italiana  (Bollettino  annuale  dell'Ac- 
cademia della  Crusca). 

S.L.I.  -  Studi  Linguistici   Italiani,  Friburgo. 

S.R.  -  Studi  Romanzi. 

St.  Gì.  -  Studi  Glottologici  Italiani,  Roma. 

Z.R.  -  Zeitschrift  fùr  Romanische  Philologie,  Lipsia  (poi  Tu- 
binga). 


BIBLIOGRAFIA 


ITALIA 


ASPETTI   GENERALI 


C.  Battisti,  Nuovi  indirizzi  collettivi  della  dialettologia 
italiana,  B.C.D.I.  2,  1967,  pp.  55-71. 

R.  A.  Hall  Jr.,  Bibliografia  della  linguistica  italiana  (voi. 
II;  parte  III,  Dialettologia  italiana)  1958;  Primo  sup- 
plemento decennale  (1956-1966) ,  Firenze  1969. 

O.  Parlangeli,  Bibliografìa  dialettale  italiana  (1962-1966) , 
B.C.D.I.   1,   1966,  pp.  91-214. 

A.  Prati,  /  vocabolari  delle  parlate  italiane,  Roma  1931. 

G.  Rohlfs,  Der  Stand  der  Mundartenforschung  in  Unter- 
italien  (bis  zum  Jahre  1923),  R.L.R.  1,  1925,  pp. 
278-323. 


G.  I.  Ascoli,  L'Italia  dialettale,  A.G.I.  VIII,  1882-1885, 
pp.  98-128. 

G.  Bertoni,  Italia  dialettale,  Milano  1910. 

Id.,  Profilo  linguistico  d'Italia,  Modena  1940. 

B.  Biondelli,  Saggio  sui  dialetti  gallo-italici,  Milano  1853. 

Id.,  Ordinamento  degli  idiomi  e  dei  dialetti  italici.  Studi 
linguistici  1856,  pp.  163-192. 

G.  Bonfante,  Hisiory  and  the  Italian  Dialects,  Zeitschrift 
jilr  Mundartforschung.  Beihefte  N.F.  3,  4,  Wiesbaden 
1967,  pp.  84-108. 

M.  Cortelazzo.  Avviamento  allo  studio  critico  della  dia- 
lettologia italiana,  Pisa  1969. 

E.  De  Felice,  La  romanizzazione  dell'estremo  Sud  d'Italia, 
A.  A.  Colombaria  26  (=  N.S.  12),  1961-62,  pp.  231-282. 


X  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

G.  Devoto,  Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  Rivista  Sto- 
rica Italiana,  72,  2,  1960,  pp.  221-233. 

Id.,  L'Italia  dialettale,  in  Atti  V  Convegno  Studi  Umbri, 
Perugia,  1970,  pp.  93-127. 

C.  Grassi,  Aspetti  sociologici  dello  studio  dei  dialetti 
d'Italia,  in  Atti  Convegno  Dialetti  d'Italia,  Milano 
1970,  pp.  37-54. 

C.  Merlo,  L'Italia  dialettale,  I.D.  1,  1924,  pp.  12-26. 

Id.,  //  sostrato  etnico  e  i  dialetti  italiani,  I.D.  9,  1933, 
pp.  1-24. 

Id.,  Lingue  e  dialetti  d'Italia,  in  Italia  (volume  dell'opera 
«  Terra  e  nazioni  »,  Milano   1937). 

O.  Parlangeli,  Storia  linguistica  e  storia  politica  nell'Ita- 
lia meridionale,  Firenze  1960. 

Id.,  Considerazioni  sulla  classificazione  dei  dialetti  italia- 
ni, in  Studi  linguistici...  Vittore  Pisani,  Brescia  1969, 
pp.  715-760. 

Id.,  Per  una  carta  dei  dialetti  italiani,  CP.  CDI  1965, 
pp.  53-76. 

G.  B.  Pellegrini,  La  classificazione  delle  lingue  romanze 
e  i  dialetti  italiani.  Forum  Italicum  4,  1970,  pp.  211-237, 

Id.,  Lo  stato  attuale  dei  dialetti  italiani  e  il  problema  dei 
confini  dialettali,  CP.  CDI,   1965,  47-52. 

V.  Pisani,  /  dialetti  italiani  nella  storia  in  Atti  Convegno 
Dialetti  d'Italia,  Milano  1970,  pp.  17-23. 

F.  L.  PuLLÉ,  Italia.  Genti  e  favelle,  Torino  1927. 
^  G.  Rohlfs,  Griechen   und  Romanen   in   Unteritalien,  Fi- 
renze 1924. 

Id.,  Problemas  etnografico-lingùisticos  de  la  Italia  meridio- 
nal, ora  in  Estudios  sobre  geografìa  linguìstica  de  Ita- 
lia, Granada  1952,  pp.  95-115. 

Id.,  Incursiones  de  geografìa  linguìstica  a  través  de  Italia, 
ora  in  Estudios  sobre  geografìa  linguìstica  de  Italia, 
cit.,  pp.  33-91. 

Id.,  La  struttura  linguistica  dell'Italia,  ora  in  Studi  e  ri- 
cerche su  lingua  e  dialetti  d'Italia,  Firenze  1972,  pp. 
6-25. 

Id.,  L'Italia  dialettale  (dal  Piemonte  in  Sicilia),  ora  in 
Studi  e  ricerche...,  cit.,  1972,  pp.  26-31. 

Id.,  Tra  Alpi  e  Sicilia,  in  Studi  e  ricerche...,  cit.,  1972, 
pp.  364-373. 


Bibliografia  xi 

F.  ScHiJRR,  La  classificazione  dei  dialetti  italiani,   Lipsia 

1938. 

B.  Terracini,  Italia  dialettale  di  ieri  e  oggi,  Ce  fasta? 
33-35,  1957-59,  pp.  1-10. 

A.  Trauzzi,  Aree  e   limiti   linguistici   nella   dialettologia 
y       italiana  moderna.  Rocca  S.  Casciano  1916. 
M.  M.  Vaughan,  The  Dialects  of  Central  Italy,  Filadelfia 
1915. 

G.  ViDOSSi,   L'Italia  dialettale  fino  a  Dante,   in   Origini 
(Ricciardi),  Milano-Napoli  1956,  pp.  XXXIII-LXXI. 

FONETICA    MORFOLOGIA    SINTASSI 

C.  Battisti,  Le  dentali  esplosive  intervocaliche  nei  dialet- 
ti italiani.  Halle  1912. 

F.  D'Ovidio  e  W.  Meyer-Lùbke,  Grammatica  storica  della 

lingua  e  dei  dialetti  italiani,  Milano  1932^. 
M.  FiLZi,  Contributo  alla  sintassi  dei  dialetti  italiani,  S.  R. 
11,  1914,  pp.  5-92. 
/  T.  Franceschi,  Postille  alla  «  Historische  Grammatik  der 
italienischen   Sprache   und   ihrer   Mundarten  »    di    G. 
,       Rohlfs,  A.G.I.  50,  1965,  pp.  152-174. 
^  H.  Lausberg,  Beitrcige  zar  italienischen  Lautlehre,  Roman. 
Forsch.  61,  1948,  pp.  300-323. 
W.  Meyer-Lubke,   Italienische   Grammatik,   Lipsia    1890. 

G.  Rohlfs,  Grammatica  storica  della  lingua  italiana  e  dei 
suoi  dialetti,  Torino  1966-69  (ediz.  italiana). 

F.  ScHiJRR,  L'Italia  meridionale  focolare  della  metafonia 
romanza,  Abruzzo  8,  1970,  1,  pp.  21-39. 

lessico 

K.  Jaberg  -  y.  JuD,  Sprach-  und  Sachatlas  Italiens  und  der 
Sudschweiz,  Zofìngen   1928-1940. 


testi 


Battisti,  Testi  dialettali  italiani  in  trascrizione  fone- 
tica. Halle  1914-1921. 

Paranti,  /  parlari  italiani  in  Certaldo  alla  festa  del 
V  Centenario  di  messer  Giovanni  Boccacci,  Livorno 
1875. 


XII  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

A.  Zuccagni-Orlandini,  Raccolta  di  dialetti  italiani,  Fi- 
renze 1864. 


PIEMONTE 

ASPETTI  GENERALI 

G.  Bertoni,  Piemonte:  dialetti,  E.  I.,  27,  1937,  pp.  188-89. 

C.  Grassi,  Correnti  e  contrasti  di  lingua  e  cultura  nelle 
Valli  cisalpine  di  parlata  provenzale  e  franco-proven- 
zale, Torino  1958. 

ÌD.,  Per  una  carta  linguistica  delle  varietà  dialettali  pie- 
montesi, CP.  CDI,  Messina  1965,  pp.  77-83  (=  Grassi). 

I.  Griset,  La  parlata  provenzaleggiante  di  Inverso  Pi- 
nasca  (Torino),  Torino   1966. 

A.  SoBRERO,  Varietà  dialettali  a  contatto  intorno  a  Torino, 
Abruzzo  8,  1970,  2-3,  pp.  109-116. 

B.  A.  Terracini,  //  dialetto  piemontese,  ora  in  Pagine  e 
appunti  di  linguistica  storica,  Firenze  1957,  pp.  196-212. 

fonetica  E  MORFOLOGIA 

^   A.  Aly-Belfàdel,  Grammatica  Piemontese,  Noale  (Vene- 
zia) 1933. 
A.  Levi,  Le  palatali  piemontesi,  Torino  1918. 
J.  P.  Soffietti,  Phonetic  Analysis  of  the  Word  in  Turìnese, 
New  York  1949. 
J  H.    J.    Simon,   Beobachtungen    an    Mundarten    Piemonts, 

Heidelberg  1967. 
ì    T.  Spoerri,  //  dialetto  della  Valsesia,  Rend.   Ist.  Lomb. 
II,  51,   1918,  pp.  391-409;   pp.  683-698;   pp.   732-752. 
J  G.  Toppino,  //  dialetto  di  Castellinaldo,  A.G.I.  16,  1902- 
1904-1905,  pp.  517-548;  S.R.  10,  1913,  pp.  1-104. 

lessico 

A.  Chenal  -  R.  Vauterin,  Nouveau  diciionnaire  de  pa- 

tois  valdótain,  Aosta   1968 — 
V.  Di  Sant'Albino,  Gran  dizionario  piemontese-italiano, 

Torino  1869. 


Bibliografìa  xiii 

G.  Ferraro,  Glossario  monf errino,  Torino   1889. 

G.  Gavuzzi,  Vocabolario  piemontese-italiano,  Torino-Ro- 
ma 1891. 

C.  Grassi,  Analisi  delle  caratteristiche  lessicali  della  Val 
d'Aosta,  Romanistisches  Jahrbuch  7,  1955-56,  pp.  55- 
65;  8,  1957,  pp.  63-74. 

A.  Levi,  Dizionario  etimologico  piemontese,  Torino  1927. 

N.  Magenta,  Dizionario  del  dialetto  di  Novi  Ligure,  To- 
rino  1970. 

C.  Nigra,  Vocabolario  valdostano,  Torino  1963  (ristampa). 

G.  Prelli,  Saggio  di  un  vocabolario  alessandrino  meto- 
dico ed  alfabetico,  Alessandria  1903. 

F.  Tonetti,  Dizionario  del  dialetto  valsesìano,  Varallo 
1894. 


LIGURIA 

aspetti  generali 

A.  e.  Ambrosi,  Le  principali  varietà  dialettali  della  Lu- 
nigiana,  in  La  Spezia  67,  1966-67,  pp.  121-126. 

G.  I.  Ascoli,  Del  posto  die  spetta  al  ligure  nel  siste- 
ma dei  dialetti  italiani,  A.G.I.  2,   1876,  pp.   111-160. 

D.  Giannarelli,  Caratteri  generali  dei  dialetti  lunigianesi, 
Tortona  1912. 

C.  Merlo,  Liguria:    dialetti,  E.I.  21,  1934,  p.  135. 

G.  Petracco  Sicardi,  /  dialetti  liguri,  CP.  CDI,  1965, 
pp.  85-92. 

FONETICA  E  MORFOLOGIA 

G.  Bottiglioni,  Dalla  flagra  al  Frìgido,  R.D.R.  3,  1911, 
pp.  77-143. 

A.  GiSMONDi,  Ortografìa  e  pronunzia  zeneìse,  Genova 
1949. 

JN.  Maccarrone,  Di  alcuni  parlari  della  media  vai  dì  Ma- 
gra A.G.I.   19,  1923,  pp.   1-128. 

C.  Merlo,  Appunti   sul    dialetto    della    Spezia,    I.D.    12, 
1936,  pp.  211-215. 
J  Id.,  Contributo  alla  conoscenza  dei  dialetti  della  Liguria 
odierna,  I.D.  14,  1938,  pp.  23-58. 


XIV  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Id.,  Appunti  sul  dialetto  di  Lerici  (La  Spezia)  con  un'ap- 
pendice lessicale.  Cultura  Neolatina  8,  1948,  pp.  65-72. 

E.  G.  Parodi,  Studi  liguri,  A.G.I.  14,  1898,  pp.  1-110; 
15,  1899,  pp.  1-82;  16,  1902-1904-1905,  pp.  105-161; 
pp.  333-365. 

Id.,  Intorno  al  dialetto  d'Ormea,  S.R.  5,  1907,  pp.  89-122. 

B.  ScHADEL,  Die  Mundart  von  Ormea,  Halle  1903. 

LESSICO 

G.  Casaccia,  Dizionario  genovese-italiano,  Genova  1876. 

L.  DiONisi,  Saggio  di  vernacolo  onegliese,  Oneglia   1906. 

G.  Frisoni,  Dizionario  genovese-italiano  e  italiano-geno- 
vese, Genova  1910. 

A.  GiSMONDi,  Nuovo  vocabolario  genovese-italiano,  Ge- 
nova 1955. 

C.  Merlo,  Contributi  alla  conoscenza  dei  dialetti  della 
Liguria  odierna.  II  Lessico  etimologico  del  dialetto  di 
Pigna  (Imperia)  I.D.  17,  1941,  pp.  1-16;  18,  1942  pp. 
1-32;  19,  1954,  pp.  143-176;  20,  1955-56,  pp.  1-28;  21, 
1956-57,  pp.  1-47. 

A.  Paganini,  Vocabolario  domestico  genovese-italiano,  Ge- 
nova 1968. 


LOMBARDIA 

ASPETTI  GENERALI 

G.  I.  Ascoli,  Saggi  Ladini  (Ladino  e  Lombardo)  A.G.I. 

1,  1873,  pp.  249-316. 
G.  Bertoni,    Lombardia:    dialetti,    E.    I.,    31,    1934,    pp. 

427-428. 
G.  Giacomelli,  //  lombardo  nel  quadro  dei  dialetti  set- 
tentrionali  in   Atti   Convegno   Dialetti   d'Italia,    1970, 

pp.  127-138. 
A.  Marinoni,  /  dialetti  da  Saronno  al  Ticino  in  Panorama 

storico  dell'Alto  Milanese,  Busto  Arsizio-Legnano  1957, 

pp.  47-80. 
^C.  Merlo,  /  dialetti  lombardi,  I.D.  24,  1960-61,  pp.  1-12. 
C.  Salvioni,  Lingue    e   dialetti    della    Svizzera    Italiana, 

Rend.  Ist.  Lomb.  II,  40,  1907,  pp.  719-736. 


Bibliografia  xv 

FONETICA  E  MORFOLOGIA 

R.  V.  Ettmayer,  Bergamaskische  Alpenmundarten,  Lipsia 

1903. 
L.  Heilmann,  La  parlata  di  Portàlbera  e  la  terminologia 

vinicola  dell'Oltrepò  pavese.  Studi  Ricerche  Università 

Bologna  5,  1950,  pp.  7-112. 
Mi!.  Merlo,   Profdo  fonetico   dei   dialetti   della   Valtellina, 

Abhandliingen  der  Akademie  in  Mainz  2,   1951,  pp. 

1367-1398. 
vV.  Mora,   Note  di  grammatica  del   dialetto   bergamasco, 

Bergamo  1966. 
P.  Nicoli,  //  dialetto  moderno  di  Voghera,  Studi  Filologia 

Romanza  8,  1901,  pp.  197-249. 
S.  Pagani,  Come   parla   Meneghino.    Piccola   grammatica 

del  dialetto  milanese,  Milano  1945. 
P.  Rajna,  //  dialetto  milanese,  Milano  1881. 
\/C.  Salvioni,  Fonetica  del  dialetto  moderno  della  città  di 

Milano,  Roma  -  Torino  -  Firenze  1884. 
F.  Spiess,    Die    Verwendung   des   Subjekt-Personalprono- 

mens  in  den  lombardischen  Mundarten,  Berna    1956. 

lessico 

F.  Angiolini,  Vocabolario  milanese-italiano,  Milano  1897. 
A.  Annovazzi,  Nuovo  vocabolario  pavese-italiano,   Pavia 

1935. 
C.  Arrighi,  Dizionario  milanese-italiano,  Milano   1896. 

F.  Arrivabene,   Dizionario    mantovano-italiano ,   Mantova 

1891. 

G.  Banfi,  Vocabolario  milanese-italiano,  Milano  1870^. 
M.  Bardini,  Vocabolario     mantovano-italiano,     Mantova 

1964. 

A.  Blauer-Rini,  Giunte  al  «  Vocabolario  di  Bormio  »  con 
note  introduttive  sul  dialetto  bormino,  in  Studi  di  dia- 
lettologia altoitaliana,   1924,  pp.  97-165. 

F.  Cherubini,  Vocabolario  milanese-italiano,  Milano  1870^. 

S.  Galli,  Dizionario  pavese-italiano,  Pavia   1965. 

P.  Monti,  Vocabolario  dei  dialetti  della  città  e  diocesi  di 
Como,  Milano  1845. 

P.  Monti,  Saggio  di  vocabolario  della  Gallia  cisalpina  e 


XVI  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

celtica  e  appendice  al  vocabolario  della  città  e  diocesi 
di  Como,  Milano  1850. 

A.  Peri,  Vocabolario  cremonese-italiano,   Cremona    1847. 
G.  Rosa,  Vocabolario  bresciano-italiano,  Brescia  1878. 

B.  Samarani,  Vocabolario  cremasco-italiano,  Crema  1852. 
S.  Sganzini,  Vocabolario  dei  dialetti  della  Svizzera  italia- 
na, Lugano  1952  — 

A.  TiRABOSCHi,  Vocabolario  dei  dialetti  bergamaschi  an- 
tichi e  moderni,  Bergamo  1873. 


VENETO 

ASPETTI   GENERALI 

C.  Battisti,G//  studi  linguistici  sulla  regione  veneta,  Atti 
Società  hai.  Progresso  Scienze,  26^  riunione,  Roma 
1937,  3,  pp.  230-240. 


G.  I.  Ascoli,  Saggi  ladini   (ladino  e  veneto),  A.G.I.   1, 

1873,  pp.  391-447. 
C.  Battisti,    (Tre)    Venezie:  dialetti,  E.I.  35,   1937,  pp. 

103-104. 

Id.,  Ricerche  di  linguistica  veneta.  Studi  Goriziani  30, 

1961,  pp.  1-76. 
G.  Devoto,  Per  la  storia  della  latinità  euganea,  ora   in 

Scritti  minori  I,  Firenze  1958,  pp.  356-366. 
G.  B.  Pellegrini,  Correnti  linguistiche  nell'area  veneta, 

Actes  X  Congrès  International  Linguistique  Philologie 

Romanes,  1965,  I,  pp.  331-341. 
Id.,  L'individualità  storico-linguistica  della  regione  veneta, 

Studi  mediolat. -volgari  13,  1965,  pp.  143-161. 
Id.,  //   confine   ladino-veneto   nel   bacino   del   Cordevole, 

k.k.k.  57,  1963,  pp.  331-363. 

fonetica  e  morfologia 

e.  Battisti,  La  posizione  dialettale  di  Cortina  d'Ampez- 
zo, Firenze  1947. 
^  T.  Cappello,  Note  di  fonetica  bellunese,  Atti  Ist.  Ven. 
156,  1957-58,  pp.  67-95. 


Bibliografia  xvii 

/G.  C.  Lepscky,  Fonematica  veneziana,  I.D.  25,  1962,  pp. 
1-22. 
Id.,  Morfologia  veneziana,  I.D.  26,  1963,  pp.  129-144. 
L.  LuzzATTO,  /  dialetti  moderni  delle  città  di  Venezia  e 
Padova.  {Parte  I,  Analisi  dei  suoni),  Padova  1892. 
/  G.  Mafera,  Profilo  fonetico-morfologico  dei  dialetti  da  Ve- 
nezia a  Belluno,  I.D.  22,  1958,  pp.  131-184. 
G.  B.  Pellegrini,  Le  interdentali  nel  Veneto,  Atti  La- 
borat.  Fonetica  Università  Padova,  1,  1949,  pp.  25-38. 
/Id.,  Schizzo  fonetico  dei  dialetti  agordini.  Atti  Ist.   Ve- 
neto  113,   1954-55,  pp.  281-424. 
A.  Prati,  /  troncamenti  nel  Veneto  e  un'esortazione  agli 
studiosi,  B.D.R.  6,  1915,  pp.  89-96. 

LESSICO 

M.  Andrei  s,  Vocabolario  storico-etimologico  fraseologico 
del  dialetto  vicentino,  Vicenza  1968. 

G.  Beltramini  -  E.  Donati,  Piccolo  dizionario  veronese- 
italiano,  Verona  1963. 

G.  BoERio,  Dizionario  del  dialetto  veneziano,  Venezia 
1867^. 

T.  Cappello,  Contributo  alla  conoscenza  dei  dialetti  bel- 
lunesi, Atti  Ist.  Ven.  116,  1957-58,  pp.  1-66. 

H.  y.  Frey,  Per  la  posizione  lessicale  dei  dialetti  veneti, 
Venezia-Roma  1962, 

A.  Maioni,  Cortina  d'Ampezzo  nella  sua  parlata,  Forlì 
1929. 

P.  Mazzucchi,  Dizionario  polesano-italiano,  Rovigo-Cre- 
mona 1907. 

B.  Migliorini  -  G.  B.  Pellegrini,  Dizionario  del  feltrino 
rustico,  Padova  1971. 

G.  Nazari,  Dizionario  bellunese-italiano,  Belluno-Oderzo 
1884. 

A.  P.  Ninni,  Scritti  dialettologici  e  linguistici  veneti,  Ve- 
nezia 1889-1891. 

L.  Pajello,  Dizionario  vicentino-italiano  e  italiano-vicen- 
tino, Vicenza  1896. 

G.  L.  Patuzzi  -  G.  e  a.  Bolognini,  Dizionario  veronese- 
italiano.  Verona   1901. 

G.  B.  Pellegrini,  Note  etimologiche  venete  e  ladine,  A.A. 
Colombaria  III,  17,  1952,  pp.  167-187. 


XVIII  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

G.  Piccio,  Dizionario  veneziano-italiano,  Venezia   1928^. 

A.  Prati,  Etimologie  venete  a  cura  di  G.  Polena  e  G.  B. 
Pellegrini,  Venezia  1968. 

C.  Tagliavini,  //  dialetto  del  Comelico,  Ginevra  1926 
(=  A.R.  10,  1926,  pp.  1-200). 

Id.,  //  dialetto  del  Livinallongo.  Saggio  lessicale,  Bolzano 
1934  (=  A.A.A.  28,  1933,  pp.  331-380;  29,  1934,  pp. 
53-220;  643-794). 

Id.,  Nuovi  contributi  alla  conoscenza  del  dialetto  del  Co- 
melico,  Venezia  1944. 

E.  Zanette,  Dizionario  del  dialetto  di  Vittorio  Veneto, 
Treviso  1955. 

G.  Zanotto,  Vocabolario  veneto-italiano,  Padova  1959. 


TRENTINO-ALTO  ADIGE 

aspetti  generali 

T.  Bertoldi,  Bibliografia  dialettale  trentina,   B.C.D.I.   3, 
1968,  pp.  39-77. 


C.  Battisti,  Studi  di  storia  linguistica  e  nazionale  del 
Trentino,  Firenze   1922. 

Id.,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  Firenze   1931. 

Id.,  Storia  linguistica  e  nazionale  delle  valli  dolomitiche 
atesine,  Firenze    1941. 

Id.,  Osservazioni  sui  dialetti  ladini  dell'Alto  Adige,  L'Uni- 
verso 26,  1946,  pp.  167-180. 

Id.,  La  distribuzione  attuale  delle  lingue  italiana  e  tede- 
sca nell'Alto  Adige,  A.A.A.  55,  1961,  pp.  217-235. 

Id.,  //  problema  storico-linguistico  del  ladino  dolomitico, 
A.A.A.  57,  1963,  pp.  297-330. 

Id.,  La  classificazione  dei  dialetti  trentini,  Firenze   1970. 

B.  Gerola,  Correnti  linguistiche  e  dialetti  neolatini  nel- 
l'area retica,  Roma  1939. 

G.  B.  Pellegrini,  Classificazione  delle  parlate  ladine,  Stu- 
di  Trentini  Scienze  Storiche  47,    1968,   pp.    323-341. 


Bibliografia  xix 

A.  Prati,  L'italiano  e  il  parlare  della  Valsugana,  Roma 

1917. 
G.  Rohlfs,  La  posizione  linguistica  del  ladino,   ora   in 

Studi  e  ricerche...,  cit.,    1972,  pp.    125-131. 
G.  ToMASiNi,  Profdo  linguistico  della  regione  tridentina, 

Trento  1960. 
Id.,  /  dialetti  trentini,  CP.CDI.,  1965,  pp.  93-105. 

FONETICA    E    MORFOLOGIA 

yc.  Battisti,  Le  premesse  fonetiche  e  la  cronologia  del- 
l'evoluzione di  a  nel  Ladino  centrale,  I.D.  2,  1926, 
pp.  50-84. 

W.  Th.  Elwert,  Die  Mundart  des  Fassatals,  Heidelberg 
1943. 
^  Th.  Gartner,     Rdtoromanische     Grammatik,     Heilbronn 
1883. 

L.  Heilmann,  La  parlata  di  Moena  nei  suoi  rapporti  con 
Flemme  e  con  Fassa.  Saggio  fonetico  e  fonematico,  Bo- 
logna 1955. 

V.  Menegus  Tamburin,  //  dialetto  dei  paesi  cadorini 
d'Oltre  Chiusa:  S.  Vito,  Borea,  Vodo,  Ampezzo,  Bel- 
luno 1959. 

F.  Minach  -  T.  Gruber,  La  rusneda  de  Gherdeina.  Saggio 
per  una  grammatica  ladina,  Bolzano  1952. 

i  R.  L.  Politzer,  Beitrag  zur  Phonologie  der  Nonsberger 
Mundart,  Innsbruck   1967. 

G.  Tomasini,  Le  palatali  nei  dialetti  del  Trentino,  Mi- 
lano 1955. 

lessico 

L.  Groff,  Dizionario  trentino-italiano,  Trento  1955. 

L.  Cesarini  Sforza,  //  dialetto  trentino  confrontato  col 
toscano  e  coll'italiano  propriamente  detto.  Rovereto 
1895. 

G.  S.  Martini,  Vocabolarietto  badiotto-italiano,  Firenze 
1950. 

Id.,  Vocabolarietto   gardenese-italiano,    Firenze    1955. 

G.  Pedrotti  e  V.  Bertoldi,  Nomi  dialettali  delle  piante 
indigene  del  Trentino  e  della  Ladinia  dolomitica,  Tren- 
to 1930. 


XX  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

A.  Prati,  Dizionario  valsuganotto,  Firenze  1960. 

E.  Quaresima,  Vocabolario  anaunìco  e  solandro,  Roma 

1964. 
V.  Ricci,  Vocabolario  trentino-italiano,  Trento  1904. 


FRIULI-VENEZIA  GIULIA 

aspetti  generali 

e.  Battisti,  Storia  della  questione  ladina,  Firenze  1937. 
M.  Doria,  Rassegna  linguistica  giuliana,  Pagine  Istriane 

III,  7,  1956,  pp.  44-46. 
Id.,  Bibliografie   giuliana,    istriana   e   dalmatica,   B.C.D.I. 

1,  1966,  pp.  169-175. 


G.  I.  Ascoli,  //  dialetto  tergestìno,  A.G.I.  10,  1886-88, 
pp.  441-465. 

M.  Bartoli  e  G.  Vidossi,  Alle  porte  orientali  d'Italia, 
Torino  1945. 

C.  Battisti,  Istria  alloglotta,  I.D.  9,  1933,  pp.   136-171. 

Id.,  //  friulano  letterario  e  le  sue  premesse.  Studi  Goriziani 
19,  1956,  pp.  9-20. 

M.  Deanovic',  Studi  istrioti,  Studia  Romanica,  1,  1956, 
pp.  3-50. 

Id.,  Sull'istrioto,  in  Atti  Vili  Congresso  Studi  Romanzi, 
2,  1960,  pp.  505-513. 

M.  Doria,  Sulle  origini  del  dialetto  triestino,  Pagine  Istria- 
ne III,  6,  1955,  pp.  47-50. 

G.  B.  Pellegrini,  Tra  friulano  e  veneto  a  Trieste,  Com- 
munications... P''  Congrès  International  Dialectologìe 
Generale,  Lovanio    1,    1964,  pp.    199-207. 

G.  Vidossi,  Lingue  e  dialetti  ai  confini  orientali  d'Italia, 
Torino  1947. 

H.  Wengler,  Die  heutige  Mundart  von  Zara  in  Dalma- 
tien,  Halle  1915. 

fonetica  e  morfologia 

J  B.  Bender,  G.  Francescato,  Z.  Salzman,  Friulan  Pho- 
nology.  Word  8,   1952,  pp.  216-223. 


Bibliografia  xxi 

>/'G.  Francescato,  Fonologia  friulana,  Ce  Fasta?  27-28, 
1951-52,  pp.  5-11. 

Id.,  Saggi  sul  vocalismo  tonico  friulano,  Atti  Acc.  Udine 
S.  VII,  1957-1960,  1. 

G.  Francescato,  Uno  studio  sulla  dialettologia  del  Friu- 
li, Communications...  1^''  Congrès  International  Dialec- 
tologie  Generale,  4,   1965,  pp.   122-129. 

Id.,  Dialettologia  friulana,  Udine  1966. 

Id.,  Studi  linguistici  sul  friulano,  Firenze  1971. 

P.  G.  GoiDANicH,  Intorno  alle  reliquie  del  dialetto  ter- 
gestino-muglisano,  ora  in  Saggi  linguistici,  Modena 
1940,  pp.   197-208. 

Th.  Gartner,  Die  Mundart  von  Erto,  Z.R.Ph.  16,  1892, 
pp.  183-209;  308-371. 

A.  IvE,  /  dialetti  ladino-veneti  dell'Istria,  Strasburgo 
1900. 

B.  Marchetti,  Lineamenti  di  grammatica  friulana,  Udi- 
ne 19672. 

C.  S al V IONI,  Nuovi  documenti  per  le  parlate  muglisana 
e  tergestina,  Rend.  Ist.  Lomb.  II,  41,  1908,  pp.  573-590. 

G.  ViDOSsi,  Studi  sul  dialetto  triestino,  Archeografo  Trie- 
stino, 23,  1900,  pp.  239-304. 
^    C.  ViGNOLi,  //  parlare  di  Gorizia  e  l'italiano,  Roma  1917. 

lessico 

E.  KosoviTZ,  Dizionario-vocabolario  del  dialetto  triestino 
e  della  lingua  italiana,  Trieste  1868. 

A.  Lazzarini,  Vocabolario  scolastico  friulano-italiano,  Udi- 
ne 1930. 

G.  B.  Pellegrini,  Criteri  per  una  classificazione  del  les- 
sico 'ladino',  Studi  linguistici  friulani  1,  1969,  pp.  7-39, 

G.  Pinguentini,  Nuovo  dizionario  del  dialetto  triestino, 
Bologna  1969. 

G.  A.  Pirona,  e.  Carletti,  G.  B.  Coronali,  //  nuovo 
Pirona.  Vocabolario  friulano,  Udine  1967. 

E.  Rosamani,  Vocabolario  giuliano,  Bologna   1958. 


XXII  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

EMILIA-ROMAGNA 

ASPETTI    GENERALI 

G.  C.  Vincenzi,  Bibliografia   dialettale   dell'Emilia-Roma- 
gna, B.C.D.I.  3,  1968,  pp.  81-130. 


G.  Bertoni,  Emilia:  dialetti,  E.I.  13,  1932,  pp.  905-906. 

F.  ScHiJRR,  La  posizione  storica  del  romagnolo  fra  i  dia- 
letti contermini,  R.L.R.  9,   1933,  pp.  203-228. 

Id.,  Profilo  dialettologico  della  Romagna,  Orbis  3,  1954, 
pp.  471-485. 

FONETICA  E  MORFOLOGIA 

G.  Bertoni,  //  dialetto  di  Modena,  Torino  1905. 

Id.,  Profilo  storico  del  dialetto  di  Modena,  Ginevra  1925. 
G.  Bottiglioni,  Fonologia  del  dialetto  imolese,  Pisa  1919. 
M.  Casella,  Fonologia  del  dialetto  di  Fiorenzuola,  S.R. 
17,  1922,  pp.  5-71. 

F.  Coco,  //  dialetto  di  Bologna,  Bologna  1970. 

A.  Gaudenzi,  /  suoni,  le  forme  e  le  parole  dell'odierno 
dialetto  della  città  di  Bologna,  Torino  1889. 

E.  Gorra,  Fonetica  del  dialetto  di  Piacenza,  Z.R.Ph.  14, 
1890,  pp.  133-158. 

P.  Mainoldi,  Manuale  dell'odierno  dialetto  bolognese,  Bo- 
logna 1950. 

G.  Malagoli,  Fonologia  del  dialetto  di  Lizzano  in  Bel- 
vedere, I.D.  6,  1930,  pp.  125-196. 

Id.,  Appunti  di  morfologia  e  di  sintassi  del  dialetto  di 
Lizzano  in  Belvedere,  I.D.  16,  1940,  pp.  191-211. 

Id.,  Intorno  ai  dialetti  dell'alta  montagna  reggiana,  I.D. 
19,  1954,  pp.  1-29;  111-142. 

A.  MussAFiA,  Darstellung  der  romagnolischen  Mundart, 
Vienna  1871. 

A.  Pignoli,  Fonetica  parmigiana,  Torino  1904. 

F.  ScHiJRR,  Romagnolische  Mundarten.  Sprachproben  in 
phonetischer  Transkription,  Vienna  1917. 

Id.,  Romagnolische  Dialektstudien  I-II,  Vienna  1918-1919. 


Bibliografia  xxiii 

1d.,  Nuovi  contributi  allo  studio  dei  dialetti  romagnoli, 
Rend.  Ist.  Lomb.,  II,  89-90,  1956,  pp.  121-145;  313-353; 
455-475;  663-692. 

A.  Trauzzi,  Sulla  fonetica  e  sulla  morfologia  del  dialetto 
bolognese,  Bologna  1901. 

LESSICO 

C.  CoRONEDi  Berti,  Vocabolario  bolognese-italiano,  Bo- 
logna 1869-1874. 

G.  Carpi  e  V.  Pavarini,  Dizionario  parmigiano-italiano, 
Cremona  1966. 

L.  Ercolani,  Vocabolario  romagnolo-italiano,  Ravenna 
1960. 

L.  Ferri,  Vocabolario  ferrarese-italiano,  Ferrara  1889. 

L.  Foresti,  Vocabolario  piacentino-italiano.  Piacenza 
1883^ 

A.  Guastalla,  Dizionario  dialettale:  dal  dialetto  guastal- 
lese  alla  lingua  nazionale,  Guastalla  1929. 

P.  Mainoldi,  Vocabolario  del  dialetto  bolognese,  Bologna 
1967. 

G.  Malagoli,  Lessico  del  dialetto  di  Lizzano  in  Belve- 
dere, I.D.   17,  1941,  pp.   195-228. 

C.  Malaspina,  Vocabolario  parmigiano-italiano,  Parma 
1856-1859. 

E.  Maranesi,  Vocabolario  modenese-italiano,  Modena 
1893. 

A.  Mattioli,  Vocabolario  romagnolo-italiano,  Imola  1879. 

A.  Menarini,  /  gerghi  bolognesi,  Modena  1942. 

Id.,  Bolognese  invece.  Ricerche  dialettali,  Bologna   1964. 

Id.,  Fra  il  Savena  e  il  Reno,  Ricerche  dialettali  bolognesi, 
Bologna  1969. 

E.  Meschieri,  Vocabolario  mirandolese-italiano,  Bologna 
1876. 

A.  MoRRi,  Vocabolario  romagnolo-italiano,  Faenza   1840. 

C.  Pariset,  Vocabolario  parmigiano-italiano,  Parma  1885- 
1892. 

P.  Sella,  Glossario  latino-emiliano,  Città  del  Vaticano 
1937. 

G.  Ungarelli,  Vocabolario  del  dialetto  bolognese,  Bolo- 
gna 1901. 


XXIV  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

TOSCANA 

ASPETTI  GENERALI 

G.  Devoto,  Protostoria  fiorentina,  ora  in  Scritti  minori,  I, 
cit.,  pp.  367-376. 

C.  Merlo,  Lazio  sannita  ed  Etruria  latina?,  Studi  Etruschi 
1,  1927,  pp.  303-311  (riprodotto  in  parte  in  Saggi  lin- 
guistici, 1959,  p.   101-109). 

G.  Nencioni,  Essenza  del  toscano,  La  rassegna  della  let- 
teratura italiana,  aprile  1959,  pp.  3-21. 
A.  ScHiAFFiNi,  Toscana:  dialetti,  E.I.  34,  1937,  pp.  99-101. 

FONETICA,  MORFOLOGIA,  SINTASSI 

R.  Ambrosini,  Caratteristiche  del  lucchese,  CP.CDI  1964, 
pp.  111-118. 

G.  I.  Ascoli,  Saggi  aretini,  A.G.I.  2,  1876,  pp.  443-453. 

A.  Castellani,  Precisazioni  sulla  gorgia  toscana  in  Actes 
IX^  Congrès  International  de  Linguistique  Romane, 
Lisbona  1961,  pp.  241-262. 

G.  Contini,  Per  una  interpretazione  strutturale  della  co- 
siddetta «  gorgia  »  Toscana  in  Actes  IX^  Congrès  Inter- 
national de  Linguistique  Romane,  Lisbona  1961,  pp. 
263-281. 

G.  De  Gregorio,  //  dialetto  fiorentino  volgare  e  la  lingua 
italiana,  St.  Gì.  6,  1912,  pp.  41-77. 

P.  Fiorelli,  Senso  e  premesse  di  una  fonetica  fiorentina, 
L.N.  13,  1952,  pp.  57-64. 

R.  Giacomelli,  Esplorazioni  linguistiche  in  Lucchesia, 
A.G.I.  43,  1958,  pp.  108-131. 

M.  Luers,  Beitrdge  zur  Syntax  der  toskanischen  Umgangs- 
sprache,  Amburgo  1942. 

D.  PiERACCiONi,  Vernacolo  fiorentino  di  ieri  e  di  oggi, 
L.N.  11,  1950,  pp.  95-97. 

S.  Pieri,  Note  sul  dialetto  aretino,  Pisa  1886. 

Id.,  Fonetica  del  dialetto  lucchese,  A.G.L  12,  1890-92,  pp. 

107-134. 
Id.,  Fonetica  del  dialetto  pisano,  A.G.I.  12,  1890-92,  pp. 

141-160. 
Id.,  Appunti  morfologici  concernenti  il  dialetto  lucchese  e 

il  pisano,  A.G.I.  12,  1890-92,  pp.  161-180. 


Bibliografia  xxv 

ID.,  //  dialetto  della  Versilia,  Z.R.Ph.  28,  1904,  pp.  161-191. 

C.  Salvioni,  Appunti  sull'antico  e  moderno  lucchese, 
A.G.I.   16,  1902-1904-1905,  pp.  395-477. 

M.  SiGG,  Die  Deminutivsuffixe  im  Toskanìschen,  Berna 
1954. 

R.  Stefanini,  Funzioni  e  comportamento  di  /e/  (e,  e')  pro- 
clitica nel  fiorentino  d'oggi,  I.D.  32,  1969,  pp.   10-26. 

Id.,  Comportamento  di  /kw/  in  fiorentino,  in  Mille:  I  di- 
battiti del  Circolo  Linguistico  Fiorentino,  Firenze  1970, 
pp.  219-222. 

LESSICO 

U.  Cagliaritano,  Vocabolario  senese,  Siena  1968-1969. 

G.  Cocci,  Vocabolario  versiliese,  Firenze  1956. 

M.  CoRTELAzzo,  Vocabolario  marinaresco  elbano,  I.D.  28, 
1965,  pp.   1-124. 

M.  DiODATi  Caccavelli,  Vocabolario  dell'isola  d'Elba, 
I.D.  29,  1966,  pp.  78-322;  30,  1967,  pp.  167-180;  31, 
1968,  pp.  38-91;  32,  1969,  pp.  63-131. 

P.  Fanfani,   Vocabolario  dell'uso  toscano,  Firenze    1863. 

Id.,  Voci  e  maniere  del  parlar  fiorentino,  Firenze    1870. 

G.  Fatini,  Vocabolario  amiatino,  Firenze   1953. 

P.  Giacchi,  Dizionario  del  vernacolo  fiorentino,  Roma 
1878. 

G.  Gigli,  Vocabolario  cateriniano,  Firenze  1866. 

A.  Lombardi,  B.  Bocci,  F.  Iacometti,  C.  Mazzoni,  Rac- 
colta di  voci  e  modi  di  dire  in  uso  nella  città  di  Siena 
e  nei  suoi  dintorni,  Siena   1944. 

V.  LoNGO,  //  dialetto  di  Pitigliano  in  provincia  di  Gros- 
seto, I.D.  12,  1934,  pp.  19-34;   103-148. 

Id.,  Saggio  di  lessico  dei  dialetti  dell' Amiata,  I.D.  18,  1942, 
pp.   167-188;    19,   1943-44,  pp.  51-110. 

G.  Malagoli,  Vocabolario  pisano,  Firenze  1939. 

E.  Nicchiarelli,  Studi  sul  lessico  del  dialetto  di  Cortona, 
Annuario  Accademia  Etrusca  Cortona,  3-4,  1938,  pp. 
132-195. 

I.  Nieri,  Vocabolario  lucchese,  Lucca   1901. 

F.  Redi,  Vocabolario  di  alcune  voci  aretine,  Arezzo  1928. 


XXVI  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

MARCHE 

ASPETTI  GENERALI 

G.  Malagoli,  Dialettologia   marchigiana,   Le  Marche   9, 
1909,  pp.  226-248. 


G.  Crocioni,  Lo  studio  del  dialetto  marchigiano  di  A. 

Neumann-Spallart,  S.R.  3,  1905,  pp.  113-134. 
Id.,  Marche:  dialetti,  E.I.  22,  1934,  pp.  232-233. 
A.  Neumann  -  RiTTER  voN  Spallart,  Zur  Charakteristik 

des  Dialektes  der  Marche,  Z.R.  Ph.  29,  1904,  pp.  273- 

315;   450-491. 
Id.,  Welter  e  Beitrdge  zur  Charakteristik  des  Dialektes  der 

Marche,  Halle  1907. 

F.  Parrino,  Per  una  carta  dei  dialetti  delle  Marche, 
B.C.D.I.  2,  1967,  pp.  1-52. 

G.  B.  Pellegrini,  /  dialetti  in  Marche  a  cura  di  E,  Bevi- 
lacqua, Torino  1961,  pp.  196-204. 

fonetica  e  morfologia 

P.  BoNViciNi,  //  dialetto  di  Fermo  e  del  suo  circondario. 
Fermo  1961. 

A.  Camilli,  //  dialetto  di  Servigliano  (Ascoli  Piceno), 
A.R.  13,  1929,  pp.  220-271. 

G.  Crocioni,  //  dialetto  di  Arcevia  (Ancona),  Roma  1906. 

R.  Gatti,  //  parlare  di  Jesi  e  l'italiano,  Iesi  1926. 

G.  Mastrangelo  Latini,  Caratteristiche  fonetiche  dei  par- 
lari della  bassa  valle  del  Tronto,  I.D.  29,  1966,  pp.  1-48. 

lessico 

E.  Conti,  Vocabolario  metaurense.  Cagli  1898. 

F.  Egidi,  Dizionario  dei  dialetti  piceni  fra  Aso  e  Tronto, 
Montefìore  dell'Aso   1965. 

G.  GiNOBiLi,  Glossario  dei  dialetti  di  Macerata  e  Petriolo, 
Macerata   1963   (con  un'aggiunta  e  tre  appendici). 

A.  PizzAGALLi,  Dizionario  del  dialetto  pesarese,   Trieste 

1944. 
L.  Sfotti,    Vocabolarietto    anconitano-italiano,    Ginevra 

1929. 


Bibliografia  xxvii 

UMBRIA 

ASPETTI  GENERALI 

G.  Bertoni,  Umbria:  dialetti,  E.I.,  34,  1937,  p.  663. 

F.  A.  Ugolini,  Dialetti  dell'Umbria,  in  Atti  V  Convegno 
Studi  Umbri  1970,  pp.  463-490. 

FONETICA  E  MORFOLOGIA 

B.  Bianchi,  //  dialetto  e  l'etnografia  di  Città  di  Castello, 
Pisa  1886. 

C.  Grassi,  Raffronto  fra  l'indagine  sui  dialetti  umbri  com- 
piuta per  l'A.L.I.  e  gli  elementi  raccolti  per  la  stessa 
regione  dall' A.I.S.,  in  Atti  V  Convegno  Studi  Umbri, 
1970,  pp.  403-428. 

G.  B.  Mancarella,  //  dialetto  di  Gubbio:  testimonianze 
medievali  e  inchieste  moderne,  in  Atti  V  Convegno 
Studi  Umbri  1970,  pp.  279-310. 

T.  Reinhard,  Umbrische  Studien,  Z.R.Ph.  71,  1955,  pp. 
172-235;  72,  1956,  pp.  1-53. 

LESSICO 

L.  Catanelli,  Raccolta  di  voci  perugine,  Perugia   1970. 

F.  Mancini,  Vocabolario  del  dialetto  todino,  S.F.I.  18, 
1960,  pp.  319-377. 

E.  Rosa,  Dizionarietto  della  campagna  amerina,  Narni 
1907. 

C.  Trabalza,  Saggio  di  vocabolario  umbro-italiano  e  vice- 
versa, Foligno  1905. 


LAZIO 

aspetti  generali 

B.  Migliorini,  Lessicografia  romanesca  in  Studi  Belliani 
1965,  pp.  465-472. 


G.  Devoto,  Per  la  storia  linguistica  della  Ciociaria,  (in 
corso  di  stampa). 


XXVIII  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

G.  Bertoni,  Lazio:  dialetti,  E.I.  20,  1933,  pp.  690-692. 
G.  DE  Gregorio,  //  dialetto  romanesco,  St.  GÌ.  6,  1912, 

pp.  78-167. 
R.  H.  Hall,  The  Papal  States  in  Italian  Linguistic  History, 

Language  19,  1943,  pp.  125-140. 
C.  Merlo,  Vicende  storiche  della  lingua  di  Roma,  I.D.  5, 

1929,  pp.   172-201;   7,   1931,  pp.   115-137;    155-197. 
B.  Migliorini,  Dialetto  e  lingua  nazionale  a  Roma,  ora  in 

Lingua  e  cultura  1948,  pp.  109-123. 

fonetica  e  morfologia 

B.  Campanelli,  Fonetica  del  dialetto  reatino,  Torino  1896. 
G.  Crocioni,  //  dialetto  di  Velletri  e  dei  paesi  finitimi,  S.R. 

5,  1907,  pp.  27-88. 
W.  Th.  Elwert,  Die  Mundart  von  S.  Oreste,  in  Romanica 

1958,  pp.  121-158. 
R.  Fanti,  Note  fonetiche  e  morfologiche  sul  dialetto  di 

Ascrea  (Rieti),  I.D.   14,   1938,  pp.  201-218;    15,   1939, 

pp.  101-135;   16,  1940,  pp.  77-140. 
A.  Lindsstròm,  //  vernacolo  di  Subiaco,  S.R.  5,  1907,  pp. 

237-300. 
N.  Maccarrone,  /  dialetti  di  Cassino  e  di  Cervaro,  Perugia 

1915. 

C.  Merlo,  Fonologia  del  dialetto  di  Sora,  Annali  Univer- 
sità Toscane,  N.S.  IV,  5,  1919,  pp.  121-283. 

Id.,  Fonologia  del  dialetto  della  Cervara,  Roma  1922. 
Id.,  La  novella  I,  9  del  «  Decameron  »  tradotta  nei  parlari 

del  Lazio:  I,  Valle  dell'Amene,  Roma   1930. 
G.  Navone,   //  dialetto   di  Paliano,   S.R.    17,    1922,   pp. 

73-126. 
G.  Panconcelli-Calzia,     Phonogramme     in     rómischer 

Mundart,  Archiv  Studium  Neueren  Sprachen  150,  1926, 

pp.  103-109. 
G.  Parodi,  //  dialetto  d'Arpino,  A.G.I.  13,  1892,  pp.  299- 

308. 
C.  ViGNOLi,  //  vernacolo  di  Castro  dei  Volsci,  S.  R.  7, 

1911,  pp.  116-296. 
Id.,  Vernacoli  e  canti  di  Amaseno,  Roma  1920. 
Id,,  //  vernacolo  di  Veroli,  Roma  1925. 


Bibliografìa  xxix 

LESSICO 

P.  Belloni  -  H.  Nilsson-Ehle,  Voci  romanesche,  Lund 
1957. 

T.  Berti,  Saggio  di  un  dizionario  dei  comuni  della  pro- 
vincia di  Roma,  Roma   1882. 

F.  Chiappini,  Vocabolario  romanesco,  Roma  1945. 

C.  Merlo,  Raccolta  di  voci  romane  e  marchiane  ripro- 
dotta secondo  la  stampa  del  1768,  Roma  1932. 
W.  Pulcini,  Il  dialetto  di  Arsoli,  Tivoli  1972. 

G.  Vaccaro,  Vocabolario  romanesco  belliano  e  italiano- 
romanesco,  Roma  1969. 

G.  Vaccaro,  Vocabolario  romanesco  trilussiano  e  italiano- 
romanesco,  Roma  1971. 
C.  ViGNOLi,  Lessico  del  dialetto  di  Amaseno,  Roma  1926. 


ABRUZZO-MOLISE 


aspetti  generali 

E.  Giammarco,   Rassegna    bibliografica    della    linguistica 
abruzzese,  Rivista  Abruzzese  13,  1960.  nn.  2-3. 


G.  Bertoni,  Abruzzo:  dialetti,  E.I.  1,  1929,  pp.  136-137. 

C.  Gambacorta,  Intorno  agli  «  Abruzzesismi  »  di  F.  Ro- 
mani, Teramo  1950. 

E.  Giammarco,  Appunti  per  la  classificazione  dei  dialetti 
abruzzesi  e  molisani,  Abruzzo  3,   1965,  pp.    105-116. 

Id.,  Situazione  linguistica  dell'Abruzzo  e  del  Molise, 
CP.CDI.  1965,  pp.  119-128. 

fonetica  e  morfologia 

e.  Battisti,  Lo  studio  sul  dialetto  di  Vasto  di  Gustavo 
Rolin,  1908,  Abruzzo  8,  1970,  1,  pp.  3-11. 

G.  Croctoni,  //  dialetto  di  Canistro.  Scritti  vari  di  filolo- 
gia... Monaci,  Roma  1901,  pp.  429-443. 


XXX  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

M.  De  Giovanni,  Le  cacuminali  abruzzesi,  Abruzzo  8,  2-3, 
1970,  pp.  33-42. 

F.  D'Ovidio,  Fonetica  del  dialetto  di  Campobasso,  A.G.I. 
4,  1878,  pp.   145-184. 

E.  GiAMMARCO,  Grammatica  delle  parlate  d'Abruzzo  e 
Molise,  Pescara  1960. 

Id.,  Analisi  fonematica  della  parlata  d'Introdacqua,  Abruz- 
zo, 2,  1964,  pp.  354-371. 

C.  Merlo,  Appunti  sul  dialetto  di  Scanno  negli  Abruzzi, 
R.D.R.   1,   1909,  pp.  413-419. 

O.  Parlangeli,  //  dialetto  di  Loreto  Aprutino,  Rend.  Ist. 
Lomb.  II,  85,  1952,  pp.  113-176. 

T.  Radica,  /  dialetti  abruzzesi  secondo  gli  studi  degli  ul- 
timi decenni,  Rend.  Ist.  Lomb.  II,  77,  1943-44,  pp. 
107-150. 

G.  RoLiN,  Bericht  Uber  die  Resultate  seiner...  Reise  in  den 
Abruzzen,  Praga  1901. 

Id.,  Die  Mundart  von  Vasto  in  den  Abruzzen,  Prager 
deutsche  Studien  8,  1908,  pp.  477-504. 

G.  Savini,  La  grammatica  e  il  lessico  del  dialetto  tera- 
mano, Torino  1881. 

L.  Rossi-Case,  //  dialetto  aquilano  nella  storia  della  sua 
fonetica,  Bollettino  Società  Storica  Aquilana  6,  1894, 
pp.  3-58. 

V.  Verratti,  Fonologia  e  morfologia  del  volgare  abruz- 
zese, Lanciano  1968. 

G.  Ziccardi,  //  dialetto  di  Agnone,  Z.R.  Ph.  34,  1910,  pp. 
405-436. 

LESSICO 

L.  Anelli,  Vocabolario  vastese.  Vasto  1901  (fino  alla  let- 
tera E). 

D.  BiELLi,  Vocabolario  abruzzese,  Casalbordino  1930. 

G.  Cremonesi,  Vocabolario  del  dialetto  agnonese,  Agno- 
ne 1893. 

G.  Finamore,  Vocabolario  dell'uso  abruzzese.  Città  di  Ca- 
stello 18932. 

E.  GiAMMARCO,  Lessico  marinaresco  abruzzese  e  molisa- 
no, Venezia-Roma,  1964. 


Bibliografìa  xxxi 

Id.,  Dizionario  abruzzese  e  molisano  I,  II-,  Roma  1968  — 
M.  MiNADEO,   Lessico   del  dialetto   di   Ripalimosani,   To- 
rino 1955. 


CAMPANIA 

ASPETTI  GENERALI 

A.  Altamura,  Appunti  sulla  diffusione  della  lingua  nel 
Napoletano,  Convivium  1949,  pp.  288-303. 

G.  Bertoni,  Campania:  dialetti,  E.I.  8,  1930,  pp.  582-583. 

M.  Del  Donno,  Idiomi  dialettali  della  Campania,  Ma- 
tera   1965. 

G.  Rohlfs,  Mundarten  und  Griechentum  des  Cilento, 
Z.R.  Ph.  57,  1937,  pp.  421-461. 

FONETICA  E  MORFOLOGIA 

A.  Altamura,  //  dialetto  napoletano,  Napoli  1961. 

R.  Capozzoli,  Grammatica  del  dialetto  napoletano,  Napoli 

1889. 
A.  DE  Salvio,  Studies  in  the  Irpinia  Dialect,  Romanie  Re- 

view,  4,  1913,  pp.  352-380. 
T.  Franceschi,  Relazione  di  Laurino   (Salerno),  B.A.L.I. 

N.S.  7/8,  1962,  pp.  31-38. 
I.  Freunde,  Beitrdge  zur  Mundart  von  Ischia,  Lipsia  1934, 
O.  Marano  Festa,  //  dialetto  irpino  di  Montella,  I.D.  4, 

1928,  pp.  168-185;   5,   1929,  pp.  95-128;   8,   1932,  pp. 

87-116;  9,  1933,  pp.  172-202. 
J.  T.  Pring,  Notes  for  a  phonetic  analysis  of  the  dialect 

of  Naples,  Zeitschrift  Phonetik  4,   1950,  pp.   118-123. 
J.  SuBAK,  Die  Conjugation  im  Neapolitanischen,  Vienna 

1897. 
M.  Tancredi,  Saggio  grammaticale  sulla  pronunzia  e  sul- 
l'ortografia del  dialetto  napoletano,  Napoli  1902. 

lessico 

G.  Alessio,  L'elemento  latino  e  quello  greco  nei  dialetti 
del  Cilento,  Rend.  Ist.  Lomb.  II  76,  1942-43,  pp. 
341-360. 


XXXII  7  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

A.  Altamura,  Dizionario  dialettale  napoletano,  Napoli 
19682. 

R.  Andreoli,  Vocabolario  napoletano-italiano,  1887  (Na- 
poli, Nuova  ed.  1966). 

F.  DE  Maria,  Dizionario  dialettale  della  provincia  di  Avel- 
lino e  paesi  limitrofi,  Avellino  1908. 

S.  NiTTOLi,  Vocabolario  di  vari  dialetti  del  Sannio,  Na- 
poli 1873. 

B.  PuoTi,  Vocabolario  domestico  napoletano  e  toscano, 
Napoli  18502. 

P.  P.  Volpe,  Vocabolario  napolitano-italiano,  Napoli  1869. 
P.  Salvatore,  Raccolta  di  termini  dialettali  carifani,  Avel- 
lino 1954. 


PUGLIA 

aspetti  generali 

E.  Dtmitri,   Saggio   di   bibliografia   salentina,   Manduria 
1962. 


G.  Alessio,  //  fondo  latino  dei  dialetti  romanzi  del  Sa- 
lento.  Annali  Facoltà  Magistero  Bari,  2,  1955.  pp.  1-44. 

G.  Bertoni.  Puglia:  dialetti,  E.I.  28,  1935,  p,  521. 

M.  D'Elia,  Ricerche  sui  dialetti  salentini,  A.  A.  Colomba- 
ria N.S.  7,  1956.  pp.  133-179. 

A.  Lucarelli,  Saggio  sui  dialetti  pugliesi,  Bari  1923. 

H.  LiJDTKE,  Sprachliche  Beziehungen  der  apulischen  Dia- 
lekte  zum  Rumcinisclwn,  Revue  Etudes  Roumaines  3-4, 
1957,  pp.  130-146. 

G.  B.  Mancarella,  //  processo  di  italianizzazione  (spe- 
cialmente lessicale)  nei  dialetti  salentini,  Abruzzo  8, 
1970,  2-3,  pp.  59-68. 

M.  Melillo,  Lingua  e  società  in  Capitanata,  Foggia  1966. 

O.  Parlangeli,  Sui  dialetti  romanzi  e  romaici  del  Sa- 
lente, Mem.  Ist.  Lomb.  Ili  35/36,  1953,  pp.  93-198. 


Bibliografia  xxxiii 

FONETI CA-MORFOLOGI A 

G.  Abbatescianni,  Fonologia  del  dialetto  barese,  Avellino 

1896. 
1.  DE  Gregorio,  Contributo  alla  conoscenza  del  dialetto  di 

Bisceglie  (Bari),  I.D.  15,  1939,  pp.  31-51. 
M.  De  Noto,  Appunti  di  fonetica  sul  dialetto  di  Taranto, 

Trani  1897. 
G.  Grassi,  //  dialetto  di  Martina  Franca,  Martina  Franca 

1925. 
A.  Lacalendola,  Grammatica  del  dialetto  di  Bari,  Palo 

del  Colle  1969. 
D.  Lopez,  La  voce  e  le  forme  del  dialetto  barese,  Bari 

1952. 
G.  B.  Mancarella,  Arcaicità  del  sistema  vocalico  salen- 

tino.  Studi  Linguistici  Salentini  3,   1970,  pp.   111-126. 
1d.,  Ricerche  linguistiche  a  Ostuni,  Studi  Linguistici  Salen- 
tini 4,  1971,  pp.  111-136. 
G.  Melillo,  //  dialetto  di  Volturino    (Foggia),   Perugia 

1920. 
Id.,  /  dialetti  del  Gargano,  Pisa  1926. 
M.  Melillo,  Atlante  fonetico  pugliese,  Roma  1955. 
C.  Merlo,  Note  fonetiche  sul  parlare  di  Bitonto   (Bari), 

Atti  Acc.   Torino  47,    1912,   pp.   907-932. 
G.  Morosi,  //  vocalismo  del  dialetto  leccese,  A.G.I.  4, 

1878,  pp.  117-144. 

F.  Piccolo,  //  dialetto  di  Lucerà  (Foggia),  I.D.  14,  1938, 
pp.   189-200;    15,   1939,  pp.  83-100. 

S.  Panareo,    Fonetica   del   dialetto   di   Maglie   in    Terra 

d'Otranto,  Milano  1903. 
O.  Parlangeli,  //  dialetto  di  Cerignola,  Orbis  13,  1964, 

pp.  141-156. 

G.  Prete,  Tra  i  dialetti  pugliesi.  Dialetto  di  Martina  Fran- 
ca, Martina  Franca  1957^. 

F.  Ribezzo,  //  dialetto  apulo-salentino  di  Francavilla  Fon- 
tana, Martina  Franca   1912. 
R.  Sarno,  //  dialetto  di  Trani,  Perugia  1921. 

LESSICO 

F.  CòcoLA,  Vocabolario  dialettale  biscegliese-italiano,  Tra- 
ni 1925. 


XXXIV  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

R.  CoTUGNO,  Lessico  dialettale  andriese-italiano,   Andria 

1909. 
D.  L.  De  Vincentiis,  Vocabolario  del  dialetto  tarantino, 

Taranto  1872. 

F.  D'Ippolito,  Vocabolario  dialettale  della  provincia  di 
Terra  d'Otranto,  Taranto  1899. 

B.  Di   Terlizzi,   Lessico   rubastino-italiano ,   Ruvo    1930. 
D.  Maldarelli,    Lessico    giovinazzese-italiano,    Molfetta 

1967. 

C.  Merlo  e  R.  Zagaria,  Lessico  etimologico  del  dialetto 
di  Andria  (Bari),  Apulia,  Appendice  2. 

O.  Parlangeli,  Postille  e  giunte  al  'Vocabolario  dei  dia- 
letti salentini  di  G.  Rohlfs',  Rend.  Ist.  Lomb.,  II  92, 
1958,  pp.  11,1-1^%. 

L.  Pascale,  //  dialetto  manfredoniano,  Roma  1919. 

V.  Pepe,  Piccolo  vocabolario  del  dialetto  della  provincia 
di  Lecce,  Brindisi  1896. 

G.  Rohlfs,  Vocabolario  dei  dialetti  salentini  (Terra 
d'Otranto),  Monaco  1956-1959. 

G.  Saracino,  Lessico  dialettale  bitontino-italiano,  Molfetta 

1901. 
R.  Scardigno,  Nuovo  lessico  molfettese-italiano,  Molfetta 

1963. 
G.  Tancredi,  Vocabolar ietto  dialettale  garganico.  Lucerà 

19153. 


BASILICATA 

aspetti  generali 

G.  Bertoni,  Basilicata:  dialetti,  E.  I.  6,  1930,  pp.  316-317. 

H.  Lausberg,  Die  Mundarten  Siidlukaniens,  Halle  1939. 

G.  Rohlfs,  Galloitalienische  Sprachinseln  in  der  Basili- 
cata, Z.R.  Ph.  51,  1931,  pp.  249-279. 

Id.,  Galloitalienische  Sprachkolonien  ani  Golf  von  Poli- 
castro  (Lukanien),  Z.R.  Ph.  61,  1941,  pp.  79-113  (con 
il  precedente  ora  in  Studi  e  ricerche...,  cit.,  1972,  pp. 
203-219). 

Id.,  Sull'origine  del  dialetto  di  Trecchina,  in  Trecchina  nel 
passato  e  nel  presente  1947,  pp.  195-216. 


Bibliografìa  xxxv 

FONETICA    E    MORFOLOGIA 

A.  De  Salvio,  Studies  in  the  Dialects  oj  Basilicata,  Pu- 
blications  Modem  Language  Association  America,  30, 
1915,  pp.  788-820. 

G.  B.  Festa,  //  dialetto  di  Matera,  Z.R.  Ph.  38,  1916,  pp. 
129-162;  257-280. 

M.  Melillo,  Atlante  fonetico  lucano,  Roma  1955. 

H.  LiJDTKE,  Arcaismi  nei  dialetti  della  Lucania:  i  conti- 
nuatori di  illum,  illud,  illos  {in  posizione  protonica), 
Abruzzo  8,  1,  1970,  pp.  41-44. 

V.  Solimena,  Ricerche  linguistiche  sul  dialetto  basilica- 
tese.  Rionero  1888. 

lessico 

M.  Berardi,  Saggio  di  vocabolario  dialettale,  Melfi  1933. 
G.  Forti,  Saggio  sui  provincialismi  della  Basilicata,  Roma 

1889. 
G.  Giaculli,  Dizionarietto  comparativo  dialettale  italiano, 

Matera  1909. 
F.  Paternoster,    Vocabolario   della   lingua   dialettale   di 

Brienza,  Brienza  1960. 
F.  RiVELLi,  Casa  e  patria  ovvero  il  dialetto  e  la  lingua. 

Guida  per  i  Materani,  Matera  1924. 


CALABRIA 

ASPETTI  GENERALI 

M.  V.  Li  Gotti,  Bibliografia  dialettale  calabrese,  B.C.D.I. 
3,  1968,  pp.  133-268. 


G.  Alessio,  //  sostrato  latino  nel  lessico  e  nelVepo-topo- 
nomastica  della  Calabria  meridionale,  I.D.,  10,  1954, 
pp.  111-190. 

Id.,  La  stratificazione  linguistica  del  Bruzio,  Atti  I  Con- 
gresso Studi  Calabr.,  Cosenza   1954,  pp.  305-356, 


XXXVI  /  dialetti  delle  regioni  d'Itcdia 

C.  Battisti,  Appunti  sulla  storia  e  sulla  diffusione  del- 
l'ellenismo nell'Italia  meridionale,  R.L.R.  3,  1927,  pp. 
1-91. 
Id.,  Ancora  sulla  grecità  in  Calabria,  Archivio  Storico  Ca- 
labria Lucania  3,  1933,  pp.  67-95. 
G.  Bertoni,  Calabria:  dialetti,  E.I.  8,  1930,  pp.  301-302. 
N.  Maccarrone,  Romani  e  Romaici   nell'Italia   meridio- 
nale, A.G.I.  (Sez.  Goidanich)  20,  1926,  pp.  72-96. 
K.  H.  Rensch,  Zur  Lage  der  Mundarten  im  nórdlichen 
Kalabrien,  in  Festgabe  Zwirner,  L'Aia,  1965,  pp.  89-93. 
G.  Rohlfs,  Griechen  und  Romanen  in  Unteritalien,  Gi- 
nevra 1924. 
^   Id.,  La   grecità    in    Calabria,   Archivio   Storico    Calabria 

Lucania  2,  1932,  pp.  405-425. 
j    Id.,  Scavi  linguistici  nella  Magna  Grecia,  Halle-Roma  1933. 
^  Id.,  Le  origini  della  grecità  in  Calabria,  Archivio  Storico 

Calabria  Lucania  3,  1933,  pp.  231-258. 
\j  Id.,  Griechischer  Sprachgeist  in  SUditalien,  Monaco  1947. 
Id.,  La  varietà  degli  idiomi  in  Calabria,  Il  Ponte  6,  1950, 

pp.  997-1003. 
Id.,  Le  due  Calabrie   (Calabria  greca  e  Calabria  latina), 
ora  in  Studi  e  ricerche...,  cit.,  1972,  pp.  246-259. 
^    Id.,  La  lingua  greca  in  Calabria,  in  Studi  e  ricerche...,  cit., 
1972,  pp.  357-363. 

fonetica  e  morfologia 

E.  Gliozzi,  //  parlare  calabrese  e  l'italiano,  Torino  1923. 

A.  Gentili,  Fonetica  del  dialetto  cosentino,  Milano  1897. 

V.  LoNGO,  Saggio  fonetico  sul  dialetto  di  Cittanova  in  pro- 
vincia di  Reggio  Calabria,  I.D.  13,  1937,  pp.  127-153; 
173-206. 

G.  Morosi,  /  dialetti  romaici  del  mandamento  di  Bova  in 
Calabria,  A.G.I.  4,  1878,  pp.  1-110. 

A.  Pellegrini,  //  dialetto  greco-calabro  di  Bova,  Torino 
1880. 

K.  H.  Rensch,  Beitrdge  zur  Kenntnis  nordkalabrischer 
Mundarten,  MUnster  1966. 

G.  Rohlfs,  Historische  Grammatik  der  unteritalienischen 
Grdzitàt,  Monaco   1950. 


Bibliografia  xxxvii 


J.a, 


Neue  Beitrcige  ziir  Kenntnis  der  unteritalienischen  Gra- 
zitat,  Monaco  1962. 
G.  ScAFOGLio,    Forme    del   sostantivo    calabrese,    Rimlni 
1928-1931. 

F.  Scerbo,  Studi  sul  dialetto  Calabro,  Firenze  1886. 

LESSICO 

L.  AccATTATis,  Vocabolario  del  dialetto  calabrese,  Castro- 
villari  1895. 

G.  Alessio,  Concordanze  lessicali  tra  i  dialetti  rumeni  e 
quelli  calabresi,  Bari  1954. 

R.  CoTRONEi,  Vocabolario  calabro-italiano,  Catanzaro  1895. 

D.  De  Cristo,  Vocabolario  calabro-italiano,  Napoli  1897. 

L.  Galasso,  Saggio  di  un  vocabolario  calabro-italiano, 
Laureana  di  Borcello  1924. 

V.  LoNGO,  Postille  e  correzioni  al  «  Dizionario  dialettale 
delle  Tre  Calabrie»  di  G.  Rohlfs,  I.D.  11,  1935,  pp. 
61-85;   16,  1940,  pp.  9-30. 

G.  Malara,  Vocabolario  calabro-reggino-italiano,  Reggio 
Calabria  1909. 

G.  B.  Marzano,  Dizionario  etimologico  del  dialetto  cala- 
brese, Laureana  di  Borrello  1928. 

C.  MoRisANi,  Vocabolario  del  dialetto  calabrese  di  Reggio 
Calabria,  Reggio  C.  1886. 

G.  Rohlfs,  Dizionario  dialettale  delle  Tre  Calabrie,  Halle 
1932-1936. 

G.  Rohlfs.  Lexicon  Graecanicum  Italiae  inferioris,  Tu- 
binga  19642. 

Id.,  Vocabolario  supplementare  dei  dialetti  delle  Tre  Ca- 
labrie, Monaco  1966. 

F.  Romani,  Calabresismi,  Firenze  1907. 


SICILIA 

aspetti  generali 

G.  PicciTTO,  Schizzo  di  storia  della  dialettologia  siciliana. 
Bollettino  storico  catanese,  5,  1940,  pp.  43-65. 

A.  SoRTiNi,  Bibliografia  dialettale  siciliana  degli  ultimi  de- 
cenni, Caltagirone  1931. 


XXXVIII  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 


G.  Alessio,  Sulla  latinità  di  Sicilia,  Atti  Accademia  Pa- 
lermo IV,  7  :2,  1946/47,  pp.  287-510;  8,  1947/48,  pp. 
73-155. 

Id.,  Ripercussioni  linguistiche  della  dominazione  norman- 
na nel  nostro  Mezzogiorno,  Archivio  Storico  Pugliese 
12,  1959,  pp.  197-232. 

G.  Bertoni,  Sicilia:  dialetti,  E.I.,  31,   1936,  pp.  694-695. 

G.  BoNFANTE,  //  problema  del  siciliano,  Bollettino  Centro 
Studi  Siciliani  1,  1953,  pp.  45-64, 

Id.,  Siciliano,  calabrese  meridionale  e  salentino,  Bollettino 
Centro  Studi  Siciliani  2,  1954,  pp.  280-307. 

Id.,  //  Siciliano  e  il  sardo,  Bollettino  Centro  Studi  Siciliani 
3,  1955,  pp.  195-222. 

Id.,  Il  siciliano  e  i  dialetti  dell'Italia  settentrionale,  Bollet- 
tino Centro  Studi  Siciliani  4,  1956,  pp.  296-309. 

Id.,  La  Sicilia  concorda  con  l'Italia  centrale  e  settentrio- 
nale o  solo  con  la  centrale.  Bollettino  Centro  Studi  Si- 
ciliani 5,  1957,  pp.  269-302. 

N.  Maccarrone,  La  vita  del  latino  in  Sicilia  fino  all'età 
normanna,  Firenze  1915. 

A.  Pagliaro,  Aspetti  della  storia  linguistica  della  Sicilia, 
A.R.  18,  1934,  pp.  355-380. 

O.  Parlangeli,  Contributi  allo  studio  della  grecità  sici- 
liana, Kokalos  5,  1959,  pp.  62-106. 

Id.,  Introduzione  a  ima  storia  linguistica  della  Sicilia, 
Annali  Facoltà  Lettere  Università  Messina,  1961/1962, 
pp.  19-32. 

G.  Petracco  Sicardi,  Influenze  genovesi  sulle  colonie  gal- 
lo-italiche della  Sicilia?,  Bollettino  Centro  Studi  Sici- 
liani 9,  1963,  pp.  106-132. 

Id.,  Gli  elementi  fonetici  e  morfologici  «  settentrionali  » 
nelle  parlate  gallo-italiche  del  mezzogiorno.  Bollettino 
Centro  Studi  Siciliani  10,  1969,  pp.  326-358. 

F.  Piazza,  Le  colonie  e  i  dialetti  lombardo-siculi,  Catania 
1921. 

G.  PicciTTO,  La  classificazione  delle  parlate  siciliane  e  la 
metafonesi  in  Sicilia,  Archivio  Storico  Sicilia  Orientale 
47,  1951,  pp.  1-34, 


Bibliografìa  xxxix 

Id.,  //  siciliano  dialetto  italiano,  Orbis  8,  1959,  pp.  183- 
199. 

G.  Rohlfs,  Colonizzazione  gallo-italica  nel  Mezzogiorno, 
in  Mélanges  Roqiies  I,  1950,  pp.  253-259. 

Id.,  Nuovi  contributi  al  grecismo  della  Sicilia  nord-orien- 
tale, Bollettino  Centro  Studi  Siciliani  8,  1962,  pp. 
119-143. 

Id.,  Der  sprachliche  Einfluss  der  Normannen  in  Silditalien, 
Mélanges  Delbouille,  Gembloux  1964,  1,  pp.  565-572. 

Id.,  Correnti  e  strati  di  romanità  in  Sicilia,  Bollettino  Cen- 
tro Studi  Siciliani  9,  1965,  pp.  74-105. 
J  Id.,  Latinità  ed  ellenismo  nella  Sicilia  d'oggi  (Aspetti  di 
geografia  linguistica),  ora   in  Studi  e  ricerche...,  cit., 
1972,  pp.  273-293. 

G.  Tropea,  Effetti  di  simbiosi  linguistici  nelle  parlate  gal- 
loitaliche di  Aidone,  Nicosia  e  Novara  di  Sicilia, 
B.A.L.I.  N.S.  13/14,  1966,  pp.  3-50. 

Id.,  Parlata  locale,  siciliano  e  lingua  nazionale  nelle  co- 
lonie galloitaliche  della  Sicilia,  Abruzzo  8,  1970,  2-3, 
pp.  121-131. 

fonetica  e  morfologia 

e.  AvoLio,  Introduzione  allo  studio  del  dialetto  siciliano, 
Noto  1882. 

G.  De  Gregorio,  Saggio  di  fonetica  siciliano,  Palermo 
1890. 

M.  D'Elia,  Osservazioni  sulla  fonologia  dei  dialetti  sici- 
liani centrali  e  orientali.  Lecce  1961. 

I.  W.  Ducibella,  The  Phonology  of  the  Sicilian  Dialects, 
Washington  1934. 

Th.  Ebneter,  a  viri  a  -f  infiniti  f  et  le  problème  du  futur  en 
sìcilien,  Cahiers  Ferdinand  de  Saussure  23,  1966,  pp. 
33-48. 

P.  Galante,  Grammatica  storica  della  lingua  siciliana,  Ca- 
stellammare del  Golfo  1969. 

R.  La  Rosa,  Saggio  di  morfologia  siciliana:  I  Sostantivi, 
Noto  1901. 

G.  Lombardo,  Saggi  sul  dialetto  nisseno,  Caltanissetta 
1901. 

G.  MiLLARDET,  Etudes  siciliennes:  recherches  expérimen- 
telles  et  historiques  sur  les  articulations  linguales  du 


XL  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

sicilien,  in  Homenaje...  Pidal,  Madrid  1925,  1,  pp.  713- 

757. 
Id.,  Sur  un  ancien  substrat  commun  à  la  Siale,  la  Corse 

et  la  Sardaigne,  R.L.R.  9,  1933,  pp.  346-369. 
I.  Palermo,  Un  problème  de  chronologie  dialectale  sici- 

lienne,  in  Communications...  1^''  Congrès  International 

Dìalectologie  Generale  1965,  3,  pp.  60-72. 
G.  PicciTTO,  Fonetica  del  dialetto  di  Ragusa,   I.D.    17, 

1941,  pp.  17-80. 
Id.,  Elementi  di  ortografia  siciliana,  Catania  1947. 
Id.,  L'articolo  determinativo  in  siciliano.  Bollettino  Cen- 
tro Studi  Siciliani  2,  1954,  pp.  308-347. 
L.  Pirandello,  Laute  und  Lautentwìcklung  der  Mundart 

von  argenti.  Halle  1891. 
G.  Sacco,  //  dialetto  di  Sciacca  e  dei  suoi  dintorni,  Napoli 

1926. 
E.  Salva,  //  dialetto  di  Tortorìci,  Rend.  Ist.  Lomb.  II  93, 

1959,  pp.  239-273. 
A.  Schiavo  Lena,  //  dialetto  del  circondario  di  Modica, 

Archivio  Storico  Sicilia  Orientale  5,  1908,  pp.  107-131; 

424-428. 
H.  ScHNEEGANS,  Lautc  und  Lautentwickelung  des  sicilia- 

nischen  Dialectes,  Strasburgo  1888. 
G.  Tropea,  Relazione  di  Caltanissetta,  B.A.L.I.  N.S.  7/8, 

1962,  pp.  47-54. 

lessico 

G.  Cavallaro,  Dizionario  siciliano-italiano,  Acireale  1964. 

V.  Mortillaro,  Nuovo  dizionario  siciliano-italiano,  Pa- 
lermo 18761 

E.  Nicotra  d'Urso,  Nuovissimo  dizionario  siciliano-ita- 
liano, Catania  1914. 

G.  B.  Pellegrini,  Contributo  allo  studio  dell'elemento 
arabo  nei  dialetti  siciliani,  Trieste  1962. 

Id.,  Appunti  etimologici  arabo-siculi,  Bollettino  Centro  Stu- 
di Siciliani  9,  1965,  pp.  63-73. 

G.  PicciTTO,  Vocabolario  siciliano,  Catania-Palermo  1962 — 

G.  Reichenkron,  Per  la  lingua  dei  Normanni  di  Sicilia  e 
dell'Italia  meridionale.  Bollettino  Centro  Studi  Siciliani 
5,  1957,  pp.  97-103. 


Bibliografìa  XLi 

G.  Salmi  ERI,    Voci   siciliane   di   origine   araba,   Palenno 

1949. 
A.  Traina,  Nuovo  vocabolario  siciliano-italiano,  Palermo 

1890^. 


SARDEGNA 

ASPETTI  GENERALI 

M.  L.  Atzori,  Bibliografia   di   linguistica   sarda,   Firenze 

1953. 
R.  A.  Hall,  Bibliography  of  Sardinian  Linguistics,  Italica 

19,  1942,  pp.  133-157. 


M.  T.  Atzori,  Per  una  carta  dei  dialetti  della  Sardegna, 
CP.  CDI.,  1965,  pp.  129-164. 

M.  Bartoli,  Un  po'  di  Sardo,  Archeografo  triestino  29, 
1905,  pp.   129-156. 

G.  Bottiglioni,  La  romanizzazione  dell'unità  linguistica 
sardo-corsa,  in  Sardegna  romana,  Roma,  1936,  I,  83-100. 

Id.,  Sardegna:  parlari,  E.I.  30,  1936,  pp.  859-861. 

A,  Petkanov,  Appunti  sui  dialetti  corsi  e  sardo-settentrio- 
nali, A.R.  25,  1951,  pp.  192-200. 

M.  PiTTAU,  Questioni  di  linguistica  sarda,  Brescia   1956. 

Id.,  Studi  sardi  di  linguistica  e  storia,  Pisa  1958. 

G.  Rohlfs,  Coincidencias  lingiiìsticas  entre  Cerdeha  y  la 
Italia  meridional,  ora  in  Estudios  sabre  geografia  lin- 
guistica de  Italia,  Granada   1952,  pp.   165-264. 

A.  Sanna,  Introduzione  agli  studi  di  linguistica  sarda, 
Cagliari  1957. 

B.  Terracini,  Romanità  e  Grecità  nei  documenti  più  an- 
tichi di  volgare  sardo,  ora  in  Pagine  e  appunti  di  lin- 
guistica storica,  pp.  189-195. 

Id.,  Gli  studi  linguistici  sulla  Sardegna  preromana,  ora  in 
Pagine  e  appunti  di  linguistica  storica,  pp.  111-135. 

M.  L.  Wagner,  Die  festlàndisch-italienischen  sprachlichen 
Einfliisse  in  Sardinien,  A.R.  16,  1932,  pp.  135-148. 

Id.,  La  questione  del  posto  da  assegnare  al  gallurese  e  al 
sassarese.  Cultura  neolatina  3,   1943,  pp.  243-267. 

Id.,  La  lingua  sarda  (Storia,  spirito  e  forma),  Berna  1950. 


XLii  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

FONETICA   E   MORFOLOGIA 

G.  Bottiglioni,  Saggio  di  fonetica  sarda,  Perugia  1919. 
G.  Campus,  Fonetica  del  dialetto  logiidurese,  Torino  1911. 
P.  Jaggli,  Die  Mundart  von  Sennori,  Zurigo   1959. 
W.  Meyer-Lubke,  Zw  Kenntnis  des  Altlogiidoresischen, 

Vienna  1902. 
M,  PiTTAU,  //  dialetto  di  Nuoro,  il  piti  schietto  dei  parlari 

neolatini,  Bologna  1956. 
G.  Spano,   Ortografìa  sarda   nazionale  ossia   grammatica 

della    lingua    logudurese   paragonata    all'italiana,    Ca- 
gliari 1840. 
M.  L.  Wagner,  Flessione  nominale  e  verbale  del  sardo 

antico  e  moderno,  I.D.  14,  1938,  pp.  93-232;  15,  1939, 

pp.  1-29. 
Id.,  Historische  Lautlehre  des  Sardischen,  Halle  1941. 
Id.,  Historische  Wortbildungslehre  des  Sardischen,  Berna 

1952. 

lessico 

L.  Gana,  Vocabolario  del  dialetto  e  del  folklore  gallurese, 
Cagliari  1970. 

J.  HuBSCHMiD,  Sardische  Studien,  Berna  1953. 

G.  Muzzo,  Vocabolario  dialettale  sassarese,  Sassari  1953- 
1955. 

G.  PoRRU,  Voci  latine  conservate  nel  sardo,  Rìv.  Filol. 
Istruz.  Class.  19,  1942,  pp.  103-124. 

G.  Spano,  Vocabolario  italiano-sardo  e  sardo-italiano,  Ca- 
gliari 1852. 

Id.,  Vocabolario  sardo  geografico,  patronimico  e  etimo- 
logico, Cagliari   1873. 

B.  Terracini -T.  Franceschi,  Saggio  di  un  atlante  lin- 
guistico della  Sardegna,  Torino,  1964. 

M.  L.  Wagner,  Das  Idndlìsche  Leben  Sardiniens  im  Spie- 
gel  der  Sprache,  Heidelberg  1921. 

Id.,  La  stratificazione  del  lessico  sardo,  in  R.L.R.  4,  1928, 
pp.  1-61. 

Id.,  Studien  iiber  den  sardischen  Wortschatz,  Ginevra  1930. 

Id.,  Dizionario  etimologico  sardo,  Heidelberg    1960-1964. 


PIEMONTE 


L'area  dialettale  piemontese  è  meno  ampia  della  circoscri- 
zione amministrativa  corrispondente.  Verso  oriente  il  ter- 
ritorio piemontese  genuino  si  arresta  alla  Sesia  sulla  sini- 
stra del  Po,  e  alla  Scrivia  sulla  destra.  Verso  mezzogiorno 
non  raggiunge  il  crinale  dell'Appennino:  centri  com.e  Novi 
(Alessandria)  o  Garessio  (Cuneo)  sono  di  dialetto  ligure. 
Anche  Tenda,  un  tempo  appartenente  alla  provincia  di 
Cuneo  e  oggi  al  dipartimento  francese  delle  Alpi  Marit- 
time, è  di  dialetto  ligure.  Sulla  frontiera  occidentale,  i  dia- 
letti piemontesi  non  raggiungono  il  crinale  alpino  e  la  fron- 
tiera politica  con  la  Francia.  A  Vinadio  (Cuneo)  e  nelle 
Valli  Valdesi  (Torino)  si  parlano  dialetti  provenzali.  Nel- 
l'alto bacino  della  Dora  Riparia,  della  Stura,  dell'Orco  si 
parlano  dialetti  franco-provenzali.  Così  nella  vai  d'Aosta, 
da  Pont  Saint  Martin  (20  km  a  nord  di  Ivrea)  in  su.  In 
quest'ultima  area  ha  valore  di  lingua  letteraria  anche  il 
francese.  Qualche  centinaio  di  persone  infine  parlano  un 
dialetto  germanico  di  tipo  alemanno  a  Gressoney  (vai 
d'Aosta)  e  intorno  al  monte  Rosa;  a  Alagna  Valsesia 
(Vercelli),  a  Macugnaga  (Novara)  ^ 

Le  frontiere  dialettali  sono  nette  solo  in  queste  ultime 
zone.  Verso  la  Liguria  nelle  valli  della  Scrivia,  Bormida 
e  Tanaro,  verso  l'Emilia  fra  Scrivia  Curone  e  StafTora,  e 
soprattutto  verso  la  Lombardia  fra  Sesia  e  Ticino  i  pas- 
saggi sono  graduali.  A  Vercelli  si  dice  man  gè  come  a  To- 
rino (e  non  mangia  come  a  Milano)  per  «  mangiare  »;  ma 
si  dice  l'ai  mia  fam,  «  non  ho  fame  »,  secondo  lo  schema 
lombardo  minga  fam,  e  non,  secondo  quello  piemontese, 
/  l'ai  nen  fam.  A  Casale,  sul  Po,  si  dice  invece,  alla  lom- 
barda, mangia^. 

'  Terracini,  //  dialetto  piemontese  (  =  Terracini),  p.  207  sg.;  De- 
voto, Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  p.  232  sg. 
^  Terracini,  p.  206  sg. 


2  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

I  dialetti  piemontesi  appartengono  al  gruppo  dei  dialetti 
gallo-italici.  Questi  discendono  da  un  latino,  che  in  parte 
è  stato  influenzato  da  coloni  di  lingua  materna  gallica  al 
tempo  della  conquista  romana  (ii  sec.  a.C),  in  parte  dal- 
l'irradiare  di  un  latino  (pronunciato  alla  gallica)  dalla  Cal- 
ila Transalpina,  dove  le  scuole  nei  secoli  iv  e  v  d.C.  ave- 
vano raggiunto  alto  prestigio.  All'una  e  all'altra  delle  due 
forze  risalgono  i  caratteri  gallo-italici  comuni,  per  esempio 
la  caduta  delle  vocali  finali  diverse  da  a,  la  eliminazione 
più  o  meno  spinta  delle  consonanti  occlusive,  l'alterazione 
della  pronunzia  della  n,  che  da  dentale  si  trasforma  in 
gutturale  in  posizione  finale  (p.  es.  man  «  mano  »)  o  «  fau- 
cale  »  all'interno  (p.  es.  lan-a  «  lana  »),  la  dissimilazione 
di  CT  in  HT  (poi  IT  in  piemontese),  le  alterazioni  di  a  e  di 
u  2.  Tuttavia,  in  relazione  alla  Lombardia  e  all'Emilia,  l'im- 
portanza della  seconda  corrente  è  molto  più  grande  della 
prima  sia  perché  il  Piemonte  nell'età  gallica  è  stato  più 
regione  di  transito  verso  la  Lombardia  e  l'Emilia  che  di 
effettiva  colonizzazione;  sia  perché  le  popolazioni  ante- 
riori, preindeuropee  come  i  Liguri,  o  indeuropee  come  i 
Leponzi,  si  sono  in  buona  parte  sottratte  al  processo  di 
gallicizzazione. 

La  colonizzazione  romana  è  stata  relativamente  tardiva. 
Essa  poggia  su  un  triangolo  costituito  da  Tortona  (lat.  Der- 
tona),  fondata  nella  seconda  metà  del  ii  secolo  a.C,  Ivrea 
(lat.  Eporedìà)  del  100  a.C,  Alba  {Alba  Pompeia)  del 
79  a.C*.  A  questo  triangolo,  nucleo  del  futuro  Piemonte, 
facevano  capo  nell'età  imperiale,  e  continuarono  a  far  capo 
P'ù  tardi,  tre  itinerari  da  oriente  e  quattro  da  occidente.  Da 
oriente  si  arrivava  a  Tortona  attraverso  le  vie  Emilia  (da  Ri- 
mini) e  Postumia  (da  Aquileia),  a  Ivrea  da  Vercelli  e  Mila- 
no ^.  Dalla  parte  opposta,  lasciando  da  parte  la  prosecuzione 
da  Tortona  verso  Vada  Sabatia  (Savona)  e  la  strada  costiera 
della  Liguria,  si  giungeva  attraverso  Cuneo  al  colle  della 
Maddalena   in   territorio   provenzale,   da   Alba    a   Torino 

'  Cfr.  W.  V.  Wartburg,  Die  Ausgliederung  der  romanischen  Sprach- 

riiume,  Berna   1950^  p.  34  sgg. 

*  J.   Beloch,   Ròmische   Geschichte,  Berlino   e   Lipsia    1926,  p.   614 

sgg. 

'  E.  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  Torino  1931,  p.  148. 


Piemonte  3 

e  di  là  al  Monginevro  (lat.  Alpis  Cottici),  da  Ivrea  al  Pic- 
colo San  Bernardo  (lat.  Alpis  Graia).  Al  latino  che  ar- 
rivava da  oriente  e  continuava  ad  agire  come  strato  lin- 
guistico superiore,  si  contrapponevano  cioè  correnti  latine 
(più  tardi  neolatine)  risalenti  a  due  diverse  aree,  la  Gallia 
narbonese  e  quella  lugdunense  prima,  la  provenzale  e  la 
francese  poi  ^.  Da  queste  strade  alpine,  frequentemente 
battute  per  le  necessità  imperiali  di  continui  spostamenti 
da  occidente  a  oriente  e  viceversa,  arrivarono  così  in  Pie- 
monte la  pronunzia  ù  per  u,  dando  vita  a  sciir  «  scuro  », 
fus  «  fuso  »,  liim  «  lume  ».  In  aree  montane  appartate  ri- 
spetto alle  correnti  galliche,  questa  ù  arriva  ma  si  afferma 
sotto  condizioni.  Nel  Canavese,  nel  Biellese,  nell'Osso- 
lano  di  fronte  al  maschile  crii  «  crudo  »  si  ha  il  femminile 
cru(v)a,  in  cui  la  presenza  di  una  a  finale  ha  bloccato 
questa  innovazione;  che  è  stata  invece  accolta,  quando 
la  vocale  finale  era  diversa  da  a  e  quindi  destinata  a 
cadere'.  Nel  Piemonte  linguisticamente  più  genuino,  e 
cioè  nel  Monferrato,  soprattutto  meridionale,  si  è  avuto 
invece  uno  svolgimento  ulteriore  della  ù,  che  si  è  spinta 
fino  ai:  fis  «  fuso  »,  lim  «  lume  »  ®. 
Diversamente  dal  toscano,  la  vocale  chiusa  latina  e  ha 
subito  la  dittongazione  in  eì:  belve  «  bere  »,  iella  «  tela  », 
mels  «  mese  »,  salvo  quando  segue  consonante  nasale: 
caden-a  «  catena  »  (non  cadein-a)  ^.  Tipicamente  piemon- 
tese è  la  eliminazione  della  vocale  finale  non  solo,  ma, 
nelle  parole  sdrucciole,  anche  della  consonante  che  la  pre- 
cede quando  sia  n  o  l:  gluvii  «  giovane  »,  termu  «  termi- 
ne »,  riisu  «  ruggine  »,  a  canta  «  essi  cantano  »,  Miin  Vlsu 
dal  latino  Mons  Vesulus  '*'.  La  palatizzazione  di  a  in  e, 
riscontrabile  solo  nell'infinito  dei  verbi  della  P  coniuga- 
zione {cantèr  e  cantè),  viene  a  costituire  un  tratto  distin- 
tivo dal  punto  di  vista  morfologico  '^ 

'  G.  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  Bologna  1944^  p.  302  sgg. 

'  Rohlfs  I,  p.  57  sgg. 

'  Rohlfs  I,  p.  60  sg. 

'  Rohlfs  I,  p.  78  sg.;  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.  103  sg.;   106; 

Terracini,  p.  200. 

'*  Bertoni,  p.  75  sg.;  Terracini,  p.  198. 

"  Rohlfs  I,  p.  39  sg. 


4  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Nel  trattamento  delle  consonanti,  sono  da  considerare  suc- 
cessivamente i  quattro  processi  di  assibilazione  lenizione 
palatalizzazione  velarizzazione.  La  lenizione  è  un  proce- 
dimento comune,  oltre  che  alla  Sardegna,  a  tutta  l'Italia 
settentrionale,  compreso  il  Veneto  (che  non  è  gallo-italico). 
Attraverso  la  lenizione,  le  consonanti  momentanee  sonore 
diventano  continue  o  scompaiono,  le  sorde  diventano  so- 
nore, e  possono  indebolirsi  ulteriormente.  Sottratte  alla  le- 
nizione rimangono  le  consonanti  doppie  ^^. 
La  lenizione  si  distingue  secondo  la  sua  intensità.  C'è  il 
tipo  provenzale  o  sud-occidentale  che  è  più  blando,  c'è 
il  tipo  francese  o  nord-occidentale,  che  è  piìi  spinto.  In 
Piemonte  si  hanno  soluzioni  di  tipo  «  provenzale  »  come 
pudeje  «  potere  »  o  seda  «  seta  »  col  passaggio  della  con- 
sonante sorda  alla  sonora.  Ma  ci  sono  i  tipi  «  francesi  » 
come  sei  «  sete  »,  piiè  «  potare  »,  rua  «  ruota  »,  vel  «  vi- 
tello »  con  la  eliminazione  totale  della  consonante  sorda; 
così,  per  le  consonanti  gutturali,  mania  «  manica  ».  Più 
naturale  è  la  lenizione  totale  delle  consonanti  sonore: 
ciò  «  chiodo  »,  ausi  «  agosto  »,  Siisa  (lat.  Segusium),  rul 
«  rovere  »  (lat.  robiir)  ^^.  Talvolta  lo  iato  che  nasce  tra 
vocali  in  seguito  alla  lenizione  totale  è  eliminato  per  mezzo 
di  una  consonante  continua:  cruva  (da  cruda)  attraverso 
crua,  spiivè  (da  sputare)  attraverso  spuare  ^'*. 
La  assibilazione  è  il  risultato  finale  di  un  processo  nato 
nell'Umbria  (e  accettato  in  Roma  a  partire  dall'età  impe- 
riale), per  il  quale  le  consonanti  gutturali,  davanti  alle 
vocali  E,  I,  assumevano  una  pronuncia  particolare,  pala- 
talizzata ^^  Tuttavia  questo  processo  di  assibilazione  che 
collega  l'Italia  settentrionale  alle  soluzioni  francesi,  è  meno 
spinto  in  Piemonte  che  in  parte  della  Lombardia,  in  Li- 
guria e  anche  nel  Veneto.  La  consonante  sonora  corri- 
spondente, derivi  da  una  serie  latina  ce  oppure  je,  ri- 
mane palatale,  senza  assibilarsi,  secondo  il  tipo  «  proven- 
zale ».  Di  fronte  al  tipo  toscano  gelare  e  quello  italo-set- 
tentrionale zelar,  il  piemontese  gelè  sta  con  l'italiano  (e  il 

'^  Bertoni,  p.  80  sg.;  Terracini,  p.   198. 

"  Terracini,  p.   197  sg. 

"  Rohlfs  I,  p.  473. 

''  G.  Devoto,  La  romanizzazione  dell'Italia  mediana  (ora  in  Scritti 

minori  I,  Firenze  1957,  pp.  287-304),  p.  303. 


Piemonte  5 

provenzale);  il  piemontese  giog  sta  con  il  toscano  «  gioco  » 
e  non  ad  esempio  con  l'emiliano  zog  ^^. 
Nei  gruppi  di  consonante  con  l,  la  palatalizzazione  è  piiì 
forte  nell'Italia  settentrionale  che  in  quella  centro-meri- 
dionale. In  Piemonte  abbiamo  una  soluzione  più  francese 
che  italiana-settentrionale  per  quello  che  riguarda  il  tipo 
urija  «  orecchia  »,  che  si  risolve  sullo  stesso  piano  del  fran- 
cese oreille;  una  soluzione  tipicamente  settentrionale  nel 
tipo  ciamè  «  chiamare  »  con  una  palatalizzazione  più  spinta 
di  quella  della  parola  toscana;  finalmente  una  soluzione 
italiana  (anche  se  non  ligure)  nel  tipo  pian,  con  la  mo- 
derata palatalizzazione  italiana  e  non  con  quella  estrema 
del  ligure  cian  ^^. 

L'ultimo  di  questi  processi  consonantici,  la  velarizzazione, 
si  manifesta  in  Piemonte  con  il  ben  noto  passaggio  dal 
latino  altum  al  piemontese  aut,  che  si  ritrova  in  altre  aree 
lontane  (per  esempio  nelle  regioni  delle  Alpi  orientali  e 
in  Sicilia).  La  velarizzazione  è  una  delle  soluzioni  dei 
gruppi  di  L  con  consonante,  non  la  sola:  accanto  ai  tipi 
aut,  caud,  faus  «  alto  »,  «  caldo  »,  «  falso  »  ci  sono  quelli 
attuati  attraverso  la  vibrante  r:  marva  «  malva  »,  vurp 
«  volpe  »,  sur  e  «  solco  »  ^^. 

Nella  morfologia,  la  distinzione  delle  forme  del  plurale 
e  del  singolare  si  è  notevolmente  indebolita;  essa  si  man- 
tiene solo  con  i  nomi  dal  singolare  in  a  che  hanno  il 
plurale  in  -e:  ròsa,  ròse,  «  rosa,  rose  »  e  nei  nomi  ma- 
schili in  -AL,  -EL:  cavai,  cavai;  capei,  capei  «  cavallo,  ca- 
valli »;  «  cappello,  cappelli  »  ^^.  All'interno  del  Piemonte 
si  distingue  poi  una  zona  orientale  (Vercelli  e  Alessandria) 
che  cambia  in  i  la  desinenza  del  plurale  femminile,  per 
esempio  gambi  «  gambe  »,  fumni  «  donne  »,  scali  «  scale  », 
mentre  la  desinenza  e  si  mantiene  nel  Piemonte  occi- 
dentale 20. 

'*  Rohlfs  I,  pp.  210,  213. 

"  Rohlfs  I,  p.  350;  244  sgg.;  252  sgg.;  Devoto,  L'Italia  dialet- 
tale, p.  114  sgg.;  A  Sepulcri,  Contributo  allo  studio  di  -ci-  inter- 
vocalico nei  dialetti  italiani  settentrionali  in  Silloge  Ascoli,  Torino 
1929,  pp.  445-464. 

"  Bertoni,  p.  91  sgg.;  Rohlfs  I,  p.  342  sgg.;  Terracini,  p.  198. 
"  Terracini,  p.  201. 
^  Terracini,  p.  209. 


6  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

La  semplificazione  delle  desinenze  si  fa  sentire  anche  nel 
sistema  del  verbo.  Tuttavia  rimangono  qui  resti  di  desi- 
nenze in  -s  che  in  italiano  sono  andati  perduti.  Tali  le 
forme  torinesi  t  as,  t  stas  «  hai  »,  «  stai  »  oppure  le  inter- 
rogative cantes-iu?  «  canti?  »  ^'.  Che  un  tempo  queste  de- 
sinenze in  s  fossero  più  diffuse,  è  mostrato  dai  resti  che 
ne  rimangono  sia  a  nord  sia  a  sud  di  Torino:  a  Lanzo 
e  nel  territorio  di  Saluzzo  si  trovano  ancora  oggi  forme 
come  ti  manges,  ti  cantes  «  mangi  »,  «  canti  »  ^.  Per  quel- 
lo che  riguarda  le  altre  desinenze  personali,  il  piemontese 
è  chiaramente  definito  dal  fatto  che  la  prima  persona  plu- 
rale, invece  del  tipo  italiano  centro-meridionale  in  -amo 
e  di  quello  settentrionale  (veneto,  lombardo,  emiliano,  li- 
gure) in  -EMO,  mostra  quello  «  francese  »  in  -uma:  parlu- 
ma,  cantuma  «  parliamo  »,  «  cantiamo  »,  venduma,  ve- 
numa  «  vendiamo  »,  «  veniamo  »,  un  tipo  che  mostra  pro- 
paggini fino  nell'Emilia  occidentale  ^.  Nella  3^  persona  plu- 
rale, la  base  di  partenza  è  -ono,  che  perde,  per  le  ragioni 
dette  sopra,  non  solo  la  vocale  finale  ma  anche  la  conso- 
nante nasale  che  la  precede. 

La  soluzione  piemontese  regolare,  come  in  altri  casi,  non 
si  trova  a  Ivrea,  posta  su  una  grande  via  di  comunica- 
zione, dove  è  attestata  la  forma  centro-meridionale  in  -amo 
(come  in  documenti  antico-genovesi):  càntari  invece  di 
cantuma;  analogamente  alla  3=»  plurale  càntan  invece  di 
cantu  ^*.  Per  quello  che  riguarda  il  condizionale,  il  Pie- 
monte è  la  zona  classica  del  tipo  fìniria  «  finirei  »,  tratto 
non  già  dal  sistema  centro-meridionale  «  finire  più  il  per- 
fetto habui  »  ma  da  quello  «  provenzale  »  «  finire  più  l'im- 
perfetto habebam  con  passaggio  di  e  in  i  »  ^^.  La  conse- 
guenza più  importante  sul  sistema  verbale  piemontese  della 
tendenza  settentrionale  a  eliminare  il  passato  remoto  e  a 
ridurre  le  desinenze,  è  stata  la  valorizzazione  dei  pronomi 
personali  e  anaforici  spesso  ripetuti:  da  questo  derivano 
le  serie  /  diu,  t  disi,  a  dis  «  dico  »,  «  dici  »,  «  dice  »  op- 

^'  Terracini,  p.  202. 

"  Terracini,  p.  208. 

"  Rohlfs  II,  p.  251;  Terracini,  p.  202. 

*♦  Terracini,  p.  210. 

"  Rohlfs  II,  p.  339  sgg.;  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.   123  sgg.; 

Terracini,  p.  203. 


Piemonte  7 

pure  mi  i  l'o  vdiilo  ^,  in  cui  il  soggetto  è  ripartito  tra  l'ele- 
mento tonico  mi  e  l'elemento  ormai  atono  /. 

Nel  campo  del  vocabolario  sono  da  sottolineare  fatti  come 
i  seguenti:  a)  parole  comuni  all'italiano  con  significati  in 
tutto  o  in  parte  diversi:  ciamè  «  chiamare  »,  ma  anche 
«domandare»;  piassa  «piazza»,  ma  anche  «posto»; 
bosc  «  bosco  »,  ma  anche  «  legna  »;  vissi  «  vizio  »,  ma 
anche  «  vezzo  »;  cimtè  «  contare  »,  ma  anche  «  racconta- 
re »  ^^;  b)  parole  legate  piuttosto  al  sistema  francese  che 
a  quello  italiano:  biichèt  (he. bouquet,  it.  mazzo);  giaun 
(frc.  jaune,  it.  giallo);  fumna  (frc.  femme,  it.  donna); 
dòl  (frc.  deuil,  it.  lutto)  ^^;  e)  parole  che  implicano  fron- 
tiere lessicali  all'interno  del  Piemonte;  «  grembiule  »  detto 
scusai,  faudàl;  «  albicocco  »  albicòc,  armugnàn;  «  imbuto  » 
ambussùr,  turtro;  «  scopa  »  scua,  ramassa;  «  melo  »  meir, 
pum;  «  pero  »  peir,  prUs;  «  calzolaio  »  caljé,  savatìn; 
«  soffiare  »  sufjè,  biifè  ^;  d)  parole  tipicamente  piemon- 
tesi: tota  «  ragazza  »,  magna  «  zia  »,  masnà  «  bambino  », 
fardèl  «  corredo  »,  fauda  «  grembo  »,  borgn  «  cieco  », 
meisdabosc  «  falegname  »,  erca  «  madia  »,  vischè  «  ac- 
cendere »  ^. 

L'elenco  può  essere  ampliato  in  parte  attraverso  uno  spo- 
glio dell'Atlante  Italo-Svizzero.  Tra  i  tipi  lessicali  isolati 
nell'ambito  italiano  veniamo  così  a  notare,  oltre  a  brua 
«  sponda  »,  a  dri'iggia,  di  origine  celtica  e  all'oscuro  toma^^ 
parole  ^^  come  cioca  «  campana  »  ^^,  ciorgn  «  sordo  »,  bren 
«  crusca  »  (che  è  però  anche  ligure;  al  femminile  si  ri- 
trova inoltre  nell'Italia  meridionale),  losna,  «  lampo,  ful- 
mine »,  fioca  «  neve  »  un  deverbale  che  si  estende  anche 
alla  zona  lombarda  occidentale),  filma  «  pipa  »  (un  altro 
deverbale),  barma   «  riparo   sotto   roccia  »    (anche   ligure; 

-*  Terracini,  p.  204. 
"  Terracini,  p.  203. 
^'  Terracini,  p.  203  sg. 

^  AIS  carte  1573.  1276,  1331,  1552,  1255,  1256,  207,  936. 
50  AIS  carte  46,  20,  58,  70,  1703,  188,  219,  911. 
"  Bertoni,  p.  8,  6. 

"  MS  carte  788,  190,  257,  392,  378,  760,  424  a,  814,  900.  1088, 
1068,  933. 

"  Grassi,  Per  una  carta  linguistica  delle  varietà  dialettali  piemon- 
tesi (=  Grassi),  p.  79. 


8  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

un  interessante  esempio  di  termine  giunto  ad  oggi  da  età 
remotissima^),  masca  «strega»,  starmè  «nascondere», 
crin  (accanto  a  pors  «  maiale  »)  e  fea  ifeja)  «  pecora  » 
(che  l'etimologia  riporta  chiaramente  al  lat.  feta;  cfr.  feda 
nel  Veneto  orientale  e  nel  Friuli);  infine  brande,  «  alari  », 
un  termine  così  caratteristico  da  meritare  di  essere  scelto 
come  nome  di  una  rivista  dialettale  ^5.  Troviamo  poi  altre 
parole  che  riportano  all'area  linguistica  francese  o  proven- 
zale, o  per  continguità  di  territorio  o  per  derivazione  di- 
retta^: tarma  «lacrima»,  cugè  «coricare»,  fuet  «fru- 
sta »,  crajim  «  lapis  »  e  oj  «  sì  »  ^^,  pois  «  piselli  »  ^  (oc- 
cidentale in  contrapposizione  all'orientale  arhun),  afros 
«  spaventoso  »,  piurè  «  piangere  »;  infine  catè  «  compra- 
re »,  che  però  si  associa,  oltre  che  al  ligure,  anche  al  me- 
ridionale accatta.  Altri  casi  di  opposizione^^  ci  sono  of- 
ferti dall'occidentale  eroe  «  uncino  »  di  fronte  al  rampin 
orientale  che  è  anche  lombardo  e  veneto;  da  tuirè  «  ri- 
mestare »  opposto  a  ride.  Notiamo  infine,  nei  confronti 
dell'italiano,  oltre  a  mastre,  che  è  «  mostrare  »  ma  anche 
«  insegnare  »,  il  tipico  verbo  biitè  «  mettere  »  (il  senso  di 
«  buttare  »  è  dato  invece  in  piemontese  da  campò)  '^. 

Il  dialetto  così  di  Torino  come  di  Alessandria  appare  agli 
occhi  di  Dante  come  turpissimum  «  bruttissimo  »;  ma  Dan- 
te in  certo  modo  lo  scusa  perché  troppo  vicino  metis  «  alle 
frontiere  »  d'Italia  ^K  Che  queste  frontiere  abbiano  per- 
messo la  penetrazione,  non  solo  di  singoli  fatti  linguistici 
di  tipo  provenzale  o  francese,  ma  di  comunità  linguistiche 
compatte  di  tipo  provenzale  o  franco-provenzale,  è  pro- 
vato dalla  situazione  tuttora  esistente  lungo  l'arco  alpino 
da  Vinadio  a  Pragelato  Usseglio  vai  Soana  vai  d'Aosta"*^. 

^^  Cfr.  Battisti  in  Studi  Etruschi  7,  1933,  p.  273. 

"  Cfr.  la  prefazione  a  Pinin  Pacòt,  Poesie  e  pagine  'd  prosa,  Torino 

1957,  p.  XII. 

"  AIS  carte  731,  659,  1243,  764,  1376. 

"  Grassi,  pp.  79  e  81. 

"  Bertoni,  p.  17. 

"  AIS  carte  967  e  1002. 

">  MS  carte  767,   150,   1674. 

*'  De  vulgari  eloquentia  I,  15,  8. 

^^  Cfr.  C.  Grassi,  Correnti  e  contrasti  di  lingua  e  di  cultura  nelle 

Valli  cisalpine  di  parlata  provenzale  e  franco-provenzale,  p.  13  sgg. 


Piemonte  9 

Come  testimonianza  del  dialetto  piemontese  scegliamo 
tre  versioni  di  una  novella  del  Boccaccio  tratte  dal  vo- 
lume /  parlari  italiani  in  Certaldo  di  G.  Papanti^^: 
Da  Torino:  I  dio  dunque,  ch'ai  temp  del  prim  Re  de  Cipri, 
dop  che  GioufTrè  de  Bojon  a  l'a  conquista  la  Tera  Santa, 
l'è  arivà,  che  'na  fumna  de  bona  famia  de  Guascogna  a 
l'è  andaita  an  pelegrinage  al  Sepolcro;  e  al  ritorn,  arivà 
a  Cipri,  l'è  staita  insulta  vilanament  da  certi  birbant.  Chila, 
lamentandse  tiita  disperà,  a  l'a  pensa  d'andene  a  ciamè 
sodisfasion  al  Re.  (A  cura  di  Carlo  Baudi). 
Da  Novara:  I'  disi  donca,  che  in  ti  temp  del  prim  Re  d' 
Cipri,  dopo  che  Gottifré  d'  Buglion  l'avù  guadagnàa  la 
Terra  Santa,  ghè  capitàa  che  ouna  dona  nobila  d'  Guasco- 
gna, apena  visitàa  par  divossion  al  S.  Sepolcar,  a  s'è  mitù 
in  viagg  par  tornàa  a  ca'  souva.  Rivàa  a  Cipri,  l'han 
offendi!  propi  da  vilan  certi  personi  tristi  coum'è  '1  pecàa 
mortai:  lee  s'è  ben  lamentàa  subit,  ma  nissun  gh'aveva  da 
podèe  jutàla,  e  nissun  saveva  gnanca  consolala  in  t'ouna 
quai  manera.  (A  cura  di  Giovanni  Martelli). 
Da  Murazzano:  (Langhe.  Dialetto  rustico):  Iv  count  doun- 
ca  eh'  an  ti  teimp  der  prim  Re  d'  Cipri  dop  ra  counquista 
fàccia  dra  Terra  Santa  da  Gottifré  d'  Buglioun,  a  re  capita 
che  'na  gentil  sgnoura  d'  Guascogria,  a  re  andaccia  ar 
Sepoulcrou,  da  danda  tournand  arriva  'n  Cipri,  da  certi 
omnazzoun  scellerà  a  re  stàccia  villanament  armnà:  dra 
qual  cosa  lamentandse  seinza  esse  ant  gnunne  manèra 
counsoulà,  a  re  pensa  d'éndesne  a  countélo  al  Re.  (A  cura 
di  Luigi  Drochi). 

E  aggiungiamo  una  strofa  di  Angelo  Brofferio*' 
I  Bougianen  an  dio: 
(Gli  imperturbabili  hanno  detto): 
Famosa  novità! 
Già  tuti  a  lo  savio 
Da  dui  mil  ani  n'sa. 
Riputassion  frane  giusta: 
Sul  Po,  sul  Var,  sul  Ren, 
A  l'è  na  storia  frusta 
Che  noi  bougiouma  nen  (che  noi  non  ci  spostiamo). 

"'  Rispettivamente  a  p.  502  sg.;  320  sg.;  203. 

"  A.  Brofferio,  Canzoni  piemontesi,  nuova  ediz.  Milano  1914,  p.  208. 


LIGURIA 


L'area  dialettale  ligure  è  alquanto  più  ampia  della  circo- 
scrizione amministrativa.  Verso  occidente  essa  comprende 
il  territorio,  attualmente  francese,  di  Tenda  e  adiacenze, 
verso  settentrione  scavalca  il  crinale  appenninico,  per  esem- 
pio a  Garessio  nella  valle  del  Tanaro,  a  Novi  Ligure  in 
quella  della  Scrivia,  a  Bedonia  in  quella  del  Taro,  mentre 
a  oriente  coincide  pressappoco  con  i  confini  amministra- 
tivi rispetto  ai  dialetti  emiliani  della  vai  di  Magra  (ammi- 
nistrativamente in  Toscana),  e  li  sopravanza  infine  di  una 
decina  di  chilometri  alla  frontiera  del  torrente  Frigido, 
presso  Massa  ^ 

I  dialetti  liguri  appartengono,  come  quelli  emiliani,  lom- 
bardi e  piemontesi,  al  gruppo  dei  dialetti  gallo-italici.  Si 
distinguono  però  dai  tre  altri  citati,  sia  perché  i  caratteri 
gallo-italici  sono  meno  vistosi,  sia  perché  non  dipendono 
da  una  diretta  influenza  gallica  ma  da  correnti  e  influenze 
che  hanno  premuto  dalla  valle  padana.  Presa  in  sé,  la 
Liguria  non  è  mai  stata  gallica.  La  lingua  indoeuropea 
che  vi  si  parlava  prima  dell'arrivo  dei  Romani  è  detta 
«  leponzia  »  ^. 

II  processo  di  romanizzazione  è  stato  tardivo  e  superfi- 
ciale. Il  periodo  bellico  si  conclude  nel  180  a.C.  con  la 
deportazione  nel  Sannio  dei  Liguri  Bebiani  e  Corneliani. 
Di  una  colonizzazione  non  si  può  parlare  fino  all'età  augu- 
stea,  anche  se  i  primi  contatti  dei  Romani  con  Genova 
risalgono  allo  sbarco  di  Cornelio  Scipione  nel  218  a.C, 
quando,  proveniente  dalla  Spagna,  si  dirigeva  verso  la 
valle  padana^.   L'evento  decisivo  per  l'inserimento  della 

'  N.   Maccarrone,   Di   alcuni   parlari   della   media   Val   di   Magra, 

A.G.I.  19,  1923,  pp.   1-128. 

^  G.  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  Firenze   1967,  pp.  49  sg.;  66.  Cfr. 

ora  il  lavoro  di   M.   Lejeune,   Lepontica,   Parigi    1971. 

^  E.  CuROTTO,  Liguria  antica,  Genova  1940,  p.  66  sgg. 


Liguria  1 1 

Liguria  nella  romanità  è  rappresentato  dalla  via  Postumia, 
aperta  nel  148  a.C,  che  collegava  Genova  con  Tortona 
e  Piacenza.  Di  qui,  con  la  via  Emilia  si  raggiungeva  Ri- 
mini; donde  la  via  Flaminia  conduceva  a  Roma.  Qua- 
rant'anni  dopo  veniva  aperta  la  via  Aemilia  Scauri,  piiì 
o  meno  corrispondente  all'attuale  Aurelia,  con  lo  scopo  di 
congiungere  la  Liguria  con  l'Etruria  e  quindi  con  Roma 
per  la  via  più  diretta  ''. 

Anche  se  non  influenzata  direttamente  dalla  cultura  gal- 
lica, la  latinità  ligure  rimane  una  latinità  settentrionale.  Le 
forze  centrifughe,  per  quanto  non  favorite  dalla  gallicità 
soltanto  indiretta  che  si  è  detto,  si  sono  fatte  sentire  in 
altro  modo:  la  latinità  ligure,  quale  si  conserva  oggi,  è 
una  delle  più  deformate,  e,  osiamo  dire,  barbariche  ^. 
Gli  esempi  della  gallo-italicità  affermatasi  anche  in  Li- 
guria sono  i  seguenti:  la  ù,  al  posto  della  u  lunga  latina 
così  accentata  come  atona:  briitu  «  brutto  »  lat.  brutus; 
fUmaea  «  nebbia  »  (cioè  «  fumara  »);  la  ò  di  fronte  al 
dittongo  italiano  uo:  nova  per  «  nuovo  »,  ovii  per  «  uovo  »; 
il  dittongo  Ei  per  e  chiusa:  beive  «  bevere  »,  peive  «  pe- 
pe »  ^.  Manca  invece  il  passaggio  di  a  in  e  negli  infiniti, 
in  cui  si  dice  lava  «  lavare  »  di  fronte  all'emiliano  lavar 
o  al  piemontese  lave.  La  -n-  intervocalica  è  pure  pronun- 
ciata faucale,  lan-a'^. 

La  lenizione  delle  consonanti  si  accompagna  negli  altri 
dialetti  gallo-italici  all'eliminazione  delle  vocali  finali  di- 
verse da  -A,  e,  per  conseguenza,  a  minori  occasioni,  per 
le  consonanti,  di  trovarsi  nella  fragile  posizione  intervoca- 
lica. I  casi  in  cui  nei  dialetti  liguri  si  perdono  le  vocali 
sono  solo  quelli  delle  finali  -no  -ne  -ni:  san  «  sano  », 
can  «  cane  »,  sen  chen  «  sani,  cani  »  *.  Da  -mo  -mi  si  ha 
invece  ramu  «  ramo  »,  liime  «  lume  »,  rami,  liìmi  «  rami. 


*  E.  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit,  p.  148. 

'  Devoto,  L'Italia  dialettale,  passim. 

'  V.  Piemonte  pp.  2;  3.  Cfr.  inoltre  Ascoli,  Del  posto  cìie  spetta  al 

ligure   nel   sistema   dei   dialetti   italiani   (•—    Ascoli),   p.    113    sgg.; 

Parodi,  //  dialetto  moderno  di  Genova  (Y  parte  di  Studi  liguri) 

A.G.I.  16,  p.  108  sgg.  (=  Parodi  A.G.I.  16). 

'  Rohlfs  I,  p.  312;  Ascoli,  p.  127  sg. 

'  Parodi  A.G.I.  16,  p.  133  sg.  Egli  aggiunge  i  casi  di  caduta  dopo  r. 


12  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

lumi  ».  Notiamo  la  vocale  finale  -u,  di  fronte  all'italiano 
o,  come  desinenza  nei  verbi  e  nei  sostantivi^. 
La  caratteristica  fondamentale  dei  dialetti  liguri  è  invece 
quella  di  un  violento  squilibrio  a  danno  delle  articola- 
zioni consonantiche,  di  numerose  occasioni  di  incontri 
tra  vocali  incompatibili,  e  quindi  di  una  stioittura  di  pa- 
role quanto  mai  lontana  da  quella  che  era  la  base  di  par- 
tenza latina. 

Da  questi  incontri  di  vocali  nascono  dittongazioni  nuove, 
energiche  contrazioni  e  persino  spostamenti  della  sede 
dell'accento  da  vocali  di  colorito  più  scuro  verso  vocali  di 
colorito  piti  chiaro.  I  dialetti  liguri  più  di  altri  possono 
dare  l'impressione  di  una  Babele  fonetica. 
Agli  inconvenienti  della  lenizione  consonantica  si  aggiun- 
gono quelli  dell'unificazione  delle  consonanti  liquide  r  e  l 
in  posizione  intervocalica,  e  della  successiva  caduta,  con 
altre  numerose  occasioni  di  incontri  e  adattamenti  di  vo- 
cali: aa  «  ala  »,  attraverso  ara,  caa  «  cara  »,  miia  dal  lat, 
matura  con  la  doppia  lenizione  totale  di  -t-  e  -r-  inter- 
vocalici ^°. 

Spostamenti  dell'accento  si  hanno  in  mèistru  per  «  mae- 
stro »  in  una  successione  fonetica  opposta  al  tipo  toscano, 
in  mòula  per  «  midolla  »  o  réisge  per  «  radice  »,  in  se- 
guito alla  lenizione  ligure  della  -d,  in  màiu  per  «  mari- 
to »  con  la  doppia  eliminazione  della  r  e  del  t,  in  maina  e 
màusgi  per  «  marina  »  e  «  marosi  »  in  seguito  alla  caduta 
della  -R-.  Gli  spostamenti  di  accento  possono  essere  an- 
che progressivi,  per  esempio  in  zuénu  per  «  giovane  »  ^^ 
Importantissime  sono  le  contrazioni  con  la  conseguente 
pronuncia  di  vocali  allungate:  mègu  per  «  medico  »,  cègu 
per  «  chierico  »;  bàgìu  per  «  sbadiglio  »,  propriamente  da 
un  tema  del  latino  volgare  (ex)bataclo,  sèsgia  per  «  ci- 
liegia »  ^2. 

La  fragilità  delle  consonanti  nei  dialetti  liguri  appare  at- 
traverso la  storiella  del  toscano  e  del  genovese  che  gareg- 
giano nel  pronunciare  frasi  con  scarso  numero  di  conso- 

'  Bertoni,  p.  88  sgg.;  Rohlfs  1,  p.  306  sg.;  Petracco  Sicardi,  /  dia- 
letti liguri  (—  Petracco  Sicardi),  p.  85. 
'*  Rohlfs  I,  p.  441;  Petracco  Sicardi,  p.  88. 
"  Parodi  A.G.I.  16,  p.  120  sgg. 
'^  Bertoni,  p.  73  sg. 


Liguria  13 

nanti.  Il  toscano  dice:  io  vidi  un'aquila  volare,  e  cioè 
pronuncia  una  frase  con  meno  consonanti  che  vocali. 
Il  genovese  risponde:  a  èia  e  ae?  «  aveva  le  ali?  »,  senza 
nessuna  consonante.  Naturalmente  l'influenza  della  lin- 
gua letteraria  annacqua  i  caratteri  dialettali  piiJ  spinti 
e  oggi  si  sente  dire  invece:  a  l'aveiva  e  ae?  con  tre  con- 
sonanti. 

A  questi  procedimenti  che  scuotono  a  catena  tutto  il  si- 
stema fonetico  ligure  si  accompagnano  novità  casalinghe, 
di  scarsa  portata  in  sé,  ma  che  snaturano  l'aspetto  dei  dia- 
letti non  più  in  direzione  gallo-italica  e  settentrionale  ma 
occidentale  (provenzale)  e  meridionale  (siciliana). 
La  palatalizzazione  è  caratteristica  dei  dialetti  liguri  per 
più  di  un  motivo.  Nei  gruppi  con  l  preceduta  da  conso- 
nante gutturale,  essa  segna  il  normale  svolgimento  setten- 
trionale che  a  sua  volta  spinge  a  risultati  estremi  una 
tendenza  già  presente  nel  toscano.  In  toscano  dai  gruppi 
con  CL-  GL-  si  ha  chiamare,  ghianda;  nei  dialetti  liguri, 
come  negli  altri  settentrionali,  si  ha  ciamà,  gianda.  Quando 
si  hanno  i  gruppi  con  consonante  labiale,  si  spezza  invece 
ogni  legame  così  col  toscano  come  con  i  dialetti  gallo-ita- 
lici: di  fronte  alle  coppie  rispettivamente  toscane  e  gallo- 
italiche di  piano  /  pian,  bianco  /  bianc,  i  dialetti  liguri 
mostrano  cian,  giancu,  con  un  procedimento  che  non  ha 
paralleli  se  non  in  Sicilia  e  in  altre  aree  del  Meridione  '^. 
Nella  sorte  del  latino  factus  si  hanno  tre  soluzioni:  la 
toscano-emiliano-veneta  in  fa(t)to,  quella  lombarda  e  pro- 
venzale in  fac'  e  quella  di  tipo  francese  e  piemontese  fait, 
che  si  presenta  nei  dialetti  liguri  antichi  nella  forma  faitu 
e  in  quelli  moderni  con  la  contrazione  fatu.  Analoga- 
mente di  fronte  all'italiano  notte  e  al  lombardo  noe'  si  è 
avuto  in  Liguria  prima  noite,  oggi  note  ^*. 
Finalmente  ci  sono  casi  in  cui  elementi  palatali  o  pala- 
talizzati provocano  il  processo  opposto  della  labializzazio- 
ne. Il  gruppo  latino  -tr-  rimane  in  italiano  sostanzialmente 
intatto,  anche  se  talvolta  lenito  in  -dr-:  padre,  madre.  Nei 
dialetti  liguri,  secondo  uno  schema  di  tipo  provenzale,  si 

"  Ascoli,  pp.  122  sgg.;  155;  157  sgg.;  Petracco  Sicardi,  pp.  85;  88. 
Cfr.  Campania  p.  115;  Sicilia  p.  146. 
^  Bertoni,  p.  94  sg.;  Rohlfs  I,  p.  366. 


14  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

ha  un  primo  passaggio  a  paire,  maire;  in  seguito  a  questa 
palatalizzazione  si  ha  la  reazione  labializzante  puaire, 
miiaire,  che,  con  la  caduta  della  -r-  e  conseguente  con- 
trazione genera  le  forme  attuali  paci,  muà  '^.  Questo  av- 
viene anche  nel  caso  di  altre  palatalizzazioni:  man,  che 
al  singolare  non  è  né  palatalizzata  né  labializzata,  ha  il 
plurale  metafonetico  muén  che  ha  subito  entrambi  i  proces- 
si. Genova  è  il  centro  che  determina  il  tipo  ligure  con  le  sue 
energiche  innovazioni  irradiantisi  più  o  meno  lontano. 
A  occidente,  per  esempio  a  Pigna  (prov.  di  Imperia),  sono 
refrattari  alle  vocali  miste  dei  tipi  ò  ù,  ma  non  le  rifiutano 
pregiudizialmente.  Ne  risulta  l'inquadram^ento  nella  serie 
di  E  i:  tali  i  casi  di  ceve  «  piove  »  che  a  Genova  è  dove, 
evu  «  uovo  »  che  a  Genova  è  òvu;  fimu  «  fumo  »  che  a 
Genova  è  fiime;  frita  «  frutta  »  che  a  Genova  è  friita  '^. 
Analogo  è  il  caso  che  si  riscontra  alla  Spezia,  dove  si 
dice  fegu  invece  di  fògu  «  fuoco  »  ". 
Ma,  al  di  là  della  Spezia,  a  Sarzana  e  adiacenze,  non  si 
tratta  più  di  incapacità  involontaria  ad  accogliere  il  tipo 
genovese,  bensì  si  hanno  attivissime  le  pressioni,  da  una 
parte  toscane,  dall'altra  emiliane,  e  quindi  non  solo  as- 
senza di  vocali  miste  ma  minor  lenizione  e  minor  palata- 
lizzazione. Nel  territorio  di  Sarzana  si  dice  roda  invece 
di  róa  «  ruota  »,  mesura  invece  di  mesiia  «  misura  »;  foga 
invece  dello  spezzino  jegu  e  del  genovese  jógu  «  fuoco  »; 
si  ha  rabia  e  pìanze  invece  del  genovese  ragia  e  danze, 
come  nei  dialetti  emiliani  '^.  Solo  con  questi  ultimi  vanno 
d'accordo  le  cadute  di  vocali  protoniche  e  le  eventuali 
metatesi  come  nei  casi  di  vrità  di  fronte  al  genovese 
veità  «  verità  »  o  armendo  dì  fronte  al  genovese  ramendu 
«  rammendo  ». 

Per  la  morfologia  bastano  solo  poche  annotazioni,  nel 
grande  quadro  dei  dialetti  gallo-italici.  Si  nota  qualche 
cambiamento  di  declinazione  rispetto  all'italiano,  per  esem- 

'^  Rohlfs  I,  pp.  35;  419  sg.;  Ascoli,  pp.   129  sg.;   153;  Petracco 

SlCARDI,   p.   88. 

'*  Merlo,    Contributo    alla    conoscenza    dei    dialetti    della    Liguria 

odierna,  p.  24  sgg. 

"  Merlo,  Appunti  sul  dialetto  della  Spezia,  p.  214. 

"  Bottiglioni,  Dalla  Magra  al  Frigido,  p.  102  sgg. 


Liguria  15 

pio  di  pesciu  rispetto  a  «  pesce  »  o  fiime  rispetto  a 
«  fumo  »  *^.  Ma  il  carattere  più  importante  della  morfo- 
logia ligure  è  dato  dall'impiego  della  metafonia  a  scopi  \^ 
morfologici,  che  si  associa  alle  desinenze  normali  o  anche 
le  surroga.  Il  plurale  tradizionale  di  «  grande  »  è  grendi 
con  una  metafonia  di  a  in  e  non  essenziale.  Vistosa  ma 
ancora  non  essenziale  dal  punto  di  vista  morfologico  è  la 
metafonia  nel  caso  di  plurali  cacìuéi,  pescuéi,  «  caccia- 
tori »,  «  pescatori  »  di  fronte  ai  rispettivi  singolari  caciòu, 
pescòu  ^*'.  Tipico  esempio  di  metafonia,  essenziale  per  di- 
stinguere il  plurale  dal  singolare,  è  invece  quella  di  chen, 
sen,  «  cani  »,  «  sani  »,  di  fronte  ai  rispettivi  singolari  can, 
san  ^'.  Che  questi  risultino  da  una  contrazione  con  la  i 
finale  per  così  dire  anticipata  è  mostrato  dai  tipi  buìn, 
carbuìn,  «  buoni  »,  «  carboni  »,  che  si  distinguono,  senza 
che  si  abbia  contrazione,  dai  singolari  corrispondenti  biin, 
carbùn. 

Nella  morfologia  del  verbo  influisce  fortemente  lo  svol- 
gimento dei  pronomi  personali  che  seguono  un  anda- 
mento parallelo  a  quello  dei  dialetti  gallo-italici,  sia  pure 
con  una  maggior  moderazione.  Difatti  il  paradigma  del 
presente  di  una  locuzione  verbale  come  «  far  rabbia  »  è 
in  genovese  vincolata  alla  presenza  del  pronome  personale 
solo  in  due  persone  del  verbo:  fasu  ragia,  ti  fa  ragia, 
u  fa  ragia,  femu  ragia,  fa  ragia,  fan  ragia. 

Nel  vocabolario  sono  in  prima  linea  le  parole  tipicamente 
liguri,  tra  le  quali  sovrasta  mugugno,  ormai  penetrato 
anche  nella  lingua  letteraria.  Seguono  fra  i  termini  di 
parentela  fra  «  fratello  »  equivalente  a  «  frate  »,  so  «  so- 
rella »  equivalente  a  «  suor  »,  fantin,  fantin-a  «  celibe, 
nubile  »  ;  fra  i  mestieri  e  oggetti  banca,  che  faticosamente 
resiste  alla  penetrazione  del  tipo  toscano  falegname, 
già  presente  all'altezza  di  Chiavari;  masacàn  «muratore», 
anch'esso  ormai  insidiato  dal  tipo  toscano,  biigota  «  bam- 
bola »,  mandilu  «  fazzoletto  »,  fi  feretu  «  fìl  di  ferro  », 
beu  «  canaletto  di  irrigazione  »;  fra  i  termini  correnti 
quei    «voglia»,    brigua    «pustola»,    ciatu    «  pettegolez- 

"  Rohlfs  II,  p.  14. 
^  Cfr.  AIS  carta  518. 
^'  Rohlfs  I,  p.  43  sg. 


16  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

zo,  chiacchiera  »,  a  bretiii  «  a  catafascio  »,  véi  «  ieri  », 
asci  «  anche  »  ^. 

Altre  parole  si  estendono  anche  a  occidente  e  settentrione 
verso  il  Piemonte  e  il  lago  Maggiore,  talvolta  fino  ai  ter- 
ritori ticinesi  e  ladini:  sògìa  «  giovedì  »,  caga  equiva- 
lente a  un  latino  caligarius  «  calzolaio  »,  cìavélu  «  fo- 
runcolo »  ^. 

Altre  gravitano  piuttosto  verso  l'A.ppennino  emiliano  e 
il  territorio  lombardo,  con  documentazione  più  o  meno 
ricca:  asetàse  «  sedersi  »,  insù  «  manomettere  »,  la  parola 
resa  celebre  da  Balilla  nella  formula:  che  l'insel-,  bulìtigu 
«  sollecito  »,  barba  «  zio  »,  fera  «  (fabbro)  ferraio  »  ^^. 
Parole  dialettali  che  hanno  connessioni  piiì  lontane  sono 
acatà  «  comprare  »,  anche  meridionale,  e  toa  «  tavola  » 
nel  senso  di  «  asse  »,  che  si  trova  anche  nella  Toscana 
costiera  (non  nella  interna)  oltre  che  in  altre  aree  del- 
l'Italia centrale^. 

Come  esempi  di  parole  di  origine  araba  si  possono  ri- 
cordare méizou  «  mèsero,  scialle  da  donna  »,  dall'arabo 
mizar;  macramè  «  asciugamani  »  dall'arabo  mahrama;  mi- 
scimìn  «  albicocca  »  alle  ali  estreme,  nella  Liguria  occi- 
dentale e  orientale,  di  fronte  al  genovese  bricòcalu,  in- 
fine l'esclamazione  di  festa  scialla  sciallal  ^^. 

I  dialetti  liguri  sono  fortemente  cambiati  dal  Medioevo  in 
poi.  Dante  gli  rimprovera  l'eccessiva  quantità  di  z,  delle 
quali  però  sopravvivono  oggi  solo  le  -s-  sonore  del  tipo 
«  rosa  »  e  non  le  z  vere  e  proprie  di  «  zero  »,  «  zona  », 
«  mezzo  »,  «  tozzo  »  ^''. 

Basta  del  resto  una  citazione  di  genovese  antico,  perché 
noi  moderni  si  abbia  l'impressione  di  un  testo  arieggiante 
al  veneziano,  dal  quale  invece  il  genovese  odierno  è  lon- 

"  Cfr.  AIS  carte  13,  14,  219,  750,  1553,  1426,  349. 
"  AIS  carte  332  e  207. 
-'  AIS  carte  662,  19,  213. 
"  AIS  carte  822  e  556. 

^*  Cfr.  G.  B.  Pellegrini,  Contributi  allo  studio  dell'influsso  arabo 
in  Liguria,  in  Miscellanea  Storica  Ligure  2,  1961,  pp.  17-95  (cfr.  le 
pp.  33  sg.;   57). 

"  De  vulgari  eloquentia  I,  13,  5.  Cfr.  G.  Parodi  Dante  e  il  dia- 
letto genovese  in  Dante  e  la  Liguria,  Milano  1925,  pp.  3-15  e  Vi- 
Dossi,  L'Italia  dialettale  fino  a  Dante,  p.  L. 


Liguria  17 

tanissimo.  Ecco  dei  consigli  sul  prender  moglie  dal  codice 
di  un  Anonimo  del  xiii-xiv  secolo  ^*: 
«  Quatro  cosse  requer  /  en  dever  prender  moier:  /  zo 
e  saver  de  chi  el  e  naa;  /  e  comò  el  e  acostuma;  /  e  la 
persona  dexeiver  (addirvi);  /  e  dote  conveneiver.  /  Se  que- 
ste cosse  gè  comprendi,  /  a  nome  de  De  la  prendi  ». 
Sullo  svolgimento  dei  dialetti  liguri,  Genova  ha  esercitato 
da  prima  un'influenza  unificatrice,  ma  innovatrice,  cen- 
trifuga rispetto  al  toscano.  Le  aree  liguri  della  periferia 
occidentale  e  orientale  sono,  come  si  è  visto,  assai  più  con- 
servatrici. Ma  Genova  si  è  aperta  ben  presto  anche  alle 
influenze  toscane  e  uno  spirito  conservatore  come  Paolo 
Foglietta,  frateflo  dello  storico  Uberto  Foglietta,  lo  la- 
menta così  ^: 

Ri  costumi  e  re  lengue  hemo  cangie 
puoe  che  re  toghe  chiù  n'usemo  chie 
che  «  galere  »  dighemo  a  re  garìe 
e  «  fradelli  »  dighemo  a  nostri  fré. 

E  «  scarpe  »  ancon  dighemo  a  ri  cazé 
e  «  insalatin-a  »  a  l'insisamme  assie 
Sì  che  un  vegio  zeneize  come  mie 
Questi  Tuschen  no  intende  a  zeneizé. 

Essi  sono  da  parafrasarsi  così:  «  I  costumi  e  le  lingue 
abbiamo  cambiati  /  da  quando  qui  non  usiamo  più  le 
toghe  /  e  invece  di  garìe  diciamo  «  galee  »  /  e  invece  di 
frè  diciamo  «  fratelli  ».  /  E  «  scarpe  »  diciamo  ai  calzari  / 
e  «  insalatina  »  all' insisamme  (insieme  di  cose  tagliate),  /  sì 
che  un  vecchio  genovese  come  me  /  non  comprende 
questi  toscani  nel  loro  genovesizzare  ». 
Da  cinquant'anni  termini  della  lingua  letteraria,  tecnica, 
sindacale,  penetrano  nei  dialetti  liguri  come  in  tutti  gli 
altri  dialetti  italiani,  rendendoli  meno  caratteristici.  An- 
che la  fonetica  ne  risente:  oggi  si  dice  avéiva  invece  di 
èia,  fiure  invece  di  sciù,  marìii  invece  di  màiu,  ziivenu 
invece  di  zuénu. 


"  Pubblicata  in  A.G.I.  2,  1876,  p.  266  sg.  (a  cura  di  N.  Lagomag- 

giore). 

"  Le  strofe  sono  riportate  da  G.  Flechia  in  A.G.I.  8,  1882-85,  p.  362. 


18  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

La  pronuncia  italiana  dei  liguri  risente  invece  non  solo 
dei  caratteri  generali  gallo-italici  come  la  ripugnanza  per 
le  consonanti  doppie  e  le  z  sia  sorde  che  sonore,  ma  so- 
prattutto di  quello  speciale  accento  musicale  sorto  accanto 
alle  vocali  allungate.  Esso  ha  condotto  a  una  pronuncia 
più  acuta  delle  vocali  protoniche,  cui  segue  una  into- 
nazione discendente  dalle  toniche  e  postoniche.  Aveva 
si  pronuncia  con  a  ascendente,  seguita  da  -veva  discen- 
dente. 

Ed  ecco  alcuni  esempi  di  dialetto  ligure  di  quattro  località 
da  occidente  verso  oriente,  tratti  come  al  solito  dai  Parlari 
italiani  in  Certaldo  di  G.  Papanti^": 
Da  Taggia  (Imperia):  Mi  dunca  digo,  che  inte  chei  tempi 
ch'u  gh'eira  u  prumo  Re  de  Zipri,  dopo  che  Gotifrè  de 
Buglion  ha  faito  a  conchista  de  Terra  Santa,  u  l'è  seghìo, 
ch'una  rica  femena  de  Gascogna  a  se  n'è  andaita  in  pe- 
legrinaggio  au  Santo  Supercru;  e  cando  a  se  ne  vegniva, 
arrivàa  in  Zipri,  da  certi  birboi  d'orni  i  ghe  son  staiti  faiti 
degli  affronti  con  maineire  da  vilai.  Per  chesta  cousa  essa 
arraggiandose,  e  non  sapendo  darse  paxe,  a  la  pensao 
d'andaasene  a  laumentàa  da  u  Re  (A  cura  di  Bonaven- 
tura Viani). 

Da  Sas sello  (Savona):  A  diggo  dunque  ch'ai  tempi  der 
primm  Re  'd  Cipro,  dopo  che  Goffredo  l'eiva  conquista 
ra  Téra  Santa,  l'è  successo  ch'una  damma  'd  Guascogna 
r'  è  andà  an  pelegrinaggio  au  S.  Sepoulcro,  e  an  tou 
ritorno  arriva  a  Cipro,  da  zerti  carognoui  r'è  sta  tratà 
coum  una  béstia;  ounde  inconsolabile  an  toù  so  dourou, 
r'à  pensa  'd  fénan  una  lamenta  au  Re.  (A  cura  di  Antonio 
Buonfiglio). 

Da  Chiavari  (Genova):  Diggo  donque,  che  a-i  tempi  do 
primmo  Rè  de  Cipro,  doppo  a  conquista  faeta  da  Taera 
Santa  da  Goffreido  da  Baglion,  l'è  successo  che  unna 
scignòa  de  Goascogna  a  l'è  andéta  in  pellegrinaggio  a-o 
Santo  Sepulcro,  e  ne-o  torna  de  là,  quando  a  l'è  arriva  in 
Cipro,  a  l'è  staeta  piggià  a-o  lò-o,  e  matrattà  da  certi  cat- 
tivi suggetti.  Laé  desgustà,  perchè  da  nisciun  a  l'éa  com- 

^  Rispettivamente  alle  pp.  364  sg.;  254  sg.;  229  sg.;  233  sg. 


Liguria  19 

patìa,  a  l'à  pensoù  d'andàsene  da-o  Re  »  (a  cura  di  Pietro 
Emanuele  Devoto). 

Da  Sarzana  (La  Spezia)  :  «  Ar  tempu  der  primu  Re  de 
Cipru,  dopu  che  Gufredu  i  a  avù  pigia  Tera  Santa,  la  gh'è 
sta  na  dona  de  Guascogna,  che  arturnandu  dar  Santu 
Sepulcru,  dove  l'era  andà  en  plegrinagiu,  quand  la  fu  arivà 
a  Cipru  zerti  orni  pogu  de  bon  i  l'an  ufesa  propriu  da 
vilan  ».  (A  cura  di  Achille  Neri). 

Accanto  a  queste  leggiamo  la  diciannovesima  Tavoletta 
dell'Esopo  Zeneise  di  Martin  Piaggio  ^^: 

Unn-a  musca  de  stae  (estate),  stanca  e  affanà. 
In  sce  come  d'un  beu  a  s'andò  a  posa, 
E  a  ghe  disse:   «  Se  mai  te  peisu  troppo 
Dimmeo  che  me  ne  vaddo  de  galoppo 
Sciolla  (stupida)  rispose  u  beu,  ti  me  fae  rie. 
E  chi  saveiva  che  ti  fosci  chie? 


^'  M.  Piaggio,  Poesie,  Genova  1887,  p.  50. 


LOMBARDIA 


L'area  dialettale  lombarda  non  corrisponde  esattamente 
alla  circoscrizione  amministrativa.  A  occidente  manda  pro- 
paggini in  Piemonte  dove  a  Vercelli  per  «  non  ho  fame  » 
si  dice  alla  lombarda  /  Vài  mia  jàm,  invece  dì  i  Vài 
nen  fam  e  a  Casale,  per  «  mangiare  »,  pure  alla  lombarda, 
mangia  (anziché  mangè)  ^  A  settentrione  l'area  dialettale 
lombarda  occupa  praticamente  la  Svizzera  cisalpina  con 
l'intero  Canton  Ticino,  le  valli  grigionesi  Calanca  Mesol- 
cina  Bregaglia  e  di  Poschiavo.  A  est  invade  il  Trentino 
sudoccidentale,  teoricamente  fino  a  Trento,  dove  però 
sente  duramente  l'influenza  veneta.  Più  a  sud  il  confine 
dialettale  corrisponde  a  quello  naturale.  Lago  dì  Garda  e 
Mincio^.  Fra  il  Mincio  e  il  Ticino  il  confine  meridionale 
dei  dialetti  lombardi  è  invece  arretrato  rispetto  al  confine 
amministrativo:  Mantova  è  territorio  originariamente  emi- 
liano, in  parte  soggetto  oggi  a  influenze  venete  ^,  mentre 
Pavia,  pure  originariamente  emiliana,  risente  delle  in- 
fluenze milanesi.  Nell'Oltrepò  pavese  vengono  in  contatto 
le  aree  piemontese  e  emiliana  "*. 

Oltre  che  poco  corrispondenti  alle  amministrative,  le  fron- 
tiere dialettali  sono  in  genere  poco  nette.  I  dialetti  lom- 
bardi sono  tipici  dialetti  «  gallo-italici  »  e  cioè  influenzati 
da  tradizioni  preromane  e  romane  risalenti  alla  Gallia, 
senza  le  punte  estreme  degli  infiniti  come  mangè  o  dei  tipi 
pdder  «  padre  »  e  senza  la  caduta  delle  vocali  atone  prima 
dell'accento  quale  appare  nell'emiliano  stmana  o  nel  pie- 
montese tnì,  rispettivamente  per  «  settimana  »  e  «  tenére  ». 


'  Cfr.  Piemonte  p.  1. 

^  Merlo,  /  dialetti  lombanli  (=  Merlo),  p.  2. 

'  C.  Battisti,  //  confine  dialettale  lombardo-mantovano-emiìiano  in 

rapporto  alle  variazioni  storiche  del  tronco  medio  del  Po,  R.L.R.  9, 

1933,  pp.  195-202;  ma  ora  Merlo,  p.  6. 

''  Devoto,  Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  p.  231  sg. 


Lombardia  21 

Questo  ha  fatto  pensare  a  qualcuno  che  l'ambiente  in  cui 
si  è  sviluppato  il  lombardo  è  stato  leponzio  e  non  gal- 
lico. Neanche  la  frontiera  settentrionale  mette  sempre 
i  dialetti  lombardi  in  posizione  di  contrasto  netto,  perché, 
quando  non  si  tratta  di  dialetti  tedeschi,  si  tratta  di  dia- 
letti ladineggianti,  risalenti  ad  una  latinità  diversa  ma  non 
meno  gallicizzata  di  quella  padana.  Rispetto  ai  dialetti 
veneti,  intrinsecamente  assai  diversi,  si  osserva  un  anti- 
cipo nella  modulazione  della  frase,  che  appare  già  veneteg- 
giante  a  Brescia.  Da  Milano  irradia  comunque  una  in- 
fluenza livellatrice  e  banalizzatrice,  per  il  crescente  peso 
della  lingua  letteraria  e  per  la  forte  immigrazione  da  al- 
tre regioni  italiane.  Essa  è  ostacolata  solo  sulla  frontiera 
settentrionale  dal  confine  politico.  Il  lombardo  più  ge- 
nuino e  arcaico  lo  si  andrà  a  studiare  un  giorno,  piuttosto 
che  in  qualsiasi  altro  centro  della  Lombardia,  a  Bellin- 
zona,  dove  l'uso  del  dialetto  si  mantiene  anche  a  livello 
borghese  ^,  e  la  sua  cadenza  cordiale  e  un  po'  grossa  non 
suscita  rispetti  umani. 

La  colonizzazione  romana,  tenuto  conto  della  posizione 
della  Gallia  transpadana,  è  abbastanza  precoce.  La  prima 
colonia  di  diritto  latino  fu  Cremona,  fondata  già  nel 
218  a.C.  Di  cittadini  romani  sembra  sia  stata  invece  la 
colonia  di  Mantova  (dal  214  a.C).  Ma  la  Lombardia  è 
terra  classica  di  simbiosi  gallo-italica.  Le  principali  città 
corrispondono  ai  territori  di  tribù  galliche:  Medìolanum 
(Milano)  è  legata  agli  Insubri,  Laus  Pompeia  (Lodi)  ai 
Boi,  Bergamo  agli  Orumbovii,  Brescia  ai  Cenomani;  Tlci- 
mim  (Pavia)  invece  al  territorio  dei  Liguri  Laevi,  preesi- 
stenti nella  regione.  A  queste  città  è  da  aggiungere  presto 
anche  Como^. 

L'accesso  della  latinità  alla  Lombardia  si  fonda  essen- 
zialmente sui  due  passaggi  del  Po  a  Piacenza  e  Cremona. 
Le  vie  alpine  confluivano  su  Milano  dai  diversi  valichi. 
Gli  itinerari  esterni  che  permettevano  di  evitarla,  erano 
essenzialmente  due,  quello  da  Ivrea  a  Piacenza,  seguito  in 
età  medievale  dai  pellegrini  diretti  a  Roma,  e  quello  da 

^  Cfr.  Salvioni,  Lingue  e  dialetti  della  Svizzera  italiana,  p.  719  sg. 
'  Beloch,  Rómische  Geschichte,  cit.,  pp.  616;  624. 


22  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Piacenza  a  Verona  (via  Postumia).  Sono  gli  itinerari  che 
praticamente  delimitano  per  esclusione  l'area  dominata 
dall'influsso  di  Milano.  La  centralità  della  città  di  Milano 
toccò  il  culmine  all'età  di  Diocleziano  (300  d.C),  quando 
divenne  una  delle  quattro  capitali  di  prefettura  del  pre- 
torio''. La  natura  paludosa  del  territorio  meridionale  nel- 
l'Alto Medioevo  fece  però  si  che  Pavia  si  svolgesse  sotto 
l'influenza  emiliana.  Era  più  agevole  passare  il  Ticino  e 
Po  che  la  zona  subito  a  settentrione,  non  ancora  bonificata 
dai  cistercensi. 

Compresi  fra  queste  aree  dialettali  non  completamente 
estranee,  i  dialetti  lombardi  risultano  più  che  altro  attra- 
verso una  illuminazione  indiretta.  Rientrando  nella  loro 
natura  «  gallo-italica  »  essi  normalmente:  a)  perdono  le 
vocali  finali  diverse  da  -A,  per  esempio  òm  «  uomo  »  fiim 
«  fumo  »,  nef  «  neve  »  fi!  «  filo  »  di  fronte  a  roda  «  ruo- 
ta »;  b)  accolgono  la  pronuncia  ij  per  la  u  chiusa  latina, 
film  «fumo»;  e)  eliminano  le  consonanti  doppie,  per 
esempio  rota  «  rotta  »;  d)  leniscono  le  consonanti  occlu- 
sive in  posizione  intervocalica  come  in  roda  «  ruota  », 
arrivando  alla  caduta  completa  quando  si  tratti  di  -d- 
come  in  eoa  «  coda  »  (cioè  in  limiti  più  moderati  del 
piemontese  e  del  ligure);  e)  danno  una  pronuncia  speciale 
alla  N  sia  in  posizione  intervocalica  che  in  posizione  finale  *. 
Dal  punto  di  vista  delle  vocali,  sono  tuttora  presenti  fatti 
di  cosiddetta  metafonia  e  cioè  il  passaggio  di  -e-  a  -i-  sotto 
la  influenza  di  una  i  lunga  finale,  andata  poi  perduta  se- 
condo la  regola  generale  citata  sopra:  perciò  il  plurale 
di  quell  «  quello  »  è  quij,  di  guest  «  questo  »  è  qiiist,  di 
eavél  «  capello  »  è  cavi:  come  per  «  avete  »  si  dice  avì^. 
La  metafonia  era  un  tempo  molto  più  diffusa,  e,  a  Milano 
soprattutto,  continua  a  declinare.  Nelle  zone  periferiche, 
per  esempio  in  certe  aree  ticinesi,  si  ha  ancora  mìlanis 
plurale  di  milanés  e,  applicata  ad  altre  vocali,  si  ha  fidi 

'  M.  Bartoli,  Caratteri  fondamentali  delle  lingue  neolatine,  in  Saggi 
di  linguistica  spaziale,  Torino  1945,  p.  108  sg. 

'  Cfr.  Piemonte  pp.  2;  3  sg.;  Liguria  p.  11.  V.  inoltre  Salvioni,  Fone- 
tica del  dialetto  moderno  della  città  di  Mdano  (=  Salvioni),  pp.  90 
sgg.;  81  sg.;   157  sgg.;  203. 
'  Bertoni,  p.  71  sgg.;  Rohlfs  I,  p.  77;  Salvioni,  p.  62  sg. 


Lombardia  23 

maschile  di  fiola  in  cui  la  -u  finale  del  latino  volgare 
filjòlus  ha  agito  sulla  o  riducendola  prima  a  uo  poi  a  ò, 
mentre  la  -a  finale  (conservata)  non  ha  esercitato  nessuna 
azione  perturbatrice  '^.  La  metafonia  sembra  si  associasse 
cioè  alla  dittongazione  delle  e  aperte  e  delle  o  aper- 
te, secondo  lo  schema  di  vece'  «  vecchio  »  senza  metafonia 
e  senza  dittongazione,  rispetto  al  plurale  viec'  con  meta- 
fonia  e  dittongazione  (poi  riassorbita  in  i).  Con  o  senza 
metafonia,  le  e  e  le  o  aperte  seguono  una  sorte  parallela 
in  Lombardia,  Piemonte  e  Liguria.  Il  superamento  di  una 
forma  dittongata  appare  anche  per  le  antiche  vocali  E 
chiuse,  che  in  Piemonte  sono  rappresentate  regolarmente 
da  Ei,  mentre  in  Lombardia  appaiono  sia  con  la  e  aperta 
(e  quindi  non  primitiva)  di  tela,  sia  con  la  i  di  sira  «  sera  », 
candila  «  candela  »,  mis  «  mese  »  ^^ 

Fra  le  consonanti  il  processo  di  assibilazione  in  teoria  è 
quello  gallo-italico,  ma  rimane  lontano  dalla  generalizzazio- 
ne: a  Milano  cent  in  confronto  al  ligure  sentu.  Nel  caso  del- 
la consonante  sonora,  il  lombardo  si  limita  alla  palatalizza- 
zione in  gent  e  gióg  come  nel  toscano  gente  e  gioco  e  a  dif- 
ferenza di  liguri  e  emiliani  ^^.  Nei  gruppi  con  l  le  soluzioni 
lombarde  sono  sul  livello  delle  piemontesi  e  emiliane,  e 
quindi,  quando  si  tratta  di  cl,  gl,  più  avanzate  di  quelle 
toscane:  dama  «  chiama  »  da  cl,  gianda  «  ghianda  »,  gìas 
«  ghiaccio  »  da  gl.  Viceversa,  quando  si  tratta  di  pl,  bl  le 
soluzioni  sono  sul  livello  piemontese  emiliano  e  insieme 
toscano:  pian  «  piano  »  ciane  «  bianco  »  ^^  (contro  il  li- 
gure cian,  giancu).  Per  quanto  riguarda  il  giaippo  -ct-,  as- 
similato in  TT  nell'Italia  centro-meridionale  (e  in  -t-  nel- 
l'area emiliana  e  veneta),  si  ha  nella  Lombardia  in  preva- 
lenza la  palatalizzazione  progressiva  del  tipo  fac'  in  con- 
fronto di  quella  regressiva  del  tipo  jait,  propria  del  Pie- 
monte ^'*.  Qualunque  sia  il  rapporto  interno  fra  le  due  so- 
luzioni, pare  chiaro  che  la  prima  (di  tipo  provenzale)  sia 
quella  primitiva  in  Lombardia,  mentre  la  seconda  (di  tipo 
francese)  ha  fatto  soltanto  delle  incursioni  in  età  arcaica, 

'"  Rohlfs  I,  p.  152. 

"  Rohlfs  I,  p.  78  sgg.;  Salvioni,  p.  58  sg. 

"  Cfr.  Piemonte  p.  4  sg. 

'^  Cfr.  Piemonte  p.  5. 

'■*  Bertoni,  p.  94  sg.;  Rohlfs  I,  p.  365  sgg.;  Salvioni,  p.  234  sgg. 


24  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

per  esempio  presso  Bonvesin,  rimanendo  poi  riassorbita 
nella  forma  locale  lombarda.  In  Piemonte  invece  il  tipo 
fac'  sopravvive  solo  parzialmente,  mentre  il  tipo  fait 
ha  trionfato  nelle  più  importanti  regioni  centrali.  La  diffe- 
renza fra  il  Piemontese  fait,  il  lombardo  fac',  l'emiliano 
fat  è  una  delle  poche  che  caratterizzano  nettamente  il 
lombardo  all'interno  dei  dialetti  gallo-italici  ^^.  Ma  l'in- 
fluenza della  lingua  italiana,  appoggiata  anche  all'uso  ve- 
neto-emiliano, ha  agito  in  Lombardia  dove  il  tipo  lat  va 
soppiantando  lac'  e,  per  quanto  riguarda  i  participi  pas- 
sati, si  arriva,  al  di  là  di  fat  e  di  fac',  addirittura  a  fa. 
Nelle  aree  lombarde  periferiche  del  settentrione  si  hanno 
fenomeni  di  diversa  natura,  da  una  parte  quelli  sicura- 
mente di  provenienza  esterna,  transalpina  e  perciò  inno- 
vativi, dall'altra  quelli  legati  alla  posizione  appartata  e 
perciò  conservativi.  Alla  prima  categoria  appartengono 
forme  come  era  per  «  ala  »  che  mostra  la  vocale  e  al  po- 
sto di  A  come  in  francese,  o  ciamp,  giat  per  «  campo  », 
«  gatto  »  che  mostra  la  palatalizzazione  della  consonante 
gutturale  anche  davanti  alla  vocale  a;  anche  questo  come 
in  francese  ^^.  Molto  probabilmente,  il  tipo  lait  di  Bormio 
e  del  vicino  territorio  svizzero  di  Poschiavo  "  ha  la  stessa 
origine,  indipendente  da  quella  piemontese  e  lombardo- 
arcaica.  Dall'altra  parte,  la  u  toscana  che  appare  a 
Bormio  e  in  territori  ticinesi  e  grigionesi  pare  dovuta  a 
una  tendenza  locale  a  eliminare  le  vocali  «  miste  »  come 
ò,  ù  ^^.  Di  altra  natura  è  invece  la  pronuncia  scima  di 
fronte  al  settentrionale  sima  e  al  toscano  cima;  è  una  pro- 
nuncia intermedia  che  si  è  salvata  dalla  pressione  assibila- 
trice  risalente  nelle  valli,  da  mezzogiorno  verso  i  crinali 
alpini  ''. 

Lo  scarso  accentramento  verso  un  modello  lombardo  uni- 
tario non  ha  solo  mantenuto  nel  passato  delle  frontiere 
esterne  poco  caratteristiche,  ma  ne  ha  favorito  delle  in- 
terne; quasi  la  metropoli  delle  parlate  gallo-italiche  fosse 

'^  Merlo,  p.  3. 

"  BiiRTONi,  p.  56;  Merlo,  p.  7. 

"  Cfr.  AIS  carta  1199:    làyt  al  punto  58  (Poschiavo). 

"  Rohlfs  I,  p.  58.  Cfr.  anche  S.  Sganzini,  Le  isole  di  u  da  iì  nella 

Svizzera  Italiana,  I.  D.  9,  1933,  p.  27-64. 

"  Rohlfs  I,  p.  225. 


Lombardia  25 

sì  un  centro  unificatore  e  insieme  attenuatore,  ma  poi,  nel 
suo  interno,  ammettesse  distinzioni  fra  classi  e  rioni.  Se- 
gnale di  divisione  dialettale  lombarda  è  il  corso  inferiore 
dell'Adda.  C'è  meno  differenza  in  certo  senso  fra  la  pie- 
montese Novara  e  Milano  che  fra  Milano  e  Bergamo. 

I  caratteri  complessivi  del  lombardo  orientale  rispetto  al- 
l'occidentale sono  dati  essenzialmente  dalla  caduta  della 
nasale  in  sillaba  finale:  pan  «  pane  »  diventa  pà,  vin  di- 
venta vi,  dent  diventa  det.  La  persistente  debolezza  della 
-V-  può  condurre  alla  lenizione  totale  della  -p-  intervoca- 
lica, che,  salva  nell'italiano  àpice,  appare  parzialmente  le- 
nita nel  lombardo  occidentale  (milanese  àves)  ma  elimi- 
nata nel  bergamasco  àes.  Apertura  delle  vocali  -i-,  -u- 
compare  nei  tipi  bergamaschi  vest  per  «  visto  »  o  lema  per 
«  lima  »  da  antiche  -i-,  e  /òm  per  «  fumo  »  da  -Ù-.  Il  ber- 
gamasco mostra  poi  anche  la  debolezza  della  v-  iniziale, 
per  cui  ì  è  il  «  vino  »  e  la  ida  è  la  «  la  vite  »  ;  mentre  la 
s-  iniziale  tende  a  passare  a  semplice  aspirazione  per  esem- 
pio in  hac  «  sacco  »,  hul  «  sole  »,  hotrà  «  sotterrare  », 
hera  «  sera  »  e  nella  frase  caratteristica,  hu  tre  ure  che  hu 
chi  hiita  «  son  tre  ore  che  son  qui  sotto  »  ^.  Un  carattere 
occidentale,  oggi  in  forte  declino,  è  il  passaggio  da  -l-  a 
-R-  per  esempio  ara  «  ala  »,  para  «  pala  »,  carisna  «  cali- 
gine »,  gora  «  volare  »  -'. 

Anche  nella  morfologia  la  Lombardia  tiene  un  posto  in- 
termedio fra  Piemonte  e  Liguria  da  una  parte  e  Emilia  e 
Venezie  dall'altra,  per  quanto  riguarda  l'articolo,  che  è  lo 
nelle  prime,  el  nelle  seconde  ^.  Va  d'accordo  anche  con 
il  ligure  nell'usare  ghe  per  «  gli  »  e  «  loro  »,  contro  il 
piemontese  più  genuino  i^.  Particolarmente  interessanti 
sono  in  lombardo  i  pronomi  atoni  enclitici  -t  e  -v  che 
vengono   quasi   a   costituire   desinenze   rispettivamente    di 

II  singolare  e  di  III  plurale^"*. 

Nei  verbi,  la  prima  persona  singolare  appare  in  -i  (per 
esempio  disi,  disevi  «  dico,  dicevo  »),  la  prima  persona  sin- 

^  Cfr.  le  tabelle  distintive  stabilite  da  C.  Merlo  a  p.  5  sgg. 

^'  Cfr.  Liguria  p.  12;  e  v.  Merlo,  p.  7  sg. 

"  Rohlfs  II,  p.  104  sg. 

"  Rohlfs  li,  p.  157. 

"  Bertoni,  p.  102  sg. 


26  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

gelare  al  futuro  di  «  essere  »  è  sarònt,  ricalcato  su  sont  «  so- 
no »  ^.  Il  paradigma  del  condizionale,  fondato  sull'asso- 
ciazione dell'imperfetto  (e  non,  come  nel  toscano,  del  per- 
fetto latino),  è  truarìa  -fiat  -ria  -rìum  -rìuf  -rìan,  invece  di 
troverei  -esti  ecc.  ■^^  La  sorte  del  participio  passato  è  sotto 
l'influenza  delle  differenze  tra  la  Lombardia  occidentale  e 
orientale.  Dati  i  tipi  di  -ato,  -ito,  -uto,  nella  Lombardia 
orientale  la  caduta  precoce  della  vocale  finale  finisce  per 
rafforzare  la  consonante  superstite,  meno  esposta  alla  le- 
nizione:  cantai,  lavàt,  (v)endìt,  (v)estìt,  beviit.  In  occi- 
dente la  lenizione  precede  la  caduta  della  vocale  finale,  e 
quindi  a  Milano  si  ha  la  forma  lenita  lavao,  contratta  poi 
in  lava.  Questa  tende  a  diffondersi  anche  verso  oriente. 
Le  forme  in  -ato  avevano  poi  subito  nelle  regioni  orientali 
l'influenza  di  quelle  del  tipo  fac'  derivate  da  factu,  ed 
erano  nati  così  tipi  analogici  come  andac'.  Le  forme 
femminili  si  trovarono  così  esposte  a  due  forze  opposte. 
Il  fatto  che  la  -a  non  era  soggetta  a  caduta  favoriva  la 
lenizione  parziale  della  -t-  in  -d-  col  risultato  che,  di 
fronte  ai  maschili  finì,  legiii,  si  sono  avuti  i  femminili 
finida,  legiiida  «  finita  »  «  letta  ».  L'altra  forza  era  quella 
dell'analogia  secondo  il  normale  rapporto  del  femminile 
rispetto  al  maschile.  Si  sono  così  potute  avere  forme  come 
andacia  «  andata  »  femminile  di  andac',  derivato  da  andàt 
(che  si  era  venuto  ad  allineare  con  fac')  2^. 

Una  maggiore  individualità  è  data  invece  in  molti  casi 
alla  Lombardia  dal  lessico,  piuttosto  ricco  di  termini  spe- 
cifici o  che  comunque  si  oppongono  nell'uso  a  quelli  delle 
zone  finitime.  Tipici,  se  non  esclusivi,  sono  prestine  «  for- 
naio »  (dal  lat.  pistinarius,  che  è  conosciuto  anche  nella 
forma  italiana  adattata  prestinaio),  burla  «  cascare  »,  bar- 
bos  «  mento  »,  veste  «  armadio  »,  sciat  «  rospo  »,  sidei 
«  secchio  »  (che  ritorna  in  ladino)  ^^,  mentre  mascherpa 
(mascarpa:    ne  è  diffuso  in  italiano  un  derivato,  mascar- 

"  Bertoni,  p.  103;  Rohlfs  II,  pp.  246  sg.;  267;  353. 

^*  Cfr.  Piemonte  p.  6. 

"  Rohlfs  II,  p.  368. 

^^  AIS  carte  234,  220,  115,  911,  455,  365,  1219. 


Lombardia  27 

pone)  sta  ad  indicare  una  specie  di  ricotta  2^.  Il  tipo  les- 
sicale BUFARE,  un  verbo  di  origine  onomatopeica  diffuso 
in  tutta  la  Romania,  è  comunque  quello  più  usato  in  tutta 
la  regione  per  «  soffiare  »  ^.  Di  particolare  interesse  è  poi 
biut,  un  termine  presente  anche  in  piemontese  e  in  veneto 
(bioto),  ma  molto  frequente  in  Lombardia  col  valore  di 
«  nudo  »  e  che  costituisce  un  importante  esempio  di  infil- 
trazione germanica  —  in  questo  caso  gotica  —  nei  dialetti 
settentrionali  ^^  In  magiustra  «  fragola  »  vediamo  invece 
una  parola  da  far  risalire  a  uno  strato  linguistico  di  epoca 
prelatina  ^2.  Nel  campo  botanico  troviamo  altri  termini  re- 
gionali come  frambós  «  lampone  »  (che  ha  i  suoi  riscontri 
nell'area  francese),  rubìn  «  acacia  »,  anche  dal  Veneto  me- 
ridionale, e  ramparla  «  edera  »  di  derivazione  evidente  ^^ 
diffuso  però  solo  nella  parte  orientale  della  regione.  L'an- 
titesi tra  zona  occidentale,  milanese,  e  zona  orientale,  ber- 
gamasca, si  ripete  infatti  frequentemente  anche  nel  lessi- 
co: in  certi  casi  si  costituisce  una  frontiera  tra  due  ampie 
zone  lessicali  dell'Italia  settentrionale,  come  nell'opposi- 
zione dei  tipi  RATTO  e  sorcio,  lavandino  e  secchiaio,  sab- 
bia e  sabbione;  spesso  però  la  contrapposizione  è  tra  due 
diversi  termini  lombardi,  come  nel  caso  di  «  pipistrello  » 
che  è  tegnola  a  ovest  e  grignàpiila  ad  est  ^.  Così  bìgaról 
è  «  grembiule  »  solo  nella  zona  bergamasca  di  fronte  a 
scusai,  di  area  più  ampia,  occidentale  e  settentrionale^^, 
mentre  basèl  «  scalino  »  è  solo  della  zona  occidentale  ^. 

Dante  tratta  i  lombardi  meglio  dei  romani  e  dei  marchigia- 
ni, ma  certo  non  li  elogia.  Nel  De  vidgari  eloquentia  egli 
dice:  «  e  dopo  costoro  (e  cioè  i  romani  e  gli  abitanti  della 
Marca  di  Ancona)  estirpiamo  via  i  milanesi,  i  bergamaschi 
e  i  loro  vicini  anche  a  scherno  dei  quali  ricordo  un  tale 

^'  Cfr.  Battisti,  Studi  di  storia  linguistica  e  nazionale  del  Tren- 
tino, p.  47. 

^^  AIS  carta  936;  v.  comunque  anche  la  carta  377. 
"  AIS  carta  670;  cfr.  Bertoni,  p.   13. 

"  AIS  carta  610;  cfr.  Hubschmid,  Mediterrane  Substrafe,  Berna, 
1960,  p.  27. 

"  AIS  carte  611,  594,  619. 
^  AIS  carte  444,  951,  418,  448. 
"  AIS  carta  1573;  cfr.  Bertoni  pp.   11,  39. 
'*  AIS  carta  873. 


28  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

aver  cantato  enter  l'ora  del  vesper  ciò  fu  del  mes  d'oc- 
chiover  (e  cioè  occiòver),  «  all'ora  del  vespro  e  fu  nel 
mese  di  ottobre  »  ^^.  È  importante  qui  il  rilievo  dato  ai 
bergamaschi  come  rappresentanti  di  una  tradizione  dia- 
lettale che  si  presenta  distinta  rispetto  a  tutte  le  altre 
varietà  lombarde.  La  distinzione  è  sostanzialmente  giu- 
stificata così  sul  piano  fonetico  come  su  quello  della  let- 
teratura dialettale. 

Dalla  raccolta  del  Papanti  si  possono  estrarre  questi  cam- 
pioni 3^: 

Da  Milano:  Al  temp  del  prim  re  de  Cipro,  dopo  che 
Goffredo  Bulion  l'ha  avuu  conquistaa  Terrasanta,  gh'  è 
staa  ona  sciora  de  Guascogna,  che  l'è  andada  in  pelle- 
grinagg  al  Santo  Sepclcher.  In  del  torna,  quand  l'è  rivada 
a  Cipro,  gh'è  staa  di  canaja,  che  ghe  n'han  faa  de  sott  e 
doss.  (A  cura  di  Cesare  Cantù). 

Da  Voghera  (Pavia)  :  Dis  adonca  che  in  ti  temp  del 
prim  Re  d'  Cipro  dop  la  conquista  d'  la  Tera  Santa 
fata  da  Gofred  d'  Buglion,  l'è  success  che  una  nobil  dona 
d'  Guascogna  l'è  andata  in  pelegrinag  al  Sepolcar,  e  quand 
l'è  torna,  arriva  a  Cipro,  d'ii  baloss  i  g'han  fatt  d'ii  vitu- 
peri. (A  cura  di  F.  Gatti). 

Da  Erba  (Como)  :  Disi  donca,  ch'ai  temp  dol  prim  Re 
de  Zipro,  dop  che  Gofred  de  Biiglión  l'à  vengiii  la  Tera 
Santa,  l'è  capitàa  che  ona  gran  sciora  del  paés  de  Gasco- 
gna  l'è  andada  a  visita  ol  Sepólcher  e,  tornànd  indrè, 
apèna  l'à  metti:  pè  in  Zipro,  l'è  stàda  maltratada  da  cert 
baraba  degn  de  galera.  (A  cura  di  Bernardino  Biondelli). 
Da  Sondrio:  Dunca,  i  de  savé,  che  quand  che  gh'éra  el 
prim  Rè  de  Cipro,  despo  che  Goffréd  de  Biiion  l'a  liberat 
la  Tera  Santa,  l'è  siicèss  che  'na  sciura  de  Guascogna  l'èra 
'ndacia  per  divozion  al  Sepolcro.  In  del  torna  'ndree  la 
pasava  de  Cipro,  e  lì  '1  gh'è  stac  di  balòss  che  i  g'à  face 
di  gran  desprezi.  (A  cura  di  Pio  Rajna). 
Da  Valsecca  (Bergamo)  :  Deghe  doca.  che  ai  tèp  dol  prém 
Re  de  Cipre,  dopo  che  l'è  stàcc  ciapàt  la  Tèra  Santa  da 

"  De  vulgari  eloquentia  I,  11,  4.  Cfr.  ViDOssi,  L'Italia  dialettale 
fino  a  Dante,  p.  LI. 

"  /  parlari  italiani  in  Certahlo.  pp.  286  sg.;  551  sg.;  186  sg.;  453 
sg.;   134  sg. 


Lombardia  29 

Gotefré  de  Bougliù,  l'è  ignìt  fó  che  eùna  scioùra  de 
Guascogna  èn  pelegrinagg  l'è  'ndàcia  al  Sepùlcro,  e  'n  dol 
torna'  'ndrt,  reèda  'n  Cipro,  de  ergù  slegóz  la  feù  velanamèt 
oltragiàda.  (A  cura  di  Carlo  Invermizzi). 

Si  riproducono  poi  qui  alcuni  versi  del  canne  Dies  Irae 
di  Emilio  Guicciardi  ^': 

E  fa  cald;  on  cald  che  smoeuja  (ammollisce) 

Trentanoeuv!  Sont  masaraa  (disfatto) 

No  se  moeuv  manca  ona  foeuja. 

L'è  on  torment  vess  chi  inciodaa 

e  scolta  in  sto  formigheé 

quij  che  viv,  pien  de  rangogn  (astio) 

quij  che  canta  e  che  giubbiana, 

quij  che  spera:    «  nina-nana...  » 

quij  che  giuga:    «  uno  due  tre  ». 


"  In  Poesia  dialettale  italiana  del  novecento  a  cura  di  M.  Dell'Arco 
e  P.  P.  Pasolini,  p.  197. 


VENETO 


I  confini  dialettali  del  Veneto  corrispondono  ogni  giorno 
meglio  alle  frontiere  amministrative  fra  Garda  Adige  e 
Po  da  una  parte,  e  i  bacini  del  Piave  e  del  Livenza  dal- 
l'altra. Sul  Garda  rimane  ancora  lombarda  la  testa  di 
ponte  di  Malcèsine,  nel  bacino  dell'alto  Piave  la  ladinità 
primitiva  si  attenua  nel  Cadore,  nel  territorio  di  Auronzo 
e  nel  Comelico,  mentre  a  Cortina  d'Ampezzo  mantiene 
ancora  visibile  la  sua  autonomia:  così  resiste  ancora  auto 
in  confronto  al  veneto  alto;  ciaudo  contro  il  veneto  caldo; 
lares  contro  il  veneto  làrese,  bas  contro  il  veneto  baso  e 
così  via  '. 

Al  di  là  dei  confini  della  regione,  l'area  dialettale  veneta 
possiede  una  grande  forza  di  espansione  verso  i  resti  lom- 
bardi del  Trentino  ^.  Più  che  a  estendersi,  tende  ad  irra- 
diare un  modello  socialmente  superiore,  sovrapposto  allo 
strato  originario  friulano  in  direzione  di  oriente,  ridu- 
cendo la  genuinità  friulana  della  stessa  Udine  ^.  Solo  in 
parte  fa  sentire  la  sua  influenza  sul  territorio  lombardo  a 
Mantova,  mentre  nulla  è  la  sua  azione  in  direzione  di 
mezzogiorno,  ostacolata  dal  Po  '*.  A  differenza  dei  dia- 
letti lombardi  ed  emiliani,  i  dialetti  veneti  non  sono  gallo- 
italici, anche  se  hanno  risentito  duramente,  specie  nel  Me- 
dioevo, di  influenze  gallo-italiche,  non  solo  da  occidente 
ma  anche  da  settentrione  e  da  oriente.  Altro  è  la  mesco- 
lanza linguistica  ed  etnica  con  i  coloni  gallici,  che  il  latino 
d'Emilia  e  di  Lombardia  presuppone,  e  altro  sono  i  sin- 

'  Devoto,  Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  p.  230;  Ascoli,  Saggi 
ladini,  p.  377;  Battisti,  Ricerche  di  linguistica  veneta  (=  Battisti), 
p.  65  sgg.  Cfr.  H.  LiJDTKE,  Inchiesta  sul  confine  dialettale  tra  il  ve- 
neto e  il  friulano,  Ortis  6,  1957,  pp.  122-125. 
^  Cfr.  più  avanti  pp.  41;  42  sg. 

'  G.  Francescato,  Osservazioni  sul  friulano  e  sul  veneto  a  Udine, 
Ce  fastu?  26.  1950,  pp.  60-62. 
^  Battisti,  p.  13. 


Veneto  31 

goli  caratteri  gallicizzanti  dei  dialetti  veneti,  che  si  so- 
vrappongono ad  una  fase  originaria  di  distinzione  e  sepa- 
razione fra  la  tradizione  latina  e  quella  precedente  vene- 
tica.  Tracce  di  un  sostrato  venetico  nei  dialetti  veneti  non 
esistono  ^.  Presupponendo  un  latino,  evoluto  sì,  ma  non 
mescolato  con  etnie  preesistenti,  i  dialetti  veneti  si  alli- 
neano a  fianco  del  toscano  come  rappresentanti  di  una 
tradizione  latina  sostanzialmente  pura  ^.  Sulla  purezza  ori- 
ginaria correnti  straniere  hanno  invece  introdotto  non  po- 
chi elementi  perturbatori,  che  la  Toscana  ha  sperimentato 
solo  in  proporzioni  infinitamente  minori. 

Il  processo  di  romanizzazione  si  è  compiuto  nel  Veneto 
indipendentemente  dalla  colonizzazione  nel  senso  stretto 
del  termine.  Le  sole  colonie  di  diritto  latino  (non  di  citta- 
dini) che  si  hanno  nella  decima  regione  augustea,  sono 
Cremona  (fondata  nel  218  a.C.)  che  appartiene  oggi  alla 
Lombardia,  e  Aquileia  (fondata  nel  181  a.C.)  che  appar- 
tiene oggi  alla  Venezia  Giulia  ''.  Più  che  da  una  concreta 
azione  della  latinità,  l'area  dialettale  veneta  è  stata  de- 
limitata, negativamente,  dall'assenza  di  popolazioni  galli- 
che che  la  facessero  propria  e  quindi  automaticamente  la 
alterassero.  Sulla  frontiera  occidentale,  che  noi  chiamiamo 
bresciana,  esistevano  allora  i  Galli  Cenomani,  su  quella 
orientale  che  noi  chiamiamo  friulana,  esistevano  allora  i 
Galli  Carni:  questi  ultimi,  almeno  dal  200  a.C*.  Su  que- 
ste frontiere  etniche,  valide  allora,  e  corrispondenti  con 
strana  precisione  a  quelle  odierne,  hanno  agito  però  per 
secoli  forze  che  le  hanno  provvisoriamente  indebolite  se 
non  annullate.  Sono  queste  essenzialmente  la  riforma  am- 
ministrativa dell'imperatore  Diocleziano  intorno  al  300 
d.C,.  e  la  affermazione  longobarda  intorno  al  560  d.C.  La 
prima,  fissando  in  Milano  una  delle  quattro  grandi  capi- 
tali dell'Impero,  ha  stimolato  correnti  culturali  ammini- 
strative, e  perciò  anche  linguistiche,  in  direzione  da  oc- 
cidente verso  oriente;   la  seconda,  dilagando   dalla  fron- 

'  Battisti,  p.  28  sg. 

*  Devoto,  L'Italia  dialettale,   passim. 

'  Beloch,  Ròmische  Geschichte,  cit.,  p.  615. 

'  Pellegrini,  L'individualità  storico-linguistica  della  regione  veneta 

(=  Pellegrini),  p.  148  sgg. 


32  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

tiera  del  Livenza,  ha  stabilito  in  senso  inverso  una  con- 
tinuità dall'oriente  verso  occidente.  Il  presumibile  destino 
della  latinità  euganea  nei  secoli  vii-viii  d.C.  era  quello  di 
adeguarsi  e  immergersi  nelle  due  tradizioni  gallo-italiche 
che  premevano,  convergendo,  da  oriente  e  da  occidente  in- 
sieme. A  queste  influenze  se  ne  è  aggiunta  poi  una  terza 
dal  settentrione,  anch'essa  di  ispirazione  gallo-italica,  in 
modo  che  alla  fine  la  tradizione  veneta  genuina  dovette 
fare  i  conti  con  le  influenze  (popolari  come  letterarie) 
dall'occidente,  quelle  prevalentemente  elevate  dall'orien- 
te, quelle  invece  sostanzialmente  demografiche  e  popolari 
da  settentrione. 

La  genuinità  della  latinità  euganea  si  fonda  in  prima  li- 
nea sulla  assenza  delle  vocali  «  miste  »  ò  ij;  della  conso- 
nante nasale  detta  faucale  in  posizione  intervocalica;  della 
palatalizzazione  del  gruppo  ex;  della  dittongazione  delle 
vocali  E  chiusa  e  o  chiusa  ^.  Così  si  hanno  i  tipi  veneti 
fogo  per  «  fuoco  »  contro  le  forme  corrispondenti  foga  del 
genovese,  fog  del  piemontese  lombardo  e  emiliano  occi- 
dentale, e  così  novo  fora  duro  contro  le  forme  genovesi 
nòvu  fòa  diiu  e  quelle  piem,  lomb.  ed  emil.  occid.  nof 
fora  diir.  La  pronuncia  di  lana  luna  è  identica  alla  to- 
scana ma  diversa  dalla  ligure-piemontese  lUn-a  e  da  quella 
emiliana  lan-na  lun-na.  Le  forme  venete  fato  late  note 
corrispondono  (salvo  la  mancanza  delle  consonanti  dop- 
pie) alle  toscane  fatto  latte  notte,  ma  si  contrappongono 
così  alle  piemontesi  fait  lait  nòit,  come  alle  liguri  fàtu 
late  note  e  alle  lombarde  fac'  lac'  noe'.  Le  forme  venete 
sera  fredo  neve,  corrispondenti  alle  toscane  (salvo  la  man- 
canza di  doppie)  sera  freddo  neve,  si  contrappongono  alle 
dittongate  p.  es.  genovesi  seia  freidu  neive.  Le  forme  venete 
erose  lovo  fior  (tose,  croce  lupo  fiore)  si  contrappongono 
alle  genovesi  crusge  lu  sciu,  in  cui  la  vocale  chiusa  u 
rappresenta  un  più  antico  dittongo  ou  ^°. 
In  altri  casi  i  dialetti  veneti  mantengono  legami  soltanto 
allentati  con  i  paralleli  toscani.  Stretto  è  ancora  il  rap- 

'  Devoto,  L'Italia  dialettale,  passim. 

'°  Bertoni,  p.  11  sgg.  Pellegrini,  p.  152.  Sulle  caratteristiche  fo- 
netiche venete  v.  anche  Mafera,  Profilo  fonetico-morjologico  dei 
dialetti  da  Venezia  a  Belluno  (=  Mafera),  p.  143  sgg. 


Veneto  33 

porto  con  la  sorte  delle  e  aperte,  che  in  sillaba  aperta 
mostrano  tuttora  la  dittongazione  di  tipo  toscano:  miei 
come  miele,  piera  come  pietra,  sieve  come  siepe  '^  Ma 
meno  regolare  è  la  corrispondenza  per  quanto  riguarda  la 
o  aperta:  se  si  ha  cuor  come  cuore,  molto  più  frequente 
e  compatta  è  la  serie  di  domo  omo  fogo  roda  novo  di 
fronte  alle  forme  toscane  duomo  uomo  fuoco  ruota  nuo- 
vo '^.  La  minore  aderenza  alla  tradizione  toscana  sta  poi 
nel  fatto  che  la  dittongazione  con  i  caratteri  e  nei  limiti 
della  Toscana  è  propria  non  dell'intiera  area  veneta  ma 
solo  di  Venezia.  Fuori  di  Venezia  si  è  affermata  anche  in 
sillaba  chiusa,  per  esempio  a  Rovigo  in  forme  come  fiero 
tiera  invierno  piotano  di  fronte  alle  normali  toscane  e  ve- 
neziane fer(r)o  ter(r)a  inverno  pettine.  Le  forme  non 
dittongate  in  sillaba  aperta  rappresentano  una  reazione  o 
protesta  veneziana  contro  le  soluzioni  della  terraferma, 
sentite  come  troppo  spinte. 

Per  quello  che  riguarda  le  vocali  in  fine  di  parola,  i  dialetti 
veneti  hanno  risentito  evidentemente  della  pressione  gallo- 
italica, che  in  Piemonte,  Lombardia  ed  Emilia  elimina  le 
vocali  finali  diverse  da  -a.  I  dialetti  veneti  accettano  que- 
sta innovazione,  ma,  soprattutto  a  Venezia,  solo  in  parte. 
La  pressione  gallo-italica  sì  manifesta  più  chiara  di  mano 
in  mano  che  ci  si  allontana  da  Venezia  verso  il  settentrio- 
ne, in  direzione  di  Treviso  e  Belluno  *^.  A  Venezia  si  ha 
così  in  generale  la  caduta  di  -e  e  -o  finali  solo  dopo  na- 
sale, come  in  pan  can  man  e  nelle  terminazioni  in  -on 
come  raion,  in  -in  come  in  putin,  in  -an  come  in  piovàn. 
Si  ha  invece  della  sola  -e  dopo  l  e  r,  per  esempio  in  miei 
fiel  mal  di  fronte  a  pa-o  «  palo  »,  pe-o  «  pelo  »,  mu-o 
«  mulo  »  (in  cui  notiamo  il  dileguo,  attuatosi  attraverso  la 
palatalizzazione,  della  l^"*);  in  dar  fior  cuor  mar  di  fronte 
a  duro  toro  pero  caro.  Se  ci  si  sposta  verso  settentrione,  si 
trova  però  a  Treviso  la  caduta  anche  di  -o  nel  suffisso 
-el(l)o,  p.  es.  in  fradèl  porsèl  contro  le  forme  veneziane 
frade-o  porse-o;  a  Montebelluna  si  ha  questa  caduta  anche 
in  parole  bisillabiche  come  in  pel  mul  (venez.  pe-o  mu-o). 

"  Rohlfs  I,  p.  117  sg. 

'^  Rohlfs  I,  p.  145  sg.  Su  tutta  la  questione  cfr.  Battisti,  p.  56  sgg. 
"  Bertoni,  p.  115  sg.;  Mafera,  p.  169  sgg.;  Battisti,  p.  47  sgg. 
"  Mafera,  p.  177  sgg. 


34  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

A  Quero  sulla  strada  di  Feltre,  si  ha  la  caduta  di  -o  an- 
che dopo  R  come  in  diir  tor  per  (contro  venez.  duro  toro 
pero),  infine  a  Feltre  si  ha  la  caduta  anche  dopo  conso- 
nante momentanea,  come  in  tosàt  «  ragazzo  »  mai  «  m.atto  » 
bigàt  «  baco  ».  Che  questa  caduta  rappresenti  il  risultato 
di  uno  sforzo  concentrico  di  natura  gallo-italica,  è  pro- 
vato dalla  geografìa:  i  tipi  not  presenti  all'altezza  di  Fer- 
rara sul  Po,  e  a  Latisana  sul  Tagliamento,  e  risalenti  ri- 
spettivamente ai  Galli  Senoni  e  ai  Galli  Carni,  non  si 
congiungono  per  la  resistenza  della  latinità  euganea,  ma  si 
arrestano  sulla  linea  segnata  dall'Adige  a  Verona  e  su 
quella  segnata  dal  Piave  a  sud  di  Feltre. 
Come  esempi  di  adeguamento  totale  agli  schemi  gallo- 
italici i  dialetti  veneti  mostrano  invece  la  pronuncia  fau- 
cale  delle  n  in  posizione  finale,  la  eliminazione  totale  delle 
consonanti  doppie,  eliminazione  che  diventa  anzi  carat- 
teristica della  pronuncia  italiana  dei  veneti,  e  finalmente 
lo  sviluppo  a  sibilante  delle  consonanti  palatali  di  tipo 
CE  CI.  Su  questo  punto  Venezia  corrisponde  all'area  che 
ha  spinto  il  movimento  alle  sue  conseguenze  estreme,  pro- 
nunciando SE  SI,  ad  es.  in  sinque  sento  sima  braso  per 
«  cinque  cento  cima  braccio  ».  In  parecchie  aree  rustiche 
dell'entroterra  il  movimento  si  è  arrestato  alla  fase  detta 
interdentale  thinco  thento  thima  bratho.  Il  movimento  si 
delinea  parallelo  nelle  forme  sonore  gè  gì  in  sogo  sugno 
senèr  a  Venezia,  dhogo  dhugno  dhenèr  nelle  aree  interne 
di  fronte  alle  forme  toscane  giogo  giugno  gennaio  ^^. 
Una  delle  vicende  più  complesse  è  quella  dei  gruppi  di 
consonanti  del  tipo  cl,  pl  '^.  In  testi  antichi  veneziani  si 
trovano  i  tipi  blasmando  fior  fiume  plano  più  darò  odi 
vedo  macia.  La  resistenza  della  l  si  mantiene  tuttora  nei 
territori  friulani  al  di  là  del  Tagliamento,  talvolta  con  la 
caduta  della  consonante  precedente  come  in  vieli  invece 
dell'antico  ven.  vedo  (tose,  vecchio).  La  prima  innova- 
zione è  quella  d'origine  centro-italiana,  per  cui  al  posto 
di  CL  si  ha  ccHj;  essa  si  diffonde  con  rapidità  e  giunge 
fino  all'alto  bacino  del  Piave.  Essa  è  seguita  dal  suo  ulte- 

''  Pellegrini,  Le  interdentali  nel  veneto;  e  anche  Mafera,  p.   172 
sgg.;  Pellegrini,  p.  157  sgg. 

'^  Devoto,  Per  la  protostoria  della  Venezia  Euganea;  e  anche  Bat- 
tisti, p.  51  sgg.,  60  sgg. 


Veneto  35 

riore  sviluppo  (non  raggiunto  invece  in  Toscana),  da  cchj 
in  ccj.  A  questa  fase  appartiene  il  veneziano  che  dice  odo 
vedo  darò  dodo  mada  damar.  Ad  essa  ne  succede  una 
terza,  con  la  lenizione  del  tipo  vegio.  Questa  innovazione 
si  manifesta  piuttosto  nella  parte  settentrionale  del  terri- 
torio di  Padova,  raggiunge  in  parte  Venezia  come  mostrano 
le  antiche  grafie  oscillanti  vetchio  e  vetgio,  ma  non  arriva 
a  confondere  i  risultati  dei  tipi  preesistenti  paralleli  ai 
toscani  vecchio  sveglio.  Non  si  tratta  di  due  dialetti  di- 
versi a  Venezia,  ma  della  differenza  fra  uno  strato  arcaico 
socialmente  inferiore  e  uno  socialmente  superiore,  più 
aperto  alle  innovazioni  della  terraferma,  ma  che  tuttavia 
non  riesce  a  prevalere  in  modo  definitivo. 

Per  quello  che  riguarda  i  pronomi  personali,  non  solo  so- 
no, come  negli  altri  dialetti  settentrionali,  necessari  nel 
paradigma  della  coniugazione,  ma  sono  spesso  rinforzati: 
alla  prima  persona  singolare  del  tipo  mi  parlo  «  io  parlo  » 

0  nelle  regioni  di  montagna,  alla  prima  e  seconda  plurale 
noi  parlòn,  voi  parie,  si  oppongono  i  tipi  rinforzati  ti  te 
parli,  lu  l  parla,  lori  i  parla,  rispettivamente  nelle  persone 
seconda  e  terza  del  singolare  e  terza  del  plurale:  cui  (solo 
nelle  regioni  di  pianura)  si  aggiungono  le  forme  rinforzate 
noialtri  parlemo,  voialtri  parie,  nella  prima  e  seconda  del 
plurale  ^^. 

Le  forme,  appena  citate,  di  prima  persona  plurale,  in  -òn 
segnano  un  importante  carattere  distintivo  tra  le  regioni 
venete  di  pianura  e  quelle  di  collina  e  montagna.  Le  pri- 
me, analogamente  ad  altre  aree  della  regione  padana  e  li- 
gure, hanno  un  tipo  risalente  a  un  lat.  *  sìmus  variante 
di  sumus,  generalizzato  come  modello  per  le  coniugazioni 

1  e  II,  nella  desinenza  -emo  (tose,  -iamo),  e  adattato  alla  iii 
nella  forma  -imo,  secondo  le  serie  parlemo  vedemo  sen- 
timo.  Le  regioni  montane  invece  si  modellano  sull'antico 
indicativo  lat.  sumus  e  quindi  danno  luogo  ai  tipi  tuttora 
viventi  sulla  linea  delle  Prealpi,  fra  Piave  e  Livenza,  come 
parlòn  invece  di  parlemo,  batòn  invece  di  batemo,  e  così 
on  per  avemo,  don  invece  di  demo,  podòn  invece  di  po- 
demo  ^^.  Queste  forme  montane  si  trovavano  in  passato 

"  Cfr.  AIS  carte  660,  661. 

'*  Rohlfs  II,  p.  250  sg.;  Mafera,  p.  182. 


36  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

sino  nel  territorio  di  Padova  che,  attraverso  il  Ruzzante, 
ci  ha  tramandato  forme  come  mandòm  seòm  digòm  ve- 
gnòm.  Che  l'equilibrio  raggiunto  oggi  abbia  ragioni  pro- 
fonde, è  provato  dal  fatto  che  la  linea  di  confine  tra  le 
desinenze  -emo  e  -òn  corrisponde  a  quella  fra  caduta  ri- 
stretta e  caduta  abbondante  delle  vocali  finali. 
Nel  campo  della  morfologia  verbale  son  da  notare  altre 
caratteristiche  dei  dialetti  veneti.  Il  coincidere  delle  forme 
di  III  singolare  e  di  in  plurale  per  la  perdita  dell'ele- 
mento nasale  finale  (come  in  lombardo  e  in  molti  dia- 
letti settentrionali)  ^^  ha  influito  con  la  forza  dell'analogia 
sul  verbo  essere:  xe  equivale  sia  a  «  (egli)  è  »  sia  a 
«  (essi)  sono  ».  La  forma  si  presta  a  varie  interpretazioni 
dal  punto  di  vista  della  derivazione  ^:  importante  è  no- 
tare la  sua  forza  di  irradiazione  che  giunge  fino  a  Mug- 
gia^^  Anche  il  caratteristico  participio  passato  veneto  in 
-esto,  esso  pure  di  origine  analogica,  occupa  un'area  molto 
vasta  dal  Polesine  alla  zona  della  Valsugana,  al  trevisano, 
all'istriano  di  Rovigno  dove  si  è  creato,  per  i  verbi  della  li 
coniugazione,  il  tipo  -(sto  i-ist)  ^^. 

I  tipi  lessicali  veneti  trovano  generalmente  accordo  in  due 
diverse  direzioni:  o  si  tratta  di  parole  settentrionali,  di 
area  più  o  meno  diffusa  e  compatta  (sono  i  casi  di  amita 
«  zia  »,  di  CUNA  «  culla  »,  di  foglia  della  vite  per  «  pam- 
pano  »,  dei  derivati  di  cannabalum  «  collare  delle  vac- 
che »)  ^,  oppure  i  termini  si  legano,  attraverso  quel  parti- 
colare tramite  che  è  la  Romagna,  alla  zona  centrale  (come 
per  aguaso  «  rugiada  »,  ruga  «  bruco  »,  donnola,  fabbro)  '^^. 
Si  coglie  dunque  anche  nel  lessico  il  duplice  aspetto  dei 
dialetti  veneti  connessi  per  alcuni  caratteri  —  soprattutto 
consonantici  —  ai  dialetti  gallo-italici,  per  altri  —  soprat- 
tutto per  il  vocalismo  —  ai  dialetti  toscani. 
Dobbiamo  ricordare  anche  casi  di  concordanze  parziali 


"  Rohlfs  II,  p.  256. 

^o  Rohlfs  II,  p.  269  sg. 

^'  Cfr.  la  traduzione  della  novella  in  muglisano,  a  p.  53. 

"  Rohlfs  II,  p.  373  sg.;  Pellegrini,  p.  157. 

"  AIS  carte  20,  61,  1309.  V.  anche  Bertoni,  p.  40;  Pellegrini,  Po- 
stille etimologiche  venete  in  Omagiu  Rosetti,  1965,  p.  683  sg. 

"  AIS  carte  374,  481,  438,  213. 


Veneto  37 

con  singole  zone:  per  tros,  troi  «  sentiero  »  e  per  cultare 
«  concimare  »  con  il  Trentino-Alto  Adige  ^,  per  il  tipo 
BECCARO  «  macellaio  »  con  la  Lombardia.  Notiamo  una 
volta  di  più  la  complessità  dei  fatti  lessicali,  ognuno  dei 
quali  rispecchia  a  suo  modo  un  capitolo  di  storia,  anti- 
chissima o  recente,  del  luogo  in  cui  la  parola  vive,  o,  ma- 
gari, è  vissuta;  fatti  a  volte  molto  interessanti,  di  cui  pro- 
prio per  il  Veneto  H.  J.  Frey  ci  ha  dato  una  chiara  esem- 
plificazione in  un  suo  recente  volume  ^:  riprendiamo  qui 
i  casi  di  marangon,  parola  veneta  espansa  anche  nella 
Lombardia  occidentale  e  nella  Romagna,  e  impissar  «  ac- 
cendere »,  innovazione  che  si  irradia  da  Venezia  per  tutta 
la  regione. 

Ma  il  Veneto  presenta  anche  numerose  singolarità  lessi- 
cali, ben  note  in  genere  anche  ai  non  veneti  e  ai  non 
specialisti:  oltre  a  toso  e  tosa  (anche  della  Lombardia), 
putel  (puteo)  e  putela  «  ragazzo,  ragazza  »,  comuni  an- 
che al  Trentino,  santolo  e  santola  «  padrino  »  e  «  madri- 
na »,  copar  «  ammazzare  »,  bisi  (con  sonorizzazione  ini- 
ziale) «  piselli  »,  scarsela  «  tasca  »,  cotola  «  sottana  »,  no- 
gara  «  noce  »,  goto  «  bicchiere  »,  gemo  «  gomitolo  »,  pa- 
rolaro  «  calderaio  »  ^^;  e  aggiungiamo  filò  «  veglia  di  cam- 
pagna »,  interessante  non  solo  dal  punto  di  vista  folclori- 
stico, ma  anche  da  quello  fonetico-morfologico,  in  quanto 
mostra  l'antico  tipo  di  participio  passato  in  -o  da  -atu  ^*, 
già  menzionato  da  Dante. 

La  storia  della  latinità  euganea  appare  divisa  in  due  gran- 
di fasi.  Nella  prima,  pressioni  da  occidente  da  settentrione 
da  oriente  tendono  a  restringere  l'area  primitiva  che,  fra 
Adige  e  Livenza,  la  storia  aveva  delimitato  in  circostanze 
propizie  per  una  indisturbata  tradizione  di  latinità.  Queste 
pressioni  hanno  introdotto  a  poco  a  poco  elementi  gallo- 
italici, che  hanno  ristretto  sempre  più  l'area  genuina.  Per- 
sino Venezia,  geograficamente  appartata  nelle  isole  che  la 
avevano  protetta  da  pressioni  unne  e  longobarde,  persino 

"  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  p.  97. 

^^  Per  la  posizione  lessicale  dei  dialetti  veneti  (cfr.  le  pp.  45  sgg.; 

58;  69). 

"  AIS  carte  43,  44,  35,  36,  245.  1376.  1563.  1572.  1336.  1509,  202. 

"  Bertoni,  p.  107. 


38  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Venezia  ha  accolto  gallo-italicismi,  che  gh  antichi  testi 
hanno  tramandato  materialmente  anche  se  non  fissato  in 
una  tradizione.  Volta  a  volta,  forme  come  chiari  chiarii 
per  «  cane  cani  »,  una  prima  persona  plurale  come  von 
invece  di  andemo,  infine  vegio  accanto  a  vedo,  ci  mo- 
strano pressioni  orientali,  settentrionali,  occidentali  rag- 
giungere la  laguna,  che  si  è  aperta  a  queste  novità  lin- 
guistiche ^^.  La  cosa  non  sorprende,  quando  si  pensi  che 
la  storia  di  Venezia  nasce  da  una  vicenda  di  profughi, 
oriundi  approssimativamente  sì  da  una  stessa  regione,  che 
è  però  solcata  da  tendenze  linguistiche  contrastanti. 
Nella  seconda  fase,  che  si  inizia  nel  xv  secolo,  si  hanno 
due  manifestazioni  contrastanti  che  illuminano  di  luce  in- 
diretta anche  la  prima.  Il  dialetto  di  Venezia  si  trasmette 
dal  XV  secolo  in  poi  in  una  forma  molto  più  omogenea  e 
genuina  di  quel  che  non  fosse  stato  nelle  età  anteriori. 
Dal  XV  secolo  in  poi  il  veneziano  si  spiega  col  veneziano, 
senza  dover  ricorrere  a  forze  e  pressioni  straniere.  Non 
solo:  il  XV  secolo,  che  segna  il  trionfo  del  monolinguismo 
veneziano,  segna  anche  il  declassamento  dei  dialetti  del- 
l'entroterra e  principalmente  del  più  illustre,  quello  di 
Padova  o  pavano.  Una  forza  estralinguistica,  la  afferma- 
zione di  Venezia  come  potenza  continentale,  dà  al  vene- 
ziano la  esigenza  di  una  stabilità  e  armonia  inteme,  e  in- 
sieme lo  presenta  nell'entroterra  veneto,  non  più  su  un 
piede  di  parità  con  le  tradizioni  preesistenti,  ma  su  un 
piano  di  superiorità  politica  e  sociale,  come  veicolo  di 
comunicazione  fra  le  terre  venete  linguisticamente  affini. 
In  pochi  decenni,  il  veneziano  diventa  la  lingua  ufficiale 
dall'Adda  all'Isonzo  2°.  Non  ha  il  potere  di  snaturare  le 
tradizioni  dialettali  gallo-italiche  nel  Bresciano  e  nel  Ber- 
gamasco a  occidente,  nel  Friuli  a  oriente,  ma  introduce 
condizioni  di  bilinguismo  ineguale  fra  Adige  e  Livenza,  e, 
nel  caso  di  Padova,  opera  una  sostituzione  linguistica  pa- 
ragonabile a  quella  che  i  papi  medicei  hanno  operato  in 
Roma. 

Mentre    l'affermazione    del    veneziano,    collegata    con    la 
espansione  politica,  diventa  di  una  comprensibilità  cristal- 


^'  Bertoni,  p.  109. 

^  Pellegrini,  p.  156  sgg. 


Veneto  39 

lina,  rimane  aperta  la  questione  della  purezza  di  quel  ve- 
neziano. Questa  è  di  natura  non  più  politica  ma  sociale. 
Bisogna  ammettere  cioè  che  la  tradizione,  per  così  dire 
mista,  del  veneziano  più  antico  si  associa  a  una  classe 
dirigente  legata  alle  origini  composite  dell'insediamento 
primitivo.  Ma,  al  di  sotto  di  questa  classe  dirigente,  negli 
strati  inferiori  della  popolazione  si  è  tramandato  un  vene- 
ziano più  genuino  e  omogeneo  che  non  aveva  mai  accet- 
tato né  chìan,  né  von,  né  regio.  Quando  si  è  compiuta 
più  tardi  la  svolta  della  storia  politica  veneziana  dagli 
esclusivi  interessi  marittimi  orientali  a  quelli  continen- 
tali e  occidentali,  questa  appare,  attraverso  gli  indizi  lin- 
guistici, accompagnata  da  una  svolta,  anzi  da  un  vero  e 
proprio  rivolgimento  di  carattere  sociale. 

Dante  nel  De  Vulgari  Eloquentia  ha  dato  un  giudizio  lin- 
guistico sul  veneziano  che  va  al  di  là  degli  altri  suoi,  ten- 
denzialmente estetizzanti  se  non  proprio  moralistici.  Egli 
sottolinea  la  caratteristica  padovana  del  tipo  merco  per 
«  mercato  »  e  accumuna  i  trevigiani  con  i  bresciani  per- 
ché troncano  la  parola  e  rafforzano  la.  finale  consonantica 
che  ne  risulta,  secondo  il  tipo  nof  di  fronte  al  veneziano 
e  toscano  nuovo  novo.  Il  giudizio  negativo  sul  veneziano 
ai  fini  di  un  impiego  letterario  si  limita  alla  constatazione 
«  neppure  i  veneziani  si  stimano  degni  dell'onore  del  vol- 
gare che  ricerchiamo  »  ^^ 

Per  una  esemplificazione  dei  dialetti  veneti  togliamo  an- 
cora gli  esempi  da  /  parlari  italiani  in  Certaldo^-: 
Da  Venezia:  Donca  ve  digo  che  ai  tempi  del  primo  Re  di 
Cipro,  dopo  la  conquista  de  Tera  Santa  fata  da  Gofredo 
de  Buglion,  se  ga  dà  el  caso  che  una  zentildona  de  Gua- 
scogna xe  andada  in  pelegrinagio  al  Santo  Sepolcro,  e  che, 
tornando  indrìo,  rivada  che  la  xe  a  Cipro,  la  gha  petà 
drento  in  t'una  mànega  de  baroni  che,  povarazza!  i  la  gha 
maltratada  in  t'un  modo...  in  t'un  modo  da  no  dir.  No 
potendosene  dar  pase  né  zorno  né  note,  ghe  vien  in  mente 


''  De  vulgari  eloquentia  I,   14,  4-6.  Cfr.  Vidossi,  L'Italia  dialettale 

fino  a  Dante,  p.  LI. 

"  /  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  550  sg.;  434  sg.;   559  sg.;   117. 


40  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

de  andar  dal  Re  perchè  el  ghe  fazza  giustizia.  (A  cura 
di  Erminia  Fuà-Fusinato). 

Da  Rovigo  (dialetto  della  plebe  dei  borghi)  :  Mi  a  digo 
dunque  che  in  te  i  tempi  del  primo  Re  de  Sipro,  dopo  la 
ciapàda  fata  da  Gofredo  Bugliòn  de  la  Terasanta,  xè  susse- 
desto  che  una  zintildona  de  Guascogna,  che  géra  in  pele- 
grinagio,  la  xè  andà  al  Sepolcro,  e  tornando  in  drio,  la  xè 
capita  a  Sipro,  dove  da  alcuni  rami  de  galèra  la  xè  sta 
vilanamente  oltragià.  (A  cura  di  Ferdinando  Prosdocimi). 
Da  Verona  (dialetto  della  plebe)  :  G'o  da  contarvene 
una  de  bèlé,  e  no  l'è  miga  una  rosaria,  ma  storia  che  mi 
ò  lèta  in  t'un  libro  stampado.  Quando  él  bravo  coman- 
dante Gofrédo  de  Bujon  avea  ciapà  la  Tera  Santa,  gh'éra 
un  Re  a  Zipro.  Scazado  él  Turco,  i  Cristiani  savio  no  jéra 
tuti  de  bon  tajo,  farina  da  ostie:  ghé  n'era  de  mauchi, 
gèrté  pèlè!...  Sentì  mó  coss'è  succèsso.  Una  sioróna  de 
Gascogna,  che  l'èra  andada  per  so  dévozion  al  Santo 
Sepolcro,  in  tèi  tornar  indrìo  l'à  scapuzà  proprio  in  t'uno 
de  sti  scavèzóni,  el  qual  ghè  n'à  fato  una  de  grosse  contra 
'1  so  onór.  (A  cura  del  conte  Carlo  Giullari). 
Da  Feltre  (Belluno)  :  Donca  dighe,  che  ai  temp  del 
prin  Re  de  Cipro,  dop  che  Gotifré  Bulgion  l'è  andat 
al  posses  de  Terra  Santa,  è  nassèst  che  'na  lustrissima  de 
Gascogna,  che  l'èra  andada  per  so  dévozion  al  Santo 
gner  indrio,  e  rivada  a  Cipro,  la  ha  catà  dei  mostri  de 
omenàt  che  l'ha  brancada  su  e  ghe  ha  fat  milli  pazzità: 
ondechè,  desperada,  la  ha  pensa  de  andar  a  contarghela  al 
Re  parche  la  proteggiasse.  (A  cura  di  Luigi  Tonelli). 

Par  giusto  concludere  con  alcuni  versi  veneziani  contem- 
poranei, di  Giacomo  Noventa^^: 

Par  vardar   dentro   i   sieli   sereni 
là  su  sconti  da  nuvoli  neri 
gò  lassa  le  me  vali  e  i  me  orti 
per  andar  su  le  sime  dei  monti. 


"  M.  Dell'Arco  e  P.  P.  Pasolini,  La  poesia  dialettale  italiana  del 
'900,  cit.,  pag.  297. 


TRENTINO-ALTO  ADIGE 


Mentre  il  Friuli  corrisponde  linguisticamente  al  cuneo 
(carnico)  che  ha  rotto  la  continuità  venetica  precedente, 
e  l'impronta  che  ne  deriva  ha  superato  la  fase  romana, 
il  Trentino-Alto  Adige,  dal  punto  di  vista  linguistico,  è 
nato  dalla  contrapposizione  di  due  correnti  opposte,  l'una 
che  risale  le  valli,  l'altra  che  le  discende  '.  Le  correnti 
latine,  e  poi  italiane,  penetrano  nella  regione  attraverso  i 
tre  itinerari  della  vai  Giudicarla,  della  vai  Lagarina,  della 
Valsugana  avendo  per  meta  comune  Trento:  da  qui,  ri- 
salendo poi,  fino  a  un  certo  punto,  nelle  valli  del  Noce, 
dell'Avisio  e  del  Fersina.  Le  correnti  settentrionali  sono  col- 
legate all'apertura  dei  valichi  di  Resia,  Brennero  e  Dobbia- 
co,  e  di  là  hanno  disceso  le  valli  dell'Adige,  dell'Isarco, 
della  Rienza,  avendo  per  luogo  d'incontro  Bolzano  e  limite 
estremo  la  stretta  di  Salorno.  L'immagine  che  se  ne  ricava 
è  quella  di  un  doppio  imbuto  i  cui  vertici  corrispondono 
alla  zona  compresa  fra  Salorno  e  Mezzolombardo. 
L'immagine  dei  due  imbuti  non  si  definisce  solo  in  senso 
geografico,  ma  anche  in  quello  cronologico.  Le  correnti 
meridionali  cominciano  ad  agire  alla  metà  del  i  secolo  a.C. 
in  corrispondenza  alla  concessione  dei  diritti  di  cittadi- 
nanza alle  città  della  Gallia  cisalpina,  all'arrivo  dei  ro- 
mani a  Trento  nel  24  a.C.  e  alla  loro  precoce  afferma- 
zione nella  vai  di  Non,  per  cui  gli  anauni  non  compaiono 
più  nel  famoso  Tropaeiim  di  Augusto  ^.  Esse  hanno  da 
principio  piuttosto  un  carattere  occidentale  e  lombardo 
che  orientale  e  veneto.  Con  l'andar  del  tempo,  l'importanza 
del  tipo  veneto  invece  si  viene  accrescendo,  e  tale  pro- 
cesso  si   continua   anche    ai    nostri   giorni  ^. 

'  Battisti,  //  problema...  del  ladino  dolomitico,  p.  306. 

^  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  p.  15. 

'  ToMASiNi,    Profdo    linguistico    della    regione    tridentina    {=  ToMA- 

siNi),  p.  82  sg. 


42  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Le  pressioni  dal  settentrione  si  fanno  sentire  più  tardi,  e 
corrispondono  in  generale  alla  riforma  della  struttura  del- 
l'Impero, operata  intorno  al  300  a.C.  dall'imperatore  Dio- 
cleziano. Per  essa  i  grandi  itinerari  dall'Occidente  al- 
l'Oriente e  viceversa  vengono  valorizzati,  così  attraverso 
la  Gallia  cisalpina  come  attraverso  strade  transalpine. 
Queste  ultime  hanno  irradiato  una  latinità  gallica  diversa 
da  quella  cisalpina,  di  carattere  piuttosto  culturale  che 
etnico.  A  questo  tipo  di  latinità  risale  la  tradizione  lin- 
guistica ladino-dolomitica  insediata  un  tempo  nelle  valli 
e  in  particolare  nella  vai  Venosta,  e  poi  respinta  sempre 
più  nelle  valli  orientali,  la  Gardena,  la  Gàdera,  l'alta  vai  di 
Fassa  dove  ancora  oggi  sopravvive''.  La  forza  che  suc- 
cessivamente, e  sempre  provenendo  da  settentrione,  ha 
esercitato  queste  pressioni,  è  rappresentata  invece  dall'ele- 
m.ento  bavarese,  che  ha  accresciuto  sempre  più  la  sua  in- 
fluenza fino  a  tutto  il  xvin  secolo,  per  trovare  l'equilibrio 
che  è  ancora,  almeno  nelle  zone  rurali,  quello  attuale^. 
Le  due  facce  linguistiche  della  regione  hanno  avuto  sem- 
pre paralleli  di  carattere  storico:  nei  tempi  più  antichi  cor- 
rispondevano alle  due  aree,  la  baiuvara  (settentrionale)  e 
la  longobarda  (meridionale)  fino  a  tutto  l'vrii  secolo.  In 
tempi  più  vicini,  l'azione  più  importante  è  stata  rappre- 
sentata dalla  frontiera  delle  grandi  diocesi,  quella  di 
Bressanone  nella  parte  settentrionale,  quella  di  Trento  a 
mezzogiorno  *. 

Le  due  pressioni,  gallo-italica  e  veneta,  da  mezzogiorno, 
agiscono  talvolta  in  modo  uniforme.  La  assibilazione  delle 
consonanti  palatali  si  manifesta  nel  Trentino  in  senso 
stretto  secondo  i  tipi  di  sento  per  «  cento  »  e  di  sente 
per  «  gente  ».  Ma  nella  valle  del  Noce,  a  Fondo,  come 
nella  vai  di  Fiemme,  persistono  le  forme  più  attardate 
di  tipo  settentrionale  come  gent  «  gente  »  ^.  Nella  Val- 
sugana   si    mantiene   un   tipo   leggermente    più    arretrato 

*  Battisti,  Studi  dì  storia  linguistica  e  nazionale  del  Trentino 
(=  Battisti),  p.  123  sgg.;  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  p.  75  sgg. 
'  Battisti,  Popoli  e  lìngue  dell'Alio  Adige,  capp.  VII  e  Vili. 

*  Battisti,  p.  3;  //  problema...  del  ladino  dolomitico,  p.  310. 

'  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  p.  136  sg.;  Tomasini, 
Le  palatali  nei  dialetti  del  Trentino,  p.  101. 


Trentino-Alto  Adige  43 

zento  per  «  cento  »  e  diigno  per  «  giugno  »  o  denocio  per 
«  ginocchio  »  ^.  Molto  più  vistosa  e  decisiva  è  la  diffe- 
renza compatta  che  divide  le  forme  meridionali  palataliz- 
zate del  tipo  Clamar,  giazzo,  bianco  (da  gruppi  originari 
CL,  GL,  bl),  dalla  presistente  forma  (identica  ai  tipi  fran- 
cesi) di  glats  «  ghiaccio  »  e  Mane'  «  bianco  »,  che  si  tro- 
vano nel  bacino  del  Noce,  a  Fondo,  da  una  parte,  e  nei 
dialetti  dolomitici  della  Gardena  e  della  Gàdera,  immutati, 
dall'altra  ^ 

Come  esempi  di  differenze  all'interno  delle  correnti  prove- 
nienti dalla  pianura,  sono  da  isolare  innanzi  tutto  i  tipi 
francamente  lombardi,  anzi  lombardo-orientali,  che  si  sono 
mantenuti  nelle  Giudicarle  e  nelle  aree  vicine,  senza  mai 
oltrepassare  il  Sarca;  tali  la  aspirazione  della  consonante 
sibilante  del  tipo  hemper  per  semper  «  sempre  »,  o  la  ca- 
duta della  consonante  nasale  finale  in  vi  per  vin  «  vino  ^°. 
Ma  più  interessanti  sono  i  casi  nei  quali,  a  differenza  del- 
l'area estrema  sud-occidentale  del  Trentino,  si  possono  tro- 
vare tracce  lombarde,  sopraffatte  da  influenze  venete  po- 
steriori. Tale  è  il  caso  delle  vocali  miste  ò,  ij,  che  si  tro- 
vano ancora  superstiti  nel  Trentino  centrale,  mentre  a 
Rovereto  ad  esempio  non  esistono  più  ^^  Si  ha  così  la 
triplice  serie  di  «  cuore  »,  che  appare  a  settentrione  (a 
Fondo  e  in  vai  di  Fassa)  nella  forma  cuer,  in  una  zona 
intermedia  sotto  antica  influenza  gallo-lombarda  cor  (a 
Mezzolombardo  o  a  Predazzo)  mentre  a  mezzogiorno  si  ha 
cor  (a  Rovereto  come  in  Valsugana).  Ancora  più  appari- 
scente è  la  sostituzione  dei  due  strati  per  quanto  riguarda 
il  trattamento  delle  vocali  finali:  per  esempio,  tali  i  tipi 
che,  da  questo  punto  di  vista,  sono  ancora  lombardi,  a 
Rovereto:  bas  «  basso  »  (Valsugana,  basso);  car  «  carro  » 
(Valsugana,  carro);  pari  «parte»  (Valsugana,  parte)  ^^. 
Ci  sono  poi  i  casi  in  cui  l'elemento  lombardo  va  d'accordo 

'  Prati,  L'italiano  e  il  parlare  della  Valsugana,  p.  20;  Tomasini,  Le 
palatali  nei  dialetti  del  Trentino,  p.  71   sgg.;  87  sgg. 
'  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  pp.   130  sgg.;    143  sgg. 
'"  Ascoli,  Saggi  ladini,  p.  312  sgg.;  Battisti,  Popoli  e  lingue  del- 
l'Alto Adige,  p.  135  sgg. 

"  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  pp.  84  sg.;  137  sgg.; 
Critica  della  teoria  ascoliana  sul  ladino  in  A.A.A.  57,  1963,  p.  87. 
'^  Ascoli,  Saggi  ladini,  p.  406  sgg.;  Tomasini,  /  dialetti  trentini, 
p.  97  sgg. 


44  I  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

con  quello  dolomitico  contro  quello  veneto.  Il  tipo  undes 
per  «  undici  »,  con  caduta  della  vocale  finale  in  parola 
sdrucciola,  appare  così,  nel  bacino  del  Noce  come  in  vai 
di  Fassa,  per  influenza  settentrionale;  in  vai  di  Fiemme  e 
in  vai  di  Cembra,  più  esposte  alle  influenze  trentine,  nella 
forma  iìndes,  mentre  a  Rovereto,  come  in  Valsugana,  si  ha 
il  tipo  veneto  ùndese  '^.  Nella  prima  persona  plurale 
del  verbo  abbiamo  le  serie  di  tipo  occidentale  a  Pinzolo 
nell'alto  bacino  del  Sarca  sum,  gum,  dum,  padùm,  vulùm 
«  siamo  »,  «  abbiamo  »,  «  diamo  »,  «  possiamo  »,  «  voglia- 
mo »,  mentre  a  Rovereto  la  caduta  della  vocale  finale  è 
lombarda  ma  la  formazione  verbale  è  veneta:  sem,  gavém, 
dem,  podém,  volém;  invece  a  Cavalese  si  rientra  nei  tipi 
in  o:  som,  aòm,  dazòm,  pudòm,  vulòm,  cui  seguono  a 
Vigo,  in  Val  di  Fassa,  i  tipi  francamente  settentrionali: 
son,  aòn,  dazòn,  oudòn,  vulòn  ^^. 

Finalmente  si  hanno  i  casi  tipici  settentrionali,  la  palataliz- 
zazione di  CA  in  CIA,  la  velarizzazione  di  l  davanti  a  den- 
tale, il  plurale  segnalato  da  -s  anziché  da  -i.  In  un'unica 
forma  come  quella  del  femminile  «  calda  »  si  hanno  gli 
esempi  di  due  di  questi  fatti  insieme:  a  Fondo  si  ha  la 
palatalizzazione  e  velarizzazione,  ciauda;  a  Rovereto  come 
a  Cavalese  il  tipo  padano  calda,  senza  nessuna  di  queste 
innovazioni;  a  Predazzo  in  cauda  se  ne  ha  una;  più  a 
settentrione,  a  Vigo  di  Fassa,  si  hanno  di  nuovo  entrambi 
i  fenomeni  in  ciauda  ^^. 

Per  quanto  riguarda  i  plurali  in  -s,  in  vai  Monastero,  ai 
margini  occidentali  dell'Alto  Adige,  si  ha  milrs  per  «  mu- 
ri »;  a  Mezzolombardo,  come  a  Predazzo,  si  ha  il  tipo 
italiano  muri  sia  pure  con  la  vocale  non  italiana  ù;  a  Ro- 
vereto il  tipo  totalmente  italiano  muri.  A  settentrione  in 
vai  Gàdera  riappare  il  tipo  anitaliano  mur(t)s^^. 

Il  vocabolario  trentino  non  presenta  in  genere  vere  novità 
rispetto  ai  dialetti  delle  zone  vicine:   la  regione,  in  quanto 

"  Prati,  L'italiano  e  il  parlare  della  Valsugana,  p.  18  sg. 

"  Elwert,  Die  Mundart  des  Fassatals,  p.   147  sgg. 

''  Elwert,  Die  Mundart  des  Fassatals,  p.  61  sg.;  83  sg. 

"  Ascoli,  Saggi  ladini,  p.  356;  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto 

Adige,  p.  155  sgg. 


Ìrentino-Alto  Adige  45 

manca,  eccetto  che  nella  parte  ladina,  di  una  vera  e  pro- 
pria individualità  linguistica,  si  associa  anche  dal  punto 
di  vista  lessicale  o  alla  zona  lombarda  (per  es.,  nel  tipo 
FIOCCARE  «  nevicare  »,  in  ampone  «  lampone  »,  in  migola 
«  briciola  »)  i',  o  a  quella  veneta  (così  per  toso  e  putel 
«  ragazzo  »,  anco  «  oggi  »,  narancio  «  arancia  »)  ^*.  Pos- 
siamo però  rilevare,  sia  pur  raramente,  casi  di  peculiarità 
regionali  in  parole  come  canederli  «  gnocchi  di  pane  »  o 
smolz  «  strutto  »,  prestiti  dal  tedesco  (rispettivamente  da 
Knódel  e  Schmalz  '^),  o  come  eros  «  roccia  scoscesa  »  o 
barda  che  qui  è  «  carretta  »  ^.  Di  particolare  interesse  per 
la  sua  conservatività  è  pistór  «  fornaio  »,  mentre  pontesel 
«  loggia  »  mostra  un  facile  ma  interessante  traslato  ^^  Sono 
da  notare  nel  significato  di  «  serpe  »  termini  derivati  dal 
lat.  vermis,  con  un'immagine  che  rimane  isolata  nella 
zona  italiana,  mentre  duman  col  valore  di  «  mattina  »,  dif- 
fuso anche  nelle  zone  limitrofe,  si  collega  al  doppio  valore 
del  ted.  Morgen  ^^.  Citiamo  ancora  paroloto  «  calderaio  », 
morlos  «  lucchetto  »,  lorel  «  imbuto  »,  orna,  ornela  «  ma- 
stello del  bucato  »  ^^  piof  «  aratro  »,  da  un'antica  forma 
longobarda  ^'*,  boal  «  canalone  di  monte  »,  uno  dei  termini 
legati  al  tipico  ambiente  alpino  ^. 

La  pressione  settentrionale  di  carattere  germanico  sulla 
regione  è  antichissima.  L'età  decisiva  può  essere  collocata 
al  X  secolo,  quando  da  una  parte  gli  ungari  premono  con- 
tro i  bavaresi,  dall'altra  si  costituisce  uno  Stato  bavare- 
se, volto  in  buona  parte  a  mezzogiorno^.  Ma  l'afferma- 
zione non  ha  raggiunto  immediatamente  l'estensione  at- 
tuale, e  la  stessa  Bolzano  era  nel  Cinquecento  di  una  ger- 
manicità   ancora   recente.    Lo   studio    delle    testimonianze 

"  AIS  carte  577,  611,  991. 

"  AIS  carte  43,  44,  346,  1272 

"  Battisti,  p.  210. 

'"  AIS  carte  423,  1225. 

^'  AIS  carte  234,  870. 

"  AIS  carte  452,  337. 

"  AIS  carte  202,  891,  1331,  1523. 

^*   TOMASINI,   p.    41. 

"  Battisti,  p.  40;  cfr.  in  questo  volume  l'ampio  esame  del  lessico 

regionale. 

"  Battisti,  p.  102  sgg. 


46  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

toponomastiche  e  del  loro  adattamento  al  sistema  ger- 
manico, anche  quando  sono  di  chiara  origine  neolatina, 
dà  precisazioni  interessanti  per  questa  cronologia  ^^.  L'esten- 
sione del  gennanesimo,  collegandosi  allo  strato  superiore 
della  popolazione  e  alla  necessità  di  mantenere  contatti 
con  i  centri  della  sovranità  posti  in  regione  transalpina, 
ha  fatto  sì  che  il  bavarese  dell'Alto  Adige  sia  sostanzial- 
mente identico  col  bavarese  del  Tirolo.  Solo  qualche  lieve 
differenza,  in  corrispondenza  della  linea  del  Brennero,  del- 
la Pusteria  e  della  vai  Venosta  incrina  questa  unità  ^*. 

Ed  ecco  alcuni  esempi  di  dialetti  italiani  e  ladini  della 
regione,  tratti  dal  volume  di  Giovanni  Papanti  /  parlari 
italiani  in  Certaldo^^: 

Da  Arco:  Digo  donca  che  al  temp  del  prim  Re  de 
Zipro,  quando  Gotifrè  Buliom  l'aèa  ciapà  la  Terra  Santa, 
'na  gran  siora  de  Pranza  la  è  naa  vestia  da  pelegrim  al 
Sepolcro;  e  po'  tornaa  endrio  e  vegnùa  a  Zipro,  dèla  zent 
da  forca  i  ghe  n'ha  fatt  de  tute  le  sort.  (A  cura  di  F.  A. 
De'  Negri). 

Da  Borgo  Valsugana:  Ve  dirò  donque,  che  quando  gh'era 
il  primo  Re  de  Sipro,  dopoché  Goffredo  di  Buglione  l'ha 
ciappà  la  Terra  Santa,  è  sussesso  che  'na  gran  siora  de 
Guascogna  la  è  andada  'n  pellegrinaggio  al  Sepolcro;  e 
vegnendo  da  volta  la  è  arrivada  a  Sipro,  e  là  la  è  stada  mal- 
trattada  da  arquanti  berecchini.  (A  cura  di  Maurizio  Mo- 
rizzo). 

Da  Cles:  Ve  dighi  donc,  che  ai  tempi  del  prim  re  de  Zipro, 
dopo  che  Goffrè  de  Buglion  l'èva  ciapà  la  Terra  Santa, 
è  nat  che  'na  siora  de  Guascogna  la  s'è  portada  en  pelle- 
grinaggi al  Sepolcro,  e  en  tei  tornar  endré  la  è  chiapitada 
a  Zipro,  e  io  da  arcanti  balossi  la  è  stada  maltrattada  vil- 
lanament.  (A  cura  di  alcuni  trentini). 
Da  Ortisei  (vai  Gardena):  Dize  dunque,  ch'ai  tempes 
del  prim  Re  de  Cipri,  do  che  la  Tierra  Santa  foa  con- 
quisteda  da  Gotfrid  de  Buglion,  iel  suzzedù  che  na  nobil 

"  V.  i  numerosi  volumi  del  Dizionario  Toponomastico  Atesino,  do- 
vuti a  C.  Battisti  e  ai  suoi  collaboratori.  La  pubblicazione,  comin- 
ciata nel  1936,  non  è  ancora  ultimata. 
^  Battisti,  Popoli  e  lingue  dell'Alto  Adige,  p.  73. 
^'  Rispettivamente  alle  pp.  633  sg.;  635  sg.;  636  sg.;  654  sg.;  652  sg. 


Trentino-Alto  Adige  47 

segneura  dia  Guascogna  ie  zita  a  dliezia  (chiesa)  al  Santo 
Sepolcro.  Rueda  nel  ritorn  a  Cipri  icla  unida  meltratteda 
villanamenter  da  canaia  de  zent.  (A  cura  di  G.  B.  Rifesser). 
Da  Badia  (vai  Goderà)  :  T'  dirà  dunque  che  al  tamp  d'I 
priim  Re  de  Cipro,  despò  che  Godifrè  de  Buglion  ava 
conquiste  la  Terra  Santa,  elle  soccedii,  che  na  nobil  si- 
gnura  de  Guascogna  è  ziiida  teco  na  pellegrina  al  Santo 
Sepolcro,  e  tei  de  otta  da  ilio,  roada  a  Cipro  ella  gniida 
villanamaintr  strabacciada  da  valgiign  orni  scelerati.  (A 
cura  di  Cipriano  Pescosta). 

Accando  a  queste  testimonianze  che  potremmo  definire 
standardizzate  figura  bene  un  esempio  di  canti  popolari 
trentini  tratto  dal  volume  di  Pier  Paolo  Pasolini  La  poesia 
popolare  italiana  ^: 

«  O  nugoletta  che  va'  per  montagna 
Gnarenta  '1  bene  mio  che  no   '1  se  bagna 
E  se  '1  se  bagna,  màndeghe  del  vento 
che  '1  vegna  a  ca'  alegro  e  contento; 
e  se  '1  se  bagna  màndeghe  de  l'ora  (aria), 
che  '1  se  possa  sugar  la  camisola  ». 


'"  Milano,   1960,  p.  83. 


FRIULI-VENEZIA  GIULIA 


Il  dato  essenziale  per  la  storia  linguistica  della  regione  è 
dato  da  una  nozione  etnica  pressoché  inafferrabile,  quale 
quella  dei  carni:  la  popolazione  gallica  che  è  discesa  dai 
monti  nel  v  secolo  a.C.  rompendo  la  continuità  fra  i  ve- 
neti della  regione  d'Este  e  i  veneti  delle  regioni  isontina  e 
carinziana  ^  Il  cuneo,  stabilito  allora,  ha  definito  non  sol- 
tanto geograficamente  la  regione  che  corrisponde  all'odier- 
no Friuli,  ma  ha  lasciato  un'impronta  sul  latino  che  vi  si  è 
stabilito.  La  latinità  friulana  va  vista  infatti  come  più 
estesa  verso  oriente  di  quel  che  non  sia  la  friulanità 
odierna:  Trieste  e  Muggia,  e  cioè  praticamente  l'intera 
provincia  attuale  di  Trieste  (e  la  Venezia  Giulia  in  senso 
amministrativo)  vi  sono  completamente  comprese  2.  La  la- 
tinità sopravvissuta  più  a  oriente  non  può  essere  presa 
in  considerazione  per  un  confronto,  solo  perché,  a  par- 
tire dalle  invasioni  barbariche,  è  stata  sommersa,  e  non 
lascia  più  tracce  dirette  in  un  mondo  che  da  secoli  è  or- 
mai slavo.  La  tradizione  di  questa  latinità  comincia  nel 
181  a.C.  con  la  fondazione  della  colonia  «  latina  »  di 
Aquileia.  A  questa  colonia  si  affiancano  poi,  come  città 
principali  e  focolai  irradianti  latinità,  le  città  di  Trieste 
(lat.  Tergeste)  e  di  Iidiiim  Camicum  presso  Tolmezzo^. 

Nonostante  questa  netta  delimitazione,  il  fattore  della  me- 
scolanza linguistica  fra  coloni  latini  e  abitanti  camici  non 
è  stata  determinante.  Se  consideriamo  come  gallicismi  di- 
retti o  indiretti  la  presenza  delle  vocali  miste  ò  e  ù  quali 


'  Devoto,  Protostoria  del  Friuli,  p.  349  sg. 

^  Bartoli-Vidossi,  Alle  porte  orientali  d'Italia,  p.  63;  Pellegrini, 
Tra  friulano  e  veneto  a  Trieste,  p.  199  sg. 

'  P.  PaschinI,  Storia  del  Friuli,  Udine  1953-54%  I,  p.  20.  Cfr.  anche 
Devoto,  Protostoria  del  Friuli,  p.  350  sgg.;  Pellegrini,  L'indivi- 
dualità storico-linguistica  della  regione  veneta,  p.  8. 


Friuli-Venezia  Giulia  49 

appaiono  in  Piemontese  e  Lombardia  o  il  passaggio  di  a  in  À 
quale  appare  in  Emilia,  ebbene  nessuno  di  questi  caratteri 
appare  nella  latinità  del  Friuli:  qui  si  dice  dur  per  «  du- 
ro »  mentre  a  Milano  si  dice  diir;  uf  per  «  uovo  »  di 
fronte  al  lombardo  òf;  lari  per  «  ladro  »  di  fronte  al  tipo 
emiliano  lader.  L'impronta  definitiva  la  latinità  friuliana 
l'ha  poi  ricevuta,  non  già  dal  basso  attraverso  l'azione  di 
un  sostrato,  ma  piuttosto  dall'alto,  attraverso  un  «  super- 
strato »,  maturato  negli  ultimi  secoli  dell'impero  lungo  le 
strade  transalpine,  che,  attraverso  le  valli  svizzere  del 
Reno  e  dell'Inn,  irradiavano  modelli  di  latino  raffinato  e 
insieme  colorito  di  pronuncia  gallica,  non  per  forza  nu- 
merica o  tradizionalismo,  ma  per  prestigio  '*.  Questa  lati- 
nità gallica  si  distingueva  dalla  latinità  genericamente  ro- 
mana e  italiana  perché  pronunciava  con  piena  chiarezza 
4a  s  finale,  e  perché  questa  s  l'aveva  mantenuta,  come 
segnale  fondamentale  ed  essenziale  del  plurale.  Se  le  s 
isolate  sono  note  ancora  in  dialetti  medievali  e  Dante 
stesso  ricorda  la  forma  veneziana  con  la  desinenza  in  s 
verràs,  la  persistenza  organica  della  desinenza  del  plurale 
fa  sì  che,  ancora  oggi,  sulla  linea  del  Livenza  si  possa  par- 
lare di  un  confine  dialettale  vistosissimo,  che  non  si  inter- 
preta secondo  la  casuale  contrapposizione  di  forme  con- 
servatrici e  fomie  innovatrici.  Il  rapporto  dei  plurali  murs, 
cians,  nios  rispetto  ai  rispettivi  singolari  mur,  cian,  niof  si 
contrappone,  come  sistema  elaborato  su  ispirazione  gal- 
lica, agli  analoghi  rapporti  per  esempio  di  Portogruaro  di 
muri  a  muro,  cani  a  can,  novi  a  novo,  di  ispirazione  ita- 
liana 5. 

Se  si  considerano  i  gruppi  di  consonante  occlusiva  con  l, 
ecco  che  mentre  dall'Italia  centrale  irradia  verso  setten- 
trione una  soluzione  palatalizzata,  valida  così  per  l'Emilia 
come  per  la  Lombardia  e  per  il  Veneto,  dove  anzi  si  ac- 
centua, la  tenue  frontiera  del  Livenza  ci  mostra  all'im- 
provviso la  vivacità  «  gallica  »  dei  tipi  con  la  l  intatta: 
clama  «  chiama  »  friulano,  di  fronte  al  veneto  dama;  ^ 
glesie  «  chiesa  »  di  fronte  al  tipo  veneto  cesa;  ueli  di  fronte 

■*  Pellegrini,    Criteri    per    una    classificazione    del    lessico    ladino, 
p.  30  sg. 

'  W.   V.   Wartburg,   Die   Ausgliederung   der   romanischen   Sprach- 
raume,  cit.,  p.  20  sgg. 


50  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

a  odo  «occhio»;  orela  «orecchia»  di  fronte  al  veneto 
recia;  zenoli  di  fronte  a  zenocio  «  ginocchio  »;  blanc  di 
fronte  a  bianco;  pian  di  fronte  a  pian;  ciaf  di  fronte  a 
clave  «  cliiave  »  ^.  In  forma  ancora  più  energica,  richiama 
alla  Gallia  la  alterazione  palatale  delle  consonanti  del 
^  tipo  CA  che  diventa  ci  A  e  ga  che  diventa  già:  tali  gli 
(7  esempi  di  ciase  rispetto  a  casa,  gial  rispetto  a  gallo  o  di 
dar  che  fronteggia  le  forme  venete  corrispondenti,  sia  di 
caro  sia  di  carne  ^. 

Meno  evidentemente  gallica,  forse  legata  invece  ad  am- 
bienti adriatici  antichissimi,  è  la  forte  dittongazione  delle 
vocali  anche  in  sillaba  chiusa:  il  friulano  biel  si  contrap- 
pone uniformemente  al  veneto  bel,  all'italiano  bello,  al 
francese  bel;  così  le  forme  friulane  tiare,  pierdi,  ues, 
puarte  si  contrappongono  compattamente  alla  serie  veneta 
italiana  francese  tera,  terra,  terre;  perdar,  perdere,  perdre; 
oso,  osso,  os;  porta,  porta,  porte  *.  In  altri  casi  l'area  friu- 
lana va  d'accordo  con  le  aree  lontane  della  Lombardia 
o  della  Romagna  per  distinguersi  dal  solo  Veneto;  il 
quale  figura  allora  come  un'oasi  di  latinità  meglio  conser- 
vata, non  raggiunta  da  innovazioni,  galliche  o  meno.  Si 
V  tratta  soprattutto  della  caduta  della  vocale  finale,  special- 
mente nelle  parole  sdrucciole,  che  contrappongono  i  tipi 
friulani  laris  «  larice  »  a  quelli  veneti  làrese,  come  éovin 
a  sòvene^. 

Analogamente  in  parole  bisillabe  si  ha  la  contrapposizione 
dei  friulano  ros  al  veneto  roso  «  rosso  »  o  friulano  joc  al 
veneto  fogo.  Quest'ultimo  esempio  mostra  una  conseguenza 
indiretta  di  questa  situazione:  il  precoce  indebolimento 
della  vocale  finale  porta  a  un  certo  quale  rafforzamento 
u  della  consonante  che  la  precede,  mentre  in  veneto,  all'op- 
posto, la  maggior  resistenza  della  vocale  finale  favorisce 
la  lenizione,  alle  volte  totale,  della  consonante  intervoca- 
lica. La  differenza  risulta  chiara  nei  nomi  locali:  la  solu- 
zione veneta  sta  nella  lenizione  del  suffisso  gallico  -ako  in 
-AGO,  quella  friulana  invece  in  -acco,  nel  quale  beninteso 

*  Devoto,  Per  la  protostoria  della  Venezia  Euganea,  p.  358  sgg. 

'  Francescato,  Dialettologia  friulana  (  =  Francescato),    pp.  45  sgg.; 
144  sgg. 

*  Francescato,  Studi  linguìstici  sul  friulano,  p.  14  sgg. 
'  Cfr.  AlS  carta  570. 


Friuli-Venezia  Giulia  51 

la  vocale  finale  non  è  la  originaria  ma  è  una  restituzione: 
Oriago  (Venezia)  da  un'originario  Aureliacus  mostra  la  le- 
nizione,  mentre  Remenzacco  (Udine)  da  un  originario  Re- 
miciacus  mostra  il  rafforzamento  della  consonante  e  ^°. 

La  frontiera  veneto-friulana  risalta  anche  attraverso  diffe- 
renze lessicali:^  tali  le  forme  friulane,  che  si  contrappon- 
gono alle  venete,  cialà  contro  vardar  «  guardare  »,  ciaj 
contro  testa,  /ejig/ó  contro  parlar,  cret  «  roccia  »  contro 
pieròn,  ont  contro  butiro  «  burro  »,  uàrzine  «  aratro  » 
contro  varsor,  cusjn  contro  darmàn  «  cugino  »,  gusele 
contro  ago.  sedòn  contro  gucìaro  «  cucchiaio  »,  doli  «  pren- 
dere »  contro  tor  ".  Differenze  di  derivazione  sono:  il  friu- 
lano fradi  di  fronte  al  veneto  fradel  o  ioront  «  rotondo  »  di 
fronte  al  veneto  tondo  '^.  Negli  avverbi  e  pronomi  com- 
paiono il  friulano  viiei  di  fronte  al  veneto  ancuo  «  oggi  », 
ale  di  fronte  a  qualcosa,  cumò  dì  fronte  a  adeso,  trop  di 
fronte  a  tanto,  viinde  dì  fronte  al  veneto  abastansa  ^^. 
Ma  più  genericamente  possiamo  dire  che  il  lessico  friu- 
lano presenta  numerose  singolarità:  dal  tipico  friit  «  bam- 
bino »  di  chiara  e  simpatica  etimologia  al  famoso  sorelì 
«  sole  »  che  si  ricollega  al  frane,  soleil  nella  derivazione  da 
jsolìeuliim  ^'*.  «  Serpe  »  è  madrae,  probabilmente  parola  di 
origine  celtica;  anche  per  «  lumaca  »  la  zona  friulana  pre- 
senta una  singolarità,  il  tipo  kai  '^.  Citiamo  inoltre  ciarneli 
«  fronte  »,  peeìotar  «  cencìaiolo  »,  cialin  «  fuliggine  »,  ar- 
diel  «lardo»,  krodia  «cotenna»,  razze  «anatra»'^,  ce- 
sendelì  o  cìsenderi  «  piccola  lampada  »  '^;  e  i  numerosi  tipi 
designati  oggetti  agricoli,  come  tamisiu  per  «  vaglio  »  o 
BALTEU  per  «  covone  »,  studiati  recentemente  da  G.  B.  Pel- 
legrini in  un  lavoro  dedicato  al  lessico  delle  zone  ladine  '^. 

All'interno  del  friulano  le  differenze  sono  numerose,  spe- 

'"  Devoto,  Protostoria  del  Friuli,  p.  350. 

"  AIS  carte  6,  93.  1627,  1207,  1434,  24,  1539,  982,  979. 

'=  AIS  carte  13,  1581. 

'^  AIS  carte  596,  1599,  1533,  1254. 

'■•  AIS  carte  58,  360. 

'5  AIS  carte  452,  459. 

"  AIS  carte  99,  204,  929,  1095,  1096,  1150. 

"  Frey,  Per  la  posizione  lessicale  dei  dialetti  veneti,  p.  28  sgg. 

"  Pellegrini,  Criteri  per  una  classificazione  del  lessico  ladino. 


52  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

cialmente  nei  dialetti  di  montagna,  ma  di  poco  rilievo. 
Tra  le  più  importanti  è  la  varietà  delle  terminazioni  delle 
parole  dell'antica  declinazione  in  -A,  che  appaiono  volta  a 
volta  come  femena,  femene,  femeno  per  «  donna  »  o  anja, 
anje,  anjo  per  «  zia  »  '^.  La  dittongazione  mostra  varietà 
di  sfumature  del  tipo  neif,  nìaf,  niof  per  «  neve  »  o  crous, 
cruas,  cruos  per  «  croce  »,  rispettivamente  a  Maniago  Clau- 
zetto  e  Forni  Avoltri  '^;  infine  il  passaggio  delle  palatali  a 
sibilanti  si  trova  solo  in  certe  zone  di  pianura  con  la  pro- 
nuncia se  invece  di  ce  per  l'italiano  «  che  »  o  sìnc  «  cin- 
que »  di  fronte  al  più  diffuso  cinc^^. 

Una  varietà  più  decisa  è  quella  dei  comuni  di  Erto  e  Ci- 
molais,  in  cui  la  ascendenza  lontana  non  è  tanto  friulana 
quanto  dolomitica,  e  dove  appaiono  forme  né  friulane  né 
venete  come  ces  «  chiavi  »  di  fronte  al  friulano  clas  e  al 
veneto  davi;  doven  «  giovane  »  contro  i  tipi  gioviti,  sove- 
ne;  deda  «  zia  »  contro  an/a,  amia;  he  «  testa  »  contro 
ciaf,  testa,  e  così  via  ^^.  Di  maggior  rilievo  è  la  varietà 
friulana  di  Muggia  alle  porte  meridionali  di  Trieste,  che 
dà  un  quadro  della  fase  friulana  della  storia  linguistica 
triestina  durata  fino  ai  primi  del  xix  secolo.  I  caratteri 
(tipici  del  dialetto  di  Muggia,  detto  muggesano  o  mugli- 
sano,  sono:  le  varianti  in  -ar  -er  nelle  parole  in  -ariu  (per 
esempio  mliar  mijer  per  «  migliaio  »);  la  dittongazione  in 
sillaba  chiusa  del  tipo  giies  «  osso  »,  presente  anche  in 
guei  «  oggi  »,  giierp  giierba  «  orbo  »  «  orba  »,  tiera  «  ter- 
ra »  ;  la  forte  dittongazione  delle  eco  chiuse  in  signour 

v,«  signore  » ,  jranseìs  «  francese  »  ;  la  conservazione  dei  grup- 
pi con  L  come  Magia  «  Muggia  ».  clama,  oglo,  glezia,  pla- 
sa,  flanc;  la  palatalizzazione  del  gruppo  ca  in  ciarbon,  clan, 
giat,  giamba,  ciarija  (veneto  carega).  Le  forme  di  plurale 
indicano  che  siamo  però  in  una  regione  di  frontiera,  fra 
una  italianità  orientale  dittongatrice,  metafonetica,  e  con 
plurali  in  I,  e  una  italianità  settentrionale  con  i  plurali  in 
s:   tali  muglisàìns,  furlàins  che  mostrano  insieme  e  la  desi- 

vnenza  in  s  e  la  metafonesi  da  una  finale  in  i.  Significativi 

"  Francescato,  p.  41   sgg.;   202. 

^  Francescato,  p.  29  sgg.;  198  sg.;  405  sg. 

^'  Francescato,  p.  46  sgg.;  206  sgg. 

"  Gartner,  Die  Mimdart   von   Erto,  p.    199   sg.;   Francescato,  p. 

121  sg.  Cfr.  Francescato,  Studi  linguistici  sul  friulano,  p.  65  sgg. 


V' 


Friuli-Venezia  Giulia  53 

sono  i  plurali  in  i  dei  nomi  femminili  secondo  il  tipo 

Ed  ecco  quattro  esempi  di  dialetti  friulani  e  giuliani  tratti 
dal  volume  di  G.  Papanti  ^^•. 

Da  San  Daniele  del  Friuli:  Jo  i  dìs  dunche  che  ai 
timps  del  prin  Re  di  Cipro,  dopo  la  concuiste  di  Tiere 
Sante  fate  da  Gofredo  di  Buglion,  al  sucedè  che  une  zen- 
tildòne  di  Guascogne  a  fase  vot  di  là  pelegrlnànd  al  Se- 
pulcri,  e  tornand  indaùr,  rivede  in  Cipro,  da  une  man  di 
schavestràz  a  fò  malementri  remenàde.  (A  cura  di  Giu- 
seppe Buttazzoni). 

Da  Ampezzo  (Gamìa)  :  Jo  i  dis  duncie,  che  ai  timps  del 
prin  Re  di  Cipri,  dopo  fatte  la  conquiste  de  Tierre  Sante 
da  Gottifrè  di  Buglione,  ale  acciadùt  che  une  gentildonne 
di  Guascogna  a  je  lade  in  orazion  al  Sepolcro:  tornand 
di  culà,  e  arrivade  a  Cipri,  a  fo  da  diviers  uming  sceleras 
villanementri  oltraggiade.  (A  cura  di  Ernesto  Manganelli). 
Da  Gorizia:  Jo  disi  duncia,  che  nei  timps  del  prim  Re  di 
Cipro,  dopo  la  conquista  fatta  della  Tiara  Santa  da  Gotti- 
frè di  Baglion,  le  avvenut  che  una  gentil  femina  di  Gua- 
scogna le  lada  in  pelegrinag  al  Sepulcri,  e  tornada  di  là,  e 
arrivada  in  Cipro,  le  stada  villanament  oltragiada  da  al- 
cuns  uomins  sceleras.  (A  cura  di  Antonio  Clementini). 
Da  Muggia:  Dich  doncia  che  al  tiemp  del  prin  Re  de  Si- 
pro,  dop  el  acquist  che  à  fat  della  Tierra  Santa  el  Gotifred 
de  Buglion,  xe  vegnù  che  una  lustrissima  f emena  de 
Guascogna  xe  zuda  in  tarrotorj  al  Sant  Sepulcro,  de  dola 
turnada  a  Sipro,  la  xe  stada  da  omin  selerat  svilanamentre 
ultragiada.  (A  cura  di   Giacomo  Zaccaria). 

Dal  patrimonio  di  poesia  popolare  della  regione  togliamo 
una  delle  famose  villotte  ^^: 

«  Oh  ce  biel  lusòr  di  lune 

oh  ce  biele  stele  in  cil! 

Il  sordi  al  tramonte 

Là,  ch'a  l'è  il  mio  prin  sospir  ». 

"  Ascoli,  //  dialetto  tergestino,  p.  459  sgg.;   J.  Cavalli,  Reliquie 
maggesi,  (Introduzione),  A.G.I.  12,  1890,  p.  261  sgg. 
^*    I  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  527  sg.;  517;  610  sg.;  614  sg. 
"  P.  P.  Pasolini,  La  poesia  popolare  italiana,  cit.,  p.  96. 


EMILIA-ROMAGNA 


L'area  dialettale  emiliano-romagnola  è  più  ampia  della 
circoscrizione  amministrativa  corrispondente.  Essa  comin- 
cia a  occidente  già  a  Pavia  e  Voghera  anziché  a  Piacenza; 
ripassa  il  corso  del  Po  anche  più  a  valle,  per  compren- 
dere Mantova.  Nelle  valli  appenniniche  non  raggiunge 
sempre  il  crinale;  nella  valle  del  Taro,  Bedonia  fa  ancora 
parte  dell'area  ligure  '.  Più  a  oriente,  scende  invece  al  di 
là  della  Cisa  nella  Lunigiana  e  raggiunge  Carrara.  Com- 
prende la  parte  transappenninica  della  provincia  di  Firenze 
nella  zona  di  Marradi,  infine  e  soprattutto,  invade  le 
Marche  fino  al  corso  dell'Esine,  a  una  sessantina  di  chi- 
lometri dal  confine  amministrativo,  e  a  una  decina  appena 
da  Ancona  ^. 

La  frontiera  dialettale  è  netta  verso  i  dialetti  marchigiani 
e  ancor  più  verso  i  toscani;  meno  netta  verso  quelli  li- 
guri, ancora  meno  verso  i  piemontesi  e  i  lombardi,  men- 
tre di  nuovo  si  accentua  rispetto  a  quelli  veneti;  si  sposta 
in  avanti  nell'Appennino  parmense  dove  una  volta  Bor- 
gotaro  era  territorio  ligure,  arretra  nel  territorio  pave- 
se. Questo  perché  le  regioni  amministrative  prevalgono  su 
quelle  storiche  e  l'influenza  di  Genova  si  fa  sentire  sul- 
l'Appennino meno  di  quella  di  Parma,  e.  a  Pavia,  Milano  si 
fa  sentire  molto  più  che  Piacenza  o  Bologna. 
Le  frontiere  più  nette  sono  state  determinate  da  un  fatto 
storico  grandioso,  la  colonizzazione  gallica  realizzata  alla 
fine  del  v  secolo  a.C.  ^.  Essa  ha  lasciato  un'impronta  ca- 
ratteristica nel  latino  che  vi  è  stato  introdotto  a  partire  dal 
III  secolo  a.C.  Oltre  l'Emilia-Romagna,  l'Italia  gallica  com- 

'  Cfr.  Liguria  p.  10. 

^  V.  più  avanti  Toscana  p.  65;  Marche  p.  73  sg. 
'  G.  A.  Mansuelli,  /  Cisalpini,  Milano  1962;  Formazione  delle  civil- 
tà storiche  nella  pianura  padana  orientale.  Studi  Etruschi  33,  1965, 
pp.  3-47. 


Emilia-Romagna  55 

prende,  come  si  è  visto,  Piemonte  e  Lombardia;  ad  essa, 
sul  terreno  linguistico,  si  è  associata  col  tempo  la  Liguria, 
che  pure  non  ha  mai  avuto  una  colonizzazione  gallica. 
Molto  meno  l'iniluenza  gallica  si  è  latta  sentire  nel  Ve- 
neto e  nelle  Marche,  perché  in  queste,  come  nelle  regioni 
vicine,  i  Galli  hanno  fatto  soltanto  incursioni,  con  la  sola 
eccezione  del  territorio  marchigiano  di  Senigallia,  dialet- 
talmente anch'esso  gallo-italico. 

Le  frontiere  dialettali  hanno  dunque  una  giustificazione 
storica  lontana.  Tuttavia  questa  non  è  unitaria.  La  fisio- 
nomia dialettale  dell'Emilia-Romagna  non  si  spiega  solo 
con  l'immagine  di  un  edificio  latino  costruito  su  un  suolo 
gallico.  L'impronta  gallica  non  è  soltanto  automatica  né 
soltanto  popolare. 

Quando,  uscendo  di  Toscana,  si  constata  che  le  vocali 
finali  diverse  da  -a  cadono,  indipendentemente  dal  suono 
che  le  precede;  e  si  dice  perciò  not  al  posto  di  notte,  si 
potrebbe  certo  credere  che  in  Emilia  sia  stata  la  forte 
accentazione  gallica  a  sacrificare  le  vocali  finali  fin  dal 
primo  momento.  Se  non  che,  quando  si  passa  il  Po  e  si 
entra  nella  Venezia  Euganea,  ecco  che  la  -e  finale  riap- 
pare nella  forma  note. 

La  gallicità  della  Emilia-Romagna  non  è  cioè  in  questo 
caso  qualcosa  di  preesistente  che  ha  deformato  il  latino 
non  appena  si  è  affermato  nella  regione,  ma  qualcosa  di 
tardivo,  una  specie  di  cuneo,  che  ha  rotto  in  età  tarda  l'an- 
tica continuità  fra  il  latino  di  Roma  e  di  Toscana  e  quello 
delle  Venezie.  Questo  cuneo  lo  possiamo  delimitare  risa- 
lendo la  via  Emilia  fino  alla  Lombardia,  al  Piemonte,  alla 
Francia.  Esso  ci  riporta  non  già  alla  reazione  automatica 
di  coloni  gallici,  ma  al  prestigio  di  un  latino  irradiante  dalle 
scuole  di  Gailia  nel  tardo  Impero,  e  pronunciato  con  ac- 
cento gallico  non  più  istintivo,  ma  consapevole  e  comun- 
que autorevole''. 

Molto  più  caratteristico  della  Emilia-Romagna  è  l'altro 
carattere,  il  passaggio  di  a  in  À^  Esso  non  si  trova  in 

*  G.  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  Bologna  1944^  p.  348. 
^  Cfr.  Piemonte  p.  3.  Cfr.  anche  T.  Bolelli,  Contributo  allo  studio 
dell'elemento  celtico  nella  fonetica  romanza,  A.R.  24,  1940,  pp.  188- 
205. 


56  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Lombardia,  ha  un  unico  parallelo  nella  finale  in  -e  dei 
verbi  piemontesi  della  prima  coniugazione,  e  in  Emilia 
si  inizia  solo  a  oriente  di  Piacenza.  A  Fiorenzuola  si  dice 
ancora  sai  per  «  sale  »;  a  Parma  si  dice  sài,  ma  questo  si 
distingue  ancora  da  bel,  a  Bologna  si  pronuncia  a  uno 
stesso  modo  pel  che  deriva  dal  latino  palum  e  capei,  che 
corrisponde  all'italiano  cappello. 

Qui  si  tratta  verosimilmente  di  un  fatto  spontaneo  per  il 
quale  l'intensa  gallicità  della  Romagna  si  è  imposta  sul 
latino  in  maniera  più  forte  che  in  Piemonte,  nella  Lom- 
bardia e  nella  Emilia  occidentale,  e  forse  ha  addirittura 
risalito  la  via  Emilia  da  oriente  verso  occidente^. 
Circostanze  esterne  hanno  poi  favorito,  come  abbiamo  già 
avuto  occasione  di  notare,  sia  la  persistenza  delle  fron- 
tiere esterne  sia  il  formarsi  di  frontiere  interne  minori,  al 
di  là  delle  influenze  della  gallicità  diretta  o  indiretta.  La 
riforma  amministrativa  dell'Imperatore  Diocleziano  al  prin- 
cipio del  IV  secolo  a.C.  ha  accentuato  il  confine  fra 
l'Italia  continentale  padana  e  quella  peninsulare:  la 
prima  aperta  alle  grandi  vie  di  comunicazione  verso  la 
Gallia  e  le  regioni  danubiane,  la  seconda  tagliata  fuori 
dalle  grandi  strade,  con  una  capitale  come  Roma  esauto- 
rata a  vantaggio  di  Milano^.  Più  tardi  ancora  il  dialogo 
che  si  stabilisce  fra  Bizantini  e  Longobardi  costituisce  un 
nuovo  motivo  di  antitesi  geografica  e  dialettale:  la  Roma- 
gna come  retroterra  immediato  di  Ravenna  e  dell'Esarcato 
è  straniera  e  spesso  nemica  rispetto  alla  Toscana,  gravi- 
tante intorno  al  Ducato  longobardo  di  Lucca*.  Quando, 
dissolte  le  vecchie  potenze,  l'età  comunale  apre  la  porta 
a  commerci  e  scambi  più  attivi,  le  due  opposte  tradizioni 
dialettali  si  sono  consolidate.  Il  fiorire  degli  studi  giuridici 
a  Bologna  nel  secolo  xi-xii,  l'interesse  per  gli  studi  gram- 
maticali intorno  alla  scuola  di  Guido  Faba,  i  legami  che  si 
stabiliscono  con  Firenze  alla  vigilia  del  «  Dolce  Stil  Nuo- 
vo »  non  sminuiscono  in  niente  né  la  frontiera  dialettale 
né  il  prestigio  del  dialetto  bolognese  quale  si  era  configu- 
rato ai  tempi  e  agli  occhi  di  Dante. 


*  ScHiJRR,  La  classificazione  dei  dialetti  italiani,  pp.  12;   18. 

'  V.   Lombardia  p.  22. 

'  ScHURR,  La  posizione  linguistica  della  Romagna,  p.  206  sg. 


Emilia-Romagna  57 

All'interno  della  Emilia-Romagna  si  era  affermata  poi  una 
frontiera  di  qualche  interesse,  quella  del  fiume  Panaro  fra 
Modena  e  Bologna.  La  si  osserva  nella  preistoria  come 
limite  orientale  della  civiltà  delle  terramare'.  Riappare 
alla  fine  del  Medioevo  come  limite  occidentale  dello  Stato 
Pontificio,  organizzato  in  modo  unitario  da  Roma  a  Fer- 
rara. Riappare  come  limite  approssimativo  dei  movimenti 
linguistici  che  all'interno  della  regione  muovono  dall'Emi- 
lia verso  la  Romagna  o  dalla  Romagna  verso  l'Emilia. 
Tale  la  pronuncia  della  il  o  u  francese.  Il  tipo  di  bilsa 
«  buca  »  o  liis  «  luce  »  è  comune  al  Piemonte,  alla  Lom- 
bardia e  si  è  esteso  anche  alla  non  gallica  Liguria.  In  Emi- 
lia arriva  oggi  sino  al  Taro;  più  a  oriente  lo  si  ritrova  nel- 
l'alto Appennino  sul  confine  tra  le  province  di  Bologna  e 
di  Modena,  nel  territorio  di  Sestola.  Questa  distribuzione 
ci  insegna  tre  cose:  che  anche  la  pronuncia  ù  corrisponde 
a  un  cuneo  tardo,  venuto  a  spezzare  la  continuità  tra  il 
tipo  toscano  luce  e  quello  veneto  luse;  che  la  sua  spinta, 
a  differenza  di  quanto  è  accaduto  per  le  vocali  finali  di 
parola,  non  è  arrivata  sino  al  capolinea  della  via  Emilia 
sull'Adriatico;  che  tuttavia  è  arrivato  più  avanti  di  quel 
che  ora  appare  perché  l'esempio  di  Sestola,  isolato  fra  le 
montagne,  ci  obbliga  a  credere  che  il  territorio  intermedio 
fra  l'Enza  e  il  Panaro  è  stato  «  riconquistato  »  dalla  u  ro- 
magnola e  toscana,  in  età  più  vicina  a  noi  ^^. 
Anche  altre  vocali  subiscono  in  Emilia-Romagna  sorti  as- 
sai divergenti  rispetto  a  quelle  toscane.  Il  trattamento  nor- 
male delle  o  aperte  latine  in  sillaba  aperta  è  quello  della 
dittongazione:  da  un  latino  novum  viene  l'italiano  nuovo. 
In  Emilia-Romagna  questa  fase  è  superata,  la  dittonga- 
zione originaria  non  è  più  riconoscibile.  Solo  nella  parte 
estrema  dell'Emilia,  ad  ovest  del  Taro,  si  ha  il  tipo  nóf: 
così  nóf  rispetto  a  nuovo,  così  òf  rispetto  a  uovo.  Nel 
resto  della  regione  il  dittongo  si  riassorbe  invece  in  una  o 
chiusa,  di  aspetto  meno  gallico  '^  In  connessione  con  que- 
sto  si   ha   il   diverso   svolgimento   della   o   chiusa   latina. 

'  Cfr.  G.  Saflung,  Le  terramare  delle  Provincie  di  Modena,  Reggio 

Emilia,  Parma,  Piacenza,  Lund,   1939. 

'*  Bertoni,  p.  65;  Wartburg,  Die  Aiisgliederung  der  romanìschen 

Sprachraum,  cit.,  p.  45  sgg.;  Rohlfs  I,  p.  57. 

"  Rohlfs  I,  p.  143  sgg. 


J. 


58  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Nella  regione  occidentale  abbiamo  lo  stesso  trattamento 
del  toscano  e  quindi  fior  come  in  fiore.  Nelle  aree  orien- 
tali lo  svolgimento  normale  consiste  in  una  forte  ditton- 
gazione del  tipo  fiaur;  così  nvaud  per  «  nipote  »,  di  fronte 
alle  forme  occidentali  nvod  '-^.  Infine  la  e  aperta  latina, 
che  si  dittonga  regolarmente  nel  toscano  ie,  per  esempio 
in  dieci,  in  Emilia-Romagna  riassorbe  il  dittongo  in  una 
vocale  unica:  che  in  occidente  è  del  tipo  e,  per  esempio 
dés,  con  la  e  chiusa,  e  nella  regione  orientale  si  chiude 
ulteriormente  e  dà  luogo  a  dis  '^. 

L'accento  non  colpisce  solo  le  vocali  finali.  Anche  quelle 
anteriori  alla  sillaba  accentata  subiscono  i  suoi  effetti  di- 
struttivi in  una  misura  superiore  allo  stesso  piemontese 
e  molto  superiore  rispetto  al  lombardo  e  al  ligure.  Questa 
efficacia  è  particolarmente  visibile  nella  regione  orientale, 
dove  si  trova  stmana  per  «  settimana  »,  pcà  per  «  peccato  », 
sbdal  per  «  ospedale  »,  mdor  per  «  mietitore  »,  pcón  per 
«  boccone  »,  e  dove  il  nome  locale  di  Ferrara  è  Frara  '"*. 
Quando  nelle  sillabe  anteriori  all'accento  le  consonanti 
sono  non  mute  ma  continue,  l'azione  dell'accento  viene 
facilitata  e  la  eliminazione  delle  vocali  prive  d'accento 
appare  anche  nella  Emilia  propriamente  detta,  non  soltanto 
in  Romagna.  In  questi  casi  il  fatto  che  una  consonante 
continua  sia  priva  dell'appoggio  di  una  vocale  fa  sì  che 
essa  stessa  «  emani  »  una  specie  di  surrogato  di  vocale  o 
vocale  suppletiva  '^.  Questo  spiega  il  procedimento  per  il 
quale  a  Parma  la  base  latino-volgare  paragonabile  all'ita- 
liano reggitore  perda  le  due  vocali  antecedenti  alla  accen- 
tata, diventi  un  ipotetico  *rg'dor,  e  questa  forma  di  tran- 
sizione riappaia  munita  di  una  nuova  vocale  iniziale,  ema- 
nata dalla  r,  nel  ben  noto  arsdor  (che  significa  quello  che 
in  Toscana  è  il  capoccia). 

Anche  i  gruppi  consonantici  risultanti  dalla  caduta  delle 
vocali  possono  riuscire  sgraditi:  a  Modena  co(g)noscere 
diventa  prima  cnosser  poi  tgnosser  ^^. 

'^  Rohlfs  I,  p.  93. 

"  Rohlfs  I,  p.  116   sg.;   Schurr,   Romagnolische  Dialeklstudien   II, 

pp.   140  sgg.;    165  sg. 

'"  Rohlfs  I,  p.  160  sg. 

'^  Rohlfs  I,  p.  471  sg. 

"  Bertoni,  p.  77. 


Emilia-Romagna  59 

Un'ultima  ma  indiretta  azione  dell'accento  è  data  da  un 
procedimento  diffuso  in  tutta  Italia  salvo  che  in  Toscana, 
ed  è  la  metafonia  o  «  compenso  qualitativo  ».  Come  si  è 
già  detto  ",  si  tratta  dell'azione  che  vocali  in  posizione  fina- 
le, destinate  a  indebolirsi  o  a  scomparire,  esercitano  sulla 
vocale  precedente  secondo  regole  che  variano  da  regione  a 
regione. 

Mentre  in  Toscana  il  singolare  questo  e  il  plurale  questi 
sono  agevolmente  distinguibili  perché  le  vocali  finali  sono 
pronunciate  con  chiarezza  e  la  vocale  interna  rimane  im- 
mune da  qualsiasi  disturbo,  a  Modena  il  singolare  è  quest, 
il  plurale  è  quist.  La  vocale  i  finale,  segnalatrice  del  plu- 
rale, è  scomparsa.  Ma  prima  di  scomparire  ha  influenzato 
la  vocale  interna,  rendendola  più  vicina  se  non  identica  a 
se  stessa.  In  base  allo  stesso  principio  si  è  avuto  a  Bolo- 
gna l'opposizione  di  un  singolare  a^nèl,  plurale  agni,  di 
martèl  e  marti,  di  fronte  alle  normali  coppie  toscane  agnel- 
lo-agnelli, martello-martelli  '^ 

Per  quello  che  riguarda  le  consonanti,  i  fatti  importanti, 
già  apparsi  in  qualcuno  degli  esempi  citati  sopra,  sono  rap- 
presentati dai  processi  di  «  lenizione  »,  «  assimilazione  »  e 
«  assibilazione  ».  La  lenizione,  cioè  il  passaggio  delle  con- 
sonanti intervocaliche  sorde  in  sonore,  e  delle  sonore  in 
spiranti,  in  casi  estremi  si  spinge  fino  all'annullamento 
delle  consonanti  sonore.  Le  forme  emiliane  sono  dunque 
java  per  «  fava  »  ma  anche  rciva  per  «  rapa  »,  anddcla  per 
«  andata  »,  ortiga  per  «  ortica  »  ^^. 

Per  quanto  riguarda  l'assimilazione,  la  Emilia-Romagna  si 
mantiene  sul  piano  della  Toscana  e  del  Veneto  quando  si 
tratta  di  avvicinare  e  identificare  gruppi  di  consonanti  che 
in  Piem.onte.  Lombardia  e  Liguria  sono  invece  difi^erenzia- 
ti:  il  toscano  fatto  si  confronta  con  il  veneto  fato  e  l'emi- 
liano fat  si  inserisce  nella  stessa  serie,  opponendosi  invece 
al  tipo  lombardo  fac',  piemontese  fait,  ligure  fdtu  ^.  L'emi- 
liano si  limita  ad  applicare  la  regola  della  semplificazione 
delle  consonanti  doppie  come  in  capa  per  italiano  cappa, 

"  Cfr.  Liguria  p.  15;  Lombardia  p.  23  sg. 

"  Mainoldi,  Manuale  dell'odierno  dialetto  bolognese  (=  Mainoldi), 

P.  27. 

"  Coco,  //  dialetto  di  Bologna  (=   Coco),  pp.  80  sg.;  76  sg.;  70  sg. 

'"  Coco,  p.  71  sg. 


60  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

e  a  far  cadere  la  vocale  finale  secondo  la  regola  enunciata 
sopra. 

Per  quanto  riguarda  l'assibilazione,  si  tratta  della  spinta 
ulteriore  che  in  Emilia-Romagna,  e,  come  si  è  visto,  in 
genere  nell'Italia  settentrionale,  riceve  una  alterazione  nata 
ancora  in  età  romana  nell'Umbria  e  accettata  dalla  Toscana. 
La  novità  centro-meridionale  consisteva  nell'aver  creato 
una  nuova  categoria  di  suoni,  per  cui  accanto  alla  serie 
CARO  c'era  la  serie  cento  che  non  si  confondeva  con 
nessun'altra  delle  serie  esistenti.  La  novità  della  assibila- 
zione  sta  in  questo:  la  nuova  serie  non  si  mantiene  auto- 
noma ma  si  avvia  ad  allinearsi  nella  serie  delle  conso- 
nanti «  sibilanti  »:  mentre  in  italiano  cento  appartiene  a 
una  serie  diversa  non  solo  da  quella  di  canto  ma  anche  di 
santo,  nell'Italia  settentrionale  si  ha  la  tendenza  ad  av- 
vicinare le  antiche  palatali  alle  sibilanti,  senza  confon- 
derle in  Emilia,  arrivando  invece  alla  confusione  a  Ge- 
nova e  a  Venezia  2'. 

Dal  punto  di  vista  della  morfologia,  i  dialetti  emiliani  mo- 
strano due  forme  caratteristiche.  L'una  appartiene  alla 
morfologia  del  nome  e  consiste  nei  plurali  femminili  in  i, 
per  esempio  amighi  «  amiche  ».  Ma  questi  plurali  si  con- 
servano solo  laddove  occorre  distinguere  un  plurale  fem- 
minile da  un  plurale  maschile  parallelo,  per  esempio  di 
fronte  a  amìg  che  è  forma  tanto  singolare  che  plurale  del 
maschile  «  amico  ».  Là  dove  il  maschile  corrispondente 
non  esiste,  ecco  che  il  plurale  femminile  in  i  viene  meno: 
il  plurale   di  furmìga   «  formica  »    è   fiirmìg,   senza   desi- 


nenza 


22 


L'altra  forma  caratteristica  appartiene  alla  morfologia  del 
verbo  ed  è  quella  interrogativa  col  pronome  enclitico.  Ab- 
biamo così  alla  2^  pers.  plur.  il  tipo  cantàv  «  cantate  voi?  », 
che  conserva  ancora  il  pronome  personale  latino  vos,  ri- 
dotto alla  più  semplice  espressione^. 
Comune  a  tutto  il  mondo  gallo-italico  (e  gallico)  è  la  sva- 
lutazione del  pronome  di  prima  persona,  per  cui  invece 

^'  Rohlfs  I,  p.  202  sg.;  Coco,  p.  74. 
"  Mainoldi,  p.  27  sg. 
"  Mainoldi,  p.  41. 


Emilia-Romagna  61 

di  partire  da  una  base  latina  ego  dico  «  io  dico  »,  si  parte 
da  una  base  rinforzata  nie  ego  dico:  a  Parma  mi  a  dig,  a 
Reggio  me  a  deg^*. 

Dante  ha  sentito  molto  bene  le  differenze  fra  i  parlari 
emiliani  e  persino,  all'interno  di  Bologna,  fra  quelli  di 
Strada  Maggiore  e  quelli  di  Borgo  San  Felice  ^^.  Soprattutto 
ha  sottolineato  il  pregio  del  dialetto  bolognese  nel  senso 
che  armonizzava  la  «  mollezza  »  degli  imolesi  e  in  genere 
dei  romagnoli,  e  la  gutturalità  dei  modenesi  e  dei  ferra- 
resi. Oggi  questi  apprezzamenti  sono  difficili  da  valutare. 
A  un  orecchio  moderno  i  dialetti  emiliani  sembrano  «  mol- 
li »  piuttosto  nei  territori  di  Piacenza  e  Parma,  mentre  a 
partire  da  Reggio  verso  oriente  appaiono  più  aspri  o  vi- 
gorosi, anche  se  non  proprio  gutturali. 
Per  quanto  riguarda  l'impronta  regionale  emiliana  nella 
pronuncia  italiana,  al  di  fuori  della  cadenza  più  o  meno 
sensibile,  si  hanno  due  precisi  caratteri  fonetici:  l'inca- 
pacità di  pronunciare  i  tipi  qui  e  lasciare.  La  corrente  pro- 
nuncia emiliana  dei  primi  è  evi,  dei  secondi  è  lassiare'^^. 

Nel  lessico  dialettale  emiliano  si  hanno  le  stesse  correnti, 
le  stesse  influenze  e  le  stesse  frontiere,  che  volta  a  volta 
hanno  delimitato  i  fatti  fonetici.  Come  parole  tipicamente 
emiliane  si  possono  ricordare  brisa  per  «  briciola  »,  anche 
nel  senso  di  negazione  e  cioè  equivalente  all'italiano  mica; 
nomio  per  «  suocero  »,  il  tipo  levatore  per  «  lievito  »,  a 
Parma  alvador;  il  tipo  remola  per  «  crusca  »  ^.  Differenze 
all'interno  dell'Emilia  si  hanno  nella  contrapposizione  dei 
tipi  MENTO  e  bazla;  di  arrotino  e  moleta;  di  fabbro  con- 
tro FERRARO;   di   FALEGNAME  COntrO  MARANGONE^. 

La  contrapposizione  si  ha  in  genere  tra  la  parte  occi- 
dentale e  quella  orientale  della  regione,  senza  che  si  possa 
stabilire  un  confine  preciso:  in  molti  casi  la  zona  bolo- 
gnese si  associa  lessicalmente  piuttosto  con  la  Romagna 
che  con  l'Emilia.  Notiamo  così  l'opposizione  di  cuna  a 

CUNULA,  di  POMO  a  MELA,  di  MOLA  a  MACINA,  di  RATTO   a 

"  Rohlfs  II,  p.  131  sg. 

"  De  vulgari  eloquentia  I,  9,  5;  14,  2-4;  15,  2-6. 

^'  Sulla  contrapposizione  di  i  e  s  cfr.  anche  Mainoldi,  p.  21. 

"  AIS  carte  991.  663,  31,  235,  257. 

=«  AIS  carte   115,  203,  213,  219. 


62  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

PONTico,  di  kuadrèl  «  mattone  »  a  preda  ^.  Si  tratta  però 
di  casi  da  valutare  differentemente  inserendoli  in  un  con- 
testo più  ampio:  cuna  è  il  tipo  che  predomina  nell'Italia 
settentrionale  di  fronte  al  diminutivo  cunula,  che  è  to- 
scano (e  italiano)  nella  forma  assimilata  culla;  il  confine 
tra  POMO  e  mela  separa  una  parola  settentrionale  da  una 
centro-meridionale,  mentre  nel  caso  di  pontico  abbiamo  a 
che  fare  con  un  termine  —  probabilmente  di  origine  bi- 
zantina ^  —  isolato  nell'ambito  dialettale  italiano.  Un 
caso  ancora  diverso  si  ha  nella  contrapposizione  tra  la 
forma  resga  «  sega  »,  diffusa  nella  zona  occidentale,  e  la 
forma  sega  che  è  della  parte  orientale^':  le  connessioni 
della  prima  ci  portano  al  Piemonte  e  alla  Lombardia,  quel- 
le della  seconda  al  Veneto  e  alla  Toscana;' ma,  come  ab- 
biamo già  notato  ^^,  questa  disposizione  geografica  si  ri- 
pete frequentemente,  distinguendo  lessicalmente  la  zona 
padana  occidentale  e  quella  orientale. 
Qualche  volta  l'Emilia  si  isola  in  modo  unitario  dalle  re- 
gioni contermini:  alle  forme  prima  ricordate  aggiungiamo 
lacia  «  spago  »  ^^  dlìser  «  scegliere  »,  scadaiir.  «  prurito  »  ^. 

Diamo  come  al  solito  esempi  di  dialetto  emiliano-roma- 
gnolo (con  qualche  pretesa  letteraria),  traendoli  dalla  rac- 
colta  di  Giovanni  Papanti  ^^: 

Da  Parma:  A  dig  donca  che  in  ti  temp  del  prim  Re  d' 
Cipro,  dop  l'acquist  dia  Tera  Santa  fat  da  Gotifrè  d' 
Buglion,  a  success  che  na  gentildona  d'  Guascogna  l'andì 
in  pelegrinagg'  al  Sepolcher,  e  tornand  indrè,  arivada  a 
Cipro,  la  fu  insultada  malament  da  d'jomi  scelerà;  e  le 
lamentandsen  senza  nsuna  consolazion,  la  pensi  d'andar 
a  ricorer  dal  Re.  (A  cura  di  Italo  Pizzi). 
Da  Budrio:  A  dèggh  dònca,  che  al  teimp  dèi  prèmm  Rè 
d'  Zipri,  dopp  la  conquésta  d'  Tèra  Santa  fata  da  Gufrèid 


»  ATS  carte  61,  1266,  253,  444,  860. 

^  G.  BoNFANTE,  Tracce  linguistiche  bizantine  in  Romagna,  Byzaniion 

22,  1952,  pp.  243-252. 

"  AIS  carta  860. 

"  Cfr.  Veneto  p.  36. 

"  AIS  carta  243. 

"  Mainoldi,  p.  70  sg. 

''  /  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  344;  136;  225  sg. 


Einilia-Romagna  63 

ed  Bugliòli,  al  suzzdè  che  una  gran  sgnòura  d'  Guascogna 
l'andè  in  pelegrinag  al  Sant  Sepoulcar,  e  turnand  indrì  da 
là,  arrivand  a  Zipri,  la  fu  scarnié  da  zért  umaz  capàz  ed 
tùtt  al  mond.  (A  cura  di  Quirico  Filopanti). 
Da  Forlì:  A  degh  donca,  che  in  ti  temp  de  prem  Re  d' 
Cipri,  dop  e  cunquest  fat  d'  Terra  Santa  da  Gufred  Bu- 
glion,  l'accade  che  una  sintildona  d'  Guascogna  in  peli- 
grinag  l'andò  a  e  Sepolcar,  da  e  quel  turneda,  in  Cipri 
arriveda,  da  alcun  sceleré  oman  vilanament  la  fò  ultra- 
gieda,  d'  che  l'i,  senza  alcuna  consulazion  dulendas,  pinsò 
d'andesan  a  riciamè  a  e  Re.  (A  cura  di  Giuseppe  Manuzzi). 

E  per  terminare  con  una  poesia  moderna  leggiamo  l'ini- 
zio di  E'  stradon  di  Aldo  Spallicci  ^: 

La  seva  de'  spen  bianch  int  e'  stradon 

La  j  a  ciapè  e'  culor  dia  porbia  e  'd  sora 

Al  ram  in  fior  a  'n  specca  piò  cma  alora 

Prèst,  quant  eh  '  u  j'  era  pròpri  e'  su  verd  bon. 

(La  siepe  di  spini  bianchi  nello  stradone 
ha  preso  il  colore  della  polvere  e  di  sopra 
il  ramo  in  fiore  non  spicca  più  come  allora, 
presto,  quando  aveva  proprio  il  suo  verde  buono). 


"  M.  Dell'Arco  e  P.  P.  Pasolini,  Poesia  dialettale  del  novecento, 
cit.,  p.  276. 


TOSCANA 


Come  il  quadro  della  preistoria  toscana  mostra  sì  un  suc- 
cedersi di  correnti  e  di  legami  con  altre  regioni  d'Italia, 
ma  mai  un  brusco  svolgimento  della  storia  culturale  della 
regione;  come  la  sua  etnia,  dalla  fase  tirrenica  alla  etru- 
sca,  è  praticamente  incontaminata  fino  all'età  storica,  così 
questa  omogeneità  e  linearità  si  ripete  per  quanto  riguarda 
lo  svolgimento  della  latinità  di  Toscana.  Il  latino  di  To- 
scana è  quello  che  meno  ha  risentito  di  processi  di  mesco- 
lanza linguistica.  Se  si  tiene  conto  di  un  fattore  materiale 
come  la  conservazione  delle  epigrafi  antiche,  ecco  che,  nel- 
l'Etruria  centrale  e  meridionale,  la  proporzione  delle  iscri- 
zioni etrusche  arrivate  a  noi  schiaccia  il  numero  di  quelle 
latine.  Solo  nella  Toscana  settentrionale  il  numero  delle 
testimonianze  epigrafiche  è  minore  e  quelle  latine  mo- 
strano una  leggera  prevalenza.  Le  due  tradizioni  lingui- 
stiche solo  nella  Etruria  settentrionale  si  erano  avviate 
verso  una  reciproca  fusione  ^ 

La  prima  affermazione  romana  in  direzione  dell'Etruria  si 
è  avuta  nel  iv  secolo  a.C.  con  la  precoce  fondazione  delle 
colonie  di  Sutri  (383  a.C.)  e  Nepi,  oggi  nel  Lazio.  Ma  col 
III  secolo  la  espansione  romana  segue  tutt'altra  direzione, 
quella  della  odierna  via  Flaminia.  L'Etruria  accoglie  qual- 
che rara  colonia.  Cosa  (273)  e  Heba  (dopo  il  168),  al 
confine  ligure  Luni  (177)  e  Lucca  ^.  La  maggior  parte 
delle  città  rimase  nella  condizione  di  alleate,  e  le  auto- 
nomie politica  linguistica  e  culturale  si  associano  insieme 
per  dare  anche  in  questa  età  alla  Toscana  quella  figura  di 
area  appartata,  che  aveva  già  conosciuto  nella  preistoria. 
Al  distacco  dallo  strato  linguistico  precedente  si  accom- 
pagna, dopo  il  conferimento  della  cittadinanza  e  la  fine 


'  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.  118  sg. 

^  Beloch,  Rómische  Geschichte,  cit.,  p.  608  sg. 


Toscana  65 

delle  autonomie,  ancora  nel  i  secolo  a.C,  anche  una  certa 
lentezza  nello  stringer  legami  con  la  metropoli  romana 
che,  attraverso  il  crescente  urbanesimo,  si  legava  invece 
con  regioni  più  meridionali  e  in  particolare  con  la  Cam- 
pania. Finalmente  quando,  dopo  il  sacco  di  Alarico,  Roma 
ai  primi  del  v  secolo  d.C.  viene  ricolonizzata,  ecco  che  i 
coloni  di  origine  prevalentemente  meridionale  danno  al  la- 
tino di  Roma  quella  impronta  meridionale  che  conserverà 
sino  al  tempo  dei  papi  medicei,  e  che  in  parte  ha  conser- 
vato fino  ai  giorni  nostri  ^. 

La  Toscana,  che  riprende  la  figura  di  regione  appartata 
fra  l'Appennino  tosco-emiliano  e  il  corso  del  Tevere,  con- 
sente allora  una  classificazione  in  aree  minori,  vista  non 
sotto  l'aspetto  di  caratteri  autonomi  attivi,  ma  piutto- 
sto secondo  le  influenze  esterne  che  in  parte  riescono  ad 
aflermarsi  contro  il  suo  intrinseco  isolamento.  Queste  sub- 
regioni sono  quattro.  Quella  orientale  si  trova  ad  occi- 
dente del  Tevere  e  va,  a  debita  distanza  dal  fiume,  da 
Arezzo  sino  a  Chiusi.  Essa  ha  contatti  o  subisce  influenze 
comuni  ai  dialetti  dell'Umbria  nord-occidentale  "*.  La  se- 
conda subregione  è  quella  meridionale  soprattutto  a  mez- 
zogiorno del  monte  Amiata:  essa  ha  subito  alcuni  degli 
influssi  meridionali  che  si  erano  imposti  nel  Lazio  ^.  La 
terza  è  l'occidentale,  livornese  pisana  lucchese,  e  mostra 
legami  liguri  ^.  Immediatamente  a  settentrione,  essa  si 
continua  nell'area  ancora  toscana  della  Versilia  fino  a 
Massa,  mentre  da  Carrara  in  poi,  per  tutta  la  Lunigiana, 
si  ha  un  territorio  linguisticamente  emiliano.  La  quarta 
subregione  è  quella  (centrale)  che  comprende  il  toscano 
più  puro  e  insieme  più  bello,  e  cioè  Siena  e  Firenze,  fra 
le  quali  attribuiremo  la  bellezza  piuttosto  a  Siena  e  la 
purezza  a  Firenze;  proprio  Firenze  è  l'area  che  è  stata 
meno  raggiunta  da  caratteri  non  genuinamente  toscani.  A 
questo  isolamento  di  Firenze  hanno  condotto  non  tanto 
fattori  geografici  quanto  circostanze  storiche  e  principal- 
mente queste  due:   la  prima  organizzazione  di  Stato,  dopo 

'  Merlo,  La:io  sannita  ed  Etniria  latina,  p.  304  sg. 

^  Schiaffine  in  E.  I.,  p.  101. 

'  Cfr.  LoNGO,  //  dialetto  di  Piiigliauo.  p.   19  sg. 

'  Di  impronta  ligure  sembra  il  passaggio  di  -oh  ad  -oro  nei   pro- 

parossitoni  (Pieri,  Fonetica  del  dialetto  lucchese,  p.   117). 


rj^^^ 


66      f^"^  I  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

la  caduta  dell'Impero  Romano,  che  si  è  imperniata  sul  du- 
cato longobardo  di  Lucca,  il  quale  ha  irradiato  per  tutta 

0  gran  parte  della  Toscana  singoli  elementi  linguistici  set- 
tentrionali '',  e,  più  tardi,  la  grande  via  dei  pellegrinaggi 
che,  discendendo  per  la  Garfagnana,  attraverso  Lucca  Em- 
poli Siena,  stabiliva  un  itinerario  di  grande  importanza. 
L'uno  e  l'altro  fattore  avevano  come  risultato  di  lasciar 
da  parte  Firenze. 

1  caratteri  fondamentali  dei  dialetti  toscani  sono  quattro: 
V    a)  sono  i  soli  in  Italia  a  ignorare  e  ad  aver  ignorato  la 

|r^  metafonia  (o  compenso  qualitativo)  di  qualsiasi  tipo;  estra- 
nei ai  dialetti  toscani  sono  rapporti  come  capello-ca pilli 
sotto  l'influenza  di  una  i  finale  che  si  indeboliva;  b)  le  con- 
sonanti occlusive  sorde  in  posizione  intervocalica  tendono 
a  spirantizzarsi  (in  certi  casi  a  dileguare)  *;  e)  la  finale  del 
tlatino  volgare  -ariu  è  resa  con  -aio  contro  i  tipi  aro  o 
-ERO  delle  altre  regioni  ^;  d)  il  gruppo  RV  è  reso  con  rb 
/(come  Lv  con  lb):  per  esempio  il  latino  nervus  diventa 
nerbo,  il  latino  Uva  diventa  Elba  ^".  A  sua  volta  il  dialetto 
fiorentino  ha  ulteriori  caratteri  particolari:  a)  il  passag- 
gio a  una  articolazione  velare  della  t  intervocalica  in 
posizione  postonica:  così  andaho  per  «andato»;  b)  il 
mantenimento  "  del  colorito  leu  davanti  ai  gruppi  di  n 
più  consonante  gutturale  come  in  mungo,  lingua,  sottratti  ^ 
al  passaggio  in  mango  lengua,  normale  in  tutte  le  altre 
aree;  e)  il  passaggio  di  -ar-  non  accentato  in  -er-  come  nei 

w  futuri   loderò,   amerò  ^^;    d)   il   mantenimento    delle   con- 
sonanti semplici  dopo  l'accento  in  parole  sdrucciole,  che 
nelle   altre   aree  tendono   invece   al   raddoppiamento,   per 
j  esempio  Africa,  sabato  di  fronte  a  Affrica,  sabbato  '^.  No- 

'  Devoto,  Protostoria  del  fiorentino,  p.  367  sgg. 
'  Sulla  tormentata  questione  della  «  gorgia  »   toscana,  v.  i  due  stu- 
di —  contrastanti  nelle  conclusioni  —  di  A.  Castellani  e  G.  Contini 
in  Actes  du  IX'  Congrès  de  Linginstiqiie  Romane. 
'  Rohlfs  I,  400  sg.;  Ili,  392  sgg. 
'"  Rohlfs  I,  p.  373  sgg. 

"  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.   100;  A.  Castellani,  Sulla  forma- 
zione del  tipo  linguistico  italiano,  S.L.I.  2,  1961,  p.  24  sgg. 
'-  Rohlfs  I,  p.  173  sgg. 

'^  Il  raddoppiamento  è  tipico  del  senese  secondo  Schiaffini  (in  E.  I., 
p.  101). 


Toscana  67 

nostante  questo  isolamento,  i  primi  testi  scritti  fiorentini, 
quali  sono  stati  illustrati  soprattutto  per  merito  di  Alfredo 
Schiaffini  e  Arrigo  Castellani  '*,  sono  lontani  da  una  sta- 
bilità morfologica  e  mostrano  frequenti  influenze  esterne 
quasi  fossero  stati  dominati,  i  primi  scribi,  da  un  com- 
plesso di  inferiorità  verso  i  centri  vicini:  metteno,  disseno 
provengono  dalle  aree  occidentali  al  posto  dei  normali 
mettono,  dissero.  Anche  le  fomie  fiorentina  Dio,  mio,  bue 
presuppongono  modelli  toscano-meridionali  nei  quali  le 
forme  dittongate  dieo,  mieo,  bueo  erano  accentate  sul  pri- 
mo elemento  del  dittongo:    dieo,  mìeo,  bùeo  ^^. 

Nel  gruppo  occidentale  hanno  risalto  le  forme  con  r  sem- 
plice invece  che  doppia  come  in  tera  per  «  terra  »,  un 
fenomeno  che  non  è  però  sconosciuto  nel  resto  della  To- 
scana); le  ss  sorde  al  posto  delle  zz  nei  tipi  terasso,\/ 
carossa,  piassa;  così  le  s  stanno  al  posto  delle  z  corri- 
spondenti nei  casi  di  orso  per  «  orzo  »,  calsa,  alsare,  can-  ^ 
sone  ^^.  Il  fatto  che  questa  pronuncia  delle  affricate  fosse 
collegata  con  regioni  sia  pure  vicine  ma  estranee  alla  To- 
scana, ha  determinato  correzioni  ingiustificate  come  polzo, 
penzare.  Analoga  correzione  ingiustificata  è  data  per  il 
lucchese  dai  tipi  fornaglio  per  «  fornaio  »'^.  Altre  forme 
anomale  rispetto  al  fiorentino  si  trovano  nei  testi  me- 
dievali dell'area  in  questione.  Dante  rimprovera  ai  pisani 
nel  De  vulgari  eloquentia  la  sostituzione  della  z  con  s  (di 
cui  si  è  detto)  e  la  desinenza  della  terza  plurale  del  pas- 
sato remoto  in  -onno  (che  è  però  caratteristica  di  tutta  la 
regione)  ^*:  «  Bene  andonno  li  fanti  da  Fiorensa  per  Pi- 
sa »  *'.  Il  toscano  occidentale  infine  si  è  sovrapposto,  al 


'*  A.  Schiaffini,  Testi  fiorentini  del  Dugento  e  dei  primi  del  Tre- 
cento, Firenze  1926;  A.  Castellani,  Nuovi  testi  fiorentini  del  Du- 
gento, Firenze  1962. 
"  Rohlfs  I,  p.  Ili. 

"  Pieri,  Fonetica  del  dialetto  lucchese,  pp.  118,  117;  Fonetica  del 
dialetto  pisano,  p.  147. 

"  Pieri,  Fonetica  del  dialetto  lucchese,  p.  116. 
"  Rohlfs  II,  p.  313  sg. 

"  Per  la  valutazione  dei  dialetti  toscani  cfr.  il  capitolo  13  (1-2)  del 
I  libro. 


68  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

tempo  della  espansione  marinara  di  Pisa,  in  Corsica  e  ha 
dato  un'impronta  sua  al  còrso  detto  «  cismontano  »  ^°. 

Nell'area  meridionale  compaiono,  soprattutto  nei  testi  an- 
tichi, le  forme  «  non  fiorentine  »  del  tipo  fameglia  e 
jongo^^.  Accanto  ad  essi  si  hanno  esempi  di  passaggio  di 
-er-  atono  ad  -ar-  {vendaré),  di  palatalizzazione  davanti  ad 
I  del  tipo  di  anegli  per  «  anelli  %,  di  contrazione  dei  dit- 
tonghi per  cui  si  scrive  insime,  Orvito^.  Alterazioni  iso- 
late —  che  hanno  anch'esse  riscontro  in  quasi  tutta  la 
Toscana  —  sono  gombito,  cèndare  per  «  gomito  »,  «  cene- 
re »  ^.  Esse  possono  essere  una  presa  di  posizione  contro 
una  presunta  assimilazione  laziale  del  tipo  di  quanno,  ri- 
spetto al  corretto  quando.  Ai  senesi  che  si  comportano 
ancora  «  meridionalmente  »,  Dante  rimprovera  perciò  la 
frase  «  onche  renegata  avesse  io  Siena  »:  la  forma  fioren- 
tina sarebbe  stata  unche. 

Caratteri  tipici  della  area  orientale  sono:  a)  la  pronuncia 
palatalizzata  di  a  come  in  baco,  caso,  mano,  paglido  ^^; 
b)  la  metatesi  di  tipo  emiliano  in  annette  invece  di  ri- 
mette, arfucilldre  invece  di  rifocillare^;  e)  il  tardivo  ar- 
rivo della  dittongazione  fiorentina  provato  dal  fatto  che 
essa  colpisce  anche  puoco,  cuosa,  che  in  fiorentino  ap- 
paiono invece  intatti,  in  quanto  il  passaggio  di  AU  a  o 
posteriore  all'affermazione  del  dittongo  uo  da  o  aperta  ^. 
Dante  non  critica  solo  pisani  e  senesi,  ma  se  la  prende 
con  i  toscani  tutti,  accomunando  ai  fatti  di  lingua  anche 
giudizi  di  costume.  Nel  rinfacciare  ai  fiorentini  la  frase 
«  manichiamo  introcque.  che  noi  non  facciamo  altro  »  in- 
siste piuttosto  sulla  neghittosità  dell'atteggiamento  che  sul- 

^^  F.  Coco,  L'italiano  antico  nei  parlari  di  Corsica,  Bologna   1958, 

p.    11    sgg.  V.   anche   G.  Rohlfs,  Fra   Toscana  e  Corsica,  ora  in 

Lingua  e  dialetti  d'Italia,  cit.,  pp.  177-186. 

^'  Rohlfs  I,  p.  71. 

"  Bertoni,  p.  130  sgg.;  Parodi,  Dialetti  toscani,  pp.  596,  594,  619  sg. 

"  Rohlfs  I,  p.  334. 

-*  Bertoni,  p.  132  sg.;  Parodi,  Dialetti  toscani,  p.  618. 

"  A.   Schiaffini,  Influenze   dei  dialetti   meridionali  sul   toscano  e 

sulla  lingua  letteraria,  I.  D.  4,  1928,  p.  104. 

^^  Rohlfs    I,  p.    102;    cfr.   Castellani,  Sulla  formazione  del   tipo 

linguistico  italiano,  cit.,  p.  38  sgg. 


Toscana  69 

la  qualità  del  verbo  manicare  per  «  mangiare  ».  Ma,  an- 
che al  di  fuori  dei  casi  concreti,  il  giudizio  di  insieme  è 
severo  con  «  ...  i  Toscani,  i  quali  fatti  stolti  per  loro  dis- 
sennatezza mostrano  di  arrogarsi  l'onore  del  volgare  illu- 
stre. Ed  in  ciò  non  solo  folleggia  la  pretesa  della  plebe... 
e  poiché  i  Toscani  più  degli  altri  sono  in  cotesta  ubriaca- 
tura furiosi,  appare  degna  e  utile  cosa  in  qualche  parte 
spogliare  ad  uno  del  loro  vanto  i  volgari  municipali  dei 
Toscani  ». 

La  difficoltà  nella  distinzione  tra  lingua  e  dialetto  è  par- 
ticolarmente notevole  nel  caso  del  lessico.  Fonetica  e  mor- 
fologia sono  state  infatti  incanalate  da  secoli  in  schemi 
normativi  più  o  meno  rigidi:  contravvenire  a  questi  di- 
cendo, secondo  il  tipo  vernacolare  del  fiorentino  odierno, 
/  ffoho  o  le'  la  mi  disse  ^^,  equivale  a  mettersi  esplicitamente 
fuori  della  lingua  nazionale.  Ma  nel  campo  del  lessico  una 
tale  distinzione  non  è  sempre  facile:  fattoio  per  «  fran- 
toio »  e  midolla  per  «  mollica  »  ^^  sono  parole  riportate 
dai  vocabolari  italiani,  insieme  al  rustico  redo  «  vitello 
piccolo  »  (dal  lat.  herede)  che  è  entrato  anche  nella  poe- 
sia del  Pascoli  e  del  D'Annunzio.  Si  tratta,  come  nel  primo 
caso,  di  termini  che  hanno  una  tradizione  scritta  antica, 
anche  se  sono  rimasti  soverchiati  nell'uso  letterario  da 
un'altra  parola;  oppure  di  voci  tecniche  o  espressive  che 
possono  venir  usate  anche  in  lingua  o  perché  insostitui- 
bili (tipico  il  caso  di  coreggiato,  accettato  anche  con  la 
notevole  degeminazione  contadina)  o  perché  designano  con 
maggiore  evidenza  e  semplicità  l'oggetto  (così  per  gota  in 
confronto  al  prezioso  guancia)  ^^,  anche  senza  che  si  vo- 
glia chiaramente  indulgere  a  una  coloritura  regionale,  che 
porrebbe  il  toscano  alla  stessa  stregua  degli  altri  dialetti. 
L'isolamento  della  parola  nel  contesto  dialettale  italiano 
non  ha  molto  valore  in  un  rapporto  come  questo;  la  lingua 
ha  accettato,  come  fondamentali,  termini  toscani  che  riman- 
gono isolati  o  quasi  nell'ambito  dialettale  italiano:  così 
topo,  così  poggio,  maiale,  chiocciola,  ramarro  ^  (per  il 

"  Rohlfs  II,  pp.   102;   142. 

2»  AIS  carte  1349,  989,  1046. 

»  AIS  carte  1473,  113. 

^''  AIS  carte  444,  422,  246,  459,  450. 


70  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

quale  l'origine  etmsca,  nonostante  la  fragilità  della  sup- 
posizione^', appare  sempre  attraente);  ma  al  di  fuori  del 
rapporto  dialetto-lingua,  nella  proiezione  dei  tipi  lessicali 
in  uso  in  territorio  italiano,  questa  singolarità  può  essere 
significativa. 

Il  lessico  toscano  va  dunque  considerato,  come  ogni  altro 
lessico  dialettale,  per  la  ricchezza  degli  spunti  che  il  suo 
studio  può  fornire:  notiamo  allora  la  contrapposizione  del- 
l'orientale pecchia  (da  apiculà)  all'occidentale  ape  (spesso 
lapa  o  apia^^)  o  l'uso  traslato  di  barba  per  «radice»,  di 
toppa  per  «  serratura  »,  di  spera,  ormai  antiquato,  per 
«  specchio  »^^.  Ma  sono  esempi  isolati  e  cristallizzati  di  un 
lessico  toscano  «  non-italiano  »  che  sentiamo  ancora  vitale 
soprattutto  nelle  campagne. 

Ed  ecco,  dal  volume  di  G.  Papanti,  /  parlari  italiani  a 
Certaldo,  cinque  esempi  di  dialetti  parlati  in  Toscana,  ma 
progressivamente  sempre  più  divergenti  e  lontani  dal  mo- 
dello fiorentino  ^^i 

Da  Firenze  (lingua  della  plebe)  :  V'ache  donch'a  sapere, 
come  quarmente  ai  ttempo  di  pprimo  re  di  Cipro,  chand'  i' 
Ggoffredo  di  Buglione  ebbe  agguantacha  la  Terra  Santa,  e' 
s'abbattè  che  una  signorone  di  Guascogna  la  volle  ì  ppel- 
legrinando  a  i  ssanto  Sepolcro;  e  n'ì  ttornare,  come  la  fu 
a  Ciprio,  certi  mascalzoni  gnene  dissano  e  gnene  feciano  di 
chelle  nere.  (A  cura  di  Pietro  Fanfani). 
Da  Pietrasanta  (Lucca)  :  Dico  dunqua,  che  ne'  tempi  del 
primo  Rèe  di  Cipri,  doppo  la  conquista  di  Tera  Santa  fatta 
da  Goffredo  di  BuUione,  accadèe  che  una  garbata  donna  di 
Guascogna  pelegrinando  andòe  al  Sepolcro,  di  duve  ritor- 
nando a  Cipri,  da  certi  scelerati  omini  villanescamente 
fue  oltraggiata.  (A  cura  di  Vincenzo  Santini). 
Da  Pitigliano  (Grosseto)  :  Dicio  donque  che  quanno  ci 
adéra  i  'primmu  Rene  di  Cipriu,  doppu  che  Grufedo  di 
Boglione  s'impatronì  di  Terra  Santa,  una  gran  donna  di 
Gascògna  agnede  in  pellegrinaggiu  a  i'  Sepulgru,  e  nel 
rivenire  di  dimmellà,  quanno  arrivone  a  Cipriu,  da  certi 

''  G.  Roiti.rs,  Romanìsche  Philologie,  Heidelbeg  1952,  II,  p.  17  sg. 

"  Non  evidente  in  AIS  carta  1152 

"  MS  carte  558,  885.  675. 

^^  RispcUivamente  alle  pp.  215;  252;  242  sg.;  86;  275  sg. 


Toscana  71 

birboni  fune  sforzata.  (A  cura  di  Giuseppe  Bruscalupi). 
Da  Arezzo  (dialetto  del  contado)  :  Dico  dónqua,  c'al 
tempo  che  regnaeva  '1  primi  Réie  de  Cipri,  quande  che 
Guttifreie  de  Buglione  avv'arquisto  qui  Liuóghi  Santi,  se 
dède  '1  chaeso,  che  'na  signuora  de  Guascogna  vette  pili- 
grinando  al  Sipolcro  de  Ghiesù  Cristo.  E  'n  tul  mentre 
c'artornè  a  chaesa,  giónta  che  fue  a  Cipri,  s'embattètte  'n 
tur  una  branchaeta  de  mèlviventi  che  la  'ncarconno  d'ugni 
suorta  de  vitupèrio.  (A  cura  di  Luigi  Goracci). 
Da  Pontremoli:  Donch  a  digh  che  ai  teumpi  dal  prim 
Reu  d'  Cipri,  dop  che  Gotifred  d'Buglion  j'avè  pia  Tera 
Santa,  a  sucèss  che  na  siora  com'  a  va  d'  Guascogna  l'andè 
pulugrinand  al  Sepulcar,  e  antal  tornar  andré,  arivà  eia 
fu  a  Cipri,  na  mandga  du  sbarassin  iss  misson  a  scarognar- 
la. (A  cura  di  G.  Giumelli). 

Dai  Cento  sonetti  pisani  di  R.  Fucini  togliamo  pochi  ver- 
si ^-  dedicati  al  santo  protettore  della  città,  che  la  tradi- 
zione vuole  ladro  convertito: 

Levato  quer  viziaccio  di  rubare 
San  Ranieri  è  'n  gran  santo  di  've  boni, 
Quando  dianzi  l'ho  visto  'n  sull'altare, 
Lo  'redi?  m'è  vienuto  e'  luccì'oni. 

E  aggiungiamo  una  strofa  in  fiorentino  plebeo  di  V.  Ca- 
maiti  ^,  il  quale  vuol  esaltare  la  lingua  toscana  di  fronte 
a  quegli  «  Italiani  »  che  non  riescono  a  piacergli: 

Gli  arebbano  un  decatti  a  un  rifiatare 
questi  buzzurri  sparsi  per  i'  mmondo. 
Dice  son  Italiani...  e  in  fondo  in  fondo 
sarà...  Defatti  un  c'è  di  mezzo  i'mmare. 


"  R.  Fucini,  Cento  sonetti,  Firenze  1872,  Sonetto  XII,  vv.  1-4. 
"  V.  Camaiti,  Dizionario  etimologico  del  linguaggio  fiorentino,  Fi- 
renze 1934,  p.  30. 


MARCHE 


Dal  punto  di  vista  dialettale,  le  Marche  sono  assai  lon- 
tane dall'unità.  Già  la  colonizzazione  latina  si  era  svolta 
secondo  itinerari  diversi  che  facevano  capo  ad  ambienti 
diversi.  L'asse  della  latinità  era  stato  la  via  Flaminia  che 
penetra  in  territorio  marchigiano  attraverso  il  passo  di 
Scheggia.  Essa  porta  un  tipo  di  latinità  «  umbra  »  che  si 
scontra  e  in  buona  parte  si  immerge  in  ambiente  gallo- 
italico. Un  secondo  itinerario  si  stacca  dal  precedente  e 
penetra  nelle  Marche  attraverso  il  passo  di  Fossato  e  Fa- 
briano. Qui  la  tradizione  umbro-latina  resiste  meglio,  e 
solo  avvicinandosi  alla  costa  adriatica  sente  le  ultime  in- 
fluenze gallo-italiche  fra  Iesi  e  le  porte  di  Ancona.  L'iti- 
nerario principale  è  quello  che  si  dirama  dal  precedente 
a  Foligno  e  per  Colfìorito  Camerino  Treia  raggiunge 
Osimo  e  Ancona,  ancora  più  lievemente  toccato  da  echi 
gallo-italici.  L'ultimo  itinerario  è  quello  della  via  Salaria, 
da  Roma  ad  Ascoli.  Esso  risente  di  influenze  umbro-sa- 
bine che,  nel  tratto  finale,  si  accompagnano  a  modelli  sa- 
bellici,  oggi  abruzzesi  e  in  generale  adriatici  ^ 
Un  secondo  carattere  della  latinità  marchigiana  è  dato  dalla 
grande  sproporzione  fra  gli  estesi  territori  annessi  e  quelli 
ristretti,  alleati  già  nella  prima  metà  del  ni  secolo.  Due 
perni  della  latinità  sono  le  colonie  di  diritto  latino  di  Ri- 
mini (268)  e  Fermo  (264).  Si  allineano  i  territori  preco- 
cemente annessi  di  Pesaro,  Fano,  Senigallia,  Iesi,  Cupra- 
montana,  Cingoli,  Osimo,  Potenza  Picena,  Cupra  Marit- 
tima, Tolentino,  Treia.  Di  città  alleate  fino  al  tempo  della 
guerra  sociale  non  si  ebbero  che  Ancona  e  Numana  sul 
mare,  Camerino  Ascoli  Matelica  Urbino  e  poche  altre 
nell'interno  -.  In  queste  condizioni  la  mescolanza  con  la 


'  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit,     p.  148. 

^  Beloch,  Romische  Geschichte,  cit.,  pp.  557  sgg.;  601  sgg.;  605  sgg. 


Marche  73 

popolazione  preesistente  è  stata  largamente  favorita.  Le 
iscrizioni  latine  di  Pesaro  mostrano  una  chiara  influenza 
umbra  (non  gallica)  ^.  La  situazione  che  corrisponde  oggi 
in  fondo  a  questi  presupposti  è  la  seguente^: 

a)  Il  territorio  della  provincia  di  Pesaro  e  la  parte  più 
settentrionale  e  costiera  di  quella  di  Ancona  appartiene 
all'area  gallo-italica,  e  i  dialetti  rispettivi  si  collegano  di- 
rettamente  con   quelli   romagnoli. 

b)  Il  resto  della  provincia  di  Ancona  e  quella  di  Mace- 
rata costituiscono  il  nucleo  dei  dialetti  marchigiani,  di- 
retta prosecuzione  di  quelli  dell'Umbria,  e  cioè  di  quella 
latinità  sorta  dalla  stretta  immedesimazione  della  tradizio- 
ne latina  con  quella  degli  antichi  umbri. 

e)  Una  piccola  parte  di  questo  territorio  conserva  un  tipo 
più  arcaico,  nel  quale  la  -u  finale  si  mantiene  tale  senza 
confondersi  con  -o  e  sia  pure  senza  corrispondere  costan- 
temente alle  due  uscite  in  latino.  A  Camerino  si  dice  lu 
munnii  (lat.  mundus)  ma  omo  (lat.  homo)-,  però  anche 
lo  ferro  (lat.  ferriim)  ^.  Insieme  con  Camerino,  le  località 
di  Montefalcone  Amandola  Force  rappresentano  il  limite 
settentrionale   di  questa   distinzione. 

d)  Nella  provincia  di  Ascoli  Piceno,  la  tradizione  umbro- 
latina,  libera  da  influenze  gallo-italiche,  è  stata  però  pro- 
gressivamente limitata  da  influenze  abruzzesi  e  in  ge- 
nerale adriatiche  che,  all'opposto  della  tradizione  primi- 
tiva, alterano  l'equilibrio  interno  delle  vocali. 

Infine  tracce  di  influenze  marinare  specialmente  venete 
si  hanno  in  sporadiche  forme  dialettali  dei  porti,  per 
esempio  a  Senigallia  e  ad  Ancona.  Tali  forme  sono  tut- 
tavia ormai  prossime  a  scomparire.  Per  quanto  poi  riguar- 
da i  dialetti  marchigiani  di  tipo  gallo-italico  importa  met- 
tere in  rilievo  il  progressivo  declino  dei  loro  caratteri  che 
finiscono  per  dissolversi  nel  marchigiano  puro  fra  l'Esino 

'  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cìt.,  p.  197  sg. 
*  Sulla  classificazione  dei  dialetti  marchigiani  v.  la  chiara  introdu- 
zione al  lavoro  del  Parrino,  Per  una  carta  dei  dialetti  delle  Marche 
(=  Parrino) 
'  Rohlfs  I,  p.  185.  Cfr.  Umbria  p.  82  sg. 


74  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

e  il  Potenza,  di  mano  in  mano  che  si  procede  lungo  la 
costa.  Mancano  già  in  Romagna  caratteri  vistosi  come  la 
ij  e  la  ò  dei  dialetti  dell'Emilia  occidentale^.  Ma  cede 
anche  la  e  per  a  del  tipo  cher,  peder,  meder  all'altezza  di 
Fano  e  Senigallia^.  Forme  come  dise  del  senigalliese  del 
porto  o  in  so  «  in  giù  »  dell'anconetano  del  porto  sono 
probabilmente  venetismi.  Sopravvivono  invece  ancora  nel 
territorio  di  Ancona  forme  con  la  caduta  della  vocale  pro- 
tonica come  stimana  per  «  settimana  »;  con  la  metatesi 
della  consonante  liquida  protonica,  arpia  «ripigliare», 
arcurdà  «  ricordare  »;  con  la  caduta  di  vocale  postonica 
come  povr  «  povero  »  ciir  «  con-i  »  pranz  «  pranzo  »;  con 
la  lenizione  della  consonante  gutturale  sorda,  segondu  «  se- 
condo »,  diga  «  dica  »,  figu  «  fico  »,  e  della  -s-  intervocalica, 
mese  «  mese  »  peso  «  peso  »;  con  lo  scempiamento  di  tutte 
le  consonanti  doppie  ^.  La  lenizione  risale  all'interno  fino 
a  Iesi.  La  mancanza  del  tipo  granire,  quanno,  gamma 
«  gamba  »,  sammuco,  callo  «  caldo  »,  può  essere  interpre- 
tata come  dovuta  a  influenza  gallo-italica,  ma  anche  come 
forma  conservatrice  (sia  pure  senza  connessione  geografi- 
ca), quale  la  -u  finale. 

Il  secondo  tipo  marchigiano  è  rappresentato  dal  dialetto 
di  Arcevia,  in  provincia  di  Ancona  tra  Fabriano  (terzo  ti- 
po) e  Pergola  (gallo-italico)  ^.  Proprio  per  la  sua  ristrettezza 
esso  rappresenta  in  un  certo  senso  un  resto  non  gallo- 
italicizzato  della  via  Flaminia  e  per  un  altro  il  cuneo 
che  dall'Umbria  si  inserisce,  distinguendosi  non  solo  per 
quello  che  non  ha  di  gallo-italico  ma  per  quello  che  ha 
di  umbro.  Alle  innovazioni  vere  e  proprie  che  danno 
da  sole  un'autonomia  a  questo  secondo  tipo  marchigiano, 
appartiene  così  la  metafonia,  della  quale  si  presentano  qui 
alcuni  schemi: 

a)  ì,  È  ...  ù  dà  E  ...  o  ma  ì,  È  ...  i  dà  i  ...  e  regolarmente: 
sing.  pelo  plur.  pije  «  peli  ».  Così  pegno  pigne,  capello 
capije,  vetro  vitre,  metto  mitte  «  io  metto  tu  metti  ». 


*  Cfr.  Emilia-Romagna  p.  57. 

'  Parrino,  p.  17. 

'  Crocioni  in  E.  I.,  p.  232;  Parrino,  p.  23  sgg. 

'  Crocioni,  //  dialetto  di  Arcevia,  p.  1  sgg. 


Marche  75 

b)  È ...  o,  A  si  mantiene,  ma  con  È ...  ì,  ù  si  ha  il  dittongo: 
meto  ma  lu  miete,  tengo  ma  egli  tiene,  mièdeco  (da  medica). 

e)  ò  ...  o,  A  si  mantiene,  ma  nella  serie  ó  ...  ì,  ù  si  ha  il 
dittongo:    bona  buono,  posso  puoe,  vojo  vuoe. 

d)  Finalmente  la  serie  ò  ...  e,  o,  a  (e  ò  ...  ù)  rimane  in  equi- 
librio, quella  ò  ...  ì  dà  luogo  al  passaggio  da  o  in  u:  sing., 
ordene  plur.  urdene,  sing.  monte  plur.  munte. 

Secondo  carattere  della  zona  è  l'assimilazione  progressiva, 
sconosciuta  più  a  nord  ^°:  callo  per  «caldo»,  sollo  per 
«soldo»;  granne,  quanno,  spenne,  fonno  per  «grande», 
«  quando  »,  «  spende  »,  «  fondo  »;  così  pure  palomma, 
gamma,  sammuco,  cammià  per  «  palomba  »,  «  gamba  », 
«  sambuco  »,  «  cambiare  ».  Che  ci  troviamo  qui  in  un'area 
estrema  e  per  così  dire  polemica  di  questo  fenomeno  è 
mostrato  dagli  eccessi  di  zelo  delle  forme  troppo  corrette 
come  flamba  per  «  fiamma  »  e  nsomba  per  «  insomma  ». 
In  analogia  con  questo  passaggio,  si  ha  la  sonorizzazione  del 
secondo  elemento  nel  gruppo  -nc-  che  diventa  -ng-:  per  es. 
biango,  stango,  mango  per  «  bianco  »,  «  stanco  »,  «  manco  ». 
Maggior  varietà  si  ha  per  i  suoni  g-,  j-  iniziali  e  le  loro 
combinazioni.  Ad  Ancona  si  hanno  le  soluzioni  toscane 
già,  gìoentù  per  «  già  »,  «  gioventù  ».  A  Macerata  e  Fermo 
un  rafforzamento  del  tipo  gghiò,  gghioenotti,  per  «  giù  », 
«  giovanotti  »,  ad  Ascoli  un  indebolimento  del  tipo  jonta, 
jente,  jovene  per  «  giunta  »,  «  gente  »,  «  giovane  »  ".  Nei 
gruppi  del  tipo  lj  e  gl  si  ha  indebolimento  del  primo  ele- 
mento così  in  paja  «  paglia  »,  come  in  jotto,  Janna  «  ghiot- 
to »,  «  ghianda  ».  Soprattutto  notevole  è  la  lenizione  che 
talvolta  potrebbe  sembrare  eco  di  quella  settentrionale, 
sia  parziale  (per  es.  a  Iesi  amigo  e  dide  «  dita  »)  sia  to- 
tale (p.  es.  a  Fabriano  bottia  «  bottega  »,  a  Cingoli  magnau). 
Ma  molto  più  autonoma  appare  a  San  Severino  in  gastigào 
per  «  castigato  »,  a  Grottammare  neò  per  necò  «  uccise  », 
ad  Ascoli  fatià  per  «  faticare  »,  La  lenizione  iniziale  com- 
pare a  San  Benedetto  in  forme  come  la  abbia  «  gabbia  », 
la  atta  «  gatta  »,  la  rotta  «  grotta  »  ^^. 

"  Bertoni,  p.  143  sg.;  Parrino,  p.  27. 

"  Crocioni  in  E.  I.  p.  232;  cfr.  però  Parrino,  p.  11. 

"  Così  ad  Ascoli  Piceno:   cfr.  Parrino,  p.  31  sg. 


76  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Dialetti  marchigiani  genuini  sono  quelli  che  mantengono  la 
-u  finale,  dal  territorio  di  Camerino  e  Amandola  in  giù. 
Predominano  nella  provincia  di  Macerata,  e  nella  parte 
settentrionale  di  quella  di  Ascoli  ^^.  Rappresentano  la  tra- 
dizione latina  della  valle  del  Chienti  discesa  attraverso 
il  territorio  dei  Camerti  al  tempo  della  fondazione  della 
colonia  di  Fermo,  poi  salvata  forse  perché  il  diaframma 
di  città  alleate,  per  es.  di  Camerino,  ha  rallentato  il  li- 
vellamento col  retroterra  transappenninico  umbro-setten- 
trionale e  toscano,  come  abbiamo  precedentemente  ac- 
cennato. Il  quarto  tipo  è  il  dominio  del  caos  vocalico, 
proprio  della  costa  adriatica  dal  Tronto  a  Brindisi.  AI 
di  fuori  della  metafonia,  appaiono  qui  nella  loro  gra- 
vità tre  fatti.  I  primi  richiamano  condizioni  settentrionali 
senza  avere  con  esse  collegamento  diretto,  così  quelca 
«  qualche  »,  gatte  «  gatto  »  con  a  palatalizzato.  Ancor  più 
impressiona  l'apertura  delle  i  e  u  lunghe  come  in  acsè 
«  così  »,  virtò  «  virtù  ».  Meno  somiglianti  al  settentrione, 
ma  sensibili,  sono  passaggi  come  quelli  di  e  chiusa  in  A 
a  Campofìlone,  per  es.  male  per  «  mela  »,  di  e  aperta  in  a 
a  Porto  San  Giorgio,  per  es.  prago  per  «  prego  »,  di  o  in 
e:  fiere  per  «  fiore  »  a  Pedaso  e  Cupra  Marittima.  La 
seconda  parte,  più  vistosa,  è  costituita  da  dittongazioni  e 
frangimenti  violenti.  Tali  la  e  chiusa  che  passa  in  ai  a 
Montalto  (maila  per  «  mela  »),  in  ci  a  Force  (soite  per 
«  sete  »),  in  ei  a  Monteprandone  ireite  per  «  rete  »,  neive 
per  «  neve  »  ^'*);  la  i  che  diventa  ai  a  San  Benedetto  {daice 
per  «  dice  »).  A  Grottammare  '^  non  si  hanno  solo  dit- 
tongazioni violente  come  quella  di  i  in  ei  (deice  per 
«  dice  »).  Singolare  è  la  situazione  di  questo  centro  dove 
si  direbbe  che  il  sistema  vocalico  si  è  assestato  su  basi 
polemiche  rispetto  alle  aree  vicine.  In  contrasto  con  il 
normale  bove  si  dice  a  Grottammare  bave;  in  contrasto  col 
normale  mare,  vi  si  dice  more.  Questa  terza  serie  rimane 
perciò  la  più  difficile  da  spiegare. 


"  Pellegrini  in  Le  Marche,  p.  200  sg.;  Parrino,  pp.  15;  26;  29. 
"  Pellegrini  in  Le  Marche,  p.  202  sgg. 

"  Rohlfs  I,  pp.  30;  80;  210.  Per  il  vocalismo  della  zona  meridionale 
V.  anche  Mastrangelo  Latini,  Caratteristiche  fonetiche  dei  parlari 
della  bassa  valle  del  Tronto,  p.  6  sgg. 


Marche  77 

Fra  i  tratti  morfologici  possiamo  ricordare  come  mar- 
chigiani generici  le  desinenze  verbali  in  -ma  come  pa- 
tema, vulima,  gli  infiniti  in  -a  come  cora,  veda  per  «  cor- 
rere »  «  vedere  »,  le  preposizioni  nti,  nte,  ntro,  derivate 
da  intus,  me  da  medium  (per  es.  me  lu  petti  «  medio 
lo  petto  »)  e  sa  «  con  »  da  ipsa  ^^.  Costrutti  sintattici  da 
ricordare  sono  omo  dice  come  impersonale  e  l'uso  della 
terza  singolare  come  terza  plurale. 

Anche  nel  campo  lessicale  la  situazione  linguistica  delle 
Marche  appare  complessa  e  composita.  Nel  suo  studio  F. 
Parrino  isola  termini  interessanti  delle  quattro  zone,  che 
egli  esemplifica  nei  dialetti  dei  quattro  capoluoghi  •^;  ne 
trascriviamo  alcuni  scegliendo  per  Pesaro  bagé  «  maiale  », 
carnacièr  «  macellaio  »,  butrigò  per  «  precipizio  »;  per 
Ancona  impalichì  «  appisolarsi  »  (che  ha  connessioni  nella 
Toscana  orientale  '^),  strofu  «  cencio  »,  piotu  «  lento  »;  per 
Macerata  cartina  «  podere  »,  sarvai  «  imbuto  »,  màsciulu 
«  mansueto  »,  pritu  «  intero  »,  smusinà  «  rimestare  »;  per 
Ascoli  Piceno  furia  «  molto  »,  fracchia  «  fango  »,  rua 
«  via  »  (da  ruga;  la  voce  ha  in  realtà  connessioni  in  dia- 
letti di  tutt'Italia).  Ma  sono  anche  da  notare  quei  casi 
in  cui  la  differenziazione  tra  dialetti  settentrionali  e  dia- 
letti meridionali  porta  a  connessioni  immediate  con  le 
regioni  vicine;  così  il  tipo  fabbro  dei  primi,  che  si  le- 
ga alle  forme  toscane  e  romagnole,  mentre  ferraro  dei 
secondi  ha  riscontro  nel  vicino  Abruzzo;  così  per  for- 
MENTO  di  fronte  a  levito  ".  Tipiche  voci  centrali,  comuni 
cioè  anche  all'Umbria  e  al  Lazio  sono  poi  nottola  per 
«  pipistrello  »,  RAGAN0  per  «  ramarro  »,  lama  per  «  fra- 
na »  ^°:  ma  forse  il  caso  lessicale  piìi  interessante  è  dato 
dalla  sopravvivenza  del  latino  ninguere  «  nevicare  »  (an- 
che dell'Umbria  e  dell'Abruzzo  settentrionale)  ^^  un  pre- 
zioso relitto  di  fronte  a  cui  risaltano  l'innovazione  seman- 


'*  Crocioni  in  E.  I.,  p.  232;  Pellegrini  in  Le  Marche,  p.  203. 

"  Rispettivamente  alle  pp.  22;  25;  31;  35  sg. 

"  Cfr.  la  nota  di  C.  Merlo  (a  commento  del  Lessico  del  dialetto  di 

Sansepolcro  di  C.  Zanchi  Alberti)  in  I.  D.  13,  1937,  p.  222. 

"  AlS  carte  213.  235. 

^  AIS  carte  448,  450.  427. 

"  AIS  carta  377;  cfr.  anche  Pellegrini  in  Le  Marche,  p.  203. 


78  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

tica  di  BEDOLLO  «  pioppo  »  (anche  romagnolo:  dal  lat.  be- 
tulla) -2  e  il  germanismo  lecca  «  scrofa  »,  probabile  deri- 
vazione da  una  forma  longobarda^. 

Dante  nel  De  vulgari  eloquentia^'^  così  parla  dei  dialetti 
marchigiani,  mettendoli  per  bruttezza  subito  dopo  il  ro- 
manesco: «  Dopo  questo  strappiam  via  gli  abitanti  della 
Marca  d'Ancona,  che  dicono  chignamente  scate,  sciate  » 
(e  cioè  «  come  state,  siatelo  »  probabilmente  in  risposta 
a  una  domanda  «  come  state?  »). 

Oggi  secondo  gli  esempi  della  consueta  raccolta  del  Papanti 
(/  parlari  italiani  in  Certaldo),  tre  dialetti  caratteristici  ^ 
si  confrontano  così: 

Da  Sant'Agata  Feltria  (Pesaro)  :  Donca  av  dirò  che  in  ti 
temp  de  prim  Re  d'  Cipri,  dop  la  cunquista  fatta  dia 
Terra  Santa  da  Guttifrè  d'  Bujon,  è  success  ch'una  garbeta 
donna  d'  Guascogna  la  s'  n'  andò  in  pelligrinag'  me 
Sepolcri,  turnand'indria,  arriveta  a  Cipri,  la  fu  vilanament 
ultragieda  da  di  sceleret.  (A  cura  di  Crescentino  Giannini). 
Da  Camerino  (Macerata;  dialetto  rustico)  :  Dunque  dico 
che  a  tempu  de  lu  Re  de  Cipru,  dopo  l'agguistu  che  fobbe 
fattu  de  la  Terra  Santa  da  Goffrè  de  Vujone,  successe 
che  na  signora  de  Vascogna  'm  pellegrinagghiu  jette 
me  lu  Seppurgru,  e  da  ittèllo  stornenno,  come  fobbe 
arriata  a  Cipru,  leccote  che  da  certi  virbacciuni  fobbe 
mardrattata  forte.  (A  cura  di  Aristide  Conti). 
E  infine  da  Ripatransone  (Ascoli  Piceno)  :  Dicieve  eh 
e-ttiemp  de  lu  prime  Rre  de  Cipr,  quann  Guffrède  de 
Buglione  s'ere-mpetrunitu  de  le  Terre  Sante,  ne  signore 
de  Guescogne  jètt  e-mpellegrinag  là  lu  Sant  Sepolcr, 
revenenne,  loch-e  Cipr  fu  mulestate  da  certi  birbecciìi. 
(A  cura  di  Cesare  Cellini). 


'^  AìS  carta  585. 

"  B.  Migliorini,  Lefa  e  lecca,  L.  N.  12,  1951,  p.  43. 
"  De  vulgari  eloqiientia  I,  11,  3.  Cfr.  G.  Crocioni,  Dante  e  il  dia- 
letto marchigiano,  Rend.  Ist.  March.  2,  1927,  pp.  5-15;  Vidossi,  L'Ita- 
lia dialettale  fino  a  Dante,  p.  L. 
"  Rispettivamente  alle  pp.  353  sg.;  253  sg.;   103  sg. 


Marche  79 

Concludiamo  con  pochi  versi  nel  dialetto  di  Fossombrone 
che  testimoniano  l'attaccamento  a  una  parlata  locale  e  il 
rimpianto  per  una  perduta  genuinità  ^^: 

Donca,  avem  dett  ch'el  nostr  beli  dialett 

Va  considerèt  lingua  per  cont  sua 

Ma  en  s'  pò  di  daér  (davvero),  pr'essa  sinceri, 

Ch'  sta  lingua  en  n'è  'n  po'  imbastardita. 


"  Adele  Rondini,  Fosombroii  spareta,  Fossombrone  1970,  p.  63. 


UMBRIA 


L'Umbria  è  una  regione  tipica  in  cui  il  latino  si  è  forte- 
mente mescolato  con  la  tradizione  linguistica  preesistente. 
Da  questa,  che  non  era  radicalmente  estranea,  ha  eredi- 
tato parecchi  caratteri  e  tendenze,  senza  snaturarsi  troppo. 
A  differenza  da  quella  della  Toscana,  sostanzialmente  im- 
mune da  mescolanze;  delle  IVIarche,  compresse  fra  una 
tradizione  gallo-italica  e  una  illirico-abruzzese;  del  Lazio, 
esposto  precocemente,  per  ragioni  demografiche,  a  in- 
fluenze meridionali,  la  tradizione  umbro-latina  nell'Um- 
bria è  omogenea.  Ma  l'Umbria  è  regione  in  buona  parte 
priva  di  frontiere  naturali  e  la  tradizione  umbro-latina,  se 
anche  intrinsecamente  stabile,  sì  è  svolta  entro  limiti  geo- 
grafici oscillanti.  Se  si  pensa  che  l'Umbria  dell'età  augu- 
stea  (VI  Regione)  raggiungeva  l'Adriatico  a  nord  di  An- 
cona, ma  si  arrestava  alle  rive  orientali  del  Tevere, 
rimanendone  così  fuori  Perugia  (assegnata  alla  VII  Re- 
gione, quella  stessa  della  Etruria)  ^  si  ha  la  misura  della 
mutevolezza  esterna  del  quadro  nel  quale  la  tradizione 
umbro-latina  si  è  svolta:  ora  compressa  ora  espansa,  così 
verso  oriente  come  verso  occidente,  ma  mai  eccessiva- 
mente limitata  e  ridotta. 

L'asse,  così  storico  come  linguistico,  dell'Umbria  è  de- 
terminato dall'itinerario  della  via  Flaminia  che  l'attraver- 
sava da  Otricoli  (poco  lontano  da  Orte)  fino  al  passo  di 
Scheggia^,  sia  pure  con  un  percorso  non  identico  a  quello 
attuale.  Lungo  quest'asse  si  trovano  i  territori  delle  due 
colonie  fondamentali  (di  diritto  latino)  di  Narni  e  Spo- 
leto, fondate  rispettivamente  nel  298  e  nel  241  a.C.^,  Per 
trovare  un'altra  colonia,  sempre  lungo  quest'asse,  verso 
settentrione,  bisogna  raggiungere,  al  di  là  dell'odierno  ter- 

'  H.  NrssEN,  Italische  Landeskimde,  Berlino  1902,  p.  389  sg. 

^  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit.,  p.  147  sg. 

'  Belocii,  Ròmische  Geschichte,  pp.  560  sgg.;  604. 


Umbria  81 

ritorio  marchigiano,  nientemeno  che  quella  di  Rimini, 
fondata  nel  268  a.C.  Città  alleate  nella  striscia  occiden- 
tale di  quella  Umbria,  così  diversa  dalla  nostra,  sono  Orte, 
Otricoli  (lat.  Ocriculum),  Amelia  (lat.  Amerio},  Todi,  Gub- 
bio, Città  di  Castello  (lat.  Tifernum  Tiberimim);  in  quella 
orientale  Terni  (lat.  Interamna  Nahartis).  Immediatamente 
a  oriente,  invece  che  territori  alleati,  vi  erano  quelli  di 
città  annesse,  quali  quelli  di  Rieti  (oggi  nel  Lazio),  Norcia, 
Bevagna  (lat.  Mevania),  Foligno,  Assisi. 
La  latinità  irradiava  teoricamente  dalla  fascia  a  oriente 
verso  quella  a  occidente  per  ragioni  demografiche;  ma  non 
solo  perché  premeva,  bensì  perché,  come  sempre  si  ve- 
rificava nelle  città  alleate,  era  attratta  dalla  moda,  dal 
desiderio  di  adeguarsi  a  schemi  e  costumanze  romane,  che 
per  loro  conto  poi  risalivano  la  via  Flaminia  da  sud  a  nord. 
Accanto  a  questa  caratteristica  di  centralità  geografica  è 
da  mettere  in  rilievo  il  fatto  che,  pur  essendo  attraver- 
sata da  tutte  le  correnti  di  innovazione  irradianti  da  Roma, 
l'Umbria  ne  rimaneva  spesso  immune,  quasi  tutte  queste 
novità  «  scivolassero  »  sul  primo  strato  di  latinità  acqui- 
sita, senza  ulteriormente  rinnovarlo:  come  appare  nel  caso 
del  trattamento  delle  vocali  finali.  Da  un  punto  di  vista 
intrinseco,  la  latinità  dell'Umbria  si  inserisce  in  quella 
degli  altri  dialetti  centro-meridionali,  distinguendosi  chia- 
ramente da  quelli  toscani. 

All'interno  di  questa  classificazione  sono  però  da  sotto- 
lineare tre  casi  particolari.  Il  primo  è  quello  della  con- 
tinuità con  i  territori  marchigiani  di  Camerino  Montetal- 
cone  e  Amandola,  nelle  province  di  Macerata  e  di  Ascoli 
Piceno,  per  quanto  riguarda  la  distinzione  delle  vocali  fi- 
nali -u  e  -o  1  ^ 
Il  secondo  è  dato  dalla  impronta  umbra  persistente  nel 
territorio  aquilano  ^,  non  tanto  per  una  effettiva  irradia- 
zione dall'Umbria  quanto  per  l'efficacia  dell'altra  antica 
strada  romana,  la  via  Salaria,  nel  mantenere  stretti  vin- 
coli con  Roma  contro  le  tendenze  centrifughe  illirico- 
abruzzesi.  Il  terzo  sta  nella  forte  penetrazione  nell'Um- 


*  Cfr.  Marche  p.  76. 
^  Cfr.  Abruzzo  p.  97. 


82  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

bria  nord-occidentale  di  elementi  toscani,  inquinati  però, 
come  erano  quelli  aretini,  da  elementi  gallo-italici.  Si  è 
formato  così  un  contrasto  che  investe  lo  stesso  territorio 
di  Perugia,  in  cui  da  una  parte  il  contado  si  richiama 
a  modelli  aretini  e  chianaioli,  con  connessioni  sottolineate 
già  da  Graziadio  Ascoli  quasi  cent'anni  or  sono  ^;  mentre 
in  città  il  dialetto  ha  subito  una  abbastanza  evidente  at- 
tenuazione, tale  da  apparire  a  Francesco  D'Ovidio  più 
come  una  «  lingua  di  provincia  »  che  come  un  dialetto 
vero  e  proprio'. 

In  questo  quadro  è  naturale  che,  ancor  prima  di  parlare 
delle  vocali,  appaia  il  grande  carattere  centro-meridionale 
del  passaggio  di  nd  a  nn  e  di  mb  a  mm,  in  tutta  la  sua 
significanza  antitoscana:  tali  i  tipi  monno  per  «  mondo  », 
peccanno  per  «  peccando  »,  projonno  per  «  profondo  »  *. 
Centri  come  Perugia  o  Todi,  sono,  certo,  immuni  oggi  da 
questa  pronuncia,  che  si  accentua  nell'Umbria  meridionale 
e  orientale  piuttosto  che  in  quella  settentrionale  e  occi- 
dentale. Che  si  tratti  di  una  estensione  di  modelli  toscani 
è  provato  dal  fatto  che  in  un  testo  perugino  antico  si 
trova  la  formula  noie  sempre  enfiambava  (ci  infiammava 
sempre)  ^.  Non  si  sarebbe  inventata  la  grafia  infiambare  se 
non  si  fosse  creduto  che  fiamma  fosse  un'assimilazione 
regionale  di  un  presunto  flamba  che  ci  si  sentiva  in  dovere 
di  restituire  in  un  testo  scritto. 

La  citata  distinzione  delle  vocali  -o  e  -u  in  fine  di  parola 
appare  in  una  zona  che  dal  territorio  delle  Marche  discende 
per  Assisi  e  Foligno  ulteriormente  verso  sud.  Come,  in 
latino,  si  distingue  fra  odo  e  corpus,  fra  dicendo  e  capilliim, 
secondo  un  rapporto  che  le  forme  italiane  corrispondenti 
otto,  corpo,  dicendo,  capello  hanno  eliminato,  a  Trevi 
si  dice  oto  ma  corpii,  a  Foligno  dicenno  ma  capillu  ^°.  Tut- 
tavia non  si  tratta  di  una  conservazione  integrale,  perché 
una  certa  diversa  ripartizione  si  è  verificata  rispetto  al 
latino;  gli  -u  si  sono  conservati,  per  esempio  a  Norcia, 


*  Saggi  aretini,  p.  445  sg. 

'  Sull'«  italianità  »  del  perugino  cfr.  anche  Catanelli,  Raccolta  di 

voci  perugine,  p.  4. 

'  Ugolini,  Rapporto  sui  dialetti  dell'Umbria  (=  Ugolini),  p.  480  sg. 

'  Ascoli,  Saggi  aretini,  p.  447. 

'"  Rohlfs  I,  p.  185;  Ugolini,  p.  479  sg.  Cfr.  Marche  pp.  73;  76. 


Umbria  83 

nei  temi  latini  in  -us  come  ad  esempio  in  piettii  (lat. 
pectus)  ma  non  in  quelli  che  terminavano  in  -um,  per 
cui  nella  stessa  Norcia  si  dice  fero  (lat.  fernim). 
Di  nuovo  in  contrasto  col  toscano,  questa  volta  non  già 
per  conservazione  ma  per  innovazione,  è  il  caso  della 
-E  finale,  che  subentra  al  posto  della  regolare  -i.  Questo 
corrisponde  a  quanto  avviene  in  una  zona  marchigiana  un 
po'  più  settentrionale  di  quella  ricordata  sopra,  e  precisa- 
mente quella  di  Arcevia  '^  e,  attraverso  tutta  l'Umbria, 
in  esempi  analoghi  del  Lazio  nord-occidentale,  nel  terri- 
torio di  Acquapendente'-:  tali  cane  per  «cani»,  augnate 
per  «  cognati  »,  amice  per  «  amici  »,  parente  per  «  pa- 
renti ».  Questa  innovazione,  come  ha  mostrato  Alfredo 
Schiaffini,  si  trova  già  in  testi  perugini  medievali  ^^.  At- 
testata nei  territori  occidentali,  da  Assisi  attraverso  Todi 
fino  a  Orvieto,  essa  manca  in  quelli  sud-orientali,  di  Spo- 
leto e  di  Terni. 

Carattere  fondamentale  dei  dialetti  centro-meridionali  è 
la  metafonia,  pure  essa  antitoscana.  Essa,  come  si  è  detto, 
va  considerata  come  una  forma  di  compenso  qualitativo 
che  si  manifesta  in  conseguenza  del  previsto  indebolimento 
delle  vocali  finali.  Nell'Umbria  si  hanno  solo  le  manifesta- 
zioni meno  intense,  che  si  fondano  sull'azione  delle  -i  finali 
ed  eventualmente  anche  delle  -ù.  Nella  zona  di  Amelia 
e  di  Todi  si  hanno  così  forme  blande  in  cui  i  plurali  vìrdi 
e  niri  si  contrappongono  ai  singolari  verde  e  nero  ''*.  E 
cioè,  sotto  l'influenza  delle  -ì  finali,  la  e  chiusa  accentata 
si  è  chiusa  ulteriormente  in  i,  mentre  davanti  a  una  finale 
-E  ed  -o  (da  -ù)  è  rimasta  nell'alveo  regolare,  immutata.  Con 
la  E  aperta  invece  che  chiusa  la  metafonia  è  meno  evidente 
ma  agisce  ugualmente:  tale  il  caso  di  pède  (singolare)  e  di 
pèdi  (plurale)  in  cui  la  e  rim.ane  aperta  perché  la  -E 
finale  non  la  disturba,  mentre  al  contrario  si  chiude  nel 
plurale  sotto  l'influenza  metafonetica  della  -i 


"  Crocioni,  //  dialetto  d'Arcevia,  pp.  9;  29;  34. 

"  Bertoni,  p.  141. 

"  Schiaffini,  Influenze  dei  dialetti  meridionali  sul  toscano...,  cit., 

p.  89  sgg. 

"  Reinhard,  Umbrische  Studien  (=  Reinhard),  pp.  205  sgg.;  1  sgg.; 

Grassi,  Raffronto  fra  l'indagine...  per  l'AIS  e  gli  elementi  raccolti... 

dall'ALI,  p.  408  sgg. 


84  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Parallele  alle  vicende  della  f,  sono  quella  della  o.  Con  la 
o  chiusa  si  hanno  in  una  zona  che  va  da  Nocera  Umbra 
a  Spoleto  e  a  Norcia  i  plurali  metafonetici  mattuni  di 
fronte  a  mattone,  i  maschili  metafonetici  tunnu  «  tondo  », 
russa  «  rosso  »  di  fronte  ai  femminili  tonna,  rossa  ''.  Qui 
si  ha  l'azione  metafonctica  non  solo  da  -t  ma  anche  da 
-ù  finale,  mentre  manca  da  -e  e  da  -A.  Il  fenomeno  paral- 
lelo, più  moderato,  si  trova  anche  con  la  o  aperta  come 
già  con  la  e:  il  maschile  hónu  con  la  o  chiusa  metafo- 
nctica, determinata  dalla  finale  -ù,  si  oppone  al  femmi- 
nile bòna  con  la  o  aperta  intatta. 

Di  grande  importanza  sono  gli  esempi  di  pressioni  set- 
tentrionali, di  natura  gallo-italica,  che  confermano  ancora 
una  volta  come  l'Umbria  in  antico  era  regione  di  tran- 
sito, aperta  a  influenze  tanto  settentrionali  quanto  me- 
ridionali. Gli  esempi  caratteristici  sono  tre.  TI  primo  sta 
nella  pronuncia  palatale  della  A  accentata  che  diventa  una  E 
sia  pure  apertissima  '^,  in  contatto  con  i  fenomeni  ana- 
loghi del  territorio  aretino  in  Toscana  e  del  territorio 
transappenninico  marchigiano  e  romagnolo  '^.  Tipi  come 
cantato  per  «  cantato  »,  Ièna  per  «  lana  »,  meno  per  «  ma- 
no »,  nèso  per  «  naso  »,  sèle  per  «  sale  »,  discesi  dal  set- 
tentrione, si  conservano  tuttora  sino  a  ima  linea  che  con- 
giunse il  Trasimeno  e  il  passo  di  Scheggia  attraverso  i 
territori  di  Perugia  GuaUlo  Gubbio.  TI  secondo  esempio 
ò  quello  della  dittongazione  della  e  chiusa  secondo  un 
modello  che  arriva,  luncro  il  versante  settentrionale  del- 
l'Appennino, sino  in  Piemonte;  tali  teìla  per  «  tela  », 
mcìse  per  «  mese  »,  che  raqrfiunfono  —  o  rafPiiunpevano  — 
i  territori  di  Gubbio  e  di  Fossato  '^  Ti  terzo  esempio  ò  dato 
dalla  lenizione  di  consonanti  come  in  podesse  per  «  po- 
tesse »  che  si  trova  a  Città  di  Castello,  vicino  alla  frontiera 
settentrionale,  in  direzione  del  territorio  aretino  ". 
Come  esempi  minori  di  particolarità  consonantiche  son  da 
ricordare  le  alterazioni  in  senso  palatale  di  l  e  n  davanti 


"  Rfinitard.  pp.  219  sgg.;  25  srr. 

'*  RpRTONT.  p.  131  scRR.;  Rfinmari).  p.  189  Kpc:  Ur.niiNi.  p.  471  sgg. 

"  Cfr.  Emilia-RomfiRnn  p.  56;  Toscana  p.  68;  Mnrchc  p.  74. 

"  RiiNiiAKi),    p.    203    spR.;    Mancaimi.i.a,    //    dialetto    di    Gubbio..., 

p.  292. 

"  RiANCiii,  //  dialetto  e  l'etnografìa  di  Città  di  Castello,  p.  35. 


Umbria  85 

a  vocale  finale  -i:  (ali,  sempre  a  C'iUh  di  Castello,  le 
forme  haroyjii  e  p(ii!,iii  per  «  baroni  »  e  «  pani  »  o  ba- 
cagli e  lenzuogli  per  «  baccelli  »  e  «  len/.iioli  »  '"'. 

Nella  morfc)l()};ia  son  da  ricordare  im  cerio  numero  di 
forme  nominali  tratte  da  nominativi  latini  anzicbé  dai 
casi  oblicpii:  orbo  dal  latino  arbor  di  fronte  all'italiano 
albero,  ncpo  (lat.  ncpos)  di  fronte  all'italiano  nipote,  pale 
(lat.  palar)  dì  fronte  all'italiano  padre  ^\  Un  vistoso  set- 
tentrionalismo ò  dato  dal  tipo  di  prcposi/.ione  di  liiopo 
int-  tratta  dal  Ialino  ìndis  d'accordo  con  le  forme  emiliano- 
romagnole  inl-cl,  e  contro  il  tipo  toscano  nel  trailo  dal 
latino  in^^.  Il  fallo  morfoloj^ico  più  importante  ò  tuttavia 
connesso  con  la  distinzione  fra  due  diversi  trattamenti 
della  -i"j  finale  ricordali  sopra.  Come  fra  i  sostantivi  si 
è  rilevala  ima  differenza  fra  il  tipo  pìeilii  risalente  a  una 
finale  -us  del  latino  pectiis,  e  il  lipo  fero  risalente  a  ima 
finale  latina  -um  del  latino  ferruin,  così  dal  pronome  di- 
mostrativo che  appare  al  caso  accusativo  come  illnm  al 
mascbile  e  illnd  al  neutro,  si  sono  ricavate  due  forme  di 
articolo  ni  (maschile),  lo  (neutro),  che  si  conservano  in 
un'area  marjiinale  orientale  come  quella  ili  Norcia  e  in 
quella,  o|^}M   non   piìi   apparlencnie   all'Umbria,  di    Rieti  ^^ 

Che  l'Umbria  coslilnisca  soprallullo  una  via  di  transito 
dove  si  incontrano  correnti  linpuistichc  di  diversa  prove- 
nienza, è  dimostralo  anche  dal  lessico  nel  quale  cofiliamo  n 
fatica  la  carallerizzazione  dialellale.  Parole  definibili  come 
«umbre»,  frcciuenli  nei  tcsli  medievali  (li'n'inja,  paroffìa, 
porpello)^  sono  uscite  dall'uso;  rimangono  invece  i  ter- 
mini iacononici  cofozzo  «  nuca  »,  alt  ilare  «  arrivare  »,  alla- 
mare  «  abbattere  »  ^^  Il  lodino  panala  «  vasello  di  terra- 
cotta »  ò  solo  una  parola  locale  le/^ala  a  un  uso  popolare^*. 

'*  Bianchi,  Il  dialetto  e  rclnof.ralid  di  Città  di  ('asl/'llo,  p.  28   sp;k.; 

lJ(;oi,iNi,  p.  474. 

"  Roiii.i's  [I,  p.  6. 

^  V.  Ufioi.iNi.  p.  476,  clic  mcllc   in   irl.i/ioii'.'  (|ii(,'slii   foimn   con   In 

preposizione  peiuRinn  ta. 

"  Rolli, l's    II,   p.    108   SKK.   Clr.   Ahiii/zo   p.   ')8;    C'iimpiiniii    p.    116; 

Rasilicfila  \i.   n2. 

"  U(;oi.iNi,  p.  485  Kg. 

"  F.   Acino  in   F,.   N.    14.    1951.  pp.  21;    "51;    l'i.    l')')4.  pp.    I  l'i  116. 

"  F.  Mancini,  in  L.  N.  17,  1956,  p.  81. 


86  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Ma  assai  più  spesso  i  tipi  lessicali  trovano  connessioni 
nelle  zone  vicine:  così  prace  «  porzione  di  terreno  » 
—  probabilmente  da  un  greco  bizantino  amprakion  — 
«  di  area  fra  aretino  perugino  e  romagnolo  »  ^,  così  sor- 
NACARE  «  russare  »,  genericamente  centrale,  melangola 
«  arancio  »,  diffuso  anche  nel  Lazio  settentrionale,  ruga 
«  bruco  »  collegato  al  Veneto  dal  tramite  romagnolo  e 
infine  bigiancola  «  altalena  »  che  ha  echi  popolari  in  gran 
parte  della  Toscana  -^. 

Come  esempi  di  dialetti  umbri  valgono  testi  presi  dalla 
solita  raccolta  del  Papanti,  /  parlari  italiani  a  Certaldo^'^: 
Da  Norcia:  Te  ico  dunque  che  a  ri  tiempi  de  ru  primu  Re 
de  Cipri  doppo  che  Goffredo  de  Buglione  pijò  la  Tera 
Santa,  'na  riccona  de  Guascogna  se  ne  ette  in  pelleri- 
naggio  a  ru  Santu  Sepporgro;  e  quanno  revenne  e  che  fo 
arrivata  a  Cipri,  certi  vassalluni  la  'nsurdorno  (insulta- 
rono). (A  cura  di  Pietro  Colantoni). 
Da  Città  di  Castello:  Dico  donca  ch'ai  tempi  del  primu 
Re  de  Cipru,  doppu  la  presa  de  Terra  Santa  che  feci 
Gufredo  de'  Buglione,  socesse  che  'na  signora  de  Guasco- 
gna gì  'n  peligrinaggiu  al  Sepulcru.  e  'n  tu  l'arni,  gionta 
a  Cipru,  gni  fu  fattu  'n  grande  scornu  da  certi  vilèni 
omini  scelerèti.  (A  cura  di  Eugenio  Manucci). 

Dalla  raccolta  di  Pier  Paolo  Pasolini  La  poesia  popolare 
italiana  ecco  alcuni  versi  della  Passione: 

«  Giuanne  avete  visto  lo  mi'  fìjo?  » 

«  Sì  che  l'ho  visto  e  ce  so'  stato  con  esso 

e  su,  la  croce  me  l'honno  già  messo  » 

«  E  tu,  Giuanne,  nun  l'habbi  aiutato, 

che  t'era  commo  'n  fratello  'ncarnato?  » 

«  Io,  matre  Maria,  nun  ho  poduto, 

perché  i  giudei  me  l'honno  'nchiodato. 

Alora  gimo  via,  matre  Maria, 

che  si  è  vivo  l'arimenarimo  (lo  ricondurremo) 

e  si  è  morto  lo  sepelirimo  ». 

"  Ugolini,  p.  489. 

^'  AIS  carte  654,   1272,  481,  748. 

"  Rispettivamente  alle  pp.  534  sg.;  532  sg. 


LAZIO 


A  differenza  di  tutte  le  altre  regioni,  il  Lazio  è  stato  la 
culla  di  quella  tradizione  linguistica  che,  attraverso  molte 
vicende,  si  continua  tuttora  viva  e  vitale  in  tutta  l'Italia. 
Ma,  mentre  l'affermazione  politica  cui  quella  linguistica 
segue  è  irradiata  solo  dalla  sua  capitale,  Roma,  alla  lin- 
gua è  rimasto  il  nome  di  «  latina  »  che  risale  a  una  si- 
tuazione più  antica  dell'affermazione  di  Roma.  Mentre 
nella  storia  politica  esiste  un  periodo  in  cui  Roma  e  Lazio 
sono  termini  antitetici,  dal  punto  di  vista  linguistico  il 
termine  latino  è  esclusivo.  Questa  fissità  di  denominazione 
ha  portata  storica  ma  non  è  la  storia.  La  vicenda  del  la- 
tino, nella  regione  che  gli  ha  dato  il  nome,  non  è  stata  né 
rettilinea  né  omogenea.  Essa  si  distingue  in  tre  fasi. 
La  prima,  che  si  conclude  con  la  fondazione  di  Roma, 
mostra  la  regione  ormai  resa  «  protolatina  »  dalle  fron- 
tiere meridionali  del  Lazio  fino  ai  Colli  Albani,  per  opera 
della  diffusione  e  affermazione  della  civiltà  del  Ferro  detta 
delle  tombe  a  fossa  ^  Si  tratta  di  un  caso  particolare  di 
quel  grande  movimento  irradiato  dalla  Puglia,  che  ha  por- 
tato i  siculi  in  Sicilia,  gli  enotri  in  Lucania  e  Calabria, 
gli  opici  in  Campania,  gli  ausoni  e  i  protolatini  fra  la  Cam- 
pana e  il  Lazio.  Per  questa  via  ha  raggiunto  il  Lazio  il 
nocciolo  del  vocabolario  più  arcaico  della  lingua  latina,  le 
sue  strutture  fondamentali  e  un  fatto  fonetico  caratteri- 
stico, la  corrispondenza  del  t  al  theta  del  greco  come 
appare  ad  esempio  in  rutilus  di  fronte  al  greco  erythrós. 
Al  di  là  della  frontiera  del  Tevere  si  mantiene  ancora 
la  tradizione  linguistica  tirrenica  e  poi  etnisca. 
Su  questa  linea  dei  Colli  Albani,  che  si  sposta  poi  ben 
presto  a  Roma,  si  hanno  incontri  che  conducono  a  eventi 

'  G.  Devoto,  Protolatini  e  Tirreni,  Studi  Etruschi  16,  1942,  pp.  409- 
417;  Protolatini  e  Protoitalici,  Studi  Etruschi  21,  1950-51,  pp.  175- 
184. 


88  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

decisivi  non  solo  sul  piano  linguistico,  ma  anche  su 
quello  culturale.  Le  correnti  protovillanoviane,  discese  dal 
Nord,  hanno  portato  sul  piano  culturale  il  rito  funebre 
della  incinerazione  che  mette  radici  definitive  in  Roma  ^. 
Su  quello  linguistico  portano  elementi  lessicali,  che  cor- 
rispondono a  una  tradizione  indeuropea  più  recente  e  un 
carattere  fonetico  della  più  grande  importanza,  le  con- 
sonanti sonore  al  posto  delle  aspirate  all'interno  della  pa- 
rola: DH  all'iniziale  si  sviluppa  in  f  ifumus),  all'interno 
in  D  (medius)  ^.  L'incontro  diventa  triplice  se  si  tiene  conto 
di  saltuari  elementi  linguistici  sabini  in  forme  come  Rujus, 
forfex,  bos,  che  con  gli  f  interni  o  il  b-  iniziale  (al  posto 
del  normale  v-),  rispecchiano  quella  componente  sabina 
che  ci  è  nota  attraverso  la  tradizione  costituzionale  e  po- 
litica di  Roma'*. 

Si  verificano  così  le  condizioni  perché  si  realizzi  la  se- 
conda fase,  la  quale  alla  tendenza  unitaria  primitiva  op- 
pone da  una  parte  in  Roma  una  tendenza  uniformatrice 
ma,  al  di  fuori  di  Roma,  un  seguito  di  affermazioni  par- 
ticolaristiche. Nel  VII  secolo  si  ha  a  Palestrina,  nel  cuore 
del  Lazio,  la  Fibula  Prenestina  che  mostra,  accanto  a  ca- 
ratteri latini,  la  forma  fhefhaked  per  fecit  che  è  di  tipo 
osco-umbro  e  non  latino^.  Esistono  così  un  Lazio  etrusco, 
un  Lazio  romano,  un  Lazio  osco-umbro.  Il  monumento 
più  autorevole  di  questa  seconda  fase  è  il  Cippo  del  Foro 
romano,  in  parte  rimasto  ribelle  ai  nostri  sforzi  di  inter- 
pretazione *. 

Un  fatto  politico,  la  caduta  della  monarchia,  si  rivela 
disastroso  non  solo  per  la  storia  politica,  economica  e  cul- 
turale di  Roma  ma  anche  per  quella  linguistica,  e  deter- 
mina così  la  terza  fase.  Il  potere  dei  re  si  estendeva  al 
di  là  delle  frontiere  dialettali  interne  del  Lazio  e,  pro- 
prio per  la  sua  estensione,  costituiva  un  fattore  di  stabi- 
lità linguistica  per  la  lingua  di  Roma,  che  entrava  in  con- 


'  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  Firenze  1967',  p.  66  sgg. 

'  F.  Stolz  -  F.  Schmalz  -  M.   Leumann  -  J.  B.  Hofmann,  Latei- 

nische  Grammatik,  Monaco   1926-1928',  p.   132   sgg. 

*  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cit.,  p.  80  sgg. 

'  Corpus   Inscriptionum    Latinarum    V,    3.    Cfr.    Devoto,   La    roma- 
nizzazione dell'Italia  mediana,  cit.,  p.  288  sg. 

*  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cit.,  p.  71. 


Lazio  89 

tatto  costante  con  dialetti  della  regione  o  con  lingue  stra- 
niere. Dopo  la  cacciata  dei  re,  Roma  perde  autorità  fuori  del 
suo  territorio  e  il  «  suo  »  latino  si  svolge  rapidamente 
per  strade  sue,  che  lo  diflferenziano  dai  dialetti  del  Lazio 
e  lo  rendono  pressoché  incomprensibile  da  una  generazione 
all'altra^.  La  iscrizione  del  vaso  di  Dueno,  dei  primi 
del  V  secolo,  appartiene  ancora  al  latino  «  incomprensi- 
bile »  per  noi  *.  La  cosiddetta  apofonia  latina  cambia  le 
vocali  interne  delle  parole,  e,  di  fronte  a  un  facio  con  a 
nella  sillaba  radicale,  si  hanno  forme  di  verbi  composti 
come  confido,  confectus  ^.  L'impotenza  politica  fa  sì  che 
un  antico  territorio  latino  come  la  attuale  regione  pontina 
venga  alla  metà  del  v  secolo  occupato  dai  volsci  e  perciò 
passi  da  territorio  latino  a  territorio  linguisticamente  um- 
bro. Che  i  volsci  abbiano  messo  radici  è  mostrato  dalla 
iscrizione  della  cosiddetta  Tabula  Veliterna  o  di  Velletri, 
del  III  secolo  a.C,  quando  Roma  già  domina  su  tutta  la 
Penisola  italiana,  e  che  è  scritta  in  lingua  volsca  ^°.  Il 
latino  è  cambiato  di  più  fra  il  500  a.C.  e  il  350  a.C.  che  dal 
350  a.C.  al  1000  d.C.  Nel  vaso  di  Dueno  si  legge  la  parola 
iovesat  che  nel  latino  classico  diventa  iurat  per  rimanere 
pressoché  immutata  fino  all'italiano  giura.  Soltanto  dopo 
il  338  a.C,  con  lo  scioglimento  della  lega  latina,  si  hanno 
le  condizioni  perché  il  latino  di  Roma  cominci  a  ricon- 
quistare il  territorio  che  un  tempo  era  stato  suo,  per  poi 
estenderlo  in  modo  ben  più  decisivo,  fino  agli  estremi 
limiti  del  mondo  occidentale.  La  latinizzazione  «  recente  » 
e  definitiva  del  Lazio  sembra  a  prima  vista  non  esistere 
come  problema,  perché  «  latino  »  e  «  Lazio  »  sembrano 
inscindibili.  È  stato  spiegato  sopra  perché  non  è  così. 
Mentre  la  tradizione  etrusca  non  ha  lasciato  tracce  dirette 
nei  dialetti  del  Lazio  settentrionale,  perché  si  è  estinta 
senza  mescolarsi,  nel  Lazio  centrale  e  meridionale  non 
solo  la  tradizione  sabina  da  una  parte  ma  quella  volsca 
dall'altra  hanno  lasciato  tracce  profonde  e  si  sono  mesco- 
late profondamente  con  gli  elementi  romani  che  espor- 

'  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cit.,  p.  97    sgg. 

'  Corpus  Inserì ptionum  Latìnarum,  I^  4.. 

'  Stolz  -  Schmalz  -  Leumann  -  HoFMA^fN,  Lateiniscìie  Grammatik, 

p.  80  sgg. 

'"  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cit.,  p.  77. 


90  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

lavano  strutture  linguistiche  cittadine.  Roma  stessa  poi 
è  stata  profondamente  intluenzata,  prima  dalle  tradizioni 
importate  dagli  inurbati  vicini,  poi  da  quelli  meno  vicini 
quali  gli  oriundi  della  Campania,  infine  da  processi  di  ri- 
colonizzazione vera  e  propria  come  ad  esempio  quello 
successivo  al  sacco  di  Alarico  '^  Anche  in  questo  caso  il 
grosso  dei  nuovi  abitanti  fu  di  origine  meridionale. 

L'opposizione  con  la  Toscana  diventa  così  assai  visibile. 
Di  fronte  a  una  Toscana  appartata  che  custodisce  un  la- 
tino «  cittadino-di-Roma  »  nelle  migliori  condizioni,  il  La- 
zio si  svolge  sì  in  un  senso  abbastanza  unitario,  ma  paga 
questo  vantaggio  attraverso  lo  snaturamento  della  sua 
tradizione  ^^.  L'impronta  essenziale  è  data  al  Lazio  dal- 
l'applicazione coerente  della  metafonia  meridionale  de- 
terminata dalla  presenza  delle  vocali  finali  -i,  -ù,  sia  per 
quanto  riguarda  la  dittongazione  delle  e  e  delle  o  aperte, 
sia  per  quanto  riguarda  l'oscuramento  ulteriore  delle  E 
chiuse  e  delle  o  chiuse  ^^.  L'energia  con  cui  la  metafonia 
agisce  è  mostrata  dal  fatto  che  essa  colpisce  le  vocali 
tanto  in  sillaba  aperta  quanto  in  sillaba  chiusa.  Tale 
l'esempio  classico  del  singolare  dente  (con  finale  in  -e), 
di  fronte  a  un  plurale  dienti  (con  finale  in  -i)  o  di  un  fem- 
minile vecchia  (finale  -a)  di  fronte  a  un  maschile  viecchiu 
(finale  -u).  Questa  prima  forma  di  metafonia  si  trova  in 
un  testo  romanesco  del  xiv  secolo,  la  Vita  di  Cola  di 
Rienzo  ^^•.  non  in  testi  più  recenti  perché  Roma,  a  partire 
dal  XV  secolo,  ha  ricominciato  a  subire  influssi  toscani, 
intrinsecamente  antimetafonetici,  quasi  stesse  elaborando 
un  suo  volgare  illustre  ^^. 

L'altra  metafonia,  quella  di  e  e  o  chiusi,  si  rileva  dagli 
esempi  classici  del  tipo  vidi  per  «  vedi  »,  vinti  per  «  venti  », 
vui  per  «  voi  »,  munno  per  «  mondo  ».  Ma  a  Roma  questa 


"  Devoto,   Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  p.  227   sg.;    Profdo 

di  storia  linguistica  italiana,  Firenze    1964\  p.   14. 

'^  Cfr.  Toscana  p.  65;  e  v.  l'articolo  di  C.  Merlo  lì  citato  alla  nota  3. 

"  Merlo,  Vicende  storiche  della  lingua  di  Roma,  p.  131  sgg. 

"  Merlo,  Vicende  storiche  della  lingua  di  Roma,  p.   178  sgg. 

'^  Migliorini,  Dialetto  e  lingua  nazionale  a  Roma,  p.  110  sgg.  Ora 

vedi   anche   G.   Ernst,   Die  Toskanisierung  des  ròmischen  Dialekts 

im  15.  und  16.  Jahrhundert,  Tubinga  1970. 


Lazio  91 

è  attestata  solo  dalla  Vita  di  Cola,  mentre  è  precocemente 
scomparsa  negli  altri  testi  romaneschi  antichi  ^^.  La  dif- 
ferenza tra  Roma  e  il  Lazio  si  accentua  poi  per  quanto 
riguarda  la  sorte  ulteriore  delle  forme  dittongate,  le  quali, 
in  una  prima  fascia  dominata  principalmente  dai  Colli  Al- 
bani, si  limitano  a  chiudere  la  pronuncia  delle  vocali 
ECO  del  dittongo,  mentre  in  una  fascia  più  esterna,  che 
va  da  Subiaco  a  Castro  dei  Volsci,  sopprimono  il  dit- 
tongo e,  tra  singolare  e  plurale,  tra  femminile  e  maschile, 
lasciano  una  differenza  solo  di  apertura:  tale  dente  (con  e 
aperta)  e  denti  (con  e  chiusa),  vecchia  (con  vocale  aperta) 
e  vecchiu  (con  vocale  chiusa)  '^.  A  queste  tre  aree  (Roma, 
regione  albana,  regione  degli  equi  e  dei  volsci)  si  ag- 
giunge a  Castro  dei  Volsci  una  ulteriore  forma  di  sviluppo 
metafonetico.  comune  anche  alla  regione  abruzzese  confi- 
nante, per  cui  anche  la  a  interna,  sotto  la  influenza  di  una 
-I  finale,  si  cambia  in  -e:  tali  gli  esempi  di  singolare 
frate  di  fronte  a  un  plurale  frete,  di  una  forma  verbale 
come  cliente  per  «  tu  canti  »  '^.  Infine  ad  Arpino,  ancora 
più  nell'interno  e  più  vicino  alla  frontiera  abruzzese,  si  ha 
addirittura  una  forma  dittongata  da  a,  in  piede  «  tu  par- 
li »  ^^.  Per  quanto  riguarda  la  dittongazione  della  o  aperta, 
è  importante  ricordare  la  soluzione  dissimetrica  di  o  in  uè, 
attestata  in  testi  romaneschi  anteriori  al  xvi  secolo,  ma 
presente  anche  nella  forma  mueccu  presso  il  Belli  col 
valore  di  «  baiocco  »  e  tuttora  in  uso  a  Terracina  ^°.  Una 
importante  attenuazione  delle  singolarità  dialettali  roma- 
nesche è  data  invece  dalla  accettazione  del  tipo  fiorentino 
lingua,  di  fronte  a  quello  normale  lengua. 
Per  quello  che  riguarda  le  consonanti,  siamo  sempre  nel 
quadro  dell'Italia  centro-meridionale,  in  cui  non  sorpren- 
dono i  tipi  quanno  per  «  quando  »,  annà  per  «  andare  » 
(da  nd),  o  gamma  «  gamba  »  (da  mb);  né  la  diversa  arti- 


"  Rohlfs   I,  pp.   127;    153   sg.;   Merlo,  Vicende  storiche  della  lin- 
gua di  Roma,  p.  186. 
"  Bertoni,  p.  135  sg. 

"  ViGNOLi,  //  vernacolo  di  Castro  dei  Volsci,  p.  126  sg. 
"  Bertoni,  p.  136  sg. 

^^  Bertoni,  p.  136  sg.;  Rohlfs  I,  p.  123.  Cfr.  anche  F.  A.  Ugolini, 
Contributi  allo  studio  dell'antico  romanesco,  A.  R.  16,  1932, 
p.  40  sgg. 


92  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

colazione  della  consonante  labiale  sonora  con  vocca  «  boc- 
ca »  o  vraccio  «  braccio  »,  né  le  assimilazioni  del  tipo  di 
callo  per  «  caldo  »  o,  in  testi  antichi,  di  Ranallo  per  «  Ri- 
naldo »  ^^  Oscillanti  sono  le  soluzioni  della  l  davanti  a 
consonante:  palatalizzata  in  antichi  testi,  per  esempio  in 
colpo  «  colpo  »,  molto  «  molto  »;  oppure  rinforzata  in  r 
come  in  sarvo  «  salvo  »  o  sipurcru  «  sepolcro  »  (Velletri)  o 
velarizzata  in  autu  «  alto  »  (Subiaco)  o  in  fauce  «  falce  » 
(Sora)  22.  Caratteristica  infine  in  certe  aree  del  Lazio  è 
la  soluzione  palatalizzata  di  lu  in  ju;  così  per  esempio 
juna  «  luna  »  a  Cervara  ^. 

Nella  morfologia  sono  da  ricordare  i  pronomi  personali 
atoni  me  te,  per  esempio  dimme  «  dimmi  »,  te  dico  «  ti 
dico  »  2''.  Nel  gerundio  le  forme  in  -enno  si  sovrappon- 
gono anche  a  quelle  che  partono  da  un  latino  -andò,  però 
solo  nel  territorio  estraneo  a  Roma  ^. 

Come  abbiamo  avuto  occasione  di  rilevare  ^^  il  Lazio,  le- 
gato all'Umbria  e  alle  Marche  per  tanti  caratteri  fonetici 
e  morfologici,  si  associa  spesso  alle  regioni  vicine  per 
fatti  lessicali  che  possiamo  definire  «  centrali  ».  Ai  ter- 
mini già  citati  a  proposito  delle  Marche  e  dell'Umbria 
possiamo  aggiungere  bardasso  «  ragazzo  »  ^,  cupella  «  pic- 
colo recipiente  »  (lat.  cupa),  vago  «  chicco,  acino  »  (lat. 
baca),  pedalini  «calzini»,  ferraiolo  «mantello»,  zappo 
«  montone  »  ^.  Tipico  per  l'ambiente  in  cui  è  nato  —  il 
ghetto  giudeo  di  Roma  —  sembra  invece  sìsema  «  nervo- 
sismo »,  di  discussa  etimologia  2^.  Alcune  di  queste  parole 
come    pènneca    (pennichella)     «  sonnellino  »,    abbacchio 

"  Bertoni,  p.  143  sg. 

"  Rohlfs  I,  p.  243.  Cfr.  Crocioni,  //  dialetto  di  Velletri,  p.  252; 
Merlo,  Fonologia  del  dialetto  di  Sora,  p.  200  sgg. 
"  Merlo,  Fonologia  del  dialetto  della  Cervara...,  p.  71. 
"  Rohlfs  II,  p.  151. 
"  Rohlfs  II,  p.  366 
^«  Cfr.  Marche  p.  77;  Umbria  p.  86. 
"  Il  tipo  non  risulta  evidente  in  AIS  carte  45  e  46. 
2'  AIS  carte  1559,  1570,  1086. 

^  R.  Giacomelli,  Dialett.  gìudaico-romanesco...  sisema  «  nervosi- 
smo, stizza,  collera  repressa-»  A.  R.  21,  1937,  pp.  347-349;  L.  Spi- 
tzer.  Romanesco  sisema  «  stizza,  preoccupazione...  »  A.  R.  22,  1938, 
p.  136. 


Lazio  93 

«  agnello  »  e  mena  «  picchiare  »  ^  sono  ormai  entrate 
nel  patrimonio  linguistico  italiano,  conservando  una  forte 
coloritura  dialettale,  che  nel  sentimento  comune  le  asso- 
cia alla  capitale  anche  se  la  loro  area  è  più  vasta.  Una 
connotazione  meno  emotiva,  puramente  folcloristica,  si 
ha  invece  in  ciocia,  che  designa  il  tipico  calzare  dei  pa- 
stori del  Lazio -^'.  Però,  nonostante  la  ricchezza  del  voca- 
bolario romanesco,  plebeo  e  fortemente  espressivo  —  min 
c'è  una  lingua  come  la  romana  /  pe'  di'  le  cose  con  tanto 
divario  /  che  pare  un  magazzino  de  dogana  ^^  —  è  piut- 
tosto la  zona  appenninica  a  offrirci  una  serie  interessante 
di  termini  come  morgio  «  sasso  »  o  turturu  «  bastone  », 
come  meddemà  e  messera  «  stamani  »  e  «  stasera  »  o 
prisdema  «  dopodomani  »;  e  soprattutto  preziosi  relitti  di 
forme  latine  scarsamente  rappresentate  nelle  lingue  ro- 
manze, come  cetto  «  presto  »  (lat.  cito)  e  pete  «  chiedere  » 
(lat.  petere)  ^^ 

In  complesso  la  tradizione  dialettale  nel  Lazio  è  stata 
dunque  esposta  più  che  quella  di  altre  regioni  a  influenze 
vicine  e  lontane.  Un  che  di  squilibrato  ha  sempre  accom- 
pagnato più  propriamente  il  romanesco.  Questa  irrego- 
larità può  avere  contribuito  a  impressionare  sfavorevol- 
mente Dante,  quando  passava  in  rivista  i  volgari  italiani 
in  vista  del  suo  ideale  di  definire  un  volgare  illustre. 
Il  giudizio  di  Dante  ^''  è  durissimo,  perché  ai  suoi  occhi 
il  volgare  di  Roma  non  merita  nemmeno  di  essere  consi- 
derato un  dialetto,  la  sua  natura  essendo  piuttosto  quella 
di  un  «  tristiloquio  ».  È  certo  che  l'influenza  della  Corte 
dei  papi  medicei,  a  partire  dal  xvi  secolo,  ha  contribuito 
ad  attenuare  le  punte  più  vistose,  anche  nel  parlato. 

Dal  volume  di  G.  Papanti  ^^  citiamo  qui  alcuni  campioni  di 

dialetti  laziali: 

Da   San   Lorenzo   Nuovo   {Viterbo):    Avete   dunque   da 

^  AIS  carte  1071  e  729. 

"  G.  Alessio,  Ciocia,  L.  N.  10,  1949.  p.  17. 

'^  G.  Belli,  Sonetti,  nro  617,  w.  9-11. 

"  G.  Rohlfs,  Die  Oiieìlen  des  unteritalienischen  Wortschatzes,  Z. 

R.  Ph.  46,  1926,  p.  164. 

'*  De  vulgari  eloquentia   I,    11,   2;   cfr.   ViDOSSi,   L'Italia  dialettale 

fino  a  Dante,  p.  XLIX  sg. 


94  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

sape,  che  nelle  tempe  der  primo  Rè  de  Cipro,  doppo  che 
Goffredo  de  Bujone  vense  la  Terra  Santa,  fu  che  una 
donna  perbene  della  Guascogna  agnede  'n  pellegrinag- 
gio al  Siporcro;  nerrivinì  qua,  quanno  fu  rivata  'n  Cipro, 
certe  birbaccione,  da  quelle  che  adèrano,  si  misono  a  'nsur- 
talla.  (A  cura  di  Aurelio  Aurelj). 

Da  Rieti:  Ico  dunqua  che  a  lu  tempu  de  lu  primu  Re 
e  Cipru,  doppo  de  aè  fattu  lu  acquistu  e  Tera  Santa 
Goffridu  e  Bujone,  se  'ncuntróne  che  'na  signora  e  Guasco- 
gna jè  'n  pellegrinaju  a  lu  Sepurcru,  e  quanno  se  ne  reenne, 
jonta  'n  Cipru,  da  certi  ommeni  birbuni  receè  illanie  e 
ispetti. 

Da  Formia  {Latina)'.  'Nsomma  i  vado  condicenne,  ch'agli 
tiempe  de  gliu  primu  Re  de  Cipre,  quanno  Gotafrede  de 
Buglione  aveva  già  pigliate  Gerusalemme  colla  Terra  San- 
ta, arrivai  chistu  fatto.  'Na  bona  e  bella  segnora  de  Gua- 
scogne  se  ne  jette  'mpellegrinagge  agliu  Sante  Sepolcre 
de  Criste,  e  mentre  se  ne  tornava  a  la  casa  soja,  quanno 
fuie  arrivate  a  Cipre,  ricevette  'nu  gruosso  affrunte  da  cert' 
uomene  scellerate.  (A  cura  di  Giovanni  Sorreca). 
Dalla  Campagna  Romana:  'Na  vota,  quanno  Cutifré  de 
Bugliono  s'eva  empussessato  de  la  Tera  Santa,  e  a  'no 
palese  chiamatu  Cipria  rignava  gli  primu  Princepe,  'na 
signóra  de  bona  nascita  de  Guascogna,  vozze  ì  a  visita 
gli  Santu  Sebolucro.  Se  metti  an  miaggio  e  cammina 
cammina,  va  an  Geisalemmo.  Doppo  visto  chello  che  gli 
antressava  co  la  pace  séa  se  remettì  per  la  via  ch'era 
fatta  e  arriva  a  Cipria,  quann'éccote  certi  malannaci  senza 
niciuna  crianza  l'afferrarno  e  gli  fraudarno  la  bona  'nfama. 
(A  cura  di  Andrea  Vitali). 

Terminiamo  questa  volta  con  una  strofa  tratta  da  un'opera 
recentissima.  La  pastasciutta  di  Aldo  Fabrizi  ^,  il  quale  dà 
consigli  alle  giovani  spose: 

Si  nun  volete  più  che  lo  sposetto 
se  squaji  co'  na  scusa,  doppo  cena, 
empiteje  la  panza,  a  panza  piena 
vie  solo  voja  de  ficcasse  a  letto. 

^  /  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  403  sg.;   537;   471   sg.;  401   sg. 

401  sg. 

**  A.  Fabrizi,  La  pastasciutta.  Verona  1970,  p.  40. 


ABRUZZO  -  MOLISE 


L'avvicinamento  al  mondo  linguistico  romano  si  è  realiz- 
zato in  modo  assai  diverso  nell'Abruzzo,  di  tradizione 
sabellica,  e  nel  Molise,  di  tradizione  sannitica.  L'Abruzzo, 
lungo  l'asse  di  quella  che  è  stata  poi  la  via  Claudia  Va- 
leria, è  stato  in  prima  linea  zona  di  transito  verso  la 
Puglia  ^  presupposta,  più  ancora  che  documentata,  dalla 
fondazione,  intorno  al  315  a.C,  della  colonia  di  Lucerà, 
subito  al  di  là  della  frontiera  sud-orientale  del  Molise; 
direttamente  la  colonizzazione  è  attestata  dalle  due  co- 
lonie di  Carseóli  (oggi  Carsòli)  all'estremo  limite  occiden- 
tale dell'Abruzzo,  sull'attuale  via  da  Roma  a  Pescara,  e 
di  Alba  Fucente  nel  bacino  del  Fucino,  fra  gli  anni  303 
e  298  a.C.  Nel  primo  decennio  del  in  secolo  l'accerchia- 
mento culturale  si  accentua  con  la  conquista  di  Amiterno 
a  settentrione  dell'Aquila.  Ad  essa  corrisponde,  nel  291, 
la  fondazione  della  colonia  di  Venosa  in  Puglia  che 
accresce  ancora  la  funzione  dell'Abruzzo  come  via  di  tran- 
sito, mentre  nel  289  si  ha  la  colonia  di  Atri  sulla  fron- 
tiera settentrionale  verso  il  Piceno  ^.  Nel  Sannio,  invece, 
le  affermazioni  romane  tardano;  solo  nel  272  si  hanno 
le  annessioni  dei  territori  intorno  ad  Alfedena  (oggi  ai 
limiti  meridionali  della  provincia  dell'Aquila)  e  nel  263 
la  colonia  di  Isernia  ^  Il  Molise  non  funge  mai  da  tran- 
sito per  l'influenza  romana  verso  la  Puglia  se  non  nella 
striscia  costiera  adriatica.  Non  solo  l'Abruzzo  sabellico 
è  pronto  a  mescolarsi  linguisticamente  e  culturalmente  con 
i  romani,  mentre  il  Molise  sannita  resiste;  anche  le  tra- 
dizioni linguistiche  delle  due  regioni  sono  di  natura  di- 
versa. Sono  varie,  particolaristiche,  campanilistiche  nel- 
l'Abruzzo, che  conserva  differenze  ancora  visibili  in  età  ro- 

'  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit.,  p.   147  sgg. 

^  Beloch,  Ròmische  Geschichte,  cit.,  pp.  422;  550  sgg.;  596  sg. 

'  Beloch,  Ròmische  Geschichte,  cit.,  pp.  472,  539. 


96  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

mana  tra  i  dialetti  sabellici,  marsi,  peligni,  marrucini,  vesti- 
rli '*.  Unitaria  è  la  tradizione  linguistica  nel  Molise,  ivi  com- 
preso il  territorio  dei  Freniani  (corrispondente  alla  parte 
meridionale  della  provincia  di  Chieti):  essa  si  estende,  nel- 
la forma  di  una  lingua  letteraria  superiore  ai  dialetti  locali, 
fino  alle  odierne  regioni  della  Campania,  Lucania,  Cala- 
bria. In  questo,  le  tradizioni  linguistiche  sono  lo  specchio 
fedele  di  atteggiamenti  politici:  il  particolarismo  lingui- 
stico abruzzese-sabellico  rispecchia  la  scarsa  capacità  or- 
ganizzativa e  la  non  volontà  o  l'incapacità  a  reggere  di 
fronte  ai  romani;  l'organicità  linguistica  osco-sannitica  ri- 
specchia la  organicità  della  federazione  sannitica,  il  vivo 
senso  nazionale,  la  volontà  e  capacità  di  resistenza  ri- 
spetto a  Roma. 

Una  volta  che,  con  la  guerra  sociale  e  il  conferimento 
del  diritto  di  cittadinanza  alle  due  regioni,  il  latino  diventa 
lingua  d'uso  per  tutti,  gli  echi  di  queste  difìerenze  origi- 
narie di  ambiente  vengono  meno.  Il  latino  abruzzese- 
molisano  diventa  un  caso  particolare  del  grande  gruppo 
centro-meridionale,  compreso  fra  l'Esino,  il  Tevere  e  il 
mar  d'Africa.  Nell'ambito  di  questo  grande  gruppo  esso 
gravita,  però,  piuttosto  verso  il  tipo  campano  che  verso 
quello  (di  estrazione  umbro-sabina)  laziale-umbro-marchi- 
giano; giustificando  così  l'immagine  di  un  latino  sannitico 
che  dal  Molise  sannita  si  è  esteso  verso  settentrione  nel 
territorio  sabellico. 

Tuttavia  l'impronta  dialettale  definitiva  viene,  anziché  da 
questi  antefatti  lontani,  da  vicende  medievali,  per  le  quali 
la  grande  via  da  Nord  a  Sud,  lungo  la  valle  dell'Aterno 
e  l'altopiano  delle  Cinquemiglia,  prevale  su  quella  tra- 
sversale, corrispondente  all'antica  via  romana,  la  Claudia 
Valeria.  L'impronta  linguistica  così  ricevuta  conduce  per- 
ciò a  una  contrapposizione  non  più  fra  Abruzzo  e  Molise 
ma  fra  il  territorio  aquilano,  aperto  verso  la  Sabina  e  cioè 
verso  il  Lazio  nord-orientale  e  l'Umbria  (e  corrispondente 
a  meno  della  metà  settentrionale  della  odierna  provincia 
dell'Aquila),  e  tutto  il  resto  ^  Volendo  usare  una  termi- 


^  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  cit.,  p.  109  sgg. 

'  GiAMMARCO,     Grammatica    delle    parlate    d'Abruzzo    e    Molise, 

(=  GlAMMARCO),  p.    10   Sgg. 


Abruzzo-Molise  97 

nologia  antica,  la  contrapposizione  avviene  fra  un  aquilano 
«  sabino  »  e  un  abruzzese-molisano  «  sannita  ».  La  fron- 
tiera meridionale  media  del  tipo  aquilano  nella  valle  del- 
l'Aterno  corrisponde  ai  centri  odierni  di  Paganica  e  Castel 
del  Monte.  Non  è  detto  che  sia  stato  così  per  tutti  i  fe- 
nomeni né  in  tutti  i  tempi,  né  che  nel  Medioevo  non  si 
siano  avute  punte  «  sannitiche  »  anche  a  settentrione  e  a 
occidente  di  questa  linea. 

Nell'area  aquilano-sabina,  a  differenza  di  tutto  il  restante 
territorio,  le  vocali  finali  sono  pronunciate  chiare,  distin- 
guendo la  serie  di  lenona,  carezza,  vecchia  da  auelle  di 
scurii,  romanu  e  di  amore,  dolore^.  Solo  qualche  irre- 
golarità come  lupe  per  «  lupo  »  o  jume  per  «  fumo  » 
fa  pensare  che  un  tempo  la  pronuncia  abruzzese-moli- 
sana dell'unica  vocale  indistinta  (e)  avesse  raggiunto  con 
qualche  elemento  di  punta  il  territorio  aquilano.  In  tutto 
il  restante  territorio,  così  in  anello  costiero  come  in  quello 
interno,  a  partire  da  anello  di  Sulmona,  la  pronuncia  della 
vocale  indistinta  è  generalizzata  '^. 

Per  quanto  riguarda  la  metafonia.  il  territorio  aquilano 
la  conosce,  come  anello  attiguo  laziale-umbro-marchigiano; 
ma.  per  quanto  riguarda  la  vocale  a,  ignora  l'azione  me- 
tafonetica  che  invece  si  fa  sentire  in  tutto  il  restante  terri- 
torio abruzzese-molisano.  Tipi  di  plurali  aauilano-sabini 
come  cani,  cavalli,  mani,  frati,  senza  metafonia  e  con  la 
chiara  pronuncia  delle  vocali  finali,  si  oppongono  vio- 
lentemente ai  tipi  abruzzesi  e  molisani  (o  sabello-sanni- 
tici)  con  la  k  interna  metafonizzata  e  le  vocali  finali  oscu- 
rate: tali  chené  «  cani  »,  frefe  «  frati  »,  mene  «  mani  »  a 
Chieti.  Guardiagrele,  Orsogna.  Vasto,  o  addirittura  mine, 
frite  per  «  mani  »  «  frati  »  nel  territorio  di  Teramo  *.  In 
particolare  a  Bellante  (Teramo)  esempi  come  chin  «  cani  », 
ghill  «  galli  »,  ip  «  api  »,  ghitt  «  gatti  »  mostrano  contem- 
poraneamente e  la  caduta  totale  della  vocale  finale  e  la  ^ 
violenta  deformazione  della  a  interna,  che  arriva  a  con- 


'  Rohlfs  I,  p.  185. 

'    GlAMMARCO,    p.    40    Sgg. 

*  Bertoni,  p.  162;  Giammarco,  pp.  15;  32  sg.;  73. 


98  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

fondersi  con  il  risultato  delle  antiche  e  aperte  come  ad 
esempio  in  pit  «  piedi  »  '. 

Analogamente  l'area  aquilana  ignora  la  dittongazione  delle 
antiche  i  e  u  lunghe  latine,  variamente  alterate  nel  resto 
del  territorio  abruzzese-molisano,  rispetto  al  quale  l'aqui- 
lano serba  così  un  certo  carattere  di  composta  toscanità. 
Sempre  d'accordo  con  l'area  laziale-umbro-marchigiana  va 
l'area  aquilana  in  quanto  conserva  la  distinzione  fra  la 
sorte  di  -o  e  di  -u  in  posizione  finale  come  in  otto,  quanno, 
omo  che,  contrariamente  a  quanto  avviene  da  una  parte 
in  Toscana  e  dall'altra  nel  resto  delle  regioni  meridio- 
nali, si  distinguono  da  ovu,  cantii,  durmitii  ecc.  ^°.  Final- 
mente l'articolo  si  presenta  nella  valle  dell'Aterno  nella 
forma  ju  al  singolare  maschile,  //  al  plurale  maschile, 
ma  lo  al  neutro,  distinguendosi  dal  resto  del  territorio 
abiTJZzese-molisano  '^  Già  nell'antico  aquilano,  quando  si 
aveva  ancora  la  forma  non  palatalizzata  lu  (invece  di  /«), 
si  distinguevano  i  neutri  (collettivi)  lo  male,  lo  chiaro 
dai  maschili  del  tipo  lu  patre  '^. 

Staccato  dal  territorio  aquilano-sabino,  il  resto  del  terri- 
torio abruzzese-molisano  distingue  le  seguenti  aree:  una 
costiera  fra  Chieti  e  Teramo,  una  interna  dall'Aterno  al 
Sangro,  una  terza  della  Maiella,  che  si  estende  sulle  sue 
falde  orientali  fino  a  San  Vito,  Guardiagrele,  Vasto,  e  com- 
prende tutto  il  Molise.  Per  quanto  riguarda  i  caratteri 
generali  che  si  oppongono  al  tipo  aquilano-sabino,  l'inde- 
bolimento generale  della  vocale  finale  subisce  una  restri- 
zione nel  caso  di  uno  stretto  legame  sintattico.  Questo  de- 
termina una  specie  di  unità  di  accento  a  vantaggio  della 
seconda  parola  o,  in  termini  tecnici,  un  fatto  di  proclisia  ^^: 
coppie  come  «  una  bella  donna  »  o  «  una  bella  luce  » 
appaiono  nella  forma  na  bbellA  femmené  oppure  na  fem- 
menA  bbellè,  rispettivamente  na  bbellA  lucè  o  na  luciA 
bbellè,  come  di  fronte  a  un'unica  parola. 


'  Rohlfs  I,  p.  44  sg.;  Giammarco,  Situazione  linguistica  dell'Abruz- 
zo e  del  Molise,  p.  120. 
'"  Cfr.  Marche  p.  76;  Umbria  p.  81   sgg. 
"  Cfr.  Umbria  p.  85;   Campania  p.   116;   Basilicata  p.   132. 
'^  E.  Monaci,  Crestomazia  italiana  dei  primi  secoli.  Città  di  Castello 
1912,  p.  595. 
"  Giammarco,  p.  45. 


Abruzzo-Molise  99 

Nel  quadro  del  grande  procedimento  della  metafonia, 
l 'Abruzzo-Molise  estra-aquilano,  oltre  alla  caratteristica  ge- 
nerale di  colpire  anche  la  vocale  a  e  a  quella,  di  carattere 
settentrionale,  di  distinguere  l'influenza  dalla  -i  finale  da 
quella  della  -ù  finale  ^^,  presenta  queste  varietà:  a)  un 
tipo  settentrionale  che  non  conduce  alla  dittongazione  delle 
E  e  o  aperte;  b)  un  tipo  abruzzese  meridionale  e  molisano 
che  introduce  la  dittongazione  metafonica  fino  a  lÉ  uó 
con  la  pronuncia  chiusa  del  secondo  elemento. 
Nel  settore  settentrionale,  il  processo  metafonetico  (al  di 
fuori  della  a  di  cui  si  è  parlato  sopra)  mostra  l'azione 
della  -i  finale  sulle  vocali  interne  eco  chiuse  latine,  se- 
condo la  formula  classica  per  cui  i  plurali  di  «  mese  » 
«  piede  »  sono  a  Teramo  come  a  Lanciano  mise,  pire, 
e  quelli  di  «  gioco  »  e  «  bove  »  sono  juchè,  vuvè  ^^.  Vice- 
versa il  fatto  caratteristico  è,  sul  piano  negativo,  l'as- 
senza della  dittongazione  nello  svolgimento  delle  vocali 
E  e  o  aperte  originarie;  sul  piano  positivo,  caratteristica 
si  presenta  l'affermazione  della  differenza  fra  sillaba  li- 
bera e  complicata  a  danno  di  quella  fra  e  aperta  e  chiusa, 
fra  o  aperta  e  chiusa  '^. 

In  conseguenza  della  comune  posizione  in  sillaba  libera 
non  c'è  più  differenza  fra  le  e  di  mese,  nere,  rete,  risalenti 
a  una  e  chiusa  latino-volgare  e  quella  di  maceria  a  Chieti, 
proveniente  da  una  e  aperta.  In  conseguenza  della  posizio- 
ne in  sillaba  chiusa  non  c'è  più  differenza  fra  la  É  di  serva 
«  selva  »,  péggé,  méjjé,  tétte  «  tetto  »  di  Lanciano,  risa- 
lenti a  E  chiusa  latina,  e  le  É  di  vécchjè,  spécchjé, 
férrè  «  ferro  »  di  Lanciano  e  Teramo,  risalenti  a  E  aperte 
latine.  In  conseguenza  della  comune  posizione  in  sillaba 
libera  non  c'è  differenza  fra  le  forme  con  vocale  aperta  ò 
di  Introdacqua  ròte,  bbòvè,  sòcerè  da  una  o  aperta  la- 
tina '^,  e  quelle  di  Teramo  e  Chieti  crocè,  flòre  che  con- 
tinuano invece  una  o  chiusa.  E  finalmente  non  c'è  diffe- 
renza, a  Lanciano,  a  causa  della  comune  posizione  in  sil- 
laba chiusa,  nella  serie  di  o  chiuse,  che  continuano  o  chiuse 
latine  in  pèndè,  fónde,  e  o   aperte  latine  in   ójjè,  fójjè. 

'*  GiAMMARCO,  pp.  32  sg.;  73  sgg. 

''  Savini,  La  grammatica  e  il  lessico  del  dialetto  teramano,  p.  57. 

'*   GiAMMARCO,   p.    38   sgg. 

'■^   GiAMMARCO,  p.   40. 


100  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Il  tratto  caratteristico  della  seconda  zona  è  la  presenza 
della  dittongazione,  la  quale  appare  di  solito  nei  tipi  ié 
uó,  con  la  seconda  vocale  di  pronuncia  chiusa  (raramente 
ìe,  ùo)  '*.  Conseguenza  di  questa  presenza  del  dittongo 
nell'ultima  zona  è  il  minor  peso  della  differenza  fra  sil- 
laba aperta  e  chiusa:  tali  le  dittongazioni  a  Introdacqua 
al  principio  del  territorio  meridionale,  in  cui  si  hanno 
le  serie  miédeché,  piede,  siérè  «  siero  »  in  sillaba  aperta 
con  la  stessa  risoluzione  di  viécchjé,  ciérvè,  piéttè  «  petto  » 
in  sillaba  chiusa  '^. 

Nonostante  la  vistosità  della  azione  metafonetica,  il  ca- 
rattere principale  dei  dialetti  abruzzesi  è  il  caotico  svi- 
luppo vocalico  che  si  presenta  in  tre  fasi.  La  prima  fase 
è  quella  della  alterazione  palatale  della  a,  ora  lim^itata  come 
a  Scanno  dalla  presenza  di  una  articolazione  consonantica 
palatale  vicina,  per  cui  si  ha  magne  «  mangiare  »  ma 
chiama  «  chiamare  »;  ora  come  a  Bucchianico  dove  il 
fattore  metafonetico  esercita  una  azione  protettiva:  quan- 
do la  finale  è  diversa  da  A,  si  ha  il  passaggio  di  a  in  a 
per  esempio  male  «  male  »;  m.a  quando  la  finale  era  in 
origine  -a,  anche  l'interna  si  salva:  strade.  Risulta  da 
questo  che  si  tratta  di  fatti  anteriori  alla  diffusione  della 
metafonia  ^°. 

La  seconda  fase  si  svolge  senza  un  legame  con  la  meta- 
fonia,  e  può  essere  contemporanea  o  anche  posteriore. 
Ogni  centro  abruzzese-molisano  sarebbe  istruttivo.  Scelgo 
qui  Agnone,  con  i  forti  frangimenti  delle  vocali,  che  mo- 
stra ad  esempio,  da  e  aperta  latina,  poidé  «  piede  »,  moilè 
«  miele  »;  da  e  chiusa  latina  ciairè  «  cera  »,  ciaìné  «  ce- 
nere »,  craitè  «  creta  »,  maisé  «  mese  »;  da  o  aperta  la- 
tina leuchè  «  luogo  »,  seunè  «  suono  »,  cheiisè  «  cosa  »; 
da  o  chiusa  latina  craiicé  «  croce  »,  fiauré  «  fiore  »,  craunè 
«  corona  »  ^^ 

La  terza  fase  è  rappresentata  da  frangimenti  vistosi  che 
sono  sicuramente  posteriori  alla  metafonia:  a  Vasto  amei- 
chè  «  amico  »   mostra  ei   da   i   chiusa   latina  come  ceicè 


"  ZiccARDi,  //  dialetto  d'Agnone,  p.  410  sgg.  Cfr.  Devoto,  L'Italia 
dialettale,  p.   102  sgg. 
"   GlAMMARCO,  p.   39. 

'"  Bertoni,  p.  159  sg.;  Rohlfs  I,  14. 

^'  ZiccARDi,  //  dialetto  d'Agnone,  pp.  409  sg.;  412  sg. 


Abruzzo-Molise  101 

«  ceci  »  mostra  ei  da  una  i  mctafonetica  abruzzese;  miurè 
«  muro  »  mostra  lu  da  u  chiusa  latina  come  fiurè  «  fiori  » 
da  u  metafonetico  abruzzese  (lat.  flores).  Agnone  si  trova 
su  questo  stesso  piano  con  le  serie  di  faroiné  «  farina  », 
proimè  «  primo  »  da  i  chiusa,  come  di  liup'é  «  lupo  »,  ve- 
niutè  «  venuto  »  da  u  chiusa  ^.  Uno  svolgimento  del  tutto 
particolare  è  infine  la  influenza  di  una  vocale  u  sulla  vo- 
cale di  parola  seguente:  così  a  Vasto  cheurè  «  cuore  » 
ma  lu  cueurè,  mele  «  miele  »  ma  lu  muelè,  e  in  territori 
adiacenti  cane  ma  lu  quanè,  cafauné  «  cafone  »  ma  lu 
quafaunè  ^. 

I  problemi  delle  consonanti  sono  meno  interessanti  di  quel- 
li delle  vocali.  Le  consonanti  sonore  sono  al  centro  del- 
l'interesse per  la  loro  doppia  vicenda,  volta  ora  al  raffor- 
zamento ora  alla  lenizione;  di  fronte  a  un  tipo  bbarbè  si 
ha  quello  varvè,  invece  del  latino-italiano  barba  ^'^.  Per 
la  consonante  dentale  abbiamo  a  Campobasso  il  passaggio 
a  liquida,  noto  nel  napoletano:  tali  i  casi  di  ricere  «  dire  », 
rà  «  dare  »,  chiure  «  chiudere  »,  care  «  cadere  »,  vere  «  ve- 
dere ».  Di  fronte  a  questi,  i  passaggi  a  sorda  di  ritè  «  ride  », 
nule  «  nudo  »  ^.  Per  la  gutturale  si  hanno  le  alterazioni 
di  vanne  per  «  gonna  »  a  Introdacqua  (Sulmona),  la  ri- 
duzione parziale  di  g-  a  h-  a  Sulmona  in  halle,  halliné 
per  «  gallo  »,  «  gallina  »,  infine  la  lenizione  totale,  sempre 
a  Introdacqua,  di  ut  è  nel  caso  di  «  gota  »  ^. 
Per  le  consonanti  in  gruppo  non  occorre  soffermarsi  su 
quelle  che  rientrano  in  un  trattamento  reperibile  in  tutte 
le  regioni  del  Mezzogiorno,  come  quannè  per  «  quando  », 
manna  per  «  mandare  »  o  prenne  per  «  prendere  »,  che 
mostrano  il  tradizionale  trattamento  umbro-sannitico  ". 
Parallelo  a  questo  è  il  trattamento  di  MB,  Mv  che  diventano 
MM,  per  esempio  cummattè  «  combattere  »;  oppure  di  NT 
che  passa  a  nd,  per  esempio  monde,  pendè,  cendè,  «  monte  », 


"  Battisti,  Lo  studio  del  dialetto  di  Vasto...,  p.  8;   Ziccardi,  // 
dialetto  d'Agnone,  pp.  408;  412.  Cfr.  anche  Puglia  p.  122. 
"   GlAMMARCO,  p.   38 

"  Gtammarco,  p.  40  sg. 

"  D'Ovidio,  //  dialetto   di   Campobasso,  p.    175    sg.;    Giammarco, 

p.  47  sg. 

"  Giammarco,  p.  49  sg. 

"  Cfr.  Marche  p.  75;  Umbria  p.  82;  Lazio  p.  91. 


102  I  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

«  ponte  »,  «  cento  ».  Così  vengé  «  vincere  »,  con  ng'  da 
NC';  tembè  «  tempo  »  con  mb  da  mp.  Su  questa  scia  si  han- 
no i  trattamenti  geograficamente  più  limitati  di  calle  «  cal- 
do »  a  Chieti,  con  assimilazione  totale,  e  le  lenizioni  par- 
ziali di  foldè  «  folto  »,  aldè  «  alto  »,  ngoldè  «  incolto  »  a 
Lanciano  e  Agnone^. 

Il  fatto  più  caratteristico  è  dato  invece  dalla  conserva- 
zione dei  gruppi  di  consonante  più  l,  che,  in  una  zona  ab- 
bastanza vasta  dell'abruzzese  orientale,  si  conservano  im- 
muni dalla  palatalizzazione  sia  meridionale  {chiù  «  più  »), 
sia  centrale  (più),  sia  ligure  {ciii),  con  corrispondenze 
puramente  casuali  con  i  tipi  francesi  e  ladini.  Così  ab- 
biamo ad  Atri  piane  «  piano  »,  plandinè  «  piantina  », 
plecà  «  piegare  »;  a  Penne  fleumè  «  fiume  »;  a  Teramo 
piazze;  a  Falena  piòvere  «  piovere  »  ^.  Accanto  a  questa 
conseiTazione  caratteristica,  che  non  trova  spiegazione  se 
non  nell'isolamento  dell'Abruzzo  orientale  rispetto  alle  cor- 
renti napoletane  e  laziali,  si  ha  addirittura  il  rafforza- 
mento attraverso  la  sostituzione  della  l  con  la  r,  che 
è  noto  anche  in  un'altra  regione  appartata,  la  Sardegna^: 
tale  il  caso  di  Lanciano  che  allinea  la  serie  di  jrumè, 
jrammè  per  «  fiume  »,  «  fiamma  ». 

Nell'ambito  della  morfologia,  il  problema  più  impor- 
tante è  quello  del  neutro,  rispetto  al  quale  la  ripar- 
tizione dialettale  è  diversa  dai  tipi  incontrati  sinora. 
Il  neutro  manca  nella  fascia  adriatica  che  comprende,  da 
nord  a  sud,  il  teramano,  il  pescarese,  il  chietino,  il  lan- 
cianese,  il  vastese.  La  fascia  interna  lo  mantiene  colle- 
gando il  Molise,  attraverso  il  Fucino  e  la  conca  di  Sulmona, 
con  l'Aquilano.  Si  distingue  solo  dal  tipo  dell'aquilano, 
perché  quest'ultimo  ha  l'articolo  neutro  di  forma  lo,  men- 
tre il  molisano  ha  rhe,  le,  e  la  zona  intermedia  le^^.  Ancora 
una  volta,  un  fatto  circoscritto  di  alta  conservazione  si 
trova  all'interno  della  regione,  per  esempio  ad  Anversa 
e  a  Pescasseroli,  in  cui  si  ha  traccia  di  un  articolo  deri- 

"  GiAMMARCO,  pp.  63  sg.;  59. 

^    GiAMMARCO,   p.    60    Sgg. 

^o  Cfr.  Sardegna  p.   160. 

"  GiAMMARCO,  p.  79;  cfr.  anche  Situazione  linguistica  dell'Abruzzo 

e  del  Molise,  p.  125. 


Abruzzo-Molise  103 

vato  dal  latino  ipse,  come  in  Sardegna,  anziché  da  ille 
come  nel  resto  dell'Abruzzo  e  d'Italia  ^^. 
Per  quanto  riguarda  la  declinazione,  è  inutile  insistere 
sul  fatto  del  monopolio  dei  segnali  del  plurale  affidato 
alla  metafonia.  Resti  particolarmente  vistosi  di  declina- 
zione tradizionale  sono  gli  esempi  di  Agnone  delle  coppie 
seguenti:  èiimé  «uomo»,  iiómenè  «uomini»;  seurè  «so- 
rella »,  surìurè  «  sorelle  ».  In  generale,  nel  territorio  abruz- 
zese-meridionale e  molisano,  hanno  avuto  particolare  for- 
tuna i  plurali  neutri  in  -ora,  quali  appaiono  nelle  forme 
tettare  «  tetti  »,  pràtéré  «  prati  »  e  dètèrè  «  dita  »  ^^. 
Per  quanto  riguarda  il  verbo,  emerge,  sempre  per  ragioni  ^ 
metafonetiche,  la  singolarità  della  seconda  persona  singo- 
lare del  presente  indicativo,  sia  nella  forma  aquilana  a 
finali  chiare  peso,  pisi,  pesa,  sìa  in  quella  abruzzese-moli- 
sana a  vocali  oscurate  pese,  pisè,  pese  (da  «  pesare  »); 
dormo,  durmi,  dorme  nell'Aquilano  e  rispettivamente  dor- 
me, durmè,  dorme  nella  zona  costiera  e  dorme,  duormè, 
dorme  nell'abruzzese  della  Maiella  e  nel  molisano  ^.  Così 
in  altri  tempi  del  verbo.  Per  quanto  riguarda  il  condizio- 
nale, sono  importanti  le  tracce  di  una  formazione  fon- 
data sul  piuccheperfetto  latino  anziché  sulla  associazione 
dell'infinito  latino  col  perfetto  come  in  toscano  o  con 
l'imperfetto  come  in  gran  parte  del  mezzogiorno^^;  tali 
le  forme  di  Agnone  putoirè  «  potrei  »,  «  potrebbe  »  o  di 
Introdacqua  facerenè  «  farebbero  ».  Caratteri  importanti 
dell'abruzzese  settentrionale  sono  l'uso  della  terza  per- 
sona singolare  per  il  plurale,  e,  negli  stessi  limiti,  il  co- 
strutto impersonale  n'ome  dice  per  «  si  dice  »  che  cor- 
risponde però  a  una  forma  latina  homo  dicit^^.  Sono  da 
aggiungere  i  costrutti  con  il  pronome  personale  enclitico 


"  Si  tratta  dì  una  questione  controversa:  11  Giammarco,  pp.  54,  78, 
interpreta  il  su  di  Scanno  come  una  forma  palatalizzata  di  lu.  Cfr. 
anche  Merlo,  Appunti  sul  dialetto  di  Scanno,  p.  417  sg.;  e  V.  Pi- 
sani, Continuatori  italiani  di  ipse,  Paideia  8,  1953,  pp.  361-364. 
"  Bertoni,  p.  157  sgg.;  Rohlfs  II,  p.  39  sgg.;  Giammarco,  p.  76. 
Cfr.  Puglia  p.  125;  Basilicata  p.  132. 
^*  Giammarco,  p.  96  sgg. 

"  Rohlfs  II,  p.  347  sgg.;  Giammarco,  p.  105.  V.  più  avanti  Cam- 
pania p.    116;   Calabria  p.   139;    Sicilia   p.    145   sg. 
"  Bertoni,  p.  188  sgg.  Cfr.  Marche  p.  77. 


104  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

secondo  i  tipi  fraterne,  sòremè,  pàtrefè,  màtretè  «  mio  fra- 
tello »,  «  mia  sorella  »,  «  tuo  padre  »,  «  tua  madre  »  ^'. 

Come  tutte  le  regioni  montuose  l'Abruzzo  conserva  sui 
rilievi  e  nelle  vallate  particolarismi  lessicali  di  notevole 
interesse:  così  cìerre  «  pelo  »  a  Introdacqua,  bbarà  «  or- 
cio da  acqua  »  a  S.  Omero,  destinné  «  lontano  »  (avv.)  a 
Celano.  Si  hanno  naturalmente  casi  di  parole  di  ambito 
più  vasto,  riscontrabili  in  diverse  località:  così  ciavarra 
«  pecora  giovane  »,  descenza  «  malanno  »,  attummà 
«  riempire  »,  boffa  «  ciuffo  d'erba  ».  Ma,  come  era  da 
aspettarsi,  parole  «  regionali  »  in  una  regione  così  poco 
unitaria  sembrano  piuttosto  rare.  Tra  gli  abruzzesismi  che 
tendono  a  penetrare  nell'italiano  regionale  sono  da  notare 
ventarla  «  20  anni  »,  rèlla  «  stalluccio  per  maiali  »,  lustrerà 
«  luce  diffusa  »,  celiare  «  cantina  »  (dal  lat.  cellarìum: 
cfr.  ted.  Keller)  ^. 

L'AIS  ci  documenta  invece  contatti  con  le  Marche  meri- 
dionali per  pone'  «  tegolo  »,  streccia  «  pettine  »  e  cima 
«  cresta  »;  con  la  zona  pugliese  e  campana  per  il  molisano 
zurru  «becco»;  ci  mostra  un  interessante  confine  all'in- 
terno della  regione  tra  il  tipo  italiano  settentrionale  e 
centrale  comprare  e  il  tipo  meridionale  (e  nord-occidenta- 
le)  ACCATTARE  3^. 

In  cuturnè  «  calzino,  stivaletto  »  si  coglie  un  notevole 
fenomeno  conservativo  nei  confronti  di  una  parola  la- 
tina, che  in  italiano  è  solo  della  lingua  aulica  o  tecnica; 
curcè  «  capro  »  ''^  e  escupinè  «  cornamusa  »  ^^  sono  invece 
di  etimologia  oscura. 

Fatti  lessicali  interessanti,  di  diffusione  generalmente  me- 
ridionale, si  notano  nell'ambito  delle  forme  del  suolo ''^; 
spiccano  tra  questi  il  tipo  pentima,  frequente  anche  in  Sar- 

"  Sul  possessivo  enclitico,  diffuso  in  gran  parte  dell'Italia  meridio- 
nale  e   non    in    Sicilia,    cfr.    Franceschi,   Postille   alla   Historische 
Grammaiik,  di  G.  Rohlfs,  p.  154. 
"  GlAMMARCO,   p.    156. 
"  AIS  carte  865,  673,  1127,  1080,  822. 

""  H.  ScHUCHARDT,  Abruzz.  curce  u.s.w.,  Z.R.Ph.  29,  1905,  pp.  449- 
450. 

^'  Per  la  questione  cfr.  L.  Spitzer  in  Z.R.Ph.  46,  1926,  pp.  764-765. 
■•^  E.  GlAMMARCO,  Lessico  dei  termini  geografici  dialettali  del- 
l'Abruzzo e  del  Molise,  Roma   1960. 


Abruzzo-Molise  105 

degna  ^^,  e  soprattutto  il  tipo  pesco,  peschio  «  macigno  » 
(ma  pese'  è  comune  in  Abruzzo  anche  come  «  chiavi- 
stello »  ^)  che  caratterizza  particolarmente  la  toponoma- 
stica (cfr.  Peseomaggiore,  prov.  dell'Aquila;  Peseolancìano 
prov.  di  Isernia)  ''^. 

Ricordiamo  infine  la  «  squisita  »  denominazione  *^  della  far- 
falla (più  precisamente  della  farfalla  della  seta)  che  è  in 
alcuni  paesi  eellette,  con  una  trasposizione  dal  più  co- 
mune significato  di  «  uccellino  »,  indicativa  della  ricchezza 
e  della  fantasia  che  si  riscontra  comunemente  —  al  di 
fuori  di  ogni  schematizzazione  —  nelle  parlate  popolari. 

Ecco  alcuni  esempi  di  testi  dialettali  dal  volume  del  Ra- 
panti ''■': 

Dall'Aquila:  Ghi  dunque  ico  che  a  tempu  degliu  primu 
Re  de  Cipru,  doppo  che  Cutifrè  de  Buglione  se  pigliò 
la  Terra  Santa,  successe  che  'na  bella  signora  de  Guasco- 
gna jette  in  pillicrinaggiu  agliu  Santu  Seppulcru,  da  doe 
revenenno,  come  arriò  a  Cipru,  certi  birbuni  la  'njuriettero 
co  male  parole.  (A  cura  di  Giulio  Dragonetti). 
Da  Castelli  (Teramo)  :  Secche  dóunq,  te  vùojie  arcuntà 
ch'alli  tiemp  de  lu  preme  Ró  de  Céprie,  poch'  dapù  che 
s'avije  pijete  la  Terrasànt'  Huffréde  de  Bujiòne,  ce  fu 
'na  signor'  de  la  Huascàugn'  che  jò  a  lu  Seppóulcr'  'mpelle- 
grenàgg,  e  all'armene',  quand'arrevòse  a  Céprie,  cierti  bir- 
béune  la  maltrattóse.  (A  cura  di  Giovanni  Barnabei). 
Da  Bucchianico  (Chieti)  :  Dunche  deiche,  che  quénne  era 
veive  lu  preime  Rraje  di  Cipre,  dapù  che  Guffraide  Bu- 
gliaune  caccese  li  Turche  da  la  Terra  Sente,  'na  signéura 
grénne  di  Vascogne  jese  'mpilligrinégge  a  lu  Suppulcre, 
e  mentre  arveneve,  ionte  a  Cipre,  fu  'nsultate  da  certe 
scillarite.  (A  cura  di  Leonardo  de  Leonardis). 
Da  Agnone  (Campobasso)  :  Ecche  equa.  A  rre  tiempe  de 
ru  proime  Rre  de  Cipre,  doppe  r'  acquishte,  che  ffaccette 


"  Rohlfs,  Die  Quellen  des  italienischen  Wortschatzes,  cit.,  p.  163. 
"  AIS   carta   885. 

*'  C.    Battisti,   //    tipo   «  Pescopagano  »    nella    toponomastica    del- 
l'Italia centro-meridionale  e  il  nome  di  «  Paestum  »,  I.D.  24,   1961, 
pp.   134-156. 
**  Bertoni,  p.  52. 
"  I  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  64  sg.;  59  sg.;  52  sg.;  303  sg. 


106  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

de  Ggerusalemme  Guffroide  de  Bbuglieune,  succedette 
ca  na  segneura  de  Guascogna,  ch'oiva  jeuta  pe  ppellegroina 
a  ru  Sante  Sepulcre,  aU'armenoje,  quand'  arrevette  a  Cipre, 
fo  da  cierte  scelleriete  d'uommene  maltrattàda  de  na 
bbrutta  manoira.  (A  cura  di  Vincenzo  Labanca). 
Meritano  inoltre  di  essere  citati  due  esempi  di  canti  po- 
polari da  Gessopalena  e  da  Bagnoli  del  Trigno  ^: 

Sone  chetarna  nu',  fa  bbona  voce. 
Le  corde  d'ore  te  vuojje  cumbrà 
Le  corde  d'ore,  e  le  taste   d'argende 
'na  penna  de  pahone  pe'  ssunà. 

Bbella,  chell'altra  notte  te  'nzunnaje  (ti  sognai) 
pare  (pareva)  ch'a  lu  mie  late  te  teneve. 
Me  revutaje,  ia  non  fu  le  vere! 
Pianze  'na  nott'e  'na  ggiurnata  'ndiere. 


**  P.   P.   Pasolini,  La  poesia  popolare  italiana,  cit.,  pp.   145;    149. 


CAMPANIA 


Se  la  nozione  di  «  area  dialettale  campana  »  come  è  oggi 
costituita  tende  piuttosto  ad  armonizzarsi  con  le  regioni 
vicine,  la  Campania  ha  invece  un  rilievo  unico  nella 
storia  del  passaggio  dal  latino  volgare  all'italiano.  Fu  nel 
territorio  campano  che,  prima  ancora  dell'inserimento  nel 
mondo  culturale  e  linguistico  romano,  si  ebbero  i  primi 
spunti  per  un  arricchimento  del  sistema  delle  vocali,  come 
mostra  un  segno  speciale  nell'alfabeto,  che  gli  Oschi  ave- 
vano preso  dagli  Etruschi:  questo  segno  lo  arricchiva  di 
una  /  aperta,  già  vicina  alla  nostra  e  stretta  '.  E  fu  attra- 
verso il  territorio  campano  che,  durante  l'età  imperiale, 
si  diffusero  i  nuovi  tipi  vocalici  verso  la  Sicilia  per 
via  di  mare,  verso  la  Puglia  attraverso  la  via  Appia,  e, 
in  minori  proporzioni,  in  direzione  della  Calabria.  Le 
novità  romane  di  lontana  ispirazione  osco-sannitica  e  resti 
osco-sannitici  sopravviventi  si  sono  incrociati  sul  suolo 
campano  attraverso  un  procedimento  che  rimase,  in  Ita- 
lia, unico. 

E  difatti  la  colonizzazione  romana  fu  intensa  a  partire 
dal  II  secolo  con  la  fondazione  delle  colonie  di  Volturno, 
Literno,  Pozzuoli,  più  giù  di  Salerno  2,  così  come  precoce 
era  stato  il  prestigio  romano;  al  quale  i  campani  fecero 
ricorso,  appena  passata  la  metà  del  iv  secolo,  per  difen- 
dersi dalle  pressioni  rinnovate  dei  sanniti  dai  monti.  Ma, 
se  anche  la  colonizzazione  si  intensificò  nel  i  secolo  con 
Cesare,  Antonio  e  Ottaviano,  aggiungendosi  agli  effetti 
del  conferimento  della  cittadinanza  e  all'abbandono  della 
lingua  osca  come  lingua  ufficiale,  pure  la  reazione  dell'am- 
biente tradizionale  fu  intensa  e,  all'opposto  di  quanto  av- 
venne in  Etruria,  il  latino  fu  pronunciato  secondo  carat- 


'  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  cit.,  p.  135  sg. 

^  Beloch,  Romische  Geschichte,  cit.,  pp.  537  sgg.;  548  sg.;  585  sgg. 


108  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

teri,  tendenze  e  tradizioni  locali.  Questo  fu  favorito  dalla 
politica  del  senato  romano,  avversa  a  qualsiasi  imposi- 
zione linguistica.  Livio  ^  racconta  anzi  che  nel  180  a.C. 
una  delegazione  cumana  si  recò  a  chiedere  l'autorizza- 
zione del  senato  per  usare  la  lingua  latina  come  lingua 
ufficiale  nel  mercato.  Con  questa  politica  linguistica  li- 
berale si  rimovevano  gli  ostacoli  psicologici  fra  le  due  lin- 
gue e  si  favorivano  la  diffusione  del  latino  e  la  spontaneità 
disinvolta  della  sua  pronuncia. 

Gli  spunti  di  alterazione  introdotti  nella  pronuncia  delle 
vocali  latine,  diffusi  fino  a  Roma  attraverso  il  costante 
apporto  demografico  della  Campania,  cominciano  con  le 
vocali  introdotte  nell'alfabeto  etrusco,  la  i  aperta  e  la  u 
aperta.  Mentre  questa  seconda  finisce  per  sostituire  sem- 
plicemente la  o,  caduta  in  disuso  nell'alfabeto  etrusco, 
l'introduzione  di  una  vocale  intermedia  fra  la  e  e  la  i 
ha  per  risultato:  a)  che  di  fronte  al  sistema  latino  di  cin- 
que vocali,  il  sistema  campano  ne  ha  avute  invece  sei; 
b)  che  rispetto  alla  vocale  centrale  A,  mentre  si  ha  il 
comportamento  simmetrico  della  ser'e  palatale  e,  i  e  della 
serie  velare  o,  u  in  latino,  si  ha  il  comportamento  dissim- 
metrico campano,  con  tre  vocali  nella  serie  palatale  e  due 
soltanto  nella  serie  velare  '*. 

I  grammatici  romani  dell'età  imperiale  riconoscono  che 
questa  alterazione  si  è  affermata  anche  a  Roma.  Ci  dicono 
che,  fra  il  iii  e  il  iv  secolo,  in  latino  si  sentiva  la  differenza 
fra  una  e  aperta  e  una  e  chiusa,  tra  una  o  aperta  e  una  o 
chiusa,  quindi  con  una  disposizione  di  nuovo  simmetrica 
di  sette  vocali.  Finalmente  un  grammatico  del  v  secolo, 
Consenzio,  ci  dà  notizia  di  una  doppia  i,  mentre  nessuno 
parla  di  una  doppia  u  5.  Mentre,  attraverso  le  testimonianze 
campane  dirette,  arriviamo  ad  un  sistema  di  sei  vocali, 
attraverso  i  grammatici  arriviamo  a  ricostruirne  indiretta- 
mente uno  di  sette  prima,  uno  di  otto  poi.  Tuttavia  il  pro- 
cesso non  si  limita  ai  dati  degli  alfabeti  e  alle  testimonianze 

'  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  cit.,  p.  272. 

*  G.   Devoto,   //  sistema  protoromanzo  delle   vocali,  ora   in   Scritti 

minori  I,  cit.,  p.  329  sgg.;  V.  Pisani,  //  sostrato  osco-umbro  in  Atti 

V  Convegno  Studi  Umbri,  cit.,  p.  160  sgg. 

'  Devoto,  Storia  della  lingua  di  Roma,  cit.,  p.  298. 


Campania  109 

dei  grammatici.  Le  attestazioni  successive  della  maggior 
parte  delle  lingue  romanze  ci  obbligano  ad  ammettere  una 
differenza  anche  all'interno  della  u,  e  quindi  una  base  di 
partenza  di  nove  vocali. 

Tutte  queste  vicende  si  sono  fatte  sentire  in  Campania: 
ora  come  fenomeni  passeggeri,  ora  come  assestamenti 
definitivi.  Lungo  la  frontiera  meridionale,  nel  territorio 
lucano  e  calabrese  settentrionale,  il  sistema  primitivo  di 
cinque  vocali  è  rimasto,  come  in  Sardegna,  fino  ai  nostri 
giorni  ^.  In  questa  direzione  la  Campania  è  stata  l'ultima 
area  raggiunta  dalle  innovazioni  ulteriori,  zona  di  arresto, 
non  di  transito. 

Viceversa  il  sistema  simmetrico  di  sette  vocali,  elaborato 
in  Roma  su  spunti  campani  a  partire  dal  ii  secolo  d.C, 
si  è  affermato  in  Sicilia  e  nella  Calabria  meridionale.  Ma 
poiché  la  Calabria  settentrionale  si  è  irrigidita  resistendo 
a  oltranza  su  una  base  di  cinque  vocali,  ecco  che  il  sistema 
di  sette  deve  essere  arrivato  in  Sicilia  (e  nella  Calabria 
meridionale)  per  via  di  mare,  essendone  la  Campania  in- 
dispensabile area  di  transito  ^.  Una  traccia  di  questa  fase 
è  rimasta  nel  Cilento  meridionale;  dove  si  dice  nivi  per 
«  neve  »,  pila  per  «  pelo  »,  Ugna  per  «  legna  »,  e  cioè  si 
ignora  la  distinzione  fra  i  aperta  e  i  chiusa,  che  ha  de- 
terminato invece  nel  toscano  il  passaggio  della  prima  a  E  ^; 
la  caratterizzazione  «  siciliana  »  di  questo  vocalismo  è 
assicurata  dai  tipi  catìna  (lat.  catena),  vuci  (lat.  vocem). 
Così  nella  stessa  regione  si  dice  vucca  per  «  bocca  », 
cioè  si  ignora  la  distinzione  fra  u  aperta  e  chiusa,  che 
sola  spiega  il  passaggio  della  prima  ad  o  in  Toscana  e  in 
genere  in  Italia.  In  un'altra  direzione  infine  il  sistema  di 
sette  vocali  deve  essere  passato,  sia  pure  senza  lasciar  trac- 
cia: lungo  la  via  Appia  fino  alla  penisola  salentina,  dove 
ancor  oggi  sopravvive. 

Il  sistema  dissimmetrico  di  otto  vocali,  quello  riconosciuto 
dai  grammatici  solo  nel  v  secolo,  si  è  costituito  in  realtà 
molto  prima,  perché  dall'Italia  ha  raggiunto  la  penisola 
balcanica  e  la  Dacia,  l'odierna  Romenia.  Anche  per  esso 


*  V.  Lucania  p.   129;  Calabria  p.  135;   138. 

^  Sicilia  p.  144  sg. 

'  Rohlfs,  Mundarten  und  Griechentum  des  Cilento,  p.  427  sgg. 


110  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

la  Via  Appia  è  stata  essenziale.  Resti  sono  rimasti  in 
località  appartate  della  Lucania  meridionale,  per  esempio  a 
Gallicchio,  Sant'Arcangelo,  Teana,  dove  si  dice  sole  «  so- 
le »,  ma  mmucche  «  in  bocca  »  ^. 

La  serie  simmetrica  di  nove  vocali  si  è  fermata  in  tutta 
la  Campania.  A  Napoli  si  dice  tela,  vena,  neve,  ponde, 
torre,  mosca  come  nelle  parole  toscane  tela,  vena,  neve, 
ponte,  torre,  mosca,  che  derivano  insieme  da  e  chiusa  e  da 
I  aperta,  da  o  chiusa  e  da  u  aperta  delle  forme  latine  con- 
fluite insieme  ^°.  L'interesse  della  posizione  campana  sta 
nel  fatto  che  essa  è  una  posizione  di  avanguardia  per  un 
fenomeno  che  ha  trovato  ostacoli  presso  i  luoghi  di  origine; 
mentre  a  settentrione  e  occidente  si  è  diffuso  senza  resi- 
stenza fino  alle  Alpi,  ai  Pirenei,  all'Atlantico. 
Zona  di  confine  per  quel  che  riguarda  le  vocali  accentate, 
la  Campania  è  zona  di  confine  anche  per  il  trattamento 
delle  vocali  finali,  che  sono  particolarmente  indebolite 
in  opposizione  non  solo  alla  Calabria,  ma  anche  al  Lazio. 
Si  è  già  parlato  della  vocale  indistinta  É,  caratteristica 
dell'alto  Mezzogiorno,  che  sostituisce  a  uno  stesso  modo 
tutte  le  finali  salvo  -a,  e  talvolta  anche  l'-A  '^  Il  Cilento 
segue  anche  qui  una  via  particolare:  di  fronte  ai  tipi  cam- 
pani sole  «  sole  »  neve  «  neve  »,  esso  mostra  le  finali  chia- 
re suli,  nivi.  Di  fronte  alle  forme  campane  mure,  rosse, 
piettè,  il  Cilento  conserva  ancora  vocali  chiare,  -u  (siccu) 
nella  parte  meridionale,  -o  (sicco)  in  quella  settentrio- 
nale '^.  Sotto  questa  spinta  si  possono  poi  verificare  casi 
di  caduta  completa  della  vocale  finale,  specialm.ente  dopo 
due  consonanti;  per  esempio  a  Ischia  uoss  per  «  osso  », 
cuorp  per  «  corpo  »  '^ 

Ma  il  fenomeno  più  caratteristico  che  inserisce  i  dialetti 
campani  nel  grande  gruppo  dei  dialetti  centro-meridionali 
in  opposizione  al  toscano,  è  la  metafonia  o  «  compenso- 
qualitativo  »,  di  cui  abbiamo  già  trattato  ^'*.  La  regola  fon- 

'  Rohlfs  I,  p.  8  sg. 

'"  Devoto.  //  sistema  proloromanzo  delle  vocali,  cit.,  p.  335  sg. 

"  Cfr.  Abruzzo  p.  98. 

'^  Rohlfs,  Mimdarten  und  Griechentum  des  Cilento,  pp.  429;   435. 

"  Le  stesse  forme  a  Monte  di  Procida:    cfr.  AIS  carte  90  e  87  al 

punto  720. 

'^  Cfr.  Marche  p.  74  sg.;  Umbria  p.  83  sg.;  Lazio  p.  90  sg.;  Abruzzo 

p.  99  sgg. 


Campania  111 

damentale  della  metafonia  napoletana  è  la  seguente:  quan- 
do una  parola  termina  con  -ì  o  ù,  prima  ancora  che 
questa  vocale  si  indebolisca,  «  stringe  »  in  tutto  o  in 
parte  la  pronuncia  della  vocale  precedente,  della  e  chiusa 
in  I  e  della  e  aperta  in  ie,  della  o  chiusa  in  u  e  della  o 
aperta  in  uo. 

Abbiamo  così  capille  da  capillu,  ma  vena  da  vena; 
e  il  plurale  mise  «  mesi  »,  il  singolare  mese  «  mese  »; 
il  femminile  secca  «  secca  »,  il  maschile  sicché  «  secco  »; 
pisc'  «  pesci  »,  ma  pese'  «  pesce  »;  nere  «  nera  »,  ma 
niré  «  nero  »;  chella  «  quella  »  ma  chillè  «  quello  »;  fiiornè 
«forno»;  vacca  «bocca»;  fiioché  «fuoco»;  vove  «bo- 
ve »;  nocchie  «  occhio  »;  nora  «  nuora  »;  itomene  «  uomi- 
ni »  ma  omé  «  uomo  ». 

Accanto  a  questa  disposizione  generale  della  metafonia 
si  hanno  i  casi  più  «  spinti  »,  sia  perché  derivano  da  finali 
diverse,  sia  perché  si  estendono  anche  alla  vocale  -a.  Esem- 
pi caratteristici  sono  i  seguenti:  la  -i  finale  risulta  da 
un  precoce  passaggio  della  desinenza  -ae  del  nominativo 
plurale  latino.  A  Omignano  (Cilento  settentrionale)  il  plu- 
rale puorti  «  le  porte  »  si  oppone  al  singolare  porta. 
A  Napoli  questa  metafonia  avviene  solo  con  le  vocali  chiu- 
se. Nelle  aperte  essa  manca  e  vecchie  vale  tanto  «  vecchia  », 
quanto  «  vecchie  »  ^^.  Nelle  chiuse  invece  si  ha  l'ulteriore 
«  stringimento  »  di  e  in  i  come  in  sirvè  «  le  selve  »  di 
fronte  al  singolare  serva  e  di  o  in  u  come  viitté  «  le 
botti  »  di  fronte  a  votta  «  la  botte  ». 

Sotto  l'influenza  di  una  finale  -dì  (da  lat.  dies)  si  ha  a 
Acerno  (prov.  Salerno)  la  dittongazione  metafonetica  in 
juoveri  «  giovedì  ».  Sotto  l'influenza  di  una  finale  -ti  (da 
lat.  -Tis)  si  ha  a  Napoli  avite  «  avete  ».  Ma  nella  Campania 
settentrionale  (a  Gallo),  la  differenza  fra  il  singolare  e  il 
plurale  e  cioè  fra  -i  (da  -is)  e  -ti  (da  -tis)  permane:  vinnè 
«  tu  vendi  »,  vennetè  «  voi  vendette  »  ^*. 
11  fenomeno  opposto  della  «  apertura  »  delle  vocali  si  ve- 
rifica invece  talvolta  quando  queste  si  trovano  prima  della 
sillaba  accentata.  Di  fronte  a  figlia  accentata  c'è  fcgliola 
davanti  all'accento,  di  fronte  a  sciame  «  fiume  »,  sciomara 


'5  Rohlfs  I,  p.  16  sg.;  II,  pp.  48;   106  sg. 
"  Rohlfs  I.  d.  18. 


"  Rohlfs  I,  p.  18 


112  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

«  fiumara  »  prima  dell'accento,  di  fronte  a  ora  «  ora  », 
alorgiu  con  o  passato  ad  a  prima  della  vocale  accentata  ". 
Solo  analogica  è  l'azione  su  a,  nella  quale  non  si  tratta 
di  introdurre  una  impossibile  pronunzia  «  più  stretta  »  ma 
una  specie  di  deviazione  dal  suo  equilibrio  tra  le  due 
serie  palatale  e  velare.  Così  a  Ischia  si  ha  àséna  «  asina  » 
ma  eséné  «  asino  »,  e  bbracc'  «  le  braccia  »  ma  recc'  «  il 
braccio  ».  A  Precida  si  ha  mertérì  per  «  martedì  ».  A 
Monte  di  Procida,  presso  Pozzuoli,  giaddè  «  gialla  »  di  fron- 
te a  geddè  «  giallo  »,  jangè  «  bianca  »  di  fronte  a  jengè 
«  bianco  » .  A  Pozzuoli  si  ha  cainatè  «  cognata  »  di  fron- 
te a  cainetè  «  cognato  »  ^^, 

Altri  svolgimenti  estremi,  non  necessariamente  legati  con 
la  metafonia,  ricordano  le  gravi  alterazioni  delle  vocali 
abruzzesi.  Tali  a  Pozzuoli  i  tipi  metafonetici  solvè,  póilè 
per  «  sego  »,  «  pelo  »  con  e  chiuso  dittongato  in  òi,  di 
fronte  a  malìe  «  mela  »  vàlvère  «  bere  »,  dove  la  meta- 
fonia  non  agisce.  L'opposizione  pesce  pesci  sotto  l'azione 
combinata  della  metafonia  e  della  dittongazione,  dà  palscé 
singolare,  pólscè  plurale,  cui  corrispondono  a  Ischia  pas- 
saggi analoghi  anche  in  sillaba  chiusa  come  salcchè  «  sec- 
ca »  *'.  Sempre  nella  stessa  area  tra  Pozzuoli  e  le  isole 
fronteggianti,  si  ha  au  da  o  chiusa:  così  vaucè  «voce», 
naucè  «  noce  »,  nèpautè  «  nipote  »,  hauré  «  fiore  »  (ma 
vedi  seulé  «  solo  »  di  fronte  a  sauté  «  sola  »)  ^. 
La  presenza  della  metafonia,  se  non  è  un  tratto  saliente 
dei  dialetti  campani,  è  però  un  tratto  decisivo  antito- 
scano. Tuttavia  non  esaurisce  l'antitesi  del  trattamento 
delle  vocali  fra  Campania  e  Toscana.  Questa  consiste 
nella  differenza  fra  sillaba  aperta  e  chiusa  che  in  Toscana 
agisce,  limitando  la  introduzione  della  dittongazione  della 
o  aperta  in  uo,  della  e  aperta  in  ie  alle  sillabe  aperte. 
Forme  napoletane  come  omè  senza  dittongo  di  fronte  al 
toscano  dittongato  in  sillaba  aperta  uo-mo  o  come  plettè 
di  fronte  al  toscano  non  dittongato  in  sillaba  chiusa  pet-to 
presuppongono  una  doppia  fonte  di  divergenza:  la  pre- 
senza della  metafonia  e  la  indifferenza  sillabica  campana 

"  Bertoni,  in  E.  I.,  p.  582. 
"  Rohlfs  I,  p.  42. 
"  Rohlfs  I,  pp.  84  e  85. 
^^  Rohlfs,  I,  pp.  98  e  99. 


Campania  113 

di  fronte  all'assenza  della  metafonia  e  all'azione  deter- 
minante della  struttura  sillabica  in  Toscana. 
Per  quanto  riguarda  le  consonanti  semplici  il  fatto  più  ca- 
ratteristico è  l'avvicinamento  delle  consonanti  B  e  v,  d  e 
R  (l),  g  e  j.  11  B-  iniziale  passa  alla  forma  lenita  v-,  per  esem- 
pio vagno,  varva,  vàtterè,  véverè  «  bere  »,  vocca,  vùjaro 
«  bufalo  ».  Ma  accanto  alla  forma  lenita  si  ha  quella  raf- 
forzata, rappresentata  da  bb-,  e  presente  sia  per  ragioni 
di  fonetica  sintattica  (come  dopo  l'articolo  femminile  plu- 
rale derivato  da  un  lat.  ìllas)  ^^  sia  perché  proveniente  dalla 
lingua  letteraria  e  pronunciata  con  eccesso  di  zelo;  tali 
bbiitirrè  «  burro  »,  bbottonè,  bbiellè  «  bello  »,  bbuoné, 
bbenè.  Un  ulteriore  rafforzamento  è  dato  dalla  introdu- 
zione di  un  presunto  prefisso  a(b)  nel  napoletano  abbasca 
«  affanno  »  dallo  sp.  basca  o  nel  verbo  abbalestrare.  L'an- 
titesi della  pronuncia  lenita  di  varva  per  «  barba  »  e 
per  «  mento  »,  ha  condotto  alla  distinzione  di  due  parole, 
varva  «  mento  »  e  bbarba  «  barba  ».  La  stessa  situazione 
si  presenta  nel  gruppo  br-  normalmente  passato  a  vr-  in 
vraccio,  vraca  «  braca  »,  vrasa  «  bragia  »,  v ruolo  «  brodo  ». 
Esempi  di  fonetica  sintattica  sono  che  bbuoiè  «  che  vuoi  », 
e  bbecchiè  «  le  vecchie  »,  abbecino  «  da  vicino  »,  tutte 
forme  napoletane  ^. 

11  passaggio  parallelo  delle  consonanti  dentali  a  liquide  si 
lega  a  antefatti  umbro-sabini  dell'antichità,  che  si  sono 
spinti  a  poco  a  poco  verso  mezzogiorno  per  la  via  dei 
monti  ^.  A  Gallo  nella  Campania  settentrionale  si  dice 
ancora  o  dite  «  il  dito  »,  a  Napoli  o  ritè,  a  Ischia  u  Ut. 
Così  a  Napoli  o  rendè  «  il  dente  »,  ruménèca  «  domenica  », 
rurècè  «  dodici  ».  Così  parallelamente  a  Ischia  nu  lendè 
«  un  dente  »,  là  «  dare  »,  loi  «  due  »,  pelè  «  piede  »  ^'*.  Nel- 
le parole  provenienti  dalla  lingua  letteraria  si  ha  il  raf- 
forzamento anche  con  vocale;  napoletano  addosa  «  dose  », 
addèdeca  «  dedica  ».  Analogamente  agisce  la  fonetica  sin- 
tattica; a  Napoli  singolare  o  ritè,  e  dditè  al  plurale;  a 
Ischia  u  Ut  «  un  dito  »,  e  ddaitè  «  le  dita  ». 


^'  Rohlfs  II,  p.  107  sg. 

"  Bertoni,  p.   156  sg.;  Rohlfs   I,  pp.   194  sgg.;  227  sgg.;   242  sg. 

"  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.   117   sgg. 

^*  Rohlfs  I,  pp.  203  sgg.;  294  sgg. 


114  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Innovazioni  che  interessano  più  direttamente  la  Campania 
sono: 

a)  le  tre  soluzioni  di  -ll-,  l'una  secondo  il  sostrato 
«  ligure  »  (apuano-siciliano)  di  -dd-  o  del  semplice  -dd-  sia 
in  provincia  di  Salerno,  sia  in  certe  zone  dell'isola  di 
Ischia  dove  si  trova  cuodd'é  per  «  collo  »  ^;  la  seconda 
più  conservatrice,  al  centro,  corrisponde  a  Napoli  che 
mantiene  chìllè  «  quello  »;  l'altra  al  nord  con  un  princi- 
pio di  palatalizzazione  che  fa  pensare  a  un'influenza  ve- 
nuta di  fuori:  capigliii  «  capello  »,  chiglia  «  quello  »,  / 
jaglié  «  i  gialli  »  a  Calvi  e  Formicola  (Caserta)  ^6; 

b)  la  scissione  della  l  davanti  a  consonante,  nelle  due 
soluzioni,  la  velarizzazione  di  l  che  diventa  u  in  saura 
«  saldare  »  kauraru  «calderaio  »  o  il  suo  rotacismo  in 
sarda  (Napoli,  Montefusco),  scarpìeddu  «  scalpello  »  ^^. 

Il  procedimento  analogo  con  g  è  reso  più  complesso  dal 
fatto  che  altra  è  la  sorte  dei  tipi  ga  e  altra  quella  dei  tipi  gè. 
La  prima  serie  si  disarticola  fin  quasi  a  sparire  in  casi 
come  a  atte  «  la  gatta  »,  o  alle  «  il  gallo  »;  la  seconda  si 
riduce  a  je  secondo  un  modello  antico,  risalente  anch'esso 
alle  fasi  dell'umbro  preromano ^^:  jèlà  «gelare»,  jènnarè 
«  genero  »,  jentilè  «  gentile  »,  confondendosi  così  con  le 
antiche  serie  di  ja  e  jo:  jocà,  latino  locare,  jodécè  latino 
index,  jonta  latino  iuncta  ^^. 

In  relazione  alla  caduta  della  g-  si  hanno,  accanto,  al- 
cuni rafforzamenti  come  il  plurale  e  ggatt  «  le  gatte  » 
a  Napoli  (sing.  a  att)  o  tre  ggaddini  «  tre  galline  »  nel 
Cilento  (sing.  la  ghaddina).  Consonanti  prostetiche,  v- 
davanti  a  vocali  scure,  j-  davanti  a  vocali  chiare,  compaio- 
no (per  esempio  a  Formicola,  prov.  di  Caserta,  u  vale, 
a  valina,  u  vattè  per  «  gallo,  gallina,  gatto  »)  in  forme 
prive  ormai  della  consonante  iniziale;  tale  a  Monte  di 
Procida  u  jefié  «  il  pianerottolo  »    (da  una   forma  origi- 

"  Devoto,  L'Italia  dialettale,  p.  119. 

"  Rohlfs  I,  p.  327.  Cfr.  Puglia  p.   124;   Calabria  p.   137;   Sicilia  p. 

146;  Sardegna  p.  161. 

"  Bertoni,  in  E.  I.,  p.  583. 

^  Pisani,  //  sostrato  osco-umbro,  cit.,  p.    166. 

"  Bertoni,  in  E.  I.,  p.  583. 


Campania  115 

naria  gafio)  ^.  La  v-  prostetica  si  rafforza  in  bb-  in  fone- 
tica sintattica.  A  Napoli  o  vutè  «  il  gomito  »  appare  al 
plurale  come  e  bbotè  «  i  gomiti  ». 

Fra  i  problemi  posti  dalla  consonante  l  i  due  più  appa- 
riscenti sono  costituiti  dalle  sue  combinazioni  con  le  con- 
sonanti occlusive.  Poiché  manca  il  gruppo  di  consonante 
dentale  più  l,  il  problema  si  riduce  a  due  gruppi  di  com- 
binazioni, quella  della  gutturale  e  quella  della  labiale.  La 
prima  combinazione  con  consonante  gutturale  sorda,  si 
risolve  secondo  lo  schema  stesso  della  Toscana;  abbiamo 
da  CL,  chiave,  chiuovè  «  chiave,  chiodo  ».  Per  la  regola 
meridionale  che  accentua  la  distanza  fra  consonanti  sorde 
e  sonore  si  ha  anche  nel  gruppo  gl  un  accentuato  indebo- 
limento dell'elemento  occlusivo,  e  cioè  glianna  «  ghianda  », 
glint  té  «  ghiotto  »  ^^ 

Vistosa  è  invece  la  differenza  nel  trattamento  dei  gruppi 
con  p,  che  vengono  fortemente  palatalizzati.  Per  pl  invece 
di  più  si  ha  chiù,  invece  di  pianta  chianta,  invece  di  piove 
chiave.  Con  il  solito  indebolimento  della  consonante  so- 
nora si  ha,  da  bl,  janchè  invece  di  bianco,  junnè  invece  di 
«  biondo  »  ^-.  Infine  si  inserisce  in  questa  serie  fortemente 
palatalizzata  anche  il  gruppo  fl  che  si  trasforma  in  s  (s 
palatalizzata):  sciamma  per  «fiamma»,  sciate  per  «fia- 
to »  ^^.  L'interesse  di  questo  procedimento  sta  nei  suoi  le- 
gami marittimi  non  solo  con  la  Sicilia,  ma  con  la  Liguria, 
dove,  in  forma  ancora  più  spinta  abbiamo  ciii  analo- 
gamente al  napoletano  chiù,  giancu  analogamente  al  na- 
poletano janchè,  sciamma,  identico  al  napoletano^.  È  si- 
curamente un  resto  di  sostrato  ligure  mediterraneo,  soprav- 
vissuto in  due  aree  particolarmente  appoggiate  al  mare. 
Ma  il  carattere  più  tipico,  non  per  la  sola  Campania,  ma 
per  tutto  il  centro-meridione,  esclusa  la  Toscana  e  le  due 
ristrette  penisole  salentina  e  sud-calabrese  con  Messina, 
è  dato  dall'assimilazione  progressiva  che  emana  da  una 

^o  Rohlfs  I,  p.  207  sg. 

"  Rohlfs  I,  pp.   243   sgg.;    349   sgg.;   250   sg.;   354. 
"  Rohlfs  I.  pp.  253  sg.;  356  sg.;  241  sg.;  348. 
"  Rohlfs  I,  pp.  247  sgg.;   352  sg. 

^  G.  Glacomelli,  Sviluppo  dì  alcuni  nessi  consonantici  nei  dia- 
letti italiani,  Abruzzo  8,  1970,  2-3,  p.  142  sgg.  Cfr.  Liguria  p.  13; 
Sicilia  p.  146. 


116  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

consonante  nasale  davanti  ad  occlusiva:  nd  diventa  nn 
del  tipo  quannè  per  «  quando  »,  mb  diventa  mm  in  gamma 
per  «  gamba  »  e  chiummè  per  «  piombo  »;  parallelamente 
NT,  MP,  NC  passano  in  nd,  mb,  ng  in  monde  «  monte  », 
romhè  «  rompere  »,  angora  «  ancora  »  ^^. 

Uscendo  dalla  fonetica  in  senso  stretto,  i  problemi  che 
richiamano  l'attenzione  sono  i  fatti  di  fonetica  sintattica, 
noti  anche  al  toscano  ma  appariscenti,  come  si  è  detto,  nel 
territorio  campano:  lo  bbìdè?  «  lo  vedi?  »,  o  ccasè  «  il 
cacio  »,  dà  bbuje  a  uno  «  dar  del  voi  a  uno  ».  L'articolo 
è  soltanto  del  tipo  lo  (non  del  tipo  il)  che,  in  buona  parte 
della  Campania,  perde  la  consonante  iniziale:  o  sole,  a 
luna.  Attraverso  l'uso  differenziato  dell'articolo  si  ha  la 
possibilità  di  creare  un  genere  neutro  per  i  sostantivi  di 
valore  collettivo  e  per  le  parti  del  discorso  sostantivate: 
o  bbedé  «  il  vedere  »  (cfr,  vede  «  vedere  »),  o  mmelè  ma 
o  canè^.  La  terza  persona  del  passato  remoto  termina 
nella  prima  coniugazione  in  -te  (penzajé  «  pensò  »),  -tene 
(penzajénè  «  pensarono  »);  nella  seconda  e  terza  invece  in 
-ETTE-ETTENÈ  con  l'aggiunta  di  un  elemento  -tt-  che  sembra 
avere  le  sue  origini  nel  perfetto  del  verbo  osco  ^''. 
L'infinito  ha  le  forme  senza  -re  dalla  frontiera  calabrese 
fino  alla  Toscana:  dà,  vede,  muri.  Come  forme  di  condi- 
zionale caratteristiche  si  possono  ricordare  da  Acerno  (Sa- 
lerno) vivera  si  ngi  fossi  l'acqua  «  berrei...  »,  da  Omignano 
mangiari,  s'avissi  fami  «  mangerei...  »  ^.  La  forma  normale 
comune  a  molte  altre  zone  del  meridione  è  il  tipo  can- 
tarla in  opposizione  a  quello  toscano  canterei. 

Per  le  ragioni  dette  prima  è  difficile  definire  un  vocabolo 
tipicamente  «  campano  ».  Più  conveniente  è  disporre  in 
una  serie  parole  campane  che  abbiano  una  estensione  pro- 
gressivamente decrescente.  Due  esempi  di  aderenza  al  pa- 
trimonio latino  sono  arte  per  «  mestiere  »,  per  esempio 
a  Ottaviano  arte.  Questa  parola  si  trova,  oltre  che  in  Cam- 

"  Cfr.  Marche  p.  75;  Umbria  p.  82;  Lazio  p.  91;  Abruzzo  p.  101. 
"  Rohlfs  II,  p.  108  sgg.  Cfr.  Umbria  p.  85;  Abruzzo  p.  98;  Basili- 
cata p.  132. 

"  Pisani.   //  sostrato  osco-umbro,  cit.,  p.    159   sg. 
"  Cfr.  Abruzzo  p.  103;  Calabria  p.  139;  Sicilia  p.  145  sg. 


Campania  117 

pania,  in  Puglia,  Lucania,  Calabria  e  Sicilia  occidentale, 
mentre  mestiere  si  trova  nelle  regioni  centro-settentrionali 
e  in  qualche  area  siciliana  ^^.  accidere  (per  «  ammazzare  ») 
appare  nel  napoletano  accìrérè,  che  è  campano,  abruzzese, 
apulo,  lucano,  pugliese,  mentre  ammazzare  è  settentrio- 
nale e  in  parte  calabrese,  e  scannare  calabrese  e  siciliano  '^. 
Affine  a  questi  è  il  tipo  mola  per  «  macina  »,  per  esempio 
a  Formicola  nel  nord  e  a  Omignano  nel  sud  della  regione, 
mentre  macina  lo  sostituisce,  per  es.,  nel  Lazio  e  in  To- 
scana, Puglia  e  Lucania'''.  Tra  le  parole  nuove  il  mastro- 
DASCIA,  napoletano  mastrérascé  per  «  falegname  »,  gravita 
tutto  verso  il  meridione  contro  il  falegname,  che  si  diffonde 
immediatamente  a  settentrione  e  oriente,  nel  Lazio,  Abruz- 
zo e  Puglia  ''-.  Così  il  tipo  cucitore  (nap.  cusètoré)  «  sar- 
to »,  che  prevale  nel  meridione,  contro  sartore  nel  Lazio 
e  nell'Abruzzo''^.  Diversa  la  figura  del  «fabbro».  Il  tipo 
ferraro,  napoletano  ferrare,  appartiene  all'area  campana 
e  laziale,  opponendosi  al  toscano  fabbro  e  al  calabrese 
FORGI  ARO ''^.  Ancora  diversa  la  situazione  della  «crusca», 
risalente  alla  base  mediterranea  brenno,  al  femminile 
a  vrennè  (Napoli).  Così  si  continua  nell'Abruzzo,  mentre 
si  ritrova  al  maschile  nell'area  ligure-piemontese.  È  invece 
in  contrasto  con  i  tipi  sémmola  del  Lazio  e  canigghia 
siculo-calabrese  ''5.  Si  arriva  così  a  una  delle  parole  più 
campane,  il  tipo  piancaro  per  «  macellaio  »,  napoletano 
chianghierè,  che  sorpassa  le  frontiere  della  regione  per  ar- 
rivare a  Lucerà  in  Puglia,  in  Lucania  a  San  Chirico  Ra- 
paro,  in  Calabria  a  Melissa;  ma  accanto  ad  essa  dob- 
biamo ricordare  guaglione,  una  parola  ormai  internazio- 
nalizzata, che,  pur  essendo  comune  anche  in  Calabria, 
viene  considerata  in  genere  come  tipicamente  napoletana  ^. 
Come  tipi  eterogenei  all'interno  della  stessa  Campania, 
sono    da    ricordare    le    denominazioni    del    «  cenciaiolo  », 


''  AIS  carta  199. 

^  AIS  carta  245. 

*'  AIS  carta  253. 

"2  AIS  carta  219. 

"  AIS  carta  251. 

"  AIS  carta  213.  Cfr.  Marche  p.  77. 

*'^  AIS  carta  257.  Cfr.  Piemonte  p.  7. 

"  AIS  carte  244.  46. 


118  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

CENCiARO  a  Gallo  nella  Campania  settentrionale,  pe- 
TACCiARO  nella  Campania  centrale  e  meridionale,  dal  pe- 
taccìaro  di  Formicola  al  pettsani  di  Omignano;  inoltre 
quello  del  «  succhiello  »,  dal  tipo  trivello  a  Facto  al 
tipo  BRiGALETTA  di  Napoli,  al  tipo  PREARA  a  Ottaviano, 
infine  al  tipo  spinola  a  Formicola  e  Colle  Sannita,  con 
continuazione  in  aree  estra-campane  ''^. 
Dobbiamo  ricordare  ancora  sosere  «  alzarsi  »  (anche  sici- 
liano), VICO  «  vicolo  »,  graré  «  scalino  »,  cenare  «  cresta  », 
kiicc'  «  coniglio  »  (solo  della  zona  montana)  ^,  rentè  «  vi- 
cino »  ''^,  mandèsìnè  «  grembiule  »  (anche  di  area  lucana 
e  calabrese  settentrionale)  ^  e  quello  sfizio  che  è  ormai 
passato  alla  lingua,  la  quale  non  ha  un  sinonimo  così 
sottilmente  evocativo  ^'. 

Ecco  qui  alcuni  testi  campani  tratti  dai  Parlari  italiani  in 
Certaldo  ^^•. 

Da  Napoli:  A  chille  tiempe  che  c'era  ó  primmo  Rre  a  Ci- 
pro, doppo  che  Gottifrè  de  Buglione  conquistaie  Terra  San- 
ta, 'na  signora  nobele  de  Guascogna  lette  'mpellerinaggio  a 
ó  Santo  Seburco,  e  po'  se  ne  tomaie  e  sbarcale  a  Cipro, 
e  là  cierte  birbante  scostumate  le  facettero  'no  brutto 
servizio.  (A  cura  di  Luigi  Settembrini). 
Da  Salerno:  Rico  runque,  ca  ai  tiempi  re  lu  primu  Rre  re 
Cipri,  ropp'  'a  presa  ra  'a  Terra  Santa  fatta  ra  Gottifrè  re 
Buglione,  succerette  ca  'na  signora  re  Guascogna  'n  pelle- 
grenaggio  lette  a  lu  Saburcro,  e  pò  tornanne,  'n  Cipri  arre- 
vata,  ra  alcuni  scellarate  vellanamente  fuie  'nzurdata.  (A 
cura  di  Giuseppe  Olivieri). 

Da  Avellino:  Nei  steva  'na  vota  'mmano  'ò  Re  'e  Cipro, 
ròppo  ca  fu  pigliata  'a  Terra  Santa,  'na  signora  chi  volivo 
i'essa  puro  a  visita'  'o  Santo  Seporgro;  e  mentre  sse  ne 
steva  pe'  beni,  l'ascerò   certi   'nnanti,  e  tanta   'ngiurie  e 


"  AlS  carte  204,  228. 

^«  AIS  carte  660,   843,   873.    1127,    1120. 

*'  M.  L.  Wagner,  Napol.  rentè,  renza,  Z.R.Ph.  39,  1919,  pp.  733-738. 

^  AlS  carta  573.  Cfr.  ].  Subak,  Sudit.  mandésinè,  etc,  Z.R.Ph.  22, 

1898,  pp.  531-532. 

"  E.  Malato.  Vocabolarietto  napoletano,  Napoli  1965,  p.  90. 

"  G.    Papanti,    !    parlari    italiani    in    Certaldo,    pp.    311    sg.;    368; 

369   sg.;    127. 


Campania  119 

male  parole  li  ricero,  ca  non  ze  ne  poteva  pròpito  cchiù. 
(A  cura  di  Clelia  Soldi). 

Da  Benevento:  Dico  mo',  che  ai  tiempi  d'  'u  primu  Rè  de 
Cipro,  doppo  che  fu  pigliata  Terra  Santa  da  Gufiredo  Bu- 
glione, succedivu  che  'na  signora  de  Guascogna,  juta  'n 
pellegrinaggio  a  'u  Santu  Sabburco,  fu  'a  venuta  che  fece, 
ntremente  passava  pe'  Cipro,  'ngiuriata  cume  'a  zùnzula 
da  certi  birbanti  sbreugnati.  (A  cura  di  Giuseppe  Man- 
ciotti-Cosentini). 

Per  Napoli  scegliamo  il  testo  di  un  autore  ormai  classico. 
Salvatore  di  Giacomo  ^^r 

Oi  pètteno,  che  piéttene 

'e  trezze  'e  Carulina, 

damme  nu  sfizio,  scippela  (strappala), 

scippela  na  matina! 

E  tu,  specchio  addo'  luceno 

chill'uocchie,  addo',  cantanno, 

ride  e  se  mmira,  appànnete 

mentre  se  sta  mmiranno. 


"  M.  Dell'Arco  e  P.  P.  Pasolini,  Poesia  dialettale  italiana  del 
novecento,  cit.,  p.  4.  Si  noti,  come  talvolta  nelle  traduzioni  della 
novella,  la  vocale  finale  indistinta  sia  resa  graficamente  con  a  oltre 
che  con  e. 


PUGLIA 


L'incontro  della  Puglia  con  la  tradizione  linguistica  ro- 
mana è  stato  complesso.  Una  prima  grande  divisione  si 
manifesta  attraverso  la  opposizione  fra  il  Salento  e  il  re- 
sto della  Puglia.  Il  Salento  ha  avuto  un'antica  popolazione, 
quella  messapica,  che  ha  mantenuto  la  sua  individualità 
linguistica  e  ha  subito  l'influenza  greca  solo  in  forma  su- 
perficiale ^  In  età  romana  ha  conservato  una  sua  auto- 
nomia anche  in  campo  economico,  come  ancora  mostrano 
i  suoi  insediamenti  sparsi.  Questo  sorprende  tanto  più  in 
quanto,  sul  piano  culturale,  il  Salento  era  così  aperto  a 
tutti  gli  orizzonti  che  Ennio,  salentino,  potè  dire  di  avere 
tre  «  cuori  »  ^,  corrispondenti  alle  tre  tradizioni  romana, 
greca  e  sannitica,  che  avevano  cooperato  alla  sua  for- 
mazione. 

Sono  ancora  vivi  nel  Salento  dei  dialetti  greci  la  cui  for- 
mazione è  stata  a  lungo  dibattuta  tra  gli  studiosi.  Ma 
l'influenza  greca  si  è  fatta  sentire  anche  nel  resto  della 
Puglia,  anche  se  l'elemento  culturale  che  le  ha  dato  un'im- 
pronta diversa  dal  Salento  è  legato  al  maggiore  peso 
del  fatto  sannitico.  Questo  ha  preparato  indirettamente  la 
precoce  fusione  di  elementi  indigeni  con  i  rappresentanti 
del  potere  lontano,  quello  di  Roma,  La  confederazione 
sannitica  aveva  infatti  instaurato,  fra  i  secoli  v  e  iv  a.C, 
una  unità  linguistica  in  lingua  osca  che  si  estendeva  al  di 
là  delle  frontiere  politiche  della  federazione  stessa.  Mo- 
nete di  Teano  Apulo  (oggi  Chieuti  in  provincia  di  Fog- 
gia) portano  iscrizioni  in  lingua  osca  ^.  Anche  se  si  trovano 
a  poca  distanza  dal  fiume  Fortore,  frontiera  verso  il  Mo- 
lise, esse  indicano  una  porta  aperta  ai  sanniti  verso  la 
Daunia  e  la  Puglia  in  genere,  anche  sul  piano  economico 

'  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  cit.,  p.  49. 

^  In  Gellio  XVII,  17. 

^  Devoto,  Gli  antichi  Italici,  cit.,  p.    175. 


Puglia  121 

e  politico.  Abituate  a  una  comunità  linguistica  superiore, 
le  varie  aree  della  Puglia  a  nord  della  linea  Taranto- 
Brindisi  si  inserirono  nella  tradizione  romana  come  un 
blocco.  Dal  primo  momento  sino  alla  fine  rimasero  in  con- 
tatto col  centro  e  con  le  varie  correnti  di  innovazioni  che 
ne  irradiavano.  A  nord  della  linea  Taranto-Brindisi  si  ha 
così  in  forma  definitiva  un  sistema  di  vocali  latino-volgari, 
non  solo  diverso  dal  salentino  e  identico  al  napoletano  *, 
ma  identico  a  quello  presupposto  da  tutto  il  resto  del  mon- 
do neolatino  occidentale,  sulla  base  di  nove  vocali. 
L'affermazione  della  latinità  non  si  è  manifestata  in  una 
forma  unitaria.  Il  primo  contatto  si  stabilisce  attraverso  la 
colonia  di  Lucerà  verso  il  315  a.C,  sulla  frontiera  nord- 
occidentale della  regione.  Il  secondo  coincide  con  la  fon- 
dazione di  quella  di  Venosa  sulla  frontiera  occidentale 
(oggi  in  territorio  lucano)  nel  291  a.C.  Il  terzo  è  dato 
dalla  conquista  di  Brindisi  (267  a.C),  dove  fu  poi  fon- 
data un'altra  colonia  di  diritto  latino.  Fino  a  questo  mo- 
mento l'itinerario  che  collegava  Roma  alla  Puglia  attra- 
versava l'Abruzzo  e  cioè  raggiungeva  la  Puglia  da  set- 
tentrione. Solo  dopo  la  fine  delle  guerre  sannitiche  l'iti- 
nerario precedente  fu  sostituito  da  quello  più  agevole,  at- 
traverso il  Sannio,  che  si  appoggiava  alla  colonia  di  Be- 
nevento fondata  nel  268  a.C.  e  alla  prosecuzione  della  via 
Appia^.  Questa  si  affacciò  alla  frontiera  di  Venosa  in- 
torno al  190  a.C.  Intorno  a  questo  stesso  tempo  le  co- 
lonie si  arricchirono  di  altre  due  fondazioni,  quella  di  cit- 
tadini a  Neptunia  presso  Taranto  e  quella  di  Siponto  (194) 
nei  pressi  di  Manfredonia.  Nessuna  colonizzazione  si  re- 
gistra invece  nel  Salento. 

La  distinzione  fra  Salento  e  Puglia  propriamente  detta 
risalta  dai  tre  elementi  fondamentali:  a)  nel  Salento  si 
parte  da  un  sistema  di  vocali  di  tipo  analogo  a  quello 
siciliano,  fondato  cioè  sulla  distinzione  di  sette  vocali  nel 
latino  volgare  e  cioè  di  a,  e  aperta  e  chiusa,  o  aperta  e 
chiusa,  più  una  sola  varietà  di  i  e  di  u  ^.  La  innovazione 


*  Cfr.  Campania  p.  108  sgg. 

^  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit.,  p.   146  sgg. 

*  A  Taranto  e  a  Francavilla  Fontana  E  aperta  e  e  chiusa  (da  lat. 


122  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

posteriore  per  cui  si  distingue  anche  una  i  aperta  e  chiusa 
e  una  u  aperta  e  chiusa  non  ha  ohrepassato  la  Hnea 
Taranto-Brindisi  ^  Perciò  nel  Salento  si  ha  pila  filli  senza 
distinguere  la  i  breve  della  prima  e  la  i  lunga  della  se- 
conda parola,  non  diversamente  da  captili  fili.  Analogamen- 
te in  surdii  fuma  non  si  distingue  la  u  breve  della  prima  e 
la  u  lunga  della  seconda.  Viceversa  la  o  chiusa  si  distingue 
dalla  aperta,  al  punto  di  confondersi  anch'essa  con  la  u, 
per  esempio  in  fiuri  (da  o)  muri  (da  u)  ^;  b)  il  secondo 
carattere  è  dato  dalla  mancanza  di  metafonia  nella  sua 
forma  classica  condizionata  dalla  -ù  finale  in  casi  in  cui 
essa  è  invece,  nell'Italia  centro-meridionale,  caratteristica; 
a  Lecce  si  ha  chistu  chista  per  «  questo  questa  »  di  fronte 
allo  schema  del  territorio  della  zona  posta  piìi  a  nord 
che  si  fonda  sulla  opposizione  di  chistu  rispetto  a  chesta  '. 
e)  La  terza  differenza  sta  nella  chiara  pronuncia  delle 
vocali  finali  nel  Salento  di  fronte  alla  pronuncia  oscurata 
in  E  a  nord  di  una  linea  che  approssimativamente  con- 
giunge Carovigno  a  oriente  e  Palagiano  a  occidente  ^°. 
Questa  differenziazione  areale  viene  ulteriormente  acuita 
da  un  nuovo  elemento  che  caratterizza  la  Puglia  anche 
verso  l'entroterra  napoletano.  Si  tratta  del  cosiddetto 
«  frangimento  vocalico  »,  proprio  delle  coste  adriatiche, 
che  contemporaneamente  lega  la  Puglia  ai  tipi  abruzzesi  ^K 
Questi  frangimenti  si  rivelano  come  novità  successive  ri- 
spetto ai  fatti  metafonetici  e  vanno  quindi  illustrati  in 
un  quadro  unico.  Da  un  punto  di  vista  storico,  essi  non 
hanno  perciò  niente  di  comune  con  la  influenza  sanni- 
tica,  e  trovano  paralleli  invece  sulle  coste  adriatiche  an- 


É,  i)  come  o   aperta  e  o  chiusa   (da   lat.  ò,  ù)   sembrano  confluite 
insieme  da  epoca  antica.  Cfr.  Basilicata  p.   130. 
'  Parlangeli,    Storia    linguistica    e   storia    polìtica    nell'Italia    meri- 
dionale, p.   37   sgg. 

'  D'Elia,  Ricerche  sui  dialetti  salentini,  p.  139  sgg.;  Mancarella, 
Arcaicità  del  sistema  vocalico  salentino,  p.  IH  sgg. 
'  Sul  complesso  problema  delle  opposizioni  su  base  metafonetica 
nel  Salentino  cfr.  ancora  Parlangeli,  Storia  linguistica  e  storia 
politica...,  p.  48  sgg.;  Mancarella,  Arcaicità  del  sistema  vocalico 
salentino,  p.  118  sgg. 

'"  Rohlfs    I,  pp.    183   sg.;    187   sg.;   Melillo,  Atlante  fonetico  pu- 
gliese (=  Melillo),  pp.  28  e  63. 
"  Cfr.  Abruzzo  p.  100  sg. 


Puglia  123 

che  dell'altra  sponda,  come  chiaramente  appare  nel  dia- 
letto  preveneto   della  Dalmazia  '^. 

Ad  Andria  la  i  chiusa  si  frange  in  òi,  qualunque  sia  la 
sua  origine;  perciò  il  frangimento  colpisce  sia  una  forma 
corrispondente  all'italiano  gallina  con  i  primitivo,  sia  una 
derivata  dal  lato  pleniis  che  è  diventata  *  chino  sotto  in- 
fluenza metafonetica;  risultato  comune  è  saddòinè,  chioiné. 
Analogamente,  sempre  ad  Andria,  moiilè,  sdul'é  mostrano 
la  stessa  vocalizzazione  «  franta  »  òu,  anche  se  nella  pri- 
ma parola  si  tratta  di  una  u  chiusa  primitiva  (tose,  mulo) 
e  nella  seconda  di  una  u  metafonetica  derivata  da  una 
antica  o  chiusa  (tose.  solo).  Come  esempi  di  frangimenti 
di  vocali  non  metafonetiche  valgono  quelli  di  e  chiusa 
in  AI,  per  esempio  in  chiàine  «  piena  »;  di  o  chiusa  in 
AU.  per  esempio  in  saule  «  sola  »  '^. 

A  Bitonto  si  ha  parallelamente  il  frangimento  nel  caso  di 
chioiné  «  pieno  »  in  cui,  sotto  influenza  metafonetica,  la  E 
chiusa  è  diventata  i,  e  di  foichè  «  fico  »  in  cui  la  i  chiusa 
era  primitiva.  Fuori  di  azione  metafonetica  si  ha  il  fran- 
gimento di  E  chiusa  in  ai,  ad  esempio  in  ghiaivé  «  gleba  », 
naivé  «  neve  ».  Viceversa,  il  frangimento  in  lu  colpisce 
sia  una  u  chiusa  primitiva  in  liucè,  criutè  «  luce  »  «  cru- 
do »,  sia  una  u  metafonetica  in  niutè  «  nodo  »,  che  risale 
a  sua  volta  a  una  o  chiusa  ^^. 

Ecco  una  serie  di  altri  frangimenti:  dalla  u  chiusa  di 
fusus  si  ha  tanto  a  Vico  del  Gargano  come  a  Martina 
Franca  fàusé,  a  Ruvo  fèusè,  a  Trani  fousé.  Da  i  chiusa  si 
ha  a  Martina  Franca  fareinè  «  farina  »,  a  Molfetta  mareitè 
«  marito  »,  a  Bitonto  volte,  a  Trani  foilè  «  filo  ».  Da  E 
chiusa  a  Lucerà  seirè  «  sera  »,  a  Trani  sairé;  da  o  chiusa 
si  ha  a  Lucerà,  Barletta  e  Martina  Franca  soulé  «  sole  », 
a  Alberobello,  Andria  e  Ruvo  saulé,  a  Trani  vaucè  «  vo- 
ce »  ''.  Significativo  poi  è  il  processo  di  palatalizzazione 
della  a,  specialmente  nella  parte  settentrionale  della  regio- 
ne, sia  pure  in  condizioni  varie,  dipendenti  ora  dalla  strut- 
tura   della    sillaba    ora    dalla    posizione    dell'accento.    Un 

'^  Devoto,    L'Italia    dialettale,    p.    102.    Cfr.    anche    Friuli-Venezia 

Giulia,  p.  50. 

"  Melillo,  pp.  3,  37   e   38. 

'"  Melillo,  pp.  34,  36,  37. 


•"    IVIELILLO,    pp.    J't,    JO,    J/. 

'^  Melillo,  p.  1  sgg.;  32  sgg. 


124  7  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

esempio  estremo  è  quello  di  Bitonto,  dove  la  palatalizza- 
zione si  associa  al  frangimento,  e  dal  latino  frater  si  ha 
jreutè  e  da  pala  si  ha  peulè  ^^. 

Per  quello  che  riguarda  il  trattamento  delle  vocali  e  e  o 
aperte,  il  Salente  mostra  come  tutto  il  Meridione  la  dit- 
tongazione su  base  metafonetica  che  appare  anche  nelle 
sillabe  chiuse  (cfr.  vìenti  «  venti  »,  cierchi  «  tu  cerchi  »)  ^'. 
La  novità  consiste  nella  dittongazione  da  o  che  si  assesta 
nella  forma  dissimmetrica  di  uè  come  in  biienu  bueni.  Ven- 
gono quindi  a  crearsi  fatti  di  opposizione:  per  esempio 
a  Francavilla  Fontana,  in  cui  si  ha  niervu  dittongato  sotto 
l'azione  della  -ù  finale,  di  fronte  a  scela  «  gela  »;  così, 
per  l'antica  o  aperta,  luecu  «  luogo  »  in  condizione  me- 
tafonetica ma  nora  «  nuora  »  fuori  di  metafonia  ^^. 

Nel  campo  delle  consonanti,  il  Salento  mostra  la  sua 
singolarità  attraverso  la  sopravvivenza  dei  gruppi  nd  o 
MB  (che  nel  resto  della  Puglia  sono  stati  travolti  nella  so- 
luzione sannitica  generalizzata  in  tutta  l'Italia  centro- 
meridionale,  ma  non  in  Toscana)  secondo  il  rapporto 
di  quannè  e  quandu  '^.  Parallela  è  la  fortuna  dei  tipi 
angora  sandu  invece  di  ancora,  santo.  Caratteristico  di 
gran  parte  della  zona  pugliese,  come  della  Lucania  orien- 
tale, è  il  passaggio  di  t  (da  g  o  y  latino)  a  l:  così  sa- 
lent,  scinucchiu  «  ginocchio  »,  scire  «  andare  »  (cfr.  it. 
gire)  ^.  Soluzione  meridionale  qui  ben  presente,  è  quella 
di  chiù  per  «  più  »,  di  tipi,  per  esempio  di  Cerignola,  come 
saccè  «so»,  da  un  antico  sapio  ^^.  Di  nuovo  radici  nel 
Salento  hanno  soluzioni  arieggianti  alle  siciliane  come  il 
passaggio  da  -ll-  a  -pp-  cacuminale  che  raggiunge  poi  aree 
pugliesi  più  settentrionali  come  Cerignola,  dove  si  pronuncia 
DD  dentale;  analogamente  il  passaggio  del  gruppo  stru  a 
sciu,  come  in  masciu,  fenescia  «  maestro  »  «  finestra  »  a 
Lecce  ^.  Complicazioni  —  comuni  del  resto  ad  altri  dia- 

'*  Melillo,  p.  32. 

"  Mancarella,  Arcaicità  del  sistema  vocalico  salentino,  p.  118  sgg. 

"  Ribezzo,  //  dialetto  di  Francavilla  Fontana,  p.  21  sgg.;  e  passim. 

"  D'Elia,   Ricerche  sui  dialetti  salentini,  p.    134   sgg.;    150  sgg. 

«  Rohlfs  I.  pp.  211;  214  sg. 

^'  Rohlfs  I,  p.  400;  N.  Zingarelli,  //  dialetto  di  Cerignola,  A.G.I. 

15,  1899,  pp.  83-96  (cfr.  p.  90  sgg.). 

"  Rohlfs  I,  pp.  328  sg.;  259.  Cfr.  Campania  p.   114;   Calabria  p. 

137;  Sicilia  p.  146;  Sardegna  p.  161. 


Puglia  125 

letti  meridionali  —  derivano  dal  gruppo  gn  che  appare  ad 
esempio  (nelle  forme  corrispondenti  al  toscano  legno)  come 
liune  a  Lecce,  lioné  a  Bari,  livenè  a  Cerignola  ^. 

Nella  morfologia  sono  da  ricordare  i  plurali  del  tipo  in 
-ORA,  che  mirano  a  dare  al  segnale  relativo  una  consistenza 
insidiata  dalla  declinante  chiarezza  delle  finali  nella  Pu- 
glia non  salentina:  tali  gli  esempi  a  Bari  di  sanare 
«  santi  »,  a  Bitonto  di  gratèré  «  gradi  »  o  addirittura  a 
Lecce  in  accèddiri  «  uccelli  »  ^*.  Nella  sintassi,  al  di  fuori 
dei  caratteri  comuni  a  tutto  il  Mezzogiorno,  è  da  ricordare 
l'uso  dell'imperfetto  indicativo  al  posto  del  condizionale 
nelle  aree  meridionali  e  centrali  della  Puglia  (per  esempio 
nel  barese  vèlevè  «  vorrei  »),  mentre  nella  zona  settentrio- 
nale, come  in  Abruzzo  e  in  parte  in  Campania,  si  adopera 
con  lo  stesso  valore  l'imperfetto  congiuntivo  ^^.  Nella  parte 
meridionale  della  regione  appare  poi  una  forma  sostitu- 
tiva dell'infinito,  preceduta  da  cu  (risalente  al  latino 
quomodo):  ojjii  cu  bbau  «voglio  che  vado»  e  cioè  «vo- 
glio andare  »  ^. 

Se  si  prescinde  dai  termini  di  origine  greca  non  troviamo 
—  e  non  ci  aspettiamo  di  trovare  —  molte  parole  da  clas- 
sificare come  «  pugliesi  ».  La  Puglia  partecipa  infatti  di 
quel  lessico  meridionale  di  cui  abbiamo  dato  vari  esempi, 
ai  quali  possiamo  aggiungere  crai  «  domani  »,  pica  «  gaz- 
za »,  SOCRA  «  suocera  »  ^.  Un  caso  particolare  come  ai- 
tane «  padre  »  ^*  (una  voce  derivata  dal  lat.  atta  col 
suffisso  -NE  che  si  applica  a  voci  di  parentela^)  non  re- 


"  Rohlfs  I,  p.  368  sg. 
^*  Cfr.  Abruzzo  p.  103;  Basilicata  p.  132. 

"  Rohlfs  II,  p.  349;  Parlangeli,  Storia  linguistica  e  storia  po- 
litica..., p.  77  sgg.  V.  meglio  G.  Rohlfs,  Su  alcuni  calchi  sintattici 
dal  greco  nell'Italia  meridionale,  in  Studi  e  ricerche  su  lingua  e  dia- 
letti d'Italia,  cit.,  1972,  pp.  306-317. 

"  Parlangeli,  Storia  linguistica  e  storia  politica...,  p.  81  sgg.; 
G.  Rohlfs,  La  perdita  dell'infinito  nelle  lingue  balcaniche  e  nel- 
l'Italia meridionale,  ora  in  Studi  e  ricerche...  cit.,  1972,  pp.  318- 
332. 

"  AIS  carte  347,  503,  32. 
"  AIS  carta  5. 
^  Rohlfs  II,  p.  20  sg. 


126  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

sta  chiuso  nei  limiti  regionali;  né  d'altra  parte  copre 
tutto  il  territorio,  dato  che  nella  penisola  salentina  il  ter- 
mine è  sostituito  dal  tipo  di  importazione  normanna, 
SIRE  ^.  Nel  caso  di  fazzatora  «  madia  »  è  interessata  an- 
che la  Lucania  settentrionale,  nel  caso  di  Iota  «  fango  » 
(femminile!)  l'Abruzzo  meridionale ^^  Una  peculiarità  in- 
teressante perché  isolata  nell'ambito  italiano  è  data  dal 
tipo  NAVicuLA  per  «  culla  »  delle  aree  pugliesi  settentrionali, 
mentre  il  resto  della  regione  partecipa  del  tipo  naca,  di 
origine  greca,  comune  a  tutto  il  Mezzogiorno  ^2.  Possiamo 
notare  ancora,  oltre  a  gregne  «  covone  »,  a  agghiattà  «  ab- 
baiare »  ^^,  al  salentino  fitii  «  trottola  »  che  sembra  aver 
connessioni  nel  sardo  ^^,  due  termini  come  specchia  e 
truddii,  il  «  mucchio  di  sassi  »  e  la  «  tipica  costruzione  dal 
tetto  conico  »  ^^,  che,  al  di  là  del  loro  interesse  etimologico, 
riescono  ad  evocare  aspetti  ambientali  caratteristici  di  que- 
sta terra. 

Alcuni  esempi  di  testi  sono  tratti  ancora  dal  volume  del 
Rapanti,  /  parlari  italiani  in  Certaldo  ^^; 
Da  Lecce:  Dice  ca  era  'na  fiata,  e  bera  'nu  Re.  Lu  chià- 
manu  lu  Re  di  Cipriu,  ca  Cipriu  era  lu  Regnu  sou,  e  foi  lu 
primu  de  quandu  Guffredu  Bugghione  'scìu  e  sse  'mpusses- 
sau  de  Gerusalemme.  A  ddri  tiempi,  e  tandu  propriu  'na 
signura  'rande  de  Wascogna  fìce  'otu  bascia  pellegrenandu 
fenca  a  lu  Seburcu  de  Nostru  Signore.  (A  cura  di  Sigismon- 
do Castromediano). 

Da  Ostuni:  Alli  tiempe  de  lu  prime  Rré  de  Cipre,  doppe 
lu  comquistamiente  ce  fésce  de  la  Terra  Santa  Goffrede 
de  Vhugghione,  assuccedètte  ca  na  signura  de  Guascogna 
da  pellegrina  sci  allu  Sebbulch  de  Criste,  da  ddove  retur- 

^  P.  Aebischer,  Un  mot  d'origine  normande  dans  les  dialectes  des 
Pouilles,  A.R.  22,   1938,  pp.  357-363. 
^'  AIS  carte  238,  849. 
"  AIS  carta  61. 
"  AIS  carte  1454,  1099. 

"  O.  Parlangeli,  Sardo  fittulu,  salentino  fitu,  I.D.  24,  1960-61,  p. 
158. 

"  V.  rispettivamente   G.  Alessio,  Osservazioni  sidle  specchie  pu- 
gliesi.  Studi  Salentini  2,   1956,  pp.   74-78,  e   G.   Rohlfs,   Primitive 
costruzioni  a  cupola  in  Europa,   Firenze   1963. 
"  Rispettivamente  alle  pp.  480  sgg.;   487   sg;    178   sg. 


Puglia  127 

nanne,  arrevata  a  Cipre,  da  cièrte  scrianzate  vastasune  fue 
trattata  pésce  de  na  mùsceta.  (A  cura  di  Arcangelo  Lote- 
soriere). 

Da  S.  Giovanni  Rotondo  (Foggia)  :  Dichi  dungu  che  allu 
tempu  dullu  primu  Rignanti  di  Cipri,  dopu  la  conquista 
dilla  Tarra  Santa  fatta  da  Guttufrè  di  Buglion,  succiasse 
che  na  signora  dilla  Guasconia  ì  allu  pilligrinaggiu  dilli 
Sibullicu,  e  da  dà  turnan  a  Cipri  arrivata,  da  ciarti  scilli- 
rati  omini  villanamant  fui  ultraggiata.  (A  cura  di  Raf- 
faele Cafiero). 

Scegliamo  tra  i  vari  dialetti  pugliesi  il  tarantino  di  cui 
diamo  un  esempio  nei  versi  seguenti,  di  Cataldo  Acqua- 
viva  ^^: 

Vògghje  cu  ccande  'u  mare 

quanne  stè  calme,  e  ppare 

'na  tàule,  'nu  spècchje, 

ca  pìgghje  e  'gande  l'uècchje, 

e  'ndènnere  te  face 

'na  mùseche  de  pace 

'nu  prijesce  (gioia),  ussignerìe, 

de  core  'mbijett'a  DDie! 


"  C.  AcQUAViVA,  Fronne  o'  vijende,  Roma   1963,  p.  62. 


BASILICATA 


Le  tre  colonie  fondate  dai  romani  in  territorio  lucano, 
Pesto  nel  273  a.C,  Bruxentum  nel  194,  Forum  Popili  (oggi 
Polla)  nel  132  si  trovano  oggi  in  provincia  di  Salerno,  e 
cioè  in  territorio  campano;  Forento  e  Silvio,  ai  margini 
settentrionali  del  territorio  lucano.  Venusta,  oggi  Venosa, 
fondata  nel  291  a.C,  antica,  importante,  lasciava  in  dub- 
bio il  suo  cittadino  Orazio  «  lucanus  an  apulus  anceps  »  ^ 
e  cioè  parimenti  lucano  e  apulo.  Solo  Grumento,  fondata 
in  età  graccana  nella  Lucania  meridionale,  ha  rappresen- 
tato qui  un  fattore  costante  e  omogeneo  di  latinizzazione  ^. 
Questa  è  stata  poi  alimentata  essenzialmente  dalla  via 
Appia,  che,  dai  primi  del  secondo  secolo,  attraversò  tutta 
la  parte  settentrionale  della  regione,  e  costituì  un  innega- 
bile fattore  di  livellamento  linguistico^.  Di  questo  riman- 
gono i  caratteri  non  solo  genericamente  neolatini  ma  an- 
che meridionali,  come  la  metafonia  da  -i  e  da  -ù  finali, 
con  le  conseguenti  opposizioni  di  un  singolare  mese  e 
di  un  plurale  mise,  di  un  singolare  nèpotè  e  di  un  plu- 
rale nèputè,  di  un  femminile  sekkè  di  fronte  a  un  ma- 
schile sikkè,  di  un  femminile  rosse  di  fronte  a  un  maschile 
russe*.  Analoghi  sono  (a  Matera)  i  risultati,  non  tipica- 
mente lucani  ma  generalmente  meridionali,  di  quannè  per 
«  quando  »,  di  calle  per  «  caldo  »,  di  puvrieddè  per  «  po- 
verello »  ^. 


'  Serm.  II,  1,  34. 

^  Sulle    colonie    romane    in    Lucania    cfr.    Beloch,    Ròmische    Ge- 

schichte,  cit.,  pp.  402  sgg.;  591  sgg. 

^  Pais,  Storia  interna  di  Roma,  cit.,  p.   146  sgg.;   De  Felice,  La 

romanizzazione  dell'estremo  Sud  d'Italia,  p.  267  sgg. 

*  Cfr.  Campania  p.  110  sg.  e  v.  Lausberg,  Die  Mimdarten  SUdluka- 

niens,  (=   Lausberg),  p.  1  sgg. 

'  Festa,  //  dialetto  di  Matera,  pp.  150  e  143.  Cfr.  anche  Melillo, 

Atlante  fonetico  lucano,  p.  101  sgg. 


Basilicata  1 29 

Di  fronte  a  questa  regolarità  meridionale,  la  originalità 
dei  dialetti  lucani  risalta  per  alcuni  caratteri.  Il  primo  è 
rappresentato  dall'arresto  sulla  frontiera  calabrese,  in  una 
zona  più  o  meno  ampia,  delle  successive  correnti  latine 
che  hanno  portato  il  sistema  delle  vocali  da  cinque  a  nove. 
La  scarsa  intensità  delle  comunicazioni  per  via  di  terra  fra 
Roma  e  la  Calabria  ha  fatto  sì  che  si  sia  conservato  nella 
zona  impervia,  da  Matera  sul  Mar  Tirreno  a  San  Chirico 
Raparo  nel  cuore  della  regione  lucana  meridionale,  un  si- 
stema di  vocali  di  tipo  sardo,  e  cioè  di  sole  cinque  vocali, 
senza  alcuna  nozione  della  differenza  fra  vocali  aperte  o 
chiuse*^.  In  questa  zona  si  dice  perciò,  a  differenza  del 
toscano,  pici  per  «  pece  »  come  nel  latino  picem.  La  i 
breve  del  latino  è  trattata  come  la  lunga  di  filli,  perché 
in  questa  zona  l'equilibrio  del  sistema  vocalico  non  è  stato 
ulteriormente  disturbato  dall'arrivo  della  distinzione  fra 
I  aperte  e  chiuse.  Rimane  intatta  la  differenza  fra  i  breve 
e  E  chiusa,  per  cui  si  ha  in  questa  zona  creta  ben  distinta 
da  pici,  mentre  in  toscano  creta  e  pece  hanno  confuso  le 
due  vocali  in  una  unica.  Così  la  u  breve  di  mici  «  noce  » 
non  si  distingue  dalla  lunga  diciamo  di  fumu,  mentre  nel 
toscano  noce  ancora  una  volta  la  u  breve  (e  aperta)  del 
latino  volgare  nucem  si  oppone  alla  lunga  (e  chiusa)  di 
fumo.  Inversamente  la  o  lunga  di  soli  «  sole  »  non  si  di- 
stingue in  partenza  da  quella  diciamo  di  focu,  ma  sì  dalla 
u  breve  di  nuci,  con  la  quale  invece  il  toscano  l'ha  con- 
fusa (noce,  sole)"^. 

A  questo  primo  carattere  che  accomuna  per  la  sua  conser- 
vatività questa  zona  con  la  Sardegna  *,  si  accompagna 
un'altra  forte  limitazione  alla  irradiazione  della  influenza 
latina  a  mezzogiorno  della  Via  Appia,  con  un  sistema  vo- 
calico, unico  in  Italia,  che  trova  invece  riscontro  niente- 
meno che  in  Romenia  ^.  Si  tratta  di  un  sistema  dissimme- 
trico, che  conosce  la  differenza  di  vocali  aperte  e  chiuse 


*  H.  Lausberg,  Beitrdge  zur  italienischen  Lautlehre,  Roman.  Forsch. 
61,  1948,  p.  300  sg.;  Battisti,  Nuovi  indirizzi  collettivi  nella  dia- 
lettologia italiana,  p.  59  sg. 

'  Lausberg,  pp.  13  sgg.;  47  sgg.;  59  sgg.;  81  sgg. 
'  Cfr.  Sardegna  p.    159.  V.   anche   Campania   p.    109;    Calabria  pp. 
135;   138 
'  Lausberg,  pp.  47  sg.;  84  sg. 


130  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

nel  caso  di  e  o  i,  ma  non  di  u:  una  situazione  che  era 
già  stata  descritta  dal  grammatico  Consenzio  del  v  se- 
colo d.C.  A  Castelmezzano  e  nella  zona  adiacente,  imme- 
diatamente a  oriente  di  Potenza,  si  dice  pece  secondo  il 
modello  regolare  e  non  pici  come  in  corrispondenza  della 
frontiera  calabrese:  la  distinzione  di  una  i  aperta  e  chiusa 
vi  è  nota.  Ma  si  dice  anche  criicè,  nucè  come  sulla  fron- 
tiera calabrese,  senza  distinguere  queste  parole,  risalenti  a 
una  u  breve,  da  un  tipo  come  fumé,  risalente  a  una  u 
lunga  ^^.  La  distinzione  fra  una  u  aperta  e  chiusa,  contra- 
riamente a  quanto  è  avvenuto  per  la  i,  non  ha  raggiunto 
questa  zona.  Che  non  sia  una  bizzarria  è  provato  dal  fatto 
che,  anche  nella  antica  Dacia,  l'ultima  innovazione,  quella 
che  introduce  la  distinzione  di  vocale  aperta  e  chiusa  per 
la  u,  non  è  mai  arrivata.  Si  deve  infine  mettere  in  rilievo 
che  la  Lucania  nord-orientale  (come  alcune  zone  della  Pu- 
glia e  del  Cilento)  conosce  un  tipo  semplificato  di  voca- 
lismo che  unifica  i  risultati  di  i  breve  e  di  e  breve  e  lunga, 
di  u  breve  e  di  o  breve  e  lunga  latina  '^  e  che  a  nord  della 
zona  «  a  vocalismo  sardo  »  si  estende  un'area  limitata  «  a 
vocalismo  siciliano  »  ^^. 

Una  terza  linea  di  confine,  interna,  divide  i  dialetti  lu- 
cani. Nella  regione  orientale  e  settentrionale,  i  dialetti 
lucani  si  allineano  con  quelli  campani  e  pugliesi  nella  pro- 
nuncia indistinta  della  vocale  finale,  indicata  qui  con  il 
segno  E.  Molto  limitatamente,  nella  parte  prevalentemente 
sud-occidentale,  si  ha  invece  la  pronuncia  chiara  di  tipo 
salentino  e  siciliano  '^.  Anche  in  questo  si  deve  vedere  una 
minore  pressione  dell'accento  di  intensità,  che  irradia  dalla 
via  Appia.  Come  rappresentanti  dei  due  atteggiamenti  si 
possono  considerare  da  una  parte  Matera  con  pronunce 
del  tipo  nache  «  culla  »,  piicrè  «  pecora  »,  ore  «  oro  »  e 
all'estremità  opposta,  a  Maratea,  ronna  «  donna  »,  leggi 
«legge»,  prima  «  primo  »  ^''.  Inversamente  la  regione  lu- 
cana nord-orientale  si   apre   a   contatti  pugliesi:    tale,   ad 

'"  Lausberg,  p.  44. 

"  Lausberg,  pp.  50  sgg.;  84  sg.  Cfr.  Puglia  p.  121  sg. 

'^  Cfr.  Campania  p.   109  e  v.  Franceschi,  Postille  alla  Historische 

Grammatik...  di  G.  Rohlfs,  p.  154  (cartina  p.  155). 

"  Rohlfs  I,  pp.  183  sg.;   187  sg. 

''•  Melillo,  Atlante  fonetico  lucano,  p.  2. 


Basilicata  131 

esempio  a  Matera,  è  il  passaggio  a  ij  della  i,  non  importa 
se  primitiva  o  di  origine  metafonetica:  piilé  «  pelo  »  con 
I  di  origine  metafonetica,  o  fiile  «  filo  »  con  i  primitiva  '^. 
Altro  elemento  caratteristico  è  dato  infine  dalla  pesante 
pressione  delle  colonie  gallo-italiche  della  regione  di  Po- 
tenza (Picerno,  Tito)  ^^,  che  hanno  agito  specialmente  in 
due  direzioni:  da  una  parte,  sovrapponendo  alla  normale 
metafonia  una  forma  di  metafonia  più  attenuata,  eviden- 
temente da  loro  importata  dal  Nord;  diffondendo  dall'altra 
una  lenizione  delle  consonanti  intervocaliche,  che  raggiun- 
ge le  rive  del  Tirreno  presso  Maratea. 
La  metafonia  è  più  attenuata  perché,  contro  l'uso  nor- 
male della  regione,  si  fonda  solo  sulla  azione  della  -ì 
finale,  e  non  su  quella  di  -ù:  rispetto  all'italiano  «  porco  » 
si  ha  a  Picerno  porche  con  la  o  non  influenzata  dalla 
finale  -u,  ma  al  plurale  si  ha  pure'  «  porci  »  con  la  o  in- 
fluenzata dalla  finale  -i;  così  per  «  zoppo  »,  «  zoppi  »  si  ha 
zopp  ma  zìipp  ".  Analogamente  a  Trecchina  si  hanno  le 
vocali  ECO  intatte  davanti  a  finale  in  -u,  per  esempio  in 
fredda,  mortu,  ma  mutate  (con  chiusura  o  dittongamento) 
in  friddi,  niuorti,  davanti  alla  finale  -i  '*. 
Per  quanto  riguarda  la  lenizione,  sono  vistosi  gli  esempi 
di  Tito  e  di  Trecchina  come  i  seguenti:  la  e  sonorizzata 
in  fuoghu,  nevègha,  stòmiighii  o  eliminata  come  in  lardia 
«ortica»,  modia  «mollica»,  mia  «mica»;  la  p  passata 
in  V  come  in  savé  «  sapere  »,  rava  «  rapa  »,  cavegli  «  ca- 
pelli »,  cèvoda  «  cipolla  »,  infine  cava  «  gugliata  »,  pro- 
priamente «  capo  »;  la  T  in  dh,  sempre  a  Tito  o  Trecchina, 
in  névodhi  «  nipoti  »,  prévidhu  «  prete  »,  maridhu  «  mari- 
to »,  sedhi  «  sete  »  '^. 

Questo  ciclo  è,  in  certe  zone,  violento  ma  breve.  Dopo  la 
lenizione  settentrionale  che  muta  t  in  d  può  intervenire  il 


"  Festa,  //  dialetto  di  Matera,  p.  137  sg.  Cfr.  Melillo,  Atlante  fo- 
netico lucano,  pp.  12;  24. 

'*  Rohlfs,  Galloitalienische  Sprachinseln  in  der  Basilicata,  p. 
249  sgg.;  Galloitalieniscl^e  Spraclììiolonien  am  Golf  von  Policastro 
(Lucania),  p.  79  sgg. 

"  Rohlfs,  Galloitalienische  Sprachinseln...,  p.  254  sg. 
"  Rohlfs,  Galloitalienische  Sprachkolonien...,  p.  87. 
"  Rohlfs,  Galloitalienische  Sprachinseln...,  p.  260  sgg.;  Galloitalie- 
nische Sprachkolonien...,  p.  88  sg. 


132  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

passaggio  locale  da  questa  d  secondaria  a  r:  così  a  Po- 
tenza carena  da  «  catena  »  attraverso  *caDena;  sera  «  se- 
ta »  attraverso  *seDa,  nèvorè  «  nipote  »  attraverso  *ne- 
poDe;  o,  a  Picerno,  prarè  «  prato  »  attraverso  *  praDe,  rera 
«  rete  »,  attraverso  *reDa,  mere  «  mietere  »  attraverso  *me- 
Dere,  vira  «vite»  attraverso  *viDa^. 

Attraverso  questi  elementi  si  delineano  così  tre  aree  che 
M,  Melillo  ha  proposto  di  chiamare  «  apula  »  a  setten- 
trione e  a  oriente,  «  appenninica  »  a  occidente  e  a  mezzo- 
giorno, «  calabro-sicula  »  lungo  la  frontiera  calabrese  ^^ 
Appare  chiara  così  in  pieno  Medioevo  una  analogia  con 
le  vicende  dell'antichità.  Il  territorio  lucano  che  aveva  spe- 
rimentato un  processo  di  espansione  orizzontale,  quella 
degli  enotri  (da  oriente  a  occidente)  seguita  poi  da  quella 
verticale  sannito-lucana  da  nord  a  sud  ^,  ha  sperimentato 
più  tardi  di  nuovo  una  espansione  orizzontale,  quella  ro- 
mana, da  occidente  verso  oriente  lungo  l'asse  della  via 
Appia,  a  cui  succede,  durante  l'età  longobarda  o  anche 
normanna,  quella  sopra  delineata  da  nord  a  sud. 

I  caratteri  morfologici  sono  meno  tipici:  tali  i  plurali  in 
-ÈRE  quali  jratèrè  «  fratelli  »,  jàtterè  «  gatti  »  secondo  il 
tipo  di  toscano  campora  per  «  campi  »^.  L'articolo  ap- 
pare, secondo  le  zone,  come  lu  oppure  come  u:  ma  ci 
sono  anche  sopravvivenze  di  un  neutro  le  ^*.  Il  pronome 
dimostrativo  mostra  le  due  forme  del  maschile  chiessé  e 
del  femminile  chessé  e  risale  a  un  tipo  eccum  ipsum, 
intermedio  fra  i  tipi  che  stanno  alla  base  del  nostro  quello 
e  del  nostro  esso  ^.  Il  futuro  è  solo  perifrastico:  aggj' 
a  ccandà,  che  equivarrebbe  a  «  ho  a  cantare  »  ;  il  con- 
giuntivo è  un  indicativo  preceduto  dalla  congiunzione  ca 
(lat.  quìa)  ^.  Notevole  è,  nella  zona  meridionale  (come 
nella  Calabria  settentrionale)  il  mantenimento  della  desi- 
lo Rohlfs  I,  pp.  274;  295. 

^'  Melillo,  Atlante  fonetico  lucano,  pp.   11   sg.;    161. 
^  Devoto,    Gli   antichi    Italici,    cit.,    pp.    33;    118. 
"  Lausberg,  p.  138.  Cfr.  Abruzzo  p.  103:  Puglia  p.  125. 
"  Cfr.  Umbria  p.  85;  Abruzzo  p.  98;  Campania  p.  116. 
"  Rohlfs  II,  p.  207  sg. 
^  Rohlfs  II,  p.  335;  Lausberg,  p.  177. 


Basilicata  133 

nenza  -s  e  -t  di  2^  e  di  3^  persona  singolare  (rafforzata  da 
una  vocale  epitetica),  che  viene  a  costituire  un  interessante 
arcaismo:  così  a  Maratea:  tènisi  «  tu  tieni  »,  mi  piaciti 
«  mi  piace  »  ^^. 

Sfogliando  l'AIS  possiamo  cogliere  l'aspetto  del  lessico  lu- 
cano che  accanto  ai  casi  genericamente  meridionali  mo- 
stra connessioni  interessanti  con  le  zone  vicine.  Così  strum- 
mèlè  «  trottola  »  appare  diffuso  in  Campania,  mentre  di 
fronte  al  vichè  campano,  «  vicolo  »,  abbiamo  strettele  che 
è  anche  pugliese,  di  fronte  a  vrenna  campano,  «  crusca  », 
canigghia  pugliese  e  calabrese,  come  lippe,  «  borraccina  », 
di  fronte  al  campano  nusc  ^.  Casi  che  con  una  certa 
approssimazione  possiamo  definire  regionali  sono  pochi:  ci- 
tiamo zoca  «  fune  »,  rocchia  «  branco  di  pecore  »,  ermicè 
«  tegolo  »,  f recala  (settentrionale)  «  briciola  »,  staccionè 
«  piolo  »  ^.  Preziose  conservazioni  di  parole  latine  sono 
rappresentate  dal  tipo  —  di  origine  colta  —  consobrino 
per  «  cugino  »  (anche  campano  e  pugliese)  di  fronte  a  cui 
la  maggior  parte  dell'Italia  mostra  una  forma  ridotta  di 
derivazione  francese^;  inoltre  da  lucra  «guadagnare», 
bitrichè  «  patrigno  »  (lat.  vitricus),  pastènè  «  vigna  nuova  » 
(anche  calabrese;  lat.  pastinum)  ^^.  Al  di  là  del  latino 
l'osco  si  rivela  nella  fonetica  di  forme  come  ghiefa  «  terra, 
zolla  »  di  fronte  al  lat.  gleba  o  attrufu  «  ottobre  »  di  fronte 
al  lat.  october,  che  non  sono  però  lucane  soltanto,  ma  ge- 
nericamente meridionali  ^^.  Anche  molti  grecismi  come  bur- 
racchié  «  ranocchio  »,  da  bàtrachos,  e  ciss  «  edera  »  da 
kìssos  sono  comuni  ad  alcune  zone  della  Calabria,  mentre 
citrine  «  giallo  »  sembra  solo  limitato  a  alcuni  paesi  della 
Basilicata  ^^.  Una  specie  di  superstrato  è  costituita  dal  les- 
sico delle  colonie  gallo-italiche,  con  i  casi  di  dhìdhu  (Tito) 
«  dito  »  di  fronte  al  meridionale  digito,  di  cuna  «  culla  » 

"  Rohlfs  I,  p.  434;  Lausberg,  p.   145  sg. 

''  AIS  carte  751;  843;  257;  620. 

=^  AIS  carte  242;   1072;  865;   1087. 

^  MS  carte  24-26. 

"  Lausberg,  p.  186  sg. 

"  Rohlfs,  La  struttura  linguistica  dell'Italia,  p.   19.  All'osco-umbro 

sembra    risalire    anche    ngringhete:    cfr.    umbro    antico    krenkatrum 

(Rohlfs.  Galloitalienische  Sprachinseln   in  der  Basilicata,  p.  275). 

"  Lausberg,  p.  179. 


134  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

e  nèzzela  «  nocciola  »  di  fronte  a  naca  e  nocella;  di  mia 
«  mica  »  (negaz.),  conosciuto  anche  a  Matera,  porca  (Pi- 
cerno,  Tito)  «  terra  tra  i  solchi  »,  merma  (Trecchina)  «  mel- 
ma »,  mughiu  (Tito)  «  mucchio  »,  pannedda  («  pannoc- 
chia »;  Trecchina),  tutte  voci  estranee  al  lessico  meridio- 
nale 34. 

Ecco  alcuni  campioni  di  dialetti  lucani,  tratti  dal  più  volte 
citato  volume  /  Parlari  italiani  in  Certaldo^^. 
Da  Saponara  di  Grumento  (oggi  Grumento  Nova): 
'Nzomma  rico  c'ai  tiemp'  r'  'u  primo  Rè  ri  Cipre,  rop'  r'  'a 
vèncita  re  Terra  Sant'  fatt'  ra  'Uffrere  Buglione,  accarì-e 
che  'na  gintlronna  ri  Guascogna  scì-e  'mpilgrinaggio  a  'u 
Sant'  Saburch';  e,  turnenn',  arvàt'  a  Cipre,  ra  cert'  uomnn' 
scilrati  fo  mùlito  malitrattata.  (A  cura  di  F.  P.  Caputi). 
Da  Tito:  Divu  dònca,  ca  a  li  tempi  de  lu  primu  Rè  de 
Cipru,  dòppo  ca  fo  conguistàda  la  Terra  Santa  da  Guffrè  de 
Buglione,  succede  ca  'na  gentili  donna  de  Guascogna  gè 
'mpellegrenàggiu  a  lu  Sebbùlcru,  dònne,  mente  ca  turnava, 
venùda  a  Cipru,  da  certa  mala  gente  fo  senza  criànza 
sbrèugnàda.  (A  cura  di  Giuseppe  Spera). 
Da  Senise:  Dich'  dunch'  eh'  a  li  tiemp'  d'  'u  primu  Re  ddi 
Cipr',  dopp'  chi  Guffrede  di  Bugghione  s'ebbiti  'mpatru- 
nuto  di  Terra  Santa,  accadivit'  che  'na  gintilidonna  d'  'a 
Gascogna  iv'  'mpilligrinaggi  a  lu  Sibburche,  e  a  lu  rituorno 
chi  faciete,  arrivata  chi  fudditi  a  Cipr',  fudditi  cafunisca- 
mente  scurnata  da  zerti  sbirruni  di  strata.  (A  cura  di  Giu- 
seppe Falcone). 

Per  la  Basilicata  scegliamo  ancora  una  poesia  popolare  ^^ 
proveniente  da  Paracorio: 

Quandu  mi  fici  jeu,  fici  gran  dannu: 
siccau   lu  mari   ch'esti   lu   chiù   fundu, 
siccau  la  primavera  pe'   chidd'annu, 
e  siccrau  li  ghiuri  di  lu  mundu. 


'*  Rohlfs,     Galloitalienische    Sprachinseln     in     der     Basilicata,    p. 

273   sgg.;   Galloitalienische  Sprachkolonien  am  Golf  von  Policastro 

(Lucania),  p.   102  sgg. 

"  Rispettivamente  alle  pp.   110;    114  sg.;    110  sg. 

^'  P.  P.  Pasolini,  La  poesia  popolare  italiana,  cit.,  p.  178. 


CALABRIA 


La  Calabria,  geograficamente  ben  definita,  mostra,  dal  pun- 
to di  vista  dialettale,  scarsa  unità.  A  settentrione,  un'area 
ristretta  che  va  da  Maratea  (in  Lucania)  e  Diamante  sul 
versante  tirrenico,  a  Castrovillari  e  Cassano  sul  versante 
ionico,  mostra,  per  quanto  riguarda  il  trattamento  delle 
vocali  latine,  un  conservatorismo  degno  della  Sardegna: 
cinque  vocali  senza  distinzione  fra  aperte  e  chiuse  '.  A 
mezzogiorno  di  Vibo  Valentia  abbiamo  un  sistema  «  sici- 
liano »,  fondato  su  una  base  di  partenza  dì  sette  vocali 
del  latino  volgare  e  cioè  con  la  distinzione  di  apertura  per 
ECO,  ma  non  per  leu:  anche  il  vocalismo  atono  si  svi- 
luppa in  modo  analogo  a  quello  siciliano,  presentando 
solo  la  serie  A,  i,  u  ^.  In  una  zona  centrale  —  province  di 
Catanzaro  e  Cosenza  —  il  vocalismo  tonico  siciliano  si 
accompagna  alla  metafonia  che  agisce  sulle  vocali  aperte 
e,  più  a  nord,  alla  vocale  atona  indistinta  in  sede  finale  \ 
La  combinazione  dei  dati  geografici  e  di  quelli  tipologici 
conduce  a  questa  conclusione:  la  Calabria  è  stata,  nella 
sua  parte  meridionale,  latinizzata  dalla  Sicilia  "*;  nella  parte 
settentrionale  la  latinizzazione  si  è  arrestata  in  un  primo 
momento  nella  fascia  descritta  sopra;  nella  fascia  centrale, 
la  latinizzazione  piena  si  è  completata  «  più  tardi  »,  se- 
condo moduli  genericamente  «  centro-meridionali  ». 
L'inquadramento  dei  problemi  dialettali  calabresi  non  si 
esaurisce  se  non  si  considera  il  problema  della  persistenza 
greca,  tuttora  riscontrabile  in  un  piccolo  numero  di  paesi 


'  Cfr.  Campania  p.  109;  Basilicata  p.  129;  Sardegna  p.  159. 
^  Rohlfs,  Dizionario  dialettale  delle  tre  Calabrie  (=   Rohlfs,  Di- 
zionario...), p.  32  sg.;  34. 

*  Rohlfs,  Dizionario...,  p.  33  sg. 

*  Cfr.  p.  es.  De  Felice,  La  romanizzazione  dell'estremo  Sud  d'Ita- 
lia, pp.  242  sgg.;  247  sg.;  271. 


136  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

intorno  a  Bova,  in  provincia  di  Reggio  Calabria  ^,  e  do- 
cumentata indirettamente  nel  vocabolario  e  nei  nomi  lo- 
cali di  gran  parte  della  regione  ^.  Per  spiegare  storicamente 
la  presenza  greca  in  Calabria  si  sono  elaborate  o  la 
tesi  della  origine  bizantina  oppure  quella  di  una  persi- 
stenza fin  dall'antichità,  e  cioè  dalle  colonie  della  Magna 
Grecia^.  La  discussione  non  può  però  limitarsi  soltanto  a 
queste  tesi  estreme.  Che  si  riscontrino  resti  della  grecità 
arcaica  è  innegabile,  e  questa  grecità  si  riconosce  facil- 
mente in  parole  greche  con  reminiscenze  dialettali  doriche. 
Com'è  noto,  la  grecità  medievale  si  fonda  normalmente  su 
un'evoluzione  della  lingua  comune  di  carattere  attico  (e 
ionico).  Ora  il  nome  del  golfo  Lamezio,  che  rivive  nel 
nome  attuale  di  Sant'Eufemia  Lamezia,  deriva  dal  nome 
del  fiume  che  vi  sbocca;  ma  questo  non  si  chiama  oggi 
Lameto  o  Ameto,  come  nelle  fonti  antiche  risalenti  a 
Ecateo,  bensì  Amato,  cioè  con  I'a  interna.  Ciò  mostra  la 
sua  antichità  dorica,  correttasi  precocemente  nella  tradi- 
zione scritta  in  e,  ma  che  rimane  immutata  fino  ad  oggi, 
in  uno  strato  socialmente  inferiore  della  popolazione*.  E 
decine  di  esempi  rafforzano  tale  conclusione.  Il  che  non 
significa  che  non  sia  esistita  una  Calabria  latina.  La  colo- 
nizzazione latina  è  stata  praticamente  concentrata  nella 
Calabria  centrale.  Di  fronte  a  Copia,  l'antica  Thurii,  nella 
Calabria  settentrionale,  divenuta  colonia  di  diritto  latino 
nel  193  a.C,  negli  stessi  primi  anni  del  il  secolo  a.C.  ri- 
sultano fondate  colonie  di  cittadini  a  Crotone  sullo  Ionio 
e  Tempsa  (194  a.C.)  sul  Tirreno,  e  quella  di  diritto  latino 

'  Rohlfs,  La  grecità  in  Calabria,  p.  405  sgg.;  Persistenza  della 
grecità  nell'Italia  meridionale,  ora  in  Lingua  e  dialetti  d'Italia,  cit., 
pp.   231-245. 

'  Rohlfs,  Latinità  ed  ellenismo  nei  nomi  di  luogo  della  Calabria, 
ora  in  Lingua  e  dialetti  d'Italia,  pp.  260-272. 

'  Per  la  discussione  tra  il  Rohlfs  e  il  Battisti  cfr.  del  primo  par- 
ticolarmente Scavi  linguistici  nella  Magna  Grecia  e  Le  origini  della 
grecità  in  Calabria,  del  secondo  Appunti  sulla  storia  e  sulla  diffu- 
sione dell'ellenismo  nell'Italia  meridionale  e  Ancora  sulla  grecità 
in  Calabria.  Gli  studiosi  italiani  si  sono  generalmente  schierati  col 
Battisti:  v.  tra  gli  altri  il  Pisani  nella  citata  recensione  alla  gram- 
matica del  Rohlfs  in  Paideia  6,  1951,  p.  59  sg. 
'  Rohlfs,  Le  origini  della  grecità  in  Calabria,  p.  251.  Cfr.  invece 
C.  Battisti,  Nuove  osservazioni  sulla  grecità  in  provincia  di  Reg- 
gio Calabria,  I.D.  6,  1930,  p.  67. 


Calabria  137 

di  Hipponion  che  prende  da  allora  il  nome  di  Vibo  Va- 
lentia: secondo  Livio  nel  192.  A  queste  si  accompagna 
Castra  Hannibalis,  nel  199  colonia  di  cittadini  sull'istmo 
di  Catanzaro,  presso  cui  sorse  poi  nel  122  la  colonia  grac- 
cana  di  Minerva  Scolacium.  A  sud  di  Vibo  Valentia  di- 
ventano romane  Medma  e  Tauriamim  ^. 
Accanto  alla  presenza  particolarmente  fitta  di  insediamenti 
latini  la  Calabria  centrale  mostra  un  terzo  carattere  che 
bene  si  arm.onizza  con  i  precedenti:  l'assenza  di  mesco- 
lanza con  la  popolazione  indigena.  E  difatti  nella  Calabria 
settentrionale  la  mescolanza  appare  evidente  con  i  tipi 
coddii  presenti  per  «  collo  »,  attestati  anche  in  quella  me- 
ridionale '°.  Ma  in  quella  centrale  si  hanno  i  tipi  collii  «  col- 
lo »,  pelle  «  pelle  »  con  il  gmppo  -ll-  intatto,  e,  in  una  stri- 
scia che  va  da  Conidoni  sul  Tirreno  fino  a  Gerace  sullo 
Ionio,  con  l'indebolimento  a  -[-  come  in  coju  '^ 

Accanto  alla  presenza  ininterrotta  di  una  Calabria  greca, 
dapprima  corrispondente  a  una  classe  sociale  superiore, 
poi,  con  varie  alternative,  di  minore  peso  e,  dall'età  nor- 
manna, sempre  più  limitata  alle  regioni  montane  appar- 
tate, la  latinità,  sia  pure  ristretta  in  certi  periodi  a  una 
tradizione  del  tutto  esile,  si  presenta  nelle  seguenti  forme. 
La  Calabria  «  siciliana  »  mostra  vina  per  «  vena  »,  stilla 
per  «  stella  »,  ura  per  «  ora  »,  vuoi  per  «  voce  »  ^'^.  Anche 
le  finali  -e  e  -i,  -o  e  -u  si  confondono,  si  è  detto,  in  que- 
st'area meridionale,  per  esempio  in  cori  (da  core)  e  vivu 
(da  bibo)  '^.  I  timbri  del  vocalismo  siciliano  si  ritrovano 
anche  nella  Calabria  mediana,  che  però  mostra  l'inter- 
vento della  metafonia  per  quanto  riguarda  la  e  e  la  o  aper- 
ta, sempre  in  presenza  di  -!  e  -ù  finali:  così  mentre  nel 
mezzogiorno  ossii,  immune  da  influenza  metafonetica,  ap- 
pare uguale  nella  vocale  radicale  al  plurale  ossa,  denti  al 
plurale  denti,  nella  Calabria  centrale,  sotto  questo  aspetto 

'  Beloch,  Rómische  Geschichte,  cit.,  pp.  546  sgg.;  593  sgg. 

'"  Cfr.  Campania  p.   114;    Puglia   p.    124;   Sicilia   p.    146;    Sardegna 

p.  161. 

"  Rohlfs,  Dizionario...,  p.  37. 

"  Rohlfs,  p.    10  sgg.   Cfr.   Longo,   Saggio  fonetico  sul  dialetto   di 

Cittanova,  pp.  134  sg.;   141  sgg. 

■'  Rohlfs,  p.  183  sg.;   187. 


138  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

«  napoletaneggiante  »,  si  hanno  le  forme  metafonstiche 
uossu  e  dienti;  ed  è  da  segnalare  che  nella  dittongazione 
la  vocale  colpita  dall'accento  è,  nella  maggior  parte  dei 
casi,  la  prima,  con  i  risultati  a  Serrastretta  di  lìentu  «  ma- 
gro »  e  di  sùocru  «  suocero  »  ". 

Parallelamente,  la  finale  -e  non  si  confonde  con  -i  e  si 
dice  core  (non  cori  come  nella  Calabria  «  siciliana  »);  però 
nella  zona  più  settentrionale  si  arriva  per  tutte  le  finali 
alla  vocale  indistinta  '^.  Si  oppone  a  queste  due  Calabrie  la 
Calabria  settentrionale  estrema  o  «  sarda  »,  che  dice  per 
esempio  a  Cerchiara  nivè  (da  i  aperta)  ma  crete  (da  e 
chiusa),  che  noi  confondiamo  in  neve  e  creta,  nucè  (da  u 
aperta)  ma  sole  (da  o  chiusa),  che  noi  confondiamo  in  noce 
e  sole  ^^. 

Sui  caratteri  consonantici  comuni  ad  altre  regioni  meri- 
dionali si  può  sorvolare.  Tuttavia  è  importante  sottolineare 
il  trattamento  dei  gruppi  MB  e  nd,  che  normalmente  sono 
assimilati  in  mm  e  nn  in  tutta  l'Italia  dalla  linea  Gros- 
seto-Ancona in  giù.  Il  tipo  GAMBA,  intatto,  si  mantiene 
invece  nella  Calabria  «  siciliana  »,  come  nella  zona  di  Mes- 
sina, ed  è  un  resto  della  più  antica  latinizzazione  della 
Sicilia  esteso  al  territorio  calabrese  ^^.  Al  centro  e  al  nord 
prevale  invece,  in  continuità  ininterrotta  col  resto  del- 
l'Italia meridionale,  il  tipo  gamma.  Più  ampia  è  la  resi- 
stenza di  NT  nel  tipo  chìanta  «  pianta  »,  documentato  an- 
che nella  Calabria  centrale,  mentre  l'indebolimento  md  nel 
tipo  chianda  appare  (e  senza  compattezza)  solo  nel  terri- 
torio della  provincia  di  Cosenza  ^*.  Un  altro  gi*uppo  di 
consonanti,  il  gruppo  fl,  viene  trattato  in  modo  assai  va- 
rio: di  fronte  all'esito  hi  di  Catanzaro  e  in  genere  cen- 
trale, per  esempio  hiatu  «  fiato  »,  hiure  «  fiore  »,  hiancu 
«  fianco  »,  si  ha  quello  più  debole  j-  nel  territorio  co- 
sentino e  quello  ulteriormente  rinforzato  s  nell'area  me- 


'^  Rohlfs,  p.  126  sgg.;  155  sgg.;  Rknsch,  Beilràge  ziir  Kenntnis  nord- 

kalabrischen  Mundarten,  p.  16  sgg.  Cfr.  AIS  carte  185  e  31. 

■'  Rohlfs,  pp.  184;  187. 

"  Lausberg,    Dia    Mundarten    Siidlukaniens ,    pp.    12    sg.;    69    sgg. 

Cfr.  Basilicata  p.  129. 

"  Cfr.  p.  es.  BoNFANTE,  Siciliano,  calabrese  meridionale  e  salentino, 

p.  292  sgg. 

"  Rohlfs,  Dizionario...,  p.  37. 


Calabria  139 

ridionale,  che  arieggia  i  tipi  siciliani  '^.  Sorvolando  su  altri 
gruppi,  ricchi  di  soluzioni  diverse  più  o  meno  energiche, 
come  le  varie  forme  da  figghiu  a  figlili  «  figliolo  »  ^'^,  su 
quelle  che,  come  chiana  per  «  piano  »,  si  collegano  ad  am- 
pie aree  meridionali  ^^  meritano  ricordo  il  passaggio  di 
NF  a  MP  come  in  imperne  «  inferno  »  ^,  i  rafforzamenti 
di  dittongo  del  tipo  tàvur-u  «  toro  »  da  tauru,  làguru  «  lau- 
ro »;  la  soluzione  -un-  da  -gn-,  per  esempio  in  aunu  per 
«  agnello  »,  da  agnu;  e  quella  t  da  lt,  per  esempio  in  bota 
«  volta  »  ^^  Inoltre  è  da  ricordare  il  passaggio  di  f-  iniziale 
a  H-  diffuso,  ma  non  generale,  che  ad  ogni  modo  resta 
isolato  in  area  italiana  ^1 

Nella  morfologia  il  carattere  più  importante  è  l'assenza 
del  futuro,  la  rarità  del  congiuntivo  e  la  limitazione  del- 
l'infinito nella  regione  a  nord  della  linea  da  Sant'Eufemia 
a  Crotone;  a  sud  della  quale  si  usa  il  costrutto  del  tipo 
volerà  ma  saccia  «  vorrei  che  io  sappia  »  per  «  vorrei  sa- 
pere »,  di  chiara  ispirazione  greca -^5.  Importantissima  è  la 
presenza  dei  condizionali  amerra,  volerra,  facerra  risa- 
lenti ai  piuccheperfetti  volueram  e  simili.  È  la  più  antica 
forma  di  condizionale  attestata  anche  in  Sicilia,  dove  è 
stato  poi  sostituita  dal  tipo  in  -ÌA,  che  risale  invece  al- 
l'imperfetto e  che  è  presente  nella  Calabria  meridionale: 
amarla  dal  latino  amare  habebam  ^. 

Distinzioni  all'interno  della  Calabria  si  notano  spesso  an- 
che nel  lessico  in  quanto  la  Calabria  meridionale  partecipa 
quasi  sempre,  in  modo  più  o  meno  ampio,  delle  forme 
siciliane,  generalmente  innovative  ^.  Così  per  «  tosare  »  il 
tipo  settentrionale  carusare  si  oppone  a  tundiri;  così  per 

"  Rohlfs,  p.  397  sg. 
^^  Rohlfs,  Dizionario,  p.  37. 
"  Cfr.  Campania  p.  115. 
^  Rohlfs,  Dizionario...,  p.  35. 

"  Rohlfs,  Dizionario...,  pp.  33;  35  sg.;  36.  Cfr.  anche  Rohlfs,  p. 
473  sg. 

^*  Rohlfs,  Dizionario...,  p.  35. 
"  Cfr.  Puglia  p.  125. 

^''  Rohlfs  li,  p.  346  sgg.  Cfr.  Abruzzo  p.  103;  Campania  p.  116;  Si- 
cilia p.  145  sg. 
"  Cfr.  Sicilia  p.  149. 


140  I  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

«  magro  »  lento  si  oppone  a  magro;  così  per  la  «  fem- 
mina del  maiale  »  scrofa  si  oppone  a  troia  ^^.  Risalta 
quindi  anche  in  questo  campo  quel  confine  che  taglia  la 
regione,  associandone  parte  alla  zona  napoletana  o  ge- 
nericamente meridionale,  parte  all'estremo  Sud  del  paese. 
Particolarità  calabresi  sono  date  essenzialmente  da  relitti 
di  lessico  greco  o  da  prestiti,  soprattutto  francesi,  che  re- 
stano come  impronte  della  storia  politica  e  civile.  Fra  i 
primi  —  su  cui  G.  Rohlfs  ha  basato  le  sue  teorie  della 
tarda  romanizzazione  ^',  —  ricordiamo  folea  «  nido  »  (gr. 
pholéà),  ceramidi  «  tegolo  »  (greco  keramìdion),  simitu 
«  confine  »  (greco  sématon),  catu  «  secchio  »  (greco  kados), 
sciju  «  trogolo  »  (greco  skyphos)  ^,  timpagné  «  fondo  della 
botte  »  (greco  tympanon);  fra  i  secondi  accanto  a  forgi  aro 
«  fabbro  »  (che  sconfina  in  Sicilia  e  Basilicata)  notiamo 
saziere  «  mortaio  »  (frane,  saucier),  cruoccu  «  uncino  » 
(frane,  eroe),  munzielle  «  mucchio  »  (ant.  frane,  moncel)  ^^ 
Un  particolare  interesse  assumono  a  questo  punto  i  fatti 
conservativi  di  termini  latini  anche  se  non  esclusivi  della 
regione,  come  'ncuire  «  premere  »  (lat.  incogere),  crivè 
«  staccio  »  (lat.  cribrum),  pisare  «  pestare  »  (lat.  pinsare), 
sajime  «  grasso,  strutto  »  (lat.  sagimen),  sciita  «  ala  »  (lat. 
axilla;  cfr.  con  altro  valore  il  toscano  ascella)  ^^,  domito 
«  domestico  (detto  di  piante)  »  (lat.  domitus),  insita  «  olivo 
giovane  »  (lat.  insitus);  citiamo  ancora  forme  isolate  co- 
me carrara,  settentrionale,  «  sentiero  »,  manipula  «  caz- 
zuola »,  rupe  «  bruco  »,  paniche  «  zolla  »  ^^,  pranza  «  ra- 
mo »,  quatraru  «  ragazzo  »  ^. 

Al  di  fuori  dei  dialetti  neolatini,  la  Calabria  ospita  tuttora 
dialetti  greci,  albanesi  e  provenzali.  I  primi  sono  limitati 

^'  AIS  carte  1075,  185,  1090.  Cfr.  Bonfante,  //  siciliano  concorda 

con   l'Italia   centrale  e  settentrionale   o   solo   con   la   centrale,   pp. 

273  sg.;  282  sg. 

^  Cfr.  nota  7.  Per  una  diversa  valutazione  dei  fatti  cfr.  anche  i 

lavori   dell'Alessio,   particolarmente   //  sostrato  latino  nel  lessico  e 

nell'epo-toponomastica  della  Calabria  meridionale. 

'"  AIS  carte  515.  865,  423,  1421,  965,  1182. 

^'  AIS  carte  213,  960,  1178. 

"  AIS  carte     996,  1129. 

"  AIS  carte  845,  249,  857. 

"  A.   Pagliaro,   Cai.   quatraru,  Ricerche  Linguistiche  5,    1950,   pp. 

264-268. 


Calabria  141 

ai  comuni  di  Bova.  Condofuri,  Palizzi,  Roccaforte  e  Ro- 
ghudi  in  provincia  di  Reggio  Calabria  (circa  3000  perso- 
ne) e  sono  parlati  da  quelle  popolazioni  che  potrebbero 
essere  sopravvissute  alla  dissoluzione  delle  colonie  greche 
della  Magna  Grecia  ^^  La  parlata  di  queste  popolazioni, 
rifugiatesi  sui  monti  e  sottrattesi  alle  devastazioni  della 
malaria,  sono  fortemente  influenzate  dai  modelli  bizantini. 
I  dialetti  albanesi  si  trovano  nel  territorio  di  Castrovillari 
presso  San  Demetrio  Corone,  Spezzano  Albanese,  Cerze- 
to,  ecc.  in  provincia  di  Cosenza  e,  più  sparsi,  nei  comuni 
di  Borgia,  Cropani,  Nicastro,  Strongoli  in  provincia  di 
Catanzaro  ^.  Il  dialetto  di  Guardia  Piemontese  ha  forti 
caratteri  provenzali  e  corrisponde  ad  una  colonizzazione  di 
età  normanna,  seguita  alla  persecuzione  dei  Valdesi  nelle 
zone  di  origine  ^^. 

Come  campioni  di  dialetti  moderni  valgano  i  seguenti,  tratti 
dal  volume  del  Papanti  ^: 

Da  Castrovillari  (Cosenza)  :  Dunca  vi  cuntu,  ch'alli  tim- 
pi  dillu  primu  Rignante  di  Cipru,  justu  vi,  doppu  chi 
Guffrido  Bugghiune  s'avì  frunziata  'a  Terra  Santa,  suc- 
cessi chi  'na  signura  di  Guascogna  (di  quiddi  bone) 
ivu  'mpiddigrinaggiu  allu  Santu  Siburcu;  da  duvi  rì- 
cugghennusi  'a  poviredda,  azzuppata  a  Cipru,  fui  da  'na 
frotta  di  sbrugghiuni  scillirati  attuppata  e  sbrigugnata.  (A 
cura  di  Antonio  Gallo). 

Da  Melito  di  Porto  Salvo  (Reggio  Calabria)  :  Aviti  a 
à  ssapiri  chi  a  chiddhi  tempi  du  primu  Re  i  Cipru,  doppu 
a  pigghiàta  i  Terra  Santa  chi  ffici  Guffredu  Bugghiuni,  nei 
fu  na  fimminazza  pulita  i  Guascugna  chi  ju  mpellegrinag- 
giu  o  Santu  Sipurcu,  dundi  quandu  turnàu,  a  chiddhu  stanti 
chi  misi  u  pedi  a  Cipru,  certi  malazzionari,  cumu  a  na  vid- 


"  Cfr.  la  cartina  a  p.  16  del  Vocabolario  supplementare  dei  dialetti 
delle  Tre  Calabrie  di  G.  Rohlfs. 

^  Tagliavini,  Le  origini  delle  lingue  neolatine,  Bologna   1969',  p. 
394  sg. 

"  C.   Grassi,  Per  una  storia  delle   vicende  culturali  e   sociali  di 
Guardia    Piemontese,    Boll.    Società    Studi    Valdesi    101,    1957,    pp. 
71-77;    G.   Rohlfs,   Avanzi   linguistici   di   colonie    valdesi   in    Cala- 
bria, ora  in  Studi  e  ricerche  ...,  cit.,  1972,  pp.  220-224. 
"  Rispettivamente  alle  pp.   152  sg.;    158  sg.;    167   sg. 


142  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

dhana  nei  ficiru  bruttu  sirvizziu.  (A  cura  di  F.  Mario  Man- 
dalari). 

Da  Tropea  (Catanzaro)  :  Dicu  dunca  ca  ai  tempi  di  lu 
primu  Rré  di  Cipru,  doppu  chi  Guffredu  di  Bugghiuni 
si  afferrau  la  Terra  Santa,  'mbattiu  ca  'na  beja  gnura  di 
Guascogna  jiu  'mpellegrinaggiu  a  lu  Santu  Sipurcu;  e 
tornandu  di  ja,  quandu  arrivau  a  Cipru,  fu  a  bondicchiìi 
sbrigognata  di  certi  omini  birbanti-sassini.  (A  cura  di 
A.  Tocco)  ^^. 

Possiamo  poi  dare  un  esempio  del  dialetto  cosentino  at- 
traverso una  sestina  del  poemetto  eroicomico  Jugale  di 
Antonio  Chiappetta  ^^: 

Chi'  ti  l'ha  fatti  sti  biunni  capilli 

chi  tieni  anella  anella  gnocculati  (arricciolati)? 

Mienzu  la  faccia,  sti  russi  mililli 

vorrà  sapire  cumu  ce  su  nati; 

diciame  chi'  te  fici  tanta  bella 

cu  sti  capilli  biunni  anella  anella... 


A.   Chiappetta,   Jugale,   Cosenza    1957,   p.    85. 


SICILIA 


Favoriti  dalla  conformazione  geografica  di  isola,  i  dialetti 
siciliani  sono  abbastanza  unitari,  anche  se  le  differenze 
che  li  distinguono  non  sono  del  tutto  insignificanti  ^  Tut- 
tavia una  propaggine  siciliana  esce  dalla  Sicilia  per  esten- 
dersi attraverso  lo  stretto  di  Messina  nella  Calabria  me- 
ridionale, più  o  meno  in  connessione  con  la  provincia  di 
Reggio  2. 

Se  facile  è  la  definizione  geografica,  complicatissima  è  in- 
vece quella  storica,  nella  quale  si  fanno  sentire  dei  pro- 
blemi fondamentali:  la  netta  divisione  di  una  Sicilia  oc- 
cidentale e  di  una  orientale  risalente  alla  preistoria  3;  la 
persistenza  della  grecità  in  età  romana.  Da  quest'ultimo 
punto  di  vista,  la  tradizione  di  lingua  latina  in  Sicilia  ha 
superato  brillantemente  la  prova,  anche  se  la  sua  afferma- 
zione è  stata,  soprattutto  dal  punto  di  vista  sociale,  lenta. 
E  difatti,  mentre  l'affermazione  politico-militare  decisiva  da 
parte  dei  Romani  risale  al  241  a.C.  con  la  battaglia  delle 
isole  Egadi  e  il  conseguente  sgombero  dell'isola  da  parte 
dei  Cartaginesi,  molte  monete  siciliane  portavano  scritte 
greche  ancora  in  età  augustea"*.  Tuttavia  il  latino  di  Sici- 
lia non  presuppone  mescolanze  e  processi  di  ambienta- 
mento se  non  in  misura  limitata,  assolutamente  non  pro- 
porzionata agli  eventi  politico-culturali  che  vi  si  sono 
svolti.  Lo  strato  sociale  che  ha  mantenuto  la  latinità  sarà 
forse  stato  sottile  o  esile,  ma  non  è  stato  mai  interrotto  o 


'  PicciTTO,  La  classificazione  delle  parlate  siciliane  e  la  metafonest 

in  Sicilia  (=    Piccitto),  pp.  5   sg.;   32  sg. 

^  Cfr.  Calabria  pp.   135;    137   sg.;    139   sg. 

^  G.  Devoto,  Siculo  e  protolatino,  Studi  Etruschi  27,  1959,  pp.  141- 

150;  Per  la  storia  delle  regioni  d'Italia,  p.  222  sg.  Cfr.  Piccitto,  pp. 

19  sg.;   33  sg. 

*  A.   HoLM,  Storia  della  Sicilia,  Torino   1896-1906,   III    1,   p.   415; 

III  2,  p.  272. 


144  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

annullato  né  per  opera  dei  Greci  né  per  opera  degli  Arabi. 
Che,  contrariamente  all'opinione  di  certi  studiosi,  e  nono- 
stante la  forza  dei  loro  argomenti  ^,  questa  continuità  non 
sia  stata  interrotta  è  provato  da  un  fatto  decisivo.  Il  si- 
stema delle  vocali  siciliane  presuppone  un  sistema  latino 
di  sette,  vocali  che  è  stato  in  vigore  nell'Italia  laziale  e 
campana  dal  i  al  ni  secolo  d.C.  Esso  non  è  cioè  così  ar- 
caico come  quello  di  ciii^ue  vocali  sopravvivente  in  Sar- 
degna, ma  non  è  così  recente  come  quello  di  otto  o  nove 
vocali  che  si  è  formato  nei  secoli  iv  e  v*^.  Dalla  sottomis- 
sione del  III  secolo  a.C.  a  tutto  il  ii  secolo  d.C.  i  contatti 
fra  l'isola,  rifornitrice  fra  l'altro  di  grani,  e  Roma  sono 
stati  strettissimi.  La  grande  via  di  comunicazione  era  il 
mare,  i  due  capilinea  delle  rotte  marittime  erano  Napoli 
e  Palermo. 

A  un  certo  momento  questi  scambi  si  attenuarono,  e  al- 
lora, invece  di  accettare  le  ulteriori  novità  che  irradiavano 
da  Roma  o  da  Napoli,  presero  rilievo  le  differenze.  Il  si- 
stema siciliano  primitivo  discende  da  una  serie  latina  in 
cui  si  distinguono  due  e  (aperta  e  chiusa)  e  due  o  (aperta 
e  chiusa),  ma  non  due  i  o  due  u.  Le  sette  vocali  siciliane, 
discendenti  dalle  sette  latine,  si  sono  poi  ridotte  a  cinque 
in  seguito  alla  confusione  della  e  chiusa  con  la  i,  della  o 
chiusa  con  la  u;  fila  «  tela  »  non  si  distingue  da  filu,  amuri 
«  amore  »  non  si  distingue  da  munì  «  muro  »  '.  Ma  que- 
sta confusione  ha  impiegato  del  tempo  per  divenir  gene- 
rale e  la  poesia  siciliana  del  xii-xiii  secolo  mostra  ancora 
delle  esitazioni.  Giacomo  da  Lentini  ha  potuto  far  ri- 
mare così: 

in  gran  dilettansa  era  (con  e  aperta) 
quando  vi  formai  in  cera  (con  e  chiusa) 


'  Rohlfs,  Latinità  ed  ellenismo  nella  Sicilia  d'oggi,  p.  273  sgg. 
*  De  Felice,  La  romanizzazione  dell'estremo  Sud  d'Italia,  p. 
238  sgg.  Cfr.  Campania  p.   108  sg. 

'  Devoto,  //  sistema  protoromanzo  delle  vocali,  cit.,  p.  334  sg.; 
BoNFANTE,  Siciliano,  calabrese  meridionale  e  salentino,  p.  297  sgg. 
V.  anche  la  recensione  di  V.  Pisani  alla  Historische  Grammatik  di 
G.  Rohlfs,  Paideia  6,  1951,  p.  60  sg.  e  cfr.  Campania  p.  109;  Pu- 
glia p.  121  sg.;  Calabria  p.  137. 


Sicilia  145 

solo  perché  quest'ultima  non  si  era  ancora  stabilmente  con- 
fusa con  I.  Altrove  lo  stesso  poeta  ha  potuto  far  rimare 
invece: 

ch'io  non  mi  diffidi  (con  i  originaria) 

lo  chiamar  merzidi   (con   i   derivata   da  e   chiusa) 

con  la  antica  e  chiusa  ormai  inserita  nella  serie  di  i  ^. 
Lo  stesso  avviene  per  le  antiche  o.  Le  rime  dello  stesso 
autore: 

com'io  v'amo  a  bon  core  (con  o  aperta) 
e  non  vi  mostro  amore  (con  o  chiusa) 

mostrano  che  quest'ultima  è  ancora  distinta  da  u.  Invece: 

così  fo  per  long'uso  (con  u  originaria) 

vivo  in  foco  amuruso  (con  u  derivata  da  o  chiusa) 

mostra  la  fusione  avvenuta  o  almeno  contenuta  in  forma 
potenziale  ^. 

Altri  arcaismi  del  siciliano  risalenti  a  questa  prima  affer- 
mazione della  latinità,  non  corretta  da  influenze  successive 
sono  i  seguenti.  Le  vocali  finali  del  siciliano  (-A,  -i  da  -e  e  -i 
e  -I,  -u  da  -o  e  -u)  sono  pronunciate  sempre  chiare,  a  diffe- 
renza dei  dialetti  meridionali  continentali,  in  cui  si  dif- 
fonde la  vocale  indifferente  -e  ^^.  Il  dittongo  au,  precoce- 
mente contratto  in  o  aperta  nel  latino  volgare,  rimane  nel 
siciliano,  per  esempio  in  tauru  «  toro  »  ".  La  desinenza 
dell'infinito  in  -ri  si  conserva  come  nel  toscano  -re  per 
esempio  in  cantari,  iri,  sentiri,  contro  il  troncamento  meri- 
dionale continentale  del  tipo  canta  ^^.  Il  condizionale  più 

'  In  B.  Panvini,  Le  rime  della  scuola  siciliana,  Firenze  1962,  pp.  31 
e  18.  Il  Panvini  dà  un'interpretazione  diversa  della  prima  rima. 
'  In  Panvini,  Le  rime  della  scuola  siciliana,  cit.,  pp.  8;  4.  Sulla 
questione  v.  anche  A.  Schiaffini,  Momenti  di  storia  della  lingua 
italiana,  Roma  1953-,  pp.  15;  20  sgg.;  G.  Bonfante,  Ci  ju  una 
lingua  comune  italiana  nei  secoli  XI-XIII?,  Atti  Vili  Congresso 
Studi  Romanzi,   1960,  83   sg. 

'°  Rohlfs  I,  pp.  183;  187;  Schneegans,  Laute  und  Lautentwicklung 
des  sicilianischen  Dialectes  (=   Schneegans),  p.  49  sgg.  Cfr.  Cam- 
pania p.  110;  Puglia  p.  122;  Basilicata  p.   130;  Calabria  p.   137. 
"  Rohlfs  I,  p.  66  sg.;  Schneegans,  p.  43. 

"  Rohlfs  II,  p.  359;  Bonfante,  //  siciliano  concorda  con  l'Italia 
centrale  e  settentrionale  o  solo  con  la  centrale,  p.  271. 


146  /  dialetti  delle  reg'ini  d'Italia 

arcaico  è  quello  che  deriva  dalla  forma  latina  del  piucchep- 
perfetto  ^^.  Questa  forma  è  rimasta  solo  in  aree  ristrette, 
sostituita  nelle  altre  dalla  forma  successiva,  comune  ai  dia- 
letti meridionali  continentali,  risultante  dal  tipo  latino 
finire  habebam,  o,  più  spesso  ancora,  dal  congiuntivo  im- 
perfetto ^'*.  L'aggettivo  possessivo  posposto  ancora  soprav- 
vive nel  tipo  màmmasa  «  mamma  sua  »  nella  Calabria 
centrale  e  nel  Salento,  non  in  Sicilia  '^.  Infine  nel  vocabo- 
lario sono  superstiti  di  questa  prima  latinizzazione,  che 
in  seguito  non  verrà  più  disturbata,  il  tipo  avere,  contro 
il  tipo  meridionale  continentale  tenere,  il  tipo  saltare  con- 
tro il  tipo  meridionale  continentale  zompare,  il  tipo  patri 
«  padre  »  ^^. 

Questa  più  antica  latinità  siciliana  non  si  limita  a  conser- 
vare tratti  arcaici  del  sistema  fonetico  morfologico  lessicale 
latino.  Essa  risente  dell'ambientamento  in  un'area,  dove, 
all'ombra  del  dominio  cartaginese,  perduravano  elementi 
preindeuropei.  Gli  esempi  di  questo  processo  sono  dati 
dalle  consonanti  invertite  e  cioè  dalla  pronuncia  cosid- 
detta cacuminale  (dall'articolazione  della  lingua  contro  il 
palato  anziché  contro  i  denti)  degli  antichi  gruppi  in  -ll- 
{bedda,  «  bella  »).  Analogamente  si  ha  un'alterazione  dei 
gruppi  -TR-  e  -SIR-,  che  rendiamo  approssimativamente  in 
esempi  come  quaciu  «  quattro  »  o  jenescia  «  finestra  »  ^^. 
Allo  stesso  mondo  mediterraneo  risalgono  le  forti  palataliz- 
zazioni del  tipo  chiù  «  più  »,  sciuri  «  fiore  »  (accanto  al 
tipo  hiuri,  anche  calabrese),  che  si  sono  incontrate  non 
solo  nel  meridione  ma  anche  in  Liguria  '^. 

L'allentamento  dei  vincoli  alla  fine  del  ii  secolo  non  è 
stato  definitivo.  Negli  ultimi  tempi  dell'Impero,  poi,  col 

'^  Cfr.  Abruzzo  p.  103;  Campania  p.  116;  Calabria  p.  139. 
"  Cfr.  Puglia  p.  125. 

'^  BoNFANTE,  //  siciliano  concorda...,  p.  270.  Cfr.  Franceschi,  Po- 
stille alla  Historische  Grammatik...  di  G.  Rohlfs,  p.  134  sg.  Cfr. 
Abruzzo  p.  103  sg. 

'*  BoNFANTE,  //  siciliano  e  il  sardo,  pp.  211   sg.;  214  sg.;  222. 
"  ScHNEEGANS,    p.     130    sgg.    V.    DEVOTO,    L'Italia    dialettale,    p. 
118  sg.;   MiLLARDET,  Siir  un  ancien  substrat  commiin  à  la  Sicilie, 
à  la  Corse  et  à  la  Sardaigne,  p.  346   sg.   Cfr.   anche  Campania  p. 
114;  Puglia  p.  124;  Calabria  p.  137;  Sardegna  p.  161. 
"  Cfr.  Liguria  p.  13;  Campania  p.  146. 


Sicilia  147 

prevalere  delle  correnti  marittime  bizantine  rispetto  a  quel- 
le terrestri  longobarde,  i  rapporti  della  Sicilia  col  conti- 
nente riprendono,  sia  pure  facendo  capo  a  Napoli  e  non 
più  a  Roma  '^.  Le  novità  campane  che  si  impongono  in 
questo  periodo  sono  tre.  Nell'ambito  del  vocalismo,  la  me- 
tafonia  si  afferma  e  si  mantiene  nella  Sicilia  centrale  a 
oriente  di  Cefalù  fino  a  Enna,  Caltanissetta  e  Ragusa;  non 
raggiunge  la  Sicilia  occidentale  da  Trapani,  Agrigento  e 
Gela,  né  quella  orientale,  assente  com'è  da  Messina,  Catania 
e  Siracusa;  mentre  si  deve  ritenere  un  tempo  presente  e 
poi  sopraffatta  a  Palermo  ^.  Per  essa  si  hanno,  sotto  la  in- 
fluenza della  -ù  finale,  il  maschile  miiovtu  e  il  femminile 
morta,  il  singolare  fienu  e  il  plurale  ferra.  Contro  il  pa- 
rere di  autorevoli  specialisti  ^^  la  divisione  dei  dialetti  si- 
ciliani deve  essere  da  questo  punto  di  vista  tripartita  e 
non  bipartita.  Di  minor  rilievo  è  invece  il  criterio  che  di- 
stingue dialetti  che  non  hanno  mai  conosciuto  il  dittongo 
da  quelli  che  l'hanno  invece  poi  riassorbito,  come  là  dove 
si  dice  murtii  e  fimi  da  un  più  antico  muorili  e  fierrii  ^. 
Il  secondo  elemento  è  dato  dalla  assimilazione  progressiva 
del  tipo  ND,  MB  a  nn,  mm,  come  quannu  «  quando  »,  jam- 
ma  «  gamba  ».  Questa  innovazione  non  raggiunge  Messina 
né  Milazzo  né  Castroreale  né  Bronte  in  direzione  di  Catania, 
né  tanto  meno  passa  lo  stretto  in  direzione  della  Cala- 
bria ^.  Esso  è  anche  meno  intenso  che  in  Campania,  per- 
ché non  accompagnato  dal  passaggio  parallelo  di  -nc-  e 
-NT-  in  -NG-  e  -ND-,  anzi  si  trova  accanto  al  passaggio  da 
-ng'-  a  -Nc'-,  come  mostrano  ancora  (non  angora),  quanta 
(non  quanda)  e  ancilu  per  «  angelo  »  '"*.  Analoghe  resi- 
stenze superstiti  dei  tipi  -nd-  si  trovano  nel  Salento,  che 


"  Per  l'importanza  di  Napoli  in  periodo  bizantino  cfr.  F.  Nicolini, 

in  E.  I.  24,  1934,  p.  234. 

^^  Per  un'accurata  descrizione  —  e  una  diversa   interpretazione  — 

del   fenomeno  v.   Piccitto,  p.   13   sgg. 

^'  Piccitto,  p.  25. 

'^  RoM'.FS,  p.   127  sg.;    154;   Lombardo,  Saggi  sul  dialetto  nisseno, 

p.   85   sgg. 

"  ScHNEEGANS,  pp.  78;    147;    Piccitto,  p.  21    sgg. 

^*  ScHNEEGANS,  p.   104;   De  Felice,  La  romanizzazione  dell'estremo 

Sud  d'Italia,  p.  248. 


148  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

divide  con  la  Sicilia  il  vocalismo  base  di  sette  vocali,  ci- 
tato sopra  ^. 

Il  terzo  elemento  è  dato  dal  passaggio  della  -d-  intervoca- 
lica in  -R-,  per  esempio  cririri  «  credere  ».  Questo  in  certe 
zone  si  estende  anche  alla  consonante  iniziale  come  in 
reci  per  «  dieci  »,  per  esempio  a  Bronte  (Catania)  o  a 
Giarratana  ^.  Esempio  importantissimo  è,  nel  campo  della 
morfologia,  quello  del  condizionale  del  secondo  tipo  la- 
tino habere  +  habebam  che  dà  luogo  al  siciliano  avvia, 
diffuso  poi  attraverso  la  poesia  siciliana  anche  nella  lingua 
poetica  italiana^.  Esso  restringe  al  massimo  il  tipo  prece- 
dente finerra  di  cui  si  è  detto  sopra. 

La  terza  fase  corrisponde  agli  inizi  del  periodo  norman- 
no, quando  si  ristabiliscono  legami  col  continente  dopo  la 
lunga  parentesi  araba.  Si  tratta  da  una  parte  dello  stabi- 
lirsi tardivo  di  colonie  gallo-italiche  (xiii  sec.)  e  cioè  di 
elementi  validi  dal  solo  punto  di  vista  demografico,  ma 
dall'altro  del  regime  normanno  con  il  suo  seguito  di  feu- 
datari in  parte  italiani,  in  maggioranza  francesi  già  nel- 
l'xi  secolo.  Questo  periodo,  se  non  giunge  a  portare  sul 
piano  morfologico  il  terzo  tipo  di  condizionale,  quello 
dello  schema  habere  +  habui  (toscano  av(e)rei),  dà  testi- 
monianze importanti  invece  nel  lessico. 
L'interpretazione  gallo-romanza  dell'assestamento  definitivo 
dei  dialetti  siciliani,  secondo  un'ipotesi  ardita  di  G.  Bon- 
fante  ^,  è  quella  che  meglio  concilia  i  dati  linguistici  con 
quelli  storico-culturali.  Se  essa  esclude  a  ragione  l'ipotesi 
artificiosa  di  una  lingua  comune  toscaneggiante,  risalente 
all'xi  secolo,  essa  non  deve  però  escludere  l'apporto  di 
elementi  gallo-italici  e  in  generale  italiani  all'ombra  e  al 
seguito  dell'aristocrazia  normanna.  Tali  gli  esempi  sici- 
liani e  toscani  badagghiarì  «  sbadigliare  »,  lesina,  dumani, 
testa,  avanteri,  vozzu  «  gozzo  »,  che  si  contrappongono  ai 
calabresi  (settentrionali)  alare,  scugghia,  craji,  capii,  nu- 

"  Cfr.  Puglia  p.   124. 

"  Rohlfs  I,  p.  204;  Schneegans,  p.  113.  Cfr.  Campania  p.  113. 

^'  Rohlfs  II,  p.  349  sg. 

^'  BoNFANTE,   //   problema   del   siciliano,   pp.    55;    63. 


Sicilia  149 

siierzu,  cagna  ^.  Essi  non  solo  devono  essere  giunti  per 
mare  come  i  tipi  latini  precedenti,  ma  da  regioni  più  set- 
tentrionali che  Napoli  e  Roma.  Particolarmente  interes- 
sante è  il  contrasto  che  G.  Bonfante  sottolinea  tra  le  forme 
letterarie  dei  testi  siciliani  antichi  e  le  testimonianze  dei 
dialetti  moderni  ^.  Tra  andari  antico  e  iri  moderno,  egli 
giustamente  considera  originario  il  secondo,  mentre  il 
primo  dovrà  essere  interpretato  come  un  italianismo  «  nor- 
manno »;  così  come  originario  sarà  sentiri  (moderno)  di 
fronte  a  un  antico  ma  sopraggiunto  audiri,  o  volta  (mo- 
derno) di  fronte  a  fiata. 

Le  complesse  vicende  storiche  danno  una  caratterizzazione 
particolare  al  lessico  siciliano,  in  cui  spiccano  degli  spa- 
gnolismi come  criata  «  serva  »,  dei  termini  di  origine  orien- 
tale come  sceccii  «  asino  »,  dei  francesismi  come  custu- 
rieri  «  sarto  »,  add innari  (d  cacuminale!)  «  accendere  »,  ra- 
cina  «  uva  »  ^'.  Sono  però  molte  le  parole  che  col  Bon- 
fante ^^  si  possono  classificare  di  provenienza  francese  o 
provenzale,  mentre  per  altri  studiosi  come  il  Rohlfs  ^^  ri- 
salirebbero a  influssi  gallo-italici.  Senza  entrare  nella  com- 
plessa questione,  possiamo  limitarci  a  notare  come  siano 
frequenti  ì  casi  in  cui  il  siciliano  —  quasi  sempre  unita- 
mente alla  zona  più  meridionale  della  Calabria  —  si  op- 
pone lessicalmente  ai  dialetti  meridionali:  agli  esempi  ci- 
tati aggiungiamo  sciaurari  «  odorare  »  di  fronte  a  addorà, 
dura  di  fronte  a  tosto,  orba  di  fronte  a  cecato,  scannari 
di  fronte  a  ammazzare  e  a  accidere,  tastari  «  assaggia- 
re »  di  fronte  a  prava,  animala  «  arcolaio  »  di  fronte  a 
viNNOLO  ^.  Con  ciò  non  si  viene  ad  escludere  una  parte- 
cipazione della  zona  siciliana  al  lessico  meridionale,  che 
si  attesta  in  casi  come  accio  «  sedano  »,  naca  «  culla  », 

"  AIS  carte  170,  208,  347,  93,  350,  1128.  Per  il  Bonfante  si  tratta 
anche  in  questi  casi  di  gallicismi  (cfr.  nota   precedente). 
'"  G.  Bonfante,  Siciliano  antico  scritto  e  parlato,  in  Bollettino  Cen- 
tro Studi  Siciliani  6,   1962,  pp.   199-211. 

"  AIS   carte    1593,   760,   259,    1060,    1313.   Cfr.   anche   G.   Rohlfs, 
Siz.   racina    =    frz.   raisin,  Z.R.Ph.   79,    1963,  pp.   397-402. 
"  //  problema  del  siciliano,  passim. 

"  Colonizzazione  gallo-italica  nel  Mezzogiorno,  p.  253  sgg. 
^  AIS    carte    1359,    1582,    188,    245,    1021,    1507.    Cfr.    del    resto 
Bonfante,  La  Sicilia  concorda...,  passim. 


150  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

MASTRODASCiA  «  falegname  »  ^^:  corrispondenze  parziali  si 
notano  con  la  Calabria  per  scurzimi  «  serpe  »  e  maidda, 
(il  diminutivo)  «  madia  »,  con  la  Calabria  e  alcune  zone 
della  Puglia  per  cattivo,  cattiva  «  vedovo,  vedova  »,  per 
ammuccìari  «  nascondere  »,  per  lemmo  «  catino  »  e  lu- 
mia «  limone  »  ^.  Termini  tipicamente  siciliani,  qualunque 
sia  la  loro  origine,  sono  rappresentati  da  carusii  «  ragaz- 
zo »,  babaluci  «  chiocciola  »,  cozzu  «  poggio  »,  buffa  «  ro- 
spo »,  parrìnu  «  prete  »,  picca  «  poco  »,  agniini  «  cantuc- 
cio »,  crastu  «  montone  »  ^^  e  tumazzu  che  ha  lontani  echi 
piemontesi  o  provenzali  ^;  citiamo  inoltre,  per  quel  tanto 
di  pittoresco  che  le  parole  hanno  in  sé,  I'arco  di  noè  per 
«  arcobaleno  »  ^^  e  quel  'ntrallazzu  ^  che  ha  acquistato  or- 
mai il  suo  posto  nella  lingua  italiana. 

Come  classificazione  approssimativa  dei  dialetti  siciliani, 
leggermente  diversa  rispetto  a  quella  del  migliore  specia- 
lista, Giorgio  Piccitto,  si  può,  al  di  fuori  delle  stratifica- 
zioni storiche  sopra  delineate,  considerare  la  seguente:  a) 
siciliano  occidentale,  diviso  nelle  tre  aree  palermitana,  tra- 
panese, agrigentina  centro-occidentale;  b)  centrale,  diviso 
nelle  tre  aree  nisseno-ennese,  agrigentina  orientale,  delle 
Madonie;  e)  orientale,  diviso  nelle  quattro  aree  sudorien- 
tale,  siracusano-catanese,  nordorientale,  messinese. 

Le  colonie  gallo-italiche  hanno  avuto  molta  importanza  in 
passato  e  ora  sopravvivono  come  aree  dialettali  chiara- 
mente riconoscibili  solo  a  Piazza  Armerina  nell'interno,  a 
San  Fratello  e  Nicosia  sul  versante  tirrenico,  a  Francavilla 
e  a  Novara  di  Sicilia,  fra  Patti  e  Taormina  '^^.  I  caratteri 
fondamentali  che  hanno  resistito  alla  pressione  siciliana 

"  AIS  carte  1364,  61,  219. 

'^  AIS  carte  452.  238,  78-77,  900.   Cfr.   anche   Bonfante,  Siciliano, 

calabrese  meridionale  e  salentino,  p.   85   sgg. 

"  AIS  carte  44-45,  459,  422,  455,  796,  840,  875,   1069. 

^^  AIS  carta  1217.  Cfr.  Bonfante,  //  siciliano  e  i  dialetti  dell'Italia 

settentrionale,  p.   308. 

3'  AIS  carta  371. 

'"  C.  MusuMARRA,  Breve  storia  di  'ntrallazzu,   L.N.    13,    1952,  pp. 

39-41. 

"'  Piazza,   Le  colonie  e   i  dialetti   lombardo-siculi   {=    Piazza),   p. 

14  sgg. 


Sicilia  151 

sono  la  caduta  delle  vocali  finali  diverse  da  a,  la  lenizione 
della  palatale  sorda  intervocalica  -e-  a  sibilante  palatale  so- 
nora e  della  labiale  sorda  -p-  in  -v-;  la  caduta  di  -l-(-ll-) 
dopo  vocale  e  davanti  a  o  e  e:  così  pet  «  petti  »,  clorm 
«  dormo  »,  asg'  «  aceto  »,  savor  «  sapore  »,  pau  «  palo  », 
castéii  «  castello  »  ^^.  Ma  fra  le  aree  superstiti  non  c'è  vera 
unità  e  la  precisazione  dei  luoghi  di  origine  (Monferrato, 
Ossola,  Emilia)  ha  dato  luogo  a  incertezze  e  polemiche. 
Due  versi  come  quelli  della  filastrocca: 

Mi  eòe  mi  sti  det 
cu  Maria  sovra  u  pet 

(Mi  corico  in  questo  letto  /  con  Maria  sopra  il  petto) 
mostrano  il  trattamento  settentrionale  delle  vocali  finali  e 
il  passaggio  siciliano  da  l-  alla  cacuminale  d-''^ 

Le  colonie  albanesi  sono  meno  antiche  di  quelle  gallo- 
italiche, perché  risalgono  solo  alla  metà  del  xv  secolo. 
Esse  sopravvivono  come  aree  dialettali  ancora  nei  comuni 
di  Piana  degli  Albanesi,  Contessa  Entellina  e  Palazzo 
Adriano.  L'albanese  della  varietà  tosca,  che  queste  aree 
conservano,  presenta  caratteristiche  piiì  arcaiche  di  quelle 
dell'originaria  Albania  '^. 

Dante  nel  De  vulgari  eloquentia  è  meno  severo  che  ri- 
spetto ad  altri  dialetti,  ma  non  cela  alcune  riserve ''^  Egli 
dice:  «  Il  volgare  di  Sicilia  si  attribuisce  rinomanza  al  di 
sopra  degli  altri,  per  il  fatto  che  tutto  ciò  che  gli  italiani 
poeticamente  compongono  si  chiama  siciliano,  e  per  il 
fatto  che  parecchi  maestri,  di  quel  paese  nativi,  troviamo 
aver  cantato  con  gravità  ».  «  Se  si  vuol  prendere  il  vol- 
gare siciliano  nel  senso  di  quello  che  proviene  dai  regio- 


*^  La  testimonianza  vale  per  S.  Fratello:    cfr.  Piazza,  pp.  247  sgg.; 
255;    258;    251    sgg. 
•"  Piazza,  p.  124. 
*•  Cfr.  anche  Calabria  p.  141. 

■"  De  vulgari  eloquentia,  I,  12,  2;  6.  Cfr.  ViDOSSi,  L'Italia  dialet- 
tale fino  a  Dante,  p.  XLIX;  G.  Bonfante,  Il  «  volgare  illustre  » 
di  Dante  e  il  volgare  dei  lirici  siciliani,  Bollettino  Centro  Studi  Si- 
siciliani,  10,  1969,  p.  21. 


152  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

nali  di  media  condizione...  esso  non  è  affatto  degno  del- 
l'onore di  preferenza  ». 

Da  /  parlari  italiani  in  Certaldo  citiamo  questi  esempi  di 
dialetto  siciliano  moderno  '^: 

Da  Castellammare  del  Golfo:  Dicu  annunca,  chi  a 
tempi  di  lu  Re  di  Cipru,  doppu  chi  Vuffreru  di  Bugghiuni 
conquistau  la  Terra  Santa,  successi  chi  'na  signura  di  Va- 
scogna  'mpillirinaggiu  jiu  a  la  Sipurcru,  e  arriturnannu  di 
ddrà,  junta  a  Cipru,  fu  malamenti  'nsurtata  da  arcuni  sci- 
liratazzi.  (A  cura  di  Francesco  Mirabella). 
Da  Enna,  già  Castrogiovanni:  Dicu  dunca,  ca  nne  tiempi 
du  primu  Re  di  Cipru,  duppu  'a  cunchista  fatta  da  Terra 
Santa  di  Ttiffrì  di  Bugliuni,  abbinni  ca  'na  gintil  donna 
d'Ascogna  'n  pilligrinaggiu  ìju  'o  Sobburcu,  d'unni  tur- 
nannu,  'n  Cipru  junta,  d'arcuni  scialarati  uomini  viddani- 
scamenti  fu  'ngiuriata.  (A  cura  di  Odoardo  Grimaldi). 
Da  Modica,  Ragusa:  Runca  vi  ricu  ca  e  tiempi  ro  primu 
Re  ri  Cipri,  duoppu  ca  Guffredu  ri  Bugghiuni  pigghiau 
Terra  Santa,  'na  signura  ri  Vascogna  s'innìu  a  farisi  'u 
viagghiu  'o  Santu  Sepurcru.  A  la  bruccata  ri  ddà,  junta 
a  Cipri,  appi  fatta  'n'  affisa  ribuorbica  ri  certi  uomini  ri 
vastu.  (A  cura  di  Francesco  Scrofani). 
Da  Messina:  Jò  dicu  'nnunca  ch'a  tempu  di  lu  primu  Re 
di  Cipru,  doppu  chi  Gutifrè  di  Bugghiuni  pigghiau  la 
Terra  Santa,  successi  chi  'na  gintildonna  di  Guascogna 
annau  pilligrina  a  li  Lochi  Santi;  e  comu  turnau  di  ddà, 
e  ruvau  'n  Cipru,  certi  omini  scilirati  ci  ficiunu  'nu  brut- 
tissimu  'nzurtu.  (A  cura  di  Letterio  Lizio-Bruno). 
Da  S.  Fratello  (dialetto  gallo-italico)  :  Dich  danqua  ch'ai 
taimp  du  prim  Re  di  Cipr,  di  puoi  la  conquista  fatta  di  la 
Terra  Santa  da  Gufreu  di  Bugghian,  avvon  chi  'na  gintiu 
fomna  di  Guascogna  'n  pilligrinegg  annàa  a  u  Samuorch, 
d'anna  turnain,  'n  Cipr  arrivara,  da  arcui  scialarci  hami 
vidaunamaint  fu  attraggiera.  (A  cura  di  Luigi  Vasi). 

Dal  ricco  tesoro  della  poesia  popolare,  viva  fino  al  nostro 
secolo,  aderente  ai  motivi  più  elementari  di  guerra  e  d'amo- 

«  Rispettivamente  alle  pp.  506  sg.;    170  sg.;   448  sg.;   280;   282  sg. 


Sicilia  153 

re,  scegliamo  i  versi  iniziali  del  poemetto  che  racconta  la 
tragica  fine  della  Baronessa  di  Carini  ''"': 

Chianci  Palermu,  chianci  Siragusa, 
Carini  cc'è  lu  luttu  ad  ogni  casa; 
Cu'  la  purtau  sta  nova  dulurusa 
Mai  paci  pozz'aviri  a  la  so  casa. 


*'  P.  P.  Pasolini,  Canzoniere  italiano,  Parma   1955,  p.  309. 


SARDEGNA 


Lingua  sarda?  Dialetto  sardo?  Il  provincialismo,  anche 
linguistico,  dell'Ottocento  dava  molta  importanza  a  queste 
distinzioni;  e,  se  concentrava  la  propria  attenzione  prin- 
cipalmente sui  dialetti  e  la  loro  spontaneità,  considerava 
la  lingua,  non  tanto  nella  sua  funzione  sociale  di  sopra- 
struttura unificatrice,  quanto  da  un  punto  di  vista  orga- 
nico, attraverso  le  vistose  caratteristiche  che  la  separavano 
con  nettezza  dai  parlari  vicini:  una  specie  di  super- 
dialetto. 

Da  questo  punto  di  vista,  e  come  si  vedrà  in  seguito,  gli 
elementi  caratteristici  della  Sardegna  linguistica  giustifi- 
cherebbero la  definizione  di  «  lingua  »  sarda.  Guardando 
le  cose  con  occhio  moderno,  la  Sardegna,  non  diversa- 
mente dall'Italia  e  dalle  altre  aree  romanze,  presenta  in- 
vece non  un  unico  «  latino  d'oggi  »  ma  resti  di  centinaia 
di  latini  frantumati;  assoggettati  talvolta  ad  azioni  di  so- 
strati mediterranei;  influenzati,  soprattutto  in  certe  aree, 
da  caratteri  italiani,  specialmente  toscani,  posteriori;  rag- 
gruppati nel  Medioevo  diciamo  in  tre  grandi  aree  regio- 
nali (per  alcuni  studiosi  in  cinque);  ricoperti,  sia  pure  un 
po'  velleitariamente,  da  tentativi  artificiosi  di  una  lingua 
letteraria  pansarda  a  partire  dal  Cinquecento;  ravvivati  da 
una  fresca  poesia  in  forme  linguistiche  locali  appena  no- 
bilitate nel  lessico;  sottoposti  infine  a  una  innegabile 
tendenza  all'allineamento  su  modelli,  soprattutto  lessicali, 
cagliaritani. 

La  «  infinità  di  particolari  fonetici,  morfologici  e  lessi- 
cali che  differiscono  spesso  da  un  villaggio  all'altro  », 
cosi  efficacemente  sottolineata  da  M.  L.  Wagner  \  non 
ha  condotto  il  grande  studioso  di  linguistica  sarda  a  con- 

'  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  47. 


Sardegna  1 55 

clusioni  proporzionate,  per  quanto  riguarda  il  giudizio 
complessivo  sulla  «  Sardegna  linguistica  ». 
Gli  elementi  mediterranei  sono  stati  classificati  da  Ben- 
venuto Terracini  ^  in  parte  come  libici  e  libico-iberici, 
in  parte  come  liguri  e  liguro-tirrenici.  Parole  come  narra, 
temi  come  mogo  «  collinetta  »  o  gonno  «  altura  »,  suffissi 
di  derivazione  come  -itano  {Campidano,  cagliaritano),  de- 
sinenze di  plurali  collettivi  in  -r-  attestano,  attraverso  la 
loro  ricca  sopravvivenza,  soprattutto  nella  toponomastica, 
l'impronta  preromana  che  è  caratteristica  della  Sardegna^. 
Un  caso  particolare  di  influenze  africane  in  Sardegna  è 
dato  dalla  colonizzazione  cartaginese.  Iscrizioni  puniche 
si  sono  conservate  fino  a  età  tarda,  e  quella  celebre  di 
Bithia  è  stata  assegnata  al  iii  secolo  d.C.  ''.  Esempio  di 
parola  punica  superstite  è  zìppiri  «  rosmarino  »  ^. 

Arrivando  in  Sardegna  al  tempo  della  seconda  guerra  pu- 
nica, il  latino  entrava  così  in  un  ambiente  che,  a  causa 
delle  frontiere  marittime,  l'avrebbe  preservato  da  troppo 
intense  influenze  del  continente,  ma  che,  a  causa  della 
sua  composizione  eterogenea,  così  geografica  come  lin- 
guistica, avrebbe  favorito  l'azione  di  forze  disgregatrici. 
L'ambiente,  nel  quale  il  latino  di  Sardegna  si  assesta,  è 
definito  da  tre  elementi.  L'area  meridionale  è  pianeggiante, 
vive  in  stretto  contatto  con  le  città  di  mare  e  dà  all'area 
detta  poi  campidanese  un  aspetto  aperto  e  più  armonico 
con  le  correnti  marittime  provenienti  dal  continente.  L'area 
centrale  interna,  fin  da  prima  dei  Cartaginesi,  costituisce 
un  centro  di  resistenza  e  rifugio,  rimasto  nei  tempi  più 
antichi  impenetrabile.  I  Romani  cominciarono  ad  affer- 
marvisi  attraverso  le  colonie  di  antichi  legionari  quali  il 
Miinicipium  Julium,  poi  Uselis,  oggi  Useddus.  L'ultima  no- 


^  V.  particolarmente  Osservazioni  sugli  strati  più  antichi  della  topo- 
nomastica sarda,  ora  in  Pagine  e  appunti  di  linguistica  storica,  cit., 
pp.  92-110  (cfr.  p.  108  sg.). 

^  V.  l'opera  di  C.  Zervos,  La  civilisation  de  la  Sardaignc,  Parigi 
1954. 

*  G.  Levi  della  Vida,  L'iscrizione  punica  di  Bitia  in  Sardegna,  in 
Ani  Accademia  Torino  70,  1934-35,  pp.  185-198. 
'  Cfr.  il  5°  capitolo  di  Wagner,  La  lingua  sarda. 


156  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

tizia  di  insurrezioni  isolate  è  del  19  d.C.  ^,  Normalizzatosi 
il  flusso  dei  pastori  tra  montagna  e  pianura,  la  latinizza- 
zione potè  compiersi  e  resistere  poi  felicemente  alle  pres- 
sioni successive  dei  diversi  conquistatori.  Tracce  di  paga- 
nesimo durarono  fino  al  tempo  di  Gregorio  Magno''. 
Nella  terza  area,  quella  settentrionale,  dagli  stretti  legami 
preistorici  con  la  Corsica,  si  ebbe  la  colonia  romana  di 
Turris  Libysonis,  oggi  Porto  Torres.  Questa  area  attra- 
verso la  Corsica  si  riaprì  presto  a  influenze  politiche  cul- 
turali e  linguistiche  toscane. 

Anche  se  esposta  a  importanti  correnti  innovatrici,  la  la- 
tinizzazione del  Campidano  è  solida.  L'Africa  latinizzata 
si  armonizza  con  la  Sardegna.  La  tradizione  di  Lucifero 
Cagliaritano  si  continua  nel  v  secolo.  Gregorio  Magno, 
alla  fine  del  vi  secolo,  ricorda  il  livello  culturale  dell'isola. 
Accogliendo  facilmente  ebrei  e  cristiani,  la  Sardegna  serba 
caratteristiche  lessicali  corrispondenti:  tali  chenàpura  per 
«  venerdì  »  e  cioè  il  latino  cena  pura,  per  definire  il  cibo 
preparato  la  vigilia  del  giorno  festivo,  il  sabato  *.  Ma 
nel  V  secolo  sopraggiungono  anche  i  Vandali  dell'Africa, 
che  confinano  Berberi  ribelli  (Maiirusii)  nelle  montagne 
del  Sulcis,  dove  i  sulcìtani  oggi  sono  detti  anche  maured- 
dus.  Nel  VI  secolo  i  Bizantini  ristabiliscono  collegamenti 
con  le  regioni  orientali,  sia  pure  amministrativamente  la- 
sciando i  legami  africani  immutati.  Nei  secoli  seguenti  la 
minaccia  saracena  fu  seria,  ma  mai  costante  e  definitiva. 

Come  esempio  di  parole  greche  si  può  ricordare  condaghe 
«  raccolta  di  atti  pubblici  »  dal  greco  kontàkion  e,  in 
tutt'altro  campo,  annaccare  «  cullare  »,  documentato  a  Bau- 
nei,  nella  regione  centrale,  dal  greco  nakè  «  culla  ».  Al- 
l'arabo risale  il  nome  locale  di  Arbatax  (pron.  Arbatosg' 
come  frc.  -age,  secondo  la  normale  grafia  sarda).  Assenti 
i  Longobardi  come  i  Franchi,  il  latino  di  Sardegna  pre- 
senta dunque  una  realtà  demografica  e  popolare.  Dal 
fatto  che  si  sia  ben  conservato  non  deriva  che  esso  fu 
imposto  dalle  scuole  o  dall'amministrazione,  come  in  Gal- 

'  E.  Pais,  Storia  della  Sardegna  e  della  Corsica  durante  il  dominio 
romano,  Roma  1923,  pp.   127;  350. 
'  Cfr.  Gregor.  Magnus,  Epist.  4,  23. 
'  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  32. 


Sardegna  157 

Ha  o  in  Iberia.  Se  è  vero  che  l'immunità  dalle  invasioni 
facilita  la  resistenza  e  la  genuinità  della  tradizione  latina, 
vengono  meno  altre  forze  atte  a  sostenerla.  L'avvento  bi- 
zantino introduce  come  lingua  letteraria  e  cancelleresca 
la  greca.  Quando  le  autonomie  locali  si  affermano,  la 
mancanza  di  una  lingua  letteraria  disponibile,  come  era 
il  latino  sul  continente,  accelera  i  tempi  per  l'impiego  della 
lingua  sarda  come  lingua  scritta.  I  documenti  latini  che, 
ciò  nonostante,  si  conservano  sono  scritti  in  una  lingua 
tutt'altro  che  unitaria.  Come  ha  ben  detto  B.  Terra- 
cini, essi  vanno  da  un  latino  quasi  merovingio,  diverso 
dal  classico  ma  organico,  a  un  latino  oscillante  secondo 
i  destinatari  e  gli  scribi  ^. 

Il  carattere  essenziale  della  latinità  sarda  è  l'isolamento, 
che  mantiene  indiscutibili  tratti  arcaici  meglio  che  in  qual- 
siasi altra  regione  neolatina.  Quando  ciò  nonostante  certe 
innovazioni  arrivano,  queste  collegano  la  Sardegna  piut- 
tosto con  l'Italia  meridionale  e  la  Spagna,  come  mostra 
ad  esempio  il  cosiddetto  «  betacismo  »  (l'impiego  del  b- 
invece  del  v-)  già  in  epigrafi  di  età  romana,  p.  es.  betustus, 
bici  '°.  I  caratteri  conservatori  trovano  talvolta  paralleli 
piuttosto  nella  Gallia  e  nella  Romenia  che  in  Italia. 
Esempi  di  latinità  ben  conservata  sono  così  àchina  «  uva  » 
(it.  acino),  seciis  «  dietro  »  (in  italiano  perduto),  caddu 
«  pelle  di  cinghiale  »  (it.  callo),  chida  (lat.  accita)  «  set- 
timana »,  interi  (lat.  interim)  «  frattanto  ».  doma  «  ca- 
sa »,  Janna  (lat.  ianua),  mannu  (lat.  ma^nus).  Frequenti 
sono  le  sopravvivenze  di  albiis  «  bianco  »,  p.  es.  nella 
Barbaqia  dove  arbu  «  bianco  di  uovo  »  si  trova  qua  e  là; 
a  Bitti  si  ha  imhènnere  «  trovare  »  (lat.  invenire). 
Significati  antichi  conservano  iubilare  per  «  alzar  grida  », 
bischidu  (lat.  viscidus)  per  «  acido  »,  impudìre  per  «  pen- 
tirsi »  (lat.  pudet).  Il  tipo  latino  più  arcaico  ficàtum  per 
«  fegato  »  si  trova  nella  regione  campidanese  mentre  quello 
più  moderno  fìcatiim  è  già  in  quella  logudorese,  contra- 
riamente alla  consuetudine  che  vede  il  Campidanese  più 
innovativo  del  Logudorese.  Sopravvivenze  comuni  con  la 

'  Terracini,   Romanità   e   grecità...,   p.    190;    v.    anche    il    6°   capi- 
tolo  di    La   lingua   sarda. 
'"  Terracini  in  A.G.I.  38,  1936,  p.  29. 


158  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Romania  mostrano  i  tipi  edu  «  capretto  »  (lat.  haedus), 
log.  ischire  (lat.  scire  «  sapere  »),  camp,  frius  (lat.  frigus 
«  freddo  »),  log.  pràndere  (lat.  prandère,  cfr.  it.  pran- 
zare) ". 

Per  la  formazione  delle  singole  tradizioni  linguistiche  in 
Sardegna  è  stato  importante  l'xi  secolo  nel  quale  tre  ra- 
gioni hanno  contribuito  ad  assestare  la  situazione:  1)  la 
costituzione  dei  giudicati  sardi  che  posero  il  problema  di 
una  lingua  cancelleresca;  2)  la  sconfitta  definitiva  degli 
Arabi  attraverso  lo  sforzo  comune  dei  genovesi  e  pisa- 
ni; 3)  l'inizio  della  pressione  pisana  dalla  Corsica  e  la  sua 
affermazione  parallela  a  Cagliari  e  nel  suo  immediato  re- 
troterra. 

Al  di  là  di  questi  fatti  che  hanno  inciso  nella  storia  lin- 
guistica della  Sardegna  direttamente  sulle  strutture,  gli 
eventi  posteriori,  culturalmente  anche  più  importanti,  si 
sono  limitati  a  tracce  lessicali  esteriori.  La  pressione  spa- 
gnola, durata  secoli,  lasciò  centinaia  di  elementi  lessi- 
cali, ma  non  deformò  la  tradizione  sarda.  L'affermazione 
catalana  è  maggiore  in  genere  nell'area  logudorese,  quella 
castigliana  nell'area  campidanese.  Tre  esempi  di  cata- 
lanismi  sono  ghiggi  «  giudice  »,  erèu  «  erede  »,  vighèri  «  vi- 
cario»; tre  di  spagnolismi:  arcadhe  (sp.  alcalde)  «co- 
mandante (di  torre)  »,  autu  «  atto  »,  pletare  (sp.  pleitear) 
«  litigare  »  '^. 

Tradizioni  non  sarde  si  sono  affermate  e  durano  ancora 
ai  nostri  giorni  in  due  piccole  aree.  Da  una  parte  si 
ha  l'area  catalana  di  Alghero,  colonizzata  nel  secolo  xiv, 
dall'altra  l'area  genovese  di  Carloforte  e  Calasetta,  risa- 
lente al  secolo  xvin  e  costituita  da  discendenti  di  profughi, 
che  avevano  lasciato  Genova  (precisamente  Pegli)  nel  se- 
colo XVI  '^. 


"  Cfr.  Wagner,  La  lingua  sarda,  capitolo  4°  e  La  stratificazione 
del  lessico  sardo;  e  G.  Porru,  Voci  latine  conservate  nel  sardo, 
passim. 

'^  Cfr.  Wagner,  La  lingua  sarda,  capitolo  6°. 

"  G.  Bottiglioni,  L'antico  genovese  e  le  isole  linguistiche  sardo- 
corse  in  I.D.  4,   1928,  pp.   1-60. 


Sardegna  159 

I  principali  caratteri  linguistici  che  si  sono  assestati  in 
questo  quadro,  unitariamente  o  regionalmente,  sono  i  se- 
guenti. Nel  campo  della  fonetica  il  primo  è  dato  dalla 
chiarezza  della  pronuncia  delle  vocali  e  dalla  resistenza 
di  quelle  non  accentate.  Ma  quello  che  attesta  nel  modo 
più  appariscente  l'antichità  della  latinizzazione  e  l'im- 
pronta rimasta  definitiva  della  pronuncia  dell'età  repub- 
blicana, è  dato  dal  sistema  di  cinque  vocali  che  ignora 
qualsiasi  distinzione  di  vocali  aperte  e  chiuse. 
Pila  è  diverso  da  tela  (mentre  in  italiano  abbiamo  pelo 
identico  a  tela  e  in  siciliano  pila  identico  a  tila);  gala 
è  diverso  da  sole  (mentre  in  italiano  abbiamo  gola  iden- 
tico a  sole  e  in  siciliano  gala  identico  a  suli).  Questo 
equilibrio  è  stato  alterato  al  tempo  dell'influenza  pisana 
nel  solo  territorio  sassarese. 

A  questo  carattere  tipico  del  sardo,  che  trova  un  paral- 
lelo in  un'area  ristretta  fra  la  Basilicata  e  la  Calabria  ^*, 
si  accompagna  un  carattere  comune  all'italiano  meridio- 
nale, la  metafonia,  e  cioè  la  diversa  apertura  della  vocale 
accentata  secondo  la  vocale  finale;  per  essa  si  dice  infatti 
bónu  con  la  o  chiusa  e  bòna  con  la  o  operta  ^^. 
Per  quanto  riguarda  le  consonanti,  è  importante  la  con- 
servazione della  -s  finale,  comune  alle  aree  romanze  occi- 
dentali, ma  non  dovuta  alle  stesse  ragioni  di  preminenza 
delle  scuole  e  delle  classi  superiori.  È  un  arcaismo  ge- 
nuino '^.  Questa  differenza  rispetto  all'italiano  centro-me- 
ridionale si  accentua  con  la  tendenza  a  evitare  le  conso- 
nanti finali  che  pure  sono  pronunciate  con  articolazione 
netta.  Questo  si  ottiene  talvolta  mediante  l'aggiunta  di  una 
vocale  supplementare:  per  esempio  nei  temi  nominali  in 
-MENE  e  -MINI  dal  lat.  -men;  o,  in  fine  di  fase,  sa  merula 
cantata  «  il  merlo  canta  »  invece  del  normale  cantat.  Pa- 
rallelamente si  evitano  parole  tronche:  formule  come  «  chi 
sa  »  sono  adattate  in  chissàe  '"'. 

'*  È  l'area  detta  comunemente  «zona  Lausberg»:  cfr.  Lausberg, 
Die  Mundarten  Siidlukaniens,  p.  13  sgg.  V.  Basilicata  p.  129,  Cala- 
bria pp.   135;    138. 

'^  Sul  vocalismo  sardo  cfr.  Wagner,  p.  10  sg.;  Rohlfs,  Coinciden- 
cias  linguisticas  entre  Cerdena  y  la  Italia,  p.   171  sgg. 
"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  64. 

"  Wagner,  Historische  Lautlehre  des  Sardischen  (=  Wagner),  pp. 
34;   57. 


160  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

Il  fatto  più  caratteristico  del  consonantismo  è  dato  però 
dalla  conservazione  delle  consonanti  gutturali  anche  da- 
vanti a  E  e  I,  sia  pure  solo  nell'area  centrale  più  appartata, 
ove  si  pronuncia  chelu  per  «  cielo  »,  chera  per  «  cera  », 
chircare  per  «  cercare  »,  nuche  per  noce,  deche  per  «  die- 
ci »,  ghèneru  per  «  genero  »,  leghete  per  «  leggere  »  ^^. 
Viceversa  il  consonantismo  sardo  subisce  largamente  la  le- 
nizione  e  cioè  il  passaggio  dalla  consonante  sorda  a  sonora, 
mentre  la  sonora  in  posizione  intervocalica  cade.  11  gruppo 
di  articolo  e  sostantivo  costituisce  da  questo  punto  di  vi- 
sta un  tutto  unico  per  cui  si  hanno  passaggi  da  ape  a  abe, 
da  laoore  a  Laore,  ma  anche  da  su  puzza  «  il  pozzo  »  a  su 
buzzu,  e  da  sa  gula  «  la  gola  »  a  sa  ala. 
La  lenizione  si  manifesta  anche  nell'area  centro-occiden- 
tale o  logudorese,  ma  non  nell'area  centrale  tipica  o  nuo- 
rese  ^^.  Anche  nei  gruppi  di  consonanti  si  ha  lo  svolgi- 
mento genuino  clie  tenue  a  preservare  anzi  a  rallorzare  i 
gruppi  ui  consonante  più  l,  col  passaggio  a  conso- 
narne più  r:  ma  questo  passaggio  è  arrestato  e  soppian- 
tato, nelle  regioni  settentrionali,  dal  trattamento  toscano 
cne  ai  posco  della  l  introduce  la  i  consonante.  Si  ha  così 
prenu  centrale  e  meridionale  di  fronte  a  pienu  settentrio- 
nale, Jramma  di  fronte  a  fiamma,  pranu  di  ironie  a  pianu  ^". 
Una  soluzione  caratteristica,  che  risponde  a  tendenza  an- 
ticnissima,  arrestata  in  Itaiia  e  presente  solo  in  Komenia, 
è  queiia^  del  gruppo  qua,  que,  qui:  «  acqua  »  si  dice,  as- 
socianuo  la  normale  lenizione  sarda  della  consonante  sor- 
da in  sonora,  abba.  Tale  il  paese  di  Abbasanta  equivalente 
a  «  Acquasanta  ».  Così  bàttoru  per  «  quattro  »,  chimbe  per 
«  cinque  »,  limba  per  «  lingua  »  ^^ 


'*  Wagner,  p.  72  sgg. 

"  Wagner,  pp.  65  sgg.;  271  sgg.  Sulla  mancanza  del  fenomeno 
nelle  zone  arcaiche  del  Nuorese  e  del  Bittese  ctr.  anche  Rohlfs, 
Coincidencias.,  p.   180  sgg. 

^^  Wagner,  p.  153  sgg.;  Rohlfs,  Coincidencias...,  p.  200  sgg. 
^'  Wagner,  p.  135  sgg.;  268  sg.  Il  fenomeno  rappresenta  un'iso- 
glossa soltanto  apparente  col  rumeno  (cfr.  Tagliavini,  Le  origini 
dette  lingue  neolatine,  pp.  370  e  391).  11  discusso  collegamento  con 
fatti  di  origine  osco-umbra  è  stato  ripreso  ultimamente  dal  Pisani 
in  //  sostrato  osco-umbro,  cit.,  p.  159. 


Sardegna  161 

Resti  di  pronunce  preromane  sono  invece  le  cosiddette 
consonanti  invertite,  presenti  anche  in  Sicilia,  come  solu- 
zione del  gruppo  latino  -ll-.  Così  cuddu  «  quello  »,  badde 
«  valle  »,  pedde  «  pelle  »  ^.  Alla  stessa  fonte  risale  la  scar- 
sa propensione,  che  del  resto  è  tuttora  esistente  nel  cuore 
della  Sardegna,  per  le  iniziali  f-  e  r-  ^. 

I  caratteri  morfologici  sono  legati  in  parte  a  quelli  fone- 
tici. La  chiara  pronuncia  delle  consonanti  finali  fa  sì  che 
sopravvivano  forme  verbali  come  cantas,  cantai  «  canti, 
canta  »,  antichi  neutri  come  tempiis,  latus,  pettus,  corpus, 
plurali  in  -as,  -os,  importanti  d'altro  canto  in  quanto  si 
ricollegano  al  tipo  di  plurale  «  romanzo-occidentale  »  in 
contrapposizione  a  quello  vocalico,  «  romanzo-orientale  », 
comune  nei  dialetti  italiani^''.  Carattere  fondamentale  è 
l'articolo  nelle  sue  quattro  forme  su,  sa,  sos,  sas  di  fronte 
ai  tipi  italiani  (il)  lo;  la;  (i)  gli;  le^.  Nella  regione  del 
Campidano  si  registrano  le  forme  plurali  intermedie  is 
per  SOS,  sas. 

Le  coniugazioni  del  verbo  si  sono  organizzate  in  modo 
più  rigido  sulla  base  tripartita  degli  infiniti  -are  -ire,  ad 
accentazione  piana,  ed  -ere  ad  accentazione  sdrucciola. 
Quest'ultima  coniugazione  sottrae  verbi  importanti  anche 
alla  coniugazione  in  -ère  e  -ire,  per  es.  hènnere  «  venire  », 
mòrrere  «  morire  »,  aere  «  avere  »,  bìere  «  vedere  »,  po- 
dere «  potere  »  ^.  I  gerundi  storici  in  -ande  -ende  -inde, 
sopravvissuti  nelle  regioni  centrali,  si  riducono  a  due  e, 


"  Wagner,  p.  195  sg.;  279  sgg.;  Rohlfs.  Coincidencias...,  p. 
190  sgg.  Cfr.  Campania  p.  114;  Puglia  p.  124;  Calabria  p.  137;  Si- 
cilia p.  146. 

"  Sulla  vocale  prostetica  premessa  a  parole  inizianti  per  R  cfr. 
Wagner,  p.  53  sgg.;  Rohlfs,  Coincidencias...,  p.  195  sgg.;  sul  di- 
leguo della  F  iniziale  Wagner,  p.  91  sgg.  e  anche  Rohlfs,  Coinci- 
dencias..., p.  183  sgg. 

"  Sulle  consonanti  finali  sarde  cfr.  Wagner,  p.  196;  sui  plurali 
sigmatici  Wagner,  Flessione  nominale  e  verbale  del  sardo  antico 
e  moderno,  p.  97  sgg.;  e  v.  inoltre  H.  Lausberg,  Linguistica  ro- 
manza,  Milano    1970,   pp.    14;    18. 

"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  330;  Lausberg,  Linguistica  ro- 
manza, p.   140. 

"  Wagner,  Flessione...,  p.  135  sgg.;  Rohlfs,  Coincidencias...,  p. 
228  sgg. 


162  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

nel  Campidanese,  al  solo  -ende,  con  qualche  variante  nella 
vocale  finale". 

Già  negli  Statuti  sassaresi  del  xiv  secolo  si  trovano  i  fu- 
turi perifrastici  del  tipo  aet  mitter  «  metterà  »  col  verbo 
ausiliare  che  precede,  e  cioè  con  la  disposizione  opposta 
all'italiana  «  mettere  ha  ».  Così  app'àere  «  avrò  »  (lette- 
ralmente «  ho  (a)  avere  »),  amus  andare  «  andremo  »  (let- 
teralmente «  abbiamo  (a)  andare  »)  ^^. 
L'imperfetto  congiuntivo  latino  in  -aret  -eret  -iret  soprav- 
vive nella  Barbagia;  nel  Logudorese  in  genere  si  riduce 
al  tipo  -eret.  Nel  Campidanese  il  tipo  in  -ss-  si  impone 
proprio  come  nell'italiano  «  avesse  »,  che  continua,  non 
il  normale  imperfetto  haberet,  ma  il  piuccheperfetto  ha- 
buisset  '^. 

Il  passato  remoto  originario  era  in  -avi  -ivi  come  in  la- 
tino. Poi  si  sono  avute  forme  in  -ai  -ii  senza  v.  A  partire 
dal  XVI  secolo  compaiono  accanto  ai  perfetti  ereditari  o 
«  forti  »  quelli  in  sibilante  e  quindi,  accanto  a  fegi  (it. 
feci)  con  lenizione,  si  ha  fegisi^.  Nel  Campidanese  nor- 
male e  nel  Nuorese  il  passato  remoto  ha  finito  poi  per 
sparire,  soppiantato  da  quello  prossimo.  Participi  pas- 
sati «  forti  »,  ereditati  dal  latino  senza  essere  inquadrati 
nella  coniugazione  normale,  sono  nel  Campidanese  lintu 
«  leccato  »  (lat.  linctus),  a  Fonni  prasu  «  pranzato  »  (lat. 
pransiis),  a  Nuoro  bitta  «  bevuto  »  da  una  forma  del  la- 
tino volgare  bibitus^K  Forma  perifrastica  comune  è  quella 
del  genmdio  presente  col  verbo  «  essere  »:  so'  benninde 
«  son  venendo  »  ^2.  È  da  notare  poi  l'imperativo  negativo 
derivato  dalla  formula  «  ne  cantas  »  di  fronte  al  tipo  «  noli 
cantare  »  diffuso  nella  zona  italiana  ^^. 
Tratto  sintattico  caratteristico  è  la  precoce  affermazione 
dei  tipi  «  Pietro  lo  vide  Paolo  »  con  il  complemento  oggetto 
iniziale  e  ripetuto  dal  pronome^. 

"  Wagner,   Flessione...,   p.    148    sgg.;    Rohlfs,    Coincidencias...,   p. 

227   sg. 

^  Lausberg,  Linguìstica  romanza,  p.  216  sg. 

"  Wagner,  Flessione...,  p.  8  sgg. 

^  Wagner,  Flessione...,  p.  11  sgg. 

^'  Wagner,  Flessione...,  p.  23  sgg. 

'^  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  375  sgg. 

"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  374  sg. 

^  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  378  sgg. 


Sardegna  163 

L'interesse  che  riveste  il  lessico  non  solo  nell'ambito  ita- 
liano, ma  anche  in  quello  più  vasto  della  linguistica 
romanza  è  dato  in  gran  parte  dalla  eccezionalità  della  sua 
stratificazione.  Il  carattere  arcaico  di  questa  area,  che 
abbiamo  già  notato  soprattutto  nella  fonetica  e  partico- 
larmente nei  dialetti  centrali,  è  quello  di  un  territorio  ri- 
masto sostanzialmente  chiuso  alle  influenze  straniere,  le- 
gato a  una  tradizione  che  può  significare  evoluzione  in- 
terna, senza  connessioni  con  lo  sviluppo  dei  territori  cir- 
costanti. Si  spiegano  così  i  numerosi  termini  da  riferire  al 
sostrato  e  soprattutto  l'arcaicità  del  lessico  latino  che  tal- 
volta si  perpetua  solo  nell'isola  e  spesso  conserva  qui  si- 
gnificati antichissimi,  con  trapassi  semantici  di  carattere 
involutivo,  dall'astratto  al  concreto,  consoni  all'ambiente 
rustico  e  pastorizio.  Mancarono  nell'antichità  le  solleci- 
tazioni di  civiltà  viciniori,  al  di  fuori  di  quella  punica; 
manca  un  vero  apporto  del  superstrato  germanico,  men- 
tre quello  greco-bizantino  è  rilevabile  soprattutto  nella  lin- 
gua cancelleresca.  Esagerando  —  e  nonostante  i  numerosi 
italianismi,  soprattutto  toscanismi,  che  avremo  modo  di 
rilevare  —  si  può  dire  che  l'unica  vera  solida  impronta 
data  al  lessico  della  regione  dopo  la  latinizzazione  sia  stata 
quella  catalano-castigliana,  relativamente  tarda. 
Proviamo  a  cogliere  questa  stratificazione  e  a  notare  la 
portata  diversa  delle  connessioni  con  aree  linguistiche  at- 
traverso l'esame  di  singoli  termini.  Le  affinità  lessicali  con 
la  penisola  iberica,  per  esempio,  si  pongono  su  tre  piani 
distinti:  quello  del  sostrato  prelatino  per  cui  parole  sarde 
sono  riscontrabili  con  vocaboli  baschi  o  affioranti  come 
relitti  nei  dialetti  spagnoli  (è  il  caso  di  aiirri  «  carpine  », 
riscontrabile  oltre  che  in  basco  anche  in  berbero,  di 
giddostru  «  scopa  arborea  »  che  si  confronta  col  basco 
gillar,  di  bega  «  pianura  coltivabile  »  per  cui  è  immediato 
l'avvicinamento  allo  spagnolo  vega,  di  mogoru  «  colli- 
netta »  che  nel  basco  è  mokór,  di  arroja  che  si  pone 
vicino  ad  arrugia  testimoniato  come  iberico  da  Plinio)  ^^; 
quello  della  comune  eredità  latina  che  in  certi  casi  si  con- 


^'  Cfr.  HuBSCHMiD,  Sardische  Studien,  pp.  29;  38;  49  sgg.;  67  sgg. 
V.  anche  la  recensione  del  volume  a  cura  di  C.  Battisti  in  Studi 
Etruschi  33,  1954,  pp.  472-484. 


164  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

serva  solo  nelle  due  zone  (come  per  later  che  dà  il  camp. 
làdiri  e  lo  spagnolo  ladrillo,  come  per  percontare  da  cui 
si  hanno  il  logud.  pregontare,  il  camp,  pregontai,  il  pre- 
gimtar  spagnolo,  il  perguntar  portoghese)  ^;  infine  quello 
di  una  vera  e  propria  penetrazione  di  termini  catalani 
e  spagnoli  al  tempo  della  dominazione  dell'isola,  termini 
che  si  riferiscono  soprattutto  all'amministrazione  e  al  di- 
ritto, alla  vita  religiosa,  alle  arti  e  mestieri,  alla  moda  e 
alla  cucina;  soprattutto,  ma  non  esclusivamente,  se  «  cul- 
la »  è  nella  zona  centrale  e  meridionale  barzolu,  brazzolu 
pari  al  catalano  bressol  ^^  (mentre  il  verbo  annaccare  «  cul- 
lare »,  già  citato,  ci  conserva  presumibilmente  il  tipo  naka 
derivato  dal  greco  e  esteso  a  tutta  l'Italia  meridionale)  ^, 
I  rapporti  con  l'Italia  meridionale  sono  stati  studiati  par- 
ticolarmente dal  Rohlfs  ^^:  per  quanto  riguarda  il  lessico 
i  numerosi  confronti  sono  però  da  classificare  diversamente, 
anche  se  non  è  facile  in  questo  caso,  per  motivi  storici, 
giungere  a  una  tripartizione  così  rigorosa  come  per  la 
penisola  iberica.  Così  sono  importanti  isoglosse  come  cras 
sardo  accanto  al  crai  o  craje  meridionale  e  di  fronte  al 
tipo  DE-MANE  diffuso  nel  resto  dell'Italia  e  in  Francia  *^, 
come  sa  die  (femminile!)  accanto  alle  forme  meridionali 
di,  dia,  deje,  anche  se  queste  sono  state  ormai  soppiantate 
dal  non  indigeno  diurnu;  mentre  i  confronti  per  achina 
«  uva  »,  documentata  in  glosse  latine  e  già  creduta  parola 
specifica  del  sardo,  sono  da  ricercare  soltanto  in  una  zona 
ristrettissima,  press'a  poco  la  zona  arcaica  al  confine  cala- 
bro-lucano,  e  portano  quindi  a  conclusioni  completamente 
diverse  '*^ 

Ai  generici  legami  con  le  altre  parti  dell'Italia,  che  pos- 
sono risalire  al  periodo  preromano  (cfr.  muteclu  «  cisto  » 
che  si  collega  con  mutuka,  attribuito  da  Dioscoride  agli 
Etruschi)  o  alla  romanizzazione,  si  sovrappongono  nel 
Medioevo  quelli  dovuti  ai  contatti  rispettivamente  con  Ge- 


^  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  122  sgg. 

"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  195  sgg. 

"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  155    sg.;    cfr.    ATS    carta    61. 

^'  V.   il   lavoro   più   volte   citato   Coìncìdencias...,   alle   pp.   238-264. 

«  Cfr.  AIS  carta  347. 

*'  Cfr.  AIS  carta   1313;   sulle  diverse  parole  sarde   per  «uva»   cfr. 

Wagner,   La  stratificazione  del   lessico   sardo,   p.   57   sgg. 


Sardegna  165 

nova  per  la  zona  del  sassarese  e  con  Pisa  per  la  Gallura 
e  soprattutto  per  il  Campidano.  Esempi  di  toscanismi  sono 
dati  da  bezzii  (logud.),  hecciu  (camp.)  «  vecchio  »  che  ha 
quasi  completamente  sostituito  l'originario  veclii,  e  da 
giovanu  che  ha  sostituito  novu  ''^;  esempi  di  genovesismi  il 
carrugiu  gallurese,  «  vicolo  stretto  »,  e  il  zea  sassarese  che 
ripete  il  genovese  gea  «  bietola  »  ''^.  Ma  il  legame  politico 
stabilito  in  questi  ultimi  secoli  con  l'Italia  ha  portato  al- 
l'introduzione sempre  più  vasta  di  vocaboli  dell'italiano 
letterario. 

La  parte  più  interessante  del  lessico  sardo  è  certo  quella 
che  conserva,  talvolta,  come  si  è  detto  in  maniera  esclusiva, 
vocaboli  genuinamente  latini.  A  quelli  già  citati  nella  pri- 
ma parte  della  trattazione  si  possono  aggiungere  ehba 
«  cavalla  »,  iuba  «  criniera  »,  Ungere  «  leccare  »  '^',  inoltre 
cunzare  «  chiudere  »  da  cuneare  «  metter  zeppe  »  che  ha 
un'evoluzione  parallela  in  romeno;  lu  «  pergolato  »  che 
sembra  continuare  Incus;  madri  che  si  alterna  secondo  le 
zone  con  mardi  nel  significato  di  «  scrofa  »;  porcabru,  con- 
taminazione di  porcus  e  di  aper  nel  senso  di  «  cinghiale  », 
diffuso  nell'area  settentrionale''^,  mentre  la  forma  meridio- 
nale sirboni  è  di  etimologia  controversa.  Significativo  è  il 
rinvenimento  a  Isili  di  nozzu  «  elemosina  di  un  po'  di 
grano  »  dal  latino  negotium  ^,  che  mostra  una  concretizza- 
zione di  significato  come  appeddare  (lat.  appellare)  che 
vale  «  abbaiare  »  e  goddeu  «  crocchio  di  persone,  gruppo 
di  casolari  »  dal  lat.  collegium.  Ma  a  un'indagine  siste- 
matica '*''  si  rivelano  altre  parole  latine  che  solo  qui  hanno 
trovato  una  continuazione  diretta:  armile  da  agnile  «  luogo 
dove  stanno  gli  agnelli  »  (con  un  passaggio  tipico  del  nesso 
latino  gn),  log.  cojuare  «  sposarsi  »  da  coniugare,  log.  boi- 
narzu,  camp,  boinaggiu  «  bovaro  »  da  un  ricostruito  *bo- 


*^  Wagner,  La  lingua  sarda,  pp.  70  sg.;  248  sgg. 
"  Wagner,  La  lingua  sarda,  p.  262  sgg. 
**  AIS  carte  1062,  1064,  1100. 

*^  Wagner,  La   stratificazione   del   lessico   sardo,   pp.    10   sgg.;    35; 
55;   60. 

^  M.  L.  Atzori.  in  Studi  Sardi  4,  1939,  p.   136;  Wagner,  La  lin- 
gua sarda,  p.  91   sg. 

*''  Un'indagine  di  questo  genere  era  stata  iniziata  da  G.  Porru,  in 
Voci  latine  conservate  nel  sardo. 


166  /  dialetti  delle  regioni  d'Italia 

vinarius,  mentre  d'altra  parte  casi  come  poddige  (lat. 
pollice)  "^  «  dito  »,  narre  «  dire  »,  stimai  «  amare  »,  mo- 
strando evoluzioni  semantiche  particolari,  inducono  a  ri- 
flessioni sugli  aspetti  contrastanti  di  questa  parlata. 

I  giudizi  degli  autori  medievali  sulla  parlata  sarda  concor- 
dano nel  considerarla  strana.  Un  personaggio  della  tenzone 
bilingue  di  Rambaldo  di  Vaqueiras  dice''^: 

No  t'endent  plui   d'un  Toesco 
o  Sardo  o  Barbari. 

Fazio  degli  liberti  nella  parte  del  Dittamondo  in  cui  tratta 
della  Sardegna^: 

Io  viddi  che  mi  parve  meraviglia 
una  gente  ch'alcuno  non  intende 
né  essi  sanno  quel  ch'altri  bisbiglia. 

In  forma  ancor  piiì  personale,  Dante  ^'  dice  dei  sardi  che 
imitano  «  la  grammatica  (latina)  come  le  scimmie  gli  uomi- 
ni »,  e  difatti  dicono  domus  nova  e  domus  novus  per 
«  casa  nuova  ». 

Ma  qualsiasi  racconto  di  viaggio  in  Sardegna  insiste  sulla 
somiglianza  col  latino  e  cita  del  resto  come  prova,  non 
tanto  della  singolarità  del  sardo  quanto  della  sua  aderenza 
al  latino,  la  frase  columba  mea  est  in  domu  tua  o  nos 
semus  tres  pastores  o  anche  domu  minore  core  mannu 
(«  casa  piccola  cuore  grande  »). 

Tre  campioni  di  parlari  sardi  sono  tratti  come  al  solito  dal 
Papanti^^: 

Da  Bitti  (Nuoro)  :  Naro  eduncas,  qui  in  sos  tempos  de  su 
primu  Re  de  Cipri,  pustis  sa  conquista  fatta  de  sa  Terra 
Santa  dae  Gottifrè  de  Buglione,  est  successu,  chi  una  si- 
gnora, dama  de  Guascogna,  andesit  in  pellegringiu  a  su 
Sepulcru,  dae  umbe  torrande,  arribata  in  Cipri,  fuit  dae 

"'  AIS  carta  183. 

^'  Raimbaut  de  Vaqueiras,  Contrasto,  6. 

^  Fazio  degli  Uberti,  Dittamondo,  III,  12  55-57. 

"  De  vulgari  eloquentia,  I,  11,  7. 

"  /  parlari  italiani  in  Certaldo,  pp.  437  sg.;   150;  441  sg. 


Sardegna  167 

alcunos  homines  birbantes  cum  malos  modos  oltraggiada. 
(A  cura  di  S.  Palmas). 

Da  Cagliari:  Nau  duncas  che  in  is  tempus  de  is  primus 
Reis  de  Cipri,  a  pustis  de  sa  conchista  fatta  de  sa  Terra 
Santa  dai  Gottifrè  de  Buglioni,  accontéssidi  chi  una  gen- 
tili femina  de  Guascogna  andesidi  in  pellegrinaggiu  a  su 
Sepulcru,  torrendi  da  inni  arribada  a  Cipri,  esti  istetia 
rusticamenti  ofTendia  da  algunus  iscelleraus.  (A  cura  di 
Giovanni  Spano). 

Da  Sassari:  Diggu  addunca  chi  in  li  tempi  di  lu  primu  Re 
di  Cipri,  dabboi  di  la  conchilta  fatta  di  la  Terra  Santa  da 
Gottifrè  di  Buglioni,  suzzidesi  chi  una  gentili  femmina 
di  Gualcona  andesi  in  pilligrinaggiu  a  lu  Sipulcru,  da 
inni  turrendi,  arribadda  in  Cipri,  da  alcuni  omini  iscelle- 
raddi  fusi  villanamenti  oltraggiadda.  (A  cura  di  Giovanni 
Spano). 

Dai  Sos  cantigos  de  Ennargentu  di  Antioco  Casula  pren- 
diamo una  quartina  ^^: 

Fiera  e  ruzza  in  mesu  a  sos  castanzos 
seculares,  ses  posta  o  bidda  mia; 
attaccada  a  sos  usos  de  una  ia, 
generosa,  ospitale  a  sos  istranzos. 

(Fiero  e  rozzo  in  mezzo  ai  castagni 
secolari  sei  posto  villaggio  mio 
attaccato  agli  usi   di   una   volta 
generoso,  ospitale  agli  stranieri). 


"  A.  Casula,  Sos  cantigos  de  Ennargentu,  Cagliari  1922,  p.  13. 


INDICI 


INDICE  DEI  NOMI  GEOGRAFICI 


Abruzzo,  117,  121,  125,  126 
Acerno  (Salerno),  111,  116 
Acquapendente  (Viterbo),  83 
Agnone  (Campobasso),  100,  101, 

102,   105,   105 
Agrigento,   147 
Alagna  Valsesia  (Vercelli),  1 
Aiba  (Cuneo),  2 
Alberobello   (Bari),    123 
Alessandria,  5,  S 
Alfedena  (L'Aquila),  95 
Alto-Adige,  46 
Alghero  (Sassari),  loi> 
Amandola    (Ascoli    Piceno),    73, 

76,  81 
Amato   (Catanzaro),    136 
Amelia  (Terni),  81,  83 
Amiata,  65,  81 
Amiterno  (L'Aquila),  95 
Ampezzo  (Carnia),  53,  138 
Ancona,  54,  72,  73,  74,  75,  77, 

138 
Andria  (Bari),   123 
Anversa  (L'Aquila),   102 
Aquila,  95,  96,  105 
Aquileia  (Udine),  2,  31,  48 
Arbatax  (Nuoro),  156 
Arcevia  (Ancona),  74 
Arco  (Trento),  46 
Arezzo,  65,  71 
Arpino  (Napoli),  91 
Ascoli  Piceno,  72,  73,  75,  76,  77, 

81,  83 
Assisi   (Perugia),  81,  82,  83 
Auronzo  (Belluno),  30 
Avellino,   118 

Badia  (Val  Gadera),  47 
Bagnoli   del   Trigno   (Campobas- 
so), 106 
Bari,   125 

Barletta  (Bari),  123 
Basilicata,   140,   159 
Baunei  (Nuoro),   156 
Bedonia  (Parma),   10 
Bellante  (Teramo),  97 
Belluno,  33 


Benevento,  119,  121 
Bergamo,  21,  25 
Bevagna  (Perugia),  81 
Bitonto  (Bari),   123,  124,  125 
Bitti  (Nuoro),   157,   166 
Bologna,  54,  56,  57,  59,  61 
Bolzano,   41,   45 
Borgia  (Catanzaro),   141 
Borgo  Valsugana  (Trento),  46 
Bormio  (Sondrio),  24 
Bova  (Reggio  Calabria),  136,  140 
Brennero  (Bolzano),  41,  46 
Brescia,  21 

Bressanone  (Bolzano),  42 
Brindisi,  76,   121,   122 
Bronte    (Catania),    147,    148 
Bucchianico  (Chieti),  100,  105 
Budrio  (Bologna),  62 

Cadore,  30 

Cagliari,  158,  167 

Calabria,  87,  96,  107,  109,  110, 
116,  117,  129,  132,  133,  143, 
146,  149,  150,  159 

Calasetta   (Cagliari),   158 

Caltanisetta,  147 

Calvi  (Benevento),  114 

Camerino  (Macerata),  72,  73,  76, 
81 

Campania,  65,  87,  89,  96,  125, 
133,  147 

Campobasso,   101 

Campofilone  (Ascoli  Piceno),  76 

Canton  Ticino,  20 

Carloforte  (Cagliari),   158 

Carovigno  (Brindisi),    122 

Carsòli   (L'Aquila),  95 

Carrara  (Massa  Carrara),  54,  65 

Casale   (Mantova),    1,   20 

Caserta,   114 

Cassano  (Cosenza),  135 

Castel  del  Monte  (L'Aquila),  97 

Castellammare  del  Golfo  (Trapa- 
ni), 152 

Castelli  (Teramo),  105 

Castelmezzano  (Potenza),  130 

Castro  dei  Volsci  (Prosinone),  91 


172 


Indice  dei  nomi  geografici 


Castroreale  (Messina),   147 

Castrovillari  (Cosenza),  135,  141 

Catania,  147 

Catanzaro,   135,   137,   138,   141 

Cavalese  ,Trento),  44 

Cefalìi  (Palermo),   147 

Celano  (L'Aquila),   104 

Cerignola  (Foggia),   124,   125 

Cervara  (Roma),  92 

Cerreto    (Cosenza),    141 

Chianti,  48 

Chiavari  (Genova),  10,  12 

Chieti,  96,  97,  98,  99,  102 

Chieuti  (Foggia).  120 

Chiusi  (Siena),  65 

Chizzola    (Trentino    Alto-Adige), 

47 
Cilento,  109,  110,  114,  130 
Cimolais  (Pordenone),  52 
Cingoli  (Macerata),  72,  75 
Città   di   Castello   (Perugia),   81, 

84,  85,  86 
Cles  (Trento),  46 
Colforito  (Perugia),  72 
Colle  della  Maddalena  (Torino),  2 
Colli  Albani,  87,  91 
Colle    Sannita    (Benevento),    118 
Como,  21 
Comelico,  30 

Condofuri  (Reggio  Calabria),  140 
Conidoni  (Catanzaro),    137 
Contessa  Entellina  (Palermo),  151 
Corsica,  68,   156,   158 
Cortina  d'Ampezzo  (Belluno),  30 
Cosenza,  138,  141 
Cremona,  21,  31 
Cropani   (Caltanisetta),    141 
Crotone   (Caltanisetta),    136,    139 
Cupra    Marittima    (Ascoli    Pice- 
no), 72 
Cupra    Montana    (Ancona),   72 
Cuneo,  2 

Diamante   (Cosenza),    135 


Fermo  (Ascoli  Piceno),  72,  75,  76 

Ferrara,  34,  57,  58 

Fiorenzuola  (Piacenza),  56 

Firenze,  54,  56,  65,  66,  70 

Foggia,  120 

Foligno  (Perugia),  72,  81,  82 

Fondo   (Trento),  42,  43 

Fonni   (Nuoro),   162 

Force  (Ascoli-Piceno),  73 

Forlì,  63 

Formia  (Latina),  94 

Formicola    (Caserta),     114,    117, 

118, 
Forni   Avoltri   (Udine),  52 
Fortore  (fiume),  120 
Fossato  (Perugia),  84 
Francavilla   di   Sicilia   (Messina), 

150 
Francavilla     Fontana     (Brindisi), 

124 
Fossombrone  (Pesaro  e  Urbino), 

79 
Friuli,  8,  38,  41,  48,  49 

Gallicchio  (Potenza),   110 
Gallo  (Caserta),   111,   113,   117 
Garcssio  (Cuneo),   1,  7 
Garfagnana,  5 
Gela  (Caltanissetta),  147 
Genova,  10,  14,  17,  54,  60,  158, 

164 
Gerace  (Reggio  Calabria),  137 
Gessopalena  (Chieti),  106 
Giarratana   (Ragusa),    148 
Gorizia,  53 

Gressoney  (Val  d'Aosta),  1 
Grosseto,   138 
Grottammare,  75,  76, 
Grumento  (Potenza),  128,  134 
Gualdo  (Perugia),  84 
Guardia    Piemontese    (Cosenza), 

141 
Guardiagrele  (Chieti),  97,  98 
Gubbio  (Perugia),  81,  84 


Emiha,  1,  6,  25,  30,  33,  49,  76, 

151 
Empoli  (Firenze),  66 
Enna,  147,  152 
Erba  (Como),  28 
Erto   (Pordenone),  52 
Esino  (fiume),  54,  73,  96 

Fabriano  (Ancona),  72,  75, 
Facto  (Foggia),  118 
Fano  (Pesaro-Urbino),  74 
Feltre  (Belluno),   34,  40 


Iesi,  72 

Jntrodacqua  (Sulmona),  100,  101 

Isonzo,  38 

Ischia  (Napoli),  112,  113 

Ivrea  (Torino),  2,  6,  21 

Lago  di  Garda,  20,  30 
Lago  Maggiore,  16 
Lamezio  (golfo),   136 
Lanciano  (Chieti),  99,   102 
Lanzo  (Torino),  6 
La  Spezia,  14 


Jtulice  dei  nomi  geografici 


173 


Latisana  (Udine),  34 

Lazio,    ò4,    65,    77,    80,    83,    96, 

110,   117 
Lecce,   122,   124,   125,   126 
Liguria,   1,  2,  4,  25,  55,  57,  59, 

115,   146 
Livenza  (fiume),  30,  32,  35,  37, 

38.  49 
Lodi  (Milano),  21 
Lombardia,   1,  4,  30,  33,  37,  49, 

55,  56,  57,  59,  62 
Lucania,  87,  96,   110,   116,   117. 

124,  128,   130,   135 
Lucca,  56,  64,  66 
Lucerà    (Foggia),    95,    117,    121, 

123 
Luni  (La  Spezia),  64 
Lunigiana,   54,   65 

Macerata,  73,  75,   76.  81 
Macugnaga  (Novara),   1 
Malcèsine  (Verona),  30 
Manfredonia    (Foggia),    121 
Mantova,  20,  30,  54 
Maniago   Clauzetto  (Pordenone), 

52 
Maratea  (Potenza),  130,  131,  135, 

135 
Marche,  27,  55,  78,  80,  82,  92, 

102 
Marradi  (Firenze),  54 
Martina  Franca  (Taranto),   123 
Massa,  65 

Maidica  (Macerata),  72 
Matera,   128,    129,   130,   133 
Melissa   (Catanzaro),    117 
Melito    di    Porto    Salvo    (Reggio 

Calabria),   141 
Messina,  115,  143,  147,  152 
Mezzolombardo  (Trento),  41,  44 
Milano,  1,  2,  21,  22,  25,  26,  28, 

51,  49,  54,  56 
Milazzo  (Messina),   147 
Mincio,  20 
Modena,  57,  58,  59 
Modica   (Ragusa),    152 
Molfetta  (Bari),  123 
Molise,  120 
Monferrato,   5,    151 
Monginevro,  5 
Montalto  (Modena),  76 
Monte  di  Precida  (Napoli),   112, 

114 
Montefalcone  (Ascoli  Piceno),  75, 

81 
Montefnsco   (Avellino).    114 
Montcprandone   (Ascoli    Piceno), 

76 


Muggia  (Trieste),  48,  52,  53 
Murazzano  (Cuneo),  9 


Napoli,  110.  HI,  113,  114.  115, 
118,    119.    144,    147.    149 

Narni  (Terni),  80 

Nepi,  (Viterbo),  64 

Nicastro    (Catanzaro),    141 

Nicosia  (Enna),   150 

Nocera  (Perugia),  84 

Norcia  (Perugia),  81,  82,  83,  84, 
85,  86 

Novara,  9,  25 

Novara  di  Sicilia  (Messina),  150 

Novi  Ligure  (Alessandria),  1,  10 

Numana    (Ancona),   72 


Oltrepò,  20 

Omignano(    Salerno),    111,    116, 

117,   118 
Orsogna  (Chieti),  97 
Orte   (Viterbo),   81 
Orvieto  (Terni),  83 
Qsimo  (Ancona),  72 
Ossola,  151 
Ostuni  (Brindisi),   126 
Otricoli  (Terni),  80,  81 

Padova,  35,  36,  38 

Paganica  (L'Aquila),  97 

Palagiano    (Taranto),    112 

Palazzo  Adriano  (Palermo),   151 

Palermo,   144,   147 

Falena  (Chieti),    102 

Palestrina  (Roma),  88 

Palizzi    (Reggio    Calabria),    140 

Panaro  (fiume),  57 

Paracorio,  134 

Parma,  54,  56,  61,  62 

Patti  (Messina),   150 

Pavia,  20,  22,  54 

Pedaso  (Ascoli  Piceno),  76 

Pegli  (Genova),   164 

Penne  (Pescara),   102 

Pergola  (Pesaro  e  Urbino),  74 

Perugia,  80,  82,  84 

Pesaro,  72.  73,  77 

Pescara,  95 

Pescasseroli,  102 

Pescolanciano    (Isernia),    105 

Pescomaggiore  (L'Aquila),  105 

Piacenza,  11,  21,  54,  56,  61 

Piana  degli   Albanesi   (Palermo), 

151 
Piave,  30,  34.  55 
Piazza   Armerina   (Enna),    150 


174 


Indice  dei  nomi  geografici 


Piceno,  95 

Picerno  (Potenza),  131,  152,  133, 

134 
Piemonte.  20,  23,  24,  25,  49,  55, 

57,  59,  62,  84 
Pietrasanta   (Lucca),   70 
Pigna   (Imperia),   14 
Pitigliano   (Grosseto),   70 
Po,  21,  30,  34,  54,  55 
Polesine,  36 
Polla  (Salerno),   128 
Pont   Saint   Martin   (Aosta),    1 
Pontremoli  (Massa  Carrara),  71 
Portogruaro    (Venezia),    49 
Porto  S.  Giorgio  (Ascoli  Piceno), 

76 
Porto  Torres  (Sassari),  156 
Poschiavo,  20,  24 
Postumia,  2 
Potenza,  130,  131 
Potenza   Picena   (Macerata),   72 
Pozzuoli    (Napoli),    107,    112 
Pragelato  (Torino),  8 
Predazzo  (Trento),  43,  44 
Procida  (Napoli),   110 
Puglia,    87.    95,    107,    116,    117, 

130,  150 


Quero  (Belluno),  34 


Ragusa,  147 

Ravenna.  55 

Reggio  Emilia,  61 

Reggio  Calabria,  136,  140,  143 

Rieti,  81,  85,  94 

Rimini  (Forlì),  2,   11,  72 

Ripatransone  (Ascoli  Piceno),  78 

Roccaforte  (Reggio  Calabria),  140 

Roghudi   (Reggio   Calabria).    140 

Roma,  4,  11,  38.  56,  57,  65,  72, 

121,    144,    147,    149 
Romagna,  36,  37,  50,  74 
Rovereto  (Trento),  43,  44 
Rovigno,  36 
Rovigo,  33,  40 
Ruvo  (Bari),  123,  129 


Salente  (Puglia),   120,   121,   122, 

124,  146.  147 
Salerno,   107,   114,   118,   128 
Salorno  (Bolzano),  41 
Saluzzo  (Cuneo),  6 
Sangro,  98 
Sannio.  121 
San  Vito  (Chieti).  98 
Sardegna,  102,  103,  109,  129,  135 


Sarzana  (La  Spezia),  14,  19 

Sassari,   167 

Sassello  (Savona),  18 

Savona,  2 

S.  Agata  Feltria  (Pesaro),  78 

S.   Arcangelo   (Potenza),    1 10 

S.  Benedetto  (Ascoli  Piceno),  75, 

76 
S.  Chirico  Raparo  (Potenza),  117, 

129 
S.  Daniele  del  Friuli  (Udine),  55 
S.    Demetrio    Corone    (Cosenza), 

141 
S.  Eufemia  Lamezia  (Catanzaro), 

136 
S.  Fratello  (Messina),   150,   152 
S.    Giovanni    Rotondo    (Foggia), 

127 
S.  Omero  (Teramo),  102 
S.  Severino  (Macerata),  75 
Scanno   (L'Aquila),    100 
Scheggia  (passo),  72,  80,  84 
Senigallia  (Ancona),  55,  72,  73, 

74 
Senise  (Potenza),   134 
Sestola  (Modena),  57 
Sicilia,  13.87,  107,  109,  115,  116, 

135,    138,    139,    140,   161 
Siena,  65,  68 
Siponto   (Foggia),    121 
Siracusa,  147 
Sondrio,  28 
Sora  (Frosinone),  92 
Spezzano     Albanese     (Cosenza), 

141 
Spoleto  (Perugia),  80,  83,  84 
Strongoli   (Catanzaro),    141 
Subiaco  (Roma).  91,  92 
Sulmona  (L'Aquila),  97,  101,  102 


Taggia   (Imperia),   18 

Taormina   (Messina),   150 

Taranto,   121,   122 

Taro,  56 

Teana  (Potenza),   HO 

Tenda,   1,   10 

Teramo,  97.  98,  99,  102 

Terni,  81,  83 

Terracina  (Latina),  91 

Tevere,  65.  80,  87,  96 

Ticino,  20,  22 

Tirolo,  46 

Tito   (Potenza),    131,    133,   154 

Todi  (Perugia).  81,  82,  85 

Tolentino  (Macerata),  72 

Tolmezzo  (Udine),  48 

Torino,  1,  2,  9 


Indice  dei  nomi  geografici 


175 


Tortona  (Alessandria).  2,   1 1 
Toscana,   10,   16,  51,  55,  55,  55, 

59,60,62,80,84,86,89,  112, 

115,   116,   117.   124 
Treni  (Bari),   125 
Trapani,   147 
Trasimeno,  84 
Treccliina  (Potenza),   151 
Treia  (Macerata),  46 
Trento,  20,  41 

Trentino  Alto  Adige,  50,  57 
Trevi  (Perugia),  82 
Treviso,  55 
Trieste,  48,  52 
Tronto,  76 
Tropea  (Catanzaro),  141 

Udine,  50 

Umbria,  4,  65,  75,  74,  77 

Urbino.  72 

Useddus  (Cagliari),    155 

Usseglio  (Torino),  8 

Val  Bregaglia,  20 
Val  Calanca,  20 
Val  Gàdera,  42,  45,  44 
Val  Gardena,  42,  45 
Val  Lagarina,  41 
Val  Mesolcina,  20 
Val  Monastero,  44 
Val  Pusterìa,  46 
Valsecca  (Bergamo),  28, 
Val  Soana,  8 
Valsugana,  56,  41,  42,  45 
Val  Venosta,  42,  46 
Val  d'Adige,  41 


Val  d'Aosta,  1,  8 

Val  di  Cembra,  44 

Val  di  Fassa,  42,  44 

Val  di  Magra,  10 

Val  d'Isarco,  41 

Valle  del  Fersina,  41 

Valle  del  Rienza,  41 

Valle  del  Tanaro,  10 

Valle  del  Taro,   10,  54 

Valle  dell'Aterno,  96,  97,  98 

Valle  dell'Avisio,  41 

Valli  Giudicarle,  41,  45 

Valli  Valdesi  (Torino),  1 

Vasto  (Chieti),  97,  98,   100,   101 

Velletri   (Roma),  89.  92 

Veneto,  8,  27,  49,  50,  59,  62,  96 

Venezia,  55,  54,  55,  57,  58,  60 

Venezia  Giulia,  51,  48 

Venosa   (Potenza),  95,    121,   128 

Vercelli,  1,  2,  5,  20 

Verona,  22,  54,  40 

Versilia,  65 

Via  Appia,   107,   109,   110,   128, 

129,  150,  152 
Via  Aurelia,   1 1 
Via  Claudia  Valeria,  96 
Via  Emilia,  2 
Via    Flaminia,    11,    64,    72,    74, 

80,  81 
Via  Salaria,  72,  81 
Vibo  Valentia  (Catanzaro),   155, 

157 
Vico  del  Gargano  (Foggia),   125 
Vigo  di   Fassa  (Trento),  44 
Vinadio  (Cuneo),  1,  8 
Voghera  (Pavia),  28,  54 
Volturno,   107 


N.  B.  Per  i  nomi  di  regione  si  danno  solo  le  citazioni  di  pagine  non 
concernenti  la  regione  stessa. 


INDICE  FONETICO 


a  '>  d,  \.  Palatalizzazione  di 

a  y  a  negli  Infiniti  P  coniug. 
V.  Palatalizzazione  di 

accentazione,  55,  58,  98 

accento  musicale,   18 

accento  spostato,  v.  Spostamento 
della  sede  dell'accento  e  Dit- 
tongo ùe  -  ìe 

accento  su  vocali  finali,  v.  Vocali 
finali  accentate 

a   <    e  chiusa,  v.  e  chiusa   > 

a    <.   e  aperta,  v.  e  aperta   > 

a  >  eu,  V.  Palatalizzazione  e 
Frangimento  di 

a  finale  cade,  v.  Caduta  di 

a  finale  >  è,  v.  Vocali  indistinte 

a  finale  mutata  per  nietafonia, 
V.  Metafonia  di 

affricate,  67 

ago  <  aco  suffisso,  v.  Lenizione 
di  suffisso 

ai  <  e  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico  metafonetico  di 

ai  <  e  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

-a-  interna  >  e  per  7  finale,  v. 
Metafonia  di 

ako  >  ago  suffisso,  v.  Lenizio- 
ne  di 

-an  terminazione,  v.  Terminazio- 
ne in 


anafonesi  (/,  u  invece  di  e,  o 
in  fiorentino),  66,  91 

analogia,  v.  Sviluppi  analogici, 
V.  anche  Part.  Pass,  analogico 
in    Indice   Morfologico 

anaptissi,  v.  Vocali  di  appoggio 
a  K  o  chiusa,  v.  Ditton- 
gazione di 

a  <  o  prctonica,  v.  Apertura 
di   vocali   protoniche 

apertura  di  'i  -  u,  76 

apertura  di  vocali  protoniche,  1 1 1 

apertura  di  vocali  protoniche, 
>   a,   111,   112 

apofonia  latina,  89 

ar-  prefisso  <  ri-,  v.  Metatesi  dì 

-ar  atono  >  er  nei  futuri,  66, 
V.  anche  Futuro  in  Indice 
Morfologico 

-aria  suffisso  >  ar,  er,  v.  Suffis- 
so in 

-aria  suffisso  >  aio  -,  v.  Suffisso 
in 

-ariu  suffisso  >  aru  -,  v.  Suffis- 
so  in 

-arili  sufiisso  >  er{u)  -,  v.  Suf- 
fisso  in 

aspirazione  di  /  iniziale  >  h, 
139 

aspirazione  di  s  iniziale  >  h, 
25,  43 

aspirazione  e  spirantizzazione 
toscana,  66;   fig.   7 


Indice  fonetico 


177 


assibilazione,  4,  42,  43,  60;  fig.  1 
di    e   davanti    ad    e  -  i    >    s, 
23,  34.  42,   52 
di  g  davanti  ad  e  -  i  >   s  4, 
23,  34,  42,  43,  74 

assimilazione  di 

et  >  »,  13,  23,  32,  59;  fig.  2 

>   t  23,  24,  32,  59 

Id  >  //,  74,  75,  92,  101,  128 

mb    >    mm   74,   75,   82,   92. 

102,  116,   138 

nd  >   un  68,  74,  75,  82,  92. 

101,  115,  124,  128,  138,  147; 

fig.  8 

assimilazione  progressiva,  75,  115 
V.  anclie  Assimilazione  di  mb, 
nd  >  mm,  nn,  v.  anche 
Gruppi 

au  <  o  chiusa,  v.  Dittongazione 
di  o  chiusa 

àu  <  o  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

eia  <  o  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico   di 


bb  <  qii  -  gu,  V.  QU  >   bb 

b    iniziale    >    bb,    v.    Rafforza- 
mento di  consonante  iniziale 

b  iniziale  >  v,  92,  101,  113,  157 

bi  <   bl,  v.  Palatalizzazione  di 

bl  >   bi,  v.  Palatalizzazione  di 

>  gi,  V.   Palatalizzazione  di 
Gruppo 

>  /,    V.    Palatalizzazione    di 
Gruppo 

bl  conservato,  v.   Mantenimento 
di  gruppo  gl- 

br  >   vr,    113 


ca  -  che  -  clii  <  qua  -  que  -  qui,  v. 
Perdita  di  elemento  velare 

cacuminali,  v.  Sviluppo  di  suoni 
cacuminali. 

e  intervocalivo  >   g,  v.  Lenizio- 
ne    di 


e  dinanzi  ad  e,  i  >   s,  v.  Assi- 
bilazione di 

e  dinanzi  ad  e,  i  >   tlì  34 

caduta  di  consonanti   12 

di  -d-  intervocalico  <  leni- 
zione  22 

di  g-  iniziale  dinanzi  ad  a 
114 

di  -/-  intervocalica,  v.  Cadu- 
ta di  r 

di  -/(-//)    dopo    vocale    e    da- 
vanti ad  o-e  151 
di  nasale  in  sillaba  finale  25, 
36,  43 

di  -p-  intervocalica  per  leni- 
zione,  V.  Lenizione  e  caduta 
di 

di  -;•-(-/-)  intervocaliche  12, 
14 

di  s  finale    159 
di  /  intervocalica  per  lenizio- 
ne, V.  Lenizione  e  caduta  di 
di  V  iniziale  25 
di  V  intervocalico  11 

caduta  di  vocali 
di  -a  finale  26 

di  -e,  -o  dopo  r  e  dopo  con- 
sonante momentanea  33;  34 
di  e,  -o  finali  dopo  nasale,  3, 
11,  33 

di  -/  finale  nel  plurale  59 
di    -o    finale      dopo      suffisso 
-e/(/o)  53 

di  -o  finale  in  parole  bisilla- 
biche  34 

di  protoniche  14,  20,  58,  74 
di  postoniche  58,  74 
di   vocale    finale    (in   genere) 
44,  50,  59,  98 

di  vocale  finale  diversa  da  a, 
2,  3,  11,  22,  33,  55,  110 
cf.  anche  Part.  Pass,  in  Indice 
Morf. 

caduta  di  sillaba  finale,  3 

chj  <  pi,  V.  Palatalizzazione  di 
gruppo 

che    <    que,   v.    Perdita   di   ele- 
mento  velare 
cf .  anche  ca  -  chi  <  qua  -  qui 

chi  <  qui,  V.  Perdita  di  elemento 
velare 
cf .  anche  ca  -  che  <  qua  -  que 


178 


Indice  fonetico 


ci  >  e,  V.  Palatalizzazione  di 
Gruppo 

ci  >   chi,  V.   Gruppo 

ci  >   cclij,  V.  Gruppo 

ci    >    cchj    >    cc/z    >    ccj,    V. 
Gruppo 
cf.  anche  Gruppo  cons.   +   / 

consonante  finale  rafforzata  per 
caduta  di  vocale  finale,  v.  Raf- 
forzamento di 

consonanti  doppie,  4,  18,  v.  Scem- 
piamento  di 

consonanti  iniziali  rafforzate,  v. 
Rafforzamento   di 

conson.  intervocaliche  lenite,  v. 
Lenizione  di 

et  >    e,  V.   Palatalizzazione   di 

et  >    it.,  V.  Gruppo 

et  >  tt,  V.  Assimilazione 

et  >   ht,   V.   Dissimilazione   di 

e  <  tr,  V.  tr  >  e:  v.  Sviluppo  di 
suoni  cacuminali 

cv  <  qu,  V.  gruppo  qu 


d  <  l,  y.   l 

J  >   /,   113 

d  >   t,  101 

d  -  iniz.  >   add,  v.  Rafforzamen- 
to  di 

dd    <    //,  V.   Sviluppo   di   suoni 
cacuminali 

d  intervocalico  cade  per  lenizio- 
ne, v.  Caduta  di 

dileguo  di  /   <   palatalizzazione, 
33 

d  lenita,  v.  Lenizione  di 

discendente,   pronuncia,    v.    Pro- 
nuncia discendente 

dissimilazione    di    gruppo   et    > 
ht,  v.  Gruppo 


distinzione  tra  o  chiusa  e  o  aper- 
ta,. 122 

distinzione  di  vocali  aperte  e 
chiuse    120,    130 

distinzione  tra  u  aperta  e  ii  chiu- 
sa, 109,  122 

distinzione  di  vocali  finali  u  -  o, 
81,   98 

dittongazione   12,  23,  33,  57 

dittongazione  di  e  aperta  >  ie, 
58 

dittongazione  di  e  aperta  e  chiu- 
sa, 100 

dittongazione  di  e  chiusa  >  ai, 
76 

dittongazione  di  e  chiusa  >  oi, 
76 

dittongazione  di  e  chiusa  >  ei, 
23,  32,  76,  84 

dittongazione  dì  e  -  a  aperte,  53, 

57,  90,  99,  100,  112 

dittongazione  di  e  -  o  chiuse,  32, 
52,    100 

dittongazione  di  i  chiusa  >  ai, 
76 

dittongazione   di   i   >    ci,  76 

dittongazione  di  7  ii  lat.,  98 

dittongazione  di  o  aperta,  57, 
68 

dittongazione  di  o  aperta  >  uè, 
91,   124 

dittongazione  di  o  aperta  >  uo, 
68,   112 

dittongazione  di  o  chiusa  >  au, 

58,  112 

dittongo    con    epentesi    di    v,   v. 

epentesi  di   v  nel 
dittongazione  friulana,  52 

dittongazione  mctafonetica  per 
7,  u  finali  (in  genere),  74,  75, 
147 


Indice  fonetico 


179 


dittongazione  metafonelica  di  a 
interna  >  ie  per  7  finale,  91 

dittongazione  metafonetica  di  e 
chiusa  per  ù  finale,   124 

dittongazione  metafonetica  di  e, 
o  aperte  per  i-u  finali,   137 

dittongazione  metafonetica  di  e 
chiusa  >  di,  112 

dittongazione  metafonetica  di  e 
o    aperte,    124 

dittongazione  metafonetica  e,  o 
chiuse,  124 

dittongazione  metafonetica  ié. 
Ilo,  99 

dittongazione  metafonetica  uo 
per  -di  finale  (<  lat.  dies), 
111 

dittongo  contratto,   10,  68 

dittongo  ia  -  io,  52 

dittongo   ie  -  ùo,  67 

dittongo  rafforzato,  v.  Rafforza- 
mento di 

dittongo   ou  -  uà  -  uo,  52 


e  aperta,  v.  Dittongazione  di 

e  aperta  >  a,  76 

e  aperta  al  femminile  >   chiusa 
nel  maschile,  91 

e  aperta  al   singolare   >    chiusa 
al  plurale,  91 

e  aperta  al  singolare  mantenuta 
per  e  finale,  3,  83 

e  aperta  dittongata,  v.  Dittonga- 
zione  di 

e  aperta  >  chiusa,  58 

e  aperta  >  chiusa  al  plurale  per 
I  finale,  83 

e  aperta  >  /,  58 

e  aperta   >  ie,  v.  Dittongazione 
di  e  aperta  >  ie 


e  aperta  >  ie  per  I  -  u  finali,  v. 
Dittongazione  metafonetica  di 
e  aperta 

e  aperta  latina  >  è,  58 

e  aperta  latina  >  i,  58 

e  aperta   >  ie,  v.  Dittongaz.  di 

e  chiusa,  v.  Dittongaz.  di 

e  chiusa  >  a,  76 

e  chiusa  >  ai,  v.  Frang.  voc. 
non  met.,  v.  Dittongazione  di 

e  chiusa  >  ài,  v.  Frangim.  voc. 

e  chiusa  >  ei,  v.  Dittongazione 
di 

e  chiusa  >  /,  v.  Frangim.  e 
metaf.  di 

e  chiusa  >  i  per  -al  finale,  v. 
Metafonia  di 

e  chiusa  >  i  per  i  -  ù  finale,  v. 
Metafonia  di 

e  chiusa  nel  dittongo,  v.  Ditton- 
go ié  -  uó 

e  chiusa  >  ói,  v.  Dittongazione 
metafonetica  di 

e  chiusa  >  -oi,  v.  Dittongazio- 
ne di 

e  >  ei,  V.  Dittongazione  di  di, 
Frangimento  di 

epitesi  di  e  in  temi  nominali 
mene -mini  (lat.   men),    159 

e  finale  dopo  nasale  cade  ,v. 
Caduta  ài  e-o 

e  finale   <  i,  v.  ì  finale   > 

e  >  i  per  presenza  di  I  finale, 
V.   Metafonia   di 

ei  <  e  chiusa,  v.  Dittongazione 
di,  Frangimento   di 

ei  <  i  chiusa,  v.  Frangimento 
di 

ei  <  i  metafon.,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

è  indistinta,  v.  Vocali  indistinte 


180 


Indice  fonetico 


e  -  o    dinanzi    a    n  +  cons.    gutt., 
V.  Mancanza  di  anafonesi 

epentesi  di  v  nel  dittongo,  139 

epentesi  di  v  per  eliminare    iato 
provocato    da   lenizione,   4 

er  atono  >  ar  nei  futuri,  66 

er   atono    >  ar   all'infinito,   68 
cf.    Infinito    in    Indice    morf. 

èu   <   u  chiusa,  v.  Frangimento 
vocal.  di 


/  iniziale  >  h,  v.  Aspirazione  di 

finale   vocal.    diversa    da    a    > 
vocal.    indistinta,    v.    Vocali 
indistinte 

fi  >   /,  V.  Palatalizzazione  di 

fi  iiiiz.  >  hi,  V.  Palatalizzazione 
di 

fi  iniz.   >   s,  V.  Palatalizzazione 
di   +   / 

fonetica  sintattica,  113,  li6 

frangimento   vocalico,    100,    122, 
125 

di  e  chiusa   >   ai,   123 
di  e  chiusa  >  ai,  123 
di  /  >   ei,    100,    123 
di  ì  metaf.  >  ei,  101 
di  i  >   oi.  111,  123 
di  /  chiusa   ad   òi,    123 
di  o  chiusa  >  oit,  123 
di  o  chiusa  >  au,  123 
di  o  chiusa  >  àu,  123 
di  u  >   ili,  101,  123 
di  u  chiusa  >  àu,  123 
di  u  chiusa  >   eu,  123 
di  «  >   Oli,  123 
v.  anche  Dittongazione   di 


g  dinanzi  ad  e  - 1  >  d,  34,  43 

g  dinanzi  ad  a  >  i,  v.  Palataliz- 
zazione di 

g  dinanzi  ad  e  -  /  >  i,  v.  Palata- 
lizzazione di 

g  dinanzi  ad  e  -  /  >   s,  v.  Assi- 
bilaz.  di 


gg  iniz.  <  g  iniz. 

<  /,  V.  Rafforzamento  di 

g  iniziale    >    v,    101,    114 

g  iniz.  dav.  ad  a  >  cade,  v.  Ca- 
duta di 

g  iniz.  dinanzi  ad  e  >  /,  114 

g  iniz.  >  h,  V.  Lenizione  parzia- 
le di,  V.  anche  Lenizione  to 
tale  di 

g,  j  iniz.  >  gg,  V.  Rafforzamento 
di 

g'    >    i.   V.    Palatalizzazione   di 
gruppo 
cf.   anche   Gruppi   cons.  +  / 

gì  >  ggfii,  V.  Palatalizzazione  di 

gruppo  cons.  +  /,  23,  34 

gruppo  /  +  cons.  labializzato,  v. 
Velarizzazione  di 

gruppi  consonantici 

conservati,    v.    Mantenimento 
di 

bl,  ci,  fi,  gì,  pi,  v.  Palataliz- 
zazione di 

et  >   it,  V.  Assimilazione 
et  >  //,  V.  Palatalizzazione  di 
et  >   t,  V.  Assimilazione  di 
et  >   e,  V.  Palatalizzazione 
-gn-  >   un,  125,  139 
-//-   >   -t-,   139 
-iv-  >   -ib-,  66 
-mp-  >  -mb,  102,  116 
-ne-,  -ne-  >  -ng-,  -ng-,  75,  101, 
102.  116,  127,  147 
-nf-  >  -mp-,  139 
-nt-  >  -nd-,  116,  124,  138,  147 
pi  >   eh,  V.  Palatalizzazione 
di  gruppo 
rv  >  rb,  66 

gu  >   bb,  V.  qu,  gli 

h  <  /  iniziale,  v.  aspirazione  di 

h  <  g  iniziale,  v.  Lenizione  par- 
ziale di  g 

h  <  s  iniziale,  v.  aspirazione  di 

h  <  t  nella  postonica,  v.  aspira- 
zione di 


Eghj  <  gì,  V.  Palatalizzazione  di       hi  <  //  iniziale,  v.  gruppo 


Indice  fonetico 


181 


ia  -  io  dittonghi,  v.  Dittongo  ia  -  io 

i  chiusa  dittongata,  v.  Dittonga- 
zione di 

i  chiusa  non  distinta  da  /  aper- 
ta, V.  Mancanza  di  distin- 
zione tra  /  aperta  e  i  chiusa 

/  dinanzi  a  n  +  cons.  gutt.,  v. 
anafonesi 

ì  <   te,  V.  Dittongo  contratto 

ie,  V.  Dittongo 

ié  <  dittongaz.  metaf.,  v.  Dit- 
tongazione metafonetica 

ie  <  e  aperta,  v.  Dittongazione 
di 

/■  >  ei,  V.  Dittongazione  di 

/  finale  >  e,  83 

/  finale  <  ae  lat,  nom.  plur.  1" 
deci..   Ili 

-in  terminazione,  v.  Terminazioni 

indebolimento  di  vocali  finali,  98, 
110 

-io-  dittongo,  V.  Dittongo 

-io-  dittongo,  V.  ia 

-it    <   et,  V.   Palatalizzazione   di 

(■  -  u  chiuse  >  i-u  aperte,  v. 
Apertura  di 

iu  <  u  chiusa  metafonetica,  v. 
Frangimento  vocalico  di 


/■    <    fi,  V.   Palatalizzazione  di 

/  <  g  e  /  lat.  >   se',  124 

/  <  /,  V.  Palatalizzazione  di 

/■  iniz.  >   gg/z,  V.  Rafforzamento 
di  g 

/  <  g  iniziale  dinanzia  ad  e,  v. 
g  iniz. 

/  prostetica,  v.  prostesi  di 


/  >  d,  151 
l  <  d,y.d 


Id  interno  >  //,  v.  assimilazione 
di 

/  intervocalico  cade,  v.  Caduta  di 
r,  l 

l  +  cons.   >    u  -f  cons.,  v.  vela- 
rizzazione  di   gruppo 

Id  >  rd,  v.  Rotacismo  di  gruppo 

lenizione,  4,   11,   12,   14,  26,  35, 
59,  66,  74,  75,  84,   160 
di   consonanti   intervocaliche, 
22,  50,  131 

di  h  intervocalica,  160 
di   e   intervocalica    >    g,    74, 
131 

di  d  intervocalica,  131 
di  p  intervocalica  >  b,  160 
di  p  intervocaliva  >   v,     25, 
131,  151 

di  s  intervocalica   >   s,  74 
di  t  intervocalica   >   d,      26, 
131 

di  t  intervocalica  >  dli,  131 
di  t  nel  participio  passato,  26 
di  tr  intervocalica  >  dr,  13 
di  suffisso  ako  >   ago,  50 

lenizione  doppia  totale  di  /  e  r 
intervocaliche,  12 

lenizione    parziale    di    //    >    Id, 
102 

lenizione  totale   di  g,   101 
di   t  intervocalica,   1 1 

-//  finale  >  gli,  v.  Palatalizzazio- 
ne di 

-///  finale  >  gli,  v.  Palatalizzazio- 
ne di 

//    >    dd,   V.   Sviluppo    di    suoni 
cacuminali 

-/-  (//)  dopo  vocale  e  davanti  ad 
a- e  cade,  v.   Caduta   di 

//  >  /,  V.  Gruppo 

//,  V.  Gruppo 

l  '>  r,  V.  Rotacismo  di  /  >  r 

It    >    Id,   V.    Lenizione    parziale 
di 

//  >   t,  V.  Gruppo,  V.  Velarizza- 
zione 


182 


Indice  fonetico 


mancanza  di  anafonesi,  66,  68 

mancanza  di  distinzione  di  voca- 
li aperte  e  chiuse,  129,  159 

mancanza  di  distinzione  tra  u 
aperta  e  cliiusa;  i  aperta  e 
cliiusa,  109,  122 

mancanza  di  dittongazione  di 
ì  u  latine,  98 

mancanza  di  dittongazione  in  sil- 
laba aperta,  33 

mancanza  di  dittongazione  di 
e  -  o  aperte,  99 

mancanza  di  dittongazione  di 
o  aperta,   124 

mantenimento  di  dittongo  latino 
au  non  >   ò,  145 

mantenimento  di  gruppo  cons.  + 
/,  34,  49,  50,  52,   102 

mantenimento  di  ii  finale  non  > 
o,  73,  76,  82,  83 

mb  >   mm,  v.  Assimilazione  di 

mb   <  m,  68 

metafonia,   59,  66,   74,   75,    110, 
112,  122,  123,  139,  159 
cf.    anche    Plurale    Metafone- 
tico    in     Indice    morfologico 
Dittongazione   metafonetica 

metafonia  per  I  -  ii  finali,  83,  84, 
90,  128 

metafonia  solo  per  ;  finale,  74, 
75,  151 

metafonia  di  a  >  ie,  v.  dittongo 
metafonetico  di 

metafonia  di  a  interna,  91,  97,  99 

metafonia  di  e  chiusa  >  i  per  -ae 
finale.   111 

metafonia  di  e  >  /  per  -//  finale 
(lat.  -tis),   111 

metafonia  dì  e  -o  aperta  per  7  -  ù 
finali,  157 

metafonia  di  e-  o  aperte  e  chiuse 
per  ì-ù  finali,  84,  90,  99 

metafonia  di  o  chiusa  per  7  -  u 
finali,  84 


metafonia  di  o  >  ou  >  ò,  23 

metafonia  e  dittongazione,  cf. 
dittongaz.  metafonetica, 

metafonia  nel  plurale,  v.  Plurale 
metafonetico  in  Indice  mor- 
fologico 

metafonia  nel  singolare,  v.  Sin- 
golare metafonetico  in  Indice 
morfologico,    cf.    Metafonia 

metafonia  verbale,  v.  Presente 
metafonizzato  in  Indice  mor- 
fologico 

metatesi  di  ri-  iniziale  >  ar,  68, 

74 


n  >   nd,  68 

-ne  "     ng,  V.  Gruppi 

nd  <   n,  V.  n  > 

nd  >   nn,  v.  assimilazione  di 

nd  <  nt,  V.  nt 

n  dentale  finale  >  n  gutturale,  2, 
11,  22,  34 

n    intervocalica    >    n   gutturale, 
2,  22,  32,  34 

ng   <   ne,  V.  ne  > 

-ni  -nni  finale  >   gni,  v.  Palata- 
lizzazione di 

nn   <   nd,  v.  nd 

nt  >  nd,  V.  Gruppi 


o  >  a,  76 

a    aperta    dittongata,   v.    Ditton- 
gazione di 

o  aperta  latina  >  ò,  57 

o  aperta  non  dittongata,  v.  Man- 
canza di  dittongazione  di 

o  aperta  >   o  chiusa,  57 

o  aperta   >    uè,  v.  Dittongazio- 
ne di 


Indice  fonetico 


183 


o  aperta  >  uo,  v.  Dittongazio- 
ne di 

o  <  aii  lat.,  V.  au  lat.  > 

o  chiusa  dittongata,  v.  Dittonga- 
zione di 

o  chiusa  >  au,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

o  chiusa  metafonizzata  da  -7,  -ù 
finali,   V.   metafonia   di 

o  chiusa  nel  dittongo,  v.  Ditton- 
go uó 

0  chiusa  >  u  per  -r,  -«  finali,  v. 
metafonia  di 

o  dinanzi  ad  «  4-  consonante  gut- 
turale, V.  mancanza  di  ana- 
fonesi 

o  >  e,  76 

o  finale  cade,  v.  Caduta  di 

o  finale  cade  dopo  nasale,  v.  Ca- 
duta di 

a  finale  indifferenziata  da  o-u, 
V.  vocali  finali  indifferenziate 

o  >  uo  y  ò  per  u  finale,  v. 
Metafonia  di 

ò  <  «o  <  o,  V.  o  >  »o  >  ò 

ò,  ii,   14,  32,  43,  49,  57,  74 

ai  <  /  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

-on  terminazione,  v.  Terminazio- 
ne in 

cu  <C  o  chiusa,  v.  Frangimento 
vocalico  di 

òu  <  u  chiusa,  V.  Frangimento 
vocalico  di 


palataH,  consonanti  {c-i),  52,  60 

palatalizzazione 

di  a  >  ci,  1,  e,  24,  33,  49,  55, 
56,  68,  74,  76,  84;   fig.  6 
di  a  >  a  per  presenza  di  con- 
sonante  palatale   vicina,    100 


nell'infinito    1"    coniugazione, 
1,  3,  20.  56 
di  bl  >  /,  115 
di  e,  g  >  e,  i  dinanzi  a  vo- 
cali e-i,  4,  23,  42 
di  e  >  c-g  >  i  dinanzi  ad 
a,  24.  44,  50,  52 
di    gruppo    cons.  +  /,    5,    49, 
102 

di  ci -gì  >  c-g,  13,  23,  35 
di    ci-,   gì-    >    chj-,   ghj-,    13, 
115;  fig.  3 

di   -ci-,  -gì-   >    -echi-,  -gghj-, 
34,  139 

di  cl-gl-bl,  43 
di  cf   >    e  (progressiva),   13, 
23,  24,  32,  59;  fig.  2 
di    et    >    it    (regressiva),    2, 
13,  23,  24,  32,   59;   fig.  2 
ài  fi  >  hi,  138,  146 
di  fi  >  i,  138 
di  fi  >  s,  115,  138,  146 
di  gì  >  /,  75 
di  -//■-,  ///-  >   /,  75 
-//,  -///  finali   >   -gli,  85 
di  lu  >  fu,  92 
di  /  dinanzi  a  consonante  >  /, 
92 

di  -ni,  -nni  finali  >  -gni,  85 
cf.   anche   Velarizzazione   di 
di  pl-bl  >  C-i,  13,  23,  115 
di  pi  >  chi,    115,    124,    139, 
146 

di  pi,  bl  >  pi,  bi,  13,  23,  43, 
160 

palatalizzazione  e  frangimento  di 
a  >   eu,  123,   124 

perdita    di    elemento    velare    in 
qu-,  68,  114 
V.  Lenizione  totale  di  p  interv. 

postoniche  consonanti  raddoppia- 
te, v.  Raddoppiamento  di 
v.    Pronunzia   discendente   di 
toniche  -  postoniche 

pronunzia   ascendente   di   a,   18 
discendente  di  toniche  -  posto- 
niche, 18 

prostesi  di  /  dinanzi  a  vocali  chia- 
re, 114 

prostesi  di  v  dinanzi  a  vocali  scu- 
re, 114,  115 

protonica,   vocale   u-i    >    aper- 
ta, V.  Apertura  di 


184 


Indice  fonetico 


qu  >  eh,  V.  Perdita  di  elemento 
velare 

qu  >  cv,  61 

qu,  gu  >  bb,  160 


raddoppiamento  di  consonanti 
postoniche  nello  sdrucciolo, 
66 

raddoppiamento  di  cons.  sonore, 
101 

rafiForzamento  di  consonante  fi- 
nale, 38,  50 

rafforzamento  del  dittongo  me- 
diante cons.  epentetiche,  v. 
Epentesi   di 

rafforzamento  di  consonante  ini- 
ziale b  >   bb,  113 
con  prefisso  a(b)  >  abb,  113 
d  con  vocale  a  >  add,  113 
g  nel  plurale,  114 
g-j  iniz.   >    gg,  75 

rafforzamento  di  v  cons.  proste- 
tica  per  fonetica  sintattica 
>  bb,   115 

r  intervocalico  cade,  v.  Caduta 
dì  r-ì 

r  K  l,  y-  Rotacismo  di  / 

ri  iniziale   >   ar,  v.  metatesi  di 

r  - 1  unificate  in  posiz.  interv.  e 
cadono,  v.   Caduta   di 

rotacismo  di  /  +  cons.,  92,  114, 
160 

rotacismo  di 
/  >   r,  102 
d  >  r,  101,   113,  148 
d  <  t  >  r,  ìli 

rr   >    r,  v.   Scempiamente   di 


s  <  é  dinanzi  a  e,  i,  v.  Assibila- 
zione  di 

s  <  //,  v.  Palatalizzazione  di  fi, 
gruppo  cons.  +  / 

s  <  str.,  v.  Sviluppo  di  suoni 
cacuminali 

s  <  /  <  g  e  /■  lat.,  V.  r  >  g  e  / 
lat.  >  s 

s  finale  cade,  v.  Caduta  di 

s  finale  nei  verbo,  v.  Manteni- 
mento di  s,  in  Indice  morfo- 
logico 

se   >    ss   61 

scempiamento  di  consonanti  dop- 
pie, 22,   32,  59,   74 

scempiamento  di  rr  >  r,  67, 
69,  1 

sonorizzazione    iniziale,    37 

spostamento  della  sede  dell'ac- 
cento,   12 

ss  intervoc.   <   zz,  v.  zz 

str  >  s,  V.  Sviluppo  di  suoni 
cacuminali 

suffisso  aco   >    ago,  v.   Lenizio- 
ne   di   suffisso 
acco,  50 

-aria  >   er-ar,  52,  66 

-ariu  >   aio,  66 

-aria   >    aru,  66 

e(l)lo,  V.  Caduta  di 

sviluppi  analogici,  13,  112 

sviluppo  di  suoni  cacuminali 
//  >   dd,  114,  124,  128,  137, 
146 

str  >   s,  124,  146 
tr  >  e,  146 


'     ■  t  lenita,  v.  Lenizione  di,  cf.  Le- 

s  iniziale  >  /?,  v.  Aspirazione  di  nizione 


s  <  e  dinanzi  a  e,  i,  v.  Assibila- 
lazione  di 


/  lenita  nel  partic.  passato,  v.  Le- 
nizione di 


Indice  fonetico 


185 


/   <  It,  V.  Gruppo  It  > 

///  <  e  dinanzi  ad  e  -  i,  cf .  e  > 

ir  >  e,  V.  Sviluppo  di  suoni  ca- 
cuminali 

ir  >  dr,  V.  Lenizione  di  gruppo 

ir  >   dr,  V.  Lenizione  totale  di 

//  <  et,  V.  Assimilazione 


Il  aperta  distinta  da  u  chiusa, 
V.  Distinzione  di 

ij  chiusa  non  distinta  da  u  aper- 
ta, V.  Mancanza  di  distin- 
zione 

u  chiuso  >  u  aperto,  v.  Aper- 
tura di 

u  dinanzi  ad  «  -f  consonante 
gutturale,  v.   Anafonesi 

ù  <  l'io,  contrazione  di  dit- 
tongo 

li  finale  mantenuta,  v.  Manteni- 
mento di 

-u  finale  di  articolo  velarizza  la 
sillaba  seguente,   101 

Il   <   Z,  V.  Velarizzazione  di 

u  <  u  latina,  v.  ò 

il  lunga  lat.  >   ti,  11,  22;  fig.  5 

u   <   ùo,   V.    Dittongo    contratto 

u  >  /,  3,  14 

u  <  /,  130,  131 

Ito   <   o  aperta,  v.  o  aperta   > 

UG 

l'io,  V.  Dittongo  ie 
Ito.  V.  Dittongazione  metafonetica 
ré.   Ilo 


velarizzazione    di    gruppo    1     -1- 
cons.,  5,  44,  92,  114,  139 


V  epentetica  nel  dittongo,  v.  epen- 

tesi di  V  nel 

V  epentetica  elimina  iato  provo- 

cato   da    lenizione,    v.    epen- 
tesi  di   V 

V  <   g,  V.  g 

V  iniziale    <    b,  v.   b 

V  iniziale  cade,  v.  caduta  di 

V  intervocalica  cade,  v.  caduta  di 

vocali,  v.  Frangimento  vocalico, 
V.   Vocali   finali 

vocali  di  appoggio  in  seguito 
a  caduta  di  vocali  alone,  58 

vocale  epitetica,  v.  epitesi  di 

vocali  finali  accentate,  58,   110 

vocali  alterate,  v.  alterazione  vo- 
calica 

vocali  aperte,  chiuse  non  distin- 
te, V.  mancanza  di  distinzio- 
ne di 

vocali  finali  indebolite,  v.  Inde- 
bolimento di 

vocale  finale  indistinta  e,  97, 
122,   125,   130,   135,   138,   145 

vocali  miste,  v.  ò  -  ii,  v. 

vocali  postoniche  protoniche,  18 
V.  Caduta  di,  v.  Apertura  di 

vocali  protoniche  chiuse  >  aper- 
te, V.  Apertura  di 

V  prostetica,  v.  Prostesi  di 

V  rafforzata,  v.  Rafforzamento 
di 


z  <,  e,  \.  Assibilazione 
z  <  g,  y.  Assibilazione  di 
z  >  s,  67 

z  sorde  e  sonore  evitate,   18 
zz  interv.   >   ss,  67 


INDICE  MORFOLOGICO 


a  pronome  3^  sing.,  v.  Pronomi 

-à  '-ato'  part.  pass.,  v.  contrazione 

-a  '-ere',  infinito  3^  coniug.,  v. 
Infinito  in — 

-à  '-are'  infinito  P  coniug.,  v. 
Infinito  in — 

-amo   P  plur.,  v.  Presente  in — 

-andò  gerundio,  v.  Gerundio  in — 

aggettivo  possessivo  posposto,  146 

-ai  pass,  remoto,  v.  Passato  re- 
remoto  in — 

-ao  'ato',  part.  pass.  <  lenizione, 
V.  Lenizione  di  T  nel  part. 
pass.,  V.  Indice  fonetico 

-aria  nel  condizionale,  v.  Condi- 
zionale in — 

articolo  el,  25;  ju  (m.s.),  98;  le 
(n.),  132;  le  (n.),  102;  lo,  98 
lo,  25;  lu,  132:  lu  (m.s.),  98 
na  (f.s.),  98;  rhe  (n.),  102 
is,  161;  su  -  sa  -  sos  -  sas,  161 
u,  132; 

art.   <  ipse  e  non   <  ille,  v. 
Derivazione 

-ato  -ito  -uto  part.  pass.,  v.  Par- 
ticipio passato  in — 

-àt  -it  -Ut  part.  pass,  con  caduta 
di  voc.  fin.,  V.  Caduta  di  vo- 
cale finale  in  Indice  tonetico 

-avi  pass,  rem.,  v.  Passato  remo- 
to in — 

avverbi,  51 

ca  +  indicativo  usalo  come  con- 
giuntivo, V.  Congiuntivo  <  ca 
+  ind. 


chessè  -  chiesse  "questo  -  questa', 
V.  Pronomi 

complemento     oggetto     iniziale, 
162 

condizionale    <  inf.  -t-  habebam, 
146-148 

<  in.   +  habui,  6;   148 

<  cong.  impf.,   146 

<  piuccheperf.  lat.,  103;  139; 
146 

in  aria  -rial  -ria  -rìain  -r'aij 

-rian,  26,    116,   139 

in  -ari,  116 

-era,   116 

-erei  -eresti,  26,   116 

-irla,  6 

sostituito    da    imperfetto,    v. 
Imperfetto 

congiuntivo,  139 
<ca  +  ind.,  132 
in  -ss,  162 
per  l'infinito,  139 

conservazione    di    s    ne!    verbo; 
161 

di  neutro,  102 
di  neutro  in  iis,  161 
di    cong.   lat.    in   -aret,   -eret, 
-iret,  162 

cu    +    ind.  usato  come  infinito, 
V.    Infinito,    <cu  + 

derivazione,  36 

di  art.    <  ipse  e  non   <  ille, 
102-103 

declinazione  3"  >  -u,  15;  2"  > 
e,   15 

desinenze    verbali    in    -ma,    77; 
V.  Presente  in — 

-é  2"  plur.  prcs.  ind.,  v.  Presen- 
te indicativo 


Indice  morfologico 


187 


-é    'ere',    v.     Infinito 

-em  1"  plur.  pres.  ind.,  v.  Pre- 
sente in — ;  emo  P  plur.  pres. 
ind.,  V.  Presente  indicativo 
in — 

enclisi  di  pronome  personale, 
103-104 

-eno  3^  plur.  pass,  rem.,  v.  Pas- 
sato remoto 

-enno  nel  gerundio,  v.  Gerundio 
in — 

-èr  ini.,  V.  Infinito  in — 

-ere  inf.,  v.   Infinito  in — 

-està  part.  pass.,  v.  Participio 
passato  in — 

-ette  -ettene  y  sing.,  y  plur. 
pass,  rem.,  v.  Passato  remoto, 
2"  coniug.  in — 

femminile  metafonetico.  111;  v. 
anche  Metafonia  in  Indice  fo- 
netico 

forme  nominali  <  nominativo  e 
non   <  casi  obliqui,  53 

forme  perifrastiche,  v.  Presente 
perifrastico;  Futuro  perifra- 
stico 

futuro  assente,  v.  Mancanza  di 

futuro  di  essere   P  plur.,  26 

futuro  in  er  <  ar  non  accenta- 
to, 66;  v.  anche  ar  atono  < 
er  in   Indice   fonetico 

futuro  in  s  2"  sing.,  49 

futuro  perifrastico,   132;    162 

gerundio  in  anele  -ende  -inde, 
161-162 

gerundio  in  andò,  92 

gerundio  in  enno,  92 

glie  'gli'  'loro'  art.,  v.   Pronome 

hu  P  sing.  3^  plur.  essere,  v. 
Presente  essere 


i  'il',  v.  articolo 

-/ 

-i  'io',  v.  Pronomi 

-lamo   P  plur.,  v.  Presente  in — 

-//  pass,   rem.,  v.   Passato   remo- 
to  in — 

-ie  -iene  3"  sing.  P  coniug.  pass, 
rem.,  v.  Passato  remoto  in — 

-imo    V   plur.   pres.   ind.   3^  co- 
niug., V.  Presente  in — 

imperativo    negativo    <C    ne    -{- 
cong.,  162;  <  noli  -f  inf.,  162 

imperfetto  ind.  usato  per  il  con- 
dizionale,  125 

imperfetto    cong.    usato    per    il 
condizionale,   125 

impersonale   omo  dice  'si   dice', 
77-103 

in,  v.  Preposizioni 

infinito,  139 
in  a;  77 
in  à-  é  -ì;    166 
in  a,  1,  145;  é,  1 
in  ar  <  er  ci.  er  atono  >  ar 
in  Indice  fonetico 
in  are  -  ere  -  ire,  161 
in  é,  V.  inf.  in  à 
in  r,  V.  inf.  in  à 
sostituito   da   cu  4-  ind,    125 

-ivi  pass,  rem.,  v.  Passato  remo- 
to in — 

int,    int  -  el    'nel  -  nello',    v.    Pre- 
posizioni 

-iste  part.  pass.,  v.  Participio  pas- 
sato  in — 

le'  la  'ella',  v.  Rafi"orzamento  di 
pronomi  personali 

locuzioni  verbali,  15 

lori  i  'loro',  v.  Rafi'orzamento  di 
pronomi  personali 

lu    l'    'il',    v.    Rafforzamento    di 
pronomi  personali 


188 


Indice  morfologico 


-ma  desinenza  verbale,  v.  Desi- 
nenze verbali  in — ;  Presente 
indicativo  in — 

mancanza  di  futuro,  139;  di  pas- 
sato remoto,  6 

mantenimento  di  desinenza  -s,  -t 
T  e  y  sing.,  132;   161 

maschile  metafonetico,  84,  128, 
132 

me  ego,  me  a  'io',  v.  Rafforza- 
mento  di   pronomi   personali 

me  'in',  v.  Preposizioni 

m.i  'io',  V.  Pronomi  personali 

mi  a  'io',  V.  RafTorzamcnto  di 
pronomi   personali 

mia  'non',  v.  Negazioni 

mica  'non',  v.  Negazioni 

mi  i  'io',  V.  Rafforzamento  di 
pronomi  personali 

minga  'no',   v.   Negazione 

na  'una',  v.  Articolo 

negazione  orna,  v.  Indice  lessi- 
cale 

mia,  131 
mica,  61 
minga,   1 
nen,  \ 
nun,  93 

noie  'noi',  v.  Pronomi   personali 

nti  -  nte  -  ntro  <  intus,  v.  Prepo- 
sizioni 

numerali  iìndes  undese  (undici), 
44 

o  'il',  v.  Articolo 

-ò  part.  pass.  <  -atu,  v.  Partici- 
pio passato  in — 


-ora  plur.  neutro,  v.  Plurale  neu- 
tro in — 

participio  passato  con  caduta  di 
vocale  finale,  v.  Caduta  di — 
in   Indice   fonetico 

participio  passato  in  à,  v.  Con- 
trazione  in    Indice   fonetico 

participio  passato  -ao,  v.  Leni- 
zione  in  Indice  fonetico 

participio  passato  in 
-ato  -ito  -uto,  26 
-e'   <  cto,  v.  Palatalizzazione 
di  gruppo  in   Indice  fonetico 
-esto  -isto  (-ist)   analogico  2^ 
coniug.,  36 
-ò  <  atu,  37 

passato  prossimo  usato  per  il 
passato  remoto,  162 

passato  remoto  assente,  v.  Man- 
canza  di — 

passato  remoto  in  ai,  avi,  \' 
sing.,   162 

passato  remoto  eno  3"  plur.,  42 

passato  remoto  ette  -  ettènè  y 
sing.  3^  plur.,  2*  e  3"  coniug., 
116 

passato  remoto  ii  -  ivi,  l'  sing., 
162 

passato  remoto  jè  ■  jéné  3"  sing. 
3'  plur.  P  coniug.,  116 

passato  remoto  -onno,  67 

perfetto  forte,   162 

in  sibilante  con  lenizionc,  162, 
v.  Lenizionc  in  Indice  fone- 
tico 

plurale  come  ii  singolare  e  vice- 
versa, 60 


omo  dice  'si  dice',  v.  Impersonale       plurale  in  as  -  os,  161 


-onno  y  plur.  pass,  rem.,  v.  Pas- 
sato remoto  in — 


plurale  in  e  dei  nomi  femm.  in 
a,  5;    52;   60 


Indice  morfologico 


189 


plurale  in  cu  per  'ani',  v.  Plu- 
rale mctafonctico 

plurale  in  eri\  132 

plurale  in  /  dei  nomi  masc.  in 
al -ci,  5 

plurale  in  ora.  125-126:  v.  an- 
ello vocale  indistinta  e  linaio 

plurale    in    os.   v.    Plurale    in   as 

plurale  in  r,  155 

plurale  in  x  per  /,  44,  49,  52 
metafonelico    14,    15,   22,   25, 
52,  75,  83,  84,  112,  128,  151, 
157 

prefisso  a(b),  v.  RafTorzamento 
di  consonanti  iniziali  in  In- 
dice   fonetico 

proHaso  ri  >   ar,  v.  Metatesi  di 
in  Indice  fonetico 

preposizioni 

in;   iiit;   int-el  (<  intus),  85 

me  'in'  (  <  medium),  77 

nel  'in',  85 

-nti  -nte  -ntro,  'in'  (  <  intus), 

77 

sa  'con'  (  <  ipsa),  77 

presente  di  essere 

hi!  'sono'  1'  sing.  3°  p'ur.,  25 
xe  'egli  è',  'essi  sono',  36 

presente  indicativo 

metafonelico  2"  sing.,   103 
in  -auto  1'  plur.,  6 
in  -an   1"  plur.,  6 
in  -an  3"  plur.,  v.  Caduta  di 
vocali  (inali  in  Indice  fonetico 
in  e  2°  plur.,  35 
in  -cm   1'  plur.,  v.  Caduta  di 
vocali    finali    in    Indice    fone- 
tico 

in  -emo  V  plur.,  6,  35 
in  -/   1°  sing.,  25 
in  -iamo    P  plur.,   35 
in  -om   V  plur.,  v.  Caduta  di 
vocali    finali    in    Indice    fone- 
tico 

in  -òn   1"  plur.,  35 
in  -ano  3"  plur.,  6,  67 


in  i:m   P  plur.,  v.  Caduta  di 
vocali   finali   in    Indice   fone- 
tico 
in  urna  V  plur.,  6 

presento  3'  sing.   =   3'  plur.,  77, 
103 

3"  sing.  =  3"  plur.  e  vicever- 
sa per  caduta  di  nasale  finale, 
36,  V.  anche  Caduta  di  na- 
sale finale 

presente  perifrastico,  162 

pronomi 

chcsse  -  cliiesse  (questo  -que- 
sta), 132 
quel  -  qui],  22 
quest,   quist,   22 
chisiu,  chista,    122 
clilstii.  chesta,   122 
questo  -  questa,  59 
indefiniti  ale  'qualcosa',  51 
quelca    'qualcimo'    'qualche', 
76 

personali  a  'egli',  6 
anaforici,  6 

enclitici  neirinterrogativo,  60 
enclitici  t  e  i'  che  costituisco- 
no la  desinenza  di  2-'  e  3° 
plur-,  25 

gite  'gli'  'loro',  25 
I  'io',  6;  61 
me  'io',  61 
mi  'a  me',  92 
noie  'noi',  82 
te  'a  to',  92 

radorzati  v.  Rafforzamento  di 
Pronomi    personali 

rafforzamento    di    pronomi    per- 
sonali 

le'  la  'ella',  69 
lori  i  'ossi',  35 
hi  l  'egli',  35 
mia  'io',  60-61 
mi  i  'io',  6-7 
noialtri  -  voialtri,  55 
t' tu  'te',  6 
ti  te  'te',  35 

rhe  lo  (con  raddoppiamento 
conson.    seguente),    116 

N  desinenza  di   plurale,  v.  Plura- 
le in  s 

N  desinenza   mantenuta,  v.   Man- 
tenimento di 


190 


Indice  morfologico 


s    desinenza    verbale,   v.    Futuro 
in — 

s  2"  sing.  Futuro,  v.  Futuro  in — 

sa  'con',  V.  Preposizioni  <  ipsa 

su  -  sa  -  SOS  -  sas  articoli,  v.  Ar- 
ticolo 

suffisso  ne,   125-126 

-t  desinenza  mantenuta,  v.  Man- 
tenimento di — 


t    pronome    atono    enclitico,    v. 
Pronomi  atoni  enclitici 

te  'a  te',  v.  Pronomi  personali 

t'   tu   'tu',   V.    Rafforzamento    di 
pronomi  personali 

ti    te   'tu',    V.    Rafforzamento    di 
pronomi  personali 

iindes  -  ìindese  'undici',  v.   Nu- 
merali 

xe  'egli  è',  v.  Presente  di  essere 


INDICE  LESSICALE 


aa,  ae  «  ala  »,   12 

abastanza,  51 

abba   «  acqua  »,    160 

abbacchio,  92,  93 

abbalestrare,  113 

abbasca,  113 

abbecino,   113 

abbia  «gabbia»,  75,   111 

albicòc,  7 

abe,   160 

acatà  V.  accattare 

ACCATTARE,     16,     104 

accèddiri,   125 
ACCIDERE,    117,    149 

ACCIO  «  sedano  »,   149 

àchina,  157,   164 

acsè,  76 

a  bretiu,   16 

addèdeca,   113 

adderà  «  odorare  »,   149 

addosa,  115 

addumari,  149 

adeso,  51 

àes,  25 

Africa  -  Affrica,  66 

afros,  8 

agghiattà  «  abbaiare  »,  126 

agnèl  -  agni,  59 

agnello  -  agnelli,  59 

agnu,  139 

agnuni,   150 

ago,  51 

aguaso  «  rugiada  »,  36 

alare,  148 

albero,  85 

ale,  «  qualcosa  »,  51 

alde,  102 

allamare  «  abbattere  »,  85 

allitare  «  arrivare  »,  85 

alorgiu,   112 

alsare,  67 

alto,  30 

alvador,  61 

amare,  139 

ambussùr,  7 

ameiché,  100 

araice,  83 


amlg  «  amico  »,  60 
amighi  «  amiche  »,  60 
amigo,  75 
AMITA,  36 
AMMAZZARE,    117,    149 

ammucciari,  150 

amore,  97 

ampone,  45 

amuri,  144 

ancilu,  147 

anco  «  oggi  »,  45 

ancora,  124,  147 

ancùo,  «  oggi  »,  51 

andacia,  v.  andare 

ANDARE,  24,  26,  38,  59,  66,  91, 

149,  162 
angora  «  ancora  »,  116,  124,  147 
anegli,  68 

annaccare,   156,    164 
annile,  165 
anja  -  anje  -  anjo,   52 
APE,   70 
ape,  160 
apia,  70 
ara  «  ala  »,  25 
arbo,  85 
arbu,   157 
arbun  «  piselli  »,  8 
arcadhe,  158 
arco  di  Noè,  150 
armugnàn,  7 

arpia  «  ripigliare  »,  v.  ripigliare 
arsdor,  58 

ARROTINO,    61 

ARTE  (mestiere),  116 

ascella,   140 

àsena,  112 

asetàse  «  sedersi  »,  16 

àpice,  25 

asg,   151 

atta  «  gatta  »,  75 

atte  «  gatta  »,   114 

alle,  114 

attrufu,  113 

attummà,   104 

aunu,   139 

aurri,    163 


192 


Indice  lessicale 


aut,  5 

auto  «  alto  »,  50 

autu  «  alto  »,  92 

autu  «  atto  »,    158 

avanteri,   148 

AVERE,  6,  13,  17,  22,  35,  44,  111, 

146,   148,   161,   162 
àves,   25 

babaluci,   150 

baco,  68 

badagghiari,   148 

badde,  161 

bagé,  77 

bàgiu   «  sbadiglio  »,    12 

BALTEU,   51 

banca,  15 

barba  «  zio  »,  16 

barba  «  radice  »,  70 

barbos   «  mento  »,  26 

bardasso,  92 

barela  «  carretta  »,  45 

barma,  7 

barogni,  85 

barzolu,  brazzolu,  164 

bas  «  bacio  »,   19 

bas   «  basso  »,  43 

basca,   113 

baso  «  bacio  »,  30 

BATTERE,    35 

bàttoru,   160 

bave  «  bove  »,  76 

bazel  «  scalino  »,  27 

bbarà,   104 

bbarbé.  101 

bbecchié,  113 

bbené,  113 

bbiellé,   113 

bbotc  «  gomiti  »,  115 

bbottoné.    113 

bbòvé,  99 

bbracc',  112 

bbuje  «  voi  »,   116 

bbuonè,   113 

bbutirrii,  113 

BECCARO  «macellaio»,  37 

beccu  «  vecchio  »,  165 

bedda,   146 

BEDOLLO     «  pioppo  »,     78 

bega  «  pianura  coltivabile  »,  163 

bel,  50,  56 

belle,  98 

bello,  50 

bènnere  «  venire  »,   161 

BERE,  3,    11,  26 

beu  «  canaletto  d'irrigazione  »,  15 

bezzu  «  vecchio  »,  165 

bianc,   13,  25 


bianco,    13,  45,   50 
biango,  75 
bìere  «  vedere  »,  161 
bigaroel,  27 
bigàt,  54 
BIGIANCOl.A,    86 

bioto,  27 

bischidu,  157 

bitriché,   153 

bittu,   162 

biut,  27 

blanc,  43,  50 

boal,  45 

boffa  «  ciuiTo  d'erba  »,  104 

boinaggiu,  165 

boinazzu,   165 

bona  -  buono,  75 

bòna  -   bónu,   84,    159 

borgn  «  cieco  »,  7 

bosc,  7 

bota  «  volta  »,   159 

bottia   «  bottega  »,   75 

bove,  76 

brande,  8 

braso,  54 

bratho,  34 

bren  «  crusca  »,  7 

BRENNO,    117 

bricòcalu,   16 

BRIGALETTA,     118 

brigua,   15 

brisa,  61 

broc  «  ramo  »,  62 

brua,  7 

brìi  tu  «  brutto  »,  11 

buchèt,  7 

bùeo,  67 

buenu  -  bueni,  124 

BUFARE,    27 

buffa  «  rospo  »,  150 
biigata  «bambola»,   15 
bulìtigu,  16 
bun  -  buìn,  15 
buracchiè,   155 
burla  «  cascare  »,  26 
buzzu,   160 
hiisa,  57 
biifé,  7 

buté   «  mettere  ».  8 
butiro,  51 
butrigó,  48 


caa,    12 
caciòu,    15 
caciuéi,    15 
cadein-a,   3 
caden-a,    3 

CADERE,      101 


Indice  lessicale 


193 


caddu     «pelle      di      cinghiale», 

'157 
cafaune,    101 
caga,    16 

cainaté   cainete,    112 
calda,    44 
caldo,    30 

calle    «  caldo  »,    128 
callo  «  caldo  »,  74,  92 
calsa,    67 
caljé,   7 
calzari,  17 

CAMBIARE,      75 

cammià   v.   cambiare 
campé    «  buttare  »,   8 
camperà.    132 
can,    11,    15,   33,   49 
candila,   23 
cane,    85 
cane,    101,    116 
canederli,   45 
cani,   49,   61 
CANIGGHIA,    117,    135 
cansone,   67 

CANTARE,   3,   6.   26,   60,   84,   91, 
98,   116,   132,    145,   159,    161 

CANTO,     60 

capa   «  cappa  »,   59 

capei,  capei,  5,  56 

capello,  82 

capello   capije,   74 

capello,  capilli,  66,  122 

capigliu,    114 

capillé,    !01 

capillu,   82 

capoccia,    58 

cappello,    56 

capu,    148 

car   «  carro  »,   43 

carbun,  carbuìn,   15 

care   «  cadere  »   v.  cadere 

carega,   52 

carezza,  97 

carija,   52 

carisna,  25 

carnacièr,    77 

carne,    50 

caro,   33,   50 

carossa,  67 

carrugiu    «  vicolo    stretto  »,    165 

carusare,   139 

carusu,  150 

caso,  68 

castéu,  151 

caté  V.  accattare 

catina,   109 

cattivo-cattiva  «vedovo»,  150 

catu.  140 


caud,  5 

cauda,  44 

cauraru,  114 

caval-cavai,  5 

cavalli,  97 

cavegli  «  capelli  »,  131 

cavél,  cavi,  22 

cavu,   131 

ccase  «  cacio  »,   116 

cay,  51 

CECATO,   149 

cégu  «  selvatico  »,   12 

ceicè,  100 

cellette,  105 

CENCI ARO,  117 

cèndare  «  cenere  »,  68 

cendè,  101 

cendré  «  cresta  »,  118 

cento,  23 

ceramidi,  140 

CERCARE,    124 

ceree,  100 

ces,  52 

cesa  «  chiesa  »,  49 

cesendeli  cisenderi,  51 

cetto  «  presto  »,  93 

cèvoda,  131 

chella-chille.  111 

chelu  «  cielo  »,  160 

chen.  11,  15 

chenàpura,  156 

chéne,  97 

cher,  74 

chera,  160 

chessè-chiessè,  132 

cheuré,  101 

cheusc,    100 

chi  «  qui  »,  25 

chiaine,  123 

CHIAMARE,   5,  7,    13,  23,  35,  43, 

49,  52,  100 
chian-chiani  «  cane  cani  »,  58,  39 
chianda,   138 
chianghiere,  117 
chianta,  138 
chianu,  139 
chiave,  115 
chida,  157 
chigliu,  114 
chignamente,  78 
chille,  114 
chimbe,  160 
chin,  97 
chiocciola,  69 
chioine,   123 
chiòine,   123 
chircare,  160 
chistu-chista,  122 


194 


Indice  lessicale 


chistu-chesta,   122 

chiù,  102.  115,  124,  146 

CHIUDERE,    101 

chiummè,   116 

chiuove  (chiodo),  115 

chiure  v.  chiudere 

ciaetu,  15 

ciaf  «  testa  »,  51,  52 

ciainè,  100 

ciairè,   100 

cialà,  51 

ciamà,  cianié  v.  chiamare 

ciamp,  24 

cian  «piano»,  5,  13,  23 

cian  «  cane  »,  52 

cian  cians  «cane  cani»,  49 

danze  v.  piangere 

ciar,  50 

ciarbon,  52 

ciarneli,  51 

ciaro,  35 

ciase,  50 

ciasi,  52 

ciaudo,  30,  44 

ciavarra,  104 

eia  ve,  50 

ciavéiu,   16 

ciavi,  52 

d'erre,   104 

ciéi-vè,  100 

cima  «  cresta  »,   104 

cine,  52 

ciò  «  chiodo  »,  4 

cicca  «  campana  »,  7 

ciodo,  35 

cioH,  51 

ciorgn,  7 

ciòve,  14 

ciss,   133 

citrine,  133 

citi,  102,  115 

ciaf,  50 

clama  v.  chiamare 

claro,  34 

clas,  52 

cnosser  v.  conoscere 

eoa,  22 

coddu,  137 

coipo  «  colpo  »,  92 

coju,  137 

coiuare,  165 

collu,  137 

COMPRARE,    104 

condaghe,  156 
conoscere,  58 
consobrino,  133 
contare,  7 
copar,  37 


cor,  43 

cor,  43 

cora  V.  correre 

core,  138 

coreggiate,  69 

cori,   137,   138 

corpo,  82 

corpu,  82 

corDus,  161 

correre,  46,  77 

cotola  «  sottana  »,  37 

cotorzo,  85 

cozzu  «poggio»,  150 

crai,  125,  164 

craie,  164 

craite,  100 

cras,  164 

craji,  148 

crastu,  150 

craucè,  100 

craunè,   100 

crayun,  8 

cret   «  roccia  »,  32 

creta,  129,  138 

crete,  138 

criata   «  serva  »,   149 

crin  «  maiale  »,  8 

cririri,  148 

criutè,   123 

crive,  140 

croce,  32 

cróce,  99 

eroe,  8 

eros  «  roccia  scoscesa  »,  45 

erous  cruas  cruos,  52 

croze,  32 

crii,  3 

cruce,   150 

cruoccu,   140 

crusge,  32 

cru(v)a,  3 

cruva,  4 

euadrel,  62 

cuce',  118 

cucitore,   117 

cuddu,  161 

cuer,  43 

cueure,  101 

cugé,  8 

cugnate  «  cognati  »,  83 

culla,  62 

CULTARE,   37 

cummatte,  101 
cumò  «  adesso  »,  51 
CUNA,  36,  61,  62,  133 

CUNULA,   61,   62 

eunzare,  165 
cuoddé,  114 


Indice  lessicale 


195 


cuor,  ^j 
cuore,  33 
cuorp,    110 
cuosa,  68 
cupella,  92 
curcè,  104 
currara,  140 
cusètorif,  117 
cusin,  51 
custurieri,   149 
cuturne,  104 
evi,  61 

daice-deice   v.   dire 

dazòm   v.   dum 

DARE,  34,  35,  44,  101,  116 

deche,  160 

ddaitè,  113 

deda  «  zia  »,  52 

DE-MANE,    164 

dent,  25 

det 

dente,  90,  91 

denti,  91,  137 

descenza  «  malanno  »,   104 

dcstinne  «  lontano  »,  104 

dètere,  103 

déz,  58 

diz 

dhidhu,  133 

dhenèr,  54  * 

dhcgo    «  giogo  »,    34 

dhugno,  34 

di  dia  deje  «  giorno  »,   164 

dieci,  58 

dienti,  90,   137 

dìeo   «  dio  »,   67 

dig   V.    DIRE 
diga    V.   DIRE 
digòm    V.    DIRE 

DIRE,  6,  25,  36,  61,  67,  69,  74, 

76,  77,  82,  92,  93,  101,  103 
dite,  113 
ddite,   113 

diu    V.    DIRE 
DIURNU,    164 

divario,  93 

dize    V.    DIRE 

dliser,  62 
dòl,  7 

DOMITO,    140 

domo,  33 
domu,   157 

DONNOLA,  36 
DORMIRE,  103,  151 

doven  «  giovane  »,  52 
drijggia,  7 
dugno,  43 


dum,  dazòm  v.  dare 
duman  «  mattina  »,  45 
dumani,  148 
duomo,  33 
dur.  34,  49 
diir,  52,  49 
duro,  32,  34 
duru,  149 
diiu,  32 


ebba  «  cavalla  »,  165 
edu,  157 

eia,  V.   AVERE 

Elba,  66 

enfiambava  v.  infiammare 

enler  «  in  »,  28 

era  «  ala»  ,  24 

erca,  7 

erèu,  158 

ermice,  133 

cséne,   112 

escupinè,  104 

ESSERE,  25,  26,  36,  44,  78,   131 

èumé,  105 

evu  «  uovo  »,  14 


fac'   V.    FARE 
faetU   V.    FARE 
fait   V.   FARE 
FALEGNAME,   61 

fam,   1,  20 

famcglia,  68 

fantin,  fantina,   15 

fardèl   «  corredo  »,  7 

FARE,   23,   24,   26,   59,    103,    162 

fareine,    123 

faroinè,  101 

farzatora,  126 

fasu  V.  FARE 

FATICARE,   75 

fattoio,  69 

fauce,  92 

fauda,  7 

faus,  5 

fàusé,  123 

fava,  59 

fea  (feya)  «  pecora  »,  8 

feda,  8 

fegu,  14 

fcmena-femene-femeno,  52 

femmenè,  98 

fcnescia  «  finestra  »,  124,  146 

fer(r)o,  33 

fera  «  fabbro  (ferraio)  »,  16 

fero,  83,  85 


196 


Indice  lessicale 


FERRAIO  «fabbro»,  77 
ferraiolo  «  mantello  »,  92 
ferrare,  117 

FERRARIO,  61 
FERRARO,  117 

ferrè,  99 

fevelà,  51 

flamba,  75,  82 

fiamma,  S2,  150 

fiata,   149 

fiaure,   100 

ficatum,  157 

fiel,  33 

fiere  «  fiore  »,  76 

fiero,  33 

fierru,  ferra,  147 

fi  feretu,   15 

figghiu,  139 

figlia,   111 

fegliola,  1 1 1 

figliu,  139 

figu,  74 

fi],  22 

fili,   122 

filò   «  veglia   di   campagna  »,   37 

filu,  122.  144 

FABBRO,  56,  61,  77,   117 

fimu,  14 

finerra,   148 

FINIRE,   6,   26 

fioca  «  neve  »,  7 

FIOCCARE,    45 

fiòl,  22 

fiola,  23 

fior,  32.  33,  58 

fiore,  32,  58 

fióre,  99 

firru,  147 

fis  «  fuso  » ,  3 

fitu,   126 

fiure,   17,  101 

fiuri,  122 

fjaur,  58 

fianc,  52 

fleumè,   102 

fior,  34 

fiume,  34 

fòa,  32 

foc,  50 

focu,  129 

fog,  32 

FOGLIA  DELLA  VITE,  36 

fogo,  35,  50 

fògu,  14 

foichè  «  fico  »,  123 

foiié,  123 

fòjje,  99 

folde,  102 


folca.   140 

fòm,  25 

fónde,  99 

fongo,  68 

fonno  «  fondo  »,  75 

fora,  32 

fora,  32 

FORGIARO,   117,  140 

FORMENTO     «  lievito  »,     77 

fornagHo,  67 

fòusé,  123 

fra,  17 

fracchia.  77 

fradèl,  33,  51 

frade-o,  33 

fradi,  51 

fràe,  15 

frambos,  27 

framma,   160 

frammè,   102 

franseis,  52 

Frara,  58 

frate,  frete,  91 

fratemé,  104 

fratere,  132 

frati,  97 

frecula.  133 

freddu,  f riddi,   131 

fredo,  32 

freidu,  32 

frete,  97 

freuté,   124 

frita  «  frutta  »,   14 

frite  «  frati  »,  97 

frius,   158 

frumé,   102 

frut  «bambino»,  51 

fruta,  14 

fuet,  8 

fiile,  131 

film  «  fumo  »,  22 

fuma  «  pipa  »,  7 

fumila  «  nebbia  »,   11 

fumé  «  fumo  »,  97 

fumé,  14 

fumé,  130 

fumm,  122 

fumna,  7 

fu  nini,  5 

fumo,    129 

fumu,   122,   129 

fuoco,  33 

fuoghu,  131 

furia  «  molto  »,  77 

furlàins,  52 

furmiga,  furmig,  60 

fuz,  3 


Indice  lessicale 


197 


gaddòinè,   123 

GAFIO,   115 

gallina,   123 

GAMBA,    138 

gambi  «  le  gambe  ».  5 

gamma   «gamba»,   74,  91,    116, 

138 
garìe,   17 
gatte,  76 
gavèm  V.  avere 
gea,  165 

GELARE,  4,    1 14,   124 
gemo  «  gomitolo  »,  37 
gennaio,  34 
gent,  23.  42 
gente,  23 

ggaddina,  ggaddini,  114 
ggatt,  114 
gghiò.  75 
gghioenotti,   75 
ghèneru,  160 
ghiaivè  «  gleba  »,  123 
ghianda,   13 
ghiefa,   133 
ghill,  97 
ghitt.  97 
già,  75 

giaddè-geddè,   112 
giall  «  gallo  »,  50 
giamba,  52 
giancu,  23,  115 
gianda,  13,  23 
gias,  23 
giat,  24.  52 
giaun,  7 
gìazzo,  43 
giddostru,  163 
gioentù,  75 
giòg  «  gioco  » ,  5 
giovanu,  165 
giovin,  52 
gire,  124 
giuggi,  158 
giugno,  34 
giura,  89 

giuvu  «  giovane  »,  3 
glats,  43 
glesie,  49 
glezia,  52 
glianna,  115 
gliutte,  115 
goddeu,  165 
gola,  159 
gombito,  68 
gonno  «  altura  »,  155 
gora,  25 
gota,  69 
goto  «  bicchiere  »,  37 


grannc,  74 
grarè,  118 

gratèrè  «  gradi  »,  125 
gregne  «  covone  »,   126 
grendi,    15 
grignapula,  27 
guaglione,  117 
guancia,  69 
guardare,  51 
guciaro,  51 
guei  «  oggi  »,  52 
guerp,  guerba,   52 
gues,  52 
gula,  159,  160 
gum  V.  avere 
guzele,  51 


hac  «  sacco  »,  25 

halle  balline,   101 

he  «  testa  »,  52 

haurè  «  fiore  »,  112 

hemper,  43 

hera  «  sera  »,  25 

hiancu,   138 

hiatu,  138 

hiure,   138,  146 

hotrà,  25 

hu  «  io  sono  »  «  essi  sono  »  v. 
essere;  V.  anche  Presente 
ESSERE  di  Indice  morfologico 

hul  «  sole  »,  25 

huta,  25 


ida,  25 

imbènnere,  157 

impalichì   «  appisolarsi  »,  77 

imperné,   139 

impissar  «  accendere  »,  37 

impudire,   157 

in  V.  Preposizioni  in  Indice 
Morfologico 

infiambare  v.  infiammare 

infiammare,  82 

insà,  16 

insime,  68 

insisamme,  17 

insita,  140 

int-cl  «  in  »  V.  Preposizioni  in 
Indice  Morfologico 

interi  «  frattanto  »,   157 

int  «  in  »  V.  Preposizioni  in  In- 
dice Morfologico 

inverno,  33 

invierno,  33 

ip,  97 

IRE,   145,   149 


198 


Indice  lessicale 


ischire,   158 
iuba   «  criniera  », 
iubilare,   157 


165 


jamba,  147 
janchè,  115 
jangè  jenge  «  bianca  »  «  bianco  », 

112 
jamma,   157 
jàttèrè,  132 
janchè,  115 
Janna,  75 

jelà    V.    GELARE 

jènnarè  «genero»,   114 

jente,  75 

jentilè,  114 

jocà,  114 

jodecè,   114 

jonta,  75,  114 

jotto,  75 

jouverì,    111 

jovene,  75 

juchè  «  gioco  »  (sost.),  99 

juna,  92 

junnè,   115 

là  «  dare  »,  113 
labore,  160 
lac',  24,  32 
lacia,  62 
lader,  49 
ladiri,   164 
làguru,    139 
lait,  24,  32 
LAMA  «  frana  »,  77 
lana,  32 

lan-a,  2,   11,  32 
laore,   160 
lardia,   131 
lares,  30 
larese,  30,  50 
lari,  49 
laris,  50 
larma,  8 
LASCIARE,  61 
lassiare  v.  lasciare 
lat.  24 
late,  32 
late,  32 
latus,  161 

LAVANDINO,    27 
LAVARE,    11,   26 

le  la  «  ella  »  v.  Rafforzamento  di 
pronomi  in  Indice  Morfolo- 
gico 

lecca  «  scrofa  »,  78 

LEGGERE,  26,    160 


lecgi  (sost.),  130 

legiù   V.   LEGGERE 

legno,   125 

lema,  25 

LEMMO,    150 

Ièna,  84 

lende  «  dente  ,113 

lengua,  66,  91 

LENTO,    139 

lenzuogli,  85 

lesina,   148 

LEVATORE  «  Hevito  »,  61 

LEVITO,    77 

lientu,  138 
ligna,   109 
lim,  3 
limba,   160 
lince,   123 
Ungere,  165 
lingua,  66,  91 
lintu,  162 
lionè,  125 
lippe,  133 
lit,  113 
livènè,    125 
liupè,  101 
lof,  62 
loi,  113 
lorel,  45 

lori    «  loro  »    V.    Pronomi    perso- 
nali in  Indice  Morfologico 
losna,  7 

Iota  «  fango  »,  126 
lovo,  32 

lu  «  pergolato  »,  165 
luce,  57 
lucè,  98 
lucia,  98 
lucra,   153 
leucu,  124 
liim,  3 
liime,  lumi,  11 

LUMIA,    150 
luna,  32,  116 
lùn-a,  32 
lun-na,  32 
lupe,  97 
ìupo,  32 
lus,  57 
lustrerà,    104 
luse,  57 

macegli,  85 
maceria,  99 
macia,  55 
MACINA,  69,   117 
macia,  34 
macramè,  16 


Indice  lessicale 


199 


madre,  13 

madri  «  scrofa  »,  165 

magiustra  «  fragola  »,  27 

magna  «  zia  »,  7 

magnau,  75 

mogo,  155 

MAGRO,    159 

maiale,  69 

maidda,    150 

maila  «  mela  »,  76 

mal,  33 

màiu  «  marito  »,  12,  17 

maire,   14 

maisè,   100 

maile,  112 

maina,  12 

male  «  mela  »,  76 

male,  100 

màmmasa,  146 

man,  2,  14,  33 

MANCARE,    75 

mandè  cf.  mandare 
mandilu,   15 

MANGIARE,    1,    20,    100,    116 

mandésiné,  118 

mani,  97 

mania  «  manica  »,  4 

manicare  «  mangiare  »,  69 

manipula,  140 

mannu,   157 

miino,  68 

mar,  35 

MARANGONE  «  falegname  »,  37,  61 

mardi  «  scrofa  »,  165 

mare,  76 

maridhu,  131 

mariù,  17 

marlèl-martì,  59 

martello  -  martelli,  59 

marva,  5 

masacàn  «  muratore  »,  15 

masca,  8 

mascarpone,  26,  27 

mascherpa,  26 

masciu,  124 

màsciulu,  77 

MASTROOASCIA,    117,    150 

mat,  34 
màtreté,  104 
mattone  -  mattuni,  84 
mausgi,  12 
masnà,  7 
mdor,  58 

mòula  «  midolla  »,  12 
me  «  in  »  v.  Preposizioni  in  In- 
dice Morfologico 
meddemà,  93 
meder,  74 


medicu,  75 
mègu,  12 
meir,  7 
meis,  3 

meisdabosc,  7 
meisc  «  mese  »,  84 
méisou  «  mèsero,  scialle,  da  don- 
na »,  16 
mèistru,  12 
méjjè,  99 

MELANGOLA,   86 

mena   «  picchiare  »,   92 

mene,  97 

meno  «  mano  »,  84 

MENTO,  61 

merco,  39 

merma,  134 

mertèri  ,112 

merula,  159 

mes  «  mese  »,  28 

mese -mise,  99,  111,  128 

mese  «  mese  »,  47 

messera  «  stasera  »,  93 

mesiia,  14 

mesLira,  14 

METTERE,  67,  75,   162 

mia,  mica  v.  Negazione  in  In- 
dice morfologico 

midolla,  69 

miédeche,  100 

mièdico,  75 

miei,  33 

migola  «  briciola  »,  45 

mieti  cfr.  mettere 

mijar  mijer,  52 

milanis  -  milancs,  22 

minga,  v.  Negazione  in  Indice 
Morfologico 

miscimìn,  16 

miure,  101 

misar,    16 

mmelé  «  male  »,   116 

mmucche  «in  bocca»,   110 

modìa,  131 

mogoru,  163 

moile,   100 

molto,  92 

MOLA,  61,   117 

moleta,  61 

mongo,  66 

monno,  82 

monte,  75 

morgio,  93 

more  «  mare  »,  76 

MORIRE,    116,    161 

morlos,  45 

morta,  147 

mortu  -  muorti,   131 


200 


Indice  lessicale 


mosca,  110 

MOSTRARE,    8 

mòulé,  123 
mu-o,  33 
mua,   14 
miia,  12 
muaire,  14 
mueccu,  91 
muelè,  101 
mughiu,   134 
Mugla,  52 
muglisàins,  52 
mugugno,    15 
mul,  33 
mulo,   123 
Mun  Visu,  3 
mungo,  66 
munno,  90 
munnu,  73 
munte,  75 
munzielle,  140 
muortu,    147 
mur  -  murs,  49 
mure,  1 10 
muri,  44,  122 
muri,  44 
muro  -  muri,  49 
mùr(t)s,  49 
murtu,  147 
muru,    144 
muteclu,   164 

na  «una»,  v.  Articolo  in   Indi- 
ce  morfologico 
NACA,  126,  133,  149,  164 
nache,   130 

NARANCIO,  45 

narre,  166 
naucè,  112 
NAVICULA,  126 
'ncuire,  140 

NEGARE,   75 

nef,  22 
neif,  52 
neive,  32,  76 

nen  «  non  »,  v.  Negazione  in  In- 
dice morfologico 

neÒ,    V.    NEGARE 

népautè,    112 
nepo,  85 
neputé,   128 
nerbo,  66 
nere,  99,  111 
nero  -  niri,  83 
nèso,  84 

neve,  32,  110,   138 
nnevodhi,   131 
névoré,   132 


nèzzela,  133 

ngoldè,   102 

niaf,  52 

niervu,  124 

niof,  49,  52 

nios,  49 

nipote,  85 

nirè,  1 1 1 

niutè,   123 

nive,    109,    138 

nivi,  110 

noe',  13,  32 

noce,  129,  138 

nof,  39 

nòf,  32,  57 

nogara,  37 

nòit,  32 

noite,   13 

nonno  «  suocero  »,  61 

nora.  111,  124 

not,  34,  55 

note,  32,  55 

nòte,  13,  32 

notte,   32,   55 

NOTTOLA,    77 
novo,  32,  33,  39 
novo  -  novi,  49 
novu,   165 
nòvu,  11,  32 
nozzu,   165 
nsomba,  75 

-nti-nte-ntro  «  in  »,  v.  Preposizio- 
ni   in    Indice   morfologico 
'ntrallazzu,   150 
nucé,  130,  138 

NUGELLA,    133 

nuche  «  noce  »,   160 
nuci,  129 

nun  «  non  »,  v.  Negazione  in  In- 
dice morfologico 
nuovo.  33,  39,  57 
nurra,   155 
nusc,    133 

nustierzu,    148,    149 
nutè,  101 
nvaud,   58 
nvod,  58 

occiover,  28 

ocio,  35,  50 

odi,  34 

òf,  49,  57 

oglo,  52 

oi,  8 

òjje,  99 

òm,  22 

ome,   112 

omo,  33,  73,  77,  98 


Indice  lessicale 


201 


ont,  51 

ora,  112 

orbu,   149 

ordene  -  urdene,   75 

ore  «  oro  »,  130 

oreille,  5 

orda,  50 

orna,   ornela,   45 

orso,  67 

ortiga,  59 

Orvito,   68 

OS,  50 

oso  «  OSSO  »,  50 

ossa,  ossu,   Ì37 

osso,  50 

oto,  82 

otto,  82,  98 

ovu,  98 

òvu,   11,   14 


pà,  25 
pa-o,  33 
pàder,  20 
padre,    13,   85 
padùm  V.  potere 
pagliao,  68 
pagni,  85 
paire,  14 

paisce,  poiscè,   112 
paja,  75 
palomma,  75 
pan,  25,  33 
panata,  86 
paniche,  140 
pannedda,    134 
pàoré,  130 
para  «  pala  »,  25 
parente,  83 

PARLARE,     6,     35,     50,     51 

paroffia,  85 

parolaro  «  calderaio  »,  37 

paroloto  «  calderaio  »,  45 

parrinu,  150 

part,  43 

pastenij,  133 

paté,   85 

pàtreté,  104 

patri,  146 

pau,  151 

pcà,  58 

pcòn,  58 

pe-o,  33 

PECCARE,   82 

pecchia,  70 
peciotar,  51 
pedalini,  92 
pedde,  161 


pòde  -  pèdi,  83 

peder,  74 

péggè,   100 

pegno,  pigne,  74 

peir,  7 

peive,   1 1 

pel,  33,  56 

pcle  «  piede  »,   113 

pelo,  pije,  74 

pelle,  137 

pènneca,  pennichella,  92 

PENSARE,   67,    116 

PENTIMA,    104 

per,  34 

PERDERE,    50 

pero,  34 

PESARE,    103 

pese'  «  chiavistello  »,   105 
pesce,  pesci,   112 
pesciu,  15 

PESCO- PESCHio  «macigno»,  105 
pescòu,   pescuéi   «  pescatore,  pe- 
scatori »,  15 
pet,  151 

PETACCIARO,    117 

PETERE  «chiedere»,  93 

petti,  77 

pettine,  33 

petto,    112 

pèzzaru,    118 

pettus,   161 

peule,  124 

pezo  «  peso  »,  74 

PIACERE,    133 

pian,  5,  13,  23 

PIANCARO,    117 

PIANGERE,    14 

piano,  13 

pianta,  115 

pianu,  160 

piassa  «  piazza  »,  7,  67 

PICA,  125 

picca  «  poco  »,  150 

pici,  129.  130 

piede,  100 

PIEGARE,   102 

pienu,   160 

piera,  33 

pierle  v.  parlare 

pieròn,  51 

piotano,  33 

pictté,   100,   110,   112 

piettu,  82,  85 

pije,  74 

pilu,   109,   122,   159 

piof,  45 

piotu,  77 

piovàn,  33 


202 


Indice  lessicale 


PIOVERE,   102,   115 

pire,  100 

pisare  «  pestare  »,  140 

pisc',  pese'  «  pesci -pesce  »,   111 

pister,  45 

pit,  91 

più,  102,  115 

piurè.  8 

pian,  50 

plandine,  102 

piane,   102 

plano,  34 

plasa,  52 

piazze,  102 

pletare,  158 

poddige,  165 

poggio,  69 

poidè,  100 

poilè,  112 

pois,  8 

polzo,  67 

POMO,   61 

pone'  «  tegola  »,   104 

pònde,   100,   110 

ponte,  110 

pontegel,  45 

PONTICO,  61 

porca,  133 

porcabru,  165 

porche,  131 

porfiello,  85 

pors,  8 

porsèl,  33 

porse-o,  33 

porta,  porte,  50 

porta,  puorti  «  la  porta,  le  por- 
te »,  111 

POTERE,  35,  44,  75,  77,  84,  105, 
161 

povr,  74 

prace  «  porzione  di  terreno  »,  86 

prèndere  «  pranzare  »,   158 

pranu,   160 

pranz,  74 

PRANZARE,    162 

pranzu  «  ramo  »,   140 

prarè,  132 

pràtere,   103 

PREARA,    118 

preda   «  mattone  »,  62 

PREGARE,    76 

pregontai,  164 
pregontare,    164 

PRENDERE,    101 

prenu,   160 

prestine  «  fornaio  »,  26 
prévidhu,   131 
primu,   130 


prisdema,  93 

pritu,  77 

profonno,  82 

proimè,  101 

PROVARE,    149 

priis,  7 

pua,  14 

puaire,  14 

puarte  «  porta  »,  50 

pudeje   «  potere  »,   4 

pué,  4 

pum,  7 

pule,   131 

puoco,  68 

pure',    131 

putel,  puteo,  37,  45 

putela,  37 

putìn,  35 

puvriedde,  128 

puzzu  «  pozzo  »,  160 

qua  «  voglia  »,  15 

quaciu,  146 

quafauné,   101 

quanda,  147 

quandu,  124 

quane   «  cane  »,    101 

quannè,   101,   116,   124,   128 

quanno,  68,  74,  75,  91,  98 

quannu,  147 

quanta,   147 

quattraru,   140 

quelca  «  qualche  »,  v.  Pronomi 
indefiniti  in  Indice  morfolo- 
gico 

quell,  quij,  v.  Pronomi  in  In- 
dice   morfologico 

quest  -  quist,  v.  Pronomi  in  In- 
dice morfologico 

qui,  61 

rà  «  dare  »,  v.  dare 

rabia,  14 

racina,  149 

ragano,  77 

ragia  «rabbia»,  14,  15 

ramarro,  69 

ramassa,  7 

rammendare,  14 

rampana,  27 

rampin,  8 

ramu,  rami,  11 

Ranallo,  92 

rasòn,  33 

RATTO,   27,  61 

rava,  131 

riiva,  59 


Indice  lessicale 


203 


razze,  51 
leci,  148 
rccia,  50 
redo,  69 
réisge,  12 
icite,  76 
rolla,  104 

REMOLA,   61 

rende  «  dente  »,  114 

rente,  118 

resga,  62 

rete,  99 

rg'dor,  58 

ricere  «  dire  »,  v.  dire 

RICORDARE,    74 
RIDERE,    101 

rifocillare,  68 

RIMETTERE,    68 
RIPIGLIARE,    74 

ri  te  «  dito  »,  114 

ruié,  8 

ròa,  14 

rocchia,  133 

roda  «  ruota  »,   14,  32 

roda  «  ruota  »,  22 

romanu,  97 

ROMPERE,    116 

ronna,  130 

ròsa,  ròse,  5 

roso,  50 

rosse,  110,  128 

rossa,  russu,  84 

rota  «  rotta  »,  22 

ròte,  99 

rotta  «  grotta  »,  75 

rua  «  ruota  »,  4 

rua  «  strada  »,  77 

rubin,  27 

RUGA  «  bruco  »,  36,  86 

ruga  «  via  »,  77 

reggitore,  58 

rubin   «  acacia  »,   27 

ruié,  8 

rul  «  rovere  »,  4 

ruménéca,  114 

ruota,  33 

rupe  «  bruco  »,  140 

rurece,  114 

russe,  128 

riisu  «  ruggine  »,  2 

sabato,  66 
sabbato,  66 
sa  «  con  »,  77 
saicclic,  112 
sajime,  140 
sai,  56 
siil,  56 


SALTARE,    146 

sammuco,  75 

san,  11 

sandré,  125 

sandu,    124 

sant,  23 

santo,  60,  124 

santolo,  santola,  37 

SAPERE,  124,  131,  139 

sarda,  114 

sarman,  51 

sarvo,  92 

sarvai  «  imbuto  »,  77 

sauiè,    seule    «sola,    solo»,    112 

saule  «  sole  »,  123 

saura,   114 

savor,  151 

saziere,  140 

sbdal,  58 

scadaur,  62 

scali,  5 

SCANNARE,    117,    149 

scarpieddu,  1 14 

scarsela,  37 

scarzuni  «serpe»,  150 

SCate,    V.    ESSERE 

sceccu,  149 

scela   V.   GELARE 

sciamma,   115 

scialla,  scialla!,  esclamazione  di 

festa,  16 
sciat,  26 

sciate,  V.  ESSERE 

sciate,  115 

sciaurari,  149 

scifu  «  tegolo  »,  140 

Scilla,  140 

scinia,  24 

scinucchiu,  124 

sciomara,   1 1 1 

scire  «  andare  »,   124 

sciù,   17,   32 

sciume.  111 

sciuri,  146 

SCROFA,   139 

scugghia,  148 

scùr,  3 

scuru,  97 

scusai,  7,  27 

secca,  sicché.  111 

SECCHIAIO,   27 

secus,  157 

seda  «  seta  »,  4 

sedòn,  51 

segondu,  74 

sei  «  sete  »,  4 

saia  «  sera  »,  32 

secche,    sicché    «  secca,    secco  », 


204 


Indice  lessicale 


128 
sega,  62 
selar,  4 
sèle,  84 

SÉMMOLA,    117 

sempre,  82 
sen,  11,  15 
senèr,  34 
senocio,   50 
senoli,    51 
sente   «  gente  »,   42 
sento  «  cento  »,  43 
SENTIRE,   145,   149 
sera,  32,  131 
serva  «  selva  »,  99 
serva,  sirve,   1 1 1 
sèsgla,  12 
seunè,  100 
scure,  104 
sidei,  26 
siepe,  33 
siéré,  100 
sieve,  33 
signour,  52 
sima,  24,  34 
simitu,  140 
sinc,  52 
sinque,  34 
sipurcru,  92 
sira,  23 
sirboni,  165 
SIRE,    126 
sisema,  92 
smolz,  45 
smusinà,  77 
so  «  sorella  »,  15 
so  «  giù  » ,  74 
sòcerè,  99 
SOCRA,    125 
SOFFIARE,  7 

sògia,  16 

sog  «  gioco  »,  5 

sog  «  giogo  »,  34 

soite,  76 

sole,  110,  116,  129,  138,  159 

soli,  129 

sollo  «  soldo  »,  75 

solo,  123 

SORCIO,  27 

soreli  «  sole  »,  51 

soreme,  104 

SORNACARE,    86 

sosERE  «  alzarsi  » 
soulè  «  sole  »,  123 
sòulé  «  solo  »,   123 
sovene,  52 
sovin,   50 
specchia,  126 


specchjé,  99 

SPENDERE,   75 

spera  «  specchio  »,  70 
SPINOLA,    118 
SFIZIO,    118 
SPUTARE,   4 
spuvé,  V.   SPUTARE 

staccione,  133 
stango,  75 
STARE,  6 

starmé,  8 

stilla,  137 

stimai  «  amare  »,   166 

stimane  «  settimana  »,  74 

stmana   «  settimana  »,  20,   58 

stòmughu,  131 

strade,  100 

streccia,  104 

strettele,   133 

strofu  «  cencio  »,  77 

strummèlé,  133 

suenu,  12,  17 

sugno,  34 

suH,  110,  159 

sùocru,   138 

surc,  5 

surdu,  122 

suriurè,  103 

suvenu,   17 

sveglio,  35 

TAMISIU,   51 
tanto,  51 

tastari  «  assaggiare  »,   149 
tauru,   139,   145 
tàvuru    «  toro  »,     139 
tegnola  «  pipistrello  »,  27 
teila,   3 

tela,  23,  110,  159 
tembe,  102 
tempus,  161 

TENERE,  20,  75,  133,  146 
tera,  33,  50,  67 
terasso,  67 
termu,  3 
terra,  33,  50 
terre,  50 
testa,  52,  148 
tettèrè,  103 
tgnosser,  58 
thento  «  cento  »,  34 
thima,  34 
thinco,  34 
tiare,  50 
tiera,  33,  52 
tila,   144,  149 

timpagne   «  fondo   della   botte  », 
140 


Indice  lessicale 


205 


tnì,  V.  TENERE 

toa,  16 

TOGLIERE,   51 

toma,  7 

tondo,  51 

topo,  69 

toppa  «  serratura  »,  70 

tor  «  toro  »,  34 

tor,    V.    TOGLIERE 

toro,  34 

toront,  51 

torre,   110 

tosa,    toso    «  ragazza,    ragazzo  », 

37,  44 
tosàt  «  ragazzo  »,  34 
TOSTO  «  duro  »,  149 
tota  «  ragazza  »,  7 
TRIVELLO,    118 
TROIA,    139 

trop,  51 

TROVARE,   26 

tros,   troi,   37 
truarìa,  v.  TROVARE 

TRUDDU,    126 

truiré,  8 

tumazzu,  150 

tundiri,  139 

tunna,    tunnu    «  tonda,    tondo  », 

84 
turtro,  7 
turturu,  93 


uàrzine,    51 

UCCIDERE,  75 
UDIRE,    149 

ucli,  49 

ues,  50 

uf,  49 

unche  (avv.)  «  onde  »,  68 

undes,  44 

iindes,  44 

ùndese,   44 

uocchiè,  1 1 1 

uómené,  103,   111 

uomo,  33,  112 

uoss,  110 

uossu,  137 

ura,  137 

urdéné,  v.  ordèné 

ure,  25 

urija,  5 

ute,  101 


vago  «  chicco,  acino  »,  92 
vagno,  113 
vàivere  «  bere  »,  112 
vale,  valina,  114 


vardar,  v.  guardare 

varsor,  51 

varva,   113 

vatté,  114 

vàtteré,  113 

vaucè,  112 

viiucè,  123 

vece',  vice',  23 

vecchia,  vecchia,  91 

vecchia,  viecchiu,  90 

vecchie,  99,   1 1 1 

vecchio,  34,  35 

vecio,  35,  38 

vedo,  veclu,  34,   103 

VEDERE,   77,  90,    101,    116 

vegio,  35,  38,  39 

véi,  16 

veita,  14 

vel  «  vitello  »,  4 

vena,  110,  111 

VENDERE,  6,  26,  68,    111 

VENIRE,  36,  49,   101,   162 

ventana,  104 

verde,  verdi,  83 

vere  «  vedere  »,  v.  vedere 

vesper,  28 

veste  «  armadio  »,  26 

VESTIRE,  26 

vetchio,  35 

vetgio,  35 

vetro,  vitre,  74 

ve  vere  «  bere  »,  113 

vi,  25,  43 

viché,  133 

VICO,  118 

vieli,  34 

vienti,  124 

vighèri,  158 

vin,  25,  43 

vina  «  vena  »,  137 

VINCERE,    102 

VINNOLO,    149 

vinti  «  venti  »,  90 

virtò,  76 

visché,  7 

vissi  «  vizio  »,  7 

vivu,  137 

vocca,  113 

VOLERE,  44,  75,  77,  125,  139 

volta,  149 

vonne,  101 

votta,  vuttè.   111 

vove,  1 1 1 

vozzu,  148 

vraccio,  113 

vrasa  «  bracia  »,   113 

vrenne,  117 

vrità,  14 


206  Indice  lessicale 


vruolo,  113  zappo,  92 

vucca,  109  zéa,   165 

vuci,  109,  137  zìppiri  «rosmarino»,   155 

vuei  «oggi»,  51  zoca  «fune»,   133 

vunde,  51  zompare,  145 

vuté,  115  zopp,  zupp,  131 

vuvè,  99  zurru,  104 


N.  B.  Le  varie  forme  verbali  sono  state  riportate  all'infinito,  che  viene 
scritto  in  maiuscoletto. 


INDICE  GENERALE 


Introduzione v 

Indice  delle  abbreviazioni viii 

Bibliografia ix 

Piemonte 1 

Liguria 10 

Lombardia 20 

Veneto 30 

Trentino  -  Alto  Adige 41 

Friuli-Venezia   Giulia 48 

Emilia  -  Romagna 54 

Toscana 64 

Marche 72 

Umbria 80 

Lazio 87 

Abruzzo  -  Molise 95 

Campania 107 

Puglia 120 

Basilicata 128 

Calabria 135 

Sicilia 143 

Sardegna 154 

Indice  dei  nomi  geografici 171 

Indice  fonetico 176 

Indice  morfologico 186 

Indice  lessicale 191 

Tavole 209 


TAVOLE 


Avvertenza 

Nelle  cartine  i  tipi  sono  classificati  unicamente  in  base  al 
fenomeno   preso   in   esame. 

Le  parti  bianche  stanno  ad  indicare  mancanza  di  testimo- 
nianze precise  dell'Atlante  Italo-Svizzero  nelle  zone  di  confine 
linguistico  relativamente  al  fatto  fonetico  in  questione. 


CENTO  (DALLA  CARTA  AlS  304) 


tipo  cento 


tipo  zento   h;:;- 


'  -,  Ì\       tipo  sento  (hent'  >> 
tipo  thento 


tipo  sciento   [Mi     [il 
tipo  kento   ^ 


Fig.    I.  Palatalizzazione  e  assibilazione  di  e  davanti  a  E,  \. 


LATTE  (DALLA  CARTA  AlS  1199) 


\^ 


Fig.  2.  Esito  del  nesso  latino  ct. 


Fig.  3  .  Sviluppo  del  nesso  cl. 


rig.  4.  Sviluppo  del  nesso  pl. 


CRUDO  (DALLA  CARTA  AlS  992) 


tipo  crudo 


tipo  erodo   |!»I«!«l| 
tipo  crido   ^^^1 


Fig.   5.  Sviluppo  di  u  in  u  nell'Italia  settentrionale. 


FILARE  (DALLA  CARTA  AlS  1500) 


tipo  filare 


Fig.  6.  Passaggio  di  a  in  a,  e  nell'Italia  settentrionale  (solo 
negli  infiniti  della  ì"  coniugazione  per  la  zona  pie- 
montese) . 


HAI  CAPITO 

J:^^ 

-^ 

\               ài  ha^i^o  1        j 

V   j        ài  (h)apito  H^H 
r^              ài  capito  1         1 

H,^jv/  ^^^Ji 

6-7  È^ 

1                  è  cavid  Hm    II 

V^r^^W 

ài  gabito  (-gatìiab)  }f\'/;l^ 

:■ 

à  , 

h\ 

^  !::•:( 

^f 

• 

1^ 

S>/A 

*  » 

• 
cr-) 

V 

v^ 

Fig.   7  Spirantizzazione  e  sonorizzazione  di  e.  T,   p  inter- 
vocali  in  Toscana. 


ROTONDO  (DALLA  CARTA  AlS  1581) 


tipo  (ro)tondo 
tipo  (ro)tonno 


Fig.  8.   Assimilaziune  dei   nessi   nd.    mb   nell'I  tulio  centro- 
meridionale. 


Vocalismo 
panromanzo 

(Italia  settentrio- 
nale, centrale: 
parzialmente 
Italia  meridio- 
nale) 


I        I        e        e        a        0        o        u        ù 
e  e        a        o  o  u 


e        a        0 
e  e 


Vocalismo 
sardo 

(Sardegna,  "zo- 
na Lausberg'  ) 


Vocalismo 
siciliano 

(Sicilia,  Salente; 
parzialmente 
Calabria  e  Ci- 
lento) 


e        a        0 
e  e 


Vocalismo 
asimmetrico 

(parzialmente 
Lucania) 


Vocalismo 
di  transizione 

(parzialmente 
Puglia,  Lucania, 
Cilento) 


e        e 

I, 

e 


o         0 

/ 
o 


\/      \/ 


é^^K' 


Fig.  9.  Schema  dei  tipi  fondamentali  di  vocalismo  (sul  ter- 
ritorio italiano)  nel  passaggio  dal  latino  ai  dialetti. 


Stampato  nel  mese  di  giugno  1972 
dalle  Officine  Grafiche  Firenze 
per  conto  di  G    C.  Sansoni  S.p.A. 


y& 


Sansoni  Università 


«  Nessuna  regione  italiana  ha  avuto 
una  storia  linguistica  unitaria. 
Nessuna  storia  regionale  può  fare 
a  meno  delle  esperienze  linguistiche 
del  suo  territorio  ».  Sulla  base  di  questa 
formulazione,  il  libro  acquista  la  sua 
individualità  nel  campo  della 
dialettologia  italiana:  per  la  prima  volta 
i  problemi  sono  stati  affrontati  in  una 
visione  che  è  rigorosamente  legata 
ai  confini  amministrativi  regionali,  ma 
che,  allo  stesso  tempo,  si  compone 
nella  solida  struttura  di  un  quadro 
d'insieme.  E,  in  questo  quadro,  una 
prospettiva  storica  di  duemila  anni 
serve  da  sfondo  alla  vita  delle  nostre 
parlate  attuali. 


University  of  California  Library 
Los  Angeles 

This  hook  is  DUE  on  the  last  date  stamped  below. 


;//cataloc  .lìbrary.Uwi^^^^ 


^y  Account 


j^pRl  42008 


3   1158  00393  3735 


^         ^  P- ,K,M         j 


■r  '**>*!« 'fili